Lady Stardust

di Mork
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Show ***
Capitolo 2: *** Caduta ***
Capitolo 3: *** Rottura ***
Capitolo 4: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** The Show ***


«Tutto bene?», chiese David ridendo.
Marc mugolò, liberandosi della chitarra «Spero non si sia rotta»
«Preoccupati delle tue ossa, piuttosto»
«Cristo, Davey, sono scivolato, mica caduto da un palazzo»
«Se fossi davvero caduto da un palazzo non staremo qui a parlarne»
«Appunto»                                                                                   
David gli tese un braccio e, quando Marc lo afferrò, lo tirò in piedi con fin troppa facilità.
«Hey, non sarai dimagrito un po’ troppo, amico?»
«Sta’ zitto, l’anno scorso pesavi anche meno di me»
David sbuffò, sarcastico e infastidito, e si allontanò, mentre l’altro si ripuliva i jeans e si massaggiava le tempie; liquidò in fretta le persone che si erano avvicinate per chiedere cosa gli era successo, e seguì David dietro le quinte.
«Già te ne vai?»
«Beh, io ho finito qui, no?»
«E che c’entra? Ci rivediamo dopo tutto questo tempo e te ne vai via dopo cinque minuti?»
«Ma se abbiamo provato insieme tutto ieri!»
«E infatti anche ieri te la sei data a gambe appena finito...»
«Quindi perché non farlo anche oggi?»
David accelerò il passo, frugando nelle tasche della giacca alla ricerca di una sigaretta; Marc lo raggiunse e con un salto gli sfilò gli occhiali da sole, che aveva tenuto addosso anche durante il programma.
«E cosa sarebbero questi? Sei in incognito, forse?»
«Certo, non voglio farmi vedere insieme a te»
«Manco avessi la peste!»
Marc gli rifilò un pugno sulle costole, al quale David rispose colpendolo alla tempia con il palmo aperto, facendolo gemere.
«Sei solo un alcolizzato, infatti. Guardati, neanche riesci a reggerti in piedi! E dovrei perdere il mio tempo con uno perennemente ubriaco?»
«Non sono ubriaco!», urlò Marc, con la voce incrinata.
«E allora perché diavolo sei caduto, un minuto fa? Non c’erano neanche cavi su cui inciampare, e hai fatto appena un passo!»
«Stare al tuo fianco mi ha fatto svenire dall’emozione», mormorò Marc con un sorriso sbilenco.
David si lasciò sfuggire un sospiro esasperato, e si diresse rapidamente verso l’uscita dello studio del Marc Show.
«Li tengo io questi?», gli gridò dietro Marc con fare petulante, agitando gli occhiali al di sopra della testa.
Per tutta risposta, David uscì sbattendo la porta.
Ovviamente, neanche dieci secondi dopo, si ritrovò il suo braccio intorno alle spalle.
«Potrò mai liberarmi di te?»
Marc rise, rovesciando il capo all’indietro e agitandolo in segno di diniego «Dai, andiamo a bere qualcosa insieme!»
«Tu... hai il coraggio di voler bere ancora?»
«Non ti preoccupare per me, reggo bene»
«Oh, l’ho visto»
«Beh, io ci vado comunque, e se non vieni con me, chi mi terrà d’occhio?»
«Ma che fai, mi ricatti?»
«Sto solo cercando di appellarmi a quel briciolo di umanità che ancora possiedi»
«Ne sei sicuro?»
«Sei un mostro!»
Risero entrambi, o meglio: Marc buttò indietro la testa ridendo sguaiatamente, e David si limitò a sorridere. Stavano camminando per una strada non molto affollata, ma non c’era persona nel raggio di cento metri che non li stesse guardando: David, che cercava di apparire impassibile fumando e camminando impettito, e Marc che, appeso al suo collo, camminava sbilenco su tacchi femminili, beandosi degli sguardi dei passanti.
«20th Century boy...», iniziò a cantare Marc in falsetto
«Oh, ti prego»
«I wanna be your toy»
«Piantala! Stiamo già attirando fin troppa attenzione!»
«Ma non sei contento?»
«Affatto!»
«Ma dai! Con tutto quello che stai facendo per promuovere il tuo stramaledetto album, ti scoccia essere notato per strada? Almeno la gente non ti da per morto»
«Come invece fanno con te»
Marc mise su il broncio «Guarda che lo so che sei venuto ospite al mio programma solo per farti pubblicità»
«E per che altro sarei dovuto venire?»
«Per fare un favore ad un vecchio amico! Per... che ne so... interesse artistico!»
«Al diavolo, il glam è morto da un pezzo»
«Guarda che io mi sto interessando ad altro, sai?»
«Non prendermi in giro. Ospitare gruppi punk al tuo show vuol dire solo assecondare le mode, tu rimarrai un dannato glam rocker fino alla fine della tua miserevole esistenza»
«E che c’è di male?», mormorò Marc, passando alla fase malinconica della sbornia in un batter d’occhio. David decise di non infierire ulteriormente, anche perché si era accorto che, parlando, Marc lo aveva portato dritto dritto nella tana del lupo. «Oh, ma guarda, siamo arrivati», esclamò quest’ultimo, staccandosi dal collo di David e fingendosi stupito «Allora, vieni con me?»
Se uno sguardo potesse uccidere, Marc probabilmente sarebbe rimasto fulminato seduta stante. David non era arrabbiato tanto con lui, quanto con la propria incapacità di negargli fermamente qualcosa: non era passato neanche un anno da quando si era accorto che, se continuava con quello stile di vita, non avrebbe visto la fine del decennio; era riuscito da poco, e neanche completamente, a disintossicarsi dalla cocaina, ma era ancora nel pieno della dipendenza all’alcol; visto che aveva la fortuna di rendersi conto del pericolo, perché non lo evitava?
Marc incrociò le braccia sul petto, appoggiandosi al muro e arricciando le labbra in una deliziosa espressione di disappunto.
«Va’ all’inferno», mormorò aspramente David, passandogli davanti ed entrando nel locale.

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Capitolo 2
*** Caduta ***


Cosa di cui ebbe modo di pentirsi appena un’ora dopo, fissando la nuca di Marc riverso sul tavolo.  Da quando erano entrati, non aveva fatto altro che ordinare un cognac dopo l’altro; David gli aveva tenuto dietro per i primi quattro giri, poi, accorgendosi che probabilmente l’altro si sarebbe fermato solo al sopraggiungere del coma etilico, aveva deciso di rimanere lucido abbastanza da poterlo sorreggere fino all’auto. «Gran pezzo d’idiota», brontolò David, riversandogli addosso tutto il disprezzo di cui era capace. Marc, negli ultimi dieci minuti, non aveva fatto altro che mugolare frasi sconnesse, e piagnucolare negli intervalli. David fece per alzarsi e chiamare il suo autista, ma Marc, appena si accorse del movimento, lo afferrò per un braccio con inaspettata fermezza.
«Vado a chiamare qualcuno che ti porti a casa»
Marc si mise a piangere, supplicandolo di non portarlo da June; David, allora, più dolcemente, gli chiese il numero di Gloria.
«No, ti prego, non posso farmi vedere da lei in queste condizioni...»
David si rimise a sedere, lasciando che Marc gli stritolasse il braccio su cui versava calde lacrime, e iniziò a domandarsi quante volte, nell’incoscienza della sbornia, si era anche lui aggrappato al braccio di Iggy, quante volte aveva pianto e farneticato, quante volte si era trascinato per fumosi locali e corridoi in penombra, quante volte si era accasciato sui sedili posteriori di una limousine, o nel vano di un ascensore; e non poté fare a meno di provare disgusto per se stesso, seguito poi da un’immensa pietà per il compagno. Erano entrambi molto fragili, ma David era riuscito a costringersi a diventare forte; Marc, invece, non andava oltre l’arroganza e la spacconeria adolescenziale: era un’anima candida, fanciullesca, insicura, che si era lasciata facilmente travolgere dalla spazzatura che, presto o tardi, segue la fama, e non aveva i mezzi per combatterla.
David accostò la sedia alla sua: «Che hai intenzione di fare, allora?»
«Portami con te», sussurrò Marc, alzando il viso arrossato e bagnato e implorandolo con gli occhi striati di rosso.
«Fammi andare a chiamare il mio autista, allora», mormorò David in risposta, e si alzò. Marc gli lasciò andare il braccio, solo per alzarsi a sua volta e caracollargli dietro, aggrappandosi alla sua vita.
«Sta’ seduto, da bravo, meno cammini meglio è»
«Non mi lasciare...»
«Sto solo andando a chiamare, stai tranquillo»
«NO TU MI VUOI LASCIARE QUI LO SO LO SO CHE VUOI ABBANDONARMI MI ODI NON ANDARE NON MI LASCIARE NON ANDAR VIA!», gli strillò contro Marc completamente isterico. David dovette sforzarsi non poco per liberarsi dalla sua stretta quanto bastava per girarsi verso di lui e tappargli la bocca.
«Va bene, fa’ come ti pare, stammi pure appiccicato, ma in silenzio»
Marc schiacciò il viso contro il petto di David che, muovendosi come un granchio, riuscì a raggiungere il telefono e chiamare il suo fido autista, che in pochi minuti si fece trovare all’uscita sul retro del locale.
Sempre con Marc attaccato come il guscio di una chiocciola, David arrancò per il pub tra gli sguardi sbigottiti dei clienti, e uscì dalla porta sul retro, salutato da una ventata di aria fresca che lo riportò letteralmente in vita. Tony Mascia gli aprì lo sportello posteriore della limousine, e David, staccatosi Marc dalle costole, ce lo lanciò dentro senza troppi complimenti, e poi salì anche lui.
«All’hotel, Tony», sospirò, per poi dedicarsi a quella catastrofe nero chiomata: Marc non si era mosso da come David l’aveva buttato sul sedile, e aveva tutto l’aspetto di un ragno spiaccicato; cercò di farlo sistemare più comodamente, visto che apparentemente il ragazzo non era più padrone dei propri muscoli: se ne stava con gli occhi chiusi e la bocca aperta, da cui uscivano rantoli che dovevano essere respiri. Se David non avesse conosciuto più che bene quei sintomi, si sarebbe spaventato a morte.
 
Il Duca ringraziò il cielo diverse volte per avergli dato Tony come autista, perché arrivati all’albergo dovettero prendere su di peso Marc, che nel frattempo aveva perso i sensi, e trasportarlo fino alla camera di David, il quale aveva previdentemente preso una doppia.
Buttarono Marc sul letto, poi Tony si congedò, e David si appoggiò alla porta lasciandosi scivolare a terra, completamente esausto. Accaldato, si liberò di gran parte dei vestiti e si sdraiò accanto a Marc, che non dava segni di ripresa.
“Che possa dormire come un sasso fino a domani mattina”, pensò, anche se in cuor suo aveva un brutto presentimento. Mentre lo fissava mandandogli messaggi telepatici di ogni genere, ripensò a una canzone che aveva scritto diversi anni addietro, e che si affacciò nella sua mente in modo piuttosto buffo. David sorrise tra sé, poi si alzò e si diresse verso i bagagli ancora intatti, visto che comunque aveva intenzione di partire la mattina seguente. Tirò fuori la chitarra dal fodero e si rimise a sedere sul letto, sicuro che Marc non si sarebbe svegliato neanche per le trombe dell’Apocalisse. Iniziò a cantare non con il tono che usava abitualmente per quella canzone, ma con la sua tonalità naturale da baritono, rendendo quella canzone più simile ad un requiem che a una ballata.
 
People stared at the makeup on his face
Laughed at his long black hair, his animal grace
The boy in the bright blue jeans
Jumped up on the stage
And Lady Stardust sang his songs
Of darkness and disgrace

And he was alright, the band was altogether
Yes he was alright, the song went on forever
And he was awful nice
Really quite out of sight
And he sang all night long

Femme fatales emerged from shadows
To watch this creature fair
Boys stood upon their chairs
To make their point of view
I smiled sadly for a love I could not obey
Lady Stardust sang his songs
Of darkness and dismay

And he was alright, the band was altogether
Yes he was alright, the song went on forever
And he was awful nice
Really quite paradise
And he sang all night long

Oh how I sighed
When they asked if I knew his name

 
Non si era mai accorto prima di quanto fosse vera quella canzone: sì, l’aveva scritta avendo sempre in mente Marc, ma solo ora si accorgeva di quanto fosse stata profetica.
Mise via la chitarra sotto il letto, rivolse un ultimo sguardo intenso a Marc, poi spense la luce e in breve si addormentò.

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Capitolo 3
*** Rottura ***


Fece un sogno strano, confuso, in cui sentiva continuamente una specie di pigolio meccanico; scivolando nel dormiveglia, quel suono non lo abbandonò, e rimase intontito a domandarsi confusamente se non stesse ancora sognando oppure se quel pigolio fosse un rumore reale.
Nell’arco di qualche minuto, quando ormai il sonno lo aveva abbandonato e la mente si era schiarita, si accorse che quel rumore bizzarro persisteva, il che lo disorientò per un attimo: pensò che fosse già mattina, e che quello non fosse altro che il cinguettio degli uccelli. Ma si disilluse in fretta, vedendo che tra le tende non filtrava il minimo raggio di luce solare. Gli ultimi lembi di sonno si dissolsero dalla sua mente, e allora capì, con inquietante chiarezza, cosa fosse in realtà quel suono: era un lamento.
Con uno scatto, si sollevò sui gomiti, e facendolo si appoggiò nella parte di letto dove aveva fatto sdraiare Marc: ma lui non era più lì. Una morsa gli serrò lo stomaco, e una scarica di brividi gli percorse la schiena mentre si metteva a sedere. Ora che aveva identificato il suono gli pareva assordante, e non ricordava di essere mai stato così spaventato da un rumore. Non riusciva a capire bene da quale angolo della stanza provenisse, così stese una mano verso l’interruttore della lampada, ma per premerlo gli ci volle qualche secondo, assalito com’era da un orda di terrori sempre più irrazionali.
La luce giallastra illuminò impietosamente la stanza in un attimo, e David puntò subito gli occhi su Marc: era raggomitolato in un angolo, vicino alle valigie, con il viso nascosto dalle ginocchia e le braccia incrociate sopra la testa. David scese dal letto e gli si avvicinò lentamente, atterrito da quel piagnucolio, che sembrava quello di un cane ferito.
«Marc?», lo chiamò incerto, inginocchiandosi davanti a lui «Che è successo?»
Sembrava che ora Marc cercasse di controllarsi, facendo dei gran respiri, ma senza riuscire tuttavia a dire una parola.
«Stai male?»
Marc si limitò a continuare a tremare come una foglia, ma quando David, dopo qualche minuto di silenzio, si apprestava a rifargli la domanda, rispose: «L’ho sognata ancora»
Il tono con cui lo disse agghiacciò David, che dovette aspettare un po’ prima di essere lui stesso in grado di parlare: «Cosa?»
«La mia morte», gemette Marc, respirando angoscia e rischiando di strozzarsi con le sue stesse lacrime. David deglutì, poi gli abbracciò le gambe per togliergli le ginocchia dalla faccia. Marc allora si coprì debolmente il viso con le braccia, ma quando David gli scansò anche quelle con la massima delicatezza, rimase inerme come una bambola di pezza.
David era piuttosto incerto sul da farsi, ma poi, istintivamente, avvicinò il viso al suo e, prima ancora di accorgersene, si stavano baciando.
Marc spalancò gli occhi verde mare e si ritrovò davanti la landa ghiacciata di quelli di David; rabbrividì, perché gli sembravano senza vita, e ritirò le braccia contro il petto.
Senza separare le labbra dalle sue, David scivolò di lato e, preso Marc tra le braccia, iniziò a cullarlo come un bambino. Lui gli si abbandonò completamente, e dopo un po’ il suo respiro si fece più regolare. David allora lo sollevò come se fosse poco più consistente di una nuvola, e lo poggiò dolcemente sul letto, per poi sdraiarsi al suo fianco. Marc gli si avvinghiò addosso, tuffando il viso nell’incavo della sua spalla; David sospirò divertito, perché quei boccoli scuri gli facevano il solletico, allungò un braccio dietro di sé per spegnere la luce, e poi glielo passò intorno alle spalle, chiudendo gli occhi.

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Capitolo 4
*** Epilogo ***


David se ne stava con il capo riverso sul sedile, con fuochi d’artificio e cannoni che scoppiavano nella sua testa, mentre Iggy, alla guida, canticchiava a denti stretti tra sé e sé. Tra la nebbia di piombo che aleggiava sulle sue tempie, David scorse una macchina familiare parcheggiata vicino ad un autogrill; strinse il braccio di Iggy e gli intimò di accostare.
«Beh, che hai?», gli chiese quando ebbero parcheggiato «Devi vomitare?»
David si buttò fuori dalla macchina, fece il giro, ed aprì la portiera dal lato del guidatore: «Esci»
«Che vuoi fare?!»
Senza aspettare oltre, con la foga della sbornia, David afferrò Iggy per la giacca e lo tirò via dall’auto, poi si sedette al suo posto e iniziò a fare manovra.
 
Every chance...
Every chance that I take
I take it on the road
 
Gloria affondò il piede sul pedale dell’acceleratore, e Marc si irrigidì sul sedile, stringendo la maniglia dello sportello.
«Tesoro, non sarà il caso di rallentare?»
«Ma perché?», Gloria rise «La strada è tutta dritta, e non c’è nessuno in giro»
 Marc non rispose, ma rimase irrequieto.
 
Those kilometers, and the red lights
I was always looking left and right
 
David puntò la macchina che riconobbe come quella del suo vecchio spacciatore, che evidentemente si era fermato a contrattare in un angolo buio vicino alle pompe della benzina. Ignorando le urla di Iggy, accelerò e andò a sbattere contro il fianco dell’auto, poi fece retromarcia, e gli andò addosso di nuovo, ripetendo l’operazione fino allo sfinimento.
 
But I’m always crashing in the same car
 
Tornati all’hotel, Iggy scese come un proiettile dalla macchina, incazzato nero e spaventato  a morte, lasciando David in balia di se stesso nel garage semi deserto. Aveva ancora l’adrenalina a mille, quindi iniziò a girare intorno, stringendo spasmodicamente il volante e aumentando gradualmente la velocità, rischiando più volte di non curvare in tempo in fondo al garage.
 
I was going round and round the hotel garage
Must have been touching close to 94
 
Un boato, assordante e terribile come un tuono o un colpo di cannone, fece sobbalzare Marc e Gloria: uno dei pneumatici posteriori era esploso e la ragazza stava perdendo il controllo della vettura, andando fuori strada. Gloria urlò, pochi attimi prima che la macchina si schiantasse contro un albero, accartocciandosi come un pacchetto di patatine; Marc non ci riuscì, non provò neanche paura, ma solo l’amarezza per una nefasta profezia che aveva cercato di esorcizzare per anni, e che si era comunque avverata.
 
Oh, but I’m always crashing in the same car
 
David, del tutto inconsapevolmente, stava andando a cento all’ora contro la parete del garage, senza dare accenno di voler curvare: era completamente fuori di sé.
All’ultimo minuto, qualcosa, nel suo intimo, come un ultimo briciolo di istinto di conservazione, scattò, e lo fece sterzare violentemente; la vernice della carrozzeria partì, le ruote mandarono scintille, ma si era salvato. Inchiodò, e rimase a fissare la parete opposta con una strana stretta allo stomaco, che non aveva niente a che fare con la paura, l’adrenalina o la sbornia: sentiva che una parte di lui se ne era andata per sempre.

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