-Within a man's heart;

di d r e e m
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO - IT'S A VAMPIRE THING ***
Capitolo 2: *** 1- EXCUSE ME, ARE YOU A VAMPIRE? ***
Capitolo 3: *** 2- WHAT THE HELL IS GOIN' ON? ***
Capitolo 4: *** 3- I'M ACTING LIKE A PERFECT HUMAN ***
Capitolo 5: *** 4- SWEETY I'VE GOT A HEART AND BEATS TOO ***
Capitolo 6: *** 5- WHO IS BELIEVED TO BE THAT BITCH?! ***
Capitolo 7: *** 6- WHAT ABOUT TALKING? - UH TALK...VERY HUMAN ***
Capitolo 8: *** 7- WHY ARE YOU AGAINST ME IF I CARE ABOUT YOU? ***
Capitolo 9: *** 8- I'LL JUST DIE IF IT WILL BE WORTH IT ***
Capitolo 10: *** 9- HIDDEN WORDS CAN SAY MORE THAN YOU WANT ***
Capitolo 11: *** EXTRA- MAYBE IN YOUR DREAMS (DAMON) ***
Capitolo 12: *** 10- HE LOVES YOU BUT...IT'S A RILEVANT DETAIL ***
Capitolo 13: *** 11- DON'T YOU MANAGE TO SLEEP? ***
Capitolo 14: *** 12- C'ME ON, WE ALSO GIVE YOU CANDIES! ***
Capitolo 15: *** 13- WHENEVER WE ARE FRIENDS? ***
Capitolo 16: *** 14 - I WAS A VAMPIRE NOT A GENIE! ***
Capitolo 17: *** 15- I'M NOT YOUR PUPPET! ***
Capitolo 18: *** 16- 'CAUSE THERE ARE SOME BIKINI GIRLS! ***
Capitolo 19: *** 17- I'LL TAKE CARE OF YOU NOW, I PROMISE. ***
Capitolo 20: *** 18-WHO GETS MARRIED? ***
Capitolo 21: *** 19 - WET BRIDE, LUCKY BRIDE ***
Capitolo 22: *** 20-GOOD MORNING, ELENA! ***
Capitolo 23: *** 21 - YOU ARE HERE! ***
Capitolo 24: *** 22 - DO YOU TRUST HIM? IT'S EVIL! ***
Capitolo 25: *** 23 - WE'RE NOT STRANGERS, WE'RE A FAMILY ***
Capitolo 26: *** 24-I LOVED HER, THAT'S THE PAIN ***
Capitolo 27: *** 25 - AN END IS JUST AN END ***
Capitolo 28: *** 26 - BUT I LOVE YOU MORE ***
Capitolo 29: *** 27. HOW DO YOU SAY? SHOW MUST GO ON! ***
Capitolo 30: *** 28-SHE'S NOT ME ***
Capitolo 31: *** 29 - WHO'S NEXT? ***
Capitolo 32: *** 30- YOU OWE ME A FAVOR, MATE! ***
Capitolo 33: *** 31- A WITCH, A VAMPIRE, A HUMAN ***
Capitolo 34: *** 32- WE WON'T DIE. WE CAN'T ***
Capitolo 35: *** EPILOGO - IT'S A HUMAN THING ***



Capitolo 1
*** PROLOGO - IT'S A VAMPIRE THING ***


Ma salve popolo di vampiri, qui è dreem che vi parla! Questa storia non è la prima che faccio su il fandom TVD tuttavia dopo l’ennesima richiesta da parte di una certa persona sono costretta a pubblicarla! Non ci sono spoiler rilevanti: si ambienta nella seconda stagione quando Katherine è già tornata in città, Caroline è diventata da poco vampira, ma non si sa niente né di Mason né dei licantropi. Sono stati inseriti nuovi personaggi e un nuovo intricato problema…e tutto come sempre ha a che fare con Damon! Perciò cominciate a leggere il prologo e spero tanto di non farvi annoiare. Buona lettura =D

 -Within a man’s heart;

1.PROLOGO- IT’S A VAMPIRE THING
 

“Giuro Damon che se non mi fai scendere da questa macchina io…”
“Rilassati e cerca di goderti il panorama – mi guardò di sottecchi sprigionando il più bastardo dei suoi sorrisi - ti spuntano le rughe se ti arrabbi”
L’aveva fatto di nuovo!            
 

Un po’ di tempo prima…
 

Era assurdo ma ormai la pensione Salvatore era diventata quasi la mia seconda casa, forse perché in fondo lì vi abitava la mia unica ragione di vita. Non era male avere un vampiro come fidanzato anche se non potevo di certo andare tranquillamente al cinema a trangugiare pop-corn senza incontrare vampiri assassini, pazzi furiosi o peggio la tua sosia in versione vampira pronta a rapirti il fidanzato sotto il naso.
Risi di quanto fosse diventata assurda la mia vita nell’ultimo anno a Mistic Falls dopo la morte dei miei genitori e spensi il motore della macchina proprio di fronte l’abitazione.
Forse quella mattina di fine maggio sarebbe stata abbastanza tranquilla per trascorrere un po’ di tempo insieme a Stefan mandando a quel paese tutto ciò che iniziasse con v e finisse con o.
Non mi accorsi di avere un sorriso da ebete stampato in faccia né di avere stupidamente bussato alla porta quando potevo benissimo entrare.
Alzai gli occhi al cielo e spinsi la porta per entrare ma qualcuno mi bloccò.
“Ma cosa diavol-” “Buongiorno anche a te Elena” avrei riconosciuto quell’odiosissima e suadente voce tra mille. “Damon apri la porta”. “Dammi almeno un motivo per farlo” lo vidi sghignazzare dalla fessura che si era creata tra me e la porta: la teneva ferma con un solo dito! “Per l’amor del cielo Damon fammi entrare” ma dall’altro lato il mio sordo interlocutore sembrava occupato a fare qualcos’altro che starmi a sentire:stavo davvero perdendo la pazienza soprattutto perché avevo progettato un appuntamento tranquillo senza nessun disturbo e il vampiro che mi trovavo davanti era un disturbo!
“Vedi che chiamo Stefan!” dissi sentendo dentro montarmi la rabbia. La fessura della porta si allargò e da lì sbucò la faccia ghignante e falsamente impaurita di Damon Salvatore che mi guardava con due buffissimi occhi azzurri sbarrati. “Oh no…non chiamare Stefan, ti prego non lo fare, ti supplico non chiamarlo-” si portò una mano alla fronte teatralmente come se fosse il peggiore dei supplizi “-mangerebbe il coniglio che ho stampato sulla maglietta” piegò le labbra in un sorriso che gli procurarono delle leggere fossette sulle guance.
Cercai di dargli uno schiaffo ma fu più veloce di me: richiuse la porta e io mi procurai una possibile frattura alle nocche. Mentre mi massaggiavo la mano dolorante da dietro la porta sentii una risata liberatoria: potevo benissimo vedere la sua faccia che se la rideva per il danno che mi ero procurata. Ma quello era troppo: misi la mano nella borsa alla ricerca del telefono. “Che cosa sta succedendo?” la voce di Stefan dall’altro lato della porta mi rincuorò e con tutta la forza che avevo in corpo la spinsi ma…era stranamente più leggera!
Ricaddi sul tappeto ma non arrivai neanche a sfiorarlo che Damon mi aveva presa per la vita facendomi riacquistare l’equilibrio “Devi stare più attenta a dove metti i piedi!”. Lo fulminai con lo sguardo ma non riusciva a togliersi quell’assurda aria di onnipotenza: chi aveva ucciso per essere di così buon umore? Mi divincolai dalle sue braccia per passare a quelle del mio ragazzo: doveva essere appena uscito dalla doccia, odorava di muschio e pino silvestre. “Allora che cosa ti va di fare?” mi disse accarezzandomi una ciocca di capelli “Qualsiasi cosa pur di stare con te” lo guardai negli occhi e avvicinai le mie labbra alle sue. “Oh ma per favore: potreste fare morire un diabetico per quanto siete smielati!”.
Il bacio fu interrotto da Damon che ci stava fissando dalla poltrona del salotto con in mano uno dei suoi soliti bicchieri colmi o di sangue o di liquore. “Geloso Damon?” gli chiesi in tono di sfida cercando la rivincita per il pungo di prima e continuando ad aggrapparmi sempre più alle braccia di Stefan. Bevve un sorso di quello che riconobbi come cognac “Ehi sono un vampiro: posso avere tutte le ragazze che voglio! Prima le ammalio-” si stava avvicinando pericolosamente a me che ero rimasta sola dopo che Stefan si era allontanato per mettersi qualcosa addosso “-poi ci parlo un po’-” ancora un altro passo verso di me “-e poi me le porto a…” “E allora perché non sei a divertirti con una di loro?” lo interruppe Stefan che intanto si era procurato una maglietta e degli occhiali da sole e che adesso era al mio fianco guardando Damon in cagnesco.
“Vedi fratellino quando puoi avere tutto a volte poi ti secca pure averlo.” Ritornò da dove era venuto posando il bicchiere sul tavolino in mogano e prendendo tra vari libri e bottiglie quello che riconobbi come un paletto si legno. “Invece perché non impalettiamo qualche vampiro? Coraggio fratellino come ai vecchi tempi io te e…” mi guardò scettico per un momento squadrandomi dalla testa ai piedi “ no lei non fa parte dei vecchi tempi”. Odiavo il suo modo di atteggiarsi e di credersi il più importante dei vampiri…avrei di gran lunga desiderato che non lo fosse più ma questo era tecnicamente impossibile!
Irritata presi Stefan per un braccio e mi diressi verso l’uscita. “Certo lasciatemi pure solo ad architettare un altro oscuro piano per tirare fuori altri vampiri da un’altra cripta” Non feci caso alle sue parole e chiusi la porta trascinandomi dietro uno Stefan alquanto taciturno. Mi strattonò un braccio e io mi girai per sapere cosa lo stava turbando. I suoi occhi verdi mi fissarono in segno di rimprovero ma anche desiderosi di chiedere. “Che c’è?” sbottai vedendo che lui non si decideva a parlare “Forse ha ragione” “Forse ha ragione nel senso che io non faccio parte dei vecchi tempi?” “No ha ragione che lo lasciamo troppe volte solo” mi stupii di quella risposta: a quel che ricordavo Damon aveva sempre vissuto da solo, non si preoccupava della compagnia, era abituato alla solitudine…o almeno il Damon che conoscevo. “Che cosa intendi dire?” “Da quando non è più ossessionato da Katherine non ha cercato più di uccidere persone, ha mantenuto un profilo basso per non farci scoprire, tutto questo non è da Damon: credo proprio che sia cambiato ma se lo lasciassimo solo potrebbe…” Capii le sue intenzioni e non lo feci continuare oltre “va bene basta che non si comporti come al solito” nel suo volto affiorò un sorriso “non ti posso assicurare niente: è Damon!” “E’ un vampiro” pensai.

E forse da qui iniziarono i veri guai.

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Capitolo 2
*** 1- EXCUSE ME, ARE YOU A VAMPIRE? ***


1- PLEASE EXCUSE ME, ARE YOU A VAMPIRE?

“E voi passereste una bellissima domenica di fine maggio al Grill?”. Mi pentii quasi subito della scelta che avevo fatto: come potevo essere stata così scema da far venire anche Damon all’appuntamento mio e di Stefan!
“Non sono affari tuoi di come passiamo il nostro tempo libero”. Mi sedetti sulla sedia vicino al tavolo da biliardo mentre Stefan stava già prendendo in mano una delle stecche: sapeva che ero nervosa.
Damon si sedette accanto al tavolo del barista ordinando un wisky. Era strano vederlo così mansueto, forse si stava annoiando veramente, poteva capitare in 162 anni no?
Mi soffermai a guardarlo per un momento: aveva uno sguardo malinconico mentre osservava il liquido denso del bicchiere che teneva tra il pollice e l’indice. Alcune ragazze sedute su un tavolo vicino ammiccavano in sua direzione ma lui dopo averle sorriso si era rifugiato nuovamente nel suo angolo con la sola consolazione del bicchiere. Da quando Katherine aveva fatto la sua comparsa Damon aveva perso la strada giusta (non che ne avesse mai avuto una) e il tentato omicidio di mio fratello non aveva fatto altro che accrescere l’odio nei suoi confronti.
Mentre rimuginavo sugli ultimi avvenimenti la mia attenzione fu catturata dalla figura di una ragazza che era appena entrata nel locale: aveva dei capelli neri che le arrivavano alle spalle e degli occhi meravigliosamente grigi che mi freddarono all’istante. Un brivido mi percorse lungo la schiena e i muscoli del corpo mi si tesero come corde di violino: se non fosse stato per l’accentuato rossore delle guance l’avrei di certo scambiata per un vampiro! Con passo aggraziato si avvicinò al bancone e si sedette accanto a Damon che stava svuotando il suo terzo bicchiere. Damon sembrò accorgersi del mondo circostanze solo quando la ragazza goffamente era caduta sullo sgabello e lui l’aveva aiutata a rialzarsi. Vidi Damon sorriderle senza ombra di sospetto e iniziare una conversazione con lei.
Ero troppo lontana per origliare cosa stessero dicendo ma dall’espressione della ragazza sembrava davvero che Damon le avesse detto una delle sue solite battute. Decisi di chiedere aiuto a Stefan ma senza neanche rendermene conto si era seduto accanto a me tenendomi la mano “Ehi- mi disse scrutandomi a fondo -tutto bene?” in effetti non andava affatto bene: il mio sesto senso mi diceva che quella ragazza era un vampiro, sembrava che ce l’avesse scritto in fronte a caratteri cubitali. “No…quella ragazza ha qualcosa che non mi convince” dissi facendo un cenno con il capo per indicare la postazione di Damon. “Pensi che sia un…” “Non so, sto solo dicendo che ho avuto paura quando ho incrociato il suo sguardo” “Potremmo sempre verificare ma dobbiamo essere cauti” lo guardai non riuscendo a capire che cosa volesse fare “Andiamo a fare amicizia con la nuova conoscenza di Damon” stentavo a crederci: io gli avevo detto che c’era probabilmente un nuovo vampiro in circolazione e lui voleva fare amicizia? Stefan mi precedette e si unì alla conversazione.
Rimasi in disparte per un po’ ma alla fine mi arresi e raggiunsi gli altri poco lontano. “Oh Elena ti presento Michelle,la mia nuova amichetta” mi disse ricalcando l’ultima parola forse ricordandosi della conversazione avvenuta alla pensione. “Piacere” dissi flebile timorosa di stringere la sua mano “e lei è la fidanzata di mio fratello, Elena” “Ciao sei davvero simpatica” mi squadrò dalla testa ai piedi per poi soffermare i suoi occhi grigi sui miei. Non risposi subito dubbiosa della frase che mi aveva appena detto: come faceva a saperlo? “Grazie ma come puoi dirlo, ci siamo appena incontrate” come risposta alla mia domanda ci fu una risata da parte di Damon. Lo guardai attendendo una risposta che non tardò ad arrivare. “Lei è una chiromante, ama tutto ciò che è magico, sovrannaturale…certe cose le sente a tatto”.  Bene allora sarebbe felicissima di sapere che due delle persone che ha davanti sono vampiri! “Si mi appassiona molto” arrossì alla spiegazione del vampiro seduto accanto a lei e mentre nascondeva lo sguardo e si mise a bere il frullato che aveva ordinato.
Posai lo sguardo su di lei stavolta per studiarla meglio: aveva parecchi ciondoli e orecchini con strani amuleti il che significava che la storia della chiromante era vera, ma ciò che mi incuriosì maggiormente furono dei segni rossi posti sul collo simili a dei…morsi? Alzò nuovamente lo sguardo e mi sorrise dolcemente. Mi faceva anche tenerezza: come avevo potuto dubitare che una così dolce ragazza potesse essere un vampiro? “Bene sarà meglio che andiamo, Michelle è stato un piacere conoscerti” non mi diede neanche il tempo di salutarla che Stefan mi catapultò fuori dal locale.
“Senti Stefan credo che…” “che non sia un vampiro?” mi morsi il labbro inferiore ammettendo il fatto che il mio sesto senso questa volta aveva fallito “Comunque ci sono alcune cose che non mi convincono di lei, perciò ho aggiunto un po’ di verbena nel frullato che aveva ordinato”. Rimasi interdetta e ripensai alle azioni della strana ragazza. “Ma l’ha bevuto!” “Infatti, non c’è niente di cui preoccuparsi, è umana!”, sospirai e venni accolta dalle braccia del mio ragazzo.
“Ciao Elena” la voce di Caroline mi ridestò dai miei pensieri “ehi che ci fai da queste parti?” “Oh niente di che, un po’ di shopping fa sempre bene ogni tan…ma quello non è Damon?” entrambi guardammo nella stessa direzione di Caroline: Damon era appena uscito dal locale in compagnia di Michelle che stava chiacchierando allegramente. Damon accortosi di noi ci diede uno sguardo fugace e si incamminò verso l’auto con il suo solito modo da spaccone.
“Povera ragazza, senza offesa Stefan ma tuo fratello è così odioso ed egocentrico” “è Damon” anche se il termine più appropriato sarebbe stato vampiro! Caroline da quando era diventata una vampira era meno superficiale anche se cercava di mostrarsi come una qualsiasi ragazza nascondendo il segreto suo e dei Salvatore. Si congedò da noi dicendo che aveva un mucchio di cose da fare e noi ci ritrovammo da soli pronti a passare una bella giornata in santa pace, senza avere Damon tra le scatole.

Mi ritirai a casa verso sera quando Jenna stava preparando la cena. Avevo passato una bella giornata con Stefan e alla fine invece di entrare alla pensione avevo deciso che era meglio separarci lì, perché entrare in casa e vedere Damon nudo e la ragazza in atteggiamenti…qualunque cosa fosse non era certo nei miei piani! Perciò con mio forte rammarico, ero tornata a casa. Dopo aver mangiato mi feci una bella doccia rilassante.
Mi affacciai alla finestra aperta con ancora i capelli bagnati: era una bella serata di maggio e il caldo dell’estate stava incominciando a farsi sentire. Presi la spazzola e con cura mi asciugai i capelli. Feci appena in tempo a staccare il phon che sentii squillare il cellulare. Era una chiamata di Stefan “E’ successo qualcosa?” dissi sperando in una risposta negativa “Elena qualsiasi cosa succeda domani non venire alla pensione!” stavo per chiedergli nuovamente cosa fosse successo ma cambiai la domanda dicendo “E’ per quella ragazza?” sentii solo un sospiro dall’altro capo del telefono e poi un urlo smorzato “Stefan cosa succede?” gridai con insistenza: volevo sapere! “Damon le sta succhiando il sangue, vero?” non volevo crederci eppure se Damon aveva portato a casa quella ragazza l’urlo doveva essere per forza il suo: eravamo stati degli ingenui a pensare che Damon fosse cambiato. Stefan continuava a non rispondermi, pensavo che volesse giustificarlo “Ma certo è un vampiro, è la sua natura non è così?” dissi con voce quasi isterica. “No non è un vampiro, ora non più” impallidii a quelle parole accompagnate da un urlo più acuto di prima.

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Capitolo 3
*** 2- WHAT THE HELL IS GOIN' ON? ***


2– WHAT THE HELL IS GOIN' ON?

Sarei comunque riuscita a scoprire cosa mi voleva nascondere Stefan e cosa intendeva con “non più”: era forse successo qualcosa a Damon? Speravo vivamente di no: anche se era sempre il vampiro montato e spavaldo che avevo conosciuto, col tempo si era manifestato gentile e forse anche un po’ protettivo nei miei confronti, in fondo in un modo un po’ strano mi voleva bene. Così prima di andare a scuola decisi di passare alla pensione, fregandomene del divieto del mio ragazzo.
Non potei aprire la portiera che un flusso d’aria entrò nella macchina bloccando le sicure. “Voglio una spiegazione!” “Ti avevo detto di stare lontana dalla pensione” mi inchiodò al sedile con la sua espressione austera ma cercai di non distogliere i miei occhi dai suoi. Alla fine si arrese. “E’ complicato da spiegare neanche io so cosa sia potuto accadere…” ci fu una lunga pausa, poi Stefan guardò l’orario nel cruscotto della macchina “Metti in moto e andiamo a scuola che siamo in ritardo, durante il tragitto ti spiegherò tutto, dammi solo il tempo di trovare il modo di dirtelo” non esitai e girate le chiavi e ci avviammo verso scuola.
Non provai a parlare, aspettavo che lo facesse lui e così fu. “Damon è ritornato umano” mi disse a bruciapelo. Deglutii sperando che la mia voce non apparisse fioca o rauca.“Umano nel senso di…” “Si umano proprio come te” A quelle parole strinsi le mani al volante in preda ad un capogiro: Damon era tornato umano, sarei dovuta essere felice ma questo mi faceva più male di qualsiasi dolore fisico. Presi un respiro profondo.“Ma come…” “Quella ragazza, Michelle, evidentemente doveva essere un vampiro” non riuscivo a comprendere “ma le hai dato della verbena!” a quanto ne sapevo i vampiri non potevano né toccare né tantomeno ingerirla. “Damon afferma di essere stato soggiogato e morso da quella ragazza” “Impossibile!” sussurrai non rendendomi conto di ciò che era accaduto.
Arrivammo nel cortile della scuola dove parcheggiai ancora scossa per quello che mi aveva detto. “E dov’è adesso?” chiesi quasi senza pensarci “A casa, il ritorno alla forma umana sembra essere molto più doloroso” “Voglio vederlo” “No, non puoi” “Dopo la scuola!” Stefan sembrò pensarci per qualche minuto “aspettami nel cortile” “tu non vieni?” “no, devo...controllare la situazione” e così dicendo aprii lo sportello e corse via lasciandomi sola ad affrontare una pessima giornata scolastica.
Le ore passarono lente e visto che Bonnie continuava a chiedermi cosa avessi dovetti raccontarle ciò che sapevo sulla vicenda di Damon e quella ragazza. “Quindi ora Damon…” “è un umano” “beh è una cosa positiva no?” mi bloccai e guardai la mia amica con occhi spalancati “Positivo? Ti piacerebbe se ti togliessero i tuoi poteri da strega?” “Dico solo che c’è un vampiro in meno in città quindi più sicurezza per le nostre famiglie” Bonnie era una strega: era naturale che proteggesse la sua famiglia anziché essere preoccupata per un vampiro, specialmente se quello era Damon. Non aveva ancora dimenticato il male che le aveva fatto e nonostante fossimo tornate ad essere amiche non si fidava totalmente di me se in mezzo c’erano i fratelli Salvatore.
Notai Stefan seduto su una panchina ad aspettarmi perciò salutai Bonnie e mi avviai insieme a lui verso la pensione.

Arrivati nell’ampio salotto sentii delle urla che provenivano dal sotterraneo. “Fa così male?” “Beh tutti i colpi di pistola, pugnali, paletti ricevuti in questo ultimo secolo si stanno facendo sentire”. Mi avviai verso la porta che conduceva alla cantina ma Stefan mi fermò “aspetta almeno che si sia completato il processo”. Concordai e mi sedetti sul divano cercando di ricordare i lineamenti di quella ragazza “Era umana” “Come?” “Michelle era umana, l’ho vista arrossire, essere impacciata e inoltre ha bevuto della verbena, Damon deve essersi sbagliato” “L’ha morso sul collo e l’ha soggiogato” “E se fosse qualcos’altro?” “E’ quello che sto tentando di capire”.
Mentre parlavamo mi accorsi che le urla si erano placate e che adesso in casa regnava solo un silenzio spettrale. “Sta attenta” mi disse Stefan aprendo la porta per raggiungere quella che era stata la prigione sua e del fratello. Aprì la porta con cautela e trovammo un Damon disteso a terra nell’angolo più buio della stanza. Appena ci vide arrivare faticò un po’ prima di rimettersi in piedi e ci raggiunse con un aspetto alquanto sconvolto. “Che cazzo mi è successo Stefan?” Aggredì il fratello con una forza fiacca, lo prese per il collo ma Stefan non diede segno di sofferenza. “Damon sta calmo” “Non mi dire di stare calmo o ti ammazzo” “se non ti calmi sarò io ad ammazzarti” “forse fratellino hai dimenticato che sono più forte di te” “non è più così”. A quella risposta Damon allentò la presa e ci guardò con occhi spauriti. Si voltò più volte nella stanza in cerca di qualcosa. Alla fine trovò una scheggia di vetro e con essa si taglio il palmo della mano. Il sangue sgorgò copioso dalla ferita senza rimarginarsi; preoccupata guardai Stefan: i suoi occhi erano cambiati e bramavano quel sangue. Si scusò è fuggì via tentando di riprendersi. Rimasi lì insieme a Damon intento ad osservare il sangue che lento scivolava dalla mano. “Come mai non ho sete?” disse rivolgendo quelli che un tempo erano dei bellissimi occhi azzurri, “come mai non sono forte? Come mai la ferita non si cicatrizza? Come mai sono lento come tutti quei miseri umani?” si avvicinò a me e mi scrutò, i capelli neri incollati alla fronte imperlata di sudore. “Mi dispiace Damon” furono le uniche parole che riuscii a dire continuando ad osservare quel volto stravolto dall’angoscia e dalla confusione. Cercai di abbracciarlo ma cominciò a dimenarsi e a buttare in aria qualsiasi cosa avesse a portata di mano, ringhiando, facendo più paura di quando era vampiro.
Scappai e chiusami la porta alle spalle mi ritrovai Stefan preoccupato. “Ha solo bisogno di tempo” “è stravolto” dissi sentendomi gli occhi gonfi di lacrime e portandomi una mano alle labbra per non lasciarmi sfuggire un singhiozzo che probabilmente avrebbe portato al pianto. Mi abbracciò cullandomi per poi mettermi in mano un libro dall’antica rilegatura che portava sulla copertina la scritta ‘Creature d’altri tempi’. “Ho trovato qualcosa che potrebbe interessarci: in questo libro sono raccolte tutte le figure mitiche, mostri e spettri e in particolare parla dei vampiri” mi mostrò la pagina di cui stava parlando “in uno dei paragrafi si parlava di un’antica popolazione di vampiri che vivevano in comunità. Di solito non possono vivere più di cinque, sei vampiri insieme a causa del nostro temperamento impulsivo. Eppure questa popolazione era riuscita a vivere tranquillamente per oltre settecento anni.” Annuii interessandomi di più alla storia “Un anno arrivò un periodo di carestia, il sangue scarseggiava e loro ne avevano assolutamente bisogno; il loro comportamento mutò all’improvviso trovandosi a bere l’uno il sangue dell’altro. Il continuo mescolarsi di sangue portò al ritorno di alcuni di essi in forma umana. Si crearono coppie di ex vampiri che diedero alla luce dei mezzi vampiri. Il patrimonio genetico si era alterato ed erano nate queste creature forti e veloci come dei vampiri ma che sono immuni alla verbena e per cui il sangue non è un problema visto che per metà sono umani quindi possono sopravvivere semplicemente con il cibo.”
Finita la sua spiegazione riordinai tutte le informazioni che mi aveva dato e la conclusione fu semplice da trovare “Michelle era una mezza vampira?” “Probabilmente si” “E non c’è un modo per far ritornare vampiri coloro che sono stati trasformati in umani?” “il libro non dice nulla su questo però posso sempre cercare delle informazioni in Alaska” “Alaska?” “pare che l’ultimo gruppo ristretto di mezzi vampiri abiti lì” Non potevo lasciarlo partire solo per l’Alaska, non volevo starmene con le mani in mano “Verrò con te allora” “Non se ne parla” mi rispose con il suo solito tono di chi non vuole sentire discussioni “Non starò qui a non fare niente: verrò con te che tu lo voglia o no” Sembrò che mi dicesse un altro no e invece con mia enorme sorpresa accettò. “Passa di qui domattina, i bagagli puoi lasciarli pure in stanza verrò io a prenderli per non fare destare troppi sospetti” Sorrisi e lo baciai.

Il mattino dopo mi svegliai nel mio letto con la sola voglia di partire e di risolvere a più presto questo problema. Come aveva promesso si era già preso i bagagli che aveva sicuramente già messo nella sua macchina. Mi vestii in fretta notando comunque che sulla sedia c’era una maglietta che ero sicurissima di aver messo in valigia: che strano forse l’ho dimenticata!
Non mi curai molto di questo particolare e scesi facendo il meno rumore possibile per non farmi sentire da Jenna. Decisi di andarmene a piedi. Arrivai subito alla pensione ma non trovai la macchina: forse l’aveva lasciata da qualche altra parte. Entrai come ero solita fare e chiamai Stefan in modo che si accorgesse della mia presenza. “Sei venuta a cercare Stefan?” mi disse una voce proveniente da dietro la poltrona: era assurdo che riuscisse a cogliermi di sorpresa anche adesso che era umano!
“Si sai dov’è?”. Rise e si alzò avviandosi verso di me. Sembrò pensarci su un attimo. “Mh credo che sia in questo momento al confine tra Ohio e Michigan a meno che non abbia preso l’altra superstrada quindi probabilmente adesso è in Canada”.
Restai allibita: era partito senza di me?! “Non riesco a crederci” “Così è la vita piccola certa gente ti pugnala alle spalle” disse riempiendosi il bicchiere “oh mi ha detto di dirti una cosa” ne riempì un altro e me lo porse. “Dovrai badare a me per i prossimi giorni fino al suo ritorno” rimasi senza parole “allora maestrina qual è la prima lezione da umano?” le labbra si piegarono nel suo solito sorrisetto. Presi il bicchiere senza pensarci due volte e lo bevvi tutto d’un sorso: quei giorni sarebbero stati un vero inferno!

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Capitolo 4
*** 3- I'M ACTING LIKE A PERFECT HUMAN ***


3– "I’M ACTING LIKE A PERFECT HUMAN!"  "I'D SAY IDIOT!"

 
Mi stiracchiai sotto le lenzuola leggere mentre la luce che proveniva dalla finestra aperta mi impediva di aprire bene gli occhi. Avrei voluto starmene lì tutto il giorno piuttosto che dare lezioni private ad un ex vampiro! Per di più Stefan non rispondeva al cellulare.
Mi decisi ad aprire gli occhi. “Buon giorno dormigliona” caddi dal letto con un tonfo sordo, aggrappandomi alle lenzuola che si riversarono sul pavimento.
“Damon che ci fai qui?” tentai di rialzarmi togliendomi le ciocche di capelli davanti agli occhi. “Beh pensavo che fosse qualcosa di umano iniziare con un buon giorno” disse mentre ispezionava ogni angolo della mia camera. “E ti sembra umano spaventare una ragazza!”.
La giornata non poteva iniziare nella maniera peggiore. Sistemai il lenzuolo come meglio potevo e mi ravvivai i capelli. Osservai il ragazzo che stava al centro della mia stanza intento ad osservare alcune mie vecchie foto: indossava la sua tipica maglietta nera con scollo a v, dei jeans scoloriti e i capelli, abbastanza spettinati, li ricadevano sulla fronte lasciando spazio ai suoi occhi azzurri che si intravedevano nel riflesso dello specchio.
“Muoviti a vestirti che devi andare a scuola!” frugò tra i miei cassetti ma non ci feci caso: ero più preoccupata per la sua presenza lì: come aveva fatto? “Come sei entrato?” “Come ho fatto le altre volte, no? Dalla finestra” mi precipitai a controllare per vedere quanto fosse alto “Ma è impossibile! Cioè sei umano…” “Sono nato nel 1864 ed ero abituato ad arrampicarmi sugli alberi e poi tesoro hanno inventato le scale” mi disse avvicinando il suo viso a pochi centimetri dal mio, mostrandomi alcune cicatrici a cui non avevo mai fatto caso.
Osservai i suoi occhi chiari e mi stupii del fatto che fossero così belli: avevo sempre pensato che il fascino di Damon risiedesse nella sua natura da vampiro ma adesso che era umano riuscivo a sentirlo vicino a me più del normale. Sentivo perfino il suo respiro solleticarmi la guancia. Mi soffiò all’orecchio “e ora vestiti prima che ti tolga io i vestiti” disse guardandomi con un sorriso che non prometteva nulla di buono. Gli tirai un cuscino in faccia e mi richiusi dietro la porta del bagno, con il cuore che scalpitava.
Mi lavai e mi vestii e quando tornai in camera Damon non c’era più, probabilmente se n’era andato: meglio così ero già in ritardo per la scuola. Scesi velocemente le scale e mi rifugiai in cucina dove Jenna stava preparando la colazione. Salutai Jeremi e Alaric che erano seduti sul divano. “Buongiorno Elena dormito bene?” mi chiese Jenna mentre mi porgeva il piatto. “Bene, grazie” mentii spudoratamente visto che in effetti non avevo quasi chiuso occhio e mi ero concessa solo qualche ora di riposo.
Mangiai qualche cosa ma lasciai quasi tutto nel piatto e mi diressi all’ingresso per prendere la borsa e la giacca. “Problemi?” la voce di Alaric mi fece voltare di scatto. “Oh no niente, è solo che…” non mi andava di spiegargli il motivo della mia frustrazione così, mentre Jenna lo chiamava, colsi l’occasione per uscire di casa lasciando la conversazione in sospeso.
Mi accorsi subito che c’era qualcosa che non andava: le ruote della mia macchina erano totalmente sgonfie. Chiunque avrebbe pensato allo scherzo di alcuni teppisti ma non io che avevo un vampiro come fidanzato che era partito senza di me e che evidentemente non voleva che lo seguissi. Imprecai mentalmente e mi avviai a piedi verso scuola finché una macchina non mi passò davanti. “Piaciuta la sorpresa del mio fratellino?” “Tu lo sapevi?” “Secondo te perché sono andato a prendere la macchina?” Ero arrabbiata perciò mi voltai continuando a camminare. “Su Elena sali in macchina…tanto so in che cassetto tieni gli slip”. Perché doveva essere così dannatamente vampiro anche da umano? Aprii lo sportello e salii in macchina sotto il sorriso trionfante del ragazzo che mi fissava di sottecchi dietro gli occhiali da sole.
“Allora che cosa è che vuoi sapere?” mi decisi a parlare anche se non avevo scaricato ancora tutta la rabbia. “E’ fame quando ti fa male lo stomaco vero?” “Si certo – mi misi a ridere – perché ti turba tanto?” “Dopo tanti anni in cui hai sempre e solo sete è strano avere fame o meglio desiderare del cibo” “Devi stare attento a non farti sparare almeno fin quando sei umano” “giusto…una sola pallottola e fine dei giochi!” “Cosa farai mentre sono a scuola?” “Oh niente” lo guardai in segno di rimprovero “e va bene cercherò di starmene buono senza combinare guai anche se sarà molto difficile”. Scesi dalla macchina appena arrivati al parcheggio, “o posso sempre comunque studiare e catalogare la tua biancheria intima”. Questo era troppo “Va all’inferno!” gridai ma lui era già sfrecciato via.

A scuola non potei non evitare Alaric: non vedendo Stefan volle sapere se fosse successo qualcosa e io fui costretta a spiegargli il perché della sua assenza e del cambiamento di Damon: non volevo che lui fosse nuovamente coinvolto in questa storia di vampiri soprattutto ora che era ritornata Katherine.
“Perciò c’è qualche possibilità che ritorni ad essere un vampiro?” “Certo che ci deve essere, Stefan è andato in Alaska proprio per saperlo!” “Ascolta Elena e se invece lasciaste Damon umano?” “O ma insomma perché tutti quanti volete che Damon resti umano, è assurdo!” “Cerca di capire: Damon da vampiro ha ucciso troppe persone anche solo per il gusto di farlo, invece da umano non rappresenterebbe più una minaccia” “Mi dispiace Alaric ma io e Stefan la pensiamo diversamente” puntai il mio sguardo furente sul suo e poi mi avviai verso la porta. “Farò delle ricerche-” mi arrestai all’uscita con la mano ancora sulla maniglia “-se trovo qualcosa ti farò sapere” “Grazie Alaric” mi voltai e uscii dall’aula dove ad aspettarmi c’era Bonnie. “Allora come va?” “Alla grande ho un ex vampiro esaltato che ha voglia di essere umano a tutti gli effetti” “Non credevo che Damon adorasse così tanto essere umano” “Infatti!Lo fa solo per farmi esasperare” “Io non ne sarei così convinta…” seguii lo sguardo sorpreso di Bonnie e ciò che vidi mi lasciò senza parole: Damon circondato da un paio di ragazze stava aggiustando la macchina di una di loro spiegando cose riferite a motori e macchine alle quali le ragazze non badavano molto: erano impegnate a mangiarselo letteralmente con gli occhi!
Aveva cambiato la maglietta indossandone una più aderente e a maniche corte mentre metteva in bella mostra il suo sedere ultracentenario fasciato dai jeans dove da una delle tasche posteriori usciva uno strofinaccio. “Bene ragazze ora la macchina dovrebbe partire” disse pulendosi le mani unte d’olio “Che diavolo ci fai qui?” “Ehi Elena! Sai ho scoperto di avere una dote naturale per lavorare come meccanico, non trovi che la tuta mi renderebbe sexy?” le ragazze se ne andarono sculettando.
“Avevi detto che ti saresti comportato bene” dissi incrociando le braccia al petto. “Infatti è quello che sto facendo, mi sto comportando da perfetto umano” “direi piuttosto da perfetto idiota!” Aprì bocca per ribattere ma non riuscendo a trovare le parole aggrottò le sopracciglia “non mi piaci quando usi il sarcasmo”. Alzai gli occhi al cielo e mi diressi verso la mia auto sapendo che Damon mi avrebbe certamente seguita. “Sono in astinenza dalla vita di vampiro da almeno due giorni…devi comprendere che se non voglio il sangue, le belle ragazze ci devono essere” alzò un sopracciglio facendomi credere che quella fosse la cosa più ovvia della terra. 
Posai lo sguardo sulla sua mano “Ehi dove è il tuo anello?” “L’ho buttato via!” “Damon!” Stavo aprendo lo sportello quando vidi brillare qualcosa tra i cespugli.
Damon ancora con i riflessi pronti mi aveva trascinato a terra facendomi scudo con i suo corpo. Sentii solo un colpo di arma da fuoco e il rumore di alcuni uccelli che volavano impauriti. Non c’era nessun testimone intorno a noi e per fortuna nessuno si era ferito. “Stai bene?” mi domandò da sopra di me cercando di farmi alzare “credo di si” dissi stordita aggrappandomi alla sua spalla. “Chi potrebbe essere stato?” “Me lo domando anch’io ma sicuramente qualcuno a cui non sto molto simpatico”. Damon si guardava intorno ma i suoi sensi da umano gli impedivano di continuare la ricerca. “E’ fuggito via?” non mi rispose ma guardò solo il proiettile caduto poco più in là ricoperto interamente di verbena: l’odore era inconfondibile. Alla vista del proiettile mi si gelò il sangue nelle vene. Riformulai la domanda “Era un vampiro?”.
Gli occhi di Damon indugiarono un po’ sul proiettile per poi soffermasi sui miei “Si”.

Eccomi ritornata vi sono mancata? Certo che no u.u
Questa volta ho voluto aggiungere qualcosa di scritto. Allora come vedete Elena non è tutta miele e zucchero per Damon ma vedrete cari amanti Delena che in seguito se ne vedranno di scenette! E’ spuntato fuori un altro vampiro ma chi vuole uccidere? Damon o Elena? E Stefan che cosa starà facendo in Alaska? Sono davvero sicuri a Mistic Falls o questo è solo l’inizio? Adoro fare queste domane lasciate in sospeso xD
Ringrazio coloro che hanno recensito o hanno semplicemente messo la storia tra le seguite o tra i preferiti.
E ringrazio anche te, lettore anonimo, che sprechi un po’ del tuo tempo a leggere la storia =)
Grazie di tutto e alla prossima!Ritornerà una simpatica amichetta...

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Capitolo 5
*** 4- SWEETY I'VE GOT A HEART AND BEATS TOO ***


4– SWEETY I’VE GOT A HEART AND BEATS TOO

 
Gelato al limone: non era il mio preferito ma mia madre me lo dava sempre quando ero agitata o preoccupata per qualcosa. Il ricordo di mia madre mi procurò un forte nodo alla gola che faticai ad inghiottire insieme al magone dovuto alla situazione in cui mi trovavo. Affondai il cucchiaino nella vaschetta e portai un po’ di quella densa sostanza alla bocca.

Ero distesa sul divano del salotto di casa mia. La televisione era accesa ma non mi andava di vederla. Le immagini di omicidi, morti improvvise, stragi balenavano ai miei occhi che osservavano le scene susseguirsi sullo schermo senza però vederle realmente.

Un altro pericolo imperversava a Mistic Falls di cui io o Damon eravamo la causa. Il tizio che aveva tentato di sparare a me o a lui nel cortile della scuola doveva essere di certo un vampiro o meglio un mezzo vampiro. La sola idea di quell’essere sconosciuto mi faceva entrare nel panico più totale e per di più sia io che Damon eravamo dei semplici umani.

“Gelato al limone…c’è qualcosa che non va?” Jenna entrò nella stanza e, notando la mia espressione afflitta, si sedette accanto a me sul divano.“Forse c’entra Stefan?” alzai lo sguardo meravigliata della sua perspicacia: Jenna ormai mi conosceva bene e sapeva quali erano i miei punti deboli e devo ammettere che in qualche modo Stefan c’entrava, solo che non era l’unico dei miei problemi.

Ebbi un attimo di esitazione perciò continuai a fissare la vaschetta mezza vuota posta sulle mie gambe. “Beh si” “Avete litigato? E’ da un po’ che non lo vedo”. Avevo dimenticato che Jenna non sapeva niente del viaggio e dell’Alaska così dovetti inventare una scusa “Oh…il fatto è che è dovuto partire per andare a far visita a un suo parente e…” in quel momento ero effettivamente a corto di idee! “Ti manca!” esclamò Jenna e mi guardò con aria comprensiva e io non potei far altro che confermare: in fondo mi mancava veramente.

Suonarono alla porta e Jenna andò ad aprire. Chi mi vidi spuntare di fronte era la causa di tutti i miei problemi passati, presenti e molto probabilmente futuri. “Che fai ora mi tormenti anche a casa?” Damon entrò con passo felpato indossando la sua inseparabile giacca di pelle nera e con le mani alzate “Vengo in pace! Se vuoi saperlo sono stato alquanto gentile con la tua bella zietta, ma se non vuoi godere della mia presenza tolgo subito il disturbo-” fece dietrofront e così come era venuto se ne stava andando lasciandomi alquanto perplessa e con una profonda ruga in mezzo alla fronte. Fece capolino la sua testa dallo stipite della porta “-a meno che tu non voglia sapere chi ha tentato di spararti…” sorrise, alzò le sopracciglia e anche la sua testa così come il resto del corpo scomparve dietro la porta.

Non avevo intenzione di fidarmi completamente di Damon ma…visto che eravamo sulla stessa barca, sospirai rassegnata e mi alzai dal divano sperando di trovarlo ancora in casa.

“Damon” svoltai l’angolo e per poco non mi scontrai contro il suo petto marmoreo. “Esattamente ventotto secondi, mi sorprendi-” alitò lievemente mentre la sua voce mi ipnotizzava sempre più: da quando aveva una voce così tremendamente sexy? “-pensavo che da come mi tratti ci sarebbe voluto un minuto o due prima che mi raggiungessi, stai cedendo forse al mio fascino?” alzò un sopracciglio e i suoi occhi azzurri si fecero più grandi e circospetti che mai.

Sbuffai e lo trascinai per le scale verso camera mia.“Già in camera da letto! Non ti facevo così precipitosa” chiusi la porta a chiave, non volevo che Jenna pensasse male. “Piantala Damon e spiegami quello che hai scoperto” “lui o lei che voleva farci fuori era un vampiro” disse mettendosi comodo nel mio letto e agguantando uno dei tanti cuscini. “Oh grazie della delucidazione non c’ero arrivata!” dissi sarcastica sedendomi a mia volta sul letto.

“Aspetta a saltare a conclusioni affrettate: era un vampiro per la velocità con cui è scappato, ma era resistente alla verbena o non avrebbe potuto prendere il proiettile” “quindi tu pensi che quello sia un mezzo vampiro?” “bingo!” sospirai stendendomi sul letto e osservando il soffitto: avevo fatto conoscenza con due mezzi vampiri dei quali uno era pericoloso in quanto era riuscito a tramutare in umano un vampiro e l’altro era altrettanto pericoloso perché voleva uccidere o me o Damon. Non si potrebbe dire che la mia vita non fosse invasa dalla noia!

“ Ma quanto eri allegra da bambina: qui quanti anni avevi, otto, nove?” La sua voce mi ridestò dai miei pensieri: stava tenendo in mano la foto che stava sul comodino, quella che ritraeva me e Jeremi insieme ai nostri genitori, quando tutti eravamo una famiglia. Gliela strappai facilmente dalle mani o meglio me la ridiede senza fare storie. La guardai ancora per un po’ prima di riporla al proprio posto.

“Ti mancano quei tempi” più che una domanda era un’affermazione quella che provenne dalla bocca di Damon che aveva incrociato le braccia dietro la nuca. “Cosa stai cercando di fare?- chiesi stupita dal fatto che Damon, l’ex vampiro spietato che aveva persino tentato di uccidere mio fratello, stesse davvero cercando di fare una conversazione di quel genere- e poi non sono affari tuoi”.

“Tesoro ho un cuore adesso e batte” disse battendo la mano sul suo petto all’altezza del cuore e guardandomi con i suoi occhi azzurri “dico solo che si capisce da come guardi la foto! Sembri me qualche tempo fa quando guardavo la foto di Katherine: vorresti che i tuoi genitori uscissero di lì e che tornaste a vivere come una volta” si avvicinò a me facendo cigolare le molle del letto. Il suo tono di voce si fece più basso e dolce “io lo so e credimi non è così, non hai a disposizione 145 anni per far ritornare tutto come un tempo” sembrò quasi che stesse cercando di confortarmi, ma tra i suoi occhi vedevo quella tristezza che avevo visto qualche tempo prima, quando avevamo aperto la cripta senza nessun risultato: davanti a me c’era lo stesso Damon di quella volta.

Non riuscivo a parlare e pensavo che il cuore a poco a poco si fosse fermato, inebriato dal profumo che emanava il ragazzo accanto a me. Piegò la bocca in un leggero sorriso e continuò con lo stesso tono basso di prima “siamo io e te da soli, chiusi a chiave in questa stanza e per di più…” con abile mossa riuscì a farmi indietreggiare e a farmi ricadere sul letto inerme, i nostri corpi aderivano perfettamente “su un letto” soffiò leggero a pochi centimetri dalle mie labbra.

Sentivo che la mia gabbia toracica stava per esplodere e il cuore rotolava su e giù minacciando di fuggire dalla sua posizione. Mi mancò il respiro e per un attimo scollegai la mente al cervello: stava succedendo davvero?

 “S-sei umano Damon mi dispiace!” ripresi il controllo di me stessa e, detto questo, gli assestai un bel calcio sullo stomaco, così da farlo cadere a terra dolorante. “Te la lascio passare solo perché adesso non sono un vampiro”, risi di gusto cercando di mascherare il rossore paonazzo delle guance e di prendere due o tre respiri in più “Oh andiamo hai combattuto contro venti vampiri fortissimi e adesso sei a terra per il calcio di una ragazza?” “Il fatto non è come me lo ha dato la ragazza- si rialzò massaggiandosi il basso ventre- piuttosto dove!” “e non ho preso neanche la mira”.

Non mi ero mai accorta di quanto potesse essere bello conversare con Damon, con lui adesso mi sentivo quasi essere ritornata una ragazza normale: sentivo che io e Damon eravamo sulla stessa barca e questo mi piaceva.

“Piuttosto abbiamo un problema più grave: tu- disse indicandomi- sei un umana, io sono- si aprì in un sorriso obliquo- un umano supersexy” si sedette sulla sedia incrociando le braccia al petto e guardandomi come se si aspettasse che continuassi la frase. “E?” “e allora siamo in pericolo! Stefan a quest’ora è a cacciare le renne di Babbo Natale e non abbiamo altri vampiri disponibili per farti da guardie del corpo”. D’un tratto mi ricordai di non essere una ragazza propriamente normale: dovevamo trovare il vampiro e tenerci in contatto con Stefan senza rimetterci le penne.

Damon interruppe il flusso dei miei pensieri “perciò hai qualche babysitter da proporre?” feci mente locale delle persone di cui più mi fidavo e che erano a conoscenza dei vampiri “Beh…Bonnie?” “La streghetta è esperta ma è sempre umana e ci ritroveremmo con un intralcio in più” “Alaric?” “mh utile ma risposta errata, sempre umano”.

Avevo esaurito le persone di fiducia che per altro erano tutte umane. Stefan non sarebbe tornato, almeno non per il momento e non potevo mettermi a cercare i vampiri di Mistic Falls sull’elenco telefonico. Poi ebbi un’idea: se Damon voleva un vampiro allora glielo avrei trovato! “So chi può aiutarci” esultai sorridendo al mio interlocutore.“E di grazia chi sarebbe?” “Prima devo chiederglielo” “uuh come siamo misteriose” mi sporsi per prendere la felpa poggiata sulla sedia dove era seduto. “Bacino?” mi porse la guancia.

Sospirai e presa la felpa uscii dalla stanza per andare a parlare probabilmente con l’unica persona che potesse aiutarci.

Mentre salivo in macchina guardai la finestra della mia stanza: effettivamente quella barca era un po’ stretta per tutti e due.

 

“E chi ti dice che io aiuti Damon?” la vampira stizzita mi puntò la forchetta come se la volesse usare come arma. “Caroline ascolta se non vuoi farlo per lui fallo per me”. Caroline era rimasta la mia ultima speranza: era rischioso mettere in gioco anche la sua di vita ma era l’unica vampira che conoscessi e anche se era ancora alle prime armi potevo contare sulla nostra amicizia.

Dopo aver finito di mangiare, incrociò le braccia al petto e guardò da un’altra parte indispettita, proprio come era solita fare da bambina. “Ti prego” la supplicai e lei tornò a guardarmi.

“Oh e va bene se vi serve un vampiro ci sono io!” “Grazie Car” “Però devi dire a Damon di starmi lontana cioè può essere affascinante, bello e terribilmente sexy ma questo non cambia le cose!” “A dire la verità lui non sa neanche che sei tu la vampira che ci dovrà proteggere” la mia amica mi guardò e dopo un attimo di esitazione scoppiò a ridere “meglio così! Voglio essere lì quando lo scoprirà” “se vuoi possiamo andarci insieme, sto andando alla pensione” risi anche io con lei e dopo aver accettato uscimmo dal Grill e ci incamminammo assieme verso il parcheggio sul retro.

Stavo per raggiungere la macchina quando Caroline mi si parò davanti con la sua velocità vampiresca.

I canini affilati spuntavano fuori dalla bocca semiaperta, quasi come se volesse ringhiare e guardava un punto indefinito nell’oscurità.

“Ciao Elena” riconobbi quella voce e scorsi un paio di occhi marroni tali e quali ai miei.

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Capitolo 6
*** 5- WHO IS BELIEVED TO BE THAT BITCH?! ***


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5- WHO IS BELIEVED TO BE THAT BITCH?


“Che piacere rivederti, Elena”. Non riuscivo a parlare di quanto avessi paura.
“Katherine” sussurrai piano consapevole del fatto che mi avesse udita.
“Che faccia che hai” disse mostrando il viso alla luce del lampione. “Tranquilla non mordo mica!” scoppiò in una risata cristallina che non si addiceva proprio al suo portamento; io ero troppo pietrificata per ridere alla sua battuta.
“Cosa vuoi da me?” “Io da te proprio niente, credimi è una coincidenza se ci siamo incontrate”. Il sorriso beffardo risaltava sulla carnagione olivastra contornata da ricci che dimostravano quanto fosse indomabile il suo animo. “Oh ciao bella bimba” disse poi rivolgendosi a Caroline che non aveva smesso un attimo di ringhiare, rimanendo cauta davanti a me. “Piaciuto il regalino?”, avanzò con passo felpato per poi fermarsi a pochi metri da noi.
“Ad ogni modo Stefan sarà in pensiero se non ritorni da lui…oh vero dimenticavo non c’è nessuno in casa!” continuò a ridere mentre aggrottavo le sopraciglia palesemente confusa e turbata: evidentemente era venuta a conoscenza della partenza di Stefan, ma a casa c’era comunque Damon, come poteva dire che non c’era nessuno?
“Ti sbagli c’è Damon in casa” dissi indietreggiando acquattandomi in posizione di difesa come Caroline, pronta a scappare ad una sua mossa azzardata. “No, dolcezza, mi sarei accorta se ci fosse un vampiro nel raggio di cinque miglia” disse compiaciuta del fatto di avere ragione. Capii subito che Katherine non sapeva che Damon era ritornato umano e non era a conoscenza dell’esistenza dei mezzi vampiri. Trattenni un risolino, sinonimo di vittoria, quando Caroline si intromise “appunto è un umano!” La guardai sconvolta sperando con tutto il cuore che non avesse pronunciato quelle parole, ma la faccia sbigottita di Katherine troncò le mie aspettative. Trattenni il respiro mentre il sangue pulsava veloce e le gambe vacillavano: avevamo fin troppi problemi da sbrigare, Katherine non poteva starsene buona fino al ritorno di Stefan?
La vampira dopo un momento di smarrimento, si ricompose e avanzò di altri due passi verso di noi.
“Impossibile!” disse Katherine. Ripresi a respirare e non risparmiai un’occhiata omicida alla vampira bionda davanti a me; promisi a me stessa di dare un bel calcio a Caroline appena arrivati a casa.
“Però controllare non sarebbe male!”continuò a dire, mi guardò per un istante interminabile con una folle luce negli occhi e poi sparì o meglio fuggì a velocità vampiresca.
“Mi ucciderai quando questa storia sarà finita!” Caroline mi prese per un braccio e mi scaraventò all’interno dell’auto, guidando ad una velocità allucinante. Nonostante la pensione fosse abbastanza vicina, il tragitto mi sembrò lunghissimo: non è facile non perdere i nervi quando la tua sosia è a zonzo per la città!
Appena parcheggiata l’auto, ci fiondammo all’interno del salone di casa Salvatore. Trovammo un Damon con solo un paio di jeans addosso, sdraiato sul tappeto e sovrastato dalla potenza vampiresca di Katherine.Sembrava che stessero parlando, ma la vicinanza delle loro labbra mi fece capire il contrario.
Caroline non ci pensò due volte e aggredì Katherine mentre era ancora incollata al corpo di Damon. Con un balzo raggiunse la porta rimasta aperta e si fermò sull’uscio facendo dondolare i ricci neri. “Mi dispiace per te Damon ma non intendo ridiventare umana. Senza di te, Stefan ed io potremo stare finalmente insieme, per l’eternità” Caroline non voleva arrendersi e, fiondatasi su di lei, fu a sua volta scaraventata dall’altra parte del salone colpendo anche Damon che non aveva potuto intervenire.
Detto questo, fuggì via senza lasciare traccia.
“State bene?” chiesi avvicinandomi ai due distesi per terra. “Chi si crede di essere quella sgualdrina?” pronunciò la mia amica bionda stizzita “Ahi” un suono provenne da sotto di lei. Ricollegai il corpo al cervello e aiutai Caroline a sollevarsi dal corpo di Damon. La mia amica pur essendo volata per quasi mezzo metro ed essendo finita su un ammasso di legna da camino non si era fatta fortunatamente niente mentre Damon era ricoperto di graffi. “Ma siete pazze?” Damon si divincolò dalla mia presa allontanandosi da me e da Caroline che eravamo a dir poco sbigottite. “Avevo la situazione sotto controllo!” “Certo si vedeva benissimo!” ero letteralmente furiosa: non solo avevamo rischiato la vita per salvarlo da Katherine addirittura ci rimproverava. “La prossima volta tenete il culo incollato alle sedie e lasciatemi fare”, non mi degnai neanche di rispondere.
Poi mi accorsi della presenza della vampira altamente indignata quanto lo ero io. “Lei è la persona che ci aiuterà”, dissi indicando Caroline che aveva incrociato le braccia al petto. Damon che intanto stava cercando di togliersi le schegge di legno conficcate nei palmi alzò lo sguardo inondandomi di stupore. “Caroline?” guardò lei e poi spostò nuovamente lo sguardo su di me e poi su di lei. “Ma no, la barbie in versione vampira no!” si lamentò assumendo l’espressione tra cane bastonato e schifato. “Ricordo cosa mi hai fatto e se adesso ti sto aiutando è solo per Elena!” “Oh allora ringraziamo Elena, anzi diamole il premio nobel per la pace…” “Silenzio!” sbottai spazientita.
Damon si riempì un bicchiere e si sedette sulla poltrona dandoci le spalle. “Per me va bene! Ma la prossima volta che ti paro quel culo centenario evita di ringraziarmi in questo modo!” Caroline si congedò ed uscì dalla casa sbattendo la porta. Anch’io fui tentata di uscire in quel modo ma la mia curiosità mi frenò: volevo sapere cosa si erano detti Damon e Katherine e se in qualche modo lei sapeva qualcosa.
Notai che stava cercando di togliersi le schegge ma non essendo abituato a farlo da umano, non riusciva a toglierle senza non farsi male. “Ti aiuto io” mi offrii allungando la mano. Lui mi guardò un momento: “nah hai combinato troppi guai oggi” “ed hai anche la bella faccia tosta di non ringraziarmi, Katherine poteva ucciderti” “non l’avrebbe mai fatto” “ah no, pensi che ti ama?” urlai ma non ricevetti risposta. Avevo toccato un tasto dolente, lo sapevo. “Katherine era venuta solo per accertarsi che quello che avevate detto era la verità-” il suo viso aveva sfumature rossastre sia per l’incidente che per la luce che proveniva dal fuoco “-anche se è impossibile, ho voglia di credere che Katherine sia venuta perché ci tiene a me: sono una sua creatura in fondo è logico che voglia sapere il perché non sono più ciò che lei mi ha fatto diventare” bevve dal bicchiere tutto d’un fiato, agitando poi il cognac e facendolo vorticare nel bicchiere. “Ma la verità è che voleva deridermi e dirmi nuovamente che ama Stefan” finì il suo discorso e posò il bicchiere mezzo vuoto sul tavolino e si avvicinò di più al fuoco.
“Quindi solo questo?” chiesi non riuscendo a trattenere la mia curiosità. “Che altro dovrebbe esserci?” Sapevo che Damon amava profondamente Katherine perciò pensavo che fosse avvenuto di più di una semplice chiacchierata. Arrossii immediatamente per quel pensiero e mi si contorse lo stomaco. “Che patetico che sono diventato da quando sono umano” risi mentre mi rivolgeva uno dei suoi soliti mezzi sorrisi ‘alla Damon’.
Mi accorsi che era ancora petto nudo. “Dovresti mettere una maglietta” “Ti dispiace il mio corpo?” disse indicando il torace nudo. Alzai gli occhi al cielo e distolsi lo sguardo e lui rise.
“Credo che abbiamo lasciato Stefan girovagare in Alaska per troppo tempo- si alzò e si mise una camicia trovata sul bracciolo di una poltrona- chiamalo!” Non me lo feci ripetere due volte e digitai il numero del mio ragazzo. Incrociai le dita e avvicinai il cellulare al mio orecchio. All’undicesimo squillo fermai la chiamata, segno che per l’ennesima volta Stefan aveva lasciato il telefono spento. “Non risponde!” “E quando mai!” lo gettai sulla poltrona accanto a me ma non feci in tempo ad accavallare le gambe che il display si illuminò.
Non guardai il numero, essendo convinta che fosse Stefan. “Pronto?” “Elena sono Alaric” al suo nome il mio sorriso sparì. “Ho trovato alcune informazioni sui mezzi vampiri e sulle loro capacità, domani puoi passare nel mio ufficio a scuola” “Oh grazie…” “Porta anche Damon, voglio vedere se le sue informazioni combaciano con le mie” guardai Damon che ignaro della mia conversazione stava versando un altro po’ di wisky nel bicchiere. “Si senz’altro” chiusi la chiamata.
“Chi era?” Avevo dimenticato che non essendo più un vampiro Damon aveva perso anche il superudito. “Oh solo Bonnie voleva sapere come stavo” sorrisi falsamente mentre raccoglievo le mie cose per uscire da quella casa. Lui annuì e si risedette sulla poltrona. Damon non avrebbe dovuto sapere che cosa avesse scoperto Alaric, non ora che il suo cuore stava iniziando ad aprirsi e le nubi che turbinavano al suo interno a diradarsi, non ora che stava manifestando le sue emozioni tenute per troppo tempo spente: perché in fondo a me quel Damon più umano stava cominciando a piacermi, sul serio.

Salve vampirizzati di efp,
come vedete aggiorno che è una meraviglia, cosa rara visto che di solito sono piuttosto lenta con gli aggiornamenti di altre storie. Comunque aggiorno portandovi delle novità: intanto ho smanettato un po’ al pc e mi è uscita fuori questa sorta di logo che dovrebbe fungere da titolo e che vi accompagnerà per…beh per buona parte dei capitoli seguenti (dopo c’è un’altra sorpresa u.u). Ho intenzione anche di aggiungere degli Extra, cioè dei capitoli non più scritti dal punto di vista di Elena ma che narrano i cosiddetti missing moments, cioè quei momenti in cui Elena non c’era. Che ne pensate? Ve gustano oppure no?
Tanto io parlo e io mi sento T.T
Ringrazio chiunque sia arrivato fin qui per leggere i miei sciocchi interventi, e chiunque recensisca o aggiunga la storia tra le seguite e le preferite.
Grazie e al prossimo aggiornamento =)

dreem

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Capitolo 7
*** 6- WHAT ABOUT TALKING? - UH TALK...VERY HUMAN ***


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6- WHAT ABOUT TALKING? – YEAH TALK…VERY HUMAN!


Mi avviai verso l’ufficio di Alaric con in mano ancora i libri di scuola. La sera precedente non avevo raccontato la verità a Damon così adesso mi ritrovavo sola a percorrere i corridoi pensando a una scusa per giustificare l’assenza dell’ex vampiro quando Alaric aveva espressamente richiesto la sua presenza.
“Elena!” mi sentì chiamare ma rivolsi solo un fugace sguardo per vedere chi fosse. Matt stava affrettando il passo per raggiungermi così fui costretta a fermarmi. “Ehi Matt” ero pronta a liquidarlo e a lasciarlo con un solo ‘ ne parliamo dopo’ quando lui continuò tutto d’un fiato. “Ciao hai sentito Caroline in questi giorni?” mi chiese e io aggrottai le sopraciglia: Matt era all’oscuro di tutto quello che era successo e che stava succedendo, perciò non sapeva neanche che la sua ragazza era stata tramutata in vampiro e che eravamo tutti in stato di emergenza. “Oh si…” fu l’unica risposta che riuscii a dargli. “Ho provato a chiamarla ma ha il cellulare staccato e quando la incontro è come se volesse fuggire” mi morsi il labbro non sapendo cosa rispondere: la questione con Alaric era più urgente dei problemi di coppia del mio ex. “Vedrai Matt che è solo una fase momentanea, sai come è Caroline” gli sorrisi e ripresi a camminare verso l’aula in fondo al corridoio.
Presi un bel respiro profondo “dai Elena in fondo lo fai per il suo bene”. Spinsi la porta e trovai Alaric che stava sfogliando un libro dall’antica rilegatura. Alzò gli occhi e si tolse gli occhiali che li conferivano un aspetto da vero professore di Storia. “Elena ciao sono contento che sei venuta” guardò un punto indefinito oltre alle mie spalle sperando di poter scorgere qualcun altro. “Damon non c’è?” mi chiese puntando il suo sguardo su di me ed io non seppi cosa dire. Boccheggiai un attimo tentando di articolare una scusa sensata. “Lui…preferisce continuare a far finta di niente. Non…gli piace dover studiare senza uccidere qualcuno!”. Non sapevo neanche cosa avessi detto, ma dall’espressione comprensiva di Alaric sembrava che ero riuscita nel mio intento.
“Bene vorrà dire che mi aiuterai tu” mi porse un libro e girò il portatile per farmi vedere un’immagine. “Ho fatto delle ricerche e dall’analisi di questa foto risalente al 1843 risulta essere il primo mezzo vampiro ucciso nei pressi delle campagne della Scozia. Mi descriveresti la ragazza del Grill per favore?”. Ero ancora intenta ad osservare l’immagine ormai sbiadita all’interno del computer: dall’aspetto e dagli abiti sembrava essere un ragazzo con i capelli neri e ricciolini, aveva uno sguardo vacuo e un paletto conficcato proprio all’altezza del polmone sinistro. Il suo volto contratto per il dolore mi provocò un forte senso di pena e angoscia per quel ragazzo così giovane. Per un istante ebbi un singulto sovrapponendo l’immagine del ragazzo a quella di Damon del 1864.
Mandai via quel pensiero e osservai meglio la foto: il ragazzo aveva due enormi occhi grigi spalancati. “Occhi grigi” “Cosa hai detto?” Alaric si avvicinò di più per sentire ciò che avevo appena sibilato “La ragazza al Grill, Michelle, aveva due occhi grigi identici a quelli del ragazzo” Alaric non parve molto sorpreso della mia rivelazione e mi porse la pagina di una pergamena un po’ strappata. “I mezzi vampiri hanno la peculiare caratteristica di avere gli occhi grigi, sono neutri così come il gruppo sanguigno, non rientra in nessuna delle categorie, sono veloci e forti ma sentono la fatica e la fame, sono immuni alla verbena ma possono essere soggiogati e soggiogare, preferiscono accoppiarsi solo con esseri della loro stessa specie tuttavia non esitano a trasformare in mezzi vampiri anche altri esseri, umani o vampiri che siano” concluse la spiegazione da bravo professore che era e si sedette incrociando le braccia al petto.
C’era tuttavia qualcosa che non mi quadrava…“Un momento ma Damon è stato trasformato in un umano!” “Non ne possiamo essere così sicuri dal momento che i mezzi vampiri sono tali e quali a dei semplici esseri umani” portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sbuffai, confusa da tutte quelle nuove informazioni.
“Hai detto che Stefan è andato in Alaska?” mi chiese all’improvviso e io alzai lo sguardo dal libro. “Si” “Beh non troverà molto lì visto che l’ultimo avvistamento risale al 1902, invece si pensa che l’ultima comunità di mezzi vampiri si trovi in North Caroline, non si riesce a spiegare la presenza di così tante persone aventi gli occhi grigi” aprì un’altra pagina web e mi mostrò delle foto che ritraevano delle copertine di una rivista: in ogni copertina c’erano ragazze e ragazzi con gli occhi uguali a quelli di Michelle. Quindi Stefan aveva seguito l’indicazione del libro trovato nella sua libreria e aveva tratto una conclusione del tutto sbagliata: dopotutto doveva pensare che il viaggio turistico per Half-vampire city era stato aggiornato dopo un secolo e mezzo!
“Non hai trovato niente, una cura per far tornare Damon vampiro?” chiesi speranzosa “No purtroppo non dice niente, le informazioni sono molto limitate…ecco perché ti avevo detto di portare Damon, magari lui si ricorda cos’è avvenuto” annuii poco convinta, convincendomi che alla fine sarebbe stato meglio coinvolgere anche lui. Mentre il professore stava sfogliando altri libri notai sulla sua scrivania un foglietto stropicciato su cui vi era disegnato un oggetto simile ad un pugnale con delle didascalie ai lati. Cogliendo l’occasione, lo presi e lo feci scivolare accidentalmente all’interno della mia tracolla. “Grazie di tutto Alaric” mi affrettai a dire avviandomi già alla porta. “Se ho nuove notizie ti faccio sapere” e così uscii dall’aula tenendo furtivamente la borsa ben stretta.
Decisi che prima di andare alla pensione sarei passata da casa per lasciare i libri e studiare meglio il foglio che avevo rubato nell’ufficio di Alaric. Feci piano per non farmi sentire da Jenna, ma evidentemente non c’era perciò salii con passo sicuro finché non mi si presentò davanti Jeremi.“Oh ciao” “ciao” calò un imbarazzante silenzio perciò pensai che non avesse niente da dirmi. Lo superai con facilità avendo fretta di scoprire che cosa fosse lo strano oggetto. “Cosa sta succedendo Elena?” mi bloccai sulla soglia della mia camera sentendo il suo sguardo penetrarmi la schiena. Mi voltai piano. “Non so di cosa…” “Alaric mi ha detto delle ricerche!” era evidentemente impossibile poter tenere qualcosa nascosto! “Perché vuoi aiutarlo? Cioè ha combinato fin troppi casini quando era vampiro e ora che è umano non può fare più niente. Devo ricordarti che ha tentato di uccidermi?”. Mi guardò con sguardo allibito quasi come se fossi pazza. “Jeremi so quello che ti ha fatto e lo odio ancora per questo, ma lo sto facendo per Stefan è…distrutto per suo fratello e non credo che sia giusto tralasciare tutto e andare avanti perché le cose non potranno essere più le stesse”. Tentai di fargli capire quanto fosse importante per me poter far tornare Damon nuovamente vampiro e ritornare alla normalità. “Almeno potevi dirmelo, sono tuo fratello cioè mezzo-fratello” sorrisi e lo abbracciai forte “lo so, grazie”.
Dopo aver parlato con Jeremi riuscii a rinchiudermi nella mia stanza e studiare un po’ quello strano oggetto raffigurato sul foglio: come avevo già visto si trattava di un pugnale e a quanto stava scritto nelle didascalie era interamente in legno ma la punta era di acciaio come un qualsiasi pugnale; le altre didascalie erano incomprensibili così lasciai perdere.
Presi la macchina e mi diressi verso casa Salvatore. Suonai alla porta e chi mi aprì fu una sorpresa. “Caroline?” chiesi più a me stessa che a lei. “Ciao Elena, grazie al cielo che sei arrivata” mi disse alzando gli occhi al cielo con l’aria di una che sarebbe esplosa da un momento all’altro. Ancora non mi ero del tutto ripresa dalla sorpresa: che ci faceva Caroline alla pensione e per di più con Damon in casa?
Entrai nel salone dove vidi Damon seduto su una sedia, completamente legato con corde di ogni tipo: c’era perfino un cavo telefonico e due o tre foulard. Nonostante questo Damon aveva un sorriso sarcastico stampato in faccia. “Oh Elena eccoti qua, vuoi unirti anche tu al gioco?” mi chiese non appena mi vide. Caroline alzò gli occhi al cielo e si lasciò cadere pesantemente sulla poltrona prendendo una rivista. “Mi dite cosa succede?” chiesi non riuscendo a raccapezzarmi: ero forse entrata gratis al circo? “Succede che Damon vuole a tutti i costi uscire di casa mentre non può perché la fuori c’è un vampiro o chissà chi pronto a sparargli o a ucciderlo approfittando della sua umanità e…” “e tu sei la mia babysitter lo so-” spostò uno sguardo accusatorio verso la mia direzione “-brava Elena, di tutti i vampiri in circolazione hai scelto una pazza isterica!” La bionda alzò gli occhi dalla rivista e ringhiò in direzione di Damon che non potendo far niente continuava a ridere. “Damon, Caroline ha ragione, è pericoloso uscire almeno fino a quando non sapremo chi è quello che ci da la caccia” gli spiegai provocando il suo sguardo furibondo. “Visto?” Caroline mostrava un sorrisetto trionfante. “Ma è anche vero che ha esagerato legandoti in questo modo” mi diressi verso la poltrona di Damon cominciando a slegare uno dei tanti nodi. “Rassegnati Barbie ho vinto io!” riuscii a liberarsi definitivamente e con passo sicuro si avviò verso lo studio.
“Damon aspetta” cercai di raggiungerlo socchiudendo la porta per evitare che la vampira sentisse anche involontariamente. “Damon penso che dovremo fare qualcosa insieme?” gli chiesi sperando che si lasciasse convincere. Alzò gli occhi dal libro e lo chiuse con un tonfo sordo. Si guardò intorno per poi guardarmi con i suoi occhi azzurri. Aprì leggermente la bocca sbattendo un paio di volte le palpebre come se non riuscisse a capire. “Qui? E adesso?” mi chiese avvicinandosi a me sospettoso. “Si certo, qui e adesso!” risposi sicura. Cercò di trattenere un sorriso e incrociò le braccia al petto. “E cosa sarebbe questa cosa che dovremmo fare insieme?” ringraziai il cielo che avesse deciso di stare al mio gioco. “E’ una cosa da umani” spiegai e presi un lungo respiro prima di arrivare al sodo. Si avvicinò ancora di più a me con il suo solito sorriso strafottente, inclinando la testa come se volesse baciarmi. “Che ne dici di parlare?” spiegai, contenta di poter finalmente discutere seriamente con Damon riguardo quell’argomento che Alaric aveva espressamente richiesto di sapere: chissà forse potevo sistemare tutto senza includerlo direttamente nella questione! Si bloccò e sbarrò gli occhi, poi indietreggiò afferrando il libro di prima. “Uh si parlare…molto umano” mi disse mentre gettava un libro sulla scrivania, sbuffando. “Voglio chiederti se riesci a ricordare la notte in cui sei stato trasformato” mi guardò per un attimo e poi si mise a ridere. “Oh andiamo Elena sai benissimo come sono andati i fatti: Katherine aveva dato a me e a Stefan il suo sangue e ops siamo morti” “No non intendo quel tipo di trasformazione”. Lo vidi irrigidirsi, aggrapparsi ai braccioli della sedia e serrare la mascella per poi rivolgermi i suoi occhi azzurri nei quali balenava una paura allo stato puro: era una rarità vedere Damon Salvatore terrorizzato. Persi un battito quando lo vidi boccheggiare per trovare le parole giuste da dire, era così tremendamente umano che sembrava essere troppo fragile. Mi accostai a lui e allargai le braccia. E così lo strinsi a me sperando che quei brutti ricordi svanissero così come erano ritornati.

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Capitolo 8
*** 7- WHY ARE YOU AGAINST ME IF I CARE ABOUT YOU? ***


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7- WHY ARE YOU AGAINST ME IF I CARE ABOUT YOU?


Si versò un altro po’ di brandy e lo bevve tutto d’un sorso. Ero seduta sulla sedia mentre osservavo Damon camminare avanti e indietro per tutta la stanza, cercando di trovare le parole adatte per descrivere la sua trasformazione in forma umana.
Era particolarmente nervoso: quella situazione lo stava facendo irritare più del dovuto. Sospirai e portai i capelli dietro le orecchie. “Damon non c’è bisogno che tu me lo dica ora, non fa niente” “No Elena! Voglio sapere chi è quella stronza che mi ha ridotto così e se le mie informazioni sono utili beh cercherò di non vomitare per quello che sto ricordando!”.
Si fermò nel bel mezzo della stanza appoggiandosi alla scrivania e sospirando, pronto ad incominciare il suo discorso. Mi sedetti meglio e concentrai al massimo la mia attenzione. “Dopo che siamo usciti dal pub, io e Michelle siamo andati a fare un giro in macchina, sembrava divertirsi perciò non ho cercato neanche di soggiogarla, sembrava stare al gioco…”

 

“Quindi da dove è che vieni?” chiesi parlando più forte cercando di sovrastare la musica ad alto volume.
“Dal North Caroline… ma ora non più” sembrava alquanto irritata dopo l’ultima affermazione che mi aveva lasciato perplesso. All’apparenza sembrava essere una normale umana anzi addirittura parecchio timida visto il battito accelerato del suo cuore ogni qual volta che le rivolgevo una domanda.
“In che senso ora non più?” “nel senso che la mia gente non mi vuole più in città, sono una rinnegata, scappata di casa” concluse mostrandomi il suo sorriso quasi perfetto. Era rinnegata, nessuno la voleva, era simpatica e aveva un corpo niente male: perfetta per divertirmi un po’.
“Beh ti dirò un segreto: anche la mia gente non mi vuole” gli mostrai uno dei miei soliti sorrisi e la conseguenza fu un leggero rossore alle guance che me la rese più appetibile di quanto immaginassi.

 

“Dopo la gita in macchina con una scusa l’ho portata in casa” “E lei ha accettato?” “Sicuro!” rispose con un risolino malizioso “ed era anche brava a letto e..” alzai una mano per farlo smettere di parlare: non mi interessava cosa avessero fatto quei due sotto le coperte, volevo sapere come era avvenuta la trasformazione! “Passiamo alla parte della trasformazione!” lo supplicai e lui sembrava essere molto più rilassato di prima. “Io l’ho morsa” disse incrociando le braccia al petto. “Tutto qui?” “No, dopo averla morsa e bevuto il sangue, l’ho guardata negli occhi e credo mi abbia soggiogato. Ricordo solo che mi ha sorriso e dopo, beh…i segni sul collo lo dimostrano” disse portandosi le dita proprio sulla giugulare dove spiccavano due punti rossi che prima non avevo notato. Quindi era stato morso, anche lui me lo aveva confermato ma invece di essere un mezzo vampiro era rimasto umano, come era possibile?
Pensai subito di ritornare da Alaric e informarlo sulle nuove scoperte sempre tenendo Damon all’oscuro di tutto. Feci per alzarmi ma Damon mi bloccò. “Come mai tutta questa voglia di saperlo?” mi chiese a bruciapelo facendomi arretrare sulla sedia.
“Solo curiosità”. Mi lasciò via libera e stavo per aprire la porta e fuggire via, ma lui, pur essendo umano, raggiunse la mia postazione mettendomi con le spalle al muro. “Elena non fare la bimba cattiva! Questa è una bugia bella e buona, avanti chi lo vuole sapere?” i suoi occhi erano a pochi centimetri dai miei così come le sue labbra. “Vuoi lasciarmi! Damon ti ho detto la verità!”. Il mio cuore, per la bugia appena detta, cominciò a battere forsennatamente e fui grata del fatto che non lo potesse più udire.
“Elena guardami! Dimmi chi lo vuole sapere?” stavolta riuscii a liberare un braccio e con tutta la forza che avevo gli diedi uno schiaffo. La sua guancia divenne subito rossa. “Hai qualcosa in contrario se mi interesso a te?” gridai con voce stridula e lo spinsi via uscendo velocemente dalla stanza, gli occhi erano annebbiati dalle lacrime che minacciavano di scendere.
“Elena che succede?” mi si parò davanti Caroline che aveva sicuramente sentito la nostra conversazione. Pensai di uscire e lasciarmi dietro la pensione Salvatore ma non ci riuscii. “Caroline” mi aggrappai a lei che mi portò dolcemente sul divano accarezzandomi i capelli. “Caroline lo odio, per quello che ha fatto e per tutti i problemi che ci sta creando: se non fosse per lui a quest’ora Stefan sarebbe qui e..e..” mi morirono le parole in gola tanto forti erano i singhiozzi che mi facevano sussultare il petto. La mia amica mi strinse maggiormente, tentando di rassicurarmi e invitandomi a smettere di piangere. “Vedrai che tutto si sistemerà, lui ritornerà ad essere il vampiro di sempre e una volta finita questa storia tu e Stefan potrete stare insieme”. Mi convinsi che quelle parole erano vere e sprofondai in un sonno leggero anche se tormentato da sensi di colpa e rimorso: da quando stavo male per Damon?
Al mio risveglio Caroline non c’era più, avevo addosso una coperta e il fuoco del camino era acceso. Doveva essere molto tardi perciò senza ulteriori indugi decisi di uscire da quella casa, ignorando la presenza di Damon nell’altra stanza, e avviarmi verso la mia.
Le luci erano spente, segno che zia Jenna e Jeremi dovevano essere già a letto. Feci per salire le scale, ma mi bloccai sentendo un rumore provenire da dietro. La stanza era completamente avvolta nel buio e feci fatica ad adattare gli occhi.
Vidi un’ombra muoversi velocemente davanti a me e una folata di vento mi mosse leggermente i capelli. Chiunque fosse doveva essere salito per le scale. Spaventata per Jenna e Jeremi salii in fretta le scale e presi un ombrello dalla punta di legno in caso di emergenza. Con passo felpato e con il cuore che continuava a martellarmi in testa mi diressi verso la camera di mia zia.
Aprii leggermente la porta per non spaventarla, ma sembrava stesse dormendo tranquilla, così la chiusi e passai alla camera di Jeremi. Era già aperta e dalla luce che proveniva dalla finestra scorsi una figura che sembrava lo stesse guardando attentamente. Spezzai la punta dell’ombrello e con passo deciso feci la mia entrata in stanza ma questo provocò la fuga del vampiro che accortosi di me aveva preferito uscire dalla finestra, e il brusco risveglio di Jeremi. “Elena?” lasciai cadere il paletto improvvisato e andai ad abbracciarlo, spiegandogli quello che avevo visto e cosa aveva rischiato.
“Questa situazione sta diventando troppo pericolosa, per noi e soprattutto per te” “Jeremi sai che stiamo facendo delle ricerche” “Si ma non possiamo vivere con la paura che questi nuovi vampiri entrino anche senza il nostro invito”. Ebbi un dubbio: sbaglio o aveva detto senza il nostro invito? “Vuoi dire che non avete invitato nessuno ad entrare?” “No non è passato nessuno”. Questo significava che questi mezzi vampiri erano in grado di entrare nelle case anche senza invito, cosa che gli rendeva ancora più pericolosi. Diedi la buonanotte a Jeremi anche se molto probabilmente non si sarebbe più riaddormentato così come avrei fatto io.
Mi stesi sul letto e composi velocemente il numero di Caroline “Car scusa se ti chiamo ma abbiamo un problema” “Tranquilla arrivo ma-” mi rispose con la voce impastata dal sonno, fece una pausa in cui sembrò che stesse ascoltando qualcosa o forse qualcuno “-come faccio con Damon?”. Mi ricordai del litigio e che ero arrabbiata ancora con lui perciò le dissi che poteva benissimo lasciarlo li visto che non voleva essere protetto.
Appena chiusa la chiamata di Caroline composi il numero di Stefan: attesi con sciocca speranza per poi chiudere alla voce registrata della segreteria. Avvicinai la testa al cuscino e chiusi gli occhi stremata da quest’ultima sorpresa.
Riuscii a sentire il suono ovattato dei tacchi di Caroline che si era seduta davanti allo specchio e mi tranquillizzai un po’:tuttavia mentre la mia amica vampira era qua, nonostante il litigio di quel pomeriggio e l’odio che provavo nei suoi confronti, speravo con tutto il cuore che il vampiro cattivo non lo venisse a trovare e che quella fosse una notte sicura anche per Damon.
Il vibrare continuo del cellulare sulla scrivania mi fece alzare dal letto. Era ancora presto ma dovevo prepararmi in fretta e parlare con Alaric riguardo la questione dei mezzi vampiri e della loro possibilità di entrare in casa anche senza invito. Mi feci una doccia e mi vestii rapidamente. Non trovavo le mie scarpe così provai a vedere se erano accidentalmente ruzzolate sotto il letto. Mi inginocchiai e alzata la trapunta oltre a batuffoli di polvere trovai l’anello di Damon. Mi aveva detto che lo aveva buttato via. Lo presi e dopo averlo rigirato più volte nelle mani lo infilai in borsa. Scesi le scale e presa la macchina mi avviai verso la scuola.
Appena arrivata provai a cercare Alaric ma di lui nessuna traccia, molto probabilmente le ricerche erano durate più a lungo del previsto. “Elena” trovai Bonnie al mio fianco che mi guardava con aria preoccupata “Ciao Bonnie” “Come stai? E’ da un po’ che non ci sentiamo” “Si sono stata occupata con la storia di Damon” “Vuoi parlarmene?” decisi che era meglio tenere la mia amica informata, non volevo che accadesse qualcosa anche a lei. “Perciò questo vampiro è entrato ieri sera in casa tua e sembrava essere interessato a Jeremi” “Così mi è sembrato, lo stava guardando attentamente come per accettarsi di qualcosa” “E se avesse creduto che fosse anche lui uno della sua specie?” alzai gli occhi e incrociai quelli di Bonnie che sembrava aver capito qualcosa di cui io non sapevo nulla “Cosa intendi dire?” “Questi mezzi vampiri sono alla continua ricerca di simili e forse visto che tu sei al corrente dell’esistenza dei vampiri pensava che vivessi insieme a dei mezzi vampiri” “Perché mai dovrebbe pensarlo?” alla mia domanda Bonnie perse tutto il suo entusiasmo e si lasciò cadere in un “Non lo so Elena”.
Presi dalla borsa i libri che mi sarebbero serviti per l’ora di Chimica ma nel prenderli mi cadde l’anello di Damon. “Ma non è l’anello di Damon?” “Si- dissi mentre mi allungavo per prenderlo- l’ho trovato stamattina ma non penso di ridarglielo, alla fine non è più un vampiro non lo proteggerà dai raggi del sole”. Stavo per riposarlo ma la mia amica mi fermò “Elena sono tua amica e voglio aiutarti anche se Damon non mi piace” non riuscivo a capire le sue parole “dammi l’anello ci vediamo al Grill all’ora di pranzo” mi fidai e glielo consegnai senza tante storie.
Concluse le lezioni andai al Grill dove trovai Bonnie ad aspettarmi. “Ecco qua” mi disse sorridente mostrandomi l’anello tale e quale a quello di prima. “Cosa hai fatto?” dissi mentre osservavo l’anello nella sua antica forgiatura. “Ho fatto un incantesimo molto simile a quello dell’anello di tuo fratello e di Alaric con la sola differenza che l’anello di Damon una volta ritornato vampiro continuerà a svolgere la sua antica funzione e l’incantesimo si spezzerà.” “Bonnie sei un genio!” abbracciai la mia amica, felice del fatto che avesse messo da parte l’odio nei confronti del vampiro per aiutarmi.
Tornata a casa chiesi a Jenna se avesse notizie di Alaric. “L’ho sentito ieri sera, ha detto che doveva andare fuori città per un convegno”. Probabilmente non era quello il vero motivo ma non potei dire di più. Mi ritirai in camera e dopo essermi cambiata e messa il pigiama, provai nuovamente a chiamare Stefan. “Dannazione rispondi…” chiusi la chiamata e scaraventai il cellulare sul letto.
La finestra era aperta e anche se faceva caldo era preferibile chiuderla per non far entrare nessun vampiro indesiderato. Mi avviai verso la finestra e feci per chiuderla ma qualcosa mi bloccò “Ahio” “Cos-?Damon?!” Damon si era arrampicato con la scala fino a raggiungere la mia finestra con qualcosa di strano in bocca. “Mi fai entrare o devo stare qui tutta la notte?” biascicò mentre teneva tra i denti due cucchiai. Mi spostai dalla finestra e con un balzo atterrò sul pavimento della mia camera. “Mi manca terribilmente poter salire senza l’uso della scala!” Era diverso dal solito: aveva portato indietro i capelli e una camicia blu aderente sostituiva la solita maglietta nera. Sembrava che dovesse andare ad un evento importante, come un matrimonio o una festa di fidanzamento, quasi mi ricordava la festa per la reginetta di Mistic Falls quando avevamo ballato insieme. Continuai ad osservarlo mentre si puliva i pantaloni pieni di terriccio e rendersi in una forma più presentabile di quanto non fosse già: da quando Damon si preoccupava dei vestiti? Tolse i due cucchiai dalla bocca e me ne offrì uno con un sorriso. D’un tratto mi venne in mente il motivo per cui avevamo litigato e sentii le guance diventare rosse dalla rabbia.
“Che sei venuto a fare qui? Sbaglio o non vuoi essere aiutato?” dissi aprendo la finestra che lui aveva già chiuso, invitandolo ad uscire da dove era entrato. “Elena non ricominciare! Sai bene che avevo ragione e so bene che tu tieni a me-” mi guardò e io sussultai alla verità di quelle parole “-almeno questo è quello che mi hai detto. Il punto è che io sono quello umano adesso e ho tutto il diritto di avere informazioni su chi mi ha trasformato e soprattutto chi ficca il naso nei miei fatti personali” distolsi lo sguardo e mi portai i capelli su un lato del collo: era vero quello che stava dicendo e non potevo proteggerlo ancora da qualcosa che interessava più lui che me.
“Era Alaric” sussurrai sentendomi quasi una bambina che ha paura di essere sgridata dal padre. Si distese rimbalzando sul letto facendo cadere i cuscini e l’orsetto “chissà perché ma lo sospettavo” e mi rivolse uno dei suoi soliti sguardi che mi fecero spuntare un sorriso da ebete. “Avanti non mi chiedi scusa?” disse posando i cucchiai e lo strano contenitore che aveva in mano e incrociando le braccia dietro la nuca. “Scusa?!E perché mai?” mi sedetti sulla sedia impugnando la spazzola. “Ti sei comportata da bambina, un po’ da stronza e beh se fossi stato ancora vampiro probabilmente ti avrei staccato la testa quindi ringraziami per essere stato così buono nei tuoi confronti” quello era assolutamente troppo: non solo mi aveva rimproverato perché mi preoccupavo per lui ma adesso voleva che io gli chiedessi scusa. Mi alzai e gli puntai la spazzola contro “ringrazia solo il fatto che non ci sia Stefan!” mi guardò e allontanò la spazzola avvicinandosi al mio viso “Era una battuta? No perché l’avevo già sentita” incominciò a ridere e mandai al diavolo la rabbia al suono di quella risata liberatoria.
Sentii un tintinnio e uno dei due cucchiaini comparve alla mia vista. “Che cos’è?” chiesi aggrottando le sopracciglia non capendo a cosa servissero “Qualcosa che voi ragazze amate mangiare in continuazione quando siete arrabbiate, o almeno così mi ha detto la prosperosa cassiera del supermercato” aprì la confezione e una dolce fragranza di limone arrivò alle mie narici. “Et voilà gelato!In segno di pace” mi porse i due cucchiaini e io ne estrassi uno dalla sua presa ferrea. Affondai il cucchiaio nella morbida consistenza e ne portai un po’ alla bocca: faceva sempre effetto! Come lo sapeva?
“Sbaglio o è il mio anello quello?” mi voltai e vidi lo sguardo di Damon posarsi in direzione del comodino dove tra orecchini e collane spiccava il suo anello. Si alzò e se lo rimise continuando a guardarlo e accarezzarlo. “Sbaglio o lo avevi buttato via?” domandai alzando di poco un sopracciglio cercando di metterlo con le spalle al muro ma invano. “Diciamo che ero esaltato dall’idea di essere umano-” mi rispose risedendosi accanto a me “-e poi mi servirà una volta ritornato vampiro”. Prese il cucchiaio rimasto e cominciò a mangiare anche lui il gelato dalla vaschetta posta sulle mie gambe.
Una volta finito il gelato, aprì le braccia per poi far cadere la mano sulla mia spalla avvolgendomi al suo corpo. Gli riservai un’occhiataccia ma lui sembrò non esserne particolarmente spaventato. Mi alzai allora nervosa per il silenzio che si era venuto a creare: non ero abituata a questo genere di intimità con Damon.
“Sarà meglio che vada: la nostra nuova inquilina mi ha dato solo un’ora di tempo e io ne ho sprecate già tre, l’avrò fatta arrabbiare abbastanza” “Caroline ci sta solo aiutando lo sai” si alzò e si avvicinò a me un passo per volta, quasi lentamente come per darmi tutto il tempo di fuggire e di non far avvenire quello che ero sicura stesse per accadere.
Mi prese il viso tra le mani e le gambe cominciarono a tremare. Il mio cervello mi diceva che era sbagliato, che dovevo reagire, che lontano mille kilometri c’era Stefan e che non potevo assolutamente baciare Damon, ma avevo chiuso gli occhi e le mie labbra si erano dischiuse attendendo ciò che era inevitabile che accadesse. Magari l’indomani a mente lucida mi sarei poi pentita del mio sbaglio, ma ciò che contava era quel momento e mi ritrovai a desiderare quel bacio più dell’ossigeno.
Trovai la sensibilità nelle mani e tutt’a un tratto riaprì gli occhi trovandomi faccia a faccia con la realtà. Damon di fronte a me, le sue dita gelide sulla mia guancia: perché non mi baciava? “Sei solamente tu che mi stai aiutando, nessun’altro può ordinare questo casino che ho dentro ed Elena tu sei l’ordine che cerco” deglutii rumorosamente sentendo il cuore perdersi dentro di me. Mi sorrise obliquo accorgendosi del mio disagio. “Damon esci subito dalla mia camera” aprii la finestra e lo invitai ad uscire con un ampio gesto della mano, ancora con la testa che mi girava. “Come vuole miss simpatia-” mi guardò con il sorriso ancora stampato in faccia avvicinando il viso al mio che ritrassi subito “-niente bacino della buonanotte?”. Lo spinsi sotto la finestra da dove passò facilmente scendendo poi dalla scala. Ritornai a letto e spensi la luce. Nonostante il cuscino fosse ancora caldo per via di Damon la mia guancia era gelida e il responsabile dei miei sbalzi termici era sempre e solo lui.

***

Ebbene visto che qualcuno si è lamentato della brevità dei miei capitoli ho pensato di deliziarvi con un capitolo un po’ più lungo e semplicemente incentrato su Damon ed Elena. Non vi cullate troppo però u.u i mezzi vampiri sono dietro l’angolo e potrebbero attaccare da un momento all’altro. Elena si trova ancora indecisa e vede Damon sempre come il fratello del suo fidanzato (ma non sarà così ancora per molto). I due si devono cuocere a puntino e ancora l’acqua non bolle in pentola! Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, non abituatevi a capitoli così lunghi, li farò solo in occasione di momenti importanti per questa coppia ;) Domandina: mi linciate se vi dico che devo per forza scrivere un capitolo per descrivere cosa diamine sta combinando lo scoiattolo in Alaska?o.O E’ ai fini della narrazione u.u
Grazie per aver letto, alla prossima!

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Capitolo 9
*** 8- I'LL JUST DIE IF IT WILL BE WORTH IT ***


AVVERTENZE: questo capitolo si ricollega ad alcuni avvenimenti accaduti nel capitolo precedente, perciò onde evitare fraintendimenti, leggetelo e arrivate vi prego fino alla fine prima di saltare a conclusioni azzardate u.u

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8- I’LL JUST DIE IF IT WILL BE WORTH IT

 
Era passata più di una settimana e di Stefan nessun segno così anche del vampiro che aveva tentato di spararci e di quello che era entrato in casa mia. Dimenticavo mezzo vampiro.
Mi stavo dirigendo verso la pensione che ormai era diventata dimora fissa di Caroline che, in segno della nostra buona amicizia, teneva d’occhio Damon ventiquattro ore su ventiquattro.
Damon di questo non era certamente molto contento.
Chiusi lo sportello e presi un respiro profondo prima di entrare in casa dove già da fuori si sentiva una musica ad alto volume e le urla disperate di Caroline.
“Vuoi abbassare quel santo volume, non riesco a concentrarmi per mettere lo smalto!”.
In effetti la musica era un po’ troppo forte, ma più che musica quella sembrava un assolo di chitarra. Diedi un’occhiata al salone, ma era completamente vuoto.
Mi sentii una mano toccare la spalla e sussultai girandomi spaventata. Mi tranquillizzai vedendo Caroline che mostrava certe occhiate fiammanti al soffitto da dove proveniva quella musica assordante.
“Ci penso io a suonargliele!” disse e a velocità vampiresca si diresse verso le scale. La seguii a ruota anche se, quando arrivai, lei era già davanti a Damon e discuteva animatamente indicando una chitarra anni ’80.
“Ah si o se no che mi fai?” le domandò Damon con aria strafottente non curandosi minimamente del fatto che aveva di fronte una ragazza o peggio un vampiro. Caroline fu molto più veloce e con una sola mossa riuscì a piegargli il braccio destro dietro la spalla e a farlo finire con la faccia contro la moquette.
“Ecco cosa ti faccio!”. Evidentemente la forza dell’abitudine lo aveva portato ad atteggiarsi da vampiro. “Ehi calma” intervenni sperando con tutto il cuore che la convivenza forzata di quei due portasse a qualcosa di buono.
Caroline mollò la presa e Damon ritornò in posizione eretta massaggiandosi il braccio dolorante. Caroline alzò gli occhi al cielo e in un attimo sparì lasciando soli me e Damon.
“Giuro che prima o poi le stacco quella testolina che si ritrova”. Mi accorsi della chitarra e del fatto che eravamo nella stanza di Stefan. “E’ tua?” Damon seguì il mio sguardo. “No è del mio fratellino un tempo rockettaro alias Stefan” boccheggiai per qualche secondo: Stefan rockettaro? “Come è poss-” “Era il 1986 quando lui e la sua amica Lexi decisero di fare un gruppo: la parrucca non gli donava molto” disse mentre riposava la chitarra in un vecchio baule aperto al centro della stanza.
Da lì Damon tirò fuori una scatola impolverata e dopo aver soffiato via la polvere la aprii. Ne estrasse un pugnale dal manico in argento. “Ecco dove era andato a finire” disse maneggiandolo, con uno strano sorriso stampato in faccia. “E’ un pugnale?” “Oh ma come siamo perspicaci! E’ il pugnale che apparteneva a mio padre, me lo regalò per il mio diciassettesimo compleanno, è un gioiello di famiglia” mi avvicinai per guardalo meglio: era molto spesso e alquanto pesante e presentava una forma allungata simile a quella di un paletto con la sola differenza che la lama era interamente in argento anch’essa.
Mi tornò in mente il disegno sul foglio che avevo rubato dall’ufficio di Alaric. “Damon dovremmo andare a trovare Alaric”.
Damon smise di giocare con il pugnale e mi guardò con aria interrogativa.
“Devi sapere anche tu”.

La casa di Alaric sembrava essere uscita direttamente dal passato: era piena di quadri antichi e oggetti in legno per non parlare dell’enorme quantità di libri. “Allora prof novità?” chiese Damon entrando e dando una pacca sulla spalla ad Alaric in modo amichevole. “No ancora niente”. Guardai prima Damon e poi Alaric, con aria interrogativa: io lo avevo portato perché pensavo che era all’oscuro di tutto, ma evidentemente ero io quella ad essersi persa qualcosa!
“Tu sapevi” sussurrai incredula, con occhi sbarrati, additandolo. “Elena questo non è il momento di fare scenate piuttosto dimmi perché avevi tutta questa urgenza di vederlo” mi disse mettendomi nuovamente con le spalle al muro.
“Volevo chiederti se sapevi qualcosa in più su questo oggetto” dissi tirando dalla borsa  il foglietto spiegazzato.
Alaric lo prese con cura tra le mani e inforcò gli occhiali. “A prima vista non ho idea di cosa sia. Dove l’hai preso?”. Aggrottai le sopracciglia confusa. “Era sulla tua scrivania a scuola, io l’ho preso di nascosto” confessai il mio piccolo reato, ma sembrò non turbare di molto Alaric.
“Non l’ho mai visto: sembra un pugnale ma potrebbe benissimo essere un paletto” “una mezza arma: metà per uccidere un vampiro, metà per uccidere un umano” si intromise Damon arrivando alla conclusione molto più in fretta di noi.
“E quindi assemblandoli assieme potremmo creare-” “-l’arma perfetta per sconfiggere i mezzi vampiri-” “- così da porre fine a questa storia”.
“Bang! Adoro questa combinazione di cervelli” esultò Damon al mio fianco per poi continuare “Rick cerca di costruire l’arma, quanto ad uccidere i mezzi vampiri ci penso io!” e così dicendo uscì via ed io non potei far altro che seguirlo.

Per tutto il tragitto in macchina nessuno dei due parlò, rimanemmo in silenzio ognuno perso nei proprio pensieri.
Arrivati sull’uscio della porta mi decisi a parlare. “Damon sai che non dovresti immischiarti in questa situazione” “Ecco che ricomincia” “No Damon sul serio, se ti dovesse accadere qualcosa io…” “Elena guardami” mi prese il viso tra le mani ed ebbi un brivido simile alla notte precedente. “Non mi succederà niente, non finché sono io quello che deve proteggerti.” Mi guardò intensamente e io mi persi nel blu dei suoi occhi. “Se vogliamo che le cose ritornino come prima e se vuoi davvero aiutarmi, fidati di me e se proprio dovrò morire beh almeno sarà servito a qualcosa” lasciò scivolare le mie dita sul mio viso ed io annuii deglutendo come se avessi voluto inghiottire quelle parole che mi avevano lasciato un sapore amaro in bocca.
In casa regnava un certo silenzio, segno evidente che Caroline non c’era. Sul tavolo del salone trovammo un biglietto con su scritto “
Passo da mia madre per prendere un po’ di cose. Fate i bravi”. La scrittura piccola e lineare sembrava quella di Caroline.
“Finalmente ho la casa tutta per me” disse mentre tirava fuori da un cassetto della scrivania una bottiglia di wisky.
Ero così intenta a guardare il foglietto da non accorgermi che si era avvicinato a me e mi aveva abbracciato da dietro provocandomi un leggero brivido. “Ops mi correggo: abbiamo la casa tutta per noi” lasciai perdere il foglio e tentai di slegare le braccia che si erano intrecciate sulla mia pancia così da far incollare la mia schiena al suo petto, e da bloccarmi la respirazione. “Ti manca vero?” mi chiese con un tono di amarezza e il suo respiro arrivò a solleticare il mio collo. M’incupii d’improvviso e lui mi liberò da quella morsa.
“Chiamalo! Gli animali del bosco stanno appendendo volantini con su scritto Cercasi nuovo vampiro amico degli animali ” disse e si versò un po’ di liquore nel bicchiere.
Io presi il cellulare e composi il numero.
Fu solo un secondo e un forte rumore mi fece alzare la testa di scatto, ma non ebbi il tempo di capacitarmi di ciò che stava succedendo che mi ritrovai compressa al muro e a parecchi centimetri da terra. Capii dalla forte pressione esercitata sulla giugulare che qualcuno mi stava tenendo per la gola.
Non c’era alcun dubbio: i mezzi vampiri erano tornati in azione! E questo significava solo una cosa, che Damon era estremamente in pericolo!
Scalciai violentemente, lasciando cadere il cellulare e portando le mani su quelle del presunto aggressore. Non feci in tempo a guardarlo in faccia che mi lasciò andare scaraventandomi dall’altra parte della stanza, vicino ai vetri della finestra, sparsi per terra e alle schegge di legno che mi graffiarono il viso.
Tossii massaggiandomi la gola e l’addome per la forte caduta e cercai di raggiungere il divano.Mi rannicchiai tentando di capire dove diavolo fosse finito Damon.
Ansimavo e il cuore pompava sangue procurandomi un fastidioso ronzio alle orecchie, ma quello non era il momento di preoccuparsi.
Mi alzai e da dietro il divano lo cercai con lo sguardo mentre enormi folate di vento continuavano a scompigliarmi i capelli, e libri e fogli volavano sparsi per la stanza. Scorsi un gruppo di uomini, forse sette o otto, intenti a mettere a soqquadro la stanza mentre un altro consistente gruppo che stava lottando contro un Damon che si dimenava, incassando pugni.
Frugai nella borsa dove ancora c’era il pugnale che volevo dare ad Alaric per costruire l’arma. Le mie mani tremavano e sentivo un forte groppo al cuore: non ce l’avremmo fatta, non quella volta.
Impugnai l’arma e uscii fuori dal mio nascondiglio, richiamando l’attenzione dei mezzi vampiri più vicini. Essi mi guardarono famelici, con occhi di uno strano colore bianco, quasi come se fossero stati ciechi, i canini affilati li deformavano il viso e il loro aspetto pallido e cereo li faceva somigliare quasi a dei cadaveri.
Distratta dal loro turpe aspetto non riuscii a tenere il pugnale e così cadde e ruzzolò a pochi passi da me. Una folata di vento arrivò alla mia destra e si fermò.
Era un mezzo vampiro, lo riconobbi dagli occhi. Sembrò meditare osservando il pugnale.
Fu una questione di secondi: il mezzo vampiro e il pugnale scomparvero e la casa ripiombò nel silenzio più assoluto.
L’aria venne rotta da una leggera tosse che proveniva dal camino. Cercai di muovere le gambe, diventate tutto un tratto pesanti, e barcollando un po’ mi diressi laddove trovai disteso a terra Damon, ricoperto di graffi e dal sangue che sgorgava dal naso e da un taglio poco profondo sopra il sopracciglio destro. “Oh mio Dio, Damon!” gracchiai con voce rauca e lui tossì aggrappandosi a me per alzarsi. “Dannati bastardi”. Ci alzammo e con i nervi tesi controllammo se ci fosse ancora qualcuno.
Ci sostenevamo a vicenda, i nostri cuori battevano all’unisono, per un momento fui felice di non essere la sola a sentirmi in quel modo.
I nostri occhi controllavano tutti gli angoli della casa mentre le nostre orecchie erano tese cercando di avvertire ogni minimo spostamento d’aria: nessuna folata di vento, nessun rumore sospetto, niente di niente, solo silenzio: i mezzi vampiri se ne erano andati.
Tirai un sospiro di sollievo e i muscoli si rilassarono ma Damon continuava a essere rigido e all’erta. Cercai di tamponargli la ferita da cui non sembrava comunque sgorgare troppo sangue.
Sentimmo la porta aprirsi e sussultammo entrambi. Ci fu un rumore simile ad una lamiera, come se qualcuno avesse affilato un coltello e ritornammo ad essere rigidi. Caroline raggiunse il salone calpestando malamente i cocci di vetro. “Cos’è successo?” disse seria e abbastanza preoccupata vedendo la casa in disordine e me piena di graffi. “I mezzi vampiri e-” mi bloccai vedendo i suoi occhi diventare cupi e iniettarsi di sangue, i canini affilarsi.
Mi portai le mani sul viso per vedere se usciva sangue da qualche graffio ma non ce n’era.
Mi voltai verso Damon ma il viso sembrava essere abbastanza pulito, il tampone aveva funzionato e adesso presentava solo delle ferite superficiali.
“Damon?” lo chiamai ma non ricevetti alcuna risposta. Digrignò i denti e artigliò la mia spalla provocandomi un forte dolore.
Allora capii cosa era stato quel suono e guardai sconvolta Damon. Si piegò sulle ginocchia e ricadde a terra manifestando il pugnale sulla schiena e il sangue che copioso creava una macchia scura sulla camicia.
Inorridii e non ricordo nemmeno se urlai. In un attimo nel mio cuore si addensarono macchie scure che non riesco tutt’ora a definire e il fiato divenne più pesante di un macigno.
Gli occhi non potevano far altro aprirsi inorriditi mentre le mani tremanti  continuavano a toccarlo, incitandolo a tenere duro.
Caroline con decisione estrasse il pugnale, facendo dei lunghi respiri profondi per resistere al suo istinto primario. Non poteva accadere, no quello era solo un brutto sogno.
“Caroline fa qualcosa ti prego!” supplicai la mia amica mentre le lacrime cominciavano a farsi vive: forse lei poteva fare qualcosa, il suo sangue avrebbe bloccato l’emorragia e Damon sarebbe guarito pian piano. “Elena non posso, non so cosa succederebbe, lui ha bevuto il sangue di un mezzo vampiro, potrebbe diventare tale o addirittura morire” spiegò velocemente macchiandosi le mani di sangue.
Gli presi il viso tra le mani cercando di creare un contatto, un qualcosa di magico, una scintilla che mi desse ancora la speranza e la forza di continuare a chiamarlo. “Damon, Damon ascoltami…” ma non proveniva nessuna emozione dai suoi occhi ancora aperti. Tentava di parlare ma non poteva, non ci riusciva. “Damon..” la mia voce era roca e tutto quel che avevo in petto non riuscivo a riversarlo, che fossero lacrime poco importava: le avrei gettate sino all’ultima goccia ma quel dolore lancinante non mi avrebbe mai abbandonata.
L’aria si fece greve e mi sembrò che la luce del sole pian piano scomparisse dalla stanza lasciandomi nell’oscurità più tetra. Tentai di scuoterlo e così fece Caroline accanto a me. Nessuna risposta, nessun segnale.
“Elena dovremo portarlo all’ospedale” e così dicendo sparì a velocità allucinante cercando il cellulare nella sua borsa. Mi sentivo stremata e inutile e ciò che più mi faceva male era la consapevolezza che così mi sarei dovuta sentire per Stefan, solo per lui e per nessun altro.
Avevo la gola arsa e gli occhi gonfi che guardavano con insistenza i suoi ancora aperti come se volessero immergersi per riuscire a curarlo dall’interno.
Mi ricordai della conversazione di prima e pregai che non avesse detto sul serio. Ripensai alla sera in cui era venuto da me, in cui pensai davvero di baciarlo e allora il mio odio per lui sparì, risucchiato dalla consapevolezza della forza del nostro legame. Lo presi e lo portai al mio petto abbracciandolo, stringendolo, cercando di trovare conforto per il mio cuore ormai ridotto ad un cumulo di macerie, provando a far sincronizzare il suo battito con il respiro.
Non piangevo più, non lo chiamavo più, attendevo soltanto l’inevitabile. Poi un sussulto lo scosse, mi prese la mano e la strinse: Damon non c’era più.
Affondai l’altra mia mano nei capelli neri tentando di far entrare un po’ di aria nei polmoni mentre i singhiozzi aumentavano e mi dilaniavano il ventre facendo più male di mille pugnali.
Dopo un po’ mi decisi ad abbassare lo sguardo: gli occhi erano rimasti ancora aperti ma del ghiaccio e del cielo era rimasto ben poco; poi osservai la mia mano stretta alla sua in un legame indissolubile, eterno, magico
Aria dolce mi solleticò la gola e la stanza tornò a splendere di luce solare. Le mie labbra si piegarono in un sorriso radioso.
“Sta arrivando-” Caroline si bloccò e guardò con occhi sbarrati prima Damon esanime e poi me ridente.
La guardai e lei inclinò la testa non riuscendo a capire.
“Aspetta” sussurrai e fui certa che la mia amica udì le mie parole.
Sollevata tornai a guardare le nostre mani unite. Aspettai ancora un po’ finché lui non me la strinse più forte di prima.

***

No tranquilli non vi agitate e non mi linciate ve ne prego T.T Come avrete potuto ben capire dall’ultima frase me la strinse più forte di prima Damon è vivo, come è un mistero xD o meglio è molto semplice ed è anche lampante a dire il vero.
Comunque in questo capitolo finalmente si sono fatti vedere i mezzi vampiri e abbiamo colto un po’ del loro aspetto: sono a dir poco terrificanti! I loro occhi da grigi diventano bianchissimi, i canini a differenza dei vampiri normali, deformano il viso e la pelle assume un colorito bianco-violaceo da sembrare dei cadaveri. Eh si: questi mezzi vampiri sotto il loro aspetto tecnicamente umano sono dei veri e propri mostri, ma avremo occasione più in la di vederlo meglio. Ho scritto già parecchi capitoli di questa storia perciò ho deciso che i miei aggiornamenti saranno più o meno costanti =)
Con questo concludo e vi lascio con un grande punto interrogativo: In tutto questo proprio Damon che c’entra?
dreem

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Capitolo 10
*** 9- HIDDEN WORDS CAN SAY MORE THAN YOU WANT ***


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9- THE HIDDEN WORDS CAN SAY MORE THAN YOU WANT

Quando Damon venne colpito dal pugnale pensai veramente che non ci fosse più niente da fare.
Lo avevo visto lentamente morire tra le mie braccia ad opera di quei vampiri finche non aveva smesso persino di respirare.
Era la fine, doveva esserlo. Abbassai lo sguardo e osservai le nostre mani intrecciate, la sua debole stretta si faceva sempre più lieve. Notai che sulla sua mano faceva bella mostra l’anello speciale che Bonnie aveva reso simile a quello di Jeremi e di Alaric in modo da proteggere Damon da qualsiasi pericolo mentre era ancora umano.
Sorrisi ringraziando Bonnie con tutto il mio cuore e aspettai con impazienza che Damon desse qualche segnale di vita.
Caroline a pochi passi da me attendeva, non sapendo cosa sarebbe successo e guardando sconvolta prima me e poi il ragazzo esanime che tenevo tra le braccia.
Sentii una pressione più forte sulla mano, la debole presa si faceva sempre più stretta  finché non mi stritolò del tutto la mano destra.
Sussultò e con lui rabbrividì io, un brivido di piacere percorse tutta la mia colonna vertebrale. Sbarrò gli occhi e riprese a respirare forsennatamente guardandosi intorno, incrociando alla fine il mio sguardo.
Si liberò dalla mia presa alzandosi e massaggiandosi la spalla, non potendo arrivare dove era stato colpito. Fece una smorfia segno che ancora il dolore non era andato del tutto. “Ahi non ricordavo che fosse così doloroso morire” sbuffò e cominciò a fare un controllo completo per vedere se ci fosse qualche altra parte del corpo che non andava.
“Damon!” non avevo avuto neanche il tempo di chiamarlo, ancora scossa da quello che era successo. “Ricordami di ringraziare la streghetta ora abbiamo ben altro a cui pensare” mi disse cominciando a girovagare per la casa come un pazzo, lasciandomi basita: in effetti si sarà domandato perché è ancora vivo! Cercai di articolare le parole che mi si erano inceppate in testa.
“Damon fermo, se ne sono andati” proruppi e lui si bloccò di scatto serrando i pugni e la mascella e sfogando la sua rabbia contro il tavolo. Scaraventò i libri a terra e fece cadere a terra la sedia, spaccò qualche vetro o due delle foto appese lungo il corridoio. Si girò violentemente e per poco non rimbalzai su di lui.
“E non avete fatto niente per fermarli? Cazzo, Elena, invece di piangere per il fratello sbagliato dovevi fare qualcosa, dovevi…” si bloccò e mi scrutò a fondo come per accertarsi di qualcosa. Posò le sue dita sui graffi e deglutì, frenando la rabbia e cercando di essere più calmo. “Cosa dovevo fare, Damon?” chiesi incitandolo a continuare. Sospirò. “Elena io mi sono stancato di giocare al gatto e al topo, non resterò qui aspettando che ritornino per uccidermi una seconda volta” disse a denti stretti e si sbottonò la camicia sporca di sangue salendo le scale.
Io restai nel salone, guardandolo salire, e mi sentii la testa girare violentemente. Mi aggrappai alla maniglia più vicina e con fatica raggiunsi la stanza dove Caroline stava cercando di riordinare.
Nel salone di casa Salvatore sembrava essersi abbattuto un uragano, quasi come se si fosse consumata la terza guerra mondiale anche se forse era proprio così. Risultato? 1-0 per i mezzi vampiri. Sapevano già troppe cose e sarebbero ritornati vedendo che Damon era ancora vivo. Ma qual era il loro effettivo scopo?
Mi raccolsi i capelli dietro le orecchie e osservai i cocci sparsi sul pavimento. La mia amica anche se si era già accorta della mia presenza alzò la testa solo in quel momento. “Mi dispiace Elena, scusami davvero non pensavo che-” la bloccai subito con un gesto della mano e un mezzo sorriso, in fondo non era colpa sua.
“Dovrei avvisare Stefan” dissi più a me stessa che a Caroline e così da terra presi il telefono che aveva sul display graffiato il numero di Stefan. Avviai la chiamata, ma come al solito dopo l’ottavo squillo la richiusi. Sospirai e guardai Caroline che mi stava osservando con uno sguardo accusatore, le braccia incrociate al petto.
“Cosa c’è?” le chiesi sentendomi un po’ a disagio ad essere osservata. “C’è che ti ho vista mentre Damon moriva” mi rispose attendendo evidentemente una spiegazione che non riuscivo a dare. “Caroline non credo di riuscire a capire cosa tu-” “Elena non mentire! Ti conosco da quando avevi le treccine e volevi diventare una cheerleader!”. Sospirai questa volta un po’ più forte e mi sedetti sul divano prendendomi il viso tra le mani. Provai a concentrarmi per utilizzare le giuste parole. “Ascolta Caroline, io amo Stefan e sto impazzendo adesso che lui è lontano kilometri da qui, quello che è successo prima era…non so bene cos’era”. In effetti non si poteva descrivere quella sensazione: era stato come morire insieme a lui, soffrire vedendo che la luce dei suoi occhi man mano si stava affievolendo, era un dolore indescrivibile che mi aveva trascinato via con se senza che io potessi oppormi. Non era qualcosa di razionale, quando si trattava di Damon c’era ben poco di razionale.
Si sedette accanto a me e mi posò la mano sulla spalla. “Elena devi mettere in chiaro i tuoi sentimenti e devi farlo adesso prima che sia troppo tardi” “Che intendi con troppo tardi?” “Damon tornerà vampiro e Stefan sarà ancora il tuo ragazzo: come pensi di poter gestire la situazione con entrambi i fratelli Salvatore in città?” mi chiese alzando la voce mostrandomi la gravità della situazione. La pregai di abbassare la voce: avevo paura che Damon, nonostante non avesse il suo superudito potesse origliare la nostra conversazione.
“Caroline io amo Stefan, Damon è solo un amico a cui tengo ma rimane sempre quello che è, io non potrò mai amare uno come Damon!” dissi cercando con tutta la mia volontà di credere a quelle parole che suonarono false anche per me.
Caroline sembrò voler ridire qualcosa ma fu bloccata dal suono del suo cellulare. Lesse il nome sullo schermo e tirò un sospiro. “E’ Matt: a quanto pare devo risolvere anche io i miei problemi” mi sorrise debolmente e una parte di me fu grata che quella conversazione finisse li. “Buona fortuna allora!” gli augurai.
Prese la giacca e la borsa e si precipitò verso la porta. “Elena!” alzai la testa e incrociai il suo sguardo. “Stai attenta ad usare le parole, potrebbero nascondere più di quanto esse vogliano dire”. Mi stupii del fatto che Caroline avesse potuto dire qualcosa di così profondo: forse l’essere diventato vampiro l’aveva veramente cambiata. Chiuse la porta e rimasi da sola nell’immenso salone della pensione.
Non ebbi il tempo di sospirare forse per la centesima volta in quella giornata che il cellulare tra le mie mano squillò: era Jeremy. “Elena dove sei? Jenna sta dando di matto” “Cosa sta succedendo? Io sto bene” “C’è stato un incidente oggi a scuola, sono stati uccisi quattro ragazzi durante la pausa pranzo e l’ufficio di Alaric è stato scassinato, qualcuno ha rubato qualcosa. Elena, dimmi: c’entrano per caso i mezzi vampiri?” mi disse tutto d’un fiato e io faticai a mettere in moto le parole. Riuscii comunque a collegare la parola Alaric con mezzi vampiri e una nuova paura cominciò a crescermi dentro. “Aspettai Alaric sta bene? L’hai sentito?” “Rick è qui con zia Jenna, sta cercando di tranquillizzarla, ti abbiamo chiamata ma non hai risposto!” in effetti avevo notato che vi erano una decina di chiamate perse, ma con un morente in casa non potevo certo permettermi di rispondere! Deglutii sollevata. “Di a zia Jenna che sto bene, sono alla pensione, tornerò a casa verso sera” sentii dei bisbigli dall’altro capo del telefono e poi la voce di mio fratello “ok, salutami Caroline e Bonnie, non fare troppo tardi”. Chiuse la chiamata e sperai vivamente che Jenna anche per quella volta credesse a quella bugia. Era diventata insostenibile la situazione: un giorno quando saremmo riusciti a liberarci dei mezzi vampiri, le avrei raccontato ogni cosa. Jenna era forte e poi aveva Alaric a sostenerla.
Questi pensieri continuavano a frullarmi in testa mentre il mio corpo si intorpidiva e pian piano anche la mia mente scivolò nell’incoscienza. Mi svegliai ancora stesa sul divano, il sole era appena tramontato. Cercai di abituarmi alla luce intensa che proveniva dal camino accanto al quale era seduto Damon. Nela stanza regnava lo stesso caos del pomeriggio. Cercai di fare il minimo rumore possibile ma si accorse del mio risveglio.
“Ben svegliata” mi irrigidii e non avendo altra scelta mi risedetti sul divano non avendo voglia di parlare. Mi dava le spalle e potevo distinguere perfettamente il colore del liquido ambrato che vorticava nel suo bicchiere.
“Sai adesso che sono umano riesco a sentire ogni tipo di emozione e stavolta non posso sopprimerle: rabbia, paura, gioia, tristezza.” Proruppe e si girò velocemente mostrandomi un sguardo lucido e folle.
“Damon io…” cercai di troncare qualsiasi conversazione lui volesse instaurare: i fumi dell’alcol lo avrebbero portato a dire cose di cui forse un giorno si sarebbe pentito. “Oggi per esempio ho avuto paura, ho avuto paura di morire, che ironia-” svuotò il bicchiere “-sono già morto!” rise, sgranò gli occhi lanciando il bicchiere dietro di se. Era decisamente andato!
Preferì bere direttamente dalla bottiglia. “E’ che adesso questo cuore batte, continua a farlo e mi ricorda ogni singolo, fottuto, secondo che la mia vita è appesa ad un filo! Non ricordavo di essermi sentito così-” sembrò pensarci bene per trovare la parola adatta “- patetico da umano, ora che ci penso non ricordo affatto come fossi da umano! Forse ha ragione il mio fratellino: ho perso la mia umanità”. Si girò e da quel momento non proferì più alcuna parola.
Pensai che fosse ancora perso nei suoi pensieri. Raccolsi le mie cose e mi avviai verso la porta, non volendo più rimanere un minuto di più in quella casa. Sembrò essersi accorto della mia fuga perciò alzò la voce per richiamare la mia attenzione.
“E’ per questo che la prendo così alla leggera, perché così sono più simile agli umani, perché così sono più simile a te” le ultime parole le sussurrò appena ma riuscii ugualmente a sentirle.
“Ma nonostante tutto essere vulnerabili fa schifo, e io adesso sono tremendamente vulnerabile, non voglio esserlo, non più”.
Mi fermai all’istante ascoltando le sue parole: ripensai a lui steso per terra, incapace di parlare, ai suoi occhi distanti e alle sue labbra che tentavano di comunicarmi qualcosa. Stefan non aveva ragione: la parte più profonda di Damon stava emergendo ed era lì che aspettava solo di essere tirata fuori, pezzo dopo pezzo.
“Penso che le persone più vulnerabili siano anche le più coraggiose.” Dissi riavvicinandomi a lui, i suoi occhi fissi sulle fiamme del camino. “Ho sempre apprezzato questo di te, Damon: il coraggio” conclusi poggiandogli una mano sulla spalla e a quel mio contatto, il suo corpo si irrigidì.
Varcai la soglia e mi chiusi la porta alle spalle. Anche se non ero lì presente ero più che sicura che Damon in quel preciso istante stesse piangendo, per la prima volta dopo non so quanti anni. Aprii la portiera e una lacrima solitaria mi solcò il viso: in qualche strano modo, per qualche insulso destino, lui ed io stavamo diventando irrimediabilmente una cosa sola, e questo non poteva che farci paura.

 

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Capitolo 11
*** EXTRA- MAYBE IN YOUR DREAMS (DAMON) ***


-Within a man’s heart;

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EXTRA 1- MAYBE IN YOUR DREAMS – MAYBE IN MY NIGHTMARES

(ATTENZIONE: questo extra contiene riferimenti del capitolo 5- Who’s believed to be that bitch? Perciò onde evitare confusione consiglio una rilettura si quel capitolo.)

 

C’erano tre cose di cui non ero perfettamente sicuro: punto primo che Stefan fosse realmente andato in Alaska a cercare delle informazioni per aiutare me, punto secondo che in 145 anni non abbia mai incontrato creature come i mezzi vampiri, punto terzo che stessi realmente baciando Elena.
Dischiude le labbra e si stacca dalle mie mentre cingo i suoi fianchi morbidi e lisci.
Sa che sono completamente andato per via dell’alcol, di questo ne sono ben certo a causa di uno strano bruciore alla gola.
Mi guarda con i suoi occhi color nocciola e il suo respiro irregolare a causa dei miei baci mi provoca una leggera felicità. Felicità, non c’era termine più appropriato per descrivere quello che stavo sentendo.
La avvolgo tra le mie braccia e la porto stretta al mio petto cullandola dolcemente.
Eppure qualcosa non andava, era tutto così irreale, così lontano. Si scioglie dal mio abbraccio. Si alza sulle punte e continua a baciarmi a fior di labbra, insinuando le mani fin sotto la camicia, tastando ogni singolo centimetro della mia pelle.
Di lei tutto mi faceva impazzire: la sua pelle, i suoi capelli, i suoi occhi, il suo respiro, lei, la stessa
lei che io non avrei potuto mai avere. Non le importavano i miei sentimenti, forse non le importavo neanche io ma era giusto che fosse così.
Se per qualche strano motivo lei e Stefan un giorno si sarebbero lasciati non avrei sopportato di tenerla stretta tra le mie braccia, sarei stato solo un
ripiego e nient’altro.
Avrei preferito cento volte morire, buttarmi sotto un treno, avvelenarmi ma niente avrebbe mai comparato il dolore atroce che il suo amore per lei mi procurava.
Ma avevo pur sempre un fottuto cuore e una vita che non avevo scelto di vivere quindi tanto valeva farsi male per bene.
Interrompe bruscamente il bacio e si stacca da me addossandosi alla parete. Dai suoi occhi traspare paura e terrore e sembrava che l’essere da cui stava scappando fossi proprio io.
Non ho il tempo di chiedere che cosa sia successo che il dolore alla gola si accentua e sembra quasi che possa soffocarmi.
Mi accorgo che c’è qualcuno alle mie spalle che si avvinghia alla mia schiena e succhia avidamente il sangue dal mio collo procurandomi quel dolore infernale.
Mi dimeno ma le forze mi abbandonano, cerco di scrollarmelo di dosso ma è più forte di me. Sento la rabbia invadermi dentro e la testa girarmi inspiegabilmente.
Il dolore è diventato adesso fuoco e mi brucia il cervello facendomi inginocchiare a terra.
Poi una paura mi assale. “Elena” sussurro e la mia voce sembra rimbombare tra le pareti della stanza.
Apro gli occhi leggermente e finalmente la vedo: i suoi occhi sono iniettati di sangue e i denti ben affilati mi sorridono maleficamente.
Si avvicina con passo disinvolto e in un attimo è di fronte a me. Era Katherine? O forse Elena?
Mi sussurra qualcosa che non riesco a comprendere e anche lei affonda i suoi canini proprio dove poco prima aveva lasciato una scia di baci e carezze.

 

E’ divertente vedere come si è ribaltata la situazione nel giro di pochi giorni: chi avrebbe mai detto che io Damon Salvatore dovessi trovare un vampiro per farmi da baby-sitter? Roba da matti!
Chiusi la manovella della doccia e avvolsi l’asciugamano attorno al mio corpo. Ne presi un altro per asciugare i capelli e mi avviai verso il letto. La televisione era accesa sul notiziario e Mystic Falls sembrava essere tranquilla visto che da un po’ di tempo non si verificavano furti o omicidi. “Tirate questo sospiro di sollievo, tra un po’ Damon Salvatore verrà nuovamente a guastarvi la festa” dissi a me stesso indossando i jeans e facendo passare la cinghia attraverso gli occhielli dei pantaloni.
Il sorriso che avevo dipinto in volto pian piano scemò alla consapevolezza di ciò che avevo detto: quel Damon Salvatore non avrebbe più fatto del male alle persone di questa città, non avrebbe più causato problemi e preoccupazioni a suo fratello, sarebbe stato diverso, un uomo migliore.
Mi meravigliai di quanto fossi cambiato da quando ero diventato umano e la cosa iniziava in un certo senso a seccarmi: non volevo diventare “Stefan- l’amico degli animali- il ritorno”! Questo pensiero urtò gravemente il mio animo così mi diressi verso la cassettiera alla ricerca di una maglietta.
Aprii il primo cassetto e con mia grande sorpresa trovai una bella bottiglia di Tequila il che mi procurò un leggero sorriso: ahi carramba era da un po’ che non mi facevo una sana bevuta…da umano. Posi la bottiglia sul letto e andai alla ricerca di una maglietta da mettermi.
Dal secondo cassetto tirai fuori una maglietta grigia ma mentre lo feci cadde a terra una pacchetto contenente un liquido rossastro: sangue. Lo raccolsi e cominciai ad osservarla meglio: era sangue 00, il mio preferito, che avevo lasciato nel cassetto in caso di emergenza. La vista di quel liquido denso mi procurò una forte fitta allo stomaco e trattenni un conato di vomito: avevo dimenticato che da umano ero sensibile al sangue.
Rigettai la sacca dentro il cassetto e lo chiusi con irruenza facendo tremare lo specchio adiacente il che tremò anche la mia figura riflessa in esso. Quando lo specchio smise di tremare osservai meglio e mi meravigliai di ciò che vidi o meglio di chi.
“Ma guarda hai così tante prelibatezze e non ne offri neanche un po’?” la voce che proveniva alle mie spalle mi lasciò alquanto sorpreso: che diavolo ci faceva qui Katherine? Non mi girai ma un sorriso beffardo comparve sul mio volto. “Ma che maleducato che sono, serviti pure…oh già dimenticavo, non sei la benvenuta qui!” dissi con sarcasmo voltandomi con ancora in mano la maglietta che non avevo avuto il tempo di indossare. Speravo che quella fosse una visita di cortesia perché nelle mie condizioni potevo fare ben poco: non poter uccidere Kat, una delle tante cose che non puoi fare da umano, da aggiungere alla lista.
“Ho incontrato Elena prima” disse guardandomi dritta negli occhi, giocando con un ricciolo. Ahi, ecco invece una delle cose peggiori che ti può capitare quando sei umano. Il mio sorriso di poco prima scomparve, ma mantenni la calma cosa non facile visto che ero maledettamente umano e che sentivo le emozioni riversarsi come un fiume in piena. Purtroppo si accorse della mia agitazione e si avvicinò a me con velocità vampiresca. “Tranquillo stanno bene, lei e la sua amichetta” “Oh ma che gentile, volevi farmi un regalo?” “No perché mi hanno dato una notizia interessante che volevo assolutamente verificare” mi sussurrò avvicinando le sue labbra alle mie che automaticamente si dischiusero.
Di male in peggio: quando Katherine voleva verificare non era mai per buoni motivi.
Accarezzai la sua nuca fino a poggiare le mie mani sui suoi fianchi modellandoli e palpandole i glutei. Fu un attimo che mi fece girare la testa: lei mi sbatté con violenza contro il muro provocandomi un leggero dolore alla schiena, impaziente di rincollare le nostre labbra.
Ero consapevole del fatto che non avrei potuto batterla nel mio stato attuale perciò tanto valeva accontentarla: tanto una volta tornato vampiro sarei venuto a cercarla e le avrei staccato la testa a morsi così come era giusto che fosse.
Le nostre lingue si scontrarono in un turbinio di emozioni forti, le nostre labbra erano legate indissolubilmente. Chiusi gli occhi mentre rimanevo intrappolato tra lei e il muro, le sue gambe aperte si erano aggrovigliate alle mie. Non ricordavo più cosa fosse significato per me Katherine quando ero ancora umano, forse perché non era stato vero amore o forse perché lei continuava a soggiogarmi. Non riuscivo più a ricordare cosa avessi provato quando lei sfiorava solo la mia pelle e adesso riuscivo a sentire tutto, ancora una volta, di nuovo da umano.
Pensai veramente di finirla, ormai aveva controllato abbastanza e non c’era bisogno che quella sceneggiata continuasse oltre, nonostante non mi desse alcun dispiacere. La alzai facilmente e lei incrociò le mie gambe dietro la schiena. Voleva fare un checkup completo a quanto pare.
Un ricciolo mi solleticò la guancia e per un momento pensai al sogno e ad Elena, ai suoi capelli morbidi e i suoi occhi dolci esattamente in quella stessa posizione, in quello stesso luogo: probabilmente sarei stato diverso, felice forse.
A quei pensieri poco puri, l’inquilino del piano di sotto si fece sentire e mostrò tutta la sua contentezza al riguardo. Non era di certo quello l’orario dell’alzabandiera! “Oh merda” imprecai tra un bacio e l’altro. Lei stupita si staccò da me ed entrambi riprendemmo fiato. La allontanai subito da me tentando di riprendere il controllo di me stesso. Da quando in qua io perdevo il controllo?
“Ora che hai verificato, comincia a scappare perché quanto prima ti verrò ad uccidere” mi guardò con i suoi occhi marroni e quasi avvertii un senso profondo di tristezza. Poi sorrise come una bambina “Ma abbiamo un letto grande qui e dovremmo approfittarne” disse inclinando la testa in direzione del letto e sorridendomi maliziosamente. Uscii dalla stanza, sapendo che tanto mi avrebbe sentita lo stesso “Sai bene che non ho problemi riguardo ai posti in cui farlo” scesi velocemente le scale, chiudendo la zip dei pantaloni.
Mi diressi verso il salone, ma lei fu lì prima di me. “Oh andiamo Damon, non farne una tragedia: in fondo ora che sei umano è un po’ come essere ritornati ai vecchi tempi!” mi disse bloccandomi e piantando il palmo della sua mano proprio sul cuore. “Già devo anche ricordarti che fine ho fatto?” dissi sarcasticamente afferrandola per il polso e togliendo la mano dal mio petto.
“Che cosa hai combinato di così grave per ridiventare umano?” “Oh niente ho cercato di portarmi a letto una donna, ho bevuto il sangue e puff sono diventato umano” dissi mentre mi versavo un po’ di wisky nel bicchiere e aggiungevo un po’ di verbena che tenevo nella tasca dei pantaloni. “I soliti disastri alla Damon” concluse e si fermò davanti a me. Bevvi un sorso e poi allungai il polso nella sua direzione, mostrando la linea bluastra delle vene. “Vuoi provare?”. Katherine mi guardò torva con la braccia strette al petto, i boccoli cascanti sulle spalle seminude. “Nei tuoi sogni forse” “Forse nei miei incubi, non definirei sogni quelli in cui ci sei tu”. Si liberò in una risata cristallina e si buttò a peso morto sul divano.
“Oh Damon, Damon, Damon”. Le offrii un bicchiere che lei non rifiutò. “Astuto da parte tua assumere verbena per non farti soggiogare” “prendo sempre delle precauzioni, sai non sono più ingenuo come una volta” le presi il bicchiere semivuoto e bevvi quello che era rimasto. “Stefan ti ha lasciato solo soletto con Elena” disse accavallando le gambe e giocando con un soprammobile posto sul tavolino accanto. “Sai come è fatto Stefan: aiutare i gatti a scendere dagli alberi, far attraversare i bambini a scuola e salvare i fratelli cattivi” dissi gesticolando anche se effettivamente la sua costatazione mi aveva turbato: Stefan mi aveva lasciato solo con Elena? Forse non rappresentavo più una minaccia nei suoi confronti o forse è sicuro che Elena non provi qualcosa per me…o forse non ci aveva pensato neanche lontanamente. Mi ammutolii, rimuginando su questo pensiero.
Poi mi venne un dubbio. “Di la verità: a te fa comodo questa situazione, non è così?” chiesi con fare circospetto. Katherine è furba e sicuramente aveva trovato dei vantaggi in questa situazione, vantaggi a suo favore. “La piccola Elena ha firmato la sua condanna a morte conoscendo i fratelli Salvatore-” si alzò e sinuosamente mi si parò davanti “-peccato che tra i due uno solo vivrà in eterno, ed Elena deve rimanere umana” “Cosa stai cercando di dire?” “Sto dicendo: Elena può ancora salvarsi dalla vostra maledizione se sceglie il fratello umano”.
All’improvviso mi spinse facendomi cadere sul tappeto mentre lei mi sovrastava parlando a pochi centimetri dalla mia faccia “Peccato Damon eri un gran bel vampiro” mi sussurrò all’orecchio.
Sentimmo aprire la porta e ci girammo contemporaneamente verso l’ingresso: Elena entrò seguita da Caroline. Mi guardò fisso per un momento: aveva gli occhi vacui e distanti. “Mi dispiace per te Damon ma non intendo ridiventare umana. Senza di te, Stefan ed io potremo stare finalmente insieme, per l’eternità” calcò l’ultima parola e fuggì senza voltarsi indietro.
Non ebbi neanche il tempo di alzarmi che fui scaraventato dall’altra parte della stanza. Imprecai mentalmente sentendo le schegge di legno conficcarsi nel palmo della mano.
Quella sera Elena mi avrebbe sentito e nonostante l’amassi nel modo più sbagliato possibile avrei dovuto arrabbiarmi con lei per essere stata così pazza e incosciente. E forse poi la bottiglia di Tequila mi avrebbe aiutato a fare sogni migliori.

 


Ma salve cari lettori,
come vedete ho pensato bene di staccare e di inserire questo extra tutto scritto dal punto di vista di Damon (forse un tantino OOC?) u.u la parte in corsivo all’inizio è il sogno che fa Damon dopo essere stato trasformato in umano ed essendo un sogno non deve avere per forza una spiegazione logica. Per il resto il capitolo mostra le vere intenzioni di Katherine e finalmente si scopre cosa è successo mentre Elena e Caroline erano in viaggio verso casa Salvatore. Bene spero vivamente che questo capitolo abbia suscitato un po’ il vostro interesse, dalla prossima volta si passa a una nuova parte della storia: l’incontro ravvicinato con uno dei “cattivi” e la spiegazione a tutto ciò che sta accadendo oh e un pizzico di Delena ;)
Ringrazio tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra i preferiti e seguite e coloro che recensiscono.
Alla prossima

dreem

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Capitolo 12
*** 10- HE LOVES YOU BUT...IT'S A RILEVANT DETAIL ***


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10- OH YES HE LOVES YOU BUT… IT’S A RILEVANT DETAIL

Maggio passò velocemente e per tutto quel periodo non si vide l’ombra dei mezzi vampiri, di Katherine e di qualsiasi altra creatura pronta a distruggere la nostra quiete giornaliera.
Tuttavia la situazione rimaneva pur sempre critica: Stefan rimaneva disperso chissà dove e Damon continuava a godersi la sua “monotona” vita da umano, così come lui la definiva.
Il sole caldo di Giugno non mi permetteva di concentrarmi e nonostante avessi un fiume di parole da rigettare all’interno del mio diario, quella pagina rimaneva bianca giorno dopo giorno: da quando il mio ragazzo non c’era non ero più riuscita a scrivere niente.
Non ho idea di come riuscii a studiare e nonostante avessi passato gli ultimi tre pomeriggi a sottolineare il mio libro di chimica e a tamburellare la penna su esercizi di trigonometria che non mi riuscivano, alla fine riuscii a passare gli ultimi esami finali. Era l’ultimo giorno di scuola e sinceramente continuavo a chiedermi cosa ci facessi ancora li.

Almeno ora avremo un problema in meno a cui pensare

Così c’era scritto nel bigliettino che mi aveva dato Caroline mettendolo ben piegato in una delle pagine del quaderno di storia mentre Alaric continuava a parlare di una qualche ricorrenza che coinvolgeva la nostra città. Aprì il quaderno mascherando uno sbadiglio. Lisciai meglio il bigliettino e letto il contenuto presi la penna iniziando a scrivere sulla carta ruvida.

Preferirei continuare a studiare piuttosto che dare la caccia a dei mezzi vampiri!

Rimarcai meglio il punto esclamativo e, una volta ripiegato il biglietto, lo lasciai scivolare accidentalmente dietro di me dove era seduta la vampira bionda. In effetti stare seduta tranquillamente a scuola quando fuori c’erano nuovi mostri in agguato non era tecnicamente la cosa ideale, ma dovevo pur passare per una ragazza normale.
Mi accorsi dello sguardo di Bonnie seduta accanto a me e, benché il signor Saltzman continuasse a parlare, non mi privai di parlarle.
“C’è qualcosa che non va?” la vidi sorridere e poi posare lo sguardo malinconico nuovamente su di me.
“E’ che con questa storia di Damon non abbiamo avuto molto tempo per stare insieme come un tempo”.
Non mi lasciai sfuggire un’occhiata fugace rivolta a Caroline che la sentii irrigidirsi a quelle parole. Lei e Bonnie non erano più riuscite a chiarirsi e a riappacificarsi dall’ultima volta e questo creava una certa tensione tra loro. Ma era anche vero che in quel periodo non avevo fatto altro che frequentare casa Salvatore e Damon e Caroline avevano costituito la mia unica e sola compagnia.
Sentii un sibilo, ma ero troppo occupata a sorridere bonaria a Bonnie che continuava a prendere appunti scarabocchiando i lati del quaderno. Al secondo sibilo mi girai e presi il biglietto che Caroline mi aveva restituito da sotto il banco. Lo aprii e la scrittura sottile e lineare di Caroline appari sotto i miei occhi.

Dovremmo prenderci una pausa

Concordai facendo oscillare la coda sulle spalle e avevo già impugnato la penna per rispondere, scrivendo un enorme si, quando il cellulare vibrò avvisandomi di un nuovo messaggio. Lo lessi mentre Alaric passava proprio davanti a me, ammonendomi con lo sguardo. Incrociai i suoi occhi avendo letto che il messaggio proveniva da Damon: forse era successo qualcosa? Alaric capii e mi lasciò stare continuando la sua lezione che in pochi ascoltavano.
Aprii il messaggio “Buone notizie! Stefan, telefono, casa”. Mi bastarono quelle ultime tre parole per rendermi felice: sarei volentieri corsa fuori dall’aula e preso la macchina, ma ancora mancavano quindici minuti alla fine di quell’interminabile giorno di scuola. Il mio sguardo cadde nuovamente sul foglietto di carta ripiegato e rilessi ciò che mi aveva scritto Caroline. Ebbi un’idea e mi convinsi a rendere partecipe anche Bonnie: avevo trovato la soluzione ai miei problemi.
“Che ne dici se vieni con me alla pensione? Potremmo organizzare un pigiama party”. La mia amica mi guardò con occhi sbarrati tentando di farmi capire la gravità di quello che avevo appena detto. “Un pigiama party senza mezzi vampiri in giro spero!” sussurrò un po’ più forte sottolineando l’ultima parola. “Si, certo, è da un po’ che non si fanno vedere”.
Bonnie abbassò lo sguardo e dopo aver scarabocchiato un po’ sul suo quaderno tornò a fissarmi. “E va bene, potrebbe essere un ottimo compromesso”.
Sorrisi mentre scrivevo la stessa cosa sul foglietto ormai stropicciato. La campanella suonò e potei tirare un sospiro di sollievo.
Raccolsi i miei libri e la borsa e mi girai per parlare con Caroline, ma non era più seduta al suo posto. Allungai lo sguardo e la trovai fuori dall’aula tra le braccia di Matt. Sorrisi tra me e notai il banco vuoto posto alla mia sinistra: se quello che mi aveva detto Damon era vero, tra un po’ avrei potuto riabbracciare il mio ragazzo.
“Elena” sentii chiamarmi da dietro e notai che Bonnie mi guardava ancora un po’ scettica. “Elena sicura che vada bene? Saremmo solo d’intralcio se i mezzi vampiri dovessero..” la bloccai prima che finisse quella frase “Bonnie tranquilla! Siamo pronti, siamo preparati, ora sappiamo come agiscono e Alaric sta lavorando per costruire il pugnale”. La mia amica strinse lo zaino e dopo aver spostato lo sguardo in basso tornò a guardarmi. “Lo sai che se siamo in questa situazione è solo colpa di Damon” “Non è colpa sua! Lui…è terrorizzato quanto noi, forse più di noi, e non permetterò a nessuno di accusarlo”. La mia amica rimase colpita dalle mie parole che lasciarono anche me perplessa.
“Sei sicura che è questo ciò che vuoi?” mi chiese prendendomi una mano, ma il vibrare continuo del cellulare mi costrinse a far cadere lì la conversazione. “Pronto” “Non credevo che ti piacesse così tanto la scuola da rimanerci anche dopo le lezioni; muoviti ti sto aspettando” e detto ciò mi chiuse il telefono in faccia.
Mi affrettai a raggiungere la macchina, ma appena chiusi lo sportello la presenza di una persona al mio fianco mi fece sobbalzare. “Rilassati Elena c’est moi” deglutii a fatica e il mio cuore tentò di battere regolarmente. “Cosa ha detto Stefan?” chiesi impaziente di sapere notizie. Sembrò pensarci un momento. “Ha detto che ancora non ha trovato niente, ma che è sulla pista giusta… e che il sangue degli Husky fa schifo” e aggiunse una smorfia sul volto. “E poi?” “Oh si che ti ama, ma questo è un dettaglio rilevante”.
Misi in moto e ci avviammo verso casa dove avrei dovuto prendere qualche vestito per stabilirmi a casa Salvatore per le prossime quarantotto ore. “Oh dovrò stabilirmi per due giorni alla pensione, verranno anche Caroline e Bonnie” spiegai con noncuranza. Con la coda dell’occhio lo vidi fissarmi con occhi sbarrati pieni di incredulità. “Cos’è la streghetta ha deciso di unirsi alla banda degli antipatici?” “Perché io sarei antipatica?” chiesi corrucciando la fronte senza comunque distogliere lo sguardo dalla strada. Boccheggiò un attimo assumendo una faccia buffa per poi assottigliare gli occhi e dirmi “Cos’è una domanda a trabocchetto?”. Risi e nessuno dei due parlò più.
Stefan stava bene e stava continuando le ricerche, mentre noi eravamo qui apparentemente sicuri che fronteggiavamo i mezzi vampiri: a pensarci bene non era una situazione equa!
“Vedi che siamo arrivati”. Damon interruppe il flusso dei miei pensieri e frenai proprio poco prima di sbattere contro il cancello della mia abitazione.
“La prossima volta guido io” mi disse con voce canzonatoria e uscimmo entrambi dall’abitacolo.
Lo vidi dirigersi verso la veranda e suonare il campanello come se fosse un ospite ben accetto. “Damon sei impazzito, Jenna si infurierà a vederti qui” “Beh si dovrà abituare a vedermi spesso visto che non ho intenzione di entrare dalla finestra per farti visita!” Proprio in quel momento Jenna aprì la porta ritrovandosi di fronte un Damon sorridente.
“Buon giorno Jenna, sei splendida come sempre” la fece roteare su se stessa per poi sorpassarla ed entrare in casa come se niente fosse. Il mio sguardo incrociò quello sbigottito della mia giovane zia che ancora stava indicando il posto dove fino a pochi secondi prima vi era Damon.
“Signorina mi spieghi cos’è questa storia?” mi guardò furiosa come non mai: se c’era una cosa che Jenna non sopportava era tenerle nascosto un segreto ed io a mio malgrado ne avevo fin troppi.
Entrai in casa seguita a ruota da mia zia. “Ascolta: Bonnie, Caroline ed io avevamo deciso di organizzare un pigiama party e visto che-” dovevo trovare una scusa e alla svelta “-Damon è fuori città per alcuni giorni ci ha concesso di andare alla pensione Salvatore” Jenna mi guardò scettica alzando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto: evidentemente non ci aveva creduto. “Damon fuori città?” mi chiese non ancora del tutto convinta; “si” risposi angelicamente.
“Esatto e se la signorina Gilbert non si sbriga perderò il mio volo!” giunse una voce alle mie spalle: Damon era seduto sul divano accanto a Jeremy e impugnava il telecomando facendo zapping. Mi avvicinai al divano e gli rubai il telecomando. Alzò la testa sorridendomi sornione. “Elena dimmi che esistono anche gli alieni perché è l’unica soluzione logica che ho trovato al suo strano comportamento” sussurrò Jeremy. “Piccolo Gilbert vedi troppi film di fantascienza”. Alzai gli occhi al soffitto e mi avviai verso le scale.
“Stefan non c’è?” mi chiese Jenna, ma stavolta non sembrava un rimprovero, era solo curiosa. “No” “oh beh, se Stefan non c’è e Damon sarà fuori città come dici tu, allora puoi andare” “grazie” l’abbracciai desiderando con tutta me stessa che non venisse mai a conoscenza di quanto diverso fosse il mondo che la circondava.
“Elena se non mi vuoi far partire con un’ora di ritardo sarà meglio che ti sbrighi a prendere la tua roba-” Damon si alzò dal divano e arrivò di corsa da noi ritrovandosi faccia a faccia con Jenna “-io ti aspetto in macchina” uscii di casa avviandosi verso la macchina.
“E’ diverso” sussurrò mia zia. “Come scusa?” “Non è il solito Damon”. Risi per la verità di quelle parole, ma sviai il discorso e raggiunsi la mia camera dove preparai il borsone. Scesi di corsa ma prima di uscire di casa Jenna mi fermò. “Elena, sicura che non devi dirmi niente? Riguardo te e…” lasciò cadere la domanda in sospeso anche se sapevo a chi si riferiva. “Jenna sta tranquilla, è solo un amico” “e il fratello del tuo fidanzato che momentaneamente non c’è, l’ho già visto questo film e so come va a finire” “ti sbagli” così dicendo chiusi la porta e mi avviai verso la macchina dove c’era Damon ad aspettarmi.
Il tragitto fu breve e nessuno parlò finché arrivammo alla pensione dove ad aspettarci c’erano già Caroline e Bonnie. “Ma che belle ragazze!” disse con un sorriso compiaciuto mentre passava sotto gli occhi impassibili delle mie due amiche.
“Entrate, io prima devo parlare con Damon” dissi rivolgendomi a Bonnie e a Caroline che non esitarono ad aprire la porta e a posare i borsoni mentre io rimasi fuori con il ragazzo che mi squadrava divertito. “Cosa ho fatto di sbagliato adesso?” mi chiese incrociando le braccia al petto e appoggiando la schiena al muro “Per favore Damon sai quanto tengo alle mie amiche, non provare a fare niente che possa rovinare questi due giorni che potrebbero essere gli ultimi” il suo sorriso scomparve e rivolse gli occhi a terra quasi come se lo avessi rimproverato. Con mano incerta gli sfiorai il viso così da far incollare i suoi occhi ai miei “non penso di poter fare granché nelle mie condizioni” mi disse intrecciando le sue dita alle mie. “Dobbiamo tutti tenerti al sicuro” gli dissi tentando di sdrammatizzare.“Elena io non sono nato per essere protetto,ma posso tentare di proteggere” continuò a serrare la mia mano. “Sei sicuro che è questo ciò che vuoi?” mi ritornarono in mente le parole di Bonnie. “Si, è questo il problema”. Rimasi un po’ di tempo a pensare, confortata dal calore che la sua mano sprigionava: ripensai all’ultima volta in cui avevamo parlato proprio in quel punto e un brivido mi percorse la schiena. Forse per i ricordi che riaffioravano o per la vicinanza di Damon non mi accorsi di una chioma rossa che sbucava proprio dietro un cespuglio né della presenza agghiacciante di qualcuno alle mie spalle.
Mi liberai da quella stretta e entrai in casa raggiungendo le mie amiche: la risposta era sempre e solo si, era quello il problema.

 

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Capitolo 13
*** 11- DON'T YOU MANAGE TO SLEEP? ***


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11- DON'T YOU MANAGE TO SLEEP?

 
Quando all’età di cinque anni mi ritrovai all’asilo con Caroline e Bonnie il primo giudizio che ebbi nei loro confronti fu negativo. Si conoscevano già da tempo: Bonnie era la nipote della signora Bennet che affermava di essere una strega e Caroline era la bella figlia del nuovo sceriffo e, nonostante le nostre famiglie si conoscessero e fossero in buoni rapporti, molto probabilmente non mi avrebbero mai accettato nel loro gruppo. Da bambina diffidente che ero a quel tempo, ero sicura che non sarebbero state in grado di mantenere un segreto.
Ma, chiamasi caso o circostanza degli eventi, adesso combattevano nel celare i loro segreti e custodivano anche quelli delle persone a cui tenevano.
Adesso appartenevano a un mondo superiore rispetto quello che eravamo soliti conoscere e, nonostante questo, trovavano ancora la forza di mentire al mondo intero per salvare la vita delle persone che amavano.
Ne avevamo passate tante assieme e ancora una volta, riunite a casa Salvatore, stavamo cercando di lottare per trovare una soluzione a questo problema, ciascuno consapevole del segreto dell’altra.
“Bonnie attenta mi stai pestando i capelli!”. Si dimenava Caroline dentro il suo pigiama verde acqua e continuava a ridacchiare e a lamentarsi sotto il leggero peso di Bonnie che tentava di raggiungere con il piede destro il cerchio blu che era stato indicato dalla freccia.“Solo un momento Car” la mia amica allungò di più il piede perdendo definitivamente l’equilibrio e cadendo sulla vampira, con i capelli arruffati, che adesso era scoppiata in una risata liberatoria.
Era da molto tempo che non passavo una serata da sola con le mie amiche e l’idea del pigiama party era stata davvero geniale. Osservai Bonnie e Caroline che tentavano di alzarsi aiutandosi a vicenda ancora non del tutto ripresesi dall’ilarità di poco prima. Sospirai vedendole così felici come quando eravamo bambine e mi si strinse il cuore ricordando come la nostra vita fosse cambiata da un anno a questa parte: la verità era che avevo paura che potesse accadere qualcosa di brutto da un momento all’altro e avevo necessariamente bisogno di loro, volevo ricordarle felici e spensierate come lo erano in quel momento, non tenendo conto dei poteri sovrannaturali che ciascuna aveva.
Sarebbe stato come sempre, la vita di sempre, e ciò che avrei voluto che esse ricordassero era il bene che nonostante tutto continuavo a volergli.
“Allora Elena tocca a te giocare a Twister”. Bonnie mi venne incontro mentre ero appollaiata sul divano, con indosso il suo solito pigiama color prugna, mostrandomi un sorriso che si affievolì sempre più guardandomi negli occhi. “C’è qualcosa che non và?” mi chiese con fare circospetto: era inutile negare che dopo dodici anni Bonnie era capace di leggermi dentro svelando i miei dubbi e le mie insicurezze anche quando non li sapevo neppure io.
“Oh no tranquilla stavo solo pensando che era da un po’ che non facevamo qualcosa del genere” risposi cercando di apparire tranquilla, ma soprattutto sincera.
“In effetti questa è la prima volta che stiamo insieme dopo quello che mi è successo” intervenne Caroline che stava ripiegando il tappeto colorato, conscia del fatto che non avevo voglia di giocare. Traspariva dai suoi occhi bassi una leggera vena nostalgica, un qualcosa che le mancava terribilmente ma che non avrebbe mai potuto riavere. Caroline al contrario non era stata mai così acuta nel riconoscere lo stato d’animo delle persone, ma aveva quell’allegria che contagiava e, nonostante alle volte apparisse superficiale, in lei si celava una Caroline forte e matura che il suo essere vampiro aveva portato alla luce.
Mi morsi il labbro inferiore sentendo il silenzio che era piombato intorno a noi: forse non era stata poi una così grande idea riunirci tutti là! Tentai di sorvolare e di ritornare all’atmosfera tranquilla e serena di poco prima. Battei le mani e sembrai risvegliarle da uno stato di stasi.
“Allora ragazze avete qualche film da proporre? La serata è ancora lunga!” dissi aprendomi in un enorme sorriso che contagiò subito le mie due amiche.
Un odore forte di bagnoschiuma e ibisco mi arrivò alle narici facendomi perdere in quell’odore inebriante che già preannunciava il suo arrivo.
“Già, è lunga e io ho portato le scorte di cibo per noi esseri comuni mortali”. Damon fece il suo ingresso in sala ancheggiando e con in mano pacchi di patatine, biscotti e tre bottiglie di birra: da quando si interessava ai pigiama party? Caroline non sorvolò sulla frase di Damon che evidentemente aveva escluso lei dal banchetto mentre Bonnie si limitò ad un “Oh ma che gentile” con un sottile sarcasmo che traspariva dal suo sguardo scettico.
Gli presi dalle mani le patatine e guardai con riluttanza le bevande che aveva in mano: con quello che stava succedendo non potevamo permetterci di abbassare la guardia, tuttavia volevo per una sera spegnere l’interruttore della coscienza e lasciarmi mezzi vampiri&company alle spalle.
“Quelle sarebbero nostre?” chiesi inarcando un sopracciglio e indicando le bottiglie. Damon guardò le bottiglie di birra per poi posare lo sguardo su noi tre. “Tecnicamente si, io preferisco qualcosa di più forte” sorrise ammaliandomi con i suoi fari azzurri. Alzai gli occhi al cielo per poi riposarli su di lui e sul suo corpo…sbaglio o era praticamente nudo? Boccheggiai per un momento sentendo il sangue affluire violentemente alla testa: non che fossi imbarazzata vedendo Damon a petto nudo e con indosso solo un paio di boxer attillati, ma la cosa mi turbò molto, specialmente perché adesso che era umano potevo percepire il calore del suo corpo e l’odore della sua pelle mi mandava in estasi più del normale.
Cercai di concentrarmi sulla fase di inspirazione e di distogliere lo sguardo dai suoi addominali scolpiti per guardarlo dritto negli occhi. “Mi spieghi come mai vai in giro in boxer?” tentai di essere più severa possibile, come solevo fare con mio fratello, ma purtroppo Damon non era Jeremi. L’ex vampiro mi diede le bottiglie e posizionò l’indice sotto il mento, inarcando le sopracciglia e assottigliando gli occhi quasi come se tentasse di ricordare un particolare che evidentemente a noi era sfuggito.
“Allora vediamo un po’, si: punto primo, questa è casa mia e posso stare come mi pare e piace e secondo: sbaglio o questo è un pigiama party? Io sono venuto col mio pigiama” disse e con una rapidità che mi fece vacillare stappò la bottiglia facendo tintinnare il tappo che cadde a terra. “E’ abbastanza come risposta?” mi alitò piano facendomi allentare la presa che teneva la bottiglia.
“Soffri di manie di protagonismo secondo me!” si intromise Caroline che perfettamente a suo agio aveva aperto un pacchetto di patatine e adesso ne sgranocchiava una incurante degli occhi di Bonnie che la guardavano come si guarda una psicopatica. “Non sono io quella che utilizza l’acqua ossigenata per essere più bionda” rispose Damon di rimando. Gli occhi della vampira si ridussero a due fessure ed ebbi paura che la situazione potesse sfuggire di mano: non era il massimo avere una strega, un vampiro e un umano che non si amavano molto. Feci voltare Damon e lo spinsi verso l’uscita della stanza per poi richiudermi la porta alle spalle: era più facile adesso che non era vampiro. Ritornai dalle mie amiche che erano sedute sul morbido tappeto di una delle tante camere da letto di casa Salvatore. Nessuno parlava e l’atmosfera serena di poco prima sembrava essere stata rovinata dall’ex vampiro. “No sul serio ti passi l’acqua ossigenata?” proruppe Bonnie e io e Caroline ci unimmo in una risata che ci fece dimenticare tutti i problemi di poco prima.
Dopo aver mangiato, visto il film e parlato per un po’ di tempo sotto le coperte le mie amiche si erano abbandonate nelle braccia di Morfeo mentre nella mia testa imperversava una bufera che stava spazzando via qualsiasi briciola di ragione che avessi ancora alle quattro del mattino. Mi girai di scatto non preoccupandomi dei mugolii di Caroline e nonostante facesse caldo mi immersi sotto il lenzuolo sperando che così potessi ragionare meglio: Stefan era in Alaska e stava bene ma ancora non sarebbe tornato, i mezzi vampiri erano entrati in azione e avevano quasi ucciso una seconda volta Damon che grazie all’aiuto di Bonnie era ancora vivo e vegeto tra noi, Alaric aveva trovato il modo con cui uccidere i mezzi vampiri, ma l’arma era ancora in fase di costruzione, di Michelle non si sapeva assolutamente niente e Damon continuava a farmi venire attacchi cardiaci ogni qual volta mi guardava. In effetti il problema per cui non riuscivo a dormire si poteva sintetizzare semplicemente nella domanda: Che rapporto c’è tra me e Damon? Era inutile negare che ormai lo avevo perdonato per quello che aveva fatto a mio fratello e che a fatica riuscivo a fidarmi totalmente di lui. Era avvenuto un cambiamento in Damon, forse dovuto al fatto che adesso non era più un vampiro, ma dai suoi occhi emergeva una parte di lui che era stata sepolta per troppo tempo e che adesso mi procurava brividi lungo la schiena e tuffi al cuore.“Forse più che un rapporto è un legame” risposi mentalmente alla mia domanda e tirai fuori la testa dalle lenzuola così che l’aria fresca mi accarezzasse le guance paonazze.
Mi alzai poggiando i piedi nudi sul pavimento freddo e facendo attenzione a non svegliare le mie amiche. Avevo bisogno di sgranchirmi le gambe, tanto per quella notte non avrei chiuso occhio. Uscii dalla stanza trovandomi nell’immenso corridoio della pensione. C’erano più porte che conducevano ad altrettante camere da letto ma io volevo aprirne soltanto una.
Abbassai la maniglia della porta proprio di fronte alla camera dove dormivano le mie amiche e non appena la aprii mi sembrò poter percepire il respiro di Stefan sul mio collo. Era esattamente come l’aveva lasciata: i mobili, i libri, le candele accese richiamavano tutto di lui.
Mi sedetti sul letto e sentii per la prima volta quanto mi mancasse realmente il mio ragazzo. “Ti prego non ti metterai a fare la sentimentalista”. Una voce inconfondibile si fece l’argo tra la semioscurità della stanza e nonostante la sorpresa non potei non perdere un battito. Si accese una lampada sul comodino vicino al letto. “Damon che ci fai qui?”. Mi allungai e lo trovai ai piedi del letto con in mano un libro e questa volta vestito. Indossava una maglietta grigia a maniche corte con scollo a v e i suoi soliti pantaloni neri. “Sto solo tenendo in ordine la camera del mio caro fratellino” mi disse alzando la testa per incontrare il mio sguardo. Lo guardai di rimando. “Mi aveva rubato un libro, era il mio preferito e non doveva farlo!” proruppe con un tono infantile che mi fece sorridere. Roteai gli occhi e con uno slancio mi distesi nel letto facendo sobbalzare il materasso.
“Non riesci a dormire?” mi chiese dopo un po’ e la sua voce mi apparì molto più dolce del normale. “Ma tu non stavi leggendo?” “si per la centocinquantesima volta Via col vento”. Mi ammutolii togliendo davanti agli occhi qualche ciocca ribelle. Chiuse il libro con un tonfo sordo e si alzò da terra. “Ho capito: ti lascio sola a contemplare la stanza dell’adorabile Stefan” disse con un mezzo sorriso passandomi accanto.
“Damon” lo chiamai facendolo voltare appena in tempo. Mi alzai dal letto e lo raggiunsi nel mezzo della stanza. Le parole uscirono da se e forse il sangue non arrivava più al cervello. “Ci tenevo a ringraziarti, a dirti che apprezzo tutto ciò che fai nonostante dovessi essere io ad appoggiarti e a consolarti vista la tua condizione; volevo solo dirti che non sono affatto ho dimenticato tutto il dolore che mi hai procurato, ma non posso ignorare neanche questo legame che c’è tra noi, io tengo a te Damon” gli dissi e fu come una sorta di liberazione.
Gli sfiorai la mano e lui me la strinse. “Un po’ di tempo fa mi hai detto che ti avevo persa per sempre: non provare a dirlo un’altra volta adesso perché mentiresti solo a te stessa e a me non piacciono i bugiardi”.
Si avvicinò al mio viso e con il palmo della mano mi inclinò dolcemente il volto. “Ma non posso giudicarti per questo, Elena: sono io il primo fra i bugiardi, che nega ogni briciolo di umanità in lui e adesso, insieme e solo a te-” i nostri occhi sono troppo vicini e le nostre menti così lontane“-non mento più”.
Si avvicinò alla mia guancia e mi baciò: il mio cuore esplose in miliardi di minuscole particelle che mi diedero un brivido di piacere lungo tutto il corpo.
“Dovresti dormire” mi disse lasciando la presa. “Anche tu”. Mi sorrise e sparì chiudendosi la porta alle spalle. Mi morsi il labbro inferiore e rimasi ritta nella mia posizione.
Avevo appena deciso che era meglio tornare a dormire quando un flusso d’aria mi colpì il viso e fece cadere la lampada. I miei occhi balzarono subito alla finestra: era chiusa. Un altro impercettibile colpo di vento mi sfiorò la schiena e con esso alcuni fogli riposti sulla scrivania caddero a terra. Ne ero certa: c’era un vampiro in casa Salvatore.
Indietreggiai piano con il cuore in gola cercando di uscire da quella stanza e arrivare direttamente a quella dove dormivano Bonnie e Caroline, le uniche in grado di aiutarmi.
Un’altra paura si fece largo dentro di me: loro volevano Damon. Mi pentii amaramente di aver lasciato andare l’ex vampiro: in quale angolo remoto della casa avrei dovuto trovare il suo cadavere? Distolsi quei pensieri dalla mia testa e feci un altro passo indietro.
“Elena” mi sentii chiamare e vidi Caroline e Bonnie come me preoccupate e soprattutto in allerta.
“Ho avuto una brutta sensazione” spiegò Bonnie. “C’è un mezzo vampiro, forse?” chiese la vampira anche se più di una domanda sembrava essere un’affermazione. Sentii una mano leggera posarsi sulla mia spalla. Mi girai e vidi Damon che ci aveva raggiunte con uno strano sguardo e apparentemente concentrato: si ostinava a voler essere vampiro anche quando non lo era.
Caroline si sporse in modo da proteggerci tutti e osservando vari punti della stanza con i canini ben affilati che spuntavano fuori dalla bocca semiaperta.
I flussi d’aria si fecero più veloci e mi sentii stringere più forte. Sentimmo un boato come se fosse avvenuto una collisione tra due meteore. Giungemmo nella camera di Stefan dove la libreria venne giù causando solo un sacco di polvere e fogli volanti. Io e Bonnie ci guardammo stranite e così fecero Caroline e Damon: evidentemente il mezzo vampiro non aveva i riflessi pronti.
Ad un cenno di Damon la vampira con la sua velocità si precipitò davanti alla libreria e con una sola mano la alzò togliendo alcuni libri per vedere chi vi fosse seppellito. Damon altrettanto veloce si parò davanti e, nonostante fosse umano, prese il presunto mezzo vampiro per il collo. “Chi sei e cosa vuoi da noi?” disse quasi ringhiando e con uno sguardo furioso. Mi sporsi da dietro il braccio della bionda per vedere chi era il tanto temuto vampiro. “S-sono Colin e vengo in pace” disse un ragazzino dalla chioma rossiccia e ispida, ad occhio e croce dell’età di tredici anni.

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Capitolo 14
*** 12- C'ME ON, WE ALSO GIVE YOU CANDIES! ***


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12- COME ON, WE ALSO GIVE YOU CANDIES!


Era strano come i mezzi vampiri somigliassero più a dei semplici umani.
Non avevano quell’aria oscura e incredibilmente minacciosa che si pensava avessero e Colin ne era la prova concreta.
“Posso averne ancora?” chiese il ragazzino con il labbro leggermente sporco di mostarda, porgendo il piatto per avere altre cialde che Bonnie si era premurata di comprare per il nostro pigiama party a casa Salvatore.
Dopo che lo avevamo tirato fuori da sotto la libreria, Damon decise di metterlo sotto torchio e di tenerlo come ostaggio nel caso si fosse presentato qualche altro mezzo vampiro. Tuttavia il rosso era più ostinato che mai e non avrebbe detto niente finché non sarebbe stato sicuro della nostra posizione e questo irritava fortemente l’ex vampiro che aveva continuato per tutta la notte a fare domande che non ricevettero alcuna risposta. Ci aveva guardato con occhi spauriti e alle volte minacciosi e attenti, con un’arguzia di certo non tipica di un bambino.
Il ragazzino finì la sua seconda razione di cialde, si pulì il muso e dopo aver riposto il piatto e bevuto un po’ d’acqua, si sedette sul divano quasi come se quella fosse casa sua.
Dopo il trambusto della notte precedente non eravamo più riusciti ad addormentarci ed io, che era da qualche notte che non dormivo, ero stremata e le palpebre mi si chiudevano da sole.
Mi distesi anch’io sul divano opposto a dove era seduto il ragazzo. Caroline era uscita con Damon per ispezionare il territorio circostante ed essere sicuri che non ci fossero altri mezzi vampiri in giro, Bonnie era tornata a casa per prendere il grimorio di Emily e vedere se tra le varie creature erano anche menzionati i mezzi vampiri.
Mi avevano lasciata da sola a casa con un mezzo vampiro poco più che tredicenne che in questo momento mi fissava con una strana luce negli occhi. “E’ innocuo, non ti farà niente” mi aveva detto Damon mentre usciva, anche se sapevo benissimo che non provava la ben che minima simpatia per quel ragazzino che non aveva alcuna intenzione di collaborare.
Socchiusi le palpebre e feci un respiro profondo: ero veramente stanca. Mi abbandonai quasi completamente, ma il pensiero della persona seduta di fronte a me era più forte di qualsiasi stanchezza. Aprii gli occhi di scatto e cercai di mantenerli aperti il più a lungo possibile. Rivolsi lo sguardo al mezzo vampiro che ancora mi stava fissando con i suoi incredibili occhi grigi.
“Hai sonno vero?” mi chiese costatando la mia situazione. “Oh sai parlare quindi” dissi con tono aspro fissandolo negli occhi, ma sentii le palpebre nuovamente farsi pesanti. “Non avere paura, non ti farò del male” mi disse con un sorriso innocente. “E perché mai dovrei crederti?” mugugnai cercando di alzare la testa, ma invano. “Sono un amico, e degli amici ci si fida”. Vidi l’immagine sfocata di lui che si era alzato dal divano procedendo verso la mia direzione. Non ebbi tempo di formulare una risposta concreta alla sua affermazione né di muovere le gambe per allontanarmi da lui. “Posso fidarmi di te?” mi chiese e sentii una testa che si posava dolcemente sulla mia spalla, ma io ero già sprofondata nel vuoto dell’incoscienza.
Ricordo che quello non fu un sonno ristoratore, tutt’altro: rivissi ogni attimo della mia vita, ogni momento da quando avevo incontrato Stefan e Damon e in ognuna di queste immagini c’era la vispa chioma rossa che sembrava osservare la scena quasi compiaciuto!
Mi svegliai qualche ora dopo con un forte mal di testa, disturbata dalle urla di Caroline e di Damon. Aprii gli occhi e notai che il ragazzino non c’era più, ma la sua voce proveniva dallo studio adiacente al salone. Mi alzai e, dopo essermi stiracchiata per bene, decisi di partecipare anche io alla conversazione. Mi avvicinai osservando la scena dalla soglia.
“Te lo ripeto per l’ennesima volta: chi sei?”. Damon si era avvicinato al ragazzo e sembrava davvero essere fuori di se. “Lo dirò quando ci sarà anche lei!”. Caroline lo teneva ben stretto e cercava di non lasciarlo andare, anche se il mezzo vampiro sembrava non avere la ben che minima intenzione di fuggire. “Dai che ti diamo anche le caramelle” proruppe Damon disperato affondando le mani nei capelli, non sapendo più cosa inventarsi per far parlare il ragazzo. Appena entrai il mezzo vampiro accennò un sorriso e gli occhi lucenti si posarono un attimo su di me per poi continuare a fissare Damon con astio, deciso a non pronunciare una singola parola.
Damon accortosi di me alzò gli occhi e le mani al cielo. “Che squillino le trombe, la bella addormentata si è svegliata dal suo sonno eterno!”. “Che sta succedendo qui?”. “Il marmocchio non vuole collaborare” disse indicando il ragazzo che continuava a fissarmi il che mi dava leggermente fastidio.
Lo osservai meglio: aveva un corpo ben strutturato per essere solo un ragazzino e degli ispidi capelli rossicci gli ricoprivano la testa; gli occhi grigi erano inconfondibili ed erano accesi da una luce che lo faceva somigliare molto più ad un essere umano qualsiasi.
“Di grazia bel bambino ci vuoi dire da dove vieni?” per l’ennesima volta Damon gli rivolse la domanda e il ragazzo lo guardò come se solo in quel momento avesse capito di cosa parlava.
“Vi dirò tutto ma non chiamatemi bambino, ho già ventitre anni!” sbottò il rosso producendo lo sbigottimento di tutti, specialmente di Damon che scoppiò a ridere. “Ora ho capito: soffri di complessi di inferiorità! Comunque eravamo rimasti a ‘chi sei’?” “Mi chiamo Colin e sono un mezzo vampiro, sono venuto qui per aiutarvi, mi hanno mandato gli anziani della mia specie per bloccare la Triade”. “La Triade?” chiesi curiosa di quel nuovo termine. “Si, è un gruppo di mezzi vampiri che vogliono rendere la nostra specie la più forte e gloriosa in assoluto e per farlo hanno bisogno del maggior numero di vampiri possibile per trasformarli e poter procreare così da allargare la specie. Il suo nome deriva dai tre maggiori componenti di questa organizzazione. Nessuno sa chi siano e per molto tempo molti non hanno voluto avere niente a che fare con essi, ma adesso la situazione si è ribaltata. Questi primi tre mezzi vampiri si sono formati più di trecento anni fa in Alaska, adesso non vive più nessuno lì se non qualche nomade. Oggi la Triade è formata da molti più vampiri e tra questi vi è anche Michelle”. “Aspetta, conosci Michelle?” chiese Damon incrociando le braccia al petto, non del tutto sicuro di ciò che stava dicendo Colin. “E’ mia sorella” rispose il ragazzo innocentemente, ma la sua risposta scatenò tra i presenti, compresa me, sorpresa e stupore. “Un momento: ci vuoi forse far credere che tu sei contro tua sorella?” chiese Caroline che, per la notizia, aveva lasciato andare il ragazzo che adesso si massaggiava la spalla che poco prima era stata tenuta ben stretta tra le mani della bionda. “Si, Michelle è stata rinnegata, come tutti i mezzi vampiri della Triade del resto. Si è lasciata influenzare e per questo è fuggita via e adesso lavora per quei mostri-” si bloccò digrignando i denti e facendo trasparire l’odio profondo che covava nei confronti di quella setta. “- io e gli altri della mia specie ci stiamo organizzando per bloccarli così da poter vivere in santa pace senza dare troppo nell’occhio: per causa loro ci sono state troppe vittime innocenti”. Concluse il suo discorso e i suoi occhi si incupirono diventando più freddi e distanti, quasi come se non fosse stato più tra noi.
“Ebbene che c’entro io in tutto questo?” Damon spezzò il silenzio non curandosi dell’espressione triste che si era dipinta nel volto del rosso. “Lei, signor Damon è una specie di esperimento riuscito male: mia sorella non era molto brava nel trasformare le persone ed evidentemente ha sbagliato qualche passaggio così da farlo ridiventare umano. I vampiri della Triade ci tengono alla segretezza e non vogliono che si sappia dell’esistenza dei mezzi vampiri, così il loro nuovo obbiettivo è quello di eliminarla e di uccidere tutti coloro che sanno della loro esistenza” concluse. “In poche parole siamo tutti in pericolo?” chiesi scontrandomi prima con gli occhi azzurri dell’ex vampiro accanto a me e poi con quelli di Colin che confermarono la mia ipotesi. “Ma non esiste una cura per farlo tornare vampiro?” disse Caroline facendo la domanda più sensata alla quale purtroppo non avevamo pensato. “A quanto ne so, non esiste una cura: Michelle non ti ha fatto bere il suo sangue dopo che tu hai bevuto il suo, quindi molto probabilmente per completare il processo dovresti bere nuovamente il sangue di Michelle, ma-” il sorriso di Damon scemò quasi del tutto “- ti trasformeresti in un mezzo vampiro”.
Suonarono alla porta quindi mi precipitai ad aprire. Bonnie apparve con in mano il grimorio guardando un punto indefinito oltre le mie spalle come se volesse accertarsi che dietro di me non ci fosse nessuno.
“Bonnie meno male che sei tornata in fretta” dissi ancora scossa per la rivelazione di poco prima.“Lui è ancora qui?” chiese fissandomi negli occhi. “Lui chi?”. “Il bambino”. “Oh, si. Tecnicamente non è un bambino, ha detto di avere già ventitre anni”.“Stai scherzando spero!” ero serissima e non riuscivo a capire il nervosismo della mia amica. “Quando è apparso la prima volta ho avvertito forti scosse mentali che solo le streghe possono emettere” mi sussurrò quasi come se non volesse far sapere ad altri ciò che mi aveva appena detto.
“Avete anche una strega?” chiese una voce squillante alle mie spalle che riconobbi subito come quella di Colin. Bonnie si irrigidì e dietro al rosso comparve Damon. “Si e se vuoi vedere gli elfi domestici devi andare al piano di sopra!”.
Mi osservò intensamente per un secondo: non avevamo avuto tempo di parlare dopo quello che era successo la scorsa notte e sentivo il bisogno urgente di stare con lui quasi come se fossi stata attratta da una forza sovrannaturale in grado di scombussolare i miei neuroni e di tramortire i miei sensi. Distolse lo sguardo interrompendo il legame che si era venuto a creare per dirigersi dalla mia amica che teneva stretto al petto il libro degli incantesimi. “Fammi dare un’occhiata” disse Damon allungando le mani per prendere il grimorio. Bonnie, ripresasi dallo stato di trans, indietreggiò aumentando la presa attorno al libro. “Sai che posso farti del male, molto male”. “Non credo visto che non sono vampiro per il momento, se hai tutta questa voglia di giocare con i tuoi trucchetti magici perché non provi con lui” disse inclinando la testa in direzione del ragazzo che guardava non riuscendo a capire il perché di quella tensione. “Damon non credo che sia-” “Elena, dobbiamo pur scoprire qualcosa su di loro e visto che abbiamo un ottimo esemplare ci conviene sperimentare qualcosa”. Non volevo che venisse fatto del male a quel ragazzo, ma il sorriso beffardo che comparve sul suo volto mi portò a pensare il contrario. “Va bene, ma devo prima preparare il materiale” disse Bonnie aprendo il libro e cercando gli incantesimi più potenti contro i vampiri. Colin si sedette sulla poltrona e puntò nuovamente i suoi occhi grigi sui miei come quella mattina.
Distolsi lo sguardo e raggiunsi Damon al piano di sopra: dovevo scoprire quale fosse il piano che aveva sicuramente premeditato. “Damon?” lo chiamai “Che c’è adesso?” mi rispose brusco comparendo alle mie spalle. “Non potresti calmarti per un momento?” cercai di controbattere, ma la mia voce uscii come un lamento. Spostò lo sguardo e dondolò sui talloni evidentemente agitato e seccato. “Cosa vuoi dirmi?” mi chiese stavolta con una finta gentilezza. Boccheggiai un attimo non sapendo cosa dire: in effetti cosa dovevo dirgli? “Io-” “Risparmia il fiato, Elena, se devi dirmi cose del tipo ‘è solo un ragazzino’ o ‘forse esistono altri modi’. Vi ho visto stamattina tutti e due sul divano”. Aggrottai le sopraciglia non capendo che cosa volesse dire o meglio cosa avesse potuto scatenare tutto questo. “Damon anche lui sta cercando di aiutarci” cercai di spiegargli e tentando di fargli capire che potevano esistere altri mezzi. “Elena non puoi aiutare tutti i cuccioli che stanno per strada solo perché sono stati abbandonati-” mi ringhiò quasi contro facendomi ricordare i suoi scatti d’ira quando era vampiro “-Io non sono uno dei tuoi tanti cuccioli.”
Così dicendo mi passò davanti lasciandomi appoggiata al muro, con le braccia incrociate al petto che adesso sussultava più forte che mai. Scivolai lungo la parete fino a sentire il contatto freddo del pavimento. Reclinai la testa sullo stipite della porta. Mi sentii risucchiare da quella parte di me che aveva un incessante bisogno di lui, ma che purtroppo non poteva più avere. Perché nonostante tutto, trovavo un fondo di verità nelle parole che mi aveva appena detto – dopotutto lui non era “uno dei tanti”.

 

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Capitolo 15
*** 13- WHENEVER WE ARE FRIENDS? ***


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13- WHENEVER WE ARE FRIENDS?

Era passata poco più di una settimana da quando Colin aveva fatto la sua entrata in scena ed era entrato a far parte della gang; tuttavia ancora non riuscivamo a fidarci totalmente di lui: era pur sempre un mezzo vampiro, resistente ai più potenti incantesimi lanciati da Bonnie, capace di fare qualsiasi cosa e soprattutto quasi immortale, dico quasi. Il mattino dopo aver ritrovato e interrogato il ragazzino, Bonnie aveva provato a neutralizzarlo concentrandosi più del dovuto, richiamando a se tutte le energie, ma nonostante questo Colin sembrava non subire la ben che minima tortura. Sul fatto di essere quasi immortale, lo avremmo scoperto quel giorno io e Damon accompagnando Colin a casa di Alaric.
Mentre guidavo verso la pensione pensavo all’insolito silenzio che si era venuto a creare tra me e Damon: dopo la discussione avvenuta alcuni giorni prima non avevamo più avuto occasione di parlare e la cosa era terribilmente frustrante! Sbuffai e parcheggiai la macchina proprio di fronte casa Salvatore. Non avevo voglia di affrontare nuovamente il suo sguardo freddo e distaccato, così appoggiai la schiena al sedile tentando di calmarmi e contando i miei respiri. Ripensai alle sue parole e a qualche folle attacco di gelosia per aver visto me e Colin soli sul divano: dopotutto era ritornato umano, non aveva l’autocontrollo necessario, non poteva semplicemente spegnere tutto.
Tastai la tasca dei pantaloni per prendere il cellulare. Erano passate due settimane dalla notizia rassicurante di Stefan, ma ciò che il mio ragazzo non sapeva era che eravamo riusciti ad arrivare alla soluzione molto più prima di lui. Feci scorrere velocemente i numeri in rubrica fino ad arrivare al suo. Nonostante avessi il dito pronto per schiacciare il pulsante verde la mia mano era immobile. Quella che prima era la mia preoccupazione primaria adesso rappresentava solo un’inutile perdita di tempo. A che scopo chiamarlo se non mi avrebbe risposto? Indugiai ancora un po’ sul da farsi, ma la schermata nera del cellulare mi convinse che fosse meglio non pensarci e risolvere la situazione da sola.
Presi la borsa dal sedile posteriore e mi avviai alla porta. Suonai il campanello visto che ormai dopo la partenza di Stefan avevo perso l’abitudine di entrare a mio piacimento.
Mi venne ad aprire Colin che con un sorriso raggiante mi salutò.
“Ciao Elena!”. A volte sembrava davvero essere un ragazzino di tredici anni. Non avevamo ancora trovato dei nuovi vestiti adatti alla sua età e alla sua statura perciò indossava di tanto in tanto magliette o camicie vecchie di Damon o di Stefan. Pensai di poter chiedere a Jeremi qualche sua maglietta dismessa: in fondo lo stile dei Salvatore non si addiceva a quella chioma rossiccia.
“Ehi Colin” lo salutai con un sorriso tirato ed entrai in casa.
“Damon non c’è?” chiesi notando l’assoluto silenzio che regnava nella stanza.
“Oh, si è nascosto: pensa di essere più astuto di me” mi sussurrò alzando gli occhi al cielo facendo palesemente capire quanto fosse in disaccordo con ciò che pensava l’ex vampiro. Tentai di rispondere, ma mi mise un dito sulle labbra facendomi segno di stare zitta. Obbedii e in un attimo scomparve.
Mi guardai intorno per vedere da che parte sarebbe sbucato. Poi sentii un rumore e qualcuno ruzzolò per le scale. Una risata sguaiata, simile più al latrato di un cane, provenne dal piano superiore mentre salivo di corsa le scale per vedere cosa fosse successo. Colin era disteso per terra, con un paletto di legno conficcato sulla spalla, che stava allegramente ridendo di Damon che si trovava appoggiato al muro con una spranga di ferro che usciva direttamente dallo stomaco. Inorridii alla scena, ma più che schifata ero infuriata.
“Mi spiegate che diavolo state facendo?” mi rivolsi a Colin visto che Damon era tecnicamente morto in quel momento. Lui si teneva la pancia e stringeva i pugni per quanto stava ridendo, ma sussultava anche per il dolore alla spalla. Tossì un paio di volte per riprendersi e poi si alzò cercando di togliersi il paletto.
“Stavamo giocando”. Spalancai gli occhi quanto potevo “Giocando? E voi lo chiamate giocare il rincorrervi per la casa con in mano paletti di legno?” chiesi furibonda come non mai: avevamo questioni più importanti da risolvere e loro si mettevano a giocare!
“Rilassati Elena” mi disse sorridendomi e massaggiandosi la spalla che pian piano stava rimarginando la sua ferita.
Da quando Colin si era stabilito a casa Salvatore aveva sempre di più acquisito lo stesso comportamento di Damon nonostante la statura bassa e gli occhi innocenti. Caroline aveva deciso di andarsene e di passare un po’ di tempo nella sua vera casa visto che adesso non doveva fare la baby-sitter a tempo pieno: per quello ci pensava Colin.
“Mi sa che dovremo togliergli la spranga” disse indicando Damon che non accennava a resuscitare. In meno di mezzo secondo aveva tolto la spranga e l’aveva gettata in fondo alle scale. Mi sedetti su uno scalino aspettando il suo risveglio, battendo il piede con energia eccessiva. D’un tratto Damon si alzò tossendo e massaggiandosi il punto dove poco prima vi era stata la spranga.
“Bel colpo, affondato in pieno petto! Ma devi ancora migliorare e di molto”.
“Lo so signor Damon”.
“Dammi il cinque”. Risero insieme mentre io non riuscivo a credere a ciò che vedevo: da quando quei due erano diventati così amici?
“Elena?” Damon mi rivolse uno sguardo stupito come se non si fosse accorto prima della mia presenza.
“Damon” lo guardai di rimando incrociando le braccia al petto.
“Elena” constatò nuovamente, scocciato, e distolse lo sguardo.
“Damon!” lo chiamai stizzita: quella situazione mi stava dando sui nervi.
“Elena!” mi gridò in faccia, evidentemente anche lui seccato.
“Colin” s’intromise il rosso diminuendo così la tensione. Damon sbuffò sonoramente “Nano da giardino cerca di tornare insieme a Biancaneve” gli disse e lo fulminò con lo sguardo tanto che Colin tolse rapidamente il disturbo. “Dobbiamo andare da Alaric” dissi rompendo il silenzio che si era venuto a creare. “Uhm già l’arma finale è pronta” disse con finto entusiasmo.
Si avviò per le scale. “Dobbiamo andare si o no?” Mi chiese aggrottando le sopracciglia. Lo seguii sospirando: quella situazione sarebbe dovuta cambiare e al più presto! “Colin!” lo chiamò Damon già all’uscita e in un baleno il ragazzino si presentò accanto a lui.
Era il momento di scoprire la sua vera natura.
Durante il tragitto in macchina nessuno dei due parlò, forse per la presenza di Colin dietro o forse per la nostra testardaggine. Damon aveva insistito per guidare così mi ero ritrovata a fissare le macchine scorrere via dal sedile accanto al suo. Se fossimo stati in un’altra circostanza molto probabilmente mi sarei stupita degli sguardi che mi riservavano le signore ad ogni fermata, con i loro occhi sgranati che guardavano prima me e poi il sedile posteriore, ma non potevo che provare un leggero imbarazzo a quegli sguardi indagatori e a quei pensieri decisamente poco azzeccati: in fondo cosa potevano pensare vedendo un bambino stare dietro ai loro “genitori”?
Arrivammo a casa di Alaric impazienti di scoprire come erano andate le ricerche. Rick ci aprì, sollevato di vederci, e non si stupì della presenza del rosso che entrò in casa quasi come se fosse uno di famiglia.
“Quindi è questo il famoso Colin” iniziò il professore soffermando la sua attenzione sul mezzo vampiro.
“Già ma non fargli montare troppo la testa” disse Damon afferrandolo per i capelli e riportandolo sull’uscio dove eravamo ancora fermi.
“Avete fatto bene a portarvelo dietro-” continuò Alaric per poi soffermare lo sguardo su Colin che stava osservando i tanti oggetti strani presenti sulla scrivania del professore “-gli occhi sono inconfondibili!”
“Rick la vuoi piantare di confabulare!” si intromise Damon stanco di aspettare e impaziente di vedere quale fosse la famigerata arma. Alaric prese dallo scaffale un bauletto e lo aprì facendo scattare la serratura. L’arma in questione era proprio come quella stampata sulla pergamena: era un paletto con il manico interamente in legno e la punta metà di ferro come un pugnale, metà di legno.
“Ecco questa è l’arma”. Colin fece cadere il libro che aveva in mano, i suoi occhi fissi sul pugnale. Arricciò il naso e le labbra facendo apparire i denti aguzzi, mentre gli occhi da grigio opaco diventavano di un intenso bianco quasi come se fosse stato cieco. Si acquattò in posizione di difesa e per un attimo ebbi paura del peggio. Poi i suoi occhi ritornarono grigi e i canini scomparvero.
“Scusate non sono ancora molto bravo a controllarmi” si scusò Colin.
“E’ questa?” chiesi cercando di distogliere il suo sguardo dal pugnale. “Si, è questa senza dubbio, è l’arma con cui…” si bloccò e non seppe più rispondere ed entrò in una specie di trans.
“Basta parlare. Abbiamo l’arma ora non ci serve che provarla” disse Damon con un mezzo sorriso e con una strana luce negli occhi rivolgendo lo sguardo a Colin, ancora immerso nei suoi pensieri. Lo guardai preoccupata e d’un tratto capii tutto: Damon non aveva fatto amicizia con Colin, lo odiava e quello che lui chiamava “gioco” non era latro che un esercizio per la prova finale. Con destrezza Damon prese il pugnale e si avvicinò al ragazzino che sembrava non essersi accorto di niente. Mi parai davanti a Colin un attimo prima che Damon potesse raggiungerlo. Il pugnale fu puntato dritto al cuore, ma per buona sorte o per sbaglio non raggiunse il punto indicato. Avevamo i nostri visi troppo vicini, i suoi occhi erano paralleli ai miei e i nostri sguardi si intersecavano uccidendoci a vicenda: perché voleva sempre uccidere chiunque mi fosse accanto?
“Damon-” lo richiamai “-non provarlo a fare mai più!” dissi e lui sembrò di più premere all’altezza del mio cuore. Poi abbassò lo sguardo, stringendo il pugnale nella mano destra e allontanandosi da me. Ci congedammo da Alaric che promise di tenere l’arma al sicuro.
Ritornai a casa con i nervi a pezzi e Jeremy non riuscii a farmi distrarre dai miei pensieri.
“Elena, tutto bene?” mi domandò dalla cucina. Jenna era fuori.
“Si” dissi poco convinta.
“Con i mezzi vampiri?”.
“Abbiamo scoperto chi si aggirava per Mystic Falls. E’ un ragazzo, si chiama Colin e non è per niente pericoloso, lui è dalla nostra parte”.
“E voi gli credete?” la domanda di Jeremy mi spiazzò: c’erano ancora troppe cose che non sapevamo sul suo conto e il ricordo del suo volto nell’ufficio di Rick mi fece rabbrividire.
“No, non del tutto”.
“Elena io vi posso aiutare dimmi solo cosa-”.
“No Jeremy ci sono in ballo troppe vite e non voglio che anche tu sia coinvolto, sai già abbastanza”.
Sentimmo aprire la porta di casa e Jenna fece il suo ingresso in cucina, piena di pacchi e buste della spesa. L’aiutai a disfarsi delle buste e a sistemare i viveri tra gli scaffali della credenza. Aprii il frigo per riporre lo scatolo delle uova.
“Indovina chi ho incontrato?” mi disse Jenna appena richiusi il frigo: aveva un’aria piuttosto felice e soddisfatta.
“Chi?” chiesi facendo finta di essere curiosa.
“Carol Lockwood. Ha detto che questo week-end darà una festa in piscina e noi siamo stati invitati, non è grandioso?” concluse sorridendo all’idea di tirare fuori dal cassetto il suo bikini.
In effetti non era grandioso! Le feste erano sinonimo di guai e i guai al momento erano identificati con il nome di mezzi-vampiri. Inoltre festa significava anche una gran quantità di gente e quindi sangue gratis per i vampiri o meglio per una sola, Katherine: non si sarebbe persa una festa per nulla al mondo! Mentre continuavo a vedere gli effetti negativi che avrebbe riportato quella ridicola festa in piscina notai una chioma rossiccia sbucare dalla porta d’ingresso lasciata aperta.
“E tu che ci fa qui?” chiesi piano pensando che Jenna non ne fosse al corrente, ma con mio stupore lei si avvicinò a Colin e lo invitò ad avvicinarsi.
“Tranquillo, vieni avanti. Elena, questo ragazzino era davanti la nostra porta, ha detto di essere uno dei Salvatore…” concluse scettica al riguardo.
Colin da parte sua sorrideva angelicamente mettendo in mostra il suo più dolce lato da bambino.
“Lui è Colin, è un cugino di Stefan. Siccome sta avendo problemi in Alaska, la famiglia di questo ragazzino ha pensato di mandarlo in vacanza qui a Mistic Falls da Damon” spiegai orgogliosa di aver congegnato una scusa così perfetta.
“Beh Colin piacere di conoscerti” sorrise Jenna e fu ricambiata dal sorriso quasi perfetto del quasi vampiro.
“Avevi bisogno di qualcosa?” chiesi al rosso che si guardava intorno.
“Oh no ero venuto solo per un saluto, devo andare ora, il signor…cioè volevo dire Damon starà aspettando” disse e mi mandò un’occhiata ricca di significati nascosti.
Lo accompagnai alla porta e mi salutò così come avrebbe fatto un qualsiasi ragazzino. Mi chiusi la porta alle spalle con la testa in uno stato confusionale.
“E’ simpatico, è educato, gentile e tanto dolce, somiglia proprio a Stefan nei modi di fare” proruppe Jenna mentre preparava la cena. Risi scuotendo la testa pensando a quanto si sbagliava e salii le scale per andare in camera mia. Non appena aprii la porta trovai la persona che mi doveva un sacco di spiegazioni.
“Oh capisco cosa voleva dire Colin”.
“Il ragazzo è in gamba e ci servirà per ora” disse Damon seduto sulla sedia accanto alla finestra aperta. Aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia e le gambe leggermente divaricate. Sospirai e tirai fuori i vestiti dal cassetto: chissà cosa aveva da dirmi?
“Damon-” mi girai e me lo ritrovai di fronte, i suoi occhi profondi e quasi plumbei come il cielo prima di un temporale, freddi e distanti che mi fecero rabbrividire. Indietreggiai di qualche passo per ristabilire la distanza e per potermi allontanare da quegli occhi che in quel momento mi trapanavano l’anima.
“Voglio spiegarti il mio comportamento a casa di Alaric”.
“Ti ascolto” dissi e mi appoggiai alla cassettiera con le braccia incrociate al petto.
“Oggi volevo uccidere Colin per dimostrarti che sono sempre lo stesso, non sono cambiato, non del tutto! Sono lo stesso identico Damon che si è nutrito di Caroline, lo stesso che ha fatto del male a Bonnie e a Stefan, sono quello che ha tentato di uccidere tuo fratello, mi capisci-” mentre parlava si era avvicinato e mi aveva preso per le braccia scuotendomi “-Vampiro o umano non cambia niente, io sono questo e fa male il fatto che tu adesso mi stia rivalutando solo perché sono come te”.
“No ti sbagli”.
“E allora Elena dimmi forse sei cambiata tu? Io sono la stessa persona di un tempo, non farmi credere di essere qualcun altro perché ne morirei” mi aveva spinto tanto da farmi male e sentire le spalle contro il muro mentre lui continuava a scuotermi.
“Ti dispiace così tanto se mi sto affezionando di più a te?” proruppi seriamente guardandolo negli occhi.
“No” rispose aggrottando le sopracciglia, confuso da quella mia domanda così repentina.
“Allora perché scarichi tutta la colpa su di me? Perché continui a credere che è causa della tua umanità se ora siamo diventati amici?”.
Si avvicinò pericolosamente alle mie labbra, i nostri occhi erano come due magneti, respiravamo all’unisono e quasi sentivo il suo cuore vibrare forte quanto il mio. Le mie e le sue parole si mescolavano in testa e il suo profumo mi faceva venire il capogiro.
“Da quando in qua siamo diventati amici?” mi sussurrò suadente allontanando le mani dalle mie spalle.
“Pensavo che fosse evidente” risposi con un groppo alla gola e il cuore a mille.
“Ebbene cara amica, voglio renderti cosciente del fatto che tengo a te a tal punto da pensare di rinunciare persino alla mia natura di vampiro, per te” assottigliò gli occhi e dopo un po’ sparì dietro le tende della mia finestra.
Mi rifugiai in bagno e mi richiusi la porta alle spalle. E quella sera neanche la doccia calda poté far scivolare via le mie insicurezze.

***

Salve vampirizzati sono felice di comunicarvi che la scuola è finalmente finita perciò ora ci aspetta un'estate piena di sole,mare,divertimento e Delena u.u Spero proprio di poter aggiornare spesso adesso che non sono impegnata! Comunque Elena e Damon da una fase di odio profondo erano giunti alla conclusione che tra loro esisteva un legame profondo e ora la nostra Elena è giunta addirittura a dire che sono amici, pian piano ci avviciniamo al capitolo che tutte voi state aspettando, ma non prima di aver risolto la questione con i mezzi vampiri. Che ne pensate di Colin? Col tempo e conoscendo la sua storia sono sicura che lo amerete :) Domanda: siccome ci sono parecchi OPV che ho già scritto ma non voglio inserirli all'interno della storia, che dite se creo una raccolta "The beat of others Heart" da leggere in contemporanea alla fic? Fatemi sapere e vi dirò un piccolo spoiler per il prossimo capitolo: leggete attentamente il dialogo tra Elena e la povera zia Jenna 
bye bye, dreem


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Capitolo 16
*** 14 - I WAS A VAMPIRE NOT A GENIE! ***


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14- I WAS A VAMPIRE, NOT A GENIE
 

“Come mi sta?” mi chiese Caroline con un sorriso a trentadue denti appena uscita dal camerino di prova. Indossava un bikini verde acqua a cui aveva abbinato un pareo del medesimo colore, di una tinta un po’ più scura.

“Benissimo” dissi tentando di non far trasparire la mia noia: non era proprio nei miei hobby preferiti andare in giro per negozi.

Ricordai un tempo quando mi avrebbe fatto piacere uscire con le mie amiche per comprare vestiti, scarpe, cosmetici, ma adesso sembrava tutto così superfluo e futile. Avevo ben altre cose a cui pensare e una festa non faceva per niente al caso mio.

La vampira bionda grugnì e si accigliò con fare infantile. Si richiuse seccata dentro il camerino tirando la tenda e borbottando qualcosa che non compresi.

Controllai il display del cellulare dove nessun icona mi avvertiva dell’arrivo di qualche nuovo messaggio o di qualche chiamata persa: Stefan aveva detto di essere sulla pista giusta quindi non c’era da preoccuparsi, tuttavia volevo sentirlo e sapere come stava. Dopotutto eravamo ancora fidanzati anche se quella lunga lontananza mi aveva fatto dimenticare cosa fosse avere un ragazzo. Ora che ci pensavo: perché aveva chiamato Damon e non me? Avrebbe potuto chiamarmi benissimo nel cellulare o trovare le trentaquattro chiamate perse che gli avevo lasciato.

Mentre tentavo di dare una risposta alla mia domanda Caroline uscii dal camerino fulminandomi con lo sguardo e rigirandosi tra le mani il costume da cui penzolava l’etichetta.

“Tu dovresti prenderti una pausa!”.

Mi accusò puntandomi il dito contro.

“Non sei tu che hai il fidanzato in Alaska”.

Alzai gli occhi al cielo mentre la mia amica si precipitava alla cassa per pagare.

Mi diressi verso l’uscita aspettando che Caroline finisse.

Era già giugno inoltrato e l’estate sembrava non arrivare, almeno così era per me.

Un tempo le estati arrivavano presto, erano sinonimo di lunghe vacanze in riva al lago o addirittura al mare, erano le estati delle lunghe passeggiate e dei bagni in piscina, erano le estati trascorse con la mia famiglia.

Smisi di divagare con la mente e mi voltai guardando le persone passeggiare per le strade. Sul marciapiede opposto intravidi una chioma nera che ben conoscevo: Damon stava discutendo animatamente con quello che dopo scoprii essere Alaric.

Cosa stavano complottando?

“Andiamo?”.

Caroline arrivò al mio fianco con in mano la busta che oscillava tra l’indice e il medio. Mi osservò non capendo, poi aguzzò la vista e li vide.

“Damon ed Alaric? Non si prospetta niente di buono”. Concordai mentalmente con quello che aveva appena detto la mia amica ed entrambe uscimmo dal negozio e ci avviammo verso i due che non appena ci videro smisero di discutere.

“Buon giorno belle signore, acquisti?” chiese Damon tentando di sviare il discorso e apparendo il più naturale che mai: il suo temperamento così versatile mi dava sui nervi più del dovuto.

“C’è qualcosa che non va?” mi rivolsi ad Alaric il quale sentendosi interpellato incrociò le braccia al petto e abbassò gli occhi: dopotutto lui era umano da molto più tempo. “Va tutto alla grande, Elena smettila di preoccuparti, non è bello avere l’ulcera a diciassette anni” mi disse scimmiottandomi e trapanandomi con il suo sguardo: era ancora presente la rabbia dell’ultima discussione.

Sbuffai sonoramente e Alaric rivolse un’occhiataccia a Damon il quale continuò ad ignorarlo mostrando uno dei suoi soliti sorrisi indifferenti.

“Quando vi decidete fateci un fischio, per adesso abbiamo ben altro a cui pensare” proruppe Caroline, prendendomi sottobraccio e allontanandomi dai due.

Con la coda dell’occhio vidi Damon che ci salutò con la mano mentre un sorriso trionfante gli appariva in volto.

“Perché l’hai fatto Caroline! Ci stanno tenendo nascosto qualcosa e io devo sapere!”.

“Stai zitta Elena o se no rischi veramente di avere l’ulcera, ne parleremo con davanti un bel frullato” mi sorrise dolcemente la vampira bionda e io non potei far altro che assecondarla.

Entrammo al Grill dove l’aria condizionata ci diede un po’ di vita.

Appena sedute vidi Caroline irrigidirsi e guardarsi intorno con circospezione quasi come se volesse vedere se ci fosse qualcuno.

Evidentemente aveva dei problemi con Matt.

Sospirò quasi sollevata e tornò a sorridermi.

“Cos’hai da sorridere?” chiesi esasperata per la conversazione con Damon e per lo strano comportamento della mia amica.

“Sveglia Elena, non ricordi chi hai davanti?”.

Sbattei più volte le palpebre non capendo cosa volesse insinuare. Alzò gli occhi al cielo e poi spostò i capelli dietro le orecchie più volte. Ancora non capivo dove volesse arrivare. Inarcai un sopracciglio e corrugai la fronte: se non avessi capito subito le avrei decisamente tagliato i capelli!

“Inizia con V e finisce con O” disse allargando le braccia ma parlando pur sempre a bassa voce.

“Per farla breve: ho sentito di cosa stavano parlando Damon e Alaric” disse tutto d’un fiato, sorseggiando poi il frullato dalla cannuccia.

Rimasi con lo sguardo vacuo per alcuni istanti poi gli ingranaggi del mio cervello rincominciarono a funzionare: Caroline era un vampiro; i vampiri sentono anche a distanza; Caroline aveva sentito; sillogismo perfetto!

“E quindi?” le chiesi adesso con lo stesso tono di chi vuole sapere informazioni top secret.

Caroline si leccò le labbra e posò il bicchiere mezzo vuoto. Si schiarì la voce.

“Non sono riuscita a sentire tutta la conversazione, ma dalle ultime parole ho capito che si preparavano ad attaccare, c’entrano un gruppo di mezzi vampiri e una festa, dicevano che era meglio tenerti all’oscuro di tutto e che dovevano avvisare Colin, poi ci hanno visti e hanno smesso di parlare” concluse Caroline attendendo il mio responso.

Più che arrabbiata ero offesa: ancora una volta volevano tenermi all’oscuro e sapevo bene di chi fosse quell’idea. I mezzi vampiri erano nuovamente entrati in azione e questa volta erano ben organizzati, stavano preparando un attacco e questa volta il loro scopo era di uccidere Damon.

Mi ricordai di ciò che aveva detto Colin un po’ di tempo prima

“I vampiri della Triade ci tengono alla segretezza e non vogliono che si sappia dell’esistenza dei mezzi vampiri, così il loro nuovo obbiettivo è quello di eliminarla e di uccidere tutti coloro che sanno della loro esistenza”. Quindi non era solo Damon in pericolo: Jeremy, Alaric, Bonnie, Caroline erano tutti in pericolo.

Mi morsi il labbro inferiore, conscia del fatto che quello era stato un mio errore: non dovevo coinvolgere così tante persone.

I mezzi vampiri avevano deciso di attaccare durante una festa…

“Caroline quand’è la festa in piscina dei Lockwood?” chiesi alla mia amica che capii all’istante cosa volessi intendere.

“Pensi che i mezzi vampiri attaccheranno lì?” chiese e io annuii.

I nostri sguardi si incrociarono e da entrambi i nostri occhi traspariva l’ansia per quella nuova sfida.

Poi le labbra di Caroline si piegarono all’ingiù.

“Rovinerò il mio costume così” borbottò e io mi misi a ridere.

Sentii squillare il cellulare e vidi che mi era appena arrivato un messaggio.

 

Ho scoperto qualcosa sui MV, non sono così immuni come pensavamo.

 

Richiusi il messaggio: Bonnie era un mito!

“Oh guarda chi sta entrando-” cominciò Caroline con un tono misto tra lo scocciato e lo schifato. Girai di poco la testa e capì il perché della sua indignazione.

Damon era appena entrato accompagnato dallo sceriffo Forbes con il quale stava chiacchierando allegramente.

Rimanemmo un po’ in silenzio a sbirciare la loro conversazione finché Elizabeth Forbes non lasciò il locale e Damon si sedette al bancone del bar ordinando il solito bicchiere di Wisky.

“Ringrazia il fatto che non se la sia portata a letto” dissi masticando nervosa la cannuccia per reprimere quella che forse era…rabbia?

“Oh mio Dio Elena!” gridò Caroline schifata dalle mie parole. La sua voce richiamò l’attenzione di molti clienti compresa quella di Damon.

I nostri occhi si incrociarono per un istante: i suoi del ghiaccio più duro e freddo, i miei della terra rovente e polverosa.

In quel preciso istante mi sentii quasi incompatibile con il suo essere e questo stranamente mi procurò un forte senso di tristezza.

Ritrassi lo sguardo mentre sentivo che lui continuava ad osservarmi, sorseggiando il suo drink.

“Aspettami qui” sussurrai a Caroline e mi alzai in direzione del ragazzo che in quel momento mi stava altamente confondendo le idee.

Mi sedetti accanto a lui, scansando la gran quantità di bicchieri vuoti e presi un bel respiro.

“Buon giorno Damon. – iniziai con le buone, per poi passare subito alle cattive- Punto uno voglio una spiegazione su ciò che sta succedendo e di cosa stavate parlando tu e Alaric, punto due devi smetterla di avere una vita sociale con chiunque in questa città meno che con me e punto tre voglio sapere perché Stefan ha chiamato te e non me” conclusi facendo entrare nuova aria nei polmoni e sperando che l’alcol non gli avesse spento i neuroni che aveva.

Mi guardò di sottecchi, si girò con fare circospetto come per assicurarsi che non ci fosse nessuno e poi col l’indice mi fece cenno di avvicinarmi di più. Avvicinai il mio orecchio alle sue labbra e mi arrivò un forte odore di alcol, tuttavia non sufficiente per renderlo completamente ubriaco.

Mi sussurrò.

“Ero un vampiro, mica il genio della lampada! Quindi i tuoi tre desideri non possono essere esauditi!” disse svuotando un altro bicchiere e ridendo alla mio ennesimo sbuffo.

“Ho il diritto di sapere” dissi aumentando di un ottava il tono di voce: anche se sapevo volevo comunque che lui mi informasse su ciò che stavano architettando.

Non ricevetti alcuna risposta.

Alzai gli occhi al cielo e sbattei un piede a terra per il nervoso.

“E va bene mister Salvatore, ignorami quanto vuoi, tienimi all’oscuro di tutto, ma non tentare di salvarmi se mi succedesse qualcosa!” risposi sicura di colpire in pieno.

Mi girai di scatto, ma qualcosa mi bloccò il polso.

Brividi lunghi mi percorsero la schiena mentre il sangue si bloccava sotto la sua presa ferrea.

Mi guardò come solo lui sa fare ed io ebbi quasi paura di rimangiarmi tutto e di continuare a supplicarlo, ma questo sarebbe stato come calpestare la mia dignità.

“Non credo che cadere da un marciapiede sia così rischioso” disse sghignazzando con il suo solito sorriso da ebete.

Mi liberai dalla sua presa e raggiunsi il tavolo di Caroline che era rimasta ad aspettarmi o forse ad origliare la nostra conversazione.

“Torniamo al negozio: ho bisogno di un costume per quella stupida festa”.

La mia amica si illuminò in un sorriso radioso ed insieme ritornammo al negozio.

 

Dopo aver provato un milione di costumi, tutti consigliati dalla mia amica, alla fine ero tornata a casa a mani vuote e sinceramente ne ero più che felice.

Aprii la cassettiera e in fondo vi trovai una busta all’interno della quale vi era un costume con ancora l’etichetta.

Lo avevo comprato a fine estate quando eravamo tornati dalla nostra vacanza al mare. Lo avevo conservato perché papà diceva che l’anno dopo ci saremmo ritornati. Peccato che l’anno dopo non era mai arrivato.

Chiusi il cassetto e strinsi il costume al petto reprimendo qualche lacrima che minacciava di cadere.

Mi rannicchiai a terra poggiando la testa contro il muro.

“Toc Toc” mi girai e dal basso vidi Damon che con un mezzo sorriso chiedeva implicitamente il permesso di entrare.

“Pensavo che mi ignorassi”.

“Pensavo che ti avrei ritrovata morta” disse con non curanza avanzando nella stanza fino ad arrivare dove ero seduta io.

“Chi ti ha fatto entrare?” chiesi tenendo ancora stretto il costume.

“Tuo fratello”.

Rimasi basita: a quel che ne sapevano Damon e Jeremy si odiavano.

“Impossibile”.

“Beh chiedilo a lui visto che quando si è presentata Bonnie era peggio di un cerbiatto nella stagione dell’amore” rispose rovistando tra la roba che era sulla scrivania.

A quanto sapevo Bonnie e Jeremy erano solo dei puri e semplici amici, non c’era niente tra loro o forse ero l’unica a non essersene accorta.

“Quello è il costume?” mi chiese indicando l’oggetto che avevo tra le mani.

Non l’avevo neanche tirato fuori dalla busta: era un bikini di colore rosso con tonalità arancioni.

Rimasi ancora un po’ a guardarlo sospirando ai ricordi.

“Sembrerai grassa” sbottò all’improvviso e io grugnii incenerendolo con lo sguardo. “Tanto ci vado lo stesso alla festa in piscina” dissi sapendo che in fondo il suo intento era quello di farmi rimanere a casa.

“mmm e cosa ti fa pensare che io ti lascerò andare?” mi chiese con aria di sfida. “Infatti tu non mi vuoi e questo mi basta per farmi andare a quella stupida festa”. Rimase a guardarmi capendo le mie intenzioni e il fatto che ero a conoscenza di qualcosa.

“Stefan non sarà molto contento”.

“Che c’entra Stefan adesso? Ha telefonato?” chiesi allarmata del fatto che aveva chiamato in causa Stefan.

“Intendo dire che il tuo ragazzo sarà molto geloso di vedere la sua bella in costume da bagno, preda degli sguardi indiscreti di umani appartenenti all’altro sesso” mi disse trattenendo un sorriso.

“Stefan non lo farebbe!”

“Forse è vero, ma io lo farei!”.

Il silenzio venne interrotto dal cellulare di Damon che squillava.

“Che c’è ora, nuovi compiti da correggere?” chiese sarcastico Damon alla persona all’altro capo del telefono. “No, cerca di raggiungerci il prima possibile o se no bello sei fuori dai giochi” pensai subito ad Alaric e mi fu confermato dall’aria divertita di Damon, che chiuse la chiamata senza neanche rispondere.

“La tua zietta dovrebbe allietarlo qualche volta con la sua presenza” mi disse in tono sarcastico e mi offrì una mano per alzarmi.

Indugiai guardando la mano, ma alla fine mi arresi e mi alzai aggrappandomi a lui. “Ebbene che ci fa Bonnie qui?” chiesi ripensando alle parole di poco prima.

Damon mi guardò aggrottando le sopracciglia, scettico del fatto che ignoravo il motivo della venuta della mia amica.

“Non ti ha avvisato? I mezzi vampiri, la strega, la bacchetta magica eccetera?” mi chiese e io mi ricordai del messaggio ricevuto al Grill. Le mie labbra si congiunsero in una o muta e Damon alzò gli occhi al soffitto.

Scendemmo le scale e trovammo i nostri amici radunati nel salone, Bonnie era al centro del cerchio con in mano il grimorio mentre Colin con la sua solita aria sbarazzina stava ritto a pochi passi da Bonnie.

“Ciao Elena!” mi salutò sbarazzino Colin, come se fosse felice di ricevere tutte quelle attenzioni. Mi diede l’impressione di un ragazzino allo zoo solo che l’animale strano da ammirare era proprio lui.

Ricambiai il saluto e osservai con una strana tenerezza il mezzo vampiro che aveva tutta l’aria di non riporre alcuna speranza nel tentativo di Bonnie. Lo dimostrava il sorriso che aveva in volto e che non esitava a togliersi.

Damon al mio fianco batté le mani.

“Bene, ora che ci siamo tutti possiamo osservare maga Magò alle prese con uno dei suoi bibidi bobidi bu!”.

Bonnie lo incenerì con lo sguardo e se solo fosse stato vampiro gli avrebbe fatto mandare in fiamme il cervello.

Poi spostò lo sguardo su di me, sembrava volersi scusare per ciò che avrebbe fatto.

Mi sorrise e chiuse gli occhi concentrandosi.

Il sorriso del mezzo vampiro si spense.

Colin cadde a terra privo di sensi.

 

***

Ma bene, bene, bene eccomi tornata Questa festa in piscina procurerà un po’ di guai agli abitanti di Mystic Falls ma grazie a questo incontro ravvicinato si scopriranno finalmente le vere intenzioni di queste creature! Intanto Bonnie ha trovato un modo per distruggere i mezzi vampiri che sembravano essere immuni a qualsiasi tipo di magia. Adesso Damon&Co. Avranno un’arma in più dalla loro parte…ma funzionerà sempre? E ditemi che ne pensate di questi Damon ed Elena amici e nemici? (C’è una scenetta bella bella tra meno di tre capitoli u.u)

Colgo l’occasione per fare un po’ di pubblicità alle mie fic e se siete interessati a questa storia vi consiglio di tenere sotto controllo Jar of Hearts una raccolta di one-shot ispirate a questi capitoli ma scritte in un altro punto di vista. E ancora la mia nuova long Unspoken crime, fiction intrisa di mistero e del rapporto tra i fratelli Salvatore e una Caroline portatrice di un macabro segreto.

Ringrazio tantissimo il forum Dreams of Fanfiction per il suo supporto e per darmi la voglia di scrivere sempre di più, fateci un salto

Grazie per l’attenzione ;D

Sil.

 

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Capitolo 17
*** 15- I'M NOT YOUR PUPPET! ***


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15- I’M NOT YOUR PUPPET!

 

La bambina del te.
Era così che chiamavo Bonnie i primi tempi che eravamo diventate amiche.
La chiamavo in quel modo perché tutti i pomeriggi dopo l’asilo, e successivamente la scuola elementare, mi invitava a casa di sua nonna che tutti dicevano essere una fattucchiera.
Ogni volta che giungevamo in quella casa, sua nonna ci veniva ad aprire con due tazze di te fumante come se sapesse che fossimo proprio noi quelle a bussare alla porta. Non c’era gusto se a bere il te non c’era la mia amica del te.
Eppure quella bambina adesso era di fronte a me pronta ad utilizzare al meglio i suoi poteri che erano rimasti sopiti fino ad un anno fa.
Era notevole come la forza psichica di Bonnie era riuscita ad aumentare: non conoscevo strega più in gamba della mia amica, forse proprio perché ne conoscevo davvero poche!
La osservai per un istante, temendo di vederla sotto questo aspetto che un po’ mi metteva paura.
Lei mi sorrise dolcemente e chiuse gli occhi concentrandosi.
Nella stanza era calato uno strano silenzio e ci guardavamo ansiosi di vedere cosa sarebbe accaduto.
Sentii leggermente strapparmi via l’energia, quasi come se una parte di me stesse sollevando un macigno.
Osservai allarmata gli altri miei amici riuniti intorno a Colin che non toglieva il suo sorriso sornione dalla faccia: erano anch’essi stupiti forse più di quanto lo ero io.
D’un tratto sentii una scossa elettrica, ma non ci feci molto caso intenta com’ero a guardare il ragazzo dai capelli rossi inginocchiarsi per poi cadere sul pavimento privo di sensi.
Era stato solo un attimo e il sorriso nel suo volto era sparito, gli occhi erano diventati vacui e distanti e nel giro di un nano secondo era stato tramortito e steso al suolo. Bonnie riaprii gli occhi sussultando un po’ e osservò compiaciuta Colin steso per terra: l’incantesimo era riuscito.
“Colin” proruppi rendendomi conto del fatto che forse Bonnie aveva esagerato.
“Tranquilla Elena si riprenderà” mi tranquillizzò la mia amica, ma io mi avvicinai comunque al corpo del ragazzino togliendogli qualche ciocca ispida dalla fronte bianca. “Ebbene Bonnie ci spieghi questa tua abracadabra in cosa consisteva?” chiese Caroline evidentemente confusa e disorientata da ciò che era appena successo.
Alaric stava in silenzio, scettico a riguardo, ma pur sempre impaziente di sentire dalla diretta interessata una spiegazione.
L’unico che non parlava era Damon: era poggiato allo stipite della porta con le braccia conserte, dedito ad osservare la scena da lontano quasi come se lui non volesse avere niente a che fare con questa storia, peccato che fosse lui l’unico e il solo responsabile di tutto ciò!
Bonnie prese il grimorio e sfogliò le sottili pagine alla ricerca di quella giusta.
Si fermò e uno strano odore di muffa e acqua stagnante arrivò alle mie narici facendomi arricciare il naso: da quando il grimorio aveva quello strano odore?
“Quello è il libro della tua antenata?” chiese Jeremi che per tutto il tempo non aveva proferito parola, intento a capire questi strani incantesimi e persone con cui aveva a che fare: non è bello scoprire che le due migliori amiche di tua sorella sono un vampiro e una strega!
“No, ma l’ho trovato in cantina: a quanto pare Emily non sapeva dell’esistenza dei mezzi vampiri, ma nella biblioteca di famiglia ho trovato la testimonianza di una certa Susan Bennet, bisnonna di Emily da parte di padre.

 

Esistono creature oltre l’immaginabile, terrificanti forse più di quelli veri, dall’aspetto umano, di carne e di sangue, il loro cuore batte ma non può essere fermato da una semplice ferita mortale. Si aggirano di giorno e di notte, non si nutrono di sangue ma la loro gola arde per la sete, hanno il volto simile a quello di un cadavere e si aggirano ingannando chiunque con i loro modi di fare. Sono coloro che vinsero il tempo, all’alba e al crepuscolo, il cui sangue è letale per un vampiro e per un umano. Demoni e non demoni, reietti della natura, vivranno a metà ciò che la morte li spinse ad essere.

 
“Non c’è alcun dubbio: si parla di mezzi vampiri” intervenne Alaric.
Nella stanza calò il silenzio seguito solo dal respiro regolare di Colin che sembrava semplicemente addormentato.
Io gli massaggiavo convulsamente la spalla tenendo gli occhi ben fissi sul pavimento per non incontrare quelli raggelanti dell’ex vampiro che avevo dietro: non era d’accordo con ciò che stavo facendo, ne ero più che sicura.
“Ad ogni modo non sono sicura che questo incantesimo funzioni per tutti i mezzi vampiri”.
“Che intendi dire?” chiesi non capendo cosa intendeva per tutti.
“Colin è molto giovane mentre noi dobbiamo affrontare dei mezzi vampiri centenari, non so se resistono a questo tipo di incantesimo”.
“Ma cosa hai fatto esattamente?” chiese Jeremy avvicinandosi di più alla strega.
“Ho catalizzato l’energia di Caroline e di Alaric, un vampiro e un umano, ho utilizzato l’aura delle persone più vicine a Colin ovvero tu ed Elena per creare un ponte e arrivare direttamente alla mente del mezzo vampiro. In questo modo ho richiamato le mie energie e ho cercato di colpire i suoi neuroni disattivando qualsiasi percezione umana o vampiresca”.
Nonostante la spiegazione non avevo ben capito cosa fosse successo, ma dedussi che per questo incantesimo ci voleva necessariamente un umano e un vampiro e una serie di persone vicine all’obbiettivo.
Il corpo del ragazzino riverso a terra si irrigidì e a velocità supersonica si alzò in piedi digrignando i denti e trattenendosi la testa con entrambe le mani.
“Fallo smettere, Bonnie” la supplicai, ma non era lei la colpevole.
“E’ solo l’effetto dell’incantesimo” sussurrò con gli occhi rivolti verso Colin che era piegato in due per l’atroce dolore alla testa.
Fu questione di un minuto o due e il rosso si ristabilì del tutto guardandoci sconvolti uno alla volta con gli occhi di un grigio fluido, soffermandosi in modo particolare su Bonnie.
“Al diavolo voi e tutte le Bennet, mio zio aveva ragione su quella Susan” sputò Colin, ma quando tentai di abbracciarlo lui era già sparito verso la cucina.
Lo seguii a ruota, ma non appena girai l’angolo, immettendomi nel corridoio della pensione, mi ritrovai faccia a faccia con Damon.
Mi scontrai con lui e il mio cuore perse un battito: sarà stata forse per codardia, ma i suoi occhi mi facevano più paura di cento canini aguzzi.
Mi avrebbe impedito di raggiungerlo ne ero più che certa, ma questo piccolo problema non mi avrebbe fatto distogliere dalla mia intenzione ovvero quella di raggiungere Colin.
“Spostati Damon” dissi cercando di essere ferma e inchiodandolo con lo sguardo, ma la mia voce tremolante mi tradii ancora una volta.
Lo oltrepassai e stavo affrettando il passo per paura che potesse bloccarmi e fu quello che fece.
“E’ in mansarda…raggiungilo, sarò da voi tra due minuti”.
Le sue parole mi stupirono a tal punto da farmi sgranare gli occhi, ma non mi diede modo di rispondere che già era sparito chiudendosi la porta alle spalle.
Salii le scale di casa Salvatore fino ad arrivare al secondo piano, ma della mansarda non c’era alcuna traccia.
Mi osservai intorno tentando di capire se ci fossero altre scale da salire, ma ero circondata solo da porte e quadri antichi.
Alzai gli occhi al soffitto e sbuffai sonoramente, ma uno scricchiolio mi fece aguzzare la vista: proprio in corrispondenza del lampadario vi era una piccola botola la cui maniglia era leggermente spostata.
Il soffitto era troppo alto perciò mi procurai una sedia da una delle stanze adiacenti e alzandomi sulle punte tirai la maniglia.
Mi si presentò una scala un po’ traballante e con fare sicuro poggiai il primo piede per tastare la sua stabilità.
Mi ritrovai catapultata in una nuova area della pensione che Stefan non mi aveva mai mostrato: quadri antichi, bauli, vecchi libri, fotografie erano accatastai qua e là sotto lenzuoli impolverati.
Sulla parete opposta troneggiava un minifrigo il cui contenuto era ben comprensibile. La luce proveniva da alcune fessure mentre il soffitto era composto da travi di legno rovinate dal tempo. Era un luogo ben diverso dalla cantina e dai sotterranei ma nonostante questo non potei non ammettere a me stessa che era il luogo giusto dove si sarebbero potuti collocare dei vampiri.
Sentii un tonfo sordo e il mio cuore sussultò per qualche secondo.
Mi ricordai del perché ero giunta lì.
“Colin?” chiamai stentatamente volgendo lo sguardo dietro ai bauli.
Di nuovo un altro tonfo.
Provai a concentrarmi da dove proveniva quel rumore e dopo pochi passi trovai la mia chioma rossa seduta dietro a una vecchia scrivania con in mano un pallone da football abbastanza trasandato.
“Sarò pure un vampiro, ma non posso essere trattato come un pupazzo” disse mettendo il broncio quasi come fosse un bambino. Nel suo profondo lo era ancora. Sbatté nuovamente la palla a terra per poi riprenderla tra le mani. Mi inginocchiai accanto a lui e, nonostante la polvere e l’odore di muffa, fui felice di trovarmi lì insieme a lui.
“Come mai sei venuti qui?” gli chiesi cercando di prenderlo con le buone come ero solita fare con mio fratello quando era piccolo.
“E’ il primo posto che mi è venuto in mente. Tu ci sei mai stata?” mi chiese mostrandomi quegli incredibili occhi grandi e grigi.
“No per me è la prima volta. Strano che Stefan non me l’abbia mai mostrato”.
Si mise a ridere e una smorfia gli comparve in viso.
“Questo è territorio del signor Damon, è naturale che Stefan non ti abbia portato qui”.
Sbattei le palpebre più volte e respirai l’aria a pieni polmoni: non c’era traccia di Damon, né tra la polvere né tra i libri accatastati, non c’era Damon nella luce soffusa o nelle polveri sottili, Damon non era lì eppure quel posto era solo suo!
“Sai somigli a mia madre, Anya” proruppe Colin intento a sistemare il cuoio ormai sgualcito del pallone.
“Parlami di lei” gli chiesi con fare nostalgico ricordandomi della mia.
“Io ricordo molto il suo aspetto: essendo di origini irlandesi, aveva dei buffi capelli rossi e gli occhi verdi. Era stata trasformata in vampiro nel 1758 e aveva deciso di seguire l’uomo che amava e suo fratello e stabilirsi nel nuovo continente. Si stabilirono per qualche tempo in Alaska e anche loro come gli altri furono trasformati in mezzi vampiri. Anche se non lo diceva mai, aveva nostalgia di casa e dei prati verdi dell’Irlanda. Quando nacque Michelle decisero di trasferirsi nel North Caroline. E poi sono nato io”.
“Ma che bel quadretto! Mi viene voglia di farvi una foto”.
Damon ci aveva raggiunti e spostando cassette e scatoloni era pronto a sedersi sulla scrivania alle nostre spalle.
Con fare abile tolse al ragazzino dalle mani il pallone da football.
“Giù le mani marmocchio questo non si tocca!”.
Ero pronta a rimproverarlo, ma il buffetto inusuale di Damon sulla spalla di Colin mi trattenne.
“Vedi, Elena, io non ho più una madre” disse e il sorriso sornione di Damon sparì del tutto mentre io impallidii.
“Se è per questo non ho neanche un padre. Me li hanno strappati uno ad uno solo perché disprezzavano ciò che erano diventati, ciò che non erano più e ciò che sarebbero stati. Li ho visti morire tra le mie braccia, della mia famiglia siamo rimasti solo io e mio zio”.
Rimasi scioccata dal suo racconto e preferii interromperlo piuttosto che lasciarlo continuare a ricordare episodi dolorosi del suo passato.
“E’ stata la Triade non è così?” chiesi conscia di quale sarebbe stata la risposta.
Colin mi puntò addosso il suo sguardo e un brivido scese lungo la mia schiena.
“E se ti dicessi che non ho più neanche una sorella?”.
Gli occhi di Colin erano pieni di quella rabbia e sete di vendetta di cui erano pieni anche quelli di Damon pochi mesi prima, era spronato dallo stesso odio che aveva nutrito il cuore di Damon per anni e che adesso si trovava a fiammeggiare tra le sue iridi grigie.
“Meglio così, almeno la potrò uccidere più facilmente!” proruppe Damon alzandosi in piedi.
“Dovrò essere io a ucciderla, l’ho promesso a mio zio”.
“Fidati, non ne saresti capace” concluse Damon sospirando impercettibilmente osservando tra le mani il pallone ormai sgonfio e ammaccato dai lati.
“Scusa per aver preso senza permesso il pallone tuo e di tuo fratello” si scusò il ragazzino con la testa bassa.
“Per questa volta non ti impaletto, mostriciattolo”.
Damon scese dalla scrivania in cui era seduto e si avviò all’altro capo della mansarda per riporre il pallone in un baule impolverato.
Lo osservai per un secondo colpita dai suoi gesti, ma Colin richiamò la mia attenzione con un colpo di tosse.
“Elena, sai tu mi ricordi mia madre - ” le sue labbra rosee si arcuarono in un sorriso e io non potei far altro che sfiorargli i capelli e sorridere con lui. I suoi occhi grigi si avvicinarono di più ai miei fino a che le nostre fronti non si appoggiarono l’una all’altra. “- non commettere il suo stesso errore” mi sussurrò lasciandomi persa e disorientata dopo quella frase.
Cosa voleva dire con “non commettere il suo stesso errore”? Che errore aveva mai commesso?
Cercai di ribattere, ma Colin si alzò.
“Vado dalla strega, forse mi farò trattare ancora per un po’ come un pupazzo”.
Dopo avermi offerto una mano per aiutare me, ancora stordita, ad alzarmi sparì ritornando al piano di sotto.
Rimanemmo soli io e Damon.
“Din Din Elena ha raggiunto quota 13 domane in lista di essere formulate”.
Guardai Damon il quale si stava divertendo dandomi le spalle a mettere in funzione un vecchissimo giradischi.
“Piantala Damon”.
Mi alzai e lo sorpassai come era successo prima, ma con mia sorpresa questa volta mi avvolse un braccio attorno alla vita attirandomi a se.
La sua bocca era vicinissima al mio orecchio e con le mani mi aiutava a oscillare insieme a lui sulle note di “Yellow Submarine” dei Beatles.
“Ho intenzione di legarti e rinchiuderti dentro l’armadio domani o forse abbandonarti in qualche paese sperduto del Wisconsin. Quale preferisci dei due?” mi chiese solleticandomi il lobo dell’orecchio.
“Credo che opterò per andare alla festa in piscina dei Lockwood dove si svolgerà la battaglia epocale tra mezzi vampiri e la banda di Mystic Falls” lo provocai: sapevo che avrebbe fatto di tutto per non farmi andare.
“Risposta sbagliata!” mi sussurrò e questa volta strinse di più la stretta attorno ai miei fianchi.
Avvolsi le sue mani poste sopra la mia pancia e sospirai: non era giusto, non era corretto ma mi faceva sentire meglio di qualsiasi altra cosa al mondo e, in quel momento, ne avevo proprio bisogno.
Pensai che quella mansarda era un po’ come il mio cuore: non c’era posto per Damon, non c’era mai stato eppure quel luogo apparteneva solo ed esclusivamente a lui.
Mi liberò da quella stretta e io ricominciai a respirare.
Scendemmo giù dalle scale scricchiolanti e richiudemmo la botola. Dal piano di sotto proveniva un baccano infernale il che mi fece pensare subito a qualche litigio tra Colin e Caroline.
Con mia enorme sorpresa invece la vampira bionda era seduta in silenzio sul divano col telecomando in mano pronta a cambiare canale, mentre le urla provenivano niente poco di meno che da Colin e Bonnie.
“E’ impossibile che una Bennet abbia aiutato esseri come voi!” sbottò la strega paonazza in volto.
“Susan non era nostra alleata ma avevamo bisogno di protezione e abbiamo stretto un patto con lei!” spiegò Colin incredibilmente serio: la pacatezza e l’ingenuità di poco prima erano sfumate del tutto.
“Susan non era di certo una strega, ma conosceva le streghe di Salem e il resto della vostra famiglia. Sapeva delle arti magiche e dell’esistenza dei vampiri, ma non aveva mai conosciuto esseri come noi! Quando la triade si organizzò per dare la caccia a coloro che avevano intenzione di vivere pacificamente, lei mostrò alla nostra specie come riconoscere le streghe perché era sicura che la Triade ne avrebbe fatto uso, e realizzò una fattura, che non riuscì a completare, per…dopo di che sparì lasciandoci in balia di noi stessi!”.
“Perciò pensi che non sia sufficiente il mio incantesimo?” chiese Bonnie titubante. “Purtroppo non hanno mai avuto dalla loro parte le Bennet, non sanno quale sia il loro effettivo potenziale e non sanno dell’esistenza di Susan, quindi è molto probabile che non siano immuni a quel tipo di incantesimo”.
Tutti tirammo un sospiro di sollievo a quella nuova rivelazione: avremmo distrutto i mezzi vampiri con il pugnale e con la magia, avevamo molte più possibilità adesso che avevamo anche Bonnie dalla nostra parte.
“Non per essere scortese, ma sentite qui” disse Caroline aumentando il volume della televisione.

Mystic Falls ha avuto un incremento della popolazione pari al 40% in questo ultimo mese. Sono stati conclusi affari da numerose famiglie provenienti dal North Caroline che sembrano gradire l’ambiente tranquillo di Mystic Falls. Intanto continua la paura per le persone scomparse recentemente, otto uomini di età compresa tra i 20 e i 30 anni sono dispersi da oltre dieci giorni, continuano le indagini da parte dello sceriffo Forbes”.

Per la stanza regnò il silenzio interrotto solo dai sospiri di Colin.
“Ebbene?” chiese Jeremy per avere la conferma che tutti noi aspettavamo.
“I mezzi vampiri sono arrivati in città” disse in tono solenne.
“E comprano casa? Sono mezzi vampiri di larghe vedute” criticò Damon poggiandosi allo stipite della porta con le braccia incrociate al petto.
“Vogliono attaccare dall’interno, stabilirsi qui significa passare come persone comuni e ciò li porta a conquistare la fiducia delle persone”.
“E le persone scomparse? Non avevate detto che sopravvivevate anche senza nutrirvi di sangue?” chiese Caroline puntualizzando su un qualcosa che a noi evidentemente era sfuggito.
“Sono nuove reclute, i mezzi vampiri entrano in città mentre gli uomini vengono spediti direttamente al quartier generale della Triade”.
Mi sedetti in poltrona presa da un violento capogiro mentre la stanza piombava nello stesso silenzio di poco prima.
Non eravamo solo noi in pericolo, ma a quanto sembrava l’intera Mystic Falls stava per essere assoggettata da queste nuove creature il cui intento era quello di prevalere su qualsiasi altro essere.
Avevamo intrapreso la strada verso una nuova battaglia e adesso non importava più la cura per Damon o il viaggio di Stefan, era un qualcosa più grande di noi e non potevamo più tirarci indietro. Avremmo lottato per far ritornare tutto come era prima, e adesso avremmo lottato anche per i genitori del piccolo Colin che tuttavia, anche in caso di vittoria, indietro non sarebbero mai più ritornati.

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Capitolo 18
*** 16- 'CAUSE THERE ARE SOME BIKINI GIRLS! ***


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16- ‘CAUSE THERE ARE SOME BIKINI GIRLS!

 

“Ti ho mai detto che sei più carina senza vestiti?”.
Feci cadere la spazzola e il cuore ruzzolò di qualche centimetro dal posto in cui era.
Damon, perfettamente pronto, attendeva da più di mezz’ora nella mia stanza gustandosi il suo ghiacciolo alla menta.
Recuperai la spazzola incenerendolo con lo sguardo e strinsi l’elastico intorno ai miei capelli.
“Piantala Damon! Mi spieghi perché sei così eccitato di andare a una stupida festa in piscina?” chiesi controllando i battiti cardiaci.
Per quella festa avevo indossato il bikini arancione e mi ero munita di pantaloncini e canotta così da essere più libera nei movimenti.
“Perché ci saranno le belle ragazze ovvio!” proruppe Colin, a fianco di Damon, anch’egli gustandosi il suo gelato.
Erano esattamente identici: indossavamo entrambi delle polo aderenti grigie e un paio di bermuda a scacchi.
Alzai gli occhi al cielo e finì di mettere le ultime cose nella borsa.
Il giorno della festa in piscina era giunto ed era una fortuna che Jenna fosse uscita presto quella mattina con Alaric, dicendo che avrebbe dovuto aiutare Carol per la festa, così da permettere a Jeremy di passare alla pensione per recuperare gli ultimi attrezzi per eventuali attacchi, visto che Rick era impegnato a distrarla.
Nonostante i continui tentativi di Damon per non farmi andare alla festa alla fine ero riuscita a convincerlo: anch’io avrei partecipato allo scontro, se mai ce ne fosse stato davvero uno.
Ero scettica a riguardo, credevo che ciò che volevano i mezzi vampiri era semplicemente discutere o intimidirci, magari offrendoci di diventare come loro, non pensavo che fosse necessario ricorrere alle armi.
“Bene possiamo andare!” dissi sistemandomi la borsa.
Ero pronta ad abbassare la maniglia della porta quando il silenzio e la calma mi turbarono. Mi girai lentamente per vedere che cosa stessero facendo i due alle mie spalle. Con mie enorme sorpresa trovai nel letto solo Damon che era rimasto perfettamente immobile.
“Damon?” provai a chiamarlo.
“Hai detto possiamo? Sbaglio o da quel noi tu sei esclusa?” mi chiese con un sorriso sornione mentre si avvicinava a me.
No non poteva farmi questo, non era assolutamente giusto!
“Damon non penserai che-”.
Non ebbi neanche il tempo di finire la frase che un flusso d’aria mi frustò i capelli, la porta dietro di me si aprì sbattendo contro la parete e Damon, cogliendo quel mio momento di smarrimento, mi oltrepassò richiudendosi la porta alle spalle prima che io potessi fermarlo. Ancora scioccata per la rapidità con cui tutto era successo, provai ad aprire ma la serratura era bloccata. Battei violentemente la mano contro la porta, ma non sentii altro che le risate dell’ex vampiro e del ragazzino.
“Mi dispiace Elena!” la voce di Colin mi giunse ovattata da dietro la porta.
“Vedrai ti divertirai a sguazzare tra l’acqua della vasca da bagno!” questa volta era Damon che se la rideva.
“Va all’inferno!” gli gridai con voce isterica e leggermente paonazza in viso.
“Si amore, anch’io tanto tanto” mi disse di rimando e se ne andarono lasciandomi con la mascella leggermente aperta.
Cercai di rimanere calma e di pensare a un modo per uscire dalla mia stessa casa. Volsi lo sguardo immediatamente alla finestra. Mi precipitai per aprirla ma anche quella era ben chiusa.
Sprofondai nel letto in cerca di una soluzione mentre picchiettavo velocemente il piede sul pavimento.
Era passata circa mezz’ora quando mi ricordai della finestrella del bagno che avevamo fatto fare solo qualche anno prima. Nonostante l’apertura fosse piuttosto piccola sarei riuscita comunque a passare senza alcun problema.
Mi aggrappai alle mattonelle e aperta la finestra mi ritrovai sopra il tetto di casa mia. Facendo attenzione a non far cadere le tegole, raggiunsi la scala e riuscii finalmente a scendere.
Non ebbi neanche il tempo di compiacermi da sola che sentii il suono di un clacson alle mie spalle.
“Elena non vai alla festa?” mi chiese Tyler Lockwood sporgendosi dallo sportello della sua auto.
“Si, stavo giusto per andarci…tu invece?”
“Mia madre mi ha obbligato a compare alcune cose per questa stupida festa. Stavo giusto andando lì se vuoi ti do un passaggio”.
Non rifiutai il suo invito e una volta salita in macchina ci dirigemmo a Casa Lockwood. Non avevo mai avuto un rapporto stretto con Tyler nonostante fossimo cresciuti assieme. Fin da bambino lo trovavo parecchio irritante e prepotente, ma sapevo che dietro quella maschera si nascondeva un bambino buono e gentile, che aveva solo il bisogno di non essere trascurato dai genitori e che cercava di avere l’approvazione del padre; quel bambino che adesso era cresciuto, si era fatto uomo e che, nonostante questo, soffriva ancora.
Dalla morte del sindaco, casa Lockwood era rimasta sempre aperta e la madre di Tyler cercava di passare oltre quel loro lutto organizzando feste e ricevimenti. La verità era che anche quel suo sorriso era finto tanto quanto la prepotenza del figlio.
Frenò bruscamente appena arrivammo al cancello dell’enorme villa.
“Grazie mille Tyler” mi affrettai a dire e stavo già aprendo lo sportello quando il ragazzo seduto alla guida mi domandò “Cosa ci facevi sul tetto?”.
Mi paralizzai e il sangue affluì veloce alle guance. Non sapevo che spiegazione concreta potergli dare visto che non esistono molte scuse. Boccheggiai per un po’ e mi grattai la nuca non sapendo realmente cosa dire e cercando in tutti i modi di evitare i suoi occhi scuri.
“Tranquilla, ho capito: non sono cose che mi riguardano” si affrettò a dire, togliendo le mani dal volante e ponendole davanti al viso come in segno di scuse.
Ripresi a respirare e ridacchiai insieme a lui. Se c’era una cosa che mi piaceva di Tyler era la sua discrezione e il farsi sempre i propri affari senza mai indagare sulle faccende altrui.
“Grazie ancora” gli dissi nuovamente e finalmente scesi dalla macchina.
L’ingresso di casa Lockwood era già completamente pieno di gente e soprattutto di ragazzi in costume che si affrettavano a raggiungere l’abitazione attraversando l’ampio giardino.
Volsi lo sguardo intorno alla ricerca di qualche viso familiare. Avendo dimenticato la borsa in camera non avevo con me neanche il cellulare. Pensai che già tutti fossero entrati perciò mi incamminai anch’io verso l’abitazione per porgere i saluti come sempre alla padrona di casa.
Mi precipitai sul lastricato di ghiaia, ma dovetti optare per il prato adiacente visto che le pietruzze andavano a intrufolarsi all’interno dei miei sandali.
Raggiunsi velocemente il porticato ed ero pronta a salutare Carol Lockwood quando uno scalino pieno d’acqua mi fece scivolare e quasi cadere.
Il mio cuore era già balzato via quando due braccia forti mi sostennero a mi impedirono di toccare terra.
“Tutto bene?” mi chiese un uomo adulto, sulla trentina, dai meravigliosi occhi verdi e un fisico scolpito. Mi aiutò ad alzarmi mentre la madre di Tyler veniva ad aiutarci. “Elena tutto bene? Ti sei fatta male?” mi chiese con fare gentile e pacato. Abbozzai un si come risposta e tranquillizzai la gente accorsa in mio aiuto.
“Mi chiamo Jeff” si presentò l’uomo alle mie spalle e mi porse la mano inondandomi con i suoi incredibili occhi verdi.
“Piacere, Elena” strinsi la sua mano nella mia per non essere scortese, ma lo dovetti lasciare subito dopo che fummo entrati in casa.
Avevo da cercare un paio di occhi azzurri e una chioma rossa.
Durante il tragitto venni salutata da persone che era da un po’ che non vedevo e che nonostante questo non potei ignorare, così raggiunsi la piscina quando il barbecue era già stato acceso: dovevano essere sicuramente quasi le due.
“Elena ma dov’eri finita?” una donna in lontananza mi chiamava e sventolava la mano cercando di attirare la mia attenzione.
Riconobbi che era Jenna per cui mi avvicinai alla sua sdraio.
“Pensavamo che non venissi più,ti ho lasciato tanti messaggi nel cellulare” mi rimproverò mia zia avvolta nel suo costume verde con pareo abbinato.
“Ho dimenticato la borsa a casa e dentro c’erano le chiavi e il cellulare” tentai di scusarmi, ma non sembrava essere troppo arrabbiata. Rick accorse con una camicia a scacchi sbottonata che rivelava una canotta bianca aderente e dei bermuda simili a quelli di Damon.
“Elena ce l’hai fatta…alla fine” quella frase era ricca di significati che riuscì a capire per cui rivolsi al professore un’occhiata torva.
Con la coda dell’occhio vidi un ciuffo rosso sbucare tra i materassini della piscina perciò salutai in fretta Jenna e Alaric e raggiunsi il bordo della piscina dove ad aspettarmi c’era Colin.
“Questa piscina non mi piace, è troppo bassa ma tua zia voleva assolutamente che stessi insieme agli altri miei coetanei” sbuffò sonoramente salendo la scaletta per uscire fuori dall’acqua.
“Dov’è Damon?” chiesi voltandomi ripetutamente cercando di scorgere l’ex vampiro tra la folla.
“Credo che sia su quel materassino laggiù” mi disse frizionandosi i capelli rossi con l’asciugamano.
“Dei mezzi vampiri?” chiesi sottovoce per non farmi sentire da una famiglia seduta proprio accanto a noi.
“Già risolto tutto” e un sorriso gli apparve in volto risaltando le piccole lentiggini sul naso e sulla fronte.
Aggrottai le sopracciglia e sbattei più volte le palpebre: possibile che avessero già completato tutto senza di me? Non ero pienamente convinta di ciò che mi aveva detto il mezzo vampiro, anche se la sua aria perfettamente tranquilla e naturale diceva tutto il contrario. Nessun ferito? Nessun morto?
“Andrò a parlare con Damon” borbottai tra me e me e lasciai Colin intento a giocare a palla con una bambina al suo fianco.
Per arrivare nella piscina adiacente senza bagnarmi dovetti passare per il prato dove si stava organizzando il barbecue.
“Ehi Elena” Matt con il sorriso stampato in volto mi venne incontro con in mano un vassoio di spiedini.
“Vuoi?” me lo porse, ma rifiutai con un sorriso.
“Allora Elena, cosa farai quest’estate?” mi chiese un po’ impacciato, quasi come se non sapesse cos’altro dire.
Mi misi a ridere e lo lasciai per un momento confuso.
“Non so neanche perché sono a questa festa e mi chiedi cosa farò quest’estate?” continuai a ridere e anche lui si unì a me in quel momento di ilarità.
“Mi sono ridotto a fare il cameriere occasionale per una misera mancia” disse e quasi potei leggere il senso di amarezza che traspariva dai suoi occhi.
“Vedrai Matt tutto si aggiusterà” lo consolai mettendogli una mano sulla spalla.
“Già. Dovrebbe esserci Caroline qui in giro” mi voltai osservando meglio le persone in piscina e quelle stipate sulle sdraio.
“Sarà meglio che vada a prendere un altro po’ di carbone per il barbecue. Ci vediamo” lo salutai e un sorriso triste mi comparì in volto.
Ci sono così tante persone ignare di tutto, che continuano la loro vita quotidiana, preoccupandosi del lavoro, dello studio, della famiglia e che potrebbero essere le prossime vittime. Scossi la testa cercando di allontanare quei pensieri e finalmente raggiunsi il punto più estremo della piscina dove, su di un materassino, Damon stava tranquillamente prendendo il sole.
“Oh la prigioniera è evasa dalla sua prigione d’oro” ridacchiò sotto gli occhiali da sole, forte abbastanza da poterlo udire anche a una certa distanza.
“Avvicinati!” gli ordinai e cercai di essere la più autoritaria possibile per costringerlo a raggiungermi senza che mi bagnassi. Si tolse gli occhiali da sole adagiandoli sui capelli ancora bagnati. Mi guardò e mi regalò uno dei suoi soliti sorrisi che mi fece mancare il fiato. Sembrò ignorarmi e per tutta risposta mosse col piede il materassino ancora più in là di dove fossi io.
“Damon devo ricordarti che io e te siamo amici, perciò non farmi pentire di ciò che ho appena detto” cercai di essere più dolce e pacata, ma sembrava non aver sentito visto che continuava a prendere il sole tenendo gli occhi chiusi.
“Per favore” provai con il tono supplichevole, come facevo di solito da bambina per ottenere da mia madre il permesso di uscire a giocare.
“Guarda ci stai quasi riuscendo” disse sarcasticamente mettendosi retto sul materassino e scrutandomi dall’alto in basso.
Avevo l’orgoglio ferito e la dignità sotto i piedi ma dovevo pur farlo: mi tolsi canotta e pantaloncini e mi tuffai in piscina per riuscire a parlare da sola con l’ex vampiro. Raggiunsi velocemente il materassino e finalmente sembrò che il resto di Mystic Falls ci avesse lasciato in pace.
“E allora?”
“Allora cosa?”
“Avete risolto la questione sui mezzi vampiri, voglio sapere cosa vi siete detti”. Si scrollò le spalle e spiegò semplicemente che “Li avevano sfidati a golf e avevano perso, tutto qui”.
Inarcai un sopraciglio facendo palesemente capire che non avevo creduto ad una sola parola di quello che aveva detto.
“Elena rilassati! Il pericolo è scampato, perciò goditi la giornata da BFF” sgranai gli occhi e mi sistemai i capelli gocciolanti sull’altra spalla.
“BFF?” chiesi a un Damon particolarmente divertito.
“Migliori amici per sempre” mi spiego facilmente con aria da intellettuale che proprio non gli si addiceva.
Mi scappò un sorriso e gli schizzai un po’ d’acqua prima di raggiungere la scaletta e uscire dalla piscina.
Era incredibile come in così poco tempo il nostro semplice legame fosse diventato più forte e duraturo come un’amicizia.
Volente o nolente Damon rimaneva il mio unico e solo compagno di sventura.
Mi rimisi la canotta e i pantaloncini nonostante fossi bagnata fradicia.
Mi stavo dirigendo verso il barbecue dove probabilmente avrei incontrato gli altri, quando Damon mi mise le mani sulle spalle facendomi cambiare direzione quasi come se fossi stata un robot giocattolo.
Non mi hai ancora detto che ne pensi della mia idea di BFF?”
“E tu ancora non mi hai detto di che cosa avete parlato” ribattei io più acida di quanto potessi mai immaginare.
Camminavamo sul selciato e ci stavamo allontanando dal giardino e dalla piscina dei Lockwood ma quella volta ero troppo concentrata sulla conversazione per potermi accorgere quale fosse la nostra direzione.
“Che ore sono?” mi chiese a bruciapelo e non avendo orologio non seppi rispondergli subito.
“Saranno quasi le tre”.
Sembrò rifletterci un attimo per poi fermarsi di colpo grattandosi la nuca.
“Ecco non te l’ho detto perché in verità non c’è stata nessuna conversazione ancora”. Nonostante fossi certa che sia lui che Colin mi nascondessero qualcosa, quella notizia mi inondò di stupore. Damon aprì una porta ed entrò in una casupola buia, da cui proveniva un forte odore di fertilizzante e concime.
“Quindi ancora non avete adocchiato nessun mezzo vampiro?” chiesi entrando anche io insieme a lui. Ora che ripenso a tutto ciò mi sembro essere quasi sciocca e ingenua per come fossi così incline a seguire Damon in ogni suo movimento e in ogni sua posizione.
“In realtà molti, e ci aspettano tutti nella vecchia residenza Loockwood alle tre in punto”.
In quel momento capii e il sangue mi si gelò nelle vene a tal punto che i capelli bagnati sulle spalle mi sembrarono spine di ghiaccio che si conficcavano in tutta la colonna vertebrale procurandomi leggeri brividi. Ma la cosa che sentivo più di tutte era una sola: la mia paura per Damon, la paura che l’anello di Bonnie non funzionasse e che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrei rivisto.
Mi chiuse la porta in faccia, lasciandomi chiusa dentro e io non seppi più che dire

 

***

Ebbene cari vampirizzati, l’esclusiva festa in piscina in casa Lockwood è ufficialmente giunta! Come vedete questo è solo l’inizio della festa che si dividerà in due parti. Elena è particolarmente confusa e la rivelazione finale di Damon le ha fatto capire che tutti la stavano tenendo all’oscuro! Damon infatti ha preferito rinchiuderla in quella casupola piuttosto di mettere a repentaglio la sua vita…ma sarà valso a qualcosa? Vi faccio notare che l’amicizia che lega Damon ed Elena da questo momento in poi si farà più forte, se non l’aveste già capito con l’idea dei BFF xD Ad ogni modo vi starete chiedendo che fine ha fatto Stefan? Per chi lo volesse proprio sapere e giusto per farsi quattro risate per la sua disavventura vi propongo il nuovo capitolo della raccolta annessa a questa fanfic I LOOK LIKE BATMAN OR WHAT?!
Ringrazio tutti voi che avete recensito e che mi seguite! Sono disposta ad accettare anche le critiche perciò se non vi piace, se c’è qualcosa che non va potete dirlo ;D
Spero di poter aggiornare un’ultima volta prima di partire in vacanza!
Bye bye.

 

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Capitolo 19
*** 17- I'LL TAKE CARE OF YOU NOW, I PROMISE. ***


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17- I’LL TAKE CARE OF YOU NOW, I PROMISE


Era passata più di mezz’ora da quando Damon mi aveva chiuso in quello sgabuzzino. L’ansia continuava a crescere e la voglia di evadere e di partecipare anche io allo scontro era troppa.
Quel giorno non avevo visto né Jeremy né Bonnie, ma sapevo che loro erano inclusi e abilitati a partecipare al colloquio.
Mi guardai attorno e tutto ciò che vidi non furono altro che sacchi di concime, fertilizzanti, pesticidi e alcuni sacchi pieni di carbone.
Mi sedetti su uno di essi e aspettai docilmente che qualcuno venisse ad aprirmi, perché qualcuno sarebbe arrivato, vero?
Mi sciolsi i capelli ancora umidi e gocciolanti e provai a farmi una treccia bassa per far trascorrere un po’ di tempo.
Tuttavia ad opera ultimata ancora non accennava ad arrivare nessuno.
D’un tratto sentii la serratura scattare e la porta fu aperta. Mi alzai in piedi sperando con tutto il cuore che colui che stava aprendo potesse darmi notizie su ciò che stava succedendo nel boschetto circostante, ma le mie speranze vennero troncate sul nascere.
“Elena, come diavolo sei finita qui?”
Matt era davanti a me che mi squadrava da capo a piedi non riuscendo a giustificare la mia presenza lì.
“Per fortuna Matt che sei arrivato! Ero entrata per dare un’occhiata e la porta si è chiusa” abbozzai una scusa giusto il tempo di uscire e di essere nuovamente libera. “Certo che da quando stai con Stefan, sei diventata davvero strana.”
“Tu perché da queste parti?” chiesi per non far saltare la mia copertura.
“Lì dentro è pieno di carbone. E io sono l’addetto al barbecue. Comprendi?”.
Annuii maledicendo Damon per avermi fatta cacciare in una tale situazione.
Matt guardò un punto oltre le mie spalle.
“Ehi Jeff” chiamò mentre l’uomo si avvicinava a gran passi verso di noi.
Mi voltai per vedere chi fosse. Era lo stesso Jeff che mi aveva aiutato quella mattina all’entrata della villa, lo riconobbi subito dai suoi occhi verdi.
“Elena, ma che bello rivederti” mi disse e quasi potei riconoscere un bagliore di estrema follia tra le sue iridi.
Aveva un aspetto famelico e lo dimostrò manifestando i canini ben aguzzi.

Matt corri era tutto ciò che avrei voluto dire ma la lingua si era attorcigliata così come le gambe che non volevano muoversi tanto erano atterrite dalla paura.
Continuai ad osservare i suoi occhi che da verdi passarono ad un rosso cupo: non erano grigi e non sarebbero diventati bianchi.
Jeff era sicuramente un vampiro, ma cosa poteva mai volere un vampiro da me ora che l’unico nemico erano i mezzi vampiri? Forse non erano gli unici nemici.
“Avevo intenzione di mangiare il ragazzo del barbecue, ma perché sprecare l’occasione ora che ho la possibilità di uccidere l’alleata umana del traditore” mi disse e in meno di un secondo me lo ritrovai davanti pronto a spalancare le sue fauci.
Matt con un colpo di spranga, trovata là vicino, tentò di allontanarlo da me, ma questo non fece altro che aizzare il vampiro che non ci pensò due volte a spedire Matt dritto all’interno del gazebo dove mensole e scaffali si staccarono dalla parete ferendolo.
Ormai ero sola, faccia a faccia con quello che ormai avrei considerato un nemico.
Vi doveva essere un qualcosa, un’alleanza che riuniva vampiri e mezzi vampiri e che avevano come unico scopo quello di trasformarci ormai che sapevamo fin troppo. Chiusi gli occhi e non potei non emettere un grido acuto quando i canini affondarono nel mio collo, andando oltre la pelle e i muscoli e succhiando avidamente il sangue dalla carotide.
Sentivo le orecchie fischiarmi e le gambe divenire sempre più fragili man mano che il vampiro alle mie spalle succhiava via il sangue. Sentivo il collo pulsare e la lingua del vampiro guizzare feroce sulla mia pelle lacerata.
Se non fosse giunto nessuno probabilmente sarei morta, e forse sarebbe stata la cosa migliore. Di sbagli successivamente ne commisi tanti, forse troppi e sarebbe stato meglio non aver dovuto assistere a scene che ancora oggi mi procurano un certo dolore e altre che hanno procurato dolore a chi mi stava intorno.
Persi le forze, le avevo appena per respirare e singhiozzare.
Ad un tratto qualcuno mi strappò dalle spalle il vampiro e sentii il sangue pizzicarmi la pelle e uscire all’esterno.
Crollai a terra, frastornata e quasi del tutto priva di forze. Ebbi appena il tempo di schiudere le palpebre, ma le immagini che mi si presentavano apparivano offuscate e vaghe. Riuscii comunque a notare una chioma rossa lottare contro Jeff e sentii due braccia calde che mi sollevarono e mi portarono al petto del mio salvatore.
“Andrà bene, Elena” una voce profonda arrivò alle mie orecchie e mi sentii baciare ripetutamente la fronte.
Come era caldo quel gesto così inusuale che mi ricordava i miei giorni da bambina, quando, accoccolata tra le braccia di mio padre, mi addormentavo nelle sere di pioggia.
Mi sentii tranquilla come non mai e non badai al mio nome gridato da parecchie persone, né al sangue incrostato sul colletto della mia canotta: stavo bene, ero viva e lui era con me.



Mi svegliai non so quante ore dopo in ospedale.
L’odore di disinfettanti arrivò veloce alle mie narici facendomi storcere il naso.
Sentivo il collo bruciare e ancora avvolta dalla morsa infernale di Jeff.
Solo dopo mi accorsi che era fasciato e un cerotto in bella mostra graffiava sotto le mie dita.
Mi sentii pungere al polso sinistro e vi trovai un ago alla cui estremità era attaccata una flebo.
Avevo la testa che mi pulsava e un gorgoglio allo stomaco mi ricordò che non toccavo cibo dalla sera precedente.
Cercai di raddrizzarmi, ma le braccia mi si piegarono e affondai la testa sui tre cuscini. Mugugnai per il lieve senso di nausea e mi massaggiai la testa. Ecco cosa succede quando vai ad una festa in piscina.
“Elena!”.
Non ebbi neanche il tempo di spostare lo sguardo che Jenna mi stava stringendo calorosamente tra le sue braccia, cullandomi e facendomi mancare il fiato.
Non avevo la forza di ricambiare quell’abbraccio perciò mi limitai a sfiorarle la mano e a rassicurarla che stavo meglio.
“Non permetterti di farlo mai più! Mi hai fatto venire uno tale spavento che adesso sembro dieci anni più vecchia” bofonchiò mia zia mentre tirava le tende della mia camera d’ospedale.
Il sole penetrò dalla finestra e la stanza si illuminò. Ad occhio e croce doveva essere mattina presto. Quante ore ero rimasta incosciente?
“Sei sempre bellissima Jenna” risposi abbozzando un sorriso.
“Mi spieghi cosa diavolo ci facevi in quel capanno insieme a Matt? Sbaglio o sei ingaggiata con Mr.Salvatore?” chiese con finto rimprovero, quanto più curiosa di come sia potuto accadere tutto quello.
Rabbrividì al ricordo: Damon e i mezzi vampiri, io rinchiusa nel capanno, la chiacchierata con Matt, l’arrivo di Jeff, Matt che veniva scaraventato tra gli scaffali, i canini di Jeff, Damon.
Sbattei le palpebre per cacciare via quei ricordi e mi concentrai su ciò che avrei dovuto dire a Jenna.
“Volevo aiutare Matt a prendere i sacchi di carbone quando gli scaffali hanno ceduto e gli attrezzi ci sono crollati addosso”.
“Per fortuna che tu te la sei cavata solo con qualche punto e tanti lividi”.
A quelle parole una nuova paura crebbe dentro di me: Matt.
“Perché? Come sta Matt?” chiesi con angoscia. Matt non era più il mio ex ragazzo, ma era il compagno di sempre, l’amico d’infanzia e che tuttora faceva parte della mia vita. “Tranquilla, si è spezzato una gamba ed è in stato di shock ma sta bene, ha già incontrato Caroline e Tyler”.
Mi morsi il labbro inferiore e tirai uno dei più lunghi sospiri di sollievo: se Caroline era passata da Matt voleva dire che adesso non ricordava nulla di Jeff e di ciò che era successo.
Portai le mani in grembo e notai che tremavano leggermente.
“Io vado a casa a prenderti qualche vestito pulito e a cercare quella canaglia di tuo fratello alias mio nipote. E’ da ieri che gironzola peggio di un cane randagio alla pensione”.
Jenna sistemò la borsa, inforcò gli occhiali da sole e dopo aver dato un lieve sguardo al telefono mi abbracciò forte sistemandomi i cuscini.
Rimasi sola in stanza il tempo necessario per inondarmi la testa di domande e nuove preoccupazioni: Cosa avevano detto i mezzi vampiri? C’era stato qualche scontro? Esisteva qualche tipo di alleanza tra mezzi vampiri e vampiri? Che fine aveva fatto Jeff? Stavano bene? Stava bene?
Il flusso dei miei pensieri fu interrotto dalla presenza di una strana figura che si sporgeva a un metro da terra e che faceva capolino proprio da dietro lo stipite della porta.
Misi bene a fuoco e riconobbi in quella figura Teddy, il mio orsacchiotto di peluche. D’un tratto una chioma rossa e sorridente sbucò insieme al pupazzo e si avvicinò sgambettando verso di me.
“Elena sei viva!” mi disse travolgendomi in un abbraccio mozzafiato che, nonostante la mia pura felicità nel rivederlo, mi piegò le labbra in una smorfia di dolore.
“Lasciala respirare se vuoi ritornare tu vivo a casa” entrò Damon con passo calmo seguito da Caroline, Bonnie e Jeremy.
Mi sforzai di sorridere, ma nonostante Colin avesse smesso già da un pezzo di abbracciarmi, trattenni il fiato scontrandomi con gli occhi azzurri dell’ex vampiro: sembravano essere passati secoli dall’ultima volta che mi ci ero tuffata dentro. “Eravamo in pensiero per te” mi disse Bonnie che si avvicinò e mi strinse con più dolcezza.
Ricambiai gli sguardi dei miei amici rassicurandoli e sorridendoli.
Ma il sorriso mi morì in viso: c’erano questioni più importanti.
Piantai lo sguardo su Damon seduto su una sedia accanto al mio letto.
“Cos’è successo alla fine?” chiesi seria attendendomi delle spiegazioni.
“Cos’è successo cos-ahia!”provò a ribadire Damon ma senza risultato: Caroline che era in piedi accanto a lui gli assestò un calcio sullo stinco e gli lanciò uno sguardo truce così come la maggior parte dei presenti.
“Basta giri di parole, Damon, è già successo abbastanza a causa di questa tua iperprotezione”.
Calò uno strano silenzio nella stanza e sembrò quasi che ritenessero Damon il responsabile della mia disavventura con Jeff. In effetti, non avevano poi tutti i torti.
“I mezzi vampiri volevano solo comunicarci quello che già sapevamo” si intromise Jeremy con le braccia incrociate al petto di fianco a Bonnie.
“E cioè?” chiesi spostando continuamente lo sguardo sui volti dei miei amici. “Sappiamo fin troppo di questa storia, vogliono che ci uniamo a loro per vivere nella segretezza o se no l’alternativa è ucciderci” puntualizzò Caroline marcando bene l’ultima parola che mi fece gelare il sangue nelle vene.
“Però grazie a me avete vinto un altro mese di vita” disse Colin contento mentre perlustrava ogni singolo angolo di quella stanza tenendo in mano ancora il mio orsacchiotto.
“I mezzi vampiri hanno riconosciuto Colin; sanno che è uno dei traditori e che molto probabilmente ci sta aiutando perciò hanno accordato che ci avrebbe lasciato il tempo necessario per pensarci, un mese: allo scadere di questo, ritorneranno” concluse Damon prendendo Colin per il colletto e facendolo sedere accanto a lui.
“Ma era la famigerata Triade?” chiesi ancora confusa: avevo immaginato i mezzi vampiri molto più feroci e spietati visto quello che avevano fatto per uccidere Damon. “No era una delegazione, novellini  ancora alle prime armi il cui compito è quello di portare il messaggio al quartier generale” disse Colin tutt’un tratto serio: con quella espressione appariva seriamente un ragazzo di ventitre anni.
“La cosa negativa è che ora sanno che abbiamo un’arma in più: me” schioccò Bonnie richiamando l’attenzione di tutti.
Damon rise. “A quanto vedo la modestia non è una tua qualità, streghetta”.
Un lampo balzò ai miei occhi e mi ricordai dei punti sul collo.
“E Jeff?” chiesi guardando allarmata il viso contratto dei miei amici.
“Oh, gli ho staccato la testa a morsi, dovevi vedere Elena, è stato divertente! Non ho mai conficcato un paletto con tanta precisione quanto ieri con Jeff” ridacchiò Colin e per tutto il tempo che illustrò la dinamica dell’avvenimento gli brillarono gli occhi grigi. Rilassai le spalle e portai Teddy in grembo accanto alla mano di Damon che strinsi mentre tutti continuavano a ridere e ricordare ciò che era successo solo un giorno prima.
Mi sentii leggera, quasi di piuma nonostante sapessi che tra un mese tutto sarebbe potuto cambiare e finire allo stesso tempo.
Eppure la sua mano continuava ad essere saldamente stretta alla mia.



Il pomeriggio del terzo giorno mi dimisero dall’ospedale e lasciai la struttura non prima di aver salutato Matt, il quale doveva rimanere lì per altri due giorni.
Firmati i documenti e tutto il necessario per uscire, quando finalmente fui fuori Alaric, Jenna e Jeremy mi accolsero amorevolmente.
Per tutto il tragitto Jenna non fece che parlare di quanto avesse sentito la mia mancanza e di quanto si ritenesse una tutore irresponsabile.
Una volta arrivati a casa trovai qualcuno all’entrata della porta ad aspettarmi.
“Elena!” gridò Colin correndomi incontro e saltellando allegramente di fronte a me. Sorrisi affabile e gli scompigliai i fulvi capelli: ero contenta che Colin fosse entrato nelle nostre vite, provavo un affetto sincero per quel mezzo vampiro piombato quasi all’improvviso facendoci capire che non tutti quelli della sua specie erano cinici e pericolosi.
Dei passi dietro Colin richiamarono la mia attenzione.
“Eravamo passati perché pensavamo che eri già uscita dall’ospedale” disse Damon nella sua solita maglietta nera a maniche corte.
Lo guardai ma non seppi cosa rispondere: sembrava passato un secolo da quando avevamo parlato da soli.
“Elena dovresti riposare” mi disse Jenna guardando guardinga Damon che le rivolse un sorriso quasi innocente.
Alaric di tutta risposta alle eccessive premure di mia zia alzò gli occhi al cielo.
“Si tra un po’ rientro, ho bisogno di un po’ d’aria con questo caldo” risposi rivolgendo un’occhiata quasi supplicante che venne accolta chiudendo forte la porta.
Sospirai e alzai gli occhi al soffitto del portico: Jenna detestava Damon e in maniera particolare perché era convinta che non le confidassi più le mie vicende sentimentali. Stavo tentando di fare un passo verso Damon, nonostante l’eccessiva vicinanza mi mettesse un po’ a disagio, quando la porta si riaprì nuovamente.
“Colin hai voglia di un po’ di gelato?” chiese Jeremy richiamando l’attenzione del rosso che accettò ben che volentieri.
Quando la porta si richiuse eravamo solo io e Damon.
“Allora come sta la nostra mi-caccio-sempre-nei-guai?” mi chiese incrociando le braccia dietro la schiena.
Gli scoccai un’occhiata truce: sbaglio o era stato lui che mi aveva cacciata in quel guaio?
“Dovresti avere i sensi di colpa” ribadii oltrepassandolo e dirigendomi verso il dondolo sicura che anche lui mi stesse seguendo.
“Ehi non mi chiamo Stefan e poi già le tue amiche hanno fatto abbastanza”.
Risi immaginandomi una Caroline furiosa e una Bonnie altrettanto arrabbiata con l’ex vampiro, solo che lui era umano e loro due rispettivamente un vampiro e una strega!
Mi sedetti sul dondolo facendolo cigolare leggermente e Damon sedette al mio fianco.
Il sole era già tramontato e l’afa lasciava posto ad una sorta di umidità che faceva rabbrividire fino alle ossa.
Sospirai e un particolare tornò nella mia testa quasi come un flash di una macchina fotografica.
“Doveva essere in teoria il nostro giorno BFF” dissi corrugando la fronte, stupita persino di quello che stavo farneticando.
Damon mi guardò donandomi uno dei suoi soliti sorrisi.
“In teoria…in pratica è stato un disastro tipico di me e di te” sembrò sottolineare il fatto che eravamo entrambi i responsabili dell’incidente. In effetti se non fosse stata per la mia testardaggine e per il suo orgoglio molto probabilmente non sarebbe capitato tutto ciò.
Mi meravigliai io stessa nel pensare a me e a Damon come un noi, e di quanto in effetti il nostro rapporto fosse diventato più forte di prima.
Damon poteva essere un buono amico, forse anche qualcosa di più.
Mi morsi il labbro tentennando nel porre la domanda o meno.
“Lexie era la migliore amica di Stefan. Tu hai mai avuto un migliore amico?” chiesi sistemandomi meglio la coperta, che avevo trovato, intorno al corpo e spingendomi di più sul dondolo.
“Non ho mai avuto amici. Figurati migliori amici” sembrò sottolineare rievocando un risata amara e difficile da ignorare.
“Cosa dovrebbe fare un migliore amico?”.
Mi morsi nuovamente il labbro inferiore cercando di trovare una risposta soddisfacente alla sua domanda.
“Un migliore amico è quello che sta di fronte alla tua porta nonostante tu gliel’abbia richiusa in faccia tante volte. E’ l’unico essere sulla terra che riesce non si sa come a sopravvivere dopo una reazione nucleare all’interno del tuo cervello ed è l’unico senza cui non sapresti vivere perché il vostro rapporto è speciale” riuscii a concludere e mi impressionai di quanto Damon ci fosse racchiuso all’interno di quelle parole.
Mi strinse di più a lui e trattenni un sibilo di dolore visto che i punti ancora tiravano e facevano male.
“Adesso tocca a me prendermi cura di te. - ” Le labbra mi si piegarono all’insù al ricordo di quando Stefan era partito, lasciandomi sola con un Damon umano e di cui mi dovevo prendere cura.
Scivolai sulla sua spalla e contai i respiri che facevano alzare e abbassare il suo torace. “-Te lo prometto”.
Confortata dall’idea di averlo accanto scivolai presto nell’incoscienza non prima di sentire due morbide labbra che si posavano dolcemente sulle mie.
E non ricordo se fosse il dondolo o il mio cuore a cigolare.

***

Eccomi qui per aggiornare per l'ultima volta questa storia prima delle mie vacanze u.u Ritengo che questo capitolo sia per certi versi conclusivo per questa seconda parte: la festa in piscina è finita nel peggiore dei modi per Elena ma in compenso sappiamo che i mezzi vampiri ritorneranno in meno di un mese perciò i nostri simpatici amici hanno 31 giorni per prepararsi a dovere...ma lo faranno veramente? Questo è anche il capitolo in cui si compie il passo tanto atteso da voi Delena: finalmente è avvenuto il bacio tra Damon ed Elena! Ebbene forse ad alcuni di voi non sarà piaciuto ma vi assicuro che questo è solo l'inizio! Ci sono così tante cose da sistemare e da risolvere! Purtroppo per un mese farete a meno dei miei aggiornamenti u.u *stappano lo champagne* Ma sappiate che continuerò a scrivere perchè ho in serbo per voi una chicca niente male u.u Ovviamente vi lascio con tante domande: Che fine ha fatto Stefan? Quello sarà uno dei particolari che affronteremo nella terza parte di questa fanfiction, quante parti ci saranno? Ancora non ne ho idea XD Spero che vi sia piaciuto questo capitolo.Ringrazio tutti coloro che hanno recensito e per chi legge soltanto...una recensione non costa nulla, mi faresti contenta se esprimessi il tuo parere *__* Con questo concludo! Ci rileggiamo a settembre e ritorneranno anche loro: Damon umano, Elena confusa e Colin più simpatico che mai! (ma quanto lo adoro <3)
Baci
Sil

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Capitolo 20
*** 18-WHO GETS MARRIED? ***


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18 – WHO GETS MARRIED?

Da quando mi avevano dimesso dall’ospedale i giorni erano trascorsi placidi e tranquilli, così come dovevano essere i giorni di vacanza.
Giugno si era completamente esaurito e la prima settimana di luglio continuava ad essere tremendamente calda e afosa.
Il frinire delle cicale accompagnava buona parte delle mattinate alla pensione Salvatore, dove trascorrevo gran parte delle mie ore, così come il suono di un grillo mi induceva a ritornarmene a casa.
Quel giorno però stranamente non ero andata alla pensione. Jenna mi aveva detto che aveva un paio di faccende da sbrigare e che le sarebbe occorso tutto il mio aiuto una volta ritornata. Quindi avevo progettato di starmene dentro accanto al ventilatore a mangiare gelato e a guardare la tv.
“18 verticale intelletto sopraffino…cinque lettere” sbatté le ciglia lunghe dietro i suoi occhiali da sole mentre con l’indice picchiettava nelle caselle bianche e nere del suo cruciverba, come se la soluzione si nascondesse in quei minuscoli quadretti.
Caroline mi aveva letteralmente trascinato fuori casa con la scusa che era una giornata stupenda e che aveva voglia di abbronzarsi. Perciò avevamo tirato fuori dal garage due vecchie sdraio e c’eravamo stese in giardino per ottenere, come diceva lei, un’abbronzatura perfetta. Da quando Bonnie era partita per trascorrere due settimane di vacanza con il padre trascorrevo gran parte del mio tempo con la vampira, riscoprendo il piacere di esserle amica, dimenticandoci per un momento chi eravamo e cosa ci sarebbe capitato allo scadere dei trenta giorni.
Sbuffai sonoramente alzando gli occhiali da sole e facendomi aria con una rivista.
“Genio forse?” risposi non prestandole molta attenzione, osservando il vialetto vuoto che per il momento non era attraversato da nessuno.
La vampira bionda mordicchiò la penna e, dopo aver aggrottato più volte le sopraciglia, chiuse la rivista e la lanciò nel tavolinetto accanto a lei.
“Elena non puoi mica passare queste vacanze a non fare assolutamente niente e a roderti il fegato per la storia dei mezzi vampiri!” mi rimproverò e di tutta risposta gli indirizzai un’occhiata torva.
Era vero quello che diceva ma non riuscivo a togliermi dalla mente l’idea che i mezzi vampiri sarebbero tornati in meno di un mese! Cosa avremmo fatto a quel punto? Avremmo sfoggiato la nostra abbronzatura?
Grazie a Colin, i mezzi vampiri ci avevano generosamente concesso un mese per organizzarci e per prendere una decisione, ma più passavano i giorni più continuavamo a brancolare nel buio non avendo nessuna possibilità o meglio voglia di organizzarci.
Mi rigirai il telefono tra le mani e sospirai lievemente facendo aderire di più la mia schiena alla sdraio.
Dopo gli ultimi avvenimenti ero seriamente preoccupata per Stefan e il suo ritardo nel ritornare mi metteva angoscia. Nonostante sapessi che in Alaska non vi erano mezzi vampiri, provavo una strana sensazione, quasi come se lontano da qui fosse accaduto qualcosa e io ne fossi stata completamente all’oscuro.
Posizionai gli occhiali da sole sul mio naso, ma non ebbi il tempo di chiudere gli occhi che il suono di un clacson mi fece alzare la testa di scatto.
“Oh è arrivata Jenna” esclamò la bionda al mio fianco.
Mi alzai, leggermente accaldata per via del forte sole, e mi avvicinai alla vettura per vedere di cosa avesse bisogno.
“Elena non sai quanto sono eccitata! Non puoi capire che cosa stavo dimenticando!” Jenna era stata sempre così: un po’ logorroica e non sempre con la testa sulle spalle, si era fermata all’età di venti anni e sembrava che non avesse alcuna voglia di crescere! Era quel tipo di persona a cui l’espressione senza pensieri calzava a pennello! E poi c’era quella sua parte nascosta che tentava in tutti i modi di dimostrarsi una figura portante, una colonna d’appoggio così da aiutare me e Jeremy. Nonostante tutto quello che avevamo dovuto passare, Jenna continuava ad essere se stessa, ignara di tutto e orgogliosa di ciò che era diventata, una zia coi fiocchi come diceva sempre.
“Hai presente l’orfanotrofio “St. James” appena fuori Mystic Falls? La nostra città cerca di dare ogni anno dei contributi affinché non lo chiudano. Tuttavia quest’anno Carol Lockwood si ritiene a corto di fondi perciò ha organizzato una sfilata di beneficenza così da poter salvare quell’orfanotrofio”.
Una Jenna euforica mi mise in mano vari pacchetti, buste per la spesa mentre lei apriva il cofano della macchina estraendone quello che a occhio e croce doveva essere un vestito.
“Che bella trovata! E qual è il tema della sfilata?”
Caroline si era alzata dalla sedia e con passo svelto ci stava raggiungendo tenendosi il cappello di paglia con la mano destra. Jenna si morse il labbro ormai impaziente di tenersi tutto dentro
“Matrimonio” esclamò battendo le mani e saltellando nel suo prendisole color verde mela.
“Da quando ti interessano i matrimoni?” chiesi aggrottando le sopracciglia.
A quel che ne sapevo Jenna era stata sempre controcorrente, le piaceva distinguersi dalla massa, ma non credevo che proprio lei che vantava la sua indipendenza avesse come sogno quello di sposarsi.
“Semplicemente l’ultima volta che c’è stata una sfilata del genere avevo sette anni e non mi hanno fatto partecipare; così ho pensato perché no?”
Sorrisi a me stessa stringendo tra le mani le buste
“Già perché no”.
Caroline aiutò Jenna a portare la lunga scatola che conteneva il vestito ed entrarono in casa. Anch’io le seguii non prima di aver dato un ultimo sguardo al cellulare posto sul tavolinetto accanto al giornale.
Osservai le mie mani entrambe impegnate a tenere le due buste e rivolsi un’altra occhiata al cellulare. Qualcosa mi diceva che dovevo pur prenderlo e portarlo con me in casa e tenerlo stretto in mano, ma non lo feci, semplicemente avanzai stringendo le buste e scrollandomi di dosso quella strana sensazione.
Una volta in casa io e Caroline ci occupammo di riporre in frigo e nella dispensa le varie vettovaglie comprate da mia zia e una volta che il tavolo fu sgombro dei pacchi della spesa, fui trascinata di sopra nella camera di Jenna.
Posizionò il pacchetto sul letto e aperta la scatola il contenuto mi lasciò senza fiato: era un candido abito da sposa, con le spalline finemente arricciate e un corsetto pieghettato in tante e finissime onde che si apriva a forma di cuore all’altezza del seno e ornato con perline argentate che sembravano scendere a cascata lungo tutto il lato destro dell’ampia gonna che mi diede l’idea di un giglio rovesciato.
Rimasi incantata dallo splendore di quell’abito e alzai di scatto la mano per toccare il soffice tessuto.
“Ma è meraviglioso!” esclamò Caroline al mio fianco portandosi entrambe le mani sopra la bocca per soffocare lo stupore.
“Ce n’erano di migliori nel catalogo, ma era l’ultimo rimasto” disse facendo oscillare il vestito tenendolo per l’appendiabito: così sembrava quasi che il vestito fosse mosso da una sorta di ballo immaginario e la luce del sole lo faceva brillare più che mai. “Devo provarmelo, mi aiutate?”.
Aiutammo Jenna ad indossare l’abito, ma si dimostrò essere un’impresa difficile visto che era adornato con una gran quantità di strati di veli, ma a operazione completata non ci rimase altro che tirare su la cerniera.
Alzai gli occhi per vedere Jenna riflessa nello specchio e mi aprì in un enorme sorriso.
“Perfetta!”
Jenna rise e cominciò a voltarsi per osservarsi meglio in ogni angolazione.
“E pensare che alla vostra età odiavo gli abiti da sposa!”
Scoppiammo a ridere, quando sentimmo bussare alla porta.
“Che fate tutte rinchiuse in una stanza?”
Jeremy entrò non curandosi di chiedere il permesso e fissò prima me e poi Caroline sedute sul letto per poi posare gli occhi su Jenna.
“Jenna mi sono perso qualcosa?” chiese squadrando la zia dalla testa ai piedi.
“Sta facendo le prove per quando Alaric glielo chiederà” scherzò la vampira con una punta di sarcasmo. Jenna la incenerì con lo sguardo e si affrettò a spiegare a Jeremy la faccenda della sfilata. Quando mio fratello uscì ancora con un sorriso tra le labbra, la stanza fu invasa dal silenzio rotto solo da un sospiro di Jenna. Teneva gli occhi bassi e lisciava le pieghe del vestito.
“Alaric non è ancora pronto per un passo del genere, non dopo che sua moglie è morta; a dirla tutta neanche io sarei pronta al matrimonio! Alaric e io ci vogliamo bene ma questo non implica che ci debba essere un lieto fine per noi”.
Mi morsi il labbro inferiore e una strana morsa avvolse il mio stomaco: le vite di troppe persone erano appese a un filo e una di queste era certamente quella di Alaric: come avrebbe reagito Jenna se gli fosse capitato qualcosa? Chi eravamo noi per distruggere l’amore di due persone? Spinta da questi pensieri la abbracciai e a me si unì anche Caroline.
Aiutammo Jenna a togliersi quell’abito ingombrante e a riporlo nella scatola. La lasciai insieme a Caroline che la aiutava a scegliere le scarpe adatte per la sfilata che si sarebbe tenuta l’indomani a casa Lockwood.
Scesi in giardino per mettere a posto le sdraio e recuperare il cellulare. Illuminai il display pur sapendo che avrei trovato solo l’immagine si sfondo. Con mia grande meraviglia trovai invece il simbolo di una chiamata senza risposta. Pensai subito che fosse stato Damon visto che avrei dovuto essere alla pensione almeno un’ora prima. Aprì la cartella e il mio cuore perse un battito.
Stefan aveva chiamato alle 10:40 di quel giorno.
Tentai di respirare, ma le mie mani erano già pronte a schiacciare i tasti e comporre il suo numero.
Portai il telefono vicino all’orecchio e aspettai, pizzicandomi il labbro con le dita. Mi rispose la segreteria telefonica e il terrore mi pervase.
Stavo per ricomporre nuovamente il numero, ma l’idea che Damon potesse sapere qualcosa mi bloccò. Rientrai in casa e dopo aver preso le chiavi della macchina mi avviai alla pensione Salvatore.
Appena chiusi lo sportello della macchina, Colin mi salutò allegramente. Che ci faceva sul tetto?
“Elena sei in ritardo!” mi rimproverò quasi lasciandosi cadere e atterrando sui talloni con il minimo sforzo.
“Devo parlare con Damon” dichiarai portandomi i capelli dietro le orecchie e allungando la mano per aprire la maniglia, ma la dovetti ritrarre subito perché già qualcun altro l’aveva aperta dall’interno.
“Ciao Elena” mi salutò Alaric aggrottando la fronte nel vedermi palesemente preoccupata. Dimenticai per un istante la faccenda di Stefan per chiedergli il perché fosse alla pensione.
“Stavo andando da Jenna quando mi ha telefonato e mi ha detto che non dovevo venire per nessun motivo, mi ha minacciato di bruciare la mia collezione di libri di storia antica!” mi spiegò ridendo a quell’ultimo pensiero.
Capii il perché e non potendo dire niente mi limitai solo a sorridere con uno sguardo apparentemente innocente.
“Va bene, ma tanto riuscirò a scoprire che cosa state tramando” e dicendo questo uscì lasciandomi l’ingresso libero.
Presi un bel respiro e mi fiondai in salotto dove purtroppo non c’era nessuna traccia di Damon. Salii le scale sicura che fosse in camera sua ma non c’era neanche lì. Mi sporsi dalle scale.
“Colin sai dov’è Damon?” chiesi a gran voce sperando che il mezzo vampiro potesse sentirmi o almeno che io potessi sentire lui.
Rimasi in ascolto con i capelli che scivolavano lungo il mio viso per penzolarmi davanti agli occhi. Sbuffai ma non appena mi ritrassi mi scontrai con qualcosa di duro e forte: il torace di Damon.
“Richiedevi la mia presenza forse?” mi chiese sovrastandomi per poi darmi un bacio sulla guancia. Sbattei violentemente le palpebre di fronte quel gesto seppur consueto che mi fece dimenticare tutta la preoccupazione.
Dalla festa in piscina il nostro rapporto si era consolidato come non mai. Chissà come, ma il nostro rapporto mi ricordava un po’ quello che avevamo Matt ed io quando stavamo insieme: potevamo benissimo andare al Grill, girovagare per Mystic Falls, scherzare, litigare su quale sia il gusto di gelato migliore o per chi deve stare davanti al ventilatore. Erano piccoli ma vitali momenti che chissà come riuscivo ad avere solo con Damon.
C’era solo un insignificante dettaglio di cui solo io ne ero a conoscenza: mi aveva baciato.
Nonostante fossi nel dormiveglia ero più che certa che lui mi avesse baciato, ma questo mio dubbio non fu mai sciolto visto che il giorno dopo Damon si era comportato come se nulla fosse successo.
Un leggero rossore comparì sul mio volto a quel pensiero perciò scossi la testa e mi concentrai sul pensiero che mi aveva spinto lì.
“Damon, mi ha telefonato Stefan! Non avevo il cellulare quando mi ha chiamata, ho trovato l’avviso. Ho cercato di richiamarlo, ma ha il telefono spento” dissi tutto d’un fiato aggrappandomi alla polo blu dell’ex vampiro. Damon alzò gli occhi al cielo e lasciò le labbra semiaperte aggrottando le sopracciglia.
“Una giusta mai, vero Stefan?” borbottò e si staccò da me.
“Ha chiamato pure me, proprio cinque minuti fa” disse scendendo le scale e avviandosi verso il salone. Lo seguii a ruota.
“E che ha detto?” chiesi con la speranza che avesse parlato almeno con il fratello.
Si bloccò e chiuse la mano a pugno lasciando fuori solo il pollice e il mignolo quasi a configurare un telefono immaginario. Lo portò all’orecchio.
“Segreteria di Stefan - Bambi - Salvatore. Attualmente non posso rispondere –sono impegnato dissanguare un coniglio- richiamate più tardi o lasciate un messaggio dopo il bip.”
Mi portai una mano in fronte e alzai gli occhi al soffitto.
Di tutta risposta Damon rise e aggiunse che anche lui aveva provato a chiamarlo ma non aveva risposto. Mi sedetti sulla poltrona affondando le mani tra i capelli.
“Ci sono alci in Alaska?” proruppe Damon voltandosi ancora con le braccia strette al petto.
“Cosa ne posso sapere se ci sono alci?” sbraitai non trovando utilità a quella domanda.
“Beh gli animali parlano, le voci corrono…e chi ti dice che le alci non si siano coalizzate per ucciderlo? Dopotutto io lo avevo avvertito!” Sbottò in un’altra risata che lo fece piegare in due.
“Non trovo niente di divertente!” lo fulminai con lo sguardo e lui soffocò a fatica l’ilarità.
“Vedrai domani ritelefonerà, sai com’è Stefan”.
Sospirai: in fondo poteva anche non essere successo niente e quella telefonata era stata fatta solo per avvisarci che presto sarebbe tornato.
All’improvviso mi ricordai cosa ci sarebbe stato l’indomani.
“Oh no, il matrimonio!” mi lamentai e Damon tornò a fissarmi con aria sbigottita.
“Mi querida, non ti ho ancora fatto la proposta, non ti sembra presto per parlare di matrimonio?” scherzò e gli tirai un cuscino che egli prese al volo.
“E allora chi si sposa?” continuò a chiedermi.
Sbuffai ma gli regalai ugualmente un sorriso. Gli spiegai la storia della sfilata e che non avrei potuto tenere tutto il giorno il cellulare in mano, quello sarebbe stato il giorno di Jenna e non potevo in alcun modo rovinarglielo.
“Nessun problema, vengo anch’io” disse Damon scrollando le spalle come se quella fosse la soluzione più ovvia in assoluto.
Veniamo anche noi” lo corresse Colin che era spuntato da una delle finestre della pensione. Mi inumidì le labbra ragionando se quella fosse o meno una buona idea. Alla fine li diedi libera scelta.
Squillò il cellulare che avevo posato sul tavolinetto vicino alla bottiglia di whisky che Damon si stava versando in un bicchiere. Il suono mi provocò un certo tremore al cuore e mi alzai di scatto sperando di afferrarlo in tempo, ma con mio stupore Damon lo prese prima di me.
“Damon dammi il cellulare!” lo supplicai tentando di sporgermi oltre la sua spalla. “Buongiorno signorino Gilbert, che lieto sentirti” proruppe Damon sghignazzando e bloccandomi un polso per non farmi avere il cellulare. Appena capì che colui che era all’altro capo del telefono era Jeremy provai un certo sollievo visto che non era Stefan e quindi non sapeva che ero con Damon e contemporaneamente l’ansia aumentava per il semplice fatto che Stefan non si era ancora fatto sentire.
Lo spintonai e lui salì le scale continuando a parlare con mio fratello.
“Elena? Per adesso è molto occupata ad acchiappare mosche, mi dispiace”
“Damon Salvatore!” urlai quando mi chiuse la porta della sua camera in faccia.
Sbuffai incrociando le braccia al petto. Si aprì la porta e Damon mi passò il telefono senza fare storie.
Persi un battito quando l’idea di qualcosa di brutto mi trapassò la testa.
“Pronto Jeremy”
“Elena, smettila di giocare e raggiungici al pronto soccorso”
“Pronto soccorso? E’ successo qualcosa?”
“Jenna è caduta, niente di grave ma ha la caviglia gonfia e per un paio di giorni deve stare a riposo”
“oh-” impallidì e dovetti cercare sostegno nel braccio di Damon.
“Va bene, vengo subito” dissi con voce strozzata e chiusi la chiamata.
“Scusa” mormorò Damon mettendosi le mani in tasca e abbassando il viso.
Mi morsi un labbro e lo abbracciai.
In quella stretta c’era tutto il conforto di cui avevo bisogno, lui era la mia roccia a cui mi sarei potuta aggrappare ogni volta che stavo scivolando, lui era una parte di me che difficilmente sarei riuscita a tirare fuori.
Ci dondolammo per un po’ davanti alla sua stanza finché non mi staccai da lui.
“Se vuoi puoi accompagnarmi” sussurrai con gli occhi un po’ lucidi. Mi guardò esitante. “Jenna sarà contentissima di vedermi” disse con il suo solito tono e scoppiai a ridere. Non potevamo permetterci di essere tristi in quegli ultimi giorni prima dello scadere della tregua.
Il conto alla rovescia era già iniziato e purtroppo ben presto ci saremmo ritrovati a compiere delle scelte che avrebbero cambiato il corso della nostra vita.
Damon intrecciò le sue dita calde alle mie e potei sentire tutta la sua umanità espandersi dai pori della pelle.
Probabilmente quel tepore che sentivo era la quiete prima della vera tempesta.

Carissimi, eccomi ritornata e nonostante un mese di ritardo come promesso vi posto il nuovo capitolo!Dove eravamo arrivati? Damon bacia finalmente Elena dopo che lei è uscita dall'ospedale a causa dell'aggressione del vampiro. Qualcuno mi ha detto che visto che mancavo un mese e i mezzi vampiri avevano concesso ai nostri eroi un mese molto probabilmente avrei iniziato direttamente con la battaglia, ma perchè non tormentarvi ancora con le loro piccole vicende quotidiane u.u Questa volta gli abitanti di Mystic Falls sono impegnati in una sfilata di abiti da sposa ma come farà la povera zia Jenna con la caviglia gonfia? Purtroppo il tanto atteso bacio Delena è stato una sorta di fake visto che Elena si ricorda tutto ma non ha il coraggio di parlarne chiaramente a Damon e l'ex vampiro crede che lei dormisse perciò non si pone neanche il problema. Però il loro rapporto è ulteriormente migliorato e Damon sembra ormai essersi abituato alla sua vita da umano. Ma ecco che emerge il problema Stefan!Era da tanto che non dava segni di vita, cosa vorrà adesso con queste telefonate-fantasma? Questa parte della storia come vedete dal cambiamento di cover durerà pochissimo giusto il tempo di risolvere la questione Stefan. Per chi volesse sapere di più riguardo il vampiro-amico-degli-animali può leggere I LOOK LIKE BATMAN OR WHAT? dove si spiega il retroscena del suo viaggio. Per chi invece amasse Caroline e vorrebbe leggere qualcosa di originale su di lei consiglio Unspoken Crime. Grazie mille per aver letto e per tutti coloro che hanno recensito!Spero di aggiornare presto, un bacio.
Sil

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Capitolo 21
*** 19 - WET BRIDE, LUCKY BRIDE ***


19 – WET BRIDE, LUCKY BRIDE

 

Caro diario,
In questo ultimo periodo sono successe delle cose di cui non ne sono abbastanza fiera. Il mondo ha cominciato a girare al contrario da quando Damon è diventato umano. Dentro di me ho tanti di quei pensieri, ma la penna non ne vuole sapere di scrivere e l’inchiostro di macchiare le pagine bianche, perché in fondo è così che mi sento.
Prima l’unica cosa di cui ero certa era di amare Stefan, con tutta me stessa.
Ora non ne sono più così sicura.
C’è una parte di me che continua ad amarlo e che lo amerà per sempre, ma l’altra… sembra essere morta, inesistente, priva di qualsiasi soffio vitale.
E’ la parte di me che è crollata quando Damon ha rischiato di morire, che è stata annientata ogniqualvolta il respiro di Damon si faceva un po’ troppo vicino, che è stata salvata quando Damon mi ha abbracciata: quella parte di me
è Damon.
Io
sono Damon. E proprio il Damon che è stato una volta vampiro, che ha maltrattato Caroline, che ha ucciso Jeremy, che ha odiato Stefan, che ha amato Katherine, mi ha baciato.
E io ne ero felice.
Se la vita ti riserva due o tre svolte sbagliate è perché hai bisogno di percorrere una strada sbagliata per giungere a destinazione. Se la mia strada sbagliata è Damon,fin dove mi porterà?

 

Qualcuno bussò alla porta e feci cadere distrattamente la penna sopra il diario posto in bilico sul mio ginocchio. La maniglia si abbassò e dalla fessura fecero capolino i capelli perfettamente in ordine di mio fratello. Sospirai lievemente e chiusi il diario non potendo più continuare a scrivervi.
“Ti stiamo aspettando di sotto, devo solo prendere il vestito” spiegò Jeremy allettato quanto me all’idea di andare alla sfilata, torturandosi il cravattino e cercando di sbottonarsi un po’ la camicia per lasciare passare un po’ di quell’aria che quel giorno sembrava essere stata soppiantata dall’afa.
Prese il vestito intrappolato in un fodero color blu notte, che avevo accuratamente poggiato la sera prima sopra la cassapanca, e si richiuse la porta alle spalle non prima di avermi regalato un fugace e forse alquanto divertito sorriso.
Con un altro sonoro sbuffo rivolsi la testa all’indietro e ricaddi sul morbido materasso osservando il lampadario che pendeva dal soffitto.
I medici del pronto soccorso ci avevano rassicurato informandoci che Jenna aveva avuto solo una leggera slogatura, ma che in vista dell’occasione non poteva parteciparvi e doveva stare a riposo per almeno una settimana con tanto di piede fasciato e borse del ghiaccio per evitare gonfiori.
Ricordo ancora quando, arrivata in ospedale insieme a Damon, incontrai gli occhi lucidi di Jenna che sul viso portava fiera un’aria leggermente imbronciata. Non era preoccupata per ciò che si era fatta né si lamentava per il dolore al piede, ma le sue pene si focalizzavano tutte nella ricerca di una sua sostituta.
All’inizio per rassicurarla avevo proposto Caroline la quale le avrebbe fatto senz’altro piacere parteciparvi, ma la piccola delucidazione di mia zia riguardo a chi poteva sostituire gli iscritti ovvero gli appartenenti alla stessa famiglia mi provocò un leggero sudore freddo per tutta la schiena.

Non sarebbe stato un bel vedere Jeremy vestito da sposa!
Mi vestii velocemente indossando i soliti pantaloncini e la canotta bianca, lasciando a mio malgrado i capelli sciolti.
Scesi le scale dove con mia sorpresa trovai Jenna vestita di tutto punto che mi circondò in un caldo abbraccio.
“Jenna, i dottori avevano detto che dovevi stare a riposo!” la ammonì fingendomi arrabbiata, ma il suo buon umore mi fece perdere qualsiasi voglia di rimproverarla.
Indossava un meraviglioso tubino grigio perla e i capelli cascavano in finissimi riccioli lungo la guancia destra. Indossava in un piede un sandalo basso con un accenno di tacco mentre nell’altro con tutto il suo candore faceva bella mostra la fasciatura che aveva voluto decorare con degli strass.
“Al diavolo i dottori, sarai stupenda in quel vestito e io non mi perderò neanche un istante!” cinguettò allegramente e venne affiancata dalla figura imponente di Alaric.
Sorrisi e invitai gli altri ad uscire così da arrivare in tempo per la sfilata. Presi la borsa e controllai il cellulare con una vana speranza di poter trovare una chiamata persa di Stefan.
Chiusi la porta con un tonfo sordo e mi avviai verso la macchina.
Non c’era alcuna chiamata di Stefan, in compenso trovai un messaggio di Damon.

 

Il viaggio in macchina fu rinvigorente visto che la frescura dell’aria condizionata mi rilassava e ammorbidiva ogni centimetro della mia pelle. Ma non appena arrivati alla villa, sarà stato il caldo infernale o la moltitudine di persone con abiti firmati che tappezzava l’intero atrio del giardino, le ginocchia cominciarono a tremare.
Trovai Tyler all’ingresso che parlava con Matt ed entrambi mi salutarono con un accenno del capo e poco più avanti Bonnie volteggiò fino a me nel suo abito color ambra. Solo allora mi sentii più tranquilla. Abbracciai la mia cara amica che non vedevo da un’intera settimana e dopo aver chiacchierato si offrì di accompagnarmi fino alle stanze riservate per le modelle visto che una rampa di scale impediva la mia adorata zia di seguirmi.
“Damon mi ha informato che avete ricevuto notizie di Stefan” mi sussurrò mentre arricciava una ciocca dei miei capelli imprigionandola in un fermaglio a forma di fiore.
La mia immagine riflessa nello specchio corrucciò appena la fronte imperlata di sudore.
“Damon è già qui?” chiesi scostando di poco il capo, ma le mani di Bonnie mi riportarono con lo sguardo fisso davanti allo specchio.
“Sta ferma! Si è arrivato pochi minuti prima che arrivassi tu, mi ha detto che stamattina ha trovato un’altra chiamata persa, ma risponde sempre la segreteria”
Concentrai la mia attenzione sulle mani poste in grembo e cominciai a torturarmi il labbro inferiore estraniandomi da tutto il resto. Avevamo poco tempo e troppe cose da risolvere, troppi conti in sospeso da dover sistemare e per di più ciò che si stava venendo a creare tra me e Damon continuava a martellarmi in testa, facendomi perdere ogni lucidità mentale.
Quando mi decisi ad alzare lo sguardo sulla mia immagine riflessa provai un senso di ripugnanza misto a terrore. Per la prima volta notai quanto fossimo somiglianti Katherine ed io e non era solo per qualche ricciolo che fasciava la mia fronte: entrambe sapevamo cosa volevamo e tuttavia non eravamo disposte a prenderlo del tutto.
“Va tutto bene?” mi chiese preoccupata la mia amica.
Incrociai il suo sguardo e inscenai un sorriso tentando di rassicurare più me che lei del mio cambiamento d’umore.

 

Fu facile entrare nel vestito e nonostante fosse ingombrante con tripli strati di veli la zip si chiuse perfettamente all’altezza della decima vertebra.
Il corsetto mi impediva di respirare correttamente e il vestito seppur magnifico perdeva ogni sorta di bellezza al pensiero che forse non sarei vissuta al lungo per indossarlo nuovamente.
Sentii del chiacchiericcio fuori la porta della stanza in cui mi stavo preparando e una ragazza con uno strano accento mi informò che tra un po’ avremmo iniziato.
Presi un lembo del candido vestito nella mano destra e mi avviai insieme alle altre ragazze nel posto prestabilito.
Osservai le altre modelle e tra esse potei distinguere Savannah Moore, diplomatasi con il massimo dei voti, nel suo abito bianco con tanti pizzi e merletti e Jessica Price una ragazza che faceva parte come me delle cheerleader, che lisciava i guanti ricamati.
Aspettavamo tutte nella veranda posta nel retro della villa a pochi metri della piscina. Dalle fitte canne di bambù, intrecciate così da creare una sorta di sipario tra noi e il pubblico, notai la lunga passerella delimitata da piccole ghirlande di rose bianche sopra la quale avremmo dovuto sfilare. Focalizzai lo sguardo sul pubblico e cercai di distinguere qualcuno dei miei amici nella speranza di ricevere buone notizie prima dell’evento.
Carol Lockwood insieme ad un’anziana signora salì sulla passerella ed ebbi l’impeto di fuggire.
Fortunatamente non lo feci e la sfilata iniziò.


Le ragazze passavano sopra la passerella con grazia e disinvoltura mentre io mi torturavo le mani tenendo lo sguardo fisso sulla porta d’entrata che comunicava con il giardino.
“Sembri agitata” si avvicinò a me la minuta figura di Savannah: aveva dei lunghi capelli corvini raccolti in uno chignon da cui traboccavano due boccoli che profumavano di lavanda.
“Vedrai il peggio è passato, devi solo concentrarti e provare a non cadere” decretò ammiccando con i suoi splendidi occhi color cioccolato in contrasto con il candore della pelle.
Sorrisi e le lasciai credere che fossi davvero preoccupata per la sfilata. Sembrava essere uscita da uno di quei romanzi ottocenteschi, come Orgoglio e Pregiudizio, così semplice nel suo vestito di lino ricamato di buone maniere e di fiori di campo.
Sobbalzai appena sentii il mio nome amplificato dal microfono impugnato dalla mano del sindaco e con mio enorme sforzo posi i piedi uno avanti all’altro mentre la ragazza che rientrava mi mise tra le mani il mazzolino di fiori ormai avvizzito e sciupato dai lati.
Il sole caldo di mezzogiorno mi abbagliò e per un attimo mi bloccai prima di continuare il mio tragitto lungo quell’asse. Le perline sparse per tutto il corsetto e gli strass che scendevano come finissime gocce sul lato destro del vestito si illuminarono e così i fermagli tra i capelli.
Le persone erano stipate su ambo i lati della passerella e osservavano compiaciuti i vestiti e le ragazze che le indossavano, applaudendo. Piegai le labbra in un sorriso di scena mentre cercavo di scorgere qualche chioma bionda o degli ispidi capelli rossicci.
Strinsi di più il mazzolino nelle mani e giunsi alla fine della passerella sotto gli sguardi degli abitanti di Mystic Falls.
Feci una giravolta facendo oscillare i capelli e trovando un po’ di sollievo per il forte caldo.
E poi li vidi, i due occhi azzurri che avevo cercato per tutto il giorno.
Damon non era seduto come le altre persone, stava ritto con le mani in tasca, impeccabile nel suo smoking con la camicia bianca lievemente sbottonata, poco più indietro dell’ultima fila di persone.
Accennò appena un sorriso di sbieco e sentii il corsetto essere diventato troppo stretto per il mio cuore pulsante.
Le mie sciocche paure vennero spazzate via come una folata di vento e tentai di assaporare il più possibile l’odore dei fiori e la genuinità di quel sorriso.
Era bello dimenticarsi di me stessa anche solo per un secondo, era bello incastrarmi tra i suoi occhi e riscoprire il piacere di sentire il sangue affluire alle guance, era bello sapere che lui era lì per me ed io ero lì per lui.
Mi voltai interrompendo l’intreccio di sguardi e mi avviai nuovamente verso la veranda ponendo il mazzolino nelle mani di un’altra ragazza.
Savannah aveva ragione, il peggio era passato.

 

Conclusasi la sfilata e fatti i dovuti ringraziamenti, la passerella divenne un comodo ripiano per il rinfresco che si sarebbe tenuto presto. Le modelle avrebbero dovuto tenere i vestiti fino alla fine dell’evento perciò non potei cambiarmi.
Trovai Jeremy e Bonnie che discutevano non lontani dalla piscina, così mi avvicinai ai due per sapere se c’erano stati aggiornamenti.
“Purtroppo ne sappiamo tanto quanto te” sbuffò mio fratello rigirandosi tra le mani il cravattino che finalmente aveva tolto.
L’espressione di Bonnie sembrava voler dire di non preoccuparmi troppo così seguii il suo consiglio implicito.
Sapevo che se avessi voluto delle risposte le avrei trovate direttamente dalla fonte e cioè Damon. Il grosso stava nel trovare anche la fonte!
Un lampo di genio mi convinse che l’unico posto in cui sarei stata sicura di incontrarlo era il bancone del rinfresco.
Così alzai il vestito già macchiato leggermente di verde per via del prato e mi diressi a grandi falcate verso la mia meta.
“Chissà se è vero il detto sposa bagnata sposa fortunata?” una voce alle mie spalle mi fece voltare di scatto.
Se c’era una cosa in cui ero diventata estremamente brava era nel trovare Damon, dovunque fosse e qualunque cosa stesse facendo.
“Non lo so e non ci tengo a verificarlo” ribadii schietta mentre riempiva due bicchieri di uno strano liquido rosato.
Mi porse uno dei due bicchieri e io accettai senza fare storie.
“Ha telefonato?” chiesi ma la voce mi tremò appena a causa un po’ per mia agitazione un po’ per l’alcol che bruciava lungo tutto l’esofago.
Damon abbassò lo sguardo come a contare i sassolini presenti sotto le sue scarpe e poi incrociò nuovamente il mio sguardo.
“Sono dell’idea che il tuo ragazzo ci stia facendo uno scherzo” decretò e non potei notare la sottile amarezza con cui pronunciò quelle parole.
Schioccai vivacemente la lingua incredula a ciò che insinuava.
“Ti ricordo che Stefan mi ha lasciato qui da sola, e per di più con te, per circa due mesi con il solo intento di trovare delle informazioni e una cura per te quando invece poteva starsene benissimo a Mystic Falls e lasciare che tu te la sbrigassi da solo come meriteresti!”
Gli ridiedi il bicchiere e per poco il liquido al suo interno non imbrattò la giacca nera.
Sentivo la rabbia pervadere ogni centimetro cubo del mio essere eppure la sua vicinanza e il suo buon odore mi faceva comunque un certo effetto.
Cercò di trattenermi per un braccio, ma lo strattonai.
“Se fosse successo il contrario tu non avresti fatto tutto questo per lui” mi liberai completamente dalla sua stretta e dopo un’ultima stilettata mi voltai decisa ad allontanarmi da lui.
La voce di Carol Lockwood al mio fianco tuttavia bloccò i miei piani.
“Ringrazio l’intera città per aver contribuito a questa iniziativa che da tanti anni ci stava a cuore. Propongo un ballo prima di chiudere questa giornata”
Non ebbi il tempo di riformulare ciò che aveva detto che una leggera sinfonia si fece largo accompagnata al suono delle cicale proveniente dal vicino bosco.
“Elena tesoro, vedo che sei senza accompagnatore. Se vuoi vado a chiamare Tyler” il sindaco venne prontamente interrotto da Damon che mi tese il braccio dimentico del litigio precedente.
“Non si preoccupi Carol, mi offro io” disse e il suo sorriso sardonico suscitò in me più rabbia della precedente.
La donna vedendo che la situazione era risolta si allontanò ancheggiando nei suoi tacchi a spillo.
“Se fosse successo il contrario a quest’ora tu non saresti mia amica” disse mentre posava la sua mano attorno la mia vita. Il suo tono di voce pacato era in contrasto con l’irruenza dei movimenti, così veloci nonostante non fosse più un vampiro.
“Io ero già tua amica!” rimarcai l’aggettivo possessivo mentre senza accorgermi avevamo cominciato a volteggiare nel bel mezzo del giardino.
“Ma non fino al punto da chiedermi se la gonna blu si abbinasse agli orecchini!” ridacchiò e la sua risata mi contagiò.
“Bonnie e Caroline non erano rintracciabili e tu stavi comodamente seduto nella mia stanza. A chi altro potevo chiedere!” spiegai con un lieve senso di imbarazzo.
“Dopotutto sono il fratello del tuo ragazzo, sono uno di famiglia!” scherzò ammaliandomi con i suoi fari azzurri.
“Il fratello che mi ha baciata” sussurrai e il cuore mi si serrò in gola.
Boccheggiò per qualche secondo prima di guardarmi con aria divertita.
“Sbaglio o stavi dormendo?” sussurrò a sua volta e mi compresse maggiormente al suo torace marmoreo. Ormai ci limitavamo a dondolare ancora abbracciati mentre le altre coppie continuavano a ballare sotto il sole rossastro del tramonto.
“Questo non ti dava alcun diritto di baciarmi, non ero in pieno delle mie facoltà mentali”
Per la prima volta sentii i nostri due cuori uniti battere all’unisono ed ebbi come l’impressione che io stessa avessi due cuori ed entrambi pulsavano frenetici.
Si chinò lentamente fino a solleticare la mia fronte con i suoi capelli neri e in un attimo la sfilata, l’orchestra, la musica, il ballo svanirono come un sogno evanescente.
Il contatto con le labbra morbide di Damon mi procurò un brivido gelido che pervase il mio essere e mi rinvigorì come una ventata d’aria fresca.
Nonostante la mia mente in quel momento fosse persa e chiusa chissà dove, riuscii a capire la verità a cui purtroppo non volevo credere. Non era Damon colui che mi stava baciando ma il contrario, ero io che baciavo Damon, con tutta me stessa.
Mi scostai spaventata e il suo sguardo imperturbabile mi ferì gravemente tanto da farmi sentire colpevole per quel mio gesto così avventato.
“Adesso che eri al pieno delle tue facoltà mentali, dimmi: perché non ti sei scostata?”
Raggelai fin dentro le ossa.

 

Quando la festa fu finita ritornammo tutti a casa e per mia fortuna riuscii a togliermi il vestito prima di entrare in macchina.
Appena arrivata, l’acqua fresca della doccia riuscii ad ammorbidire i miei nervi andati a pezzi e mi concessi anche di cenare prima di impugnare il cellulare.
Il display si illuminò, ma non vi era alcuna traccia di qualche chiamata.
In un moto d’ira scaraventai il cellulare sul tappeto e affondai la testa nel cuscino per placare la mia irritazione e attendendo che la stanchezza sopraggiungesse.
Il suono di una chiamata in arrivo rimbombò per tutte le pareti così da risvegliare anche i miei pensieri.
Scostai i capelli che mi ricadevano davanti agli occhi e con il cuore in gola mi sporsi dal letto per vedere il cellulare che vibrava e che si illuminava sul tappeto.
Al nome del chiamante persi un battito.

Stefan.
Con mano tremante lo afferrai e dopo aver schiacciato il pulsante verde lo portai all’orecchio decisa ad avere notizie del mio ragazzo.
“Stefan?” la mia voce uscì flebile mentre cercavo di calmare ogni mio singolo membro dal tremore.
Un silenzio prolungato mi indusse a provare più paura di quanto pensassi.
Poi una voce con uno strano accento, forse inglese, rispose all’altro capo del telefono.
All’alba del giorno la Triade morrà
“Chi è lei?” chiesi scandendo le parole ma l’aria rimaneva bloccata all’altezza della trachea.
Sul far della notte cenere diventerà
Sentii un grugnito provenire dal luogo in cui era il mio interlocutore misto a schiamazzi e rumori di piatti.
“Dov’è Stefan?” tentai di richiedere, ma mi pungevano gli angoli degli occhi.
“Abbiamo il tuo amico e non ci spaventeremo di torturarlo”
Un proiettile in pieno petto avrebbe fatto meno male.
In mezzo a tutto quel frastuono ebbi come l’impressione che qualcuno pronunciasse il mio nome.
“Elena”
Dopo, il suono ripetitivo della chiusura della chiamata riempii il silenzio della mia camera e dei miei pensieri.

 

***

Ebbene eccomi ritornata con il capitolo della sfilata (che tutti attendavate?) Ci tengo a dirvi che io non me ne intendo molto di matrimoni e il solo descrivere abiti da sposa, bouquet e tutto il resto mi ha fatto venire i brividi. Ma dovevo pur farlo e spero che ne sia uscito qualcosa di carino! Ad ogni modo per chi volesse vedere il vestito di Elena è questo qui http://www.abitidasposaitalia.it/abiti-da-sposa/divina-sposa/divina-sposa.html (il settimo partendo da sinistra) Ma facendo il punto della situazione: Elena si trova sempre più attratta da Damon ma sembra essere lui a non voler stare al suo gioco, sarà forse perché pensa che Elena stia facendo così perché non c’è Stefan? Finalmente siamo riusciti a sentire il misterioso anonimo che si spaccia per Stefan, e devo dirvi che il minore dei Salvatore si trova in apparente pericolo, ma la filastrocca pronunciata dall’uomo misterioso non fa presagire niente di buono. Vi anticipo che nel prossimo capitolo ritornerà il piccolo Colin e che sarà l’ultimo di questa terza parte della fic!
Ringrazio immensamente coloro che seguono questa storia e chi lascia ogni volta commenti stupendi!
Baci
Sil

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Capitolo 22
*** 20-GOOD MORNING, ELENA! ***


20 – GOOD MORNING ELENA!

 

“Alza il culo da quel letto e esci da questa stanza!”
Roteai gli occhi, stizzita dal tono di voce che aveva assunto Damon e schiacciai il cuscino bianco contro il viso ancora assonnato, artigliandolo con le unghie e provando a farlo aderire il più possibile al profilo del mio naso – chissà forse potevo pure soffocare!
“Non attacca con me ragazzina!” mi canzonò l’ex vampiro il quale con estrema naturalezza mi strappò il cuscino dalle mani facendomi corrugare la fronte per l’eccessiva luce che proveniva dalla finestra sprovvista di tende.
Grugnii e con un veloce movimento di bacino molleggiai sul morbido materasso dando definitivamente le spalle al ragazzo dagli occhi azzurri che in quel preciso istante inarcava un sopracciglio con un inconfondibile cipiglio.
“Mi chiami nel cuore della notte, entro dalla porta sul retro come un ladro, vengo preso a bastonate da Jenna, passi tutta la notte a piangere inzuppandomi la camicia e tu ora ti rifiuti di alzarti e di reagire?”
Sbuffai, stanca sia per la notte insonne sia per i rimproveri di Damon e mi rifugiai sotto il lenzuolo sperando che almeno quel sottile strato di stoffa mi potesse proteggere dalla realtà che mi circondava.
La situazione in sole ventiquattro ore era degenerata a tal punto da farmi credere che avevamo più nemici di quanto potessimo mai pensare.
Stefan si trovava in Alaska, prigioniero di questo nuovo gruppo di vampiri che per qualche strano motivo pensavano che era un esponente della Triade, e noi ci trovavamo ancora a Mystic Falls, incapaci di agire e di trovare la forza nel mettere a repentaglio le vite dei nostri amici più cari. O forse quella ero solo io.
Cercai di concentrarmi per individuare qualche possibile rumore esterno che verificasse la presenza di Damon ancora nella mia stanza, ma riuscivo a sentire solo il suono del mio respiro che pian piano si faceva sempre più pesante a causa della mancanza di aria sotto le coperte.
Tirai un lembo del lenzuolo così da inspirare nuova aria, contenta di essermi liberata dell’unica seccatura che poteva guastare il mio sabato mattina – perché era sabato vero?
Schiusi gli occhi e ciò che mi ritrovai davanti furono due pezzi di oceano incastonati nel volto perfetto e sogghignate di Damon a soli due centimetri dal mio viso.
Il mio cuore prese il largo, pulsandomi in testa come un tamburo mentre le orecchie rischiavano di esplodermi per la forte pressione a cui erano costrette ad essere soggette.
Non che quella fosse la prima volta che me lo ritrovavo a pochi millimetri dalla mia bocca, ma ogni volta riusciva tassativamente a mandarmi in circolo l’adrenalina facendo esplodere il mio piccolo martellante cuore.
Avevo trascorso l’intera notte a contatto con il suo torace marmoreo a pochi centimetri da quello che da pochi mesi era ritornato ad essere il suo cuore, vivo e pulsante; mi aveva accarezzato dolcemente i capelli scostandomi quelle ciocche che intralciavano il percorso di ogni lacrima che continuavano ad addensarsi senza fine e mi aveva parlato e rimproverato allo stesso tempo finché stremata mi ero lasciata cullare dal suono della sua voce sperando che Stefan tornasse presto a confortarmi così come faceva Damon in quel momento.
Di quella sera ricordo un forte odore di Scotch misto a qualche altra fragranza che mi stordì a tal punto da perdere i sensi.
Eppure quel senso di vertigine non mi avrebbe abbandonato così facilmente, non con Damon sempre accanto.
“Ti sei decisa finalmente!” sogghignò Damon appoggiando distrattamente un braccio sul comodino e giocherellando con le lancette della sveglia.
Mi arresi e guardai distrattamente il lampadario attaccato al soffitto, aspettando che le parole di Damon mi giungessero come coltellate in pieno petto.
Socchiusi gli occhi che bruciavano per via del pianto prolungato e col dorso della mano mi ripulii le guance dai residui di lacrime.
Sorpresa dalla pausa prolungata dell’ex vampiro mi concessi di voltarmi nella sua direzione. Il sorriso divertito era sparito e al suo posto un’espressione infinitamente seria si stava facendo largo attraverso i suoi occhi.
“So che Stefan non c’è e ti prometto che gli andremo a salvare il culo – dopotutto glielo devo – ma se lui fosse qui ti direbbe di svegliarti e di cercare di reagire alla svelta”
Sputò quelle parole con una crudeltà da farmi gelare il sangue nelle vene e gli occhi cominciarono a pungere violentemente.
Aprii bocca ma non mi diede neanche il tempo di parlare.
“Per tua informazione non sono e non sarò mai come Stefan, ma odio ammetterlo sono d’accordo su questo punto…”
Si bloccò a metà frase mentre mi scrutava così a fondo che ebbi l’istinto di far leva sui gomiti così da sedermi sul materasso. Scostai il lenzuolo ma non ebbi il tempo di poggiare il piede nudo sul pavimento.
“…ma lo farò ugualmente a modo mio!”
Una strana luce accese gli occhi azzurri di Damon e mi ritrovai tra le sue braccia prima ancora di ricominciare a respirare. Con abile mossa mi aveva presa per le gambe e mi cingeva per le spalle così che avrei rischiato quasi di cadere se non mi fossi aggrappata al suo collo.
“Damon cosa diavolo vuoi fare? No! Mettimi giù all’istante!”
Mi ribaltò come se fossi un semplice manichino e mi lasciò in bilico nella sua spalla così da non riuscire a vedere la sua faccia sicuramente divertita mentre, irritata da questo suo comportamento, scalciavo tentando in tutti i modi di obbligarlo a mettermi giù.
Il suono della sua risata sommessa gorgogliò per tutta la sua schiena e mi sentii pervadere da scossoni mentre la stanza intorno a me cominciava a girare senza che fossi io la responsabile del mio movimento.
Gli assestai un pugno all’altezza della ventiquattresima vertebra ma non sembrò turbarlo più di tanto.
Con un piede aprì la porta del bagno e sentii l’acqua scrosciare violentemente dalla doccia. Non appena capii quali erano le sue intenzioni ormai era troppo tardi.
Mi sollevò all’altezza dei fianchi e mi scaraventò all’interno contro le mattonelle bagnate dall’acqua fredda.
In poco tempo l’acqua entrò viscida in ogni centimetro del mio pigiama, inzuppando la stoffa leggera e incollandomi i lunghi capelli alle tempie.
Inarcai la schiena sentendo le finissime gocce penetrarmi in testa e picchiettare sulla pelle.
Boccheggiai sconcertata da ciò che aveva appena fatto l’ex vampiro e gli scoccai una stilettata degna di un serial killer. Damon di rimando continuò a fissarmi con un aria grave senza dire niente e lasciando che l’unico rumore che pervadesse quella stanza fosse lo scrosciare dell’acqua.
Incrociai le braccia al petto e la canotta del pigiama si incollò ancora di più alla mia figura longilinea.
“Troverò Stefan da sola costi quel che costi” gli ringhiai contro schizzando qualche goccia che gli macchiò la camicia già inzuppata da una manica.
Il suo sguardo si fece più vicino e si appoggiò con la mano al vetro appannato del box doccia.
“Buon giorno Elena!” inclinò le labbra nel suo solito sorriso e mi alitò in faccia così da farmi passare ogni briciolo di quella rabbia che solo qualche minuto prima mi invadeva tutto il corpo.
Voltò il capo e a grandi falcate uscì dal mio bagno richiudendosi la porta alle spalle con un grande tonfo.
 

Dopo aver effettuato la mia doccia mattutina decisi di chiamare Bonnie, Caroline e Alaric per informarle della chiamata di Stefan e per raccomandarli di non seguirmi se fossi partita per cercarlo. Troppe vite erano appese ad un filo a causa di questa situazione e l’ultima cosa che volevo a questo mondo era avere il peso di uno di loro sulla coscienza.
Raggiunsi il portico e dando una leggera occhiata all’entrata notai le macchine di Caroline e Bonnie posteggiate lì vicino.
Entrai come era mio solito fare e un chioma rossiccia mi si presentò davanti facendomi sobbalzare il cuore in gola per l’estrema velocità con cui era apparsa.
“Sei arrivata giusto in tempo, la bionda e il signor Damon hanno appena cominciato a litigare” disse e mostrò tutti i meravigliosi denti mentre gli occhi grigi si accendevano di entusiasmo, proprio come un bambino a cui avevano appena regalato un pacchetto di squisite caramelle.
Sorrisi anche io e gli scompigliai leggermente i capelli prima che sgusciasse veloce nello studio ondeggiando nella sua polo blu elettrico.
La voce di Caroline sovrastava quella di Damon e da come urlava il litigio doveva essere iniziato da molto tempo.
“Vuoi fare di testa tua? Che cos’è, hai le scimmie urlatrici nel cervello forse? Non se ne parla nemmeno!”
“Per tua informazione Lecca-lecca non avevo chiesto il tuo permesso. E..”
Feci il mio ingresso e le tre persone all’interno della stanza si ammutolirono guardandosi spaesati e complici allo stesso tempo.
Bonnie era seduta comodamente sulla poltrona di fronte alla finestra e aspettava che il litigio tra i due finisse, mentre Damon stava ritto davanti al camino fronteggiando una Caroline con le guance in fiamme e le mani che artigliavano i fianchi.
Il silenzio venne spezzato dalla voce di Colin.
“Avete già smesso?” disse con una voce lamentosa per poi imbronciarsi e infilare la mani nelle apposite tasche dei jeans.
Spostai lo sguardo sconcertato dalla chioma rossiccia al mio fianco alla mia amica strega che mi osservava con aria stranamente preoccupata.
Sospirai intuendo che Damon mi aveva anticipato nella spiegazione e mi grattai la nuca non pronta a sostenere quelli sguardi di rimprovero che incombevano su di me.
“Elena trovo che sia giustissimo che tu vada da sola a salvare Stefan!”
Caroline aveva incrociato le braccia al petto come per reggersi quella graziosissima camicetta a mezza manica e le sue sottili sopracciglia inclinate erano visibili grazie al cerchietto che le portava le ciocche biondastre all’indietro.
Battei più volte le palpebre stupita da quell’incoraggiamento dettato dalla mia più cara amica, ma di tutta risposta la bionda sbuffò tentando di calcare maggiormente la sua opinione.
“Intendo dire che hai tutto il diritto di andare da sola al contrario di Damon il quale aveva avuto la brillante idea di lasciarti e partire lui!” la sua voce si alzò di un’ottava quando pronunciò il nome Damon il quale digrignò i denti scoccando una stilettata alla vampira.
“Dove preferisci che ti punti un paletto: in pieno petto o sulla schiena?” chiese inscenando un sorriso profondamente sadico.
“Damon volevi partire senza di me?” chiesi sentendo il sangue affluire velocemente al cervello per la forte rabbia.
Dopo quello che avevamo passato lui ed io, i momenti in cui avevamo giurato di non avere più segreti, di aiutarci perché eravamo entrambi nella stessa situazione, dopo che mi aveva baciato..non poteva comportarsi in questo modo, non glielo avrei permesso. Non era naturale, non era da Damon – o forse, si?
“Cosa pensavi di fare? Sei umano e…”
“Da quando hai poteri soprannaturali che ti rendono immortale?” mi interruppe Damon facendomi incastrare il respiro in bocca.
Respirai a fondo roteando gli occhi verso il soffitto.
Perdere le staffe in quel momento non sarebbe stato di certo un’ottima mossa!
“Cerchiamo di mantenere la calma” sbottò Bonnie che fino a quel momento era rimasta seduta in poltrona con le gambe accavallate.
Una sorta di energia elettromagnetica mi pervase, come un formicolio che mi intorpidì fino alle dita dei piedi.
Capì subito dagli sguardi degli altri presenti che non ero stata io l’unica a sentirlo.
“Streghetta sei più bella quando usi i tuoi poteri” esultò Colin entusiasta della quantità di potere sprigionata da Bonnie e del suo comportamento.
Interruppe il suo contatto visivo con la mia amica per poi puntare i suoi occhi grigi interrogativi ai miei.
“Ebbene credo di essermi perso qualche passaggio, da chi è stato rapito Stefan?” chiese appoggiandosi allo stipite e guardando prima me e poi Damon.
Presi un bel respiro e cercai di essere più precisa possibile riguardo le informazioni che stavo per rivelargli: forse lui sapeva qualcosa in più.
“Non lo so, non mi ha dato il tempo di scoprirlo, ma non erano quelli della Triade”
“Come ne puoi essere certa visto che non ti ha detto nulla?” mi chiese con un sorriso ironico alzando gli occhi al cielo.
Mi morsi il labbro e pensai che forse dopotutto aveva ragione, forse dietro tutto questo c’era veramente la Triade.
Colin ciondolò un po’ sui talloni per poi voltarsi pronto ad uscire dalla stanza.
“Continuava a ripetere una specie di filastrocca, sembrava essere in una cucina visto che sentivo rumore di piatti e bicchieri”
Il rosso si arrestò poco prima di varcare la soglia e mi rivolse uno sguardo a dir poco sconcertato.
“La filastrocca?” sussurrò quasi sovrappensiero inarcando leggermente le sopracciglia.
“Si, un qualcosa del tipo all’alba la Triade morirà.” Precisai e gli occhi del mezzo vampiro divennero vacui e distanti, facendomi guizzare una malsana paura in petto.
“Non sono gli alleati della Triade vero?” assottigliai gli occhi sicura che Colin avesse intuito qualcosa.
Il ragazzino si umettò le labbra e concentrò la propria attenzione sui ghirigori presenti nel tappeto al di sotto dei suoi piedi.
Alzò lo sguardo di ghiaccio da cui traspariva una leggera scintilla e le sue labbra si incresparono leggermente.
“No, non sono della Triade ma non sono sicuro chi siano. Ti dispiace se vengo con te?” chiese e io acconsentì senza batter ciglio: in fondo sarei stata al sicuro.
Sentì gli occhi di Damon che mi trapanavano la schiena.
“Ti porti quel soldo di cacio e lasci a casa me?” sputò con aria indignata il che feci finta di non averlo ascoltato.
Non potevo permettere che qualcun altro rischiasse la sua vita per me, né tantomeno se l’altro in questione fosse stato Damon. Eravamo entrambi vulnerabili, nel petto di entrambi batteva un cuore che poteva essere facilmente fermato: come avrei potuto continuare a vivere con solo metà del mio cuore? Stavolta li avrei salvati entrambi, glielo dovevo.
“Non posso mettere a repentaglio la vita di altre persone!Starò bene con Colin, non mi succederà niente” azzardai a dire ma la tempesta continuava ad imperversare nei suoi occhi azzurri.
“Va bene, va bene” si arrese distogliendo lo sguardo, ma non rilassando i muscoli della mascella ancora contratta.
Lo osservai mentre allungava il braccio e impugnava la bottiglia finemente decorata di Bourbon, ma con mia sorpresa non si versò il solito bicchiere ma semplicemente incollò le sue labbra alla bottiglia inghiottendo un lungo sorso di quel liquido ambrato.
E per un po’ Damon Salvatore non proferì alcuna parola.

 

Bonnie si congedò velocemente, dicendo che aveva alcune commissioni da fare, non prima che il sorriso radioso di Caroline ci annunciasse di voler organizzare una festa in piccolo solo per noi così da divertirci prima della mia partenza.
Non ebbi neanche il tempo di replicare che la bionda aveva inforcato gli occhiali da sole ed era schizzata via con la promessa di ritornare con tutto il necessario. Non ebbi altra scelta che di aspettarla nella veranda della pensione.
“Non mi sembra il caso” sbuffai mentre rovistavo tra le varie borse e i vari pacchetti per trovare cosa la vampira festaiola avesse comprato per questa rimpatriata prima della fine.
Le mani abili di Caroline sfilarono un nastrino e un vassoio fece capolino dall’intero involucro color giallo limone.
“Sono passata in pasticceria. Torta gelato. Metto in frigo e torno” disse entusiasta senza aver prestato minimamente attenzione alla mia lamentela.
Non chiusi neanche la bocca che ritornò a rovistare tra le buste di plastica.
“Mi spiegate perché vi affannate per questa festa, non sto mica partendo in guerra?” tentai di sdrammatizzare, ma mi tremò la voce e lasciai cadere involontariamente il pacchetto di salatini.
“Rilassati Elena, è un bel modo per partire. Perché non dovremmo farla?”
La voce vispa di Colin risuonò dalla busta più grande dalla quale continuava ad estrarre pacchetti di marshmellow, patatine e stuzzichini vari, e i suoi occhi grigi si posarono sui miei con un che di indagatore, come se pensasse che io avessi capito qualcosa, qualcosa di cui a quel tempo ancora non ne ero assolutamente a conoscenza.
Mi morsi un labbro e mi limitai ad aiutare i due miei amici tentando di non incrociare quegli stessi occhi grigi di poco prima.
Colin era diventato servizievole, aveva fatto già amicizia con alcuni abitanti di Mistyc Falls, usciva molto spesso a fare delle commissioni e veniva scambiato per un qualsiasi ragazzino della sua età, ma quegli occhi, freddi, opachi, tristi nascondevano qualcosa di più oscuro e maligno al suo interno. Stentavo a crederci, ma alcune volte mi ricordavano quelli di Michelle la prima volta che mi squadrarono: vitrei, distanti, affilati come rasoi che più che incutermi timore, ora che ci penso, sembravano aver paura, paura di me. E quegli occhi continuavano a farmi un certo effetto, come se mi implorassero qualcosa. Probabilmente era solo la mia impressione.
“Elena ricordi come continuava la filastrocca?”
La voce del mezzo vampiro mi ridestò dai miei pensieri e la vista delle labbra di lui leggermente unte del sale delle patatine mi intenerì un poco.
All’alba del giorno la Triade morrà, sul far della notte cenere diventerà” decretai increspando leggermente la fronte per ricordarne le parole esatte.
Colin smise di dondolare i piedi e pose il pollice e la mano destra chiusa a pugno sotto il mento sillabando le parole della filastrocca, serrando gli occhi e arricciando il naso cosparso di finissime lentiggini.
Sbuffò e borbottò qualcosa che non riuscii a comprendere. Poi mi guardò.
“Mio zio una volta mi ha detto che la Triade quando manda dei messaggi non dice una frase che non sia in codice. Prima di venire qui a Mistyc Falls ho studiato un po’ tra i vecchi appunti di mio padre, e riesco nettamente a distinguere alcuni dei principali codici. Questo non è affatto un codice quindi siamo più che sicuri che dietro a tutto questo non c’è la Triade.”
Concluse e io potei prendere un sospiro di sollievo: almeno un problema era escluso.
“Ma se non sono la Triade, chi sono e cosa vogliono da Stefan?” chiesi incrociando le braccia al petto e osservando il mezzo vampiro che stava perlustrando l’interno ormai vuoto del pacchetto di patatine.
“Se le mie supposizioni sono esatte, e se il tuo udito è efficace come dici, penso di sapere chi si nasconde dietro tutto questo ma in questo momento non puoi saperlo” spiegò tranquillamente appallottolando la confezione e pulendosi il muso con il dorso della mano.
“Perché non posso saperlo?” mi lamentai e per la prima volta ebbi l’istinto di schiaffeggiarlo.
“Non puoi” disse ordinandomelo con gli occhi le cui pupille si dilatarono a dismisura facendomi perdere ogni coscienza di me stessa.
Fu come sprofondare velocemente nel sonno più leggero, sentirsi le gambe e le braccia intorpidirsi e la mente chiudersi ad ogni stimolo esterno. L’unica cosa su cui la mia mente riusciva a focalizzarsi era l’ordine perentorio di non chiedere, di non sapere nulla di un qualcosa che la mia mente stava già digerendo, non lasciando alcuna singola traccia. Mi sentii persa.
“Andiamo Elena, Caroline sta preparando il barbecue” tintinnò tutto contento mentre intrecciava la sua mano alla mia e mi trascinava saltellando per il corridoio per arrivare al giardino sul retro.
Non so come, mossi le gambe un passo alla volta.
Solo in seguitò intuì che Colin mi aveva decisamente soggiogata.

 

Ben presto il torpore si dissolse ma riuscii a pensare e ad agire secondo il mio volere solo a sera tardi, quando casa Salvatore era un misto di musica, profumi speziati e risate di ogni tipo.
“Elena mi stai ascoltando?”
Sbattei più volte le palpebre finché i miei occhi non si focalizzarono sull’immagine di Jenna seduta a pochi passi da me che mi scrutava preoccupata con i suoi occhi dorati.
Annuì e cercai di rimanere concentrata nonostante la mia testa avesse una ricezione di segnale pari a zero!
“Mi raccomando stai attenta mentre andate in campeggio, non sono sicure le foreste in questo periodo, con le notizie che si sentono al telegiornale” continuò a spiegare mentre si massaggiava il piede ancora gonfio ma adesso libero dall’ingombrante fasciatura che aveva deciso di togliere a dispetto di ciò che dicevano i medici.
“Ehi Elena, non sapevo fossi un tipo da campeggio” accennò Alaric posizionandosi al fianco di Jenna con un bicchiere in mano.
“Già neanche io” risposi alzando entrambe le sopracciglia, non riuscendo ancora a comprendere quale scusa i miei amici si fossero inventati per spiegare la mia assenza il giorno dopo. Ma a quanto pare Rick non ci credeva, non ci credeva per niente.
“Se volete vi posso accompagnare” sbottò trapanandomi con il suo sguardo e rivolgendosi anche ad una Bonnie indaffarata a portare la torta gelato in giardino.
Non ebbi il tempo di inventarmi l’ennesima bugia che Jenna diede un leggero colpa al braccio del mio insegnante di Storia.
“Non mi dire che non ci sei andato mai in campeggio? La parte migliore è sicuramente il viaggio, prima di arrivare a destinazione. Puoi stare in tenda anche in giardino se ti va, ma il viaggio è la parte migliore. Fidati: io l’ho provato”
Gli occhi di mia zia si illuminarono e si aprì in un sorriso radioso che stordì non poco Alaric che lasciò cadere subito l’argomento, un po’ in imbarazzo per le storie assurde che Jenna stava rispolverando riguardo la sua folle giovinezza.
Mi allontanai per raggiungere il giardino e mi scontrai con Bonnie la quale mi regalò un mezzo sorriso non del tutto convincente.
“Ehi, perché quella faccia?” le domandai mentre gettava alcuni piatti di plastica nella pattumiera.
Bonnie sospirò per poi guardarmi dritta negli occhi.
“Sono solo preoccupata per te. Questa cosa del salvataggio, tu e Colin soli…un po’ mi spaventa” disse tutto d’un fiato ma sembrava voler convincere più se stessa che me.
“Tranquilla Bonnie, non mi accadrà niente finché sono con Colin. Ritornerò presto e Stefan con me” la tranquillizzai e la circondai in uno stretto abbraccio, trovando la forza necessaria per il viaggio che tra poche ore avrei dovuto compiere.
“Quello che facciamo Elena è solo per il tuo bene, lo sai vero?” chiese Bonnie con voce sommessa.
Annuì confusa dal tono in cui lo aveva detto ma il suo sorriso, questa volta sincero, riuscì a tranquillizzarmi.
Mi sentii strattonare la mano destra e notai di sbieco una chioma bionda al mio fianco.
“Vieni in giardino, Elena. C’è la torta” squittì facendo oscillare i finissimi boccoli biondi e regalando uno sguardo allarmato alla strega la quale le rispose con altrettanta preoccupazione.
Aggiunsi un’altra ruga di frustrazione alla mia fronte e mi incamminai verso il giardino, affiancata dalle mie amiche.
Le molteplici lucette appese lungo tutto il porticato mi fecero strizzare gli occhi e un buon profumo di carne arrostita risvegliò il mio appetito.
Colin gustava tranquillamente la sua fetta di torta al limone che si stava sciogliendo un po’ ai lati, e la sua pelle incredibilmente chiara sembrava entrare in contrasto con il folto rossiccio dei suoi capelli.
Sembrava parlare animatamente con qualcuno dal modo in cui gesticolava con il cucchiaino in mano.
Mi sporsi dal bordo della veranda ed ebbi una visione completa delle persone in giardino: notai Jeremy seduto al fianco del mezzo vampiro e poco più lontano Damon con accanto un Alaric che gli riservava uno sguardo severo e contrariato che però sembrava non turbare di molto il ragazzo dagli occhi azzurri.
Rick spostò lo sguardo e non appena mi vide si allontanò verso il tavolo addobbato di bottiglie, bicchieri di carta e piatti di plastica unti e sporchi.
Damon sorrise di sbieco e mi incitò implicitamente a farmi avanti verso di lui, seduto comodamente sulla sedia in plastica, vestito di tutto punto e con una bottiglia in mano.
Roteai gli occhi al cielo e acconsentì all’invito.
“Non metterti a ballare sui tavoli, sei proprio esuberante stasera” constatò versandosi un po’ di whisky nel bicchiere di carta e mi guardò in tralice con il sorriso di poco prima ancora dipinto sulle labbra.
Le guance arrossate per i fumi dell’alcol, per il caldo e per le luci soffuse lo rendevano più giovane e più bello di quanto non fosse in realtà, e gli occhi azzurri leggermente lucidi gli conferivano un’aria strana e alquanto malinconica.
“Divertente davvero, ma devo risparmiare l’energia per domani” decretai mettendomi comodamente a sedere nella panca lì vicino e allungai il braccio in direzione della bottiglia, chissà forse bere mi avrebbe aiutato ad allentare la tensione.
Damon avvicinò di più la sedia alla mia postazione.
“Giusto: campeggio! La sai montare almeno una tenda?” chiese inclinando la testa e guardandomi con aria di sufficienza.
Inarcai un sopracciglio.
“Capitolo 1, paragrafo 2 del libro delle giovani marmotte” ribattei con aria di sfida facendo sbarrare gli occhi all’ex vampiro che mi era accanto.
Rimanemmo in silenzio, ognuno in balia dei propri pensieri e delle voci sommesse che si accumulavano nell’aria calda di Luglio.
Osservai la faccia spensierata di ogni singolo individuo di quella festa: da Bonnie che sorrideva allegramente ai discorsi di Jeremy vicino al barbecue, Caroline che fingeva di litigare con Colin per l’ultima fetta di dolce, a Jenna e Alaric che parlavano sommessamente in un angolo del giardino.
Le loro espressioni, i loro modi di fare, le loro parole accurate e misurate, tutto sembrava essere al posto giusto e al momento giusto, come una fotografia in cui tutto era stato immortalato così com’era.
Ma sentivo che quella non era una semplice festa, era una festa d’addio.
“Sembriamo tutti così felici” sussurrai e Damon si voltò verso di me.
“No Alaric ha la schiena ustionata e la tua cara zia gli ha messo una mano sulla spalla. Pensi che sia felice?” fece cenno alla coppia con la bottiglia che aveva in mano.
Ridacchiai ma continuai a tenere lo sguardo basso sulle mie dita che nervosamente intrecciavo.
L’odore intenso dell’alcol arrivò alle mie narici dal bicchiere che Damon mi aveva posto sotto il naso.
“Beviamoci su” disse e agguantai il bicchiere di carta regalandogli un mezzo sorriso.
Le labbra assaporarono per bene il gusto intenso del liquore e mi bruciò la gola quanto bastava prima di entrare in circolo nelle mie vene nel momento in cui ingerii anche l’ultima goccia di quel bicchiere colmo fino all’orlo.
“Tu ed io. Abbiamo qualcosa.
Aggrappati a questo. Lo sai, ritornerò il più presto possibile”
Non ricordo se quelle parole furono dettate dall’alcol o più semplicemente da qualche angolo del mio cuore. Ricordo solo che sentivo la necessità di sentirne il suono, di dirle a voce alta e non più lasciarle intrappolate nella rete dei miei pensieri.
Le palpebre mi si chiusero e un amaro sapore invase la mia bocca facendomi storcere il naso per il disgusto.
Le orecchie incominciarono a fischiare e le luci si mescolarono ai colori circostanti.
“Lo so, Elena. Ora dormi”
Sentii appena la flebile voce di Damon e mi accasciai priva di sensi nella sua spalla.
E con il sonnifero dimenticai anche la preoccupazione per il viaggio dell’indomani.

 
“Alza il volume della radio, mi piace questa canzone!”
“Perché devo stare nel sedile di dietro, signor Damon?Io voglio guardare la strada!”
“Fate silenzio così sveglierete Elena”
“Sono circondato da un branco di idioti”

Le voci sembravano martellarmi in testa e facevano male alle orecchie che pian piano ritornavano ad avere sensibilità così come tutte le altre parti del mio corpo.
Mossi impercettibilmente la testa e un forte dolore al collo mi pervase tanto che mugolai involontariamente.
Dischiusi le palpebre e riconobbi quello che doveva essere l’abitacolo di una macchina.
Prepotente i ricordi della sera precedente invasero la mia mente e la rabbia che si accumulava era direttamente proporzionale alla consapevolezza della situazione in cui mi ero ritrovata.
“Buon giorno Elena, dormito bene?” chiese Colin dal sedile posteriore, affiancato da Caroline, Bonnie e un nervoso Jeremy.
Spostai lo sguardo su Damon al volante. Lui mi guardò di rimando.
Ci guardammo in cagnesco.
“Giuro Damon che se non mi fai scendere da questa macchina io…” sillabai assottigliando gli occhi.
“Rilassati e cerca di goderti il panorama – mi guardò di sottecchi sprigionando il più bastardo dei suoi sorrisi - ti spuntano le rughe se ti arrabbi”
L’aveva fatto di nuovo!

***

Ed eccomi ritornata *-* Scusate per il ritardo ma dovevo per forza aggiornare oggi ù.ù <3 Ebbene, il viaggio comincia! Dopo i capricci di Elena e i tentativi di Damon di farla reagire, ecco che Caroline ha in mente l'idea di organizzare una festa...festa per drogare Elena così da poter partire tutti insieme! Pensavate che andasse solo Damon insieme a lei ed invece la nostra simpatica gang se ne va in campeggio che non è affatto una scusa, ma ne parleremo meglio nel prossimo capitolo. Come promesso un assaggino di Colin prima di arrivare al capitolo dedicato quasi interamente a lui :D Sta nascondendo qualcosa oppure fa solo finta? E' buono e è cattivo? Stefan è veramente in pericolo o è solo una trappola? Elena dirà tutto a Damon prima del ritorno del suo fidanzato ufficiale? Spero proprio che questo capitolo (-spazzatura u.u) vi sia piaciuto e mi farebbe piacere se esprimeste i vostri pareri :) Prometto che nel prossimo nda mi prolungherò di più.
Un grosso bacio
Sil

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Capitolo 23
*** 21 - YOU ARE HERE! ***


Alla Toast e alla Baka– che per ventuno capitoli
mi hanno messo l’ansia per scrivere
questo

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21 – YOU ARE HERE

 

Non che fossi leggermente arrabbiata, ma semplicemente la bile del mio stomaco minacciava di perforarmi il ventre per quanto era alto il mio tasso di acidità.
Addossai meglio la mia schiena al sedile e puntai lo sguardo oltre il vetro del finestrino semioscurato, verso l’asfalto che imperterrito continuava a scorrere come un fiume in piena sotto le ruote dell’auto.
“Signor Damon, Caroline minaccia di corrompermi!” sentenziò la voce acuta e stridula di Colin che dal sedile posteriore tentava di divincolarsi dalla presa della vampira la quale, al suono di quelle parole, sbatté le palpebre tinte di mascara.
“Non è vero!” schioccò ferocemente la lingua lasciando andare le braccia diafane del vampiro che come una piccola ed esperta scimmia si arrampicò sullo schienale del mio sedile rimanendo appollaiato tra le teste di me e Damon.
“Seriamente? Corromperti? Ti ho chiesto solo se al prossimo autogrill ti andava un gelato! E tu questa la chiameresti corruzione” balbettò giustificandosi Caroline sbalzando le iridi verdastre tra la faccia sogghignante del mezzo vampiro a quella apparentemente tranquilla e concentrata di Damon.
“Certo e dopo il gelato mi avresti chiesto di soggiogare per la seconda volta Elena e richiuderla nel bagagliaio”.
Inarcai un sopracciglio e mi voltai appena in tempo per vedere la bionda boccheggiare e mandare occhiate fulminee al rosso.
“Per la seconda volta?” mi azzardai a chiedere e la voce mi uscì leggermente gracchiante a causa del mio mutismo prolungato per più di due ore.
Colin inclinò la folta chioma verso di me e mi presentò il suo solito sorriso di scena, allargando gli angoli della bocca e piantando i suoi occhi grigi sui miei.
Distolsi lo sguardo lievemente infastidita.
“Barbie non infastidire il marmocchio e tu, Cita, non infastidire me, e ora torna al tuo posto!”.
La voce di Damon mi penetrò in petto, per un momento dimentica della sua presenza a soli pochi centimetri da me.
Alzai gli occhi in cerca di quel paio di occhi grigi che prima avevo provato ad allontanare, ma non ve n’era già più traccia.
Ebbi il tempo di voltarmi prima di vedere la buffa linguaccia che Caroline aveva riservato al mezzo vampiro per poi immusonirmi nuovamente, appoggiando la fronte al finestrino.
Non ebbi neanche il tempo di rimettermi ad osservare la striscia bianca sul bordo della strada che Caroline ricominciò a cinguettare.
“Elena, so che in questo momento avresti voglia di ucciderci tutti ma non ti sembra di esagerare?”
Sbuffai. Mi avevano soggiogato, drogato, fatto tutta quella messinscena, caricato su una macchina ed ero io che esageravo? Ebbi voglia di piantarle un paletto, ma il mio istinto non me lo permise.
“Ha ragione, Elena. Lo stiamo facendo per te, per riportare Stefan a casa” ribatté secco Jeremy ottenendo così l’approvazione di una raggiante Caroline.
“L’avrei fatto io, anche senza mettere le vostre vite in pericolo” grugnì leggermente strozzandomi con la cintura tanto mi ero voltata per guardarli tutti negli occhi.
Caroline distolse lo sguardo e si impegnò a guardare fuori dal finestrino semi aperto, Bonnie affiancata da Jeremy mi guardò con occhi imploranti tuttavia senza riuscire a formulare qualche frase, Colin rimaneva schiacciato tra i miei amici e sembrava essere particolarmente attratto dalle linee rette presenti sui suoi bermuda.
Mi imbronciai nuovamente e prima di affondare nuovamente nello schienale del sedile scoccai un’occhiata in tralice al Damon seduto di fianco a me. Dopotutto ce l’avevo anche con lui!
“Smettila di farlo” bisbigliai leggermente infastidita.
Damon inarcò un sopracciglio.
“Smetterei volentieri se miss musona mi dicesse che cosa sto facendo” sputò cambiando marcia.
“Di far finta come se non ti importasse niente di tutto questo” dissi stridula, ma la presenza dei miei amici sul sedile posteriore mi invitò ad assumere un tono quantomeno più pacato.
L’ex vampiro corrugò la fronte come se stesse pensando a qualcos’altro e questo mi fece irritare più di prima.
“Perché mi importa per caso?”
Aprii il finestrino lasciando entrare un po’ d’aria e la sua domanda invece di far scattare la molla di rabbia e frustrazione che sentivo ben presto sarebbe saltata, mi fece rilassare, facendo ritornare la mia mente lucida e adatta per ragionare.
Mi morsi il labbro e il silenzio dei presenti sembrò gravare ancora di più.
Decisi che la mia piccola vendetta sarebbe stata proprio quella, colpirlo nell’orgoglio, cosa che di quei tempi aveva anche fin troppo.
“Si, Damon. Ti importa. Perché sei umano, non più un vampiro. Quindi non fingere di essere tranquillo, perché stavolta combattiamo ad armi pari”.
Sbatté le palpebre un paio di volte per poi guardarmi con un sorriso sardonico, come se avesse voluto dire “hai finito?”.
Mi limitai essenzialmente a osservare la strada di fronte ai miei occhi per la seguente mezz’ora.

 
“Nessuno si farà male, Elena”
La voce di Colin mi fece barcollare dallo stato di dormiveglia in cui ero sprofondata a causa della leggera nausea e dei crampi allo stomaco dovuti un po’ alla fame un po’ al nervosismo.
Non ebbi la forza di alzare la testa dal morbido schienale perciò mi limitai a scorgere il paio di occhi grigi riflessi nello specchietto.
“So quello che faccio e, ti assicuro, riabbraccerai Stefan domani all’alba, nessuno torcerà un capello ai tuoi amici”.
Ammiccò e, arricciando il naso, le sue finissime e quasi invisibili lentiggini si incresparono al sorriso obliquo che aveva visto fare tante volte a Damon.
Mi portai nervosamente una ciocca dietro l’orecchio e piegai involontariamente a mia volta le labbra. Aveva ragione, solo un giorno e avrei potuto riabbracciare Stefan: saremmo stati di nuovo insieme ed era questo ciò che contava.
“Hai detto che sai quello che fai, non è che c’entri tu in tutta questa storia?” chiese la voce leggermente annoiata di una Bonnie scettica a riguardo.
I suoi occhi verde oliva vennero rapiti da quelli grigi e incredibilmente grandi di Colin.
Un urlo smorzato si levò per tutto l’abitacolo della macchina, facendo bruscamente frenare Damon.
Colin si cingeva la testa con entrambe le mani e il cappellino a visiera che fino a quel momento aveva portato gli cadde sul grembo.
“Niente più soggiogamenti!” disse la strega corrucciandosi più per la stizza che per lo sforzo dovuto all’incantesimo.
Non avevo fatto caso alla posizione in cui era seduta Bonnie: Jeremy schiacciato sullo sportello circondava con un braccio le spalle minute della strega – a quel tempo pensavo per una questione di spazio – mentre lei, seduta accanto ad un irrequieto Colin, era vicinissima alla vampira seduta sulla parte opposta; doveva sedersi al centro per attuare l’incantesimo, per acquisire energia sia da un umano che da un vampiro.
Non seppi mai quale fu il motivo di tanta discordia tra i due a quel tempo, ma ancora oggi Bonnie non può non pensare a lui con un accenno di sorriso.
Jeremy pose una mano sulla spalla della mia amica e le urla del rosso si placarono.
Colin scosse un po’ la testa e, massaggiandosi le tempie, rivolse uno sguardo tutt’altro che furioso alla strega.
“Mi fai perdere la testa Bennet! Letteralmente
Jeremy lo trucidò con lo sguardo, ma il mezzo vampiro non se ne curò.
“Ok mi avete stancato!”
Damon sterzò violentemente e per poco non finivamo fuori dalla carreggiata. Si accostò vicino ad uno dei tanti autogrill che avevamo sorvolato.
“Forza ragazzi, scendete tutti dalla mia macchina e placate i vostri bollenti spiriti altrove, io vado a farmi uno spuntino! Vi do un’ora di ricreazione” decretò Damon il quale aveva già posteggiato e si accingeva a indossare i suoi occhiali da sole, in perfetta combinazione con la polo bianca e i bermuda a jeans.
“Un’ora? Non abbiamo già perso fin troppo tempo?” si lamentò Jeremy rimasto ormai solo in macchina – insieme a me.
“Frena Indiana Jones, hai tutta questa voglia di farti uccidere?”.
Damon inarcò un sopracciglio da dietro gli spessi occhiali da sole e chiuse lo sportello allorché Jeremy, leggermente irritato, scese anche lui.
Non ebbi il tempo di slacciarmi la cintura che mi accorsi che lo sportello era bloccato. Qualcuno mi aveva chiuso, dall’esterno!
La faccia sogghignante di Damon me ne dette la conferma.
“Qualcuno deve pur rimanere a controllare la macchina e sbaglio o avevi detto che combattevamo ad armi pari?”
Tamburellò per un po’ sul vetro del finestrino che divideva i nostri volti, come lo si fa per attirare l’attenzione dei pesci in un acquario, e poi si allontanò, stufo delle mie solite reazioni.
Avrei potuto aprire il finestrino e uscire da lì o, qualora fosse stato troppo stretto, avrei pur sempre trovato via d’uscita nel tettuccio della macchina.
Invece rimasi lì ad aspettare, con i crampi allo stomaco e con la consapevolezza che quello sarebbe stato l’ultimo giorno vittima delle sue angherie.

 

“Metti qualcosa sotto i denti, almeno non mi morderai
Non ricordo di preciso quanto tempo rimasi rinchiusa in quella macchina, ricordo solo che non appena sentii lo scatto automatico mi fiondai subito all’esterno, respirando aria relativamente più fresca nonostante l’afa pesante.
L’odore buono della pizza arrivò alle mie narici.
Damon si appoggiò sul cofano anteriore e io lo raggiunsi.
Mi porse un trancio di pizza che io non rifiutai e se ne stette in silenzio aspettando che finissi di consumare la mia colazione – o forse era già pranzo?
“E così il mio carissimo fratello sta per tornare! Dovrò farci l’abitudine” esordì e io gli scoccai un’occhiata in tralice.
“Sai, anche io” dissi meravigliandomi io stessa della sincerità con la quale lo avevo detto.
Mi passò la bottiglia di birra e ne bevvi un sorso.
Forse agli occhi degli estranei potevamo sembrare due semplici ragazzi che si erano fermati a pranzare in quell’autogrill, magari in viaggio di piacere. La verità era che eravamo due ragazzi, terribilmente umani, in viaggio per strappare dalle grinfie di chissà quale mostro la persona che li univa indissolubilmente.
“Se vuoi possiamo sempre tornare indietro” decretò e per poco non mi strozzai con l’ultimo boccone.
“E’ fuori discussione, non ritorneresti mai indietro. Tu vuoi che Stefan ritorni tanto quanto lo voglio io” evidenziai provando a lanciare la carta che avvolgeva la pizza nel cestino accanto, ottenendo però un pessimo risultato.
“Hai ragione, voglio che ritorni Stefan. Ma solo per farti vedere come il nostro rapporto non cambierà. Sei tu a volere che ritorni, così da allontanarti da me”
Corrugai la fronte e assottigliai lo sguardo.
“Il nostro rapporto cambierà, Damon, e lo sai. Posso fare a meno di te quando e come voglio”
Il volto dell’ex vampiro si illuminò e fece ciondolare le chiavi scintillanti della macchina di fronte al mio viso.
“Facciamo così. Guida tu. Io sarò nel sedile di dietro. Se tra meno di un’ora arriviamo sani e salvi a destinazione senza che tu mi abbia cercato, è come dici tu, ma se dovessimo investirci o arrivare in ritardo…” lasciò cadere la frase ma l’allusione arrivò forte e chiara al mio orgoglio.
Afferrai le chiavi senza pensarci su e con un gesto aprii la portiera sedendomi al volante.
“Perfetto, prossima fermata Alaska!” mugolai inserendo le chiavi nel cruscotto.
“Piccolo cambio di programma”
Colin si posizionò sul sedile anteriore, facendomi sussultare per lo spavento, e per un momento assunse un tono e un atteggiamento degno di un ventenne.
“In che senso cambio di programma?” domandai non riuscendo a capire.
Colin abbassò il finestrino cercando di scorgere gli altri membri della comitiva.
“Arrivare in Alaska è difficile e pericoloso. Non troveremo niente là, niente di ciò che Stefan stava cercando. Ma c’è un posto in Canada a circa due o tre ore di strada da qui. E’ lì la nostra destinazione”
Impugnai il volante e inarcai la schiena cercando di frenare i battiti frenetici del mio cuore.
“Troveremo Stefan lì?” chiesi seriamente al mezzo vampiro che nonostante le apparenze sembrava essere molto più saggio e maturo di me.
Colin sorrise di sbieco.
“Non credi anche tu che Bonnie abbia un ottimo profumo?” chiese sviando la mia domanda e dando il tempo ai miei amici di salire in macchina.
Sospirai allacciandomi la cintura e preparandomi al lungo viaggio.
Sistemando lo specchietto mi soffermai sul sorriso disarmante di Damon e sui suoi occhi azzurri che sembravano guardarmi con aria consapevole e divertita.
Sapevo cosa voleva dirmi, ma non mi curai di questo e misi in moto.

1 a 0 per lui ovviamente.

 
“Sai almeno come si monta una tenda?”
La voce stridula di Caroline risuonò per tutta la foresta e alcuni uccelli in lontananza scossero alcune fronde degli alberi con loro continuo sbatter d’ali.
Colin alzò gli occhi al cielo finendo di fissare gli ultimi paletti a terra e distendendo meglio il telone arancione e ponendolo al di sopra della struttura in plastica rigida.
“Caroline, non potresti smettere per un attimo di essere così isterica?” si lamentò Bonnie rovistando dentro il suo zaino per tirare fuori un libricino piccolo e smunto, il diario di Susan.
La vampira bionda le scoccò una stilettata degna di un serial killer.
Damon rise alle mie spalle.
“Voi uomini non potete aiutarci? Siamo in balia di un ragazzino di 13 anni che gioca a fare il boyscout!” strillò focalizzando lo sguardo oltre la mia spalla, verso i due ragazzi seduti su un tronco assistendo allo spettacolo.
“Siete voi che avete voluto la parità fra i sessi” ridacchiò mio fratello accogliendo una sana approvazione da parte dell’ex vampiro.
Sospirai e tirai fuori dal fogliame l’ennesimo pezzo di legno.
Come aveva predetto Colin, in meno di cinque ore eravamo giunti in Canada e ci eravamo fermati nei pressi di una foresta a pochi kilometri dal primo centro abitato. Il sole stava già tramontando e ci aveva consigliato di accamparci lì nella foresta, poco lontano dal luogo in cui secondo lui tenevano rinchiuso Stefan.
Aveva detto che ci saremmo divisi a gruppi, avremmo accerchiato il nemico e liberato Stefan. Potevo già riassaporare la dolcezza delle sue labbra a contatto con le mie.
Il mio cuore perse un battito e non ne capii il motivo.
“Il sole sta per tramontare. La cascina dove penso sia rinchiuso Stefan dista circa quattro kilometri da qui. Ci divideremo in due gruppi: Jeremy e Caroline, voi andrete verso nord, precederete me e Bonnie; la streghetta ed io circonderemo il territorio con un incantesimo per nascondere la nostra presenza e non attirare l’attenzione”
Jeremy alzò un sopracciglio palesemente irritato.
“Perché queste combinazioni? Caroline è un vampiro e io sono un umano, le farei rallentare il passo quando invece tu e lei potreste raggiungere in un batter d’occhio la cascina e io e Bonnie fare l’incantesimo”
Colin scoccò la lingua preparandosi alla spiegazione.
“Vedi giovane Gilbert, Bonnie per compiere l’incantesimo ha bisogno di un esemplare di mezzo vampiro in modo tale da verificare se veramente le vostre presenze si sentano oppure no: sono il suo catalizzatore di magia personale” concluse ridacchiando e scoccando uno sguardo vispo alla mia amica che a malincuore confermò la sua tesi.
“Volete farmi intendere che partono i quattro moschettieri e lasciate qua me?” abbaiò Damon spezzando un ramo con cui stava giocherellando.
“lasciate qua noi…” lo corressi guardando interrogativa il rosso accanto alla tenda.
Colin molleggiò tranquillo sui talloni e, il tempo di chiudere gli occhi per un secondo, scomparve. Le mie pupille cercarono la chioma rossa qualche metro più avanti, ma la trovai solo dopo aver alzato lo sguardo.
Se ne stava ciondolante a testa in giù come un pipistrello appeso per le gambe attorno ad un ramo di una sequoia.
“Tu e il signor Damon siete umani. Sarete protetti dall’incantesimo, ma se qualcosa dovesse andare storto voi sareste troppo vicini al pericolo. Vi ricordo che l’intento della Triade o di qualsiasi altra organizzazione è quella di trasformare gli umani in mezzi vampiri. Per te Elena il pericolo sarebbe quello di diventare una mezza vampira, in quanto al signor Damon…” fece una pausa e gli occhi di Damon incontrarono i miei colmi di preoccupazione.
“Se tocca un’altra goccia del nostro sangue probabilmente morirà”.
Deglutii rumorosamente e la foresta non sembrò mai così silenziosa come quel momento. Bonnie smise di sfogliare silenziosamente le pagine ingiallite e ammuffite del diario della sua antenata e fui quasi certa che Caroline avesse smesso persino di respirare regolarmente.
“Avete portato i marshmallow vero?” chiese Damon dipingendosi in viso un sorriso storto, nascondendo così la rabbia per la sua pessima situazione.
Ancora poche ore e saremmo stati salvi – almeno per un po’.
 

Erano le dieci passate quando Jeremy e Caroline si avviarono verso il nero oscuro della foresta, la vampira brontolando per l’umidità di quella notte e mio fratello regalando un mezzo sorriso a Bonnie. Colin era rimasto tutto il tempo su quell’albero osservando il territorio, scrutando l’orizzonte farsi man mano sempre più scuro, come una civetta appollaiata su quel ramo aspettando il momento migliore per passare all’attacco.
E’ ora aveva detto e lo scoppiettare del fuoco aveva aiutato Bonnie a concentrarsi meglio prima di attuare l’incantesimo di protezione. Così anche loro avevano varcato la soglia della foresta con la promessa di ritornare entro l’alba.
“E così siamo rimasti soli” esordì Damon uscendo dalla tenda posta alle mie spalle e sistemandosi sul tronco accanto al mio.
Attizzai meglio il fuoco.
“Come se non avessi voluto prendere a calci qualcuno”
Damon inarcò un sopracciglio.
“Uno degli svantaggi di essere un umano” mugugnò e lanciò definitivamente il bastoncino che aveva in mano tra le fiamme.
“E se non dovessero farcela?” mormorai e mi strinsi maggiormente le ginocchia al petto.
“Sono una brava banda di idioti. Lo riporteranno a casa, stai tranquilla” mi disse poggiando una mano sul mio ginocchio, tentando di rassicurarmi.
Osservai il fuoco, le varie fiammelle rosse e gialle che si susseguivano e sentii il calore che procuravano alle mie guance; sentivo il vento che si stava alzando e il profumo di acqua salmastra poco lontano da qui; sentivo il mio cuore rimbombare e le tanto attese lacrime di frustrazione addensarsi davanti ai miei occhi, appannandomi la vista.
Sentivo che ormai c’era troppa speranza e poca possibilità di salvezza.
“E se non è più un vampiro, e se l’hanno trasformato? E Bonnie, Jeremy, Caroline? E se non ritornano? La tregua con la Triade sta per scadere, torneranno a prenderci e non siamo al sicuro, nessuno è al sicuro. Ho paura, Damon”
Mi lasciai invadere dal terrore e dalla paura. Il mio cuore pompava sangue e sentivo il dolore squarciarmi il petto, come se già sapessi che non lo avrei potuto baciare un’ultima volta, come se già sapessi che non li avrei più rivisti.
Tentai di asciugarmi le lacrime con il dorso della mano.
Se il dolore mi avesse ucciso tanto meglio, non avrei sopportato di perderlo per sempre.
Ciò che mi spingeva a rimanere in vita, a inghiottire aria un singhiozzo dopo l’altro era lui, lui che era con me.
Avevo deciso che li avrei salvati entrambi, quando la salvezza non era a loro concessa.
Ma forse c’era ancora speranza di vita, forse c’era ancora qualcosa in cui credere.
Cercai di convincermi che fosse vero e quando riacquistai la vista dopo il velo di lacrime, Damon aveva avvicinato il mio capo al suo petto, la mia paura era anche la sua.
Hai ancora me” sussurrò e i suoi occhi leggermente lucidi apparvero più nitidi alla luce rossa del fuoco.
Boccheggiai agognando nuova aria e forse la salvezza che da tanto tempo stavo cercando.
Si avvicinò alla mia bocca e vi soffiò sopra.
Le nostre labbra si sfiorarono e fu come la terra avesse perso il senso dell’equilibrio. Non riuscivo a capacitarmi di ciò che stava succedendo, il mio corpo sembrava un fiume in piena e scosse elettriche mi percorrevano la testa e le gambe quasi come se lui fosse una risorsa illimitata di energia, la mia energia.
Mi prese la testa tra le sue mani grandi e incollò ancora di più le sue labbra soffici e morbide alle mie ancora umide di lacrime.
Mentre mi sollevavo in punta di piedi, lui mi aiutò cingendomi i fianchi con una mano.
Avvolsi le mie braccia intorno al suo collo e sentii ogni centimetro della mia pelle fremere dall’assoluta vicinanza di Damon.
Dischiusi la bocca facendo entrare il suo respiro caldo e la sua lingua che vogliosa cercava la mia.
Non ebbi il tempo di pensare, di reagire, di dirglielo perché era quello che volevamo ed entrambi lo sapevamo bene.
Sentii un singulto al cuore quasi come se potesse scoppiarmi in gola ed essere risucchiato dai suoi baci frenetici.
Le nostre labbra si staccarono ed io mi sentii vuota, persa, privata di qualcosa che ormai mi apparteneva.
Ansimavamo entrambi ma non ero stanca, ero solo sopraffatta da quella strana forza che mi spingeva sempre più verso di lui.
Guardai i suoi occhi che nella semioscurità mi sembrarono essere di un blu profondo. Mi prese per mano, la strinse forte e con il fiato corto e il cuore a mille lo seguii.
Non riuscimmo a fare più di dieci passi che le nostre labbra erano di nuovo incollate. Sentivo i polmoni riempirsi del suo respiro e le mani che sempre di più artigliavano il suo collo per averlo più vicino a me, più vicino al cuore.
Scivolammo all’interno della tenda ancora aggrappati come due esseri incapaci di muoversi.
Mi distese e continuò a baciarmi le labbra per poi staccarsi e passare al mento, al collo fino ad arrivare al rigonfiamento sinistro del mio seno. Il sangue non arrivava più al cervello, i timpani sembravano rompersi da un momento all’altro e il cuore rullava in testa, scuotendomi, facendomi tremare.
E lo sentivo, il mio cuore che correva come un treno: l’avrei potuto perdere, l’avrei potuto uccidere ma ne sarebbe valsa la pena.
Damon continuava a lambire ogni singolo centimetro della mia pelle, lasciando scie di fuoco bollenti, facendomi perdere ogni briciola di razionalità.
Sbottonò piano la mia camicetta, con mani tremanti ma anche esperte, bottone per bottone. Mi liberai dei jeans che piano scivolarono via dalle mie gambe sottili.
Lo aiutai a togliersi la maglietta.
Continuava a baciarmi la fronte e il lobo destro dell’orecchio mentre io carezzavo i suoi pettorali marmorei così simili a quelli di Stefan, ma pieni di elettricità indicibile. Come non mai Damon mi sembrava essere umano: percepivo il suo calore, la sua insicurezza, il suo timore, la sua voglia, il suo piacere.
Conscia del fastidio che gli arrecavano, gli sbottonai i pantaloni che come i miei si riversarono sul telo ruvido sotto di noi. Mi mancava il fiato, sentivo il piacere dei suoi baci invadermi l’anima, ogni percezione nervosa era piena di lui.
Volevo parlargli, dirgli qualcosa ma avevo paura che potesse fermarsi, che potesse rendersi conto dello sbaglio inevitabile che stavamo commettendo.
Scese giù solleticando la mia pancia con la lingua, disegnando linee immaginarie all’altezza dell’ombelico. Inarcai la schiena in avanti, non riuscendo più a contenere i singulti che ormai mi pervadevano.
“Damon” mi lasciai scappare e i nostri occhi furono catturati gli uni dagli altri; riuscivo a vedermi riflessa nell’immensità dei suoi occhi, l’azzurro del cielo aveva lasciato posto ad una notte luminosa senza stelle.
Mi sentii imprigionata quasi in un campo magnetico, la mia bussola era impazzita e mi ritrovavo persa da qualche parte dentro di lui.
“Damon” sussurrai ancora e lui mi sfiorò le guance accaldate preoccupato del fatto che non continuavo.
Ansimavo e deglutivo a raffica cercando di riprendere l’uso della parola. Cominciò a baciarmi a fior di labbra tentando di ristabilire i miei respiri, non potendo comunque staccarsi da me.
Ripreso quasi del tutto il controllo mi resi conto della situazione: Damon era sopra di me, io schiacciata contro la coperta ruvida, entrambi quasi nudi. Per un attimo mi ricordai di Stefan, del vampiro che erano andati salvare, di colui che ritenevo essere la mia ragione di vita; mi ricordai dei suoi abbracci, dei suoi baci, dei suoi sorrisi, così lontani dal presente e vuoti rispetto a ciò che dovevano essere.
Mi rivenne in mente l’aroma di pino silvestre, il profumo buono dei suoi baci la mattina, ma tutto questo era come inesistente per il mio cuore.
Pensai per un momento di aver dimenticato di attivarlo, di farlo continuare a battere ma le immagini, i ricordi scivolavano via quasi come se fossero stati pioggia.
Riaprii gli occhi e ricominciai a respirare e ciò che vidi era tutto ciò che avrei dovuto sempre sapere.
Perché era lui la mia ancora di salvezza, Stefan e il mondo erano fuori.
I nostri sguardi si riunirono così come le nostre labbra per poi staccarsi nuovamente. Tra l’immensa cosa estranea che ero diventata riuscii a rintracciare la mia mano.
Aprii bene il palmo e con delicatezza lo posai sul suo cuore provocandogli un leggero sospiro.
Mi guardò con occhi spauriti, non riuscendo a capire il perché de mio gesto.
Sentivo il suo cuore pulsare frenetico, dibattersi quasi come se tutte le sue emozioni fossero in lotta tra di loro, quasi come se lì dentro si stesse scatenando una bufera, un uragano.
Damon era umano proprio come me, ma non per questo ero adesso distesa con lui all’interno di quella tenda al di fuori del mondo.
Damon era Damon, non un vampiro, non un umano, solo un uomo e questo era sempre stato.
Colpita da quella consapevolezza lo guardai negli occhi e supplicai la lingua di frenare l’impeto di giocare con quella di lui e di darmi ascolto per una volta.
“Tu sei qui” sussurrai e inarcai la schiena avvicinando pericolosamente il bacino a quello di Damon che mi sovrastava, serrandomi nella stretta ferrea dei suoi bicipiti.
“Sei qui, Damon, nel tuo cuore” ripetei e schiacciai con violenza il palmo leggermente sudato sul suo pettorale: se avessi esercitato una maggiore pressione, lo avrei potuto toccare, il suo cuore.
Era lì Damon, tutto ciò per cui avevo lottato, per cui avevo pianto, per cui l’avevo odiato, stava lì dentro racchiuso tra due polmoni.
Che Damon si fosse trasformato nuovamente in vampiro o fosse rimasto umano, poco importava: non poteva esistere un Damon senza il suo cuore perché il suo cuore era Damon.
Lo strinsi più forte a me per trattenere quella vivida scintilla che aveva acceso il mio animo, quella fiamma dirompente che mi aveva fatto perdere il nume della ragione.
Rotolammo fino a scontrarci con la parete di stoffa della tenda.
Mi ritrovai sopra di lui e scostò i lunghi capelli per trovare il gancetto del reggiseno.
Per un momento ci osservammo, con il cuore di entrambi che sussultava in petto e non potemmo trovare altro completamento che l’uno negli occhi dell’altro.
Sfiorò il tessuto del mio intimo e io serrai la mia mano attorno ai suoi boxer neri, tentando di sfilarglieli di dosso.
Non importava quali creature o bestie feroci potessero esserci al di fuori, l’intero mondo avrebbe fatto a meno di noi per una notte.
Dischiusi le gambe, vittima della voglia insostenibile.
Le nostre labbra si sfiorarono e questa volta tutta la foga e la violenza di poco prima si sciolse in dolcezza e tranquillità.
Uno scatto irruento e quasi brutale mi mozzò il fiato in gola e non ebbi il tempo di respirare, di goderne appieno che Damon era in me, in ogni sua singola forma.
Il senso di completezza che avevo già raggiunto prima si quadruplicò rendendomi schiava e partecipe di un piacere indiscutibile.
Reclinai il capo all’indietro sopraffatta dal piacere e Damon trovò spazio nell’incavo del mio collo, solleticandomi la pelle con le sue ciocche corvine, avvinghiandosi a me.
Mi adagiò sulla coperta ancora uniti e in sintonia.
Nessun nome gridato, nessuno sbuffo di piacere, solo i nostri respiri segnavano il tempo che trascorreva.
La paura, l’insicurezza del domani, tutto era scivolato via e il calore che mi scorreva nelle vene lo sentivo energico e bruciante come non mai. Era forza, era vita.
“Ho bisogno di saperlo” mugolò piano l’ex vampiro ancora in preda agli spasmi.
Mi dimenticai di parlare, mi rifiutai di farlo per trattenere quella forza che avevo acquisito.
Scostò una ciocca di capelli dal mio viso bollente.
“Mi ami?” chiese con voce incerta e il suo cuore barcollò tra la gola e lo stomaco.
Il mio cervello non riuscii ad elaborare una risposta sensata. Mi limitai a sfiorare il torace all’altezza del cuore così come avevo fatto in precedenza.
“Siamo pari allora” ridacchiò con voce stanca e sonnolenta.
Mi cinse un fianco con la sua mano e io accasciai la testa sulla sua spalla, aspettando che il mondo rispondesse al mio posto.


Non ricordo quante volte quella notte facemmo l’amore. Il tempo sembrava non essere mai abbastanza quando si trattava di noi due.
Ricordo che il cielo era ancora leggermente scuro quando mi ritrovai da sola nella tenda avvolta nella coperta.
Mi stropicciai gli occhi ancora leggermente chiusi e mi accorsi che il senso di torpore di quella notte era svanito: ero di nuovo Elena, avevo di nuovo paura.
Il mio cuore perse almeno due battiti quando mi accorsi che Damon non era più con me e un nuovo senso di ansia si fece largo dentro di me.
Tentai di controllarlo, di domare la mia paura: l’avrei dovuto imparare in fretta per combattere, per proteggere le persone che amavo.
Mi avvolsi maggiormente nella coperta e con le gambe indolenzite e che un po’ barcollavano uscii dalla tenda.
L’aria fredda e umida della prima mattina mi fece rabbrividire e, nonostante la fioca luce del cielo plumbeo, strizzai gli occhi.
Le ceneri ancora fumanti testimoniavano il fuoco della sera precedente e la leggera nebbia presente nella foresta la rendeva ancora più spettrale e terrificante dell’oscurità.
Mi scorsi intorno e trovai quello che stavo cercando.
Damon stavo ritto a torso nudo, con i bermuda che gli fasciavano il corpo dalla vita in giù.
Potei ricominciare a respirare regolarmente per una manciata di secondi, il tempo necessario per notare l’espressione corrucciata e nervosa che era dipinta sul volto di Damon.
Il suo sguardo furioso scontrò il mio e il sorriso mi morì in bocca.
Seguì la direzione del suo sguardo, oltre le altre due tende, oltre i tronchi e i massi di quella radura.
E il cielo mi crollò addosso dalla vergogna.
Colin era lì, con la schiena contro un albero, con le braccia serrate al petto che mi guardava penetrandomi l’animo con i suoi occhi grigi e indagatori.
Chissà da quanto tempo stava lì, chissà se aveva sentito, chissà se aveva immaginato!
Boccheggiai un attimo tentando di rielaborare una scusa, provando a smentire tutto e sperando che fosse appena arrivato.
La voce mi abbandonò e quella fu la conferma a tutte le supposizioni del mezzo vampiro.
Inclinò gli angoli della bocca senza lasciar trapelare alcun segno di rabbia o delusione.
“Stefan è in macchina, vi stiamo aspettando” annunciò sciogliendo quell’intricato groviglio di braccia.
Detto questo si incamminò verso la pianura dove avevamo lasciato la macchina.
Mi tremarono le ginocchia e l’aria si fece incredibilmente pesante.

Era tornato, era vivo.
Damon mi guardò con occhi supplicanti e terrorizzati e mi si accartocciò il cuore.
In quel momento, avrei voluto che la terra sotto i miei piedi mi avesse inghiottito cancellando ogni singola traccia di me stessa.

 

***

 

 

Ebbene si carissimi lettori, dopo ben ventuno capitoli di questa storia, Elena ha ammesso (forse) i suoi sentimenti per Damon! Anche se sembrerebbe che Elena si sia concessa a Damon solo perché dava per scontato che Stefan e tutti gli altri non sarebbero ritornati a casa, in realtà Elena ha capito ciò che da molto tempo tutti gli altri e lei stessa ignorava, ovvero che alla fine di tutto Damon ci sarà sempre. Elena si rende finalmente conto di questa verità e spinta forse un po’ dalla disperazione mette in chiaro i suoi sentimenti, rendendo una buona volta giustizia a tutto ciò che l’ex vampiro ha fatto per lei. Ma passiamo invece all’adorabile Colin: avrà visto? Sospetta qualcosa? Si, Colin è l’unico a conoscenza della notte di passione di Damon ed Elena, per cui la domanda è: manterrà il segreto o lo rivelerà a Stefan che a quanto pare è vivo e vegeto? Vi anticipo che Colin (attrazione per Bonnie a parte) è un personaggio che forse è entrato quasi per gioco all’interno di questa fan fiction ma a cui io tengo particolarmente e che sarà uno dei personaggi chiave di tutta la vicenda: una sua mossa sbagliata e la tregua con la Triade potrebbe saltare definitivamente! Vi avevo detto che adesso arriverà il suo momento ;D Concludo il mio lungo monologo dicendo che Elena alla fine non rinnega ciò che prova per Damon (anche se in effetti ci pensa) ma semplicemente ama anche Stefan e non sa affatto come affrontare la situazione visto che lei lo dava ormai per spacciato. Il prossimo capitolo darà molte spiegazioni a riguardo, una conversazione tra Elena e Colin metterà la verità sotto gli occhi della ragazza e si scopriranno finalmente i tanto temuti aggressori del minore dei Salvatore.
Grazie di cuore a tutti coloro che seguono la mia fic e che ogni volta mi danno la forza di continuare a scrivere anche quando vorrei mollare tutto

Alla prossima!
Sil

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Capitolo 24
*** 22 - DO YOU TRUST HIM? IT'S EVIL! ***


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22- DO YOU TRUST HIM? IT’S EVIL

Era indelebile la macchia che avevo io stessa rattoppato in cuore, un qualcosa che si allargava e imputridiva ogni momento che passava.
Ad ogni bacio donato con dolcezza e felicità dal vampiro che mi stava accanto.
Ad ogni occhiata glaciale scoccata dal ragazzo che mi stava accanto.
“Sicura di stare bene?” chiese la voce premurosa di Stefan il quale mi strinse ancora di più contro il suo petto, avvolgendomi le spalle con le sue braccia possenti.
L’odore di selvatico e di bosco si fece vivo alle mie narici e inspirai quel profumo che per lungo tempo mi era mancato, strizzando gli occhi.
“Sono solo stanca e felice che tu sia qui” mugugnai contro il suo torace marmoreo, cercando nascondere il viso nella sua maglietta nera e sgualcita.
Dopo che Colin ci aveva avvertiti dell’arrivo di Stefan, mi ero rivestita in silenzio, avevo indossato quegli stessi abiti che solo la notte precedente erano stati strappati violentemente dal mio corpo, in preda alla follia e alla voglia. Avevo dovuto vestirmi di fronte a quegli occhi di ghiaccio che mi indagavano indignati e pieni di ira, rivolgendomi stilettate che miravano dritte al cuore.
Non avevo pianto per l’uno, non avevo gioito per l’altro.
Avevamo smontato velocemente la tenda e ci eravamo diretti verso il luogo indicato da Colin: l’abisso che solo la sera prima avevamo finalmente colmato adesso si espandeva in tutta la sua profondità tra noi due, in uno spazio che variava dai cinquanta agli ottanta centimetri – anni luce per me.
E poi tutto ciò che avevo dovuto fare era stato piegare gli angoli della bocca alla vista di quel ciuffo sbarazzino, perdere un battito o forse due davanti quella fronte corrucciata sopra gli occhi incredibilmente verdi, e implorare le gambe di muoversi un passo alla volta per arrivare al vampiro che in cuor mio ancora amavo, il suo amore non era stato cancellato.
Stefan sorrise silenzioso e mi accarezzò la testa facendo scorrere le mani tra i miei capelli crespi e pieni di nodi, ma per lui semplicemente stupendi.
Premetti di più l’orecchio contro il suo torace.

Non c’era battito, non c’era rumore. Solo silenzio. E la cosa mi rese incredibilmente triste.
“Damon non ti ha causato problemi vero?” mi chiese in un filo di voce mirato esclusivamente ad essere udito da me e da nessun’altro.
Era percepibile in quella sottile domanda tutta l’irrequietudine del vampiro, trattenuta solo dalla capacità di controllo tipica di Stefan.
Mi sforzai di sorridere e forse un po’ lo feci ricordando il tempo trascorso da quando era partito, ma dovetti ricredermi quando la verità dell’accaduto mi piombò in testa come un macigno.
“Alcuni. Anche se è umano è il Damon di sempre” mugugnai ma non mi accorsi del tono di voce fin troppo alto che avevo utilizzato.
“Non ti biasimo fratello se hai deciso di farti catturare dai nani di Biancaneve solo perché eri geloso di me ed Elena” sentenziò acido Damon rivolgendo per la prima volta lo sguardo verso di noi – verso di me.
“Si Damon, sono felice anche io di vedere che sei ancora vivo” borbottò Stefan aumentando la stretta attorno alla mia spalla facendomi piegare la schiena in un modo innaturale e spostò lo sguardo oltre il finestrino.
Damon avvicinò impercettibilmente la mano verso il mio interno coscia sfiorando la pelle sensibile e lasciata nuda dai cortissimi pantaloncini.
Quell’abitacolo della macchina non mi sembrò mai così stretto come in quel momento.
Mi schiarii la voce e tentai di raddrizzarmi sporgendo il capo verso Caroline alla guida e distanziandomi dai due Salvatore.
“Manca ancora molto?” chiesi alla vampira leggermente annoiata.
“Prova a chiederlo alla scimmia” decretò scoccando un’occhiata vaga a Colin seduto accanto al finestrino che sembrava assorto a rimirare il paesaggio canadese.
“Colin?” provai a chiamarlo, ma il rosso non diede segno di vita.
Ero pronta a chiamarlo una seconda volta, ma il repentino movimento della testa mi fece morire le parole prima ancora che arrivassero alle labbra.
“Mancano ancora un’ora o due. Si farebbe prima per i boschi così come stanno facendo tuo fratello e la Bennet. C’è un lago qui vicino. Ci fermiamo lì per un po’ se vuoi”.
Rimarcò quelle ultime due parole e i suoi occhi grigi si allargarono, ma non per soggiogare quanto più per farmi capire che lui sapeva, forse molto più di me.
Lo ringraziai mentalmente, ma non ebbi il coraggio di dirglielo e ritornai a sedere in quel sedile che scottava peggio di una brace di carboni ardenti.
“Vi fidate di lui?” domandò Stefan senza modulare il tono di voce, forse con l’intento di mettere al corrente il mezzo vampiro del suo scetticismo.
“Certo. Perché mai non dovremmo farlo?” risposi accigliandomi e tentando di trovare almeno un motivo per cui non ascoltare Colin che ormai era entrato a far parte della squadra – se la si poteva definire tale.
Stefan corrucciò la fronte e schioccò la lingua, segno che non era del mio stesso parere.
“E’ malvagio” disse e lo sguardo grigio e imperturbabile del mezzo vampiro mi squadrò dallo specchietto retrovisore.
Sospirai e decisi che era meglio non parlare fino all’arrivo al lago.

 

Era un’enorme distesa limpida e piatta e il sole delle undici e mezza faceva scintillare le acque calme di finissima luce.
La vegetazione cresceva a pochissimi metri dalla strada statale e il rumorio delle cicale spezzava quello strano silenzio che incombeva in tutto quel panorama, smorzato una volta o due dal passare di alcune auto.
Nonostante fosse piena estate l’aria leggermente fresca del Canada si faceva sentire. Tirai su la zip della felpa verde e sprofondai le scarpe sull’erba asciutta e morbida che conduceva al lago e a una foresta di betulle poco lontana.
Non che stessi scappando dai miei problemi, avevo solo bisogno di trovare una soluzione, la più giusta affinché non uccidessi né l’uno né l’altro fratello.
Ma le continue attenzioni di Stefan e gli sguardi talvolta assassini talvolta languidi e vogliosi di Damon non mi permettevano di distaccarmi e ragionare lucidamente.
Giunsi a pochi metri dalla riva del lago, affondando le mani nelle tasche della felpa.
Voltai il capo all’indietro osservando la macchina in lontananza: Damon e Stefan erano appoggiati allo sportello, entrambi con le braccia serrate al petto e assorti in una qualche conversazione a cui, con mia grande meraviglia, sembrava partecipare anche Caroline.
Vidi la vampira bionda scuotere il capo con veemenza e agitare le braccia segno che qualcosa era andato contro i suoi pareri.
Poi si girò come accortasi che li stessi spiando e rivolsi lo sguardo altrove sperando, invano, che non mi avesse vista.
Il rumore di un sasso lanciato in acqua e dello starnazzare di alcuni uccelli bizzarri mi fece ridestare dai miei pensieri.
“Peccato! Se non fossimo diretti da qualche parte, mi sarei fatto volentieri un bagno qui nel lago”.
Colin scese dalla roccia che affiorava dal lago e con meno di due saltelli arrivò sul terreno umido e bagnato dov’ero io, atterrando morbidamente sui talloni.
“Tranquilla, non stanno parlando di te” tintinnò il mezzo vampiro cercando accuratamente tra i fili d’erba sassolini da gettare in acqua.
“Stanno parlando di me” continuò tranquillo infondendomi quella serenità che solo lui riusciva a darmi.
Il sapere della mia estraneità alla discussione mi rincuorò: almeno non stavano affrontando quell’argomento, non subito perlomeno.
Scostai un po’ di foglie secche con la punta delle scarpe rinvenendo alcuni ciottoli. Il rosso se ne accorse e si apprestò subito a raccoglierli.
“Grazie, per non aver detto niente” mi decisi a dire osservando i numerosi cerchi d’acqua che si andavano formando dopo ogni sassolino lanciato.
“Per non aver detto cosa?” chiese arricciando il naso per il sole.
“Per non aver detto di me e di…”.
Non riuscii a terminare la risposta, ma Colin sembrò subito capire e scrollò le spalle come per accettare il mio ringraziamento.
“E’ difficile vero?” chiese mentre si piegava per slacciarsi le sneekers a scacchi.
“E’ difficile cosa?” ribadii corrucciando la fronte.
“Ammettere che tu e…” rispose non finendo la frase di proposito così come avevo fatto io pochi minuti prima.
Sembrava molto più maturo Colin di quanto non fosse in realtà. Anzi era decisamente più maturo. I tratti dolci e fanciulleschi del viso, pur sempre presenti, si erano fatti più marcati e spigolosi così come le spalle più larghe e sporgenti ma pur sempre esili da bambino, i muscoli delle braccia si erano gonfiati ed era cresciuto di qualche centimetro da quando era arrivato solo un mese e mezzo prima e la voce da squillante e stridula si era fatta più grossa e profonda.
Nonostante l’apparenza, in quel momento ebbi come l’impressione di stare parlando ad un uomo e non ad un semplice ragazzino.
“Ricordi quando ti ho parlato di mia madre?” mi chiese affondando i piedi nelle acque del lago.
Mi rivenne in mente la soffitta di Damon e della nostra conversazione – quando la semplice incognita dell’equazione era trovare un modo per far tornare Damon un vampiro.
“Si. Mi hai detto che si chiamava Anya e che io le assomigliavo” risposi prendendo posto sulla roccia e imitando anche io il rosso.
Colin ridacchiò sbarazzino facendo spaventare un gruppo di uccelli.
“Si, era anche lei parecchio testarda come lo sei tu. Ovviamente non che io abbia conosciuto la mia mamma da giovane, ma me la ricordi moltissimo. Quel giorno ti ho detto anche di non commettere il suo stesso errore. A quanto vedo non mi hai ascoltata.”
Lanciò un altro sasso in acqua e io attesi che lui continuasse.
“Come ti ho già detto mia mamma era irlandese. Aveva dei buffi capelli rossi e ricci come i miei e due occhi verdi.
Mia mamma è sempre stata una di quelli che voi definite spiriti liberi.
Nonostante la rigida mentalità della fine del diciottesimo secolo, era riuscita a crearsi una vita senza doversi sposare come invece richiedeva di essere fatto. Aveva girato l’Europa – Parigi, Vienna, Mosca, - ed era riuscita anche ad imbarcarsi per l’Egitto.
E’ qui che conobbe l’uomo della sua vita”.
Fece una piccola pausa e io non continuavo a capire che sbaglio avessi potuto mai commettere.
“Frederick era un commerciante di spezie di nazionalità Olandese, ma di madre Egiziana e per tutta la sua vita non aveva fatto altro che racimolare denaro per raggiungere un giorno suo fratello nel Nuovo Mondo.
Mia madre si innamorò di Frederick e, aggiungendo alla già cospicua somma un po’ della sua dote, riuscirono a partire per l’America.”
Sussultai quando mi sentii sfiorare il piede immerso nell’acqua da un pesce e mi preparai al peggio.
Se c’era una cosa che ero sicura su Colin era che, nelle storie della sua famiglia, non c’era mai un lieto fine.
“Così Frederick raggiunse il fratello più piccolo, Roland, impegnato da anni nella conduzione di una piccola piantagione di tabacco e di caffè.
Gli presentò la sua nuova compagna che ben presto sarebbe diventata sua moglie.
Ma non lo divenne mai: in quegli anni scoppiò un’epidemia di colera che investì tutta la zona del centro America e mia madre fu una delle tante vittime.
Roland, rattristato per la disperazione del fratello mentre questo affogava i suoi dispiaceri nell’alcol, trovò una soluzione.
Tra i migliori acquirenti di caffè e tabacco vi erano dei potenti uomini che lui conosceva essere dei vampiri.
Roland era un tipo semplice, ma aveva la capacità di gestire situazioni più critiche e sotto le diverse circostanze.
Ritornò una sera con un ampolla contenente il sangue di uno di quegli uomini, sangue di vampiro.
Mia madre non riuscì a superare la notte, il suo cuore cessò di battere e si trasformò in un vampiro.”
“E Frederick come la prese?” chiesi ormai immedesimata nel suo racconto.
“Ovviamente Frederick non riuscì a concepire questo mutamento di mia madre, nonostante lei conservasse pur sempre il suo aspetto e il suo amore nei suoi confronti. Fu Roland ad occuparsi di lei, a spiegarle come comportarsi, a integrarla nella comunità di vampiri che pian piano si stava formando in città.
E lei asciugò le sue lacrime, placò la sete che continuava a pervaderla ogni qualvolta lo aveva accanto, perché gli voleva bene, perché era stato lui a salvarla.
Una sera Roland venne assassinato dai vampiri che lo consideravano solo una nullità per i loro scopi.
Ma il sangue di Anya aveva già fatto effetto, perché Roland sapeva che sarebbe successo, era solo questione di tempo.
Ma quando al mattino Roland si svegliò all’interno della sua piantagione, con il bavero della camicia sgualcito e insanguinato, al suo fianco trovò anche suo fratello.
Stava morendo, il cuore si sentiva appena. Roland dovette pensarci un po’ prima di far bere il suo sangue al fratello: se fosse diventato vampiro, sarebbe stato disposto a cedere facilmente Anya al fratello per l’eternità? Frederick si risvegliò ancora vivo, il sangue di Roland lo aveva solo curato dalla ferita da arma da fuoco.”
Colin mi tese il pacco di patatine che aveva in mano e accettai l’offerta visto che lo stomaco non voleva smettere di brontolare.
“Ma il destino volle che un mese dopo Frederick, che si era abituato ad assumere sangue di vampiro, morì in un incidente e si presentò da Roland e da Anya.
Mia madre avrebbe preferito vederlo morto piuttosto che vampiro come lei, dannato a vivere e per sempre destinato a vederla tra le braccia di qualcun altro.
Roland aveva capito e lasciò che Anya e Frederick stessero insieme così come era giusto che fosse.”
Il silenzio che lasciò mi permise di intendere che aveva concluso il suo discorso e nonostante la triste scelta di Roland, non vedevo perché quello fosse uno sbaglio.
“Mi dispiace per Roland, ma Anya e Frederick vissero felici, tua madre e tuo padre finalmente sono riusciti a stare insieme”
Il rosso si grattò la nuca e si girò per controllare cosa stessero facendo gli altri in macchina.
“Vedi Elena, Frederick non è mio padre, ma mio zio” disse e inarcai un sopracciglio in preda allo stupore.
“Ma…quindi è Roland?”
“Frederick e Anya non durarono a lungo. Quando la Triade li trasformò, mia madre si era già sposata con Roland, mio padre. Tuttavia io sono il suo unico figlio.
Michelle non è veramente mia sorella, ed è forse questo uno dei motivi che l’ha spinta a far parte della Triade. Anya per tutto quel tempo aveva continuato ad amare Frederick, e non importavano gli ostacoli che li dividevano, i pericoli e la consapevolezza di fa male l’un l’altro: loro si amavano dalla prima volta che si erano conosciuti!
Se mia madre avesse solamente scelto diversamente, se solo non si fosse innamorata di Roland probabilmente io adesso non esisterei, ma mia madre sarebbe stata felice così come era giusto che fosse. Non commettere il suo stesso errore, non fare la scelta sbagliata perché non basterà una vita per tentare di rimediarla”.
Colin si alzò dalla roccia su cui era stato seduto, si spolverò i bermuda e indossò le sneekers pronto a ritornare alla macchina.
Mi alzai anche io di scatto, ma nonostante desiderassi chiamarlo, corrergli dietro per scoprire perché Frederick e Anya non erano potuto stare insieme, le mie gambe rimanevano ancorate al suolo e le labbra semidischiuse emettevano solo lenti suoni monosillabici senza formulare alcuna domanda sensata.
Avrei voluto chiedergli cosa intendesse per sbaglio, se Roland, che si era fatto da parte, fosse stato Damon o Stefan nella mia situazione, se lo sbaglio fosse stato riportare qui Stefan, ma erano tutte domande che rimasero senza risposta per un bel po’ di tempo.
“La cosa buffa di tutto questo sai qual è? Che Michelle è il capo delle reclute della Triade, mentre Frederick, suo padre e mio zio, è il capo della banda dei ribelli” decretò voltandosi un’ultima volta verso di me e in meno di tre passi toccò il suolo asfaltato dell’autostrada facendo un cenno di saluto verso Stefan.
Li raggiunsi anch’io e abbassai lo sguardo quando incontrai gli occhi verdi, dolci e carichi di amore, del vampiro di fronte a me.
Stefan alla mia reazione sospirò e mi accarezzò lievemente la guancia, conscio del fatto che non ero proprio in vena di spiegazioni o di domande.
“Sali in macchina, tra un po’ ripartiamo” disse soltanto per poi allontanarsi, sicuramente alla ricerca della vampira bionda che non riuscivo a scorgere nei paraggi.
Mi mordicchiai il labbro inferiore e decisi di seguire il suo consiglio salendo in macchina.
“Ed eccoci giunti alla resa dei conti”
“Damon!” gridai e il cuore ruzzolò più forte contro le mie costole, un po’ per lo spavento un po’ per la paura di cosa sarebbe successo.
I suoi occhi azzurri mi penetrarono l’anima e non ebbi modo di scendere dall’auto che lui già mi aveva bloccato per un polso obbligandomi a restare.
“Cosa vuoi Damon?” chiesi serrando le braccia al petto e scivolando sul sedile e appoggiando la testa contro il finestrino.
Roteò appena gli occhi e accostò la schiena al finestrino opposto così da potermi guardare e parlare meglio.
“La domanda non è cosa voglio io, ma cosa vuoi tu?” sentenziò trafiggendomi con lo sguardo e inclinando appena il capo.

Mai seguire le indicazioni e i consigli di un vampiro!
Boccheggiai per qualche secondo non trovando le parole giuste per rispondere a quella netta provocazione del ragazzo che mi trovavo di fronte.
“Io so cosa voglio” mi difesi prontamente abbassando gli occhi e iniziando a giocherellare con la cerniera aperta della felpa: sbaglio o stava facendo più caldo del solito.
“Davvero? Perché sembri abbastanza indecisa al momento!”
Sospirai e i nostri sguardi si intrecciarono in un muto silenzio.
Damon schioccò la lingua, ma stavolta le sue parole uscirono calme e assennate.
“Meno di ventiquattro ore fa eravamo in quella tenda, eravamo felici e non puoi aver cancellato tutto, deve essere stato significativo anche per te!” disse e si sporse accorciando la distanza che vi era fra di noi.
“Cosa pretendi, Damon, che esca fuori da questa macchina e gridi ho scelto te?” chiesi con ironia raddrizzandomi con la schiena e sporgendomi anche io verso di lui.
“No, Elena, che tu scelga soltanto. Mi basterebbe solo questo. E te lo giuro su Dio, in questo momento sento di avere davvero un cuore perché si sta tormentando. Vorrei fermarlo, vorrei renderlo freddo e duro come un tempo, ma non lo farò perché nel momento in cui io ritornerò ad essere un vampiro, io avrò scelto, tu avrai già scelto e non sarò più io quello che starà al tuo fianco”.
I suoi occhi scintillarono di una luce diversa e con garbo mi prese la mano e aprì bene il palmo così da farlo aderire al suo torace proprio all’altezza del cuore. Un senso di de-javu mi fece sussultare: i battiti del suo cuore si sovrapponevano ai miei, quel ritmo incessante che mi ricordavano l’inesorabilità del tempo, quel cuore pulsante che Damon mi stava porgendo e che io stavo nettamente rifiutando.
Mentre la mia mano continuava ad essere incollata alla sua maglietta, posai l’altra sulla spalla di lui, allontanandomi dal finestrino e accostandomi alla sua figura.
“Tu sei qui, Damon. Ti prometto che troveremo una cura e quando tutta questa storia sarà finita e tu ritornerai ad essere un vampiro, ti dimostrerò che avevo ragione, che quello che è successo ieri è stato un modo per dimostrartelo. Ma c’è una guerra là fuori, e Stefan ne sarebbe distrutto se lo scoprisse. Io ho già scelto, Damon, e ho scelto di salvarti, nient’altro.”
Il magone che avevo in gola si fece più prepotente e più stretto tanto da farmi boccheggiare, ma non avevo lacrime, non ero triste. Mi sentivo come alla fine di una corsa, quando finalmente riprendi aria e colmi il vuoto interposto tra un polmone e l’altro. Ma il cuore bruciava, faceva male e quel senso di fastidio mi diede la conferma che avevo fatto la scelta giusta.

Dopotutto avrei preferito non sentire più il suo battito per sempre che sentirlo di volta in volta ruzzolare a causa mia.
Damon piegò gli angoli della bocca in un sorriso disarmante e strizzò gli occhi blu.
“Non è che sotto quella felpa hai il costume da Superwoman?” chiese ironico inarcando un sopracciglio.
Nonostante sapessi che quel suo sorriso era falso, quella sua battuta mi fece ridere lo stesso. Era sempre e solo Damon, né di più né di meno.
Non ricordo come avvenne, ma i centimetri che ci dividevano si annullarono – progressivamente, come un conto alla rovescia - così come l’abisso che si era creato tra di noi, colmando il vuoto tra un sedile e l’altro e forse un po’ il cuore.
Per un nanosecondo mi rivenne in mente la storia dei genitori di Colin, del dolore di Anya nello scegliere tra Roland e Frederick e solo allora capì che in fondo Colin si era proprio sbagliato.
Dopotutto quello doveva essere il nostro bacio d’addio – a cui seguirono molti e molti altri.

 

“Non ti sembra strano che ci ha fatto aspettare per più di un’ora in quel lago, e che adesso che siamo arrivati a destinazione ci dice di aspettare?”
Alzai gli occhi al cielo all’ennesima manifestazione di scetticismo da parte di Stefan.
“Stefan ho tutta la situazione sotto controllo, mi fido di Colin e se ha deciso così ci sarà un motivo e non lo voglio sapere” sbraitai chiudendo il cofano della macchina e preparando lo zaino che il mezzo vampiro aveva detto di portare.
Secondo il rosso non eravamo ancora giunti a destinazione – sempre se ci fosse stata una destinazione ben precisa verso cui dirigerci – e che dovevamo inoltrarci nei boschi dove avremmo incontrato Bonnie e Jeremy.
Svitai il tappo della bottiglietta che avevo in mano e la adagiai sulle mie labbra così da poter placare l’arsura alla gola dovuta alla sete.
“Non ti sembra strano il comportamento dello gnomo?”
L’arrivo di Damon alle mie spalle mi fece sussultare e bagnare la camicetta di acqua. Scrollai alcune gocce d’acqua dalle dita e riposi il tappo blu sulla bottiglia di plastica, preparandomi a rispondere anche a lui.
“Vedo che non sono il solo ad avere dei sospetti” pronunciò Stefan prima che io potessi aprire bocca.
Era la prima volta che vedevo entrambi i fratelli essere d’accordo su qualcosa e quel fatto non mi rendeva affatto tranquilla.
“Ragazzi stiamo parlando di Colin, è da più di un mese che sta con noi e se avesse avuto intenzione di ucciderci l’avrebbe fatto subito. Siamo stati noi che abbiamo deciso di aiutarlo, noi che gli abbiamo promesso che l’avremmo aiutato in questa battaglia e lui adesso ci sta conducendo…”
“Dove? Ci sta conducendo dove?”.
Caroline interruppe il mio discorso e oscillò violentemente i riccioli biondi osservandomi preoccupata con i suoi occhi color giada.
“Elena, sono stanca di camminare per i boschi, di essere all’oscuro di tutto ma non poter fare domande. Il nostro intento era quello di recuperare Stefan e ci siamo riusciti. Anche io voglio molto bene a Colin, ma dobbiamo renderci conto che le sue azioni non sono coerenti, tutte questo viaggio non lo è” sbraitò in preda all’esasperazione.
La vampira bionda si avvicinò alla mia figura, guardandomi con occhi ancora rassegnati e al contempo accesi da una verità a me ignota.
Strinsi forte la bottiglia di plastica che avevo fra le mani e abbassai lo sguardo, torturandomi e succhiando avidamente il labbro inferiore.
Colin era davvero un nostro nemico? Nonostante il bene che gli volevo, non potevo non contraddire il dubbio dei miei amici.
“Elena!”
Si levò una voce dal folto della boscaglia e dopo qualche secondo due figure si fecero avanti. Bonnie e Jeremy uscirono dalla selva e mi aprii in un radioso sorriso.
Eravamo tutti, eravamo insieme.
Bonnie mi abbracciò come era solita fare e così fece mio fratello contento come me dell’unicità ritrovata.
“Ma avremmo dovuto venire noi da voi” disse Stefan facendo ciondolare su una spalla il suo ed il mio zaino.
Jeremy inarcò un sopracciglio e la mia amica corrugò lievemente la fronte.
“Ci ha mandati lui da voi” dichiarò mio fratello e, nonostante io e Damon fossimo gli unici umani, non fummo noi soli ad impallidire.
“Ha detto di dirigerci tutti insieme a nord” farfugliò Bonnie osservando un punto indefinito all’interno della foresta.
E così fu. Ci incamminammo attraverso la fitta boscaglia, con la paura e il ribrezzo di aver perso un nostro alleato, un nostro amico, in quella lotta che stava diventando più grande di noi.
Stavo attenta a non inciampare mentre tenevo saldamente la mia mano legata a quella di Stefan e con un dito cercavo tuttavia conforto e stabilità aggrappandomi alla maglietta di Damon.
Nessuno parlava lungo il tragitto, solo il rumore incessante del fogliame calpestato si faceva sentire. Anche gli uccelli avevano smesso di cinguettare o gli scoiattoli di arrampicarsi fra gli alberi.
Quindi veramente era uno di loro? Per tutto questo tempo ci aveva davvero mentito spudoratamente?
Stefan e Caroline davanti a me si bloccarono e scorsi oltre le loro spalle due ciuffi rossi tra il fogliame.
Il cuore mi si sbriciolò in minuscoli pezzi di vetro.
“Eccovi!” annunciò a voce bassa, calmo e sbarazzino, inclinando gli angoli della bocca in un sorriso pieno di entusiasmo e di vitalità.
Damon si sovrappose fra me e i due vampiri davanti, impedendomi di ricambiare lo sguardo che Colin mi aveva indirizzato, carico di stupore e smarrimento.
Bonnie al mio fianco era pronta ad attaccare: lo sentivo, stava canalizzando l’energia così da tramortirlo come aveva fatto le volte precedenti.
Mi feci prendere dal panico e urtai per sbaglio un ramo secco che si sbriciolò sotto il mio peso.
Non ricordo se fu quello o semplicemente la concentrazione di un bel gruppo di vampiri e di una strega nel loro territorio a radunare un esercito di mezzi vampiri con le fauci spalancate e le iridi vuote e bianche, pronti ad azzannare e a difendersi.
Non erano come quelli che erano stati mandati dalla Triade per uccidere Damon, erano diversi, più umani e impauriti quanto noi: molti di loro erano donne, altri semplici bambini e bambine, vestiti con shorts e gonne, altri in tuta mimetica.
Mi resi conto che eravamo stati accerchiati e che sopra le nostre teste, altrettanti mezzi vampiri ci guardavano incuriositi e ansiosi di ricevere un qualche segnale per passare all’attacco.
Il ringhio soffuso di quegli esseri si fece sempre più prepotente, come un grido di battaglia e mi decisi a prepararmi al peggio.
Stefan mi spintonò più indietro e Damon condusse la mia faccia verso il suo petto, intrecciando i miei capelli fra le sue dita.
Avevamo paura, avevamo tutti paura.
All’alba del giorno la Triade morrà” sbuffò il rosso mugugnando quella frase.
La voce di Colin placò quella serie di ringhi e sbarrai gli occhi all’udire quella filastrocca che in un modo o nell’altro ci aveva condotti proprio in quel luogo e in quella situazione.
“Fermo, Jim. Loro sono con me” continuò a dire e potei notare come i volti di ciascun mezzo vampiro ritornarono, da scarni e smunti, a coloriti e rosei, e così anche gli occhi, da bianchi e vuoti, a grigi e scintillanti.
Spostai lo sguardo su quello di Colin e mi meravigliai di vederlo così calmo e risoluto, con un sorriso pacato e serio che mi fece infervorare le guance e le orecchie dalla vergogna.
“Che diavolo succede?” chiese Caroline dando sfogo alla domanda che stava emergendo nelle teste di tutti i miei amici.
Colin sorrise e ottenuto il consenso da un uomo dai capelli biondi e la tuta mimetica – il suddetto Jim – si rivolse a noi guardandoci con aria divertita come avrebbe fatto un bambino davanti ad una cavalletta appena catturata.
“Signori e signore, vampiri e vampire, e streghe…sono lieto di annunciarvi che siamo arrivati a destinazione”.
Scostò alcuni arbusti e ci avvicinammo meglio per vedere cosa avesse intenzione di mostrarci.
Tutto ciò che vidi fu una pianura al cui centro si ergeva un’enorme abitazione di campagna contornata dal bosco.
“Benvenuti alla Cascina”.

 

Non ci speravate più vero? Eccomi ritornata con un nuovo capitolo, dopo quello precedente che ha lasciato soddisfatte molte fan di questa coppia! Inizio subito col dire che questo capitolo è totalmente dedicato a Colin – se non fosse chiaro! Ammetto che nei capitoli precedenti vi ho fatto un po’ insospettire riguardo il suo ruolo nella storia. Buono o cattivo? Avrete sicuramente capito che Colin è assolutamente buono (carino e coccoloso u.u) per cui non avrete più di che preoccuparvi su di lui ;D La storia dei genitori di Colin, di Frederick, Anya e Roland non è stata raccontata per niente, ma avrà un ruolo fondamentale, soprattutto in questa nuova parte della storia. Vi starete chiedendo che cos’è questa Cascina? Tutto con i suoi tempi, un capitolo intero sarà dedicato a loro prima dello scontro con la temuta Triade! No, non mi sono scordata del rapporto Damon-Elena: adesso è un po’ difficile visto che il minore dei Salvatore è tornato, del tutto ignaro dei sentimenti della sua ragazza, per cui non disperatevi è solo un momento di pausa, anche Stefan ben presto si accorgerà dell’evidenza!
Grazie a tutti coloro che seguono la mia storia e recensiscono con così tanto entusiasmo che mi verrebbe voglia di abbracciarvi uno per uno *.*
Alla prossima,
Sil

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Capitolo 25
*** 23 - WE'RE NOT STRANGERS, WE'RE A FAMILY ***


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23 – WE’RE NOT STRANGERS, WE’RE A FAMILY.

 

Era una graziosa casetta di campagna con il tetto verde spiovente e l’ampia veranda interamente in legno; un recinto divideva in lontananza l’abitazione dal boschetto di aceri mentre dal camino fuoriusciva una leggera nebbicciola.
Rimasi stupita e alquanto turbata di vedere quel paesaggio quasi surreale: sembrava essere una di quelle casette delle fiabe, ma lì non avrei trovato cappuccetto rosso o i tre porcellini; quella era la realtà, e accanto a me vi erano una strega, due vampiri e un vero e proprio esercito di mezzi vampiri – del tutto innocui, ma questo lo avrei scoperto più tardi.
“Benvenuti alla Cascina”.
Colin ci guardò con aria soddisfatta mentre Damon ed io continuavamo a mandarci occhiate preoccupate e allarmate, non riuscendo a capire cosa stesse insinuando il rosso.
Il mezzo vampiro si aprì in un sorriso furbo mettendo in bella mostra i denti perfettamente bianchi e lisci.
“Il quartier generale dei Ribelli” continuò a spiegare con una vivida luce negli occhi che per qualche strano motivo placò la mia inquietudine ma non quella dei miei compagni.
Il mezzo vampiro con la tuta mimetica sbuffò impercettibilmente e scostò alcune lunghe ciocche biondastre dietro l’orecchio, sistemandosi lo zaino in spalla e mandando occhiate fintamente omicide al rosso.
“Sei sempre il solito Colin, potevi avvertirci che saresti arrivato” sbraitò Jim avvicinandosi al ragazzino e arruffandogli i capelli ramati.
Colin si allontanò portandosi le mani sui capelli e riservando un occhiata divertita al biondo.
“Frederick non vi ha avvertiti? Eppure uno dei prigionieri era scappato” spiegò e accennò in direzione di Stefan che lo sentii irrigidirsi e scrocchiare le nocche delle mani.
Erano stati loro dunque a rapire Stefan e non la Triade come avevamo sempre immaginato.
Chi era il nemico e chi l’alleato? In quel momento arrivai alla conclusione che in fin dei conti eravamo soli in quella battaglia, ognuno lottava per difendere la vita di chi amava; eravamo tutti compagni di guerra.
Stefan davanti a me scosse il capo e accennò un passo, forse con l’intenzione di avventarsi contro Colin o Jim.
Allungai il braccio e strinsi un lembo della sua maglietta tra le mie dite, trattenendolo e frenando quell’istinto certamente non da lui.
Il vampiro sentendo la mia presa si girò, fraintendendo il mio gesto, e si posizionò accanto a me quasi come se avessi richiesto esplicitamente la sua presenza al mio fianco.
Sentii due occhi azzurri trapanarmi la schiena ma non mutai la mia espressione né sciolsi la mia mano da quella di Stefan: che avesse frainteso o meno, quello non era di certo il momento per Damon di fare sceneggiate.
Jim si tolse gli occhiali da vista e i suoi occhi grigi brillarono con maggiore intensità.
“Sai com’è Freddie, dà gli ordini a libera interpretazione” biascicò il mezzo vampiro caricando quello che notai solo dopo essere un fucile da caccia.
Spostò lo sguardo verso di noi e alzò un sopracciglio con aria interrogativa.
“Non vi azzanniamo mica! Seguitemi in silenzio e senza fare storie”
Si incamminò verso il folto della vegetazione e alcuni del suo gruppo lo seguirono, compreso Colin che si avviò abbracciando e stringendo la mano a quelli che dovevano essere i membri della sua famiglia allargata.
Notai Caroline essere esitante se seguire o meno il gruppo, ma la presenza inquietante dei mezzi vampiri alle nostre spalle la fece desistere dalle sue intenzioni e così ci incamminammo anche noi raggiungendo rapidamente il resto del gruppo.
“Cos’è, ci avete catturati? Senza presentarvi, senza dirci perché?”
La voce di Jeremy si alzò di due ottave e lo osservai sgusciare velocemente dalla folla per giungere al fianco di Jim e Colin.
Lo imitammo e raggiungemmo anche noi la testa della carovana.
“Piacere, il mio nome è Jim, sono addetto alla sicurezza della Cascina e non sono tenuto a rispondere alle vostre sciocche domande. Contento adesso?” rispose acido Jim riservando un’occhiata glaciale a Jeremy che non riuscì più controbattere e si ammutolì.
Per un po’ di tempo l’unico suono che si udì fu quello del frusciare delle foglie sopra le nostre teste.

 

Arrivammo alla Cascina e non appena varcammo la soglia del recinto i mezzi vampiri che erano fuori stesi a prendere il sole o a discutere ci guardarono allibiti e scattarono subito in piedi, un po’ per sicurezza un po’ per curiosità.
Alcuni addirittura dalle finestre delle loro camere assistevano alla scena bizzarra dall’alto.
La porta si spalancò e una signora dall’aspetto giovanile, bassa, con i corti capelli color miele si avvicinò con aria minacciosa a noi e in particolare al mezzo vampiro di fronte a noi.
“Colin James Michael Weber! Dopo tutto questo tempo hai ancora la faccia di ritornare qui?” sbraitò la signora asciugandosi le mani nello strofinaccio emanando un lieve sentore di marmellata all’arancia e di cannella.
Attirò al petto il giovane con fare materno e lo cullò dolcemente mentre Colin tentata invano di recuperare un po’ di quell’aria che, nonostante la sua condizione, gli serviva eccome.
“Mi hai fatto preoccupare! Andartene nel cuore della notte! Tuo zio ha dato di matto per una settimana intera!” continuò a parlare mentre ispezionava il ragazzo sistemandogli il colletto della polo e spazzolandolo dalle foglie e dai rametti che gli si erano impigliati durante il tragitto nella foresta.
“Si, Grace, anche tu mi sei mancata” snocciolò il rosso e Grace si slanciò ancora una volta verso di lui baciandolo lievemente in fronte.
Nonostante fossimo in un luogo sconosciuto e circondati da mezzi vampiri, quella scena così quotidiana mi fece piegare gli angoli della bocca in un sorriso. Sapevo che Colin non aveva più la mamma e che in un modo o nell’altro aveva trovato in me una figura materna a cui poter fareriferimento, ma il vedere Colin così contento di rivedere quella donna ormai familiare mi fece sciogliere il cuore.
Dopotutto anche io alcune volte avrei voluto abbracciare così la mia mamma.
Grace alzò i suoi occhi stranamente castani – era umana, ne ebbi la conferma - e la sua espressione si addolcì ancora di più.
“Voi dovreste essere gli amici di Colin, mi dispiace di avervi fatto attendere così tanto. Entrate pure, siete arrivati in tempo per la merenda” disse e con fare premuroso ci invitò ad entrare.
“Anche tu, Jim”
Mi voltai, incuriosita dal tono con cui aveva chiesto al biondo di entrare.
Jim roteò gli occhi, estrasse dalla tasca della tuta un accendino e con esso si accese la sigaretta che aveva posto in bilico fra le sue labbra.
Mi lanciò un’occhiataccia e fui costretta a spostare lo sguardo mentre Damon mi spingeva ad entrare così che Grace potesse chiudere la porta alle nostre spalle.
Ciò che apparve ai miei occhi fu più bizzarro di quanto avessi mai sospettato: tre rampe di scale con altrettanti piani si snodavano verticalmente e lungo il passamano e accantonati sulle scale magliette, libri e oggetti vari giacevano lì come se quello fosse stato il loro posto; un chiacchiericcio sommesso proveniva dalle stanze ai piani superiori mentre al pianterreno la voce del notiziario tentava di soffocare lo stridio di padelle e di risate. Due ragazze in pantaloncini scesero dalle scale e allegramente ci sorpassarono senza dare minima importanza alla nostra presenza lì e così fecero due bimbi – all’apparenza – che scorrazzarono veloci con un pallone da football sottobraccio.
Più che un quartier generale sembrava una pensione per studenti universitari o almeno così mostravano i depliant per il college che Jenna mi aveva più volte messo sotto il naso. Non aveva affatto un aspetto cupo e minaccioso ma sembrava di essere in una grande famiglia, dove tutti si conoscevano e collaboravano per uno scopo comune.
“Tanya, Rebbecca se andate in paese fate la spesa, sono finite le scorte. Charlie, Jack non giocate troppo vicino alle finestre; George quante volte ti ho detto di non lasciare almeno le scarpe per le scale; Maggie, Will stasera è il vostro turno di lavare i piatti”
Così dicendo Grace si intrufolava tra la folla facendoci spazio e permettendoci di passare. Centinaia di occhi grigi ci scrutarono all’istante.
Arrivammo finalmente in cucina dove si estendeva una lunga tavola ancora da sparecchiare.
“Prego sedetevi, scusate il disordine ma badare a settantatre mezzi vampiri non è il massimo” si scusò Grace con un sorriso imbarazzato e si allontanò nel suo prendisole azzurro cielo.
Damon si avvicinò al mio orecchio.
“Cos’è, hanno anche una bambinaia personale o è stata soggiogata?”
Alzai lo sguardo al soffitto e gli lanciai una stilettata, risposta esauriente e negativa alla sua domanda.
“La conosco. Mi portava da mangiare quando ero loro prigioniero” sussurrò Stefan giocherellando con un lembo della tovaglia da tavola.
“Perché ti hanno catturato? Che motivo avrebbero avuto visto che il loro scopo è di sconfiggere la Triade” chiesi non riuscendo a capire cosa avesse potuto fare Stefan per costringerli a rapirlo.
Il vampiro dagli occhi verdi sospirò.
“Penso che mi abbiano scambiato per uno dei vampiri alleati della Triade. Quando mi hanno catturato stavo cercando informazioni sui mezzi vampiri e sulla cura per Damon. Si saranno insospettiti e avranno deciso di catturarmi in modo da utilizzarmi per recuperare alcune informazioni – che io ovviamente non avevo”
L’immagine di Stefan prigioniero e vittima di torture mi balenò in testa e repressi il magone che si addensava in gola. Sfiorai la sua mano e lasciai che le nostre fronti si scontrassero e i nostri respiri si allacciassero.
“Mi dispiace” sussurrai e non ricordo se quelle scuse fossero per le torture che lui aveva dovuto subire o per i sentimenti che erano mutati inevitabilmente.
Colin sopraggiunse vestito di tutto punto e con allegria aprì il frigo così da estrarre una bottiglia di succo alla pesca. Si vedeva che era contento di essere ritornato a casa – se mai quella fosse stata davvero casa sua.
“Volete un muffin? Sono ancora caldi” offrì gentilmente la signora e noi non potemmo non rifiutare.
Stavo esaminando le invitanti scaglie di cioccolato che emergevano dal dolce quando un rumore di piatti rotti ci fece sobbalzare.
Una ragazza dai capelli castani e riccioluti raccolti in una lunga coda di cavallo ci guardava inorridita con i suoi occhi grigi, piccoli ma taglienti come rasoi.
Corrugò la fronte indispettita per poi spostare lo sguardo su Grace.
“Eravamo d’accordo: non li avremmo fatti entrare quando sarebbero venuti. Possiamo benissimo farcela da soli. Loro non faranno altro che crearci dei problemi”
La ragazza fece oscillare violentemente la coda e il corpo esile e longilineo si piegò per afferrare i cocci di porcellana sparsi sul pavimento.
“Nicole, Frederick l’ha deciso e non spetta a te mettere in discussione una sua decisione” ribatté secca Grace buttando gli ultimi cocci del piatto rimasti nella pattumiera.
In quel momento fece il suo ingresso nella sala Jim: non indossava più la tuta mimetica ma aveva una camicia a maniche corte che lasciava intravedere i bicipiti e i pettorali ben scolpiti, un paio di jeans e i capelli, prima spettinati e lunghi fino al mento, adesso erano pettinati all’indietro.
“Grace, Nicole. Sono venuto ad informarvi che Frederick vi sta aspettando ma è disposto a parlare solo con uno di voi” annunciò il mezzo vampiro, dapprima salutando le due donne e poi rivolgendosi a noi.
“Solo con uno di loro? Sono nostri alleati, lascia che parli io con mio zio” intervenne il rosso che se ne stava appollaiato sullo sgabello più alto come un pappagallo.
“No, Colin stanne fuori”
L’ennesima occhiata gelida di Jim spronò Colin a non parlare almeno per la mezz’ora seguente.
“Va bene biondino, portaci dal grande capo alfa”
Damon si alzò e inchiodò il suo sguardo a quello impassibile del mezzo vampiro. Era solo una mia impressione o quei due erano fatti della stessa pasta?
Il sorriso sornione di Damon combaciò quasi perfettamente a quello obliquo di Jim.
“Fate come volete. Mi avete deluso, entrambi!” sbottò la mezza vampira di nome Nicole che si diresse verso le scale, urtando Jim di proposito.
Il biondo boccheggiò per un secondo in preda alla confusione e alla voglia di raggiungerla. Imprecò a denti stretti per poi sbuffare e farci un cenno annoiato di seguirci.
Caroline al mio fianco piegò gli angoli della bocca in un sorriso quasi compiaciuto e più avanti ne capii il motivo.
Procedemmo per un lungo corridoio che conduceva ad una seconda rampa di scale comunicante con altre due rampe. Di tanto in tanto sentivamo chiacchiericci e porte che si aprivano, oppure sussurri e persone che scendevano o che salivano.
Tutto in quella casa sembrava essere tremendamente umano e caloroso, tanto più che non mi meravigliai quando scambiai un mezzo vampiro per un umano qualsiasi.
“Eccoci arrivati”
Jim si posizionò davanti alla porta in legno di noce di quello che doveva essere lo studio del presunto Frederick.
La luce densa e calda del pomeriggio entrava da una grande vetrata da cui si poteva vedere il cortile e il bosco poco lontano; dall’altezza e dal soffitto inclinato avrei giurato che quella fosse la mansarda.
“Chi ha l’onore di parlare con mister simpatia?” chiese il biondo incrociando le braccia al petto e squadrando ognuno di noi.
Osservai lo sguardo esitante di Bonnie e di Jeremy e quello altrettanto ambiguo di Caroline.
Deglutii rumorosamente e tentai di osservare in tralice l’espressione di Damon al mio fianco.
“Vado io”
Uno Stefan risoluto e alquanto deciso fece un passo avanti ponendosi a pochi centimetri dalla figura marmorea di Jim, decisamente più alto del vampiro.
“Come preferisci” disse scrollando le spalle e facendo appena in tempo ad afferrare la maniglia in ottone.
“Frena, Superman” esordì Damon arricciando le labbra e trattenendo Stefan per un braccio.
La fronte del vampiro si corrugò quasi simultaneamente al sopracciglio di Damon che si inarcò più del dovuto.
“Lasciami andare, Damon”
Damon seguì il suo consiglio e allentò la presa ferrea.
“So che hai avuto da sempre manie di protagonismo, il supereroe della situazione, ma vorresti spiegare a me e ai presenti perché mai dovresti andare tu e non qualcun altro?” chiese indicando me e gli altri nostri amici con un ampio gesto della mano.
Stefan schioccò la lingua.
“Mi hanno tenuto prigioniero per due settimane, avrò anche il diritto di sapere e di conoscere il volto di colui che ha ordinato per quattordici giorni di torturarmi” sputò Stefan non trovando alcuna pecca nel suo ragionamento apparentemente perfetto.
“E non ti sembra che avrei io più diritto di te? Sbaglio o tu sei ancora un vampiro?”
Il mio sguardo scattò subito a Damon e alle sue labbra che avevano appena pronunciato quella frase.
Allora Damon mentiva, non avrebbe mai permesso a nessuno né tantomeno a me di farlo rimanere umano. La sua umanità era la cosa che più gli era mancata al mondo ma ora che l’aveva riottenuta, come un bambino troppo stanco del suo nuovo giocattolo, la voleva buttare nuovamente via.
Non che speravo che Damon rimanesse umano, ma oramai mi ero così abituata all’idea di lui così simile a me che ripensarlo nuovamente vampiro mi trasmetteva una tristezza infinita. Non sentire più il suo battito, come avrei potuto amarlo anche da vampiro?
La porta si aprì scricchiolante e la figura di un uomo maestoso, dall’aspetto austero e dalla pelle olivastra quasi color caffellatte si manifestò dinanzi a noi, prendendo il posto della porta e celando ugualmente ai nostri occhi la stanza.
I suoi occhi innaturalmente grigi entravano in contrasto con i riccioluti e folti capelli color dell’ebano e la fine barba che contornava le labbra rosate.
Stava ritto dinanzi a noi, con le mani allacciate dietro la schiena e vestito con una camicia nera in tinta con i pantaloni del medesimo colore.
Ci scrutò dall’alto e freddò i presenti con il solo sguardo.
Anche Jim, che era sempre stato così sfrontato e altezzoso, di fronte a Frederick chinava lo sguardo.
“Ebbene?” chiese e la sua voce risuonò roca e profonda con uno strano accento, forse francese, forse arabo.
Frederick guardò Jim e il biondo di tutta risposta non poté fare a meno di incrociare le braccia al petto e di inclinare il capo verso di noi facendo cenno ai due fratelli posti proprio di fronte alla porta.
“Parlerò io con te. Tu vuoi sapere qualcosa da me. Io voglio sapere qualcosa da te. Penso che lo scambio sia equo” proruppe Damon sovrapponendosi al fratello.
Il mezzo vampiro non si mosse di un centimetro.
“Certo, avremo modo di parlare. Ma mi sembra sconveniente surclassare i volontari, tantomeno se è un qualcuno che conosco” disse e accennò un breve sorriso incontrando gli occhi di Stefan.
“Scusa amico, niente di personale. Precauzione”
Stefan si strinse nelle spalle, annuì poco convinto e spostò lo sguardo altrove.
Il sorriso di Frederick sparì quasi del tutto non appena incontrò nuovamente gli occhi azzurri di Damon.
“Possiamo discutere?” chiese nuovamente Damon con tutta l’irruenza e l’impazienza che tanto lo caratterizzava.
Il mezzo vampiro corrugò la fronte e con l’indice si lisciò la fine barba.
“Non qui. Non con te” rispose gentilmente affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
Damon serrò le mani sudate facendo scrocchiare le nocche.
“Senti, una certa Michelle mi ha trasformato in umano e io voglio assolutamente tornare vampiro. Il bassotto dai capelli rossi ha detto che potrebbe esistere un rimedio e io sono adesso qui, in tua presenza, a chiederti se esiste effettivamente una cura. Rispondimi e vi aiuteremo a sconfiggere tutti i mezzi vampiri che vorrete”
Concluse e un sorriso quasi addirittura soddisfatto increspò le labbra dell’ex vampiro.
Frederick in un primo momento sembrò alquanto divertito dell’atteggiamento assunto da Damon.
“Non mi è mai piaciuta la sfrontatezza. Né nel diciottesimo secolo né ora”
Con un colpo deciso e quasi invisibile ai miei occhi Frederick colpì Damon in pieno viso il quale ricadde indietro sbattendo sulla parete, facendo ricadere alcuni calcinacci dal soffitto. Rimasi inchiodata al pavimento incapace di soccorrerlo e forse anche di parlare.
Rantolò qualche parola tossicchiando e coprendosi il viso imbrattato di sangue: un rivolo color rubino fuoriusciva dal sopracciglio destro iniettando di finissimi capillari anche l’occhio.
Damon sputò e guardò con rabbia e astio il mezzo vampiro che si massaggiava la mano dolorante.
Frederick alzò lo sguardo su di noi.
“Allora vediamo, rimangono due vampiri, una strega e due umani” disse e sembrò riflettere ad alta voce.
Jim dapprima sbuffò e poi sghignazzò guardando l’ex vampiro inerme al suolo.
Cercai di trucidarlo con lo sguardo ma non appena lo feci due occhi grigi mi catturarono.
Frederick mi fece cenno di seguirlo e Jim mi fece cenno di entrare, quasi come se volesse incoraggiarmi dicendomi che tutto sarebbe andato bene.
Varcai la soglia della porta e il un tappeto morbido attutì i miei passi.
“Aveva ragione Nicole. E’ stata proprio una pessima idea!” sentì dire a Jim da dietro la porta sottile.
“Va al diavolo” imprecò Damon e dal corridoio non si udì più nessun rumore.

 

Non sembrava proprio uno studio, era più che altro un magazzino, ben diversa dalla mansarda dei Salvatore ma oltremodo vecchia e antiquata.
Tre file di librerie erano stipate al centro della sala e mi impedivano di essere illuminata dalla luce che proveniva dalla grande finestra dietro la scrivania; dal soffitto pendevano strani oggetti, modellini di aerei e velieri di ogni età erano riposti accuratamente sulle mensole e le pareti erano ricoperte di ritratti e di foto, alcune in bianco e nero, altre a colori. La stanza era impregnata di odore di zafferano misto a caffè e quello insieme al caldo afoso del pomeriggio mi stordì e non poco.
“Avvicinati”
La sua voce risuonò tra le pareti e costrinsi i miei piedi a muoversi cauti verso la scrivania.
Frederick si verso in un bicchiere quello che ad occhio e croce avrebbe dovuto essere cognac e ripose il tappo nella bottiglia di vetro.
Aprì i primi due bottoni della camicia e si girò le maniche fino ai gomiti.
Corrugai la fronte attendendo il suo discorso.
“Elena Gilbert, giusto?” domandò e annuii lievemente con il capo.
“Colin era molto entusiasta di te, ha detto che sei una persona interessante e credo di fidarmi dell’intuito di mio nipote, dopotutto ha preso da me” enunciò e piegò gli angoli della bocca all’insù facendo trasparire delle leggere increspature agli angoli degli occhi.
Sembrava vecchio, molto vecchio, nonostante avesse l’aspetto di un quarantenne ancora aitante e giovanile.
“Questa storia è iniziata tutta a causa di Michelle. Damon, il ragazzo che hai picchiato, si è trasformato in umano ed è per questo che Stefan è venuto qui da voi a cercare informazioni, per una cura. Mentre catturavate Stefan, Colin è venuto da noi e ci ha spiegato la situazione. Ci ha detto della Triade, di cosa vogliono fare. Abbiamo incontrato un loro piccolo esercito e loro ci hanno concesso una tregua di un mese, secondo loro per pensare da quale parte vorremmo stare. Poi ci è arrivata la vostra telefonata e siamo partiti per salvare Stefan. Adesso manterremo la nostra promessa, vi aiuteremo a sconfiggere la Triade. Ma prima voglio sapere se esiste realmente una cura”
Tentai di spiegare, di essere più chiara possibile in modo tale da non ripetermi una seconda volta, ma l’ansia di scoprire la verità fu più forte e alla fine cedetti: in fondo dovevo sapere.
Frederick posò il mento sopra le dita intrecciate e sorrise mettendo in evidenza la fila di denti perfettamente bianchi.
Aveva lo stesso sorriso sbarazzino di Colin.
“Stiamo cercando di scoprire proprio questo dalla Triade. Mi dispiace ma non so come aiutarti, Elena”
Sospirai rassegnata a quell’idea e ricaddi pesantemente sullo schienale della sedia.
“Bene Frederick allora quando tu…” iniziai a dire ma venni interrotta dal mezzo vampiro di fronte a me.
“Per favore chiamami Freddie, mi fai sentire più vecchio di quanto già sono…” ridacchiò scrollandosi i folti riccioli neri e sorrisi anch’io.
“Ti aiuteremo, dopotutto l’abbiamo promesso a Colin.”
Frederick si alzò dalla poltroncina, accese la lampada a neon posta sopra la scrivania e mi diede le spalle osservando il cielo leggermente scuro oltre la finestra per poi spostare lo sguardo sui restanti mezzi vampiri, alcuni che rientravano in casa altri che allestivano il fuoco.
Mi avvicinai anch’io alla finestra semiaperta e osservai il panorama che si estendeva al di sotto: Grace seduta su una panchina stava coccolando alcuni bimbi mentre dava ordini e mansioni ai ragazzi più grandi, alcuni adulti ancora vestiti con le tute mimetiche comparivano dal bosco di fronte ritornando a casa dal loro lavoro, Jim seduto accanto al fuoco appena acceso fumava tranquillo un’altra delle sue sigarette, Nicole sul porticato attendeva ordini da eseguire, Colin ridacchiava insieme ad alcuni uomini di età diverse riuniti sul prato ancora caldo.
“Come ci sei riuscito? Come hai fatto a riunire così tanti estranei e a farli collaborare?”
Chiesi quasi senza pensare alla vista di quella combriccola strana ma felice.
“Non siamo estranei, siamo una famiglia” rispose e marcò quelle parole con lo stesso tono leggermente orientale utilizzato precedentemente.
Gli occhi grigi mi scrutarono nuovamente con un velo di malinconia.
“Bene, è tutto. Grazie per essere venuta e dì ai tuoi amici che non sono affatto pericoloso. E’ il mio lavoro, tutto qui” spiegò e nuovamente sorrise.
“Ok, Freddie” risposi e utilizzai volontariamente il diminutivo: avevamo trovato un amico e non un nuovo capo.
Uscì dallo studio richiudendomi la porta alle spalle, ma non appena lasciai la maniglia mi resi conto che avevo completamente dimenticato un particolare: lui era il Frederick del racconto, lo stesso Frederick che amava Anya con tutto il suo cuore.
Mi morsi il labbro inferiore combattendo con me stessa se entrare di nuovo o semplicemente lasciare correre.
Alla fine mi convinsi che forse ci sarebbe stata una seconda occasione per discutere e per ricordare.

 

“Lo stile panda non ti dona per niente” ridacchiai mentre Damon continuava a lamentarsi e a dimenarsi sotto il tampone imbevuto di alcol disinfettante e ghiaccio.
“Divertente!” mugolò socchiudendo l’occhio e mordendosi il labbro inferiore così da sopportare meglio il bruciore che sgorgava dalla ferita.
Spostai la treccia che avevo fatto sulla spalla destra e alzai lievemente il tampone ancora un po’ rosso per via del sangue.
Lo zigomo destro appariva lievemente sfregiato ma non tanto come il sopracciglio su cui si apriva un taglio di circa tre centimetri; a completare il tutto, un livido violaceo tendente al nero offuscava l’occhio leggermente gonfio e iniettato di sangue.
Sollevai il panno e soffiai piano per farlo asciugare.
Damon mi guardò con uno sguardo stralunato e da bambino monello. Sembrava davvero buffo in quel momento.
“Non sei combinato tanto male. Le ragazze ti correranno dietro comunque” dissi allegramente riponendo il fazzoletto sul comodino e facendo cigolare le molle del materasso sottostante.
Grace ci aveva offerto due delle poche camere disponibili alla Cascina: Jeremy, Damon e Stefan avrebbero dormito nella stanza di Colin il quale sembrò fare capriole dalla gioia, mentre Caroline, Bonnie ed io potevamo usufruire di una piccola ma accogliente stanza accanto a quella di Grace, che avremmo potuto chiamare per qualsiasi evenienza.
“Me lo auguro o se no da vampiro non farò una gran bella figura” ridacchiò stendendosi sul letto e incrociando le braccia dietro la nuca.
Distesi le labbra in un sorriso anche se in quel preciso istante avrei voluto piangere. Che Damon fosse stato sempre un gran donnaiolo lo sapevo eccome e non era quello il tormento più grande che mi affliggeva.
L’avrei dovuto lasciare andare via. L’avevo già lasciato andare. Eppure più ci ripensavo più mi pentivo della decisione che avevo preso: quella di salvarlo mettendo da parte il mio egoismo.
Mi diressi verso il letto disfatto di Colin e aprì la finestra facendo entrare un po’ di brezza estiva.
“Non esiste nessuna cura vero?” mi chiese facendo leva sui gomiti così da stare ritto.
Ebbi un brivido lungo la schiena e fui tentata di dirgli di si, che non esisteva nessuna cura ma la mia coscienza e il mio buon senso si fecero beffe di me.
“Può darsi, ma lo scopriremo solo quando incontreremo la Triade”
Damon sbuffò sonoramente facendo roteare gli occhi e ricadendo pesantemente sul morbido guanciale.
Mancava solo una settimana allo scadere della tregua. Solo sette giorni e saremmo partiti per il North Caroline insieme agli altri della Cascina. Sette giorni, un lasso di tempo decisamente troppo breve per uno di noi due.
“Mi sento chiuso, compresso, come se questo corpo non fosse più mio. A volte pretendo di urlare, di sfogarmi, di buttare tutte cose all’aria come mi era facile prima, ma alla fine sto in silenzio, ragiono e non mi muovo. Il Damon umano è morto nel 1864. Non sarebbe giusto lasciarlo vivere nel ventunesimo secolo.”
Slacciai le braccia che fino a qualche minuto prima avevo tenuto rigidamente incrociate al petto e mi diressi verso di lui.
Damon mi fece posto sul suo letto e io mi accoccolai tra le sue braccia.
“Damon tu non sei morto nel 1864. Sei qui. Esisti. E sento che sei la cosa più giusta che in questo momento ci sia nella mia vita”.
Piegò gli angoli della bocca in un sorriso disarmante che mi fece boccheggiare per qualche secondo.
Nonostante l’occhio nero, era bello, era Damon.
Con le labbra sfiorò la mia fronte per poi lasciarsi sfuggire un risolino.
“Certo che vampiri, mezzi vampiri e streghe! Alla festa mancano solo i lupi mannari e poi saremmo al completo” scherzò inarcando le sopracciglia.
“Sicura di non voler rimanere da me stanotte” domandò languido e io mi irrigidii tutta.
Sciolsi le mie dita dall’intricato groviglio e mi alzai dal letto.
“Buonanotte Damon e cerca di riposare” dissi carezzandogli la guancia mentre con la coda dell’occhio notai una figura minuta arrampicarsi dalla finestra e cadere malamente sul letto.
“Posso avere anche io il bacio della buonanotte?” chiese Colin con i capelli scompigliati e le guance rosse per via della vicinanza del fuoco di poco prima.
Roteai gli occhi e mi concessi un sospiro divertito.
In fin dei conti Frederick aveva ragione: non eravamo estranei, eravamo una famiglia.

 

 

Buon anno cari lettori di EFP!
Sono tornata con il nuovo capitolo tutto per voi ** Eravamo rimasti a Colin che mostrava alla nostra cara combriccola la Cascina, ebbene si il quartier generale dei mezzi vampiri, un luogo confortevole in cui abitare tutti insieme :D Avrete di certo notato che questo capitolo è interamente dedicato a loro, ai mezzi vampiri e in particolare ai nuovi introdotti: Jim, bello e burbero, capo delle pattuglie che vigilano la Cascina e quasi un braccio destro per Frederick; Nicole, la scettica, che ama lavorare da sola e pensa solo al proprio bene, fuggendo da ogni legame stretto o parentela; Grace che non è affatto una mezza vampira ma che si occupa di loro, cucinando e prendendosi cura dei più piccoli. Sono personaggi che non sono stati introdotti per caso per cui memorizzateli e non dimenticavene ;D Colin è sempre il solito pestifero, un po’ la versione maschile di Pippi Calzelunghe, e adesso finalmente è tornato a casa dalla sua famiglia e in particolare dallo zio. Ed ecco a voi il famoso Frederick di cui nel capitolo precedente si è tanto parlato insieme ad Anya e a Roland. Vi avviso che sarà presente solo fino al capitolo seguente ma sarà fondamentale poi per l’incontro con la Triade, decisamente imminente! Poi c’è la questione Damon/Elena: è palese adesso che Damon voglia ritornare ad essere un vampiro per cui per chi avesse voluto lui ancora umano, mi dispiace xD Ma non è sicuro che esista una cura e su questo Elena ci spera e non poco! Sembrerebbe contraddirsi da sola dicendo che non saprebbe più come amare Damon una volta ritrasformato in vampiro visto che lei stessa ha detto che lo avrebbe amato da umano o da vampiro, ma Elena è umana e in quanto tale ha il beneficio del dubbio e dell’indecisione.
Questa volta ho voluto concludere senza suspance, anche perché il prossimo capitolo sarà ambientato sette giorni dopo quindi alla partenza della combriccola presso la Triade.
Ringrazio tutti coloro che recensiscono e chi semplicemente legge questa storia *-*
Un bacio (anche da parte di Colin u.u)
Sil

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Capitolo 26
*** 24-I LOVED HER, THAT'S THE PAIN ***


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24 – I LOVED HER, THAT’S THE PAIN

 

“In Canada? E come ci siete finiti in Canada?”
La voce acuta e stridula di Jenna mi trapanò i timpani tanto che dovetti allontanare il cellulare dal padiglione auricolare.
Alzai gli occhi al cielo, conscia della bugia che avevo appena architettato dopo che per tre volte di seguito avevo ignorato le continue chiamate da parte di mia zia, stranamente apprensiva.
Mi umettai le labbra e iniziai il mio discorso, perfetto nei minimi particolari.
“Eravamo in campeggio quando Stefan mi ha telefonato per sapere come stavo. Gli ho detto che eravamo partiti in vacanza per passare un po’ di tempo fuori da Mystic Falls e ha colto l’occasione per invitarci in Canada dove la famiglia di parenti che viveva in Alaska ha deciso di trascorrere le vacanze. Così siamo partiti per il Canada, infatti siamo arrivati solo ieri sera dopo tre giorni interi di viaggio. Ho provato a chiamarti, ma avevo il cellulare scarico e la zona non è delle migliori”.
Il silenzio prolungato oltre la cornetta mi fece trattenere il respiro: era facile immaginare la fronte larga di Jenna corrugarsi tentando di assimilare le informazioni o forse pensando a quale risposta da tutore sarebbe stata più corretta.
La sentii sospirare quasi seccata e alzai lo sguardo dal prato verde e umido incrociando lo sguardo di Stefan seduto accanto a me.
“Non mi convince questa storia del Canada. Sentiamo, Stefan è lì con te?” chiese e me la immaginai con i suoi occhi ridotti a fessure mentre incrociava le braccia, come un ispettore di polizia che tenta di far confessare il colpevole che pur si reputa innocente.
Jenna adorava il genere poliziesco, era più che prevedibile che avrebbe fatto domande.
Il vampiro accanto a me si sollevò con i gomiti da terra e un leggero sorriso affiorò alle sue labbra, segno che aveva ascoltato tutta la conversazione e che sapeva che adesso sarebbe stato il suo turno.
Sospirai fintamente seccata.
“Se non ci credi…” borbottai e avvicinai il telefono il direzione di Stefan.
“Salve Jenna. Sono arrivati tutti sani e salvi” disse apparendo il più calmo possibile e ridacchiai all’occhiata fulminea che mi riservò.
Riportai il cellulare al mio orecchio, ma non ebbi il tempo di schiudere le labbra che Jenna incominciò subito il suo sproloquio.
“Potevi anche avvisarmi, anche se avevi il cellulare scarico sicuramente Bonnie o Caroline te l’avrebbero potuto prestare. E Jeremy? Tutto bene? Dove alloggiate e soprattutto quando tornate? Mi sto comportando da apprensiva vero?”
Roteai gli occhi pentendomi vivamente di aver digitato quel numero, ma non riuscii a trattenere un sorriso: comportarsi in quel modo era da Jenna.
“Decisamente! Comunque tranquilla, qui tutto bene tra meno di una settimana saremo di nuovo tutti a casa”.
Il cuore ruzzolò di qualche centimetro e una morsa mi compresse lo stomaco: se saremmo tornati mai a casa.
“Oh se dici così allora posso stare tranquilla. Salutami Jeremy e state attenti” cinguettò dall’altro capo del telefono e la salutai di rimando schiacciando in pulsante rosso e ponendo fine alla chiamata.
Il mio sguardo indugiò per qualche istante sullo schermo del cellulare ma non appena divenne nero non potei far altro che alzare la testa e con mia enorme sorpresa non trovai Stefan a guardarmi con la sua solita aria preoccupata.
Dovetti chinare lo sguardo per vedere il vampiro disteso sull’erba con una mano dietro la nuca e gli occhi persi tra le nuvole che veloci sorvolavano le nostre teste.
La fronte era corrucciata così come il suo sguardo teso e nervoso.
“C’ha creduto. Puoi smetterla di essere preoccupato” minimizzai nonostante vedessi il tormento traboccare dai suoi occhi verdi.
Mi accorsi in quel momento che per la prima volta da quando stavo con Stefan non riuscivo a capire che cosa pensasse: ricordo che c’era stato un tempo in cui con un solo sguardo sapevo capire quali fossero i suoi tormenti, per me era come l’acqua di un ruscello trasparente, ma in quel momento era come voler vedere qualcosa nel fango.
Era evidente che la lontananza aveva creato delle distanze insormontabili e questo non poteva non recarmi una certa tristezza. L’avevo pur sempre amato – un tempo.
“Forse non dovremmo combattere questa guerra. Il nostro intento era di trovare una cura per Damon. Questa cura non esiste. Quindi perché non ritornare veramente a Mystic Falls?”
Sospirai pesantemente e mi distesi al suo fianco, lasciando che i capelli ricascassero lungo il suo torace ampio.
“Non siamo sicuri che non ci sia una cura. Dobbiamo provarci fino in fondo”
Stefan mi circondò con un braccio e intrecciò le dita tra i miei capelli.
Sentii il suo torace alzarsi e i polmoni riempirsi di ossigeno, segno che stava pensando un po’ più del necessario per rispondere.
“Per Damon?” chiese senza però aspettarsi veramente una risposta.
Chinai lo sguardo e pungolai con l’indice il braccio reso nudo dalla maglietta grigia a maniche corte che indossava.
Quel nome mi provocò un leggero capogiro e il cuore cessò di battere per qualche secondo. Nacque in me una strana paura che come un serpente continuava a serpeggiarmi dentro lungo la colonna vertebrale fino ad arrivare alle ossa. Che Stefan intuisse qualcosa? Era evidente che tra me e Damon fosse cambiata qualcosa, che si intenda come legame o come alchimia, ma speravo con tutto il cuore che il vampiro al mio fianco non fraintendesse, che non si ponesse strane domande in un momento così critico per tutti noi. Glielo avrei detto, un giorno quando tutto questo fosse finito, e lui si sarebbe accontentato della mia sincerità e della mia felicità, perché se c’era una cosa che Stefan non riusciva a fare era essere egoista. Ma poi avrebbe fatto sicuramente male, lo avrei visto morire pian piano ogni giorno, l’odio e il rancore fintamente camuffato sarebbe cresciuto fino a divampare. Ma cosa avrei mai potuto fare io?
“Dopo quello che è successo con Katherine, potrei essere anche un po’ geloso” mi sussurrò e io deglutii rumorosamente. Ma il suo sopracciglio inarcato e il sorriso appena accennato mi fecero intuire che la conversazione non si stava orientando in nulla di serio e il mio cuore fu un po’ più leggero.
Ricambiai il sorriso e con mia enorme sorpresa mi baciò quasi con fare possessivo. Forse ero io che avevo frainteso tutto.
“Voi giovani d’oggi non fate altro che manifestare i vostri sentimenti un po’ troppo spesso”
La voce di Freddie mi portò a staccarmi dal viso del vampiro.
Frederick stava ritto con le mani allacciate dietro la schiena e la camicia quadrettata che lasciava scoperta la canotta bianca in perfetto contrasto con la carnagione color caffèlatte.
Gli occhi grigi sembravano scrutarmi sottopelle mentre il sorriso bonario accennato appena dal pizzetto risultava essere freddo e distaccato.
Di Frederick non sapevo molto nonostante la lunga settimana trascorsa alla Cascina, ma se c’era una cosa che mi sembrava ovvia era che lui non lasciava mai il suo studio se non per ragioni importanti. Quella di certo doveva essere una questione importante per cui non mi curai quando Stefan sospirò un vi lascio soli allontanandosi dalla porzione di terreno su cui eravamo distesi.
Mi alzai scrollandomi di dosso il terriccio e i fili d’erba che si erano impigliati nei miei shorts.
“Vieni Elena intendo mostrarti una cosa” pronunciò, con sempre quello strano accento da orientale, e con modi raffinati e antichi mi porse la mano in attesa del mio consenso.
Accettai senza indugiare e mi incamminai con lui verso il retro della casa, il cortile da cui si vedeva l’enorme vetrata del suo studio.
“Vedi Elena, penso che tu sappia come siamo stati creati, cosa è accaduto, perché ci siamo trasformati in mezzi vampiri”
“Stefan e Colin hanno accennato qualcosa a riguardo” tentennai corrugando lievemente la fronte.
“Un tempo eravamo vampiri come il tuo ragazzo e la tua amica bionda. Avevamo sete di sangue, temevamo i paletti di legno conficcati nel cuore e la verbena, non potevamo muoverci alla luce del sole. Siamo stati originati da una diatriba o per utilizzare un termine moderno, un litigio: il sangue scarseggiava e l’odio che ogni famiglia covava nei confronti dell’altra stava aumentando a dismisura. Furono tre i primi della nostra comunità a diventare mezzi vampiri, tre che si condannarono a vicenda per poi condannare tutti noi, tutto il resto della famiglia. Dapprima fu quasi un sollievo, il poter girare liberamente alla luce del sole senza amuleti e bracciali magici, il poter trovare sazietà anche con il cibo, l’essere immune ai paletti di legno e alla verbena: avevamo riconquistato di nuovo la nostra umanità, non eravamo più dei mostri. Ma poi ci accorgemmo che non potevamo più sentire il calore del sole sulla nostra pelle ancora fredda, che ci nutrivamo di carne senza però esserne sazi del tutto, di avere ancora quella sete che non potevamo colmare a causa del disgusto per il sangue, che eravamo pur sempre veloci e immortali, ma che le ferite che ci procuravamo non si sarebbero sanate subito. Avevamo una maledizione ben maggiore, quella di vivere a metà senza essere né vampiri né umani.”
Arrestò i suoi passi e con mia viva curiosità si frugò nelle tasche come alla ricerca di qualcosa. Estrasse un piccolo coltello da cucina, di quelli che si usano per tagliare il pane e infisse la lama sul palmo della mano ben teso, disegnando una spessa riga rossa che gli macchiò tutta la mano. La chiuse a pugno sotto il mio sguardo preoccupato ma al contempo incuriosito per poi aprirla mettendomi in evidenza le dita tinte di rosso e la ferita da cui continuava a sgorgare il sangue.
“Sentiamo il dolore, sappiamo che fa male ma tuttavia non riusciamo a provare veramente dolore. Siamo veloci, anzi più veloci di quanto eravamo prima, possiamo soggiogare umani e vampiri, possiamo riprodurci. A parte queste poche cose positive, il resto è una tortura. Ma non ti ho fatto venire qui per farmi compiangere da te, ti ho chiamato perché ho informazioni utili riguardo la vostra partenza e la Triade”
Abbassò il tono di voce mentre io mi preparai a memorizzare ogni singola informazione.
“Il loro quartier generale si trova nel centro di una città del North Caroline. Dalla loro parte hanno molti vampiri e molti esseri umani, ma non tutti sono consapevoli delle azioni che fanno, molti sono soggiogati. Sono tre e non si separano mai, non si sa se siano legati da parentele o quant’altro, anche secoli fa nella comunità non erano ben conosciuti. Sono due uomini e una donna. Di loro i miei uomini sono riusciti solo a scoprire i loro nomi, di solito si fanno nominare con il nome generico di Triade. I loro nomi sono Christopher, Drake e Guinever. Non fatevi ingannare dalla loro apparenza, sono spietati, privi di alcun rimorso e soprattutto pronti a tutto pur di portare a termine il proprio piano. Non perderanno tempo a farvi fuori se solo sbaglierete qualcosa.”
Rabbrividì impercettibilmente e Freddie serrò ancora di più la mano sana attorno alla mia.
“Con questo non voglio spaventarti, ma soltanto mettervi in guardia. Apprezzo ciò che state facendo per noi, spero solo che possiate trovare quella cura per il vostro amico. Siete ragazzi in gamba, sono sicuro che se seguirete il piano andrà tutto bene”
Mi sorrise bonario e io mi tranquillizzai annuendo pur rivolgendo lo sguardo al terreno.
“Muoverci tutti è rischioso, ma sono pronto a far partire con voi Jim e Colin che vi illustreranno il piano strada facendo?”
“E voi siete disposto a farlo partire?”
“Chi?” chiese sgranando gli occhi grigi.
“Colin, è pur sempre l’unico parente che ti rimane. Saresti disposto a perderlo?”
Mi immaginai i miei compagni morire uno ad uno e mi si chiuse lo stomaco dal disgusto.
Frederick sospirò.
“Per me Colin è come un figlio. Ne ho perso già uno e non intendo perderne un altro. Ma io non sono suo padre, è giusto che decida con la sua testa. Ricorda: noi soffriamo il dolore solo a metà”
Ridacchiò a quell’ultima frase.
“Non esiste dolore insopportabile come quello della perdita della persona che si ama”
A quelle mie parole alzò lo sguardo e potei giurare che nella vacuità dei suoi occhi vi era un qualcosa simile ad una scintilla: forse anche loro piangevano a metà.
Non avevamo avuto modo di parlare di Anya ma quella frase sembrò risvegliare i più bui e oscuri pensieri.
“Arrossiva spesso, era una delle cose che più mi piacevano di lei. Anche quando venne trasformata in vampiro pretendevo che quelle guance si colorassero di rosso. E poi aveva gli occhi verdi, stupendi e una voglia a forma di luna sotto l’orecchio sinistro. L’amavo, ecco qual è il dolore più insopportabile”
Volevo chiedergli di più, capire come si era sentito quando Anya aveva scelto suo fratello che lui, se mai si erano più parlati prima della tragedia. Ma mi convinsi a rimanere zitta e lasciare che queste fossero domande senza una risposta.
Mi soffermai ancora una volta sui suoi occhi.
“Avevi gli occhi neri vero?” chiesi quasi inconsciamente capendo il perché di quella profondità quasi abissale che traspariva dai suoi occhi.
Freddie sorrise mettendo in mostra i denti perfettamente bianchi.
“E’ stato un piacere conoscerti Elena Gilbert, spero che tu ottenga ciò che vuoi”
Ci stringemmo la mano e si allontanò verso la foresta con la stessa calma e serenità che riusciva a trasmettermi quando parlava.
Probabilmente il mattino dopo non sarebbe venuto a dire addio alla causa del suo dolore.

 

Ritornai nel cortile principale e mi accorsi dal sole alto in cielo che era passato mezzogiorno per cui i ragazzi e gli adulti ritornavano a casa con Jim a capo del gruppo di lavoratori.
Mi soffermai sul portico in legno e mi sedetti in uno dei tanti scalini scricchiolanti attendendo che il gruppo rientrasse in casa. Dalla cucina proveniva un forte odore di uova strapazzate e pollo fritto e questo non poté che farmi gorgogliare lo stomaco dalla fame.
Il gruppo entrò vociferando riguardo il caldo o la fame, alcuni mi salutarono per nome, altri si limitarono ad entrare troppo stanchi o annoiati.
Arrivò anche il turno del mezzo vampiro biondo che quel giorno portava i capelli scompigliati e una maglietta amaranto a maniche corte con scollo a v.
“Salve stecchino” mi salutò inarcando le sopracciglia e regalandomi un sorriso sbilenco accentuato dalla leggera peluria della barba.
Lo salutai di rimando mentre stava varcando la soglia della casa quando una voce lo bloccò.
“Hey Jim”
Nicole era appoggiata allo stipite della porta del seminterrato, le braccia incrociate al petto mettevano in risalto la canotta blu elettrico, troppo fine a confronto della spessa tuta da ginnastica che indossava. Il sorriso furbo le riempiva gli zigomi e le risaltava gli occhi grandi e grigi.
Il biondo si arrestò dischiudendo appena le labbra e dando un fugace sguardo alla mezza vampira.
“Stai attento” disse e il suo sorriso sembrò sbiadire nel nulla.
Slacciò le mani dal petto e con agilità come una gazzella scavalcò la recinzione, facendo oscillare la folta coda riccioluta e avviandosi verso il cortile sul retro.
Jim era rimasto sulla porta, il borsone ben stretto nelle sue mani.
“Ti terrò io al sicuro” sussurrò impercettibilmente.
“Che hai tu da guardare?” mi chiese con fare burbero e io roteai gli occhi alzandomi e dirigendomi verso l’entrata della Cascina.
Lui rimase ancora un po’ sulla soglia.
Il soggiorno era pieno di ragazzi e bambini che ridevano fra di loro o semplicemente appoggiavano dove capitava i loro oggetti –giacche, cappelli, borse – e un brusio generale sovrastava il rumore di piatti e bicchieri.
Mi avviai verso la cucina e ritrovai con mia enorme gioia Caroline e Jeremy.
Jeremy distribuiva piatti, bicchieri dove Grace gli diceva di posarli mentre la vampira era intenta in una conversazione con un’altra ragazza alta e bruna.
Di Bonnie, Stefan e Damon nessuna traccia.
“Da quand’è che ti piace fare l’uomo di casa?” chiesi prendendo posto in quella lunga e immensa tavolata e riservando un’occhiata divertita a Jeremy.
“Mi piace stare qui e poi è bello poter condividere questi segreti con un umano” disse indicando Grace che nel suo grembiule bianco scorrazzava da una parte all’altra della cucina.
“Ti fa bene un po’ di normalità” dissi ma sentii subito una presenza al mio fianco che mi fece spostare lo sguardo.
Mi spaventai vedendo il sorriso smagliante di Caroline apparire all’improvviso alla mia destra, specialmente se la suddetta mia amica l’avevo lasciata seduta a qualche metro di distanza a parlare con un’altra ragazza. Il piccolo dettaglio che continuavo a dimenticare era che lei era un vampiro.
“Caroline mi hai spaventata” sussurrai accavallando le gambe e alzando gli occhi al cielo.
“Non puoi capire cosa ho scoperto” cinguettò facendo oscillare i capelli biondi leggermente ondulati e tirati all’indietro con un adorabile cerchietto.
Mi sembrava essere ritornata al tempo delle medie, ma sapevo che Caroline in un modo o nell’altro me ne avrebbe parlato.
“Sentiamo, che cosa hai domandato in giro?” chiesi fintamente interessata alle nuove chiacchiere che la vampira moriva dalla voglia di raccontare.
Caroline si rabbuiò e aggrottò la fronte lanciandomi una stilettata.
“Non ho chiesto in giro, sono stati loro che di loro spontanea volontà mi hanno raccontato tutto” si difese incrociando le braccia al petto offesa e non potei far altro che ridere di cuore per quella sua espressione.
Si riprese quasi subito e gli occhi le si accesero.
“Hai presente Jim e Nicole? E’ evidente che Jim prova qualcosa per Nicole ma lei sembra non ricambiarlo. Scordati tutto questo. Jim è stato uno dei primi membri dei Ribelli, è stato lui insieme a Frederick e ad altri a costruire questo luogo e a opporsi in gran segreto alla Triade. Prima della Cascina esisteva un accampamento e loro vivevano lì. Nicole è venuta dopo, nessuno sa da dove né come si sia trasformata in mezzo vampiro, non apparteneva alla prima comunità. E’ giunta all’accampamento spaventata e disorientata quando ancora era una ragazza. Ovviamente gli altri l’hanno accolta, questo prima che Grace venisse ad abitare da loro, e lei mostrò fin da subito un interesse per Jim. Ma Jim era troppo impegnato e arrabbiato contro la Triade per amare in tutto e per tutto Nicole. E poi un giorno è scomparsa, svanita nel nulla. Se n’era andata lei di sua spontanea volontà ma ritornò più volte all’accampamento, certo dopo quattordici o quindici anni. Ogni volta che ritornava appariva sempre più schiva, più distaccata, più arrogante e presuntuosa. Non si fermava mai se non per un periodo di tempo di circa uno o due mesi e dopo scappava di nuovo. Non è particolarmente socievole, tuttavia gioca molto volentieri con i bambini. Dicono che non abbia mai avuto una casa a cui tornare, alcuni sostengono che non sia mai stata neanche un vampiro”
Caroline abbassò il tono di voce non appena udì i passi di Nicole avvicinarsi, ma sapeva che era del tutto inutile: l’aveva di certo sentita ma non se ne curava.
La mezza vampira entrò altezzosa e aprì il frigo estraendo una mela che addentò prima di lanciare uno sguardo fulmineo nella nostra direzione.
Caroline lo sostenne per poi continuare il suo discorso.
“E ora Jim è cotto di lei, e questo complica la situazione”
Roteai gli occhi.
“Caroline queste non sono informazioni importanti” dissi e mi voltai intorno vedendo che la lunga tavolata si era quasi del tutto riempita.
“Si invece! Jim non è concentrato sulla missione, e noi siamo tutti nelle sue mani per quanto riguarda il piano. Non credi che possa agire irrazionalmente?” chiese allarmata e invece di rispondere mi morsi il labbro inferiore.
“Anche Grace ha un passato oscuro. Dicono che sia stata prigioniera della Triade e in qualche modo è riuscita a liberarsi. Un umana che si libera? E’ giunta qui e si è offerta di prendersi cura della casa. Non si sa se abbia famiglia o parenti, non ne vuole parlare. Alcuni dicono che non sia poi così gentile come sembra. E poi c’è Jim, dicono che un tempo sia stato amico di uno dei componenti della Triade, dicono che sia stato proprio lui a trasformarlo e per questo ha deciso di mettersi al servizio di Frederick. A quel tempo aveva solo diciassette anni. Molti pensano che non sia adatto per questa missione, che potrebbe tradirli.”
Le parole di Caroline fecero nascere in me dubbi e perplessità riguardo quei tre componenti tanto diversi quanto sospetti.
“Tieni cara, questa è la tua porzione” mi disse amorevolmente Grace ponendomi il piatto con le uova.
Ricambiai il sorriso e osservai le uova strapazzate. Mi era passata la fame.

 

Finito di mangiare e per finito si intende alle quattro meno un quarto del pomeriggio, mi alzai da tavola e sgusciai piano tra la folla lasciando Jeremy e Caroline ancora in cucina e mi avviai verso le scale per raggiungere il terzo piano di quell’enorme casa dove era situata la mia stanza. Mi chiedevo dove fossero finiti tutti.
Affrettai il passo lungo il corridoio e passai in rassegna di tutte le camere chiuse visto che molte erano aperte al pubblico con ragazzi intenti a leggere, studiare o a giocare ai video game. Finalmente trovai la mia camera e la scena che mi si presentò fu una vera sorpresa.
Bonnie al centro della stanza aveva gli occhi chiusi e muoveva le labbra velocemente tanto che sembrava non muoverle neppure; al suo fianco Damon e Stefan stavano ritti accanto a lei e osservavano stanchi e annoiati Colin che digrignava i denti e si sforzava di rimanere in piedi serrando i pugni e strizzando gli occhi come se avesse dovuto sollevare un peso enorme.
Damon appena si accorse della mia presenza mi riservò un sorriso obliquo e si allontanò di qualche centimetro da Bonnie, tentando di avvicinarsi a me. Colin smise di agitarsi e irrigidirsi.
La strega sbuffò seccata.
“Damon ho detto che se vogliamo che l’incantesimo funzioni occorre che tu e Stefan siate il più vicino possibile a me. Il solo scostarsi anche di centimetri impedirebbe l’incantesimo celebrale” abbaiò la mia amica assottigliando gli occhi.
Damon inarcò un sopracciglio.
“Senti fata turchina abbiamo fatto abbastanza per oggi e poi il bimbo è stremato. L’incantesimo lo sai, noi sappiamo quello che dobbiamo fare e lui deve cercare solo di non collassare. Siamo messi bene no?” domandò ironicamente tanto che Bonnie non riuscì a controbattere.
Che cosa stava succedendo? Stefan sembrò leggere la mia domanda muta.
“Bonnie ci ha chiesto di aiutarla a provare l’incantesimo, visto che io sono un vampiro e Damon è un umano. Colin ha voluto essere la cavia così da poter resistere meglio e non rischiare di svenire mentre Bonnie lo utilizza contro gli altri” spiegò gentilmente il vampiro ponendosi al mio fianco.
“Già quindi non frignare e rimani con noi fino alla fine dello show” borbottò Damon scompigliando i capelli al ragazzino che si dimenò fintamente irritato.
“E allora dobbiamo continuare, voglio esserci anche io durante lo scontro” asserì il rosso con un luccichio di sfida tra le sue iridi grigie.
“Bene allora andiamo di sotto, Jeremy e Caroline ci aiuteranno” borbottò Bonnie cacciando il libro dentro la borsa e dirigendosi verso l’uscita della stanza.
“Caroline penso che sia andata a caccia. A pranzo ha detto di avere sete e non fame” spiegai e il mio sguardo si incrociò a quello di Stefan.
Il vampiro sospirò e si incamminò verso l’uscita insieme al mezzo vampiro.
Gli sorrisi e un senso di dovere interiore mi spinse a posare le mie labbra su quelle di lui, giusto il tempo di infondergli il coraggio necessario. Ma sapevo che a pochi passi da me un qualcosa si stava spezzando.
Stefan si separò da me e raggiunse Colin che aspettava dondolando sui talloni.
“Quanti anni hai detto di avere di aspetto?” chiese all’improvviso il rosso.
“Diciassette. Perché?” rispose titubante Stefan non riuscendo a capire il perché di quella domanda.
Colin scrollò le spalle.
“Sembri più vecchio” esordì e sgusciò via dalla stanza lasciando uno Stefan a dir poco turbato che a suo malgrado dovette seguirlo.
Adesso che eravamo rimasti solo lui ed io la camera appariva molto più ampia, quasi come se i centimetri fossero stati tramutati in kilometri.
“Domani scade la tregua” iniziai col dire nonostante il cuore mi stesse perforando il petto.
“Lo so” rispose l’ex vampiro con tranquillità e naturalezza tuttavia seppi cogliere quella punta di disappunto che gli si era fermata sulla lingua.
“E non pensi che sia la fine di tutto? La tua umanità, il viaggio, noi” dissi e mi voltai cercando il suo sguardo.
I suoi occhi azzurri erano diventati d’un tratto bui e silenziosi, quasi inquietantemente cristallini. Ebbi paura di quello sguardo.
“La coerenza non è il tuo forte a quanto sembra” sputò facendo riferimento ai miei precedenti discorsi.
“Non posso farlo soffrire. Non è giusto, non lo sopporterebbe”
“Perché io si forse?” mi urlò contro facendo tremare le pareti, i vetri e forse anche le mie labbra.
Deglutii tentando di non far riaffiorare il magone che avevo più volte cercato di cacciare indietro.
Mi continuò a guardare, quasi con aria supplicante mentre i suoi occhi affondavano sempre di più dentro la mia carne.
Mi umettai le labbra non sapendo bene cosa dire, tentando di fermare il tremore delle mie ginocchia.
E poi con un gesto avventato mi prese la testa fra le sue mani grandi e incollò le sue labbra alle mie.
Era strano come quel bacio sembrasse così vero e avesse in se tutta la potenza e l’energia del primo bacio, perché questo era: il nostro primo bacio dopo il bacio d’addio.
Mi concessi in tutto tre minuti: un minuto per assaporare bene quelle labbra così calde e morbide, capaci di farmi mancare la terra sotto i piedi; un minuto per sentire l’elettricità che si sprigionava tra i nostri corpi in delirio e in perfetta sincronia quasi come due orologi regolati e costruiti su misura da un’armonia prestabilita; un minuto per prepararmi al distacco, al vuoto, alla lontananza millimetrica che ci avrebbe ucciso giorno dopo giorno.
“Non capisci che non potremo amarci senza provocare dolore a qualcuno” sussurrò quasi con rabbia come pienamente impotente di fronte quella grande verità.
“E allora troveranno un modo per fermarlo, il dolore. Si trova sempre un modo” gracchiai e mi sentii invadere da un formicolio lungo tutto il corpo, era come se fossi fatta di aria e non di sangue. Mi aggrappai alle sue mani per non cedere allo stress, alla frustrazione di quei giorni e mi accompagnò in silenzio in quel mio lento soffocamento. E lui mi porse l’incavo del suo collo come rifugio sicuro da tutti i mali. Mai incastro o combinazione fu più giusta.


 

Il pomeriggio passò veloce impacchettando velocemente le poche cose che ci eravamo portati dietro, riempiendo gli zaini e i borsoni per lo più di coraggio e buona fede.
Scesi al piano di sotto quando era già sera inoltrata e nel cortile avevano organizzato un falò per passare in quel modo l’ultima notte prima del fatidico confronto.
Ciò che mi confortava era il fatto che ad essere in ansia non ero solamente io. Tutti alla Cascina erano in trepidazione per lo scontro con la Triade nonostante non lo stessero vivendo in prima persona.
Per loro sarebbe stato il giorno della liberazione, dell’indipendenza, come da noi il quattro luglio. Chissà se avrebbero organizzato anche i fuochi d’artificio?
Li trovai in giardino a chiacchierare allegramente al chiarore del falò, stipati in piccoli gruppi. Scorsi tra la folla una chioma rossiccia e due ciocche biondastre e mi avvicinai. Erano tutti radunati in una piccola porzione di terra, seduti sopra un tronco d’albero che utilizzavano come panchina.
Erano tutti felici, nessuna faccia triste o in attesa. La cosa che mi sarebbe mancata della Cascina era proprio questo: il sentirsi estraniati dal resto del mondo. Quel luogo era il cuore vivo e pulsante degli oltre ottanta mezzi vampiri che erano radunati lì quella sera. Non era immenso e illuminato come potrebbe essere un cinema o uno stadio, ma era ugualmente la loro casa, nessun luogo più bello sarebbe rimasto nei loro cuori.
“Bene domani a che ora è la sveglia?” chiese Jeremy con entusiasmo ma nonostante questo il silenzio che si venne a creare sembrò confermare la mia teoria: lui non sarebbe venuto.
“Ascolta Jeremy penso che tu dovresti tornare a casa” dissi sovrapponendomi fra lui e Colin posto al suo fianco.
Mi guardò contrariato.
“Se dovesse succedere qualcosa, Jenna non può permettersi di perderci entrambi! E’ meglio che tu torni a casa e dimenticare tutta questa faccenda” continuai a dire ma nei suoi occhi scintillava il disappunto.
“Non può permettersi di perdere anche te!” ribadì e il suo sguardo mi gelò fin dentro le ossa.
Si alzò bruscamente e si diresse verso l’entrata della cascina voltandosi un paio di volte giusto per continuare a guardarci con astio. Faceva male, ma era giusto che fosse così.
“Avete fatto bene, è troppo pericoloso” sussurrò Caroline dondolando le caviglie e seguendo con lo sguardo i movimenti di mio fratello.
“Anche tu Caroline” sospirò Bonnie e basto quella semplice frase a farmi intendere che anche quella volta le nostre menti erano stato perfettamente sincronizzate.
“Anche io cosa?” domandò strabuzzando gli occhi e aggrottando le finissime sopracciglia.
“Caroline anche tu come Jeremy-” iniziai col dire ma la furia della bionda uscì come un fiume in piena.
“Posso farcela. Davvero posso farcela. Vi voglio aiutare. Adesso che sono un vampiro posso prendermi cura di voi, difendervi. So badare a me stessa e non ho bisogno di essere protetta. Elena, sono tua amica e per me la tua sicurezza e quella delle persone che ti stanno attorno viene prima di tutto. Se ti fidi di me, mettimi alla prova”
Parlò tutto d’un fiato, storpiando e mangiandosi le parole, affannandosi per finire e questo mi procurò una stretta al cuore. Fidarmi di lei? Certo che mi fidavo, lei e Bonnie erano le mie migliori amiche, ma come potevo mettere a repentaglio anche la sua di vita?
“No, Caroline non è un gioco, e non voglio rischiare” ribadì schietta tentando di ferirla, se ce l’avremmo fatta, l’avrebbe capito.
“Io non stavo giocando” mormorò e con sguardo furente si allontanò da noi nella stessa direzione intrapresa pochi minuti prima da Jeremy.
Il mio sguardo cadde su Stefan, preoccupato anche lui dei risvolti psicologici che sarebbero potuti incorrere in Caroline ora che era un vampiro.
Non ebbi il bisogno di dire niente che Stefan la seguì con l’intento di farla ragionare con lucidità. Solo lui l’avrebbe potuta aiutare.
Rimanemmo in quattro seduti su quel tronco.
Il mio cuore sembrava essere più leggero ora che due delle persone a me più care erano salve, si faceva per dire.
Provai a soffermare lo sguardo su Bonnie.
“Io ti servo” disse semplicemente non interrompendo lo scambio di sguardi che intercorreva fra di noi.
Non cercai neanche minimamente di guardare Damon, si sarebbe opposto di certo e non potevo dargli nemmeno torto: dopotutto era lui il diretto interessato.
Il suddetto interessato alzò la mano.
“Una domanda, grande capo?” chiese inarcando le folte sopracciglia nere come a chiedere il permesso.
Intrecciai le braccia al petto.
“Cosa facciamo se problema 1 e problema 2 domani mattina si presentano che vogliono venire con noi? Cioè dobbiamo partire in orario o se no faremo tardi all’appuntamento”
A questa domanda Colin mi tolse le parole di bocca.
“Eventualmente ci sono io. Sapete che posso soggiogare umani e vampiri per cui basterà che gli dica di non venire e il gioco è fatto”
Mi venne in mente un’idea migliore.
“Se dovessi farlo non dirgli semplicemente di ritornare a casa ma di dimenticare tutta la questione dei mezzi vampiri, di Damon, di voi. Voglio solo che ritornino alla loro vita normale” dissi e non seppi trattenere una lacrima che sfuggì al mio controllo.
Colin mi sorrise e mi strinse la mano: avrei potuto contare ogni singola minuscola lentiggine sparsa sul suo naso.
“Ti prometto che se loro dovranno dimenticare, io non dimenticherò. Io ricordo sempre quelli che se ne sono andati” bisbigliò il rosso e le labbra si stropicciarono in un sorriso.
Adesso ero veramente pronta a partire.

 

“Vi siete degnati finalmente” sbraitò Jim seduto su una panca accanto al fuoco ormai spento della sera prima. Teneva in bilico tra le labbra la solita sigaretta e giocherellava con l’accendino, in attesa e palesemente irritato dal nostro ritardo.
Nonostante la quiete che ero riuscita a raggiungere la notte prima non riuscii a dormire e trovai il sonno solo verso le prime ore del mattino, ore in cui mi sarei dovuta alzare e prepararmi per la partenza. L’orario era stato fissato per le quattro e mezza.
“Piccolo problema con gli altri due” spiegò Colin con una scrollata di spalle lanciandomi un’occhiata di rassicurazione.
Jim si alzò, si spolverò i jeans e si sistemò lo zaino in spalla, aspirando l’ultima boccata di fumo per poi lanciare la cicca nella cenere del falò ormai spento.
Il biondo ci guardò tutti soffermando lo sguardo su ognuno di noi e trattenendo un sorriso.
“Che bell’esercito. Cos’è stiamo andando a Disneyland?” disse sarcastico alzando gli occhi al cielo ancora buio e plumbeo.
Non riuscimmo neanche a fare qualche passo che una voce alle nostre spalle ci fece voltare.
“Hai dimenticato qualcuno?” gridò Nicole che con passo svelto ci stava raggiungendo con i capelli raccolti in un grosso chignon da cui ricadevano due o tre ciocche e con la solita felpa lilla e il borsone in spalla.
Trovai nel viso dei miei compagni la mia stessa perplessità e sbigottimento riguardo all’aggiunta di quel nuovo componente della squadra, ma l’espressione più contrariata di tutti era quella del mezzo vampiro.
“Mi dispiace ma la ciurma è già al completo” la ammonì con fare perentorio ma Nicole non smise di sorridere sbattendo le lunghe ciglia.
“Ordini di Frederick” cinguettò allegramente quasi con fare onorato di essere stata scelta anche lei per quella missione – per quel suicidio di massa avrei detto.
Jim sbatté un piede sullo strato di fogliame che ricopriva il terreno, imprecò a bassa voce e alzò più volte gli occhi al cielo che pian piano stava diventando sempre più chiaro.
E poi spostò lo sguardo sulla minuta figura di lei e si soffermò sui suoi occhi quasi come se stessero tenendo una conversazione muta e privata.
“Cammina” disse a denti stretti e si voltò proseguendo nella direzione prestabilita.
Nicole ci guardò con sguardo d’intesa e per la prima volta la vidi sorridere.
Scoccai un’occhiata preoccupata a Damon e lui sfiorò piano le mie dita.
“Muoviamoci bellezza” mormorò e i miei piedi si mossero soli.
Christopher.
Drake.
Guinever.
Il piano era cominciato.

Ed eccomi qui ad aggiornare, miei cari!
Come vi avevo già anticipato questo capitolo si ambienta durante l'ultima giornata alla Cascina; ormai manca poco per la partenza e per l'incontro con la Triade e la nostra combriccola si prepara per l'incontro. Il tutto si apre con la chiamata di Jenna e la bugia inventata da Stefan ed Elena; Stefan nutre dei sospetti nei confronti di Elena e del fratello nonostante la tranquilla espressione e il suo fare disinvolto: Elena glielo dirà prima o poi ma vi avverto non sarà un gran bello spettacolo u.u E poi abbiamo l'ultima chiacchierata con Freddie, questa sarà l'ultima volta che lo vedremo ma spero che vi abbia fatto una buona impressione :) Caroline e i suoi pettegolezzi non potevano mancare, quella vampira è la dolcezza fatta persona. E così avete scoperto un po' di più riguardo i tre nuovi personaggi ovvero Grace, Jim e Nicole, e per chi non l'avesse capito Jim e Nicole si piacciono, hanno una storia complicata che si svilupperà più in là nei capitoli. Ho dato anche dei volti a questi due personaggi: Josh Holloway nei panni di Jim e Lyndsy Fonseca nei panni di Nicole *-* Li amo quei due è inutile! E poi c'è il momento Delena che non poteva di certo mancare <3 Ci saranno altri risvolti dovete solo aspettare ;) Escono dalla scena con mio forte rammarico Caroline e Jeremy D: Ma è stata una questione di principio, capirete poi perchè. E finalmente escono dei nuovi nomi, i nomi della famigerata triade: Christophere, Drake, Guinever. Saranno così temibili come li descrive Frederick? Spero che il capitolo vi sia piaciuto, ringrazio tutti coloro che hanno letto e commentato *-*

A presto, un bacio
Sil

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Capitolo 27
*** 25 - AN END IS JUST AN END ***


Comunicazioni importanti: da oggi per sapere quando, come e se aggiornerò mi potrete trovare su face book: Dreem L. Efp.
Visto che è da un bel po’ che non aggiorno e molti di voi hanno perso il filo di questa neverending story vi faccio un piccolo riassunto dal primo capitolo fino all’ultimo.

 

Elena e i fratelli Salvatore si trovano alle prese con l’arrivo in città di Katherine e questo ha portato a far mostrare a Damon i suoi sentimenti per Elena, nonostante quest’ultima lo rifiuta. Un giorno organizzano un uscita a tre durante la quale Damon incontra una ragazza di nome Michelle di cui però Elena non si fida. Dopo aver trascorso una notte con lei, Damon è in preda a dolori lancinanti e viene ritrasformato in un umano. Sotto l’incredulità di Elena, Stefan attraverso un vecchio libro scopre che esistono creature antiche chiamate mezzi vampiri che riescono a trasformare gli umani e i vampiri in esseri come loro. Michelle dunque è una mezza vampira. Tuttavia il libro conferma che l’unico luogo in cui poter trovare i mezzi vampiri si trova in Alaska per cui Stefan decide di partire, lasciando Elena e un Damon umano a Mystic Falls. I due nel loro primo periodo si trovano ad affrontare dei mezzi vampiri misteriosi che cercano di uccidere Damon con la speranza che il loro segreto non venga rivelato. Elena coinvolge Caroline così da proteggere Damon e tenerlo al sicuro, e inoltre chiede a Bonnie di trasformare l’anello contro il sole di Damon in uno simile a quello di Alaric. Ed è proprio quest’ultimo che trova un’arma in grado di uccidere un mezzo vampiro: un pugnale dalla doppia lama, una in metallo, l’altra in legno. Damon viene ucciso durante un agguato ma grazie al suo anello riesce a resuscitare. Elena incomincia a provare qualcosa in più per Damon e il suo essere diventato umano la rasserena, nonostante l’assenza di Stefan la preoccupa. Così mentre Elena, Bonnie, Caroline e Damon si rilassano organizzando un pigiama party, casa Salvatore viene spiata da un ragazzo di nome Colin che si rivela essere un mezzo vampiro. Nonostante la paura e il panico che conquista Elena e i suoi amici, Colin afferma di essere dalla parte dei buoni e da delle utili informazioni riguardo i mezzi vampiri e della sua parentela con Michelle, sua sorella. Grazie a lui i ragazzi scoprono che esistono più modi per uccidere i mezzi vampiri oltre al pugnale, come per esempio l’incantesimo di canalizzazione imparato da Bonnie e che per il suo compimento necessita la presenza di un umano e di un mezzo vampiro. Durante questa fase il rapporto tra Damon ed Elena si fa molto più saldo e la vicinanza del piccolo Colin aiuta questa loro relazione, nonostante i continui litigi. Durante una festa dai Lockwood avviene un incontro ravvicinato tra Damon e i mezzi vampiri, ed Elena, esclusa da questo incontro, viene aggredita da un vampiro alleato della Triade, l’organizzazione dei mezzi vampiri. Quest’evento seppur negativo fa scoccare la scintilla fra i due, scintilla che divamperà in seguito quando Elena riceve una telefonata anonima secondo la quale Stefan sarebbe stato rapito. Così la comitiva parte per l’Alaska e mentre Bonnie,Caroline,Jeremy e Colin sono a salvare Stefan, tra Damon ed Elena si consuma una notte d’amore che sembra pacificare i due animi. Al mattino però Elena, pentitasi di ciò che aveva fatto, si promette di non farne parola con Stefan, che è stato tratto in salvo. Il gruppo viene assalito da un mini esercito di mezzi vampiri e pensano che Colin li abbia traditi quando in verità lui li ha solo accompagnati alla Cascina, il quartier generale dei Ribelli. Qui Elena e i suoi amici fanno conoscenza di nuovi mezzi vampiri come Grace, Nicole, Jim e Frederick, il capo dei ribelli, e niente poco di meno che zio di Colin e padre di Michelle. Vengono rivelati i nomi dei tre mezzi vampiri a capo della triade: Guinever, Drake, Christopher. Una guerra sta per essere combattuta e Elena, Damon, Bonnie, Colin, Nicole e Jim partono per il South Caroline, sede della Triade.

 

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25- AN END IS JUST A END

 

Una voce metallica femminile risuonò nelle mie orecchie, trapanandomi il cervello con il suo tono sottile e squillante.
Dava delle informazioni, nomi di luoghi, dei codici, numeri ripetuti più volte.
Era così fastidiosa che inarcai un sopracciglio tentando di ricacciarla indietro ma ciò non fece altro che peggiorare la situazione.
Oltre alla voce, le mie orecchie iniziarono a localizzare rumore di passi, di tacchi picchiettati velocemente sul pavimento, il chiacchiericcio sommesso di persone, il rumore flebile di cucchiaini e tazzine, il lento strillare dei bambini, il rumore di ruote strisciate e di cerniere che si aprivano, di giornali spiegazzati e di sbadigli sommessi. Tentai di aprire gli occhi, ma le palpebre stanche e pesanti non risposero immediatamente al mio comando per cui, ancora disorientata, cercai di immaginarmi l’ambiente in cui mi trovavo.
L’odore forte di caffè giunse alle mie narici così come la consapevolezza della posizione scomoda e del freddo scalino sul quale era appoggiato il mio fondoschiena, tutto il contrario del morbido ripiano su cui era accoccolata la mia testa.
Schioccai la lingua impastata di saliva e tentati di distendere i muscoli delle braccia e della gambe intorpidite con la speranza di non scontrarmi con qualsiasi altro oggetto non identificato.
Ormai i suoni, dapprima ovattati, arrivavano con chiarezza alle mie orecchie e presi coscienza di ogni singola parte del mio copro – dalla punta del mio naso alle dita dei piedi.
Non è strano quindi pensare che sussultai alla voce maschile che seppur sussurrata mostrava tutta la sua irritazione.
“Vuoi continuare ad usare il mio braccio come cuscino o preferisci metterti più comoda?”
Sbarrai gli occhi e contemporaneamente feci leva sulle mie gambe urtando la panca su cui ero seduta e le foglie della pianta al mio fianco.
Un brillio di luce soffusa mi fece arricciare il naso e stropicciare gli occhi assonnati.
“Dove sono gli atri, Jim?” chiesi con la voce ancora impastata e non del tutto comprensibile.
Mi frizionai i capelli, incollati alle guance, e riaprii gli occhi con la speranza di poter vedere meglio l’ambiente che mi circondava.
Un via vai di persone in ritardo e di fretta circondava la misera panchina in cui io e Jim eravamo seduti. Riconobbi nello strascichio di valigie a rotelle e negli zaini i rumori che avevo cominciato a sentire nel dormiveglia, così come il rumore delle tazzine e dei cucchiaini tintinnanti del bar lì vicino.
Un nuovo scampanellio e la voce metallica ritornò ad avvisare i passeggeri della cancellazione di un volo.
Un impulso nervoso e ricordai il perché del luogo in cui ci trovavamo, un aeroporto.
Una volta abbandonata la Cascina ci eravamo diretti verso il bosco che a nostra insaputa si affacciava proprio sull’autostrada, dove in un area di servizio ci osservava con non curanza un’enorme macchina nera. Con fare spaccone Jim aveva estratto le chiavi della macchina ed eravamo saliti nella sua Jeep che a mia sorpresa ci avrebbe portati direttamente in aeroporto, per il volo delle otto. Il viaggio era stato particolarmente tranquillo e arrivati in aeroporto eravamo saliti sull’aereo senza alcun problema.
Eravamo saliti sull’aereo, certo, ciò che non ricordavo era come fossimo scesi e a che ora fossimo atterrati.
Mi si imporporarono le guance all’idea di una me addormentata sull’aereo e che era stata trasportata come un qualsiasi zaino sulla spalla di uno dei due Salvatore.
Più che per vergogna divenni rossa di stizza: avrebbero dovuto svegliarmi, non ero la loro bambola personale.
“Hai una faccia. Cos’è, fatto un brutto sogno?” chiese noncurante il biondo accanto a me il quale faceva scorrere gli occhi grigi e screziati leggermente di azzurro nei titoli in prima pagina del quotidiano che teneva tra le mani.
Nell’orecchio destro faceva capolino tra i ciuffi biondi una sigaretta pronta all’uso.
“Sono solo confusa. Dove sono tutti gli altri?”
Jim sbuffò roteando gli occhi e dandosi una leggera pacca sul ginocchio, come se la mia sola presenza lo irritasse.
“E’ quello che mi chiedo anche io!” sbottò spiegazzando il giornale e richiudendolo di fretta lanciandolo contro il cestino di fianco.
Non ero io che lo irritavo ma lei.
“I tuoi due cagnolini insieme alla strega sono andati a prendere le valigie e Colin si stava annoiando perciò è andato con loro”
Inarcai un sopracciglio per indurlo a continuare ma lo sguardo corrucciato di Jim sembrava non dare segni di risposta.
“E Nicole?” azzardai provando a raccogliere i capelli in una coda alta, ma i nodi sembravano essersi moltiplicati a causa dello stress perciò rinunciai all’impresa.
Il mezzo vampiro mi freddò con un’occhiata tale da farmi abbassare lo sguardo sulle fredde mattonelle dell’aeroporto.
“Già, è sparita pure lei” mormorò e quasi mi parve di intravedere in quelle parole una lieve tristezza mista a preoccupazione.
Sollevai appena la mano e la poggiai sul suo braccio notando quanto fosse piccola in confronto alla grandezza del suo bicipite e nel complesso della sua stazza.
“Perché non la vai a cercare? In fondo se ritardiamo di qualche minuto non sarà la fine del mondo” provai a dire e nella sua espressione arcigna lessi un qualcosa simile ad un sorriso.
Per qualche secondo le labbra gli si piegarono all’insù ma dopo essersi schiarito la voce la sua espressione tornò severa e la fronte inevitabilmente corrucciata.
“Ascolta muchacha, là fuori ci sono uomini che lavorano per portare i soldi a casa, donne indaffarate con i loro bambini, ragazzi innamorati tra i banchi di scuola; se non arriveremo noi a fermare quei bastardi la loro vita sarà rovinata per sempre, si trasformeranno in dei mostri e sarà davvero la fine. Poco importa se del mondo o dell’universo, una fine è sempre una fine”
Deglutii sentendomi pervadere da un leggero formicolio che iniziò a contorcermi lo stomaco.
“E se c’è una cosa che so di Nicole dopo novantasette anni che la conosco è che non vuole essere cercata, e se disgraziatamente lo fai non la riuscirai a trovare. Lei non ha una casa”
Aprii bocca per ribadire ma mi limitai a corrugare la fronte e a portare le ginocchia sulla panchina osservando i passanti che continuavano a correre da una parte all’altra con le loro valigie e con le loro chiacchiere.
Jim roteò gli occhi e con fare deciso infilò le mani nelle tasche dei pantaloni dove l’accendino tintinnò scontrandosi con le chiavi della macchina.
Nonostante fosse severo e burbero a volte, Jim non sembrava così cattivo come faceva credere: dietro quell’apparente espressione arcigna del bel viso e la postura marmorea del corpo ben scolpito, dava più l’impressione del gigante buono. Per quanto avesse fatto per apparire antipatico, i suoi occhi sarebbero stati sempre sinceri e puri come quelli di un bambino.
Non so dire se i mezzi vampiri avessero il dono di leggere nel pensiero, fatto sta che nel momento in cui quelle parole attraversarono la mia testa, il biondo si aprì in un sorriso inarcando un sopracciglio quasi con aria interrogativa.
Non feci in tempo a chiedere il perché della sua espressione che una chioma rossa si intrufolò nella mia visuale.
“Elena mi accompagneresti in un posto?” chiese un sorridente Colin i cui capelli scarmigliati risaltavano alla luce che trafilava dalle finestre.
“Ehi Col, dove sono gli altri due?” chiese Jim attirando l’attenzione del mezzo vampiro che aveva tutta l’aria di avere una gran fretta.
“Hanno avuto qualche problema con il metal detector” snocciolò sistemandosi il colletto della polo blu elettrico.
“Chi dei due è stato così imbecille da portarsi delle armi in valigia? Sono vampiri, mica donnicciole” sputò Jim sarcastico.
“Armi? E le sacche di sangue?”
Colin inarcò un sopracciglio e quasi in contemporanea le fronti mie e di Jim si corrugarono non riuscendo a capacitarci della comicità della situazione.
“Comunque noi andiamo e Jim…mi compreresti un cornetto, per favore?”
Il naso lentigginoso del rosso si arricciò così come le sue labbra e mi incamminai al suo fianco lasciando un Jim alquanto borbottante.
“E allora qual è la vera versione dei fatti?” chiesi fermando il ragazzino dal colletto della maglietta.
Colin socchiuse gli occhi grigi.
“E’ questa la vera versione dei fatti” disse scrollando le spalle ossute.
Sospirai e incrociai le braccia strette al petto, trovando leggero calore nella canotta viola.
Certo non lo conoscevo da novantasette anni come Jim e Nicole ma i due mesi che avevo passato con Colin mi avevano aiutato a capirlo un po’ meglio.
Il rosso si umettò le labbra e gonfiò le guance.
“Qualcuno ha scambiato i contenuti delle nostre valigie o meglio qualcuno ha messo dentro le nostre valigie altri oggetti” disse sussurrando consapevole della seppur minima vicinanza del mezzo vampiro seduto in panchina.
Schioccai la lingua contrariata e confusa.
“Ma è assurdo. Io stessa ho preparato il mio zaino prima che..”
Mi bloccai e dal mio sguardo vacuo e indeciso Colin capì che anche io come lui avevo tratto la sua stessa conclusione.
“..prima che Grace aggiungesse i panini” disse affondando le mani diafane nelle tasche dei bermuda.
La verità di quelle parole mi cadde in testa come un macigno.
Ripensando bene a Grace, quella donna più o meno sulla cinquantina, che odorava di torte di mele e di lenzuola pulite, non poteva essere lei quella che ci avrebbe tradito, ma la paura e il disagio ci offuscava la mente molto più di quanto sospettavamo.
“Tu pensi che sia stata lei?” chiesi riprendendo pian piano lucidità e non lasciandomi trasportare dal panico e dall’incertezza.
Colin mi ritornò di rimando l’occhiata ansiosa che gli avevo indirizzato.
“Non può essere stato qualcuno di noi, siamo stati sempre insieme, me ne sarei accorto se qualcuno avesse fatto qualcosa di strano” asserì deciso il rosso picchiettando velocemente la punta del piede sulle piastrelle semilucide, tentando di ricordare qualsiasi particolare utile per la ricerca.
“E cosa mi dici di Nicole? Sembra che sia scomparsa”
Non che ce l’avessi con Nicole né che sospettassi di lei, ma era l’unica persona della comitiva di cui avevo perso le tracce e di cui non sapevo molto.
“Oh ‘Colette è qui dentro” rispose il mezzo vampiro piegando lievemente il capo in direzione di una porta antipanico dove sul cornicione risplendeva un’insegna verde.
Mi meravigliai di capire che quella fosse l’accesso per le toilette ma non feci in tempo a corrugare la fronte e a socchiudere le labbra che Colin si era già allontanato di qualche metro da me.
“Ehi Colin?” lo richiamai accorciando la distanza che si era formata tra di noi.
“Che cosa c’è adesso dentro i nostri zaini?” chiesi avida di sapere.
Il rosso mi guardò socchiudendo furbescamente gli occhi e spiegazzando le labbra in un sorrisetto obliquo che non prometteva nullo di buono.
“Vuoi dire cosa non c’è adesso dentro i nostri zaini”
La sua frase mi gelò il sangue nelle vene e nonostante la temperatura calda, sentii freddo come nel pieno dell’inverno.

 

Che cosa avrebbero potuto mai prelevare dai nostri zaini?
Mi voltai in direzione dell’entrata dei bagni e con la mente ancora occupata da quel pensiero feci scattare la molla della porta.
Una luce soffusa illuminò le diverse gallerie da cui provenivano risate, e parole sommesse di un gruppo di ragazze stipate di fronte agli specchi per sistemarsi il trucco o semplicemente per rinfrescarsi e dare vita alla pelle secca per via del caldo di inizio Agosto.
Appena le due ragazze e la signora uscirono dalla porta, il silenzio cominciò a diventare insistente e sempre più pesante.
Non osavo guardare la mia immagine allo specchio ma era inevitabile visto che le pareti della sala risultavano essere piene di specchi.
Avevo delle profonde occhiaie a causa del sonno non molto rifocillante, il viso smunto e i capelli evidentemente sfibrati nonostante avessi sempre avuto un tipo di capelli liscio e perfettamente sano.
Feci scorrere l’acqua dal lavandino e mi sciacquai viso e braccia per poi iniziare a raccogliere i capelli in una treccia laterale.
Chi era stato questa volta a tradirci? La mia mente rifiutava di accettare l’idea che Grace avesse sottratto qualcosa dai nostri zaini, che lavorasse per la Triade e che ogni singolo sorriso fosse solamente una bugia. Ma allo stesso tempo il mio cuore mi spingeva a discostare lo sguardo da Colin, mi ero ripromessa che non mi sarei mai potuta permettere di dubitare di lui. Il numero di sospettati si riduceva così ai due mezzi vampiri il cui amore non faceva altro che corrodere i loro animi senza che l’uno fosse consapevole del male che l’altro gli procurava. Ma le mie rimanevano solo inutili supposizioni, tutti lavoravamo per uno scopo comune e nessuno si sarebbe mai permesso di intralciare i nostri piani. La spia doveva essere ancora là fuori e non da qualche parte qui tra noi.
Due occhi grigi incrinarono il vetro dello specchio di fronte a me.
“Elena c’è qualcosa che non va?” chiese con finta noncuranza sorvolandomi e appoggiando le braccia magre e ossute al ripiano del lavabo, lavandosi minuziosamente le mani.
“Mi hai fatto spaventare. Ero solo venuta a cercarti” dissi regolando i battiti del mio cuore, facendolo andare in sincrono con i miei respiri.
Aveva un qualcosa di diverso, Nicole: gli occhi erano cerchiati da profonde linee rosse così come le iridi grigio scuro erano rattoppate da chiazze rosee e da finissime linee rosse. Se quella fosse stata una situazione diversa – e lei una ragazza diversa - probabilmente avrei subito pensato che Nicole avesse pianto.
“Mi dispiace, questa volta ha mandato te per venirmi a cercare” ridacchiò senza allegria dopo essersi schiarita la voce e asciugandosi le mani sotto l’apposito macchinario.
Mi morsi il labbro inferiore e indugiai un po’ con lo sguardo non sapendo cosa intendesse la bella mezza vampira.
Nicole aggrottò la fronte.
“Non ti ha mandato Jim?” chiese e i suoi occhi crollarono in uno stato di trans simile a quelli in cui a volte cadeva Colin.
Denegai con il capo e la mezza vampira arricciò il naso mugolando qualcosa tra sé e sé.
“Visto che sei qui tanto vale che mi aspetti” disse in modo rude tirando fuori da un angolo il suo zaino da cui estrasse dei vestiti. Solo dopo notai che in quei vestiti era ancora presente l’etichetta.
Schioccai la lingua e sbarrai gli occhi.
“Cos’è non hai mai avuto a che fare con una fuorilegge?” chiese e un sorriso sinceramente divertito si fece largo tra le guance rosee.
Sbuffai e incrociai le braccia al petto spalleggiando la parete della toilette mentre la neorea si spogliava lasciando le vecchie e grigia tuta sul pavimento per indossare un paio di shorts simili ai miei e una camicetta bianca smanicata.
Non che la ritenessi del tutto ingenua e buona, semplicemente ritenevo che Nicole non fosse la dura che più volte aveva cercato di apparire. Era più fragile di quanto non volesse far credere.
“Perché sei con tutti così scontrosa? Non potresti comportarti in un modo diverso?”
Nicole smise di armeggiare con uno dei bottoni e roteò i suoi occhi grandi verso me.
“Questo è il mio carattere. Non sono stata mai troppo loquace o estroversa, preferisco non legarmi alle persone. E poi per portare a termine la nostra missione c’è bisogno di tutta la razionalità possibile.”
Si ravvivò i capelli liberandoli dall’opprimente coda di cavallo e lasciandoli sciolti e fluenti lungo le spalle semiscoperte.
“Non è con la razionalità che sconfiggeremo la Triade, ma solo se collaboriamo e restiamo uniti” dissi ma non fui sicura che le mie parole arrivarono alle orecchie della mezza vampira. I suoi occhi grigi erano rimasti intrappolati su qualcosa che sembrava riscuotere maggiormente il suo interesse.
Localizzai il punto verso cui era rivolto il suo sguardo: sul muro era stata incisa con una matita verde il disegno di una piccola casa le cui linee, spesse e tremolanti, finivano col contornare la figura stilizzata di una bimba sorridente. Il nome Amy scarabocchiato sulla parete completava il minuscolo disegno.
“Sai che non ho mai avuto una casa? Per quanto viaggiassi e mi spostassi, non l’ho più ritrovata” esordì rompendo il silenzio che si era venuto a creare.
“La tua casa è la Cascina insieme all’altro gruppo dei Ribelli” provai a dire aiutandola a ripiegare i vestiti e a riporli dentro il borsone.
“Pensavo anche io che fosse così” sussurrò appena accartocciando i pantaloni della tuta da cui ricadde un oggetto affusolato simile ad una penna.
Fui pervasa dallo sgomento ma non ebbi neanche il tempo di osservarlo meglio, che sparì alla mia vista scaraventato nel cestino da una furiosa Nicole.
“Elena stammi a sentire: voglio che quelle orribili persone cessino di vivere, voglio che nessun’altro debba convivere con questa crudele maledizione, tu, Jim e gli altri porterete a termine la missione”
Mentre parlava le sue labbra tremavano e stalattiti di sale minacciavano di formarsi sulle sue guance.
“Fermeremo l’intero mondo se sarà necessario, ma fermeremo loro e la loro follia”.
Le sue parole, così come le parole di Jim e di Colin mi entrarono nelle vene. Come poteva esserci tra di loro qualcuno che mentiva?
“Non ti azzardare a farne parola con qualcuno” mi puntò un dito contro e asserii capendo che si stava riferendo all’oggetto che avevamo poco prima visto.
Nicole mi regalò forse un ultimo sorriso per poi mettersi lo zaino su una spalla e dirigersi verso l’uscita, con la sua camminata fiera e eretta.
In fondo anche lei credeva in qualcosa – o in qualcuno.
Ripercorsi il corridoio che portava all’uscita della toilette e non appena schiacciai il pulsante della porta antipanico il mio cuore prese a volare.
“Tecnicamente irascibile la tua nuova amichetta. Preferivo la Barbie, ma non dirle che te l’ho detto.”
Sospirai e le mie labbra si piegarono in un sorriso, contente del fatto che finalmente potevo rivedere quel paio di occhi azzurri.
Ma non era quello il momento più adatto per perdersi in pensieri poco idonei.
“Avete scoperto che cosa manca nei nostri bagagli?” chiesi a bruciapelo mentre le mani di Damon sfioravano i miei fianchi.
“Per adesso abbiamo controllato solo gli zaini di Stefan e Jim e lì non manca niente”
Sbuffai sentendo l’agitazione pervadermi le viscere dello stomaco.
“Che hai? Sembri più ingrugnata di Stefan quando lo sfido a poker. E lui sa che vinco io” mi chiese sistemandomi un ciuffo ribelle dietro l’orecchio sinistro.
Sorrisi impercettibilmente premendo le dita sulla manica della polo nera che indossava avvicinandomi al suo torace e un po’ di più al suo cuore.
Nonostante fossimo nel bel mezzo di un aeroporto, Damon continuavo a considerarlo come l’unica cosa quanto più vicina alla normalità che potessi trovare nel raggio di qualche chilometro.
“Tutto non va! Qualcuno che ruba dai nostri zaini, la missione, la fiducia che tutti hanno riposto in noi, Jim e Nicole”
Damon roteò gli occhi agguantandomi per i polsi.
“Elena, rilassati! Tutto finirà bene, vedrai…ora che sappiamo quali sono i loro punti deboli, ucciderli sarà una passeggiata e tu tornerai a casa prima della fine dell’estate”
Avrei voluto che nelle parole di Damon insieme all’incoraggiamento e all’ironia vi fosse anche un pizzico di veridicità che mi avrebbe convinto a rilassare i muscoli e a rimanere vicino a lui.
Ero così immersa nei miei pensieri che non mi accorsi che l’ex vampiro aveva preso teneramente il mio mento e aveva avvicinato le sue labbra alle mie, modellandole.
Il piacere che mi pervase per una frazione di secondo venne brutalmente interrotto dal senso di angoscia che si andava ad addensarsi dentro me.
Mi staccai violentemente da lui allontanando le sue labbra e il suo corpo.
“Elena, che ti prende?” chiese inarcando le sopracciglia, sconcertato dal mio cambiamento d’umore repentino.
Mi guardai intorno cercando di non scorgere la faccia turbata di qualche vampiro di mia conoscenza. Mi sentivo come una ladra il cui reato poteva essere scoperto in qualunque momento, come un assassina che non avendo complici si sentiva addosso il peso del delitto che aveva appena commesso.
“Ne abbiamo già discusso, Damon. Non possiamo farci scoprire, non adesso che abbiamo già mille difficoltà”
Damon si rabbuiò e si passò una mano tra i capelli neri.
“Scusa se volevo farti sentire meglio” abbaiò affondando le mani nelle tasche dei jeans e rivolgendo lo sguardo altrove.
Il senso di rimorso non riuscì a diminuire l’acidità e la paura che avevo dentro.
“Lo so e ti ringrazio, ma non farlo mai più. Perché se lo farai e Stefan lo verrà a sapere, ti odierò per il resto della mia vita” sentenziai e, stordita dal cumolo di emozioni diverse che avevo in fondo allo stomaco, lo strinsi a me sperando che potesse capire.
“Sai forse è meglio odiarmi. Così la nostra commedia potrà sembrare più credibile” disse indirizzandomi una stilettata e, slegando le mia braccia, si diresse nella la direzione opposta alla mia.
Rimasi ferma in quella posizione per non so quanti minuti, guardando le persone attraversare indaffarate la mia visuale e cercando di ricacciare indietro le lacrime di nervosismo che premevano agli angoli degli occhi.
“Elena”
Una voce familiare mi fece voltare e fui rincuorata nel vedere la medesima espressione tesa e preoccupata nel volto della mia amica.
“Ehi Bonnie” sussurrai con voce gracchiante e la strega mi accolse tra le sue braccia, conscia del mio nervosismo che sentiva a pelle.
“Abbiamo scoperto cosa hanno sottratto” disse trapanandomi con i suoi grandi occhi castani e facendo nascere in me una viva curiosità.
“Che cosa?” chiesi intimandola a continuare.
Bonnie posizionò un ricciolo nero dietro l’orecchio e aprì cautamente lo zaino, frugando tra la sua roba e estraendone una custodia a me tanto familiare.
Schioccai la lingua, basita dall’orribile pensiero che per un istante mi aveva sorvolato la mente.
La strega spolverò la lunga custodia blu cobalto e la aprì mostrandomene il contenuto.
“Il pugnale”

 

“Dimmi una cosa, Ercole: sarebbe questo il piano?”
Damon indicò il grande Hotel a cinque stelle che si innalzava lussureggiante e in tutta la sua eleganza sopra le nostre teste. La piccola ma monumentale entrata recava il nome del palazzo contornata da delle pareti color mattone e abbellita da numerose statue e colonnine greche mentre alle spalle e ai due lati di quel portico si innalzavano due palazzi con balconcini in ferro battuto e finestre serrate da persiane.
Jim roteò gli occhi calpestando la cicca dell’ennesima sigaretta.
“Si, weekend in un albergo cinque stelle con tanto di vasca a idromassaggio. Se vi ho portati qui ci sarà un motivo, no?” chiese il mezzo vampiro sornione e forse un po’ irritato dal nostro scetticismo.
“E’ qui allora la loro…sede?” azzardò Stefan al mio fianco con le braccia serrate al petto e la fronte corrugata per la preoccupazione.
“Certo che non si fanno mancare proprio niente” sbuffò Nicole mentre si ravvivava i capelli con l’acqua della fontana zampillante sul cui bordo eravamo seduti.
“Non ho mai visto una gran quantità di mezzi vampiri in vita mia” sussurrò Colin sotto il cappellino a visiera e catturando la mia attenzione.
“Dove sono?” chiesi non riuscendo a capire dove fossero gli altri suoi simili.
Il rosso si mordicchiò un labbro e represse l’istinto di alzare un dito per indicare le persone che uno alla volta riconosceva come mezzi vampiri.
“I signori che sono appena arrivati in macchina sono mezzi vampiri. La donna bionda che è appena uscita, l’uomo grasso in giacca e cravatta con la ventiquattro ore, la bambina con il cagnolino. Guarda, hanno tutti gli occhi grigi” puntualizzò Colin mentre continuavo a soffermare lo sguardo forse un po’ troppo a lungo sulle persone che aveva citato. Quello era davvero il loro quartier generale. A confronto la Cascina era una piccolo reggimento di un intero esercito schieratosi dalla parte del male.
“Quindi come procediamo?” chiese Bonnie interrompendo il chiacchiericcio che si era formato all’interno del nostro piccolo gruppo.
“Aggiriamo e entriamo dalla porta sul retro” disse l’ex vampiro con una scrollata di spalle.
Stefan inarcò un sopracciglio piuttosto confuso.
“Come sei sicuro che ci sia una porta sul retro?”
Il fratello rivolse gli occhi al cielo e si umettò le labbra.
“Perché c’è sempre una porta sul retro” rispose con fare canzonatorio posizionando meglio gli occhiali da sole sul naso.
Mi raddrizzai lo zaino sulle spalle e io e Colin eravamo già pronti a seguire Damon e Stefan per un vialetto che portava al retro dell’albergo quando la voce roca di Jim bloccò i nostri passi.
“Ehi carica dei centouno, a capo della spedizione ci sono io e solo io posso decidere cosa fare, e dico di entrare dall’ingresso principale”
L’occhiata glaciale che Jim ci riservò fece bloccare i miei sandali al cemento della strada sotto i miei piedi.
Vidi Nicole strabuzzare gli occhi, presa da una strana inquietudine tanto che i suoi occhi incredibilmente grandi raggiunsero la dimensione di due palle da golf.
“Vuoi forse farci uccidere tutti? E’ da suicidio entrare dalla porta principale, ci riconosceranno subito” sbottò cercando di modulare la voce che a causa della stizza e dell’agitazione minacciava di crescere di due ottave ogni parola.
Colin affilò lo sguardo.
“Fred ha detto di entrare dalla porta sul retro. Perché non stai seguendo il piano?” chiese inchiodando lo sguardo a quello di Jim che si lisciò la lieve peluria che aveva sul mento.
“Perché è lui la spia, non è così?”
La voce di Stefan affettò l’aria tersa e calda e la pelle di tutti noi si infuocò dell’arancione del sole volto a tramontare.
Tutti friggevamo di impazienza e di nervosismo.
Il mezzo vampiro dai capelli biondi ci squadrò con uno sguardo misto tra il ferito e l’irritato e lanciò occhiate di sfida al vampiro che aveva effettuato un passo avanti.
Era veramente Jim la spia? Nella mia mente vorticavano tanti di quei pensieri e supposizione che l’annoverare quell’ipotesi al resto della lista non poté far altro che procurarmi un maggiore mal di testa.
La sola cosa che in quel momento la mia testa tentava di partorire era il semplice fatto che non eravamo al sicuro, non lo eravamo mai stati.
“Fate come volete, io vi avevo dato un’idea alternativa!” abbaiò sistemandosi meglio lo zaino in spalla e incamminandosi con la sua immensa stazza sul selciato le cui luci sul terreno illuminavano il cammino, quasi come se ci invitassero a proseguire per quella direzione.
La fiducia a volte è la sola cosa che serve per far si che tutto finisca bene, a quel tempo ancora non ce n’eravamo resi conto.
Ci incamminammo lungo il sentiero cosparso di ghiaia e ciottoli bianchi che contornavano siepi e aiuole dalle quale fiori colorati straripavano dagli intricati rami.
Una mano gelida sfiorò la mia sudata e il contatto mi fece sussultare e rabbrividire allo stesso tempo. Il sorriso un po’ tirato di Stefan mi tranquillizzò.
“Andrà tutto bene, vedrai” gli sussurrai facendo fatica a credere alle mie stesse parole.
Infatti Stefan inarcò un sopracciglio stringendomi maggiormente la mano.
“Elena, non devi cercare di essere ciò che non sei. Sei umana, puoi avere paura come ce l’ho io”
Sospirai facendo attenzione alle minuscole schegge di pietra che si andavano a infilare nelle fessure delle scarpe.
“Sai anche Damon ha paura. Ora che è umano ammetto che è molto più facile da comprendere” disse e gli angoli della bocca gli si stropicciarono in un sorriso, forse più per alleggerire l’atmosfera tesa che per genuino piacere.
“Cosa intendi?” chiesi spostando il mio sguardo sull’ex vampiro che camminava fiero al seguito di Jim.
“Il suo cuore. Continua ad aumentare il suo battito più ci avviciniamo al nemico. Ha paura, come te” costatò e tremai fin dentro le ossa.
“Ci siamo” cinguettò Colin che era tornato indietro per avvisare noi che ci eravamo distaccati di molti metri dal gruppo.
Il rosso con sguardo serio in volto ci invitò impaziente ad accelerare il passo così che in breve tempo ci ritrovammo insieme al resto del gruppo dinanzi ad una porta di un seminterrato. Anche per questa volta Damon aveva avuto ragione riguardo l’entrate sul retro.
“Aspettate, non apritela” disse Bonnie che aveva rivolto uno sguardo allarmato a Nicole la cui mano stava per afferrare la maniglia di quella vecchia botola.
La mia amica deglutì e si fece largo tra Jim e Damon con l’intenzione di osservare meglio la situazione più da vicino.
I suoi occhi non si staccavano dalla maniglia e le sue sopracciglia erano tanto inarcate da farle comparire una profonda ruga sulla fronte alta e olivastra.
Dalla botola cominciarono ad uscire fuori scintille e la maniglia si lacerò sotto la rovente azione del fuoco. Un crepitio e la botola si aprì con un sinistro rumore cigolante.
“Era bloccata con un incantesimo, se l’aveste toccata sareste morti carbonizzati” spiegò Bonnie distendendo la fronte e le guance dapprima contratte.
“Magnifico. Non il fuoco, ovviamente. Magnifica tu” accennò Colin con aria trasognante sbalzando lo sguardo dalla botola a quello della strega.
Ci calammo all’interno della porta semidistrutta e un lungo corridoio con delle luci di emergenza ci fecero credere di essere nei sotterranei del pseudo albergo.
Camminammo attraverso uno stretto cunicolo con il soffitto basso. Jim guidava il gruppo ancora palesemente offeso per la fiducia mancatagli; Damon gareggiava insieme ad una tesa Nicole la quale si voltava continuamente osservando le fredde pareti impregnate di umido e muffa; Bonnie proseguiva il cammino scettica e nervosa, ripassando gli incantesimi che ci sarebbero serviti durante la battaglia; Colin dietro di lei le mandava occhiate in tralice come per assicurarsi che stesse bene e qualche volta si voltava indietro intercettando il mio sguardo e quello di Stefan.
I passi di Jim si arrestarono così come i nostri. Nella galleria piombò il silenzio più totale.
“Stiamo facendo la fine del topo o cosa?” domandò Damon piegando la bocca in un sorriso sardonico. Il mezzo vampiro scrollò i capelli biondi da dietro l’orecchio.
“Zitto e trova un uscita” borbottò.
Solo allora mi resi conto che il corridoio si concludeva in un vicolo cieco, privo di aperture se non per delle fessure strettissime poste sopra le nostre teste: i condotti di areazione.
Una malsana idea stava nascendo dentro di me e il tremore alle mani che prima era stato lieve adesso si stava espandendo prendendo il sopravvento sul mio corpo.
Era chiaro come la luce del sole, solo che i nostri occhi erano troppo ciechi per vederlo.
Stefan mi scosse leggermente e puntai i miei occhi sbarrati sui volti dei presenti che mi riservavano occhiate preoccupate.
“E’ una trappola” dissi con voce tremante.
I visi dei miei compagni divennero bianchi più di un lenzuolo e ombre in movimento uscirono dagli angoli di quel corridoio, circondandoci in breve tempo.
Alla fine c’era riuscito, la spia aveva giocato bene il suo gioco ingannandoci con finti sorrisi e lacrime false. Guardai i volti dei mezzi vampiri al mio fianco: la loro espressione statuaria faceva invidia persino al bronzo, gli occhi grigi indagavano le ombre.
Il mio cuore accelerò i battiti e mentre le ombre si avvinghiavano sempre di più alle nostre figure, non ebbi che pensare ad un’unica cosa.
Slacciai la mia mano sudata da quella di Stefan e mi allungai tentando di avvicinarla a quella di Damon che era alzata verso la mia direzione.
Pochi i centimetri che ci dividevano, troppi i respiri che sentivamo addosso.
Mi slanciai ancora di più sfiorandogli a malapena le dita.
Ebbi solo il tempo di guardare l’anima attraversargli gli occhi.
E dopo fu il buio.

 

 

Finalmente eccomi tornata,
mi scuso profondamente per l’immenso ritardo ma la voglia di scrivere è tornata solo adesso e, insieme alle rondini, anche la primavera!
Dunque...questo è un capitolo di cui non sono molto contenta ma dovevo pur postarvelo, ci tengo ai miei lettori ;D E dunque la scena si apre con la combriccola che si trova in aeroporto in vista di scontrarsi con la Triade. Ho voluto analizzare meglio due personaggi che amo alla follia, il burbero e buono Jim, e la tosta e fragile Nicole. Sono due personaggi caratterialmente diversi e di cui saprete molte cose, intanto limitatevi a questo. Ho voluto far vedere il loro rapporto di amore in contrasto con la libertà che ognuno arreca all’altro e che li divide. La scena del bagno, dell’oggetto caduto sul pavimento e del disegno a matita sul muro, sarà il fulcro di tutta la loro storia ;) Qualcuno ha rubato il pugnale, e ora? Elena è così confusa e spaventata che tratta male Damon senza rendersene conto e lui, in un atteggiamento di orgoglio la respinge. Giungono finalmente all’albergo che risulta essere il quartier generale della Triade. Qui si hanno i primi sospetti su chi possa essere la spia, ma nessuno lo può dire con certezza, sono tutti possibili sospettati. E alla fine i nostri amici hanno proprio fatto la fine del topo. Spero che la scena finale Delena sia stata di vostro gradimento :) Con questo non posso far altro che salutarvi e sperare di riscrivervi presto (nervi,tempo,scuola e voglia permettendo u.u)
Un bacio,
Sil

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Capitolo 28
*** 26 - BUT I LOVE YOU MORE ***


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26 – BUT I LOVE YOU MORE

 

Il buio era l’unica morsa che sembrava serrarmi la gola più della presa ferrea e minacciosa delle mani del mezzo vampiro di cui sentivo il maleodorante alito scagliarsi sulle mie guance, segno che i suoi denti aguzzi e feroci stavano a pochi centimetri dal mio viso.
Un’enorme distesa di nero si amalgamava attorno a me impedendomi di capire dove fossi e se i miei amici stessero bene.
Soffocavo, soffocavo e con me il mio cuore.
D’un tratto la presa che bloccava la mia gola e piegava il mio braccio in modo innaturale dietro la schiena sembrò scomparire e mi ritrovai scaraventata su una superficie fredda, non seppi mai se fosse il pavimento, la parete o addirittura il soffitto. Picchiai la testa e mi accorsi del sangue che era sgorgato soltanto quando sentii nuovamente il fiato dei nostri aggressori all’altezza del mio collo.
Era stata una trappola ben congegnata alla quale nessuno di noi era riuscito a sottrarsi, ognuno mal pensante di quale potesse essere la scelta più giusta.
Adesso sembra quasi patetica la situazione: eravamo così accecati dalla paura di sbagliare e di essere sconfitti che alla fine avevamo realmente perso.
Cercai di dimenarmi e di combattere contro quelle braccia che, come sbarre di ferro, serravano i miei polsi fino a quando ogni mio sforzo, ogni mio movimento fu del tutto inutile: mi muovevo, mi affannavo ma il mio corpo non rispondeva, ma i miei muscoli non potevano muoversi di un solo centimetro.
E fu allora che iniziai a sentire la paura attraversarmi le vene e scorticarmi la pelle, il tremolio delle ginocchia e dei denti, il sangue che picchiava in testa pulsando dalla ferita. La sentivo rimbombare come percussioni ma solo più tardi mi accorsi che quei rimbombi provenivano dall’esterno.
Ringhi acuti e gorgoglii furenti infuriavano intorno a me ma non ne fui spaventata. Sapevo che erano dalla nostra parte, che combattevano per salvare noi.
Quasi nell’oscurità più totale riuscii a localizzare il ghigno soddisfatto di Colin, i sussurri di Bonnie, lo sbuffo quasi seccato di Jim, il pesante latrato di Nicole, il sospiro di Stefan farsi sempre più elevato fino ad assopirsi del tutto.
Nessuna traccia di Damon, nessun rumore, nessun battito.
Ma nel silenzio ottenebrante che si era creato la domanda che continuava a puntellarmi in testa era sempre la stessa: chi è che ci aveva traditi?
“Ma bravi. Sono sorpreso, davvero: è tutto qui l’esercito di Frederick?”
La voce di uno dei mezzi vampiri si elevò e con mia meraviglia mi accorsi che i miei occhi si erano abituati al buio: riuscivo a scorgere le sagome dei miei amici.
Ciò che mi strinse il cuore fu lo scoprire che Damon, troppo distante da me, addossato a uno dei muri, in silenzio mi guardava.
“Piantala Owen con i tuoi gesti teatrali e vediamo di rinchiuderli, sai che Drake odia aspettare”
Stavolta la voce che, stanca, si era levata nell’oscurità della stanza era quella del mio aggressore che senza alcuna fatica mi tratteneva i polsi dietro la schiena con una sola mano mentre con l’altra provava a tener ferme le mie spalle che tremavano, un po’ per la paura un po’ per la rabbia.
Il suddetto Owen ridacchiò e diede un ordine agli altri mezzi vampiri che si stavano radunando attorno a noi.
“Suvvia, Liam. Lasciami il tempo di concludere almeno questa scena da aggiungere alla mia opera. Dov’ero arrivato a scrivere? Ah giusto. La rivelazione della spia”
La bassa luce a neon illuminò la stanza di luce iridescente che mi fece chiudere violentemente gli occhi devastandomi lo sguardo e la testa da una lancinante fitta.
Strizzai le palpebre ma invano riuscì ad aprire gli occhi ancora doloranti perciò mi limitai semplicemente ad ascoltare.
“A lui le tragedie e a me i rimproveri” borbottò il mezzo vampiro alle mie spalle, terribilmente scocciato dal comportamento tenuto dal suo collega.
“Ottimo lavoro, grande colibrì. Non pensavo che saresti stato all’altezza del compito, con i tuoi modi burberi di fare” disse rivolgendosi a qualcuno dei miei compagni ma ancora il dolore agli occhi mi impediva di vedere la scena nonostante la curiosità mi corrodesse dentro.
“Oh non fare quella faccia, sai benissimo che sto parlando con te. Non dirmi che ancora i tuoi amici non lo sanno?”
La tensione nell’aria si poteva affettare con un coltello e così il crudo e tetro silenzio.
Deglutii rumorosamente e schiusi leggermente le palpebre in modo da vedere i contorni e le immagini offuscate davanti ai miei occhi.
“Diglielo ora, Nicole”
D’un tratto tutto fu più luminoso, riuscivo a vedere la scena da ogni prospettiva, ogni angolo e lo spettacolo era dei più tristi che avessi mai visto.
Owen, che a giudicare dagli occhi iniettati di sangue e dai canini sporgenti era un vampiro, stava ritto dinanzi alla minuscola figura di Nicole, accartocciata su se stessa mentre l’altro mezzo vampiro cercava di sostenerla dalle braccia e dai capelli.
Il volto completamente bianco era incavato all’altezza degli occhi, grandi e colmi di lacrime, mentre i denti ringhiavano in direzione del nostro aguzzino tanto che Nicole, in un gesto di spavalderia, gli sputò contro colpendogli il viso ghignante.
“Suvvia Nikki, quando abbiamo stretto l’accordo non eri poi così contraria” puntualizzò asciugandosi la guancia con la manica del giubbotto.
La mia mente rifiutava di crederci: dopo quello che mi aveva confessato all’aeroporto, dopo il segreto che insieme condividevamo, dopo tutto l’amore che provava per Jim, ci aveva traditi. Di tutti i miei compagni di viaggio, non avrei mai potuto dubitare di lei; nonostante sapessi quasi niente di lei, pensavo che fosse una di quelle persone che avrebbero preferito morire piuttosto che essere costrette a compiere un gesto orripilante. Doveva esserci qualcos’altro sotto, ma la mia mente aveva incassato il duro colpo e adesso i miei occhi erano rivolti a Jim.
Il mezzo vampiro dai capelli biondi era inginocchiato a terra, tenuto con le mani dietro la schiena e una mano sulla testa per inchiodare lui e la sua dignità a terra. I suoi occhi grigi erano lo specchio di una miriade di emozioni: tristezza, angoscia, terrore, paura, compassione, stupore, dolore, vergogna e rabbia, tanta rabbia.
“Coraggio, colibrì. Di che sei la nostra spia da ben…uhm vediamo…dieci anni?” la esortò Owen con un sorrisino disarmante, mettendo in evidenza i denti perfettamente bianchi che risplendevano in contrasto con gli occhi color cioccolato e i capelli color dell’ebano.
Nicole sembrò trattenersi dallo sferrargli un pugno. Tremava, tremava dalla rabbia e dalla vergogna ma nonostante tutto non poteva muoversi, sarebbe stata vittima degli sguardi taglienti degli osservatori.
“Avevi detto che non avresti fatto loro del male. Lasciali liberi” sputò furiosa Nicole, sbaragliando i denti mentre le pupille degli occhi le si facevano sempre più bianche fino a scomparire del tutto.
Owen le si avvicinò prendendola dolcemente per il mento, sussurrandole all’orecchio.
“Dolcezza, secondo te cosa facevamo nei mesi che tu partivi per ritornare alla Cascina? Preparavamo un piano opposto a quello che avevamo detto a te. Quindi alla fine dei giochi, sei ancora così sicura che li lasceremo liberi?”
“Sei solo un bastardo!” masticò feroce la mezza vampira.
“Lo so” sussurrò il vampiro, compiaciuto della sua performance.
Negli occhi di Nicole potei leggere la disperazione più tetra e non appena incontrò lo sguardo esanime di Jim la disperazione si trasformò in lacrime amare, mentre il tremore delle mani si tramutò in singhiozzi.
“Jim io…” iniziò a dire la mezza vampira ma le parole le morirono in gola. Anche il mio stomaco si raggomitolò alla vista di quella scena.
Lo sguardo di Jim, questa volta più freddo del solito, la penetrò facendola raggelare.
“Mi dispiace, mi dispiace così tanto!” singhiozzò accasciandosi come un peso morto a terra. I capelli erano disfatti, il viso contratto dal dolore e le guance bagnate dal fiume di lacrime che sembrava non cessare. La camicetta bianca sporca di fango e terriccio era della stessa tonalità della sua pelle. Ma Jim continuava a guardare altrove, troppo affranto e furioso per sorreggere lo sguardo di Colette.
“Jim, mi dispiace!” urlò e quasi la voce non le si strozzò in gola.
“Portala via, sta creando un caos infernale” ordinò il mezzo vampiro dietro di me e ben presto due giovani la trascinarono con forza attraverso una botola nascosta tra i condotti di areazione posti sul pavimento.
Le sue urla continuarono a protrarsi per qualche minuto, mentre i miei compagni ed io ci guardavamo ormai senza più alcuna speranza, fino a che le urla cessarono e crollò nuovamente il silenzio.
“Credo che per oggi basta, adesso devo andare a scrivere la mia opera. Fanne ciò che vuoi e poi vai da lui” disse con fare annoiato Owen grattandosi la guancia ricoperta da una leggera peluria.
Un ghigno soddisfatto e desideroso si allargò sul viso di Liam e la stretta attorno ai miei polsi aumentò tanto che persi la sensibilità delle mani.
Era quella realmente la fine che ci era destinata? Saremmo davvero morti per salvare le vite di migliaia di persone? E per salvare la vita di una sola persona, io cosa avrei potuto fare?
A quei pensieri alzai gli occhi verso Damon: aveva del sangue che scendeva dal labbro inferiore e così dal naso, mentre il suo corpo era rigido come una statua di marmo, indifferente alla presa del suo aguzzino.
Avrei potuto salvare una sola vita, eppure erano troppe le persone a cui tenevo, per cui la vita valeva la pena di essere salvata.
Spostai gli occhi e mi scontrai con il verde di quelli di Stefan: era ritto alla mia sinistra, gli occhi preoccupati che andavano a posarsi sulla ferita sulla mia tempia.
Solo un passo mi avrebbe permesso di essere più vicino a lui.
Se c’era una persona a cui non avrei mai e poi mai potuto fare del male quello era proprio lui, perché sapevo che lui non me ne avrebbe mai fatto.
Io amavo Stefan, questa era la consapevolezza che conservavo gelosamente in me cercando di non farla evaporare, di non farla svanire.
Amavo Stefan incondizionatamente e avrebbe occupato sempre una grande parte del mio cuore.
Io amavo Stefan, ma amavo di più Damon.
La spinta disumana effettuata dal mezzo vampiro dietro di me mi ribaltò in avanti, facendomi perdere per un istante l’equilibrio.
Barcollai ma non caddi: Liam mi teneva saldamente per i capelli, come un marionettista fa con i suoi pupazzi.
Mugolai per il dolore ma mi trattenni mordendomi il labbro inferiore non appena vidi Stefan balzare un po’ più vicino a me, già pronto a liberarmi dalle grinfie del mezzo vampiro.
Ma i miei occhi erano rivolti costantemente a Damon, la cui espressione assente quasi spiritata accentuava la mia paura e la mia preoccupazione.
Feci un cenno con la testa come segno a Stefan che stavo bene e lui, distendendo piano le increspature nella fronte, fece un passo indietro, ritratto dall’essere dietro di lui.
“Staremo bene, Elena” mimò con le labbra e gli occhi verdi trasudarono un’immensa quantità di fiducia nelle parole che aveva appena pronunciato e mi accorsi che quelle parole, quel futuro, così bello e radioso, includevano solo lui e me. Non Damon.
Il mio cuore gorgheggiò contro la mia gabbia toracica, e anche per quella volta inghiottì il sorriso amaro che dovetti inscenare davanti al vampiro.
Che persona orribile che ero diventata.
D’un tratto l’espressione sul volto cereo dell’ex vampiro mutò e con esso il ghiaccio che si era depositato sul fondo dei suoi occhi si sciolse facendo divampare il fuoco.
Non che pensassi che Damon non fosse più quello di un tempo, ma a una parte di me piaceva pensare che avesse deciso di far prevalere la sua parte umana e di lasciarla tranquillamente in mostra, in realtà mi sbagliavo.
Nonostante fosse umano, il vampiro pazzo che era in lui si fece vivo più forte che mai.
“Ora basta, se dobbiamo morire, voglio togliermi questa soddisfazione”
La sua voce acuta e compatta si levò e le sue pupille si ingigantirono tanto che nei suoi occhi comparve un brillio di follia.
“Sta zitto!” lo esortò il mezzo vampiro dietro di lui, affondandogli un colpo ai reni.
Damon mi guardò e le mie vertebre tremarono dall’agitazione.
“Quella sera ti ho detto quello che provavo per te, ma tu non mi hai risposto. Adesso è tempo di dirlo”
A quelle parole il mio cuore capì ciò che voleva dire ed era disposto a rispondere ma la mia testa mi costringeva a deviare quei miei sentimenti: sarebbero morti con me se fosse stato necessario.
“Damon, per favore, non ora” provai a dire con voce rotta da quel pianto che da troppe ore stavo cercando di cacciare indietro.
“Elena, stiamo morendo, quando me lo vorrai dire? Dì semplicemente quelle tre parole e poi sarà quel che sarà”
Dentro di me sembrava infuriare una guerra, lo stomaco non demordeva dal corrodermi le viscere e il cuore di sgusciarmi via dalle costole, per voler fuggire, per voler essere un po’ più accanto a lui.
E in quel momento mi chiesi: il momento di decidere, il fatidico momento, era veramente arrivato?
“Elena di cosa sta parlando?” chiese Stefan dai cui occhi traspariva tutta la confusione e la paura che per tutto quel tempo aveva cercato di soffocare e che adesso sgorgava con tanto di fronte corrucciata, sbalzando le pupille da me a Damon e viceversa.
Schioccai la lingua cercando di trovare una conclusione plausibile, ma un dolore lancinante al polso mi fece dimenare ancora di più nelle mani del mio aguzzino che anche lui come gli altri osservava la scena, puntando il loro occhi su di me.
“Stefan…” mormorai appena, ma le mie flebili parole furono soppiantate dal tono di voce alto di Damon di fronte a me.
“Elena, ammettilo” imprecò quasi come se stesse perdendo la pazienza mentre entrambi ci agitavamo come anguille tra le braccia dei mezzi vampiri dietro di noi.
In quel momento tutto il dolore, la paura, il terrore sembrò addensarsi nel mio cuore creando un enorme macigno, un peso insormontabile che mi avrebbe schiacciata, mi avrebbe annientata.
Non respiravo, soffocavo.
“Se non state zitti, lui sarà il primo a morire”
Gli occhi folli da assassino dell’essere dietro l’ex vampiro mi fecero rabbrividire fino al midollo e con essi l’idea che potesse fare del male a qualcuno a cui tenevo.
“No, Damon” urlai sperando che questo potesse frenarlo dal continuare quel suo insulso interrogatorio mettendo me e i presenti sotto pressione.
“Elena?”
Un altro sussurro interrogativo di Stefan: i suoi occhi gonfi e il viso contratto in una smorfia di dolore mi fecero capire che in fin dei conti l’idea di me e Damon si era impossessata del suo cervello e che quel mio nome sussurrato non fosse altro che l’eco della parte di lui che ancora doveva farsene una ragione.
Avrei voluto abbracciarlo, tenerlo a me per non farlo crollare, spiegargli che non era colpa sua ne di Damon ma a causa di quei due metri e mezzo non lo avrei potuto fare.
“Dillo Elena, credo che questo qui faccia sul serio” borbottò Damon osservando preoccupato i canini del mezzo vampiro i cui occhi bianchi puntavano dritti sulla sua carotide insieme ai denti affilati e aguzzi.
Un morso e per Damon sarebbe stata morte certa.
“Basta, ti prego” mi appellai al mezzo vampiro e a Damon i quali sembrarono non udirmi, continuando a lottare tra di loro ad armi decisamente non pari.
Ero scossa da sussulti da capo a piedi, i capelli incollati al viso mi impedivano di scorgere i due di fronte a me e la presa ferrea del mezzo vampiro mi aveva fatto perdere la sensibilità delle mani e del resto delle braccia.
“Di quello che devi dire perché sto contando fino a tre…uno…due…”
Il rumore del countdown stava bruciando in me ogni brandello di lucidità.
Per un momento pensai di lasciar perdere, di non accondiscendere a quella confessione forzata richiesta dalla persona che amavo. Avrei potuto ignorarla, avrei potuto soffocare quel sentimento e morire insieme a tutti gli altri con la consapevolezza di avere torto, di essere stata l’assassina di due cuori.
Sarei rimasta in silenzio, sarebbe stato facile.
Ma il magone che si addensava in me, quello freddo e pungente, proprio sotto il polmone sinistro, quello che non era dovuto alla paura ne all’angoscia ne alla fatica, era quello il luogo in cui risiedeva il mio amore per lui, un amore tanto grande che un cuore solo non bastava a contenerlo.
Sarebbe scoppiato, l’avrebbe fatto davvero. E a che sarebbero serviti brandelli di cuore quando non ci sarebbe stato più nessuno a raccoglierne i pezzi?
“Si, lo amo.”
Lo immaginai come un sussurro ed invece fu enormemente più elevato di un semplice urlo.
All’improvviso il magone era sparito, l’aria si fece più leggera, le mani pizzicarono al nuovo passaggio del sangue nelle vene.
Mi sentii libera, sia fisicamente che moralmente.
“Ti amo” dissi questa volta con moderazione non riuscendo a staccare i miei occhi dai suoi color zaffiro.
L’intero mondo si era fermato intorno a noi e anche i mezzi vampiri avevano rinunciato a tenerci stretti a loro con la forza.
Eravamo entrambi feriti, e lungo le nostre guance graffi e stizze di sangue ricamavano buffi disegni.
Le mie di guance erano solcate da lacrime, lacrime vere.
Barcollò verso me, più stremato dalla lotta che realmente spossato, riuscendo finalmente a liberarsi dalla stretta del mezzo vampiro.
Mi guardò come per controllare che ogni cosa fosse al suo posto, come per controllare che ci fossi io in mezzo a tutti quei graffi, la sua Elena.
“Mi odierai Elena? Se ti baciassi, mi odieresti ancora?” I suoi occhi quasi supplicanti mi trafissero il cuore e la gioia di poco prima svanì in un battito di ciglia, ricordando la conversazione all’aeroporto.
“Ti ho odiato Damon, ti ho odiato così tanto” sussurrai ricordando il dolore provocatomi dal vampiro pazzo ed egoista, crudele e insensibile. Ma quel vampiro aveva deciso di gettare la maschera e di farsi dolcemente leggere come un libro intricato e complesso. E tutto ciò che io ero riuscita a leggervi dopo pagine e pagine era amore, puro amore, inciso in bella grafia.
“Ma ti amo di più” dissi e sfiorai la sua guancia con le mie labbra, prosciugandogli il sangue che aveva addosso.
“Questa volta mi hai fatto aspettare più del dovuto” biascicò e strapazzò le labbra nel suo solito sorriso sghembo che tanto amavo. Portò la mia mano dolorante all’altezza del suo cuore: sapeva che tanto amavo i suoi battiti, che tanto amavo la sua umanità. Perché Damon sarebbe rimasto umano, o almeno così credevo che fosse.
Poi in un gesto quasi irruento e dettato dalla paura di perdermi, mi baciò per un ultima volta, con tutto l’amore che poteva darmi.
Ma intanto alla nostra destra il mezzo vampiro sbadigliò.
“Che cosa tenera. Credo di avere fin troppo materiale. Vi prego, portateli via, ora”
All’ordine di Owen, i mezzi vampiri misti a vampiri ci catturarono nuovamente e io e Damon fummo bruscamente separati
Si divisero e con loro pure noi.
Ebbi il tempo solo di incrociare lo sguardo afflitto di Stefan.
Lo chiamai per nome ma non si voltò, preferì proseguire verso la direazione opposta alla mia, verso l’ignoto.
E il dolore di averlo perso si fece vivo nuovamente.
Riuscì a riconoscere le persone che erano attorno a me: una chioma rossa sotto la quale traspariva un volto scuro di rabbia.
Altrettanto ingrugnato sembrava il viso di Jim del quale però gli occhi incredibilmente vitrei erano ancora soggetti alla delusione provata precedentemente.
Non ero sola eppure sembrava che lo fossi.
Mi girai indietro alla ricerca disperata di uno sguardo amico: Bonnie era terrorizzata,  l’incapacità di effettuare l’incantesimo la rendeva più nervosa e disorientata.
E per un ultima volta i miei occhi furono catturati da quelli magnetici di Damon.
Quella fu l’ultima volta che vidi quegli occhi così blu.
“Muoviamoci” disse Liam alle mie spalle e mentre un rumore metallico mi fece intendere che dietro di me i miei amici avevano imboccato un diverso condotto, davanti a me la parete sembrò aprirsi e ripiegarsi su se stessa, come se fosse una saracinesca.
Una nuova galleria, buia e fredda, si snodava davanti a noi, illuminata fiocamente dalle luci a neon poste sul soffitto ricoperto di ragnatele.
I mezzi vampiri ci spinsero lungo tutto il corridoio e faticai a tenere il loro passo, zoppicando e prendendo fiato una volta o due.
Entrammo in un cunicolo stretto da cui si dipartivano urla strazianti e mugolii simili ad un pianto incessante.
La luce proveniva da un curioso lampione, come quelli che si trovano nei giardini pubblici di Mystic Falls, risalenti al diciannovesimo secolo, con l’unica eccezione che quello era posizionato cinque-sei metri sotto il suolo.
Delle lunghe scalinate ci fecero scendere nuovamente di livello fino ad entrare in ampia area disseminata di ambienti più o meno stretti muniti di sbarre arrugginite e cigolanti.
Il pianto incessante proveniva da una di esse.
Nicole era raggomitolata su se stessa, in un angolo della sua cella. Gli occhi grigi gonfi di lacrime e cerchiate da linee rosse e violacee così come il colorito del suo volto.
I singhiozzi sembravano non permetterle di respirare e quasi i suoi polmoni smisero di gonfiarsi quando incrociò i nostri sguardi.
“Nikki, lo sai, questo non dipende da noi” pronunciò Liam spingendoci verso le celle, scoccando occhiate guardinghe alla mezza vampira con le spalle appese al muro.
“E da chi allora?” grugnì e le labbra le divennero bianche dalla rabbia.
“Ordini di Chris”
Il tono con cui biascicò quel nome mi fece credere che in fin dei conti non tutti i mezzi vampiri dell’esercito della Triade erano concordi sulle scelte che le venivano imposte direttamente dai loro superiori.
Con una docilità quasi stomachevole, stanchi di combattere e ormai privi di qualsiasi speranza, ci lasciammo condurre all’interno della cella, posizionata di fronte a quella di Nicole, assistendo al rumore sinistro delle sbarre in ferro che si chiudevano e la serratura del catenaccio che ci sigillava all’interno di quella pseudo dimora.
E per un attimo mi sentii come la gran quantità di vampiri rinchiusi nella cripta, come Pearl e Anna e tutti gli altri.
Eravamo in trappola, non avevamo via di scampo.
I mezzi vampiri si diressero verso l’uscita e il rumore dei loro passi ci costrinse al silenzio per parecchio tempo.
“Maledizione! Non può finire così!” imprecò Jim alzandosi di scatto e arrivando con velocità fulminea alle sbarre scuotendole come se la sua forza disumana potesse liberarci.
Ritirò quasi subito le mani mascherando una smorfia di dolore. Una moltitudine di escrescenze segnava le mani del mezzo vampiro ricoperte da gravi ustioni, vesciche e piaghe laceranti.
“Non puoi spezzarle Jim. Non so con cosa le hanno fatto, ma so che è dannoso per noi mezzi vampiri” annunciò Nicole la cui voce gracchiante fece per un attimo avere un capogiro al mezzo vampiro dai capelli biondi, il quale tuttavia non esitò nuovamente ad assumere quell’aria trafitta di poco prima.
“Ma lei è umana, forse potrebbe..” si intromise Colin che fino a quel momento non aveva proferito parola.
Aveva i capelli rosso fuoco e del sangue rappreso sulla sua maglietta blu, per il resto sembrava essere intatto.
“Se per noi mezzi vampiri è mortale, figurati per un’umana qualsiasi” spiegò Nicole.
In lei la consapevolezza della sconfitta.
“Abbiamo perso” bisbigliò Nicole con una voce rotta dal pianto. Immaginai che quelle lacrime fossero tutte quelle che per circa cinquant’anni aveva represso dentro di se.
Non era la stessa Nicole che avevamo conosciuto perché in fin dei conti nessuno conosceva Nicole.
“A causa tua”
Le parole di Jim arrivarono quasi come una coltellata e il dolore non venne percepito solo dalla mezza vampira.
“Cosa potevo mai fare? Mi avevano detto…sapevano dov’era la mia casa. Volevo soltanto ritornare lì, dovunque essa fosse. Tu non mi volevi lì, non mi hai mai voluta  così me ne sono andata.”
Nicole strisciò, strappando i pantaloncini e rigandosi la camicetta di terriccio e polvere, così da arrivare alle sbarre dove posizionò la fronte e avvinghiò le mani.
La pelle bruciava ma lei non emise alcun lamento segno che quella non era affatto la prima volta che veniva portata in un luogo del genere.
“Scappavi via. Non volevi farti trovare. Mi riservavi due o forse tre occhiate e poi sparivi. Ci hai traditi. Hai tradito me e il resto della Cascina. Ci hai fatto imprigionare, mandando all’aria il nostro piano”
Jim stava immobile con la schiena poggiata al muro e una sigaretta accartocciata tra le mani. Gli occhiali semi rotti fuoriuscivano dalla tasca anteriore della camicia e il suo sguardo vacuo sembrava oltrepassare quelle sbarre.
“Ma sono stato io che ti ho costretta a fuggire. Sono stato io che ti ho respinta. Ho sbagliato, ferendoti nella maniera più brutale. Ma ora, dopo tutto quello che ho fatto, quello che abbiamo fatto, le lotte e le liti…penso di amarti meglio adesso”
Un leggero sorriso sembrò affiorare sulle labbra scure di Jim tanto che i grandi occhi di Nicole rimasero dispersi per qualche secondo e poi lasciò che la sua bocca si allargasse in un sorriso. Delle semplici sbarre non poterono impedire ai due di ricongiungersi, l’abbraccio dei loro occhi era sufficiente a dimostrare il contrario.
“Almeno qualcosa di positivo c’è in questa storia” esultò Colin accanto a me il quale non aveva ancora perso quell’entusiasmo che tanto lo caratterizzava.
Voltai la testa nella sua direzione e allungai il braccio dolorante per dargli un leggero buffetto sulla spalla, anche io sollevata dal fatto che almeno tra di noi qualcuno il lieto fine l’aveva realmente trovato.
“Oh, sta zitto chiwawa” borbottò Jim in tono del tutto scherzoso e l’aria sembrò farsi meno pesante.
Ritirai le ginocchia in modo da esaminare i graffi e i lividi che avevo accumulato.
Sospirai stanca e reclinai il capo all’indietro soffermando lo sguardo su strani segni e incisioni sulla parete della cella.
Era un luogo piuttosto strano per essere visto come un carcere.
Vi erano numerosi disegni, per lo più croci, parole scritte in una lingua sconosciuta, figure di demoni, angeli, colombe, mostri. Ciò che più mi colpì fu la gran quantità di nomi e sotto di essi infinità di numeri, quasi una successione, quasi una data.
Spostai lo sguardo più in basso, sulla fredda pietra che fungeva da pavimento.
Appena sotto il palmo ben aperto di Colin delle lettere in successione sembravano dare l’idea di un nome.
“Elena tutto bene?” mi chiese gentilmente il rosso ma non gli risposi, troppo occupata a marcare con la punta dell’indice quelle lettere, quei nomi, quelle parole.
Le scritte terminavano con altrettante lettere: riuscii a distinguere una R, una S, una T, una P, una C e una E.
Sgranai gli occhi e il mio cuore perse leggermente un battito quando capii il significato di quelle parole che mi fecero accapponare la pelle.

Resta in pace così citava il pavimento.
Non eravamo affatto in un carcere, quello era un cimitero.
“C’è qualcuno” mugolò Jim il quale si sporse per osservare tra le fessure delle sbarre una figura longilinea muoversi verso di noi a passo spedito, quasi come se stesse scappando anche lei da qualcosa.
Non feci in tempo a sporgermi anch’io per vedere, che il ringhio acuto di Colin mi fece girare di scatto.
Il rosso digrignò i denti e scosse il capo mentre le dita delle mani affondavano nella pietra tentando di sbriciolarla.
“Tu!” sputò Colin in preda alla rabbia rivolgendo la parola alla più completa oscurità, segno che ancora l’ombra della figura non si era mostrata a noi sotto la luce del lampione.
I passi si arrestarono per un momento, per poi riprendere la loro corsa.
Avanzò verso la luce e ciò che vidi fu un paio di occhi piccoli e grigi, capelli lisci e neri che cascavano come pece sul corpo diafano, due splendide guance rosse e un ciondolo simile a mio a fasciarle il collo.
Così come Colin, lo stomaco mi si raggomitolò dalla rabbia più nera.
“Ciao fratellino” disse Michelle e sorrise.

 

 

 

 

 

 

Salve cara gente di efp,
come è bello essere ritornata tra di voi, purtroppo ancora per un mese sarò latitante ma riprenderò appena si chiuderanno le scuole. Allora, cominciamo subito con l’analizzare questo bel capitolo che mi è venuto un po’ più corto rispetto ai precedenti nonostante sia un concentrato di eventi. Intanto si viene a scoprire chi è la spia *rullo di tamburi* Nicole! Esatto il grande colibrì era proprio lei, lei che per dieci anni ha collaborato con la triade ma non per sua volontà, ma perché lei voleva riavere la sua casa, in seguito si parlerà anche di quello; tutti i presenti sono shockati da questa scoperta e perdono ormai ogni speranza. Vi avevo avvertiti che Stefan avrebbe scoperto tutto prima o poi e lo ha fatto nella maniera più brutta in assoluta. Damon, vedendo che la situazione stava precipitando, ha agito d’istinto come è suo solito e ha chiesto ad Elena di dirgli almeno per una volta Ti amo, visto che dopo la notte passata nella tenda non glielo aveva detto. Elena, confusa, disorientata, oppressa dal dolore che vede dagli occhi di Stefan, fino alla fine sembra non volerglielo dire ma il suo cuore ha la meglio. E’ stata una scena difficile da scrivere, soprattutto perché provavo tanta pena per il minore dei Salvatore. Ma alla fine il fatidico momento della scelta è arrivato (differente dai piani della Plec ultimamente, ma pazienza!) I nostri amici vengono catturati e si dividono. Elena, Jim e Colin vengono portati in un luogo strano e lì avviene la riconciliazione tra Jimmy e Colette *-* Potete pensarla come volete, ma io adoro questa coppia. E dopo che Elena scopre che in realtà si trovano in un cimitero (nel prossimo capitolo verrà spiegato il perché), arriva una nuova creatura che si rivela essere niente poco di meno che Michelle…ve lo sareste mai aspettati? E ora Michelle sta dalla parte dei buoni o dei cattivi? E come si comporterà con il fratello?
So che vi avevo detto che presto avreste conosciuto la Triade e speravo di introdurla in questo capitolo ma devo rimandare ma vi assicuro che nel prossimo non vedrete soltanto i loro nomi scritti ma i nostri amici incontreranno realmente uno di loro.
Grazie a tutti per aver letto e per aver pazientemente aspettato che io aggiornassi.
Spero di tornare presto con il nuovo capitolo,
un bacio
Sil

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Capitolo 29
*** 27. HOW DO YOU SAY? SHOW MUST GO ON! ***


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27- HOW DO YOU SAY? SHOW MUST GO ON
 

Correre. Correre. Correre.
Era tutto ciò che la mia mente mi ordinava di fare lanciando come saette una serie di impulsi alle mie gambe che, anche se stanche, continuavano a muoversi da automa.
L’ossigeno graffiava violentemente la trachea e ingurgitavo aria mista a polvere, desiderando sempre più nuova aria, sentendo i polmoni comprimersi tra le mie costole.
“Per di qua” gridò Michelle in testa al gruppo. La sua voce un eco lontano che i miei amici ed io dovevamo assolutamente raggiungere per la nostra sopravvivenza e forse, se fossimo stati un po’ fortunati, anche per la nostra libertà.
Piegai le ginocchia per imboccare una nuova galleria alla mia destra e frenai i sandali leggermente lacerati e ridotti a un sottile strato di cuoio e gomma. Avrei fatto meglio a togliermeli e a camminare a piedi nudi, ma non c’era tempo per quello.
“Corri, Elena”. Una voce, che pensavo provenisse esclusivamente dalla mia testa, mi incitò da dietro inducendomi a voltarmi.
Nicole stava a pochi passi da me e correva con i lunghi capelli che le frizionavano il volto sudicio a causa della grande quantità di polvere che le pareti delle gallerie contenevano. Era evidente lo sforzo che faceva per mantenere il mio passo per starmi dietro e occupare il suo posto nella fila che avevamo formato per scappare. Ero quasi sicura di aver intravisto una scintilla di esasperazione mista ad autocontrollo farsi viva nei suoi grandi occhi grigi mentre incuneava le sopracciglia in modo da indurmi minacciosamente a proseguire e a correre più veloce. Gettai un lieve sguardo a Colin, che chiudeva la fila del tutto tranquillo e per niente sconvolto dalla folle corsa, e poi mi limitai a voltare il capo e a continuare ad osservare la schiena di Jim poco distante da me che seguiva un’ allarmata Michelle, unica nostra guida.
La mezza vampira a capo della nostra piccola squadra arrestò i suoi passi con fare incerto prima di sollevare gli occhi per controllare i residui di insegne, i lampioni anneriti e arrugginiti che penzolavano sopra le nostre teste per non perdere l’orientamento. Jim davanti a me rallentò di poco fino a tramutare la sua corsa in una camminata leggera. Io non mi accorsi di niente di tutto ciò e andai a sbattere il naso sulla colonna vertebrale del mezzo vampiro biondo, mugugnando qualcosa non per il naso dolorante ma per la causa di quella nostra sosta.
“Perché ci siamo fermati?” chiesi sentendo la mia voce pesante e stridula a causa della lunga corsa e del cuore che sembrava richiedere sempre più aria, affamato di ossigeno.
“Credo di aver trovato l’uscita” annunciò Michelle e la sua fronte si riempì di solchi mentre gli occhi si assottigliavano sotto i fini capelli neri.
“Alleluia! Facevamo prima con un navigatore” sputò ironico Jim ricongiungendosi a Nicole che aveva tutta l’aria di sentirsi poco bene. Il colorito verdognolo tradiva l’espressione arcigna che aveva in viso.
Michelle arricciò il naso e indicò un punto oltre l’insegna in legno che pendeva da un lato. La scritta incisa su quello che appariva essere mogano deteriorato dai segni del tempo segnalava l’esistenza un antico barbiere.
“L’uscita dovrebbe essere questa. Da qui dovremmo arrivare direttamente nel salone dell’albergo” pronunciò Michelle fiduciosa della sua capacità di orientamento e della sua conoscenza di quelle gallerie sotterranee di cui ci aveva già parlato in precedenza.
Inarcai lievemente un sopracciglio, ma nessuno sembrò dare peso alla mia incredulità: l’entrare di soppiatto di fronte alla reception dell’albergo, conciati in quel modo, dava più l’idea che stessimo rivelando ai nemici le nostre intenzioni e non quella di salvare l’intera umanità.
“Certo, dove ci aspetteranno con un buffet tutto per noi” brontolò il rosso dietro le mie spalle. A quanto pare non ero l’unica scettica a riguardo.
Michelle scoccò un’occhiata glaciale a Colin e farneticò qualcosa che non riuscii a comprendere ma che sicuramente era un insulto.
La mezza vampira affondò un calcio sulla porta già fragile del negozio e una lunga rampa di scale fatiscenti si dimostrò ai nostri occhi insieme alla gran quantità di muffa che occupava gli scalini.
Mi trascinai al suo interno e sentii la presa ferrea di Jim sui miei fianchi e per un attimo non toccai terra, il che mi fece trattenere il respiro. Solo dopo essere atterrata su uno degli scalini mi accorsi che nella rampa di scale mancavano alcuni assi di legno e che Jim mi aveva gentilmente sollevato per non farmi cadere nel fondo di quell’oscuro antro e adesso quello stesso gesto lo stava ripetendo con Nicole.
Mi afferrai alla fune sfilacciata e rosicchiata da qualche topo, cercando di poggiare i piedi sulle asse di legno più stabili, ignorando il formicolio alle gambe o il pulsare frenetico della vena sulla mia tempia destra il cui sangue poco più giù, all’altezza del sopracciglio, scendeva da una ferita poco profonda.
Strinsi i denti finché le scale si ricomposero, l’odore di muffa e di marcio scomparve quasi del tutto e una porta del tutto adorna di fronzoli apparve alla nostra vista.
Michelle raccolse i capelli in uno chignon e si strofinò dalla faccia l’eventuale sporcizia. Sembrò ripulirsi la canotta dai residui di polvere e ragnatele e adottò un aspetto più che dignitoso.
“Seguitemi e non dite assolutamente niente o vi azzanno” sussurrò volgendosi indietro per far si che le sue parole arrivassero non solo alle mie orecchie ma anche a quelle di Jim, Nicole e Colin.
Impugnò il pomello della porta facendo scattare la serratura. Il lusso più sfrenato apparì scintillante ai nostri occhi.
Non che il pavimento fosse fatto d’oro e cascate di diamanti scendessero dalle fontane. L’interno di quell’albergo somigliava molto a villa Lockwood all’interno della quale ero entrata numerose volte per svariate occasioni. L’ultima, la sfilata di beneficenza a cui avevo dovuto partecipare per sostituire Jenna. Al ricordo di quel giorno mi morsi la lingua per trattenere le lacrime che mi pungevano gli angoli degli occhi. Sembrava così distante quel giorno, lontano anni luce, come se fossimo stati mandati in un universo parallelo. La consapevolezza che erano passate solo poche settimane da quell’evento mi procurò una fitta allo stomaco accentuata ancora di più dal pensiero di Damon e della sua lontananza. Meditai di mordermi nuovamente la lingua così da scacciare quel pensiero poco consono in un momento del genere, ma la vista di Jim e Nicole mano nella mano mi fece emettere solo un leggero sospiro malinconico.
Michelle si lanciò attraverso il corridoio munito di un soffice tappeto color petrolio così da nascondere le mattonelle a scacchi bianchi e neri.
Le pareti erano di un panna tendente al giallo o alle volte oscurate da dipinti di arte contemporanea. I numerosi alberelli che affiancavano ogni angolo erano illuminati di minuscole luci scintillanti il che mi riportò subito alla mente i tanti Natale trascorsi a Mystic Falls insieme ai miei genitori.
Michelle con passo militare svoltò l’angolo e ci trovammo di fronte a una grande quantità di mezzi vampiri seduti nei vari tavoli e riuniti a piccoli gruppi di due o tre persone. Un tintinnio continuo di scodelle, piattini, tazze e cucchiaini insieme all’inconfondibile odore di pane tostato e di caffè bollente mi fece subito intuire che avevamo trascorso l’intera notte nelle gallerie sotterranee.
Michelle si fermò e si morse un labbro rivolgendoci delle occhiate poco rassicuranti, indecisa se continuare o meno il nostro cammino attraverso quel covo di mezzi vampiri. Prestando maggiore attenzione ai loro occhi notai che non tutte le persone sedute nei tavoli erano mezzi vampiri: vi erano anche famiglie umane, bambini con splendidi occhi marroni o azzurro cielo, anziani e vampiri. Quest’ultimi furono facili da riconoscere subito: furono i primi a sollevare gli occhi dai loro piatti inondandoci di uno sguardo truce, accompagnati poi dagli occhi vacui e indifferenti di altri mezzi vampiri che sembrarono non dare molto peso alla nostra presenza.
“Colette, meglio se stai insieme ad Elena. Jimmy e io vi copriremo le spalle” sussurrò Colin rivolgendosi prima a Nicole e poi a me. La mascella della mezza vampira si irrigidì e nonostante avesse degli insulti e delle lamentele sulla punta della lingua preferì obliarle e fare come aveva detto il rosso.
Colin intercettò il mio sguardo confuso. L’idea che anche lui avesse capito il segreto che io e Nicole tentavamo di nascondere mi rimbalzò in testa.
“E’ per la faccenda della spia. Molti potrebbero riconoscerla” mi informò con un guizzo di divertimento facendosi beffe della mia a volte ingenua stupidità.
Le mie labbra composero una o muta mentre accanto a me si posizionava una Nicole pallida ma che tuttavia non demordeva nell’avere stampato in viso quel lieve senso di superiorità e di orgoglio che tanto la caratterizzava. Poco importava se l’avrebbero riconosciuta, se le avrebbero staccato la testa a morsi. Avrebbe lottato perché lei era quel tipo di persona che non si arrendeva. L’avrebbe fatto per lei. Per Jim. Per noi. Per il resto della popolazione. E forse anche per qualcun altro.
Avvicinai le mie dita fino a sfiorare la mano di lei che si ritirò malamente incenerendomi con lo sguardo.
“Dammi la mano. Penseranno che siamo sorelle o amiche. Umane” provai a convincerla e la mia idea sembrò funzionare perché poco dopo aver messo piede in sala artigliò la mia facendomi soffocare un gemito di dolore.
Avanzammo lenti e cauti mentre sguardi indiscreti si posavano su di noi: qualcuno sembrava ringhiare a Colin, altri guardavano Jim dall’alto in basso, altri ancora posavano sguardi sospettosi a me e a Nicole. Nessuno sembrava notare Michelle, forse per la sua camminata lenta e fluida, del tutto diversa da quella rigida e da soldato che fino a quel momento aveva inscenato, o forse per i sorrisi e per i saluti che rivolgeva ad alcune persone stipate intorno ai tavoli.
D’un tratto un movimento maldestro mi fece urtare il piede di uno dei tavolini sul quale era piombato il silenzio tra i due commensali. L’urto aveva fatto cadere un cucchiaino in bilico sul tovagliolo verde smeraldo.
Il tintinnio sul pavimento mi procurò un leggero tremore per tutta la colonna vertebrale e il terrore trasparì anche nei volti dei miei amici. L’unico a frenare l’istinto di scappare e allontanarci il più possibile fu Colin il quale, mantenendo sangue freddo, sfoderò uno dei sorrisi più innocenti e puri e dopo essersi scusato educatamente si abbassò raccogliendo l’utensile e porgendolo all’uomo parzialmente stempiato, arricciando il naso lentigginoso.
Si rimise in fila dietro di noi e alla destra di Jim e scoccò un’occhiata alla sorella come per incitarla a continuare.
Per un attimo temetti il peggio, ma quando Michelle si mosse e raggiungemmo un’ala appartata dell’albergo, potei rigettare l’aria che per tanto tempo avevo trattenuto tra i denti.
“Ascoltatemi bene. Prendete l’ascensore e raggiungete l’ultimo piano dell’albergo. Continuate a camminare e vi troverete di fronte a un grande studio. Non dovrebbe esserci nessuno da quelle parti, ma se incontrate qualcuno fate il nome di Christopher. Seguite le mie istruzioni e non vi succederà niente”
Deglutì rumorosamente, estraendo dalla tasca dei pantaloni i guanti rigidi per le mani che precedentemente si era sfilata. Scostò i capelli dagli occhi grigi e ci diede le spalle.
“Tu non vieni?” chiese il rosso, con la testa lievemente inclinate sulle porte chiuse dell’ascensore e lo sguardo perso oltre una finestra. A quel tempo pensai che il rancore che ancora Colin covava nei confronti della sorella fosse troppo forte ed invece adesso mi rendo conto che semplicemente non voleva posare un ultimo sguardo su di lei perché lui in fondo aveva già capito che ci stava salvando.
“Michelle?” pronunciai il suo nome poco prima che le porte dell’ascensore si aprissero e Jim e Nicole entrassero al suo interno.
La mezza vampira non si girò ma potei percepire che le sue orecchie stavano prestando ascolto.
“Grazie per averci ripensato” sussurrai e quasi non caddi a terra sentendo la mano di Jim sulle mie spalle che mi trascinava letteralmente all’interno dell’ascensore il cui rumore sinistro mi informava che da un momento all’altro si sarebbero chiuse le porte.
Un ultimo sguardo alle spalle di Michelle e tutto ciò che vidi fu una grande folla di mezzi vampiri, accorsi probabilmente per cercare noi, con le zanne acuminate pronte a scagliarsi contro di lei già pronta per lo scontro.
Poi le porte si chiusero.

 

 
“Ciao fratellino” disse Michelle e sorrise.
Colin si precipitò alle sbarre della nostra cella. Il volto trasfigurato dall’odio e pallido come la neve manifestava delle fauci spalancate pronte ad azzannare l’essere posto al di fuori. Ci volle poco perché Colin allontanasse il viso e le mani dalle sbarre, manifestando delle escoriazioni uguali a quelle di Jim.
“Beh vedo che sei contento di vedermi” sibilò la mezza vampira giocherellando con uno dei suoi tanti ciondoli muniti di piume e perle.
Era proprio come la ricordavo, come l’avevo vista l’ultima volta davanti al bancone del Grill con un frullato tra le mani e il rossore sulle guance che risaltava i capelli e le sopracciglia grigie. Un moto di rabbia si accese dentro me e sentii lo stomaco contorcersi e la bile risalirmi in gola mentre i denti si stringevano e le nocche diventavano quasi bianche. Sembrava che dopotutto condividessi anche io con Colin quell’odio spudorato nei confronti dell’essere di fronte a noi. Per lui, perché aveva tradito i suoi genitori e li aveva uccisi. Per me…perché trasformando Damon umano, me ne ha fatto innamorare?
Persi l’equilibrio e dovetti stringere tra le mani la camicia di Jim per non cadere. Dopotutto più che odiarla dovevo semplicemente ringraziarla per aver dato questa opportunità a me e a Damon di scoprirci l’un l’altro, di confrontarci e per finire di amarci contro ogni aspettativa e ogni condizione.
Per un attimo non riuscii a spostare lo sguardo dal pavimento di granito polveroso, poi lo sollevai e non mi stupii di intercettare gli occhi grigi di Michelle scrutarmi da cima a fondo. Probabilmente mi aveva riconosciuta e dall’espressione spaesata e confusa non si sarebbe di certo aspettata me tra l’esercito di Ribelli.
Un altro ringhio di Colin e riprese a sbattere le palpebre interrompendo il nostro contatto visivo.
“Ringrazia solo che ci sono queste sbarre a dividerci perché ti avrei già uccisa!” sputò Colin furioso. I capelli rossicci sembravano piccole fiammelle accese in contrasto con il colorito cereo e le tonalità bluastre intorno agli occhi completamente bianchi. Dello spensierato e furbo bimbo di sempre rimanevano solo le lentiggini appena accennate.
Michelle lo freddò con lo sguardo.
“E per cosa? Non potrai far ritornare mamma e papà indietro” mugugnò non mutando la sua espressione fredda e austera.
Colin dischiuse le labbra e mise in evidenza i canini scintillanti. Un misto fra un cane e un lupo in quel momento, ma molto più terrificante.
“Sono morti a causa tua! Tu li hai uccisi e poi hai tradito tutti noi!”
Michelle gonfiò le guance e sbuffò.
“Cos’altro avrei potuto fare?” chiese allargando le braccia in un gesto di esasperazione con il viso a pochi centimetri da quello del fratello.
Passarono alcuni secondi prima che il rosso fornisse una risposta alla domanda quasi retorica della mezza vampira e nel mentre la sua pelle assumeva le tonalità rosee tornando pian piano a quelle naturali insieme alla lunghezza dei canini e delle iridi, adesso di un grigio liquido.
“Tu non sei più mia sorella” proferì solenne ma più che con fare accusatorio la frase gli uscì tremolante e imbronciata come dalla bocca di un bambino.
Michelle tremò impercettibilmente, ma si costrinse a non manifestarlo per non ferire il suo orgoglio. Tuttavia barcollò un po’ all’indietro fino ad adagiarsi sul pavimento con le gambe incrociate.
“Sai, la sera in cui nostri genitori morirono? Tu eri andato con zio Freddie in città, serviva una nuova cucitrice. Procione – il nostro gatto grigio dall’orribile muso da topo – l’aveva fatta cadere a terra. E la mamma senza la sua cucitrice era un disastro a farci i vestiti. Ricordo ancora quando ti fece quel magione con solo una manica.”
Un lieve e amaro sorriso tirò in su le labbra sottili di Colin con lo sguardo perso nel vuoto, intento a ricordare i giorni felici trascorsi insieme alla sua famiglia.
“Me lo chiesero loro. Mi chiesero di ucciderli. A poco servirono le mie suppliche e i miei perché, i miei abbracci e i miei baci affinché non mi costringessero a fare una cosa del genere. Fu nostro padre a procurarmi il paletto con cui li avrei uccisi, uno di quelli che lui stesso intagliava la sera davanti al fuoco. Ma la mamma sapeva che solo il legno, per quanto affondo nel cuore andava, non li avrebbe mai uccisi, loro che erano per metà umani e per metà vampiri. Mi mise tra le mani tremanti un coltello da cucina mentre continuavo a piangere e a rifiutarmi di obbedirgli”
Un brivido mi attraversò l’avambraccio sinistro e mi rivennero alla mente le parole di Stefan riguardo la morte dei miei genitori. Il nodo alla gola si strinse ancora di più scorgendo una lacrima perforare i purissimi occhi di Colin.
“Le parole che riuscì a pronunciare non furono un semplice
ti voglio bene o mi dispiace. Le chiesi solamente perché, perché avrei dovuto compiere un gesto così orribile. Mi spiegò che era per la Triade, che sapevano che aveva intenzione di tirare su un esercito per far si che la razza dei mezzi vampiri si allargasse dominando così la terra. Coloro che si rifiutavano di prendervi parte, trovavano la morte. Fu per questo che morirono, non per codardia ma per il rifiuto di ciò che erano e che avrebbero continuato ad essere se non li avessi uccisi. Già era una condanna essere diventati un aborto della natura e sarebbe stato peggio vedere quella pena inflitta all’intera popolazione mondiale”
Michelle deglutì rumorosamente con la voce soffocata dal pianto ma di lacrime ancora nessuna traccia.
“E poi fece ciò che non mi sarei mai aspettata che facesse. Mi sorrise, uno di quei sorrisi che faceva solo quando era contenta davvero. Si slanciò verso di me con una tale irruenza e mi inondò con i suoi ricci color carota che tanto amavamo tirare quando eravamo piccoli. Non disse più niente, mi abbracciò forte stringendomi al petto quanto più possibile. Solo allora mi accorsi che le due lame avevano fatto presa sulla carne, perforandola e ferendola mortalmente senza che io potessi ritrarmi o impedirlo. Cadde a terra con lo stesso sorriso stampato in faccia. Mi concessi solo quindici secondi per piangerla. Poi guardai nostro padre. Lui capì e chiuse gli occhi.”
Rivenni dallo stato di torpore in cui avevo lasciato che la mia mente divagasse tra i ricordi seppur vaghi dell’ultimo momento passato con i miei genitori, a quando l’auto è uscita fuori strada, quando l’acqua mi ottenebrò la mente facendomi perdere di vista l’ultimo ti voglio bene di mio padre appena accennato in quel confuso mondo sottomarino il cui ricordo tutt’ora mi gonfia il cuore.
Michelle aveva lo sguardo basso intento a registrare ogni singola crepa del terreno mentre Colin, combattuto tra l’orgoglio e il dolore, un po’ tirava su col naso un po’ toglieva le lacrime dalle guance prima che gli rigassero tutto il viso.
Negli occhi della mezza vampira comparve qualcosa che la rianimò all’istante e riprese con il tono sprezzante che tanto la contraddistingueva.
“Ma non mi pento di averli uccisi. Se per mia madre l’ultima cosa che ha fatto è stata abbracciarmi, per mio padre le ultime parole che ha detto sono state:
tu non sei mia figlia
A quelle parole Colin, Jim e io trasalimmo come se avesse pronunciato una bestemmia e il nostro pensiero corse subito a Frederick, il suo vero padre. Lei però non se ne accorse.
“In fondo è giusto così. Io non sono né la figlia né la sorella di nessuno. Sono Michelle e il mio posto è con la Triade” disse sollevando il mento così da nascondere qualsiasi traccia di vergogna o pentimento.
“C’è sempre tempo per cambiare idea” disse Jim al mio fianco con le braccia allacciate al petto rivolgendo un’occhiata comprensiva prima a Michelle e poi oltre le sue spalle a Nicole che per tutto quel tempo aveva ascoltato seppur assorta nei suoi pensieri.
“Io con voi di tempo ne ho sprecato abbastanza” lo apostrofò costringendosi ad assumere un tono sgarbato in contrasto con le emozioni del suo viso.
“Buona fortuna, Colin, è stato un piacere rivederti. Abbiate cura di voi. Mi dispiace solo che sarete voi i primi a morire”
Michelle marcò bene le parole facendo scivolare lo sguardo tra i presenti e in particolare sul mio accennando all’ultima frase. Che si ricordasse davvero di me e di Damon?
Sparì tra l’ombra e la fioca luce del lampione a neon, così come era arrivata.
Mi precipitai da Colin ma stranamente sembrava avere un’aria rilassata e serena come se tutte quelle lacrime di colpo fossero evaporate via.
Poggiai una mano sulla sua spalla e la chioma fulva si alzò mostrando gli occhi scintillanti e il mezzo sorriso che aveva visto tante volte fare a Damon.
“Sapevo che la mia mamma era un tipo da morte tragica e teatrale. Una morte normale non l’avrebbe di certo soddisfatta”
Spuntarono due splendide fossette sul mento e un sorriso un po’ meno amaro gli si dipinse in viso. Sospirai contenta per la sua reazione.
Più conoscevo Colin più venivo contagiata dalla sua filosofia di vita. Sembrava che per quanto male gli procurassero, a lui quel sorriso gliel’avevano cucito in faccia.
“Ci sarà pure un modo per uscire da questa gabbia per topi!” sbraitò Jim affondando le grandi mani sui capelli dorati e portandoseli indietro perlustrando ogni centimetro di quella cella.
Mi venne in mente ciò a cui stavo pensando prima dell’arrivo di Michelle.
“E’ un cimitero! Queste su cui siamo seduti sono tutte tombe” dissi e per il tono piuttosto macabro con cui avevo pronunciato quelle parole i miei interlocutori sbarrarono gli occhi.
Spolverando sul pavimento comparivano nuovi nomi, date, disegni di angeli o di demoni, intere famiglie. Dalle pareti apparivano corvi, teste di cherubini o di creature alate. L’atmosfera si fece piuttosto tetra mentre stavamo attenti a non profanare quel luogo sacro. Ma la domanda muta che a tutti palesava essere evidente era il perché di un cimitero sotterraneo.
“La magia. Ci deve essere qualche strega che ha bisogno del potere degli spiriti e la attinge dal cimitero”
La voce di Nicole ruppe il silenzio e mise in moto i nostri cervelli grazie alla sua conclusione che sembrava essere la più ovvia.
“Che le streghe siano dalla parte della Triade?” chiese Jim sconcertato da quell’idea. A quanto pare l’antipatia tra streghe e vampiri si allargava anche ai mezzi vampiri.
Il mio primo pensiero fu rivolto a Bonnie, ma dovetti escludere quell’idea visto che la mia amica dotata di poteri magici era da un'altra parte insieme a Damon e Stefan e che era assolutamente all’oscuro della presenza di un cimitero.
“No, io non ne ho viste e so anche che nessuno qui sa come riconoscere una strega a differenza di quello che abbiamo imparato alla Cascina.”
Nicole si morse il labbro e aggrottò la fronte sforzandosi di ricordare qualche minimo particolare che potesse spiegare quella bizzarra situazione ma dal suo sguardo rassegnato avevamo capito che quello per noi sarebbe rimasto pur sempre un mistero.
Mi lasciai cadere su una sporgenza simile a un poggiapiedi e ormai del tutto abituata all’idea di riposare in un cimitero accoccolai la fronte su una parete di roccia.
La figura di un Damon agonizzante al suolo e sfregiato per tutta la lunghezza della gola dominò il mio breve incubo che mi fece accapponare la pelle e rabbrividire fino alla punta dei capelli. Mi svegliai con la fronte madida di sudore, ma capii che era passato davvero poco tempo perché le sagome dei miei amici erano proprio dove li avevo lasciate prima di chiudere gli occhi.
Ero intenta a scacciare via l’immagine del mio incubo dovuto sicuramente alla consapevolezza che Damon era ancora umano, quando un rumore metallico sembrò avvicinarsi sempre di più. Qualcosa che tintinnava, simile a delle campanelle.
“Non può essere” balbettò Colin, ma invece di trovare un’espressione atterrita mi meravigliai del sorriso appena accennato e dalla speranza che aveva ripreso a brillare negli occhi del rosso.
“Chi?” domandai ma l’unica risposta che ebbi fu il sorriso sbruffone di Jim.
“Ti converrà svegliarti per benino, dolcezza, buone notizie all’orizzonte” mi disse prendendomi per mano e alzandomi di peso facendo scrocchiare tutte le ossa del mio corpo.
La figura di Michelle tutta trafelata per la corsa apparve tra le fessure delle sbarre della nostra cella.
Il suo sguardo si posò su Colin.
“E’ inutile che fai quella faccia. Vi conviene fare come dico io prima che cambi idea e decida di uccidervi”
Dallo sguardo assassino che ci rivolse a tutti indistintamente non potemmo dubitare delle sue parole.
La mezza vampira infilò le chiavi nella toppa della cella e nonostante stringesse i denti per le bruciature causate dalla vicinanza con le sbarre riuscì ad aprire la porta.
“Forza muovetevi!”
Alle sue parole scattammo come soldati e ci dirigemmo uno alla volta fuori dalla cella che richiuse con un rumore sordo.
“Senti-” incominciò Colin rivolgendosi alla sorella indaffarata con la chiave della cella di Nicole “-tu sei sempre stata la sapientona della famiglia e-”
“Arriva al dunque” abbaiò Michelle inarcando un sopracciglio.
“Dove siamo con esattezza?”
Colin si strinse nelle spalle con un cipiglio divertito mentre tutti i nostri occhi erano puntati su Michelle.
Se voleva che ci fidassimo di lei doveva per forza darci delle delucidazioni a riguardo.
“Siete sotto l’albergo. L’antica periferia della città fu distrutta alla fine del diciannovesimo secolo, ma alcuni sobborghi vennero coperti e pian piano sprofondarono sempre di più verso il basso per cui quando la Triade pensò di costruire il loro quartier generale decise di creare delle gallerie sotterranee come se fosse un rifugio o una roba simile”
“Quindi ci stai dicendo che sotto l’albergo c’è una parte di città?” chiese Jim. Il sopracciglio inarcato come per dimostrare il suo scetticismo.
“Bingo!” proruppe Michelle in risposta alla domanda del biondo, mentre faceva girare per l’ennesima volta la chiave nella toppa. Una Nicole speranzosa aspettava a pochi centimetri da lei.
La serratura scattò e le sbarre della cella si aprirono.
Jim e Nicole trattennero il respiro poi un sonoro tonfo segnalò lo scontro dei loro corpi martoriati e per troppo tempo divisi. La distanza per loro sembrava essere diventata un dolore quasi fisico. Barcollarono. La testa di lei incastrata tra le grandi braccia di lui. Si ritrovarono abbracciati non sapendo neanche il perché di quel loro gesto. Sentivano solo la necessità di aggrapparsi l’uno alle braccia dell’altra prima di cadere a pezzi. Ma non avevano ancora capito che per quanto si baciassero, per quanto stringessero forte l’una il cuore dell’altro, si appartenevano e si sarebbero per sempre appartenuti. Nessuno avrebbe mai potuto dubitare di quello.
La fronte di Michelle si aggrottò.
“Bene se avete finito voi due, possiamo andare” sbuffò portandosi un ciuffo ribelle dietro l’orecchio, chiuse la cella e prese posto in prima fila.
Jim e Nicole si staccarono di controvoglia e con gli occhi ancora lucidi seguirono Michelle.
“Cosa dobbiamo fare adesso?” chiesi stentando a tenere il passo della mezza vampira.
Gli occhi grigi di lei mi scoccarono un’occhiata fulminea.
“E’ ovvio. Correre”
 

 

Le porte dell’ascensore si aprirono con un sonoro schiocco e l’ambiente in cui ci trovammo fu completamente diverso da quello del pianterreno dove avevamo lasciato la povera Michelle in balia degli altri mezzi vampiri.
L’aspetto sfarzoso e lussureggiante dei mobili era stato rimpiazzato dal gusto semplice e sobrio di alcuni mobili in legno di mogano, un pavimento in parquet e una tonalità di giallo ocra a impreziosire le pareti già nude e prive di quadri.
Il parquet scricchiolò sotto I nostri piedi e l’eco dei nostri sussurri risuonò per tutto il lungo corridoio che avrebbe condotto alla stanza di cui ci aveva parlato Michelle.
Io seguivo il passo di Jim insieme a Nicole e a Colin a mio fianco. Probabilmente aveva già capito la tensione dei miei muscoli e il mio battito cardiaco accelerato perchè mi sorrise affabile intrecciando la sua mano alla mia.
“Vedrai Michelle non si sbaglia, se vuole che parliamo con questo Christopher è perchè forse ci lascerà andare”
Se solo fossi stata anche io fiduciosa come Colin, ma questo mi era del tutto impossibile visto che la realtà dei fatti era molto diversa da quella dipinta nella mente del rosso. Tuttavia non volli far crollare il suo bel castello per cui mi limitai a sorridergli di rimando.
Mentre percorrevamo il lungo corridoio alcune idee mi fecero congelare il sangue nelle vene. Il sogno di Damon mi aveva scossa a tal punto da prendere seriamente in considerazione quell’idea che ogni secondo mi aggrovigliava lo stomaco fino alle viscere. Se Damon fosse morto senza aver trovato una cura avrei potuto continuare a fare entrare aria nei polmoni fino alla fine dei miei giorni. Ma se fosse esistita una cura e Damon fosse morto comunque, allora avrei smesso di combattere. Sia vampiro che morto non avrei potuto più ascoltare I battiti del suo cuore irrequieto. Se era questo il prezzo da pagare ero disposta anche a perderlo pur di averlo di nuovo tra le mie braccia.
“Desiderate?”
Una voce alle nostre spalle ci fece voltare appena pochi metri prima di varcare la soglia di quella che doveva essere per certo l’ala est dell’albergo.
I capelli erano neri come la pece così come la carnagione scura che metteva in evidenza le narici dilatate e le labbra rosee. Dagli occhi incredibilmente grigi capimmo che era un mezzo vampiro.
Nessuno osò aprir bocca, inchiodati al pavimento in attesa di un qualche salvataggio o semplicemente di formulare una risposta decente, ma quando l’omone spinse Nicole contro il muro – probabilmente l’aveva riconosciuta – e artigliò la sua gola con le sue mani grandi, fu lì che Jim sembrò reagire e combattere il silenzio.
“Christopher, siamo qui per Christopher!” abbaiò digrignando i denti contro il mezzo vampiro il quale allontanò le mani dal collo sottile di Nicole. Un’espressione diabolica nel viso sporco di Jim.
Il mezzo vampiro sbarrò gli occhi intravedendo una figura dietro di noi e a grandi falcate si allontanò attraversando il lungo corridoio da dove eravamo giunti.
“A quanto pare sei più terrificante di quanto credi” puntualizzò il rosso rivolgendo un’occhiata di sottecchi al biondo.
Jim non ebbe neanche il tempo di ribattere alla battuta di Colin che Nicole lo strattonò per la camicia. Lo sguardo impietrito e rivolto ad una figura appoggiata allo stipite della porta.
“Scorbutico come sempre, Jimmy. Non va bene”
Intercettai con lo sguardo la persona dalla quale era giunta la voce calda e suadente. Un ragazzo poco più che trentenne stava ritto con la spalla destra appoggiata allo stipite della porta, una mano a sollevare il mento sottile così come i lineamenti non molto marcati ma nel complesso in armonia con il resto del corpo. I piccoli occhi grigi e plumbei ci scrutavano attenti mentre una manciata di capelli lisci e marroni gli sfioravano le guance dagli zigomi affilati che conferivano un certo fascino alla figura di per se attraente.
Si umettò le labbra sottili con la lingua non appena si accorse che lo stavamo osservando.
“Tra i due eri tu quello fissato con le buone maniere. Non ricordi, Chris?” chiese il biondo avanzando di qualche metro così da poter guardarlo dritto negli occhi.
Doveva essere lui, Chris, l’esponente della Triade che Jim conosceva, che lo aveva trasformato e che poi lo aveva tradito, aveva scelto di passare dalla parte del male così da troncare la loro amicizia.
A guardarli bene, non vi potevano esistere due esseri così diversi fra di loro.
“E’ passato troppo tempo. Ormai quello appartiene al passato. Com’è che si diceva? Lo spettacolo deve continuare”
Alzò il sottile sopracciglio destro con aria divertita e poi con un gesto della mano ci invitò ad entrare in quello che ad occhio e croce doveva essere il suo studio. Tutto in quella stanza sembrava essere idoneo alla sua persona: dalla grande libreria in fondo alla parete alla scrivania in legno di noce, dal caminetto al divano in pelle.
“Prego sedete” ci accolse gentilmente il mezzo vampiro prendendo posto ad uno dei divanetti.
Nicole arricciò il naso.
“Siamo venuti qui per prendere te e pasticcini o per discutere del vostro orribile piano di mandare a puttane la razza umana?” esordì la mezza vampira trafiggendo con lo sguardo quello sereno di Chris.
“Dolcezza, ti rendi conto che più che parlare sembri abbaiare come un
Rottweiler?” rispose pacatamente l’esponente della Triade ma quelle parole bastarono per ferire nell’animo la giovane Colette.
“E che mi dici della cara e vecchia Winnifred?” chiese Jim e gli occhi grigi di Chris si incupirono all’istante.
Winnifred. Non conoscevo nessuno che avesse quel nome, probabilmente un’antica conoscenza di entrambi, ma dallo sguardo truce riservato a un Jim divertito da parte del mezzo vampiro mi fece pensare che era più di una semplice conoscenza.
“La vita va avanti, mio caro. E’ inutile ricordare qualcuno tutta una vita quando la tua vita è infinita.”
Chris svitò il tappo di una bottiglia poggiata sul tavolino e un liquido trasparente si riversò nel bicchiere di cristallo finemente decorato.
“I ricordi sono il tuo punto debole, Christopher. Prima o poi ti tradiranno”
Colin e io ci lanciavamo occhiate confuse, tentando di stare al passo con il discorso dei due vecchi amici che tuttavia non riuscivamo a seguirlo.
A quanto pare Michelle ci aveva consigliato di incontrare Christopher e non gli altri esponenti della Triade perché forse era l’unico con cui potevamo parlare, l’unico mezzo vampiro dei tre equilibrato al quale avremmo potuto esporre le nostre motivazioni e chiedere le nostre domande. Ma quello più che un colloquio sembrava essere una rimpatriata di due vecchi compagni.
Colin schioccò la lingua.
“Si, bene. Mi fa piacere che voi due vi siate ritrovati e sono sicuro che abbiate tante cose da dirvi prima di uccidervi a vicenda, ma prima che questo accada ci terrei a chiedere una cosa: di chi è stata la brillante idea di trasformarci tutti in mezzi vampiri? Cos’è, avevate voglia di giocare ai piccoli chimici?”
L’ironia di Colin sembrò toccare ben poco l’animo del mezzo vampiro di fronte a noi perché d’un tratto sembrò afflosciarsi come un ramo secco. Un’espressione avvilita mista a stizza apparve sul suo volto.
“Non è stata un’idea mia” pronunciò Chris a denti stretti.
Un rumore di tacchi a spillo risuonò per il parquet.
“Già, è stata mia!”
Una ragazza, alta e snella, indossava un vestito rosso fuoco che le fasciava il corpo magrissimo ma al contempo curvilineo. Il viso piccolo e rotondo mostrava una bambina poco più che ventenne, con occhi affusolati e di uno splendido grigio metallizzato, con la punta del naso rivolta verso l’alto e due splendide labbra rosee dalle quali trasparivano i denti splendenti. Dal suo modo di camminare fermo e deciso, dallo sguardo atterrito che aveva fatto Chris al sul arrivo, dagli occhi furbi e assassini da pantera, ebbi modo di pensare che dei tre il capo della Triade era proprio lei.
“Il mio nome è Guinever” pronunciò e la sua voce risuonò cristallina e famelica come una gatta pronta all’azione.
Con uno strattone fece entrare anche l’ombra scura che le stava al seguito e che spaventata sbarrò gli occhi verso di noi in cerca di aiuto.
I riccioli castani incollati alle tempie mentre stremata cercava di liberare il proprio polso dalla stretta ferrea delle mani bianche e affusolate della mezza vampira.
Il mio cuore perse un battito riconoscendo quella pelle olivastra e quei folti riccioli.
“E questa è la mia strega!”
Le sue labbra rosse si piegarono diaboliche mostrandoci il suo trofeo.
Bonnie intercettò il mio sguardo, spaventata e al contempo esausta.
Le mie ginocchia tremarono e io crollai al suolo.

* * *

Buonsalve,
Eccomi tornata, con ritardo come sempre ma sono tornata! Come avrete avuto modo di capire, ho deciso di aprire il capitolo in maniera diversa ovvero con tutta la combriccola che scappa attraverso le strade della città sotterranea arrivando niente poco di meno che all'interno del covo dei mezzi vampiri. In questo capitolo si presenta subito il personaggio di Michelle: è stronza e calcolatrice e forse penserete che questo suo cambiamento repentino nasconda qualcosa di losco, non è così! Se Nicole vi era sembrata un po' la pecora nera del gruppo, Michelle vi farà ricredere ma sono sicura che col tempo amerete anche lei. Sarebbe stato oltraggioso non inserire la storia della morte dei genitori di Colin e sentiremo parlare di loro anche in seguito. Almeno adesso sapete che non è stato un raptus di Michelle ad ucciderli. Jim e Nicole finalmente si sono ritrovati (non sapete quanto sia importante per me questa coppia) ma il segreto di Nicole e Elena verrà svelato molto presto. Ecco, Elena! Finalmente fa le sue considerazioni riguardo la questione Damon: umano o non? Ebbene, l'idea che Damon muora facilmente la terrorizza a tal punto che preferirebbe riaverlo vampiro piuttosto che morto. Non sarebbe di certo umano, non potrebbe più ascoltare il suo cuore ma almeno avrebbe modo di averlo con lei. E finalmente avete fatto la conoscenza del primo della triade. Christopher, o semplicemente Chris, come lo chiama Jim. E' stata accennata una Winnifred alias Wendy: se ne parlerà molto anche di lei nei prossimi capitoli e sarà il fulcro anche dell'origine dei mezzi vampiri (si vedeteli un po' come gli originari ma con una storia diversa!) Ma se Chris sembra essere suadente e lascivo, Guinever è la vera leader e vedremo anche da cosa è scaturita la sua sete di potere. C'è un cimitero da cui poter trarre energia, per trarre energia servono le streghe e Guinever ne ha una a caso suo, Bonnie. Perchè adesso i mezzi vampiri hanno bisogno delle streghe? E l'arrivo di Guinever ha segnato l'inizio dei giochi? E chi sarà il terzo componente della Triade?
Adoro lasciarvi con queste domande in sospeso!
Grazie mille per i commenti e le recensioni, grazie di tutto cuore *-*
Un bacio,
Sil

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Capitolo 30
*** 28-SHE'S NOT ME ***


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28 – SHE’S NOT ME

 

Era diventata tutta una questione di equilibrio.
Inspirare.
Espirare.
Dentro.
Fuori.
Dentro.
Fuori.
Così come nella magia.
Ricordo ancora il giorno quando Bonnie mi disse che era una strega. Fino ad allora avevamo solo scherzato, improvvisando qualche strana fattura, lanciando qualche finto incantesimo giusto per sdrammatizzare le voci di quartiere le quali affermavano che sua nonna era una fattucchiera. Eppure non urlai quando la piuma si alzò lieve dal palmo della sua mano, non trattenni il respiro quando intorno a me cominciarono a vorticare tutte le altre piume, non mi meravigliai del sorriso bonario di Bonnie perché in fondo sapevo che speciale c’era sempre stata. La prima cosa che mi disse sulla magia prima di rispondere a tutte le mie domande fu che usare la magia era come mettere dei pesi su una bilancia: era una questione di equilibrio tra lei e la natura e il suo compito era proprio quello di non sovvertire quell’equilibrio.
E così a distanza di tempo capì che esisteva un equilibrio in ogni nostra azione, in ogni nostro gesto: metti il peso sbagliato e la bilancia comincia a dare i numeri.
Sentii le mie ginocchia cedere non appena gli occhi rossi e gonfi di Bonnie incrociarono i miei lividi di rabbia e di paura.
Colin fece appena in tempo ad afferrare le mie spalle prima che piombassi contro il pavimento. Una sua mano a raccogliermi i capelli disfatti e a tamponare il sudore freddo che cingeva la mia fronte.
Non potevano farmi questo. Non era sufficiente sapere che colui la cui esistenza era legata inestricabilmente alla mia fosse lontano da me, ma volevano rubarmi anche l’unica fetta di famiglia che avevo deciso egoisticamente di portarmi appresso.

Equilibrio. Tentai di rimettermi in piedi, cercando convulsamente di respirare come se fossi appena uscita dall’acqua dopo un’immersione durata più di mezz’ora. Senza ossigeno e senza speranze.
Era una questione di equilibrio anche il cercare di non far cadere i pezzi: ero un’ammucchio di cocci rotti che ostinavo a portarmi dietro, ma se non l’avessi fatto sarei rimasta vuota dentro e l’ultima cosa da fare a quel tempo era rimanere priva di una motivazione logica per combattere.
Guinever ci squadrò e un sorriso sornione le si aprì in viso non appena si accorse della mia reazione e capì il legame che univa me e la sua strega.
“E’ per caso una vostra amica?” chiese e il rossetto le marcò ancora di più il volto cereo, facendo risaltare gli occhi piccoli e grigi contornati da lunghissime ciglia.
Un sibilo sommesso si levò da dietro le mie spalle.
“Ora smettila Gwen. Non puoi fare delle persone che ti interessano delle semplici bambole da collezione”
Il borbottio proveniva dalla poltrona in pelle dallo schienale regolabile dalla quale faceva capolino la zazzera marrone scuro di Christopher intento a sorseggiare il suo caffè bollente da una tazza bianca.
La mezza vampira arricciò il naso indispettita dall’insinuazione del suo compagno ma qualcosa sembrò addolcirle lo sguardo nonostante si fosse legata al dito la frase di Chris.
“Già, e della mia collezione tu sei il pezzo più raro e prezioso in assoluto” soffiò piano a pochi metri dalla postazione dell’esponente della Triade, e assunse un’espressione da gatta innamorata sebbene mantenesse ancora ben saldo il polso della mia amica tra le sue dita sottili.
Colin trattenne un conato di vomito, schifato da quell’eccessivo romanticismo che straripava persino dagli occhi semilucidi della suddetta Guinever, mentre Jim e Nicole si scambiarono un’occhiata fugace e forse imbarazzata quasi come se si sentissero di troppo in quella stanza.
Io mi limitai ad alzare un sopracciglio, non abbassando mai lo sguardo da quello di Bonnie.
Chris roteò gli occhi e le lanciò una stilettata ma anziché farla indispettire nuovamente la fece sorridere radiosa.
“Ma torniamo alle questioni di affari. I signori qui presenti, cosa desiderano?” chiese con un certo cipiglio annoiato, quasi come se quella fosse una domanda di routine che nessuno dei due aveva voglia di rivolgere.
Con passo aggraziato raggiunse il divano e si sedette con morbido peso, accavallando le gambe esili e bianche sotto la gonna corta e nera, assumendo così il decoro di una vera donna d’affari.
Con mia enorme sorpresa anche Bonnie, si accomodò vicino alla figura della potente mezza vampira, ma la posizione rigida e per nulla naturale mi fece capire che doveva essere stata soggiogata o qualcosa simile.
Jim avanzò di un passo.
“Mh vediamo. Uccidervi tutti e porre fine alla vostra ignobile pazzia di trasformare l’intera razza umana in schifosi mezzi vampiri. C’è qualcosa da firmare o mi credete sulla parola?”
Il biondo aprì le braccia in un gesto teatrale, come se quello fosse un normale colloquio di lavoro e non un suicidio di massa organizzato. Per cui il ghigno stampato sul suo viso e l’ironia sfacciata utilizzata non piacque molto alla mezza vampira la quale strinse le labbra come una bambina alla quale hanno offerto invece di un lecca-lecca un bel piatto di verdure bollite.
“Mi dispiace ma credo che la sua richiesta non possa essere accettata” snocciolò restando al gioco e tirando in su gli angoli della bocca tanto da toccare quasi le orecchie.
Poi si rivolse a Bonnie.
“Mia cara, come hai detto che ti chiami?” chiese aggiungendo un tocco eccessivo di formalità.
Nonostante il soggiogamento, Bonnie riuscì a trucidarla con lo sguardo.
“Non ho mai detto come mi chiamo” sputò decisa a non rivelare la sua identità alla mezza vampira.
Il viso di Guinever si incupì.
“Che peccato. Vorrà dire che quando avrò tempo dovrò trovarti un nome.”
L’atmosfera si congelò a tal punto che mi sentì rabbrividire e quello stesso brivido lo trasmisi anche a Colin che nonostante mi reggessi in piedi era rimasto accanto a me a sostenermi.
Adesso che avevo ripreso lucidità potevo benissimo affermare che quello era il più strano covo di vampiri che noi tutti avessimo potuto pensare. Erano ragazzi normali, forse un po’ troppo legati al secolo in cui avevano vissuto la loro giovinezza ma del tutto privi di quell’alone terrificante che avrebbe potuto metterti ad una distanza di sicurezza di almeno cinquanta metri. Eppure tutti li temevano. Perché?
Guinever versò in una tazza il rimasuglio di caffè ormai freddo e dopo averne preso qualche sorso ed essersi beata dell’aroma di caffeina che le scorreva in corpo pronunciò le seguenti parole.
“Bene, ora uccidilo” ordinò fredda e Bonnie ebbe un tremito.
Nicole mosse appena un braccio sbriciolando così la posizione austera e rigida che sembrava averla tramutata in una statua, ma sebbene Jim fosse cosciente che sarebbe morto da un momento all’altro, non lasciò un solo istante l’immaginario cerchio entro il quale era destinata a consumarsi la sua fine.
La strega ci guardò con occhi sbarrati e fece saettare lo sguardo tra me e la mezza vampira che accanto a lei la incitava mentalmente a sferrare il suo incantesimo,  qualunque esso fosse.
Solo allora mi accorsi che Bonnie effettivamente aveva sferrato l’incantesimo e forse l’aveva fatto più di una volta e questo avrebbe spiegato il suo nervosismo accentuato ad ogni conseguenza palese dei suoi fallimenti.
L’unica arma a nostro favore era l’incantesimo che Bonnie ci aveva mostrato avendo come cavia il povero Colin che si era sottoposto alla dimostrazione quasi un pupazzo. Bonnie ci aveva spiegato che il solito incantesimo per tramortire i vampiri avrebbe lasciato indifferente i mezzi vampiri, composti per metà da un lato soprannaturale e dall’altro umano. Perciò l’unico sistema per scagliare l’incantesimo era trovare nel raggio di pochissimi metri un vampiro e un umano da cui poter incanalare l’energia e così abbattere il mezzo vampiro. Ma lì in quella stanza, di vampiri non ce n’era neanche l’ombra.
“Ho detto uccidilo” ripeté Guinever alzando la voce di un’ottava e inarcando pericolosamente un sopracciglio mentre le unghia rapaci si sfregavano tra di loro per il nervosismo.
“Ho provato i miei migliori incantesimi, ma non funzionano” rispose Bonnie con voce concitata piantando lo sguardo tra gli occhi glaciali della mezza vampira.
Guinever si slanciò facendo alzare una folata di vento a causa della rapidità della sua azione. Il viso da serafico si tramutò in una maschera demoniaca con canini aguzzi e sporgenti e occhi bianchi circondati da cerchi violacei. La sua mano serrava direttamente la trachea di Bonnie impedendole di respirare correttamente. L’aggressività di quel gesto mi fece contorcere le viscere e mi spiegai il perché quell’essere esile e minuto fosse a capo di una stirpe sanguinaria, temuta e venerata da tutti. Guinever era un concentrato di malvagità assoluta.
“Bugiarda” soffiò piano tra i canini ben in mostra che non attendevano altro che lacerare l’arteria ben pulsante nel collo della mia amica.
Chris sospirò sorreggendosi la testa con la mano quasi con fare annoiato e mi meravigliai che non stesse sbadigliando di fronte a quella scena che ci stava facendo tremare le gambe.
Non so se fu in quel momento o forse successivamente che capì che non dovevamo avere alcuna paura perché fintanto che Christopher sarebbe rimasto immobile e del tutto alieno alle minacce e ai caratteri dispotici di Guinever, noi non avremmo corso alcun rischio.
Sembrava che lui la conoscesse più di quanto lei stessa non volesse ammettere.
“Bene, vuol dire che lo farò io al posto tuo”
Un sibilo simile al passaggio di un proiettile e le dite che fino a poco prima erano infilzate tra le minuscole fessure del collo di Bonnie adesso cingevano il collo ben tornito del mezzo vampiro biondo che veniva sventolato a circa un metro dal suolo.
Jim, la cui espressione arcigna aveva lasciato per un millesimo di secondo il posto ad una leggera paura, sembrò essere scosso da spasmi che tentava di rigettare dentro digrignando quanto più possibile i denti.
Pensai che forse gli stava perforando la trachea o magari rompendo l’osso del collo, ma quando mi accorsi che anche Colin e Nicol erano agonizzanti al suolo la mia mente fu scossa da una scintilla di lucidità. Magia.
Colin ci aveva informati che quelli della sua specie avevano a che fare con la magia molto più dei vampiri, ma ci aveva assicurato che per quanto la materia gli affascinava non c’era alcun modo di poter mantenere i propri poteri una volta trasformati o addirittura imparare alcune arti magiche. Almeno questo era ciò che Suzanne Bennet, un’antenata di Bonnie, gli aveva riferito. Evidentemente si era sbagliata.
Fui atterrita dalla potenza che sprigionava Guinever effettuando un incantesimo che in quel momento sembrava del tutto inutilizzabile. Da dove attingeva quell’energia. Ma in quel momento la mia mente era troppo occupata a sentire le urla dei miei amici mezzi vampiri per trovarne un nesso logico con la presenza del cimitero sotterraneo.
Christopher fu percorso da un brivido di rabbia e fu sul punto di perdere la pazienza. A quel punto credetti davvero che fosse la fine.
“Ora basta, Gwen! Non ti sembra di esagerare?”
Christopher in pochi secondi era giunto al fianco della mezza vampira e posò una mano sulla sua spalla e quel gesto cominciò a sortire il suo effetto perché gli occhi ritornarono del loro colore naturale grigio metallizzato.
I lamenti di Colin tra le mie braccia si placarono così come i singhiozzi sommessi di Nicole e di Jim il quale tuttavia si trovava ancora tra le grinfie di Guinever.
“Lo voglio uccidere io stessa con le mie mani e non chiamare Liam e i suoi scagnozzi per fargli fare il lavoro sporco - come sempre fai tu!”
La mezza vampira si imbronciò e in quel momento da famelica e spietata sembrò indossare un allegro broncio fanciullesco che le rese visibili le minuscole e chiare lentiggini che le punteggiavano il naso. Pensai che in fin dei conti Guinever non era poi così diversa da Katherine e dai suoi capricci.
Lei non l’avrebbe mai fatto” sussurrò Christopher alleviando il tocco fino a togliere del tutto la mano che le copriva la spalla destra.
Quelle parole incendiarono nuovamente la belva assopita momentaneamente e in un brusco gesto scaraventò Jim contro la libreria, incrinando appena alcune mensole e provocando soltanto una gran polvere.
Ma le sue mani tornarono ad essere occupate dal collo di Christopher il quale con tutta leggerezza affondò le dita affilate all’interno della gabbia toracica della mezza vampira.
In quel momento di sfida tra i due appartenenti alla Triade, Bonnie ebbe il coraggio di balzare via dal divano in cui era rimasta seduta contro la sua volontà e precipitarsi tra le mie braccia.
Un Colin visibilmente rincuorato disposto ad accoglierla anche tra le sue braccia.
“Temevo che avessi sbagliato parte” disse con voce innocente mentre toglieva un filamento di ragnatela da un ricciolo di Bonnie la quale rimase interdetta non sapendo se sorridere o contrariamente offendersi.
Nicole si precipitò da Jim il quale si era già rialzato spolverandosi la camicia ormai logora.
“La prossima volta cerca di essere un po’ più convincente” disse Nicole ammiccando mentre con un dito gli toglieva il rivolo di sangue che gli era sceso giù dal labbro inferiore.
Jim fece per sorridere, beandosi del tono sbruffone tipico della Nicole di altri tempi e ancora vivo in lei ma tornò serio non appena il suo sguardo si posò sullo scontro tra i due esponenti della Triade.
La nostra attenzione si rivolse nuovamente ai due lottatori.
“Se ci fosse stata lei, non avrebbe voluto tutto questo!” ripeté Chris senza la ben che minima ombra di rabbia. I suoi occhi al contrario sembravano vaghi e distanti, bagnati da un influsso di malinconia. Quelli di Gwen invece erano brace ardente.
“Te lo ripeto: lei non è me!”
Scandì bene le parole sputandogliele in faccia nonostante la mano di lui ben fissa sul suo cuore ben pulsante.
Colin al mio fianco ebbe un sussulto e mi tirò una ciocca di capelli per attirare la mia attenzione e distogliere il mio sguardo da quello dei due mezzi vampiri.
Mi sentì pervadere da una strana sensazione e la mia mente venne offuscata da una strana nebbia non appena gli occhi del rosso incontrarono i miei. Mi ricordavo a malapena del soggiogamento che Colin mi aveva fatto quando dovevamo partire per l’Alaska, non ricordo molto di ciò che avvenne in seguito ma ciò che rimase nitida nella mia mente fu la sensazione di smarrimento e di impotenza che sembrava raschiarmi le ossa fino al midollo.
Fui colta da un eccesso di paura ma lo sguardo bonario di Colin mi indusse a tranquillizzarmi.
Aggrottai la fronte e chiusi maggiormente gli occhi come a dipanare la nebbia e a mettere a fuoco un immagine nella mia mente. Solo allora mi accorsi che Colin stava manipolando la mia mente introducendo immagini e ricordi non miei ma che dovevano appartenere ai due mezzi vampiri della Triade. Non seppi mai se quella era una caratteristica dei mezzi vampiri o solo una qualità di Colin ma da quello che potei capire Guinever e Christopher si stavano manipolando le loro menti a vicenda e Colin doveva essere una specie di antenna che permetteva di ricevere e trasmettere quei ricordi.
Mi aggrappai alla sua spalla prima e cominciai a contare le lentiggini sul suo naso prima di sprofondare completamente nell’oblio, inghiottita da quei ricordi del passato.

 
“Winnifred?”
La voce di un Christopher più giovane e con un lungo cappotto marrone fece voltare una ragazza poco più che sedicenne dai lunghi capelli ramati raccolti in due morbide trecce che aveva fissato in due crocchie intorno al capo.
La ragazza sorrise mettendo in evidenza gli zigomi rosei e abbastanza pronunciati e gli occhi argentati sembrarono brillare quanto il lago semi-ghiacciato di fronte a lei.
“Dovremmo smettere di vederci di nascosto, Christopher. Mia sorella presto o tardi sospetterà qualcosa” bisbigliò sottile la ragazza stringendosi maggiormente nello scialle di lana e tornando ad ammirare il pallido tramonto che irradiava i boschi di una luce soffusa e di un’aria frizzante.
“Gwen non sarà più un problema. Non può tenerti sotto la sua tutela per sempre” sbuffò Chris giocando con un nastro che fuoriusciva dal corpetto nero che cingeva il petto della ragazza per poi ricadere in una gonna verde.
“Lo fa perché è innamorata di te” pronunciò e si aprì in un sorriso radioso.
“Già, peccato che io abbia scelto te”
Chris si chinò a baciarle una guancia mentre la risata cristallina di Winnifred si espanse per tutta la valle risuonando come mille campanelle.
“Tra pochi giorni finirà l’estate e ritornerà ad essere notte fonda. Adoro l’inverno qui in Alaska. Possiamo liberarci delle stupide collane per non bruciare al sole per oltre quattro mesi” sbottò la vampira saltando giù dalla roccia ricoperta di felci e trotterellando in prossimità del lago facendo riflettere così la sua immagine in quello specchio d’acqua.
Il giovane vampiro dagli occhi scuri si avvicinò emettendo un sospiro malinconico.
“Il villaggio è in crisi, Wendy. Il cibo scarseggia sempre più e per cibo intendo esseri umani nel villaggio qui vicino. L’epidemia di vaiolo ha decimato gran parte dei villaggi vicini. E’ da più di tre mesi che non beviamo più sangue fresco e con l’arrivo dell’inverno dubito che la situazione migliorerà”
Gli occhi tristi di Christopher si abbassarono sulla figura minuta di Winnifred, alle sue scapole sporgenti e ai suoi occhi piccoli e vispi e gli si contorse il cuore fermo dal dolore nell’immaginare quella creatura come un ammasso di foglie rinsecchite.
“Beh il bosco è pieno di animali: alci, renne, daini. Potremmo vivere di quello aspettando che la situazione al villaggio si riassesti”
La vitalità e la convinzione con cui espose la sua idea fecero passare Christopher dallo sbigottimento al divertito e una grassa risata risuonò fino alle pareti del sottobosco.
“Nutrirsi di sangue animale? Quest’idea ha dell’incredibile”
Wendy lo fulminò con lo sguardo non avendo tuttavia intenzione di offenderlo seriamente mentre affondava i piedi nell’acqua gelida non riuscendo tuttavia a percepire la fredda temperatura.
“Siamo vampiri, è la nostra natura uccidere e succhiare il sangue. Ma abbiamo pur sempre la possibilità di scegliere chi uccidere e di quale sangue nutrirci. Non voglio che la mia parte di umanità scompaia” borbottò Wendy arricciando il naso come una bambina.
“Tu sei molto più umana di tutti gli umani del villaggio messi insieme”
Una voce si levò tra il folto della foresta e un paio di occhi ambrati fecero capolino tra le fronde degli alberi. Un ragazzo dai capelli corti e biondi stava appeso a uno dei rami tramite le due braccia possenti e si faceva dondolare come una scimmia.
La vampira si illuminò al suono di quelle voce.
“Drake, scendi di lì” lo rimproverò pur mantenendo intatto il sorriso genuino e spruzzando un po’ dell’acqua gelata del lago.
Il ragazzo corpulento atterrò sui talloni senza il minimo sforzo e guardò divertito Chris, più esile e sottile.
“Gwen vi stava cercando” pronunciò e la paura sembrò congelarsi negli occhi dei due amanti.
“Non gli avrai detto che eravamo qui spero” chiese Chris con aria di rimprovero, inarcando un sopracciglio.
Drake guardò gli ispidi fili d’erba che uscivano dal terreno per poi soffermarsi sullo sguardo cristallino di Wendy.
“No, certo che no. Ma le ho dovuto dire che vi vedevate ogni giorno e ad orari prestabiliti”
Christopher si schiantò contro l’amico che riuscì a malapena a bloccare il pugno che lo stava per cogliere di sorpresa.
“Devi considerare l’idea che per lei io potrei essere migliore di te” sputò Drake inchiodando il vampiro al tronco dell’albero.
“Drake, smettila. Per quanto io ti voglia bene, devi comprendere che è Christopher che ho scelto”
Le sue mani minute avvolsero il viso ruvido del vampiro cercando di mescolare il grigio dei suoi occhi con quelli ambrati di lui.
“E per quanto riguarda Gwen, è ora di pareggiare i conti con mia sorella”
Si liberò una piccola scintilla nel suo sguardo e il mento alto e rigido le conferì un aspetto quasi regale. Dopotutto discendeva da una famiglia nobile.
Si strinse maggiormente nello scialle pronta a tornare a casa quando si fermò come se avesse avuto in quel momento una rivelazione, come se sapesse fin dal principio l’esito del suo colloquio con la sorella.
Gli occhi argentati cercarono quelli dei due contendenti e con velocità allucinante si irradiarono di minuscoli capillari iniettando sangue nelle orbite e increspandole le guance.
“Qualunque cosa succeda stanotte, posso portarvi sempre con me?” chiese con fare ingenuo e senza alcuna malizia ma quella domanda così strana fece aggrottare la fronte dei due amici vampiri di curiosità e apprensione.
“Uno solo, un solo sorso del vostro sangue e rimarremo legati per l’eternità, sia che io rimanga qui sia che mia sorella mi spedisca all’altro capo del mondo”
Christopher rivolse un’occhiata sfuggevole a Drake il quale si sarebbe cavato un occhio se solo lei glielo avesse chiesto, tanto la amava e tanto veniva ripudiato.
Chris si avvicinò al viso della vampira e lo cinse con le mani.
“Io verrò con te e dentro di te dovunque tu sarai”
Detto questo gli occhi di Winnifred scintillarono e facendo attenzione perforò il collo del vampiro aspettando che il suo sangue entrasse in circolo nel proprio corpo.

 

L’immagine si sfocò, i lineamenti tratteggiati del lago si sfaldarono e la stanza sembrò ripiombare nella normalità. Ebbi solo il tempo di costatare che nulla era cambiato e che tutti ci trovavamo nella stessa identica posizione che un altro ricordo questa volta più irruente del primo bloccò la mia visuale.

 

Il suono di uno schiaffo arrivò prima del movimento della mano e ancor prima del tremolio della luce della candela.
“Cosa ti è saltato in mente? Nutrirti di sangue animale mentre il resto del villaggio muore di sete!”
Guinever alzò la voce mentre i boccoli le scendevano disfatti lungo le spalle coperte da una vestaglia da notte. Gli occhi piccoli e glaciali emanavano stilettate che infilzavano Wendy e i due vampiri presenti nella stanza.
“La colpa è mia, Gwen. L’ho accompagnata io nei boschi” si intromise Drake che cercava un pretesto per sistemare la situazione che lui stesso aveva creato.
La vampira distolse lo sguardo famelico dalla sorella e lo rivolse al giovane vampiro. Gli occhi erano tristi e opachi, la pelle delle guance dilaniata da solchi e giallastra a causa della fame, le palpebre violacee e deboli. Sembrava essere lo specchio della moltitudine di vampiri del villaggio, di coloro che stavano morendo di sete a causa della carestia, il ritratto al femminile dei due vampiri nella stanza insieme a lei. L’unica che dimostrava di non avere il ben che minimo mutamento sembrava essere Winnifred.
“La verità è che non sei arrabbiata perché mi sono cibata di sangue animale. La verità è che non riesci a concepire l’idea che io sia rimasta umana, che non sia diventata il mostro assassino che tanto speravi. Sei così arrabbiata con me perché Chris ha scelto me e non te”
Il viso di Gwen si sfigurò e le ombre giallastre sotto gli occhi fecero posto alle crepe e ai capillari pulsanti di rabbia e di odio.
Gli occhi grigi della sorella si sbarrarono atterriti dalla paura per quel gesto così pericoloso. Facendo eccezione per gli schiaffi che a volte le dava, Gwen non si era mai permessa di far male seriamente a sua sorella.
Ma la fame la opprimeva, l’odio le friggeva il cervello e le corrodeva la gola, prendendo il controllo del suo essere, lasciando prevalere il predatore di altri tempi.
“Sto morendo di fame” singhiozzò Guinever e i suoi occhi traslucidi trasudarono così tanto dolore da colpire il tenero cuore di sua sorella, amante di metodi alternativi alla sopravvivenza.
“Puoi cibarti di me. Solo un sorso e poi potrai stare serena almeno per stanotte. Domani ti porterò nei boschi” mormorò l’esile vampira tentando di aprire le mani scheletriche della sorella dallo sguardo folle.
Gli occhi azzurri iniettati di sangue si alzarono febbrili alla ricerca di quelli di Chris spaventato e di Drake alquanto confuso.
I canini pronunciati schiusero le labbra feline e si avvicinarono al collo diafano di Wendy che già aveva chiuso gli occhi, pronta a sacrificarsi per la sorella.
In nessun modo i vampiri si potevano cibare del sangue dei loro stessi simili, era un qualcosa che andava ben oltre la loro stessa natura, quasi come il cannibalismo per gli esseri umani. Eppure Guinever non ne fu spaventata né confusa ma ciò che la spinse a mordere avidamente l’arteria di Wendy, fu la fame vorace che la divorava da fin dentro le ossa. A causa della sua ingordigia centinaia di vampiri avrebbero pagato a caro prezzo la loro natura di signori della notte.
“Basta, Gwen” le ordinò Drake ma la furia incontenibile della vampira sembrò prendere il sopravvento.
Guinever succhiava avidamente il sangue così diverso e al contempo familiare della propria sorella, assaporandolo e riconoscendo i vari tipi di gruppi sanguigni che si erano amalgamati confondendosi tra di loro: un alce, un roditore, una lince, una renna.
Ma il sangue di Winnifred era pur sempre il suo stesso sangue e bevendo il sangue di lei a Guiniver sembrava esserle entrata dentro, tramutandosi così in un unico essere, per essere più simile a lei, per essere amata da Christopher come lui amava lei.
Si staccò dal collo ormai livido e cereo così come il resto del viso privo della vitalità di poco prima.
Solo allora Gwen aprì gli occhi color ghiaccio per fissarli in quelli di sua sorella inondandoli di odio e di rancore.
“Sei sempre stata tu la migliore. Sei sempre stata tu la prima scelta in tutto. E dopo tutto questo tempo sono stata l’ultima a saperlo”
Guinever affondò un colpo deciso tra le costole di Winnifred e con precisione agguantò il cuore fermo e ormai stanco dell’esile vampira.
Wendy ebbe appena il tempo di mormorare un
scusa e far scorrere gli occhi inumiditi dalle lacrime tra Drake e Christopher, entrambi troppo scossi per intervenire, per poi fermarli su quelli della sorella e per sempre privarli della luce della vita.
I due vampiri si avventarono su Guinever grugnando come belve e strappando la carne delle braccia e intorno al collo.
Immagini di denti affilati si susseguirono a quello del sangue che imbrattava le labbra dei tre, deliranti dal dolore e dalla pazzia mentre il corpo arido e senza vita di Winnifred osservava la scena del tutto estranea.
Il siero scarlatto dei due vampiri si miscelò con quello di Gwen, tutti e tre succhiarono e morsero parte del loro stesso sangue, di quello del compagno, della stessa Wendy che conteneva dentro di se il sangue di Drake e di Chris.
La zuffa continuò a lungo finché i tre si fermarono lacerati da urla agonizzanti e dilaniati da un dolore sviscerante.
Gli strilli di Gwen erano quelli più alti e mentre cercava di liberarsi dal sangue che come fuoco le bruciava la pelle, i suoi occhi bagnati da minuscole lacrime da blu si tramutarono in grigio, grigio metallizzato, così simile al colore della sorella ma al contempo più duro come il ferro.
Il gelido cuore tremò tutto e singhiozzò qualche battito prima di sussultare contro le costole.
Stavano ritrovando metà di quell’umanità che sono Winnifred poteva avere.
Il primo mezzo vampiro al mondo stava venendo alla luce.

 

Colin mi diede uno strattone per assicurarsi che fossi riemersa dallo stato di torpore mentale in cui lui stesso mi aveva fatto cadere.
Adesso era tutto chiaro ed evidente e i continui battibecchi tra i due risultavano essere perfettamente leciti. Le immagini continuarono a susseguirsi nella mia mente ma questa volta ero io a fabbricarle: vedevo il sorriso radioso di Wendy, gli occhi neri e lucidi di un Christopher allegro, l’innocenza e la spavalderia di Drake, il terzo membro della Triade a noi ancora sconosciuto, e il delirio, la pazzia e la tristezza di una Guinever sola e accecata dall’invidia, gli strazi, le urla e poi gli occhi grigi, grigi come quelli di Winnifred. Forse i mezzi vampiri non erano più mostri, forse in ognuno di essi vi era un millimetro cubo del sangue di quella vampira che sembrava manifestarsi in loro proprio grazie a quella peculiare caratteristica degli occhi grigi. Ma nonostante l’orrore di quel racconto non potei non cogliere la tristezza di tutta quella vicenda. Due sorelle, un uomo, la scelta, la morte. Sembrava essere un circolo vizioso a cui purtroppo nessuno poteva sfuggire e mi chiesi se quella non dovesse essere la fine anche della mia storia.
Guinever sbatté le palpebre munite di lunghe ciglia e rivolse un sorriso divertito al mezzo vampiro di fronte a lei con ancora stretto in mano il suo cuore, perfettamente al sicuro tra le sue costole.
“Io sto ancora scontando la pena per il mio gesto. Tu non ne sei capace, sei troppo uguale a lei” sussurrò e con la punta dei piedi si sporse per sfiorare la guancia rasata di Chris e dalle labbra semisocchiuse iniziò a scorrere un rivolo di sangue. Adesso che non erano più vampiri ma mezzi vampiri, il dolore delle costole che si spezzavano doveva farsi sentire.
Il mezzo vampiro dai lunghi capelli castani fece riemergere la mano dallo strato rosso di sangue e lasciò in pace il cuore di Gwen che riprese lento la sua indomabile corsa.
Chris alzò gli occhi al cielo forse reprimendo l’istinto di ucciderla nuovamente mentre la mezza vampira contava i danni che si era procurato al vestito sporco del suo stesso sangue.
“Accidenti a te, Chris! Ora dovrò mandare il vestito in tintoria!” si lamentò sbattendo il tacco della scarpa contro il parquet.
“Attenta Guinever, la gelosia ti ha reso la pelle verde come un rospo” la provocò Colin che con innocenza quasi fanciullesca le rivolse un sorrisetto pestifero.
La mezza vampira sembrò ricordarsi della nostra presenza e ci rivolse uno sguardo entusiasta come se avesse trovato un modo per sconfiggere la noia dopo la zuffa con il suo collega.
Gwen si avvicinò picchiettando i tacchi. Ormai la sua ferita si era rimarginata quasi del tutto. Sembrava innaturale come riuscisse a risanare una ferita più in fretta di un qualsiasi altro vampiro, merito probabilmente del codice genetico modificato.
“Io ti conosco. Tu sei il figlio di Anya e Roland se non mi sbaglio. Ricordo i tuoi genitori, strana storia la loro. Tu sei il nipote del caro e vecchio Frederick. Tu sei il bambino nato al contrario”
Un sorriso glaciale si espanse lungo tutto il suo viso mentre lo sguardo del rosso rimaneva fisso e immobile senza dare la ben che minima idea di sciogliersi. Poi si rivolse a Jim e Nicole.
“Piacere di rivederti Jim, ero sicura che venissi a trovare Chris un giorno di questi, dopotutto è lui stesso che ti ha trasformato dico bene?”
Il biondo represse l’istinto di trucidarla con lo sguardo per non essere sbattuto nuovamente contro la parete.
“In quanto a te, i soldati hanno parlato molto di te. Ti chiamavano colibrì, volevi essere dalla nostra parte così da ottenere ciò che volevi ma in realtà sapevamo tutti che eri troppo buona per tradire i tuoi amici”
Le guance di Nicole si imporporarono di stizza e solo il braccio possente di Jim riuscì a sbarrarle la strada prima che andasse a staccare la testa di Guinever a morsi.
Chris sbuffò e si massaggiò le tempie con una mano scostando i capelli lucidi e un sorriso sardonico tirò le sue labbra sottili sfoggiando il massimo del suo fascino. Evidentemente un’idea diabolica doveva avergli solleticato la mente.
“Penso sia arrivato il momento di farla finita. Owen, Liam!” chiamò a gran voce e i due vampiri che ci avevano catturato nel sottosuolo fecero la loro comparsa nella sala scortati da una cinquantina tra mezzi vampiri e bambini. Molti dei mezzi vampiri erano all’apparenza poco più che dodicenni.
“Ahi carramba! E’ arrivata l’artiglieria!” pronunciò Jim giusto per sdrammatizzare la situazione.
La situazione stava precipitando e per di più eravamo in inferiorità numerica. In uno scontro diretto avremo avuto la peggio. Eravamo disarmati visto che l’unica arma in nostro possesso, il pugnale a due lame, era misteriosamente scomparsa e l’incantesimo che Bonnie conosceva era inutilizzabile.
“Avrei dovuto ordinare il servizio in camera. Adoro cena con spettacolo” snocciolò Gwen che prese posto nel divano accanto ad un annoiato Chris ancora in preda ai ricordi del passato.
 La mezza vampira era pronta per dare il segnale quando le due porte scorrevoli poste una dietro e una di fronte a noi si aprirono con un rumore metallico.
Temetti che fossero giunti altri rinforzi e che ci avrebbero attaccato da dietro ed invece con mia enorme sorpresa ricominciai a respirare non appena incontrai i due zaffiri lucenti che mi perforavano le spalle.
E fu in quel momento che lo vidi. Un ragazzo. Alto, con i suoi occhi grandi e azzurri come il mare in tempesta, i capelli corvini e il suo sorriso di sollievo dipinto sul suo viso. Strizzai bene gli occhi perché la mia mente mi imponeva di non credere a tutto ciò che vedevo, di non buttarmi tra le braccia dell’ennesima illusione. Ma io lo conoscevo, avevamo passato tanti momenti insieme, dal suo primo respiro sulla mia fronte all’ultimo bacio scambiato tra un addio e un ti amo. Era come se qualcosa dentro di me mi dicesse che quel ragazzo c’era sempre stato nei più remoti passati e ci sarebbe stato sempre nei prossimi futuri. Inspirai profondamente inebriandomi dell’aria così pura e fresca, non distaccando il mio sguardo da quello di lui.
Quello, sentire quella strana sensazione di benessere incunearsi fin sotto i tessuti. Amore. Ecco cosa vidi in Damon la prima volta che lo rividi.
Corse verso di me e sembrò che la distanza tra noi si fosse annullata prima del previsto, come se al posto dei piedi avesse delle ali agili e scattanti.
I muscoli del suo corpo, i lineamenti, gli zigomi erano molto più marcati così come i tendini tirati e sottopressione.
Il suo corpo era pura roccia e per un attimo ebbi l’impressione di abbracciare una lastra di marmo.
Ma io l’amavo e il tenerlo tra le mie braccia era molto più di quanto potessi desiderare.
Ebbi il tempo di scorgere anche la figura di uno Stefan trafitto dal dolore e inflessibile come l’acciaio stare dritto alla mia destra in posizione di attacco. Alla mia sinistra una Michelle più che viva stava prendendo posto, con i capelli arruffati e un guanto da combattimento rotto.
“Volevate iniziare lo scontro senza di me?” domandò sarcastica una voce dinanzi a noi.
Colui che ad occhio e croce doveva essere Drake, entrò in jeans e canotta bianca, con aria spavalda sfoggiando un sorriso a trentadue denti in contrasto con la pelle abbronzata e i capelli biondo grano. I bicipiti scolpiti lasciavano intendere che non stava più nella pelle nell’iniziare il combattimento.
“Mi hai tolto quasi le parole di bocca” ribatté Damon inarcando un sopracciglio e incuneando le labbra nel suo solito sorriso obliquo.
E fu lì che capì la differenza.
La pelle intorno agli occhi incominciò a sfaldarsi e il sangue ad affluire sempre più forte alle orbite rivestendo così l’occhio di una patina rosso scuro in contrasto con il blu dei suoi occhi.
Sbarrai lo sguardo ancora immersa nello stato di shock in cui ero sprofondata alla vista dei canini taglienti che fuoriuscivano dalle labbra che un tempo avevano baciato le mie con ardore.
Fui percorsa da una paura sviscerante che mi fece aggrappare maggiormente al suo corpo come se fosse una roccia incorruttibile.
Scostai i capelli e posai la guancia contro il suo torace e l’orecchio destro nel suo cuore.

Silenzio.
“Paparino è ritornato per l’inizio dei giochi” sibilò digrignando i denti da vampiro che tanto li erano mancati.

 

 ***

Buonsalve effeppiani,
tra un poì parto in vacanza ma non potevo non lasciarvi un capitoletto giusto per farvi stare in ansia per tutto il periodo estivo (lo so, in questo periodo sono più sadica del solito). Dunque dove eravamo rimasti? Il rapporto amore-odio tra Guinever e Christopher è stato spiegato e finalmente ha fatto la sua comparsa tramite flashback Winnifred, eterno amore di Chris e Drake e sorella di Gwen, artefice della sua morte e dell’esistenza dei mezzi vampiri. Volevo che Guinever apparisse spietata ma al tempo stesso affascinante e che catturasse i vostri cuori proprio per la sua crudeltà. Serviva un vero cattivo alla storia! Per quanto riguarda Bonnie, la magia di Gwen e il cimitero se ne parlerà più avanti ma vi posso dire che le Bennet non c’entrano più xD Jim e Nicole si sono visti poco in questo capitolo ma avranno un ulteriore spazio in seguito, così come Colin e il suo rapporto con la sorella Michelle che finalmente è comparsa insieme ai due Salvatore. Domanda: come ha fatto Damon a tornare vampiro? Ovviamente questo si scoprirà nel prossimo capitolo, perché a Within a man’s heart c’è sempre un perché accadano certe cose! Altra domanda: Elena come reagirà? Avete visto che era particolarmente scossa nel non sentire più il suo cuore che tanto amava e che tanto li aveva resi umani. Le risposte alle vostre domande le troverete sicuramente nel prossimo capitolo che confido di postarlo verso i primi di agosto, ma vi lascio una piccola anticipazione: la battaglia vera e propria sta per cominciare e come ogni battaglia che si rispetti ci saranno dei caduti. Uno di loro troverà la morte per mano amica o nemica.
Con questo concludo ringraziando tutti voi per le recensioni e non esitate a dire la vostra, sono ben accette critiche e consigli ;D
Altra informazione di servizio: se volete sapere di più sulla storia e soddisfare la vostra curiosità con qualche piccolo spoiler o volete sapere chi sono gli attori che interpretano i personaggi inventati, potete seguirmi su facebook Dreem L. Efp
Grazie e buon’estate,
Sil

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Capitolo 31
*** 29 - WHO'S NEXT? ***


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29 – WHO’S NEXT?

 
I canini di Damon scintillarono alla luce del lampadario di quel salotto e l’azzurro delle iridi fu offuscato da un grumo denso di rosso che inghiottì del tutto il candore delle sue orbite, così come le finissime intelaiature di capillari sporgenti tutti’intorno ai suoi zigomi.
Non era di certo la prima volta che vedevo Damon nella sua forma originaria di vampiro, ma quello spettacolo raccapricciante bastò per aggrovigliarmi le viscere e farmi tremare fino al midollo.
Il mio cuore tacque per qualche secondo, barcollò, indeciso se unirsi a quello del suo consorte e quindi fermarsi definitivamente oppure continuare a singhiozzare; alla fine,  palpitò malinconico non potendo regolare più i propri battiti con quelli di Damon.
Quell’emozione, che ostinava il mio cuore a battere, non era né tristezza, né rabbia. Sapevo fin dal giorno in cui Damon aveva riacquistato la sua umanità che avrebbe fatto di tutto per ritornare vampiro, avevo giurato solennemente di aiutarlo in questa sua impresa, avremmo trovato una cura se questo era veramente ciò che desiderava – glielo dovevo.
E poco importava le mie febbrili manie di averlo tutto per me, la mia tranquillità nel riconoscere me, umana, in lui adesso così simile a me. Avrei dovuto lasciare andare il mio morboso egoismo e lasciare che Damon ritornasse quello di una volta, padrone indiscusso delle tenebre.
In fondo, era come se Damon fosse nato per diventare un vampiro.
No, la mia era solo nostalgia, acuta e profonda nostalgia: era triste il posare la mano sul suo petto e non sentire rimbalzare in suo pettorale dall’interno, era triste abbracciarlo e non sentire il ripercuotersi del suo cuore affaticato, era triste non poterne contare più i battiti.
Damon era stato umano per ventidue anni e tre mesi, un arco di tempo relativamente breve in confronto ai suoi ben centosessantaquattro anni da vampiro.
Ma chi potevo essere io per non volere il suo bene? Ancora oggi penso a come le cose sarebbero andate se avessi parlato prima a Damon della mia venerazione per il suono del suo cuore…probabilmente avrei commesso un grave errore, ancora avrei Damon accanto a me con il viso lineato da finissime rughe e gli occhi blu puntinati dalla fuliggine della vecchiaia. Ma chi poteva essere lui per non volere il mio di bene?
Damon notò la vivace esitazione da parte dell’esercito di mezzi vampiri di fronte a noi, il dubbio che aggrottava la fronte di Guinever e che faceva schioccare la lingua di Chris. L’unico che sembrava non curarsi del ritorno di Damon vampiro era Drake che con movimenti decisi si stirava i muscoli così da essere pronto ad ogni eventuale attacco.
Il neovampiro approfittò di questa loro indecisione per lasciare momentaneamente il suo posto di battaglia in prima linea e indietreggiare nelle retrovie in mia direzione facendo un cenno a Jim e a suo fratello di rimpiazzarlo fino a quando la situazione si sarebbe sbloccata, solo a quel punto si sarebbe gettato in battaglia ignorando tutto e tutti.
Mi sfiorò poggiando il dito sulla ferita parzialmente cicatrizzatasi al di sopra del sopracciglio destro e quel tocco mi fece rabbrividire.
Pensai di prendere io la parola per stroncare quella sua contemplazione quasi paradisiaca, in fondo avevamo poco tempo e troppo da dirci.
“Non è niente, ho sbattuto da qualche parte mentre scappavamo dalla prigione” minimizzai e il solo ricordo della corsa mi provocò un dolore acuto alle caviglie indolenzite.
“Come…?” provai a dire ma le parole mi morirono in gola e per evitare di porre la domanda con la voce tremolante serrai per bene le labbra, sperando con tutto il cuore che il vampiro intendesse ciò che stavo per chiedergli.
Infatti Damon sgranò gli occhi e si accinse a rispondermi a bassa voce, udibile solo da me.
“Ci hanno portati in una cella, Bonnie, Stefan ed io. Stefan ha provato a spezzare le sbarre ma dovevano essere protette con qualche tipo di incantesimo o imbevute di verbena perché gli si sono scottate le braccia. Bonnie alla fine è riuscita a spezzare il lucchetto della sua cella e ad uscire fuori. A quanto pare la streghetta ci riserva ancora qualche rancore perché abbiamo dovuto supplicarla per tirarci fuori di lì. Infatti stavamo contrattando quando Michelle è venuta da noi. A stento la riconoscevo, è molto più donna di quanto ricordassi. Si è scusata per ciò che mi ha fatto e io ho evitato di prenderla a pugni. Le abbiamo chiesto se esistesse qualche cura ma lei non era a conoscenza di nessun antidoto capace di riportarmi vampiro.”
Aggrottai le sopracciglia non riuscendo a raccapezzarmi in mezzo al fiume di informazioni di cui mi stava sovraccaricando. Come gli erano cresciute le zanne da un giorno all’altro?
Damon comprese il mio dubbio e sollevò gli occhi al soffitto maledicendo la mia squallida sagacia.
“E’ stato il mio fratello alias genietto incompreso a capire il modo: Colin aveva detto che qualsiasi altro mezzo vampiro avesse tentato di trasformarmi, donandomi un po’ del suo sangue, avrebbe causato sicuramente la mia morte; il provare la trasformazione di vampiro tradizionale era troppo rischioso perché questo non poteva garantire la mia sopravvivenza dopo aver ingerito sangue di vampiro. Ma nulla vietava di ingerire il sangue di colei che mi aveva tramutato nuovamente in un umano. Perciò dopo aver discusso per un buon quarto d’ora con miss schizofrenia alla fine si è decisa di mordere prima Stefan per far entrare in circolo nel suo organismo sangue di vampiro e poi mi ha dato una cannuccia per godermi il mio drink”
L’ironia sottile di Damon sembrava essere inappropriata per quella situazione, segno evidente dell’amplificazione della personalità che si manifestava in tutti i neovampiri.
“Ormai ero così abituato alla morte che non mi ha fatto male. Il sentire lo scrocchio del collo che andava in frantumi, quello sì”
Spostai gli occhi da quelli di Damon e abbassai lo sguardo sul suo petto, tra le costole, in mezzo ai due polmoni. C’era un cuore lì, una volta.
Diedi un fugace sguardo ai mezzi vampiri schieratisi nella parte opposta del salone. Chris stava tutto piegato su Guinever come se stessero discutendo animatamente di qualcosa pur non muovendosi di un solo centimetro e così li imitavano anche gli altri esponenti dell’esercito, compresi Liam e Owen, i due che ci avevano catturati al nostro arrivo.
“Delusa?” chiese con voce tremolante e cercò di catturare nuovamente i miei occhi per il momento occupati dai mezzi vampiri.
Alzai lo sguardo stralunato e sentii gli occhi bruciare e le guance impallidire alla consapevolezza di quella domanda.
Mi inumidii le labbra e schioccai la lingua non sapendo se rispondere e prolungare quel momento di pace oppure rinfacciargli la gravità della situazione e della battaglia che incombeva sulle nostre teste.
“Piccioncini, non so se ve ne siete accorti ma qui davanti c’è una guerra in corso” borbottò Nicole al fianco di Jim il quale aspirava l’ultima boccata da una sigaretta ormai ridotta allo stremo e che si accingeva a spegnerla sul divano in pelle accanto a lui, attirando su di se gli occhi assassini di Christopher evidentemente accortosi dello sfregio da parte dell’ex amico.
Le parole di Nicole mi riportarono alla realtà.
“Damon ne parleremo dopo di questo” mormorai e la mano che si era partita per sfiorargli un ciuffo dei suoi capelli neri mi ricascò pesante lungo il fianco destro, incapace di muoversi e ostinata ad evitare ogni contatto, ma violentemente il vampiro me l’afferrò così forte da impedire al sangue di circolare liberamente oltre il mio polso.
“Lo devo considerare come un sì, quindi?” mi rimbeccò e non potei non catturare l’occhiata ansiosa riservatami da parte di Stefan sul presunto maltrattamento del fratello. Avrei dovuto chiarire anche con lui.
“Lo devi considerare come una promessa, che almeno uno di noi due sopravvivrà. E io so già chi”.
Quelle parole suonarono così chiare e confortanti a me da impedirmi di scorgere il rancore e l’odio di cui si erano nutrite per ferire Damon nel profondo.
Non era forse un’esplicita risposta, come se avessi condannato la mia condizione di umana e avessi dichiarato la mia sicura morte mentre lui invece sarebbe rimasto un vampiro? Sicuramente urlargli un sì sarebbe stato meno doloroso.
Una chioma arancione fece capolino tra me e Damon.
“Bentornato signor Damon” snocciolò Colin il quale adesso sembrava raggiungere almeno in punta di piedi la spalla di Damon. I suoi occhi grigi mi squadrarono ed ebbi l’impressione che mi stessero accusando di qualcosa. Poco importava, avevo voglia di uccidere qualche mezzo vampiro e alla svelta.
“Felice di rivederti anch’io Roger Rabbit” lo salutò Damon frizionandogli i capelli e sospingendolo verso le prime file dove anche lui si accingeva a seguirlo.
Nei suoi bermuda a scacchi e la sua polo blu scuro con il colletto alto, Damon conservava ancora un po’ di quell’umanità che per tre mesi mi aveva accompagnato e che adesso tuttavia non riuscivo a non vederla in lui.
Qualcuno mi sfiorò un braccio e dal tocco morbido e delicato non ebbi il bisogno di voltarmi per sapere chi fosse.
“Tranquillo, Stefan, sto bene” soffiai tutto d’un fiato onde evitare ripensamenti.
Il vampiro dagli occhi verdi allontanò il braccio per poi intralciare la mia visuale con un sorriso sornione seppur gli occhi erano velati di malinconia.
“Dove va una guerriera senza la sua arma?” chiese ironico facendo scivolare tra le mie dita un oggetto sottile e al contempo compatto le cui schegge di legno mi graffiarono i polpastrelli sudici.
“Non credo di andare troppo lontano con un semplice paletto” m’imbronciai credendo all’ennesima malefatta di Stefan per accontentarmi e contemporaneamente proteggermi a tutti i costi dall’infuria della battaglia.
Il vampiro inarcò un sopracciglio e si rigirò il paletto tra le mani facendomi osservare la punta acuminata da cui fuoriusciva una sottile lama argentata: era un pugnale rivestito interamente in legno.
La mia fronte si stropicciò e un lieve dubbio sorse tra le mie iridi color nocciola.
“Da quando in qua mi mandi a combattere mettendo a repentaglio la mia vita?” domandai ed ebbi il timore che in fondo adesso che stavo con Damon per lui era una liberazione. In fondo, non ero più roba sua.
“Da quando ti ho vista per la prima volta e ho capito che ti avrei amato ogni giorno della mia vita immortale e non importa cosa tu voglia fare, con chi voglia stare, purché sia questo ciò che vuoi sono disposto anche a lasciarti uccidere dei mezzi vampiri. Anche tu hai delle vite da proteggere e la paura di perderle”
Arricciai il naso e inghiottii il groppo amaro che mi si era incastrato in gola impendendogli così di risalire fino agli occhi. Stefan mi aveva lasciato sempre prendere le decisioni da me, anche le più pericolose perché da testarda come sono era impossibile farmi cambiare idea. Eppure questa volta era diverso, non ero stata io a supplicarlo di combattere, non ero stata io a richiedere un’arma. Mi accorsi che in fondo al cuore anche lui soffriva, molto più di noi, che il suo povero cuore di vampiro avrebbe voluto palpitare nuova vita per continuare ad essere al mio fianco. Ma cosa poteva farci se il suo cuore era muto mentre i battiti di Damon continuavo a percepirli a fior di pelle.
Soffiò leggero le lacrime che stranamente mi avevano rigato le guance e poggiò le sue labbra sulla mia fronte per poi lasciarmi e posizionarsi accanto al fratello, entrambi occupavano la stessa posizione.
I mezzi vampiri notarono le nostre posizioni e si accinsero a sistemarsi anche loro in posizione di attacco con Drake che adesso prendeva posto insieme agli altri esponenti della Triade.
“Scusa tesoro, avevo dimenticato di puntare la sveglia per l’ora della battaglia” disse aprendosi in un sorriso beffardo rivolto a Gwen mentre i suoi occhi grigi facevano da contrasto ai capelli color grano.
“Come sempre Drake, arrivi nei momenti meno opportuni” mugolò Chris mentre liberava i bottoni dei polsini dalle asole così da rigirarsi le maniche della camicia fino ai gomiti.
Guinever scoccò le labbra accese da un rossetto rosso fuoco e piantò i suoi occhi su di noi.
“I signori qui presenti cercavano una cura per il loro amico umano che ha subito un incidente di percorso con la nostra Michelle. Ma a quanto vedo hanno già risolto il problema”
Il suo sguardo sembrò trafiggere in pieno petto Michelle che stava a pochi centimetri dalle spalle possenti di Damon tanto che della sua minuscola figura si potevano scorgere soltanto la bandana multicolore e i due grandi occhi grigi ricoperti da uno strato più spesso di mascara.
“Come si dice Milady chi fa da se fa per tre” asserì sprezzante Damon inarcando furbescamente un sopracciglio e l’occhiata disarmante del vampiro dagli occhi blu sembrò far sciogliere la mezza vampira in un sorriso da gattina innamorata.
Il loro contatto visivo fu troncato di netto dall’intrusione di Drake.
“Dunque anche dei disertori nel nostro esercito. Non sta affatto bene” e Drake fulminò con uno sguardo Liam e Owen, evidentemente i capi di quella legione di soldati.
L’intraprendenza di Michelle si fece nuovamente viva e incassata la dura umiliazione uscì allo scoperto distanziando la nostra formazione di parecchi passi, avanzando a grandi falcati in direzione della Triade. Adesso tizzoni di lava ardevano tra il suo grigio argentato, rendendoli quasi neri, come pece bollente – gli occhi di suo padre.
“Disertore? Direi piuttosto liberatore! Sappiamo tutti la vostra squallida storia d’amore, le gelosie che vi uccidono dal sorgere del sole fino al calare delle tenebre, sappiamo l’animo di voi e ogni vostra singola debolezza. Ci avete utilizzati, massacrati, trattati come tanti pezzi di carne, ci avete ridato metà della nostra umanità, per cosa, per questo? L’essere un mezzo vampiro è già un disonore e non vogliamo che altre persone diventino ciò che la vostra rabbia e la vostra gelosia ha dato luce. Avete decimato le nostre famiglie, reso schiavi figli e figlie, ucciso i vostri genitori, detto addio ai vostri fratelli e sorelle, per cosa, per far parte dell’esercito dei più forti, per far si che la razza umana non esista più? I miei genitori rimpiangevano di essere stati tramutati in vampiri ma pur di non ricevere nuovamente l’umanità a loro sottratta hanno rinnegato la loro non-vita. Non diventiamo quei mostri che tanto abbiamo odiato, perché i vampiri in confronto a noi sono dei gran signori. Poniamo fine a questa insulsa guerra, e schieratevi non dalla parte dei più potenti ma da quella da dove siete venuti”
Le parole di Michelle avevano radicato nelle menti dei mezzi vampiri e alcuni di loro si guardavano incerti, altri ringhiavano, altri ancora si facevano spazio per osservare chi avesse pronunciato quelle parole. Parole di un capo, di un leader, parole di chi ha subito gravi danni e ingiustizie, parole di un conservatore, parole che lo stesso Frederick avrebbe detto ai Ribelli della Cascina.
“Questa è mia sorella” esultò Colin alla mia destra cercando di attirare l’attenzione di Bonnie, apparentemente distratta.
“E chi saresti tu per dirlo?”
Si levò una voce dal gruppo di soldati, e Liam balbettò qualcosa nell’orecchio di Drake.
Michelle gonfiò le guance, prendendo fiato prima di dar voce alla sua presentazione.
“Sono la sorella di mio fratello, la figlia di mio padre, sono Michelle e il mio posto è e sarà sempre con i Ribelli”
Per un attimo il mio cuore si riempì di tristezza all’idea che Michelle pensasse che il suo vero padre fosse Roland, non sapeva che il suo padre fosse il leader dei Ribelli e probabilmente non l’avrebbe mai saputo.
Alcuni gruppi di mezzi vampiri tentarono di sfuggire dalle righe della loro legione ma i soldati delle prime file si avventarono ferocemente contro di loro, cavandogli il cuore dal petto e pugnalandolo con sottili proiettili di legno rivestiti di piombo.
Solo pochi superstiti riuscirono a raggiungere la nostra parte ma quei pochi bastarono per far sembrare il nostro esercito addirittura più numeroso.
Guinever guardò con superficialità i resti dei copri mutilati.
“Pazienza, dirò alla cameriera di smacchiare il tappeto” disse con noncuranza e questo accese gli sguardi di Drake e di Chris già pronti a sfoderare le loro zanne.
Mi risistemai la coda di cavallo, impugnai la mia arma con la paura che mi sfuggisse dalle dita e deglutii rumorosamente in modo tale che le orecchie di Damon udissero il mio sibilo impaurito.
Nicole si accasciò a terra massaggiandosi lo stomaco e le tempie, in preda a un profondo capogiro.
Fece cenno a Jim di non muoversi dal suo posto mentre lei indietreggiò fino a schierarsi con noi nelle retrovie.
“Tutto bene Colette?” chiese il rosso preoccupato come me delle condizioni di salute della mezza vampira.
Nicole scosse la testa in senso di approvazione mentre con il dorso della mano si asciugava la nuca e il collo carico di sudore.
Ad un cenno di Drake i mezzi vampiri si mossero con il sincronismo di un branco di lupi, la velocità di mille ghepardi e la ferocia di veri vampiri.
L’impatto fu intenso, pari ad un rimbombo di tuono; la battaglia era iniziata.
Ebbi appena il tempo di serrare la le dita intorno l’impugnatura della mia arma che mi ritrovai sbalzata per terra, alcuni metri distante dai miei compagni di squadra, i quali tutti tranne Bonnie erano impegnati nella lotta corpo a corpo con altri mezzi vampiri.
Osservai gli occhi grigi dell’essere che scoprii dopo pochi secondi essere una donna: le orbite bianche erano spumose così come la schiuma che le fuoriusciva dalle fauci spalancate e pronte ad affondare i loro denti sulla mia carne. Evidentemente il loro primo intento era di trasformare me, ancora umana, in una di loro sperando così di ottenere un’alleata in più.
Il suo peso mi bloccava le gambe, dal ginocchio in giù, tanto che credei di aver perso la loro sensibilità.
Più mi dimenavo, più mi sentivo imprigionare all’interno delle sue grinfie, mi sentivo muovere come un’anguilla sotto le sue mani che avevano uncinato le mi scapole nude.
Avrei potuto urlare, avrei potuto chiedere aiuto, sicuramente Damon sarebbe accorso in mio aiuto, o Stefan, o Colin, sapevo che non mi avrebbero lasciato lì, eppure non lo feci.
Perché mettere a repentaglio la vita di più persone quando ne avrebbero potuto perdere solo una?
Ripresi velocemente lucidità e lottai con la mezza vampira dai corti capelli biondi affinché potessi ribaltare la situazione così da prenderne io il comando.
Ma il bianco fece posto ben presto ad un grigio intenso e il suo sguardo m’inchiodò al tappeto sul quale eravamo riverse.
Catturò un lembo della mia psiche e quel tocco, insufficiente per soggiogarmi, fu la scintilla che mi diede lo slancio per liberare le caviglie e incrociare le anche sulla vita della mezza vampira e con un colpo di reni ribaltai le posizioni.
Il mio cervello cercò subito il comando della mano e solo dopo che il paletto perforò la carne mi accorsi dell’azione appena compiuta.
Il movimento infatti era stato così simultaneo al pensiero che non avevo preso bene la mira e invece di trapanargli il cuore le avevo semplicemente forato un polmone.
La mezza vampira sputò sangue e si lamentò al contatto con la lama d’acciaio e le schegge di legno.
Parve calmarsi per un momento, ma non appena rovesciò gli occhi all’indietro e spalancò nuovamente la bocca non ebbi esitazione: feci scorrere le mie mani sul sangue viscido e estratto il paletto, seguito da un lamento della vittima, lo cacciai dentro con tutta la forza che le mie braccia mi diedero.
Il tempo di estrarre la mia arma e la mezza vampira era già morta: gli occhi cerchiati di viola, la pelle incredibilmente pallida e sottile, gli occhi grigi screziati di verde.
Mi alzai pulendomi col dorso della mano la guancia sporca del sangue della mezza vampira e cercai con gli occhi la mia prossima vittima. Il mio sguardo cadde sulla Triade che come se fossero completamente estranei al combattimento amoreggiavano appartati in un angolo della sala, minacciandosi con gli occhi, dandosi morsi anziché baci, sembrando più dei ragazzini che dei nemici sanguinari.
Una testa mozzata rotolò fino ai miei piedi e notai che proveniva da Jim il quale per nulla scompostosi stava massacrando un mezzo vampiro dopo l’altro, con una precisione così accurata che se non lo avessi conosciuto mi avrebbe fatto venire i brividi. Aveva gettato di lato gli occhiali rotti, ormai del tutto inutilizzabili, e nella pausa tra un nemico e un altro si aggiustava le ciocche bionde dietro l’orecchio controllando se fosse rimasta ancora la mezza sigaretta che aveva deciso di non fumare tutta. A volte gettava delle occhiate preoccupate a Nicole ma poi ritornava a piantare paletti notando che la sua amata se la cavava alla grande. Infatti Nicole nonostante i continui malori che la obbligavano a prender fiato ogni minuto aveva fatto fuori un gran numero di mezzi vampiri, facendo oscillare violentemente la coda riccioluta che come una lama sbalzava i tre mezzi vampiri che in quel momento la stavano attaccando contemporaneamente. Ma i suoi denti ben affilati erano molto più famelici dei loro e in un battito di ciglia già due dei mezzi vampiri erano a terra agonizzanti. Cercai Colin e mi accorsi che non stava lottando ma, la sua maglietta non era sporca di sangue ma cercava di intercettare i mezzi vampiri per farli cadere all’interno del campo magnetico che Bonnie aveva creato così da fulminarne i neuroni e lasciarlo a terra del tutto immune. Era la prima volta che vedevo Bonnie e Colin collaborare e la cosa mi piacque. Non potei di certo dire la stessa cosa per Damon e Stefan i quali si trovavano agli antipodi e con le spalle curve sulle loro vittime, accecati dalla voglia di uccidere e dalla rabbia, senza neanche curarsi del resto della comitiva o almeno così pensavo. Solo dopo mi accorsi delle occhiate fugaci che ognuno di loro a modo suo mi rivolgeva e rivolgeva agli altri.
Un altro nemico mi colse di sorpresa alle mie spalle ma stavolta l’adrenalina mi preparò a combattere e impugnata l’arma ne feci fuori due, tre, quattro finché quando feci ricadere il corpicino di un bambino dai capelli neri mi accorsi che quella era l’ultima vittima ancora viva in quella stanza.
I miei occhi accecati dalla felicità per la vittoria intercettarono quelli di Damon che seppur distanti causa il litigio pre-combattimento apparvero ancora più torvi e preoccupati di prima. Non avevamo ancora vinto.
In mente mi balenò il pensiero che quello fosse tutto uno stratagemma della Triade per farci stancare, per infiacchirci così da sconfiggerci più facilmente.
Osservai le carcasse di corpi accatastati sui divani in pelle, agli angoli dei mobili. Il sangue si era rappreso subito e aveva assunto una colorazione nera tanto da sembrare liquame. Tra le vittime anche i mezzi vampiri che avevano deciso di schierarsi dalla nostra parte, di abbracciare la nostra missione.
I sopravvissuti erano soltanto Liam e Owen che adesso prendevo posto al fianco di Drake, il loro capo.
A parità di condizione, eravamo noi otto i più numerosi a confronto di loro che erano soltanto tre più i loro generali per un totale di cinque.
La risata sghignazzante di Drake si percosse nelle pareti.
“Seriamente? Avete decimato il nostro esercito? Vi prepariamo altri uomini o per oggi basta così?” chiese spalancando la bocca in una forma di finto stupore, quasi una sorta di denigrazione nei nostri confronti.
“Ce l’avete posti su un piatto d’argento” ammiccò Damon in direzione del mezzo vampiro.
“Allora me lo pagherai tu il conto della tintoria” latrò seccamente Gwen artigliandosi i fianchi con le mani.
“Con i tuoi soldi forse, Lady D?” la rimbeccò di tutta risposta Jim il quale aveva manifestato la sua antipatia nei confronti della mezza vampira fin dall’inizio.
Ma a quel punto Drake sembrò non aver più voglia di scherzare.
“Frena la lingua, King Kong” e detto questo pose fine alla conversazione freddando il biondo con uno sguardo.
L’aria là dentro era divenuta irrespirabile: carcasse erano accatastate agli angoli della stanza, dietro ai mobili e sparsi sul pavimento; il caldo del pomeriggio incombente minacciava di farsi largo oltre l’ampia finestra della sala, irradiando i presenti di luce dorata.
Damon era avvolto da quei fasci dorati e per un attimo ebbi paura che il sole lo scottasse, che si trasformasse in fiaccola vivente lì in mezzo a tutti noi, prendendo fuoco e tramutandosi in cenere.
Fui ben grata a Bonnie per il suo incantesimo all’anello, a quell’anello che era stato creato dalla sua antenata quando era divenuto vampiro la prima volta, che era stato trasformato dalla mia amica quando aveva ottenuto nuovamente la sua umanità e che adesso neutralizzato il nuovo incantesimo continuava ad esercitare la sua funzione primordiale.
Eppure il pensiero di Damon impotente di ritornare nel mondo dei vivi una volta morto angosciava i miei pensieri.
In quel momento alzò lo sguardo e mi rivolse un sorriso genuino, uno di quelli che mi aveva regalato nelle ultime settimane quando ormai il Damon vampiro era solo un ricordo. Ma in fondo ero consapevole del fatto che quel sorriso, quei suoi sguardi, quei suoi modi di fare non erano diversi da quelli compiuti quand’era umano e quand’era vampiro. Dovevo cercare di mettermi in testa che io amavo Damon, non l’umano, non il vampiro…semplicemente lui, con i suoi pregi e i suoi difetti.
Ad un tratto l’occhiata serena si tramutò in orrore. Gli occhi bluastri si striarono di rosso e le increspature agli angoli delle palpebre si rizzarono come il pelo di un gatto.
C’era qualcosa che aveva scatenato quella reazione di terrore in Damon e quel qualcosa era proprio alle mie spalle.
Fu solo un secondo e Michelle si ritrovò con un paletto conficcato in pieno petto: né il cuore, né i polmoni erano stati alterati, il legno si era piazzato all’interno della trachea e saldato al pavimento.
Al suo fianco Liam, il soldato di Drake, osservava ancora la sua vittima agonizzante.
Damon si precipitò, con il pugno ben parato pronto per sferrare un colpo al mezzo vampiro il quale, molto più veloce e agile, evitò facilmente il colpo del vampiro e lo disarmò con un calcio del paletto di legno di cui si era munito.
“Non sei tu il pazzo della dichiarazione d’amore? Vuoi forse fare altre scenate?” chiese e i radi peli neri sulla sua guancia sembrarono torcersi insieme al suo sorriso.
Colin intanto era sgusciato via e con passo da ghepardo arrivò ai piedi della sorella estraendo il paletto ma tutto ciò fu inutile: l’arma – metà di legno, metà di metallo - era congegnata per spezzarsi quando si sarebbe osato sfilarla.
Le urla della povera Michelle gorgogliavano nella gola di Colin.
“Michelle, proverò ad estrarlo ma tu devi stare ferma” buttò Colin nonostante la voce gli tremasse e gli occhi fossero accesi da apprensione.
Colin, che era sempre stato calmo e di sangue freddo, adesso stava tremando di paura, non sua ma per quella di sua sorella.
Le labbra della mezza vampira erano impregnate di sangue così come le guance erano rigate da profonde lacrime.
I suoi muscoli si contorcevano mentre le mani del fratello tentavano di estrarre la restante metà dell’arma.
“Ma fa male!” cacciò un urlo e la voce da squillante cominciò a farsi rauca e sempre più flebile.
Non c’era modo di prelevare la lastra di legno e metallo incastrata per bene al pavimento.
Questione di minuti e Michelle sarebbe morta per una causa del tutto naturale: dissanguamento. La sua metà umana avrebbe avuto la meglio.
Damon si dibatteva, spintonava il mezzo vampiro cercando di arrivare il prima possibile accanto a Michelle. Che in fin dei conti provasse davvero qualcosa per lei? No, la verità era che il suo sangue così come gli aveva donato la vita gliel’aveva tolta trasformandolo nuovamente in un vampiro. Era metà del suo sangue quello che era riuscito a rievocare la sua natura di vampiro assopita in lui. Perché così come me, in fondo, glielo doveva.
“Michelle non piangere” balbettò Colin con la voce rotta dal pianto e il naso leggermente gocciolante, con le mani sporche di sangue che si accingevano ad accarezzare le guance della sorella.
“Scusa per quello che ho fatto a mamma e papà, abbiamo perso tutt’e due i genitori in una volta sola” gracchiò con gli occhi grigi striati appena di nero, un nero scuro, profondo ma che non incuteva timore, occhi che sapevano guardare lontano e che mostravano cicatrici di inchiostro. Anche Frederick aveva avuto gli occhi neri.
“Diglielo Colin, che lo sappia prima di morire” borbottò Jim dallo sguardo torvo e al contempo afflitto: odiava veder morire i suoi commilitoni.
Osservai che Colin non era il solo scosso da singhiozzi, anche le mie spalle sussultavano mentre gli occhi mi pungevano e anche Nicole, seppur non l’avesse conosciuta prima, piangeva come se lì per terra ci fosse stata la sua di sorella.
“Quando papà ti ha detto che non era tuo padre in realtà voleva dire-” snocciolò Colin con gli occhietti stropicciati e il naso arrossato per il pianto ma venne interrotto da un sibilo di Michelle che voleva indicare di fare silenzio.
“Non importa. Quel giorno tu hai perso un padre e una madre, io solo due persone a cui volevo molto bene”
Le guance erano quasi del tutto scarne, gli occhi cerchiati da chiazze bluastre, lo sguardo lucido e febbricitante.
Damon aveva incassato un paio di colpi e altrettanti ne aveva dati a Liam.
“Era un disertore, non si poteva fare altrimenti” mormorò e quasi pensai di intravedere in quelle parole impastate una linea flebile di dolore e di tristezza.
Colin respinse le lacrime che già erano cadute a sufficienza sul corpicino della sorella, e con la fermezza che ritrovò per pochi minuti le aggiustò la bandana e i capelli impiastricciati di sangue, le sistemò l’unico orecchino e le collane dalle mille piume colorate schizzate oramai di rosso.
“Stai per tornare a casa, Michelle” mormorò all’orecchio di Michelle lasciandole una piccola goccia salata sull’occhio destro semisocchiuso.
Michelle esalò l’ultimo respiro. L’agonia stava per finire.
Con le ultime forze aprì gli occhi e il suo sguardo sembrò soffermarsi in un punto ben definito, oltre il lampadario, oltre il soffitto e il tetto…c’era il cielo tinto del rosso del tramonto. E a Michelle piaceva tanto il rosso.
Mi lasciai inghiottire in una voragine che durò pochissimi secondi. Avevo paura, paura sino alle punte delle unghie. La possibilità che la Triade potesse eliminare qualcuno di noi oramai si era tramutata in certezza.
“Era il nostro miglior soldato” sbraitò Liam fuori di sé dalla rabbia e i suoi occhi sembrarono lucidi, teneri alla vista del corpo di Michelle. In fondo anche loro avevano perso un degno combattente.
La rabbia furibonda imperversava negli occhi di Damon così come in quelli di Colin, ormai del tutto privi di lacrime, lucidi solo di voglia di vendicarsi.
Quegli sguardi assassini erano rivolti tutti contro il sorriso ironico di Gwen, la quale con il rossetto appena sbavato e solo qualche ciocca di capello fuoriposto osservava i presenti.
Ma a nostra grande sorpresa non fu lei a rompere il silenzio.
“Chi è il prossimo?”
E Chris ci rivolse un’occhiata raggelante: non ci sarebbe stata una sola vittima.

***

Buonsalve carissimi,
dopo una stupenda estate torno a rompervi le scatole con questa never-ending story u.u Ebbene si, con il prossimo capitolo in fase di stesura siamo arrivati a ben 30 suonati capitoli (più il prologo e l'extra) Tranquille l'agonia sta per finire, al massimo altri cinque capitoli e tutto finirà, promesso. Dunque iniziamo subito con la trasformazione di Damon. So che molti di voi avrebbero preferito che Damon rimanesse umano anche perchè Elena era proprio per questo che si era innamorata di lui e invece adesso sta lottando con se stessa per accettare questa versione di Damon che prima non riusciva a sopportare. Era necessario che vi fosse un altro vampiro nel gruppo o se no sarebbero stati spacciati. Elena nel prossimo capitolo capirà molte cose e alla fine prenderà una decisione drastica che segnerà la fine del suo conflitto interiore e che porterà alla morte (si avete capito bene) morte di un altro personaggio. Come ha detto Chris "Chi è il prossimo?" a voi la più libera immaginazione.
Ci tengo a dirvi che non sono sadica e non li uccido per il gusto di farlo ma perchè ogni morte è la causa di un particolare evento che ne causerà un altro. La morte stessa di Michelle ha fatto in modo che Colin reagisse e allo stesso tempo fare aprire gli occhi ad Elena&Co. della crudeltà della Triade.
Michelle è stata come un messia per gli altri mezzi vampiri e ha spinto i suoi compagni a combattere per un motivo in più. La si può vedere come un'eroina e spero che questa sua morte l'abbia riscattata da ciò che aveva fatto in passato perchè sinceramente lei non aveva alcuna colpa.
La scena Stelena mi è sembrata doverosa aggiungerla perchè ancora non si erano chiariti del tutto e Stefan da saggio vampiro ha capito che per quanto avesse lottato lei voleva Damon e quindi si è messo da parte.
Per il prossimo capitolo non vi anticipo nulla di più, solo che ruolo centrala di tutta la vicenda l'avrà la magia e il cimitero che avevano visto nelle prigioni. Che ci sia qualcun'altro dietro tutto questo?
Grazie mille per quelle pochissime recensioni, mi piacerebbe sapere però di più la vostra opinione.
un bacio,
Sil

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Capitolo 32
*** 30- YOU OWE ME A FAVOR, MATE! ***


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30- YOU OWE ME A FAVOR, MATE!
 

Lo sguardo di Chris ci inchiodò al pavimento e mi resi conto che la loro sete di sangue non era stata ancora placata. Chi sarebbe stato il prossimo? Chi aveva osato infrangere le regole da loro dettate? In fondo tutti eravamo consapevoli di essere potenziali vittime, eppure i mezzi vampiri di fronte a noi sembravano avere un’idea ben precisa di chi uccidere.
D’un tratto Nicole si accasciò al suolo artigliandosi il ventre e lo stomaco, brontolando conati di vomito che tuttavia non riusciva ad espellere.
Gli occhi allarmati di Jim la seguirono lungo tutto il suo tragitto che si concluse con il tonfo sordo della mezza vampira sul pavimento rigido.
“Nicole” biascicò il biondo che si precipitò a reggere le esili spalle di Nicole, incurante delle mani incrostate di sangue che andavano a disegnare macchie rossastre lungo tutto il braccio di lei.
“Che cos’ha?” mugugnò Colin facendo scontrare le proprie sopracciglia ramate le une con le altre e lanciandomi uno sguardo che, più che curioso, sembrava indagatore di una qualche verità di cui era già a conoscenza.
Nicole aspirò una boccata d’aria per poi strozzarsi con l’ennesimo rigurgito di bile mista a sangue che le otturava l’esofago impedendole di respirare. Ma non era quello il vero problema. Era un male che proveniva dall’interno, che la divorava dalle viscere del suo stomaco, un dolore sempre più insistente che le trapanava il ventre.
La mezza vampira continuò a massaggiarsi la pancia tentando di reprimere le numerose fitte che le storpiavano il viso.
Gli occhi rossi di pianto e grigi per natura rintracciarono i miei, ma questa volta non per punirmi o per mortificarmi: era una richiesta di aiuto a cui non potevo non rispondere.
Il rosso accanto a me strattonò una ciocca dei miei capelli per attirare la mia attenzione. Sentì il breve tocco delle sue dita a cingere i capelli annodati e la lieve pressione susseguitasi all’altezza del mio elastico, ma i miei occhi continuavano a dondolarsi tra l’immagine di una Nicole verdognola e al limite dallo svenimento e gli occhi turbati della Triade la quale più che infastidita dall’imprevisto sembrava semplicemente curiosa di scoprire quale male fosse capace di infliggere tanto dolore a uno dei nostri.
“Non lo so” balbettai decidendomi a rispondere alla domanda di Colin ma l’effetto che ebbe fu del tutto diverso. Le mie parole apparsero vuote, prive di significato quando una semplice occhiata sbilenca del rosso mi fece capire che eravamo dei bugiardi entrambi.
Lo sapevo, eccome se lo sapevo.
“Sto bene, Jim!” arrancò Nicole rimessasi dagli accenni di vomito e piegandosi malamente sulle ginocchia per rimettersi in piedi mentre con le mani si sistemava la massa di capelli color mogano sulla camicetta sporca e logora.
“No che non stai bene. E in qualità di tuo comandante ti obbligo ad abbandonare la lotta se non mi dici sull’istante che cos’era quel malore”
Jim la superò con la sua stazza da circa due metri e gli occhi di ghiaccio sembrarono voler imprimere quella misera autorità militare che aveva ricevuto durante la vita alla Cascina.
I due amanti si guardarono in cagnesco per un istante di tempo che parve interminabile, con un’intensità pari ad un loro bacio lungo ed appassionato.
Si sarebbero menati se non vi fossimo stati noi ad assistere al loro litigio.
“E’ incinta, idiota”
L’impatto di quelle parole fu tale che per un attimo rimbombarono contro i miei timpani, indecise se radicarvi all’interno o se uscirne.
I volti dei presenti si voltarono tutti verso la fonte di quelle parole.
Le ampie spalle di Damon erano l’unica parte visibile e solo il lento e regolare respirare davano l’idea che fosse ancora vivo e non si fosse tramutato in qualche statua o essere privo di parola o espressione. Il volto di Damon, con le sopracciglia nere corrucciate e congiunte all’altezza degli occhi, rimaneva un mistero.
Lo immaginai con la vena sulla tempia destra pulsante così come avevo imparato a scorgerla in lui nei momenti di difficoltà, gli occhi ancora fissi e puntati su Gwen, progettando chissà quale vendetta atroce nei suoi confronti, e le labbra strette in modo da reprimere un profondo disgusto per la surrealista situazione in cui ci eravamo imbattuti.
Quelle erano le caratteristiche di un Damon di cattivo umore, con il quale, volente o nolente, avevo imparato a conviverci.
Gli occhi vitrei di Nicole si rispecchiarono in quelli abbastanza trasparenti di Jim il quale con accesa ira schioccò la lingua prima di scaraventarsi a velocità supersonica di fronte alla figura granitica del maggiore dei Salvatore.
Il biondo fu pronto a far atterrare il suo gancio destro sulla mascella del vampiro, ma la lingua di quest’ultimo fu più veloce di qualsiasi altro pugno.
“Conviene che sia tuo il moccioso, perché non vedo a chi potrei dare la colpa della nostra morte” gli sputò contro con quanta amarezza avesse in corpo.
E di quelle parole così cariche di ribrezzo non poté che apparirmi ben chiara la parola morte.
Non la sua, questo lo avevo intuito.
Ma la mia imminente morte che lui non avrebbe in alcun modo saputo evitare. La rabbia e l’elevato tasso di acidità scaturiva solo da questo.
Come se fosse stato in grado di leggermi nei pensieri mi rivolse un’occhiata fuggevole carica semplicemente di un’indifferenza acuta tale da farmi perdere ogni briciolo di autostima in me.
Stefan scosse la testa cercando di intrufolarsi tra l’energumeno e suo fratello così da porre fine ad un eventuale litigio che sarebbe potuto scoppiare di lì a poco.
In tutto quel frangente Nicole, fiera e colma di orgoglio fino alla punta dei capelli, non aveva mosso un singolo muscolo, rimaneva ancorata al suolo con lo sguardo ancora arcigno e i denti semi scoperti mentre una mano cascava sul ventre ancora prevalentemente piatto, ma che si accingeva a gonfiarsi debolmente.
Più che teneramente poggiata, la sua mano sembrava nascondere quel misfatto illecito quasi come se, effettuando una minima pressione, quel debole gonfiore potesse scomparire e cancellarsi del tutto.
Dopotutto le sue intenzioni erano state ben chiare nel bagno dell’aeroporto quando accidentalmente le era scivolato dalla borsa quell’unico oggetto che attestava la sua irrimediabile condizione. Mi aveva fatto giurare di non dirlo a nessuno e quel pensiero era diventato così piccolo da essere una minuscola bollicina tra le mille idee che friggevano nella mia testa.
Ma a quanto pare non ero l’unica custode di tale segreto.
Colin si sporse oltre il mio braccio per osservare la scena, ma aveva già perso interesse nell’assistere all’ennesimo battibecco di Jim e Nicole. Più che altro lanciava occhiate guardinghe alla Triade che sembrò rianimarsi alla notizia di un nuovo ospite indesiderato.
Il rossetto intatto di Guinever sembrò stropicciarsi appena e lasciare spazio al bianco dei suoi denti.
“A quanto pare Jim hai intenzione di mettere su famiglia” insinuò con leggiadria e le sue parole furono seguite da un debole risolino di Chris e da una risata sguaiata di Drake.
Non vi fu alcun ordine da seguire o segnale comune con cui doverci accordare. Nella mente di tutti i presenti balzò l’idea che lo scontro doveva continuare e che la tregua momentanea si era conclusa.
Una sferzata di vento gelido e ritrovai i corpi dei miei compagni ammassati nella lotta, in un groviglio di fauci spalancate e calci ancora da scoccare.
Non ricordo se fossero le mie orecchie ormai traumatizzate dagli infiniti colpi o il cozzare dei colpi sferrati dai mezzi vampiri a produrre il suono lugubre del martello picchiante un’incudine.
“Stefan, qui!” gridò una voce che poco più tardi capì essere quella di Bonnie. Quasi contemporaneamente mi ritrovai con le gambe in aria, non più toccanti il terreno sottostante, e la mia prospettiva cambiò di molto.
Le mani che fino a pochi secondi prima cascavano libere lungo i miei fianchi adesso erano strette contro il mio petto da altre braccia più forti che mi trattenevano impedendomi di muovermi.
Ebbi l’istinto primordiale di sgusciare via da quelle mani, dopotutto avevo ancora il mio paletto nella tasca posteriore dei miei pantaloncini: in un solo scatto avrei potuto prenderlo e conficcarlo nel cuore del mio aggressore.
“Calmati, Elena, siamo noi” annunciò con fare affrettato Bonnie la quale mi concesse un’occhiata fuggevole sotto la fronte madida di sudore mentre la cascata di ricci neri mi faceva prudere il naso per la loro estrema vicinanza.
Ma la stretta non accennava a diminuire.
Poi un soffio flebile mi solletico l’orecchio destro.
“Ora ti lascio andare, ma tu metti le tue mani sulle spalle di Bonnie.”
Avrei riconosciuto la sua voce fra mille.
Roteai gli occhi all’indietro per poterlo vedere meglio in viso. Stefan premeva il suo torace contro le mie spalle e sentii le mani più libere e in grado di muoversi nonostante fossero ancora imprigionate in quel suo strano abbraccio.
“Dov’è Colin?” sussurrai provando una profonda angoscia nel non scorgere più accanto a me la chioma rossiccia del mio amico.
Notai che i miei piedi non erano più poggiati sul parquet dello studio ma si erano spostati su un ripiano più elevato quella che a occhio e croce doveva essere una scala, dai gradini ampi e ricoperti di uno strano tappeto verde bottiglia.
Lo scontro stava avvenendo in basso e da lì proveniva un gran fragore di marmi lacerati e sibili pari a quelle di una tonnellata di bombe a mano.
Non seppi come e quando ci spostammo così velocemente in un’altra sala – forse adiacente a quella dello studio. Quell’albergo dalle numerose stanze e cunicoli e dalle gradinate inaccessibili risultava essere un perfetto labirinto, tutt’ora a me sconosciuto.
Voltai di scatto la testa a destra e a sinistra come in una ricerca febbrile di qualcosa che avevo perso.
Avevo perso parte della mia lucidità e questa adesso mi giocava brutti scherzi.
“Colin, Colin..” continuavo a mugolare e ad ansimare mentre il contatto con il vampiro mi provocava brividi di eccitazione mista a terrore.
Stefan mi strattonò per un braccio e mi fece scontrare con il suo petto. Ma anziché in un abbraccio, intrappolò la mia testa tra le sue mani imponendomi il contatto visivo.
“Elena! Smettila! Ci sono delle vite da salvare! E noi siamo gli unici in grado di aiutare Bonnie in questo incantesimo! Ok?”
I suoi occhi verdi mi riempirono di un senso profondo di tranquillità e sentii la testa svuotarsi da tutta quell’insensata paura e sensazione di sconforto.
Annuì debolmente e mi voltai non appena sentì le sue mani sulle mie scapole. Di conseguenza poggiai le mie anche su quelle di Bonnie.
Mi sentii trapassare da un’elettricità quasi invisibile, la stessa che avevo sentito pochi mesi prima a casa Salvatore quando la strega mia amica ci aveva mostrato l’incantesimo contro i mezzi vampiri.
Sentivo confluire la mia essenza e quella di Stefan tutta nelle mie mani per arrivare forte e chiara nella mente di Bonnie. Stava canalizzando la nostra energia.
Non potei non pensare all’intensità e alla potenza dell’unione di queste due essenze, vampira e umana: che anche la chimica presente tra me e Damon fosse più forte adesso rispetto a quando eravamo entrambi umani?
Mi concentrai sullo scontro cercando di localizzare tra le masse di immagini sfocate quella di Damon.
Lo individuai anche se a fatica e lo trovai impegnato in un duello con Liam, il mezzo vampiro che aveva ucciso Michelle.
Era un conto in sospeso che doveva assolutamente concludere com’è vero che si chiamava Damon Salvatore.
Liam, dalla quantità di sangue e ferite ancora aperte, dubitava a rialzarsi ai continui calci di Damon. Poi il Salvatore, con gesto quasi plateale, lasciò intravedere il paletto al suo nemico e con un mezzo sorriso gli trapassò il cuore, gorgogliando una sua qualche frase lapidaria di cui non riuscii a sentirne i dettagli.
Damon ebbe solo il tempo di pulirsi con il dorso della mano il grumo di sangue che continuava a scendergli dal naso, quando l’ombra imperturbabile di Christopher si gettò contro di lui.
“No” queste parole sgorgarono violentemente dalla mia bocca e per un attimo la connessione magica venne interrotta.
Chiusi gli occhi e quando li riaprii trovai la figura di Christopher sbalzata a pochi metri da noi e di fronte Jim.
“Amico, mi devi un favore” disse il biondo strizzando l’occhio al Salvatore che si limitò a ringraziarlo con un debole cenno del capo.
D’un tratto la sala si fece silenziosa e le figure prima dinamiche smisero di muoversi e di vorticare velocemente, riassumendo i loro contorni definiti.
Stefan mormorò un no appena accennato e dal suo tono mi costrinsi a soffermare lo sguardo su ciascuno dei presenti.
Guinever, con i capelli che le ricascavano molli e scomposti sulle spalle dopo uno scontro estenuante con Colette, tratteneva quest’ultima per il colletto della camicetta mentre con l’artiglio sinistro sgualciva il tessuto all’altezza del cuore creando così un alone rosso acceso.
Le due mezze vampire si guardarono in cagnesco. Negli occhi di nessuna delle due sembrava manifestarsi un briciolo di umanità. In fondo guardandole per bene sembravano essere quasi sorelle: il medesimo sguardo fiero ed inorgoglito a caratterizzarle il viso, lo stesso passato traumatico e da cui era impossibile sfuggire, entrambe amanti uomini che un tempo erano stati come fratelli.
Avevano più cose in comune loro che tutti i presenti in quella sala compresa me. Mi accorsi della situazione solo quando Jim avanzò di qualche passo pronto a riprendere la lotta.
“Azzardati a muovere un alto passo e puoi dirle addio” ringhiò Gwen stringendo di più il cuore della mezza vampira tra le sue grinfie e arricciando il labbro superiore rigonfio e sporco di sangue.
Jim si bloccò istintivamente, impotente e al tempo stesso indiavolato.
Le sue mani tremavano mentre i finissimi fili biondi gli ricadevano lungo le guance.
Gli occhi di brace sembravano voler trucidare ogni presente e magari forse anche la sua Colette.
Chris si alzò dal pavimento, scrollandosi di dosso alcuni cocci delle mattonelle in frantumi, si ripulì per bene gli abiti dalla polvere e si svoltò ancora di più le maniche della camicia leggermente lineata da qualche goccia di sangue.
Fece passare una mano tra la massa di capelli color dell’ebano, anch’essi particolarmente lunghi, per poi sbuffare sonoramente, richiamando così l’attenzione del biondo.
“E’ arrivato il momento di fare i conti, amico” incominciò Chris e incasso pienamente l’occhiata omicida di Jim.
“Non vedi che sono occupato a uccidere la tua amica?” latrò il mezzo vampiro il cui sguardo si muoveva veloce fra lei e lui.
Sul viso di Chris comparì un sorriso amaro che non preannunciava nulla di buono.
“Battiti con me. Sappiamo entrambi che solo uno di noi due è in grado di uccidere l’altro. Combatti. Se sarò io a morire lei la lascerà andare, in caso contrario-” e non terminò la frase nonostante il significato fosse stato compreso da tutti.
Gwen storse il naso, non soddisfatta dalla proposta del suo collega.
“Se sarai tu a uccidere Chris io ucciderò la ragazza, se invece sarai tu a morire la lascerò viva” propose la mezza vampira negli occhi della quale aleggiava un lieve sentore di paura. Tra il grigio liquido dei suoi occhi, oltre la famelica crudeltà c’era anche qualcos’altro, forse preoccupazione nei confronti di Chris.
“Sta bleffando! Non le credere, Jim, e uccidilo!” sbraitò Nicole e inchiodò con i suoi occhi grandi e grigi quelli piccoli e spiritosi della mezza vampira dietro la sua faccia da poker.
Jim schioccò la lingua e corrugò la fronte rivolgendo un’occhiata torbida in direzione di Christopher che con un sopracciglio inarcato attendeva la risposta del suo vecchio compagno.
“Ti sono sempre piaciute le conclusioni in grande stile” borbottò Jim lisciandosi la peluria appena accennata della guancia destra.
Chris si aprì in un sorriso radioso seppur carico di tensione e isterismo.
“Sai bene che ciò che inizio-” disse, ma la voce di Jim lo interruppe bruscamente.
“-lo devi pure portare a termine”.
Le parole del biondo privarono Chris del mezzo sorriso che era riuscito a dipingere sul suo volto. Sapeva che quella frase era un’allusione bella e buona alla loro amicizia.
In effetti guardandoli bene era impossibile comprendere come quei due esseri così diversi avessero potuto stringere un legame di amicizia così saldo. Chris, con i suoi modi raffinati e sublimi, le sue buone maniere e il suo senso d’onore, stava poco più sotto della spalla di Jim, imponente nella sua stazza e dai modi impulsivi e a volte anche animaleschi. Eppure in qualche tempo lontano si erano compensati, avevano avuto interessi che avevano condiviso con estrema gelosia, si erano affidati l’un l’altro fino a che il loro legame non era stato reciso.
“Senza rancori?” accennò il componente della Triade sistemandosi i ciuffi corvini dietro le orecchie.
Jim sorrise beffardo.
“Ci puoi scommettere, amico” disse e a quelle parole gli occhi grigi di Gwen si pietrificarono e dalle sue labbra tremolanti fuoriuscì un mormorio smorzato: anche lei, sotto la sua maschera di granito, veniva sopraffatta dalle emozioni.
In seguito le figure di Jim e Chris si videro solo a scatti, come fotogrammi spezzati e visti in una sequenza anomala. Ad ogni battito di ciglia erano negli angoli più disparati della sala, nessuno avrebbe potuto capire chi dei due avesse la meglio, era uno scontro alla pari.
“Bonnie a che punto è l’incantesimo?” chiese Stefan dietro di me e le sue parole mi riportarono alla realtà.
Bonnie scosse violentemente la testa e i suoi riccioli mi sferzarono in viso inquietandomi prima ancora di conoscere la risposta.
“C’è qualcosa- che mi blocca” disse a denti stretti mentre sentii aumentare la presa di Stefan attorno alle mie spalle.
Feci la stessa cosa su quelle di Bonnie sperando che la connessione fosse più sentita e quindi più potente.
La mia amica cominciò a tremare e le ginocchia sottili traballavano, ma per quanto la sua mente si stesse sforzando non vi erano risultati concreti del nostro incantesimo.
Poi nella mia testa cominciò a sobbalzarmi un’idea.
“Bonnie, in che senso qualcosa ti blocca?” chiesi, ma un tonfo sordo proveniente alla mia destra, urtando violentemente l’orecchio, mi fece voltare ad osservare la scena.
Strizzai gli occhi per vedere bene e ciò che si presentò ai miei occhi fu una voragine che si estendeva a pochi passi da noi e che aveva portato con se alcuni gradini della sontuosa scala. L’inferriata che fungeva da passamano era parzialmente divelta e solo in quel momento mi accorsi del fischio insistente che si originava dal mio orecchio. Evidentemente durante l’urto qualcosa era andato a sbattergli contro.
Continui fragori continuavano a susseguirsi sul piano sottostante mentre Damon e la furbesca figura di Colin lottavano contro loro stessi nell’intervenire o meno, tenendo sotto controllo Gwen e Nicole.
Mi scoprii improvvisamente più libera e avvertì la mancanza del contatto con Stefan e Bonnie.
Mi voltai indietro nonostante l’orecchio malconcio non mi desse molta possibilità di equilibrio.
Stefan ed io aiutammo Bonnie, che durante l’urto era stata sbalzata indietro, a sollevarsi da terra e a poggiarsi alla parete.
Provai nuovamente con la mia domanda.
“Chi è che ci ostacola?”
La strega corrugò la fronte e chiuse gli occhi lottando mentalmente contro la forza esterna che le impediva di svolgere il suo importante rito magico.
Tentò, ricadde, si ricompose e di nuovo le sue sopracciglia si tesero come corde di violino.
“Non lo so, ma è qualcosa di potente…è come…”
Bonnie si sforzò di trovare la parola adatta che già si era configurata nella mia mente.
Non era un caso che l’albergo sorgesse sopra le rovine di un’antica città contenterete un cimitero altrettanto antico, che le tombe fossero sature di un legame a dir poco sovrannaturale, che la Triade avesse acquisito col tempo il dominio parziale di alcuni incantesimi efficaci e fossero padroni loro stessi di magia.
Essi non erano altro che rami sottili che nascondevano delle radici ben più robuste ed estese.
In altre parole, se la mia teoria non fosse stata errata, Bonnie non era l’unica strega in quella struttura.
Fissai lo sguardo su quello della mia amica.
“Magia. Qui sotto sorge un cimitero, prova ad attirare energia da lì” le consigliai quando i miei occhi furono catturati da quelli raggelanti di Guinever: avrebbe tentato di incendiarci vivi se solo avesse potuto.
Dalla fronte contratta e i canini traslucidi che fuoriuscivano dalle labbra arricciate era evidente che stava provando ad effettuare un incantesimo di ritorno, ma i suoi risultati come i nostri furono nulli.
Che la magia fosse stata realmente bloccata da qualcuno?
Il contatto visivo di Gwen si interruppe a causa dell’intervento di Damon che, approfittando della banale distrazione della mezza vampira, era riuscito a immobilizzarla e a far allontanare Nicole che a suo malgrado fu sbalzata nella parete opposta, cozzando violentemente la schiena e perdendo i sensi, seppellita da un cumulo di macerie.
Jim e Chris si bloccarono e i loro occhi si rivolsero a Damon le cui dita erano attorcigliate attorno il sottile collo della mezza vampira dagli occhi fiammanti d’ira.
“Andiamo, Jim. Ti decidi a ucciderlo?” sbuffò il Salvatore con aria temeraria mentre il biondo guardava cinicamente l’amico curarsi il graffio sulla guancia sinistra.
E inspiegabilmente Chris sfoderò un sorriso bello, da togliere il fiato e la sua risata cristallina lo rese impeccabile e neanche degno di tutto quel sangue che le sue mani recavano.
“Che hai da ridere?” sputò Jim senza nascondere però il suo apparente divertimento dovuto alla risata contagiosa di Chris.
Il mezzo vampiro si accinse a spiegare.
“Quando le nostre strade si sono incrociate per la prima volta, la prima cosa che hai fatto è stato ridermi in faccia”
Il biondo a quel ricordo strinse le labbra e fece spallucce, un gesto molto semplice ma che sembrò richiedergli un grande sforzo.
“Una risata non è un cattivo modo per iniziare un’amicizia” provò a rimediare atteggiandosi da spavaldo quando era evidente che aveva il cuore gonfio di amarezza e malconcio per i tanti colpi ricevuti e incassati.
“Ed è senz’altro il modo migliore per troncarla” rincarò la dose Chris il quale si avventò su Jim inchiodando il suo corpo al pavimento mentre con sottile ironia lo sovrastava preparandosi a sferrare più colpi possibili.
Jim incassava i pugni, sputava sangue e deglutiva amarezza senza reagire, senza trovare modo di risollevarsi e di tornare a combattere.
Il viso era sfrangiato da una serie di graffi e rivoli di sangue continuavano a scendere lungo il labbro, la narice e la tempia.
Gli occhi grigi puntati in alto a localizzare forse qualche meta lontana: il dolce ricordo di Nicole, la vita trascorsa alla Cascina, gli anni al servizio di Freddie, il nome del bambino di cui era padre.
Per un attimo ebbi l’impressione di assistere alla stessa scena di solo poche ore prima. La morte di Michelle ci aveva lasciati spiazzati e tremanti come foglie davanti al nemico, ma così come foglie secche siamo stati in grado di alimentare un grosso incendio. Dipendeva da noi l’esistenza di quel fuoco o meno.
Poi accaddero due cose contemporaneamente.
I pugni di Christopher diminuirono fino a diventare lievi carezze in quei punti dove la mano aveva calcato un po’ più forte; gli occhi grigi e fluidi fino a prima carichi di ira adesso sembravano essere distillati e più limpidi di qualsiasi cielo estivo.
Se non fossimo stati al coperto probabilmente Jim avrebbe potuto sospettare che quelle che calavano dall’alto non erano lacrime ma gocce di pioggia tanto erano fredde e umide.
Chris estrasse il paletto dalla cinghia dei pantaloni di Jim e dapprima ne esaminò la fattura come un grande esperto in materia, dopo lo fece roteare tra le sue mani forse per capirne la consistenza.
Intanto dall’altro lato della sala Gwen si era divincolata dalla stretta ferrea di Damon e con ferocia stava per compiere un balzo per atterrare il vampiro così come fa una pantera con la sua preda. Damon era alle prese con Drake, giunto in soccorso della compagna e cogliendo il Salvatore alla sprovvista.
Due contro uno. Una lotta impari.
Damon spalancò le fauci tanto da far rimbalzare indietro la mezza vampira ma prontamente Drake lo immobilizzò incassandogli la testa tra le ampie braccia e facendo una lieve pressione sul collo mentre con le mani libere gli teneva le mani dietro la schiena.
“Occhi belli, non si scherza con la Triade” lo rimboccò Guinever e con gli artigli ben affilati era già pronta a scavargli le viscere e a strappare via dal petto il cuore di Damon – il cuore che avevo così tanto amato.
Per un attimo desiderai che lo facesse, che penetrasse in lui e che ghermisse il suo cuore così da vederlo pulsare, vivere tra le mie mani. Ma quell’immaginario macabro era frutto di stanchezza mista a terrore. Come avrei mai potuto amare un cuore se questo non era più in Damon? Perché è vero che non batteva più, ma i suoi silenzi avevano parole molto più vere di quegli degli umani.
Mi slanciai verso il passamano per affacciarmi e i capelli mi oscillarono violentemente contro le guance.
Un urlo. Solo un urlo sarebbe bastato.
E invece non fu l’urlo a salvarlo.
Il paletto, di lama e di legno, che con tanta cura aveva ispezionato lasciando tutto il tempo al compagno di riassestare le ferite, i lividi e i graffi, adesso stava conficcato in profondità nel cuore di Christopher.
Jim, il cui corpo stava ancora inchiodato al pavimento, osservava la scena attonito, il suo viso una maschera indecifrabile.
Come Christopher si sia ritrovato il paletto piantato proprio tra i due atri e i due ventricoli del suo cuore questo nessuno lo vide con certezza.
I presenti restammo così sconcertati da quel gesto così imprevedibile da udire perfettamente il rumore di passi che si avvicinavano da chissà quale aula lontana.
Christopher si alzò in piedi permettendo così a Jim di muoversi e di riacquistare le sue capacità motorie nonostante lo sconcerto gli avesse raggelato le gambe.
Il mezzo vampiro dai capelli castani puntò lo sguardo in direzione dei suoi colleghi rimasti attoniti così insieme a Damon.
Gli occhi di ghiaccio della mezza vampira si fecero liquidi di fronte a quelli di Chris.
“Vedi, Guinever. Sei e resterai sempre l’ultima a sapere le cose” rantolò sputando un po’ di sangue prima di crollare definitivamente contro il pavimento in marmo.
Jim si precipitò a raccogliere il corpo ormai esanime dell’amico i cui occhi castano chiaro sprigionavano una limpidezza indicibile.
Jim dal viso lurido e sporco di sangue tentava di maneggiare con le sue mani grandi il corpo fragile e sottile dell’amico di un tempo, che era stato disposto a sacrificare la propria vita pur di non ucciderlo. Che era vissuto da traditore, ed era morto da ribelle.
“No, no. Dimmi che non sei morto. Non puoi essere morto!”
La furia e l’angoscia di quelle parole si mescolarono ai singhiozzi sommessi di Guinever la quale come impietrita si era accasciata al suolo, tremante e in preda a spasmi convulsi che la facevano apparire così piccola e debole in confronto a tanto dolore.
I capelli le ricascavano pesanti e mossi sulle scapole candide fasciate dallo stesso vestito rosso che adesso sgraziatamente pendeva da un lato mentre dall’altro era scucito e mostrava abbondanti porzioni di pelle, sottile e raggrinzita come carta velina.
Gli occhi, prima sottili e felini, adesso erano grandi e colmi di lacrime che solo lei sapeva da quale parte del suo essere malvagio potessero provenire.
Amava, amava e aveva amato e dopo tutto questo tempo ancora non aveva capito che per quanto potesse amare la sua colpa e il suo peccato erano troppo grandi in confronto al suo infimo sentimento.
Si era staccata a morsi e ora si riaggiustava da sola. Rimise insieme i cocci, uno per uno. Così, con un cambiamento repentino di umore, tornò ad essere fieramente la predatrice che da sempre era stata, accantonando per un attimo il dolore e trasformandolo in furia.
Si abbatté su Damon, ancora paralizzato dalle braccia di Drake, per completare l’opera che prima non era riuscita a compiere.
Stefan avrebbe impiegato troppo tempo per raggiungere ed aiutare il fratello, Nicole era lontana e ancora priva di sensi, Jim si stava occupando del suo amico e non aveva alcuna intenzione di spostarsi di un solo centimetro da lui, la magia di Bonnie era stata neutralizzata e ostacolata da chissà quale forza esterna.
Era la fine.
Ciò di cui prima non mi ero preoccupata adesso si manifestava a colpi di ciuffetti rossi che tintinnavano alla leggera luce del sole che da est irradiava la stanza.
Colin, che fino a quel momento era rimasto rannicchiato in chissà quale nascondiglio, adesso era venuto allo scoperto e si accingeva a schiantarsi contro la giovane mezza vampira.
Con un abilità tipica di una scimmia si arrampicò per tutto il corpo scheletrico di Guinever, appollaiandosi sulla sua schiena e tenendo ferma la massa di capelli ondulati e la mandibola che continuava ad aprirsi addentando l’aria.
Le sopracciglia ispide corrucciate e la zazzera di capelli rossicci a sormontare la figura della mezza vampira.
Mi sentii strattonare il polso. Bonnie aveva il viso trasfigurato dal terrore.
“Si sta avvicinando” proruppe incredula e non ebbi modo di domandare chi fosse che dall’ombra una figura longilinea si protendeva verso la luce, fiera nei suoi riccioli lucidi e dalla sua camminata ancheggiante.
Stefan impallidì vistosamente e così tutti i presenti.
“La fonte di magia” concluse la strega senza che si fosse accorta della nuova intrusa.
E, paletto alla mano, con un balzo Katherine si schiantò contro Gwen.

 

* * *

Carissimi effeppiani,
Non ne potete più della mia storia lo so, ma abbiate pazienza: mancano gli ultimi due capitoli prima dell’epilogo e poi potete tirare fuori lo spumante u.u Ebbene questo è stato un capitolo decisamente movimentato che ho faticato a scrivere a causa della mancanza di tempo e di voglia e poi proprio perché era complicato. Nicole è incinta. Forse molti di voi non avevano tenuto conto degli strani malori che Colette aveva nei precedenti capitoli, per non parlare poi dell’incontro in aeroporto e di quel segreto che Elena era stata costretta a mantenere. Elena sapeva e così anche Colin, il quale da bel ragazzo che è aveva intuito già tutto. Ovviamente chi poteva essere se non Damon a spiattellare in faccia la verità al neopapà? Damon in questo capitolo è tornato un po’ il Damon menefreghista e indifferente ma è solo perché è arrabbiato con Elena e questo lo porta a reagire in questo modo. Jim ovviamente più che curarsi della rivelazione e discuterne con la diretta interessata, preferisce prendersela con il vampiro. Questo provoca però un divertimento per la Triade che è pronta a riprendere il combattimento. E finalmente entra in scena Bonnie e il maledetto incantesimo che per tutto questo tempo ha elaborato per la realizzazione del quale ha bisogno di una fonte vampira, Stefan, e di una fonte umana, Elena. Ma qualcosa blocca la magia e cosa può essere se non un’altra fonte magica? Il cimitero, la Triade che utilizza la magia porteranno tutti alla rivelazione della nuova strega infiltrata ;) Intanto la situazione si mette male e per salvare Nicole, Jim è costretto a battersi con Chris, il suo vecchio amico e lo scontro porterà inevitabilmente alla morte di quest’ultimo: la morte di Chris non è banale, ma anzi è stato un gesto volontario attuato per dimostrare a Guinever che lui non sottostà ai suoi ordini; un gesto di ribellione che lo porterà così a ricongiungersi con la sua Wendy. Ma Gwen seppur sconcertata da quel gesto non può fare a meno di piangere per l’uomo che amava e il dolore si tramuta in rabbia. E a chi riversare la rabbia se non Damon? Lo so mi direte ma sempre con lui ce l’hanno .-. E il piccolo Colin arriva in soccorso del signor Damon <3 Ma chi è la figura che si avvicina? Pensavate che non ci fosse più, invece lei c’è sempre: Katherine! Ma perché Bonnie dice che la fonte di Magia si stava avvicinando? Forse che sia lei?
Tranquilli tanto altri due e saprete finalmente come va a finire questa dannata storia u.u
Ringrazio tantissimo chi continua a recensire e soprattutto chi inizierà a leggere questa mia follia.
Alla prossima.
Sil.

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Capitolo 33
*** 31- A WITCH, A VAMPIRE, A HUMAN ***


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31- A WITCH, A VAMPIRE, A HUMAN
 

Il balzo di una pantera non sarebbe stato in grado di equiparare la grandezza del suo ingresso.
L’effetto che l’entrata in scena della vampira dai riccioli scuri e lucenti provocò su noi presenti fu immediato ed efficiente.
Dopotutto se quello era stato il suo intento principale, allora c’era riuscita sicuramente a stupirci.
Il respiro trattenuto di Stefan e la mascella contratta si erano aggiunti allo sguardo truce misto a sorpresa di Bonnie la quale aveva lasciato che le parole le morissero in gola, troppo impegnata a trattenere lo sguardo sulla figura longilinea della vampira.
Ma il più incredulo di tutti era lui.
Gli occhi blu sbalorditi e la mascella lasciata leggermente aperta di Damon sottolineavano il senso di profondo stupore che persisteva nei nostri volti stanchi e martoriati da chissà quante ore di lotta.
Un lieve fastidio allo stomaco mi fece arricciare il naso e la sala sembrò sospesa nel silenzio mentre i tacchi picchiettavano veloci sul pavimento, pronti a balzare e a scaraventarsi sulla mezza vampira dalle pupille dilatate e dalla fronte imperlata da finissime goccioline di terrore.
La collisione tra le due masse granitiche fu così intensa da far sbalzare Gwen e Colin, ancora aggrappato a lei, nella sala adiacente, dove ancora giacevano i resti della precedente battaglia.
Il rombo dello scontro rimbalzò sulle pareti e fece eco arrivando alle mie orecchie come un profondo fastidio che si trasmise dal pavimento al di sotto dei miei sandali per poi proseguire per lo stomaco e la gola.
Una lieve pressione sulla maglietta di Stefan bastò al vampiro per cingermi un fianco e sollevarmi da terra, il tempo necessario per chiudere gli occhi, scendere i gradini a velocità esorbitante e raggiungere di gran corsa lo studio dove Christopher ci aveva accolto, ormai ridotto ad un campo di battaglia.
Mi sentii disorientata dal momento che l’immagine che avevo conservato di quel luogo risaliva a poco prima che iniziasse lo scontro: non ricordavo le cataste di persone afflosciate e sparse sul pavimento come foglie secche, i divani divelti e le crepe sul muro.
Sembrava essere stata vittima di un bombardamento e questo mi fece rendere conto di quanto potesse essere distruttiva la potenza di esseri sovrannaturali come i vampiri.
Guinever era a terra: i capelli arruffati le davano un aspetto feroce e indomato. Con ambo le mani tentava di aggrapparsi al pavimento rischiando di perforarlo e di graffiarlo con gli artigli che si ritrovava al posto delle unghie. Il vestito, sebbene fosse leggermente strappato, non si era ancora macchiato di sangue e ciò le conferiva ancora un senso di ordine e di contegno. Il collo niveo era nascosto dalla mano di Katherine la quale con una giusta pressione tentava di soffocare la mezza-vampira che di rimando la guardava in cagnesco.
Ma c’era qualcosa che non andava.
Sapevamo come agisse Katherine. Il ricordo vivido di quello che aveva fatto a John tornò a bussare prepotentemente alla mia mente e, nonostante ancora la conoscessi poco, sapevo bene che, per quanto maligna e capricciosa, le piaceva far soffrire le persone per poi dimostrarsi crudele e spietata all’improvviso, troncando vite umane come fossero stecchini.
Ma lei non la stava facendo soffrire così come avrebbe dovuto. Stava rannicchiata in avanti con i riccioli che le cascavano quasi a voler nascondere il sorriso che sicuramente aveva stampato in faccia mentre con una mano tratteneva Gwen la quale, con un’espressione di vuotezza inaspettata, attendeva la sua mossa.
Fu in quel momento che la mia mente, in quel breve momento di lucidità in cui anche le gambe avevano smesso di tremare, elaborò alcune domande: cosa ci faceva Katherine lì? Ci aveva forse seguiti? Spiati? Voleva essere sicura che Damon fosse ancora umano? Voleva diventare umana anche lei? Aveva stretto forse qualche accordo con la Triade?
Ma la domanda che lampante mi giunse in mente inondandomi di profondo turbamento fu: da che parte stava?
Da quel che Stefan e Damon mi avevano raccontato sul suo conto era sicuramente da considerarsi come nostra nemica.
Ma perché intervenire se già Colin ci stava riuscendo?
Come se quel momento di breve nitidezza mentale non ci fosse mai stato, caddi nuovamente in uno stato di panico che cercai con tutte le forze di non dare a vedere.
Passai in rassegna tutti i corpi divelti a terra, ogni singolo volto poteva essere quello del povero e innocente Colin.
Era strano, strano come fosse nato questo mio snaturato amore nei confronti di quel ragazzo. Mi sentivo come se qualche forza esterna fosse penetrata in me obbligandomi a prendermi cura di lui.
E’ sempre forte il legame che si può instaurare tra due persone e non sempre si riesce a concepirne il perché o la sua natura. Capita e basta. E Colin ci è capitato.
“Elena-” mi sentì chiamare e feci fatica a deglutire dato che la mia gola e le mie labbra, ruvide come cartavetrata, stavano cominciando a sentire il peso dell’assenza di acqua.
Senza dire altro, dimenticandomi di Katherine, di Guinever, della battaglia in corso, allargai le mie braccia e premetti il più possibile le mie mani sui suoi capelli fulvi.
Trattenni le lacrime quanto potei, dopo mi dimenticai pure di quello.
Mi maledissi per averlo cercato tra i cadaveri di tutte quelle persone morte, di averlo già reputato per spacciato, di aver già provato il dolore per la sua perdita quando ancora era lì con me, con noi.
“Elena-” ripeté di nuovo, questa volta con voce più fievole, e poggiò la sua mano sulla mia spalla tentando di fami allontanare e diminuire la pressione che si era venuta a creare tra le nostre casse toraciche.
Gli occhi puramente grigi sembravano essersi dilatati e mi scrutavano con intensità mentre la sua mano leggermente annerita e sporca di sangue rappreso aveva ancora una solida presa sulla mia spalla destra.
Mi guardava come se fossi potuta cadere da un momento all’altro, come se in un solo momento le mie gambe avessero potuto cedere.
Ma non ero io il problema, mi sentivo alquanto tranquilla nonostante la costante paura di dover lottare nuovamente e l’adrenalina che ancora circolava libera nelle mie vene facendo mantenere ben saldi le miriadi di fasci di nervi che mi ritrovavo in corpo.
Eppure Colin, con il viso pallido e le lentiggini come punti dorati sul suo naso, mi fissava e cercava di sostenermi reggendomi per la spalla.
Ma più che sorreggermi solo dopo mi accorsi che stava tentando di trattenermi, di respingermi.
Mi bloccai istintivamente facendo ricadere le braccia lungo i fianchi e mi ricomposi. Il rosso incollò nuovamente i suoi occhi ai miei come per assicurarsi che non facessi più nulla di avventato e con estrema delicatezza estrasse la lama d’acciaio e di legno che aveva conficcata quasi per intero all’altezza dello stomaco e di cui io non avevo notato la presenza.
Sentivo la voce sommessa di Katherine parlare alle mie spalle, quella di Gwen a sprazzi, rimbombi e echi di battaglia provenire dalla sala adiacente dove sicuramente stavano combattendo Damon e Drake.

“Katherine, che piacere rivederti” miagolò una voce che doveva essere sicuramente quella di Gwen.
“Anche per me Guinever”
“Sei venuta per unirti a noi?”
chiese la medesima voce e trovai una risposta a tutti i miei quesiti.
“No, sono venuta per saldare il mio debito” rispose la vampira dopo un momento di silenzio.
“Ti ho salvato la vita una volta, ricordi?”
“E ora ho salvato la tua. Non ho più niente a che fare con voi”
“Lo pensi tu”
disse Gwen e a questo seguirono una serie di brusii a cui non feci più alcun caso.
Colin lasciò scivolare il pugnale che tintinnò a terra riportandomi alla realtà, mentre con l’altra mano constatò il danno arrecato al ventre.
Le guance gli si incresparono lievemente di venule e la bocca si contrasse in una smorfia di dolore. Era pallido come un lenzuolo tanto che i capelli rossicci accendevano ancora di più quel candore, ma in qualche modo il suo sguardo era ancora vispo, la sua pelle febbricitante nonostante i cerchi violacei intorno alle orbite.
“Elena, dì a Bonnie che c’è una nuova fonte di magia. Io cercherò di farla venire allo scoperto”
D’un tratto mi ricordai di quel particolare che poco prima la strega non era riuscita a dirmi e l’istinto mi disse di voltarmi verso Katherine. Dopotutto Bonnie non riusciva ancora ad eseguire il suo incantesimo e, da quanto dicevano sia lei che Colin, la fonte magica era già lì tra di noi.
Come un’anguilla sfuggì veloce alla mia stretta, ma riuscii a strattonarlo per il colletto della polo che ancora indossava.
“La fonte di magia è Katherine. Non c’è altra spiegazione-” annunciai poco convinta regalando un’occhiata di sbieco alla mia omologa che sentendosi osservata intrecciò il suo sguardo al mio che distolsi simultaneamente.
Colin aggrottò le sopracciglia e sbatté più volte le palpebre alla vista della vampira identica a me. Probabilmente avrebbe voluto sapere come fosse possibile, se c’era qualche legame di sangue tra noi, se era la mia gemella cattiva venuta da lontano, ma tacque lasciando cadere ogni dubbio che poteva essersi insinuato in lui.
“- quindi resta, ti prego” continuai questa volta con convinzione ottenendo nuovamente la sua attenzione e ciò che ne ricavai fu un sospiro sconsolato da parte del mezzo vampiro.
Colin si umettò le labbra screpolate e mi rivolse uno sguardo di sottecchi mentre un sorriso divertito distendeva le sue labbra in un ghigno a me ben noto e gli occhi grigi si rimpicciolivano. Le due fossette agli angoli della bocca sembrarono ridare vitalità al viso e tutta la stanchezza e il dolore provato per la ferita evaporarono via. Colin sapeva mentire bene, ma in quel momento il tutto mi sembrò naturale.
Mi prese le mani che, nonostante l’alta temperatura, erano gelate, e mi meravigliai di non vederlo alzato in punta di piedi, quando i capelli ispidi non mi solleticarono più il mento - non era più il bambino che avevamo conosciuto due mesi prima, era cresciuto, era un ragazzo e in quel momento mi ricordò tanto Jeremy.
Lo stomaco mi si raggomitolò e una pessima sensazione mi vibrò per tutta la colonna vertebrale.
Posò le labbra umide sulle mie di cartapesta lasciandomi disorientata, spiazzata, con un segno indelebile, di quelli che si ricordano anche a distanza di anni.
“Fidati di me, degli amici ci si fida” sussurrò al mio orecchio.
Chiusi gli occhi, ma quando li riaprì lui già non c’era più.

 

Frustai l’aria con i capelli che erano malamente usciti dalla coda alta e uscii dalla zona d’ombra nella quale ero entrata per non essere scrutata da occhi indiscreti.
Il lieve chiarore della sala mi paralizzò ma pian piano riuscì ad abituarmi a quella luce artificiale che proveniva da alcune feritoie.
Riuscii ad intravedere alcune sagome che a velocità vampiresca lottavano senza comunque designare un vincitore.
Assottigliai gli occhi per vedere meglio, ma venni sbalzata sulla parete con un colpo di reni. La gola era ben pressata all’interno di una morsa. Un movimento brusco e l’osso del collo si sarebbe frantumato in mille pezzi.
Riconobbi nella semioscurità un bagliore di occhi bluastro.
Damon.
Tentai di scalciare per segnalare la mia presenza al vampiro. Stava cercando Katherine, non me.
Fu un profondo colpo, allo stomaco, come un mostriciattolo verde che mi corrodeva il fegato, ma cercai di arginarlo muovendo forsennatamente le mani.
Stava cercando Katherine, non me, per ucciderla.
Fissai bene i miei occhi ai suoi.
Quando si accorse dello sbaglio ormai era troppo tardi. Qualcosa di indefinito lo colpì alla schiena e io fui di nuovo libera di respirare.
Aspirai quanta più aria potessi e mi ritrovai sorretta da delle mani amiche.
“Elena? Ma-” la voce di Bonnie era ricca di panico mentre impediva ai miei capelli di offuscarmi la vista e di ostacolare il mio respiro.
“-se tu sei qui, chi è lei?”
Alzai piano lo sguardo e una paura sviscerante prese a rincorrermi lo stomaco.
Katherine mi fissava. Un’altra Katherine. Un’altra me. Di nuovo.
Cercai di non sbattere le palpebre e di mantenere il controllo, ritta sulla spina dorsale nonostante i polmoni stessero cedendo così come ogni singolo muscolo del mio corpo ormai estenuato.
Mi vennero in mente quelle strane incisioni nel cimitero sotterraneo, la necessità di una fonte magica sopra la quale erigere il quartier generale della Triade. E d’un tratto tutto mi fu più chiaro: il cimitero, la magia, la necessità di un’armata, la convivenza forzata della Triade nonostante non avessero i medesimi intenti.
Tutti erano lì non per ottenere qualcosa, ma per proteggere qualcosa.
Per proteggere lei.
“E’ lei che ostacola il tuo incantesimo, Bonnie” dissi mantenendo il contatto visivo con l’essere uguale a me.
“E’ una strega” concluse la mia amica e quella parola mi fece rabbrividire.
Un’umana, una vampira, una strega: tre nature inconciliabili tutte con il medesimo volto.
Come era possibile? Quante me c’erano sparse per il mondo?
Nella confusione generale era difficile distinguere le tre nostre diverse nature, specialmente per i vampiri per i quali la natura magica rimaneva ancora sconosciuta. Ma i mezzi vampiri avevano un sesto senso per la magia.
Qualcosa tintinnò nella mia testa e mi rivenne in mente il piano di Colin, la sua strategia per fare venire allo scoperto la fonte di magia che impediva il nostro incantesimo.
Il mio cuore sobbalzò un secondo e quando intravidi un ciuffo vermiglio scintillare sotto i raggi rosei del sole che stava per sorgere, abbandonai Bonnie alle mie spalle e cercai di scavalcare ogni sorta di ostacolo mi si presentasse davanti per raggiungere l’altra me.
Cercai di urlare, di richiamare la sua attenzione tra i brusii e i rumori ovattati attorno a me.
Due braccia mi strattonarono e mi impedirono di avvicinarmi ulteriormente.
Capii che Colin aveva intuito il mio avvertimento perché si voltò a guardarmi per qualche secondo a pochi passi dall’essere magico.
Abbozzò il mio nome con le labbra.
E fu allora che la strega, con un movimento veloce del polso, lo fece esplodere.

 

Mi si incrinò qualcosa, all’altezza del bacino, perché dalla vita in giù non riuscii a sentire più niente se non un leggero formicolio.
La potenza devastante di quell’incantesimo si ripercosse sulle pareti per poi tornare a noi presenti.
Crollai a terra, le gambe abbandonate di lato senza che rispondessero a nessuno dei miei comandi.
Damon, che prima mi aveva trattenuto, adesso assecondava i miei movimenti.
Si accasciò a terra insieme a me, inerte.
Il fotogramma di quell’immagine mi passò davanti agli occhi più volte ed ogni volta era un orrore nuovo, diverso, bruciante che se solo avessi potuto mi sarei cavata io stessa gli occhi dalle orbite per non rivederlo mai più.
Il corpo di Colin a poco più di un metro da quello della strega, il suo lento dilatarsi, la fulminante mancanza di funzionamento degli organi vitali, la lacerazione dei sistemi, degli apparati, l’arresto del cuore.
Il dolore che sentivo alle gambe era solo la metà del dolore interno, del dolore mentale che più di ogni altro mi uccideva.
Mi voltai verso il vampiro, affondai avida i denti sulla sua spalla e con quanta foga avessi in corpo urlai tanto da farmi male la gola.
Strinsi le palpebre così tanto che ebbi paura di non avere più degli occhi per quanto piccoli fossero diventati.
Le mie urla soffocate si unirono alle lacrime di Damon il quale mi teneva incollata a sé, come se potessi cadere in pezzi.
Ero in mille pezzi così come l’impressione che avevo delle ossa sbriciolate delle mie gambe.
Cercai di aggrapparmi ancora di più, stringendo i pugni e i denti, finché non sentì lieve il sapore metallico del sangue di Damon arrivare alla mia lingua attraverso il tessuto poroso della maglietta. Solo allora allentai la presa, rimanendo però cullata dalle sue braccia.
Avrei voluto che tutto quello fosse finito in quel preciso istante, che se dovevamo morire, dovevano ucciderci subito.
Ero troppo stanca di combattere, ero troppo stanca di vedere le persone morire.
Morire in quella posizione, rannicchiata contro il petto dell’uomo che amavo, era una morte più che accettabile.

 

Probabilmente svenni perché quando aprii gli occhi la luce era già entrata prepotente nella sala. Saranno stati forse dieci, quindici minuti ma ebbi come l’impressione che la mia mente fosse stata assente per anni.
Qualcosa mi aveva svegliato da quel mio stato catatonico, la stessa forza invisibile che adesso stava guarendo le mie ferite, assemblava i cocci rotti delle mie ossa, affievoliva il dolore dandomi nuova forza per reagire.
Prepotentemente si incuneava all’interno della mia testa e più cercavo di scacciarla via e non svegliarmi, più continuava a spingere e a tirare. Non so se quella fosse frutto delle doti magiche di una strega, ma ero più che convinta che fosse quanto più simile al soggiogamento.
Quando sollevai il capo, la prima cosa che vidi furono gli occhi di Damon.
Non avevano più alcuno interesse i battiti del suo cuore e la sua umanità. Tutto ciò che mi era sempre mancato e di cui avrei avuto sempre bisogno era lui, lui soltanto.
Mi staccai da lui e notai da subito le braccia indolenzite. Dal mio sguardo egli capì che volevo alzarmi e mi aiutò nei movimenti nonostante sentissi le gambe nuove e pesanti al tempo stesso. Erano come di ferro, pesanti ma resistenti.
Diedi uno sguardo fugace alla sala circostante e notai alcuni volti che prima non avevo potuto scorgere: Nicole era rinvenuta, con gli occhi gonfi di lacrime ma sottili per la follia assassina, e adesso stava di fianco a Jim, anche lui teso e scuro in viso dalla rabbia; Stefan era di fianco a Katherine, probabilmente trovatisi insieme durante lo scontro, ed entrambi erano paralizzati ed aspettavano che qualcuno rompesse il silenzio; Bonnie a pochi metri da me sembrava essersi fatta piccola piccola in confronto alle doti magiche della nuova strega; Drake sorreggeva Guinever ed erano i più vicini alla strega standole intorno con fare sottomesso e da cani bastonati.
Non ci voleva molto a capire che i componenti della Triade fossero dei semplici burattini, gestiti dalle mani di quell’essere la cui esistenza doveva rimanere segreta.
La strega fece un passo avanti e tutti trattenemmo il fiato, compresa la Triade.
Era strano, non era il passo lento e fluente di Katherine, non era come il vedersi allo specchio. Era più come rivedere se stessi in un altro contesto, essere contemporaneamente nello stesso luogo ed ogni tua azione è indipendente da quella dell’altro.
Aveva un qualcosa di antico nel suo portamento, di selvaggio e per nulla raffinato.
Avvicinandosi sempre più verso di me, potei scorgerla meglio: aveva i capelli castani ispidi e mal curati, forse troppo lunghi e raccolti sulla sommità del capo con una fibula dalla quale fuoriuscivano scendendo a ciuffi; il vestito di lino chiaro a casacca le scendeva fin sotto le ginocchia ed era legato alla sottile vita con una cintura.
Ma il viso mi colpì più di tutti. Il lato sinistro del viso si presentava liscio e morbido con un occhio perfettamente color nocciola identico al mio, ma il lato destro era rattoppato da pesanti cuciture, cicatrici, piaghe simile a delle squame che contornavano l’occhio la cui iride era di un colore grigio metallizzato.
Era un aborto della natura, un ibrido di due realtà sovrannaturali che non sarebbero potute mai coesistere. Era male per una strega convertire il proprio essere in vampiro ed era alquanto strano per un vampiro essere dotato di complete doti magiche.
Eppure per qualche strano motivo, lei era riuscita a mescolare questi due aspetti. A pensarci meglio in lei coesistevano tre nature: quella di strega, quella di vampiro, quella di umana.
Il grigio degli occhi non mentiva riguardo la sua natura di mezzo-vampiro.
Arrestò i suoi passi e inclinò leggermente il capo, incuriosita dalla mia presenza.
Forse era stupita quanto me e Katherine di vedere altre due persone identiche a lei.
“Mi avevano avvertita che la mia personalità avrebbe potuto generare qualcosa di mostruoso e di innaturale che si sarebbe ripercosso per anni, ma non pensavo che dopo più di ventisette secoli si potesse manifestare” esplicò e la voce profonda e da donna matura si levò dalle sue labbra.
Scoccai un’occhiata in tralice a Katherine che come me sembrava essere alquanto indispettita dalla presenza di una nuova lei, così come pensava.
La strega continuò a parlare.
“Siete frutto della mia mente, del mio folle pensiero. Siete lo specchio delle mie personalità più celate e occulte. Nella mia lingua le chiamavamo doppelganger
Mentre parlava sembrava essere più che ragionevole ragionevole per cui cercai di cavarle alcune informazioni utili, nonostante il bollore e la rabbia mi trattenessero dall’attaccarla.
Nonostante le ossa si fossero tutte ricostituite, il cuore sanguinava ancora.
“Come ci hai generate? Che significa che siamo frutto della tua fobia?” dissi a denti stretti.
La strega fuorviò la mia domanda, continuando a parlare.
Doppelganger sono dei sosia e in genere si manifestano per portare cattivi presagi, morti imminenti. Siete frutto della magia nera, quella che per troppo tempo ho utilizzato e che continuo ad utilizzare”
Katherine sollevò le sopracciglia, sicuramente stanca di sentire la cantilenante spiegazione della nostra omologa.
“Chi sei? O meglio, cosa sei?” sputò viscida facendo saettare lo sguardo glaciale dell’occhio destro della strega su di lei.
Ella sollevò leggermene un dito e la vampira dai riccioli scuri si ritrovò in apnea, vittima della sete psicologica che stava trasmettendo in lei.
“Mi chiamo Tatia e discendo da un’antica e potente famiglia danese di stregoni. Grazie alla magia per molti e molti anni sono riuscita a preservare la mia età intorno ai trentotto anni. Ho accresciuto i miei poteri, ma c’è sempre stata una cosa da cui sono rimasta affascinata: i vampiri. Per qualche secolo sono scomparsa dalla circolazione, mi sono incatenata e finta morta, fino a quando lei non è venuta a svegliarmi-” spiegò spostando il dito dapprima puntato su Katherine su Gwen, diventata docile e mansueta come non mai.
“- mi ha spiegato che aveva dato vita ad una nuova razza di vampiri, vampiri per metà umani, per metà esseri sovrannaturali. Era la mia occasione per diventare quello che avevo sempre sognato di essere. Grazie alla magia e a qualche rozzo rituale sono riuscita a incarnare in me i geni necessari per tramutarmi in vampiro. Ora sono quello che vedi. Una strega, un vampiro, un’umana”
Le sue cicatrici scintillarono ed entrambi gli occhi le si riempirono di una strana luce.
Il petto di Damon accanto a me sussultò e potei immaginare la sporadica abitudine del suo cuore di battere veloce nei momenti di difficoltà. Era una caratteristica che ormai trovavo comunque in lui anche se vampiro.
“Quindi le due gemelle del diavolo sono frutto del tuo insano capriccio di essere entrambe le cose?” sbottò il Salvatore con tanto di tono ironico, ma il suo era in modo per scaricare l’aria dalla tensione che si era accumulata.
Tatia compì il medesimo gesto che aveva effettuato poco prima con Katherine e con Guinever e Damon si preparò al peggio.
“Dal tuo tono ironico, suppongo che tu sia Damon Salvatore. Sai, sono molte le notizie che circolano e nonostante sia rimasta sottoterra per molto tempo, ho appreso qualche pettegolezzo sul vostro odio reciproco. Sapete, siete molto conosciuti sia dai vampiri che dalle streghe”
Damon cercò di resistere per qualche momento, ma ad ogni nuova parola seguiva un dolore più forte, simili a delle scosse elettriche che Damon non riuscì a sostenere per molto.
Trattenni il respiro e l’immagine di Colin mi si ripresentò prepotentemente in testa. Non anche lui.
Stefan si intromise, interrompendo il contatto della strega e io potei ricominciare a respirare.
“Senti, non vogliamo assolutamente essere d’intralcio nei vostri piani. Questa battaglia non ha portato proprio a niente se non a tantissime vittime, nostre e vostre. Quindi propongo un accordo”
La diplomazia di Stefan, sebbene dettata forse dalla paura, sembrò convincere l’animo di Tatia e, dopo aver indugiato un po’ sulle parole del Salvatore, alzò lo sguardo bicromatico.
“Cosa richiedete?” chiese e l’occhio da mezzo-vampiro si assottigliò leggermente.
“Che lasciate in pace gli umani, di non trasformarli in mezzi-vampiri. La nostra razza continuerà ad esistere solo per procreazione e non trasformazione” gracchiò Nicole con quell’aria spavalda che la caratterizzava.
Spostammo lo sguardo su Tatia attendendo il suo verdetto. La fronte aggrottata di Stefan dava segno della nostra medesima preoccupazione.
“Accordato” emise la strega e un sibilo scappò dalle labbra arricciate di Guinever la cui rabbia nascente venne placata dalla mano consolatrice di Drake al suo fianco.
La mezza vampira alzò lo sguardo furente su di lui, inchiodandolo al pavimento, ma quegli stessi occhi si colmarono di lacrime tramutando le schegge grigie di ghiaccio in calde acque stagnanti. Era una sconfitta anche lei, dopotutto.
Mi si serrò la gola e strinsi i pugni sentendo il sudiciume sotto le mie unghie affondare ancora di più nella mia carne.
Era finita. Era davvero finita.
Avevamo raggiunto il nostro scopo e quello dei Ribelli. L’avevamo fatto per Jim, per Nicole e per il loro bambino, avevamo combattuto per Roland, per Anya, per Frederick, avevamo vinto grazie a Michelle e Colin.
Il loro pensiero mi riportò un lieve torpore alle gambe, ma desistetti a cedere. Mi feci coraggio e con lo sguardo frugai un po’ più in avanti da dove ci stava osservando Tatia.
“Bene. Grazie per l’intrattenimento dunque, a mai più rivederci” sbottò Damon con voce nervosa, non vedendo l’ora di abbandonare quella sala e lasciarci il tutto alle spalle. Sarebbe stato faticoso il lungo viaggio del ritorno, spiegare ai nostri cari il perché della nostra assenza.
Spostai lo sguardo tremante tra i vari corpi finché non riconobbi dei capelli rossicci macchiati di fuliggine.
Trattenni il respiro.
“No. Non ce ne andremo. Deve dire la tua condizione, no?” chiese lealmente Stefan già prevedendo la risposta della strega dai tratti simili a me.
Tatia sorrise e nel modo in cui lo fece mi ricordò molto Katherine.
“Sei molto perspicace. Si, ho una condizione che pretendo voi rispettiate”
Con voce decisa sottolineò l’ultima parte della frase e la accompagnò con un gesto abbastanza eloquente delle dita, segno dell’immenso potere che circolava in lei.
Tornai a focalizzare lo sguardo su ciò che era rimasto del povero Colin.
Aveva gli occhi grandi aperti e il grigio sbarazzino aveva lasciato posto ad un verde chiarissimo tanto da sembrare trasparente.
Il corpo martoriato mostrava gli evidenti segni dell’effetto dell’incantesimo, tuttavia le braccia e le gambe sembravano non avere avuto troppi danni.
Stava adagiato sul pavimento e l’immobilità del suo corpo era così triste: lui che non riusciva a stare per più di due minuti fermo, che come un’abile scimmia si arrampicava dovunque.
Aguzzai la vista e notai accanto a lui un altro corpo delle medesime dimensioni.
Riconobbi la chioma scura come la pece, lo scintillio dei pendenti e delle miriadi di collane. Era il corpo di Michelle.
Le loro mani inspiegabilmente si erano ritrovate e combaciavano l’una su quella inerte dell’altra.
Nonostante il dolore e la sensazione di soffocamento, fui lieta di quella vista. Per lo meno, dopo essere stati separati nella vita, si erano ritrovati nella morte.
I miei pensieri furono interrotti dalla voce di Tatia.
“Voglio che dimentichiate ogni cosa voi abbiate visto o subìto”
Non ricordo se l’ultima cosa che osservai furono i capelli vermigli di Colin, ma da quelle parole la rabbia che per molto tempo avevo seppellito in me mi ribollì nelle vene ed ogni cosa appartenente al mio campo visivo si tinse di rosso fuoco.
Ricordo solo la presa di Damon intorno alle mie braccia farsi sempre più lenta.

 

***

Diventa sempre più difficile rileggere questi capitoli e soprattutto scrivere qualcosa di sensato come commento. Vi anticipo che questo è il terzultimo capitolo: il prossimo, già in cantiere e quasi pronto per la pubblicazione, sarà il penultimo e poi ci sarà il tanto atteso Epilogo. Sì, questa neverendingstory sta giungendo al termine.
Ma vedo un po’ di chiarire alcuni punti che non vi saranno sembrati molto chiari.
Dopo ben trenta capitoli comprare la vampira capricciosa più amata e cioè Katherine che per tutto questo tempo ha tenuto d’occhio i Salvatore&Co. e ha fatto la sua entrata in scena nel momento più opportuno ma per una causa sbagliata; si sa che Kate ha lasciato dei conti in sospeso (uno fra questi quello con Klaus) e ha allacciato dei rapporti anche con la Triade, così salvando Gwen ha colto la palla al balzo e ha saldato il suo debito.
La morte di Colin, quella che forse non mi perdonerete mai e poi mai e che forse è la più insensata. Ma prima di arrivare a quello, meglio chiarire il bacio che ha dato ad Elena. Come la stessa Gilbert dice, Colin non è più un ragazzino come si è presentato all’inizio, nel corso di due mesi e mezzo è cresciuto, si è fatto più alto e ha abbandonato quasi del tutto la sua corporatura da ragazzino, come Elena più volte ha ribadito nel corso dei capitoli; adesso dimostra più o meno le caratteristiche di un sedicenne (più o meno come Jeremy della prima stagione) ecco perché Elena lo confronta con suo fratello e si meraviglia quando si accorge che adesso è alla sua altezza. Il bacio del rosso non è un vero bacio ma una specie di addio, un modo per tranquillizzare Elena e ringraziarla per tutto quello che ha fatto. Vi sarete accorti che Colin in molti aspetti cerca di essere come il “signor Damon” e quindi anche lui ha queste sparate un po’ imprevedibili. La frase “Fidati di me, degli amici ci si fida” è ripresa dal capitolo
12 – Come on, we also give you candies (sembra un’eternità fa!) quando ancora Colin era un birbante mezzo vampiro appena arrivato in città. La sua morte era necessaria perché senza di essa Elena non si sarebbe arrabbiata a sufficienza per fare quello che vedrete nel prossimo capitolo. E’ stato crudele da parte mia e non sapete quante lacrime ho versato mentre scrivevo, è stata sofferta questa decisione, quindi vi prego non me ne vogliate male!
Se c’è qualcuno da incolpare quella è Tatia, la prima doppelganger Petrova e potentissima strega. Agli albori di questa storia avevo intenzione di introdurre il personaggio conclusivo cioè una strega con le sembianze di Elena e Katherine (quella che doveva essere la Strega originale), ma nel corso delle varie stagioni è uscito fuori il nome di Charlotte/Tatia e quindi mi sono detta perché no? La prima doppelganger, strega e per di più mezza vampira. Tatia quindi è la medesima che (per chi segue la serie) avete sentito nominare a Klaus e qui è a capo della Triade; le motivazioni che l’hanno portata a rimanere nascosta sottoterra per molti anni verrà spiegate meglio nel prossimo e ultimo capitolo prima dell’Epilogo. Per fortuna Stefan riesce ad intavolare delle trattative e alla fine i mezzi vampiri ottengono quello che avevano richiesto ma ad un caro prezzo, dimenticare. Dimenticherebbero tutto, quindi quale futuro per Elena e Damon se non si ricorderanno dei due mesi che hanno visto sbocciare il loro amore? E poi perché dimenticare?
Alla fine tutti i nodi verranno al pettine e ogni cosa nella storia non è mai casuale.
Stringete i denti altri due capitoli e finalmente potete dire addio ai miei commenti strizzacervello.
Vi ricordo per chi volesse sapere qualcosa in più riguardo le storie ed avere più aggiornamenti può aggiungere il mio profilo facebook Dreem L. Efp
Per chi si fosse innamorato della coppia-friendship (?) Colin/Elena può vedere questo bellissimo video che ho trovato qualche giorno fa in contemporanea alla stesura del capitolo (coincidenza?) QUI
Con questo mi dileguo, vi ringrazio immensamente per la lettura e per il supporto che mi date,
Al prossimo capitolo
- sil.

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Capitolo 34
*** 32- WE WON'T DIE. WE CAN'T ***


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32- WE WON’T DIE. WE CAN’T.
 

Dimenticare.
Come avrei fatto a dimenticare tutto quello che era avvenuto in questi ultimi tre mesi. Dimenticare, cosa poi? Il sangue, la battaglia, le ferite, i morti. Dimenticare la Cascina, Frederick, Colin, i mezzi vampiri. Dimenticare il rapimento di Stefan, le telefonate fatte a vuoto, le lacrime mai asciugate. Dimenticare Damon e la notte in tenda.

Dimenticare, dimenticare, dimenticare.
Da quando avevo conosciuto Stefan, ero stata sempre contraria ad ogni tipo di soggiogamento. Ogni singolo dolore, ogni singola perdita doveva rimanere impressa nella mia mente, marchiata a fuoco, e anche se il ricordo faceva male dovevo ricordare o se no mi sarei sentita un guscio vuoto, una bambina che non sa cosa è avvenuto prima della sua nascita.
Non ci fu neanche il bisogno di divincolarmi dalle braccia di Damon perché sentivo la sua stretta ferrea farsi sempre più debole fino a liberarmi quasi del tutto dal suo abbraccio, assecondando così la mia ira e la mia voglia di combattere contro me stessa.
I miei piedi sfrigolavano come se stessero friggendo nell’olio bollente e così anche le mie dita investite da un feroce prurito. Non so se fosse stato l’essere vissuta a contatto con i vampiri, ma cominciavo a vedermi sempre più simile a loro e la cosa non mi piaceva, non mi piaceva affatto.
Le dita di Damon si posarono sul dorso delle mie mani e quell’elettricità invisibile si fece ancora più carica. Quando le mani del vampiro si allontanarono definitivamente dal mio corpo, le mie gambe cominciarono a correre.
Non avevo idea cosa voler fare con esattezza. Avevo agito d’istinto senza riflettere, senza pensare che probabilmente ogni passo che compievo poteva essere l’ultimo, smorzato da qualche incantesimo fatale che mi avrebbe fatta esplodere, disintegrare, saltare in aria.
Eppure se era vero che in me c’era parte dell’animo di Tatia, avrei potuto fare qualcosa, avrei tentato di fermarla.
D’un tratto frenai e le suole dei sandali in gomma sfregarono il parquet. Poco più di un metro distanziava me dalla mia immagine riflessa, ma nessuna barriera magica impediva il mio passaggio, solo una mano posta all’altezza del mio petto che aveva la consistenza del granito puro.
“Elena, per favore!”
Katherine, frapposta fra me e Tatia, mi supplicò affilando lo sguardo nel caso mi fossi azzardata ad avvicinarmi di un solo centimetro.
La vampira inclinò leggermente la testa e i riccioli scomposti le incorniciarono il viso mentre la carnagione olivastra si faceva più accesa con l’entrare dei raggi del sole.
Non riuscii a reggere oltre il suo sguardo perentorio così roteai gli occhi per poi posarli su quelli bicolore della strega. Strinsi le labbra per frenare i residui di adrenalina che mi ordinavano di andare avanti.
Indietreggiai di un passo, ma scoccai ugualmente un’occhiata omicida a Katherine che tuttavia invece di incuterle timore la fece ridere di sottecchi.
Probabilmente se quella non fosse stata una situazione drammatica, le avrei parlato, le avrei detto che non era giusto dimenticare, avrei arginato la paura sviscerante che avevo nei suoi confronti e le avrei parlato come ad una sorella. Perché in fondo provenivamo dalla stessa famiglia, in fondo eravamo una famiglia ma ancora non lo sapevamo.
Di tutte le parole che mi confondevano il cervello non ne pronunciai neanche mezza, non perché erano sbagliate ma perché, se Tatia avesse compiuto l’incantesimo, si sarebbero disperse e dimenticate così come tutto il resto. Così le lasciai seppellite in me, dove sarebbero comunque rimaste.
L’occhio grigio della strega si affilò e subito percepii il suo sguardo metallico posarsi su di me.
“Ci deve essere un altro modo” dissi inchiodando lo sguardo su quello di Tatia mentre Katherine sbuffò sonoramente inarcando un sopracciglio e facendo ricadere la mano, che poco prima mi aveva impedito di avvicinarmi, lungo il suo fianco.
Aveva dei modi di fare così assurdi che ancora oggi mi chiedo come fosse possibile che provenissimo dalla medesima famiglia.
Tatia ammorbidì lo sguardo e il suo sorriso si addolcì, così come avrebbe fatto una madre di fronte all’ennesimo capriccio della figlia.
Sospirò.
“No, Elena. Questo è l’unico modo per garantire la mia salvezza” scosse il capo come a voler cacciare indietro un ricordo troppo amaro da digerire e continuò a guardare me e Katherine stupite da quella affermazione.
“Questa è mancanza di fiducia. Se è per paura che possiamo andare a spifferare tutto ai quattro venti, tranquilla, manterremo il segreto” esordì Katherine incrociando le braccia al petto e picchiettando la punta del tacco delle scarpe che indossava. La sua attenzione si rivolse istintivamente a Guinever con la quale suppongo avrà avuto lo stesso tipo di conversazione.
“Hai la nostra parola” calcò maggiormente Stefan, ma a quanto pareva le promesse non erano sufficienti per una come Tatia.
“Non siete voi il mio problema. Sono loro. E’ lui” obbiettò e la fronte le si corrugò di profondissimi solchi così come lo strato di pelle intorno alla cavità oculare destra si sfibrò in finissime increspature. Ma c’era qualcosa di strano nel suo sguardo come se la triplice natura si stesse confondendo. Il grigio argentato dell’occhio destro era quasi del tutto scomparso lasciando posto al bianco cieco dell’ira, così come la natura dei mezzi vampiri le imponeva di essere; ma il nocciola dell’occhio sinistro, quel colore così umano e simile al mio, si era annacquato diventando lucido e cristallino.
“Lui chi?” tentai di chiedere e la mia voce risuonò ovattata, segno che le forze stavano cominciando ad abbandonarmi del tutto.
Tatia, fiera e orgogliosa nel suo aspetto, non distolse lo sguardo dal punto indefinito di fronte a se.
“C’è un motivo perché volevo essere come voi, una vampira. Uno di loro- no, non era uno fra i tanti, ma il primo fra tutti- venne a stare da noi per qualche tempo. Capii subito che si trattava di qualcuno al di sopra di ogni mia aspettativa. Era carismatico, vittorioso, ironico, sagace e sembrava che solo io mi fossi accorta di questo. Non c’era modo di combatterlo, non c’era modo di sconfiggerlo, non c’era modo di amarlo. Ma io lo feci”
La voce di Tatia si incrinò leggermente, ma la sua compostezza e la sua rigidità non mostravano alcun segno di debolezza.
“Tentò di uccidermi, tentammo di ucciderci a vicenda. Non ci riuscì e per questo passai il resto dei secoli avvenire a fuggire da lui. Ciò di cui io avevo più bisogno era un corpo nuovo, che non invecchiasse, capace di eguagliare la sua forza e il suo coraggio. Ciò di cui lui aveva più bisogno era il mio sangue e quello della discendenza Petrova per poter stare con me”
A quel nome, che a noi suonò così strano, Katherine sobbalzò.
“Una minaccia incombe su di voi, la storia sta per ripetersi, cercherà di spezzare la maledizione del sole e della luna che lo ha condotto fin qui”
Tatia chiuse gli occhi e continuò a balbettare parole e frasi senza senso come se fosse assorta in qualche stato di trans.
Provai a scuoterla e un sospetto cominciò a brulicare nella mia mente. L’incantesimo era già iniziato?
“Basta giocare a indovina chi, dicci chi è questo vampiro?” sputò fuori Damon stanco di sentire la storia della strega senza poter trarre delle informazioni utili a quello che effettivamente doveva essere un possibile pericolo.
Tatia aprì entrambi gli occhi e l’azione mi rincuorò.
“Perché mai dovrei dirvelo? Dopotutto tra breve dimenticherete tutto” puntualizzò Tatia con il sorriso bonario di poco prima tuttavia tirato leggermente di stizza e malinconia.
“Se vuole uccidere te, perché allora siamo noi in pericolo?” intervenne Stefan cercando di far venire tutti i nodi ad un pettine che di nodi ne aveva parecchi.
Tatia sbuffò e in quel fotogramma nella mia mente associai il suo modo di fare a Katherine. Dopotutto aveva forse ragione nel dire che noi eravamo dei semplici aspetti della sua personalità.
“Perché se uccide me, uccide le doppelganger” disse sfiorandomi il profilo del mascella con l’indice, senza alcuna punta di cattiveria. Sembrava che fosse realmente in pena per noi- noi che eravamo delle semplici sue creature.
“Ma tu sei per metà un vampiro adesso e Katherine lo è interamente. Quindi questo tizio a chi diavolo dovrebbe-” Damon si bloccò e contrasse la mascella nel medesimo momento in cui lo sguardo dei presenti si posò su di me.
Era me che voleva.
Stefan sospirò sconsolato.
“Quanto tempo abbiamo prima che venga a cercarla?” chiese; aveva il viso stravolto di una stanchezza non fisica ma psicologica, ed era da tanto tempo che non si nutriva, stava cominciando ad infiacchirsi e questo mi procurò una morsa al cuore.
“E’ privo di forze per il momento e non si fa vedere molto in giro. Avete tempo a sufficienza per risolvere questioni ben più importanti. Ogni cosa a tempo debito”
Il minore dei Salvatore rilassò le spalle e fummo tutti un po’ più tranquilli sapendo che tale minaccia era ancora lontana, forse anche inesistente.
Dimenticare implicava anche questo, essere inconsapevole delle minacce, dei rischi contro ai quali potevamo incorrere, ignorare il male che ancora una volta si intrometteva nelle nostre vite.
Dimenticare, ma a quale prezzo?
“E sentiamo, Malefica, vuoi far dimenticare tutto a loro, va bene. Ma noi due cosa c’entriamo in tutta questa storia delle doppel- oh al diavolo come si chiamano”
Jim alla nostra destra prese la parola. Aveva i capelli biondi sudati e incollati alla tempie mentre all’angolo delle labbra gli si era formata una crosticina rossa così come sulla tempia mentre l’occhio da violaceo stava assumendo una colorazione giallastra. Il viso aggrottato non lasciava trapelare alcun segno di misericordia per noi che eravamo stati dei semplici soldati al loro fianco. Loro desideravano una pace che già da fin troppo tempo avevano cercato senza mai trovarla.
Tatia si voltò e lo investì della medesima ondata gelida.
“Voi non dimenticherete tutto, saprete soltanto che avete trovato un accordo con la Triade e che avete vinto questa guerra. Ma vi dimenticherete di loro, del viaggio e di qualsiasi cosa vi sia successa nel corso di questi tre mesi” La figura di Nicole fece capolino da dietro la spalla possente del mezzo vampiro e ci gettò un’occhiata tra il triste e il sollevato: avevano vinto, in uno strano modo ma ce l’avevano fatta, e quel grazie appena accennato dalle labbra della mezza vampira sapevamo che proveniva dai più profondo del loro cuori.
Ma Jim, che continuava a ricoprire la mezza strega di occhiatacce, non sembrava essere del tutto convinto delle sue parole e sporgendosi lievemente con il busto cercò di arrivare alla medesima altezza di Tatia.
“Cosa intendi per qualsiasi cosa?” chiese assottigliando gli occhi davanti ad una Nicole stralunata da quella precisazione. Ma quel che non sapeva Nicole era che l’essere diventata madre l’aveva reso un po’ meno acuta nel cogliere le piccolezze.
Jim trasalì impercettibilmente e io deglutii rumorosamente, come se quella fosse una mia conferma al pensiero che stava intercorrendo nella mente dei due mezzi vampiri.
“Sarà come se voi non aveste mai messo piede qui dentro, come se foste ancora a casa vostra” esalò la strega e nonostante avesse fuorviato la risposta, il concetto appariva molto chiaro a tutti noi.
Con la coda dell’occhio osservai il movimento repentino di una macchia scura che si mosse alla mia destra e con una presa ferrea Damon intrappolò Tatia cogliendola di sorpreso.
“Ci deve essere un altro modo e non mi importa dei tuoi trucchetti da fattucchiera” sibilò il Salvatore reclinando all’indietro la testa della mezza strega e premendo di più la bocca all’altezza della carotide. Se quella non fosse stata una situazione tragica, probabilmente avrei provato fastidio a vedere una me così vicina alle sue labbra.
Tatia sorrise e lo sguardo metallico le si accese di superiorità.
“Ricorda Salvatore, uccidi me, uccidi le altre due Doppelganger. Mordi me, ingerisci il mio sangue da mezzo vampiro, e morirai. A te la scelta”.
Le pupille mie e di Stefan erano fisse sulla scena e il fiato sospeso o del tutto scomparso.
Damon dischiuse la bocca come a voler ribattere, poi la richiuse, corrugò la fronte e lasciò andare la presa ai polsi sottili della strega, imprecando ostinatamente. Almeno lui ci aveva provato e aveva perso. Avevamo perso, in un modo o nell’altro.
Damon rovesciò gli occhi all’insù e strinse la mano in un pugno, colto da un attacco di rabbia improvvisa, ma non avendo oggetti da colpire o da scaraventare in aria, se ne rimase lì con la sua rabbia e il suo rancore nei confronti di quell’essere che aveva appena decretato il nostro destino a noi impotenti.
Poi gli occhi di Stefan si illuminarono di nuova speranza. Mi lanciò uno sguardo in tralice mentre la testa cominciava a girare leggermente. Era l’effetto soporifero dell’incantesimo.
“Elena, abbassati piano e prendi quella penna alla tua destra” sillabò in mia direzione e seguì le sue indicazioni. Sorvolai con lo sguardo i calcinacci sparsi per terra fino a raggiungere il portapenne e la scrivania dello studio e un minuscolo oggetto nero affusolato. Mi lasciai cadere a terra, visto che quello doveva essere l’effetto del rito e allungai il braccio fino a sentire la penna tra le mie mani. La porsi a Stefan mentre facevo leva sulle mie ginocchia tentando di alzarmi ma invano.
Fu come cadere lentamente, priva di qualsiasi forma di gravità, ma il suolo anziché avvicinarsi si allontanava sempre di più. Furono i ricordi più vicini ad andarsene, tanto che dopo pochi minuti non ricordai con esattezza cosa avessi dato a Stefan, se fosse una penna, un calcinaccio o semplicemente l’aria. Era tutto troppo confuso tanto da non riconoscere i movimenti veloci di Stefan disteso al mio fianco che, arrotolata la camicia fin sopra i gomiti, scriveva segni, parole, numeri come nostra ultima memoria. Stefan scriveva da tempi immemorabili, era naturale che per lui la memoria fosse un qualcosa di superfluo, erano le parole scritte a resistere attraverso i secoli e questo lui l’aveva capito.
La memoria tornò a farsi vaga così come i contorni degli oggetti divennero sfumati. Mi si ripresentò nuovamente la scena di Nicole e Jim e mi venne quasi strappata di dosso, così come la morte di Colin tornò prepotentemente a svilupparsi sotto i miei occhi. Era un dolore antico, già provato ma più che un dolore fu un addio a quel ragazzo che purtroppo non sarebbe rimasto mai più neanche nella nostra memoria. E così venne la volta dell’entrata in scena di Katherine, della morte di Chris e del suo scontro con Jim, del ghigno di Guinever, del volto da vampiro di Damon e dai suoi occhi iniettati di sangue, il discorso di Michelle e l’orda dei mezzi vampiri assassinii.
Mi accartocciai su un fianco e fui felice di trovare in qualche modo che qualcuno mi stesse tenendo la mano, almeno quello era l’unico contatto che mi collegasse alla realtà. Ero stupita di quanto orrore avessimo affrontato nel giro di pochi giorni- o forse poche ore.
Chiusi gli occhi e davanti mi si presentarono nuovamente gli occhi grigi di Michelle e i suoi sonagli scintillanti come collane. Stavamo rinchiusi in una cella, Colin era ancora vivo e Nicole era in lacrime. Rivissi quegli attimi nuovamente e poi fui catapultata nei cunicoli sotterranei, sotto la lampada al neon, davanti a me c’era Damon con gli occhi da umano e il cuore a mille. Cercai con tutte le mie forze di trattenere quell’immagine e di non lasciarla andare così come il ricordo di quelle parole di cui non riuscivo più a pronunciarne nemmeno un suono tanto il tutto era ovattato. Seppur stringevo forte la mano il ricordo venne risucchiato via a forza e mi trovai catapultata in un'altra scena, questa volta all’aeroporto quando il sorriso di Jim mi accolse al mio risveglio e il fischio degli aerei interruppe il mio sonno, e poi alla cascina insieme agli altri mezzi vampiri, in quella casa piccola e rumorosa ma che sapeva tanto di famiglia. Si fermò dietro ai miei occhi l’immagine di Frederick dagli occhi grigi e i capelli scurissimi e lì dovetti dirgli addio.
Poi il panorama cambiò e i ricordi divennero soffusi, tanto soffusi da non sapere più dove mi trovassi. C’era del fogliame, una tenda arancione e il fuoco acceso. Il calore che si sprigionò dal ricordo ruzzolò via per tutto il mio corpo tanto da imporporarmi le guance e farmi sudare le mani. Era caldo quel ricordo, bollente e al calore si mischiavano i baci frenetici, le mani intrecciate e i respiri affannosi. Era la notte in tenda di me e Damon. Sentii il cuore battere e pulsare al si sotto del palmo della mia mano e mi sembrò di essere rimasta inceppata in quel momento del passato, come la carta che si inceppava tante volte nella stampante.
Mi concentrai e provai a far convergere tutte le mie fibre nervose nel trattenere strenuamente quel ricordo mentre sentivo gli altri risucchiarmeli via. Quel ricordo per quanto scomparisse ad intermittenza ritornava e più me lo sentivo strappare via, più cercavo di trattenerlo e di registrarlo infinite volte prima della sua cancellazione. Poteva sembrare anche banale in quel momento, ma fui lieta che Damon fosse tornato ad essere un vampiro. Mi aveva insegnato molte più cose che da umano mi avesse mai potuto insegnare. Che l’amore non dipende dal cuore. E’ troppo poco affidabile. Parla, si scuote, si ammutolisce di continuo per poi fermarsi. Ma l’amore continua. Che un cuore batta o stia in silenzio poco importa, l’amore è più di un semplice stato mentale e nessuna amnesia al mondo potrà mai eliminare quel sentimento che si nutre nei confronti di una persona. E’ come se ce l’avessimo marchiato a pelle il nome della persona a noi destinata.
La mano che era stata stretta a me per tutto quel tempo si fece sempre più leggera fino a che non mi sentì priva di appigli e riaprii gli occhi obbligandomi ad un forte capogiro. Era una sensazione strana, come se la mia testa fosse stata troppo grande e adesso i ricordi erano decisamente pochi, pochi mobili per un salone enorme. Sollevai la testa e lessi nei volti dei miei amici il medesimo orrore: l’apatia nel volto di Bonnie, l’indifferenza in quello di Damon. Solo Stefan lottava contro la magia e continuava a torturarsi il braccio di parole ormai incomprensibili e sbavate dall’inchiostro.
Voltai il capo e notai che gli occhi azzurri di Damon mi stavano fissando come se cercassero di mettermi a fuoco, come se stessero cercando di capire chi io fossi. E in quel momento più lo guardavo più non riuscivo a paragonarlo allo strappo di ricordo che avevo nella mia mente, come se fosse appartenuto ad un'altra era.
Il vampiro si scosse dal suo stato di torpore e strisciò verso di me e anch’io feci leva sulle mie gambe ma la testa non ne voleva sapere di alzarsi dal pavimento. Gli occhi si erano nuovamente accesi di vita e l’indifferenza nel suo volto era del tutto scomparsa, forse l’incantesimo era già terminato su di lui o forse non era mai avvenuto.
“Ehi Elena, se questa è la fine voglio dirtelo una volta per tutte. Mi stai ascoltando vero?” Cominciò a parlare distendendosi anche lui per terra e poggiando la guancia al pavimento. Io provai ad annuire ma la mia mente era ormai l’unica parte di me che rispondeva. “Magari, quando ci sveglieremo e se ci sveglieremo, non ricorderemo niente, niente di tutto questo! Magari non ricorderai nemmeno dei nostri momenti, degli abbracci caldi che ho potuto donarti da umano quando ti tenevo stretta a me, dei nostri baci, degli schiaffi e della notte in tenda, della nostra notte. Magari ci sveglieremo a Singapore in topless e penseremo che sia stato solo un brutto incubo. Forse continuerai ad amare Stefan così come hai sempre fatto. Ricordi come eravamo prima io e te, vero? Lo ricordi?”. Provò a chiedermi con un accenno di sorriso, ma lo strano formicolio che prima non mi permetteva di muovermi adesso mi aveva concesso il controllo di parte dei muscoli del viso. “Ma io, Damon Salvatore, giuro sul mio onore, continuerò ad amarti. Mi sveglierò domani, come te, ma nessuna strega da quattro soldi, nessuna doppelganger, nessun mezzo vampiro assatanato, nessun incantesimo da strapazzo sarà mai forte abbastanza da cancellare quello che sono riuscito a provare per te. Ricominceremo tutto da capo, come se ci fossimo appena conosciuti, ma ti avverto signorina Gilbert: ti ho amato, ti amo e ti amerò.” Disse quelle parole come se fossero state scritte apposta per essere dette e non appena allungò le sue dite alle mie riacquistai lucidità e il senso di torpore finì. L’incantesimo era completato e anche l’ultimo brandello di ricordo era stato prosciugato. “Ti aspetterò sempre. Per sempre.” Lo disse con una tal convinzione che temetti di credergli. Mi avrebbe aspettato per sempre quando io per lui avrei aspettato solo una vita. “Per sempre” mormorai e sperai che almeno quelle parole si radicassero dentro di me. Abbassai la testa e lo sguardo mi si posò sul braccio scritto di Stefan le cui lettere riuscivo a leggerle a stento per via dell’incantesimo. Strizzai bene gli occhi per metterle a fuoco e provai a riconoscerne qualcuna.

Mal[e]d[i]zion[e].
P[e]tr[ov]a.
Luna.
Un nome e poi il vuoto.

***

Salve bella gente,
Come potete vedere questa storia è finalmente giunta al termine! Dopo più di un anno finalmente la storia vede una fine-- che non è proprio una fine definitiva. Si è concluso finalmente il viaggio di Damon, Elena e dei mezzi vampiri, hanno lottato e alcuni hanno vinto e altri hanno perso. Spero che sia stato chiaro che il vampiro a cui si riferiva Tatia era Klaus. Alla fine Tatia per precauzione ha cancellato la memoria di tutti i presenti e così anche quella di Elena e Damon i quali non si ricorderanno niente del loro amore e della loro notte. Ma mi reputate essere veramente così cattiva? Dopotutto Stefan ha avuto l'idea di scrivere le ultime informazioni sul braccio (le parole poste tra parentesi sono quelle non leggibili) e la luna a cosa può essere collegare se non alla pietra di luna? La storia, la loro storia si è conclusa e non direi affatto con un lieto fine ma dimenticate un piccolissimo dettaglio che forse chi segue la quarta stagione sa. Visto che qualcuno ha sottolineato il fatto che io aggiorno ad ogni proclamazione di papa (giusto per rimanere in tema) quindi forse dovrete aspettare ancora un po' per l'epilogo finale oppure chissà forse già dopodomani lo potrete trovare ;)
Incomincio già da ora a ringraziarvi immensamente per tutte le rcensioni rilasciate, per i commenti, per i consigli e i complimenti, grazie a tutti coloro che hanno semplicemente letto e chi ha aggiunto la storia tra le preferite e le seguite. Grazie.
Continuerò i ringraziamenti nell'epilogo dove finalmente sarà chiarito un quesito che mi trascino dall'inizio.
A presto
Sil

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Capitolo 35
*** EPILOGO - IT'S A HUMAN THING ***


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EPILOGO- IT’S A HUMAN THING [YEARS LATER..]

 

“Papà chi è questa signora?” borbotta la bimba dai capelli color mogano arricciando il naso e scoccando un’occhiata sorniona da gatto curioso a Jeremy che la sostiene per la vita.
Poi la bambina mi fissa stranita con gli occhi verdi che somigliano tanto a quelli di zia Jenna e il mio cuore vacilla un po’ sul da farsi. Dondolo un po’ sui talloni intimidita da quella presenza seppur lieve che tuttavia mi metteva ogni volta in imbarazzo. Provo a piegare gli angoli della bocca in un sorriso rassicurante, ma la bambina non sembra per niente rassicurata e continua a scoccare calci e alla pancia di Jeremy ricoperta da una camicia scozzese a quadri bianchi e blu.
“Miranda, sta buona. E’ solo un’amica che è venuta a trovarci da molto lontano” la rimprovera bonariamente Jeremy e la piccola sembra dare ascolto alle parole del padre perché distoglie lo sguardo su di me e concentra la propria attenzione sull’orologio d’acciaio di mio fratello.

Amica. Dopotutto non potevo pretendere il contrario visto che sono passati diciassette anni e ho ancora l’aspetto di una ventenne. Amica era il termine appropriato, un modo per presentare alle figlie vecchi conoscenti, il livello di relazione capace di far abbassare la guardia e avere un comportamento reciproco più mite. Zia non avrebbe fatto al caso mio, quanto meno non nelle mie condizioni.
“Tranquilla Miranda, io e tuo papà ci conosciamo da tanto tempo ormai” provo a iniziare ma la bambina adesso sembra troppo distratta per sentire le mie parole. Jeremy rotea gli occhi al cielo prima di fissarli sui miei.
“Eravamo come fratello e sorella una volta” minimizza e noto l’accento amaro con cui lo dice tanto da farmi abbassare lo sguardo per osservare le punte dei miei stivali che picchiettavano sul selciato grigiastro del cimitero di Mystic Falls.
Gonfio le guance e cerco di prendere l’iniziativa prima che questa conversazione possa piegarsi verso lati oscuri e negativi dei quali di sicuro né io né Jeremy volevamo parlare di fronte alle bambine.
“Come sta Samantha? Non è venuta oggi qui con te?” chiedo torturandomi le mani e il dito con l’anello che mai mi aveva dato fastidio come in quel momento.
“No, aveva da riordinare la casa e poi, sai, è in ritardo con la tesi di laurea perciò approfitta delle mattine libere per studiare” spiega con una scrollata di spalle issando maggiormente Miranda.
Quella più che una risposta suonava come una giustificazione. Dopotutto chi è che vuole vedere – e avere- un vampiro come cognata.
Nei primi anni in cui mi ritrovavo da sola a vagare per gli Stati Uniti incontrai Samantha in una città del Colorado. Era minuta e bassa, con un’insolita voglia a forma di falce dietro la nuca e i capelli color miele ma aveva una grande tenacia e forza da vendere dietro quei occhi verdi da cerbiatto. Non so cosa Jeremy trovasse in lei, se per l’incredibile intelligenza di cui era dotata o forse per il bello e grazioso aspetto. Quando glielo domandai una volta a Denver, uno dei miei tanti soggiorni dopo essere diventata vampiro, gli chiesi che cosa ci trovasse in Sam, così come la chiamava. Non che fossi gelosa, ma per quello che aveva passato, desideravo sinceramente che non soffrisse più in futuro. “Mi ricorda un po’ te” mi rispose e io non ebbi altre obiezioni a riguardo. Dopo la fuga di Klaus, la fine degli Originali e la morte delle persone a noi più care, si sposarono, lasciandosi alle spalle tutto il resto. Lasciandosi alle spalle anche me. Samantha seppe ogni cosa del suo passato, dalla decimazione della nostra famiglia all’esistenza di esseri sovrannaturali. Non si scompose, semplicemente si sfilò gli occhiali da vista per quel misero grado e mezzo che le mancava e butto giù tutto d’un fiato, vampiri, licantropi, streghe e compagnia bella. Era una donna forte dopotutto, la più adatta per Jeremy.
“Papà dove dobbiamo posare i fiori per zia Jenna?” pigola una voce alla sua destra proveniente dalla figura slanciata di un’altra bambina dall’aria minuta con occhi color nocciola e ciocche di capelli chiari. Elena Isobel Gilbert mi scruta con aria naturale senza aver paura e quando fa così ho paura del potere del soggiogamento, forse che non faceva effetto su di lei?
Jeremy si apre in un sorriso malinconico e prende la manina sottile della mia omonima voltandosi per raggiungere la tomba di Jenna. Poi si volta rivolgendomi uno sguardo di sottecchi come se volesse non farsi vedere dalle bambine.
“Vieni con noi?” mi chiede e mi irrigidisco come un pezzo di legno. Lo svantaggio di essere ciò sono è che ogni singola emozione, per quanto piccola sia, si trasmette in ogni centimetro del mio corpo con la stessa intensità di mille lampadine e in quel momento sentivo il senso di rimorso e frustrazione rodermi dall’interno. Ma per fortuna ero diventata abbastanza brava a controllare il tutto o quanto meno stavo imparando già da un po’.
Lascio scivolare i ricordi e accenno un flebile si insieme ad un movimento del capo.
Elena mi offre la sua mano e io gliela stringo sentendomi un po’ impacciata. Quando arriviamo alla tomba di Jenna, Miranda protesta per essere messa e terra e con fare dispettoso ruba una gardenia dal mazzo della sorella porgendola sopra la tomba. Le bambine se ne stanno in silenzio di fronte alla tomba mentre Jeremy sospira e mi prende una mano.
“E allora, dove sei stata in questi ultimi sette anni?” chiede col tono canzonatorio di quando aveva diciassette anni. Adesso si può permettere di comportarsi normalmente, di ritornare per poco tempo al soprannaturale.
“Washington, Los Angeles, Barcellona, Vienna, Tokyo—no, forse sono stata prima a Tokyo e poi a Barcellona, non ricordo di preciso” fingo e il mio tono sembra essere divertente visto che Jeremy si apre in un sorriso a trentadue denti.
“di Klaus, hai avuto notizie?” chiede e la fronte alta gli si corruga in tre increspature.
Avrei potuto dirgli che avevamo incontrato Klaus nel nostro cammino, che ha voluto sapere tutta la storia di Tatia e di come l’avevamo conosciuta, avrei potuto raccontargli di quando mi era tornata in mente la memoria, quando l’incantesimo di Tatia era svanito a causa della sua morte, di come Klaus ci aveva aiutati nel riacquistare tutti i ricordi relativi a quel periodo, ma non lo faccio, mi limito a denigrare con il capo.
“Abbiamo perso ogni contatto poco dopo la nostra partenza da Mystic Falls, non penso che lo rivedremo mai più”. Per l’esattezza avrei dovuto dire non penso che tu lo rivedrai mai più. In quanto a noi, avevamo più o meno l’eternità.
“Sai, mi sei mancata in questi sette anni” dice rivoltandosi le maniche della camicia per poi grattarsi la peluria spessa del mento.
Ed è in quel gesto impacciato che riscopro il fratello che pensavo di aver perso quando sono diventata vampira, quando il tutto è diventato più complicato e la sua vita è stata messa in pericolo tante volte. Penso ai sette anni di lontananza da lui e provo una fitta allo stomaco. Finchè avevamo una famiglia dovevamo aggrapparci a vicenda per non cadere, per non sprofondare nella pazzia.
Mi alzo in punta di piedi e lo abbraccio ma la situazione sembra invertita perché le sue spalle da uomo mi circondano e mi fanno sentire più consolata che consolatrice.
Mi sento strattonare il giubbotto e il musetto di Miranda si intrufola nella mia visuale.
“Papà facciamo a chi arriva prima da zio Rick?” chiede e noto uno spazio tra i denti davanti.
“Certo, andate tu ed Elena, chi vince la farò sedere sul sedile davanti” annuncia contento e le bimbe cominciano a correre tra le tombe ingrigite del cimitero.
Sono pronta a seguire le mie nipoti, chissà questa volta forse vincerò data la mia supervelocità, quando sento quattro ruote di una Jaguar mordere l’asfalto e fermarsi poco lontano l’entrata del cimitero.
Non faccio in tempo a schiudere le labbra che un rumore di clacson infernale mi perfora i timpani e mi dice implicitamente di muovere il culo e montare in auto. Potevo sentire la voce del proprietario irritante ma al contempo seducente e ironica. Roteo gli occhi e cerco di trovare un minimo di comprensione negli occhi di mio fratello.
“Anche lui è tornato a Mystic Falls?” mi chiede con una punta di disprezzo che purtroppo non è mai riuscito a evitare quando si parlava di lui.
“Siamo qui per una questione importante, Jeremy, e Damon doveva esserci” dico ma alle sue orecchie la mia sembra solo una sciocca giustificazione. Dopotutto dopo sette anni di peregrinazioni, di lotte e contese varie alla fine lo avevamo ritrovato l’amore che avevamo perso, ce lo siamo ripreso con le unghie a furia di ricordare. Ci siamo aiutati a rimettere in mente ciò che eravamo e da lì abbiamo continuato da dove avevamo lasciato in sospeso.
Un altro suono di clacson e devo ordinare ai miei piedi di schiodarsi dal suolo, premo le mani sudate alla tempia cercando quale scusa sarebbe stata più idonea per non ferire l’animo già martoriato di mio fratello.
“Senti Jer-” inizio ma vengo interrotta dalla voce di Jeremy.
“Dimmi solo che rimarrai ancora un po’ a Mystic Falls” dice tutto d’un fiato e i suoi occhi scuri sono carichi di un’accesa preoccupazione.
Non sarei potuta rimanere in eterno, questo lo sapeva. Tuttavia mi strappa un sorriso e un si nonostante quello non fosse esattamente ciò che avevo in programma.
“Ora vai, prima che le bambine si allontanino troppo” borbotto e questa volta sono io a strappare a lui un lieve sorriso.
Si volta incamminandosi lungo il sentiero ma a poco più di sei metri mi sfugge il suo nome e lui si volta, assottigliando gli occhi per via del sole.
“Salutami Rick” dico e una patina umida mi copre gli occhi.
Lo osservo camminare con la sua andatura un po’ stanca e goffa, come quella di un diciassettenne. In fondo credo che lui sia rimasto un po’ diciassettenne, dopotutto ciascuno di noi è rimasto quello che era un tempo.
Mi volto solo quando non lo vedo più aggirarsi tra le lapidi e le mie orecchie avvertono le voci lontane di Elena e Miranda che rimproverano il loro papà per il ritardo.
Cammino svelta fino ad imboccare l’uscita del cimitero dove mi aspetta una Jaguar tirata a lucido.
“I morti del cimitero avevano deciso di dare un festino in tuo onore?” domanda Damon abbassando leggermente le stecche degli occhiali da sole a specchio e abbassando il finestrino della macchina, scoccandomi un’occhiata furbesca e di finto rimprovero.
Roteo gli occhi e apro lo sportello infilandomi dentro l’abitacolo della macchina che sapeva di balsamo per capelli e di zero positivo.
Mi sistemo al meglio sul sedile e lascio che i miei nervi si distendano. L’incontro con Jeremy era stato il primo di una serie di incontri a cui mi sarei dovuta abituata a fare.
Solo quando alzo lo sguardo mi accorgo che Damon aveva messo in moto già da tempo e ci stavamo dirigendo verso casa- se ancora esisteva una casa.
“Che dice il piccolo Gilbert?” cerca di spezzare il silenzio. Sa bene che i miei silenzi nascondono di più, lo ha imparato a sue spese: le notti trascorse nei motel durante le quali ricordavo qualche nome, un’immagine, una parola e ricadevo nel vuoto dell’incantesimo; le volte in cui in macchina mi lasciavo trasportare dal paesaggio e ciò che vedevo erano solo pini, foreste, montagne, baite nascoste che speravo essere abitate; quando i miei nervi saltavano al rumore di uno scoppio, il più piccolo, perché un’angoscia pesante mi riportava alla mente il ricordo di un ragazzo dai capelli fulvi.
Damon sapeva di che cosa erano fatti i miei silenzi e, anche se lo mascherava bene, era allarmato quanto me di questi vuoti e riempimenti continui del nostro pensiero.
“Bene, era insieme ad Elena e Miranda al cimitero. Stavamo portando fiori sulla tomba di Jenna e Rick” rispondo e noto una leggera contrazione della mandibola da parte sua. I suoi occhi blu non si discostano dalla strada ma continuano imperterriti a seguire la carreggiata.
“Non credi che la pensione Salvatore sia stata confiscata dalla città? Dopotutto sono quasi vent’anni che non ci abita più nessuno” domando mentre allungo la mano pigiando alcuni tasti dell’autoradio per avere un po’ di musica.
“Diciamo che mio fratello tiene troppo a quella casa per lasciare che dei luridi politici se la possano prendere per cui abbiamo fatto già il necessario per il passaggio di proprietà” risponde ingranando la marcia e scivolando ancora di più per le vie di Mystic Falls.
Alzo un sopracciglio confusa dalla spiegazione.
“E chi l’ha acquistata?” schiocco la lingua ma un sorriso sbilenco da parte del vampiro mi fa capire che la mia curiosità sarebbe stata soddisfatta una volta arrivati lì.
Mystic Falls era come me la ricordavo, cittadina dispersa nello stato della Virginia con un numero discreto di abitanti e con un passato che avrebbe fatto gola a qualsiasi film dell’orrore. Ciò che stupiva non era il fatto che le persone non si accorgessero di niente, ma la bravura che il Consiglio avesse avuto nell’insabbiare i casi più spinosi e palesi.
Damon imbocca il sentiero e già so a quale distanza troveremo casa Salvatore.
Non appena spegne il motore, dall’interno dell’abitacolo sento la calma che da sempre aveva caratterizzato quella pensione- almeno in apparenza.
“Questo posto fa più schifo di come lo ricordavo” esordisce Damon guardando obliquamente la struttura con in volto una leggera smorfia. Siamo arrivati a casa non era sicuramente una delle sue frasi.
Sorrido e si accorge di questo mio mutamento di umore per cui si avvicina e mi attira verso di sè.
“Perché non entri e chiedi al proprietario se possiamo usufruire della casa? Sono sicuro che non ti dirà di no” mi propone e preme le labbra contro la mia testa scostandomi i ciuffi corti di capelli che, da quando eravamo partiti da lì, mi ostinavo a portarli corti al di sopra delle spalle.
Ubbidisco più per curiosità di vedere chi avrei trovato alla porta che per subordinazione al Salvatore.
Entro nel porticato e busso alla porta, completamente sprovvista di cosa dire. A pensarci meglio, un buongiorno sarebbe stato più che sufficiente.
La porta si apre e per poco il mio cuore ruzzola da qualche parte.
“Elena? Sei tu, vero?” mi chiede togliendosi gli occhiali da vista che nascondevano i grandi occhi azzurri.
Incontrare Jeremy e Matt in un giorno solo era troppo anche per un essere sovrannaturale come la sottoscritta.
Con uno slancio lo abbraccio, facendo attenzione a moderare la mia forza e noto anche in lui i segni del passare del tempo.
Ci dondoliamo un po’ fino a che non lo sento tirare su col naso e allora mi accorgo che anche io ho gli occhi umidi di lacrime.
“Quindi ora sei tu il proprietario della pensione?” chiedo slacciando le braccia intorno al suo collo e riprendendo fiato, mettendomi un ciuffo di capelli dietro le orecchie.
“Stefan e Damon hanno fatto il passaggio di proprietà a mia insaputa. Mi sono trovato contratto e chiavi in una busta e sono stato trasferito qui” dice alzando lo sguardo un po’ incerto sulle assi di legno del porticato come se fosse ancora il primo giorno di permanenza in quella casa.
“Dovevamo trovare qualcuno che ci facesse le pulizie e visto che lui si lamentava sempre dell’affittò troppo alto—” si giustifica Damon intrecciando le mani sui miei fianchi e scrollando leggermente le spalle nel suo solito modo da finta non curanza. Matt sorride e da sotto gli occhiali leggo una sincera felicità nell’incontrarci dopo così tanto tempo. Matt era uno dei pochi a cui non avevo potuto dire addio, uno dei tanti che non vedevo da molto tempo eppure non fa domande, non chiede cose inopportune, si limita a guardarmi perché sa bene che ogni sguardo può essere importante.
“Hai tagliato i capelli” osa dire e si porta tra le mani una ciocca e poi scosta lo sguardo rivolgendosi a Damon.
“L’ultima volta che mi ha chiamato Stefan non mi ha avvertito del vostro arrivo” dice corrucciando la fronte e cerca in Damon qualche segnale di risposta.
Il vampiro come se niente fosse lascia cadere i bagagli a terra con un tonfo sordo e ci sorpassa avvicinandosi alla soglia di casa.
“Perché non lo sa” annuncia e sgrana gli occhi con aria divertita. Dopo quasi due secoli il suo sport preferito era ancora recare guai e problemi al fratello. E la cosa non sarebbe di certo migliorata.
Scuoto la testa rassegnata a quell’idea e Matt poggia una mano sulla spalla invitandoci ad entrare.
Sorpasso Damon e varco la soglia sentendomi avvolgere da odori che fino a quel momento erano rimasti rinchiusi da qualche parte nella mia testa.
Osservo il tappeto decorato sotto i miei piedi, i soffitti alti, il camino grande posto al centro del salone, le poltrone in velluto, la luminosità soffusa che si sprigionava oltre le tende di una delle due finestre. Era proprio come era rimasto congelato nella mia mente, proprio come avevo cercato di ricucire pezzo dopo pezzo nella mia memoria guastata dall’incantesimo. Anche se non era la mia, quella era anche la mia casa.
“Ho una riunione a scuola tra poco” dice Matt alzandosi la manica della camicia per controllare l’orario. Solo allora mi accorgo delle pile di carte disposte sulla scrivania, dei test segnati di rosso e delle matite ed evidenziatori disposti a casaccio su un portapenne.
“Da quarterback a prof” stuzzica Damon mentre passa in rassegna con lo sguardo le buste e le cartoline disposte su un tavolinetto dove aveva posato le chiavi della Jaguar, poco distante dall’ingresso.
Matt arrossisce lievemente, prende la giacca e ruba le chiavi da sotto il naso del vampiro.
“Questo lo prendo come la restituzione del prestito” sorride furbescamente lasciando un Damon a dir poco attonito fino alla chiusura della porta con un tonfo.
“Mi ha rubato le chiavi della macchina?” chiede con aria sconcertata mentre gli angoli della bocca mi si curvano istantaneamente all’insù. Damon rimano ancora un po’ con la mascella semiaperta mentre il mio sguardo già vaga oltre, verso i mobili perfettamente in ordine, il lampadario, il camino senza la ben che minima traccia di muffa o sporcizia, i pomelli delle porte esattamente lucidate. Era passato troppo tempo dall’ultima volta che avevo messo piede in quella casa, troppo poco per potermi dimenticare gli aspetti anche più semplici.
Noto il tavolinetto con dei fogli sparsi, cartoline e lettere mandate dai posti più disparati. Leggo il mio nome e la mia mano si allunga prima ancora che potessi comandarla di afferrare l’oggetto. E’ una cartolina sottile dal lieve sentore di gel e cannella che presentava sul fronte un’immagine di New York, con i suoi grattacieli e la sua ampia vista sulla città. Mi rigiro la cartolina tra le mani indecisa se leggerla oppure riporla sul tavolinetto. Mi mordo un labbro ma alla fine la mia curiosità sembra avere la meglio.
La calligrafia chiara e in corsivo salta subito ai miei occhi e so già di chi è prima ancora che possa leggere il mittente. Era Caroline. Chiedeva a Matt come stava, se sua madre lavorasse ancora come Sceriffo o se avesse raggiunto finalmente l’età per la pensione, se il tempo era bello; scriveva che a New York stava nevicando e che aveva già fatto il giro di tutti i negozi della Fifth Avenue, raccontava che Stefan l’aveva accompagnata e che stava cercando di mettersi in contatto con me e Damon mentre erano sulle tracce di Tyler, diceva che avevano trovato una pista attendibile. In basso a destra c’era un numero scribacchiato con sotto la dicitura che quello era il loro nuovo numero così da poter essere nuovamente reperibili. Concludeva dicendo che presto si sarebbero trasferiti, probabilmente in Europa e che sia lei che Stefan lo salutavano. La cartolina presenta ancora una macchia di caffè ai bordi, probabilmente Caroline l’aveva scritta mentre aspettava Stefan in qualche caffetteria. In effetti la immagino così, da qualche parte con Stefan, dopotutto in qualche strano modo avevano bisogno l’uno dell’altra per ritrovare persone a loro care. Damon ed io non avevamo deciso di separarci da loro in maniera spontanea, semplicemente quando un giorno ci siamo svegliati con in testa i ricordi legati ai mezzi vampiri ci siamo guardati negli occhi e abbiamo compreso che dovevamo intraprendere questo viaggio da soli. E così siamo tornati in quegli stessi luoghi, tra i boschi dove rimaneva nascosta la Cascina con il covo di mezzi vampiri che continuavano a vivere la loro vita. Alcuni di loro conclusa la battaglia avevano abbandonato il luogo trasferendosi altri sono rimasti perché non avevano altro posto dove andare. Freddie fu sorpreso di vederci, ci credeva morti. Gli abbiamo spiegato cosa era successo, ciò che ricordavamo anche se i vuoti di memoria ci lasciavano smarriti e spaventati. Dopotutto cosa potevano fare due vampiri entrambi costretti ad esserlo e non per nostra scelta?
Il flusso dei miei pensieri viene interrotto da Damon che mi strappa dalle mani la cartolina sbirciandola con aria di sufficienza.
“Non dirmi che ti stai mettendo a piangere perché ti manca la biondina- che a quanto vedo se la sta passando bene” mi prende in giro e sorseggia il brandy contenuto nel bicchiere di vetro.
Mi accorgo di avere gli occhi lucidi e riprendo subito il controllo, apparendo serena e disinvolta.
“Sono cose da umani, Damon” dico riferendomi alla mia doppia natura e giustificando il mio comportamento, mentre sfilo il bicchiere dalle sue mani.
Lui approfitta del mio gesto per cingermi i fianchi e attirarmi a sé, soffiandomi a pelo sulle labbra per poi spostarsi sul mio orecchio con il respiro caldo e suadente.
“No, e’ una cosa da Elena” dice e il suo tono mi fa rabbrividire tanto da sentirmi tremare dentro, dalle scapole fino al basso ventre. Preme con la punta del naso lungo l’incavo del mio collo e reclino la testa all’indietro, per poco dimenticandomi di trattenere il bicchiere di liquore che ho in mano.
“Abbiamo ancora un po’ di tempo prima che arrivino” dice carezzandomi i capelli corti. Io rido e mi siedo sul cornicione del camino, baciandolo, allontanando per un breve momento i pensieri. Poi un ricordo improvviso e prepotente si insinua nella mia mente, una musica e dei passi leggeri di quasi una vita fa.
Apro gli occhi e prendo Damon per la mano, spostandomi a velocità vampiresca al piano superiore. Cerco di affidarmi solo all’istinto e quando Damon mi guarda in maniera interrogativa, lo ammutolisco con un cenno della mano e mi lascio trasportare dall’immagine del mio ricordo. C’è una maniglia, una scala che discende dal soffitto, odore di muffa e scartoffie varie. Ripeto gli stessi movimenti del mio ricordo e quando affaccio la testa attraverso la fenditura del soffitto mi ritrovo in quella che doveva essere la soffitta.
“Siamo già stati qui, vero?” chiedo e rivolgo lo sguardo a Damon. I suoi occhi blu sembrano persi in qualche viaggio mentale, in qualche ricordo sgranato del periodo in cui era ritornato umano.
Controlla i bauli, le scartoffie, i mobili e i lenzuoli inondati da una coltra di polvere, si rigira tra le mani un pallone da football di cuoio, ormai sgualcito e consunto dal tempo. Un sorriso amaro compare sul suo viso e stringe maggiormente il pallone che doveva essere stato suo e di Stefan tra le mani.
“Colin” sussurra impercettibilmente e i ricordi cominciano a riaffiorare più chiari e precisi. Quella mansarda era stata il luogo in cui si era rifugiato Colin, dove io e Damon siamo venuti per consolarlo, quel posto un po’ distaccato dal resto della pensione, territorio di Damon così come lo avevano definito. Ed era lì quel posto che mi era mancato dopo diciassette anni di peregrinazione per tutti gli Stati Uniti, quel posto che mi sarebbe mancato sempre. Dopotutto quella mansarda era un po’ come il mio cuore, il suo cuore: non c’era posto per lui, non c’era mai stato eppure quel luogo apparteneva solo ed esclusivamente a lui.
“Stai bene?” mi chiede e mi alza il viso con un dito. Lo guardo ma avverto il suo impercettibile brivido non appena incontra i miei occhi. Nonostante Freddie fosse rimasto stupito della nostra visita ci chiese che cosa fossimo venuti a fare lì alla Cascina. E fu lì, quando ricordai tutto, quando scoprii che avrei potuto riavere la mia umanità senza dover morire, che Damon mi propose di diventare una mezza vampira. Sarei cresciuta, sarei invecchiata, ma in un tempo così lungo tale da essere paragonato all’eternità. Damon teneva alla mia umanità forse più del suo essere vampiro perché in fondo sapeva che io ero la sua umanità. Bevvi il sangue di Frederick, e in meno di un giorno tornai ad avere fame e sete allo stesso tempo, tornai ad aver bisogno di ossigeno e a non bruciare al sole. Ma i miei occhi, del color nocciola ormai non rimaneva alcuna traccia. Grigio. Solo grigio argento.
“Si” rispondo e sorrido perché per una volta non mentivo, per una volta stavo realmente bene.
Prendo le sue mani e poi mi slancio abbracciandolo, sentendo le sue costole urtare contro le mie traballanti per i battiti frenetici del mio cuore. Per un momento sentii anche il suo battere, timido, inquieto, proprio come ai tempi di quando era umano, di quando eravamo entrambi umani. Lui che aveva passato secoli di rimpianti, di rimorsi, aveva distrutto ogni brandello di felicità perché gli mancava la sua umanità, gli mancava più di qualunque altra cosa al mondo, era dovuto ridiventare di nuovo umano per capire che in fin dei conti non gli era mai mancata. Che in basso, sotto ogni strato, ogni singolo essere di questo pianeta presenta un cuore ed è lì che risiede la vera salvezza.
Apro il palmo della mano e lo appoggio al suo torace come non facevo da tanto tempo ormai.
“Tu sei qui, Damon, nel tuo cuore” dico, ma mi sembra una battuta già detta e sentita negli echi della mia mente. Il vampiro strapazza le labbra in un sorriso ballerino e scuote la testa in senso di disapprovazione. Poi poggia le mano sulla mia e preme maggiormente in corrispondenza dello sterno, tra la prima e la seconda costola.
“No, tu sei qui” dice e mi sento fluire il sangue nelle vene, esplodermi in testa e ritornarmi al cuore come la risacca del mare.
Un suono insistente di clacson proveniente dallo spiazzale antistante la casa ci induce a lasciare la mansarda e a raggiungere la porta di ingresso.
Le voci familiari che provengono da dietro la porta ci fanno tornare indietro nel tempo e sospiro prima di aprire la porta.
“Apro?” chiedo scoccando un’occhiata di approvazione a Damon il quale rotea gli occhi al soffitto.
“Non vorrai far aspettare i nostri ospiti” risponde scimmiottandomi e aprendo la maniglia della porta.
Una giovane donna e un uomo alto e possente con i miei stessi occhi grigi ci sorridono timidamente. Sorrido a mia volta quando la mia mente li riconosce come Jim e Nicole.
Sento i loro cuori battere all’unisono, come il mio, fatto per metà di carne e per metà di vampiro.
Ma sento un altro cuore, timido e indifeso, barcollare un po’.
Affilo lo sguardo e inclino la testa verso il basso. Un bambino dai capelli color del grano e puntinato di lentiggini mi fissa sorridendomi a sua volta.
Ed è il suo cuore, da piccolo uomo, che ha la stessa profondità di un oceano sconfinato.

- Fine -

***

 

Ok, ci sono. E’ finita, conclusa, terminata. Più di un anno fa ho deciso di scrivere questa storia e adesso a distanza di tempo mi rende triste l’idea di non dover più scrivere su di loro, di non dover più progettare capitoli e colpi di scena. Mi mancheranno i mezzi vampiri, tutti i personaggi a cui ho dato vita, mi mancheranno le canzoni che hanno fatto un po’ da colonna sonora a questa storia, mi mancheranno Damon ed Elena e questo loro amore nato ai tempi della seconda stagione quando ancora non si parlava di sire bond e cose del genere. Mi mancherete voi cari lettori che anche se sporadici avete dato un supporto morale decisamente grande a questa storia nata come sciocchezzuola, diventata una neverendingstory e poi conclusasi. Vi ringrazio immensamente e scusate per i miei ritardi e per le mie descrizioni chilometriche. Spero che vi sia piaciuta come storia. Non penso di intraprendere altre long per il momento, ho da finire Unspoken crime ma ciò non toglie che forse potrò tornare in seguito (sempre se mi volete sia chiaro u.u)
Grazie ancora di cuore.
Un bacio,
Sil

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