-Within a man's heart; di d r e e m (/viewuser.php?uid=39619)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO - IT'S A VAMPIRE THING ***
Capitolo 2: *** 1- EXCUSE ME, ARE YOU A VAMPIRE? ***
Capitolo 3: *** 2- WHAT THE HELL IS GOIN' ON? ***
Capitolo 4: *** 3- I'M ACTING LIKE A PERFECT HUMAN ***
Capitolo 5: *** 4- SWEETY I'VE GOT A HEART AND BEATS TOO ***
Capitolo 6: *** 5- WHO IS BELIEVED TO BE THAT BITCH?! ***
Capitolo 7: *** 6- WHAT ABOUT TALKING? - UH TALK...VERY HUMAN ***
Capitolo 8: *** 7- WHY ARE YOU AGAINST ME IF I CARE ABOUT YOU? ***
Capitolo 9: *** 8- I'LL JUST DIE IF IT WILL BE WORTH IT ***
Capitolo 10: *** 9- HIDDEN WORDS CAN SAY MORE THAN YOU WANT ***
Capitolo 11: *** EXTRA- MAYBE IN YOUR DREAMS (DAMON) ***
Capitolo 12: *** 10- HE LOVES YOU BUT...IT'S A RILEVANT DETAIL ***
Capitolo 13: *** 11- DON'T YOU MANAGE TO SLEEP? ***
Capitolo 14: *** 12- C'ME ON, WE ALSO GIVE YOU CANDIES! ***
Capitolo 15: *** 13- WHENEVER WE ARE FRIENDS? ***
Capitolo 16: *** 14 - I WAS A VAMPIRE NOT A GENIE! ***
Capitolo 17: *** 15- I'M NOT YOUR PUPPET! ***
Capitolo 18: *** 16- 'CAUSE THERE ARE SOME BIKINI GIRLS! ***
Capitolo 19: *** 17- I'LL TAKE CARE OF YOU NOW, I PROMISE. ***
Capitolo 20: *** 18-WHO GETS MARRIED? ***
Capitolo 21: *** 19 - WET BRIDE, LUCKY BRIDE ***
Capitolo 22: *** 20-GOOD MORNING, ELENA! ***
Capitolo 23: *** 21 - YOU ARE HERE! ***
Capitolo 24: *** 22 - DO YOU TRUST HIM? IT'S EVIL! ***
Capitolo 25: *** 23 - WE'RE NOT STRANGERS, WE'RE A FAMILY ***
Capitolo 26: *** 24-I LOVED HER, THAT'S THE PAIN ***
Capitolo 27: *** 25 - AN END IS JUST AN END ***
Capitolo 28: *** 26 - BUT I LOVE YOU MORE ***
Capitolo 29: *** 27. HOW DO YOU SAY? SHOW MUST GO ON! ***
Capitolo 30: *** 28-SHE'S NOT ME ***
Capitolo 31: *** 29 - WHO'S NEXT? ***
Capitolo 32: *** 30- YOU OWE ME A FAVOR, MATE! ***
Capitolo 33: *** 31- A WITCH, A VAMPIRE, A HUMAN ***
Capitolo 34: *** 32- WE WON'T DIE. WE CAN'T ***
Capitolo 35: *** EPILOGO - IT'S A HUMAN THING ***
Capitolo 1 *** PROLOGO - IT'S A VAMPIRE THING ***
Ma
salve popolo di vampiri, qui è dreem che vi
parla! Questa storia non è la prima che faccio su il fandom
TVD tuttavia dopo l’ennesima
richiesta da parte di una certa persona sono costretta a pubblicarla!
Non ci
sono spoiler rilevanti: si ambienta nella seconda stagione quando
Katherine è
già tornata in città, Caroline è
diventata da poco vampira, ma non si sa niente
né di Mason né dei licantropi. Sono stati
inseriti nuovi personaggi e un nuovo
intricato problema…e tutto come sempre ha a che fare con
Damon! Perciò cominciate
a leggere il prologo e spero tanto di non farvi annoiare. Buona lettura
=D
-Within a man’s heart;
1.PROLOGO-
IT’S A VAMPIRE THING
“Giuro
Damon che se non mi fai scendere da questa
macchina io…”
“Rilassati e cerca di goderti il panorama – mi
guardò di sottecchi sprigionando il più bastardo
dei suoi sorrisi - ti spuntano
le rughe se ti arrabbi”
L’aveva fatto di
nuovo!
Un po’
di tempo prima…
Era assurdo
ma ormai la pensione Salvatore era
diventata quasi la mia seconda casa, forse perché in fondo
lì vi abitava la mia
unica ragione di vita. Non era male avere un vampiro come fidanzato
anche se
non potevo di certo andare tranquillamente al cinema a trangugiare
pop-corn
senza incontrare vampiri assassini, pazzi furiosi o peggio la tua sosia
in
versione vampira pronta a rapirti il fidanzato sotto il naso.
Risi di quanto fosse diventata assurda la mia vita
nell’ultimo anno a Mistic Falls dopo la morte dei miei
genitori e spensi il
motore della macchina proprio di fronte l’abitazione.
Forse quella mattina di fine maggio sarebbe stata
abbastanza tranquilla per trascorrere un po’ di tempo insieme
a Stefan mandando
a quel paese tutto ciò che iniziasse con v e finisse con o.
Non mi accorsi di avere un sorriso da ebete
stampato in faccia né di avere stupidamente bussato alla
porta quando potevo
benissimo entrare.
Alzai gli occhi al cielo e spinsi la porta per
entrare ma qualcuno mi bloccò.
“Ma cosa diavol-” “Buongiorno anche a te
Elena”
avrei riconosciuto quell’odiosissima e suadente
voce tra mille. “Damon apri la porta”.
“Dammi almeno un motivo per farlo” lo
vidi sghignazzare dalla fessura che si era creata tra me e la porta: la
teneva
ferma con un solo dito! “Per l’amor del cielo Damon
fammi entrare” ma
dall’altro lato il mio sordo interlocutore sembrava occupato
a fare
qualcos’altro che starmi a sentire:stavo davvero perdendo la
pazienza
soprattutto perché avevo progettato un appuntamento
tranquillo senza nessun
disturbo e il vampiro che mi trovavo davanti era un disturbo!
“Vedi che chiamo Stefan!” dissi sentendo dentro
montarmi
la rabbia. La fessura della porta si allargò e da
lì sbucò la faccia ghignante
e falsamente impaurita di Damon Salvatore che mi guardava con due
buffissimi
occhi azzurri sbarrati. “Oh no…non chiamare
Stefan, ti prego non lo fare, ti
supplico non chiamarlo-” si portò una mano alla
fronte teatralmente come se
fosse il peggiore dei supplizi “-mangerebbe il coniglio che
ho stampato sulla
maglietta” piegò le labbra in un sorriso che gli
procurarono delle leggere
fossette sulle guance.
Cercai di dargli uno schiaffo ma fu più veloce di me:
richiuse la porta e io mi procurai una possibile frattura alle nocche.
Mentre
mi massaggiavo la mano dolorante da dietro la porta sentii una risata
liberatoria: potevo benissimo vedere la sua faccia che se la rideva per
il
danno che mi ero procurata. Ma quello era troppo: misi la mano nella
borsa alla
ricerca del telefono. “Che cosa sta succedendo?” la
voce di Stefan dall’altro
lato della porta mi rincuorò e con tutta la forza che avevo
in corpo la spinsi
ma…era stranamente più leggera!
Ricaddi sul tappeto ma non arrivai neanche a
sfiorarlo che Damon mi aveva presa per la vita facendomi riacquistare
l’equilibrio “Devi stare più attenta a
dove metti i piedi!”. Lo fulminai con lo
sguardo ma non riusciva a togliersi quell’assurda aria di
onnipotenza: chi
aveva ucciso per essere di così buon umore? Mi divincolai
dalle sue braccia per
passare a quelle del mio ragazzo: doveva essere appena uscito dalla
doccia,
odorava di muschio e pino silvestre. “Allora che cosa ti va
di fare?” mi disse
accarezzandomi una ciocca di capelli “Qualsiasi cosa pur di
stare con te” lo
guardai negli occhi e avvicinai le mie labbra alle sue. “Oh
ma per favore:
potreste fare morire un diabetico per quanto siete smielati!”.
Il bacio fu
interrotto da Damon che ci stava fissando dalla poltrona del salotto
con in
mano uno dei suoi soliti bicchieri colmi o di sangue o di liquore.
“Geloso
Damon?” gli chiesi in tono di sfida cercando la rivincita per
il pungo di prima
e continuando ad aggrapparmi sempre più alle braccia di
Stefan. Bevve un sorso
di quello che riconobbi come cognac “Ehi sono un vampiro:
posso avere tutte le
ragazze che voglio! Prima le ammalio-” si stava avvicinando
pericolosamente a
me che ero rimasta sola dopo che Stefan si era allontanato per mettersi
qualcosa addosso “-poi ci parlo un po’-”
ancora un altro passo verso di me “-e
poi me le porto a…” “E allora
perché non sei a divertirti con una di loro?” lo
interruppe Stefan che intanto si era procurato una maglietta e degli
occhiali
da sole e che adesso era al mio fianco guardando Damon in cagnesco.
“Vedi
fratellino quando puoi avere tutto a volte poi ti secca pure
averlo.” Ritornò
da dove era venuto posando il bicchiere sul tavolino in mogano e
prendendo tra
vari libri e bottiglie quello che riconobbi come un paletto si legno.
“Invece
perché non impalettiamo qualche vampiro? Coraggio fratellino
come ai vecchi
tempi io te e…” mi guardò scettico per
un momento squadrandomi dalla testa ai
piedi “ no lei non fa parte dei vecchi
tempi”. Odiavo il suo modo di atteggiarsi e di credersi il
più importante dei
vampiri…avrei di gran lunga desiderato che non lo fosse
più ma questo era
tecnicamente impossibile!
Irritata
presi Stefan per un braccio e mi diressi verso l’uscita.
“Certo lasciatemi pure
solo ad architettare un altro oscuro piano per tirare fuori altri
vampiri da
un’altra cripta” Non feci caso alle sue parole e
chiusi la porta trascinandomi
dietro uno Stefan alquanto taciturno. Mi strattonò un
braccio e io mi girai per
sapere cosa lo stava turbando. I suoi occhi verdi mi fissarono in segno
di
rimprovero ma anche desiderosi di chiedere. “Che
c’è?” sbottai vedendo che lui
non si decideva a parlare “Forse ha ragione”
“Forse ha ragione nel senso che io
non faccio parte dei vecchi tempi?” “No ha ragione
che lo lasciamo troppe volte
solo” mi stupii di quella risposta: a quel che ricordavo
Damon aveva sempre
vissuto da solo, non si preoccupava della compagnia, era abituato alla
solitudine…o almeno il Damon che conoscevo. “Che
cosa intendi dire?” “Da quando
non è più ossessionato da Katherine non ha
cercato più di uccidere persone, ha
mantenuto un profilo basso per non farci scoprire, tutto questo non
è da Damon:
credo proprio che sia cambiato ma se lo lasciassimo solo
potrebbe…” Capii le
sue intenzioni e non lo feci continuare oltre “va bene basta
che non si
comporti come al solito” nel suo volto affiorò un
sorriso “non ti posso
assicurare niente: è Damon!”
“E’ un vampiro” pensai.
E
forse da qui iniziarono i veri guai.
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Capitolo 2 *** 1- EXCUSE ME, ARE YOU A VAMPIRE? ***
1- PLEASE EXCUSE ME, ARE YOU A VAMPIRE?
“E
voi passereste una bellissima domenica di fine
maggio al Grill?”. Mi pentii quasi subito della scelta che
avevo fatto: come
potevo essere stata così scema da far venire anche Damon
all’appuntamento mio e
di Stefan!
“Non sono affari tuoi di come passiamo il nostro
tempo libero”. Mi sedetti sulla sedia vicino al tavolo da
biliardo mentre
Stefan stava già prendendo in mano una delle stecche: sapeva
che ero nervosa.
Damon si sedette accanto al tavolo del barista
ordinando un wisky. Era strano vederlo così mansueto, forse
si stava annoiando
veramente, poteva capitare in 162 anni no?
Mi soffermai a guardarlo per un momento: aveva uno
sguardo malinconico mentre osservava il liquido denso del bicchiere che
teneva
tra il pollice e l’indice. Alcune ragazze sedute su un tavolo
vicino
ammiccavano in sua direzione ma lui dopo averle sorriso si era
rifugiato
nuovamente nel suo angolo con la sola consolazione del bicchiere. Da
quando
Katherine aveva fatto la sua comparsa Damon aveva perso la strada
giusta (non
che ne avesse mai avuto una) e il tentato omicidio di mio fratello non
aveva
fatto altro che accrescere l’odio nei suoi confronti.
Mentre rimuginavo sugli
ultimi avvenimenti la mia attenzione fu catturata dalla figura di una
ragazza
che era appena entrata nel locale: aveva dei capelli neri che le
arrivavano alle spalle e degli occhi meravigliosamente grigi
che mi
freddarono all’istante. Un brivido mi percorse lungo la
schiena e i muscoli del
corpo mi si tesero come corde di violino: se non fosse stato per
l’accentuato
rossore delle guance l’avrei di certo scambiata per un
vampiro! Con passo
aggraziato si avvicinò al bancone e si sedette accanto a
Damon che stava svuotando
il suo terzo bicchiere. Damon sembrò accorgersi del mondo
circostanze solo
quando la ragazza goffamente era caduta sullo sgabello e lui
l’aveva aiutata a
rialzarsi. Vidi Damon sorriderle senza ombra di sospetto e iniziare una
conversazione con lei.
Ero troppo lontana per origliare cosa stessero dicendo
ma dall’espressione della ragazza sembrava davvero che Damon
le avesse detto
una delle sue solite battute. Decisi di chiedere aiuto a Stefan ma
senza
neanche rendermene conto si era seduto accanto a me tenendomi la mano
“Ehi- mi
disse scrutandomi a fondo -tutto bene?” in effetti non andava
affatto bene: il
mio sesto senso mi diceva che quella ragazza era un vampiro, sembrava
che ce
l’avesse scritto in fronte a caratteri cubitali.
“No…quella ragazza ha qualcosa
che non mi convince” dissi facendo un cenno con il capo per
indicare la
postazione di Damon. “Pensi che sia un…”
“Non so, sto solo dicendo che ho avuto
paura quando ho incrociato il suo sguardo”
“Potremmo sempre verificare ma
dobbiamo essere cauti” lo guardai non riuscendo a capire che
cosa volesse fare
“Andiamo a fare amicizia con la nuova conoscenza di
Damon” stentavo a crederci:
io gli avevo detto che c’era probabilmente un nuovo vampiro
in circolazione e
lui voleva fare amicizia? Stefan mi precedette e si unì alla
conversazione.
Rimasi in disparte per un po’ ma alla fine mi arresi e
raggiunsi gli altri poco
lontano. “Oh Elena ti presento Michelle,la mia nuova
amichetta” mi disse
ricalcando l’ultima parola forse ricordandosi della
conversazione avvenuta alla
pensione. “Piacere” dissi flebile timorosa di
stringere la sua mano “e lei è la
fidanzata di mio fratello, Elena” “Ciao sei davvero
simpatica” mi squadrò dalla
testa ai piedi per poi soffermare i suoi occhi grigi sui miei. Non
risposi
subito dubbiosa della frase che mi aveva appena detto: come
faceva a saperlo? “Grazie ma come puoi dirlo, ci
siamo appena
incontrate” come risposta alla mia domanda ci fu una risata
da parte di Damon.
Lo guardai attendendo una risposta che non tardò ad
arrivare. “Lei è una chiromante,
ama tutto ciò che è magico,
sovrannaturale…certe cose le sente a tatto”. Bene allora sarebbe
felicissima di sapere che
due delle persone che ha davanti sono vampiri! “Si mi
appassiona molto” arrossì
alla spiegazione del vampiro seduto accanto a lei e mentre nascondeva
lo sguardo e si mise a bere il frullato che aveva ordinato.
Posai
lo sguardo su di lei stavolta per studiarla meglio: aveva parecchi
ciondoli e
orecchini con strani amuleti il che significava che la storia della
chiromante
era vera, ma ciò che mi incuriosì maggiormente
furono dei segni rossi posti sul
collo simili a dei…morsi?
Alzò nuovamente lo sguardo e mi sorrise dolcemente.
Mi faceva anche tenerezza: come avevo potuto dubitare che una
così dolce
ragazza potesse essere un vampiro? “Bene sarà
meglio che andiamo, Michelle è
stato un piacere conoscerti” non mi diede neanche il tempo di
salutarla che Stefan
mi catapultò fuori dal locale.
“Senti Stefan credo che…” “che
non sia un
vampiro?” mi morsi il labbro inferiore ammettendo il fatto
che il mio sesto
senso questa volta aveva fallito “Comunque ci sono alcune
cose che non mi
convincono di lei, perciò ho aggiunto un po’ di
verbena nel frullato che aveva
ordinato”. Rimasi interdetta e ripensai alle azioni della
strana ragazza. “Ma
l’ha bevuto!” “Infatti, non
c’è niente di cui preoccuparsi, è
umana!”, sospirai
e venni accolta dalle braccia del mio ragazzo.
“Ciao Elena” la voce di Caroline
mi ridestò dai miei pensieri “ehi che ci fai da
queste parti?” “Oh niente di
che, un po’ di shopping fa sempre bene ogni tan…ma
quello non è Damon?”
entrambi guardammo nella stessa direzione di Caroline: Damon era appena
uscito
dal locale in compagnia di Michelle che stava chiacchierando
allegramente.
Damon accortosi di noi ci diede uno sguardo fugace e si
incamminò verso l’auto
con il suo solito modo da spaccone.
“Povera ragazza, senza offesa Stefan ma tuo
fratello è così odioso ed egocentrico”
“è Damon” anche se il termine
più
appropriato sarebbe stato vampiro! Caroline da quando era diventata una
vampira
era meno superficiale anche se cercava di mostrarsi come una qualsiasi
ragazza
nascondendo il segreto suo e dei Salvatore. Si congedò da
noi dicendo che aveva
un mucchio di cose da fare e noi ci ritrovammo da soli pronti a passare
una
bella giornata in santa pace, senza avere Damon tra le scatole.
Mi ritirai a casa verso sera quando Jenna stava
preparando la cena. Avevo passato una bella giornata con Stefan e alla
fine
invece di entrare alla pensione avevo deciso che era meglio separarci
lì,
perché entrare in casa e vedere Damon nudo e la ragazza in
atteggiamenti…qualunque cosa fosse non era certo nei miei
piani! Perciò con mio
forte rammarico, ero tornata a casa. Dopo aver mangiato mi feci una
bella
doccia rilassante.
Mi affacciai alla finestra aperta con ancora i
capelli bagnati: era una bella serata di maggio e il caldo
dell’estate stava
incominciando a farsi sentire. Presi la spazzola e con cura mi asciugai
i
capelli. Feci appena in tempo a staccare il phon che sentii squillare
il cellulare.
Era una chiamata di Stefan “E’ successo
qualcosa?” dissi sperando in una
risposta negativa “Elena qualsiasi cosa succeda domani non
venire alla
pensione!” stavo per chiedergli nuovamente cosa fosse
successo ma cambiai la
domanda dicendo “E’ per quella ragazza?”
sentii solo un sospiro dall’altro capo
del telefono e poi un urlo smorzato “Stefan cosa
succede?” gridai con
insistenza: volevo sapere! “Damon le sta succhiando il
sangue, vero?” non
volevo crederci eppure se Damon aveva portato a casa quella ragazza
l’urlo
doveva essere per forza il suo: eravamo stati degli ingenui a pensare
che Damon
fosse cambiato. Stefan continuava a non rispondermi, pensavo che
volesse
giustificarlo “Ma certo è un vampiro, è
la sua natura non è così?” dissi con
voce quasi isterica. “No non è un vampiro, ora non
più” impallidii a quelle
parole accompagnate da un urlo più acuto di prima.
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Capitolo 3 *** 2- WHAT THE HELL IS GOIN' ON? ***
2–
WHAT THE HELL IS GOIN' ON?
Sarei
comunque riuscita a scoprire cosa mi voleva
nascondere Stefan e cosa intendeva con “non
più”: era forse successo qualcosa a
Damon? Speravo vivamente di no: anche se era sempre il vampiro montato
e
spavaldo che avevo conosciuto, col tempo si era manifestato gentile e
forse
anche un po’ protettivo nei miei confronti, in fondo in un
modo un po’ strano
mi voleva bene. Così prima di andare a scuola decisi di
passare alla pensione,
fregandomene del divieto del mio ragazzo.
Non potei aprire la portiera che un
flusso d’aria entrò nella macchina bloccando le
sicure. “Voglio una
spiegazione!” “Ti avevo detto di stare lontana
dalla pensione” mi inchiodò al
sedile con la sua espressione austera ma cercai di non distogliere i
miei occhi
dai suoi. Alla fine si arrese. “E’ complicato da
spiegare neanche io so cosa
sia potuto accadere…” ci fu una lunga pausa, poi
Stefan guardò l’orario nel
cruscotto della macchina “Metti in moto e andiamo a scuola
che siamo in
ritardo, durante il tragitto ti spiegherò tutto, dammi solo
il tempo di trovare
il modo di dirtelo” non esitai e girate le chiavi e ci
avviammo verso scuola.
Non provai a parlare, aspettavo che lo facesse lui e così
fu. “Damon è
ritornato umano” mi disse a bruciapelo. Deglutii sperando che
la mia voce non
apparisse fioca o rauca.“Umano nel senso
di…” “Si umano proprio come te” A quelle parole strinsi le
mani al
volante in preda ad un capogiro: Damon era tornato umano, sarei dovuta
essere
felice ma questo mi faceva più male di qualsiasi dolore
fisico. Presi un
respiro profondo.“Ma come…”
“Quella ragazza, Michelle, evidentemente doveva
essere un vampiro” non riuscivo a comprendere “ma
le hai dato della verbena!” a
quanto ne sapevo i vampiri non potevano né toccare
né tantomeno ingerirla.
“Damon afferma di essere stato soggiogato e morso da quella
ragazza” “Impossibile!”
sussurrai non rendendomi conto di ciò che era accaduto.
Arrivammo nel cortile
della scuola dove parcheggiai ancora scossa per quello che mi aveva
detto. “E
dov’è adesso?” chiesi quasi senza
pensarci “A casa, il ritorno alla forma umana
sembra essere molto più doloroso”
“Voglio vederlo” “No, non puoi”
“Dopo la
scuola!” Stefan sembrò pensarci per qualche minuto
“aspettami nel cortile” “tu
non vieni?” “no, devo...controllare la
situazione” e così dicendo aprii lo
sportello e corse via lasciandomi sola ad affrontare una pessima
giornata
scolastica.
Le ore passarono lente e visto che Bonnie
continuava a chiedermi cosa avessi dovetti raccontarle ciò
che sapevo sulla
vicenda di Damon e quella ragazza. “Quindi ora
Damon…” “è un
umano” “beh è una
cosa positiva no?” mi bloccai e guardai la mia amica con
occhi spalancati
“Positivo? Ti piacerebbe se ti togliessero i tuoi poteri da
strega?” “Dico solo
che c’è un vampiro in meno in città
quindi più sicurezza per le nostre
famiglie” Bonnie era una strega: era naturale che proteggesse
la sua famiglia
anziché essere preoccupata per un vampiro, specialmente se
quello era Damon.
Non aveva ancora dimenticato il male che le aveva fatto e nonostante
fossimo
tornate ad essere amiche non si fidava totalmente di me se in mezzo
c’erano i
fratelli Salvatore.
Notai Stefan seduto su una panchina ad aspettarmi perciò
salutai Bonnie e mi avviai insieme a lui verso la pensione.
Arrivati
nell’ampio salotto sentii delle urla che
provenivano dal sotterraneo. “Fa così
male?” “Beh tutti i colpi di pistola,
pugnali, paletti ricevuti in questo ultimo secolo si stanno facendo
sentire”.
Mi avviai verso la porta che conduceva alla cantina ma Stefan mi
fermò “aspetta
almeno che si sia completato il processo”. Concordai e mi
sedetti sul divano
cercando di ricordare i lineamenti di quella ragazza “Era
umana” “Come?”
“Michelle era umana, l’ho vista arrossire, essere
impacciata e inoltre ha
bevuto della verbena, Damon deve essersi sbagliato”
“L’ha morso sul collo e
l’ha soggiogato” “E se fosse
qualcos’altro?” “E’ quello che
sto tentando di
capire”.
Mentre parlavamo mi accorsi che le urla si erano placate e che adesso
in casa regnava solo un silenzio spettrale. “Sta
attenta” mi disse Stefan
aprendo la porta per raggiungere quella che era stata la prigione sua e
del
fratello. Aprì la porta con cautela e trovammo un Damon
disteso a terra nell’angolo più buio della stanza.
Appena ci vide arrivare faticò un po’
prima di rimettersi in piedi e ci raggiunse con un aspetto alquanto
sconvolto.
“Che cazzo mi è successo Stefan?”
Aggredì il fratello con una forza fiacca, lo
prese per il collo ma Stefan non diede segno di sofferenza.
“Damon sta calmo”
“Non mi dire di stare calmo o ti ammazzo”
“se non ti calmi sarò io ad
ammazzarti” “forse fratellino hai dimenticato che
sono più forte di te” “non è
più così”. A quella risposta Damon
allentò la presa e ci guardò con occhi
spauriti. Si voltò più volte nella stanza in
cerca di qualcosa. Alla fine trovò
una scheggia di vetro e con essa si taglio il palmo della mano. Il
sangue
sgorgò copioso dalla ferita senza rimarginarsi; preoccupata
guardai Stefan: i
suoi occhi erano cambiati e bramavano quel
sangue. Si scusò è fuggì via tentando
di riprendersi. Rimasi lì insieme a Damon
intento ad osservare il sangue che lento scivolava dalla mano.
“Come mai non ho
sete?” disse rivolgendo quelli che un tempo erano dei
bellissimi occhi azzurri,
“come mai non sono forte? Come mai la ferita non si
cicatrizza? Come mai sono lento come tutti quei miseri
umani?” si
avvicinò a me e mi scrutò, i capelli neri
incollati alla fronte imperlata di
sudore. “Mi dispiace Damon” furono le uniche parole
che riuscii a dire
continuando ad osservare quel volto stravolto dall’angoscia e
dalla confusione.
Cercai di abbracciarlo ma cominciò a dimenarsi e a buttare
in aria qualsiasi
cosa avesse a portata di mano, ringhiando, facendo più paura
di quando era
vampiro.
Scappai e chiusami la porta alle spalle mi ritrovai Stefan preoccupato.
“Ha solo bisogno di tempo” “è
stravolto” dissi sentendomi gli occhi gonfi di
lacrime e portandomi una mano alle labbra per non lasciarmi sfuggire un
singhiozzo che probabilmente avrebbe portato al pianto. Mi
abbracciò cullandomi
per poi mettermi in mano un libro dall’antica rilegatura che
portava sulla
copertina la scritta ‘Creature d’altri
tempi’. “Ho trovato qualcosa che
potrebbe interessarci: in questo libro sono raccolte tutte le figure
mitiche,
mostri e spettri e in particolare parla dei vampiri” mi
mostrò la pagina di cui
stava parlando “in uno dei paragrafi si parlava di
un’antica popolazione di
vampiri che vivevano in comunità. Di solito non possono
vivere più di cinque,
sei vampiri insieme a causa del nostro temperamento impulsivo. Eppure
questa
popolazione era riuscita a vivere tranquillamente per oltre settecento
anni.”
Annuii interessandomi di più alla storia “Un anno
arrivò un periodo di
carestia, il sangue scarseggiava e loro ne avevano assolutamente
bisogno; il
loro comportamento mutò all’improvviso trovandosi
a bere l’uno il sangue
dell’altro. Il continuo mescolarsi di sangue portò
al ritorno di alcuni di essi
in forma umana. Si crearono coppie di ex vampiri che diedero alla luce
dei
mezzi vampiri. Il patrimonio genetico si era alterato ed erano nate
queste
creature forti e veloci come dei vampiri ma che sono immuni alla
verbena e per
cui il sangue non è un problema visto che per
metà sono umani quindi possono
sopravvivere semplicemente con il cibo.”
Finita la sua spiegazione riordinai
tutte le informazioni che mi aveva dato e la conclusione fu semplice da
trovare
“Michelle era una mezza vampira?”
“Probabilmente si” “E non
c’è un modo per far
ritornare vampiri coloro che sono stati trasformati in
umani?” “il libro non
dice nulla su questo però posso sempre cercare delle
informazioni in Alaska”
“Alaska?” “pare che l’ultimo
gruppo ristretto di mezzi vampiri abiti lì” Non
potevo lasciarlo partire solo per l’Alaska, non volevo
starmene con le mani in
mano “Verrò con te allora”
“Non se ne parla” mi rispose con il suo solito tono
di chi non vuole sentire discussioni “Non starò
qui a non fare niente: verrò
con te che tu lo voglia o no” Sembrò che mi
dicesse un altro no e invece con
mia enorme sorpresa accettò. “Passa di qui
domattina, i bagagli puoi lasciarli
pure in stanza verrò io a prenderli per non fare destare
troppi sospetti”
Sorrisi e lo baciai.
Il
mattino dopo mi svegliai nel mio letto con la
sola voglia di partire e di risolvere a più presto questo
problema. Come aveva
promesso si era già preso i bagagli che aveva sicuramente
già messo nella sua
macchina. Mi vestii in fretta notando comunque che sulla sedia
c’era una
maglietta che ero sicurissima di aver messo in valigia: che
strano forse l’ho dimenticata!
Non mi curai molto di questo
particolare e scesi facendo il meno rumore possibile per non farmi
sentire da
Jenna. Decisi di andarmene a piedi. Arrivai subito alla pensione ma non
trovai
la macchina: forse l’aveva lasciata da qualche altra parte.
Entrai come ero
solita fare e chiamai Stefan in modo che si accorgesse della mia
presenza. “Sei
venuta a cercare Stefan?” mi disse una voce proveniente da
dietro la poltrona:
era assurdo che riuscisse a cogliermi di sorpresa anche adesso che era
umano!
“Si sai dov’è?”. Rise e si
alzò avviandosi verso di me. Sembrò pensarci su
un
attimo. “Mh credo che sia in questo momento al confine tra
Ohio e Michigan a
meno che non abbia preso l’altra superstrada quindi
probabilmente adesso è in
Canada”.
Restai allibita: era partito senza di me?! “Non riesco a
crederci”
“Così è la vita piccola certa gente ti pugnala alle
spalle” disse riempiendosi
il bicchiere “oh mi ha detto di dirti una cosa” ne
riempì un altro e me lo
porse. “Dovrai badare a me per i prossimi giorni fino al suo
ritorno” rimasi senza
parole “allora maestrina
qual è la
prima lezione da umano?”
le labbra si piegarono nel suo solito sorrisetto.
Presi il bicchiere senza pensarci due volte e lo bevvi tutto
d’un sorso: quei
giorni sarebbero stati un vero inferno!
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Capitolo 4 *** 3- I'M ACTING LIKE A PERFECT HUMAN ***
3– "I’M ACTING LIKE A
PERFECT HUMAN!" "I'D SAY IDIOT!"
Mi stiracchiai sotto le lenzuola leggere mentre la
luce che proveniva dalla finestra aperta mi impediva di aprire bene gli
occhi.
Avrei voluto starmene lì tutto il giorno piuttosto che dare
lezioni private ad
un ex vampiro! Per di più Stefan non rispondeva al cellulare.
Mi decisi ad
aprire gli occhi. “Buon giorno dormigliona” caddi
dal letto con un tonfo sordo,
aggrappandomi alle lenzuola che si riversarono sul pavimento.
“Damon che ci fai
qui?” tentai di rialzarmi togliendomi le ciocche di capelli
davanti agli occhi.
“Beh pensavo che fosse qualcosa di umano
iniziare con un buon giorno” disse mentre ispezionava ogni
angolo della mia
camera. “E ti sembra umano spaventare una ragazza!”.
La giornata non poteva
iniziare nella maniera peggiore. Sistemai il lenzuolo come meglio
potevo e mi
ravvivai i capelli. Osservai il ragazzo che stava al centro della mia
stanza
intento ad osservare alcune mie vecchie foto: indossava la sua tipica
maglietta
nera con scollo a v, dei jeans scoloriti e i capelli, abbastanza
spettinati, li
ricadevano sulla fronte lasciando spazio ai suoi occhi azzurri che si
intravedevano
nel riflesso dello specchio.
“Muoviti a vestirti che devi andare a scuola!”
frugò tra i miei cassetti ma non ci feci caso: ero
più preoccupata per la sua
presenza lì: come aveva fatto? “Come sei
entrato?” “Come ho fatto le altre
volte, no? Dalla finestra” mi precipitai a controllare per
vedere quanto fosse
alto “Ma è impossibile! Cioè sei
umano…” “Sono nato nel 1864 ed ero
abituato ad
arrampicarmi sugli alberi e poi tesoro
hanno inventato le scale” mi disse avvicinando il suo viso a
pochi centimetri
dal mio, mostrandomi alcune cicatrici a cui non avevo mai fatto caso.
Osservai
i suoi occhi chiari e mi stupii del fatto che fossero così
belli: avevo sempre
pensato che il fascino di Damon risiedesse nella sua natura da vampiro
ma
adesso che era umano riuscivo a sentirlo vicino a me più del
normale. Sentivo
perfino il suo respiro solleticarmi la guancia. Mi soffiò
all’orecchio “e ora
vestiti prima che ti tolga io i vestiti” disse guardandomi
con un sorriso che
non prometteva nulla di buono. Gli tirai un cuscino in faccia e mi
richiusi
dietro la porta del bagno, con il cuore che scalpitava.
Mi lavai e mi vestii e
quando tornai in camera Damon non c’era più,
probabilmente se n’era andato:
meglio così ero già in ritardo per la scuola.
Scesi velocemente le scale e mi
rifugiai in cucina dove Jenna stava preparando la colazione. Salutai
Jeremi e
Alaric che erano seduti sul divano. “Buongiorno Elena dormito
bene?” mi chiese
Jenna mentre mi porgeva il piatto. “Bene, grazie”
mentii spudoratamente visto
che in effetti non avevo quasi chiuso occhio e mi ero concessa solo
qualche ora
di riposo.
Mangiai qualche cosa ma lasciai quasi tutto nel piatto e mi diressi
all’ingresso per prendere la borsa e la giacca.
“Problemi?” la voce di Alaric
mi fece voltare di scatto. “Oh no niente, è solo
che…” non mi andava di
spiegargli il motivo della mia frustrazione così, mentre
Jenna lo chiamava,
colsi l’occasione per uscire di casa lasciando la
conversazione in sospeso.
Mi
accorsi subito che c’era qualcosa che non andava: le ruote
della mia macchina erano
totalmente sgonfie. Chiunque avrebbe pensato allo scherzo di alcuni
teppisti ma
non io che avevo un vampiro come fidanzato che era partito senza di me
e che
evidentemente non voleva che lo seguissi. Imprecai mentalmente e mi
avviai a
piedi verso scuola finché una macchina non mi
passò davanti. “Piaciuta la
sorpresa del mio fratellino?” “Tu lo
sapevi?” “Secondo te perché sono andato
a
prendere la macchina?” Ero arrabbiata perciò mi
voltai continuando a camminare.
“Su Elena sali in macchina…tanto so in che
cassetto tieni gli slip”. Perché
doveva essere così dannatamente vampiro anche da umano?
Aprii lo sportello e salii
in macchina sotto il sorriso trionfante del ragazzo che mi fissava di
sottecchi
dietro gli occhiali da sole.
“Allora che cosa è che vuoi sapere?” mi
decisi a
parlare anche se non avevo scaricato ancora tutta la rabbia.
“E’ fame quando ti
fa male lo stomaco vero?” “Si certo – mi
misi a ridere – perché ti turba
tanto?” “Dopo tanti anni in cui hai sempre e solo
sete è strano avere fame o
meglio desiderare del cibo” “Devi stare attento a
non farti sparare almeno fin
quando sei umano” “giusto…una sola
pallottola e fine dei giochi!” “Cosa farai
mentre sono a scuola?” “Oh niente” lo
guardai in segno di rimprovero “e va bene
cercherò di starmene buono senza combinare guai anche se
sarà molto difficile”.
Scesi dalla macchina appena arrivati al parcheggio, “o posso
sempre comunque
studiare e catalogare la tua biancheria intima”. Questo era
troppo “Va
all’inferno!” gridai ma lui era già
sfrecciato via.
A scuola non
potei non evitare Alaric: non vedendo
Stefan volle sapere se fosse successo qualcosa e io fui costretta a
spiegargli
il perché della sua assenza e del cambiamento di Damon: non
volevo che lui
fosse nuovamente coinvolto in questa storia di vampiri soprattutto ora
che era
ritornata Katherine.
“Perciò c’è qualche
possibilità che ritorni ad essere un
vampiro?” “Certo che ci deve essere, Stefan
è andato in Alaska proprio per
saperlo!” “Ascolta Elena e se invece lasciaste
Damon umano?” “O ma insomma
perché tutti quanti volete che Damon resti umano,
è assurdo!” “Cerca di capire:
Damon da vampiro ha ucciso troppe persone anche solo per il gusto di
farlo,
invece da umano non rappresenterebbe più una
minaccia” “Mi dispiace Alaric ma
io e Stefan la pensiamo diversamente” puntai il mio sguardo
furente sul suo e
poi mi avviai verso la porta. “Farò delle
ricerche-” mi arrestai all’uscita con
la mano ancora sulla maniglia “-se trovo qualcosa ti
farò sapere” “Grazie
Alaric” mi voltai e uscii dall’aula dove ad
aspettarmi c’era Bonnie. “Allora
come va?” “Alla grande ho un ex vampiro esaltato
che ha voglia di essere umano
a tutti gli effetti” “Non credevo che Damon
adorasse così tanto essere umano”
“Infatti!Lo fa solo per farmi esasperare”
“Io non ne sarei così
convinta…”
seguii lo sguardo sorpreso di Bonnie e ciò che vidi mi
lasciò senza parole:
Damon circondato da un paio di ragazze stava aggiustando la macchina di
una di
loro spiegando cose riferite a motori e macchine alle quali le ragazze
non
badavano molto: erano impegnate a mangiarselo letteralmente con gli
occhi!
Aveva cambiato la maglietta indossandone una più aderente e
a maniche corte
mentre metteva in bella mostra il suo sedere ultracentenario fasciato
dai jeans
dove da una delle tasche posteriori usciva uno strofinaccio.
“Bene ragazze ora
la macchina dovrebbe partire” disse pulendosi le mani unte
d’olio “Che diavolo
ci fai qui?” “Ehi Elena! Sai ho scoperto di avere
una dote naturale per
lavorare come meccanico, non trovi che la tuta mi renderebbe
sexy?” le ragazze
se ne andarono sculettando.
“Avevi detto che ti saresti comportato bene” dissi
incrociando le braccia al petto. “Infatti è quello
che sto facendo, mi sto
comportando da perfetto umano” “direi piuttosto da
perfetto idiota!” Aprì bocca
per ribattere ma non riuscendo a trovare le parole aggrottò
le sopracciglia
“non mi piaci quando usi il sarcasmo”. Alzai gli
occhi al cielo e mi diressi
verso la mia auto sapendo che Damon mi avrebbe certamente seguita.
“Sono in
astinenza dalla vita di vampiro da almeno due giorni…devi
comprendere che se
non voglio il sangue, le belle ragazze ci devono essere”
alzò un sopracciglio facendomi
credere che quella fosse la cosa più ovvia della
terra.
Posai lo sguardo sulla
sua mano “Ehi dove è il tuo anello?”
“L’ho buttato via!”
“Damon!” Stavo aprendo
lo sportello quando vidi brillare qualcosa tra i cespugli.
Damon ancora con i
riflessi pronti mi aveva trascinato a terra facendomi scudo con i suo
corpo.
Sentii solo un colpo di arma da fuoco e il rumore di alcuni uccelli che
volavano impauriti. Non c’era nessun testimone intorno a noi
e per fortuna
nessuno si era ferito. “Stai bene?” mi
domandò da sopra di me cercando di farmi
alzare “credo di si” dissi stordita aggrappandomi
alla sua spalla. “Chi
potrebbe essere stato?” “Me lo domando
anch’io ma sicuramente qualcuno a cui
non sto molto simpatico”. Damon si guardava intorno ma i suoi
sensi da umano
gli impedivano di continuare la ricerca. “E’
fuggito
via?” non mi rispose ma guardò solo il proiettile
caduto poco più in là
ricoperto interamente di verbena: l’odore era inconfondibile.
Alla vista del
proiettile mi si gelò il sangue nelle vene. Riformulai la
domanda “Era un
vampiro?”.
Gli occhi di Damon indugiarono un po’ sul proiettile per poi
soffermasi sui miei “Si”.
Eccomi
ritornata vi sono mancata? Certo che no u.u
Questa volta ho voluto aggiungere qualcosa di
scritto. Allora come vedete Elena non è tutta
miele e zucchero
per Damon ma vedrete cari amanti Delena che in seguito se ne vedranno
di
scenette! E’ spuntato fuori un altro vampiro ma chi vuole
uccidere? Damon o
Elena? E Stefan che cosa starà facendo in Alaska? Sono
davvero sicuri a Mistic
Falls o questo è solo l’inizio? Adoro fare queste
domane lasciate in sospeso xD
Ringrazio coloro che hanno recensito o hanno
semplicemente messo la storia tra le seguite o tra i preferiti.
E ringrazio anche te, lettore anonimo, che sprechi
un po’ del tuo tempo a leggere la storia =)
Grazie di tutto e alla prossima!Ritornerà una
simpatica amichetta...
|
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Capitolo 5 *** 4- SWEETY I'VE GOT A HEART AND BEATS TOO ***
4– SWEETY I’VE GOT A HEART
AND BEATS TOO
Gelato al limone: non era il mio preferito ma mia
madre me lo dava sempre quando ero agitata o preoccupata per qualcosa.
Il
ricordo di mia madre mi procurò un forte nodo alla gola che
faticai ad
inghiottire insieme al magone dovuto alla situazione in cui mi trovavo.
Affondai il cucchiaino nella vaschetta e portai un po’ di
quella densa sostanza
alla bocca.
Ero distesa
sul divano del salotto di casa mia. La
televisione era accesa ma non mi andava di vederla. Le immagini di
omicidi,
morti improvvise, stragi balenavano ai miei occhi che osservavano le
scene
susseguirsi sullo schermo senza però vederle realmente.
Un altro
pericolo imperversava a Mistic Falls di
cui io o Damon eravamo la causa. Il tizio che aveva tentato di sparare
a me o a
lui nel cortile della scuola doveva essere di certo un vampiro o meglio
un mezzo vampiro. La sola idea di
quell’essere sconosciuto mi faceva entrare nel panico
più totale e per di più
sia io che Damon eravamo dei semplici umani.
“Gelato
al limone…c’è qualcosa che non
va?” Jenna
entrò nella stanza e, notando la mia espressione afflitta,
si sedette accanto a
me sul divano.“Forse c’entra Stefan?”
alzai lo sguardo meravigliata della sua
perspicacia: Jenna ormai mi conosceva bene e sapeva quali erano i miei
punti
deboli e devo ammettere che in qualche modo Stefan c’entrava,
solo che non era
l’unico dei miei problemi.
Ebbi un
attimo di esitazione perciò continuai a
fissare la vaschetta mezza vuota posta sulle mie gambe. “Beh
si” “Avete
litigato? E’ da un po’ che non lo vedo”.
Avevo dimenticato che Jenna non sapeva
niente del viaggio e dell’Alaska così dovetti
inventare una scusa “Oh…il fatto
è che è dovuto partire per andare a far visita a
un suo parente e…” in quel
momento ero effettivamente a corto di idee! “Ti
manca!” esclamò Jenna e mi
guardò con aria comprensiva e io non potei far altro che
confermare: in fondo
mi mancava veramente.
Suonarono
alla porta e Jenna andò ad aprire. Chi mi
vidi spuntare di fronte era la causa di tutti i miei problemi passati,
presenti
e molto probabilmente futuri. “Che fai ora mi tormenti anche
a casa?” Damon
entrò con passo felpato indossando la sua inseparabile
giacca di pelle nera e
con le mani alzate “Vengo in pace! Se vuoi saperlo sono stato
alquanto gentile
con la tua bella zietta, ma se non vuoi godere della mia presenza tolgo
subito
il disturbo-” fece dietrofront e così come era
venuto se ne stava andando
lasciandomi alquanto perplessa e con una profonda ruga in mezzo alla
fronte.
Fece capolino la sua testa dallo stipite della porta “-a meno
che tu non voglia
sapere chi ha tentato di spararti…” sorrise,
alzò le sopracciglia e anche la
sua testa così come il resto del corpo scomparve dietro la
porta.
Non avevo
intenzione di fidarmi completamente di
Damon ma…visto che eravamo sulla stessa barca, sospirai
rassegnata e mi alzai
dal divano sperando di trovarlo ancora in casa.
“Damon”
svoltai l’angolo e per poco non mi
scontrai contro il suo petto marmoreo. “Esattamente ventotto
secondi, mi
sorprendi-” alitò lievemente mentre la sua voce mi
ipnotizzava sempre più: da quando
aveva una voce così tremendamente
sexy? “-pensavo che da come mi tratti ci sarebbe
voluto un minuto o due
prima che mi raggiungessi, stai cedendo forse al mio
fascino?” alzò un
sopracciglio e i suoi occhi azzurri si fecero più grandi e
circospetti che mai.
Sbuffai e lo
trascinai per le scale verso camera
mia.“Già in camera da letto! Non ti facevo
così precipitosa” chiusi la porta a
chiave, non volevo che Jenna pensasse male. “Piantala Damon e
spiegami quello
che hai scoperto” “lui o lei che voleva farci fuori
era un vampiro” disse
mettendosi comodo nel mio letto e agguantando uno dei tanti cuscini.
“Oh grazie
della delucidazione non c’ero arrivata!” dissi
sarcastica sedendomi a mia volta
sul letto.
“Aspetta
a saltare a conclusioni affrettate: era
un vampiro per la velocità con cui è scappato, ma
era resistente alla verbena o
non avrebbe potuto prendere il proiettile” “quindi
tu pensi che quello sia un
mezzo vampiro?” “bingo!” sospirai
stendendomi sul letto e osservando il
soffitto: avevo fatto conoscenza con due mezzi vampiri dei quali uno
era
pericoloso in quanto era riuscito a tramutare in umano un vampiro e
l’altro era
altrettanto pericoloso perché voleva uccidere o me o Damon.
Non si potrebbe
dire che la mia vita non fosse invasa dalla noia!
“
Ma quanto eri allegra da bambina: qui quanti
anni avevi, otto, nove?” La sua voce mi ridestò
dai miei pensieri: stava
tenendo in mano la foto che stava sul comodino, quella che ritraeva me
e Jeremi
insieme ai nostri genitori, quando tutti eravamo una famiglia. Gliela
strappai
facilmente dalle mani o meglio me la ridiede senza fare storie. La
guardai
ancora per un po’ prima di riporla al proprio posto.
“Ti
mancano quei tempi” più che una domanda era
un’affermazione quella che provenne dalla bocca di Damon che
aveva incrociato
le braccia dietro la nuca. “Cosa stai cercando di fare?-
chiesi stupita dal
fatto che Damon, l’ex vampiro spietato che aveva persino
tentato di uccidere
mio fratello, stesse davvero cercando di fare una conversazione di quel
genere-
e poi non sono affari tuoi”.
“Tesoro
ho un cuore adesso e batte”
disse battendo la mano sul suo petto all’altezza del cuore e
guardandomi con i suoi occhi azzurri “dico solo che si
capisce da come guardi
la foto! Sembri me qualche tempo fa quando guardavo la foto di
Katherine: vorresti
che i tuoi genitori uscissero di lì e che tornaste a vivere
come una volta” si
avvicinò a me facendo cigolare le molle del letto. Il suo
tono di voce si fece
più basso e dolce “io lo so e credimi non
è così, non hai a disposizione 145
anni per far ritornare tutto come un tempo” sembrò
quasi che stesse cercando di
confortarmi, ma tra i suoi occhi vedevo quella tristezza che avevo
visto
qualche tempo prima, quando avevamo aperto la cripta senza nessun
risultato:
davanti a me c’era lo stesso Damon di quella volta.
Non riuscivo
a parlare e pensavo che il cuore a
poco a poco si fosse fermato, inebriato dal profumo che emanava il
ragazzo
accanto a me. Piegò la bocca in un leggero sorriso e
continuò con lo stesso
tono basso di prima “siamo io e te da soli, chiusi a chiave
in questa stanza e
per di più…” con abile mossa
riuscì a farmi indietreggiare e a farmi ricadere
sul letto inerme, i nostri corpi aderivano perfettamente “su
un letto” soffiò leggero
a pochi centimetri dalle mie labbra.
Sentivo che
la mia gabbia toracica stava per
esplodere e il cuore rotolava su e giù minacciando di
fuggire dalla sua
posizione. Mi mancò il respiro e per un attimo scollegai la
mente al cervello: stava succedendo davvero?
“S-sei
umano Damon mi dispiace!” ripresi il controllo di me stessa
e, detto questo,
gli assestai un bel calcio sullo stomaco, così da farlo
cadere a terra
dolorante. “Te la lascio passare solo perché
adesso non sono un vampiro”, risi
di gusto cercando di mascherare il rossore paonazzo delle guance e di
prendere
due o tre respiri in più “Oh andiamo hai
combattuto contro venti vampiri
fortissimi e adesso sei a terra per il calcio di una
ragazza?” “Il fatto non è
come me lo ha dato la ragazza- si
rialzò
massaggiandosi il basso ventre- piuttosto dove!” “e
non ho preso neanche la
mira”.
Non mi ero
mai accorta di quanto potesse essere
bello conversare con Damon, con lui adesso mi sentivo quasi essere
ritornata
una ragazza normale: sentivo che io e Damon eravamo sulla stessa barca
e questo
mi piaceva.
“Piuttosto
abbiamo un problema più grave: tu-
disse indicandomi- sei un umana, io sono- si aprì in un
sorriso obliquo- un
umano supersexy” si sedette sulla sedia incrociando le
braccia al petto e
guardandomi come se si aspettasse che continuassi la frase.
“E?” “e allora
siamo in pericolo! Stefan a quest’ora è a cacciare
le renne di Babbo Natale e
non abbiamo altri vampiri disponibili per farti da guardie del
corpo”. D’un
tratto mi ricordai di non essere una ragazza propriamente normale:
dovevamo
trovare il vampiro e tenerci in contatto con Stefan senza rimetterci le
penne.
Damon
interruppe il flusso dei miei pensieri “perciò
hai qualche babysitter da proporre?” feci mente locale delle
persone di cui più
mi fidavo e che erano a conoscenza dei vampiri
“Beh…Bonnie?” “La streghetta
è
esperta ma è sempre umana e ci ritroveremmo con un intralcio
in più” “Alaric?”
“mh utile ma risposta errata, sempre umano”.
Avevo
esaurito le persone di fiducia che per altro
erano tutte umane. Stefan non sarebbe tornato, almeno non per il
momento e non
potevo mettermi a cercare i vampiri di Mistic Falls
sull’elenco telefonico. Poi
ebbi un’idea: se Damon voleva un vampiro allora glielo avrei
trovato! “So chi
può aiutarci” esultai sorridendo al mio
interlocutore.“E di grazia chi
sarebbe?” “Prima devo chiederglielo”
“uuh come siamo misteriose” mi sporsi per
prendere la felpa poggiata sulla sedia dove era seduto.
“Bacino?” mi porse la
guancia.
Sospirai e
presa la felpa uscii dalla stanza per
andare a parlare probabilmente con l’unica persona che
potesse aiutarci.
Mentre salivo
in macchina guardai la finestra
della mia stanza: effettivamente quella barca era un po’
stretta per tutti e due.
“E
chi ti dice che io aiuti Damon?” la vampira stizzita
mi puntò la forchetta come se la volesse usare come arma.
“Caroline ascolta se
non vuoi farlo per lui fallo per me”. Caroline era rimasta la
mia ultima
speranza: era rischioso mettere in gioco anche la sua di vita ma era
l’unica
vampira che conoscessi e anche se era ancora alle prime armi potevo
contare
sulla nostra amicizia.
Dopo aver
finito di mangiare, incrociò le braccia
al petto e guardò da un’altra parte indispettita,
proprio come era solita fare
da bambina. “Ti prego” la supplicai e lei
tornò a guardarmi.
“Oh
e va bene se vi serve un vampiro ci sono io!”
“Grazie Car” “Però devi dire a
Damon di starmi lontana cioè può essere
affascinante, bello e terribilmente sexy ma questo non cambia le
cose!” “A dire
la verità lui non sa neanche che sei tu la vampira che ci
dovrà proteggere” la
mia amica mi guardò e dopo un attimo di esitazione
scoppiò a ridere “meglio
così! Voglio essere lì quando lo
scoprirà” “se vuoi possiamo andarci
insieme,
sto andando alla pensione” risi anche io con lei e dopo aver
accettato uscimmo
dal Grill e ci incamminammo assieme verso il parcheggio sul retro.
Stavo per
raggiungere la macchina quando Caroline
mi si parò davanti con la sua velocità vampiresca.
I canini
affilati spuntavano fuori dalla bocca
semiaperta, quasi come se volesse ringhiare e guardava un punto
indefinito
nell’oscurità.
“Ciao
Elena” riconobbi quella voce e scorsi un
paio di occhi marroni tali e quali ai miei.
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Capitolo 6 *** 5- WHO IS BELIEVED TO BE THAT BITCH?! ***
5- WHO IS
BELIEVED TO BE THAT BITCH?
“Che
piacere rivederti, Elena”. Non riuscivo a parlare di
quanto avessi paura.
“Katherine” sussurrai piano consapevole del fatto
che mi avesse udita.
“Che faccia che hai” disse mostrando il viso alla
luce del lampione. “Tranquilla non mordo
mica!” scoppiò in una risata cristallina che non
si addiceva proprio al suo
portamento; io ero troppo pietrificata per ridere alla sua battuta.
“Cosa vuoi da me?” “Io da te proprio
niente,
credimi è una coincidenza se ci siamo incontrate”.
Il sorriso beffardo
risaltava sulla carnagione olivastra contornata da ricci che
dimostravano quanto
fosse indomabile il suo animo. “Oh ciao bella
bimba” disse poi rivolgendosi a
Caroline che non aveva smesso un attimo di ringhiare, rimanendo cauta
davanti a
me. “Piaciuto il regalino?”, avanzò con
passo felpato per poi fermarsi a pochi
metri da noi.
“Ad ogni modo Stefan sarà in pensiero se non
ritorni da lui…oh vero dimenticavo non
c’è nessuno in casa!”
continuò a ridere
mentre aggrottavo le sopraciglia palesemente confusa e turbata:
evidentemente
era venuta a conoscenza della partenza di Stefan, ma a casa
c’era comunque
Damon, come poteva dire che non c’era nessuno?
“Ti sbagli c’è Damon in casa”
dissi
indietreggiando acquattandomi in posizione di difesa come Caroline,
pronta a
scappare ad una sua mossa azzardata. “No, dolcezza, mi sarei
accorta se ci
fosse un vampiro nel raggio di
cinque
miglia” disse compiaciuta del fatto di avere ragione. Capii
subito che
Katherine non sapeva che Damon era ritornato umano e non era a
conoscenza dell’esistenza
dei mezzi vampiri. Trattenni un risolino, sinonimo di vittoria, quando
Caroline
si intromise “appunto è un umano!” La
guardai sconvolta sperando con tutto il
cuore che non avesse pronunciato quelle parole, ma la faccia sbigottita
di
Katherine troncò le mie aspettative. Trattenni il respiro
mentre il sangue
pulsava veloce e le gambe vacillavano: avevamo fin troppi problemi da
sbrigare,
Katherine non poteva starsene buona fino al ritorno di Stefan?
La vampira dopo un momento di smarrimento, si
ricompose e avanzò di altri due passi verso di noi.
“Impossibile!” disse Katherine. Ripresi a
respirare e non risparmiai un’occhiata omicida alla vampira
bionda davanti a
me; promisi a me stessa di dare un bel calcio a Caroline appena
arrivati a casa.
“Però controllare non sarebbe
male!”continuò a
dire, mi guardò per un istante interminabile con una folle
luce negli occhi e
poi sparì o meglio fuggì a velocità
vampiresca.
“Mi ucciderai quando questa storia sarà
finita!”
Caroline mi prese per un braccio e mi scaraventò
all’interno dell’auto,
guidando ad una velocità allucinante. Nonostante la pensione
fosse abbastanza
vicina, il tragitto mi sembrò lunghissimo: non è
facile non perdere i nervi
quando la tua sosia è a zonzo per la città!
Appena parcheggiata l’auto, ci fiondammo
all’interno del salone di casa Salvatore. Trovammo un Damon
con solo un paio di
jeans addosso, sdraiato sul tappeto e sovrastato dalla potenza
vampiresca di
Katherine.Sembrava che stessero parlando, ma la vicinanza delle loro
labbra mi
fece capire il contrario.
Caroline non ci pensò due volte e aggredì
Katherine mentre era ancora incollata al corpo di Damon. Con un balzo
raggiunse
la porta rimasta aperta e si fermò sull’uscio
facendo dondolare i ricci neri. “Mi
dispiace per te Damon ma non intendo ridiventare umana. Senza di te,
Stefan ed
io potremo stare finalmente insieme, per l’eternità”
Caroline non voleva arrendersi e, fiondatasi su di lei, fu a sua volta
scaraventata dall’altra parte del salone colpendo anche Damon
che non aveva
potuto intervenire.
Detto questo, fuggì via senza lasciare traccia.
“State bene?” chiesi avvicinandomi ai due distesi
per terra. “Chi si crede di essere quella
sgualdrina?” pronunciò la mia amica
bionda stizzita “Ahi” un suono provenne da sotto di
lei. Ricollegai il corpo al
cervello e aiutai Caroline a sollevarsi dal corpo di Damon. La mia
amica pur
essendo volata per quasi mezzo metro ed essendo finita su un ammasso di
legna da camino non si era fatta fortunatamente niente mentre Damon era
ricoperto di graffi. “Ma siete pazze?” Damon si
divincolò dalla mia presa
allontanandosi da me e da Caroline che eravamo a dir poco sbigottite.
“Avevo la
situazione sotto controllo!” “Certo si vedeva
benissimo!” ero letteralmente
furiosa: non solo avevamo rischiato la vita per salvarlo da Katherine
addirittura ci rimproverava. “La prossima volta tenete il
culo incollato alle
sedie e lasciatemi fare”, non mi degnai neanche di rispondere.
Poi mi accorsi della presenza della vampira
altamente indignata quanto lo ero io. “Lei è la
persona che ci aiuterà”, dissi
indicando Caroline che aveva incrociato le braccia al petto. Damon che
intanto
stava cercando di togliersi le schegge di legno conficcate nei palmi
alzò lo
sguardo inondandomi di stupore. “Caroline?”
guardò lei e poi spostò nuovamente
lo sguardo su di me e poi su di lei. “Ma no, la barbie in
versione vampira no!”
si lamentò assumendo l’espressione tra cane
bastonato e schifato. “Ricordo cosa
mi hai fatto e se adesso ti sto aiutando è solo per
Elena!” “Oh allora
ringraziamo Elena, anzi diamole il premio nobel per la
pace…” “Silenzio!”
sbottai spazientita.
Damon si riempì un bicchiere e si sedette sulla
poltrona dandoci le spalle. “Per me va bene! Ma la prossima
volta che ti paro
quel culo centenario evita di ringraziarmi in questo modo!”
Caroline si congedò
ed uscì dalla casa sbattendo la porta. Anch’io fui
tentata di uscire in quel
modo ma la mia curiosità mi frenò: volevo sapere
cosa si erano detti Damon e
Katherine e se in qualche modo lei sapeva qualcosa.
Notai che stava cercando di togliersi le schegge
ma non essendo abituato a farlo da umano, non riusciva a toglierle
senza non
farsi male. “Ti aiuto io” mi offrii allungando la
mano. Lui mi guardò un
momento: “nah hai combinato troppi guai oggi”
“ed hai anche la bella faccia
tosta di non ringraziarmi, Katherine poteva ucciderti”
“non l’avrebbe mai
fatto” “ah no, pensi che ti ama?” urlai
ma non ricevetti risposta. Avevo
toccato un tasto dolente, lo sapevo. “Katherine era venuta
solo per accertarsi
che quello che avevate detto era la verità-” il
suo viso aveva sfumature
rossastre sia per l’incidente che per la luce che proveniva
dal fuoco “-anche
se è impossibile, ho voglia di credere che Katherine sia
venuta perché ci tiene
a me: sono una sua creatura in fondo è logico che voglia
sapere il perché non
sono più ciò che lei mi ha fatto
diventare” bevve dal bicchiere tutto d’un
fiato, agitando poi il cognac e facendolo vorticare nel bicchiere.
“Ma la
verità è che voleva deridermi e dirmi nuovamente
che ama Stefan” finì il suo
discorso e posò il bicchiere mezzo vuoto sul tavolino e si
avvicinò di più al
fuoco.
“Quindi solo questo?” chiesi non riuscendo a
trattenere la mia curiosità. “Che altro dovrebbe
esserci?” Sapevo che Damon
amava profondamente Katherine perciò pensavo che fosse
avvenuto di più di una
semplice chiacchierata. Arrossii immediatamente per quel pensiero e mi
si
contorse lo stomaco. “Che patetico che sono diventato da
quando sono umano”
risi mentre mi rivolgeva uno dei suoi soliti mezzi sorrisi
‘alla Damon’.
Mi accorsi che era ancora petto nudo. “Dovresti
mettere una maglietta” “Ti dispiace il mio
corpo?” disse indicando il torace
nudo. Alzai gli occhi al cielo e distolsi lo sguardo e lui rise.
“Credo che abbiamo lasciato Stefan girovagare in
Alaska per troppo tempo- si alzò e si mise una camicia
trovata sul bracciolo di
una poltrona- chiamalo!” Non me lo feci ripetere due volte e
digitai il numero
del mio ragazzo. Incrociai le dita e avvicinai il cellulare al mio
orecchio.
All’undicesimo squillo fermai la chiamata, segno che per
l’ennesima volta Stefan
aveva lasciato il telefono spento. “Non risponde!”
“E quando mai!” lo gettai
sulla poltrona accanto a me ma non feci in tempo ad accavallare le
gambe che il
display si illuminò.
Non guardai il numero, essendo convinta che fosse
Stefan. “Pronto?” “Elena sono
Alaric” al suo nome il mio sorriso sparì.
“Ho
trovato alcune informazioni sui mezzi vampiri e sulle loro
capacità, domani
puoi passare nel mio ufficio a scuola” “Oh
grazie…” “Porta anche Damon, voglio
vedere se le sue informazioni combaciano con le mie” guardai
Damon che ignaro
della mia conversazione stava versando un altro po’ di wisky
nel bicchiere. “Si
senz’altro” chiusi la chiamata.
“Chi era?” Avevo dimenticato che non essendo
più
un vampiro Damon aveva perso anche il superudito. “Oh solo
Bonnie voleva sapere
come stavo” sorrisi falsamente mentre raccoglievo le mie cose
per uscire da
quella casa. Lui annuì e si risedette sulla poltrona. Damon
non avrebbe dovuto
sapere che cosa avesse scoperto Alaric, non ora che il suo cuore stava
iniziando ad aprirsi e le nubi che turbinavano al suo interno a
diradarsi, non
ora che stava manifestando le sue emozioni tenute per troppo tempo
spente:
perché in fondo a me quel Damon più umano
stava cominciando a piacermi, sul serio.
Salve vampirizzati di efp,
come
vedete aggiorno che è una meraviglia, cosa rara visto che di
solito sono
piuttosto lenta con gli aggiornamenti di altre storie. Comunque
aggiorno
portandovi delle novità: intanto ho smanettato un
po’ al pc e mi è
uscita fuori questa sorta di logo che dovrebbe fungere da titolo e che
vi
accompagnerà per…beh per buona parte dei capitoli
seguenti (dopo c’è un’altra
sorpresa u.u). Ho intenzione anche di aggiungere degli Extra,
cioè dei capitoli
non più scritti dal punto di vista di Elena ma che narrano i
cosiddetti missing
moments, cioè quei momenti in cui Elena non c’era.
Che ne pensate? Ve gustano
oppure no?
Tanto io
parlo e io mi sento T.T
Ringrazio
chiunque sia arrivato fin qui per leggere i miei sciocchi interventi, e
chiunque recensisca o aggiunga la storia tra le seguite e le preferite.
Grazie e
al prossimo aggiornamento =)
dreem
|
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Capitolo 7 *** 6- WHAT ABOUT TALKING? - UH TALK...VERY HUMAN ***
6-
WHAT ABOUT TALKING? –
YEAH TALK…VERY HUMAN!
Mi avviai
verso l’ufficio di Alaric con in mano
ancora i libri di scuola. La sera precedente non avevo raccontato la
verità a Damon
così adesso mi ritrovavo sola a percorrere i corridoi
pensando a una scusa per
giustificare l’assenza dell’ex vampiro quando
Alaric aveva espressamente
richiesto la sua presenza.
“Elena!” mi sentì chiamare ma rivolsi
solo un
fugace sguardo per vedere chi fosse. Matt stava affrettando il passo
per
raggiungermi così fui costretta a fermarmi. “Ehi
Matt” ero pronta a liquidarlo
e a lasciarlo con un solo ‘ ne parliamo dopo’
quando lui continuò tutto d’un
fiato. “Ciao hai sentito Caroline in questi
giorni?” mi chiese e io aggrottai
le sopraciglia: Matt era all’oscuro di tutto quello che era
successo e che stava
succedendo, perciò non sapeva neanche che la sua ragazza era
stata tramutata in
vampiro e che eravamo tutti in stato di emergenza. “Oh
si…” fu l’unica risposta
che riuscii a dargli. “Ho provato a chiamarla ma ha il
cellulare staccato e
quando la incontro è come se volesse fuggire” mi
morsi il labbro non sapendo
cosa rispondere: la questione con Alaric era più urgente dei
problemi di coppia
del mio ex. “Vedrai Matt che è solo una fase
momentanea, sai come è Caroline”
gli sorrisi e ripresi a camminare verso l’aula in fondo al
corridoio.
Presi un bel respiro profondo “dai Elena in fondo
lo fai per il suo bene”. Spinsi la porta e
trovai Alaric che stava sfogliando
un libro dall’antica rilegatura. Alzò gli occhi e
si tolse gli occhiali che li
conferivano un aspetto da vero professore di Storia. “Elena
ciao sono contento
che sei venuta” guardò un punto indefinito oltre
alle mie spalle sperando di
poter scorgere qualcun altro. “Damon non
c’è?” mi chiese puntando il suo
sguardo su di me ed io non seppi cosa dire. Boccheggiai un attimo
tentando di
articolare una scusa sensata. “Lui…preferisce
continuare a far finta di niente.
Non…gli piace dover studiare senza uccidere
qualcuno!”. Non sapevo neanche cosa
avessi detto, ma dall’espressione comprensiva di Alaric
sembrava che ero
riuscita nel mio intento.
“Bene vorrà dire che mi aiuterai tu” mi
porse un
libro e girò il portatile per farmi vedere
un’immagine. “Ho fatto delle
ricerche e dall’analisi di questa foto risalente al 1843
risulta essere il
primo mezzo vampiro ucciso nei pressi delle campagne della Scozia. Mi
descriveresti la ragazza del Grill per favore?”. Ero ancora
intenta ad osservare
l’immagine ormai sbiadita all’interno del computer:
dall’aspetto e dagli abiti
sembrava essere un ragazzo con i capelli neri e ricciolini, aveva uno
sguardo
vacuo e un paletto conficcato proprio all’altezza del polmone
sinistro. Il suo
volto contratto per il dolore mi provocò un forte senso di
pena e angoscia per
quel ragazzo così giovane. Per un istante ebbi un singulto
sovrapponendo
l’immagine del ragazzo a quella di Damon del 1864.
Mandai via quel pensiero e osservai meglio la
foto: il ragazzo aveva due enormi occhi grigi spalancati.
“Occhi grigi” “Cosa
hai detto?” Alaric si avvicinò di più
per sentire ciò che avevo appena sibilato
“La ragazza al Grill, Michelle, aveva due occhi grigi
identici a quelli del
ragazzo” Alaric non parve molto sorpreso della mia
rivelazione e mi porse la
pagina di una pergamena un po’ strappata. “I mezzi
vampiri hanno la peculiare caratteristica
di avere gli occhi grigi, sono neutri così come il gruppo
sanguigno, non
rientra in nessuna delle categorie, sono veloci e forti ma sentono la
fatica e
la fame, sono immuni alla verbena ma possono essere soggiogati e
soggiogare,
preferiscono accoppiarsi solo con esseri della loro stessa specie
tuttavia non
esitano a trasformare in mezzi vampiri anche altri esseri, umani o
vampiri che
siano” concluse la spiegazione da bravo professore che era e
si sedette
incrociando le braccia al petto.
C’era tuttavia qualcosa che non mi
quadrava…“Un
momento ma Damon è stato trasformato in un umano!”
“Non ne possiamo essere così
sicuri dal momento che i mezzi vampiri sono tali e quali a dei semplici
esseri
umani” portai una ciocca di capelli dietro
l’orecchio e sbuffai, confusa da tutte
quelle nuove informazioni.
“Hai detto che Stefan è andato in
Alaska?” mi
chiese all’improvviso e io alzai lo sguardo dal libro.
“Si” “Beh non troverà
molto lì visto che l’ultimo avvistamento risale al
1902, invece si pensa che
l’ultima comunità di mezzi vampiri si trovi in
North Caroline, non si riesce a
spiegare la presenza di così tante persone aventi gli occhi
grigi” aprì
un’altra pagina web e mi mostrò delle foto che
ritraevano delle copertine di
una rivista: in ogni copertina c’erano ragazze e ragazzi con
gli occhi uguali a
quelli di Michelle. Quindi Stefan aveva seguito l’indicazione
del libro trovato
nella sua libreria e aveva tratto una conclusione del tutto sbagliata:
dopotutto doveva pensare che il viaggio turistico per Half-vampire city
era stato
aggiornato dopo un secolo e mezzo!
“Non hai trovato niente, una cura per far tornare
Damon vampiro?” chiesi speranzosa “No purtroppo non
dice niente, le
informazioni sono molto limitate…ecco perché ti
avevo detto di portare Damon,
magari lui si ricorda cos’è avvenuto”
annuii poco convinta, convincendomi che
alla fine sarebbe stato meglio coinvolgere anche lui. Mentre il
professore
stava sfogliando altri libri notai sulla sua scrivania un foglietto
stropicciato su cui vi era disegnato un oggetto simile ad un pugnale
con delle
didascalie ai lati. Cogliendo l’occasione, lo presi e lo feci
scivolare accidentalmente
all’interno della mia
tracolla. “Grazie di tutto Alaric” mi affrettai a
dire avviandomi già alla
porta. “Se ho nuove notizie ti faccio sapere” e
così uscii dall’aula tenendo
furtivamente la borsa ben stretta.
Decisi che prima di andare alla pensione sarei
passata da casa per lasciare i libri e studiare meglio il foglio che
avevo
rubato nell’ufficio di Alaric. Feci piano per non farmi
sentire da Jenna, ma
evidentemente non c’era perciò salii con passo
sicuro finché non mi si presentò
davanti Jeremi.“Oh ciao” “ciao”
calò un imbarazzante silenzio perciò pensai che
non avesse niente da dirmi. Lo superai con facilità avendo
fretta di scoprire
che cosa fosse lo strano oggetto. “Cosa sta succedendo
Elena?” mi bloccai sulla
soglia della mia camera sentendo il suo sguardo penetrarmi la schiena.
Mi
voltai piano. “Non so di cosa…”
“Alaric mi ha detto delle ricerche!” era
evidentemente impossibile poter tenere qualcosa nascosto!
“Perché vuoi
aiutarlo? Cioè ha combinato fin troppi casini quando era
vampiro e ora che è
umano non può fare più niente. Devo ricordarti
che ha tentato di uccidermi?”. Mi
guardò con sguardo allibito quasi come se fossi pazza.
“Jeremi so quello che ti
ha fatto e lo odio ancora per questo, ma lo sto facendo per Stefan
è…distrutto
per suo fratello e non credo che sia giusto tralasciare tutto e andare
avanti
perché le cose non potranno essere più le
stesse”. Tentai di fargli capire
quanto fosse importante per me poter far tornare Damon nuovamente
vampiro e
ritornare alla normalità. “Almeno potevi dirmelo,
sono tuo fratello cioè mezzo-fratello”
sorrisi e lo abbracciai forte
“lo so, grazie”.
Dopo aver parlato con Jeremi riuscii a
rinchiudermi nella mia stanza e studiare un po’ quello strano
oggetto
raffigurato sul foglio: come avevo già visto si trattava di
un pugnale e a
quanto stava scritto nelle didascalie era interamente in legno ma la
punta era
di acciaio come un qualsiasi pugnale; le altre didascalie erano
incomprensibili
così lasciai perdere.
Presi la macchina e mi diressi verso casa
Salvatore. Suonai alla porta e chi mi aprì fu una sorpresa.
“Caroline?” chiesi
più a me stessa che a lei. “Ciao Elena, grazie al
cielo che sei arrivata” mi
disse alzando gli occhi al cielo con l’aria di una che
sarebbe esplosa da un
momento all’altro. Ancora non mi ero del tutto ripresa dalla
sorpresa: che ci
faceva Caroline alla pensione e per di più con Damon in casa?
Entrai nel salone dove vidi Damon seduto su una
sedia, completamente legato con corde di ogni tipo: c’era
perfino un cavo
telefonico e due o tre foulard. Nonostante questo Damon aveva un
sorriso
sarcastico stampato in faccia. “Oh Elena eccoti qua, vuoi
unirti anche tu al
gioco?” mi chiese non appena mi vide. Caroline
alzò gli occhi al cielo e si
lasciò cadere pesantemente sulla poltrona prendendo una
rivista. “Mi dite cosa
succede?” chiesi non riuscendo a raccapezzarmi: ero forse
entrata gratis al
circo? “Succede che Damon vuole a tutti i costi uscire di
casa mentre non può
perché la fuori c’è un vampiro o
chissà chi pronto a sparargli o a ucciderlo
approfittando della sua umanità e…”
“e tu sei la mia babysitter lo so-”
spostò
uno sguardo accusatorio verso la mia direzione “-brava Elena,
di tutti i
vampiri in circolazione hai scelto una pazza isterica!” La
bionda alzò gli
occhi dalla rivista e ringhiò in direzione di Damon che non
potendo far niente
continuava a ridere. “Damon, Caroline ha ragione,
è pericoloso uscire almeno
fino a quando non sapremo chi è quello che ci da la
caccia” gli spiegai
provocando il suo sguardo furibondo. “Visto?”
Caroline mostrava un sorrisetto
trionfante. “Ma è anche vero che ha esagerato
legandoti in questo modo” mi
diressi verso la poltrona di Damon cominciando a slegare uno dei tanti
nodi. “Rassegnati
Barbie ho vinto io!” riuscii a liberarsi definitivamente e
con passo sicuro si
avviò verso lo studio.
“Damon aspetta” cercai di raggiungerlo
socchiudendo la porta per evitare che la vampira sentisse anche
involontariamente. “Damon penso che dovremo fare qualcosa insieme?” gli chiesi sperando
che si lasciasse convincere. Alzò gli
occhi dal libro e lo chiuse con un tonfo sordo. Si guardò
intorno per poi
guardarmi con i suoi occhi azzurri. Aprì leggermente la
bocca sbattendo un paio
di volte le palpebre come se non riuscisse a capire. “Qui? E adesso?”
mi chiese
avvicinandosi a me sospettoso. “Si certo, qui e
adesso!” risposi sicura. Cercò
di trattenere un sorriso e incrociò le braccia al petto.
“E cosa sarebbe questa
cosa che dovremmo fare
insieme?” ringraziai
il cielo che avesse deciso di stare al mio gioco.
“E’ una cosa da umani”
spiegai e presi un lungo respiro
prima di arrivare al sodo. Si avvicinò ancora di
più a me con il suo solito
sorriso strafottente, inclinando la testa come se volesse baciarmi.
“Che ne
dici di parlare?” spiegai, contenta di poter finalmente
discutere seriamente
con Damon riguardo quell’argomento che Alaric aveva
espressamente richiesto di
sapere: chissà forse potevo sistemare tutto senza includerlo
direttamente nella
questione! Si bloccò e sbarrò gli occhi, poi
indietreggiò afferrando il libro
di prima. “Uh si parlare…molto
umano” mi disse mentre
gettava un libro
sulla scrivania, sbuffando. “Voglio chiederti se riesci a
ricordare la notte in
cui sei stato trasformato” mi guardò per un attimo
e poi si mise a ridere. “Oh
andiamo Elena sai benissimo come sono andati i fatti: Katherine aveva
dato a me
e a Stefan il suo sangue e ops siamo morti” “No non
intendo quel tipo di
trasformazione”. Lo vidi irrigidirsi, aggrapparsi ai
braccioli della sedia e
serrare la mascella per poi rivolgermi i suoi occhi azzurri nei quali
balenava
una paura allo stato puro: era una rarità vedere Damon
Salvatore terrorizzato.
Persi un battito quando lo vidi boccheggiare per trovare le parole
giuste da
dire, era così tremendamente umano che sembrava essere
troppo fragile. Mi
accostai a lui e allargai le braccia. E così lo strinsi a me
sperando che quei
brutti ricordi svanissero così come erano ritornati.
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Capitolo 8 *** 7- WHY ARE YOU AGAINST ME IF I CARE ABOUT YOU? ***
7- WHY ARE YOU AGAINST ME
IF I CARE ABOUT YOU?
Si
versò un altro po’ di brandy e lo bevve tutto
d’un sorso. Ero seduta sulla sedia mentre osservavo Damon
camminare avanti e
indietro per tutta la stanza, cercando di trovare le parole adatte per
descrivere la sua trasformazione in forma umana.
Era particolarmente nervoso:
quella situazione lo stava facendo irritare più del dovuto.
Sospirai e portai i
capelli dietro le orecchie. “Damon non
c’è bisogno che tu me lo dica ora, non
fa niente” “No Elena! Voglio sapere chi
è quella stronza che mi ha ridotto così
e se le mie informazioni sono utili beh cercherò di non
vomitare per quello che
sto ricordando!”.
Si fermò nel bel mezzo della stanza appoggiandosi alla
scrivania e sospirando, pronto ad incominciare il suo discorso. Mi
sedetti
meglio e concentrai al massimo la mia attenzione. “Dopo che
siamo usciti dal
pub, io e Michelle siamo andati a
fare un giro in macchina, sembrava divertirsi perciò non ho
cercato neanche di
soggiogarla, sembrava stare al gioco…”
“Quindi
da dove è che vieni?” chiesi parlando
più forte cercando di sovrastare la
musica ad alto volume.
“Dal
North Caroline… ma ora non più”
sembrava alquanto irritata dopo l’ultima
affermazione che mi aveva lasciato perplesso. All’apparenza
sembrava essere una
normale umana anzi addirittura parecchio timida visto il battito
accelerato del
suo cuore ogni qual volta che le rivolgevo una domanda.
“In
che senso ora non più?” “nel senso che
la mia gente non mi vuole più in città,
sono una rinnegata, scappata di casa” concluse mostrandomi il
suo sorriso quasi
perfetto. Era rinnegata, nessuno la voleva, era simpatica e aveva un
corpo
niente male: perfetta per divertirmi un po’.
“Beh
ti dirò un segreto: anche la mia gente non mi
vuole” gli mostrai uno dei miei
soliti sorrisi e la conseguenza fu un leggero rossore alle guance che
me la
rese più appetibile di quanto immaginassi.
“Dopo
la gita in macchina con una scusa l’ho
portata in casa” “E lei ha accettato?”
“Sicuro!” rispose con un risolino
malizioso “ed era anche brava a letto e..” alzai
una mano per farlo smettere di
parlare: non mi interessava cosa avessero fatto quei due sotto le
coperte, volevo
sapere come era avvenuta la trasformazione! “Passiamo alla
parte della
trasformazione!” lo supplicai e lui sembrava essere molto
più rilassato di prima.
“Io l’ho morsa” disse incrociando le
braccia al petto. “Tutto qui?” “No, dopo
averla morsa e bevuto il sangue, l’ho guardata negli occhi e
credo mi abbia
soggiogato. Ricordo solo che mi ha sorriso e dopo, beh…i
segni sul collo lo
dimostrano” disse portandosi le dita proprio sulla giugulare
dove spiccavano
due punti rossi che prima non avevo notato. Quindi era stato morso,
anche lui
me lo aveva confermato ma invece di essere un mezzo vampiro era rimasto
umano,
come era possibile?
Pensai subito di ritornare da Alaric e informarlo sulle
nuove scoperte sempre tenendo Damon all’oscuro di tutto. Feci
per alzarmi ma
Damon mi bloccò. “Come mai tutta questa voglia di
saperlo?” mi chiese a
bruciapelo facendomi arretrare sulla sedia.
“Solo curiosità”. Mi lasciò
via
libera e stavo per aprire la porta e fuggire via, ma lui, pur essendo
umano,
raggiunse la mia postazione mettendomi con le spalle al muro.
“Elena non fare
la bimba cattiva! Questa è una bugia bella e buona, avanti
chi lo vuole
sapere?” i suoi occhi erano a pochi centimetri dai miei
così come le sue
labbra. “Vuoi lasciarmi! Damon ti ho detto la
verità!”. Il mio cuore, per la
bugia appena detta, cominciò a battere forsennatamente e fui
grata del fatto
che non lo potesse più udire.
“Elena guardami! Dimmi chi lo vuole sapere?”
stavolta riuscii a liberare un braccio e con tutta la forza che avevo
gli diedi
uno schiaffo. La sua guancia divenne subito rossa. “Hai
qualcosa in contrario
se mi interesso a te?” gridai con voce stridula e lo spinsi
via uscendo velocemente
dalla stanza, gli occhi erano annebbiati dalle lacrime che minacciavano
di
scendere.
“Elena che succede?” mi si parò davanti
Caroline che aveva
sicuramente sentito la nostra conversazione. Pensai di uscire e
lasciarmi
dietro la pensione Salvatore ma non ci riuscii.
“Caroline” mi aggrappai a lei
che mi portò dolcemente sul divano accarezzandomi i capelli.
“Caroline lo odio,
per quello che ha fatto e per tutti i problemi che ci sta creando: se
non fosse
per lui a quest’ora Stefan sarebbe qui e..e..” mi
morirono le parole in gola
tanto forti erano i singhiozzi che mi facevano sussultare il petto. La
mia
amica mi strinse maggiormente, tentando di rassicurarmi e invitandomi a
smettere di piangere. “Vedrai che tutto si
sistemerà, lui ritornerà ad essere
il vampiro di sempre e una volta finita questa storia tu e Stefan
potrete stare
insieme”. Mi convinsi che quelle parole erano vere e
sprofondai in un sonno
leggero anche se tormentato da sensi di colpa e rimorso: da quando
stavo male
per Damon?
Al mio risveglio Caroline non c’era più, avevo
addosso una coperta e
il fuoco del camino era acceso. Doveva essere molto tardi
perciò senza
ulteriori indugi decisi di uscire da quella casa, ignorando la presenza
di
Damon nell’altra stanza, e avviarmi verso la mia.
Le luci erano spente, segno che zia Jenna e Jeremi
dovevano essere già a letto. Feci per salire le scale, ma mi
bloccai sentendo
un rumore provenire da dietro. La stanza era completamente avvolta nel
buio e
feci fatica ad adattare gli occhi.
Vidi un’ombra muoversi velocemente davanti a
me e una folata di vento mi mosse leggermente i capelli. Chiunque fosse
doveva
essere salito per le scale. Spaventata per Jenna e Jeremi salii in
fretta le
scale e presi un ombrello dalla punta di legno in caso di emergenza.
Con passo
felpato e con il cuore che continuava a martellarmi in testa mi diressi
verso
la camera di mia zia.
Aprii leggermente la porta per non spaventarla, ma
sembrava stesse dormendo tranquilla, così la chiusi e passai
alla camera di
Jeremi. Era già aperta e dalla luce che proveniva dalla
finestra scorsi una
figura che sembrava lo stesse guardando attentamente. Spezzai la punta
dell’ombrello e con passo deciso feci la mia entrata in
stanza ma questo
provocò la fuga del vampiro che accortosi di me aveva
preferito uscire dalla
finestra, e il brusco risveglio di Jeremi. “Elena?”
lasciai cadere il paletto
improvvisato e andai ad abbracciarlo, spiegandogli quello che avevo
visto e
cosa aveva rischiato.
“Questa situazione sta diventando troppo pericolosa, per
noi e soprattutto per te” “Jeremi sai che stiamo
facendo delle ricerche” “Si ma
non possiamo vivere con la paura che questi nuovi vampiri entrino anche
senza
il nostro invito”. Ebbi un dubbio: sbaglio o aveva detto
senza il nostro
invito? “Vuoi dire che non avete invitato nessuno ad
entrare?” “No non è
passato nessuno”. Questo significava che questi mezzi vampiri
erano in grado di
entrare nelle case anche senza invito, cosa che gli rendeva ancora
più
pericolosi. Diedi la buonanotte a Jeremi anche se molto probabilmente
non si
sarebbe più riaddormentato così come avrei fatto
io.
Mi stesi sul letto e
composi velocemente il numero di Caroline “Car scusa se ti
chiamo ma abbiamo un
problema” “Tranquilla arrivo ma-” mi
rispose con la voce impastata dal sonno, fece
una pausa in cui sembrò che stesse ascoltando qualcosa o
forse qualcuno “-come
faccio con Damon?”. Mi ricordai del litigio e che ero
arrabbiata ancora con lui
perciò le dissi che poteva benissimo lasciarlo li visto che
non voleva essere
protetto.
Appena chiusa la chiamata di Caroline composi il numero di Stefan:
attesi con sciocca speranza per poi chiudere alla voce registrata della
segreteria. Avvicinai la testa al cuscino e chiusi gli occhi stremata
da
quest’ultima sorpresa.
Riuscii a sentire il suono ovattato dei tacchi di
Caroline che si era seduta davanti allo specchio e mi tranquillizzai un
po’:tuttavia mentre la mia amica vampira era qua, nonostante
il litigio di quel
pomeriggio e l’odio che provavo nei suoi confronti, speravo
con tutto il cuore
che il vampiro cattivo non lo venisse a trovare e che quella fosse una
notte
sicura anche per Damon.
Il vibrare continuo del cellulare sulla scrivania
mi fece alzare dal letto. Era ancora presto ma dovevo prepararmi in
fretta e parlare
con Alaric riguardo la questione dei mezzi vampiri e della loro
possibilità di
entrare in casa anche senza invito. Mi feci una doccia e mi vestii
rapidamente.
Non trovavo le mie scarpe così provai a vedere se erano
accidentalmente
ruzzolate sotto il letto. Mi inginocchiai e alzata la trapunta oltre a
batuffoli di polvere trovai l’anello di Damon. Mi aveva detto
che lo aveva
buttato via. Lo presi e dopo averlo rigirato più volte nelle
mani lo infilai in
borsa. Scesi le scale e presa la macchina mi avviai verso la scuola.
Appena
arrivata provai a cercare Alaric ma di lui nessuna traccia, molto
probabilmente
le ricerche erano durate più a lungo del previsto.
“Elena” trovai Bonnie al mio
fianco che mi guardava con aria preoccupata “Ciao
Bonnie” “Come stai? E’ da un
po’ che non ci sentiamo” “Si sono stata
occupata con la storia di Damon” “Vuoi
parlarmene?” decisi che era meglio tenere la mia amica
informata, non volevo
che accadesse qualcosa anche a lei. “Perciò questo
vampiro è entrato ieri sera
in casa tua e sembrava essere interessato a Jeremi”
“Così mi è sembrato, lo
stava guardando attentamente come per accettarsi di qualcosa”
“E se avesse
creduto che fosse anche lui uno della sua specie?” alzai gli
occhi e incrociai
quelli di Bonnie che sembrava aver capito qualcosa di cui io non sapevo
nulla
“Cosa intendi dire?” “Questi mezzi
vampiri sono alla continua ricerca di simili
e forse visto che tu sei al corrente dell’esistenza dei
vampiri pensava che
vivessi insieme a dei mezzi vampiri”
“Perché mai dovrebbe pensarlo?” alla mia
domanda Bonnie perse tutto il suo entusiasmo e si lasciò
cadere in un “Non lo
so Elena”.
Presi dalla borsa i libri che mi sarebbero serviti per l’ora
di
Chimica ma nel prenderli mi cadde l’anello di Damon.
“Ma non è l’anello di
Damon?” “Si- dissi mentre mi allungavo per
prenderlo- l’ho trovato stamattina
ma non penso di ridarglielo, alla fine non è più
un vampiro non lo proteggerà
dai raggi del sole”. Stavo per riposarlo ma la mia amica mi
fermò “Elena sono
tua amica e voglio aiutarti anche se Damon non mi piace” non
riuscivo a capire
le sue parole “dammi l’anello ci vediamo al Grill
all’ora di pranzo” mi fidai e
glielo consegnai senza tante storie.
Concluse le lezioni andai al Grill dove
trovai Bonnie ad aspettarmi. “Ecco qua” mi disse
sorridente mostrandomi
l’anello tale e quale a quello di prima. “Cosa hai
fatto?” dissi mentre
osservavo l’anello nella sua antica forgiatura. “Ho
fatto un incantesimo molto
simile a quello dell’anello di tuo fratello e di Alaric con
la sola differenza
che l’anello di Damon una volta ritornato vampiro
continuerà a svolgere la sua
antica funzione e l’incantesimo si
spezzerà.” “Bonnie sei un
genio!” abbracciai
la mia amica, felice del fatto che avesse messo da parte
l’odio nei confronti
del vampiro per aiutarmi.
Tornata a casa chiesi a Jenna se avesse notizie di
Alaric. “L’ho sentito ieri sera, ha detto che
doveva andare fuori città per un
convegno”. Probabilmente non era quello il vero motivo ma non
potei dire di
più. Mi ritirai in camera e dopo essermi cambiata e messa il
pigiama, provai
nuovamente a chiamare Stefan. “Dannazione
rispondi…” chiusi la chiamata e
scaraventai il cellulare sul letto.
La finestra era aperta e anche se faceva
caldo era preferibile chiuderla per non far entrare nessun vampiro
indesiderato. Mi avviai verso la finestra e feci per chiuderla ma
qualcosa mi
bloccò “Ahio”
“Cos-?Damon?!” Damon si era arrampicato con la
scala fino a
raggiungere la mia finestra con qualcosa di strano in bocca.
“Mi fai entrare o
devo stare qui tutta la notte?” biascicò mentre
teneva tra i denti due cucchiai.
Mi spostai dalla finestra e con un balzo atterrò sul
pavimento della mia
camera. “Mi manca terribilmente poter salire senza
l’uso della scala!” Era
diverso dal solito: aveva portato indietro i capelli e una camicia blu
aderente
sostituiva la solita maglietta nera. Sembrava che dovesse andare ad un
evento
importante, come un matrimonio o una festa di fidanzamento, quasi mi
ricordava
la festa per la reginetta di Mistic Falls quando avevamo ballato
insieme.
Continuai ad osservarlo mentre si puliva i pantaloni pieni di terriccio
e
rendersi in una forma più presentabile di quanto non fosse
già: da quando Damon
si preoccupava dei vestiti? Tolse i due cucchiai dalla bocca e me ne
offrì uno
con un sorriso. D’un tratto mi venne in mente il motivo per
cui avevamo litigato
e sentii le guance diventare rosse dalla rabbia.
“Che sei venuto a fare qui?
Sbaglio o non vuoi essere aiutato?” dissi aprendo la finestra
che lui aveva già
chiuso, invitandolo ad uscire da dove era entrato. “Elena non
ricominciare! Sai
bene che avevo ragione e so bene che tu tieni a me-” mi
guardò e io sussultai
alla verità di quelle parole “-almeno questo
è quello che mi hai detto. Il
punto è che io sono quello umano adesso e ho tutto il
diritto di avere
informazioni su chi mi ha trasformato e soprattutto chi ficca il naso
nei miei
fatti personali” distolsi lo sguardo e mi portai i capelli su
un lato del
collo: era vero quello che stava dicendo e non potevo proteggerlo
ancora da
qualcosa che interessava più lui che me.
“Era Alaric” sussurrai sentendomi
quasi una bambina che ha paura di essere sgridata dal padre. Si distese
rimbalzando
sul letto facendo cadere i cuscini e l’orsetto
“chissà perché ma lo
sospettavo”
e mi rivolse uno dei suoi soliti sguardi che mi fecero spuntare un
sorriso da
ebete. “Avanti non mi chiedi scusa?” disse posando
i cucchiai e lo strano
contenitore che aveva in mano e incrociando le braccia dietro la nuca.
“Scusa?!E perché mai?” mi sedetti sulla
sedia impugnando la spazzola. “Ti sei
comportata da bambina, un po’ da stronza e beh se fossi stato
ancora vampiro
probabilmente ti avrei staccato la testa quindi ringraziami per essere
stato
così buono nei tuoi confronti” quello era
assolutamente troppo: non solo mi
aveva rimproverato perché mi preoccupavo per lui ma adesso
voleva che io gli
chiedessi scusa. Mi alzai e gli puntai la spazzola contro
“ringrazia solo il
fatto che non ci sia Stefan!” mi guardò e
allontanò la spazzola avvicinandosi
al mio viso “Era una battuta? No perché
l’avevo già sentita”
incominciò a
ridere e mandai al diavolo la rabbia al suono di quella risata
liberatoria.
Sentii un tintinnio e uno dei due cucchiaini comparve alla mia vista.
“Che
cos’è?” chiesi aggrottando le
sopracciglia non capendo a cosa servissero
“Qualcosa che voi ragazze amate mangiare in continuazione
quando siete
arrabbiate, o almeno così mi ha detto la prosperosa
cassiera del supermercato” aprì la confezione e
una dolce fragranza di limone
arrivò alle mie narici. “Et voilà
gelato!In segno di pace” mi porse i due
cucchiaini e io ne estrassi uno dalla sua presa ferrea. Affondai il
cucchiaio
nella morbida consistenza e ne portai un po’ alla bocca:
faceva sempre effetto!
Come lo sapeva?
“Sbaglio o è il mio anello quello?” mi
voltai e vidi lo sguardo
di Damon posarsi in direzione del comodino dove tra orecchini e collane
spiccava il suo anello. Si alzò e se lo rimise continuando a
guardarlo e
accarezzarlo. “Sbaglio o lo avevi buttato via?”
domandai alzando di poco un
sopracciglio cercando di metterlo con le spalle al muro ma invano.
“Diciamo che
ero esaltato dall’idea di essere umano-” mi rispose
risedendosi accanto a me
“-e poi mi servirà una volta ritornato
vampiro”. Prese il cucchiaio rimasto e
cominciò a mangiare anche lui il gelato dalla vaschetta
posta sulle mie gambe.
Una volta finito il gelato, aprì le braccia per poi far
cadere la mano sulla
mia spalla avvolgendomi al suo corpo. Gli riservai
un’occhiataccia ma lui
sembrò non esserne particolarmente spaventato. Mi alzai
allora nervosa per il
silenzio che si era venuto a creare: non ero abituata a questo genere
di
intimità con Damon.
“Sarà meglio che vada: la nostra nuova inquilina
mi ha dato
solo un’ora di tempo e io ne ho sprecate già tre,
l’avrò fatta arrabbiare
abbastanza” “Caroline ci sta solo aiutando lo
sai” si alzò e si avvicinò a me
un passo per volta, quasi lentamente come per darmi tutto il tempo di
fuggire e
di non far avvenire quello che ero sicura stesse per accadere.
Mi prese il viso
tra le mani e le gambe cominciarono a tremare. Il mio cervello mi
diceva che
era sbagliato, che dovevo reagire, che lontano mille kilometri
c’era Stefan e
che non potevo assolutamente baciare Damon, ma avevo chiuso gli occhi e
le mie
labbra si erano dischiuse attendendo ciò che era inevitabile
che accadesse.
Magari l’indomani a mente lucida mi sarei poi pentita del mio
sbaglio, ma ciò
che contava era quel momento e mi ritrovai a desiderare quel bacio
più
dell’ossigeno.
Trovai la sensibilità nelle mani e tutt’a un
tratto riaprì gli
occhi trovandomi faccia a faccia con la realtà. Damon di
fronte a me, le sue
dita gelide sulla mia guancia: perché non mi baciava?
“Sei solamente tu che mi
stai aiutando, nessun’altro
può ordinare questo casino che ho dentro ed Elena tu sei l’ordine che
cerco” deglutii rumorosamente sentendo il cuore
perdersi dentro di me. Mi sorrise obliquo accorgendosi del mio disagio.
“Damon
esci subito dalla mia camera” aprii la finestra e lo invitai
ad uscire con un
ampio gesto della mano, ancora con la testa che mi girava.
“Come vuole miss simpatia-” mi guardò
con il sorriso
ancora stampato in faccia avvicinando il viso al mio che ritrassi
subito
“-niente bacino della buonanotte?”. Lo spinsi sotto
la finestra da dove passò
facilmente scendendo poi dalla scala. Ritornai a letto e spensi la
luce.
Nonostante il cuscino fosse ancora caldo per via di Damon la mia
guancia era
gelida e il responsabile dei miei sbalzi termici era sempre e solo lui.
***
Ebbene
visto che qualcuno si è lamentato della brevità
dei miei capitoli ho pensato di
deliziarvi con un capitolo un po’ più lungo e
semplicemente incentrato su Damon
ed Elena. Non vi cullate troppo però u.u i mezzi vampiri
sono dietro l’angolo e
potrebbero attaccare da un momento all’altro. Elena si trova
ancora indecisa e
vede Damon sempre come il fratello del suo fidanzato (ma non
sarà così ancora
per molto). I due si devono cuocere a puntino e ancora
l’acqua non bolle in
pentola! Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, non
abituatevi a
capitoli così lunghi, li farò solo in occasione
di momenti importanti per
questa coppia ;) Domandina: mi linciate se vi dico che devo per forza
scrivere
un capitolo per descrivere cosa diamine sta combinando lo scoiattolo in
Alaska?o.O E’ ai fini della narrazione u.u
Grazie
per aver letto, alla prossima!
|
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Capitolo 9 *** 8- I'LL JUST DIE IF IT WILL BE WORTH IT ***
AVVERTENZE:
questo capitolo si ricollega ad alcuni
avvenimenti accaduti nel capitolo precedente, perciò onde
evitare
fraintendimenti, leggetelo e arrivate vi prego fino alla fine prima di
saltare
a conclusioni azzardate u.u
8- I’LL JUST DIE IF IT
WILL BE WORTH IT
Era passata più di una settimana e di Stefan
nessun segno così anche del vampiro che aveva tentato di
spararci e di quello
che era entrato in casa mia. Dimenticavo mezzo vampiro.
Mi stavo dirigendo verso la pensione che ormai era
diventata dimora fissa di Caroline che, in segno della nostra buona
amicizia, teneva
d’occhio Damon ventiquattro ore su ventiquattro.
Damon di questo non era certamente
molto contento.
Chiusi lo sportello e presi un respiro profondo
prima di entrare in casa dove già da fuori si sentiva una
musica ad alto volume
e le urla disperate di Caroline.
“Vuoi abbassare quel santo volume, non riesco a
concentrarmi per mettere lo smalto!”.
In effetti la musica era un po’ troppo forte, ma
più che musica quella sembrava un assolo di chitarra. Diedi
un’occhiata al salone,
ma era completamente vuoto.
Mi sentii una mano toccare la spalla e sussultai
girandomi spaventata. Mi tranquillizzai vedendo Caroline che mostrava
certe
occhiate fiammanti al soffitto da dove proveniva quella musica
assordante.
“Ci penso io a suonargliele!” disse e a
velocità
vampiresca si diresse verso le scale. La seguii a ruota anche se,
quando
arrivai, lei era già davanti a Damon e discuteva
animatamente indicando una
chitarra anni ’80.
“Ah si o se no che mi fai?” le domandò
Damon con
aria strafottente non curandosi minimamente del fatto che aveva di
fronte una
ragazza o peggio un vampiro.
Caroline
fu molto più veloce e con una sola mossa riuscì a
piegargli il braccio destro
dietro la spalla e a farlo finire con la faccia contro la moquette.
“Ecco cosa ti faccio!”. Evidentemente la forza
dell’abitudine lo aveva portato ad atteggiarsi da vampiro.
“Ehi calma”
intervenni sperando con tutto il cuore che la convivenza forzata di
quei due
portasse a qualcosa di buono.
Caroline mollò la presa e Damon ritornò in
posizione eretta massaggiandosi il braccio dolorante. Caroline
alzò gli occhi
al cielo e in un attimo sparì lasciando soli me e Damon.
“Giuro che prima o poi le stacco quella testolina
che si ritrova”. Mi accorsi della chitarra e del fatto che
eravamo nella stanza
di Stefan. “E’ tua?” Damon
seguì il mio sguardo. “No è del mio
fratellino un
tempo rockettaro alias Stefan” boccheggiai per qualche
secondo: Stefan rockettaro?
“Come è poss-” “Era il 1986
quando lui e la sua amica Lexi decisero di fare un
gruppo: la parrucca non gli donava molto” disse mentre
riposava la chitarra in
un vecchio baule aperto al centro della stanza.
Da lì Damon tirò fuori una scatola impolverata e
dopo aver soffiato via la polvere la aprii. Ne estrasse un pugnale dal
manico
in argento. “Ecco dove era andato a finire” disse
maneggiandolo, con uno strano
sorriso stampato in faccia. “E’ un
pugnale?” “Oh ma come siamo perspicaci!
E’
il pugnale che apparteneva a mio padre, me lo regalò per il
mio diciassettesimo
compleanno, è un gioiello di famiglia” mi
avvicinai per guardalo meglio: era
molto spesso e alquanto pesante e presentava una forma allungata simile
a
quella di un paletto con la sola differenza che la lama era interamente
in
argento anch’essa.
Mi tornò in mente il disegno sul foglio che avevo
rubato dall’ufficio di Alaric. “Damon dovremmo
andare a trovare Alaric”.
Damon smise di giocare con il pugnale e mi guardò
con aria interrogativa.
“Devi sapere anche tu”.
La casa di
Alaric sembrava essere uscita
direttamente dal passato: era piena di quadri antichi e oggetti in
legno per
non parlare dell’enorme quantità di libri.
“Allora prof novità?” chiese Damon
entrando e dando una pacca sulla spalla ad Alaric in modo amichevole.
“No
ancora niente”. Guardai prima Damon e poi Alaric, con aria
interrogativa: io lo
avevo portato perché pensavo che era all’oscuro di
tutto, ma evidentemente ero
io quella ad essersi persa qualcosa!
“Tu sapevi” sussurrai incredula, con occhi
sbarrati, additandolo. “Elena questo non è il
momento di fare scenate piuttosto
dimmi perché avevi tutta questa urgenza di
vederlo” mi disse mettendomi nuovamente
con le spalle al muro.
“Volevo chiederti se sapevi qualcosa in più su
questo oggetto” dissi tirando dalla borsa il
foglietto spiegazzato.
Alaric lo prese con cura tra le mani e inforcò gli
occhiali. “A prima vista non ho idea di cosa sia. Dove
l’hai preso?”. Aggrottai
le sopracciglia confusa. “Era sulla tua scrivania a scuola,
io l’ho preso di
nascosto” confessai il mio piccolo reato, ma
sembrò non turbare di molto Alaric.
“Non l’ho mai visto: sembra un pugnale ma potrebbe
benissimo essere un paletto” “una mezza arma:
metà per uccidere un vampiro,
metà per uccidere un umano” si intromise Damon
arrivando alla conclusione molto
più in fretta di noi.
“E quindi assemblandoli assieme potremmo creare-”
“-l’arma perfetta per sconfiggere i mezzi
vampiri-” “- così da porre fine a
questa storia”.
“Bang! Adoro questa combinazione di cervelli”
esultò Damon al mio fianco per poi continuare
“Rick cerca di costruire l’arma,
quanto ad uccidere i mezzi vampiri ci penso io!” e
così dicendo uscì via ed io
non potei far altro che seguirlo.
Per tutto
il tragitto in macchina nessuno dei due parlò, rimanemmo in
silenzio ognuno
perso nei proprio pensieri.
Arrivati sull’uscio della porta mi decisi a
parlare. “Damon sai che non dovresti immischiarti in questa
situazione” “Ecco
che ricomincia” “No Damon sul serio, se ti dovesse
accadere qualcosa io…”
“Elena guardami” mi prese il viso tra le mani ed
ebbi un brivido simile alla
notte precedente. “Non mi succederà niente, non
finché sono io quello che deve
proteggerti.” Mi guardò intensamente e io mi persi
nel blu dei suoi occhi. “Se
vogliamo che le cose ritornino come prima e se vuoi davvero aiutarmi,
fidati di
me e se proprio dovrò morire beh almeno sarà
servito a qualcosa” lasciò
scivolare le mie dita sul mio viso ed io annuii deglutendo come se
avessi voluto
inghiottire quelle parole che mi avevano lasciato un sapore amaro in
bocca.
In casa regnava un certo silenzio, segno evidente
che Caroline non c’era. Sul tavolo del salone trovammo un
biglietto con su
scritto “Passo da mia madre per
prendere un po’ di
cose. Fate i bravi”.
La scrittura piccola e lineare sembrava quella
di Caroline.
“Finalmente ho la casa tutta per me” disse mentre
tirava fuori da un cassetto della scrivania una bottiglia di wisky.
Ero così intenta a guardare il foglietto da non
accorgermi che si era avvicinato a me e mi aveva abbracciato da dietro
provocandomi un leggero brivido. “Ops mi correggo: abbiamo la
casa tutta per noi”
lasciai perdere il foglio e tentai di slegare le braccia che
si erano intrecciate sulla mia pancia così da far incollare
la mia schiena al
suo petto, e da bloccarmi la respirazione. “Ti manca
vero?” mi chiese con un
tono di amarezza e il suo respiro arrivò a solleticare il
mio collo. M’incupii
d’improvviso e lui mi liberò da quella morsa.
“Chiamalo! Gli animali del bosco stanno appendendo
volantini con su scritto Cercasi nuovo
vampiro amico degli animali ” disse e si
versò un po’ di liquore nel
bicchiere.
Io presi il cellulare e composi il numero.
Fu solo un secondo e un forte rumore mi fece
alzare la testa di scatto, ma non ebbi il tempo di capacitarmi di
ciò che stava
succedendo che mi ritrovai compressa al muro e a parecchi centimetri da
terra.
Capii dalla forte pressione esercitata sulla giugulare che qualcuno mi
stava
tenendo per la gola.
Non c’era alcun dubbio: i mezzi vampiri erano
tornati in azione! E questo significava solo una cosa, che Damon era
estremamente in pericolo!
Scalciai violentemente, lasciando cadere il
cellulare e portando le mani su quelle del presunto aggressore. Non
feci in
tempo a guardarlo in faccia che mi lasciò andare
scaraventandomi dall’altra
parte della stanza, vicino ai vetri della finestra, sparsi per terra e
alle schegge
di legno che mi graffiarono il viso.
Tossii massaggiandomi la gola e l’addome per la
forte caduta e cercai di raggiungere il divano.Mi rannicchiai tentando
di
capire dove diavolo fosse finito Damon.
Ansimavo e il cuore pompava sangue procurandomi un
fastidioso ronzio alle orecchie, ma quello non era il momento di
preoccuparsi.
Mi alzai e da dietro il divano lo cercai con lo
sguardo mentre enormi folate di vento continuavano a scompigliarmi i
capelli, e
libri e fogli volavano sparsi per la stanza. Scorsi un gruppo di
uomini, forse
sette o otto, intenti a mettere a soqquadro la stanza mentre un altro
consistente gruppo che stava lottando contro un Damon che si dimenava,
incassando pugni.
Frugai nella borsa dove ancora c’era il pugnale
che volevo dare ad Alaric per costruire l’arma. Le mie mani
tremavano e sentivo
un forte groppo al cuore: non ce l’avremmo fatta, non quella
volta.
Impugnai l’arma e uscii fuori dal mio
nascondiglio, richiamando l’attenzione dei mezzi vampiri
più vicini. Essi mi
guardarono famelici, con occhi di uno strano colore bianco, quasi come
se
fossero stati ciechi, i canini affilati li deformavano il viso e il
loro
aspetto pallido e cereo li faceva somigliare quasi a dei cadaveri.
Distratta dal loro turpe aspetto non riuscii a
tenere il pugnale e così cadde e ruzzolò a pochi
passi da me. Una folata di
vento arrivò alla mia destra e si fermò.
Era un mezzo vampiro, lo riconobbi dagli occhi.
Sembrò meditare osservando il pugnale.
Fu una questione di secondi: il mezzo vampiro e il
pugnale scomparvero e la casa ripiombò nel silenzio
più assoluto.
L’aria venne rotta da una leggera tosse che
proveniva dal camino. Cercai di muovere le gambe, diventate tutto un
tratto
pesanti, e barcollando un po’ mi diressi laddove trovai
disteso a terra Damon,
ricoperto di graffi e dal sangue che sgorgava dal naso e da un taglio
poco profondo
sopra il sopracciglio destro. “Oh mio Dio, Damon!”
gracchiai con voce rauca e
lui tossì aggrappandosi a me per alzarsi. “Dannati
bastardi”. Ci alzammo e con
i nervi tesi controllammo se ci fosse ancora qualcuno.
Ci sostenevamo a vicenda, i nostri cuori battevano
all’unisono, per un momento fui felice di non essere la sola
a sentirmi in quel
modo.
I nostri occhi controllavano tutti gli angoli
della casa mentre le nostre orecchie erano tese cercando di avvertire
ogni
minimo spostamento d’aria: nessuna folata di vento, nessun
rumore sospetto,
niente di niente, solo silenzio: i mezzi vampiri se ne erano andati.
Tirai un sospiro di sollievo e i muscoli si
rilassarono ma Damon continuava a essere rigido e all’erta.
Cercai di
tamponargli la ferita da cui non sembrava comunque sgorgare troppo
sangue.
Sentimmo la porta aprirsi e sussultammo entrambi.
Ci fu un rumore simile ad una lamiera, come se qualcuno avesse affilato
un
coltello e ritornammo ad essere rigidi. Caroline raggiunse il salone
calpestando malamente i cocci di vetro.
“Cos’è successo?” disse seria
e abbastanza
preoccupata vedendo la casa in disordine e me piena di graffi.
“I mezzi vampiri
e-” mi bloccai vedendo i suoi occhi diventare cupi e
iniettarsi di sangue, i
canini affilarsi.
Mi portai le mani sul viso per vedere se usciva
sangue da qualche graffio ma non ce n’era.
Mi voltai verso Damon ma il viso sembrava essere
abbastanza pulito, il tampone aveva funzionato e adesso presentava solo
delle
ferite superficiali.
“Damon?” lo chiamai ma non ricevetti alcuna
risposta.
Digrignò i denti e artigliò la mia spalla
provocandomi un forte dolore.
Allora capii cosa era stato quel suono e guardai
sconvolta Damon. Si piegò sulle ginocchia e ricadde a terra
manifestando il
pugnale sulla schiena e il sangue che copioso creava una macchia scura
sulla
camicia.
Inorridii e non ricordo nemmeno se urlai. In un
attimo nel mio cuore si addensarono macchie scure che non riesco
tutt’ora a
definire e il fiato divenne più pesante di un macigno.
Gli occhi non potevano far altro aprirsi
inorriditi mentre le mani tremanti
continuavano a toccarlo, incitandolo a tenere duro.
Caroline con decisione estrasse il pugnale,
facendo dei lunghi respiri profondi per resistere al suo istinto
primario. Non
poteva accadere, no quello era solo un brutto sogno.
“Caroline fa qualcosa ti prego!” supplicai la mia
amica mentre le lacrime cominciavano a farsi vive: forse lei poteva
fare
qualcosa, il suo sangue avrebbe bloccato l’emorragia e Damon
sarebbe guarito
pian piano. “Elena non posso, non so cosa succederebbe, lui
ha bevuto il sangue
di un mezzo vampiro, potrebbe diventare tale o addirittura
morire” spiegò
velocemente macchiandosi le mani di sangue.
Gli presi il viso tra le mani cercando di creare
un contatto, un qualcosa di magico, una scintilla che mi desse ancora
la
speranza e la forza di continuare a chiamarlo. “Damon, Damon
ascoltami…” ma non
proveniva nessuna emozione dai suoi occhi ancora aperti. Tentava di
parlare ma
non poteva, non ci riusciva. “Damon..” la mia voce
era roca e tutto quel che
avevo in petto non riuscivo a riversarlo, che fossero lacrime poco
importava:
le avrei gettate sino all’ultima goccia ma quel dolore
lancinante non mi
avrebbe mai abbandonata.
L’aria si fece greve e mi sembrò che la luce del
sole pian piano scomparisse dalla stanza lasciandomi
nell’oscurità più tetra.
Tentai di scuoterlo e così fece Caroline accanto a me.
Nessuna risposta, nessun
segnale.
“Elena dovremo portarlo all’ospedale” e
così
dicendo sparì a velocità allucinante cercando il
cellulare nella sua borsa. Mi
sentivo stremata e inutile e ciò che più mi
faceva male era la consapevolezza
che così mi sarei dovuta sentire per Stefan, solo per lui e
per nessun altro.
Avevo la gola arsa e gli occhi gonfi che
guardavano con insistenza i suoi ancora aperti come se volessero
immergersi per
riuscire a curarlo dall’interno.
Mi ricordai della conversazione di prima e pregai
che non avesse detto sul serio. Ripensai alla sera in cui era venuto da
me, in
cui pensai davvero di baciarlo e allora il mio odio per lui
sparì, risucchiato
dalla consapevolezza della forza del nostro legame. Lo presi e lo
portai al mio
petto abbracciandolo, stringendolo, cercando di trovare conforto per il
mio
cuore ormai ridotto ad un cumulo di macerie, provando a far
sincronizzare il
suo battito con il respiro.
Non piangevo più, non lo chiamavo più, attendevo
soltanto l’inevitabile. Poi un sussulto lo scosse, mi prese
la mano e la
strinse: Damon non c’era più.
Affondai l’altra mia mano nei capelli neri tentando
di far entrare un po’ di aria nei polmoni mentre i singhiozzi
aumentavano e mi
dilaniavano il ventre facendo più male di mille pugnali.
Dopo un po’ mi decisi ad abbassare lo sguardo: gli
occhi erano rimasti ancora aperti ma del ghiaccio e del cielo era
rimasto ben
poco; poi osservai la mia mano stretta alla sua in un legame
indissolubile,
eterno, magico…
Aria dolce mi solleticò la gola e la stanza tornò
a splendere di luce solare. Le mie labbra si piegarono in un sorriso
radioso.
“Sta arrivando-” Caroline si bloccò e
guardò con occhi
sbarrati prima Damon esanime e poi me ridente.
La guardai e lei inclinò la testa non riuscendo a
capire.
“Aspetta” sussurrai e fui certa che la mia amica
udì le mie parole.
Sollevata tornai a guardare le nostre mani unite. Aspettai
ancora un po’ finché lui non me la strinse
più forte di prima.
***
No tranquilli
non vi agitate e non mi linciate ve
ne prego T.T Come avrete potuto ben capire dall’ultima frase me la strinse più forte di prima Damon
è
vivo, come è un mistero xD o meglio è molto
semplice ed è anche lampante a dire
il vero.
Comunque in questo capitolo finalmente si sono
fatti vedere i mezzi vampiri e abbiamo colto un po’ del loro
aspetto: sono a
dir poco terrificanti! I loro occhi da grigi diventano bianchissimi,
i canini
a differenza dei vampiri normali, deformano il viso e la pelle assume
un
colorito bianco-violaceo da sembrare dei cadaveri. Eh si: questi mezzi
vampiri
sotto il loro aspetto tecnicamente umano sono dei veri e propri mostri,
ma
avremo occasione più in la di vederlo meglio. Ho scritto
già parecchi capitoli
di questa storia perciò ho deciso che i miei aggiornamenti
saranno più o meno
costanti =)
Con questo concludo e vi lascio con un grande
punto interrogativo: In tutto questo proprio
Damon che c’entra?
dreem
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Capitolo 10 *** 9- HIDDEN WORDS CAN SAY MORE THAN YOU WANT ***
9-
THE HIDDEN WORDS CAN
SAY MORE THAN YOU WANT
Quando Damon
venne colpito dal pugnale pensai
veramente che non ci fosse più niente da fare.
Lo avevo visto lentamente morire tra le mie
braccia ad opera di quei vampiri finche non aveva smesso persino di
respirare.
Era la fine, doveva esserlo. Abbassai lo sguardo e
osservai le nostre mani intrecciate, la sua debole stretta si faceva
sempre più
lieve. Notai che sulla sua mano faceva bella mostra l’anello
speciale che
Bonnie aveva reso simile a quello di Jeremi e di Alaric in modo da
proteggere
Damon da qualsiasi pericolo mentre era ancora umano.
Sorrisi ringraziando Bonnie con tutto il mio cuore
e aspettai con impazienza che Damon desse qualche segnale di vita.
Caroline a pochi passi da me attendeva, non
sapendo cosa sarebbe successo e guardando sconvolta prima me e poi il
ragazzo
esanime che tenevo tra le braccia.
Sentii una pressione più forte sulla mano, la
debole presa si faceva sempre più stretta
finché non mi stritolò del tutto la
mano destra.
Sussultò e con lui rabbrividì io, un brivido di
piacere percorse tutta la mia colonna vertebrale. Sbarrò gli
occhi e riprese a
respirare forsennatamente guardandosi intorno, incrociando alla fine il
mio
sguardo.
Si liberò dalla mia presa alzandosi e
massaggiandosi la spalla, non potendo arrivare dove era stato colpito.
Fece una
smorfia segno che ancora il dolore non era andato del tutto.
“Ahi non ricordavo
che fosse così doloroso morire” sbuffò
e cominciò a fare un controllo completo
per vedere se ci fosse qualche altra parte del corpo che non andava.
“Damon!” non avevo avuto neanche il tempo di
chiamarlo, ancora scossa da quello che era successo.
“Ricordami di ringraziare
la streghetta ora abbiamo ben altro a cui pensare” mi disse
cominciando a
girovagare per la casa come un pazzo, lasciandomi basita: in effetti si
sarà
domandato perché è ancora vivo! Cercai di
articolare le parole che mi si erano
inceppate in testa.
“Damon fermo, se ne sono andati” proruppi e lui si
bloccò di scatto serrando i pugni e la mascella e sfogando
la sua rabbia contro
il tavolo. Scaraventò i libri a terra e fece cadere a terra
la sedia, spaccò
qualche vetro o due delle foto appese lungo il corridoio. Si
girò violentemente
e per poco non rimbalzai su di lui.
“E non avete fatto niente per fermarli? Cazzo,
Elena, invece di piangere per il fratello sbagliato dovevi fare
qualcosa,
dovevi…” si bloccò e mi
scrutò a fondo come per accertarsi di qualcosa.
Posò le
sue dita sui graffi e deglutì, frenando la rabbia e cercando
di essere più
calmo. “Cosa dovevo fare, Damon?” chiesi
incitandolo a continuare. Sospirò.
“Elena io mi sono stancato di giocare al gatto e al topo, non
resterò qui
aspettando che ritornino per uccidermi una seconda volta”
disse a denti stretti
e si sbottonò la camicia sporca di sangue salendo le scale.
Io restai nel salone, guardandolo salire, e mi
sentii la testa girare violentemente. Mi aggrappai alla maniglia
più vicina e
con fatica raggiunsi la stanza dove Caroline stava cercando di
riordinare.
Nel salone di casa Salvatore sembrava essersi
abbattuto un uragano, quasi come se si fosse consumata la terza guerra
mondiale
anche se forse era proprio così. Risultato? 1-0 per i mezzi
vampiri. Sapevano
già troppe cose e sarebbero ritornati vedendo che Damon era
ancora vivo. Ma
qual era il loro effettivo scopo?
Mi raccolsi i capelli dietro le orecchie e
osservai i cocci sparsi sul pavimento. La mia amica anche se si era
già accorta
della mia presenza alzò la testa solo in quel momento.
“Mi dispiace Elena,
scusami davvero non pensavo che-” la bloccai subito con un
gesto della mano e
un mezzo sorriso, in fondo non era colpa sua.
“Dovrei avvisare Stefan” dissi più a me
stessa che
a Caroline e così da terra presi il telefono che aveva sul
display graffiato il
numero di Stefan. Avviai la chiamata, ma come al solito dopo
l’ottavo squillo
la richiusi. Sospirai e guardai Caroline che mi stava osservando con
uno
sguardo accusatore, le braccia incrociate al petto.
“Cosa c’è?” le chiesi
sentendomi un po’ a disagio
ad essere osservata. “C’è che ti ho
vista mentre Damon moriva” mi rispose
attendendo evidentemente una spiegazione che non riuscivo a dare.
“Caroline non
credo di riuscire a capire cosa tu-” “Elena non
mentire! Ti conosco da quando
avevi le treccine e volevi diventare una cheerleader!”.
Sospirai questa volta
un po’ più forte e mi sedetti sul divano
prendendomi il viso tra le mani.
Provai a concentrarmi per utilizzare le giuste parole.
“Ascolta Caroline, io
amo Stefan e sto impazzendo adesso che lui è lontano
kilometri da qui, quello
che è successo prima era…non so bene
cos’era”. In effetti non si poteva
descrivere quella sensazione: era stato come morire insieme a lui,
soffrire
vedendo che la luce dei suoi occhi man mano si stava affievolendo, era
un
dolore indescrivibile che mi aveva trascinato via con se senza che io
potessi
oppormi. Non era qualcosa di razionale,
quando si trattava di Damon
c’era
ben poco di razionale.
Si sedette accanto a me e mi posò la mano sulla
spalla. “Elena devi mettere in chiaro i tuoi sentimenti e
devi farlo adesso
prima che sia troppo tardi” “Che intendi con troppo
tardi?” “Damon tornerà
vampiro e Stefan sarà ancora il tuo ragazzo: come pensi di
poter gestire la
situazione con entrambi i fratelli Salvatore in
città?” mi chiese alzando la
voce mostrandomi la gravità della situazione. La pregai di
abbassare la voce:
avevo paura che Damon, nonostante non avesse il suo superudito potesse
origliare
la nostra conversazione.
“Caroline io amo Stefan, Damon è solo un amico a
cui tengo ma rimane sempre quello che è, io non
potrò mai amare uno come
Damon!” dissi cercando con tutta la mia volontà di
credere a quelle parole che
suonarono false anche per me.
Caroline sembrò voler ridire qualcosa ma fu
bloccata dal suono del suo cellulare. Lesse il nome sullo schermo e
tirò un
sospiro. “E’ Matt: a quanto pare devo risolvere
anche io i miei problemi” mi
sorrise debolmente e una parte di me fu grata che quella conversazione
finisse
li. “Buona fortuna allora!” gli augurai.
Prese la giacca e la borsa e si precipitò verso la
porta. “Elena!” alzai la testa e incrociai il suo
sguardo. “Stai attenta ad
usare le parole, potrebbero nascondere più di quanto esse
vogliano dire”. Mi
stupii del fatto che Caroline avesse potuto dire qualcosa di
così profondo:
forse l’essere diventato vampiro l’aveva veramente
cambiata. Chiuse la porta e
rimasi da sola nell’immenso salone della pensione.
Non ebbi il tempo di sospirare forse per la
centesima volta in quella giornata che il cellulare tra le mie mano
squillò:
era Jeremy. “Elena dove sei? Jenna sta dando di
matto” “Cosa sta succedendo? Io
sto bene”
“C’è stato un incidente
oggi a scuola, sono stati uccisi quattro ragazzi durante la pausa
pranzo e
l’ufficio di Alaric è stato scassinato, qualcuno
ha rubato qualcosa. Elena,
dimmi: c’entrano per caso i mezzi vampiri?” mi
disse tutto d’un fiato e io
faticai a mettere in moto le parole. Riuscii comunque a collegare la
parola
Alaric con mezzi vampiri e una nuova paura cominciò a
crescermi dentro.
“Aspettai Alaric sta bene? L’hai
sentito?” “Rick è qui con zia Jenna, sta
cercando di tranquillizzarla, ti abbiamo chiamata ma non hai
risposto!” in
effetti avevo notato che vi erano una decina di chiamate perse, ma con
un
morente in casa non potevo certo permettermi di rispondere! Deglutii
sollevata.
“Di a zia Jenna che sto bene, sono alla pensione,
tornerò a casa verso sera”
sentii dei bisbigli dall’altro capo del telefono e poi la
voce di mio fratello
“ok, salutami Caroline e Bonnie, non fare troppo
tardi”. Chiuse la chiamata e
sperai vivamente che Jenna anche per quella volta credesse a quella
bugia. Era
diventata insostenibile la situazione: un giorno quando saremmo
riusciti a
liberarci dei mezzi vampiri, le avrei raccontato ogni cosa. Jenna era
forte e
poi aveva Alaric a sostenerla.
Questi pensieri continuavano a frullarmi in testa
mentre il mio corpo si intorpidiva e pian piano anche la mia mente
scivolò
nell’incoscienza. Mi svegliai ancora stesa sul divano, il
sole era appena
tramontato. Cercai di abituarmi alla luce intensa che proveniva dal
camino
accanto al quale era seduto Damon. Nela stanza regnava lo stesso caos
del
pomeriggio. Cercai di fare il minimo rumore possibile ma si accorse del
mio
risveglio.
“Ben svegliata” mi irrigidii e non avendo altra
scelta mi risedetti sul divano non avendo voglia di parlare. Mi dava le
spalle
e potevo distinguere perfettamente il colore del liquido ambrato che
vorticava nel
suo bicchiere.
“Sai adesso che sono umano riesco a sentire ogni
tipo di emozione e stavolta non posso sopprimerle: rabbia, paura,
gioia,
tristezza.” Proruppe e si girò velocemente
mostrandomi un sguardo lucido e
folle.
“Damon io…” cercai di troncare qualsiasi
conversazione lui volesse instaurare: i fumi dell’alcol lo
avrebbero portato a
dire cose di cui forse un giorno si sarebbe pentito. “Oggi
per esempio ho avuto
paura, ho avuto paura di morire, che ironia-”
svuotò il bicchiere “-sono già
morto!” rise, sgranò gli occhi lanciando il
bicchiere dietro di se. Era
decisamente andato!
Preferì bere direttamente dalla bottiglia.
“E’ che
adesso questo cuore batte, continua a farlo e mi ricorda ogni singolo,
fottuto,
secondo che la mia vita è appesa ad un filo! Non ricordavo
di essermi sentito
così-” sembrò pensarci bene per trovare
la parola adatta “- patetico
da umano, ora che ci penso non
ricordo affatto come fossi da umano! Forse ha ragione il mio
fratellino: ho
perso la mia umanità”. Si girò e da
quel momento non proferì più alcuna parola.
Pensai che fosse ancora perso nei suoi pensieri.
Raccolsi le mie cose e mi avviai verso la porta, non volendo
più rimanere un
minuto di più in quella casa. Sembrò essersi
accorto della mia fuga perciò alzò
la voce per richiamare la mia attenzione.
“E’ per questo che la prendo così alla
leggera,
perché così sono più simile agli
umani, perché così sono più simile a te” le ultime parole le
sussurrò appena
ma riuscii ugualmente a sentirle.
“Ma nonostante tutto essere vulnerabili fa schifo,
e io adesso sono tremendamente vulnerabile, non voglio esserlo, non
più”.
Mi fermai all’istante ascoltando le sue parole:
ripensai a lui steso per terra, incapace di parlare, ai suoi occhi
distanti e
alle sue labbra che tentavano di comunicarmi qualcosa. Stefan non aveva
ragione: la parte più profonda di Damon stava emergendo ed
era lì che aspettava
solo di essere tirata fuori, pezzo dopo pezzo.
“Penso che le persone più vulnerabili siano anche
le più coraggiose.” Dissi riavvicinandomi a lui, i
suoi occhi fissi sulle
fiamme del camino. “Ho sempre apprezzato questo di te, Damon:
il coraggio”
conclusi poggiandogli una mano sulla spalla e a quel mio contatto, il
suo corpo
si irrigidì.
Varcai la soglia e mi chiusi la porta alle spalle.
Anche se non ero lì presente ero più che sicura
che Damon in quel preciso
istante stesse piangendo, per la prima volta dopo non so quanti anni.
Aprii la
portiera e una lacrima solitaria mi solcò il viso: in
qualche strano modo, per
qualche insulso destino, lui ed io stavamo diventando irrimediabilmente
una
cosa sola, e questo non poteva che farci paura.
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Capitolo 11 *** EXTRA- MAYBE IN YOUR DREAMS (DAMON) ***
-Within a man’s heart;
EXTRA
1- MAYBE IN YOUR DREAMS – MAYBE IN MY NIGHTMARES
(ATTENZIONE:
questo extra contiene riferimenti del
capitolo 5- Who’s believed to be
that
bitch? Perciò onde evitare confusione consiglio
una rilettura si quel
capitolo.)
C’erano
tre cose di cui non ero perfettamente sicuro: punto primo che Stefan
fosse
realmente andato in Alaska a cercare delle informazioni per aiutare me, punto secondo che in 145 anni non abbia
mai incontrato creature come i mezzi vampiri, punto terzo che stessi realmente baciando Elena.
Dischiude
le labbra e si stacca dalle mie mentre cingo i suoi fianchi morbidi e
lisci.
Sa
che sono completamente andato per via dell’alcol, di questo
ne sono ben certo a
causa di uno strano bruciore alla gola.
Mi guarda con i suoi occhi color
nocciola e il suo respiro irregolare a causa dei miei baci mi provoca
una
leggera felicità. Felicità, non c’era
termine più appropriato per descrivere quello
che stavo sentendo.
La avvolgo tra le mie braccia e la porto stretta al mio
petto cullandola dolcemente.
Eppure qualcosa non andava, era tutto così
irreale, così lontano. Si scioglie dal mio abbraccio. Si
alza sulle punte e
continua a baciarmi a fior di labbra, insinuando le mani fin sotto la
camicia,
tastando ogni singolo centimetro della mia pelle.
Di lei tutto mi faceva
impazzire: la sua pelle, i suoi capelli, i suoi occhi, il suo respiro,
lei, la
stessa lei che io non
avrei potuto mai avere. Non le importavano i miei
sentimenti, forse non le importavo neanche io ma era giusto che fosse
così.
Se
per qualche strano motivo lei e Stefan un giorno si sarebbero lasciati
non
avrei sopportato di tenerla stretta tra le mie braccia, sarei stato
solo un ripiego e
nient’altro.
Avrei preferito cento volte
morire, buttarmi sotto un treno, avvelenarmi ma niente avrebbe mai
comparato il
dolore atroce che il suo amore per lei mi procurava.
Ma avevo pur sempre un
fottuto cuore e una vita che non avevo scelto di vivere quindi tanto
valeva
farsi male per bene.
Interrompe bruscamente il bacio e si stacca da
me addossandosi alla parete. Dai suoi occhi traspare paura e terrore e
sembrava
che l’essere da cui stava scappando fossi proprio io.
Non ho il tempo di
chiedere che cosa sia successo che il dolore alla gola si accentua e
sembra
quasi che possa soffocarmi.
Mi accorgo che c’è qualcuno alle mie spalle che si
avvinghia alla mia schiena e succhia avidamente il sangue dal mio collo
procurandomi quel dolore infernale.
Mi dimeno ma le forze mi abbandonano, cerco
di scrollarmelo di dosso ma è più forte di me.
Sento la rabbia invadermi dentro
e la testa girarmi inspiegabilmente.
Il dolore è diventato adesso fuoco e mi
brucia il cervello facendomi inginocchiare a terra.
Poi una paura mi assale.
“Elena” sussurro e la mia voce sembra rimbombare
tra le pareti della stanza.
Apro gli occhi leggermente e finalmente la vedo: i suoi occhi sono
iniettati di
sangue e i denti ben affilati mi sorridono maleficamente.
Si avvicina con passo
disinvolto e in un attimo è di fronte a me. Era Katherine? O
forse Elena?
Mi sussurra qualcosa che non
riesco a
comprendere e anche lei affonda i suoi canini proprio dove poco prima
aveva
lasciato una scia di baci e carezze.
E’
divertente vedere come si è ribaltata la
situazione nel giro di pochi giorni: chi avrebbe mai detto che io Damon Salvatore dovessi trovare un
vampiro per farmi da baby-sitter? Roba da matti!
Chiusi la manovella della
doccia e avvolsi l’asciugamano attorno al mio corpo. Ne presi
un altro per
asciugare i capelli e mi avviai verso il letto. La televisione era
accesa sul
notiziario e Mystic Falls sembrava essere tranquilla visto che da un
po’ di
tempo non si verificavano furti o omicidi. “Tirate questo
sospiro di sollievo,
tra un po’ Damon Salvatore verrà nuovamente a
guastarvi la festa” dissi a me
stesso indossando i jeans e facendo passare la cinghia attraverso gli
occhielli
dei pantaloni.
Il sorriso che avevo dipinto in volto pian piano scemò alla
consapevolezza di ciò che avevo detto: quel Damon Salvatore
non avrebbe più
fatto del male alle persone di questa città, non avrebbe
più causato problemi e
preoccupazioni a suo fratello, sarebbe stato diverso, un uomo migliore.
Mi
meravigliai di quanto fossi cambiato da quando ero diventato umano e la
cosa
iniziava in un certo senso a seccarmi: non volevo diventare
“Stefan- l’amico
degli animali- il ritorno”! Questo pensiero urtò
gravemente il mio animo così
mi diressi verso la cassettiera alla ricerca di una maglietta.
Aprii il primo
cassetto e con mia grande sorpresa trovai una bella bottiglia di
Tequila il che
mi procurò un leggero sorriso: ahi carramba era da un
po’ che non mi facevo una
sana bevuta…da umano. Posi la bottiglia sul letto e andai
alla ricerca di una
maglietta da mettermi.
Dal secondo cassetto tirai fuori una maglietta grigia ma
mentre lo feci cadde a terra una pacchetto contenente un liquido
rossastro:
sangue. Lo raccolsi e cominciai ad osservarla meglio: era sangue 00, il
mio
preferito, che avevo lasciato nel cassetto in caso di emergenza. La
vista di
quel liquido denso mi procurò una forte fitta allo stomaco e
trattenni un
conato di vomito: avevo dimenticato che da umano ero sensibile al
sangue.
Rigettai la sacca dentro il cassetto e lo chiusi con irruenza facendo
tremare
lo specchio adiacente il che tremò anche la mia figura
riflessa in esso. Quando
lo specchio smise di tremare osservai meglio e mi meravigliai di
ciò che vidi o
meglio di chi.
“Ma guarda hai così
tante prelibatezze e non ne offri neanche un po’?”
la voce che proveniva alle
mie spalle mi lasciò alquanto sorpreso: che diavolo ci
faceva qui Katherine?
Non mi girai ma un sorriso beffardo comparve sul mio volto.
“Ma che maleducato
che sono, serviti pure…oh già dimenticavo, non
sei la benvenuta qui!” dissi con
sarcasmo voltandomi con ancora in mano la maglietta che non avevo avuto
il
tempo di indossare. Speravo che quella fosse una visita di cortesia
perché
nelle mie condizioni potevo fare ben poco: non
poter uccidere Kat, una delle tante cose che non puoi fare da
umano, da
aggiungere alla lista.
“Ho incontrato Elena prima” disse guardandomi
dritta
negli occhi, giocando con un ricciolo. Ahi, ecco invece una delle cose peggiori che ti può capitare
quando sei
umano. Il mio sorriso di poco prima scomparve, ma mantenni la calma
cosa non
facile visto che ero maledettamente umano e che sentivo le emozioni
riversarsi
come un fiume in piena. Purtroppo si accorse della mia agitazione e si
avvicinò
a me con velocità vampiresca. “Tranquillo stanno
bene, lei e la sua amichetta”
“Oh ma che gentile, volevi farmi un regalo?”
“No perché mi hanno dato una
notizia interessante che volevo assolutamente verificare” mi
sussurrò avvicinando
le sue labbra alle mie che automaticamente si dischiusero.
Di male in peggio:
quando Katherine voleva verificare
non era mai per buoni motivi.
Accarezzai la sua nuca fino a poggiare le mie
mani sui suoi fianchi modellandoli e palpandole i glutei. Fu un attimo
che mi
fece girare la testa: lei mi sbatté con violenza contro il
muro provocandomi un
leggero dolore alla schiena, impaziente di rincollare le nostre labbra.
Ero
consapevole del fatto che non avrei potuto batterla nel mio stato
attuale
perciò tanto valeva accontentarla: tanto una volta tornato
vampiro sarei venuto
a cercarla e le avrei staccato la testa a morsi così come
era giusto che fosse.
Le nostre lingue si scontrarono in un turbinio di emozioni forti, le
nostre
labbra erano legate indissolubilmente. Chiusi gli occhi mentre rimanevo
intrappolato tra lei e il muro, le sue gambe aperte si erano
aggrovigliate alle
mie. Non ricordavo più cosa fosse significato per me
Katherine quando ero
ancora umano, forse perché non era stato vero amore o forse
perché lei
continuava a soggiogarmi. Non riuscivo più a ricordare cosa
avessi provato
quando lei sfiorava solo la mia pelle e adesso riuscivo a sentire
tutto, ancora
una volta, di nuovo da umano.
Pensai veramente di finirla, ormai aveva
controllato abbastanza e non c’era bisogno che quella
sceneggiata continuasse
oltre, nonostante non mi desse alcun dispiacere. La alzai facilmente e
lei
incrociò le mie gambe dietro la schiena. Voleva
fare un checkup completo a quanto pare.
Un ricciolo mi solleticò la guancia
e per un momento pensai al sogno e ad Elena, ai suoi capelli morbidi e
i suoi
occhi dolci esattamente in quella stessa posizione, in quello stesso
luogo:
probabilmente sarei stato diverso, felice
forse.
A quei pensieri poco puri, l’inquilino del piano di sotto si
fece
sentire e mostrò tutta la sua contentezza
al riguardo. Non era di certo quello
l’orario dell’alzabandiera! “Oh
merda” imprecai tra un bacio e l’altro. Lei
stupita si staccò da me ed entrambi riprendemmo fiato. La
allontanai subito da
me tentando di riprendere il controllo di me stesso. Da quando in qua
io
perdevo il controllo?
“Ora che hai verificato, comincia a scappare
perché
quanto prima ti verrò ad uccidere” mi
guardò con i suoi occhi marroni e quasi
avvertii un senso profondo di tristezza. Poi sorrise come una bambina
“Ma
abbiamo un letto grande qui e dovremmo approfittarne” disse
inclinando la testa
in direzione del letto e sorridendomi maliziosamente. Uscii dalla
stanza,
sapendo che tanto mi avrebbe sentita lo stesso “Sai bene che
non ho problemi
riguardo ai posti in cui farlo” scesi velocemente le scale,
chiudendo la zip
dei pantaloni.
Mi diressi verso il salone, ma lei fu lì prima di me.
“Oh
andiamo Damon, non farne una tragedia: in fondo ora che sei umano
è un po’ come
essere ritornati ai vecchi tempi!” mi disse bloccandomi e
piantando il palmo
della sua mano proprio sul cuore. “Già devo anche
ricordarti che fine ho
fatto?” dissi sarcasticamente afferrandola per il polso e
togliendo la mano dal
mio petto.
“Che cosa hai combinato di così grave per
ridiventare umano?” “Oh
niente ho cercato di portarmi a letto una donna, ho bevuto il sangue e
puff
sono diventato umano” dissi mentre mi versavo un
po’ di wisky nel bicchiere e
aggiungevo un po’ di verbena che tenevo nella tasca dei
pantaloni. “I soliti
disastri alla Damon” concluse e si fermò davanti a
me. Bevvi un sorso e poi
allungai il polso nella sua direzione, mostrando la linea bluastra
delle vene.
“Vuoi provare?”. Katherine mi guardò
torva con la braccia strette al petto, i
boccoli cascanti sulle spalle seminude. “Nei tuoi sogni
forse” “Forse nei miei
incubi, non definirei sogni quelli in cui ci sei tu”. Si
liberò in una risata
cristallina e si buttò a peso morto sul divano.
“Oh Damon, Damon, Damon”. Le
offrii un bicchiere che lei non rifiutò. “Astuto
da parte tua assumere verbena
per non farti soggiogare” “prendo sempre delle
precauzioni, sai non sono più
ingenuo come una volta” le presi il bicchiere semivuoto e
bevvi quello che era
rimasto. “Stefan ti ha lasciato solo soletto con
Elena” disse accavallando le
gambe e giocando con un soprammobile posto sul tavolino accanto.
“Sai come è
fatto Stefan: aiutare i gatti a scendere dagli alberi, far attraversare
i bambini
a scuola e salvare i fratelli cattivi” dissi gesticolando
anche se
effettivamente la sua costatazione mi aveva turbato: Stefan mi aveva
lasciato
solo con Elena? Forse non rappresentavo più una minaccia nei
suoi confronti o
forse è sicuro che Elena non provi qualcosa per
me…o forse non ci aveva pensato
neanche lontanamente. Mi ammutolii, rimuginando su questo pensiero.
Poi mi
venne un dubbio. “Di la verità: a te fa comodo
questa situazione, non è così?”
chiesi con fare circospetto. Katherine è furba e sicuramente
aveva trovato dei
vantaggi in questa situazione, vantaggi a suo favore. “La
piccola Elena ha
firmato la sua condanna a morte conoscendo i fratelli
Salvatore-” si alzò e
sinuosamente mi si parò davanti “-peccato che tra
i due uno solo vivrà in
eterno, ed Elena deve rimanere umana” “Cosa stai
cercando di dire?” “Sto dicendo:
Elena può ancora salvarsi dalla vostra maledizione se
sceglie il fratello
umano”.
All’improvviso mi spinse facendomi cadere sul tappeto mentre
lei mi
sovrastava parlando a pochi centimetri dalla mia faccia
“Peccato Damon eri un gran
bel vampiro” mi sussurrò all’orecchio.
Sentimmo aprire la porta e ci girammo
contemporaneamente verso l’ingresso: Elena entrò
seguita da Caroline. Mi guardò
fisso per un momento: aveva gli occhi vacui e distanti. “Mi
dispiace per te
Damon ma non intendo ridiventare umana. Senza di te, Stefan ed io
potremo stare
finalmente insieme, per l’eternità”
calcò l’ultima parola e fuggì senza
voltarsi indietro.
Non ebbi neanche il tempo di alzarmi che fui scaraventato
dall’altra parte della stanza. Imprecai mentalmente sentendo
le schegge di
legno conficcarsi nel palmo della mano.
Quella sera Elena mi avrebbe sentito e
nonostante l’amassi nel modo più sbagliato
possibile avrei dovuto arrabbiarmi
con lei per essere stata così pazza e incosciente. E forse
poi la bottiglia di
Tequila mi avrebbe aiutato a fare sogni migliori.
Ma salve
cari lettori,
come vedete ho pensato bene di staccare e di
inserire questo extra tutto scritto dal punto di vista di Damon (forse
un tantino OOC?) u.u la parte in
corsivo all’inizio è il sogno che fa Damon dopo
essere stato trasformato in
umano ed essendo un sogno non deve avere per forza una spiegazione
logica. Per
il resto il capitolo mostra le vere intenzioni di Katherine e
finalmente si
scopre cosa è successo mentre Elena e Caroline erano in
viaggio verso casa
Salvatore. Bene spero vivamente che questo capitolo abbia suscitato un
po’ il
vostro interesse, dalla prossima volta si passa a una nuova parte della
storia:
l’incontro ravvicinato con uno dei
“cattivi” e la spiegazione a tutto ciò
che
sta accadendo oh e un pizzico di Delena ;)
Ringrazio tutti coloro che hanno aggiunto la
storia tra i preferiti e seguite e coloro che recensiscono.
Alla prossima
dreem
|
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Capitolo 12 *** 10- HE LOVES YOU BUT...IT'S A RILEVANT DETAIL ***
10-
OH YES HE LOVES YOU
BUT… IT’S A RILEVANT DETAIL
Maggio
passò velocemente e per tutto quel periodo
non si vide l’ombra dei mezzi vampiri, di Katherine e di
qualsiasi altra
creatura pronta a distruggere la nostra quiete giornaliera.
Tuttavia la situazione rimaneva pur sempre
critica: Stefan rimaneva disperso chissà dove e Damon
continuava a godersi la
sua “monotona” vita da umano, così come
lui la definiva.
Il sole caldo di Giugno non mi permetteva di
concentrarmi e nonostante avessi un fiume di parole da rigettare
all’interno
del mio diario, quella pagina rimaneva bianca giorno dopo giorno: da
quando il
mio ragazzo non c’era non ero più riuscita a
scrivere niente.
Non ho idea di come riuscii a studiare e
nonostante avessi passato gli ultimi tre pomeriggi a sottolineare il
mio libro
di chimica e a tamburellare la penna su esercizi di trigonometria che
non mi
riuscivano, alla fine riuscii a passare gli ultimi esami finali. Era
l’ultimo
giorno di scuola e sinceramente continuavo a chiedermi cosa ci facessi
ancora
li.
“Almeno ora
avremo un problema in meno a
cui pensare”
Così
c’era scritto nel bigliettino che mi aveva
dato Caroline mettendolo ben piegato in una delle pagine del quaderno
di storia
mentre Alaric continuava a parlare di una qualche ricorrenza che
coinvolgeva la
nostra città. Aprì il quaderno mascherando uno
sbadiglio. Lisciai meglio il
bigliettino e letto il contenuto presi la penna iniziando a scrivere
sulla
carta ruvida.
“Preferirei
continuare a studiare piuttosto che dare la caccia a dei
mezzi vampiri!”
Rimarcai
meglio il punto esclamativo e, una volta
ripiegato il biglietto, lo lasciai scivolare accidentalmente dietro di
me dove
era seduta la vampira bionda. In effetti stare seduta tranquillamente a
scuola
quando fuori c’erano nuovi mostri in agguato non era
tecnicamente la cosa
ideale, ma dovevo pur passare per una ragazza normale.
Mi accorsi dello sguardo di Bonnie seduta accanto
a me e, benché il signor Saltzman continuasse a parlare, non
mi privai di
parlarle.
“C’è qualcosa che non va?” la
vidi sorridere e poi
posare lo sguardo malinconico nuovamente su di me.
“E’ che con questa storia di Damon non abbiamo
avuto molto tempo per stare insieme come un tempo”.
Non mi lasciai sfuggire un’occhiata fugace rivolta
a Caroline che la sentii irrigidirsi a quelle parole. Lei e Bonnie non
erano
più riuscite a chiarirsi e a riappacificarsi
dall’ultima volta e questo creava
una certa tensione tra loro. Ma era anche vero che in quel periodo non
avevo
fatto altro che frequentare casa Salvatore e Damon e Caroline avevano
costituito la mia unica e sola compagnia.
Sentii un sibilo, ma ero troppo occupata a
sorridere bonaria a Bonnie che continuava a prendere appunti
scarabocchiando i
lati del quaderno. Al secondo sibilo mi girai e presi il biglietto che
Caroline
mi aveva restituito da sotto il banco. Lo aprii e la scrittura sottile
e
lineare di Caroline appari sotto i miei occhi.
“Dovremmo
prenderci una pausa”
Concordai
facendo oscillare la
coda sulle spalle e avevo già impugnato la penna per
rispondere, scrivendo un
enorme si, quando il cellulare
vibrò
avvisandomi di un nuovo messaggio. Lo lessi mentre Alaric passava
proprio
davanti a me, ammonendomi con lo sguardo. Incrociai i suoi occhi avendo
letto
che il messaggio proveniva da Damon: forse era successo qualcosa?
Alaric capii
e mi lasciò stare continuando la sua lezione che in pochi
ascoltavano.
Aprii il messaggio “Buone notizie!
Stefan, telefono, casa”.
Mi bastarono quelle ultime tre parole per rendermi felice: sarei
volentieri
corsa fuori dall’aula e preso la macchina, ma ancora
mancavano quindici minuti
alla fine di quell’interminabile giorno di scuola. Il mio
sguardo cadde
nuovamente sul foglietto di carta ripiegato e rilessi ciò
che mi aveva scritto
Caroline. Ebbi un’idea e mi convinsi a rendere partecipe
anche Bonnie: avevo
trovato la soluzione ai miei problemi.
“Che ne dici se vieni con me
alla pensione? Potremmo organizzare un pigiama party”. La mia
amica mi guardò
con occhi sbarrati tentando di farmi capire la gravità di
quello che avevo
appena detto. “Un pigiama party senza mezzi vampiri in giro
spero!” sussurrò un
po’ più forte sottolineando l’ultima
parola. “Si, certo, è da un po’ che non
si
fanno vedere”.
Bonnie abbassò lo sguardo e
dopo aver scarabocchiato un po’ sul suo quaderno
tornò a fissarmi. “E va bene,
potrebbe essere un ottimo compromesso”.
Sorrisi mentre scrivevo la
stessa cosa sul foglietto ormai stropicciato. La campanella
suonò e potei
tirare un sospiro di sollievo.
Raccolsi i miei libri e la
borsa e mi girai per parlare con Caroline, ma non era più
seduta al suo posto.
Allungai lo sguardo e la trovai fuori dall’aula tra le
braccia di Matt. Sorrisi
tra me e notai il banco vuoto posto alla mia sinistra: se quello che mi
aveva
detto Damon era vero, tra un po’ avrei potuto riabbracciare
il mio ragazzo.
“Elena” sentii chiamarmi da
dietro e notai che Bonnie mi guardava ancora un po’ scettica.
“Elena sicura che
vada bene? Saremmo solo d’intralcio se i mezzi vampiri
dovessero..” la bloccai
prima che finisse quella frase “Bonnie tranquilla! Siamo
pronti, siamo
preparati, ora sappiamo come agiscono e Alaric sta lavorando per
costruire il
pugnale”. La mia amica strinse lo zaino e dopo aver spostato
lo sguardo in
basso tornò a guardarmi. “Lo sai che se siamo in
questa situazione è solo colpa
di Damon” “Non è colpa sua!
Lui…è terrorizzato quanto noi, forse
più di noi, e
non permetterò a nessuno di accusarlo”. La mia
amica rimase colpita dalle mie
parole che lasciarono anche me perplessa.
“Sei sicura che è questo ciò
che vuoi?” mi chiese prendendomi una mano, ma il vibrare
continuo del cellulare
mi costrinse a far cadere lì la conversazione.
“Pronto” “Non credevo che ti
piacesse così tanto la scuola da rimanerci anche dopo le
lezioni; muoviti ti
sto aspettando” e detto ciò mi chiuse il telefono
in faccia.
Mi affrettai a raggiungere la macchina, ma appena
chiusi lo sportello la presenza di una persona al mio fianco mi fece
sobbalzare.
“Rilassati Elena c’est moi” deglutii a
fatica e il mio cuore tentò di battere
regolarmente. “Cosa ha detto Stefan?” chiesi
impaziente di sapere notizie. Sembrò
pensarci un momento. “Ha detto che ancora non ha trovato
niente, ma che è sulla
pista giusta… e che il sangue degli Husky fa
schifo” e aggiunse una smorfia sul
volto. “E poi?” “Oh si che ti ama, ma
questo è un dettaglio rilevante”.
Misi in moto e ci avviammo verso casa dove avrei
dovuto prendere qualche vestito per stabilirmi a casa Salvatore per le
prossime
quarantotto ore. “Oh dovrò stabilirmi per due
giorni alla pensione, verranno
anche Caroline e Bonnie” spiegai con noncuranza. Con la coda
dell’occhio lo
vidi fissarmi con occhi sbarrati pieni di incredulità.
“Cos’è la streghetta ha
deciso di unirsi alla banda degli antipatici?”
“Perché io sarei antipatica?”
chiesi corrucciando la fronte senza comunque distogliere lo sguardo
dalla
strada. Boccheggiò un attimo assumendo una faccia buffa per
poi assottigliare
gli occhi e dirmi “Cos’è una domanda a
trabocchetto?”. Risi e nessuno dei due
parlò più.
Stefan stava bene e stava continuando le ricerche,
mentre noi eravamo qui apparentemente sicuri che fronteggiavamo i mezzi
vampiri: a pensarci bene non era una situazione equa!
“Vedi che siamo arrivati”. Damon interruppe il
flusso dei miei pensieri e frenai proprio poco prima di sbattere contro
il
cancello della mia abitazione.
“La prossima volta guido io” mi disse con voce
canzonatoria e uscimmo entrambi dall’abitacolo.
Lo vidi dirigersi verso la veranda e suonare il
campanello come se fosse un ospite ben accetto. “Damon sei
impazzito, Jenna si
infurierà a vederti qui” “Beh si
dovrà abituare a vedermi spesso visto che non
ho intenzione di entrare dalla finestra per farti visita!”
Proprio in quel
momento Jenna aprì la porta ritrovandosi di fronte un Damon
sorridente.
“Buon giorno Jenna, sei splendida come sempre” la
fece
roteare su se stessa per poi sorpassarla ed entrare in casa come se
niente
fosse. Il mio sguardo incrociò quello sbigottito della mia
giovane zia che
ancora stava indicando il posto dove fino a pochi secondi prima vi era
Damon.
“Signorina mi spieghi cos’è questa
storia?” mi
guardò furiosa come non mai: se c’era una cosa che
Jenna non sopportava era
tenerle nascosto un segreto ed io a mio malgrado ne avevo fin troppi.
Entrai in casa seguita a ruota da mia zia. “Ascolta:
Bonnie, Caroline ed io avevamo deciso di organizzare un pigiama party e
visto
che-” dovevo trovare una scusa e alla svelta
“-Damon è fuori città per alcuni
giorni ci ha concesso di andare alla pensione Salvatore”
Jenna mi guardò
scettica alzando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto:
evidentemente
non ci aveva creduto. “Damon fuori
città?” mi chiese non ancora del tutto
convinta; “si” risposi angelicamente.
“Esatto e se la signorina Gilbert non si sbriga
perderò il mio volo!” giunse una voce alle mie
spalle: Damon era seduto sul
divano accanto a Jeremy e impugnava il telecomando facendo zapping. Mi
avvicinai al divano e gli rubai il telecomando. Alzò la
testa sorridendomi
sornione. “Elena dimmi che esistono anche gli alieni
perché è l’unica soluzione
logica che ho trovato al suo strano comportamento”
sussurrò Jeremy. “Piccolo
Gilbert vedi troppi film di fantascienza”. Alzai gli occhi al
soffitto e mi
avviai verso le scale.
“Stefan non c’è?” mi chiese
Jenna, ma stavolta non
sembrava un rimprovero, era solo curiosa. “No”
“oh beh, se Stefan non c’è e Damon
sarà fuori città come
dici tu, allora
puoi andare” “grazie”
l’abbracciai desiderando con tutta me stessa che non
venisse mai a conoscenza di quanto diverso fosse il mondo che la
circondava.
“Elena se non mi vuoi far partire con un’ora di
ritardo sarà meglio che ti sbrighi a prendere la tua
roba-” Damon si alzò dal
divano e arrivò di corsa da noi ritrovandosi faccia a faccia
con Jenna “-io ti
aspetto in macchina” uscii di casa avviandosi verso la
macchina.
“E’ diverso” sussurrò mia zia.
“Come scusa?” “Non
è il solito Damon”.
Risi per la
verità di quelle parole, ma sviai il discorso e raggiunsi la
mia camera dove
preparai il borsone. Scesi di corsa ma prima di uscire di casa Jenna mi
fermò.
“Elena, sicura che non devi dirmi niente? Riguardo te
e…” lasciò cadere la
domanda in sospeso anche se sapevo a chi si riferiva. “Jenna
sta tranquilla, è
solo un amico” “e il fratello del tuo fidanzato che
momentaneamente non c’è,
l’ho già visto questo film e so come va a
finire” “ti sbagli” così
dicendo
chiusi la porta e mi avviai verso la macchina dove c’era
Damon ad aspettarmi.
Il tragitto fu breve e nessuno parlò finché
arrivammo alla pensione dove ad aspettarci c’erano
già Caroline e Bonnie. “Ma
che belle ragazze!” disse con un sorriso compiaciuto mentre
passava sotto gli
occhi impassibili delle mie due amiche.
“Entrate, io prima devo parlare con Damon” dissi
rivolgendomi a Bonnie e a Caroline che non esitarono ad aprire la porta
e a
posare i borsoni mentre io rimasi fuori con il ragazzo che mi squadrava
divertito. “Cosa ho fatto di sbagliato adesso?” mi
chiese incrociando le
braccia al petto e appoggiando la schiena al muro “Per favore
Damon sai quanto
tengo alle mie amiche, non provare a fare niente che possa rovinare
questi due
giorni che potrebbero essere gli ultimi” il suo sorriso
scomparve e rivolse gli
occhi a terra quasi come se lo avessi rimproverato. Con mano incerta
gli
sfiorai il viso così da far incollare i suoi occhi ai miei
“non penso di poter
fare granché nelle mie condizioni” mi disse
intrecciando le sue dita alle mie. “Dobbiamo
tutti tenerti al sicuro” gli dissi tentando di
sdrammatizzare.“Elena io non
sono nato per essere protetto,ma posso tentare di proteggere”
continuò a
serrare la mia mano. “Sei sicuro che è questo
ciò che vuoi?” mi ritornarono in
mente le parole di Bonnie. “Si, è questo il
problema”. Rimasi un po’ di tempo a
pensare, confortata dal calore che la sua mano sprigionava: ripensai
all’ultima
volta in cui avevamo parlato proprio in quel punto e un brivido mi
percorse la
schiena. Forse per i ricordi che riaffioravano o per la vicinanza di
Damon non
mi accorsi di una chioma rossa che sbucava proprio dietro un cespuglio
né della
presenza agghiacciante di qualcuno alle mie spalle.
Mi liberai da quella stretta e entrai in casa
raggiungendo le mie amiche: la risposta era sempre e solo si, era quello il problema.
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Capitolo 13 *** 11- DON'T YOU MANAGE TO SLEEP? ***
11-
DON'T YOU MANAGE TO SLEEP?
Quando all’età di cinque anni mi ritrovai
all’asilo con Caroline e Bonnie il primo giudizio che ebbi
nei loro confronti
fu negativo. Si conoscevano già da tempo: Bonnie era la
nipote della signora
Bennet che affermava di essere una strega e Caroline era la bella
figlia del
nuovo sceriffo e, nonostante le nostre famiglie si conoscessero e
fossero in
buoni rapporti, molto probabilmente non mi avrebbero mai accettato nel
loro
gruppo. Da bambina diffidente che ero a quel tempo, ero sicura che non
sarebbero state in grado di mantenere un segreto.
Ma, chiamasi caso o circostanza degli eventi,
adesso combattevano nel celare i loro segreti e custodivano anche
quelli delle
persone a cui tenevano.
Adesso appartenevano a un mondo superiore rispetto
quello che eravamo soliti conoscere e, nonostante questo, trovavano
ancora la
forza di mentire al mondo intero per salvare la vita delle persone che
amavano.
Ne avevamo passate tante assieme e ancora una
volta, riunite a casa Salvatore, stavamo cercando di lottare per
trovare una
soluzione a questo problema, ciascuno consapevole del segreto
dell’altra.
“Bonnie attenta mi stai pestando i capelli!”. Si
dimenava Caroline dentro il suo pigiama verde acqua e continuava a
ridacchiare
e a lamentarsi sotto il leggero peso di Bonnie che tentava di
raggiungere con
il piede destro il cerchio blu che era stato indicato dalla
freccia.“Solo un
momento Car” la mia amica allungò di
più il piede perdendo definitivamente
l’equilibrio e cadendo sulla vampira, con i capelli
arruffati, che adesso era
scoppiata in una risata liberatoria.
Era da molto tempo che non passavo una serata da
sola con le mie amiche e l’idea del pigiama party era stata
davvero geniale. Osservai
Bonnie e Caroline che tentavano di alzarsi aiutandosi a vicenda ancora
non del
tutto ripresesi dall’ilarità di poco prima.
Sospirai vedendole così felici come
quando eravamo bambine e mi si strinse il cuore ricordando come la
nostra vita
fosse cambiata da un anno a questa parte: la verità era che
avevo paura che
potesse accadere qualcosa di brutto da un momento all’altro e
avevo necessariamente
bisogno di loro, volevo ricordarle felici e spensierate come lo erano
in quel
momento, non tenendo conto dei poteri sovrannaturali che ciascuna aveva.
Sarebbe stato come sempre, la vita
di sempre, e ciò che avrei voluto che esse ricordassero era
il
bene che nonostante tutto continuavo a volergli.
“Allora Elena tocca a te giocare a Twister”.
Bonnie mi venne incontro mentre ero appollaiata sul divano, con indosso
il suo
solito pigiama color prugna, mostrandomi un sorriso che si
affievolì sempre più
guardandomi negli occhi. “C’è qualcosa
che non và?” mi chiese con fare
circospetto: era inutile negare che dopo dodici anni Bonnie era capace
di
leggermi dentro svelando i miei dubbi e le mie insicurezze anche quando
non li
sapevo neppure io.
“Oh no tranquilla stavo solo pensando che era da
un po’ che non facevamo qualcosa del genere”
risposi cercando di apparire
tranquilla, ma soprattutto sincera.
“In effetti questa è la prima volta che stiamo
insieme dopo quello che mi è successo” intervenne
Caroline che stava ripiegando
il tappeto colorato, conscia del fatto che non avevo voglia di giocare.
Traspariva dai suoi occhi bassi una leggera vena nostalgica, un
qualcosa che le
mancava terribilmente ma che non avrebbe mai potuto riavere. Caroline
al
contrario non era stata mai così acuta nel riconoscere lo
stato d’animo delle
persone, ma aveva quell’allegria che contagiava e, nonostante
alle volte apparisse
superficiale, in lei si celava una Caroline forte e matura che il suo
essere vampiro
aveva portato alla luce.
Mi morsi il labbro inferiore sentendo il silenzio
che era piombato intorno a noi: forse non era stata poi una
così grande idea
riunirci tutti là! Tentai di sorvolare e di ritornare
all’atmosfera tranquilla
e serena di poco prima. Battei le mani e sembrai risvegliarle da uno
stato di
stasi.
“Allora ragazze avete qualche film da proporre? La
serata è ancora lunga!” dissi aprendomi in un
enorme sorriso che contagiò
subito le mie due amiche.
Un odore forte di bagnoschiuma e ibisco mi arrivò
alle narici facendomi perdere in quell’odore inebriante che
già preannunciava
il suo arrivo.
“Già, è lunga e io ho portato le scorte
di cibo
per noi esseri comuni mortali”. Damon fece il suo
ingresso in
sala ancheggiando e con in mano pacchi di patatine, biscotti e tre
bottiglie di
birra: da quando si interessava ai pigiama party? Caroline non
sorvolò sulla
frase di Damon che evidentemente aveva escluso lei dal banchetto mentre
Bonnie
si limitò ad un “Oh ma che gentile” con
un sottile sarcasmo che traspariva dal
suo sguardo scettico.
Gli presi dalle mani le patatine e guardai con
riluttanza le bevande che aveva in mano: con quello che stava
succedendo non
potevamo permetterci di abbassare la guardia, tuttavia volevo per una
sera
spegnere l’interruttore della coscienza e lasciarmi mezzi
vampiri&company
alle spalle.
“Quelle sarebbero nostre?” chiesi inarcando un
sopracciglio e indicando le bottiglie. Damon guardò le
bottiglie di birra per poi
posare lo sguardo su noi tre. “Tecnicamente si, io preferisco
qualcosa di più
forte” sorrise ammaliandomi con i suoi fari azzurri. Alzai
gli occhi al cielo
per poi riposarli su di lui e sul suo corpo…sbaglio
o era praticamente nudo? Boccheggiai per un momento sentendo
il sangue
affluire violentemente alla testa: non che fossi imbarazzata vedendo
Damon a
petto nudo e con indosso solo un paio di boxer attillati, ma la cosa mi
turbò
molto, specialmente perché adesso che era umano potevo
percepire il calore del
suo corpo e l’odore della sua pelle mi mandava in estasi
più del normale.
Cercai di concentrarmi sulla fase di inspirazione
e di distogliere lo sguardo dai suoi addominali scolpiti per guardarlo
dritto
negli occhi. “Mi spieghi come mai vai in giro in
boxer?” tentai di essere più
severa possibile, come solevo fare con mio fratello, ma purtroppo Damon
non era
Jeremi. L’ex vampiro mi diede le bottiglie e
posizionò l’indice sotto il mento,
inarcando le sopracciglia e assottigliando gli occhi quasi come se
tentasse di
ricordare un particolare che evidentemente a noi era sfuggito.
“Allora vediamo un po’, si: punto primo, questa
è
casa mia e posso stare come mi pare e piace e secondo: sbaglio o questo
è un
pigiama party? Io sono venuto col mio pigiama” disse e con
una rapidità che mi
fece vacillare stappò la bottiglia facendo tintinnare il
tappo che cadde a
terra. “E’ abbastanza come risposta?” mi
alitò piano facendomi allentare la
presa che teneva la bottiglia.
“Soffri di manie di protagonismo secondo me!” si
intromise Caroline che perfettamente a suo agio aveva aperto un
pacchetto di
patatine e adesso ne sgranocchiava una incurante degli occhi di Bonnie
che la
guardavano come si guarda una psicopatica. “Non sono io
quella che utilizza
l’acqua ossigenata per essere più
bionda” rispose Damon di rimando. Gli occhi
della vampira si ridussero a due fessure ed ebbi paura che la
situazione
potesse sfuggire di mano: non era il massimo avere una strega, un
vampiro e un
umano che non si amavano molto. Feci voltare Damon e lo spinsi verso
l’uscita della
stanza per poi richiudermi la porta alle spalle: era più
facile adesso che non
era vampiro. Ritornai dalle mie amiche che erano sedute sul morbido
tappeto di
una delle tante camere da letto di casa Salvatore. Nessuno parlava e
l’atmosfera serena di poco prima sembrava essere stata
rovinata dall’ex
vampiro. “No sul serio ti passi l’acqua
ossigenata?” proruppe Bonnie e io e
Caroline ci unimmo in una risata che ci fece dimenticare tutti i
problemi di
poco prima.
Dopo aver mangiato, visto il film e parlato per un
po’ di tempo sotto le coperte le mie amiche si erano
abbandonate nelle braccia
di Morfeo mentre nella mia testa imperversava una bufera che stava
spazzando
via qualsiasi briciola di ragione che avessi ancora alle quattro del
mattino.
Mi girai di scatto non preoccupandomi dei mugolii di Caroline e
nonostante
facesse caldo mi immersi sotto il lenzuolo sperando che così
potessi ragionare
meglio: Stefan era in Alaska e stava bene ma ancora non sarebbe
tornato, i
mezzi vampiri erano entrati in azione e avevano quasi ucciso una
seconda volta
Damon che grazie all’aiuto di Bonnie era ancora vivo e vegeto
tra noi, Alaric
aveva trovato il modo con cui uccidere i mezzi vampiri, ma
l’arma era ancora in
fase di costruzione, di Michelle non si sapeva assolutamente niente e
Damon
continuava a farmi venire attacchi cardiaci ogni qual volta mi
guardava. In
effetti il problema per cui non riuscivo a dormire si poteva
sintetizzare
semplicemente nella domanda: Che rapporto
c’è tra me e Damon? Era inutile negare
che ormai lo avevo perdonato per
quello che aveva fatto a mio fratello e che a fatica riuscivo a fidarmi
totalmente di lui. Era avvenuto un cambiamento in Damon, forse dovuto
al fatto
che adesso non era più un vampiro, ma dai suoi occhi
emergeva una parte di lui
che era stata sepolta per troppo tempo e che adesso mi procurava
brividi lungo
la schiena e tuffi al cuore.“Forse più che un
rapporto è un legame” risposi
mentalmente alla mia domanda e tirai fuori la testa dalle lenzuola
così che
l’aria fresca mi accarezzasse le guance paonazze.
Mi alzai poggiando i piedi nudi sul pavimento
freddo e facendo attenzione a non svegliare le mie amiche. Avevo
bisogno di
sgranchirmi le gambe, tanto per quella notte non avrei chiuso occhio.
Uscii
dalla stanza trovandomi nell’immenso corridoio della
pensione. C’erano più
porte che conducevano ad altrettante camere da letto ma io volevo
aprirne
soltanto una.
Abbassai la maniglia della porta proprio di fronte
alla camera dove dormivano le mie amiche e non appena la aprii mi
sembrò poter
percepire il respiro di Stefan sul mio collo. Era esattamente come
l’aveva
lasciata: i mobili, i libri, le candele accese richiamavano tutto di
lui.
Mi sedetti sul letto e sentii per la prima volta
quanto mi mancasse realmente il mio ragazzo. “Ti prego non ti
metterai a fare
la sentimentalista”. Una voce inconfondibile si fece
l’argo tra la semioscurità
della stanza e nonostante la sorpresa non potei non perdere un battito.
Si
accese una lampada sul comodino vicino al letto. “Damon che
ci fai qui?”. Mi
allungai e lo trovai ai piedi del letto con in mano un libro e questa
volta
vestito. Indossava una maglietta grigia a maniche corte con scollo a v
e i suoi
soliti pantaloni neri. “Sto solo tenendo in ordine la camera
del mio caro
fratellino” mi disse alzando la testa per incontrare il mio
sguardo. Lo guardai
di rimando. “Mi aveva rubato un libro, era il mio preferito e
non doveva
farlo!” proruppe con un tono infantile che mi fece sorridere.
Roteai gli occhi
e con uno slancio mi distesi nel letto facendo sobbalzare il materasso.
“Non riesci a dormire?” mi chiese dopo un
po’ e la
sua voce mi apparì molto più dolce del normale.
“Ma tu non stavi leggendo?” “si
per la centocinquantesima volta Via col vento”. Mi ammutolii
togliendo davanti
agli occhi qualche ciocca ribelle. Chiuse il libro con un tonfo sordo e
si alzò
da terra. “Ho capito: ti lascio sola a contemplare la stanza
dell’adorabile
Stefan” disse con un mezzo sorriso passandomi accanto.
“Damon” lo chiamai facendolo voltare appena in
tempo. Mi alzai dal letto e lo raggiunsi nel mezzo della stanza. Le
parole
uscirono da se e forse il sangue non arrivava più al
cervello. “Ci tenevo a ringraziarti,
a dirti che apprezzo tutto ciò che fai nonostante dovessi
essere io ad
appoggiarti e a consolarti vista la tua condizione; volevo solo dirti
che non
sono affatto ho dimenticato tutto il dolore che mi hai procurato, ma
non posso
ignorare neanche questo legame che c’è tra noi, io
tengo a te Damon” gli dissi
e fu come una sorta di liberazione.
Gli sfiorai la mano e lui me la strinse. “Un po’
di tempo fa mi hai detto che ti avevo persa per sempre: non provare a
dirlo un’altra
volta adesso perché mentiresti solo a te stessa e a me non
piacciono i bugiardi”.
Si avvicinò al mio viso e con il palmo della mano
mi inclinò dolcemente il volto. “Ma non posso
giudicarti per questo, Elena:
sono io il primo fra i bugiardi, che nega ogni briciolo di
umanità in lui e
adesso, insieme e solo
a te-” i nostri occhi sono troppo
vicini e le nostre menti così lontane“-non
mento più”.
Si avvicinò alla mia guancia e mi baciò: il mio
cuore esplose in miliardi di minuscole particelle che mi diedero un
brivido di
piacere lungo tutto il corpo.
“Dovresti dormire” mi disse lasciando la presa.
“Anche
tu”. Mi sorrise e sparì chiudendosi la porta alle
spalle. Mi morsi il labbro inferiore
e rimasi ritta nella mia posizione.
Avevo appena deciso che era meglio tornare a
dormire quando un flusso d’aria mi colpì il viso e
fece cadere la lampada. I
miei occhi balzarono subito alla finestra: era chiusa. Un altro
impercettibile
colpo di vento mi sfiorò la schiena e con esso alcuni fogli
riposti sulla
scrivania caddero a terra. Ne ero certa: c’era un vampiro in
casa Salvatore.
Indietreggiai piano con il cuore in gola cercando
di uscire da quella stanza e arrivare direttamente a quella dove
dormivano
Bonnie e Caroline, le uniche in grado di aiutarmi.
Un’altra paura si fece largo dentro di me: loro
volevano Damon. Mi pentii amaramente di aver lasciato andare
l’ex vampiro: in
quale angolo remoto della casa avrei dovuto trovare il suo cadavere?
Distolsi
quei pensieri dalla mia testa e feci un altro passo indietro.
“Elena” mi sentii chiamare e vidi Caroline e
Bonnie come me preoccupate e soprattutto in allerta.
“Ho avuto una brutta sensazione” spiegò
Bonnie. “C’è
un mezzo vampiro, forse?” chiese la vampira anche se
più di una domanda sembrava
essere un’affermazione. Sentii una mano leggera posarsi sulla
mia spalla. Mi
girai e vidi Damon che ci aveva raggiunte con uno strano sguardo e
apparentemente concentrato: si ostinava a voler essere vampiro anche
quando non
lo era.
Caroline si sporse in modo da proteggerci tutti e
osservando vari punti della stanza con i canini ben affilati che
spuntavano
fuori dalla bocca semiaperta.
I flussi d’aria si fecero più veloci e mi sentii
stringere più forte. Sentimmo un boato come se fosse
avvenuto una collisione
tra due meteore. Giungemmo nella camera di Stefan dove la libreria
venne giù
causando solo un sacco di polvere e fogli volanti. Io e Bonnie ci
guardammo
stranite e così fecero Caroline e Damon: evidentemente il
mezzo vampiro non
aveva i riflessi pronti.
Ad un cenno di Damon la vampira con la sua
velocità si precipitò davanti alla libreria e con
una sola mano la alzò
togliendo alcuni libri per vedere chi vi fosse seppellito. Damon
altrettanto
veloce si parò davanti e, nonostante fosse umano, prese il
presunto mezzo
vampiro per il collo. “Chi sei e cosa vuoi da noi?”
disse quasi ringhiando e
con uno sguardo furioso. Mi sporsi da dietro il braccio della bionda
per vedere
chi era il tanto temuto vampiro. “S-sono Colin e vengo in
pace” disse un
ragazzino dalla chioma rossiccia e ispida, ad occhio e croce
dell’età di tredici
anni.
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Capitolo 14 *** 12- C'ME ON, WE ALSO GIVE YOU CANDIES! ***
12-
COME ON, WE ALSO GIVE
YOU CANDIES!
Era strano
come i mezzi vampiri somigliassero più
a dei semplici umani.
Non avevano quell’aria oscura e incredibilmente
minacciosa che si pensava avessero e Colin ne era la prova concreta.
“Posso averne ancora?” chiese il ragazzino con il
labbro leggermente sporco di mostarda, porgendo il piatto per avere
altre cialde
che Bonnie si era premurata di comprare per il nostro pigiama party a
casa
Salvatore.
Dopo che lo avevamo tirato fuori da sotto la
libreria, Damon decise di metterlo sotto torchio e di tenerlo come
ostaggio nel
caso si fosse presentato qualche altro mezzo vampiro. Tuttavia il rosso
era più
ostinato che mai e non avrebbe detto niente finché non
sarebbe stato sicuro
della nostra posizione e questo irritava fortemente l’ex
vampiro che aveva
continuato per tutta la notte a fare domande che non ricevettero alcuna
risposta. Ci aveva guardato con occhi spauriti e alle volte minacciosi
e
attenti, con un’arguzia di certo non tipica di un bambino.
Il ragazzino finì la sua seconda razione di cialde,
si pulì il muso e dopo aver riposto il piatto e bevuto un
po’ d’acqua, si
sedette sul divano quasi come se quella fosse casa sua.
Dopo il trambusto della notte precedente non
eravamo più riusciti ad addormentarci ed io, che era da
qualche notte che non
dormivo, ero stremata e le palpebre mi si chiudevano da sole.
Mi distesi anch’io sul divano opposto a dove era
seduto il ragazzo. Caroline era uscita con Damon per ispezionare il
territorio
circostante ed essere sicuri che non ci fossero altri mezzi vampiri in
giro,
Bonnie era tornata a casa per prendere il grimorio di Emily e vedere se
tra le
varie creature erano anche menzionati i mezzi vampiri.
Mi avevano lasciata da sola a casa con un mezzo
vampiro poco più che tredicenne che in questo momento mi
fissava con una strana
luce negli occhi. “E’ innocuo, non ti
farà niente” mi aveva detto Damon mentre
usciva, anche se sapevo benissimo che non provava la ben che minima
simpatia
per quel ragazzino che non aveva alcuna intenzione di collaborare.
Socchiusi le palpebre e feci un respiro profondo:
ero veramente stanca. Mi abbandonai quasi completamente, ma il pensiero
della
persona seduta di fronte a me era più forte di qualsiasi
stanchezza. Aprii gli
occhi di scatto e cercai di mantenerli aperti il più a lungo
possibile. Rivolsi
lo sguardo al mezzo vampiro che ancora mi stava fissando con i suoi
incredibili
occhi grigi.
“Hai sonno vero?” mi chiese costatando la mia
situazione. “Oh sai parlare quindi” dissi con tono
aspro fissandolo negli
occhi, ma sentii le palpebre nuovamente farsi pesanti. “Non
avere paura, non ti
farò del male” mi disse con un sorriso innocente.
“E perché mai dovrei
crederti?” mugugnai cercando di alzare la testa, ma invano.
“Sono un amico, e
degli amici ci si fida”. Vidi l’immagine sfocata di
lui che si era alzato dal
divano procedendo verso la mia direzione. Non ebbi tempo di formulare
una
risposta concreta alla sua affermazione né di muovere le
gambe per allontanarmi
da lui. “Posso fidarmi di te?” mi chiese e sentii
una testa che si posava
dolcemente sulla mia spalla, ma io ero già sprofondata nel
vuoto
dell’incoscienza.
Ricordo che quello non fu un sonno ristoratore,
tutt’altro: rivissi ogni attimo della mia vita, ogni momento
da quando avevo
incontrato Stefan e Damon e in ognuna di queste immagini
c’era la vispa chioma
rossa che sembrava osservare la scena quasi compiaciuto!
Mi svegliai qualche ora dopo con un forte mal di
testa, disturbata dalle urla di Caroline e di Damon. Aprii gli occhi e
notai
che il ragazzino non c’era più, ma la sua voce
proveniva dallo studio adiacente
al salone. Mi alzai e, dopo essermi stiracchiata per bene, decisi di
partecipare anche io alla conversazione. Mi avvicinai osservando la
scena dalla
soglia.
“Te lo ripeto per l’ennesima volta: chi
sei?”.
Damon si era avvicinato al ragazzo e sembrava davvero essere fuori di
se. “Lo
dirò quando ci sarà anche lei!”.
Caroline lo teneva ben stretto e cercava di
non lasciarlo andare, anche se il mezzo vampiro sembrava non avere la
ben che
minima intenzione di fuggire. “Dai che ti diamo anche le
caramelle” proruppe
Damon disperato affondando le mani nei capelli, non sapendo
più cosa inventarsi
per far parlare il ragazzo. Appena entrai il mezzo vampiro
accennò un sorriso e
gli occhi lucenti si posarono un attimo su di me per poi continuare a
fissare
Damon con astio, deciso a non pronunciare una singola parola.
Damon accortosi di me alzò gli occhi e le mani al
cielo. “Che squillino le trombe, la bella addormentata si
è svegliata dal suo
sonno eterno!”. “Che sta succedendo
qui?”. “Il marmocchio non vuole
collaborare” disse indicando il ragazzo che continuava a
fissarmi il che mi
dava leggermente fastidio.
Lo osservai meglio: aveva un corpo ben strutturato
per essere solo un ragazzino e degli ispidi capelli rossicci gli
ricoprivano la
testa; gli occhi grigi erano inconfondibili ed erano accesi da una luce
che lo
faceva somigliare molto più ad un essere umano qualsiasi.
“Di grazia bel bambino ci vuoi dire da dove
vieni?” per l’ennesima volta Damon gli rivolse la
domanda e il ragazzo lo
guardò come se solo in quel momento avesse capito di cosa
parlava.
“Vi dirò tutto ma non chiamatemi bambino, ho
già
ventitre anni!” sbottò il rosso producendo lo
sbigottimento di tutti,
specialmente di Damon che scoppiò a ridere. “Ora
ho capito: soffri di complessi
di inferiorità! Comunque eravamo rimasti a ‘chi
sei’?” “Mi chiamo Colin e sono
un mezzo vampiro, sono venuto qui per aiutarvi, mi hanno mandato gli
anziani
della mia specie per bloccare la Triade”. “La
Triade?” chiesi curiosa di quel
nuovo termine. “Si, è un gruppo di mezzi vampiri
che vogliono rendere la nostra
specie la più forte e gloriosa in assoluto e per farlo hanno
bisogno del
maggior numero di vampiri possibile per trasformarli e poter procreare
così da
allargare la specie. Il suo nome deriva dai tre maggiori componenti di
questa
organizzazione. Nessuno sa chi siano e per molto tempo molti non hanno
voluto
avere niente a che fare con essi, ma adesso la situazione si
è ribaltata. Questi
primi tre mezzi vampiri si sono formati più di trecento anni
fa in Alaska,
adesso non vive più nessuno lì se non qualche
nomade. Oggi la Triade è formata
da molti più vampiri e tra questi vi è anche
Michelle”. “Aspetta, conosci
Michelle?” chiese Damon incrociando le braccia al petto, non
del tutto sicuro
di ciò che stava dicendo Colin. “E’ mia
sorella” rispose il ragazzo
innocentemente, ma la sua risposta scatenò tra i presenti,
compresa me,
sorpresa e stupore. “Un momento: ci vuoi forse far credere
che tu sei contro
tua sorella?” chiese Caroline che, per la notizia, aveva
lasciato andare il
ragazzo che adesso si massaggiava la spalla che poco prima era stata
tenuta ben
stretta tra le mani della bionda. “Si, Michelle è
stata rinnegata, come tutti i
mezzi vampiri della Triade del resto. Si è lasciata
influenzare e per questo è
fuggita via e adesso lavora per quei mostri-” si
bloccò digrignando i denti e
facendo trasparire l’odio profondo che covava nei confronti
di quella setta. “-
io e gli altri della mia specie ci stiamo organizzando per bloccarli
così da
poter vivere in santa pace senza dare troppo nell’occhio: per
causa loro ci
sono state troppe vittime innocenti”. Concluse il suo
discorso e i suoi occhi
si incupirono diventando più freddi e distanti, quasi come
se non fosse stato più
tra noi.
“Ebbene che c’entro io in tutto questo?”
Damon
spezzò il silenzio non curandosi dell’espressione
triste che si era dipinta nel
volto del rosso. “Lei, signor Damon è una specie
di esperimento riuscito male:
mia sorella non era molto brava nel trasformare le persone ed
evidentemente ha
sbagliato qualche passaggio così da farlo ridiventare umano.
I vampiri della
Triade ci tengono alla segretezza e non vogliono che si sappia
dell’esistenza
dei mezzi vampiri, così il loro nuovo obbiettivo
è quello di eliminarla e di
uccidere tutti coloro che sanno della loro esistenza”
concluse. “In poche
parole siamo tutti in pericolo?” chiesi scontrandomi prima
con gli occhi
azzurri dell’ex vampiro accanto a me e poi con quelli di
Colin che confermarono
la mia ipotesi. “Ma non esiste una cura per farlo tornare
vampiro?” disse
Caroline facendo la domanda più sensata alla quale purtroppo
non avevamo
pensato. “A quanto ne so, non esiste una cura: Michelle non
ti ha fatto bere il
suo sangue dopo che tu hai bevuto il suo, quindi molto probabilmente
per
completare il processo dovresti bere nuovamente il sangue di Michelle,
ma-” il
sorriso di Damon scemò quasi del tutto “- ti
trasformeresti in un mezzo
vampiro”.
Suonarono alla porta quindi mi precipitai ad
aprire. Bonnie apparve con in mano il grimorio guardando un punto
indefinito
oltre le mie spalle come se volesse accertarsi che dietro di me non ci
fosse
nessuno.
“Bonnie meno male che sei tornata in fretta” dissi
ancora scossa per la rivelazione di poco prima.“Lui
è ancora qui?” chiese
fissandomi negli occhi. “Lui chi?”. “Il
bambino”. “Oh, si. Tecnicamente non è
un bambino, ha detto di avere già ventitre
anni”.“Stai scherzando spero!” ero
serissima e non riuscivo a capire il nervosismo della mia amica.
“Quando è
apparso la prima volta ho avvertito forti scosse mentali che solo le
streghe
possono emettere” mi sussurrò quasi come se non
volesse far sapere ad altri ciò
che mi aveva appena detto.
“Avete anche una strega?” chiese una voce
squillante alle mie spalle che riconobbi subito come quella di Colin.
Bonnie si
irrigidì e dietro al rosso comparve Damon. “Si e
se vuoi vedere gli elfi
domestici devi andare al piano di sopra!”.
Mi osservò intensamente per un secondo: non
avevamo avuto tempo di parlare dopo quello che era successo la scorsa
notte e
sentivo il bisogno urgente di stare con lui quasi come se fossi stata
attratta
da una forza sovrannaturale in grado di scombussolare i miei neuroni e
di
tramortire i miei sensi. Distolse lo sguardo interrompendo il legame
che si era
venuto a creare per dirigersi dalla mia amica che teneva stretto al
petto il
libro degli incantesimi. “Fammi dare
un’occhiata” disse Damon allungando le
mani per prendere il grimorio. Bonnie, ripresasi dallo stato di trans,
indietreggiò aumentando la presa attorno al libro.
“Sai che posso farti del
male, molto male”.
“Non credo visto
che non sono vampiro per il momento, se hai tutta questa voglia di
giocare con
i tuoi trucchetti magici perché non provi con lui”
disse inclinando la testa in
direzione del ragazzo che guardava non riuscendo a capire il
perché di quella
tensione. “Damon non credo che sia-”
“Elena, dobbiamo pur scoprire qualcosa su
di loro e visto che abbiamo un ottimo esemplare ci conviene
sperimentare
qualcosa”. Non volevo che venisse fatto del male a quel
ragazzo, ma il sorriso
beffardo che comparve sul suo volto mi portò a pensare il
contrario. “Va bene,
ma devo prima preparare il materiale” disse Bonnie aprendo il
libro e cercando
gli incantesimi più potenti contro i vampiri. Colin si
sedette sulla poltrona e
puntò nuovamente i suoi occhi grigi sui miei come quella
mattina.
Distolsi lo sguardo e raggiunsi Damon al piano di
sopra: dovevo scoprire quale fosse il piano che aveva sicuramente
premeditato.
“Damon?” lo chiamai “Che
c’è adesso?” mi rispose brusco
comparendo alle mie
spalle. “Non potresti calmarti per un momento?”
cercai di controbattere, ma la
mia voce uscii come un lamento. Spostò lo sguardo e
dondolò sui talloni
evidentemente agitato e seccato. “Cosa vuoi dirmi?”
mi chiese stavolta con una
finta gentilezza. Boccheggiai un attimo non sapendo cosa dire: in
effetti cosa
dovevo dirgli? “Io-” “Risparmia il fiato,
Elena, se devi dirmi cose del tipo ‘è
solo un ragazzino’ o ‘forse esistono altri
modi’. Vi ho visto stamattina tutti
e due sul divano”. Aggrottai le sopraciglia non capendo che
cosa volesse dire o
meglio cosa avesse potuto scatenare tutto questo. “Damon
anche lui sta cercando
di aiutarci” cercai di spiegargli e tentando di fargli capire
che potevano
esistere altri mezzi. “Elena non puoi aiutare tutti i
cuccioli che stanno per
strada solo perché sono stati abbandonati-” mi
ringhiò quasi contro facendomi
ricordare i suoi scatti d’ira quando era vampiro “-Io non sono uno dei tuoi tanti cuccioli.”
Così dicendo mi passò davanti lasciandomi
appoggiata al muro, con le braccia incrociate al petto che adesso
sussultava
più forte che mai. Scivolai lungo la parete fino a sentire
il contatto freddo
del pavimento. Reclinai la testa sullo stipite della porta. Mi sentii
risucchiare da quella parte di me che aveva un incessante bisogno di
lui, ma
che purtroppo non poteva più avere. Perché
nonostante tutto, trovavo un fondo
di verità nelle parole che mi aveva appena detto –
dopotutto lui non era “uno
dei tanti”.
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Capitolo 15 *** 13- WHENEVER WE ARE FRIENDS? ***
13- WHENEVER WE ARE FRIENDS?
Era passata
poco più di una settimana da quando
Colin aveva fatto la sua entrata in scena ed era entrato a far parte
della
gang; tuttavia ancora non riuscivamo a fidarci totalmente di lui: era
pur
sempre un mezzo vampiro, resistente ai più potenti
incantesimi lanciati da
Bonnie, capace di fare qualsiasi cosa e soprattutto quasi immortale,
dico quasi. Il mattino
dopo aver ritrovato e interrogato il ragazzino, Bonnie aveva provato a
neutralizzarlo concentrandosi più del dovuto, richiamando a
se tutte le
energie, ma nonostante questo Colin sembrava non subire la ben che
minima
tortura. Sul fatto di essere quasi immortale, lo avremmo scoperto quel
giorno
io e Damon accompagnando Colin a casa di Alaric.
Mentre guidavo verso la
pensione pensavo all’insolito silenzio che si era venuto a
creare tra me e
Damon: dopo la discussione avvenuta alcuni giorni prima non avevamo
più avuto
occasione di parlare e la cosa era terribilmente frustrante! Sbuffai e
parcheggiai la macchina proprio di fronte casa Salvatore. Non avevo
voglia di
affrontare nuovamente il suo sguardo freddo e distaccato,
così appoggiai la
schiena al sedile tentando di calmarmi e contando i miei respiri.
Ripensai alle
sue parole e a qualche folle attacco di gelosia per aver visto me e
Colin soli
sul divano: dopotutto era ritornato umano, non aveva
l’autocontrollo
necessario, non poteva semplicemente spegnere tutto.
Tastai la tasca dei
pantaloni per prendere il cellulare. Erano passate due settimane dalla
notizia
rassicurante di Stefan, ma ciò che il mio ragazzo non sapeva
era che eravamo
riusciti ad arrivare alla soluzione molto più prima di lui.
Feci scorrere
velocemente i numeri in rubrica fino ad arrivare al suo. Nonostante
avessi il
dito pronto per schiacciare il pulsante verde la mia mano era immobile.
Quella
che prima era la mia preoccupazione primaria adesso rappresentava solo
un’inutile perdita di tempo. A che scopo chiamarlo se non mi
avrebbe risposto?
Indugiai ancora un po’ sul da farsi, ma la schermata nera del
cellulare mi convinse
che fosse meglio non pensarci e risolvere la situazione da sola.
Presi la borsa
dal sedile posteriore e mi avviai alla porta. Suonai il campanello
visto che
ormai dopo la partenza di Stefan avevo perso l’abitudine di
entrare a mio
piacimento.
Mi venne ad aprire Colin che con un sorriso
raggiante mi salutò.
“Ciao Elena!”. A volte sembrava davvero essere un
ragazzino di tredici anni. Non avevamo ancora trovato dei nuovi vestiti
adatti
alla sua età e alla sua statura perciò indossava
di tanto in tanto magliette o
camicie vecchie di Damon o di Stefan. Pensai di poter chiedere a Jeremi
qualche
sua maglietta dismessa: in fondo lo stile dei Salvatore non si addiceva
a
quella chioma rossiccia.
“Ehi Colin” lo salutai con un sorriso tirato ed
entrai in casa.
“Damon non c’è?” chiesi
notando l’assoluto
silenzio che regnava nella stanza.
“Oh, si è nascosto: pensa di essere più
astuto di
me” mi sussurrò alzando gli occhi al cielo facendo
palesemente capire quanto
fosse in disaccordo con ciò che pensava l’ex
vampiro. Tentai di rispondere, ma
mi mise un dito sulle labbra facendomi segno di stare zitta. Obbedii e
in un
attimo scomparve.
Mi guardai intorno per vedere da che parte sarebbe
sbucato. Poi sentii un rumore e qualcuno ruzzolò per le
scale. Una risata
sguaiata, simile più al latrato di un cane, provenne dal
piano superiore mentre
salivo di corsa le scale per vedere cosa fosse successo. Colin era
disteso per
terra, con un paletto di legno conficcato sulla spalla, che stava
allegramente
ridendo di Damon che si trovava appoggiato al muro con una spranga di
ferro che
usciva direttamente dallo stomaco. Inorridii alla scena, ma
più che schifata
ero infuriata.
“Mi spiegate che diavolo state facendo?” mi
rivolsi a Colin visto che Damon era tecnicamente morto in quel momento.
Lui si
teneva la pancia e stringeva i pugni per quanto stava ridendo, ma
sussultava
anche per il dolore alla spalla. Tossì un paio di volte per
riprendersi e poi
si alzò cercando di togliersi il paletto.
“Stavamo giocando”. Spalancai gli occhi quanto
potevo
“Giocando? E voi lo chiamate giocare il rincorrervi per la
casa con in mano
paletti di legno?” chiesi furibonda come non mai: avevamo
questioni più
importanti da risolvere e loro si mettevano a giocare!
“Rilassati Elena” mi disse sorridendomi e
massaggiandosi
la spalla che pian piano stava rimarginando la sua ferita.
Da quando Colin si era stabilito a casa Salvatore
aveva sempre di più acquisito lo stesso comportamento di
Damon nonostante la
statura bassa e gli occhi innocenti. Caroline aveva deciso di andarsene
e di
passare un po’ di tempo nella sua vera casa visto che adesso
non doveva fare la
baby-sitter a tempo pieno: per quello ci pensava Colin.
“Mi sa che dovremo togliergli la spranga” disse
indicando Damon che non accennava a resuscitare. In meno di mezzo
secondo aveva
tolto la spranga e l’aveva gettata in fondo alle scale. Mi
sedetti su uno
scalino aspettando il suo risveglio, battendo il piede con energia
eccessiva.
D’un tratto Damon si alzò tossendo e
massaggiandosi il punto dove poco prima vi
era stata la spranga.
“Bel colpo, affondato in pieno petto! Ma devi
ancora migliorare e di molto”.
“Lo so signor Damon”.
“Dammi il cinque”. Risero insieme mentre io non
riuscivo a credere a ciò che vedevo: da quando quei due
erano diventati così
amici?
“Elena?” Damon mi rivolse uno sguardo stupito come
se non si fosse accorto prima della mia presenza.
“Damon” lo guardai di rimando incrociando le
braccia al petto.
“Elena” constatò nuovamente, scocciato,
e distolse
lo sguardo.
“Damon!” lo chiamai stizzita: quella situazione mi
stava dando sui nervi.
“Elena!” mi gridò in faccia,
evidentemente anche
lui seccato.
“Colin” s’intromise il
rosso diminuendo così la tensione. Damon
sbuffò sonoramente “Nano da giardino cerca
di tornare insieme a Biancaneve” gli disse e lo
fulminò con lo sguardo tanto
che Colin tolse rapidamente il disturbo. “Dobbiamo andare da
Alaric” dissi
rompendo il silenzio che si era venuto a creare. “Uhm
già l’arma finale è
pronta” disse con finto entusiasmo.
Si avviò per le scale. “Dobbiamo andare si o
no?”
Mi chiese aggrottando le sopracciglia. Lo seguii sospirando: quella
situazione
sarebbe dovuta cambiare e al più presto!
“Colin!” lo chiamò Damon già
all’uscita e in un baleno il ragazzino si presentò
accanto a lui.
Era il momento di scoprire la sua vera natura.
Durante il tragitto in macchina nessuno dei due
parlò, forse per la presenza di Colin dietro o forse per la
nostra
testardaggine. Damon aveva insistito per guidare così mi ero
ritrovata a
fissare le macchine scorrere via dal sedile accanto al suo. Se fossimo
stati in
un’altra circostanza molto probabilmente mi sarei stupita
degli sguardi che mi
riservavano le signore ad ogni fermata, con i loro occhi sgranati che
guardavano prima me e poi il sedile posteriore, ma non potevo che
provare un
leggero imbarazzo a quegli sguardi indagatori e a quei pensieri
decisamente
poco azzeccati: in fondo cosa potevano pensare vedendo un bambino stare
dietro
ai loro “genitori”?
Arrivammo a casa di Alaric impazienti di scoprire
come erano andate le ricerche. Rick ci aprì, sollevato di
vederci, e non si stupì
della presenza del rosso che entrò in casa quasi come se
fosse uno di famiglia.
“Quindi è questo il famoso Colin”
iniziò il
professore soffermando la sua attenzione sul mezzo vampiro.
“Già ma non fargli montare troppo la
testa” disse
Damon afferrandolo per i capelli e riportandolo sull’uscio
dove eravamo ancora
fermi.
“Avete fatto bene a portarvelo dietro-”
continuò
Alaric per poi soffermare lo sguardo su Colin che stava osservando i
tanti oggetti
strani presenti sulla scrivania del professore “-gli occhi
sono
inconfondibili!”
“Rick la vuoi piantare di confabulare!” si
intromise Damon stanco di aspettare e impaziente di vedere quale fosse
la
famigerata arma. Alaric prese dallo scaffale un bauletto e lo
aprì facendo
scattare la serratura. L’arma in questione era proprio come
quella stampata
sulla pergamena: era un paletto con il manico interamente in legno e la
punta
metà di ferro come un pugnale, metà di legno.
“Ecco questa è l’arma”. Colin
fece cadere il libro
che aveva in mano, i suoi occhi fissi sul pugnale. Arricciò
il naso e le labbra
facendo apparire i denti aguzzi, mentre gli occhi da grigio opaco
diventavano
di un intenso bianco quasi come se fosse stato cieco. Si
acquattò in posizione
di difesa e per un attimo ebbi paura del peggio. Poi i suoi occhi
ritornarono
grigi e i canini scomparvero.
“Scusate non sono ancora molto bravo a
controllarmi”
si scusò Colin.
“E’ questa?” chiesi cercando di
distogliere il suo
sguardo dal pugnale. “Si, è questa senza dubbio,
è l’arma con cui…” si
bloccò e
non seppe più rispondere ed entrò in una specie
di trans.
“Basta parlare. Abbiamo l’arma ora non ci serve
che provarla” disse Damon con un mezzo sorriso e con una
strana luce negli occhi rivolgendo
lo sguardo a Colin, ancora immerso nei suoi pensieri. Lo guardai
preoccupata e
d’un tratto capii tutto: Damon non aveva fatto
amicizia con Colin, lo
odiava e quello che lui chiamava “gioco” non era
latro che un esercizio per la
prova finale. Con destrezza Damon prese il pugnale e si
avvicinò al ragazzino
che sembrava non essersi accorto di niente. Mi parai davanti a Colin un
attimo
prima che Damon potesse raggiungerlo. Il pugnale fu puntato dritto al
cuore, ma
per buona sorte o per sbaglio non raggiunse il punto indicato. Avevamo
i nostri
visi troppo vicini, i suoi occhi erano paralleli ai miei e i nostri
sguardi si
intersecavano uccidendoci a vicenda: perché voleva sempre
uccidere chiunque mi
fosse accanto?
“Damon-” lo richiamai “-non provarlo a
fare mai
più!” dissi e lui sembrò di
più premere all’altezza del mio cuore. Poi
abbassò
lo sguardo, stringendo il pugnale nella mano destra e allontanandosi da
me. Ci
congedammo da Alaric che promise di tenere l’arma al sicuro.
Ritornai a casa con i nervi a pezzi e Jeremy non
riuscii a farmi distrarre dai miei pensieri.
“Elena, tutto bene?” mi domandò dalla
cucina.
Jenna era fuori.
“Si” dissi poco convinta.
“Con i mezzi vampiri?”.
“Abbiamo scoperto chi si aggirava per Mystic
Falls. E’ un ragazzo, si chiama Colin e non è per
niente pericoloso, lui è
dalla nostra parte”.
“E voi gli credete?” la domanda di Jeremy mi
spiazzò: c’erano ancora troppe cose che non
sapevamo sul suo conto e il ricordo
del suo volto nell’ufficio di Rick mi fece rabbrividire.
“No, non del tutto”.
“Elena io vi posso aiutare dimmi solo cosa-”.
“No Jeremy ci sono in ballo troppe vite e non
voglio che anche tu sia coinvolto, sai già
abbastanza”.
Sentimmo aprire la porta di casa e Jenna fece il
suo ingresso in cucina, piena di pacchi e buste della spesa.
L’aiutai a
disfarsi delle buste e a sistemare i viveri tra gli scaffali della
credenza.
Aprii il frigo per riporre lo scatolo delle uova.
“Indovina chi ho incontrato?” mi disse Jenna
appena richiusi il frigo: aveva un’aria piuttosto felice e
soddisfatta.
“Chi?” chiesi facendo finta di essere curiosa.
“Carol Lockwood. Ha detto che questo week-end darà
una festa in piscina e noi siamo stati invitati, non è
grandioso?” concluse
sorridendo all’idea di tirare fuori dal cassetto il suo
bikini.
In effetti non era grandioso! Le feste erano
sinonimo di guai e i guai al momento erano identificati con il nome di
mezzi-vampiri. Inoltre festa significava anche una gran
quantità di gente e
quindi sangue gratis per i vampiri o meglio per una sola, Katherine:
non si
sarebbe persa una festa per nulla al mondo! Mentre continuavo a vedere
gli
effetti negativi che avrebbe riportato quella ridicola festa in piscina
notai
una chioma rossiccia sbucare dalla porta d’ingresso lasciata
aperta.
“E tu che ci fa qui?” chiesi piano pensando che
Jenna non ne fosse al corrente, ma con mio stupore lei si
avvicinò a Colin e lo
invitò ad avvicinarsi.
“Tranquillo, vieni avanti. Elena, questo ragazzino
era davanti la nostra porta, ha detto di essere uno dei
Salvatore…” concluse
scettica al riguardo.
Colin da parte sua sorrideva angelicamente
mettendo in mostra il suo più dolce lato da bambino.
“Lui è Colin, è un cugino di Stefan.
Siccome sta
avendo problemi in Alaska, la famiglia di questo ragazzino ha pensato
di
mandarlo in vacanza qui a Mistic Falls da Damon” spiegai
orgogliosa di aver
congegnato una scusa così perfetta.
“Beh Colin piacere di conoscerti” sorrise Jenna e
fu ricambiata dal sorriso quasi perfetto del quasi vampiro.
“Avevi bisogno di qualcosa?” chiesi al rosso che
si guardava intorno.
“Oh no ero venuto solo per un saluto, devo andare
ora, il signor…cioè volevo dire Damon
starà aspettando” disse e mi mandò
un’occhiata ricca di significati nascosti.
Lo accompagnai alla porta e mi salutò così come
avrebbe fatto un qualsiasi ragazzino. Mi chiusi la porta alle spalle
con la testa
in uno stato confusionale.
“E’ simpatico, è educato, gentile e
tanto dolce,
somiglia proprio a Stefan nei modi di fare” proruppe Jenna
mentre preparava la
cena. Risi scuotendo la testa pensando a quanto si sbagliava e salii le
scale
per andare in camera mia. Non appena aprii la porta trovai la persona
che mi doveva
un sacco di spiegazioni.
“Oh capisco cosa voleva dire Colin”.
“Il ragazzo è in gamba e ci servirà per
ora” disse
Damon seduto sulla sedia accanto alla finestra aperta. Aveva i gomiti
poggiati
sulle ginocchia e le gambe leggermente divaricate. Sospirai e tirai
fuori i
vestiti dal cassetto: chissà cosa aveva da dirmi?
“Damon-” mi girai e me lo ritrovai di fronte, i
suoi occhi profondi e quasi plumbei come il cielo prima di un
temporale, freddi
e distanti che mi fecero rabbrividire. Indietreggiai di qualche passo
per
ristabilire la distanza e per potermi allontanare da quegli occhi che
in quel momento
mi trapanavano l’anima.
“Voglio spiegarti il mio comportamento a casa di
Alaric”.
“Ti ascolto” dissi e mi appoggiai alla cassettiera
con le braccia incrociate al petto.
“Oggi volevo uccidere Colin per dimostrarti che sono
sempre lo stesso, non sono cambiato, non del tutto! Sono lo stesso
identico
Damon che si è nutrito di Caroline, lo stesso che ha fatto
del male a Bonnie e
a Stefan, sono quello che ha tentato di uccidere tuo fratello, mi
capisci-”
mentre parlava si era avvicinato e mi aveva preso per le braccia
scuotendomi
“-Vampiro o umano non cambia niente, io sono questo e fa male
il fatto che tu
adesso mi stia rivalutando solo perché sono come
te”.
“No ti sbagli”.
“E allora Elena dimmi forse sei cambiata tu? Io
sono la stessa persona di un tempo, non farmi credere di essere qualcun
altro
perché ne morirei” mi aveva spinto tanto da farmi
male e sentire le spalle
contro il muro mentre lui continuava a scuotermi.
“Ti dispiace così tanto se mi sto affezionando di
più a te?” proruppi seriamente guardandolo negli
occhi.
“No” rispose aggrottando le sopracciglia, confuso
da quella mia domanda così repentina.
“Allora perché scarichi tutta la colpa su di me?
Perché continui a credere che è causa della tua
umanità se ora siamo diventati
amici?”.
Si avvicinò pericolosamente alle mie labbra, i
nostri occhi erano come due magneti, respiravamo all’unisono
e quasi sentivo il
suo cuore vibrare forte quanto il mio. Le mie e le sue parole si
mescolavano in
testa e il suo profumo mi faceva venire il capogiro.
“Da quando in qua siamo diventati amici?” mi
sussurrò suadente allontanando le mani dalle mie spalle.
“Pensavo che fosse evidente” risposi con un groppo
alla gola e il cuore a mille.
“Ebbene cara amica, voglio renderti cosciente del
fatto che tengo a te a tal punto da pensare di rinunciare persino alla
mia
natura di vampiro, per
te” assottigliò gli occhi e dopo un
po’ sparì dietro le
tende della mia finestra.
Mi rifugiai in bagno e mi richiusi la porta alle
spalle. E quella sera neanche la doccia calda poté far
scivolare via le mie
insicurezze.
***
Salve
vampirizzati sono felice di comunicarvi che la scuola è
finalmente finita perciò ora ci aspetta un'estate piena di
sole,mare,divertimento e Delena u.u Spero proprio di poter aggiornare
spesso adesso che non sono impegnata! Comunque Elena e Damon da una
fase di odio profondo erano giunti alla conclusione che tra loro
esisteva un legame profondo e ora la nostra Elena è giunta
addirittura a dire che sono amici, pian piano ci avviciniamo al
capitolo che tutte voi state aspettando, ma non prima di aver risolto
la questione con i mezzi vampiri. Che ne pensate di Colin? Col tempo e
conoscendo la sua storia sono sicura che lo amerete :) Domanda: siccome ci sono
parecchi OPV che ho già scritto ma non voglio inserirli
all'interno della storia, che dite se creo una raccolta "The beat of
others Heart" da leggere in contemporanea alla fic? Fatemi
sapere e vi dirò un piccolo spoiler per il prossimo
capitolo: leggete attentamente il dialogo tra Elena e la povera zia
Jenna ♥
bye bye, dreem
|
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Capitolo 16 *** 14 - I WAS A VAMPIRE NOT A GENIE! ***
14-
I WAS A VAMPIRE, NOT A
GENIE
“Come
mi sta?” mi chiese Caroline con un sorriso a
trentadue denti appena uscita dal camerino di prova. Indossava un
bikini verde
acqua a cui aveva abbinato un pareo del medesimo colore, di una tinta
un po’
più scura.
“Benissimo”
dissi tentando di non far trasparire
la mia noia: non era proprio nei miei hobby preferiti andare in giro
per
negozi.
Ricordai un
tempo quando mi avrebbe fatto piacere
uscire con le mie amiche per comprare vestiti, scarpe, cosmetici, ma
adesso
sembrava tutto così superfluo e futile. Avevo ben altre cose
a cui pensare e
una festa non faceva per niente al caso mio.
La vampira
bionda grugnì e si accigliò con fare
infantile. Si richiuse seccata dentro il camerino tirando la tenda e
borbottando
qualcosa che non compresi.
Controllai il
display del cellulare dove nessun
icona mi avvertiva dell’arrivo di qualche nuovo messaggio o
di qualche chiamata
persa: Stefan aveva detto di essere sulla pista giusta quindi non
c’era da
preoccuparsi, tuttavia volevo sentirlo e sapere come stava. Dopotutto
eravamo
ancora fidanzati anche se quella lunga lontananza mi aveva fatto
dimenticare
cosa fosse avere un ragazzo. Ora che ci pensavo: perché
aveva chiamato Damon e
non me? Avrebbe potuto chiamarmi benissimo nel cellulare o trovare le
trentaquattro chiamate perse che gli avevo lasciato.
Mentre
tentavo di dare una risposta alla mia
domanda Caroline uscii dal camerino fulminandomi con lo sguardo e
rigirandosi
tra le mani il costume da cui penzolava l’etichetta.
“Tu
dovresti prenderti una pausa!”.
Mi
accusò puntandomi il dito contro.
“Non
sei tu che hai il fidanzato in Alaska”.
Alzai gli
occhi al cielo mentre la mia amica si
precipitava alla cassa per pagare.
Mi diressi
verso l’uscita aspettando che Caroline
finisse.
Era
già giugno inoltrato e l’estate sembrava non
arrivare, almeno così era per me.
Un tempo le
estati arrivavano presto, erano
sinonimo di lunghe vacanze in riva al lago o addirittura al mare, erano
le
estati delle lunghe passeggiate e dei bagni in piscina, erano le estati
trascorse con la mia famiglia.
Smisi di
divagare con la mente e mi voltai
guardando le persone passeggiare per le strade. Sul marciapiede opposto
intravidi una chioma nera che ben conoscevo: Damon stava discutendo
animatamente con quello che dopo scoprii essere Alaric.
Cosa stavano
complottando?
“Andiamo?”.
Caroline
arrivò al mio fianco con in mano la busta
che oscillava tra l’indice e il medio. Mi osservò
non capendo, poi aguzzò la
vista e li vide.
“Damon
ed Alaric? Non si prospetta niente di
buono”. Concordai mentalmente con quello che aveva appena
detto la mia amica ed
entrambe uscimmo dal negozio e ci avviammo verso i due che non appena
ci videro
smisero di discutere.
“Buon
giorno belle signore, acquisti?” chiese
Damon tentando di sviare il discorso e apparendo il più
naturale che mai: il
suo temperamento così versatile mi dava sui nervi
più del dovuto.
“C’è
qualcosa che non va?” mi rivolsi ad Alaric il
quale sentendosi interpellato incrociò le braccia al petto e
abbassò gli occhi:
dopotutto lui era umano da molto più tempo. “Va
tutto alla grande, Elena
smettila di preoccuparti, non è bello avere
l’ulcera a diciassette anni” mi
disse scimmiottandomi e trapanandomi con il suo sguardo: era ancora
presente la
rabbia dell’ultima discussione.
Sbuffai
sonoramente e Alaric rivolse
un’occhiataccia a Damon il quale continuò ad
ignorarlo mostrando uno dei suoi
soliti sorrisi indifferenti.
“Quando
vi decidete fateci un fischio, per adesso
abbiamo ben altro a cui pensare” proruppe Caroline,
prendendomi sottobraccio e
allontanandomi dai due.
Con la coda
dell’occhio vidi Damon che ci salutò
con la mano mentre un sorriso trionfante gli appariva in volto.
“Perché
l’hai fatto Caroline! Ci stanno tenendo
nascosto qualcosa e io devo sapere!”.
“Stai
zitta Elena o se no rischi veramente di
avere l’ulcera, ne parleremo con davanti un bel
frullato” mi sorrise dolcemente
la vampira bionda e io non potei far altro che assecondarla.
Entrammo al
Grill dove l’aria condizionata ci
diede un po’ di vita.
Appena sedute
vidi Caroline irrigidirsi e
guardarsi intorno con circospezione quasi come se volesse vedere se ci
fosse
qualcuno.
Evidentemente
aveva dei problemi con Matt.
Sospirò
quasi sollevata e tornò a sorridermi.
“Cos’hai
da sorridere?” chiesi esasperata per la
conversazione con Damon e per lo strano comportamento della mia amica.
“Sveglia
Elena, non ricordi chi hai davanti?”.
Sbattei
più volte le palpebre non capendo cosa
volesse insinuare. Alzò gli occhi al cielo e poi
spostò i capelli dietro le
orecchie più volte. Ancora non capivo dove volesse arrivare.
Inarcai un
sopracciglio e corrugai la fronte: se non avessi capito subito le avrei
decisamente
tagliato i capelli!
“Inizia
con V e finisce con O” disse allargando le
braccia ma parlando pur sempre a bassa voce.
“Per
farla breve: ho sentito di cosa stavano
parlando Damon e Alaric” disse tutto d’un fiato,
sorseggiando poi il frullato
dalla cannuccia.
Rimasi con lo
sguardo vacuo per alcuni istanti poi
gli ingranaggi del mio cervello rincominciarono a funzionare: Caroline
era un
vampiro; i vampiri sentono anche a distanza; Caroline aveva sentito; sillogismo perfetto!
“E
quindi?” le chiesi adesso con lo stesso tono di
chi vuole sapere informazioni top secret.
Caroline si
leccò le labbra e posò il bicchiere mezzo
vuoto. Si schiarì la voce.
“Non
sono riuscita a sentire tutta la
conversazione, ma dalle ultime parole ho capito che si preparavano ad
attaccare, c’entrano un gruppo di mezzi vampiri e una festa,
dicevano che era
meglio tenerti all’oscuro di tutto e che dovevano avvisare
Colin, poi ci hanno
visti e hanno smesso di parlare” concluse Caroline attendendo
il mio responso.
Più
che arrabbiata ero offesa: ancora una volta
volevano tenermi all’oscuro e sapevo bene di chi fosse
quell’idea. I mezzi vampiri
erano nuovamente entrati in azione e questa volta erano ben
organizzati,
stavano preparando un attacco e questa volta il loro scopo era di
uccidere
Damon.
Mi ricordai
di ciò che aveva detto Colin un po’ di
tempo prima
“I
vampiri della Triade ci tengono alla segretezza e non vogliono che si
sappia
dell’esistenza dei mezzi vampiri, così il loro
nuovo obbiettivo è quello di
eliminarla e di uccidere tutti coloro che sanno della loro
esistenza”.
Quindi non era solo Damon in pericolo: Jeremy, Alaric, Bonnie, Caroline
erano
tutti in pericolo.
Mi morsi il
labbro inferiore, conscia del fatto
che quello era stato un mio errore: non dovevo coinvolgere
così tante persone.
I mezzi
vampiri avevano deciso di attaccare
durante una festa…
“Caroline
quand’è la festa in piscina dei
Lockwood?” chiesi alla mia amica che capii
all’istante cosa volessi intendere.
“Pensi
che i mezzi vampiri attaccheranno lì?”
chiese e io annuii.
I nostri
sguardi si incrociarono e da entrambi i
nostri occhi traspariva l’ansia per quella nuova sfida.
Poi le labbra
di Caroline si piegarono all’ingiù.
“Rovinerò
il mio costume così” borbottò e io mi
misi a ridere.
Sentii
squillare il cellulare e vidi che mi era
appena arrivato un messaggio.
Ho
scoperto qualcosa sui MV, non sono così immuni come pensavamo.
Richiusi il
messaggio: Bonnie era un mito!
“Oh
guarda chi sta entrando-” cominciò Caroline
con un tono misto tra lo scocciato e lo schifato. Girai di poco la
testa e capì
il perché della sua indignazione.
Damon era
appena entrato accompagnato dallo
sceriffo Forbes con il quale stava chiacchierando allegramente.
Rimanemmo un
po’ in silenzio a sbirciare la loro
conversazione finché Elizabeth Forbes non lasciò
il locale e Damon si sedette
al bancone del bar ordinando il solito bicchiere di Wisky.
“Ringrazia
il fatto che non se la sia portata a
letto” dissi masticando nervosa la cannuccia per reprimere
quella che forse era…rabbia?
“Oh
mio Dio Elena!” gridò Caroline schifata dalle
mie parole. La sua voce richiamò l’attenzione di
molti clienti compresa quella
di Damon.
I nostri
occhi si incrociarono per un istante: i
suoi del ghiaccio più duro e freddo, i miei della terra
rovente e polverosa.
In quel
preciso istante mi sentii quasi
incompatibile con il suo essere e questo stranamente mi
procurò un forte senso
di tristezza.
Ritrassi lo
sguardo mentre sentivo che lui
continuava ad osservarmi, sorseggiando il suo drink.
“Aspettami
qui” sussurrai a Caroline e mi alzai in
direzione del ragazzo che in quel momento mi stava altamente
confondendo le
idee.
Mi sedetti
accanto a lui, scansando la gran
quantità di bicchieri vuoti e presi un bel respiro.
“Buon
giorno Damon. – iniziai con le buone, per
poi passare subito alle cattive- Punto uno voglio una spiegazione su
ciò che
sta succedendo e di cosa stavate parlando tu e Alaric, punto due devi
smetterla
di avere una vita sociale con chiunque in questa città meno
che con me e punto
tre voglio sapere perché Stefan ha chiamato te e non
me” conclusi facendo
entrare nuova aria nei polmoni e sperando che l’alcol non gli
avesse spento i
neuroni che aveva.
Mi
guardò di sottecchi, si girò con fare
circospetto come per assicurarsi che non ci fosse nessuno e poi col
l’indice mi
fece cenno di avvicinarmi di più. Avvicinai il mio orecchio
alle sue labbra e
mi arrivò un forte odore di alcol, tuttavia non sufficiente
per renderlo
completamente ubriaco.
Mi
sussurrò.
“Ero
un vampiro, mica il genio della lampada!
Quindi i tuoi tre desideri non possono essere esauditi!”
disse svuotando un
altro bicchiere e ridendo alla mio ennesimo sbuffo.
“Ho
il diritto di sapere” dissi aumentando di un
ottava il tono di voce: anche se sapevo volevo comunque che lui mi
informasse
su ciò che stavano architettando.
Non ricevetti
alcuna risposta.
Alzai gli
occhi al cielo e sbattei un piede a
terra per il nervoso.
“E
va bene mister Salvatore, ignorami quanto vuoi,
tienimi all’oscuro di tutto, ma non tentare di salvarmi se mi
succedesse
qualcosa!” risposi sicura di colpire in pieno.
Mi girai di
scatto, ma qualcosa mi bloccò il polso.
Brividi
lunghi mi percorsero la schiena mentre il
sangue si bloccava sotto la sua presa ferrea.
Mi
guardò come solo lui sa fare ed io ebbi quasi
paura di rimangiarmi tutto e di continuare a supplicarlo, ma questo
sarebbe
stato come calpestare la mia dignità.
“Non
credo che cadere da un marciapiede sia così
rischioso” disse sghignazzando con il suo solito sorriso da
ebete.
Mi liberai
dalla sua presa e raggiunsi il tavolo
di Caroline che era rimasta ad aspettarmi o forse ad origliare la
nostra
conversazione.
“Torniamo
al negozio: ho bisogno di un costume per
quella stupida festa”.
La mia amica
si illuminò in un sorriso radioso ed
insieme ritornammo al negozio.
Dopo aver
provato un milione di costumi, tutti
consigliati dalla mia amica, alla fine ero tornata a casa a mani vuote
e sinceramente
ne ero più che felice.
Aprii la
cassettiera e in fondo vi trovai una
busta all’interno della quale vi era un costume con ancora
l’etichetta.
Lo avevo
comprato a fine estate quando eravamo
tornati dalla nostra vacanza al mare. Lo avevo conservato
perché papà diceva
che l’anno dopo ci saremmo ritornati. Peccato che
l’anno dopo non era mai
arrivato.
Chiusi il
cassetto e strinsi il costume al petto
reprimendo qualche lacrima che minacciava di cadere.
Mi
rannicchiai a terra poggiando la testa contro
il muro.
“Toc
Toc” mi girai e dal basso vidi Damon che con
un mezzo sorriso chiedeva implicitamente il permesso di entrare.
“Pensavo
che mi ignorassi”.
“Pensavo
che ti avrei ritrovata morta” disse con
non curanza avanzando nella stanza fino ad arrivare dove ero seduta io.
“Chi
ti ha fatto entrare?” chiesi tenendo ancora
stretto il costume.
“Tuo
fratello”.
Rimasi
basita: a quel che ne sapevano Damon e
Jeremy si odiavano.
“Impossibile”.
“Beh
chiedilo a lui visto che quando si è
presentata Bonnie era peggio di un cerbiatto nella stagione
dell’amore” rispose
rovistando tra la roba che era sulla scrivania.
A quanto
sapevo Bonnie e Jeremy erano solo dei
puri e semplici amici, non c’era niente tra loro o forse ero
l’unica a non
essersene accorta.
“Quello
è il costume?” mi chiese indicando
l’oggetto che avevo tra le mani.
Non
l’avevo neanche tirato fuori dalla busta: era
un bikini di colore rosso con tonalità arancioni.
Rimasi ancora
un po’ a guardarlo sospirando ai
ricordi.
“Sembrerai
grassa” sbottò all’improvviso e io
grugnii incenerendolo con lo sguardo. “Tanto ci vado lo
stesso alla festa in
piscina” dissi sapendo che in fondo il suo intento era quello
di farmi rimanere
a casa.
“mmm
e cosa ti fa pensare che io ti lascerò
andare?” mi chiese con aria di sfida. “Infatti tu
non mi vuoi e questo mi basta
per farmi andare a quella stupida festa”. Rimase a guardarmi
capendo le mie
intenzioni e il fatto che ero a conoscenza di qualcosa.
“Stefan
non sarà molto contento”.
“Che
c’entra Stefan adesso? Ha telefonato?” chiesi
allarmata del fatto che aveva chiamato in causa Stefan.
“Intendo
dire che il tuo ragazzo sarà molto geloso
di vedere la sua bella in costume da bagno, preda degli sguardi
indiscreti di
umani appartenenti all’altro sesso” mi disse
trattenendo un sorriso.
“Stefan
non lo farebbe!”
“Forse
è vero, ma io lo
farei!”.
Il silenzio
venne interrotto dal cellulare di
Damon che squillava.
“Che
c’è ora, nuovi compiti da correggere?”
chiese
sarcastico Damon alla persona all’altro capo del telefono.
“No, cerca di
raggiungerci il prima possibile o se no bello sei fuori dai
giochi” pensai
subito ad Alaric e mi fu confermato dall’aria divertita di
Damon, che chiuse la
chiamata senza neanche rispondere.
“La
tua zietta dovrebbe allietarlo qualche volta
con la sua presenza” mi disse in tono sarcastico e mi
offrì una mano per
alzarmi.
Indugiai
guardando la mano, ma alla fine mi arresi
e mi alzai aggrappandomi a lui. “Ebbene che ci fa Bonnie
qui?” chiesi ripensando
alle parole di poco prima.
Damon mi
guardò aggrottando le sopracciglia,
scettico del fatto che ignoravo il motivo della venuta della mia amica.
“Non
ti ha avvisato? I mezzi vampiri, la strega,
la bacchetta magica eccetera?” mi chiese e io mi ricordai del
messaggio
ricevuto al Grill. Le mie labbra si congiunsero in una o muta e Damon
alzò gli
occhi al soffitto.
Scendemmo le
scale e trovammo i nostri amici
radunati nel salone, Bonnie era al centro del cerchio con in mano il
grimorio
mentre Colin con la sua solita aria sbarazzina stava ritto a pochi
passi da
Bonnie.
“Ciao
Elena!” mi salutò sbarazzino Colin, come se
fosse felice di ricevere tutte quelle attenzioni. Mi diede
l’impressione di un
ragazzino allo zoo solo che l’animale strano da ammirare era
proprio lui.
Ricambiai il
saluto e osservai con una strana
tenerezza il mezzo vampiro che aveva tutta l’aria di non
riporre alcuna
speranza nel tentativo di Bonnie. Lo dimostrava il sorriso che aveva in
volto e
che non esitava a togliersi.
Damon al mio
fianco batté le mani.
“Bene,
ora che ci siamo tutti possiamo osservare
maga Magò alle prese con uno dei suoi bibidi bobidi
bu!”.
Bonnie lo
incenerì con lo sguardo e se solo fosse
stato vampiro gli avrebbe fatto mandare in fiamme il cervello.
Poi
spostò lo sguardo su di me, sembrava volersi
scusare per ciò che avrebbe fatto.
Mi sorrise e
chiuse gli occhi concentrandosi.
Il sorriso
del mezzo vampiro si spense.
Colin cadde a
terra privo di sensi.
***
Ma bene,
bene, bene eccomi tornata ♥ Questa
festa in piscina procurerà un po’ di guai agli
abitanti di Mystic Falls ma
grazie a questo incontro ravvicinato si scopriranno finalmente le vere
intenzioni di queste creature! Intanto Bonnie ha trovato un modo per
distruggere i mezzi vampiri che sembravano essere immuni a qualsiasi
tipo di
magia. Adesso Damon&Co. Avranno un’arma in
più dalla loro parte…ma
funzionerà sempre? E ditemi che ne pensate di questi Damon
ed Elena amici e
nemici? (C’è una scenetta bella bella tra meno di
tre capitoli u.u)
Colgo
l’occasione per fare un po’ di
pubblicità
alle mie fic e se siete interessati a questa storia vi consiglio di
tenere
sotto controllo Jar of Hearts
una raccolta di one-shot ispirate a questi
capitoli ma scritte in un altro punto di vista. E ancora la mia nuova
long
Unspoken crime,
fiction intrisa di mistero e del rapporto tra i fratelli
Salvatore e una Caroline portatrice di un macabro segreto.
Ringrazio
tantissimo il forum Dreams of Fanfiction
per il suo supporto e per darmi la voglia di scrivere sempre di
più, fateci un
salto ♥
Grazie per
l’attenzione ;D
Sil.
|
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Capitolo 17 *** 15- I'M NOT YOUR PUPPET! ***
15-
I’M NOT YOUR PUPPET!
La bambina
del te.
Era così che chiamavo Bonnie i primi tempi che
eravamo diventate amiche.
La chiamavo in quel modo perché tutti i pomeriggi
dopo l’asilo, e successivamente la scuola elementare, mi
invitava a casa di sua
nonna che tutti dicevano essere una fattucchiera.
Ogni volta che giungevamo in quella casa, sua nonna
ci veniva ad aprire con due tazze di te fumante come se sapesse che
fossimo
proprio noi quelle a bussare alla porta. Non c’era gusto se a
bere il te non c’era
la mia amica del te.
Eppure quella bambina adesso era di fronte a me
pronta ad utilizzare al meglio i suoi poteri che erano rimasti sopiti
fino ad
un anno fa.
Era notevole come la forza psichica di Bonnie era
riuscita ad aumentare: non conoscevo strega più in gamba
della mia amica, forse
proprio perché ne conoscevo davvero poche!
La osservai per un istante, temendo di vederla
sotto questo aspetto che un po’ mi metteva paura.
Lei mi sorrise dolcemente e chiuse gli occhi concentrandosi.
Nella stanza era calato uno strano silenzio e ci
guardavamo ansiosi di vedere cosa sarebbe accaduto.
Sentii leggermente strapparmi via l’energia, quasi
come se una parte di me stesse sollevando un macigno.
Osservai allarmata gli altri miei amici riuniti
intorno a Colin che non toglieva il suo sorriso sornione dalla faccia:
erano
anch’essi stupiti forse più di quanto lo ero io.
D’un tratto sentii una scossa elettrica, ma non ci
feci molto caso intenta com’ero a guardare il ragazzo dai
capelli rossi
inginocchiarsi per poi cadere sul pavimento privo di sensi.
Era stato solo un attimo e il sorriso nel suo
volto era sparito, gli occhi erano diventati vacui e distanti e nel
giro di un
nano secondo era stato tramortito e steso al suolo. Bonnie riaprii gli
occhi
sussultando un po’ e osservò compiaciuta Colin
steso per terra: l’incantesimo
era riuscito.
“Colin” proruppi rendendomi conto del fatto che
forse Bonnie aveva esagerato.
“Tranquilla Elena si riprenderà” mi
tranquillizzò
la mia amica, ma io mi avvicinai comunque al corpo del ragazzino
togliendogli
qualche ciocca ispida dalla fronte bianca. “Ebbene Bonnie ci
spieghi questa tua
abracadabra in cosa consisteva?” chiese Caroline
evidentemente confusa e disorientata
da ciò che era appena successo.
Alaric stava in silenzio, scettico a riguardo, ma
pur sempre impaziente di sentire dalla diretta interessata una
spiegazione.
L’unico che non parlava era Damon: era poggiato
allo stipite della porta con le braccia conserte, dedito ad osservare
la scena
da lontano quasi come se lui non volesse avere niente a che fare con
questa
storia, peccato che fosse lui l’unico e il solo responsabile
di tutto ciò!
Bonnie prese il grimorio e sfogliò le sottili
pagine alla ricerca di quella giusta.
Si fermò e uno strano odore di muffa e acqua
stagnante arrivò alle mie narici facendomi arricciare il
naso: da quando il
grimorio aveva quello strano odore?
“Quello è il libro della tua antenata?”
chiese
Jeremi che per tutto il tempo non aveva proferito parola, intento a
capire
questi strani incantesimi e persone con cui aveva a che fare: non
è bello
scoprire che le due migliori amiche di tua sorella sono un vampiro e
una
strega!
“No, ma l’ho trovato in cantina: a quanto pare
Emily non sapeva dell’esistenza dei mezzi vampiri, ma nella
biblioteca di
famiglia ho trovato la testimonianza di una certa Susan Bennet, bisnonna
di
Emily da parte di padre.
Esistono
creature oltre l’immaginabile, terrificanti forse
più di quelli veri,
dall’aspetto umano, di carne e di sangue, il loro cuore batte
ma non può essere
fermato da una semplice ferita mortale. Si aggirano di giorno e di
notte, non
si nutrono di sangue ma la loro gola arde per la sete, hanno il volto
simile a
quello di un cadavere e si aggirano ingannando chiunque con i loro modi
di
fare. Sono coloro che vinsero il tempo, all’alba e al
crepuscolo, il cui sangue
è letale per un vampiro e per un umano. Demoni e non demoni,
reietti della
natura, vivranno a metà ciò che la morte li
spinse ad essere.
“Non
c’è alcun dubbio: si parla di mezzi
vampiri”
intervenne Alaric.
Nella stanza calò il silenzio seguito solo dal
respiro regolare di Colin che sembrava semplicemente addormentato.
Io gli massaggiavo convulsamente la spalla tenendo
gli occhi ben fissi sul pavimento per non incontrare quelli raggelanti
dell’ex
vampiro che avevo dietro: non era d’accordo con
ciò che stavo facendo, ne ero
più che sicura.
“Ad ogni modo non sono sicura che questo
incantesimo funzioni per tutti i mezzi vampiri”.
“Che intendi dire?” chiesi non capendo cosa
intendeva per tutti.
“Colin è molto giovane mentre noi dobbiamo
affrontare dei mezzi vampiri centenari, non so se resistono a questo
tipo di
incantesimo”.
“Ma cosa hai fatto esattamente?” chiese Jeremy
avvicinandosi di più alla strega.
“Ho catalizzato l’energia di Caroline e di Alaric,
un vampiro e un umano, ho utilizzato l’aura delle persone
più vicine a Colin
ovvero tu ed Elena per creare un ponte e arrivare direttamente alla
mente del
mezzo vampiro. In questo modo ho richiamato le mie energie e ho cercato
di colpire
i suoi neuroni disattivando qualsiasi percezione umana o
vampiresca”.
Nonostante la spiegazione non avevo ben capito
cosa fosse successo, ma dedussi che per questo incantesimo ci voleva
necessariamente un umano e un vampiro e una serie di persone vicine
all’obbiettivo.
Il corpo del ragazzino riverso a terra si irrigidì
e a velocità supersonica si alzò in piedi
digrignando i denti e trattenendosi
la testa con entrambe le mani.
“Fallo smettere, Bonnie” la supplicai, ma non era
lei la colpevole.
“E’ solo l’effetto
dell’incantesimo” sussurrò con
gli occhi rivolti verso Colin che era piegato in due per
l’atroce dolore alla
testa.
Fu questione di un minuto o due e il rosso si
ristabilì del tutto guardandoci sconvolti uno alla volta con
gli occhi di un
grigio fluido, soffermandosi in modo particolare su Bonnie.
“Al diavolo voi e tutte le Bennet, mio zio aveva
ragione su quella Susan” sputò Colin, ma quando
tentai di abbracciarlo lui era
già sparito verso la cucina.
Lo seguii a ruota, ma non appena girai l’angolo,
immettendomi nel corridoio della pensione, mi ritrovai faccia a faccia
con
Damon.
Mi scontrai con lui e il mio cuore perse un
battito: sarà stata forse per codardia, ma i suoi occhi mi
facevano più paura
di cento canini aguzzi.
Mi avrebbe impedito di raggiungerlo ne ero più che
certa, ma questo piccolo problema non mi avrebbe fatto distogliere
dalla mia
intenzione ovvero quella di raggiungere Colin.
“Spostati Damon” dissi cercando di essere ferma e
inchiodandolo con lo sguardo, ma la mia voce tremolante mi tradii
ancora una
volta.
Lo oltrepassai e stavo affrettando il passo per
paura che potesse bloccarmi e fu quello che fece.
“E’ in mansarda…raggiungilo,
sarò da voi tra due
minuti”.
Le sue parole mi stupirono a tal punto da farmi
sgranare gli occhi, ma non mi diede modo di rispondere che
già era sparito
chiudendosi la porta alle spalle.
Salii le scale di casa Salvatore fino ad arrivare
al secondo piano, ma della mansarda non c’era alcuna traccia.
Mi osservai intorno tentando di capire se ci
fossero altre scale da salire, ma ero circondata solo da porte e quadri
antichi.
Alzai gli occhi al soffitto e sbuffai sonoramente,
ma uno scricchiolio mi fece aguzzare la vista: proprio in
corrispondenza del
lampadario vi era una piccola botola la cui maniglia era leggermente
spostata.
Il soffitto era troppo alto perciò mi procurai una
sedia da una delle stanze adiacenti e alzandomi sulle punte tirai la
maniglia.
Mi si presentò una scala un po’ traballante e con
fare sicuro poggiai il primo piede per tastare la sua
stabilità.
Mi ritrovai catapultata in una nuova area della
pensione che Stefan non mi aveva mai mostrato: quadri antichi, bauli,
vecchi
libri, fotografie erano accatastai qua e là sotto lenzuoli
impolverati.
Sulla parete opposta troneggiava un minifrigo il
cui contenuto era ben comprensibile. La luce proveniva da alcune
fessure mentre
il soffitto era composto da travi di legno rovinate dal tempo. Era un
luogo ben
diverso dalla cantina e dai sotterranei ma nonostante questo non potei
non ammettere
a me stessa che era il luogo giusto dove si sarebbero potuti collocare
dei
vampiri.
Sentii un tonfo sordo e il mio cuore sussultò per
qualche secondo.
Mi ricordai del perché ero giunta lì.
“Colin?” chiamai stentatamente volgendo lo sguardo
dietro ai bauli.
Di nuovo un altro tonfo.
Provai a concentrarmi da dove proveniva quel
rumore e dopo pochi passi trovai la mia chioma rossa seduta dietro a
una
vecchia scrivania con in mano un pallone da football abbastanza
trasandato.
“Sarò pure un vampiro, ma non posso essere
trattato come un pupazzo” disse mettendo il broncio quasi
come fosse un
bambino. Nel suo profondo lo era ancora.
Sbatté nuovamente la palla a terra per poi riprenderla tra
le mani. Mi
inginocchiai accanto a lui e, nonostante la polvere e l’odore
di muffa, fui
felice di trovarmi lì insieme a lui.
“Come mai sei venuti qui?” gli chiesi cercando di
prenderlo con le buone come ero solita fare con mio fratello quando era
piccolo.
“E’ il primo posto che mi è venuto in
mente. Tu ci
sei mai stata?” mi chiese mostrandomi quegli incredibili
occhi grandi e grigi.
“No per me è la prima volta. Strano che Stefan non
me l’abbia mai mostrato”.
Si mise a ridere e una smorfia gli comparve in
viso.
“Questo è territorio del signor Damon,
è naturale
che Stefan non ti abbia portato qui”.
Sbattei le palpebre più volte e respirai l’aria a
pieni polmoni: non c’era traccia di Damon, né tra
la polvere né tra i libri
accatastati, non c’era Damon nella luce soffusa o nelle
polveri sottili, Damon
non era lì eppure quel posto era
solo suo!
“Sai somigli a mia madre, Anya” proruppe Colin
intento a sistemare il cuoio ormai sgualcito del pallone.
“Parlami di lei” gli chiesi con fare nostalgico
ricordandomi della mia.
“Io ricordo molto il suo aspetto: essendo di
origini irlandesi, aveva dei buffi capelli rossi e gli occhi verdi. Era
stata
trasformata in vampiro nel 1758 e aveva deciso di seguire
l’uomo che amava e
suo fratello e stabilirsi nel nuovo continente. Si stabilirono per
qualche
tempo in Alaska e anche loro come gli altri furono trasformati in mezzi
vampiri. Anche se non lo diceva mai, aveva nostalgia di casa e dei
prati verdi
dell’Irlanda. Quando nacque Michelle decisero di trasferirsi
nel North
Caroline. E poi sono nato io”.
“Ma che bel quadretto! Mi viene voglia di farvi
una foto”.
Damon ci aveva raggiunti e spostando cassette e
scatoloni era pronto a sedersi sulla scrivania alle nostre spalle.
Con fare abile tolse al ragazzino dalle mani il
pallone da football.
“Giù le mani marmocchio questo non si
tocca!”.
Ero pronta a rimproverarlo, ma il buffetto
inusuale di Damon sulla spalla di Colin mi trattenne.
“Vedi, Elena, io non ho più una madre”
disse e il
sorriso sornione di Damon sparì del tutto mentre io
impallidii.
“Se è per questo non ho neanche un padre. Me li
hanno strappati uno ad uno solo perché disprezzavano
ciò che erano diventati,
ciò che non erano più e ciò che
sarebbero stati. Li ho visti morire tra le mie
braccia, della mia famiglia siamo rimasti solo io e mio zio”.
Rimasi scioccata dal suo racconto e preferii
interromperlo piuttosto che lasciarlo continuare a ricordare episodi
dolorosi
del suo passato.
“E’ stata la Triade non è
così?” chiesi conscia di
quale sarebbe stata la risposta.
Colin mi puntò addosso il suo sguardo e un brivido
scese lungo la mia schiena.
“E se ti dicessi che non ho più neanche una
sorella?”.
Gli occhi di Colin erano pieni di quella rabbia e
sete di vendetta di cui erano pieni anche quelli di Damon pochi mesi
prima, era
spronato dallo stesso odio che aveva nutrito il cuore di Damon per anni
e che
adesso si trovava a fiammeggiare tra le sue iridi grigie.
“Meglio così, almeno la potrò uccidere
più
facilmente!” proruppe Damon alzandosi in piedi.
“Dovrò essere io a ucciderla, l’ho
promesso a mio
zio”.
“Fidati, non ne saresti capace” concluse Damon
sospirando
impercettibilmente osservando tra le mani il pallone ormai sgonfio e
ammaccato
dai lati.
“Scusa per aver preso senza permesso il pallone
tuo e di tuo fratello” si scusò il ragazzino con
la testa bassa.
“Per questa volta non ti impaletto,
mostriciattolo”.
Damon scese dalla scrivania in cui era seduto e si
avviò all’altro capo della mansarda per riporre il
pallone in un baule
impolverato.
Lo osservai per un secondo colpita dai suoi gesti,
ma Colin richiamò la mia attenzione con un colpo di tosse.
“Elena, sai tu mi ricordi mia madre - ” le sue
labbra rosee si arcuarono in un sorriso e io non potei far altro che
sfiorargli
i capelli e sorridere con lui. I suoi occhi grigi si avvicinarono di
più ai
miei fino a che le nostre fronti non si appoggiarono l’una
all’altra. “- non
commettere il suo stesso errore” mi sussurrò
lasciandomi persa e disorientata
dopo quella frase.
Cosa voleva dire con “non commettere il suo stesso
errore”? Che errore aveva mai commesso?
Cercai di ribattere, ma Colin si alzò.
“Vado dalla strega, forse mi farò trattare ancora
per un po’ come un pupazzo”.
Dopo avermi offerto una mano per aiutare me,
ancora stordita, ad alzarmi sparì ritornando al piano di
sotto.
Rimanemmo soli io e Damon.
“Din Din Elena ha raggiunto quota 13 domane in
lista di essere formulate”.
Guardai Damon il quale si stava divertendo dandomi
le spalle a mettere in funzione un vecchissimo giradischi.
“Piantala Damon”.
Mi alzai e lo sorpassai come era successo prima,
ma con mia sorpresa questa volta mi avvolse un braccio attorno alla
vita
attirandomi a se.
La sua bocca era vicinissima al mio orecchio e con
le mani mi aiutava a oscillare insieme a lui sulle note di
“Yellow Submarine”
dei Beatles.
“Ho intenzione di legarti e rinchiuderti dentro
l’armadio domani o forse abbandonarti in qualche paese
sperduto del Wisconsin.
Quale preferisci dei due?” mi chiese solleticandomi il lobo
dell’orecchio.
“Credo che opterò per andare alla festa in piscina
dei Lockwood dove si svolgerà la battaglia epocale tra mezzi
vampiri e la banda
di Mystic Falls” lo provocai: sapevo che avrebbe fatto di
tutto per non farmi
andare.
“Risposta sbagliata!” mi sussurrò e
questa volta
strinse di più la stretta attorno ai miei fianchi.
Avvolsi le sue mani poste sopra la mia pancia e
sospirai: non era giusto, non era corretto ma mi faceva sentire meglio
di
qualsiasi altra cosa al mondo e, in quel momento, ne avevo proprio
bisogno.
Pensai che quella mansarda era un po’ come il mio
cuore: non c’era posto per Damon, non c’era mai
stato eppure quel luogo
apparteneva solo ed esclusivamente
a
lui.
Mi liberò da quella stretta e io ricominciai a
respirare.
Scendemmo giù dalle scale scricchiolanti e
richiudemmo la botola. Dal piano di sotto proveniva un baccano
infernale il che
mi fece pensare subito a qualche litigio tra Colin e Caroline.
Con mia enorme sorpresa invece la vampira bionda
era seduta in silenzio sul divano col telecomando in mano pronta a
cambiare
canale, mentre le urla provenivano niente poco di meno che da Colin e
Bonnie.
“E’ impossibile che una Bennet abbia aiutato
esseri come voi!” sbottò la strega paonazza in
volto.
“Susan non era nostra alleata ma avevamo bisogno
di protezione e abbiamo stretto un patto con lei!”
spiegò Colin incredibilmente
serio: la pacatezza e l’ingenuità di poco prima
erano sfumate del tutto.
“Susan non era di certo una strega, ma conosceva
le streghe di Salem e il resto della vostra famiglia. Sapeva delle arti
magiche
e dell’esistenza dei vampiri, ma non aveva mai conosciuto
esseri come noi!
Quando la triade si organizzò per dare la caccia a coloro
che avevano
intenzione di vivere pacificamente, lei mostrò alla nostra
specie come
riconoscere le streghe perché era sicura che la Triade ne
avrebbe fatto uso, e
realizzò una fattura, che non riuscì a
completare, per…dopo di che sparì lasciandoci
in balia di noi stessi!”.
“Perciò pensi che non sia sufficiente il mio
incantesimo?” chiese Bonnie titubante. “Purtroppo
non hanno mai avuto dalla
loro parte le Bennet, non sanno quale sia il loro effettivo potenziale
e non
sanno dell’esistenza di Susan, quindi è molto
probabile che non siano immuni a
quel tipo di incantesimo”.
Tutti tirammo un sospiro di sollievo a quella
nuova rivelazione: avremmo distrutto i mezzi vampiri con il pugnale e
con la
magia, avevamo molte più possibilità adesso che
avevamo anche Bonnie dalla
nostra parte.
“Non per essere scortese, ma sentite qui” disse
Caroline aumentando il volume della televisione.
“Mystic
Falls ha avuto un incremento della popolazione pari al 40% in questo
ultimo
mese. Sono stati conclusi affari da numerose famiglie provenienti dal
North
Caroline che sembrano gradire l’ambiente tranquillo di Mystic
Falls. Intanto
continua la paura per le persone scomparse recentemente, otto uomini di
età
compresa tra i 20 e i 30 anni sono dispersi da oltre dieci giorni,
continuano
le indagini da parte dello sceriffo Forbes”.
Per la stanza
regnò il silenzio interrotto solo
dai sospiri di Colin.
“Ebbene?” chiese Jeremy per avere la conferma che
tutti noi aspettavamo.
“I mezzi vampiri sono arrivati in città”
disse in
tono solenne.
“E comprano casa? Sono mezzi vampiri di larghe
vedute” criticò Damon poggiandosi allo stipite
della porta con le braccia
incrociate al petto.
“Vogliono attaccare dall’interno, stabilirsi qui
significa passare come persone comuni e ciò li porta a
conquistare la fiducia
delle persone”.
“E le persone scomparse? Non avevate detto che
sopravvivevate anche senza nutrirvi di sangue?” chiese
Caroline puntualizzando
su un qualcosa che a noi evidentemente era sfuggito.
“Sono nuove reclute, i mezzi vampiri entrano in
città mentre gli uomini vengono spediti direttamente al
quartier generale della
Triade”.
Mi sedetti in poltrona presa da un violento
capogiro mentre la stanza piombava nello stesso silenzio di poco prima.
Non eravamo solo noi in pericolo, ma a quanto
sembrava l’intera Mystic Falls stava per essere assoggettata
da queste nuove
creature il cui intento era quello di prevalere su qualsiasi altro
essere.
Avevamo intrapreso la strada verso una nuova
battaglia e adesso non importava più la cura per Damon o il
viaggio di Stefan,
era un qualcosa più grande di noi e non potevamo
più tirarci indietro. Avremmo
lottato per far ritornare tutto come era prima, e adesso avremmo
lottato anche
per i genitori del piccolo Colin che tuttavia, anche in caso di
vittoria,
indietro non sarebbero mai più ritornati.
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Capitolo 18 *** 16- 'CAUSE THERE ARE SOME BIKINI GIRLS! ***
16- ‘CAUSE THERE ARE SOME BIKINI
GIRLS!
“Ti
ho mai detto che sei più carina senza
vestiti?”.
Feci cadere la spazzola e il cuore ruzzolò di
qualche centimetro dal posto in cui era.
Damon, perfettamente pronto, attendeva
da più di mezz’ora nella mia stanza gustandosi il
suo ghiacciolo alla menta.
Recuperai la spazzola incenerendolo con lo sguardo
e strinsi l’elastico intorno ai miei capelli.
“Piantala Damon! Mi spieghi perché sei
così
eccitato di andare a una stupida festa in piscina?” chiesi
controllando i
battiti cardiaci.
Per quella festa avevo indossato il bikini
arancione e mi ero munita di pantaloncini e canotta così da
essere più libera
nei movimenti.
“Perché ci saranno le belle ragazze
ovvio!”
proruppe Colin, a fianco di Damon, anch’egli gustandosi il
suo gelato.
Erano esattamente identici: indossavamo entrambi
delle polo aderenti grigie e un paio di bermuda a scacchi.
Alzai gli occhi al cielo e finì di mettere le
ultime cose nella borsa.
Il giorno della festa in piscina era giunto ed era
una fortuna che Jenna fosse uscita presto quella mattina con Alaric,
dicendo
che avrebbe dovuto aiutare Carol per la festa, così da
permettere a Jeremy di
passare alla pensione per recuperare gli ultimi attrezzi per eventuali
attacchi, visto che Rick era impegnato a distrarla.
Nonostante i continui tentativi di Damon per non
farmi andare alla festa alla fine ero riuscita a convincerlo:
anch’io avrei
partecipato allo scontro, se mai ce ne fosse stato davvero uno.
Ero scettica a riguardo, credevo che ciò che
volevano i mezzi vampiri era semplicemente discutere o intimidirci,
magari
offrendoci di diventare come loro, non pensavo che fosse necessario
ricorrere
alle armi.
“Bene possiamo andare!” dissi sistemandomi la
borsa.
Ero pronta ad abbassare la maniglia della porta
quando il silenzio e la calma mi turbarono. Mi girai lentamente per
vedere che
cosa stessero facendo i due alle mie spalle. Con mie enorme sorpresa
trovai nel
letto solo Damon che era rimasto perfettamente immobile.
“Damon?” provai a chiamarlo.
“Hai detto possiamo? Sbaglio o da quel noi
tu sei esclusa?” mi chiese con un
sorriso sornione mentre si avvicinava a me.
No non poteva farmi questo, non era assolutamente
giusto!
“Damon non penserai che-”.
Non ebbi neanche il tempo di finire la frase che
un flusso d’aria mi frustò i capelli, la porta
dietro di me si aprì sbattendo
contro la parete e Damon, cogliendo quel mio momento di smarrimento, mi
oltrepassò richiudendosi la porta alle spalle prima che io
potessi fermarlo.
Ancora scioccata per la rapidità con cui tutto era successo,
provai ad aprire
ma la serratura era bloccata. Battei violentemente la mano contro la
porta, ma
non sentii altro che le risate dell’ex vampiro e del
ragazzino.
“Mi dispiace Elena!” la voce di Colin mi giunse
ovattata da dietro la porta.
“Vedrai ti divertirai a sguazzare tra l’acqua della
vasca da bagno!” questa volta era Damon che se la rideva.
“Va all’inferno!” gli gridai con voce
isterica e
leggermente paonazza in viso.
“Si amore, anch’io tanto tanto” mi disse
di
rimando e se ne andarono lasciandomi con la mascella leggermente
aperta.
Cercai di rimanere calma e di pensare a un modo
per uscire dalla mia stessa casa. Volsi lo sguardo immediatamente alla
finestra. Mi precipitai per aprirla ma anche quella era ben chiusa.
Sprofondai nel letto in cerca di una soluzione
mentre picchiettavo velocemente il piede sul pavimento.
Era passata circa mezz’ora quando mi ricordai
della finestrella del bagno che avevamo fatto fare solo qualche anno
prima. Nonostante
l’apertura fosse piuttosto piccola sarei riuscita comunque a
passare senza
alcun problema.
Mi aggrappai alle mattonelle e aperta la finestra
mi ritrovai sopra il tetto di casa mia. Facendo attenzione a non far
cadere le
tegole, raggiunsi la scala e riuscii finalmente a scendere.
Non ebbi neanche il tempo di compiacermi da sola
che sentii il suono di un clacson alle mie spalle.
“Elena non vai alla festa?” mi chiese Tyler
Lockwood
sporgendosi dallo sportello della sua auto.
“Si, stavo giusto per andarci…tu invece?”
“Mia madre mi ha obbligato a compare alcune cose
per questa stupida festa. Stavo giusto andando lì se vuoi ti
do un passaggio”.
Non rifiutai il suo invito e una volta salita in
macchina ci dirigemmo a Casa Lockwood. Non avevo mai avuto un rapporto
stretto
con Tyler nonostante fossimo cresciuti assieme. Fin da bambino lo
trovavo
parecchio irritante e prepotente, ma sapevo che dietro quella maschera
si
nascondeva un bambino buono e gentile, che aveva solo il bisogno di non
essere
trascurato dai genitori e che cercava di avere l’approvazione
del padre; quel
bambino che adesso era cresciuto, si era fatto uomo e che, nonostante
questo,
soffriva ancora.
Dalla morte del sindaco, casa Lockwood era rimasta
sempre aperta e la madre di Tyler cercava di passare oltre quel loro
lutto
organizzando feste e ricevimenti. La verità era che anche
quel suo sorriso era
finto tanto quanto la prepotenza del figlio.
Frenò bruscamente appena arrivammo al cancello
dell’enorme villa.
“Grazie mille Tyler” mi affrettai a dire e stavo
già aprendo lo sportello quando il ragazzo seduto alla guida
mi domandò “Cosa
ci facevi sul tetto?”.
Mi paralizzai e il sangue affluì veloce alle
guance. Non sapevo che spiegazione concreta potergli dare visto che non
esistono molte scuse. Boccheggiai per un po’ e mi grattai la
nuca non sapendo
realmente cosa dire e cercando in tutti i modi di evitare i suoi occhi
scuri.
“Tranquilla, ho capito: non sono cose che mi
riguardano” si affrettò a dire, togliendo le mani
dal volante e ponendole
davanti al viso come in segno di scuse.
Ripresi a respirare e ridacchiai insieme a lui. Se
c’era una cosa che mi piaceva di Tyler era la sua discrezione
e il farsi sempre
i propri affari senza mai indagare sulle faccende altrui.
“Grazie ancora” gli dissi nuovamente e finalmente
scesi dalla macchina.
L’ingresso di casa Lockwood era già completamente
pieno di gente e soprattutto di ragazzi in costume che si affrettavano
a
raggiungere l’abitazione attraversando l’ampio
giardino.
Volsi lo sguardo intorno alla ricerca di qualche
viso familiare. Avendo dimenticato la borsa in camera non avevo con me
neanche
il cellulare. Pensai che già tutti fossero entrati
perciò mi incamminai anch’io
verso l’abitazione per porgere i saluti come sempre alla
padrona di casa.
Mi precipitai sul lastricato di ghiaia, ma dovetti
optare per il prato adiacente visto che le pietruzze andavano a
intrufolarsi
all’interno dei miei sandali.
Raggiunsi velocemente il porticato ed ero pronta a
salutare Carol Lockwood quando uno scalino pieno d’acqua mi
fece scivolare e
quasi cadere.
Il mio cuore era già balzato via quando due
braccia forti mi sostennero a mi impedirono di toccare terra.
“Tutto bene?” mi chiese un uomo adulto, sulla
trentina, dai meravigliosi occhi verdi e un fisico scolpito. Mi
aiutò ad
alzarmi mentre la madre di Tyler veniva ad aiutarci. “Elena
tutto bene? Ti sei
fatta male?” mi chiese con fare gentile e pacato. Abbozzai un
si come risposta
e tranquillizzai la gente accorsa in mio aiuto.
“Mi chiamo Jeff” si presentò
l’uomo alle mie
spalle e mi porse la mano inondandomi con i suoi incredibili occhi
verdi.
“Piacere, Elena” strinsi la sua mano nella mia per
non essere scortese, ma lo dovetti lasciare subito dopo che fummo
entrati in
casa.
Avevo da cercare un paio di occhi azzurri e una
chioma rossa.
Durante il tragitto venni salutata da persone che
era da un po’ che non vedevo e che nonostante questo non
potei ignorare, così
raggiunsi la piscina quando il barbecue era già stato
acceso: dovevano essere
sicuramente quasi le due.
“Elena ma dov’eri finita?” una donna in
lontananza
mi chiamava e sventolava la mano cercando di attirare la mia attenzione.
Riconobbi che era Jenna per cui mi avvicinai alla
sua sdraio.
“Pensavamo che non venissi più,ti ho lasciato
tanti messaggi nel cellulare” mi rimproverò mia
zia avvolta nel suo costume
verde con pareo abbinato.
“Ho dimenticato la borsa a casa e dentro c’erano
le chiavi e il cellulare” tentai di scusarmi, ma non sembrava
essere troppo
arrabbiata. Rick accorse con una camicia a scacchi sbottonata che
rivelava una
canotta bianca aderente e dei bermuda simili a quelli di Damon.
“Elena ce l’hai fatta…alla
fine” quella frase era ricca di significati che
riuscì a
capire per cui rivolsi al professore un’occhiata torva.
Con la coda dell’occhio vidi un ciuffo rosso
sbucare tra i materassini della piscina perciò salutai in
fretta Jenna e Alaric
e raggiunsi il bordo della piscina dove ad aspettarmi c’era
Colin.
“Questa piscina non mi piace, è troppo bassa ma
tua zia voleva assolutamente che stessi insieme agli altri miei coetanei” sbuffò
sonoramente salendo la
scaletta per uscire fuori dall’acqua.
“Dov’è Damon?” chiesi
voltandomi ripetutamente
cercando di scorgere l’ex vampiro tra la folla.
“Credo che sia su quel materassino
laggiù” mi
disse frizionandosi i capelli rossi con l’asciugamano.
“Dei mezzi vampiri?” chiesi sottovoce per non farmi
sentire da una famiglia seduta proprio accanto a noi.
“Già risolto tutto” e un sorriso gli
apparve in
volto risaltando le piccole lentiggini sul naso e sulla fronte.
Aggrottai le sopracciglia e sbattei più volte le
palpebre: possibile che avessero già completato tutto senza
di me? Non ero pienamente
convinta di ciò che mi aveva detto il mezzo vampiro, anche
se la sua aria
perfettamente tranquilla e naturale diceva tutto il contrario. Nessun
ferito?
Nessun morto?
“Andrò a parlare con Damon” borbottai
tra me e me
e lasciai Colin intento a giocare a palla con una bambina al suo fianco.
Per arrivare nella piscina adiacente senza
bagnarmi dovetti passare per il prato dove si stava organizzando il
barbecue.
“Ehi Elena” Matt con il sorriso stampato in volto
mi venne incontro con in mano un vassoio di spiedini.
“Vuoi?” me lo porse, ma rifiutai con un sorriso.
“Allora Elena, cosa farai quest’estate?”
mi chiese
un po’ impacciato, quasi come se non sapesse
cos’altro dire.
Mi misi a ridere e lo lasciai per un momento
confuso.
“Non so neanche perché sono a questa festa e mi
chiedi cosa farò quest’estate?”
continuai a ridere e anche lui si unì a me in
quel momento di ilarità.
“Mi sono ridotto a fare il cameriere occasionale
per una misera mancia” disse e quasi potei leggere il senso
di amarezza che
traspariva dai suoi occhi.
“Vedrai Matt tutto si aggiusterà” lo
consolai mettendogli
una mano sulla spalla.
“Già. Dovrebbe esserci Caroline qui in
giro” mi
voltai osservando meglio le persone in piscina e quelle stipate sulle
sdraio.
“Sarà meglio che vada a prendere un altro
po’ di
carbone per il barbecue. Ci vediamo” lo salutai e un sorriso
triste mi comparì
in volto.
Ci sono così tante persone ignare di tutto, che
continuano la loro vita quotidiana, preoccupandosi del lavoro, dello
studio,
della famiglia e che potrebbero essere le prossime vittime. Scossi la
testa
cercando di allontanare quei pensieri e finalmente raggiunsi il punto
più
estremo della piscina dove, su di un materassino, Damon stava
tranquillamente
prendendo il sole.
“Oh la prigioniera è evasa dalla sua prigione
d’oro” ridacchiò sotto gli occhiali da
sole, forte abbastanza da poterlo udire
anche a una certa distanza.
“Avvicinati!” gli ordinai e cercai di essere la
più autoritaria possibile per costringerlo a raggiungermi
senza che mi
bagnassi. Si tolse gli occhiali da sole adagiandoli sui capelli ancora
bagnati.
Mi guardò e mi regalò uno dei suoi soliti sorrisi
che mi fece mancare il fiato.
Sembrò ignorarmi e per tutta risposta mosse col piede il
materassino ancora più
in là di dove fossi io.
“Damon devo ricordarti che io e te siamo amici,
perciò non farmi pentire di ciò che ho appena
detto” cercai di essere più dolce
e pacata, ma sembrava non aver sentito visto che continuava a prendere
il sole
tenendo gli occhi chiusi.
“Per favore” provai con il tono supplichevole,
come facevo di solito da bambina per ottenere da mia madre il permesso
di
uscire a giocare.
“Guarda ci stai quasi riuscendo” disse
sarcasticamente mettendosi retto sul materassino e scrutandomi
dall’alto in
basso.
Avevo l’orgoglio ferito e la dignità sotto i piedi
ma dovevo pur farlo: mi tolsi canotta e pantaloncini e mi tuffai in
piscina per
riuscire a parlare da sola con l’ex vampiro. Raggiunsi
velocemente il
materassino e finalmente sembrò che il resto di Mystic Falls
ci avesse lasciato
in pace.
“E allora?”
“Allora cosa?”
“Avete risolto la questione sui mezzi vampiri,
voglio sapere cosa vi siete detti”. Si scrollò le
spalle e spiegò semplicemente
che “Li avevano sfidati a golf e avevano perso, tutto
qui”.
Inarcai un sopraciglio facendo palesemente capire
che non avevo creduto ad una sola parola di quello che aveva detto.
“Elena rilassati! Il pericolo è scampato,
perciò
goditi la giornata da BFF” sgranai gli occhi e mi sistemai i
capelli
gocciolanti sull’altra spalla.
“BFF?” chiesi a un Damon particolarmente divertito.
“Migliori amici per sempre” mi spiego facilmente
con aria da intellettuale che proprio non gli si addiceva.
Mi scappò un sorriso e gli schizzai un po’
d’acqua
prima di raggiungere la scaletta e uscire dalla piscina.
Era incredibile come in così poco tempo il nostro
semplice legame fosse diventato più forte e duraturo come
un’amicizia.
Volente o nolente Damon
rimaneva il mio unico e
solo compagno di sventura.
Mi rimisi la canotta e i pantaloncini nonostante
fossi bagnata fradicia.
Mi stavo dirigendo verso il barbecue dove
probabilmente avrei incontrato gli altri, quando Damon mi mise le mani
sulle
spalle facendomi cambiare direzione quasi come se fossi stata un robot
giocattolo.
Non mi hai ancora detto che ne pensi della mia
idea di BFF?”
“E tu ancora non mi hai detto di che cosa avete
parlato” ribattei io più acida di quanto potessi
mai immaginare.
Camminavamo sul selciato e ci stavamo allontanando
dal giardino e dalla piscina dei Lockwood ma quella volta ero troppo
concentrata sulla conversazione per potermi accorgere quale fosse la
nostra
direzione.
“Che ore sono?” mi chiese a bruciapelo e non
avendo orologio non seppi rispondergli subito.
“Saranno quasi le tre”.
Sembrò rifletterci un attimo per poi fermarsi di
colpo grattandosi la nuca.
“Ecco non te l’ho detto perché in
verità non c’è
stata nessuna conversazione ancora”. Nonostante fossi certa
che sia lui che
Colin mi nascondessero qualcosa, quella notizia mi inondò di
stupore. Damon
aprì una porta ed entrò in una casupola buia, da
cui proveniva un forte odore
di fertilizzante e concime.
“Quindi ancora non avete adocchiato nessun mezzo
vampiro?” chiesi entrando anche io insieme a lui. Ora che
ripenso a tutto ciò
mi sembro essere quasi sciocca e ingenua per come fossi così
incline a seguire
Damon in ogni suo movimento e in ogni sua posizione.
“In realtà molti, e ci aspettano tutti nella
vecchia residenza Loockwood alle tre in punto”.
In quel momento capii e il sangue mi si gelò nelle
vene a tal punto che i capelli bagnati sulle spalle mi sembrarono spine
di
ghiaccio che si conficcavano in tutta la colonna vertebrale
procurandomi
leggeri brividi. Ma la cosa che sentivo più di tutte era una
sola: la mia paura
per Damon, la paura che l’anello di Bonnie non funzionasse e
che quella sarebbe
stata l’ultima volta che l’avrei rivisto.
Mi chiuse la porta in faccia, lasciandomi chiusa
dentro e io non seppi più che dire
***
Ebbene cari
vampirizzati, l’esclusiva festa in
piscina in casa Lockwood è ufficialmente giunta! Come vedete
questo è solo l’inizio
della festa che si dividerà in due parti. Elena è
particolarmente confusa e la
rivelazione finale di Damon le ha fatto capire che tutti la stavano
tenendo all’oscuro!
Damon infatti ha preferito rinchiuderla in quella casupola piuttosto di
mettere
a repentaglio la sua vita…ma sarà valso a
qualcosa? Vi faccio notare che l’amicizia
che lega Damon ed Elena da questo momento in poi si farà
più forte, se non l’aveste
già capito con l’idea dei BFF xD Ad ogni modo vi
starete chiedendo che
fine ha fatto Stefan? Per chi lo volesse proprio
sapere e giusto per
farsi quattro risate per la sua disavventura vi propongo il nuovo
capitolo della raccolta annessa a
questa fanfic I
LOOK LIKE BATMAN OR WHAT?!
Ringrazio tutti voi che avete recensito e che mi
seguite! Sono disposta ad accettare anche le critiche perciò
se non vi piace,
se c’è qualcosa che non va potete dirlo ;D
Spero di poter aggiornare un’ultima volta prima di
partire in vacanza!
Bye bye.
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Capitolo 19 *** 17- I'LL TAKE CARE OF YOU NOW, I PROMISE. ***
17-
I’LL TAKE CARE OF YOU
NOW, I PROMISE
Era passata
più di mezz’ora da quando Damon mi
aveva chiuso in quello sgabuzzino. L’ansia continuava a
crescere e la voglia di
evadere e di partecipare anche io allo scontro era troppa.
Quel giorno non avevo visto né Jeremy né Bonnie,
ma sapevo che loro erano inclusi e abilitati a partecipare al colloquio.
Mi guardai attorno e tutto ciò che vidi non furono
altro che sacchi di concime, fertilizzanti, pesticidi e alcuni sacchi
pieni di
carbone.
Mi sedetti su uno di essi e aspettai docilmente
che qualcuno venisse ad aprirmi, perché
qualcuno sarebbe arrivato, vero?
Mi sciolsi i capelli ancora umidi e gocciolanti e
provai a farmi una treccia bassa per far trascorrere un po’
di tempo.
Tuttavia ad opera ultimata ancora non accennava ad
arrivare nessuno.
D’un tratto sentii la serratura scattare e la
porta fu aperta. Mi alzai in piedi sperando con tutto il cuore che
colui che
stava aprendo potesse darmi notizie su ciò che stava
succedendo nel boschetto
circostante, ma le mie speranze vennero troncate sul nascere.
“Elena, come diavolo sei finita qui?”
Matt era davanti a me che mi squadrava da capo a
piedi non riuscendo a giustificare la mia presenza lì.
“Per fortuna Matt che sei arrivato! Ero entrata
per dare un’occhiata e la porta si è
chiusa” abbozzai una scusa giusto il tempo
di uscire e di essere nuovamente libera. “Certo che da quando
stai con Stefan,
sei diventata davvero strana.”
“Tu perché da queste parti?” chiesi per
non far
saltare la mia copertura.
“Lì dentro è pieno di carbone. E io
sono l’addetto
al barbecue. Comprendi?”.
Annuii maledicendo Damon per avermi fatta cacciare
in una tale situazione.
Matt guardò un punto oltre le mie spalle.
“Ehi Jeff” chiamò mentre
l’uomo si avvicinava a
gran passi verso di noi.
Mi voltai per vedere chi fosse. Era lo stesso Jeff
che mi aveva aiutato quella mattina all’entrata della villa,
lo riconobbi
subito dai suoi occhi verdi.
“Elena, ma che bello rivederti” mi disse e quasi
potei riconoscere un bagliore di estrema follia tra le sue iridi.
Aveva un aspetto famelico e lo dimostrò manifestando
i canini ben aguzzi.
Matt
corri era tutto
ciò che avrei voluto dire ma la lingua si era attorcigliata
così come le gambe che non volevano muoversi tanto erano
atterrite dalla paura.
Continuai ad osservare i suoi occhi che da verdi
passarono ad un rosso cupo: non erano grigi e non sarebbero diventati
bianchi.
Jeff era sicuramente un vampiro, ma cosa poteva
mai volere un vampiro da me ora che l’unico nemico erano i
mezzi vampiri? Forse
non erano gli unici nemici.
“Avevo intenzione di mangiare il ragazzo del
barbecue, ma perché sprecare l’occasione ora che
ho la possibilità di uccidere
l’alleata umana del traditore” mi disse e in meno
di un secondo me lo ritrovai
davanti pronto a spalancare le sue fauci.
Matt con un colpo di spranga, trovata là vicino,
tentò di allontanarlo da me, ma questo non fece altro che
aizzare il vampiro
che non ci pensò due volte a spedire Matt dritto
all’interno del gazebo dove
mensole e scaffali si staccarono dalla parete ferendolo.
Ormai ero sola, faccia a faccia con quello che ormai
avrei considerato un nemico.
Vi doveva essere un qualcosa, un’alleanza che
riuniva vampiri e mezzi vampiri e che avevano come unico scopo quello
di
trasformarci ormai che sapevamo fin troppo. Chiusi gli occhi e non
potei non
emettere un grido acuto quando i canini affondarono nel mio collo,
andando
oltre la pelle e i muscoli e succhiando avidamente il sangue dalla
carotide.
Sentivo le orecchie fischiarmi e le gambe divenire
sempre più fragili man mano che il vampiro alle mie spalle
succhiava via il
sangue. Sentivo il collo pulsare e la lingua del vampiro guizzare
feroce sulla
mia pelle lacerata.
Se non fosse giunto nessuno probabilmente sarei
morta, e forse sarebbe stata la cosa migliore. Di sbagli
successivamente ne
commisi tanti, forse troppi e sarebbe stato meglio non aver dovuto
assistere a
scene che ancora oggi mi procurano un certo dolore e altre che hanno
procurato
dolore a chi mi stava intorno.
Persi le forze, le avevo appena per respirare e
singhiozzare.
Ad un tratto qualcuno mi strappò dalle spalle il
vampiro e sentii il sangue pizzicarmi la pelle e uscire
all’esterno.
Crollai a terra, frastornata e quasi del tutto
priva di forze. Ebbi appena il tempo di schiudere le palpebre, ma le
immagini
che mi si presentavano apparivano offuscate e vaghe. Riuscii comunque a
notare
una chioma rossa lottare contro Jeff e sentii due braccia calde che mi
sollevarono e mi portarono al petto del mio salvatore.
“Andrà bene, Elena” una voce profonda
arrivò alle
mie orecchie e mi sentii baciare ripetutamente la fronte.
Come era caldo quel gesto così inusuale che mi
ricordava i miei giorni da bambina, quando, accoccolata tra le braccia
di mio
padre, mi addormentavo nelle sere di pioggia.
Mi sentii tranquilla come non mai e non badai al
mio nome gridato da parecchie persone, né al sangue
incrostato sul colletto
della mia canotta: stavo bene, ero viva e lui
era con me.
Mi svegliai
non so quante ore dopo in ospedale.
L’odore di disinfettanti arrivò veloce alle mie
narici facendomi storcere il naso.
Sentivo il collo bruciare e ancora avvolta dalla
morsa infernale di Jeff.
Solo dopo mi accorsi che era fasciato e un cerotto
in bella mostra graffiava sotto le mie dita.
Mi sentii pungere al polso sinistro e vi trovai un
ago alla cui estremità era attaccata una flebo.
Avevo la testa che mi pulsava e un gorgoglio allo
stomaco mi ricordò che non toccavo cibo dalla sera
precedente.
Cercai di raddrizzarmi, ma le braccia mi si
piegarono e affondai la testa sui tre cuscini. Mugugnai per il lieve
senso di
nausea e mi massaggiai la testa. Ecco
cosa succede quando vai ad una festa in piscina.
“Elena!”.
Non ebbi neanche il tempo di spostare lo sguardo
che Jenna mi stava stringendo calorosamente tra le sue braccia,
cullandomi e
facendomi mancare il fiato.
Non avevo la forza di ricambiare quell’abbraccio
perciò mi limitai a sfiorarle la mano e a rassicurarla che
stavo meglio.
“Non permetterti di farlo mai più! Mi hai fatto
venire uno tale spavento che adesso sembro dieci anni più
vecchia” bofonchiò
mia zia mentre tirava le tende della mia camera d’ospedale.
Il sole penetrò dalla finestra e la stanza si
illuminò. Ad occhio e croce doveva essere mattina presto.
Quante ore ero
rimasta incosciente?
“Sei sempre bellissima Jenna” risposi abbozzando
un sorriso.
“Mi spieghi cosa diavolo ci facevi in quel capanno
insieme a Matt? Sbaglio o sei ingaggiata con Mr.Salvatore?”
chiese con finto
rimprovero, quanto più curiosa di come sia potuto accadere
tutto quello.
Rabbrividì al ricordo: Damon e i mezzi vampiri, io
rinchiusa nel capanno, la chiacchierata con Matt, l’arrivo di
Jeff, Matt che
veniva scaraventato tra gli scaffali, i canini di Jeff, Damon.
Sbattei le palpebre per cacciare via quei ricordi
e mi concentrai su ciò che avrei dovuto dire a Jenna.
“Volevo aiutare Matt a prendere i sacchi di
carbone quando gli scaffali hanno ceduto e gli attrezzi ci sono
crollati
addosso”.
“Per fortuna che tu te la sei cavata solo con
qualche punto e tanti lividi”.
A quelle parole una nuova paura crebbe dentro di
me: Matt.
“Perché? Come sta Matt?” chiesi con
angoscia. Matt
non era più il mio ex ragazzo, ma era il compagno di sempre,
l’amico d’infanzia
e che tuttora faceva parte della mia vita. “Tranquilla, si
è spezzato una gamba
ed è in stato di shock ma sta bene, ha già
incontrato Caroline e Tyler”.
Mi morsi il labbro inferiore e tirai uno dei più
lunghi sospiri di sollievo: se Caroline era passata da Matt voleva dire
che
adesso non ricordava nulla di Jeff e di ciò che era successo.
Portai le mani in grembo e notai che tremavano
leggermente.
“Io vado a casa a prenderti qualche vestito pulito
e a cercare quella canaglia di tuo fratello alias mio nipote.
E’ da ieri che
gironzola peggio di un cane randagio alla pensione”.
Jenna sistemò la borsa, inforcò gli occhiali da
sole e dopo aver dato un lieve sguardo al telefono mi
abbracciò forte
sistemandomi i cuscini.
Rimasi sola in stanza il tempo necessario per
inondarmi la testa di domande e nuove preoccupazioni: Cosa
avevano detto i mezzi vampiri? C’era stato qualche scontro?
Esisteva qualche tipo di alleanza tra mezzi vampiri e vampiri? Che fine
aveva
fatto Jeff? Stavano bene? Stava bene?
Il flusso dei miei pensieri fu interrotto dalla
presenza di una strana figura che si sporgeva a un metro da terra e che
faceva
capolino proprio da dietro lo stipite della porta.
Misi bene a fuoco e riconobbi in quella figura
Teddy, il mio orsacchiotto di peluche. D’un tratto una chioma
rossa e
sorridente sbucò insieme al pupazzo e si avvicinò
sgambettando verso di me.
“Elena sei viva!” mi disse travolgendomi in un
abbraccio mozzafiato che, nonostante la mia pura felicità
nel rivederlo, mi
piegò le labbra in una smorfia di dolore.
“Lasciala respirare se vuoi ritornare tu vivo a
casa” entrò Damon con passo calmo seguito da
Caroline, Bonnie e Jeremy.
Mi sforzai di sorridere, ma nonostante Colin avesse
smesso già da un pezzo di abbracciarmi, trattenni il fiato
scontrandomi con gli
occhi azzurri dell’ex vampiro: sembravano essere passati
secoli dall’ultima
volta che mi ci ero tuffata dentro. “Eravamo in pensiero per
te” mi disse
Bonnie che si avvicinò e mi strinse con più
dolcezza.
Ricambiai gli sguardi dei miei amici
rassicurandoli e sorridendoli.
Ma il sorriso mi morì in viso: c’erano questioni
più importanti.
Piantai lo sguardo su Damon seduto su una sedia
accanto al mio letto.
“Cos’è successo alla fine?”
chiesi seria attendendomi
delle spiegazioni.
“Cos’è successo
cos-ahia!”provò a ribadire Damon
ma senza risultato: Caroline che era in piedi accanto a lui gli
assestò un
calcio sullo stinco e gli lanciò uno sguardo truce
così come la maggior parte
dei presenti.
“Basta giri di parole, Damon, è già
successo
abbastanza a causa di questa tua iperprotezione”.
Calò uno strano silenzio nella stanza e sembrò
quasi che ritenessero Damon il responsabile della mia disavventura con
Jeff. In
effetti, non avevano poi tutti i torti.
“I mezzi vampiri volevano solo comunicarci quello
che già sapevamo” si intromise Jeremy con le
braccia incrociate al petto di
fianco a Bonnie.
“E cioè?” chiesi spostando continuamente
lo
sguardo sui volti dei miei amici. “Sappiamo fin troppo di
questa storia,
vogliono che ci uniamo a loro per vivere nella segretezza o se no
l’alternativa
è ucciderci” puntualizzò Caroline
marcando bene l’ultima parola che mi fece
gelare il sangue nelle vene.
“Però grazie a me avete vinto un altro mese di
vita” disse Colin contento mentre perlustrava ogni singolo
angolo di quella
stanza tenendo in mano ancora il mio orsacchiotto.
“I mezzi vampiri hanno riconosciuto Colin; sanno
che è uno dei traditori e che molto probabilmente ci sta
aiutando perciò hanno
accordato che ci avrebbe lasciato il tempo necessario per pensarci, un
mese:
allo scadere di questo, ritorneranno” concluse Damon
prendendo Colin per il
colletto e facendolo sedere accanto a lui.
“Ma era la famigerata Triade?” chiesi ancora
confusa: avevo immaginato i mezzi vampiri molto più feroci e
spietati visto
quello che avevano fatto per uccidere Damon. “No era una
delegazione, novellini
ancora alle prime
armi il cui compito è
quello di portare il messaggio al quartier generale” disse
Colin tutt’un tratto
serio: con quella espressione appariva seriamente un ragazzo di
ventitre anni.
“La cosa negativa è che ora sanno che abbiamo
un’arma in più: me” schioccò
Bonnie richiamando l’attenzione di tutti.
Damon rise. “A quanto vedo la modestia non è una
tua qualità, streghetta”.
Un lampo balzò ai miei occhi e mi ricordai dei
punti sul collo.
“E Jeff?” chiesi guardando allarmata il viso
contratto dei miei amici.
“Oh, gli ho staccato la testa a morsi, dovevi
vedere Elena, è stato divertente! Non ho mai conficcato un
paletto con tanta
precisione quanto ieri con Jeff” ridacchiò Colin e
per tutto il tempo che
illustrò la dinamica dell’avvenimento gli
brillarono gli occhi grigi. Rilassai
le spalle e portai Teddy in grembo accanto alla mano di Damon che
strinsi
mentre tutti continuavano a ridere e ricordare ciò che era
successo solo un
giorno prima.
Mi sentii leggera, quasi di piuma nonostante
sapessi che tra un mese tutto sarebbe potuto cambiare e finire allo
stesso
tempo.
Eppure la sua mano continuava ad essere saldamente
stretta alla mia.
Il pomeriggio
del terzo giorno mi dimisero
dall’ospedale e lasciai la struttura non prima di aver
salutato Matt, il quale
doveva rimanere lì per altri due giorni.
Firmati i documenti e tutto il necessario per
uscire, quando finalmente fui fuori Alaric, Jenna e Jeremy mi accolsero
amorevolmente.
Per tutto il tragitto Jenna non fece che parlare
di quanto avesse sentito la mia mancanza e di quanto si ritenesse una
tutore
irresponsabile.
Una volta arrivati a casa trovai qualcuno
all’entrata della porta ad aspettarmi.
“Elena!” gridò Colin correndomi incontro
e
saltellando allegramente di fronte a me. Sorrisi affabile e gli
scompigliai i
fulvi capelli: ero contenta che Colin fosse entrato nelle nostre vite,
provavo
un affetto sincero per quel mezzo vampiro piombato quasi
all’improvviso
facendoci capire che non tutti quelli della sua specie erano cinici e
pericolosi.
Dei passi dietro Colin richiamarono la mia
attenzione.
“Eravamo passati perché pensavamo che eri
già
uscita dall’ospedale” disse Damon nella sua solita
maglietta nera a maniche
corte.
Lo guardai ma non seppi cosa rispondere: sembrava
passato un secolo da quando avevamo parlato da soli.
“Elena dovresti riposare” mi disse Jenna guardando
guardinga Damon che le rivolse un sorriso quasi innocente.
Alaric di tutta risposta alle eccessive premure di
mia zia alzò gli occhi al cielo.
“Si tra un po’ rientro, ho bisogno di un
po’
d’aria con questo caldo” risposi rivolgendo
un’occhiata quasi supplicante che
venne accolta chiudendo forte la porta.
Sospirai e alzai gli occhi al soffitto del
portico: Jenna detestava Damon e in maniera particolare
perché era convinta che
non le confidassi più le mie vicende sentimentali. Stavo
tentando di fare un
passo verso Damon, nonostante l’eccessiva vicinanza mi
mettesse un po’ a disagio,
quando la porta si riaprì nuovamente.
“Colin hai voglia di un po’ di gelato?”
chiese
Jeremy richiamando l’attenzione del rosso che
accettò ben che volentieri.
Quando la porta si richiuse eravamo solo io e
Damon.
“Allora come sta la nostra
mi-caccio-sempre-nei-guai?”
mi chiese incrociando le braccia dietro la schiena.
Gli scoccai un’occhiata truce: sbaglio o era stato
lui che mi aveva cacciata in quel guaio?
“Dovresti avere i sensi di colpa” ribadii
oltrepassandolo e dirigendomi verso il dondolo sicura che anche lui mi
stesse
seguendo.
“Ehi non mi chiamo Stefan e poi già le tue amiche
hanno fatto abbastanza”.
Risi immaginandomi una Caroline furiosa e una
Bonnie altrettanto arrabbiata con l’ex vampiro, solo che lui
era umano e loro
due rispettivamente un vampiro e una strega!
Mi sedetti sul dondolo facendolo cigolare
leggermente e Damon sedette al mio fianco.
Il sole era già tramontato e l’afa lasciava posto
ad una sorta di umidità che faceva rabbrividire fino alle
ossa.
Sospirai e un particolare tornò nella mia testa
quasi come un flash di una macchina fotografica.
“Doveva essere in teoria il nostro giorno BFF”
dissi corrugando la fronte, stupita persino di quello che stavo
farneticando.
Damon mi guardò donandomi uno dei suoi soliti
sorrisi.
“In teoria…in pratica è stato un
disastro tipico
di me e di te” sembrò sottolineare il fatto che
eravamo entrambi i responsabili
dell’incidente. In effetti se non fosse stata per la mia
testardaggine e per il
suo orgoglio molto probabilmente non sarebbe capitato tutto
ciò.
Mi meravigliai io stessa nel pensare a me e a
Damon come un noi, e di quanto in
effetti il nostro rapporto fosse diventato più forte di
prima.
Damon poteva essere un buono amico, forse anche
qualcosa di più.
Mi morsi il labbro tentennando nel porre la domanda
o meno.
“Lexie era
la migliore amica di Stefan. Tu hai mai avuto un migliore
amico?” chiesi
sistemandomi meglio la coperta, che avevo trovato, intorno al corpo e
spingendomi
di più sul dondolo.
“Non ho mai avuto amici. Figurati migliori amici”
sembrò sottolineare rievocando un risata amara e difficile
da ignorare.
“Cosa dovrebbe fare un migliore amico?”.
Mi morsi nuovamente il labbro inferiore cercando di
trovare una risposta soddisfacente alla sua domanda.
“Un migliore amico è quello che sta di fronte alla
tua porta nonostante tu gliel’abbia richiusa in faccia tante
volte. E’ l’unico
essere sulla terra che riesce non si sa come a sopravvivere dopo una
reazione
nucleare all’interno del tuo cervello ed è
l’unico senza cui non sapresti
vivere perché il vostro rapporto è
speciale” riuscii a concludere e mi
impressionai di quanto Damon ci
fosse
racchiuso all’interno di quelle parole.
Mi strinse di più a lui e trattenni un sibilo di
dolore visto che i punti ancora tiravano e facevano male.
“Adesso tocca a me prendermi cura di te. - ” Le
labbra mi si piegarono all’insù al ricordo di
quando Stefan era partito,
lasciandomi sola con un Damon umano e di cui mi dovevo prendere
cura.
Scivolai sulla sua spalla e contai i respiri che
facevano alzare e abbassare il suo torace. “-Te lo
prometto”.
Confortata dall’idea di averlo accanto scivolai
presto nell’incoscienza non prima di sentire due morbide
labbra che si posavano
dolcemente sulle mie.
E non ricordo se fosse il dondolo o il mio cuore a
cigolare.
***
Eccomi qui
per aggiornare per l'ultima volta questa storia prima delle mie vacanze
u.u Ritengo che questo capitolo sia per certi versi conclusivo per
questa seconda parte: la festa in piscina è finita nel
peggiore dei modi per Elena ma in compenso sappiamo che i mezzi vampiri
ritorneranno in meno di un mese perciò i nostri simpatici
amici hanno 31 giorni per prepararsi a dovere...ma lo faranno veramente?
Questo è anche il capitolo in cui si compie il passo tanto
atteso da voi Delena: finalmente è avvenuto il bacio tra Damon ed Elena!
Ebbene forse ad alcuni di voi non sarà piaciuto ma vi
assicuro che questo è solo l'inizio! Ci sono così
tante cose da sistemare e da risolvere! Purtroppo per un mese farete a
meno dei miei aggiornamenti u.u *stappano lo champagne* Ma sappiate che
continuerò a scrivere perchè ho in serbo per voi
una chicca niente male u.u Ovviamente vi lascio con tante domande: Che fine ha
fatto Stefan? Quello sarà uno dei
particolari che affronteremo nella terza parte di questa fanfiction,
quante parti ci saranno? Ancora non ne ho idea XD Spero che vi sia
piaciuto questo capitolo.Ringrazio tutti coloro che hanno recensito e
per chi legge soltanto...una
recensione non costa nulla, mi faresti contenta se esprimessi il tuo
parere *__* Con questo concludo! Ci rileggiamo a
settembre e ritorneranno anche loro: Damon umano, Elena confusa e Colin
più simpatico che mai! (ma quanto lo adoro <3)
Baci
Sil
|
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Capitolo 20 *** 18-WHO GETS MARRIED? ***
18
– WHO GETS MARRIED?
Da quando mi
avevano dimesso dall’ospedale i
giorni erano trascorsi placidi e tranquilli, così come
dovevano essere i giorni
di vacanza.
Giugno si era completamente esaurito e la prima
settimana di luglio continuava ad essere tremendamente calda e afosa.
Il frinire delle cicale accompagnava buona parte
delle mattinate alla pensione Salvatore, dove trascorrevo gran parte
delle mie
ore, così come il suono di un grillo mi induceva a
ritornarmene a casa.
Quel giorno però stranamente
non ero andata alla pensione. Jenna mi aveva detto che
aveva un paio di faccende da sbrigare e che le sarebbe occorso tutto il
mio
aiuto una volta ritornata. Quindi avevo progettato di starmene dentro
accanto
al ventilatore a mangiare gelato e a guardare la tv.
“18 verticale intelletto
sopraffino…cinque lettere”
sbatté le ciglia lunghe dietro i suoi occhiali
da sole mentre con l’indice picchiettava nelle caselle
bianche e nere del suo
cruciverba, come se la soluzione si nascondesse in quei minuscoli
quadretti.
Caroline mi aveva letteralmente trascinato fuori
casa con la scusa che era una giornata stupenda e che aveva voglia di
abbronzarsi. Perciò avevamo tirato fuori dal garage due
vecchie sdraio e
c’eravamo stese in giardino per ottenere, come diceva lei,
un’abbronzatura
perfetta. Da quando Bonnie era partita per trascorrere due settimane di
vacanza
con il padre trascorrevo gran parte del mio tempo con la vampira,
riscoprendo
il piacere di esserle amica, dimenticandoci per un momento chi eravamo
e cosa
ci sarebbe capitato allo scadere dei trenta giorni.
Sbuffai sonoramente alzando gli occhiali da sole e
facendomi aria con una rivista.
“Genio forse?” risposi non prestandole molta
attenzione, osservando il vialetto vuoto che per il momento non era
attraversato da nessuno.
La vampira bionda mordicchiò la penna e, dopo aver
aggrottato più volte le sopraciglia, chiuse la rivista e la
lanciò nel
tavolinetto accanto a lei.
“Elena non puoi mica passare queste vacanze a non
fare assolutamente niente e a roderti il fegato per la storia dei mezzi
vampiri!” mi rimproverò e di tutta risposta gli
indirizzai un’occhiata torva.
Era vero quello che diceva ma non riuscivo a
togliermi dalla mente l’idea che i mezzi vampiri sarebbero
tornati in meno di
un mese! Cosa avremmo fatto a quel punto? Avremmo sfoggiato la nostra
abbronzatura?
Grazie a Colin, i mezzi vampiri ci avevano
generosamente concesso un mese per organizzarci e per prendere una
decisione,
ma più passavano i giorni più continuavamo a
brancolare nel buio non avendo
nessuna possibilità o meglio voglia di organizzarci.
Mi rigirai il telefono tra le mani e sospirai
lievemente facendo aderire di più la mia schiena alla sdraio.
Dopo gli ultimi avvenimenti ero seriamente
preoccupata per Stefan e il suo ritardo nel ritornare mi metteva
angoscia.
Nonostante sapessi che in Alaska non vi erano mezzi vampiri, provavo
una strana
sensazione, quasi come se lontano da qui fosse accaduto qualcosa e io
ne fossi stata
completamente all’oscuro.
Posizionai gli occhiali da sole sul mio naso, ma
non ebbi il tempo di chiudere gli occhi che il suono di un clacson mi
fece
alzare la testa di scatto.
“Oh è arrivata Jenna” esclamò
la bionda al mio
fianco.
Mi alzai, leggermente accaldata per via del forte
sole, e mi avvicinai alla vettura per vedere di cosa avesse bisogno.
“Elena non sai quanto sono eccitata! Non puoi
capire che cosa stavo dimenticando!” Jenna era stata sempre
così: un po’
logorroica e non sempre con la testa sulle spalle, si era fermata
all’età di
venti anni e sembrava che non avesse alcuna voglia di crescere! Era
quel tipo
di persona a cui l’espressione senza
pensieri calzava a pennello! E poi c’era quella sua
parte nascosta che
tentava in tutti i modi di dimostrarsi una figura portante, una colonna
d’appoggio così da aiutare me e Jeremy. Nonostante
tutto quello che avevamo
dovuto passare, Jenna continuava ad essere se stessa, ignara di tutto e
orgogliosa di ciò che era diventata, una zia coi fiocchi
come diceva sempre.
“Hai presente l’orfanotrofio “St.
James” appena
fuori Mystic Falls? La nostra città cerca di dare ogni anno
dei contributi
affinché non lo chiudano. Tuttavia quest’anno
Carol Lockwood si ritiene a corto
di fondi perciò ha organizzato una sfilata di beneficenza
così da poter salvare
quell’orfanotrofio”.
Una Jenna euforica mi mise in mano vari pacchetti,
buste per la spesa mentre lei apriva il cofano della macchina
estraendone
quello che a occhio e croce doveva essere un vestito.
“Che bella trovata! E qual è il tema della
sfilata?”
Caroline si era alzata dalla sedia e con passo
svelto ci stava raggiungendo tenendosi il cappello di paglia con la
mano
destra. Jenna si morse il labbro ormai impaziente di tenersi tutto
dentro
“Matrimonio” esclamò battendo le mani e
saltellando nel suo prendisole color verde mela.
“Da quando ti interessano i matrimoni?” chiesi
aggrottando le sopracciglia.
A quel che ne sapevo Jenna era stata sempre
controcorrente, le piaceva distinguersi dalla massa, ma non credevo che
proprio
lei che vantava la sua indipendenza avesse come sogno quello di
sposarsi.
“Semplicemente l’ultima volta che
c’è stata una
sfilata del genere avevo sette anni e non mi hanno fatto partecipare;
così ho
pensato perché no?”
Sorrisi a me stessa stringendo tra le mani le
buste
“Già perché no”.
Caroline aiutò Jenna a portare la lunga scatola
che conteneva il vestito ed entrarono in casa. Anch’io le
seguii non prima di
aver dato un ultimo sguardo al cellulare posto sul tavolinetto accanto
al
giornale.
Osservai le mie mani entrambe impegnate a tenere
le due buste e rivolsi un’altra occhiata al cellulare.
Qualcosa mi diceva che
dovevo pur prenderlo e portarlo con me in casa e tenerlo stretto in
mano, ma
non lo feci, semplicemente avanzai stringendo le buste e scrollandomi
di dosso
quella strana sensazione.
Una volta in casa io e Caroline ci occupammo di
riporre in frigo e nella dispensa le varie vettovaglie comprate da mia
zia e
una volta che il tavolo fu sgombro dei pacchi della spesa, fui
trascinata di
sopra nella camera di Jenna.
Posizionò il pacchetto sul letto e aperta la
scatola il contenuto mi lasciò senza fiato: era un candido
abito da sposa, con
le spalline finemente arricciate e un corsetto pieghettato in tante e
finissime
onde che si apriva a forma di cuore all’altezza del seno e
ornato con perline
argentate che sembravano scendere a cascata lungo tutto il lato destro
dell’ampia
gonna che mi diede l’idea di un giglio rovesciato.
Rimasi incantata dallo splendore di quell’abito e
alzai di scatto la mano per toccare il soffice tessuto.
“Ma è meraviglioso!” esclamò
Caroline al mio
fianco portandosi entrambe le mani sopra la bocca per soffocare lo
stupore.
“Ce n’erano di migliori nel catalogo, ma era
l’ultimo rimasto” disse facendo oscillare il
vestito tenendolo per l’appendiabito:
così sembrava quasi che il vestito fosse mosso da una sorta
di ballo
immaginario e la luce del sole lo faceva brillare più che
mai. “Devo
provarmelo, mi aiutate?”.
Aiutammo Jenna ad indossare l’abito, ma si
dimostrò essere un’impresa difficile visto che era
adornato con una gran
quantità di strati di veli, ma a operazione completata non
ci rimase altro che
tirare su la cerniera.
Alzai gli occhi per vedere Jenna riflessa nello
specchio e mi aprì in un enorme sorriso.
“Perfetta!”
Jenna rise e cominciò a voltarsi per osservarsi
meglio in ogni angolazione.
“E pensare che alla vostra età odiavo gli abiti da
sposa!”
Scoppiammo a ridere, quando sentimmo bussare alla
porta.
“Che fate tutte rinchiuse in una stanza?”
Jeremy entrò non curandosi di chiedere il permesso
e fissò prima me e poi Caroline sedute sul letto per poi
posare gli occhi su Jenna.
“Jenna mi sono perso qualcosa?” chiese squadrando
la zia dalla testa ai piedi.
“Sta facendo le prove per quando Alaric glielo
chiederà” scherzò la vampira con una
punta di sarcasmo. Jenna la incenerì con
lo sguardo e si affrettò a spiegare a Jeremy la faccenda
della sfilata. Quando
mio fratello uscì ancora con un sorriso tra le labbra, la
stanza fu invasa dal
silenzio rotto solo da un sospiro di Jenna. Teneva gli occhi bassi e
lisciava
le pieghe del vestito.
“Alaric non è ancora pronto per un passo del
genere, non dopo che sua moglie è morta; a dirla tutta
neanche io sarei pronta
al matrimonio! Alaric e io ci vogliamo bene ma questo non implica che
ci debba
essere un lieto fine per noi”.
Mi morsi il labbro inferiore e una strana morsa
avvolse il mio stomaco: le vite di troppe persone erano appese a un
filo e una
di queste era certamente quella di Alaric: come avrebbe reagito Jenna
se gli
fosse capitato qualcosa? Chi eravamo noi per distruggere
l’amore di due
persone? Spinta da questi pensieri la abbracciai e a me si
unì anche Caroline.
Aiutammo Jenna a togliersi quell’abito ingombrante
e a riporlo nella scatola. La lasciai insieme a Caroline che la aiutava
a
scegliere le scarpe adatte per la sfilata che si sarebbe tenuta
l’indomani a
casa Lockwood.
Scesi in giardino per mettere a posto le sdraio e
recuperare il cellulare. Illuminai il display pur sapendo che avrei
trovato
solo l’immagine si sfondo. Con mia grande meraviglia trovai
invece il simbolo
di una chiamata senza risposta. Pensai subito che fosse stato Damon
visto che
avrei dovuto essere alla pensione almeno un’ora prima.
Aprì la cartella e il
mio cuore perse un battito.
Stefan aveva chiamato alle 10:40 di quel giorno.
Tentai di respirare, ma le mie mani erano già
pronte a schiacciare i tasti e comporre il suo numero.
Portai il telefono vicino all’orecchio e aspettai,
pizzicandomi il labbro con le dita. Mi rispose la segreteria telefonica
e il
terrore mi pervase.
Stavo per ricomporre nuovamente il numero, ma
l’idea che Damon potesse sapere qualcosa mi
bloccò. Rientrai in casa e dopo
aver preso le chiavi della macchina mi avviai alla pensione Salvatore.
Appena chiusi lo sportello della macchina, Colin
mi salutò allegramente. Che ci faceva sul tetto?
“Elena sei in ritardo!” mi rimproverò
quasi
lasciandosi cadere e atterrando sui talloni con il minimo sforzo.
“Devo parlare con Damon” dichiarai portandomi i
capelli dietro le orecchie e allungando la mano per aprire la maniglia,
ma la
dovetti ritrarre subito perché già qualcun altro
l’aveva aperta dall’interno.
“Ciao Elena” mi salutò Alaric
aggrottando la
fronte nel vedermi palesemente preoccupata. Dimenticai per un istante
la
faccenda di Stefan per chiedergli il perché fosse alla
pensione.
“Stavo andando da Jenna quando mi ha telefonato e
mi ha detto che non dovevo venire per nessun motivo, mi ha minacciato
di
bruciare la mia collezione di libri di storia antica!” mi
spiegò ridendo a
quell’ultimo pensiero.
Capii il perché e non potendo dire niente mi
limitai solo a sorridere con uno sguardo apparentemente innocente.
“Va bene, ma tanto riuscirò a scoprire che cosa
state tramando” e dicendo questo uscì lasciandomi
l’ingresso libero.
Presi un bel respiro e mi fiondai in salotto dove
purtroppo non c’era nessuna traccia di Damon. Salii le scale
sicura che fosse
in camera sua ma non c’era neanche lì. Mi sporsi
dalle scale.
“Colin sai dov’è Damon?”
chiesi a gran voce
sperando che il mezzo vampiro potesse sentirmi o almeno che io potessi
sentire
lui.
Rimasi in ascolto con i capelli che scivolavano
lungo il mio viso per penzolarmi davanti agli occhi. Sbuffai ma non
appena mi
ritrassi mi scontrai con qualcosa di duro e forte: il torace di Damon.
“Richiedevi la mia presenza forse?” mi chiese
sovrastandomi per poi darmi un bacio sulla guancia. Sbattei
violentemente le
palpebre di fronte quel gesto seppur consueto che mi fece dimenticare
tutta la
preoccupazione.
Dalla festa in piscina il nostro rapporto si era
consolidato come non mai. Chissà come, ma il nostro rapporto
mi ricordava un
po’ quello che avevamo Matt ed io quando stavamo insieme:
potevamo benissimo
andare al Grill, girovagare per Mystic Falls, scherzare, litigare su
quale sia
il gusto di gelato migliore o per chi deve stare davanti al
ventilatore. Erano
piccoli ma vitali momenti che chissà come riuscivo ad avere
solo con Damon.
C’era solo un insignificante dettaglio di cui solo
io ne ero a conoscenza: mi aveva baciato.
Nonostante fossi nel dormiveglia ero più che certa
che lui mi avesse baciato, ma questo mio dubbio non fu mai sciolto
visto che il
giorno dopo Damon si era comportato come se nulla fosse successo.
Un leggero rossore comparì sul mio volto a quel
pensiero perciò scossi la testa e mi concentrai sul pensiero
che mi aveva
spinto lì.
“Damon, mi ha telefonato Stefan! Non avevo il
cellulare quando mi ha chiamata, ho trovato l’avviso. Ho
cercato di
richiamarlo, ma ha il telefono spento” dissi tutto
d’un fiato aggrappandomi
alla polo blu dell’ex vampiro. Damon alzò gli
occhi al cielo e lasciò le labbra
semiaperte aggrottando le sopracciglia.
“Una giusta mai, vero Stefan?” borbottò
e si
staccò da me.
“Ha chiamato pure me, proprio cinque minuti fa”
disse scendendo le scale e avviandosi verso il salone. Lo seguii a
ruota.
“E che ha detto?” chiesi con la speranza che
avesse parlato almeno con il fratello.
Si bloccò e chiuse la mano a pugno lasciando fuori
solo il pollice e il mignolo quasi a configurare un telefono
immaginario. Lo
portò all’orecchio.
“Segreteria di Stefan - Bambi - Salvatore.
Attualmente non posso rispondere –sono impegnato dissanguare
un coniglio-
richiamate più tardi o lasciate un messaggio dopo il
bip.”
Mi portai una mano in fronte e alzai gli occhi al
soffitto.
Di tutta risposta Damon rise e aggiunse che anche
lui aveva provato a chiamarlo ma non aveva risposto. Mi sedetti sulla
poltrona
affondando le mani tra i capelli.
“Ci sono alci in Alaska?” proruppe Damon
voltandosi ancora con le braccia strette al petto.
“Cosa ne posso sapere se ci sono alci?” sbraitai
non trovando utilità a quella domanda.
“Beh gli animali parlano, le voci corrono…e chi ti
dice che le alci non si siano coalizzate per ucciderlo? Dopotutto io lo
avevo
avvertito!” Sbottò in un’altra risata
che lo fece piegare in due.
“Non trovo niente di divertente!” lo fulminai con
lo sguardo e lui soffocò a fatica
l’ilarità.
“Vedrai domani ritelefonerà, sai
com’è Stefan”.
Sospirai: in fondo poteva anche non essere
successo niente e quella telefonata era stata fatta solo per avvisarci
che
presto sarebbe tornato.
All’improvviso mi ricordai cosa ci sarebbe stato
l’indomani.
“Oh no, il matrimonio!” mi lamentai e Damon
tornò
a fissarmi con aria sbigottita.
“Mi querida, non ti ho ancora fatto la proposta,
non ti sembra presto per parlare di matrimonio?”
scherzò e gli tirai un cuscino
che egli prese al volo.
“E allora chi si sposa?” continuò a
chiedermi.
Sbuffai ma gli regalai ugualmente un sorriso. Gli
spiegai la storia della sfilata e che non avrei potuto tenere tutto il
giorno
il cellulare in mano, quello sarebbe stato il giorno di Jenna e non
potevo in
alcun modo rovinarglielo.
“Nessun problema, vengo anch’io” disse
Damon
scrollando le spalle come se quella fosse la soluzione più
ovvia in assoluto.
“Veniamo
anche noi” lo corresse Colin che era spuntato da una delle
finestre della
pensione. Mi inumidì le labbra ragionando se quella fosse o
meno una buona
idea. Alla fine li diedi libera scelta.
Squillò il cellulare che avevo posato sul
tavolinetto vicino alla bottiglia di whisky che Damon si stava versando
in un bicchiere.
Il suono mi provocò un certo tremore al cuore e mi alzai di
scatto sperando di
afferrarlo in tempo, ma con mio stupore Damon lo prese prima di me.
“Damon dammi il cellulare!” lo supplicai tentando
di sporgermi oltre la sua spalla. “Buongiorno signorino
Gilbert, che lieto
sentirti” proruppe Damon sghignazzando e bloccandomi un polso
per non farmi
avere il cellulare. Appena capì che colui che era
all’altro capo del telefono
era Jeremy provai un certo sollievo visto che non era Stefan e quindi
non sapeva
che ero con Damon e contemporaneamente l’ansia aumentava per
il semplice fatto
che Stefan non si era ancora fatto sentire.
Lo spintonai e lui salì le scale continuando a
parlare con mio fratello.
“Elena? Per adesso è molto occupata ad acchiappare
mosche, mi dispiace”
“Damon Salvatore!” urlai quando mi chiuse la porta
della sua camera in faccia.
Sbuffai incrociando le braccia al petto. Si aprì
la porta e Damon mi passò il telefono senza fare storie.
Persi un battito quando l’idea di qualcosa di
brutto mi trapassò la testa.
“Pronto Jeremy”
“Elena, smettila di giocare e raggiungici al
pronto soccorso”
“Pronto soccorso? E’ successo qualcosa?”
“Jenna è caduta, niente di grave ma ha la caviglia
gonfia e per un paio di giorni deve stare a riposo”
“oh-” impallidì e dovetti cercare
sostegno nel
braccio di Damon.
“Va bene, vengo subito” dissi con voce strozzata e
chiusi la chiamata.
“Scusa” mormorò Damon mettendosi le mani
in tasca
e abbassando il viso.
Mi morsi un labbro e lo abbracciai.
In quella stretta c’era tutto il conforto di cui
avevo bisogno, lui era la mia roccia a cui mi sarei potuta aggrappare
ogni
volta che stavo scivolando, lui era una parte di me che difficilmente
sarei
riuscita a tirare fuori.
Ci dondolammo per un po’ davanti alla sua stanza
finché non mi staccai da lui.
“Se vuoi puoi accompagnarmi” sussurrai con gli
occhi un po’ lucidi. Mi guardò esitante.
“Jenna sarà contentissima di vedermi”
disse con il suo solito tono e scoppiai a ridere. Non potevamo
permetterci di
essere tristi in quegli ultimi giorni prima dello scadere della tregua.
Il conto alla rovescia era già iniziato e
purtroppo ben presto ci saremmo ritrovati a compiere delle scelte che
avrebbero
cambiato il corso della nostra vita.
Damon intrecciò le sue dita calde alle mie e potei
sentire tutta la sua umanità espandersi dai pori della pelle.
Probabilmente quel tepore che sentivo era la
quiete prima della vera tempesta.
Carissimi, eccomi ritornata e
nonostante un mese di ritardo come promesso vi posto il nuovo
capitolo!Dove eravamo arrivati? Damon bacia finalmente Elena dopo che
lei è uscita dall'ospedale a causa dell'aggressione del
vampiro. Qualcuno mi ha detto che visto che mancavo un mese e i mezzi
vampiri avevano concesso ai nostri eroi un mese molto probabilmente
avrei iniziato direttamente con la battaglia, ma perchè non
tormentarvi ancora con le loro piccole vicende quotidiane u.u Questa
volta gli abitanti di Mystic Falls sono impegnati in una sfilata di
abiti da sposa ma come farà la povera zia Jenna con la
caviglia gonfia? Purtroppo il tanto atteso bacio Delena è
stato una sorta di fake visto che Elena si ricorda tutto ma non ha il
coraggio di parlarne chiaramente a Damon e l'ex vampiro crede che lei
dormisse perciò non si pone neanche il problema.
Però il loro rapporto è ulteriormente migliorato
e Damon sembra ormai essersi abituato alla sua vita da umano. Ma ecco
che emerge il problema Stefan!Era da tanto che non dava segni di vita,
cosa vorrà adesso con queste telefonate-fantasma? Questa
parte della storia come vedete dal cambiamento di cover
durerà pochissimo giusto il tempo di risolvere la questione
Stefan. Per chi volesse sapere di più riguardo il
vampiro-amico-degli-animali può leggere I
LOOK LIKE BATMAN OR WHAT? dove si spiega il retroscena del
suo viaggio. Per chi invece amasse Caroline e vorrebbe leggere qualcosa
di originale su di lei consiglio Unspoken
Crime. Grazie mille per aver letto e per tutti coloro che
hanno recensito!Spero di aggiornare presto, un bacio.
Sil
|
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Capitolo 21 *** 19 - WET BRIDE, LUCKY BRIDE ***
19
– WET BRIDE, LUCKY BRIDE
Caro
diario,
In
questo ultimo periodo sono successe delle cose di cui non ne sono
abbastanza
fiera. Il mondo ha cominciato a girare al contrario da quando Damon
è diventato
umano. Dentro di me ho tanti di quei pensieri, ma la penna non ne vuole
sapere
di scrivere e l’inchiostro di macchiare le pagine bianche,
perché in fondo è
così che mi sento.
Prima
l’unica cosa di cui ero certa era di amare Stefan, con tutta
me stessa.
Ora
non ne sono più così sicura.
C’è
una parte di me che continua ad amarlo e che lo amerà per
sempre, ma l’altra…
sembra essere morta, inesistente, priva di qualsiasi soffio vitale.
E’ la
parte di me che è crollata quando Damon ha rischiato di
morire, che è stata
annientata ogniqualvolta il respiro di Damon si faceva un po’
troppo vicino,
che è stata salvata quando Damon mi ha abbracciata: quella
parte di me è Damon.
Io sono Damon. E
proprio il Damon che è stato una volta vampiro, che ha
maltrattato Caroline, che ha ucciso Jeremy, che ha odiato Stefan, che
ha amato
Katherine, mi ha baciato.
E io
ne ero felice.
Se la
vita ti riserva due o tre svolte sbagliate è
perché hai bisogno di percorrere
una strada sbagliata per giungere a destinazione. Se la mia strada
sbagliata è
Damon,fin dove mi porterà?
Qualcuno
bussò alla porta e feci cadere
distrattamente la penna sopra il diario posto in bilico sul mio
ginocchio. La
maniglia si abbassò e dalla fessura fecero capolino i
capelli perfettamente in
ordine di mio fratello. Sospirai lievemente e chiusi il diario non
potendo più
continuare a scrivervi.
“Ti stiamo aspettando di sotto, devo solo prendere
il vestito” spiegò Jeremy allettato quanto me
all’idea di andare alla sfilata,
torturandosi il cravattino e cercando di sbottonarsi un po’
la camicia per
lasciare passare un po’ di quell’aria che quel
giorno sembrava essere stata
soppiantata dall’afa.
Prese il vestito intrappolato in un fodero color
blu notte, che avevo accuratamente poggiato la sera prima sopra la
cassapanca,
e si richiuse la porta alle spalle non prima di avermi regalato un
fugace e
forse alquanto divertito sorriso.
Con un altro sonoro sbuffo rivolsi la testa
all’indietro e ricaddi sul morbido materasso osservando il
lampadario che
pendeva dal soffitto.
I medici del pronto soccorso ci avevano
rassicurato informandoci che Jenna aveva avuto solo una leggera
slogatura, ma
che in vista dell’occasione non poteva parteciparvi e doveva
stare a riposo per
almeno una settimana con tanto di piede fasciato e borse del ghiaccio
per
evitare gonfiori.
Ricordo ancora quando, arrivata in ospedale
insieme a Damon, incontrai gli occhi lucidi di Jenna che sul viso
portava fiera
un’aria leggermente imbronciata. Non era preoccupata per
ciò che si era fatta
né si lamentava per il dolore al piede, ma le sue pene si
focalizzavano tutte
nella ricerca di una sua sostituta.
All’inizio per rassicurarla avevo proposto
Caroline la quale le avrebbe fatto senz’altro piacere
parteciparvi, ma la
piccola delucidazione di mia zia riguardo a chi poteva sostituire gli
iscritti
ovvero gli appartenenti alla stessa famiglia mi provocò un
leggero sudore
freddo per tutta la schiena.
Non
sarebbe stato un bel vedere Jeremy vestito da sposa!
Mi
vestii velocemente indossando i soliti
pantaloncini e la canotta bianca, lasciando a mio malgrado i capelli
sciolti.
Scesi le scale dove con mia sorpresa trovai Jenna
vestita di tutto punto che mi circondò in un caldo abbraccio.
“Jenna, i dottori avevano detto che dovevi stare a
riposo!” la ammonì fingendomi arrabbiata, ma il
suo buon umore mi fece perdere
qualsiasi voglia di rimproverarla.
Indossava un meraviglioso tubino grigio perla e i
capelli cascavano in finissimi riccioli lungo la guancia destra.
Indossava in
un piede un sandalo basso con un accenno di tacco mentre
nell’altro con tutto
il suo candore faceva bella mostra la fasciatura che aveva voluto
decorare con
degli strass.
“Al diavolo i dottori, sarai stupenda in quel
vestito e io non mi perderò neanche un istante!”
cinguettò allegramente e venne
affiancata dalla figura imponente di Alaric.
Sorrisi e invitai gli altri ad uscire così da
arrivare in tempo per la sfilata. Presi la borsa e controllai il
cellulare con
una vana speranza di poter trovare una chiamata persa di Stefan.
Chiusi la porta con un tonfo sordo e mi avviai
verso la macchina.
Non c’era alcuna chiamata di Stefan, in compenso
trovai un messaggio di Damon.
Il viaggio in
macchina fu rinvigorente visto che
la frescura dell’aria condizionata mi rilassava e ammorbidiva
ogni centimetro
della mia pelle. Ma non appena arrivati alla villa, sarà
stato il caldo
infernale o la moltitudine di persone con abiti firmati che tappezzava
l’intero
atrio del giardino, le ginocchia cominciarono a tremare.
Trovai Tyler all’ingresso che parlava con Matt ed
entrambi mi salutarono con un accenno del capo e poco più
avanti Bonnie
volteggiò fino a me nel suo abito color ambra. Solo allora
mi sentii più
tranquilla. Abbracciai la mia cara amica che non vedevo da
un’intera settimana e
dopo aver chiacchierato si offrì di accompagnarmi fino alle
stanze riservate
per le modelle visto che una rampa di scale impediva la mia adorata zia
di
seguirmi.
“Damon mi ha informato che avete ricevuto notizie
di Stefan” mi sussurrò mentre arricciava una
ciocca dei miei capelli imprigionandola
in un fermaglio a forma di fiore.
La mia immagine riflessa nello specchio corrucciò
appena la fronte imperlata di sudore.
“Damon è già qui?” chiesi
scostando di poco il
capo, ma le mani di Bonnie mi riportarono con lo sguardo fisso davanti
allo specchio.
“Sta ferma! Si è arrivato pochi minuti prima che
arrivassi tu, mi ha detto che stamattina ha trovato un’altra
chiamata persa, ma
risponde sempre la segreteria”
Concentrai la mia attenzione sulle mani poste in
grembo e cominciai a torturarmi il labbro inferiore estraniandomi da
tutto il
resto. Avevamo poco tempo e troppe cose da risolvere, troppi conti in
sospeso
da dover sistemare e per di più ciò che si stava
venendo a creare tra me e Damon
continuava a martellarmi in testa, facendomi perdere ogni
lucidità mentale.
Quando mi decisi ad alzare lo sguardo sulla mia
immagine riflessa provai un senso di ripugnanza misto a terrore. Per la
prima
volta notai quanto fossimo somiglianti Katherine ed io e non era solo
per
qualche ricciolo che fasciava la mia fronte: entrambe sapevamo cosa
volevamo e
tuttavia non eravamo disposte a prenderlo del tutto.
“Va tutto bene?” mi chiese preoccupata la mia
amica.
Incrociai il suo sguardo e inscenai un sorriso
tentando di rassicurare più me che lei del mio cambiamento
d’umore.
Fu facile
entrare nel vestito e nonostante fosse
ingombrante con tripli strati di veli la zip si chiuse perfettamente
all’altezza della decima vertebra.
Il corsetto mi impediva di respirare correttamente
e il vestito seppur magnifico perdeva ogni sorta di bellezza al
pensiero che
forse non sarei vissuta al lungo per indossarlo nuovamente.
Sentii del chiacchiericcio fuori la porta della
stanza in cui mi stavo preparando e una ragazza con uno strano accento
mi
informò che tra un po’ avremmo iniziato.
Presi un lembo del candido vestito nella mano
destra e mi avviai insieme alle altre ragazze nel posto prestabilito.
Osservai le altre modelle e tra esse potei
distinguere Savannah Moore, diplomatasi con il massimo dei voti, nel
suo abito
bianco con tanti pizzi e merletti e Jessica Price una ragazza che
faceva parte
come me delle cheerleader, che lisciava i guanti ricamati.
Aspettavamo tutte nella veranda posta nel retro
della villa a pochi metri della piscina. Dalle fitte canne di
bambù,
intrecciate così da creare una sorta di sipario tra noi e il
pubblico, notai la
lunga passerella delimitata da piccole ghirlande di rose bianche sopra
la quale
avremmo dovuto sfilare. Focalizzai lo sguardo sul pubblico e cercai di
distinguere qualcuno dei miei amici nella speranza di ricevere buone
notizie
prima dell’evento.
Carol Lockwood insieme ad un’anziana signora salì
sulla passerella ed ebbi l’impeto di fuggire.
Fortunatamente non lo feci e la sfilata iniziò.
Le ragazze passavano sopra la passerella con
grazia e disinvoltura mentre io mi torturavo le mani tenendo lo sguardo
fisso
sulla porta d’entrata che comunicava con il giardino.
“Sembri agitata” si avvicinò a me la
minuta figura
di Savannah: aveva dei lunghi capelli corvini raccolti in uno chignon
da cui
traboccavano due boccoli che profumavano di lavanda.
“Vedrai il peggio è passato, devi solo
concentrarti e provare a non cadere” decretò
ammiccando con i suoi splendidi
occhi color cioccolato in contrasto con il candore della pelle.
Sorrisi e le lasciai credere che fossi davvero
preoccupata per la sfilata. Sembrava essere uscita da uno di quei
romanzi
ottocenteschi, come Orgoglio e Pregiudizio, così semplice
nel suo vestito di
lino ricamato di buone maniere e di fiori di campo.
Sobbalzai appena sentii il mio nome amplificato
dal microfono impugnato dalla mano del sindaco e con mio enorme sforzo
posi i
piedi uno avanti all’altro mentre la ragazza che rientrava mi
mise tra le mani
il mazzolino di fiori ormai avvizzito e sciupato dai lati.
Il sole caldo di mezzogiorno mi abbagliò e per un
attimo mi bloccai prima di continuare il mio tragitto lungo
quell’asse. Le
perline sparse per tutto il corsetto e gli strass che scendevano come
finissime
gocce sul lato destro del vestito si illuminarono e così i
fermagli tra i
capelli.
Le persone erano stipate su ambo i lati della
passerella e osservavano compiaciuti i vestiti e le ragazze che le
indossavano,
applaudendo. Piegai le labbra in un sorriso di scena mentre cercavo di
scorgere
qualche chioma bionda o degli ispidi capelli rossicci.
Strinsi di più il mazzolino nelle mani e giunsi
alla fine della passerella sotto gli sguardi degli abitanti di Mystic
Falls.
Feci una giravolta facendo oscillare i capelli e
trovando un po’ di sollievo per il forte caldo.
E poi li vidi, i due occhi azzurri che avevo
cercato per tutto il giorno.
Damon non era seduto come le altre persone, stava
ritto con le mani in tasca, impeccabile nel suo smoking con la camicia
bianca
lievemente sbottonata, poco più indietro
dell’ultima fila di persone.
Accennò appena un sorriso di sbieco e sentii il
corsetto essere diventato troppo stretto per il mio cuore pulsante.
Le mie sciocche paure vennero spazzate via come
una folata di vento e tentai di assaporare il più possibile
l’odore dei fiori e
la genuinità di quel sorriso.
Era bello dimenticarsi di me stessa anche solo per
un secondo, era bello incastrarmi tra i suoi occhi e riscoprire il
piacere di
sentire il sangue affluire alle guance, era bello sapere che lui era
lì per me
ed io ero lì per lui.
Mi voltai interrompendo l’intreccio di sguardi e
mi avviai nuovamente verso la veranda ponendo il mazzolino nelle mani
di un’altra
ragazza.
Savannah aveva ragione, il peggio era passato.
Conclusasi la
sfilata e fatti i dovuti
ringraziamenti, la passerella divenne un comodo ripiano per il
rinfresco che si
sarebbe tenuto presto. Le modelle avrebbero dovuto tenere i vestiti
fino alla
fine dell’evento perciò non potei cambiarmi.
Trovai Jeremy e Bonnie che discutevano non lontani
dalla piscina, così mi avvicinai ai due per sapere se
c’erano stati
aggiornamenti.
“Purtroppo ne sappiamo tanto quanto te”
sbuffò mio
fratello rigirandosi tra le mani il cravattino che finalmente aveva
tolto.
L’espressione di Bonnie sembrava voler dire di non
preoccuparmi troppo così seguii il suo consiglio implicito.
Sapevo che se avessi voluto delle risposte le
avrei trovate direttamente dalla fonte e cioè Damon. Il grosso stava nel trovare anche la fonte!
Un lampo di genio mi convinse che l’unico posto in
cui sarei stata sicura di incontrarlo era il bancone del rinfresco.
Così alzai il vestito già macchiato leggermente
di
verde per via del prato e mi diressi a grandi falcate verso la mia meta.
“Chissà se è vero il detto sposa bagnata sposa fortunata?”
una voce alle mie spalle mi fece
voltare di scatto.
Se c’era una cosa in cui ero diventata
estremamente brava era nel trovare Damon, dovunque fosse e qualunque
cosa
stesse facendo.
“Non lo so e non ci tengo a verificarlo” ribadii
schietta
mentre riempiva due bicchieri di uno strano liquido rosato.
Mi porse uno dei due bicchieri e io accettai senza
fare storie.
“Ha telefonato?” chiesi ma la voce mi
tremò appena
a causa un po’ per mia agitazione un po’ per
l’alcol che bruciava lungo tutto
l’esofago.
Damon abbassò lo sguardo come a contare i
sassolini presenti sotto le sue scarpe e poi incrociò
nuovamente il mio sguardo.
“Sono dell’idea che il tuo ragazzo ci stia facendo
uno scherzo” decretò e non potei notare la sottile
amarezza con cui pronunciò
quelle parole.
Schioccai vivacemente la lingua incredula a ciò
che insinuava.
“Ti ricordo che Stefan mi ha lasciato qui da sola,
e per di più con te, per circa due mesi con il solo intento
di trovare delle
informazioni e una cura per te quando invece poteva starsene benissimo
a Mystic
Falls e lasciare che tu te la sbrigassi da solo come
meriteresti!”
Gli ridiedi il bicchiere e per poco il liquido al
suo interno non imbrattò la giacca nera.
Sentivo la rabbia pervadere ogni centimetro cubo
del mio essere eppure la sua vicinanza e il suo buon odore mi faceva
comunque
un certo effetto.
Cercò di trattenermi per un braccio, ma lo
strattonai.
“Se fosse successo il contrario tu non avresti
fatto tutto questo per lui” mi liberai completamente dalla
sua stretta e dopo
un’ultima stilettata mi voltai decisa ad allontanarmi da lui.
La voce di Carol Lockwood al mio fianco tuttavia
bloccò i miei piani.
“Ringrazio l’intera città per aver
contribuito a
questa iniziativa che da tanti anni ci stava a cuore. Propongo un ballo
prima
di chiudere questa giornata”
Non ebbi il tempo di riformulare ciò che aveva
detto che una leggera sinfonia si fece largo accompagnata al suono
delle cicale
proveniente dal vicino bosco.
“Elena tesoro, vedo che sei senza accompagnatore.
Se vuoi vado a chiamare Tyler” il sindaco venne prontamente
interrotto da Damon
che mi tese il braccio dimentico del litigio precedente.
“Non si preoccupi Carol, mi offro io” disse e il
suo sorriso sardonico suscitò in me più rabbia
della precedente.
La donna vedendo che la situazione era risolta si
allontanò ancheggiando nei suoi tacchi a spillo.
“Se fosse successo il contrario a quest’ora tu non
saresti mia amica” disse mentre posava la sua mano attorno la
mia vita. Il suo
tono di voce pacato era in contrasto con l’irruenza dei
movimenti, così veloci
nonostante non fosse più un vampiro.
“Io ero già tua amica!” rimarcai
l’aggettivo
possessivo mentre senza accorgermi avevamo cominciato a volteggiare nel
bel
mezzo del giardino.
“Ma non fino al punto da chiedermi se la gonna blu
si abbinasse agli orecchini!” ridacchiò e la sua
risata mi contagiò.
“Bonnie e Caroline non erano rintracciabili e tu
stavi comodamente seduto nella mia stanza. A chi altro potevo
chiedere!” spiegai
con un lieve senso di imbarazzo.
“Dopotutto sono il fratello
del tuo ragazzo, sono uno di famiglia!” scherzò
ammaliandomi con i suoi fari
azzurri.
“Il fratello che mi ha
baciata” sussurrai e il cuore mi si serrò in gola.
Boccheggiò per qualche secondo
prima di guardarmi con aria divertita.
“Sbaglio o stavi dormendo?”
sussurrò a sua volta e mi compresse maggiormente al suo
torace marmoreo. Ormai
ci limitavamo a dondolare ancora abbracciati mentre le altre coppie
continuavano a ballare sotto il sole rossastro del tramonto.
“Questo non ti dava alcun
diritto di baciarmi, non ero in pieno delle mie facoltà
mentali”
Per la prima volta sentii i
nostri due cuori uniti battere all’unisono ed ebbi come
l’impressione che io
stessa avessi due cuori ed entrambi pulsavano frenetici.
Si chinò lentamente fino a
solleticare la mia fronte con i suoi capelli neri e in un attimo la
sfilata,
l’orchestra, la musica, il ballo svanirono come un sogno
evanescente.
Il contatto con le labbra
morbide di Damon mi procurò un brivido gelido che pervase il
mio essere e mi
rinvigorì come una ventata d’aria fresca.
Nonostante la mia mente in
quel momento fosse persa e chiusa chissà dove, riuscii a
capire la verità a cui
purtroppo non volevo credere. Non era Damon colui che mi stava baciando
ma il
contrario, ero io che baciavo Damon, con tutta me stessa.
Mi scostai spaventata e il suo
sguardo imperturbabile mi ferì gravemente tanto da farmi
sentire colpevole per
quel mio gesto così avventato.
“Adesso che eri al pieno delle
tue facoltà mentali, dimmi: perché non ti sei
scostata?”
Raggelai fin dentro le ossa.
Quando la
festa fu finita
ritornammo tutti a casa e per mia fortuna riuscii a togliermi il
vestito prima
di entrare in macchina.
Appena arrivata, l’acqua
fresca della doccia riuscii ad ammorbidire i miei nervi andati a pezzi
e mi
concessi anche di cenare prima di impugnare il cellulare.
Il display si illuminò, ma non
vi era alcuna traccia di qualche chiamata.
In un moto d’ira scaraventai
il cellulare sul tappeto e affondai la testa nel cuscino per placare la
mia
irritazione e attendendo che la stanchezza sopraggiungesse.
Il suono di una chiamata in
arrivo rimbombò per tutte le pareti così da
risvegliare anche i miei pensieri.
Scostai i capelli che mi
ricadevano davanti agli occhi e con il cuore in gola mi sporsi dal
letto per
vedere il cellulare che vibrava e che si illuminava sul tappeto.
Al nome del chiamante persi un
battito.
Stefan.
Con mano tremante lo afferrai
e dopo aver schiacciato il pulsante verde lo portai
all’orecchio decisa ad
avere notizie del mio ragazzo.
“Stefan?” la mia voce uscì
flebile mentre cercavo di calmare ogni mio singolo membro dal tremore.
Un silenzio prolungato mi
indusse a provare più paura di quanto pensassi.
Poi una voce con uno strano
accento, forse inglese, rispose all’altro capo del telefono.
“All’alba del giorno la
Triade morrà”
“Chi è lei?” chiesi scandendo
le parole ma l’aria rimaneva bloccata all’altezza
della trachea.
“Sul far della notte cenere
diventerà”
Sentii un grugnito provenire
dal luogo in cui era il mio interlocutore misto a schiamazzi e rumori
di
piatti.
“Dov’è Stefan?” tentai di
richiedere, ma mi pungevano gli angoli degli occhi.
“Abbiamo il tuo amico e non ci spaventeremo di
torturarlo”
Un proiettile in pieno petto avrebbe fatto meno
male.
In mezzo a tutto quel frastuono ebbi come
l’impressione che qualcuno pronunciasse il mio nome.
“Elena”
Dopo, il suono ripetitivo della chiusura della
chiamata riempii il silenzio della mia camera e dei miei pensieri.
***
Ebbene
eccomi ritornata con il capitolo della sfilata (che tutti attendavate?)
Ci
tengo a dirvi che io non me ne intendo molto di matrimoni e il solo
descrivere
abiti da sposa, bouquet e tutto il resto mi ha fatto venire i brividi.
Ma
dovevo pur farlo e spero che ne sia uscito qualcosa di carino! Ad ogni
modo per
chi volesse vedere il vestito di Elena è questo qui http://www.abitidasposaitalia.it/abiti-da-sposa/divina-sposa/divina-sposa.html
(il settimo partendo da sinistra) Ma facendo il punto della situazione:
Elena
si trova sempre più attratta da Damon ma sembra essere lui a
non voler stare al
suo gioco, sarà forse perché pensa che Elena stia
facendo così perché non c’è
Stefan? Finalmente siamo riusciti a sentire il misterioso anonimo che
si
spaccia per Stefan, e devo dirvi che il minore dei Salvatore si trova
in
apparente pericolo, ma la filastrocca pronunciata dall’uomo
misterioso non fa
presagire niente di buono. Vi anticipo che nel prossimo capitolo
ritornerà il
piccolo Colin e che sarà l’ultimo di questa terza
parte della fic!
Ringrazio
immensamente coloro che seguono questa storia e chi lascia
ogni volta commenti stupendi!
Baci
Sil
|
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Capitolo 22 *** 20-GOOD MORNING, ELENA! ***
20
– GOOD MORNING ELENA!
“Alza
il culo da quel letto e esci da questa stanza!”
Roteai gli occhi, stizzita dal tono di voce che
aveva assunto Damon e schiacciai il cuscino bianco contro il viso
ancora
assonnato, artigliandolo con le unghie e provando a farlo aderire il
più
possibile al profilo del mio naso – chissà forse
potevo pure soffocare!
“Non attacca con me ragazzina!” mi
canzonò l’ex
vampiro il quale con estrema naturalezza mi strappò il
cuscino dalle mani
facendomi corrugare la fronte per l’eccessiva luce che
proveniva dalla finestra
sprovvista di tende.
Grugnii e con un veloce movimento di bacino
molleggiai sul morbido materasso dando definitivamente le spalle al
ragazzo
dagli occhi azzurri che in quel preciso istante inarcava un
sopracciglio con un
inconfondibile cipiglio.
“Mi chiami nel cuore della notte, entro dalla porta
sul retro come un ladro, vengo preso a bastonate da Jenna, passi tutta
la notte
a piangere inzuppandomi la camicia e tu ora ti rifiuti di alzarti e di
reagire?”
Sbuffai, stanca sia per la notte insonne sia per i
rimproveri di Damon e mi rifugiai sotto il lenzuolo sperando che almeno
quel
sottile strato di stoffa mi potesse proteggere dalla realtà
che mi circondava.
La situazione in sole ventiquattro ore era
degenerata a tal punto da farmi credere che avevamo più
nemici di quanto
potessimo mai pensare.
Stefan si trovava in Alaska, prigioniero di questo
nuovo gruppo di vampiri che per qualche strano motivo pensavano che era
un
esponente della Triade, e noi ci trovavamo ancora a Mystic Falls,
incapaci di agire
e di trovare la forza nel mettere a repentaglio le vite dei nostri
amici più
cari. O forse quella ero solo io.
Cercai di concentrarmi per individuare qualche
possibile rumore esterno che verificasse la presenza di Damon ancora
nella mia
stanza, ma riuscivo a sentire solo il suono del mio respiro che pian
piano si
faceva sempre più pesante a causa della mancanza di aria
sotto le coperte.
Tirai un lembo del lenzuolo così da inspirare
nuova aria, contenta di essermi liberata dell’unica seccatura
che poteva
guastare il mio sabato mattina – perché era sabato
vero?
Schiusi gli occhi e ciò che mi ritrovai davanti
furono due pezzi di oceano incastonati nel volto perfetto e sogghignate
di
Damon a soli due centimetri dal mio viso.
Il mio cuore prese il largo, pulsandomi in testa
come un tamburo mentre le orecchie rischiavano di esplodermi per la
forte
pressione a cui erano costrette ad essere soggette.
Non che quella fosse la prima volta che me lo
ritrovavo a pochi millimetri dalla mia bocca, ma ogni volta riusciva
tassativamente a mandarmi in circolo l’adrenalina facendo
esplodere il mio
piccolo martellante cuore.
Avevo trascorso l’intera notte a contatto con il
suo torace marmoreo a pochi centimetri da quello che da pochi mesi era
ritornato ad essere il suo cuore, vivo e pulsante; mi aveva accarezzato
dolcemente i capelli scostandomi quelle ciocche che intralciavano il
percorso
di ogni lacrima che continuavano ad addensarsi senza fine e mi aveva
parlato e
rimproverato allo stesso tempo finché stremata mi ero
lasciata cullare dal
suono della sua voce sperando che Stefan tornasse presto a confortarmi
così come
faceva Damon in quel momento.
Di quella sera ricordo un forte odore di Scotch
misto a qualche altra fragranza che mi stordì a tal punto da
perdere i sensi.
Eppure quel senso di vertigine non mi avrebbe
abbandonato così facilmente, non con Damon sempre accanto.
“Ti sei decisa finalmente!” sogghignò
Damon
appoggiando distrattamente un braccio sul comodino e giocherellando con
le
lancette della sveglia.
Mi arresi e guardai distrattamente il lampadario
attaccato al soffitto, aspettando che le parole di Damon mi giungessero
come
coltellate in pieno petto.
Socchiusi gli occhi che bruciavano per via del
pianto prolungato e col dorso della mano mi ripulii le guance dai
residui di
lacrime.
Sorpresa dalla pausa prolungata dell’ex vampiro mi
concessi di voltarmi nella sua direzione. Il sorriso divertito era
sparito e al
suo posto un’espressione infinitamente seria si stava facendo
largo attraverso
i suoi occhi.
“So che Stefan non c’è e ti prometto che
gli
andremo a salvare il culo – dopotutto glielo devo –
ma se lui fosse qui ti
direbbe di svegliarti e di cercare di reagire alla svelta”
Sputò quelle parole con una crudeltà da farmi
gelare il sangue nelle vene e gli occhi cominciarono a pungere
violentemente.
Aprii bocca ma non mi diede neanche il tempo di
parlare.
“Per tua informazione non sono e non sarò mai come
Stefan, ma odio ammetterlo sono d’accordo su questo
punto…”
Si bloccò a metà frase mentre mi scrutava
così a
fondo che ebbi l’istinto di far leva sui gomiti
così da sedermi sul materasso.
Scostai il lenzuolo ma non ebbi il tempo di poggiare il piede nudo sul
pavimento.
“…ma lo farò ugualmente a modo
mio!”
Una strana luce accese gli occhi azzurri di Damon
e mi ritrovai tra le sue braccia prima ancora di ricominciare a
respirare. Con
abile mossa mi aveva presa per le gambe e mi cingeva per le spalle
così che
avrei rischiato quasi di cadere se non mi fossi aggrappata al suo collo.
“Damon cosa diavolo vuoi fare? No! Mettimi giù
all’istante!”
Mi ribaltò come se fossi un semplice manichino e
mi lasciò in bilico nella sua spalla così da non
riuscire a vedere la sua
faccia sicuramente divertita mentre, irritata da questo suo
comportamento,
scalciavo tentando in tutti i modi di obbligarlo a mettermi
giù.
Il suono della sua risata sommessa gorgogliò per
tutta la sua schiena e mi sentii pervadere da scossoni mentre la stanza
intorno
a me cominciava a girare senza che fossi io la responsabile del mio
movimento.
Gli assestai un pugno all’altezza della
ventiquattresima vertebra ma non sembrò turbarlo
più di tanto.
Con un piede aprì la porta del bagno e sentii
l’acqua scrosciare violentemente dalla doccia. Non appena
capii quali erano le
sue intenzioni ormai era troppo tardi.
Mi sollevò all’altezza dei fianchi e mi
scaraventò
all’interno contro le mattonelle bagnate dall’acqua
fredda.
In poco tempo l’acqua entrò viscida in ogni
centimetro del mio pigiama, inzuppando la stoffa leggera e incollandomi
i
lunghi capelli alle tempie.
Inarcai la schiena sentendo le finissime gocce penetrarmi
in testa e picchiettare sulla pelle.
Boccheggiai sconcertata da ciò che aveva appena
fatto l’ex vampiro e gli scoccai una stilettata degna di un
serial killer. Damon
di rimando continuò a fissarmi con un aria grave senza dire
niente e lasciando
che l’unico rumore che pervadesse quella stanza fosse lo
scrosciare dell’acqua.
Incrociai le braccia al petto e la canotta del
pigiama si incollò ancora di più alla mia figura
longilinea.
“Troverò Stefan da sola costi quel che
costi” gli
ringhiai contro schizzando qualche goccia che gli macchiò la
camicia già
inzuppata da una manica.
Il suo sguardo si fece più vicino e si appoggiò
con la mano al vetro appannato del box doccia.
“Buon giorno Elena!” inclinò le labbra
nel suo
solito sorriso e mi alitò in faccia così da farmi
passare ogni briciolo di
quella rabbia che solo qualche minuto prima mi invadeva tutto il corpo.
Voltò il capo e a grandi falcate uscì dal mio
bagno richiudendosi la porta alle spalle con un grande tonfo.
Dopo aver
effettuato la mia doccia mattutina decisi
di chiamare Bonnie, Caroline e Alaric per informarle della chiamata di
Stefan e
per raccomandarli di non seguirmi se fossi partita per cercarlo. Troppe
vite
erano appese ad un filo a causa di questa situazione e
l’ultima cosa che volevo
a questo mondo era avere il peso di uno di loro sulla coscienza.
Raggiunsi il portico e dando una leggera occhiata
all’entrata notai le macchine di Caroline e Bonnie
posteggiate lì vicino.
Entrai come era mio solito fare e un chioma
rossiccia mi si presentò davanti facendomi sobbalzare il
cuore in gola per
l’estrema velocità con cui era apparsa.
“Sei arrivata giusto in tempo, la bionda e il
signor Damon hanno appena cominciato a litigare” disse e
mostrò tutti i
meravigliosi denti mentre gli occhi grigi si accendevano di entusiasmo,
proprio
come un bambino a cui avevano appena regalato un pacchetto di squisite
caramelle.
Sorrisi anche io e gli scompigliai leggermente i
capelli prima che sgusciasse veloce nello studio ondeggiando nella sua
polo blu
elettrico.
La voce di Caroline sovrastava quella di Damon e
da come urlava il litigio doveva essere iniziato da molto tempo.
“Vuoi fare di testa tua? Che cos’è, hai
le scimmie
urlatrici nel cervello forse? Non se ne parla nemmeno!”
“Per tua informazione Lecca-lecca non avevo chiesto
il tuo permesso. E..”
Feci il mio ingresso e le tre persone all’interno
della stanza si ammutolirono guardandosi spaesati e complici allo
stesso tempo.
Bonnie era seduta comodamente sulla poltrona di
fronte alla finestra e aspettava che il litigio tra i due finisse,
mentre Damon
stava ritto davanti al camino fronteggiando una Caroline con le guance
in
fiamme e le mani che artigliavano i fianchi.
Il silenzio venne spezzato dalla voce di Colin.
“Avete già smesso?” disse con una voce
lamentosa
per poi imbronciarsi e infilare la mani nelle apposite tasche dei jeans.
Spostai lo sguardo sconcertato dalla chioma
rossiccia al mio fianco alla mia amica strega che mi osservava con aria
stranamente preoccupata.
Sospirai intuendo che Damon mi aveva anticipato
nella spiegazione e mi grattai la nuca non pronta a sostenere quelli
sguardi di
rimprovero che incombevano su di me.
“Elena trovo che sia giustissimo che tu vada da
sola a salvare Stefan!”
Caroline aveva incrociato le braccia al petto come
per reggersi quella graziosissima camicetta a mezza manica e le sue
sottili
sopracciglia inclinate erano visibili grazie al cerchietto che le
portava le
ciocche biondastre all’indietro.
Battei più volte le palpebre stupita da
quell’incoraggiamento dettato dalla mia più cara
amica, ma di tutta risposta la
bionda sbuffò tentando di calcare maggiormente la sua
opinione.
“Intendo dire che hai tutto il diritto di andare
da sola al contrario di Damon il quale aveva avuto la brillante idea di
lasciarti e partire lui!” la sua voce si alzò di
un’ottava quando pronunciò il
nome Damon il quale digrignò i denti scoccando una
stilettata alla vampira.
“Dove preferisci che ti punti un paletto: in pieno
petto o sulla schiena?” chiese inscenando un sorriso
profondamente sadico.
“Damon volevi partire senza di me?” chiesi
sentendo il sangue affluire velocemente al cervello per la forte rabbia.
Dopo quello che avevamo passato lui ed io, i
momenti in cui avevamo giurato di non avere più segreti, di
aiutarci perché
eravamo entrambi nella stessa situazione, dopo che mi aveva baciato..non poteva comportarsi in
questo modo, non glielo avrei permesso. Non era naturale, non era da
Damon – o
forse, si?
“Cosa pensavi di fare? Sei umano e…”
“Da quando hai poteri soprannaturali che ti
rendono immortale?” mi interruppe Damon facendomi incastrare
il respiro in
bocca.
Respirai a fondo roteando gli occhi verso il
soffitto.
Perdere le staffe in quel momento non sarebbe
stato di certo un’ottima mossa!
“Cerchiamo di mantenere la calma” sbottò
Bonnie
che fino a quel momento era rimasta seduta in poltrona con le gambe
accavallate.
Una sorta di energia elettromagnetica mi pervase,
come un formicolio che mi intorpidì fino alle dita dei piedi.
Capì subito dagli sguardi degli altri presenti che
non ero stata io l’unica a sentirlo.
“Streghetta sei più bella quando usi i tuoi
poteri” esultò Colin entusiasta della
quantità di potere sprigionata da Bonnie
e del suo comportamento.
Interruppe il suo contatto visivo con la mia amica
per poi puntare i suoi occhi grigi interrogativi ai miei.
“Ebbene credo di essermi perso qualche passaggio,
da chi è stato rapito Stefan?” chiese
appoggiandosi allo stipite e guardando
prima me e poi Damon.
Presi un bel respiro e cercai di essere più
precisa possibile riguardo le informazioni che stavo per rivelargli:
forse lui
sapeva qualcosa in più.
“Non lo so, non mi ha dato il tempo di scoprirlo,
ma non erano quelli della Triade”
“Come ne puoi essere certa visto che non ti ha
detto nulla?” mi chiese con un sorriso ironico alzando gli
occhi al cielo.
Mi morsi il labbro e pensai che forse dopotutto
aveva ragione, forse dietro tutto questo c’era veramente la Triade.
Colin ciondolò un po’ sui talloni per poi voltarsi
pronto ad uscire dalla stanza.
“Continuava a ripetere una specie di filastrocca,
sembrava essere in una cucina visto che sentivo rumore di piatti e
bicchieri”
Il rosso si arrestò poco prima di varcare la
soglia e mi rivolse uno sguardo a dir poco sconcertato.
“La filastrocca?” sussurrò quasi
sovrappensiero
inarcando leggermente le sopracciglia.
“Si, un qualcosa del tipo all’alba
la Triade morirà.” Precisai e gli occhi
del mezzo vampiro
divennero vacui e distanti, facendomi guizzare una malsana paura in
petto.
“Non sono gli alleati della Triade vero?”
assottigliai gli occhi sicura che Colin avesse intuito qualcosa.
Il ragazzino si umettò le labbra e concentrò la
propria attenzione sui ghirigori presenti nel tappeto al di sotto dei
suoi
piedi.
Alzò lo sguardo di ghiaccio da cui traspariva una
leggera scintilla e le sue labbra si incresparono leggermente.
“No, non sono della Triade ma non sono sicuro chi
siano. Ti dispiace se vengo con te?” chiese e io
acconsentì senza batter
ciglio: in fondo sarei stata al sicuro.
Sentì gli occhi di Damon che mi trapanavano la
schiena.
“Ti porti quel soldo di cacio e lasci a casa me?”
sputò
con aria indignata il che feci finta di non averlo ascoltato.
Non potevo permettere che qualcun altro rischiasse
la sua vita per me, né tantomeno se l’altro in
questione fosse stato Damon.
Eravamo entrambi vulnerabili, nel petto di entrambi batteva un cuore
che poteva
essere facilmente fermato: come avrei potuto continuare a vivere con
solo metà
del mio cuore? Stavolta li avrei salvati entrambi, glielo dovevo.
“Non posso mettere a repentaglio la vita di altre
persone!Starò bene con Colin, non mi succederà
niente” azzardai a dire ma la
tempesta continuava ad imperversare nei suoi occhi azzurri.
“Va bene, va bene” si arrese distogliendo lo
sguardo, ma non rilassando i muscoli della mascella ancora contratta.
Lo osservai mentre allungava il braccio e
impugnava la bottiglia finemente decorata di Bourbon, ma con mia
sorpresa non
si versò il solito bicchiere ma semplicemente
incollò le sue labbra alla
bottiglia inghiottendo un lungo sorso di quel liquido ambrato.
E per un po’ Damon Salvatore non proferì alcuna
parola.
Bonnie si
congedò velocemente, dicendo che aveva
alcune commissioni da fare, non prima che il sorriso radioso di
Caroline ci
annunciasse di voler organizzare una festa in piccolo
solo per noi così da divertirci prima della mia partenza.
Non ebbi neanche il tempo di replicare che la
bionda aveva inforcato gli occhiali da sole ed era schizzata via con la
promessa di ritornare con tutto il necessario. Non ebbi altra scelta
che di
aspettarla nella veranda della pensione.
“Non mi sembra il caso” sbuffai mentre rovistavo
tra le varie borse e i vari pacchetti per trovare cosa la vampira
festaiola
avesse comprato per questa rimpatriata prima della fine.
Le mani abili di Caroline sfilarono un nastrino e
un vassoio fece capolino dall’intero involucro color giallo
limone.
“Sono passata in pasticceria. Torta gelato. Metto
in frigo e torno” disse entusiasta senza aver prestato
minimamente attenzione
alla mia lamentela.
Non chiusi neanche la bocca che ritornò a
rovistare tra le buste di plastica.
“Mi spiegate perché vi affannate per questa festa,
non sto mica partendo in guerra?” tentai di sdrammatizzare,
ma mi tremò la voce
e lasciai cadere involontariamente il pacchetto di salatini.
“Rilassati Elena, è un bel modo per partire.
Perché non dovremmo farla?”
La voce vispa di Colin risuonò dalla busta più
grande dalla quale continuava ad estrarre pacchetti di marshmellow,
patatine e
stuzzichini vari, e i suoi occhi grigi si posarono sui miei con un che
di
indagatore, come se pensasse che io avessi capito qualcosa, qualcosa di
cui a
quel tempo ancora non ne ero assolutamente a conoscenza.
Mi morsi un labbro e mi limitai ad aiutare i due
miei amici tentando di non incrociare quegli stessi occhi grigi di poco
prima.
Colin era diventato servizievole, aveva fatto già
amicizia con alcuni abitanti di Mistyc Falls, usciva molto spesso a
fare delle
commissioni e veniva scambiato per un qualsiasi ragazzino della sua
età, ma
quegli occhi, freddi, opachi, tristi nascondevano qualcosa di
più oscuro e
maligno al suo interno. Stentavo a crederci, ma alcune volte mi
ricordavano
quelli di Michelle la prima volta che mi squadrarono: vitrei, distanti,
affilati come rasoi che più che incutermi timore, ora che ci
penso, sembravano
aver paura, paura di me. E quegli occhi continuavano a farmi un certo
effetto, come
se mi implorassero qualcosa. Probabilmente era solo la mia impressione.
“Elena ricordi come continuava la filastrocca?”
La voce del mezzo vampiro mi ridestò dai miei
pensieri e la vista delle labbra di lui leggermente unte del sale delle
patatine mi intenerì un poco.
“All’alba
del giorno la Triade morrà, sul far della notte cenere
diventerà” decretai
increspando leggermente la fronte per ricordarne le parole esatte.
Colin smise di dondolare i piedi e pose il pollice
e la mano destra chiusa a pugno sotto il mento sillabando le parole
della
filastrocca, serrando gli occhi e arricciando il naso cosparso di
finissime
lentiggini.
Sbuffò e borbottò qualcosa che non riuscii a
comprendere. Poi mi guardò.
“Mio zio una volta mi ha detto che la Triade
quando manda dei messaggi non dice una frase che non sia in codice.
Prima di
venire qui a Mistyc Falls ho studiato un po’ tra i vecchi
appunti di mio padre,
e riesco nettamente a distinguere alcuni dei principali codici. Questo
non è
affatto un codice quindi siamo più che sicuri che dietro a
tutto questo non c’è
la
Triade.”
Concluse e io potei prendere un sospiro di
sollievo: almeno un problema era escluso.
“Ma se non sono la Triade, chi sono e cosa
vogliono da Stefan?” chiesi incrociando le braccia al petto e
osservando il
mezzo vampiro che stava perlustrando l’interno ormai vuoto
del pacchetto di
patatine.
“Se le mie supposizioni sono esatte, e se il tuo
udito è efficace come dici, penso di sapere chi si nasconde
dietro tutto questo
ma in questo momento non puoi saperlo” spiegò
tranquillamente appallottolando
la confezione e pulendosi il muso con il dorso della mano.
“Perché non posso saperlo?” mi lamentai
e per la
prima volta ebbi l’istinto di schiaffeggiarlo.
“Non puoi” disse ordinandomelo
con gli occhi le cui pupille si dilatarono a
dismisura facendomi perdere ogni coscienza di me stessa.
Fu come sprofondare velocemente nel sonno più
leggero, sentirsi le gambe e le braccia intorpidirsi e la mente
chiudersi ad
ogni stimolo esterno. L’unica cosa su cui la mia mente
riusciva a focalizzarsi
era l’ordine perentorio di non chiedere, di non sapere nulla
di un qualcosa che la mia mente
stava già
digerendo, non lasciando alcuna singola traccia. Mi sentii persa.
“Andiamo Elena, Caroline sta preparando il
barbecue” tintinnò tutto contento mentre
intrecciava la sua mano alla mia e mi
trascinava saltellando per il corridoio per arrivare al giardino sul
retro.
Non so come, mossi le gambe un passo alla volta.
Solo in seguitò intuì che Colin mi aveva decisamente soggiogata.
Ben
presto il torpore si dissolse ma riuscii a
pensare e ad agire secondo il mio volere solo a sera tardi, quando casa
Salvatore era un misto di musica, profumi speziati e risate di ogni
tipo.
“Elena mi stai ascoltando?”
Sbattei più volte le palpebre finché i miei occhi
non si focalizzarono sull’immagine di Jenna seduta a pochi
passi da me che mi
scrutava preoccupata con i suoi occhi dorati.
Annuì e cercai di rimanere concentrata nonostante
la mia testa avesse una ricezione di segnale pari a zero!
“Mi raccomando stai attenta mentre andate in
campeggio, non sono sicure le foreste in questo periodo, con le notizie
che si
sentono al telegiornale” continuò a spiegare
mentre si massaggiava il piede
ancora gonfio ma adesso libero dall’ingombrante fasciatura
che aveva deciso di
togliere a dispetto di ciò che dicevano i medici.
“Ehi Elena, non sapevo fossi un tipo da campeggio”
accennò Alaric posizionandosi
al fianco di Jenna con un bicchiere in mano.
“Già neanche io” risposi alzando
entrambe le
sopracciglia, non riuscendo ancora a comprendere quale scusa i miei
amici si
fossero inventati per spiegare la mia assenza il giorno dopo. Ma a
quanto pare
Rick non ci credeva, non ci credeva per niente.
“Se volete vi posso accompagnare” sbottò
trapanandomi
con il suo sguardo e rivolgendosi anche ad una Bonnie indaffarata a
portare la
torta gelato in giardino.
Non ebbi il tempo di inventarmi l’ennesima bugia
che Jenna diede un leggero colpa al braccio del mio insegnante di
Storia.
“Non mi dire che non ci sei andato mai in
campeggio? La parte migliore è sicuramente il viaggio, prima
di arrivare a
destinazione. Puoi stare in tenda anche in giardino se ti va, ma il
viaggio è
la parte migliore. Fidati: io l’ho provato”
Gli occhi di mia zia si illuminarono e si aprì in
un sorriso radioso che stordì non poco Alaric che
lasciò cadere subito
l’argomento, un po’ in imbarazzo per le storie
assurde che Jenna stava
rispolverando riguardo la sua folle giovinezza.
Mi allontanai per raggiungere il giardino e mi
scontrai con Bonnie la quale mi regalò un mezzo sorriso non
del tutto
convincente.
“Ehi, perché quella faccia?” le domandai
mentre
gettava alcuni piatti di plastica nella pattumiera.
Bonnie sospirò per poi guardarmi dritta negli
occhi.
“Sono solo preoccupata per te. Questa cosa del
salvataggio, tu e Colin soli…un po’ mi
spaventa” disse tutto d’un fiato ma
sembrava voler convincere più se stessa che me.
“Tranquilla Bonnie, non mi accadrà niente
finché
sono con Colin. Ritornerò presto e Stefan con me”
la tranquillizzai e la
circondai in uno stretto abbraccio, trovando la forza necessaria per il
viaggio
che tra poche ore avrei dovuto compiere.
“Quello che facciamo Elena è solo per il tuo bene,
lo sai vero?” chiese Bonnie con voce sommessa.
Annuì confusa dal tono in cui lo aveva detto ma il
suo sorriso, questa volta sincero, riuscì a tranquillizzarmi.
Mi sentii strattonare la mano destra e notai di
sbieco una chioma bionda al mio fianco.
“Vieni in giardino, Elena. C’è la
torta” squittì
facendo oscillare i finissimi boccoli biondi e regalando uno sguardo
allarmato
alla strega la quale le rispose con altrettanta preoccupazione.
Aggiunsi un’altra ruga di frustrazione alla mia
fronte e mi incamminai verso il giardino, affiancata dalle mie amiche.
Le molteplici lucette appese lungo tutto il
porticato mi fecero strizzare gli occhi e un buon profumo di carne
arrostita
risvegliò il mio appetito.
Colin gustava tranquillamente la sua fetta di
torta al limone che si stava sciogliendo un po’ ai lati, e la
sua pelle
incredibilmente chiara sembrava entrare in contrasto con il folto
rossiccio dei
suoi capelli.
Sembrava parlare animatamente con qualcuno dal
modo in cui gesticolava con il cucchiaino in mano.
Mi sporsi dal bordo della veranda ed ebbi una
visione completa delle persone in giardino: notai Jeremy seduto al
fianco del
mezzo vampiro e poco più lontano Damon con accanto un Alaric
che gli riservava
uno sguardo severo e contrariato che però sembrava non
turbare di molto il
ragazzo dagli occhi azzurri.
Rick spostò lo sguardo e non appena mi vide si
allontanò verso il tavolo addobbato di bottiglie, bicchieri
di carta e piatti
di plastica unti e sporchi.
Damon sorrise di sbieco e mi incitò implicitamente
a farmi avanti verso di lui, seduto comodamente sulla sedia in
plastica,
vestito di tutto punto e con una bottiglia in mano.
Roteai gli occhi al cielo e acconsentì all’invito.
“Non metterti a ballare sui tavoli, sei proprio
esuberante stasera” constatò versandosi un
po’ di whisky nel bicchiere di carta
e mi guardò in tralice con il sorriso di poco prima ancora
dipinto sulle
labbra.
Le guance arrossate per i fumi dell’alcol, per il
caldo e per le luci soffuse lo rendevano più giovane e
più bello di quanto non
fosse in realtà, e gli occhi azzurri leggermente lucidi gli
conferivano un’aria
strana e alquanto malinconica.
“Divertente davvero, ma devo risparmiare l’energia
per domani” decretai mettendomi comodamente a sedere nella
panca lì vicino e
allungai il braccio in direzione della bottiglia, chissà
forse bere mi avrebbe
aiutato ad allentare la tensione.
Damon avvicinò di più la sedia alla mia
postazione.
“Giusto: campeggio!
La sai montare almeno una tenda?” chiese inclinando la testa
e guardandomi con
aria di sufficienza.
Inarcai un sopracciglio.
“Capitolo 1, paragrafo 2 del libro delle giovani
marmotte” ribattei con aria di sfida facendo sbarrare gli
occhi all’ex vampiro
che mi era accanto.
Rimanemmo in silenzio, ognuno in balia dei propri
pensieri e delle voci sommesse che si accumulavano nell’aria
calda di Luglio.
Osservai la faccia spensierata di ogni singolo
individuo di quella festa: da Bonnie che sorrideva allegramente ai
discorsi di
Jeremy vicino al barbecue, Caroline che fingeva di litigare con Colin
per
l’ultima fetta di dolce, a Jenna e Alaric che parlavano
sommessamente in un angolo
del giardino.
Le loro espressioni, i loro modi di fare, le loro
parole accurate e misurate, tutto sembrava essere al posto giusto e al
momento
giusto, come una fotografia in cui tutto era stato immortalato
così com’era.
Ma sentivo che quella non era una semplice festa,
era una festa d’addio.
“Sembriamo tutti così felici” sussurrai
e Damon si
voltò verso di me.
“No Alaric ha la schiena ustionata e la tua cara
zia gli ha messo una mano sulla spalla. Pensi che sia
felice?” fece cenno alla
coppia con la bottiglia che aveva in mano.
Ridacchiai ma continuai a tenere lo sguardo basso
sulle mie dita che nervosamente intrecciavo.
L’odore intenso dell’alcol arrivò alle
mie narici
dal bicchiere che Damon mi aveva posto sotto il naso.
“Beviamoci su” disse e agguantai il bicchiere di
carta regalandogli un mezzo sorriso.
Le labbra assaporarono per bene il gusto intenso
del liquore e mi bruciò la gola quanto bastava prima di
entrare in circolo
nelle mie vene nel momento in cui ingerii anche l’ultima
goccia di quel bicchiere
colmo fino all’orlo.
“Tu ed io. Abbiamo
qualcosa. Aggrappati a
questo. Lo sai, ritornerò il più presto
possibile”
Non ricordo se quelle parole furono dettate
dall’alcol o più semplicemente da qualche angolo
del mio cuore. Ricordo solo
che sentivo la necessità di sentirne il suono, di dirle a
voce alta e non più
lasciarle intrappolate nella rete dei miei pensieri.
Le palpebre mi si chiusero e un amaro sapore
invase la mia bocca facendomi storcere il naso per il disgusto.
Le orecchie incominciarono a fischiare e le luci
si mescolarono ai colori circostanti.
“Lo so, Elena. Ora dormi”
Sentii appena la flebile voce di Damon e mi
accasciai priva di sensi nella sua spalla.
E con il sonnifero dimenticai anche la
preoccupazione per il viaggio dell’indomani.
“Alza
il volume della radio, mi piace questa canzone!”
“Perché
devo stare nel sedile di dietro, signor Damon?Io voglio guardare la
strada!”
“Fate
silenzio così sveglierete Elena”
“Sono
circondato da un branco di idioti”
Le
voci sembravano martellarmi in testa e facevano
male alle orecchie che pian piano ritornavano ad avere
sensibilità così come
tutte le altre parti del mio corpo.
Mossi impercettibilmente la testa e un forte
dolore al collo mi pervase tanto che mugolai involontariamente.
Dischiusi le palpebre e riconobbi quello che
doveva essere l’abitacolo di una macchina.
Prepotente i ricordi della sera precedente
invasero la mia mente e la rabbia che si accumulava era direttamente
proporzionale alla consapevolezza della situazione in cui mi ero
ritrovata.
“Buon giorno Elena, dormito bene?” chiese Colin
dal sedile posteriore, affiancato da Caroline, Bonnie e un nervoso
Jeremy.
Spostai lo sguardo su Damon al volante. Lui mi
guardò di rimando.
Ci guardammo in cagnesco.
“Giuro Damon che se non mi fai scendere da questa
macchina io…” sillabai assottigliando gli occhi.
“Rilassati e cerca di goderti il panorama – mi
guardò di sottecchi sprigionando il più bastardo
dei suoi sorrisi - ti spuntano
le rughe se ti arrabbi”
L’aveva fatto di
nuovo!
***
Ed eccomi ritornata *-* Scusate
per il ritardo ma dovevo per forza aggiornare oggi
ù.ù <3 Ebbene, il viaggio comincia! Dopo i
capricci di Elena e i tentativi di Damon di farla reagire, ecco che
Caroline ha in mente l'idea di organizzare una festa...festa per
drogare Elena così da poter partire tutti insieme! Pensavate
che andasse solo Damon insieme a lei ed invece la nostra simpatica gang
se ne va in campeggio che non è affatto una scusa, ma ne
parleremo meglio nel prossimo capitolo. Come promesso un assaggino di
Colin prima di arrivare al capitolo dedicato quasi interamente a lui :D
Sta nascondendo qualcosa oppure fa solo finta? E' buono e è
cattivo? Stefan è veramente in pericolo o è solo
una trappola? Elena dirà tutto a Damon prima del ritorno del
suo fidanzato ufficiale? Spero proprio che questo capitolo (-spazzatura
u.u) vi sia piaciuto e mi farebbe piacere se esprimeste i vostri pareri
:) Prometto che nel prossimo nda mi prolungherò di
più.
Un grosso bacio
Sil
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Capitolo 23 *** 21 - YOU ARE HERE! ***
Alla Toast e alla Baka– che
per ventuno
capitoli
mi hanno messo l’ansia per scrivere questo ♥
21
– YOU ARE HERE
Non che fossi
leggermente
arrabbiata, ma semplicemente la bile del mio stomaco minacciava di
perforarmi
il ventre per quanto era alto il mio tasso di acidità.
Addossai meglio la mia schiena al sedile e puntai
lo sguardo oltre il vetro del finestrino semioscurato, verso
l’asfalto che
imperterrito continuava a scorrere come un fiume in piena sotto le
ruote
dell’auto.
“Signor Damon, Caroline minaccia di corrompermi!”
sentenziò la voce acuta e stridula di Colin che dal sedile
posteriore tentava
di divincolarsi dalla presa della vampira la quale, al suono di quelle
parole,
sbatté le palpebre tinte di mascara.
“Non è vero!” schioccò
ferocemente la lingua
lasciando andare le braccia diafane del vampiro che come una piccola ed
esperta
scimmia si arrampicò sullo schienale del mio sedile
rimanendo appollaiato tra
le teste di me e Damon.
“Seriamente? Corromperti? Ti ho chiesto solo se al
prossimo autogrill ti andava un gelato! E tu questa la chiameresti
corruzione”
balbettò giustificandosi Caroline sbalzando le iridi
verdastre tra la faccia
sogghignante del mezzo vampiro a quella apparentemente tranquilla e
concentrata
di Damon.
“Certo e dopo il gelato mi avresti chiesto di
soggiogare per la seconda volta Elena e richiuderla nel
bagagliaio”.
Inarcai un sopracciglio e mi voltai appena in
tempo per vedere la bionda boccheggiare e mandare occhiate fulminee al
rosso.
“Per la seconda volta?” mi azzardai a chiedere e
la voce mi uscì leggermente gracchiante a causa del mio
mutismo prolungato per
più di due ore.
Colin inclinò la folta chioma verso di me e mi
presentò il suo solito sorriso di scena, allargando gli
angoli della bocca e
piantando i suoi occhi grigi sui miei.
Distolsi lo sguardo lievemente infastidita.
“Barbie non infastidire il marmocchio e tu, Cita,
non infastidire me, e ora torna al
tuo posto!”.
La voce di Damon mi penetrò in petto, per un
momento dimentica della sua presenza a soli pochi centimetri da me.
Alzai gli occhi in cerca di quel paio di occhi
grigi che prima avevo provato ad allontanare, ma non ve n’era
già più traccia.
Ebbi il tempo di voltarmi prima di vedere la buffa
linguaccia che Caroline aveva riservato al mezzo vampiro per poi
immusonirmi
nuovamente, appoggiando la fronte al finestrino.
Non ebbi neanche il tempo di rimettermi ad osservare
la striscia bianca sul bordo della strada che Caroline
ricominciò a
cinguettare.
“Elena, so che in questo momento avresti voglia di
ucciderci tutti ma non ti sembra di esagerare?”
Sbuffai. Mi
avevano soggiogato, drogato, fatto tutta quella messinscena, caricato
su una
macchina ed ero io che esageravo? Ebbi voglia di piantarle un
paletto, ma
il mio istinto non me lo permise.
“Ha ragione, Elena. Lo stiamo facendo per te, per
riportare Stefan a casa” ribatté secco Jeremy
ottenendo così l’approvazione di
una raggiante Caroline.
“L’avrei fatto io, anche senza mettere le vostre
vite in pericolo” grugnì leggermente strozzandomi
con la cintura tanto mi ero
voltata per guardarli tutti negli occhi.
Caroline distolse lo sguardo e si impegnò a
guardare fuori dal finestrino semi aperto, Bonnie affiancata da Jeremy
mi
guardò con occhi imploranti tuttavia senza riuscire a
formulare qualche frase,
Colin rimaneva schiacciato tra i miei amici e sembrava essere
particolarmente
attratto dalle linee rette presenti sui suoi bermuda.
Mi imbronciai nuovamente e prima di affondare
nuovamente nello schienale del sedile scoccai un’occhiata in
tralice al Damon
seduto di fianco a me. Dopotutto ce
l’avevo anche con lui!
“Smettila di farlo” bisbigliai leggermente
infastidita.
Damon inarcò un sopracciglio.
“Smetterei volentieri se miss musona
mi dicesse che cosa sto facendo” sputò cambiando
marcia.
“Di far finta come se non ti importasse niente di
tutto questo” dissi stridula, ma la presenza dei miei amici
sul sedile
posteriore mi invitò ad assumere un tono quantomeno
più pacato.
L’ex vampiro corrugò la fronte come se stesse
pensando a qualcos’altro e questo mi fece irritare
più di prima.
“Perché mi importa per caso?”
Aprii il finestrino lasciando entrare un po’
d’aria e la sua domanda invece di far scattare la molla di
rabbia e
frustrazione che sentivo ben presto sarebbe saltata, mi fece rilassare,
facendo
ritornare la mia mente lucida e adatta per ragionare.
Mi morsi il labbro e il silenzio dei presenti
sembrò gravare ancora di più.
Decisi che la mia piccola vendetta sarebbe stata
proprio quella, colpirlo nell’orgoglio, cosa che di quei
tempi aveva anche fin
troppo.
“Si, Damon. Ti importa. Perché sei umano, non
più
un vampiro. Quindi non fingere di essere tranquillo, perché
stavolta combattiamo
ad armi pari”.
Sbatté le palpebre un paio di volte per poi
guardarmi con un sorriso sardonico, come se avesse voluto dire “hai finito?”.
Mi limitai essenzialmente a osservare la strada di
fronte ai miei occhi per la seguente mezz’ora.
“Nessuno si farà male, Elena”
La voce di Colin mi fece barcollare dallo stato di
dormiveglia in cui ero sprofondata a causa della leggera nausea e dei
crampi
allo stomaco dovuti un po’ alla fame un po’ al
nervosismo.
Non ebbi la forza di alzare la testa dal morbido schienale
perciò mi limitai a scorgere il paio di occhi grigi riflessi
nello specchietto.
“So quello che faccio e, ti assicuro,
riabbraccerai Stefan domani all’alba, nessuno
torcerà un capello ai tuoi
amici”.
Ammiccò e, arricciando il naso, le sue finissime e
quasi invisibili lentiggini si incresparono al sorriso obliquo che
aveva visto
fare tante volte a Damon.
Mi portai nervosamente una ciocca dietro
l’orecchio e piegai involontariamente a mia volta le labbra.
Aveva ragione,
solo un giorno e avrei potuto riabbracciare Stefan: saremmo stati di
nuovo
insieme ed era questo ciò che contava.
“Hai detto che sai quello che fai, non è che
c’entri tu in tutta questa storia?” chiese la voce
leggermente annoiata di una
Bonnie scettica a riguardo.
I suoi occhi verde oliva vennero rapiti da quelli
grigi e incredibilmente grandi di
Colin.
Un urlo smorzato si levò per tutto l’abitacolo
della macchina, facendo bruscamente frenare Damon.
Colin si cingeva la testa con entrambe le mani e
il cappellino a visiera che fino a quel momento aveva portato gli cadde
sul
grembo.
“Niente più soggiogamenti!” disse la
strega
corrucciandosi più per la stizza che per lo sforzo dovuto
all’incantesimo.
Non avevo fatto caso alla posizione in cui era
seduta Bonnie: Jeremy schiacciato sullo sportello circondava con un
braccio le
spalle minute della strega – a quel tempo pensavo per una
questione di spazio –
mentre lei, seduta accanto ad un irrequieto Colin, era vicinissima alla
vampira
seduta sulla parte opposta; doveva sedersi al centro per attuare
l’incantesimo,
per acquisire energia sia da un umano che da un vampiro.
Non seppi mai quale fu il motivo di tanta
discordia tra i due a quel tempo, ma ancora oggi Bonnie non
può non pensare a
lui con un accenno di sorriso.
Jeremy pose una mano sulla spalla della mia amica
e le urla del rosso si placarono.
Colin scosse un po’ la testa e, massaggiandosi le
tempie, rivolse uno sguardo tutt’altro che furioso alla
strega.
“Mi fai perdere la testa Bennet! Letteralmente”
Jeremy lo trucidò con lo sguardo, ma il mezzo
vampiro non se ne curò.
“Ok mi avete stancato!”
Damon sterzò violentemente e per poco non finivamo
fuori dalla carreggiata. Si accostò vicino ad uno dei tanti
autogrill che
avevamo sorvolato.
“Forza ragazzi, scendete tutti dalla mia macchina
e placate i vostri bollenti spiriti altrove, io vado a farmi uno
spuntino! Vi
do un’ora di ricreazione” decretò Damon
il quale aveva già posteggiato e si
accingeva a indossare i suoi occhiali da sole, in perfetta combinazione
con la
polo bianca e i bermuda a jeans.
“Un’ora? Non abbiamo già perso fin
troppo tempo?”
si lamentò Jeremy rimasto ormai solo in macchina –
insieme a me.
“Frena Indiana
Jones, hai tutta questa voglia di farti uccidere?”.
Damon inarcò un sopracciglio da dietro gli spessi
occhiali da sole e chiuse lo sportello allorché Jeremy,
leggermente irritato,
scese anche lui.
Non ebbi il tempo di slacciarmi la cintura che mi
accorsi che lo sportello era bloccato. Qualcuno mi aveva chiuso, dall’esterno!
La faccia sogghignante di Damon me ne dette la
conferma.
“Qualcuno deve pur rimanere a controllare la
macchina e sbaglio o avevi detto che combattevamo ad armi
pari?”
Tamburellò per un po’ sul vetro del finestrino che
divideva i nostri volti, come lo si fa per attirare
l’attenzione dei pesci in
un acquario, e poi si allontanò, stufo delle mie solite
reazioni.
Avrei potuto aprire il finestrino e uscire da lì o,
qualora fosse stato troppo stretto, avrei pur sempre trovato via
d’uscita nel
tettuccio della macchina.
Invece rimasi lì ad aspettare, con i crampi allo
stomaco e con la consapevolezza che quello sarebbe stato
l’ultimo giorno
vittima delle sue angherie.
“Metti
qualcosa sotto i denti, almeno non mi morderai”
Non ricordo di preciso quanto tempo rimasi
rinchiusa in quella macchina, ricordo solo che non appena sentii lo
scatto
automatico mi fiondai subito all’esterno, respirando aria
relativamente più
fresca nonostante l’afa pesante.
L’odore buono della pizza arrivò alle mie narici.
Damon si appoggiò sul cofano anteriore e io lo
raggiunsi.
Mi porse un trancio di pizza che io non rifiutai e
se ne stette in silenzio aspettando che finissi di consumare la mia
colazione –
o forse era già pranzo?
“E così il mio carissimo fratello sta per tornare!
Dovrò farci l’abitudine”
esordì e io gli scoccai un’occhiata in tralice.
“Sai, anche io” dissi meravigliandomi io stessa
della sincerità con la quale lo avevo detto.
Mi passò la bottiglia di birra e ne bevvi un
sorso.
Forse agli occhi degli estranei potevamo sembrare
due semplici ragazzi che si erano fermati a pranzare in
quell’autogrill, magari
in viaggio di piacere. La verità era che eravamo due
ragazzi, terribilmente
umani, in viaggio per strappare dalle grinfie di chissà
quale mostro la persona
che li univa indissolubilmente.
“Se vuoi possiamo sempre tornare indietro”
decretò
e per poco non mi strozzai con l’ultimo boccone.
“E’ fuori discussione, non ritorneresti mai
indietro. Tu vuoi che Stefan ritorni tanto quanto lo voglio
io” evidenziai
provando a lanciare la carta che avvolgeva la pizza nel cestino
accanto,
ottenendo però un pessimo risultato.
“Hai ragione, voglio che ritorni Stefan. Ma solo
per farti vedere come il nostro rapporto non cambierà. Sei
tu a volere che
ritorni, così da allontanarti da me”
Corrugai la fronte e assottigliai lo sguardo.
“Il nostro rapporto cambierà, Damon, e lo sai.
Posso fare a meno di te quando e come voglio”
Il volto dell’ex vampiro si illuminò e fece
ciondolare le chiavi scintillanti della macchina di fronte al mio viso.
“Facciamo così. Guida tu. Io sarò nel
sedile di
dietro. Se tra meno di un’ora arriviamo sani e salvi a
destinazione senza che
tu mi abbia cercato, è come dici tu, ma se dovessimo
investirci o arrivare in
ritardo…” lasciò cadere la frase ma
l’allusione arrivò forte e chiara al mio
orgoglio.
Afferrai le chiavi senza pensarci su e con un
gesto aprii la portiera sedendomi al volante.
“Perfetto, prossima fermata Alaska!” mugolai
inserendo le chiavi nel cruscotto.
“Piccolo cambio di programma”
Colin si posizionò sul sedile anteriore, facendomi
sussultare per lo spavento, e per un momento assunse un tono e un
atteggiamento
degno di un ventenne.
“In che senso cambio di programma?” domandai non
riuscendo a capire.
Colin abbassò il finestrino cercando di scorgere
gli altri membri della comitiva.
“Arrivare in Alaska è difficile e pericoloso. Non
troveremo niente là, niente di ciò che Stefan
stava cercando. Ma c’è un posto
in Canada a circa due o tre ore di strada da qui. E’
lì la nostra destinazione”
Impugnai il volante e inarcai la schiena cercando
di frenare i battiti frenetici del mio cuore.
“Troveremo Stefan lì?” chiesi seriamente
al mezzo
vampiro che nonostante le apparenze sembrava essere molto
più saggio e maturo
di me.
Colin sorrise di sbieco.
“Non credi anche tu che Bonnie abbia un ottimo
profumo?” chiese sviando la mia domanda e dando il tempo ai
miei amici di
salire in macchina.
Sospirai allacciandomi la cintura e preparandomi
al lungo viaggio.
Sistemando lo specchietto mi soffermai sul sorriso
disarmante di Damon e sui suoi occhi azzurri che sembravano guardarmi
con aria
consapevole e divertita.
Sapevo cosa voleva dirmi, ma non mi curai di
questo e misi in moto.
1 a 0
per lui ovviamente.
“Sai almeno come si monta una tenda?”
La voce stridula di Caroline risuonò per tutta la
foresta e alcuni uccelli in lontananza scossero alcune fronde degli
alberi con
loro continuo sbatter d’ali.
Colin alzò gli occhi al cielo finendo di fissare
gli ultimi paletti a terra e distendendo meglio il telone arancione e
ponendolo
al di sopra della struttura in plastica rigida.
“Caroline, non potresti smettere per un attimo di
essere così isterica?” si lamentò
Bonnie rovistando dentro il suo zaino per
tirare fuori un libricino piccolo e smunto, il diario di Susan.
La vampira bionda le scoccò una stilettata degna
di un serial killer.
Damon rise alle mie spalle.
“Voi uomini non potete aiutarci? Siamo in balia di
un ragazzino di 13 anni che gioca a fare il boyscout!”
strillò focalizzando lo
sguardo oltre la mia spalla, verso i due ragazzi seduti su un tronco
assistendo
allo spettacolo.
“Siete voi che avete voluto la parità fra i
sessi”
ridacchiò mio fratello accogliendo una sana approvazione da
parte dell’ex
vampiro.
Sospirai e tirai fuori dal fogliame l’ennesimo
pezzo di legno.
Come aveva predetto Colin, in meno di cinque ore
eravamo giunti in Canada e ci eravamo fermati nei pressi di una foresta
a pochi
kilometri dal primo centro abitato. Il sole stava già
tramontando e ci aveva
consigliato di accamparci lì nella foresta, poco lontano dal
luogo in cui
secondo lui tenevano rinchiuso Stefan.
Aveva detto che ci saremmo divisi a gruppi,
avremmo accerchiato il nemico e liberato Stefan. Potevo già
riassaporare la
dolcezza delle sue labbra a contatto con le mie.
Il mio cuore perse un battito e non ne capii il
motivo.
“Il sole sta per tramontare. La cascina dove penso
sia rinchiuso Stefan dista circa quattro kilometri da qui. Ci
divideremo in due
gruppi: Jeremy e Caroline, voi andrete verso nord, precederete me e
Bonnie; la
streghetta ed io circonderemo il territorio con un incantesimo per
nascondere
la nostra presenza e non attirare l’attenzione”
Jeremy alzò un sopracciglio palesemente irritato.
“Perché queste combinazioni? Caroline è
un vampiro
e io sono un umano, le farei rallentare il passo quando invece tu e lei
potreste raggiungere in un batter d’occhio la cascina e io e
Bonnie fare
l’incantesimo”
Colin scoccò la lingua preparandosi alla
spiegazione.
“Vedi giovane Gilbert, Bonnie per compiere
l’incantesimo ha bisogno di un esemplare di mezzo vampiro in
modo tale da
verificare se veramente le vostre presenze si sentano oppure no: sono
il suo
catalizzatore di magia personale” concluse ridacchiando e
scoccando uno sguardo
vispo alla mia amica che a malincuore confermò la sua tesi.
“Volete farmi intendere che partono i quattro
moschettieri e lasciate qua me?”
abbaiò Damon spezzando un ramo con cui stava giocherellando.
“lasciate qua noi…”
lo corressi guardando interrogativa il rosso accanto alla tenda.
Colin molleggiò tranquillo sui talloni e, il tempo
di chiudere gli occhi per un secondo, scomparve. Le mie pupille
cercarono la
chioma rossa qualche metro più avanti, ma la trovai solo
dopo aver alzato lo
sguardo.
Se ne stava ciondolante a testa in giù come un
pipistrello appeso per le gambe attorno ad un ramo di una sequoia.
“Tu e il signor Damon siete umani. Sarete protetti
dall’incantesimo, ma se qualcosa dovesse andare storto voi
sareste troppo
vicini al pericolo. Vi ricordo che l’intento della Triade o
di qualsiasi altra
organizzazione è quella di trasformare gli umani in mezzi
vampiri. Per te Elena
il pericolo sarebbe quello di diventare una mezza vampira, in quanto al
signor
Damon…” fece una pausa e gli occhi di Damon
incontrarono i miei colmi di
preoccupazione.
“Se tocca un’altra goccia del nostro sangue
probabilmente morirà”.
Deglutii rumorosamente e la foresta non sembrò mai
così silenziosa come quel momento. Bonnie smise di sfogliare
silenziosamente le
pagine ingiallite e ammuffite del diario della sua antenata e fui quasi
certa
che Caroline avesse smesso persino di respirare regolarmente.
“Avete portato i marshmallow vero?” chiese Damon
dipingendosi in viso un sorriso storto, nascondendo così la
rabbia per la sua
pessima situazione.
Ancora poche ore e saremmo stati salvi – almeno
per un po’.
Erano le
dieci passate quando Jeremy e Caroline si
avviarono verso il nero oscuro della foresta, la vampira brontolando
per
l’umidità di quella notte e mio fratello regalando
un mezzo sorriso a Bonnie.
Colin era rimasto tutto il tempo su quell’albero osservando
il territorio,
scrutando l’orizzonte farsi man mano sempre più
scuro, come una civetta
appollaiata su quel ramo aspettando il momento migliore per passare
all’attacco.
E’
ora
aveva detto e
lo scoppiettare del fuoco aveva aiutato Bonnie a
concentrarsi meglio prima di attuare l’incantesimo di
protezione. Così anche
loro avevano varcato la soglia della foresta con la promessa di
ritornare entro
l’alba.
“E così siamo rimasti soli”
esordì Damon uscendo
dalla tenda posta alle mie spalle e sistemandosi sul tronco accanto al
mio.
Attizzai meglio il fuoco.
“Come se non avessi voluto prendere a calci
qualcuno”
Damon inarcò un sopracciglio.
“Uno degli svantaggi di essere un umano”
mugugnò e
lanciò definitivamente il bastoncino che aveva in mano tra
le fiamme.
“E se non dovessero farcela?” mormorai e mi
strinsi maggiormente le ginocchia al petto.
“Sono una brava
banda di idioti. Lo riporteranno a casa, stai tranquilla” mi
disse poggiando
una mano sul mio ginocchio, tentando di rassicurarmi.
Osservai il fuoco, le varie fiammelle rosse e
gialle che si susseguivano e sentii il calore che procuravano alle mie
guance;
sentivo il vento che si stava alzando e il profumo di acqua salmastra
poco
lontano da qui; sentivo il mio cuore rimbombare e le tanto attese
lacrime di
frustrazione addensarsi davanti ai miei occhi, appannandomi la vista.
Sentivo che ormai c’era troppa speranza e poca
possibilità di salvezza.
“E se non è più un vampiro, e se
l’hanno
trasformato? E Bonnie, Jeremy, Caroline? E se non ritornano? La tregua
con la
Triade sta per scadere, torneranno a prenderci e non siamo al sicuro,
nessuno è
al sicuro. Ho paura, Damon”
Mi lasciai invadere dal terrore e dalla paura. Il
mio cuore pompava sangue e sentivo il dolore squarciarmi il petto, come
se già
sapessi che non lo avrei potuto baciare un’ultima volta, come
se già sapessi
che non li avrei più rivisti.
Tentai di asciugarmi le lacrime con il dorso della
mano.
Se il dolore mi avesse ucciso tanto meglio, non
avrei sopportato di perderlo per sempre.
Ciò che mi spingeva a rimanere in vita, a
inghiottire aria un singhiozzo dopo l’altro era lui, lui che era con me.
Avevo deciso che li avrei salvati entrambi, quando
la salvezza non era a loro concessa.
Ma forse c’era ancora speranza di vita, forse
c’era ancora qualcosa in cui credere.
Cercai di convincermi che fosse vero e quando
riacquistai la vista dopo il velo di lacrime, Damon aveva avvicinato il
mio
capo al suo petto, la mia paura era anche la sua.
“Hai ancora
me” sussurrò e i suoi occhi leggermente
lucidi apparvero più nitidi alla
luce rossa del fuoco.
Boccheggiai agognando nuova aria e forse la
salvezza che da tanto tempo stavo cercando.
Si
avvicinò alla mia bocca e vi soffiò sopra.
Le nostre
labbra si sfiorarono e fu come la terra avesse perso il senso
dell’equilibrio.
Non riuscivo a capacitarmi di ciò che stava succedendo, il
mio corpo sembrava
un fiume in piena e scosse elettriche mi percorrevano la testa e le
gambe quasi
come se lui fosse una risorsa illimitata di energia, la mia energia.
Mi prese
la testa tra le sue mani grandi e incollò ancora di
più le sue labbra soffici e
morbide alle mie ancora umide di lacrime.
Mentre mi
sollevavo in punta di piedi, lui mi aiutò cingendomi i
fianchi con una mano.
Avvolsi
le mie braccia intorno al suo collo e sentii ogni centimetro della mia
pelle
fremere dall’assoluta vicinanza di Damon.
Dischiusi
la bocca facendo entrare il suo respiro caldo e la sua lingua che
vogliosa
cercava la mia.
Non ebbi
il tempo di pensare, di reagire, di dirglielo perché era
quello che volevamo ed
entrambi lo sapevamo bene.
Sentii un
singulto al cuore quasi come se potesse scoppiarmi in gola ed essere
risucchiato dai suoi baci frenetici.
Le nostre
labbra si staccarono ed io mi sentii vuota, persa, privata di qualcosa
che
ormai mi apparteneva.
Ansimavamo
entrambi ma non ero stanca, ero solo sopraffatta da quella strana forza
che mi
spingeva sempre più verso di lui.
Guardai i
suoi occhi che nella semioscurità mi sembrarono essere di un
blu profondo. Mi
prese per mano, la strinse forte e con il fiato corto e il cuore a
mille lo
seguii.
Non
riuscimmo a fare più di dieci passi che le nostre labbra
erano di nuovo
incollate. Sentivo i polmoni riempirsi del suo respiro e le mani che
sempre di
più artigliavano il suo collo per averlo più
vicino a me, più vicino al cuore.
Scivolammo
all’interno della tenda ancora aggrappati come due esseri
incapaci di muoversi.
Mi
distese e continuò a baciarmi le labbra per poi staccarsi e
passare al mento,
al collo fino ad arrivare al rigonfiamento sinistro del mio seno. Il
sangue non
arrivava più al cervello, i timpani sembravano rompersi da
un momento all’altro
e il cuore rullava in testa, scuotendomi, facendomi tremare.
E lo
sentivo, il mio cuore che correva come un treno: l’avrei
potuto perdere,
l’avrei potuto uccidere ma ne sarebbe valsa la pena.
Damon
continuava a lambire ogni singolo centimetro della mia pelle, lasciando
scie di
fuoco bollenti, facendomi perdere ogni briciola di
razionalità.
Sbottonò
piano la mia camicetta, con mani tremanti ma anche esperte, bottone per
bottone. Mi liberai dei jeans che piano scivolarono via dalle mie gambe
sottili.
Lo aiutai
a togliersi la maglietta.
Continuava
a baciarmi la fronte e il lobo destro dell’orecchio mentre io
carezzavo i suoi
pettorali marmorei così simili a quelli di Stefan, ma pieni
di elettricità
indicibile. Come non mai Damon
mi sembrava essere umano: percepivo il suo calore, la sua insicurezza,
il suo
timore, la sua voglia, il suo piacere.
Conscia
del fastidio che gli arrecavano, gli sbottonai i pantaloni che come i
miei si
riversarono sul telo ruvido sotto di noi. Mi mancava il fiato, sentivo
il
piacere dei suoi baci invadermi l’anima, ogni percezione
nervosa era piena di
lui.
Volevo
parlargli, dirgli qualcosa ma avevo paura che potesse fermarsi, che
potesse
rendersi conto dello sbaglio inevitabile che stavamo commettendo.
Scese giù
solleticando la mia pancia con la lingua, disegnando linee immaginarie
all’altezza dell’ombelico. Inarcai la schiena in
avanti, non riuscendo più a
contenere i singulti che ormai mi pervadevano.
“Damon”
mi lasciai scappare e i nostri occhi furono catturati gli uni dagli
altri;
riuscivo a vedermi riflessa nell’immensità dei
suoi occhi, l’azzurro del cielo
aveva lasciato posto ad una notte luminosa senza stelle.
Mi sentii
imprigionata quasi in un campo magnetico, la mia bussola era impazzita
e mi
ritrovavo persa da qualche parte dentro di lui.
“Damon”
sussurrai ancora e lui mi sfiorò le guance accaldate
preoccupato del fatto che
non continuavo.
Ansimavo
e deglutivo a raffica cercando di riprendere l’uso della
parola. Cominciò a
baciarmi a fior di labbra tentando di ristabilire i miei respiri, non
potendo
comunque staccarsi da me.
Ripreso
quasi del tutto il controllo mi resi conto della situazione: Damon era
sopra di
me, io schiacciata contro la coperta ruvida, entrambi quasi nudi. Per
un attimo
mi ricordai di Stefan, del vampiro che erano andati salvare, di colui
che
ritenevo essere la mia ragione di vita; mi ricordai dei suoi abbracci,
dei suoi
baci, dei suoi sorrisi, così lontani dal presente e vuoti
rispetto a ciò che
dovevano essere.
Mi
rivenne in mente l’aroma di pino silvestre, il profumo buono
dei suoi baci la
mattina, ma tutto questo era come inesistente per il mio cuore.
Pensai
per un momento di aver dimenticato di attivarlo, di farlo continuare a
battere
ma le immagini, i ricordi scivolavano via quasi come se fossero stati
pioggia.
Riaprii
gli occhi e ricominciai a respirare e ciò che vidi era tutto
ciò che avrei
dovuto sempre sapere.
Perché
era lui la mia ancora di salvezza, Stefan e il mondo erano fuori.
I nostri
sguardi si riunirono così come le nostre labbra per poi
staccarsi nuovamente.
Tra l’immensa cosa estranea che ero diventata riuscii a
rintracciare la mia
mano.
Aprii
bene il palmo e con delicatezza lo posai sul suo cuore provocandogli un
leggero
sospiro.
Mi guardò
con occhi spauriti, non riuscendo a capire il perché de mio
gesto.
Sentivo
il suo cuore pulsare frenetico, dibattersi quasi come se tutte le sue
emozioni
fossero in lotta tra di loro, quasi come se lì dentro si
stesse scatenando una
bufera, un uragano.
Damon era
umano proprio come me, ma non per
questo
ero adesso distesa con lui all’interno di quella tenda al di
fuori del mondo.
Damon era
Damon, non un vampiro, non un umano,
solo un uomo e questo era sempre
stato.
Colpita
da quella consapevolezza lo guardai negli occhi e supplicai la lingua
di frenare
l’impeto di giocare con quella di lui e di darmi ascolto per
una volta.
“Tu sei
qui” sussurrai e inarcai la schiena avvicinando
pericolosamente il bacino a
quello di Damon che mi sovrastava, serrandomi nella stretta ferrea dei
suoi
bicipiti.
“Sei qui,
Damon, nel tuo cuore” ripetei e schiacciai con violenza il
palmo leggermente
sudato sul suo pettorale: se avessi esercitato una maggiore pressione,
lo avrei
potuto toccare, il suo cuore.
Era lì
Damon, tutto ciò per cui avevo lottato, per cui avevo
pianto, per cui l’avevo
odiato, stava lì dentro racchiuso tra due polmoni.
Che Damon
si fosse trasformato nuovamente in vampiro o fosse rimasto umano, poco
importava: non poteva esistere un Damon senza il suo cuore
perché il suo cuore
era Damon.
Lo
strinsi più forte a me per trattenere quella vivida
scintilla che aveva acceso
il mio animo, quella fiamma dirompente che mi aveva fatto perdere il
nume della
ragione.
Rotolammo
fino a scontrarci con la parete di stoffa della tenda.
Mi
ritrovai sopra di lui e scostò i lunghi capelli per trovare
il gancetto del
reggiseno.
Per un momento ci osservammo, con il cuore di
entrambi che sussultava in petto e non potemmo trovare altro
completamento che
l’uno negli occhi dell’altro.
Sfiorò il tessuto del mio intimo e io serrai la mia
mano attorno ai suoi boxer neri, tentando di sfilarglieli di dosso.
Non importava quali creature o bestie feroci
potessero esserci al di fuori, l’intero mondo avrebbe fatto a
meno di noi per
una notte.
Dischiusi le gambe, vittima della voglia
insostenibile.
Le nostre labbra si sfiorarono e questa volta
tutta la foga e la violenza di poco prima si sciolse in dolcezza e
tranquillità.
Uno scatto irruento e quasi brutale mi mozzò il
fiato in gola e non ebbi il tempo di respirare, di goderne appieno che
Damon era
in me, in ogni sua singola forma.
Il senso di completezza che avevo già raggiunto
prima si quadruplicò rendendomi schiava e partecipe di un
piacere
indiscutibile.
Reclinai il capo all’indietro sopraffatta dal
piacere e Damon trovò spazio nell’incavo del mio
collo, solleticandomi la pelle
con le sue ciocche corvine, avvinghiandosi a me.
Mi adagiò sulla coperta ancora uniti e in
sintonia.
Nessun nome gridato, nessuno sbuffo di piacere,
solo i nostri respiri segnavano il tempo che trascorreva.
La paura, l’insicurezza del domani, tutto era
scivolato via e il calore che mi scorreva nelle vene lo sentivo
energico e
bruciante come non mai. Era forza, era vita.
“Ho bisogno di saperlo” mugolò piano
l’ex vampiro
ancora in preda agli spasmi.
Mi dimenticai di parlare, mi rifiutai di farlo per
trattenere quella forza che avevo acquisito.
Scostò una ciocca di capelli dal mio viso
bollente.
“Mi ami?” chiese con voce incerta e il suo cuore
barcollò tra la gola e lo stomaco.
Il mio cervello non riuscii ad elaborare una risposta
sensata. Mi limitai a sfiorare il torace all’altezza del
cuore così come avevo
fatto in precedenza.
“Siamo pari allora” ridacchiò con voce
stanca e
sonnolenta.
Mi cinse un fianco con la sua mano e io accasciai
la testa sulla sua spalla, aspettando che il mondo rispondesse al mio
posto.
Non ricordo quante volte quella notte facemmo
l’amore. Il tempo sembrava non essere mai abbastanza quando
si trattava di noi
due.
Ricordo che il cielo era ancora leggermente scuro
quando mi ritrovai da sola nella tenda avvolta nella coperta.
Mi stropicciai gli occhi ancora leggermente chiusi
e mi accorsi che il senso di torpore di quella notte era svanito: ero
di nuovo
Elena, avevo di nuovo paura.
Il mio cuore perse almeno due battiti quando mi
accorsi che Damon non era più con me e un nuovo senso di
ansia si fece largo
dentro di me.
Tentai di controllarlo, di domare la mia paura:
l’avrei dovuto imparare in fretta per combattere, per
proteggere le persone che
amavo.
Mi avvolsi maggiormente nella coperta e con le
gambe indolenzite e che un po’ barcollavano uscii dalla tenda.
L’aria fredda e umida della prima mattina mi fece
rabbrividire e, nonostante la fioca luce del cielo plumbeo, strizzai
gli occhi.
Le ceneri ancora fumanti testimoniavano il fuoco
della sera precedente e la leggera nebbia presente nella foresta la
rendeva
ancora più spettrale e terrificante
dell’oscurità.
Mi scorsi intorno e trovai quello che stavo
cercando.
Damon stavo ritto a torso nudo, con i bermuda che
gli fasciavano il corpo dalla vita in giù.
Potei ricominciare a respirare regolarmente per
una manciata di secondi, il tempo necessario per notare
l’espressione
corrucciata e nervosa che era dipinta sul volto di Damon.
Il suo sguardo furioso scontrò il mio e il sorriso
mi morì in bocca.
Seguì la direzione del suo sguardo, oltre le altre
due tende, oltre i tronchi e i massi di quella radura.
E il cielo mi crollò addosso dalla vergogna.
Colin era lì, con la schiena contro un albero, con
le braccia serrate al petto che mi guardava penetrandomi
l’animo con i suoi
occhi grigi e indagatori.
Chissà da quanto tempo stava lì,
chissà se aveva
sentito, chissà se aveva immaginato!
Boccheggiai un attimo tentando di rielaborare una
scusa, provando a smentire tutto e sperando che fosse appena arrivato.
La voce mi abbandonò e quella fu la conferma a
tutte le supposizioni del mezzo vampiro.
Inclinò gli angoli della bocca senza lasciar
trapelare alcun segno di rabbia o delusione.
“Stefan è in macchina, vi stiamo
aspettando”
annunciò sciogliendo quell’intricato groviglio di
braccia.
Detto questo si incamminò verso la pianura dove
avevamo lasciato la macchina.
Mi tremarono le ginocchia e l’aria si fece
incredibilmente pesante.
Era
tornato, era vivo.
Damon mi guardò con occhi supplicanti e
terrorizzati e mi si accartocciò il cuore.
In quel momento, avrei voluto che la terra sotto i
miei piedi mi avesse inghiottito cancellando ogni singola traccia di me
stessa.
***
Ebbene
si carissimi lettori, dopo ben ventuno capitoli di questa storia, Elena
ha
ammesso (forse) i suoi sentimenti per Damon! Anche se sembrerebbe che
Elena si
sia concessa a Damon solo perché dava per scontato che
Stefan e tutti gli altri
non sarebbero ritornati a casa, in realtà Elena ha capito
ciò che da molto
tempo tutti gli altri e lei stessa ignorava, ovvero che alla fine di
tutto
Damon ci sarà sempre. Elena si rende finalmente conto di
questa verità e spinta
forse un po’ dalla disperazione mette in chiaro i suoi
sentimenti, rendendo una
buona volta giustizia a tutto ciò che l’ex vampiro
ha fatto per lei. Ma passiamo
invece all’adorabile Colin: avrà visto? Sospetta
qualcosa? Si, Colin è l’unico
a conoscenza della notte di passione di Damon ed Elena, per cui la
domanda è: manterrà
il segreto o lo rivelerà a Stefan che a quanto pare
è vivo e vegeto? Vi
anticipo che Colin (attrazione per Bonnie a parte) è un
personaggio che forse è
entrato quasi per gioco all’interno di questa fan fiction ma
a cui io tengo
particolarmente e che sarà uno dei personaggi chiave di
tutta la vicenda: una
sua mossa sbagliata e la tregua con la Triade potrebbe saltare
definitivamente!
Vi avevo detto che adesso arriverà il suo momento ;D
Concludo il mio lungo
monologo dicendo che Elena alla fine non rinnega ciò che
prova per Damon (anche
se in effetti ci pensa) ma semplicemente ama anche Stefan e non sa
affatto come
affrontare la situazione visto che lei lo dava ormai per spacciato. Il
prossimo
capitolo darà molte spiegazioni a riguardo, una
conversazione tra Elena e Colin
metterà la verità sotto gli occhi della ragazza e
si scopriranno finalmente i
tanto temuti aggressori del minore dei Salvatore.
Grazie
di cuore a tutti coloro che seguono la mia fic e che ogni volta mi
danno la
forza di continuare a scrivere anche quando vorrei mollare tutto ♥
Alla
prossima!
Sil
|
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Capitolo 24 *** 22 - DO YOU TRUST HIM? IT'S EVIL! ***
22-
DO YOU TRUST HIM? IT’S
EVIL
Era
indelebile la macchia che avevo io stessa
rattoppato in cuore, un qualcosa che si allargava e imputridiva ogni
momento
che passava.
Ad ogni bacio donato con dolcezza e felicità dal vampiro che mi stava accanto.
Ad ogni occhiata glaciale scoccata dal ragazzo
che mi stava accanto.
“Sicura di stare bene?” chiese la voce premurosa
di Stefan il quale mi strinse ancora di più contro il suo
petto, avvolgendomi
le spalle con le sue braccia possenti.
L’odore di selvatico e di bosco si fece vivo alle
mie narici e inspirai quel profumo che per lungo tempo mi era mancato,
strizzando gli occhi.
“Sono solo stanca e felice che tu sia qui” mugugnai
contro il suo torace marmoreo, cercando nascondere il viso nella sua
maglietta
nera e sgualcita.
Dopo che Colin ci aveva avvertiti dell’arrivo di
Stefan, mi ero rivestita in silenzio, avevo indossato quegli stessi
abiti che
solo la notte precedente erano stati strappati violentemente dal mio
corpo, in
preda alla follia e alla voglia. Avevo dovuto vestirmi di fronte a
quegli occhi
di ghiaccio che mi indagavano indignati e pieni di ira, rivolgendomi
stilettate
che miravano dritte al cuore.
Non avevo pianto per l’uno, non avevo gioito per
l’altro.
Avevamo smontato velocemente la tenda e ci eravamo
diretti verso il luogo indicato da Colin: l’abisso che solo
la sera prima
avevamo finalmente colmato adesso si espandeva in tutta la sua
profondità tra
noi due, in uno spazio che variava dai cinquanta agli ottanta
centimetri – anni
luce per me.
E poi tutto ciò che avevo dovuto fare era stato
piegare gli angoli della bocca alla vista di quel ciuffo sbarazzino,
perdere un
battito o forse due davanti quella fronte corrucciata sopra gli occhi
incredibilmente verdi, e implorare le gambe di muoversi un passo alla
volta per
arrivare al vampiro che in cuor mio ancora amavo, il suo amore non era
stato
cancellato.
Stefan sorrise silenzioso e mi accarezzò la testa
facendo scorrere le mani tra i miei capelli crespi e pieni di nodi, ma
per lui
semplicemente stupendi.
Premetti di più l’orecchio contro il suo torace.
Non
c’era battito, non c’era rumore. Solo silenzio. E la
cosa mi rese incredibilmente triste.
“Damon non ti ha causato problemi vero?” mi chiese
in un filo di voce mirato esclusivamente ad essere udito da me e da
nessun’altro.
Era percepibile in quella sottile domanda tutta
l’irrequietudine del vampiro, trattenuta solo dalla
capacità di controllo
tipica di Stefan.
Mi sforzai di sorridere e forse un po’ lo feci
ricordando il tempo trascorso da quando era partito, ma dovetti
ricredermi
quando la verità dell’accaduto mi
piombò in testa come un macigno.
“Alcuni. Anche se è umano è il Damon di
sempre”
mugugnai ma non mi accorsi del tono di voce fin troppo alto che avevo
utilizzato.
“Non ti biasimo fratello se hai deciso di farti
catturare dai nani di Biancaneve solo perché eri geloso di
me ed Elena”
sentenziò acido Damon rivolgendo per la prima volta lo
sguardo verso di noi –
verso di me.
“Si Damon, sono felice anche io di vedere che sei
ancora vivo” borbottò Stefan aumentando la stretta
attorno alla mia spalla
facendomi piegare la schiena in un modo innaturale e spostò
lo sguardo oltre il
finestrino.
Damon avvicinò impercettibilmente la mano verso il
mio interno coscia sfiorando la pelle sensibile e lasciata nuda dai
cortissimi
pantaloncini.
Quell’abitacolo della macchina non mi sembrò mai
così stretto come in quel momento.
Mi schiarii la voce e tentai di raddrizzarmi
sporgendo il capo verso Caroline alla guida e distanziandomi dai due
Salvatore.
“Manca ancora molto?” chiesi alla vampira
leggermente annoiata.
“Prova a chiederlo alla scimmia”
decretò scoccando un’occhiata vaga a Colin seduto
accanto
al finestrino che sembrava assorto a rimirare il paesaggio canadese.
“Colin?” provai a chiamarlo, ma il rosso non diede
segno di vita.
Ero pronta a chiamarlo una seconda volta, ma il
repentino movimento della testa mi fece morire le parole prima ancora
che
arrivassero alle labbra.
“Mancano ancora un’ora o due. Si farebbe prima per
i boschi così come stanno facendo tuo fratello e la Bennet.
C’è un lago qui vicino.
Ci fermiamo lì per un po’ se
vuoi”.
Rimarcò quelle ultime due parole e i suoi occhi
grigi si allargarono, ma non per soggiogare quanto più per
farmi capire che lui
sapeva, forse molto più di me.
Lo ringraziai mentalmente, ma non ebbi il coraggio
di dirglielo e ritornai a sedere in quel sedile che scottava peggio di
una
brace di carboni ardenti.
“Vi fidate di lui?” domandò Stefan senza
modulare
il tono di voce, forse con l’intento di mettere al corrente
il mezzo vampiro
del suo scetticismo.
“Certo. Perché mai non dovremmo farlo?”
risposi
accigliandomi e tentando di trovare almeno un motivo per cui non
ascoltare
Colin che ormai era entrato a far parte della squadra – se la
si poteva
definire tale.
Stefan corrucciò la fronte e schioccò la lingua,
segno che non era del mio stesso parere.
“E’ malvagio” disse e lo sguardo grigio e
imperturbabile del mezzo vampiro mi squadrò dallo
specchietto retrovisore.
Sospirai e decisi che era meglio non parlare fino
all’arrivo al lago.
Era
un’enorme distesa limpida e piatta e il sole
delle undici e mezza faceva scintillare le acque calme di finissima
luce.
La vegetazione cresceva a pochissimi metri dalla
strada statale e il rumorio delle cicale spezzava quello strano
silenzio che
incombeva in tutto quel panorama, smorzato una volta o due dal passare
di
alcune auto.
Nonostante fosse piena estate l’aria leggermente
fresca del Canada si faceva sentire. Tirai su la zip della felpa verde
e
sprofondai le scarpe sull’erba asciutta e morbida che
conduceva al lago e a una
foresta di betulle poco lontana.
Non che stessi scappando dai miei problemi, avevo
solo bisogno di trovare una soluzione, la più giusta
affinché non uccidessi
né l’uno né l’altro fratello.
Ma le continue attenzioni di Stefan e gli sguardi
talvolta assassini talvolta languidi e vogliosi di Damon non mi
permettevano di
distaccarmi e ragionare lucidamente.
Giunsi a pochi metri dalla riva del lago,
affondando le mani nelle tasche della felpa.
Voltai il capo all’indietro osservando la macchina
in lontananza: Damon e Stefan erano appoggiati allo sportello, entrambi
con le
braccia serrate al petto e assorti in una qualche conversazione a cui,
con mia
grande meraviglia, sembrava partecipare anche Caroline.
Vidi la vampira bionda scuotere il capo con
veemenza e agitare le braccia segno che qualcosa era andato contro i
suoi
pareri.
Poi si girò come accortasi che li stessi spiando e
rivolsi lo sguardo altrove sperando, invano, che non mi avesse vista.
Il rumore di un sasso lanciato in acqua e dello
starnazzare di alcuni uccelli bizzarri mi fece ridestare dai miei
pensieri.
“Peccato! Se non fossimo diretti da qualche parte,
mi sarei fatto volentieri un bagno qui nel lago”.
Colin scese dalla roccia che affiorava dal lago e
con meno di due saltelli arrivò sul terreno umido e bagnato
dov’ero io,
atterrando morbidamente sui talloni.
“Tranquilla, non stanno parlando di te”
tintinnò il
mezzo vampiro cercando accuratamente tra i fili d’erba
sassolini da gettare in
acqua.
“Stanno parlando di me”
continuò tranquillo infondendomi quella serenità
che solo lui
riusciva a darmi.
Il sapere della mia estraneità alla discussione mi
rincuorò: almeno non stavano affrontando
quell’argomento, non subito perlomeno.
Scostai un po’ di foglie secche con la punta delle
scarpe rinvenendo alcuni ciottoli. Il rosso se ne accorse e si
apprestò subito
a raccoglierli.
“Grazie, per non aver detto niente” mi decisi a
dire osservando i numerosi cerchi d’acqua che si andavano
formando dopo ogni sassolino
lanciato.
“Per non aver detto cosa?” chiese arricciando il
naso per il sole.
“Per non aver detto di me e di…”.
Non riuscii a terminare la risposta, ma Colin
sembrò subito capire e scrollò le spalle come per
accettare il mio
ringraziamento.
“E’ difficile vero?” chiese mentre si
piegava per
slacciarsi le sneekers a scacchi.
“E’ difficile cosa?” ribadii corrucciando
la
fronte.
“Ammettere che tu e…” rispose non
finendo la frase
di proposito così come avevo fatto io pochi minuti prima.
Sembrava molto più maturo Colin di quanto non
fosse in realtà. Anzi era decisamente più maturo.
I tratti dolci e
fanciulleschi del viso, pur sempre presenti, si erano fatti
più marcati e
spigolosi così come le spalle più larghe e
sporgenti ma pur sempre esili da
bambino, i muscoli delle braccia si erano gonfiati ed era cresciuto di
qualche
centimetro da quando era arrivato solo un mese e mezzo prima e la voce
da
squillante e stridula si era fatta più grossa e profonda.
Nonostante l’apparenza, in quel momento ebbi come
l’impressione di stare parlando ad un uomo e non ad un
semplice ragazzino.
“Ricordi quando ti ho parlato di mia madre?” mi
chiese affondando i piedi nelle acque del lago.
Mi rivenne in mente la soffitta di Damon e della
nostra conversazione – quando la semplice incognita
dell’equazione era trovare
un modo per far tornare Damon un vampiro.
“Si. Mi hai detto che si chiamava Anya e che io le
assomigliavo” risposi prendendo posto sulla roccia e imitando
anche io il
rosso.
Colin ridacchiò sbarazzino facendo spaventare un
gruppo di uccelli.
“Si, era anche lei parecchio testarda come lo sei
tu. Ovviamente non che io abbia conosciuto la mia mamma da giovane, ma
me la
ricordi moltissimo. Quel giorno ti ho detto anche di non commettere il
suo
stesso errore. A quanto vedo non mi hai ascoltata.”
Lanciò un altro sasso in acqua e io attesi che lui
continuasse.
“Come ti ho già detto mia mamma era irlandese.
Aveva dei buffi capelli rossi e ricci come i miei e due occhi verdi.
Mia mamma è sempre stata una di quelli che voi
definite spiriti liberi.
Nonostante la rigida mentalità della fine del
diciottesimo secolo, era riuscita a crearsi una vita senza doversi
sposare come
invece richiedeva di essere fatto. Aveva girato l’Europa
– Parigi, Vienna,
Mosca, - ed era riuscita anche ad imbarcarsi per l’Egitto.
E’ qui che conobbe l’uomo della sua vita”.
Fece una piccola pausa e io non continuavo a
capire che sbaglio avessi potuto mai commettere.
“Frederick era un commerciante di spezie di
nazionalità Olandese, ma di madre Egiziana e per tutta la
sua vita non aveva
fatto altro che racimolare denaro per raggiungere un giorno suo
fratello nel
Nuovo Mondo.
Mia madre si innamorò di Frederick e, aggiungendo
alla già cospicua somma un po’ della sua dote,
riuscirono a partire per
l’America.”
Sussultai quando mi sentii sfiorare il piede
immerso nell’acqua da un pesce e mi preparai al peggio.
Se c’era una cosa che ero sicura su Colin era che,
nelle storie della sua famiglia, non c’era mai un lieto fine.
“Così Frederick raggiunse il fratello
più piccolo,
Roland, impegnato da anni nella conduzione di una piccola piantagione
di
tabacco e di caffè.
Gli presentò la sua nuova compagna che ben presto
sarebbe diventata sua moglie.
Ma non lo divenne mai: in quegli
anni scoppiò un’epidemia di colera che
investì tutta
la zona del centro America e mia madre fu una delle tante vittime.
Roland, rattristato per la disperazione del
fratello mentre questo affogava i suoi dispiaceri nell’alcol,
trovò una
soluzione.
Tra i migliori acquirenti di caffè e tabacco vi
erano dei potenti uomini che lui conosceva essere dei vampiri.
Roland era un tipo semplice, ma aveva la capacità
di gestire situazioni più critiche e sotto le diverse
circostanze.
Ritornò una sera con un ampolla contenente il
sangue di uno di quegli uomini, sangue di vampiro.
Mia madre non riuscì a superare la notte, il suo
cuore cessò di battere e si trasformò in un
vampiro.”
“E Frederick come la prese?” chiesi ormai
immedesimata nel suo racconto.
“Ovviamente Frederick non riuscì a concepire
questo mutamento di mia madre, nonostante lei conservasse pur sempre il
suo
aspetto e il suo amore nei suoi confronti. Fu Roland ad occuparsi di
lei, a
spiegarle come comportarsi, a integrarla nella comunità di
vampiri che pian piano
si stava formando in città.
E lei asciugò le sue lacrime, placò la sete che
continuava a pervaderla ogni qualvolta lo aveva accanto,
perché gli voleva
bene, perché era stato lui a salvarla.
Una sera Roland venne assassinato dai vampiri che
lo consideravano solo una nullità per i loro scopi.
Ma il sangue di Anya aveva già fatto effetto,
perché Roland sapeva che sarebbe successo, era solo
questione di tempo.
Ma quando al mattino Roland si svegliò all’interno
della sua piantagione, con il bavero della camicia sgualcito e
insanguinato, al
suo fianco trovò anche suo fratello.
Stava morendo, il cuore si sentiva appena. Roland
dovette pensarci un po’ prima di far bere il suo sangue al
fratello: se fosse
diventato vampiro, sarebbe stato disposto a cedere facilmente Anya al
fratello
per l’eternità? Frederick si risvegliò
ancora vivo, il sangue di Roland lo
aveva solo curato dalla ferita da arma da fuoco.”
Colin mi tese il pacco di patatine che aveva in
mano e accettai l’offerta visto che lo stomaco non voleva
smettere di
brontolare.
“Ma il destino volle che un mese dopo Frederick,
che si era abituato ad assumere sangue di vampiro, morì in
un incidente e si
presentò da Roland e da Anya.
Mia madre avrebbe preferito vederlo morto
piuttosto che vampiro come lei, dannato a vivere e per sempre destinato
a
vederla tra le braccia di qualcun altro.
Roland aveva capito e lasciò che Anya e Frederick
stessero insieme così come era giusto che fosse.”
Il silenzio che lasciò mi permise di intendere che
aveva concluso il suo discorso e nonostante la triste scelta di Roland,
non vedevo
perché quello fosse uno sbaglio.
“Mi dispiace per Roland, ma Anya e Frederick
vissero felici, tua madre e tuo padre finalmente sono riusciti a stare
insieme”
Il rosso si grattò la nuca e si girò per
controllare cosa stessero facendo gli altri in macchina.
“Vedi Elena, Frederick non è mio padre, ma mio
zio” disse e inarcai un sopracciglio in preda allo stupore.
“Ma…quindi è Roland?”
“Frederick e Anya non durarono a lungo. Quando la
Triade li trasformò, mia madre si era già sposata
con Roland, mio padre. Tuttavia
io sono il suo unico figlio.
Michelle non è veramente mia sorella, ed è forse
questo uno dei motivi che l’ha spinta a far parte della
Triade. Anya per tutto
quel tempo aveva continuato ad amare Frederick, e non importavano gli
ostacoli
che li dividevano, i pericoli e la consapevolezza di fa male
l’un l’altro: loro
si amavano dalla prima volta che si erano conosciuti!
Se mia madre avesse solamente scelto diversamente,
se solo non si fosse innamorata di Roland probabilmente io adesso non
esisterei, ma mia madre sarebbe stata felice così come era
giusto che fosse.
Non commettere il suo stesso errore, non fare la scelta sbagliata
perché non
basterà una vita per tentare di rimediarla”.
Colin si alzò dalla roccia su cui era stato seduto,
si spolverò i bermuda e indossò le sneekers
pronto a ritornare alla macchina.
Mi alzai anche io di scatto, ma nonostante
desiderassi chiamarlo, corrergli dietro per scoprire perché
Frederick e Anya
non erano potuto stare insieme, le mie gambe rimanevano ancorate al
suolo e le
labbra semidischiuse emettevano solo lenti suoni monosillabici senza
formulare
alcuna domanda sensata.
Avrei voluto chiedergli cosa intendesse per
sbaglio, se Roland, che si era fatto da parte, fosse stato Damon o
Stefan nella
mia situazione, se lo sbaglio fosse stato riportare qui Stefan, ma
erano tutte
domande che rimasero senza risposta per un bel po’ di tempo.
“La cosa buffa di tutto questo sai qual è? Che
Michelle è il capo delle reclute della Triade, mentre
Frederick, suo padre e
mio zio, è il capo della banda dei ribelli”
decretò voltandosi un’ultima volta
verso di me e in meno di tre passi toccò il suolo asfaltato
dell’autostrada
facendo un cenno di saluto verso Stefan.
Li raggiunsi anch’io e abbassai lo sguardo quando
incontrai gli occhi verdi, dolci e carichi di amore, del vampiro di
fronte a
me.
Stefan alla mia reazione sospirò e mi accarezzò
lievemente la guancia, conscio del fatto che non ero proprio in vena di
spiegazioni o di domande.
“Sali in macchina, tra un po’ ripartiamo”
disse
soltanto per poi allontanarsi, sicuramente alla ricerca della vampira
bionda
che non riuscivo a scorgere nei paraggi.
Mi mordicchiai il labbro inferiore e decisi di
seguire il suo consiglio salendo in macchina.
“Ed eccoci giunti alla resa dei conti”
“Damon!” gridai e il cuore ruzzolò
più forte
contro le mie costole, un po’ per lo spavento un
po’ per la paura di cosa
sarebbe successo.
I suoi occhi azzurri mi penetrarono l’anima e non
ebbi modo di scendere dall’auto che lui già mi
aveva bloccato per un polso
obbligandomi a restare.
“Cosa vuoi Damon?” chiesi serrando le braccia al
petto e scivolando sul sedile e appoggiando la testa contro il
finestrino.
Roteò appena gli occhi e accostò la schiena al
finestrino opposto così da potermi guardare e parlare meglio.
“La domanda non è cosa voglio io, ma cosa vuoi
tu?” sentenziò trafiggendomi con lo sguardo e
inclinando appena il capo.
Mai
seguire le indicazioni e i consigli di un vampiro!
Boccheggiai
per qualche secondo non trovando le
parole giuste per rispondere a quella netta provocazione del ragazzo
che mi
trovavo di fronte.
“Io so cosa voglio” mi difesi prontamente
abbassando gli occhi e iniziando a giocherellare con la cerniera aperta
della
felpa: sbaglio o stava facendo più caldo del solito.
“Davvero? Perché sembri abbastanza indecisa al
momento!”
Sospirai e i nostri sguardi si intrecciarono in un
muto silenzio.
Damon schioccò la lingua, ma stavolta le sue
parole uscirono calme e assennate.
“Meno di ventiquattro ore fa eravamo in quella
tenda, eravamo felici e non puoi aver cancellato tutto, deve essere
stato
significativo anche per te!” disse e si sporse accorciando la
distanza che vi
era fra di noi.
“Cosa pretendi, Damon, che esca fuori da questa
macchina e gridi ho scelto te?”
chiesi con ironia raddrizzandomi con la schiena e sporgendomi anche io
verso di
lui.
“No, Elena, che tu scelga
soltanto. Mi basterebbe solo questo. E te lo giuro su Dio,
in questo momento sento di avere davvero un cuore perché si
sta tormentando.
Vorrei fermarlo, vorrei renderlo freddo e duro come un tempo, ma non lo
farò
perché nel momento in cui io ritornerò ad essere
un vampiro, io avrò scelto, tu
avrai già scelto e non sarò più io
quello che starà al tuo fianco”.
I suoi occhi scintillarono di una luce diversa e
con garbo mi prese la mano e aprì bene il palmo
così da farlo aderire al suo
torace proprio all’altezza del cuore. Un senso di de-javu mi
fece sussultare: i
battiti del suo cuore si sovrapponevano ai miei, quel ritmo incessante
che mi
ricordavano l’inesorabilità del tempo, quel cuore
pulsante che Damon mi stava
porgendo e che io stavo nettamente rifiutando.
Mentre la mia mano continuava ad essere incollata
alla sua maglietta, posai l’altra sulla spalla di lui,
allontanandomi dal
finestrino e accostandomi alla sua figura.
“Tu sei qui, Damon. Ti prometto che troveremo una
cura e quando tutta questa storia sarà finita e tu
ritornerai ad essere un
vampiro, ti dimostrerò che avevo ragione, che quello che
è successo ieri è
stato un modo per dimostrartelo. Ma c’è una guerra
là fuori, e Stefan ne sarebbe
distrutto se lo scoprisse. Io ho già scelto, Damon, e ho
scelto di salvarti,
nient’altro.”
Il magone che avevo in gola si fece più prepotente
e più stretto tanto da farmi boccheggiare, ma non avevo
lacrime, non ero
triste. Mi sentivo come alla fine di una corsa, quando finalmente
riprendi aria
e colmi il vuoto interposto tra un polmone e l’altro. Ma il
cuore bruciava,
faceva male e quel senso di fastidio mi diede la conferma che avevo
fatto la
scelta giusta.
Dopotutto
avrei preferito non sentire più il suo battito per sempre
che sentirlo di volta
in volta ruzzolare a causa mia.
Damon
piegò gli angoli della bocca in un sorriso disarmante
e strizzò gli occhi blu.
“Non è che sotto quella felpa hai il costume da
Superwoman?” chiese ironico inarcando un sopracciglio.
Nonostante sapessi che quel suo sorriso era falso,
quella sua battuta mi fece ridere lo stesso. Era
sempre e solo Damon, né di più né di
meno.
Non ricordo come avvenne, ma i centimetri che ci
dividevano si annullarono – progressivamente, come un conto
alla rovescia - così
come l’abisso che si era creato tra di noi, colmando il vuoto
tra un sedile e
l’altro e forse un po’ il cuore.
Per un nanosecondo mi rivenne in mente la storia
dei genitori di Colin, del dolore di Anya nello scegliere tra Roland e
Frederick
e solo allora capì che in fondo Colin si era proprio
sbagliato.
Dopotutto quello doveva essere il nostro bacio
d’addio – a cui seguirono molti e molti altri.
“Non
ti sembra strano che ci ha fatto aspettare
per più di un’ora in quel lago, e che adesso che
siamo arrivati a destinazione
ci dice di aspettare?”
Alzai gli occhi al cielo all’ennesima manifestazione
di scetticismo da parte di Stefan.
“Stefan ho tutta la situazione sotto controllo, mi
fido di Colin e se ha deciso così ci sarà un
motivo e non lo voglio sapere”
sbraitai chiudendo il cofano della macchina e preparando lo zaino che
il mezzo
vampiro aveva detto di portare.
Secondo il rosso non eravamo ancora giunti a
destinazione – sempre se ci fosse stata una destinazione ben
precisa verso cui
dirigerci – e che dovevamo inoltrarci nei boschi dove avremmo
incontrato Bonnie
e Jeremy.
Svitai il tappo della bottiglietta che avevo in
mano e la adagiai sulle mie labbra così da poter placare
l’arsura alla gola
dovuta alla sete.
“Non ti sembra strano il comportamento dello gnomo?”
L’arrivo di Damon alle mie spalle mi fece
sussultare e bagnare la camicetta di acqua. Scrollai alcune gocce
d’acqua dalle
dita e riposi il tappo blu sulla bottiglia di plastica, preparandomi a
rispondere anche a lui.
“Vedo che non sono il solo ad avere dei sospetti”
pronunciò Stefan prima che io potessi aprire bocca.
Era la prima volta che vedevo entrambi i fratelli
essere d’accordo su qualcosa e quel fatto non mi rendeva
affatto tranquilla.
“Ragazzi stiamo parlando di Colin, è da
più di un
mese che sta con noi e se avesse avuto intenzione di ucciderci
l’avrebbe fatto
subito. Siamo stati noi che abbiamo deciso di aiutarlo, noi che gli
abbiamo
promesso che l’avremmo aiutato in questa battaglia e lui
adesso ci sta
conducendo…”
“Dove? Ci sta conducendo dove?”.
Caroline interruppe il mio discorso e oscillò violentemente
i riccioli biondi osservandomi preoccupata con i suoi occhi color giada.
“Elena, sono stanca di camminare per i boschi, di
essere all’oscuro di tutto ma non poter fare domande. Il
nostro intento era
quello di recuperare Stefan e ci siamo riusciti. Anche io voglio molto
bene a
Colin, ma dobbiamo renderci conto che le sue azioni non sono coerenti,
tutte
questo viaggio non lo
è” sbraitò in
preda all’esasperazione.
La vampira bionda si avvicinò alla mia figura,
guardandomi con occhi ancora rassegnati e al contempo accesi da una
verità a me
ignota.
Strinsi forte la bottiglia di plastica che avevo
fra le mani e abbassai lo sguardo, torturandomi e succhiando avidamente
il
labbro inferiore.
Colin era davvero un nostro nemico? Nonostante il
bene che gli volevo, non potevo non contraddire il dubbio dei miei
amici.
“Elena!”
Si levò una voce dal folto della boscaglia e dopo
qualche secondo due figure si fecero avanti. Bonnie e Jeremy uscirono
dalla
selva e mi aprii in un radioso sorriso.
Eravamo tutti, eravamo insieme.
Bonnie mi abbracciò come era solita fare e così
fece mio fratello contento come me dell’unicità
ritrovata.
“Ma avremmo dovuto venire noi da voi” disse Stefan
facendo ciondolare su una spalla il suo ed il mio zaino.
Jeremy inarcò un sopracciglio e la mia amica
corrugò lievemente la fronte.
“Ci ha mandati lui da voi” dichiarò mio
fratello
e, nonostante io e Damon fossimo gli unici umani, non fummo noi soli ad
impallidire.
“Ha detto di dirigerci tutti insieme a nord”
farfugliò Bonnie osservando un punto indefinito
all’interno della foresta.
E così fu. Ci incamminammo attraverso la fitta
boscaglia, con la paura e il ribrezzo di aver perso un nostro alleato,
un
nostro amico, in quella lotta che stava diventando più
grande di noi.
Stavo attenta a non inciampare mentre tenevo saldamente
la mia mano legata a quella di Stefan e con un dito cercavo tuttavia
conforto e
stabilità aggrappandomi alla maglietta di Damon.
Nessuno parlava lungo il tragitto, solo il rumore
incessante del fogliame calpestato si faceva sentire. Anche gli uccelli
avevano
smesso di cinguettare o gli scoiattoli di arrampicarsi fra gli alberi.
Quindi veramente era uno di loro? Per tutto questo
tempo ci aveva davvero mentito spudoratamente?
Stefan e Caroline davanti a me si bloccarono e
scorsi oltre le loro spalle due ciuffi rossi tra il fogliame.
Il cuore mi si sbriciolò in minuscoli pezzi di
vetro.
“Eccovi!” annunciò a voce bassa, calmo e
sbarazzino, inclinando gli angoli della bocca in un sorriso pieno di
entusiasmo
e di vitalità.
Damon si sovrappose fra me e i due vampiri
davanti, impedendomi di ricambiare lo sguardo che Colin mi aveva
indirizzato,
carico di stupore e smarrimento.
Bonnie al mio fianco era pronta ad attaccare: lo
sentivo, stava canalizzando l’energia così da
tramortirlo come aveva fatto le
volte precedenti.
Mi feci prendere dal panico e urtai per sbaglio un
ramo secco che si sbriciolò sotto il mio peso.
Non ricordo se fu quello o semplicemente la
concentrazione di un bel gruppo di vampiri e di una strega nel loro
territorio
a radunare un esercito di mezzi vampiri con le fauci spalancate e le
iridi
vuote e bianche, pronti ad azzannare e a difendersi.
Non erano come quelli che erano stati mandati
dalla Triade per uccidere Damon, erano diversi, più umani e impauriti quanto noi: molti di
loro erano donne, altri
semplici bambini e bambine, vestiti con shorts e gonne, altri in tuta
mimetica.
Mi resi conto che eravamo stati accerchiati e che
sopra le nostre teste, altrettanti mezzi vampiri ci guardavano
incuriositi e
ansiosi di ricevere un qualche segnale per passare
all’attacco.
Il ringhio soffuso di quegli esseri si fece sempre
più prepotente, come un grido di battaglia e mi decisi a
prepararmi al peggio.
Stefan mi spintonò più indietro e Damon condusse
la mia faccia verso il suo petto, intrecciando i miei capelli fra le
sue dita.
Avevamo paura, avevamo tutti paura.
“All’alba del
giorno la
Triade
morrà” sbuffò il rosso
mugugnando quella frase.
La voce di Colin placò quella serie di ringhi e sbarrai
gli occhi all’udire quella filastrocca che in un modo o
nell’altro ci aveva
condotti proprio in quel luogo e in quella situazione.
“Fermo, Jim. Loro sono con me” continuò
a dire e
potei notare come i volti di ciascun mezzo vampiro ritornarono, da
scarni e
smunti, a coloriti e rosei, e così anche gli occhi, da
bianchi e vuoti, a grigi
e scintillanti.
Spostai lo sguardo su quello di Colin e mi
meravigliai di vederlo così calmo e risoluto, con un sorriso
pacato e serio che
mi fece infervorare le guance e le orecchie dalla vergogna.
“Che diavolo succede?” chiese Caroline dando sfogo
alla domanda che stava emergendo nelle teste di tutti i miei amici.
Colin sorrise e ottenuto il consenso da un uomo
dai capelli biondi e la tuta mimetica – il suddetto Jim
– si rivolse a noi
guardandoci con aria divertita come avrebbe fatto un bambino davanti ad
una
cavalletta appena catturata.
“Signori e signore, vampiri e vampire, e streghe…sono
lieto di annunciarvi che
siamo arrivati a destinazione”.
Scostò alcuni arbusti e ci avvicinammo meglio per
vedere cosa avesse intenzione di mostrarci.
Tutto ciò che vidi fu una pianura al cui centro si
ergeva un’enorme abitazione di campagna contornata dal bosco.
“Benvenuti alla Cascina”.
Non ci
speravate più vero? Eccomi ritornata con un nuovo capitolo,
dopo quello
precedente che ha lasciato soddisfatte molte fan di questa coppia!
Inizio subito
col dire che questo capitolo è totalmente dedicato a Colin – se non fosse chiaro!
Ammetto che nei capitoli precedenti vi
ho fatto un po’ insospettire riguardo il suo ruolo nella
storia. Buono o
cattivo? Avrete sicuramente capito che Colin è assolutamente
buono (carino e
coccoloso u.u) per cui non avrete più di che preoccuparvi su
di lui ;D La
storia dei genitori di Colin, di Frederick, Anya e Roland non
è stata
raccontata per niente, ma avrà un ruolo fondamentale,
soprattutto in questa
nuova parte della storia. Vi starete chiedendo che cos’è
questa Cascina? Tutto
con i suoi tempi, un capitolo intero sarà dedicato a loro
prima dello scontro
con la temuta Triade! No, non mi sono scordata del rapporto
Damon-Elena: adesso
è un po’ difficile visto che il minore dei
Salvatore è tornato, del tutto
ignaro dei sentimenti della sua ragazza, per cui non disperatevi
è solo un
momento di pausa, anche Stefan ben presto si accorgerà
dell’evidenza!
Grazie
a tutti coloro che seguono la mia storia e recensiscono con
così tanto
entusiasmo che mi verrebbe voglia di abbracciarvi uno per uno *.*
Alla
prossima,
Sil
|
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Capitolo 25 *** 23 - WE'RE NOT STRANGERS, WE'RE A FAMILY ***
23
– WE’RE NOT STRANGERS,
WE’RE A FAMILY.
Era una
graziosa casetta di campagna con il tetto
verde spiovente e l’ampia veranda interamente in legno; un
recinto divideva in
lontananza l’abitazione dal boschetto di aceri mentre dal
camino fuoriusciva
una leggera nebbicciola.
Rimasi stupita e alquanto turbata di vedere quel
paesaggio quasi surreale: sembrava essere una di quelle casette delle
fiabe, ma
lì non avrei trovato cappuccetto rosso o i tre porcellini;
quella era la realtà, e
accanto a me vi erano una strega,
due vampiri e un vero e proprio esercito di mezzi vampiri –
del tutto innocui,
ma questo lo avrei scoperto più tardi.
“Benvenuti alla Cascina”.
Colin ci guardò con aria soddisfatta mentre Damon
ed io continuavamo a mandarci occhiate preoccupate e allarmate, non
riuscendo a
capire cosa stesse insinuando il rosso.
Il mezzo vampiro si aprì in un sorriso furbo
mettendo in bella mostra i denti perfettamente bianchi e lisci.
“Il quartier generale dei Ribelli”
continuò a
spiegare con una vivida luce negli occhi che per qualche strano motivo
placò la
mia inquietudine ma non quella dei miei compagni.
Il mezzo vampiro con la tuta mimetica sbuffò
impercettibilmente e scostò alcune lunghe ciocche biondastre
dietro l’orecchio,
sistemandosi lo zaino in spalla e mandando occhiate fintamente omicide
al
rosso.
“Sei sempre il solito Colin, potevi avvertirci che
saresti arrivato” sbraitò Jim avvicinandosi al
ragazzino e arruffandogli i
capelli ramati.
Colin si allontanò portandosi le mani sui capelli
e riservando un occhiata divertita al biondo.
“Frederick non vi ha avvertiti? Eppure uno dei
prigionieri era scappato” spiegò e
accennò in direzione di Stefan che lo sentii
irrigidirsi e scrocchiare le nocche delle mani.
Erano stati loro dunque a rapire Stefan e non la
Triade come avevamo sempre immaginato.
Chi era il nemico e chi l’alleato? In quel momento
arrivai alla conclusione che in fin dei conti eravamo soli in quella
battaglia,
ognuno lottava per difendere la vita di chi amava; eravamo tutti
compagni di
guerra.
Stefan davanti a me scosse il capo e accennò un
passo, forse con l’intenzione di avventarsi contro Colin o
Jim.
Allungai il braccio e strinsi un lembo della sua
maglietta tra le mie dite, trattenendolo e frenando
quell’istinto certamente
non da lui.
Il vampiro sentendo la mia presa si girò,
fraintendendo il mio gesto, e si posizionò accanto a me
quasi come se avessi
richiesto esplicitamente la sua presenza al mio fianco.
Sentii due occhi azzurri trapanarmi la schiena ma
non mutai la mia espressione né sciolsi la mia mano da
quella di Stefan: che
avesse frainteso o meno, quello non era di certo il momento per Damon
di fare
sceneggiate.
Jim si tolse gli occhiali da vista e i suoi occhi
grigi brillarono con maggiore intensità.
“Sai com’è Freddie, dà gli
ordini a libera interpretazione”
biascicò il mezzo vampiro caricando quello che notai solo
dopo essere un fucile
da caccia.
Spostò lo sguardo verso di noi e alzò un
sopracciglio con aria interrogativa.
“Non vi azzanniamo mica! Seguitemi in silenzio e
senza fare storie”
Si incamminò verso il folto della vegetazione e
alcuni del suo gruppo lo seguirono, compreso Colin che si
avviò abbracciando e
stringendo la mano a quelli che dovevano essere i membri della sua
famiglia
allargata.
Notai Caroline essere esitante se seguire o meno
il gruppo, ma la presenza inquietante dei mezzi vampiri alle nostre
spalle la
fece desistere dalle sue intenzioni e così ci incamminammo
anche noi
raggiungendo rapidamente il resto del gruppo.
“Cos’è, ci avete catturati? Senza
presentarvi,
senza dirci perché?”
La voce di Jeremy si alzò di due ottave e lo
osservai sgusciare velocemente dalla folla per giungere al fianco di
Jim e
Colin.
Lo imitammo e raggiungemmo anche noi la testa
della carovana.
“Piacere, il mio nome è Jim, sono addetto alla
sicurezza della Cascina e non sono tenuto a rispondere alle vostre
sciocche domande.
Contento adesso?” rispose acido Jim riservando
un’occhiata glaciale a Jeremy
che non riuscì più controbattere e si
ammutolì.
Per un po’ di tempo l’unico suono che si
udì fu
quello del frusciare delle foglie sopra le nostre teste.
Arrivammo
alla Cascina e non appena varcammo la
soglia del recinto i mezzi vampiri che erano fuori stesi a prendere il
sole o a
discutere ci guardarono allibiti e scattarono subito in piedi, un
po’ per sicurezza
un po’ per curiosità.
Alcuni addirittura dalle finestre delle loro
camere assistevano alla scena bizzarra dall’alto.
La porta si spalancò e una signora dall’aspetto
giovanile, bassa, con i corti capelli color miele si
avvicinò con aria
minacciosa a noi e in particolare al mezzo vampiro di fronte a noi.
“Colin James Michael Weber! Dopo tutto questo
tempo hai ancora la faccia di ritornare qui?”
sbraitò la signora asciugandosi
le mani nello strofinaccio emanando un lieve sentore di marmellata
all’arancia
e di cannella.
Attirò al petto il giovane con fare materno e lo
cullò dolcemente mentre Colin tentata invano di recuperare
un po’ di quell’aria
che, nonostante la sua condizione, gli serviva eccome.
“Mi hai fatto preoccupare! Andartene nel cuore
della notte! Tuo zio ha dato di matto per una settimana
intera!” continuò a
parlare mentre ispezionava il ragazzo sistemandogli il colletto della
polo e
spazzolandolo dalle foglie e dai rametti che gli si erano impigliati
durante il
tragitto nella foresta.
“Si, Grace, anche tu mi sei mancata”
snocciolò il
rosso e Grace si slanciò ancora una volta verso di lui
baciandolo lievemente in
fronte.
Nonostante fossimo in un luogo sconosciuto e
circondati da mezzi vampiri, quella scena così quotidiana mi
fece piegare gli
angoli della bocca in un sorriso. Sapevo che Colin non aveva
più la mamma e che
in un modo o nell’altro aveva trovato in me una figura
materna a cui poter fareriferimento, ma il vedere Colin così
contento di rivedere quella donna ormai
familiare mi fece sciogliere il cuore.
Dopotutto anche io alcune volte avrei voluto
abbracciare così la mia mamma.
Grace alzò i suoi occhi stranamente castani – era
umana, ne ebbi la conferma - e la sua espressione si addolcì
ancora di più.
“Voi dovreste essere gli amici di Colin, mi
dispiace di avervi fatto attendere così tanto. Entrate pure,
siete arrivati in
tempo per la merenda” disse e con fare premuroso ci
invitò ad entrare.
“Anche tu, Jim”
Mi voltai, incuriosita dal tono con cui aveva
chiesto al biondo di entrare.
Jim roteò gli occhi, estrasse dalla tasca della
tuta un accendino e con esso si accese la sigaretta che aveva posto in
bilico
fra le sue labbra.
Mi lanciò un’occhiataccia e fui costretta a
spostare lo sguardo mentre Damon mi spingeva ad entrare così
che Grace potesse
chiudere la porta alle nostre spalle.
Ciò che apparve ai miei occhi fu più bizzarro di
quanto avessi mai sospettato: tre rampe di scale con altrettanti piani
si
snodavano verticalmente e lungo il passamano e accantonati sulle scale
magliette, libri e oggetti vari giacevano lì come se quello
fosse stato il loro
posto; un chiacchiericcio sommesso proveniva dalle stanze ai piani
superiori
mentre al pianterreno la voce del notiziario tentava di soffocare lo
stridio di
padelle e di risate. Due ragazze in pantaloncini scesero dalle scale e
allegramente ci sorpassarono senza dare minima importanza alla nostra
presenza
lì e così fecero due bimbi –
all’apparenza – che scorrazzarono veloci con un
pallone da football sottobraccio.
Più che un quartier generale sembrava una pensione
per studenti universitari o almeno così mostravano i
depliant per il college
che Jenna mi aveva più volte messo sotto il naso. Non aveva
affatto un aspetto
cupo e minaccioso ma sembrava di essere in una grande famiglia, dove
tutti si
conoscevano e collaboravano per uno scopo comune.
“Tanya, Rebbecca se andate in paese fate la spesa,
sono finite le scorte. Charlie, Jack non giocate troppo vicino alle
finestre;
George quante volte ti ho detto di non lasciare almeno le scarpe per le
scale;
Maggie, Will stasera è il vostro turno di lavare i
piatti”
Così dicendo Grace si intrufolava tra la folla
facendoci spazio e permettendoci di passare. Centinaia di occhi grigi
ci
scrutarono all’istante.
Arrivammo finalmente in cucina dove si estendeva
una lunga tavola ancora da sparecchiare.
“Prego sedetevi, scusate il disordine ma badare a
settantatre mezzi vampiri non è il massimo” si
scusò Grace con un sorriso
imbarazzato e si allontanò nel suo prendisole azzurro cielo.
Damon si avvicinò al mio orecchio.
“Cos’è, hanno anche una bambinaia
personale o è
stata soggiogata?”
Alzai lo sguardo al soffitto e gli lanciai una
stilettata, risposta esauriente e negativa alla sua domanda.
“La conosco. Mi portava da mangiare quando ero
loro prigioniero” sussurrò Stefan giocherellando
con un lembo della tovaglia da
tavola.
“Perché ti hanno catturato? Che motivo avrebbero
avuto visto che il loro scopo è di sconfiggere la
Triade” chiesi non riuscendo
a capire cosa avesse potuto fare Stefan per costringerli a rapirlo.
Il vampiro dagli occhi verdi sospirò.
“Penso che mi abbiano scambiato per uno dei
vampiri alleati della Triade. Quando mi hanno catturato stavo cercando
informazioni sui mezzi vampiri e sulla cura per Damon. Si saranno
insospettiti
e avranno deciso di catturarmi in modo da utilizzarmi per recuperare
alcune
informazioni – che io ovviamente non avevo”
L’immagine di Stefan prigioniero e vittima di
torture mi balenò in testa e repressi il magone che si
addensava in gola.
Sfiorai la sua mano e lasciai che le nostre fronti si scontrassero e i
nostri
respiri si allacciassero.
“Mi dispiace” sussurrai e non ricordo se quelle
scuse fossero per le torture che lui aveva dovuto subire o per i
sentimenti che
erano mutati inevitabilmente.
Colin sopraggiunse vestito di tutto punto e con
allegria aprì il frigo così da estrarre una
bottiglia di succo alla pesca. Si
vedeva che era contento di essere ritornato a casa – se mai
quella fosse stata
davvero casa sua.
“Volete un muffin? Sono ancora caldi”
offrì
gentilmente la signora e noi non potemmo non rifiutare.
Stavo esaminando le invitanti scaglie di
cioccolato che emergevano dal dolce quando un rumore di piatti rotti ci
fece
sobbalzare.
Una ragazza dai capelli castani e riccioluti
raccolti in una lunga coda di cavallo ci guardava inorridita con i suoi
occhi
grigi, piccoli ma taglienti come rasoi.
Corrugò la fronte indispettita per poi spostare lo
sguardo su Grace.
“Eravamo d’accordo: non li avremmo fatti entrare
quando sarebbero venuti. Possiamo benissimo farcela da soli. Loro non
faranno
altro che crearci dei problemi”
La ragazza fece oscillare violentemente la coda e
il corpo esile e longilineo si piegò per afferrare i cocci
di porcellana sparsi
sul pavimento.
“Nicole, Frederick l’ha deciso e non spetta a te
mettere in discussione una sua decisione” ribatté
secca Grace buttando gli
ultimi cocci del piatto rimasti nella pattumiera.
In quel momento fece il suo ingresso nella sala
Jim: non indossava più la tuta mimetica ma aveva una camicia
a maniche corte
che lasciava intravedere i bicipiti e i pettorali ben scolpiti, un paio
di
jeans e i capelli, prima spettinati e lunghi fino al mento, adesso
erano
pettinati all’indietro.
“Grace, Nicole. Sono venuto ad informarvi che
Frederick vi sta aspettando ma è disposto a parlare solo con
uno di voi”
annunciò il mezzo vampiro, dapprima salutando le due donne e
poi rivolgendosi a
noi.
“Solo con uno di loro? Sono nostri alleati, lascia
che parli io con mio zio” intervenne il rosso che se ne stava
appollaiato sullo
sgabello più alto come un pappagallo.
“No, Colin stanne fuori”
L’ennesima occhiata gelida di Jim spronò Colin a
non parlare almeno per la mezz’ora seguente.
“Va bene biondino, portaci dal grande capo alfa”
Damon si alzò e inchiodò il suo sguardo a quello
impassibile del mezzo vampiro. Era solo una mia impressione o quei due
erano
fatti della stessa pasta?
Il sorriso sornione di Damon combaciò quasi
perfettamente a quello obliquo di Jim.
“Fate come volete. Mi avete deluso, entrambi!”
sbottò la mezza vampira di nome Nicole che si diresse verso
le scale, urtando
Jim di proposito.
Il biondo boccheggiò per un secondo in preda alla
confusione e alla voglia di raggiungerla. Imprecò a denti
stretti per poi
sbuffare e farci un cenno annoiato di seguirci.
Caroline al mio fianco piegò gli angoli della bocca
in un sorriso quasi compiaciuto e più avanti ne capii il
motivo.
Procedemmo per un lungo corridoio che conduceva ad
una seconda rampa di scale comunicante con altre due rampe. Di tanto in
tanto sentivamo
chiacchiericci e porte che si aprivano, oppure sussurri e persone che
scendevano o che salivano.
Tutto in quella casa sembrava essere tremendamente
umano e caloroso, tanto più che non mi meravigliai quando
scambiai un mezzo
vampiro per un umano qualsiasi.
“Eccoci arrivati”
Jim si posizionò davanti alla porta in legno di
noce di quello che doveva essere lo studio del presunto Frederick.
La luce densa e calda del pomeriggio entrava da
una grande vetrata da cui si poteva vedere il cortile e il bosco poco
lontano;
dall’altezza e dal soffitto inclinato avrei giurato che
quella fosse la
mansarda.
“Chi ha l’onore di parlare con mister
simpatia?”
chiese il biondo incrociando le braccia al petto e squadrando ognuno di
noi.
Osservai lo sguardo esitante di Bonnie e di Jeremy
e quello altrettanto ambiguo di Caroline.
Deglutii rumorosamente e tentai di osservare in
tralice l’espressione di Damon al mio fianco.
“Vado io”
Uno Stefan risoluto e alquanto deciso fece un
passo avanti ponendosi a pochi centimetri dalla figura marmorea di Jim,
decisamente più alto del vampiro.
“Come preferisci” disse scrollando le spalle e
facendo appena in tempo ad afferrare la maniglia in ottone.
“Frena, Superman” esordì Damon
arricciando le
labbra e trattenendo Stefan per un braccio.
La fronte del vampiro si corrugò quasi
simultaneamente al sopracciglio di Damon che si inarcò
più del dovuto.
“Lasciami andare, Damon”
Damon seguì il suo consiglio e allentò la presa
ferrea.
“So che hai avuto da sempre manie di protagonismo,
il supereroe della situazione, ma vorresti spiegare a me e ai presenti
perché
mai dovresti andare tu e non qualcun altro?” chiese indicando
me e gli altri
nostri amici con un ampio gesto della mano.
Stefan schioccò la lingua.
“Mi hanno tenuto prigioniero per due settimane,
avrò anche il diritto di sapere e di conoscere il volto di
colui che ha
ordinato per quattordici giorni di torturarmi”
sputò Stefan non trovando alcuna
pecca nel suo ragionamento apparentemente perfetto.
“E non ti sembra che avrei io più diritto di te?
Sbaglio o tu sei ancora un vampiro?”
Il mio sguardo scattò subito a Damon e alle sue
labbra che avevano appena pronunciato quella frase.
Allora Damon mentiva, non avrebbe mai permesso a
nessuno né tantomeno a me di farlo rimanere umano. La sua
umanità era la cosa
che più gli era mancata al mondo ma ora che
l’aveva riottenuta, come un bambino
troppo stanco del suo nuovo giocattolo, la voleva buttare nuovamente
via.
Non che speravo che Damon rimanesse umano, ma
oramai mi ero così abituata all’idea di lui
così simile a me che ripensarlo
nuovamente vampiro mi trasmetteva una tristezza infinita. Non sentire
più il
suo battito, come avrei potuto amarlo anche da vampiro?
La porta si aprì scricchiolante e la figura di un
uomo maestoso, dall’aspetto austero e dalla pelle olivastra
quasi color
caffellatte si manifestò dinanzi a noi, prendendo il posto
della porta e
celando ugualmente ai nostri occhi la stanza.
I suoi occhi innaturalmente grigi entravano in
contrasto con i riccioluti e folti capelli color dell’ebano e
la fine barba che
contornava le labbra rosate.
Stava ritto dinanzi a noi, con le mani allacciate
dietro la schiena e vestito con una camicia nera in tinta con i
pantaloni del
medesimo colore.
Ci scrutò dall’alto e freddò i presenti
con il
solo sguardo.
Anche Jim, che era sempre stato così sfrontato e
altezzoso, di fronte a Frederick chinava lo sguardo.
“Ebbene?” chiese e la sua voce risuonò
roca e
profonda con uno strano accento, forse francese, forse arabo.
Frederick guardò Jim e il biondo di tutta risposta
non poté fare a meno di incrociare le braccia al petto e di
inclinare il capo
verso di noi facendo cenno ai due fratelli posti proprio di fronte alla
porta.
“Parlerò io con te. Tu vuoi sapere qualcosa da me.
Io voglio sapere qualcosa da te. Penso che lo scambio sia
equo” proruppe Damon
sovrapponendosi al fratello.
Il mezzo vampiro non si mosse di un centimetro.
“Certo, avremo modo di parlare. Ma mi sembra
sconveniente surclassare i volontari, tantomeno se è un
qualcuno che conosco”
disse e accennò un breve sorriso incontrando gli occhi di
Stefan.
“Scusa amico, niente di personale. Precauzione”
Stefan si strinse nelle spalle, annuì poco
convinto e spostò lo sguardo altrove.
Il sorriso di Frederick sparì quasi del tutto non
appena incontrò nuovamente gli occhi azzurri di Damon.
“Possiamo discutere?” chiese nuovamente Damon con
tutta l’irruenza e l’impazienza che tanto lo
caratterizzava.
Il mezzo vampiro corrugò la fronte e con l’indice
si lisciò la fine barba.
“Non qui. Non con te” rispose gentilmente
affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
Damon serrò le mani sudate facendo scrocchiare le
nocche.
“Senti, una certa Michelle mi ha trasformato in
umano e io voglio assolutamente tornare vampiro. Il bassotto dai
capelli rossi
ha detto che potrebbe esistere un rimedio e io sono adesso qui, in tua
presenza, a chiederti se esiste effettivamente una cura. Rispondimi e
vi
aiuteremo a sconfiggere tutti i mezzi vampiri che vorrete”
Concluse e un sorriso quasi addirittura
soddisfatto increspò le labbra dell’ex vampiro.
Frederick in un primo momento sembrò alquanto
divertito dell’atteggiamento assunto da Damon.
“Non mi è mai piaciuta la sfrontatezza.
Né nel
diciottesimo secolo né ora”
Con un colpo deciso e quasi invisibile ai miei
occhi Frederick colpì Damon in pieno viso il quale ricadde
indietro sbattendo
sulla parete, facendo ricadere alcuni calcinacci dal soffitto. Rimasi
inchiodata al pavimento incapace di soccorrerlo e forse anche di
parlare.
Rantolò qualche parola tossicchiando e coprendosi
il viso imbrattato di sangue: un rivolo color rubino fuoriusciva dal
sopracciglio destro iniettando di finissimi capillari anche
l’occhio.
Damon sputò e guardò con rabbia e astio il mezzo
vampiro che si massaggiava la mano dolorante.
Frederick alzò lo sguardo su di noi.
“Allora vediamo, rimangono due vampiri, una strega
e due umani” disse e sembrò riflettere ad alta
voce.
Jim dapprima sbuffò e poi sghignazzò guardando
l’ex vampiro inerme al suolo.
Cercai di trucidarlo con lo sguardo ma non appena
lo feci due occhi grigi mi catturarono.
Frederick mi fece cenno di seguirlo e Jim mi fece
cenno di entrare, quasi come se volesse incoraggiarmi dicendomi che
tutto
sarebbe andato bene.
Varcai la soglia della porta e il un tappeto
morbido attutì i miei passi.
“Aveva ragione Nicole. E’ stata proprio una
pessima idea!” sentì dire a Jim da dietro la porta
sottile.
“Va al diavolo” imprecò Damon e dal
corridoio non
si udì più nessun rumore.
Non sembrava
proprio uno studio, era più che altro
un magazzino, ben diversa dalla mansarda dei Salvatore ma oltremodo
vecchia e
antiquata.
Tre file di librerie erano stipate al centro della
sala e mi impedivano di essere illuminata dalla luce che proveniva
dalla grande
finestra dietro la scrivania; dal soffitto pendevano strani oggetti,
modellini
di aerei e velieri di ogni età erano riposti accuratamente
sulle mensole e le
pareti erano ricoperte di ritratti e di foto, alcune in bianco e nero,
altre a
colori. La stanza era impregnata di odore di zafferano misto a
caffè e quello
insieme al caldo afoso del pomeriggio mi stordì e non poco.
“Avvicinati”
La sua voce risuonò tra le pareti e costrinsi i
miei piedi a muoversi cauti verso la scrivania.
Frederick si verso in un bicchiere quello che ad
occhio e croce avrebbe dovuto essere cognac e ripose il tappo nella
bottiglia
di vetro.
Aprì i primi due bottoni della camicia e si girò
le maniche fino ai gomiti.
Corrugai la fronte attendendo il suo discorso.
“Elena Gilbert, giusto?” domandò e
annuii
lievemente con il capo.
“Colin era molto entusiasta di te, ha detto che
sei una persona interessante e credo di fidarmi dell’intuito
di mio nipote,
dopotutto ha preso da me” enunciò e
piegò gli angoli della bocca all’insù
facendo trasparire delle leggere increspature agli angoli degli occhi.
Sembrava vecchio, molto vecchio, nonostante avesse
l’aspetto di un quarantenne ancora aitante e giovanile.
“Questa storia è iniziata tutta a causa di
Michelle. Damon, il ragazzo che hai picchiato, si è
trasformato in umano ed è
per questo che Stefan è venuto qui da voi a cercare
informazioni, per una cura.
Mentre catturavate Stefan, Colin è venuto da noi e ci ha
spiegato la
situazione. Ci ha detto della Triade, di cosa vogliono fare. Abbiamo
incontrato
un loro piccolo esercito e loro ci hanno concesso una tregua di un
mese,
secondo loro per pensare da quale parte vorremmo stare. Poi ci
è arrivata la
vostra telefonata e siamo partiti per salvare Stefan. Adesso manterremo
la
nostra promessa, vi aiuteremo a sconfiggere la Triade.
Ma prima voglio sapere
se esiste realmente una cura”
Tentai di spiegare, di essere più chiara possibile
in modo tale da non ripetermi una seconda volta, ma l’ansia
di scoprire la
verità fu più forte e alla fine cedetti: in fondo
dovevo sapere.
Frederick posò il mento sopra le dita intrecciate
e sorrise mettendo in evidenza la fila di denti perfettamente bianchi.
Aveva lo stesso sorriso sbarazzino di Colin.
“Stiamo cercando di scoprire proprio questo dalla
Triade. Mi dispiace ma non so come aiutarti, Elena”
Sospirai rassegnata a quell’idea e ricaddi
pesantemente sullo schienale della sedia.
“Bene Frederick allora quando tu…”
iniziai a dire
ma venni interrotta dal mezzo vampiro di fronte a me.
“Per favore chiamami Freddie, mi fai sentire più
vecchio di quanto già sono…”
ridacchiò scrollandosi i folti riccioli neri e
sorrisi anch’io.
“Ti aiuteremo, dopotutto l’abbiamo promesso a
Colin.”
Frederick si alzò dalla poltroncina, accese la
lampada a neon posta sopra la scrivania e mi diede le spalle osservando
il
cielo leggermente scuro oltre la finestra per poi spostare lo sguardo
sui
restanti mezzi vampiri, alcuni che rientravano in casa altri che
allestivano il
fuoco.
Mi avvicinai anch’io alla finestra semiaperta e
osservai il panorama che si estendeva al di sotto: Grace seduta su una
panchina
stava coccolando alcuni bimbi mentre dava ordini e mansioni ai ragazzi
più
grandi, alcuni adulti ancora vestiti con le tute mimetiche comparivano
dal
bosco di fronte ritornando a casa dal loro lavoro, Jim seduto accanto
al fuoco
appena acceso fumava tranquillo un’altra delle sue sigarette,
Nicole sul
porticato attendeva ordini da eseguire, Colin ridacchiava insieme ad
alcuni
uomini di età diverse riuniti sul prato ancora caldo.
“Come ci sei riuscito? Come hai fatto a riunire
così tanti estranei e a farli collaborare?”
Chiesi quasi senza pensare alla vista di quella
combriccola strana ma felice.
“Non siamo estranei, siamo una famiglia” rispose e
marcò quelle parole con lo stesso tono leggermente orientale
utilizzato
precedentemente.
Gli occhi grigi mi scrutarono nuovamente con un
velo di malinconia.
“Bene, è tutto. Grazie per essere venuta e
dì ai
tuoi amici che non sono affatto pericoloso. E’ il mio lavoro,
tutto qui” spiegò
e nuovamente sorrise.
“Ok, Freddie”
risposi e utilizzai volontariamente il diminutivo: avevamo trovato un
amico e
non un nuovo capo.
Uscì dallo studio richiudendomi la porta alle spalle,
ma non appena lasciai la maniglia mi resi conto che avevo completamente
dimenticato un particolare: lui era il Frederick del racconto, lo
stesso
Frederick che amava Anya con tutto il suo cuore.
Mi morsi il labbro inferiore combattendo con me
stessa se entrare di nuovo o semplicemente lasciare correre.
Alla fine mi convinsi che forse ci sarebbe stata
una seconda occasione per discutere e per ricordare.
“Lo
stile panda
non ti dona per niente” ridacchiai mentre Damon continuava a
lamentarsi e a
dimenarsi sotto il tampone imbevuto di alcol disinfettante e ghiaccio.
“Divertente!” mugolò socchiudendo
l’occhio e
mordendosi il labbro inferiore così da sopportare meglio il
bruciore che
sgorgava dalla ferita.
Spostai la treccia che avevo fatto sulla spalla
destra e alzai lievemente il tampone ancora un po’ rosso per
via del sangue.
Lo zigomo destro appariva lievemente sfregiato ma
non tanto come il sopracciglio su cui si apriva un taglio di circa tre
centimetri; a completare il tutto, un livido violaceo tendente al nero
offuscava l’occhio leggermente gonfio e iniettato di sangue.
Sollevai il panno e soffiai piano per farlo
asciugare.
Damon mi guardò con uno sguardo stralunato e da
bambino monello. Sembrava davvero buffo in quel momento.
“Non sei combinato tanto male. Le ragazze ti
correranno dietro comunque” dissi allegramente riponendo il
fazzoletto sul
comodino e facendo cigolare le molle del materasso sottostante.
Grace ci aveva offerto due delle poche camere
disponibili alla Cascina: Jeremy, Damon e Stefan avrebbero dormito
nella stanza
di Colin il quale sembrò fare capriole dalla gioia, mentre
Caroline, Bonnie ed
io potevamo usufruire di una piccola ma accogliente stanza accanto a
quella di
Grace, che avremmo potuto chiamare per qualsiasi evenienza.
“Me lo auguro o se no da vampiro non farò una gran
bella figura” ridacchiò stendendosi sul letto e
incrociando le braccia dietro
la nuca.
Distesi le labbra in un sorriso anche se in quel
preciso istante avrei voluto piangere. Che Damon fosse stato sempre un
gran
donnaiolo lo sapevo eccome e non era quello il tormento più
grande che mi
affliggeva.
L’avrei dovuto lasciare andare via. L’avevo
già
lasciato andare. Eppure più ci ripensavo più mi
pentivo della decisione che
avevo preso: quella di salvarlo mettendo da parte il mio egoismo.
Mi diressi verso il letto disfatto di Colin e aprì
la finestra facendo entrare un po’ di brezza estiva.
“Non esiste nessuna cura vero?” mi chiese facendo
leva sui gomiti così da stare ritto.
Ebbi un brivido lungo la schiena e fui tentata di
dirgli di si, che non esisteva nessuna cura ma la mia coscienza e il
mio buon
senso si fecero beffe di me.
“Può darsi, ma lo scopriremo solo quando
incontreremo la Triade”
Damon sbuffò sonoramente facendo roteare gli occhi
e ricadendo pesantemente sul morbido guanciale.
Mancava solo una settimana allo scadere della
tregua. Solo sette giorni e saremmo partiti per il North Caroline
insieme agli
altri della Cascina. Sette giorni, un lasso di tempo decisamente troppo
breve
per uno di noi due.
“Mi sento chiuso, compresso, come se questo corpo
non fosse più mio. A volte pretendo di urlare, di sfogarmi,
di buttare tutte
cose all’aria come mi era facile prima, ma alla fine sto in
silenzio, ragiono e
non mi muovo. Il Damon umano è morto nel 1864. Non sarebbe
giusto lasciarlo
vivere nel ventunesimo secolo.”
Slacciai le braccia che fino a qualche minuto
prima avevo tenuto rigidamente incrociate al petto e mi diressi verso
di lui.
Damon mi fece posto sul suo letto e io mi
accoccolai tra le sue braccia.
“Damon tu non sei morto nel 1864. Sei qui. Esisti.
E sento che sei la cosa più giusta che in questo momento ci
sia nella mia vita”.
Piegò gli angoli della bocca in un sorriso
disarmante che mi fece boccheggiare per qualche secondo.
Nonostante l’occhio nero, era bello, era Damon.
Con le labbra sfiorò la mia fronte per poi
lasciarsi sfuggire un risolino.
“Certo che vampiri, mezzi vampiri e streghe! Alla
festa mancano solo i lupi mannari e poi saremmo al completo”
scherzò inarcando
le sopracciglia.
“Sicura di non voler rimanere da me stanotte”
domandò languido e io mi irrigidii tutta.
Sciolsi le mie dita dall’intricato groviglio e mi
alzai dal letto.
“Buonanotte Damon e cerca di riposare” dissi
carezzandogli la guancia mentre con la coda dell’occhio notai
una figura minuta
arrampicarsi dalla finestra e cadere malamente sul letto.
“Posso avere anche io il bacio della buonanotte?”
chiese
Colin con i capelli scompigliati e le guance rosse per via della
vicinanza del
fuoco di poco prima.
Roteai gli occhi e mi concessi un sospiro
divertito.
In fin dei conti Frederick aveva ragione: non
eravamo estranei, eravamo una famiglia.
Buon
anno cari lettori di EFP!
Sono
tornata con il nuovo capitolo tutto per voi ** Eravamo rimasti a Colin
che
mostrava alla nostra cara combriccola la Cascina,
ebbene si il quartier generale dei mezzi
vampiri, un luogo confortevole in cui abitare tutti insieme :D Avrete
di certo
notato che questo capitolo è interamente dedicato a loro, ai
mezzi vampiri e in
particolare ai nuovi introdotti: Jim,
bello e burbero, capo delle pattuglie che vigilano la Cascina
e quasi un braccio
destro per Frederick; Nicole, la
scettica, che ama lavorare da sola e pensa solo al proprio bene,
fuggendo da
ogni legame stretto o parentela; Grace
che non è affatto una mezza vampira ma che si occupa di
loro, cucinando e prendendosi
cura dei più piccoli. Sono personaggi che non sono stati
introdotti per caso
per cui memorizzateli e non dimenticavene ;D Colin è sempre
il solito
pestifero, un po’ la versione maschile di Pippi Calzelunghe,
e adesso
finalmente è tornato a casa dalla sua famiglia e in
particolare dallo zio. Ed
ecco a voi il famoso Frederick di cui nel capitolo precedente si
è tanto
parlato insieme ad Anya e a Roland. Vi avviso che sarà
presente solo fino al
capitolo seguente ma sarà fondamentale poi per
l’incontro con la Triade,
decisamente imminente! Poi c’è la questione
Damon/Elena: è palese adesso che
Damon voglia ritornare ad essere un vampiro per cui per chi avesse
voluto lui
ancora umano, mi dispiace xD Ma non è sicuro che esista una
cura e su questo
Elena ci spera e non poco! Sembrerebbe contraddirsi da sola dicendo che
non
saprebbe più come amare Damon una volta ritrasformato in
vampiro visto che lei
stessa ha detto che lo avrebbe amato da umano o da vampiro, ma Elena
è umana e
in quanto tale ha il beneficio del dubbio e dell’indecisione.
Questa
volta ho voluto concludere senza suspance, anche perché il
prossimo capitolo
sarà ambientato sette giorni dopo quindi alla partenza della
combriccola presso
la
Triade.
Ringrazio
tutti coloro che recensiscono e chi semplicemente legge questa storia
*-*
Un
bacio (anche da parte di Colin u.u)
Sil
|
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Capitolo 26 *** 24-I LOVED HER, THAT'S THE PAIN ***
24
– I LOVED HER, THAT’S
THE PAIN
“In
Canada? E come ci siete finiti in Canada?”
La voce acuta e stridula di Jenna mi trapanò i
timpani tanto che dovetti allontanare il cellulare dal padiglione
auricolare.
Alzai gli occhi al cielo, conscia della bugia che
avevo appena architettato dopo che per tre volte di seguito avevo
ignorato le
continue chiamate da parte di mia zia, stranamente apprensiva.
Mi umettai le labbra e iniziai il mio discorso,
perfetto nei minimi particolari.
“Eravamo in campeggio quando Stefan mi ha
telefonato per sapere come stavo. Gli ho detto che eravamo partiti in
vacanza
per passare un po’ di tempo fuori da Mystic Falls e ha colto
l’occasione per
invitarci in Canada dove la famiglia di parenti che viveva in Alaska ha
deciso
di trascorrere le vacanze. Così siamo partiti per il Canada,
infatti siamo
arrivati solo ieri sera dopo tre giorni interi di viaggio. Ho provato a
chiamarti, ma avevo il cellulare scarico e la zona non è
delle migliori”.
Il silenzio prolungato oltre la cornetta mi fece
trattenere il respiro: era facile immaginare la fronte larga di Jenna
corrugarsi tentando di assimilare le informazioni o forse pensando a
quale
risposta da tutore sarebbe stata più corretta.
La sentii sospirare quasi seccata e alzai lo
sguardo dal prato verde e umido incrociando lo sguardo di Stefan seduto
accanto
a me.
“Non mi convince questa storia del Canada.
Sentiamo, Stefan è lì con te?” chiese e
me la immaginai con i suoi occhi
ridotti a fessure mentre incrociava le braccia, come un ispettore di
polizia
che tenta di far confessare il colpevole che pur si reputa innocente.
Jenna adorava il genere poliziesco, era più che
prevedibile che avrebbe fatto domande.
Il vampiro accanto a me si sollevò con i gomiti da
terra e un leggero sorriso affiorò alle sue labbra, segno
che aveva ascoltato
tutta la conversazione e che sapeva che adesso sarebbe stato il suo
turno.
Sospirai fintamente seccata.
“Se non ci credi…” borbottai e avvicinai
il
telefono il direzione di Stefan.
“Salve Jenna. Sono arrivati tutti sani e salvi”
disse apparendo il più calmo possibile e ridacchiai
all’occhiata fulminea che
mi riservò.
Riportai il cellulare al mio orecchio, ma non ebbi
il tempo di schiudere le labbra che Jenna incominciò subito
il suo sproloquio.
“Potevi anche avvisarmi, anche se avevi il
cellulare scarico sicuramente Bonnie o Caroline te
l’avrebbero potuto prestare.
E Jeremy? Tutto bene? Dove alloggiate e soprattutto quando tornate? Mi
sto
comportando da apprensiva vero?”
Roteai gli occhi pentendomi vivamente di aver
digitato quel numero, ma non riuscii a trattenere un sorriso:
comportarsi in
quel modo era da Jenna.
“Decisamente! Comunque tranquilla, qui tutto bene
tra meno di una settimana saremo di nuovo tutti a casa”.
Il cuore ruzzolò di qualche centimetro e una morsa
mi compresse lo stomaco: se saremmo
tornati mai a casa.
“Oh se dici così allora posso stare tranquilla.
Salutami Jeremy e state attenti” cinguettò
dall’altro capo del telefono e la
salutai di rimando schiacciando in pulsante rosso e ponendo fine alla
chiamata.
Il mio sguardo indugiò per qualche istante sullo
schermo del cellulare ma non appena divenne nero non potei far altro
che alzare
la testa e con mia enorme sorpresa non trovai Stefan a guardarmi con la
sua
solita aria preoccupata.
Dovetti chinare lo sguardo per vedere il vampiro
disteso sull’erba con una mano dietro la nuca e gli occhi
persi tra le nuvole
che veloci sorvolavano le nostre teste.
La fronte era corrucciata così come il suo sguardo
teso e nervoso.
“C’ha creduto. Puoi smetterla di essere
preoccupato” minimizzai nonostante vedessi il tormento
traboccare dai suoi
occhi verdi.
Mi accorsi in quel momento che per la prima volta
da quando stavo con Stefan non riuscivo a capire che cosa pensasse:
ricordo che
c’era stato un tempo in cui con un solo sguardo sapevo capire
quali fossero i
suoi tormenti, per me era come l’acqua di un ruscello
trasparente, ma in quel
momento era come voler vedere qualcosa nel fango.
Era evidente che la lontananza aveva creato delle
distanze insormontabili e questo non poteva non recarmi una certa
tristezza.
L’avevo pur sempre amato
– un tempo.
“Forse non dovremmo combattere questa guerra. Il
nostro intento era di trovare una cura per Damon. Questa cura non
esiste.
Quindi perché non ritornare veramente a Mystic
Falls?”
Sospirai pesantemente e mi distesi al suo fianco,
lasciando che i capelli ricascassero lungo il suo torace ampio.
“Non siamo sicuri che non ci sia una cura.
Dobbiamo provarci fino in fondo”
Stefan mi circondò con un braccio e intrecciò le
dita tra i miei capelli.
Sentii il suo torace alzarsi e i polmoni riempirsi
di ossigeno, segno che stava pensando un po’ più
del necessario per rispondere.
“Per Damon?” chiese senza però
aspettarsi veramente
una risposta.
Chinai lo sguardo e pungolai con l’indice il
braccio reso nudo dalla maglietta grigia a maniche corte che indossava.
Quel nome mi provocò un leggero capogiro e il
cuore cessò di battere per qualche secondo. Nacque in me una
strana paura che
come un serpente continuava a serpeggiarmi dentro lungo la colonna
vertebrale
fino ad arrivare alle ossa. Che Stefan intuisse qualcosa? Era evidente
che tra
me e Damon fosse cambiata qualcosa, che si intenda come legame o come
alchimia,
ma speravo con tutto il cuore che il vampiro al mio fianco non
fraintendesse,
che non si ponesse strane domande in un momento così critico
per tutti noi.
Glielo avrei detto, un giorno quando tutto questo fosse finito, e lui
si
sarebbe accontentato della mia sincerità e della mia
felicità, perché se c’era
una cosa che Stefan non riusciva a fare era essere egoista. Ma poi
avrebbe
fatto sicuramente male, lo avrei visto morire pian piano ogni giorno,
l’odio e
il rancore fintamente camuffato sarebbe cresciuto fino a divampare. Ma
cosa
avrei mai potuto fare io?
“Dopo quello che è successo con Katherine, potrei
essere anche un po’ geloso” mi sussurrò
e io deglutii rumorosamente. Ma il suo
sopracciglio inarcato e il sorriso appena accennato mi fecero intuire
che la
conversazione non si stava orientando in nulla di serio e il mio cuore
fu un
po’ più leggero.
Ricambiai il sorriso e con mia enorme sorpresa mi
baciò quasi con fare possessivo. Forse ero io che avevo
frainteso tutto.
“Voi giovani d’oggi non fate altro che manifestare
i vostri sentimenti un po’ troppo spesso”
La voce di Freddie mi portò a staccarmi dal viso
del vampiro.
Frederick stava ritto con le mani allacciate
dietro la schiena e la camicia quadrettata che lasciava scoperta la
canotta
bianca in perfetto contrasto con la carnagione color
caffèlatte.
Gli occhi grigi sembravano scrutarmi sottopelle
mentre il sorriso bonario accennato appena dal pizzetto risultava
essere freddo
e distaccato.
Di Frederick non sapevo molto nonostante la lunga
settimana trascorsa alla Cascina, ma se c’era una cosa che mi
sembrava ovvia
era che lui non lasciava mai il suo studio se non per ragioni
importanti.
Quella di certo doveva essere una questione importante per cui non mi
curai
quando Stefan sospirò un vi lascio
soli
allontanandosi dalla porzione di terreno su cui eravamo distesi.
Mi alzai scrollandomi di dosso il terriccio e i
fili d’erba che si erano impigliati nei miei shorts.
“Vieni Elena intendo mostrarti una cosa”
pronunciò,
con sempre quello strano accento da orientale, e con modi raffinati e
antichi
mi porse la mano in attesa del mio consenso.
Accettai senza indugiare e mi incamminai con lui
verso il retro della casa, il cortile da cui si vedeva
l’enorme vetrata del suo
studio.
“Vedi Elena, penso che tu sappia come siamo stati
creati, cosa è accaduto, perché ci siamo
trasformati in mezzi vampiri”
“Stefan e Colin hanno accennato qualcosa a
riguardo” tentennai corrugando lievemente la fronte.
“Un tempo eravamo vampiri come il tuo ragazzo e la
tua amica bionda. Avevamo sete di sangue, temevamo i paletti di legno
conficcati nel cuore e la verbena, non potevamo muoverci alla luce del
sole.
Siamo stati originati da una diatriba o per utilizzare un termine
moderno, un
litigio: il sangue scarseggiava e l’odio che ogni famiglia
covava nei confronti
dell’altra stava aumentando a dismisura. Furono tre i primi
della nostra
comunità a diventare mezzi vampiri, tre che si condannarono
a vicenda per poi
condannare tutti noi, tutto il resto della famiglia.
Dapprima fu quasi un sollievo, il poter girare liberamente alla luce
del sole
senza amuleti e bracciali magici, il poter trovare sazietà
anche con il cibo,
l’essere immune ai paletti di legno e alla verbena: avevamo
riconquistato di
nuovo la nostra umanità, non eravamo più dei
mostri. Ma poi ci accorgemmo che
non potevamo più sentire il calore del sole sulla nostra
pelle ancora fredda,
che ci nutrivamo di carne senza però esserne sazi del tutto,
di avere ancora
quella sete che non potevamo colmare a causa del disgusto per il
sangue, che
eravamo pur sempre veloci e immortali, ma che le ferite che ci
procuravamo non
si sarebbero sanate subito. Avevamo una maledizione ben maggiore,
quella di
vivere a metà senza essere né vampiri
né umani.”
Arrestò i suoi passi e con mia viva curiosità si
frugò nelle tasche come alla ricerca di qualcosa. Estrasse
un piccolo coltello
da cucina, di quelli che si usano per tagliare il pane e infisse la
lama sul
palmo della mano ben teso, disegnando una spessa riga rossa che gli
macchiò
tutta la mano. La chiuse a pugno sotto il mio sguardo preoccupato ma al
contempo incuriosito per poi aprirla mettendomi in evidenza le dita
tinte di
rosso e la ferita da cui continuava a sgorgare il sangue.
“Sentiamo il dolore, sappiamo che fa male ma
tuttavia non riusciamo a provare veramente dolore. Siamo veloci, anzi
più
veloci di quanto eravamo prima, possiamo soggiogare umani e vampiri,
possiamo
riprodurci. A parte queste poche cose positive, il resto è
una tortura. Ma non
ti ho fatto venire qui per farmi compiangere da te, ti ho chiamato
perché ho
informazioni utili riguardo la vostra partenza e la Triade”
Abbassò il tono di voce mentre io mi preparai a
memorizzare ogni singola informazione.
“Il loro quartier generale si trova nel centro di
una città del North Caroline. Dalla loro parte hanno molti
vampiri e molti
esseri umani, ma non tutti sono consapevoli delle azioni che fanno,
molti sono
soggiogati. Sono tre e non si separano mai, non si sa se siano legati
da
parentele o quant’altro, anche secoli fa nella
comunità non erano ben
conosciuti. Sono due uomini e una donna. Di loro i miei uomini sono
riusciti
solo a scoprire i loro nomi, di solito si fanno nominare con il nome
generico
di Triade. I loro nomi sono Christopher, Drake e Guinever. Non fatevi
ingannare
dalla loro apparenza, sono spietati, privi di alcun rimorso e
soprattutto
pronti a tutto pur di portare a termine il proprio piano. Non
perderanno tempo
a farvi fuori se solo sbaglierete qualcosa.”
Rabbrividì impercettibilmente e Freddie serrò
ancora di più la mano sana attorno alla mia.
“Con questo non voglio spaventarti, ma soltanto
mettervi in guardia. Apprezzo ciò che state facendo per noi,
spero solo che
possiate trovare quella cura per il vostro amico. Siete ragazzi in
gamba, sono
sicuro che se seguirete il piano andrà tutto bene”
Mi sorrise bonario e io mi tranquillizzai annuendo
pur rivolgendo lo sguardo al terreno.
“Muoverci tutti è rischioso, ma sono pronto a far
partire con voi Jim e Colin che vi illustreranno il piano strada
facendo?”
“E voi siete disposto a farlo partire?”
“Chi?” chiese sgranando gli occhi grigi.
“Colin, è pur sempre l’unico parente che
ti
rimane. Saresti disposto a perderlo?”
Mi immaginai i miei compagni morire uno ad uno e
mi si chiuse lo stomaco dal disgusto.
Frederick sospirò.
“Per me Colin è come un figlio. Ne ho perso
già
uno e non intendo perderne un altro. Ma io non sono suo padre,
è giusto che
decida con la sua testa. Ricorda: noi soffriamo il dolore solo a
metà”
Ridacchiò a quell’ultima frase.
“Non esiste dolore insopportabile come quello
della perdita della persona che si ama”
A quelle mie parole alzò lo sguardo e potei
giurare che nella vacuità dei suoi occhi vi era un qualcosa
simile ad una
scintilla: forse anche loro piangevano a metà.
Non avevamo avuto modo di parlare di Anya ma
quella frase sembrò risvegliare i più bui e
oscuri pensieri.
“Arrossiva spesso, era una delle cose che più mi
piacevano di lei. Anche quando venne trasformata in vampiro pretendevo
che
quelle guance si colorassero di rosso. E poi aveva gli occhi verdi,
stupendi e
una voglia a forma di luna sotto l’orecchio sinistro.
L’amavo, ecco qual è il
dolore più insopportabile”
Volevo chiedergli di più, capire come si era
sentito quando Anya aveva scelto suo fratello che lui, se mai si erano
più
parlati prima della tragedia. Ma mi convinsi a rimanere zitta e
lasciare che
queste fossero domande senza una risposta.
Mi soffermai ancora una volta sui suoi occhi.
“Avevi gli occhi neri vero?” chiesi quasi
inconsciamente capendo il perché di quella
profondità quasi abissale che
traspariva dai suoi occhi.
Freddie sorrise mettendo in mostra i denti
perfettamente bianchi.
“E’ stato un piacere conoscerti Elena Gilbert,
spero che tu ottenga ciò che vuoi”
Ci stringemmo la mano e si allontanò verso la
foresta con la stessa calma e serenità che riusciva a
trasmettermi quando
parlava.
Probabilmente il mattino dopo non sarebbe venuto a
dire addio alla causa del suo dolore.
Ritornai nel
cortile principale e mi accorsi dal
sole alto in cielo che era passato mezzogiorno per cui i ragazzi e gli
adulti
ritornavano a casa con Jim a capo del gruppo di lavoratori.
Mi soffermai sul portico in legno e mi sedetti in
uno dei tanti scalini scricchiolanti attendendo che il gruppo
rientrasse in
casa. Dalla cucina proveniva un forte odore di uova strapazzate e pollo
fritto
e questo non poté che farmi gorgogliare lo stomaco dalla
fame.
Il gruppo entrò vociferando riguardo il caldo o la
fame, alcuni mi salutarono per nome, altri si limitarono ad entrare
troppo
stanchi o annoiati.
Arrivò anche il turno del mezzo vampiro biondo che
quel giorno portava i capelli scompigliati e una maglietta amaranto a
maniche
corte con scollo a v.
“Salve stecchino” mi salutò inarcando le
sopracciglia e regalandomi un sorriso sbilenco accentuato dalla leggera
peluria
della barba.
Lo salutai di rimando mentre stava varcando la
soglia della casa quando una voce lo bloccò.
“Hey Jim”
Nicole era appoggiata allo stipite della porta del
seminterrato, le braccia incrociate al petto mettevano in risalto la
canotta
blu elettrico, troppo fine a confronto della spessa tuta da ginnastica
che
indossava. Il sorriso furbo le riempiva gli zigomi e le risaltava gli
occhi
grandi e grigi.
Il biondo si arrestò dischiudendo appena le labbra
e dando un fugace sguardo alla mezza vampira.
“Stai attento” disse e il suo sorriso
sembrò
sbiadire nel nulla.
Slacciò le mani dal petto e con agilità come una
gazzella scavalcò la recinzione, facendo oscillare la folta
coda riccioluta e
avviandosi verso il cortile sul retro.
Jim era rimasto sulla porta, il borsone ben
stretto nelle sue mani.
“Ti terrò io al sicuro”
sussurrò
impercettibilmente.
“Che hai tu da guardare?” mi chiese con fare
burbero e io roteai gli occhi alzandomi e dirigendomi verso
l’entrata della
Cascina.
Lui rimase ancora un po’ sulla soglia.
Il soggiorno era pieno di ragazzi e bambini che
ridevano fra di loro o semplicemente appoggiavano dove capitava i loro
oggetti
–giacche, cappelli, borse – e un brusio generale
sovrastava il rumore di piatti
e bicchieri.
Mi avviai verso la cucina e ritrovai con mia
enorme gioia Caroline e Jeremy.
Jeremy distribuiva piatti, bicchieri dove Grace
gli diceva di posarli mentre la vampira era intenta in una
conversazione con
un’altra ragazza alta e bruna.
Di Bonnie, Stefan e Damon nessuna traccia.
“Da quand’è che ti piace fare
l’uomo di casa?”
chiesi prendendo posto in quella lunga e immensa tavolata e riservando
un’occhiata divertita a Jeremy.
“Mi piace stare qui e poi è bello poter
condividere questi segreti con un umano” disse indicando
Grace che nel suo
grembiule bianco scorrazzava da una parte all’altra della
cucina.
“Ti fa bene un po’ di
normalità” dissi ma sentii
subito una presenza al mio fianco che mi fece spostare lo sguardo.
Mi spaventai vedendo il sorriso smagliante di
Caroline apparire all’improvviso alla mia destra,
specialmente se la suddetta
mia amica l’avevo lasciata seduta a qualche metro di distanza
a parlare con
un’altra ragazza. Il piccolo dettaglio che continuavo a
dimenticare era che lei
era un vampiro.
“Caroline mi hai spaventata” sussurrai
accavallando le gambe e alzando gli occhi al cielo.
“Non puoi capire cosa ho scoperto”
cinguettò
facendo oscillare i capelli biondi leggermente ondulati e tirati
all’indietro
con un adorabile cerchietto.
Mi sembrava essere ritornata al tempo delle medie,
ma sapevo che Caroline in un modo o nell’altro me ne avrebbe
parlato.
“Sentiamo, che cosa hai domandato in giro?” chiesi
fintamente interessata alle nuove chiacchiere che la vampira moriva
dalla
voglia di raccontare.
Caroline si rabbuiò e aggrottò la fronte
lanciandomi una stilettata.
“Non ho chiesto in giro, sono stati loro che di
loro spontanea volontà mi hanno raccontato tutto”
si difese incrociando le
braccia al petto offesa e non potei far altro che ridere di cuore per
quella
sua espressione.
Si riprese quasi subito e gli occhi le si
accesero.
“Hai presente Jim e Nicole? E’ evidente che Jim
prova qualcosa per Nicole ma lei sembra non ricambiarlo. Scordati tutto
questo.
Jim è stato uno dei primi membri dei Ribelli, è
stato lui insieme a Frederick e
ad altri a costruire questo luogo e a opporsi in gran segreto alla
Triade.
Prima della Cascina esisteva un accampamento e loro vivevano
lì. Nicole è
venuta dopo, nessuno sa da dove né come si sia trasformata
in mezzo vampiro,
non apparteneva alla prima comunità. E’ giunta
all’accampamento spaventata e
disorientata quando ancora era una ragazza. Ovviamente gli altri
l’hanno
accolta, questo prima che Grace venisse ad abitare da loro, e lei
mostrò fin da
subito un interesse per Jim. Ma Jim era troppo impegnato e arrabbiato
contro la
Triade per amare in tutto e per tutto Nicole. E poi un giorno
è scomparsa,
svanita nel nulla. Se n’era andata lei di sua spontanea
volontà ma ritornò più
volte all’accampamento, certo dopo quattordici o quindici
anni. Ogni volta che
ritornava appariva sempre più schiva, più
distaccata, più arrogante e
presuntuosa. Non si fermava mai se non per un periodo di tempo di circa
uno o
due mesi e dopo scappava di nuovo. Non è particolarmente
socievole, tuttavia
gioca molto volentieri con i bambini. Dicono che non abbia mai avuto
una casa a
cui tornare, alcuni sostengono che non sia mai stata neanche un
vampiro”
Caroline abbassò il tono di voce non appena udì i
passi di Nicole avvicinarsi, ma sapeva che era del tutto inutile:
l’aveva di
certo sentita ma non se ne curava.
La mezza vampira entrò altezzosa e aprì il frigo
estraendo una mela che addentò prima di lanciare uno sguardo
fulmineo nella
nostra direzione.
Caroline lo sostenne per poi continuare il suo
discorso.
“E ora Jim è cotto di lei, e questo complica la
situazione”
Roteai gli occhi.
“Caroline queste non sono informazioni importanti”
dissi e mi voltai intorno vedendo che la lunga tavolata si era quasi
del tutto
riempita.
“Si invece! Jim non è concentrato sulla missione,
e noi siamo tutti nelle sue mani per quanto riguarda il piano. Non
credi che
possa agire irrazionalmente?” chiese allarmata e invece di
rispondere mi morsi
il labbro inferiore.
“Anche Grace ha un passato oscuro. Dicono che sia
stata prigioniera della Triade e in qualche modo è riuscita
a liberarsi. Un
umana che si libera? E’ giunta qui e si è offerta
di prendersi cura della casa.
Non si sa se abbia famiglia o parenti, non ne vuole parlare. Alcuni
dicono che
non sia poi così gentile come sembra. E poi
c’è Jim, dicono che un tempo sia
stato amico di uno dei componenti della Triade, dicono che sia stato
proprio
lui a trasformarlo e per questo ha deciso di mettersi al servizio di
Frederick.
A quel tempo aveva solo diciassette anni. Molti pensano che non sia
adatto per
questa missione, che potrebbe tradirli.”
Le parole di Caroline fecero nascere in me dubbi e
perplessità riguardo quei tre componenti tanto diversi
quanto sospetti.
“Tieni cara, questa è la tua porzione”
mi disse
amorevolmente Grace ponendomi il piatto con le uova.
Ricambiai il sorriso e osservai le uova
strapazzate. Mi era passata la fame.
Finito di
mangiare e per finito si intende alle
quattro meno un quarto del pomeriggio, mi alzai da tavola e sgusciai
piano tra
la folla lasciando Jeremy e Caroline ancora in cucina e mi avviai verso
le
scale per raggiungere il terzo piano di quell’enorme casa
dove era situata la
mia stanza. Mi chiedevo dove fossero finiti tutti.
Affrettai il passo lungo il corridoio e passai in
rassegna di tutte le camere chiuse visto che molte erano aperte al
pubblico con
ragazzi intenti a leggere, studiare o a giocare ai video game.
Finalmente
trovai la mia camera e la scena che mi si presentò fu una
vera sorpresa.
Bonnie al centro della stanza aveva gli occhi
chiusi e muoveva le labbra velocemente tanto che sembrava non muoverle
neppure;
al suo fianco Damon e Stefan stavano ritti accanto a lei e osservavano
stanchi
e annoiati Colin che digrignava i denti e si sforzava di rimanere in
piedi
serrando i pugni e strizzando gli occhi come se avesse dovuto sollevare
un peso
enorme.
Damon appena si accorse della mia presenza mi
riservò un sorriso obliquo e si allontanò di
qualche centimetro da Bonnie,
tentando di avvicinarsi a me. Colin smise di agitarsi e irrigidirsi.
La strega sbuffò seccata.
“Damon ho detto che se vogliamo che l’incantesimo
funzioni occorre che tu e Stefan siate il più vicino
possibile a me. Il solo
scostarsi anche di centimetri impedirebbe l’incantesimo
celebrale” abbaiò la
mia amica assottigliando gli occhi.
Damon inarcò un sopracciglio.
“Senti fata turchina abbiamo fatto abbastanza per
oggi e poi il bimbo è stremato. L’incantesimo lo
sai, noi sappiamo quello che
dobbiamo fare e lui deve cercare solo di non collassare. Siamo messi
bene no?”
domandò ironicamente tanto che Bonnie non riuscì
a controbattere.
Che cosa stava succedendo? Stefan sembrò leggere
la mia domanda muta.
“Bonnie ci ha chiesto di aiutarla a provare
l’incantesimo, visto che io sono un vampiro e Damon
è un umano. Colin ha voluto
essere la cavia così da poter resistere meglio e non
rischiare di svenire
mentre Bonnie lo utilizza contro gli altri” spiegò
gentilmente il vampiro
ponendosi al mio fianco.
“Già quindi non frignare e rimani con noi fino
alla fine dello show” borbottò Damon scompigliando
i capelli al ragazzino che
si dimenò fintamente irritato.
“E allora dobbiamo continuare, voglio esserci
anche io durante lo scontro” asserì il rosso con
un luccichio di sfida tra le
sue iridi grigie.
“Bene allora andiamo di sotto, Jeremy e Caroline
ci aiuteranno” borbottò Bonnie cacciando il libro
dentro la borsa e dirigendosi
verso l’uscita della stanza.
“Caroline penso che sia andata a caccia. A pranzo
ha detto di avere sete e non fame” spiegai e il mio sguardo
si incrociò a
quello di Stefan.
Il vampiro sospirò e si incamminò verso
l’uscita
insieme al mezzo vampiro.
Gli sorrisi e un senso di dovere interiore mi
spinse a posare le mie labbra su quelle di lui, giusto il tempo di
infondergli
il coraggio necessario. Ma sapevo che a pochi passi da me un qualcosa
si stava
spezzando.
Stefan si separò da me e raggiunse Colin che
aspettava dondolando sui talloni.
“Quanti anni hai detto di avere di aspetto?”
chiese all’improvviso il rosso.
“Diciassette. Perché?” rispose titubante
Stefan
non riuscendo a capire il perché di quella domanda.
Colin scrollò le spalle.
“Sembri più vecchio” esordì e
sgusciò via dalla
stanza lasciando uno Stefan a dir poco turbato che a suo malgrado
dovette
seguirlo.
Adesso che eravamo rimasti solo lui ed io la
camera appariva molto più ampia, quasi come se i centimetri
fossero stati
tramutati in kilometri.
“Domani scade la tregua” iniziai col dire
nonostante il cuore mi stesse perforando il petto.
“Lo so” rispose l’ex vampiro con
tranquillità e
naturalezza tuttavia seppi cogliere quella punta di disappunto che gli
si era
fermata sulla lingua.
“E non pensi che sia la fine di tutto? La tua
umanità, il viaggio, noi” dissi e mi voltai
cercando il suo sguardo.
I suoi occhi azzurri erano diventati d’un tratto
bui e silenziosi, quasi inquietantemente cristallini. Ebbi paura di
quello sguardo.
“La coerenza non è il tuo forte a quanto
sembra”
sputò facendo riferimento ai miei precedenti discorsi.
“Non posso farlo soffrire. Non è giusto, non lo
sopporterebbe”
“Perché io si forse?” mi urlò
contro facendo
tremare le pareti, i vetri e forse anche le mie labbra.
Deglutii tentando di non far riaffiorare il magone
che avevo più volte cercato di cacciare indietro.
Mi continuò a guardare, quasi con aria supplicante
mentre i suoi occhi affondavano sempre di più dentro la mia
carne.
Mi umettai le labbra non sapendo bene cosa dire,
tentando di fermare il tremore delle mie ginocchia.
E poi con un gesto avventato mi prese la testa fra
le sue mani grandi e incollò le sue labbra alle mie.
Era strano come quel bacio sembrasse così vero e
avesse in se tutta la potenza e l’energia del primo bacio,
perché questo era:
il nostro primo bacio dopo il bacio d’addio.
Mi concessi in tutto tre minuti: un minuto per
assaporare bene quelle labbra così calde e morbide, capaci
di farmi mancare la
terra sotto i piedi; un minuto per sentire
l’elettricità che si sprigionava tra
i nostri corpi in delirio e in perfetta sincronia quasi come due
orologi
regolati e costruiti su misura da un’armonia prestabilita; un
minuto per
prepararmi al distacco, al vuoto, alla lontananza millimetrica che ci
avrebbe
ucciso giorno dopo giorno.
“Non capisci che non potremo amarci senza
provocare dolore a qualcuno” sussurrò quasi con
rabbia come pienamente
impotente di fronte quella grande verità.
“E allora troveranno un modo per fermarlo, il
dolore. Si trova sempre un modo” gracchiai e mi sentii
invadere da un
formicolio lungo tutto il corpo, era come se fossi fatta di aria e non
di
sangue. Mi aggrappai alle sue mani per non cedere allo stress, alla
frustrazione di quei giorni e mi accompagnò in silenzio in
quel mio lento
soffocamento. E lui mi porse l’incavo del suo collo come
rifugio sicuro da
tutti i mali. Mai incastro o combinazione fu più giusta.
Il pomeriggio
passò veloce impacchettando
velocemente le poche cose che ci eravamo portati dietro, riempiendo gli
zaini e
i borsoni per lo più di coraggio e buona fede.
Scesi al piano di sotto quando era già sera
inoltrata e nel cortile avevano organizzato un falò per
passare in quel modo
l’ultima notte prima del fatidico confronto.
Ciò che mi confortava era il fatto che ad essere
in ansia non ero solamente io. Tutti alla Cascina erano in trepidazione
per lo
scontro con la Triade nonostante non lo stessero vivendo in prima
persona.
Per loro sarebbe stato il giorno della
liberazione, dell’indipendenza, come da noi il quattro
luglio. Chissà se
avrebbero organizzato anche i fuochi d’artificio?
Li trovai in giardino a chiacchierare allegramente
al chiarore del falò, stipati in piccoli gruppi. Scorsi tra
la folla una chioma
rossiccia e due ciocche biondastre e mi avvicinai. Erano tutti radunati
in una
piccola porzione di terra, seduti sopra un tronco d’albero
che utilizzavano
come panchina.
Erano tutti felici, nessuna faccia triste o in
attesa. La cosa che mi sarebbe mancata della Cascina era proprio
questo: il
sentirsi estraniati dal resto del mondo. Quel luogo era il cuore vivo e
pulsante degli oltre ottanta mezzi vampiri che erano radunati
lì quella sera.
Non era immenso e illuminato come potrebbe essere un cinema o uno
stadio, ma
era ugualmente la loro casa, nessun luogo più bello sarebbe
rimasto nei loro
cuori.
“Bene domani a che ora è la sveglia?”
chiese
Jeremy con entusiasmo ma nonostante questo il silenzio che si venne a
creare
sembrò confermare la mia teoria: lui non sarebbe venuto.
“Ascolta Jeremy penso che tu dovresti tornare a
casa” dissi sovrapponendomi fra lui e Colin posto al suo
fianco.
Mi guardò contrariato.
“Se dovesse succedere qualcosa, Jenna non può
permettersi di perderci entrambi! E’ meglio che tu torni a
casa e dimenticare
tutta questa faccenda” continuai a dire ma nei suoi occhi
scintillava il
disappunto.
“Non può permettersi di perdere anche
te!” ribadì
e il suo sguardo mi gelò fin dentro le ossa.
Si alzò bruscamente e si diresse verso l’entrata
della cascina voltandosi un paio di volte giusto per continuare a
guardarci con
astio. Faceva male, ma era giusto che fosse così.
“Avete fatto bene, è troppo pericoloso”
sussurrò
Caroline dondolando le caviglie e seguendo con lo sguardo i movimenti
di mio
fratello.
“Anche tu Caroline” sospirò Bonnie e
basto quella
semplice frase a farmi intendere che anche quella volta le nostre menti
erano
stato perfettamente sincronizzate.
“Anche io cosa?” domandò strabuzzando
gli occhi e
aggrottando le finissime sopracciglia.
“Caroline anche tu come Jeremy-” iniziai col dire
ma la furia della bionda uscì come un fiume in piena.
“Posso farcela. Davvero posso farcela. Vi voglio
aiutare. Adesso che sono un vampiro posso prendermi cura di voi,
difendervi. So
badare a me stessa e non ho bisogno di essere protetta. Elena, sono tua
amica e
per me la tua sicurezza e quella delle persone che ti stanno attorno
viene
prima di tutto. Se ti fidi di me, mettimi alla prova”
Parlò tutto d’un fiato, storpiando e mangiandosi
le parole, affannandosi per finire e questo mi procurò una
stretta al cuore. Fidarmi
di lei? Certo che mi fidavo, lei e Bonnie erano le mie migliori amiche,
ma come
potevo mettere a repentaglio anche la sua di vita?
“No, Caroline non è un gioco, e non voglio
rischiare” ribadì schietta tentando di ferirla, se
ce l’avremmo fatta,
l’avrebbe capito.
“Io non stavo giocando” mormorò e con
sguardo
furente si allontanò da noi nella stessa direzione
intrapresa pochi minuti
prima da Jeremy.
Il mio sguardo cadde su Stefan, preoccupato anche
lui dei risvolti psicologici che sarebbero potuti incorrere in Caroline
ora che
era un vampiro.
Non ebbi il bisogno di dire niente che Stefan la
seguì con l’intento di farla ragionare con
lucidità. Solo lui l’avrebbe potuta
aiutare.
Rimanemmo in quattro seduti su quel tronco.
Il mio cuore sembrava essere più leggero ora che
due delle persone a me più care erano salve, si faceva per
dire.
Provai a soffermare lo sguardo su Bonnie.
“Io ti servo” disse semplicemente non
interrompendo lo scambio di sguardi che intercorreva fra di noi.
Non cercai neanche minimamente di guardare Damon,
si sarebbe opposto di certo e non potevo dargli nemmeno torto:
dopotutto era
lui il diretto interessato.
Il suddetto interessato alzò la mano.
“Una domanda, grande capo?” chiese inarcando le
folte sopracciglia nere come a chiedere il permesso.
Intrecciai le braccia al petto.
“Cosa facciamo se problema 1 e problema 2 domani
mattina si presentano che vogliono venire con noi? Cioè
dobbiamo partire in
orario o se no faremo tardi all’appuntamento”
A questa domanda Colin mi tolse le parole di
bocca.
“Eventualmente ci sono io. Sapete che posso
soggiogare umani e vampiri per cui basterà che gli dica di
non venire e il
gioco è fatto”
Mi venne in mente un’idea migliore.
“Se dovessi farlo non dirgli semplicemente di
ritornare a casa ma di dimenticare tutta la questione dei mezzi
vampiri, di
Damon, di voi. Voglio solo che ritornino alla loro vita
normale” dissi e non
seppi trattenere una lacrima che sfuggì al mio controllo.
Colin mi sorrise e mi strinse la mano: avrei
potuto contare ogni singola minuscola lentiggine sparsa sul suo naso.
“Ti prometto che se loro dovranno dimenticare, io
non dimenticherò. Io ricordo sempre quelli che se ne sono
andati” bisbigliò il
rosso e le labbra si stropicciarono in un sorriso.
Adesso ero veramente pronta a partire.
“Vi
siete degnati finalmente” sbraitò Jim seduto
su una panca accanto al fuoco ormai spento della sera prima. Teneva in
bilico
tra le labbra la solita sigaretta e giocherellava con
l’accendino, in attesa e
palesemente irritato dal nostro ritardo.
Nonostante la quiete che ero riuscita a
raggiungere la notte prima non riuscii a dormire e trovai il sonno solo
verso
le prime ore del mattino, ore in cui mi sarei dovuta alzare e
prepararmi per la
partenza. L’orario era stato fissato per le quattro e mezza.
“Piccolo problema con gli altri due”
spiegò Colin
con una scrollata di spalle lanciandomi un’occhiata di
rassicurazione.
Jim si alzò, si spolverò i jeans e si
sistemò lo
zaino in spalla, aspirando l’ultima boccata di fumo per poi
lanciare la cicca
nella cenere del falò ormai spento.
Il biondo ci guardò tutti soffermando lo sguardo
su ognuno di noi e trattenendo un sorriso.
“Che bell’esercito. Cos’è
stiamo andando a
Disneyland?” disse sarcastico alzando gli occhi al cielo
ancora buio e plumbeo.
Non riuscimmo neanche a fare qualche passo che una
voce alle nostre spalle ci fece voltare.
“Hai dimenticato qualcuno?” gridò Nicole
che con
passo svelto ci stava raggiungendo con i capelli raccolti in un grosso
chignon
da cui ricadevano due o tre ciocche e con la solita felpa lilla e il
borsone in
spalla.
Trovai nel viso dei miei compagni la mia stessa
perplessità e sbigottimento riguardo all’aggiunta
di quel nuovo componente
della squadra, ma l’espressione più contrariata di
tutti era quella del mezzo vampiro.
“Mi dispiace ma la ciurma è già al
completo” la
ammonì con fare perentorio ma Nicole non smise di sorridere
sbattendo le lunghe
ciglia.
“Ordini di Frederick” cinguettò
allegramente quasi
con fare onorato di essere stata scelta anche lei per quella missione
– per
quel suicidio di massa avrei detto.
Jim sbatté un piede sullo strato di fogliame che
ricopriva il terreno, imprecò a bassa voce e alzò
più volte gli occhi al cielo
che pian piano stava diventando sempre più chiaro.
E poi spostò lo sguardo sulla minuta figura di lei
e si soffermò sui suoi occhi quasi come se stessero tenendo
una conversazione
muta e privata.
“Cammina” disse a denti stretti e si
voltò
proseguendo nella direzione prestabilita.
Nicole ci guardò con sguardo d’intesa e per la
prima volta la vidi sorridere.
Scoccai un’occhiata preoccupata a Damon e lui
sfiorò piano le mie dita.
“Muoviamoci bellezza” mormorò e i miei
piedi si
mossero soli.
Christopher.
Drake.
Guinever.
Il piano era cominciato.
Ed eccomi qui ad aggiornare,
miei cari!
Come vi avevo già anticipato questo capitolo si ambienta
durante l'ultima giornata alla Cascina; ormai manca poco per la
partenza e per l'incontro con la Triade e la nostra combriccola si
prepara per l'incontro. Il tutto si apre con la chiamata di Jenna e la
bugia inventata da Stefan ed Elena; Stefan nutre dei sospetti nei
confronti di Elena e del fratello nonostante la tranquilla espressione
e il suo fare disinvolto: Elena glielo dirà prima o poi ma
vi avverto non sarà un gran bello spettacolo u.u E poi
abbiamo l'ultima chiacchierata con Freddie, questa sarà
l'ultima volta che lo vedremo ma spero che vi abbia fatto una buona
impressione :) Caroline e i suoi pettegolezzi non potevano mancare,
quella vampira è la dolcezza fatta persona. E
così avete scoperto un po' di più riguardo i tre
nuovi personaggi ovvero Grace, Jim e Nicole, e per chi non l'avesse
capito Jim e Nicole si piacciono, hanno una storia complicata che si
svilupperà più in là nei capitoli. Ho
dato anche dei volti a questi due personaggi: Josh Holloway nei panni
di Jim e Lyndsy Fonseca nei panni di Nicole *-* Li amo quei due
è inutile! E poi c'è il momento Delena che non
poteva di certo mancare <3 Ci saranno altri risvolti dovete solo
aspettare ;) Escono dalla scena con mio forte rammarico Caroline e
Jeremy D: Ma è stata una questione di principio, capirete
poi perchè. E finalmente escono dei nuovi nomi, i nomi della
famigerata triade: Christophere, Drake, Guinever. Saranno
così temibili come li descrive Frederick? Spero che il
capitolo vi sia piaciuto, ringrazio tutti coloro che hanno letto e
commentato *-*
A presto, un bacio
Sil
|
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Capitolo 27 *** 25 - AN END IS JUST AN END ***
Comunicazioni
importanti: da
oggi per sapere quando, come e se aggiornerò mi potrete
trovare su face book:
Dreem
L. Efp.
Visto che è da un bel po’ che non aggiorno e molti
di voi hanno perso il filo di questa neverending story vi faccio un
piccolo riassunto
dal primo capitolo fino all’ultimo.
Elena
e i fratelli Salvatore si trovano alle prese con l’arrivo in
città di Katherine
e questo ha portato a far mostrare a Damon i suoi sentimenti per Elena,
nonostante quest’ultima lo rifiuta. Un giorno organizzano un
uscita a tre
durante la quale Damon incontra una ragazza di nome Michelle di cui
però Elena
non si fida. Dopo aver trascorso una notte con lei, Damon è
in preda a dolori
lancinanti e viene ritrasformato in un umano. Sotto
l’incredulità di Elena,
Stefan attraverso un vecchio libro scopre che esistono creature antiche
chiamate mezzi vampiri che riescono a trasformare gli umani e i vampiri
in
esseri come loro. Michelle dunque è una mezza vampira.
Tuttavia il libro
conferma che l’unico luogo in cui poter trovare i mezzi
vampiri si trova in
Alaska per cui Stefan decide di partire, lasciando Elena e un Damon
umano a
Mystic Falls. I due nel loro primo periodo si trovano ad affrontare dei
mezzi
vampiri misteriosi che cercano di uccidere Damon con la speranza che il
loro
segreto non venga rivelato. Elena coinvolge Caroline così da
proteggere Damon e
tenerlo al sicuro, e inoltre chiede a Bonnie di trasformare
l’anello contro il
sole di Damon in uno simile a quello di Alaric. Ed è proprio
quest’ultimo che
trova un’arma in grado di uccidere un mezzo vampiro: un
pugnale dalla doppia
lama, una in metallo, l’altra in legno. Damon viene ucciso
durante un agguato
ma grazie al suo anello riesce a resuscitare. Elena incomincia a
provare
qualcosa in più per Damon e il suo essere diventato umano la
rasserena, nonostante
l’assenza di Stefan la preoccupa. Così mentre
Elena, Bonnie, Caroline e Damon si
rilassano organizzando un pigiama party, casa Salvatore viene spiata da
un
ragazzo di nome Colin che si rivela essere un mezzo vampiro. Nonostante
la
paura e il panico che conquista Elena e i suoi amici, Colin afferma di
essere
dalla parte dei buoni e da delle utili informazioni riguardo i mezzi
vampiri e
della sua parentela con Michelle, sua sorella. Grazie a lui i ragazzi
scoprono
che esistono più modi per uccidere i mezzi vampiri oltre al
pugnale, come per
esempio l’incantesimo di canalizzazione imparato da Bonnie e
che per il suo
compimento necessita la presenza di un umano e di un mezzo vampiro.
Durante
questa fase il rapporto tra Damon ed Elena si fa molto più
saldo e la vicinanza
del piccolo Colin aiuta questa loro relazione, nonostante i continui
litigi.
Durante una festa dai Lockwood avviene un incontro ravvicinato tra
Damon e i
mezzi vampiri, ed Elena, esclusa da questo incontro, viene aggredita da
un
vampiro alleato della Triade, l’organizzazione dei mezzi
vampiri. Quest’evento
seppur negativo fa scoccare la scintilla fra i due, scintilla che
divamperà in
seguito quando Elena riceve una telefonata anonima secondo la quale
Stefan
sarebbe stato rapito. Così la comitiva parte per
l’Alaska e mentre
Bonnie,Caroline,Jeremy e Colin sono a salvare Stefan, tra Damon ed
Elena si
consuma una notte d’amore che sembra pacificare i due animi.
Al mattino però
Elena, pentitasi di ciò che aveva fatto, si promette di non
farne parola con
Stefan, che è stato tratto in salvo. Il gruppo viene
assalito da un mini esercito
di mezzi vampiri e pensano che Colin li abbia traditi quando in
verità lui li
ha solo accompagnati alla Cascina, il quartier generale dei Ribelli.
Qui Elena
e i suoi amici fanno conoscenza di nuovi mezzi vampiri come Grace,
Nicole, Jim
e Frederick, il capo dei ribelli, e niente poco di meno che zio di
Colin e
padre di Michelle. Vengono rivelati i nomi dei tre mezzi vampiri a capo
della
triade: Guinever, Drake, Christopher. Una guerra sta per essere
combattuta e
Elena, Damon, Bonnie, Colin, Nicole e Jim partono per il South
Caroline, sede
della Triade.
25-
AN END IS JUST A END
Una voce
metallica femminile risuonò nelle mie
orecchie, trapanandomi il cervello con il suo tono sottile e squillante.
Dava delle informazioni, nomi di luoghi, dei
codici, numeri ripetuti più volte.
Era così fastidiosa che inarcai un sopracciglio
tentando di ricacciarla indietro ma ciò non fece altro che
peggiorare la
situazione.
Oltre alla voce, le mie orecchie iniziarono a
localizzare rumore di passi, di tacchi picchiettati velocemente sul
pavimento,
il chiacchiericcio sommesso di persone, il rumore flebile di cucchiaini
e
tazzine, il lento strillare dei bambini, il rumore di ruote strisciate
e di
cerniere che si aprivano, di giornali spiegazzati e di sbadigli
sommessi.
Tentai di aprire gli occhi, ma le palpebre stanche e pesanti non
risposero
immediatamente al mio comando per cui, ancora disorientata, cercai di
immaginarmi l’ambiente in cui mi trovavo.
L’odore forte di caffè giunse alle mie narici
così
come la consapevolezza della posizione scomoda e del freddo scalino sul
quale
era appoggiato il mio fondoschiena, tutto il contrario del morbido
ripiano su
cui era accoccolata la mia testa.
Schioccai la lingua impastata di saliva e tentati
di distendere i muscoli delle braccia e della gambe intorpidite con la
speranza
di non scontrarmi con qualsiasi altro oggetto non identificato.
Ormai i suoni, dapprima ovattati, arrivavano con
chiarezza alle mie orecchie e presi coscienza di ogni singola parte del
mio
copro – dalla punta del mio naso alle dita dei piedi.
Non è strano quindi pensare che sussultai alla
voce maschile che seppur sussurrata mostrava tutta la sua irritazione.
“Vuoi continuare ad usare il mio braccio come
cuscino o preferisci metterti più comoda?”
Sbarrai gli occhi e contemporaneamente feci leva
sulle mie gambe urtando la panca su cui ero seduta e le foglie della
pianta al
mio fianco.
Un brillio di luce soffusa mi fece arricciare il
naso e stropicciare gli occhi assonnati.
“Dove sono gli atri, Jim?” chiesi con la voce
ancora impastata e non del tutto comprensibile.
Mi frizionai i capelli, incollati alle guance, e
riaprii gli occhi con la speranza di poter vedere meglio
l’ambiente che mi
circondava.
Un via vai di persone in ritardo e di fretta
circondava la misera panchina in cui io e Jim eravamo seduti. Riconobbi
nello
strascichio di valigie a rotelle e negli zaini i rumori che avevo
cominciato a
sentire nel dormiveglia, così come il rumore delle tazzine e
dei cucchiaini
tintinnanti del bar lì vicino.
Un nuovo scampanellio e la voce metallica ritornò
ad avvisare i passeggeri della cancellazione di un volo.
Un impulso nervoso e ricordai il perché del luogo
in cui ci trovavamo, un aeroporto.
Una volta abbandonata la Cascina ci eravamo
diretti
verso il bosco che a nostra insaputa si affacciava proprio
sull’autostrada,
dove in un area di servizio ci osservava con non curanza
un’enorme macchina
nera. Con fare spaccone Jim aveva estratto le chiavi della macchina ed
eravamo
saliti nella sua Jeep che a mia sorpresa ci avrebbe portati
direttamente in
aeroporto, per il volo delle otto. Il viaggio era stato particolarmente
tranquillo e arrivati in aeroporto eravamo saliti sull’aereo
senza alcun
problema.
Eravamo saliti sull’aereo, certo, ciò che non
ricordavo era come fossimo scesi e a che ora fossimo atterrati.
Mi si imporporarono le guance all’idea di una me
addormentata sull’aereo e che era stata trasportata come un
qualsiasi zaino
sulla spalla di uno dei due Salvatore.
Più che per vergogna divenni rossa di stizza:
avrebbero dovuto svegliarmi, non ero la loro bambola personale.
“Hai una faccia. Cos’è, fatto un brutto
sogno?”
chiese noncurante il biondo accanto a me il quale faceva scorrere gli
occhi
grigi e screziati leggermente di azzurro nei titoli in prima pagina del
quotidiano che teneva tra le mani.
Nell’orecchio destro faceva capolino tra i ciuffi
biondi una sigaretta pronta all’uso.
“Sono solo confusa. Dove sono tutti gli altri?”
Jim sbuffò roteando gli occhi e dandosi una
leggera pacca sul ginocchio, come se la mia sola presenza lo irritasse.
“E’ quello che mi chiedo anche io!”
sbottò
spiegazzando il giornale e richiudendolo di fretta lanciandolo contro
il
cestino di fianco.
Non ero io che lo irritavo ma lei.
“I tuoi due cagnolini insieme alla strega sono
andati a prendere le valigie e Colin si stava annoiando
perciò è andato con
loro”
Inarcai un sopracciglio per indurlo a continuare
ma lo sguardo corrucciato di Jim sembrava non dare segni di risposta.
“E Nicole?” azzardai provando a raccogliere i
capelli in una coda alta, ma i nodi sembravano essersi moltiplicati a
causa
dello stress perciò rinunciai all’impresa.
Il mezzo vampiro mi freddò con un’occhiata tale da
farmi abbassare lo sguardo sulle fredde mattonelle
dell’aeroporto.
“Già, è sparita pure lei”
mormorò e quasi mi parve
di intravedere in quelle parole una lieve tristezza mista a
preoccupazione.
Sollevai appena la mano e la poggiai sul suo
braccio notando quanto fosse piccola in confronto alla grandezza del
suo
bicipite e nel complesso della sua stazza.
“Perché non la vai a cercare? In fondo se
ritardiamo
di qualche minuto non sarà la fine del mondo”
provai a dire e nella sua
espressione arcigna lessi un qualcosa simile ad un sorriso.
Per qualche secondo le labbra gli si piegarono
all’insù ma dopo essersi schiarito la voce la sua
espressione tornò severa e la
fronte inevitabilmente corrucciata.
“Ascolta muchacha, là fuori ci sono uomini che
lavorano per portare i soldi a casa, donne indaffarate con i loro
bambini,
ragazzi innamorati tra i banchi di scuola; se non arriveremo noi a
fermare quei
bastardi la loro vita sarà rovinata per sempre, si
trasformeranno in dei mostri
e sarà davvero la fine. Poco importa se del mondo o
dell’universo, una fine è
sempre una fine”
Deglutii sentendomi pervadere da un leggero
formicolio che iniziò a contorcermi lo stomaco.
“E se c’è una cosa che so di Nicole dopo
novantasette anni che la conosco è che non vuole essere
cercata, e se
disgraziatamente lo fai non la riuscirai a trovare. Lei non ha una
casa”
Aprii bocca per ribadire ma mi limitai a corrugare
la fronte e a portare le ginocchia sulla panchina osservando i passanti
che
continuavano a correre da una parte all’altra con le loro
valigie e con le loro
chiacchiere.
Jim roteò gli occhi e con fare deciso infilò le
mani nelle tasche dei pantaloni dove l’accendino
tintinnò scontrandosi con le
chiavi della macchina.
Nonostante fosse severo e burbero a volte, Jim non
sembrava così cattivo come faceva credere: dietro
quell’apparente espressione
arcigna del bel viso e la postura marmorea del corpo ben scolpito, dava
più l’impressione
del gigante buono. Per quanto avesse fatto per apparire antipatico, i
suoi
occhi sarebbero stati sempre sinceri e puri come quelli di un bambino.
Non so dire se i mezzi vampiri avessero il dono di
leggere nel pensiero, fatto sta che nel momento in cui quelle parole
attraversarono la mia testa, il biondo si aprì in un sorriso
inarcando un
sopracciglio quasi con aria interrogativa.
Non feci in tempo a chiedere il perché della sua
espressione che una chioma rossa si intrufolò nella mia
visuale.
“Elena mi accompagneresti in un posto?” chiese un
sorridente Colin i cui capelli scarmigliati risaltavano alla luce che
trafilava
dalle finestre.
“Ehi Col, dove sono gli altri due?” chiese Jim
attirando l’attenzione del mezzo vampiro che aveva tutta
l’aria di avere una
gran fretta.
“Hanno avuto qualche problema con il metal
detector” snocciolò sistemandosi il colletto della
polo blu elettrico.
“Chi dei due è stato così imbecille da
portarsi
delle armi in valigia? Sono vampiri, mica donnicciole”
sputò Jim sarcastico.
“Armi? E le sacche di sangue?”
Colin inarcò un sopracciglio e quasi in
contemporanea le fronti mie e di Jim si corrugarono non riuscendo a
capacitarci
della comicità della situazione.
“Comunque noi andiamo e Jim…mi compreresti un
cornetto, per favore?”
Il naso lentigginoso del rosso si arricciò così
come le sue labbra e mi incamminai al suo fianco lasciando un Jim
alquanto
borbottante.
“E allora qual è la vera versione dei
fatti?”
chiesi fermando il ragazzino dal colletto della maglietta.
Colin socchiuse gli occhi grigi.
“E’ questa la vera versione dei fatti”
disse
scrollando le spalle ossute.
Sospirai e incrociai le braccia strette al petto,
trovando leggero calore nella canotta viola.
Certo non lo conoscevo da novantasette anni come
Jim e Nicole ma i due mesi che avevo passato con Colin mi avevano
aiutato a
capirlo un po’ meglio.
Il rosso si umettò le labbra e gonfiò le guance.
“Qualcuno
ha scambiato i contenuti delle nostre valigie o meglio qualcuno ha
messo dentro
le nostre valigie altri oggetti” disse sussurrando
consapevole della seppur
minima vicinanza del mezzo vampiro seduto in panchina.
Schioccai la lingua contrariata e confusa.
“Ma è assurdo. Io stessa ho preparato il mio zaino
prima che..”
Mi bloccai e dal mio sguardo vacuo e indeciso
Colin capì che anche io come lui avevo tratto la sua stessa
conclusione.
“..prima che Grace aggiungesse i panini” disse
affondando le mani diafane nelle tasche dei bermuda.
La verità di quelle parole mi cadde in testa come
un macigno.
Ripensando bene a Grace, quella donna più o meno
sulla cinquantina, che odorava di torte di mele e di lenzuola pulite,
non
poteva essere lei quella che ci avrebbe tradito, ma la paura e il
disagio ci
offuscava la mente molto più di quanto sospettavamo.
“Tu pensi che sia stata lei?” chiesi riprendendo
pian piano lucidità e non lasciandomi trasportare dal panico
e dall’incertezza.
Colin mi ritornò di rimando l’occhiata ansiosa che
gli avevo indirizzato.
“Non può essere stato qualcuno di noi, siamo stati
sempre insieme, me ne sarei accorto se qualcuno avesse fatto qualcosa
di
strano” asserì deciso il rosso picchiettando
velocemente la punta del piede
sulle piastrelle semilucide, tentando di ricordare qualsiasi
particolare utile
per la ricerca.
“E cosa mi dici di Nicole? Sembra che sia
scomparsa”
Non che ce l’avessi con Nicole né che sospettassi
di lei, ma era l’unica persona della comitiva di cui avevo
perso le tracce e di
cui non sapevo molto.
“Oh ‘Colette è qui dentro”
rispose il mezzo
vampiro piegando lievemente il capo in direzione di una porta
antipanico dove
sul cornicione risplendeva un’insegna verde.
Mi meravigliai di capire che quella fosse
l’accesso per le toilette ma non feci in tempo a corrugare la
fronte e a
socchiudere le labbra che Colin si era già allontanato di
qualche metro da me.
“Ehi Colin?” lo richiamai accorciando la distanza
che si era formata tra di noi.
“Che cosa c’è adesso dentro i nostri
zaini?”
chiesi avida di sapere.
Il rosso mi guardò socchiudendo furbescamente gli
occhi e spiegazzando le labbra in un sorrisetto obliquo che non
prometteva
nullo di buono.
“Vuoi dire cosa non c’è adesso dentro i
nostri
zaini”
La sua frase mi gelò il sangue nelle vene e
nonostante la temperatura calda, sentii freddo come nel pieno
dell’inverno.
Che cosa
avrebbero potuto mai prelevare dai nostri
zaini?
Mi voltai in direzione dell’entrata dei bagni e
con la mente ancora occupata da quel pensiero feci scattare la molla
della
porta.
Una luce soffusa illuminò le diverse gallerie da
cui provenivano risate, e parole sommesse di un gruppo di ragazze
stipate di
fronte agli specchi per sistemarsi il trucco o semplicemente per
rinfrescarsi e
dare vita alla pelle secca per via del caldo di inizio Agosto.
Appena le due ragazze e la signora uscirono dalla
porta, il silenzio cominciò a diventare insistente e sempre
più pesante.
Non osavo guardare la mia immagine allo specchio
ma era inevitabile visto che le pareti della sala risultavano essere
piene di
specchi.
Avevo delle profonde occhiaie a causa del sonno
non molto rifocillante, il viso smunto e i capelli evidentemente
sfibrati
nonostante avessi sempre avuto un tipo di capelli liscio e
perfettamente sano.
Feci scorrere l’acqua dal lavandino e mi sciacquai
viso e braccia per poi iniziare a raccogliere i capelli in una treccia
laterale.
Chi era stato questa volta a tradirci? La mia
mente rifiutava di accettare l’idea che Grace avesse
sottratto qualcosa dai
nostri zaini, che lavorasse per la Triade e che ogni singolo sorriso
fosse
solamente una bugia. Ma allo stesso tempo il mio cuore mi spingeva a
discostare
lo sguardo da Colin, mi ero ripromessa che non mi sarei mai potuta
permettere
di dubitare di lui. Il numero di sospettati si riduceva così
ai due mezzi
vampiri il cui amore non faceva altro che corrodere i loro animi senza
che
l’uno fosse consapevole del male che l’altro gli
procurava. Ma le mie
rimanevano solo inutili supposizioni, tutti lavoravamo per uno scopo
comune e
nessuno si sarebbe mai permesso di intralciare i nostri piani. La spia
doveva
essere ancora là fuori e non da qualche parte qui tra noi.
Due occhi grigi incrinarono il vetro dello
specchio di fronte a me.
“Elena c’è qualcosa che non
va?” chiese con finta
noncuranza sorvolandomi e appoggiando le braccia magre e ossute al
ripiano del
lavabo, lavandosi minuziosamente le mani.
“Mi hai fatto spaventare. Ero solo venuta a
cercarti” dissi regolando i battiti del mio cuore, facendolo
andare in sincrono
con i miei respiri.
Aveva un qualcosa di diverso, Nicole: gli occhi
erano cerchiati da profonde linee rosse così come le iridi
grigio scuro erano
rattoppate da chiazze rosee e da finissime linee rosse. Se quella fosse
stata
una situazione diversa – e lei una ragazza diversa -
probabilmente avrei subito
pensato che Nicole avesse pianto.
“Mi dispiace, questa volta ha mandato te per
venirmi a cercare” ridacchiò senza allegria dopo
essersi schiarita la voce e
asciugandosi le mani sotto l’apposito macchinario.
Mi morsi il labbro inferiore e indugiai un po’ con
lo sguardo non sapendo cosa intendesse la bella mezza vampira.
Nicole aggrottò la fronte.
“Non ti ha mandato Jim?” chiese e i suoi occhi
crollarono in uno stato di trans simile a quelli in cui a volte cadeva
Colin.
Denegai con il capo e la mezza vampira arricciò il
naso mugolando qualcosa tra sé e sé.
“Visto che sei qui tanto vale che mi aspetti”
disse in modo rude tirando fuori da un angolo il suo zaino da cui
estrasse dei
vestiti. Solo dopo notai che in quei vestiti era ancora presente
l’etichetta.
Schioccai la lingua e sbarrai gli occhi.
“Cos’è non hai mai avuto a che fare con
una
fuorilegge?” chiese e un sorriso sinceramente divertito si
fece largo tra le
guance rosee.
Sbuffai e incrociai le braccia al petto
spalleggiando la parete della toilette mentre la neorea si spogliava
lasciando
le vecchie e grigia tuta sul pavimento per indossare un paio di shorts
simili
ai miei e una camicetta bianca smanicata.
Non che la ritenessi del tutto ingenua e buona,
semplicemente ritenevo che Nicole non fosse la dura che più
volte aveva cercato
di apparire. Era più fragile di quanto non volesse far
credere.
“Perché sei con tutti così scontrosa?
Non potresti
comportarti in un modo diverso?”
Nicole smise di armeggiare con uno dei bottoni e
roteò i suoi occhi grandi verso me.
“Questo è il mio carattere. Non sono stata mai
troppo loquace o estroversa, preferisco non legarmi alle persone. E poi
per
portare a termine la nostra missione c’è bisogno
di tutta la razionalità
possibile.”
Si ravvivò i capelli liberandoli dall’opprimente
coda di cavallo e lasciandoli sciolti e fluenti lungo le spalle
semiscoperte.
“Non è con la razionalità che
sconfiggeremo la
Triade, ma solo se collaboriamo e restiamo uniti” dissi ma
non fui sicura che
le mie parole arrivarono alle orecchie della mezza vampira. I suoi
occhi grigi
erano rimasti intrappolati su qualcosa che sembrava riscuotere
maggiormente il
suo interesse.
Localizzai il punto verso cui era rivolto il suo
sguardo: sul muro era stata incisa con una matita verde il disegno di
una
piccola casa le cui linee, spesse e tremolanti, finivano col contornare
la
figura stilizzata di una bimba sorridente. Il nome Amy scarabocchiato
sulla
parete completava il minuscolo disegno.
“Sai che non ho mai avuto una casa? Per quanto
viaggiassi e mi spostassi, non l’ho più
ritrovata” esordì rompendo il silenzio
che si era venuto a creare.
“La tua casa è la Cascina
insieme all’altro
gruppo dei Ribelli” provai a dire aiutandola a ripiegare i
vestiti e a riporli
dentro il borsone.
“Pensavo anche io che fosse così”
sussurrò appena
accartocciando i pantaloni della tuta da cui ricadde un oggetto
affusolato
simile ad una penna.
Fui pervasa dallo sgomento ma non ebbi neanche il
tempo di osservarlo meglio, che sparì alla mia vista
scaraventato nel cestino
da una furiosa Nicole.
“Elena stammi a sentire: voglio che quelle
orribili persone cessino di vivere, voglio che nessun’altro
debba convivere con
questa crudele maledizione, tu, Jim e gli altri porterete a termine la
missione”
Mentre parlava le sue labbra tremavano e
stalattiti di sale minacciavano di formarsi sulle sue guance.
“Fermeremo l’intero mondo se sarà
necessario, ma
fermeremo loro e la loro follia”.
Le sue parole, così come le parole di Jim e di
Colin mi entrarono nelle vene. Come poteva esserci tra di loro qualcuno
che
mentiva?
“Non ti azzardare a farne parola con qualcuno” mi
puntò un dito contro e asserii capendo che si stava
riferendo all’oggetto che
avevamo poco prima visto.
Nicole mi regalò forse un ultimo sorriso per poi
mettersi lo zaino su una spalla e dirigersi verso l’uscita,
con la sua
camminata fiera e eretta.
In fondo anche lei credeva in qualcosa – o in qualcuno.
Ripercorsi il corridoio che portava all’uscita
della toilette e non appena schiacciai il pulsante della porta
antipanico il
mio cuore prese a volare.
“Tecnicamente irascibile la tua nuova amichetta.
Preferivo la
Barbie,
ma non dirle che te l’ho detto.”
Sospirai e le mie labbra si piegarono in un
sorriso, contente del fatto che finalmente potevo rivedere quel paio di
occhi
azzurri.
Ma non era quello il momento più adatto per
perdersi in pensieri poco idonei.
“Avete scoperto che cosa manca nei nostri
bagagli?” chiesi a bruciapelo mentre le mani di Damon
sfioravano i miei
fianchi.
“Per adesso abbiamo controllato solo gli zaini di
Stefan e Jim e lì non manca niente”
Sbuffai sentendo l’agitazione pervadermi le
viscere dello stomaco.
“Che hai? Sembri più ingrugnata di Stefan quando
lo sfido a poker. E lui sa che vinco io” mi chiese
sistemandomi un ciuffo
ribelle dietro l’orecchio sinistro.
Sorrisi impercettibilmente premendo le dita sulla
manica della polo nera che indossava avvicinandomi al suo torace e un
po’ di
più al suo cuore.
Nonostante fossimo nel bel mezzo di un aeroporto,
Damon continuavo a considerarlo come l’unica cosa quanto
più vicina alla
normalità che potessi trovare nel raggio di qualche
chilometro.
“Tutto non va! Qualcuno che ruba dai nostri zaini,
la missione, la fiducia che tutti hanno riposto in noi, Jim e
Nicole”
Damon roteò gli occhi agguantandomi per i polsi.
“Elena, rilassati! Tutto finirà bene,
vedrai…ora
che sappiamo quali sono i loro punti deboli, ucciderli sarà
una passeggiata e
tu tornerai a casa prima della fine dell’estate”
Avrei voluto che nelle parole di Damon insieme
all’incoraggiamento e all’ironia vi fosse anche un
pizzico di veridicità che mi
avrebbe convinto a rilassare i muscoli e a rimanere vicino a lui.
Ero così immersa nei miei pensieri che non mi
accorsi che l’ex vampiro aveva preso teneramente il mio mento
e aveva
avvicinato le sue labbra alle mie, modellandole.
Il piacere che mi pervase per una frazione di
secondo venne brutalmente interrotto dal senso di angoscia che si
andava ad
addensarsi dentro me.
Mi staccai violentemente da lui allontanando le
sue labbra e il suo corpo.
“Elena, che ti prende?” chiese inarcando le
sopracciglia, sconcertato dal mio cambiamento d’umore
repentino.
Mi guardai intorno cercando di non scorgere la
faccia turbata di qualche vampiro di mia conoscenza. Mi sentivo come
una ladra
il cui reato poteva essere scoperto in qualunque momento, come un
assassina che
non avendo complici si sentiva addosso il peso del delitto che aveva
appena
commesso.
“Ne abbiamo già discusso, Damon. Non possiamo
farci scoprire, non adesso che abbiamo già mille
difficoltà”
Damon si rabbuiò e si passò una mano tra i
capelli
neri.
“Scusa se volevo farti sentire meglio”
abbaiò
affondando le mani nelle tasche dei jeans e rivolgendo lo sguardo
altrove.
Il senso di rimorso non riuscì a diminuire
l’acidità e la paura che avevo dentro.
“Lo so e ti ringrazio, ma non farlo mai più.
Perché se lo farai e Stefan lo verrà a sapere, ti
odierò per il resto della mia
vita” sentenziai e, stordita dal cumolo di emozioni diverse
che avevo in fondo
allo stomaco, lo strinsi a me sperando che potesse capire.
“Sai forse è meglio odiarmi. Così la
nostra
commedia potrà sembrare più credibile”
disse indirizzandomi una stilettata e,
slegando le mia braccia, si diresse nella la direzione opposta alla mia.
Rimasi ferma in quella posizione per non so quanti
minuti, guardando le persone attraversare indaffarate la mia visuale e
cercando
di ricacciare indietro le lacrime di nervosismo che premevano agli
angoli degli
occhi.
“Elena”
Una voce familiare mi fece voltare e fui
rincuorata nel vedere la medesima espressione tesa e preoccupata nel
volto
della mia amica.
“Ehi Bonnie” sussurrai con voce gracchiante e la
strega mi accolse tra le sue braccia, conscia del mio nervosismo che
sentiva a
pelle.
“Abbiamo scoperto cosa hanno sottratto” disse
trapanandomi con i suoi grandi occhi castani e facendo nascere in me
una viva
curiosità.
“Che cosa?” chiesi intimandola a continuare.
Bonnie posizionò un ricciolo nero dietro
l’orecchio e aprì cautamente lo zaino, frugando
tra la sua roba e estraendone
una custodia a me tanto familiare.
Schioccai la lingua, basita dall’orribile pensiero
che per un istante mi aveva sorvolato la mente.
La strega spolverò la lunga custodia blu cobalto e
la aprì mostrandomene il contenuto.
“Il pugnale”
“Dimmi
una cosa, Ercole: sarebbe questo il piano?”
Damon indicò il grande Hotel a cinque stelle che
si innalzava lussureggiante e in tutta la sua eleganza sopra le nostre
teste.
La piccola ma monumentale entrata recava il nome del palazzo contornata
da
delle pareti color mattone e abbellita da numerose statue e colonnine
greche
mentre alle spalle e ai due lati di quel portico si innalzavano due
palazzi con
balconcini in ferro battuto e finestre serrate da persiane.
Jim roteò gli occhi calpestando la cicca
dell’ennesima sigaretta.
“Si, weekend in un albergo cinque stelle con tanto
di vasca a idromassaggio. Se vi ho portati qui ci sarà un
motivo, no?” chiese
il mezzo vampiro sornione e forse un po’ irritato dal nostro
scetticismo.
“E’ qui allora la loro…sede?”
azzardò Stefan al
mio fianco con le braccia serrate al petto e la fronte corrugata per la
preoccupazione.
“Certo che non si fanno mancare proprio niente”
sbuffò Nicole mentre si ravvivava i capelli con
l’acqua della fontana
zampillante sul cui bordo eravamo seduti.
“Non ho mai visto una gran quantità di mezzi
vampiri in vita mia” sussurrò Colin sotto il
cappellino a visiera e catturando
la mia attenzione.
“Dove sono?” chiesi non riuscendo a capire dove
fossero gli altri suoi simili.
Il rosso si mordicchiò un labbro e represse
l’istinto di alzare un dito per indicare le persone che uno
alla volta
riconosceva come mezzi vampiri.
“I signori che sono appena arrivati in macchina
sono mezzi vampiri. La donna bionda che è appena uscita,
l’uomo grasso in
giacca e cravatta con la ventiquattro ore, la bambina con il cagnolino.
Guarda,
hanno tutti gli occhi grigi” puntualizzò Colin
mentre continuavo a soffermare
lo sguardo forse un po’ troppo a lungo sulle persone che
aveva citato. Quello
era davvero il loro quartier generale. A confronto la Cascina
era una piccolo
reggimento di un intero esercito schieratosi dalla parte del male.
“Quindi come procediamo?” chiese Bonnie
interrompendo il chiacchiericcio che si era formato
all’interno del nostro
piccolo gruppo.
“Aggiriamo e entriamo dalla porta sul retro” disse
l’ex vampiro con una scrollata di spalle.
Stefan inarcò un sopracciglio piuttosto confuso.
“Come sei sicuro che ci sia una porta sul retro?”
Il fratello rivolse gli occhi al cielo e si umettò
le labbra.
“Perché c’è sempre una porta
sul retro” rispose
con fare canzonatorio posizionando meglio gli occhiali da sole sul naso.
Mi raddrizzai lo zaino sulle spalle e io e Colin
eravamo già pronti a seguire Damon e Stefan per un vialetto
che portava al
retro dell’albergo quando la voce roca di Jim
bloccò i nostri passi.
“Ehi carica dei centouno, a capo della spedizione
ci sono io e solo io posso decidere cosa fare, e dico di entrare
dall’ingresso
principale”
L’occhiata glaciale che Jim ci riservò fece
bloccare i miei sandali al cemento della strada sotto i miei piedi.
Vidi Nicole strabuzzare gli occhi, presa da una
strana inquietudine tanto che i suoi occhi incredibilmente grandi
raggiunsero
la dimensione di due palle da golf.
“Vuoi forse farci uccidere tutti? E’ da suicidio
entrare dalla porta principale, ci riconosceranno subito”
sbottò cercando di
modulare la voce che a causa della stizza e dell’agitazione
minacciava di
crescere di due ottave ogni parola.
Colin affilò lo sguardo.
“Fred ha detto di entrare dalla porta sul retro.
Perché non stai seguendo il piano?” chiese
inchiodando lo sguardo a quello di
Jim che si lisciò la lieve peluria che aveva sul mento.
“Perché è lui la spia, non è
così?”
La voce di Stefan affettò l’aria tersa e calda e
la pelle di tutti noi si infuocò dell’arancione
del sole volto a tramontare.
Tutti friggevamo di impazienza e di nervosismo.
Il mezzo vampiro dai capelli biondi ci squadrò con
uno sguardo misto tra il ferito e l’irritato e
lanciò occhiate di sfida al
vampiro che aveva effettuato un passo avanti.
Era veramente Jim la spia? Nella mia mente
vorticavano tanti di quei pensieri e supposizione che
l’annoverare
quell’ipotesi al resto della lista non poté far
altro che procurarmi un
maggiore mal di testa.
La sola cosa che in quel momento la mia testa
tentava di partorire era il semplice fatto che non eravamo al sicuro,
non lo
eravamo mai stati.
“Fate come volete, io vi avevo dato un’idea
alternativa!” abbaiò sistemandosi meglio lo zaino
in spalla e incamminandosi
con la sua immensa stazza sul selciato le cui luci sul terreno
illuminavano il
cammino, quasi come se ci invitassero a proseguire per quella direzione.
La fiducia a volte è la sola cosa che serve per
far si che tutto finisca bene, a quel tempo ancora non ce
n’eravamo resi conto.
Ci incamminammo lungo il sentiero cosparso di
ghiaia e ciottoli bianchi che contornavano siepi e aiuole dalle quale
fiori
colorati straripavano dagli intricati rami.
Una mano gelida sfiorò la mia sudata e il contatto
mi fece sussultare e rabbrividire allo stesso tempo. Il sorriso un
po’ tirato
di Stefan mi tranquillizzò.
“Andrà tutto bene, vedrai” gli sussurrai
facendo
fatica a credere alle mie stesse parole.
Infatti Stefan inarcò un sopracciglio stringendomi
maggiormente la mano.
“Elena, non devi cercare di essere ciò che non
sei. Sei umana, puoi avere paura come ce l’ho io”
Sospirai facendo attenzione alle minuscole schegge
di pietra che si andavano a infilare nelle fessure delle scarpe.
“Sai anche Damon ha paura. Ora che è umano ammetto
che è molto più facile da comprendere”
disse e gli angoli della bocca gli si
stropicciarono in un sorriso, forse più per alleggerire
l’atmosfera tesa che
per genuino piacere.
“Cosa intendi?” chiesi spostando il mio sguardo
sull’ex vampiro che camminava fiero al seguito di Jim.
“Il suo cuore. Continua ad aumentare il suo
battito più ci avviciniamo al nemico. Ha paura, come
te” costatò e tremai fin
dentro le ossa.
“Ci siamo” cinguettò Colin che era
tornato
indietro per avvisare noi che ci eravamo distaccati di molti metri dal
gruppo.
Il rosso con sguardo serio in volto ci invitò
impaziente ad accelerare il passo così che in breve tempo ci
ritrovammo insieme
al resto del gruppo dinanzi ad una porta di un seminterrato. Anche per
questa
volta Damon aveva avuto ragione riguardo l’entrate sul retro.
“Aspettate, non apritela” disse Bonnie che aveva
rivolto uno sguardo allarmato a Nicole la cui mano stava per afferrare
la
maniglia di quella vecchia botola.
La mia amica deglutì e si fece largo tra Jim e
Damon con l’intenzione di osservare meglio la situazione
più da vicino.
I suoi occhi non si staccavano dalla maniglia e le
sue sopracciglia erano tanto inarcate da farle comparire una profonda
ruga
sulla fronte alta e olivastra.
Dalla botola cominciarono ad uscire fuori
scintille e la maniglia si lacerò sotto la rovente azione
del fuoco. Un
crepitio e la botola si aprì con un sinistro rumore
cigolante.
“Era bloccata con un incantesimo, se l’aveste
toccata sareste morti carbonizzati” spiegò Bonnie
distendendo la fronte e le
guance dapprima contratte.
“Magnifico. Non il fuoco, ovviamente. Magnifica
tu” accennò Colin con aria trasognante sbalzando
lo sguardo dalla botola a
quello della strega.
Ci calammo all’interno della porta semidistrutta e
un lungo corridoio con delle luci di emergenza ci fecero credere di
essere nei
sotterranei del pseudo albergo.
Camminammo attraverso uno stretto cunicolo con il
soffitto basso. Jim guidava il gruppo ancora palesemente offeso per la
fiducia
mancatagli; Damon gareggiava insieme ad una tesa Nicole la quale si
voltava
continuamente osservando le fredde pareti impregnate di umido e muffa;
Bonnie
proseguiva il cammino scettica e nervosa, ripassando gli incantesimi
che ci
sarebbero serviti durante la battaglia; Colin dietro di lei le mandava
occhiate
in tralice come per assicurarsi che stesse bene e qualche volta si
voltava
indietro intercettando il mio sguardo e quello di Stefan.
I passi di Jim si arrestarono così come i nostri.
Nella galleria piombò il silenzio più totale.
“Stiamo facendo la fine del topo o cosa?”
domandò
Damon piegando la bocca in un sorriso sardonico. Il mezzo vampiro
scrollò i
capelli biondi da dietro l’orecchio.
“Zitto e trova un uscita” borbottò.
Solo allora mi resi conto che il corridoio si
concludeva in un vicolo cieco, privo di aperture se non per delle
fessure
strettissime poste sopra le nostre teste: i condotti di areazione.
Una malsana idea stava nascendo dentro di me e il
tremore alle mani che prima era stato lieve adesso si stava espandendo
prendendo il sopravvento sul mio corpo.
Era chiaro come la luce del sole, solo che i
nostri occhi erano troppo ciechi per vederlo.
Stefan mi scosse leggermente e puntai i miei occhi
sbarrati sui volti dei presenti che mi riservavano occhiate preoccupate.
“E’ una trappola” dissi con voce tremante.
I visi dei miei compagni divennero bianchi più di
un lenzuolo e ombre in movimento uscirono dagli angoli di quel
corridoio,
circondandoci in breve tempo.
Alla fine c’era riuscito, la spia aveva giocato
bene il suo gioco ingannandoci con finti sorrisi e lacrime false.
Guardai i
volti dei mezzi vampiri al mio fianco: la loro espressione statuaria
faceva
invidia persino al bronzo, gli occhi grigi indagavano le ombre.
Il mio cuore accelerò i battiti e mentre le ombre
si avvinghiavano sempre di più alle nostre figure, non ebbi
che pensare ad
un’unica cosa.
Slacciai la mia mano sudata da quella di Stefan e
mi allungai tentando di avvicinarla a quella di Damon che era alzata
verso la
mia direzione.
Pochi i centimetri che ci dividevano, troppi i
respiri che sentivamo addosso.
Mi slanciai ancora di più sfiorandogli a malapena
le dita.
Ebbi solo il tempo di guardare l’anima
attraversargli gli occhi.
E dopo fu il buio.
Finalmente
eccomi tornata,
mi
scuso profondamente per l’immenso ritardo ma la voglia di
scrivere è tornata
solo adesso e, insieme alle rondini, anche la primavera!
Dunque...questo
è un capitolo di cui non sono molto contenta ma dovevo pur
postarvelo, ci tengo
ai miei lettori ;D E dunque la scena si apre con la combriccola che si
trova in
aeroporto in vista di scontrarsi con la Triade.
Ho voluto analizzare meglio due personaggi che
amo alla
follia, il burbero e buono Jim, e la tosta e fragile Nicole. Sono due
personaggi caratterialmente diversi e di cui saprete molte cose,
intanto
limitatevi a questo. Ho voluto far vedere il loro rapporto di amore in
contrasto con la libertà che ognuno arreca
all’altro e che li divide. La scena
del bagno, dell’oggetto caduto sul pavimento e del disegno a
matita sul muro,
sarà il fulcro di tutta la loro storia ;) Qualcuno ha rubato
il pugnale, e ora?
Elena è così confusa e spaventata che tratta male
Damon senza rendersene conto
e lui, in un atteggiamento di orgoglio la respinge. Giungono finalmente
all’albergo che risulta essere il quartier generale della
Triade. Qui si hanno
i primi sospetti su chi possa essere la spia, ma nessuno lo
può dire con
certezza, sono tutti possibili sospettati. E alla fine i nostri amici
hanno
proprio fatto la fine del topo. Spero che la scena finale Delena sia
stata di
vostro gradimento :) Con questo non posso far altro che salutarvi e
sperare di
riscrivervi presto (nervi,tempo,scuola e voglia permettendo u.u)
Un
bacio,
Sil
|
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Capitolo 28 *** 26 - BUT I LOVE YOU MORE ***
26
– BUT I LOVE YOU MORE
Il buio era
l’unica morsa che sembrava serrarmi la
gola più della presa ferrea e minacciosa delle mani del
mezzo vampiro di cui
sentivo il maleodorante alito scagliarsi sulle mie guance, segno che i
suoi denti
aguzzi e feroci stavano a pochi centimetri dal mio viso.
Un’enorme distesa di nero si amalgamava attorno a
me impedendomi di capire dove fossi e se i miei amici stessero bene.
Soffocavo, soffocavo e con me il mio cuore.
D’un tratto la presa che bloccava la mia gola e
piegava il mio braccio in modo innaturale dietro la schiena
sembrò scomparire e
mi ritrovai scaraventata su una superficie fredda, non seppi mai se
fosse il
pavimento, la parete o addirittura il soffitto. Picchiai la testa e mi
accorsi
del sangue che era sgorgato soltanto quando sentii nuovamente il fiato
dei
nostri aggressori all’altezza del mio collo.
Era stata una trappola ben congegnata alla quale
nessuno di noi era riuscito a sottrarsi, ognuno mal pensante di quale
potesse
essere la scelta più giusta.
Adesso sembra quasi patetica la situazione:
eravamo così accecati dalla paura di sbagliare e di essere
sconfitti che alla
fine avevamo realmente perso.
Cercai di dimenarmi e di combattere contro quelle
braccia che, come sbarre di ferro, serravano i miei polsi fino a quando
ogni
mio sforzo, ogni mio movimento fu del tutto inutile: mi muovevo, mi
affannavo
ma il mio corpo non rispondeva, ma i miei muscoli non potevano muoversi
di un
solo centimetro.
E fu allora che iniziai a sentire la paura
attraversarmi le vene e scorticarmi la pelle, il tremolio delle
ginocchia e dei
denti, il sangue che picchiava in testa pulsando dalla ferita. La
sentivo
rimbombare come percussioni ma solo più tardi mi accorsi che
quei rimbombi
provenivano dall’esterno.
Ringhi acuti e gorgoglii furenti infuriavano
intorno a me ma non ne fui spaventata. Sapevo che erano dalla nostra
parte, che
combattevano per salvare noi.
Quasi nell’oscurità più totale riuscii
a
localizzare il ghigno soddisfatto di Colin, i sussurri di Bonnie, lo
sbuffo
quasi seccato di Jim, il pesante latrato di Nicole, il sospiro di
Stefan farsi
sempre più elevato fino ad assopirsi del tutto.
Nessuna traccia di Damon, nessun rumore, nessun
battito.
Ma nel silenzio ottenebrante che si era creato la
domanda che continuava a puntellarmi in testa era sempre la stessa: chi
è che
ci aveva traditi?
“Ma bravi. Sono sorpreso, davvero: è tutto qui
l’esercito di Frederick?”
La voce di uno dei mezzi vampiri si elevò e con
mia meraviglia mi accorsi che i miei occhi si erano abituati al buio:
riuscivo
a scorgere le sagome dei miei amici.
Ciò che mi strinse il cuore fu lo scoprire che
Damon, troppo distante da me, addossato a uno dei muri, in silenzio mi
guardava.
“Piantala Owen con i tuoi gesti teatrali e vediamo
di rinchiuderli, sai che Drake odia aspettare”
Stavolta la voce che, stanca, si era levata
nell’oscurità della stanza era quella del mio
aggressore che senza alcuna fatica
mi tratteneva i polsi dietro la schiena con una sola mano mentre con
l’altra
provava a tener ferme le mie spalle che tremavano, un po’ per
la paura un po’
per la rabbia.
Il suddetto Owen ridacchiò e diede un ordine agli
altri mezzi vampiri che si stavano radunando attorno a noi.
“Suvvia, Liam. Lasciami il tempo di concludere
almeno questa scena da aggiungere alla mia opera. Dov’ero
arrivato a scrivere?
Ah giusto. La rivelazione della spia”
La bassa luce a neon illuminò la stanza di luce
iridescente che mi fece chiudere violentemente gli occhi devastandomi
lo
sguardo e la testa da una lancinante fitta.
Strizzai le palpebre ma invano riuscì ad aprire
gli occhi ancora doloranti perciò mi limitai semplicemente
ad ascoltare.
“A lui le tragedie e a me i rimproveri”
borbottò
il mezzo vampiro alle mie spalle, terribilmente scocciato dal
comportamento
tenuto dal suo collega.
“Ottimo lavoro, grande
colibrì. Non pensavo che saresti stato
all’altezza del
compito, con i tuoi modi burberi di fare” disse rivolgendosi
a qualcuno dei
miei compagni ma ancora il dolore agli occhi mi impediva di vedere la
scena
nonostante la curiosità mi corrodesse dentro.
“Oh non fare quella faccia, sai benissimo che sto
parlando con te. Non dirmi che ancora i tuoi amici non lo
sanno?”
La tensione nell’aria si poteva affettare con un
coltello e così il crudo e tetro silenzio.
Deglutii rumorosamente e schiusi leggermente le
palpebre in modo da vedere i contorni e le immagini offuscate davanti
ai miei
occhi.
“Diglielo ora, Nicole”
D’un tratto tutto fu più luminoso, riuscivo a
vedere la scena da ogni prospettiva, ogni angolo e lo spettacolo era
dei più
tristi che avessi mai visto.
Owen, che a giudicare dagli occhi iniettati di
sangue e dai canini sporgenti era un vampiro, stava ritto dinanzi alla
minuscola figura di Nicole, accartocciata su se stessa mentre
l’altro mezzo
vampiro cercava di sostenerla dalle braccia e dai capelli.
Il volto completamente bianco era incavato
all’altezza degli occhi, grandi e colmi di lacrime, mentre i
denti ringhiavano
in direzione del nostro aguzzino tanto che Nicole, in un gesto di
spavalderia,
gli sputò contro colpendogli il viso ghignante.
“Suvvia Nikki, quando abbiamo stretto l’accordo
non eri poi così contraria” puntualizzò
asciugandosi la guancia con la manica del
giubbotto.
La mia mente rifiutava di crederci: dopo quello
che mi aveva confessato all’aeroporto, dopo il segreto che
insieme
condividevamo, dopo tutto l’amore che provava per Jim, ci
aveva traditi. Di
tutti i miei compagni di viaggio, non avrei mai potuto dubitare di lei;
nonostante sapessi quasi niente di lei, pensavo che fosse una di quelle
persone
che avrebbero preferito morire piuttosto che essere costrette a
compiere un
gesto orripilante. Doveva esserci qualcos’altro sotto, ma la
mia mente aveva incassato
il duro colpo e adesso i miei occhi erano rivolti a Jim.
Il mezzo vampiro dai capelli biondi era
inginocchiato a terra, tenuto con le mani dietro la schiena e una mano
sulla
testa per inchiodare lui e la sua dignità a terra. I suoi
occhi grigi erano lo
specchio di una miriade di emozioni: tristezza, angoscia, terrore,
paura,
compassione, stupore, dolore, vergogna e rabbia, tanta rabbia.
“Coraggio, colibrì.
Di che sei la nostra spia da ben…uhm
vediamo…dieci anni?” la esortò Owen con
un
sorrisino disarmante, mettendo in evidenza i denti perfettamente
bianchi che
risplendevano in contrasto con gli occhi color cioccolato e i capelli
color
dell’ebano.
Nicole sembrò trattenersi dallo sferrargli un
pugno. Tremava, tremava dalla rabbia e dalla vergogna ma nonostante
tutto non
poteva muoversi, sarebbe stata vittima degli sguardi taglienti degli
osservatori.
“Avevi detto che non avresti fatto loro del male.
Lasciali liberi” sputò furiosa Nicole,
sbaragliando i denti mentre le pupille
degli occhi le si facevano sempre più bianche fino a
scomparire del tutto.
Owen le si avvicinò prendendola dolcemente per il
mento, sussurrandole all’orecchio.
“Dolcezza, secondo te cosa facevamo nei mesi che
tu partivi per ritornare alla Cascina? Preparavamo un piano opposto a
quello
che avevamo detto a te. Quindi alla fine dei giochi, sei ancora
così sicura che
li lasceremo liberi?”
“Sei solo un bastardo!” masticò feroce
la mezza
vampira.
“Lo so” sussurrò il vampiro, compiaciuto
della sua
performance.
Negli occhi di Nicole potei leggere la
disperazione più tetra e non appena incontrò lo
sguardo esanime di Jim la
disperazione si trasformò in lacrime amare, mentre il
tremore delle mani si
tramutò in singhiozzi.
“Jim io…” iniziò a dire la
mezza vampira ma le
parole le morirono in gola. Anche il mio stomaco si
raggomitolò alla vista di
quella scena.
Lo sguardo di Jim, questa volta più freddo del
solito, la penetrò facendola raggelare.
“Mi dispiace, mi dispiace così tanto!”
singhiozzò
accasciandosi come un peso morto a terra. I capelli erano disfatti, il
viso
contratto dal dolore e le guance bagnate dal fiume di lacrime che
sembrava non
cessare. La camicetta bianca sporca di fango e terriccio era della
stessa
tonalità della sua pelle. Ma Jim continuava a guardare
altrove, troppo affranto
e furioso per sorreggere lo sguardo di Colette.
“Jim, mi dispiace!” urlò e quasi la voce
non le si
strozzò in gola.
“Portala via, sta creando un caos infernale”
ordinò il mezzo vampiro dietro di me e ben presto due
giovani la trascinarono
con forza attraverso una botola nascosta tra i condotti di areazione
posti sul
pavimento.
Le sue urla continuarono a protrarsi per qualche
minuto, mentre i miei compagni ed io ci guardavamo ormai senza
più alcuna
speranza, fino a che le urla cessarono e crollò nuovamente
il silenzio.
“Credo che per oggi basta, adesso devo andare a
scrivere la mia opera. Fanne ciò che vuoi e poi vai da
lui” disse con fare
annoiato Owen grattandosi la guancia ricoperta da una leggera peluria.
Un ghigno soddisfatto e desideroso si allargò sul
viso di Liam e la stretta attorno ai miei polsi aumentò
tanto che persi la
sensibilità delle mani.
Era quella realmente la fine che ci era destinata?
Saremmo davvero morti per salvare le vite di migliaia di persone? E per
salvare
la vita di una sola persona, io cosa avrei potuto fare?
A quei pensieri alzai gli occhi verso Damon: aveva
del sangue che scendeva dal labbro inferiore e così dal
naso, mentre il suo
corpo era rigido come una statua di marmo, indifferente alla presa del
suo
aguzzino.
Avrei potuto salvare una sola vita, eppure erano
troppe le persone a cui tenevo, per cui la vita valeva la pena di
essere
salvata.
Spostai gli occhi e mi scontrai con il verde di
quelli di Stefan: era ritto alla mia sinistra, gli occhi preoccupati
che
andavano a posarsi sulla ferita sulla mia tempia.
Solo un passo mi avrebbe permesso di essere più
vicino a lui.
Se c’era una persona a cui non avrei mai e poi mai
potuto fare del male quello era proprio lui, perché sapevo
che lui non me ne
avrebbe mai fatto.
Io amavo Stefan, questa era la consapevolezza che
conservavo gelosamente in me cercando di non farla evaporare, di non
farla
svanire.
Amavo Stefan incondizionatamente e avrebbe
occupato sempre una grande parte del mio cuore.
Io amavo Stefan, ma amavo di più Damon.
La spinta disumana effettuata dal mezzo vampiro
dietro di me mi ribaltò in avanti, facendomi perdere per un
istante
l’equilibrio.
Barcollai ma non caddi: Liam mi teneva saldamente
per i capelli, come un marionettista fa con i suoi pupazzi.
Mugolai per il dolore ma mi trattenni mordendomi
il labbro inferiore non appena vidi Stefan balzare un po’
più vicino a me, già
pronto a liberarmi dalle grinfie del mezzo vampiro.
Ma i miei occhi erano rivolti costantemente a
Damon, la cui espressione assente quasi spiritata accentuava la mia
paura e la
mia preoccupazione.
Feci un cenno con la testa come segno a Stefan che
stavo bene e lui, distendendo piano le increspature nella fronte, fece
un passo
indietro, ritratto dall’essere dietro di lui.
“Staremo bene, Elena” mimò con le labbra
e gli
occhi verdi trasudarono un’immensa quantità di
fiducia nelle parole che aveva
appena pronunciato e mi accorsi che quelle parole, quel futuro,
così bello e
radioso, includevano solo lui e me. Non Damon.
Il mio cuore gorgheggiò contro la mia gabbia
toracica, e anche per quella volta inghiottì il sorriso
amaro che dovetti
inscenare davanti al vampiro.
Che persona orribile che ero diventata.
D’un tratto l’espressione sul volto cereo
dell’ex
vampiro mutò e con esso il ghiaccio che si era depositato
sul fondo dei suoi
occhi si sciolse facendo divampare il fuoco.
Non che pensassi che Damon non fosse più quello di
un tempo, ma a una parte di me piaceva pensare che avesse deciso di far
prevalere la sua parte umana e di lasciarla tranquillamente in mostra,
in realtà
mi sbagliavo.
Nonostante fosse umano, il vampiro pazzo che era
in lui si fece vivo più forte che mai.
“Ora basta, se dobbiamo morire, voglio togliermi
questa soddisfazione”
La sua voce acuta e compatta si levò e le sue
pupille si ingigantirono tanto che nei suoi occhi comparve un brillio
di
follia.
“Sta zitto!” lo esortò il mezzo vampiro
dietro di
lui, affondandogli un colpo ai reni.
Damon mi guardò e le mie vertebre tremarono
dall’agitazione.
“Quella sera ti ho detto quello che provavo per
te, ma tu non mi hai risposto. Adesso è tempo di
dirlo”
A quelle parole il mio cuore capì ciò che voleva
dire ed era disposto a rispondere ma la mia testa mi costringeva a
deviare quei
miei sentimenti: sarebbero morti con me se fosse stato necessario.
“Damon, per favore, non ora” provai a dire con
voce rotta da quel pianto che da troppe ore stavo cercando di cacciare
indietro.
“Elena, stiamo morendo, quando me lo vorrai dire?
Dì semplicemente quelle tre parole e poi sarà
quel che sarà”
Dentro di me sembrava infuriare una guerra, lo
stomaco non demordeva dal corrodermi le viscere e il cuore di
sgusciarmi via
dalle costole, per voler fuggire, per voler essere un po’
più accanto a lui.
E in quel momento mi chiesi: il momento di
decidere, il fatidico momento, era veramente arrivato?
“Elena di cosa sta parlando?” chiese Stefan dai
cui occhi traspariva tutta la confusione e la paura che per tutto quel
tempo
aveva cercato di soffocare e che adesso sgorgava con tanto di fronte
corrucciata,
sbalzando le pupille da me a Damon e viceversa.
Schioccai la lingua cercando di trovare una
conclusione plausibile, ma un dolore lancinante al polso mi fece
dimenare
ancora di più nelle mani del mio aguzzino che anche lui come
gli altri
osservava la scena, puntando il loro occhi su di me.
“Stefan…” mormorai appena, ma le mie
flebili
parole furono soppiantate dal tono di voce alto di Damon di fronte a me.
“Elena, ammettilo” imprecò quasi come se
stesse
perdendo la pazienza mentre entrambi ci agitavamo come anguille tra le
braccia
dei mezzi vampiri dietro di noi.
In quel momento tutto il dolore, la paura, il
terrore sembrò addensarsi nel mio cuore creando un enorme
macigno, un peso
insormontabile che mi avrebbe schiacciata, mi avrebbe annientata.
Non respiravo, soffocavo.
“Se non state zitti, lui sarà il primo a
morire”
Gli occhi folli da assassino dell’essere dietro
l’ex vampiro mi fecero rabbrividire fino al midollo e con
essi l’idea che
potesse fare del male a qualcuno a cui tenevo.
“No, Damon” urlai sperando che questo potesse
frenarlo
dal continuare quel suo insulso interrogatorio mettendo me e i presenti
sotto
pressione.
“Elena?”
Un altro sussurro interrogativo di Stefan: i suoi
occhi gonfi e il viso contratto in una smorfia di dolore mi fecero
capire che
in fin dei conti l’idea di me e Damon si era impossessata del
suo cervello e
che quel mio nome sussurrato non fosse altro che l’eco della
parte di lui che
ancora doveva farsene una ragione.
Avrei voluto abbracciarlo, tenerlo a me per non
farlo crollare, spiegargli che non era colpa sua ne di Damon ma a causa
di quei
due metri e mezzo non lo avrei potuto fare.
“Dillo Elena, credo che questo qui faccia sul
serio” borbottò Damon osservando preoccupato i
canini del mezzo vampiro i cui
occhi bianchi puntavano dritti sulla sua carotide insieme ai denti
affilati e
aguzzi.
Un morso e per Damon sarebbe stata morte certa.
“Basta, ti prego” mi appellai al mezzo vampiro e a
Damon i quali sembrarono non udirmi, continuando a lottare tra di loro
ad armi
decisamente non pari.
Ero scossa da sussulti da capo a piedi, i capelli
incollati al viso mi impedivano di scorgere i due di fronte a me e la
presa
ferrea del mezzo vampiro mi aveva fatto perdere la
sensibilità delle mani e del
resto delle braccia.
“Di quello che devi dire perché sto contando fino
a tre…uno…due…”
Il rumore del countdown stava bruciando in me ogni
brandello di lucidità.
Per un momento pensai di lasciar perdere, di non
accondiscendere a quella confessione forzata richiesta dalla persona
che amavo.
Avrei potuto ignorarla, avrei potuto soffocare quel sentimento e morire
insieme
a tutti gli altri con la consapevolezza di avere torto, di essere stata
l’assassina di due cuori.
Sarei rimasta in silenzio, sarebbe stato facile.
Ma il magone che si addensava in me, quello freddo
e pungente, proprio sotto il polmone sinistro, quello che non era
dovuto alla
paura ne all’angoscia ne alla fatica, era quello il luogo in
cui risiedeva il
mio amore per lui, un amore tanto grande che un cuore solo non bastava
a
contenerlo.
Sarebbe scoppiato, l’avrebbe fatto davvero. E a
che sarebbero serviti brandelli di cuore quando non ci sarebbe stato
più
nessuno a raccoglierne i pezzi?
“Si, lo amo.”
Lo immaginai come un sussurro ed invece fu
enormemente più elevato di un semplice urlo.
All’improvviso il magone era sparito, l’aria si
fece più leggera, le mani pizzicarono al nuovo passaggio del
sangue nelle vene.
Mi sentii libera, sia fisicamente che moralmente.
“Ti amo” dissi questa volta con moderazione non
riuscendo a staccare i miei occhi dai suoi color zaffiro.
L’intero mondo si era fermato intorno a noi e
anche i mezzi vampiri avevano rinunciato a tenerci stretti a loro con
la forza.
Eravamo entrambi feriti, e lungo le nostre guance
graffi e stizze di sangue ricamavano buffi disegni.
Le mie di guance erano solcate da lacrime, lacrime
vere.
Barcollò verso me, più stremato dalla lotta che
realmente spossato, riuscendo finalmente a liberarsi dalla stretta del
mezzo
vampiro.
Mi guardò come per controllare che ogni cosa fosse
al suo posto, come per controllare che ci fossi io in mezzo a tutti
quei
graffi, la sua Elena.
“Mi odierai Elena? Se ti baciassi, mi odieresti
ancora?” I suoi occhi quasi supplicanti mi trafissero il
cuore e la gioia di
poco prima svanì in un battito di ciglia, ricordando la
conversazione all’aeroporto.
“Ti ho odiato Damon, ti ho odiato così
tanto”
sussurrai ricordando il dolore provocatomi dal vampiro pazzo ed
egoista,
crudele e insensibile. Ma quel vampiro aveva deciso di gettare la
maschera e di
farsi dolcemente leggere come un libro intricato e complesso. E tutto
ciò che
io ero riuscita a leggervi dopo pagine e pagine era amore, puro amore,
inciso
in bella grafia.
“Ma ti amo di più” dissi e sfiorai la
sua guancia
con le mie labbra, prosciugandogli il sangue che aveva addosso.
“Questa volta mi hai fatto aspettare più del
dovuto” biascicò e strapazzò le labbra
nel suo solito sorriso sghembo che tanto
amavo. Portò la mia mano dolorante all’altezza del
suo cuore: sapeva che tanto
amavo i suoi battiti, che tanto amavo la sua umanità.
Perché Damon sarebbe rimasto
umano, o almeno così credevo che fosse.
Poi in un gesto quasi irruento e dettato dalla
paura di perdermi, mi baciò per un ultima volta, con tutto
l’amore che poteva
darmi.
Ma intanto alla nostra destra il mezzo vampiro
sbadigliò.
“Che cosa tenera. Credo di avere fin troppo
materiale. Vi prego, portateli via, ora”
All’ordine di Owen, i mezzi vampiri misti a
vampiri ci catturarono nuovamente e io e Damon fummo bruscamente
separati
Si divisero e con loro pure noi.
Ebbi il tempo solo di incrociare lo sguardo afflitto
di Stefan.
Lo chiamai per nome ma non si voltò, preferì
proseguire verso la direazione opposta alla mia, verso
l’ignoto.
E il dolore di averlo perso si fece vivo
nuovamente.
Riuscì a riconoscere le persone che erano attorno
a me: una chioma rossa sotto la quale traspariva un volto scuro di
rabbia.
Altrettanto ingrugnato sembrava il viso di Jim del
quale però gli occhi incredibilmente vitrei erano ancora
soggetti alla
delusione provata precedentemente.
Non ero sola eppure sembrava che lo fossi.
Mi girai indietro alla ricerca disperata di uno
sguardo amico: Bonnie era terrorizzata, l’incapacità
di effettuare l’incantesimo la
rendeva più nervosa e disorientata.
E per un ultima volta i miei occhi furono
catturati da quelli magnetici di Damon.
Quella fu l’ultima volta che vidi quegli occhi
così blu.
“Muoviamoci” disse Liam alle mie spalle e mentre
un rumore metallico mi fece intendere che dietro di me i miei amici
avevano
imboccato un diverso condotto, davanti a me la parete sembrò
aprirsi e
ripiegarsi su se stessa, come se fosse una saracinesca.
Una nuova galleria, buia e fredda, si snodava
davanti a noi, illuminata fiocamente dalle luci a neon poste sul
soffitto
ricoperto di ragnatele.
I mezzi vampiri ci spinsero lungo tutto il
corridoio e faticai a tenere il loro passo, zoppicando e prendendo
fiato una
volta o due.
Entrammo in un cunicolo stretto da cui si
dipartivano urla strazianti e mugolii simili ad un pianto incessante.
La luce proveniva da un curioso lampione, come
quelli che si trovano nei giardini pubblici di Mystic Falls, risalenti
al
diciannovesimo secolo, con l’unica eccezione che quello era
posizionato
cinque-sei metri sotto il suolo.
Delle lunghe scalinate ci fecero scendere
nuovamente di livello fino ad entrare in ampia area disseminata di
ambienti più
o meno stretti muniti di sbarre arrugginite e cigolanti.
Il pianto incessante proveniva da una di esse.
Nicole era raggomitolata su se stessa, in un
angolo della sua cella. Gli occhi grigi gonfi di lacrime e cerchiate da
linee
rosse e violacee così come il colorito del suo volto.
I singhiozzi sembravano non permetterle di
respirare e quasi i suoi polmoni smisero di gonfiarsi quando
incrociò i nostri
sguardi.
“Nikki, lo sai, questo non dipende da noi”
pronunciò Liam spingendoci verso le celle, scoccando
occhiate guardinghe alla
mezza vampira con le spalle appese al muro.
“E da chi allora?” grugnì e le labbra le
divennero
bianche dalla rabbia.
“Ordini di Chris”
Il tono con cui biascicò quel nome mi fece credere
che in fin dei conti non tutti i mezzi vampiri dell’esercito
della Triade erano
concordi sulle scelte che le venivano imposte direttamente dai loro
superiori.
Con una docilità quasi stomachevole, stanchi di
combattere e ormai privi di qualsiasi speranza, ci lasciammo condurre
all’interno della cella, posizionata di fronte a quella di
Nicole, assistendo
al rumore sinistro delle sbarre in ferro che si chiudevano e la
serratura del
catenaccio che ci sigillava all’interno di quella pseudo
dimora.
E per un attimo mi sentii come la gran quantità di
vampiri rinchiusi nella cripta, come Pearl e Anna e tutti gli altri.
Eravamo in trappola, non avevamo via di scampo.
I mezzi vampiri si diressero verso l’uscita e il
rumore dei loro passi ci costrinse al silenzio per parecchio tempo.
“Maledizione! Non può finire
così!” imprecò Jim
alzandosi di scatto e arrivando con velocità fulminea alle
sbarre scuotendole
come se la sua forza disumana potesse liberarci.
Ritirò quasi subito le mani mascherando una
smorfia di dolore. Una moltitudine di escrescenze segnava le mani del
mezzo
vampiro ricoperte da gravi ustioni, vesciche e piaghe laceranti.
“Non puoi spezzarle Jim. Non so con cosa le hanno
fatto, ma so che è dannoso per noi mezzi vampiri”
annunciò Nicole la cui voce
gracchiante fece per un attimo avere un capogiro al mezzo vampiro dai
capelli
biondi, il quale tuttavia non esitò nuovamente ad assumere
quell’aria trafitta
di poco prima.
“Ma lei è umana, forse potrebbe..” si
intromise
Colin che fino a quel momento non aveva proferito parola.
Aveva i capelli rosso fuoco e del sangue rappreso
sulla sua maglietta blu, per il resto sembrava essere intatto.
“Se per noi mezzi vampiri è mortale, figurati per
un’umana qualsiasi” spiegò Nicole.
In lei la consapevolezza della sconfitta.
“Abbiamo perso” bisbigliò Nicole con una
voce
rotta dal pianto. Immaginai che quelle lacrime fossero tutte quelle che
per circa
cinquant’anni aveva represso dentro di se.
Non era la stessa Nicole che avevamo conosciuto
perché in fin dei conti nessuno conosceva Nicole.
“A causa tua”
Le parole di Jim arrivarono quasi come una
coltellata e il dolore non venne percepito solo dalla mezza vampira.
“Cosa potevo mai fare? Mi avevano detto…sapevano
dov’era la mia casa. Volevo soltanto ritornare lì,
dovunque essa fosse. Tu non
mi volevi lì, non mi hai mai voluta così
me ne sono andata.”
Nicole strisciò, strappando i pantaloncini e
rigandosi la camicetta di terriccio e polvere, così da
arrivare alle sbarre
dove posizionò la fronte e avvinghiò le mani.
La pelle bruciava ma lei non emise alcun lamento
segno che quella non era affatto la prima volta che veniva portata in
un luogo
del genere.
“Scappavi via. Non volevi farti trovare. Mi
riservavi due o forse tre occhiate e poi sparivi. Ci hai traditi. Hai
tradito
me e il resto della Cascina. Ci hai fatto imprigionare, mandando
all’aria il nostro piano”
Jim stava immobile con la schiena poggiata al muro
e una sigaretta accartocciata tra le mani. Gli occhiali semi rotti
fuoriuscivano dalla tasca anteriore della camicia e il suo sguardo
vacuo
sembrava oltrepassare quelle sbarre.
“Ma sono stato io che ti ho costretta a fuggire.
Sono stato io che ti ho respinta. Ho sbagliato, ferendoti nella maniera
più
brutale. Ma ora, dopo tutto quello che ho fatto, quello che abbiamo
fatto, le
lotte e le liti…penso di amarti meglio adesso”
Un leggero sorriso sembrò affiorare sulle labbra
scure di Jim tanto che i grandi occhi di Nicole rimasero dispersi per
qualche
secondo e poi lasciò che la sua bocca si allargasse in un
sorriso. Delle
semplici sbarre non poterono impedire ai due di ricongiungersi,
l’abbraccio dei
loro occhi era sufficiente a dimostrare il contrario.
“Almeno qualcosa di positivo c’è in
questa storia”
esultò Colin accanto a me il quale non aveva ancora perso
quell’entusiasmo che
tanto lo caratterizzava.
Voltai la testa nella sua direzione e allungai il
braccio dolorante per dargli un leggero buffetto sulla spalla, anche io
sollevata dal fatto che almeno tra di noi qualcuno il lieto fine
l’aveva
realmente trovato.
“Oh, sta zitto chiwawa” borbottò Jim in
tono del
tutto scherzoso e l’aria sembrò farsi meno pesante.
Ritirai le ginocchia in modo da esaminare i graffi
e i lividi che avevo accumulato.
Sospirai stanca e reclinai il capo all’indietro
soffermando lo sguardo su strani segni e incisioni sulla parete della
cella.
Era un luogo piuttosto strano per essere visto
come un carcere.
Vi erano numerosi disegni, per lo più croci,
parole scritte in una lingua sconosciuta, figure di demoni, angeli,
colombe,
mostri. Ciò che più mi colpì fu la
gran quantità di nomi e sotto di essi
infinità di numeri, quasi una successione, quasi una data.
Spostai lo sguardo più in basso, sulla fredda
pietra che fungeva da pavimento.
Appena sotto il palmo ben aperto di Colin delle
lettere in successione sembravano dare l’idea di un nome.
“Elena tutto bene?” mi chiese gentilmente il rosso
ma non gli risposi, troppo occupata a marcare con la punta
dell’indice quelle
lettere, quei nomi, quelle parole.
Le scritte terminavano con altrettante lettere:
riuscii a distinguere una R, una S, una T, una P, una C e una E.
Sgranai gli occhi e il mio cuore perse leggermente
un battito quando capii il significato di quelle parole che mi fecero
accapponare la pelle.
Resta
in pace
così citava il pavimento.
Non eravamo affatto in un carcere, quello era un
cimitero.
“C’è qualcuno”
mugolò Jim il quale si sporse per
osservare tra le fessure delle sbarre una figura longilinea muoversi
verso di
noi a passo spedito, quasi come se stesse scappando anche lei da
qualcosa.
Non feci in tempo a sporgermi anch’io per vedere,
che il ringhio acuto di Colin mi fece girare di scatto.
Il rosso digrignò i denti e scosse il capo mentre
le dita delle mani affondavano nella pietra tentando di sbriciolarla.
“Tu!” sputò Colin in preda alla rabbia
rivolgendo
la parola alla più completa oscurità, segno che
ancora l’ombra della figura non
si era mostrata a noi sotto la luce del lampione.
I passi si arrestarono per un momento, per poi
riprendere la loro corsa.
Avanzò verso la luce e ciò che vidi fu un paio di
occhi piccoli e grigi, capelli lisci e neri che cascavano come pece sul
corpo
diafano, due splendide guance rosse e un ciondolo simile a mio a
fasciarle il
collo.
Così come Colin, lo stomaco mi si raggomitolò
dalla rabbia più nera.
“Ciao fratellino” disse Michelle e sorrise.
Salve
cara gente di efp,
come è
bello essere ritornata tra di voi, purtroppo ancora per un mese
sarò latitante
ma riprenderò appena si chiuderanno le scuole. Allora,
cominciamo subito con l’analizzare
questo bel capitolo che mi è venuto un po’
più corto rispetto ai precedenti
nonostante sia un concentrato di eventi. Intanto si viene a scoprire
chi è la
spia *rullo di tamburi* Nicole! Esatto il grande colibrì era
proprio lei, lei
che per dieci anni ha collaborato con la triade ma non per sua
volontà, ma perché
lei voleva riavere la sua casa, in seguito si parlerà anche
di quello; tutti i
presenti sono shockati da questa scoperta e perdono ormai ogni
speranza. Vi
avevo avvertiti che Stefan avrebbe scoperto tutto prima o poi e lo ha
fatto
nella maniera più brutta in assoluta. Damon, vedendo che la
situazione stava
precipitando, ha agito d’istinto come è suo solito
e ha chiesto ad Elena di
dirgli almeno per una volta Ti amo, visto che dopo la notte passata
nella tenda
non glielo aveva detto. Elena, confusa, disorientata, oppressa dal
dolore che
vede dagli occhi di Stefan, fino alla fine sembra non volerglielo dire
ma il
suo cuore ha la meglio. E’ stata una scena difficile da
scrivere, soprattutto perché
provavo tanta pena per il minore dei Salvatore. Ma alla fine il
fatidico
momento della scelta è arrivato (differente dai piani della
Plec ultimamente,
ma pazienza!) I nostri amici vengono catturati e si dividono. Elena,
Jim e
Colin vengono portati in un luogo strano e lì avviene la
riconciliazione tra
Jimmy e Colette *-* Potete pensarla come volete, ma io adoro questa
coppia. E
dopo che Elena scopre che in realtà si trovano in un
cimitero (nel prossimo
capitolo verrà spiegato il perché), arriva una
nuova creatura che si rivela
essere niente poco di meno che Michelle…ve lo sareste mai
aspettati? E ora
Michelle sta dalla parte dei buoni o dei cattivi? E come si
comporterà con il
fratello?
So che
vi avevo detto che presto avreste conosciuto la Triade e speravo di
introdurla
in questo capitolo ma devo rimandare ma vi assicuro che nel prossimo
non
vedrete soltanto i loro nomi scritti ma i nostri amici incontreranno
realmente
uno di loro.
Grazie
a tutti per aver letto e per aver pazientemente aspettato che io
aggiornassi.
Spero
di tornare presto con il nuovo capitolo,
un
bacio
Sil
|
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Capitolo 29 *** 27. HOW DO YOU SAY? SHOW MUST GO ON! ***
Per chi volesse ricevere
aggiornamenti in tempo reale riguardo la fanfiction e saperne di
più sui personaggi può aggiungermi su facebook Dreem L. Efp
27-
HOW DO YOU SAY? SHOW MUST GO ON
Correre.
Correre. Correre.
Era tutto ciò che la mia mente mi ordinava di fare
lanciando come saette una serie di impulsi alle mie gambe che, anche se
stanche,
continuavano a muoversi da automa.
L’ossigeno graffiava violentemente la trachea e
ingurgitavo aria mista a polvere, desiderando sempre più
nuova aria, sentendo i
polmoni comprimersi tra le mie costole.
“Per di qua” gridò Michelle in testa al
gruppo. La
sua voce un eco lontano che i miei amici ed io dovevamo assolutamente
raggiungere per la nostra sopravvivenza e forse, se fossimo stati un
po’
fortunati, anche per la nostra libertà.
Piegai le ginocchia per imboccare una nuova
galleria alla mia destra e frenai i sandali leggermente lacerati e
ridotti a un
sottile strato di cuoio e gomma. Avrei fatto meglio a togliermeli e a
camminare
a piedi nudi, ma non c’era tempo per quello.
“Corri, Elena”. Una voce, che pensavo provenisse
esclusivamente dalla mia testa, mi incitò da dietro
inducendomi a voltarmi.
Nicole stava a pochi passi da me e correva con i
lunghi capelli che le frizionavano il volto sudicio a causa della
grande
quantità di polvere che le pareti delle gallerie
contenevano. Era evidente lo
sforzo che faceva per mantenere il mio passo per starmi dietro e
occupare il
suo posto nella fila che avevamo formato per scappare. Ero quasi sicura
di aver
intravisto una scintilla di esasperazione mista ad autocontrollo farsi
viva nei
suoi grandi occhi grigi mentre incuneava le sopracciglia in modo da
indurmi
minacciosamente a proseguire e a correre più veloce. Gettai
un lieve sguardo a
Colin, che chiudeva la fila del tutto tranquillo e per niente sconvolto
dalla
folle corsa, e poi mi limitai a voltare il capo e a continuare ad
osservare la
schiena di Jim poco distante da me che seguiva un’ allarmata
Michelle, unica
nostra guida.
La mezza vampira a capo della nostra piccola
squadra arrestò i suoi passi con fare incerto prima di
sollevare gli occhi per
controllare i residui di insegne, i lampioni anneriti e arrugginiti che
penzolavano sopra le nostre teste per non perdere
l’orientamento. Jim davanti a
me rallentò di poco fino a tramutare la sua corsa in una
camminata leggera. Io
non mi accorsi di niente di tutto ciò e andai a sbattere il
naso sulla colonna
vertebrale del mezzo vampiro biondo, mugugnando qualcosa non per il
naso
dolorante ma per la causa di quella nostra sosta.
“Perché ci siamo fermati?” chiesi
sentendo la mia
voce pesante e stridula a causa della lunga corsa e del cuore che
sembrava
richiedere sempre più aria, affamato di ossigeno.
“Credo di aver trovato l’uscita”
annunciò Michelle
e la sua fronte si riempì di solchi mentre gli occhi si
assottigliavano sotto i
fini capelli neri.
“Alleluia! Facevamo prima con un navigatore”
sputò
ironico Jim ricongiungendosi a Nicole che aveva tutta l’aria
di sentirsi poco
bene. Il colorito verdognolo tradiva l’espressione arcigna
che aveva in viso.
Michelle arricciò il naso e indicò un punto oltre
l’insegna in legno che pendeva da un lato. La scritta incisa
su quello che
appariva essere mogano deteriorato dai segni del tempo segnalava
l’esistenza un
antico barbiere.
“L’uscita dovrebbe essere questa. Da qui dovremmo
arrivare direttamente nel salone dell’albergo”
pronunciò Michelle fiduciosa
della sua capacità di orientamento e della sua conoscenza di
quelle gallerie sotterranee
di cui ci aveva già parlato in precedenza.
Inarcai lievemente un sopracciglio, ma nessuno
sembrò dare peso alla mia incredulità:
l’entrare di soppiatto di fronte alla
reception dell’albergo, conciati in quel modo, dava
più l’idea che stessimo rivelando
ai nemici le nostre intenzioni e non quella di salvare
l’intera umanità.
“Certo, dove ci aspetteranno con un buffet tutto
per noi” brontolò il rosso dietro le mie spalle. A
quanto pare non ero l’unica
scettica a riguardo.
Michelle scoccò un’occhiata glaciale a Colin e
farneticò qualcosa che non riuscii a comprendere ma che
sicuramente era un
insulto.
La mezza vampira affondò un calcio sulla porta
già
fragile del negozio e una lunga rampa di scale fatiscenti si
dimostrò ai nostri
occhi insieme alla gran quantità di muffa che occupava gli
scalini.
Mi trascinai al suo interno e sentii la presa
ferrea di Jim sui miei fianchi e per un attimo non toccai terra, il che
mi fece
trattenere il respiro. Solo dopo essere atterrata su uno degli scalini
mi
accorsi che nella rampa di scale mancavano alcuni assi di legno e che
Jim mi
aveva gentilmente sollevato per non farmi cadere nel fondo di
quell’oscuro
antro e adesso quello stesso gesto lo stava ripetendo con Nicole.
Mi afferrai alla fune sfilacciata e rosicchiata da
qualche topo, cercando di poggiare i piedi sulle asse di legno
più stabili,
ignorando il formicolio alle gambe o il pulsare frenetico della vena
sulla mia
tempia destra il cui sangue poco più giù,
all’altezza del sopracciglio,
scendeva da una ferita poco profonda.
Strinsi i denti finché le scale si ricomposero,
l’odore di muffa e di marcio scomparve quasi del tutto e una
porta del tutto
adorna di fronzoli apparve alla nostra vista.
Michelle raccolse i capelli in uno chignon e si
strofinò dalla faccia l’eventuale sporcizia.
Sembrò ripulirsi la canotta dai
residui di polvere e ragnatele e adottò un aspetto
più che dignitoso.
“Seguitemi e non dite assolutamente niente o vi
azzanno” sussurrò volgendosi indietro per far si
che le sue parole arrivassero
non solo alle mie orecchie ma anche a quelle di Jim, Nicole e Colin.
Impugnò il pomello della porta facendo scattare la
serratura. Il lusso più sfrenato apparì
scintillante ai nostri occhi.
Non che il pavimento fosse fatto d’oro e cascate
di diamanti scendessero dalle fontane. L’interno di
quell’albergo somigliava
molto a villa Lockwood all’interno della quale ero entrata
numerose volte per
svariate occasioni. L’ultima, la sfilata di beneficenza a cui
avevo dovuto
partecipare per sostituire Jenna. Al ricordo di quel giorno mi morsi la
lingua
per trattenere le lacrime che mi pungevano gli angoli degli occhi.
Sembrava
così distante quel giorno, lontano anni luce, come se
fossimo stati mandati in
un universo parallelo. La consapevolezza che erano passate solo poche
settimane
da quell’evento mi procurò una fitta allo stomaco
accentuata ancora di più dal
pensiero di Damon e della sua lontananza. Meditai di mordermi
nuovamente la
lingua così da scacciare quel pensiero poco consono in un
momento del genere,
ma la vista di Jim e Nicole mano nella mano mi fece emettere solo un
leggero
sospiro malinconico.
Michelle si lanciò attraverso il corridoio munito
di un soffice tappeto color petrolio così da nascondere le
mattonelle a scacchi
bianchi e neri.
Le pareti erano di un panna tendente al giallo o
alle volte oscurate da dipinti di arte contemporanea. I numerosi
alberelli che
affiancavano ogni angolo erano illuminati di minuscole luci
scintillanti il che
mi riportò subito alla mente i tanti Natale trascorsi a
Mystic Falls insieme ai
miei genitori.
Michelle con passo militare svoltò l’angolo e ci
trovammo di fronte a una grande quantità di mezzi vampiri
seduti nei vari
tavoli e riuniti a piccoli gruppi di due o tre persone. Un tintinnio
continuo
di scodelle, piattini, tazze e cucchiaini insieme
all’inconfondibile odore di
pane tostato e di caffè bollente mi fece subito intuire che
avevamo trascorso
l’intera notte nelle gallerie sotterranee.
Michelle si fermò e si morse un labbro
rivolgendoci delle occhiate poco rassicuranti, indecisa se continuare o
meno il
nostro cammino attraverso quel covo di mezzi vampiri. Prestando
maggiore
attenzione ai loro occhi notai che non tutte le persone sedute nei
tavoli erano
mezzi vampiri: vi erano anche famiglie umane, bambini con splendidi
occhi marroni
o azzurro cielo, anziani e vampiri. Quest’ultimi furono
facili da riconoscere
subito: furono i primi a sollevare gli occhi dai loro piatti
inondandoci di uno
sguardo truce, accompagnati poi dagli occhi vacui e indifferenti di
altri mezzi
vampiri che sembrarono non dare molto peso alla nostra presenza.
“Colette, meglio se stai insieme ad Elena. Jimmy e
io vi copriremo le spalle” sussurrò Colin
rivolgendosi prima a Nicole e poi a
me. La mascella della mezza vampira si irrigidì e nonostante
avesse degli
insulti e delle lamentele sulla punta della lingua preferì
obliarle e fare come
aveva detto il rosso.
Colin intercettò il mio sguardo confuso. L’idea
che anche lui avesse capito il segreto che io e Nicole tentavamo di
nascondere
mi rimbalzò in testa.
“E’ per la faccenda della spia. Molti potrebbero
riconoscerla” mi informò con un guizzo di
divertimento facendosi beffe della
mia a volte ingenua stupidità.
Le mie labbra composero una o muta mentre accanto
a me si posizionava una Nicole pallida ma che tuttavia non demordeva
nell’avere
stampato in viso quel lieve senso di superiorità e di
orgoglio che tanto la
caratterizzava. Poco importava se l’avrebbero riconosciuta,
se le avrebbero
staccato la testa a morsi. Avrebbe lottato perché lei era
quel tipo di persona
che non si arrendeva. L’avrebbe fatto per lei. Per Jim. Per
noi. Per il resto
della popolazione. E forse anche per qualcun altro.
Avvicinai le mie dita fino a sfiorare la mano di
lei che si ritirò malamente incenerendomi con lo sguardo.
“Dammi la mano. Penseranno che siamo sorelle o
amiche. Umane” provai a
convincerla e
la mia idea sembrò funzionare perché poco dopo
aver messo piede in sala
artigliò la mia facendomi soffocare un gemito di dolore.
Avanzammo lenti e cauti mentre sguardi indiscreti
si posavano su di noi: qualcuno sembrava ringhiare a Colin, altri
guardavano
Jim dall’alto in basso, altri ancora posavano sguardi
sospettosi a me e a
Nicole. Nessuno sembrava notare Michelle, forse per la sua camminata
lenta e
fluida, del tutto diversa da quella rigida e da soldato che fino a quel
momento
aveva inscenato, o forse per i sorrisi e per i saluti che rivolgeva ad
alcune
persone stipate intorno ai tavoli.
D’un tratto un movimento maldestro mi fece urtare
il piede di uno dei tavolini sul quale era piombato il silenzio tra i
due
commensali. L’urto aveva fatto cadere un cucchiaino in bilico
sul tovagliolo
verde smeraldo.
Il tintinnio sul pavimento mi procurò un leggero
tremore per tutta la colonna vertebrale e il terrore
trasparì anche nei volti
dei miei amici. L’unico a frenare l’istinto di
scappare e allontanarci il più
possibile fu Colin il quale, mantenendo sangue freddo,
sfoderò uno dei sorrisi
più innocenti e puri e dopo essersi scusato educatamente si
abbassò
raccogliendo l’utensile e porgendolo all’uomo
parzialmente stempiato,
arricciando il naso lentigginoso.
Si rimise in fila dietro di noi e alla destra di
Jim e scoccò un’occhiata alla sorella come per
incitarla a continuare.
Per un attimo temetti il peggio, ma quando
Michelle si mosse e raggiungemmo un’ala appartata
dell’albergo, potei rigettare
l’aria che per tanto tempo avevo trattenuto tra i denti.
“Ascoltatemi bene. Prendete l’ascensore e
raggiungete l’ultimo piano dell’albergo. Continuate
a camminare e vi troverete
di fronte a un grande studio. Non dovrebbe esserci nessuno da quelle
parti, ma
se incontrate qualcuno fate il nome di Christopher. Seguite le mie
istruzioni e
non vi succederà niente”
Deglutì rumorosamente, estraendo dalla tasca dei
pantaloni i guanti rigidi per le mani che precedentemente si era
sfilata.
Scostò i capelli dagli occhi grigi e ci diede le spalle.
“Tu non vieni?” chiese il rosso, con la testa
lievemente inclinate sulle porte chiuse dell’ascensore e lo
sguardo perso oltre
una finestra. A quel tempo pensai che il rancore che ancora Colin
covava nei
confronti della sorella fosse troppo forte ed invece adesso mi rendo
conto che
semplicemente non voleva posare un ultimo sguardo su di lei
perché lui in fondo
aveva già capito che ci stava salvando.
“Michelle?” pronunciai il suo nome poco prima che
le porte dell’ascensore si aprissero e Jim e Nicole
entrassero al suo interno.
La mezza vampira non si girò ma potei percepire
che le sue orecchie stavano prestando ascolto.
“Grazie per averci ripensato” sussurrai e quasi
non caddi a terra sentendo la mano di Jim sulle mie spalle che mi
trascinava
letteralmente all’interno dell’ascensore il cui
rumore sinistro mi informava
che da un momento all’altro si sarebbero chiuse le porte.
Un ultimo sguardo alle spalle di Michelle e tutto
ciò che vidi fu una grande folla di mezzi vampiri, accorsi
probabilmente per
cercare noi, con le zanne acuminate pronte a scagliarsi contro di lei
già
pronta per lo scontro.
Poi le porte si chiusero.
“Ciao
fratellino” disse Michelle e sorrise.
Colin
si precipitò alle sbarre della nostra cella. Il volto
trasfigurato dall’odio e
pallido come la neve manifestava delle fauci spalancate pronte ad
azzannare
l’essere posto al di fuori. Ci volle poco perché
Colin allontanasse il viso e
le mani dalle sbarre, manifestando delle escoriazioni uguali a quelle
di Jim.
“Beh
vedo che sei contento di vedermi” sibilò la mezza
vampira giocherellando con
uno dei suoi tanti ciondoli muniti di piume e perle.
Era
proprio come la ricordavo, come l’avevo vista
l’ultima volta davanti al bancone
del Grill con un frullato tra le mani e il rossore sulle guance che
risaltava i
capelli e le sopracciglia grigie. Un moto di rabbia si accese dentro me
e
sentii lo stomaco contorcersi e la bile risalirmi in gola mentre i
denti si
stringevano e le nocche diventavano quasi bianche. Sembrava che
dopotutto
condividessi anche io con Colin quell’odio spudorato nei
confronti dell’essere
di fronte a noi. Per lui, perché aveva tradito i suoi
genitori e li aveva
uccisi. Per me…perché trasformando Damon umano,
me ne ha fatto innamorare?
Persi
l’equilibrio e dovetti stringere tra le mani la camicia di
Jim per non cadere.
Dopotutto più che odiarla dovevo semplicemente ringraziarla
per aver dato
questa opportunità a me e a Damon di scoprirci
l’un l’altro, di confrontarci e
per finire di amarci contro ogni aspettativa e ogni condizione.
Per un
attimo non riuscii a spostare lo sguardo dal pavimento di granito
polveroso,
poi lo sollevai e non mi stupii di intercettare gli occhi grigi di
Michelle
scrutarmi da cima a fondo. Probabilmente mi aveva riconosciuta e
dall’espressione spaesata e confusa non si sarebbe di certo
aspettata me tra
l’esercito di Ribelli.
Un
altro ringhio di Colin e riprese a sbattere le palpebre interrompendo
il nostro
contatto visivo.
“Ringrazia
solo che ci sono queste sbarre a dividerci perché ti avrei
già uccisa!” sputò
Colin furioso. I capelli rossicci sembravano piccole fiammelle accese
in
contrasto con il colorito cereo e le tonalità bluastre
intorno agli occhi
completamente bianchi. Dello spensierato e furbo bimbo di sempre
rimanevano
solo le lentiggini appena accennate.
Michelle
lo freddò con lo sguardo.
“E per
cosa? Non potrai far ritornare mamma e papà
indietro” mugugnò non mutando la
sua espressione fredda e austera.
Colin
dischiuse le labbra e mise in evidenza i canini scintillanti. Un misto
fra un
cane e un lupo in quel momento, ma molto più terrificante.
“Sono
morti a causa tua! Tu li hai uccisi e poi hai tradito tutti
noi!”
Michelle
gonfiò le guance e sbuffò.
“Cos’altro
avrei potuto fare?” chiese allargando le braccia in un gesto
di esasperazione
con il viso a pochi centimetri da quello del fratello.
Passarono
alcuni secondi prima che il rosso fornisse una risposta alla domanda
quasi
retorica della mezza vampira e nel mentre la sua pelle assumeva le
tonalità
rosee tornando pian piano a quelle naturali insieme alla lunghezza dei
canini e
delle iridi, adesso di un grigio liquido.
“Tu
non sei più mia sorella” proferì
solenne ma più che con fare accusatorio la
frase gli uscì tremolante e imbronciata come dalla bocca di
un bambino.
Michelle
tremò impercettibilmente, ma si costrinse a non manifestarlo
per non ferire il
suo orgoglio. Tuttavia barcollò un po’
all’indietro fino ad adagiarsi sul
pavimento con le gambe incrociate.
“Sai,
la sera in cui nostri genitori morirono? Tu eri andato con zio Freddie
in
città, serviva una nuova cucitrice. Procione – il
nostro gatto grigio
dall’orribile muso da topo – l’aveva
fatta cadere a terra. E la mamma senza la
sua cucitrice era un disastro a farci i vestiti. Ricordo ancora quando
ti fece
quel magione con solo una manica.”
Un
lieve e amaro sorriso tirò in su le labbra sottili di Colin
con lo sguardo
perso nel vuoto, intento a ricordare i giorni felici trascorsi insieme
alla sua
famiglia.
“Me lo
chiesero loro. Mi chiesero di ucciderli. A poco servirono le mie
suppliche e i
miei perché, i miei abbracci e i miei baci
affinché non mi costringessero a
fare una cosa del genere. Fu nostro padre a procurarmi il paletto con
cui li
avrei uccisi, uno di quelli che lui stesso intagliava la sera davanti
al fuoco.
Ma la mamma sapeva che solo il legno, per quanto affondo nel cuore
andava, non
li avrebbe mai uccisi, loro che erano per metà umani e per
metà vampiri. Mi
mise tra le mani tremanti un coltello da cucina mentre continuavo a
piangere e
a rifiutarmi di obbedirgli”
Un
brivido mi attraversò l’avambraccio sinistro e mi
rivennero alla mente le
parole di Stefan riguardo la morte dei miei genitori. Il nodo alla gola
si
strinse ancora di più scorgendo una lacrima perforare i
purissimi occhi di
Colin.
“Le
parole che riuscì a pronunciare non furono un semplice ti
voglio bene o mi dispiace. Le chiesi solamente perché,
perché avrei
dovuto compiere un gesto così orribile. Mi spiegò
che era per la Triade, che
sapevano che aveva intenzione di tirare su un esercito per far si che
la razza
dei mezzi vampiri si allargasse dominando così la terra.
Coloro che si
rifiutavano di prendervi parte, trovavano la morte. Fu per questo che
morirono,
non per codardia ma per il rifiuto di ciò che erano e che
avrebbero continuato
ad essere se non li avessi uccisi. Già era una condanna
essere diventati un
aborto della natura e sarebbe stato peggio vedere quella pena inflitta
all’intera popolazione mondiale”
Michelle
deglutì rumorosamente con la voce soffocata dal pianto ma di
lacrime ancora
nessuna traccia.
“E poi
fece ciò che non mi sarei mai aspettata che facesse. Mi
sorrise, uno di quei
sorrisi che faceva solo quando era contenta davvero. Si
slanciò verso di me con
una tale irruenza e mi inondò con i suoi ricci color carota
che tanto amavamo
tirare quando eravamo piccoli. Non disse più niente, mi
abbracciò forte
stringendomi al petto quanto più possibile. Solo allora mi
accorsi che le due
lame avevano fatto presa sulla carne, perforandola e ferendola
mortalmente
senza che io potessi ritrarmi o impedirlo. Cadde a terra con lo stesso
sorriso
stampato in faccia. Mi concessi solo quindici secondi per piangerla.
Poi
guardai nostro padre. Lui capì e chiuse gli occhi.”
Rivenni
dallo stato di torpore in cui avevo lasciato che la mia mente divagasse
tra i
ricordi seppur vaghi dell’ultimo momento passato con i miei
genitori, a quando
l’auto è uscita fuori strada, quando
l’acqua mi ottenebrò la mente facendomi
perdere di vista l’ultimo ti voglio bene di mio padre appena
accennato in quel
confuso mondo sottomarino il cui ricordo tutt’ora mi gonfia
il cuore.
Michelle
aveva lo sguardo basso intento a registrare ogni singola crepa del
terreno
mentre Colin, combattuto tra l’orgoglio e il dolore, un
po’ tirava su col naso
un po’ toglieva le lacrime dalle guance prima che gli
rigassero tutto il viso.
Negli
occhi della mezza vampira comparve qualcosa che la rianimò
all’istante e
riprese con il tono sprezzante che tanto la contraddistingueva.
“Ma
non mi pento di averli uccisi. Se per mia madre l’ultima cosa
che ha fatto è
stata abbracciarmi, per mio padre le ultime parole che ha detto sono
state: tu non
sei mia figlia”
A
quelle parole Colin, Jim e io trasalimmo come se avesse pronunciato una
bestemmia e il nostro pensiero corse subito a Frederick, il suo vero
padre. Lei
però non se ne accorse.
“In
fondo è giusto così. Io non sono né la
figlia né la sorella di nessuno. Sono
Michelle e il mio posto è con la Triade” disse
sollevando il mento così da
nascondere qualsiasi traccia di vergogna o pentimento.
“C’è
sempre tempo per cambiare idea” disse Jim al mio fianco con
le braccia
allacciate al petto rivolgendo un’occhiata comprensiva prima
a Michelle e poi
oltre le sue spalle a Nicole che per tutto quel tempo aveva ascoltato
seppur
assorta nei suoi pensieri.
“Io
con voi di tempo ne ho sprecato abbastanza” lo
apostrofò costringendosi ad
assumere un tono sgarbato in contrasto con le emozioni del suo viso.
“Buona
fortuna, Colin, è stato un piacere rivederti. Abbiate cura
di voi. Mi dispiace
solo che sarete voi i primi a morire”
Michelle
marcò bene le parole facendo scivolare lo sguardo tra i
presenti e in
particolare sul mio accennando all’ultima frase. Che si
ricordasse davvero di
me e di Damon?
Sparì
tra l’ombra e la fioca luce del lampione a neon,
così come era arrivata.
Mi
precipitai da Colin ma stranamente sembrava avere un’aria
rilassata e serena
come se tutte quelle lacrime di colpo fossero evaporate via.
Poggiai
una mano sulla sua spalla e la chioma fulva si alzò
mostrando gli occhi scintillanti
e il mezzo sorriso che aveva visto tante volte fare a Damon.
“Sapevo
che la mia mamma era un tipo da morte tragica e teatrale. Una morte
normale non
l’avrebbe di certo soddisfatta”
Spuntarono
due splendide fossette sul mento e un sorriso un po’ meno
amaro gli si dipinse
in viso. Sospirai contenta per la sua reazione.
Più
conoscevo Colin più venivo contagiata dalla sua filosofia di
vita. Sembrava che
per quanto male gli procurassero, a lui quel sorriso
gliel’avevano cucito in
faccia.
“Ci
sarà pure un modo per uscire da questa gabbia per
topi!” sbraitò Jim affondando
le grandi mani sui capelli dorati e portandoseli indietro perlustrando
ogni
centimetro di quella cella.
Mi
venne in mente ciò a cui stavo pensando prima
dell’arrivo di Michelle.
“E’ un
cimitero! Queste su cui siamo seduti sono tutte tombe” dissi
e per il tono
piuttosto macabro con cui avevo pronunciato quelle parole i miei
interlocutori
sbarrarono gli occhi.
Spolverando
sul pavimento comparivano nuovi nomi, date, disegni di angeli o di
demoni,
intere famiglie. Dalle pareti apparivano corvi, teste di cherubini o di
creature alate. L’atmosfera si fece piuttosto tetra mentre
stavamo attenti a
non profanare quel luogo sacro. Ma la domanda muta che a tutti palesava
essere
evidente era il perché di un cimitero sotterraneo.
“La
magia. Ci deve essere qualche strega che ha bisogno del potere degli
spiriti e
la attinge dal cimitero”
La
voce di Nicole ruppe il silenzio e mise in moto i nostri cervelli
grazie alla
sua conclusione che sembrava essere la più ovvia.
“Che
le streghe siano dalla parte della Triade?” chiese Jim
sconcertato da
quell’idea. A quanto pare l’antipatia tra streghe e
vampiri si allargava anche
ai mezzi vampiri.
Il mio
primo pensiero fu rivolto a Bonnie, ma dovetti escludere
quell’idea visto che
la mia amica dotata di poteri magici era da un'altra parte insieme a
Damon e
Stefan e che era assolutamente all’oscuro della presenza di
un cimitero.
“No,
io non ne ho viste e so anche che nessuno qui sa come riconoscere una
strega a
differenza di quello che abbiamo imparato alla Cascina.”
Nicole
si morse il labbro e aggrottò la fronte sforzandosi di
ricordare qualche minimo
particolare che potesse spiegare quella bizzarra situazione ma dal suo
sguardo
rassegnato avevamo capito che quello per noi sarebbe rimasto pur sempre
un
mistero.
Mi
lasciai cadere su una sporgenza simile a un poggiapiedi e ormai del
tutto
abituata all’idea di riposare in un cimitero accoccolai la
fronte su una parete
di roccia.
La
figura di un Damon agonizzante al suolo e sfregiato per tutta la
lunghezza
della gola dominò il mio breve incubo che mi fece
accapponare la pelle e
rabbrividire fino alla punta dei capelli. Mi svegliai con la fronte
madida di
sudore, ma capii che era passato davvero poco tempo perché
le sagome dei miei
amici erano proprio dove li avevo lasciate prima di chiudere gli occhi.
Ero
intenta a scacciare via l’immagine del mio incubo dovuto
sicuramente alla
consapevolezza che Damon era ancora umano, quando un rumore metallico
sembrò
avvicinarsi sempre di più. Qualcosa che tintinnava, simile a
delle campanelle.
“Non
può essere” balbettò Colin, ma invece
di trovare un’espressione atterrita mi
meravigliai del sorriso appena accennato e dalla speranza che aveva
ripreso a
brillare negli occhi del rosso.
“Chi?”
domandai ma l’unica risposta che ebbi fu il sorriso sbruffone
di Jim.
“Ti
converrà svegliarti per benino, dolcezza, buone notizie
all’orizzonte” mi disse
prendendomi per mano e alzandomi di peso facendo scrocchiare tutte le
ossa del
mio corpo.
La
figura di Michelle tutta trafelata per la corsa apparve tra le fessure
delle
sbarre della nostra cella.
Il suo
sguardo si posò su Colin.
“E’
inutile che fai quella faccia. Vi conviene fare come dico io prima che
cambi
idea e decida di uccidervi”
Dallo
sguardo assassino che ci rivolse a tutti indistintamente non potemmo
dubitare
delle sue parole.
La
mezza vampira infilò le chiavi nella toppa della cella e
nonostante stringesse
i denti per le bruciature causate dalla vicinanza con le sbarre
riuscì ad
aprire la porta.
“Forza
muovetevi!”
Alle
sue parole scattammo come soldati e ci dirigemmo uno alla volta fuori
dalla
cella che richiuse con un rumore sordo.
“Senti-”
incominciò Colin rivolgendosi alla sorella indaffarata con
la chiave della
cella di Nicole “-tu sei sempre stata la sapientona della
famiglia e-”
“Arriva
al dunque” abbaiò Michelle inarcando un
sopracciglio.
“Dove
siamo con esattezza?”
Colin
si strinse nelle spalle con un cipiglio divertito mentre tutti i nostri
occhi
erano puntati su Michelle.
Se
voleva che ci fidassimo di lei doveva per forza darci delle
delucidazioni a
riguardo.
“Siete
sotto l’albergo. L’antica periferia della
città fu distrutta alla fine del
diciannovesimo secolo, ma alcuni sobborghi vennero coperti e pian piano
sprofondarono sempre di più verso il basso per cui quando la
Triade pensò di
costruire il loro quartier generale decise di creare delle gallerie
sotterranee
come se fosse un rifugio o una roba simile”
“Quindi
ci stai dicendo che sotto l’albergo c’è
una parte di città?” chiese Jim. Il sopracciglio
inarcato come per dimostrare il suo scetticismo.
“Bingo!”
proruppe Michelle in risposta alla domanda del biondo, mentre faceva
girare per
l’ennesima volta la chiave nella toppa. Una Nicole speranzosa
aspettava a pochi
centimetri da lei.
La serratura
scattò e le sbarre della cella si aprirono.
Jim e
Nicole trattennero il respiro poi un sonoro tonfo segnalò lo
scontro dei loro
corpi martoriati e per troppo tempo divisi. La distanza per loro
sembrava
essere diventata un dolore quasi fisico. Barcollarono. La testa di lei
incastrata tra le grandi braccia di lui. Si ritrovarono abbracciati non
sapendo
neanche il perché di quel loro gesto. Sentivano solo la
necessità di
aggrapparsi l’uno alle braccia dell’altra prima di
cadere a pezzi. Ma non
avevano ancora capito che per quanto si baciassero, per quanto
stringessero
forte l’una il cuore dell’altro, si appartenevano e
si sarebbero per sempre
appartenuti. Nessuno avrebbe mai potuto dubitare di quello.
La
fronte di Michelle si aggrottò.
“Bene
se avete finito voi due, possiamo andare” sbuffò
portandosi un ciuffo ribelle
dietro l’orecchio, chiuse la cella e prese posto in prima
fila.
Jim e
Nicole si staccarono di controvoglia e con gli occhi ancora lucidi
seguirono
Michelle.
“Cosa
dobbiamo fare adesso?” chiesi stentando a tenere il passo
della mezza vampira.
Gli
occhi grigi di lei mi scoccarono un’occhiata fulminea.
“E’
ovvio. Correre”
Le porte
dell’ascensore si aprirono con un sonoro
schiocco e l’ambiente in cui ci trovammo fu completamente
diverso da quello del
pianterreno dove avevamo lasciato la povera Michelle in balia degli
altri mezzi
vampiri.
L’aspetto sfarzoso e lussureggiante dei mobili era
stato rimpiazzato dal gusto semplice e sobrio di alcuni mobili in legno
di
mogano, un pavimento in parquet e una tonalità di giallo
ocra a impreziosire le
pareti già nude e prive di quadri.
Il parquet scricchiolò sotto I nostri piedi e
l’eco dei nostri sussurri risuonò per tutto il
lungo corridoio che avrebbe
condotto alla stanza di cui ci aveva parlato Michelle.
Io seguivo il passo di Jim insieme a Nicole e a
Colin a mio fianco. Probabilmente aveva già capito la
tensione dei miei muscoli
e il mio battito cardiaco accelerato perchè mi sorrise
affabile intrecciando la
sua mano alla mia.
“Vedrai Michelle non si sbaglia, se vuole che
parliamo con questo Christopher è perchè forse ci
lascerà andare”
Se solo fossi stata anche io fiduciosa come Colin,
ma questo mi era del tutto impossibile visto che la realtà
dei fatti era molto
diversa da quella dipinta nella mente del rosso. Tuttavia non volli far
crollare il suo bel castello per cui mi limitai a sorridergli di
rimando.
Mentre percorrevamo il lungo corridoio alcune idee
mi fecero congelare il sangue nelle vene. Il sogno di Damon mi aveva
scossa a
tal punto da prendere seriamente in considerazione quell’idea
che ogni secondo
mi aggrovigliava lo stomaco fino alle viscere. Se Damon fosse morto
senza aver
trovato una cura avrei potuto continuare a fare entrare aria nei
polmoni fino
alla fine dei miei giorni. Ma se fosse esistita una cura e Damon fosse
morto
comunque, allora avrei smesso di combattere. Sia vampiro che morto non
avrei
potuto più ascoltare I battiti del suo cuore irrequieto. Se
era questo il
prezzo da pagare ero disposta anche a perderlo pur di averlo di nuovo
tra le
mie braccia.
“Desiderate?”
Una voce alle nostre spalle ci fece voltare appena
pochi metri prima di varcare la soglia di quella che doveva essere per
certo
l’ala est dell’albergo.
I capelli erano neri come la pece così come la
carnagione scura che metteva in evidenza le narici dilatate e le labbra
rosee.
Dagli occhi incredibilmente grigi capimmo che era un mezzo vampiro.
Nessuno osò aprir bocca, inchiodati al pavimento
in attesa di un qualche salvataggio o semplicemente di formulare una
risposta
decente, ma quando l’omone spinse Nicole contro il muro
– probabilmente l’aveva
riconosciuta – e artigliò la sua gola con le sue
mani grandi, fu lì che Jim
sembrò reagire e combattere il silenzio.
“Christopher, siamo qui per Christopher!”
abbaiò
digrignando i denti contro il mezzo vampiro il quale
allontanò le mani dal
collo sottile di Nicole. Un’espressione diabolica nel viso
sporco di Jim.
Il mezzo vampiro sbarrò gli occhi intravedendo una
figura dietro di noi e a grandi falcate si allontanò
attraversando il lungo
corridoio da dove eravamo giunti.
“A quanto pare sei più terrificante di quanto
credi” puntualizzò il rosso rivolgendo
un’occhiata di sottecchi al biondo.
Jim non ebbe neanche il tempo di ribattere alla
battuta di Colin che Nicole lo strattonò per la camicia. Lo
sguardo impietrito
e rivolto ad una figura appoggiata allo stipite della porta.
“Scorbutico come sempre, Jimmy. Non va bene”
Intercettai con lo sguardo la persona dalla quale
era giunta la voce calda e suadente. Un ragazzo poco più che
trentenne stava
ritto con la spalla destra appoggiata allo stipite della porta, una
mano a
sollevare il mento sottile così come i lineamenti non molto
marcati ma nel
complesso in armonia con il resto del corpo. I piccoli occhi grigi e
plumbei ci
scrutavano attenti mentre una manciata di capelli lisci e marroni gli
sfioravano le guance dagli zigomi affilati che conferivano un certo
fascino
alla figura di per se attraente.
Si umettò le labbra sottili con la lingua non
appena si accorse che lo stavamo osservando.
“Tra i due eri tu quello fissato con le buone
maniere. Non ricordi, Chris?” chiese il biondo avanzando di
qualche metro così
da poter guardarlo dritto negli occhi.
Doveva essere lui, Chris, l’esponente della Triade
che Jim conosceva, che lo aveva trasformato e che poi lo aveva tradito,
aveva
scelto di passare dalla parte del male così da troncare la
loro amicizia.
A guardarli bene, non vi potevano esistere due
esseri così diversi fra di loro.
“E’ passato troppo tempo. Ormai quello appartiene
al passato. Com’è che si diceva? Lo spettacolo
deve continuare”
Alzò il sottile sopracciglio destro con aria
divertita e poi con un gesto della mano ci invitò ad entrare
in quello che ad
occhio e croce doveva essere il suo studio. Tutto in quella stanza
sembrava
essere idoneo alla sua persona: dalla grande libreria in fondo alla
parete alla
scrivania in legno di noce, dal caminetto al divano in pelle.
“Prego sedete” ci accolse gentilmente il mezzo
vampiro prendendo posto ad uno dei divanetti.
Nicole arricciò il naso.
“Siamo venuti qui per prendere te e pasticcini o
per discutere del vostro orribile piano di mandare a puttane la razza
umana?”
esordì la mezza vampira trafiggendo con lo sguardo quello
sereno di Chris.
“Dolcezza, ti rendi conto che più che parlare
sembri abbaiare come un Rottweiler?”
rispose pacatamente l’esponente della
Triade ma quelle parole bastarono per ferire nell’animo la
giovane Colette.
“E
che mi dici della cara e vecchia Winnifred?” chiese
Jim e gli occhi grigi di Chris si incupirono all’istante.
Winnifred. Non conoscevo nessuno che avesse quel
nome, probabilmente un’antica conoscenza di entrambi, ma
dallo sguardo truce
riservato a un Jim divertito da parte del mezzo vampiro mi fece pensare
che era
più di una semplice conoscenza.
“La vita va avanti, mio caro. E’ inutile ricordare
qualcuno tutta una vita quando la tua vita è
infinita.”
Chris svitò il tappo di una bottiglia poggiata sul
tavolino e un liquido trasparente si riversò nel bicchiere
di cristallo
finemente decorato.
“I ricordi sono il tuo punto debole, Christopher.
Prima o poi ti tradiranno”
Colin e io ci lanciavamo occhiate confuse,
tentando di stare al passo con il discorso dei due vecchi amici che
tuttavia
non riuscivamo a seguirlo.
A quanto pare Michelle ci aveva consigliato di
incontrare Christopher e non gli altri esponenti della Triade
perché forse era
l’unico con cui potevamo parlare, l’unico mezzo
vampiro dei tre equilibrato al
quale avremmo potuto esporre le nostre motivazioni e chiedere le nostre
domande. Ma quello più che un colloquio sembrava essere una
rimpatriata di due
vecchi compagni.
Colin schioccò la lingua.
“Si, bene. Mi fa piacere che voi due vi siate
ritrovati e sono sicuro che abbiate tante cose da dirvi prima di
uccidervi a
vicenda, ma prima che questo accada ci terrei a chiedere una cosa: di
chi è
stata la brillante idea di trasformarci tutti in mezzi vampiri?
Cos’è, avevate
voglia di giocare ai piccoli chimici?”
L’ironia di Colin sembrò toccare ben poco
l’animo
del mezzo vampiro di fronte a noi perché d’un
tratto sembrò afflosciarsi come
un ramo secco. Un’espressione avvilita mista a stizza apparve
sul suo volto.
“Non è stata un’idea mia”
pronunciò Chris a denti
stretti.
Un rumore di tacchi a spillo risuonò per il
parquet.
“Già, è stata mia!”
Una ragazza, alta e snella, indossava un vestito
rosso fuoco che le fasciava il corpo magrissimo ma al contempo
curvilineo. Il
viso piccolo e rotondo mostrava una bambina poco più che
ventenne, con occhi
affusolati e di uno splendido grigio metallizzato, con la punta del
naso
rivolta verso l’alto e due splendide labbra rosee dalle quali
trasparivano i denti
splendenti. Dal suo modo di camminare fermo e deciso, dallo sguardo
atterrito
che aveva fatto Chris al sul arrivo, dagli occhi furbi e assassini da
pantera,
ebbi modo di pensare che dei tre il capo della Triade era proprio lei.
“Il mio nome è Guinever”
pronunciò e la sua voce
risuonò cristallina e famelica come una gatta pronta
all’azione.
Con uno strattone fece entrare anche l’ombra scura
che le stava al seguito e che spaventata sbarrò gli occhi
verso di noi in cerca
di aiuto.
I riccioli castani incollati alle tempie mentre
stremata cercava di liberare il proprio polso dalla stretta ferrea
delle mani
bianche e affusolate della mezza vampira.
Il mio cuore perse un battito riconoscendo quella
pelle olivastra e quei folti riccioli.
“E questa è la mia strega!”
Le sue labbra rosse si piegarono diaboliche
mostrandoci il suo trofeo.
Bonnie intercettò il mio sguardo, spaventata e al
contempo esausta.
Le mie ginocchia tremarono e io crollai al suolo.
* * *
Buonsalve,
Eccomi tornata, con ritardo come sempre ma sono tornata! Come avrete
avuto modo di capire, ho deciso di aprire il capitolo in maniera
diversa ovvero con tutta la combriccola che scappa attraverso le strade
della città sotterranea arrivando niente poco di meno che
all'interno del covo dei mezzi vampiri. In questo capitolo si presenta
subito il personaggio di Michelle: è stronza e calcolatrice
e forse penserete che questo suo cambiamento repentino nasconda
qualcosa di losco, non è così! Se Nicole vi era
sembrata un po' la pecora nera del gruppo, Michelle vi farà
ricredere ma sono sicura che col tempo amerete anche lei. Sarebbe stato
oltraggioso non inserire la storia della morte dei genitori di Colin e
sentiremo parlare di loro anche in seguito. Almeno adesso sapete che
non è stato un raptus di Michelle ad ucciderli. Jim e Nicole
finalmente si sono ritrovati (non sapete quanto sia importante per me
questa coppia) ma il segreto di Nicole e Elena verrà svelato
molto presto. Ecco, Elena! Finalmente fa le sue considerazioni riguardo
la questione Damon: umano o non? Ebbene, l'idea che Damon muora
facilmente la terrorizza a tal punto che preferirebbe riaverlo vampiro
piuttosto che morto. Non sarebbe di certo umano, non potrebbe
più ascoltare il suo cuore ma almeno avrebbe modo di averlo
con lei. E finalmente avete fatto la conoscenza del primo della triade.
Christopher, o semplicemente Chris, come lo chiama Jim. E' stata
accennata una Winnifred alias Wendy: se ne parlerà molto
anche di lei nei prossimi capitoli e sarà il fulcro anche
dell'origine dei mezzi vampiri (si vedeteli un po' come gli originari
ma con una storia diversa!) Ma se Chris sembra essere suadente e
lascivo, Guinever è la vera leader e vedremo anche da cosa
è scaturita la sua sete di potere. C'è un
cimitero da cui poter trarre energia, per trarre energia servono le
streghe e Guinever ne ha una a caso suo, Bonnie. Perchè
adesso i mezzi vampiri hanno bisogno delle streghe? E l'arrivo di
Guinever ha segnato l'inizio dei giochi? E chi sarà il terzo
componente della Triade?
Adoro lasciarvi con queste domande in sospeso!
Grazie mille per i commenti e le recensioni, grazie di tutto cuore *-*
Un bacio,
Sil
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Capitolo 30 *** 28-SHE'S NOT ME ***
28
– SHE’S NOT ME
Era diventata
tutta una questione di equilibrio.
Inspirare.
Espirare.
Dentro.
Fuori.
Dentro.
Fuori.
Così come nella magia.
Ricordo ancora il giorno quando Bonnie mi disse
che era una strega. Fino ad allora avevamo solo scherzato,
improvvisando
qualche strana fattura, lanciando qualche finto incantesimo giusto per
sdrammatizzare le voci di quartiere le quali affermavano che sua nonna
era una
fattucchiera. Eppure non urlai quando la piuma si alzò lieve
dal palmo della
sua mano, non trattenni il respiro quando intorno a me cominciarono a
vorticare
tutte le altre piume, non mi meravigliai del sorriso bonario di Bonnie
perché
in fondo sapevo che speciale c’era sempre stata. La prima
cosa che mi disse
sulla magia prima di rispondere a tutte le mie domande fu che usare la
magia
era come mettere dei pesi su una bilancia: era una questione di
equilibrio tra
lei e la natura e il suo compito era proprio quello di non sovvertire
quell’equilibrio.
E così a distanza di tempo capì che esisteva un
equilibrio in ogni nostra azione, in ogni nostro gesto: metti il peso
sbagliato
e la bilancia comincia a dare i numeri.
Sentii le mie ginocchia cedere non appena gli
occhi rossi e gonfi di Bonnie incrociarono i miei lividi di rabbia e di
paura.
Colin fece appena in tempo ad afferrare le mie
spalle prima che piombassi contro il pavimento. Una sua mano a
raccogliermi i
capelli disfatti e a tamponare il sudore freddo che cingeva la mia
fronte.
Non potevano farmi questo. Non era sufficiente
sapere che colui la cui esistenza era legata inestricabilmente alla mia
fosse
lontano da me, ma volevano rubarmi anche l’unica fetta di
famiglia che avevo
deciso egoisticamente di portarmi appresso.
Equilibrio.
Tentai di rimettermi in piedi, cercando convulsamente di respirare come
se
fossi appena uscita dall’acqua dopo un’immersione
durata più di mezz’ora. Senza
ossigeno e senza speranze.
Era una questione di equilibrio anche il cercare
di non far cadere i pezzi: ero un’ammucchio di cocci rotti
che ostinavo a
portarmi dietro, ma se non l’avessi fatto sarei rimasta vuota
dentro e l’ultima
cosa da fare a quel tempo era rimanere priva di una motivazione logica
per
combattere.
Guinever ci squadrò e un sorriso sornione le si
aprì in viso non appena si accorse della mia reazione e
capì il legame che
univa me e la sua strega.
“E’ per caso una vostra amica?” chiese e
il
rossetto le marcò ancora di più il volto cereo,
facendo risaltare gli occhi
piccoli e grigi contornati da lunghissime ciglia.
Un sibilo sommesso si levò da dietro le mie spalle.
“Ora smettila Gwen. Non puoi fare delle persone
che ti interessano delle semplici bambole da collezione”
Il borbottio proveniva dalla poltrona in pelle
dallo schienale regolabile dalla quale faceva capolino la zazzera
marrone scuro
di Christopher intento a sorseggiare il suo caffè bollente
da una tazza bianca.
La mezza vampira arricciò il naso indispettita
dall’insinuazione del suo compagno ma qualcosa
sembrò addolcirle lo sguardo
nonostante si fosse legata al dito la frase di Chris.
“Già, e della mia collezione tu sei il pezzo
più
raro e prezioso in assoluto” soffiò piano a pochi
metri dalla postazione
dell’esponente della Triade, e assunse
un’espressione da gatta innamorata sebbene
mantenesse ancora ben saldo il polso della mia amica tra le sue dita
sottili.
Colin trattenne un conato di vomito, schifato da
quell’eccessivo romanticismo che straripava persino dagli
occhi semilucidi
della suddetta Guinever, mentre Jim e Nicole si scambiarono
un’occhiata fugace
e forse imbarazzata quasi come se si sentissero di troppo in quella
stanza.
Io mi limitai ad alzare un sopracciglio, non
abbassando mai lo sguardo da quello di Bonnie.
Chris roteò gli occhi e le lanciò una stilettata
ma anziché farla indispettire nuovamente la fece sorridere
radiosa.
“Ma torniamo alle questioni di affari. I signori
qui presenti, cosa desiderano?” chiese con un certo cipiglio
annoiato, quasi
come se quella fosse una domanda di routine che nessuno dei due aveva
voglia di
rivolgere.
Con passo aggraziato raggiunse il divano e si
sedette con morbido peso, accavallando le gambe esili e bianche sotto
la gonna
corta e nera, assumendo così il decoro di una vera donna
d’affari.
Con mia enorme sorpresa anche Bonnie, si accomodò
vicino alla figura della potente mezza vampira, ma la posizione rigida
e per
nulla naturale mi fece capire che doveva essere stata soggiogata o
qualcosa
simile.
Jim avanzò di un passo.
“Mh vediamo. Uccidervi tutti e porre fine alla
vostra ignobile pazzia di trasformare l’intera razza umana in
schifosi mezzi
vampiri. C’è qualcosa da firmare o mi credete
sulla parola?”
Il biondo aprì le braccia in un gesto teatrale,
come se quello fosse un normale colloquio di lavoro e non un suicidio
di massa
organizzato. Per cui il ghigno stampato sul suo viso e
l’ironia sfacciata
utilizzata non piacque molto alla mezza vampira la quale strinse le
labbra come
una bambina alla quale hanno offerto invece di un lecca-lecca un bel
piatto di
verdure bollite.
“Mi dispiace ma credo che la sua richiesta non
possa essere accettata” snocciolò restando al
gioco e tirando in su gli angoli
della bocca tanto da toccare quasi le orecchie.
Poi si rivolse a Bonnie.
“Mia cara, come hai detto che ti chiami?” chiese
aggiungendo un tocco eccessivo di formalità.
Nonostante il soggiogamento, Bonnie riuscì a
trucidarla con lo sguardo.
“Non ho mai detto come mi chiamo” sputò
decisa a
non rivelare la sua identità alla mezza vampira.
Il viso di Guinever si incupì.
“Che peccato. Vorrà dire che quando
avrò tempo
dovrò trovarti un nome.”
L’atmosfera si congelò a tal punto che mi
sentì
rabbrividire e quello stesso brivido lo trasmisi anche a Colin che
nonostante
mi reggessi in piedi era rimasto accanto a me a sostenermi.
Adesso che avevo ripreso lucidità potevo benissimo
affermare che quello era il più strano covo di vampiri che
noi tutti avessimo
potuto pensare. Erano ragazzi normali, forse un po’ troppo
legati al secolo in
cui avevano vissuto la loro giovinezza ma del tutto privi di
quell’alone
terrificante che avrebbe potuto metterti ad una distanza di sicurezza
di almeno
cinquanta metri. Eppure tutti li temevano. Perché?
Guinever versò in una tazza il rimasuglio di
caffè
ormai freddo e dopo averne preso qualche sorso ed essersi beata
dell’aroma di
caffeina che le scorreva in corpo pronunciò le seguenti
parole.
“Bene, ora uccidilo” ordinò fredda e
Bonnie ebbe
un tremito.
Nicole mosse appena un braccio sbriciolando così
la posizione austera e rigida che sembrava averla tramutata in una
statua, ma
sebbene Jim fosse cosciente che sarebbe morto da un momento
all’altro, non
lasciò un solo istante l’immaginario cerchio entro
il quale era destinata a
consumarsi la sua fine.
La strega ci guardò con occhi sbarrati e fece
saettare lo sguardo tra me e la mezza vampira che accanto a lei la
incitava
mentalmente a sferrare il suo incantesimo, qualunque
esso fosse.
Solo allora mi accorsi che Bonnie effettivamente
aveva sferrato l’incantesimo e forse l’aveva fatto
più di una volta e questo
avrebbe spiegato il suo nervosismo accentuato ad ogni conseguenza
palese dei
suoi fallimenti.
L’unica arma a nostro favore era l’incantesimo che
Bonnie ci aveva mostrato avendo come cavia il povero Colin che si era
sottoposto alla dimostrazione quasi un pupazzo. Bonnie ci aveva
spiegato che il
solito incantesimo per tramortire i vampiri avrebbe lasciato
indifferente i
mezzi vampiri, composti per metà da un lato soprannaturale e
dall’altro umano.
Perciò l’unico sistema per scagliare
l’incantesimo era trovare nel raggio di
pochissimi metri un vampiro e un umano da cui poter incanalare
l’energia e così
abbattere il mezzo vampiro. Ma lì in quella stanza, di
vampiri non ce n’era
neanche l’ombra.
“Ho detto uccidilo” ripeté Guinever
alzando la
voce di un’ottava e inarcando pericolosamente un sopracciglio
mentre le unghia
rapaci si sfregavano tra di loro per il nervosismo.
“Ho provato i miei migliori incantesimi, ma non
funzionano” rispose Bonnie con voce concitata piantando lo
sguardo tra gli
occhi glaciali della mezza vampira.
Guinever si slanciò facendo alzare una folata di
vento a causa della rapidità della sua azione. Il viso da
serafico si tramutò
in una maschera demoniaca con canini aguzzi e sporgenti e occhi bianchi
circondati da cerchi violacei. La sua mano serrava direttamente la
trachea di
Bonnie impedendole di respirare correttamente.
L’aggressività di quel gesto mi
fece contorcere le viscere e mi spiegai il perché
quell’essere esile e minuto
fosse a capo di una stirpe sanguinaria, temuta e venerata da tutti.
Guinever
era un concentrato di malvagità assoluta.
“Bugiarda” soffiò piano tra i canini ben
in mostra
che non attendevano altro che lacerare l’arteria ben pulsante
nel collo della
mia amica.
Chris sospirò sorreggendosi la testa con la mano
quasi con fare annoiato e mi meravigliai che non stesse sbadigliando di
fronte
a quella scena che ci stava facendo tremare le gambe.
Non so se fu in quel momento o forse
successivamente che capì che non dovevamo avere alcuna paura
perché fintanto
che Christopher sarebbe rimasto immobile e del tutto alieno alle
minacce e ai
caratteri dispotici di Guinever, noi non avremmo corso alcun rischio.
Sembrava che lui la conoscesse più di quanto lei
stessa non volesse ammettere.
“Bene, vuol dire che lo farò io al posto
tuo”
Un sibilo simile al passaggio di un proiettile e
le dite che fino a poco prima erano infilzate tra le minuscole fessure
del
collo di Bonnie adesso cingevano il collo ben tornito del mezzo vampiro
biondo
che veniva sventolato a circa un metro dal suolo.
Jim, la cui espressione arcigna aveva lasciato per
un millesimo di secondo il posto ad una leggera paura,
sembrò essere scosso da
spasmi che tentava di rigettare dentro digrignando quanto
più possibile i
denti.
Pensai che forse gli stava perforando la trachea o
magari rompendo l’osso del collo, ma quando mi accorsi che
anche Colin e Nicol
erano agonizzanti al suolo la mia mente fu scossa da una scintilla di
lucidità.
Magia.
Colin ci aveva informati che quelli della sua
specie avevano a che fare con la magia molto più dei
vampiri, ma ci aveva
assicurato che per quanto la materia gli affascinava non
c’era alcun modo di
poter mantenere i propri poteri una volta trasformati o addirittura
imparare
alcune arti magiche. Almeno questo era ciò che Suzanne
Bennet, un’antenata di
Bonnie, gli aveva riferito. Evidentemente si era sbagliata.
Fui atterrita dalla potenza che sprigionava
Guinever effettuando un incantesimo che in quel momento sembrava del
tutto
inutilizzabile. Da dove attingeva quell’energia. Ma in quel
momento la mia
mente era troppo occupata a sentire le urla dei miei amici mezzi
vampiri per
trovarne un nesso logico con la presenza del cimitero sotterraneo.
Christopher fu percorso da un brivido di rabbia e
fu sul punto di perdere la pazienza. A quel punto credetti davvero che
fosse la
fine.
“Ora basta, Gwen! Non ti sembra di esagerare?”
Christopher in pochi secondi era giunto al fianco
della mezza vampira e posò una mano sulla sua spalla e quel
gesto cominciò a
sortire il suo effetto perché gli occhi ritornarono del loro
colore naturale
grigio metallizzato.
I lamenti di Colin tra le mie braccia si placarono
così come i singhiozzi sommessi di Nicole e di Jim il quale
tuttavia si trovava
ancora tra le grinfie di Guinever.
“Lo voglio uccidere io stessa con le mie mani e
non chiamare Liam e i suoi scagnozzi per fargli fare il lavoro sporco -
come
sempre fai tu!”
La mezza vampira si imbronciò e in quel momento da
famelica e spietata sembrò indossare un allegro broncio
fanciullesco che le
rese visibili le minuscole e chiare lentiggini che le punteggiavano il
naso.
Pensai che in fin dei conti Guinever non era poi così
diversa da Katherine e
dai suoi capricci.
“Lei non
l’avrebbe mai fatto” sussurrò
Christopher alleviando il tocco fino a togliere
del tutto la mano che le copriva la spalla destra.
Quelle parole incendiarono nuovamente la belva
assopita momentaneamente e in un brusco gesto scaraventò Jim
contro la
libreria, incrinando appena alcune mensole e provocando soltanto una
gran
polvere.
Ma le sue mani tornarono ad essere occupate dal
collo di Christopher il quale con tutta leggerezza affondò
le dita affilate
all’interno della gabbia toracica della mezza vampira.
In quel momento di sfida tra i due appartenenti
alla Triade, Bonnie ebbe il coraggio di balzare via dal divano in cui
era
rimasta seduta contro la sua volontà e precipitarsi tra le
mie braccia.
Un Colin visibilmente rincuorato disposto ad
accoglierla anche tra le sue braccia.
“Temevo che avessi sbagliato parte” disse con voce
innocente mentre toglieva un filamento di ragnatela da un ricciolo di
Bonnie la
quale rimase interdetta non sapendo se sorridere o contrariamente
offendersi.
Nicole si precipitò da Jim il quale si era già
rialzato spolverandosi la camicia ormai logora.
“La prossima volta cerca di essere un po’
più
convincente” disse Nicole ammiccando mentre con un dito gli
toglieva il rivolo
di sangue che gli era sceso giù dal labbro inferiore.
Jim fece per sorridere, beandosi del tono
sbruffone tipico della Nicole di altri tempi e ancora vivo in lei ma
tornò
serio non appena il suo sguardo si posò sullo scontro tra i
due esponenti della Triade.
La nostra attenzione si rivolse nuovamente ai due
lottatori.
“Se ci fosse stata lei,
non avrebbe voluto tutto questo!” ripeté Chris
senza la ben
che minima ombra di rabbia. I suoi occhi al contrario sembravano vaghi
e
distanti, bagnati da un influsso di malinconia. Quelli di Gwen invece
erano
brace ardente.
“Te lo ripeto: lei
non è me!”
Scandì bene le parole sputandogliele in faccia
nonostante la mano di lui ben fissa sul suo cuore ben pulsante.
Colin al mio fianco ebbe un sussulto e mi tirò una
ciocca di capelli per attirare la mia attenzione e distogliere il mio
sguardo
da quello dei due mezzi vampiri.
Mi sentì pervadere da una strana sensazione e la
mia mente venne offuscata da una strana nebbia non appena gli occhi del
rosso incontrarono
i miei. Mi ricordavo a malapena del soggiogamento che Colin mi aveva
fatto
quando dovevamo partire per l’Alaska, non ricordo molto di
ciò che avvenne in
seguito ma ciò che rimase nitida nella mia mente fu la
sensazione di
smarrimento e di impotenza che sembrava raschiarmi le ossa fino al
midollo.
Fui colta da un eccesso di paura ma lo sguardo
bonario di Colin mi indusse a tranquillizzarmi.
Aggrottai la fronte e chiusi maggiormente gli
occhi come a dipanare la nebbia e a mettere a fuoco un immagine nella
mia
mente. Solo allora mi accorsi che Colin stava manipolando la mia mente
introducendo immagini e ricordi non miei ma che dovevano appartenere ai
due
mezzi vampiri della Triade. Non seppi mai se quella era una
caratteristica dei
mezzi vampiri o solo una qualità di Colin ma da quello che
potei capire
Guinever e Christopher si stavano manipolando le loro menti a vicenda e
Colin
doveva essere una specie di antenna che permetteva di ricevere e
trasmettere
quei ricordi.
Mi aggrappai alla sua spalla prima e cominciai a
contare le lentiggini sul suo naso prima di sprofondare completamente
nell’oblio, inghiottita da quei ricordi del passato.
“Winnifred?”
La
voce di un Christopher più giovane e con un lungo cappotto
marrone fece voltare
una ragazza poco più che sedicenne dai lunghi capelli ramati
raccolti in due
morbide trecce che aveva fissato in due crocchie intorno al capo.
La
ragazza sorrise mettendo in evidenza gli zigomi rosei e abbastanza
pronunciati
e gli occhi argentati sembrarono brillare quanto il lago
semi-ghiacciato di
fronte a lei.
“Dovremmo
smettere di vederci di nascosto, Christopher. Mia sorella presto o
tardi
sospetterà qualcosa” bisbigliò sottile
la ragazza stringendosi maggiormente
nello scialle di lana e tornando ad ammirare il pallido tramonto che
irradiava
i boschi di una luce soffusa e di un’aria frizzante.
“Gwen
non sarà più un problema. Non può
tenerti sotto la sua tutela per sempre”
sbuffò Chris giocando con un nastro che fuoriusciva dal
corpetto nero che
cingeva il petto della ragazza per poi ricadere in una gonna verde.
“Lo fa
perché è innamorata di te”
pronunciò e si aprì in un sorriso radioso.
“Già,
peccato che io abbia scelto te”
Chris
si chinò a baciarle una guancia mentre la risata cristallina
di Winnifred si
espanse per tutta la valle risuonando come mille campanelle.
“Tra
pochi giorni finirà l’estate e
ritornerà ad essere notte fonda. Adoro l’inverno
qui in Alaska. Possiamo liberarci delle stupide collane per non
bruciare al
sole per oltre quattro mesi” sbottò la vampira
saltando giù dalla roccia
ricoperta di felci e trotterellando in prossimità del lago
facendo riflettere
così la sua immagine in quello specchio d’acqua.
Il
giovane vampiro dagli occhi scuri si avvicinò emettendo un
sospiro malinconico.
“Il
villaggio è in crisi, Wendy. Il cibo scarseggia sempre
più e per cibo intendo
esseri umani nel villaggio qui vicino. L’epidemia di vaiolo
ha decimato gran
parte dei villaggi vicini. E’ da più di tre mesi
che non beviamo più sangue
fresco e con l’arrivo dell’inverno dubito che la
situazione migliorerà”
Gli
occhi tristi di Christopher si abbassarono sulla figura minuta di
Winnifred,
alle sue scapole sporgenti e ai suoi occhi piccoli e vispi e gli si
contorse il
cuore fermo dal dolore nell’immaginare quella creatura come
un ammasso di
foglie rinsecchite.
“Beh
il bosco è pieno di animali: alci, renne, daini. Potremmo
vivere di quello
aspettando che la situazione al villaggio si riassesti”
La
vitalità e la convinzione con cui espose la sua idea fecero
passare Christopher
dallo sbigottimento al divertito e una grassa risata risuonò
fino alle pareti
del sottobosco.
“Nutrirsi
di sangue animale? Quest’idea ha
dell’incredibile”
Wendy
lo fulminò con lo sguardo non avendo tuttavia intenzione di
offenderlo
seriamente mentre affondava i piedi nell’acqua gelida non
riuscendo tuttavia a
percepire la fredda temperatura.
“Siamo
vampiri, è la nostra natura uccidere e succhiare il sangue.
Ma abbiamo pur
sempre la possibilità di scegliere chi uccidere e di quale
sangue nutrirci. Non
voglio che la mia parte di umanità scompaia”
borbottò Wendy arricciando il naso
come una bambina.
“Tu
sei molto più umana di tutti gli umani del villaggio messi
insieme”
Una
voce si levò tra il folto della foresta e un paio di occhi
ambrati fecero
capolino tra le fronde degli alberi. Un ragazzo dai capelli corti e
biondi
stava appeso a uno dei rami tramite le due braccia possenti e si faceva
dondolare come una scimmia.
La
vampira si illuminò al suono di quelle voce.
“Drake,
scendi di lì” lo rimproverò pur
mantenendo intatto il sorriso genuino e
spruzzando un po’ dell’acqua gelata del lago.
Il
ragazzo corpulento atterrò sui talloni senza il minimo
sforzo e guardò
divertito Chris, più esile e sottile.
“Gwen
vi stava cercando” pronunciò e la paura
sembrò congelarsi negli occhi dei due
amanti.
“Non
gli avrai detto che eravamo qui spero” chiese Chris con aria
di rimprovero,
inarcando un sopracciglio.
Drake
guardò gli ispidi fili d’erba che uscivano dal
terreno per poi soffermarsi
sullo sguardo cristallino di Wendy.
“No,
certo che no. Ma le ho dovuto dire che vi vedevate ogni giorno e ad
orari
prestabiliti”
Christopher
si schiantò contro l’amico che riuscì a
malapena a bloccare il pugno che lo
stava per cogliere di sorpresa.
“Devi
considerare l’idea che per lei io potrei essere migliore di
te” sputò Drake
inchiodando il vampiro al tronco dell’albero.
“Drake,
smettila. Per quanto io ti voglia bene, devi comprendere che
è Christopher che
ho scelto”
Le sue
mani minute avvolsero il viso ruvido del vampiro cercando di mescolare
il
grigio dei suoi occhi con quelli ambrati di lui.
“E per
quanto riguarda Gwen, è ora di pareggiare i conti con mia
sorella”
Si
liberò una piccola scintilla nel suo sguardo e il mento alto
e rigido le
conferì un aspetto quasi regale. Dopotutto discendeva da una
famiglia nobile.
Si
strinse maggiormente nello scialle pronta a tornare a casa quando si
fermò come
se avesse avuto in quel momento una rivelazione, come se sapesse fin
dal
principio l’esito del suo colloquio con la sorella.
Gli
occhi argentati cercarono quelli dei due contendenti e con
velocità allucinante
si irradiarono di minuscoli capillari iniettando sangue nelle orbite e
increspandole le guance.
“Qualunque
cosa succeda stanotte, posso portarvi sempre con me?” chiese
con fare ingenuo e
senza alcuna malizia ma quella domanda così strana fece
aggrottare la fronte
dei due amici vampiri di curiosità e apprensione.
“Uno
solo, un solo sorso del vostro sangue e rimarremo legati per
l’eternità, sia
che io rimanga qui sia che mia sorella mi spedisca all’altro
capo del mondo”
Christopher
rivolse un’occhiata sfuggevole a Drake il quale si sarebbe
cavato un occhio se
solo lei glielo avesse chiesto, tanto la amava e tanto veniva ripudiato.
Chris
si avvicinò al viso della vampira e lo cinse con le mani.
“Io
verrò con te e dentro di te dovunque tu sarai”
Detto
questo gli occhi di Winnifred scintillarono e facendo attenzione
perforò il
collo del vampiro aspettando che il suo sangue entrasse in circolo nel
proprio
corpo.
L’immagine
si sfocò, i lineamenti tratteggiati del
lago si sfaldarono e la stanza sembrò ripiombare nella
normalità. Ebbi solo il
tempo di costatare che nulla era cambiato e che tutti ci trovavamo
nella stessa
identica posizione che un altro ricordo questa volta più
irruente del primo
bloccò la mia visuale.
Il
suono di uno schiaffo arrivò prima del movimento della mano
e ancor prima del
tremolio della luce della candela.
“Cosa
ti è saltato in mente? Nutrirti di sangue animale mentre il
resto del villaggio
muore di sete!”
Guinever
alzò la voce mentre i boccoli le scendevano disfatti lungo
le spalle coperte da
una vestaglia da notte. Gli occhi piccoli e glaciali emanavano
stilettate che
infilzavano Wendy e i due vampiri presenti nella stanza.
“La
colpa è mia, Gwen. L’ho accompagnata io nei
boschi” si intromise Drake che
cercava un pretesto per sistemare la situazione che lui stesso aveva
creato.
La
vampira distolse lo sguardo famelico dalla sorella e lo rivolse al
giovane
vampiro. Gli occhi erano tristi e opachi, la pelle delle guance
dilaniata da
solchi e giallastra a causa della fame, le palpebre violacee e deboli.
Sembrava
essere lo specchio della moltitudine di vampiri del villaggio, di
coloro che
stavano morendo di sete a causa della carestia, il ritratto al
femminile dei
due vampiri nella stanza insieme a lei. L’unica che
dimostrava di non avere il
ben che minimo mutamento sembrava essere Winnifred.
“La
verità è che non sei arrabbiata perché
mi sono cibata di sangue animale. La
verità è che non riesci a concepire
l’idea che io sia rimasta umana, che non
sia diventata il mostro assassino che tanto speravi. Sei
così arrabbiata con me
perché Chris ha scelto me e non te”
Il
viso di Gwen si sfigurò e le ombre giallastre sotto gli
occhi fecero posto alle
crepe e ai capillari pulsanti di rabbia e di odio.
Gli
occhi grigi della sorella si sbarrarono atterriti dalla paura per quel
gesto
così pericoloso. Facendo eccezione per gli schiaffi che a
volte le dava, Gwen
non si era mai permessa di far male seriamente a sua sorella.
Ma la
fame la opprimeva, l’odio le friggeva il cervello e le
corrodeva la gola,
prendendo il controllo del suo essere, lasciando prevalere il predatore
di
altri tempi.
“Sto
morendo di fame” singhiozzò Guinever e i suoi
occhi traslucidi trasudarono così
tanto dolore da colpire il tenero cuore di sua sorella, amante di
metodi
alternativi alla sopravvivenza.
“Puoi
cibarti di me. Solo un sorso e poi potrai stare serena almeno per
stanotte.
Domani ti porterò nei boschi” mormorò
l’esile vampira tentando di aprire le
mani scheletriche della sorella dallo sguardo folle.
Gli
occhi azzurri iniettati di sangue si alzarono febbrili alla ricerca di
quelli
di Chris spaventato e di Drake alquanto confuso.
I
canini pronunciati schiusero le labbra feline e si avvicinarono al
collo
diafano di Wendy che già aveva chiuso gli occhi, pronta a
sacrificarsi per la
sorella.
In
nessun modo i vampiri si potevano cibare del sangue dei loro stessi
simili, era
un qualcosa che andava ben oltre la loro stessa natura, quasi come il
cannibalismo per gli esseri umani. Eppure Guinever non ne fu spaventata
né
confusa ma ciò che la spinse a mordere avidamente
l’arteria di Wendy, fu la
fame vorace che la divorava da fin dentro le ossa. A causa della sua
ingordigia
centinaia di vampiri avrebbero pagato a caro prezzo la loro natura di
signori
della notte.
“Basta,
Gwen” le ordinò Drake ma la furia incontenibile
della vampira sembrò prendere
il sopravvento.
Guinever
succhiava avidamente il sangue così diverso e al contempo
familiare della
propria sorella, assaporandolo e riconoscendo i vari tipi di gruppi
sanguigni
che si erano amalgamati confondendosi tra di loro: un alce, un
roditore, una
lince, una renna.
Ma il
sangue di Winnifred era pur sempre il suo stesso sangue e bevendo il
sangue di
lei a Guiniver sembrava esserle entrata dentro, tramutandosi
così in un unico
essere, per essere più simile a lei, per essere amata da
Christopher come lui
amava lei.
Si
staccò dal collo ormai livido e cereo così come
il resto del viso privo della
vitalità di poco prima.
Solo
allora Gwen aprì gli occhi color ghiaccio per fissarli in
quelli di sua sorella
inondandoli di odio e di rancore.
“Sei
sempre stata tu la migliore. Sei sempre stata tu la prima scelta in
tutto. E
dopo tutto questo tempo sono stata l’ultima a
saperlo”
Guinever
affondò un colpo deciso tra le costole di Winnifred e con
precisione agguantò
il cuore fermo e ormai stanco dell’esile vampira.
Wendy
ebbe appena il tempo di mormorare un scusa e far scorrere gli occhi inumiditi dalle lacrime
tra Drake e
Christopher, entrambi troppo scossi per intervenire, per poi fermarli
su quelli
della sorella e per sempre privarli della luce della vita.
I due
vampiri si avventarono su Guinever grugnando come belve e strappando la
carne
delle braccia e intorno al collo.
Immagini
di denti affilati si susseguirono a quello del sangue che imbrattava le
labbra
dei tre, deliranti dal dolore e dalla pazzia mentre il corpo arido e
senza vita
di Winnifred osservava la scena del tutto estranea.
Il
siero scarlatto dei due vampiri si miscelò con quello di
Gwen, tutti e tre
succhiarono e morsero parte del loro stesso sangue, di quello del
compagno,
della stessa Wendy che conteneva dentro di se il sangue di Drake e di
Chris.
La
zuffa continuò a lungo finché i tre si fermarono
lacerati da urla agonizzanti e
dilaniati da un dolore sviscerante.
Gli
strilli di Gwen erano quelli più alti e mentre cercava di
liberarsi dal sangue
che come fuoco le bruciava la pelle, i suoi occhi bagnati da minuscole
lacrime
da blu si tramutarono in grigio, grigio metallizzato, così
simile al colore
della sorella ma al contempo più duro come il ferro.
Il gelido
cuore tremò tutto e singhiozzò qualche battito
prima di sussultare contro le
costole.
Stavano
ritrovando metà di quell’umanità che
sono Winnifred poteva avere.
Il
primo mezzo vampiro al mondo stava venendo alla luce.
Colin mi
diede uno strattone per assicurarsi che
fossi riemersa dallo stato di torpore mentale in cui lui stesso mi
aveva fatto
cadere.
Adesso era tutto chiaro ed evidente e i continui
battibecchi tra i due risultavano essere perfettamente leciti. Le
immagini
continuarono a susseguirsi nella mia mente ma questa volta ero io a
fabbricarle: vedevo il sorriso radioso di Wendy, gli occhi neri e
lucidi di un
Christopher allegro, l’innocenza e la spavalderia di Drake,
il terzo membro
della Triade a noi ancora sconosciuto, e il delirio, la pazzia e la
tristezza
di una Guinever sola e accecata dall’invidia, gli strazi, le
urla e poi gli
occhi grigi, grigi come quelli di Winnifred. Forse i mezzi vampiri non
erano
più mostri, forse in ognuno di essi vi era un millimetro
cubo del sangue di
quella vampira che sembrava manifestarsi in loro proprio grazie a
quella
peculiare caratteristica degli occhi grigi. Ma nonostante
l’orrore di quel
racconto non potei non cogliere la tristezza di tutta quella vicenda.
Due
sorelle, un uomo, la scelta, la morte. Sembrava essere un circolo
vizioso a cui
purtroppo nessuno poteva sfuggire e mi chiesi se quella non dovesse
essere la
fine anche della mia storia.
Guinever sbatté le palpebre munite di lunghe
ciglia e rivolse un sorriso divertito al mezzo vampiro di fronte a lei
con
ancora stretto in mano il suo cuore, perfettamente al sicuro tra le sue
costole.
“Io sto ancora scontando la pena per il mio gesto.
Tu non ne sei capace, sei troppo uguale a lei”
sussurrò e con la punta dei piedi si sporse per sfiorare la
guancia rasata di
Chris e dalle labbra semisocchiuse iniziò a scorrere un
rivolo di sangue.
Adesso che non erano più vampiri ma mezzi vampiri, il dolore
delle costole che
si spezzavano doveva farsi sentire.
Il mezzo vampiro dai lunghi capelli castani fece
riemergere la mano dallo strato rosso di sangue e lasciò in
pace il cuore di
Gwen che riprese lento la sua indomabile corsa.
Chris alzò gli occhi al cielo forse reprimendo
l’istinto di ucciderla nuovamente mentre la mezza vampira
contava i danni che
si era procurato al vestito sporco del suo stesso sangue.
“Accidenti a te, Chris! Ora dovrò mandare il
vestito in tintoria!” si lamentò sbattendo il
tacco della scarpa contro il
parquet.
“Attenta Guinever, la gelosia ti ha reso la pelle
verde come un rospo” la provocò Colin che con
innocenza quasi fanciullesca le
rivolse un sorrisetto pestifero.
La mezza vampira sembrò ricordarsi della nostra
presenza e ci rivolse uno sguardo entusiasta come se avesse trovato un
modo per
sconfiggere la noia dopo la zuffa con il suo collega.
Gwen si avvicinò picchiettando i tacchi. Ormai la
sua ferita si era rimarginata quasi del tutto. Sembrava innaturale come
riuscisse a risanare una ferita più in fretta di un
qualsiasi altro vampiro,
merito probabilmente del codice genetico modificato.
“Io ti conosco. Tu sei il figlio di Anya e Roland
se non mi sbaglio. Ricordo i tuoi genitori, strana storia la loro. Tu
sei il
nipote del caro e vecchio Frederick. Tu sei il bambino nato al
contrario”
Un sorriso glaciale si espanse lungo tutto il suo
viso mentre lo sguardo del rosso rimaneva fisso e immobile senza dare
la ben
che minima idea di sciogliersi. Poi si rivolse a Jim e Nicole.
“Piacere di rivederti Jim, ero sicura che venissi
a trovare Chris un giorno di questi, dopotutto è lui stesso
che ti ha trasformato
dico bene?”
Il biondo represse l’istinto di trucidarla con lo
sguardo per non essere sbattuto nuovamente contro la parete.
“In quanto a te, i soldati hanno parlato molto di
te. Ti chiamavano colibrì,
volevi
essere dalla nostra parte così da ottenere ciò
che volevi ma in realtà sapevamo
tutti che eri troppo buona per tradire i tuoi amici”
Le guance di Nicole si imporporarono di stizza e
solo il braccio possente di Jim riuscì a sbarrarle la strada
prima che andasse
a staccare la testa di Guinever a morsi.
Chris sbuffò e si massaggiò le tempie con una
mano
scostando i capelli lucidi e un sorriso sardonico tirò le
sue labbra sottili
sfoggiando il massimo del suo fascino. Evidentemente un’idea
diabolica doveva
avergli solleticato la mente.
“Penso sia arrivato il momento di farla finita.
Owen, Liam!” chiamò a gran voce e i due vampiri
che ci avevano catturato nel
sottosuolo fecero la loro comparsa nella sala scortati da una
cinquantina tra
mezzi vampiri e bambini. Molti dei mezzi vampiri erano
all’apparenza poco più
che dodicenni.
“Ahi carramba! E’ arrivata
l’artiglieria!”
pronunciò Jim giusto per sdrammatizzare la situazione.
La situazione stava precipitando e per di più
eravamo in inferiorità numerica. In uno scontro diretto
avremo avuto la peggio.
Eravamo disarmati visto che l’unica arma in nostro possesso,
il pugnale a due
lame, era misteriosamente scomparsa e l’incantesimo che
Bonnie conosceva era
inutilizzabile.
“Avrei dovuto ordinare il servizio in camera.
Adoro cena con spettacolo” snocciolò Gwen che
prese posto nel divano accanto ad
un annoiato Chris ancora in preda ai ricordi del passato.
La mezza
vampira era pronta per dare il segnale quando le due porte scorrevoli
poste una
dietro e una di fronte a noi si aprirono con un rumore metallico.
Temetti che fossero giunti altri rinforzi e che ci
avrebbero attaccato da dietro ed invece con mia enorme sorpresa
ricominciai a
respirare non appena incontrai i due zaffiri lucenti che mi perforavano
le
spalle.
E fu in quel momento che lo vidi. Un ragazzo.
Alto, con i suoi occhi grandi e azzurri come il mare in tempesta, i
capelli
corvini e il suo sorriso di sollievo dipinto sul suo viso. Strizzai
bene gli
occhi perché la mia mente mi imponeva di non credere a tutto
ciò che vedevo, di
non buttarmi tra le braccia dell’ennesima illusione. Ma io lo
conoscevo,
avevamo passato tanti momenti insieme, dal suo primo respiro sulla mia
fronte
all’ultimo bacio scambiato tra un addio e un ti amo. Era come
se qualcosa
dentro di me mi dicesse che quel ragazzo c’era sempre stato
nei più remoti
passati e ci sarebbe stato sempre nei prossimi futuri. Inspirai
profondamente
inebriandomi dell’aria così pura e fresca, non
distaccando il mio sguardo da
quello di lui.
Quello, sentire quella strana sensazione di
benessere incunearsi fin sotto i tessuti. Amore. Ecco cosa vidi in
Damon la
prima volta che lo rividi.
Corse verso di me e sembrò che la distanza tra noi
si fosse annullata prima del previsto, come se al posto dei piedi
avesse delle
ali agili e scattanti.
I muscoli del suo corpo, i lineamenti, gli zigomi
erano molto più marcati così come i tendini
tirati e sottopressione.
Il suo corpo era pura roccia e per un attimo ebbi
l’impressione di abbracciare una lastra di marmo.
Ma io l’amavo e il tenerlo tra le mie braccia era
molto più di quanto potessi desiderare.
Ebbi il tempo di scorgere anche la figura di uno
Stefan trafitto dal dolore e inflessibile come l’acciaio
stare dritto alla mia
destra in posizione di attacco. Alla mia sinistra una Michelle
più che viva
stava prendendo posto, con i capelli arruffati e un guanto da
combattimento
rotto.
“Volevate
iniziare lo scontro senza di me?” domandò
sarcastica una voce dinanzi a noi.
Colui che ad occhio e croce doveva essere Drake,
entrò in jeans e canotta bianca, con aria spavalda
sfoggiando un sorriso a
trentadue denti in contrasto con la pelle abbronzata e i capelli biondo
grano.
I bicipiti scolpiti lasciavano intendere che non stava più
nella pelle
nell’iniziare il combattimento.
“Mi hai tolto quasi le parole di bocca”
ribatté
Damon inarcando un sopracciglio e incuneando le labbra nel suo solito
sorriso
obliquo.
E fu lì che capì la differenza.
La pelle intorno agli occhi incominciò a sfaldarsi
e il sangue ad affluire sempre più forte alle orbite
rivestendo così l’occhio
di una patina rosso scuro in contrasto con il blu dei suoi occhi.
Sbarrai lo sguardo ancora immersa nello stato di
shock in cui ero sprofondata alla vista dei canini taglienti che
fuoriuscivano
dalle labbra che un tempo avevano baciato le mie con ardore.
Fui percorsa da una paura sviscerante che mi fece
aggrappare maggiormente al suo corpo come se fosse una roccia
incorruttibile.
Scostai i capelli e posai la guancia contro il suo
torace e l’orecchio destro nel suo cuore.
Silenzio.
“Paparino è ritornato per l’inizio dei
giochi”
sibilò digrignando i denti da vampiro che tanto li erano
mancati.
***
Buonsalve effeppiani,
tra un poì
parto in vacanza ma non potevo non
lasciarvi un capitoletto giusto per farvi stare in ansia per tutto il
periodo
estivo (lo so, in questo periodo sono più sadica del
solito). Dunque dove
eravamo rimasti? Il rapporto amore-odio tra Guinever e Christopher
è stato
spiegato e finalmente ha fatto la sua comparsa tramite flashback
Winnifred,
eterno amore di Chris e Drake e sorella di Gwen, artefice della sua
morte e
dell’esistenza dei mezzi vampiri. Volevo che Guinever
apparisse spietata ma al
tempo stesso affascinante e che catturasse i vostri cuori proprio per
la sua
crudeltà. Serviva un vero cattivo alla storia! Per quanto
riguarda Bonnie, la
magia di Gwen e il cimitero se ne parlerà più
avanti ma vi posso dire che le
Bennet non c’entrano più xD Jim e Nicole si sono
visti poco in questo capitolo
ma avranno un ulteriore spazio in seguito, così come Colin e
il suo rapporto
con la sorella Michelle che finalmente è comparsa insieme ai
due Salvatore.
Domanda: come ha fatto
Damon a tornare vampiro? Ovviamente questo si
scoprirà
nel prossimo capitolo, perché a Within a man’s
heart c’è sempre un perché accadano
certe cose! Altra
domanda: Elena come reagirà? Avete visto che
era
particolarmente scossa nel non sentire più il suo cuore che
tanto amava e che
tanto li aveva resi umani. Le risposte alle vostre domande le troverete
sicuramente nel prossimo capitolo che confido di postarlo verso i primi
di
agosto, ma vi lascio una
piccola anticipazione: la battaglia vera e propria sta
per cominciare e come ogni battaglia che si rispetti ci saranno dei
caduti. Uno
di loro troverà la morte per mano amica o nemica.
Con questo concludo
ringraziando tutti voi per le
recensioni e non esitate a dire la vostra, sono ben accette critiche e
consigli
;D
Altra
informazione di servizio: se volete sapere
di più sulla storia e soddisfare la vostra
curiosità con qualche piccolo
spoiler o volete sapere chi sono gli attori che interpretano i
personaggi
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Sil
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Capitolo 31 *** 29 - WHO'S NEXT? ***
29
– WHO’S NEXT?
I canini di Damon scintillarono alla luce del
lampadario di quel salotto e l’azzurro delle iridi fu
offuscato da un grumo
denso di rosso che inghiottì del tutto il candore delle sue
orbite, così come
le finissime intelaiature di capillari sporgenti
tutti’intorno ai suoi zigomi.
Non era di certo la prima volta che vedevo Damon
nella sua forma originaria di vampiro, ma quello spettacolo
raccapricciante bastò
per aggrovigliarmi le viscere e farmi tremare fino al midollo.
Il mio cuore tacque per qualche secondo, barcollò,
indeciso se unirsi a quello del suo consorte e quindi fermarsi
definitivamente
oppure continuare a singhiozzare; alla fine, palpitò
malinconico non potendo regolare più i
propri battiti con quelli di Damon.
Quell’emozione, che ostinava il mio cuore a
battere, non era né tristezza, né rabbia. Sapevo
fin dal giorno in cui Damon
aveva riacquistato la sua umanità che avrebbe fatto di tutto
per ritornare vampiro,
avevo giurato solennemente di aiutarlo in questa sua impresa, avremmo
trovato
una cura se questo era veramente ciò che desiderava
– glielo dovevo.
E poco importava le mie febbrili manie di averlo
tutto per me, la mia tranquillità nel riconoscere me, umana,
in lui adesso così
simile a me. Avrei dovuto lasciare andare il mio morboso egoismo e
lasciare che
Damon ritornasse quello di una volta, padrone indiscusso delle tenebre.
In fondo, era come se Damon fosse nato per
diventare un vampiro.
No, la mia era solo nostalgia, acuta e profonda
nostalgia: era triste il posare la mano sul suo petto e non sentire
rimbalzare
in suo pettorale dall’interno, era triste abbracciarlo e non
sentire il ripercuotersi
del suo cuore affaticato, era triste non poterne contare più
i battiti.
Damon era stato umano per ventidue anni e tre
mesi, un arco di tempo relativamente breve in confronto ai suoi ben
centosessantaquattro anni da vampiro.
Ma chi potevo essere io per non volere il suo
bene? Ancora oggi penso a come le cose sarebbero andate se avessi
parlato prima
a Damon della mia venerazione per il suono del suo
cuore…probabilmente avrei
commesso un grave errore, ancora avrei Damon accanto a me con il viso
lineato
da finissime rughe e gli occhi blu puntinati dalla fuliggine della
vecchiaia.
Ma chi poteva essere lui per non volere il mio di bene?
Damon notò la vivace esitazione da parte
dell’esercito di mezzi vampiri di fronte a noi, il dubbio che
aggrottava la
fronte di Guinever e che faceva schioccare la lingua di Chris.
L’unico che
sembrava non curarsi del ritorno di Damon vampiro era Drake che con
movimenti
decisi si stirava i muscoli così da essere pronto ad ogni
eventuale attacco.
Il neovampiro approfittò di questa loro
indecisione per lasciare momentaneamente il suo posto di battaglia in
prima
linea e indietreggiare nelle retrovie in mia direzione facendo un cenno
a Jim e
a suo fratello di rimpiazzarlo fino a quando la situazione si sarebbe
sbloccata, solo a quel punto si sarebbe gettato in battaglia ignorando
tutto e
tutti.
Mi sfiorò poggiando il dito sulla ferita
parzialmente cicatrizzatasi al di sopra del sopracciglio destro e quel
tocco mi
fece rabbrividire.
Pensai di prendere io la parola per stroncare
quella sua contemplazione quasi paradisiaca, in fondo avevamo poco
tempo e
troppo da dirci.
“Non è niente, ho sbattuto da qualche parte mentre
scappavamo dalla prigione” minimizzai e il solo ricordo della
corsa mi provocò
un dolore acuto alle caviglie indolenzite.
“Come…?” provai a dire ma le parole mi
morirono in
gola e per evitare di porre la domanda con la voce tremolante serrai
per bene
le labbra, sperando con tutto il cuore che il vampiro intendesse
ciò che stavo
per chiedergli.
Infatti Damon sgranò gli occhi e si accinse a
rispondermi a bassa voce, udibile solo da me.
“Ci hanno portati in una cella, Bonnie, Stefan ed
io. Stefan ha provato a spezzare le sbarre ma dovevano essere protette
con
qualche tipo di incantesimo o imbevute di verbena perché gli
si sono scottate
le braccia. Bonnie alla fine è riuscita a spezzare il
lucchetto della sua cella
e ad uscire fuori. A quanto pare la streghetta ci riserva ancora
qualche
rancore perché abbiamo dovuto supplicarla per tirarci fuori
di lì. Infatti
stavamo contrattando quando Michelle è venuta da noi. A
stento la riconoscevo,
è molto più donna di quanto ricordassi. Si
è scusata per ciò che mi ha fatto e
io ho evitato di prenderla a pugni. Le abbiamo chiesto se esistesse
qualche
cura ma lei non era a conoscenza di nessun antidoto capace di
riportarmi
vampiro.”
Aggrottai le sopracciglia non riuscendo a
raccapezzarmi in mezzo al fiume di informazioni di cui mi stava
sovraccaricando. Come gli erano cresciute le zanne da un giorno
all’altro?
Damon comprese il mio dubbio e sollevò gli occhi
al soffitto maledicendo la mia squallida sagacia.
“E’ stato il mio fratello alias genietto incompreso
a capire il modo: Colin aveva detto che qualsiasi altro mezzo vampiro
avesse
tentato di trasformarmi, donandomi un po’ del suo sangue,
avrebbe causato
sicuramente la mia morte; il provare la trasformazione di vampiro
tradizionale
era troppo rischioso perché questo non poteva garantire la
mia sopravvivenza
dopo aver ingerito sangue di vampiro. Ma nulla vietava di ingerire il
sangue di
colei che mi aveva tramutato nuovamente in un umano. Perciò
dopo aver discusso
per un buon quarto d’ora con miss schizofrenia alla fine si
è decisa di mordere
prima Stefan per far entrare in circolo nel suo organismo sangue di
vampiro e
poi mi ha dato una cannuccia per godermi il mio drink”
L’ironia sottile di Damon sembrava essere
inappropriata per quella situazione, segno evidente
dell’amplificazione della
personalità che si manifestava in tutti i neovampiri.
“Ormai ero così abituato alla morte che non mi ha
fatto male. Il sentire lo scrocchio del collo che andava in frantumi,
quello
sì”
Spostai gli occhi da quelli di Damon e abbassai lo
sguardo sul suo petto, tra le costole, in mezzo ai due polmoni.
C’era un cuore
lì, una volta.
Diedi un fugace sguardo ai mezzi vampiri
schieratisi nella parte opposta del salone. Chris stava tutto piegato
su
Guinever come se stessero discutendo animatamente di qualcosa pur non
muovendosi di un solo centimetro e così li imitavano anche
gli altri esponenti
dell’esercito, compresi Liam e Owen, i due che ci avevano
catturati al nostro
arrivo.
“Delusa?” chiese con voce tremolante e
cercò di
catturare nuovamente i miei occhi per il momento occupati dai mezzi
vampiri.
Alzai lo sguardo stralunato e sentii gli occhi
bruciare e le guance impallidire alla consapevolezza di quella domanda.
Mi inumidii le labbra e schioccai la lingua non
sapendo se rispondere e prolungare quel momento di pace oppure
rinfacciargli la
gravità della situazione e della battaglia che incombeva
sulle nostre teste.
“Piccioncini, non so se ve ne siete accorti ma qui
davanti c’è una guerra in corso”
borbottò Nicole al fianco di Jim il quale
aspirava l’ultima boccata da una sigaretta ormai ridotta allo
stremo e che si
accingeva a spegnerla sul divano in pelle accanto a lui, attirando su
di se gli
occhi assassini di Christopher evidentemente accortosi dello sfregio da
parte
dell’ex amico.
Le parole di Nicole mi riportarono alla realtà.
“Damon ne parleremo dopo di questo” mormorai e la
mano che si era partita per sfiorargli un ciuffo dei suoi capelli neri
mi
ricascò pesante lungo il fianco destro, incapace di muoversi
e ostinata ad
evitare ogni contatto, ma violentemente il vampiro me
l’afferrò così forte da
impedire al sangue di circolare liberamente oltre il mio polso.
“Lo devo considerare come un sì,
quindi?” mi
rimbeccò e non potei non catturare l’occhiata
ansiosa riservatami da parte di
Stefan sul presunto maltrattamento del fratello. Avrei dovuto chiarire
anche
con lui.
“Lo devi considerare come una promessa, che almeno
uno di noi due sopravvivrà. E io so già
chi”.
Quelle parole suonarono così chiare e confortanti
a me da impedirmi di scorgere il rancore e l’odio di cui si
erano nutrite per
ferire Damon nel profondo.
Non era forse un’esplicita risposta, come se
avessi condannato la mia condizione di umana e avessi dichiarato la mia
sicura morte
mentre lui invece sarebbe rimasto un vampiro? Sicuramente urlargli un
sì
sarebbe stato meno doloroso.
Una chioma arancione fece capolino tra me e Damon.
“Bentornato signor Damon” snocciolò
Colin il quale
adesso sembrava raggiungere almeno in punta di piedi la spalla di
Damon. I suoi
occhi grigi mi squadrarono ed ebbi l’impressione che mi
stessero accusando di
qualcosa. Poco importava, avevo voglia di uccidere qualche mezzo
vampiro e alla
svelta.
“Felice di rivederti anch’io Roger
Rabbit” lo
salutò Damon frizionandogli i capelli e sospingendolo verso
le prime file dove
anche lui si accingeva a seguirlo.
Nei suoi bermuda a scacchi e la sua polo blu scuro
con il colletto alto, Damon conservava ancora un po’ di
quell’umanità che per
tre mesi mi aveva accompagnato e che adesso tuttavia non riuscivo a non
vederla
in lui.
Qualcuno mi sfiorò un braccio e dal tocco morbido
e delicato non ebbi il bisogno di voltarmi per sapere chi fosse.
“Tranquillo, Stefan, sto bene” soffiai tutto
d’un
fiato onde evitare ripensamenti.
Il vampiro dagli occhi verdi allontanò il braccio
per poi intralciare la mia visuale con un sorriso sornione seppur gli
occhi
erano velati di malinconia.
“Dove va una guerriera senza la sua arma?” chiese
ironico facendo scivolare tra le mie dita un oggetto sottile e al
contempo
compatto le cui schegge di legno mi graffiarono i polpastrelli sudici.
“Non credo di andare troppo lontano con un
semplice paletto” m’imbronciai credendo
all’ennesima malefatta di Stefan per
accontentarmi e contemporaneamente proteggermi a tutti i costi
dall’infuria
della battaglia.
Il vampiro inarcò un sopracciglio e si rigirò il
paletto tra le mani facendomi osservare la punta acuminata da cui
fuoriusciva
una sottile lama argentata: era un pugnale rivestito interamente in
legno.
La mia fronte si stropicciò e un lieve dubbio
sorse tra le mie iridi color nocciola.
“Da quando in qua mi mandi a combattere mettendo a
repentaglio la mia vita?” domandai ed ebbi il timore che in
fondo adesso che
stavo con Damon per lui era una liberazione. In fondo, non ero
più roba sua.
“Da quando ti ho vista per la prima volta e ho
capito che ti avrei amato ogni giorno della mia vita immortale e non
importa
cosa tu voglia fare, con chi voglia stare, purché sia questo
ciò che vuoi sono
disposto anche a lasciarti uccidere dei mezzi vampiri. Anche tu hai
delle vite
da proteggere e la paura di perderle”
Arricciai il naso e inghiottii il groppo amaro che
mi si era incastrato in gola impendendogli così di risalire
fino agli occhi.
Stefan mi aveva lasciato sempre prendere le decisioni da me, anche le
più
pericolose perché da testarda come sono era impossibile
farmi cambiare idea.
Eppure questa volta era diverso, non ero stata io a supplicarlo di
combattere,
non ero stata io a richiedere un’arma. Mi accorsi che in
fondo al cuore anche
lui soffriva, molto più di noi, che il suo povero cuore di
vampiro avrebbe
voluto palpitare nuova vita per continuare ad essere al mio fianco. Ma
cosa
poteva farci se il suo cuore era muto mentre i battiti di Damon
continuavo a
percepirli a fior di pelle.
Soffiò leggero le lacrime che stranamente mi
avevano rigato le guance e poggiò le sue labbra sulla mia
fronte per poi
lasciarmi e posizionarsi accanto al fratello, entrambi occupavano la
stessa
posizione.
I mezzi vampiri notarono le nostre posizioni e si
accinsero a sistemarsi anche loro in posizione di attacco con Drake che
adesso
prendeva posto insieme agli altri esponenti della Triade.
“Scusa tesoro, avevo dimenticato di puntare la
sveglia per l’ora della battaglia” disse aprendosi
in un sorriso beffardo
rivolto a Gwen mentre i suoi occhi grigi facevano da contrasto ai
capelli color
grano.
“Come sempre Drake, arrivi nei momenti meno
opportuni” mugolò Chris mentre liberava i bottoni
dei polsini dalle asole così
da rigirarsi le maniche della camicia fino ai gomiti.
Guinever scoccò le labbra accese da un rossetto
rosso fuoco e piantò i suoi occhi su di noi.
“I signori qui presenti cercavano una cura per il
loro amico umano che ha subito un incidente di percorso con la nostra
Michelle.
Ma a quanto vedo hanno già risolto il problema”
Il suo sguardo sembrò trafiggere in pieno petto
Michelle che stava a pochi centimetri dalle spalle possenti di Damon
tanto che
della sua minuscola figura si potevano scorgere soltanto la bandana
multicolore
e i due grandi occhi grigi ricoperti da uno strato più
spesso di mascara.
“Come si dice Milady
chi fa da se fa per tre” asserì sprezzante Damon
inarcando furbescamente un
sopracciglio e l’occhiata disarmante del vampiro dagli occhi
blu sembrò far
sciogliere la mezza vampira in un sorriso da gattina innamorata.
Il loro contatto visivo fu troncato di netto
dall’intrusione di Drake.
“Dunque anche dei disertori nel nostro esercito.
Non sta affatto bene” e Drake fulminò con uno
sguardo Liam e Owen,
evidentemente i capi di quella legione di soldati.
L’intraprendenza di Michelle si fece nuovamente
viva e incassata la dura umiliazione uscì allo scoperto
distanziando la nostra
formazione di parecchi passi, avanzando a grandi falcati in direzione
della
Triade. Adesso tizzoni di lava ardevano tra il suo grigio argentato,
rendendoli
quasi neri, come pece bollente – gli occhi di suo padre.
“Disertore? Direi piuttosto liberatore! Sappiamo
tutti la vostra squallida storia d’amore, le gelosie che vi
uccidono dal
sorgere del sole fino al calare delle tenebre, sappiamo
l’animo di voi e ogni
vostra singola debolezza. Ci avete utilizzati, massacrati, trattati
come tanti
pezzi di carne, ci avete ridato metà della nostra
umanità, per cosa, per
questo? L’essere un mezzo vampiro è già
un disonore e non vogliamo che altre
persone diventino ciò che la vostra rabbia e la vostra
gelosia ha dato luce.
Avete decimato le nostre famiglie, reso schiavi figli e figlie, ucciso
i vostri
genitori, detto addio ai vostri fratelli e sorelle, per cosa, per far
parte
dell’esercito dei più forti, per far si che la
razza umana non esista più? I
miei genitori rimpiangevano di essere stati tramutati in vampiri ma pur
di non
ricevere nuovamente l’umanità a loro sottratta
hanno rinnegato la loro
non-vita. Non diventiamo quei mostri che tanto abbiamo odiato,
perché i vampiri
in confronto a noi sono dei gran signori. Poniamo fine a questa insulsa
guerra,
e schieratevi non dalla parte dei più potenti ma da quella
da dove siete
venuti”
Le parole di Michelle avevano radicato nelle menti
dei mezzi vampiri e alcuni di loro si guardavano incerti, altri
ringhiavano,
altri ancora si facevano spazio per osservare chi avesse pronunciato
quelle
parole. Parole di un capo, di un leader, parole di chi ha subito gravi
danni e
ingiustizie, parole di un conservatore, parole che lo stesso Frederick
avrebbe
detto ai Ribelli della Cascina.
“Questa è mia sorella” esultò
Colin alla mia
destra cercando di attirare l’attenzione di Bonnie,
apparentemente distratta.
“E chi saresti tu per dirlo?”
Si levò una voce dal gruppo di soldati, e Liam
balbettò qualcosa nell’orecchio di Drake.
Michelle gonfiò le guance, prendendo fiato prima
di dar voce alla sua presentazione.
“Sono la sorella di mio fratello, la figlia di mio
padre, sono Michelle e il mio posto è e sarà
sempre con i Ribelli”
Per un attimo il mio cuore si riempì di tristezza
all’idea che Michelle pensasse che il suo vero padre fosse
Roland, non sapeva
che il suo padre fosse il leader dei Ribelli e probabilmente non
l’avrebbe mai
saputo.
Alcuni gruppi di mezzi vampiri tentarono di
sfuggire dalle righe della loro legione ma i soldati delle prime file
si
avventarono ferocemente contro di loro, cavandogli il cuore dal petto e
pugnalandolo
con sottili proiettili di legno rivestiti di piombo.
Solo pochi superstiti riuscirono a raggiungere la
nostra parte ma quei pochi bastarono per far sembrare il nostro
esercito
addirittura più numeroso.
Guinever guardò con superficialità i resti dei
copri mutilati.
“Pazienza, dirò alla cameriera di smacchiare il
tappeto” disse con noncuranza e questo accese gli sguardi di
Drake e di Chris
già pronti a sfoderare le loro zanne.
Mi risistemai la coda di cavallo, impugnai la mia
arma con la paura che mi sfuggisse dalle dita e deglutii rumorosamente
in modo
tale che le orecchie di Damon udissero il mio sibilo impaurito.
Nicole si accasciò a terra massaggiandosi lo
stomaco e le tempie, in preda a un profondo capogiro.
Fece cenno a Jim di non muoversi dal suo posto
mentre lei indietreggiò fino a schierarsi con noi nelle
retrovie.
“Tutto bene Colette?” chiese il rosso preoccupato
come me delle condizioni di salute della mezza vampira.
Nicole scosse la testa in senso di approvazione
mentre con il dorso della mano si asciugava la nuca e il collo carico
di
sudore.
Ad un cenno di Drake i mezzi vampiri si mossero
con il sincronismo di un branco di lupi, la velocità di
mille ghepardi e la
ferocia di veri vampiri.
L’impatto fu intenso, pari ad un rimbombo di
tuono; la battaglia era iniziata.
Ebbi appena il tempo di serrare la le dita intorno
l’impugnatura della mia arma che mi ritrovai sbalzata per
terra, alcuni metri
distante dai miei compagni di squadra, i quali tutti tranne Bonnie
erano
impegnati nella lotta corpo a corpo con altri mezzi vampiri.
Osservai gli occhi grigi dell’essere che scoprii
dopo pochi secondi essere una donna: le orbite bianche erano spumose
così come
la schiuma che le fuoriusciva dalle fauci spalancate e pronte ad
affondare i
loro denti sulla mia carne. Evidentemente il loro primo intento era di
trasformare me, ancora umana, in una di loro sperando così
di ottenere un’alleata
in più.
Il suo peso mi bloccava le gambe, dal ginocchio in
giù, tanto che credei di aver perso la loro
sensibilità.
Più mi dimenavo, più mi sentivo imprigionare
all’interno delle sue grinfie, mi sentivo muovere come
un’anguilla sotto le sue
mani che avevano uncinato le mi scapole nude.
Avrei potuto urlare, avrei potuto chiedere aiuto,
sicuramente Damon sarebbe accorso in mio aiuto, o Stefan, o Colin,
sapevo che
non mi avrebbero lasciato lì, eppure non lo feci.
Perché mettere a repentaglio la vita di più
persone quando ne avrebbero potuto perdere solo una?
Ripresi velocemente lucidità e lottai con la mezza
vampira dai corti capelli biondi affinché potessi ribaltare
la situazione così
da prenderne io il comando.
Ma il bianco fece posto ben presto ad un grigio
intenso e il suo sguardo m’inchiodò al tappeto sul
quale eravamo riverse.
Catturò un lembo della mia psiche e quel tocco,
insufficiente per soggiogarmi, fu la scintilla che mi diede lo slancio
per
liberare le caviglie e incrociare le anche sulla vita della mezza
vampira e con
un colpo di reni ribaltai le posizioni.
Il mio cervello cercò subito il comando della mano
e solo dopo che il paletto perforò la carne mi accorsi
dell’azione appena
compiuta.
Il movimento infatti era stato così simultaneo al
pensiero che non avevo preso bene la mira e invece di trapanargli il
cuore le
avevo semplicemente forato un polmone.
La mezza vampira sputò sangue e si lamentò al
contatto con la lama d’acciaio e le schegge di legno.
Parve calmarsi per un momento, ma non appena
rovesciò gli occhi all’indietro e
spalancò nuovamente la bocca non ebbi
esitazione: feci scorrere le mie mani sul sangue viscido e estratto il
paletto,
seguito da un lamento della vittima, lo cacciai dentro con tutta la
forza che
le mie braccia mi diedero.
Il tempo di estrarre la mia arma e la mezza
vampira era già morta: gli occhi cerchiati di viola, la
pelle incredibilmente
pallida e sottile, gli occhi grigi screziati di verde.
Mi alzai pulendomi col dorso della mano la guancia
sporca del sangue della mezza vampira e cercai con gli occhi la mia
prossima
vittima. Il mio sguardo cadde sulla Triade che come se fossero
completamente
estranei al combattimento amoreggiavano appartati in un angolo della
sala,
minacciandosi con gli occhi, dandosi morsi anziché baci,
sembrando più dei
ragazzini che dei nemici sanguinari.
Una testa mozzata rotolò fino ai miei piedi e
notai che proveniva da Jim il quale per nulla scompostosi stava
massacrando un
mezzo vampiro dopo l’altro, con una precisione
così accurata che se non lo
avessi conosciuto mi avrebbe fatto venire i brividi. Aveva gettato di
lato gli
occhiali rotti, ormai del tutto inutilizzabili, e nella pausa tra un
nemico e
un altro si aggiustava le ciocche bionde dietro l’orecchio
controllando se
fosse rimasta ancora la mezza sigaretta che aveva deciso di non fumare
tutta. A
volte gettava delle occhiate preoccupate a Nicole ma poi ritornava a
piantare
paletti notando che la sua amata se la cavava alla grande. Infatti
Nicole
nonostante i continui malori che la obbligavano a prender fiato ogni
minuto
aveva fatto fuori un gran numero di mezzi vampiri, facendo oscillare
violentemente la coda riccioluta che come una lama sbalzava i tre mezzi
vampiri
che in quel momento la stavano attaccando contemporaneamente. Ma i suoi
denti
ben affilati erano molto più famelici dei loro e in un
battito di ciglia già
due dei mezzi vampiri erano a terra agonizzanti. Cercai Colin e mi
accorsi che
non stava lottando ma, la sua maglietta non era sporca di sangue ma
cercava di
intercettare i mezzi vampiri per farli cadere all’interno del
campo magnetico
che Bonnie aveva creato così da fulminarne i neuroni e
lasciarlo a terra del
tutto immune. Era la prima volta che vedevo Bonnie e Colin collaborare
e la
cosa mi piacque. Non potei di certo dire la stessa cosa per Damon e
Stefan i
quali si trovavano agli antipodi e con le spalle curve sulle loro
vittime,
accecati dalla voglia di uccidere e dalla rabbia, senza neanche curarsi
del
resto della comitiva o almeno così pensavo. Solo dopo mi
accorsi delle occhiate
fugaci che ognuno di loro a modo suo mi rivolgeva e rivolgeva agli
altri.
Un altro nemico mi colse di sorpresa alle mie
spalle ma stavolta l’adrenalina mi preparò a
combattere e impugnata l’arma ne
feci fuori due, tre, quattro finché quando feci ricadere il
corpicino di un
bambino dai capelli neri mi accorsi che quella era l’ultima
vittima ancora viva
in quella stanza.
I miei occhi accecati dalla felicità per la
vittoria intercettarono quelli di Damon che seppur distanti causa il
litigio
pre-combattimento apparvero ancora più torvi e preoccupati
di prima. Non
avevamo ancora vinto.
In mente mi balenò il pensiero che quello fosse
tutto uno stratagemma della Triade per farci stancare, per infiacchirci
così da
sconfiggerci più facilmente.
Osservai le carcasse di corpi accatastati sui
divani in pelle, agli angoli dei mobili. Il sangue si era rappreso
subito e
aveva assunto una colorazione nera tanto da sembrare liquame. Tra le
vittime
anche i mezzi vampiri che avevano deciso di schierarsi dalla nostra
parte, di
abbracciare la nostra missione.
I sopravvissuti erano soltanto Liam e Owen che
adesso prendevo posto al fianco di Drake, il loro capo.
A parità di condizione, eravamo noi otto i più
numerosi a confronto di loro che erano soltanto tre più i
loro generali per un
totale di cinque.
La risata sghignazzante di Drake si percosse nelle
pareti.
“Seriamente? Avete decimato il nostro esercito? Vi
prepariamo altri uomini o per oggi basta così?”
chiese spalancando la bocca in
una forma di finto stupore, quasi una sorta di denigrazione nei nostri
confronti.
“Ce l’avete posti su un piatto
d’argento” ammiccò
Damon in direzione del mezzo vampiro.
“Allora me lo pagherai tu il conto della tintoria”
latrò seccamente Gwen artigliandosi i fianchi con le mani.
“Con i tuoi soldi forse, Lady D?”
la rimbeccò di tutta risposta Jim il quale aveva
manifestato la sua antipatia nei confronti della mezza vampira fin
dall’inizio.
Ma a quel punto Drake sembrò non aver più voglia
di scherzare.
“Frena la lingua, King Kong” e detto questo pose
fine alla conversazione freddando il biondo con uno sguardo.
L’aria là dentro era divenuta irrespirabile:
carcasse erano accatastate agli angoli della stanza, dietro ai mobili e
sparsi
sul pavimento; il caldo del pomeriggio incombente minacciava di farsi
largo
oltre l’ampia finestra della sala, irradiando i presenti di
luce dorata.
Damon era avvolto da quei fasci dorati e per un
attimo ebbi paura che il sole lo scottasse, che si trasformasse in
fiaccola
vivente lì in mezzo a tutti noi, prendendo fuoco e
tramutandosi in cenere.
Fui ben grata a Bonnie per il suo incantesimo
all’anello, a quell’anello che era stato creato
dalla sua antenata quando era
divenuto vampiro la prima volta, che era stato trasformato dalla mia
amica
quando aveva ottenuto nuovamente la sua umanità e che adesso
neutralizzato il
nuovo incantesimo continuava ad esercitare la sua funzione primordiale.
Eppure il pensiero di Damon impotente di ritornare
nel mondo dei vivi una volta morto angosciava i miei pensieri.
In quel momento alzò lo sguardo e mi rivolse un
sorriso genuino, uno di quelli che mi aveva regalato nelle ultime
settimane
quando ormai il Damon vampiro era solo un ricordo. Ma in fondo ero
consapevole
del fatto che quel sorriso, quei suoi sguardi, quei suoi modi di fare
non erano
diversi da quelli compiuti quand’era umano e
quand’era vampiro. Dovevo cercare
di mettermi in testa che io amavo Damon, non l’umano, non il
vampiro…semplicemente lui, con i suoi pregi e i suoi difetti.
Ad un tratto l’occhiata serena si tramutò in
orrore.
Gli occhi bluastri si striarono di rosso e le increspature agli angoli
delle
palpebre si rizzarono come il pelo di un gatto.
C’era qualcosa che aveva scatenato quella reazione
di terrore in Damon e quel qualcosa era proprio alle mie spalle.
Fu solo un secondo e Michelle si ritrovò con un
paletto conficcato in pieno petto: né il cuore,
né i polmoni erano stati
alterati, il legno si era piazzato all’interno della trachea
e saldato al
pavimento.
Al suo fianco Liam, il soldato di Drake, osservava
ancora la sua vittima agonizzante.
Damon si precipitò, con il pugno ben parato pronto
per sferrare un colpo al mezzo vampiro il quale, molto più
veloce e agile,
evitò facilmente il colpo del vampiro e lo
disarmò con un calcio del paletto di
legno di cui si era munito.
“Non sei tu il pazzo della dichiarazione d’amore?
Vuoi forse fare altre scenate?” chiese e i radi peli neri
sulla sua guancia
sembrarono torcersi insieme al suo sorriso.
Colin intanto era sgusciato via e con passo da
ghepardo arrivò ai piedi della sorella estraendo il paletto
ma tutto ciò fu
inutile: l’arma – metà di legno,
metà di metallo - era congegnata per spezzarsi
quando si sarebbe osato sfilarla.
Le urla della povera Michelle gorgogliavano nella
gola di Colin.
“Michelle, proverò ad estrarlo ma tu devi stare
ferma” buttò Colin nonostante la voce gli tremasse
e gli occhi fossero accesi
da apprensione.
Colin, che era sempre stato calmo e di sangue
freddo, adesso stava tremando di paura, non sua ma per quella di sua
sorella.
Le labbra della mezza vampira erano impregnate di
sangue così come le guance erano rigate da profonde lacrime.
I suoi muscoli si contorcevano mentre le mani del
fratello tentavano di estrarre la restante metà
dell’arma.
“Ma fa male!” cacciò un urlo e la voce
da
squillante cominciò a farsi rauca e sempre più
flebile.
Non c’era modo di prelevare la lastra di legno e
metallo incastrata per bene al pavimento.
Questione di minuti e Michelle sarebbe morta per
una causa del tutto naturale: dissanguamento. La sua metà
umana avrebbe avuto
la meglio.
Damon si dibatteva, spintonava il mezzo vampiro
cercando di arrivare il prima possibile accanto a Michelle. Che in fin
dei
conti provasse davvero qualcosa per lei? No, la verità era
che il suo sangue
così come gli aveva donato la vita gliel’aveva
tolta trasformandolo nuovamente
in un vampiro. Era metà del suo sangue quello che era
riuscito a rievocare la
sua natura di vampiro assopita in lui. Perché
così come me, in fondo, glielo
doveva.
“Michelle non piangere” balbettò Colin
con la voce
rotta dal pianto e il naso leggermente gocciolante, con le mani sporche
di
sangue che si accingevano ad accarezzare le guance della sorella.
“Scusa per quello che ho fatto a mamma e papà,
abbiamo perso tutt’e due i genitori in una volta
sola” gracchiò con gli occhi
grigi striati appena di nero, un nero scuro, profondo ma che non
incuteva
timore, occhi che sapevano guardare lontano e che mostravano cicatrici
di
inchiostro. Anche Frederick aveva avuto gli occhi neri.
“Diglielo Colin, che lo sappia prima di morire”
borbottò
Jim dallo sguardo torvo e al contempo afflitto: odiava veder morire i
suoi
commilitoni.
Osservai che Colin non era il solo scosso da
singhiozzi, anche le mie spalle sussultavano mentre gli occhi mi
pungevano e
anche Nicole, seppur non l’avesse conosciuta prima, piangeva
come se lì per
terra ci fosse stata la sua di sorella.
“Quando papà ti ha detto che non era tuo padre in
realtà voleva dire-” snocciolò Colin
con gli occhietti stropicciati e il naso
arrossato per il pianto ma venne interrotto da un sibilo di Michelle
che voleva
indicare di fare silenzio.
“Non importa. Quel giorno tu hai perso un padre e
una madre, io solo due persone a cui volevo molto bene”
Le guance erano quasi del tutto scarne, gli occhi
cerchiati da chiazze bluastre, lo sguardo lucido e febbricitante.
Damon aveva incassato un paio di colpi e
altrettanti ne aveva dati a Liam.
“Era un disertore, non si poteva fare altrimenti”
mormorò e quasi pensai di intravedere in quelle parole
impastate una linea
flebile di dolore e di tristezza.
Colin respinse le lacrime che già erano cadute a
sufficienza sul corpicino della sorella, e con la fermezza che
ritrovò per
pochi minuti le aggiustò la bandana e i capelli
impiastricciati di sangue, le
sistemò l’unico orecchino e le collane dalle mille
piume colorate schizzate
oramai di rosso.
“Stai per tornare a casa, Michelle”
mormorò
all’orecchio di Michelle lasciandole una piccola goccia
salata sull’occhio
destro semisocchiuso.
Michelle esalò l’ultimo respiro.
L’agonia stava
per finire.
Con le ultime forze aprì gli occhi e il suo sguardo
sembrò soffermarsi in un punto ben definito, oltre il
lampadario, oltre il
soffitto e il tetto…c’era il cielo tinto del rosso
del tramonto. E a Michelle
piaceva tanto il rosso.
Mi lasciai inghiottire in una voragine che durò
pochissimi secondi. Avevo paura, paura sino alle punte delle unghie. La
possibilità che la Triade potesse eliminare qualcuno di noi
oramai si era
tramutata in certezza.
“Era il nostro miglior soldato” sbraitò
Liam fuori
di sé dalla rabbia e i suoi occhi sembrarono lucidi, teneri
alla vista del corpo
di Michelle. In fondo anche loro avevano perso un degno combattente.
La rabbia furibonda imperversava negli occhi di
Damon così come in quelli di Colin, ormai del tutto privi di
lacrime, lucidi
solo di voglia di vendicarsi.
Quegli sguardi assassini erano rivolti tutti
contro il sorriso ironico di Gwen, la quale con il rossetto appena
sbavato e
solo qualche ciocca di capello fuoriposto osservava i presenti.
Ma a nostra grande sorpresa non fu lei a rompere
il silenzio.
“Chi è il prossimo?”
E Chris ci rivolse un’occhiata raggelante: non ci
sarebbe stata una sola vittima.
***
Buonsalve
carissimi,
dopo una stupenda estate torno a rompervi le scatole con questa
never-ending story u.u Ebbene si, con il prossimo capitolo in fase di
stesura siamo arrivati a ben 30 suonati capitoli (più il
prologo e l'extra) Tranquille l'agonia sta per finire, al massimo altri
cinque capitoli e tutto finirà, promesso. Dunque iniziamo
subito con la trasformazione di Damon. So che molti di voi avrebbero
preferito che Damon rimanesse umano anche perchè Elena era
proprio per questo che si era innamorata di lui e invece adesso sta
lottando con se stessa per accettare questa versione di Damon che prima
non riusciva a sopportare. Era necessario che vi fosse un altro vampiro
nel gruppo o se no sarebbero stati spacciati. Elena nel prossimo
capitolo capirà molte cose e alla fine prenderà
una decisione drastica che segnerà la fine del suo conflitto
interiore e che porterà alla morte (si avete capito bene)
morte di un altro personaggio. Come ha detto Chris "Chi è il prossimo?"
a voi la più libera immaginazione.
Ci tengo a dirvi che non sono sadica e non li uccido per il gusto di
farlo ma perchè ogni morte è la causa di un
particolare evento che ne causerà un altro. La morte stessa
di Michelle ha fatto in modo che Colin reagisse e allo stesso tempo
fare aprire gli occhi ad Elena&Co. della crudeltà
della Triade.
Michelle è stata come un messia per gli altri mezzi vampiri
e ha spinto i suoi compagni a combattere per un motivo in
più. La si può vedere come un'eroina e spero che
questa sua morte l'abbia riscattata da ciò che aveva fatto
in passato perchè sinceramente lei non aveva alcuna colpa.
La scena Stelena mi è sembrata doverosa aggiungerla
perchè ancora non si erano chiariti del tutto e Stefan da
saggio vampiro ha capito che per quanto avesse lottato lei voleva Damon
e quindi si è messo da parte.
Per il prossimo capitolo non vi anticipo nulla di più, solo
che ruolo centrala di tutta la vicenda l'avrà la magia e il cimitero
che avevano visto nelle prigioni. Che
ci sia qualcun'altro dietro tutto questo?
Grazie mille per quelle pochissime recensioni, mi piacerebbe sapere
però di più la vostra opinione.
un bacio,
Sil
|
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Capitolo 32 *** 30- YOU OWE ME A FAVOR, MATE! ***
30-
YOU OWE ME A FAVOR,
MATE!
Lo sguardo di
Chris ci inchiodò al pavimento e mi
resi conto che la loro sete di sangue non era stata ancora placata. Chi
sarebbe
stato il prossimo? Chi aveva osato infrangere le regole da loro
dettate? In
fondo tutti eravamo consapevoli di essere potenziali vittime, eppure i
mezzi
vampiri di fronte a noi sembravano avere un’idea ben precisa
di chi uccidere.
D’un
tratto Nicole si accasciò al suolo
artigliandosi il ventre e lo stomaco, brontolando conati di vomito che
tuttavia
non riusciva ad espellere.
Gli occhi allarmati di Jim la seguirono lungo
tutto il suo tragitto che si concluse con il tonfo sordo della mezza
vampira
sul pavimento rigido.
“Nicole” biascicò il biondo che si
precipitò a
reggere le esili spalle di Nicole, incurante delle mani incrostate di
sangue
che andavano a disegnare macchie rossastre lungo tutto il braccio di
lei.
“Che cos’ha?” mugugnò Colin
facendo scontrare le
proprie sopracciglia ramate le une con le altre e lanciandomi uno
sguardo che,
più che curioso, sembrava indagatore di una qualche
verità di cui era già a
conoscenza.
Nicole aspirò una boccata d’aria per poi
strozzarsi con l’ennesimo rigurgito di bile mista a sangue
che le otturava
l’esofago impedendole di respirare. Ma non era quello il vero
problema. Era un
male che proveniva dall’interno, che la divorava dalle
viscere del suo stomaco,
un dolore sempre più insistente che le trapanava il ventre.
La mezza vampira continuò a massaggiarsi la pancia
tentando di reprimere le numerose fitte che le storpiavano il viso.
Gli occhi rossi di pianto e grigi per natura
rintracciarono i miei, ma questa volta non per punirmi o per
mortificarmi: era
una richiesta di aiuto a cui non potevo non rispondere.
Il rosso accanto a me strattonò una ciocca dei
miei capelli per attirare la mia attenzione. Sentì il breve
tocco delle sue
dita a cingere i capelli annodati e la lieve pressione susseguitasi
all’altezza
del mio elastico, ma i miei occhi continuavano a dondolarsi tra
l’immagine di
una Nicole verdognola e al limite dallo svenimento e gli occhi turbati
della
Triade la quale più che infastidita
dall’imprevisto sembrava semplicemente
curiosa di scoprire quale male fosse capace di infliggere tanto dolore
a uno
dei nostri.
“Non lo so” balbettai decidendomi a rispondere alla
domanda di Colin ma l’effetto che ebbe fu del tutto diverso.
Le mie parole
apparsero vuote, prive di significato quando una semplice occhiata
sbilenca del
rosso mi fece capire che eravamo dei bugiardi entrambi.
Lo sapevo, eccome se lo sapevo.
“Sto bene, Jim!” arrancò Nicole
rimessasi dagli
accenni di vomito e piegandosi malamente sulle ginocchia per rimettersi
in
piedi mentre con le mani si sistemava la massa di capelli color mogano
sulla
camicetta sporca e logora.
“No che non stai bene. E in qualità di tuo
comandante ti obbligo ad abbandonare la lotta se non mi dici
sull’istante che
cos’era quel malore”
Jim la superò con la sua stazza da circa due metri
e gli occhi di ghiaccio sembrarono voler imprimere quella misera
autorità
militare che aveva ricevuto durante la vita alla Cascina.
I due amanti si guardarono in cagnesco per un
istante di tempo che parve interminabile, con
un’intensità pari ad un loro
bacio lungo ed appassionato.
Si sarebbero menati se non vi fossimo stati noi ad
assistere al loro litigio.
“E’ incinta, idiota”
L’impatto di quelle parole fu tale che per un
attimo rimbombarono contro i miei timpani, indecise se radicarvi
all’interno o
se uscirne.
I volti dei presenti si voltarono tutti verso la
fonte di quelle parole.
Le ampie spalle di Damon erano l’unica parte
visibile e solo il lento e regolare respirare davano l’idea
che fosse ancora
vivo e non si fosse tramutato in qualche statua o essere privo di
parola o
espressione. Il volto di Damon, con le sopracciglia nere corrucciate e
congiunte all’altezza degli occhi, rimaneva un mistero.
Lo immaginai con la vena sulla tempia destra
pulsante così come avevo imparato a scorgerla in lui nei
momenti di difficoltà,
gli occhi ancora fissi e puntati su Gwen, progettando chissà
quale vendetta
atroce nei suoi confronti, e le labbra strette in modo da reprimere un
profondo
disgusto per la surrealista situazione in cui ci eravamo imbattuti.
Quelle erano le caratteristiche di un Damon di
cattivo umore, con il quale, volente o nolente, avevo imparato a
conviverci.
Gli occhi vitrei di Nicole si rispecchiarono in
quelli abbastanza trasparenti di Jim il quale con accesa ira
schioccò la lingua
prima di scaraventarsi a velocità supersonica di fronte alla
figura granitica
del maggiore dei Salvatore.
Il biondo fu pronto a far atterrare il suo gancio
destro sulla mascella del vampiro, ma la lingua di
quest’ultimo fu più veloce
di qualsiasi altro pugno.
“Conviene che sia tuo il moccioso, perché non vedo
a chi potrei dare la colpa della nostra morte” gli
sputò contro con quanta
amarezza avesse in corpo.
E di quelle parole così cariche di ribrezzo non
poté che apparirmi ben chiara la parola morte.
Non la sua, questo lo avevo intuito.
Ma la mia imminente morte che lui non avrebbe in
alcun modo saputo evitare. La rabbia e l’elevato tasso di
acidità scaturiva
solo da questo.
Come se fosse stato in grado di leggermi nei
pensieri mi rivolse un’occhiata fuggevole carica
semplicemente di
un’indifferenza acuta tale da farmi perdere ogni briciolo di
autostima in me.
Stefan scosse la testa cercando di intrufolarsi
tra l’energumeno e suo fratello così da porre fine
ad un eventuale litigio che
sarebbe potuto scoppiare di lì a poco.
In tutto quel frangente Nicole, fiera e colma di
orgoglio fino alla punta dei capelli, non aveva mosso un singolo
muscolo,
rimaneva ancorata al suolo con lo sguardo ancora arcigno e i denti semi
scoperti mentre una mano cascava sul ventre ancora prevalentemente
piatto, ma
che si accingeva a gonfiarsi debolmente.
Più che teneramente poggiata, la sua mano sembrava
nascondere quel misfatto illecito quasi come se, effettuando una minima
pressione, quel debole gonfiore potesse scomparire e cancellarsi del
tutto.
Dopotutto le sue intenzioni erano state ben chiare
nel bagno dell’aeroporto quando accidentalmente le era
scivolato dalla borsa
quell’unico oggetto che attestava la sua irrimediabile
condizione. Mi aveva
fatto giurare di non dirlo a nessuno e quel pensiero era diventato
così piccolo
da essere una minuscola bollicina tra le mille idee che friggevano
nella mia testa.
Ma a quanto pare non ero l’unica custode di tale
segreto.
Colin si sporse oltre il mio braccio per osservare
la scena, ma aveva già perso interesse
nell’assistere all’ennesimo battibecco
di Jim e Nicole. Più che altro lanciava occhiate guardinghe
alla Triade che
sembrò rianimarsi alla notizia di un nuovo ospite
indesiderato.
Il rossetto intatto di Guinever sembrò
stropicciarsi appena e lasciare spazio al bianco dei suoi denti.
“A quanto pare Jim hai intenzione di mettere su
famiglia” insinuò con leggiadria e le sue parole
furono seguite da un debole
risolino di Chris e da una risata sguaiata di Drake.
Non vi fu alcun ordine da seguire o segnale comune
con cui doverci accordare. Nella mente di tutti i presenti
balzò l’idea che lo
scontro doveva continuare e che la tregua momentanea si era conclusa.
Una sferzata di vento gelido e ritrovai i corpi
dei miei compagni ammassati nella lotta, in un groviglio di fauci
spalancate e
calci ancora da scoccare.
Non ricordo se fossero le mie orecchie ormai
traumatizzate dagli infiniti colpi o il cozzare dei colpi sferrati dai
mezzi
vampiri a produrre il suono lugubre del martello picchiante
un’incudine.
“Stefan, qui!” gridò una voce che poco
più tardi
capì essere quella di Bonnie. Quasi contemporaneamente mi
ritrovai con le gambe
in aria, non più toccanti il terreno sottostante, e la mia
prospettiva cambiò
di molto.
Le mani che fino a pochi secondi prima cascavano
libere lungo i miei fianchi adesso erano strette contro il mio petto da
altre
braccia più forti che mi trattenevano impedendomi di
muovermi.
Ebbi l’istinto primordiale di sgusciare via da
quelle mani, dopotutto avevo ancora il mio paletto nella tasca
posteriore dei
miei pantaloncini: in un solo scatto avrei potuto prenderlo e
conficcarlo nel
cuore del mio aggressore.
“Calmati, Elena, siamo noi” annunciò con
fare
affrettato Bonnie la quale mi concesse un’occhiata fuggevole
sotto la fronte
madida di sudore mentre la cascata di ricci neri mi faceva prudere il
naso per
la loro estrema vicinanza.
Ma la stretta non accennava a diminuire.
Poi un soffio flebile mi solletico l’orecchio
destro.
“Ora ti lascio andare, ma tu metti le tue mani
sulle spalle di Bonnie.”
Avrei riconosciuto la sua voce fra mille.
Roteai gli occhi all’indietro per poterlo vedere
meglio in viso. Stefan premeva il suo torace contro le mie spalle e
sentii le
mani più libere e in grado di muoversi nonostante fossero
ancora imprigionate
in quel suo strano abbraccio.
“Dov’è Colin?” sussurrai
provando una profonda
angoscia nel non scorgere più accanto a me la chioma
rossiccia del mio amico.
Notai che i miei piedi non erano più poggiati sul
parquet dello studio ma si erano spostati su un ripiano più
elevato quella che
a occhio e croce doveva essere una scala, dai gradini ampi e ricoperti
di uno
strano tappeto verde bottiglia.
Lo scontro stava avvenendo in basso e da lì
proveniva un gran fragore di marmi lacerati e sibili pari a quelle di
una
tonnellata di bombe a mano.
Non seppi come e quando ci spostammo così
velocemente in un’altra sala – forse adiacente a
quella dello studio.
Quell’albergo dalle numerose stanze e cunicoli e dalle
gradinate inaccessibili
risultava essere un perfetto labirinto, tutt’ora a me
sconosciuto.
Voltai di scatto la testa a destra e a sinistra
come in una ricerca febbrile di qualcosa che avevo perso.
Avevo perso parte della mia lucidità e questa
adesso mi giocava brutti scherzi.
“Colin, Colin..” continuavo a mugolare e ad
ansimare mentre il contatto con il vampiro mi provocava brividi di
eccitazione
mista a terrore.
Stefan mi strattonò per un braccio e mi fece
scontrare con il suo petto. Ma anziché in un abbraccio,
intrappolò la mia testa
tra le sue mani imponendomi il contatto visivo.
“Elena! Smettila! Ci sono delle vite da salvare! E
noi siamo gli unici in grado di aiutare Bonnie in questo incantesimo!
Ok?”
I suoi occhi verdi mi riempirono di un senso
profondo di tranquillità e sentii la testa svuotarsi da
tutta quell’insensata
paura e sensazione di sconforto.
Annuì debolmente e mi voltai non appena sentì le
sue mani sulle mie scapole. Di conseguenza poggiai le mie anche su
quelle di
Bonnie.
Mi sentii trapassare da un’elettricità quasi
invisibile, la stessa che avevo sentito pochi mesi prima a casa
Salvatore
quando la strega mia amica ci aveva mostrato l’incantesimo
contro i mezzi vampiri.
Sentivo confluire la mia essenza e quella di
Stefan tutta nelle mie mani per arrivare forte e chiara nella mente di
Bonnie.
Stava canalizzando la nostra energia.
Non potei non pensare all’intensità e alla potenza
dell’unione di queste due essenze, vampira e umana: che anche
la chimica
presente tra me e Damon fosse più forte adesso rispetto a
quando eravamo
entrambi umani?
Mi concentrai sullo scontro cercando di
localizzare tra le masse di immagini sfocate quella di Damon.
Lo individuai anche se a fatica e lo trovai
impegnato in un duello con Liam, il mezzo vampiro che aveva ucciso
Michelle.
Era un conto in sospeso che doveva assolutamente
concludere com’è vero che si chiamava Damon
Salvatore.
Liam, dalla quantità di sangue e ferite ancora
aperte, dubitava a rialzarsi ai continui calci di Damon. Poi il
Salvatore, con
gesto quasi plateale, lasciò intravedere il paletto al suo
nemico e con un
mezzo sorriso gli trapassò il cuore, gorgogliando una sua
qualche frase
lapidaria di cui non riuscii a sentirne i dettagli.
Damon ebbe solo il tempo di pulirsi con il dorso
della mano il grumo di sangue che continuava a scendergli dal naso,
quando
l’ombra imperturbabile di Christopher si gettò
contro di lui.
“No” queste parole sgorgarono violentemente dalla
mia bocca e per un attimo la connessione magica venne interrotta.
Chiusi gli occhi e quando li riaprii trovai la
figura di Christopher sbalzata a pochi metri da noi e di fronte Jim.
“Amico, mi devi un favore” disse il biondo
strizzando l’occhio al Salvatore che si limitò a
ringraziarlo con un debole
cenno del capo.
D’un tratto la sala si fece silenziosa e le figure
prima dinamiche smisero di muoversi e di vorticare velocemente,
riassumendo i
loro contorni definiti.
Stefan mormorò un no
appena accennato e dal suo tono mi costrinsi a soffermare lo
sguardo su ciascuno dei presenti.
Guinever, con i capelli che le ricascavano molli e
scomposti sulle spalle dopo uno scontro estenuante con Colette,
tratteneva
quest’ultima per il colletto della camicetta mentre con
l’artiglio sinistro
sgualciva il tessuto all’altezza del cuore creando
così un alone rosso acceso.
Le due mezze vampire si guardarono in cagnesco.
Negli occhi di nessuna delle due sembrava manifestarsi un briciolo di
umanità.
In fondo guardandole per bene sembravano essere quasi sorelle: il
medesimo
sguardo fiero ed inorgoglito a caratterizzarle il viso, lo stesso
passato
traumatico e da cui era impossibile sfuggire, entrambe amanti uomini
che un
tempo erano stati come fratelli.
Avevano più cose in comune loro che tutti i
presenti in quella sala compresa me. Mi accorsi
della situazione solo quando Jim avanzò
di qualche passo pronto a riprendere la lotta.
“Azzardati a muovere un alto passo e puoi dirle
addio” ringhiò Gwen stringendo di più
il cuore della mezza vampira tra le sue
grinfie e arricciando il labbro superiore rigonfio e sporco di sangue.
Jim si bloccò istintivamente, impotente e al tempo
stesso indiavolato.
Le sue mani tremavano mentre i finissimi fili
biondi gli ricadevano lungo le guance.
Gli occhi di brace sembravano voler trucidare ogni
presente e magari forse anche la sua Colette.
Chris si alzò dal pavimento, scrollandosi di dosso
alcuni cocci delle mattonelle in frantumi, si ripulì per
bene gli abiti dalla
polvere e si svoltò ancora di più le maniche
della camicia leggermente lineata
da qualche goccia di sangue.
Fece passare una mano tra la massa di capelli
color dell’ebano, anch’essi particolarmente lunghi,
per poi sbuffare
sonoramente, richiamando così l’attenzione del
biondo.
“E’ arrivato il momento di fare i conti,
amico”
incominciò Chris e incasso pienamente l’occhiata
omicida di Jim.
“Non vedi che sono occupato a uccidere la tua
amica?” latrò il mezzo vampiro il cui sguardo si
muoveva veloce fra lei e lui.
Sul viso di Chris comparì un sorriso amaro che non
preannunciava nulla di buono.
“Battiti con me. Sappiamo entrambi che solo uno di
noi due è in grado di uccidere l’altro. Combatti.
Se sarò io a morire lei la
lascerà andare, in caso contrario-” e non
terminò la frase nonostante il
significato fosse stato compreso da tutti.
Gwen storse il naso, non soddisfatta dalla
proposta del suo collega.
“Se sarai tu a uccidere Chris io ucciderò la
ragazza, se invece sarai tu a morire la lascerò
viva” propose la mezza vampira
negli occhi della quale aleggiava un lieve sentore di paura. Tra il
grigio
liquido dei suoi occhi, oltre la famelica crudeltà
c’era anche qualcos’altro,
forse preoccupazione nei confronti di Chris.
“Sta bleffando! Non le credere, Jim, e uccidilo!”
sbraitò Nicole e inchiodò con i suoi occhi grandi
e grigi quelli piccoli e
spiritosi della mezza vampira dietro la sua faccia da poker.
Jim schioccò la lingua e corrugò la fronte
rivolgendo un’occhiata torbida in direzione di Christopher
che con un
sopracciglio inarcato attendeva la risposta del suo vecchio compagno.
“Ti sono sempre piaciute le conclusioni in grande
stile” borbottò Jim lisciandosi la peluria appena
accennata della guancia
destra.
Chris si aprì in un sorriso radioso seppur carico
di tensione e isterismo.
“Sai bene che ciò che inizio-” disse, ma
la voce
di Jim lo interruppe bruscamente.
“-lo devi pure portare a termine”.
Le parole del biondo privarono Chris del mezzo
sorriso che era riuscito a dipingere sul suo volto. Sapeva che quella
frase era
un’allusione bella e buona alla loro amicizia.
In effetti guardandoli bene era impossibile
comprendere come quei due esseri così diversi avessero
potuto stringere un
legame di amicizia così saldo. Chris, con i suoi modi
raffinati e sublimi, le
sue buone maniere e il suo senso d’onore, stava poco
più sotto della spalla di
Jim, imponente nella sua stazza e dai modi impulsivi e a volte anche
animaleschi. Eppure in qualche tempo lontano si erano compensati,
avevano avuto
interessi che avevano condiviso con estrema gelosia, si erano affidati
l’un
l’altro fino a che il loro legame non era stato reciso.
“Senza rancori?” accennò il componente
della
Triade sistemandosi i ciuffi corvini dietro le orecchie.
Jim sorrise beffardo.
“Ci puoi scommettere, amico” disse e a quelle
parole gli occhi grigi di Gwen si pietrificarono e dalle sue labbra
tremolanti
fuoriuscì un mormorio smorzato: anche lei, sotto la sua
maschera di granito,
veniva sopraffatta dalle emozioni.
In seguito le figure di Jim e Chris si videro solo
a scatti, come fotogrammi spezzati e visti in una sequenza anomala. Ad
ogni
battito di ciglia erano negli angoli più disparati della
sala, nessuno avrebbe
potuto capire chi dei due avesse la meglio, era uno scontro alla pari.
“Bonnie a che punto è
l’incantesimo?” chiese
Stefan dietro di me e le sue parole mi riportarono alla
realtà.
Bonnie scosse violentemente la testa e i suoi
riccioli mi sferzarono in viso inquietandomi prima ancora di conoscere
la
risposta.
“C’è qualcosa- che mi blocca”
disse a denti
stretti mentre sentii aumentare la presa di Stefan attorno alle mie
spalle.
Feci la stessa cosa su quelle di Bonnie sperando
che la connessione fosse più sentita e quindi più
potente.
La mia amica cominciò a tremare e le ginocchia
sottili traballavano, ma per quanto la sua mente si stesse sforzando
non vi
erano risultati concreti del nostro incantesimo.
Poi nella mia testa cominciò a sobbalzarmi
un’idea.
“Bonnie, in che senso qualcosa ti blocca?” chiesi,
ma un tonfo sordo proveniente alla mia destra, urtando violentemente
l’orecchio, mi fece voltare ad osservare la scena.
Strizzai gli occhi per vedere bene e ciò che si
presentò ai miei occhi fu una voragine che si estendeva a
pochi passi da noi e
che aveva portato con se alcuni gradini della sontuosa scala.
L’inferriata che
fungeva da passamano era parzialmente divelta e solo in quel momento mi
accorsi
del fischio insistente che si originava dal mio orecchio. Evidentemente
durante
l’urto qualcosa era andato a sbattergli contro.
Continui fragori continuavano a susseguirsi sul
piano sottostante mentre Damon e la furbesca figura di Colin lottavano
contro
loro stessi nell’intervenire o meno, tenendo sotto controllo
Gwen e Nicole.
Mi scoprii improvvisamente più libera e avvertì
la
mancanza del contatto con Stefan e Bonnie.
Mi voltai indietro nonostante l’orecchio malconcio
non mi desse molta possibilità di equilibrio.
Stefan ed io aiutammo Bonnie, che durante l’urto
era stata sbalzata indietro, a sollevarsi da terra e a poggiarsi alla
parete.
Provai nuovamente con la mia domanda.
“Chi è che ci ostacola?”
La strega corrugò la fronte e chiuse gli occhi
lottando mentalmente contro la forza esterna che le impediva di
svolgere il suo
importante rito magico.
Tentò, ricadde, si ricompose e di nuovo le sue
sopracciglia si tesero come corde di violino.
“Non lo so, ma è qualcosa di
potente…è come…”
Bonnie si sforzò di trovare la parola adatta che
già si era configurata nella mia mente.
Non era un caso che l’albergo sorgesse sopra le
rovine di un’antica città contenterete un cimitero
altrettanto antico, che le
tombe fossero sature di un legame a dir poco sovrannaturale, che la Triade
avesse acquisito col
tempo il dominio parziale di alcuni incantesimi efficaci e fossero
padroni loro
stessi di magia.
Essi non erano altro che rami sottili che
nascondevano delle radici ben più robuste ed estese.
In altre parole, se la mia teoria non fosse stata
errata, Bonnie non era l’unica strega in quella struttura.
Fissai lo sguardo su quello della mia amica.
“Magia. Qui sotto sorge un cimitero, prova ad
attirare energia da lì” le consigliai quando i
miei occhi furono catturati da
quelli raggelanti di Guinever: avrebbe tentato di incendiarci vivi se
solo
avesse potuto.
Dalla fronte contratta e i canini traslucidi che
fuoriuscivano dalle labbra arricciate era evidente che stava provando
ad
effettuare un incantesimo di ritorno, ma i suoi risultati come i nostri
furono
nulli.
Che la magia fosse stata realmente bloccata da
qualcuno?
Il contatto visivo di Gwen si interruppe a causa
dell’intervento di Damon che, approfittando della banale
distrazione della mezza
vampira, era riuscito a immobilizzarla e a far allontanare Nicole che a
suo
malgrado fu sbalzata nella parete opposta, cozzando violentemente la
schiena e
perdendo i sensi, seppellita da un cumulo di macerie.
Jim e Chris si bloccarono e i loro occhi si
rivolsero a Damon le cui dita erano attorcigliate attorno il sottile
collo
della mezza vampira dagli occhi fiammanti d’ira.
“Andiamo, Jim. Ti decidi a ucciderlo?”
sbuffò il
Salvatore con aria temeraria mentre il biondo guardava cinicamente
l’amico
curarsi il graffio sulla guancia sinistra.
E inspiegabilmente Chris sfoderò un sorriso bello,
da togliere il fiato e la sua risata cristallina lo rese impeccabile e
neanche
degno di tutto quel sangue che le sue mani recavano.
“Che hai da ridere?” sputò Jim senza
nascondere
però il suo apparente divertimento dovuto alla risata
contagiosa di Chris.
Il mezzo vampiro si accinse a spiegare.
“Quando le nostre strade si sono incrociate per la
prima volta, la prima cosa che hai fatto è stato ridermi in
faccia”
Il biondo a quel ricordo strinse le labbra e fece
spallucce, un gesto molto semplice ma che sembrò
richiedergli un grande sforzo.
“Una risata non è un cattivo modo per iniziare
un’amicizia” provò a rimediare
atteggiandosi da spavaldo quando era evidente
che aveva il cuore gonfio di amarezza e malconcio per i tanti colpi
ricevuti e
incassati.
“Ed è senz’altro il modo migliore per
troncarla”
rincarò la dose Chris il quale si avventò su Jim
inchiodando il suo corpo al
pavimento mentre con sottile ironia lo sovrastava preparandosi a
sferrare più
colpi possibili.
Jim incassava i pugni, sputava sangue e deglutiva
amarezza senza reagire, senza trovare modo di risollevarsi e di tornare
a
combattere.
Il viso era sfrangiato da una serie di graffi e
rivoli di sangue continuavano a scendere lungo il labbro, la narice e
la
tempia.
Gli occhi grigi puntati in alto a localizzare
forse qualche meta lontana: il dolce ricordo di Nicole, la vita
trascorsa alla
Cascina, gli anni al servizio di Freddie, il nome del bambino di cui
era padre.
Per un attimo ebbi l’impressione di assistere alla
stessa scena di solo poche ore prima. La morte di Michelle ci aveva
lasciati
spiazzati e tremanti come foglie davanti al nemico, ma così
come foglie secche
siamo stati in grado di alimentare un grosso incendio. Dipendeva da noi
l’esistenza di quel fuoco o meno.
Poi accaddero due cose contemporaneamente.
I pugni di Christopher diminuirono fino a
diventare lievi carezze in quei punti dove la mano aveva calcato un
po’ più
forte; gli occhi grigi e fluidi fino a prima carichi di ira adesso
sembravano
essere distillati e più limpidi di qualsiasi cielo estivo.
Se non fossimo stati al coperto probabilmente Jim
avrebbe potuto sospettare che quelle che calavano dall’alto
non erano lacrime
ma gocce di pioggia tanto erano fredde e umide.
Chris estrasse il paletto dalla cinghia dei
pantaloni di Jim e dapprima ne esaminò la fattura come un
grande esperto in
materia, dopo lo fece roteare tra le sue mani forse per capirne la
consistenza.
Intanto dall’altro lato della sala Gwen si era
divincolata dalla stretta ferrea di Damon e con ferocia stava per
compiere un
balzo per atterrare il vampiro così come fa una pantera con
la sua preda. Damon
era alle prese con Drake, giunto in soccorso della compagna e cogliendo
il
Salvatore alla sprovvista.
Due contro uno. Una lotta impari.
Damon spalancò le fauci tanto da far rimbalzare
indietro la mezza vampira ma prontamente Drake lo
immobilizzò incassandogli la
testa tra le ampie braccia e facendo una lieve pressione sul collo
mentre con
le mani libere gli teneva le mani dietro la schiena.
“Occhi belli, non si scherza con la Triade”
lo rimboccò
Guinever e con gli artigli ben affilati era già pronta a
scavargli le viscere e
a strappare via dal petto il cuore di Damon – il cuore che
avevo così tanto
amato.
Per un attimo desiderai che lo facesse, che
penetrasse in lui e che ghermisse il suo cuore così da
vederlo pulsare, vivere
tra le mie mani. Ma quell’immaginario macabro era frutto di
stanchezza mista a
terrore. Come avrei mai potuto amare un cuore se questo non era
più in Damon?
Perché è vero che non batteva più, ma
i suoi silenzi avevano parole molto più
vere di quegli degli umani.
Mi slanciai verso il passamano per affacciarmi e i
capelli mi oscillarono violentemente contro le guance.
Un urlo. Solo un urlo sarebbe bastato.
E invece non fu l’urlo a salvarlo.
Il paletto, di lama e di legno, che con tanta cura
aveva ispezionato lasciando tutto il tempo al compagno di riassestare
le
ferite, i lividi e i graffi, adesso stava conficcato in
profondità nel cuore di
Christopher.
Jim, il cui corpo stava ancora inchiodato al
pavimento, osservava la scena attonito, il suo viso una maschera
indecifrabile.
Come Christopher si sia ritrovato il paletto
piantato proprio tra i due atri e i due ventricoli del suo cuore questo
nessuno
lo vide con certezza.
I presenti restammo così sconcertati da quel gesto
così imprevedibile da udire perfettamente il rumore di passi
che si
avvicinavano da chissà quale aula lontana.
Christopher si alzò in piedi permettendo così a
Jim
di muoversi e di riacquistare le sue capacità motorie
nonostante lo sconcerto
gli avesse raggelato le gambe.
Il mezzo vampiro dai capelli castani puntò lo
sguardo in direzione dei suoi colleghi rimasti attoniti così
insieme a Damon.
Gli occhi di ghiaccio della mezza vampira si
fecero liquidi di fronte a quelli di Chris.
“Vedi, Guinever. Sei e resterai sempre l’ultima a
sapere le cose” rantolò sputando un po’
di sangue prima di crollare
definitivamente contro il pavimento in marmo.
Jim si precipitò a raccogliere il corpo ormai
esanime dell’amico i cui occhi castano chiaro sprigionavano
una limpidezza
indicibile.
Jim dal viso lurido e sporco di sangue tentava di
maneggiare con le sue mani grandi il corpo fragile e sottile
dell’amico di un
tempo, che era stato disposto a sacrificare la propria vita pur di non
ucciderlo. Che era vissuto da traditore, ed era morto da ribelle.
“No, no. Dimmi che non sei morto. Non puoi essere
morto!”
La furia e l’angoscia di quelle parole si
mescolarono ai singhiozzi sommessi di Guinever la quale come impietrita
si era
accasciata al suolo, tremante e in preda a spasmi convulsi che la
facevano
apparire così piccola e debole in confronto a tanto dolore.
I capelli le ricascavano pesanti e mossi sulle
scapole candide fasciate dallo stesso vestito rosso che adesso
sgraziatamente
pendeva da un lato mentre dall’altro era scucito e mostrava
abbondanti porzioni
di pelle, sottile e raggrinzita come carta velina.
Gli occhi, prima sottili e felini, adesso erano
grandi e colmi di lacrime che solo lei sapeva da quale parte del suo
essere
malvagio potessero provenire.
Amava, amava e aveva amato e dopo tutto questo
tempo ancora non aveva capito che per quanto potesse amare la sua colpa
e il
suo peccato erano troppo grandi in confronto al suo infimo sentimento.
Si era staccata a morsi e ora si riaggiustava da
sola. Rimise insieme i cocci, uno per uno. Così, con un
cambiamento repentino
di umore, tornò ad essere fieramente la predatrice che da
sempre era stata,
accantonando per un attimo il dolore e trasformandolo in furia.
Si abbatté su Damon, ancora paralizzato dalle
braccia di Drake, per completare l’opera che prima non era
riuscita a compiere.
Stefan avrebbe impiegato troppo tempo per
raggiungere ed aiutare il fratello, Nicole era lontana e ancora priva
di sensi,
Jim si stava occupando del suo amico e non aveva alcuna intenzione di
spostarsi
di un solo centimetro da lui, la magia di Bonnie era stata
neutralizzata e
ostacolata da chissà quale forza esterna.
Era la fine.
Ciò di cui prima non mi ero preoccupata adesso si
manifestava a colpi di ciuffetti rossi che tintinnavano alla leggera
luce del
sole che da est irradiava la stanza.
Colin, che fino a quel momento era rimasto
rannicchiato in chissà quale nascondiglio, adesso era venuto
allo scoperto e si
accingeva a schiantarsi contro la giovane mezza vampira.
Con un abilità tipica di una scimmia si arrampicò
per tutto il corpo scheletrico di Guinever, appollaiandosi sulla sua
schiena e
tenendo ferma la massa di capelli ondulati e la mandibola che
continuava ad
aprirsi addentando l’aria.
Le sopracciglia ispide corrucciate e la zazzera di
capelli rossicci a sormontare la figura della mezza vampira.
Mi sentii strattonare il polso. Bonnie aveva il
viso trasfigurato dal terrore.
“Si sta avvicinando” proruppe incredula e non ebbi
modo di domandare chi fosse che dall’ombra una figura
longilinea si protendeva
verso la luce, fiera nei suoi riccioli lucidi e dalla sua camminata
ancheggiante.
Stefan impallidì vistosamente e così tutti i
presenti.
“La fonte di magia” concluse la strega senza che
si fosse accorta della nuova intrusa.
E, paletto alla mano, con un balzo Katherine si
schiantò contro Gwen.
* * *
Carissimi effeppiani,
Non ne potete
più della mia storia lo so, ma
abbiate pazienza: mancano gli ultimi due capitoli prima
dell’epilogo e poi
potete tirare fuori lo spumante u.u Ebbene questo è stato un
capitolo
decisamente movimentato che ho faticato a scrivere a causa della
mancanza di
tempo e di voglia e poi proprio perché era complicato.
Nicole è incinta. Forse
molti di voi non avevano tenuto conto degli strani malori che Colette
aveva nei
precedenti capitoli, per non parlare poi dell’incontro in
aeroporto e di quel
segreto che Elena era stata costretta a mantenere. Elena sapeva e
così anche
Colin, il quale da bel ragazzo che è aveva intuito
già tutto. Ovviamente chi
poteva essere se non Damon a spiattellare in faccia la
verità al neopapà? Damon
in questo capitolo è tornato un po’ il Damon
menefreghista e indifferente ma è
solo perché è arrabbiato con Elena e questo lo
porta a reagire in questo modo.
Jim ovviamente più che curarsi della rivelazione e
discuterne con la diretta
interessata, preferisce prendersela con il vampiro. Questo provoca
però un
divertimento per la Triade
che è pronta a riprendere il combattimento. E finalmente
entra in scena Bonnie
e il maledetto incantesimo che per tutto questo tempo ha elaborato per
la
realizzazione del quale ha bisogno di una fonte vampira, Stefan, e di
una fonte
umana, Elena. Ma qualcosa blocca la magia e cosa può essere
se non un’altra
fonte magica? Il cimitero, la Triade che utilizza la magia
porteranno tutti alla
rivelazione della nuova strega infiltrata ;) Intanto la situazione si
mette
male e per salvare Nicole, Jim è costretto a battersi con
Chris, il suo vecchio
amico e lo scontro porterà inevitabilmente alla morte di
quest’ultimo: la morte
di Chris non è banale, ma anzi è stato un gesto
volontario attuato per
dimostrare a Guinever che lui non sottostà ai suoi ordini;
un gesto di
ribellione che lo porterà così a ricongiungersi
con la sua Wendy. Ma Gwen
seppur sconcertata da quel gesto non può fare a meno di
piangere per l’uomo che
amava e il dolore si tramuta in rabbia. E a chi riversare la rabbia se
non
Damon? Lo so mi direte ma sempre con lui ce l’hanno .-. E il
piccolo Colin
arriva in soccorso del signor Damon <3 Ma chi è la
figura che si avvicina?
Pensavate che non ci fosse più, invece lei
c’è sempre: Katherine! Ma perché
Bonnie dice che la fonte di Magia si stava avvicinando? Forse che sia
lei?
Tranquilli tanto altri
due e saprete finalmente
come va a finire questa dannata storia u.u
Ringrazio tantissimo chi
continua a recensire e
soprattutto chi inizierà a leggere questa mia follia.
Alla prossima.
Sil.
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Capitolo 33 *** 31- A WITCH, A VAMPIRE, A HUMAN ***
31-
A WITCH, A VAMPIRE, A
HUMAN
Il balzo di
una pantera non sarebbe stato in grado
di equiparare la grandezza del suo ingresso.
L’effetto che l’entrata in scena della vampira dai
riccioli scuri e lucenti provocò su noi presenti fu
immediato ed efficiente.
Dopotutto se quello era stato il suo intento
principale, allora c’era riuscita sicuramente a stupirci.
Il respiro trattenuto di Stefan e la mascella
contratta si erano aggiunti allo sguardo truce misto a sorpresa di
Bonnie la
quale aveva lasciato che le parole le morissero in gola, troppo
impegnata a
trattenere lo sguardo sulla figura longilinea della vampira.
Ma il più incredulo di tutti era lui.
Gli occhi blu sbalorditi e la mascella lasciata
leggermente aperta di Damon sottolineavano il senso di profondo stupore
che
persisteva nei nostri volti stanchi e martoriati da chissà
quante ore di lotta.
Un lieve fastidio allo stomaco mi fece arricciare
il naso e la sala sembrò sospesa nel silenzio mentre i
tacchi picchiettavano
veloci sul pavimento, pronti a balzare e a scaraventarsi sulla mezza
vampira
dalle pupille dilatate e dalla fronte imperlata da finissime goccioline
di
terrore.
La collisione tra le due masse granitiche fu così
intensa da far sbalzare Gwen e Colin, ancora aggrappato a lei, nella
sala
adiacente, dove ancora giacevano i resti della precedente battaglia.
Il rombo dello scontro rimbalzò sulle pareti e
fece eco arrivando alle mie orecchie come un profondo fastidio che si
trasmise
dal pavimento al di sotto dei miei sandali per poi proseguire per lo
stomaco e
la gola.
Una lieve pressione sulla maglietta di Stefan
bastò al vampiro per cingermi un fianco e sollevarmi da
terra, il tempo
necessario per chiudere gli occhi, scendere i gradini a
velocità esorbitante e
raggiungere di gran corsa lo studio dove Christopher ci aveva accolto,
ormai
ridotto ad un campo di battaglia.
Mi sentii disorientata dal momento che l’immagine
che avevo conservato di quel luogo risaliva a poco prima che iniziasse
lo
scontro: non ricordavo le cataste di persone afflosciate e sparse sul
pavimento
come foglie secche, i divani divelti e le crepe sul muro.
Sembrava essere stata vittima di un bombardamento
e questo mi fece rendere conto di quanto potesse essere distruttiva la
potenza di
esseri sovrannaturali come i vampiri.
Guinever era a terra: i capelli arruffati le
davano un aspetto feroce e indomato. Con ambo le mani tentava di
aggrapparsi al
pavimento rischiando di perforarlo e di graffiarlo con gli artigli che
si
ritrovava al posto delle unghie. Il vestito, sebbene fosse leggermente
strappato, non si era ancora macchiato di sangue e ciò le
conferiva ancora un
senso di ordine e di contegno. Il collo niveo era nascosto dalla mano
di
Katherine la quale con una giusta pressione tentava di soffocare la
mezza-vampira che di rimando la guardava in cagnesco.
Ma c’era qualcosa che non andava.
Sapevamo come agisse Katherine. Il ricordo vivido
di quello che aveva fatto a John tornò a bussare
prepotentemente alla mia mente
e, nonostante ancora la conoscessi poco, sapevo bene che, per quanto
maligna e
capricciosa, le piaceva far soffrire le persone per poi dimostrarsi
crudele e
spietata all’improvviso, troncando vite umane come fossero
stecchini.
Ma lei non la stava facendo soffrire così come
avrebbe dovuto. Stava rannicchiata in avanti con i riccioli che le
cascavano
quasi a voler nascondere il sorriso che sicuramente aveva stampato in
faccia
mentre con una mano tratteneva Gwen la quale, con
un’espressione di vuotezza
inaspettata, attendeva la sua mossa.
Fu in quel momento che la mia mente, in quel breve
momento di lucidità in cui anche le gambe avevano smesso di
tremare, elaborò
alcune domande: cosa ci faceva Katherine lì? Ci aveva forse
seguiti? Spiati? Voleva essere
sicura che Damon
fosse ancora umano? Voleva diventare umana anche lei? Aveva stretto
forse
qualche accordo con la Triade?
Ma la domanda che lampante mi giunse in mente
inondandomi di profondo turbamento fu: da
che parte stava?
Da quel che Stefan e Damon mi avevano raccontato
sul suo conto era sicuramente da considerarsi come nostra nemica.
Ma perché intervenire se già Colin ci stava
riuscendo?
Come se quel momento di breve nitidezza mentale
non ci fosse mai stato, caddi nuovamente in uno stato di panico che
cercai con
tutte le forze di non dare a vedere.
Passai in rassegna tutti i corpi divelti a terra,
ogni singolo volto poteva essere quello del povero e innocente Colin.
Era strano, strano come fosse nato questo mio
snaturato amore nei confronti di quel ragazzo. Mi sentivo come se
qualche forza
esterna fosse penetrata in me obbligandomi a prendermi cura di lui.
E’ sempre forte il legame che si può instaurare
tra due persone e non sempre si riesce a concepirne il
perché o la sua natura.
Capita e basta. E Colin ci è capitato.
“Elena-” mi sentì chiamare e feci fatica
a
deglutire dato che la mia gola e le mie labbra, ruvide come
cartavetrata,
stavano cominciando a sentire il peso dell’assenza di acqua.
Senza dire altro, dimenticandomi di Katherine, di
Guinever, della battaglia in corso, allargai le mie braccia e premetti
il più
possibile le mie mani sui suoi capelli fulvi.
Trattenni le lacrime quanto potei, dopo mi
dimenticai pure di quello.
Mi maledissi per averlo cercato tra i cadaveri di
tutte quelle persone morte, di averlo già reputato per
spacciato, di aver già
provato il dolore per la sua perdita quando ancora era lì
con me, con noi.
“Elena-” ripeté di nuovo, questa volta
con voce
più fievole, e poggiò la sua mano sulla mia
spalla tentando di fami allontanare
e diminuire la pressione che si era venuta a creare tra le nostre casse
toraciche.
Gli occhi puramente grigi sembravano essersi
dilatati e mi scrutavano con intensità mentre la sua mano
leggermente annerita
e sporca di sangue rappreso aveva ancora una solida presa sulla mia
spalla
destra.
Mi guardava come se fossi potuta cadere da un
momento all’altro, come se in un solo momento le mie gambe
avessero potuto
cedere.
Ma non ero io il problema, mi sentivo alquanto
tranquilla nonostante la costante paura di dover lottare nuovamente e
l’adrenalina che ancora circolava libera nelle mie vene
facendo mantenere ben
saldi le miriadi di fasci di nervi che mi ritrovavo in corpo.
Eppure Colin, con il viso pallido e le lentiggini
come punti dorati sul suo naso, mi fissava e cercava di sostenermi
reggendomi
per la spalla.
Ma più che sorreggermi solo dopo mi accorsi che
stava tentando di trattenermi, di respingermi.
Mi bloccai istintivamente facendo ricadere le
braccia lungo i fianchi e mi ricomposi. Il rosso incollò
nuovamente i suoi
occhi ai miei come per assicurarsi che non facessi più nulla
di avventato e con
estrema delicatezza estrasse la lama d’acciaio e di legno che
aveva conficcata
quasi per intero all’altezza dello stomaco e di cui io non
avevo notato la
presenza.
Sentivo la voce sommessa di Katherine parlare alle
mie spalle, quella di Gwen a sprazzi, rimbombi e echi di battaglia
provenire
dalla sala adiacente dove sicuramente stavano combattendo Damon e Drake.
“Katherine,
che piacere rivederti”
miagolò una voce che doveva essere
sicuramente quella di Gwen.
“Anche
per me Guinever”
“Sei
venuta per unirti a noi?” chiese la
medesima voce e trovai una
risposta a tutti i miei quesiti.
“No,
sono venuta per saldare il mio debito” rispose la
vampira dopo un
momento di silenzio.
“Ti
ho
salvato la vita una volta, ricordi?”
“E ora
ho salvato la tua. Non ho più niente a che fare con
voi”
“Lo
pensi tu” disse Gwen e
a questo seguirono una serie di
brusii a cui non feci più alcun caso.
Colin lasciò scivolare il pugnale che tintinnò a
terra riportandomi alla realtà, mentre con l’altra
mano constatò il danno
arrecato al ventre.
Le guance gli si incresparono lievemente di venule
e la bocca si contrasse in una smorfia di dolore. Era pallido come un
lenzuolo
tanto che i capelli rossicci accendevano ancora di più quel
candore, ma in
qualche modo il suo sguardo era ancora vispo, la sua pelle
febbricitante
nonostante i cerchi violacei intorno alle orbite.
“Elena, dì a Bonnie che c’è
una nuova fonte di
magia. Io cercherò di farla venire allo scoperto”
D’un tratto mi ricordai di quel particolare che
poco prima la strega non era riuscita a dirmi e l’istinto mi
disse di voltarmi
verso Katherine. Dopotutto Bonnie non riusciva ancora ad eseguire il
suo
incantesimo e, da quanto dicevano sia lei che Colin, la fonte magica
era già lì
tra di noi.
Come un’anguilla sfuggì veloce alla mia stretta,
ma riuscii a strattonarlo per il colletto della polo che ancora
indossava.
“La fonte di magia è Katherine. Non
c’è altra
spiegazione-” annunciai poco convinta regalando
un’occhiata di sbieco alla mia
omologa che sentendosi osservata intrecciò il suo sguardo al
mio che distolsi
simultaneamente.
Colin aggrottò le sopracciglia e sbatté
più volte
le palpebre alla vista della vampira identica a me. Probabilmente
avrebbe
voluto sapere come fosse possibile, se c’era qualche legame
di sangue tra noi,
se era la mia gemella cattiva venuta da lontano, ma tacque lasciando
cadere
ogni dubbio che poteva essersi insinuato in lui.
“- quindi resta, ti prego” continuai questa volta
con convinzione ottenendo nuovamente la sua attenzione e ciò
che ne ricavai fu
un sospiro sconsolato da parte del mezzo vampiro.
Colin si umettò le labbra screpolate e mi rivolse
uno sguardo di sottecchi mentre un sorriso divertito distendeva le sue
labbra
in un ghigno a me ben noto e gli occhi grigi si rimpicciolivano. Le due
fossette
agli angoli della bocca sembrarono ridare vitalità al viso e
tutta la
stanchezza e il dolore provato per la ferita evaporarono via. Colin
sapeva
mentire bene, ma in quel momento il tutto mi sembrò naturale.
Mi prese le mani che, nonostante l’alta temperatura,
erano gelate, e mi meravigliai di non vederlo alzato in punta di piedi,
quando
i capelli ispidi non mi solleticarono più il mento - non era
più il bambino che
avevamo conosciuto due mesi prima, era cresciuto, era un ragazzo e in
quel
momento mi ricordò tanto Jeremy.
Lo stomaco mi si raggomitolò e una pessima
sensazione mi vibrò per tutta la colonna vertebrale.
Posò le labbra umide sulle mie di cartapesta
lasciandomi disorientata, spiazzata, con un segno indelebile, di quelli
che si
ricordano anche a distanza di anni.
“Fidati di me, degli amici ci si fida”
sussurrò al
mio orecchio.
Chiusi gli occhi, ma quando li riaprì lui già non
c’era più.
Frustai
l’aria con i capelli che erano malamente
usciti dalla coda alta e uscii dalla zona d’ombra nella quale
ero entrata per
non essere scrutata da occhi indiscreti.
Il lieve chiarore della sala mi paralizzò ma pian
piano riuscì ad abituarmi a quella luce artificiale che
proveniva da alcune
feritoie.
Riuscii ad intravedere alcune sagome che a
velocità vampiresca lottavano senza comunque designare un
vincitore.
Assottigliai gli occhi per vedere meglio, ma venni
sbalzata sulla parete con un colpo di reni. La gola era ben pressata
all’interno di una morsa. Un movimento brusco e
l’osso del collo si sarebbe
frantumato in mille pezzi.
Riconobbi nella semioscurità un bagliore di occhi
bluastro.
Damon.
Tentai di scalciare per segnalare la mia presenza
al vampiro. Stava cercando Katherine, non me.
Fu un profondo colpo, allo stomaco, come un
mostriciattolo verde che mi corrodeva il fegato, ma cercai di arginarlo
muovendo forsennatamente le mani.
Stava cercando Katherine, non me, per ucciderla.
Fissai bene i miei occhi ai suoi.
Quando si accorse dello sbaglio ormai era troppo
tardi. Qualcosa di indefinito lo colpì alla schiena e io fui
di nuovo libera di
respirare.
Aspirai quanta più aria potessi e mi ritrovai
sorretta da delle mani amiche.
“Elena? Ma-” la voce di Bonnie era ricca di panico
mentre impediva ai miei capelli di offuscarmi la vista e di ostacolare
il mio
respiro.
“-se tu sei qui, chi è lei?”
Alzai piano lo sguardo e una paura sviscerante
prese a rincorrermi lo stomaco.
Katherine mi fissava. Un’altra Katherine. Un’altra
me. Di nuovo.
Cercai di non sbattere le palpebre e di mantenere
il controllo, ritta sulla spina dorsale nonostante i polmoni stessero
cedendo
così come ogni singolo muscolo del mio corpo ormai estenuato.
Mi vennero in mente quelle strane incisioni nel
cimitero sotterraneo, la necessità di una fonte magica sopra
la quale erigere
il quartier generale della Triade. E d’un tratto tutto mi fu
più chiaro: il
cimitero, la magia, la necessità di un’armata, la
convivenza forzata della
Triade nonostante non avessero i medesimi intenti.
Tutti erano lì non per ottenere qualcosa, ma per
proteggere qualcosa.
Per proteggere lei.
“E’ lei che ostacola il tuo incantesimo,
Bonnie”
dissi mantenendo il contatto visivo con l’essere uguale a me.
“E’ una strega” concluse la mia amica e
quella
parola mi fece rabbrividire.
Un’umana, una vampira, una strega: tre nature
inconciliabili tutte con il medesimo volto.
Come era possibile? Quante me
c’erano sparse per il mondo?
Nella confusione generale era difficile distinguere
le tre nostre diverse nature, specialmente per i vampiri per i quali la
natura
magica rimaneva ancora sconosciuta. Ma i mezzi vampiri avevano un sesto
senso
per la magia.
Qualcosa tintinnò nella mia testa e mi rivenne in
mente il piano di Colin, la sua strategia per fare venire allo scoperto
la
fonte di magia che impediva il nostro incantesimo.
Il mio cuore sobbalzò un secondo e quando
intravidi un ciuffo vermiglio scintillare sotto i raggi rosei del sole
che
stava per sorgere, abbandonai Bonnie alle mie spalle e cercai di
scavalcare
ogni sorta di ostacolo mi si presentasse davanti per raggiungere
l’altra me.
Cercai di urlare, di richiamare la sua attenzione
tra i brusii e i rumori ovattati attorno a me.
Due braccia mi strattonarono e mi impedirono di
avvicinarmi ulteriormente.
Capii che Colin aveva intuito il mio avvertimento
perché si voltò a guardarmi per qualche secondo a
pochi passi dall’essere
magico.
Abbozzò il mio nome con le labbra.
E fu allora che la strega, con un movimento veloce
del polso, lo fece esplodere.
Mi si
incrinò qualcosa, all’altezza del bacino,
perché dalla vita in giù non riuscii a sentire
più niente se non un leggero
formicolio.
La potenza devastante di quell’incantesimo si
ripercosse sulle pareti per poi tornare a noi presenti.
Crollai a terra, le gambe abbandonate di lato
senza che rispondessero a nessuno dei miei comandi.
Damon, che prima mi aveva trattenuto, adesso
assecondava i miei movimenti.
Si accasciò a terra insieme a me, inerte.
Il fotogramma di quell’immagine mi passò davanti
agli occhi più volte ed ogni volta era un orrore nuovo,
diverso, bruciante che
se solo avessi potuto mi sarei cavata io stessa gli occhi dalle orbite
per non
rivederlo mai più.
Il corpo di Colin a poco più di un metro da quello
della strega, il suo lento dilatarsi, la fulminante mancanza di
funzionamento
degli organi vitali, la lacerazione dei sistemi, degli apparati,
l’arresto del
cuore.
Il dolore che sentivo alle gambe era solo la metà
del dolore interno, del dolore mentale che più di ogni altro
mi uccideva.
Mi voltai verso il vampiro, affondai avida i denti
sulla sua spalla e con quanta foga avessi in corpo urlai tanto da farmi
male la
gola.
Strinsi le palpebre così tanto che ebbi paura di
non avere più degli occhi per quanto piccoli fossero
diventati.
Le mie urla soffocate si unirono alle lacrime di
Damon il quale mi teneva incollata a sé, come se potessi
cadere in pezzi.
Ero in mille pezzi così come l’impressione che
avevo delle ossa sbriciolate delle mie gambe.
Cercai di aggrapparmi ancora di più, stringendo i
pugni e i denti, finché non sentì lieve il sapore
metallico del sangue di Damon
arrivare alla mia lingua attraverso il tessuto poroso della maglietta.
Solo
allora allentai la presa, rimanendo però cullata dalle sue
braccia.
Avrei voluto che tutto quello fosse finito in quel
preciso istante, che se dovevamo morire, dovevano ucciderci subito.
Ero troppo stanca di combattere, ero troppo stanca
di vedere le persone morire.
Morire in quella posizione, rannicchiata contro il
petto dell’uomo che amavo, era una morte più che
accettabile.
Probabilmente
svenni perché quando aprii gli occhi
la luce era già entrata prepotente nella sala. Saranno stati
forse dieci,
quindici minuti ma ebbi come l’impressione che la mia mente
fosse stata assente
per anni.
Qualcosa mi aveva svegliato da quel mio stato
catatonico, la stessa forza invisibile che adesso stava guarendo le mie
ferite,
assemblava i cocci rotti delle mie ossa, affievoliva il dolore dandomi
nuova
forza per reagire.
Prepotentemente si incuneava all’interno della mia
testa e più cercavo di scacciarla via e non svegliarmi,
più continuava a
spingere e a tirare. Non so se quella fosse frutto delle doti magiche
di una
strega, ma ero più che convinta che fosse quanto
più simile al soggiogamento.
Quando sollevai il capo, la prima cosa che vidi
furono gli occhi di Damon.
Non avevano più alcuno interesse i battiti del suo
cuore e la sua umanità. Tutto ciò che mi era
sempre mancato e di cui avrei
avuto sempre bisogno era lui, lui soltanto.
Mi staccai da lui e notai da subito le braccia
indolenzite. Dal mio sguardo egli capì che volevo alzarmi e
mi aiutò nei
movimenti nonostante sentissi le gambe nuove e pesanti al tempo stesso.
Erano
come di ferro, pesanti ma resistenti.
Diedi uno sguardo fugace alla sala circostante e
notai alcuni volti che prima non avevo potuto scorgere: Nicole era
rinvenuta,
con gli occhi gonfi di lacrime ma sottili per la follia assassina, e
adesso
stava di fianco a Jim, anche lui teso e scuro in viso dalla rabbia;
Stefan era
di fianco a Katherine, probabilmente trovatisi insieme durante lo
scontro, ed
entrambi erano paralizzati ed aspettavano che qualcuno rompesse il
silenzio;
Bonnie a pochi metri da me sembrava essersi fatta piccola piccola in
confronto
alle doti magiche della nuova strega; Drake sorreggeva Guinever ed
erano i più
vicini alla strega standole intorno con fare sottomesso e da cani
bastonati.
Non ci voleva molto a capire che i componenti
della Triade fossero dei semplici burattini, gestiti dalle mani di
quell’essere
la cui esistenza doveva rimanere segreta.
La strega fece un passo avanti e tutti trattenemmo
il fiato, compresa la Triade.
Era strano, non era il passo lento e fluente di
Katherine, non era come il vedersi allo specchio. Era più
come rivedere se
stessi in un altro contesto, essere contemporaneamente nello stesso
luogo ed
ogni tua azione è indipendente da quella
dell’altro.
Aveva un qualcosa di antico nel suo portamento, di
selvaggio e per nulla raffinato.
Avvicinandosi sempre più verso di me, potei
scorgerla meglio: aveva i capelli castani ispidi e mal curati, forse
troppo
lunghi e raccolti sulla sommità del capo con una fibula
dalla quale fuoriuscivano
scendendo a ciuffi; il vestito di lino chiaro a casacca le scendeva fin
sotto
le ginocchia ed era legato alla sottile vita con una cintura.
Ma il viso mi colpì più di tutti. Il lato
sinistro
del viso si presentava liscio e morbido con un occhio perfettamente
color
nocciola identico al mio, ma il lato destro era rattoppato da pesanti
cuciture,
cicatrici, piaghe simile a delle squame che contornavano
l’occhio la cui iride
era di un colore grigio metallizzato.
Era un aborto della natura, un ibrido di due
realtà sovrannaturali che non sarebbero potute mai
coesistere. Era male per una
strega convertire il proprio essere in vampiro ed era alquanto strano
per un
vampiro essere dotato di complete doti magiche.
Eppure per qualche strano motivo, lei era riuscita
a mescolare questi due aspetti. A pensarci meglio in lei coesistevano
tre nature:
quella di strega, quella di vampiro, quella di umana.
Il grigio degli occhi non mentiva riguardo la sua
natura di mezzo-vampiro.
Arrestò i suoi passi e inclinò leggermente il
capo, incuriosita dalla mia presenza.
Forse era stupita quanto me e Katherine di vedere
altre due persone identiche a lei.
“Mi avevano avvertita che la mia personalità
avrebbe potuto generare qualcosa di mostruoso e di innaturale che si
sarebbe
ripercosso per anni, ma non pensavo che dopo più di
ventisette secoli si
potesse manifestare” esplicò e la voce profonda e
da donna matura si levò dalle
sue labbra.
Scoccai un’occhiata in tralice a Katherine che
come me sembrava essere alquanto indispettita dalla presenza di una
nuova lei,
così come pensava.
La strega continuò a parlare.
“Siete frutto della mia mente, del mio folle
pensiero. Siete lo specchio delle mie personalità
più celate e occulte. Nella
mia lingua le chiamavamo doppelganger”
Mentre parlava sembrava essere più che ragionevole
ragionevole per cui cercai di cavarle alcune informazioni utili,
nonostante il
bollore e la rabbia mi trattenessero dall’attaccarla.
Nonostante le ossa si fossero tutte ricostituite,
il cuore sanguinava ancora.
“Come ci hai generate? Che significa che siamo
frutto della tua fobia?” dissi a denti stretti.
La strega fuorviò la mia domanda, continuando a
parlare.
“Doppelganger
sono dei sosia e in genere si manifestano per portare cattivi presagi,
morti
imminenti. Siete frutto della magia nera, quella che per troppo tempo
ho
utilizzato e che continuo ad utilizzare”
Katherine sollevò le sopracciglia, sicuramente
stanca di sentire la cantilenante spiegazione della nostra omologa.
“Chi sei? O meglio, cosa sei?” sputò
viscida
facendo saettare lo sguardo glaciale dell’occhio destro della
strega su di lei.
Ella sollevò leggermene un dito e la vampira dai
riccioli scuri si ritrovò in apnea, vittima della sete
psicologica che stava
trasmettendo in lei.
“Mi chiamo Tatia e discendo da un’antica e potente
famiglia danese di stregoni. Grazie alla magia per molti e molti anni
sono
riuscita a preservare la mia età intorno ai trentotto anni.
Ho accresciuto i
miei poteri, ma c’è sempre stata una cosa da cui
sono rimasta affascinata: i
vampiri. Per qualche secolo sono scomparsa dalla circolazione, mi sono
incatenata e finta morta, fino a quando lei non è venuta a
svegliarmi-” spiegò
spostando il dito dapprima puntato su Katherine su Gwen, diventata
docile e
mansueta come non mai.
“- mi ha spiegato che aveva dato vita ad una nuova
razza di vampiri, vampiri per metà umani, per
metà esseri sovrannaturali. Era
la mia occasione per diventare quello che avevo sempre sognato di
essere.
Grazie alla magia e a qualche rozzo rituale sono riuscita a incarnare
in me i
geni necessari per tramutarmi in vampiro. Ora sono quello che vedi. Una
strega,
un vampiro, un’umana”
Le sue cicatrici scintillarono ed entrambi gli
occhi le si riempirono di una strana luce.
Il petto di Damon accanto a me sussultò e potei
immaginare la sporadica abitudine del suo cuore di battere veloce nei
momenti
di difficoltà. Era una caratteristica che ormai trovavo
comunque in lui anche
se vampiro.
“Quindi le due gemelle del diavolo sono frutto del
tuo insano capriccio di essere entrambe le cose?”
sbottò il Salvatore con tanto
di tono ironico, ma il suo era in modo per scaricare l’aria
dalla tensione che
si era accumulata.
Tatia compì il medesimo gesto che aveva effettuato
poco prima con Katherine e con Guinever e Damon si preparò
al peggio.
“Dal tuo tono ironico, suppongo che tu sia Damon
Salvatore. Sai, sono molte le notizie che circolano e nonostante sia
rimasta
sottoterra per molto tempo, ho appreso qualche pettegolezzo sul vostro
odio
reciproco. Sapete, siete molto conosciuti sia dai vampiri che dalle
streghe”
Damon cercò di resistere per qualche momento, ma
ad ogni nuova parola seguiva un dolore più forte, simili a
delle scosse
elettriche che Damon non riuscì a sostenere per molto.
Trattenni il respiro e l’immagine di Colin mi si
ripresentò prepotentemente in testa. Non
anche lui.
Stefan si intromise, interrompendo il contatto
della strega e io potei ricominciare a respirare.
“Senti, non vogliamo assolutamente essere
d’intralcio nei vostri piani. Questa battaglia non ha portato
proprio a niente
se non a tantissime vittime, nostre e vostre. Quindi propongo un
accordo”
La diplomazia di Stefan, sebbene dettata forse
dalla paura, sembrò convincere l’animo di Tatia e,
dopo aver indugiato un po’
sulle parole del Salvatore, alzò lo sguardo bicromatico.
“Cosa richiedete?” chiese e l’occhio da
mezzo-vampiro si assottigliò leggermente.
“Che lasciate in pace gli umani, di non
trasformarli in mezzi-vampiri. La nostra razza continuerà ad
esistere solo per
procreazione e non trasformazione” gracchiò Nicole
con quell’aria spavalda che
la caratterizzava.
Spostammo lo sguardo su Tatia attendendo il suo
verdetto. La fronte aggrottata di Stefan dava segno della nostra
medesima
preoccupazione.
“Accordato” emise la strega e un sibilo
scappò
dalle labbra arricciate di Guinever la cui rabbia nascente venne
placata dalla
mano consolatrice di Drake al suo fianco.
La mezza vampira alzò lo sguardo furente su di
lui, inchiodandolo al pavimento, ma quegli stessi occhi si colmarono di
lacrime
tramutando le schegge grigie di ghiaccio in calde acque stagnanti. Era
una
sconfitta anche lei, dopotutto.
Mi si serrò la gola e strinsi i pugni sentendo il
sudiciume sotto le mie unghie affondare ancora di più nella
mia carne.
Era finita. Era davvero finita.
Avevamo raggiunto il nostro scopo e quello dei
Ribelli. L’avevamo fatto per Jim, per Nicole e per il loro
bambino, avevamo
combattuto per Roland, per Anya, per Frederick, avevamo vinto grazie a
Michelle
e Colin.
Il loro pensiero mi riportò un lieve torpore alle
gambe, ma desistetti a cedere. Mi feci coraggio e con lo sguardo frugai
un po’
più in avanti da dove ci stava osservando Tatia.
“Bene. Grazie per l’intrattenimento dunque, a mai
più rivederci” sbottò Damon con voce
nervosa, non vedendo l’ora di abbandonare
quella sala e lasciarci il tutto alle spalle. Sarebbe stato faticoso il
lungo
viaggio del ritorno, spiegare ai nostri cari il perché della
nostra assenza.
Spostai lo sguardo tremante tra i vari corpi
finché non riconobbi dei capelli rossicci macchiati di
fuliggine.
Trattenni il respiro.
“No. Non ce ne andremo. Deve dire la tua
condizione, no?” chiese lealmente Stefan già
prevedendo la risposta della
strega dai tratti simili a me.
Tatia sorrise e nel modo in cui lo fece mi ricordò
molto Katherine.
“Sei molto perspicace. Si, ho una condizione che
pretendo voi rispettiate”
Con voce decisa sottolineò l’ultima parte della
frase e la accompagnò con un gesto abbastanza eloquente
delle dita, segno
dell’immenso potere che circolava in lei.
Tornai a focalizzare lo sguardo su ciò che era
rimasto del povero Colin.
Aveva gli occhi grandi aperti e il grigio
sbarazzino aveva lasciato posto ad un verde chiarissimo tanto da
sembrare
trasparente.
Il corpo martoriato mostrava gli evidenti segni
dell’effetto dell’incantesimo, tuttavia le braccia
e le gambe sembravano non
avere avuto troppi danni.
Stava adagiato sul pavimento e l’immobilità del
suo corpo era così triste: lui che non riusciva a stare per
più di due minuti
fermo, che come un’abile scimmia si arrampicava dovunque.
Aguzzai la vista e notai accanto a lui un altro
corpo delle medesime dimensioni.
Riconobbi la chioma scura come la pece, lo scintillio
dei pendenti e delle miriadi di collane. Era il corpo di Michelle.
Le loro mani inspiegabilmente si erano ritrovate e
combaciavano l’una su quella inerte dell’altra.
Nonostante il dolore e la sensazione di
soffocamento, fui lieta di quella vista. Per lo meno, dopo essere stati
separati nella vita, si erano ritrovati nella morte.
I miei pensieri furono interrotti dalla voce di
Tatia.
“Voglio che dimentichiate ogni cosa voi abbiate
visto o subìto”
Non ricordo se l’ultima cosa che osservai furono i
capelli vermigli di Colin, ma da quelle parole la rabbia che per molto
tempo
avevo seppellito in me mi ribollì nelle vene ed ogni cosa
appartenente al mio
campo visivo si tinse di rosso fuoco.
Ricordo solo la presa di Damon intorno alle mie
braccia farsi sempre più lenta.
***
Diventa
sempre più difficile rileggere questi capitoli e soprattutto
scrivere qualcosa
di sensato come commento. Vi anticipo che questo è il
terzultimo capitolo: il
prossimo, già in cantiere e quasi pronto per la
pubblicazione, sarà il
penultimo e poi ci sarà il tanto atteso Epilogo.
Sì, questa neverendingstory
sta giungendo al termine.
Ma
vedo un po’ di chiarire alcuni punti che non vi saranno
sembrati molto chiari.
Dopo ben trenta capitoli comprare la vampira capricciosa più
amata e cioè Katherine
che per tutto questo tempo ha
tenuto d’occhio i Salvatore&Co. e ha fatto la sua
entrata in scena nel
momento più opportuno ma per una causa sbagliata; si sa che
Kate ha lasciato
dei conti in sospeso (uno fra questi quello con Klaus) e ha allacciato
dei
rapporti anche con la Triade, così salvando Gwen ha colto la
palla al balzo e
ha saldato il suo debito.
La morte di Colin,
quella che forse non mi perdonerete mai e poi mai e che forse
è la più
insensata. Ma prima di arrivare a quello, meglio chiarire il bacio che
ha dato
ad Elena. Come la stessa Gilbert dice, Colin non è
più un ragazzino come si è
presentato all’inizio, nel corso di due mesi e mezzo
è cresciuto, si è fatto
più alto e ha abbandonato quasi del tutto la sua corporatura
da ragazzino, come
Elena più volte ha ribadito nel corso dei capitoli; adesso
dimostra più o meno
le caratteristiche di un sedicenne (più o meno come Jeremy
della prima
stagione) ecco perché Elena lo confronta con suo fratello e
si meraviglia
quando si accorge che adesso è alla sua altezza. Il bacio
del rosso non è un
vero bacio ma una specie di addio, un modo per tranquillizzare Elena e
ringraziarla per tutto quello che ha fatto. Vi sarete accorti che Colin
in
molti aspetti cerca di essere come il “signor
Damon” e quindi anche lui ha
queste sparate un po’ imprevedibili. La frase
“Fidati di me, degli amici ci si
fida” è ripresa dal capitolo 12
– Come on, we also give you candies (sembra
un’eternità fa!) quando ancora Colin era un
birbante mezzo vampiro appena
arrivato in città. La sua morte era necessaria
perché senza di essa Elena non
si sarebbe arrabbiata a sufficienza per fare quello che vedrete nel
prossimo
capitolo. E’ stato crudele da parte mia e non sapete quante
lacrime ho versato
mentre scrivevo, è stata sofferta questa decisione, quindi
vi prego non me ne
vogliate male!
Se c’è qualcuno da incolpare quella è Tatia, la prima doppelganger Petrova e
potentissima strega. Agli
albori di questa storia avevo intenzione di introdurre il personaggio
conclusivo cioè una strega con le sembianze di Elena e
Katherine (quella che
doveva essere la
Strega
originale), ma nel corso delle varie stagioni è uscito fuori
il nome di
Charlotte/Tatia e quindi mi sono detta perché no? La prima
doppelganger, strega
e per di più mezza vampira. Tatia quindi è la
medesima che (per chi segue la
serie) avete sentito nominare a Klaus e qui è a capo della
Triade; le
motivazioni che l’hanno portata a rimanere nascosta
sottoterra per molti anni
verrà spiegate meglio nel prossimo e ultimo capitolo prima
dell’Epilogo. Per
fortuna Stefan riesce ad intavolare delle trattative e alla fine i
mezzi
vampiri ottengono quello che avevano richiesto ma ad un caro prezzo, dimenticare. Dimenticherebbero tutto,
quindi quale futuro per Elena e Damon se non si ricorderanno dei due
mesi che
hanno visto sbocciare il loro amore? E poi perché
dimenticare?
Alla
fine tutti i nodi verranno al pettine e ogni cosa nella storia non
è mai
casuale.
Stringete
i denti altri due capitoli e finalmente potete dire addio ai miei
commenti
strizzacervello.
Vi
ricordo per chi volesse sapere qualcosa in più riguardo le
storie ed avere più
aggiornamenti può aggiungere il mio profilo facebook Dreem L. Efp
Per
chi si fosse innamorato della coppia-friendship (?) Colin/Elena
può vedere
questo bellissimo video che ho trovato qualche giorno fa in
contemporanea alla
stesura del capitolo (coincidenza?) QUI
Con
questo mi dileguo, vi ringrazio immensamente per la lettura e per il
supporto
che mi date,
Al
prossimo capitolo
- sil.
|
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Capitolo 34 *** 32- WE WON'T DIE. WE CAN'T ***
32- WE
WON’T DIE. WE CAN’T.
Dimenticare.
Come avrei fatto a dimenticare tutto quello che
era avvenuto in questi ultimi tre mesi. Dimenticare, cosa poi? Il
sangue, la
battaglia, le ferite, i morti. Dimenticare la Cascina,
Frederick, Colin,
i mezzi vampiri. Dimenticare il rapimento di Stefan, le telefonate
fatte a
vuoto, le lacrime mai asciugate. Dimenticare Damon e la notte in tenda.
Dimenticare,
dimenticare, dimenticare.
Da
quando avevo conosciuto Stefan, ero stata
sempre contraria ad ogni tipo di soggiogamento. Ogni singolo dolore,
ogni
singola perdita doveva rimanere impressa nella mia mente, marchiata a
fuoco, e
anche se il ricordo faceva male dovevo ricordare o se no mi sarei
sentita un
guscio vuoto, una bambina che non sa cosa è avvenuto prima
della sua nascita.
Non ci fu neanche il bisogno di divincolarmi dalle
braccia di Damon perché sentivo la sua stretta ferrea farsi
sempre più debole
fino a liberarmi quasi del tutto dal suo abbraccio, assecondando
così la mia
ira e la mia voglia di combattere contro me stessa.
I miei piedi sfrigolavano come se stessero
friggendo nell’olio bollente e così anche le mie
dita investite da un feroce
prurito. Non so se fosse stato l’essere vissuta a contatto
con i vampiri, ma
cominciavo a vedermi sempre più simile a loro e la cosa non
mi piaceva, non mi
piaceva affatto.
Le dita di Damon si posarono sul dorso delle mie
mani e quell’elettricità invisibile si fece ancora
più carica. Quando le mani
del vampiro si allontanarono definitivamente dal mio corpo, le mie
gambe
cominciarono a correre.
Non avevo idea cosa voler fare con esattezza.
Avevo agito d’istinto senza riflettere, senza pensare che
probabilmente ogni
passo che compievo poteva essere l’ultimo, smorzato da
qualche incantesimo
fatale che mi avrebbe fatta esplodere, disintegrare, saltare in aria.
Eppure se era vero che in me c’era parte
dell’animo di Tatia, avrei potuto fare qualcosa, avrei
tentato di fermarla.
D’un tratto frenai e le suole dei sandali in gomma
sfregarono il parquet. Poco più di un metro distanziava me
dalla mia immagine
riflessa, ma nessuna barriera magica impediva il mio passaggio, solo
una mano posta
all’altezza del mio petto che aveva la consistenza del
granito puro.
“Elena, per favore!”
Katherine, frapposta fra me e Tatia, mi supplicò
affilando lo sguardo nel caso mi fossi azzardata ad avvicinarmi di un
solo
centimetro.
La vampira inclinò leggermente la testa e i riccioli
scomposti le incorniciarono il viso mentre la carnagione olivastra si
faceva
più accesa con l’entrare dei raggi del sole.
Non riuscii a reggere oltre il suo sguardo
perentorio così roteai gli occhi per poi posarli su quelli
bicolore della
strega. Strinsi le labbra per frenare i residui di adrenalina che mi
ordinavano
di andare avanti.
Indietreggiai di un passo, ma scoccai ugualmente
un’occhiata omicida a Katherine che tuttavia invece di
incuterle timore la fece
ridere di sottecchi.
Probabilmente se quella non fosse stata una
situazione drammatica, le avrei parlato, le avrei detto che non era
giusto
dimenticare, avrei arginato la paura sviscerante che avevo nei suoi
confronti e
le avrei parlato come ad una sorella. Perché in fondo
provenivamo dalla stessa
famiglia, in fondo eravamo una famiglia ma ancora non lo sapevamo.
Di tutte le parole che mi confondevano il cervello
non ne pronunciai neanche mezza, non perché erano sbagliate
ma perché, se Tatia
avesse compiuto l’incantesimo, si sarebbero disperse e
dimenticate così come
tutto il resto. Così le lasciai seppellite in me, dove
sarebbero comunque
rimaste.
L’occhio grigio della strega si affilò e subito
percepii il suo sguardo metallico posarsi su di me.
“Ci deve essere un altro modo” dissi inchiodando
lo sguardo su quello di Tatia mentre Katherine sbuffò
sonoramente inarcando un
sopracciglio e facendo ricadere la mano, che poco prima mi aveva
impedito di
avvicinarmi, lungo il suo fianco.
Aveva dei modi di fare così assurdi che ancora
oggi mi chiedo come fosse possibile che provenissimo dalla medesima
famiglia.
Tatia ammorbidì lo sguardo e il suo sorriso si
addolcì, così come avrebbe fatto una madre di
fronte all’ennesimo capriccio
della figlia.
Sospirò.
“No, Elena. Questo è l’unico modo per
garantire la
mia salvezza” scosse il capo come a voler cacciare indietro
un ricordo troppo
amaro da digerire e continuò a guardare me e Katherine
stupite da quella
affermazione.
“Questa è mancanza di fiducia. Se è per
paura che
possiamo andare a spifferare tutto ai quattro venti, tranquilla,
manterremo il
segreto” esordì Katherine incrociando le braccia
al petto e picchiettando la
punta del tacco delle scarpe che indossava. La sua attenzione si
rivolse
istintivamente a Guinever con la quale suppongo avrà avuto
lo stesso tipo di
conversazione.
“Hai la nostra parola” calcò
maggiormente Stefan,
ma a quanto pareva le promesse non erano sufficienti per una come Tatia.
“Non siete voi il mio problema. Sono loro. E’ lui” obbiettò e la
fronte le si corrugò
di profondissimi solchi così come lo strato di pelle intorno
alla cavità
oculare destra si sfibrò in finissime increspature. Ma
c’era qualcosa di strano
nel suo sguardo come se la triplice natura si stesse confondendo. Il
grigio
argentato dell’occhio destro era quasi del tutto scomparso
lasciando posto al
bianco cieco dell’ira, così come la natura dei
mezzi vampiri le imponeva di
essere; ma il nocciola dell’occhio sinistro, quel colore
così umano e simile al
mio, si era annacquato diventando lucido e cristallino.
“Lui chi?” tentai di chiedere e la mia voce
risuonò ovattata, segno che le forze stavano cominciando ad
abbandonarmi del
tutto.
Tatia, fiera e orgogliosa nel suo aspetto, non
distolse lo sguardo dal punto indefinito di fronte a se.
“C’è un motivo perché volevo
essere come voi, una
vampira. Uno di loro- no, non era uno fra i tanti, ma il primo fra
tutti- venne
a stare da noi per qualche tempo. Capii subito che si trattava di
qualcuno al
di sopra di ogni mia aspettativa. Era carismatico, vittorioso, ironico,
sagace
e sembrava che solo io mi fossi accorta di questo. Non c’era
modo di
combatterlo, non c’era modo di sconfiggerlo, non
c’era modo di amarlo. Ma io lo
feci”
La voce di Tatia si incrinò leggermente, ma la sua
compostezza e la sua rigidità non mostravano alcun segno di
debolezza.
“Tentò di uccidermi, tentammo di ucciderci a
vicenda. Non ci riuscì e per questo passai il resto dei
secoli avvenire a
fuggire da lui. Ciò di cui io avevo più bisogno
era un corpo nuovo, che non
invecchiasse, capace di eguagliare la sua forza e il suo coraggio.
Ciò di cui
lui aveva più bisogno era il mio sangue e quello della
discendenza Petrova per
poter stare con me”
A quel nome, che a noi suonò così strano,
Katherine sobbalzò.
“Una minaccia incombe su di voi, la storia sta per
ripetersi, cercherà di spezzare la maledizione del sole e
della luna che lo ha
condotto fin qui”
Tatia chiuse gli occhi e continuò a balbettare
parole e frasi senza senso come se fosse assorta in qualche stato di
trans.
Provai a scuoterla e un sospetto cominciò a
brulicare nella mia mente. L’incantesimo era già
iniziato?
“Basta giocare a indovina chi, dicci chi è questo
vampiro?” sputò fuori Damon stanco di sentire la
storia della strega senza
poter trarre delle informazioni utili a quello che effettivamente
doveva essere
un possibile pericolo.
Tatia aprì entrambi gli occhi e l’azione mi
rincuorò.
“Perché mai dovrei dirvelo? Dopotutto tra breve
dimenticherete tutto” puntualizzò Tatia con il
sorriso bonario di poco prima
tuttavia tirato leggermente di stizza e malinconia.
“Se vuole uccidere te, perché allora siamo noi in
pericolo?” intervenne Stefan cercando di far venire tutti i
nodi ad un pettine
che di nodi ne aveva parecchi.
Tatia sbuffò e in quel fotogramma nella mia mente
associai il suo modo di fare a Katherine. Dopotutto aveva forse ragione
nel
dire che noi eravamo dei semplici aspetti della sua
personalità.
“Perché se uccide me, uccide le doppelganger”
disse sfiorandomi il
profilo del mascella con l’indice, senza alcuna punta di
cattiveria. Sembrava
che fosse realmente in pena per noi- noi che eravamo delle semplici sue
creature.
“Ma tu sei per metà un vampiro adesso e Katherine
lo è interamente. Quindi questo tizio a chi diavolo
dovrebbe-” Damon si bloccò
e contrasse la mascella nel medesimo momento in cui lo sguardo dei
presenti si
posò su di me.
Era me che voleva.
Stefan sospirò sconsolato.
“Quanto tempo abbiamo prima che venga a cercarla?”
chiese; aveva il viso stravolto di una stanchezza non fisica ma
psicologica, ed
era da tanto tempo che non si nutriva, stava cominciando ad
infiacchirsi e
questo mi procurò una morsa al cuore.
“E’ privo di forze per il momento e non si fa
vedere molto in giro. Avete tempo a sufficienza per risolvere questioni
ben più
importanti. Ogni cosa a tempo debito”
Il minore dei Salvatore rilassò le spalle e fummo
tutti un po’ più tranquilli sapendo che tale
minaccia era ancora lontana, forse
anche inesistente.
Dimenticare implicava anche questo, essere
inconsapevole delle minacce, dei rischi contro ai quali potevamo
incorrere,
ignorare il male che ancora una volta si intrometteva nelle nostre vite.
Dimenticare, ma a quale prezzo?
“E sentiamo, Malefica, vuoi far dimenticare tutto
a loro, va bene. Ma noi due cosa c’entriamo in tutta questa
storia delle
doppel- oh al diavolo come si chiamano”
Jim alla nostra destra prese la parola. Aveva i
capelli biondi sudati e incollati alla tempie mentre
all’angolo delle labbra
gli si era formata una crosticina rossa così come sulla
tempia mentre l’occhio
da violaceo stava assumendo una colorazione giallastra. Il viso
aggrottato non
lasciava trapelare alcun segno di misericordia per noi che eravamo
stati dei
semplici soldati al loro fianco. Loro desideravano una pace che
già da fin
troppo tempo avevano cercato senza mai trovarla.
Tatia si voltò e lo investì della medesima ondata
gelida.
“Voi non dimenticherete tutto, saprete soltanto
che avete trovato un accordo con la Triade e che avete vinto questa
guerra. Ma
vi dimenticherete di loro, del viaggio e di qualsiasi cosa vi sia
successa nel
corso di questi tre mesi” La figura di Nicole fece capolino
da dietro la spalla
possente del mezzo vampiro e ci gettò un’occhiata
tra il triste e il sollevato:
avevano vinto, in uno strano modo ma ce l’avevano fatta, e
quel grazie appena
accennato dalle labbra della mezza vampira sapevamo che proveniva dai
più
profondo del loro cuori.
Ma Jim, che continuava a ricoprire la mezza strega
di occhiatacce, non sembrava essere del tutto convinto delle sue parole
e
sporgendosi lievemente con il busto cercò di arrivare alla
medesima altezza di
Tatia.
“Cosa intendi per qualsiasi cosa?” chiese
assottigliando gli occhi davanti ad una Nicole stralunata da quella
precisazione. Ma quel che non sapeva Nicole era che l’essere
diventata madre l’aveva
reso un po’ meno acuta nel cogliere le piccolezze.
Jim trasalì impercettibilmente e io deglutii
rumorosamente, come se quella fosse una mia conferma al pensiero che
stava
intercorrendo nella mente dei due mezzi vampiri.
“Sarà come se voi non aveste mai messo piede qui
dentro, come se foste ancora a casa vostra” esalò
la strega e nonostante avesse
fuorviato la risposta, il concetto appariva molto chiaro a tutti noi.
Con la coda dell’occhio osservai il movimento
repentino di una macchia scura che si mosse alla mia destra e con una
presa
ferrea Damon intrappolò Tatia cogliendola di sorpreso.
“Ci deve essere un altro modo e non mi importa dei
tuoi trucchetti da fattucchiera” sibilò il
Salvatore reclinando all’indietro la
testa della mezza strega e premendo di più la bocca
all’altezza della carotide.
Se quella non fosse stata una situazione tragica, probabilmente avrei
provato
fastidio a vedere una me così vicina alle sue labbra.
Tatia sorrise e lo sguardo metallico le si accese
di superiorità.
“Ricorda Salvatore, uccidi me, uccidi le altre due
Doppelganger. Mordi me, ingerisci il mio sangue da mezzo vampiro, e
morirai. A
te la scelta”.
Le pupille mie e di Stefan erano fisse sulla scena
e il fiato sospeso o del tutto scomparso.
Damon dischiuse la bocca come a voler ribattere,
poi la richiuse, corrugò la fronte e lasciò
andare la presa ai polsi sottili
della strega, imprecando ostinatamente. Almeno lui ci aveva provato e
aveva perso.
Avevamo perso, in un modo o nell’altro.
Damon rovesciò gli occhi all’insù e
strinse la
mano in un pugno, colto da un attacco di rabbia improvvisa, ma non
avendo
oggetti da colpire o da scaraventare in aria, se ne rimase
lì con la sua rabbia
e il suo rancore nei confronti di quell’essere che aveva
appena decretato il
nostro destino a noi impotenti.
Poi gli occhi di Stefan si illuminarono di nuova
speranza. Mi lanciò uno sguardo in tralice mentre la testa
cominciava a girare
leggermente. Era l’effetto soporifero
dell’incantesimo.
“Elena, abbassati piano e prendi quella penna alla
tua destra” sillabò in mia direzione e
seguì le sue indicazioni. Sorvolai con
lo sguardo i calcinacci sparsi per terra fino a raggiungere il
portapenne e la
scrivania dello studio e un minuscolo oggetto nero affusolato. Mi
lasciai
cadere a terra, visto che quello doveva essere l’effetto del
rito e allungai il
braccio fino a sentire la penna tra le mie mani. La porsi a Stefan
mentre
facevo leva sulle mie ginocchia tentando di alzarmi ma invano.
Fu come cadere lentamente, priva di qualsiasi
forma di gravità, ma il suolo anziché avvicinarsi
si allontanava sempre di più.
Furono i ricordi più vicini ad andarsene, tanto che dopo
pochi minuti non
ricordai con esattezza cosa avessi dato a Stefan, se fosse una penna,
un
calcinaccio o semplicemente l’aria. Era tutto troppo confuso
tanto da non
riconoscere i movimenti veloci di Stefan disteso al mio fianco che,
arrotolata
la camicia fin sopra i gomiti, scriveva segni, parole, numeri come
nostra
ultima memoria. Stefan scriveva da tempi immemorabili, era naturale che
per lui
la memoria fosse un qualcosa di superfluo, erano le parole scritte a
resistere
attraverso i secoli e questo lui l’aveva capito.
La memoria tornò a farsi vaga così come i
contorni
degli oggetti divennero sfumati. Mi si ripresentò nuovamente
la scena di Nicole
e Jim e mi venne quasi strappata di dosso, così come la
morte di Colin tornò
prepotentemente a svilupparsi sotto i miei occhi. Era un dolore antico,
già
provato ma più che un dolore fu un addio a quel ragazzo che
purtroppo non
sarebbe rimasto mai più neanche nella nostra memoria. E
così venne la volta
dell’entrata in scena di Katherine, della morte di Chris e
del suo scontro con
Jim, del ghigno di Guinever, del volto da vampiro di Damon e dai suoi
occhi
iniettati di sangue, il discorso di Michelle e l’orda dei
mezzi vampiri
assassinii.
Mi accartocciai su un fianco e fui felice di
trovare in qualche modo che qualcuno mi stesse tenendo la mano, almeno
quello
era l’unico contatto che mi collegasse alla
realtà. Ero stupita di quanto
orrore avessimo affrontato nel giro di pochi giorni- o forse poche ore.
Chiusi gli occhi e davanti mi si presentarono
nuovamente gli occhi grigi di Michelle e i suoi sonagli scintillanti
come
collane. Stavamo rinchiusi in una cella, Colin era ancora vivo e Nicole
era in
lacrime. Rivissi quegli attimi nuovamente e poi fui catapultata nei
cunicoli
sotterranei, sotto la lampada al neon, davanti a me c’era
Damon con gli occhi
da umano e il cuore a mille. Cercai con tutte le mie forze di
trattenere quell’immagine
e di non lasciarla andare così come il ricordo di quelle
parole di cui non
riuscivo più a pronunciarne nemmeno un suono tanto il tutto
era ovattato.
Seppur stringevo forte la mano il ricordo venne risucchiato via a forza
e mi
trovai catapultata in un'altra scena, questa volta
all’aeroporto quando il
sorriso di Jim mi accolse al mio risveglio e il fischio degli aerei
interruppe
il mio sonno, e poi alla cascina insieme agli altri mezzi vampiri, in
quella
casa piccola e rumorosa ma che sapeva tanto di famiglia. Si
fermò dietro ai
miei occhi l’immagine di Frederick dagli occhi grigi e i
capelli scurissimi e
lì dovetti dirgli addio.
Poi il panorama cambiò e i ricordi divennero
soffusi, tanto soffusi da non sapere più dove mi trovassi.
C’era del fogliame,
una tenda arancione e il fuoco acceso. Il calore che si
sprigionò dal ricordo
ruzzolò via per tutto il mio corpo tanto da imporporarmi le
guance e farmi
sudare le mani. Era caldo quel ricordo, bollente e al calore si
mischiavano i
baci frenetici, le mani intrecciate e i respiri affannosi. Era la notte
in
tenda di me e Damon. Sentii il cuore battere e pulsare al si sotto del
palmo
della mia mano e mi sembrò di essere rimasta inceppata in
quel momento del
passato, come la carta che si inceppava tante volte nella stampante.
Mi concentrai e provai a far convergere tutte le
mie fibre nervose nel trattenere strenuamente quel ricordo mentre
sentivo gli
altri risucchiarmeli via. Quel ricordo per quanto scomparisse ad
intermittenza
ritornava e più me lo sentivo strappare via, più
cercavo di trattenerlo e di
registrarlo infinite volte prima della sua cancellazione. Poteva
sembrare anche
banale in quel momento, ma fui lieta che Damon fosse tornato ad essere
un
vampiro. Mi aveva insegnato molte più cose che da umano mi
avesse mai potuto
insegnare. Che l’amore non dipende dal cuore. E’
troppo poco affidabile. Parla,
si scuote, si ammutolisce di continuo per poi fermarsi. Ma
l’amore continua.
Che un cuore batta o stia in silenzio poco importa, l’amore
è più di un semplice
stato mentale e nessuna amnesia al mondo potrà mai eliminare
quel sentimento
che si nutre nei confronti di una persona. E’ come se ce
l’avessimo marchiato a
pelle il nome della persona a noi destinata.
La mano che era stata stretta a me per tutto quel tempo
si fece sempre più leggera fino a che non mi
sentì priva di appigli e riaprii
gli occhi obbligandomi ad un forte capogiro. Era una sensazione strana,
come se
la mia testa fosse stata troppo grande e adesso i ricordi erano
decisamente
pochi, pochi mobili per un salone enorme. Sollevai la testa e lessi nei
volti
dei miei amici il medesimo orrore: l’apatia nel volto di
Bonnie, l’indifferenza
in quello di Damon. Solo Stefan lottava contro la magia e continuava a
torturarsi il braccio di parole ormai incomprensibili e sbavate
dall’inchiostro.
Voltai il capo e notai che gli occhi azzurri di
Damon mi stavano fissando come se cercassero di mettermi a fuoco, come
se
stessero cercando di capire chi io fossi. E in quel momento
più lo guardavo più
non riuscivo a paragonarlo allo strappo di ricordo che avevo nella mia
mente,
come se fosse appartenuto ad un'altra era.
Il vampiro si scosse dal suo stato di torpore e
strisciò verso di me e anch’io feci leva sulle mie
gambe ma la testa non ne
voleva sapere di alzarsi dal pavimento. Gli occhi si erano nuovamente
accesi di
vita e l’indifferenza nel suo volto era del tutto scomparsa,
forse
l’incantesimo era già terminato su di lui o forse
non era mai avvenuto.
“Ehi
Elena, se questa è la fine voglio dirtelo una volta per
tutte. Mi stai
ascoltando vero?” Cominciò a parlare distendendosi
anche lui per terra e
poggiando la guancia al pavimento. Io provai ad annuire ma la mia mente
era
ormai l’unica parte di me che rispondeva. “Magari,
quando ci sveglieremo e se
ci sveglieremo, non ricorderemo niente, niente di tutto questo! Magari
non
ricorderai nemmeno dei nostri momenti, degli abbracci caldi che ho
potuto
donarti da umano quando ti tenevo stretta a me, dei nostri baci, degli
schiaffi
e della notte in tenda, della nostra
notte. Magari ci sveglieremo a Singapore in topless e penseremo che sia
stato
solo un brutto incubo. Forse continuerai ad amare Stefan
così come hai sempre
fatto. Ricordi come eravamo prima io e te, vero? Lo
ricordi?”. Provò a
chiedermi con un accenno di sorriso, ma lo strano formicolio che prima
non mi
permetteva di muovermi adesso mi aveva concesso il controllo di parte
dei
muscoli del viso. “Ma io, Damon Salvatore, giuro sul mio
onore, continuerò ad
amarti. Mi sveglierò domani, come te, ma nessuna strega da
quattro soldi,
nessuna doppelganger, nessun mezzo vampiro assatanato, nessun
incantesimo da
strapazzo sarà mai forte abbastanza da cancellare quello che
sono riuscito a
provare per te. Ricominceremo tutto da capo, come se ci fossimo appena
conosciuti, ma ti avverto signorina Gilbert: ti ho amato, ti amo e ti
amerò.”
Disse quelle parole come se fossero state scritte apposta per essere
dette e
non appena allungò le sue dite alle mie riacquistai
lucidità e il senso di
torpore finì. L’incantesimo era completato e anche
l’ultimo brandello di
ricordo era stato prosciugato. “Ti aspetterò
sempre. Per sempre.” Lo disse con
una tal convinzione che temetti di credergli. Mi avrebbe aspettato per
sempre
quando io per lui avrei aspettato solo una vita. “Per
sempre” mormorai e sperai
che almeno quelle parole si radicassero dentro di me. Abbassai la testa
e lo
sguardo mi si posò sul braccio scritto di Stefan le cui
lettere riuscivo a
leggerle a stento per via dell’incantesimo. Strizzai bene gli
occhi per
metterle a fuoco e provai a riconoscerne qualcuna.
Mal[e]d[i]zion[e].
P[e]tr[ov]a.
Luna.
Un nome e
poi il vuoto.
***
Salve bella gente,
Come potete vedere
questa storia è finalmente giunta al termine! Dopo
più di un anno finalmente la storia vede una fine-- che non
è proprio una fine definitiva. Si è concluso
finalmente il viaggio di Damon, Elena e dei mezzi vampiri, hanno
lottato e alcuni hanno vinto e altri hanno perso. Spero che sia stato
chiaro che il vampiro a cui si riferiva Tatia era Klaus. Alla fine
Tatia per precauzione ha cancellato la memoria di tutti i presenti e
così anche quella di Elena e Damon i quali non si
ricorderanno niente del loro amore e della loro notte. Ma mi reputate
essere veramente così cattiva? Dopotutto Stefan ha avuto
l'idea di scrivere le ultime informazioni sul braccio (le parole poste
tra parentesi sono quelle non leggibili) e la luna a cosa
può essere collegare se non alla pietra di luna? La storia,
la loro storia si è conclusa e non direi affatto con un
lieto fine ma dimenticate un piccolissimo dettaglio che forse chi segue
la quarta stagione sa. Visto che qualcuno ha sottolineato il fatto che
io aggiorno ad ogni proclamazione di papa (giusto per rimanere in tema)
quindi forse dovrete aspettare ancora un po' per l'epilogo finale
oppure chissà forse già dopodomani lo potrete
trovare ;)
Incomincio
già da ora a ringraziarvi immensamente per tutte le
rcensioni rilasciate, per i commenti, per i consigli e i complimenti,
grazie a tutti coloro che hanno semplicemente letto e chi ha aggiunto
la storia tra le preferite e le seguite. Grazie.
Continuerò i
ringraziamenti nell'epilogo dove finalmente sarà chiarito un
quesito che mi trascino dall'inizio.
A presto
Sil
|
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Capitolo 35 *** EPILOGO - IT'S A HUMAN THING ***
EPILOGO-
IT’S A HUMAN THING [YEARS LATER..]
“Papà
chi è questa signora?” borbotta la bimba dai
capelli color mogano arricciando il naso e scoccando
un’occhiata sorniona da
gatto curioso a Jeremy che la sostiene per la vita.
Poi la bambina mi fissa stranita con gli occhi
verdi che somigliano tanto a quelli di zia Jenna e il mio cuore vacilla
un po’
sul da farsi. Dondolo un po’ sui talloni intimidita da quella
presenza seppur
lieve che tuttavia mi metteva ogni volta in imbarazzo. Provo a piegare
gli
angoli della bocca in un sorriso rassicurante, ma la bambina non sembra
per
niente rassicurata e continua a scoccare calci e alla pancia di Jeremy
ricoperta da una camicia scozzese a quadri bianchi e blu.
“Miranda, sta buona. E’ solo un’amica che
è venuta
a trovarci da molto lontano” la rimprovera bonariamente
Jeremy e la piccola
sembra dare ascolto alle parole del padre perché distoglie
lo sguardo su di me
e concentra la propria attenzione sull’orologio
d’acciaio di mio fratello.
Amica.
Dopotutto non potevo pretendere il contrario visto che sono passati
diciassette
anni e ho ancora l’aspetto di una ventenne. Amica era il
termine appropriato,
un modo per presentare alle figlie vecchi conoscenti, il livello di
relazione
capace di far abbassare la guardia e avere un comportamento reciproco
più mite.
Zia non
avrebbe fatto al caso mio, quanto meno non nelle mie condizioni.
“Tranquilla Miranda, io e tuo papà ci conosciamo
da tanto tempo ormai” provo a iniziare ma la bambina adesso
sembra troppo
distratta per sentire le mie parole. Jeremy rotea gli occhi al cielo
prima di
fissarli sui miei.
“Eravamo come fratello e sorella una volta”
minimizza
e noto l’accento amaro con cui lo dice tanto da farmi
abbassare lo sguardo per
osservare le punte dei miei stivali che picchiettavano sul selciato
grigiastro
del cimitero di Mystic Falls.
Gonfio le guance e cerco di prendere l’iniziativa
prima che questa conversazione possa piegarsi verso lati oscuri e
negativi dei
quali di sicuro né io né Jeremy volevamo parlare
di fronte alle bambine.
“Come sta Samantha? Non è venuta oggi qui con
te?”
chiedo torturandomi le mani e il dito con l’anello che mai mi
aveva dato
fastidio come in quel momento.
“No, aveva da riordinare la casa e poi, sai, è in
ritardo con la tesi di laurea perciò approfitta delle
mattine libere per
studiare” spiega con una scrollata di spalle issando
maggiormente Miranda.
Quella più che una risposta suonava come una
giustificazione. Dopotutto chi è che vuole vedere
– e avere- un vampiro come
cognata.
Nei primi anni in cui mi ritrovavo da sola a
vagare per gli Stati Uniti incontrai Samantha in una città
del Colorado. Era
minuta e bassa, con un’insolita voglia a forma di falce
dietro la nuca e i
capelli color miele ma aveva una grande tenacia e forza da vendere
dietro quei
occhi verdi da cerbiatto. Non so cosa Jeremy trovasse in lei, se per
l’incredibile intelligenza di cui era dotata o forse per il
bello e grazioso
aspetto. Quando glielo domandai una volta a Denver, uno dei miei tanti
soggiorni dopo essere diventata vampiro, gli chiesi che cosa ci
trovasse in
Sam, così come la chiamava. Non che fossi gelosa, ma per
quello che aveva
passato, desideravo sinceramente che non soffrisse più in
futuro. “Mi ricorda
un po’ te” mi rispose e io non ebbi altre obiezioni
a riguardo. Dopo la fuga di
Klaus, la fine degli Originali e la morte delle persone a noi
più care, si
sposarono, lasciandosi alle spalle tutto il resto. Lasciandosi alle
spalle
anche me. Samantha seppe ogni cosa del suo passato, dalla decimazione
della
nostra famiglia all’esistenza di esseri sovrannaturali. Non
si scompose, semplicemente
si sfilò gli occhiali da vista per quel misero grado e mezzo
che le mancava e
butto giù tutto d’un fiato, vampiri, licantropi,
streghe e compagnia bella. Era
una donna forte dopotutto, la più adatta per Jeremy.
“Papà dove dobbiamo posare i fiori per zia
Jenna?”
pigola una voce alla sua destra proveniente dalla figura slanciata di
un’altra
bambina dall’aria minuta con occhi color nocciola e ciocche
di capelli chiari.
Elena Isobel Gilbert mi scruta con aria naturale senza aver paura e
quando fa
così ho paura del potere del soggiogamento, forse che non
faceva effetto su di
lei?
Jeremy si apre in un sorriso malinconico e prende
la manina sottile della mia omonima voltandosi per raggiungere la tomba
di
Jenna. Poi si volta rivolgendomi uno sguardo di sottecchi come se
volesse non
farsi vedere dalle bambine.
“Vieni con noi?” mi chiede e mi irrigidisco come
un pezzo di legno. Lo svantaggio di essere ciò sono
è che ogni singola
emozione, per quanto piccola sia, si trasmette in ogni centimetro del
mio corpo
con la stessa intensità di mille lampadine e in quel momento
sentivo il senso
di rimorso e frustrazione rodermi dall’interno. Ma per
fortuna ero diventata
abbastanza brava a controllare il tutto o quanto meno stavo imparando
già da un
po’.
Lascio scivolare i ricordi e accenno un flebile si insieme ad un
movimento
del capo.
Elena mi offre la sua mano e io gliela stringo
sentendomi un po’ impacciata. Quando arriviamo alla tomba di
Jenna, Miranda
protesta per essere messa e terra e con fare dispettoso ruba una
gardenia dal
mazzo della sorella porgendola sopra la tomba. Le bambine se ne stanno
in
silenzio di fronte alla tomba mentre Jeremy sospira e mi prende una
mano.
“E allora, dove sei stata in questi ultimi sette
anni?” chiede col tono canzonatorio di quando aveva
diciassette anni. Adesso si
può permettere di comportarsi normalmente, di ritornare per
poco tempo al
soprannaturale.
“Washington, Los Angeles, Barcellona, Vienna,
Tokyo—no, forse sono stata prima a Tokyo e poi a Barcellona,
non ricordo di
preciso” fingo e il mio tono sembra essere divertente visto
che Jeremy si apre
in un sorriso a trentadue denti.
“di Klaus, hai avuto notizie?” chiede e la fronte
alta gli si corruga in tre increspature.
Avrei potuto dirgli che avevamo incontrato Klaus
nel nostro cammino, che ha voluto sapere tutta la storia di Tatia e di
come
l’avevamo conosciuta, avrei potuto raccontargli di quando mi
era tornata in
mente la memoria, quando l’incantesimo di Tatia era svanito a
causa della sua
morte, di come Klaus ci aveva aiutati nel riacquistare tutti i ricordi
relativi
a quel periodo, ma non lo faccio, mi limito a denigrare con il capo.
“Abbiamo perso ogni contatto poco dopo la nostra
partenza da Mystic Falls, non penso che lo rivedremo mai
più”. Per l’esattezza
avrei dovuto dire non
penso che tu lo
rivedrai mai più. In quanto a noi,
avevamo più o meno l’eternità.
“Sai, mi sei mancata in questi sette anni”
dice
rivoltandosi le maniche della camicia per poi grattarsi la peluria
spessa del
mento.
Ed è in quel gesto impacciato che riscopro il
fratello che pensavo di aver perso quando sono diventata vampira,
quando il
tutto è diventato più complicato e la sua vita
è stata messa in pericolo tante
volte. Penso ai sette anni di lontananza da lui e provo una fitta allo
stomaco.
Finchè avevamo una famiglia dovevamo aggrapparci a vicenda
per non cadere, per
non sprofondare nella pazzia.
Mi alzo in punta di piedi e lo abbraccio ma la
situazione sembra invertita perché le sue spalle da uomo mi
circondano e mi
fanno sentire più consolata che consolatrice.
Mi sento strattonare il giubbotto e il musetto di
Miranda si intrufola nella mia visuale.
“Papà facciamo a chi arriva prima da zio
Rick?”
chiede e noto uno spazio tra i denti davanti.
“Certo, andate tu ed Elena, chi vince la farò
sedere sul sedile davanti” annuncia contento e le bimbe
cominciano a correre
tra le tombe ingrigite del cimitero.
Sono pronta a seguire le mie nipoti, chissà questa
volta forse vincerò data la mia supervelocità,
quando sento quattro ruote di
una Jaguar mordere l’asfalto e fermarsi poco lontano
l’entrata del cimitero.
Non faccio in tempo a schiudere le labbra che un
rumore di clacson infernale mi perfora i timpani e mi dice
implicitamente di
muovere il culo e montare in auto. Potevo sentire la voce del
proprietario
irritante ma al contempo seducente e ironica. Roteo gli occhi e cerco
di trovare
un minimo di comprensione negli occhi di mio fratello.
“Anche lui è tornato a Mystic Falls?” mi
chiede
con una punta di disprezzo che purtroppo non è mai riuscito
a evitare quando si
parlava di lui.
“Siamo qui per una questione importante, Jeremy, e
Damon doveva esserci” dico ma alle sue orecchie la mia sembra
solo una sciocca
giustificazione. Dopotutto dopo sette anni di peregrinazioni, di lotte
e
contese varie alla fine lo avevamo ritrovato l’amore che
avevamo perso, ce lo
siamo ripreso con le unghie a furia di ricordare. Ci siamo aiutati a
rimettere
in mente ciò che eravamo e da lì abbiamo
continuato da dove avevamo lasciato in
sospeso.
Un altro suono di clacson e devo ordinare ai miei
piedi di schiodarsi dal suolo, premo le mani sudate alla tempia
cercando quale
scusa sarebbe stata più idonea per non ferire
l’animo già martoriato di mio
fratello.
“Senti Jer-” inizio ma vengo interrotta dalla voce
di Jeremy.
“Dimmi solo che rimarrai ancora un po’ a Mystic
Falls” dice tutto d’un fiato e i suoi occhi scuri
sono carichi di un’accesa
preoccupazione.
Non sarei potuta rimanere in eterno, questo lo
sapeva. Tuttavia mi strappa un sorriso e un si nonostante quello non
fosse
esattamente ciò che avevo in programma.
“Ora vai, prima che le bambine si allontanino
troppo”
borbotto e questa volta sono io a strappare a lui un lieve sorriso.
Si volta incamminandosi lungo il sentiero ma a
poco più di sei metri mi sfugge il suo nome e lui si volta,
assottigliando gli
occhi per via del sole.
“Salutami Rick” dico e una patina umida mi copre
gli occhi.
Lo osservo camminare con la sua andatura un po’
stanca e goffa, come quella di un diciassettenne. In fondo credo che
lui sia
rimasto un po’ diciassettenne, dopotutto ciascuno di noi
è rimasto quello che
era un tempo.
Mi volto solo quando non lo vedo più aggirarsi tra
le lapidi e le mie orecchie avvertono le voci lontane di Elena e
Miranda che
rimproverano il loro papà per il ritardo.
Cammino svelta fino ad imboccare l’uscita del
cimitero dove mi aspetta una Jaguar tirata a lucido.
“I morti del cimitero avevano deciso di dare un
festino in tuo onore?” domanda Damon abbassando leggermente
le stecche degli
occhiali da sole a specchio e abbassando il finestrino della macchina,
scoccandomi un’occhiata furbesca e di finto rimprovero.
Roteo gli occhi e apro lo sportello infilandomi
dentro l’abitacolo della macchina che sapeva di balsamo per
capelli e di zero
positivo.
Mi sistemo al meglio sul sedile e lascio che i
miei nervi si distendano. L’incontro con Jeremy era stato il
primo di una serie
di incontri a cui mi sarei dovuta abituata a fare.
Solo quando alzo lo sguardo mi accorgo che Damon aveva messo
in moto già da tempo e ci stavamo dirigendo verso casa- se ancora esisteva una casa.
“Che dice il piccolo Gilbert?” cerca di spezzare
il silenzio. Sa bene che i miei silenzi nascondono di più,
lo ha imparato a sue
spese: le notti trascorse nei motel durante le quali ricordavo qualche
nome,
un’immagine, una parola e ricadevo nel vuoto
dell’incantesimo; le volte in cui
in macchina mi lasciavo trasportare dal paesaggio e ciò che
vedevo erano solo
pini, foreste, montagne, baite nascoste che speravo essere abitate;
quando i
miei nervi saltavano al rumore di uno scoppio, il più
piccolo, perché
un’angoscia pesante mi riportava alla mente il ricordo di un
ragazzo dai
capelli fulvi.
Damon sapeva di che cosa erano fatti i miei
silenzi e, anche se lo mascherava bene, era allarmato quanto me di
questi vuoti
e riempimenti continui del nostro pensiero.
“Bene, era insieme ad Elena e Miranda al cimitero.
Stavamo portando fiori sulla tomba di Jenna e Rick” rispondo
e noto una leggera
contrazione della mandibola da parte sua. I suoi occhi blu non si
discostano
dalla strada ma continuano imperterriti a seguire la carreggiata.
“Non credi che la pensione Salvatore sia stata
confiscata dalla città? Dopotutto sono quasi
vent’anni che non ci abita più
nessuno” domando mentre allungo la mano pigiando alcuni tasti
dell’autoradio
per avere un po’ di musica.
“Diciamo che mio fratello tiene troppo a quella
casa per lasciare che dei luridi politici se la possano prendere per
cui
abbiamo fatto già il necessario per il passaggio di
proprietà” risponde
ingranando la marcia e scivolando ancora di più per le vie
di Mystic Falls.
Alzo un sopracciglio confusa dalla spiegazione.
“E chi l’ha acquistata?” schiocco la
lingua ma un
sorriso sbilenco da parte del vampiro mi fa capire che la mia
curiosità sarebbe
stata soddisfatta una volta arrivati lì.
Mystic Falls era come me la ricordavo, cittadina
dispersa nello stato della Virginia con un numero discreto di abitanti
e con un
passato che avrebbe fatto gola a qualsiasi film dell’orrore.
Ciò che stupiva
non era il fatto che le persone non si accorgessero di niente, ma la
bravura
che il Consiglio avesse avuto nell’insabbiare i casi
più spinosi e palesi.
Damon imbocca il sentiero e già so a quale
distanza troveremo casa Salvatore.
Non appena spegne il motore, dall’interno
dell’abitacolo sento la calma che da sempre aveva
caratterizzato quella
pensione- almeno in apparenza.
“Questo posto fa più schifo di come lo
ricordavo”
esordisce Damon guardando obliquamente la struttura con in volto una
leggera
smorfia. Siamo arrivati a casa non
era sicuramente una delle sue frasi.
Sorrido e si accorge di questo mio mutamento di
umore per cui si avvicina e mi attira verso di sè.
“Perché non entri e chiedi al proprietario se
possiamo usufruire della casa? Sono sicuro che non ti dirà
di no” mi propone e
preme le labbra contro la mia testa scostandomi i ciuffi corti di
capelli che,
da quando eravamo partiti da lì, mi ostinavo a portarli
corti al di sopra delle
spalle.
Ubbidisco più per curiosità di vedere chi avrei
trovato alla porta che per subordinazione al Salvatore.
Entro nel porticato e busso alla porta,
completamente sprovvista di cosa dire. A pensarci meglio, un buongiorno
sarebbe
stato più che sufficiente.
La porta si apre e per poco il mio cuore ruzzola
da qualche parte.
“Elena? Sei tu, vero?” mi chiede togliendosi gli
occhiali da vista che nascondevano i grandi occhi azzurri.
Incontrare Jeremy e Matt in un giorno solo era
troppo anche per un essere sovrannaturale come la sottoscritta.
Con uno slancio lo abbraccio, facendo attenzione a
moderare la mia forza e noto anche in lui i segni del passare del tempo.
Ci dondoliamo un po’ fino a che non lo sento
tirare su col naso e allora mi accorgo che anche io ho gli occhi umidi
di
lacrime.
“Quindi ora sei tu il proprietario della
pensione?” chiedo slacciando le braccia intorno al suo collo
e riprendendo
fiato, mettendomi un ciuffo di capelli dietro le orecchie.
“Stefan e Damon hanno fatto il passaggio di
proprietà a mia insaputa. Mi sono trovato contratto e chiavi
in una busta e
sono stato trasferito qui” dice alzando lo sguardo un
po’ incerto sulle assi di
legno del porticato come se fosse ancora il primo giorno di permanenza
in
quella casa.
“Dovevamo trovare qualcuno che ci facesse le
pulizie e visto che lui si lamentava sempre
dell’affittò troppo alto—” si
giustifica Damon intrecciando le mani sui miei fianchi e scrollando
leggermente
le spalle nel suo solito modo da finta non curanza. Matt sorride e da
sotto gli
occhiali leggo una sincera felicità
nell’incontrarci dopo così tanto tempo.
Matt era uno dei pochi a cui non avevo potuto dire addio, uno dei tanti
che non
vedevo da molto tempo eppure non fa domande, non chiede cose
inopportune, si
limita a guardarmi perché sa bene che ogni sguardo
può essere importante.
“Hai tagliato i capelli” osa dire e si porta tra
le mani una ciocca e poi scosta lo sguardo rivolgendosi a Damon.
“L’ultima volta che mi ha chiamato Stefan non mi
ha avvertito del vostro arrivo” dice corrucciando la fronte e
cerca in Damon
qualche segnale di risposta.
Il vampiro come se niente fosse lascia cadere i
bagagli a terra con un tonfo sordo e ci sorpassa avvicinandosi alla
soglia di
casa.
“Perché non lo sa” annuncia e sgrana gli
occhi con
aria divertita. Dopo quasi due secoli il suo sport preferito era ancora
recare
guai e problemi al fratello. E la cosa non sarebbe di certo migliorata.
Scuoto la testa rassegnata a quell’idea e Matt
poggia una mano sulla spalla invitandoci ad entrare.
Sorpasso Damon e varco la soglia sentendomi
avvolgere da odori che fino a quel momento erano rimasti rinchiusi da
qualche
parte nella mia testa.
Osservo il tappeto decorato sotto i miei piedi, i
soffitti alti, il camino grande posto al centro del salone, le poltrone
in
velluto, la luminosità soffusa che si sprigionava oltre le
tende di una delle
due finestre. Era proprio come era rimasto congelato nella mia mente,
proprio
come avevo cercato di ricucire pezzo dopo pezzo nella mia memoria
guastata
dall’incantesimo. Anche se non era la mia, quella era anche
la mia casa.
“Ho una riunione a scuola tra poco” dice Matt
alzandosi la manica della camicia per controllare l’orario.
Solo allora mi
accorgo delle pile di carte disposte sulla scrivania, dei test segnati
di rosso
e delle matite ed evidenziatori disposti a casaccio su un portapenne.
“Da quarterback a prof” stuzzica Damon mentre
passa in rassegna con lo sguardo le buste e le cartoline disposte su un
tavolinetto dove aveva posato le chiavi della Jaguar, poco distante
dall’ingresso.
Matt arrossisce lievemente, prende la giacca e
ruba le chiavi da sotto il naso del vampiro.
“Questo lo prendo come la restituzione del
prestito” sorride furbescamente lasciando un Damon a dir poco
attonito fino
alla chiusura della porta con un tonfo.
“Mi ha rubato le chiavi della macchina?” chiede
con aria sconcertata mentre gli angoli della bocca mi si curvano
istantaneamente all’insù. Damon rimano ancora un
po’ con la mascella semiaperta
mentre il mio sguardo già vaga oltre, verso i mobili
perfettamente in ordine,
il lampadario, il camino senza la ben che minima traccia di muffa o
sporcizia,
i pomelli delle porte esattamente lucidate. Era passato troppo tempo
dall’ultima volta che avevo messo piede in quella casa,
troppo poco per potermi
dimenticare gli aspetti anche più semplici.
Noto il tavolinetto con dei fogli sparsi, cartoline e lettere
mandate dai posti più
disparati. Leggo il mio nome e la mia mano si allunga prima ancora che
potessi
comandarla di afferrare l’oggetto. E’ una cartolina
sottile dal lieve sentore
di gel e cannella che presentava sul fronte un’immagine di
New York, con i suoi
grattacieli e la sua ampia vista sulla città. Mi rigiro la
cartolina tra le mani
indecisa se leggerla oppure riporla sul tavolinetto. Mi mordo un labbro
ma alla
fine la mia curiosità sembra avere la meglio.
La calligrafia chiara e in
corsivo salta subito ai miei occhi e so già di chi
è prima ancora che possa
leggere il mittente. Era Caroline. Chiedeva a Matt come stava, se sua
madre
lavorasse ancora come Sceriffo o se avesse raggiunto finalmente
l’età per la
pensione, se il tempo era bello; scriveva che a New York stava
nevicando e che
aveva già fatto il giro di tutti i negozi della Fifth
Avenue, raccontava che
Stefan l’aveva accompagnata e che stava cercando di mettersi
in contatto con me
e Damon mentre erano sulle tracce di Tyler, diceva che avevano trovato
una
pista attendibile. In basso a destra c’era un numero
scribacchiato con sotto la
dicitura che quello era il loro nuovo numero così da poter
essere nuovamente
reperibili. Concludeva dicendo che presto si sarebbero trasferiti,
probabilmente in Europa e che sia lei che Stefan lo salutavano. La
cartolina
presenta ancora una macchia di caffè ai bordi, probabilmente
Caroline l’aveva
scritta mentre aspettava Stefan in qualche caffetteria. In effetti la
immagino
così, da qualche parte con Stefan, dopotutto in qualche
strano modo avevano
bisogno l’uno dell’altra per ritrovare persone a
loro care. Damon ed io non
avevamo deciso di separarci da loro in maniera spontanea, semplicemente
quando
un giorno ci siamo svegliati con in testa i ricordi legati ai mezzi
vampiri ci
siamo guardati negli occhi e abbiamo compreso che dovevamo
intraprendere questo
viaggio da soli. E così siamo tornati in quegli stessi
luoghi, tra i boschi
dove rimaneva nascosta la Cascina con il covo di
mezzi vampiri che continuavano a
vivere la loro vita. Alcuni di loro conclusa la battaglia avevano
abbandonato
il luogo trasferendosi altri sono rimasti perché non avevano
altro posto dove
andare. Freddie fu sorpreso di vederci, ci credeva morti. Gli abbiamo
spiegato
cosa era successo, ciò che ricordavamo anche se i vuoti di
memoria ci
lasciavano smarriti e spaventati. Dopotutto cosa potevano fare due
vampiri
entrambi costretti ad esserlo e non per nostra scelta?
Il flusso dei miei pensieri viene interrotto da
Damon che mi strappa dalle mani la cartolina sbirciandola con aria di
sufficienza.
“Non dirmi che ti stai mettendo a piangere perché
ti manca la biondina- che a quanto vedo se la sta passando
bene” mi prende in
giro e sorseggia il brandy contenuto nel bicchiere di vetro.
Mi accorgo di avere gli occhi lucidi e riprendo
subito il controllo, apparendo serena e disinvolta.
“Sono cose da umani, Damon” dico riferendomi alla
mia doppia natura e giustificando il mio comportamento, mentre sfilo il
bicchiere dalle sue mani.
Lui approfitta del mio gesto per cingermi i
fianchi e attirarmi a sé, soffiandomi a pelo sulle labbra
per poi spostarsi sul
mio orecchio con il respiro caldo e suadente.
“No, e’ una cosa da Elena” dice e il suo
tono mi
fa rabbrividire tanto da sentirmi tremare dentro, dalle scapole fino al
basso
ventre. Preme con la punta del naso lungo l’incavo del mio
collo e reclino la
testa all’indietro, per poco dimenticandomi di trattenere il
bicchiere di
liquore che ho in mano.
“Abbiamo ancora un po’ di tempo prima che
arrivino” dice carezzandomi i capelli corti. Io rido e mi
siedo sul cornicione
del camino, baciandolo, allontanando per un breve momento i pensieri.
Poi un
ricordo improvviso e prepotente si insinua nella mia mente, una musica
e dei
passi leggeri di quasi una vita fa.
Apro gli occhi e prendo Damon per la mano,
spostandomi a velocità vampiresca al piano superiore. Cerco
di affidarmi solo
all’istinto e quando Damon mi guarda in maniera
interrogativa, lo ammutolisco
con un cenno della mano e mi lascio trasportare dall’immagine
del mio ricordo.
C’è una maniglia, una scala che discende dal
soffitto, odore di muffa e
scartoffie varie. Ripeto gli stessi movimenti del mio ricordo e quando
affaccio
la testa attraverso la fenditura del soffitto mi ritrovo in quella che
doveva
essere la soffitta.
“Siamo già stati qui, vero?” chiedo e
rivolgo lo
sguardo a Damon. I suoi occhi blu sembrano persi in qualche viaggio
mentale, in
qualche ricordo sgranato del periodo in cui era ritornato umano.
Controlla i bauli, le scartoffie, i mobili e i
lenzuoli inondati da una coltra di polvere, si rigira tra le mani un
pallone da
football di cuoio, ormai sgualcito e consunto dal tempo. Un sorriso
amaro
compare sul suo viso e stringe maggiormente il pallone che doveva
essere stato
suo e di Stefan tra le mani.
“Colin” sussurra impercettibilmente e i ricordi
cominciano a riaffiorare più chiari e precisi. Quella
mansarda era stata il
luogo in cui si era rifugiato Colin, dove io e Damon siamo venuti per
consolarlo,
quel posto un po’ distaccato dal resto della pensione,
territorio di Damon così
come lo avevano definito. Ed era lì quel posto che mi era
mancato dopo
diciassette anni di peregrinazione per tutti gli Stati Uniti, quel
posto che mi
sarebbe mancato sempre. Dopotutto quella mansarda era un po’
come il mio cuore,
il suo
cuore: non c’era posto per lui, non c’era mai stato
eppure quel luogo
apparteneva solo ed esclusivamente a lui.
“Stai bene?” mi chiede e mi alza il viso con un
dito. Lo guardo ma avverto il suo impercettibile brivido non appena
incontra i
miei occhi. Nonostante Freddie fosse rimasto stupito della nostra
visita ci
chiese che cosa fossimo venuti a fare lì alla Cascina. E fu
lì, quando ricordai
tutto, quando scoprii che avrei potuto riavere la mia
umanità senza dover
morire, che Damon mi propose di diventare una mezza vampira. Sarei
cresciuta,
sarei invecchiata, ma in un tempo così lungo tale da essere
paragonato
all’eternità. Damon teneva alla mia
umanità forse più del suo essere vampiro
perché in fondo sapeva che io ero la sua umanità.
Bevvi il sangue di Frederick,
e in meno di un giorno tornai ad avere fame e sete allo stesso tempo,
tornai ad
aver bisogno di ossigeno e a non bruciare al sole. Ma i miei occhi, del
color
nocciola ormai non rimaneva alcuna traccia. Grigio. Solo grigio argento.
“Si” rispondo e sorrido perché per una
volta non
mentivo, per una volta stavo realmente bene.
Prendo le sue mani e poi mi slancio
abbracciandolo, sentendo le sue costole urtare contro le mie
traballanti per i
battiti frenetici del mio cuore. Per un momento sentii anche il suo
battere,
timido, inquieto, proprio come ai tempi di quando era umano, di quando
eravamo
entrambi umani. Lui che aveva passato secoli di rimpianti, di rimorsi,
aveva
distrutto ogni brandello di felicità perché gli
mancava la sua umanità, gli
mancava più di qualunque altra cosa al mondo, era dovuto
ridiventare di nuovo
umano per capire che in fin dei conti non gli era mai mancata. Che in
basso,
sotto ogni strato, ogni singolo essere di questo pianeta presenta un
cuore ed è
lì che risiede la vera salvezza.
Apro il palmo della mano e lo appoggio al suo
torace come non facevo da tanto tempo ormai.
“Tu sei qui, Damon, nel tuo cuore” dico, ma mi
sembra una battuta già
detta e sentita negli echi della mia mente. Il vampiro strapazza le
labbra in
un sorriso ballerino e scuote la testa in senso di disapprovazione. Poi
poggia
le mano sulla mia e preme maggiormente in corrispondenza dello sterno,
tra la
prima e la seconda costola.
“No, tu
sei qui”
dice e mi sento fluire il sangue
nelle vene, esplodermi in testa e ritornarmi al cuore come la risacca
del mare.
Un suono insistente di clacson proveniente dallo
spiazzale antistante la casa ci induce a lasciare la mansarda e a
raggiungere
la porta di ingresso.
Le voci familiari che provengono da dietro la
porta ci fanno tornare indietro nel tempo e sospiro prima di aprire la
porta.
“Apro?” chiedo scoccando un’occhiata di
approvazione a Damon il quale rotea gli occhi al soffitto.
“Non vorrai far aspettare i nostri ospiti”
risponde scimmiottandomi e aprendo la maniglia della porta.
Una giovane donna e un uomo alto e possente con i
miei stessi occhi grigi ci sorridono timidamente. Sorrido a mia volta
quando la
mia mente li riconosce come Jim e Nicole.
Sento i loro cuori battere all’unisono, come il
mio, fatto per metà di carne e per metà di
vampiro.
Ma sento un altro cuore,
timido e indifeso, barcollare un po’.
Affilo lo sguardo e inclino la testa verso
il basso. Un bambino dai capelli color del grano e puntinato di
lentiggini mi fissa sorridendomi a sua
volta.
Ed è il suo cuore, da piccolo uomo, che ha la stessa
profondità di un oceano
sconfinato.
- Fine -
***
Ok, ci sono.
E’ finita, conclusa, terminata. Più
di un anno fa ho deciso di scrivere questa storia e adesso a distanza
di tempo
mi rende triste l’idea di non dover più scrivere
su di loro, di non dover più
progettare capitoli e colpi di scena. Mi mancheranno i mezzi
vampiri, tutti i
personaggi a cui ho dato vita, mi mancheranno
le canzoni che hanno fatto un po’
da colonna sonora a questa storia, mi mancheranno Damon
ed Elena e questo loro
amore nato ai tempi della seconda stagione quando ancora non si parlava
di sire
bond e cose del genere. Mi
mancherete voi cari lettori che anche se sporadici
avete dato un supporto morale decisamente grande a questa storia nata
come
sciocchezzuola, diventata una neverendingstory e poi conclusasi. Vi
ringrazio
immensamente e scusate per i miei ritardi e per le mie descrizioni
chilometriche. Spero che vi sia piaciuta come storia. Non penso di
intraprendere altre long per il momento, ho da finire Unspoken crime ma
ciò non
toglie che forse potrò tornare in seguito (sempre se mi
volete sia chiaro u.u)
Grazie ancora di cuore.
Un bacio,
Sil
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