The White Roses' Phantom

di Strummer_inLove
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sullo Skate ***
Capitolo 2: *** Disperata liberazione ***
Capitolo 3: *** Cara Eco, ***
Capitolo 4: *** Il fantasma della biblioteca ***
Capitolo 5: *** Un'insolita lezione di storia dell'arte ***
Capitolo 6: *** Irrazionalità ***
Capitolo 7: *** Clotichilda ***



Capitolo 1
*** Sullo Skate ***


Chissà se gli alberi soffrono l'arrivo dell'inverno?, si chiedeva spesso Olga, quando andava a fare skateboard nel parchetto vicino al cimitero. Si trattava di un ampio spiazzo, diviso in fazzoletti di prato da vialetti asfaltati, circondato da palazzi grigi e tristi. Molti pioppi puntellavano il suolo, l'erba era curata e di un verde intenso. Pressapoco al centro esatto del parco, una maestosa e realistica statua in ferro ritraeva il Comandante Ernesto “Che” Guevara, forse uno degli uomini più stimati del nostro tempo.

Olga scese dall'auto del padre, una punto bianca e ronzante, e si avviò a piedi verso la statua del suo eroe. Il guerrigliero la salutò come sempre dal sellino della motocicletta con cui aveva attraversato l'intero Sudamerica, da ragazzo. La ragazza si sedette ai piedi del monumento, si infilò le ginocchiere, tutte le protezioni e liberò dalle cinghie dello zaino il suo amatissimo skateboard. Era una splendida tavola in solido legno, con piccole ruote sonanti e la scritta “Subsonica” sul retro. Già, per Olga quella band era unica, quasi quanto i Blink 182.

La ragazza iniziò a girare intorno alla statua del “Che”: il vento era una voce silenziosa tra i suoi capelli rossi, e poche foglie ormai ammuffite, sopravvissute alla nevicata che aveva annunciato il Natale, le danzavano intorno, e il loro strusciare pareva un macabra canzone indirizzata a quella ragazzina tanto singolare. Olga non era come le altre, e se n'erano accorti in molti. Era una persona buona, a volte fin troppo, tanto che non sapeva portare rancore, e non se la prendeva neanche con chi se lo sarebbe meritato. Era paziente, sensibile e riservata: con lei, il più importante dei segreti era al sicuro. Ed era bella, molto più di quanto credesse: aveva occhi scuri che capivano tutto, e capelli corti, stirati e spessi, quel giorno di un colore rosso vivo, essendo passato poco tempo dall'ultima volta che si era fatta l'henne'. Aveva molti buchi alle orecchie, alcuni recentissimi, riempiti con tanti piccoli anelli argentati. Tutti questi accorgimenti non avevano altro scopo se non quello di piacere a lei. Olga non era esibizionista, al contrario vestiva indumenti scuri e scelti all'ultimo momenti, inoltre utilizzava molto raramente accessori. Ma nonostante ciò non passava mai inosservata, anche se non dava l'impressione di accorgersene.

Un persona unica e speciale, senza nessun difetto apparente, con tante passioni e idee in testa. Ma, sebbene fosse circondata da amici e da stimoli, la sua vita sembrava talvolta triste, e ogni giornata sembrava andare per conto suo. Era come se ogni momento non facesse parte di una vita sola, ma si perdesse chissà dove tra i suoi ricordi. Purtroppo, proprio per la sua grande riservatezza, nessuno dei suoi amici poteva aiutarla. Poco si sapeva della sua vita prima che arrivasse al Liceo, e a lei andava bene così.

Chissà se gli alberi soffrono l'arrivo dell'inverno?, si chiese per l'ennesima volta tra sé e sé. Era una domanda ricorrente quella, per il semplice fatto che per lei l'inverno era un brutto periodo dell'anno. Olga odiava la neve. Quella sensazione umida e fredda la infastidiva, sebbene fosse una tipa calorosa, e si potesse vederla gironzolare per i corridoi della scuola in maniche corte anche in gennaio.

Quel vento piacevolmente fresco che le schiaffeggiava le gote invece la tranquillizzava, la faceva sentire libera come un uccello. Perché solo questo Olga desiderava davvero: poter essere libera, e rendere felici gli altri la faceva star bene. “Libertà uguale Felicità” era il suo motto. Non aveva mai pensato potesse valere anche l'inverso...

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Capitolo 2
*** Disperata liberazione ***


Tic Tac, Tic Tac... La sveglia tonda sul comodino scandiva i secondi. Alla luce biancastra di una lampada, Laure stava rileggendo per la terza volta il messaggio che aveva appena finito di scrivere con la penna stilografica. Leggeva a voce bassissima, lei stessa faticava a sentirsi. Tutt'intorno, il silenzio, rotto solo dal ticchettio dell'orologio. In apparenza era tutto tranquillo. Ma qualcosa di inquietante impregnava quell'aria chiusa, quei mobili dai contorni alterati dalla penombra. C'era un ché di oscuro in quella stanza, al primo piano di una casa vicino al centro della cittadina. Laure tremava nel suo pigiama, aveva gli occhi infossati nelle orbite, e grandi occhiaie viola. Era stanca. Un rumore di vetri infranti. Un masso rotolò sulla moquette logora e impolverata. Schegge della finestra caddero di sotto, su un cespuglio di rose rosse. Laure sussultò, buttò la coperta pesante da una parte e posò timidamente un piede sul pavimento. Con uno sforzo mentale indicibile, si alzò e strisciò il suo corpicino esile verso i vetri tremanti nella brezza. Una sottilissima falce di luna illuminò i suoi lineamenti marcati, e fece scintillare nell'ombra la sua folta chioma biondo platino. La ragazza guardò verso la strada: un gruppo di ragazzini, che sembravano trarre divertimento dalle urla isteriche delle loro vittime, se la stava dando a gambe sghignazzando. Laure continuò a fissarli fino a quando l'ultimo non fu sparito dietro l'angolo della via, come se volesse fulminarli uno per uno. Le ci volle un po' di tempo prima di ritornare al capezzale del letto: lì riposava un foglio di carta a quadretti, ancora caldo delle sue mani fragili, ansante per le dure parole che custodiva. Laure dovette spendere molte energie per afferrare quel maledetto foglio e tornare alla finestra. La ragazza sapeva di avere poco tempo per portare a termine il suo progetto: sentiva i passi nel piane rotolo. Laure distese un braccio smunto e diafano attraverso lo squarcio nel vetro, perché le era vietato aprire le imposte. Il vento amico le accarezzò le dite magre, pronto a scrollarle di dosso quel terribile peso. Ma Laure non aveva più forze, e la volontà l'aveva abbandonata da tempo.

I passi si erano spostati sulle scale. Erano lenti, ma la strada era breve.

In un ultimo, disperato gesto di ribellione lasciò andare il muscolo teso, e si tagliò il gomito contro la finestra rotta. Ma cosa poteva sentire, se non l'ennesimo grido di nervi non più suoi?

I passi arrivavano alle sue orecchie sempre più forti, ormai ridotti a martellanti campane di morte.

Laure si gettò tra le coperte, nascondendo con un abbraccio la penna e il calamaio. Un brezza leggera entrò nella stanza dal corridoio, ma Laure constatò una volta di più che la porta non si era aperta.

Lei si materializzò accanto al letto, come aveva fatto tutti i giorni da quando i genitori di Laure erano spariti, inghiottiti dagli impegni e dall'egoismo. All'inizio Lei le era stata amica, l'aveva incoraggiata a piangere, a sfogarsi finché gli occhi della ragazzina non erano diventati lucidi, iridescenti come quelli di una gatta. Che mostro era diventata col passare dei giorni!

Chi è Lei, cosa vuole ancora da me?, si chiedeva a volte la ragazza, quando la sua padrona si distraeva e lasciava entrare un po' d'aria nel suo cuore: Perché ancora mi tormenta?

Lei guardò la ragazza addormentata, ma le sue palpebre tremanti tradivano ogni finzione. Ma a Lei poco importava: Laure era sua, nessuno avrebbe potuto portargliela via.

Chi sei?!, continuava a gridare la mente di Laure, in preda al panico.

Un sussurro, una nenia dolce la colse, provocandole un immediato sollievo. Era così tutte le sere. Lei notò lo squarcio nel vetro, guardò verso il cespuglio sotto la finestra... I suoi occhi trasparenti si colorarono del vermiglio di quei fiori. Lei raccolse il sasso dal pavimento e lo posò accanto alla sveglia, che ora taceva. La vista del sangue sulle lenzuola la fece sorridere: Sangue e Vendetta.

Una chiave che gira nella serratura, una risata: i coniugi François erano tornati a casa.

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Capitolo 3
*** Cara Eco, ***


Sconcertata, Olga Cisi lesse il triste paragrafo che informava la cittadina di Bellutine della morte di Laure François. La carta scadente che ospitava quell'orribile notizia emanava un alone di mistero intrigante e morboso, e Olga sentiva quelle parole attirarla in modo inspiegabile. Lei stessa si chiese il motivo di tanta curiosità verso un fatto che non poteva procurare altro che dolore e sofferenza, e che non meritava certo l'entusiasmo di una ragazzina che nulla sapeva della povera vittima. E proprio questo particolare procurava maggiore sgomento e dispiacere ad Olga: il fatto di non avere mai conosciuto quella Laure, che pure aveva frequentato il suo stesso liceo. Così poco si veniva a sapere dall'articolo sul giornale!

È morta ieri notte intorno alle dieci e trentacinque una ragazza francese di quindici anni, residente da più di otto nella nostra piccola cittadina insieme ai genitori Julien e Anne. Laure François è deceduta nel sonno, come ha confermato l'attenta analisi del medico legale. Ci sono purtroppo ancora molti interrogativi sulle cause dell'arresto cardiaco che ha colpito la ragazzina, e quindi sono aperte molte piste investigative, tra le quali l'omicidio preterintenzionale, che implicherebbe i genitori della piccola. Essendo le indagini ad uno stadio prematuro però, i coniugi François non sono ancora indagati. Le maggiori autorità cittadine hanno espresso le loro più sentite condoglianze alla famiglia della vittima. I funerali si terranno in forma privata domani alle undici del mattino.

R.B.”

Quella sera, a cena, Olga era di cattivo umore: mangiò in fretta e poi uscì. Aveva bisogno di stare un po' da sola. Prese una bomboletta spray verde fluorescente: aveva deciso di andare a nel parcheggio accanto all'ufficio postale, chiuso per dei lavori di manutenzione, a dipingere qualcuno dei suoi capolavori illegali sui muri di cemento grigio. Il suo skate la portò fin là, alla luce dei lampioni gialli.

Proprio mentre stava per concludere una scritta ciclopica, qualcuno alle sue spalle l'apostrofò: «Lo sai che se ti vedi qualcuno fai davvero una brutta figura?».

La voce era pacata e bassa, come quella di un profeta, che volesse solo il bene delle persone. Olga fece un giravolta su un piede e sorrise: «Ciao Paul, non pensavo di trovarti ancora qui. Ho per caso interrotto una delle tue riflessioni?».

Con lui Olga scherzava, si conoscevano abbastanza per poter prendersi in giro l'un l'altro.

«No, a dir il vero non stavo pensando proprio a niente» rispose il ragazzo, raccogliendo da terra la bomboletta che Olga aveva lasciato cadere, colta di sorpresa.

«Strano...» commentò guardando un punto lontano alla sua sinistra, con aria poco interessata.

«Scusa, forse quello che doveva starsene a casa sono io...».

Olga lo guardò negli occhi, grandi e neri come i suoi: Paul capiva al volo il suo stato d'animo, e anche quella volta aveva fatto centro. Gli strappò delicatamente lo spray dalle mani: «Tranquillo, sono solo un po' scossa per quella notizia sul giornale: la vicenda di quella ragazza mi attrae in modo inspiegabile. E dire che non sapevo niente di lei fino a oggi...».

«Mia cara Olga, devi controllarti, non puoi avere interessi tanto macabri...» evidentemente Paul pensava che la ragazza stesse scherzando, ma lei gli fece intendere che era più che seria. Il ragazzo comunque non riusciva a comprendere i pensieri che la stavano affliggendo, e nemmeno lei. Olga si sedette sul marciapiede, stanca, mentre Paul giocherellava con il plettro che teneva appeso al collo.

Stavano tutti e due a pensare a chissà cosa, quando Olga sentì un colpetto contro la scarpa sinistra. Vicino al suo piede c'era un palla di carta straccia, sporca e bagnata. La rossa si succhiò l'indice per scoprire da che parte soffiasse il vento che l'aveva portata fin lì: non riuscì a capirlo. Olga notò che c'era qualcosa scritto sopra e distese accuratamente il foglio. Dopo poco, alzò un paio di occhi allucinati verso il ragazzone tutto vestito di nero che le stava accanto. Paul si chinò e fissò i suoi occhi intelligenti sul foglio stropicciato. Olga iniziò a leggere, e il ragazzo dovette sedersi accanto a lei per sentire le sue parole. La sua voce era bassa e tremante:

“ Cara Eco,

avevo bisogno di lasciare alla tua eterna memoria i miei pensieri, dopo che Lei ma hai restituito te.

Ti ho di nuovo con me, finalmente! È da quando è diventata cattiva che cerco di riprenderti: mi mancavano le tue pagine bianche, e quelle piene di storie felici e tristi, la tua copertina rossa con tutte quelle roselline blu. Ora sei con me!

Purtroppo però non scriverò più nulla nel tuo cuore, mi spiace. Lo sento in fondo all'anima: Lei si è stancata, come me. Finalmente mi libererà da questo tormento, che felicità! Potrò vendicarmi, fargliela pagare! Non importa se non vivrò più, tanto nessuno c'è mai per me. Mamma e Papà non sentiranno la mia mancanza: il lavoro li ha completamente presi, ma li ha strappati via. Lei mi farà uscire da questa stanza buia, da questo corpo che non risponde più: questa non sono più io, ormai. Lei mi ha fatto tanto male, ora la smetta!

Tu, mia cara Eco continuerai per la tua strada: hai ancora uno scopo, tu! Allora vai, metti tutta la tua forza in quest'ultimo messaggio, perché solo questa pagina resterà di te, di me. E serviremo entrambe: Eco e Laure aiuteranno le future vittime della Sua furia. Non voglio vedere altre persone fare la mia fine: per questo io rimarrò, veglierò su di voi, O Mortali, finché non troverete il modo per rinchiuderla. Solo allora potrò andare, e chiamare casa quel giardino laggiù, e letto quelle rose.

Porta queste parole, amico Vento, porta l'eco del mio tormento alla prossima sciagurata: almeno potrà sapere quel che l'aspetta.

È il momento di dirci addio, Eco carissima.

E tu, chiunque tu sia, che leggi questo diario quando si trova confusionario il vento, sappi che ti aiuterò a svelare il tuo turbamento, a patto che tu sveli ciò che a me è successo.

Per sempre tua, anche oltre i confini di questo mondo,

Laure, 13 dicembre 2010".

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Capitolo 4
*** Il fantasma della biblioteca ***


Il sole sorse emanando un fascio di luce rossastro. La città incominciò ad animarsi, e le prime automobili poterono vedere Paul e Olga seduti su una panchina. La rossa si era addormentata, e Paul le aveva gentilmente offerto la spalla per stare più comoda, mentre lui sfidava il freddo e la stanchezza con la sua solita determinazione. Una dolce brezza la fece destare, e Olga sbadigliò e si stropicciò gli occhi, come fanno a volte i neonati. Paul si tolse le cuffie e le sorrise, ma la ragazza notò che c'era qualcosa di strano nella sua espressione: una specie di scusa, come se stesse commettendo uno sbaglio, un gesto che non fosse nella sua natura. Olga si accorse immediatamente che nascondeva qualcosa dietro la schiena: non era mai stato capace di mentire, a lei come a nessun altro. Con agilità Olga scavalcò quella massa di gentilezza e di capelli neri e prese il foglio spiegazzato. Era la pagina di diario che le aveva portato il vento, il motivo per cui erano ancora lì. I due rimasero immobili ancora un istante, come ipnotizzati da quel messaggio di morte. Olga sbirciò distratta l'orologio: erano le sette meno dieci. La ragazza alzò gli occhi davanti a sé, con l'idea di fare una battuta per tirare su il morale all'amico, ma le parole le morirono in gola. Paul si allarmò nel vedere la sua faccia, ma non la prese sul serio, come sempre. Eppure Olga la vedeva: era alle spalle di Paul, vicino a un cespuglio di rose bianche. Era Laure, ne era certa. Olga sentì l'impulso di alzarsi e camminare, e così fece, senza rivolgere più una sola parola a Paul. Andava a passo svelto perso la tangenziale, là dove c'era casa sua. All'improvviso vide che il fantasma di Laure le era di fianco, e camminava anche lui: «Non voltarti, fai finta che io non ci sia: lui non deve pensare che ci sia qualcuno con te», disse con una voce squillante e calma. Sembrava quella di una ragazzina solare e allegra, come se non fosse morta.

«Non posso tenerlo all'oscuro,» protestò Olga «mi servirà il suo aiuto...».

«Invece devi, ad ogni costo» ripeté Laure, passando attraverso una panchina «altrimenti morirete entrambi».

«Dimmi la verità, chi è stato a farti questo?» e indicò il sangue sui suoi vestiti.

Il fantasma si spazientì, evidentemente aveva poco tempo. Fissò i suoi occhi acquosi in quelli della rossa: «Ascoltami bene: Paul deve starne fuori. Lei cercherà ogni pretesto per farti cedere, ogni persona a cui tieni potrebbe servirle per indebolirti, per ricattarti. Non – Devi – Permettere – Che – Questo – Accada» disse enfatizzando le parole una a una.

Olga era terrorizzata: tutte quelle emozioni la mettevano in confusione, si sentiva persa. Laure iniziò ad indietreggiare nell'erba, già iniziava a sbiadire.

«D'accordo, non lo dirò a nessuno, promesso» trovò il coraggio di dire Olga.

«Sarà il nostro segreto» disse Laure cercando di sorridere «Vai in biblioteca e chiedi della signora Franklin: falle vedere la pagina di diario. Saprà cosa fare. Affrettati, non ti rimane molto tempo». L'apparizione svanì. Olga chiuse gli occhi per un lungo momento. Quando li riaprì il suo sguardo si posò sulla mano magra che stringeva il foglio. Con la coda dell'occhio vedeva Paul che la cercava, ma a quanto pareva non si era accorto che lei era solo a pochi metri da lui. Olga lesse ancora l'ultima parte del messaggio, e la data. 13 dicembre 2010. Fece dietrofront, mentre una fitta nebbia le copriva le spalle. 13 dicembre 2010: l'inizio della fine.

Erano circa le otto e venti quando Olga uscì di casa per andare a scuola. Si era fatta un bel bagno per rilassarsi e scacciare i brutti pensieri, ma la vista dei grossi fiocchi che cadevano giù le fece tornare la paura, oltre che il cattivo umore. La ragazzina si incamminò per il marciapiede, attenta a non scivolare, con i piedi infreddoliti nelle scarpe di tela. Arrivò in Piazza San Giovanni e imboccò il portico che si opponeva al palazzo del municipio, e che costeggiava la piazza per tutta la sua lunghezza. Una volta a metà, fu costretta ad attraversarla, per entrare nel castello medievale che ospitava la grande biblioteca. Quando si trovò davanti alla porta a vetri rifletté un attimo, scrollandosi di dosso i granelli bagnati: sua madre le aveva firmato la giustificazione per l'ingresso posticipato, aveva a disposizione ancora un'ora e mezza, poi non sarebbe più potuta entrare, e a quel punto qualcuno avrebbe potuto fare domande a cui non poteva rispondere. Devo proteggere le persone che amo, non posso destare sospetti, non devo!, pensò. Con un colpo che voleva essere il più deciso possibile, entrò nell'immenso atrio. Dietro a un tavolo di legno antico, una donna sulla cinquantina, in carne e bruna, stava timbrando le terze di copertina di una pila di libri consumati. Olga decise di chiedere a lei: «Mi scusi, vorrei parlare con la signora Franklin: sa dove la posso trovare?».

Non appena la donna sentì quel nome parve irrigidirsi, e sul suo viso apparvero la sorpresa e l'incertezza, come se fossero stati anni che nessuno le chiedeva una cosa del genere. Sembrava che stesse pensando a dove cercare la collega, quasi non la vedesse da tempo. Questi comportamenti non colsero impreparata la rossa: aveva accettato la prospettiva di assistere a situazioni stravaganti, dopotutto era incappata in una storia di fantasmi. La donna non volle aprir bocca, ma si limitò ad accennare a Olga una porticina d'ebano, in cima ad una scala a chiocciola vicino al tavolo della reception. La ragazza salì i gradini scricchiolanti, e a metà strada constatò che la donna bruna si era rimessa al lavoro, e scuoteva la testa scontenta. A Olga scappò un sorrisetto divertito, che svanì appena varcò la porticina nera. Scaffali e scaffali di tomi alti fino al soffitto coprivano le pareti di una stanza di non più di venti metri quadri, con la volta a cassettoni. Al centri c'erano un tavolino tondo da tè e una poltrona foderata di smeraldo. Seduta su di essa, con gli occhiali tra le pagine di un libretto rosso, stava una vecchina minuta e ingobbita dal chinarsi su volumi che la precedevano di mezzo secolo. Non si era accorta della presenza di Olga. Nell'istante in cui la ragazzina sbatté la porta alle sue spalle, la bibliotecaria alzò lo sguardo dalla sua lettura, e lo fissò sul viso della rossa, che inorridì: gli occhi erano iniettati di sangue, e le penetravano nell'anima, quasi avessero avuto millenni di esperienza.

«Chi ti ha mandato qui?» le chiese subito la donna.

«Laure François...» balbettò Olga «Mi ha detto di rivolgermi a lei riguardo a questo» e tirò fuori dallo zaino la pagina di diario. La signora Franklin le fece cenno di portargliela. La ragazzina le si avvicinò, e rimase ferma e composta finché la donna non ebbe finito di leggere. A quel punto la vecchina si fece ancor più seria, respirò profondamente e con un gesto garbato la invitò a sedersi per terra. Sembrava scossa, poggiò il libro che stava leggendo sul tavolino.

«Immagino che ora ti voglia qualche spiegazione?» chiese senza guardarla.

Olga annuì, l'altra si chiuse in un silenzio che durò a lungo. Da vicino, Olga si rese conto che doveva essere più vecchia di quanto aveva pensato: aveva un colorito ceroso e gli abiti di un bianco sporco, tanto che sembrava coperta di polvere. I suoi occhi si erano addolciti di una tetra malinconia, ed erano lividi di preoccupazione. I suoi capelli erano fieno. Forse anche lei è un fantasma, pensò sorridendole Olga. Come a volerle rispondere, la donna iniziò: «Vivo in questa stanza di più di cento cinquant'anni ormai, e non mi era mai capitata una richiesta di questo tipo. Ma in fondo i libri sono la mia vita: troveremo qualcosa qui che ci aiuti».

«Mi perdoni signora Franklin, ma non la seguo» si scusò Olga.

Senza fare caso a lei, il fantasma si alzò con una velocità che tradiva i suoi anni, e incominciò a cercare un titolo nelle mensole più alte: sembrava sicuro di dove andare a parare.

«Chiamami Annie, era così che mi chiamava Laure quando veniva qui» disse di punto in bianco «Quello che è successo è semplice, semplice, raro e insolito in questo paese».

Annie scese giù e si sedette sulla poltrona. In mano teneva un volume marroncino e dalle pagine gialle, probabilmente un'enciclopedia. Lo sfogliò velocemente e mostrò a Olga un'immagine sbiadita e color seppia: «Sai leggere la didascalia?» chiese «È latino».

«Silvarum Umbra Discordiae». Olga lesse correttamente: vedendo tutte quelle pagine scritte in quel modo capì finalmente l'utilità di studiare una lingua morta.

Incredula, guardò il fantasma di Annie Franklin, che fece di sì col capo. Tutto ciò che avvenne in seguito in quella stanza passò con una lentezza terrificante per Olga, che si trovò catapultata tutta in un colpo nella realtà che l'attendeva. La vecchina le regalò un osso appuntito appeso ad uno spago, spiegandole che doveva tenerlo sempre al collo: «È un dente di iena, Plinio il vecchio diceva che era capace di tenere lontani gli spiriti maligni».

Congedandosi dalla donna, Olga aveva sentito l'anima farsi pesante. Aveva paura, e ricordò le raccomandazioni che le aveva fatto quella mattina Laure. Non doveva dirlo a nessuno, e nessuno si sarebbe fatto male. Sapeva che era pericoloso, ma non poté impedire a sé stessa di pensarlo anche solo per un istante. Poi andò a scuola.

Il suo primo saluto andò a Paul.

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Capitolo 5
*** Un'insolita lezione di storia dell'arte ***


Per due ore Olga non riuscì a concentrarsi sulla lezione: si giustificò in greco e non seppe rispondere ad una domanda sulle funzioni algebriche. Alla sesta ora i ragazzi fecero lo zaino e scesero in aula magna, territorio del prof di arte. Lo trovarono come sempre in piedi dietro al suo portatile, intento a selezionare le immagini per la presentazione in power point. Olga era in testa a tutti, e portava in braccio il registro. Il professore la salutò con educazione, ma parve bloccarsi, fissando gli occhi sul dente di iena. La ragazza non ci badò, ma l'insegnante sembrava innervosito. Andò alla cattedra per estrarre i numeri degli interrogati, cercò qualcosa nella borsa, fece accidentalmente cadere alcuni fogli per terra. Non li raccolse. Mentre mescolava i bigliettini, il suo sguardo era perso nella grande aula, ma in realtà studiava l'oggetto che Olga teneva appeso al collo.

Gli alunni erano in preda alla tensione, ognuno temeva di venire estratto. Inaspettatamente, il professore chiuse il registro. Si schiarì la voce e fece roteare di qua e di là gli occhi verdi; i ragazzi non capivano cosa stesse accadendo. Sembrava stesse cercando le parole adatte: «Oggi affronteremo un discorso particolare, allacciandoci al programma di italiano sulla letteratura gotica» annunciò, distribuendo alla classe dei fogli che illustravano vari dipinti di epoche diverse «Come vedete, ognuno di questi quadri ritrae, mettendolo più o meno in evidenza, uno spettro»

Cominciarono tutti a cercare i fantasmi nascosti nei dipinti, mentre il discorso dell'insegnante si dilungava tra poltergeist e spiriti antenati. Paul aveva intuito che quel cambio di programma aveva a che fare con il messaggio che avevano letto nel parco la sera prima: tentò di attirare l'attenzione di Olga, ma la ragazza fece finta di niente, tanto era immersa nella traduzione delle didascalie in latino e greco. La colpì soprattutto un'immagine tedesca, di un anonimo ritrattista di strada, che aveva rappresentato le ultime pietre di un ponte che si immetteva in una foresta dai contorni affilati, come se il sentiero che vi penetrava fosse stato l'intonaco macchiato apparso dopo la rottura di uno specchio. Riparata dietro uno dei primi tronchi, si distingueva una silhouette eterea, che emanava una pallida luce argentea. La didascalia diceva “Silvarum Umbra Discordiae”.

La campanella gettò l'aula nello scompiglio: i ragazzi corsero in corridoio, con il prof alle spalle che gli urlava: «Vi interrogo giovedì su queste cose!»

Olga uscì per ultima, e si fermò accanto alla cattedra prima di uscire: «Prof? C'è una cosa che non riesco a capire in questo testo latino...».

L'insegnante guardò la fotocopia che le aveva dato: «Si tratta di questa parte della storia: chi era secondo la leggenda questa “Ombra delle foreste della discordia”?»

Leggendo passo per passo il testo, il professore le spiegò che si trattava di una schiava che serviva presso un'importante gens romana, che una volta liberata, aveva iniziato a disprezzare la libertà, che riteneva solo fonte di difficoltà e piaceri inutili e amorali. La donna era diventata così fanatica da uccidere le persone che parevano godere della propria fortuna di essere libere. La leggenda antica non ne citava il nome: veniva chiama semplicemente “Liviae Liberta” dal nome della nobildonna che l'aveva liberata. La ragazza era ancora immersa nei suoi pensieri quando il professore le chiese: «Che singolare ciondolo che hai! È davvero bello!»

«Oh, non è niente di così speciale» mentì Olga «solo un regalo di mia nonna»

L'insegnante tornò ai suoi libri di testo, ma Olga capì che non se l'era bevuta.

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Capitolo 6
*** Irrazionalità ***


La ragazza prese il registro di classe e fece per andare verso le scale per rimetterlo sulla cattedra, ma una figura scura appoggiata alla parete le sbarrò la strada: era Paul. Olga si arrestò, stringendo il quaderno azzurro tra le braccia. Non voleva essere costretta a parlare con lui, non voleva complicare le cose: cercò di cambiare traiettoria, ma le grosse mani di Paul la riportavano al suo posto. Il ragazzo era scuro in volto, serio, e la squadrava dalla testa ai piedi, arrabbiato e indagatore. La ragazza si arrese, e chinò il capo per nascondergli le lacrime che le striavano le gote. L'atteggiamento di Paul cambiò all'istante: divenne visibilmente preoccupato, non gli interessava più scoprire il perché di tutti quei cambiamenti improvvisi; voleva solo vederla sorridere di nuovo, spensierata e bella come prima. Le tirò su il viso e la guardò negli occhi: «Cos'è successo, Olga? Ne vuoi parlare?»

La ragazza aveva smesso di piangere, era troppo nervosa per lasciarsi andare: «Non puoi fare niente per aiutarmi, Paul» disse trattenendo il fiato «Stanne fuori, per favore» pronunciò quelle ultime due parole ha denti stretti. Dentro di sé avrebbe voluto dirgli ogni cosa, per sentirsi meno sola davanti a quel mondo immenso che cercava di opprimerla. Ma doveva farcela con le sue forze, doveva, oppure sarebbero morti entrambi.

Paul era rimasto incredulo davanti a tanta freddezza. Approfittando di quel momento di pausa, Olga tentò di scappare, ma invano: Paul la prese bruscamente per la spalle e posò le labbra sulle sue. Durò solo un attimo, ma a Olga parve fossero passati secoli. Lottando contro la voglia, staccò il volto del ragazzo dal suo, e infilò la porta senza voltarsi più. Piangeva, noncurante del fastidio provocato dalla borsa a tracolla che le picchiava contro il tendine del ginocchio destro. Si frugò in testa per cercare una distrazione e smettere di pensare a quello che era appena successo. Ma vedeva e rivedeva i suoi occhi, la sua bocca... Poi si ricordò di quello che aveva scoperto sul fantasma che aveva ucciso Laure, e svelta si diresse alla biblioteca.

Il fantasma di Annie Franklin stava sorseggiando una tazza di tè quando Olga irruppe nella stanzetta al di là della porta d'ebano. Al primo impatto lo spirito alzò verso la ragazza un'occhiata scura, che accarezzando i suoi occhi rossi di pianto si era fatta ancor più pazza e irrazionale, simile allo sguardo di Paul prima di vederla in lacrime. La vista della confusione emotiva della ragazzina aveva gettato la donna nel terrore, e questo l'aveva gettata nuovamente nello sconforto. La ragazza scivolò a terra, accanto alla poltrona di Annie. La donna le porse un fazzoletto e iniziò a prepararle una tazza di te, in silenzio. Fu Olga a cominciare a parlare, bevendo l'infuso insipido: «È Paul, dannazione! Non si rassegna, vuole costringermi a raccontargli ogni cosa: ma non devo, non posso farlo!»

«Non mentirmi, Olga: c'è dell'altro, non m'inganni» la signora Franklin rimase calma.

«Purtroppo sì: mi ha baciata»

Il fantasma non ci pensò un minuto: «Ma allora perché piangi, dovresti essere felice! Oppure non provi interesse per lui?»

«No, Annie, non si tratta di questo: lui mi piace, ma temo per lui» le spiegò Olga, sull'orlo di un'altra crisi «Ho paura che lo spettro che ha ucciso Laure si accanisca contro di me, e se lui mi starà troppo vicino potrebbe accadergli qualcosa di veramente brutto. Io questo non lo voglio»

Scoppiò in lacrime. La Franklin le passò un altro fazzoletto: «Se ti ha baciata lui, vuol dire che in un modo o nell'altro la sua vita non dipende da te: lui vuole entrare nella tua vita, ne accetterà le conseguenze»

Olga scosse il capo, incredula: «Vuoi dire che non posso fare niente per tenerlo lontano, che devo lasciare che le cose vadano a posto da sole?»

«Esattamente» le rispose, sorridendo per la prima volta, lo spirito «e ti dirò di più: voi avete l'Amore dalla vostra parte. È l'arma più grande»

Udite queste parole, la ragazza smise di agitarsi, e parlò al fantasma di quello che aveva scoperto dalla lezione di storia dell'arte. La signora Franklin la ascoltava meditabonda e concentrata: leggeva persino tra i suoi lineamenti il profondo stupore della ragazzina.

«Ho letto qualcosa riguardo a questa leggenda» disse infine la donna fantasma.

«Mi dica tutto quello che sa, la supplico» chiese Olga, impietrita.

«Ebbene, non ti serve altro che il nome» le rispose l'altra. Sembrava pensierosa, quasi non sapesse più come continuare.

Seguì un vuoto interminabile.

«Si ricorda il nome di quella donna, Annie?» chiese ancora Olga.

La signora Franklin rise piano: «Mia cara, una delle fortune – o sfortune, dipende dai punti di vista – di essere morti è che non ti è concesso di dimenticare»

Olga si guardò intorno, non capiva: «Ma allora, cosa la trattiene dal dirmi quel nome?»

Il fantasma di Annie Franklin non l'ascoltava. Se ne stava lì, immobile, sospesa a mezz'aria. Poi all'improvviso: «Non voglio aprir bocca, voglio tenerti fuori da tutto questo...» diceva piane.

«Perché?» la interruppe la ragazza, irritata.

«Tu non capisci. Sei viva, certo che non capisci» poi Annie la guardò in faccia: sembrava invecchiata di altri cento anni «Guarda cos'è accaduto a Laure: ha iniziato a parlare con quel mostro, e ora è morta!»

«Lo stesso accadrà ad altre persone, se non la fermiamo adesso!»

«Puoi salvarti però, perché vuoi rischiare?» continuò la signora Franklin «Sei un'umana, non sono cose che dovresti sapere: per conoscere la morte bisogna essere morti»

«Prima o poi tutti dobbiamo morire, signora Franklin» le disse supplichevole Olga.

«Allora perché ti ostini a voler conoscere il Suo nome: una volta udito, lei verrà a cercarti, e niente ti salverà»

«Lei mi ha dato questo» indicò il dente di iena «perché voleva che la affrontassi, non può rimangiarsi tutto proprio ora. Io lo faccio per proteggere le persone che amo, anche lei avrà qualcuno a cui tiene»

«Ce l'avevo, ma è morta»

Olga chinò il capo: aveva capito a chi si riferiva. Le lacrime rigarono le guance di entrambe. Olga fece un ultimo sforzo: «Mi dica quel nome, Annie»

Mentre le rispondeva, i lineamenti dello spettro ringiovanirono, come se avessero ritrovano la forza della vita.

«Clotichilda» disse, e scomparve.

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Capitolo 7
*** Clotichilda ***


Appena uscita dalla biblioteca, Olga non ebbe dubbi sul da farsi. Mandò un messaggio a Paul, dicendogli che doveva parlargli, e gli diede appuntamento al parco del cimitero. Quasi correndo, raggiunse la statua di Che Guevara, e lì attese. Aveva così paura di non vederlo arrivare! Una mano le accarezzò un gomito, scese lungo l'avambraccio e le strinse le dita sottili. Olga si girò di scattò e guardò il ragazzo negli occhi: «Mi dispiace di essere scappata, ma...» disse, abbassando il viso. Paul si chinò e la baciò piano sulle labbra. La ragazza sorrise, ma in quel momento non riuscì a trattenersi dal singhiozzare. «Cerca di capire, temevo di rovinare la nostra amicizia, insomma, di coinvolgerti in storie pericolose... Non so cosa avrei fatto se ti fosse accaduto qualcosa...» «Non me ne frega niente di quello che accadrà, okay?» le rispose Paul, accarezzandole i capelli «Tu mi piaci un sacco e basta!» Olga gli mise le braccia intorno al collo e lo baciò ancora, e ancora e ancora. Il mondo intorno a loro si fece sempre più insignificante, e gli occhi dei passanti imbarazzati e invidiosi infagottati al freddo non infastidirono i due innamorati. Erano ancora protetti dal torpore di quell'abbraccio, quando Olga avvertì una ventata d'aria gelida sul viso. Si staccò da Paul e rimase ferma tra le sue braccia, a osservare gli alberi da sopra la sua spalla destra: qualcuno li stava guardando, se lo sentiva. Paul si accorse del suo turbamento e la posò a terra. «Cosa c'è?» chiese preoccupato. Ma non fece in tempo a dire altro che una figura evanescente, statuaria ed imponente uscì piano dal fitto degli alberi, puntando un dito affusolato e minaccioso verso di lui. Olga non poté fare nulla, e lo vide accasciarsi al suolo, senza emettere il minimo suono. Anche lei rimase silenziosa, scossa da un tremore incontrollabile. Il fantasma era ora a pochi metri dalla ragazzina, e la scrutava dalla testa ai piedi, vagamente stupita e con un sorriso canzonatorio dipinto in volto. Olga non riusciva a staccare gli occhi da Paul, riverso in maniera scomposta sull'erba: «Non temere,» disse per prima la presenza «ma ho dovuto prendere le mie precauzioni: non deve sapere del nostro colloquio». «Avrei voluto tenerlo all'oscuro di tutta, ma lui a voluto stare con me a tutti i costi...» «Non credere di potermi distrarre con le tue chiacchiere inutili, ragazzina» la interruppe bruscamente lo spettro, gettando un'occhiata a Paul «So benissimo in che rapporti siete, voi due. Anzi, scoprirai che so molte cose su di te. Sono soltanto venuta a avvisarti che presto porrò fine alla tua miserabile vita: ora non posso torcerti un capello, purtroppo». Olga guardò il dente di iena, tanto per essere certa di averlo intorno al collo. «Quella vecchia strega non avrebbe dovuto impicciarsi, ma d'altronde è da quando è spirata che non si fa gli affari suoi...» Olga approfittò del silenzio del fantasma per osservarlo meglio: era una donna giovane, dal viso allungato e dai lineamenti semplici, che in vita doveva avere avuto una bella carnagione ambrata, come certe dive dell'est. Indossava un abito di velluto verde muschi, e dall'orlo inferiore spuntavano due calzari di cuoio appuntiti. Al braccio sinistro teneva legato un pugnale di bronzo, che pareva etereo quanto la sua padrona. I suoi occhi erano una palude illuminata da un generoso sole. Inquietavano la sua altezza e le sue membra spigolose e scarne. Le parole fredde e decise della ragazzina ruppero una lunga pausa: «Non ti servirà a niente uccidermi: non ho armi per nuocerti, né qualcosa da strapparmi per poi buttarmi in un angolo come una scatola vuota. Non mi farai quello che hai fatto a Laure, te lo assicuro». «Siete tutti così stupidi, voi essere umani: tirate fuori il coraggio all'avvicinarsi della fine» replicò in una risata di scherno lo spirito «Ma ora, se vuoi scusarmi, vado ad preparare la tua morte». «Non mi avrai mai, Clotichilda!» ora Olga si sentiva meno impotente, accucciata accanto al corpo grosso del suo amore, pronunciando quella sfida alla donna, che già le dava le spalle per andarsene. A sentir proferire il suo nome di persona libera, il fantasma fu percorso da un fremito, che colpì Olga sotto forma di un lieve formicolio alle labbra, la fonte di quella rivelazione. Probabilmente Clotichilda si sentì in dovere di fermarsi, di ascoltare quello che aveva ancora da dirle quella ragazzina tanto temeraria da dire il vero nome di uno spirito demoniaco, quale era lei. Così si voltò verso Olga, che ora le si mostrava nella sua forma più vera, debole alle lacrime, che accarezzava il volto pallido di Paul. Lo spirito però era immune alle emozioni umane, e le commozione poteva solo darle fastidio. Gelida, attese con impercettibile impazienza che la piccola le dicesse qualcosa, se qualcosa le era rimasto da dire. Sembrava che Olga non si fosse accorta che la donna era rimasta lì, ma a un certo punto parlò, e i dubbi le scorsero fuori senza che prendesse fiato una sola volta: «Giurami che sarò l'ultima. Promettimi solo questo, e da domani sarò alla tua mercé. Giurami che dopo di me la farai finita e te ne andrai in pace». A seguire, il tempo quasi si fermò per la mancanza di suoni e fatti. Un primo fiocco di neve fluttuò, niente più. «Se avessi potuto riposare nel giardino della morte avrei già preso sonno, non credi?» la presenza svanì all'istante, come avesse paura di udire la risposta della bambina a quella domanda retorica; comunque Olga non avrebbe detto nulla. D'un tratto Paul prese un lungo respiro, così come fa un naufrago gettato dalla tempesta su una spiaggia. Olga si lasciò sfiorare dai suoi baci, percorsi dall'inquietudine della consapevolezza. Entrambi avevano capito che li attendeva un cammino difficile, ma l'amore li trascinava con sé, cercando di alleviare un poco il peso delle loro certezze. Una pioggia di coriandoli bagnati sfiorò i due mentre tornavano a casa, dimentichi di odiare la neve.

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