Anche gli Dei Muoiono

di Herit
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: MeLoDiA d'AuTuNnO ***
Capitolo 2: *** 1. Perché se si sogna la morte di qualcuno, gli si allunga la vita? ***
Capitolo 3: *** 2. Brutta bestia, l'invidia ***
Capitolo 4: *** 3. Semplicemente il Destino, o gli hai dato una mano? ***
Capitolo 5: *** 4. Gocce di un passato, che non può più tornare. ***
Capitolo 6: *** 5. Assieme a te nell'incanto di un tramonto?! Mai! ***
Capitolo 7: *** 6. Come si possono esaudire i desideri? ***
Capitolo 8: *** 7. Ci sarai anche nelle mie notti insonni? ***
Capitolo 9: *** 8. Hai mai visto la pioggia scendere in un giorno di sole? ***
Capitolo 10: *** 9. Perché la Mattina sa di caffè-latte e baci al cioccolato. ***
Capitolo 11: *** 10. Solo la melodia della vita. ***
Capitolo 12: *** Epilogo. Quelle note sono lacrime sul pentagramma. ***



Capitolo 1
*** Prologo: MeLoDiA d'AuTuNnO ***


Anche gli Dei muoiono.
The Show Must Go On


Prologo: Melodia d'autunno.


Empty spaces - what are we living for

Abandoned places - I guess we know the score
On and on, does anybody know what we are looking for...

    La musica scemò lentamente, lasciando che solo le ultime note emesse dallo Stradivari riempissero uno dei più importanti teatri d'Italia. Un silenzio tombale scese lento e leggero come la neve quando anche quell'ultimo accordo morì, denso ed acuto, infrangendosi come una bolla di sapone contro le pareti dell'auditorium. Era una strana sensazione quella che seguiva la fine di ogni esecuzione. Gli capitava sempre più frequentemente di sentirsi svuotato, privato di qualunque cosa portasse dentro di sé. Ascoltò quel silenzio leggendolo attentamente. Beandosene. Gli occhi ancora chiusi come da programma. Se avesse continuato ad apparire concentrato, un frammento della sua immagine sarebbe rimasto impresso nella mente degli spettatori.
    Una figura alta. Impeccabile. Curata sotto ogni aspetto, con quei ricci di un castano chiaro che gli solleticavano sfrontati le guance creandogli in realtà più fastidio che piacere, ma che facevano parte della maschera. Risollevò lentamente le palpebre, svelando lo sguardo del colore di uno smeraldo opaco, lasciando che un fiume in piena di applausi lo travolgesse in quello stesso istante, riempiendolo nuovamente di quanto lui poco prima aveva donato al suo pubblico. Le gambe immobili, seppure lui le sentisse chiaramente tremare dall'interno. Pronte a scattare verso le tende che segnavano la linea di demarcazione tra il palco e il backstage. Stabili impalcature di chi è abituato al confronto con la platea, seppure ogni volta minacciassero di cedere non appena fosse arrivato in camerino, dando libero sfogo alla tensione che si è accumulata nei giorni precedenti e durante la sua prestazione. Il corpo magrissimo che si traduceva in un'armoniosa massa di nervi saggiamente foderati da abiti curati. Eleganti: un gessato nero con una morbida coda a frac che gli si apriva dietro la schiena e che ondeggiava seguendo i suoi movimenti, ogni volta che li accentuava appena rendendoli più teatrali.
    Sorrise. Sentì le labbra stendersi in un'espressione sfrontata, di chi sapeva di aver fatto centro, incantando non solo gli spettatori, ma anche la giuria che sedeva poco distante, in un angolo dell'amplio palco sul quale era ancora il protagonista assoluto. Sorrise sciogliendo quella posa ben studiata ed andando a chinarsi provocando un nuovo scroscio di applausi. Quello era il suo posto: lo era sempre stato. L'unico che potesse appartenergli davvero. D'altronde non si fregiava del cognome Stradivari per nulla.
Uno.
Due.
Tre.
Come gli avevano insegnato da bambino. Inculcandoglielo in testa fino a quando quel gesto non era divenuto automatico. Tre secondi esatti ed alzarsi lento ed elegante.
Girarsi verso la giuria.
Di nuovo inchinarsi.
Uno.
Due.
Tre.
Ancora su. Poi un ultimo sguardo al pubblico a dimostrar sicurezza e lasciar ancora più vivo in questo il ricordo del giovane violinista che l'aveva appena saputo incantare. Fu con la stessa orgogliosa sfrontatezza con la quale aveva lasciato l'uditorio, che si diresse dietro le quinte.

    Flessuoso e silenzioso, lasciò che fossero i tacchi dei mocassini ad essere il solo avvertimento della sua presenza lì: gli piaceva l'apparenza da ragazzo perfetto che si era creato attorno dopo anni di lavoro. Era pronto, ben conscio che presto due braccia sottili e non troppo lunghe gli avrebbero cinto quasi con fatica il torace non particolarmente largo e sviluppato, ma caldo e confortevole e che un corpo minuto lo avrebbe stretto a sé, lasciando spazio solamente ad una vocina acuta che si sarebbe complimentata con lui per la sua esibizione. Era ordinaria amministrazione da che era riuscito ad entrare al Monteverdi, uno dei Conservatori più rinomati, in Inghilterra. Eppure l'inevitabile non accade. Non ci furono braccia sottili a stringerlo. Così come nessuna bocca sfiorò la sua e nessuna vocetta stridula si complimentò con lui per la sua impeccabile esecuzione. Per qualche istante quel sorriso tronfio con il quale aveva fatto il suo ingresso nella quinta si spense. Che fosse deluso?
    “Mio Dio! Sei stato bravissimo!” Squittì una vocina a lui ben nota. Vocina che ebbe il potere di fargli arricciare le labbra di nuovo, soddisfatto. Complimenti. Ecco di cos'aveva bisogno. Ecco, ora non avrebbe dovuto far altro che abbassarsi appena per accogliere l'abbraccio della sua ennesima pseudo fidanzata e le sue coccole. Sarebbe stato soddisfatto per almeno un paio d'ore. Poi tutto sarebbe tornato ad essere la solita tiritera accompagnata dal solito tram tram che si ripeteva incessantemente da un paio di anni a quella parte e che si sarebbe ripetuto per tutti i secoli dei secoli. O per lo meno quello era ciò che temeva: non riuscire ad andare al di là di quella scuola di musica. Invecchiandoci dentro e divenendo un docente di musica decrepito come il vecchio Harvey. E sarebbe continuata anche quella dannata sensazione di... vuoto. Di incompletezza.
    Presto probabilmente avrebbe lasciato anche quella graziosa ragazzina, così come aveva piantato tutte le altre prima di lei. Era il ragazzo più dotato -non solo musicalmente parlando- dell'istituto. Se lo poteva permettere. Aveva anche un certo fascino: avrebbe potuto avere tutte le ragazze che avesse desiderato, ne era ben conscio. Bastava vedere la fila di gentili donzelle che non aspettavano altro che poter uscire con lui o che gli sospiravano dietro ogni volta che passava per i corridoi con quell'aria un po' svogliata e seria. Altera. Era un miscuglio che alle ragazze, per qualche strana alchimia, piaceva. Però c'era sempre quella sensazione che ognuna non fosse quella giusta. C'era da dire che lui comunque non cercava una storia seria e duratura. Si era steso su tante lenzuola solo per sfogarsi e tutto sommato la cosa non lo dispiaceva nemmeno più di tanto. Semplicemente era tutto così maledettamente freddo, esattamente com'era lui. Ancora nessuna era riuscita a dargli quello che cercava. Sentimenti che invece sapeva infondergli la musica cui dava vita. O era la musica che dava vita a lui? Sinceramente non avrebbe saputo dare una risposta, se qualcuno glielo avesse chiesto. Non la sapeva dare nemmeno a sé stesso quando, mentre suonava un pezzo, si poneva quel quesito.
    Ecco però, lui si sentiva così:
Come una canzone Pop senza un ritmo orecchiabile e facilmente fruibile.
Come una canzone Rock priva di un testo che sapesse lasciare un segno dentro chi l'ascoltava.
Come un madrigale privo di una voce.
Lui era il testo, morbido ed appassionato come una poesia, ma gli mancavano le note. Quelle note che avrebbero potuto dargli spessore e renderlo terribilmente suadente.
    Aggrottò le sopracciglia in attesa di un abbraccio che per la seconda volta non arrivò, mentre invece, la voce di Elisabetta gli giungeva chiara e tonda alle orecchie. Scocciato. Capriccioso. Scostante. Solo in quel momento decise di dirigersi verso i camerini per vedere con chi la sua ragazza stesse parlando in modo tanto concitato. Furono note di un violino prima ed il giovane rimase impietrito. La medesima sinfonia che aveva suonato lui portata alla perfetta esaltazione. Non era solo musica. No. V'era un mondo dentro quelle note che si susseguivano in un bis che l'esecutore aveva concesso solamente a quella ragazzina petulante che gli stava poco distante.
    “Vic, senti! Senti!” Lo invitò una giovanetta tutto pepe dai folti boccoli neri, avvicinandosi a lui. Ma  Victor non la sentiva: troppo preso da altro. Stava fissando attonito il giovane che si stava esibendo con quello quello stesso brano che poco prima aveva portato tanto consenso da giuria e pubblico, dopo esser stato eseguito dal suo Stradivari e che, invece, ora lo faceva sentire solamente un violinista da strada, di quelli alle prime armi. Lo stesso brano che si troncò bruscamente quando il direttore di scena fece il suo ingresso nel camerino.
    “Violin Mark?- Il ragazzo volse immediatamente lo sguardo verso l'ometto basso e rotondo che sostava sulla soglia con alcuni fogli in mano, picchiettandoli distrattamente con una matita. Si sciolse dalla sua posizione carezzando con le dita lunghe ed affusolate il suo violino come se fosse la cosa più preziosa dell'universo. -Oh, signor Stradivari, la sua esecuzione è stata magistrale. Sono sicuro che la borsa di studio andrà a lei, quest'anno.” L'uomo si rivolse così al giovane Stradivari che però non sembrava dargli ascolto, ancora troppo preso dall'osservare quello che di punto in bianco era divenuto il suo più terribile avversario. Alto. Altissimo. Con quei capelli biondissimi e la pelle leggermente olivastra. E poi quegli occhi colore del ghiaccio che lo avevano trapassato da parte a parte giusto in quel momento. Nel momento esatto in cui Pancho (come l'avrebbe rinominato in seguito Lizzy. Si, come quello di Don Quijote) aveva pronunciato il suo cognome, i loro sguardi si erano incrociati ed il castano aveva avvertito una stretta allo stomaco: pesante ed opprimente. Eppure portava con sé una sensazione quasi... calda?
    Senza dire una parola, Violin superò quell'insolito trio che si era andato a formare alla porta del suo camerino passandogli accanto senza dire una parola. Aveva un buon profumo. Victor se lo sarebbe ricordato, ma in quel momento non poteva sapere quanto a fondo sarebbe penetrato in lui quell'aroma. E poi che diavolo stava pensando? Che doveva importargli del profumo del suo avversario più prossimo? Lo seguì per qualche istante con lo sguardo soffermandosi sulle sue mani. Erano grandi. Sicuramente calde. Essere toccato da quelle doveva essere un'esperienza da spezzare il fiato.
E quelle spalle larghe.
Se poi, scendendo, tutto andava in proporzione... stop! Stop! Stop!
Tutti sogni e congetture che poi avrebbero trovato il loro perché, ma che in quel momento lo fecero rabbrividire. Si ritrovò a scuotere il capo con veemenza. Lui era un uomo! Ed era pure gran bel pezzo di figliolo di quasi diciotto anni e soprattutto senza nessuna strana inclinazione sessuale.
Perché tutto ad un tratto si ritrovava a fantasticare su... sull'ultimo arrivato? Che fosse una crisi ormonale? Ma avrebbe dovuto averla superata da un po', insomma.
Tra l'altro era oltremodo sciatto. Vestito con Jeans strappati probabilmente presi al mercatino di quartiere e con una camicia nera che gli fasciava il torace e le spalle in maniera così tremendamente sexy. Con un nuovo scossone  del capo, Victor andò a rifilare il violino tra le mani di Elisabetta che ancora era lì a cinguettare e a tessere le lodi di quanto aveva appena fatto il signor Violin. Almeno fino a quando la ragazzina non si prese qualche istante a fissarlo meglio, richiamata da quel gesto così inusuale per lui che trattava il suo violino come un oggetto sacro.
    “Hai una brutta cera, Vic...- Constatò la ragazzina che accolse tra le braccia lo Stradivari cambiando completamente espressione, divenendo improvvisamente seria dopo aver sentito la poca delicatezza con cui glielo aveva praticamente buttato addosso. Ci mancò poco che l'archetto facesse un pericoloso incontro di terzo tipo con il pavimento. -Dovresti trattarlo meglio, il tuo vi...” Ma non ebbe il tempo di finire quella predica perché il giovane era già uscito di corsa dai camerini per richiudersi in bagno con la testa infilata nel lavandino e l'acqua fredda aperta al massimo per cercare di placare quell'improvvisa vampata di calore che gli era velocemente affluita in viso. E non solo lì a giudicare da come gli stava tirando il cavallo dei pantaloni.

    La vittoria di Mark fu schiacciante.
Victor era riuscito a sentire solamente l'ultima parte della sua esibizione, ma ricordava perfettamente quanto fosse stata da brivido. Avevano proposto lo stesso brano, eppure la giuria, al suo avversario, aveva assegnato un punteggio che superava quello del giovane Stradivari di diversi decimi. Quando si incontrarono di nuovo ed i loro sguardi si incrociarono ancora, il ragazzo avvertì chiaramente un brivido lungo la schiena. Aveva un'espressione apatica, Violin. Niente confronto a quella arroganza sfrontata con cui continuava a fissarlo il suo antagonista. Un tacito e cordiale disprezzo tra loro, quando educatamente si complimentarono l'uno con l'altro stringendosi la mano, intascando l'uno il primo e l'altro il secondo premio in palio.














Ho avuto il coraggio di pubblicarlo! O___O
Ho davvero avuto il coraggio di pubblicare questo obrobio?!? O_O
Ebbene sì, purtroppo per voi Herit ha avuto la geniale idea di pubblicare questo piccolo parto demente della sua testolina malata. X°°
Che dire? Che è stato un lavoraccio, in realtà. Non il più lungo. Non il primo. Ma è stato davvero un parto sofferto. Il travaglio della stesura è stato doloroso, perché avrebbe dovuto stare entro un tot di pagine, e purtroppo le ho sforate bellamente... :(
Come avrete potuto intuire dal sottotitolo del racconto, per scriverlo ho preso spunto dalla canzone dei Queen "The show must go on". Il titolo è stato poi modificato all'ultimo momento perché... beh, capirete più avanti.
Questo piccino ha partecipato a diversi contest.
Il primo, cioè quello per cui è davvero nato, è il "Queen contest, il contest della regina", di cui questo cuccioletto, porta già il banner XD E nel quale si è classificato IV° con una meravigliosa recensione da parte della giudice del contest. Recensione e giudizio che però non voglio ancora riportare in quanto l'altro contest cui sta partecipando questa storiella non è ancora concluso.
Il secondo è lo "Yaoi Contest -citazioni da Alessandro Baricco" che deve ancora concludersi. La citazione da me scelta arriverà molto avanti nella trama, ma assicuro che ha influenzato molto il mio modo di decifrare i personaggi per buona parte della stesura del racconto :)
In ultima, ma non per importanza, partecipa anche alla Challenge "dal nome alla storia" ed è da questo che arriva il nome di uno dei due protagonisti. Per l'esattezza "Mark, il cui significato è 'Sacro a Marte'". A primo acchito sembra non abbia nulla a che vedere con la storia, tale lettura del nome. Anche questo si scoprirà a tempo debito. ^w^

Finalmente sono riuscita ad avere anche il secondo bannerino ed il risultato del contest "Citazioni da Alessandro Baricco", nel quale questa cucciolotta si è classificata seconda, cosa che sinceramente non mi sarei mai aspettata Owò


Il mio grazie alla giudiciA ed i miei complimenti alle altre partecipanti. Le vostre storie sono tutte meravigliose! <3





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Capitolo 2
*** 1. Perché se si sogna la morte di qualcuno, gli si allunga la vita? ***


1. Perché se si sogna la morte di qualcuno, gli si allunga la vita?


Another hero, another mindless crime
 Behind the curtain, in the pantomime
Hold the line, does anybody want to take it anymore
 The show must go on

    C'era di buono che, dopo quell'incontro, Victor era sicuro che le strade sue e di Violin non si sarebbero più incrociate e la cosa gli faceva tirare un sospiro di sollievo. Elisabetta lo aveva lasciato, nel mentre. Era stata la prima ragazza a piantarlo in asso e per questo si era meritata in qualche modo la sua stima, piuttosto che il suo rancore, dimostrandosi più furba e coraggiosa delle altre. Lei l'aveva già capito. A differenza di quanto si sarebbe potuto pensare, dopo il concorso alla Fenice di Venezia, lei non aveva più parlato di quel violinista comparso dal nulla, senza un nome nell'ambiente e che nel nulla sembrava essere scomparso. Di quello che aveva fregato a Victor la borsa di studio da sotto il naso. Il giovane, invece, al contrario aveva cominciato a nominarlo sempre più frequentemente. Era il suo sprone a provare e riprovare, fino allo sfinimento. Lui che era sempre stato considerato dotato di un talento naturale. Un po' probabilmente per via del cognome di cui si fregiava. Quello di suo padre. Non sapeva se discendesse davvero dal grande musicista, fatto stava che quel nome era una garanzia e gli aveva dato più di qualche spinta, nonostante la sua bravura ed il suo assiduo impegno facessero il loro lavoro con dovizia. Era raccomandato. Sì. E se doveva essere sincero, la cosa non lo disturbava affatto, sotto diversi punti di vista. Sotto altri, invece, forse avrebbe preferito avere un cognome senza alcun rilievo. Ma se fosse stato altrimenti, probabilmente in quel momento non sarebbe stato seduto su una delle innumerevoli sedie dell'auditorium del conservatorio a fissare in tralice la professoressa che proponeva improbabili solfeggi dietro al pianoforte.
    “Strà!” Lo squittire della sua ultima ex lo fece sussultare. Erano in aula. Lezione di canto. Era stato costretto a frequentarla come corso extra. Non amava cantare perché considerava la voce come uno strumento imperfetto e difficile da domare: lui purtroppo non possedeva questa capacità, nonostante si destreggiasse con più di cinque strumenti differenti e la cosa l'infastidiva. Sollevò svogliato il mento dalla mano osservandola con sufficienza. Lizzy gli sorrideva con un certo divertimento. Benché fosse stata lei a lasciarlo, aveva preteso che il loro rapporto non cambiasse. Il come non l'avevo mai capito, fatto stava che ci era riuscita. Gli stava attorno infischiandone dei commenti delle alte ragazze che le consigliavano di girargli alla larga, visto che secondo loro era un perfetto stronzo. Ovvio che chi parlava così, era la schiera delle sue vecchie fiamme. Lei invece no. Ascoltava pazientemente le sue lamentele e lo accompagnava nelle sue esecuzioni più difficili quando si preparava per i concerti. Era un'ottima violinista. Con il suo strumento in mano si trasformava, tanto da riuscire quasi ad apparire come una piccola regina vestita di nero. Con quella tendenza un po' Gothic ed un po' Dark che era riuscita ad incuriosirlo in un primo momento, assieme alla sua allegria. Una volta Victor le aveva detto, durante le prove, che gli ricordava una Dea della morte con quei capelli corvini che sembravano inglobare in loro la luce per poi rilasciarla in riflessi opalescenti di una strana tonalità violacea. Lei per tutta risposta gli aveva sorriso con quel sorriso un po' sbarazzino, un po' saccente e l'aveva ringraziato. Molti pensavano che fosse strana. Forse per questo era stata l'unica in grado di stargli vicino per più di tre mesi, senza che a lui venisse voglia di scaricarla prima.
    “Che c'è, Lizzy?” Le domandò sbuffando e lei gli indicò divertita l'altra parte dell'aula di musica. La porta era stata aperta e la preside si era intrattenuta a chiacchierare amabilmente con la loro professoressa di canto. Erano piuttosto concitate. Una voce acuta che si scontrava con un'altra contraltile e ferma. Tornò a fissare la sua migliore amica -sì, perché in altro modo non avrebbe saputo appellarla- scettico.
    “E allora?” Incalzò con le sue domande, svogliato “C'è la preside. Hai ancora paura di lei?” Ironizzò mostrandole un sorrisetto sfrontato che la fece imbronciare. Era carina quando si imbronciava. Divertente. Nonostante l'apparenza da ochetta, nemmeno troppo sotto nascondeva un caratterino sagace. Era furba e decisa e questo la portava ad arrivare sempre dove voleva. Infatti non solo era la sua sostituta in caso di malattia alle esibizioni scolastiche, ma anche uno dei soprani più talentuosi che potesse vantare il loro conservatorio.
    “Ma sei tonto?” Ribatté lei andando a mandare in frantumi in un istante tutta la sua autostima. Era l'unica che ci riuscisse con tre semplici parole. Forse per via dei loro trascorsi. Forse perché glielo aveva chiesto con una dolcezza che stonava completamente con quelle parole. Forse perché lo disse a voce talmente alta da far girare mezza classe verso di loro. Victor rimase per qualche istante con le labbra schiuse per ribattere, ma non fece a tempo ad articolare nulla di sensato, visto che le mani da violinista della sua amica gli afferrarono le guance facendogli torcere drasticamente il collo provocando un rumore sinistro quando le vertebre si mossero, schioccando.
    “Lizzy, sono un umano, non una gallina cui tirare il col...” Ebbene sì: le parole gli morirono drasticamente in gola quando dietro alla Martinelli si presentò un ragazzo. Un ragazzo che, per fama, si trovava già sulle bocche di tutti gli studenti. Soprattutto quella del giovane Stradivari che era rimasta aperta, con il mento che probabilmente di lì a poco avrebbe toccato il pavimento. Pronta ci fu la mano di Elisabetta a fargli riattaccare mascella e mandibola assieme, sollevando gli occhi al soffitto con fare esasperato. Eh, già: lei lo aveva già capito. Lui ancora no.  
    “Oh cazzo!” Formulò Stradivari a tono nemmeno troppo sommesso provocando delle risatine da parte di alcuni, e lo sgomento generale della classe. Il raffinato Victor Stradivari che se ne usciva con un gergo così poco di classe. Inaudito. Riabbassò lo sguardo, andando a fissare il banco che improvvisamente era divenuto il fulcro centrale del suo interesse.
    “Dunque, ragazzi. Lui è Mark Violin.- Lo presentò velocemente la professoressa. Aveva già perso abbastanza tempo, per i suoi canoni. -Lei prenda pure posto dove preferisce, dopo mi farà sentire la sua voce.” Il ragazzo dedicò alla classe un profondo inchino -di quelli da esibizione- prima di avvicinarsi alle sedie raccolte ordinatamente in un angolo, afferrandone una e dirigendosi poi verso Lizzy. E quindi verso Victor che in quel momento stava facendo di tutto per imporsi di non guardarlo: se l'avesse fatto, gli sarebbe saltato al collo per strozzarlo.
    “Ben venuto.” Vivace l'accoglienza che gli riservò Elisabetta e nel mentre il giovane Stradivari si limitava ad ignorarlo cordialmente, dimostrando all'improvviso un profondo interesse per la porta dalla quale la preside non sembrava essere intenzionata a schiodarsi. Non sapeva perché, ma aveva la netta sensazione che da sotto i suoi fondi di bottiglia, lo stesse osservando con un sorriso sardonico. -Sarà solo un'imp...- Non finì di formulare quel pensiero che la voce quasi maschile della donna lo fece sobbalzare. No, decisamente quella non era la sua giornata.
    “Victor!” Lo richiamò all'ordine quella specie di teiera dai capelli color carota. Si impose una calma che in quel momento sembrava essersi andata a fare un bel viaggio alle Hawaii. Magari lo stava chiamando solamente per... congratularsi con lui. Con il secondo posto ottenuto solo un mese prima avrebbe potuto pagarsi comodamente le ultime due rate della scuola, per quell'anno.
    “Mi dica.” Eccolo. Ora lo riconosceva quel mezzo sorriso un poco sfrontato, un poco arrogante che sentiva arricciargli le labbra, ancora lì, sul suo viso. Per un istante mise da parte il pensiero che lui e Mark frequentavano il medesimo istituto. Gli sarebbe bastato stargli lontano per essere sicuro di non avere seccature. Frequentavano la medesima ora di canto corale? Avrebbe girato al largo. Non l'aveva mai sentito parlare, ma all'apparenza doveva avere una voce discretamente bassa, quindi ben lungi dalla sezione del coro dove solitamente sostavo lui: i tenori.
    “Alla fine della lezione la voglio nel mio ufficio. Porti con lei anche il signor Violin.- Una volta aveva letto in un libro che quando si ha un sogno, tutto l'universo cospira affinché questo sogno si realizzi. Bene. Allora perché il Mondo intero sembrava cospirare affinché lui realizzasse un duplice omicidio in tempi stretti? Beh... in fondo anche quello era un suo desiderio, no? Il suo sorriso si spense miseramente mentre si limitava ad annuire alla preside sempre più depresso. Sia fatta la sua volontà. Non poteva essere altrimenti. -Ah. E mi hanno chiamato di nuovo per sua madre.” Eccola lì. L'onta della sua famiglia: sua madre. Scrollò le spalle noncurante accompagnando tutto con un'espressione di sufficienza. Aveva imparato a fingere di fregarsene bellamente, di quella donna, come lei si era infischiata di lui in quei diciassette anni dal giorno in cui lo aveva dato alla luce. Fingere, già. La mano sinistra corse alla sua spalla destra. Fingere.












Angolino autrice:
Che dire? Che innanzitutto ringrazio tutti quelli che hanno recensito.
Specie _RedLeaves_ che è stato praticamente costretto. Tesoro, te la sei cercata ampliamente, quando mi hai detto che avevi ripromesso a te stesso che volevi leggere questa mia idiozia v_v Evito di riportare gli Sms che mi hai mandato, perché vanno contro la morale comune degli Yaoisti v_v

_MinnyFive_ sono felice che la soria ti piaccia :) E' un racconto già terminato che aggiornerò ogni domenica, salvo imprevisti :3 spero lo seguirai ^w^

_Yuko Chan_ La tua recensione mi ha emozionata, sai? XD Non pensavo di essere riuscita a rendere così bene quello che avevo in testa. Violin e Mark sono due personaggi particolari. Credo che il prologo parli fin troppo bene della storia, di per sé XD Lascia presagire tanto, forse troppo ^^" Come ho detto alla giudice del "queen contest", questo racconto parla tanto anche di me, visto che con il mondo della musica ci convivo. E molte delle sensazioni che descrivo tramite Vic, appartengono anche a me. Solo dal punto di vista musicale, eh! XD Sono quindi ancor più felice che il prologo ti sia piaciuto, perché vuol dire che sono riuscita a dare quelle sensazioni che speravo di trasmettere :) spero che continuerai a seguire anche il resto della storia e di non deluderti :3

_Dì_ Salve Signorino! T^T Tu lo sai che me ti adora, sì? *-* **Gli fa i grattini, come richiesto** Gh... credo che tu abbia già cominciato a conoscermi, quindi sì, spero ne vedrete delle belle XD Perché sinceramente non so dare un giudizio alla marea di cavolate che ho scritto ^^" Ehm... **deve mangiare meno funghetti allucinogeni... sìsì** Sicuro di non aver avuto lo stereo acceso mentre leggevi? Forse la musica veniva da lì XD Mmmh... parlare di futuro tra Vic e Mark la vedo un po' ostica ^^" Vedremo con lo svilupparsi della trama XD Attendo critiche, siggnor Dì v_v Alla prossima :3

_RiflessoCondizionato_ **scodinzola e fa le fusa assieme** (sì, è anomala) Mrew *w* Mi rende felice il sapere che avresti letto questa storia pur senza sapere che era stata scritta per lo Yaoi contest XD Lo stesso dicasi per la tua O_O avevo già cominciato a leggerla senza sapere che stava partecipando al contest XD Ti ringrazio davvero tantissimo per la recensione *A*  Sono felice che il prologo "si ricordi" e che come storia risalti nella massa, anche se ho sempre paura di scadere nel banale ^^" Spero di non deludere le aspettative con l'avanzare del racconto °^° C'è da dire che è vero: Vic è terribilmente rigido. Eppure Mark riesce a farlo scomporre di punto in bianco XD E questo in realtà è anche poco v_v ho preparato altre sorpresine per i nostri protagonisti ;) Spero continuerai a seguire le loro vicende :3 In bocca al lupo anche a te *-* Anche se come ho detto nell'apposito 3dde del forum, il contest si presenta agguerrito XD <3

_Emychan_ Anche a me piace tanto Violin *-* specie per qello che gli succederà più avanti X°° Ma non diciamolo a voce troppo alta, altrimenti qualcuno potrebbe igelosirsi v_v **Guarda un co-protagonista a caso** Grazie per avermi messo tra i seguiti *-* A domenica prossima XD

_NonnaPapera_ La caratterizzazione dei due protagonisti per me è stata fondamentale, perché ad un certo punto avrebbero voluto prendere strade completamente differenti da quello che avevo tracciato io per loro o_ò è stata una faticaccia tenerli immobili nel loro carattere XD Mark (Marco, come nome che mi avevi dato tu), avrà anche uno spin-off tutto suo per un altro tuo contest v_v quindi preparati, che qui c'è solo l'assaggio X°°

In ultima, ma non per importanza, ringrazio _Andy_ v_v Senza di lui, Victor e Mark non sarebbero mai nati, anche se, con suo sommo orrore, ho stravolto il carattere dei suoi personaggi XD Mi dispiace, cussiolo, spero che la storia ti piaccia comunque, visto che tu a quei poveracci non dai mai spazio v_v Ho preferito abusarne io come mi pareva e piaceva XP Daisukidayou! <3

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Capitolo 3
*** 2. Brutta bestia, l'invidia ***


2. Brutta bestia, l'Invidia.

The show must go on, yeah
Inside my heart is breaking
My make-up may be flaking
But my smile still stays on

    Un, due, tre, quattro.
Ancora.
    Un, due, tre, quattro.
Perfetto. Poi il pezzo difficile.
    Un, due, tre...
Sting.
Ed eccola che partiva. Maledetto quel passaggio. Otto note. Otto note terribilmente irritanti che non sembravano proprio essere intenzionate ad uscire dal suo violino come lui gli diceva. O forse era proprio lui quello ad essere così incredibilmente fuori tono. Stonato. Fuori di sé e dal mondo. Arrabbiato.
    “Stradivari, vorrei aiutasse il Signor Violin ad ambientarsi nel nostro istituto. So che avete partecipato entrambi al concorso alla Fenice. Il qui presente ha ottenuto un risultato più che ottimo, direi, visti i voti conferiti dalla giuria.- Come se lui non l'avesse saputo. Maledetta megera! Si divertiva a prendersi gioco di lui. -Sono sicura che potrete diventare ottimi amici. Anche perché occuperà la camera adiacente alla sua.- Racchia odiosa! Vecchia bisbetica! Se Shakespeare l'avesse conosciuta, altro che “La bisbetica domata” avrebbe scritto. “La Bisbetica indomabile”, ecco cos'era! Poi la gente si chiedeva perché era ancora zitella. Chi se la sarebbe raccolta una scorfana già condita con tanto di limone? Dovevano anche aver esagerato con il limone, acida com'era. -Ah, e, signor Stradivari, un'ultima cosa. Ringrazi calorosamente la sua famiglia. Anche quest'anno hanno fornito un contributo notevole alla scuola.” Come a dirgli che doveva ringraziare papà e nonni se continuava a studiare in quel conservatorio. Come se dovesse ringraziare lui per il fatto che dessero tanti soldini all'istituto, perché senza quelli lui non sarebbe stato lì e non sarebbe riuscito nemmeno ad ottenere gli ottimi voti che aveva. Le rispose con un sorrisino di convenienza. Dio solo sapeva quanto Victor potesse odiarla.
    Riprese a suonare. Era l'unico modo che aveva per sgombrare la testa. Gli faceva male.
Dannatamente male. E non era la sola cosa a dolere. A dispetto di quanto si potesse pensare, lui si era fatto da solo, senza l'aiuto di nessuno. L'unico che doveva ringraziare, era proprio me stesso.
    Sting.
L'ennesima nota sbagliata. L'ennesima battuta che non usciva. L'ennesima frase che, dopo quattro ore di prove ininterrotte in solitaria, in una delle stanzine private che il conservatorio forniva agli studenti, ancora non usciva come avrebbe dovuto. Si accasciò mollemente sulla sedia che aveva preparato dietro di sé, andando a tirare un lungo sospiro. Si sentiva a pezzi. Aveva voglia di piangere. Lui, che da che ricordava, non aveva mai versato una lacrima. Freddo a qualunque emozione, non fosse scherno o ironia che lui stesso produceva.
    “Maledizione!” Imprecò senza porsi grandi problemi. Lì erano lui e la stanza insonorizzata. La stanza insonorizzata e lui. O per lo meno, così pensava. Si appoggiò lo Stradivari sulle gambe, incarcerandolo tra il petto ed i gomiti che si piantò sulle ginocchia spigolose per afferrarsi in fine il capo tra le mani. Faceva male. Dannatamente male. E prese a dolergli ancora di più quando sentì delle note provenire dalla stanzina adiacente. La porta condivisa che creava l'unico angolo non insonorizzato di quel posto improvvisamente divenuto troppo stretto. Non voleva sapere chi stesse suonando. Non voleva, perché in realtà già poteva immaginarsi la risposta. Non era il modo di eseguire intenso di Lizzy, né tanto meno quello calmo e deciso di Axel, il suo migliore amico. Era armonioso. Morbido e delicato. Capace di trasmettere sentimenti che, ascoltando il passaggio eseguito da altri, non si sarebbero mai potuti sentire. Quegli stessi sentimenti che aveva sentito trapelare alla Fenice.
    “Ecco, questo è l'auditorium. Queste sono le sale prove. La mensa. Qui conservano gli strumenti. Se vuoi farti un bagno c'è il bagno più grande al piano di sotto, accanto alla piscina. Altrimenti la doccia è...- Esitò per qualche breve istante storcendo le labbra e sentendo un brivido freddo corrergli lungo la schiena. -E' nel bagno condiviso dalle nostre due stanze. Ehi? Mi stai ascoltando?” Aveva fatto fare il giro turistico del collegio al suo compagno di studi due giorni prima, scarrozzandoselo in giro velocemente, seccato, quasi sperassi che così quella vicinanza troppo... vicina, si sarebbe spezzata prima. Il fatto che si trovasse nella sala prove accanto alla sua, in quel momento, lo smentiva sotto tutti i punti di vista.
    “Violin...” Sbuffò quel nome seccato, per nascondere a se stesso la reazione inconsulta del proprio cuore che aveva appena compiuto un balzo nel petto. Afferrò con decisione lo Stradivari e ritornò in piedi con un movimento rapido. Infastidito. Non avrebbe più sbagliato quel passaggio, ne era convinto. Errore. Non servì nemmeno sperimentare quell'ennesimo tentativo, visto che non appena si fu tirato in piedi, sentì le gambe farsi molli e poco dopo si trovò riverso a terra privo di sensi e con una febbre tanto alta che avrebbe potuto tramortire un cavallo.
Forse fu il rumore emesso dal violino dopo il caracollare a terra di Victor.
Forse fu un semplice presentimento.
Ma poco dopo la porta della stanzina venne aperta.

    Victor Stradivari odiava la febbre. Il suo era un odio viscerale cresciuto con gli anni e nato a causa delle continue prove cui lo sottoponevano i suoi nonni quando restava a casa per motivi di malessere. Quando da bambino, con l'ingenuità dei suoi otto anni, diceva ai suoi compagni di classe che a lui piaceva andare a scuola, era causa di ilarità generale. Tanto che dopo una prima volta, non ne erano più seguite. Non aveva bei ricordi della sua infanzia. Soltanto il violino ed i docenti che venivano letteralmente assoldati dalla sua famiglia perché il suo talento non andasse sprecato. In quegli anni, se avesse potuto, il suo talento l'avrebbe venduto al miglior offerente.
    Accolse il nuovo giorno con un sonoro sbadiglio, allungando le braccia sopra il capo e stendendo per bene le gambe sotto le coperte. Era vero. Victor Stradivari odiava la febbre, ma senza dubbio amava dal più profondo la domenica mattina. Doveva aver dormito fino a tardi. Ne era certo. Poteva sentire chiaramente il vociare dei suoi compagni provenire dal giardino del dormitorio. Era immenso ed attrezzato con diversi campi dove praticare sport di tutti i generi. Altrimenti poco distante c'era un lago in riva al quale si poteva correre oppure ritrovarsi per lunghe chiacchierate. E la domenica mattina era dedicata soprattutto a quello. Allo sport. Agli incontri tra i ragazzi al di fuori dalle aule. Alle chiacchierate in compagnia. Era inizio autunno ed il sole era tiepido. Fuori si doveva star bene. La cosa invogliò maggiormente il giovane violinista, che, dopo dieci giorni di segregazione nella propria stanza, sentiva davvero il bisogno di uscire a fare due passi. E magari trovare l'ennesima fidanzata, o per meglio dire: vittima. Saltò giù dal letto andando ad afferrare il lettore cd posato a terra. Ne aprì lo sportellino e vi infilò dentro il primo dischetto che gli capitò sotto mano. Beethoven. Non l'amava particolarmente. Preferiva cose più raffinate. Decisamente, se avesse potuto scegliere, in quel momento avrebbe inserito Verdi, ma non aveva proprio voglia di mettersi a frugare per trovarne il cd.
    “Doccia.” Decretò dopo essersi dato una veloce occhiata allo specchio a figura intera che se ne stava pigramente appeso all'armadio. La figura che gli restituì le proprie attenzioni era magra, quasi filiforme. Non aveva un filo di grasso o di muscoli ed appariva quasi emaciata, dopo più di una settimana di digiuno quasi completo. Però la sua espressione era sempre quella di furba strafottenza. Già. Una doccia e sarebbe stato come nuovo. In pochi istanti fu completamente nudo, e l'attimo dopo era già sulla porta del bagno con il proprio asciugamano ben legato in vita, tutto intento ad aprire l'ingresso della stanzetta. Quello con cui non aveva fatto i conti è che qualcuno potesse trovarsi lì dentro. L'ultima persona a cui pensava in quel momento. E l'unica che, se avesse saputo, avrebbe evitato caldamente di vedere. Lì. Statuario. Come Madre Natura l'aveva fatto. E perché no? Bello da mozzare il fiato. Mark se ne stava in piedi davanti a lui. Le mani che frizionavano i capelli tenuti lunghi e che bagnati diventavano leggermente opachi. La pelle abbronzata e segnata sul petto da quella che sembrava essere una cicatrice. Le spalle larghe. Larghissime ed allenate, così come i pettorali segnati e non incavati come quelli di Victor. Quella leggera peluria un poco più scura a macchiare la sua pelle ancora segnata da qualche goccia d'acqua. Il cuore di Victor perse un colpo. Tu-tum. Lo stesso Victor che si accorse di star fissando il ragazzo che aveva difronte solo dopo qualche lunghissimo attimo. Tu-Tum. Nello stesso attimo in cui i loro sguardi si incrociarono. Ed il suo corpo reagì da solo prima che lui potesse anche solo pensare a qualcosa di razionale. Tu-Tum. Tu-Tum. Avvertì il cuore pulsargli all'altezza della gola e rabbrividì per quello che stava succedendo, abbassando lentamente gli occhi quasi a volersi accertare che non fosse solo una sensazione. Ma l'erezione che faceva bella mostra di sé sollevando l'asciugamano che invece di coprirla sembrava accentuarla gli tolse qualunque dubbio, mandandolo in una sorta di panico. Panico che non venne di certo attenuato quando, alzando gli occhi, inciampò sulla figura di Violin e si accorse che al giovane che aveva davanti, stava succedendo la stessa cosa.
    Ci mise un secondo, il suo raziocinio, a tornare. Ed il secondo dopo lui era già fuori dalla porta del bagno che imprecava, rosso in viso, per quello che gli era appena successo. Possibile che le crisi di sessualità dovesse avercele proprio in quel momento? E soprattutto... provocate da Mark Violin?! Si catapultò correndo di gran carriera verso il proprio letto, recuperando i vestiti che ci aveva malamente piazzato sopra. Fu veloce come un fulmine a rivestirsi, uscendo di volata dalla propria stanza e filando verso il bagno del piano inferiore. Altro che doccia. Adesso aveva decisamente bisogno di un bagno ghiacciato.









Hyuuuuuuu! Ovviamente io avevo detto che avrei aggiornato domani, ed invece mi vedo costretta ad aggiornare oggi dal treno, visto che sto andando in montagna e che da lì, in mezzo ai nanetti della loacker travestiti in mezzo alle piste da sci, la mia adorata chiavetta internet non prende -.-"
Che dire? Che il ritmo della storia è ancora piuttosto lento e che piano piano si scopre qualcosa in più del nostro scontroso protagonista u_u Io amo questo ragazzino, c'è poco da fare XD Prometto che nel prossimo capitolo scoprirete qualcosa di più anche su Mark e che comparirà un altro personaggio un po'... particolare v.v

Passo a rispondere alle recensioni <3
_RedLeaves_ Piuttosto che per sms, preferirei che tu commentassi qui, visto che le tue recensioni fanno piegare dalle risate XD Grazie per sopportarmi e sopportare la mia storia, comunque, fratellino! XD

_Nana Swan_ I primi capitoli sì, sono piuttosto brevi :) In realtà stando a Word vi siete già sorbiti ben 8 pagine in times new roman 12 v_v Sono però contenta che la storia ti piaccia tanto da averla messa nelle seguite *-* Spero di non deludere le aspettative <3

_Yuko Chan_ Trovo che una sto
ria debba essere fruibile per tutti anche quando si parla di argomenti estranei. In questo caso musica classica, ma in realtà quando si parla di musica qui, cerco un contesto piuttosto generale. Infatti la colonna sonora del racconto, se così la vogliamo chiamare, è The Show Must Go On, che è una canzone Rock ^w^ L'ho ascoltata ad oltranza durante la stesura del raccnto XD (<- Ama i Queen) Ma passiamo alla recensione xD Non è solo l'ambientazione a cambiare, ma anche Victor stesso, come dici tu, e quanto lo circonda, anche. Mark compare davanti a lui, le loro vite si incontrano di nuovo e scoppia il caos nella testa di Vic e la cosa è positiva per un certo punto di vista. Ovvio che si capirà più avanti quanto questo caos darà vita ad una sorta di Big Bang xD

_ClearSoup_ Felice che tu non abbia eliminato l'introduzione al commento xD E' stata piacevole ;) Sono felice che il mio modo di scrivere ti piaccia e che ti siano piaciute le metafore da me utilizzate. Questi primi capitoli sono stati i più ostici da scrivere, perché dovevano dare l'ambientazione a tutto il racconto. E non parlo solo di una questione temporale, ma anche psicologica. Come dici tu, le parole e gli sguardi soo messi lì per un motivo. Ed in realtà questo motivo è già abbastanza palese, anche se sottile xD L'atmosfera dolcioso-romantica spero che si senta *^* E spero che mano a mano che avanzerà la storia si avverirà sempre di più =P

_MyPride_ Mrew *w* Fa le fusa *w* Che bello vederti qui *-* Non serviva la recensione, in realtà, proprio per il fatto che avevi detto che non ti piaceva questo tipo di sorie v_v Però sono ugualmente felice che tu l'abbia lasciata, non posso negarlo v_v Sono contenta che consideri i miei personaggi vivi. Nemmeno a me piacciono le storie con i personaggi di "carta velina" ed infatti in questa originale mi sono quasi c
imentata in un "GDR" pur di non far sembrare tutti i Pg uguali tra loro >___< spero che l'effetto perdurerà anche in futuro ^w^ Ancora grazie per la recensione <3

_RiflessoCondizionato_ Purtroppo niente Professoressa Fangirl, in questo racconto. In un'altro di prossima pubblicazione, invece, si rivelerà tale xD Vic è un personaggio particolare, di per sé. Prova un grande affetto per Lizzy. Ed allo stesso modo le porta un rispetto infinito. E' per questo che ho spaziato un po' sul loro rapporto, durante la narrazione ^^" In realtà sotto sotto è meno stronzo di quanto non si possa pensare. E questo suo comportamento è radicato molto più profondamente di quanto in realtà non si possa pensare :) Le ultime battute del secondo capitolo spiegano già tanto, ma non faccio altri spoiler v_v Aspetta di leggere xD Su Mark, invece, scoprirete qualcosa di più nel prossimo capitolo, anche se temo che le scoperte mi tireranno addosso "l'ira funesta delle cagnette a cuo avev rubato l'osso" ._. Ehm no... quella è Bocca di Rosa, effettivamente xD Comunque... l'ira funesta delle lettrici xD
Per quanto riguarda la tua storia, sì. L'ho aperta perché mi ispirava nonappena mi è passata davanti tra le nuove storie e l'ho iniziata a leggere in facoltà xD Poi ho terminano quando l'ho ritrovata sul forum xD Alla prossima, darling <3

_NonnaPapera_ Yup, uno spin Off tutto per te perché qui Marco è il Co-protagonista v_v E quindi ci voleva che fosse il vero protagonista xD
Lizzy è un personaggio che sinceramente amo e non volevo che restasse il solito personaggio femminile e rompibollicine che si trova in tutti gli Yaoi. Mi ci sono impegnata per darle una caratterizzazione decente ed in realtà c'è ancora molto di lei che non si coglie =P Credo che Egocentrica com'è, anche lei si ritroverà ad avere uno spin off tutto per lei xD Victor è un tipo superficiale, forse, ma il suo comportamento, come già detto, ha un perché. Se così non fosse l'avrei buttato nel vater direttamente xD Mark è difficilmente inquadrabile, perché i suoi momenti di gloria li avrà più avanti xD


Un grazie enorme a tutti quelli che hanno recensito e che stanno leggendo soltanto :3
Un bacione grosso <3<3

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Capitolo 4
*** 3. Semplicemente il Destino, o gli hai dato una mano? ***


3. Semplicemente il Destino, o gli hai dato una mano?

Whatever happens,
I'll leave it all to chance
Another heartache,
another failed romance
On and on, does anybody know
what we are living for ?

    “Ma tu... cosa aspetti a portartelo a letto?” Sussultò visibilmente quando una voce lo colse di sorpresa. Le spalle che si alzarono di scatto e lui che si ingobbì come un gatto che lì per lì si sente minacciato. Ecco cosa sembrò ad Axel, in quel momento. Il cucciolo di un gatto che sta per saltare addosso ad un cane che gli ha abbaiato contro. E quell'impressione lo fece sorridere maggiormente quando il violino di Victor rovinò pericolosamente sul prato dove stava seduto.
    “Ax, benemerito pezzo di deficiente! Cosa ti dice il cervello? Stavo provando.” Soffiò Stradivari, compito, recuperando il proprio strumento che nella caduta aveva emesso una serie di note stridule e fastidiose, scordandosi, come se non fosse bastato. Paziente, il giovane si mise a sistemarle nuovamente, senza nemmeno il bisogno che utilizzare l'accordatore. Aveva un orecchio terribilmente fine. Ce l'aveva sempre avuto, fin da bambino.
    “Oh, certo. Stavi provando come pizzicare l'archetto nel modo giusto. Ma sono sicuro che stessi pensando ad un altro tipo di... 'archetto'.” Ribatté con una sottile ironia il ragazzo, mentre il suo volto si velava di una discreta malizia e portava quegli occhi verdi contornati di marrone e tremendamente provocanti verso il campo da Basket. Dalla collina dove si trovavano si aveva un'ottima visuale del piccolo rettangolo di cemento segnato da linee bianche e rosse. Vic si sentì preso in contropiede. Era così lampante che invece di guardare gli spartiti che aveva accuratamente posato contro le gambe stesse osservando ben altro?
    Giù, in campo, c'era una sagoma che per lui in quei giorni era divenuta tremendamente nota. Ricercata e temuta al tempo stesso. Mark stava giocando assieme ad un gruppo di ragazzi più grandi. Anche se in realtà non aveva ancora capito quanti anni avesse l'uomo. Gli era parso di cogliere un ventitré durante una chiacchierata in mensa, ma non ne era così sicuro. Dal giorno del loro piccolo “incidente” in bagno, non si erano nemmeno più rivolti la parola. Eppure si era reso conto di cercarlo con lo sguardo ogni volta che poteva, dandosi del cretino quando puntualmente veniva colto in flagrante dagli occhi ghiaccio dell'altro.  
    “Smettila, Ax. Non sono dell'umore giusto per il tuo sarcasmo.” Sbuffò seccamente ritornando ad accordare il proprio strumento, fingendo di provarlo e riprovarlo per controllare che tutto fosse apposto. La sua farsa durò però ben poco, visto che quando alle sue parole non seguì una ribattuta si costrinse a sollevare gli occhi per osservare l'amico, incontrandone il sorrisetto sornione ed il viso imbellettato con il rimel ed una pesante matita nera. Aveva i capelli di un bel rosso Tiziano. Non erano il suo colore naturale, era lampante. Axel di natura aveva i capelli neri. Neri come la pece, se non di più. E gli occhi che vicino alla pupilla diventavano di un verde erba quasi spiazzante. Talmente chiaro e limpido, che ad un primo sguardo si sarebbe potuto pensare di perdercisi dentro. E si sarebbe potuto pensare che anche il proprietario, caratterialmente, fosse così bello e limpido. Axel non era assolutamente bello. Era il tipo che piaceva, però. Molti lo consideravano strano. Per Stradivari, invece, era solo po' eccentrico in quel portare colori che tra di loro non si sarebbero mai incontrati e che invece, addosso a quel corpo che ora sfiorava l'anoressia, donavano come ad un quadro surrealista. Victor l'aveva visto crescere e cambiare, seppure si sarebbe potuto pensare il contrario, visto che il ragazzo era di quasi cinque anni più grande di lui. Gli aveva fatto da fratello maggiore. Il violinista l'aveva visto affrontate e superare l'obesità prima, assieme alle prese in giro dei compagni di scuola. La droga. E l'anoressia poi, assieme a quel momento un po' emo dal quale l'aveva visto rinascere forte e maturo. Diverso, ma sempre uguale.
    “Non è sarcasmo, fratellino. Sono gay: mi accorgo di queste cose.” Già. L'ultima prova da affrontare era stata l'omosessualità. Tutto quello che aveva passato Ax era riconducibile al suo non volerlo ammettere. O per lo meno, il suo non averlo voluto ammettere prima. Probabilmente, se l'avesse fatto diversi anni a dietro, non avrebbe dovuto affrontare tante vicissitudini con i genitori e con il resto del mondo. La madre, da che glielo aveva comunicato, era in terapia da uno psicologo. Aveva provato a portare anche lui dallo strizzacervelli, ma questo non aveva fatto altro che aumentare le sue certezze. Alla fine aveva riso bellamente in faccia a tutta la sua famiglia e li aveva cordialmente mandati a fanculo, impegnandosi per realizzare il proprio sogno: portare la musica classica ad un livello più fruibile per tutti. Quello che sapeva creare con le sue mani era come lui. Stravagante, con quelle unghie laccate di nero ed il piercing triplo al sopracciglio. Eppure piaceva. Aveva il potere di incatenare. Ed era uno studente modello, tanto che i professori gli concedevano quell'eccentricità anche quando indossava la divisa scolastica.
    “Allora, te lo sei portato a letto?- Ecco. Se la domanda gli fosse stata posta solamente da Axel avrebbe avuto un suo perché. Ma sentire il medesimo quesito venir pronunciato dalle labbra di Lizzy ebbe il potere di pietrificarlo sul posto. Non s'era accorto che anche lei fosse lì, arrampicata come un corvo su uno dei rami dell'albero. Victor schiuse le labbra per articolare qualcosa, ma la ragazzina gli precluse qualunque possibilità di ribattere. -E' lampante.” Disse in un sorriso divertito, come se avesse avuto il potere di leggergli nella mente. E nel cuore. Non seppe come, il ragazzo, ma in quel momento realizzò che Elisabetta doveva averlo lasciato anche per quello.
    “No. E poi non voglio portarmelo a letto, Liz. Piuttosto... che ne dici di andarcene da qualche parte io e te?” Sviò e lo fece con stile. Un sorriso sornione in volto, accattivante. Era però sicuro che la violinista avrebbe declinato con quello stesso sorriso con cui ora lo stava fissando. Eccola inclinare il capo verso una spalla in un gesto vezzoso che ripeteva ogni volta che rifiutava qualcosa. Con quei capelli neri che ribelli scendevano in lunghi turaccioli. Se avesse dovuto pensare a Raperonzolo, l'avrebbe immaginata come lei, in quel momento, a calare la propria treccia verso il principe giunto per salvarla. Solo che in quel caso, il principe non era lui.
    “Io non prendo appuntamenti con gli omosessuali.” Altezzosa in quel sollevare il capo facendo vibrare un poco il ramo sul quale stava appollaiata. La piccola dea della morte. La piccola principessa dei corvi. Axel non parve prendere botta di quelle parole. Tutt'altro. Quasi le fosse complice, l'osservò ridendo ed allungando le braccia verso di lei.
    “E con me usciresti, amore?” Le domandò facendola sfociare in eccesso di risa mentre lei stessa compieva il medesimo gesto eseguito del ragazzo, lasciandosi ricadere tra le sue braccia scheletriche che però la sorressero con la forza di due solide impalcature.
    “Ma certo che sì, tesoro!” Cinguettò civettuola lasciando completamente spiazzato il giovane Stradivari. Che il suo amico fosse gay era risaputo in tutta la scuola sin dal primo giorno che ne aveva calcato i corridoio con passo fluido ed indifferente, dedicando sorrisi ed ammiccamenti a qualunque esemplare di sesso maschile gli fosse passato sotto tiro. Li osservò interdetto mentre si scambiavano un casto bacio sulle labbra, più fraterno che passionale. Ax era talmente piccino che da lontano si sarebbe potuto scambiare per una ragazza. Victor non seppe per quale motivo, ma nella sua mente andò formandosi una di quelle immagini da film a luci rosse dove due donne si baciano davanti all'uomo che solitamente le ingaggia al fine di soddisfare la propria perversione. Ancor meno si riuscì a capacitare dell'incantesimo che aveva trasformato le due donne in due uomini. E quegli uomini avevano la faccia sua e di Violin. Cazzo! Decisamente stava degenerando. Scosse il capo tornando a fissare i due amici che ancora giocavano alla strana coppia.
    “Perché lui si e io no?” Chiese imitando la voce infantile di Elisabetta, ricevendo in risposta una risata argentina da parte della ragazza che subito gli dedicò un giocoso sberleffo in risposta. Solo in un secondo momento si distaccò da Axel, gettandosi al collo dell'altro, strusciando contro la sua guancia con la propria, come un gattino ruffiano.
    “Perché lui lo ammette e tu no.” Fu franca in quell'affermazione, sgranando gli occhi poi, allo stesso modo degli altri due quando un grido provenne dal campo da basket. Gli ci volle un nulla per scendere dalla collinetta sulla quale erano arrampicati. E gli ci volle ancora meno per cogliere le prime informazioni su quanto era appena avvenuto.
    “Dicono che sia svenuto Violin.”
    “Davvero? Io avevo capito che si è preso una storta alla caviglia.”
    “Ma no! Il poverino soffre di cuore. Speriamo che non gli sia venuto un attacco!”
    “Si, è vero! Anche io lo avevo sentito dire. No, cielo! Speriamo di no..!”
    “Poveraccio.”
    “Chiamate un'ambulanza!”

    L'ambulanza abbandonò l'istituto a sirene spiegate, lasciando gli studenti spersi.
Lo svenimento di Violin.
Il fatto che uno dei violinisti più bravi del conservatorio soffrisse di cuore.
Il giovane Violin di per sé.
Questi divennero  l'oggetto di maggior interesse per la settimana a seguire e anche dopo, una volta che al giovane fu permesso di ritornare a frequentare liberamente le lezioni, seppure stando attento e venendo monitorato almeno almeno un paio di volte a settimana.

    Victor se ne stava lì, impassibile.
Era un unico blocco di cemento armato che non sembrava volerne sapere di sposarsi dalla sedia sulla quale si era accomodato qualche ora prima, nonostante l'istinto di fuggire il più lontano possibile. Avrebbe potuto comprare un biglietto per le Bahamas e suonare all'interno di uno di quei localini in spiaggia per i turisti. Avrebbe preso due piccioni con una fava! Anche tre, forse. In primis, non avrebbe più visto Mark: liberazione. Poi avrebbe guadagnato, tranciando completamente i conti con la famiglia. Ed in ultima... in ultima... si sentiva un benemerito deficiente. Ed era ironico, perché la sua maschera sfrontata reggeva anche in quel momento di panico puro. Axel e Lizzy l'avevano trascinato lì per vedere come stava Violin, ma lui si sentiva tremendamente fuori luogo. D'altronde lui era il suo nemico naturale. In quel mese e mezzo di convivenza all'interno della scuola si erano sfidati a suon di violino più e più volte perché sembrava che i professori si divertissero a metterli a confronto. Una nota dietro l'altra, la lotta però era sempre impari. Contando oltre tutto che il “signor Mark” sapeva cantare e lui no.
    “Begli amici che mi ritrovo. Se la sono data a gambe...” Brontolò adocchiando con stizza la porta della stanza mandando cortesemente a farsi una passeggiata Elisabetta e quell'altro traditore.
“Andiamo a mangiare un boccone. Tu resta lì, che devi spiegargli cos'è successo, quando si sveglia.” Come no? Si erano coalizzati contro di lui, ecco cos'era successo. Era irritato. Aveva le braccia conserte al petto ed un'espressione così corrucciata da far intenerire pure l'infermiera che era passata per di lì a cambiare la flebo attaccata al braccio sinistro dell'uomo.
    “Vuoi qualcosa da leggere?” Gli aveva chiesto risvegliandolo da quello che doveva essere diventato il suo passatempo preferito da un po' di tempo a quella parte: fissare Violin. Lo stava guardando anche il giorno precedente mentre giocava a pallacanestro, prima che il suo cuore cedesse. Quando parve rendersene conto tossicchiò per nascondere un leggero rossore che era salito ad imporporargli le guance. Che reazione stupidamente anomala. Si sentì preso in contropiede.
    “No, la ringrazio, signorina.” Era stato cortese nel risponderle, nonostante il proprio crescente nervosismo. Un sorrisetto sbruffone a stenderne i tratti, quasi a voler dire che lui non era assolutamente preoccupato, mentendo all'infermiera ed a se stesso, prima di tutto. La donna aveva annuito osservandolo per qualche istante, per poi ritirarsi con il carretto nel quale portava i medicamenti per i cari pazienti.
    “Devo aver scritto cretino in faccia.” Brontolò in uno sbuffo stravaccandosi sulla sedia, scivolando un poco in avanti, spostando lo sguardo per la prima volta verso la finestra della stanza. Si godeva di una bella vista, da lì. C'era un prato del quale non riusciva a vedere la fine, seppure il grigiore delle nubi quasi perenni in quel luogo ne rovinasse la magia. Un raggio di sole aveva fatto suo uno strappo tra le nuvole e filtrava biricchino tra queste, posandosi pigramente sulle acque del laghetto poco lontano. Quello dove le infermiere portavano i vecchietti in sedia a rotelle a passeggio.

    “Stradivari, perché non ci illustra la sua ultima creazione?” Il professore di composizione lo odiava particolarmente. O forse lo amava in un modo tutto suo e quella sorta di sadismo era il suo modo di dimostrarglielo? Victor non lo aveva mai capito. Però non gli dispiaceva esibirsi davanti a tutto il resto della classe. Solitamente restavano tutti ammirati e poteva avvertire una certa invidia sollevarsi nell'aria. Quella stessa invidia di cui si nutriva soltanto perché in quell'ambiente malsano era l'unico sentimento reale. L'unica cosa che potesse dimostrare che lui si stava facendo da solo e non con l'aiuto dei suoi famigliari.  
    “Sì.” Era stato monosillabico e si era velocemente alzato in piedi con il suo strumento già posizionato sulla spalla. Non aveva gli spartiti. L'insegnate doveva averlo notato all'inizio della lezione. Ma lui non ne aveva bisogno. Erano sue creazioni e le sapeva tutte a memoria.
    Un breve respiro e cominciò. Era una cosa piuttosto semplice, in realtà. Doveva adattarla ancora completamente. Mancavano diverse partiture, perché aveva completato solo le prime due per il violino e la viola. Avrebbe dovuto suonare tutto il quartetto d'archi, accompagnato da un flauto traverso. Poi fu una cosa improvvisa. Un violino stava suonando sotto il suo. Un'armonia perfetta. Note che si intrecciavano e concatenavano l'una con l'altra e quando partì una stonatura sicuramente non l'aveva eseguita il secondo violinista, bensì Victor stesso, quando si era reso conto che il suo controcanto era creato da Mark.
    “Maledetto.” Glielo aveva ringhiato dietro a tono talmente basso che probabilmente nessuno avrebbe potuto sentirlo. Eppure il ragazzo gli lanciò un'occhiata in tralice, cessando a propria volta di suonare e riponendo il violino sulle gambe.
    “Mi congratulo con voi, signori. Collaborare in questo modo è certo redditizio.” Aveva esordito il professore. Ma Victor se n'era già andato dalla classe.
    Quel giorno. Lì era finalmente esploso il suo odio per Violin.

    “E non solo in faccia.” Fu una voce baritonale ed ironica quella che lo raggiunse facendolo sobbalzare visibilmente sulla sedia e costringendolo a mettersi nuovamente diritto e composto su questa. Aveva un bel timbro. Caldo e pastoso. Basso. Ma per nulla fastidioso. Quella voce! Quella voce! Fu bravo a trattenere l'istinto omicida che lo pervase quando si rese conto che Violin aveva probabilmente sentito il suo monologo. Si voltò di scatto ad osservarlo. L'espressione improvvisamente fredda ed altezzosa. Lo fissava con sufficienza, senza preoccuparsi di essere sgarbato. Tutt'altro, sembrava farlo apposta. Voleva metterlo a disagio, anche se quello ad essere più in difficoltà era proprio lui.
    “Soffri di cuore.” Lo disse con scherno. Stronzo. Voleva essere stronzo. Lo stava facendo di proposito. Calcolatore fino al midollo. Ma comunque non riusciva a capire perché anziché far male all'altro, era lui a sentir male al petto. A sentirsi tremendamente stupido. “Quale essere senziente e sano di mente si mette a giocare a pallacanestro pur sapendo di rischiare un colpo?” Fu acido nello sputare quelle parole, trovando solo un muro di silenzio una volta che ebbe finito. Continuò ad osservalo severo, rendendosi conto solo in un secondo momento che così facendo sembrava quasi si stesse preoccupando per lui. In risposta un provatissimo Violin sollevò le spalle con noncuranza, ancora steso sul proprio giaciglio. Seguitarono a tacere per una buona decina di minuti. Tanto che Victor cominciò a pensare che l'altro si fosse riaddormentato, visto che teneva gli occhi chiusi, ma fu proprio quando lui fece per andarsene, che il compagno di studi lo richiamò.
    “Per quanto successo in bagno...” A quell'esordio il violinista sussultò lanciandogli un'occhiata bieca e furente. Il cuore gli fece un paio di giravolte, preso da chissà quale emozione. Forse paura.  
Paura di venir considerato strano.
Paura di essere preda di pregiudizi.
Paura di quegli occhi tremendamente azzurri.
Di quei ciuffi colore del grano maturo.
Di quel corpo olivastro ed allenato.
Di capire come diamine facesse un malato di cuore avere un corpo così ben delineato e forte.
    “Dimenticatene, no?” Semplicistico. Talmente semplicistico, che se fosse successo un'altra volta un episodio simile, probabilmente non si sarebbe più fatto scrupoli e gli sarebbe saltato addosso, in barba a qualunque pregiudizio. Ma che diavolo stava pensando? Lui non era Gay. Non lo era! Assolutamente! Che fosse bisessuale? Sarebbe stato anche peggio! Da un certo punto di vista sarebbe stato curioso di sapere quante risate si sarebbero fatti i due cugini di Satana, Liz e Ax, se fossero venuti a conoscenza di tutte le pare mentali che si stava facendo per colpa di quel tipo.
    “Stavo per chiederti io di dimenticartene. Comunque, presto non starò più al dormitorio.” Gli comunicò con tono tranquillo. Quasi piatto. E quella fu l'ennesima sferzata al cuore, per Victor. Tanto che di nuovo fissò il giovane uomo steso sul lettino dell'ospedale. Gli occhi che guizzarono da una parte all'altra. Era rimasto sorpreso, quasi ferito da quell'affermazione, e non sapeva darsi una motivazione plausibile. Quando tornò a fissare Violin, si stupì lui stesso di trovarsi sporto verso di lui per osservarlo meglio in volto. Con i gomiti poggiati sulle gambe, per stare al suo livello.
    “Perché? Rinunci?” Esultare. Ecco cosa doveva fare. Doveva esultare e fargli vedere che non gli dispiaceva. Doveva fargli vedere che la cosa lo esaltava e lo entusiasmava. E allora perché la voce gli uscì così bassa e dispiaciuta? Mark non gli rispose. Affatto. Semplicemente si avvicinò repentino a Victor. Tanto veloce che questi non si rese nemmeno conto di quanto stesse succedendo almeno fino a quando non si ritrovò a rispondere d'istinto al bacio di Violin. Un bacio inizialmente casto. Un semplice assaporarsi. Un semplice contatto tra le loro labbra. E lì ci fu qualcosa che non gli quadrò. Perché il suo raziocinio gli diceva di andarsene ed invece lui se ne stava lì a baciare... un uomo?! E soprattutto... perché non gli dispiaceva?!
    “Perché se succedesse di nuovo, questo sarebbe il minimo della pena.” Gli spiegò distaccandosi da lui e lasciandolo balzare in piedi in preda al panico. Tremò Stradivari. Tremò di rabbia e non solo. Ma in quel momento, la rabbia era l'unica sensazione che riusciva a distinguere. Tremò e si avviò veloce verso la porta della stanza.
    “Ti odio.” Sibilò quelle parole a metà tra il corridoio e quell'ambiente asettico che era diventato improvvisamente distorto. A tratti troppo stretto. A tratti troppo largo. Non aggiunse altro, prendendo a dirigersi verso il piano inferiore. Voleva uscire da quel manicomio. Voleva uscirne. Sarebbe andato in qualche bar vicino al conservatorio ed avrebbe rimorchiato una ragazzina stupida. Se la sarebbe fatta. Scopata, nel migliore dei casi. E poi se ne sarebbe tornato al dormitorio con l'anima di nuovo un pace. Sì, avrebbe fatto così e sarebbe tornato tutto al proprio posto.












Angolino autrice:
Per tutti quelle che volevano nuove su Mark, ora... potete uccidermi! XD
Intanto avete scoperto qualcosa su di lui (ossia che Herit è molto sadica e che fa soffrire il suo personaggi di malattie cardiache <_<" N.d.Mark) e non mi sembra una notizia da poco. u_u E' un personaggio particolare che nasconde davvero ancora tante cose v_v Ed il piccolo (180 cm di ragazzo... non è proprio piccolino, eh ._.) Victor cresce... più o meno xD Aspetto pomodorate in facc... ehm... commenti! XD
Qui avete scoperto anche un personaggio nuovo: Axel. Sinceramente lo amo dal più profondo del cuore *-* E' un personaggio un po' strano, ma assicuro che è adorabile xD

Ed ora spazio alle recensioni <3
_Nana Swan_ Quello della doccia credo sia un cliche piuttosto usato, ma che comunque adoro xD Ma credimi, la doccia (o il bagno in generale) sarà molto presente in questo racconto ._. me ne sono accorta solo dopo aver letto di nuovo tutto °^° Non chiedetemi perché o.ò Forse perché doveva partecipare ad un altro contest con quel prompt o_ò buh, non ricordo xD A me piacciono più o meno tutti i personaggi di questo racconto, ma Vic è assurdo. Scrivere su di lui è stato davvero divertente, quindi sono contenta che piaccia ^w^

_Yuko Chan_ Se Vic è entrato in crisi per la reazione del suo corpo, come credi che reagirà dopo il bacio? XD Piccolino voglio farlo penare *A* (E ci riesci anche troppo bene, megera! Io sono E-TE-RO! N.d.Vic che la rincorre con l'archetto del violino stretto in pugno a mo' di spada) Comunque tranquilla :3 Mi piacciono i commenti lunghi xD Anzi, sono felice che la confusione nella testa del povero Vic sia intuibile. Palpabile ^W^ Deve essere così. Il poveraccio non ha ancora capito a cosa va incontro come mio personaggio v_v In realtà molte delle sensazioni che prova sono dei segnali mooooolto forti. Preludio di qualcosa probabilmente =P
Spero ti piacerà anche questo capitolo come i precedenti °^° Kisses :*

_NonnaPapera_ Magari non in modo civile, ma posso assicurarti (come penso avrai letto) che si parlano X°° Che apprezzino il corpo l'uno dell'altro, questo è poco ma sicuro xD Adesso c'è Vic che osserva Mark come uno stoccafisso e nonostante questo ti assicuro che solo Axel e Lizzy sono in grado di accorgersene v_v D'altronde Strà non ha molti amici all'interno del conservatorio u_u Era intuibile xD Sono felice invece che tu abbia colto, invece, il particolare della cicatrice sul torace di Mark *-* E' un punto importante della storia che credo trovi già una discreta spiegazione in questo capitolo ^w^ (**fa le fusa, ruffiana**)

_RedLeaves_ Ti assicuro, bimbo, che anche se non c'è un antagonista come quello che ti prospetti tu, ci saranno diversi episodi in cui succederanno cose ben peggiori v_v D'altronde ti ho già lasciato uno spoiler ben grande via sms v_v Eh ._. E cosa mi dici adesso del "pizzicare l'archetto"? Ti ricorda qualcosa? XD
Un bacio, Red :* Ah! Ti ho quasi finito il disegno v_v

_LayShaly_ Una faccia conosciuta (Indica Yuuko sull'avatar)! Sono felice di vederti anche qui *-* Sono felice che tu l'abbia scoperta e commentata *-* Come già detto in precedenza, Lizzy mi piace molto, anche se purtroppo il suo ruolo resterà parecchio marginale xD E' comunque sempre molto presente, con piccoli gesti che non vengono narrati direttamente. ^w^ Eh... chi ha fatto il primo passo? XD Qui hai la risposta xD E purtroppo Vic non sembra averla presa particolarmente bene ç_ç" Dannato damerino! >_< La rosa dei personaggi si allargherà ancora un poco nei prossimi capitoli, per poi lasciare spazio ad una certa stasi. Molti verranno presentati anche in maniera indiretta, in realtà, verso la fine :) Spero di non deludere le aspettative ^w^

_RiflessoCondizionato_ (Le passa un Loacker) Felice ora che Mark ha spiccicato parola? XD Ebbene sì, il bimbo ha una buona parlantina, seppure piuttosto blanda <_<" In realtà tutto quello che si scopre di lui è causato dagli eventi. Nulla accade per caso, però, e questo porterà a diverse conseguenze, più avanti ^w^ Spero che questo capitolo riesca a piacerti come i precedenti *w* O anche di più o.ò visto che la storia sta cominciando a prendere forma xD Io ti faccio gli auguri qui, invece xD Che mi sono dimenticata di scriverteli nella recensione di "Narciso Cremisi" (Che consiglio alle Yaoiste in ascolto v_v). Alla prossima, bimba :**


Un bacio a chi legge, a chi ha inserito la storia tra le Preferite/Seguite/Ricordate.
Spero di non deludervi! *A*

Herì <3

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Capitolo 5
*** 4. Gocce di un passato, che non può più tornare. ***


4. Gocce di un Passato, che non può più tornare.


I guess I'm learning (I'm learning learning learning)
I must be warmer now
I'll soon be turning (turning turning turning)
Round the corner now
Outside the dawn is breaking
But inside in the dark I'm aching to be free
The show must go on

    Stava correndo a rotta di collo per la strada.
Aveva saltato una lezione perché non aveva voglia di incrociare Mark e quindi aveva chiesto a Lizzy di coprirlo dicendo che si era sentito male all'improvviso e che probabilmente avrebbe frequentato solamente i corsi pomeridiani. In realtà lui se ne era scappato al centro. Si era diretto velocemente al negozio di strumenti musicali, tanto i proprietari non avrebbero fiatato. Andava sempre in quel luogo, quando dava buca alle lezioni e lì perdeva sempre la cognizione del tempo.
     Non indossava la divisa, mica scemo. Portava una semplice camicia a mezze maniche lasciata aperta sopra una maglia a maniche lunghe e collo alto. La sciarpa per proteggere la gola dal freddo, così la megera di solfeggio non gli avrebbe rotto le scatole alle lezioni pomeridiane ed a completare tutto ci pensavano i Jeans assieme alle sue beneamate All Stars nere. Il maglione più  pesante, invece, era allacciato attorno ai suoi fianchi. Se l'era sfilato nella corsa, visto che quel giorno in particolare aveva deciso di far più caldo del solito, nonostante fosse ormai Novembre inoltrato. Aveva svoltato rapidamente ad un angolo e così facendo, involontariamente, era andato a scontrarsi con una persona.
    “Attento a dove metti i piedi, marmocchio.” Gli sibilò contro un uomo. All'apparenza sembrava un barbone. E puzzava come tale, in effetti. Alto. Barba incolta. Sporco e dai vestiti luridi. Abiti persino troppo leggeri, nonostante quella giornata incredibilmente calda di fine novembre. Victor fece per scusarsi, ma il suo orgoglio parve scattare da solo a discapito del buon senso.
    “'Marmocchio' a chi, pezzente?” Gli ringhiò dietro il violinista. La fregatura di essere cresciuti in una famiglia benestante. Probabilmente il fatto che avesse già una brutta giornata di suo, gli fece saltare i nervi a fior di pelle ancor prima che il cervello potesse reagire coerentemente. Non seppe nemmeno lui perché lo fece, ma fu la mossa più sbagliata che avrebbe potuto compiere. In un attimo si trovò sbattuto contro un muro, in quella via poco trafficata che per lui altro non era che una scorciatoia per tornarsene al conservatorio, piuttosto lontano dal centro.
    “Da come sei vestito... si direbbe che sei un fottuto vizziatello, eh, moccioso?” Incalzò il senza tetto inchiodandogli le braccia contro il muro con una mano solamente, tanto i polsi del giovane erano magri, mentre con l'altra prendeva a tastargli il corpo alla ricerca delle tasche e dei suoi averi. Stradivari cominciò a dimenarsi con foga, scalciando per lo più e volgendo il corpo dalla parte opposta rispetto alla mano dell'uomo per impedirgli di accedere alle tasche posteriori dei pantaloni, dove teneva il portafogli ed il cellulare, assieme alla tessera del conservatorio.
    “Non ho niente con me! Lasciami! Lasciami, maledetto!” Sbraitò prendendo a dimenarsi sempre più vigorosamente, fin quando un suo ginocchio non arrivò a colpire il suo aggressore in mezzo alle gambe. Sogghignò soddisfatto, Victor, vedendolo chinarsi in avanti ed allentare di poco la presa sulle sue braccia, ma si dimostrò completamente inutile, visto che subito dopo gli arrivò un pugno in pieno stomaco, facendo piegare anche lui, fin quando non cadde in ginocchio senza respiro. Era stato forte e tremendamente doloroso, tanto che per un istante aveva temuto gli si fosse spezzata una costola. Si portò una mano all'addome per controllare fosse tutto a posto e quando si rese conto che aveva entrambe le mani libere, con uno sforzo immenso si rimise in piedi. Inutile, visto che il senza tetto lo riagguantò facendolo scontrare nuovamente contro una superficie piana, questa volta a terra.
    “Fottuto ragazzino. Adesso ti insegno io.” Lo minacciò l'uomo tenendolo di nuovo bloccato con una sola mano contro il marciapiedi, mentre l'altra ridiscese velocemente verso il cavallo dei pantaloni del violinista, stringendo con forza e stizza, facendo gemere il ragazzo per il dolore: voleva fargli del male, poco ma sicuro.
    “La... scia... mi...” Scandì Stradivari in un rantolo, senza fiato per via del colpo forte ed improvviso subito al basso ventre, ma quello andò a stringere maggiormente, sogghignando come chi ha appena trovato un nuovo passatempo. Come un carnefice che si diverte a torturare la sua vittima. Come un boia che non aspetta altro che il condannato a morte brandendo la scure nelle mani. Ed ebbe paura, Stradivari. Una paura cieca che presto sarebbe divenuta panico.
    “Che ragazzino vigoroso.” Ironizzò il barbone andandosi a leccare le labbra in un gesto voluttuoso che fece sentire ancora di più a Victor il fetore del suo alito. Ma tra tutti i barboni che poteva trovare, pure quello perverso doveva capitargli? Riprese a ribellarsi, ma i suoi tentativi andarono a morire quando l'uomo andò a serrare nuovamente la propria stretta ed al giovane fu chiaro che quel gesto lo faceva solamente per sé stesso, visto il rigonfiamento che ora veniva evidenziato dalla stoffa dei suoi pantaloni lerci e sgualciti. Fu quando la mano del barbone si infilò dentro i suoi Jeans, che il ragazzo sussultò bruscamente riprendendo a divincolarsi in tutti i modi per cercare di impedirgli di scendere oltre. Aveva paura. Tanta che probabilmente lo fece sragionare quando gli parve di vedere una sagoma nota dietro le spalle del senza tetto. Fu un colpo brusco quello che lo riportò alla realtà e con cui il barbone lo schiacciò nuovamente contro il lastricato del pavimento sul quale lo teneva intrappolato. Ingabbiato. Andò a toccare la sua intimità con foga, come preso da un bisogno impellente, cominciando già a muovere il bacino come un cane in calore.
    “MARK!” Victor gridò quel nome senza nemmeno rendersene conto. Lo fece con tutto i fiato che aveva in corpo. Lo fece d'istinto con le lacrime che già premevano con forza e pizzicavano per uscire. Gli veniva da piangere. Proprio a lui? Ironico. Ironico come quel pugno che andò a colpire con forza il volto dell'uomo che lo stava molestando. Ironico come la sua testa non gli avesse effettivamente giocato un brutto tiro. Ironico come Violin che gli si parava davanti osservando con ira vera e propria la figura del senza tetto che si toccava la mascella per essere sicuro che fosse ancora al suo posto, nonostante l'alone rosso del colpo gli stesse già colorando una guancia. Ironico anche come non si fosse ritratto al tocco del compagno di classe quando gli aveva afferrato un braccio per correre via assieme, scappando da quella viuzza terribile. Ironico come Victor avesse ripreso quella maschera di altero controllo una volta che si furono allontanati abbastanza, nonostante il suo corpo continuasse a tremare in modo spasmodico. Terrorizzato.
    “Vieni.” Imperioso il tono di Mark mentre se lo trascinava dietro, sempre più lontano dalla strada e dal conservatorio. E Victor semplicemente lo seguiva, incapace di resistere a quella mano tiepida e grande che si chiudeva con decisa delicatezza attorno al suo polso. Una sensazione tanto diversa da quella provata solo qualche istante prima.
    “Lasciami.” Acido il tono di quella richiesta, quando il giovane violinista si rese conto di quali sensazioni stesse provando. Di quali ricordi stesse chiamando in causa il suo corpo. Di quali sensazioni avrebbe potuto richiamare il tocco del giovane Violin su di sé. Per tutta risposta, l'altro strinse maggiormente la presa. Non l'avrebbe lasciato andare.

    Erano arrivati ormai ben distante dal centro della città quando all'improvviso l'uomo si infilò all'interno di un edificio. Era un casolare dall'aria fatiscente che minacciava di crollare da un momento all'altro. Un condominio con una serie di appartamenti ridotti tutti uno peggio dell'altro, da quello che Victor poté vedere camminando per i corridoi, seguendo ora più docile il compagno di scuola. Aveva smesso di divincolarsi da un po', quando la mano dell'altro era scivolata a trattenere la sua, lasciandogli più libertà. Alla fine l'aveva salvato da quel molestatore. Dannazione! Era pure in debito con lui, adesso. Aveva lo sguardo basso, però, Stradivari. L'orgoglio e l'alterigia con cui osservava solitamente il mondo erano stati buttati miseramente in un angolino. Feriti e smentiti come se fosse stato un colpo di frusta a farli spezzare.
    Si sentì trascinare all'interno di una delle porte del corridoio all'ultimo piano, scoprendo che non tutti gli appartamenti erano presi male come aveva pensato in un primo momento. Quello dove si trovavano lui e Mark era ben tenuto. Una cucina in stile americano, con un lungo tavolo che serviva anche come piano di lavoro, oltre che luogo dove consumare i propri pasti. Un divano dall'altra parte con un tavolino davanti e due porte che facevano timida mostra di sé confondendosi con il muro. Bianche in quella marea bianca formata dalle onde dei pochi mobili di quel colore asettico eppure luminoso, ai raggi opachi di un sole semi nascosto dalle nuvole.
Violin si decise a liberare Victor solo una volta che ebbe chiuso la porta alle loro spalle, infilandosi la chiave nella tasca anteriore dei pantaloni, dopo averla girata un paio di volte nella serratura.
    “Perché mi hai salvato?” Il giovane Stradivari si discostò dal compagno di scuola avvicinandosi ad una delle finestre per guardare fuori. Era così diversa quella zona della città, rispetto a quella dove sorgeva il conservatorio. Gli era anche stranamente nota. Probabilmente doveva esserci già stato. Eppure non ricordava in quale occasione. Aveva il tono piatto, seppure lo sguardo risultasse tremendamente abbattuto. Sentiva ancora le mani di quel barbone premergli in mezzo alle gambe. Se Mark non fosse stato lì per aiutarlo... non voleva nemmeno immaginare cosa sarebbe potuto succedere.
    “Perché no?” Ribatté l'altro, sollevando le spalle con noncuranza e ponendo a propria volta un quesito, avvicinandosi nel mentre al frigorifero per tirarne fuori una bottiglia dal contenuto scuro. Aveva l'espressione seria pure lui, nonostante sembrasse farsi bellamente gli affari propri.
    “'Perché no?' 'Perché no?' Mi pare di averti detto chiaro e tondo che ti odio e tu mi salvi?” Sbottò Victor lasciando interdetto l'altro che dovette trattenere la bottiglia sospesa a mezz'aria poco distante dalle labbra per non soffocarsi nel berne il contenuto. Non lo guardava, Stradivari, però. No. Il ragazzo continuava a tenere il viso puntato verso la finestra e gli occhi chiusi con stizza, così come i pugni. Stava scoppiando. Era davvero sul punto di esplodere. Ed il bello era che non riusciva nemmeno a spiegarsi il perché.
    “Mi hai chiamato ed io ti ho aiutato. Non ero sicuro fossi tu in un primo momento, quella specie di tappeto che si frapponeva tra il vecchio Wallace ed il marciapiedi. Quando hai urlato il mio nome e ne ho avuto la certezza, non ho potuto fare a meno di soccorrerti.” Semplicistica la spiegazione che gli fornì l'uomo, andando a prendere una lunga sorsata i quel liquido ambrato. Parlava con tono quieto e pacato, seppure non si risparmiasse frecciatine gratuite, a differenza dell'altro che pareva irritarsi sempre di più ad ogni sua parola. Era proprio il suo comportamento che non riusciva a capire.
    “Non l'ho fatto volontariamente.” Ringhiò Stradivari voltandosi di scatto verso di lui con espressione rabbiosa. Prese ad avvicinarglisi con lunghe falcate e sollevò velocemente una mano per dare una pacca alla bottiglia che reggeva, tanto forte che gliela fece volare via. Probabilmente solo perché colto alla sprovvista. “Io sì, ma se fosse stato qualcun altro no? E tu, tu potevi comunque fregartene bellamente, no? Dannazione! Non voglio avere debiti con te! Non ne voglio! Mi irriti! Sei un ragazzino spocchioso che si diverte a fare il bello e impossibile perché le ragazzine gli creino uno sciame attorno. Sei l'ultimo arrivato, senza nemmeno un nome, e mi rubi la borsa di studio da sotto il naso. Io con quella ci dovevo pagare la retta del conservatorio... e...” Quando Victor sollevò gli occhi trovò ad osservarlo quelli azzurri e chiarissimi di Violin. Erano talmente chiari che se avesse fatto attenzione sarebbe riuscito a vedercisi riflesso. Ed in quel momento erano terribilmente... tristi? Seri? Freddi? Il giovane non sembrò capirlo ed effettivamente non ne ebbe nemmeno il tempo, visto che il collega l'afferrò per una manica facendolo avanzare di un paio di passi, fino a quando questi non si ritrovò schiacciato tra lui e la porta finestra. Aveva esagerato.
    “Cosa credi che ci abbia fatto io con la borsa di studio? Che l'abbia spesa in spinelli come metà dei ragazzi che hanno vissuto qui? Come qualunque buon musicista che ha bisogno di ispirazione secondo l'immaginazione comune?” Gli domandò in un sibilo basso piazzando le mani sul muro, incatenandolo in una labile prigione tra sé e la parete. Eppure gli lasciava una via di scampo. Victor si trovò a pensare questo nel voltarsi. Via di scampo che però non utilizzò, quando si trovò il viso dell'altro ad un soffio dal proprio. Glaciale. La medesima espressione astiosa che gli aveva visto in volto il giorno del concerto alla Fenice. “E' questo che credi?” Gli domandò conferma Mark piegandosi in avanti, così da essere alla stessa altezza del suo viso e poterlo vedere comodamente negli occhi.
    “Io...” Balbettò senza alcuna convinzione Stradivari scostando lo sguardo altrove in cerca di qualcosa che potesse risvegliare la propria attenzione. Che potesse suggerirgli cosa rispondergli. Dov'era finita la sua sagacia? Il suo avere sempre la risposta pronta? Si chiedeva perché proprio quel Violin avesse la capacità di spiazzarlo completamente.
    “Non sforzarti. Ti rispondo io. Non essendo propriamente un figlio di papà come te, vincere quella borsa di studio è stato l'unico modo per poter entrare al Monteverdi.” Scandì bene quei concetti. Snocciolandoli uno ad uno. Lo fece con tono talmente calmo e talmente basso, che Victor temette quasi che si trattasse di un semplice scherzo della sua immaginazione. Quelle stesse parole ebbero però il potere di accendere di nuovo qualcosa in lui.
    “Io non sono una figlio di papà. Sono figlio di una puttana, dannazione. Sai perché mi hanno tenuto con loro i miei nonni? Sai perché mio padre ha accettato di riconoscermi come suo figlio? Perché sono bravo con il violino. Perché il piccolo Stradivari a cinque anni era già una rarità da mostrare agli amici alle cene di gala. Da esibire come in una mostra di bestie rare. Perché il piccolo Stradivari già a cinque anni poteva portare soldi a casa come un animale da fiera. Perché quella borsa di studio avrebbe sancito il mio distacco completo da quella... famiglia...” Gli aveva urlato contro la sua rabbia. La sua  irritazione e la suafrustrazione erano uscite di getto. Vomitate quasi contro quel viso che le aveva accolte in silenzio, immobile. Impassibile. Meraviglioso nei suoi tratti già adulti. Respirò a fatica il ragazzo, lasciandosi scivolare lungo la parete, fino a trovarsi seduto a terra, con la testa raccolta tra le mani, contro le ginocchia. Non capiva. Non riusciva a capacitarsi del perché a lui avesse detto cose di cui nemmeno Axel era a conoscenza. O che forse il suo amico sapeva eppure taceva. Famiglia. Come poteva definire quella cosa una Famiglia? Era un'agenzia. Con suo nonno a capo. Quell'uomo che, quando lui aveva appena sette anni lo costringeva a studiare a casa quel poco che bastava, perché il resto dell'anno lo passava lontano da essa a fare concerti. Gli era mancato l'avere delle amicizie.
    Non si accorse nemmeno che Violin si era allontanato, scomparendo dietro una delle porte, tanto era preso a riflettere sul proprio passato. Sul proprio star male. Quello che molti bambini della sua età avrebbero desiderato, per lui altro non era che una gabbia dorata. Una gabbia terribile che in parte aveva imparato ad amare. Lui amava la musica e viveva per essa. Lui amava il violino ed era l'unica cosa che ancora lo legava ai suoi parenti. Si sentì afferrare improvvisamente una manica, venendo tirato di nuovo in piedi, mentre ancora una volta il suo compagno di classe lo trascinava da qualche parte. Fu il getto di acqua fredda della doccia a contatto con la testa  che lo fece sussultare visibilmente e riprendere.
    “Vuoi ammazzarmi, razza di idiota?” Sbraitò nuovamente e si sorprese nel trovarsi davanti un sorriso leggero e gentile quando si volse verso Mark. Quel sorriso che scomparve in un battito di ciglia lo spiazzò per qualche istante, facendogli dimenticare anche dell'acqua che ormai gli aveva impregnato i vestiti.
    “Datti una lavata e calma i bollenti spiriti. Non so cosa ti abbia fatto quel barbone, ma fossi in te mi rifiuterei di tenere ancora addosso quella roba sporca.” L'invitò Violin uscendo dal bagno in cui aveva infilato l'altro. Victor poté sentire il cigolio dei cardini di un'altra porta che si apriva, probabilmente quella della stanza di fianco. Effettivamente non aveva tutti i torti. Una doccia gli avrebbe fatto bene. Si spogliò lentamente, come svuotato di tutto. Di un rancore inespresso. Di sentimenti che non era mai riuscito ad esprimere a parole. E quando si infilò nuovamente sotto il getto, l'acqua era ormai calda, tanto che carezzò con dolcezza il suo corpo segnato. L'addome gli faceva ancora male. C'era un bel livido a chiazzarlo e stava andando via via a scurirsi. Lì, così come all'interno della coscia, il segno di una stretta troppo forte. E anche sui suoi polsi. Stradivari abbassò piano il capo nel rendersi conto che silenziosamente stava ringraziando Violin di averlo salvato. Nel rendersi conto che poco a poco nell'aria si stava espandendo una melodia leggera, suonata a violino. E che questa proveniva dalla stanza accanto. Nel rendersi conto che amava come quel maledetto suonava il violino, perché aveva qualcosa che a lui mancava. Mark sapeva esprimere le sue emozioni attraverso la musica: lui no. Nel rendersi conto che quello svitato di Axel e quella pazza di Lizzy, forse avevano ragione. Ma che diavolo andava a pensare!? No che non avevano ragione! Si lavò con foga. Voleva che quei segni scomparissero. Non voleva che Violin li vedesse.








Ho aggiornato e sono sicura che anche voi siete contente v_v Come no? XD
Preferisco non commentare questo capitolo che personalmente... trovo obrobrioso o_ò
Il titolo è presto da una frase di "gocce di memoria" di Giorgia. Quindi non mi appartiene.
Quindi passo subito a rispondere alle recensioni ^w^

_RedLeavs_ Niente diritti d'autore, mi sa, bimbo. La battuta che mi avevi suggerito non sembra riscuotere questo grande successo come ti eri preannunciato da solo O.ò A te che piacciono gli antagonisti, eccotene qui uno di bello puzzolente! XD (Si prepara al lancio di uova marce addosso).

_MinnyFive_ Sono felice che la storia sia tra le tue preferite ^w^ Guarda, vorrei evitare di spiegarlo qui, perché quella frase si snoderà da sola nel prossimo capitolo :3

_Yuko Chan_ 4. C'è stato un bacio! <3 C'è stato un bacio! <3 (Canticchia come una scema) Mmh... che dire? Che Axel è il mio personaggio preferito, probabilmente, anche se in questa storia compare relativamente poco :/ In coppia con Lizzy, però, è veramente uno spasso da muovere, perché si somigliano molto ed entrambi sono molto legati a Strà, il che li rende piuttosto semplici da gestire :) Per quanto riguarda l'attrazione che Vic prova per Mark, è ancora piuttosto torbida ed intricata, per il nostro povero protagonista che non riesce a raccapezzarcisi :( Da questo capitolo in poi però, le cose cambieranno (mi pare) ^w^ Sono contenta di essere riuscita a strappare una risata *-* (Molto soddisfatta). Per quanto riguarda la malattia di Mark... si scoprirà tutto più avanti ^w^

_My Pride_ Sempre bello vedere le facciotte di Ed e Roy tra i commenti XD Sono felice che ti piaccia il modo in cui ho deciso di delineare la trama :) Essendo la prima Slash originale in cui mi cimento, temevo di renderla troppo banale e scontata ^^" Sul mio modo di scrivere avrei un po' da ridire, ma ti ringrazio ugualmente per i complimenti ^w^ Adesso... adesso succederà il finimondo XD Alla prossima ;)

_Nana Swan_ Ecco un altro po' di informazioni tanto su Mark che su Victor. Non è tutto oro quello che luccica e Strà ne sta dando conto XD Non ti dico cos'avrei fatto io, fossi stata Vic (fischietta innocente). Il poverino è mooooolto confuso u_u E credo che questo capitolo nel sia la prova concreta ;D Come detto sopra, Axel e Lyzzi, assieme, li adoro XD Purtroppo sono solo personaggi di sfondo, ma sono entrambi talmente Egocentrici, che temo pretenderanno dello spazio per sé in altre sedi :P Per il momento, mi limito a divertirmi a scrivere scenette simili con loro xD D'altronde Strà avrà pur bisogno di uno sprone, no? XD

_NonnaPapera_ Grazie a te credo di essermi fatta una cultura Zoro-Sanji non indifferente, sai? XD Temo di aver letto tutte le tue storie X°D Ma veniamo a noi... Ax non si tocca perché è della sottoscritta (Axel fugge terrorizzato). Ovviamente scherzo, e come già detto, anche io l'adoro :3 Lui te lo ritroverai anche nella challenge "dal nome alla storia", in un capitoletto tutto per lui ;) Quindi avrai modo di gustartelo (spero) meglio. Beh... le tue supposizioni troveranno risposta in questo e nel prossimo capitolo, visto che sono collegati nello stesso arco temporale :) Per quanto riguarda la cosa di avergli fatto da contro violino, credo proprio che a Vic non sia andata giù la cosa, perché era una sua composizione e se Mark è riuscito a fargli da sostegno, vuol dire che la cosa era piuttosto semplice o banale v_v Vic l'ha interpretata così ç_ç Per la cosa del basket, invece, no. Mark pratica sport a prescindere, nonostante non possa u_u E' un idiota, c'è poco da fare :S


Grazie a tutte per le recensioni ed un bacio :*

<- Lui è Mark più o meno come me lo immagino io XD (una cosa fatta un po' meglio la linkerò non appena avrò uno scanner >_<)
Questo ragazzino qui, invece, è Vic. I capelli sono quelli che sono... non ce n'erano di ricci decenti -.-" Basti a darvi un idea xD ->



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Capitolo 6
*** 5. Assieme a te nell'incanto di un tramonto?! Mai! ***


5. Assieme a te nell'incanto di un Tramonto?! Mai!

The show must go on, yeah yeah
Ooh, inside my heart is breaking
My make-up may be flaking
But my smile still stays on


    Non seppe definire dopo quanto tempo uscì dal bagno, ma quando lo fece, Victor aveva la testa leggera, come se fosse stato improvvisamente privato di un peso enorme. Aveva addosso soltanto l'accappatoio che aveva trovato in quella stanza priva di qualunque altro ornamento, così come il resto dell'appartamento. Si strinse nelle spalle, appoggiandosi con la schiena contro la porta. Doveva chiedere scusa a Violin. Almeno quello. Solo che non sapeva da dove cominciare. Ci rimuginò sopra per qualche istante prima di affacciarsi sulla soglia che dava accesso all'unica camera da letto in quel posto. Era piccola. Giusto lo spazio necessario per un letto ed un armadio nemmeno troppo grande. Mark stava seduto sul letto. Alcuni spartiti tra le mani. Altri dispersi sopra le basse coltri, trattenuti dalla custodia spessa e robusta del violino. D'istinto si lasciò andare a due colpi di tosse: voleva l'attenzione dell'altro su di sé. L'esigeva e sperava che così facendo l'avrebbe ottenuta. Infatti, qualche istante dopo Violi scattò in piedi, andando a posare i fogli che aveva in mano sopra il materasso, avvicinandosi alla porta della stanza per raggiungere il compagno, incontrandone lo sguardo volutamente altero.
    “Ti senti meglio?” Gli domandò come se la loro discussione precedente non fosse mai avvenuta. Con quel sorriso leggero che per la seconda volta gli illuminava il viso, addolcendone i tratti già maturi. Victor però spostò lo sguardo altrove, facendo un passo indietro per prendere ulteriore distanza dell'altro. Non poteva pensare che fosse bello. Non poteva farlo. Sarebbe stato come ammettere troppe cose in un colpo solo.
    “Era bella la melodia di prima. E' per il compito di Schnielzer?” Chiese poi cercando di allontanarsi da qualsiasi cosa riguardasse il proprio stato fisico ed emotivo. Si trovò di nuovo vicino ad una delle finestre, contro la quale appoggiò il capo.
    “Mh? No, a lui ho consegnato tutto due giorni fa.” Spiegò Mark sollevando le spalle ed appoggiandosi a braccia conserte contro il muro accanto alla finestra, senza staccare nemmeno per un istante il proprio sguardo di ghiaccio dal compagno che gli lanciò un'occhiata stizzita. Lui erano settimane che non riusciva a buttare giù una nota a causa della violenta intrusione de giovane Mark nella sua vita, e l'altro sembrava essere, invece, in pieno fervore creativo.
    “Questo appartamento è tuo?” Gli domandò cambiando palesemente discorso, dando le spalle alla finestra e cominciando a guardarsi attorno. Il locale era talmente spoglio che sembrava che nessuno ci vivesse più da anni. Era talmente bianco ed asettico che ricordava una camera di ospedale, piuttosto che una casa accogliente dove vivere.
    “Più o meno... Siediti, che ti porto dei vestiti puliti.” L'invitò andando a battere un paio di colpi secchi con la mano sullo schienale del divano, prima di allontanarsi verso la camera da letto. Victor seguì la sua figura allontanarsi con la coda dell'occhio, prima di accomodarsi sul sofà, sentendosi sprofondare nel cuscino morbido. Era una bella sensazione, il trovare un appoggio tanto confortevole e d'improvviso si sentì le gambe deboli, mentre veniva investito da una piacevole sensazione di rilassatezza. Probabilmente dopo la doccia e dopo una conversazione tanto leggera, stava cominciando a calmarsi.
    “Cosa vuol dire... 'più o meno'?” Gli domandò andando a raggomitolarsi sul divano come un gatto sonnacchioso. Le braccia incrociate sopra lo schienale morbido e le gambe ripiegate contro il petto. Osservava distrattamente la porta della stanza da letto, senza però guardare nulla, Stradivari. Almeno fino a quando la figura di Violin non fu di nuovo nel suo campo visivo. Allora si soffermò su quella, osservando quegli abiti che portava tra le braccia.
    “E' delle suore dell'orfanotrofio dall'altra parte della strada. Me l'hanno data in prestito quando ho compiuto i diciotto anni.” Gli spiegò asciutto allungandogli gli abiti e mettendosi a sedere sul tavolino antistante il divano su quale si era raggomitolato l'altro. Victor raccolse i vestiti che gli vennero porti e si sollevò nuovamente in piedi studiandoli.
    “E' la tua divisa?- Gli domandò analizzando meglio il tutto. Era ben stirata ed ordinata, tanto che la ripose su un poggia braccio del divano così com'era, impadronendosi per prima cosa dell'intimo. -Orfanotrofio?” Incalzò poi, spinto da un'insolita curiosità. Stava scoprendo di più su Mark in quei pochi minuti, di quanto non avesse imparato in quei tre mesi in cui avevano frequentato la medesima scuola. Ed era piacevole quel senso di pace che si era creato, al di fuori della competitività che si era instaurata tra loro. Annuì in assenso, Violin, alla domanda del compagno di scuola, prima di spostare lo sguardo verso la finestra: da lì si vedeva l'orfanotrofio.
    “Sì. La mia malattia si è manifestata ancor prima che nascessi. Non appena ho visto la luce, sono stato sottoposto ad un intervento ed i miei genitori mi hanno affidato all'ospedale. Presumo che non avessero soldi per le cure mediche. Una delle infermiere conosceva le Suore che mi hanno cresciuto e mi ha affidato a loro.” Spiegò seguitando ad osservare il convento dall'altra parte della strada. Era un edificio comune, dipinto di un bel rosso acceso, così come anche il casolare adiacente. Quello che ospitava i bambini. Li si sentiva urlare, mentre giocavano nel giardino interno, sfruttando le ultime luci del giorno che stava morendo. Qualche volta si riusciva a sentire il suono di un pallone che colpiva l'asta di ferro di una delle porte del campo da calcetto.
    “E non sei stato adottato? Immagino che da bambino fossi molto intelligente e di bel aspetto.” Un commento fatto con leggerezza. Senza pensare prima di dar aria alla bocca. E quando la risposta di Mark arrivò addosso a Victor, si sentì stringere allo stomaco, colpito forse più violentemente del pugno che gli aveva inferto il barbone.
    “Alla gente non piacciono i giocattoli rotti.” Morbida quella voce bassa e leggermente roca con cui aveva parlato l'uomo. Lo sguardo si era spostato dalla finestra ed ara andato a posarsi da prima sul ragazzo ancora seminudo, con addosso solamente le mutande, intento ad infilarsi un corpetto a mezze maniche bianco e poi verso la stanza che aveva davanti, lì dove giaceva il suo violino. Stradivari si voltò verso il collega, facendo scivolare gli occhi sulla sua figura. Sul suo torace. Per un istante gli parve fragile e forte assieme. Segnato già da troppo, pur essendo ancora giovane. E d'istinto andò a toccarsi la spalla destra con la mano opposta in un gesto distratto, che non compiva più da anni.
    “La tua malattia.” Non una domanda, quanto una semplice considerazione quella che si lasciò sfuggire dalle labbra, andando ad afferrare la camicia per indossarla in un gesto spontaneo, sentendosela cadere larga sulle spalle e lunga sulla propria figura. Non si era resoconto del fatto che Mark fosse tanto più grande di lui. Il fisico era asciutto, ma le spalle erano ampie, così come il torace, ora che ci faceva caso. Lo vide annuire, con lo sguardo ancora indirizzato verso la camera colorata di arancio. Stava scendendo il sole, ed era riuscito a perforare solo in quel momento le nuvole che gli avevano creato una coltre attorno.
    “Dovrei essere sotto terra già da un po'. E sicuramente sarei a scaldarmi all'inferno.” C'era dell'asprezza nella sua voce, ben amalgamata con il sarcasmo delle sue parole, tanto che Victor si lasciò scivolare uno sbuffo dalle labbra, più simile ad una risata trattenuta che ad altro, mentre le mani prendevano a far passare i bottoni nelle asole.
    “Addirittura all'inferno? Cosa puoi aver mai fatto di tanto grave?” Domandò con ironia, scuotendo il capo con dissenso ed intercettando solo in quel momento lo sguardo di cristallo dell'altro, sollevato fino ad incrociare il proprio. Esitò per un istante Violin, prima di sospirare pesantemente.
    “Sono omosessuale.” Diretto in quella confessione fatta mentre andava a scostare nuovamente lo sguardo altrove, con noncuranza quasi, come se quanto appena detto non contasse nulla e fosse semplicemente un'informazione in più che aveva fornito. Victor ascoltò in silenzio quelle semplici parole, che per un istante gli pesarono addosso come dei macigni.
    “Anche il mio migliore amico lo è.- Fece spallucce, Victor, richiudendo l'ultimo bottone vicino al collo ed arrotolando le maniche della camicia che penzolavano per una buona dozzina di centimetri oltre le sue mani. Aveva un buon profumo. Lo stesso che ricordava di aver avvertito quel giorno alla Fenice. -E per questo che... in ospedale... ecco..?” Tentennò. Male. Non doveva tentennare. Sarebbe stato come dichiarare di essere rimasto turbato da quel gesto: cosa che effettivamente era avvenuta, ma che non voleva lasciar trapelare. Si diede istintivamente del pezzo d'idiota mentre si avvolgeva la cravatta attorno a collo, cercando di annodarla alla bel e meglio, scoprendosi agitato, in attesa di una risposta che tardava ad arrivare.
    “Più o meno...” Si alzò facendo spallucce, Violin, indirizzandosi verso il tavolo sul quale aveva preparato alcune medicine, probabilmente mentre l'altro si stava lavando. Stradivari aggrottò le sopracciglia seguendolo con lo sguardo per qualche istante, stizzito.
    “Smettila con questi più o meno! O Sì. O No!” Non capì lui stesso perché si stava arrabbiando tanto. Perché cercasse e si aspettasse una risposta. Non capì nemmeno perché ci rimase male quando gli arrivò un “No” secco da parte dell'altro, lasciandolo lì, spiazzato, con le mani a mezz'aria che miravano a risistemare quella benedetta cravatta dal nodo così terribilmente storto.
    “Sono innamorato di te.” Quella dichiarazione uscì talmente spontanea dalle labbra di Mark che Victor per qualche istante pensò che lo stesse prendendo in giro, non fosse per quell'espressione ferma e decisa con la quale il compagno l'osservava. Senza rendersene conto tirò così tanto un lembo della cravatta che rischiò di strozzarsi da solo.
    “Mi stai prendendo in giro. E poi sono etero.” Secco in quelle parole che gli proruppero dirette. Schiette. Violin scoppiò in una risata leggera prima di cominciare ad assumere una serie di pastiglie dalle forme più disparate, così come i loro colori, ingerendole mano a mano con una sorsata d'acqua. Non commentò nulla di quanto detto dal ragazzo, limitandosi ad avvicinarglisi con un sorrisetto che sapeva di malizia.
    “Sì. Può darsi che ti stia prendendo in giro...” Ghignò per buttare giù poi l'ultimo confettino. Andò quindi ad incrociare le braccia al petto, portando gli occhi a scorrere sulla sua figura, soffermandosi sul suo bassoventre con lo sguardo. “Sicuro? Eppure l'erezione che hai avuto in ba...” Non fece a tempo a finir la propria frase che vide Victor scattare come una molla, scuotendo le braccia in aria per farlo tacere, sbraitando frasi incomprensibili. Era tanto ridicolo che Mark rise di nuovo. Aveva una bella risata. Bassa, ma piacevole. Tanto che riuscì a mettere a tacere le lamentele dell'altro che portò il proprio sguardo altrove, mentre lui prendeva a sistemargli la cravatta, esperto. Movimenti lenti, che però sapevano di automaticità, lui che a scuola la cravatta non la portava mai.
    “E' stato solo un caso!”  Protestò Stradivari afferrandogli le mani perché stesse fermo, lasciando che sul proprio viso si formasse una smorfia infastidita, non tanto per l'essere toccato dal compagno di scuola, quanto per le sue parole.
    “Certo. Ovvio.” Ribatté prontamente Violi inarcando un sopracciglio, scettico. Ed ironico. Non c'era dubbio: si stava divertendo a prendere per i fondelli il ragazzo che ci cascò con tutti e due i piedi. Scrollò appena le mani, nel frattempo, liberandosi della presa non troppo forte dell'altro e riprendendo il proprio lavoro, una volta che queste si furono allontanate completamente.
    “E' vero! Sono sempre stato solo con ragazze...” Sembrò quasi discolparsi. Trovare una scusa per quell'imbarazzo che sentiva crescere e montare in sé ogni istante di più mentre Violin gli sfiorava forse inconsciamente il torace. Lo fece con maggior vigore soltanto quando ebbe finito di sistemare l'accessorio, andandogli a dare una pacca più decisa su di una spalla.
    “Questo non vuol dire niente. Sarai bisessuale... Anche io sono stato con delle donne, prima di accettarlo, perché non volevo ammetterlo a me stesso. Sono cresciuto in un ambiente cattolico, infondo.” Scrollò le spalle distaccato, quasi quel discorso non lo toccasse più di tanto, seppure di quando in quando un sorriso dispettoso gli incurvasse ruffiano le labbra, tendendone i tratti già maturi e la pelle abbronzata. Si formavano due piccole fossette sulle sue guance quando rideva. Victor se ne rese conto solo in quel momento, visto che aveva il volto dell'altro ad un soffio dal proprio. Si sedette nuovamente sul divano, Violin, senza però lasciare la presa dalla cravatta di Stradivari.
    “No! Impossibile! Escluso! E quello... sarà successo perché ero appena sveglio. Sì, sicuramente.- Blaterò cercando di suonare convincente tanto per sé stesso quanto per l'altro che l'osservava dal basso, ormai, con quel sorrisetto che si faceva poco a poco più convinto. Più divertito. -Tu... mi stai prendendo per il culo?!” Sembrò rendersene conto a pieno solo in quel momento il ragazzo. Tanto che fece un passo verso l'altro, cercando di apparire minaccioso e cascando in pieno in quella che era una trappola bella e buona, dal suo punto di vista. Mark tirò la cravatta con poca forza, ma questa bastò a far avanzare ulteriormente Victor, tanto che si scontrò con la gamba del collega perdendo l'equilibrio e finendogli diritto in braccio emettendo un gemito stupito, probabilmente.  
    “Un po', sì.- Ammise divertito Violin circondandolo con le braccia. Braccia solide e stabili, che non sembravano essere intenzionate a cedere quando l'altro, in un primo momento, si ribellò. -Non ti faccio niente. Giuro.” Cercò di rassicurarlo andando semplicemente ad appoggiare il capo contro il torace dell'altro che si immobilizzò in quel gesto, trattenendo per qualche istante il respiro ed abbassando gli occhi fino ad intercettare la capigliatura arruffata e lunga del compagno.
    “Ti odio...- Mormorò senza alcuna convinzione Stradivari, allacciando le braccia attorno al collo dell'altro in un gesto che smentiva a pieno quanto appena affermato e sollevando gli occhi verso una finestra. Finestra che venne sostituita in un secondo dal bianco della pelle del divano quando si rese conto che Mark si era steso, tirandolo giù con sé e lasciandosi usare come materasso. -Lascia..!” Prese ad agitarsi di nuovo, Victor, cercando così di liberarsi della presa dell'altro attorno al proprio corpo, senza un equilibrio in quei movimenti spasmodici. Ma ricadde in un misero buco nell'acqua quando l'uomo lo avvolse con più decisione.
    “Lo so. Che mi odi.” Sospirò e Stradivari avrebbe potuto giurare di aver sentito un rantolo provenire dalla sua cassa toracica. Il suono di qualcosa che sta soffocando e morendo. E tremò. Tremò perché si rese conto che quella malattia per cui l'aveva schernito probabilmente gli faceva più male di quanto non ostentasse. Tremò dandosi della stupido perché quelle braccia che ora lo stringevano si erano allenate per non togliersi nulla, nonostante i problemi del loro proprietario. Tremò perché il calore emanato dal corpo del collega era vero e lo faceva sentire bene, tanto da fagli dimenticare quanto accadutogli nel primo pomeriggio e quel rantolo fioco che aveva sentito. E si sentì male, perché nonostante tutto non era vero che lo odiava. Tutt'altro. Forse addirittura l'ammirava. L'invidiava. E si faceva pena, perché davanti a lui non l'avrebbe mai ammesso.
    “Ehy, Violin... non è vero che i 'giocattoli rotti' non li vuole nessuno.” Non seppe nemmeno lui spiegarsi del perché di quella frase. Del perché gli fosse uscita così direttamente. Distratta e probabilmente sincera. Lo pensava davvero? Non riuscì nemmeno lui a spiegarsi come, ma un dolce torpore l'avvolse in un soffio tanto che le sue palpebre si fecero pesanti e lui si addormentò senza quasi accorgersene, lasciando Violin piacevolmente interdetto. Sorrise il musicista, carezzando con delicatezza la gota del compagno. Un “grazie” regalato al silenzio fu l'unica cosa che riempì in ultima la stanza.








Angolino autrice *_* Ed eccomi tornata tra voi! <3
Se lo scorso capitolo abbiamo scoperto qualcosa di Vic, in questo scopriamo indubbiamente tantissimo su Mark! *-*
Spero vi piacerà ^w^
Per questo capitolo, un ringraziamento specialissimo va ad Andy. Perché senza di lui Strà e Vic non sarebbero mai esistiti.
Perché senza di lui, tante idee non sarebbero venute a galla.
Perché gli vogio un bene dell'anima.
Accie fratellone! :* <3

Ed ora le recensioni
_YUKO CHAN_ Addirittura un principe azzurro, Mark? XD Non l'avevo mai visto da questo punto di vista. Però effettivamente, come parte gli calza a pennello! In questo capitolo, in realtà, secondo i miei piani, Vic non avrebbe dovuto mostrarsi così tanto. Mostrare così tanto di sé, ma durante la stesura della storia ha preso allegramente il sopravvento, ed il capitolo è uscito così. L'ho amato molto perché dopo questo capitolo si è lasciato domare, finalmente XD All'inizio, l'idea del bacio c'era anche, devo ammettere. Ma credo avrebbe infranto quella tensione che volevo creare nel capitolo successivo, cioè questo :) Spero che ti piacerà, anche se non succede nulla di particolare ^w^

_NonnaPapera_ Tutte tutte le ho lette v_v Non c'erano tanti errori, dai XD e poi erano belline *___* Ma veniamo a noi... Il barbone all'inizio è messo per fare paura X°D In realtà lo ritroveremo anche più avanti, anche se solamente citato v_v Sì, sono dei babbei. Ma c'è da tener conto anche che uno dei due **indica Victor** ha un carattere davvero pessimo. Mark è decisamente più accondiscendente ed aperto XD Ed in questo capitolo, come pronosticato, ecco che si scopre anche qualcosa su di lui :) Shi *-* Ax ha una shot tutta sua e sto cominciando a lavorarci su in questo periodo v_v vediamo che ne esce fuori =P Alla prossima ^w^

_My Pride_ Vero anche questo v_v (**venera Roy**) In realtà temevo di cadere nel banalotto a causa del passato di Vic... non so nemmeno io in quel momento a cosa stavo pensando, quando ho deciso di fargli "vivere" quello che ha vissuto. Però mi serviva una giustificazione per questo suo carattere, e questa credo sia stata piuttosto esauriente. Trovo che spieghi tanto la mancanza di capacità sua di amare nel senso proprio del termine, quanto quello di utilizzare le ragazze come dei meri oggetti. Non sai quanto possano farmi piacere le tue parole T^T Non mi sono mai ritenuta capace di scrivere una storia romantica degna di questo nome, quindi è davvero un complimentone enorme, il tuo ç_ç Per quanto riguarda la virgola nel titolo, è per dividere la frase come nella canzone dalla quale l'ho tratto. Diciamo che è lì per una questione grafica, piuttosto che grammaticale =P Accie per avermelo detto, comunque *w*

_Nana Swan_ L'incontro-scontro sulla borsa di studio era una cosa che d'aveva da fa. Vic altrimenti avrebbe portato rancore a Mark per una vita, e la cosa non sarebbe andata bene. No no. Eccoti il seguito del capitolo :) Spero ti piacerà come il precedente e che la tua curiosità verrà soddisfatta *o*

_LayShaly_ ç_ç **si commuove** Spero di non divenite tediosa, proprio a causa del mio esser puntigliosa nelle descrizioni >_<" Per il resto ti ringrazio davvero tanto per la recensione *-* Mi ha fatto davvero piacere *o* La scena del bacio, credimi, è stata la ciliegina sulla torta anche mentre scrivevo XD Non vedevo l'ora che accadesse, proprio perché altrimenti non si sarebbe mai movimentata la situazione X°°

_RiflessoCondizionato_ Tesora, anzitutto comincio con il chiedere perdono per aver mancato al contest sui Tarocchi. Il Pc mi ha tradito, tanto che TUTTE le mie storie sono andate perse! >_<""
Veniamo a noi, intanto (si vergogna da morire). Axel e Lizzy sono un'accoppiata scoppiettante! *-* Purtroppo hanno poco spazio, in questa storia T^T Avrei voluto scrivere molto di più, su di loro :/ Ma troveranno i loro spazi anche loro v_v Intanto... Mark PARLA! E credimi, solitamente, quando lo fa, lascia il segno, combussolando sempre di più il povero Vic X°D E quel bacio è stato liberatorio per tutti, a quanto vedo XD Dieci e lode *-* Addirittura! XD Bellissimo! *A* Sì, sono convinta anche io che ad ogni "ti odio" di Strà, corrisponda un "ti amo". Ma non diciamogli che lo abbiamo capito. Il poverino è ancora confuso v_v
Credo poi, che nella tua seconda recensione, abbia azzeccato completamente quello che è lo stato d'animo di Vic. Lui ha paura. Terribilmente paura di quel ragazzo troppo più bravo di lui. Ha paura che a causa sua, diventerà completamente inutile allo sguardo degli altri. Sono felice che lo scorso capitolo ti sia piaciuto più degli altri. Spero che anche questo sarà all'altezza delle aspettative *-* alla prossima, ed ancora scusa >_<



Grazie a tutti quelli che hanno anche solo letto ^w^
Certo, una recensioncina, anche solo per criticare, non mi dà fastidio. Tutt'altro.
Grazie comunque :)
Un baciotto a tutti!

Herì

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Capitolo 7
*** 6. Come si possono esaudire i desideri? ***



6. Come si possono esaudire i Desideri?


My soul is painted like the wings of butterflies

    “Kiri-Kiri! Perché non canti qualcosa mentre aspettiamo la megera?” A voltarsi a quella richiesta fu una ragazzina dai capelli del colore delle castagne e dai riflessi dorati. Se ne stava seduta a gambe incrociate sopra un banco, in barba alla buona educazione,  chiacchierando tranquillamente con un ragazzo minuto e magrolino. Entrambi diressero la propria attenzione verso la voce che aveva interpellato la giovane con un sopracciglio arcuato, perplessi.
    “Siamo in una classe di canto. Sapete cantare tutti, quindi perché dovrei farlo io?” Domandò mentre un bel colore rosso le imporporava allegro le guance piene solitamente pallide. Aveva un filo di trucco sugli occhi, giusto quanto bastava per contornarli e farli divenire ancora più grandi, risaltando il colore scuro e vivace delle iridi.
    “Quel montato di Mister Stradivari ad esempio no, non sa cantare.” Commentò uno dei due palesando sul proprio volto un'espressione schifata, appoggiato da un altro gruppetto di compagni di classe che l'aveva seguito nella sua crociata.
    “Dai, per favore.” Furono un paio di ragazzi a prendere davvero coraggio ed avvicinarlesi per posare le mani sul tavolo sopra il quale sedeva, costringendola ad indietreggiare un poco. Sopraffatta e forse intimidita. Schiuse le labbra per ribattere qualcosa, ma il ragazzo che le stava seduto accanto le punzecchiò una gamba con la mano, indicandole l'ingresso dell'aula, costringendola a rizzarsi e sporgersi oltre le teste dei colleghi per poter meglio vedere chi stesse entrando. Violin varcò la porta in quel momento esatto e lei schizzò giù dal banco come una saponetta bagnata, agguantando per il braccio l'amico.
    “Vieni Andy. Facciamo trio.” Gli lanciò un'occhiata che non ammetteva repliche, trascinandoselo dietro verso il nuovo arrivato che l'accolse con un sorriso bonario, quando se la trovò davanti. Irriverente. Un piccolo ciclone in avvicinamento con la gonna della divisa che svolazzava allegramente a quel passo tutto fuorché femminile ed il cravattino che sembrava divertirsi a non starle in ordine.
    “Buon giorno, ragazzi. Già scatenati di prima mattina?” Osservò sinceramente divertito, lasciandosi avvolgere dalle braccia della giovane, quando gli si lanciò al collo senza troppe cerimonie stampandogli un sonoro bacio sulla guancia. Dall'altra parte della classe, qualcosa emise un tonfo leggero sul pavimento, seguito poi da uno più pesante che fece scoppiare la classe in una sonora risata. Stradivari era riverso sulla scalinata che portava ai tavoli più in alto di quell'aula fatta in discesa ed imprecava non troppo gentilmente rivolgendosi alle divinità più disparate.
    “Salvami, ti prego.” Lo scongiurò nel mentre Kirya, sporgendo il labbro inferiore, tremulo per poi voltarsi ad osservare la scenetta improvvisata da Victor che cercava di tirarsi su il più velocemente possibile da quella posizione a zerbino. Doveva averci preso gusto a sperimentare contatti di terzo tipo con il pavimento.
    “Sei riuscito a concludere qualcosa con lui, poi?” Schietta e priva di malizia quella domanda che gli andò a porre il ragazzo dopo averlo salutato con un labile cenno di mano. Semplice interessamento che però ebbe il potere di far sgranare appena gli occhi del biondo, prima che anche lui scoppiasse in una risata leggera e divertita.
    “Ci sto lavorando, Andy. A te cosa serve, invece?” Chiese rivolgendosi nuovamente alla ragazzina arruffandole i capelli non troppo lunghi, ma questa gli si allontanò per sfuggire a quelle coccole non desiderate. Restia. Più avvezza a farle, le coccole, piuttosto che riceverle.
    “Ora niente. Mi serviva qualcuno che mi fornisse un diversivo.” Spiegò andando ad indicare la classe ed in special modo Stradivari che si era seduto in un posticino isolato, con la solita espressione da intoccabile, ma che palesemente stava fulminando il loro trio con lo sguardo, ignorato in modo lapalissiano dai tre compagni di classe. Lo stavano facendo apposta, e si stavano divertendo pure.
    “Le hanno chiesto per l'ennesima volta di cantare. Aveva bisogno di una via di fuga.” Spiegò più semplicemente il giovane, andando a sollevare le spalle con noncuranza. E Violin si trovò a sorridere di nuovo alternando occhiate veloci tra Kirya e Andy, attorniando poi il collo di entrambi con le braccia. Sovrastandoli, tanto erano piccini rispetto a lui.
    “Sei sempre la solita sfruttatrice, Yaya.- La rimproverò Mark chiamandola con quello che era il suo soprannome ufficiale più o meno da... una vita. Le rifilò un colpetto sulla guancia con l'indice di una mano, fingendo però sdegno nello scuotersi rassegnato del capo. -Mi serve una mano da voi due...” Se li portò quindi da parte, cominciando a parlare con aria cospiratoria, chino, tanto da riuscire ad arrivare alla loro altezza. Sussurri appena percettibili per chiunque non fosse rinchiuso in quel piccolo triangolo delle Bermuda. Victor continuava a fissarli da lontano, fingendo però di non essere interessato al fatto che Kirya stesse così terribilmente appiccicata a Violin e che lui sentisse un improvviso istinto omicida nei confronti di quella che invece era una delle poche ragazze che stimava perché non l'aveva mai considerato più di un amico. Sussultò quando la vide saltare letteralmente al collo del loro compagno di corso, afferrando con forza una matita ed immaginandosi che quello fosse un braccio della ragazza. Che fosse geloso? Ma no! Non poteva essere geloso. A lui non interessava nulla di Mark, infondo. Forse... più o meno. Rabbrividì quando gli occhi caldi, dal tratto vagamente orientaleggiante, della ragazzina scivolarono sulla sua figura, avvinghiandosi maggiormente a Violin, facendogli salire il sangue alla testa. Quelle braccia... Si immaginava bene con la sega elettrica a spezzettarle per bene. Altro che matita e matita!  
    “Credo che se Vic potesse mi incenerirebbe.” Ridacchiò la ragazzina, ilare, scostandosi dall'amico ed andando ad afferrare un'astina per posizionarla al centro del piccolo soppalco dietro il quale si trovava la lavagna.
    “Vai da lui, Viò. Qui ci pensiamo noi.” Lo rassicurò Andy, che in realtà sembrava essere il primo ad aver bisogno di rassicurazioni, per poi avvicinarsi a Kirya, allungandole un microfono. La ragazza gli sorrise con fare sbarazzino infilando l'oggetto sulla forca ed andando ad inserire il jack all'interno del mixer.
    “Axel, abbiamo bisogno di te!” Gridò per farsi sentire dal ragazzo appollaiato su uno degli ultimi banchi, avvinghiato all'ennesimo poveraccio che era finito tra le sue braccia. Lanciò un'occhiata veloce alla causa della fine del suo divertimento, ma quando la vide indicargli il suo amico d'infanzia annuì con convinzione. Non gli ci volle tanto a capire che intenzione avevano lei e gli altri. Sorrise ampiamente verso la reincarnazione umana di una zanzara, scivolando via dall'abbraccio del suo ennesimo amante e cominciando a scendere velocemente lungo la scalinata dando una leggera pacchetta sul capo di Lizzy per farla uscire dal suo stato di coma apparente. Non occorsero parole quando alzando gli occhi riuscì ad intravvedere quel piccolo gruppo di musicisti che stava andando a crearsi e si precipitò a propria volta verso di loro, saltando sulle spalle di Kirya.
    “Quando c'è da fare casino ci sei sempre in mezzo!” Proruppe in una risata cristallina che echeggiò all'interno dell'aula, seguita da quella della collega che ammiccò in sua direzione facendole spazio accanto al microfono.
    “E se c'è da seguirmi, tu sei sempre in prima fila.- Le fece notare, voltandosi poi verso il resto del gruppo che era andato a crearsi attorno a loro. La voce alta ed una scarica di energia a dar vita a quella ragazza non esattamente magra, ma vivace e tutti si misero ai suoi ordini. Strumenti svelati dalle custodie e lei ed Elisabetta già davanti al microfono. -The show must go on!- Incitò il gruppo sollevando il braccio in aria con forza. Gli occhi scuri andarono a scivolare verso Violin che l'osservava dall'alto della scalinata, seduto accanto a Victor, che per contro le stava rivolgendo occhiate seccate, nonostante lo schiamazzare del resto dei loro compagni, coinvolti dalla carica della ragazza. -Stradivari. Questa è per te!” Gli comunicò, senza schiodargli gli occhi di dosso. Un sorriso sfrontato e dall'aria infantile ancora su quel visetto ovale e pieno. E senza che nemmeno sembrasse essersene accorta, la ragazza prese a cantare. Una voce da contralto. Morbida. Bassa e piacevole. Calda e pastosa. Lei non si poteva certo definire bella, ma la sua voce lo era.  Tanto che Victor storse le labbra ancora più irritato: odiava chi era più bravo di lui. Mark che gli stava accanto, invece, sembrava tranquillo e perfettamente a suo agio, tanto che il ragazzo gli dedicò un'occhiata scocciata posando il mento sulla mano destra che faceva appoggio sul gomito.
    “Kirya non si esibisce mai così spontaneamente. Qui c'è il tuo zampino.” Constatò dedicandogli uno sbuffo che morì quando gli arrivarono le parole della canzone che stava intonando la loro compagna di classe, accompagnate da un sorriso a tratti addolcito di Violin. Lo stesso Violin che stava cantando sommessamente quelle parole, avvicinandosi sempre di più al suo orecchio. E Stradivari glielo stava pure lasciando fare, senza spostarsi di un millimetro. Perché? Si era bevuto definitivamente il cervello?
    “Fairytales of yesterday... we'll grow but never die.” Sembrò giurarglielo, con quelle parole sussurrate assieme alla canzone che ormai era solo un sottofondo. Il ragazzo gli sorrise con una vaga malizia andandogli a baciare il collo, repentino. Lo fece una. Due. Tre volte. E dopo la terza, Victor perse il conto lasciandogli fare quel che voleva, senza resistergli. In sua completa balia, come una barca in un mare in tempesta, inclinandosi poco a poco sempre di più verso la sedia accanto alla propria. Altrettanto repentino, però, Violin gli si allontanò. “Chissà..?” Concluse serafico, sollevandosi in piedi e scendendo velocemente la scalinata, lasciando ammutolito Stradivari che ne seguì la figura. Lo guardò saltare sul soppalco. Lo guardò abbracciare da dietro Lizzy e Kirya impossessandosi del microfono, cantando con loro. Non capì in quel momento, il perché di quella canzone. L'avrebbe appreso solo più avanti, il significato di quelle parole. E non gli restò altro da fare che sbuffare, fingendosi seccato e portandosi la mano sinistra sul collo, cercando di celare una buona dose di imbarazzo e quei segni che gli aveva lasciato il compagno di classe.
    “E pensare che è così carino...” Mugugnò una voce alle spalle del violinista facendolo sussultare per la sorpresa. Quando si voltò di scatto verso il banco posto sopra il proprio, incrociò la faccia barbuta di Andy che osservava alternativamente lui e Violin giù sul palco. Medesima direzione in cui indirizzò il proprio sguardo Victor: alle tastiere non c'era più nessuno.
    “Cosa ci fai qui, cagnolino? Non hai qualche osso da rosicchiare?” Lo accolse con scetticismo il ragazzo sollevando il mento con fare altezzoso, osservandolo ostentando noia. come se tutta la faccenda non fosse affar suo. Né fosse lui la persona cui era dedicato quel piccolo concerto messo su in quattro e quattro otto. Eppure si tradiva da solo, quando, di tanto in tanto lanciava rapidi sguardi al palco, soffermandosi sulle figure di quei tre cantanti tanto diversi tra loro. Vedeva Kirya con la sua carica esplosiva ballare e saltellare qui e lì al ritmo di una canzone nuova. Probabilmente una delle sue ultime creazioni. Vedeva Lizzy improvvisare i cori zompettando qui e là ed inventando strani balletti con l'altra cantante. E poi vedeva Violin guardare in loro direzione. Un sorriso che non si capiva bene cosa stesse a significare. E Victor distolse immediatamente lo sguardo, proprio quando Andy saltò su per rispondergli.
    “Zitto gattaccio! Quello su cui avevo messo gli occhi si è spostato sulla tua ciotola... e tu ancora non te lo sei mangiato...” Sbottò il castano, incrociando con forza le braccia contro il torace. Sopracciglia abbassate e sguardo truce, che però, su quel viso dai tratti ancora un poco infantili, stonava come non mai, rendendolo simile ad un bambino imbronciato, piuttosto che ad un adulto arrabbiato. Il violinista sgranò gli occhi a quelle parole, drizzando la schiena come se un brivido freddo l'avesse percorsa in quel preciso istante, prendendo distanze dall'altro nello spostare indietro il busto.
    “E... e non ho nemmeno intenzione di mangiarmelo!” Ribatté piccato, tornando alla sua aria annoiata, come a non voler dare la soddisfazione del proprio imbarazzo al cantante. Cantante che però sorrise con fare sornione nel seguire l'indirizzo del suo sguardo che per l'ennesima volta si posava sulla figura di Mark, andatosi a piazzare alle tastiere, in sostituzione ad Andy, mentre Axel gli girava particolarmente vicino, senza però distogliere lo sguardo dal ragazzo cui era avvinghiato prima dell'inizio di quello strano spettacolino.
    “Come no?” Sbuffò il tastierista sollevando sardonico un sopracciglio ed allungando le braccia per stringere il collo di Stradivari in una morsa leggera, così da schioccargli un improvviso bacio sulla guancia, cogliendolo completamente alla sprovvista. “Beh, se la metti così, allora me lo prendo io.” Cantilenò dandosi alla fuga prima che Victor riuscisse a riprendersi dallo shock del momento. Ripresa che fu decisamente rapida, visto l'insieme di improperi che riuscì a rivolgergli a bassa voce, mangiucchiando le parole. Ebbe decisamente l'impressione che quel giorno tutti avessero deciso di prendersi gioco di lui. Fu con quella vocina nella testa che continuava a gridargli dietro “cretino!” che si accorse della sagoma della professoressa di teoria musicale oltre la porta a vetri. E fu la stessa vocina ad urlare un “tappati le orecchie!”, prima che questa entrasse nell'aula inacidita come una limonata, cominciando a starnazzare come un oca cui è stato invaso il territorio. Seguì una straziante ora di predica che vide come suo apice massimo, una nota di demerito collettiva nel registro degli studenti.
    Stradivari sospirò rassegnato: oltre al danno, la beffa.










Angolino recensioni <3
_Nana Swan_ Embeh XD Ma lui fa outing proprio spassionatamente X°D Però a me lui piace tanto anche per questo: è molto limpido e diretto X°D E prendere in giro Vic, per lui e per me è davvero uno spasso! Cioè... non si può non prendere in giro un tipo come Strà. Sarebbe come sprecare un vasetto di nutella v_v Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto *-* La scena finale trasuda fluffffffff X°D

_Yuko Chan_ Vic è davvero mooooooolto confuso ._. Piccino, non è abituato a situazioni simili. O meglio, non è mai stato abituato ad essere trattato così. Molti si tengono alla larga da lui a causa del suo carattere e quindi, il modo il cui effettivamente lo vizia Mark, gli è anomalo ^^ Credo che il suo turbamento sia dovuto soprattutto a questo :) Viò lo prende in giro, ma lo sta anche aiutando a crescere. E quella frase che hai messo in evidenza tu, credo sia il primo tenero germoglietto di questa crescita. Le piccole confidenze di cui parli, invece, sono state la cosa più ostica da mettere giù in questo capitolo :) Mark è più aperto di Vic, seppure non sembri, nelle sue iniziali risposte ambigue X°D Per questo ho ringraziato infinitamente il carattere di Strà XD Indispondente com'è, lo costringe a mettersi completamente a nudo v_v

_NonnaPapera_ Credo anche io che siano le prime parole che esprime davvero con il cuore. E credo che gli siano costate davvero tanta fatica, nonostante probabilmente non si sia nemmeno reso conto della portata di quello che ha detto. Vic è scemotto v_v **annuisce con convinzione** Speriamo, già ._.

_My Pride_ Con un giorno di ritardo, ma ecco il nuovo capitolo *_* Oddio! Menomale che ti è piaciuto ç_ç temevo fosse troppo Fluffoso >_< in realtà mi sono accorta che trasuda miele e caramelle da tutti i pori, solo leggendo la storia completa, una volta che l'ho terminata o_ò Però dai... un po' di coccole ci stanno, altrimenti Vic mica mollava <.<" Spero che in questa settimana tu sia guarita, invece >_< Mi spiace che sia stata male >_< Del passato di Mark, purtroppo, mi sono resa conto che non si parlerà tantissimo, dopo questo capitolo. Ma è stata una scelta mia, d'altronde. Lui vive proiettato nel futuro. E' Strà quello che si perde nel passato. E c'è un perché, ma non sto a spiegarlo qui xD Si capirà passo passo :) Felice di averti fatta sorridere, invece ^w^ E che le scenesiano state chiare. Ho sempre il terrore di essere prolissa e poco chiara quando scrivo ._. Alla prossima :*

_BritinLover_ Una nuova lettrice! *_* Benvenuta *_* *Sbrilluccica* Credo che tu abbia fatto bene a non commentare prima :) Solitamente faccio anche io come te, quindi grazie anche solo per esser passata dal primo capitolo ed aver deciso di continuare la lettura ^w^ Mi ha fatto molto piacere sapere che ti sei ricreduta :) Vic si è costruito una maschera. E credimi, ci vorrò ancora un po' perché questa cada completamente a pezzi ^^ Spero che seguirai le vicende fino alla fine ^0^ Anche io adoro come Mark tratta Vic, perché, anche se quest'ultimo non se ne rende pienamente conto, Viò ha già infranto molte barriere XD E non dico altro =P


Vi ringrazio veramente tanto per i vostri commenti *A*
Alla prossima :****
Grazie anche a chi solo legge, ma un commentino, no? Vanno bene anche critiche. Servono per crescere :)
Alla prossima.



Herì

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Capitolo 8
*** 7. Ci sarai anche nelle mie notti insonni? ***


7. Ci sarai anche nelle mie Notti insonni?

I can fly - my friends
The show must go on
I'll face it with a grin
I'm never giving in
On - with the show

    Eh, sì. Doveva essere proprio uscito di senno. Che cosa ci faceva lui, lì? Lui, di nuovo nell'appartamento di Violin. Tra le sue braccia, oltre tutto, a compiere atti osceni in luogo pubbl... eccola la fregatura: erano in un luogo privato. E come ciliegina sulla torta... i suddetti atti osceni lo stavano pure compiacendo. Gli veniva da piangere al solo pensiero. O meglio, gli sarebbe venuto da piangere se solo quei gemiti che sentiva fuoriuscire dalle sue labbra non gli fossero suonati così tremendamente suadenti e lascivi. Ammalianti quasi. Il cuore gli saltò un battito, quando riaprì gli occhi trovando sopra di sé il petto dell'altro. Quel torace muscoloso, forse un po' troppo. Un po' di peluria talmente chiara da non risultare nemmeno visibile. Vi passò le mani contro, sentendo la sua pelle sudata al tatto. E si ritrovò ad aggrottare le sopracciglia quando si rese conto che sembrava mancare qualcosa. La cicatrice dell'operazione. Si ricordava di avergliela scorta quando si erano incrociati in bagno. Allora perché mancava, ora? Sentiva lo stomaco divenirgli un unico groviglio mentre le mani dell'altro gli scivolavano lungo i fianchi, stringendogli senza troppa forza -seppure con urgenza- le natiche, provocandogli una scarica di adrenalina così intensa che lo fece sussultare. Ok, sarebbe morto lì, era chiaro. E ora perché la cicatrice era comparsa lì dove doveva essere il suo posto? Non fece a tempo a riflettervi, troppo preso da altro.
    Un bacio.
    Un altro bacio.
    Un altro ancora.
    E poi perse il conto. Smarrito in quello spazio che sembrava così onirico. Troppo ovattato per essere davvero la sua prima esperienza da checca. No, che brutta cosa definirsi così! Alla sua prima esperienza omosessuale. Sì, così decisamente suonava meglio. Deglutì a vuoto per riuscire solo dopo a rendersi conto di una cosa: c'era un rumore fastidioso in sottofondo, oltre agli ansimi suoi e del compagno di scuola. Qualcosa che non avrebbe dovuto esserci. Non ricordava che tempo facesse fuori, prima che cominciasse quella magnifica tortura.
    Oddio la bocca di Mark a tormentare i suoi capezzoli non aveva prezzo, tanto che sentì fuoriuscire un gemito più acuto e terribilmente... terribile dalle proprie labbra. Si sentiva una verginella alla sua prima esperienza. E sì che di esperienza lui ne aveva accumulata un bel po', portandosi a letto senza ritegno una ragazza nuova più o meno ogni due settimane. Però quella era davvero la sua prima esperienza. Dovette ripeterselo altre tre o quattro volte per entrare nell'ottica di non essere propriamente padrone della situazione, in quel momento.
    Ma tornando lucido al problema di base, si rese conto di non ricordare assolutamente niente dei preliminari e del prima. Che fosse stato ubriaco? Beh, questo certo avrebbe giustificato il suo essere il sottomesso tra i due. Però doveva ammettere che quella posizione era comoda. Era supino, con una meravigliosa panoramica del volto di Violin a sovrastarlo. Diamine com'era invitante quel collo. E poi... qualcosa gli entrò dentro, facendogli contrarre i muscoli del sedere in una morsa attorno a quel corpo estraneo. Assieme agli addominali e ad un'insolita sensazione all'altezza dello stomaco. Dentro e fuori. Dentro e fuori. Più e più volte, sentì accelerare ancora di più il proprio respiro. Eccitato. Concitato. Sentiva un bisogno urgente di pienezza e si sentiva frustrato nel non riuscire ancora ad ottenerla.
    No, doveva darsi una calmata. Fingere per lo meno di essere rilassato. Avrebbe fatto soggetto passivo, così l'altro si sarebbe stancato presto di lui e l'avrebbe lasciato in pace. Quindi meglio concentrarsi su quel rumore. Tanto sapeva che ormai i suoi sforzi non sarebbero serviti a nulla. Non era più Mark a volere lui. Ma lui a volere Mark dentro di sé a tutti i costi. Ma... Quando aveva cominciato a piovere, fuori? Altrimenti che accidenti era quel rumore troppo simile all'acqua che scrosciava in una... doccia?!

    Victor sgranò gli occhi trovandosi madido di sudore, con il fiato decisamente corto, ed avvinghiato ad uno dei cuscini del proprio letto con un rigonfiamento non proprio confortante a strusciarsi contro questo. Ottimo: federa e lenzuola erano da buttare in lavatrice. Mutande anche. E lui aveva bisogno di darsi una lavata, oltre che una calmata. Portò lo sguardo in direzione della porta del bagno focalizzandola a fatica un po' per il sonno ed un po' per la mancanza delle lenti a contatto o in alternativa degli occhiali. Maledizione anche alla sua vista che stava cominciando a fare i capricci. Fece salire lentamente una mano ad arruffarsi i capelli perennemente disordinati, mentre l'altra discese stanca a cercare di nascondere con il cuscino quell'erezione fin troppo visibile visti i boxer stretti che indossava. Maledetto Violin, anche in sogno abusava di lui. Maledetto pure quello scroscio d'acqua che l'aveva svegliato! Sì, a questo punto era il caso di dirlo: l'aveva interrotto sul più bello. Inorridì quando si rese conto di quei pensieri probabilmente istigati da un sogno e sonno troppo libidinosi.
    Sospirò pesantemente, troppo stanco per negare un'evidenza che avrebbe potuto smentire in qualunque momento. Solo... chi c'era in bagno? Inclinò il capo verso una spalla ancora troppo stanco per riuscire a fare mente locale, stropicciandosi gli occhi stancamente con la stessa mano che fino a poco prima aveva campeggiato sulla sua testa: l'altra era meglio lasciarla dove stava. Facendosi davvero violenza si decise a mettere i piedi sul pavimento, abbandonando il caldo -fin troppo- tepore delle coperte. Il cuscino sempre tenuto in posizione strategica: meglio non dare spettacolo a certe ore del mattino. Che poi che ore erano? Lanciò un'occhiata distratta alla sveglia che segnava le 3.00 della notte. Occhiata che da distratta divenne puro istinto omicida. Non ricordava che la preside gli avesse comunicato che qualcuno fosse andato ad occupare la camera di Mark. Ne tanto meno che lo stesso lo avesse avvertito che avrebbe dormito lì. Era successo più di una volta che Violin restasse nel dormitorio, ma era solito avvertirlo, quando ciò accadeva. Per l'incolumità di entrambi, mica per altro. Inoltre, solitamente accadeva dopo gli allenamenti di pallacanestro, quando era troppo stanco ed il suo cuore rischiava di tirargli qualche scherzo. Oppure quando le prove si attardavano particolarmente e lui non aveva più i mezzi per tornare nella periferia di una Londra che di notte diventava poco piacevole. Quel giorno però non era avvenuto nulla di tutto quello. Il più delle volte inoltre, si tratteneva lì per i problemi comportati dalla sua malattia. Troppo testardo per ammetterlo, ma aveva paura a restare da solo, specie se aveva da poco superato una crisi. Spesso, poi, toccava a lui accudirlo. Victor aveva imparato a conoscerlo. Lui e quelle terribili medicine. Ogni volta che gli chiedeva di passargliene qualcuna, Stradivari si sentiva in colpa, perché significava che l'altro stava davvero male. Troppo orgoglioso per chiedergli aiuto, altrimenti. Si avvicinò alla porta del bagno battendo un paio di colpi per precauzione, prima di aprirla con calma, affacciandovisi all'interno solo con il capo scompigliato. E lo vide. Violin era lì, seduto all'interno del box doccia con i vestiti ancora addosso. Il getto d'acqua lo stava bagnando, eppure lui non sembrava dare segno di accorgersene o di recepire il calore del liquido che gli fluiva addosso. Sgranò gli occhi, Victor. Colto da una sensazione di panico che gli fece dimenticare qualunque cosa non fosse il ragazzo apparentemente privo di sensi.
    “Ehi, Viò! Mark, pezzo di deficiente, non farmi spaventare così!” Gettò via il cuscino precipitandosi verso il compagno di scuola, bruciando la breve distanza in un attimo che banalmente gli parve scorrere a rallentatore. Con un colpo secco abbassò il rubinetto della doccia con una mano, mentre portava l'altra a posarsi sul collo del giovane, come lui stesso gli aveva insegnato.
    “Cazzo... Rispondimi, idiota!” Per un istante. Uno. Singolo. Ridicolmente breve. Ringraziò di essere da solo. Di non avere nessuno attorno ad intimagli di stare calmo oppure a sbraitare più di quanto lui non stesse già facendo. Dandosi i nervi da solo, oltre tutto. Il cuore. Il cuore di Violin batteva ancora ed anche il suo respiro era presente, seppure accelerato. Aveva una smorfia dolorante in volto. Di chi sta davvero male. E per l'ennesima volta Stradivari arrivò a darsi del benemerito cretino. Cretino quando l'aveva deriso per la sua malattia. Cretino ogni volta che, citando le sue parole, lo chiamava “giocattolo rotto”, seppure, Mark aveva imparato a capirlo, in modo tutto fuorché offensivo. Cretino per quel senso di panico causato non tanto dalla paura suscitatagli da quella situazione, quando per il terrore di perderlo. E dopo il sogno che si era ritrovato a fare solo poco prima, aveva buone spiegazioni. Ammissioni che però non avrebbe fatto né a se stesso, né all'altro, in quel momento. Avvertì la propria mano tremare appena al ricordo di quanto avvenuto in quel mondo onirico, articolando lentamente frasi sconnesse e senza senso con le labbra. Lasciò affondare con forza i denti su quello inferiore afferrando Violin per le maniche e strattonandolo fuori dalla doccia per porlo disteso. Era pallido, constatò. Di un pallore che contrastava fortemente con quella pelle bronzea a cui era abituato. Cereo.
    “Svegliati. Svegliati... per favore!” Lo mormorò a tono basso, recuperando un drappo dal porta asciugamani e facendoglielo passare sul volto. Quella non era solo acqua, convenne. Era anche madido di sudore, nonostante fosse vestito con abiti comuni. Ma c'era qualcosa che non gli quadrava. Lo fece d'istinto. Annusò l'aria e si rese conto di un odore -fetore- che avrebbe preferito di gran lunga dimenticare. A meglio osservarlo in volto, aveva un labbro spaccato, quello inferiore e le mani? Le nocche erano segnate da piccoli graffi e spaccature. Aveva dei segni rossastri anche sul collo, ora che ci faceva caso. Che avesse fatto a botte con qualcuno? Anzi. Che avesse fatto a botte con quel senza tetto? Victor abbassò lo sguardo ancora una volta sul volto dell'uomo. Quel labbro tumefatto. Aveva un alone violaceo anche vicino all'occhio destro. Le aveva prese di santa ragione, evidentemente. Certo che anche così era bell..! Eh, no! Non era decisamente il momento giusto per mettersi a pensare a cose simili. Doveva chiamare un professore. E poi l'ambulanza. O forse sarebbe stato meglio il contrario? Prima i soccorsi e poi l'insegnante? Eccolo lì: di nuovo il panico che si imponeva nella sua testa senza chiedere minimamente il permesso. Doveva stare calmo e muoversi velocemente. Esatto, muoversi. Quindi doveva alzarsi in piedi e filare a chiamare aiuto. Ma non terminò di formulare quel pensiero che avvertì una presa non particolarmente forte attorno al braccio. Abbassò alla svelta gli occhi di nuovo sul compagno di scuola, visto che nella foga del momento li aveva portati verso la porta e trattenne il fiato quando scorse uno scintillio glaciale tra le lunghe ciglia di Mark.
    “Non andare a chiamare nessuno.” Aveva la voce incerta. Rauca. Gli occhi appena dischiusi e respirava a fatica, cercando di impossessarsi con lunghe boccate di quanto più ossigeno ci fosse nell'aria. Stava male. Si vedeva. Stradivari poteva anche avvertirlo attraverso quella stretta così leggera. Così debole e tremante che gli intrappolava l'arto.
    “Ma stai male, stupido!” Si stupì di come fosse vario il suo repertorio di soprannomi, particolarmente affettuosi, tra l'altro. Scosse il capo lentamente, il violinista. Lo fece senza particolare enfasi, seppure sul suo viso madido ed efebico, in quel momento, si potesse leggere risolutezza. Esitò Victor, stringendo con forza l'asciugamano con il quale aveva deterso il volto dell'altro, catturando poi, sempre con lo stesso, una piccola stilla di sangue che gli stava correndo lungo un lato del volto, sfuggendogli dalle labbra. E qualcosa, forse la quantità di questo, gli disse che non proveniva solo dal taglio sul labbro.
    “Non andare.” Quella richiesta fatta con voce così bassa fece attorcigliare lo stomaco del ragazzo che seguitò a fissare l'altro steso a terra smarrito. Sembrava che gli stesse chiedendo di non andare più via in generale, non solo in quell'istante. Dannazione! Ma da quando gli faceva quell'effetto. Fu come ricordarsi chi era lui e chi era Mark. Non poteva cascarci così. Violin era il suo rivale in campo musicale. Era odioso, nella sua apparenza tanto glaciale ed alla quale bastava un nulla per sciogliersi. Nella sua naturalezza nell'esprimere a pieno quanto sentiva. Lui piaceva alla gente per come era davvero. Victor piaceva alla gente per come fingeva di essere. Con quella spocchia altera che lo faceva passare per bello e dannato. Con quegli sguardi un po' arroganti e quell'apparenza da fannullone che non pensa ad altro che a divertirsi.
    “Non puoi restare sul pavimento tutta la notte. Domattina mi ingombrerai il passaggio. E sai che sono sempre in ritardo, quindi qui io corro.” Lo disse con noncuranza, come se stesse parlando ad un cane che aveva deciso di accucciarsi proprio davanti alla porta di una stanza nella quale lui doveva recarsi. L'occhiata che gli dedicò fu di sufficienza, con gli occhi un po' socchiusi e le sopracciglia inclinate, in attesa di eventuali proteste da sedare con acidità. Fu per questo che si stupì ancor di più quando la mano di Mark scivolò lentamente lungo il suo braccio, avvicinandosi pericolosamente alla sua per rinchiudervela all'interno. Ed inorridì quando il suo corpo non sembrò intenzionato a rispondere alle sue esigenze, sottraendosi a quella stretta.
    “Un paio di mesi e non mi avrai più tra i piedi. Probabilmente da prima del concerto per la fine dell'anno.” Gli comunicò chiudendo nuovamente gli occhi e traendo un respirò che suonò come un rantolo nel silenzio calato nel bagno. Stradivari si fece del male nel suo continuare a mantenere quell'espressione neutrale in volto. Non voleva dargli la soddisfazione di fargli capire che quell'affermazione l'aveva spiazzato. E forse sì, anche turbato. Perciò le sue dita si intrecciarono con quelle del compagno di scuola, come per accontentare il capriccio di un bambino che da tanto tende la manina, mentre lui trovava con la schiena la parete del bagno per sedersi almeno un po' più comodamente.
    “Perché questa mi sembra di averla già sentita? Ti trasferisci di nuovo?” Gli domandò, indietreggiando lentamente con la testa per posarla contro la parete alle sue spalle. Le gambe tese sul pavimento, poco distanti dal capo del giovane Hamadeus che, seppure senza invito, ve lo posò contro, sospirando lentamente, come chi ha appena ritrovato la pace perduta.
    “Più o meno.” Fu blando in quella risposta portata in accompagnamento ad una piccola alzata di spalle. Movimento che in realtà a Victor parve quasi impercettibile e che gli provocò una fitta dolorosa al cuore. Si domandò se fosse quella la sensazione che anche Violin provava ad ogni attacco.
    “Smettila con questi 'più o meno'. E' sempre così, con te!” Protestò, accogliendo però con piacere quel sorriso che gli rivolse l'altro. Così come quell'accenno di colore in più sul suo volto. Avrebbe voluto baciarlo. Avrebbe voluto carezzarlo a mani nude e non con quell'asciugamano in mezzo a disturbare le sue percezioni. Avrebbe voluto. E si rese conto che era così, solo perché era lui. Con le ragazze con cui era stato certo, prendeva lui l'iniziativa, ma non era mai con tenerezza. Semplicemente con desiderio. Un desiderio del dopo. Di quello che sarebbero state la calma e l'eccitazione del sesso. Si chiese se non fosse tutto a causa della pena che suscitava in lui vedere l'amico conciato in quel modo.
    “Sì.” La risposta arrivò dopo qualche istante, sospirata, quasi. Avrebbe potuto definirla affranta, se ci avesse fatto un po' più caso, Stradivari. Se non avesse perso tempo a formulare quella domanda nella sua testa. Si chiese addirittura se Violin non gli avesse letto nel pensiero e quella fosse un'affermazione inerente a quello. Fu dopo qualche millesimo di secondo che si ricordò di quale fosse l'argomento della loro precedente discussione. E semplicemente annuì.
    “Hai fatto a botte?” Più propenso a cambiare discorso, indicò il suo volto e premette appena di più sulla tumefazione al labbro dell'altro per fargli capire da cosa fosse nata quella domanda. Non voleva che calasse il silenzio. Non in quel momento. Quella frase di Violin e quanto ne era seguito lo avevano lasciato in qualche modo turbato. Inquieto. Non gli erano piaciute affatto. Soprattutto visto lo spettacolo che aveva davanti in quel momento. Qualche mese prima, quando l'aveva ospitato nel suo appartamento, Mark gli aveva detto che sarebbe dovuto morire un paio di anni prima, ed invece era ancora lì. Lì e non voleva nemmeno che lo sfiorasse l'idea che entro poco non ci sarebbe più stato. Il suo rivale. In suo nemico. Il suo amico. Uno dei pochi davvero sinceri.
    “Più o...Non sarebbe la prima volta.” Rispose Violin serafico, strusciando la testa contro la coscia di Victor. E se non fosse stato già livido, l'altro non avrebbe esitato a prenderlo a pugni. Non gli piaceva la calma con cui lo guardava mentre si accoccolava sopra la sua gamba. Non gli piaceva perché lo turbava e stava facendo violenza a se stesso nel contenere la marea montante che pian piano gli stava defluendo verso il basso. Doveva stare calmo, Stradivari. Doveva calmarsi a tutti i costi, altrimenti probabilmente il sogno avuto solo un'ora prima -sì, più di un'ora non doveva essere passata- avrebbe trovato realizzazione.
    “Lo so. Te la sei presa con il vecchio Wallace?” Non lo guardava mentre gli poneva quella domanda. Aveva gli occhi fissi su quell'interessantissimo soffitto biancastro. No, il bianco non andava bene. Doveva trovare qualcosa di un colore diverso, un po' più allegro. Un po' più scuro. Sarebbe andata bene anche quell'oscena saponetta rosa con i brillantini che gli aveva regalato Lizzy per natale. Dove l'aveva messa? Giusto, nascosta all'interno di un cassetto per non farla notare ad occhi indiscreti come quelli dell'essere che ancora continuava ad usare la sua gamba come cuscino.
    “Mh. Ti ricordi ancora di lui?” Victor dovette valutare il mugugnio ad inizio frase come un'affermazione. A maggior ragione vista la domanda che l'aveva seguito. E finalmente si decise ad abbassare la propria attenzione di nuovo sull'uomo posato contro di lui, pericolosamente vicino al suo inguine, tra l'altro. Se si fosse strusciato ancora un po'... no, no! Doveva stare calmo e tranquillo prima che qualcuno ai piani bassi decidesse di svegliarsi di nuovo. Non poteva e non doveva succedere. Non con Violin. E mentre una vocina fastidiosa che ormai aveva catalogato come la sua odiosissima coscienza gli sussurrava che se era Mark poteva lasciarsi andare, lui cercava di ricostruirsi una faccia di bronzo credibile.
    “Come potrei dimenticarmelo? Mi ha quasi violentato.” Riconobbe la consueta ironia nella propria voce e trasse un sospiro di sollievo. Almeno quella maschera riusciva a farla restare ancora su, nonostante qualche difesa avesse già cominciato a cedere. Mark stava carezzando il dorso della sua mano con il pollice. Gesti lenti ed appena percettibili. Forse atti solo a tastare il terreno. Sì, decisamente avrebbe voluto muoversi e baciarlo in barba a tutto.
    “Già.” Lo sentì rispondergli con calma. Gli occhi ancora chiusi, mentre se ne stava comodamente posato su di lui. Il suo fiato caldo a contatto con la sua pelle lasciata appena scoperta dalla maglia ebbe il potere di dargli i brividi. Di nuovo dovette imporsi di stare tranquillo. Di non pensarci. Di pensare al fatto che fosse etero e che a lui piacessero le ragazze. I loro seni morbidi ed il loro buon profumo. Ma non servì a nulla quando la voce di Violin si fece strada prepotentemente nella sua testa quando questo tossì. E fu certo di vedere qualche macchiolina rossa sul suo pugno. Lo stesso con cui si era coperto il volto.
    “Non sarai andato a vendicarmi..?” Domanda stupida. Stupida come quel sincero stupore che gli si era palesato in volto. Però era stato lui ad essere aggredito, alla fine. Sicuramente non era andato a saldare i suoi conti in sospeso. Scosse il capo riprendendo la propria espressione un po' altezzosa, passando nuovamente con l'asciugamano su un altro rivoletto di sangue che gli fuoriusciva dalle labbra.
    “Dopo quanto? Due... tre mesi? Che me ne viene in tasca? Deve avermi anche rotto un dente. Una visita dal dentista, ecco cosa mi viene, in tasca.” Sentirlo lamentarsi ebbe l'effetto di far sorridere Victor. Per orgoglio non aveva mai protestato su nulla, Violin. O forse solo per quieto vivere. Il problema era che una cosa escludeva l'altra. Dannazione. Per lui era veramente un punto di domanda, l'amico. E portò a termine anche quello che era un suo, di capriccio. Lasciò scivolare l'asciugamano sul pavimento, prendendo a carezzare il volto dell'altro senza fretta.
    “E allora perché?” Si accigliò mentre tornava a guardare il soffitto come se fosse la cosa più interessante in quel posto. Come se quella domanda gliel'avesse posta solo per rito e non per sincera curiosità o vivo interesse. O per quella preoccupazione che sapeva di amaro. Di cose mai dette. Dichiarazioni mai fatte. Sospirò, Stradivari. Incamerò quell'aria che sapeva ancora un po' del suo shampoo. E di un odore vagamente ferroso e dolciastro. Gli arrivava assieme al respiro di Violin e ben presto riuscì a rendersi conto che probabilmente si trattava di sangue. Lo stomaco gli si contrasse ancora una volta.
    “Ha scelto la giornata sbagliata per provare a derubarmi. Avevo la luna storta.” Le parole dell'altro gli arrivarono alle orecchie, ma non diede segno di averlo sentito o ascoltato. Non diede segno di essersi interessato a quella spiegazione. Non diede segno di nulla, limitandosi a restare in silenzio. Un silenzio doloroso, così come anche la mancanza di carezze sulla sua mano, ora che l'altro si era interrotto. Chiuse gli occhi, Mark, concentrandosi solamente su quella quiete che li aveva avvolti nuovamente e sul respiro del compagno di scuola ora regolare. Calmo. Profondo. Un respiro che gli carezzava la pelle, umido. E di nuovo quel maledetto sogno tornò a fare capolino, seguito a ruota dalle parole dell'altro, che non sembrava essere intenzionato a tacere.
    “Ti amo, lo sai?” Che domande stupide. Certo che lo sapeva. Ne aveva la prova tangibile lì: lo stava usando come cuscino. Che tra l'altro secondo lui non doveva stare nemmeno troppo comodo, visto quanto erano magre le sue gambe. Assolutamente prive di qualunque forma di grasso. Inoltre si stavano ancora tenendo per mano. E non ultimo... Victor non aveva smesso di carezzarlo nemmeno per un istante, passando dal suo volto ai suoi capelli bagnati. Quanto era patetico. Lo stava trattando come le sue fidanzate erano solite trattare lui. E per assurdo, gli piaceva anche. Quella mano grande e calda a stringere la sua. Quei capelli che doveva essersi tagliato, perché avrebbe potuto giurare che fino a qualche settimana prima fossero più lunghi.
    “Bel posto hai scelto, per rivangare una cosa simile.” L'aveva rimproverato con voce atona. Era sicuro che avrebbe colto quello sdegno scherzoso senza nemmeno rifletterci tanto sopra. Così come era sicuro avrebbe colto quel movimento altezzoso che aveva compiuto di proposito con il capo ad evidenziare il tutto. L'aveva accentuato. Reso meno da lui e più da ragazzina. L'aveva fatto per scherzare. Per alleggerire la tensione che era cresciuta in lui a quell'ennesima dichiarazione.
    “Beh, in questi giorni non ti ho mai visto. Devo ricordartelo ogni tanto. Altrimenti continuerai a crederti etero. E magari continuerai a pensare di odiarmi.” Di nuovo, Stradivari si ritrovò a sorridere sinceramente alle parole di Mark. Era divertente la sua sagacia. Il suo avere la battuta pronta probabilmente prima ancora che lui riuscisse a formulare la propria. Dovette ammetterlo a sé stesso: un po' lo invidiava anche per questo. Oltre che per il fatto che lui sapesse cantare meglio di lui. Non che ci volesse molto, effettivamente. Gli carezzò un ultima volta i capelli, accompagnandoli dietro al suo orecchio, prima di sentirlo drizzarsi a sedere, probabilmente riavutosi dalla precedente crisi.
    “Io non mi credo etero, lo sono. E' ben diverso. Ed è palese che ti odio.” Saccente il tono che aveva assunto. Voleva vedere quel viso serafico incrinarsi in una smorfia. Voleva suscitare una reazione degna di quel nome. Ma l'unico risultato che ottenne fu quello di vedergli un sorriso divertito in volto, mentre lui si ritrovava a storcere le labbra infastidito per non aver sortito l'effetto desiderato. Non era quella la reazione che voleva. Avrebbe accettato tutto, ma non quel sorriso di chi in realtà ha già capito tutto. Anche quello che Victor stesso stava ancora cercando di accettare. Si avvicinò appena con il volto al suo. Era da prima che voleva baciarlo e si rese conto di quanto stupido avrebbe potuto dimostrarsi. Di quanto stupido fosse a voler negare ancora l'evidenza dietro a quella maschera sdegnata.
    “Non dirmi queste cose mentre siamo mano nella mano, e tu hai il tuo viso ad un soffio dal mio.” Quell'espressione, sul viso di Violin, non l'aveva mai vista. C'era malizia. C'era sicurezza. C'era una noncuranza così ovvia e scontata  che lo lasciò interdetto per qualche istante. Avrebbe voluto rispondergli che non era il suo viso, ad essere ad un soffio da quello dell'amico, bensì il contrario. Ma sarebbero arrivato ad un punto morto, perché era sicuro che sarebbe seguita una battuta come “punti di vista”. O qualcosa che ci si sarebbe avvicinato troppo. E quasi sicuramente Mark se ne sarebbe andato lasciandolo lì, seduto a terra, con uno sguardo da stoccafisso ed una voglia matta delle sue labbra. No. Non avrebbe permesso agli eventi di prendere una piega simile.
    “Ci sono tanti modi per odiare. E tanti altri per dimostrare il proprio odio. Per esempio... potrei fingere di starci e poi abbandonarti qui come una puttanella.” Gliel'aveva detto buttandoci dentro tutta l'acidità di cui era capace. L'aveva detto ad un nulla dal suo viso. I loro nasi che si sfioravano appena ed i loro respiri che trovavano intreccio l'uno nell'altro. Doveva pazientare solo qualche altro istante. Se la risposta non fosse stata quella giusta, in barba al proprio desiderio, si sarebbe allontanato lui. Non era disposto a star male per scelta d'altri. Per propria, già di più. Abbassò un poco le palpebre sollevando però gli occhi su quelli chiarissimi dell'amico, chiusi per dar spazio ad un sorriso che coinvolgeva tutto il volto.
    “Colpito ed affondato. Ma tu non lo faresti...” No, era vero: non lo avrebbe mai fatto. In compenso si era sporto ancora più in avanti annullando qualunque distanza tra loro. Dio, quel bacio. Era stato come una liberazione. Una dichiarazione. La più limpida e sincera che avesse mai fatto. Una dichiarazione all'altro, ma soprattutto a se stesso. Sapeva che Violin non gli avrebbe chiesto il perché ed il per come di quel gesto. Sapeva che aveva già capito da cos'era scaturito. Sapeva e probabilmente, visto com'era rimasto coinvolto da quel contatto, accettava di buon grado. Sapeva anche che non ci sarebbero più stati quei “ti amo” un po' troppo invadenti, quando detti a mezza bocca durante le ore che passavano assieme nella stanza dell'uno o dell'altro per studiare. O quei “sono innamorato di te” sussurrati appena per fargli capire quanto veritiere fossero i sentimenti dell'uomo. Però ci sarebbero stati quei baci. Gli abbracci. Le carezze fatte di nascosto, sotto un banco. Il ses... poteva chiamarlo “amore”? E quella mano che cominciava a carezzargli l'interno coscia, lasciato scoperto in buona parte dai soli boxer che portava, unita alla dura battaglia intrapresa dalle loro lingue, richiamò fin troppo velocemente a galla il sogno di quella notte, facendolo sussultare e distaccarsi da quelle sensazioni che lui stesso aveva innescato. Si sollevò in piedi velocemente, senza aggiungere altro, prendendo a dirigersi rapidamente verso la propria stanza, sbattendo praticamente la porta del bagno in faccia a Violin. L'erezione che premeva dolorosamente contro il tessuto dell'intimo. Ottimo. Davvero un ottimo inizio giornata, visto che ormai l'orologio segnava le 5.45 della mattina. E lui aveva appena ammesso a se stesso di essere terribilmente infatuato -innamorato- di Violin. Davvero fantastico!















Angolino autrice <3
Sono piuttosto di fretta, perché ho una cuginetta recalcitante che mi reclama alla sua festa di compleanno X°D
"Perché i miei 7 anni sono importanti e ti voglio qui!" Ecco come mi ha incastrata =_="

Passo alle recensioni velocissimamentissimamente!
_BritinLover_ Felice che lo scorso capitolo ti sia piaciuto! Non ho resistito a far fare una brutta figura a Vic. D'altronde, se devo smontare il suo super-ego smodato, dovrò pure inventarmi qualcosa! XD Meglio comunque farsi la bua precipitando sulle scale, che in altri modi v_v Mark vuole provocarlo, e lo fa fin troppo bene <3 Lascia intendere cose che però chissà se troveranno un lieto fine o meno *dissente esasperata con la testolina*. Spero ti piacerà anche questo capitolo! *-* Baciotti :*

_Nana Swan_ Vic non lo ammetterà mai e poi mai v_v Però anche lui avrà qualche piccola soddisfazione, da qui in avanti v_v Chissà perché ma sono anche io dello stesso avviso X°D Certo che se lo vuole mangiare v-v Felice che il capitolo ti sia piaciuto ^w^ Spero apprezzerai anche questo.

_Nigai Airisu_ Sono felice che qualcuno abbia preso la palla al balzo. D'altronde le provocazioni servono proprio a questo, no? :) Anzitutto ti ringrazio per la recensione, seppure questa sia stata negativa. Come ho già detto precedentemente, è un modo per crescere. Ti ho già scritto per PM per evitarti una figura poco carina riguardo all'unica cosa che non mi è andata giù della recensione e che però qui non riporterò. Purtroppo hai avuto la sfortuna più unica che rara di imbatterti in una studentessa di lingue orientali. Capita XD Tu parli di congiura diretta per mettere in crisi Vic. Da un certo punto di vista può anche essere visto così XD Ti assicuro che mi diverte molto metterlo in crisi e prendermi gioco di lui proprio per il carattere che gli ho creato XD E' talmente arrogante ed altezzoso, che prenderlo in giro è veramente una goduria! Inoltre, più avanti nella storia si capirà che forse non è stato nemmeno tanto messo in crisi, quanto piuttosto messo davanti ad una realtà lampante a tutti e non a lui (SPOILER °-°) *-* Passando invece al background dei personaggi... solitamente per crearne uno, tendo ad utilizzare argomenti che io stessa conosco. Il mio migliore amico è stato adottato. Mia nonna è malata di cuore. Una mia amica molto cara ha attraversato gli stessi problemi di Axel (obesità, droga, anoressia...). Seppure lei sia etero ._. (ma sorvoliamo XD) Mi rendo conto che forse, messi tutti in una stessa storia, possano suonare un po' pesanti, ma sono state scelte più che calcolate. Non mi piace buttare lì le cose senza pensarle :)
Per quanto riguarda al tuo pensare ci sarebbe stata una sfida, rimpiango anche io di non averla inserita all'interno della storia. E' anche vero che si tratta del mio primo yaoi originale, quindi volevo prendere la dimensione delle cose ^w^ Inoltre avrei dovuto stare entro un tot di pagine che in realtà ho sforato allegramente di 9 °-° e quindi, tra la sfida e la relazione amorosa, ho preferito prediligere la seconda u_u (scelta tattica, anche questa xD) Mi pare di aver chiaritto tutto ._. Sono felice che almeno tu non abbia avuto da ridire sul mio modo di scrivere XD Quello sarebbe stato davvero un colpaccio, altrimenti XD Alla prossima :)

_My Pride_ Complimenti a te, tesora! *-* Un primo meritatissimo! *-* Come mi è stato fatto notare, temo che la vicenda sia un po' piatta ç-ç Spero che si riprenderà con i prossimi capitoli, che in realtà sono quelli che preferisco =P Felice di essere riuscita a strapparti un sorriso e spero vivamente che tu sia guarita, nel mentre ç_ç Su, su... che adesso comincio io a lacrimare con i pollini svolazzosamente svolazzanti T^T Spero che questo capitolino ti piacerà ^w^ Un bacione :*****

_Yuko Chan_ Eccoti l'evoluzione del rapporto! X°D Sì, più o meno Vic si è messo l'anima in pace, come puoi ben vedere =P Quella canzone canticchiata vuol dire tante cose. Davvero tante tante, ma purtroppo Vic è ancora troppo "immaturo" e non riesce a capirle. Chissà se le realizzerà, più avanti? Il capitolo è di transito, sì, perché adesso arriva la parte più fluffosa e romanticosa, ma anche quella un po' più impegnativa verso la fine v_v Sì, perché questo capitolo sancisce la metà della storia! *_* :9 Spero che ti piaccia anche questo capitolo ^w^ Un bacio :***

_NonnaPapera_ Pensavo ti fossi dimenticata di me T^T Sì, Vic geloso è adorabile *-* In realtà questo pezzettino me l'ha suggerito quel cagnolino coccolosissimo che è Andy X°D E che ha preteso un posticino nella storia X°D Più che una serenata, questa canzone ha tanti significati, ma verranno spiegati a tempo debito :3

Grazie anche a tutti coloro che leggono :)
Una recensioncina ci sta sempre bene, eh! X°D


Un bacio
Herì

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Capitolo 9
*** 8. Hai mai visto la pioggia scendere in un giorno di sole? ***


8. Hai mai visto la Pioggia scendere in un giorno di sole?

I'll top the bill!
I'll overkill!


    “Corri! Corri! Corri!” Se c'era qualcosa che Victor Stradivari odiava più di una stonatura commessa nell'esecuzione di un brano, o di Mark Violin fino a qualche settimana prima, era certamente la pioggia. Banalmente la detestava per il sentimento di malinconia che riusciva a suscitare in lui. Ma quel giorno aveva veramente raggiunto il limite di sopportazione. Era il primo maggio. Giorno sacrosanto per lui. Nessun corso al conservatorio e lui avrebbe potuto godersi una giornata in santa pace. Nessun coprifuoco ridicolo che gli imponesse di far ritorno per le 22.00 al dormitorio. Nessuna rissa da compiere in mensa per accaparrarsi una porzione ancora decente della sbobba che indecentemente definivano “pasto”. La sua giornata ideale. Il suo spicchio di paradiso in quei nove mesi di scuola. Era troppo richiedere un po' di sole? Sì. Evidentemente sì.
    E così, lui ed il suo ragazzo si erano ritrovati a correre per tutto Hide park alla disperata ricerca di un rifugio per quell'acquazzone che li aveva colti nel bel mezzo di una passeggiata per il parco. Davvero fantastico. Di quando in quando, tra un grugnito ed un altro, lanciava qualche occhiata a Violin che lo precedeva tenendogli stretta la mano destra. Ed ogni volta che lo sguardo gli cadeva in quell'intreccio di dita, non riusciva a non pensare al giorno in cui l'altro l'aveva salvato dal barbone che voleva derubarlo. Temeva per lui. Temeva per quel cuore che più di una volta, aveva sentito lamentarsi. Schiuse le labbra per ribattere qualcosa agli incitamenti dell'altro, ma un gazebo apparve davanti ai loro occhi come fosse un miraggio. Non fece nemmeno a tempo a focalizzarlo, che Violin ve lo spinse dentro, ansante. Stradivari dovette considerare che da un po' di tempo a quella parte, l'altro mostrava sempre più frequentemente segni di affaticamento, dopo uno sforzo fisico. Non avevano percorso una grossa distanza, eppure Mark era piegato in due, con le mani posate sulle ginocchia a fornirgli una stabile impalcatura al busto, ed il respiro affannato ed accelerato. Irregolare. Prendeva lunghe boccate d'aria e le risputava fuori come se ad ogni espirazione stesse per rigettare anche l'anima e non solo l'aria che assimilava. Era pallido, tra l'altro. Un pallore che non si sarebbe dovuto presentare sul volto di una persona che aveva appena compiuto uno sforzo. Quelle constatazioni gli fecero male. Tra tutte le persone di cui poteva innamorarsi, proprio di un malato di cuore? Strinse con più forza la mano dell'altro, costringendolo quasi a guardarlo, con quel gesto.
    “Non dovresti affaticarti così, scemo.” L'aveva detto senza guardarlo in volto. Concentrato com'era nell'osservare... il nulla. Fissava quelle goccioline che insistenti scendevano dal celo e dai suoi capelli. Non aveva il coraggio di guardarlo in faccia quando stava male. Troppo codardo, Victor. Di Violin gli piaceva quella testarda forza che non veniva mai meno, se non in quei rari momenti. La stessa forza che gli faceva così paura, perché sapeva, poteva soverchiarlo quando e come voleva. Non gli rispose però, l'uomo, limitandosi ad indietreggiare maggiormente verso il centro della costruzione di legno. Lì dove nemmeno quel leggero venticello poteva portare la pioggia, protetto anche dai rampicanti che creavano una barricata attorno ad alcune pareti del gazebo. Il violinista lo seguì senza fare storie, limitandosi a mantenere quell'espressione seria con la quale l'aveva rimproverato poco prima.
    “Non trovi che la pioggia sia meravigliosa?” Mark glielo chiese con quel tono e quella calma che ogni volta avevano la capacità di stordirlo per qualche istante. La voce che, come ogni volta suonava incolore, tanto da apparire fredda. Stradivari sollevò le spalle indifferente, alzando però lo sguardo sul volto del compagno, studiandolo per trovare un qualche sentimento. Nonostante fosse decisamente più aperto di lui nel dimostrare i propri sentimenti a parole, quando a mancanza di espressioni, loro due facevano davvero a gara.
    “Per nulla.” Lo liquidò sollevando un sopracciglio e stringendogli maggiormente la mano. Un gesto fatto senza pensarci, prima di avvicinarsi all'altro di un passo per cogliere il calore del suo corpo. Gesto inutile visto che erano entrambi fradici e che le loro camice erano diventate tutte appiccicose a causa dell'acqua. Victor avrebbe potuto giurare che Violin gli avesse fatto una sorta di radiografia in quel momento, lasciando scorrere lo sguardo per l'intera lunghezza del suo corpo. Non che lui si fosse risparmiato. Quella camicia nera che gli fasciava il torace e quei pantaloni bianchi che si tingevano appena di un pallido marrone quando si attaccavano alla pelle delle gambe. Ben poco lasciavano all'immaginazione di quel fisico asciutto e scolpito.
    “Come sei poco romantico. Come le conquistavi le tue fidanzate?” Violin l'aveva avvolto con le braccia appoggiando il mento sulla sua spalla ed il capo contro il suo, strusciandovi un poco contro. Un gatto ruffiano:ecco cos'era. La sua voce che si era colorata di una nota ironica. Divertita. E Victor si era sentito preso in contropiede. Risultava imbranato? Impacciato? Certo, era la prima volta che usciva seriamente con Mark. Ancor di più perché quello era il loro primo appuntamento nel vero senso del termine.
    “Con quello...- 'Che ho nei pantaloni.' Aveva concluso la propria frase mentalmente, storcendo le labbra per nulla convinto. Non gli sembrava il caso di essere così smaliziati con il ragazzo. Non aveva ancora capito fino a che punto poteva spingersi con le battute. Qualche giorno prima, con una frase un po' troppo... osè... aveva rischiato di finire nelle sue grinfie senza alcuna preparazione a livello psicologico. Non che non gli fossero piaciute le sue coccole, ma da lì a finirci a letto: non si sentiva ancora pronto. Decisamente. No. -Non le conquistavo... erano loro ad offrirsi gratuitamente a me.” Si limitò a fornirgli quella risposta piuttosto blanda seppure veritiera. Lui non si era mai fatto avanti con una qualsivoglia ragazza di quelle con cui era stato. Né si ricordava di essersi nemmeno mai innamorato o di aver mai provato interesse per nessuna delle loro compagne. Per lui c'era la musica. C'era sempre stata. Ore estenuanti di prove passate sugli spartiti e con il violino in mano.
    “Nah... probabilmente quell'aria da bello ed impossibile fa colpo su tutte.” Scherzò andando a lanciare un'occhiata ad una coppietta che, come loro poco prima, stava correndo sotto la pioggia alla ricerca di un riparo decente. Victor si irrigidì contro il petto del compagno certo che, nonostante la possibilità di essere visti, quello non l'avrebbe lasciato andare.
    “Anche su di te?” Aveva palesemente finto un'ingenuità che non gli apparteneva in quello sfarfallare delle sopracciglia con il quale aveva accompagnato quel quesito. Era però sinceramente curioso di sapere cos'aveva attratto l'altro. Sicuramente non poteva essere il suo fisico. Secco come un'acciuga, seppure i tratti del suo viso fossero, era innegabile, decisamente piacenti. Sbirciò di sottecchi il ragazzo, cogliendo perfettamente il suo profilo irregolare. Sul naso faceva mostra di sé una piccola gobba che talvolta celava sotto gli occhiali da lettura.
    “Ehi, io parlavo per il gentil sesso. Va bene omosessuale, ma ancora la mia virilità e la difendo.” Sorrise con tutto il volto, Mark. Gli occhi che si chiusero sotto il peso delle ciglia lunghe seppure chiarissime. Le labbra incurvate in una piega morbida e piena. Si tendevano appena in quel sincero divertimento che si poteva evincere anche dalla voce del musicista. Storse il naso invece, Victor, decisamente contrariato dalle sue parole.
    “Mi stai dando della 'donna' della coppia?” Gli scoccò un'occhiata che nulla aveva di affettuoso o di qualche sentimento correlato. Tutt'altro. Aveva cercato di apparire il più stizzito possibile. Ed aveva evidenziato il tutto quando aveva sentito Violin ridere divertito, di nuovo. Già. Sicuramente tra loro, era lui quello più bravo a dimostrare le sue sensazioni. Nel mentre, la coppietta che avevano visto correre sotto la pioggia si era avvicinata al loro rifugio, accorgendosi della presenza dei due violinisti solo una volta arrivati nei pressi del gazebo. Dall'apparenza dovevano avere sì e no sedici anni a testa. Forse la ragazza era più piccolina. Fu un singolo sguardo quello che si scambiarono Victor e Mark, quando colsero le occhiate allibite che i due ragazzini gli avevano rivolto nel coglierli in quella posizione fin troppo equivoca -o esplicita?-. Sogghignò Stradivari nell'osservare la coppietta per un brevissimo istante, prima di avvicinare il volto a quello del compagno per posargli un bacio a fior di labbra. Bacio che venne ampiamente ricambiato dal ragazzo che per tutta risposta l'aveva stretto maggiormente a sé.
     La coppietta era corsa di nuovo via sotto la pioggia tra un “blea! Hai visto che schifo?”. Ed un “ho visto sì. Peccato. Erano entrambi due bei ragazzi.”. Per poi completare in bellezza con l'unica affermazione che riuscì a colpire davvero Victor. Tanto che incassò leggermente il capo nelle spalle. “Maledette checche.”. A Stradivari scappò un sorriso ironico. Lui aveva visto centinaia di volte Axel baciare dei ragazzi davanti a lui e non aveva mai reagito in quel modo. Mai gli aveva dato della “checca” o del “frocio”: immaginava quanto potesse dar fastidio. Tanto più che li trovava termini terribilmente offensivi. Forse aveva influito il fatto che il pianista fosse il suo migliore amico. Probabilmente aveva influito il fatto che anche lui si fosse riscoperto capace di amare una persona del suo stesso sesso. Tornò ad osservare Mark che per un istante gli era sembrato svilito dal suo gesto.
    “Avresti potuto fare a meno.” Glielo disse cercando di sciogliere quell'abbraccio con cui tratteneva il compagno con risultati a dir poco disastrosi: Victor gli stava trattenendo entrambe le mani e non sembrava intenzionato a sciogliere quel contatto tra il suo petto e la sua schiena. Si era stretto maggiormente a lui, addirittura, mantenendo quell'espressione fredda e scostante, mentre con gli occhi seguiva la fuga dei due ragazzini.
    “No. Non avrei potuto...” La risposta di Stradivari lasciò per qualche istante interdetto l'uomo. Era stato distaccato in quella breve frase. Così come in quell'allontanarsi lentamente da lui, finalmente, tornando a guardarlo in volto con rammarico. Mark sorrise afferrandogli una mano.  
    “Ho capito.” Articolò semplicemente, Violin, senza dare alcuna voce a quell'affermazione. Lasciò solo alle labbra il compito di darle vita, senza però la forza di aggiungere un suono a quelle parole. Strisciò lentamente con il naso sul suo capo, aspirando lentamente il suo odore. Sapeva ancora un po' di quel bagnoschiuma che occupava il loro bagno. Quell'odore tanto familiare. Gli carezzò lentamente un braccio più e più volte, lasciando cadere solo il silenzio tra loro. Silenzio interrotto solo dal ticchettare delle gocce di pioggia sulle foglie che facevano loro da tettoia.
    “Oi. Da quant'è che sei innamorato di me?” Gli chiese ad un certo punto, Victor. Gli parlò con voce bassa, quasi avesse temuto fino a quel momento di spezzare qualcosa con il suo aprir bocca. Aveva fatto indietreggiare il capo fino a posarlo sulla spalla del compagno, inclinandolo un po' verso un lato per baciare il collo del ragazzo.  Lo sentì mugugnare parole indefinite che avevano però il suono di una protesta, da quel che aveva potuto cogliere.
    “Troppo.” Respirò profondamente, Violin, per imporsi una buona quantità di autocontrollo. Gli ci sarebbe voluto davvero poco a spogliare il ragazzo e prenderselo lì, in pieno Hide Park. Nella posizione in cui stavano poi. E vista la piega che aveva preso la giornata, probabilmente non sarebbero nemmeno stati scoperti. Fece scendere senza particolare fretta una mano lungo il torace di Victor prima, per poi passare lentamente sopra il suo ventre, scivolando in fine nuovamente verso l'alto. Questa volta sotto la felpa che indossava questi. Questa volta pelle a contatto con pelle. Non si stupì però, che dopo il primo momento di abbandono, l'altro si fosse riscosso improvvisamente e si fosse allontanato, inarcando in avanti la schiena come un micio sulla difensiva.
    “Non è una risposta adeguata.” Stradivari aggrottò le sopracciglia, ammonendolo con quelle parole. Aveva un'espressione corrucciata e le braccia incrociate contro il torace. I capelli tirati su in puntine disordinate per l'occasione, ricadevano invece corti e scompigliati, afflosciati sul suo capo. Scosse la testa come a volersi liberare di quelle ciocche fastidiose. Ciocche che però non avevano la minima intenzione di lasciargli libero lo sguardo, incorniciando in sottili ombre la figura del suo interlocutore.
    “Non hai fatto una domanda adeguata.” Ribatté Mark passandosi la lingua sulle labbra per pulirle dei residui di pioggia e per cercare ancora il sapore del bacio che si erano scambiati poco prima. Quel bacio che sapeva di ammissioni. Di tentativi andati a vuoto. Di una spontaneità appena scoperta. E non poté fare a meno di sorridere quando colse l'occhiata in tralice che aveva ben pensato di rivolgergli il suo ragazzo. Non si sarebbe però aperto: non era il momento. Gli si avvicinò di nuovo, sbuffando rassegnato. Se l'era scelto, alla fine.
    “... Violin... senti... perché io..?” Era stato nuovamente Victor ad interrompere il silenzio tra loro. L'aveva fatto voltandosi completamente verso il compagno, seppure lo sguardo si tenesse ostinatamente a distanza da quello del ragazzo. Sapeva cosa stavano a significare quei gesti, il violinista. Uso a leggere quei comportamenti ormai da tempo. Molto di più di quanto il ragazzo non potesse immaginare. Erano poche le volte in cui l'orgoglio di Victor Stradivari cedeva. Ed una di queste era quando si trovava in serie difficoltà, proprio come in quel momento. Quella relazione così inusuale e fuori dall'ordinario che li vedeva coinvolti, era per lui fonte di imbarazzo. Fortunatamente tale sentimento non era affatto negativo. Sembrava piuttosto l'imbarazzo di un bambino davanti a qualcosa di nuovo. Di inesplorato. Sì, decisamente avrebbe desiderato farlo suo in quell'esatto istante.
    “Perché non avrebbe potuto essere altrimenti.” Aveva seguito anche lui l'indirizzo dello sguardo dell'altro, seppure di quando in quando sbirciasse in sua direzione per cogliere le sue occhiate oblique. Si divertiva a restare sul vago. Sapeva quando potesse dare fastidio all'altro ed in qualche modo gli dava ancora la possibilità di avere un margine su di lui. Di tenerlo legato a sé. Era certo che non l'avrebbe lasciato in pace almeno fino a quando non avesse ottenuto delle risposte.
    “Non ti seguo. Anche questa non è una 'domanda adeguata'?” Stradivari quelle parole letteralmente le sbuffò assottigliando nervosamente il taglio di quegli occhi castani. Non gli piaceva quel gioco. Non gli piaceva non ottenere le risposte che voleva, nei tempi che voleva. Ed il suo ragazzo era tremendamente bravo a non fornirgliele quando e come lui desiderava. Picchiettò un piede a terra indispettito prima di venir avvolto a tradimento dalle braccia dell'altro, arrossendo fino alla punta degli orecchi. C'erano tante cosa che effettivamente ancora non aveva capito di Violin. Così come c'erano tante sensazioni cui non sapeva ancora dare un nome e che lui gli provocava. Ma banalmente, la più scontata di tutte era anche quella che lo lasciava maggiormente interdetto: ogni volta che il suo corpo registrava un contatto tra di loro, lui si sentiva avvampare. E doveva ammetterlo... gli piaceva.
    “Già. Torniamo al conservatorio. Non mi sembra il luogo adatto per parlare. Inoltre sei zuppo” Considerò Violin, lasciando scorrere le mani lungo la schiena dell'altro che, come da programma, prese ad agitarsi come un'anguilla.
    “Staccati! Sei peggio di una piovra!- Protestò Victor, afferrandogli le mani e dedicandogli uno sguardo truce. Per poi lanciare rapide occhiate a destra e a manca, come a volersi assicurare che nessuno avesse assistito a quella manifestazione d'affetto decisamente troppo libera per i suoi gusti.  -Cos'è? Sarebbe troppo compromettente parlarne qui?” Domandò in fine, soffermandosi nuovamente sul volto di Violin con lo sguardo. Quell'alterigia che lo contraddistingueva ancora lì, nei suoi occhi. Ancora quella forza e quell'orgoglio testardo che all'altro piacevano tanto. Quel carattere così adorabilmente scontroso che traspariva in tutta la sua forza condensato in quel viso chiaro e dai tratti regolari. Si abbassò appena a mordere la punta del naso di Stradivari spinto leggermente all'insù. Non c'era un grosso divario di altezze tra di loro, ma il fatto che il compagno fosse tanto più esile di lui gli faceva venire ancor più voglia di farlo indispettire con le sue coccole.
    “Già. Troppo compromettente.” Gli rivolse un sorriso sfrontato, Mark, mentre si allontanava di qualche passo da lui, godendosi quel rossore che imporporava vivace le guance dell'altro.

    Il piccolo teatro che poteva vantare la Monteverdi a Victor era sempre piaciuto. Era piuttosto austero, ma aveva una solennità tutta particolare che solo in pochi potevano cogliere. Le poltrone erano di un bel velluto blu, comode e morbide al tatto. Ricordava che le prime volte che aveva messo piede in quel luogo, aveva passato il tempo a scandire le battute della musica picchiettando su quel tessuto che non permetteva alle sue piccole dita di emettere rumori. Una volta cresciuto, invece, aveva cominciato ad amarle come nascondiglio quando saltava qualche lezione. O ancora, quando ai noiosi saggi di fine anno era costretto ad andare lì ad ascoltare le esibizioni dei suoi compagni. Allora divenivano un caldo abbraccio attorno al suo corpo che, latteo, risaltava contro il cupo colore dello schienale.
    “Siediti.” Gli era parso strano l'invito di Mark ad accomodarsi su uno di quei bei sedili reclinabili in prima fila, mentre lui si dirigeva agli scalini che davano accesso al palco. Inghiottito poi dai tendaggi. L'aveva sentito imprecare qualcosa dietro le quinte sul fatto che i sipari non si muovessero mai come voleva e poi finalmente quelli si erano aperti, svelando un pianoforte al centro esatto della pedana. Osservò sorpreso lo strumento, Stradivari. Lo fece con l'espressione più ingenua del suo repertorio senza nemmeno accorgersene. Le labbra leggermente dischiuse e gli occhi sollevati verso il piano, prima e verso Violin che faceva la sua entrata trionfale sul palco, poi. Osservò l'uomo a lungo, come chi non riesce a spiegarsi qualcosa. In tacita attesa e con aspettativa. E si sorprese di non provare più quell'invidia bruciante a livello dello stomaco. Si sorprese nel cogliere quel limpido imbarazzo che traspariva dai movimenti morbidi, ma forse un po' troppo automatici, del corpo dell'altro.
    Quando Mark sollevò la copertura dei tasti del pianoforte, Victor sembrò perdere qualunque interesse nel porre domande di qualunque genere. Si accomodò meglio contro quel tessuto morbido ormai pregno dell'umidità dei suoi vestiti, fregandosene dell'impronta che l'acqua avrebbe lasciato. C'era sacralità in quel momento. Una solennità che lui non avrebbe interrotto poiché la conosceva e la sentiva sua come un'amante che ha imparato a conoscere tutto del corpo dell'amato. Una strana elettricità nell'aria che partiva dal punto esatto in cui si trovavano il musicista ed il suo strumento. E nel momento stesso in cui il pianista ebbe sfiorato i primi tasti d'avorio ed ebano, vi fu quasi un'onda. La sensazione della risacca all'interno di ogni fibra del corpo di quell'unico spettatore che era il violinista. Ogni nota. Ogni battuta. Ogni passaggio. Li sentiva vibrare in sé come se lui fosse una delle corde picchiettate dai martelletti. Come se quella melodia così abbacinante potesse avvolgerlo completamente e farlo divenire parte di sé. Non si rese nemmeno conto di aver chiuso gli occhi. Ma lo sentì fin troppo bene il pizzicare delle lacrime a contatto con le palpebre. Troppo. Troppo. Troppo dentro di lui. Troppe cose stavano nascendo da un sussurro. Troppe cose stavano prendendo voce assieme all'incrementare del ritmo. E capì finalmente. Capì la differenza profonda tra sé ed il compagno. Lui suonava per sé stesso. Per arrivare ad una perfezione che avrebbe potuto sbalordire gli altri. La tecnica impeccabile che l'aveva portato dov'era. La stessa tecnica che era come lui. Tenace ed altezzosa. Intoccabile nel suo sapere di essere priva di imprecisioni. Frutto di ore ed ore di prove e di una dose di talento che effettivamente no, non guastava. Ma Violin. Violin suonava per sé e per gli altri. Un po' più sporco a volte nelle esecuzioni. Ma lui sapeva dare vita alle note che suonava. Dava loro davvero vita. Sembrava che le accudisse come piccoli germogli che subito dopo fiorivano con prepotenza, per poi appassire lentamente, dando il tempo all'uditorio di farle sue. Di fruire di quello spettacolo magnifico per poi rimpiangerlo, seppure con il cuore ricolmo di tale magnificenza. Quando Victor riaprì gli occhi e li portò sul musicista, si chiese se quelle magie Violin potesse farle a causa del poco tempo che gli restava da vivere. Se donando così tanto di sé agli altri, sperava che non l'avrebbero dimenticato. Che quella briciola -seme- che lui aveva lasciato nei cuori di coloro che l'avevano visto esibirsi o solo l'avessero incontrato, non sarebbe mai stata gettata, ma li avrebbe aiutati a portarlo con sé. 
    Si alzò lentamente dalla poltroncina sulla quale era seduto, cauto, per non far troppo rumore. E si arrampicò passo dopo passo, sulla scaletta che avrebbe condotto anche lui sul palco, inveendo mentalmente contro questa ad ogni singolo scricchiolio. Gli occhi posati sul profilo di Violin che sicuramente si era accorto di lui e dei suoi movimenti, visto quel sorriso leggero che gli era nato sulle labbra, ma che comunque andava avanti con la sua esecuzione. Era bello. Bello da rasentare la perfezione. Lui. Lì. Sotto la luce fredda dei riflettori che lo facevano risaltare come una statua di bronzo. Ed in quel momento era suo. Ricordò che il nome “Marco”, in lingua italiana, significava “Sacro a Marte”. E Mark sembrava veramente essere stato consacrato ad un Dio. Avrebbe potuto  essere davvero figlio del Dio della Guerra, con quella forza tenace e quel fisico scultoreo, e di una delle tante muse citate nel panteon Ellenico, con quella poesia che sapeva creare quando suonava un qualunque strumento. Sentì quasi di aver colto la parte più intima e segreta del compagno. “Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi suonare. Loro sono 88, tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere.” Se in quel momento avesse potuto, probabilmente Victor avrebbe baciato l'uomo che aveva scritto quelle parole. Com'era dannatamente vero. Osservava le mani di Violin scivolare su quegli 88 tasti maledetti pregando qualunque divinità conosciuta per essere toccato con la stessa -sensuale- intensità. Con la stessa lentezza. Con la stessa forza. Con la stessa ponderata sapienza e minuzia. Con la stessa... brama? Voleva vivere la musica così come la viveva Mark. Con la stessa decisa intensità. Con la stessa disperazione con cui si stava aggrappando a quell'unico strumento che gli consentiva di esprimersi a pieno. Indugiò giusto il tempo di un sospiro, prima di avvicinarsi a Violin e sedersi con la schiena posata alla sua, sullo sgabello rettangolare. “Ti amo.” “Ti amo”. Non era nemmeno riuscito a contare quante volte quella musica potesse averglielo ripetuto. Dolce e leggera. Avvolgente come un abbraccio caldo. Eppure forte. Dotata di una tenacia che era quasi disperazione. Lasciò intercorrere qualche breve istante, quando Violin cessò di suonare. Gli occhi chiusi a cogliere quelle ultime note che si disperdevano lontane da loro.
    “Rende meglio con il piano.” Aveva commentato cercando con il capo l'appoggio della spalla del compagno, posandovelo contro. Ed aveva sentito l'altro sorridere, nonostante non lo stesse guardando. Perché nonostante all'inizio avesse pensato che il sorriso dell'uomo fosse qualcosa di raro, presto si era accorto che era decisamente più frequente dei suoi. Si era reso conto che quel sorriso si potesse davvero sentire. Dal leggero sbuffo che emetteva con il naso quasi a voler soffocare le risate. Dall'aura ingentilita che si poteva avvertire attorno a lui.
    “L'ho composta perché sia suonata a pianoforte.- Aveva specificato Mark, volgendo il viso verso il suo e picchiettandogli la tempia con un dito, infastidendolo di proposito. Si stupirono entrambi del gesto di Stradivari, che si sporse un poco di più per riuscire ad afferrare quel dito con la bocca, inumidendolo con la lingua. -Vic..?” Aveva indirizzato ad Violin uno sguardo illanguidito, quando questi l'aveva richiamato, rilasciandolo nell'immediato. Aveva abbassato gli occhi preda ad un insolito imbarazzo e si era alzato di scatto, serrando con forza le labbra tra loro.  Si sentiva una ragazzina impacciata, in quel momento. Patetico. Scosse il capo con foga, volgendosi nuovamente verso l'uomo. Voleva fare sesso con lui. No. Voleva fare l'amore con lui. Sospirò pesantemente dal naso, avvicinandosi di nuovo con lentezza, portandosi davanti al compagno di scuola, chiuso in quel silenzio testardo ed ostinato. Intellegibile. Chiuse senza fretta la copertura dei tasti del pianoforte protendendosi nel mentre in avanti per baciare Mark, che accettò con curiosità piuttosto che con desiderio, quel primo contatto. “Ma se tu, ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai, e questa è la verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita... Se quella tastiera è infinita, allora su quella tastiera non c'è musica che puoi suonare. Tu sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio” Avrebbe voluto essere quel Dio, in quell'esatto istante. O meglio... si sentiva Dio. Colui che solo poteva creare quell'attimo assieme all'altro ed esserne il completo padrone. Si ritrovò seduto sopra il pianoforte, con Violin che gli toglieva la felpa con urgenza. Quasi con incredulità. Ci aveva già provato un paio di volte a farlo suo, venendo però brutalmente stroncato da Victor. Non si sentiva pronto. Tutt'altro. Quando ci avevano provato la prima volta, si era sentito tremendamente impotente. Tanto che  si era ritrovato a tirargli un pugno fin troppo forte nello stomaco. In un'altra occasione, gli aveva chiuso la porta della sua stanza davanti al volto con una foga decisa e nervosa. Ripensandoci a mente lucida, si era comportato come quella che volgarmente avrebbe definito una “checca isterica”. Poco confortante, come cosa. Decisamente. Si tese contro il corpo del musicista, ritrovandosi a sorridere tra sé e sé per nulla, quando questi lo spinse un poco più indietro con il busto.
    “Ehi, Mark... guarda non sono Jiulia Roberts.” Probabilmente fu un modo come un altro per alleggerire la tensione. Stradivari se ne uscì così. Con quella battuta un po' ironica, che portò Violin a sorridere contro il suo collo già segnato da qualche visibile marchio rosso. Lo sentì strusciare il naso contro la pelle fine ed ipersensibile a causa delle scariche di adrenalina che correvano all'interno del corpo del violinista.
    “Infatti mi stavo immaginando Richard Geer.- Ribatté prontamente l'uomo, lasciando scorrere le mani lungo la schiena del ragazzo, soffermandosi lì, sull'elastico dei boxer. Tracciò con le dita la vita secca di Stradivari, risalendo poi con moderata calma, fino ad afferrargli una manciata di capelli castani dietro la nuca, per fargli reclinare il capo all'indietro. Morse lì dove sporgevano le ossa delle clavicole, facendosi avanti poi sul suo torace serico. Troppo magro. -Ma tu sei decisamente più invitante.” Giocherellò con i suoi capezzoli. Con la bocca e con le mani. E fu una sensazione strana per Victor. Era stato con delle ragazze. Tante. Fin troppe. Era stato diverso, il sesso, con loro. Se ne rese conto, e gli venne quasi da ridere. Quell'emozione. Quella paura. Quel riuscire a tendersi verso l'infinito e l'ignoto. Non era mera curiosità, ma meraviglia. Si sentiva quasi un bambino alle prese con qualcosa di sconosciuto. E si rese conto che qualunque cosa veniva cancellata da un singolo tocco di Mark. Qualunque bacio non avesse toccato le sue labbra svaniva. Tutti i corpi che aveva sentito sotto di sé, lasciavano posto a quello uniforme e forte del musicista.
    “Idiota...” Più che un'affermazione, suonò come un rantolo. Come l'aveva immaginato poco prima, quando osservava le mani dell'uomo muoversi sulla tastiera del piano, ebbe la sensazione di fondersi. Di sciogliersi e divenire lui stesso quei tasti. E in lui ce n'erano milioni. Miliardi. Un'infinità che non aveva nome. Ed ogni stanghetta d'avorio ed ebano veniva sapientemente sfiorata da Violin con la giusta intensità. Doveva avere esperienza, si rese conto. E non poté fare a meno di domandarsi quanti altri uomini avevano avuto il piacere di quel corpo sopra di loro. Sotto di loro. Dentro di loro. Delirò, privo di qualunque pensiero lontanamente coerente ed affine agli altri.
    “Anziché 'Pretty Woman', potremmo girare 'Pretty Guy'.” Ipotizzò Mark con un sorriso vagamente divertito in volto; tornando all'altezza del suo viso con il proprio a reclamare un contatto che avvenne con fin troppa enfasi, tra le loro labbra. Quella carne piena e rossa. Quei baci. In un momento di vertigine, Stradivari non riuscì a cogliere dove cominciava lui e dove terminava l'altro. Un circolo perfetto che non aveva un inizio o una fine.
    “Sembra il titolo... di un film scadente... per gay...” Tra un respiro ed un sospiro era riuscito a formulare quell'unica frase a fatica. E s'inarcò, quando avvertì la mano di Violin scendergli lasciva lungo la spina dorsale, mentre una nuova scarica gli annebbiava per un istante la mente. Avrebbe fatto male? Sì. Decisamente si sentiva una verginella terrorizzata. Una ragazzina patetica.
    “Non sei nella posizione adatta per criticare.” Il commento del compagno gli giunse alle orecchie inopportuno, in un primo momento. Tanto che gli rivolse un'occhiata storta, in tralice,  mentre scendeva a mordergli un lobo dell'orecchio, ottenendo prima un gemito, e poi una risata, in risposta. S'imbronciò, Victor. Già per lui era difficile. Quello anche lo prendeva per il culo? E questa volta anche in senso letterale, come se non fosse bastato a bastonare abbastanza il suo orgoglio mandato in frantumi. Abbassò gli occhi per un istante, riscoprendosi completamente nudo. Quand'era riuscito a togliergli pantaloni e boxer, il maledetto? Fissò il compagno in volto con stizza. Maledettamente bello.
    Giocarono a fare gli amanti in quel teatro. Prendendosi. Lasciandosi. Sperimentandosi. L'uno con il desiderio di un futuro assieme, ora  che tutte le barriere erano crollate. L'altro, con la consapevolezza che un futuro non ci sarebbe stato, per loro. Non assieme.  






Sono di frettissima, quindi chiedo scusa, ma non risponderò alle recensioni >_<"
Provvederò a farlo nel prossimo capitolo, promesso! >_<

Un bacione a tutti quelli che hanno letto e recensito lo scorso capitolo :****


Herì

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Capitolo 10
*** 9. Perché la Mattina sa di caffè-latte e baci al cioccolato. ***


10. Perché la Mattina sa di caffè-latte e baci al cioccolato.
 
I have to find a way to carry on
Oh, with the show!

    Si svegliò contro voglia, Victor. Aprì gli occhi pigramente, strusciando il capo contro il cuscino, allungando nel mentre un braccio a ricercare qualcosa che però non trovò accanto a sé. Percepiva, invece, un profumo acre ed invitante provenire dalla sua sinistra. Un profumo che sapeva di risveglio e coccole. Di mattine tutte uguali l'una all'altra, nell'ultimo periodo. Eppure tutte diverse. Aveva trovato una fuga dalla quotidianità che lo metteva di buon umore. Quelle giornate che prima sembravano susseguirsi tutte banalmente identiche le une alle altre, ora riuscivano ad assumere le tonalità della doratura delle fette biscottate e della cioccolata spalmata sopra alla superficie irregolare. E non solo lì. Anche su naso. Collo. Bocca. Aspirò ad occhi chiusi il profumo del caffè, decretando che sì, decisamente era ora di svegliarsi, prima di ritrovarsi nel mezzo di una scenetta tra moglie e marito. Si fissò per qualche breve attimo allo specchio attaccato all'armadio, constatando che il numero di macchioline rosse sul suo collo e sul suo torace era drasticamente aumentato. Così come ogni volta che Violin tornava da una visita. Non lo voleva mai con sé, quando andava ai controlli di routine. Probabilmente non voleva che sentisse quanto gli dicevano i medici. Ma si rendeva banalmente conto che non erano belle notizie quando il sorriso si stendeva tristemente sulle labbra dell'uomo. E quando facevano l'amore. Mark lo faceva con disperazione, senza lasciargli possibilità di scelta. Facendolo suo con foga. Forse paura. E lui aveva imparato che era bene non chiedergli nulla, nonostante quella paura avvolgesse anche lui.
    “Non siamo eterni...” Glielo aveva detto, una volta, nascondendosi contro il suo collo. E probabilmente si era trattenuto dall'aggiungere “ed io meno di tutti.” Se Stradivari ne avesse avuto la forza, quella volta avrebbe pianto. Ma era troppo codardo per ammettere di aver capito l'antifona. Violin si stava godendo quel poco che gli restava: ecco cosa voleva dirgli, così. Rabbrividì, Victor, al contatto con l'aria fresca che entrava direttamente dalla finestra della stanza. Quella stanza che non era sua, ma che aveva imparato a sentire come tale. C'era la sua divisa appesa ad una gruccia dell'armadio, accanto a quella dell'altro musicista. C'era la custodia del suo violino sopra la scrivania, assieme ai suoi spartiti. In un istante si rese conto che c'era più di lui in quel luogo, con la sua presenza caotica e marginale, che del padrone di casa stesso. Sembrava voler far dimenticare presto  la sua presenza in quei luoghi. Come se già una parte di lui non  ci fosse più. Rabbrividì di nuovo, Stradivari, come se la consistenza di quel pensiero gli avesse fatto cadere addosso un macigno troppo pesante. Afferrò frettoloso una camicia a caso dal pavimento. Che fosse sua o di Violin non importava. Se l'infilò velocemente, scoprendo solo una volta che l'ebbe addosso, che apparteneva al padrone di casa. Gli era grande in modo spropositato. Quella quindicina di centimetri di differenza, si faceva evidente così. Uscì dalla stanza con un broncio naturale, insofferente. Come chi ce l'ha con il mondo intero solo per il fatto che era stato tirato giù dal letto ad un orario improponibile. In realtà, quella era la sua naturale espressione appena sveglio in generale. Mark, già seduto al tavolo per la colazione, con il sole che entrava dalle grandi finestre del locale che lo baciava teneramente, aveva tutta la parvenza di una statua greca. Con quei capelli biondi che morbidi e setosi gli carezzavano gli zigomi avviluppandogli poi il collo, lunghi, brillanti di riflessi dorati formando un'aureola naturale attorno al suo capo. Con quella perfezione deturpata solo dalla cicatrice che gli fendeva completamente il torace. Una perfezione che solo la malattia avrebbe potuto intaccare. I muscoli scolpiti messi in risalto da un gioco di chiaroscuri. Era bello, il suo ragazzo. Di una bellezza apollinea e dionisiaca assieme. Nietzsche sarebbe stato contento di conoscerlo. Decisamente. Le labbra rosse e piene come quelle di una baccante ubriaca. La pelle abbronzata, mangiata dai raggi dell'astro diurno. Se fosse vissuto qualche migliaia di anni prima, avrebbe potuto pensare che i popoli ellenici avessero preso lui a modello per le loro sculture. Lo accolse con un sorrisetto ironico in volto, Violin. Divertito da quel broncio che stravolgeva i tratti morbidi del viso del compagno.  
    “Sei sceso dalla mia parte del letto?” Gli domandò allungandogli una fetta di pane biscottato già ricoperta da uno strato marroncino e denso. Ma Victor la rifiutò con un blando cenno della mano. Si sentiva strano. Non aveva voglia di cioccolato. Non aveva voglia di niente. Si sentiva stranamente più stanco del solito ed avvertiva una morsa poco piacevole allo stomaco. Come fosse un brutto -pessimo- presentimento.
    “Ho una butta sensazione.” Ammise sedendosi sullo sgabello innanzi a quello dell'uomo, afferrando la tazza di caffè che stava sorseggiando l'altro, restituendogliela poi vuota. Se c'era una cosa che gli faceva dare di matto, era che Mark non sembrava badare affatto a se stesso, nonostante la malattia. Non avrebbe dovuto praticare sport per evitare sforzi, e invece nell'ultimo periodo aveva giocato tutte le partite come capitano della squadra di basket nel torneo tra le scuole. Non avrebbe dovuto bere bevande contenenti caffeina per non sovrastimolare il cuore, e invece ogni mattina si alternava tra caffè e tea. Per quello che aveva capito, non avrebbe nemmeno dovuto fare del sesso, e qui lui si sentiva in colpa, perché lui non gli impediva mai di portarselo a letto.
    Lo sbirciò da sopra la propria tazza di caffè-latte con la miglior faccia arrabbiata del suo repertorio, suscitando nell'altro un divertimento silenzioso e spontaneo, mentre guardava i muri dell'orfanotrofio al di là delle finestre. Stradivari registrò per l'ennesima volta quell'espressione di assoluta malinconia che si impossessava di quegli occhi del colore chiaro del ghiaccio. E per l'ennesima volta si trovò a domandarsi che razza di persone dovessero essere i suoi genitori, per dare vita ad una creatura dalla pelle tinta del colore della sabbia, ed i capelli e gli occhi che avevano rubato l'anima del sole e del cielo più puri. Sospirò nel constatare l'ironia dei propri pensieri che prendevano sfumature terribilmente romantiche, quando si parlava di Violin. E fu come folgorato. Si alzò velocemente in piedi afferrando con pollice ed indice il mento del compagno, per baciarlo.
    “Grazie!” Fu un contatto veloce, perché subito dopo si distaccò, correndo rapidamente di nuovo verso la stanza da letto, chiudendosi la porta alle spalle e lasciando Mark esterrefatto. Basito. Tanto che dovette aprire e chiudere un paio di volte le palpebre perplesso. Però dovette ammettere a sé stesso che non aveva mai visto Victor Stradivari con un'espressione così... bella. Sorrise tra sé e sé l'uomo, appoggiando il mento sulla mano destra e fissando per qualche istante la porta della sua camera. La stessa camera dalla quale riusciva ad avvertire una leggera sinfonia suonata a violino. Che melodia soave. Fu un'espressione triste, quella che cercò di sedare quella felicità momentanea ben leggibile sul viso del musicista. Victor aveva capito. Victor l'avrebbe superato. Victor avrebbe potuto anche andare avanti da solo, da ora in poi. Scosse il capo riacquistando quel sorriso leggero e morbido che l'aveva accompagnato fino a quel momento, lavando velocemente i pochi piatti utilizzati per la colazione, infilandosi poi in bagno.
    
    L'urlo di puro entusiasmo emesso da Stradivari proruppe prepotente, spezzando la monotonia di quella placida e sonnolenta domenica mattina, facendo sussultare Violin, che se ne stava in ammollo nella vasca da bagno. Non sapeva nemmeno lui da quanto tempo se ne stesse lì, in quell'acqua resa torbida dal bagno schiuma del quale non era restato assolutamente nulla, se non il ricordo di sé in uno strato pallido che permeava a pelo dell'acqua. Doveva essere passato un bel po', però, da quando si era immerso, visto che era già passata la terza canzone del secondo cd dei Led Zeppelin che girava all'interno del suo I-pod. Si fece i complimenti da solo. Prendere il sonno con i Led non era certo impresa da tutti. Spostò perplesso ed indolenzito lo sguardo verso la parete che che divideva la stanza da bagno dalla sua camera, sbuffando per poi immergersi quasi completamente nel liquido, portando gli occhi verso quel soffitto così bianco da essere monotono. Se avesse potuto, quel bilocale l'avrebbe acquistato, dalle suore. Se avesse potuto, l'avrebbe completamente ridipinto di un azzurro pallido e limpido come il cielo d'estate. E con le piastrine bianche che costituivano il rivestimento del cucinino e la mobilia del medesimo colore, avrebbe avuto l'impressione di camminare sulle nuvole. Inoltre, avrebbe avuto anche uno dei putti di Raffaello tutto per sé. Lupus in fabula. I capelli castani e ricci di Victor fecero il loro ingresso nel bagno, portandosi dietro anche il proprietario, con in volto l'espressione più raggiante che gli avesse mai visto addosso. Gli occhi non troppo grandi leggermente socchiusi e le labbra incurvate completamente verso l'alto a formare un sorriso sincero. Ancora con la sua camicia addosso. Larga, enorme. Tanto che pensò gli sarebbe bastato un istante solo a sfilargliela di dosso. E lo fece. Non stette nemmeno a badare troppo alle sue proteste. Proteste che in breve, tra l'altro, sedò. Lo trascinò all'interno della vasca senza chiedere il permesso e senza stare a sentire quanto aveva da dirgli. Lo bagnò. Rise alle sue lamentele e lo fece suo. Ancora ed ancora. Tanto che l'acqua che avvertiva ancora tiepida contro la pelle qualche minuto prima, presto divenne fredda, rispetto ai loro corpi.
    “E pensare che la prima volta che ti ho infilato qui dentro era per farti calmare.” Ridacchiò Mark, riferendosi probabilmente a quanto accaduto diversi mesi prima, quando l'aveva spinto nella vasca così che si tranquillizzasse un po'. Si era reso conto troppo tardi di essere stato forse troppo brusco con lui e quella volta aveva cercato di riparare con un sorriso che aveva sperato essergli di conforto. Lo sbuffo dell'altro e quel bel color vermiglio che gli mandava a fuoco le guance, lo fecero però desistere dal fare altri commenti.
     “Non me lo ricordare. E' quel giorno che mi hai incastrato, maledetto! E se fai tutte le volte così, cominciamo a sembrare due conigli in calore.” Victor non aveva peli sulla lingua. Era una delle cose che gli piaceva di più in lui. Stretti in quella vasca, mentre gli lavava con calma i capelli, ritrovandoli lunghi e pieni, al tatto, Violin non poté fare a meno di notare un particolare sulla sua spalla destra. L'aveva già visto -sentito- ogni volta che lo possedeva o che gli passava le mani sulla schiena. Anche quando si limitava a baciarlo in quel punto. C'era una cicatrice piuttosto estesa che gli partiva dall'inizio del braccio, e terminava sulla scapola.
    “Ti crea qualche problema?- Gli domandò strusciando con il naso su quel segno che, agli occhi di un romantico qual'era, sembrava essere il gemello di quello che lui portava sul torace, all'altezza del cuore. -Chi te l'ha fatta?” Chiese ancora, passando sopra il suo capo con il getto della doccia. Il violinista in un primo momento non rispose, indietreggiando con la schiena e posandosi contro il petto del compagno, chiudendosi in se stesso. E Mark arrivò a rimpiangere quell'allegria di poco prima. Assieme alla bellezza dell'orgasmo che li aveva colti alla fine del loro amplesso. O a quel momento di ironia sana e divertita che aveva risvegliato l'altro.
    “No... nessun problema. Sei tu quello che rischia di restarci secco tra le mie braccia...- La voce del ragazzo tremò per un istante. Gli occhi bassi e le iridi coperte dalle lunghe ciglia scure. Gli afferrò le mani con le proprie, costringendo l'uomo a stringerlo in un abbraccio, quasi a rendere più veritiero quel pensiero. Quel timore. E deglutì a vuoto. A fatica. -E' stata mia madre. Quando ero in prima media. Ero andato da lei per fuggire dai miei nonni. Il giorno dopo avremmo avuto delle gare a scuola, e loro non volevano che partecipassi. Ero forte nella corsa, sai? Se mi fossi allenato, sarei stato un ottimo centista. Ma per i nonni... lo sport altro non è che un'immane cavolata. Per loro era importante che io diventassi un genio del violino. Ma mi sembrava di avertene già accennato, no?- Retorica quell'ultima domanda. Una misera scusa per chiudere per un attimo lì il discorso. Per riprendere fiato carezzando le mani del compagno con quelle dita sottili ed agili. -Mi ero rifugiato nell'appartamento di mia madre. Sapevo dove teneva le chiavi di riserva e tanto ero sicuro che fino alla mattina dopo non sarebbe tornata. Te l'ho detto, no? Era... è una prostituta... ed io mi ero sbagliato. Era tornata a casa con un uomo. Un cliente. Ed era ubriaca. Solitamente non si lagnava, quando mi trovava a casa sua. Ero suo figlio ed il solo fatto che sopportasse tacitamente la mia presenza senza scacciarmi, per me era fonte di gioia. Ma quella notte... quella notte, quando mi ritrovò raggomitolato tra le coperte, diede di matto e mi ruppe addosso una bottiglia di non so quale liquore. Ricordo che bruciò come se mi avessero gettato alcool puro addosso. Probabilmente, per ironia, forse fu proprio questo a salvarmi dall'infezione che avrebbe potuto seguire. Ringrazio il cielo che una vicina fu allarmata dal mio pianto e chiamò subito il pronto soccorso, altrimenti io ora non sarei qui.” Si sentì stringere le mani, Victor. Con forza, in un abbraccio caldo e piacevole. E si raggomitolò contro il petto del compagno, finendo inevitabilmente per far traboccare dell'acqua dalla vasca. Celò il volto nell'incavo formato dal collo e dalla spalla dell'altro, cercando un nascondiglio sicuro dal suo sguardo. Non voleva leggervi compassione. Non voleva fargli pena. Rimasero così per un tempo ridicolmente lungo. O forse troppo breve? Alla fine era piacevole starsene così, avvolto tra quegli arti forti senza far nulla più di quello.
    “Quanto è stato? Un mese fa?” Il silenzio venne rotto di nuovo da Mark che gli porse quella  domanda con tono vagamente divertito, lasciando libero Victor di voltarsi completamente verso di lui. Lo osservò inginocchiarsi tra le sue gambe con un'espressione perplessa in volto. Un'ingenuità bambinesca che probabilmente non era conscio nemmeno lui di dimostrare ancora.
    “Cosa?” Gli domandò allungandosi per afferrare lo shampoo che si trovava a ridosso della parete dietro all'altro per riservargli lo stesso trattamento subito poco prima. Gli piacevano i capelli di Violin. Erano morbidi e di una consistenza leggera, sottile, a differenza dei propri. Più spessi e mossi. Indomabili come un mare in tempesta. Aprì il coperchietto del contenitore facendosi sfuggire qualche imprecazione colorita dalle labbra. Davanti agli altri, impeccabile. Con lui, se stesso.
    “Quando mi hai chiesto da quanto ti sto dietro.” Spiegò Mark, andando a sbuffare dal naso. Si prospettavano guai per la sua povera testa. Ed osservava il barattolo dello sciampo con il timore che una vittima dedica al suo carnefice. Abbassò le palpebre con forza sulle iridi. Se Stradivari si fosse dimostrato sbadato come in tutto quello che non concerneva la musica, si sarebbe trovato senza un occhio, questo era poco, ma sicuro.
    “Non mi interessa più.” Borbottò Victor con voce poco attenta, concentrato piuttosto nel non far colare un quantitativo esagerato di schiuma sugli occhi dell'altro che per tutta risposta storse le labbra in un capriccio. Sapeva che non avrebbe resistito troppo. Se c'era qualcosa che aveva imparato del suo ragazzo, era che la sua curiosità era innata e vivace. Per questo era bravo nello studio e nella composizione di melodie che sapevano piacere alla gente. Perché scaturivano da quello che coglieva quell'interesse spasmodico per ciò che lo circondava e sui cui rimuginava a lungo prima di rielaborarlo e trasporlo in note. E lui nemmeno lo sapeva.
    “Non è vero.” E lui. Oh, lui adorava contraddirlo. Adorava le sue reazioni impensate ed impensabili. Apparentemente senza senso ed astruse, trovavano invece la loro vendetta perché sapeva come e dove colpirlo senza fargli eccessivamente male. E la vendetta calò inesorabile. Calò con quel frizionargli i capelli con forza senza l'accortezza dimostrata poco prima nel badare a che la schiuma non gli entrasse negli occhi. E gli venne da ridere, perché era divertente punzecchiarsi così.
    “Dimmi, dai. Tanto so che muori dalla voglia di farlo.” Sbuffò Stradivari , passandogli le mani sciacquate sugli occhi per pulirglieli dalla schiuma che era colata fino a li. Passò le dita sulla pelle delle guance di Violin senza pensarci quasi, sentendo le puntine della sua barba solleticargli i polpastrelli. Se lo immaginava bene con un po' di pizzetto addosso. E gli corse un brivido lungo la schiena, quando colse il sorriso malizioso di Mark. Ghigno che non preannunciava nulla di buono.
    “Non che non ho voglia di farlo. Altrimenti il mio ragazzo mi dirà di nuovo che sono un coniglio in calore.- Commentò con tutta l'ingenuità che era in grado di tirare fuori, finendo per ritrovarsi addosso il getto -gelato- della doccia, che lo costrinse a trattenere per qualche istante il respiro. Rise, l'uomo. Rise sinceramente divertito nel vedere la faccia rossa ed imbufalita di Victor. Quella calma serafica ed ironica, solo lui era in grado di mandarla in pezzi e se ne compiaceva. -Tu mi vuoi vedere morto..!” Lo sgridò, senza rendersi conto di quale effetto devastante potesse avere quella dichiarazione sul violinista che gli tirò addosso il getto della doccia, alzandosi di scatto ed uscendo dalla vasca furente.
    “Idiota!” Se lo sentì urlare dietro dalla stanza adiacente. Probabilmente Stradivari ci si era chiuso dentro per cambiarsi e Violin sbuffò, uscendo dalla vasca, rassegnato. Non avrebbe mai potuto pensare di suscitare nell'altro una reazione simile per una battuta per lui innocua. Afferrò un asciugamano strofinandosi i capelli e lanciando di quando in quando lente occhiate alle gocce d'acqua che il compagno aveva lasciato dietro di sé, nella sua clamorosa uscita di scena. Che ironia. Lui aveva smesso di preoccuparsi della morte tanti anni prima, quando aveva fumato la sua prima sigaretta, appena dodicenne. Aveva solo ringraziato il cielo che non gli fosse mai piaciuta la puzza di tabacco che gli lasciava sui vestiti. Sarebbe stata una cosa in meno cui avrebbe dovuto rinunciare una volta morto. Fissò lo specchio sopra il lavandino. C'era un ragazzo biondo dalla pelle di un bel color caffè-latte a ricambiare le sue attenzioni. Due occhi chiari che in quel momento non lasciavano trasparire alcuna emozione. Come se il ghiaccio di cui sembravano essere composti, li avesse congelati del tutto. La cicatrice che aveva sul torace si mostrava più chiara rispetto al resto dell'incarnato, visibile come il segno di una maledizione sul suo corpo. Con forza gettò l'asciugamano contro il vetro, come per eliminarla dalla sua vista e dal suo cuore. Come chi spera basti un colpo di straccio per cancellare tutto. Passato. Dolore. Un futuro che non si è più in grado di accettare. Lo fece con rabbia. E dopo tanto tempo arrivò a desiderare di non dover più morire.









Spazio autrice:
Premetto che credo sia un miracolo se oggi sono riuscita ad aggiornare °-°" Ma non starò a spiegarvi il perché.
Ecco a voi una scena di vita più o meno quotidiana in cui si viene a sapere anche l'ultimo altarino di Vic *-* (Sì, come se non fosse abbastanza sfigato di suo, direte XD)

Ed ora la risposta alle recensioni (8)
_Primavere rouge_ Sono felice che l'incipit ti sia piaciuto *-* E sono soprattutto contentissima di sapere che, anche se la storia è ormai alle battute finali -un altro capitolo lungo lunghissimo e poi l'epilogo-, riesce comunque ad attirare nuovi lettori *A* che dire? Che mi hai fatta davvero felicissima *Q* Quella è una delle frasi che preferisco, sia per il contesto in cui l'ho inserita, sia perché la sento molto mia ^w^ Le sono particolarmente affezionata e mi ha colpito che tu l'abbia notata ^^ Grazie anche per aver inserito la storia nelle seguite :) Spero lascerai un commentino anche più avanti :3

_Nonna Papera_ Awwwwh! *_* Capitolo intenso <3 Capitolo meraviglioso <3 *Gongola* Mi fa piacere sapere che nonostante il piccolo arresto che stava prendendo la storia, ti piaccia comunque come si sta evolvendo :) Per quanto riguarda il tuo dubbio atroce... dovrai aspettare il prossimo capitolo, mi spiace, ma non voglio sbilanciarmi ^w^

_Red Leaves_ Te l'ho già detto che io ti adoro? No? Sì? Bah, ripetere non fa mai male. Io. Ti. Adoro. v_v Sallo v_v

_Yuko Chan_ Anche a te rispondo come alle nonnina qui su: aspetta il prossimo capitolo, ed avrai la risposta (positiva o negativa, s'intende) al tuo slancio di follia. Intanto spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto *_*

_My Pride_ Per l'eccesso di zucchero, incolpa pretty woman! *Addita cattiverievolmente il film* La scena del pianoforte è cortesemente ripresa da lì, ma trovo che con la citazione e lo scorrere della storia, fosse azzeccata XD Anche qui lo zucchero si spreca, però ._. Accie per la recensione :*


Un bacio a tutti :****

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Capitolo 11
*** 10. Solo la melodia della vita. ***


11. Solo la melodia della vita.

    “Allora, come sta andando?” La voce fin troppo nota di Axel gli arrivò alle orecchie facendolo girare con calma. L'aveva sentito avvicinarsi. Ed erano in pochi ad avere il coraggio di  avvicinarsi a lui quando aveva quell'espressione cupa addosso. Se avesse potuto avrebbe tirato il collo al primo mal capitato di turno, in quel momento. Stradivari gli dedicò una delle sue occhiate svogliate e poco interessate. Non era quello ad intimorire i loro compagni di scuola, che invece si tenevano bellamente alla larga. No. Era quell'aura spaventosa che il ragazzo sembrava emanare da ogni poro. Stava male, si sentiva terribilmente in colpa e maledettamente idiota. Ma il rosso gli sorrise sornione. Sembrò quasi farsi beffe di lui, come sempre.
    “Sparisci, Ax. Oggi non ho una bella giornata.” Sbottò Victor allungando il passo per sfuggire da lui, lungo i corridoi del Monteverdi. Inutile. Nonostante la differenza di altezza tra lui ed il suo amico d'infanzia, e nonostante il palese rifiuto che stava dimostrando nell'avere un confronto con lui, l'altro gli trotterellò dietro prendendolo al collo con un braccio. In un modo giocoso e scherzoso che il violinista conosceva da una vita. Accolse per un attimo quel gesto, ma scansò sbuffandogli dietro. Non aveva voglia di vederlo. Né lui, né nessun altro, dopo l'ultimo scambio di battute con Violin avvenuto qualche giorno prima. Inoltre, di lì a poco si sarebbe tenuto il concerto di fine anno. Che idiozia. Esibirsi per chi? Un paio di Talent Scout che avrebbero fatto promesse mai mantenute? E lui perché diamine ragionava così? Era lui il primo a necessitare di un appoggio per allontanarsi da quella che, per sangue, era la sua famiglia. Il compagno di studi lo colse quindi alla sprovvista, immerso nelle sue tribolazioni, quando gli afferrò il braccio e lo costrinse a voltarsi, dimostrando una forza che Stradivari non si sarebbe mai aspettato.
    “Ora tu mi ascolti. Ma ti sei visto in faccia, ragazzino?- Proruppe, piccato, mostrando una fermezza che solitamente non dimostrava, se non con le sue prede. Victor avrebbe potuto giurare che fosse lui a condurre i giochi, con loro, solitamente. Gli venne spontaneo sgranare gli occhi. Da che lo conosceva -solo una vita- non aveva mai visto Axel tanto fuori di sé. -Non sembri più nemmeno tu, scemo. Hai litigato con Violin? Presumo di sì. Altrimenti sapresti che è stato ricoverato d'urgenza questa mattina e non saresti qui a girare a vuoto per la scuola!” L'uomo poté avvertire chiaramente il braccio dell'altro irrigidirsi, sgomento, sotto la sua presa. Medesima reazione che dovette avere tutto il corpo, ed accompagnata da quegli occhi solitamente brillanti che in un primo momento si oscurarono atterriti. Effettivamente non l'aveva visto né a lezione, né alle prove, quella mattina. Ma era convinto si fosse astenuto per gli allentamenti di pallacanestro. Il venerdì li alternava, di solito. Gli altri non sapevano della loro relazione, e se ne erano a conoscenza, se ne tenevano bene alla larga. I maschi per non essere coinvolti. Le ragazze perché per lo più erano schifate. Più da Stradivari che da Violin, in realtà. Per questo probabilmente non gli avevano detto nulla. A scuola non aveva mai smesso di palesare il proprio astio nei confronti del compagno. Per quieto vivere. Perché sapeva che una volta si fossero trovati da soli, si sarebbe fatto perdonare, in un modo o nell'altro. Perché sapeva che l'altro l'avrebbe perdonato, sempre e comunque. Scosse il capo più e più volte per riprendersi.
    “Mark è cosa..?! Dov'è ricoverato?” Gli chiese con urgenza, volgendosi spontaneamente verso l'amico ed afferrandolo per le spalle. Ed il volto di Axel si incupì per un istante. Non aveva mai visto, Victor, i suoi occhi tingersi di tanta tristezza. E non parve accorgersene nemmeno in quel momento. Lo affrontò quasi con difficoltà, l'uomo, abbassando il capo in un primo momento.
    Non andare. Se avesse potuto, il rosso lo avrebbe scongiurato di non correre dall'altro, come invece era certo avrebbe fatto. Non poteva sopportare di essere stato messo da parte per un altro. Nonostante quella silenziosa amicizia. Quella complicità nascosta tra loro, e solo tra loro, preclusa al mondo esterno. Nonostante non gli avesse mai parlato dei propri sentimenti. Era sempre stato certo che l'altro li avrebbe capiti, prima o poi.
    “Non andare... Non andare!” Quel pensiero prese vita da solo sulle labbra del musicista, che trovò solo in quel momento il coraggio di sollevare gli occhi su Victor. Lo stesso che in quel momento aveva aumentato la stretta sulle sue spalle, osservandolo attonito. E tremò Axel. Tremò perché quello sguardo lo conosceva fin troppo bene. Chiuse gli occhi pronto a sentirsi dare della “checca isterica” proprio dal suo migliore amico, preparandosi già mentalmente una risposta adeguata, visto che fino a prova contraria, anche lui lo era diventato. Ma la cosa non avvenne.
    “Ax... non tu, ti prego. Potrei accettare chiunque... ma non tu. Io... io ho bisogno di vederlo. Ho il terrore di perderlo proprio ora.” Il musicista per un istante riuscì a rivederlo. Per un istante che apparve quasi insignificante, ma lo vide ancora. Rivide quel bambino che prendeva lezioni di matematica da suo padre affrontando con aria svogliata quei problemi troppo grandi per lui che viveva di pane e musica e che comunque trovavano una soluzione nel suo testardo orgoglio di mocciosetto di buona famiglia. Rivide l'arroganza di quel bambino che tornava a casa con le ginocchia sbucciate e che ancora aveva il coraggio di dire che non era scappato di casa per giocare con gli altri bambini. Oppure con lui. Rivide la fragilità di quel bambino che puntualmente veniva sgridato da quei nonni troppo severi per un ragazzino con la sua sensibilità. Quel terrore di deluderli e di perdere quell'ultimo appoggio di umanità che gli avevano dimostrato una volta che era uscito dall'ospedale. Era lì, pregno di una tristezza immane. E non ebbe cuore di tacerglielo. Non ce la fece, perché poi si sarebbe sentito in colpa lui, per quel viso.
    “All'ospedale dove va a farsi visitare di solito. Il Guy's Hospital.” Gli spiegò ingoiando un groppo non indifferente che gli stava chiudendo la gola. Strinse con forza il suo braccio, mordendosi le labbra dall'interno, per non farsi sfuggire quelle parole intrappolate nella gabbia creata da lingua e denti. Lo affrontò nuovamente riaprendo gli occhi per guardare il suo viso, incontrandone i tratti segnatiti da troppe, troppe cose.
    “Ax... se solo...- me ne fossi accorto prima... forse... Bloccò la corsa dei propri pensieri, Victor, liberando le spalle dell'amico d'infanzia e venendo allo stesso modo rilasciato da lui. Non poteva mentirgli. Anche se se ne fosse accorto prima non sarebbe cambiato nulla, perché lui non era Violin. Questa volta, però se ne accorse. Come un fulmine a ciel sereno. Colse quella tristezza e quei sentimenti che non avrebbe potuto ricambiare. Così tremendamente palesi in quegli occhi lucidi dell'altro. Gli sembrò per un istante, una delle tante ragazze cui aveva detto di no e scosse la testa, appoggiandogli una mano sul capo. -Grazie” Un sussurro dedicato al silenzio che era sceso nel corridoio. C'erano tante -troppe- cose che non avrebbe potuto affrontare, in quel momento. E si stavano ammonticchiando l'una sopra l'altra, senza dargli possibilità di respiro. Non avrebbe potuto affrontare la perdita di Mark. Fisica o mentale che potesse essere. Non avrebbe potuto affrontare di perdere l'amicizia di Axel. Non in quel momento di panico. Non avrebbe potuto affrontare un'esibizione. La stessa per la quale si stava preparando da tanto tempo, nonostante reputasse lo spettacolo scolastico solo uno spreco di energie. Era una questione di priorità, si rese conto. Una di quelle cose l'aveva già procrastinata. A mente più lucida avrebbe chiesto al suo amico il perché di quegli occhi sull'orlo delle lacrime e gli avrebbe detto che sì, ora capiva come si sentiva lui ogni volta. Gli avrebbe ricordato che ne aveva già passate tante e che questa avrebbe potuto affrontarla reggendosi sulle sue gambe. Perché se era lui a farlo soffrire, non poteva stargli accanto. Del Talent Scout, poco gli importava. Sapeva che un paio di quegli avvoltoi gli avevano già messo gli occhi addosso da un pezzo. Aspettare un altro anno non gli avrebbe fatto né caldo né freddo. E lui avrebbe dovuto sopportare solo un altro anno di cene in famiglia davanti all'alta borghesia londinese. Un paio di sorrisi affabili e di circostanza non gli sarebbero costati nulla. L'importante era stare con Violin il giorno successivo. E quello dopo ancora. Ancora. Ancora. Era stato solo uno dei soliti attacchi e niente di più. Cercò di convincersi di questo, Victor, mentre il taxi che aveva chiamato correva verso la zona del Tower Bridge. Eppure sentiva più pressante quella morsa che gli chiudeva lo stomaco già da diversi giorni. Da quando Mark era tornato l'ultima volta da uno dei suoi controlli. Da quando il suo cuore aveva collassato l'ultima volta. Quegli attacchi che erano sempre più frequenti. Si ritrovò a pensare. con la testa schiacciata contro le ginocchia e le mani tra i capelli, resistendo alla voglia di cedere alla follia del momento ed urlare. Non poteva perderlo.

    La stanza era bianca. Asettica. I macchinari che monitoravano le condizioni di Mark emettevano suoni che, alle orecchie di Stradivari, sembravano sinistri gemiti sofferenti. Tutti uguali. Ripetitivi. Una nenia che non lasciava presagire nulla di buono. Se ne stava lì, sulla soglia della camera dell'ospedale ad ascoltare le parole di un medico che non sembrava nemmeno vedere. Accanto a lui c'era una ragazzetta minuta. A celarle la testa, il copricapo tipico delle suore. Annuiva di quando in quando alle parole del dottore, dedicando a Victor qualche sporadica occhiata, con i suoi occhi di cristallo nero. Pura ossidiana che sembrava cibarsi e risplendere delle luci fredde, al neon, del corridoio. Eppure parevano così vuoti.
    “Se le sue condizioni rimarranno stabili la notte, domani potremo dimetterlo. Ed a breve proseguiremo con l'operazione.” Aveva detto ad un tratto l'uomo magro come uno spillo. Addosso un camice bianco, lungo fino ai polpacci ed in mano la carella clinica del paziente. Di Violin. Fu quell'ultima parola a risvegliare il violinista dal suo stato di coma, mettendolo sull'attenti.
    “Operazione?” Gli fece eco con un'energia nuova nella voce. Una vitalità differente da quella mostrata poco prima. L'espressione sperduta che lasciava spazio ad uno sguardo speranzoso che si accentuò quando l'uomo andò a dedicargli dei cenni di assenso con il capo.
    “Scusi, ma lei non è il fratello?” Gli domandò fissandolo inquisitorio e tutto ciò che aveva imparato in quegli anni -quella maschera che aveva sempre usato in maniera ineccepibile- tornò a galla. Sfoggiò uno dei suoi sorrisi migliori. Il più educato. E si distaccò dalla porta, drizzandosi completamente. Con quello sguardo un po' sfrontato, un po' ingenuo in volto.
    “Si, ma sa com'è? Mark non vuole che ci preoccupiamo per lui, e quindi non ci racconta mai niente.” Spiegò sollevando le spalle stringendovisi dentro con il capo ed abbassando lo sguardo, come fosse stato colpevole per non essersi meglio informato prima. Le labbra fini leggermente sporgenti in fuori, come aveva visto fare a tante delle sue ex quando dovevano farsi perdonare qualcosa, in un broncio un po' accentuato ed un po' femminile, ma che in quel viso non stava poi così male. Ed il medico sembrò accettare quella versione dei fatti, visto che poi sospirò, riprendendo parola. In tutto quello, la suorina non aveva messo bocca, limitandosi ad osservare Victor con quegli occhi che prima sembravano vuoti, ora invece carichi di un curioso interesse verso di lui.
    “La lista d'attesa si è accorciata, e se tutto va bene, il prossimo cuore che arriva qui è per lui.” Gli comunicò, facendo perdere un battito, o forse di più, a quello di Stradivari. Sarebbe stato bene. Il medico si accomiatò dopo aver scambiato poche altre battute con la suora che lo congedò benedicendolo più e più volte. Benedicendo anche il Signore, più e più volte. E Stradivari avrebbe anche potuto trovarla irritante, se solo non fosse stato anche lui tutto intento a ringraziare, per una volta sinceramente, qualunque Dio conoscesse per avergli dato quella notizia, intanto.
     “Tu non sei un “fratello” di Mark.” Le parole della sorella lo lasciarono interdetto per qualche istante. Giusto il tempo di calare lo sguardo su di lei mandandola cortesemente a farsi una spaghettata di affari propri. Sorrise però beffardo, nel notare l'espressione attenta nel volto della suoretta. Un lupo travestito da agnello. Aggrottò le sopraccigli quando la sua vocina interiore gli sussurrò quelle parole, spostando lo sguardo verso l'interno della camera. Uno spiraglio di luce feriva l'oscurità della stanza come un coltello affilato.
    “Davanti all'occhio di Dio siamo tutti fratelli, sorella.” L'aveva rimessa al suo posto. O almeno di questo era convinto. Fu per questo che venne completamente spiazzato dalla reazione della ragazzetta, che scoppiò in una sonora risata, portandosi le mani davanti alle labbra per attutire il suono e non svegliare i pazienti già sopiti da un po'. Di nuovo quella vocetta si era fatta strada dentro di lui, dicendogli che sì, la prima impressione era stata quella giusta.
    “Avanti, so quali sono le inclinazioni sessuali di Mark.” Per un istante, a Victor sembrò quasi di venir preso in giro. Sensazione che si acuì maggiormente quando la ragazza si sporse all'interno della stanza per controllare di non essere sentita. Allo stesso modo si guardò attorno. Civetta. Oca. Bisbetica. Ecco cosa gli era sembrata, quella tipa. Ed era pure sicuro di non essersi sbagliato troppo. A differenza di quello che erano Lizzy o Kirya, lei fingeva in modo spudorato. Probabilmente nascondendosi dietro quegli abiti. Pettegola. Così come si era comportata prima con il dottore. Ora invece pretendeva di capire tutto di lui solo con uno sguardo.
    “Sono un suo compagno di scuola.” Chiuse lì in discorso, mettendo in chiaro di non accettare ribattute con un'occhiata altezzosa e distaccata. Il mento che venne sollevato in un gesto secco, quasi a chiederle di togliersi di torno.
    “Dai, su. Non fare l'antipatico. Sono contenta che si sia trovato il ragazzo.” Insistette invece. Lo stava mettendo alla prova, ed i suoi nervi, in quel momento, avevano tutto fuorché bisogno di essere messi alla prova. La squadrò da capo a piedi un paio di volte, prima di far schioccare la lingua sul palato.
    “Comodo nascondendosi dietro quegli abiti per farsi i fatti degli altri, vero?” Le domandò seccamente, con tutta l'arroganza di cui fu capace. E questa volta non si limitò a semplice mimica del corpo. No: lui entrò nella stanza, chiudendo la porta dietro di sé con due mandate di chiave. Trovava insopportabile chi voleva farsi i fatti suoi pur essendo un completo estraneo. Ma soprattutto odiava la chiesa. Era cresciuto in un ambiente protestante, certo. Ma non aveva accettato mai nessuno dei sacramenti che gli erano stati imposti, rifiutandosi di partecipare ancora alle processioni, una volta che ebbe raggiunto l'età in cui poteva scegliere cosa fare del proprio credo. Lui credeva in se stesso, e tanto gli bastava.
    “Non ti piace proprio dover portar rispetto agli altri.” La voce stanca di Violin si fece largo nel silenzio della stanza, cogliendolo piacevolmente di sorpresa e facendo emergere un sorriso dai meandri del suo animo turbato. Gli si avvicinò in silenzio, sollevando le spalle in un gesto distratto, accomodandosi sulla sedia accanto al lettino. Così piccolo rispetto a quello di casa di Mark. O a quello della sua stanza al dormitorio.
    “Porto rispetto solo a quelli che se lo meritano.” Borbottò posando le braccia incrociate sopra le coperte ed adagiandovi il capo sopra, chiuse gli occhi. Respirò profondamente quell'odore dolciastro che non sapeva però di risvegli al caffè e toast al cioccolato. Quell'odore così distante dalla sua quotidianità. Quell'odore che sapeva di disinfettanti usati un po' a casaccio e sparsi qui e là. Che non sapeva di loro e delle loro pelli. E lo sentì sorridere, come aveva imparato a farlo tante altre volte. Senza guardarlo. Senza poterlo vedere.
    “Sei sempre il solito ostinato.” Quel commento gli scivolò addosso con la dolcezza di una carezza posatagli sul capo. La stessa carezza che scese giù ad insinuarsi sul suo collo carezzandolo lentamente, dandogli i brividi con quella lentezza esasperata e quella delicatezza inaudita che gli sfiorava la rada peluria presente all'attaccatura del capo. Inarcò le spalle, Victor, coinvolto in quel gesto, andando incontro alla mano dell'altro. Non rispose però a quel commento, sospirando piano.
    “Sai, Mark. Venendo qui ho avuto modo di pensare... Axel mi si è quasi dichiarato, prima. Ed io mi sono bloccato prima di dirgli che se me lo avesse detto prima, ora staremmo assieme, con tutta probabilità. Gli avrei fatto ancora più male.- Avvertì la sua carezza sul collo diminuire d'intensità per un istante, per poi riprendere da dove si era quasi interrotta, prendendosi la libertà di lasciargli un piccolo pizzicotto su un angolino dove la pelle era più morbida. Una piccola punizione, ma non desistette dal continuare. -Sai che il mio primo amore fu proprio un bambino? Certo, non che parlare di primo amore a cinque anni sia corretto. Però ero rimasto tremendamente affascinato da lui. Era poco più grande di me, ed era il figlio del mio maestro di piano. Faceva correre le dita sui tasti come se non avessero consistenza. Sembrava quasi che quello strumento componesse da solo la propria melodia, come dotato di un carillon interno.- Interpose una breve pausa, riaprendo gli occhi e drizzandosi meglio sulla sedia per poterlo osservare comodamente, anziché cogliere solo il tubo della flebo. E si morse le labbra, fissando la linea ad apici regolari del suo elettrocardiogramma. -Con tutta probabilità sono sempre stato... omosessuale...” Aveva pronunciato con fatica quelle parole, senza in realtà guardarlo in faccia, sentendosi arrossire, invece, fino alle punte dei capelli. Era strano riuscire ad ammetterlo così apertamente, senza troppi intoppi. A lui doveva dirlo. Alla fine glielo doveva. C'erano tante cose che non gli aveva ancora confessato. Che l'amava anche lui, per esempio. Oppure che adorava come suonava. E che doveva insegnargli a suonare come lui, perché per quanto si impegnasse, non ci riusciva proprio.
    “E' cambiato qualcosa in te?” Gli domandò  con gli occhi chiusi e la mano che, per quel che poteva gli scivolava su e giù per la schiena in lente carezze, morbide e distratte. Per lui sicuramente non era cambiato nulla. Era suo e lo sarebbe stato per quel poco di tempo che gli era restato. Lo sentì dissentire, Mark, pur senza guardarlo.
    “Avrebbe dovuto cambiare qualcosa?” Gli chiese per tutta risposta, alzandosi ed aggirando il lettino, portandosi dal lato dove non si trovavano impedimenti quali flebo e macchinari vari. Non gli servì nemmeno parlare che già Violin si era spostato di poco, stando ben attento a non dare scossoni alla flebo e gli aveva lasciato abbastanza spazio da stendersi comodamente su di un fianco.
    “Tu eri quello convinto di essere etero.” Gli fece notare candidamente il musicista, arruffandogli i capelli e ricevendo uno sbuffo per risposta. Sapeva quanto quel gesto potesse infastidire l'altro. Ma aveva bisogno di toccarlo. Di sentirlo vicino. Di sentirlo suo. Reclamò un bacio, invece, e venne subito accontentato. Pace ristabilita a causa della sua malattia. Che ironia.
    “Sarebbe bello presentarti ai miei.” Esordì di nuovo Stradivari, dopo essersi steso comodo su un fianco, posato sull'altro per buona parte e con il capo accoccolato sulla sua spalla. Era comodo. Decisamente comodo. L'aveva pensato tutte le volte che si era attaccato a lui in quel modo dopo aver fatto l'amore. Messo così si godette a pieno l'espressione esterrefatta dell'altro, sorridendo trionfale tra sé e sé. Sublime.
    “E che gli diresti? 'Caro nonnino, cara nonnina... questo è Mark Violin. Che abbinamento del cavolo di nomi, tra l'altro, lo so... Ed è il mio ragazzo. Mark, questi sono mio nonno e mia non... na... pronti ad ucciderci entrambi a suon di padellate! Scappa!'” Gli aveva fatto il verso, l'uomo, lasciandogli la libertà di dar vita ad una risata divertita. Vivace e piena, tanto che si era contorto fino a posare il volto sulla sua spalle per soffocarla lì, così da non svegliare tutto il reparto. Solo quando si fu un po' ripreso, riuscì a tirarsi nuovamente su, posando le mani ai lati del volto di Violin, per poterlo guardare, prima di accasciarsi nuovamente su un lato, afferrandogli una mano e giocherellando con quella, distrattamente.
    "Dai, pensati la scena. Non sarebbe fantastico? Durante una cena di gala dai miei nonni, io che mi alzo in piedi per fare un annuncio. Guardo i vecchi e mio padre, alla mia destra prima. Tutta l'élite attorno a me, poi. Ed in fine tu, alla mia sinistra. Calice in mano ed i mio miglior sorriso. Quello che so rende tanto orgogliosi i miei. 'Signori miei.' Esordisco e già lascio un momento di pausa, facendogli pregustare una delle tante idee sul mio futuro come musicista. Le sento nell'aria. Le posso quasi vedere che prendono forma davanti ai miei occhi. Qualcuno ha già le mani che fremono, pronte a partire in quella gara di applausi che, è certo, seguirà dopo e che invece io so già, non ci sarà. 'Volevo annunciarvi che abbandono il Monteverdi e che ho deciso di trasferirmi in Italia.' Cala un momento di silenzio congelato perché i nonni non lo sanno, e mio padre nemmeno, ma tu si. Tu si perché ci andremo assieme. Ci verrai, vero? Oh, e poi la parte che preferisco. Tu ti alzi in piedi prendendomi per mano ed il mio sorriso si accentua. Si addolcisce come succede solo quando sono con te. 'Volevo inoltre annunciarvi che mi sono fidanzato.' Ed eccole. Le loro facce sconcertate strette in una morsa di gelo. Ed è una vittoria, la mia. Su di loro, su me stesso e quelli che erano i miei tabù. E brindo, perché non c'è altro da fare. Perché ho raggiunto quella libertà che non avevo mai sfiorato prima. Ci pensi? Non sarebbe fantastico?" Rimase per degli attimi ridicolmente lunghi in silenzio, Mark. Osservandolo ed andando a carezzargli il capo con il naso e con le labbra. Forse lo fece per nascondere quel sorriso malinconico, che poi sfociò in una risata che anche alle sue orecchie sembrò tutto fuorché sincera. E la sua mano strinse maggiormente quella del violinista. Avrebbe voluto dirgli di sì. Che sarebbe andato con lui in Italia. Che avrebbero vissuto assieme lì o in qualunque altro luogo avesse scelto. Avrebbe voluto, ma non lo fece.
    "Ma tu sei tutto matto. Ti diseredano." Lo avvertì, restando interdetto quando non avvertì alcuna ribattuta o reazione da parte di Victor, che si limitava a stare attaccato a lui. Un braccio attorno alla sua vita e l'altro che tratteneva la sua mano senza troppa forza. Abbassò lo sguardo sul suo volto trovandolo con gli occhi bassi e le ciglia lunghe a coprirglieli, allargate e folte come i rami di un albero d'autunno. Le iridi apparentemente dorate che componevano quelle foglie prossime alla caduta.
    "Lo so. E' quello che voglio." Sorrise contro la pelle del collo di Mark. Un sorriso nascosto, ma solo per lui. Un sorriso di quelli un po' timidi, un po' difficili da esternare, perché dicevano tante cose. Dicevano che non gliele importava davvero più nulla di appartenere a quella famiglia. Che quel desiderio cui aveva appena dato vita era ciò che davvero voleva. Che semplicemente gli interessava stare con lui.
    “Domani suoniamo qualcosa assieme?” Violin gliel'aveva proposto parlando con calma, passandogli il braccio destro sotto il capo e fungendogli così da cuscino. Lo strinse maggiormente a sé e cominciò a carezzargli, per quel che riusciva, la schiena, il fianco ed il capo. Aveva ascoltato quanto il medico aveva comunicato al violinista ed alla suora, e contava di star bene per il pomeriggio successivo. Doveva stare bene, avesse dovuto essere l'ultima cosa che avrebbe fatto in vita sua. Doveva essere con lui, l'indomani. Doveva dargli quella libertà che sembrava tanto anelare. Victor annuì contro la sua spalla senza aggiungere altro. Non aveva voglia di pensare al giorno seguente. Si stava godendo il calore del corpo dell'altro, in quel momento. E tanto gli bastava.

    “Il medico... ti ha detto... n-non devi fare... sforzi.- Tendersi contro quel corpo. Dentro a quel corpo. Era una vertigine nuova ogni volta.  Faceva male anche a lui la disperazione con cui si era reso conto di averlo fatto suo. Restò fermo immobile per qualche istante, senza badare a quelle perle bianche che gli sporcavano il torace, concentrandosi piuttosto su Victor, stravolto, sopra di lui. E pensare che di lì a poco avrebbero dovuto esibirsi. -Ti odio. Quando fai così... ti odio davvero. Ringrazio che al piano ci starai tu, dopo. Non riuscirei a sedermi su quel coso.” Brontolò Stradivari, allontanandosi da lui con una smorfia e stendendosi completamente sul suo torace, usandolo come materasso. E s'imbronciò quando lo sentì ridere di gusto, scompigliandogli i capelli con una mano, mentre l'altra si premurava di tenerlo legato a sé.
    “Togliendo il fatto che sono stato una settimana in astinenza, mi risulta che tu abbia fatto tutto da solo.- Gli rispose con tono saccente, chiudendo gli occhi ed inarcando, per quello che poté, la schiena. Diamine se era duro il pavimento. Si erano rinchiusi in una delle sale insonorizzate che utilizzavano per le prove e, causa un passo falso del violinista che aveva cercato di rubargli un bacio, si erano trovati a fare l'amore sul pavimento. Attenti a non urtare strumenti o oggetti dispersi per la stanzina. Questo perché, sì, effettivamente lui gli era letteralmente saltato addosso. Si sentiva in forma, nonostante tutto. Forse un pensiero positivo era riuscito ad insinuarsi soave nella sua testa, alla notizia di quel cuore che forse gli avrebbe permesso di vivere una vita normale. -Grazie per esserti sacrificato per la causa. E...” Si interruppe, Mark, scostandolo da sé con delicatezza e mettendosi a sedere, recuperando un pacchetto di fazzoletti dalla tasca della giacca della divisa, passandone un paio al compagno, silenzioso, mentre l'altro cercava una posizione un po' più comoda contro il pavimento, riprendendo ancora fiato. Avrebbe voluto concludere dicendogli per l'ennesima volta che l'amava. Ma non era il momento giusto. Aveva un piano. Un desiderio anche lui. E forse Victor l'avrebbe ucciso, per questo, ma aveva poca importanza: l'avrebbe fatto ad ogni costo.
    “Devo farmi una doccia. Sono stravolto.- Stradivari stava utilizzando una finestra chiusa come specchio per controllare fino a dove era riuscito a sporcarsi, pulendosi alla meglio con quella salviettina di carta che ben poco toglieva. Ci aveva messo un po' a calmarsi ed a recuperare un briciolo delle proprio forze, ed ancora in realtà si sentiva spossato e stanco. Aveva un'espressione davvero stravolta, inoltre. I capelli castani disordinati. Le labbra ancora rosse. Sottili come sempre, ma di un colorito che le faceva risaltare ulteriormente su quella pelle chiara. Le guance colorate da uno spruzzo porpora che rendeva ancor meglio l'effetto sconvolto della sua figura. Però il suo fisico era impeccabile come sempre. Magro ed un po' incavato. Con le scapole sporgenti e braccia e gambe lunghe ed armoniche. Non si era accorto, Mark, di avergli lasciato invece, tanti marchi rossi sul collo. Ce n'era uno proprio dietro l'orecchio. Invitante. Un po' buffo, forse, nel suo modo di spiccare tra la peluria chiara e le orecchie arrossate di Victor, che probabilmente stava facendo i conti di quelle che sembravano ghirlande su un campo di battaglia innevato. Lo guardò di traverso tramite il riflesso fornitogli dalla finestra, incrociando le braccia contro il torace. -Viò, se vuoi ti faccio anche un poster a figura intera, più tardi, con la mia foto. Ma al momento mi occorre che tu ti vesta e che ti impari quella parte.” L'aveva ripreso, tamburellando spazientito il piede a terra, volgendosi poi in sua direzione e raccogliendo la felpa dell'altro per infilarsela alla bel e meglio addosso, infilandosi poi i boxer, aderenti sì, ma abbastanza lunghi da sembrare degli shorts. Forse un po' troppo shorts. Mark lo squadrò dalla testa ai piedi, arcuando un sopracciglio.
    “Tu non esci di qui vestito così.” L'aveva minacciato quasi, incrociando le braccia sotto il torace ed assottigliando il taglio degli occhi, in una posa che si addiceva di più al ragazzo, piuttosto che a lui. Victor sollevò gli occhi al soffitto, passandogli accanto e dirigendosi verso la porta, carezzandogli piano i capelli con una mano, seppure sbuffando esasperato.
    “Non mi violentano per i corridoi. Vado alle docce della piscina. Hai presente che sono a meno di un minuto da qui?” Gli domandò retorico, sollevando un sopracciglio, in barba a tutto. Sapeva che l'altro era geloso. L'aveva scoperto da poco, effettivamente. L'aveva notato nelle occhiate che dedicava ad Axel, quando stavano assieme. E ne aveva avuto la certezza il giorno prima, quando gli aveva raccontato di quanto accaduto tra lui ed il suo migliore amico.
    “E io che avevo un regalo per te. Ma credo che te lo darò dopo il concerto.” Finse noncuranza, spostando lo sguardo altrove, tirandosi semplicemente su l'intimo con un gesto sciolto. Distratto quasi. Stradivari si fermò sulla soglia ad osservarlo con un'espressione perplessa disegnata in volto. Le sopracciglia abbassate, in attesa.
    “Va bene.” Se aveva sperato che gli avrebbe dato la soddisfazione di chiedergli subito cosa fosse, Violin si sbagliava di grosso. Era un tipo curioso di natura, Victor, ma non in maniera eccessiva. Inoltre, gli aveva dato una scadenza. Avrebbe atteso sino a quel momento ed in caso se ne fosse scordato, o avesse omesso volontariamente di consegnargli quella fantomatica “sorpresa”, l'avrebbe sollecitato rompendogli sapientemente le scatole.
    “Non sei curioso? Nemmeno un po'?” Gli occhi dell'uomo si posarono indagatori sulla schiena del violinista, registrando quel blando alzarsi delle spalle dell'altro in un gesto noncurante. E sospirò. Victor Stradivari, per lui, sarebbe rimasto un mistero sotto tanti punti di vista. Però quella felpa non gli rendeva decisamente giustizia. Storse le labbra nel fare quella considerazione, spostando l'attenzione sulla tastiera che si trovava dall'altra parte della stanzina.
    “No. Non particolarmente.” Dovette considerarsi fortunato se a quel gesto con le spalle, gli aveva rivolto anche ben tre parole, nonostante avesse palesemente la luna storta. Il suo ragazzo stava facendo progressi.
    “Così mi offendi.” Ironizzò, drizzandosi in piedi forse troppo rapidamente e barcollando appena. No. Non era stata la velocità dei propri gesti. Il suo cuore accelerò improvvisamente i propri battiti e per un istante tutto divenne troppo chiaro, sfocato, davanti a lui. La testa cominciò a pulsargli pesantemente, come se d'improvviso l'ossigeno presente nell'aria non fosse sufficiente per lui. Si posò con un gesto distratto, che voleva far passare per naturale, ad una parete.
    “Vado a farmi la doccia. Tu intanto p... riposati.” Stradivari dovette accorgersene, perché cambiò d'improvviso il proprio ordine. Volse appena il capo in sua direzione per controllare che non crollasse a terra, pronto in realtà a soccorrerlo. I muscoli delle gambe già tesi pronti a fare un passo, in avanti o all'indietro, se fosse stato necessario. Ma il sorriso dell'altro sembrò tranquillizzarlo, tanto che finalmente si decise ad uscire, lasciandosi la porta aperta dietro le spalle. Probabilmente un'accortezza per controllare che l'altro non stramazzasse.

    Il dietro le quinte non era mai stato così silenziosamente rumoroso.
Stradivari sedeva comodamente sulle ginocchia di Violin più per vezzo che per necessità di stare seduto. Lo sguardo concentrato ed altezzoso puntato verso il palco da dove provenivano le voci di Kirya e Lizzy che cantavano. Vedeva il pubblico. Lo sentiva rapito. Estasiato. Come se la tensione e l'eccitazione fossero palpabili nell'aria. Una sensazione quasi tattile. Una sensazione che inebriava tutti e cinque  i sensi. Non avevano anticipato niente a nessuno, di quella che sarebbe stata la loro performance a quello spettacolo. Anche la loro partecipazione era stata incerta fino all'ultimo. Ed invece adesso stavano deliziando la platea con un brano tratto dal “Messiah” di “Händel”. Non aveva mai sentito quella sorta di bambola orientale cantare brani che non concernessero il genere Pop o Rock, ma doveva ammettere che non si smentiva, con quella voce che prendeva delle sfumature decise quando richiesto. Bisognava ammettere però, che la moretta la superava senza difficoltà, seppure con la sua straordinaria capacità di non surclassarla. Di non coprirla o metterla in secondo piano. Con la sua voce alta e morbida che non strideva mai, eppure faceva venire la pelle d'oca. Sorrise quando, come per errore, una chitarra elettrica penetrò tra le loro voci, lasciando esterrefatto il pubblico, e facendo nascere un sorriso spontaneo sulle sue labbra, quando Axel fece la sua comparsa sulla scena, entrando dall'altra parte del palco. I capelli tornati neri, sempre un po' troppo lunghi e con qualche riflesso di un blu elettrico che alla luce dei riflettori brillava vivace. Un paio di jeans strappati facevano la loro figura sul suo fisico magrissimo. Ed una camicia decisamente troppo grande per lui, gli lasciava scoperta solo una parte del petto, mostrando un tatuaggio di quelli da bambini che non si capiva cosa fosse su una scapola. Gli scappò un sorriso divertito, mentre si ritrovava a pensare che il suo amico si stesse comportando esattamente come sempre. Ne fu sollevato. La musica cambiò presto. Entrò la batteria ed assieme ad essa il basso. E partì.
“Smell like teen spirit”.
    Perché loro profumavano ancora di un'ingenuità ormai disillusa. Di conoscenze che ancora si sperava fossero ignote. E di errori. Di diversità. Di quei pericoli che tanti corrono nella vita. In cui troppi incombono. Ed avrebbe voluto unirsi a loro. Gridare a squarciagola quel ritornello. Per una volta senza limiti. Senza freni.

    “A cosa pensi?” Gli domandò Violin dedicando uno sguardo noncurante ai loro compagni di scuola, guardandoli senza insistenza. Semplicemente perché erano nella sua linea d'aria. Eppure non si dimostrò arrogante. Tutt'altro. Sembrava piuttosto stanco e che quell'espressione derivasse da quello. Tanto che quando sorrise loro, d'istinto ricambiarono.
    “Al fatto che il tuo nome ti sta bene.” Ammise con tutta calma Victor, carezzandogli senza malizia un braccio. Solo per coccolarlo. Solo perché gli andava. Perché gli piaceva sentire a sua pelle a contatto con la propria. Avevano optato per tenere entrambi solamente la divisa scolastica estiva e le braccia erano rimaste scoperte per via delle maniche corte della camicia.
    “Mi sta bene?” Domandò senza riuscire a trattenere un'espressione interrogativa. Sbatte un paio di volte le palpebre, schiaffeggiando la pelle sotto gli occhi con quelle ciglia chiare e lunghe che si ritrovava. Annuì un paio di volte Stradivari, ciondolando il capo al ritmo del ritornello della canzone e battendo il piede destro a terra, coinvolto.
    “Sì. L'origine è Latina, credo. Significa 'caro a Marte'. E Marte, o Ares, era il Dio della guerra. E' come quando chiami una bambina... che ne so... Ilaria? Significa 'felice, ilare, gioiosa'. Se così non fosse, dovrebbe cambiare nome, no?- Cercò di stare dietro al suo ragionamento, Mark, dedicandogli una risata soffusa, perché era strano quando il suo ragazzo se ne usciva con discorsi simili. Gli conferivano un'ingenuità delicata che non dimostrava con nessuno. Sarebbe stato uno dei ricordi più belli che aveva di lui, di sicuro. Era bella quell'aria assorta e volubile che assumevano i suoi tratti. Pronti ad indurirsi di nuovo, in realtà, per lasciar spazio alla sua alterigia. Annuì un paio di volte, per comunicargli che stava dietro al suo discorso, invitandolo così anche a continuare. -Ti sta bene, insomma. Sembri un Dio, quando suoni il Piano, o qualunque altro strumento. Quando cammini per i corridoi oppure ti alleni. Sei l'essenza della forza, nonostante tutto. Ne sei l'emblema ed è tua. Sei forte come un guerriero di altri tempi e bello uguale, con quel tuo orgoglio affatto prepotente e quella tua fierezza che spesso cela una dolcezza inimmaginabile... non so se mi capisci.” Aveva farfugliato quelle ultime parole preso da una strana timidezza, Victor. Si era scoperto troppo, raccontandogli quanto pensava di lui e si sentiva nudo davanti al suo sguardo chiaro, simile al ghiaccio sul punto di liquefarsi. Era sul punto di ribattere, Violin, ma uno scroscio di applausi annunciò il loro turno. Solo in quel momento si resero conto degli sguardi sconcertati di quelli che stavano con loro da quella parte del palco. Soprattutto quando le braccia di Mark si strinsero più forte attorno la sua vita. Si volse in parte a sorridere al compagno, Stradivari, per poi guardare i loro colleghi che li stavano fissando, se possibile, ancora più allibiti. Sorrise anche a loro. Un sorriso vero. Sincero per una volta. Il sorriso di chi in quel momento sta bene con se stesso e con il mondo. Violin gli si avvicinò all'orecchio, intanto, soffiandovi un bacio ed ignorando, per contro, quegli spettatori un po' troppo invadenti.
    “The Show Must Go On.” Glielo sussurrò, costringendolo ad alzarsi dalle sue gambe. Si congratularono con il quintetto che abbandonava la scena, salutando con un abbraccio le due ragazze che si erano esibite, scambiandosi occhiate complici. Di chi già sapeva. Di chi approvava e viveva. Calcarono la scena con decisa eleganza. Forti. Fiduciosi. Era un brano originale. Una reinterpretazione di quanto loro stessi avevano composto in quell'ultimo periodo. L'avevano riadattato assieme quella mattina stessa e l'avevano provato si e no un paio di volte, ma sembrava uscire da solo dai loro strumenti. L'uno con il violino, l'altro con la viola. Un botta e risposta che nasceva spontaneo, come se tramite quegli archi stessero comunicando direttamente le loro anime. I loro sogni vennero liberati nell'aria tramite quelle note che si susseguivano -prede e cacciatori- e poi danzavano -dame e cavalieri. C'era un modo che prendeva vita nelle loro mani, come se loro fossero gli Dei che lo stavano generando in quel momento. La forza del caos, che veniva interrotta dalla morbida carezza della luce e che alla fine si riempiva di suoni e di colori nuovi. Ordinati e ben delineati. E c'erano ricordi, in quella melodia. Un incontro fatto di sguardi penetranti ed astiosi. D'insofferenza reciproca e di occhiate lanciate di nascosto. Di risate fatte tra amici e di gelosie che avvolgevano il cuore come serpenti, iniettando il loro aspro veleno. Parlava di brividi, quella sinfonia. Quelli sollevati per lo scampato pericolo e quelli arrabbiati. Quelli provocati dallo schioccare di un bacio e quelli per la paura di perdere qualcuno di caro. C'erano nove mesi della loro vita, lì dentro. E li stavano offrendo al pubblico con il cuore aperto. Una nota grave concluse il pezzo. Una nota che sembrò incombere nella sala come una minaccia. Un presagio di disfatta, perché anche gli Dei muoiono. Mark si avvicinò lentamente a Victor, passandogli un braccio attorno al collo in un gesto che in un primo momento non sembrò pesare, al violinista, lasciandolo interdetto solamente quando lo baciò innanzi all'intero pubblico. Aveva sancito la fine, con quel sapore un po' dolce ed un po' ferroso che gli aveva lasciato sulle labbra. Si inchinarono davanti alla platea, e nel silenzio lasciato dallo sconcerto nel pubblico, un tonfo ed un'altra nota grave si tesero nell'aria, suonando come una campana a lutto.




Ecco a voi un regalo di pasqua :)
Manca l'Epilogo e credo che lo pubblicherò domenica prossima :)
Vi auguro una buona pasqua, ragazze. 
Un grazie a chi ha seguito questa storia. Nel prossimo capitolo ringrazierò come si deve =)



Qui (Un piano rovinato dalla morte) c'è una piccola Shot realizzata da Red Leaves per questa storia. E' ambientata prima degli avvenimenti di questo capitolo. Vi prego di leggerla, perché è davvero piacevolissima :)

Un abbraccio.

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Capitolo 12
*** Epilogo. Quelle note sono lacrime sul pentagramma. ***


Epilogo: Quelle note sono lacrime sul Pentagramma.



    Era una semplice lapide bianca in mezzo alle tante e lui la stava fissando da almeno mezz'ora in silenzio. Non poteva pregare. Non perché non gli fosse mai stato insegnato, ma perché sarebbe stato inutile. Nonostante lui avesse visto Mark come un angelo piombatogli giù dal cielo senza un motivo reale, per il mondo in cui era vissuto, lui risultava qualcosa di sbagliato. A cosa sarebbe servito pregare? Appoggiò una mano sulla pietra che formava quella croce. Il nome e quei pochi dati che concernevano Violin erano stati incisi bianchi sul bianco. Aveva anche discusso con i suoi nonni perché sulla lapide fossero incise poche parole. “Tu sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi suonare.” Le aveva fatte incidere a proprie spese, alla fine. I suoi parenti non avevano apprezzato lo spettacolo che lui e quel “trovatello da quattro soldi” avevano dato a scuola, davanti a tutti. Sfiorò quelle parole con le dita, sentendole in rilievo sulla superficie irregolare della pietra, mentre lui le fissava, senza leggerle, però. In quell'anno le aveva riviste e sentite sotto i polpastrelli tante di quelle volte che ne conosceva ogni imperfezione. Quella dannata lapide bianca. E quel maledetto candore che alla luce del sole estivo diventava quasi fastidioso. Tanto che il riverbero gli graffiava gli occhi come un animale ferito, facendogli avvertire un''insana voglia di piangere. Dei passi alle sue spalle lo misero in allerta, quando gli arrivarono alle orecchie, ma non si voltò. Immaginava chi poteva essere.
    “Hai guardato quel dvd?” La voce di Kirya si fece spazio nelle sue orecchie, senza che lui la sentisse davvero. In quel momento aveva chiuso il mondo fuori. Dalla sua testa. Dal suo cuore. Annuì semplicemente. Ma quasi di sicuro avrebbe assentito a qualunque domanda. Fu il tocco discreto di una mano sul suo braccio a costringerlo ad uscire dalla conca del suo malessere. Due pozzi neri lo stavano osservando dal basso, incorniciati da boccoli corti e pieni. Elisabetta aveva uno sguardo triste che non le aveva mai visto addosso e nella piccola mano teneva un fazzolettino che gli passò sul viso, abbracciandolo. Era già passato un anno. Il braccio di Axel cinse il suo in un gesto che se avesse potuto, probabilmente si sarebbe alzato sulle sue spalle, ma la differenza di altezza dava qualche piccolo problema. Andy invece gli stava davanti. Il capo chino e le braccia che cingevano la grossa croce come probabilmente avrebbero fatto se innanzi a lui avesse avuto Mark stesso. Erano ancora loro. Tutti e quattro assieme a ricordare quell'evento. Erano rimasti uniti nonostante tutto. Nonostante i rifiuti. Nonostante le minacce. Nonostante le ripicche. Loro erano ancora lì. Violin era morto il giorno dopo il concerto, a seguito di diverse ore in sala operatoria. I medici avevano tentato un intervento disperato, ma era stato inutile. La malattia aveva preso il sopravvento e se l'era portato via lasciandoli sgomenti. Il giorno seguente Kirya gli aveva consegnato una busta da parte del musicista contenete degli spartiti ed un dvd. “Victorious” era il titolo del componimento che riempiva le rigature e Stradivari non aveva potuto fare a meno di sciogliersi in un pianto disperato. Da allora non aveva più spanto una lacrima. Aveva provato a suonare quella melodia a violino, qualche mese dopo. Più tranquillo. Con il dolore che si faceva sentire meno pesante nel suo petto. Ed aveva scoperto che non era altro che la melodia che aveva suonato a pianoforte nel teatro della scuola. La prima volta che avevano fatto l'amore. Ma non aveva mai preso il coraggio a due mani ed affrontato quella registrazione. Almeno fino a due giorni prima dell'anniversario della sua morte. Era il momento di farlo. Glielo doveva, infondo.
    “L'ho guardato ieri l'altro, Hayama.” Le comunicò, voltando le spalle alla lapide e tirando di nuovo su il viso, allontanandosi verso la macchina che li aspettava tutti e cinque fuori dal cimitero con quella forza e quell'eleganza che da un po' di tempo a quella parte era tornato a sfoggiare con testardaggine. La testardaggine di chi ha capito il messaggio, visto che il dvd conteneva la registrazione del piccolo show che avevano allestito per lui i ragazzi, in classe. C'era solo quella canzone: “The show must go on”. Un ammonimento. Un avvertimento. Una raccomandazione. Una richiesta. L'aveva interpretata in tanti modi, ma aveva capito finalmente, perché Mark gli avesse dedicato proprio quella canzone. La ragazzetta gli sorrise dolcemente, nonostante tutto. Nonostante il loro carattere così tremendamente simile. E forse anche per quello. Lo poteva capire. Poteva afferrare quel dolore che gli aleggiava attorno con una mano e spolverarlo via un po' alla volta con l'altra, aiutata da quelli che gli erano vicini. Axel gli era rimasto dietro di un paio di passi, mentre Lizzy ed Andy avevano procrastinato, fermandosi qualche istante di più sulla tomba del loro amico.

    Era una cena di gala. Una cena di beneficenza. I suoi nonni l'avevano organizzata sotto suo invito, ed i soldi sarebbero stati devoluti all'orfanotrofio in cui era cresciuto Violin. Era stato difficile far accettare alla sua famiglia quella che era diventata la sua scelta di vita. Alla fine, come da programma, a loro interessava solamente che il nipote stesse al loro fianco. Ma sua nonna si era dimostrata insolitamente dolce, dopo avergli sentito eseguire “Victorious”, mentre la provava in casa loro. Gli si era avvicinata sorridendo di un sorriso pacato e signorile. Non esprimeva gioia, ma una profonda stima per l'uomo che era diventato. Ed un orgoglio radicato fin nel profondo del suo animo di anziana donna benestante. Gli aveva preso le mani con premura, carezzandole con quelle dita rugose, ma ancora forti, rese morbide dalla crema.
    “Questo è suonare con il cuore, Vittorio. Avrei voluto piangere dalla disperazione, nel sentire la tua esecuzione, ma la vita di questo brano fa venir voglia di affrontare qualunque dolore con forza. Fa venir voglia di andare avanti passo dopo passo, nonostante le sofferenze che ci attanagliano.” Avrebbe voluto piangere lui, in quel momento, ma non lo fece. Abbandonò per un istante però quella maschera di gesso e cera che aveva addosso, lasciando spazio di trapelare ad una sofferenza profonda. Le aveva portato le braccia al collo, stringendola a sé. Concedendosi quel gesto dolce e così intimo con quella donna che si era fatta riscoprire ai suoi occhi. Con quella donna cui somigliava tanto e con la quale condivideva lo sguardo acuto e deciso. Quella che quando era bambino gli raccontava le favole. Quella che quando era diventato adolescente aveva talvolta litigato con il marito per le scelte che aveva fatto al posto del nipote. Quel giorno aveva riscoperto una famiglia che non si ricordava di avere.
    Non sarebbe fantastico? Durante una cena di gala dai miei nonni, io che mi alzo in piedi per fare un annuncio...
    Si alzò in piedi, Victor. La coppa di spumante in mano. Sollevata per annunciare un brindisi imminente. Si guardò a destra e come da previsione trovò gli occhi dei suoi parenti puntati su di lui. Lo sguardo severo e distaccato di suo padre, ancora offeso probabilmente, per non avere un figlio perfetto che preferiva portarsi a letto un uomo, piuttosto che una donna. Quando gli aveva fatto presente che lui ancora non era sposato e che sperperava i suoi soldi con le prostitute, quello gli aveva ringhiato contro che l'avrebbe diseredato. Lui gli aveva risposto con un'alzata di spalle e la sua migliore faccia di bronzo dicendogli che finché il suo, di padre, era vivo, a lui non spettava neanche un ninnolo di quello che era il patrimonio di famiglia. A seguire c'era il nonno. Incredibilmente di vedute più aperte del figlio. Dopo una discussione più serrata, e la promessa strappata che mai avrebbe abbandonato il violino, aveva accolto il nipote a casa con le braccia aperte. Aveva uno sguardo severo, però stava annuendo, invitandolo a continuare. E poi, accanto a sé aveva sua nonna. Quella che era divenuta il suo sostegno in quei mesi di tristezza. Quella che lo ascoltava ogni volta che suonava il violino con disperazione, talvolta piangendo per lui. L'aveva riscoperta di una bellezza inusuale, fatta di sorrisi ancora timidi al marito. Di carezze posate a fior di capelli la sera. E di abbracci forti nei momenti di sconforto. Di quella bellezza di chi sa ancora amare. Quella era la sua famiglia. La sua gabbia dorata fatta di pro e contro. Aveva solo dovuto accettarla, e tutto poi era venuto da sé. Il suo sguardo passò poi sull'élite della borghesia londinese, sorridendo con sfrontatezza verso di loro, sollevando già il calice, comunicandogli così di prepararsi al brindisi. In fine aveva posato lo sguardo alla sua sinistra. Lizzy, Axel, Kirya, Andy. Erano lì, con lui. Solidi bastioni attorno alla sua struttura così instabile e fragile. Lui mancava, però. A loro sorrise con maggiore convinzione. Un ringraziamento.
    “Signori, avrei un annuncio da farvi...”


“The show must go on”


The end





Lo so, questo epilogo non dice nulla di più di quanto non si sapesse già.
Mi spiace che la storia sia risultata piatta. Più di qualcuno me l'ha fatto notare.
Però, sinceramente, come prima avventura yaoi, io ne sono soddisfatta. Ci ho lavorato tanto e mi sono davvero affezionata a tutti i personaggi che ho creato.
Spero che almeno una parte di questo affetto sia arrivata anche a chi legge.
Ringrazio chi ha recensito positivamente e negativamente la mia storia. Le batoste servono per crescere.
Ringrazio RedLeaves, perché mi ha sopportato durante la stesura del racconto (lui che lo yaoi non può nemmeno vederlo) e io comunque gliene parlavo XD E poi, arrivando addirittura a scrivere un piccolo spin-off che vi consiglio di leggere (il link è allo scorso capitolo).
Ringrazio Andy, perché Strà e Viò sono merito suo. Perché è stato fonte di consiglio durante i nostri meeting e training autogeni al McDonalds X°D Perché mi spiace di avergli ucciso un personaggio che a detta sua NON doveva morire XD (immagino i più siano d'accordo con lui =P)

Vi abbraccio tutti :)

Herì <3

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