Geschichte einer Spieldose- Storia di un carillon di hotaru (/viewuser.php?uid=42075)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dove un cane è l'inizio di tutto ***
Capitolo 2: *** Refoli di cenere ***
Capitolo 3: *** Misteri svelati ***
Capitolo 4: *** Faville in musica ***
Capitolo 5: *** Solo un ticchettio in più ***
Capitolo 6: *** L'alba di settembre ***
Capitolo 1 *** Dove un cane è l'inizio di tutto ***
1- Dove un cane è l'inizio di tutto
Geschichte einer Spieldose- Storia di un carillon
Dove un cane è l'inizio di tutto
"Vediamo di trovargli un altro padrone, d'accordo?"
(Riza Hawkeye, episodio 13)
Ora: dove nasconderlo?
Ah, in camera sua no di certo: figurarsi se quell'aquila di sua madre
non l'avrebbe trovato. E anche tutto il resto del loro appartamento era
fuori discussione... ma allora dove?
Un ragazzino pallido con una zazzera nera che aveva decisamente bisogno
di essere tagliata se ne stava nascosto nel sottoscala del palazzo in
cui abitava, facendo lavorare il cervello più in fretta che
poteva.
A un tratto sentì i pantaloni umidi e caldi in modo sospetto:
caldi lo erano per forza, con quell'ammasso peloso e grassoccio che
teneva in grembo, ma stavano stranamente iniziando a bagnarsi...
- No, eh! - esclamò, alzandolo di scatto e notando
un'inconfondibile macchia scura sui suoi pantaloni – Dopo che ti
ho salvato... ingrato! -.
Il cagnolino la stava ora facendo tranquillamente per aria,
probabilmente ignaro del fatto che quella fosse una terribile
manifestazione di ingratitudine.
- Ma quanta ne hai? - fece il ragazzino, rimanendo a guardare lo
zampillo finché non si fu esaurito del tutto. Terminato il
getto, il cucciolo ricominciò a muovere forsennatamente il
moncherino di coda che si ritrovava.
- Sarai anche carino, ma così proprio non va – borbottò il ragazzino – Dove ti nascondo, adesso? -.
L'animale uggiolò in tono fin troppo udibile, e il ragazzo
pensò che non era il caso di chiedergli altri consigli. Si
guardò attorno dalla propria postazione nel sottoscala,
finché lo sguardo gli cadde su una porta: la porta della cantina.
- Mmm... - fece, subito imitato dal cane – Silenzio! -.
Dando una veloce occhiata per assicurarsi che in giro non ci fosse
nessuno, uscì fuori dal suo nascondiglio e raggiunse in fretta
la porta, lasciando poi appena uno spiraglio perché entrasse un
po' di luce.
Non che ne avesse bisogno: conosceva quel posto come le sue tasche, ma
ora doveva pensare a dove nascondere il botolo perché nessuno lo
trovasse. Innanzitutto doveva essere ben lontano dalla porta, in modo
che non fosse facile nemmeno intravederlo. Tra le cianfrusaglie
accumulate lì da tutti gli abitanti del palazzo? Ma poteva farsi
male: persino lui, una volta, si era tagliato con dei pezzi di ferro
arrugginiti e aveva rischiato il tetano. Vicino allo scaffale con le
bottiglie? No, no, figurarsi: fin troppo frequentato.
"Trovato!" pensò, per poi dirigersi verso la catasta di legna
nell'angolo più buio. Poteva sistemarvi una vecchia coperta e
occultarla con qualche grosso ceppo: nessuno prestava mai troppa
attenzione a della legna, e con un po' di fortuna nessuno se ne sarebbe
accorto.
- Adesso ascoltami bene – fece, rivolto al cagnolino ancora
ignaro di aver trovato casa – Io ti terrò qui e ti
porterò da mangiare, ma in cambio non dovrai nemmeno aprire
bocca. Mi sono spiegato? -.
Non molto, in realtà, perché il cucciolo iniziò subito ad uggiolare per la fame.
- Zitto! - sibilò il ragazzino, chiedendosi chi mai avesse detto che i cani obbedivano assolutamente
ai loro padroni. (¹) Non c'era da stupirsi che un botolino
così indifeso avesse già preso qualche calcio ben
piazzato, al mercato in cui l'aveva trovato mentre rovistava tra le
teste di pesce.
- Vado a cercarti qualcosa da mangiare, ma tu stai buono qui –
gli ordinò, facendo per alzarsi e uscire dalla cantina.
Dovette però tornare indietro con un'imprecazione malcelata
quando gli uggiolii del cucciolo si fecero così potenti da
attraversare il legno massiccio della porta, col rischio che lo
sentissero perfino in strada.
- Sarà più complicato del previsto –
constatò il piccolo Roderich quando tornò a prenderlo, di
nuovo allegro e scodinzolante, e lo nascose sotto la giacca.
Mentre saliva le scale silenzioso come un ladro, sperò con tutto
il cuore che la riserva di pipì del cane si fosse esaurita nel
sottoscala.
In realtà il cucciolo si rivelò molto più
giudizioso di quanto sembrava: una volta riempita la pancia, gonfia
come un palloncino, si addormentò e non fece più il
minimo rumore.
Filò tutto liscio per due giorni interi: di tanto in tanto Rod
trafugava qualcosa dalla dispensa di casa- un po' di latte, un pezzetto
di carne, mezza pagnotta- per correre poi a portarlo al cucciolo, che
diventava sempre più tondo. Non fu difficile: a casa erano tutti
presi da sua sorella, che a quanto pareva aspettava un bambino. E dire
che non l'avevano mandato giù tanto facilmente, quando un
giovane tedesco non ebreo l'aveva chiesta in moglie. Ma la sua famiglia
non era più di tanto praticante, di certo non tradizionalista,
per cui le poche difficoltà erano state superate; anche
perché il giovane- che di mestiere faceva l'orologiaio- aveva
assicurato che non l'avrebbe costretta a lasciare la sua fede.
Il lato positivo di tutta la faccenda era che ultimamente i suoi
genitori non gli badavano più di tanto, lasciandolo libero di
tenere un cucciolo in cantina senza che nessuno se ne accorgesse.
E nessuno si accorse di nulla nemmeno il pomeriggio in cui qualcuno
lasciò aperta la porta della cantina, permettendo al cagnolino
di arrampicarsi su per i gradini e uscire indisturbato.
Non era solo in grado di rotolare, come ormai temeva Rod: quando si
accorse che il cane era sparito, non ci fu verso di trovarlo da nessuna
parte, né in casa né lungo la strada.
Provò a chiamarlo a lungo- non gli aveva ancora dato un nome
vero e proprio, anche se ogni tanto lo chiamava “Schwarz”-,
ma gli risposero solo il rumore di carri e carrozze sull'acciottolato
della via e il vociare della gente in giro a quell'ora. E dire che
l'animale non mangiava ormai da qualche ora: di solito uggiolava al
primo languore di stomaco, più simile ad un mostro marino che a
un cucciolo di cane.
Rod provò a fare un giro più largo, allontanandosi dalla
sua strada, dando una lunga occhiata in tutti i pertugi e gli anfratti
che trovava. Cercò di non pensare che qualcuno poteva già
averlo annegato, perché un cucciolo indifeso come quello sarebbe
diventato un cane randagio in un batter d'occhio, lo sapeva benissimo.
Seguì la strada lungo il fiume, si infilò in tutti i
vicoli che trovò, provò persino a chiedere a qualche
passante... senza successo. Si era ormai rassegnato, infilando le mani
nelle tasche della giacca come ogni volta che qualcosa non andava per
il verso giusto, dirigendosi finalmente verso casa... quando con la
coda dell'occhio li vide.
Il suo cane in braccio ad un
altro ragazzino. Una decina di metri più avanti, uno sconosciuto
biondo stava per entrare in una delle case di quella strada; aveva una
borsa in mano e teneva il cane con l'altro braccio. Era il suo per
forza: tondo uguale, con lo stesso pelo nero e panna. E quel maledetto
stava per portarselo via.
- Ehi, tu! -.
In seguito, ogni volta che le capitava di ripensarci, Eliza rivedeva
quella scena come al rallentatore: quell' “Ehi, tu!”
indirizzato per forza a lei; quel ragazzino che chissà
perché si era lanciato a rotta di collo nella sua direzione; il
cagnolino che si era agitato all'improvviso come se l'avesse
riconosciuto.
Tutte scene quasi idilliache, se si fossero trovati in uno di quei
romanzi strappalacrime che tanto piacevano alle ragazze di sua
conoscenza. Ma purtroppo il film non si era concluso lì: quel
ragazzino le era saltato addosso afferrandola per il colletto della
camicia, erano finiti tutti e due per terra e il pesce della cena aveva
descritto un'elegante parabola per aria. Sarebbe stato toccante se
perlomeno il cane si fosse gettato fra le braccia di quello che doveva
essere il suo padrone, ma se anche ci aveva pensato, quella
possibilità l'aveva scartata subito: si era tuffato senza
indugio sul pesce, un magnifico luccio fresco di mercato, affondando le
minuscole zanne nel punto più morbido.
Cena rovinata.
Eliza si arrabbiò abbastanza da dare a quello sconosciuto una ginocchiata nello stomaco, scrollandoselo di dosso.
- E levati! -.
Afferrò il cagnolino per la collottola senza tante smancerie,
decretando con un'occhiata che forse qualcosa si poteva ancora salvare.
In fondo si erano sporcate soltanto le squame, che avrebbe comunque
dovuto togliere, e poteva tagliare via il pezzo morso dal cane...
- Razza di ladro! -.
Aveva detto a lei? Eliza si voltò, più sorpresa che altro.
- Il cane è mio! - continuò quel ragazzino sconosciuto
indicando il cucciolo, impegnato a lanciare languidi sguardi al pesce.
Lei aveva troppe cose da fare per rispondergli per le rime,
perciò si limitò a porgli la domanda più logica:
- E io come facevo a saperlo? -.
- Beh, potevi chiedere in giro! Secondo te un cane così piccolo può starsene da solo per strada? -.
Non sarebbe stato né il primo né l'ultimo, pensò Eliza.
- A te l'hanno regalato? - gli domandò.
- Eh? -.
- Il cane, chi te l'ha dato? -.
- L'ho... beh, l'ho trovato -.
Rod udì la sua domanda prima ancora che aprisse bocca.
- E tu come facevi a sapere che non era di nessuno? -.
- Non lo era – non dopo che era stato sballottato come un rifiuto qua e là – Nessuno badava a lui -.
- Beh – fece lei, rimettendo il pesce nella sporta – Anche
quando l'ho trovato io non gli badava nessuno. E poi mi ha seguito lui
-.
Vide lo sguardo interrogativo di quel ragazzino dagli occhi scuri e allungati, e spiegò:
- Deve aver sentito l'odore del pesce -.
In effetti era più che plausibile, anche se c'era mancato poco
che glielo portassero via. Rod guardò il cane, e all'improvviso
si vergognò di aver quasi picchiato quel ragazzino che non aveva
fatto niente di diverso da lui.
- Riprenditelo, che aspetti? - gli disse Eliza. Il modo in cui si era
comportato era stato davvero maleducato, anche se in fondo aveva solo
dimostrato di tenere al cane – È tuo, no? -.
- Sì – rispose Rod, prendendolo da terra – Sì, è mio -.
E se ne andò col cane fra le braccia, senza chiedere scusa e
nemmeno salutare quel ragazzino biondo che, dal canto suo, entrò
in casa senz'altro pensiero che il pesce per la cena.
- Roderich Mühlstein! -.
Il tono di sua madre non prometteva niente di buono, non quando lo chiamava in quel modo.
- Non sono stato io! - esclamò, prima ancora di sapere per cosa doveva essere sgridato.
- Vuoi dire che questo cane non è tuo? - fece la donna sulla
soglia, mostrandogli quello che era inequivocabilmente il suo cucciolo.
- N-no – mentì lui. Qualche vicino doveva averlo trovato
in cantina, non c'era altra spiegazione. E sua madre sapeva
automaticamente a chi imputare certi misfatti.
- Va bene, allora non ti dispiacerà se lo metto in teglia. È bello grasso, mi pare -.
- Vuoi... vuoi cucinarlo? - Rod non le credeva davvero: sua madre era
terribilmente sadica, a volte, ma quello... era troppo perfino per lei.
- Sì, ma non per noi. Sai la signora Menschele, quella donna
insopportabile... potrei portarle un bel pasticcio di carne –
disse, per poi dirigersi con fare risoluto verso la cucina.
D'accordo, forse non scherzava: la signora Menschele le stava talmente sulle scatole che per lei avrebbe anche cucinato un cane. In fondo le aveva già portato un piccione spacciandolo per una quaglia.
- Aspetta! Va bene, è mio! - gridò Rod, correndole dietro.
- Ma davvero? Mi sembrava che avessi detto di no... mi hai forse mentito? - sua madre non era davvero cattiva... non sempre, almeno.
- Sì. Lo stavo nascondendo – era meglio farla finita e spifferare tutto. Magari avrebbe salvato il cane.
- Da quanto tempo? -.
- Solo qualche giorno -.
Sua madre soppesò con un'occhiata le misure del cucciolo, che
per una volta se ne stava zitto e buono, come se avesse subodorato il
pericolo.
- Penso che una teglia media basterà... - disse fra sé e sé, incamminandosi di nuovo verso la cucina.
- È la verità! L'ho trovato e poi nascosto in cantina...
non più di una settimana fa! - gridò Rod, chiedendosi che
male avesse mai fatto per meritarsi una madre del genere.
- Almeno hai avuto il buon senso di non portarlo in casa –
approvò lei, fermandosi – Ma come avevi già
intuito, questo cane non può restare. Trovagli un altro padrone
-.
Detto ciò glielo rimise fra le braccia, tornando alle proprie faccende.
Rod non replicò. Senza dire una parola, scese le scale e
uscì in strada, fin troppo sollevato di averlo salvato dal
forno. Con sua madre non si poteva mai sapere.
Prima ancora di pensare a dove portarlo, si era ritrovato in quella
strada. La via in cui aveva visto il cucciolo sottobraccio a quel
ragazzino, appena pochi giorni prima.
Ricordava perfettamente davanti a quale porta si era fermato, la porta
in cui era poi entrato quando lui si era ripreso il cucciolo. Rod si
avvicinò, notando solo in quel momento la targa con il nome
appesa fuori. Hochwald... ebreo anche lui, dunque. (²)
Col cane fra le braccia e le minacce di sua madre nelle orecchie, non pensò. Bussò soltanto.
- Sì, chi... cosa? Tu?
Che vuoi adesso? - Eliza aveva riconosciuto prima il cane del ragazzo,
ma una volta stabilito che era lui si chiese cosa diamine ci facesse
lì.
- Senti... lo vuoi ancora il cane? - esordì Rod, senza mezzi termini.
- Ma... è tuo, no? -.
- Non più -.
- Perché no? - pochi giorni prima stava quasi per picchiarla pur
di tenerselo, e adesso era venuto fin lì per darglielo? Che
assurdità era mai quella?
- I miei non lo vogliono – bofonchiò Rod.
Il sorriso sornione che si allargò sul viso di quel ragazzino lo
indispettì, ma sapeva che c'era un prezzo da pagare
perché la sua richiesta venisse accolta. Scambio equivalente, lo
avrebbero chiamato da un'altra parte. Dall'altra parte.
- E così lo tenevi di nascosto – commentò infatti Eliza.
- Così sembra. Senti, lo vuoi o no? -.
- Perché io, scusa? - domandò lei, sinceramente curiosa
– Non puoi chiederlo a qualche tuo amico? Nemmeno mi conosci -.
- Ecco... - come spiegargli che i suoi “amici” avrebbero
come minimo provato a vedere quanto sarebbe resistito in apnea in una
botte piena d'acqua? O tentato di ingozzarlo di lucertole morte e
insetti, fino a farlo scoppiare? - … non sono molto affidabili.
Tu mi sembri un tipo a posto -.
Eliza non replicò: aveva visto anche lei cosa si divertivano a
fare certi ragazzi della loro età, ed era per questo che aveva
raccolto il cucciolo quando l'aveva visto girovagare per strada.
- Va bene. Con me al massimo dimagrirà un po', perché se
va avanti così fra un po' rotolerà e basta – disse,
allungando le braccia per prendere il cane – A proposito, gli hai
già dato un nome? -.
- Mah... - fece Rod, porgendoglielo – Avevo pensato a “Schwarz”... -.
- “Nero”? - Eliza guardò il cane, dubbiosa:
sì, in effetti aveva il mantello nero... ma muso, zampe e ventre
erano molto più chiari.
- Beh, chiamalo come vuoi. Non è tanto importante -.
- Magari potrei tenere “Schwarz” e aggiungere un altro nome – propose lei.
Rod sorrise: forse quel ragazzino poteva anche diventagli simpatico.
- Io mi chiamo Roderich – si presentò – Rod per
tutti, in realtà. Abito qualche strada più in là,
non lontano da qui -.
- Vicino al fiume? -.
- Precisamente -.
- Ho capito -.
Rod attese un momento, ma visto che quel ragazzino sembrava solo aspettare che se ne andasse, chiese:
- E tu? Come ti chiami? -.
- Ah, sì. El... - nemmeno in seguito Eliza avrebbe saputo dire
cosa le fosse preso in quel momento. Si era resa conto che quel
ragazzo- Rod- la credeva un maschio, e in effetti aveva i capelli tanto
corti che poteva anche sembrarlo. Inoltre non indossava più un
vestito da tanto di quel tempo... della sua taglia in casa non ce
n'erano più, e suo padre le dava solamente i soldi per comprare
il cibo e le altre cose di prima necessità. Così aveva
dovuto adattare alle proprie misure dei vecchi capi di quando suo padre
era ragazzo, e lo stesso le stavano grandi.
Vivevano loro due soli da anni, ormai, e assieme a lui era sui libri
praticamente tutto il giorno: passavano dai testi sacri alla geografia,
dalla storia alla matematica. Studiare con suo padre le piaceva, ma la
isolava dai suoi coetanei, e doversi anche prendere cura di lui non
faceva altro che renderla ancora più sola. Voleva un amico.
Voleva disperatamente un amico. E suo padre diceva sempre: “Uomini con gli uomini, donne con le donne”.
Se le aveva portato il suo cane, forse quel ragazzino sarebbe tornato.
- … Elias. Mi chiamo Elias -.
- Va bene, Elias. Allora ci vediamo – salutò Rod, dando
un'ultima pacca affettuosa sulla testa del cagnetto, per poi saltare in
strada e tornare fischiettando verso casa.
Eliza richiuse la porta, ancora non del tutto consapevole della propria
bugia, rivolgendosi infine a quello che era il suo nuovo cane. Magari
poteva chiamarlo “Hayah”, che in ebraico significava anche
“essere in vita”: quell'animale era stato tanto fortunato
da incontrare ben due persone che tenessero a lui.
- Allora, veniamo a noi: patti chiari, amicizia lunga – lo mise a
terra, guardandolo dritto negli occhi – Il pesce non si tocca,
chiaro? -.
Quel ragazzino, come aveva previsto Eliza, tornò. Anzi, Roderich
prese a farle visita quasi ogni giorno: prima con la scusa del cane,
poi perché Elias iniziò a stargli sempre più
simpatico. Non era come gli altri ragazzi che conosceva: forse
più tranquillo, certo, ma decisamente più arguto. Non gli
piaceva combinare guai, ma non aveva paura di niente. E potevano stare
insieme quanto volevano: solo nel tardo pomeriggio, quando qualche
campanile della città suonava le cinque e mezzo, Elias diceva:
“Devo tornare a casa” e se ne andava, mollando qualunque
cosa stesse facendo.
Era un tipo strano, ma interessante. Soprattutto, di lui ci si poteva fidare.
Qualche mese più tardi si trovavano insieme sulla riva del
fiume, intenti a guardare l'acqua che scorreva. Schwarz Hayah,
più cresciuto e decisamente dimagrito, scorrazzava allegramente
qua e là, liberando getti di pipì tra i ciuffi d'erba.
- La fa anche in casa? - domandò Rod, seguendolo con lo sguardo.
- Certo che no. L'ho educato bene -.
- Ha proprio un bell'aspetto – allungò una mano e
l'animale gli si avvicinò in due salti. Accarezzandone le
orecchie vellutate, Rod lo guardò pensieroso – La sai una
cosa? Mi hai dato un'idea -.
Detto ciò si alzò e si diresse verso l'acqua, armeggiando
con i bottoni dei pantaloni finché non li tirò giù.
- C-che stai facendo? - balbettò Eliza, incredula.
- Dai, vieni qui – esclamò Rod, iniziando evidentemente a far pipì nel fiume – Fammi compagnia -.
Ah, no. Non ne aveva nessuna
intenzione. Anche se da tempo Eliza si aspettava una mossa del genere-
perché i maschi certe cose si divertono un mondo a farle- non si
sentiva ancora del tutto pronta ad affrontarla.
- Ehi, cosa aspetti? Che razza di amico sei? -.
- M-ma non si può – tentò di ribattere lei – Con l'acqua del fiume ci fanno la birra -.
- Appunto – spiegò pazientemente lui.
- Mio padre la beve, quella birra -.
- Anche il mio. Che problema c'è? -.
Eliza trattenne a stento una smorfia, chiedendosi se c'era o ci faceva: forse tutt'e due.
- Comunque io non la faccio -.
- Che noioso che sei – doveva aver terminato, perché si
tirò su i pantaloni e riabbottonò tutto – Non vuoi
mai fare niente di divertente -.
Non si accorse che il suo amico era rimasto voltato per tutto il tempo
che lui aveva impiegato a “liberarsi”. Non si accorse che
era viola in faccia, nel tentativo di trovare estremamente interessante
un ciuffo d'erba alla propria destra.
Rod non se ne accorse e si gettò accanto a lei sbuffando, sdraiandosi sull'erba.
- È nato – la informò – Il bambino di mia sorella. Anzi, la bambina -.
- Ah, che bella notizia – rispose Eliza sorridendo – Mazeltov (³), allora -.
- Bah -.
Ecco, in quel momento gli avrebbe volentieri dato uno scapaccione
dritto in testa: lei avrebbe dato qualunque cosa, perché anche
nella sua di famiglia nascesse un bambino. Ma sarebbe stato assurdo anche solo pensarlo.
- Perché “bah”? - chiese invece.
- Le hanno dato un nome assurdo -.
- Cioè? -.
- Winfrieda – rispose lui con voce lugubre – Che razza di nome è? -.
- È un po'... particolare – convenne lei – Ma non è tanto brutto -.
- Per favore, che nome assurdo. Cosa pensano che sia, una Valchiria? -.
Eliza non rispose. Aveva come l'impressione che ci fosse un po' di gelosia, dietro a quello sfogo.
- Ah, ma fosse solo questo – aggiunse Rod, per poi guardarla con una smorfia – È bionda -.
- Anch'io lo sono – osservò Eliza.
- Andiamo, Elias, tu sei un maschio: è diverso. Ma una femmina
bionda... - scosse la testa con aria delusa – E poi tutti i
Mühlstein hanno i capelli scuri -.
- Beh, ma lei avrà un cognome diverso, no? -.
- Rocher... qualcosa – rispose distrattamente lui, facendo un gesto seccato con la mano.
- Devi volerle davvero bene – non poté fare a meno di commentare Eliza.
- A chi? -.
- A tua sorella, se ti manca così tanto -.
Rod non rispose per un momento, leggermente confuso, spiazzato da qualcosa a cui non aveva mai pensato.
- Sciocchezze – borbottò poi, senza guardare in faccia il suo amico.
- Ma non ti piace l'idea? - cambiò argomento Eliza, che non
poteva credere a tanta indifferenza di fronte a una simile fortuna.
- Che idea? -.
- Di essere suo zio -.
Rod sembrò improvvisamente vedere l'intera faccenda sotto una nuova luce.
- È vero... - mormorò, per poi ripetere, come ad assaporarne il suono: - Suo zio... -.
- Già – fece Eliza.
- Non è tanto male – osservò Rod, che di fronte a
quella nuova prospettiva poteva anche accettare una nipote dai capelli
biondi e con un nome da Valchiria. Poi, in preda ad un'ispirazione
improvvisa, si voltò verso Eliza: - Ehi, ti va di vederla?
Devono essere ancora a casa mia -.
- Chi? -.
- Mia sorella con la bambina. Forza, vieni! -.
Prima che il suo amico potesse aprire bocca, Rod si alzò e lo
agguantò per un braccio, per poi stringergli la testa in una
morsa e trascinarlo verso la strada.
- Ehi, cosa fai? Lasciami andare! -.
- Su, andiamo! Sai quanto sarà contenta mia madre, quando vedrà che gente responsabile frequento? -.
Eliza tentò in tutti i modi di districarsi da quella posizione assurda, senza successo.
- Avanti, mollami! -.
- Quando saremo arrivati – fece Rod, scompigliandogli i capelli
con la mano libera e iniziando ad incamminarsi in quella strana
posizione.
Eliza si sentì gelare. Non aveva la minima intenzione di andare
a casa sua: se lui poteva scambiarla per un ragazzo, non era sicura che
sua madre e il resto della sua famiglia fossero così ciechi.
- Non posso, devo andare a casa! -.
- Sciocchezze, è troppo presto: te lo stai inventando -.
- M-ma... - non voleva picchiarlo, non adesso che aveva finalmente
trovato un amico. Ma se fossero arrivati davvero a casa sua, avrebbe
rischiato di perderlo – C'è Schwarz Hayah! -.
- Hmm? - fece Rod, voltandosi a guardare il cane che li stava docilmente seguendo – E allora? -.
- Come allora? Tua madre l'ha buttato fuori di casa, no? E tu vuoi riportarcelo? -.
- Ma può aspettarci fuori -.
- Non credo proprio. Lui è... - in realtà Schwarz Hayah
avrebbe obbedito ad ogni suo singolo ordine, come sempre. Ma Rod questo
non lo sapeva - … abituato a stare in casa. Non ci sarebbe verso
di farlo rimanere fuori -.
- Hmm... sì, forse hai ragione – grazie al cielo – Già una volta ha rischiato di finire in pentola -.
Eliza pensò che doveva aver sentito male, perché aveva ancora il suo braccio premuto contro l'orecchio.
- Come “in pentola”? -.
- Eh? Ah no, niente – finalmente mollò la presa,
lasciandola andare con gran sollievo di Eliza – Proprio sicuro di
non voler venire? -.
- Sicuro, non preoccuparti – si massaggiò piano il collo, per poi chiedere: - L'hai già presa in braccio? -.
- Chi? -.
- La bambina! - ma se la stava quasi stritolando per portarla a vederla! – Tua nipote -.
- Prenderla in braccio... - rifletté Rod pensieroso – No, mai. Dici che dovrei? -.
Eliza annuì, sorridendo piano.
- Magari scoprirai che ti piace anche bionda -.
- No, non credo proprio – Rod scosse la testa – Ma magari se la vedo da vicino scopro se mi somiglia un po' -.
- Sì, ecco, mettila così – disse pazientemente Eliza.
- Allora a domani! - Rod alzò la mano in un cenno di saluto – Ciao, Elias! -.
- Ciao – aspettò che fosse scomparso alla vista, prima di
rivolgersi a Schwarz Hayah con un sorriso un po' tirato –
Andiamo, piccolo. Abbiamo una cena da preparare, e nessuna nipote ad
aspettarci -.
(¹) Chi? Mustang, ovviamente
(²) Hochwald è un cognome ricorrente fra gli ebrei tedeschi
(³) Mazeltov: è un augurio ebraico, si sente soprattutto per i matrimoni
Non so esattamente come classificare
questa storia. Chi ha letto il suo sequel sa di chi sto parlando, ma
per chi non l'ha letto... non è un'AU, si tratta dei personaggi
al di là del portale. Quindi sostanzialmente non sono tenuta a
mantenerli IC, anche se spiegatemi come si fa a rendere IC Roy e Riza
bambini, peraltro nemmeno nel loro mondo. O_O
Quindi mi sono destreggiata come volevo, divertendomi ad infilare continui riferimenti qua e là.
Lo so che l'idea di base è
stra-abusata, anche se per quanto mi riguarda è la prima volta e
ho voluto proprio lanciarmi nell'impresa, ma mi è venuta in
mente rivedendo le prime puntate della prima serie: Riza aveva i
capelli talmente corti che la prima volta che l'ho vista ricordo di
aver pensato: "Ma è una donna?". Da qui l'idea.
Questa volta aggiornerò ogni
due settimane, visto che i capitoli sono più lunghi degli altri.
E poi la sto ancora scrivendo, anche se ce l'ho tutta in mente. Abbiate
fiducia!
Rispondendo alle recensioni dell'ultimo capitolo di "Regentage- Giorni di pioggia":
Rain e Ren:
veramente la storia è finita con lo scorso capitolo, solo che
non avevo ancora messo l'avvertimento "Storia completa"- mea culpa. ^^'
Oh, se ti ho drogato con "In un
giorno di pioggia" ne sono più che felice, perché
è una delle canzoni più belle che conosco. Anzi, in
realtà lo scopo della storia era proprio questo. XD
Direi che chiunque si ritrovasse in
una situazione come quella di Ed e Al- vagamente impossibile, ma
cerchiamo di immedesimarci- avrebbe le stesse remore e lo stesso
rimpianto nei confronti di un mondo ormai perduto. Ho voluto
tratteggiare un po' questo sentirsi ormai slegati da ogni cosa, in una
condizione che però è, proprio per questo, traboccante di
possibilità: è possibile persino innamorarsi di una
ragazza che sembra la propria madre ma non lo è, per qualcosa
che più che il complesso edipico si prospetta con uno strano
scherzo del destino. Ma il destino ha il senso dell'umorismo, si sa.
Sì, anche Ed sta crescendo-
era ora, ormai va per i diciannove!- e pur cercando di restare fedele
al personaggio ho tentato di farlo maturare un po', ovviamente sempre
insieme a suo fratello. ^^
MusaTalia:
sono sempre felice se riesco davvero a far emozionare qualcuno con quel
poco che scrivo, e ti ringrazio per avermelo voluto comunicare.
È sempre una cosa molto bella da sapere. ^^
Non preoccuparti per la tosse di
Tiarnan: a lei non succederà nulla, tranquilla. E puoi ben
sperare in un continuo, perché in effetti ho in mente
qualcosa...
Per quanto riguarda le citazioni a
inizio capitolo, mi sto riguardando per intero la prima serie di FMA, e
quando incappo in qualche frase che potrebbe "c'entrare" qualcosa con
una storia che sto scrivendo, me la appunto subito!
Ho ancora un sorriso da un orecchio all'altro per la tua bellissima recensione, grazie ancora!
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Capitolo 2 *** Refoli di cenere ***
2- Refoli di cenere
Refoli
di cenere
"... conosciuto con il nome di
Alchimista di Fuoco."
(Roy Mustang, episodio 5)
Rod si stava rendendo conto di trovarsi di fronte al problema
più grosso che si fosse mai trovato ad affrontare. Un
problema
che non capiva nemmeno, perché era tutto totalmente assurdo.
Sospirò, guardandosi attorno e facendo tanto d'occhi quando
si
accorse di essere solo. Perso nei suoi pensieri, non si era nemmeno
accorto di stare camminando senza più nessuno accanto.
- Ehi, che stai facendo? - Elias si era fermato qualche metro indietro,
e ovviamente Schwarz Hayah era rimasto al suo fianco. Pensare che
l'aveva trovato lui, quel cane – Elias! -.
- Eh? - anche lui sembrava essersi estraniato dal mondo,
perché
quasi sobbalzò quando l'amico lo chiamò
– Ah,
sì... arrivo! -.
Nel frattempo Rod l'aveva raggiunto, lanciando un'occhiata perplessa
alla vetrina che l'altro stava guardando.
- Ti interessa questa roba? - chiese con una smorfia.
- Cosa? No, certo che no – si affrettò a mentire
Eliza,
arrossendo leggermente: non poteva permettersi di mostrargli certi lati
di sé, non se voleva mantenere una certa reputazione.
Lanciò un'ultima occhiata agli abiti da sera, alle giacche e
alle gonne esposti in vetrina: sarebbe rimasta ore ad osservarne il
taglio perfetto, a studiare le cuciture minute di quei vestiti di alta
sartoria, ma non era quello il momento – Forza, andiamo -.
Rod avrebbe voluto ribattere qualcosa, magari prenderlo un po' in giro
per quel suo inaspettato “lato femminile”, ma
quando gli
passò talmente vicino che sarebbe riuscito a contargli i
capelli
sulla nuca, rimase per un momento senza fiato.
- Beh, che ti prende? - domandò Eliza, quando lo sguardo le
cadde sulla giacca che il suo amico era solito portare – Che
hai
fatto ai bottoni? -.
- Eh? Ah... - in effetti aveva avuto un piccolo
“scontro”
con altri ragazzi del quartiere. Non si era tirato indietro, ma i suoi
abiti ne avevano un po' risentito: qualche bottone penzolava floscio, i
fili tirati e quasi strappati – Niente di che... anche se non
piacerà a mia madre -.
In effetti l'ultima volta l'aveva minacciato di farlo andare in giro
senza pantaloni, e pensare che era arrivato a casa con un danno molto
minore di quello: una semplice cucitura sdrucita, nient'altro. Non
osava immaginare come l'avrebbe presa stavolta.
- Vieni – Eliza, dopo un'occhiata critica ai suoi bottoni, si
voltò nella direzione da cui venivano, Schwarz Hayah subito
pronto a seguirla – Forza -.
Rod non aveva idea di cosa volesse fare, ma qualunque cosa potesse
ritardare il suo ritorno a casa era ben accolta.
La seguì, ripercorrendo a ritroso la strada che avevano
fatto, fino a casa Hochwald.
Era la prima volta che Rod ci entrava, a dire il vero. La prima cosa
che lo sorprese fu l'enorme quantità di libri accumulata
ovunque, oltre al fatto che non sembrava ci vivesse esattamente
qualcuno. L'unica stanza un po' più luminosa e accogliente
era
la cucina, dov'era seduto adesso. Elias gli aveva detto di aspettarlo
lì mentre cercava il filo necessario a riattaccargli i
bottoni-
anche se non aveva ancora capito come potesse esserne capace- e ora si
stava guardando un po' attorno, accarezzando piano le orecchie di
Schwarz Hayah.
A un tratto il cane voltò il muso, alzandosi e uscendo nel
corridoio, come se avesse sentito qualcosa.
- Ehi, dove vai? Vieni qui! - lo chiamò Rod, seguendolo.
Lo vide infilarsi in una porta socchiusa, e non ci pensò due
volte ad andargli dietro. Si ritrovò in una stanza piuttosto
buia e polverosa, la cui unica luce proveniva da una finestra dai vetri
opachi e cadeva su una scrivania traboccante di fogli. Vide Schwarz
Hayah seduto proprio lì accanto, accarezzato meccanicamente
da
un uomo chino sui libri. Doveva essere uno studioso della legge,
pensò Rod, perché aveva lunghi riccioli sulle
tempie e il
capo coperto dalla kippah,
oltre che il talled
(¹) a coprirgli le spalle.
Il ragazzo rimase ad osservarlo per qualche istante, quasi chiedendosi
se fosse reale, finché quell'uomo sembrò infine
notarlo.
Dopo avergli lanciato un'occhiata indifferente gli disse qualcosa, che
tuttavia Rod non capì.
- Scusi, come ha detto? Potrebbe ripetere? -.
L'uomo ripeté ma, anche se parlava una lingua che somigliava
in qualche modo al tedesco, Rod non riuscì a capirlo.
- Ma lei chi... -.
- Ah, sei qui – Elias comparve improvvisamente accanto a lui,
con
ago e filo tra le mani, per poi rivolgersi a quell'uomo e dirgli
qualcosa nella sua stessa lingua.
Lui annuì, dicendole di nuovo qualcosa che Rod non
capì e
tornando ai propri libri senza più degnarli di un'occhiata.
- Vieni – Elias lo tirò per un braccio, riportando
in corridoio un Roderich ancora piuttosto sorpreso.
- Ma chi è? -.
- Mio padre – rispose semplicemente il suo amico.
- E... in che lingua parla? -.
- Yiddish (²) – disse Elias, lanciandogli
un'occhiata perplessa – Non lo conosci? -.
- Beh, no... la mia famiglia non segue molto la tradizione. A casa
parliamo solo tedesco -.
- Davvero? - il suo amico sembrava davvero sorpreso –
Comunque mi
ha chiesto di accendere la stufa. Non è che puoi pensarci
tu,
mentre attacco i bottoni? -.
- Eh? Ah, sì... sì, va bene -.
- Si trova nella stanza qui accanto, la accendiamo solo di tanto in
tanto per tenerla attiva. La legna la trovi tutta lì -.
- D'accordo – entrò nella stanza indicatagli da
Elias,
mentre lui tornava evidentemente a dedicarsi alla sua giacca.
Non gli interessava più sapere come facesse un ragazzo della
sua
età ad essere capace di attaccare un bottone, come non gli
sembrava più tanto strana una famiglia in cui si parlasse
solo
yiddish. Ora come ora, aveva un problema decisamente più
grosso
da risolvere.
Sua madre non lo lasciava nemmeno avvicinare a quegli affari, non dopo
che aveva seriamente rischiato di dar fuoco alla sua cucina. Non
credeva di essere molto portato, ma
insomma: se non ci provava non avrebbe mai imparato, no?
Fu con tale convinzione che aprì lo sportello di una bella e
grande stufa in maiolica, riempiendola dei ceppi di legno che
trovò lì accanto.
- Che stai combinando? - la voce esterrefatta di Elias lo fece
sobbalzare e, anche se sapeva di essere nel torto, mise su un certo
broncio.
- Accendo la stufa, no? -.
- Così?
- Eliza non
credeva ai propri occhi, ma da una famiglia di ebrei che non parlava
nemmeno yiddish forse c'era da aspettarsi questo e altro.
- Senti, se c'è un metodo ortodosso per
accendere il fuoco, io non lo conosco – confessò
Rod, tenendo la testa bassa.
- Allora te lo insegno io – fece Eliza senza perdersi
d'animo. Si
accucciò davanti allo sportello della stufa, proprio accanto
a
lui, tirando fuori qualche ceppo di troppo.
Allungandosi, prese dalla cassa qualche pezzo di legno più
piccolo, assieme a dei ramoscelli sottili. Dispose per bene la legna,
aggiungendo poi della carta perché si alimentasse un po'
all'inizio, e accese il fuoco.
Poi si sporse leggermente per gettare i ceppi di troppo nella cassa
della legna, appoggiandosi un po' a Rod per non perdere l'equilibrio.
Lui sentì improvvisamente un gran caldo, e non per il timido
fuocherello che stava iniziando a divampare.
- Hai visto come ho fatto? - iniziò a spiegargli
tranquillamente
Elias, accucciato al suo fianco – Devi disporre la
legna in
modo che il fuoco “respiri”, ossia che l'aria possa
alimentar... mi stai ascoltando? -.
Si voltò all'improvviso, e nel trovarselo a una spanna di
distanza Rod sussultò.
- Non guardare me, guarda il fuoco -.
- S-sì – bofonchiò Rod, costringendosi
a portare lo
sguardo sulle fiamme. Elias seguitò a parlare di
“legna
ben disposta” e “ossigeno che alimenta le
fiamme”, ma
lui non lo ascoltava più. Si era perso un'altra volta in
quello
che era diventato il suo problema più grande, perlomeno da
quando aveva conosciuto quello strano ragazzino che sapeva attaccare
bottoni e si rifiutava di fare la pipì nel fiume.
Si lambiccava giorno e notte con domande che rimanevano immancabilmente
senza risposta. Ad esempio, non capiva perché ogni tanto si
ritrovasse a pensare che gli sarebbe piaciuto toccare quei corti
capelli biondi, un po' più lunghi nei ciuffi ai lati del
viso.
Non capiva perché gli piacesse tanto la forma del suo naso.
Non
capiva nemmeno perché la
notasse, la forma del suo naso, quando non sarebbe dovuto
importargliene niente, e in quei momenti sentiva le mani sudate come
non mai.
Non capiva o si
rifiutava di
capire, perché l'unica risposta a tutto ciò era
che gli
piacesse quello che era ormai diventato il suo migliore amico. Elias. Un ragazzo.
Ci mancò poco che si mettesse a sbattere la testa contro la
maiolica della stufa, anche se stava iniziando a scottare.
- Fatto – fece Elias, riscuotendolo dalle sue preoccupazioni
– La tua giacca è a posto, vieni -.
Si alzò e uscì dalla stanza, seguito da Rod che,
lasciate
le sue elucubrazioni, si sentì nuovamente incuriosito dalla
vita
di quella strana famiglia.
- Senti, ma... tua madre dov'è? -.
- Mia madre? - domandò l'altro, sorpreso.
- Sì... com'è che sai usare ago e filo? Non lo fa
lei? -.
Eliza scosse la testa.
- A dire il vero non ne ho idea, ma in ogni caso non è qui -.
- Vuoi dire che è... -.
- No, non è morta – lo anticipò lei
– Se
n'è andata anni fa. Lei e mio padre hanno divorziato, o
almeno
credo. Sai, non me lo ricordo molto bene, ero piccolo... ma da allora
ho imparato ad arrangiarmi -.
Nel frattempo erano tornati in cucina, dove Rod si rimise addosso la
giacca.
- E tuo padre? - domandò poi, osservando per la prima volta
i
punti minuti e precisi con cui erano stati riattaccati i bottoni.
- Lui studia -.
- Non lavora? - chiese Rod senza peli sulla lingua, sorpreso.
- Lo studio è
un lavoro – replicò l'altro, serio.
- Sì, ma... - forse era il caso che stesse zitto. Elias gli
aveva appena risistemato la giacca- salvandolo dalle punizioni di sua
madre-, mentre lui aveva solamente rischiato di ingolfargli la stufa
– Hai ragione -.
- Bene, usciamo? - propose Elias, dando un'occhiata alla luce calante
del pomeriggio – Devo andare a comprare della farina e un po'
di
mandorle, vieni con me? -.
Circa una settimana dopo Rod si presentò a casa Hochwald
subito
dopo la scuola, giusto mentre Elias finiva di sparecchiare dopo il
pranzo. Non gli sembrava più tanto strano che il suo amico
si
occupasse di certe faccende: capiva bene che, senza sua madre, parecchi
compiti ricadessero su di lui.
- Devo dirti un segreto – gli rivelò.
- Un segreto? - fece l'altro.
Rod annuì:
- Vieni con me -.
Uscirono in strada e, dopo qualche vicolo, Elias si ritrovò
in
una via poco affollata che non conosceva. Rod fece ancora qualche
passo, per poi fermarsi davanti alla bottega di un orologiaio.
- È tuo cognato? - domandò Eliza, anche se non ne
era
sicura: il nome sull'insegna diceva “Von Armstark”,
ma le
sembrava che Rod una volta le avesse detto un cognome diverso...
- No, lui vive e lavora in un altro quartiere – rispose
infatti l'altro – Vieni -.
Aprì la porta del negozio, facendo suonare il campanello
posto
sopra lo stipite, ed entrò prima che Eliza potesse dirgli
qualcosa. Lei non ebbe quindi altra scelta che seguirlo, come sempre.
- Sono io, signore! - fece Rod, perfettamente a suo agio in quel posto.
Era una bottega poco illuminata ma accogliente, anche se c'era un po'
di confusione: diversi orologi a pendolo tappezzavano le pareti, per
non parlare degli orologi da tavolo, intarsiati o meno, che riempivano
gli scaffali.
- Ah, Roderich! Vieni, vieni! - rispose una voce sconosciuta ma
profonda dall'angolo più remoto del locale.
Rod si voltò verso Elias, facendogli cenno di seguirlo, e si
inoltrò in quello che doveva essere il retrobottega.
Nell'andargli dietro, Eliza poté notare su un tavolo diversi
oggetti che non sembravano semplicemente degli orologi, anche se
avevano un quadrante e delle lancette: erano delle forme più
diverse, andavano dalla giostra alla carrozza, dal cavallo bianco a...
- Eccoti qui! Mi stavo chiedendo quando saresti venuto! -
tuonò
la voce possente di prima, ora molto più forte. Eliza vide
che
apparteneva ad un vero e proprio armadio umano, come non ne aveva mai
visti: un uomo enorme, sulla cinquantina, che sembrava riempire
l'intero e angusto spazio del retrobottega.
Rod lo salutò cordialmente, per poi presentare il suo
accompagnatore:
- Lui è il mio amico Elias -.
L'uomo squadrò l'amico
un po' perplesso, ma alla fine sorrise divertito, porgendogli una mano
grande quanto un badile:
- È un piacere. Alexander Ludwig von Armstark, per servirti
-.
I folti mustacchi biondi sembrarono inarcarsi verso l'alto,
mentre sorrideva, ed Eliza sorrise a sua volta mentre ricambiava la
stretta. Davvero un bel posto e un signore simpatico, ma...
- Quale sarebbe il segreto di cui parlavi? - chiese, rivolta a Rod.
- Oh, vedo che l'hai rivelato a qualcuno! - tuonò Von
Armstark – Dev'essere un tipo fidato, questo Elias -.
Mise un po' troppa enfasi sul suo nome, ma non commentò
ulteriormente, cosa di cui Eliza fu grata.
- Beh, hai visto la bottega, no? - fece Rod – Cosa c'era? -.
- Orologi – rispose lei.
- Non solo -.
- Oh, ma forse non ha fatto in tempo a... - stava per intervenire Von
Armstark, ma Eliza lo precedette:
- Erano... carillon? - tentò, intuendo in quel momento cosa
fossero quegli orologi dalle forme così particolari.
- Esatto – annuì Rod, per poi rivolgersi all'uomo:
- È come un falco, non gli sfugge mai niente -.
- Ho notato – convenne l'orologiaio, con uno sguardo di
apprezzamento a Eliza.
- E il segreto quale sarebbe? - insistette lei. Poteva anche avere
l'occhio di un falco, ma non aveva ancora imparato a leggere nel
pensiero.
- Che il signor Von Armstark ha promesso di insegnarmi a costruirli
– rivelò finalmente Rod, con malcelata
soddisfazione.
No, adesso sì
che le sfuggiva qualcosa.
- Gli orologi? O i... -.
- Carillon. No, niente orologi – precisò Rod.
Eliza dovette fare una faccia decisamente perplessa, perché
Von
Armstark scoppiò a ridere: una risata che sembrò
far
tremare l'intera bottega, e poco mancò che i cucù
uscissero dai loro rifugi e le sveglie si mettessero a suonare.
- Beh? Cos'è quella faccia? - chiese Rod al suo amico.
- È che... non sembri il tipo – rispose
diplomaticamente Eliza.
- È quello che gli ho detto anch'io – le diede
ragione Von
Armstark – Ma a quanto sembra le apparenze ci hanno ingannato
ancora una volta! -.
- Ma... perché vorresti imparare a costruire carillon? -
chiese Eliza, ancora poco convinta.
Rod scrollò le spalle.
- Perché mi piace – rispose semplicemente
– Non è una ragione sufficiente? -.
In effetti per lui poteva anche esserla.
- E... perché sarebbe un segreto? - fece ancora Eliza.
Von Armstark scoppiò a ridere un'altra volta, e stavolta la
sua risata sembrò l'ululato di un lupo.
Rod gli lanciò un'occhiata un po' seccata, ma non
osò
dire niente all'uomo che aveva accettato di prenderlo come
“apprendista” a tempo perso, oltretutto
gratuitamente.
- Beh... eviterei di dirlo a casa – rispose laconico. Non
tanto
per suo padre, ma se pensava a come avrebbe reagito sua madre... gli
veniva il mal di pancia.
- Va bene – sorrise Eliza – Ho capito -.
Rod annuì, per poi guardare di sottecchi l'orologiaio, come
a dire: “Ha visto?”.
- Vedo che te li scegli bene gli amici – approvò
infatti
Von Armstark, asciugandosi le lacrime provocate dalle risate
– Mi
fa piacere -.
- Quindi... adesso starai qui? - Eliza tirò fuori quelle
parole a fatica, ma si costrinse a farlo.
- Come? -.
- Nel tuo tempo libero... immagino che sarai impegnato –
accennò al tavolo, agli strumenti e a tutta la bottega
attorno a
loro - … no? -.
Dopo tutta la fatica che aveva fatto. Ma non importava.
- E io che pensavo che mi conoscessi bene –
commentò
inaspettatamente Rod – Credi che potrei rimanere concentrato
su
una cosa sola per tutto quel tempo? Per chi mi hai preso? -.
Eliza non osò credere alle proprie orecchie. Voleva dire che
non sarebbe rimasta di nuovo sola?
- Devo anche giocare, io -.
Si ritrovò a sorridere di sollievo senza nemmeno rendersene
conto. Solo adesso si rendeva conto di quanto fosse affezionata a quel
ragazzo che non sembrava avere alcuna preoccupazione al mondo, a
differenza di lei.
- Comunque sia, Roderich, in effetti ti servirebbe un posto dove tenere
legno, metallo e strumenti, perlomeno quando avrai imparato un po'
– intervenne Von Armstark – E se a casa non vuoi
dire
niente... -.
- Puoi tenerli da me – lo interruppe d'un tratto Eliza, e Rod
le lanciò un'occhiata sorpresa.
- Come? Davvero? -.
- Certo. Hai visto, no, che mio padre sta sempre nella stessa camera?
Non ci saranno problemi se usi un'altra stanza -.
- Sentito, Rod? Un laboratorio tutto per te! -.
- Beh... grazie – era la prima volta che gli vedeva un
sorriso
simile. Non beffardo, non ironico e nemmeno sarcastico: il sorriso
della gratitudine, rivolto solamente a lei.
- Non c'è di che -.
Quando uscirono, a Eliza non sembrò vero che la sua recita
avesse retto anche in quella situazione. Nel salutarli, il signor Von
Armstark le aveva sorriso in modo quasi complice: aveva capito, eppure
non aveva detto una parola. Quale adulto fa una cosa del genere?
- Bel tipo, non è vero? - fece Rod dopo un po' –
Non lo direbbe nessuno che in realtà soffre parecchio -.
- E per cosa? -.
- Per una ferita al piede riportata in guerra da giovane (³):
un
colpo di spada, credo. È rimasto zoppo, e gli fa ancora
parecchio male -.
- Non l'avrei mai detto, è così gioviale... -
commentò Eliza – Senti, ma discende per caso da
qualche
famiglia nobile? Con un cognome del genere... -.
- Sì, mi pare che i suoi fossero dei baroni. Decaduti,
però -.
- Caspita -.
- Tornando a noi, dicevi davvero? Mi lascerai usare una stanza di casa
tua come... beh, chiamarlo “laboratorio”
è un po'
prematuro, ma... -.
- Certo che dicevo sul serio – fece Eliza.
- Già – Rod sembrò ricordarsi con chi
stava parlando – Tu non scherzi mai -.
Ad Eliza quella sembrò più che altro un'accusa.
- Non è affatto vero -.
- Sì, invece -.
- No -.
- D'accordo, allora proviamo: fa' una battuta -.
- Una battuta? Adesso? -.
- No, domani! Certo che devi farla adesso: che ne so, una barzelletta,
o un gioco di parole... io sono un asso in queste cose -.
- Forse perché sono le
uniche cose che ti riescono –
ipotizzò Eliza.
- Ecco, bravo: questa
era una battuta -.
- Ma io parlavo seriamente -.
Rod si grattò la testa, arruffandosi la zazzera nera.
- Vabbè, lasciamo perdere. Piuttosto, devo ancora
ringraziarti
per la faccenda dei bottoni: grazie a te mi è andata bene,
non
oso nemmeno pensare alla punizione che mi sarei beccato altrimenti -.
- La sai una cosa? A dire il vero penso che non ti farebbe male essere
punito, una volta ogni tanto -.
Rod le lanciò un'occhiata bieca.
- Spero che almeno questa
sia una battuta -.
- Può darsi – rise Eliza.
In realtà Rod era molto più diligente di quanto
lui
stesso ammettesse, perlomeno finché una cosa lo appassionava
sul
serio. Si mise d'impegno a seguire le indicazioni del signor Von
Armstark, passando da lui buona parte del suo tempo libero, ma senza
dimenticare il suo amico. Portò legno e altri strumenti
nella
stanza che Eliza gli aveva consentito di usare, dove poteva lavorare
indisturbato quanto voleva. All'inizio era un po' nervoso per la
presenza, costante e silenziosa, del signor Hochwald al di
là
del corridoio, ma ci fece l'abitudine.
Più di una volta, se Elias non lo avesse avvertito in tempo,
avrebbe perfino fatto tardi a cena.
Fu la mattina di un giorno festivo, mentre era impegnato con le
delicate piastrine di un meccanismo, che Elias fece capolino dalla
soglia per dirgli che si assentava un attimo. Lui annuì,
concentrato sul proprio lavoro, e non lo sentì nemmeno
quando
chiuse la porta di casa, tallonato da Schwarz Hayah.
Ma dopo un po', forse appena una manciata di minuti più
tardi,
udì la voce di qualcuno: l'aveva sentita una sola volta, ma
doveva essere per forza il padre di Elias che chiamava.
Pensò di andare a riferirgli che suo figlio non c'era, ma
sarebbe tornato presto. Tuttavia, quanto fu nella stanza in cui
quell'uomo se ne stava sommerso dai libri, capì che
evidentemente il padre di Elias voleva che lui facesse qualcosa.
- Io... non parlo yiddish – tentò di spiegargli
Rod, ma
l'uomo continuò imperterrito ad esporgli la propria
richiesta.
Ora, anche se Rod non sapeva una parola di quella lingua, era comunque
dotato di un buon intuito e gli sembrò che le frase
pronunciata
dall'uomo fosse molto simile a quella che aveva rivolto ad Elias
l'altra volta.
- La stufa? - chiese, accennando alla stanza accanto, e l'uomo
annuì – Vuole che la accenda? -.
Altro cenno del capo.
- Beh... d'accordo -.
Uscì in corridoio con la sensazione di aver appena avuto una
conversazione piuttosto surreale, ma perlomeno si erano capiti.
Entrò nella stanza con la stufa in maiolica, trovandosi di
fronte a due casse diverse piene di legna. In fondo Elias gliel'aveva
spiegato l'altra volta come fare, no?
Quando Eliza rientrò dalla sua commissione assieme a Schwarz
Hayah, pensò che fosse scoppiato un incendio. Il corridoio
era
come immerso in una strana foschia un po' puzzolente, che le pizzicava
il naso.
- Ma cosa...? - prima di andare ad avvertire suo padre,
però,
volle sincerarsi di cosa stesse veramente accadendo, e cercò
di
capire da dove venisse tutto quel fumo.
Dalla stanza con la stufa in maiolica.
- Senti, me l'ha chiesto tuo padre! - protestò Rod quando
Elias
piombò nella stanza, tossendo per tutto il fumo che c'era.
- Ma se non parli nemmeno yiddish! -.
- Ci siamo capiti lo stesso – assicurò Rod,
chiedendosi cosa diavolo
fosse andato storto questa volta.
- Ma che legna hai usato? - domandò Eliza.
- Questa – rispose Rod, indicando la cassa da cui aveva
attinto.
- Non ti sei accorto che era umida? - fece lei, allibita.
- Ma il fuoco asciuga, no? -.
- Per accenderlo serve legna secca.
Era nell'altra cassa! Ecco perché c'è tutto
questo fumo!
- Eliza corse ad aprire una finestra, anche se ci sarebbe voluto un bel
po' per far tornare quella stanza alla normalità.
Poi si dedicò finalmente alla stufa, cercando di respirare
il
meno possibile e tentando di soffocare con la cenere le poche fiammelle
che avevano attecchito sul legno umido.
Tossendo e con le lacrime agli occhi, Eliza riuscì infine a
spegnere tutto, lasciandosi poi cadere col sedere a terra. Vide Rod
accanto a sé, sporco del pulviscolo di quel fumo nero quanto
lei, entrambi col fiato corto.
Si guardarono per un istante, mezzi straniti, e prima di rendersene
conto scoppiarono a ridere, con la tosse che si mescolava alle risate.
Avrebbe dovuto dirgliene quattro, ma per la prima volta in vita sua si
ritrovò a ridere talmente forte che dovette tenersi la
pancia
perché le faceva quasi male.
Sentiva la gola e il naso bruciare per il fumo respirato, e si rese
conto in quel momento che, se qualche mese prima non avesse visto un
certo cagnolino per la strada, non si sarebbe mai ritrovata a ridere
così.
Rod, dal canto suo, era ben lungi dal sentirsi in colpa per l'ennesima
sconfitta subita dalla stufa. Pur ridendo a crepapelle, era totalmente
perso a guardare lo spettacolo più unico che raro di Elias
che
si sbellicava dalle risate, e in quel momento non poté fare
a
meno di pensare che fosse estremamente... carino. Anche con i
capelli biondi sbiaditi dalla cenere, anche se gli colava un po' il
naso per tutto il fumo respirato.
E prima che potesse rendersi conto di cosa stava facendo, si sporse e
appoggiò le labbra sulle sue, premendo un po'. Avevano un
sapore
e un odore terribili, ma a dire il vero Rod non riusciva a capire se
quelle che sapevano di bruciato e di cenere fossero le labbra che stava
baciando o le proprie. Erano anche leggermente screpolate, ma gli
piacquero enormemente. Gli piacquero così tanto che, quando
venne colpito con violenza sull'orecchio, per un momento non
capì cos'era successo.
- Ehi, che ti prende? - domandò stordito, tenendosi con una
mano l'orecchio che ronzava.
- A me? -
rispose Eliza con
voce gutturale, le cui guance sporche di cenere si erano colorate di
rosso acceso. Quel colore ardente sotto il grigio sporco le faceva
sembrare quasi due pezzi di brace – Sei impazzito? -.
In effetti era una domanda più che legittima, ma Rod si
indispettì per quella reazione che trovava un pochino
esagerata.
- Datti una calmata, non è successo niente -.
Fino a quel momento non aveva mai visto Elias arrabbiarsi sul serio, ma
ebbe abbastanza buon senso da capire che era appena successo.
- Stupido. Sei solo uno stupido -.
- Senti, mi dispiace per la stufa... -.
- Non è la stufa il problema! - gridò Eliza con
veemenza.
- Ehi, abbassa un po' i toni! Da quando hai una voce così
acuta? -.
- Da sempre! -.
- Beh, se è così non me n'ero mai accorto! -
ribatté lui.
- Non è colpa mia se non ci senti... - Eliza
abbassò
notevolmente la voce, quasi in un sussurro - … e nemmeno ci
vedi
-.
- Cosa vorresti dire, scusa? -.
Eliza stava per replicare qualcosa, quando sentì suo padre
chiamarla e dirle di smetterla con quella baraonda. Rod ovviamente non
comprese una parola, ma aveva abbastanza orecchio da intuire quando un
adulto lo stesse sgridando.
Senza dire niente si alzò e andò nella stanza che
usava
come “laboratorio”, dove raccattò tutto
quello che
riuscì a tenere in mano, legno e strumenti compresi. Poi si
diresse deciso verso l'uscita, senza salutare e lanciando solo una
breve occhiata a Schwarz Hayah, che gli uggiolò dietro
finché non si fu chiuso la pesante porta alle spalle.
Rod aveva sempre saputo di essere un tipo terribilmente ostinato, ma
non pensava che Elias lo fosse altrettanto. Dopo una settimana era
anche disposto a dimenticare ogni cosa, preferendo sorvolare sul bacio
che aveva dato al suo migliore amico. Era più importante che
si
facesse vivo.
Aspettò e aspettò, innervosendosi tanto che
accettò addirittura di fare una commissione per sua madre:
pensò che magari, sulla via del ritorno, poteva anche fare
un
salto a casa di Elias. Era stufo di aspettare i suoi comodi.
Mentre la moglie del macellaio pesava la carne che le aveva chiesto, la
sentì attaccare bottone come al solito. Ma lui non era sua
madre, e non aveva alcuna intenzione di prestare orecchio ai suoi
sciocchi pettegolezzi; non ne aveva alcuna intenzione finché
non
la udì pronunciare chiaramente il nome
“Hochwald”.
- Eh, è un vero peccato... soprattutto per quella povera
bambina... -.
- Scusi, come ha detto? -.
- Hochwald – ripeté la donna – Di certo
non lo
conoscevi: quell'uomo era sempre rintanato in casa, non doveva starci
molto con la testa... -.
- Perché “stava”? -.
La donna terminò di pesargli la carne, cominciando ad
avvolgerla nella carta.
- È morto qualche giorno fa- riposi in pace- ma in
circostanze
piuttosto misteriose... - si interruppe, forse ricordandosi che stava
parlando con un ragazzino.
- E suo figlio? - chiese subito Rod, non credendo alle proprie
orecchie: il signor Hochwald era morto?
Com'era possibile?
- Quale figlio? - domandò la donna, sbattendo i piccoli
occhietti miopi – Hochwald aveva solo una bambina, che a
quanto
so è stata mandata a vivere da alcuni parenti in campagna,
fuori
Berlino... -.
Gli disse il prezzo da pagare, mentre Rod la guardava stranito: quella
donna era sempre stata un po' svampita, ma ora pensò che
dovesse
seriamente avere una rotella fuori posto. Come si poteva scambiare
Elias per una femmina?
Tuttavia, in quanto a notizie, era più affidabile del
principale
quotidiano di Berlino. Pagò e prese la sua carne, uscendo da
quel negozio il più in fretta possibile.
Percorse il resto della strada quasi correndo, infischiandosene del
fatto che sua madre gli aveva detto di tornare subito a casa. Quando
arrivò davanti alla porta degli Hochwald aveva ormai il
fiatone,
ma non gli importava. Provò a bussare; non gli
aprì
nessuno. Gli scuri delle finestre erano serrati, e il batacchio della
porta rimbombava a vuoto.
- Ehi, ragazzo! Falla finita, lì non ci abita più
nessuno! -.
Fu un passante occasionale a lanciargli quella voce, un tizio che
nemmeno conosceva. Era così, dunque: suo padre era morto ed
Elias se n'era andato. Se n'era andato probabilmente assieme a Schwarz
Hayah, senza dirgli niente.
Diede un ultimo colpo al batacchio, sbattendolo talmente forte che
sperò di aver lasciato un solco nel legno della porta.
Se ne andò infine per la sua strada, voltandosi di tanto in
tanto verso quella casa ormai vuota, calciando rabbioso ogni singolo
sasso che trovò.
(¹) Kippah:
copricapo ebraico simile a uno zucchetto
Talled:
scialle ebraico sfrangiato, in tessuto bianco con fasce più
scure
(²) Lingua germanica con contaminazioni slave, parlata
soprattutto dagli ebrei dell'Europa orientale
(³) La guerra franco-prussiana (1870-1871)
Avete notato il piccolo
riferimento
ad un certo colonnello che non può usare la sua alchimia nei
giorni di pioggia ma- accidenti!- ogni tanto se ne scorda?
Anche la battuta
“Penso che non
ti farebbe male essere punito, una volta ogni tanto” l'ho
presa
da una puntata dell'anime. Inoltre spero che abbiate apprezzato
l'entrata in scena di un altro personaggio di nostra conoscenza. ^^
Vi avverto
già che tra questo
e il prossimo capitolo c'è uno scarto di diversi anni...
tanto
per attutire un po' la sorpresa.
Rispondendo alle
recensioni:
Shatzy: spero
che questa storia sia all'altezza delle tue aspettative,
perché
so quanto tieni al Roy/Ai... comunque no, non ho letto il manga
né visto la serie Brotherhood. Magari prima o poi lo
farò, è che devo prima fare pace con la grafica:
non so,
mi sembra che quella della seconda serie l'abbiano fatta "al
risparmio". Una volta mi sono imbattuta in un episodio, durante un
combattimento, e devo dire che rispetto ai movimenti, alle inquadrature
della prima serie faceva un po' pena: se mi metto a paragonarle, mi
viene da piangere. Mi sa che a questo punto faccio prima a leggere il
manga.
Per quanto riguarda
“Regentage”: sono contenta che sia passato il fatto
che i
due fratelli devono ormai iniziare a considerare questo mondo come il
proprio. È un percorso lento, ma inevitabile. La coppia...
oh,
lo so che è strana; l'ho fatto apposta. ^^ Eppure, man mano
che
ne scrivevo, mi piacevano sempre di più: ha quel non so che
di
“risarcimento” per qualcosa che si è
perduto, ma
incredibilmente beffardo, come è sempre stato il destino con
Ed
e Al. Comunque ho intenzione di scriverne ancora, e non è
detto
che a tutti piaccia, tranquilla.
Per l'OOC di questa
storia... boh, io
aspetterei: se alla fine sarai ancora dell'idea di toglierlo,
sarò pronta ad obbedire! ^^
MusaTalia:
eh già, "galeotto fu il cane"! La madre di Rod ti
sembrerà forse una terrorista, ma riguardando un po' la
prima
serie di FMA ogni tanto mi imbattevo nei siparietti comici fra Ed e
Mustang, così mi son detta: "Visto che il colonnello ha
fatto
tanto penare Ed, diamogli una madre che faccia penare lui!". Vedi, si
tratta di scambio equivalente anche qui. ù_ù
Il finale di questo
capitolo sembra
lasci forse le cose un po' in sospeso, ma non temere: si rivedranno
presto (ovviamente, perché se no la storia non va avanti).
Rain e Ren:
sì, hai proprio ragione: ci vogliono la sottigliezza e
l'acume
di Eliza per completare alla perfezione il carattere impetuoso di Rod.
Mi piace il termine “stramba” amicizia,
perché in
effetti è proprio quello che è; eppure
è dalle
“stramberie” che arrivano le cose migliori.
Sono davvero contenta
che il primo
capitolo ti sia piaciuto! ^^ Spero di essere all'altezza di questa
storia, e vedrai che la scoperta della vera natura di Eliza
sarà
piuttosto... improvvisa. ^^
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Capitolo 3 *** Misteri svelati ***
3- Misteri svelati
Misteri svelati
"Ho la sensazione che cercare un libro qui dentro sarà una bella impresa..."
(Lust, episodio 18)
Nell'aggiornare il registro dei prestiti, lo sguardo gli cadde di nuovo su quel nome: "Hochwald, Eliza".
Non era da molto che questa Eliza frequentava la biblioteca, e di
solito prendeva in prestito volumi relativi a cucito e sartoria,
rivolgendosi solo di rado ad altre aree tematiche.
Era da quando aveva notato per la prima volta quel nome che Rod la
teneva d'occhio. Non aveva idea di che aspetto avesse, perché
non gli era mai capitato che si rivolgesse a lui direttamente per
prendere in prestito un libro, tuttavia stava cominciando a diventare
una frequentatrice abituale.
Erano ormai passati anni, e di Elias non aveva saputo più
niente. Il tempo trascorso era stato sufficiente perché la
rabbia che provava nei suoi confronti evaporasse crescendo, e di quel
periodo gli era rimasta perlopiù la sensazione di un vago
mistero. Come se qualcosa, di quell'amicizia durata appena pochi mesi,
gli sfuggisse ancora.
Dondolò la penna su e giù, terminando di scrivere titoli
e date. La biblioteca in cui lavorava era una delle più grandi
di Berlino, e ogni giorno c'erano centinaia di persone che andavano
avanti e indietro; tuttavia, con un po' di attenzione, sarebbe di certo
riuscito ad individuare questa Eliza Hochwald. Chissà, forse era
una parente di Elias: magari sapeva che fine aveva fatto.
Si stava rivelando una mattina piuttosto indaffarata: sembrava che
mezza Berlino avesse improvvisamente bisogno di consultare i volumi
appartenenti ai fondi privati, che solo gli impiegati della biblioteca
potevano andare a prendere. Malgrado le privazioni dovute alla guerra
stessero ormai seminando la fame anche nella capitale, la classe
più agiata sembrava non aver cambiato di una virgola le proprie
abitudini, e l'andirivieni dalla biblioteca continuava come niente
fosse.
Dopo circa tre ore di arrampicate sulle scale per prendere i faldoni più disparati- che ovviamente si trovavano sempre
sullo scaffale più in alto- Rod aveva finalmente trovato il
tempo di risistemare i volumi riconsegnati quel giorno. Fece per
iniziare il suo giro col carrello dei libri, quando si bloccò e
corse al registro dei prestiti, in preda a un'ispirazione improvvisa.
Eccola lì: Eliza Hochwald aveva appena riportato un libro, ma
non ne aveva ancora preso in prestito nessuno. Questo voleva dire che,
con tutta probabilità, si trovava ancora all'interno della
biblioteca. Prese unicamente quel libro- il cui titolo era "Modellistica integrata e fondamenti di confezione"- tanto per dare l'impressione di fare qualcosa, e si diresse verso la relativa sezione.
Quando arrivò lì, notò che c'erano appena un paio
di persone: un anziano signore piuttosto curvo e una ragazza bionda,
vestita semplicemente e coi capelli raccolti sulla nuca... che fosse
lei? Le lanciò un'occhiata di sottecchi, ma non riuscì a
scorgerne il viso. Si avvicinò un po', perché doveva
comunque risistemare il libro che proprio lei aveva riportato, e
così facendo poté sbirciare la pagina su cui era china.
Intravide dei modelli di maniche e corpi di giacche, con diverse
annotazioni tecniche ai lati.
- Si interessa di sartoria? - fece, tanto per attaccare bottone, ma
quando i loro sguardi si incrociarono rischiarono entrambi di far
cadere i libri che tenevano in mano.
La ragazza sembrava ammutolita mentre Rod, con occhi sbarrati, riuscì a malapena a farfugliare:
- N-non... non è possibile... -.
Lei non mosse un muscolo, e lui ebbe tutto il tempo di registrare ogni
singolo particolare del suo viso, trovandolo sempre più
familiare. I capelli dello stesso colore, il naso, la bocca, gli
occhi... quegli occhi!
- E... - non credeva davvero a quanto stava per dire. Ma dalla sua gola
uscì comunque un suono strozzato, che rese entrambi più
sconvolti di quanto non fossero già - … Elias? -.
La ragazza mosse appena le labbra, ma non fece in tempo ad emettere suono che una voce li interruppe.
- Roderich? - chiamò un'altra addetta della biblioteca, una sua
collega – Ci sarebbero dei documenti da andare a prendere per una
consultazione. Puoi andarci tu? -.
- Io... - no che non poteva. Doveva scoprire chi diavolo fosse quella ragazza - … sì, ci penso io -.
Non si stupì quando, dopo aver portato i documenti all'uomo che
li aveva richiesti, non trovò più traccia della ragazza.
Lo aveva saputo nell'istante in cui aveva distolto lo sguardo da lei,
che sarebbe sparita in un secondo. E sapeva anche che quella notte
difficilmente sarebbe riuscito a dormire.
Una ragazza? Elias era sempre stato una ragazza? E lui non se n'era mai accorto?
“Beh, ma...” fu la giustificazione che trovò quella
sera, steso sul suo letto, mentre non riusciva a prender sonno
“... aveva i capelli corti, e vestiva sempre come un
maschio.”
Pantaloni, giacche, berretti, perfino le bretelle sopra la camicia...
chi l'aveva mai visto con una gonna? Ai tempi suo padre non gli era
sembrato poi così strano, ma se lasciava che la figlia andasse
in giro vestita da ragazzo... qualche rotella fuori posto doveva averla
di sicuro. Oltretutto era assurdo per una famiglia così
osservante: da qualche parte doveva essere scritto che le donne non
potevano assolutamente vestirsi da uomo e viceversa... ma in che razza
di situazione era vissuta, quella famiglia?
Si rigirò nel letto più volte, concludendo che era
inutile farsi tante domande se dovevano rimanere senza risposta. Magari
il giorno dopo avrebbe potuto controllare fra i dati degli utenti della
biblioteca, per vedere se riusciva a scoprire qualcosa di più.
Il giorno dopo rischiò di cadere dalla scala su cui era salito
per raggiungere gli scaffali in alto quando, abbassando lo sguardo, la
vide lì sotto ad aspettarlo.
Era lei, innegabilmente lei. Ma era anche lui.
- Chi sei? - le chiese finalmente, quando fu sceso senza infortuni.
Ci fu un momento di silenzio palpabile, mentre teneva lo sguardo fisso
sul suo viso, ancora stranito nel riconoscerlo come indubbiamente
femminile. E dire che lui ne sapeva ormai parecchio, al riguardo.
- Eliza Hochwald – rispose lei.
Questo si era capito.
- Ed Elias Hochwald chi è, invece? - la incalzò Rod.
La stava osservando così attentamente che notò un sospiro quasi impercettibile, prima che rispondesse:
- Sempre io -.
- Ah -.
- Ascolta, mi dispiace – era strano ritrovarsi subito così
in confidenza con una persona che non si vedeva da anni, ma Eliza era
sempre stata una persona leale: sapeva di dovergli una spiegazione, ed
era tornata appunto per questo – Non è stato corretto, da
parte mia, e per quel che può servire me ne scuso -.
- Ma... - quella faccenda aveva decisamente del surreale, e nonostante tutto continuava a sfuggirgli una cosa - … perché? Che senso ha avuto mettere in scena una recita del genere? -.
Eliza si morse la lingua. Sarebbe servito a qualcosa dirgli la
verità dopo tutto quel tempo, soprattutto a qualcuno che poteva
anche essere diventato uno sconosciuto? Perché erano adulti,
ormai, e a quell'età le ragioni dei ragazzini potevano anche
sembrare delle patetiche sciocchezze.
- C'erano tanti motivi – rispose laconica – Ma non ho mai voluto prenderti in giro -.
Lo vide portarsi una mano alla testa e grattarsela rassegnato, forse
perché si stava rendendo conto che con lei non avrebbe cavato un
ragno da un buco. Eliza fece del suo meglio per trattenere un breve
sorriso: adulto o no, quell'abitudine di arruffarsi i capelli ce
l'aveva ancora.
- Mi avevano detto che eri andata a vivere fuori Berlino, in campagna – fece Rod, cambiando discorso.
- E tu come fai a saperlo? - ribatté Eliza, sorpresa.
- La moglie del macellaio – rispose lui, ricordando quel breve
scambio di battute avuto diversi anni prima – Era più
informata di un giornale, ricordi? -.
Eliza annuì, e d'un tratto sorrise.
- Schwarz Hayah è rimasto là – lo informò,
vedendolo quasi sussultare al sentir nominare il cane – Gli
piaceva un mondo scorrazzare per i campi, e mi sembrava una
crudeltà riportarlo in città -.
- Già, Schwarz Hayah... - mormorò Rod, ricordando quel
salsicciotto che aveva trovato per strada da ragazzino, e che era
cresciuto tanto bene con lei. All'improvviso si rese conto che, se non
fosse stato per quel cane, non avrebbe mai conosciuto la ragazza che
adesso gli si trovava di fronte – Quanti anni ha? -.
- Una decina, ma li porta bene -.
- Hai fatto bene a lasciarlo là, sono certo che starà
alla grande... - parlare di Schwarz Hayah li aveva in qualche modo
riportati su un terreno comune, quel terreno comune che anni prima
avevano condiviso con naturalezza, tanto che Rod si sentì
abbastanza a suo agio da chiedere: - E tu? Perché sei tornata a
Berlino? -.
Non nominò suo padre; forse una volta le avrebbe rivolto subito
qualunque domanda gli fosse venuta in mente- ed in effetti era
così- ma al momento stava ancora cercando di capire chi fosse
esattamente la persona che aveva davanti. In quella ragazza dai capelli
biondi raccolti sulla nuca, vestita in modo semplice ma attento, quanto
rimaneva ancora del vecchio Elias? Esisteva ancora, da qualche parte, o
era stata una recita anche la sua amicizia?
- Sono apprendista in una sartoria. Al momento lavoro là, ma
quando avrò imparato abbastanza ho in progetto di mettermi per
conto mio -.
- Sei tornata a casa tua, quindi -.
- No – a Rod non sfuggì che aveva esitato un momento,
prima di rispondere – Ho preso in affitto una stanza; non avrebbe
senso usare un'intera casa per una persona sola -.
Rod annuì, non molto convinto, ma non insistette.
- Una sarta, quindi... - un ricordo gli attraversò la
mente, in un lampo – Ehi, adesso che ci penso... quel bottone! E
poi ti fermavi a vedere le giacche e i vestiti nelle vetrine! -.
Mise insieme tutti quei piccoli indizi, trovando finalmente un senso di
continuità tra la persona che aveva conosciuto e quella che si
ritrovava davanti:
- Ti piaceva anche allora, non è vero? -.
Eliza annuì, sorridendo piano.
- In effetti sì, anche se non era il caso di sbandierarlo troppo -.
- E perché? -.
- Beh... “ti interessa questa roba”? - fece, e anche se non
imitò le sue smorfie Rod riconobbe comunque il proprio commento
di tanti anni prima.
- Ah, già... scusami. Comunque poi sei stata provvidenziale, in quella faccenda del bottone -.
La vide sorridere, a quel ricordo: il sorriso sincero di quando si
ripensa alle cose del passato. E in quel momento si accorse che era
bella. Il tipo di bellezza che non tutti sono in grado di cogliere, ma
lui non era esattamente un novellino in tale campo: era il tipico
esempio di donna che può passare inosservata per un istante, ma
se lo sguardo cade su di lei non si riesce più a distoglierlo.
- Cavolo, però! – non poté fare a meno di esclamare – Dovevo essere proprio cieco -.
- Lo penso anch'io – asserì lei.
- Beh, non che i tuoi vestiti aiutassero. E coi capelli così corti, poi... -.
- Sei stato l'unico, però – lo interruppe Eliza –
Capitava che qualcuno, a prima vista, mi scambiasse sì per un
maschio, ma poi si accorgevano subito che non era così. L'unico
che ha continuato ad esserne convinto sei stato tu -.
- Ah... - saperlo non faceva molto bene al suo amor proprio, ma d'un
tratto gli venne in mente una cosa e obiettò: - Ehi, anche Von
Armstark ci era cascato -.
Capì che non era così prima ancora che lei rispondesse.
- Veramente... mi ha retto il gioco – rivelò Eliza – Anche se non so perché -.
- Tsk, ma tu guarda. Vatti a fidare... -.
- Mi scusi – un signore di mezza età si avvicinò a
loro – Mi spiace interrompervi, ma avrei bisogno di consultare un
documento -.
- Oh... sì, arrivo subito – rispose Rod, e mentre l'uomo
si allontanava di un paio di passi disse a Eliza: - In effetti dovrei
lavorare -.
Lei annuì.
- Certo. Ero venuta fin qui per spiegarmi, dato che non sapevo in quale
altro posto trovarti, ma adesso ti lascio lavorare. Anzi, devo andare
anch'io – gli fece un cenno – Arrivederci -.
Rod rimase per un momento a guardare la sua schiena che si allontanava,
attraversando le pozze di luce mattutina che entrava dalle grandi
finestre della biblioteca. Vide i suoi capelli farsi dorati nei momenti
in cui venivano colpiti dalla luce del sole, e poi più scuri
quando passava nelle zone in ombra. Obbedendo ad un impulso istintivo,
lo stesso che quella volta gli aveva fatto raccogliere Schwarz Hayah in
quel mercato rionale, si voltò un momento verso l'uomo che lo
stava ancora aspettando.
- Solo un momento -.
In rapide falcate la raggiunse, vedendola sussultare quando le prese delicatamente un gomito.
- Più tardi, al fiume. Solito posto – sussurrò.
La sorpresa di Eliza durò solo un istante; fece un cenno col
capo, poi ognuno andò per la sua strada. Rod tornò
dall'uomo che lo stava ancora aspettando, e che aveva assistito
all'intera scena con aria piuttosto incuriosita.
- Mi scusi per l'attesa -.
Quando Rod giunse sulla riva del fiume il posto era ancora deserto, ma
non aveva il minimo dubbio che sarebbe arrivata. Sembrava quasi assurdo
fidarsi così di una persona che si era rivista appena il giorno
prima dopo circa dieci anni, eppure non prese nemmeno in considerazione
la possibilità che potesse non venire.
Iniziò ad aspettare, e intanto rimase lì: le mani in
tasca, a guardare lo Sprea che scorreva sotto il sole del mezzogiorno.
- Non stai facendo niente di osceno, vero? -.
Si voltò e, mentre lei scendeva la riva per raggiungerlo, sbuffò in una specie di risata.
- Ecco perché non volevi mai farmi compagnia! Per forza...
– guardò l'acqua, che gli aveva fatto spesso da gabinetto
all'aria aperta – E io che pensavo ti vergognassi come un
signorino di famiglia ricca -.
- Non è necessario essere ricchi per essere beneducati – ribatté lei.
- E tu non hai idea di quanto fosse divertente, Liza -.
- Mi chiamo Eliza – puntualizzò lei.
- È lo stesso – replicò Rod, alzando le spalle con
simulata indifferenza – Posso chiamarti come mi pare -.
- Ah, sì? - fece lei, leggermente infastidita. Era come se il
fiume avesse abbattuto ulteriormente le barriere, quelle barriere
invisibili che in biblioteca erano ancora ben presenti – E chi
l'ha deciso? -.
- Io, ovviamente. Come risarcimento per l'imbroglio di cui sono stato
vittima – spiegò Rod, in tono palesemente teatrale.
Eliza scosse piano la testa, ma non replicò: in effetti, non
aveva tutti i torti. Anzi, se c'era qualcuno in torto, quella era lei.
- Ehi, guarda che sto scherzando – si affrettò a dire lui,
fraintendendo il suo silenzio – Io ne ho combinate di peggiori,
sai -.
- Oh, certo che lo so – rispose lei, annuendo con l'aria di chi
la sa lunga – Quella povera stufa non si è mai ripresa dal
trauma -.
Silenzio.
- Questo è un colpo basso, lo sai? - mormorò lui a voce bassa.
Eliza fece del suo meglio per rimanere seria, anche se non poté evitare un sorriso sornione.
- Non ridere -.
- Non sto ridendo – replicò lei, ora perfettamente seria
– Ma immagino sia faccenda vecchia, no? Ormai avrai imparato -.
- Certo – fece Rod, guardando altrove.
- E... hai figli? - chiese Eliza, che si era appena ricordata di quando
aveva saputo della nascita di sua nipote, sempre lì al fiume.
- Chi? Io? - sbottò incredulo – Ho l'aria del padre di famiglia? -.
- Beh, non si sa mai. È che mi sono appena ricordata di... come si chiamava? Win... frieda? -.
- Già – annuì Rod – Ma non è che la
veda molto. Sono piuttosto impegnato, col lavoro e tutto il resto... -.
- Tutto il resto? -.
- Qualche ragazza qua e là – fece un gesto con la mano,
come se stesse parlando dei colori da dare alle pareti di casa –
Sai, Berlino è una città piuttosto grande -.
- Oh, certo – convenne lei, stringendo le labbra. E così era diventato un cascamorto, eh?
- È un po' complicato riuscire a destreggiarsi fra tutte, ma faccio del mio meglio -.
- Posso immaginare -.
- Non sarebbe giusto deludere nessuna di loro, ma a volte è davvero faticoso – rincarò lui.
Eliza stava iniziando a stancarsi di quel fare la ruota come un pavone, così non riuscì a trattenersi.
- E tutte queste fanciulle lo sanno, che il primo bacio l'hai ad un ragazzo? - sbottò.
Dopo un attimo di esitazione, perché anche lui stava
evidentemente pensando all'ultima volta che si erano visti e a quel che
era successo, Rod esibì un sorriso eloquente e rispose:
- Suvvia, Liza. Abbiamo ormai appurato che non sei un ragazzo -.
- Ma tu pensavi che lo fossi – obiettò lei, perfettamente
tranquilla – E mi hai baciato comunque. Tutto questo non ti fa
pensare? -.
- A cosa? -.
- Al fatto che forse stai insistendo sul... lato sbagliato -.
- Oh, oh! - fece Rod, in tono quasi orgoglioso – Senti senti, quella che non sapeva fare nemmeno una battuta! -.
Eliza non poté fare a meno di sorridere: non le importava che
fosse diventato un cascamorto, bastava che non lo facesse con lei. Che
si comportasse come faceva un tempo, perché da quel poco che
aveva visto il vecchio Rod c'era ancora.
- Senti... - lui fece per grattarsi la testa, ma all'ultimo istante
infilò la mano in tasca – Potremmo vederci, di tanto in
tanto. Magari senza lasciar passare altri dieci anni, che ne dici? -.
- A dire il vero devo venire in biblioteca. Tra una cosa e l'altra, ho
dimenticato di prendere il libro che ero venuta a cercare –
confessò Eliza.
“Una cosa e l'altra” era tutto quel che era successo da quando si erano visti, Rod lo sapeva.
- Allora ci vediamo lì – fece – Mi raccomando, chiedi di me -.
Non capì subito perché Eliza avesse d'un tratto assottigliato gli occhi, pensierosa.
- Non mi sembra il caso – obiettò – Quante ragazze “chiedono di te”? -.
- Oh, non vengono certo in biblioteca – sorrise Rod – A
richiedere esclusivamente i miei servigi sono le signore sposate e
rispettabili, sai? -.
A Eliza sfuggì una risata, perché poteva figurarsi la scena alla perfezione.
- Guarda che è vero! -.
- Oh, me lo immagino. Ma delle due io sono solo
“rispettabile”, per cui non credo che valga –
scherzò lei.
Rod drizzò suo malgrado le orecchie.
- Anche “fidanzata” sarebbe considerato valido – buttò lì, vago.
- È lo stesso – rispose Eliza scuotendo la testa –
Considerami una zitella, se vuoi, ma al momento ho fin troppo da fare -.
- Mi sembra un po' presto per definirti “zitella” -
obiettò Rod, chiedendosi intimamente quanto ci sarebbe voluto
perché qualcuno se la accaparrasse. Non molto, ne era sicuro:
sarebbe bastato il primo tizio onesto e lavoratore con un po' di sale
in zucca.
- Non ci vorrà molto, invece. Comunque sia... - abbassò
un po' la voce, osservando una fila di donne che, sull'altro lato del
fiume, sembravano dirette a procurarsi del cibo da qualche rivenditore
che conoscevano. Da quando era iniziata la guerra se ne trovava sempre
meno ed era sempre più caro: lei stessa a volte doveva fare i
salti mortali per mettere insieme tre pasti al giorno, dato che era
ancora un'apprendista - … meglio zitella che vedova -.
Anche Rod aveva alzato lo sguardo, ed entrambi rimasero a guardare il
gruppo di donne che avanzava sul lungofiume, i cui mariti si trovavano
probabilmente al fronte.
- Senti, conosco un tale che vende panini e salsicce a un prezzo ancora
decente – fece Rod – Si trova a qualche isolato da qui, non
lontano dalla stazione. Ne hai sentito parlare? -.
Eliza scosse la testa. Le avrebbe fatto davvero comodo scovare i posti
ancora convenienti; sembrava che durante gli anni vissuti in campagna
Berlino avesse completamente cambiato volto. Parecchi negozi avevano
chiuso, altra gente se n'era andata: era come trovarsi in un posto del
tutto nuovo.
- Se hai tempo, stasera potremmo farci un salto. Così ti mostro dov'è – propose Rod.
Quella sera avrebbe dovuto portarsi di certo del lavoro a casa,
probabilmente un cappotto a cui doveva rifinire la fodera, ma un po' di
tempo poteva trovarlo.
- D'accordo. Posso venire io in biblioteca, all'ora di chiusura – rifletté Eliza.
Rod annuì.
- Bene, allora – era meglio che si desse una mossa: il turno del
pomeriggio iniziava fra poco, e i suoi ritardi erano già
leggendari. Le fece un cenno simil marinaresco – Allora a
più tardi, Liza -.
Eliza non commentò: aveva come l'impressione di doversi abituare a sentirsi chiamare così.
- A dopo – si limitò a rispondere, accennando un sorriso.
Mentre risaliva la riva del fiume, Rod si ritrovò a pensare che a nessuna
ragazza di quell'età avrebbe mai rivolto un saluto del genere: i
suoi baciamano d'altri tempi facevano fremere anche le
“rispettabili” signore, figurarsi poi le fanciulle in
età da marito. Ma aveva come l'impressione che, se ci avesse
provato con lei, si sarebbero esibiti nella replica di una scena
già vista diversi anni prima. Una scena che aveva avuto come
spettatore una stufa piuttosto che il fiume, ma era lo stesso.
E non ci teneva a beccarsi un altro scapaccione sull'orecchio: se provava a pensarci, quasi quasi ancora gli ronzava.
Ridacchiò fra sé per un bel pezzo di strada,
finché arrivò alla biblioteca, così imponente
nella sua struttura possente e nelle file di solenni finestre. Chi
l'avrebbe mai detto che un posto simile architettasse scherzi del
genere?
E pensare che all'inizio non voleva nemmeno lavorarci.
Si videro altre volte prima di quel fatidico sabato: in un paio di
occasioni Rod aveva provato a giocare le sue carte da seduttore con
lei, per vedere che effetto riusciva a farle, ma al terzo tentativo
Eliza gli aveva lanciato la stessa occhiata che in passato riservava a
Schwarz Hayah, quando ne combinava una delle sue. Rod si era messo a
ridere, e lei gli aveva intimato seccamente di smetterla. Con lei certi
trucchetti non funzionavano, lo sapeva da un pezzo.
Eppure, se anni dopo qualcuno glielo avesse chiesto, Rod avrebbe avuto la certezza che quello fosse stato il punto di svolta.
Eliza si era presentata la mattina in biblioteca per prendere in prestito un libro, e mentre Rod glielo porgeva aveva mormorato:
- Hai da fare oggi pomeriggio? -.
In effetti aveva in programma di andare a far visita a una deliziosa
brunetta appena assunta in una pasticceria lì vicino, ma non
aveva mai visto Eliza con le labbra così pallide.
- No, perché? -.
- Devo fare un salto a casa – non specificò nulla, ma
“casa” poteva significare una cosa sola – Vieni con
me? -.
- Vorrei venderla, perché ora come ora mi servono soldi –
il motivo era chiaro perfino a un bambino: la guerra sembrava non avere
intenzione di terminare tanto in fretta, e Rod poteva immaginare che
per una giovane donna sola non fosse facile tirare avanti – Gente
interessata se ne trova sempre, anche adesso. Credo sia ancora in buono
stato, ma prima devo controllare -.
Sembrava molto più tranquilla rispetto a quella mattina; forse
sapere che qualcuno sarebbe venuto con lei era riuscito a rilassarla.
Anche se Rod non aveva ben chiaro che cosa fosse esattamente accaduto
anni prima, e quali circostanze avessero determinato la morte del
signor Hochwald, poteva intuire che il tempo non fosse stato che
polvere su una ferita del genere.
E di polvere straripava la casa, come poterono constatare una volta che
Eliza fu riuscita ad aprire la porta d'ingresso. Già il cigolio
così simile ad un lamento umano avrebbe fatto accapponare la
pelle a parecchia gente impressionabile, ma fu quando entrarono che Rod
si chiese cosa ci trovasse la gente di tanto eccitante nelle storie di
fantasmi. Più di una volta era stato inseguito per l'intera
biblioteca da qualche appassionato che doveva assolutamente declamargli
l'ultimo romanzo letto, il quale prevedeva immancabilmente vecchie case
infestate, piene di polvere e ricordi talmente solidi da tornare vivi.
Quel posto gli metteva i brividi, e dire che non aveva mai avuto
problemi a fare i turni di notte nell'archivio, quando ce n'era
bisogno.
- Guarda qui -.
Eliza aveva aperto una porta, e dal corridoio Rod poté vedere il
tavolo su cui aveva fatto i primi progressi nella costruzione dei
carillon: il legno e gli attrezzi che aveva lasciato lì il
giorno del litigio- della stufa, del bacio e del litigio- c'erano
ancora, pieni di polvere e arrugginiti.
Non si sarebbe sorpreso se, d'un tratto, gli fosse apparso il fantasma
di se stesso bambino impegnato a tagliare del legno o regolare
meccanismi, talmente concentrato da avere la lingua di fuori come
Schwarz Hayah. Anche se lui era lì, vivo e adulto.
- Li costruisci ancora? -.
- Certo. Sono diventato un esperto, ormai -.
Eliza sorrise, scuotendo la testa, e si diresse verso quella che era
stata la cucina. Risultò che le tubature andavano forse
cambiate, ma a quello avrebbe pensato l'eventuale acquirente; la canna
fumaria del piccolo camino sembrava invece a posto.
Un'occhiata ad un altro paio di stanze, ed Eliza sembrò soddisfatta.
- Dovremo tornare un'altra volta per sistemare un po', ma direi che
può andare. Comincerò già a mettere annunci in
giro – sentenziò, obiettiva come un esperto del settore.
Quel “dovremo” detto con tanta naturalezza lo stupì,
eppure gli piacque. Eliza dovette fraintendere il suo sorriso,
perché si affrettò ad aggiungere:
- Se hai tempo e voglia, s'intende. E non preoccuparti, mi occuperò io di pulire e mettere in ordine -.
- Non mi dispiace aiutarti, sta' tranquilla. Dovrei venire per fare semplice presenza? - replicò Rod.
Da come lei si morse internamente il labbro, in un movimento appena
percettibile, Rod intuì che la sua sola presenza le sarebbe
bastata, per un motivo che ancora non riusciva ad afferrare.
All'improvviso gli venne in mente che, tra tutte le porte aperte e
le stanze controllate, Eliza aveva saltato solo quella che era stata
del signor Hochwald. E dubitava che si trattasse di una svista, visto
chi si trovava davanti.
Aveva conosciuto Elias, e conosceva ormai abbastanza anche lei per
sapere che da sola non gli avrebbe mai detto niente. Perciò
chiese a bruciapelo:
- Come è morto tuo padre? Era malato? -.
Una Eliza improvvisamente impallidita gli rispose:
- No, da quel che mi risulta non aveva proprio niente. È morto e
basta. Ancora adesso non so esattamente come, ma non è mai
importato a nessun altro -.
Rod assottigliò gli occhi, come se così facendo avesse
potuto vedere attraverso la porta. E fu come se ci riuscisse davvero:
poteva immaginare alla perfezione il signor Hochwald in quella stanza,
riverso sulla scrivania da cui non si alzava mai.
- E chi l'ha trovato? -.
- Schwarz Hayah -.
- Intendo il primo essere umano -.
Sentì il rumore del suo sospiro, prima che rispondesse: - Io -.
I contorni della porta si fecero confusi, come improvvisamente coperti
da un velo, e bastò un respiro per rendersi conto che l'aria non
era più satura di fantasmi.
Rod era sempre stato dell'opinione che, spesso, la cosa più
sensata che l'uomo possa fare sia seguire l'istinto; e fu l'istinto a
fargli posare una mano sulla testa di Eliza, accarezzandole piano i
capelli con la punta delle dita. Non era un cane, non era una bambina;
ma andava bene così.
Perché una mano calda sulla testa le era mancata per tanto
tempo, e avrebbe seriamente rischiato di mettersi a piangere anche per
tutto il resto che non aveva avuto, se non si fosse riscossa.
- Direi che possiamo andare – mormorò – Ho controllato quello che dovevo. Vuoi prenderti la tua roba? -.
- La mia roba? -.
Eliza accennò alla stanza che era stata il suo laboratorio.
- Non so gli attrezzi, visto che sono tutti arrugginiti, ma magari il
legno può servirti. Hai detto che li costruisci ancora i
carillon, no? -.
I carillon. Lo sguardo di Rod corse alla porta socchiusa sul corridoio,
da cui si intravedevano gli strumenti sul tavolo, e fu come se li
vedesse per la prima volta. Già, i carillon.
- Mi hai sentito? Se non te li riprendi tu, dovrò comunque darli via -.
… che idea fantastica. Come aveva fatto a non pensarci prima?
- Sì... rivendili pure, ci sarà qualcuno a cui possono ancora fare comodo. Io ne ho degli altri -.
- Sei sicuro? Beh, sarebbero comunque soldi tuoi e... -.
- Magari la prossima volta mi offri il pranzo tu, così siamo a posto. Andiamo? -.
Eliza gli lanciò un'occhiata perplessa, chiedendosi
perché tutto a un tratto avesse tanta fretta. Ma nemmeno lei
aveva voglia di rimanere lì, perciò si diresse alla porta
e la aprì alla luce del sole. Represse un brivido quando
avvertì i raggi caldi sulla pelle del viso: ma quanto freddo
c'era, in quella casa?
- Liza, che fiori preferisci? -.
Aveva assottigliato gli occhi perché non venissero feriti dalla
forte luce del pomeriggio, ma li strinse ancor di più quando
sentì quella domanda. Lo sguardo diretto al sole si
trasformò in un'occhiata sospettosa.
- È una curiosità innocente – si giustificò
Rod, alzando le mani come a dimostrare che non aveva nulla da
nascondere – Non mi vedrai arrivare con un mazzo di verdura, sta'
tranquilla -.
La fece sorridere, come sempre, e mentre Eliza inclinava la testa per
pensarci Rod notò come i suoi capelli sembrassero caldi sotto la
luce del sole, e quanto li aveva sentiti morbidi fra le dita, qualche
minuto prima. Senza accorgersene, sfregò fra loro i polpastrelli
della mano sinistra, come a ricordare quella sensazione.
- La camomilla -.
Sì, in effetti sotto il sole potevano avere quel colore, ma
quando si trovava all'ombra erano leggermente più scuri, molto
più simili all'orzo che...
- Come? -.
- La camomilla – ripeté Eliza – In campagna ne
vedevo campi interi, cresceva spontanea ovunque. Ce l'hai presente, no?
-.
Avvicinò le mani per mostrargli la dimensione del fiore, mentre spiegava:
- È simile alla margherita, ma il capolino al centro è
più alto, mentre i petali sono disposti tutto intorno. Un po'
come una gonna -.
- Fiori di campo e sartoria, dunque – dedusse Rod, pensieroso.
- D'estate avevano un profumo molto buono – continuò Eliza – Dolce e delicato, quasi rilassante -.
Quasi materno, ebbe l'impressione di udire Rod. Non per niente se ne
faceva un infuso caldo in grado di calmare chiunque, bambini per primi.
- Questo è quanto – concluse lei – Niente rose o ciclamini, mi spiace -.
Oh, quello l'aveva capito da un pezzo. E, se ci si pensava un attimo,
la camomilla era un soggetto interessante... sì, era meglio che
andasse subito a casa a buttare giù qualche schizzo. Poi in
biblioteca avrebbe cercato qualche libro con delle immagini,
così da...
- Tutto bene? - vederlo d'un tratto così assorto la sorprese non poco – C'è qualcosa che non va? -.
- No, no, è tutto a posto. Ma adesso devo andare, ho delle cose da fare -.
Eliza si morse un labbro; sì, immaginava che genere di cose. Con
i capelli lunghi e sicuramente non biondi, abiti graziosi e risatine
allegre. Non certo una casa cupa di ricordi e fantasmi.
Rod, dal canto suo, era tutto impegnato a pensare che c'era un certo
suo amico orefice che gli doveva un favore, e quindi non avrebbe avuto
problemi ad accogliere la sua richiesta... ma prima doveva buttare
giù le idee e decidere le dimensioni. Che legno era meglio
usare? E la melodia, poi? Ah, quello era sempre il punto più
difficile.
Si accorse che Eliza lo stava fissando sempre più perplessa
quando si rese conto di essersi infilato una mano tra i capelli,
arruffandoli per far prendere aria alla testa e riuscire a pensare
meglio.
- Io vado, allora. Vienimi a chiamare, eh? - fece, accennando alla casa
– Non sono un granché nelle pulizie, ma cercherò di
impegnarmi -.
Eliza annuì, talmente sollevata che un solo cenno della testa riuscì ad esprimere tutta la sua gratitudine.
- Grazie – mormorò, ma fu come se lo avesse gridato ai quattro venti.
Rod le fece un ultimo saluto e si incamminò a passo di marcia verso casa, tutto preso nei suoi progetti.
L'avrebbe fatta restare a bocca aperta, senza alcun dubbio. Altro che un mazzo di verdura.
Eliza che parla senza remore di un
bacio potrà sembrare un po' OOC, ma ho pensato che in fondo era
passato talmente tanto tempo da rendere la cosa ormai un ricordo- anche
abbastanza divertente, da un certo punto di vista.
L'idea per il lavoro di Rod mi
è venuta mentre facevo una specie di stage in una biblioteca
universitaria: passavo ore a rimettere a posto libri in miriadi di
scaffali che riempivano intere stanze, e all'improvviso ho pensato che
il nostro Rod ce lo avrei visto proprio bene, non so perché. Non
il Mustang che conosciamo noi, magari, ma questo è un
personaggio un po' diverso.
Ho visto che qualcuno ha messo questa
storia nei preferiti, ricordati e seguiti. Se voleste farmi sapere che
cosa pensate di questa storia man mano che va avanti, ne sarei felice.
^^
Rispondendo alle recensioni:
Shatzy:
sì, ho notato che il Roy/Ai ti piace in tutte le salse! ^^
Sinceramente un Rod ragazzino che non ha per nulla in mente l'alchimia
o l'esercito me lo immagino così: normalmente i grandi
“seduttori” da bambini sono stati gli elementi più
terribili. E con la faccia tosta ci si nasce...
Sono felice che il bacio ti sia piaciuto! Ce ne saranno altri, non temere. ^^
Comunque sì, Von Armstark
è molto più anziano di Rod e Liza: dato che anche ne film
Alfons Heiderich era molto più grande rispetto al nostro Al, ho
pensato che non ci fosse alcun bisogno che le differenze di età
tra i personaggi venissero rispettate. Quindi ho fatto quello che
volevo anche in questo caso! Comunque Von Armstark è già
stato nominato in “Die Uhr- L'orologio”, anche se
indirettamente... più avanti si capirà meglio.
Il lavoro di Rod da grande si vede
proprio qui, e a me piaceva troppo l'idea di metterlo in una
biblioteca, forse un po' per “la legge del contrappasso”
che lega i due mondi. ^^
MusaTalia:
sono molto contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, anche
perché in effetti era pieno di cose! Malgrado non abbia mai
seguito la serie Brotherhood o il manga, conosco qualcosa della trama,
e so quindi che il padre di Riza aveva un certo ruolo... ho
perciò voluto inserirlo, anche se ho inventato tutto di sana
pianta dato che dell'Hawkeye originale non so nulla.
Anch'io adoro Armstrong, e il modo in
cui si è spesso comportato con i fratelli Elric! Vedrai che qui
avrà un certo ruolo anche più avanti, oltre al fatto che
l'ho già nominato in “Die Uhr- L'orologio”...
comunque si vedrà. ^^
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Capitolo 4 *** Faville in musica ***
4- Faville in musica
Faville in musica
"Oh, e trovati una moglie!"
(Maes Hughes, episodio 25)
Come si poteva chiamare quello che stavano facendo?
Il rumore dei pensieri di Eliza era sovrastato da quello della macchina da cucire, precisa e instancabile come lei.
Quando tolse la stoffa da sotto l'ago, per controllare la cucitura,
anche i suoi pensieri si fecero più silenziosi e distesi.
Amicizia, ecco come si poteva chiamare. Forse un po' diversa da quella
che li aveva uniti anni prima, ma in fondo erano diversi loro stessi.
Eliza sospirò piano, un sospiro che rimase fra lei e l'ago che
teneva in mano per sistemare gli ultimi punti, il quale si
appannò leggermente a contatto col suo fiato. Era quello che
aveva sempre voluto, no? … no?
Mise un po' troppa forza nell'ago, che andò a cozzare contro
l'altra mano sotto la stoffa; se non avesse avuto il ditale si sarebbe
sicuramente punta. Sfregò con il pollice quella piccola corazza
bucherellata, che proteggeva la carne delicata del dito.
… non si poteva certo chiamare “corteggiamento”.
Eliza strinse le labbra, che divennero ancora più pallide: come si costruiva un ditale per l'anima?
Prima ancora che facesse di sì con la testa o dicesse qualcosa,
Eliza seppe che l'avrebbe accompagnata anche quella volta. Era bastato
un guizzo negli occhi, il mutare impercettibile dell'espressione del
viso, ed era come se avesse udito la sua risposta.
Gli occhi allenati ai punti più minuti le permettevano di notare
spesso particolari a cui la gente non faceva nemmeno caso; particolari
fondamentali, che decidevano il corso di una vita e il destino di una
persona. La sarta presso cui era apprendista le aveva consigliato di
usare degli occhiali, mentre cuciva: non perché ne avesse
bisogno, ma per far riposare gli occhi e non sforzarli troppo.
“Meglio cominciare ad usarli prima, che averne seriamente bisogno
poi”, aveva detto.
Così, quegli stessi occhi che sul lavoro non dovevano sforzarsi
più di tanto, avevano iniziato a vedere ancora meglio i dettagli
del mondo intorno a loro; i minuscoli punti lungo le cuciture
invisibili che tenevano unite tutte le cose.
Il problema era che, nella realtà del mondo, un bottone perduto
non si poteva riattaccare; un vuoto lasciato da qualcuno non si poteva
rammendare; e non bastavano ago e filo per rattoppare uno strappo tra
le persone.
- Cos'ha la mia giacca che non va? Perché la fissi tanto? - Rod
si guardò da ogni parte, ma non trovò il minimo difetto
nell'abito che indossava al lavoro – Non ci sono bottoni
staccati, stavolta -.
Eliza alzò lo sguardo, meditabonda, riscuotendosi dalle metafore sartoriali con cui ogni tanto ragionava sul mondo.
- Appunto, è fin troppo bella: se pensi di darmi una mano
vestito così, finirai per rovinarla – la valutò,
con occhio esperto – Forse dovresti andare a cambiarti -.
Rod faticò a reprimere un sorrisetto, trattenendosi a malapena
dall'osservare che quello sembrava proprio il commento di una
mogliettina. Ma Eliza avrebbe potuto rispondergli che poteva anche
essere quello di una madre, e quel paragone proprio non gli andava.
- D'accordo, facciamo tappa a casa mia. Visto che hai intenzione di obbligarmi ai lavori pesanti... -.
Eliza non replicò: gli aveva detto mille volte che poteva anche
arrangiarsi, ma era lui ad aver insistito, perciò non aveva
niente di cui lamentarsi.
- Abiti ancora dai tuoi? -.
- Vuoi scherzare? - Rod fece una smorfia che le ricordò fin
troppo il ragazzino di una manciata di anni prima – Sono scappato
di casa appena ho potuto, per sfuggire alle grinfie di mia madre -.
Eliza si ritrovò a sorridere: aveva quasi dimenticato lo strano
rapporto che c'era tra Rod e sua madre, più simile a quello tra
sottoposto e sadico comandante dell'esercito che a quello tra figlio e
genitore. Lei abitava per conto suo per necessità, ormai. Ma se
una famiglia l'avesse ancora avuta...
- Vivo con mia nonna -.
Eliza si arrestò all'istante, bloccandosi sul marciapiede, certa di aver capito male.
- Che cosa? Tua nonna? - articolò, allibita.
- Sì, ci teniamo compagnia – rispose tranquillamente Rod – Ci siamo sempre intesi bene -.
- E' la madre di tuo padre, allora? -.
- No – ricambiò l'occhiata perplessa che Eliza gli
lanciò – Ah, non chiedermelo: da dove sia uscito un
colonnello del genere, non l'ha mai capito nessuno -.
Eliza si mise a ridere:
- Magari è una caratteristica che si presenta a generazioni alterne, chi lo sa -.
Non le parve di aver detto niente di tanto sconvolgente, almeno
finché Rod non la guardò con l'aria di chi viene
costretto ad inghiottire un topo morto.
- Che c'è? -.
- Vuoi dire che... che i miei figli potrebbero... venire fuori così? -.
- Beh, tecnicamente c'è la possibilità che somiglino anche alla... nonna, sì. E' normale -.
- No, non c'è niente di normale! E' un sistema perverso, ecco cosa! -.
- Ma non è detto che... -.
- Senti, ho cambiato idea – Rod si voltò e fece marcia
indietro, tanto all'improvviso che Eliza dovette quasi corrergli dietro
– Non ho voglia di cambiarmi, è meglio che prenda al
più presto in mano una scopa! -.
Se era così pieno di energia, in effetti un po' di pulizie
avrebbero potuto calmarlo, rifletté lei. Così non
replicò e lo seguì, dirigendosi verso casa Hochwald-
anche se lo sarebbe stata ancora per poco, si augurava Eliza.
Quel giorno lavorarono di ramazza per parecchio tempo, riuscendo a
risistemare l'intera cucina e un'altra stanza, che si rivelarono
davvero in buono stato. Rod sfogò tutta l'ansia relativa ai
propri geni, tanto che alla fine si sentì quasi prosciugato di
ogni energia.
- Sei stanco? - gli chiese Eliza, vedendolo praticamente sdraiato su una sedia.
- Io? Certo che no. Guarda che ne faccio, di ginnastica -.
- Ma non lavori in una biblioteca? - obiettò Eliza.
- È enorme –
replicò lui con aria offesa – Ci sono dei tomi che
arrivano a pesare due chili, e non ti dico quante scale faccio ogni
giorno per arrampicarmi sugli scaffali. Dovrebbero classificarlo come
lavoro pesante -.
Eliza pensò che se fosse scoppiata a ridere si sarebbe offeso
per davvero: per quanto teatrali, le sue lamentele sembravano sempre
serie.
- E il tuo lavoro com'è, invece? - Rod dimenticò per un istante i propri guai, rivolgendosi a lei.
- Faccio la sarta, te l'ho detto. Cioè, in realtà sarei ancora apprendista, ma non mi manca molto per... -.
- E ti piace? - Rod aggrottò la fronte, ricordando gli episodi
d'infanzia che avevano avuto a che fare con ago e filo – Beh,
sì, mi ricordo che ti piaceva anche da piccola, ma un lavoro
è una cosa diversa -.
- Non dico che non sia duro – ammise Eliza, pensando a quante
notti le toccasse stare alzata fino a tardi per finire un abito che non
poteva assolutamente essere rimandato – O faticoso, ma...
dà un'enorme soddisfazione -.
Le venne in mente una cosa, e sul volto le si aprì un gran sorriso.
- Tu puoi capirmi: hai detto che i carillon li costruisci ancora, no?
Capita spesso che debba rammendare o accomodare vestiti, ma quando
cucio un abito dal nulla... cioè, partendo da semplici stoffe,
è semplicemente... non lo so – si guardò le mani, e
solo in quel momento Rod notò dei piccoli calli a cui non aveva
mai fatto caso, provocati probabilmente dall'uso indefesso dell'ago
– Mio padre diceva che solo Dio può creare, ma credo che a
volte l'uomo ci vada molto vicino -.
Era la prima volta che la sentiva parlare spontaneamente del padre, e
Rod fu sorpreso del tono dolce che aveva usato. Eliza ricambiò
lo sguardo, con un sorriso triste.
- Gli volevo bene, sai. Mia madre se n'era andata, ma lui era rimasto
con me – si guardò attorno, nella cucina che sembrava
più viva adesso di quando ci abitava – Eppure ho
l'impressione che ci si fosse seppellito vivo, qui dentro e fra i suoi
libri, ricordandosi solo a volte che esistevo anch'io -.
Rod taceva, ancora immobile sulla sedia.
- A pensarci adesso, forse è vero che non... non stava bene,
ma... - Eliza si fece pensierosa, frugando in ricordi a cui aveva
cercato di non pensare tanto a lungo – ... ma ho sempre avuto la
sensazione che stesse cercando qualcosa, qualcosa che forse conosceva solo lui -.
Dopo un sospiro di Eliza e qualche istante di silenzio, Rod mormorò come fra sé:
- Chissà... forse alla fine l'aveva trovato -.
Eliza scosse piano la testa, mettendo da parte quei ricordi senza capo
né coda né spiegazione alcuna, concludendo decisa:
- La prossima volta tocca alla sua stanza -.
Fedele al proprio proposito, la volta successiva Eliza aprì
risoluta quella porta che era stata chiusa tanti anni prima e mai
riaperta. Ma varcata la soglia si bloccò, come se all'improvviso
le fosse mancato il respiro. Rod la spinse gentilmente un po' avanti,
per passare e avvicinarsi alla scrivania, ancora ingombra di carte
ormai dello stesso colore della polvere.
- Se nessuno le ha mai toccate, allora sono le ultime ricerche che ha
fatto – ragionò, raccogliendo alcuni fogli e cercando di
capire di cosa trattassero.
... era lì, era lì, era
proprio lì. Schwarz Hayah gli aveva spinto una gamba con il muso un paio di volte, ma lui non stava dormendo.
- Non ci capisco niente – ammise Rod, e dire che di manoscritti ermetici ne aveva avuti fra le mani parecchi.
Da come stava con la testa sulla
scrivania, sembrava che quella notte non avesse nemmeno toccato il
letto. Come tante altre, a dire il vero. La luce entrava opaca dalla
finestra, sui capelli biondi del suo stesso colore, e solo in quel
momento si era resa conto che non si muoveva. E dire che in quel
periodo aveva un leggero raffreddore, per cui il respiro un po' pesante
si sarebbe dovuto udire bene nel silenzio di quella mattina.
- Papà? -.
Eliza respirò profondamente, poi si avvicinò alla
scrivania dove Rod stava cercando di decifrare gli appunti di suo
padre. Non che lei ne sapesse di più, ma forse poteva capirci
qualcosa.
Fece istintivamente per sedersi, ma all'ultimo momento si drizzò
in piedi, sistemando nervosamente la sedia sotto il tavolo. Nessuno si
sarebbe più seduto lì. Nessuno.
- Ehi, Liza – Rod le mise una mano sulla spalla, stringendo un po' – Calmati. È solo una sedia, ormai -.
- Già – ormai. Era passato tanto tempo, e lei era diventata adulta.
- Di' un po', tu ci capisci qualcosa? - Rod le mostrò i fogli
che teneva in mano e aveva cercato inutilmente di riordinare. Eliza li
lesse con attenzione, corrugando la fronte: gli appunti erano in
yiddish e ovviamente riusciva a leggerli, ma da qui a capirli...
- "Circolazione dell'energia" – lesse, chiedendosi se quel
mucchio di parole che sembravano scritte a caso potesse davvero avere
senso compiuto – "Energia che scorre... in cerchio"? Ma che
significa? -.
Rod alzò le sopracciglia, con un'occhiata eloquente.
- Se non lo sai tu... -.
- "Flusso che si può incanalare"... "Scomposizione e
ricomposizione degli elementi"... – seguitò a leggere
Eliza, scuotendo poi la testa – Detto così potrebbe
sembrare che parli di chimica, ma... che c'entrano i cerchi? -.
- Ho idea che le ricerche di tuo padre resteranno un mistero – fece Rod – Ma forse è meglio così -.
Eliza annuì.
- Sì – mormorò in un sospiro, per poi raccogliere i
fogli alla rinfusa e sistemarli in una pila ordinata sulla scrivania
– Forza, occupiamoci di questa stanza. Puoi aprire la finestra,
per favore? -.
Dopo una mezz'ora che lavoravano di buona lena, Eliza si
appoggiò alla scopa che teneva in mano, lanciando un'occhiata a
Rod.
- Senti, posso farti una domanda? - fece, dubbiosa – Ma tu che ci fai qui? -.
- Ti sto... aiutando? - rispose lui, perplesso, mostrandole lo straccio che teneva in mano a mo' di prova. Nessuna donna, a volte nemmeno sua madre, era mai riuscita a fargli fare le pulizie in quel modo.
- No, volevo dire... c'è una guerra in corso. I giovani della
nostra età sono praticamente tutti al fronte –
osservò Eliza – A morire non si sa per cosa, ma lasciamo
perdere -.
- Ah, sì... io sono stato riformato – la informò
Rod, passando lo straccio su un alone simile ad un'aurora boreale su
vetro.
Lei lo squadrò da capo a piedi con un'occhiata: a parte una
certa tendenza alla pigrizia più sfrenata, era il ritratto della
salute e della mancanza di preoccupazioni.
- Ti hanno riformato o ti sei fatto riformare? - indagò.
Rod si strinse nelle spalle, come se la risposta non la sapesse nemmeno lui.
- Chi lo sa... - disse infatti, per poi farsi improvvisamente
più serio – No, a te posso dirlo: ti ricordi di Von
Armstark, l'orologiaio? Beh, ha ancora i suoi contatti -.
Tacque un momento, rimanendo in attesa di una qualche reazione sul volto di Eliza, guardandola dritto negli occhi.
- Trovi che sia un vigliacco? -.
- Non lo so – rispose lei, scrollando le spalle – Dipende: perché l'hai fatto? -.
- Perché non ho nessuna intenzione di uccidere. O farmi uccidere
– rispose sinceramente, senza tanti giri di parole.
- La trovo un'ottima ragione – replicò Eliza, riprendendo a lavorare di ramazza.
Dopo un intenso pomeriggio di lavoro, il grosso era stato fatto. Eliza
si riavviò i capelli un po' spettinati, raccolti come sempre
sulla nuca; erano pieni di polvere e sudore, ma tanto a lui i capelli
biondi non piacevano comunque.
- Ah, non te l'ho ancora detto: mi ha contattato un signore interessato
alla casa. Gli ho assicurato che potrà venire a vederla non
appena sarà... presentabile – sorrise soddisfatta,
lasciando perdere i capelli – Manca poco, ormai -.
- Già – Rod si lasciò cadere sulla solita sedia in
cucina, con un'espressione sofferente dipinta in volto – Mi credi
se ti dico che non ho mai lavorato così in vita mia? -.
- Non avevi detto che quello di bibliotecario dovrebbe essere classificato come lavoro pesante? - rise Eliza.
- Ma tu ricordi tutto quello che dico? - sbuffò lui.
- Non ci vuole molto, basta ascoltare – replicò lei,
richiudendo le finestre dopo aver fatto prendere aria anche a quella
stanza.
Rimase ad osservarla mentre chiudeva anche le imposte, riportando la
casa al buio forse per le ultime volte, per poi alzarsi e andare ad
aspettarla nell'ingresso.
Ormai era pronto, e la prossima volta gliel'avrebbe dato proprio
lì; chissà che non la aiutasse a fare definitivamente
pace con quel posto.
- Devi andare da qualche parte? - chiese Eliza, notando la borsa che Rod aveva con sé.
- Oh, no. È una cosa che devo dare a una persona – rispose
allegramente lui, facendole stringere inconsciamente le labbra. Ormai
la casa era quasi a posto, e fra poco non avrebbero più avuto
motivo di passare tanto tempo insieme. Quel beffardo gioco del destino
la fece sorridere amaramente: a tanti anni di distanza, stava
succedendo tutto come l'altra volta.
- Mancano solo un paio di stanze, no? - continuò Rod, che quel
giorno sembrava stranamente su di giri. Eliza non poté fare a
meno di chiedersi con chi dovesse incontrarsi una volta sistemate le
due stanze, ma scosse subito la testa, rimproverandosi mentalmente: non
erano affari suoi. Avrebbe fatto meglio a smetterla.
Ormai erano arrivati, e nell'aprire la porta Eliza tornò ai pensieri pratici.
- Dopo voglio anche provare ad accendere la stufa, per vedere se
funziona – disse – Non dovrebbero esserci problemi, ma
è meglio controllare, anche se è primavera -.
Rod annuì, entrando e chiudendo la porta.
- Liza – la chiamò, mentre lei stava già andando a
recuperare stracci e scope. Eliza si voltò, e lui le porse la
borsa – Ecco -.
La prese senza pensarci, chiedendosi che cosa dovesse farci.
- Vuoi che te la metta al sicuro? - chiese, maneggiandola con cautela – La appoggio in cucina, sul tavolo -.
Stava già per voltarsi, quando la voce sorpresa di Rod la bloccò.
- No, no, che hai capito? - fu quando lui si passò una mano fra
i capelli, sparandoli in tutte le direzioni, che la colse il dubbio.
Guardò la borsa che teneva in mano, dentro la quale doveva
esserci qualcosa di abbastanza pesante e rettangolare. Sembrava una
scatola – È per te -.
Lo osservò per un istante, prima di riportare lo sguardo sulla
borsa e aprirla piano. Sì, quello che c'era dentro era proprio
una scatola, una scatola di legno.
Quando la tirò fuori, all'improvviso la vide per ciò che era veramente: un regalo.
Per lei. Non ricordava l'ultima volta che aveva ricevuto una cosa del
genere. Certo, per l'ultimo compleanno le avevano regalato un abito
nuovo, pratico e sobrio, ma un oggetto così prezioso... sembrava
troppo bello per essere vero.
Sul coperchio, in una cornice di legno, era incastonata una sottile
piastra di metallo argentato, intarsiata a fiori: fiori inconfondibili,
piccoli e simili a margherite, ma col capolino più alto e i
petali disposti intorno a mo' di gonna.
- Vedi? Niente mazzi di verdure – commentò Rod, con un
malcelato sorriso di soddisfazione nel vedere la meraviglia di Eliza.
- Non mi dire che l'hai fatto tu – mormorò lei, passando le dita sul fine intarsio.
- Potrei prendermi il merito, ma no: un amico che fa l'orefice mi
doveva un favore – accennò al coperchio – Ecco il
favore -.
Eliza sorrise, aprendo quello che credeva ormai essere un portagioie: e
sgranò bocca e occhi quando dalla scatola si udì uscire
una melodia, dolce e pacata come il sole a primavera. (¹) Una
musica che le rievocava ricordi che non aveva, ma era come se ci
fossero stati.
E solo in quel momento notò la parte interna del coperchio
alzato: il legno era stato dipinto da mano esperta, a rappresentare una
scena alquanto bizzarra. Un cane bianco e nero davanti alla porta di
una casa, con un fiume che scorreva sullo sfondo.
- Ah, vedi quei fili dorati nell'azzurro dell'acqua? - fece Rod, che le si era avvicinato – Non sono oro, se è questo che pensi -.
- Sì, l'avevo capito – sorrise Eliza con aria complice – Un favore anche questo? -.
- Un giudice che frequenta la biblioteca e si diletta di pittura – rispose lui.
- E questa nuvola cos'è? - chiese Eliza, indicando una nube
scura che usciva da una finestra della casa, osservandola incuriosita
– Sarebbe in arrivo un temporale? -.
- È fumo – le rivelò Rod – Indovina provocato da chi -.
Eliza soppresse una risata, perché quel mosaico di ricordi
mescolati in un quadretto bizzarro era quanto di più dolce
avesse mai visto. Le parti migliori della sua infanzia.
- È... bello – mormorò, non trovando altre parole.
- Certo che è bello – ribatté Rod, fingendo di essere stato punto sul vivo – L'ho fatto io -.
- A me sembra che tu abbia messo al lavoro un sacco di gente, invece – replicò lei.
- Ma tutto il resto l'ho costruito io. Guarda qui – nel vano che
fungeva da portagioie, accanto al piccolo scomparto che nascondeva il
meccanismo sembrava ci fosse soltanto legno coperto da velluto leggero.
Ma quando Rod vi premette leggermente, rivelò una piccola
cavità nascosta, di pochi centimetri quadrati – Von
Armstark mi ha insegnato a costruire anche gli scomparti segreti, pensa
un po' -.
Eliza, piena di stupore, rispose soltanto:
- Però credo non ci stia nemmeno un ago, lì dentro -.
- Troverai qualcosa da metterci – disse sicuro lui.
- Beh... grazie – non
riusciva ancora a crederci. Quella meraviglia era davvero per lei?
C'era scritto che era sua in ogni particolare, dalla decorazione di
camomilla sul coperchio a quella dipinta all'interno, per non parlare
della melodia – Non mi sarei mai aspettata niente del genere -.
- Appunto, non sarebbe stata una sorpresa – replicò Rod, estremamente contento di averla colpita così tanto.
- Non dovevi – Eliza scosse la testa, sorridendogli come per
scusarsi – Pensare che ti sto facendo anche lavorare... -.
- Per l'appunto, diamoci una mossa – si sentiva all'improvviso
pieno di energia – Quelle stanze non si puliscono mica da sole! -.
Mentre lui si dirigeva verso le camere da sistemare, dimenticando scope
e stracci, Eliza si prese un momento per rimirare ancora il suo regalo.
Accarezzò l'intarsio sul coperchio, sorrise al cagnolino dipinto
e caricò un po' la melodia con la chiave che spuntava dal fondo
del carillon. L'avrebbe custodito come un tesoro, perché quello
era. Maneggiandolo con estrema attenzione, lo portò al sicuro in
cucina.
Dopo un po' che lavoravano di ramazza, in una stanza che si stava
rivelando più sporca di tutte le altre messe insieme, Eliza
pensò che sarebbe servito qualche altro straccio pulito.
- Senti, faccio un salto nella stanza dove sto a prenderne qualcuno.
Dovrei fare in fretta, ma nel frattempo perché non provi ad
accendere la stufa? - propose, accennando alla camera accanto –
Legna ce n'è ancora, per cui non dovresti avere problemi -.
Mentre lo disse era chinata su un secchio a risciacquare un ultimo
straccio nell'acqua ormai lurida, e non vide la faccia che fece Rod. Il
quale provvide a cancellare quell'espressione non appena lei si
voltò a guardarlo.
- Certo – assicurò – Ci penso io -.
Allora, un po' di legna nella stufa l'aveva già infilata: pezzi
piccoli, come gli aveva detto Eliza l'ultima volta. Anzi, come gli aveva
detto Elias, in realtà. Fiammiferi ce n'erano, ma gli serviva un
po' di carta per avviare la combustione. Eliza era già uscita da
alcuni minuti, perciò doveva cercarsela da solo.
In quella stanza non ce n'era, e nemmeno in quelle accanto, già
pulite e riordinate in precedenza. All'improvviso si ricordò
della camera del signor Hochwald, con la scrivania ingombra di fogli
indecifrabili. Vi entrò, e infatti eccoli lì: risme di
carte piene di strani disegni, cerchi e simboli. Non erano solo gli
appunti in yiddish a rendergli quei fogli incomprensibili: tutti quei
simboli, quegli ermetici disegni sembravano... beh, cose di un altro
mondo.
Li raccolse tutti, in un pacco voluminoso di fogli che ormai più
nessuno era in grado di comprendere. Era certo che Liza non avrebbe
avuto niente da ridire.
- L'hai fatto apposta – disse Eliza, incredula, quando tornò con un mucchio di stracci sottobraccio.
- Se stai parlando con la stufa, hai perfettamente ragione – replicò Rod risentito – È lei che lo fa apposta -.
Eliza tacque un momento, cercando di capire se stesse davvero
dando la colpa ad un affare in maiolica non esattamente dotato di vita
propria, o se fosse tutta una messa in scena. Optò per la
seconda. Forse.
- È uno scherzo idiota – decretò infine.
- Senti, anch'io mi ricordo quello che dici! - replicò Rod
esasperato, lanciando occhiatacce al fumo nero che usciva dallo
sportello. In quantità minima rispetto all'ultima volta, ma il
suo onore ne usciva decisamente leso – Prima ci va legna piccola
e asciutta, disposta in modo che il fuoco “respiri” e sia
alimentato dall'aria. Per dare il via alla fiamma basta della carta, e
io ne ho messa un po'... -.
Eliza lo ascoltava attentamente, riconoscendo le proprie parole di tanti anni prima. L'aveva ascoltata per davvero, allora.
- … ma dove ho sbagliato? - Rod concluse l'arringa in propria
difesa allargando le braccia rassegnato. Guardò la stufa come si
scruta un nemico più forte, davanti al quale l'unica
possibilità è la resa.
Eliza rischiò di scoppiare a ridere, ma si trattenne e rispose:
- Non ne ho idea, a sentire quello che dici hai fatto tutto alla
perfezione – si avvicinò alla stufa, che sembrava
veramente non avere alcuna intenzione di accendersi. Non con lui,
almeno – Ma davvero non ne sei capace? -.
- Liza, non rigirare il coltello nella piaga – bofonchiò
lui, estremamente abbattuto – È umiliante per un uomo
ammettere certe cose -.
Eliza non disse più nulla, limitandosi a rifare tutti i passaggi
già compiuti da lui, notando che i fogli usati per accendere il
fuoco erano gli appunti di suo padre. Ne fu sollevata: se non l'avesse
fatto lui, non era certa che lei ci sarebbe mai riuscita.
La stufa sembrò riconoscere il suo tocco, perché le
fiamme attecchirono in un baleno. Quando si voltò verso Rod,
ancora lì accanto a lei, cercando di non ridere, vide che la
stava osservando con quel suo sguardo penetrante.
- Liza? -.
- Sì? - fece lei, tornando con gli occhi al fuoco che stava
iniziando a divampare. Era bella, quella stufa: forse l'unica cosa
della casa che le sarebbe davvero mancata.
- Ci sposiamo? - l'aveva chiesto come si chiede “Che mangiamo per
cena?”, ma fu proprio quella semplicità a colpirla
direttamente al cuore. Dopo qualche istante di profondo e genuino
stupore, si chiese come fosse possibile che al mondo esistesse qualcuno
che riusciva a parlarle in modo così diretto.
Non chiese ad alta voce “perché?”, ma era la domanda che aveva in mente.
- Senza di te morirò di freddo, Liza. Mi avrai sulla coscienza
– fece lui, melodrammatico come al solito. Ma aveva sentito la
sua domanda, senza bisogno di udirla.
Non aveva detto di avere ragazze in ogni quartiere di Berlino? Perché...?
- Se ti stai ancora chiedendo “perché” vuol dire che
o sono io un idiota o non hai capito niente tu – le disse.
Magari tutte e due le cose, pensò Eliza. Non aveva ancora detto
una parola, ma quella stretta al cuore non poteva ignorarla ancora per
molto.
Le fiamme divampavano vivide nella stufa, e lei non aveva neanche
pensato ad aprire le finestre. Era ormai primavera, e con quella
temperatura tiepida il fuoco sembrava molto più caldo.
Sentì la guancia arrostirsi, e sorrise: almeno poteva far finta di non essere arrossita come un pezzo di brace.
- Va bene -.
Stavolta Rod non obbedì ad un impulso istintivo, ma si
avvicinò lentamente, sfiorandole il naso finché non fu
tanto vicino da poterle contare le ciglia attorno agli occhi. Erano
sempre state così chiare?
- Mazeltov, Liza – le
mormorò sulle labbra, così vicino che lei sentì il
fiato di ogni singola sillaba entrarle in gola. E subito dopo qualcosa
di più caldo del fiato, che le impedì decisamente di
rispondere.
E prima di non capire più se il fuoco fosse acceso soltanto
nella stufa, riuscì solo a pensare che l'altra volta non era
stato così. Aveva
l'impressione che le fiamme si fossero propagate per tutta la stanza,
circondandoli, ma a dire il vero non gliene importava niente.
Che bruciassero pure.
La giornata era andata meglio di quanto potessero sperare, ma ora si
sentivano entrambi distrutti. Sposarsi era davvero faticoso, nonostante
la loro cerimonia fosse stata quanto di più semplice si potesse
organizzare, perché in tempo di guerra i grandi fasti erano
preclusi alla gente comune, oltre che di cattivo gusto.
Ma adesso era finita. Anzi no, era appena cominciata.
Rod si stava godendo lo spettacolo di Eliza che, in camicia da notte e
coi capelli sciolti, terminava di distendere le lenzuola- secondo lei
poco tese.
- Guarda che non dobbiamo apparecchiarci la tavola, lì sopra
– commentò – E poi ora di domattina saranno da
risistemare di nuovo -.
- Anche un letto deve essere in ordine – ribatté lei,
finendo di piegare l'angolo – Fatto. Non è decisamente
meglio, adesso? -.
Rod finse di scrutare attentamente il grande letto matrimoniale,
osservando con la coda dell'occhio Eliza che ci si sedeva sopra. Gli
sembrò che fosse esattamente identico a prima, ma quella sera
era l'ultimo dei suoi pensieri. O forse il primo, anche se non erano
esattamente le lenzuola ad interessargli.
Si avvicinò e, chinandosi su Eliza, iniziò ad
accarezzarle piano i lunghi capelli finalmente sciolti, scostandoglieli
dal viso quasi uno per uno.
- Sei davvero bella – osservò, continuando scrupolosamente il proprio lavoro.
La vide arrossire prima ancora che il sangue le affluisse sulle guance,
colorandole di scarlatto, osservando solo il modo in cui lo
guardò.
- Anche se sono bionda? - domandò Eliza, che malgrado il calore
al viso non aveva mai dimenticato quel caustico commento sulla riva del
fiume, tanti anni prima.
- Non puoi proprio farne a meno, vero? - chiese lui con un sospiro.
- Di fare cosa? -.
- Di ricordarmi tutti i miei momenti di stupidità -.
Sul volto di Eliza si dipinse un'espressione di stupore.
- Credevo mi avessi sposato apposta – fece, seria.
In verità scoppiò a ridere l'istante dopo nel vedere la
faccia di Rod, quando all'improvviso si sentì piombare addosso
una federa fresca di corredo matrimoniale. Eliza ammutolì:
cioè, le aveva appena tirato addosso un cuscino? Cominciavano bene.
- Io credo invece che la mia influenza inizi a farti seriamente male
– lo sentì commentare – Ma la tua non potrà
farmi che bene, quindi credo sia... uno scambio equo. Equivalente -.
- Il matrimonio sarebbe uno “scambio equivalente”? E questa da dove salta fuori? -.
- Boh, ho avuto un'ispirazione improvvisa – fece Rod, per poi
ondeggiare sul materasso facendolo sobbalzare – Questo letto
è fantastico -.
Sì, i cuscini li aveva già saggiati lei.
Rod le scostò i capelli di nuovo, accarezzandole una guancia, ed
Eliza sentì un brivido correrle su per la schiena. Le aveva
toccato solo il viso, e già si sentiva come se avesse la febbre.
- Non li taglierai mai più, vero? - chiese Rod, rimirando le
lunghe ciocche facendole scorrere fra le dita. Avevano lo stesso colore
dell'orzo, quello dei campi che aveva visto solo le poche volte in cui
era uscito da Berlino. Chissà se avevano anche lo stesso profumo.
- “Mai più” è un periodo di tempo piuttosto lungo, per poterlo dire -.
- Anche l'avermi come marito si prospetta un periodo piuttosto lungo
– Rod si decise ad annusarle i capelli: sapevano davvero d'orzo o
era solo una sua impressione? Aveva sentito dire che l'amore è
cieco, ma che facesse impazzire persino l'olfatto... inspirò a
fondo, strofinando il naso contro il suo collo, vicino all'attaccatura
dei capelli.
La sentì fremere e farsi più vicina; la sua testa poggiarsi nell'incavo della sua spalla.
… quello era veramente profumo d'orzo. Poggiò le labbra
sul punto che aveva annusato, assaporandolo piano, e cercò di
stare calmo quando lei ebbe un sussulto improvviso. Il sospiro leggero
che gli si insinuò tra i capelli lo fece tremare; d'impulso, la
cinse con le braccia, portandola ancora più vicina, avvertendo
un'onda calda che dai piedi si propagò per tutto il corpo.
Si permise di baciarla solo in quel momento, perché si sentiva
ormai pronto a perdere la testa, se mai l'aveva avuta. Quando la perse,
esattamente?
Nel momento in cui le affondò il naso nella guancia,
approfondendo il bacio, e lei gli infilò le dita tra i capelli?
O quando si permise finalmente di toccarla, sopra e sotto la camicia da
notte, sentendola fremere ovunque? Quando caddero finalmente distesi
sul materasso, e lei mormorò a fatica di andare sotto le
coperte, e Rod impazzì di nuovo nel sentire la sua voce farsi
dolce e quasi affaticata? Una voce che avrebbe udito lui e soltanto
lui, per tutti gli anni a venire.
Se fosse esistito un altro se stesso da un'altra parte, sperava che non fosse tanto stupido da lasciarsela sfuggire.
(¹) Per la musica del carillon immaginatevi “Kibō” (colonna sonora di “Full Metal Alchemist”) fino a 1:22
Il Rod che si fa riformare
passatemelo: personalmente trovo che, se non si vuole uccidere la
gente, andarsi ad infilare nell'esercito sia un comportamento proprio
idiota. Ma senza Mustang colonnello non si potrebbe nemmeno parlare di
“Full Metal Alchemist”, quindi va bene.
Per la melodia del carillon ho
nuovamente attinto alla sterminata colonna sonora di “Full Metal
Alchemist”- che adoro- per dare maggiore continuità alla
storia. Tra l'altro “Kibō”- titolo della melodia- significa
“speranza”, “desiderio”: decisamente adatto,
non trovate?
Rispondendo alle recensioni:
Hanako_Hanako:
esatto, sono proprio loro al di là del portale. ^^ Nei primi due
capitoli hanno un'età tra gli undici e i dodici anni, mentre nel
terzo sono ormai passati una decina d'anni (più o meno, le
età sono indicative). Spero che la storia continui a piacerti!
Ezzy O:
grazie per avermelo fatto sapere! ^^ Il fatto è che mi sembra di
prendermi sempre un sacco di libertà con i personaggi, con
quest'ambientazione del tutto libera al di là del portale, per
cui a volte mi chiedo se non dovrei limitarmi un po'... se mi
rassicurano che non mi invento delle castronerie, scrivo con molto
più slancio! ^^
Come vedi, comunque, non c'è
stato poi molto da convincere; ne erano entrambi piuttosto sicuri,
anche se il carillon ha fatto la sua parte...
MusaTalia:
sette capitoli in tutto, anche se l'ultimo credo che lo posterò
più avanti... perché nel mezzo ho intenzione di far
succedere un po' di cose, ma non ne sono ancora sicura. Comunque anche
il numero dei capitoli ha un significato. ^^
Sì, anche a me piacciono i
salti temporali, come hai potuto notare: trovo molto più
interessante accennare a periodi di tempo dove non succede niente di
incisivo per la storia, che doverli descrivere passo passo...
Se mi dici che il padre di Eliza
somiglia molto a quello originale, mi viene da pensare che il carattere
stesso di Riza suggerisca molto della propria storia: è
difficile che una persona nata e cresciuta in una famiglia allegra e
rumorosa diventi poi così severa e riservata. La propria storia
si scolpisce anche nel carattere, in fondo. Spero che il capitolo ti
sia piaciuto, ma dimmi: avevi indovinato che si trattava del carillon?
Sono certa di sì! ^^
Shatzy:
beh, dato che la storia si intitola “Storia di un carillon”
era anche ora che saltasse fuori, no? ^^ Mai detto che Rod fosse
intelligente, anche se più che altro ci fa... hai visto che in
questo capitolo mi sono impegnata? Sì, perché certe scene
io faccio una gran fatica a tirarle fuori, e mi ci vuole il doppio del
normale... comunque adesso sono sposati (hotaru spunta la lista delle
cose da fare: questa è fatta). Il problema, come Liza ha ormai
capito, è che non si sceglie affatto di chi innamorarsi-
è il problema più vecchio del mondo, purtroppo.
Non è mica finita, comunque:
nel prossimo capitolo mi ricollegherò ulteriormente alla trama
de “Die Uhr- L'orologio”. Spero però che ti sia
piaciuto il piccolo riferimento finale al Roy/Ai originale. ^^
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Capitolo 5 *** Solo un ticchettio in più ***
5- Solo un ticchettio in più
Solo un ticchettio in più
"Fare in modo che un bambino accetti la morte è sempre un'impresa molto difficile."
(Izumi Curtis, episodio 27)
Quando Rod e Eliza erano solo una coppia appena sposata, che non aveva
ancora pensato se e quando avere dei figli, si videro arrivare in casa
la nipotina di Rod: la bambina bionda col nome da Valchiria, come
l'aveva definita suo zio anni prima in riva al fiume.
Nell'ultimo periodo della guerra c'erano stati dei bombardamenti sulla
città, e fra le case colpite si trovava anche quella della
sorella di Rod, morta sotto le macerie assieme al marito. Gli orologi
del suo laboratorio che non erano stati distrutti si erano fermati, e
la bambina era rimasta orfana.
Win era sempre stata affascinata dagli orologi che suo padre riparava,
ma non aveva mai veramente pensato al valore del tempo: nel giro di un
minuto, un minuto che aveva trascorso a giocare in una casa di un altro
quartiere, l'intera sua vita era cambiata. Le due persone più
importanti che aveva erano morte, la sua casa era crollata, e per
alcuni istanti lei era rimasta in sospeso sul bilico del nuovo
ticchettio. L'ora era scoccata, la lancetta si era spostata, e lei non
aveva potuto farci niente.
Il tempo faceva quello che voleva: nessuno poteva fermarlo, né tanto meno controllarlo.
A che serviva costruire orologi?
I primi tempi furono difficili, davvero difficili. La bambina spariva
in continuazione, rintanandosi negli angoli più bui della casa,
a piangere assieme al suo cagnolino. In un certo senso era stato lui a
salvarla: se si era trovata in un altro quartiere, dai cugini del suo
migliore amico, era stato anche per scegliere uno dei cuccioli nati
dalla loro cagnetta. Aveva già ottenuto il permesso dai suoi
genitori- anche se non aveva capito perché sua madre le avesse
raccomandato di non nasconderlo in cantina, oltretutto ridendo- ma non
avrebbe mai immaginato che, quel cane, casa sua non l'avrebbe mai vista.
Però si sentiva meglio, quando le si addormentava in braccio, e
quel fagottino caldo sulle gambe mentre se ne stava seduta per ore sul
freddo pavimento era l'unica cosa che la consolasse almeno un po'.
- Win... frieda? - il volto di Eliza comparve quando scostò la
tenda dietro la quale si era nascosta la bambina. Cercò di
sorridere, anche se erano settimane che non riusciva a capire da che
parte prendere quella ragazzina dal nome impronunciabile – La
cena è pronta, vieni? -.
Win annuì, buttando dietro le spalle i lunghi capelli che le
erano finiti in faccia, e prendendo con cautela fra le braccia il
cagnolino addormentato. Avrebbe messo il suo Ned nella cuccia in
cucina, mangiato due cucchiai di minestra e sarebbe poi rimasta sulla
sua sedia, chiusa nel mutismo più assoluto.
Malgrado il legame di sangue e il dolore comune, Rod non aveva la
minima idea di come comportarsi, anche perché quella ragazzina
che aveva ereditato gli occhi azzurri e i capelli biondi del padre gli
sembrava quasi un'estranea. Non ci aveva pensato due volte a
prendersela in casa, dopo quel che era successo- e comunque, dove
avrebbe potuto andare?-, permettendole di portare con sé il
cagnolino a cui teneva tanto. Ma ora gli sembrava di avere per nipote
una statua di sale con un gran grumo di dolore in gola, invece che una
bambina.
Non si era mai ritenuto una persona sensibile, e stava cominciando a
pensare che quello andasse decisamente oltre le sue capacità.
Quella sera, mettendosi a letto, Eliza pensò che non si poteva
andare avanti così. Quando si erano sposati e trasferiti
lì, aveva promesso a se stessa che quella non sarebbe mai stata
la casa di cupi silenzi in cui era cresciuta lei: e invece lo stava
diventando, con un piccolo fantasma che si aggirava per i corridoi e
nessuno che sapeva come comportarsi.
- Io credo che... dovremmo fare qualcosa – non aveva la minima idea di cosa, ma parlarne con suo marito era il primo passo che le fosse venuto in mente.
Rod aveva poggiato la testa sul guanciale, apparentemente già
addormentato. Eliza poteva anche capire che nemmeno lui sapesse cosa
fare, ma evitare in quel modo il discorso non li avrebbe portati da
nessuna parte.
- Non puoi far finta di niente. Ha perso i genitori, Rod, è sola.
Deve affrontarlo – cercò di guardarlo negli occhi, anche
se lui si ostinava a tenerli chiusi – E anche tu -.
Rod aprì gli occhi, premurandosi di guardare da un'altra parte.
- Io sto bene, è lei il problema -.
Una manciata di parole che le fecero venire voglia di picchiarlo; ma se l'era sposato lei, perciò doveva tenerselo.
- Innanzitutto lei non è un problema
– mise in chiaro Eliza con voce arrabbiata, cercando però
di parlare piano perché non si sentisse nella stanza a fianco
– E tu ti stai comportando allo stesso modo -.
- Forse ci vuole solo un po' di tempo – rispose Rod con voce atona.
Eliza trattenne un sospiro sconsolato: erano già passate alcune
settimane e aveva come la sensazione che, se quella situazione non
fosse cambiata in fretta, sarebbe entrata in una specie di stallo in
cui nessuno avrebbe più potuto fare niente.
Capì che per quella sera l'unica soluzione era dormire ma, prima
di voltarsi dall'altra parte, mormorò in un sussurro:
- Il tempo da solo non può fare proprio nulla -.
A dare una mano al tempo fu un amico di Win, il cugino dei ragazzi che
le avevano dato Ned. Rendendosi conto che l'amica non si vedeva
più da nessuna parte, il piccolo Edmund si decise a bussare alla
porta di quella casa sconosciuta; quando ad aprirgli fu una donna
bionda che gli chiese sorpresa chi fosse, fece appello a tutto il suo
coraggio e le chiese di Win.
Ora, lei aveva detto di non voler vedere nessuno; e anche se in linea
di massima Eliza tendeva a rispettare i desideri altrui, era dell'idea
che quella situazione avesse bisogno di una bella scrollata.
Aprì perciò la porta a quel ragazzino che a prima vista
sembrava più piccolo di sua nipote, indicandogli vagamente il
corridoio e la tenda dietro cui era solita nascondersi la bambina.
Anche se Win non voleva vedere nessuno, Edmund non si sentì
minimamente in imbarazzo. Lui non pretendeva di essere visto.
- Oggi è successa una cosa – disse quella sera Eliza a Rod, quando si furono entrambi sistemati sotto le coperte.
Il marito le lanciò un'occhiata interrogativa, chiedendosi
perché non gliene avesse parlato prima, magari durante la cena.
- Che cosa? -.
- Si è presentato qui un amico di Win – Rod alzò le
sopracciglia sorpreso, ma non la interruppe – Ha detto di
chiamarsi Edmund -.
- E... lei? Come ha reagito? -.
- Non lo so – ammise Eliza – È andato dietro la
tenda dov'era lei ed è rimasto là fino all'ora di cena,
quando se n'è tornato a casa. Ho sentito che ogni tanto diceva
qualcosa al cane, ma nient'altro -.
- Nient'altro? Cioè, non ha nemmeno provato a parlare con lei? - chiese Rod, meravigliato.
- Ho cercato di essere discreta, ma non ho sentito niente. Nemmeno un sussurro – confermò Eliza.
- Però. Tipo strano, questo... come hai detto che si chiama? -.
- Edmund. È piccolo e biondo, anche se i suoi capelli sono un po' più scuri di quelli di Win -.
Rod non commentò, ma prima di chiudere gli occhi disse soltanto:
- Chissà se si farà ancora vivo -.
Edmund non solo si fece vivo anche il giorno dopo, ma si
presentò a casa Mühlstein ogni pomeriggio per un mese di
fila, rimanendo seduto sul freddo pavimento accanto a Win senza dire
una parola. Quando arrivava l'ora di tornare a casa, andava a salutare
Eliza in cucina e usciva dalla porta senza bisogno che lei lo
accompagnasse, tanto aveva preso confidenza.
Rod, al corrente di tutto grazie alla moglie che lo aggiornava ogni
sera, una volta che tornò presto dal lavoro volle assolutamente
vedere quello strano ragazzino. Pur avendo vissuto in prima persona
un'amicizia del genere, era sorpreso che il rapporto tra lui e sua
nipote potesse essere così diverso da quello che lo aveva unito
a Eliza anni prima.
- Dov'è? - domandò in un sussurro alla moglie, china
sulla macchina da cucire, come se si fosse trattato di una cospirazione
di guerra.
- Dietro la tenda con Win, come al solito – Eliza alzò la
testa per guardare fuori dalla finestra – Ma credo che fra un po'
andrà a casa. Vado a preparare la cena -.
Ormai alla porta, vedendo che Rod non aveva intenzione di muoversi, gli chiese:
- Vuoi appostarti e coglierlo di sorpresa? Guarda che è solo un bambino -.
- Davvero divertente, Liza – rispose lui, torvo, seguendola in cucina.
Quando Edmund passò a salutare la signora Mühlstein, si
stupì nel trovare anche lo zio di Win, che appena lo vide gli
disse:
- Aspetta, giovanotto. Ti accompagno alla porta -.
A Edmund quella prospettiva parve piuttosto una minaccia, mentre Eliza
dovette trattenere un risolino nel vedere che Rod stava trattando quel
soldo di cacio come un potenziale pretendente di Win, anche se la
situazione era ben diversa.
Quando furono entrambi sulla soglia, Edmund tentò timidamente di
salutare per poi svignarsela, ma Rod lo batté sul tempo:
- Come... come sta? - chiese, trovando leggermente assurdo doversi
rivolgere a un ragazzino tanto piccolo per sapere qualcosa su sua
nipote.
- Si sente sola – gli riferì lui, in tutta
sincerità. Ah, quindi lo zio di Win era solo preoccupato per
lei: Edmund tirò mentalmente un sospiro di sollievo, e si
preparò a tirare fuori tutto quanto.
- Già, lo immagino... -.
- Anche perché pensa che voi qui non la vogliate –
incassò la testa tra le spalle, facendosi ancora più
piccolo. Ma doveva dirglielo, non c'era altra soluzione.
- Cosa? - Rod era sbigottito – Te l'ha... te l'ha detto lei? -.
Il ragazzino scosse la testa, guardandolo con quegli strani occhi che avevano quasi lo stesso colore dei capelli.
- L'ho capito -.
- L'hai... capito – ripeté cautamente Rod, quasi faticando a focalizzare il suo piccolo interlocutore.
- E si chiede anche se lei sia davvero triste per la morte di sua
sorella – ormai aveva deciso di rivelare tutto, e doveva arrivare
fino in fondo.
- Che cosa? - Rod fece tanto d'occhi – E avresti... capito anche questo? -.
Edmund annuì.
- Mi scusi, ma... - si sentiva un po' a disagio a dare un consiglio ad
un adulto, ma il pensiero di farlo per Win gli diede coraggio - ...
perché non va a sedersi vicino a lei? -.
- Vicino a lei? -.
- Per terra – spiegò semplicemente lui – Magari stasera -.
Rod non rispose, ammutolito da quel candido suggerimento, mentre Edmund
approfittò del suo silenzio per salutare e tornarsene finalmente
a casa. Lasciandolo basito a chiedersi se una certa dose di saggezza
superiore non fosse insita nelle persone con i capelli biondi.
Quella sera dopo cena, mentre Eliza rigovernava la cucina, Rod si
decise a seguire il consiglio di quel ragazzino. Andò nel
corridoio, scostò piano la tenda dietro cui se ne stava
raggomitolata Win e si sedette accanto a sua nipote. La sua unica
nipote, gli venne in mente. E all'improvviso ripensò a quel
pomeriggio sulla riva del fiume, quando aveva detto a Eliza- anzi, a
Elias- della sua nascita, e lei gli aveva fatto notare che era
diventato zio.
Forse era arrivato il momento di esserlo davvero.
- Ti ammalerai se continui a startene seduta per terra, sul pavimento freddo. Va' a metterti almeno vicino alla stufa -.
Win non rispose, ma si sarebbe stupito se l'avesse fatto. Tuttavia
temeva sul serio che prima o poi si sarebbe presa perlomeno un
raffreddore, e non aveva senso che...
Un ricordo improvviso fece capolino tra le pieghe della mente, scrollandosi di dosso la polvere accumulata nel tempo.
- Tua madre te l'ha mai raccontato? -.
La vide sussultare quando nominò sua sorella così d'un
tratto, e anche Rod si stupì di aver parlato senza pensare. Ma
Eliza aveva ragione, quando diceva che sia lui che Win dovevano
affrontarlo: perché, madre o sorella che fosse, avevano perso
entrambi la stessa persona. Insieme, ma dovevano andare fino in fondo.
- Ti ha mai detto che le sarebbe piaciuto fare il medico? Una volta che
avevo un po' di raffreddore mi somministrò una specie di
ricostituente preparato da lei -.
Tacque un momento, e quando sentì la voce di Win si ritrovò a ringraziare con estrema gratitudine quel ragazzino.
- E funzionò? -.
- Sì. Quella notte andai in bagno cinque volte -.
Non gli serviva vederla per sapere che stava sorridendo. Poté quasi udirne il suono.
- Poi, ovviamente, io mi vendicai -.
Tacque di nuovo. Attese, e non venne deluso.
- E come? -.
Doveva costruirgli un monumento, a quel piccoletto.
Dopo quella sera Win si era spostata da dietro la tenda ai gradini
della scala, ed Eliza l'aveva interpretato come un buon segno.
- Ehi – fece quella mattina, chinandosi sulla nipote accoccolata
sullo scalino – Hai voglia di fare un giro al mercato? -.
Quando Win annuì, Eliza si ritrovò a sorridere come non faceva da tempo.
- Andiamo, allora -.
Fecero una certa spesa, e per tornare allungarono un po' la strada. Il
sole di quella mattina era leggermente velato da qualche nuvola
passeggera che proiettava la propria ombra sul marciapiede, tanto che,
volendo, ci si poteva saltare dentro.
Eliza si attardò un momento davanti alla vetrina di una
merceria: le servivano giusto dei bottoni e un po' di filo, ma mentre
era distratta Win corse leggermente avanti. Non era mai stata in quella
parte della città: sembrava più antica rispetto alla zona
dove abitava prima, con tutte quelle case addossate le une alle altre,
le botteghe risalenti al secolo prima e...
Un'altra nuvola oscurò il sole e tutto il mondo, passato e presente.
Win si sentì come se il cuore le si fosse fermato per un
istante, per ricominciare poi a ticchettare invece che a battere,
all'unisono con tutti i suoi compagni esposti in quella vetrina. Prima
ancora di decidere se entrare o no, si ritrovò dentro.
C'era quell'odore. A scuola le davano della pazza quando diceva che gli
orologi avevano un odore: un misto di legno, olio per gli ingranaggi e
polvere, perché non si riusciva mai a pulirli a dovere in tutti
i loro anfratti. Era l'odore stesso del tempo che passava, che l'uomo
non poteva fermare, ma solo vivere finché non si fosse esaurito.
E allora l'orologio sarebbe rimasto, ma l'uomo no. Gli orologi erano i
messaggeri del tempo che passava e portava chiunque via con sé,
prima o poi. Perché non aveva preso anche lei?
- Era da tempo che una così bella signorina non entrava nel mio negozio! -.
Win sussultò: non solo per la voce improvvisa che aveva sentito,
ma anche perché le parve che la parola “tempo” fosse
stata pronunciata da qualcuno che ne comprendeva davvero il significato.
E solo un orologiaio poteva esserne in grado.
Alzò lo sguardo e vide dietro il banco un omone grande e grosso,
che si faceva crescere dei mustacchi biondi come la sua controparte al
di là del portale. Anche se, a differenza del maggiore
Armstrong, la sua mole era data per lo più da depositi di
grasso, supportati da un grande ventre gonfio di birra. Era piuttosto
invecchiato rispetto a quando aveva insegnato ad un certo apprendista a
tempo perso a costruire carillon, ma la sua corporatura degna di un
maestoso orologio a pendolo non era cambiata.
- Hai bisogno di qualcosa? Ho articoli graziosi anche adatti ad una
signorina come te... - Von Armstark sembrò accorgersi solo in
quel momento del modo in cui la sua cliente stava osservando gli
orologi sparsi dappertutto, ammassati come ad una festa – Non ti
ho mai vista da queste parti. Sei del quartiere? -.
- Abito qui da poco – rispose Win – Da... dai Mühlstein -.
- Allora tu sei la nipote di Roderich! - tuonò gioioso Von
Armstark. Sapeva bene da dove venisse quella ragazzina e quali
circostanze l'avessero portata lì, ma non l'aveva ancora vista.
La squadrò da capo a piedi – Non gli somigli molto, sai? -.
- Io... - somiglio a mio padre. Anche lui riparava orologi – Già -.
La porta si aprì all'improvviso, facendo entrare una Eliza
leggermente inquieta, che non si rese subito conto di dove si
trovava.
- Ah, sei qui! - di norma non si sarebbe preoccupata di dove fosse
andata una ragazzina di quell'età- lei stessa faceva quello che
voleva, all'epoca- ma con Win non si sentiva ancora del tutto sicura
– Sei sparita all'improvviso, pensavo che... che fossi tornata a
casa -.
- Toh, chi si rivede – solo quando udì quella familiare
voce tonante, Eliza si rese conto di dove fosse entrata – Elias,
presumo -.
Per quanto invecchiato, rivedere Von Armstark dopo tutti quegli anni le fece lo stesso effetto di un salto nel tempo.
- Già – rispose Eliza con un sorriso.
- Guardi che mia zia non si chiama Elias – intervenne Win,
chiedendosi se quel tizio non fosse un po' matto. Ma forse, a forza di
ascoltare ticchettii, si iniziava a sentirli perfino dentro la propria
testa.
Quasi a confermare la sua teoria, quell'uomo scoppiò a ridere:
una risata che fece tremolare il ventre gonfio come un barile e
rimbombare le casse dei pendoli. Win lo fissò sgomenta,
chiedendosi come facesse un tizio con le dita che parevano salsicce a
maneggiare i delicati ingranaggi di un orologio; le dita di suo padre
erano state lunghe e affusolate, simili a quelle di un pianista.
Senza accorgersene, Win si guardò le mani: doveva crescere
ancora, lo sapeva, eppure le sue dita sembravano aver preso dal ramo
paterno, come tutto il resto di lei. Più di una volta aveva
aiutato suo padre, maneggiando pinzette e minuscole ruote dentate con
un'abilità tutta ereditaria.
- In realtà dipende da come le si usa – disse Von
Armstark, chinatosi in avanti sul bancone, interrompendo i suoi
pensieri – Il segreto sta nel movimento -.
Manovrò abilmente una pinzetta che aveva afferrato al volo,
tanto piccola da scomparire fra le sue enormi dita, e Win rimase a
bocca aperta.
- Mi dà l'impressione che anche tu non sia proprio una novellina
con queste – continuò l'uomo – Se ti va, qualche
volta puoi venire a trovarmi. Continueresti la tradizione di famiglia -.
Win lo osservò incuriosita, chiedendosi di cosa stesse parlando,
non osando rispondere a quell'offerta allettante. Aveva giurato a se
stessa che non avrebbe più avuto a che fare con quei congegni
che servivano solo ad ingannare l'uomo e a dargli l'impressione di
poter controllare il tempo, ma era come se gli orologi continuassero a
cercarla. Tanto valeva che li affrontasse, lei che aveva ormai capito
il loro inganno.
Si voltò verso sua zia, lasciando a lei l'ultima parola, e non
capì perché si sentì tanto sollevata quando Eliza
rispose:
- Perché no? Puoi venire quando vuoi, in fondo non è lontano da casa -.
Per una frazione di secondo, Win ebbe come l'impressione che gli orologi l'avessero appena incastrata.
Quando quella mattina Rod sentì sua moglie cacciare un urlo,
pensò che fosse appena sbarcato un esercito nemico venuto da
chissà dove- magari da un altro mondo, chi lo sa. Oppure che lo
Sprea fosse esondato tanto da inondare la loro camera da letto. O che
avesse trovato Win accoccolata sul pavimento, intenta a rimuginare su
quello che li aveva visti fare quella notte.
Non poteva trattarsi di nulla di meno grave, anche se gli urli di sua
moglie non erano certo come quelli delle altre donne: sembravano
più che altro esclamazioni di sorpresa, ma dopo lunghe
considerazioni Rod li aveva finalmente classificati come grida
femminili.
- Oh – esclamò invece Eliza, che si era seduta di scatto – E tu che ci fai qui? -.
Quando Rod si decise ad aprire gli occhi e a controllare quale fosse la
minaccia, vide soltanto il piccolo Ned sistemato in fondo al letto,
infilato a metà sotto le coperte.
- Scusa, ti ho svegliato? - gli chiese la moglie, e Rod poté
constatare che doveva essere ancora molto presto: la luce del sole
cominciava appena a filtrare tra le imposte, incerta come poteva
esserlo solo all'alba – Mi ha fatto prendere un colpo: ho sentito
qualcosa leccarmi i piedi e mi sono svegliata di soprassalto -.
Eh, no: quello non andava per niente bene. Anche Rod si mise seduto,
lanciando un'occhiata truce al cagnolino e mostrandogli un dito
minaccioso.
- È la mia donna – chiarì al salsicciotto scodinzolante – Trovati una cagnolina -.
- Piantala, e mandalo giù -.
- Cosa? - fece lui, sgomento – Ma... ma non possiamo. Avrà freddo, poverino -.
- È un cane, Rod. Ha il pelo apposta. E poi può mettersi sul tappeto -.
- Da quando sei così cinica e crudele? -.
Eliza si chiese seriamente se cacciare dal letto il cucciolo o il
marito, che si era messo a fissare l'animale come se gli fosse
improvvisamente venuta una grande idea.
- Liza, prendiamo un altro cane? Così avrà più compagnia -.
Sì, decisamente suo marito.
Comunque alla fine Ned fu fatto scendere dal materasso, e senza tante
cerimonie si accucciò sul tappeto ai piedi del letto, come aveva
previsto Eliza. La quale pensò che tanto ormai era sveglia, e
poteva anche scendere di sotto ad occuparsi di qualche faccenda.
Sarebbe rimasta volentieri a letto ancora un po', ma...
- Liza? - bofonchiò suo marito, che si era ridisteso sul materasso – Fa freddo... -.
- Va bene, vado ad accendere il fuoco – fece lei, rassegnata e
già pronta a poggiare i piedi sul pavimento gelato. In fondo
quella clausola aveva fatto parte della sua proposta di matrimonio,
quindi era inutile lamentarsi.
- No, che hai capito? - Rod le circondò la vita con un braccio, trascinandola nuovamente sotto le coperte.
- Ma... c'è Ned! - ribatté lei, come se si fosse trattato di un bambino.
- E allora? - Rod lanciò un'occhiata verso i piedi del letto,
anche se il cucciolo non si vedeva – I cani le sanno per istinto,
certe cose -.
- Non stai cercando di “marcare il territorio”, vero? -
fece lei, sospettosa – La faccenda di prima non c'entra niente,
spero -.
- Cavolo, quanto sei diffidente – ribatté lui, tirando le
coperte sopra le loro teste – È solo per mettere bene in
chiaro le cose -.
La luce nebulosa dell'alba gli era sempre piaciuta.
L'autunno era ormai alle porte, e in effetti quella mattina si
rivelò ben più frigida del giorno precedente. Eliza era
andata a comprare delle stoffe per un abito che le era stato
commissionato, e in quel periodo ogni minima possibilità di
lavoro era indispensabile. Win era di sopra a leggere, ma Eliza non
sarebbe rientrata prima di un'ora e la temperatura in casa si andava
facendo sempre più rigida.
In cucina, Rod lanciò un'occhiata alla stufa che fungeva anche
da cucina economica: non provava ad avvicinarsi a uno di quegli affari
dal giorno della sua proposta di matrimonio, ma non poteva certo
lasciare la sua unica nipote al freddo.
Magari aveva fatto progressi: come poteva saperlo se non provava?
Quando Rod aprì trafelato la porta della stanza vide la nipote sussultare, ma non aveva tempo per scusarsi.
- Win! Vieni subito! - lei alzò gli occhi dal libro sui
meccanismi degli orologi che le aveva dato Von Armstark – Di
sotto, veloce! -.
Win, che non aveva la minima idea del perché suo zio si fosse
messo a dare ordini come un colonnello dell'esercito, si
precipitò giù per le scale. E quando entrò in
cucina, si chiese cosa diamine fosse successo e da dove saltasse fuori
quella nube puzzolente.
- Ma zio... cosa succede? -.
Rod, intento ad aprire la finestra e a fare aria con un giornale, rispose affannato:
- Si è messa a fare un sacco di fumo -.
- Che cosa? -.
- La stufa! - il viso di suo zio era esasperato, con un pizzico di
disperazione che minacciava di aumentare di minuto in minuto –
Sai come funziona quest'affare? -.
Indicò la cucina economica, dal cui sportello aperto usciva fumo
nero come dalla bocca di un vulcano appena risvegliatosi dal suo lungo
sonno.
- Beh... sì – rispose incerta Win – Di solito -.
- Allora falla funzionare -.
Win si mise d'impegno, dato che il destino della cucina sembrava
dipendere da lei: dopo che Rod ebbe aperto la finestra, riuscirono ad
estrarre il pezzo di legno che mandava tutto quel fumo, e ad infilarlo
in un secchio di metallo. Una volta portatolo sul retro, nel piccolo
cortile in comune con altre case, la stufa non sembrò più
la tana di un drago.
- Allora la mamma non scherzava – constatò sorpresa Win,
pulendosi col dorso della mano il naso gocciolante per il fumo ancora
nell'aria – È vero che hai litigato con un demone del fuoco! -.
- Eh? - Rod, impegnato a capire che cosa fosse andato storto stavolta, si voltò stupito verso la nipote – Avrei litigato con un che? -.
- Un demone del fuoco – rispose tranquillamente Win, lo sguardo serio e corrucciato.
Ah già, le storie di sua madre: era sempre andata matta per
tutti i racconti su demoni e spiriti di cui straripava l'immaginario
ebraico.
- Beh... se c'è, vorrei tanto sapere che cosa gli ho fatto
– brontolò Rod – Non mi sembra di aver mai
maltrattato nessun demone del fuoco -.
Se qualcuno glielo avesse chiesto, Rod avrebbe risposto torvo che
quella giornata era iniziata nel peggiore dei modi; eppure, a volte,
sembrava esserci qualcosa in
grado di compensare i guai più grossi. Qualcosa che rovesciava
la medaglia di continuo, facendoci vedere i lati migliori e peggiori
della vita.
E quando sua nipote gli rivolse un gran sorriso divertito, Rod si rese conto che qualcuno aveva appena rovesciato la sua medaglia.
- Che è successo qui? -.
Acc... rovesciata di nuovo.
- Lo zio Rod ha cercato di accendere la stufa, che si è messa a
fumare come un drago addormentato, così io sono venuta a
salvarlo – prima che Rod potesse pensare a qualunque scusa
minimamente plausibile, Win sciorinò d'un fiato una versione che
lo faceva sembrare una donzella in pericolo.
Dovette pensarlo anche Eliza, perché cercò di trattenere
un sorriso. Non sembrava arrabbiata, e il motivo venne chiarito quando
disse:
- Sì, è un po' ingolfata. Già ieri sera ha fatto
qualche capriccio, e pensavo di pulirla prima di preparare il pranzo -.
- Cos... e perché non me l'hai detto? - esclamò sbigottito Rod: quindi non era stata colpa sua, stavolta.
- Beh, contavo sul fatto che tu non la toccassi, come ogni giorno da quando ci siamo sposati – replicò tranquillamente Eliza.
Dal canto suo, Win se ne stava zitta, occupata ad osservarsi le ciocche
sporche di cenere puzzolente. Appena se n'era accorta, aveva iniziato a
studiarsi i capelli con la fronte corrucciata, come meditando su
qualcosa.
- Vieni in bagno, ti aiuto a lavarli – si offrì
gentilmente Eliza, ma Win non sembrò nemmeno accorgersene, tutta
impegnata a rimuginare sui propri capelli.
Quando rialzò lo sguardo, disse qualcosa che fece dimenticare a
tutti i presenti la stufa ingolfata e il drago- o demone? - nascosto
nei suoi anfratti di cenere.
- Posso tagliarli? -.
- Ma... sono solo sporchi. Non c'è alcun bisogno di... - tentò sua zia, sorpresa.
- Lo so – la interruppe Win – Ma io vorrei tagliarli -.
Eliza si voltò verso Rod, chiedendo la sua opinione con lo sguardo, ma lui fece spallucce.
- Per me non c'è problema. Non sarebbe la prima ragazza con i
capelli corti – le ricordò, al che Eliza sorrise e
annuì.
- Beh... d'accordo. Se ne sei convinta, possiamo già farlo questo pomeriggio -.
Anche se la zia Eliza e lo zio Rod non le avessero detto che stava
bene, Win lo sapeva di suo. Quando si passò una mano sulla nuca,
sfiorando i morbidi capelli tagliati con la sfumatura alta, ebbe come
un brivido di felicità. Finalmente.
Edmund non se n'era nemmeno accorto finché non gliel'aveva detto
lei, ma Win non se l'era presa. Edmund si accorgeva solo delle cose
importanti, e quella lo era solo per lei.
Un paio di sere dopo il taglio, Win era in cucina ad aiutare sua zia;
lo zio Rod non era ancora rientrato, ma per il suo ritorno la cena
sarebbe stata pronta.
Avevano scambiato solo un paio di chiacchiere di poco conto, quando Eliza disse, senza alcun preavviso:
- Sembra che ti piaccia parecchio andare da Von Armstark -.
Se c'era una cosa che aveva imparato di sua zia, era che non si poteva
mai sapere quando avrebbe attaccato, e da che lato: come un falco che
ha individuato la preda e punta al suo obiettivo, infallibile.
- Mi ha detto che sei molto portata -.
Win mise un piatto sul tavolo. Oh, lo sapeva già: era figlia di un orologiaio, l'aveva dimenticato?
- Posso chiederti una cosa? Tuo padre li riparava soltanto, gli orologi, o ne costruiva anche? -.
Win si bloccò a mezz'aria, con in mano un bicchiere: era la
prima volta che sua zia nominava i suoi genitori, e tutta quella
disinvoltura la sorprese. Comunque provò a rifletterci su.
- Uhm... no, mi pare che li riparasse e basta. Perlomeno, io di costruiti da lui non ne ho mai visti -.
Non capì perché sua zia avesse sorriso finché non le spiegò:
- Allora hai preso anche dall'altro ramo della famiglia. Quello di tua madre -.
All'espressione sorpresa della nipote Eliza sorrise di nuovo, togliendosi poi il grembiule e dicendole:
- Vieni con me -.
Senza fare domande, Win la seguì. Su per le scale, nella stanza
sua e dello zio Rod, sotto una camicia da notte nella cassettiera
dell'armadio.
Che poteva mai esserci sotto una camicia da notte?, si chiese Win.
Estremamente incuriosita, si sporse finché dalle pieghe del
tessuto non uscì una scatola in legno dal fine decoro intarsiato
sul coperchio.
- È... un carillon? - chiese, a bocca aperta. Ma che ci faceva lì dentro?
- Von Armstark dice che hai parecchio talento anche nel costruire, non
solo nel riparare – Eliza glielo mise fra le mani – Questo
l'ha fatto tuo zio -.
- Lo zio Rod? - fece Win stupita, rendendosi conto che, anche se non
era un orologio, quello era davvero un oggetto di pregevole fattura.
- Esattamente -.
Era veramente bellissimo. Provò ad aprirlo, sentendo scattare
subito la dolce melodia che custodiva, facendo tanto d'occhi quando
Eliza la informò che anche il meccanismo era opera di suo zio.
- Ma... perché lo tieni qui dentro? - Win accennò al
comodino, e poi al cassettone sull'altro lato della stanza – Non
sarebbe più bello lasciarlo fuori, in modo che tutti possano
vederlo? -.
- Non è un soprammobile – rispose Eliza, mentre Win le
porgeva il carillon e lei lo rimetteva con cura al suo posto –
È una dichiarazione. Non è necessario che "tutti" possano
vederlo, l'importante è sapere che c'è -.
- Davvero? - Win si illuminò – Ti ha chiesto di sposarlo quando te l'ha regalato? Sul serio? -.
- Non ti racconterò i particolari, se è questo che speri.
Non oggi, almeno – Eliza sorrise al pensiero che la nipote doveva
trovare quella storia estremamente romantica. Se le avesse chiesto il
significato della decorazione all'interno del carillon, però,
avrebbe scoperto che di romantico c'era ben poco.
- Ehi! Dove siete finite? Liza? Win! -.
La voce di Rod al piano di sotto rimbombò fino a loro, facendo sospirare Eliza.
- Ma dove crede che viviamo, in un castello? Pensa che se non urla non
lo sentiamo? - si alzò, non notando Win che ridacchiava sotto i
baffi, per poi tornare di sotto.
Prima di seguirla, la ragazzina lanciò un ultimo sguardo
all'anta dell'armadio che nascondeva un cassetto dentro al quale, fra
le pieghe di una camicia da notte, era custodito un tesoro.
E così, una parte della sua famiglia era in grado di costruire
meraviglie simili. E forse un po' di quel talento l'aveva ereditato
anche lei.
Von Armstark le aveva detto subito che con i capelli così stava
benissimo, e visto il grande cambiamento aveva deciso di insegnarle
subito qualcosa di nuovo. Era diventata la sua piccola apprendista,
senza sapere che sarebbe stata lei la sua erede, colei che avrebbe
continuato la sua attività nel quartiere.
Senza sapere che alcuni anni più tardi, quando Von Armstark
sarebbe morto, le si sarebbe spezzato il cuore. Un'altra volta.
Quella sera, al termine della giornata di lavoro, Rod si rese conto per
l'ennesima volta che tanta gente non sarebbe più tornata. Un
paio di giovani che prima della guerra lavoravano in qualche biblioteca
decentrata non avevano più fatto ritorno, e la gente sembrava
sempre più stanca. Come se la guerra, in realtà, non
fosse mai finita.
Dopo aver salutato i colleghi, scendendo in strada vide una ragazza
seduta sui gradoni d'ingresso della biblioteca. I vestiti erano logori,
i capelli scarmigliati e, anche nel buio, si vedeva bene la sua pelle
scura... Una zingara, probabilmente.
Era tutta rannicchiata su se stessa, un po' come- Roderich si
stupì di aver subito fatto un simile collegamento- Win, i primi
tempi che era arrivata a casa loro.
Rimase a guardarla per qualche istante, ma poi proseguì. Bambini
resi orfani e poveri dalla guerra ce n'erano tanti, non poteva certo
raccoglierli tutti; sua nipote era un conto, ma una piccola zingara...
Dopo aver percorso qualche metro si voltò, attento a non
rimanere nella pozza di luce di un lampione: a quella ragazza, comunque
più grande di Win, si era avvicinato un gatto randagio.
La vide alzare piano la testa e allungare una mano verso l'animale...
esattamente come aveva fatto Win con il suo Ned, solo alcune settimane
prima.
Rod sospirò, prima di tornare sui suoi passi e vedere se quella giovane zingara decideva di dargli fiducia.
Quando si era avvicinato lei era subito indietreggiata, pur rimanendo
seduta. Rod aveva cercato di apparire il più gentile possibile,
mentre le chiedeva se aveva un posto dove andare quella notte.
La ragazza non rispose, guardandolo come un animale spaurito; tuttavia
allungò una mano verso di lui. Rod rimase un po' perplesso, ma
obbedì a un impulso istintivo e gliela strinse, come se stessero
facendo conoscenza.
Non capì perché, ma tutto d'un tratto la ragazza si rilassò, e sembrò guardarlo con occhi nuovi.
- No – disse infine, incredula della fortuna che le era capitata – Non ho un posto dove andare -.
Sorrise.
- Mi chiamo Noa -.
E qui ci ricolleghiamo al primo capitolo de "Die Uhr- L'orologio", il pretesto per questa serie.
Se ve lo state chiedendo...
sì, l'ho fatto apposta. Ho fatto apposta a mettere Mustang come
unico parente rimasto a Winry, l'unico con cui lei può in
effetti condividere il dolore. Proprio lui che era stato l'assassino
dei suoi genitori dall'altra parte del portale. Uno scambio
equivalente, non trovate?
So perfettamente che Edmund non
somiglia proprio per niente ad una certa controparte... è fatto
apposta, sapete. OOC anche lui.
Per quanto riguarda demoni e spiriti
dell'immaginario ebraico, se volete saperne di più vi consiglio
i libri di Isaac Bashevis Singer: sono assolutamente affascinanti,
credetemi.
Il prossimo capitolo non sarà
più un prequel ma un sequel, dato che sarà ambientato
dopo la fine de "Die Uhr- L'orologio". Per cui rivedremo i nostri Ed e
Al, e devo dire che mi mancava un po' poter scrivere di loro.
Rispondendo alle recensioni:
Ezzy O:
felice che lo scorso capitolo ti sia piaciuto. ^^ Sì, l'ultima
frase era un "leggero" suggerimento ad un certo colonnello di nostra
conoscenza...
Hanako_Hanako:
se lo scorso capitolo ti è piaciuto così tanto, non posso
che esserne contenta. ^^ Avevo il dubbio che il carillon fosse un po'
troppo complicato, ma se non lo è meglio così!
Shatzy: caspita, hai praticamente indovinato questo capitolo! Tra Win e Noa, l'hai praticamente azzeccato tutto. ^^
Tranquilla, ribattezza i titoli come
vuoi, tanto li metto doppi apposta. Felicissima che lo scorso capitolo
ti sia piaciuto, in effetti mi sono scervellata abbastanza. Sì,
mi baso parecchio sugli avvenimenti originali, come in una sorta di
contrappasso. Sono convinta che ci sia una sorta di scambio equivalente
universale che regola i due mondi, e mi sbizzarrisco alquanto! ^^
Hughes non pensò ci
sarà: in fondo nel film abbiamo visto che abitava a Monaco,
mentre qui siamo a Berlino... però è una buona idea,
chissà che non mi venga in mente qualcosa al riguardo...
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Capitolo 6 *** L'alba di settembre ***
6- L'alba di settembre
L'alba di
settembre
"I bambini non nascono al quinto
mese, chiaro?"
(Riza Hawkeye, episodio
5)
La prima volta aveva avvertito un vago malessere mentre rifiniva la
manica di un vestito, peraltro venutole particolarmente bene. Si
bloccò un momento, respirando a fondo, pensando che fosse
strano
perché era quasi ora di cena: non poteva essere stato
qualcosa
mangiato a pranzo, dato che l'aveva già digerito da un pezzo.
Comunque dopo qualche minuto le passò, dandole il tempo di
completare l'abito, che mise su una gruccia e coprì con
della
carta.
Era sera, ormai: da qualche giorno aveva iniziato a piovere a dirotto,
una pioggia che al momento era stata interrotta da un terribile vento
giunto da chissà dove. Mugghiava inferocito per le strade,
facendo tremare i vetri come se stesse bussando alle finestre di tutta
Berlino.
In cucina infilò un ceppo nella stufa, perché a
breve
sarebbero tornati quelli che erano ormai i tre uomini di casa. Mentre
spostava le pentole per far posto ad altre padelle, si
ritrovò a
sorridere: chi l'avrebbe mai detto che la sua casa sarebbe diventata
così... calda?
Era come se la donna che era adesso e la bambina che era stata fossero
due persone completamente diverse, vissute in due mondi divisi da un
portale: un portale che non aveva nome eppure, ogni volta che le
capitava di pensarci, non poteva fare a meno di venirle in mente il
viso di suo marito.
Allora si chiedeva che razza di ragionamento avesse fatto, da dove
diavolo saltasse fuori l'idea di un “portale” e
perché stesse arrossendo come una ragazzina.
Inoltre- continuò a riflettere, mentre tagliava la carne che
era
riuscita a procurarsi e la disponeva sul tagliere- si chiese, per
l'ennesima volta, come una persona così riservata e schiva
quale
era sempre stata lei, potesse ispirare tanta fiducia. Anni fa, Noa si
era comportata come se fin dall'inizio avesse saputo che da loro non le
sarebbe venuto alcun male: e dire che, in quanto zingara, non dovevano
averla sempre trattata così bene. Mentre adesso saltavano
fuori
questi due ragazzi, mandati appunto da Noa, che si erano subito
ambientati altrettanto in fretta.
Quando erano piccoli Rod aveva asserito che lei era come un falco, a
cui non sfuggiva mai niente- e ogni tanto lo ripeteva ancora. Eppure,
malgrado Eliza sapesse che il suo intuito non sbagliava quasi mai,
aveva creduto di avere le traveggole quando si era ritrovata a pensare
che... beh, che sembrava che quei due ragazzi la conoscessero.
Perché, nonostante non si fossero mai presi troppa
confidenza,
le si erano sempre rivolti con una naturalezza tale da farle pensare di
averli già conosciuti, in qualche tempo e in qualche luogo.
Perché quando le dicevano qualcosa sembravano già
sapere
come avrebbe reagito, e i giorni in cui era di cattivo umore le
giravano alla larga quasi istintivamente.
Non avrebbe saputo spiegarlo né provarlo, eppure era una
sensazione che l'aveva lasciata fin da subito piuttosto perplessa. Si
ritrovò a corrugare la fronte per l'ennesima volta, mentre
tagliava delle cipolle e le buttava in padella per soffriggerle.
Avrebbe avuto qualche senso se avesse preso uno dei due fratelli in
disparte- magari il più giovane, non ce lo vedeva proprio a
mentire- e gli avesse chiesto: “Ma dove mi avete conosciuto,
voi
due?”. Perché, appurato che l'altro non era
Edmund- ma lei
l'aveva sempre saputo- era certa di non averli mai incontrati in vita
sua. Chissà se suo marito sapeva qualcosa al riguardo: negli
ultimi tempi le era sembrato un po' scosso, come se le stesse
nascondendo chissà quale segreto. Che i ragazzi gli avessero
rivelato qualcosa?
Non fece in tempo a pensare a quanto fosse stupida quell'idea, che
qualcos’altro provvide a distrarla: qualcosa che le fece
spostare
immediatamente la padella dalla cucina, la costrinse a mollare tutto
ciò che stava facendo e a correre in bagno. Dove
riuscì-
appena in tempo- ad inginocchiarsi di fronte alla tazza e a tirarsi
indietro i capelli.
Quanti anni erano che non vomitava?
Mancandole completamente la voglia di stare a rimirare i resti della
sua digestione, si allungò verso lo sciacquone e lo
tirò.
Mentre l'acqua portava via quella roba dall'odore nauseabondo, il
dubbio arrivò galleggiando, quasi sorgendo dalle
profondità della tazza.
Oh, si era accorta di aver saltato il ciclo di gennaio: ma lei non era
mai stata molto regolare- forse l'unica parte di lei che non lo era- e
pensava che la stanchezza degli ultimi tempi potesse aver
contribuito... non ne sapeva poi molto, al riguardo. Le sue conoscenze
mediche erano sempre state piuttosto limitate.
Ma non era così sprovveduta da non rendersi conto che il
giorno dopo avrebbe fatto bene ad andare da un dottore.
Fece un salto nel laboratorio di Win, dicendole che si sentiva poco
bene e chiedendole se potesse occuparsi lei della cena; prima che la
nipote potesse domandarle qualcosa, andò in camera a
sdraiarsi.
Stesa su quel letto troppo grande per una persona sola, prima di
rendersene conto portò le mani al ventre.
Poteva davvero esserci qualcuno, lì dentro?
Qualche sera dopo, mentre si stavano preparando per la notte, aveva
esordito con un indifferente: “Ti ricordi di
Hanukkah?”, a
cui Rod aveva risposto:
- È stato poco più di un mese fa, Liza. Certo che
mi ricordo -.
Eliza lo guardò a lungo, prima rispondere: era certa che non
avesse dimenticato ciò che le aveva detto quella famosa
sera-
né quel che avevano fatto dopo,
perché di certo Hanukkah doveva averlo ispirato parecchio.
Ma forse non ci aveva creduto più di tanto nemmeno lui,
perché erano sposati ormai da anni e di bambini non ne erano
mai
arrivati. A parte una bionda che non somigliava a nessuno dei due, ma
Win non contava in questo senso.
Eliza sorrise sorniona: chissà se ci sarebbe arrivato.
Voleva
godersi al massimo quel momento, così si sporse verso di lui
e,
a un palmo dal suo naso, mormorò sibillina:
- Risolvi questo indovinello: qual è l'orologio che inizia a
ticchettare ad Hanukkah e che, a differenza di ciò che
diceva
qualcuno, per esistere ha per forza bisogno di due creatori? -.
Lo vide corrugare la fronte, chiaramente perplesso, ma non si
spostò né aggiunse indizi. Avrebbe potuto contare
i
secondi di silenzio sospeso, vedere gli ingranaggi che lavoravano
dietro la sua fronte, mormorargli nell'orecchio la risposta esatta.
Ma aspettò. Aspettò finché le
sopracciglia di Rod
non si alzarono tanto da scomparire nel ciuffo di capelli che da un
pezzo gli andava dicendo di tagliare.
- Cioè, tu... io... lì dentro... -.
Quando si vide additare la pancia, Eliza scoppiò a ridere.
Forse era ora di finirla con tutte quelle metafore sugli orologi; da
quel momento in poi sarebbe stato meglio chiamarlo col suo nome...
anche se non ne aveva ancora uno. Ma avevano nove mesi per pensarci.
Quando l'avevano saputo, Ed e Al non avevano voluto sentire ragioni: si
sarebbero trovati un alloggio per conto loro, dato che ormai avevano
entrambi un lavoro. Un conto era non pesare economicamente sui
Mühlstein, un altro essere di disturbo in un momento
importante
come la nascita di un bambino. Ed sentiva qualcosa scioglierglisi
dentro quando pensava che si stava creando una nuova famiglia; lo erano
già, certo, ma niente si poteva paragonare ad una nuova
vita,
qualcosa che “chiudeva il cerchio”, a dirla da
alchimista.
Che suggellava il patto. Il sangue che richiama un'anima, ma non in una
trasmutazione umana.
Una mattina d'inizio aprile che si era beccato un bel raffreddore ed
era ancora disteso a letto, si ritrovò ad osservare il
soffitto
e a perdersi nei suoi pensieri come non gli capitava da tempo. Forse
aveva qualche linea di febbre; forse era la prospettiva dell'ennesimo
spostamento, ma rimuginò per quasi un'ora su quella parola
che
l'aveva ossessionato per quasi tutta la sua esistenza. Di là
e
di qua; come alchimista e come essere umano. La vita.
Alzò il braccio con l'automail, guardandosi la mano nella
dolce luce d'aprile che entrava dalla finestra. Ma perché l'uomo
non può creare la vita? Con le proprie mani, ovviamente; in
modo
razionale e programmato. Artificialmente, si poteva dire. In effetti,
nonostante i suoi studi attuali concernessero la chimica e non
più l'alchimia, il concetto di fondo era sempre lo stesso:
ogni
cosa che esiste è un meccanismo, un sistema, che segue
regole
ben precise e fondamentalmente immutabili. Ciò che mutava,
seguiva altrettante regole. Eppure il mistero riguardante la vita
perdurava, come se davvero fosse stata cosa che agli uomini non era
dato sapere.
Come? Perché?
Sorrise, quasi divertito: malgrado tutto ciò che era
successo,
era ancora lì a chiederselo. E avrebbe continuato per
sempre, ne
era sicuro.
Si tastò la fronte: forse gli era salita la febbre.
Nel pomeriggio si sentì abbastanza bene da scendere di
sotto.
Win non c'era, sarebbe tornata solo all'ora di cena: era andata da un
cliente che abitava dall'altra parte di Berlino, il cui pendolo si era
messo a suonare a ore alterne. L'una, le tre, le cinque... quando gli
pareva, e a volte la mezzanotte durava tredici rintocchi. Uscendo, Win
aveva detto che sarebbe andata ad esorcizzare il fantasma che lo
infestava, estremamente divertita perché un caso simile non
le
era mai capitato.
Così adesso in casa rimanevano solamente lui ed Eliza; forse
poteva farle piacere un po' di compagnia.
- Posso? - Ed aprì piano la porta della stanza del cucito,
interrompendo il ronzio della macchina da cucire.
- Certo, non devi neanche chiederlo – rispose Eliza,
indicandogli una sedia – Accomodati. Come va il raffreddore?
-.
- Meglio, comunque Al ha promesso di portarmi qualcosa dalla farmacia -.
- Sai, non ho tutta questa esperienza di uomini, ma ho idea che tu sia
un esemplare piuttosto bizzarro – commentò Eliza,
lanciandogli un'occhiata.
- Eh? E perché? -.
- Dovresti vedere mio marito quando sta male: con il naso un po'
intasato, pretenderebbe di stare a casa dal lavoro per una settimana! -.
Con il naso un po' intasato il colonnello avrebbe insistito per un
ricovero retribuito, pensò Ed. Gli scappò un
leggero
sorriso, che a Eliza non sfuggì.
- Ti va di darmi una mano? - gli lanciò un'occhiata
penetrante,
ma Ed c'era abituato da parecchio. Da molto prima di conoscerla
–
Qualcosa mi dice che saresti abile quanto tuo fratello nella segnata,
ma al momento non ho stoffe da tagliare -.
Eliza si alzò, prendendo un grande abito bianco da un
manichino
e facendo molta attenzione mentre lo posizionava sul tavolo. Qualche
secondo dopo, Ed si ritrovò fra le mani quello che era
indubbiamente lo strascico di un abito da sposa.
- Non fare quella faccia – commentò Eliza, mentre
si
occupava del pizzo sul colletto – Il tavolo più
grande
è occupato, e su questo lo strascico penzolerebbe a terra.
Devi
solo reggermelo per un po', non attraversare la navata come damigella
d'onore -.
Mentre Eliza si occupava del colletto e di alcuni ricami sul petto, Ed
guardò distrattamente fuori dalla finestra. Si trovava nella
stanza di una sarta che da un'altra parte era un cecchino, in una
città che fino a pochi anni prima nemmeno sapeva potesse
esistere, a reggere lo strascico di un abito da sposa. Per un attimo,
fu quasi come se si fosse estraniato da tutto: da tutti i mondi, due o
più che fossero; da tutto ciò che aveva fatto e
che
avrebbe dovuto fare; da tutte le responsabilità che si era
sempre preso.
Ma era stato così inevitabile, finire lì?
- Cosa facevo io, nell'altro mondo? -.
- Il tenente nell'eser... -.
Ed ammutolì. Lo stava dicendo ad alta voce? Se l'era
immaginata,
quella domanda buttata lì come per caso? Guardò
Eliza,
apparentemente intenta al suo lavoro, tranquilla come sempre. Come se
non gli avesse appena fatto una domanda così incredibilmente
assurda, prendendolo in contropiede mentre era distratto.
No, doveva esserselo immaginato. Forse gli era salita ancora la febbre.
- Nell'esercito, addirittura? Una donna? - strabuzzò gli
occhi
quando lei alzò lo sguardo dall'abito e continuò
il
discorso con tutta la naturalezza del mondo – E cosa facevo
esattamente? -.
Stringendo fra le dita il tulle dell'abito, Ed passò dallo
stordimento improvviso al sollievo inaspettato. Suo marito doveva
averglielo detto, dunque. Beh, certo: figurarsi se il tenente non
avrebbe saputo ogni cosa del colonnello.
- È il miglior cecchino dell'esercito – Ed si
sporse un
po', con fare quasi confidenziale. Mai avrebbe pensato che quella
giornata potesse prendere un corso simile – E, anche se
è
un subordinato, fa rigare dritto un certo colonnello. Però
lui
adesso è stato degradato, per cui non so se... -.
- Un cecchino, eh? Beh, anch'io ho una buona vista – ammise
Eliza.
Oh, quello non era certo l'unico punto in comune con il tenente
Hawkeye: Ed avrebbe potuto mettersi a elencarli tutti, se glielo avesse
chiesto. Invece Eliza gli domandò:
- E tu e tuo fratello, da quanto tempo siete voi due soli? -.
Finora non gli aveva mai rivolto quella domanda per non rischiare di
essere inopportuna, ma adesso era diverso. Avrebbe voluto che, se fosse
capitato a suo figlio, qualcuno glielo avesse chiesto. Una conseguenza
dell'essere incinta, probabilmente: per la prima volta si rendeva conto
che al mondo tutti
erano figli di qualcun altro.
- Si nota così tanto, che siamo abituati a cavarcela per
conto
nostro? - domandò Ed, sorridendo quasi colpevole –
Comunque da parecchio, se è questo che vuole sapere -.
Si trattenne dall'aggiungere che loro non avevano mai avuto degli zii,
ma lo pensò. Chissà se sarebbe stato diverso.
Iniziava ormai ad intravedersi un po' di gonfiore all'altezza del
ventre di Eliza, e anche se dalla sedia non riusciva a vederlo, Ed
venne improvvisamente colpito da un'immagine. Un'immagine a cui non
aveva pensato, quando aveva conosciuto la signora Hughes.
Cercò di scavare a fondo nella memoria, ma senza alcun
risultato; tentò ancora e ancora, scartando un ricordo dopo
l'altro.
… niente da fare, non se la ricordava. Ma in fondo sua madre
doveva essere rimasta incinta di Al quando lui ancora non sapeva
mangiare da solo. Pensare di conservare ancora ricordi così
lontani nel tempo forse era un po' eccessivo. Eppure la sola idea di
sua madre col pancione gli faceva sentire una specie di calore dentro,
un calore legato ad una sensazione che doveva aver provato. Anche se a
dire il vero non ricordava nemmeno Al neonato, malgrado Trisha Elric
gli avesse raccontato che all'inizio lo trattava un po' come il suo
bambolotto personale.
- Edward -.
Ed tornò nel presente, chiedendosi se quella sfumatura
materna nella voce se la fosse immaginata.
- Ricordati che qui, una casa in cui tornare l'avrete sempre -.
Una casa in cui la
famiglia ti aspetta.
Era così che l'aveva definita, quando col maggiore Armstrong
avevano fatto ritorno a Resembool per riparare i suoi automail. Lui e
Al casa loro l'avevano bruciata, eppure zia Pinako e Winry erano sempre
state pronte ad accoglierli. E ora questa donna gli stava dicendo che,
forse, una casa l'avevano trovata anche in quel mondo.
Avrebbe dovuto sorriderle e ringraziarla, lo sapeva. Anche se Eliza non
sembrò certo pretenderlo, perché tornò
subito alle
sue occupazioni, mentre Ed si chiedeva se quello non fosse di nuovo il
principio della fine.
Perché una l'avevano bruciata e l'altra abbandonata per
sempre,
sigillata in un altro mondo. A questa, cosa sarebbe successo?
Ed e Al non avevano grosse pretese, e grazie a qualche contatto di Rod
riuscirono a trovare un alloggio rispettabile ad un prezzo decente.
Così vi si trasferirono quando Eliza era al quinto mese, non
senza la promessa di tornare a cena da loro una volta alla settimana.
All'inizio Win sentì l'ennesimo strappo al cuore, ma quando
si
rese conto che stavolta chi se ne andava si sarebbe allontanato di
appena due isolati tirò un sospiro di sollievo.
Cominciò
a ricambiare le visite settimanali, e una volta che un cliente le
pagò una riparazione con una bottiglia di liquore di segale
rischiarono la sbronza tutti e tre.
Man mano che la gravidanza avanzava, il pancione di sua zia si faceva
sempre più prominente, tanto che nell'ultimo periodo ogni
tanto
era costretta a sdraiarsi per il mal di schiena.
Secondo Eliza era perché il bambino se ne stava comodamente
stravaccato nella sua pancia, il che era un preoccupante sintomo che
avrebbe ereditato la sfrenata pigrizia del padre.
Win rideva sempre quando sua zia se ne usciva con certe cose, e un
pomeriggio di metà agosto dall'aria fin troppo fresca le
disse:
- Vai a sdraiarti un po', ti porto del brodo -.
Quando la raggiunse nella stanza, la trovò sistemata di
fianco, stanca ma in attesa, gli occhi vigili sulla porta.
- Ecco qua. Corposo e bollente! - scherzò.
- Oh, io non ho problemi, lo sai. Se si vuole che faccia un po'
d'effetto, il brodo deve essere bello caldo – rispose Eliza,
mettendosi seduta e prendendo la tazza che Win le porgeva, non senza
una certa fatica.
La ragazza fissò lo sguardo sul pancione ormai evidentissimo
della zia, così pronunciato che volendo avrebbe potuto
appoggiarvi la tazza.
- Com'è? - non poté fare a meno di chiedere.
- Molto buono. Ti è venuto davvero bene -.
Win scosse la testa ridendo:
- Non il brodo – indicò il rigonfiamento
all'altezza del
ventre – Com'è... avere qualcuno dentro di
sé? -.
- Molto... strano,
quando in
effetti mi metto a pensarci. Soprattutto quando si muove – si
toccò piano la pancia, dove era convinta che suo figlio se
ne
stesse comodamente stravaccato – Ma è anche
così...
naturale. Giusto. Perché è così che
vanno le cose
-.
- Che una volta tanto vadano come dovrebbero andare? -
mormorò Win.
- Esatto. Di tanto in tanto succede anche questo –
sussurrò sua zia di rimando.
Win si riscosse subito, colpita da un'idea improvvisa.
- Ehi, gliel'hai fatta sentire? - domandò, illuminandosi.
- Che cosa? - chiese Eliza sorpresa.
- La melodia del carillon -.
- Come? … no, veramente no -.
- Allora che ne dici di fargliela ascoltare un po'? Tanto per mettergli
in chiaro dove si troverà a vivere -.
- Sì, perché no? - sorrise Eliza.
- Posso? - fece Win, accennando all'armadio, sicura che il carillon
fosse ancora nascosto là, sotto una camicia da notte.
Al cenno affermativo di sua zia, si alzò prontamente dal
letto e
andò a vedere, riverente come se le fosse stato concesso un
grande onore. Eliza la osservò inginocchiarsi davanti alla
cassettiera, pensando all'unica altra volta in cui sua nipote aveva
visto il carillon: era passato tanto tempo, da allora, ed erano
cambiate così tante cose. Possibile che tutti quegli anni
fossero trascorsi così in fretta?
Quando tornò da lei, Win stringeva tra le mani il carillon.
Lo
caricò e ne aprì il coperchio; per tutto il tempo
in cui
la melodia risuonò, lo tenne vicino al pancione di Eliza.
Quando
la carica terminò, dopo un attimo di silenzio sorrise
complice a
sua zia:
- Senti, adesso credi di potermela raccontare? - alzò il
carillon ancora aperto, mostrandole la decorazione all'interno. Quella
col cane, il fiume e la nuvola di fumo – La storia di questo, intendo.
Perché scommetto tre orologi che questa è
opera dello zio Rod -.
Quando Eliza vide che stava indicando la nuvola dalla finestra,
scoppiò a ridere. Sì, era davvero passato un
sacco di
tempo. Chissà se... si toccò la pancia,
accarezzandola
piano.
Chissà se l'incompatibilità col fuoco era
ereditaria.
Quando Win uscì in corridoio, quella sera di settembre, era
palesemente scioccata.
- Mio Dio – ansimò, sconvolta ma felice
– Dove sono i miei orologi? -.
Se Rod fosse stato uno spettatore esterno, avrebbe anche potuto
mettersi a ridere; ma non lo era, e in due secondi aveva posato le mani
sulle spalle della nipote, preoccupato al limite del possibile.
- Come sta? -.
- Stanno bene – Win sospirò, sorridendo come non
mai – Stanno bene tutte e due -.
Senza pensarci due volte Rod entrò, beccandosi qualche
rimbrotto
della levatrice che stava lavando in una bacinella un paio di fasce
intrise di sangue, ma non ci fece nemmeno caso.
Chiudendo la porta dietro di sé e appoggiandovisi contro,
Win
sorrise di nuovo e si passò una mano fra i capelli,
scoprendosi
parecchio sudata. Oh beh, si sarebbe lavata più tardi:
adesso
doveva andare a dare la notizia ad un paio di persone.
- Una bambina? Ma è meraviglioso! - esclamò Al,
felice di sapere che fosse andato tutto bene.
Anche suo fratello sorrideva sollevato sotto la luce della lampada,
accesa dopo che gli ultimi lampi aranciati del tramonto si erano spenti
a ovest.
Una bambina, come Elycia Hughes: Ed sperò che quella piccola
che
aveva appena un'ora di vita fosse più fortunata di lei.
- E come l'hanno chiamata? - si informò.
- Anche se gli zii non hanno mai voluto dirmi che nome avevano in
mente, prima che uscissi dalla stanza la zia Eliza mi ha detto che una
femmina volevano chiamarla Alba -.
Al guardò perplesso fuori, nel buio:
- Ma... è nata al tramonto, no? -.
Win si strinse nelle spalle, come a declinare ogni
responsabilità.
- Che volete che vi dica? Se mio zio si mette in testa una cosa, non
c'è verso di fargli cambiare idea -.
- Se fosse stato un maschio ci avrebbe trovati del tutto impreparati.
Non hai mai voluto saperne di pensare a un nome! - Eliza era appoggiata
contro il cuscino, visibilmente stravolta, mentre Rod si stava
rimirando il viso della bambina alla soffice luce dei lampioni che
entrava dalla finestra.
La stanza era ormai avvolta nella penombra, ma nessuno dei due aveva
ancora voglia di accendere una lampada.
- Non mi serviva pensarci. Lo sapevo già – rispose
tranquillamente Rod, chiedendosi come facesse un neonato a respirare
con un naso così piccolo.
- E avresti deciso senza consultarmi? Si può sapere come
avresti
chiamato nostro figlio? - malgrado la domanda, Eliza non aveva nemmeno
la forza di accigliarsi. Sentiva gli occhi sempre più
pesanti, e
cercare di mettere a fuoco l'ombra del marito e della figlia contro la
finestra andava facendosi sempre più difficile.
Rod sorrise, di un sorriso paterno che, anche nella penombra, a Eliza
sembrò piuttosto un sogghigno.
- Che domande. Elias, ovviamente -.
- Dite, non trovate che mi somigli? -.
Ed e Al si scambiarono un'occhiata perplessa, senza commentare
alcunché.
- Zio... è bionda
– si azzardò a contraddirlo Win.
- Ma guarda il viso! Lo sguardo! È proprio il mio ritratto!
-
ribatté Rod, spostando leggermente la piccola come a
fargliela
vedere da un'altra angolazione.
Ed stava osservando quella scena ad occhi sgranati, quando
udì
il commento di Al che si era chinato a sussurrargli qualcosa:
- Perché si sta comportando come Hughes? -.
- Chissà... forse è una caratteristica di tutti i
neopadri – ipotizzò lui, anche se poco convinto.
- Ma guardatela! - Rod mise loro la bambina sotto il naso, e per un
folle istante a Ed sembrò che la piccola lo stesse guardando
con
uno sguardo che conosceva. Lo sguardo di un certo colonnello, sul viso
di una bambina nata appena il giorno prima.
La piccola Alba aveva ereditato i suoi occhi, su questo Rod aveva
ragione.
- Guarda gli zii, Alba: lo zio Ed e lo zio Al... - continuò
lui, in tono cantilenante.
“Diavolo, è impazzito”, pensò
Ed, rendendosi
conto con uno sguardo che lo stesso pensiero aveva attraversato la
mente di tutti i presenti. Persino di Eliza.
Però la bambina era carina per davvero, con quegli occhi
allungati e scuri come la pece, tanto pallida che le si vedevano le
venuzze azzurre scorrere lungo i polsi. Un organismo perfetto; un
cerchio completo in cui scorreva l'energia.
Il cerchio completo si rese conto in quel momento di avere fame, e lo
comunicò a tutti con una prova generale delle corde vocali,
perfettamente funzionanti.
- È meglio che andiamo – rise Al –
Suppongo ci stia sbattendo fuori di qui, senza tanti complimenti -.
Percorrendo i due isolati che li separavano dal loro alloggio, non
parlarono per un po', godendosi la brezza ancora eccezionalmente mite.
Erano gli ultimi languori dell'estate che stava morendo, e loro non
avevano ancora la minima idea di dove andare a recuperare la famosa
bomba che stavano cercando.
- Aveva un buon profumo... - fece d'un tratto Al, mentre passavano
sotto un lampione – Sapeva di latte -.
- Vorrai dire che puzzava
di latte! - lo corresse Ed, con una smorfia.
- Andiamo, fratellone. Non è gentile, lo sai -.
Dopo qualche altro minuto di silenzio, Ed ridacchiò fra
sé. Al gli lanciò un'occhiata interrogativa,
chiedendogli
senza parlare cosa ci fosse di tanto divertente.
- Spero che adesso non sarai geloso – fece Ed, rispondendo
alla sua tacita domanda.
- Mh? Chi, io? E perché? - chiese Al, guardandolo sorpreso.
- Beh... - Ed sorrise sibillino, alzando lo sguardo verso il cielo
ormai scuro e stellato di quella dolce giornata settembrina. Non capiva
perché si sentisse d'un tratto tanto bene: era tutto merito
di
quella bambina? – Non sei più l'unico
“Al” in
circolazione, ormai -.
Scusate il ritardo di
questo
capitolo, ma ho aspettato un minimo di ispirazione decente, che
è arrivata un po' per gradi.
Sapete che la parola
“chimica” deriva da “alchimia”?
L'ho scoperto
poco tempo fa, ma in fondo si tratta in entrambi i casi di una scienza
che cerca di svelare i misteri della natura e delle relazioni fra gli
elementi. Ma guarda un po'! ^^
Se amate le storie
ambientate oltre
il Portale, vi consiglio di leggere assolutamente “.cosmo”
di Elos. Una perla di fic, forse l'unica- non lo so, non ho mai letto
tutte quelle che ci sono nel fandom- sull'incontro tra Edward e Alfons
Heiderich. Io stavo per mettermi a piangere, sul serio.
Ora, prima dell'ultimo
capitolo in
teoria avverranno un po' di cose... e in mezzo ci saranno
altre
storie- credo, se avrete voglia di leggerle. Ma intanto lancio una
piccola sfida al vostro spirito di osservazione: avete notato qualcosa
di particolare nella ripartizione dei capitoli? In special modo nei
titoli? Avanti, è facile! ^^
Comunque sia, il seguito
di questo
capitolo sarà da ritrovarsi in un'altra storia: “Hausmärchen-
Fiabe del
focolare”. Vi avverto che ci sarà un
certo scarto
temporale, anche lì.
Ah, tutto questo tedesco
è
stato quasi profetico: a settembre- guarda caso- partirò per
un
anno di Erasmus in Germania... anche se io non vado a Berlino, ma un
salto conto di farcelo. ^^
Rispondendo alle
recensioni:
MusaTalia:
oh, studi filosofia? Bello, bello: dimmi un po' di teorie sul tempo,
che poi vado a studiarmele. ^^ Tra l'altro, in questo periodo mi sono
fissata con il manga/anime “Pandora Hearts”, dove
tempo e
orologi hanno un ruolo che definire fondamentale è poco.
Spero che questo
capitolo non ti abbia deluso, e grazie come sempre per il commento
così accurato!
CioccoMenta:
innanzitutto, bel nick. Mi hai fatto subito venire voglia del mio
gelato preferito. ^^ Poi ti ringrazio per avermi fatto sapere cosa
pensi della storia: sono molto contenta che ti piaccia, visto che
è prima RoyAi effettiva che scrivo. ^^
Shatzy:
ma scherzi? Innanzitutto, come hai visto, nemmeno io sono esattamente
in orario con la pubblicazione di questo capitolo... e poi le storie
non scappano: uno le legge quando vuole. O quando può.
ù_ù
Sai, quando scrivo certe
scene o
certe battute ti penso sempre, quindi hai un certo ruolo anche
nell'esistenza stessa di certi momenti. XD Anch'io sono per il
romantico “particolare”, e mi sono scervellata non
poco per
la storia di Rod e Liza.
Sono contenta che ti sia
immaginata
Edmund così bene: anch'io tendo a
“vedermi” le scene
nella mente, quando scrivo, come se fossero effettive puntate
dell'anime. Mi aiuta molto a descrivere espressioni e atteggiamenti,
per non parlare dei dialoghi.
Comunque, come hai
visto, ci hai
azzeccato ancora una volta: è finalmente arrivato il
bambino-
anzi, la bambina. Commenti? ^^
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