Le Notti Di Alice

di Ezrebet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***



Capitolo 1
*** I ***


La lama era lucida ed affilata. Era l’oggetto di cui Alice aveva più cura. Lo puliva minuziosamente e lo lucidava a lungo prima di avvolgerlo nella carta velina. Adesso, il bisturi giaceva sul cuscino ed era pronto per essere usato.
Le undici. La casa era immersa del sonno in quella normale notte di città. Da fuori, giungevano i rumori soliti del traffico, colonna sonora delle sue fughe. Guardò fuori dalla finestra. Niente luna, poche stelle a illuminare le strade e i palazzi. Una lieve brezza autunnale entrava dalla fessura che aveva lasciato aperta, le sue gambe, nude sulle coperte, si ricoprirono di brividi di freddo.
Nel riflesso dei vetri, vide sé stessa, così magra e pallida da sembrare incorporea. La sua espressione dolente era sempre la stessa, da così tanto tempo ormai.
Allungando il braccio, prese alla fine il bisturi, rigirandolo tra le dita come fosse un gioiello prezioso. La lama splendeva alla debole luce della abat jour. La spense, rimanendo nel buio. Avvicinò lentamente la lama alla pelle del braccio e con un gesto lieve ed esperto incise la carne. Subito, dalla ferita sgorgò un po’ di sangue. Ma lei non vide. Aveva piegato la testa all’indietro, chiuso gli occhi, stretto le labbra per sopportare il dolore.
 
Era entrato senza che lei se ne accorgesse, come accadeva ogni volta. Le era già accanto, seduto sul bordo del letto e le aveva preso il braccio, delicatamente. Le sue mani, lievi e gentili, lo stringevano appena, quanto bastava perché il sangue stillasse in maggiore quantità. Poi, Alice sentì il freddo delle sue labbra sulla pelle; con lievi baci stavano risalendo e arrivarono alla ferita. Si fermarono e la catturarono in un bacio. La sua lingua si insinuò all’interno e leccò, dapprima lentamente, via via sempre più rapida.
Alice si trovò adagiata sulle coperte. Il fuoco aveva sostituito il gelo e adesso riconosceva la sensazione di sempre, un languore assoluto, una marea calda che la attirava e respingeva, in un lungo e straziante gioco. L’eccitazione la sorprendeva ogni volta; si sentiva bagnata e pronta, ma il centro del suo piacere era quella piccola ferita sul braccio da cui labbra fredde come il marmo suggevano senza sosta.
Non sapeva mai quanto durasse. Ma era abbastanza da farle quasi perdere i sensi e lasciarla spossata. Solo una voce, appena sussurrata “..buonanotte, tesoro..”.
                   
                                                                                *******

Nella birreria non c’era più nessuno. Solo il barista e un uomo, il cui sguardo era immerso nel liquido giallo e spumoso del suo boccale. Se ne stava seduto ad un tavolino in un angolo buio della sala. Era fermo lì da un po’. Il barista ogni tanto gli lanciava occhiate incerte. Voleva dirgli che era ora di chiudere, ma per qualche ragione non si arrischiava a disturbarlo. L’aveva guardato a malapena, quando era entrato, e non poteva dire con certezza se fosse un tossico o qualcuno di pericoloso; la sua ventennale esperienza nei bar, tuttavia, gli suggeriva prudenza. Quindi, nonostante fossero quasi le due della mattina ed avesse voglia di andarsene a dormire, non si muoveva da dietro il banco e fingeva di spolverare bicchieri e bottiglie. Ne aveva viste abbastanza di risse nella sua vita e non voleva ricascarci.
Alle due in punto, l’uomo si sollevò dal tavolo e si avvicinò al bancone. Il barista lo guardò mettere sul piano una banconota da dieci euro e poi dirigersi all’uscita. Attraverso i vetri, lo vide fermarsi un momento sul marciapiedi, guardarsi intorno e inspirare. Poi sparì definitivamente dalla sua visuale. 



Ciao a tutti. Nuova storia in una nuoca categoria.. Spero che vi piaccia.. non ho resistito.. Ho fatto un incubo e.. dovevo scrivere..

E' il primo capitolo della prima storia. Si tratta di una raccolta.
Commenti, critiche, suggerimenti saranno ben accetti.. Grazie!!!

Ezrebet

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Capitolo 2
*** II ***


Annusare l’aria per trovare la traccia. Una vecchia abitudine che tornava sempre utile. Ma la traccia quella notte era mescolata ad altro. Smog.  Lo smog rende sempre tutto più difficile.
 

La sua esperienza gli consentì anche quella volta di superare l’ostacolo. Gli bastò chiudere gli occhi e concentrarsi, come il Maestro gli aveva insegnato. Niente più luci al neon, niente più clacson, niente più fumo.
Ed eccolo, l’odore. Flebile ma persistente. Lo stava guidando, l’avrebbe condotto fino all’origine. Le sue narici erano allenate. Piano piano, cominciò a distinguere in modo netto la traccia dal resto.
Le due di notte e i marciapiedi erano ancora pieni di gente. Si spostavano da un locale all’altro, il vociare era intenso ed ogni tanto risate sguaiate rompevano la monotonia. Roman fendeva veloce la folla, lo sguardo fisso davanti a sé, come quello di un segugio in punta. Era, un segugio.
 
Trovò subito il vampiro. Lo riconobbe tra i passanti. Rimase a debita distanza, mentre quello si aggirava tranquillo, mescolandosi alla gente con naturalezza. Lo osservò attentamente. Era alto, elegante, i capelli ben pettinati, il sorriso sulle labbra pallide, lo sguardo acceso.
Una delle cose che più lo colpivano dei non morti era lo sguardo. Avevano sempre occhi lucenti, espressivi, in grado di sedurre. Niente a che vedere con il nero della morte in cui sguazzavano. Erano occhi vivi.
Rise tra sé. Di vivo, non avevano niente.
O forse una cosa, rifletté. La fame.
Lo seguì, senza avvicinarsi troppo, altrimenti l’avrebbe percepito, perché i sensi dei vampiri sono la loro miglior arma di difesa. Il vampiro continuava a camminare e si dirigeva deciso verso la sua meta.
In qualche covo, pensò Roman. Magari, da qualche parte in questa caotica città, c’è una colonia vampirica che prospera. L’idea lo turbò. In parte perché era sempre incredibile scontrarsi con l’assoluta cecità umana: omicidi o suicidi inspiegabili, furti impossibili, stranezze che per lo più venivano abbandonate in fondo a qualche schedario in Questura. In parte perché la battaglia era il momento che più aspettava dall’inizio della caccia.
Piombare in un nido di non morti e farli a pezzi, oppure bruciarli, o impalettarli nel sonno. Non negava a sé stesso che la sola idea di uno scontro lo eccitava sempre.
L’inseguimento s’interruppe davanti ad una casa con un bel giardino, appena fuori dal centro, circondata da una cancellata alta ed appuntita. Guardò il vampiro scivolare tra le sbarre del cancello come un’ombra.
Ecco uno dei loro poteri più odiosi, la metamorfosi. Quel modo di sparire come fumo, di distorcere lo spazio a proprio piacimento. Non tutti lo sapevano fare, solo i più vecchi ed esperti.
Dunque, ho davanti un vampiro più che centenario.
Da dove si trovava riuscì a scorgere la sua scalata. Salì lungo il muro veloce come un ragno e si fermò di fianco ad una finestra aperta e buia. Un attimo dopo, era sparito, assorbito dal nero della stanza.
Roman rimase appoggiato al muro della casa di fronte, gli occhi fissi sulla finestra spalancata, un pensiero fastidioso in testa. Sembrava tanto un appuntamento.
Non posso intervenire ora. Se lo facessi, spezzerei l’unica chance di sopravvivere di qualcuno. Qualcuno che l’ha invitato ad entrare.
 
Lo vide qualche minuto dopo. Corse a testa in giù fino a terra, del tutto simile ad un millepiedi. E di nuovo, uscì in strada. In ordine e affascinante come quando era entrato, sparendo ben presto nella notte.
Non era necessario stargli alle costole, per il momento. Si era nutrito ed andava a dormire. No, non aveva senso andargli dietro. Sarebbe tornato.
Ciò che più gli interessava, in quel momento, era sapere chi, oltre quei vetri, si concedeva al morso del vampiro.
  

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Capitolo 3
*** III ***


Appoggiò il cucchiaio sulla tovaglia candida e si pulì rapidamente le labbra. Gesto inutile, dal momento che non aveva toccato niente di quanto c’era sul tavolo. Si alzò e salutò brevemente i suoi genitori. All’unisono, la ricambiarono senza guardarla.
Solite parole, soliti gesti.

Uscì in strada e, stretta nel suo cappottino rosso, si diresse alla scuola. Privata, cattolica, gestita da suore. La frequentava da quando aveva iniziato a parlare. Si trovava ad un isolato di distanza e da un anno poteva andarci da sola. All’inizio, la cosa l’aveva entusiasmata, ma la sensazione adrenalinica era durata poco. Aveva scoperto che non era abbastanza, che andare e tornare sola ogni giorno non era poi una grande conquista. Solo mezz’ora in più da passare da sola, immersa nei suoi pensieri.
Camminava lentamente, calciando i sassolini che trovava al suo passaggio e pestando le foglie secche cadute dai platani. Non si accorgeva mai di niente. Del traffico, dei ragazzi che le sfrecciavano accanto, delle biciclette, delle voci che la circondavano.
Sempre le stesse, tutte le mattine.
Non si accorse nemmeno della figura vestita di scuro che la seguiva a breve distanza.

Roman non aveva avuto un attimo di esitazione. Aveva sentito un odore inconfondibile, una scia che avrebbe riconosciuto a centinaia di metri di distanza. L’odore del vampiro era intorno a quella ragazzina e l’avvolgeva come un bozzolo. Non l’aveva neanche guardata in faccia. Le si era messo alle calcagna, seguendo la traccia. La vide camminare a testa bassa, immersa in pensieri inaccessibile. I suoi capelli erano castani, lisci, lunghi fino alla vita, e la borsa dei libri sembrava sbilanciarla da una parte, rallentandone l’andatura.
No, pensò ad un tratto. Lei cammina così, lentamente, senza fretta. Si trovò a pensare che forse non era nemmeno lì, in quel preciso momento.
Se è lei quella che cerco, e raramente m’inganno, difficilmente può concentrarsi in qualcosa che non sia la visita notturna che ha ricevuto.
La passeggiata finì davanti ad un edificio austero, sovrastato da una grande croce di bronzo.
Scuola del Sacro Cuore, lesse la scritta sull’entrata e la guardò varcare la soglia, senza alzare gli occhi, senza salutare nessuno, fendendo rapida la folla di studenti.
A quel punto, si appoggiò all’albero, poco lontano dai cancelli della scuola e con calma si accese una sigaretta.
In attesa.  

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Capitolo 4
*** IV ***


La toilette della scuola era satura di fumo. Le ragazze erano appoggiate alla parete o sedute a terra e tutte fumavano, parlando di uomini, sesso, musica.

Alice se ne stava in un angolo, una sigaretta accesa tra le dita, che andava rapidamente consumandosi, gli occhi fissi a terra, l’espressione distratta.
Non ascoltava mai veramente quei discorsi, le voci erano solo un sottofondo alla solitudine, sua compagna abituale.

La campanella suonò. Il bagno, svuotato, era solo per lei.
Si guardò allo specchio.
Il viso, pallido e magro, era dominato da occhi neri come petrolio in cui era impossibile distinguere la pupilla.
Senza neanche pensare, morse violentemente la tenera carne della labbra provocandosi un taglio, piccolo e profondo, da cui sgorgò immediatamente un rivolo di sangue.
Lo fissò scorrere sul mento, come ipnotizzata, e macchiare la bella camicetta bianca e poi giù, fino a rigare la ceramica candida del lavandino.
Solo allora sembrò riprendersi. Allungò la mano e strappò un po’ di carta assorbente, spingendola sulla ferita, senza cura. Attraverso lo specchio, guardò la macchia rossa sulla camicia.
E’ come una rosa, fiorita tra il gelo della neve.
Sistemò velocemente il foulard in modo che nessuno potesse notarla e si avviò all’uscita con passo rapido. Di nuovo all’aria aperta, verso casa, a passo veloce, incurante della confusione che la circondava.
 
                                                                               ************
 
Roman le stava dietro, a breve distanza, quel tanto che bastava a non farsi notare.
La ragazza sembrava toccare appena terra, sfiorare il marciapiede e le foglie secche, e camminava velocemente, incurante di tutto intorno sé.
Dunque, è così, pensò Roman, sempre più sicuro. Sei tu la preda del vampiro.
La traccia era palpabile, come l’aura nera che la circondava, una cornice di morte intorno ad una fotografia in bianco e nero.
Poi, un altro odore, forte, che gli colpì le narici e salì fino al cervello, esplodendo come un fuoco d'artificio.
Sangue.
Spalancò gli occhi, incredulo. Sangue fresco, pulito, recente.
Tornò con lo sguardo sulla ragazza, diretta a casa senza distrazioni.
Non poteva aver incontrato il vampiro a scuola, a quell’ora del mattino.
Soltanto quando lei si voltò per richiudere il cancello della sua dimora si rese conto da dove era arrivata quella zaffata improvvisa. Vide la macchia sulla camicetta, che aveva tentato di nascondere sotto il foulard, e le labbra, lievemente gonfie.
Sarebbe potuto sfuggire a chiunque, ma non a lui; c’era un taglietto, confuso dal naturale rosso delle labbra, un grumo microscopico di sangue che si stava rapprendendo.
Strinse gli occhi. Qualche ora prima non c’era.  

Ciao!
Ringrazio tutti coloro che leggono.. Se volete, commentate.. qualche suggerimento, sensazione, critica..
Ezrebet

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Capitolo 5
*** V ***


Ferite antiche avevano lasciato il posto a sbiaditi segni rosa che interrompevano il pallore diafano della sua pelle.
Tagli ancora freschi, le cui linee precise disegnavano una mappa confusa sul suo corpo magro.
Li seguì con lo sguardo, dalle caviglie e su, dietro al ginocchio, e ancora su, alle cosce, fino alla pancia liscia, intorno al piccolo piercing proprio sotto all’ombelico. E poi le braccia, dove le labbra gelide della notte si erano posate per succhiare via la vita.
Alzò la testa e guardò fuori dalla finestra aperta.
La luce del tramonto aveva inondato il paesaggio autunnale dietro ai vetri e il riflesso rosso colorava le pareti della stanza. Ed eccola, l’eccitazione mista all’ansia che l’assaliva sempre, il delizioso momento dell’attesa, che montava in lei inesorabile ogni sera, trascinandola nella notte.
Si sdraiò sulle coperte, socchiuse le palpebre, il respiro leggermente accelerato. Non c’era nient’altro che voleva.

                                                                              *********************************************
Il bisturi brillava freddo tra le sue mani. Si accarezzò la pelle candida della coscia e poi incise la carne. Un piccolo taglio, che si stagliava netto nel suo candore, da cui cominciò a sgorgare sangue, una goccia che scivolò rapida fino alle ginocchia disegnando una spirale. Nessun dolore, nessuna parola, solo attesa.
Immersa in quella sensazione assoluta, non si accorse nemmeno dell’ombra scura che era scivolata puntuale nella stanza e che la sovrastava ai piedi del letto. La fronte increspata, le zanne quasi nere ed affilate le cui punte sfioravano il mento, le iridi d’ambra che luccicavano nell’oscurità, un belva attirata dall’odore del sangue, pronta ad assalire la preda inerme.
Il vampiro si sedette sul bordo del letto e sembrò seguire con lo sguardo la scia rossa sulla gamba della ragazza. Allungò una mano dagli artigli affilati e bagnò un dito nella ferita portandoselo alle labbra.
Alice fu scossa da un lungo brivido, gli occhi stretti fin quasi a farsi male. Poi, il vampiro si piegò lievemente per appoggiare le labbra sul taglio esposto.
Proprio in quell’istante, si fece avanti una sagoma scura ed immensa, che si fermò al centro della stanza. Il vampiro si voltò di scatto ed incontrò gli occhi neri di Roman. Scattò in piedi, emettendo un suono gutturale ed inumano, lanciò un’occhiata alla finestra, ma Roman era fermo proprio davanti ai vetri spalancati. Nessuna via di fuga. Lo vide fare un passo avanti.
Il gioco è finito, vampiro”.
La voce di Roman tagliò il silenzio e sembrò risvegliare Alice, che spalancò gli occhi. Un uomo, nella sua stanza, che sovrastava il mostro. Fissò il volto del vampiro, per la prima volta, e sentì un moto di repulsione mista ad attrazione.
Era dunque quest’essere che le succhiava via l’energia, che le toglieva ogni notte un po’ di vita impedendole di morire. Morire veramente.
Roman si avvicinò ulteriormente guardando il vampiro muovere a scatti la testa, evidentemente cercando un’altra via di fuga. I suoi sensi allenati percepirono la paura e un leggero sorriso increspò le sue labbra.
Sai che stai per diventare cenere e sei terrorizzato.
Quante volte si era immerso in quella sensazione totalizzante. Li uccideva e si sentiva libero, in pace, redento. Una sensazione momentanea, certo, ma valeva la pena rincorrerla e stringerla in pugno anche solo per un istante.
Polvere alla polvere” gli disse.
Proprio allora Alice gridò. Roman la vide sollevarsi e lanciarsi contro di lui, facendogli perdere l’equilibrio. Si ritrovò a terra, schiacciato dal peso di lei.
Il vampiro era scomparso. 

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Capitolo 6
*** VI ***


Il silenzio nella stanza buia era assoluto.
La ragazza si era allontanata, rannicchiandosi tra il letto e la parete, la testa nascosta tra le ginocchia, il tremito ben evidente.
Roman si sollevò poco dopo, si riassettò la giacca e la fissò. Era nuda, sotto choc, probabilmente; le guardò le gambe e vide il sangue rappreso. Gli parve uno spettacolo osceno e una volta di più, se mai ce ne fosse stato bisogno, rinnovò mentalmente il proprio voto.

“Renderò polvere ciò che non è degno di calpestare la terra e che da essa è tornato senza grazia di Dio”.
“Smetti di piangere” le disse. Prese una delle coperte e gliela porse “Mettiti questa addosso”.
Alice alzò lo sguardo e Roman poté vederne il pallore, che rendeva i suoi occhi due pozzi neri insondabili. Si coprì alla bell’è meglio senza smettere di fissarlo e parve ascoltarlo, mentre diceva “Quell’essere era un vampiro. Lui vuole il tuo sangue” si sedette sul letto e si piegò lievemente verso di lei “Quel che faremo subito è di chiuderlo fuori da qui. E tu sarai al sicuro”.
Alice non si mosse mentre Roman chiudeva la finestra e tirava le tende. Lo guardò ripetere alcune formule davanti ai vetri e sistemare qualcosa sul davanzale interno.
“Questa è una barriera” mormorò voltandosi “Ora sei al sicuro”.
Si rimise seduto sul letto, in silenzio.
Era sempre difficile parlare con una vittima e consolarla. Non si preoccupava troppo della reazione furiosa di lei, era normale che la vittima, soggiogata dalla malia del vampiro, ricordasse soltanto l’estasi del momento senza comprendere l’estrema violenza di un attacco vampirico. Smontare quella relazione oscena era la parte più dolorosa.
“Fermami, se dovessi sbagliare qualcosa” la scrutò “Non ti ha morso, in effetti non ne ha avuto alcun bisogno. Ti provochi delle ferite più o meno profonde in punti nascosti del corpo e poi aspetti. Lui arriva e si nutre del tuo sangue. Tu non l’hai respinto, la prima volta. L’hai invitato qui e lui è tornato, puntuale, ogni notte. A giudicare dalle ferite, questa storia va avanti da troppo tempo”.
Alice lo fissava ad occhi sbarrati. Era quasi impossibile leggervi qualcosa dentro.
Sapeva bene, Roman, che stava ascoltando e che per la prima volta si rendeva conto di ciò che stava vivendo. Non si lasciò ingannare da quel barlume di comprensione, la ragazza era totalmente ammaliata dal vampiro e ciò che comprendeva con la ragione, sfuggiva del tutto ad altri livelli. Era un meccanismo simile alla dipendenza da sostanze. Ben presto, lei lo avrebbe cercato come un tossicodipendente cerca la sua roba.
La guardò attentamente prima di dire “Io ti libererò di lui. Questo è l’unico modo che esiste per chiudere questa faccenda”. Vide un guizzo negli occhi di lei e un lieve stringersi della mascella. Decise di proseguire “Per quanto ti sembri impossibile, tu non desideri realmente che si nutra di te. E’ una caratteristica di queste creature. Stabiliscono con la loro vittima una sorta di simbiosi del tipo.. io ho bisogno  del tuo sangue come tu hai bisogno di me per vivere”.
Si fermò per osservarla. Seppe, in quel momento, che era proprio questo che era successo e che le impediva di sottrarsi alla violenza.


Ringrazio tutti coloro che seguono.. Un saluto particolare a siryana94 e DreamNini..
A presto..

Ezrebet  

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Capitolo 7
*** VII ***


“Tu devi rimandarli da sono venuti. Sono predatori e braccano la preda finché non tornano alla polvere. Essi non sono vivi, ma conservano e amplificano i sensi dei vivi. Essi cacciano per non trasformarsi in polvere”.
 

Le parole del Maestro riecheggiavano nella sua mente mentre cospargeva di polvere di aglio il perimetro della camera, sotto lo sguardo sconvolto della ragazza, ora seduta sul letto. Tremava e gli occhi sembravano uscirle dalle orbite tanto erano spalancati.
Roman intuiva i suoi pensieri. Credeva di avere a che fare con un pazzo, voleva uscire dalla stanza e correre fuori, alla ricerca del vampiro.
Lei lo voleva. Voleva tagliarsi la carne e donare il sangue alla creatura, un baratto equo, ai suoi occhi. Un po’ di vita in cambio di un breve viaggio ai confini della morte.
Si sollevò e le lanciò un’occhiata “Qui non entrerà più. Per quanto tu l’abbia invitato, non può entrare e non vorrà entrare perché ha capito chi sono e che cosa faccio qui dentro” estrasse dalla tasca una bottiglietta di vetro. Tolse il piccolo tappo di sughero e si bagnò le dita del suo contenuto “Dammi le mani”.
Vide l’esitazione di lei ed attese. Pochi secondi e aveva le sue mani nelle proprie. Le bagnò lentamente, guardandola negli occhi. Poi, ripose tutto nella tasca.
“Ma tu non sarai al sicuro fintanto che i suoi piedi calcheranno questa terra” sussurrò appoggiandosi alla parete “Quindi, andrò a cercarlo”.
Lo fissò, ad occhi sbarrati “Ma.. come farò a sapere..”.
“Lo sentirai. Saprai da sola di essere libera..” si avviò alla finestra, ma prima di scomparire nel buio da cui era giunto, la guardò “Io ti libererò dal vampiro, ragazza, ma tu dovrai liberare te stessa dal demone che ti ha invasa”.
Alice rimase a lungo a guardare la finestra spalancata sulla notte.
                                      
                                                                   ********************
 
La scia era fresca. Il vampiro era sparito, ma nessuno sulla terra avrebbe potuto cancellarne la traccia. Il fetore di morte lo stava conducendo. L’istinto di sopravvivenza avrebbe costretto il vampiro a tornare al suo nido in fretta, l’avrebbe spinto ad agire senza curarsi delle conseguenze.
Succedeva sempre così. I vampiri in quel senso erano i peggiori nemici della loro stessa razza. Il mostro correva nella sua tana, e così facendo, condannava gli altri come lui.
Un lieve sorriso increspò le labbra di Roman, mentre camminava, attraversando velocemente il centro immerso nel buio, percorrendo strade e stradine che non conosceva, illuminato dalla debole luce dei lampioni.. Non servivano affatto. Non era la luce che lo guidava. Era l’odore.
In questo, in fin dei conti, riconosceva di non essere molto diverso dalle sue prede. L’odore del sangue, l’odore della morte.. i padroni cui obbedivano ciecamente.
 
“La tua parte nera li scoverà. Impara ad usarla, a piegarla al tuo fine, altrimenti sarà lei a farlo e tu sarai perduto”.
Le parole del Maestro era scritte col fuoco dentro di lui.
La zaffata giunse improvvisa. Si bloccò, in mezzo alla via deserta. Guardò davanti a sé, nel buio, scorse un vicolo impenetrabile. Si avviò, le mani in tasca, le dita strette intorno al punteruolo di frassino che l’accompagnava fin dall’inizio e alla piccola croce d’argento, la croce dell’Ordine. 

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Capitolo 8
*** VIII ***


Niente di più ovvio. Una cantina abbandonata.
 

Roman fissò per qualche secondo il portone devastato dal tempo e dall’incuria, poi lo abbatté con un calcio. Non aveva alcun senso rimanere in silenzio o aspettare l’alba.
I vampiri sentono l’odore della vita, del sangue che scorre nelle vene dei viventi..
Sapeva già che lui era lì, lo aveva sentito avvicinarsi.. Inutile anche aspettare l’alba..per Roman era più soddisfacente prenderli nel loro elemento, ad armi pari, ed ucciderli guardandoli.
Adesso, voleva quel mostro, l’orribile mostro che spingeva inesorabile Alice nel pozzo della sua ossessione.
Fece qualche passo nel buio della stanza, si fermò al centro, in attesa.. Lo sapeva, sapeva che sarebbe uscito dal suo nascondiglio. Sapeva che l’avrebbe voluto, come voleva la ragazza, perché era il sangue che lo attirava come una calamita, rendendolo cieco davanti al pericolo.
E così fu.
Emerse dal nero che l’avvolgeva come un’ombra, senza rumore, senza muovere l’aria stagnante della cantina. Lo fissò con occhi di belva pronta ad attaccare, quelli che aveva imparato a conoscere, che sempre si trovava davanti.
Sai chi sono, pensò Roman rimanendo immobile, lo sai.
Quando il vampiro si mosse, l’unica cosa che egli avvertì fu un lieve spostamento d’aria; sentì gli artigli sulle braccia, bucare la stoffa e graffiare la pelle, sentì la presa ferrea e lo vide sguainare le zanne, ancora macchiate del sangue di Alice. Roman strinse gli occhi, fissandoli sul nemico di sempre, sul nemico che aveva eletto quale unica ragione di vita. Attese che tentasse di artigliargli la gola, e in quel preciso istante si liberò della stretta, estraendo la mano dalla tasca ed appoggiando la croce dell’Ordine sull’orrenda fronte, che subito prese a fumare.
Il grido del vampiro si sollevò improvviso e fu lungo, un latrato terribile e impuro, che lo scagliò lontano da lui, gli artigli conficcati nella ferita bruciante, il corpo scosso e piegato..
Fu allora che Roman lo colpì alle spalle, lasciando che il paletto penetrasse la schiena e bucasse il cuore del mostro, che cadde a terra, il grido strozzato infine nella gola.
                                                                   
                                                                                                        ********************************
 
Attese l’alba nascosto, poco lontano dalla cantina. Li aveva visti rientrare uno per uno, scivolare prima dell’alba dentro la fetida cantina, lenti, sazi, orrendamente sazi.
Quando la luce rischiarò le prime ore del mattino, Roman uscì dal suo riparo e si avviò al portone dimesso, che giaceva dove qualche ora prima l’aveva lui stesso abbandonato. Entrò nel locale, adesso in penombra, diede un’ultima occhiata alla carta e ai trucioli legnosi che aveva raccolto durante la notte.
Non gli interessava sapere dove fossero i vampiri, dove dormissero, dove consumassero il loro sonno di morte. Non ora. Non ne aveva bisogno.
Sospirando, si accese una sigaretta, ne aspirò alcune boccate, poi la lasciò cadere sull’ammasso di carta e legno, si voltò ed uscì, assicurando il portone sui cardini e bloccandolo dall’esterno.
Le fiamme divamparono in pochi secondi, illuminando la vecchia cantina e spargendo nel vicolo fumo e odore di zolfo.
Roman non si voltò. Riprese a camminare per la strada da cui era giunto. 

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Capitolo 9
*** IX ***


Alice uscì di casa qualche ora dopo. Rimase ferma in mezzo al vialetto, sembrava incerta. Si guardava intorno, ispezionando la strada oltre il cancello, con gli occhi infossati a causa della mancanza di sonno. Fece qualche passo, si fermò ancora, guardò in ogni direzione.Solo allora, riprese a camminare.

Fu in quel momento che percepì qualcosa. Qualcuno. Alzò di scatto la testa, fermandosi. Si voltò e vide l’uomo vestito di nero. Era appoggiato all’albero, all’angolo della strada, nella direzione opposta alla sua. La fissava a sua volta.
Alice ripensò ai suoi occhi accesi, mentre le parlava, la notte precedente, immenso, in mezzo alla sua stanza.. ripensò allo sguardo di ghiaccio che le aveva rivolto dopo che lei aveva permesso all’essere di fuggire.. Quello che vedeva, ora, era uno sguardo limpido, serio, completamente diverso dalla furia che l’aveva lasciata sgomenta.
La ragazza alzò il mento, per fargli vedere, per fargli capire che non era la debole bambina che lui sicuramente pensava.. ma l’uomo sembrò non cogliere la sfida in quel movimento. E Alice se ne pentì subito, per qualche misteriosa ragione se ne vergognò.

Si era accorta di quanto accaduto. In un momento, nel cuore della notte, qualcosa si era staccato da lei come una foglia secca. E aveva capito che quella era stata la fine.
Abbassò lo sguardo, cercando qualcosa da fare, da dire.. e quando rialzò la testa, l’uomo era scomparso.
Lanciò una rapida occhiata intorno, ma di lui nemmeno l’ombra.
Dopo una breve esitazione, riprese a camminare in direzione della scuola. 


Ed eccoci alla fine di questa prima storia della serie.. Grazie a tutti coloro che hanno letto e che hanno voluto commentare.
A prestissimo
Ezrebet

 

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