Ti stendo, ti odio…ti amo di congy (/viewuser.php?uid=84332)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Quel posto sarà mio! ***
Capitolo 3: *** Scontro e Incontro ***
Capitolo 4: *** Per capire i propri errori occorre sbagliare più volte ***
Capitolo 5: *** Questioni di pene ***
Capitolo 6: *** Biscotti e Nutella ***
Capitolo 7: *** Il caffè è la panacea di tutti i mali ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
PROLOGO
“Tesoro, mi
porteresti dell’acqua?” sbuffo, ma rimango al mio
posto continuando a scrivere. Ma chi si crede di essere questo qui? Mi
ha preso per la sua schiava, forse?
Lui comincia a battere
i piedi a terra e la matita sul tavolo. Odio il rumore, e lui lo sa.
Coglione raccomandato che non è altro.
“Potresti
smetterla? Sto correggendo un capitolo, mi deconcentri”
“Sono
nervoso, ho sete e ho caldo. Proprio oggi doveva rompersi
l’aria condizionata?”
“Ma stai
sempre a lamentarti come una vecchia zitella? Alzati e prenditi
l’acqua. Il termos è a cinque metri da
te” chino la testa e continuo a scrivere.
Quant’è petulante, santo cielo!
“Se mi alzo,
consumo energie. E se consumo energie non connetto. E il direttore
editoriale non può permettersi di non lavorare bene. Eh
già, è davvero un incarico di grande
responsabilità. Ops, scusami, tu non lo puoi
sapere” e mi lancia uno sguardo tra il malizioso e il
maligno. Lo odio. Stupido figlio di papà con la porche.
Chissà che servizietto deve aver fatto sua madre al
direttore per far ottenere al figlio quel posto. Ma non ha ancora
capito con chi ha a che fare. Mi alzo e vado a pendere
dell’acqua per questo coglione.
“Oh, mi
scusi, sua signoria illustrissima, nella mia piccolezza non posso
comprendere il così grande fardello che grava sulle vostre
regali spalle. Perdoni questa mia tremenda negligenza. Per farmi
perdonare meglio, ho anche avuto un’idea per darle
sollievo dalla calura estiva.” Poggio le mani sulla scrivania
e mi chino verso di lui. Slaccio il primo bottone della mia camicetta.
Il mio seno è in bella vista, fasciato solo da un reggiseno
di pizzo bianco. Lo vedo mangiarmi con gli occhi. La sua risposta,
banale come quella di tutti gli uomini, non tarda ad arrivare.
“Questa idea
prevede me, te e una doccia d’acqua fredda?”
“No, questa
idea prevede questo” verso tutto il contenuto del bicchiere
su di lui partendo dai capelli e cercando di evitare le scartoffie e il
computer. Non voglio essere licenziata per lui.
“Porca
miseria! Ma sei scema?” sbraita ed inveisce contro di me.
“Ho risolto
il tuo problema con il caldo e con la sete. Ora, se vuoi scusarmi, devo
completare la revisione del capitolo. Sai, io, in quanto donna e in
quanto dotata di un’ intelligenza superiore, non ho
bisogno di acqua per lavorare bene”
Eccoci
qua!
Vi
ringrazio di essere arrivate fino in fondo al capitolo, siete delle
persone coraggiose se riuscite a leggere quello che ho scritto.
Mettendo
da parte la mia pazzia (a cui, se continuerete a seguire la mia ff,
dovrete farci l’abitudine) spero che questo breve prologo vi
piaccia.
E’
la prima ff originale che scrivo, bazzicavo e bazzico
tutt’ora nel fandom Twilight.
L’idea
della storia è nata chattando con una mia amica, scrittrice
molto nota nel fandom Twilight, Samy88 (se avete tempo e voglia leggete
le sue ff, sono davvero meravigliose) e ho preso il suo carattere, il
suo nome e quello del suo fidanzato per scrivere questa ff. La storia,
invece, è totalmente originale.
Spero
di avervi incuriosito un po’. Per chi ha già letto
qualcosa di mio, sappiate che il genere è totalmente diverso
e che le due ff si incroceranno ad un certo punto.
Gli
aggiornamenti dovrebbero essere ogni due settimane. Devo portare avanti
anche l’altra ff.
Ringrazio
ada90thebest per il meraviglioso banner. È un genio!
Vi
lascio i miei contatti:
Twitter:
@congy_
Fb:
http://www.facebook.com/#!/profile.php?id=1734024903 ( se chiedete
l’amicizia, ditemi chi siete, per favore)
Bene,
credo di aver detto tutto.
Grazie
a tutte quelle che mi seguiranno e a Samanta ovviamente, a cui
è dedicata l’intera ff.
Un
bacione
Federica
|
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Capitolo 2 *** Quel posto sarà mio! ***
Capitolo 1
Quel posto
sarà mio!
“Sam,
sbrigati a finire quel tramezzino. Il capo ci vuole nel suo ufficio tra
cinque minuti” Luciana entra sbattendo la porta e facendomi
spaventare tanto da farmi versare la coca cola che stavo bevendo sulla
gonna bianca.
“Ma porca
p…” impreco. Maledizione! Ma posso essere
così sbadata?
“Sam!”
interrompe bruscamente la mia parolaccia. Adoro la mia Lu, è
la mia migliore amica, la mia confidente, l’unica persona con
la quale mi sono scambiata anche le mutande - e non in senso metaforico
– ma se c’è una cosa che non sopporta in
una donna sono le parolacce. Dice che rendono la donna poco femminile.
“Paletta!
Stavo per dire paletta. Lo sai che non direi mai una simile
scurrilità. Una donna sboccata è un uomo con le
tette e senza palle, giusto?” riprendo pari pari quello che
mi dice ogni volta –minimo due volte al giorno –
che dico una volgarità. Faccio anche gli occhi da cerbiatta
spaurita a cui so che lei non può resistere. Mi guarda con
un sopracciglio alzato, poi esclama: “Facciamo finta che ti
creda, và. Tanto lo so che stavi per dire
“puttana” – si mette la mano sulla bocca
non appena pronuncia quella parola e io sghignazzo – ecco, mi
stai influenzando: mi stai facendo diventare una donnaccia. Comunque,
sbrigati, fra cinque minuti ti voglio nell’ufficio del
capo” e come è entrata, se ne va.
Ecco,
un’altra cosa che non ho detto di Luciana -la nana
solo per me – è che è completamente,
inesorabilmente schizzata. Sarà che l’essere la
segretaria di una casa editrice in forte crescita non è
semplice: la vedo perennemente immersa in carte, scartoffie e
appuntamenti vari, ma lei esagera. Il suo motto è
‘Chi ha tempo, non aspetti tempo’ e allora, per
velocizzare, parla tanto rapidamente che per poter comprendere il 50%
di quello che dice devo leggere e seguire il labiale. Molto spesso si
incavola perché non sono abbastanza recettiva, ossia se non
rispondo al primo squillo ogni volta che mi chiama, oppure
perché non sono puntuale nei nostri appuntamenti. E non solo
mi sgrida, ma mi deve rinfacciare la mia mancanza per almeno una
settimana, con eventuali pulizie per la casa come punizione.
Sì, perché io e Luciana abitiamo insieme. Per
fortuna o sfortuna ancora non si è capito. Ma, nonostante
questi piccoli particolari – beh, “piccoli
particolari” è un delicato eufemismo per grosse,
enormi, gigantesche rotture di palle – adoro la mia nana.
Perché? Perché lei è stata
l’unica, ed è l’unica, a comprendermi, a
capirmi, a sostenermi. Ad essere, in sole tre parole, la mia famiglia.
Ci siamo conosciute
all’università: io, studentessa di lettere
piuttosto esaurita, e lei, laureanda in pubbliche relazioni. Io,
ansiosa di laurearmi in fretta e con il massimo dei voti – da
qui la mia forte miopia –, e lei, della filosofia
completamente opposta alla mia: rimanda a domani, o anche a dopodomani,
quello che puoi fare oggi. Cosa impensabile per una segretaria, ma
questa è una lezione che ha imparato dopo, con il lavoro.
Cos’è successo? Il mio capo stronzo, Claudio De
Santis, l’ha minacciata di licenziarla il primo giorno solo
perché il caffè che Luciana gli aveva portato non
era eccessivamente bollente, segno che era stata lenta. Da allora, la
nana è sempre stata rapidissima nelle sue cose tanto che
più volte ho creduto che avesse qualche tic nervoso.
Come ci siamo
conosciute ormai è leggenda.
Stavo fumando una
delle mie adorate Marlboro rosse nell’atrio
dell’ateneo, quando, ad un tratto, me la sento strattonare e
buttare per strada.
“Stavo
fumando” mi volto a cercare l’autore di questo atto
criminale. Mi tocca guardare in basso per trovare la colpevole. Una
bambina un po’ cresciuta con lunghi capelli rossicci e un
mare di lentiggini.
“Non lo sai
che fumare fa diventare impotenti? Non potrai più fare
sesso”
“Veramente
il fumo rende gli uomini impotenti, al massimo rende sterili le
donne”
“Ammetto che
sarebbe allettante non avere marmocchi per casa che ti rompono le palle
ogni santo minuto, ma se fumi ti diventeranno i denti gialli, la pelle
invecchierà presto e non troverai nessun uomo attratto da
te, tantomeno attratto per fare sesso. Si allontanerà da te
solo per non sentire quell’orrenda puzza e tu ti ritroverai
insoddisfatta e destinata a morire precocemente. Ecco il destino che ti
aspetta” si para di fronte a me e, nonostante
l’altezza ridotta, sembra sovrastarmi.
“Ci hanno
provato in tanti a farmi smettere, ma sono troppo affezionata alle mie
sigarette”
“Questo
perché non avevi ancora incontrato me. Piacere, Luciana
Moretti” la osservo stranita. Lei non è Luciana
Moretti, lei è una pazza da internare al più
presto.
“Oh, non
guardarmi così, non sono pazza come sembro. Beh, forse un
po’, ma non stiamo parlando di me. Voglio solo mettere alla
prova la mia abilità in pubbliche relazioni e tastare la mia
capacità di persuasione. Voglio provare a farti smettere di
fumare. Sarà un piccolo esperimento. Allora ci
stai…come ti chiami?” Che può capitare
ad affidarsi ad un’estranea? Nulla, giusto?
“Samanta
Dolce, e ci sto. Ma, credimi, le Marlboro sono il mio amore
più grande dopo il mio fidanzato e il mio gatto Bizet.
Dubito che riuscirai nell’impresa.” Stringo la sua
mano minuta e le sorrido. Sarà divertente. Credo.
“Oh, non ti
preoccupare, Samanta, ho doti che tu neanche immagini” e dopo
due mesi e diciassette giorni io avevo smesso di fumare.
Da quel giorno sono
passati cinque anni. E ora mi ritrovo qua, in questa casa editrice,
come correttrice di bozze. Un fidanzato in meno ed un gatto in
più. Sì, perché Bizet, come aveva
diagnosticato il veterinario, soffriva di una forma acuta di
depressione legata alla solitudine. E così è
arrivata Minù, una piccola palla di pelo bianco con due
grandi occhioni azzurri.Fortunatamente Bizet sembra vedere la gattina
come una sorella, altrimenti mi sarei ritrovata la casa piena di gatti
bianchi o neri. Sì perché il mio amico peloso ha
un pelo color della pece, talmente tanto scuro da essere quasi
irriconoscibile di notte. Dicono che i gatti neri portino sfortuna, beh
il mio Bizet assolutamente no. È stato il mio fedele
compagno quando la depressione aveva preso il sopravvento su di me. A
quei tempi eravamo io, il mio gatto e una scatola formato famiglia di
gelato al fior di latte affogato al caffè.
Generalmente amo il
salato, come quel meraviglioso tramezzino con tonno e maionese che la
nana mi ha fatto andare di traverso. Devo dire addio al mio pranzo.
Ora il problema
è un altro: come diavolo faccio a uscire dal mio ufficio con
questa orribile macchia giallognola tendente al marrone sulla mia gonna
aderente, tra le altre cose di colore bianco? Tentazione fortissima
sarebbe quella di toglierla e andare in giro in coulottes.
Sicuramente a De Santis verrebbe un infarto. Credo che non abbia mai
visto le gambe di una donna se si escludono quelle di sua madre sulle
quali lui doveva iniettare l’insulina, altrimenti nemmeno
quelle avrebbe potuto vedere.
Fortunatamente la coca
cola si è versata quasi sul bordo della gonna, per cui mi
bastano tre risvolti, facciamo quattro, per coprirla del tutto. Mi
osservo: bene, vestita così potrei benissimo andare a
lavorare in un club a luci rosse. Ho delle gambe abbastanza
toniche per fortuna. In compenso ho dei fianchi piuttosto larghi, anche
se non esagerati, colpa del gelato mangiato e mai smaltito. Colpa del
mio ex, insomma.
Sgattaiolo fuori dal
mio ufficio e corro in quello del capo, cercando di non far vedere ai
miei colleghi il mio abbigliamento discinto. Spero di non trovare
ancora nessuno da De Santis o, magari, di trovare una sedia comoda in
prima fila dove mostrare le mie gambe. Esibizionista? No, solo curiosa
di vedere la bava del mio capo alla vista di due oggetti che, per lui,
esistono solo per camminare. Caro il mio Claudio, servono per molte
altre cose, molte delle quali tu non le hai nemmeno immaginate.
Purtroppo per me,
l’ufficio è strapieno. Ci sono davvero tutti:
grafici, traduttori, il direttore del marketing, i vari revisori di
bozze. Tutti, se si escludono legali e contabili, sono presenti. Tutti
tranne Alberto Borghi, la persona a cui, dopo Luciana, sono
più affezionata qui dentro. La sua assenza mi sembra strana:
generalmente è il primo di tutti noi ad arrivare. Puntuale,
riservato, gran lavoratore, discreto: questi sono forse gli aggettivi
che più gli si addicono e che me lo fanno apprezzare come
collega e come amico. Ecco perché la sua assenza mi mette in
apprensione. E anche perché lui è il mio mentore,
il mio maestro, colui che mi ha fatto fare tre maledettissimi esami di
economia all’università perché riteneva
– e ritiene, spero – che io avessi le carte in
regola per svolgere il suo lavoro, ossia il direttore editoriale.
Che poi, in
realtà, è stato il mio sogno fin da quando ero
una semplice matricola. La passione per l’editoria
è nata all’università e ha scalzato in
poco tempo il mio desiderio di diventare insegnante. Sono troppo
volubile e avrei rischiato di annoiarmi ad insegnare sempre gli stessi
programmi. Lavorare in una casa editrice, per me, invece, è
il paradiso. E raggiungerei il nirvana se riuscissi, tra qualche anno,
a diventare direttore editoriale: scegliere i testi destinati alla
pubblicazione, lavorare a stretto contatto con gli scrittori, dirigere
il marketing e la vendita. Dio, quanto vorrei ottenere quel posto un
giorno o l’altro.
Vengo disturbata da
una gomitata della nana sulle costole: piccola, ma fastidiosa.
“Si
può sapere che hai combinato con quella gonna?” mi
ammonisce sottovoce.
“Non
è colpa mia se qualcuna mi ha fatto versare la coca cola. La
gonna è bianca e se l’avessi sciacquata, sarebbe
stata completamente trasparente.”
“E non
è colpa mia se sei incredibilmente sbadata. E volgare.
Sembri una pornodiva, lo sai?”
“Sì,
Lu, me ne rendo perfettamente conto.” Sghignazzo.
“Non dirmi
che stai ancora pensando di far sbarellare De Santis. È
un’impresa titanica e lo sai anche tu. Quell’uomo
è più asessuato di un’ameba”
“Ma che
asessuato, bisogna solo trovare il mezzo per…”
“Zitta,
è entrato” al suo ingresso tutto lo studio,
gremito di gente, tace. Eccolo lì, Claudio De Santis,
direttore generale della mia casa editrice, l’ Agape Editore
. Appena l’ho conosciuto, tre anni or sono, ho subito pensato
che fosse gay. Mi sono immediatamente data della stupida
perché non potevo cadere nel banale cliché
dell’intellettuale-omosessuale. In effetti lui non
è omosessuale, non ho notato nessun atteggiamento di favore
nei confronti degli uomini, lui è solo un essere asessuato,
che non si è mai dimostrato, e sottolineo mai,
interessato a nessuna donna, neanche minimamente attratto
dalle mie tette che Luciana chiama amorevolmente latteria.
Inutile dire che sono dotata di un seno alquanto generoso.
Non è un
uomo brutto, credo che abbia dei begli occhi sebbene
nascosti dietro degli orribili occhiali, anzi sarebbe un uomo
piacente se non avesse quel brutto vizio di paventare ovunque la
propria cultura e di presentare le altre persone come delle deficienti.
Ha delle manie di protagonismo assolute che fanno scappare tutti a
gambe levate. Altro aspetto negativo è il suo abbigliamento
decisamente antiquato. Dio, non voglio pensare dove compri quella roba.
Secondo Luciana acquista gli abiti dal mercatino dell’usato,
secondo me non li acquista proprio: li prende direttamente
dall’armadio di suo nonno, morto probabilmente durante la
seconda guerra mondiale. Mentre sono immersa in queste mie
considerazioni altamente edificanti, Claudio De Santis, simpaticamente
chiamato da tutti “Er tenaglia”, comincia a
parlare: “Buongiorno a tutti. Non perderò tempo in
chiacchiere inutili: la situazione è drammatica.”
Ecco, un’altra cosa che non ho detto del mio capo
è questa: la sua tendenza al parossismo.
Quando ha di fronte a
sé un problema può utilizzare quattro aggettivi
per descriverlo: difficile, quando per risolvere la situazione
occorrono sì e no due telefonate, complicato, quando
è risolvibile più o meno in una o due
giornate lavorative, gravissimo quando occorre circa una settimana,
drammatico quando in effetti un problema c’è,
anche se non irrisolvibile. Mi chiedo quale aggettivo potrebbe
utilizzare per avvisarci di un’imminente bancarotta.
Catastrofico? Forse è troppo poco, anche se credo che io
userei qualcosa di forte del tipo: “Siamo col culo per
terra.”
“Ti stai
incantando” e mi sento dare una gomitata.
“Non
è vero”
“Sì
che è vero, lo fai sempre. Ti incanti e entri nel tuo mondo
dorato. Spero almeno che lì dentro ci sia un bel ragazzo con
cui stavi facendo le cose zozze”
“Lu, sei una
pervertita” sbuffo.
“Sì,
lo so. Non hai idea di quanto mi piaccia questo lato del mio carattere.
Soprattutto da usare con i maschietti”
“Nana, ti
ricordo che se single da almeno due anni”
“Questo non
vuol dire che se avessi un ragazzo a disposizione non sfrutterei questo
mio lato pervertito”
“Se voi in
fondo, mi faceste il sacrosanto piacere di tacere, saremmo tutti
più contenti” cavolo, ci ha beccate. Io e la nana
ci zittiamo all’istante. Dannato spirito di protagonismo.
“Bene, prima
che qualcuno decidesse deliberatamente di interrompermi, vi stavo
dicendo che per la casa editrice ‘Agape’ ci
sarà una novità importante: Alberto Borghi sta
andando in pensione e…” No! Non può
andare in pensione, non Alberto. È la colonna portante di
questa azienda, senza di lui crollerà tutto. E poi, come
farò io senza di lui? È stata la mia guida in
tutti questi anni, perché non mi ha detto nulla? Mi scambio
un’occhiata complice con Luciana e la trovo sbigottita come
me. Dunque neanche lei sapeva.
“…quindi
avremo bisogno di un direttore editoriale che prenda il suo posto. Non
ho ancora deciso se sarà uno di voi, molti qui dentro
prestano un ottimo servizio alla nostra azienda già da molti
anni, o qualcuno esterno. La decisione, come capite bene, è
spinosa e non posso accontentarmi del primo che passa. Occorre che sia
il migliore e, soprattutto, che sia in grado di gestire questa casa
editrice che è in forte espansione. Nelle prossime settimane
saprete la mia decisione che, ovviamente, non sarà
contestabile. Io e il consiglio di amministrazione decideremo il da
farsi. È tutto.” Un brusio si
alza in tutto l’ufficio. Questa notizia cade come un fulmine
a ciel sereno per tutti. Non ha mai parlato di voler abbandonare il
lavoro e io davo per scontato di vederlo gironzolare con
l’astina per mescolare il caffè tra le labbra
almeno per una decina altra di anni. Devo capire qualcosa in
più.
Proprio mentre sto per
dirigermi nel suo ufficio, mi sento chiamare: “Signorina
Dolce, rimanga un attimo nel mio ufficio” Lu mi guarda
allibita. Poi il suo sguardo diventa malizioso. Sarò
riuscita nel mio intento?
“Mi dica
capo”
“Gradirei
che non si presentasse a lavoro con un abbigliamento
così… -mi squadra da capo a piedi, indugiando
sulle mie gambe e, per la prima volta, sulla mia latteria –
succinto, ecco”
Ma che giorno
è oggi? Siamo forse alle calende greche? Anche
Claudio De Santis è dotato di ormoni. Ci è voluta
una quasi nudità per scoprirlo, ma ne è valsa la
pena. Ora, per smuovere a compassione, adotto un metodo elaborato da
Luciana e che ho sempre trovato infallibile.
Abbasso lo sguardo e
porto una ciocca dietro l’orecchio destro con fare naturale,
poi esclamo con voce semitremula: “Mi..mi dispiace. Non
pensavo che questo potesse essere così sconveniente. Ma mi
rendo conto che lei ha perfettamente ragione. Non si
ripeterà più”
“Oh..beh…non
è che mi dia fastidio…è solo che se il
suo lavoro dovesse cambiare, non potrebbe più vestirsi
così, non se mi spiego” No, vorrei rispondere, non
è stato per niente chiaro. Tuttavia, annuisco.
“Bene,
può andare” saluto e richiudo la porta dietro di
me. E appena fuori, scoppio a ridere. Ci sono riuscita, ho dimostrato
che anche nei pantaloni di De Santis qualcosa si muove. Quanto mi sento
donna in questo istante!
‘Siamo donne, oltre le
gambe c’è di più’…beh,
cara Joe Squillo, le gambe non sono tutto per noi donne, ma aiutano
veramente tanto.
Poi ricordo la
questione di Alberto e mi dirigo nel suo ufficio. Lo trovo,
corrucciato, a imballare uno scatolone.
“Disturbo?”
“Oh, Sam,
entra, ti aspettavo” lo osservo: non è vecchio,
anzi, è davvero un bell’uomo. Brizzolato, ma senza
rughe eccessive sul viso e dei vispi occhi grigi. Se volessi
paragonarlo a qualcuno, pur con le dovute differenze, questo qualcuno
sarebbe Richard Gere. Affascinante.
“Alberto,
che è successo? Non mi hai detto nulla e non mi aspettavo
questa decisione improvvisa” lo guardo triste.
“Non era nei
miei piani in effetti andare in pensione così presto, ma
l’ospedale di Lione ha fissato la data per
l’operazione di Luisa e non possiamo più
procrastinare. Se dovessimo farla slittare un’altra volta,
dovremmo aspettare altri quattro anni per l’operazione e non
è possibile. Le condizioni alla schiena di Luisa si sono
aggravate e deve essere operata urgentemente. Inoltre è un
intervento piuttosto delicato e mia moglie rischia di rimanere sulla
sedia a rotelle a vita. Devo prendermi cura di lei. Lei viene prima di
tutto” rimango colpita dalla passione con cui parla. Deve
amare davvero molto la moglie. Per un attimo ripenso a Davide, il mio
ex, lui non ha mai dimostrato questo attaccamento nei miei confronti.
“Alberto, mi
dispiace. Se c’è qualcosa che posso fare,
io…”
“Samanta,
sei una così cara ragazza. Grazie mille per la proposta, ma
non ti devi preoccupare per noi. Staremo bene. Vuoi fare davvero una
cosa per me?”
“Certamente”
rispondo con veemenza.
“Ottieni
quel posto da direttore editoriale. So che hai la stoffa per fare bene
questo lavoro. Non mi deludere. Io ho già accennato qualcosa
a Claudio.” Ecco di cosa parlava prima il capo: se dovessi
cambiare lavoro, ovvero se dovessi diventare direttore editoriale.
In un istante, tutte
le mie preoccupazioni salgono a galla: “Ma, Alberto, io non
sono brava. Sono una combina guai. E se dovessi combinare qualche
disastro? Sai quanto sono imbranata a volte e rischio di rovinare
tutto. Mi faccio prendere dall’angoscia e poi è il
peggio del peggio. Commetto gaffe una dietro l’altra
e…”
“Sam, tutti
commettiamo sbagli. L’importante è capire dove
sbagliamo e rimediare”
“Tu non hai
mai sbagliato” è vero: in tanti anni non
l’ho mai visto fallire sul lavoro. È sempre stato
di una precisione assoluta. Questo è uno dei motivi per cui
lo adoro.
“Oh, ho
commesso anch’io i miei errori”
“E
quali?”
“Secondo te,
chi ha lanciato Moccia? I suoi primi scritti sono stati pubblicati
qui” lo guardo e ci mettiamo a ridere. Oddio, Moccia. Non
pensavo che anche Alberto avesse i suoi scheletri
nell’armadio. Impensabile.
“Ma io non
ho esperienza, non riuscirò a fare bene il mio
lavoro” mi siedo sconvolta. Sì, è il
mio sogno fare il direttore editoriale, ma mi aspettavo di farlo almeno
tra una decina d’anni. Non adesso. Ho solo ventisette anni.
“E’
per questo che ti ho fatto lavorare tanto spesso con me, ultimamente.
Sam, se non sapessi che puoi farcela alla grande, non avrei mai
proposto il tuo nome. Ci avrei perso la faccia anch’io.
Fidati di me” lo guardo stralunata. Ancora non mi sono resa
conto della cosa. Io direttore editoriale? Non mi ci vedo proprio.
Almeno, non adesso. Tuttavia, per farlo contento, nonostante le mie
incertezze, annuisco.
“Vieni, Sam,
fatti abbracciare” allarga le braccia e io mi ci
tuffo.
“Mi
mancherai, Alberto. È stato bellissimo lavorare con te, ho
imparato così tanto.” sussurro.
“Anche a me
ha fatto piacere lavorare con te. E, inoltre, sei stata come una figlia
che non ho mai potuto avere. Ora, mettiti d’impegno
perché il prossimo direttore editoriale dovrai essere tu.
Promettimelo.” mi sorride.
“Sì,
quel posto sarà mio!”
Ciao
a tutte!
Eccoci
alla fine del primo capitolo! Come vedete, si è
già delineata la situazione di partenza. Sam è in
lizza per poter diventare direttore editoriale, il lavoro dei suoi
sogni.
Riuscirà,
secondo voi?
Dedico
questo capitolo a Mirya che è stata la persona che
maggiormente mi ha incoraggiato nello scrivere questa ff. Senza di lei,
la mia ff sarebbe rimasta a fare la muffa in qualche meandro del pc.
Grazie!
Un grazie va anche a tutte voi che mi state seguendo con
così tanto affetto: davvero grazie!
Anche Luciana è un personaggio reale e bazzica su efp sotto
mentite spoglie con il nick di xsemprenoi (se la incontrate scappate)
Lu ti adoro!
Vi
lascio i miei contatti:
Twitter:
@congy_
Fb:
http://www.facebook.com/#!/profile.php?id=1734024903 ( se chiedete
l’amicizia, ditemi chi siete, per favore)
Manu1988:
ciao e grazie mille! Come avrai notato questa ff è molto
diversa da Ricominciare. Abbiamo una protagonista più forte
e spensierata, ma anche lei con delle debolezze. Grazie per avermi
seguito anche qui.
Nicoletta2:
Sì, il nostro protagonista ha fatto proprio la figura del
cretino. Ma diciamo che si merita tutto l’astio di Sam. Penso
che tu abbia già capito perché. Un bacio.
JessikinaCullen:
ciao cara! Grazie mille del commento. Ti dico innanzitutto che il
banner non è merito mio, ma di ada90thebest…ossia
di Giada. Non hai fatto nessuna gaffe, il ragazzo di Samanta si chiama
proprio Daniele, complimenti per la memoria. Un bacio
Roxy_Rock5:
ciao! Sì, Samanta è una tosta davvero anche se
presenterà, man mano, le sue debolezze. Grazie mille per la
fiducia che hai riposto in me. Un bacione.
Mirya:
Oh, Francesca! Che gioia! Grazie mille, non hai idea di quanto mi
incoraggi sapere il tuo parere e grazie per aver speso il tuo tempo per
me. Samanta è proprio come l’hai descritta tu e
come spero di averla descritta io: solare, spigliata, ma anche
insicura, dolce e sensibile. Spero che andando avanti riesca a
descrivere meglio la mia protagonista e am mettere a fuoco le sue
sfaccettature. Grazie mille.
Momi87:
ciao! Sì, a prima vista sembra che tu abbia azzeccato, ma la
realtà, a volte, è ben più complicata
di quanto appare. Per quanto riguarda Samanta sì,
è lei, coni suoi vizi e le sue manie e la sua pazzia. Spero
che ti piaccia.
Chiara84:
Chiara! Non disturbi affatto, anzi, ti ringrazio per il tempo che
spendi per me. Come hai notato lo stile sarà molto diverso
da quello di ricominciare, molto più scanzonato. Spero che
ti piaccia ugualmente. Un bacio
Rosyx85:
Rosaaaaaaaaaaaaaaaaa! Uh, c’è anche la mia
pervertita preferita qui con me. Sono felicissima. Hai
quadrato perfettamente sia Sam che l’uomo del mistero
(sbavo). Un bacione.
Samy88:
Amore della mia vita: a te c’è bisogno di
rispondere? Ormai sai tutto della mia storia e di quello che
avverrà, per cui non c’è bisogno di
spiegare nulla. L’unica cosa che ti dico è grazie.
TVB
Morgana:
Ciao cara! Anch’io adoro quella frase ( che poi rispecchia
quello che penso): le donne hanno un qualcosa di più
rispetto agli uomini Anch’io adoro Sam,come sai siamo
fidanzate segretamente per cui, come non potrei amarla?
Paula:
Gioia! Che piacere ritrovarti anche qui! Sei una delle migliori
lettrici-amiche che io potessi desiderare. Spero che questo capitolo ti
sia piaciuto anche se so che lo leggerai in vacanza. Un bacio.
Sily85:
patatinaaaaaaaaaaaaaaa! Ma non dovevi studiare? Sei stata la prima!
Complimenti! Grazie per essere sempre così gentile e
buona…smack smack…fra poco avrai il tuo figo da
sbavo…Un bacione
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Capitolo 3 *** Scontro e Incontro ***
Capitolo 2
Scontro e Incontro
“Sam, per favore, usciamo da questo posto? Il capitolo lo
finisci di correggere domani, ti prego” questa è
la richiesta che mi fa, da ormai una mezz’ora, la nana. In
effetti, la sto portando un po’ troppo sulle lunghe. Sono le
sette e mezzo e generalmente torniamo a casa per le cinque.
“Lo sai che quel posto deve essere mio, nana. E mi devo
impegnare se voglio raggiungere quel traguardo” sbuffo.
È da un mese che va avanti questa storia. Il capo ancora non
ha deciso e io mi sto ammazzando di lavoro. Non sono una di quelle
persone che fa il minimo indispensabile e poi se ne frega, credo di
essere una persona abbastanza diligente e che fa bene il proprio
lavoro. O che almeno cerca di farlo. In questo periodo a maggior
ragione. Devo ottenere quel posto: l’ho promesso. E poi lo
voglio.
“E non puoi finire a casa? Fallo per la tua nanetta. Per
favore”
“Ma lo sai che quando arrivo a casa l’ultima cosa a
cui penso è il lavoro. Perdo troppo tempo”
“Ti prego, Sam, sono stanca. Se vuoi ti lego alla sedia e ti
tolgo dalla vista qualsiasi tipo di dolciume presente sulla faccia
della terra. E ti tolgo dalla vista anche i gatti. Ma, per favore,
voglio mettermi il mio pigiamino viola: sono stanca” mi si
avvicina e mi abbraccia. Comincia a lasciarmi dei baci sulle guance e a
tirarmi dei piccoli pizzicotti sui fianchi dove sa che io soffro
terribilmente il solletico.
“Va bene, andiamo a casa, sei contenta?”
“Non hai idea. Dopotutto lo sai che un giorno noi nane
domineremo il mondo? Siamo piccole, ma tanto sicure di noi stesse. Noi
sappiamo cosa vogliamo dalla vita. E riusciamo ad ottenerlo. E io
adesso voglio il mio pigiamino viola e le mie pantofole.”
“Stai parlando come quel cartone animato. Mignolo e il prof.
Anche lì c’erano un topo nano e uno
altissimo.”
“Chi era il nano?”
“Il prof”
“Lo hai visto che noi nani siamo molto più
intelligenti di voi spilungoni? È il nostro cervello che
è troppo pesante per l’eccessiva materia grigia e
ci porta verso il centro della terra”.
Alzo gli occhi al cielo: quando Luciana parla così,
è inutile provare a contraddirla. Meglio darle ragione. Un
po’ come si fa con i pazzi. Materia grigia, bah. Credo che il
cervello di Luciana sia diviso in compartimenti stagni, ma tutti
dipendenti da un’unica matrice: il sesso. Sì,
perché per lei non c’è niente che non
dipenda da quello: gli uomini per lei –anche per me, a dir la
verità, ma per ben altre motivazioni – sono dei
fallocefali e non perché sono delle teste di cazzo, ma
semplicemente perché pensano con il cazzo. Per le
donne la questione si fa più complessa: sono più
poliedriche, più complicate degli uomini, ma appena vedono
un bel figo da paura, anche loro entrano nella fase
“vaginacefale”, questo il termine usato da lei. I
suoi neologismi sono davvero pietosi.
Arrivate a casa, corro a salutare i miei mici. Minù, come il
suo solito si struscia contro le mie gambe, mentre Bizet salta in
braccio a me. Quanto li adoro i miei gatti. Avere poi, un gatto
omosessuale per niente attratto dalla sua bellissima coinquilina dal
folto pelo bianco è un vantaggio per me. Nessuna gatta
partoriente ogni aprile-maggio.
Mi siedo sul tavolo della cucina e comincio a revisionare il capitolo.
Non ho ancora capito come diavolo facciano a scegliere per la
pubblicazione libri dalle trame così banali. Banali e
surreali tra le altre cose. Come un po’ tutti i romanzi rosa.
“Samanta, ti devo parlare” sento puzza di bruciato.
Lu non mi chiama mai così, se non, appunto,
c’è qualcosa di grave.
“Dimmi”
“C’è una cosa che dovrei
dirti” il suo sguardo è alquanto dispiaciuto.
Capisco immediatamente qual è la questione di cui mi deve
parlare.
“Riguarda il lavoro, vero?” annuisce.
“Hanno trovato un direttore editoriale. E non sono
io” sospiro afflitta.
“Sì, lo presenteranno domani. Sam, mi dispiace,
tesoro. Lo meritavi tu quel lavoro” posa una mano sul mio
braccio.
“E’ un uomo?”
“Io ho ascoltato solo la telefonata, però da
quello che ho potuto capire credo di sì”
“Ecco, non solo un raccomandato, perché non credo
minimamente che Er tenaglia, avendo a disposizione me e con tutte le
credenziali che gli ha fornito Alberto, sia andato in giro a cercarne
altri. Avrà scelto sicuramente un raccomandato. Ma
è anche un uomo. Dio, li odio gli uomini, li odio.
Sono tutti così arrivisti, approfittatori. E De Santis non
è da meno: sembra così ligio al dovere,
così serio e scrupoloso, ma l’unica cosa che si
guarda quando si deve assegnare un incarico di
responsabilità è se il candidato ha le palle. E
non in senso metaforico.” Mi alzo di scatto dalla sedia e
comincio a camminare velocemente per la stanza, le mani nei capelli.
“Dai, non essere così esagerata”
“Oh, sai benissimo che non sono esagerata. Gli uomini pur di
ottenere quello che vogliono sono disposti a vendere l’anima
al diavolo. O ad abbandonare la propria fidanzata storica per mettersi,
e sposarsi dopo sei mesi, con una perfetta sconosciuta che ha i soldi e
gli permetterà di ottenere un incarico di prestigio. Sono
tutti così gli uomini. Nessuno escluso”
“Perché, le donne, no? Anche noi sappiamo perdere
la nostra dignità per arrampicarci socialmente”
“Sì, su questo non posso darti torto. Ma ci sono
dei pregiudizi su noi donne incredibili. Se una donna riesce ad avere
un incarico di responsabilità è solo una troietta
che si è infilata nel letto giusto, se si tratta di un uomo,
invece, allora lui ha ottenuto l’impiego per la sua bravura e
la sua professionalità. Scusami,ma è davvero una
cosa che non sopporto” sospiro pesantemente. Poi mi viene
alla mente un piccolo particolare: “E perché non
mi hai dato questa notizia in ufficio?”
“Bene, come sempre ti devo sempre spiegare tutto io. Punto
numero uno: io non dovevo sapere che era stato scelto il nuovo
direttore editoriale, ergo non te lo potevo dire in ufficio. Punto
numero due: se te lo avessi detto al lavoro, saresti corsa a dare del
farabutto –immagino che tu avresti usato un altro termine
meno consono alla mia persona - a De Sanctis e non osare negarlo
perché non ti credo. Tra le altre cose lui avrebbe capito
che io avevo origliato e se la sarebbe presa con me. Punto numero tre:
se te lo avessi detto in macchina, ci saremmo sfracellate. Ti devo
ricordare quanto sei pericolosa alla guida?”
“No, lo so che sono un po’ spericolata”
“Un po’? L’altro giorno stavamo per
investire una povera vecchietta. Una vecchietta così gentile
che ci ha mandato a fanculo almeno venti volte, ma la sostanza rimane
quella. Sei. Una. Pazza.”
“Già, hai ragione. Ma io ci tenevo così
tanto. Questa casa editrice è importantissima per me e so
che, se me ne dessero la possibilità, potrei fare bene. E
poi non posso pensare ad Alberto: ci sperava molto. L’ho
deluso: io gliel’avevo promesso. Forse sono pessima io,
magari ho sbagliato io qualcosa” poggio la testa sul tavolo
mentre continuo ad accarezzare i miei gatti.
“Ti prego: fermati prima di entrare in modalità
emo. Tu sei bravissima, sei in gamba e nessuno lo potrà mai
negare. Su, dimmi: quanti altri a 27 anni sarebbero stati in lizza per
ottenere un posto come direttori editoriali? Ti rispondo io:
pochissimi. Tu ti sei fatta il culo per arrivare fin dove sei arrivata
e non per mezzo di raccomandazioni: tu non hai nulla da
recriminarti.”
“Può darsi, ma…”
“Niente ma. Adesso sai che facciamo? Ci rivediamo per la
centesima volta “Il diavolo veste Prada”
così vediamo una che al lavoro è trattata peggio
di noi. E nel frattempo mangiamo un intero pacco di pop corn, uno di
patatine e poi una busta di caramelle gommose che ti piacciono tanto.
Mangeremo da fare schifo. Che ne dici?” la scruto
preoccupata. Luciana che mangia come una porca? Potrebbe farlo, ma so
che lo farebbe solo per me. Lei odia mangiare molto e fuori pasto.
“No, voglio andare in palestra, devo scaricarmi un
po’”
“Scaricarti un po’? Io conosco un solo modo per
scaricarsi a dovere. Su, prova a indovinare. Ti do un indizio:
è il rimedio contro tutti i guai” mi sorride
maliziosa. Come al solito, la nana sta cercando di risollevarmi il
morale. E ci riesce, come sempre.
“Fammi indovinare…uhm, questa è
difficile. Davvero, davvero complicato. Cercherò di andare
ad intuito. Secondo me, è il sesso”
Lu si mette a battere le mani entusiasta, letteralmente come una
deficiente.
“Ma sei un genio. Adesso sai cosa facciamo? Chiamiamo un
gigolò di professione così ci scarichiamo
entrambe. Che ne dici?” congiunge le mani a mo’ di
supplica. Non mi stupirei se tra poco la vedessi stesa a terra a
baciarmi i piedi.
“Direi che io voglio andare in palestra” dico
dirigendomi nella mia camera da letto per cambiarmi.
“Facciamo un gioco: ognuna di noi due mostrerà i
vantaggi della palestra e del sesso. Quello che presenterà
più aspetti positivi vincerà. Comincia
tu”
“Uffa, e va bene. Dunque: andando in palestra si smaltiscono
i grassi in eccesso e si tonificano i muscoli” nel frattempo,
mi sono spogliata e ho infilato i calzini.
“Col sesso si tonificano tutti i muscoli tanto che
è più efficace di 20 vasche di piscina”
“La palestra aiuta a scaricarti mentalmente e ad allontanare
la depressione”
“Anche il sesso. Studi recenti hanno confermato che
è più efficace persino del valium”
“Parli come un libro stampato. Ti sei informata,
vero?” rido sotto i baffi mentre indosso una maglietta grigia.
“Certo, sono molto attenta agli sviluppi e ai progressi della
scienza.”
“Sono contenta per te. Con la palestra puoi vedere i
maschietti sudati, stare accanto a loro e flirtare”
“Con il sesso, invece, hai un solo maschietto in effetti, ma
non lo hai vicino, lo hai dentro”
“Luciana, sei una ragazza molto volgare. Solo
perché non usi le parolacce, non pensare di essere esente da
volgarità. Quella che hai appena detto supera di gran lunga
una decina di mie imprecazioni”
“Lasciamo perdere queste baggianate e pensiamo a qualcosa di
più importante. Altra cosa vantaggiosa: col sesso non si
deve pagare”
“Hai appena detto che vuoi un gigolò a domicilio:
pensi sia gratis?”
“Già, su questo non posso darti torto”
sbuffa pesantemente.
“Per cui, visto che io il maschietto lo devo trovare, vado in
palestra. A dopo”
“Mi hai fregato: anche in palestra si paga”
“Lo so benissimo, nana. Ma oggi ho proprio bisogno di
scaricarmi così. Nemmeno il sesso mi darà
soddisfazione per il semplice motivo che in questo momento odio
l’intero genere maschile.”
“Ma, Samanta, tu odi l’intero universo
maschile” adesso c’è solo apprensione
nella sua voce.
“Lo so, ma ancora non riesco a perdonarlo e, soprattutto, non
riesco a non pensare che tutti gli uomini si possano comportare come ha
fatto Davide” prendo la mia sacca per la palestra e le
chiavi. Sono pronta.
“Hai soltanto bisogno di un po’ di tempo per
tornare a fidarti. E comunque, cambiando argomento e arrivando a quello
più importante, se vuoi cuccare non ti conviene metterti
quella tuta da monaca. Hai bisogno di qualcosa di più
colorato, il rosa, per esempio” mi scruta critica. Altra cosa
che non vi ho detto di Lu, è completamente, inesorabilmente
fissata con la moda. Un giorno mi sono ritrovata strappati dei jeans,
che conservavo e che ogni tanto mettevo, risalenti alle superiori.
Erano i miei preferiti e me li ha buttati dicendo che erano
vecchi e che al massimo potevano essere venduti all’asta come
cimeli antichi. Non le ho parlato per una settimana. Alla fine si
è presentata da me con la mia pizza preferita. Come facevo a
dirle di no?
“E chi ti ha detto che devo cuccare? Ciao” saluto e
chiudo rapidamente la porta dietro di me prima che la mia coinquilina
possa dire altro.
La palestra, la Gym Fitness, si trova a circa cinquecento metri da casa
per cui evito di prendere la macchina. Rischierei di perdere solo tempo
a cercare un parcheggio. Dopo un quarto d’ora arrivo in
palestra. Oggi, per me, niente attrezzi né aerobica o step.
Sono tutte cose che mi piace praticare, ma il nervoso oggi non
riuscirà ad essere incanalato in queste attività.
Mi serve qualcosa che mi aiuti ad allontanare ogni pensiero, ogni
frustrazione e soprattutto ogni odio nei confronti degli uomini, Davide
in special modo. È tutta colpa sua se mi ritrovo ad essere
così scontrosa verso gli uomini. Penserete voi che mi abbia
tradito. E, invece, no. Perchè, vedete, i pensieri fissi dei
maschi sono essenzialmente due: il sesso e i soldi. E sebbene il sesso
occupi due terzi dei pensieri del sesso maschile, quindi la maggioranza
dei loro pensieri, il che è già triste di suo,
occorre riflettere che l’altro terzo è occupato
dal denaro e che un terzo dei pensieri riguardanti il sesso
è unito alla possibilità di far soldi. In pratica
i maschi spendono un terzo del loro tempo a cercare il mezzo per fare
sesso e contemporaneamente far soldi. Direi che il loro sogno proibito
è quello di fare il gigolò a pagamento. Come
sillogismo aristotelico credo che possa andare.
Ma Davide non mi ha tradito per cui rimane una sola motivazione: il
denaro. E forse questa è una cosa ancora più
squallida dell’essere traditi.
Oggi, quindi, voglio fare qualcosa di diverso. Ho fatto solo due o tre
lezioni di kick-boxing e, sebbene mi sia piaciuto molto, ho dovuto
abbandonarlo perché le lezioni coincidevano con
l’orario di lavoro. Ma, vista la grande richiesta per questa
attività, hanno adibito una sala
apposita solo per tirare di boxe nelle ore in cui non
c’è lezione. Quale occasione migliore di usare i
sacchi se non oggi?
Infilo le cuffie dell’i-pod e i guantoni che ci da in
dotazione la palestra. Avvio la canzone che scelgo sempre in queste
occasioni: fa parte del soundtrack
di Rocky. Lo so, è banale, ma quella musica mi carica in una
maniera indescrivibile. Mi fa sentire potente, capace di superare gli
ostacoli della vita che, in senso metaforico, sono racchiusi in questo
momento nel sacco da boxe. Patetico, davvero patetico, ma mi diverte.
Mica si può essere sempre seri?
Comincio, perciò, a tirare i pugni contro il sacco cercando
di incanalare tutte le mie frustrazioni. Penso al lavoro dei miei sogni
che è andato in fumo, alla stanchezza accumulata per fare
bella figura con i dirigenti e De Sanctis in particolar modo, penso a
quelle grandi porcate di romanzi rosa che mi costringono a correggere,
delle trame banali dove c’è sempre il terzo
incomodo e dove, puntualmente, la protagonista becca il suo fidanzato
con l’incomodo, penso a Davide e al male che mi ha fatto.
Tanto. Troppo. Sono passati oltre due anni ma il dolore è
ancora lì,protetto da una spessa corazza di diffidenza e
ritrosia verso gli uomini.
Ad un certo punto, quest’attività
diventa perfino divertente. Perché? Semplicemente
perché, al posto del sacco, immagino che ci sia di fronte il
mio ex ed io, da maschiaccia quale talvolta sono, lo gonfio di botte.
Se le merita tutte quante.
Mentre sono impegnata a sferrare pugni contro l’ologramma di
Davide, mi sento toccare la spalla. La musica è ad un volume
così alto che mi spavento. Reagisco d’istinto. Mi
volto e sferro un pugno in faccia al malcapitato.
“Porca puttana” esclama. Quello che vedo dopo, non
so dire se fa ridere o piangere. Trovo un uomo piegato in due che si
tiene il naso.
“Puttana Eva, porca, porca puttana!” vedo del
sangue che inizia a imbrattare il suo viso e il sorriso, un
po’ compiaciuto a dir la verità, scompare dalla
mia faccia.
“Si è fatto male?”
“Tu che dici? Porca puttana” la compassione, sta
lentamente scemando. Perché mi dai del tu? Perché
sono una donna? Coglione maschilista.
“Non conosce altre parole per definirmi? Posso essere tutto,
ma non una puttana.”
“E’ solo un’esclamazione come
un’altra. Non era di certo rivolta a lei. Per lei potrei
usare altri termini, anche se non più gentili di
questo” si lamenta ancora.
“Lasci che l’aiuti. Mi dispiace, ma è
colpa sua: mi ha spaventata” regola numero uno: mai mostrare
le proprie debolezze.
“Non è colpa mia: le ho solo chiesto dove fosse lo
spogliatoio.”
“E io posso sapere dove si trova lo spogliatoio maschile?
Siamo ritornati al punto di partenza: mi sta dando della puttana.
Oppure voleva sapere dove fossero quelli femminile e, in tal caso,
dovrei desumere che è un puttaniere” borbotto.
“Ma lei è sempre così permalosa? Era
solo una domanda la mia che non implicava nessun riferimento sessuale.
Non le sto dando della puttana. Anche se,
effettivamente…” e il suo sguardo cade di
proposito sulla mia latteria. Dannati maschi.
“Ha finito di dire baggianate e soprattutto di fissarmi le
tette? Non sono qualcosa di speciale, di miracoloso o di unico: tutte
le donne sono dotate di tette. Venga” lo lascio fuori dallo
spogliatoio e prendo del ghiaccio sintetico.
“Lo metta sul naso e tenga la testa in su”
“Ma così non posso guardare bene le
sue…il suo viso. Lei è il mio angelo
salvatore” sbuffo. Ma questo ci è o ci fa? Credo
entrambe le cose.
“Non credo di essere un angelo. Prima ti ho steso. Ah,
già, va contro il vostro ego maschile ammettere che una
donna vi abbia stesi”
“Ma tu vedi l’uomo sempre e solo come un oggetto
non pensante?”
“E tu vedi sempre la donna come oggetto sessuale?”
“Da quando usiamo il tu?” ribatte lui secco, la
faccia ancora ricoperta di sangue.
“Oh, sei stato tu ad usarlo fin da subito. Io ti ho solo
seguito nella maleducazione”
“Non sono maleducato”
“Ma se ti sei presentato con un bel ‘Porca
puttana’. Ammetterai che non è proprio il modo
migliore di cominciare”
“Scusami se sono stato preso alla sprovvista. Comunque il
naso non sta andando affatto bene”
“Credo anch’io. Senti, io ammetto di aver
sbagliato, per cui ti porto al pronto soccorso”
“Non occorre, davvero”scruto bene il suo naso che
si sta gonfiando sempre di più. Brutto segno.
“Io, invece, credo di sì. Solo che mi dovrai far
usare la tua macchina”
“Cosa? Scordatelo: è una spider e non la faccio
guidare nemmeno a mia sorella” borbotta.
“E come pensi di andare all’ospedale? Sono la tua
unica opportunità. Ti fidi di me?” domando.
“Tu mi stai chiedendo se mi fido di una pazza permalosa che
mi ha quasi spaccato il naso? La risposta più sensata
sarebbe no, ma eccoti le chiavi” i miei occhi brillano di
felicità: finalmente potrò realizzare uno dei
miei sogni. Guidare una macchina sportiva. Il maschiaccio che
è in me compie un triplo salto mortale per la gioia.
Usciamo fuori dalla palestra e mi faccio guidare verso la zone del
parcheggio.
“Oddio, che modello è?” mi fermo davanti
alla sua macchina, entusiasta.
“Una Audi
R8 Spider.”
“Meravigliosa! Mai visto una macchina più
bella” dico accarezzando la vernice nera metallizzata del
muso.
“Non vorrei spostarti da lì, ma non mi sento per
niente bene, per favore!”
“Ops, sì, scusami” entro rapidamente in
macchina, metto le cinture e regolo lo specchietto retrovisore. Appena
infilo le chiavi nel quadro, avverto le fusa del motore. Dio, che bel
suono. Chiudo un attimo gli occhi e ascolto questo delizioso rumorino.
“Vuoi partire?” domanda sull’orlo di una
crisi di nervi.
“Perdonami: ero in preda ad un orgasmo acustico”
ribatto scocciata per essere stata interrotta in questo momento di
estasi.
“Tu sei pazza” borbotta. Comincia a parlare
affannosamente per cui evito di ribattere. Ingrano la prima e parto
velocemente.
“Puoi andare un po’ più piano? Vorrei
avere ancora una macchina alla fine del tragitto”
“Cioè, tu ti preoccupi per la macchina e non per
la tua vita?” domando curiosa. La mentalità degli
uomini è piuttosto primitiva. E, ovviamente, pensano prima
all’oggetto che alla persona. Tipico.
“Questa macchina è il frutto del mio lavoro, per
cui ci tengo particolarmente. E tu? A cosa tieni di
più?”
“Ai miei gatti e alla mia amica Luciana. Loro sono la cosa
più importante per me” dopo questa mia
affermazione, cala il silenzio.
“In quale ospedale stiamo andando?” domanda. Mi
volto un secondo verso di lui: è pallido, il sangue continua
ad uscire nonostante il ghiaccio e boccheggia.
“Il San Carlo Borromeo è il più vicino:
stiamo andando al pronto soccorso” dico un po’
inquieta.
Dopo cinque minuti siamo arrivati. Entriamo rapidamente nel pronto
soccorso e l’uomo – non conosco neanche il suo nome
– viene controllato dal medico di turno. Io aspetto, sono
piuttosto preoccupata e questo è strano per me. Non che sia
menefreghista, ma avverto una preoccupazione particolare per questo
ragazzo, sebbene per me sia uno sconosciuto. Dopo una ventina di
minuti, esce dallo studio: il naso è completamente coperto
da una fasciatura bianca. Il viso, adesso però, è
pulito e mi è permesso per la prima di vederlo in viso.
È bello, tanto bello. Ha gli occhi scuri, credo che siano
marroni, capelli folti neri spettinati ad arte, delle labbra non
eccessivamente carnose, col labbro inferiore più pieno di
quello superiore. Ha un sottile strato di barba, leggera, ma non per
questo meno affascinante.
“Finita la radiografia?”
“Prima l’hai fatta tu a me, mi sembrava opportuno
ricambiare il favore” ribatto facendo la linguaccia.
“E che ne dici? Passato l’esame?”
“Se il cervello di voi uomini andasse di pari passo con
l’aumento del vostro ego, staremmo avanti anni luce rispetto
ad oggi. Invece l’unica cosa di cui controllate ogni minuto
la crescita è una sola.”
“Beh, diciamo che dipende anche dalla compagnia. È
merito della donna – o dell’uomo in caso di
omosessuali – se cresce”
“Direi che stiamo degenerando. Comunque confermi la mia idea:
voi uomini ci vedete come oggetti”
“Hai una bassa considerazione di noi. Io non la vedo
così: la donna deve essere una compagna di vita e non una
compagna di letto, o non solo. Se non c’è
complicità nella vita non ci sarà mai sotto le
lenzuola. Sei tu che vuoi vedere il marcio anche dove non
c’è.” Io lo guarda come un ebete.
È un uomo che sta dicendo queste cose?
“Ehm, tu stai bene?”
“Sì, qualche giorno e dovrebbe passare del
tutto”
“Sono molto contenta e scusami per..la botta”
sfioro delicatamente il suo naso con la punta delle dita. Sam, ma che
diamine stai combinando? Contieniti, per la miseria. Ritraggo
immediatamente la mano, mentre lui mi osserva con le sopracciglia
aggrottate.
“Ti accompagno a casa?” domanda serio. Non
c’è più traccia del battibecco di poco
prima.
“Se ti è possibile, sì, per
favore”
“Vieni. Ti posso fare una domanda?”
“Dimmi”
“Come mai ti accanivi tanto contro quel povero sacco da boxe?
Tu non ti stavi allenando, ti stavi completamente scaricando”
dice sogghignando.
“Oggi è stata una giornata no. Ero in lizza per
ottenere il lavoro dei miei sogni e, invece, è stato dato ad
un idiota raccomandato. E il mio sogno svanito” borbotto.
Stranamente mi trovo a mio agio a parlare con lui. È
piacevole.
“Che lavoro?” domanda incuriosito.
“Sono un revisore di bozze. Lavoro per la casa editrice
Agape. Voglio dire, lavoro in quella casa editrice da tre anni, mi sono
fatta il culo lì dentro e adesso mi vedo soffiare il posto
da un raccomandato del cavolo. E a questo dovrò pure essere
obbediente visto che sarà il mio diretto
superiore” lui scoppia a ridere.
“Perché ridi?”
“Nulla, nulla, pensieri che mi frullavano per la
testa” quindi non mi stava ascoltando? Male, malissimo. Ma,
dopotutto, chi lo conosce questo? Mica ci devo vivere insieme. Sono
veramente strana stasera. E non sono neppure in fase premestruale.
Davvero sconcertante.
“Gira a destra, eccoci, siamo arrivati”
Ferma la macchina e si volta verso di me.
“Sai qual è la cosa buffa?” sorride e
vedo i suoi denti, bianchi e lucenti, senza un’imperfezione.
Samanta, stiamo degenerando.
“No, qual è?”
“Mi hai steso con un destro micidiale, mi hai soccorso, hai
guidato la mia macchina dietro mio consenso, mi hai aspettato in
ospedale, ti ho condotto a casa e non sappiamo i nostri nomi”
scoppia a ridere ed è subito seguito da me. La situazione
è paradossale in effetti. Scendiamo dalla macchina
e ci fermiamo davanti al portone di legno lucido del mio palazzo.
“Daniele Costa”
“Samanta Dolce” gli porgo la mano.
“Dolce? Cos’è, hanno utilizzato il
contrario del tuo carattere per il tuo cognome?” e
giù di nuovo a ridere.
“No, io sono dolce solo con chi se lo merita. In parole
povere, solo con Luciana e i miei gatti”
“Nemmeno con un ragazzo?”
“Soprattutto non con i ragazzi” ribatto secca.
Spero non domandi di più, perché non ho nessuna
voglia di rispondere.
“ E se io facessi questo saresti dolce con me?” e,
senza che io me ne possa rendere conto, poggia le sue labbra sulle mie.
Sono dolci, tenere, morbide. Rimango impietrita sul posto, non sapendo
cosa fare. E questo non perché non voglia il bacio , ma
perchè questo bacio mi piace, lo desidero. Tanto anche. E
questa è, probabilmente, la cosa che mi preoccupa di
più. Perché io ho chiuso con gli uomini, non
voglio averci niente a che fare. Ma tutto sembra diverso se sono a
contatto con le sue labbra morbide e setose. Lui non esagera con questo
bacio, prende solo la mia mano e la stringe, poi si stacca da me.
“Scusami,non avrei dovuto. Ma sei davvero bellissima,
Samanta, e non sono riuscito a resistere.”
“Uhm, ehm..va bene, non fa nulla. E chiamami Sam. Lo
preferisco”
“Sam” ripete a pochi centimetri dal mio viso.
Lascia una carezza lungo la guancia e poi si allontana da me.
“Allora, ciao, buonanotte, Sam”
“Ciao, Daniele” risale velocemente in macchina e
riparte. Solo dopo che ha svoltato l’angolo mi rendo conto
che non mi ha lasciato neppure un recapito. Se ne è
dimenticato? Oppure non voleva avere niente a che fare con me? Forse
è meglio, meglio se non ci vediamo più. Daniele
stava infrangendo in una sola serata la mia corazza. E questo non va
bene.
Salgo le scale e mi attende un’impensierita Luciana.
“Hai fatto sesso con qualcuno vero?”
“Cosa? Lu, ma che vai dicendo?” la sgrido. Ma per
chi mi ha preso? La nana, secondo me, ha bisogno di una visita. E da
uno bravo anche.
“Occhi lucidi, labbra gonfie, capelli spettinati anche se hai
fatto palestra quindi non si può mai dire e sguardo da
ebete. Se non hai fatto sesso hai comunque conosciuto un uomo”
“Nulla di importante Luciana, davvero”
“Allora è successo davvero?” grida
alzando il tono della voce così tanto da spaventare la
povera Minù che mi era saltata in grembo per salutarmi.
“L’ho conosciuto in palestra. Si chiama Daniele.
È molto carino.” Dico ripensando ai suoi occhi
color nocciola.
“E vi siete dati un appuntamento?”
“Ci siamo dimenticati di scambiarci i numeri di telefono. Ma,
dopotutto, è meglio così, non credi? Non ho
voglia di nessuna storia in questo momento”.
“La volpe che non arriva
all’uva…” e borbottando questa frase,
ritorna in camera sua.
Sì, abbiamo fatto una grande, immensa cazzata.
Rieccomi
dopo quasi un mese.
Sì,
lo so, sono imperdonabile. Mi merito ogni imprecazione contro di me. Il
fatto è che ho preparato l’ultimo esame e, nel
frattempo, ho scritto l’altra mia ff che si trovava in un
punto un po’ delicato e doveva andare avanti necessariamente.
Bene,
adesso è entrato anche lui, Daniele. Secondo voi, che ruolo
svolgerà nella vita di Sam? Si accettano scommesse.
Vi ricordo i miei contatti:
Twitter: @congy_
Facebook : Federica
Congedo
Gruppo
su facebook per avere anticipazioni e spoiler : E Gea
tes Congis
Un bacio
Federica
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Capitolo 4 *** Per capire i propri errori occorre sbagliare più volte ***
Capitolo 3
Per capire i propri errori occorre sbagliare più volte
“Che cazzo ti sei messa?” Lu mi osserva critica
dallo specchio.
“Perché? Cosa c’è che non
va?” mi guardo compiaciuta. Sì, non avrei potuto
scegliere abbigliamento più adatto per oggi.
“Cosa c’è che va, vorrai dire! Hai messo
quegli orrendi jeans conformati che mettevi dopo la rottura con Davide
e quell’orribile maglione verde marcio che ti va tre taglie
più grande. Posso sapere che diavolo hai mangiato a
colazione? Cereali avariati che sono andati ad aggiungersi al
truciolato che riempie gran parte del tuo cervello?”
“Oggi mi va di vestirmi così,
d’accordo?”
“Hai la sindrome premestruale? No, perché
altrimenti non capisco cosa possa portarti ad indossare questi cenci
larghi.” Si muove verso il calendario dove aggiorniamo
regolarmente il nostro stato mestruale e sbuffa, quando si rende conto
che non sono gli ormoni a provocarmi questi comportamenti obsoleti.
“Ho le mie buone ragioni e no, non sono in sindrome
premestruale. Sto benissimo”
“Va bene, vatussa, parliamone: qual è il tuo
problema? Riguarda per caso l’arrivo del nuovo direttore
editoriale?” si siede sul letto e mi osserva critica. Ma
perché non riesco mai a nasconderle nulla?
“Assolutamente no. Riguarda, per caso, l’arrivo di
un uomo che guarderà prima le mie tette e poi la mia
intelligenza”
“Ancora con questa storia? Non ti sembra di
esagerare?”
“Gli uomini li fanno con lo stampo. Non voglio che mi tratti
come una segretaria o qualcosa del genere da farsi sulla
scrivania” sbuffo.
“Ma, tesoro, questo può accadere con tutte. Pensa
a me che sono davvero una segretaria. Non essere così
drastica nelle tue scelte e nelle tue posizioni. Ricorda che lo stupido
è colui che non cambia mai idea” mi ammonisce
bonariamente. È strano, non si direbbe che Luciana sia una
persona così profonda e sensibile. Infatti interviene per
smontare immediatamente questa mia supposizione: “Ti presto
la mia maglietta con lo scollo alla coreana, così tu e le
tue due gemelle sarete al riparo dai pensieri molesti. Anche se, a
dirla tutta, potrebbe essere anche un figo da paura e in tal caso
potresti aver tu voglia di violentarlo sulla scrivania. Quindi direi
che l’abbigliamento è perfetto. Con quello che
avevi scelto prima avresti dissuaso qualsiasi uomo sulla terra a
compiere dei pensieri sconci su di te. La scrivania, uno dei miei sogni
erotici preferiti e tu me lo smonti
così?” borbotta. Ecco, adesso riconosco la mia
nana preferita. Ma in effetti, non dovrebbe sorprendermi la cosa: ogni
persona è poliedrica, diversa a seconda delle situazioni;
sono io che forse non riesco a capire questo concetto e a metterlo in
pratica. Per me, tutto è bianco o nero, non esistono grigi
antracite, grigi perla o fumé. Nero o bianco.
Indosso quello che mi ha consigliato e in pochi minuti siamo fuori di
casa.
“Dammi le chiavi”
“Scordatelo, nana. Lo sappiamo entrambe che guido molto
meglio di te”
“L’unica cosa su cui possiamo essere
d’accordo è che tu sia una pazza al volante. La
velocità non è indice di bravura.” E le
mie chiavi finiscono nelle sue mani infide.
“Ridammele subito” sbatto i piedi sul marciapiede.
La odio, la odio quando fa così.
“Assolutamente no. Oggi guido io: tu sei troppo nervosa per
guidare bene. Fallo per i miei poveri nervi che ultimamente sono
sottoposti a uno stress indescrivibile stando accanto a te”
“E va bene, ma lo faccio solo per i tuoi nervi”
ogni tanto occorre dargliela vinta. D’accordo,
l’ultima frase detta è un po’
un’assurdità: quando la nana vuole una cosa, la
ottiene anche a costo di fracassare i tuoi di nervi e senza un briciolo
di pietà per essi.
“Il che significa che, per sineddoche, lo fai per me. Grazie
mille”
Posso dire che la odio quando vuole fare l’intellettuale e
contemporaneamente avere l’ultima parola? Bene, in questo
momento la odio. Mi sa che l’ho già detto troppe
volte oggi. Tutta colpa del direttore editoriale, e di chi altri? Lo
aggiungo alla lista di motivi che ho per rimpiangere il giorno in cui
sua madre lo ha messo al mondo.
“Sei pedante, Luciana”
“E tu sei pesante”
Prendiamo l’auto e ci dirigiamo al lavoro. Sfortunatamente la
mia scelta dell’abbigliamento ha portato via un bel
po’ di tempo e, di conseguenza, abbiamo perso il momento
propizio per immetterci nel traffico milanese. Risultato? Un grande,
immenso, rumoroso ingorgo di macchine.
“Dannazione, Sam, siamo a ridosso dell’ora
S.U.C.A.”
“L’ora di che?”
“L’ora del Sono Un Cazzone Avariato. Nessuna
persona sana di mente uscirebbe a quest’ora da casa per
percorrere il traffico milanese, se non appunto, un cazzone
avariato.”.
“Stai dicendo un mucchio di parolacce. Te ne rendi conto,
sì?”
“La guida è capace di portare a galla il peggio di
una persona. E adesso sono veramente incazzata”
Alla fine, riusciamo ad arrivare sane e salve, dopo molte e molte
parolacce di Luciana contro gli altri autisti e contro di me.
Fortunatamente abbiamo solo un quarto d’ora di ritardo.
“Parcheggia tu, Sam, io devo correre o il capo mi
ammazza”
Altro problema: il parcheggio. Se c’era un traffico bestiale
prima, ci sarebbe stato un briciolo di strada libera per infilare una
macchina adatta alle dimensioni ridotte della nana? Ovviamente no.
Ogni centimetro, ogni millimetro è occupato, alcune macchine
sono addirittura parcheggiate in seconda fila. Ma dove sono andate a
finire l’educazione e il rispetto delle regole? Forse sono
ancora in fila nell’ora S.U.C.A. Spero che sia
così, almeno. Dopo aver vagato per l’intero
quartiere riesco finalmente a parcheggiare la minuscola Smart di Lu.
Pensa se avessi guidato un SUV, assolutamente impensabile.
Entro nella sede e in portineria mia saluta una sorridente Antonietta
che mi dice, con voce ad un’ottava sopra, : “Sam,
hai visto chi è arrivato? Il nuovo direttore editoriale.
È bellissimo, un vero Alain Delon. Non l’hai
ancora conosciuto?” Antonietta è una donna sulla
sessantina, dolcissima, con una passione smodata per i film americani
anni Sessanta e Settanta. Inguaribile romantica, credo che riversi nei
film e nei loro protagonisti i suoi sogni amorosi che, purtroppo, non
è riuscita a realizzare. Il pomeriggio, quando il lavoro
è meno febbrile, la troviamo in portineria a guardare su
Rete4 quei film statunitensi. Film in mano e sorriso malinconico sulle
labbra. Ogni tanto io e la nana la invitiamo da noi perché,
da persone solo, possiamo capire cosa si provi. Antonietta è
non è sposata e non ha parenti, è figlia di
emigranti del sud. Sola, ma con un grande cuore.
Ma come fanno le
segretarie con gli occhiali a farsi sposare dagli avvocati?
Come Venditti, me lo domando anch’io e, soprattutto, mi
domando perchè le persone più buone e dolci di
questo mondo debbano sempre prenderla in quel posto. Forse la risposta
è già nella domanda: sono buone e questo comporta
molti bocconi amari da mandar giù.
“Non l’ho visto, Antonietta. Ti dirò
dopo se è intelligente quanto è bello”
Prendo l’ascensore che sembra procedere troppo lentamente.
Provo un misto di curiosità ed odio verso di lui. Spero che
sia un ignorante pedante dotato solo di bellezza. Ma se così
non fosse? Risposta ovvia: dovrei odiarlo solo per il fatto che esiste.
Al decimo piano, le porte dell’ascensore si aprono. Fuori, la
desolazione più totale. Mancano le piante di cactus
e i rovi per dare vita ad un’ambientazione
desertica da film western. Generalmente quella è
l’inquadratura che precede lo scontro finale. Bene, sono
pronta al mio scontro.
Sicuramente sono tutti dal capo, quel grandissimo figlio
di…Sam, devi calmarti altrimenti ti aumenterà la
pressione, affluirà più sangue al cervello e
sarai in grado di entrare nel suo ufficio e scaraventargli quante
più imprecazioni possibili in modalità
“scaricatore di porto”. Sei una donna, e, in quanto
tale, devi comportarti con stile e nonchalance. E poi ti serve il tuo
lavoro. Se ti sbattessero fuori di qui, dove ne troveresti un altro?
Calma e sangue freddo e, soprattutto, lingua tre i denti.
Mentre ripeto dentro di me questo mucchio colossale di boiate, respiro
come una donna con le contrazioni. Dovrebbe farmi sentire meglio? Non
molto in effetti, ma almeno posso pensare di aver fatto tutto il
possibile in caso di mia sfuriata.
Entro nello studio velocemente cercando di fare il meno rumore
possibile.
“Buongiorno scusate il ritardo, ma c’era un
traffico bestiale e Oh, Cazzo!” porto immediatamente la mano
alla bocca dopo la mia espressione colorita, molto colorita, troppo
colorita. Ma che, paragonata al mio stupore, è il
più gentile dei complimenti.
Siamo due milioni di abitanti a Milano. Quante possibilità
ci sono di incontrare la stessa persona due giorni di seguito? Una su
due milioni, ovvio. Quindi, o la sfiga mi perseguita, o ho le
allucinazioni, oppure ho centrato quell’uno su due milioni. E
che palle, avrei preferito una vittoria al superenalotto.
Possibilità per possibilità, con un bel sei me ne
sarei andata ai Caraibi e mi sarei fatta coccolare da un aitante
giovanotto. Aitante e prestante.
E invece no! Sfiga vuole che dinanzi a me ci sia Daniele Costa, proprio
quel Daniele Costa con cui mi sono comportata da vaginacefala ieri
sera. Per la miseria!
“Daniele, ti presento il nostro revisore più
pittoresco, Samanta Dolce” lui mi guarda con un sorriso da
schiaffi. Faccio buon viso a cattivo gioco e mi avvicino a stringergli
la mano.
“Beh, più che Dolce, dovrebbe chiamarsi Piccante,
allora” Sai dove te lo metto il peperoncino, bastardo?
“Ma certo, signore, sarò la sua salsa
messicana” quella piccantissima, che spero renda il bagno la
stanza della casa più frequentata da te.
De Santis diventa paonazzo. Forse ho un po’ esagerato, ma
sinceramente, avrei potuto essere molto più volgare. In
questo modo ho mantenuto una certa dignità.
Daniele fa per aprire bocca, ma la richiude immediatamente. In effetti,
non è il caso di parlare in questo modo davanti a tante
persone.
Mi scosto da lui e vado da Luciana che mi osserva con gli occhi
sgranati e una faccia impagabile. Credo che, se potesse, mi
staccherebbe la testa a morsi. Il problema è che, neppur
saltando, arriverebbe al mio collo.
“Ma ti ha dato di volta il cervello?”
“Lascia perdere, Luciana, non è proprio il momento
più adatto per farmi una ramanzina. Me la farai quando
sarò calma. Adesso ti risponderei nella maniera peggiore che
conosco” stringo i pugni sul manico della borsa, ma quello
che vorrei fare è scappare immediatamente da qui dentro. E
questo non per aver fatto una figuraccia oggi, per essermene uscita con
quell’esclamazione senza dubbio infelice. Mi vergogno per il
mio comportamento di ieri sera, per essermi comportata da vera e
propria oca. Non posso crollare solo quando uno si mette a fare il
simpaticone con me e a sbattere le ciglia. Quella è una
prerogativa dei maschi. E, chiamami Sam , lo preferisco. L’ho
sempre detto che l’aria degli ospedali è stagnante
e ti fa ammalare. Sicuramente ho inavvertitamente inalato qualcosa che
mi ha fatto parlare così. E poi, c’è
bisogno di ricordare quel bacio? Stupida, stupida, stupida. Avrei
dovuto pensarci due volte: gli uomini sono un’eterna
delusione. Sempre. Perché questo ectoplasma che si trova di
fronte a me e mi scruta tra il critico e l’ironico non mi ha
detto ieri di essere il mio capo? Ci teneva così
tanto a farmi fare la figura della deficiente? Spiacente, mi distruggo
con le mie stesse mani senza l’aiuto di qualcun’
altro.
“Bene, dopo avervi conosciuto, credo che sia il momento di
presentarmi. Sono Daniele Costa, come sapete tutti – quale
congiunzione astrale ha permesso a tutti di conoscere il tuo nome? Ah,
già, sei stato tu stesso a presentarti. E allora
perché sottolineare una cosa già ovvia? Brutto
pallone gonfiato. – Ho trent’anni e lavoro nel
campo dell’editoria da sei anni, quasi. Vi chiederete come
mai abbia ottenuto questo posto. – caro, sappiamo
già come tu abbia ottenuto il posto: o sesso, o soldi, non
c’è via di scampo. Entrambe le cose sono alla base
di ogni società civile, dovresti saperlo. – dopo
aver lavorato tre anni in una piccola casa editrice romana, ho vinto un
concorso per la Penguin Books e ho lavorato lì per tre anni.
Poi ho letto l’annuncio del caro Claudio per un posto come
direttore editoriale dell’Agape ed eccomi qui.”
Ecco, questo non lo avrei mai sospettato. Ha lavorato in una delle
più grandi case editrici britanniche, sfido io che abbia
ottenuto questo posto. No, Samanta, non lo puoi giustificare appena
apre bocca, devi essere salda e coerente rispetto alle tue posizioni e
ai tuoi giudizi sulle persone: e lui è uno stronzo, nulla
può cambiare questa verità contingente.
“Ora, tanto per mettere le cose in chiaro, ci sono un paio di
questioni di cui vorrei parlarvi – ecco, finalmente, lui che
scende dall’alto pirica a istruire noi poveri mortali.
Illuminaci, oh sommo! – sapete bene che Agape è
una media casa editrice, ma in procinto di diventare molto competitiva.
Negli ultimi anni abbiamo fatto numerosi passi in avanti,
allontanandoci dal campo che era a noi più congeniale,
ovvero quello della saggistica. È sicuramente un ambito
importante per la ricerca, ma troppo circoscritto per poter permettere
ad una casa editrice come la nostra di sfondare – ma sentilo,
è qui da cinque minuti e parla già come se fosse
lui il fautore di tutto il successo ottenuto e non noi con il
sudore che abbiamo sboccato in tanti anni per arrivare dove siamo. Ti
odio, Daniele Costa! – Ci siamo rivolti alla narrativa e
questa è stata la carta vincente e l’ex direttore
editoriale è stato, in questo, molto lungimirante. Ma
bisogna puntare ancora più in alto. Dobbiamo tentare di
pubblicare non solo narrativa impegnata, ma anche qualcosa di
più leggero che possa coinvolgere un pubblico quanto
più vasto possibile. – se ha intenzione di
pubblicare Moccia, lo so, è il mio incubo ricorrente, si
sbaglia di grosso. Sono pronta a spaccargli il setto nasale di netto, e
non basterò una capatina all’ospedale per
rimediare, oppure a conficcargli un peperoncino calabrese lì
dove non batte il sole e, magari, vedendo le sue chiappe, potrei anche
tirarmi su di morale – punto secondo: sapete bene che la
puntualità nel nostro lavoro è tutto. Gli
scrittori sono tenuti a rispettare le consegne, così pure
noi. Pretendo perciò che come nelle grandi, così
anche nelle piccole cose siate puntuali. A cominciare da domani, non
ammetto ritardi di nessun genere. Che siano dettati dal traffico o da
un meteorite che si è inspiegabilmente abbattuto sulla
vostra casa o dai gatti malati –mi lancia
un’occhiata in tralice, la frecciatina è rivolta a
me? I miei gatti sono sanissimi e li amo, idiota – non mi
importa. Alle nove voi dovete essere tutti qui. Ci siamo capiti,
signorina Dolce?”
“Perfettamente, direttore editoriale” meglio
assumere un tono distaccato.
“Potete chiamarmi Dan, se non si instaura un rapporto di
collaborazione e fiducia, non si può lavorare
bene” Dan, ha chiesto di chiamarlo Dan. Ieri sera non lo ha
fatto, mi ha soltanto preso in giro.
“Scusate” esco rapidamente dalla stanza gremita per
correre verso il bagno. Nessuno può vedermi piangere,
soprattutto non quando piango per la mia imbecillità.
Perché a nessuno devo imputare qualche colpa, solo a me.
“Sam, tutto bene?” Luciana entra silenziosamente
nel bagno. Nemmeno una traccia della rabbia di poco fa, solo tanta
preoccupazione.
“Sono stata così stupida!” batto il
pugno sulla ceramica del lavandino e impreco sottovoce.
“Che è successo? Dimmi che hai” mi porge
un fazzolettino di carta.
“Dan è..Dan è il ragazzo che ho baciato
ieri” la nana mi osserva dubbiosa e scoppia a ridere, mentre
io continuo a piangere. Una vera e propria tragicommedia.
“Lu, non mi aiuti così!” sbotto.
“Scusami, Sam, ma è così strano. Non
volevo ferirti” mi si avvicina e mi lascia un bacio leggero
sulla guancia. E questo gesto, per me, vale più di mille
parole.
“Non preoccuparti. In effetti, fa ridere. Certo non quando
capita a te personalmente, ma potrebbe essere la trama di un romanzo:
La vita tragicomica di Samanta Dolce e, come sottotitolo, Come sfidare
le statistiche e batterle. Direi che le statistiche d’ora in
avanti mi faranno un baffo.”
“E che palle, ma vuoi sempre stare sempre al centro
dell’attenzione tu? Io direi di scrivere un libro intitolato:
La nana e la vatussa e, sottotitolo, Come le persone piccole possano
essere dotate di un cervello superiore a quelle alte.” Il suo
sorriso si spalanca a tal punto che temo avrà presto uno
spostamento della mandibola.
“E tu avresti un cervello superiore al mio? Ma,
andiamo”
“Rammenti, Mignolo e il Prof. Io sono il Prof e ti ricordo
che tu sei una donna in carriere bella e affascinante che non deve in
alcun modo lasciarsi intimorire da un uomo, solo perché ti
ha baciato il giorno prima. Su, esci fuori e stendilo con il tuo charme
da fruttivendolo al mercato.”
Ha ragione: non posso lasciarmi trascinare da una cosa che non conta
nulla. Lui è solo il mio capo raccomandato che io
odierò fino alla fine dei miei giorni, che non è
per nulla affascinante, che ha la pelle flaccida e le pustole
sicuramente sul sedere e la lingua bruciata perché suo
padre, ogni volta che il figlio diceva una cazzata, gliela lavava col
sapone. Purtroppo Daniele è un po’ duro di
comprendonio e trent’anni di sapone non sono bastati, per
farlo smettere di sparare cazzate. Che disgrazia avere un figlio
così. Mi sa che l’unica a dover essere sottoposta
al lavaggio della lingua dovrei essere io, ma continuo a naufragare in
questo mare di bugie e ciò mi rende felice. Meglio mentire a
se stessi piuttosto che accettare la realtà.
Rientro, dopo aver asciugato le ultime lacrime, nello studio di De
Sanctis e lo trovo lì, proprio come lo avevo lasciato:
sguardo fiero, occhi fissi sui suoi interlocutori, appoggiato alla
scrivania, sguardo imperturbabile. Posso mentire pure a me stessa sulla
raccomandazione, ma la mia vista non mi può ingannare:
Daniele è uno degli uomini più affascinanti che
io abbia conosciuto. E quando lo vedo scrutarmi curioso, vado a fuoco.
Dannazione, non posso arrossire. L’ultima volta è
stata quando la nana, per farmi un dispetto, mi ha chiuso fuori dalla
stanza dell’albergo con solo la biancheria addosso. E, a
pensarci bene, con lui che mi osserva mi sento proprio così:
nuda, esposta, vulnerabile, come se riuscisse con i suoi occhi a
leggermi dentro. Sam, hai letto troppi libri romantici e stucchevoli,
non puoi farti influenzare in questo modo. Quest’ incantamento può
avvenire solo nella letteratura. Abbasso, perciò, lo sguardo
e mi sgancio dal suo. Libera finalmente di essere nuovamente me stessa.
“Come stavo dicendo poco fa, ho deciso di avere
un’assistente con me. Non una segretaria, ovviamente, ma una
persona fidata che possa collaborare con me nella scelta dei libri da
pubblicare. Sono dell’avviso che in due si lavori meglio che
da soli. –sicuro, magari lei sotto e lui sopra, vero?- I
libri, quando devono essere pubblicati, non possono essere valutati
soggettivamente. Più opinioni sono fondamentali per poter
comprendere a pieno un libro e decidere se mandarlo nel Cimitero dei libri dimenticati
o se portarlo alla stampa. Noi abbiamo in mano una fetta cospicua della
cultura del Paese e non possiamo essere negligenti nel nostro lavoro,
perché, magari, anche solo con una scelta giusta, corretta,
possiamo aprire la mente a molti. E non è questa, oltre alla
finalità meramente economica di una casa editrice, il vero
fine di un libro? – oh, perché devo essere
dannatamente d’accordo con te? Perché devi dire
delle cose così assurdamente giuste? Io ti odio - Quindi,
tornando a noi, nelle prossime settimane, guarderò il vostro
operato e sceglierò il mio collaboratore. Per oggi credo che
sia tutto. Vi ringrazio molto della vostra accoglienza calorosa e, in
alcuni casi anche pittoresca, - i suoi occhi si posano su di me mentre
delle risatine si propagano per la stanza – che mi avete
riservato. Buon lavoro a tutti” in silenzio, solo
io almeno, vado nel mio ufficio anche se, prima di chiudere la porta,
posso notare un sorriso canzonatorio che compare sulle sue labbra.
Le ore successive trascorrono con un’alternanza di pensieri,
che passano da quelli lavorativi a quelli che gravitano intorno a lui,
Dan, anzi no, Daniele. Meglio mantenere un certo distacco.
E’ bello.
E’ stronzo.
Qui ci andrebbe una virgola, renderebbe il discorso più
fluido.
Perché mi ha mentito?
Mi ha baciato. E che bacio!
Voleva usarmi.
Questo participio cozza con la struttura della frase. Meglio
esplicitare il verbo.
E’ stato uno dei migliori baci che io abbia ricevuto. Forse
perché è passato così tanto tempo
dall’ultima volta che ho baciato un ragazzo.
È stato così affascinante stamattina,
così sagace, spiritoso.
E’ un bastardo, mi ha solo usata. Ieri sera voleva solo
divertirsi e magari farmi fare una figura da cretina oggi.
C’è riuscito.
Qui c’è un anacoluto mostruoso. Ma nessuno gli ha
insegnato che soggetto e verbo devono concordare?
“Posso disturbare?” senza bussare, Daniele entra
nel mio studio.
“Sebbene tu sia il capo e quindi, anche la mia sedia sia tua,
gradirei che la prossima volta bussassi”
Avanza velocemente verso di me e si siede al di qua della scrivania.
“Fa parte della mia ricerca del collaboratore perfetto. Devo
vederlo nel suo habitat naturale e senza che sia osservato. In caso
contrario potrebbe essere sottoposto alla cosiddetta ansia da
prestazione. E non è una cosa buona, vero?”
“L’ansia da prestazione non è mai una
cosa buona, soprattutto se è quella di un uomo che ha
qualcosa da nascondere”
“Quindi mi stai dicendo che io soffrirei di ansia da
prestazione?” si avvicina pericolosamente a me, i gomiti
poggiati sulla scrivania e il volto proteso verso di me.
“Stiamo..stiamo parlando di una situazione generica.
Tuttavia, credo che tu abbia la coda di paglia per cui, sì,
soffri di ansia da prestazione.”
“Ansia di cosa?”
“Di sentirti dire in faccia un sonoro
‘Vaffanculo’. Ma non lo riceverai,
perché sono una ragazza educata”
“Sì, ti ci vedo proprio nelle vesti di femme
fatale.” Sghignazza divertito. Ma tu guarda che razza di,
bah, non riesco nemmeno a trovare un termine adatto.
“Io non ho parlato di femme fatale”
“No, ma è come vorrei vederti
io” rimango per qualche secondo immobile, senza
sapere cosa dire. Dannazione, perché ha un potere
così forte su di me? Perché riesce sempre a
spiazzarmi con queste frasi uscite quasi da nulla? Non posso continuare
così, lui è il mio capo, per la miseria.
“Non mi vedrai mai nelle vesti di femme fatale, proprio
perché io sono e sarò solo ed esclusivamente uno
dei revisori di bozze della tua casa editrice. Te l’ho detto,
sono dolce solo con chi se lo merita e, detto francamente, dopo ieri
sera, le possibilità che tu mi veda per quella che sono
realmente sono piuttosto scarse. Diciamo che quando ti sarai
prostrato ai miei piedi per chiedermi scusa sulla Torre
Eiffel ad agosto mentre nevica, beh, allora potrei mostrarti quella che
sono veramente. Quindi, se hai qualcosa da dirmi inerente al lavoro,
sono tutta orecchi, se, invece, hai intenzione di parlarmi di ieri
sera, puoi benissimo uscire da quella porta e an…”
“Sei bellissima quando sei infervorata” e, detto
questo, si alza e mi lascia da sola. Rimango a fissare la porta chiusa
davanti a me per oltre cinque minuti, sempre più turbata dal
suo comportamento, con le guance in fiamme e il battito del cuore
accelerato. Non si è mai dimostrato intimidito o preoccupato
dalle mie parole, o dai miei gesti. Nulla, imperturbabile. Credo che a
determinare la sua reazione sia stata più che altro quella
muta mentale che creano le persone quando non vogliono ascoltarti, un
rivestimento che ti tappa le orecchie, oppure impedisce al cervello di
comprendere ciò che l’interlocutore dice. Le
persone ridono, fanno finta di ascoltare quello che dici e invece
pensano se hanno dato da mangiare al cane. Mi alzo perciò e
corro nel suo ufficio, anch’io senza bussare.
“Stavo parlando seriamente! E mi irrita il fatto che tu non
abbia ascoltato una sola parola di quello che ho detto”
“Primo: chiudi la porta. Secondo: ho ascoltato tutto quello
che mi hai detto. Terzo: anche se ho ascoltato non vuol dire che sia
d’accordo con te” mi parla senza quasi alzare lo
sguardo dal suo computer. Come se fosse distratto.
Mi siedo di fronte a lui: “Guardami”
“Perché dovrei farlo?”
“Perché te lo sto chiedendo” e
finalmente si volta. Incrocio il suo sguardo e abbasso gli occhi.
Stupida, stupida idea.
“Cioè, fammi capire: tu vuoi che io non pensi a
ieri sera, che non pensi al bacio che ci siamo dati, che non pensi a te
come a una bella donna, eppure mi imponi di guardarti. Hai elaborato un
nuovo tipo di tortura psicologica?”
“Se io ti parlo, è buona educazione guardare
l’interlocutore”
“ E allora perché non mi guardi?” ottima
osservazione, colpita e affondata. Faccio forza su me stessa per
rispondere alla sua provocazione. Alzo gli occhi e quello che trovo
è invece, di nuovo, la sua bocca. Di nuovo incollata alla
mia, di nuovo modellata alla mia. La sua lingua traccia i contorni
delle mie labbra, mentre io vengo travolta nuovamente dalle stesse
sensazioni. Ma non può andare a finire così, non
di nuovo. Porto le mani sul suo petto e lo spingo lontano da me.
“No”
“Dimmi che non fai che pensarci anche tu da ieri sera, dimmi
che le nostre bocche non sono fatte per stare insieme” la sua
voce è roca, i suoi occhi bruciano di una brama che non ho
visto nemmeno ieri sera.
“Io so soltanto che ci conosciamo da meno di un giorno, so
soltanto che sei il mio capo, che ieri sera mi hai mentito. So soltanto
che ho rinunciato agli uomini tanto tempo fa, so soltanto che tu non
fai che convalidare la mia tesi: voi maschi pensate sempre a una
cosa”
“E tra tutte queste cose non hai capito la cosa
fondamentale” ribatte secco.
“E quale sarebbe?”
“Tu non sai me, tu non hai capito me e quanto sia attratto da
te, e non solo in senso fisico”
“Daniele, l’attrazione che nasce tra due persone
è innanzitutto fisica, almeno all’inizio della
conoscenza tra due persone e noi ci conosciamo da nemmeno un
giorno.” Sbuffo esasperata. Ma è possibile che sia
così infantile?
“ Stai solo cercando di convincere te stessa di non essere
attratta da me” è inutile mentire con lui. Sono
davvero negata. Meglio optare per la verità.
“Anche se fosse, ti ho detto che non intraprenderei mai una
conoscenza con te per due motivi fondamentali: sei il mio capo e sei un
uomo”
“Beh, il secondo motivo non è un problema, a meno
che tu non sia lesbica, ma non mi pare il tuo caso.” Si
avvicina ancora a me. Lei sue mani sono poggiate sui braccioli della
sedie. Sono incastrata tra lui e la sedia. Non va bene, non va affatto
bene.
“Daniele, non sempre quando una donna dice
‘no’ intende ‘sì’.
Non ho nessuna intenzione di frequentarti, né, tantomeno, di
permetterti di baciarmi ogni volta che ne senti la
necessità. Io non voglio”
“Come non volevi ieri, vero?”
“Esattamente!”
“ E non lo volevi nemmeno oggi?” si alza ed
è in piedi di fronte a me.
“Assolutamente no” non posso lasciarmi
sottomettere. Mi alzo anch’io e, grazie alla mia statura da
vatussa, mi trovo quasi alla sua altezza.
“Ed è stato solo un errore, vero?”
“Certo”
“Beh, Sam, siamo uomini ed è nella
nostra natura sbagliare. E non sai com’è bello
sbagliare e poi pentirsi, sbagliare e pentirsi
ancora” e detto questo, mi bacia. Di nuovo. Al diavolo tutto!
Mi avvento sulle sue labbra che si schiudono al passaggio della mia
lingua. la sua compie dei movimenti circolari intorno alla mia mentre
mi mordicchia il labbro inferiore. Le sue mani si arpionano ai miei
fianchi mentre la mia mano si poggia sul petto della sua giacca. Ma un
gemito da parte sue mi ridesta. Che cazzo sto facendo? Non posso, non
posso e non voglio. È il mio capo, il capo affascinante, ok,
ma sempre il mio capo. Pensa a Davide, Sam, pensa a lui e a quanto ti
ha fatto soffrire. Non vale la pena riprovare di nuovo quelle
sensazioni. Il gioco non vale la candela. La campanella
d’allarme finalmente suona nella mia testa. Meglio evacuare
la zona e uscire il più velocemente possibile dalle porte
d’emergenza.
Mi stacco da lui ansante e lo guardo nella maniera più truce
possibile.
“Certo, gli uomini sono fatti per sbagliare, ma sono fatti
anche per capire anche i proprio errori e non commetterli
più. E tu sei un errore, senza dubbio. L’ho capito
e non torno indietro.”
“Non pensare che sia servito solo a te questo bacio”
“Ah, davvero? E cosa ti avrebbe fatto capire? Che non sono
disposta a cadere ai tuo piedi? Che sono una persona seria nei
confronti del lavoro? Che non sono attratta da te?”
“Oh, al contrario Sam, tu sei molto attratta da me. Ho capito
che devo giocarmi tutte le mie carte per conquistarti. E sono pronto a
giocarmele tutte”
“Ma certo! E’ un gioco per te, vero? Uno
stramaledettissimo gioco? –alzo troppo il tono della voce e
immediatamente lo abbasso per paura che qualcuno possa sentirci
- Vaffanculo, Daniele. Tu sarai pure in gamba come
capo, ma sei anche uno stronzo arrivista come persona. E io voglio
avere a che fare solo con la tua metà lavorativa.
Perché, per il resto, ti odio!” Vado verso la
porta e la apro.
“E’ questa la sola parte di me che vuoi? Bene,
perché non sai quanto io possa essere stronzo come capo,
Sam” lo sguardo che mi lancia adesso non è
più divertito, scanzonato o eccitato, appare solo fastidio
dai suoi occhi.
“Samanta, il mio nome è Samanta!”
Bene, bene, bene.
Innanzitutto, scusate il
ritardo. Come ho detto ad alcune persone a cui ho risposto mi si
è rotto il pc e sfrutto quello di mio fratello. Inoltre, sto
preparando cinque esami, per cui, capite bene che la situazione
è abbastanza incasinata.
Vorrei ringraziarvi
però per la pazienza con cui aspettate i miei aggiornamenti,
siete dei tesori.
Passando a cose serie,
finalmente i vostri dubbi sono stati fugati. Dan è il
fantomatico direttore editoriale che darà sicuramente filo
da torcere a Sam. Purtroppo, si è bruciata con le sue stesse
manine e ne pagherà le conseguenze.
In questo capitolo ci
sono un po' di citazioni, tutta colpa di Mirya che mi influenza.
Il termine
“Cazzone avariato” è ripreso dal film Nottingh Hill, in particolare dal personaggio
mitico di Spike che io adoro incondizionatamente.
La canzone di Venditti
è “Notte prima degli esami”
“Incantamento”
è un termine ripreso dal sonetto di Dante (ve l’ho
detto: Mirya mi influenza) Guido i'
vorrei che tu Lapo ed io.
"Cimitero dei libri
dimenticati" è un omaggio all’ultimo romanzo
letto: L’ombra
del vento di
Zafòn. Consigliato vivamente a tutti.
Credo che sia tutto. Un
ringraziamento speciale a Mirya, è grazie a lei se in tante
mi seguite. Un augurio particolare a Paula.
Vi ricordo i miei
contatti:
Twitter: @congy_
Facebook : Federica
Congedo
Gruppo
su facebook per avere anticipazioni e spoiler : E Gea
tes Congis
Un bacio
Federica
PS: Mi raccontate la vostra ultima figuraccia? Sono molto curiosa :)
|
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Capitolo 5 *** Questioni di pene ***
Dedico
questo capitolo ad una
persona importante che sta attraversando un momento difficilissimo.
Francesca,
spero di strapparti un
sorriso. Ti voglio bene.
Capitolo
4
Questioni
di pene
Il
mese più orribile della mia vita
è appena trascorso. E quando parlo di
“più orribile” non uso un eufemismo o
non
cado nel melodrammatico. È l’assoluta
verità.
Da
una parte credo essermela
meritata. Parlo
troppo, parlo spesso,
parlo senza pensare. Che bel connubio. Un connubio che mi
porterà ad una crisi
di nervi.
Daniele
ha mantenuto la promessa,
fatta più a se stesso che a me in prima persona: mi voleva
dimostrare di essere
stronzo come capo e non solo come persona. Bene,
c’è perfettamente riuscito.
Dopotutto
gliel’ho chiesto io. Quasi.
La
nana non mi ha parlato per una
settimana dopo averle detto il pasticcio che avevo combinato. E alla
fine della
settimana di punizione –non scontabile nemmeno con una
vaschetta del suo gelato
preferito -, mi ha fatto trovare, attaccato sul muro della mia camera
un
cartellone con la regola delle dieci “P” : Prima
pensa, poi parla, perché
parole poco pensate portano pene. L’ultima parola era
sottolineata e tra
parentesi c’era scritto: “Dove
‘pene’ non è quello che vorresti
prendere tu!”.
L’ho guardata malissimo anche perché mi ha tolto
la battuta di bocca. Ormai
sono prevedibile per lei.
E,
al lavoro, la stessa cosa. Il
desktop del mio pc è occupato dalle stesse parole solo che,
al posto di ‘pene’,
ha inserito ‘problemi’. Perché?
Perché altrimenti avrei pensato solo al
‘pene’
del mio capo e non sarebbe stato costruttivo per me. Che baggianate!
Il
grande capo non mi parla più. O
meglio: per parlare parla, ma esclusivamente di lavoro. Lo fa per
innervosirmi,
è ovvio. Ma non dovrei innervosirmi perché io lo
odio e gli ho giurato odio
eterno, giusto? Gliel’ho
chiesto io,
quindi tecnicamente si comporta bene. Praticamente vorrei che si
sbottonasse un
po’ con me. E non mi riferisco ai pantaloni, anche se la nana
afferma che sono
talmente attratta da lui che se lo vedessi soltanto con un bottone
spuntato lo
violenterei sulla scrivania all’istante. Dannata scrivania,
non riuscirò più a
vederla con gli stessi occhi.
Ma
non solo si limita a non
parlarmi e a logorare in questo caso i miei nervi, ma mi ha costretta a
lavorare
con lui nello stesso ufficio. Come è stato possibile?
Semplice: mi ha nominato
sua assistente. Non so se lo abbia fatto perché mi ritiene
in gamba o perché
vuole sottolineare il suo essere maschio dominante, ma lo ha fatto. Gli
concedo, solo in questo caso, il beneficio del dubbio.
La
giornata forse più drammatica è
stata proprio quando ha comunicato la lieta novella: quella
cioè della mia
pseudo-promozione.
“Ho
analizzato tutto il vostro operato in questi giorni e sono davvero
molto
soddisfatto. Ci sono molte persone in gamba e non posso che essere
totalmente
fiducioso nella possibilità di una collaborazione
assolutamente proficua.
Tuttavia, come vi avevo accennato, ho bisogno di un assistente e
collaboratore
di fiducia che mi assista e ho scelto Samanta Dolce.”
“Samanta
io?” non volevo crederci. Non potevo campare tutti i minuti
di tutte le ore di
tutti i giorni a stretto contatto con lui. Ti odio, Daniele Costa!
“Non
credo che ci siano altre Samanta qui tra noi. Ti voglio collocata nel
mio
ufficio tra un quarto d’ora. Ti ho fatto preparare la
scrivania nel mio
studio.” Collocata? Non sono un oggetto. Questi furono i miei
primi pensieri in
quel momento.
“Potete
andare!”ognuno se ne andò e mi lascò
sola con lui.
“Perché
lo hai fatto? Io nno volevo”
“Che
tu ci creda o no, sei la migliore qui dentro. Ed è per
questo che esigerò ogni
goccia del tuo sudore, ogni tratto della tua penna, ogni respiro che
uscirà
dalla tua bocca – e, solo in quel momento, pensai davvero di
adoperare la
scrivania per scopi illeciti. Era così sensuale. La sua voce
poi, mi sarebbe
venuto un infarto – dovrai sboccare il cosiddetto veleno qua,
perché da me non
avrai tregua” Le sue labbra si erano piegate in una smorfia
soddisfatta. Forse
voleva ottenere le mie scuse con il suo charme, ma se
c’è una cosa di cui sono
dotata è la perseveranza. O la testardaggine, che dir si
voglia.
“Vai
a prendere le tue cose: quindici minuti e ti voglio qui. Non tollero
ritardi”.
Non che avessi avuto molto da prendere, ma tra scartoffie varie, il mio
pc e i
miei quadri ci avrei messo un po’ di più.
Cominciai a eseguire gli ordini del
grande capo con rammarico, dopotutto quello studio mi era sempre
piaciuto. Dava
su un parco pubblico ed era piuttosto rilassante da osservare.
Purtroppo le
cose stavano cambiando. E non in meglio.
Entrare
nel suo ufficio fu piuttosto complicato. Ero sommersa dalla mia roba e
in quel
momento nessuna anima pia passava per potermi dare una mano. Bussai
perciò con
i piedi, ma non mi aprì.
“Daniele,
potresti aprire, per favore?”
“Sto
lavorando. Non disturbare”
“Daniele,
per favore. Daniele!” lo supplicai. Ma guarda te che mi
toccava fare.
Alla
fine, però, aprì.
“Grazie
molte” sibilai tra i denti.
“Era
un esperimento.”
“Tu
e i tuoi dannati esperimenti” bisbigliai sottovoce. Ma mi
sentì.
“Volevo
capire quanto avresti impiegato a supplicare e quanto fossi portata con
la
logica.”
“Non
sto capendo, perdona la mia stupidità”
“Se
tu avessi un benché minimo senso logico, avresti posato a
terra qualcosa e
avresti aperto la porta. Invece no! Ti sei abbassata a supplicare di
aprirti la
porta senza cercare una soluzione adeguata al tuo problema. Sei troppo
comoda e
lenta, Samanta. E questo non va bene”
E
quello è stato solo il primo di
una serie di attacchi, premeditati senza ombra di dubbio, nei miei
confronti.
Ho voluto lo stronzo? Bene, ora ho lo stronzo, mentre come rapporto
interpersonale siamo a zero. Un po’ come la mia autostima che
non ha mai
toccato punti così bassi, nemmeno con Davide.
“Cos’è
questo schifo?”
“E’
il primo capitolo corretto
de’ ‘Il Leone e la gazzella’”
esclamai. Mi sembrava piuttosto ovvia come cosa.
“Questo
lo noto da me. Quello
che non comprendo è come mai questa robaccia sia
così poco scorrevole” la
tentazione di scaraventargli addosso una fiumana di imprecazione fu
forte, fino
a quando non pensai alla parola d’ordine di Luciana.
‘Pene’, che non indicava
quello che volevo prendere io.
“Ma
non ci sono errori
grammaticali o di ortografia. Quello è lo stile proprio
dell’autore. Ha sempre
scritto in questo modo. Lo sai anche tu che oggi come oggi lo stile
degli
scrittori non risente dell’italiano standard, né
per quanto concerne la
grammatica, né per i segni di interpunzione”
sbuffai, esasperata.
“Samanta,
non ti ho scelta per
avere delle lezioni di linguistica italiana applicata. Anche Baricco
utilizza
frasi minime, addirittura ridotte ad essere costituite da una sola
parola,
eppure il suo discorso è elegante, fluido. Questo
è una schifezza” lanciò i
foglio contro di me, disgustato. Non dovevo mettermi a piangere, non
dovevo.
Dopotutto, c’erano volute solo tre ore di lavoro.
“Ma
questo è il suo stile.
Stiamo per pubblicare il suo terzo libro, lo conosciamo.” lui
annuì, forse per
cercare qualcosa con cui ribattere. Sorrise, con quel sorriso che mi
costringeva ogni volta a trattenermi, o dall’impulso di
saltargli addosso, o da
quello di prenderlo a schiaffi.
“E,
dimmi, Samanta, quante copie
abbiamo venduto del suo ultimo romanzo?” abbassai la testa.
Mi sentii
un’incompetente.
“Meno
di cinquantamila.”
“Bene,
allora si fa come dico
io. Ti devi sforzare a modificare questo testo per renderlo scorrevole.
Deve
scivolare via come se galleggiasse sull’acqua. Deve essere
etereo e impalpabile.
Il romanzo ne trarrà profitto sicuramente perchè
la trama è davvero grandiosa.”
“Mi
stai chiedendo
l’impossibile, e tu lo sai. E’ come chiedere ad uno
scalpellino di smussare gli
angoli delle sculture di Michelangelo”
“Per
carità, è un paragone
assurdo. Senesi non è il Michelangelo della scrittura. Non
sono io che sono
esigente, Samanta: ti sto solo chiedendo di fare quello che farebbe
ogni
sensato revisore di bozze. Le cose sono due in questo caso: o tu non
sei in
grado di revisionare un testo, oppure ti fai trascinare troppo dai
gusti
personali. In entrambi i casi non stai facendo bene il tuo
lavoro.”Altra
martellata sull’unghia del piede. Unghia del piede incarnita.
Ma
non è terminata qui.
“Samanta,
devi farmi una
valutazione in termini economici di Ciani” Ciani era il
nostro ultimo acquisto.
Uno scrittore emergente che aveva ottenuto immediatamente le nostre
simpatie.
Era brillante, con uno stile fluido e brioso. La trama poi era molto
suggestiva: a metà tra romanzo gotico e il romanzo
d’amore. L’atmosfera cupa
che aleggiava all’interno di quelle pagine ti trasmetteva un
senso di angoscia
che ti impediva di bloccare la lettura. Un libro straordinario.
“Veramente
questo non è compito
mio. È Luciana che gestisce la
contabilità”
“
La devi fare tu: Luciana non è
un revisore di bozze e non può capire se vale davvero la
pena pubblicare un
libro. Proprio perché, come ti ho già detto, il
libro non è una questione
solamente di soldi. Se Ciani è un autore valido, si
può arrivare alla
pubblicazione, anche per poche copie vendute. Ma non mi sporco la
faccia per un
libro trash.”
“Ma…”
“Niente
‘ma’. Siamo una casa
editrice media e non possiamo spendere soldi a vanvera. Quando
sfonderemo,
potremo pubblicare i libri di cani e porci. Ora, fai quella
valutazione”
Il
colmo, però, è stato stanotte.
Perché il grande capo ha deciso di svegliarmi alle due di
notte. Avrebbe potuto
fare altro, anziché pensare al lavoro. Dormire, per esempio.
Anche se, in
effetti, a quell’ora sarebbe potuto essere con una donna.
Stronzo com’è,
anziché farci del buon sano sesso, ha pensato bene di
lavorare. Perché mi sento
scossa a questo pensiero? Non è gelosia, certamente no. Il
mio odio nei suoi
confronti è direttamente proporzionale al suo pene a riposo
e in attivo. Pene,
pene, pene, non quel tipo di pene. Pene è un femminile
plurale, non un maschile
singolare.
“Samanta,
abbiamo sbagliato i
calcoli.”
“Posso…posso
capire a che ti
riferisci? Non è bello essere svegliate a
quest’ora.”
“Il
romanzo di Sabellio non può
essere mandato in stampa martedì prossimo. Ci saranno le
vacanze pasquali in
mezzo e rischieremmo di posticipare la data di pubblicazione. Dobbiamo
mandarlo
in tipografia giovedì”
“Giovedì?
Ma è tra tre giorni. E
io lascio sempre un
margine di tempo per
poter rivedere meglio in caso di errori di battitura o altro.”
“Non
c’è tempo. Domani voglio i
quattro capitoli mancanti sulla mia scrivania. Ci siamo
intesi?”
“Ma
ho sonno. Dividiamoci almeno
il lavoro. Non riuscirò mai a completare tutto per le nove
di doma..di
stamattina”supplicai controllando l’ora
segnata sulla sveglia posata
sul comodino.
“D’accordo.
Tu farai i primi
due, io gli altri. Buon lavoro.” E riagganciò.
Avrebbe dovuto darmi la buona
notte, non augurarmi un buon lavoro. Dannato, dannatissimo e
fottutissimo
lavoro.
“Che
ci fai sveglia a quest’ora?”
la nana, racchiusa nel suo pigiamino viola che sfoggia con tanto
orgoglio,
entra nel soggiorno. Io, morta per il sonno mancato, sto per crollare
sulla
tastiera.
“Mi
ha svegliato alle due e un
quarto per farmi lavorare”
“Chi?”
si dirige verso il piano
cucina e comincia a preparare il nostro amato caffè.
“Daniele.
Quell’uomo mi porterà
alla rovina”
“Può
essere. Oppure ti porterà
all’orgasmo.” Sogghigna soddisfatta.
“Luciana,
ti prego, le battute di
prima mattina, risparmiatele.”
“Veramente
non era una battuta. Sta
cercando di attirare la tua attenzione su di sé”
annuisce convinta.
“Ma
se lo odio”
“Appunto:
se lui si comportasse
come una persona normale, che accetta passivamente le tua ridicola
pretesa di
non provare a frequentarvi, tu lo ignoreresti, non penseresti nemmeno a
lui.
L’odio è un sentimento molto più forte
dell’indifferenza e può portare, credo,
ad avere un orgasmo multiplo.”
“Che
cosa ridicola!” sbuffo, ma non
posso pensare alla possibilità che un po’, giusto
un po’, gli interessi
veramente. Scuoto la testa per scacciare questo pensiero: da dove
proviene
tutto questo compiacimento?
“Gli
uomini sono primitivi e, per
comprenderli, ti devi abbassare al livello di homo erectus. Dove eretto
non è
quello che pensi tu. Bevi, ti farà bene” il
caffè ha sempre avuto il potere di
inebriare i miei sensi e di darmi la carica. Ma questa mattina, proprio
no.
Arrivo
al lavoro totalmente
rimbambita. E questo non sarebbe grave se non lo fossi già
naturalmente di mio.
Sarà un disastro oggi.
“Alla
buon’ora!” il buongiorno si
vede dal mattino. L’unica cosa che mi risolleva sono i suoi
occhi. E le labbra.
Dannato, dannatissimo e fottutissimo lavoro. Dannato, dannatissimo e
fottutissimo Daniele. Perché devi essere così
affascinante?
“Sono
solo cinque minuti di
ritardo. Non farla tanto lunga.”
“Se
fai cinque minuti di ritardo
oggi, cinque domani e cinque dopodomani, alla fine arriverai ad
assentarti dal
lavoro per giorni interi.”
E penso:
pene, pene, pene. Oh, accidenti! Riesco a figurarmi solo una cosa.
Fortunatamente,
proprio nel mio pensare a quel tipo di pene, riesco a non rispondere
male come
vorrei.
“Come
comandi tu, capo. Eccoti i
capitoli.” Gli lancio la chiavetta usb e non mi rivolge
più la parola intento
com’è ad analizzare il romanzo.
“Hai
fatto un buon lavoro” alzo gli
occhi dal pc e lo osservo, basita.
“Dici
a me?”
“Non
c’è nessun altro qui dentro e
le probabilità che io mi stia complimentando da solo sono
piuttosto scarse.”
“Beh,
grazie” non gasarti, Sam, per
favore.
“Che
stai correggendo?”
“Un
capitolo di Ciani”
“Oggi
dovrai fare altro per me.”
Altro? Frena gli ormoni, santo cielo. E’ il tuo capo. Pene,
pene, pene. Sì,
giusto.
“E
cosa?”
“Devi
andare a Firenze”
“Firenze?”
“Sì.
Anni fa ho letto un romanzo
davvero ben scritto di un mio collega
d’università, nonché grande amico,
Carlo
Bianchetti e vorrei che andassi a ritirarlo da lui. Vorrei poterci
andare io,
ma ho una riunione con il consiglio di amministrazione. Ti ho prenotato
il
biglietto di andata e di ritorno e ti ho scaricato il percorso da fare
per
arrivare a casa sua.” Preferivo essere presa sulla scrivania,
veramente. L’idea
di spostarmi non è affatto allettante. Ho un senso
dell’orientamento davvero
orribile e sono già sicura che mi perderò.
“D’accordo,
Daniele”
“Ah,
un’altra cosa: quando avrai
ritirato il manoscritto, vorrei che andassi alla casa editrice
Vallecchi per
ritirare un volume di Giovanni Papini, ‘Le memorie
d’Iddio’. L’ho letto da
giovane, ma purtroppo non è più in vendita presso
nessuna casa editrice e ho
pensato che sarebbe stata una buona cosa rimetterlo in circolazione. Tu
sai chi
era Giovanni Papini, vero?” mi sento punta nel vivo. Posso
essere comoda e
lenta, posso essere trasportata dai libri, posso essere influenzata
dallo stile
dell’autore. Ma se c’è una cosa che non
sono è l’essere incompetente.
“Giovanni
Papini è uno scrittore
futurista, un scrittore eclettico che è noto soprattutto per
la sua attività
giornalistica.”
“Hai
imparato bene la lezione, Samanta.
Puoi andare. E non tornare senza il libro di Papini. Non so se faranno
storie o
meno, ma se lo faranno, voglio che usi tutte le tue arti per
prenderlo” è un invito
più o meno velato a prostituirmi? Maledetto!
“Se
il loro capo è affascinante,
perché no? Oppure potrei usare il mio gancio destro. Mi
hanno detto che è
particolarmente efficace. Tanto da riuscire a mandare un uomo alto e
forte
all’ospedale” e, per la prima volta, dopo quasi un
mese, vedo un sorriso
sorgere spontaneo sulle sue labbra. Poi scompare immediatamente.
“Vai
a fare il tuo lavoro, Samanta”
non c’è una traccia di umorismo nella sua voce.
Capisco di aver sbagliato il
mese scorso, ma mi sembra un tantino esagerato il suo comportamento. E
poi,
anche lui ha preteso troppo da me. Come fai, senza nemmeno conoscermi,
a
baciarmi, a dirmi che sei interessato a me? Non è
così che devono andare le
cose. Certo, se ripenso a Davide che ci ha messo due anni per dirmi che
mi amava,
beh, anche questo non va bene. Ma le mezze misure non esistono
più? La mia voce
interiore dice che nemmeno io sono per le mezze misure, ma la metto a
tacere.
Ho ragione io. Punto.
Controllo
il biglietto del treno e
mi accorgo di essere in ritardo: devo correre immediatamente alla
stazione.
Perché
non esistono i taxi
efficienti come a New York? Lì fischi e dieci taxi si
fermano, soprattutto se
sei una bella donna. O almeno è quello che capita nei film.
Io,
sfortunatamente, non sono mai stata a New York e non sono una bella
donna. Carina,
forse, ma non bella. Inoltre, qui a Milano, il sistema non solo dei
taxi, ma
dei mezzi di trasporto in generale è abbastanza pietoso. Mi
tocca prendere la
metropolitana, sperando che non faccia i soliti tredici minuti di
ritardo. E mi
tocca anche cambiare dalla linea rossa alla gialla. Che giornata!
E
io ho sonno.
Dopo
non so quante imprecazioni,
quanti spintoni visto che è ora di punta, l’ora
del SUCA, dopo un cambio alla
fermata Duomo, e dopo aver ceduto il posto ad una vecchietta che di
dolce aveva
solo il diminutivo visto che non si è degnata nemmeno di
ringraziare, arrivo
alla stazione Centrale. Non prendo il treno da un sacco di tempo, ma la
stazione è mutata. Hanno creato un labirinto di scale mobili
da fare invidia
alle scale di Hogwarts. Giornata lunga, lunghissima.
Per
un soffio riesco a prendere il
treno dopo averlo, per un soffio, obliterato. Il viaggio non dovrebbe
essere
lungo, sulle due ore circa, ma non posso impedire ai miei occhi di
chiudersi.
Oltretutto, non potrei nemmeno lavorare: ho sempre il mal di testa
quando
viaggio. Cerco di rilassarmi, ma l’unica cosa che mi ritorna
alla mente è lui:
Daniele. E per una volta mi concedo il lusso di non pensare al suo
pene, ma
alle mie pene strettamente connesse a lui. Non riesco a capire il suo
comportamento. Si dice che le donne siano quelle indecifrabili, quelle che quando dicono:
“Fai che vuoi!”
intendono dire: “Se non fai come dico io, ti
eviro!”, oppure che esclamano:“Vattene
via!” sottintendono un bel: “Resta con me e
coccolami”, quelle che hanno
cambiamenti d’umore repentini. Tutto questo è
vero. Ma allora, o Daniele è una
donna travestita da uomo, oppure c’è qualcosa che
non va, qualcosa che sfugge a
me, ma che sicuramente fa parte di qualche piano malefico. Vuole
portarmi alla
pazzia? Pochi mesi e mi dovranno rinchiudere. Vuole licenziarmi
perché non
sopporta che mi sia comportata in un modo così scortese con
lui, ma, non
potendolo fare senza un buon motivo, aspetta che sia io ad andarmene?
Anche
questa è una questione risolvibile in pochi mesi. Sono
sull’orlo di una crisi
di nervi. Vuole che io ceda alle sua avances? In questo caso
riuscirò a
resistere. Sono testarda e non mi faccio corrompere così
facilmente. O al
massimo chiederò ad un gigolò di professione di
soddisfarmi in modo da non cadere
nelle braccia del mio capo. La nana ha sempre ragione. Vuole
dimostrarmi che
può essere uno stronzo anche come capo? Credo che ci sia
abbondantemente
riuscito.
La
soluzione mi sfugge, ma la
situazione è sempre uguale per me: sono immersa in un mare
di peni…problemi,
problemi, problemi. Dannata nana.
Senza
pensare ad altro che a
questo, arrivo a Firenze. Ho sempre amato questa città che,
per un motivo o per
un altro, ho soltanto visto in varie foto sui libri di storia
dell’arte. Mai
visitata. Eppure per molti anni è stato il mio sogno nel
cassetto.
Controllo
la cartina che mi ha
gentilmente stampato il mio amato capo e capisco che non
sarà facile arrivare
né dal suo amico scrittore, né alla casa
editrice. Posso provare con i filobus,
ma credo che ci metterò molto tempo. Non mi devo abbattere,
devo dimostrare che
sono in gamba e che posso mantenere il mio posto di lavoro e che non
sono da
meno ad un pallone gonfiato che pensa che tutto il mondo dipenda dalla
sua casa
editrice.
Proprio
quando decido di provare,
nonostante la mia pessima capacità di orientamento, a
prendere un filobus, ecco
spuntare un auto bianca. Un taxi. Allora non esistono solo a New York.
Via
Verdi, 43.
Il
taxi riesce a portarmi a
destinazione in meno di mezz’ora. Spero solo che non mi attenda qualche
sorpresa negativa. Daniele
ha detto che questo Carlo Bianchetti è un suo amico. Gli
avrà parlato di me? Cosa
gli avrà detto? Vuole farmi fare un’ulteriore
figuraccia? Da un mese a questa
parte non faccio altro: una in più o in meno non
farà la differenza. No, non
credo che succederà questo: è un stronzo, ma uno
stronzo che fa bene il suo
lavoro e che, se non si fidasse di me, non mi affiderebbe dei compiti
tanto
importanti. Mi cullo su questa convinzione quando busso alla porta.
Mi
apre un ragazzo, qualche anno
più grande di me, credo, dagli occhi e dai capelli neri.
“Carlo
Bianchetti?”
“Samanta
Dolce?” sorride
amabilmente. È affascinante, certo, ma non quanto Daniele.
Lui ha qualcosa in
più che non so ben spiegare in realtà.
Cos’è?
“Come
sapeva che sarei venuta io?”
“Me
lo ha detto Daniele la
settimana scorsa. Mi ha parlato molto di lei”
“Se
le fa piacere, può darmi del tu”
“Ma
certo, solo se lo fai anche tu.
Entra in casa. È piuttosto fresco oggi, nonostante ci sia il
sole.”
“Quindi,
Daniele ti ha parlato di
me? Avrà parlato male, immagino”un sorriso amaro
si dipinge sulle mie labbra.
“Oh,
tutt’altro, invece. Credo di
non averlo mai visto tanto infervorato per una ragazza”
“Veramente
io sarei la sua
assistente. E voglio sottolineare che non c’è
nessun tipo di relazione tra noi
che non sia di tipo professionale”
“Excusatio
non petita…”
“Accusatio
manifesta. Conosco il
proverbio latino. Ma, in questo caso, ho solo dichiarato un dato di
fatto”
“Può
essere. Io non ti conosco
Samanta, ma conosco Daniele. Sono dodici anni che lo frequento e
abbiamo fatto
insieme tutte le esperienze possibili. Anche quelle meno lecite. E
posso
assicurarti che non l’ho mai visto così
interessato ad una donna. È stato molto
il tipo da sesso senza amore, non so se mi spiego”
“Certo,
capisco perfettamente. Come
vi siete conosciuti?” dire che non ho sentito una scossa al
petto per la
descrizione di Daniele, per il suo “sesso senza
amore”, sarebbe una bugia. Mi
fa male.
“All’università.
Seguivamo alcune
lezioni insieme solo che io studiavo lettere classiche.
C’è stata subito
alchimia tra noi. Non sentimentale, tranquilla, siamo entrambi etero.
Io,
inoltre, sto quasi per sposarmi.”
“Anche
se foste omosessuali, io non
avrei problemi”
“Sì,
come no” non mi crede. Pensa
che io sia attratta da Daniele. Un po’ è vero.
“No,
è vero. Sono assolutamente
contraria alle relazioni tra colleghi di lavoro. E, inoltre non provo
nulla per
Daniele. È solo il mio capo”
“Farò
finta di crederci, Samanta.
Comunque, lavorativamente parlando, Daniele è molto
soddisfatto del tuo
operato”
“Scusa,
ma stiamo parlando dello
stesso Daniele? Perché tutto quello che mi dice il mio
amatissimo e
dilettissimo capo è che non sono un buon revisore di
bozze”
Alza
le spalle con sufficienza,
come per voler screditare le mie parole.
“Bisogna
andare al di là di quello
che le persone dicono o mostrano. Solo allora potremmo dire di averle
capite
veramente” rimango a fissarlo, un po’ in soggezione
in realtà. Un po’
spaventata dalle sue parole.
“Sei
un filosofo?”
“No,
sono un’insegnante di lettere.
Ma col tempo si imparano certe cose.”
“Mi
sarei aspettato una frase del
genere da un cinquantenne, non da un mio coetaneo quasi.”
“Beh,
non è l’età che conta, quanto
le esperienze che abbiamo fatto.”
“Già
– controllo l’orario e mi
accorgo che è tardi. No ce la farò a fare tutto
quanto – non per metterti
fretta, ma devo andare dall’editore Vallecchi e fra due ore e
mezzo ho il
treno. Rischio di fare ritardo e poi chi lo sente il tuo
amico?”
“Ah,
se c’è una cosa che Daniele
odia è il ritardo. Non so quante volte mi ha lasciato senza
passaggio quando
facevo ritardo.” Sorride, ma io, al suo posto, nei confronti
di Daniele, mi
sarei incavolata di brutto. Com’è che
quest’uomo è così arrogante, borioso,
pieno di sé, è così stimato e
apprezzato da tutti?
Mi
porge, quasi con tristezza, il
manoscritto. È fondamentale per il grande capo che
l’autore si conosca
immediatamente con l’editore. Per questo, una volta che
decide di pubblicare un
libro, invia il revisore di bozze incaricato per la revisione di quel
testo
dall’autore. Credo che sia una buona idea. È
necessario che ci sia subito un
certo feeling tra le varie parti.
“
‘Il sole in inverno’, mi piace
come titolo. Di cosa tratta?”
“Parla
del fatto che bisogna andare
al di là di quello che le persone dicono o
mostrano” lo osservo curiosa.
Quest’uomo ha un carisma non indifferente.
“Quindi
è autobiografico”
“Sì
e no. A te capire cosa lo è e
cosa no” sorride e io ricambio.
“Grazie,
Carlo. La mia visita da te
è stata molto istruttiva.”
“Ci
vediamo tra due settimane,
Samanta. Ho lavorato quindici anni a quel libro. Cerca di
valorizzarmelo bene”
sembrerebbe una critica, ma il suo sguardo mostra tutt’altro:
la sua più totale
devozione verso la sua opera che ha cresciuto e amato come un figlio.
Ecco
perché amo il mio lavoro.
La
casa editrice è piuttosto
semplice da raggiungere. Si trova al centro, a pochi passi dal Giardino
della
Fortezza. Firenze non ha nulla a che vedere con Milano.
Quest’ultima è una
città fredda, caotica, invivibile e a tratti anche
puzzolente. Qui tutto è a
misura d’uomo. Se potessi mi trasferirei
all’istante.
“Posso
aiutarla?” una ragazza sulla
ventina mi parla al di là di una scrivania.
“Sì,
sono Samanta Dolce e sono un
revisore di bozze dell’Agape editore di Milano. Dovrei
incontrare il direttore
editoriale”
“Mi
spiace, signorina, ma il signor
Manzi non c’è” cosa? Come? Credo di non
aver sentito bene. Non posso fallire,
non oggi e non per un’inezia del genere.
“Per
me è importante incontrarlo.
Dove lo posso trovare?”
“Oggi
non c’è, mi spiace e non ha
detto quando tornerà”
“Lei
non può aiutarmi in alcun
modo?”
“Io
faccio la segretaria qui, ma,
se posso, la aiuterò volentieri” oggi è
la mia giornata fortunata. Non devo
gridarlo troppo forte, però.
“Sì,
il mio direttore editoriale vorrebbe
una copia di un libro non più in circolazione, un libro
della vostra casa
editrice per comprare i diritti d’autore.” Spiego.
“Sì,
ho capito. Se mi dice quale
libro state cercando proverò a trovarlo nel nostro
catalogo.”
Amo
questa donna.
“Sono
‘Le memorie di Iddio’ di
Papini.”
“Controllo
subito” infila gli
occhiali, probabilmente sono di sola lettura.
“Di
che anno è?” controllo l’incartamento
che Daniele mi ha dato e rispondo: “1912”
“Signorina…”
“Mi
puoi chiamare Samanta, se vuoi.
E puoi usare il ‘tu’”
“Io
sono Silvia, piacere. Quello che
devo dirti, però, non ti farà piacere”
sembra in preda al senso di colpa.
“Ossia?”
“
‘Le memorie di Iddio’ non sono
registrate nel catalogo”
“Cosa?”
sgrano gli occhi e mi mordo
la lingua. L’avevo detto che non bisognava pensare di aver
avuto fortuna.
“Non
c’è alcun libro con questo
titolo. Tutte le opere di Papini ci sono, ma non questa.”
“E’
impossibile. Quel libro è stato
stampato sicuramente. Forse non è stato
registrato” non posso tornare a mani
vuote, ne va della mia dignità.
“Può
essere. In tal caso
bisognerebbe controllare nel catalogo cartaceo.”
“Bene”
“Il
catalogo cartaceo è a Pisa,
sottoposto ad uno studio
dell’università.”
“Oh,
cazzo! Perdonami!” ma perché non
riesco mai a controllarmi? Ha ragione la nana: sono uno scaricatore di
porto.
“Non
preoccuparti, avrei usato
espressioni anche più colorite se fossi stata nei tuoi
panni. L’unica cosa che
possiamo fare prima di arrenderci è controllare
l’archivio che contiene due o
tre copie di tutti i libri pubblicati dalla Vallecchi”
“Benissimo,
posso andare da sola se
tu hai da fare”
“D’accordo,
ti accompagno
immediatamente”
L’archivio
è quanto di più
polveroso esista. Ormai è tutto catalogato al pc. Se da una
parte è comodo,
dall’altra non scambierei l’odore dei libri per
nulla al mondo. L’emozione che si
fa spazio mentre si volta pagina o mentre si tocca
l’inchiostro nero inciso a
chiare lettere, no, questo non te lo potrà mai dare una
misera schermata del
computer.
Questa
sorta di biblioteca è
suddivisa in settori: per anno di pubblicazione, per tipo di scritto,
per
autore.
Comincio
proprio con quest’ultimo.
Non
c’è nulla.
Se
è un’opera di Papini, come fa a
non essere catalogata sotto il suo nome? C’è di
tutto, perfino il suo diario.
Ma de’ ‘Le memorie di’Iddio’
neanche l’ombra.
Provo
con l’anno. 1912.
Niente.
Provo
con la categoria “giornalisti
futuristi”.
Niente.
Papini,
ma dove cazzo sei finito? Oltre
che all’altro mondo, ovvio.
Controllo
nuovamente le sezioni. Ma,
come nelle addizioni in cui spostando gli addendi la soluzione non
cambia, anche
qui la situazione resta identica.
Questo
libro si è come
volatilizzato.
E
ora chi lo sente l’uomo?
Mi
toccherà la sua sfuriata.
Torno
nell’ingresso, delusa e
amareggiata. Un’altra sconfitta per me. Non ci voleva questa.
“Sei
fortunata, è appena arrivato
il direttore editoriale. So che è un grande appassionato di
Papini, ti potrà
sicuramente aiutare.”Silvia mi sorride e mi guarda come se mi
avesse salvato la
vita. Ion effetti, un po’ è così.
Siano
ringraziati tutti i santi!
Mi
faccio presentare da Silvia ed
entro nel suo studio.
“Buon
pomeriggio, sono Samanta
Dolce e sono un revisore di bozze della casa editrice Agape”
“
Giuseppe Manzi” un uomo robusto
con dei grandi baffi argentei mi sorride bonario mentre ci stringiamo
la mano.
“Allora,
signorina, in cosa posso
esserle utile?”
Per
l’ennesima volta ripeto questa
frase: “Mi servirebbero ‘Le memorie
d’Iddio’ di Papini. Vorremmo
ripubblicarle”
“
Siete sicura che sia quella l’opera
che cercate?”
“Sì,
sicurissima” mi osserva
dubbioso e scoppia a ridere. Una risate piena, gioiosa, irresistibile.
Ma io
non rido, anzi, sono piuttosto irritata dal suo comportamento.
“Potrei
sapere perché ride?” prima
pensa, poi parla, prima pensa, poi parla. Aboliamo il pene.
Sì, come no. Risulto
acida persino alle mie orecchie.
“Signorina,
ma lei conosce Papini
come scrittore?”
“Beh,
non è certamente uno degli
autori che conosco meglio, ma qualcosa la so” quanto mi sento
ignorante in
questo momento.
“Dovrebbe
sapere che Papini ha
avuto una conversione religiosa.”
“Sì,
e allora?”
“Il
testo che lei vorrebbe è un’opera
totalmente atea di cui Papini ha fatto bruciare tutte le copie al
momento della
conversione. Quel libro non esiste più”
Ecco.
Mi
cade il mondo addosso in un
attimo.
Per
qualche secondo non riesco a
respirare, nemmeno a credere a quello che mi ha appena detto.
Poi
torno a respirare e a rendermi
conto della cantonata che ho appena ricevuto.
“Mi
scusi del tempo che le ho
sottratto, signor Manzi. E perdoni la mia
stupidità” esco in silenzio, con la
coda tra le gambe, senza avere nemmeno la voglia di arrabbiarmi. Saluto
distrattamente
Silvia e vado alla stazione.
Arrivo
giusto in tempo per il treno.
E
per le due ore successive non
faccio altro che ripetermi di non piangere. Non mi sono mai fatta
vedere
piangere da nessuno eccetto che dai miei genitori e da Luciana e oggi
non sarà
un’eccezione. Dopotutto, non è successo nulla di
grave. Mi ha solo preso in
giro mettendo in luce la mia ignoranza. Nulla di grave, nulla di grave.
Perché sono
così distrutta, allora?
Arrivo
a Milano, arrivo all’Agape.
Salgo
le scale seguita dall’occhiata
materna di Antonietta.
Entro
nel suo studio. È seduto
verso la finestra e non mi vede.
“Eccoti
il romanzo del tuo amico.” Glielo
getto malamente sulla scrivania.
“E
Papini?” lo sento ridere
sottovoce.
“Grazie”
“Cosa?”
si volta e sgrana gli
occhi. Quello che vede forse non gli piace. Meglio per me. Anche la
nana
sbaglia.
“Per
avermi affossato così tanto. Nemmeno
Davide ci era riuscito in cinque anni. Ma tu sei stato un vero e
proprio
campione: in un solo mese ce l’hai fatta.
Complimenti!”
“Samanta,
che hai in viso?” si alza
immediatamente e mi raggiunge. Mi scanso. Non voglio avere niente a che
fare
con lui.
“Non
mi toccare.” Lui allontana la
mano che si era alzata in direzione del mio viso.
“Hai
delle macchie rosse, simili a
bolle.” prendo lo specchietto dalla borsa e mi osservo. Che
sta succedendo alla
mia faccia?
“Beh,
non mi è mai successo. Complimenti
anche per questo: sei il primo ad avermi provocato una reazione
allergica. Sarai
soddisfatto.”
“Ti
accompagno in ospedale: non
stai bene. Dovrai fare cortisone, antistaminico e…”
“No,
io non verrò da nessuna parte
con te”
“Ma,
Sam…”
“Luciana,
lei deve accompagnarmi. Tu
non sei nessuno per me.” Continua a guardarmi imperterrito,
gli occhi freddi.
“Ti
prego, Sam, io..io non
immaginavo..”
“Cosa
non immaginavi? La mia
amarezza o la mia reazione allergica? E’ inutile che fai
finta di sentirti in
colpa. Siete tutti uguali, voi uomini, a partire da Davide. Non avete
remore
quando si tratta di far soffrire una donna.” Un lacrima, una
sola, bastarda,
scende sul mio viso. La scaccio immediatamente. Almeno questa
soddisfazione non
voglio dargliela.
“Chi
è Davide?”
“Non
ha importanza. Comunque, un
uomo migliore di te. Ha solo impiegato cinque anni per distruggermi.
”
Finito!
Scusate
il ritardo mostruoso. Come
ho detto a chi ha recensito lo scorso capitolo, ho avuto dei problemi
di
famiglia molto gravi che mi hanno reso impossibile la scrittura.
E’ una storia
stupida e banale, e per questo non riuscivo a scriverla. Inoltre sto
portando a
termine la mia prima ff e devo dare spazio a quella.
“Excusatio
non petita, accusatio
manifesta” è un proverbio latino che significa:
scusa non richiesta, accusa
manifesta. Imparate dai latini, mi raccomando.
Sabellio
è un eretico del III sec
aC di cui ho preso solo il nome.
La
vicenda di Papini è vera,
totalmente vera. E’ un autore che amo molto e di cui ho
conosciuto la storia
grazie alla tesina della maturità. Vi lascio la vita: Giovanni
Papini.
Grazie
per essere giunte fino a qui
e per avermi aspettato.
Un
bacio
Federica
|
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Capitolo 6 *** Biscotti e Nutella ***
Abbiamo
trovato il vero volto di Daniele!!! Ecco perciò un
nuovo banner realizzato dalla eccezionale e disponibilissima Poison
Spring. Grazie
cara!
Dedico
il capitolo, visto che siamo quasi a San Valentino, al mio amore
Samy88, la vera Samanta.
Capitolo
5
Biscotti
e Nutella
Mi
sveglio per un vociare inatteso, un rumore di sottofondo
che non concilia il mio sonno. Sono le tre del mattino, dannazione! Chi
è che
chiama o parla a quest’ora? Mi alzo e,
scalza, vado ad origliare. Non si dovrebbe fare, ma quale persona sana
di mente
telefonerebbe a notte fonda?
“Sì,
Daniele, sta bene. No, non devi preoccuparti. Le hanno
fatto l’antistaminico. Sì, adesso si è
sgonfiata, le bolle sono quasi
scomparse. Dovrebbe fare le prove allergiche, ma credono che sia solo
dovuto a
stress e…”
“Si
può sapere che stai combinando?” strillo. In
questo
momento, ammazzerei la mia migliore amica.
“Ok,
Daniele, ci vediamo domani. Ciao” chiude la chiamata e
mi fissa, incredula.
“Luciana,
dimmi che quello al telefono non era Daniele”
“Cambierebbe
qualcosa?”
“Sì,
Luciana, sì. Non volevo parlargli, non volevo che
sapesse come stessi. Perché devi sempre
intrometterti?”
“Era
preoccupato. Sai quante volte ti ha chiamato da
pomeriggio? Te lo dico io: venticinque chiamate, una ogni quarto
d’ora
circa. Più
quindici messaggi. E
tu non ti sei degnata di rispondere.
Nemmeno di inviare un insulso messaggio con scritto: ‘Sto
bene’. Lui ha
sbagliato, ma tu, proprio perché parli tanto della
cosiddetta superiorità delle
donne, dovevi dimostrarti superiore. E non mi sono intromessa. Lui ha chiamato me. Non ho
risposto a nessuna delle
telefonate che ha fatto a te, quindi non colpevolizzarmi
sempre.” Poche volte
l’ho vista così arrabbiata. E poche volte lo sono
stata anch’io in questo modo.
“Se
ti sta così simpatico Daniele, vai ad abitare da lui. Se
sei mia amica dovresti stare dalla mia parte e non allearti con il
nemico.”
“Fottiti,
Samanta. E te lo dico con tutto l’affetto
possibile” si rimette sotto le coperte e mi volta le spalle.
“Oltre
al danno la beffa. Grazie, Luciana” il sarcasmo sta
per dilagare.
“Oh,
non fare la melodrammatica, per favore. Se c’è una
cosa
che non sopporto è chi si piange addosso”
“Sai
che non sono una che si piange addosso, Luciana. Ma mi
sento così umiliata. E non può chiamare adesso,
non dopo quello che mi ha fatto
e dirmi che è pentito” scoppio a piangere:
l’ansia, la preoccupazione per la
reazione allergica, la stanchezza, la delusione riescono a traboccare
dai miei
occhi.
“Vieni
qua, Sam. Il letto è grande e per te
c’è sempre posto.
Dopotutto sono una nana” tira la coperta e mi fa spazio. In
questo momento mi
sento ridicola: così grande e ho ancora bisogno di tutto
questo? Sì, in questo
momento ne ho bisogno.
Rimaniamo
per qualche minuto in silenzio. Dobbiamo entrambe
sbollire la rabbia accumulata in questi ultimi minuti.
“Nana,
secondo te perché ho questa sfiga con gli uomini? O
meglio, perché sono circondata da uomini così
ritardati emotivamente?”
“Gli
uomini sono ritardati emotivamente. Per dirla alla
Hermione Granger, hanno la capacità emotiva di un
cucchiaino.” Hermione
Granger, grande donna.
“Uhm,
credi che sia colpa mia?”
“Che
intendi dire?”
“Pensi
che io abbia qualche problema ad approcciarmi con gli
uomini? Prima Davide, adesso Daniele…”
“Ma
Daniele non era il tuo capo?” la sento ridere al buio.
“Sì,
ma…”
“Ti
senti attratta da lui. Dopotutto è un gran bel figo. E poi
è colto, intelligente, brillante e…”
“Dannatamente
stronzo. Non negarlo. Dopo quello che mi ha
fatto, non puoi ostinarti a difenderlo.”
Ribatto
secca. Se c’è una verità
incontrovertibile è questa:
Daniele è una grandissimo, colossale stronzo.
“Non
ne sono ancora così sicura”
“Luciana,
ma è palese! Come fai ancora a dubitarne?”
“Bah,
io credo sempre che dietro ad ogni azione ci sia
sempre una ragione più o meno valida. Il sesso, per esempio.
Sai, quello è alla
base di tutto”
“Ma
piantala!” ribatto scoppiando a ridere. Ecco ritornata
la mia nana, quella che se non inserisce per ogni frase un riferimento
al sesso
non è contenta. E a me piace.
“Sinceramente
credo che tu debba lasciargli spiegare il suo
punto di vista, il perché abbia agito così. Solo
allora potrai mandarlo a quel
paese.”
“No,
non voglio parlargli. Ha oltrepassato il limite. Ha
ferito il mio orgoglio e questo non lo accetto da nessuno.”
“Anche
tu non ci sei andata tanto leggera.” Mi sento punta
nel vivo. Sì, in effetti ho esagerato, mi sono presa delle
libertà eccessive
nei suoi confronti. Però…
“Beh,
adesso siamo pari. Non abbiamo bisogno di
chiarimenti.”
“No,
avete bisogno di una sana…” Ed ecco
un’ulteriore
battutina a sfondo sessuale. Luciana la annovero nel gruppo del
“Chi molto
parla, poco pratica”. Lei credo che sia in astinenza da
più tempo di me. Ma,
dietro la sua scorza da allupata, credo che sogni ancora
l’amore romantico,
quello che ti sconvolge mente e corpo. Lei non l’ha ancora
trovato.
“Non
osare dire ‘scopata’. Non è di questo
che abbiamo
bisogno.”
“Oh,
sì invece. Ti guarda sempre il culo quando cammini. Pensa
costantemente a cosa potrebbe farci con quel culo.” sogghigna.
“Ma
chi?”
“Gargamella,
ovvio. Sam, secondo te, chi? Daniele!”
“Non
è vero.”
“Sì
che è vero e, comunque, anche tu sbavi per lui. La
soluzione, quindi, è una sola.”
“E
sarebbe?”
“Una
scopata. Almeno vi togliete qualche sfizio e inoltre
potete capire se c’è affinità a letto.
Ops, sulla scrivania.” Ma che assurdità
dice? Mi alzo, sfiancata da questo conversazione, dal suo letto e vado
in
camera mia.
“Buonanotte,
nana” mi rintano sotto le mie coperte e cerco
di addormentarmi nonostante il suo viso mi ritorni in mente con una
nitidezza
agghiacciante. Dove sono i miei guantoni quando servono? Oggi li avrei
utilizzati volentieri contro di lui. Però mi sembrava
così dispiaciuto. Scuoto
forte la testa: non devo pensare a Daniele, non ci devo pensare. Lui
è uno
stronzo e io sono stata la vittima del suo scherzo di pessimo gusto,
questo è
quanto.
Con
fatica mi riaddormento.
Mi
alzo scombussolata e con un forte mal di testa. A chi
imputare la colpa? A Daniele, ovvio. E’ sempre colpa sua. Non
ci sono
congiunzioni astrali che tengano quando lui gravita nel mio mondo. da
quando
c’è lui tutto va miseramente uno schifo. So io di
cosa ho bisogno: di tanta,
tantissima Nutella spalmata sui biscotti secchi.
C’è chi dice che quando sta
male psicologicamente non riesce a mangiare. Tutte balle per me: se sto
male di
testa almeno lo stomaco deve godere. Questa è la mia
filosofia.
Bene,
la nana non c’è. Meglio per me, altrimenti mi
avrebbe
perseguitato dicendo di non mangiare quelle schifezze. Ma non
c’è e me le
mangio.
Apro
la nostra dispensa e cosa trovo? Il nulla. Non c’è
niente da mangiare. Al posto delle mie leccornie
c’è un misero post-it.
Maledetta nana. Mi ha fregato.
Cara la mia porca,
non troverai niente
in casa. Ho portato tutto in ufficio e
banchetteremo là con la tua nutella, i tuoi biscotti e le
tue patatine. Digiuna
e fai penitenza.
La tua nanetta del
cuore.
PS: Non hai neanche
la carta di credito e soldi nel
portafoglio. So che quando hai una necessità sei piuttosto
inventiva. Stavo
pensando di portar via anche i croccantini dei gatti, ma voglio darti
fiducia
:P
PPS: non
c’è neanche il gelato. Non voglio che ti riduca
a una balena come
quando hai rotto con
Davide.
Porca,
porca, porchissima Eva! Come lei mi devo accontentare
di una mela. Forse è meglio una banana, in effetti.
Dopotutto, anche Eva ha
avuto la sua.
Odio
profondo verso la nana. Sarei tentata di mettere tutto
in una valigia e lasciargliela all’ingresso di casa. Forse
non basta una sola
valigia, ma non importa. Potrei sempre appendere i suoi perizomi sulla
porta d’ingresso
del vicino. Mi è sembrato particolarmente interessato alla
nana.
Ma,
mentre sono immersa nelle maledizioni in copto verso la
mia carissima coinquilina, ecco l’illuminazione: 100 euro
sono nel libro di
Nigro, il libro più brutto che io abbia mai letto,
conservati per poter essere
usati in caso di necessità.
Ho necessità
impellente di nutella! La voglio, la bramo, la desidero. Solo lei
può tirarmi
su. Ma prima mangio la frutta: devo cercare di prendere in giro la
nana. Saprà
altrimenti che avrò bleffato e chi riuscirà a
sopportare i suoi schiamazzi?
Mentre
sbuccio la mia banana, non oso immaginare i doppi
sensi che trarrebbe Luciana da questo piccolo atto,
sento il citofono squillare. Oh, santa
miseria!
“Quel
coglione! La visita fiscale doveva mandarmi, porca di
quella maiala” sono talmente arrabbiata che sferro un calcio
alla gamba del
tavolo. Piccola considerazione da fare: indosso solo un paio di calzini!
“Cazzo,
cazzo, cazzo!” impreco. Una cosa giusta può
esserci
nella mia incasinatissima vita?
Il
campanello continua imperterrito a suonare. Tenendomi il
piede saltello su una gamba sola fino alla porta e la apro.
Non
è l’uomo della visita fiscale.
E’
il coglione.
E’
Daniele.
Chiudo
la porta immediatamente.
Ma…ma
come si permette di presentarsi a casa mia? È il mio
capo e basta, può vedermi domani in ufficio e, se davvero
è dispiaciuto,
chiedermi scusa lì. Non capisco perché debba
venire a casa mia. Con che diritto
poi.
Lascio
che il campanello squilli più e più volte, ma non
ci
bado. Ho bisogno di nutella. Ora che ho visto il mio capo anche di un
po’ di
panna spruzzata direttamente in bocca. E
di biscotti, tanti, tantissimi biscotti.
Mi
vesto rapidamente senza badare ad accostamenti o colori:
devo andare in un supermercato, non ad una sfilata di moda. Jeans e
maglioncino
bianco. Mi guardo allo specchio e inorridisco: le macchie, sebbene
più chiare
rispetto a ieri sera, sono comunque molto evidenti sulla mia carnagione
lattea.
Dannazione, neanche il correttore mi potrà aiutare. Spero
che non mi prendano
per un untore di peste bubbonica.
Infilo
il giubbino di pelle, prendo i miei gelosi risparmi
chiusi in quell’orribile libro ed esco. E lo ritrovo sulle
scale, immobile. Gli
occhi scuri fissi su di me e un sorriso a metà tra il
sollievo e lo sconforto.
“Finalmente
hai aperto!” si alza dal penultimo gradino della
rampa e mi viene incontro. Mossa sbagliata. Senza degnarlo di uno
sguardo,
scendo le scale rapidamente cercando di non inciampare nei miei stessi
piedi.
“Sam,
aspetta, voglio parlarti!” sento che è dietro di
me,
ma non mi fermo. Non voglio vederlo. Non oggi, non adesso.
Mi
agguanta per un polso proprio mentre sto per uscire dal
nostro condominio. In un attimo mi ritrovo addossata al muro. Lui
è troppo
vicino a me. Troppo. Sento il suo respiro sul mio viso, le sue mani
ancora
strette sulle mie, il suo torace premuto contro il mio. Non devo
baciarlo: io
lo odio.
“Se
non ti sposti immediatamente ti arriva un calcio ai
gioielli di famiglia che non basterà una corsa
all’ospedale. Lasciami subito”
“In
realtà non lo vuoi. Lo so io e lo sai anche tu. Ci
stiamo solo prendendo in giro, Samanta. E io non lo sopporto”
La sua stretta si
fa più decisa. Morirò di autocombustione,
è certo.
“Cosa
sai tu di quello che io voglio o non voglio? Io esigo
che tu adesso ti sposti”. E il calcio arriva. Proprio
lì. Ho dosato la forza,
di certo non voglio portarlo in ospedale. Non con la mia macchina
almeno.
“Porca
puttana!” si piega su se stesso tenendosi la parte
lesa.
“Ben
ti sta”
“Sì,
hai ragione” sussurra rimessosi in piedi.
“Cosa?”
“Nulla, non preoccuparti” Esco senza guardarlo
negli occhi sia per la vergogna,
sia per la rabbia e mi incammino verso il mio minimarket di fiducia.
Non ho
tempo per andare all’Ipercoop del Bonola. Mi volto per
controllare se se ne sia
andato e lo vedo
seguirmi.
Sul
suo visto si stampa un sorriso furbo di chi la sa lunga
e di chi ha già preventivato tutto: “Mi hai detto
di spostarmi, non di non
seguirti”
“Daniele,
smettila. Io non sto giocando. Perché deve essere
tutto tremendamente divertente per te? Perché tutto ironico
e sarcastico? Fattelo
dire: hai un’ironia e un sarcasmo del
cazzo!”” mi fermo in mezzo al marciapiede
e lo fronteggio. Non ne posso più: sento che mi
verrà nuovamente una reazione
allergica.
“Neanch’io
sto giocando, ma se questo è l’unico modo per
avere la tua attenzione, allora sono disposto a comportarmi come un
bambino”
“Bene,
fa’ pure. Ma non è detto che tu avrai una mia
reazione di qualche tipo.” continuo a camminare imperterrita
e anche lui mi
segue. La sua camminata è morbida, fluente. Ne riconosco la
falcata per il modo
in cui le foglie si frantumano sotto i suoi piedi. Quasi
silenziosamente. Io
sono molto meno elegante.
“Cosa
stiamo facendo?” non devo rispondere, non devo
rispondere. Lo sento sogghignare, probabilmente per il mio mutismo. Lo
odio, lo
odio, lo odio.
Un
passo.
Due
passi.
Tre
passi.
Quattro
passi.
“Allora,
me lo dici?” Silenzio, Samanta, silenzio. Non
rispondere. Sta solo cercando di farti esplodere.
Un
passo.
Due
passi.
Tre
passi.
Quattro
passi.
“Sam,
mi degni di una risposta?”
“Primo:
il mio nome è Samanta. “Sam”
è solo per gli amici e
tu non lo sei. Secondo: sono uscita perché devo andare al
supermercato. Terzo:
devo comprare nutella e biscotti perché mi sono svegliata
con la voglia di
Nutella e biscotti. E, prima che tu me lo chieda, quarto: non sono
incinta. Ora
taci!” ammutolisce all’istante con mia somma gioia.
Credo di avere oggi un
certo ascendente su di lui.
Entro
nel piccolo supermarket e lui mi segue. Sembra un
cucciolo bastonato. Beh, un bella bastonata gli ci vorrebbe in effetti.
Più di
una. Tante bastonate. Con un bastone lungo e grosso. E io godrei. Non
c’era un
accenno sessuale in questi pensieri, vero? Sarà la sindrome
premestruale, senza
ombra di dubbio.
Non
ci metto molto per arrivare al mio reparto preferito. E
la vedo: la dolce, morbidissima, nocciolosa, cioccolatosa e orgasmica nutella. Sia
ringraziato ogni
giorno il signor Ferrero!
Prendo
un solo barattolo, quello più piccolo e poi una
scatola di biscotti secchi. La più piccola. La
verità è che neanch’io mi voglio
ridurre come al periodo post separazione con Davide. Due anni fa non
potevo
guardarmi allo specchio, non potevo indossare più una gonna,
non potevo salire
sulla bilancia. Non potevo. Punto. E non voglio ritornare in quello
stato
pietoso. Oggi voglio solo coccolarmi a suon di dolcezze.
“Oh,
i pop corn! Li farò zuccherati. Buonissimi!”
“I
pop corn con lo zucchero? Non ti sembra di star
esagerando con le cose dolci? ”
Non
rispondo e continuo imperterrita il mio giro all’interno
del negozio alla ricerca delle caramelle gommose alla fragola. Credo di
essere
travolta in questo momento da un attacco di shopping compulsivo.
“Ciao,
Samanta!” mi volto e mi trovo faccia a faccia con la
cassiera del minimarket, Fabiana. Essendo il negozio piuttosto piccolo
e poco
frequentato, abbiamo avuto la possibilità di conoscerci col
tempo. Sebbene un
po’ pettegola, Fabiana è sempre stata una persona
affabilissima e disponibile,
nonostante abbia tre bambini a carico.
“Ciao,
Fabiana. Ti trovo in gran forma!”
“I
bambini sono a scuola tutti e tre e non ha idea di quanto
sia piacevole come cosa. Tornare a casa e sentire il silenzio
più totale. Hai
idea di quanto possa essere idillico e utopico un momento del genere
per chi ha
come me tre figli? Anche io ti trovo bene, comunque. E lui?
–dice, indicando il
coglione – E’ il tuo ragazzo? Oh, non sai quanto
sia felice della cosa, Sam.
Pensavo che dopo Davide non avresti più trovato nessuno, e
invece…”
“Oh,
Fabiana, lui…lui non è il mio ragazzo”
ma perché tutte
a me? Perché?
“Sono
Daniele e sono un suo amico. Solo amici” mi si avvicina
e stringe la mia mano. Forse per dirmi che ha capito, che
reggerà il mio gioco.
Ma, dopotutto, è la verità: lui
è…cos’è lui? Allontano le
mie dita, che stanno
andando a fuoco, dalle sue. Lui non è niente. Lui
è solamente il mio capo
stronzo.
“Oh,
sì, certo, capisco. Beh, allora spero che il tuo
principe azzurro arrivi presto, Samanta.”
“Certo
che arriverà. Quando il cervello degli uomini
sarà
dotato di più di un neurone funzionante. Un neurone che non
pensi
esclusivamente al sesso o ai soldi. Speranza praticamente vana, quindi.
Noi
andiamo, Fabiana. Mi ha fatto piacere rivederti.” La mia
voleva essere una
frecciatina nei suoi confronti? Sì, voleva esserlo. E se si
sente punto nel
vivo perché si ritiene un uomo pensante , beh, tanto meglio.
Io non lo ritengo
certamente tale.
Dopo
aver pagato, usciamo. Regna il silenzio tra di noi. Io
perché non ho voglia di parlare e lui perchè sta
sicuramente macchinando
qualcuna delle sue diavolerie. Cammina al mio fianco, non
più dietro di me ed è
corrucciato, sembra perfino preoccupato. A volte la sua mano sfiora la
mia. A
volte i suoi occhi incrociano i miei. Non c’è
traccia di umorismo in essi.
“Samanta?”
“Sì?”
“Ecco…”
ma proprio quando sta per parlare, comincia a
piovere. E non quella pioggerella sottile e delicata, ma un vero e
proprio
acquazzone.
“Cazzo!
Non ho l’ombrello” .
“Corriamo.
Casa tua non è distante” mi prende la mano e
comincia a correre. Nonostante l’impedimento della pioggia
posso vedere il suo
corpo flettersi, le sue falcate eleganti, le sue gambe lunghe, i suoi
capelli
che si muovono con il vento e che vengono appiattiti
dall’acqua che gronda sul
suo viso. No, Sam, non pensare quello a cui stai pensando. Non
è sexy, no, non
lo è.
Arriviamo
al mio appartamento col fiatone. Daniele rimane
qualche passo dietro di me e fa per avviarsi già per le
scale.
“Che
fai?”
“Me
ne sto andando. Mi è sembrato di capire che non mi vuoi
in casa tua” sorride amaramente e non mi guarda, intento a
sfiorare con un dito
il profilo del corrimano in legno. Che devo fare? Non voglio passare
per
maleducata. È questa la verità, che io non voglia
sembrare maleducata? Impazzirò
prima o poi, me lo sento.
“Hai
la macchina?”
“No,
oggi è dal meccanico per il cambio
dell’olio” il suo
sorriso si allarga. Si potrebbe definire solo in un modo: compiaciuto.
Ha una
faccia da schiaffi.
“Entra,
non voglio che ti prenda una bronchite” apro la
porta di casa e accorrono immediatamente i miei gatti, che, avvertendo
la
presenza di un estraneo, scappano spaventati. Soprattutto Bizet: come
gatto gay
non dovrebbe essere attratto da Daniele?
“E’
carino qui”
“Grazie.
L’ha arredata Luciana: io non sono molto brava con
gli accostamenti. È tutta opera sua. Certo, quando ha
dipinto le pareti della
mia stanza di rosa confetto, volevo sprofondare. O ammazzare
lei.”
“Non
ti piace il rosa?”
“Odio
il rosa. È il colore più disgustoso che esista. E
Luciana me lo presenta in tutte le salse possibili.”
“Me
la immagino che ti insegue per casa costringendoti ad
infilare un maglioncino di lana rosa. Abominevole” ride
sguaiatamente. È così
bella la sua risata.
“E
questo è niente!” rido anch’io, ma,
vedendo l’occhiata
che mi lancia, ritorno seria. Sono in imbarazzo. I suoi occhi, i suoi
sguardi
mi imbarazzano.
“Ehm..il
bagno è di là. Puoi usare
l’asciugatrice. Io vado a
cambiarmi” corro in fretta nel mia stanza e respiro
finalmente bene, senza la
sua presenza al mio fianco. Daniele provoca reazioni strane al mio
corpo,
reazioni che non riesco a gestire. Dovrei essere arrabbiata con lui,
per
esempio. Perché sono solo un tantinello nervosa?
Perché mi batte così forte il
cuore? Non di certo per la corsa. Perché sto sudando?
Neanche in questo caso
posso imputare la colpa alla corsa: pioveva. Daniele, che mi stai
combinando?
Mi
cambio velocemente indossando la mia tuta preferita,
quella che la nana chiama amorevolmente “Tuta da
suora” perché è di colore
nero. A me piace e poi è la stessa tuta che indossavo quando
ho conosciuto
Daniele. Ma che mi viene in mente? Non posso essere così
smielata, santo cielo.
Io sono incazzata! Incazzata nera con il mio capo.
Lego
i capelli umidicci in una crocchia alta e torno in
soggiorno.
Quello
che si presenta ai miei occhi è quanto di più
erotico
possa esistere. Addio ormoni tenuti a bada per tanto tempo e benvenuta
lussuria. Sento che morirò. In piedi vicino alle mensole
delle nostre foto,
Daniele, nudo dalla cintola in su, mi da le spalle.
Cintola
in su. Morirò, è sicuro.
Seguo
la curva della spalle, la pelle tirata intorno alle
scapole, la linea del bacino, l’attaccatura del sedere. Il
suo sedere! Quanto
vorrei fare la sue conoscenza. È troppo compresso nei
pantaloni, accidenti, ma
questo non mi impedisce di farmi un’idea piuttosto chiara
delle sua forma.
Perfetta. E poi cosa vedono i miei occhi? Un tatuaggio che avvolge
tutta la
circonferenza del bicipite. Voglio toccarlo, devo sentirlo sotto la mia
pelle.
No,
Sam, no! Che vuoi fare? Non sei una ninfomane, non lo
sei mai stata. E lui è il tuo capo, il tuo capo sexy, colto,
affascinante, che
ispira sesso anche quando respira, ma è il tuo capo. E devi
ricordarti che ti
ha trattato malissimo per un mese per un motivo di cui tu non sei a
conoscenza.
L’oggetto
del mio pensiero afferra una foto dalla mensola e
la osserva con un sorriso dolce mentre segue con il pollice il contorno
della
foto stessa. Ma perché deve essere così
dannatamente schizofrenico?
“Quella
sono io a otto anni” sobbalza sentendomi parlare.
“Ho
notato: non sei cambiata molto. Bella eri e bella sei.”
“Insomma,
con vent’anni di più la differenza si
vede.” Cosa
dovevo rispondere? Nessuno mi ha mai fatto un complimento tanto
spontaneo e
gentile. E nessuno con un complimento mi ha provocato una scossa
d’eccitazione
che ha percorso tutta la mia schiena.
“Si
vede, ma non cambia la realtà delle cose” si volta
e
credo che finalmente posso morire. Se la schiena era perfetta, beh,
niente
rasenta la perfezione quanto il suo petto. Non eccessivamente
muscoloso, non
eccessivamente piatto. Un collo lungo, tornito con un leggero strato di
barba.
Mi fermo ad osservare il suo pomo d’Adamo desiderando di
baciarlo, di
succhiarlo, di lambirlo. E voglio sapere il suo profumo, conoscerlo,
inebriarmi
con esso e di esso. Ma mi allontano per non cadere in tentazione.
“Sam,
posso parlarti?”
“Credo
di sì” dico in un soffio. Perchè provo
queste cose? Io
non dovrei.
“Ci
possiamo sedere?”
“Oh,
sì, scusami.” sprofondiamo entrambi sul divano
mentre
Bizet e Minù tornano alla carica. Ancora diffidenti si
strusciano sulle nostre
gambe. Ma né io, né lui ci badiamo.
“Samanta,
quello che volevo dirti…quello per cui sono
venuto…insomma, quello che voglio dirti è che ho
sbagliato. Non avrei dovuto
comportarmi in questo modo con te. Ti ho preso in giro e mi
dispiace” rimane
zitto, ma continua a fissarmi. Se c’è una cosa che
so è che i maschi sono
tremendamente orgogliosi. Non dicono mai: “Mi dispiace, ho
sbagliato” , ma
generalmente fanno ricadere la colpa anche sull’altro. Se
c’è una frase che il
mio ex diceva era: “Scusami se ho sbagliato, ma sei stata tu
a farmi
arrabbiare”. Che cavolo di scuse sono? O hai sbagliato o non
hai sbagliato. Sta
a me, poi, chiedere scusa per i miei sbagli.
Ma
Daniele non ha detto questo, non ha parlato di me. E
questo, solo questo, mi permette di concedergli una seconda
opportunità.
“Perché
lo hai fatto?”
“Per
smuoverti. Non ho raggiunto il mio risultato, ma l’idea
era quella.”
“Smuovermi?
In che senso?”
“Volevo
farti aprire con me. Volevo che tu avessi una
reazione attiva nei miei confronti. Se avessi accettato passivamente la
tua
decisione di non voler avere niente a che fare con me, il nostro
rapporto
sarebbe morto. E io non lo potevo permettere. Volevo e voglio
conoscerti. E
volevo e voglio farti conoscere Daniele. Ma quello
che non volevo e non voglio è l’essere
inserito nello stereotipo che ti sei creata a tuo uso e consumo, quello
di uomo
uguale stronzo. Io non sono così e nemmeno tu sottosotto ci
credi. Ma non
sapevo come fare. E ho escogitato questa maschera pietosa che si
è ritorta
contro di me” respira dopo aver parlato a raffica.
È nervoso. Come me. E io,
cosa dovrei rispondere?
“Vedi,
Daniele, io sono una persona molto autoironica, rido
praticamente sempre di me e permetto anche agli altri di farlo. Non ho
nessun
problema in tal senso. Ma tu mi hai umiliata come persona, come
revisore, come
tutto. Hai messo in discussione tutto il mio lavoro di questi anni,
tutto il
mio sudore, i sacrifici fatti. Credo che da una parte tu abbia avuto
ragione:
sei più in gamba di me ed è per questo che tu sei
diventato direttore editoriale
e io no. Me ne rendo conto, lo ammetto. Ma lo scherzo, o non so cosa
fosse, di
Papini mi ha fatto male. Molto male. – mi alzo dal divano e
gli do le spalle.
Non so perché io
stia facendo queste
confessioni a lui. Non lo so. - E quando sto male io mangio. Mangio da
fare
schifo. Ecco perché volevo i biscotti con la nutella. Ecco
perché la nana mi ha
svuotato la dispensa stamattina. Perché il cibo mi da una
gratificazione che le
persone non riescono a darmi. – respiro profondamente per
riprendermi da questo
flusso continuo di parole – La verità è
che io sono una debole. E non lo dico
perché voglio farti sentire in colpa – gli occhi
mi si riempio di lacrime,
dannatissime. Fortuna che sono di spalle. – lo dico
perché…beh, non lo so
neanch’io il perché.”
“Vieni
qui” e mi abbraccia da dietro incrociando le braccia
all’altezza del mio collo.
“Mi
dispiace, Sam. Se potessi tornare indietro non mi
comporterei allo stesso modo. Alcune di quelle cose le pensavo e le
penso
davvero come il fatto che tu debba imparare a non farti condizionare
dai gusti
personali, ma sei in gamba. Ho cercato di trovare quanti più
errori possibili
nel tuo lavoro e lo facevo sia per danneggiare te, sia per cercare di
trovare
qualche difetto in te. Sei un ottimo revisore di bozze, Sam. Uno dei
migliori.
E non lo dico per farmi perdonare. O non solo. E Papini non
è poi uno scrittore
così noto. Non è mica Dante.” mi
stringo a lui portando le mie mani all’altezza
delle sue. E lui le stringe e sono calde, accoglienti, morbidissime. E alle mie narici arriva
il suo profumo,
dolce, fruttato.
“Dispiace
anche a me, Daniele. Credo che abbiamo sbagliato
entrambi. In modi diversi e tu sicuramente di più, ma
anch’io ho la mia buona
dose di colpe.”
“Sì.”
Sussurra al mio orecchio causandomi la pelle d’oca su
tutto il corpo.
“Che
profumo usi?”
“Jaïpur,
perché?” mi volto per annusare il suo collo. Seguo
la linea del suo collo col naso per imprimermi il suo odore. Ha un
sottile
strato di barba.
“Hai
un buon odore. È delicato, dolce.” Sam, ma che
stai
facendo? Riprenditi. Ma, mentre penso una cosa, ne faccio
un’altra. Poggio la
mano sul suo collo e lo accarezzo. Seguo il duo profilo con
l’unghia
dell’indice e lo sento deglutire rumorosamente.
“Sam?”
la voce è roca, sensuale. Le mie terminazioni nervose
bruciano.
“Sì?”
“Posso
baciarti?” è la prima volta che me lo chiede. E
per
la prima volta sono io che prendo l’iniziativa. Non rispondo,
lascio che siano
le mie labbra a parlare per me.
E,
a differenza delle altre volte, è un bacio più
dolce, più
lento, più vero. Lascio che la sua lingua segua i contorni
della mia bocca, che
mordicchi il mio labbro, che esplori ogni anfratto. E io faccio lo
stesso. Mi
abbandono tra le sue braccia, preda di un desiderio che non ricordo di
aver mai
provato. Mi sento leggera, mi sento bene, mi sento con un vuoto al
centro della
pancia. E’ tutto perfetto. Forse posso ricominciare daccapo.
Ma, quando sono in
preda all’estasi del bacio più sublime che io
abbia dato e ricevuto, mi tornano
alla mente le parole di Carlo: È
stato molto il tipo da sesso senza amore.
“No,
non posso, Daniele, non posso” mi stacco
immediatamente. E sento freddo.
“Sam…”
“Io
non posso farlo, Daniele. Non ce la faccio.”
“E’
per Davide?” mi guarda serio e, forse, anche un po’
adirato.
“No,
è per te. Davide non c’entra nulla. Carlo mi ha
detto
che sei uno dalle storie facili. Chi mi garantisce che non
sarà così anche per
me? Chi mi garantisce che, magari dopo avermi portata a letto, tu non
sparisca?
Io, dopotutto, non so nulla di te.”
“Carlo
ti ha detto solo questo? Perché se è
così ha
tralasciato la parte più importante del discorso che abbiamo
avuto.” la sua
voce sale di un’ottava. È arrabbiato.
“Mi
ha detto che..che non sei mai stato attratto così tanto
da una ragazza”
“Già:
è quello che gli ho detto ed è quello che provo
verso
di te. Ma a te basta un nonnulla per mandare tutto a puttane, per farmi
sentire
un’idiota. È
vero: ho avuto molte
ragazze in passato, e allora? Questo fa di me una cattiva persona? Non
ti sto
chiedendo di sposarti, ma di provare a frequentarci. E’
così difficile da
capire?” mi sento uno schifo. Ha capito più me
di quanto io abbia capito me stessa. Ma so che non sono
tipo da mezze
misure e so che non riuscirei a vivere questa..questa cosa tra di noi
alla
leggera. Lo so. Ed è per questo che non posso rischiare.
“Daniele,
io..io non mi sento ancora pronta” sussurro.
“Per
cosa? Per una relazione fissa? Non ti sto chiedendo
nemmeno questo. Ti sto chiedendo di conoscerci.” È
vero, ha ragione. Dio, mi
sento così stupida, ma è più forte di
me.
“Vorrei
che..vorrei che tu mi dessi un po’ di tempo. ”
“Per
cosa?”
“Per
riflettere. Per perdonarti bene. il fatto che ti abbia
detto che abbiamo sbagliato entrambi non deve farti credere che io ti
abbia
perdonato. Ho capito il tuo punto di vista, ma ci vuole del tempo per
rimettermi in carreggiata. E poi mi serve tempo per capire bene. Per
capirti
bene.”
“Posso
farti una domanda?”
“Sì”
“Se
non mi hai ancora del tutto perdonato, perché mi hai
baciato? E non dire perché te lo avevo chiesto io. La mia
era una domanda e tu
potevi non accettare.”
“Non
lo so perché l’ho fatto. Sono stata attratta dal
tuo
odore, credo. E di certo, vederti a torso nudo non ha
aiutato.”
“Sei
una contraddizione vivente, Sam. Dici che hai paura,
che sei dubbiosa e poi ti avventi su di me. E poi dici di nuovo che sei
dubbiosa. Io non riesco a seguirti. Davvero.” Ride e passa le
dita tra i
capelli. Ma è una risata nervosa, non divertita.
“Beh,
in effetti nemmeno io mi comprendo il più delle volte.
Vuoi sapere la verità? Io, a parte il mio lavoro, non so
cosa voglio dalla
vita. Né dagli uomini. Sono rimasta scottata da
loro.”
“Sam,
questa credo che sia la scusa più ridicola di questo
mondo. Anche mia madre ha lasciato mio padre perché aveva un
amante. Devo
pensare che ogni donna sia una puttana? Andiamo Sam, la vita
è molto più
variegata di quello che pensi tu. Non è come per la nutella di cui
c’è solo quella marrone. La vita è un
gelato variegato dai gusti più diversi.” So che ha
ragione. Ha dannatamente
ragione. Tutti me lo dicono, ma io non imparo questo piccolo concetto.
Non
riesco ad impararlo.
“Mi
piace questa metafora. Ma, sebbene mi piaccia, non posso
dire di averla assimilata bene. E te lo ripeto: io ho bisogno di
tempo”
Annuisce,
ogni ombra di ilarità scomparsa dal suo volto, mi volta le spalle e si
dirige verso il bagno.
Ritorna con la felpa indossata.
“Va
bene. Io posso aspettare quel tanto che ti serve per
capire bene quello che vuoi anche se non lo comprendo appieno.
Cercherò di non
essere invadente ed oppressivo e cercherò di farmi perdonare
come si deve.
Oltre questo non posso prometterti altro.”
“Va
più che bene.” lascia un bacio leggero sulla mia
guancia
indugiando sulla mia pelle, mentre con l’indice segue il
profilo del mio viso.
Si stacca di botto.
“Io
vado. Ciao, Sam” e chiude la porta dietro di sé.
Ho
bisogno di biscotti e nutella.
“Tu
sei un’emerita cogliona!”
“Su,
Luciana, infierisci pure”
“Ma
dico: quel figo della miseria ti chiede scusa, ti dice
che gli piaci che vorrebbe baciarti e tu dici: ‘Non so cosa
voglio dalla vita’?
Ti eri fatta di qualche droga stamattina?”
“Nana,
la verità è questa. Avrei dovuto dirgli che mi
interessava?” sbuffo esasperata. Non solo Daniele, ora si
mette anche la nana.
“No,
avresti dovuto dirgli: “Sono in astinenza da due anni e
ho un disperato bisogno di fare sesso e non voglio più
mangiare biscotti alla
nutella per sentirmi gratificata.’ Questa è la
sacrosantissima verità”
“Non
mi sento pronta”
“Sam,
svegliati, che i treni passano e tu perdi il viaggio.
E non commiserarti sempre nel ricordo di Davide. Accetta la situazione:
sta per avere un bambino.” Si porta la mano alla
bocca dopo aver
detto l’ultima frase. Io impallidisco. Sentir parlare di lui
e della sua vita
perfetta, una vita che sarebbe dovuta essere la nostra vita, mi fa male.
“Luciana,
la fidanzata di Davide è incinta?”
“Sì”
“E
come fai a saperlo?”
“Può
avermi chiamato tua madre per avvisarmi”
“E
quando mia madre ti avrebbe chiamata?”
“Due
settimane fa” abbassa lo sguardo. Sa che sto per
incazzarmi di brutto.
“E
perché non me lo hai detto?”
“Sam,
lo sai anche tu perché. La prima cosa che avresti
pensato, o che hai pensato, è quella di Davide che chiedeva
a te di avere dei
figli e dopo due giorni ti lasciava. E saresti di nuovo andata a finire
a
biscotti e nutella. E, sinceramente, io sono un po’ stufa di
vederti così. Ora,
pensa a quello che vuoi dalla vita, pensa a quel poveretto di Daniele
che ti
sta aspettando e non fare cazzate” e, detto questo, Luciana
se ne va
lasciandomi sola nella mia stanza.
Da
domani cercherò di capire cosa voglio dalla vita.
Ora
però voglio biscotti e nutella.
Buon
pomeriggio!
Eccomi
con questo aggiornamento domenicale. Spero che il
capitolo vi sia piaciuto.
Sam
è completamente sciroccata, non sa che vuole dalla vita,
ma non sa nemmeno se odiare o amare Daniele. Un
bell’inconveniente! Solo la
nana riesce a darle un po’ di buon senso, santa donna lei!
Venendo
al capitolo, il romanzo di Nigro è “I fuochi del
Basento”, uno dei libri più brutti che abbia mai
letto. Se vi capita, non
compratelo.
La
frase di Hermione Granger è presa da “Harry Potter
e l’Ordine
della Fenice”. E’ una frase che ho sempre ricordato
perché è la vera verità.
I
biscotti con la nutella sono quelli che mangio io quando
sono depressa. D’estate in realtà mangio i
biscotti col gelato.
Per
il capitolo scorso sempre la santissima e bravissima
Poison Spring ha creato un banner con le dieci P di Luciana. Eccolo qui.
So
finendo di rispondere alle recensioni dello scorso
capitolo. Le concluderò stasera, credo.
Un
bacione a tutte,
Federica
|
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Capitolo 7 *** Il caffè è la panacea di tutti i mali ***
Buon pomeriggio!
Sette anni fa, per diversi motivi, non tutti positivi, abbandonai questa storia. Che era un piccolo svago, un diversivo dalla vita universitaria. Poi l'ho abbandonata perchè tante cose nella mia vita erano cambiate.
Qualche settimana fa, mentre controllavo le vecchie cartelle, ho riletto questa storia. Ed era carina, piacevole, senza particolari pretese. E sono stata presa dalla foga della scrittura, come non mi succedeva da moltissimi anni.
E così, rieccomi qui, pronta a finire questa storia e a rivedere totalmente e a inserire nuovi capitoli nella ff "Ricominciare a vivere" che, più di questa, mi ha portato via tempo, dedizione e anche lacrime.
Per cui, se dopo tanti anni, avete ancora il desiderio di seguirmi, bentornati. Se siete nuovi, benvenuti nella storia di Samanta e Daniele.
Capitolo 6
Il caffè è la panacea di tutti i mali
“Non che mi dispiaccia quello che sto vedendo, ma, esattamente, cosa stai facendo?” Daniele entra di soppiatto nell’ufficio mentre, da sola, passo un salviettina umidificata su collo e braccia. Fortuna che non è entrato prima o avrebbe visto quella stessa salviettina sulle tette.
“Primo: fa un caldo bestiale, siamo a settembre, ma sembra ferragosto e tu sei così delicato da non voler accendere il condizionatore. Secondo: mi stai dando da revisionare solo romanzi erotici. Hai idea di quello che possono provocare?” esclamo buttando la salvietta nel cestino. Sul serio, da quando sono tornata a lavorare dopo la mia reazione allergica allo stress e le ferie, Daniele sembra intenzionato a mettere a repentaglio il mio autocontrollo. Leggo e correggo romanzi erotici che al confronto le “Cinquanta sfumature” della zia James sembrano essere stati scritti da suorine di clausura.
“Vorrei vederlo, più che altro” sogghigna soddisfatto con una punta di malizia. Da quel giorno, tre settimane fa, non mi ha più toccato, non mi ha più baciato. È quello che gli ho chiesto? Assolutamente sì. È quello che volevo? Beh, qui la questione si complica ulteriormente. Perché più lo guardo, più sono attratta da lui, più so che non posso averlo. Più so che mi sta tentando: mi sento tanto l’Orso Yoghi che non può prendere il miele che gli viene sbattuto in faccia. E Daniele adesso mi sembra molto, ma molto più attraente di un miele millefiori, quel miele che metto sempre nel tè o nel latte come dolcificante. Ogni giorno mi porta un piccolo pensiero che mi fa trovare sulla scrivania – arriva sempre prima di me, dannato perfezionista del cavolo -: una caramella, un cioccolatino, una poesia. Oggi il caffè, ma non un caffè qualsiasi: un espressino freddo con tanta schiuma e tanto cacao amaro in superficie. Stavo per prostrarmi ai suoi piedi e chiedergli di diventare la sua schiava sessuale. Ma poi mi sono ricordata un fatto importante: io non sono fatta per essere una schiava sessuale, anche se mi sottometterei volentieri su quella scrivania. Dannati ormoni.
“Sogna, più che altro! - ribatto con fermezza – sul serio, Daniele, un altro romanzo di questo tipo e mi butto dal balcone! Comprendo che ci possa essere una qualche gratificazione, non lo nego, ma un thriller? Un noir? Un romanzo psicologico in cui il protagonista si faccia le seghe solo mentalmente? Dammi qualcosa di questo genere, ti prego!” mi avvicino al tavolo dove si è appena seduto e mi sporgo verso di lui, mettendo in mostra le mie gemelle cresciutelle. Serviranno pur a qualcosa, oltre che ad essere tenute a bada da scomodissimi reggiseni. Hai le armi, Samanta? Usale tutte.
E lui sembra colpito e affondato. “Stai cercando di corrompermi? Ci stai quasi riuscendo”
“E cosa dovrei fare per ottenere il mio obiettivo?” Dio, Sam, contieniti. Ti stai servendo su un piatto d’argento. Sembri uno di quei maialini arrosto con i bocca una mela. Solo che io voglio altro in bocca. Contegno, contegno.
“Sebbene l’idea di ridurti in mio potere mi alletti alquanto, non ci posso fare niente. Dobbiamo rispondere alle richieste di mercato e il mercato dice che il romanzo rosa, soprattutto quello di impostazione erotica, copre oltre il quindici percento del fatturato annuo nazionale. Inoltre, ho bisogno che ci lavori perché, e mi costa dirlo, sei la migliore qua dentro. Sei l’unica che riesca a trasformare un’accozzaglia infinita di orgasmi in qualcosa che sia piacevole per gli occhi, oltre che per la vagina. Per cui, mettiti al lavoro.”
“Sul serio sono la migliore?” l’ego di Samanta sta per uscire fuori da questa stanza e invadere tutto il piano.
“Mi costa ammetterlo, ma sì. Ami il tuo lavoro, si vede. Ti applichi, sfidi i tuoi limiti e cerchi di superarli. E poi, non pensare di essere da sola in questa lotta impari contro il sesso dilagante. Questi romanzi li sto leggendo anche io. Potremmo fare qualcosa di più divertente, però…” e si allunga anche lui sulla scrivania facendo avvicinare il suo viso al mio. E io annego in quel mare verde che sono i suoi occhi. E sbavo. Quasi metaforicamente.
“E sarebbe?” dico a mezza voce.
“Potremmo leggerli ad alta voce insieme. Sarebbe un’alternativa gradevole…se così vogliamo definirla.” Samanta, non osare visualizzare la scena: tu accanto a lui, lui arrapato, tu di più, tu che ti metti sulle sue gambe e…Basta!
“Tutto vorrei fare meno che finire come Paolo e Francesca. Sono giovane e ho una vita davanti.”
“E chi vorrebbe ucciderti? Hai un marito nascosto nell’armadio di cui non sono a conoscenza?”
“No, ma se entrasse De Santis non ne sarebbe contento, né apprezzerebbe il contesto. A parte una sola volta nella mia vita, ho sempre pensato che fosse asessuato.” E, mentre mi allontano, vengo travolta da una piccola furia rossa che si blocca immediatamente davanti a me con gli occhi sgranati e le guance stile Heidi.
“Ciao Dan. Vatussa, per che ora pensi di finire di lavorare?” la mia nanetta del cuore non perde tempo in chiacchiere. Deve essere successo qualcosa.
“Perché? Devo finire di leggere almeno due capitoli altri. Sta’ robaccia va in stampa tra tre settimane e devo ancora mandarla ai grafici perché sistemino l’impaginazione.”
“Dan, Samanta può avere due ore di permesso? È una questione di vita o di morte.”
“Lu, a meno che non ci sia Sam Heughan nel mio letto, non me ne vado prima. Sul serio, ho un sacco di lavoro da finire e non vedo l’ora di togliermelo di dosso. O mi dici che sta succedendo oppure puoi andare via da sola.” E come gli infanti che appena vedono l’oggetto del loro desiderio cominciano a saltellare e a muoversi convulsamente, così Luciana comincia a agitarsi febbrilmente per poi prorompere in un urlo: “Luca mi ha chiesto di uscire!” Oh, finalmente! Sono due anni che tutti noi sappiamo che hanno una cotta reciproca, ma forse per timidezza, forse un po’ per orgoglio, hanno sempre evitato di fare il primo passo.
“Evvai! Come te lo ha chiesto?”
“Te lo spiegherò dopo. Adesso mi devi accompagnare a fare shopping. Devo comprare un vestito super sexy per stasera. Uno che gli faccia dimenticare come si chiama e sul perché non mi ha ancora sposata.” Ecco, la nana è così. Apparenza da donna senza scrupoli e un cuore immenso che sogna di riempire con l’amore di un uomo e di figli.
“Ma stasera non c’è l’assemblea nazionale di AITI? Quella riunione per traduttori e interpreti?” Oddio, se Luca, che è un traduttore inglese-italiano, l’ha invitata lì come primo appuntamento, direi che quanto a originalità sta messo maluccio. Speriamo che abbia altre doti.
“Sì, infatti. È lì che mi ha invitata ad andare. Allora mi accompagni?” Lu mi prende la mano e se la posa sul cuore. Potrei mai dire di no ad una richiesta di questa portata? Ma prima che io possa rispondere, qualcuno mi anticipa: “Luciana, andate pure. E giacchè fai comprare qualcosa di speciale a Samanta che la settimana prossima mi deve accompagnare a Londra per lavoro.”
“Come, scusa? Io non ne so niente e comunque non vengo da nessuna parte con te.” Luciana mi lancia occhiate di fuoco, ma che ci posso fare? In viaggio con lui, ventiquattro ore su ventiquattro a contatto e tanti cari saluti ad ogni mio tentativo di dimenticarmi di lui.
“Ma hai sentito cosa ti ho detto? È un viaggio di lavoro. Lavoro, Samanta, non una fuga romantica. Sono appena stato in riunione con gli azionisti e abbiamo appena deciso di chiedere alla Penguin di diventare i loro partner unici per la pubblicazione dei loro romanzi in Italia.”
“Cazzo!”
“Puoi dirlo forte. Abbiamo un’occasione straordinaria per far crescere l’Agape e non voglio in alcun modo perdere questa possibilità. Ne va del lavoro di tutti noi. Conosci l’inglese, vero? Devo portare con me gente che non mi faccia fare la figura dell’incompetente che si circonda di persone altrettanto incompetenti.” Perché deve avere sempre così dannatamente ragione. Nonostante la spocchia, lo sa fare il suo lavoro. E bene anche.
“Ho fatto un Erasmus a Cardiff durante l’università. Non sarò una madrelingua, ma qualcosa la conosco. Evita di farmi parlare troppo, nel caso.” E gli sorrido. Perché è impossibile essere arrabbiati con lui quando ti presenta così, con schiettezza e senza fronzoli, la realtà.
“Verrai sul serio? Non devo temere di non vederti in aeroporto? Posso prenotare?” sorride anche lui ora, mostrando una linea perfetta di denti candidi e delle piccole rughe che si accavallano placide intorno a quegli occhi così straordinari.
“No, verrò. Non sono mai stata a Londra e inoltre penso che sia davvero un’ottima opportunità.”
“Bene, quindi noi andiamo. Ciao Daniele, sei stato molto magnanimo a concedermi di portar via la mia Samanta.” E tirandomi per il braccio, Luciana mi porta via dall’Agape. Faccio giusto in tempo a fare un rapido cenno con la mano per salutare, mentre Daniele mi rivolge ancora quel suo strepitoso sorriso.
Appena uscite in strada, vengo condotta in macchina dal lato del passeggero e, senza neanche avere la possibilità di aprire lo sportello, vengo scaraventata all’interno, sbattendo col ginocchio sul cruscotto.
“Capisco l’entusiasmo, ma puoi avere un po’ di rispetto per le mie giunture?”
“Non posso: sono troppo elettrizzata!”
“Lo vedo. Allora, Luca come ha trovato finalmente il coraggio di invitarti?” domando mossa dalla curiosità.
“Beh, non mi ha invitata lui. Sono stata io a fare la prima mossa. Mi sono avvicinata alla macchinetta del caffè mentre lui stava sorseggiando il suo e, molto involontariamente, gliel’ho fatto versare addosso. Poi sai, una cosa tira l’altra, io sono entrata in bagno, gli ho fatto togliere la camicia con la scusa che avevo uno smacchiatore in borsa – Dio, che addominali- e mentre gliela pulivo ho fatto inavvertitamente cenno al fatto che sono appassionata di traduzioni. E il gioco è fatto”
“Chi è che si porta dietro uno smacchiatore nella borsa? E poi, davvero sei appassionata di traduzioni? E soprattutto, non eri tu la strenua sostenitrice del ‘io sono una principessa e tu uno stupido ranocchio e devi prostrarti a miei piedi’?” la osservo sconvolta.
“Questo motto è stato valido fino a tre settimane fa. Fino a quando cioè, dopo che il tuo ranocchio si è prostrato ai tuoi piedi e ti ha dato un bacio di quelli che avrebbero fatto diventare te la regina di Saba e non lui un principe, lo hai preso a pesci in faccia. E da quel momento ho capito che quel poco di intelligenza che ho, la devo sfruttare per ottenere quello che voglio. E io voglio Luca esattamente dal giorno in cui ho messo piede a lavoro.”
“Sono contenta che la mia vita ti dia tanti spunti di riflessione. Comunque, per essere precisi, sono stata io che ho baciato Daniele. E dopo averlo baciato l’ho rifiutato.” Sospiro frustrata. La verità è che ogni volta che ci penso, mi sembra di aver fatto una cavolata. Mi sono sempre vantata di essere in grado di non agire mai d’impulso, ma con lui ho fatto esattamente il contrario. Mi destabilizza, non fa mai niente di quello che mi aspetto. E, se in alcune persone questo provoca eccitazione per le costanti novità che un rapporto del genere può apportare, a me suscita il contrario. Ansia, paura, incapacità di gestire la situazione e, di conseguenza, fuga. Sono una correttrice di bozze, dopotutto. La mia vita è molto metodica e, soprattutto, non particolarmente a contatto con la gente.
“Peggio mi sento! Sul serio, Sam, devi darti una svegliata. Lui ti piace, tu piaci a lui. Perché devi sempre incasinare tutto? Comunque, basta parlare di te, ci sono anch’io al mio primo appuntamento dopo secoli. Devo lasciarlo di sasso.” e dopo averlo detto, comincia a ridere. Ma io la conosco troppo bene.
“Se con il termine ‘sasso’ intendevi qualcosa di ambiguo e a doppio senso, sappi che sei davvero pessima.” Nel frattempo, mentre sto ancora sorridendo, ricevo un messaggio. Di Daniele.
Volo prenotato per lunedì alle 10 e prenotato anche l’hotel. L’incontro con il dirigente della Penguin sarà lunedì sera, a cena. Non scherzavo, devi essere favolosa. Per gli altri. Io lo so quanto lo sei.
“Forza, che ti ha detto? Sei avvampata”
“Mi ha detto che partiamo lunedì. E che l’incontro sarà di sera. E che…”
“E che…? Sputa il rospo, non ti devo cavar di bocca le parole.” Mi incoraggia.
“Ha detto che devo essere favolosa. Per lui lo sono già.” E sospiro.
“E tu uno così l’hai lasciato andare?” mentre afferma questo, Luciana parcheggia in una traversa di corso Como. È la sua strada preferita dove fare shopping. L’accompagno raramente perché ci mette ore a decidere per un solo capo d’abbigliamento. Figuriamoci oggi che è una serata così importante. Io sono molto più rapida. Ma perché ho come l’impressione che mi tratterà come un manichino a cui far provare di tutto? Entriamo da ‘Elison’, la boutique preferita di Luciana. Ma non del mio portafoglio che diventerà inesorabilmente più leggero.
“Cara Luciana…” ci viene incontro Etta, la storica proprietaria; una donna di una dolcezza e di una pazienza infinita: forse è l’unica a non farsi venire una crisi di nervi nel sopportare Luciana in modalità fashion addicted.
“Ciao Etta. Come stai?” Luciana è una cliente affezionata. Da che io ricordi, è sempre venuta da ‘Elison’ per gli acquisti più impegnativi.
“Sai com’è, un po’ di stanchezza alla mia età si avverte, ma non mi posso in nessun modo lamentare. Allora, cosa ti porta qui?”
“Ci servono due vestiti, uno per me e uno per Samanta. Te la ricordi, vero?”
“Ma certo. Bentrovata Samanta. In cosa posso esserti utile?” mi stringe la mano con delicatezza, ma senza invadere il mio spazio. Se c’è una cosa che odio delle commesse è l’insistenza e l’interferenza che mi fanno sempre scappare a gambe levate da un negozio. Ma Etta è sempre stata un amore.
“Ho un incontro di lavoro a cena lunedì. È molto importante e vorrei fare un’ottima impressione. Tuttavia non ho un’idea precisa di cosa possa andare bene per un’occasione di questo tipo. Tu cosa mi consigli?”
“Un abito da cocktail, senza dubbio. Discreto, ma elegante e chic. Scuro possibilmente.” Interviene Luciana che, in fatto di moda, ne capisce molto più di me.
“Sì, credo anch’io. Andiamo sul nero?”
“Sì, per me va bene. Purchè non sia troppo scollato.” E ci dirigiamo nel reparto femminile. Dove divengo, a tutti gli effetti, una bambola nelle mani, non di una, ma di ben due bambine.
Questo è adorabile, ma troppo scollato, questo mi fa i fianconi, questo è troppo corto…sono al quinto vestito e non mi colpisce niente. Mi sento inadeguata a vestirmi così, tanto più che sono abituata ad indossare sempre pantaloni e maglie larghe che nascondono le mie forme non particolarmente in forma. Dopo essere ritornata nel mio peso ideale dopo la rottura con Davide, non sono mai stata più tonica.
“Luciana –dico mentre Etta va alla ricerca di altri vestiti - giuro che se mi fai indossare un altro abito attillato, prendo e me ne vado. Per favore, te ne prego, cerca qualcosa di un po’ più morbido. Mi sento un insaccato.” sto per mettermi a piangere. E lei se ne accorge.
“Sam, sei splendida. Dico sul serio. Sai che non sono una di quelle donne che fa i complimenti alle amiche e poi alle spalle le critica senza ritegno. Se ti devo dire che sei scema, te lo dico. Se ti devo dire che sei bella, lo dico ugualmente. E adesso sei incantevole. Ma se non ti senti a tuoi agio, possiamo cercare qualcos’altro, d’accordo?” annuisco con gli occhi lucidi. Quanto bene voglio alla mia nanetta!
Ed Etta, intuendo forse il significato delle mie occhiate sconsolate allo specchio, porta l’abito perfetto. Color prugna scuro, senza maniche, con una cinta di strass per esaltare la vita stretta e leggermente svasato. Lo indosso e capisco che è lui. Non può essere che lui. Mi sento a mio agio, mi sento femminile, mi sento sexy, mi sento bella. Sorrido soddisfatta mentre Luciana mi scatta a tradimento una foto: “È per gli annali! La mia bambina finalmente indossa un abito e non uno scafandro!”
Rido, mentre ritorno nel camerino, sollevata dall’idea che con questo vestito non sarò invisibile. E mentre faccio scendere lentamente il vestito lungo il mio corpo, ricevo un messaggio che mi fa scorrere un brivido di piacere lungo la schiena.
Sei bellissima. Questo vestito è fatto per te. E per i miei occhi.
Daniele. Ma come avrà fatto? Mi sta seguendo? No, impossibile, non è così stalker. E poi, riannodando tutti i fili, grido incazzata, ma anche tanto, tanto compiaciuta: “Luciana!”
E lei, infilando la testa nel camerino, con un sorriso a trentadue denti, esclama: “Vuoi un caffè? Me lo ha offerto Etta. Lo sai, è la panacea di tutti i mali!”
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