Gli amiconi, 11 anni prima di aoimotion (/viewuser.php?uid=121962)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Aceto di fiori ***
Capitolo 2: *** Il problema ***
Capitolo 3: *** Camminando ***
Capitolo 4: *** Sumie Kouki ***
Capitolo 5: *** Schizzo ***
Capitolo 6: *** Spanner-kun? ***
Capitolo 7: *** Il calore di una spalla ***
Capitolo 8: *** Indistruttibile ***
Capitolo 9: *** Presunto rapimento ***
Capitolo 10: *** Un rischio compromettente ***
Capitolo 11: *** Verso l'officina ***
Capitolo 1 *** Aceto di fiori ***
cap1
Se lo ricordava
ancora, il primo giorno in cui l'aveva incontrato.
Quel viso impassibile,
quegli occhi
che sembravano inespressivi ma che contenevano il mondo, quel modo di
sorridere così quieto e distaccato, quel portamento
tranquillo,
misurato, che ti faceva venir voglia di prendertela con calma, e quei
capelli biondi che da lontano - e anche da vicino - sembravano un
bigné calpestato... persino il suo nome era così
strano,
così melodioso, così armonico.
Spanner sembrava
proprio un
marziano proveniente da qualche galassia lontana, pacifica,
tecnologicamente avanzata, giunto in visita sulla Terra per conoscere
gli umani e imparare ad amarli, proprio come nei film
fantascientifici.
Shoichi ne era rimasto
affascinato
e incuriosito fin dal primo momento in cui l'aveva visto, in piedi
davanti la lavagna, impeganto a scrivere il suo nome.
"Mi
chiamo Spanner, scritto con il kanji di aceto (酢) e fiore (花). I miei
hobby sono tutte quelle cose che possono essere smontate e analizzate,
esseri umani compresi. Ah, e mi piacciono molto i dolci. Spero che
diventeremo amici."
"Ehm, bene, Spanner-kun" aveva tagliato corto l'insegnante con un
colpetto di tosse "adesso dobbiamo trovarti un posto... vediamo... Ah!
Il banco accanto a Irie-san è libero, vero?"
"S-sì..." Aveva balbettato lui distogliendo lo sguardo. Non
perché fosse timido, bensì perché era
estremamente
agitato e felice, così tanto che se avesse guardato negli
occhi
il nuovo studente, probabilmente la sua faccia si sarebbe aperta in un
gigantesco sorriso.
Lo sentiva. Loro due sarebbero diventati amici, grandi amici.
Proprio due amiconi.
O almeno, era ciò che lui sperava.
Con fare tranquillo, Spanner si incamminò verso il posto
assegnatogli, si sedette e si guardò un po' intorno.
I loro occhi si incontrarono.
"Tu sei Irie, vero?" Gli chiese, tanto per essere sicuro.
Lui annuì, imbarazzato.
"E sei giapponese, giusto?"
Ma che razza di domanda era?
Shoichi si voltò verso il nuovo compagno con espressione
interrogativa.
"Sì, sono giapponese..." Rispose, perplesso.
Il volto di Spanner si aprì in un largo sorriso, e i suoi
occhi
mandarono lampi turchesi che sembravano le faville di un camino.
"Che bello, ne ero sicuro! Sai, a me piace tanto il Giappone, e anche i
giapponesi. Voi avete la tecnologia più avanzata del mondo,
e
siete dei genii!"
L'entusiasmo di Spanner era così palese che Shoichi credette
di poterlo toccare con un dito.
"Non... sapevo che avessimo la tecnologia più avanzata del
mondo... " Mormorò, sentendosi colpevole della sua
ignoranza, ma
l'altro non sembrò badarci affatto.
"Ti piacciono le invenzioni?" Domandò a bruciapelo,
fissandolo intensamente.
"Ehm... non particolarmente..."
"Impossibile" Spanner sgranò gli occhi "mi hai appena detto
di
essere giapponese, come possono non piacerti le invenzioni? E allora
cosa ti piace?"
"M-mi piacciono molto la musica e i videogiochi" Balbettò,
un
po' emozionato. Da quel che ricordava, poca gente nella sua vita gli
aveva chiesto quali fossero i suoi hobby.
Anche se un po' gli dispiaceva non averli in comune con il nuovo
compagno.
Spanner lo guardò, corrugando la fronte, e si mise a
pensare, molto seriamente.
"Mh" disse infine "non è un granché, ma ce lo
faremo bastare."
"Ce lo faremo... bastare?" Ripetè, confuso.
Spanner lo guardò negli occhi con un sorrisetto compiaciuto.
"Abitante del Giappone" cominciò, in tono solenne "tu mi
aiuterai a costruire la mia prima invenzione!"
Note dell'autrice: l'idea
di scrivere
questa storia mi è venuta pensando che sarebbe stato carino
e
anche corretto, in un certo senso, raccontare di come si sono
conosciuti Shoichi e Spanner.
Premetto che sto scrivendo senza ricordare benissimo quei pochi
flash-back comparsi durante l'anime o il manga (gli unici che ho in
mente sono il sogno di Shoichi di diventare musicista, in cui non si
accenna a un suo possibile interesse per la tecnologia, e la gara di
invenzioni delle superiori a cui ha partecipato insieme a Spanner [qui
non ricordo se Spanner era un concorrente esterno, di un'altra scuola,
o se non è stato specificato]. Inserirò questa
fic in una
serie che comprende anche "Che gran coppia di amiconi" e spero di non
farla durare molto.
PS: se i personaggi vi sembrano OOC, fatemelo sapere.
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Capitolo 2 *** Il problema ***
Per tutta la durata
della lezione, non aveva fatto altro che osservarlo.
Osservava il suo profilo, il movimento dei suoi occhi, il modo in cui
teneva la penna, la postura... tutto.
E la sua mente elaborava dati, instancabile.
"Ehi, Irie." Lo chiamò, sottovoce.
Il ragazzo sussultò.
"C-cosa c'è?" Chiese lui, muovendosi appena verso Spanner.
"Lo sai che hai un modo proprio carino di tenere in mano la penna?"
"G-grazie... eh?"
Spanner gli alzò un pollice in segno di approvazione, e
tornò a seguire la lezione.
Shoichi invece non riuscì a far altrettanto, e rimase a
riflettere sulle ultime parole del suo nuovo compagno di banco.
Io e lui... costruiremo
qualcosa? Un invenzione?
Tutto ciò era straordinariamente confuso.
E poi... cos'era quel complimento di prima? Lo prendeva in giro?
Si voltò di nuovo a guardarlo, e vide i suoi occhi azzurri
che seguivano ogni movimento dell'insegnante.
No, occhi così non sanno mentire. E' la loro più
grande debolezza.
Sospirò, sprofondando nella sedia.
"Irie-san?"
Non appena sentì pronunciare il suo cognome, Shoichi
sobbalzò.
"S-sì, professoressa?" Gli tremava la voce come un pulcino.
"Irie-san, sembra che la mia lezione ti stia annoiando." Un piede
batteva ritmicamente sul pavimento, segnando lo scorrere dei secondi e
la velocità con cui le goccie di sudore imperlavano la
fronte del malcapitato.
"Mi dispiace..." Mormorò imbarazzato.
"Che ne diresti, allora, di venire a risolvere questo problema alla
lavagna? Su, irie-san."
Shoichi osservò la lavagna e il testo che vi era scritto
sopra. Ma in qualche modo, non riuscì a capirvi un
accidente. Era come se la sua mente fosse diventata improvvisamente
bianca... con una piccola figura in un angolo che agitava una manina.
Spanner?!
Il pensiero scandalizzante dipinse sul suo piccolo viso un'espressione
turbata.
"Professoressa."
Una voce si intromise.
"Sì, Spanner-san?"
"Posso risolvere io questo problema?"
Silenzio.
"Spanner-san, per quale motivo dovresti..."
"Perché è colpa mia."
Quattro parole. Gli erano bastate quattro parole.
Sospirando, la professoressa acconsentì.
"Capisco, in questo caso... vieni pure a risolvere il problema."
Shoichi lo guardò, strabuzzando gli occhi.
Cosa stava facendo questo semisconosciuto, per lui? Prendersi una colpa
che non aveva?
Cioè... in realtà ce l'aveva, ma come poteva lui
saperlo?
Si sentì il rumore di una sedia che veniva spostata, e il
ragazzo si alzò in piedi.
Per una frazione di secondo, a Shoichi sembrò che Spanner
gli avesse lanciato uno sguardo di intesa, ma fu questione di un
attimo, e lui era già passato avanti, di fronte la lavagna.
Prese in mano il gessetto e scrutò i numeri scritti nero su
bianco.
Nella classe regnava il silenzio.
Shoichi osservava la scena con il cuore in gola, come se alla lavagna
ci fosse stato lui e non Spanner.
"Professoressa." Chiamò di nuovo, voltandosi verso di lei.
"Sì?" Domandò.
"Non lo so risolvere, mi dispiace."
A quelle parole, scoppiò una risata generale così
fragorosa che anche Spanner si mise a ridere, nonostante fosse tutto
fuorché nella posizione giusta per permetterselo.
Shoichi invece, che avrebbe potuto ridere assieme i suoi compagni,
lasciò che la bocca gli cadesse sul banco, esterrefatta.
Ma cosa ridi, tu?
Dovresti piangere, non ridere!
La professoressa scosse il capo.
"Spanner-san, vai pure al tuo posto..."
E ci andò, effettivamente, fresco come un quarto di pollo.
Il bello fu che, non appena si sedette, il suo pensiero corse immediato
all'amico giapponese.
"Hai visto? Tutto risolto." E gli sorrise, in segno di vittoria.
Anche se non c'era proprio nulla di vittoriosio in tutta quella
faccenda.
Note dell'autrice: questo
dovrebbe essere l'ultimo capitolo breve. Ringrazio sia Hiromi, sia
moecchi, sia Eiko, sia tutti gli altri che leggeranno :)
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Capitolo 3 *** Camminando ***
cap3
"Irie, dove stai
andando?"
La campanella della pausa era appena suonata, e Shoichi si era alzato
in fretta dal suo posto per correre da qualche parte.
"N-non posso fermarmi, Spanner-kun! Devo assolutamente correre a..."
"A...?"
Un gruppo di ragazzi aveva già cominciato a lasciare l'aula.
"T-te lo dico dopo!" Tagliò corto lui, e fuggì
via di
gran premura, lasciando dietro di sé una nuvoletta bianca
che
Spanner osservò con l'immancabile espressione impassibile.
*
"Devo sbrigarmi!"
Shoichi correva per i corridoi con quanta forza gli permettevano le sue
gambine sottili, tenendo con una mano gli occhiali sul naso che
rischiavano di volare via ogni 10 passi.
Lui non era abituato a correre. Era come un orsetto col berretto da
notte, pigro e coccoloso, e non gli piaceva sudare.
A nessuno piaceva sudare, ovviamente, ma lui lo detestava
più di ogni altro.
Il sudore era appiccicoso e... bagnato,
e ogni volta si sentiva come se si fosse fatto addosso attraverso i
pori della pelle e la vergogna lo assaliva puntualmente, senza
pietà.
Il che valeva a dire che ogni giorno, senza riserve, lui profondava
nella sedia, nella panchina sul retro della scuola quando consumava il
suo cibo, sull'erbetta del campo di calcio quando lo costringevano a
tirare quattro calci a un pallone - che cosa ci fosse di divertente,
poi, lui non l'aveva mai capito - e un po' ovunque, con conseguente
ilarità generale.
Ironia della sorte, poi, Shoichi aveva un'inquietante predisposizione
per la sudorazione ascellare e inguinale, il che significava che la
maggior parte delle attività motorie che richiedessero uno
sforzo eccessivo erano per lui fonte di stress quotidiano.
Eppure... in quella circostanza non avrebbe esitato a sudare
copiosamente, se questo gli avesse permesso di arrivare prima di tutti
gli altri.
Rimpianse ancora una volta di stare in una classe così
lontana dall'aula di musica, e cercò di accelerare il passo
rischiando quasi di ruzzolare per terra - urtò contro un
ragazzo e parecchie ragazze, e quando si era voltato appena per
scusarsi i suoi occhiali di traverso lo avevavo fatto sembrare un
invasato - .
Poi, finalmente, la vide.
Quella porta scorrevole che lo avrebbe condotto nel suo mondo.
Senza neanche riprendere fiato la aprì di scattò
e gridò un sommesso "B-buongiorno!" nella convinzione di
trovarvici solo il professor Harakira.
"Buongiorno a te, Shoichi-kun. Solita corsa?"
Le due ragazze presenti assieme al professore lo guardarono e
ridacchiarono sottovoce, mentre il sangue saliva alla testa di Shoichi.
"Ah, sono già arrivate... altre persone."
Mormorò, e il suo sorriso divenne una smorfia di delusione.
"Meglio così! Più siamo e più ci
divertiamo! Dai, Shoichi-kun, entra!"
"N-no!" Esclamò lui come se l'idea fosse abominevole
"Davvero, non importa... ripasserò. B-buona giornata a
tutti..."
E richiuse la porta, in silenzio.
Anche stavolta, era arrivato troppo tardi.
Strinse i pugni, mentre piccole lacrime premevano per uscire.
"Dunque era qui che eri diretto con così tanta fretta..."
Quella voce.
"S...Spanner-kun!" Shoichi si voltò di scatto, mettendo in
bella mostra due grandi occhioni lucidi.
"In persona." Sorrise lui.
"C-come sei arrivato qui prima di me?" Chiese il ragazzo mentre si
asciugava le lacrime con il dorso della mano.
"Camminando."
Silenzio.
Una tromba suonava aldilà della porta, seguita da un
contrabbasso.
"Perché... mi hai seguito?"
"Perché ero curioso di vedere dove stavi andando. E' un
problema?"
"Mi hai... visto piangere..." Mormorò deviando il discorso e
distogliedo lo sguardo.
Spanner non rispose.
Per qualche secondo, rimasero così, senza parlarsi, l'uno
fissando l'altro, e l'altro fissando il pavimento.
Ma la tensione era troppa per il povero Shoichi, così non
resistette e lo guardò, di sottecchi.
Quello che vide, però, non fu altro che un tenue sorriso e
uno sguardo colmo di partecipazione. Anche se non lo stava facendo per
davvero, anche se era rimasto perfettamente immobile senza muovere un
muscolo, gli sembrò come se Spanner gli avesse teso una mano
e lo stesse invitando a riprendersi.
"Non ricordo di averti visto piangere, Irie. Quando sarebbe accaduto?"
Era incredibile.
Spanner aveva azzeccato l'unica frase esistente al mondo che avesse
potuto consolarlo e contemporaneamente non farlo sentire un benemerito
idiota.
"Grazie... Spanner-kun." Sussurrò abbassando lo sguardo,
mentre le sue gancie si coloravano di rosso e gli tornava la voglia di
piangere.
Per un altro motivo, però.
"Mh... se vuoi ringraziarmi, potresti rispondere a una mia domanda?"
"Una tua... domanda?" Chiese mentre si asciugava gli occhi.
"Sì, ecco... senza volerlo, poco fa ho sentito quel
professore chiamarti Shoichi-kun. E' corretto?"
"Sì, lo è" rispose lui, senza capire dove volesse
arrivare.
"Capisco... è forse un altro modo di leggere
«Irie»?"
"Come? No, no! Shoichi è il mio nome!" Esclamò
lui scuotendo la testa.
"Il tuo nome? E allora, Irie cos'è?"
"Ehm... il mio cognome, suppongo..."
Silenzio.
"Non capisco." Disse infine, incrociando le braccia al petto.
"Ma come non capisci?" Esclamò Shoichi, sconcertato.
Poi si ricordò che Spanner era uno straniero, e fu
più comprensivo.
"Le persone di solito hanno il nome e il cognome" spiegò "il
nome viene usato dagli amici e dai parenti stretti, mentre il cognome
da tutti gli altri, capito?"
"Ma io... ho solo il nome! Aspetta, e se fosse il cognome?" E
corrugò la fronte, pensando intensamente.
"Ehm... Spanner-kun?"
"Mmmmmmmmh. Shoichi, secondo te Spanner è un nome o un
cognome? Anzi, prima di questo, posso chiamarti Shoichi?"
"S-sì" balbettò confuso "ma a parte questo, temo
di star... confondendomi."
Il modo in cui Shoichi annaspava nelle congetture di Spanner ricordava
quello del naufrago che cerca di raggiungere l'isola deserta.
Poveretto, già a quell'età Spanner gli dava una
marea di preoccupazioni.
"Vabbè, più tardi lo chiederò a
qualcuno. Piuttosto, Shoichi, cosa sei venuto a fare davanti l'aula di
musica?"
A qualcuno?
Così, uno a caso?
"E-ehm... in realtà era mia intenzione entrarci..." Disse
con imbarazzo abbassando lo sguardo fino a vedere i suoi piedi.
Ma la faccia di Spanner gli occupò la visuale, facendolo
sobbalzare indietro con un gridolino.
"Mh? Che fai, Shoichi?"
"M-mi hai spaventato!"
"Oh, scusa, non volevo. In ogni caso, perché non entri? Chi
stai aspettando?"
"Questo è..." Sospirò "... un po' complicato."
"Ah."
Silenzio.
"Va bene, non insisto. Allora torno in classe, ti aspetto
lì, Shoichi." E senza aspettare il saluto dell'altro, se ne
andò, con il suo andamento lento e ritmico.
Shoichi lo guardò camminare - o meglio, ballare -
finché non svoltò l'angolo.
Quando scomparve dalla sua visuale, Shoichi cominciò a darsi
dello stupido sottovoce, così tante volte che il professor
Harakira aprì la porta dell'aula, convinto che lo stessero
chiamando.
"Oh, Shoichi-kun, cosa fai ancora qui?"
"A-ah, pr-professore!" E scappò via in preda alla vergogna.
Così come all'andata, Shoichi urtò una marea di
ragazzi, stavolta senza nemmeno prendersi la briga di chiedere scusa, e
raggiunse la sua classe con un volo finale che assomigliava tanto al
primo decollo di un passerotto quando lascia il nido.
Il quale si conclude sempre con una clamorosa caduta dall'albero.
Ad accoglierlo, il suo nuovo migliore amico.
"Hai fatto in fretta." Gli disse sorridendo.
"Come fai tu
ad essere già qui, Spanner-kun?!" Gridò
vedendolo, come fosse una specie di fantasma.
Ma la cosa più sconvolgente era che... non aveva versato una
sola, misera goccia di sudore.
Mentre a Shoichi sembrava che qualcuno gli avesse lanciato una
secchiata di acqua addosso.
"Camminando." Rispose lui, pacificamente seduto al suo posto, tenendo
in bocca una matita.
La sua, per giunta.
"Spanner-kun... quella è... la mia matita?"
"Oh, questa? L'ho solo presa in prestito, non ti preoccupare, poi te la
restituisco."
Così piccolo, e già così onesto.
"N-no, tienila pure..." Balbettò Shoichi, con le lacrime
agli occhi.
Quella era la sua matita preferita, e adesso si trovava fra le labbra
di Spanner.
Destino?
Note dell'autrice: grazie
a bannie, moecchi e Hiromi per le recensioni, e grazie a tutti quelli
che leggono e che leggeranno :)
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Capitolo 4 *** Sumie Kouki ***
cap4
Finalmente, le lezioni
era terminate.
Shoichi era esausto,
letteralmente.
Quante volte Spanner lo aveva chiamato, durante la lezione, per
chiedergli conferma della sua nazionalità?
E perché, poi? Shoichi non aveva forse la faccia da
giapponese?
"Shoichi?"
"D-dimmi."
Gli tese la mano.
"Mi ha fatto molto piacere fare la tua conoscenza. Sei una persona
interessante."
"Oh... interessante, dici?"
Era interessante? Non glielo aveva mai detto nessuno.
"Bene" disse lui allontanandosi "allora ci vediamo domani,
così inizieremo."
"S-sì, d'accordo... a domani, Spanner-kun." Lo
salutò con
la sua vocina imbarazzata, e si voltò verso la porta
dell'aula.
Tuttavia, sembrava che il biondo non accennasse a seguirlo.
"Spanner...kun?" Gli chiese, con il punto interrogativo.
"Mh?" Fece lui, guardandolo.
"Ecco... rimani qui?" E indicò il banco su cui era seduto.
"Ah, sì, devo preparare alcune cose per domani e qui mi
concentro meglio. Sai, c'è più silenzio."
"Ehm, capisco... allora io..."
Aspetta un momento.
Domani inizieremo a fare cosa?
"Spanner-kun!" Gridò voltandosi di scatto.
"Cosa c'è, Shoichi?"
"Ecco..." Balbettò "Cos'è che dobbiamo fare,
domani?"
"Come, cosa?
Non te l'ho detto stamattina?"
Shoichi fece cenno di non aver capito.
"Dobbiamo costruire la nostra prima invenzione. Te lo ricordi, adesso?"
"Aah, ora ricordo... eh? Aspetta un attimo... eri serio?"
Spanner lo fissò con i suoi occhi vitrei, una punta di
rimprovero si fondeva nelle sue iridi azzurre.
"Io sono sempre
serio." Asserì, come se qualcuno potesse dubitarne.
"E-ecco, ma, ma! I-io non..."
"Oh, so già cosa stai per dire" lo interruppe, agitando la
mano "non ti preoccupare, andrai benissimo."
"Benissimo? M-ma io non mai preso u-un... un cacciavite, un martello in
mano in tutta la mia vita!"
"Andrà bene, andrà bene." Ripetè con
tranquillità.
E sembrava esserne fervidamente convinto.
*
"Sho-chan, la cena
è pronta!"
"Arrivo, mamma!"
Steso sul letto, Shoichi sospirò.
I compiti li aveva fatti.
Il ripasso lo aveva fatto.
La relazione di storia l'aveva fatta.
La ricerca sui dinosauri l'aveva fatta.
Eppure... qualcosa non quadrava. Non si sentiva soddisfatto,
c'è un qualcosa che... gli dava fastidio.
Spanner.
"Ma insomma!" Gridò rotolando sul letto "Io non so lavorare
a
mano, non so neanche cambiare una lampadina, come posso aiutarlo a...
a... costruire un'invenzione?"
Come poteva? E soprattutto... ne avrebbe avuto il tempo?
Si fermò a ripensare a quella mattina, quando non era
riuscito a
entrare nell'aula di musica. La vista di quelle ragazze lo aveva
spaventato a morte, la vista di altre persone... lo spaventava a morte,
in quei casi.
Lui non voleva che gli altri gli sentissero suonare il flauto. Si
vergognava, si panicizzava, entrava in paranoia, sbagliava a coprire i
buchi, emetteva fischi striduli, e gli altri ridevano di lui.
Sempre.
Un moto di rabbia lo percorse da capo a piedi.
"Perché... sono così stupido?" Mormorò
fra i denti, serrando i piccoli pugni.
Avrebbe voluto essere come... come quella sempai del terzo anno, Sumie
Kouki, la più promettente del club di musica, una stella che
da
sola avrebbe illuminato tutto il cielo.
Shoichi arrossì, quando l'immagine della ragazza gli apparve
nella mente.
Ripensò ai suoi capelli corvini, lunghi, così
simili a un
drappo di seta. Ai suoi occhi ambrati che sembravano un campo di grano,
così tanto che se ci guardavi dentro avevi la sensazione di
vederci ondeggiare delle spighe. Al suo portamento da principessa, da
nobile, da angelo. Al modo in cui dava vita al suo violino, lo faceva
parlare, cantare, gridare, piangere, ridere...
"K-Kouki... sempai..." Si lasciò scappare un sussurro di
piacere. Bastava che la guardasse nei suoi sogni, per essere felice.
Nella realtà, poteva continuare a nascondersi, per sempre.
"Sho-chaaan! La cena si raffredda!"
"S-sto arrivando!" Esclamò lui rinvenendo dai suoi sogni a
occhi aperti.
Fece per scendere dal letto, ma sentì un impaccio in mezzo
alle gambe.
Si guardò, ed emise un gemito di sorpresa.
"Oh, no, di nuovo..."
Shoichi non sopportava le erezioni. Gli davano fastidio, gli impedivano
di muoversi, e cosa ancora più grave... lo facevano sudare.
Gli diede qualche colpetto, timido, veloce, come se il contatto
prolungato lo disgustasse.
Lentamente, come un cavallo domato, il piccolo si ritirò
nell'angolo più profondo dei boxer, in attesa della
«prossima occasione».
E, sfortunatamente per Shoichi, non mancavano mai.
*
L'indomani, Shoichi si
recò a scuola come di consueto.
Quella mattina si era svegliato tardi, ma aveva deciso di non correre
per non sudare, e così era arrivato in ritardo.
"B-buongiorno." Disse imbarazzato aprendo la porta dell'aula.
Vide i suoi compagni voltarsi verso di lui - cosa che gli faceva sempre
sperare che si aprisse una botola sotto i suoi piedi, così
sarebbe potuto fuggire - , ma soprattutto vide l'espressione di Spanner
che sembrò illuminarsi di colpo.
Gli agitò la mano e lo invitò a sedersi, rubando
così al professore di turno il piacere di farlo.
"Irie-san, come ti fa giustamente notare il tuo compagno di banco..." E
qui si dovette sforzare per mantenere un'espressione rassicurante "...
accomodati pure al tuo posto."
"Sì, professore..." Mormorò con occhi bassi.
Quando si sedette, cercò in tutti modi di sfuggire agli
occhi di Spanner, che ostinati lo fissavano.
Ma alla fine, non riuscì a fare a meno di voltarsi verso di
lui.
"Buongiorno, Shoichi." Lo salutò, agitando il palmo.
E poi tornò a guardare il professore, come se nulla fosse.
Senza neanche dargli il tempo di rispondere.
Fu allora il turno di Shoichi di continuare a fissarlo, senza essere
capace di distogliere lo sguardo.
Un magnetismo degno di quello che lo colpiva quando vedeva passare per
i corridoi Sumie Kouki.
*
Pausa pranzo.
Spanner gli porse una matita.
"Tieni, Shoichi. E' la matita che avevo preso in prestito ieri, te la
rendo."
Il ragazzo la osservò, confuso.
"Ehm... ma io ti avevo detto che potevi..."
"Tenerla." Lo precedette "Sì, lo so. Ma se cominci a
regalarmi tutto quello che tocco, finirai per rimanere povero."
E gli sorrise, pacato.
"Sai, qui in Giappone la povertà è proprio
sconveniente"
continuò, in atteggiamento pensante "se non hai soldi, non
puoi
lavorare. La cosa cosa buffa è che per avere soldi devi
proprio
lavorare. Sembra un indovinello cinese."
"Ehm... temo di non capire."
"Cosa?"
"Ehm..."
Fissò la matita che Spanner gli aveva restituito.
Fissò i suoi occhi, seri e composti.
No... lo stupido devo
essere io, per forza.
"Niente, niente, lascia stare." Si affrettò ad aggiungere,
scuotendo la testa.
Forse era un inizio di demenza senile, si disse.
Ma quanti anni aveva? 14? Stava decisamente bruciando le tappe.
"Ah, Shoichi. Voglio farti vedere una cosa."
Un sorriso era apparso sul volto di Spanner.
"Cosa?" Domandò avvicinandosi di più al compagno,
che gli aveva fatto cenno di abbassare la voce.
Aprì la cartella e tirò fuori un foglio di carta
giallastro su cui erano stati tracciati degli schizzi grossolani.
Shoichi li osservò, senza riuscire a capire cosa fossero.
"Ecco... perdona la domanda, ma... che cosa sono?"
"Modelli. Belli, vero?"
"Ah, modelli, certo..."
Modelli?
"Ci aiuteranno per la nostra invenzione. A proposito, ho
già un'idea di cosa potrebbe trattarsi, vuoi sentire?"
"Ehm, perché no?" Abbozzò lui.
Fu in quel momento che una voce chiamò il suo nome.
Era la voce di Kouki-sempai.
"E' qui Irie Shoichi-kun?" Domandò, vagliando con lo sguardo
tutte le personi presenti nell'aula.
Il cravattino fluttuava nell'aria come fosse una ciocca di capelli, la
gonna svolazzava lieve come una farfalla, i suoi occhi erano sereni ma
risoluti, e la sua voce lo era ancora di più.
Shoichi fu colpito da un infarto e si accasciò sulla sedia,
coprendosi con le mani per non farsi riconoscere.
Gli altri compagni si guardarono, indecisi se indicare quel ragazzetto
pelle e ossa che stava cercando di ripiegarsi su se stesso come un
foglio di carta o se scuotere il capo, negando la sua esistenza.
"Sì, è lui."
Ma una voce fu coraggiosa, e lo indicò, mentre l'altro
scuoteva il capo mormorando "No, non sono io, non sono io!" e cercava
di tappargli la bocca con le mani.
"S-Spanner-kun!" Biascicò, imbarazzatissimo
"Perché l'hai detto? Perché?!"
"Perché ti cercava" rispose, guardandolo senza capire "o nel
frattempo hai cambiato identità?"
"N-non c'entra! Non dovevi dirlo e basta!"
"Ah, quindi sei tu Shoichi-kun!"
Era lì, in tutto il suo folgorante splendore.
E lo stava guardando.
Shoichi deglutì, pregando di scomparire.
"S-sì... s-s-sono io..."
"Il professor Harakira mi ha detto che ieri sei scappato per l'ennesima
volta dall'aula di musica, senza nemmeno entrare. E' vero?"
"Sì."
Rispose Spanner.
"S-Sp-Spanner-kun!" Balbettò.
"Ho pensato che se rispondo io al posto tuo, facciamo prima."
"Oh, lui è il tuo portavoce?" Chiese Sumie, guandandolo
incuriosita.
Sembrava che la cosa la divertisse.
"Sì- cioè no! N-n-non è il mio
portavoce! E'-è solo un compagno di classe, s-solo..." Le
parole gli morirono in gola.
"Sono Spanner, piacere." E le tese la mano, con espressione impassibile.
"Sumie Kouki, la presidentessa del club di musica, piacere mio. Allora,
stavamo dicendo... ieri Shoichi-kun se l'è data a gambe come
al solito, giusto?" E sorrise, più rilassata.
Forse era merito dell'espressione di Spanner? O di quella di Shoichi?
"Sì, confermo."
"Ma perché stai parlando tu al posto mio, Spanner-kun?!"
Gridò Shoichi disperato.
"Oh, scusa, colpa mia" Sumie lo guardò negli occhi "allora
rispondimi tu, Shoichi-kun."
"Ah...ah...ah, sì! E-e-e-cco, io... non è che sia
s-scappato..."
"E cosa hai fatto, allora?"
Spanner si limitò ad ascoltare la loro conversazione.
Per il momento.
"M-mi ero accorto che era quasi ora di tornare in c-classe,
così sono tornato indietro..." Pronunciò quelle
parole a voce bassa, distogliendo lo sguardo.
"E così per tutte le altre volte?"
Shoichi non rispose, non ne ebbe il coraggio.
Ma per fortuna...
"Probabile, visto che Shoichi non corre molto veloce e si accorge
sempre dopo di quanto tempo ha perso."
... Spanner ne aveva per entrambi.
"Ora che ci penso... quelle poche volte che ti ho visto correre,
Shoichi-kun, non mi sei sembrato molto... prestante, ecco."
Riflettè la ragazza rotenando gli occhi "Ho capito allora,
scusami se sono venuta a disturbarti in classe, solo che temevo che,
come dire, non avessi il coraggio di entrare nell'aula di musica. Che
sciocca che sono stata, vero? Scusami se ho dubitato di te." E gli pose
una mano sulla spalla, con gentilezza.
Il sangue gli salì alla testa e una gocciolina di liquido
rosso gli colò dal naso.
"Shoichi-kun? Va tutto bene?"
"Shoichi?"
Fu un istante, e i sensi di Shoichi lo abbandonarono.
Per fortuna, Spanner riuscì a intercettare la caduta prima
che sbattesse la testa sul pavimento.
Note dell'autrice: come
potete vedere, ho tolto il genere comico alla storia perché
scrivendo mi sono accorta che mi esce più seria di quanto mi
aspettassi. In ogni caso, ogni tanto farà ridere lo stesso
(spero) :)
Grazie a Hiromi per la recensione (spero di aver risposto alla tua
domanda, con questo capitolo) e a tutti quelli che seguono e leggono la
storia :)
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Capitolo 5 *** Schizzo ***
cap5
"Ho incontrato Sumie
Kouki... ho parlato con Sumie Kouki... sono stato toccato da Sumie
Kouki... Sumie Kouki mi ha sorriso..."
Un'espressione ebete era comparsa sul volto di Shoichi da quando la
brillante e scintillante presidentessa del club di musica era venuto a
cercarlo in classe.
I suoi compagni erano rimasti sconvolti dal fatto, e si erano affollati
intorno al suo corpo privo di sensi, mentre Spanner se lo caricava
sulle spalle e lo accompagnava in infermeria - pur senza sapere dove
questa si trovasse - .
Sumie Kouki, dal canto suo, aveva assistito alla scena in apprensione,
ma vedendo il suo amico farle cenni rassicuranti, con un sorriso aveva
abbandonato l'aula e si era diretta nella propria.
Shoichi si trovava dunque in infermeria, e fissava il vuoto con occhi
languidi, mentre il sangue gli colava insistentemente dal naso.
"E' bella, questa Kouki?" Chiese Spanner, seduto su una sedia vicino il
letto.
Era rimasto tutto il tempo con l'amico, senza staccargli un attimo gli
occhi di dosso.
"Bella??" Fece lui sorpreso dalla domanda "E' meravigliosa! E'...
è un angelo, un fiore, un... un... un sogno!"
Il sangue gli colò più copioso.
"Mh."
"Ma, Spanner-kun, anche tu eri insieme a me, anche tu l'hai vista! Non
sei capace di giudicarla da solo?"
"Sfortunatamente, non ho mai nutrito molto interesse per il sesso
opposto. E neanche per il mio." Aggiunse, dopo una breve pausa "In
questo senso, tu sei il primo."
"Il... primo?"
Quali affermazioni ambigue.
"Ah, Shoichi. Vuoi vedere i modelli che ti ho mostrato oggi alla
pausa?" Gli chiese subito dopo, tirandoli fuori da sotto il sedere.
Ebbene sì, se li era portati dietro.
Come, era un mistero.
"Ah, ehm... va bene." Rispose Shoichi, per niente convinto.
L'immagine di Kouki-sempai continuava ad annebbiargli il cervello.
"Ecco, guarda questo per esempio... che te ne pare?"
Un... che cos'era? Rettangolo? Trapezio? Astronave aliena? Insomma, un
qualcosa di geometrico, tracciato come fosse lo schizzo di un mangaka
inesperto, ricopriva quasi per intero una pagina di quaderno.
Accanto, delle scritte accompagnate da varie cifre, così
minuscole che Shoichi dovette togliersi gli occhiali per riuscire a
vederle.
"Queste... scritte così piccole, cosa sono?"
"Ah, quelle? Sono le specifiche."
"Le... specifiche?" Chiese lui, non avendo la minima idea di cosa
stesse dicendo Spanner.
"Sì, esatto."
Silenzio.
Dovrei chiedergli cosa
sono? Si aspetta che lo sappia? O devo semplicemente far finta di nulla?
Optò per la terza possibilità.
"Ehm" colpo di tosse "capisco. Molto..."
Sì, molto
«non ci capisco un accidente»!
"Avvincente?"
"S-sì, esatto! Molto avvincente, molto... avvincente."
Ma non ne era affatto convinto.
Spanner sorrise leggermente, e si mise a fissarlo con il suo sguardo
impassibile.
"Bene, adesso tocca a te."
"A m-me?" Balbettò indicandosi con un dito "E... cosa dovrei
fare?"
"Osserva il disegno e dimmi se ti viene in mente qualcosa. Sei
giapponese, dopotutto."
E i giapponesi, si sa, quando guardano un rettangolo disegnato male
sono capaci di tirarci fuori il mondo.
"S-Spanner-kun... il fatto che io sia giapponese, ecco... non fa di me
un genio."
Silenzio.
Forse avrebbe dovuto mentire, e dirgli che non era giapponese.
Magari era russo. O eschimese. O italiano.
"Il fatto che tu sia giapponese, forse potrebbe non bastare a fare di
te un genio."
Shoichi sospirò, rincuorato.
"Tuttavia" sottolineò con veemenza "il fatto che tu sia
cresciuto in Giappone fa di te, senza riserve, un genio."
"C-cosa? M-ma non è vero!"
"Sei troppo modesto, Shoichi." Gli pose una mano sulla spalla e scosse
il capo, con aria vissuta.
Il povero rosso si prese la testa tra le mani - gesto che, in presenza
di Spanner, sarebbe presto divenuto ricorrente - e sbuffò.
Lo doveva ammettere: non sarebbe voluto essere lì. Avrebbe
preferito trovarsi... nell'aula di musica, per esempio.
A suonare il corno svizzero in compagnia di Sumie Kouki.
O era il flauto? Vabbè, poco importava.
Guardò di nuovo il disegno, cercando di farsi venire in
mente qualcosa. Qualunque cosa.
Tanto era un genio, no? Quindi Spanner avrebbe annuito con gli occhi
folgorati a qualunque idiozia avesse proposto.
In teoria.
"Ehm... guardandolo bene, pare proprio un..."
Carciofo? Aquilone?
Ferro da stiro?
"Un?" Lo incitò il biondo, sicuro che avrebbe
detto qualcosa di assolutamente sensazionale.
Shoichi stava per rispondergli un titubante «carciofo/ferro
da
stiro» quando una linea catturò la sua debosciata
attenzione.
Una linea curva che sembrava segnare i contorni di un uovo, in mezzo a
quel pasticcio di rette e diagonali.
Altre due linee, poi, partivano dal centro di questo
«uovo»
andandone a intersecare i contorni, creando come dei... Shoichi vi
posò un dito, cercando di ricollegare idealmente quelle
linee
all'immagine che pian piano gli si stava formando nella testa.
"Sembra come un... robot?"
"Un robot, dici? Dove?" Chiese Spanner sporgendo la testolina bionda
per seguire i movimenti delle sue dita.
"Qui, vedi? Questo è il corpo..." e lo tracciò
con
l'indice "... e queste sono le braccia. Ah, ma non ha le gambe, ehm..."
Sono un idiota.
Il biondo amico osservò l'immagine che Shoichi era riuscito
a tracciare nella sua mente, con espressione pensante.
"Ehm... S-Spanner-kun?"
"Mh." Si voltò verso di lui con espressione indecifrabile, e
lo fissò per qualche istante.
"E-ecco... mi dispiace, io non sono... ehm, m-molto portato per queste
cose..." mormorò distogliendo lo sguardo, a disagio "a-anzi,
diciamo pure che, ehm... non sono portato per niente, eh eh..." e
ridacchiò forzatamente per scacciare il senso di
vergogna
che lo opprimeva.
Ma a giudicare da come le sue pupille si erano impercettibilmente
dilatate, Spanner non doveva pensarla allo stesso modo.
"Ce la fai a fare un disegno di questo robot?" Gli disse, porgendogli
una penna.
La sua.
"Spanner-kun, quella..."
"Sì, è tua" confermò "poi te la
restituisco, non temere."
Gli capovolse il foglio di quaderno e si allontano di qualche
centimetro, come a non voler invadere il suo spazio aereo.
"Cosa... dovrei fare?" Gli chiese perplesso, non sapeva se
più
perché Spanner era riuscito di nuovo a fregargli la sua roba
senza che lui se ne accorgesse o perché doveva disegnare un
uovo
con le braccia.
"Disegna il robot, Shoichi." Gli sorrise "Voglio vederlo meglio."
"M-meglio? Ma è un'idea orribile!"
Protestò scuotendo il capo.
Non voleva disegnare quello che aveva pensato, si vergognava.
"E poi... n-non so disegnare..."
"Perché" gli rispose allora, con un'espressione estremamente
tranquilla e sincera "ti sembra che io sappia disegnare?"
Quella franchezza era così autentica e spontanea che Shoichi
non potè fare a meno di... ammirarla.
Quell'espressione... gli dava forza. Non capiva perché, ma
sentiva che con la presenza di Spanner avrebbe potuto far cose che
altrimenti non si sarebbe mai sognato di fare.
Come entrare nell'aula di musica insieme ad altra gente, per esempio.
"V-va bene" mormorò allora "ma promettimi... di non ridere."
"Non ne avevo la minima intenzione."
Quelle parole sprigionavano sicurezza da ogni parte, erano come una
doccia corroborante, gli avrebbero dato la forza di scalare una
montagna.
Ma Shoichi non sentiva chiaramente tutto questo. Provava solo una forte
emozione, pura e brillante, come una piccola e calda lanterna dentro il
cuore.
Lentamente, e un po' titubante, Shoichi tracciò una linea.
Poi ne tracciò un'altra, e formò un tronco.
Lo guardò, annuì e proseguì con il
disegno.
Le mani, intanto, avevano cominciato a muoversi da sole, come per
magia, senza che lui pensasse alcunché. Persino la fronte,
corrugata nello sforzo di ricordare, si era rilassata, e un sorriso
soddisfatto era comparso sul suo viso quando si era accorto che quello
che aveva pensato stava prendendo forma.
Era una sensazione... così
gradevole. E inaspettata.
La capacità di dare vita a ciò che
l'immaginazione creava.
"Ecco" disse, una volta completato il disegno "era... più o
meno così."
Spanner lo prese in mano e lo squadrò da tutte le
prospettive.
"Questo è..." Shoichi trattenne il respiro, terrorizzato
"...
superiore alle mie aspettative." I suoi occhi si erano spalancati per
la sorpresa e lo stupore, e la sua faccia era diventata come...
più viva.
Nei limiti consentiti dai suoi muscoli facciali, s'intende.
"D...davvero?"
"Davvero, Shoichi. Posso portarmelo a casa e lavorarci un po' su?"
"Ehm, p-prego..."
Basta che non lo mostri
in giro.
Dopo un'ultima occhiata, piegò il foglio di carta e se lo
mise da qualche parte che Shoichi non riuscì a vedere, con
espressione soddisfatta.
"Ah, giusto. Come ti senti?"
"C-chi, io? Ehm... bene, credo..."
"«Credi»? Riesci ad alzarti?"
"C-credo di sì, ci provo..."
Poggiò i piedi per terra e si issò, un po'
deboluccio.
Per stare un piedi, stava.
Provò a camminare, e anche questo gli riusciva
più o meno facile.
"Bene, ti sei ripreso. Allora possiamo andare?"
"Uh, sì, ma che ore sono?" E guardò l'orologio
dell'infermeria.
Inorridì.
"M-m-ma sono le 5!" Gridò sconvolto "Dovrei essere tornato a
casa da ore!"
"C'è qualcuno che ti aspetta?" Chiese Spanner.
"Beh, c'e mia mamma, e mia sorella, e anche mio padre..." Rispose,
perplesso dalla strana domanda "Cavoli, com'è tardi! Devo
correre, Spanner-kun! C-ci vediamo domani, buona giornata!" E corse via
dall'infermeria senza aspettare una risposta, sparendo dalla sua
visuale in pochi secondi.
Spanner rimase solo nell'infermeria, con la testa bassa.
"Chissà com'è... avere qualcuno che ti aspetta a
casa." Si chiese, senza sapere realmente di cosa stesse parlando.
Scosse la testa, confuso, e uscì anche lui dalla stanza, con
passo più lento del solito.
Improvvisamente, non aveva nessuna voglia di tornare a casa.
Note dell'autrice: il
capitolo mi è venuto un po' più "malinconico" del
solito, spero risulti comunque gradevole.
iMato: ho seguito il tuo implicito suggerimento e ho cercato di rendere
Spanner un po' più credibile. Ci sono riuscita? :)
Hiromi: grazie come sempre per la recensione :)
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Capitolo 6 *** Spanner-kun? ***
cap6
Frugando nelle sue
tasche, colme di una moltitudine di oggetti meccanici, Spanner cercava
le chiavi di casa propria.
Tale traffico andava avanti da 10 minuti buoni, ma senza successo.
Sospirò. Forse le aveva lasciate a casa, quella mattina.
Forse era stato troppo impaziente di recarsi a scuola per far vedere i
modelli a Shoichi, le aveva dimenticate sul tavolo da pranzo e nessuno
gliele aveva ricordate.
Del resto, chi avrebbe potuto?
"No, non le trovo" sospirò "proverò a bussare."
Le sue piccole ma allenate nocche batterono sull'uscio, una, due, tre
volte.
Ma nessuno rispose.
Allora riprovò, questa volta più forte e
più a lungo, ma la situazione non cambiò affatto.
Sconfortato, si sedette sugli scalini di casa e guardò il
sole.
"Mh... saranno le 6?" Si chiese, perplesso "Ah. Erano le cinque quando
io e Shoichi siamo andati via da scuola, quindi..." Non
terminò
la frase, non ne aveva voglia "Papà va a comprare le viti
nuove
tutti i martedì sera alle 7." Concluse, guardando il vuoto.
Alle volte, Spanner parlava da solo. Non perché fosse
sciocco,
ma perché trovava molto più facile esprimere a
parole
quello che pensava.
Perché, se pensava e basta, capitava che non avesse il
coraggio di andare avanti nei suoi pensieri.
Stavolta però, gli mancava il coraggio per fare entrambe le
cose.
Non disse, quindi, né a se stesso né all'aria la
conseguenza che implicavano le parole da lui appena pronunciate.
Semplicemente, attese.
Perché era l'unica cosa che potesse fare.
"Fa freddo" mormorò "speriamo che non mi venga la febbre."
Non voleva ammalarsi, il piccolo Spanner.
"Altrimenti..." continuò, mormorando "non potrò
lavorare al disegno che Shoichi mi ha fatto con tanto impegno."
Traendo forza da questo pensiero, aspettò un'altra ora che
qualcuno aprisse la porta di casa e lo lasciasse entrare.
*
"S-sono a casa!"
"Sho-chan!" La madre del ragazzino si voltò verso di lui, un
mestolo in mano, un grembiule indosso, un'espressione severa in volto
"Ma dove sei stato? Ero in pensiero, lo sai?"
"Scusami, mamma" disse lui abbassando la testa "è...
è solo che m-mi sono sentito poco bene a scuola e son---"
"Cosa?" Esclamò lei correndo dal figlio e toccandogli la
fronte
in apprensione "Hai la febbre, Sho-chan? Vuoi che ti prepari un po' di
latte caldo? Un brodino?"
"N-no! Non è necessario, davvero mamma, non preoccuparti!"
Si
affrettò a dire lui agitando le manine per indicare che
andava
tutto bene "Adesso salgo in camera e faccio i compiti, poi chiamami per
cena, va bene?"
"Ma... è se ti senti male di nuovo? Vuoi misurarti la
temperatura? Chiamo il dottore?" Insistette lei, sull'orlo del pianto.
Povera mamma di Shoichi, come si preoccupava del suo figlioletto.
Ogni volta che lo guardava, sentiva come se potesse crollare su se
stesso da un momento all'altro. Era tanto fragile, quel ragazzino.
"Dico davvero, mamma! Sto bene, fidati di me!" Ma tante premure
soffocavano il piccolo Shoichi, che cercava disperatamente di
divincolarsi da tutto quel calore materno.
Era un ingrato? No, solo che aveva più di quanto
desiderasse.
E non pensava mai che, invece, poteva esserci qualcun altro che ne
aveva troppo poco.
"E va bene" sospirò la madre, arrendendosi "vai pure, ma se
ti senti male chiamami subito, d'accordo?"
Temeva forse che non avrebbe detto nulla, se avesse avuto un attimo di
mancamento? Se lo immaginava così orgoglioso da non voler
ammettere la sua debolezza di salute? Così coraggioso da non
voler far preoccupare gli altri se stava male?
Sì, era proprio questa l'immagine che la madre di Shoichi
aveva del figlio.
"Sì, sì" la rassicurò "promesso,
adesso... vado,
ci vediamo per cena, mamma." E gentilmente si staccò dalla
sua
presa, e salì le scale, e si rifugiò in camera,
sospirando dopo aver chiuso la porta alle sue spalle.
Mise un dito fra la divisa scolastica e il suo collo, si sentiva
soffocare.
Se la tolse, gettandola sul letto, prima il sopra e poi il sotto,
rimanendo in mutande. Si diresse verso il suo armadio, tirò
fuori il suo pigiama preferito, quello azzurro tenue, lo
indossò
e si buttò sul letto, visibilmente più rilassato,
osservando il soffitto sopra la sua testolina rossa.
"Come sono stanco... " Sospirò, chiudendo gli occhi.
Un sorriso ebete gli si stampò in faccia quando gli apparve
l'immagine di Kuoki-sempai.
Com'era bella, pensò, troppo bella per uno scricciolo come
lui.
Quei capelli corvini che ondeggiavano sembravano i dolci tentacoli di
una piovra d'amore, e i suoi occhi un campo di granoturco in cui
correre spensierati.
Ma, lentamente, si era accorto che un'altra immagine appariva per
qualche instante nella sua mente, a coprire quella celestiale di Sumie.
Non riusciva però a capire cosa o chi fosse. Era troppo
veloce e
troppo confusa. Sembrava una luce a intermittenza, riflettè.
Forse, dopotutto, stava davvero male?
Si toccò la fronte, ma non sentì nulla di strano.
Si tolse allora gli occhiali, imputando a loro il suo malessere. Forse
gli pesava la montatura?
Nel dubbio, si ripose accanto a sé, rimanendone sprovvisto e
regredendo allo stato di talpa.
E fu allora che il volto inespressivo di Spanner gli apparve nella
testa.
Fu così improvviso che spalancò gli occhi di
colpo, quasi spaventato.
"Ho... le visioni?" Si chiese, inquieto.
Si alzò quindi a sedere sul letto, e scosse il capo.
"Sarà meglio farli per davvero, i compiti..."
Sospirò
imbronciato. Era stanco, aveva faticato molto, prima, per tracciare
quel disegno davanti a Spanner. Avrebbe voluto riposarsi, ma sembrava
che il nuovo compagno di scuola non glielo volesse permettere.
E allora cominciò a maturare una piccola avversione per
Spanner, imputando infine a lui il suo malessere.
"Spanner-kun, perché non mi lasci riposare e mi appari nella
testa senza preavviso?!" Esclamò, prendendosi la massa di
capelli rossi fra le dita "Uffa, lasciamo perdere... vediamo,
√3x + 2 ..."
Ma lievemente consapevole del fatto che non poteva incolpare Spanner di
alcunché, reprimette quella stizza infantile e si
concentrò sulla matematica che giaceva intoccata davanti ai
suoi
occhi.
*
L'indomani, Shoichi corse a
scuola.
Sì, esatto, corse.
Corse, perché era in ritardo. Lo era stato anche il giorno
prima, certo, ma stavolta non si fece tanti problemi a correre.
Perché? Perché quella mattina Sumie Kouki avrebbe
tenuto
un discorso per le matricole del nuovo anno, e lui non se lo voleva
assolutamente perdere, per niente al mondo.
Arrivò all'edificio scolastico che grondava sudore come un
torrente in piena, ma cercò di scacciare il disgusto che gli
derivava dalla sua condizione e si diresse a perdifiato nell'aula
magna, correndo appena più velocemente del solito.
"Ehilà, Shoichi-kun! Sumie-chan sta per tenere il discorso,
è per questo che hai le ali ai piedi?"
Dopo aver sentito quelle parole, le gambe smisero di muoversi e
percorse altri 4 metri rotolando sul pavimento con l'accelerazione che
aveva accomunato fino a quel momento.
"P-professor Harakira!" Biascicò raccogliendo i suoi
occhiali e mettendoseli sul naso "C-c-che ci fai lei qui?"
"Ci lavoro, Shoichi-kun" rispose con una risata "te ne sei forse
dimenticato?"
Ah, già, che
stupido!
Povero Shoichi, aveva completamente perso la testa.
"M-mi scusi!" Balbettò inchinandosi più volte
"O-ora devo
andare!" Esclamò, e dopo una piccola pausa aggiunse "Ci...
ci
vediamo più tardi nell'aula di musica!" E corse via,
incredulo
per ciò che aveva appena detto.
Un largo sorriso apparve sul viso gioviale del professore.
"Ci conto, Shoichi-kun!" Gridò al ragazzino dai capelli
rossi che si stava allontanando a velocità costante.
Finalmente ha trovato il
coraggio, brava Sumie-chan!
Eh sì, proprio brava la nostra presidentessa
del club di musica... nonché presidentessa del comitato
studentesco.
Aveva grandi aspirazioni, il nostro fulvo pargolo.
Quando arrivò nell'aula magna, inorridì alla
vista
dell'intera scuola lì presente. Altro che matricole... tutti
volevano vedere Kuoki-sempai tenere il suo incoraggiante discorso per
le spaventate matricole del nuovo anno.
Anche chi avrebbe voluto solo farsela in qualche sgabuzzino buio o
giù di lì.
"Quanta gente! Così non vedrò niente!"
Piagnucolò
saltellando fra testa e testa, alla ricerca della ragazza.
Poi, la vide. Pudica, mentre saliva le scale che l'avrebbero condotta
sul palco, con un paio di amiche intorno.
Ma la gravità fu crudere, e Shoichi precipitò al
suolo senza poter vedere di più.
Si alzò allora coraggiosamente e risaltò, e
così
fece finché non si accorse di un piccolo spazio fra due
ragazzoni - probabilmente del terzo anno - dal quale forse avrebbe
avuto una visuale migliore. Si spostò, rapido come un
coniglietto, e gioì quando le sue previsioni si rivelarono
esatte.
«Ehm, ehm... riuscite a sentirmi?» Chiese
timidamente Sumie
Kouki, che nel frattempo era giunta sul palco e stava armeggiando con
il microfono.
Un coro da stadio intonò un
«sììììì!~»
che ottenne
solo di farla imbarazzare ancor di più.
E ovviamente, in quel coro c'era anche la piccola voce poco virile di
Shoichi.
«Ok, va bene. Ragazzi, sono contenta di vedervi
consì entusiasti, ma, ehm... non sarete un po'
"troppi"?»
Una sonora risata si levò dalle classi più
avanzate, mentre quelli del primo anno gonfiavano le facce, a disagio.
Un viso in particolare, divenuto nel frattempo paffuto, esprimeva tutta
la stizza dei presenti.
"Perché sono dovuti venire anche quelli di seconda e terza?"
Sbuffò, lanciando un'occhiataccia ai due giganti che si
ritrovava ai lati "Questo discorso è solo per quelli del
primo
anno..."
"Eh? Hai detto qualcosa, moccioso?" Fece uno dei due, squadrandolo
minaccioso.
"N-n-n-no! N-niente di niente! Eh, eheheh!"
"Tsé... meglio per te."
P-per un pelo!
Shoichi era proprio una papera, niente da dire.
«Allora cominciamo... benvenuti all'istituto privato Yumei,
nuovi studenti. Sono la presidentessa del comitato studentesco, Sumie
Kuoki, e sono felice di fare la vostra conoscenza!»
A quelle parole, si levò dalla bocca delle matricole un
mormorìo concitato, ma Sumie continuò a parlare
senza attendere che smettesse.
«Come penso saprete, la nostra scuola è famosa a
Namimori per il club di musica, di cui sono la presidentessa, che vanta
il più alto numero di ingressi nel mondo della musica grazie
alla nostra eccellente preparazione. Iscrivendovi qui avrete senza
dubbio la possibilità di farvi un nome e di accedere
più facilmente a un impiego stabile, sia anche questo non
strettamente legato alla musica...»
Il discorso continuò per altri 30 minuti buoni, anche a
causa delle varie interruzioni degli scapestrati di terza, che non
facevano altro se non fischiare e applaudire a sproposito.
Ma Shoichi non si curò più di loro. Per lui, in
quel momento, c'era solo la sempai che tanto amava. Il resto del mondo
poteva anche scomparire, non gli sarebbe importato.
Com'era bella, pensò. Bella, intelligente, spiritosa, forte.
Perfetta, semplicemente perfetta.
Quasi gli venne da piangere, pensando alla ragazza di cui si era
innamorato. Che cosa avrebbe potuto fare un miserello come lui, senza
arte né parte? Per non parlare della corte serrata che
riceveva (lei) da mezza scuola...
Che amore impossibile, pensò ancora.
Però... era così bello, bearsi in quel calore, in
quell'emozione, che non rimpiangeva poi così tanto la sua
posizione.
Che importava, se non poteva averla? Che i suoi occhi potessero avere
il privilegio di vederla, e che la sua mente avese il coraggio di
pensarla... era abbastanza, per lui.
Non avrebbe potuto chiedere altro.
Anche se probabilmente, avrebbe
voluto.
*
Shoichi tornò in
classe con il cuore in subbuglio.
Aveva fatto indigestione di Sumie Kuoki, dopotutto. Era comprensibile.
Andò a sedersi al suo posto, gli occhi ancora lucidi e
languidi, le ginocchia molli e un dolorino al petto che gli dava una
sensazione di vita molto intensa e dolce.
Lentamente, l'aula si riempì dei suoi compagni, tutti
piacevolmente sconvolti - persino le ragazze - , finché non
giunse anche il professore.
"Ragazzi" cominciò, un tono diverso dal solito "ho appreso
stamattina che il vostro compagno Spanner-san è a letto con
la febbre molto alta."
Spanner-kun?
Si era completamente dimenticato di lui. Si
voltò di scatto verso il suo banco, e si accorse per la
prima volta che era vuoto.
Un bisbiglìo pettegolo si era intanto diffuso fra i ragazzi.
"E pertanto..." continuò l'insegnante "Vorrei che uno di voi
andasse a consegnargli appunti e compiti, per non farlo rimanere
indietro. Chi vuole andare?"
Silenzio.
I compagni abbassarono lo sguardo, cercando di rimpicciolirsi per non
farsi notare.
E' stata colpa mia...
perché ho pensato quelle brutte cose di lui...
Shoichi sapeva che, se fosse andato a casa di Spanner, non
sarebbe potuto andare nemmeno questa volta nell'aula di musica.
Ne era consapevole, anche mentre lentamente alzava la mano, arrossendo.
"A...andrò io" mormorò "p-porterò io
gli appunti a Spanner-kun."
Tutti si voltarono verso di lui, increduli.
Shoichi? Quel ragazzino gracile e timido? Andare da solo a casa di un
compagno appena conosciuto?
"Bene, è deciso allora" il professore gli rivolse un sorriso
grato "dopo le lezioni ti recherai a casa sua. Ti darò io
l'indirizzo, va bene?"
"V-va bene..." balbettò, imbarazzato "Grazie... molte."
"Grazie a te, Irie-san."
Contento di aver risolto un problema che temeva si sarebbe protratto a
lungo, il giovane uomo ripose la propria giacca sulla sedia e
cominciò la sua lezione, con gran dispiacere dei suoi alunni.
Note dell'autrice:
capitolo lungo per farmi perdonare del ritardo :) spero che vi sia
piaciuto :D
PS: ho notato che in molti leggono le mie due storie di S²,
eppure commentano sempre i soliti :/ *faccia perplessa*;
vabbè, sarò io che non sono capace di risvegliare
il vostro interesse appieno xD ringrazio come sempre i miei lettori
più affezioni, coloro che seguono e leggono e... al prossimo
capitolo :)
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Capitolo 7 *** Il calore di una spalla ***
cap8
Se c'era una cosa che
Shoichi non sopportava di se stesso, era il suo cuore troppo gentile.
Lui era... stramaledettissimamente gentile. Anche se era un cordardo,
un mingherlino da strapazzo, una papera imbottita... era gentile.
Con tutti? Ma non sia mai. Shoichi non era gentile con tutti. Quello
che a qualcuno poteva apparire tale era solo paura dell'altro,
ipocrisia.
Gentile ed ipocrita.
Eppure... non era ipocrita, mentre camminava verso la casa di Spanner.
Però non era neanche gentile.
Era... alterato. Con se stesso. Perché se non avesse
augurato al
compagno di classe quelle spiacevoli cose solo perché non
aveva
voglia di fare nulla se non pensare alla sempai Kuoki, la sua coscienza
non gli avrebbe comandato di recarsi a casa sua a portargli i compiti.
No, non l'avrebbe fatto.
Sarebbe stata lì, a dormire beata. Magari alle parole
«Spanner-san è malato» avrebbe aperto
pigramente un
occhietto, guardato un po' intorno e infine lo avrebbe richiuso, con un
assonnato sbadiglio.
E Shoichi si sarebbe detto che lui non poteva farci niente, che doveva
andare a suonare la balalaika con Sumie Kuoki e che no, non avrebbe
potuto in nessun modo recarsi da Spanner.
Avrebbe dunque fatto spallucce, camminato sicuro verso l'aula di
musica, aperto la porta con un sorriso sgargiante e fatto svenire le
donzelle di troppo. E infine...
La sua casta immaginazione non si spinse più in
là - ve
li immaginate, a «suonare il trombone»? -
perché il
suo pene avrebbe voluto voce in capitolo, scosse la testolina rossa e
accelerò il passo. Casa di Spanner distava molti, molti
metri
dalla scuola.
Diciamo... 1200 metri. In linea d'aria.
"Ma chi me lo ha fatto fare?!" Gridò Shoichi trascinandosi
stanco per la via "A quest'ora potevo essere con Kuoki-sempai a suonare
il violino, il flauto, il campanello, qualunque cosa! E poi, e poi
magari avremmo pure... eh no! Stai fermo tu, stupido pezzo di carne!
Non muoverti, hai capito? No, che st--- aaah, stai giù!"
Il suo membro aveva tanta voglia di dire la sua, e si rizzò
in
mezzo alle gambe con coraggio, rendendogli difficili i movimenti.
Con suo grande disappunto.
Spazientito, gli diede un pugno e lo colpì in piena punta.
"AAAAAAAHI!!!" Urlò, cadendo in ginocchio sull'asfalto. Era
proprio un idiota.
Tenendoselo stretto fra le mani, e ringraziando che non ci fosse
nessuno, Shoichi arrancò verso la casa del compagnetto
maledicendosi a fior di labbra.
*
"Mmmh..."
Seduto sull'erba del suo piccolo giardino, Spanner osservava con occhi
curiosi e attenti un grande foglio di carta su cui erano stati
tracciati alcuni disegni.
Con la punta della penna che teneva nella mano seguì una
linea, lentamente, come a volerne assorbire la composizione. Quando
giunse alla fine, scosse il capo. No, qualcosa non andava.
"Etciù!" Improvvisamente starnutì, si era alzato
un poco il vento. Si strinse dentro la sua coperta marrone,
tirò su col naso e continuò a fare quello che
stava facendo.
"Questo robot non va bene... non è aerodinamico. Non riesco
a pensare efficientemente con il raffreddore..." Il piccolo era
addolorato nel constatare ciò. Ripensò al suo
amico Shoichi e si disse che l'avrebbe sicuramente deluso.
Scosse la piccola testa arruffata, perché quel giorno non
aveva avuto il tempo di pettinarsi. Era stato in giardino tutto il
tempo, visto che in casa c'era un rumore fastidiosissimo che gli
impediva di concentrarsi.
Come risultato, la sua temperatura si era alzata ancora, ma lui non lo
sapeva e nessuno si preoccupava di farglielo notare. Anzi, di notarlo
lui stesso per primo.
"Mi fa... male la testa..." Mormorò socchiudendo gli occhi
per il dolore. Il disegno che stringeva nei suoi piccoli pugni
cominciava a farsi sempre più incerto, finché non
si sdoppiò.
Stava sudando copiosamente, ma al contempo sentiva molto freddo. Forse
sarabbe dovuto rientrare, si disse. Ma immediatamente giunse alla
conclusione che non poteva, perché in casa non avrebbe
potuto lavorare.
E doveva assolutamente finire
quel disegno.
Portò allora la penna di Shoichi alla bocca,
mordicchiandola. Solitamente faceva questo per mettere in moto le sue
sinapsi, e si chiese se per caso non avrebbe funzionato anche contro la
febbre.
"Spero che Shoichi non si arrabbi..."
Ma nulla cambiò. Spanner cominciava a non vedere
più, e la testa era diventata molto, molto pesante.
Lentamente il suo corpo si inclinò. Fu questione di un
attimo, e svenne sull'erba del giardino, la coperta svolazzante al
vento che si era alzato di nuovo, la fronte imperlata di piccole
goccioline.
Ma prima di perdere del tutto i sensi, ebbe l'accortezza di stringere
di più nella manina il suo preziosissimo foglio. Almeno non
sarebbe volato via...
...
...
...
«...kun...»
?
«Spanner-kun...»
Questo è... Shoichi?
«Spanner-kun!!!»
Spanner aprì lentamente gli occhi, e si
ritrovò davanti il viso stravolto di Shoichi, che continuava
a chiamarlo e a scuoterlo con apprensione.
"Sho...ichi?" Sussurrò, debolmente.
"Spanner-kun!" Gridò ancora "Spanner-kun, mi senti? Mi vedi?
Mi riconosci?!"
"M-mh..." Mormorò, annuendo debolmente.
Shoichi emise un profondo sospiro di sollievo.
"Per fortuna che stai bene! Perché ti trovi qui,
Spanner-kun? Il professore aveva detto che avevi la febbre!"
"E ce l'ho... infatti..."
Il ragazzo emise un gemitò di orrore, e si
affrettò a toccargli la fronte.
"M-ma scotti! Dovresti stare a casa al caldo, non qui a congelare! Cosa
hai in quella testa, Spanner-kun!?"
"Shoichi, potresti... non gridare?"
"A-ah, scusami! N-non volevo, ehm... scusami, mi sono fatto prendere
dal panico e, e..." Biascicò quello imbarazzato muovendo la
testa in segno di diniego.
Spanner sorrise.
"Mi aiuteresti ad alzarmi, Shoichi?" Chiese, con voce sofferente.
"Sì, cer...certamente!" Scattò lui, consapevole
che fosse la prima cosa che avrebbe dovuto fare.
Gli mise una mano intorno alle spalle e una sullo stomaco, impacciato.
E poi, tirò.
Pian piano il busto del ragazzo si sollevo da terra fino a
raddrizzarsi, e Spanner appoggiò involontariamente la
testolina bionda sulla spalla dell'amico, chiudendo gli occhi.
Shoichi arrossì violentemente e si irrigidì come
un'asta, senza sapere come reagire.
"Ehm, ehm... Spanner-kun?"
"Mh?" Mugolò, le palpebre ancora calate, perfettamente a suo
agio e senza alcuna voglia di spostarsi.
Shoichi deglutì.
"Ecco, ehm, non vuoi entrare in casa?"
Uno strano calore aveva intanto cominciato ad avvolgerlo, e si chiese
se non stesse venendo la febbre pure a lui.
"Casa mia..." Cominciò, con un tono di voce più
basso del solito "... non è molto accogliente."
Silenzio.
Il vento soffiò più forte, il che spinse
Spanner a rannicchiarsi ancora di più verso l'esile ma caldo
corpo di Shoichi.
Il quale stava seriamente cominciando a sudare.
"Freddo..." Mormorò, strusciando i capelli biondi sulla sua
divisa scolastica e beandosi di quel calore.
"S-S-S-Spanner-kun! Nell'appartamento dovrebbe esserci più
caldo, n-non trovi anche tu?"
Quella situazione stava diventando pericolosa. Per lui, e per l'amico
là sotto.
Perché... ebbene sì. Anche lì
voleva avere voce in capitolo.
E Shoichi era semplicemente terrorizzato, perché sembrava
che il corpo del ragazzo stesse scivolando sempre più in
basso: la testa di Spanner era ormai più appoggiata al suo
cuore che alla sua spalla.
Quanto ci sarebbe voluto, prima che si accomodasse direttamente sulle
sue gambe e sentisse chiaramente il suo pene eretto? E soprattutto...
cosa avrebbe potuto pensare, un maschio, di questo?
"Spanner... per favore, entriamo a casa..." Sussurrò con un
sospiro supplichevole, dimenticando di inserire il
«kun» alla fine del nome. Non potevano restare in
quel modo, ne andava della sua virilità, che era
già di per sé piuttosto scarsa.
Silenzio.
Gli prese le spalle e lo scosse, gentilmente.
"In casa fa più caldo, davvero. Ti accompagno dentro."
Aggiunse, cercando di guardarlo negli occhi.
Gradualmente, uno dei due si aprì, e lo fissò.
A lungo.
"Mi accompagni dentro?" Ripetè adagio, quasi ci sperasse.
Ed era effettivamente così.
Shoichi annuì, pacificamente.
"Ci alziamo?"
"Mh."
Note dell'autrice:
purtroppo con questa storia mi piacciono i capitoli brevi, ma forse
è meglio così :) spero gradiate comunque :D
dovrebbe essere molto... teneroso, questo capitolo (mmmmm) :)
PS: grazie a tutti quelli che leggono e seguono, come sempre ^^
PPS: insisto, scrivete (SCRIVI!) qualcosa 4851, anche se è
brutta per voi (TE!), scrivete lo stesso!
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Capitolo 8 *** Indistruttibile ***
cap8
"Ehm, Spanner-kun?"
"Mh?"
"Potresti..." Deglutì la saliva che non c'era "... smettere
di giocare con i miei, ehm... capelli?"
La piccola mano che stringeva fra le dita una ciocca rossa e ribelle si
fermò per qualche secondo.
"Ti da fastidio?" Chiese, leggermente deluso.
Shoichi non seppe cosa rispondere. Non poteva dire che quella
sensazione di... solletico
dietro le orecchie gli desse fastidio, ma... trovava la
situazione piuttosto, come dire...
Imbarazzante.
"E' imbarazzante" mormorò a fior di labbra "ma non mi da
fastidio... credo."
"Imbarazzante." Ripeté Spanner, cercando di carpire il
presunto segreto celato dietro quella parola.
La sua mano riprese a giocare con i capelli del ragazzo, provocandogli
un brivido improvviso lungo la schiena.
"Spanner-kun!" Esclamò voltandosi di scatto "P-per favore,
non
toccare i miei capelli!" Supplicò impacciato cercando di
evitare
lo sguardo indagatore di Spanner che, dal canto suo, lo fissava
perplesso e incuriosito.
"Che strana reazione" commentò portando le dita fra i
capelli "io non mi imbarazzo, se me li tocco."
"B-beh!" Ribatté lui, indignandosi un pochino "Neanche io mi
imbarazzo, se mi tocco i capelli. Il problema c'è se lo fa
qualcun altro."
"Io non mi imbarazzo neanche se me li tocca qualcun altro. Guarda." Gli
prese una mano e senza troppe cerimonie se l'affondò dentro
quella chiometta riccioluta bionda che da lontano sembrava davvero un
bigné calpestato.
Shoichi emise un gridolino spaventato e cercò di ritirarla,
ma
Spanner era più forte di lui - già a
quell'età - e
ostinata gliela tenne ferma e buona.
"Ma cosa fai? Non devi mettere le mani di un'altra persona fra i
capelli!" Piagnucolò debolmente "Q-queste cose... le fanno
gli
adulti, ecco!"
"Gli adulti?"
"Sì!"
"Perché?"
"P-perché sì! Che ne so io?!"
"Shoichi, stai sudando."
"Sì, sto sudando!"
"Perché?"
"Perché, perché... mi fai domande complicate,
tu!" Gli
occhiali gli scivolarono via dal naso, lasciando che le iridi dei due
ragazzi si incontrassero senza che alcun tipo di barriera le dividesse.
Shoichi non riusciva a mettere a fuoco un accidente, e quindi non
poté vedere il leggero sorrisetto che si era formato sulle
labbra di Spanner.
Forse non sarebbe riuscito a vederlo neanche con l'aiuto delle lenti,
tanto era lieve ed effimero.
Lentamente tolse la mano dalla sua massa bionda e la lasciò
libera di fuggire dietro la schiena di lui, che stava respirando
affannosamente e tentava disperato di tenere fermi gli occhiali che
continuavano a cadergli dal naso.
"Peccato" sospirò insoddisfatto "erano interessanti. I tuoi
capelli, dico."
"Cos-? I miei capelli, interessanti?" Qualcosa nel cervello di Shoichi
stava evaporando e traspirando all'esterno attraverso le orecchie.
Perché questa
persona deve dire sempre cose così strane?!
"Sì. Dalle mie parti non ci sono molte persone
con i
capelli rossi. Sono..." Corrugò la piccola fronte nel
tentativo
di ricercare un vocabolo adatto "... interessanti." Concluse infine,
non trovando un termine migliore di quello.
La vita per Spanner era irreversibilmente interessante, sicuramente.
"«Dalle tue parti»?" Domandò Shoichi
trovando un
valido motivo per cambiare argomento "Da... da dove vieni, Spanner-kun?"
"America." Fece lui distrattamente e con assoluta noncuranza "Ma non ci
sono geni come in Giappone. Quindi preferisco il Giappone."
Ma a Shoichi non interessava a quale nazione avesse più a
cuore
Spanner, perché la sua mente era stata folgorata dalla prima
parola che aveva pronunciato.
Boccheggiò, tremando.
"A... A-America? Tu vieni... dall'America?"
Spanner annuì.
Il rosso ragazzo cercò di calmare il fremito che lo stava
pervadendo. Respirò profondamente più e
più volte,
con una mano sul cuore a controllare il numero dei battiti,
finché non si senti pronto per ricominciare a parlare.
"AMERICA?!" Gridò parandoglisi davanti senza la minima
esitazione "I-intendi quel posto pieno di grattacieli e sale giochi e
un sacco
di altre cose bellissime?"
Spanner annuì ancora, placidamente.
"Ti piace?" Chiese.
"Mi chiedi se mi piace? Io ho sempre sognato di andare in America! E'
un posto fantastico, ci sono un sacco di cose da fare, e poi, e poi!"
Non terminò la frase e si mise a saltellare intorno,
eccitato
"L'America è un posto fantastico!"
Spanner sembrò sorpreso da quell'improvvisa dichiarazione.
Lui,
in fondo, non ci aveva mai visto niente di che nel posto in cui era
nato, ed anzi era stato felice quando gli avevano detto che avrebbero
traslocato in un altro continente.
Felicissimo quando aveva scoperto che il continente in questione era
l'Asia, e in particolare il Giappone.
Quindi no, proprio non riusciva a capire l'entusiasmo di Shoichi.
E un'idea gli balenò in testa.
"Shoichi." Chiamò, facendosi serio.
"America! America! Am--- ehm, sì?" Arrestò la sua
danza
intorno al nulla e si riassestò con un colpetto di tosse.
"Se riusciremo a costruire la nostra prima invenzione, prometto che ti
ci porterò."
Gli occhi di Shoichi si illuminarono, per poi oscurarsi qualche secondo
dopo.
"Non puoi portarmi in America, siamo minorenni." Gli fece notare,
deluso. Certo, sarebbe stato bello andare in America.
Magari non con Spanner, ma sarebbe stato bello.
"Non preoccuparti, un modo si trova." Rispose lui, e ne
sembrò davvero convinto.
Poi si mosse verso Shoichi con intenzioni non meglio definite, ma mise
un piede in fallo e gli cadde malauguratamente addosso. Shoichi,
riflessi inesistenti - manco a dirlo - , ovviamente non fece nulla per
prenderlo e lasciò che il ragazzo gli cascasse di sopra fino
a
rotolare entrambi sull'erba fresca della prima sera.
"Ahi! Spanner-kun, stai attento!" Lamentò il rosso ragazzo
cercando di scostare il testolone giallo dal suo stomaco.
"S... scusa." mormorò Spanner tentando debolmente di
alzarsi. E
fu in quel momento che Shoichi si ricordò della sua febbre.
Solo in quel momento.
"Ah! Aspetta, ti aiuto ad alzarti!"
"No, no. Ce la faccio..." Le gambe gli tremavano per lo sforzo mentre
tentava di issarsi in piedi. Purtroppo, però, non
riuscì
a mantenere la posizione e gli rovinò sopra ancora una volta.
Ma stavolta, Shoichi riuscì miracolosamente a
prenderlo appena prima che gli si schiantasse sul petto.
"... o forse no."
"Spanner-kun, è meglio se entriamo a casa tua. Stare qui non
è, ehm, sicuro."
"Mh."
C'era qualcosa di strano in quel mugolìo, notò
Shoichi.
Non era qualcosa di chiaro, era più sottointeso e nascosto
fra
le righe.
Ehi, un momento, quali
righe? Di che stiamo parlando?!
La sua mente si ritrovò a vagare in un oscuro
oceano di perplessità.
E la cosa peggiore era che sentiva una parte della sua coscienza fare
congetture assurde e senza il suo permesso, come se si fosse
improvvisamente sdoppiata. Tutto ciò era decisamente
preoccupante.
Ma lui non poteva sapere che con Spanner le sue preoccupazioni non
avrebbero avuto mai fine. L'avrebbe imparato a sue spese, con il tempo.
E neanche poco.
"Spanner-kun..." Cominciò, ma si fermò
immediatamente.
No, non dire niente! Tu
non hai visto o sentito niente! NIENTE!
Shoichi lottava con la sua coscienza per trattenersi dal
dar
voce alla sua perplessità. Immaginava, nella sua piccola
mente
colma di dubbi e ansie, che se l'avesse fatto si sarebbe imbarcato in
un discorso senza capo né coda. Era una percezione molto,
molto
netta.
Ma, inspiegabilmente, qualcosa gliela fece ignorare beatamente.
"Spanner-kun... qualcosa non va?"
L'amico lo guardò, un po' stupito.
"Non... lo so." Rispose, incerto. C'era davvero qualcosa che
non andava? E Shoichi se n'era accorto prima di lui?
Strano. Molto strano.
"Forse, ehm... l-lascia stare! Sono io che penso troppo, non badarci!"
Tentò di correggersi Shoichi scuotendo la testa e
cominciando a
sudare. Forse era ancora in tempo per salvarsi in curva.
"No, aspetta. Credo che tu abbia ragione, Shoichi."
O forse no.
"A-ah, davvero? M-ma tu guarda!" Si lasciò scappare una
risatina
isterica che Spanner non colse affatto, e fece un passo indietro
instintivamente.
Scivolando miseramente per terra.
"Sei stanco?"
Gli tese una manina, debolmente. Shoichi la rifiutò,
alzandosi in piedi da solo.
"No, sto bene, però... ehm, Spanner-kun, mi piacerebbe molto
sedermi da
qualche parte, sai com'è..."
"Mh? Com'è?"
Già, com'era? Domanda retorica, la sua.
Shoichi sospirò, passandosi stancamente una mano sulla
fronte.
Sospettava che gli avvenimenti avrebbero preso quella piega, quindi non
si stupì più di tanto.
Anzi, sentì quasi come se la colpa fosse sua, come se fosse
lui il folle della situazione.
Devo essere pazzo io,
sicuramente. Altrimenti non so davvero... come spiegare tutto questo.
Spanner continuò a guardarlo, senza capire. Senza neanche
provarci, forse. O forse sì.
Non era in grado di dire cosa volessero da lui quegli occhietti azzurri
che lo fissavano - o fissavano qualcosa alle sue spalle? - senza
mostrare particolare interesse. O curiosità. O forse
sì?
La nascondeva? Era lui a non vedere? Si portò
instintivamente
una mano alla montatura, per accertarsi che fosse ancora sul naso.
Poi lo guardò, di sottecchi. E notò che anche lui
stava facendo altrettanto. Credette
che lo stesse facendo, almeno. Ma non di sottecchi. Lo stava guardando,
proprio lui, senza vergogna o imbarazzo. Cosa voleva? Parlargli?
Studiarlo? Era sporco sulla faccia?
"Shoichi?"
La voce incolore di Spanner lo riportò alla
realtà, non certo migliore dei suoi viaggi mentali.
"Ah, eh, sì! D-dimmi!"
"No, niente. Mi sembravi assente, tutto qui."
"Ah. Ca... capisco, ehm, capisco..."
Silenzio.
"Shoichi?"
"Ci sono, ci sono!"
"No, volevo chiederti se vuoi entrare in casa mia oppure no."
La testa gli lanciò una fitta di dolore lancinante che lo
costrinse a massaggiarsi le tempie per alleviare il disturbo.
"Ehm, grazie per l'invito Spanner-kun, ma avevo già detto
che ti
avrei accompagnato in casa... dopotutto, siamo fermi davanti la porta
di casa tua proprio per questo, no?"
"Ah, capisco. Sì, giusto. Comunque il mio non era un invito,
hai fatto tutto da solo."
Ok, è
ufficiale. Il problema sono io.
"Ehm, va bene. Adesso possiamo cercare di entrare in casa?
Sento
molto freddo, è quasi sera e... oh, no! Farò di
nuovo
tardi! La mamma si arrabbierà!"
Sì, Shoichi decisamente tendeva a fare tutto da solo.
"Perché si arrabbierà?" Domandò il
piccolo Spanner
inarcando un sopracciglio. O forse no. L'unica cosa certa era che qualcosa sulla sua
faccia si era mosso. Ma Shoichi non fu sicuro di cosa si trattasse.
E ciò contribuì ad alimentare il suo smarrimento.
"Beh... si arrabbierà perché..."
Corrugò la fronte
alla ricerca di una valida motivazione "... perché si
chiederà dove sono, ecco."
Spanner tacque, immobile.
"Quindi mi stai dicendo che tua madre si arrabbierà perché si
chiederà dove sei. Ho capito bene?"
"Ehm... sì?"
"Ah."
Silenzio.
"Non colgo il senso, Shoichi. Sei sicuro di esserti espresso
correttamente?"
"Oh, insomma!" Sbottò lui mettendosi le mani nei capelli
"Come
te lo devo dire che i genitori vogliono che i loro figli siano a casa
entro l'ora di cena?"
"Questa frase ha già più senso." Annuì
in segno di approvazione.
Shoichi si chiese da che parte fosse l'uscita che conduceva fuori dal
tunnel di follia in cui, in qualche modo, era suo malgrado precipitato.
Non capiva ancora bene perché - sarebbe stata solo questione
di
tempo - , ma ogni volta che parlava con Spanner sentiva sempre che
qualche legge universale era sul punto di sovvertirsi, anche solo per
un momento. Tutto quello che diceva, infatti, acquistava un nuovo
valore che niente aveva a che fare con le cose di questo mondo.
Come se stesse parlando da un'altra dimensione.
Da un certo punto di vista, la cosa poteva anche risultare
interessante, per carità. Ma la sua giovane mente era
incapace
di star appresso ai suoi turpiloqui e si perdeva sempre per strada,
ruzzolando da qualche parte.
Spanner, dal canto suo, sembrava essere poco interessato a
ciò che gli altri potevano capire, o più spesso non
capire dei suoi ragionamenti. Lui non parlava tanto per farsi
comprendere da un altro essere umano che non fosse lui, quanto
perché farlo gli risultava utile per se stesso; era un modo
molto pratico di mettere in ordine le sue idee.
Però, non era affatto un tipo loquace. La parola per lui era
nient'altro che una necessità, un procedimento di
mediazione, un
calcolo che gli faceva comodo: non era mai stata sua intenzione parlare
per dilettare il prossimo o per riempire le pause di silenzio che si
venivano a creare durante una conversazione - che tra l'altro non lo
disturbavano minimamente - .
Il fatto che stesse parlando con Shoichi, pur non potendosi considerare
un fenomeno straordinario o un miracolo ultraterreno, era una cosa che
lo stupiva leggermente. Non credeva di dire cose superflue, e neppure
di parlare per divertimento: però, forse, c'erano state un
paio
di frasi che per comodità di entrambi avrebbe potuto
omettere.
E non l'aveva fatto.
Come quando gli aveva chiesto se gli piaceva l'America. Lo si capiva
soltanto guardandolo, che quel posto doveva piacergli un sacco.
Eppure... qualcosa lo aveva spinto a chiedere conferma.
Curiosità? E per cosa? Per lui? Perché?
Questi pensieri avevano continuato a frullare nelle loro teste, senza
mai smettere di lampeggiare.
Ci volle un intervento esterno, per porre fine a tutto quel groviglio
di interrogativi, dubbi e perplessità.
La porta di casa di Spanner si aprì di botto, spaventando a
morte il povero Shoichi e rendendo vani tutti i suoi sforzi fino a quel
momento compiuti per issarsi in piedi.
Un uomo alto e possente, con un caschetto da minatore in testa, li
stava osservando con cipiglio severo.
"Spanner." Disse, incrociando le braccia al petto "Che ci fai qui
fuori? Lui chi
è?" Aggiunse poi indicandolo con il pollice sinistro.
Il ragazzo dai capelli rossi deglutì, sentendosi colpevole
di qualcosa.
Spanner guardò l'uomo per qualche secondo, muto.
"In casa c'era rumore, non potevo lavorare. Lui è Shoichi."
Disse infine.
"Shoichi?" Il suo tono non sembrava arrabbiato o irritato, ma
trasmetteva comunque uno strano senso di angoscia non meglio definibile.
"Shoichi, il mio compagno di classe. Ah, già, tu non puoi
conoscerlo."
L'uomo col caschetto giallo lo fissò, imperscrutabile.
"E-ehm... molto p-piacere, sono un compagno di scuola di Spanner, m-mi
chiamo I... Irie Shoichi."
"Ah." Per un attimò, quella strana persona sembrò
abbassare la guardia. Quale guardia, poi? Per Shoichi?
Non era molto chiaro, purtroppo.
"Papà, hai finito quel nuovo motore per l'auto?" Chiese
Spanner con noncuranza.
Una domanda superflua, notò. Un'altra.
"Quasi, mi manca solo da ritoccare il pistone." Rispose quello senza
molto trasporto "Il ragazzo rimane a cena?"
"A-ah, ecco, a prop-"
"Sì. C'è da mangiare?"
Shoichi si voltò verso Spanner con un'espressione
sconcertata.
"Vi toccherà andare al minimarket, Spanner. Ho mangiato
tutto
io!" Il padre di Spanner scoppiò in una fragorosa risata a
cui,
ovviamente, nessuno si unì.
Con suo evidente disappunto.
"Va bene, adesso andiamo. Dammi le chiavi di casa, però."
Spanner tese una mano verso il padre, incurante del fatto che Shoichi
lo stesse fissando da cinque minuti buoni, con la bocca per terra.
"M-ma Spanner-kun! Tu hai la febbre!" Gridò disperato,
additandolo "Non puoi andare al minimarket con la febbre!"
Spanner aprì un po' di più gli occhi, sorpreso.
Si toccò la fronte e improvvisamente ricordò.
"Vero, me n'ero dimenticato. Vuoi andarci tu, allora?"
"Ma che dici?!"
"Quindi se non avessi la febbre, ci verresti con me?"
"N-non è questo il punto, Spanner-kun!"
"Mh. Sospettavo che non lo fosse, in effetti."
"... Eh?"
La conversazione incedeva lenta e inesorabile verso un baratro di
depravazione. Ma per fortuna di Shoichi, il padre se ne accorse e li
interruppe con un sonoro colpo di tosse.
"Spanner... tu hai la febbre?"
Il ragazzo si voltò a guardarlo, impassibile.
Annuì.
"Capisco." Fu il commento dell'uomo, altrettanto impassibile.
Sono davvero padre e
figlio? Sembrano
più due sconosciuti che si sono appena incontrati alla
stazione
della metropolitana!
Essendo quei pensieri troppo rumorosi, finì per
attirare la loro attenzione.
"Allora temo che non tu non possa rimanere per cena, Shoichi."
"Ehm, va bene, non c'è problema..." Si avvertiva sollievo in
quelle parole, probabilmente causato dalla consapevolezza di averla
scampata. No, decisamente non voleva rimanere a mangiare da Spanner,
sentiva che sarebbe stato poco, molto poco piacevole.
L'uomo senza nome rimase sulla soglia della porta, in silenzio. E
Shoichi si sentì giudicato da quegli occhi freddi che lo
fissavano senza proferire parola. Forse aveva offeso il figlio? Non era
impossibile, se ci pensava. Lui non era molto intelligente con le persone,
capitava spesso che sbagliasse a parlare e che inavvertitamente ferisse
gli altri.
Però, Spanner... insomma, gli sembrava impossibile ferire
quel ragazzo. Quel ragazo che pareva quasi... indistruttibile.
Sì, indistruttibile era il termine giusto. Nonostante fosse
rosso per i bollori della febbre e con i capelli sudati a causa del
malore cui era soggetto, in qualche modo gli sembrava una torre che non
sarebbe crollata neanche sotto assedio.
E si chiese per quale motivo pensò una cosa simile.
L'oggetto del suo logorroico scervellamento gli tese una mano,
sorridendo vagamente.
"Ci vediamo a scuola, va bene? Ti porterò gli schizzi
rifiniti, promesso."
Gli schizzi?
"Ah, ehm, certo." Gli strinse la mano, un po' incerto
"Ci... ci vediamo a scuola, Spanner-kun."
"Mh." Lasciò la debole presa e il braccio gli ricadde
accanto al
corpo, perfettamente allineato. Forse era un riflesso involontario?
Poi, come si conveniva a un ragazzino educato, Shoichi si
voltò
verso il padre e gli offrì il suo palmo sudaticcio.
Glielo devo offrire,
giusto? Non si offende, giusto? Come si salutano gli americani?!
Sentì una stretta vigorosa sbriciolargli le
falangi,
così improvvisa che si lasciò scappare un
singulto di
sorpresa.
"Grazie per esserti preso cura di mio figlio, Shoichi-san. Sei stato
molto gentile."
Le parole erano in evidente contrasto sia con la sua espressione, che
sembrava vagamente allucinata, sia con la forza che stava imprimento a
quella stretta - decisamente troppa - , sia al tono basso e gutturale
che faceva sembrare tutto una colossale e plateale bugia.
"E'... è stato un piacere!"
Ovviamente.
Finalmente libero da quella presa mortale, Shoichi si voltò
verso il vialetto. Il sole era ormai calato e i lampioni stavano
cominciando ad accendersi per illluminare le strade. Il vento soffiava
piuttosto forte, notò, e faceva abbastanza freddo.
Ce l'avrebbe fatta a tornare a casa? La prospettiva lo spaventava non
poco, a dire il vero. Non era solito camminare da solo a quell'ora.
Aveva perso troppo tempo, e adesso si ritrovava a tornare a casa
praticamente cecato.
Un momento. Non sto
scordando qualcosa? Per quale motivo ero venuto qui, per esempio...
Poi, il colpo di genio. Improvviso, e con perfetto tempismo.
"Spanner-kun! Qua ci sono gli appunti della scuola, tie-"
Accadde una cosa ridicolosamente assurda. Nel voltarsi di scatto,
Shoichi mise il piede in fallo e scivolò per terra,
sbattendo violentemente la testa contro una pietra del vialetto e
svenendo - ma era scontato - sul colpo.
Padre e figlio lo videro rovinare al suolo, e si scambiarono uno
sguardo perplesso.
"Forse dovremmo..." Abbozzò Spanner, ma l'uomo era
già andato a recuperare il corpicino esanime del ragazzetto
e se l'era caricato sulle spalle con ben poca grazia.
La fuga di Irie Shoichi era stata compromessa per sempre.
Note dell'autrice: non
ci credo, ho finito! Troppo lungo, troppo T_T e scommetto che non
piacerà a nessuno, ma questo poco importa. Comunque... beh,
che dire? Ringrazio sentitamente kury
per avermi spinto a continuare una storia che
sennò chissà quando avrei ripescato <3 ah,
e se magari mi voleste dare un parere, visto che sono un pelino
sfiduciata, non ci sarebbe proprio niente di male eh xD
Ah, due avvertimenti: ho
messo AU negli avvertimenti perché la mia storia NON
rispecchia i pochi flash visti nel manga/anime, ma tanto non importa a
nessuno, quindi pace u_u e poi ho trovato per caso il nome della scuola
frequentata da Shoichi quando era piccolo e tenero, e l'ho cambiato.
Due capitoli fa. Sì, deridetemi pure u_u
Bene, ho finito :3 grazie a tutti per aver letto, seguito, preferito e
bla bla bla <3
|
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Capitolo 9 *** Presunto rapimento ***
cap
Paradossalmente,
sembrava che la
coscienza di Shoichi riuscisse ad annegare in una pozza oscura con
più facilità in giovane età, perdendo
progressivamente la capacità di svenire per alienarsi dal
resto
del mondo con l'avanzare del tempo.
Lo Shoichi quattordicenne era infatti caduto in uno stato di catalessi
plumbea dalla quale neanche i rumori molesti di casa Spanner erano
riusciti a strapparlo.
"Questo ragazzino pesa davvero pochissimo. Sei sicuro che sia fatto di
carne e ossa?"
"Mh. Non ci avevo mai pensato." Meditò il figlio in risposta
al
padre, mentre gli veniva dietro zampettando debolmente sugli arti
inferiori "Dovrei fare qualche verifica, forse..."
Se Shoichi avesse potuto sentire, probabilmente si sarebbe messo a
gridare aiuto aggrappandosi alle tende della casa di Spanner.
Peccato solo che, sfortunatamente, in casa di Spanner non ci fossero
tende, ma solo persiane di un materiale grigio non meglio
identificabile. Alle quali non si sarebbe potuto ancorare neanche con
tutta la buona volontà del mondo, dato che, fra le altre
cose, Shoichi si divorava le unghie ossessivamente.
"Spanner, suppongo che tu abbia bisogno delle medicine."
Esordì
ad un certo punto l'uomo che teneva Irie Shoichi fermo sulla sua spalla
come un sacco di patate "Quando c'è un problema, bisogna
risolverlo al più presto."
"In casa non c'è nulla che io possa prendere."
Ribatté
lui impassibile, come se si stesse parlando della salute di qualcun
altro.
Perché sì, effettivamente, le cose stavano
più o
meno così. Spanner considerava se stesso come la sostanza di
base che lo componeva, la sua parte integra e intaccata, il suo
scheletro, la sua essenza più profonda. Spanner, come essere
pensante. Come sunto della sua identità. Come insieme delle
sue
idee.
Tutto ciò che andava oltre questo, non era lui. Era una sua
proiezione sul piano, per così dire. Un riflesso del vero se
stesso. Qualcosa da trattare come sconosciuta, da prendere con i
guanti, da scrutare con attenzione e prudenza.
Lo Spanner malato era qualcosa di problematico, che cozzava con
l'essenza di Spanner. Era... sì, un ostacolo. Quindi si
sarebbe
dovuto curare per necessità, non per bisogno. Le medicine
non
c'erano? Che sfortuna, un contrattempo. Più tardi guariva,
più tardi avrebbe ripreso a lavorare per l'invenzione.
Proprio un bell'intoppo, proprio un bell'intoppo.
Maledetto Spanner malato, perché esisteva? Che scocciatura.
"Hai provato a guardare nella cassetta del pronto soccorso? Mi ricordo
fosse ben fornita..."
"Sì, ho guardato. Ma non c'era niente per me."
"No? Hai bisogno di medicine speciali?"
"Non è che abbia bisogno di medicine speciali...
è che
non posso ingoiare le viti come fossero pillole, papà."
Non c'era ironia in quella frase, neanche la più piccola
traccia. Era una frase di senso compiuto, che sottointendeva una
precisa logica di fondo. Una logica che poteva ragionevolmente sfuggire
a una mente distratta.
"Ah, già. Non puoi farlo." Le parole del padre, invece,
implicavano un rimprovero ben evidente, che arrivò alle
orecchie
del ragazzino con estrema semplicità. Del resto, l'uomo non
aveva fatto nulla per nascondere il suo biasimo, e Spanner lo conosceva
quel tanto che bastava a capire quali fossero le sue intenzioni ogni
qualvolta compiva un'azione.
Era un peccato che non fosse nato robot. Un peccato per entrambi.
Il loro passo non accennava a diminuire. Shoichi tremava, scosso da
quelle vibrazioni poco gentili, ma sembrava ben lontano dal
riacquistare la propria coscienza, persa chissà dove.
Mentre camminava dietro di lui con passo incerto e barcollante, Spanner
si ritrovò a riflettere su questioni di una certa rilevanza.
Prima di ogni cosa... Shoichi era a casa sua. Shoichi. Il suo compagno
di scuola, il suo compagno di classe, il suo compagno di banco, il suo
compagno di invenzioni.
Irie Shoichi si trovava a casa sua. Questo era notevole, decisamente
notevole.
Lo indisponeva, però, che fosse da lui solo con il corpo. La
sua
mente, infatti, giaceva abbandonata da qualche parte nell'universo. Lo
indisponeva, ma si disse che poteva starci. Perché,
dopotutto,
anche il corpo umano ha un suo fascino non indifferente.
"Papà, dove lo stai portando?" Domandò Spanner,
pronto a
fare obiezione nel caso in cui la risposta non lo avesse soddisfatto.
"In camera tua, ovviamente. Dove dovrei metterlo, l'ospite?"
Rispose lui secco, parlando di Shoichi come se fosse un essere
umano e
contemporaneamente un pacco postale. Il ragazzino sorrise un poco,
sollevato. Niente era meglio della sua stanza, per fare... certe cose.
Cose scientificamente corrette e moralmente sbagliate, ma la morale non
è niente più che una superstizione della gente
comune.
Niente che possa piegare la scienza, insomma.
Oltretutto, Spanner era ridigo come un'asta di ferro anche senza che la
conoscenza venisse a forgiargli un'armatura per l'occasione.
La stanza di Spanner apparve dopo un lungo percorso. La sua porta
marrone e anonima si profilò all'orizzonte con pacifica
quiete,
quasi complice di quello che sarebbe avvenuto da lì a poco.
Un
incontro fra due menti, un incontro fra due corpi, un incontro fra due
ragazzi.
Il sorriso sulla bocca di Spanner si acuì, divenendo
più
marcato. Ma fu solo come se qualcuno gli avesse passato una matita sui
contorni, perché non divenne più grande, ma solo
più profondo. Come se si fosse incavato dentro la sua bocca.
Come una crepa che stava diventando voragine.
Sì, avrebbe comunque avuto il suo modesto da fare. E neppure
lo
Spanner malato gli avrebbe impedito di fare quello che sentiva di dover
fare.
*
"Dove sarà
Sho-chan? E' così tardi!"
Le pantofole della madre di Shoichi facevano un rumore bizzarro, quando
premevano sul parquet di casa. Sembrava che sbuffassero, partecipi del
turbamento della donna che le indossava.
Puf, puf, puf, puf.
Il sopracciglio di Irie Misa si inarcò, perplesso.
"E' strano, dove può essere andato? Forse da un amico?"
C'era scarsa enfasi in quelle parole. Del resto, tutto l'ardore della
sorella era concentrato sulla rivista di moda che teneva stretta fra le
dita, sfogliandola con occhi languidi.
Quante, quante scarpe in quel catalogo! Quante borsette! Quanti
cappellini!
E quanti soldi? Ripensò alla ragnatela dentro il suo
porcellino
rosa e deglutì, depressa. Di cosa si sarebbe dovuta disfare,
per
poter compiere quei sudati acquisti?
Ripensò ai vari giochi, cuffie da palombaro e casse
acustiche
del piccolo Shoichi, e si chiese come potesse valere così tanto
della roba così
inutile.
E si chiese anche se non fosse il caso di approfittare della sua
assenza.
"Oh, sarebbe bello! Ma me lo avrebbe detto! Di certo me lo avrebbe
detto!" La madre continuava a pigolare, disperata. Il suo bambino non
era tornato a casa, e la cosa era estremamente sospetta.
Che l'avessero rapito?
In effetti, parlare di rapimento non era così fuori luogo,
considerando in quali mani si trovava suo figlio in quel momento.
Lei non poteva saperlo, ovviamente. Ignorava che Shoichi si trovasse in
braccio a un minatore mancato e che presto il suo corpo sarebbe stato
alla casta mercé di un altro ragazzino dallo sguardo
pseudo-allupato.
Ma se anche l'avesse saputo, se anche ne fosse stata a conoscenza...
probabilmente ne sarebbe stata contenta.
Altro che rapimento. Suo figlio aveva decisamente bisogno di nuovi
amici. Che poi i suddetti volessero dissezionarlo e farne carne in
scatola da vendere al mercato nero, era un paio di maniche.
Non suo, a quanto pare.
"Forse stanno giocando e si è lasciato prendere dal momento.
Lo sai come è fatto Shoichi, no, mamma?"
Ripensò a quando si metteva gli auricolari nelle orecchie,
alienandosi dal resto del mondo per ore, e scosse il capo. Suo fratello
era così... atipico.
Avrebbe preferito un fratellino meno mollaccione e più
consapevole della sua presunta virilità. Qualcuno che non
sembrasse un autistico quasi in ogni momento della giornata, magari.
Però, in fondo, era pur sempre sangue del suo sangue. E lei
era la sorella maggiore, doveva prendersi cura di lui, sempre.
Di lui e delle sue cose.
E di nuovo rifletté. Non era il caso di salire in camera e
di mettere al sicuro quelle enormi cuffie che usava quando si sentiva
particolarmente depresso?
"Tu dici? Oh, figliolo mio... è sempre il mio bambino,
dopotutto!" Scosse la testa, avvilita "Speriamo solo che stia bene..."
Si senti suonare il campanello. Le orecchie di entrambe si rizzarono
stupite.
"Sho-chan!"
Addio cuffie, addio
scarpe firmate, addio cappellino di raso.
Misa schioccò la lingua, contrariata. Che
sfiga, era tornato troppo presto.
La madre corse alla porta, accorata.
"Sho-chan, dov'eri finito? La mamma era così..."
"Aiko?"
L'uomo di fronte a lei corrugò la fronte, incerto.
"Oh, caro, sei solo
tu."
Silenzio.
"Aiko?" Ripeté il marito, sconcertato. Non era certo
l'accoglienza che si aspettava di ricevere.
"E' tragico!
Sho-chan non è ancora tornato a casa, e io sono preoccupata!"
"Ah, Shoichi."
Sì, tuo figlio. Proprio lui.
"Shoichi" continuò, con un colpetto di tosse "dove vuoi che
sia? Sarà da qualche amico a giocare a, no?"
"Ma non ha avvisato! Ed è già buio! E se
l'avessero rapito?"
"Rapito? Lui?"
L'uomo sembrava visibilmente perplesso. E anche un po' deluso,
perché quando mancava lui nessuno lo accoglieva mai con
tanta premura, quando tornava a casa dopo una giornata di massacrante
lavoro.
"Mamma, nessuno ha interesse nel rapire Shoichi." Disse Misa dal fondo
del divano. Anche lei era delusa, anche se per motivi completamente
diversi. Sfogliò la pagina con stizza, e quasi fece a pezzi
la rivista quando vide un bellissimo abito di lino bianco e il suo
prezzo corrispondente.
Era tutta colpa di suo fratello, tutta. Se non fosse sempre
così ossessionato dalla musica e dai videogiochi, forse in
casa sarebbero girati più quattrini.
Che sfiga. Tsé.
"Misa! Non dire queste cattiverie su tuo fratello!" La
rimproverò Aiko agitando un dito nell'aria "E' un ragazzino
buono e intelligente, lo sai!"
"Ma ciò non toglie che nessuno potrebbe mai nutrire anche
solo un vago interesse per lui, tanto da arrivare a rapirlo."
Rincarò la dose lei, gettando la rivista sul tavolo e
coprendosi gli occhi con il dorso della mano.
Che strazio. Le sarebbe toccato trovarsi un lavoretto part-time, poco
ma sicuro.
Avrebbe potuto fare la baby-sitter. Anzi, meglio di no, ripensandoci.
Non avrebbe retto un altro bamboccio fra i piedi.
"Tesoro, sono d'accordo con nostra figlia... no, aspetta, non guardarmi
così, lasciami finire!"
La madre prese un respiro profondo e mitigò lo sguardo
omicida che aveva rivolto al marito.
"D-dicevo... Shoichi è un ragazzino sveglio, ma è
tanto timido e mite. Non ha l'aria di uno che frutterebbe denaro o
altro, capisci? Per questo non possono rapirlo!"
Aiko lo squadrò, indecisa.
"E va bene, lasciamo perdere. Ma se entro un'ora non è
tornato a casa, chiamerò la polizia!"
"M-ma Aiko! Non puoi chiamare la polizia per così poco!"
"Ah, quindi la scomparsa di nostro figlio è cosa da poco?"
"Non intendevo dire questo, nel senso che è troppo presto
per chiamarla! Non accetterebbero neppure la rischiesta, capisci?"
Suo marito tendeva ad aggiungere un «capisci?» alla
fine di quelle frasi che riteneva compromettenti per il suo matrimonio.
Perché, sì, effettivamente era in dubbio che sua
moglie capisse o meno quello che le veniva detto.
Quando di parlava di Shoichi, qualche neurone si distruggeva sempre un
po' prima degli altri.
"Papà ha ragione, mamma! Rilassati, tornerà a
casa." Prima o poi.
Ma non aggiunse l'ultima parte, perché anche lei sarebbe
risultata compromettente. E quel vestito di lino aveva la precedenza.
"E poi, tesoro... hai provato a chiamarlo al cellulare?"
"Sì, ma l'ha lasciato in camera sua!" Gemette disperata. Il
marito le prese le mani con gentilezza e tentò di consolare
la sua sposa.
Ne andava della sua cena.
"Aiko, guardami negli occhi. Scorgi alcuna esitazione?"
La donna scosse il capo.
"Aiko, nostro figlio sta bene. Devi fidarti di me. Io non ti mentirei
mai."
"Satorou..."
"Dai. Me lo fai un sorriso?"
"N-non so se ci riesco..." Mormorò la donna abbassando lo
sguardo.
E' fatta. Ancora un po'
e...
"Tuo figlio non avrebbe voluto vederti in questo stato, lo
sai?"
Ma qualcosa si incrinò con quell'ultima frase.
"Non parlare di lui come se fosse morto, stupido marito che non sei
altro!"
Uno schiaffo volò sulla sua guancia destra con un sonoro chaf, arrossandogli
la gota. Aiko strinse i pugni e se andò, marciando verso il
bagno.
"E stasera, niente cena! Non finché non torna Sho-chan!"
E a quel punto, ritrovare Irie Shoichi divenne la priorità
della famiglia.
*
Spanner era un pochino
emozionato. Era la prima volta che gli era permesso di studiare il
corpo umano dal vivo, e gli tremavano leggermente le mani.
Shoichi giaceva inerme sul suo letto, come un morto. I suoi occhiali
erano stati adagiati con cura sul comodino vicino, e visto senza - lo
constatò con curiosità - sembrava proprio
un'altra persona. E questo contribuì a eliminare quella
minuscola vocina dentro la sua testa, che continuava a ripetere
stancamente che non era proprio molto giusto, come dire... approfittare
di un corpo venuto meno.
"Potrò sempre dire che non l'avevo riconosciuto, senza
occhiali." Mormorò a se stesso, per darsi forza.
Era la prima volta, inoltre, che un suo coetaneo metteva piede in casa
sua. Si trattava sicuramente di un'occasione speciale, da celebrare e
onorare come meritava.
Poggiò un dito sulla sua guancia, incuriosito. Questa
affondò per un circa un centrimentro, prima di incontrare la
resistenza delle ossa. No, non aveva le guance paffute.
Spanner si diresse verso la sua scrivania e prese una penna e un foglio
di carta. E cominciò a scrivere il primo risultato che aveva
ottenuto dalle sue osservazioni.
"Shoichi... non ha... le guance... paffute. Punto."
Bene. Aveva dimostrato quello che sospettava da tempo. Si
sentì pervadere da un vago senso di soddisfazione, che
sarebbe cresciuto man mano che avesse continuato a verificare le sue
ipotesi.
Ritornò al capezzale di Shoichi, che si agitava turbato. I
capelli si erano sparpagliati sul cuscino, creando delle morbide onde
rosse.
"I capelli di Shoichi." Disse, e mosse una mano verso di loro,
afferrandone con gentilezza una ciocca.
O meglio, gentilezza non era il termine giusto. Con attenzione e cura,
sarebbe stato più appropriato.
Per cercare di non rovinarli. Di non spezzarli, addirittura. Gli
sembravano estremamente fragili, come fossero fili di pagliericcio
scarlatto, pronti a prendere fuoco o disperdersi nel vento alla minima
distrazione.
Li strinse fra le dita, tastandone la consistenza. Morbidi e sottili. E
il rosso era naturale.
Annuì, e tornò a scrivere sul suo foglio di carta.
"Shoichi... ha... i capelli..." Si fermò, cercando degli
aggettivi adatti. "... naturalmente rossi." Scrisse infine, non proprio
convinto. "Punto."
Il ragazzo disteso sul letto emise un vagito.
"Ahuu~ S... i... uhh..."
"Mh? Shoichi?" Spanner si diresse di gran corsa verso di lui,
scrutandone con attenzione la reazione. "Shoichi, stai bene? Ti stai
svegliando?"
La sua coscienza lottava per tornare a galla. Lottava contro quel
soffitto nero che sembrava schiacciarlo e soffocarlo. Tese una mano,
nel delirio, cercando di afferrarne l'evanescente figura. Ma quello che
sentì, non era esattamente quello che si sarebbe atteso di
toccare.
Spanner, che non capiva molto bene le reazioni umane, si risolse di
afferrare quella mano che puntava al cielo con disperazione. E Shoichi,
che vagava negli angoli più oscuri della sua mente, fu
piacevolmente sopreso da quel contatto e riuscì a destarsi,
sbarrando gli occhi di colpo, come se fosse appena riemerso dalle
profondità dell'oceano.
"Uhaa!" Gridò.
Ad attenderlo, l'espressione composta del buondo fanciullo.
"Ciao, Shoichi."
"S-S-Spanner-kun!" Gridò, ancora "Dove, dove, dove sono?!
Cosa è successo?!"
"Sei a casa mia, sei svenuto e mio padre ti ha portato qui."
"Svenuto?" Un ricordo ritornò a galla "Ah, sono scivolato su
quella pietra e ho sbattuto la testa..."
Spanner annuì. "Come ti senti, adesso?"
"M-meglio, credo... però, aspetta! Che ore sono?"
"Uh... non lo so. Non ho orologio, con me."
"Ma è terribile!" Esclamò, alzandosi dal letto "E
poi, dove sono i miei occhiali?"
"Lì." E gli indicò il comodino dietro di lui.
"Dove? Non vedo..." Rispose lui, cercando di mettere a fuoco l'ambiente
circostante.
"Ah, è vero. Non puoi vedere, non hai gli occhiali."
Riflettè Spanner grattandosi il mento.
"Proprio per questo ti chiedo dove sono, Spanner-kun!"
"Interessante." Fece lui "Sembra un controsenso." Aggiunse poi,
sorridendo appena.
"Non è un controsenso!" Protestò Shoichi
stropicciandosi gli occhi "Per favore, Spanner-kun, passami i miei
occhiali!"
"Uh. Va bene, aspetta." Allungò una manina e li prese "Stai
fermo, te li metto."
"N-non c'è bisogno, posso fare ben-"
Ma le dita di Spanner gli avevano già posizionato le
stanghette sulle orecchie, con molta noncuranza.
Un nuovo mondo si aprì davanti ai suoi occhi verdi. Un
mondo... inquietante.
"G-grazie" mormorò aggiustandoseli sul naso "Questa
è la tua stanza, hai detto?"
"Sì, esatto. Ti piace?"
Quello che Shoichi vide... era difficile dire che cosa gli suscitasse.
Sembrava di essere entrati in una cantina abbandonata da secoli, e si
respirava un'aria di chiuso che avrebbe fatto impazzire qualunque
claustrofobico.
Lui non era claustrofobico. Ma sentì che, se fosse rimasto
là dentro troppo a lungo, lo sarebbe potuto diventare.
Non che la camera fosse piccola, anzi. Ma era buia, e il soffitto era
incredibilmente basso. Tre metri appena, forse qualcosa di meno,
stimò con una rapida occhiata. Ed era piena di oggetti
metallici che brillavano della poca luce emanata da una lampada
quadrata posta al centro della stanza, così giallastra
e malaticcia che lo fece sentire quasi dentro una prigione. Sembravano
agglomerati di... fogli di alluminio e fanalini di bicicletta.
Dei mostri, insomma.
"Ehm, ehm..."
"Non ti piace, vero?" Lo anticipò lui, senza particolare
calore nella voce.
"Ehm. Non particolarmente, ehm..."
"Capisco."
Silenzio.
"T-ti sei offeso?"
"Offeso?" Domandò lui, perplesso. Non perché
fosse inconcepibile che potesse essersela presa per una cosa del
genere, quanto più che potesse essersi aspettato una
risposta in particolare, come se da essa dipendesse la sua
felicità o la sia tranquillità.
Come se il fatto che quella stanza potesse piacergli o meno avesse una
valenza scientifica, o comunque un significato particolare.
"Sì, ecco, beh... non mi piace la tua stanza, quindi magari
tu..."
Non finì la frase. E non la finì neppure Spanner.
"No." Rispose semplicemente "Non ho pensato nulla del genere. Stai
tranquillo, Shoichi."
Shoichi sospirò, sollevato. Sentiva tuttavia che qualcosa
non andava, ma non volle approfondire.
Perché approfondire portava solo guai. L'aveva
capito, ormai.
"Uhm, ok, allora io andrei a casa..." Buttò lì,
cercando di far apparire la frase come casuale e muovendo un piedino
verso quella che sembrava essere la porta.
Sembrava.
"Ma è tardi, Shoichi." Rispose lui, venendogli dietro.
"Ma hai detto di non sapere che ore fossero!"
"Infatti non lo so. Però posso dirti che è
sicuramente tardi."
Silenzio.
"E perché non me l'hai detto prima?" Chiese Shoichi
mettendosi le mani in testa, evidentemente disperato.
"Perché tu mi hai chiesto le ore, e quindi i minuti, e
quindi i secondi. E io non li sapevo. Non mi hai chiesto se fosse
tardi, se il sole fosse tramontato, se fosse sorto, se il meridiano di
Greenwich-"
"Ok, ok, ho capito. Lascia stare Spanner-kun, non aggiungere altro!" Lo
pregò scuotendo il capo rossiccio "C'è...
qualcuno che possa accompagnarmi a casa?"
"No."
Silenzio.
"Ehm. E io che faccio, allora?"
"Dormi qui. Ti cedo il letto, se vuoi."
Oh. Inaspettatamente gentile.
Ma Spanner non si comportava così per gentilezza. Lo faceva
per efficienza, perché era ciò che avrebbe dovuto
fare nel caso in cui l'ospite di casa sua si fosse trovato in quella
situazione.
Ma quando vide l'espressione sul volto di Shoichi, paonazza e carica di
vergogna, si chiese se non valesse la pena di ridare un occhio al
manuale del perfetto padrone di casa che aveva letto una volta, di
soppiatto, nella bibilioteca della sua precedente scuola.
Forse il concetto di ospitalità, si disse, variava da
continente a continente.
Sorrise appena. Valeva proprio la pena di scoprirlo.
Note dell'autrice: va
bene, ce l'ho fatta. L'antico vaso è stato portato in salvo.
Tuttavia. Se a nessun frega di questo vaso, se nessuno viene al museo e
paga il biglietto, che senso ha avuto? ç_ç *coff*
ma lasciamo perdere. Grazie, come sempre, a tutti. Nagipon ed Eiko su tutti.
Grazie care <3 E spero che questa storia ottenga il successo che
merita! (?)
Sono così disperata da farmi i complmenti da sola
çAç vedete come sto? Ok basta, mi eclisso. Grazie
per l'attenzione e buona giornata. u_u
:D
PS: il nome
della sorella di Shoichi l'ho trovato per caso su Youtube, spero sia
corretto. Quelli dei suoi genitori me li sono inventati,
perché non li ho trovati da nessuna parte. Se voi li
conoscete, ditemelo °A°
|
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Capitolo 10 *** Un rischio compromettente ***
cap10
Io non dovrei essere qui.
Era
questa la frase che da più di venti minuti tormentava la
mente del povero Shoichi.
I due marmocchi erano seduti per terra, trenta centimetri di distanza
li separavano l'uno dall'altro. Fissavano la stessa linea retta, ma
cose diverse.
Mondi diversi, per la precisione.
Spanner stava scrutando con scarso interesse quella che presumibilmente
doveva essere una molla. Sì, era decisamente una molla,
quella
cosa che sorgeva
da quell'ammasso di rottami messi nell'anfratto più remoto
della sua camera.
C'era da chiedersi, a rigor di logica, come potessero quegli occhietti
sottili vedere così bene nell'oscurità, riuscendo
persino
a distinguere le rapide curve dell'oggetto in questione. Forse non
aveva bisogno di «vedere» per davvero, e quello non
era
altro che un gioco di memoria.
O forse no. O forse ci vedeva per davvero. Forse suo padre lo aveva
avuto con la gravidanza di Cat Woman, forse. Questo avrebbe spiegato
molte cose. O poche. O tutto. O niente.
Insomma, Spanner era un mistero. Ed era questo mistero che Shoichi
temeva con tutte le sue forze.
Aldilà dell'essere deforme posto nell'angolo più
buio di
quella stanza - lo stesso che stava fissando il fanciullo accanto a lui
- , da cui emergevano strane forme inquietanti, Irie vedeva il niente.
E di tal niente, aveva un grandissimo terrore. Perché
sentiva
come se qualcuno - o più probabilmente qualcosa - potesse
uscire improvvisamente allo scoperto e ghermirlo con furia animalesca.
E ovviamente sentiva, sapeva
che
Spanner non avrebbe mosso un dito per aiutarlo. E che anzi, con estrema
probabilità si sarebbe pure divertito. E aiutato quel
qualcosa a
farlo a pezzi più rapidamente e con più
minuziosità.
Rabbrividì dei suoi pensieri raccapriccianti.
Si voltò un pochino verso Spanner, guardandolo di sottecchi.
Sembrava così...
rilassato,
ecco. La stessa impressione che gli aveva suscitato qualche giorno
prima, quando si era presentato alla classe. Ma mentre in
quell'occasione la sensazione era stata senz'altro positiva, in quel
frangente lo metteva invece estremamente a disagio.
E, a complicare il tutto, non riusciva a darsi un perché.
Mentre
in quanto a porsi domande, era probabilmente il migliore sulla piazza.
"Cosa c'è, Shoichi?" Chiese d'un tratto il ragazzo,
voltandosi
verso di lui e animandosi un poco. I loro sguardi si incrociarono, e
Shoichi si voltò di scatto dall'altra parte, rosso in volto.
"N-niente!" Farfugliò lui "Niente di niente, davvero!"
"Mh. Ti senti a disagio, forse?"
"No, no! Davvero, sto benissimo! Davvero!"
Ma chi voglio prendere
in giro?!
Ci fu una breve pausa, che lo sorprese un poco. Ma solo un
poco,
perché era troppo impegnato a fuggire quelle iridi azzurre
che
lo fissavano con velato interesse.
"Scusami." Disse infine. Non c'era la solita atonalità in
quelle
parole. C'era... una certa enfasi, sì. Un'enfasi che aveva
qualcosa di straordinariamente emotivo, per uno come lui. Persino
Spanner stesso se ne sorprese, cogliendosi in quel momento in cui gli
era quasi sembrato di uscire dal proprio corpo per lasciare il posto a
un altro lui, sconosciuto o pressocché tale. Si
grattò il
capò biondo, visibilmente perplesso.
Shoichi lo guardò, girandosi piano, ancora un po' spaurito.
Quello che vide fu un ragazzino che si arruffava i capelli, senza la
minima traccia della periciolosità che aveva scorto in lui
pochi
secondi prima. Sgranò gli occhi, sbatté le
palpebre e
cercò di metterlo a fuoco meglio.
Ma niente. Quella parvenza di umanità che lo aveva preso non
era scomparsa.
"Spanner... kun?"
Si voltò. Si guardarono. Shoichi arrossì, ma non
interruppe il contatto visivo. Sostenne le sue iridi celesti,
coraggioso e... affascinato. Affascinato dal fatto che anche Spanner
potesse sembrargli niente più che un buffo compagno di banco
venuto dal suo posto preferito e con passioni astruse e vagamente
preoccupanti.
Niente più che... un amico.
Sì, un amico. Forse, dopotutto, loro due erano... amici?
"Mi dispiace, sì. Non sono molto bravo con gli ospiti, non
ne ho
mai avuto, ecco. Non che io ricordi, almeno. E quindi, ecco... non so
bene comportarmi, non so se mi spiego. Non voglio che tu ti senta a
disagio, è solo che, come dire... non sento il bisogno di
dire o
fare qualcosa in particolare. Mi basta stare qui in silenzio a guardare
le mie invenzioni fallite, insieme. Forse tu vuoi fare qualcos'altro?
Vuoi giocare?" Si sporse verso di lui, riducendo i centimentri a
quindici scarsi.
Lo fece con una naturalezza disarmante, tale che a Shoichi
servì
una manciata di secondi, per accorgersi che il ragazzo aveva
accorciato, bruciato la
distanza che li separava. E per reagire di conseguenza, dando prova del
suo isterismo represso.
"Argh! E-ecco, io non saprei, ehm, ehm... giocare a qualcosa, dici?"
Deglutì. Gli parve di sentire il suo fiato caldo sul naso, e
ne
rabbrividì.
Troppo vicino, troppo
vicino, troppo vicino!
La tua testa era nel pallone. Sentiva come se lo stesse
sventrando, letteralmente. Anzi, come se qualcuno gli stesse aspirando
il cervello. Avvertiva proprio quel, come definirlo? Quel risucchio,
sì. Quel risucchio che gli stava portando via la sua
lucidità. E non gli piaceva, perché lui si
sentiva stupido, certe volte, anche con tutte le rotelle a posto.
Perché era così, un complessato di natura.
Se adesso gli toccava ragionare senza sinapsi funzionanti, si chiedeva
fin dove sarebbe potuto arrivare. Dove la sua vergogna lo avrebbe
trascinato, e soprattutto che cosa avrebbe detto Spanner di tutto
ciò.
Gli occhi del suddetto lo guardarono, attendendo una risposta. Ma poi,
arrivò da sé un'illuminazione folgorante. Come
aveva fatto a non pensarci prima? Che sciocco che era stato.
"Shoichi, ho un'idea!" Disse, con un'euforia che gli aveva visto
raramente in volto da quando lo aveva conosciuto. Si mise in piedi,
ignorando i bollori della febbre - che pur tuttavia si erano placati un
poco - , e si diresse con passetti piccoli e malfermi verso l'armadio
della sua camera. Shoichi lo osservò, boccheggiando senza
emettere alcun suono.
Le ante si aprirono lentamente, e Spanner si tuffò al suo
interno, scomparendo in un oceano di cianfrusaglie. Alcune delle quali
sembravano appuntite e contundenti. Doveva fare un gran male,
nuotare in mezzo a quella roba.
"S-Spanner-kun, ti farai male così!" Gli disse, tendendo una
mano verso di lui come a volerlo fermare. Si alzò in piedi e
gli zampettò vicino, con la vaga intenzione di tirarlo fuori
di lì. Non avendo idea del come, aveva
inaspettatamente chiaro il perché
dovesse farlo.
Perché gli sembrava così malaticcio e fragile, in
quel momento, che davvero temeva potesse dissanguarsi e morire con
niente.
Morire. Che
brutta parola. Che parola lontana, per loro. E che pensieri
incomprensibili, i suoi. Ripensò a quando, appena un'ora
prima, aveva pensato che Spanner fosse indistruttibile. E adesso si
ritrovava a pensare che fosse fragile come un cristallo.
... Non aveva alcun senso. E a lui, tutto sommato, le cose insensate
non piacevano. Erano complicate, e gli facevano venire un gran mal di
testa. Come se i problemi non fossero già abbastanza.
Scosse il capo, per placare le sinapsi impazzite, e si sporse nel
tentativo di pescare Spanner nel mare di neglie in cui si era tuffato
con slancio commovente.
"Dovrebbe essere qui intorno..." Vide un braccio emergere, poi
scomparire nel nulla. Ebbe una gran paura.
"Spanner-kun! Dove sei finito?!"
"Aspetta Shoichi, ho quasi finito, devo solo... ghn" lo
sentì mugugnare, ed ebbe ancora più paura. Si
mise le mani nei capelli e cominciò a saltellare, come un
sim quando gli va a fuoco il chili con carne.
"Spanner-kun, per favore esci da lì, morirai
così!" Supplicò, indeciso se tentare di tirarlo
via a forza oppure invogliarlo a uscire da quel macello con un
pretesto, anche stupido.
Infine optò per la prima possibilità. E immerse
le mani fra quei rottami, facendosi un male cane, tagliandosi tre
polpastrelli e spappolandosi il pollice. E, ovviamente, non
afferrò niente che potesse assomigliare a un arto di
Spanner. Invece, la sua cute toccò qualcosa di morbido e
fresco, e non riuscendo a capire di cosa si trattasse, tirò
con tutte le sue forze quella cosa non meglio identificata.
Gridò, quando si accorse che quello che stava tirando erano
i capelli del ragazzo. Gridò più forte, quando
Spanner si precipitò addosso con annessa roba metallica.
"Ahi..." Mormorò il biondo fanciullo, massaggiandosi la
testa "Shoichi, perché mi hai tirato i capelli? Mi hai fatto
male..." Nella sua voce si avvertiva davvero il dolore, e Shoichi se ne
sarebbe anche dispiaciuto... se la situazione non fosse stata
così maledettamente imbarazzante.
Perché sì, insomma, ce l'aveva proprio addosso.
Davanti a sé. Sopra di lui. Con la sua fronte praticamente
appoggiata alla sua bocca, pancia contro pancia, petto contro petto, e
quel che era peggio... gli era caduto di sopra con le gambe divaricate.
Insomma, quella posizione era molto ambigua. Sembrava che stessero per
fare sconcerie di qualche sorta. Solo lui, ovviamente,
afferrò la compromettenza di quella posa, perché
Spanner si limitò a guardarlo dall'alto, le braccia che lo
reggevano poste ai lati della sua testa, con uno sguardo che qualcuno
avrebbe potuto benissimo definire voglioso,
e un leggero ansimo che però era dato dalla febbre che si
ostinava a perseguitarlo.
La afferrò, non perché forse un esperto. Ma
perché al contrario, era di quella ingenuità
disarmante, quella che ti fa scoprire le cose nel peggior modo
possibile, che rimpiangi di esserne venuto a conoscenza nel momento in
cui i fatti mettono alla prova quello che sai, nei modi più
sconvenienti possibili. Spanner invece era ingenuo e basta, e la sua
mente non arrivava minimamente a concepire come sconcio il modo in
cui gli era caduto addosso.
Pur tuttavia, non si poteva proprio dire che non gli avesse fatto alcun
effetto. Era strano, molto strano.
Non è che fosse felice. Non è che fosse
incuriosito. Non è che fosse turbato.
Era semplicemente... perplesso. E concentrato. Guardare Shoichi da
lassù dava una prospettiva nuova alle cose, una prospettiva
che lui avrebbe definito interessante. E non perché non
fosse capace di trovargli un altro aggettivo, ma perché non
ne esisteva uno migliore.
E in virtù di questo genuino interesse, fece una cosa
altrettanto genuina e smaliziata: gli scostò una cioccia di
capelli dal viso, per osservare meglio quegli occhi che lo fissavano
sgranati alla massima potenza, e nel farlo ottenne due effetti
secondari che non aveva avuto alcuna intenzione di imprimere.
Il primo, fu di sfiorargli l'orecchio destro, con un movimento
così leggero da sembrare puro solletico atto solo a farlo
ridere come un forsennato - e Shoichi il solletico lo soffriva
maledettamente - . Il secondo fu che Spanner, senza volerlo, aveva
usato una grazia, una leggerezza, un tatto così leggeri e
delicati che quel contatto di scostargli i capelli dalla fronte, lui lo
intese come una carezza. Una carezza dolcissima, la carezza di un
amante.
Più che senza volerlo, senza volere quel tipo di reazione.
Senza avere quel tipo di intenzione. Perché dopotutto, lui
era un meccanico. E la delicatezza era una sua prerogativa, sempre. In
tutto quello che diventava, in un modo o nell'altro, oggetto del suo
studio accurato.
Shoichi, però, non era così stupido. Sapeva,
intuiva perlomeno che in quel contatto non c'era niente di passionale o
affettuoso. Non poteva essercene, in nessun modo, non avrebbe avuto
alcun senso e lui lo sapeva.
Per questo motivo, si maledì profondamente, con parole dure
e irripetibili. Per questo divenne rosso e gli occhi gli si riempirono
di lacrime, e cominciò a tremare e a sentire caldo.
Perché per un attimo, un singolo attimo, si era illuso che
quel contatto fosse qualcosa che non sarebbe mai potuto essere. E la
consapevolezza lo feriva con una violenza inaudita, stroncando il suo
piccolo e fragile cuore.
Ma non pianse.
La sua dignità, quella che spesso veniva messa a tacere per
forza di cose, glielo impedì. E lui la ringraziò
con tutto se stesso, perché gli permise di non scappare via
singhiozzando, a causa della traumatica esperienza. E Spanner se ne
accorse, ovviamente.
Ma per sua fortuna, non capì. Intuì qualcosa,
forse. Ma la sua coscienza non si era ancora risvegliato, e di
quell'intuito, in un primo momento, non seppe proprio che farsene. E
senza rendersene conto accantonò quella percezione
indistinta, ignaro che un giorno avrebbe nuovamente bussato alla sua
porta, e che lui ne avrebbe decifrato i criptici contenuti.
Almeno in parte.
"S... Spanner-kun" lo sforzo nella sua voce era evidente e palpabile,
quasi da soffocare "per favore, potresti... spostarti?"
"Aspetta." Gli rispose lui, mandando in frantumi ogni possibile
contromisura. Con le dita andò a sfiorare i contorni
dell'occhio, aiutato anche dal fatto che grazie alla caduta gli
occhiali si erano spostati più in giù, verso la
punta del naso. Si fermò in un punto ben preciso, e
cominciò a fare una lieve pressione. "E' gonfio."
Dichiarò, senza enfasi nella voce. "Ti fa male?"
"Un po'." Rispose lui, quasi istintivamente. E non si chiese
perché, impegnato com'era a trattenere il respiro per quello
che stava accadendo.
Spanner non si era mica allontanato. Neanche di un millimetro. Anzi,
poté giurare che si era persino avvicinato, pur di poco,
perché gli sembrò di sentire più
chiaramente il suo respiro pacifico e regolare sopra il viso.
E si chiese, in mezzo a tutto questo, cosa dovesse pensarne lui -
ammesso che ci stesse pensando - del suo fiato corto e disperato,
asmatico e oppresso, nonché opprimente per chiunque lo
avesse ascoltato. Non per lui, a quanto sembrava.
Spanner corrugò la fronte, sembrando indispettito.
"Perché?" Gli chiese, quasi come fosse una protesta. Quasi
come se lui si sentisse... responsabile?
Non sarà
che... è dispiaciuto per me?
Quella riflessione lo uccise, letteralmente.
Perché ci stava cascando di nuovo, di nuovo, di nuovo,
nonostante fosse scampato al disastro pochi minuti prima. Era un
irrimediabile idiota, e si odiava a morte per questo motivo.
Eppure... stavolta il suo cervello non gli suggerì alcuna
conclusione più logica di quella. Nessuna voce interiore gli
disse che non poteva essere, che c'era sicuramente qualcos'altro e che
si stava sbagliando. No, niente di tutto questo.
Fu invece il cuore, stavolta, a dire due parole per lui. A dirgli che
non era così brutto, se qualcuno ti montava sopra come un
cavallo e si preoccupava per te, sfiorandoti la pelle con dolcezza e
precisione chirurgica, che insieme creavano un connubio singolare che
di romantico non aveva niente e che pertanto, proprio
in virtù di ciò, poteva essere accettato come
valido.
Cosa c'era di male, a illudersi? A illudersi che in quel cipiglio
fattosi severo, ci fosse della sincera apprensione per lui, disteso
sotto le sue gambe divaricate, immobile, paonazzo, incapace di
decidersi a mantenere un preciso stato d'animo?
Niente. Forse...
qualcuno mi vuole bene, in fondo. Spanner mi vuole bene, in fondo. In
un modo... particolare, ecco. Proprio come mia sorella e i miei
genitori. Sì, deve essere per forza così. Vero
che è così? Vero che siamo amici, Spanner?
Il ragazzo sembrò intuire che quegli occhi
volevano trasmettersi qualcosa. Fermò la mano, che per tutto
il tempo non aveva fatto altro che palpargli delicatamente la cute, e
lo fissò intensamente.
Intensamente.
Molto intensamente.
Così intensamente che... non ce la fece. No, non ce la fece
proprio.
Fu come una molla, uno scatto, e qualcosa esplose. Con un botto
sinaptico così forte, che Spanner non poté far
altro che chiudere gli occhi e cadergli definitivamente addosso,
addormentandosi di colpo sopra la sua faccia, mentre poco mancava che
le loro labbra si incontrassero.
Per sbaglio, certo. Ma il rischio l'avevano corso. E non era stato
l'unico rischio della giornata, quello.
E non sarebbe stato l'ultimo, sicuramente.
"Spanner-kun?" Azzardò lui, strozzandosi con la sua stessa
saliva. Ma come era prevedibile, sentì solo il suo respiro
entrargli per la bocca rimasta semiaperta, incapace di chiudersi per lo
shock a cui in quel momento era sottoposto.
E allora rimasero così, per un tempo indefinito. E Shoichi
non si mosse, e respirava appena, perché non voleva
svegliarlo, perché... non era pronto a svegliarlo.
E dicendosi mentalmente che non era carino svegliare
il padrone di casa, e convicendosi - sempre mentalmente - che fosse una
motivazione più che valida, attese immobile che qualcuno
venisse a svegliarli.
Entrambi,
però.
Note
dell'autrice: è incredibile. Voi forse non ci
crederete, ma mi sono commossa a scrivere sta roba. Mi è
completamente uscita dal cuore e, dio... non potete immaginare il
calore che ho provato nell'imprimere certe cose sulla pagina. Una
soddisfazione che ho provato raramente, scrivendo fic. E quindi lo
ammetto, sono fiera di questo capitolo. Per una volta, sento di aver
scritto qualcosa di buono. Ovviamente adess tutti voi verrete a dirmi
che è stato peggio di tutti gli altri, già lo so
xD quindi forse dovrei stare zitta, ma non ci riesco, è
più forte di me. Spero che non vi sia dispiaciuta tutta
questa introspezione. Io personalmente l'ho trovata utile e necessaria,
e presto mi concentrerò più nel dettaglio su
Spanner, gioia mia çAç ma come sono truzza, per
la miseria.
Precisazione: la
parola "neglia", credo che sia dialetto. Ha lo stesso significato di
"cianfrusaglie", ma mi piace di più, perché
trasmette quel senso di disordine, confusione, trasandatezza (?), non
so se mi spiego. Se vi da fastidio e l'avete ritenuta inopportuna
fatemelo sapere u_o
Grazie a Ari, perché
è stata lei a darmi gran parte della forza per scrivere.
Anche se, dai, un po' ce l'avevo di mio u_u <3
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Capitolo 11 *** Verso l'officina ***
cap11
Spanner e Shoichi
giacevano sul
pavimento, l'uno sull'altro. Il primo dormiva, o verosimilmente giaceva
privo di sensi addosso al secondo, e il secondo cercava di frenare la
tachicardia che si era gentilmente impossessata di lui.
Pur tuttavia, quella situazione non gli recava nessun fastidio: anzi,
era addirittura sicuro che ci fosse qualcosa di buono, in quella
posizione equivoca, e con la scusa di riflettere su cosa potesse
trattarsi rimase lì a scrutare il soffitto, mentre il suo
braccio cingeva appena le spalle dell'altro.
Ascoltare il respiro regolare del biondo fanciullo gli trasmetteva uno
strano senso di quiete. Ed era inquietante, a ben pensarci,
perché in quel frangente avrebbe dovuto provare tutto - ma
proprio tutto
- tranne che quello.
Sarebbero rimasti così a lungo, molto a lungo, se un suono
improvviso non avesse fatto sobbalzare il povero Shoichi e mandato
conseguentemente a faccia all'aria Spanner, che nonostante il tonfo non
riaprì gli occhi.
«Spanner, apri!» tuonò il padre da
dietro la porta,
bussando violentemente. E in quel momento, Irie si sentì
come
l'assassino che ha appena commesso un omicidio mentre la polizia lo
bracca senza sosta.
Effettivamente, a un primo impatto, qualcosa nel suo cervello
gridò «nascondi il corpo di
Spanner-kun!»; ma per
fortuna, lui non fu così avventato da farlo davvero,
oltretutto
che non ne avrebbe avuto materialmente la forza, gracile com'era.
"S-Spanner-kun? Spanner-kun, svegliati, tuo padre ti sta chiamando!"
bisbigliò sottovoce scuotendolo un po', senza successo.
«Spanner, apri questa porta, è molto
importante!» insistette l'uomo, battendo il pugno con forza.
Che faccio che faccio
che faccio?!
"A-arrivo!" zampettando modestamente, Shoichi si diresse
alla porta e l'apri timidamente "Ehm, buonasera..."
"Ah? Tu non sei mio figlio!" protestò il padre, avvicinando
la faccia a quella del ragazzino "... Sei Shoichi, per caso?"
"S-s-s-sì, s-sono io!" balbettò lui colto da un
improvviso malore, che lo fece barcollare quel tanto che bastava per
permettere all'uomo di vedere il proprio figlio sdraiato per terra in
stato di incoscienza.
"Ma quello non è Spanner?"
"P-posso spiegare tutto! V-vede, è successo che..."
"... Stupido figlio."
La bocca di Shochi rimase aperta, appena il tempo di prendere un breve
respiro con il quale avrebbe dovuto dar fiato ai polmoni e spiegare a
raffica che cosa era successo al ragazzo dai capelli biondi.
"Come?" riuscì ad articolare, incontrando due iridi azzurre
identiche a quelle del figlio, solo molto più fredde e
distanti.
"Finché si ammala, non mi importa. Basta che sia capace di
lavorare, di rendersi utile, di far funzionare quelle braccia
striminzite che si ritrova. Ma se adesso si mette a svenire per una
febbricola da due soldi..." continuò, scuotendo la testa
deluso.
"Gli esseri umani sono davvero della merce scadente."
"Della... merce scadente?"
Istintivamente, Shoichi fece un passo all'indietro, inorridendo
letteralmente per ciò che aveva appena sentito.
Spanner, una merce scadente? Perché trattava suo figlio come
fosse un prodotto difettoso?
Senza rendersene conto, cominciò a stringere i piccoli pugni
sudaticci attraversato da un fremito di qualcosa di molto simile alla
rabbia. Rabbia per quelle parole, o rabbia per la persona a cui erano
indirizzate?
"... ngh..."
Lentamente, Spanner aprì gli occhi celesti, e quel che vide
per prima cosa fu il soffitto della sua camera.
Seguita, quella visione, da un debole richiamo, quasi il pigolio di un
pulcino. "Shoichi...?"
"S-Spanner-kun!" il ragazzo si voltò di scatto verso di lui
"Ti sei ripreso? Come stai?" e gli corse incontro, inginocchiandosi
accanto a lui e tendendogli le mani, indeciso su come aiutarlo. Senza
pensarci troppo - o più precisamente, senza pensarci affatto
- gli pose una mano sulla fronte, accorgendosi con immediato sollievo
che era poco più che tiepida.
Spanner guardò il palmo che lo stava toccando, facendo
convergere gli occhi in un unico punto. Subito dopo li chiuse, beandosi
di quella piacevole sensazione di frescura. "E' fredda..."
mormorò, e seppur la sua non era niente di più
che una constatazione, in essa vibrava una nota di evidente conforto.
"Per fortuna stai meglio" mormorò Shoichi di rimando "quando
sei svenuto mi sono spaventato..."
"Uh? Perché?" domandò Spanner, mettendosi bene a
sedere sul pavimento "Svenire non è una cosa
così... ah, papà."
Si interruppe, quando scorse vicino alla porta la figura del padre che
li osservava con cipiglio severo. "Stai bene, Spanner?" gli chiese, con
voce rauca "In tal caso, vieni a darmi una mano con la manutenzione del
motore."
"Mh... arrivo" tentò di alzarsi in piedi, ma Shoichi lo
bloccò saldamente a terra prendendolo per le spalle. "Cosa
fai, Shoichi?"
"Non andare, non ti sei ancora ripreso! E, e se ti senti di nuovo male?
Se ti fai male con gli attrezzi? Se ti-" si bloccò,
all'improvviso, stupito delle sue parole. E immediatamente prese
colore, diventò paonazzo, e si allontanò da lui
strisciando come un verme, balbettando qualcosa di indistinto in cui
l'altro riuscì a distinguere uno «scusa»
alla bell'e meglio. "S-scusa, non volevo, ehm, io... s-scusa, ecco, no,
ehm, io..."
"Spanner, ti muovi o no?" la voce insistente del padre tuonò
per tutta la stanza, giungendo con scarsa grazia alle orecchie del
figlio, che guardò prima l'uno e poi l'altro, indeciso. "Lui
può rimanere qui, se vuole." Aggiunse con un lieve cenno del
capo, ma sembrava tanto un'esclusione cattiva e presuntuosa
più che una garanzia di salute per l'ospite.
Forse, se Spanner era un ragazzino che cercava di somigliare quanto
più possibile a un robot ma veniva pur sempre colto dai
malanni che affliggono tutti gli esseri umani, lui era uno scricciolo e
punto, inutile e gracile all'ennesima potenza, con la stessa
utilità di una verruca sotto i piedi.
"Shoichi, tu che cosa vuoi fare? Vuoi venire o preferisci restare qui?"
gli chiese dunque, guardandolo dritto negli occhi nonostante lui
cercasse in tutti i modi di evitare il suo sguardo.
Certo, le prospettive non erano affatto allettanti: la prima prevedeva
sicuramente la comparsa di oggetti contundenti volti, secondo la sua
modesta interpretazione, a minare all'incolumità di chi li
adoperava; la seconda prevedeva un'immersione globale nell'oceano della
solitudine e dei mostri di alluminio caratteristici di quella cameretta
che assomigliava tanto a un museo degli orrori. Tuttavia... in quel
momento le circostanze non lasciavano adito a nessun tipo di dubbio.
"V-voglio venire anche io" rispose, con un po' di magone
"così posso...
guardare Spanner-kun al lavoro."
Silenzio.
"Shoichi, davvero ti interessa guardarmi lavorare?" Spanner sembrava
molto perplesso a riguardo, e non mancò di dar voce ai suoi
dubbi. Il padre rimase in silenzio, fissandolo imperscrutabile.
"Certo!" esplose lui con accoramento - finto o vero, non lo sapeva
neanche lui - "Così posso farmi un'idea di come si
costruiscono le cose, ecco."
"Io non devo costruire, devo collaudare, che è diverso."
Rispose lui con serietà ammirevole per un fanciullo
così giovane.
"Ah. B-be', ti voglio guardare lo stesso!" ribatté Irie,
cominciando a sudare copiosamente "E'-è-è un
problema?"
"Non lo è, ma perché balbetti?"
"M-ma cosa dici? I-io non sto balbettando!"
"Dici? A me pare proprio di sì." Si grattò la
testa, arricciando leggermente le labbra.
Shoichi sembrava preda di una trombosi: ansimava pesantemente e gli
occhiali minacciavano di cadergli dal naso da un momento all'altro. Era
sempre così, quando lo mettevano alle strette; ma stavolta
era diverso, in un certo senso, perché la sua bugia gli
stava costando una fatica notevole. Senza contare che era una fonte di
problemi non indifferente, tra i quali per primi figuravano l'imbarazzo
e la tachicardia.
Non era facile spiegare cosa sentiva, del resto. Erano per lo
più azioni sconnesse che seguivano alla buona un unico filo
conduttore che rispondeva quasi per certo al nome di Spanner, ma per il
resto lui stesso stentava a stare dietro a ciò che usciva
dalla sua bocca, parole che per lui acquistavano senso solo dopo averle
pronunciate, esattamente come se qualcun altro stesse parlando al posto
suo usando la sua bocca. In una parola, si poteva affermare che Shoichi
era posseduto
da qualche forza mistica di cui avrebbe tanto voluto conoscere
l'origine.
O forse... lui la conosceva già. Ma poiché il
ricordo era nel frattempo diventato molto scomodo, la parte del suo
cervello che voleva rimuoverlo faceva a pugni con quella che invece
voleva tirarlo in causa per dare una parvenza di senso a quelle
balbuzie vergognose, con il risultato che la mente di Shoichi aveva
finito con l'ospitare per intero il circo Orfei, con tanto di
spettatori e carretto dei gelati.
Comprendendo (perché era palese)
le difficoltà del giovin virgulto, il padre di Spanner
interruppe il loro dialogo con un sonoro colpo di tosse. "Se vuole
venire, fallo venire. Al massimo scapperà via", disse, e
Shoichi trattenne il fiato pregando che fosse tutto uno scherzo, di
pessimo gusto ma soltanto uno scherzo.
"D'accordo" disse Spanner con una modesta alzata di spalle "vieni
Shoichi, andiamo in officina."
"Eh? Cosa? No, aspetta un momento, che significa che
scapperò via?" Gli afferrò la manica del pigiama
con espressione pregna di orrore "C-cosa c'è in officina?"
Si guardarono per alcuni secondi, specchiandosi l'uno negli occhi
dell'altro.
Ma alla fine, Spanner non rispose e si voltò verso la porta
senza dire nulla, con Shoichi al suo seguito, trascinato via per
inerzia verso la camera delle torture, mentre piagnucolava e si
dibatteva come un pesce nella rete.
*
"Mamma..." Misa era in piedi
davanti alla madre, con un'espressione avvilita "quello è un
cronometro?"
"Esattamente, Misa. Sto contanto quanto tempo è passato da
quando tuo padre è tornato a casa, e non appena questo
prezioso strumento segnerà un'ora, io chiamerò la
polizia."
"Mamma..." la ragazza sospirò, grattandosi pigramente la
testa "davvero, sono sicura che Shoichi sta bene, e che in questo
momento si sta divertendo con qualche amico."
"No. Shoichi mi avrebbe avvertito, lo conosco troppo bene. Deve essere
accaduto qualcosa..."
«Tesoro!», si sentì chiamare dal
soggiorno «La cena è pronta?»
A quelle parole, la donna si lasciò stappare un sospiro
colmo di risentimento. "NO! Mangeremo solo quando Sho-chan
tornerà a casa!"
«M-ma potrebbe venire chissà quando!»
"E allora tu spera che torni presto, oppure vieni qui e preparati da
mangiare da solo!"
Si udì un lamento sommesso, e Satorou si ripiegò
mogiamente su se stesso, affondando sul divano.
"Così papà morirà di fame, non
possiamo preparargli almeno un panino?"
"Quello se lo sa preparare anche da solo" ribatté la donna
con fermezza "se ha tanta voglia di mangiare, che venga qui e si dia da
fare."
Misa rimase in silenzio, osservando la decisione con cui sua madre si
ostinava a non cenare e a non lasciar cenare. Tuttavia, lei stava
morendo di fame; non avrebbe permesso che il suo fratellino pure da
assente le mettesse i bastoni fra le ruote.
"Va bene, però io mi preparo qualcosa" dichiarò
con voce atona "perché ho fame."
"Come vuoi." Replicò la madre con tono indignato "Io
aspetterò Sho-chan, com'è giusto che sia!"
Non la penserai in
questo modo fra tre ore, mamma.
"Certo, certo..." e detto ciò, la ragazza si diresse verso
il frigo con l'intenzione di riempire il suo stomaco gorgogliante.
Note dell'autrice: ok,
allora, parto col dire che questo capitolo doveva essere lungo COME
MINIMO 60/80 righe in più, ma che francamente non ne avevo
la forza, perché non sto per niente bene >_<
spero che sia stato comunque di vostro gradimento, e spero di ricevere
parecchie recensioni (sì lo ammetto cazzo, ne voglio un
sacco), al fine di sentirmi rincuorata e non concedermi alla
depressione che è lì che mi saluta fintamene
cordiale.
Dovevo assolutamente riprendere la narrazione, perché non
è nel mio stile cominciare una cosa e poi finirla. Non ci
sto, no, non ci sto! e__e (?) spero che vi sia piaciuto, ma sono
ripetitiva da fare schifo, quindi vi lascio. Al prossimo capitolo,
amichevole o meno che sia. <3
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