Musica maledetta.

di _aspasia_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Musica maledetta. ***
Capitolo 2: *** Il bocciolo del male ***
Capitolo 3: *** Censura ***
Capitolo 4: *** Il pianista. ***
Capitolo 5: *** una matita ***
Capitolo 6: *** Saffo ***
Capitolo 7: *** Barricate. ***
Capitolo 8: *** Rosa rossa. ***



Capitolo 1
*** Musica maledetta. ***



Personaggi: Frédéric François Chopin, Charles Baudelaire.
Conteggio parole: 620.
Dedica : ad Ali che oltre ad essere un’ottima amica e compagna di banco mi sostiene nel mio amore folle per la musica e il carissimo Charles.

Il poeta maledetto scriveva alla sua scrivania; un piccolo tavolo malfermo e vecchio, mangiato dalle tarme in un'angusta soffitta di un misero palazzo parigino. É così che il poeta era costretto a vivere, è cosi che aveva scelto di vivere. À l'ècart de la société.
I borghesi non apprezzavano le sue opere, ma andava bene così, solo i poeti, solo gli artisti possono cogliere la vera realtà; e lui, lui che abitava sotto di lui, lui che tesseva ricami arabescati su tasti d'avorio, lui che ammaliava con la sua arte. Lui potevacapire.
Una bottiglia di assenzio giaceva abbandonata sul pavimento, lanciando luminescenze smeraldine. Lei seduttrice ed aralda di visioni ignote.
La musica continuava ad eccheggiare nel palazzo dismesso, musica angelica, malinconica, ricca di spleen accompagnatrice delle parole che andava scrivendo sul quel pezzo di carta.
Si chiamava Chopin, Frédéric François ed era un poeta come lui, un poeta del pianoforte.
Non era arrivato da molto a Parigi, ma da quando era giunto in quel povero appartamento sotto la sua soffitta aveva portato un piccolo e debole barlume di goia, una consolazione in quel mondo ipocrita e borghese.
La mano del poeta prese la bottiglia di assenzio ammirando i giochi di colore e già pregustando il suo sapore, là accanto dell'oppio; i suoi migliori amici, solo loro lo confortavano. Loro e Chopin, e qualche puttana.
Si riempì un bicchiere,e poi, e poi solo quel dio maledetto e crudele sa cosa sia successo.
Ricordò di essere sceso quasi correndo su quelle scale polverose e piene di buchi, quasi volando, leggiadro e regale come un albatro bussando alla porta del musicista.
Venne ad aprire un giovane, pallido ed emaciato, ma con due occhi vividi e tormentati. Era lui, Chopin.
"Bonsoir Monsieur".
"Bonsoir" disse il poeta ammirando le sue labbra rosse vermiglio, voluttuose come le rose.
"Cosa posso fare per lei Monsieur?"
"Charles, chiamatemi Charles".
Si avventò sulle sue labbra, assetato di baci, la sua vita era consacrata al limite ma a volte si sentiva così stanco, così maledettamente stanco di quelle costrizioni; solo un altro artista avrebbe potuto realmente capirlo, colmare quei baratri di dolore che lo spingevano a tentare il suicidio. La sua sola e unica gioia era la sua arte, così brutalmente denigrata dalla morale, e la musica che da pochi giorni eccheggiava nel suo cuore curando le sue ferite. Quella musica così triste, così melanconica, così maledettamente sua era ormai parte di lui e colui che l'aveva creata meritava di essere amato, di essere consolato.
Baciò quella lunghe dita immaginandole mentre correvano veloci sui tasti, le leccò una ad una non lasciando mai i suoi occhi. Il musicista gemeva piano, persino la sua voce era pura melodia.
"Charles" mormorò, gli occhi colmi di lussuria e bramosia.
Lo fece giarare verso il pianoforte, oggetto che produceva suoni incantati e improvvisamente, entrò in lui. Il suo sesso caldo pulsava di desiderio ed i gemiti del poeta si mescolarono a quelli del musicista creando melodie che alcun orecchio mortale aveva mai osato ascoltare.
 
Il sole sorse sui tetti di Parigi ed il poeta si ritrovò disteso sulla propria scrivania, il capo riversato sui fogli riempiti di simboliche parole; la bottiglia di Assenzio era vuota affianco a lui, l'oppio scomparso.
Chopin, il suo amato musicista, quello che era accaduto la notte precente era quindi solo un sogno prodotto da quei paradisi artificiali? Non osava crederlo, non poteva.
Con la mente addietro nei ricordi nebulosi, offuscati dalla droga ritornò a quei momenti, forse veri forse solamente immaginati, ricordò le lunghe dita di François e una frase densa di poesia eccheggiò nella sua testa provata:
 
"Musica leggera e appassionata che somiglia a un brillante uccello volteggiante sugli orrori dell'abisso".
Questa era la musica di Chopin.
 

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Capitolo 2
*** Il bocciolo del male ***


Personaggi: Frédéric François Chopin, Charles Baudelaire

 

François suonava, suonava sempre, le sue note ed ilsuo pianoforte erano la sua famiglia, solamente a loro affidava i suoi segreti e pensieri che affollavano il suo cuore malato.

Era sempre stato debole, ma c'era un male dentro di lui che minacciava di soverchiarlo, mangiandogli lentamente i polmoni aspettando il momento adatto per vincerlo definitivamente.

Tuttavia non era la sola tubercolosi che lo portava inesorabilmente verso la tomba, ma la solitudine, quel sentirsi inesorabilmente solo al mondo senza venir mai ricordato. Ciononostante ora nella sua vita vi era Charles, il suo caro ed amatissimo parigino. Le sue parole dense di significato rivelavano il mondo corrotto dove vivevano dimostrando il disprezzo del poeta per coloro che lo condannavano , eppure anche la sua tristezza, il suo dolore per non venire accettato.

Nella sua musica cercava di raccontare quella loro sofferenza ma con un lieve sottofondo di speranza.

Espoir.

Com'era dolce e confortante quella parola, così diversa dalla sua lingua madre dai toni aspri e macchinosi, e così perfetta per la bocca di Charles. Una parola, e pure così tanti sentimenti ed ideali racchiudeva in sè.

Le mani del musicista correvano sui tasti accarezzandoli voluttuosamente immaginando che sotto le sue dita ci fosse la pelle d'avorio di Charles.

Ed eccolo il suo poeta arrivare dalla sua soffitta, con l'immancabile fedele bottiglia smeraldina sottobraccio.

"La musica mi ha portato da te Chéri, mi parlava del tuo desiderio accendendo di conseguenza il mio".

"Sei sicuro che desiderassi te e non ingenue fanciulle vergini?"

Il poeta lo guardò sogghignando.

"Sai bene che loro non sono nulla in confronto a me; l'ingenuità ha perso il suo fascino da secoli, oggigiorno poi è totalmente sopravvalutata".

"Hai ragione, hai maledettamente ragione".

Il musicista passo le sue lunghe dita sul volto del poeta accarezzando lievemente la sua pelle.

"E sei pure maledettamente bello – sospirò estasiato, aggiungendo però con tono arreso- tuttavia tutto questo mio caro Charles non ci porterà a nulla, assolutamente a nulla".

"Au contraire Chéri, tutto questo ci porterà in paradiso, vero e artificiale."

Le mani di Charles erano fameliche e viaggiavano veloci sul corpo del musicista rubandogli gemiti soffocati, il poeta adorava la voce di François, era seducente, debole eppure estasiante, come la musica del pianoforte.

"E..e come lo chiami questo nostro...non so nemmeno io cosa siamo". Disse a mezzavoce il musicista.

"Siamo uomini François – disse il poeta spogliandolo definitivamente rivelando alla luce il colore perlaceo della pelle di lui – siamo uomini liberi da ogni costrizione sociale, e tutto questo ha un nome: è un bocciolo, un dolce bocciolo del male".

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Capitolo 3
*** Censura ***


Personaggi : Frédéric François Chopin, Charles Baudelaire

“Imbecilli! Emeriti decerebrati adepti dell’ipocrisia! Ignoranti! Possano tutti morire tra atroci sofferenze!”
“Charles, mio caro, che è accaduto?”
“Quei borghesi imbecilli hanno censurato i miei componimenti! Le mie poesie sono state brutalmente mutilate in nome del buon costume. Mi hanno accusato di oscenità ed immoralità, quando loro per primi hanno comportamenti dissoluti nascondendosi poi nei confessionali  professando un credo che loro stessi insudiciano con la loro ipocrisia. Parbleu, possano i ratti infiltrarsi nei loro letti e mangiare loro le carni, che i corvi si lancino dal cielo cavando loro gli occhi! Imbecilli! Esseri stolti ed imbecilli!”
“Il mondo mio caro Charles non è ancora pronto per il tuo incredibile genio”.
“La verità è che i parigini sono dediti solamente a ciarlare e ad ingrassare, a pregare un Dio che dovrebbe essere buono e misericordioso. Che ne possono sapere loro di poesia? Non riconoscerebbero il genio neppure sbattendoglielo sotto i loro nasi. Imbecilli.”
Il poeta era fuori di sé, estrasse una sigaretta dalla tasca portandola alle labbra assaporando il sapore del tabacco pregustando già l’aroma del fumo. L’accese ed inspirò, un sorriso naturale si dipinse sulle sue labbra vermiglie dense di sensualità. Morbide volute si creavano attorno a lui ma l’ira ancora non accennava a diminuire.
“Placati Charles, irarsi in questo modo non ti farà certo bene”.
“Hai ragione Chéri, devo placarmi…dov’è la mia bottiglia?”
“In camera tua presumo. Anzi guarda ne è rimasta una della tua ultima visita”. Rispose il pianista ammiccando.
“Che Dio benedica quel delinquente che produsse per primo l’assenzio. Devo la mia vita a quel brillio smeraldino.”
“O forse devi solamente l’ispirazione per le tue poesie” disse sogghignando il musicista.
“Una parte certamente. Non dimentichiamo che molti tra gli scrittori ricorsero a quel tipo di ispirazione. L’assenzio Chéri viene così duramente criticato solamente dai biechi bigotti che invidiano la nostra libertà”.
Il poeta prese la bottiglia color smeraldo e la portò lentamente al naso.
“Anche solo il suo profumo sembra far aprire le porte del paradiso, anzi dell’Olimpo; è un giovane Hermes che accompagna agli Dei, è l’ambrosia, è l’araldo della soddisfazione”. Ne bevve un sorso spostando lo sguardo lentamente lungo la stanza; nei suoi occhi mondi mai visti prima.
“Mi suoneresti qualcosa Chéri?”
“Certamente mio caro Charles,stavo appunto provando un nuovo pezzo”.
“La tua musica François è un’esperienza incredibile, ogni volta che le tue dita accarezzano i tasti sento un brivido. Mi chiedo quando mi abituerò al tuo immenso talento”.
“Mi lunsinghi Charles”.
“Au contraire, la tua musica è innovativa, melanconica eppure così viva e piena di passione. Racconta di te”.
“Il pianoforte per me è come la penna per te, le note sono le mie parola e l’aria la carta. Te ed io creiamo emozioni.”
Il poeta ascoltava le melodie che aleggiavano nella stanza, e bevve un altro sorso, nella sua mente si creavano già nuovi paradisi.
“Un giorno scriverò un libro sull’assenzio, sull’oppio e sulle droghe; lo intitolerò Paradisi Artificiali…e verrà pubblicato. Diamine, a costo di comprare una stamperia solo per me, ed un teatro per te”.
E poi rimase solamente la musica.

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Capitolo 4
*** Il pianista. ***


Leggendo ascoltate...sempre se volete.

http://www.youtube.com/watch?v=Q3M8s5NGeS4



Avete mai amato la vostra casa?

Avete mai amato la vostra patria?

Avete mai dovuto lasciarla?

Avete mai dovuto sentire della distruzione della città in cui siete nati?

No?

E allora non potete comprendere la mia nostalgia per Varsavia, per la gente che mi chiamava Frydryk; per il clima freddo della mia Polonia, per il mio popolo.

Vivo da esule costretto a sentire le notizie che provengono dalla mia patria, in una città che amo, che amo con tutto il cuore ma che non è la mia.

Ho conosciuto molte persone nella mia vita, stranieri in terra di stranieri, come lo sono io.

Paganini ed il suo violino, Liszt ed il suo talento incompreso e Delacroix ed i suoi magnifici dipinti.

Dicono che Parigi è la città dell'amore, niente di più vero; ma vi esistono amori diversi. L'amore platonico, romantico, distruttivo o carnale, ma il vero amore che regna sovrano a Parigi è quello per l'arte, in tutte le sue forme. Musica, pittura, poesia sono come spiriti che fluttuano silenziosi per le strade di ciottoli della capitale francese.

Se vi è un luogo in questa città dove le arti prendono forma, e dove mi sento quasi come se fossi a casa, quello è Notre Dame. Quale splendida e mozzafiato costruzione! Pare incredibile che uomini fatti di carne ed ossa l'abbiano potuta costruire, o persino sognare. Ma sognare è l'essenza dell'essere umano, senza i sogni cosa saremmo? Meri gusci vuoti, il nostro cuore non saprebbe amare, non saprebbe gioire, non saprebbe provare tristezza; in poche parole la musica non potrebbe vivere.

In quelle mura, dove la luce entra ovattata nei più vari colori, dove le candele proiettano la loro luce misteriosa, dove sacri canti risuonano come se provenissero da un mondo lontano, lì è come se il tempo si fermasse e trovassi la pace tanto agognata.

Mi è sempre piaciuto sedermi tra i banchi, chiudere gli occhi ed ascoltare. Cosa ascolto? Ascolto la musica, la sento nelle mormorate preghiere del popolo, nei canti gregoriani, nella muta presenza delle campane e soprattutto dall'austerità dell'organo. Le sue canne d'oro così fitte da creare una foresta invalicabile ammaliano ed incutono timore al tempo stesso.

È come un padre quell'organo, un padre severo ed orgoglioso, è il padre del pianoforte, giovane ribelle capace di grandi cose, non sempre apprezzate.

Il pianoforte. Ho consacrato la mia vita a lui e alla musica e non me ne pento; lui così aggraziato, possente eppure nello stesso tempo elegante, con una silhouette inconfondibile. Lui in gradi di produrre suoni dai più gravi ai più acuti, lui che sa toccare le profondità dell'animo umano aprendo le porte all'anima.

Solo con lui riesco a manifestare i miei sentimenti: il dolore, la passione, la nostalgia e l'amore. Lui, confidente sicuro e fedele.

Mi chiamo Frydryk Franciszek Chopin, per i francese Frédéric François ed il mio amore per la musica è sempre stato totale, assoluto, a volte massacrante ma non mi ha mai tradito. La nostalgia per la mia gente è sempre stata tanta, e tutti i tormenti sono stati devastanti.

Tuttavia ora nella mia vita vi è un nuovo accordo: è lui.

Il poeta.

Charles Baudelaire.

Ed io, io sono il suo amante.

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Capitolo 5
*** una matita ***


Sono a casa malata. Questo nuovo capitolo è frutto dell'influenza, di una mente deviata e di un incipit poco casto dato dal mio carissimo prof di Pianoforte (Euterpe benedica quell'uomo) il quale la settimana scorsa mi ha riferito che si dice che Chopin tenesse sempre una matita in bocca mentre dava lezioni a Parigi. Spero vi piaccia.
Personaggi: Charles Baudelaire, Frédéric François Chopin

François è debole. Lo so.
La malattia me lo sta portando via, ne sono consapevole. Ma lui non si arrende, ha colpi di tosse, gli manca il fiato, a volte rantola cereo. Ma si riprende e torna da lui, il mio più grande rivale. Il suo pianoforte.
Tutto ha un inizio ed una fine.
Persino lui.
Persino lui che è l’unico in grado di far emergere il meglio di me. Ha undici anni più di me François, sarebbe un uomo ancora nel pieno degli anni ma la sua salute è cagionevole, troppo. Ma il suo talento ed il suo animo saranno immortali e non moriranno, non scompariranno come neve al sole. Non possono. Vivranno per sempre nelle sue melodie, nei suo componimenti, nelle sue notturne; così belle così magnifiche, entrano nel profondo e non scompaiono mai. François non morirà, anche se il suo cuore smetterà di battere vivrà per sempre in me, e la sua musica resterà all’infinito.
Pochi conosceranno l’uomo, ed io sono onorato di essere tra questi.
Tanti conosceranno le sue opere.
Tuttavia François è ancora in forze, e le usa tutte per comporre, per insegnare persino.
Il mio caro professore.
Gira intorno ai suoi studenti, di norma fanciulle borghesi acconciate a festa pur sapendo di venire qui; gli stivaletti lucidi, l’ombrellino di pizzo ed i capelli abilmente raccolti. Sono belle? Forse.
Vedo solo lui, lui e quella matita tra le sue labbra.
È un suo gesto nervoso, tiene una matita nella bocca, la fa alzare, la fa abbassare, la fa ruotare. Ed io, io impazzisco. Quella matita serve per annotare opinioni, consigli e spiegazioni sugli spartiti di quelle ingenue fanciulle, ma per me è solamente una tentazione. Una terribile tentazione.
È una matita, un pezzettino di legno. Ma io vedo molto di più. Chiamatemi pazzo, chiamatemi perverso. Lo sono.
È una matita, continuo a ripeterlo. Tuttavia sono ore ormai che sono rinchiuso nella mia soffitta a mirare un pezzo di carta, il calamaio a lato, la penna d’oca in mano e nella testa, nella testa ho solo lui, François. L’assenzio giace intonso sul pavimento, neppure lui, mio fedele compagno riesce ad attirare la mia attenzione. Sto impazzendo? Probabile.
Sotto di me un’aria facile, non certo ai livelli di François ma sufficiente per le damigelle di alta società.
Non ce la faccio. Mi alzo di scatto facendo ribaltare la sedia. E corro, corro a perdifiato quasi volando, volando come un albatro nel cielo ed arrivo da lui. Apro la porta ed eccoli. Una fanciulla, nel fiore della giovinezza, la vita ed il seno stretti nel corsetto e la gonna ampia, due piccoli piedini escono da quel mare ti pizzo. Si volta verso di me, gli occhi spalancati per la sopresa e l’ammirazione. Ma non m’importa, non voglio avere queste ragazzine quando posso avere lui.
Lui che ora mi guarda sorpreso ed imbarazzato.                                   
Mi apoggio con una spalla allo stipite della porta, abbasso gli occhi e prendo una sigaretta, la accendo ed inspiro.
Espiro.
Alzo gli occhi.
“Mademoiselle, una carrozza l’aspetta.”
“Cosa? Di già? Oh mon Dieu, je suis desolée Monsieur”
La fanciulla si alza, raccoglie il suo ombrellino e gli spartiti e guarda François.
“Ricordi Mademoiselle di legare bene le note e di tenere il tempo costante, stia attenta.”
“Va bene Monsieur Chopin. A domani.”
Mi guarda, arrosisce. Sono ancora appoggiato alla porta con la sigaretta tra le labbra, neanche a dirlo nella stessa posizione c’è la matita, ma in quelle di François.
Faccio uno strano effetto alle donne ne sono cosapevole, adoro sedurle. Hanno paura di me eppure le attraggo.
“Il vostro nome Monsieur?”
“Baudelaire. Charles Baudelaire”.
Gli occhi della fanciulla si spalancano. Faccio scandalo a Parigi, mi diverte.
Le faccio il baciamano, senza mai lasciare i suoi occhi soffermandomi più del necessario su quella manina candida.
“Au revoir Mademoiselle”.
“Au revoir Monsieur”.
Se ne va veloce, lontano dai miei occhi che lanciano lampi di desiderio, la poverina non sa che non sono per lei ma per il maestro.
Povera ingenua.
“Hai finito il tuo teatrino Charles?”
È François, con ancora quella maledetta matita in bocca.
“Carina quella fanciulla” dico sorridendo.
“Non particolarmente dotata. Cosa ci fai qui Charles? Perché sei piombato durante la mia lezione?”
Mi avvicino a lui, lentamente, spostando lo sguardo dai suoi occhi alla matita.
“Perché ti volevo, ti desideravo”.
“Non potevi aspettare?”
“No. Questa matita che tieni tra le tue morbide, vermiglie labbra è una fonte continua di distrazione François”.
Il mio musicista sorride, vedo la sua lingua che gioca con il retro della matita, e non comprendo più nulla.
“Ti desidero François”.
Mi avvento su di lui, stringendolo tra le braccia, è così magro, così delicato. Devo stare attento, non voglio fargli del male.
Le sue labbra sono così morbide, così piene. Potrei morire su quelle labbra.
Lo spoglio lentamente, sfiorando il suo petto con la bocca socchiusa. François geme e ancora una volta i suoi sospiri sono per me musica celestiale.
Alcune persone sono nate con uno scopo, tutto di lui urla musica; la voce, le mani, i capelli, gli occhi, sono tutti armonie diverse eppure simili che si intrecciano sapientemente tra loro.
“Perché…perché la matita di distrae Charles?”
“Imaggina”.
“Voglio sentirmelo dire”.
“Ah…Chéri…perché voglio che tra le tue labbra non ci sia quella matita bensì me, il mio membro, la mia virilità. Voglio che tu mi lecchi Chéri, voglio sentire le tue labbra ovunque”.
E lo fa. Le sue mani mi accarezzano con una devozione che dona solamente al suo pianoforte e a me. Mi slaccia i calzoni che scivolano via da me. Le sua mani solo calde e le sue dita sono lunghe, mi accarezza voluttuoso, sfiora leggero come una piuma.
Arriva al mio mebro e lo sfiora leggermente. Compie dei cerchi attorno al glande ed io…io gemo. Gemo come non ho mai fatto, François mi eccita come mai nessuno è riuscito. E poi, e poi le sue labbra vengono da me, sono umide e piene, lecca e succhia.
Non invidio più la matita.

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Capitolo 6
*** Saffo ***


Il poeta era seduto.

I gomiti appoggiati alla scrivania.

L'immancabile bottiglia vuota, andata chissà dove.

Gli occhi, lo sguardo, l'animo volati in tempi remoti.

Cosa vedi oh poeta?

Cosa ammirano i tuoi giovani occhi?

Una donna, una donna particolare, dal genio incredibile, dalla vita tormentata.

Saffo.

Un cielo turchese.

Un mare, così limpido e profondo, morire tra i suoi flutti sarebbe stato così facile.

Saffo.

Oh poeta, cosa vedono i tuoi occhi?

Una fanciulla, dal genio incredibile, le cui poesie non conosco pari. Incompresa, come te. Il tuo mondo non è mai stato facile, la critica spietata, la vita dura, l'ipocrisia onnipresente ed il dolore soffocante. La vita di poeta non è mai facile. Almeno non quella dei poeti che verranno ricordati. La gente è sempre pronta a giudicare spietatamente coloro che invidia, coloro che non rappresentano la "normalità". Che cosa banale. Sii come Achille, oh poeta, sacrifica tutto, persino la tua vita per la gloria. Che importa? Verrai ricordato per lustri interi, il tuo nome rieccheggerà nella storia.

Saffo, poeta ed amante.

Saffo che morì in quel mare cristallino.

Saffo, che causava l'invidia di Venere.

Sii come Achille oh poeta. Il tuo nome non verrà mai dimenticato.

Gli occhi si riaprono, si destano du un mondo nuovo, una città che non proviene dall'antica Grecia. Sono i tetti di Parigi.

Una musica malinconica e leggiadra proviene dal piano inferiore, e un sorriso affiora sulle labbra vermiglie.

Sono soli al mondo, ma va bene così.

Hanno sacrificato tutto, tutto quello che avevano.

Ma il loro nome rieccheggerà nei secoli.

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Capitolo 7
*** Barricate. ***


23 Juin 1848.

Il popolo è in rivolta, come sessant'anni fa. Il popolo parigino è sceso, ha creato delle barricate con qualsiasi cosa e gli uomini hanno riprese in mano i loro fucili.

I Parigini non vanno per mezze misure.

Chiedete alla testa di Marie Antoinette.

È incredibile quanto l'aristocrazia sia imbecille, togliete una parte del potere al popolo e si rivolterà, e voi vi ritroverete alla ghigliottina prima di riuscire a dire: Mon Dieu!

Il sangue scorre per le vie di Parigi, la mia città. Ed io sono qua, imbrattato dalla testa ai piedi con il mio moschetto pronto a morire per la libertà.

Ma non morirò, non oggi almeno; François mi aspetta a casa ed ha bisogno di me, è troppo debole ormai.

Tuttavia voglio combattere, voglio essere parte della rivoluzione.

"Je suis un Parisien!"

Il re pagherà per la mia arroganza, ed imparerà cosa significa provocare la collera del popolo parigino, come aspidi addormentate al primo fastidio siamo pronti a combattere e a mordere iniettando il nostro fatale veleno.

Si sentono spari, urla, pianti e lamenti. È come una sinfonia, la sinfonia della morte che fa scorrere più forte il sangue nelle vene.

Il cuore batte forsennatamente, e mi sento vivo.

Maledettamente vivo.

Più si è vicini alla morte più ci si sente vivi.

"A morte! A morte il re!"

Che torni nella terra, dove i vermi si ciberanno delle sua putrida carne. Quale pasto da re avranno!

Non ci sono differenze oggi, persino io torno a far parte della società per combattere contro il sovrano ed i suoi fedeli.

Non c'è droga che riesca a farmi sentire forte, onnipotente ed invincibile come adesso, come l'adrenalina che scorre nel mio corpo ogni volta che vedo spegnersi la luce della vita negli occhi dei nemici.

Domani i corvi ed i ratti avranno un lauto banchetto, cataste intere di uomini con cui cibarsi. Non si chiederanno chi sia tra loro il re chi un rivoltoso, non si cureranno della loro condotta morale più o meno corretta, immorale o morale, ipocriti o onesti. L'uomo borghese non ha certo un olezzo od un sapore migliore di un poveraccio quando entrambi non sono altro che cadaveri putrescenti.

Parigi ormai è come un cimitero, eppure è così viva. Uomini e donne si slanciano verso la libertà, anche se camminano su dei morti.

Ci sono amanti che con il cuore spezzato tendono tra le braccia la persona amata mentre lentamente in lei si spegne la fiaccola della vita. La supplicano di rimanere con loro e bagnano il suo viso di lacrime salate strazianti.

Non è poesia?

Una poesia toccante, che attanaglia le viscere per il dolore e ci fa sciogliere di pietà.

Sono quelle lacrime tuttavia che rendono il loro amore eterno, perfetto e puro. La persona amata è morta nelle loro braccia, non tradirà mai, non ferirà e non farà mai del male al loro cuore innamorato. Il loro amore rimarrà intattto e non conosceranno mai nulla che eguaglierà tale perfezione.

Le rivoluzioni sono necessarie per i parigini, ci dicono chi siamo e risvegliano il nostro animo atrofizzato.

Non esistono borghesi o poveracci, ma parigini o fedeli del re, vivi o morti.

Voilà, le peuple parisien dit avec une seule voix:" Vive la revolution!"





Il 23 giugno il popolo parigino si rivoltava contro il re e le nuove leggi.
In 4 giorni ci furono più di 3000 morti, alla fine Luigi Filippo abdicò.

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Capitolo 8
*** Rosa rossa. ***


Nota dell’autrice (pseudo):
 San Valentino. Sebbene io non ami le feste commerciali, non riesco ad odiare questa data, anche se sono single da mesi dopo essere stata infelicemente abbandonata al mio destino. Tuttavia questo giorno dove le persone si scrivono messaggini, lettere (se esiste ancora qualcuno che scrive a mano), si regala cioccolata e si giura amore eterno mi intenerisce. Io per natura sono una creatura cinica, totalmente e assolutamente cinica. L’amore eterno per me non esiste, e se lo fa per qualche strano allineamento di pianeti è totale e spesso se non sempre tormentato. Ciononostante non riesco a non innamorarmi, a non sospirare e a non sorridere come un’ebete. Aaaaaah l’amour.
Per festeggiare tale giornata romantica posto l’ultimo capitolo di musica maledetta. Siamo arrivati alla fine. Preparate i fazzoletti. Perché l’amore vero non finisce MAI bene.
 
 
 
È ottobre a Parigi.
L’autunno è arrivato, le foglie fragili cadono leggere dalle fronde purpuree.
Un alito di vento, uno zefiro sbarazzino fa volare i cappelli delle donne facendole rabbrividire.
Ma oltre alle foglie vi è una vita che è altrettanto fragile, quella del pianista, di Fédéric François.


 
Il musicista giace nel suo letto, una pezza bagnata a rinfrescargli la fronte, respiri affannati fanno alzare ed abbassare il suo petto irregolarmente. Tossisce, e ad ogni colpo il fazzoletto posto sul suo mento si macchia di rosso.
È la fine dunque?
Il poeta è accanto a lui, gli tiene dolcemente la mano e amorevolmente lo rinfresca, mormorando parole di conforto. Non lascia mai il suo posto, e le occhiaie bluastre e profonde testimoniano le notti insonni passate a vegliare il sonno agitato dell’amato.
Non piange il poeta. Gli occhi rimangono asciutti, non una lacrima osa solcare il suo viso.
Sorride, come a voler scaldare il cuore di colui che gli giace a fianco.
“Charles…” dice il musicista faticosamente.
“Non affaticarti Chéri, non parlare. Io sono qui. E non ti lascerò François”.
“Invece… invece dovrai farlo Charles. Lo vedi anche tu che sto morendo.
“Non negare. È vero. Questo notturno sta suonando i suoi ultimi accordi. Prima di spegnermi definitivamente devo darti delle indicazioni. Il mio corpo seppellitelo qui a Parigi, voglio che questo stanco guscio rimanga in questa splendida città, che mi ha accolto e che mi ha fatto conoscere te, mio amato Charles. Ma il mio cuore Charles, il mio cuore lascia che torni a Varsavia, la mia città. Ti prego.”
Per la prima volta gli occhi del poeta risplendevano umidi di lacrime.
“Tutto quello che vuoi Chéri. Tutto quello che vuoi”.
“Nel cassetto troverai gli indirizzi di miei amici musicisti, ti aiuteranno”.
“Ora riposa Chéri, sogna le tue magnifiche melodie”.
Il musicista si addormentò spossato dalla fatica di parlare, di sembrare forte e rassegnato per il suo poeta; quando in realtà il suo cuore si spezzava sempre più. Oh maledetto destino!
Perché doveva morire, perché?
Aveva conosciuto l’amore, e la sua musica aveva successo, poteva avere ricchezze e vivere in una villa magnifiche. Ma aveva rifiutato, per il suo Charles. Quanta musica avrebbe ancora potuto comporre, ma non ci riuscirà. Le sue mani non si muoveranno più, leggere come ali d’angelo. Non sentirà più il piacere, la gioia di creare musiche, sinfonie che toccano l’anima.
È finita ormai.
Charles non crede in Dio, né nell’inferno o nel paradiso; ma il musicista sì. La musica deve essere un dono divino, lei così bella, sensuale, perfetta e pura.
Potrà suonare per gli angeli magari, e poi si riunirà con Charles. Egli non andrà all’inferno, no. Una creatura di tale genio e bellezza merita il paradiso; lui che con le sue parole meravigliose spalanca le porte della mente.
È finita.
Tuttavia sente che delle braccia forti lo alzano sorreggendolo.
E ad un tratto, sotto le sue dita una superficie fredda e liscia, a lui così dolce e cara.
Il suo pianoforte.
“Chèri, è lui. Il tuo pianoforte. Non puoi certo lasciarlo senza un’ultima carezza.”
E con le ultime forze rimaste apre gli occhi, mirando quella distesa di tasti d’avorio alternati da alcuni neri, neri come le ali di un corvo. Squarci di luce immersi in un buio intenso.
Ha amato troppo nella sua vita, il suo cuore era troppo felice, troppo innamorato; di Charles e della musica. Il creatore ha deciso forse che aveva vissuto abbastanza.
Ma è così bello morire qui, in questo modo. Sorretto dall’unica uomo che abbia mai amato mentre accarezza il suo pianoforte.
Una triade perfetta.
È così bello, così poetico morire così.
“Non te l’ho mai detto Charles. Ti amo. Grazie. Grazie per tutto”.
“Ti amo anch’io Chéri”.


 
Respirare è così faticoso, ogni colpo di tosse pare una pugnalata nel costato.
Notte eterna, discendi.
E con un ultimo sospiro, denso di musicalità, il pianista si spense.
Per sempre.
Se ne andò François. Se ne andò tra le braccia del poeta, che con delicatezza lo ripose nel letto, ammirando l’algida bellezza della morte.
Non disse nulla.
Non emise un suono.
Si avvicinò al cassetto indicato e tra gli spartiti trovò diversi indirizzi, e denaro.
Come uno spettro si mosse e scrisse della morte di quell’uomo che aveva amato e che amava ancora.
Chiamò il becchino per organizzare il funerale, ma tutto era stato già fatto. Era stato organizzato tutto, prima che morisse, prima che lo lasciasse.
Lo vestì, con il vestito più bello che aveva; lo vestì accarezzandolo per l’ultima volta.
Lo portarono via. Lo portarono via da lui, via dalla loro soffitta.
Non andò al funerale.
Non ce la fece.
Il poeta non credeva in quel Dio ipocrita, che alla fine gli aveva tolto l’unico uomo, l’unica persona che aveva mai amato.
Le onorificenze furono grandiose.
Chopin, il grande pianista era scomparso, tutta Parigi pianse per il genio perduto.
Quell’uomo solitario, misterioso e delicato che aveva scelto di vivere dove abitavano i meno fortunati, i poveracci.
Doveva abitava il poeta maledetto.


 
Il poeta andò al cimitero, quando ormai la primavera iniziava a sbocciare in città.
La lapide era grigia, tra quella di altri musicisti leggendari: Cherubini e Bellini.
“Bonjour Chèri, mi manchi lo sai?
“Perdonami se non sono venuto alla messa e ad accompagnarti qui; ma lo sai che io non credo in Dio. E vedere quella gente che si disperava per te quando però prima non c’era mai stata, vedere la loro ipocrisia mi ha fatto salire la bila in bocca.
“Il tuo cuore è a Varsavia Chèri, a Santa Croce. È tornato a casa alla fine.
“Ho tenuto il pianofore Chèri. Il mio più grande rivale ora è diventato il mio più caro amico. Mi sembra ancora di vederti, intento a suonare sinfonie meravigliose, e a comporre con quella maledetta matita in bocca.
“Mi manchi Chèri.
“Je t’aime François”.
Il poeta se ne andò, a capo chino.
Davanti alla lapide una rosa rossa, vermiglia come lo erano le labbra del musicista.
Vicino alla rosa, una macchia più scura.
Una lacrima.
L’unica che era riuscita a scappare dagli occhi del poeta dopo la morte del pianista. Unica aralda di un dolore straziante.
Una rosa rossa.
Una lacrima.
Un pianista.
Un poeta.
Un amore maledetto.
 
 
 
 
 
Frydryk Franciszek Chopin muore il 17 ottobre 1849; aveva solamente 39 anni. Vi furono delle grandiose onoranze funebri, sepolto accanto a Bellini e Cherubini. Il suo cuore venne portato a Varsavia, nella chiesa di Santa Croce.
Charles Baudelaire muore dopo una straziante agonia nel 1867 a soli 47 anni.

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