She Holds A Key

di Frytty
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Remember or not remember? This is the real question! ***
Capitolo 2: *** Breakfast ***
Capitolo 3: *** Love... maybe ***
Capitolo 4: *** Bed ***
Capitolo 5: *** Who Knows ***
Capitolo 6: *** Eyes and Lips ***
Capitolo 7: *** Moon ***
Capitolo 8: *** You're Not the One ***
Capitolo 9: *** I Trust You ***
Capitolo 10: *** You Are Beautiful ***
Capitolo 11: *** Goodbyes hurt ***
Capitolo 12: *** Maybe I have to give up and come home ***
Capitolo 13: *** You have walked on my feelings ***
Capitolo 14: *** Thinking of You ***
Capitolo 15: *** And I feel empty ***
Capitolo 16: *** Show Me How Much I Worth to You ***
Capitolo 17: *** Closer ***
Capitolo 18: *** Puzzle ***
Capitolo 19: *** Trust ***
Capitolo 20: *** Clothes ***
Capitolo 21: *** She Holds A Key ***



Capitolo 1
*** Remember or not remember? This is the real question! ***


Salve ragazze? Come va? Per quanto mi riguarda direi piuttosto bene, anche se domani parto per Praga per cinque giorni e non potrò scrivere, ma va bene lo stesso, in fondo è pur sempre la gita dell'ultimo anno e ci si può mai perdere la gita dell'ultimo anno?!? No xD, per cui, direi che ero quasi obbligata ad andarci (ciclo a parte, ma credo che, purtroppo, mi seguirà anche lui xD). Passando alle cose serie, eccomi di ritorno con una (si spera) bella Ff sul nostro Robert Pattinson *_* che dire, la mia fantasia su di lui non ha proprio limiti, specialmente quando poi sogno una cosa del genere... lo scoprirete leggendo, temo xD, perché non ho intenzione di anticiparvi nulla *risata malefica alla Crudelia Demon* xD! Purtroppo, mi duole dirlo, ma non potrò leggere le recensioni che, spero, vorrete lasciarmi, se non fra una settimana, come, del resto, non potrò aggiornare prima di mercoledì prossimo, cosa che mi pesa enormemente, anche perché ho già tutte le idee in testa e non poter avere una tastiera a portata di mano è davvero un trauma per me ç_ç. Spero solo che questi giorni volino, così appena ritorno e disfo la valigia, mi siedo davanti al pc e non mi ci scollo nemmeno se mi regalano Robert in persona (oddio, adesso non esageriamo xD)! Delirio a parte, si nota che ho proprio bisogno di questi cinque giorni di vacanza, vero???, direi che posso lasciarvi anche al primo capitolo.

Spero commenterete in tante e spero che la Ff vi affascini al punto da farmi sapere cosa ne pensate *_* Ovviamente, da questo momento in poi, sul blog Making a Memory troverete gli spoiler concernenti anche i capitoli di questa Ff.

Detto questo, vi lascio davvero al primo capitolo. Un bacione e alla prossima settimana *_*!

 

She Holds A Key


Charis pizzicava le corde della sua chitarra acustica con devozione e totale trasporto. 

 

Il mondo in cui la sua fedele Ibanez riusciva a trascinarla era qualcosa di impagabile e di assolutamente appagante, in tutti i sensi.

 

Le sue dita lunghe, sottili, bianche, pizzicavano le corde dolcemente, producendo una melodia quasi mistica, fuori dal tempo.

 

Il Tamigi scorreva placido, con il suo lento sciabordare, alle sue spalle, cullandola.

Aveva gli occhi chiusi, Charis, e non si preoccupava del vento freddo che le scompigliava i capelli e che la infreddoliva e la faceva tremare.

Charis adorava vagare senza meta e dare poca confidenza agli estranei, soprattutto gli stranieri. Gli stranieri per lei erano gli inglesi, in particolar modo.

Per lei che veniva da New York, fedele americana, era inconcepibile persino il modo di camminare di un inglese. Non che avesse dei pregiudizi, per carità! Non era quel genere di persona: preferiva conoscere prima di giudicare, ma gli inglesi davvero non riusciva a sopportarli, e se qualcuno le chiedeva come ci era finita a Londra, preferiva fare spallucce e non rispondere.

Si ripeteva che doveva essere il caso, si, proprio il caso, quello in cui credevano milioni di persone. Non c'era altra spiegazione.

Nel suo vagabondare era finita proprio nella città che più odiava: strano. 

Ma Londra, per quanto non le andasse giù, e per quanto odiasse i suoi abitanti, le piaceva davvero. Aveva sorpreso anche lei questo pensiero.

Le luci del Bin Ben al tramonto, la ruota panoramica che riusciva ad intravedere in lontananza, dall'altro lato del fiume, l'odore salmastro del Tamigi, le classiche cabine del telefono rosse disseminate per i marciapiedi, gli autobus a due piani carichi di turisti entusiasti, la musica e l'aria di libertà che si respirava nei vicoli, la frenesia delle persone la mattina presto, già dall'alba.

Quel giorno aveva scelto una delle caratteristiche vie panoramiche della città, quella che affacciava sul Tamigi e dal quale si intravedeva la ruota panoramica illuminata. Poco più avanti c'era qualcuno che scattava foto ed una coppia che si teneva per mano a testa bassa.

Aveva steso a terra il suo solito foulard malridotto e ci si era seduta sopra, estraendo la chitarra dalla sua custodia, aprendola accanto a lei, e prendendo a suonare, come faceva di solito.

Non aveva scelto di diventare una vagabonda: era successo.

Anche questo un caso, per come la vedeva lei.

Viaggiare, d'altronde, le era sempre piaciuto. E suonare anche.

Aveva speso tutti i risparmi di una vita, come ripeteva sempre a chi glielo domandava, per comprare quell'Ibanez acustica: Kimberly. Era così che l'aveva chiamata, anche se non riusciva a ricordare il perché. Le dava un senso di forza, di potere e, se ci pensava attentamente, le arrivava l'eco di qualcosa che aveva sentito a scuola, forse, circa una tizia con quel nome, ma ovviamente la scuola era tempo passato, ormai, e non poteva certo ricordarsi tutto.

Comunque era un nome che le piaceva e questo poteva bastare.

Non ricordava nemmeno quand'era stata l'ultima volta che aveva passeggiato per le strade della sua città. New York era come un regno troppo lontano adesso, nel quale non riusciva più ad immedesimarsi. Aveva lasciato tutto lì, o forse niente, fatto sta che non aveva rimpianti di alcun genere: aveva dimenticato i volti dei suoi genitori e aveva dimenticato i volti dei suoi amici, così come le strade trafficate, i negozi chic, le bancarelle dei mercati di quartiere, Central Park e le sue paperelle nello stagno e l'erba soffice, l'odore dolce dei libri nella biblioteca che amava frequentare, i pub il sabato sera con le amiche, il suo primo bacio, il venticello fresco che ti scompigliava i capelli, ma che non dava fastidio... aveva dimenticato, anche se dimenticare è una parola troppo forte.

Aveva voluto farlo? Questo sì, magari questo poteva anche accettarlo, eppure l'aveva fatto e tornare indietro avrebbe complicato le cose. E poi, lei, Charis, non era una che si tirava indietro alla prima difficoltà.

Posò la chitarra nella custodia, racimolando le poche monete che, generosamente, qualche passante le aveva lanciato, infilandosele in tasca, e si alzò, sistemando le sue cose e godendosi per un solo attimo l'atmosfera tranquilla e pacifica del fiume di notte.

I soldi non le servivano. Più che altro camminava e proprio quando aveva la necessità di prendere un aereo o cose simili, utilizzava la carta di credito di suo padre che aveva avuto la furbizia, o forse la stoltezza, di sfilare dal suo portafoglio prima di partire, prima di abbandonarlo. Sapeva che così sarebbe stato più facile rintracciare i suoi spostamenti, ma sapeva anche che i suoi non l'avrebbero cercata per il momento. In fondo, non gli era mai importato veramente di quello che facesse o non facesse. E, comunque, c'erano anche i treni per spostarsi, o gli autobus, o le metropolitane. Gli spiccioli servivano per mangiare e quando non ne arrivavano a sufficienza, poteva sempre fare finta che sua madre l'avesse messa in punizione mandandola a letto senza cena, come faceva di solito.

Charis aveva disimparato a lamentarsi: insomma, i bambini si lamentano, non gli adulti e lei era perfettamente cresciuta, capace di badare a se stessa, perciò non bisognava più dei capricci per convincere qualcuno per cui credi di essere importante a comprarle le caramelle.

Chitarra in spalla, prese a camminare diritta verso il ponticello di legno umido che l'avrebbe condotta nel The Brown Dog, il pub in cui amava rifugiarsi prima di cercare un posto sufficientemente comodo per trascorrerci la notte. Londra era una così grande città, che davvero non riusciva a capacitarsi di come avesse potuto scegliere uno dei locali più distanti dalla capitale, nel vicino villaggio di Barnes, ma le aveva trasmesso subito quell'atmosfera di complicità e familiarità che l'avevano attratta e anche se era sempre buio pesto in quei dintorni, e di certo non poteva nascondere la paura e il leggero tremolio che le coglieva le gambe, fasciate dai soliti jeans chiari troppo leggeri per la stagione londinese, amava andarci quando poteva spendere qualche soldo per un pasto caldo.

Avrebbe preferito uno di quei pub dove facevano musica dal vivo, ma non era ancora abbastanza pratica del posto, e non era particolarmente loquace, perciò non aveva domandato a nessuno e aveva preferito accontentarsi.

Un'ondata di calore la investì appena spinse la porta in legno per fare il suo ingresso, stupendosi della folla accalcata intorno al bancone principale. Di solito era quasi vuoto.

Si trascinò fino all'ultimo sgabello libero, poggiando la sua chitarra lì vicino e accomodandosi, guardandosi intorno con aria circospetta e prendendo a torturarsi le mani l'attimo successivo. Lo faceva sempre quando aspettava.

< Ciao, Charis! Il solito? > La distrasse la voce di Kendy, la cameriera, o la barwoman. Per Charis non faceva differenza.

Annuì e incrociò le braccia sul legno scuro, osservando il gruppo di ragazzi alla sua destra che faceva tintinnare i bicchieri di birra l'uno contro l'altro e sorrideva.

< Come mai tutto questo affollamento, stasera? > Domandò, tornando con lo sguardo a Kendy che le stava preparando il piatto.

< Oh, beh, niente di speciale, suppongo. Sono il solito gruppo di ragazzi del giovedì. Non li avevi mai incontrati prima? > Sistemò l'insalata in un angolo del vassoio con una forchetta e afferrò il contenitore delle patatine fritte alla sua sinistra.

Charis scosse la testa: sembrava si stessero divertendo e parecchio anche.

< Abitano qui vicino e si riuniscono in questo pub da quando avevano quattordici anni. > Spiegò, facendo spallucce, la donna.

< Quattordici anni?!? Dio! I quattordicenni non possono bere! > Protestò.

< Questo perché tu sei americana, tesoro. Nel Regno Unito sono tutti molto più liberi. > Le porse il piatto e afferrò un bicchiere sul ripiano in alto, esattamente sulla cabina che le permetteva di comunicare con il cuoco, e lo riempì di birra.

Charis afferrò una patatina con le dita e se la infilò in bocca, masticando lentamente.

< Io l'ho sempre detto che odio l'Inghilterra. > Borbottò a capo chino.

< Ti ci abituerai, zuccherino. Qui è tutto diverso, non è per questo che sei scappata dalla tua madrepatria? > Pulì il bancone con fare energico e le rivolse uno sguardo sorridente, gli occhi color nocciola brillanti.

< Già, ma magari non è questa la diversità che cerco. > Prese un sorso dal suo bicchiere.

< Io dico di sì. Non c'è posto più strano di questo e presto te ne renderai conto, fidati di me. > Le lanciò un'ultima occhiata e sparì verso i ragazzi che avevano chiesto il bis di birra.

Lei terminò in silenzio il suo piatto rigorosamente vegetariano e trafficò per qualche momento con la tasca della sua felpa, alla ricerca delle banconote che ritrovò dopo qualche istante e che lasciò sul bancone dopo un ultimo sorso di birra chiara. Salutò Kendy con un cenno della testa e uscì nell'aria fresca di ottobre, la chitarra ben ancorata sulle sue spalle.

Si era alzato il vento e con lui anche il cappuccio della felpa di Charis che, tuttavia, non riusciva a trattenerle i capelli dispettosi che le svolazzavano davanti al viso, rendendola nervosa, in special modo perché non aveva alcuna intenzione di togliere le mani dalle tasche calde della sua felpa e poi perché temeva che un minimo movimento potesse rovinare quell'atmosfera di pace che solo la notte dona ai piccoli paesi, durante il giorno sempre movimentati.

Però, forse, non sarebbe stata l'unica a rovinare l'atmosfera: il vento le trasportava l'eco lontana di diverse voci piuttosto chiassose. Non riusciva a capire da dove provenissero, eppure si guardò intorno perplessa, quasi potessero essere dietro di lei. Nessuno. Non sarebbe di certo stata la prima volta che si immaginava le cose, ma le voci-ora grida, avrebbe osato dire-le sembravano così vicine e vivide da riuscire quasi a distinguerne le parole.

Chiuse gli occhi e si fermò nel punto esatto dove aveva suonato qualche momento prima, in ascolto.

Non c'erano dubbi, erano davvero grida quelle che sentiva, ma non grida di spavento o di terrore, erano grida di gioia, di estasi pura e sembrava appartenessero a delle ragazzine. Quasi le vide saltellare nella sua mente e sorrise inconsapevole. La sua adolescenza spensierata le mancava.

Le voci erano sempre più vicine e Charis pensò che quel gruppo urlante sarebbe passato proprio di lì, perché la direzione era giusta, e quasi sorrise all'idea di scontrarsi con esso e di ridere e gridare anche lei.

Peccato che qualcosa, o qualcuno, avesse interrotto il suo sogno, il suo idilliaco ascolto della natura, trascinandola bruscamente in un vicolo.

< Ehi, ma che razza di s- > Il qualcuno le tappò la bocca con una mano e le fece segno di fare silenzio, schiacciandola contro la parete del palazzo di mattoni rossi che ricordava ci fosse dall'altro lato della strada: come diavolo avevano fatto a spostarsi così in fretta?

L'orda di grida scomparve, trascinata dal vento e il qualcuno tornò a respirare, anzi, si allontanò da lei e poggiò entrambe le mani sulle cosce, piegandosi in avanti come se stesse per avere un conato di vomito: magari era ubriaco.

< Ti senti bene? > Chiese, forse un po' troppo brusca.

Il qualcuno sospirò di sollievo e fece cenno di sì con la testa, cambiando posizione e arrancando verso il muricciolo e sedendosi a terra, la testa tra le mani.

< Sì, solo un momento. > Rispose.

< Oh, certo, tanto io ho tutta la notte a disposizione e anche la mattina! > Sbuffò di rimando, alzando gli occhi al cielo e poggiando la schiena contro i mattoni freddi, incrociando le braccia e osservando il cielo nuvoloso.

Quel qualcuno, cominciava davvero ad innervosirla. Ti viene addosso, ti tappa la bocca stile maniaco sessuale, sembra voglia rimettere e ti chiede un minuto per riflettere nel buio di un vicolo da film dell'orrore. Certo, cose da tutti i giorni, in effetti.

< Allora? Esame di coscienza terminato? > Gli chiese sarcastica qualche minuto dopo quando lo vide rialzarsi e passarsi una mano tra i capelli corti, tenuti su dal gel.

< Sì, beh... mi dispiace, insomma, non vado in giro a trascinare la gente nei vicoli se te lo stai chiedendo, solo che... era un'emergenza, ecco, quindi... ti chiedo scusa. > Arrossì e Charis se ne accorse anche se non una fonte luminosa era stata pensata per quel posto.

< Oh, beh... non importa. Certo, se tu fossi un maniaco probabilmente adesso sarei contro il muro a fare sesso violento con te, perciò... direi che posso anche perdonarti e ringraziare il cielo che sia stata così fortunata. > Alzò le palme delle mani in aria in segno di adorazione e sospirò, inclinando leggermente la testa di lato, come se stesse pregando sottovoce, poi alzò gli occhi al cielo, sbuffò e si avviò fuori dal vicolo, sotto il primo lampione disponibile.

Il qualcuno la seguì imbarazzato, le mani nelle tasche dei jeans stretti che indossava e lo sguardo basso, un sorriso storto ad addolcirgli le labbra sottili.

< Che fai, mi segui? > Charis riprese a camminare lungo il marciapiede, voltando appena la testa indietro ed accorgendosi del ragazzo.

Su per giù aveva la sua età, forse qualche anno in più.

Lui rise appena, una risata che Charis considerò troppo strana, non normale, nevrotica quasi. In ogni caso, da pazzoide. Chi si metteva a seguire le giovani fanciulle nel cuore della notte di un piccolo paesino del Regno Unito come Barnes? Solo un pazzoide da casa di cura. Probabilmente l'allegra combriccola urlante di poco prima era nient'altro che l'intero reparto di psichiatria accorso per soccorrerlo, chi poteva dirlo?

< E' che abito proprio laggiù. > La affiancò e le indicò una casa di grandezza media con un piccolo giardino ben curato sul davanti.

< Niente male. > Commentò, sistemandosi la chitarra sulle spalle.

< Tu sei di qui? > Le chiese, voltando il viso ad incrociare la stoffa della felpa nera che non riusciva a coprirle tutto il viso, lasciando una porzione di pelle candida in bella mostra.

< Certo, sarebbe come dire che Jane Austen è americana! > Rise sarcastica.

< Quindi sei americana e odi questo posto. Bene. > Le rivolse un sorriso e continuò a guardare dritto davanti a sé.

< Tu, invece, sei inevitabilmente nato e cresciuto qui, no? > Era praticamente ovvio. Lo caratterizzava la classica antipatia inglese, senza contare lo scarsissimo senso dell'umorismo.

< Ci hai preso! > Finse entusiasmo e si passò nuovamente una mano tra i capelli. < Beh... io sono arrivato a destinazione a quanto pare. Allora... scusa ancora per prima e... buonanotte! > La salutò, fermandosi nel vialetto accanto alla cassetta della posta e agitando una mano.

Charis nemmeno perse tempo a salutare come si deve. Proseguì per la sua strada e sventolò un braccio al contrario.

< A non rivederci! > Sghignazzò l'attimo dopo, facendo scoppiare a ridere anche lui.

Di nuovo quella risata nervosa. Quasi Charis avvertiva il sapore sulla lingua: il sapore della sua ansia, ovvio.

Aveva degli occhi belli, però. Un blu profondo, quello della primavera newyorkese. 

Se solo fosse stata in grado di ricordarsene. 

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Capitolo 2
*** Breakfast ***


Cielo, ragazze! Una fatica immensa riuscire a scrivere il secondo capitolo di questa storia! Avevo già tutto in mente, il difficile era riuscire a mettere il tutto su pagine O_o! Scusate se ci ho messo così tanto ad aggiornare, mi perdonate vero, se vi faccio gli occhi dolci *_*??

Passo a cose più serie, và:

Katy Twilighter: Cara! Ti ritrovo anche qui! Che bello *_*! Stai tranquilla che a Rob ci pensa Charis xD! E, comunque, i personaggi complicati sono anche la mia di passione, perciò, siamo in due *_* Ti ringrazio di essere passata a leggere anche questa mia ennesima follia e spero che vorrai farmi sapere il tuo commento anche su questo secondo capitolo *_* Un abbraccio enorme!

annaritaa86: Lo scoprirai leggendo, temo xD! Ti ringrazio moltissimo per la recensione e spero continuerai a seguirmi *_*

_Miss_: Il ragazzo è proprio Robert, cara Miss xD! Sono contenta ti piaccia questa storia e spero continuerai a farmi sapere cosa ne pensi *_* un abbraccio!

lampra: Robert con una barbona non è qualcosa di convenzionale, ed è proprio per questo che ho deciso di buttare giù quello che mi era venuto in mente al riguardo! Sono contenta ti piaccia come ambientazione e spero che continuerai a seguirmi *_* un abbraccio!

 

Angolino pubblicità xD: Vi ricordo che troverete i teaser e gli spoiler di tutte le mie Ff sul mio blogMaking A Memory e vi ricordo il mio profilo Facebook per chiunque avesse voglia di aggiungermiFacebook e le altre mie due Ff con protagonista sempre Rob, sarei felici se ci faceste un salto ^^ Dream a Little Dream of Me Glitter in the Airspan>

Ovviamente, ringrazio ancora tutti coloro che hanno aggiunto questa mia nuova creazione tra le preferite/seguite/da ricordare e tutti i lettori silenziosi *_* mi rendete comunque felice, tesori *_*

 

Ed ora, credo di aver parlato fin troppo, perciò vi lascio al capitolo ^^

She Holds A Key

 

Non aveva fatto altro che pensare a quella ragazza. Quella con la chitarra in spalla e la battuta pronta. Ricordava i suoi capelli neri, che le sfioravano appena le spalle, mossi dal vento impetuoso, gli occhi azzurri, un azzurro-turchese affatto comune, la felpa poco adatta alla stagione londinese, i jeans stretti e le scarpe da ginnastica bianche, vecchio modello, ormai consumate. Non era da lui ricordare qualunque persona le capitasse in giro. Forse era solo il fatto che stesse portando una chitarra in spalla ad averlo colpito. Non si vedevano molte ragazze in grado di saper suonare uno strumento all'infuori del pianoforte. Sì, doveva essere questo.

Una doccia tiepida gli avrebbe sicuramente giovato. Quando uscì dal vano doccia per dirigersi nella sua stanza per vestirsi, il suo cellulare prese a squillare e lui si sorprese a maledirlo, mentre lo individuava con lo sguardo sul comodino e lo afferrava di malavoglia per leggere il nome dello scocciatore di turno: Kristen lampeggiava sullo schermo.

Gli sfuggì un sorriso e spinse, convinto, il tasto verde per rispondere.

< Ehi, Bella! Cosa ti porta a disturbare un gentleman come me a quest'ora del giorno? > Sorrise e la sentì ricambiare.

< Potrei inventare mille scuse, in verità, ma oggi mi va di essere particolarmente sincera, perciò dirò la verità. > Rispose. Non poteva vederla, ma la immaginava seduta all'indiana sul suo letto, nella sua stanza a Los Angeles, mentre si torturava un labbro e giocherellava con le coperte.

< Ne sono onorato! > Bluffò.

< Avevo voglia di sentirti, tutto qui. Come va lì a Londra? > Gli domandò sinceramente interessata.

< Non c'è male. Londra è pur sempre Londra. > Puntò lo sguardo fuori dalla finestra che dava sulla strada e il cielo nuvoloso lo accolse in un abbraccio umido, facendogli ricordare che non aveva avuto ancora modo di infilarsi nemmeno la biancheria pulita. Aprì il primo cassetto alla sua destra e ne estrasse un paio di boxer e una maglietta bianca, che indossò svelto, mantenendo il telefono in equilibrio tra l'orecchio e la spalla.

< Pensavo di fare un salto da te nel week-end, se per te va bene... > Sentì la sua voce tentennare.

< Ehm... sì, sì, perché no! > Si ritrovò a rispondere, stupito da quell'idea. Kristen, di solito, non abbandonava mai la sua adorata Los Angeles durante il periodo di vacanza dal lavoro.

< Non ti scoccia? > Ancora l'immagine di lei che si mordeva il labbro inferiore, insicura, lo tormentò e lo fece sorridere.

< Assolutamente no! Perché dovrebbe? > Aprì l'armadio e scelse un paio di jeans grigi, stretti intorno alle caviglie.

< Magari sei impegnato con le tue cose... la tua famiglia... > Tentennò ancora.

< La mia famiglia è tutta da mia sorella a New York, perciò sono qui solo solo, e se ho la possibilità di vedere qualcuno di voi a me non può che fare piacere! > Rispose sicuro.

< D'accordo, allora. Ci sentiamo venerdì. Ti faccio sapere a che ora atterro. > Sembrava più una domanda che un'affermazione vera e propria.

< Sì. Va bene. Ci sentiamo allora, Kikì! > Sorrise e chiuse la comunicazione dopo l'ennesimo saluto.

Continuava ad avere in testa il volto di quella ragazza, colei che non aveva ancora un nome, per quel momento. Insomma, non poteva essere sicuro che l'avrebbe rivista, ma Barnes non era molto grande come villaggio, perciò tutto era possibile.

Finì di vestirsi e scese a fare colazione prima di uscire di casa e dirigersi qualche isolato più distante, dal suo migliore amico di sempre, Tom.

< Sei in ritardo di almeno mezz'ora! > Sbuffò quest'ultimo appena aprì la porta, senza nemmeno preoccuparsi di accertarsi che fosse proprio Robert.

< Sturridge! Smettila di prendermi in giro! Andiamo? > Robert, sorridendo appena, si allontanò dall'uscio, precedendo l'amico che, nel frattempo, stava affannandosi nella ricerca delle chiavi di casa.

< Ieri sera sei sparito dopo l'assalto di quelle pazze, che fine hai fatto? > Gli chiese, facendo una smorfia d'orrore al solo ricordo della folla impazzita che invocava il nome di Robert.

< Diciamo che sono riuscito a seminarle con l'aiuto di una ragazza... > Si spettinò i capelli con una mano, guardando altrove.

< Una ragazza?!? E...? > Tom infilò le mani nelle tasche dei jeans alla prima folata di vento freddo, inarcando un sopracciglio.

< E niente, mi ha salvato e ognuno è andato per la sua strada. > Fece spallucce, semplice.

< Oh, ma insomma! Si può essere così coglioni?!? Quando ti capiterà di nuovo di incontrare una ragazza normale che quando ti vede non si mette ad urlare come una matta? > Sbottò, battendosi una mano sulla fronte.

< Tom, non posso portarmi a letto ogni singola ragazza che non mi riconosce per la strada! Non tutte sono quelle giuste! E di certo questa tua invenzione non mi aiuterà a trovarne una! > Gli rispose a tono, sorridendo quasi della stranezza dell'amico quando si cominciava a parlare di amore.

< Ma dai! > Sbuffò. < E com'era, carina? > Continuò, tendendo un orecchio.

< Sì, almeno credo. Era troppo buio per distinguere qualcosa, ma suppongo di sì, che fosse abbastanza carina. > Infilò anche lui le mani nelle tasche dei jeans e rabbrividì nonostante la giacca invernale.

< Non puoi starci qui, chiaro??? E dei servizi possono usufruirne solo i clienti! > Tom stava per ribattere quando la voce profonda di un uomo lì vicino lo distrasse e con lui Robert, che si voltò nella direzione dalla quale proveniva la voce solo per osservare la figura di un uomo che spintonava una ragazza verso l'uscita.

La ragazza se lo tolse di dosso, sistemandosi la chitarra sulla spalla stizzita da quel comportamento. Quando si voltò, sistemandosi una ciocca nera dietro l'orecchio e Robert ebbe modo di osservarle il viso, la riconobbe. Era la stessa ragazza della sera prima, quella che l'aveva salvato dalle fan urlanti!

< Ehi, Tom! E' lei! > Diede una gomitata nel fianco all'amico accanto a lui, soddisfatto.

< Quella... barbona?!? > Chiese scettico, lanciandogli un'occhiata obliqua e poco rassicurante.

< Barbona! Tom, dai! Potresti essere anche più gentile, sai che non guasta! Ecco perché non riesci a trovarti una ragazza, voglio dire... > Ma Tom lo interruppe, scuotendo il capo.

< No, Robert. Intendevo dire esattamente quello che ho detto: lei è una barbona. > Spiegò con più calma.

Robert sgranò gli occhi, poi sventolò una mano come a voler scacciare una mosca fastidiosa.

< Ok, hai finito di prendermi in giro. > Rispose, cominciando nuovamente a camminare lungo il marciapiede.

< Senti, per una volta, una sola volta, ti prego, prendimi sul serio! > Lo supplicò quasi Tom, le mani giunte come se stesse pregando. < Giuro su quello che ho di più caro al mondo che è davvero una barbona quella ragazza lì. > Continuò dopo qualche istante.

< D'accordo, e anche se fosse? Cosa ci sarebbe di male? > Gli chiese ovvio, alzando le spalle.

< Avresti decine di donne ai tuoi piedi, Rob se solo ti decidessi a mettere un po' la testa a posto! Lo vedi, non capisci un emerito cazzo del mondo dello spettacolo, bisogna sempre insegnarti tutto! > Si passò una mano, teatrale, sulla faccia, stropicciandosela.

< Che vorresti dire, Mr. DonGiovanni? > Lo prese in giro, inarcando un sopracciglio.

< Voglio dire che potresti avere tutte le donne del globo, peccato però che ti scegli sempre quelle sbagliate. Prima Kristen e adesso una barbona... > Indicò la ragazza alla quale si stavano avvicinando.

< Primo, io e Kristen non siamo mai stati insieme. Secondo, non ho detto di volere che quella ragazza diventi la mia fidanzata. Terzo, saranno anche affari miei con chi decido di stare, o no? > Si infuriò.

Tom alzò le mani in segno di resa.

< D'accordo, come ti pare. Sono davvero curioso di sapere cosa ne scriveranno i giornali di questa storia. > Soppesò, divertito.

< Finiscila, ok? > Lo rimbrottò, mentre Charis si faceva sempre più vicina.

Nell'esatto momento in cui loro le passarono davanti, la borsa che reggeva sulla spalla le scivolò, riversando il suo contenuto a terra.

< E che cazzo! > Imprecò lei, inginocchiandosi per raccogliere il tutto, visibilmente infuriata.

Tom alzò gli occhi al cielo quando vide Robert voltarsi indietro per accorrere la povera fanciulla in pericolo. 

< Grazie, non c'è bisogno, faccio da sol-ah! sei tu! > Sorrise divertita, incontrando i suoi occhi splendenti e il suo sorriso che l'aveva così colpita la sera precedente.

Robert fece spallucce.

< Ricambio l'aiuto che mi hai dato ieri sera. Direi proprio che te lo devo. > Le rispose, semplice.

< Beh, senza contare che fossi assolutamente inconsapevole di tutta la faccenda... d'accordo, lo accetto comunque il tuo aiuto. > Allungò la mano per recuperare gli svariati pacchetti di fazzoletti multicolori distribuiti a terra, ficcandoli con poca grazia nella borsa di stoffa, mentre Robert le porgeva un portamonete azzurro con i pulcini disegnati sopra, di un bel giallo canarino. Piuttosto infantile, doveva ammetterlo.

< Grazie. > Gli sorrise e si rimise la borsa in spalla, infilando le mani nelle tasche dei jeans.

Tom, rimasto distante, si avvicinò, optando per osservare le stupidate di Robert più da vicino. Era sicuro che avrebbe combinato un altro dei suoi irrimediabili pasticci.

< Senti... abbiamo visto che hai avuto dei problemi con il proprietario del negozio... insomma... se ti serve qualcosa... > Si grattò la nuca, in imbarazzo, indicando il negozio esattamente di fronte a lui: un supermercato di medie dimensioni.

< In realtà, avevo bisogno del bagno, ma non importa, davvero, cercherò un altro posto. Sono abituata a questo genere di reazione. > Il vento le scompigliò la frangia nera che lei, prontamente, spostò da un lato.

< Noi stavamo per andare a fare colazione, se vuoi unirti a noi... vero, Tom? > Pestò un piede a Tom che, nel frattempo, si era distratto, facendolo ritornare in sé giusto in tempo per la risposta.

< Oh, sì, sì, sarebbe fantastico se venissi anche tu! > Cercò di assumere un'espressione piuttosto convinta, annuendo anche con il capo per dare maggior vigore alle sue parole.

< Va bene, se insistete così tanto... > Charis fece spallucce e li seguì, affiancandosi a Robert.

Tom gli lanciò un'occhiata torva a cui l'amico rispose intimandogli di starsene buono e zitto al suo posto.

Rimasero in silenzio per tutto il percorso fino al bar che avevano scelto, poi, quando Charis si fu accomodata, posando le sue cose alla rinfusa sulla sedia libera accanto a lei, e fu sgattaiolata furtiva in bagno, Tom si concesse uno sbuffo.

< Cosa? > Borbottò Robert, scocciato dalla resistenza dell'amico.

< Ma se non ho detto nulla! > Si difese, alzando le mani in segno di resa.

< Sì, ma quello sbuffo la diceva lunga... > Robert acchiappò un menu a caso dal centro del tavolo e cominciò a scorrere rapidamente le scritte.

< Volete ordinare? > La cameriera gli si avvicinò sorridente, il blocco degli appunti in mano e la cuffia bianca ben sistemata sui capelli acconciati.

< Ehm... sì... allora, un caffè senza zucchero e due caffè-latte, per favore. > Rispose Tom, ammiccando in direzione della ragazza.

Robert gli lanciò un'occhiata incredula.

< Oh! E tre brioche, grazie! > Aggiunse, quando ormai la cameriera si era allontanata di qualche passo dal loro tavolo.

< Ma la smetti? Ti sei rincretinito? > Robert gli diede una gomitata in mezzo alle costole, facendolo mugolare di dolore.

< Ehi! Che c'è? Ho solo fatto il carino! > Piagnucolò.

< Sì, certo, il carino! > Lo imitò l'amico, mettendo via il menu, mentre, nel frattempo, Charis aveva ripreso il suo posto accanto a Robert.

Una folata del suo profumo dolce lo raggiunse e lui si ritrovò ad arrossire senza quasi accorgersene, abbassando lo sguardo nell'esatto momento in cui la cameriera ritornava con il piatto di brioche tra le mani.

< Grazie, dolcezza. > Le mormorò Tom senza alcuna vergogna.

Charis lo osservò stralunata ed incredula.

< Lascialo perdere, fa sempre così. > Le sussurrò Robert in un orecchio a mo' di scusa.

Charis fece spallucce e afferrò una brioche dal piatto, mordendola con gusto.

< Grazie, non dovevate. > Riuscì a dire tra un boccone e l'altro.

< Di nulla. Mi hai salvato la vita. > Sorrise.

Il bar non era particolarmente affollato e Tom sembrava essere entrato totalmente in un altro mondo, tanto che quando si alzò per raggiungere il bancone dove la cameriera che li aveva serviti si affrettava a preparare i caffè per i clienti, Charis e Robert neanche se ne accorsero.

< Allora, cosa fai nella vita? > Le chiese lui, incominciando a sorseggiare il suo caffè-latte.

< Mi piace pensare che viaggio, ma in realtà faccio soltanto la vagabonda. Sai, non ho un posto fisso e dormo dove capita. > Spiegò, prendendo un sorso dalla sua tazza calda.

< E sei una musicista. > Indicò con lo sguardo la custodia della chitarra.

< Diciamo di sì. > Lei fece spallucce, abbassando lo sguardo e lasciando che i capelli le sfiorassero le guance lisce.

< Perché proprio Barnes? Non sarebbe stata più adatta Londra? > Le domandò curioso.

< Oh, per l'amor del cielo! Vuoi farmi morire? > Sorrise. < Non sopporto neanche l'Inghilterra e tu vorresti mandarmi esattamente nel centro del mirino? No, non se ne parla proprio! > Continuò dopo qualche istante, scuotendo anche la testa.

Robert assecondò la sua risata.

< D'accordo, d'accordo. E la tua famiglia? > Forse avrebbe toccato un tasto dolente con quella domanda, magari lei si sarebbe messa a piangere e avrebbe capito di aver combinato un enorme disastro quando se la sarebbe ritrovata tra le braccia per consolarla, ma poteva anche sbagliarsi.

E poi, perché quell'insensata voglia di stringerla a sé e di non lasciarla più andare via?

Doveva aver bevuto decisamente troppi caffè, anche se quello era solo il secondo della giornata.

Insomma, la conosceva da nemmeno dodici ore e già si immaginava una famiglia?!? Non era normale! Specialmente per lui!

< Suppongo sia tutta stipata a New York. > La sua risposta lo distrasse dalle sue elucubrazioni mentali da paranoico cronico.

< E tu non sei con loro. > Era una constatazione la sua, ma non voleva che si sentisse in nessun modo obbligata a dirgli qualcosa in più di lei. In fondo, neanche si conoscevano!

E poi, Charis non era una di quelle persone che raccontava tutto di sé e subito, al primo che le capitava sotto mano. Era sempre stata piuttosto difficile quando si parlava di amicizie e non era nemmeno qualcosa per cui andava fiera, perciò non avrebbe rivelato niente comunque.

Si rigirò la sua tazza tra le mani, visibilmente triste e delusa, anche se nemmeno lei sapeva bene da cosa.

< E tu, cosa fai di bello? > Si aprì in un sorriso quando rialzò la testa e a Robert sembrò così strano quel suo cambio repentino d'umore, che a stento riuscì a credere di avere la stessa persona di poco prima davanti.

< Dio! Crederai che io sia una specie di... nemmeno so come definirmi, dopo quello a cui hai assistito ieri sera! > Si passò una mano tra i capelli mediamente folti e le sue guance diventarono calde.

A Charis sembrava quasi di averle sotto le mani, per il modo in cui ne avvertiva il fuoco.

< Io non ho ancora avuto modo di pensarci, perciò, sono una mente ancora vergine da plasmare. > Appoggiò il mento sul palmo della mano e lo osservò.

< D'accordo... scommetto che scoppierai a ridere appena te lo dirò, ma sono un attore... oserei dire abbastanza famoso per giunta. > Si arrese a rispondere con un sospiro.

< Non mi sembra una barzelletta la tua, però. > Lo fissò confusa, inclinando la testa di lato.

< No, non lo è, è solo che è... strano. > Precisò.

< Strano?!? > Si sistemò meglio sulla sedia e inarcò le sopracciglia.

< Non so nemmeno perché te lo sto dicendo, e magari non te ne importerà nulla e mi manderai a quel paese perché sono solo un paranoico cronico, ma il fatto è che ho raggiunto la vetta del successo in così poco tempo, che mi sembra quasi di vivere la vita di qualcun altro. Due anni fa non mi avrebbe dato retta nemmeno mezza mosca e adesso, come d'incanto, sono assediato da tutte quelle ragazzine che vogliono toccarmi, fare una foto, firmare autografi, chissà, violentarmi... e Dio solo sa cosa! > Fece spallucce e si scompigliò di nuovo i capelli.

Per essere un attore, era abbastanza timido e Charis si ritrovò a pensarlo con un sorriso dolce. Lei, che aveva sempre pensato che attori e musicisti di successo facessero parte di un altro mondo...

< Temo che sia il prezzo da pagare per fare quello che ci piace. Credo che per ogni cosa ci sia un prezzo da pagare, soprattutto per fare quello che amiamo. > Rispose lei, osservando le scritte sul bordo della tazza.

Robert sospirò e voltò lo sguardo verso la vetrina alla sua destra, dove la gente, ignara, continuava a passeggiare tranquilla.

< La vita non è altro che rinunce continue. > Proseguì lei dopo qualche istante di silenzio, occupato solo dal chiacchiericcio di coloro che occupavano i tavoli poco distanti.

< E scommetto che tu ne sai qualcosa. > Le sorrise appena, tornando ad osservarla.

Charis fece spallucce e ricambiò il mezzo sorriso.

< Non più di tanto in verità. Ho lasciato New York perché non era quello il mio posto, come forse non lo è neanche qui. Chissà dov'è il mio posto. Sono partita perché voglio cercarlo e non soffro per quello che ho dovuto abbandonare. Non ho rimpianti. > Ammise serena.

< Sul serio?!? New York non ti manca neanche un po'? > Aggrottò le sopracciglia e la osservò stranito, incredulo.

< Sì, certo, mi manca, ma ci si fa l'abitudine. > Fece spallucce.

< Ecco come si conquista una donna, Rob! > Tom li interruppe, dando una pacca sulla spalla all'amico, sorridendo sornione e soddisfatto di sé.

< Lascialo perdere, è un caso senza cura. > Si rivolse a lei, scuotendo appena la testa.

Charis sorrise, sistemandosi il ciuffo di capelli neri che le copriva gli occhi.

< Beh, almeno io ho buongusto! > Si difese Tom, abbandonandosi contro la spalliera della sedia e incrociando le braccia al petto, imbronciandosi come un bambino capriccioso. Lanciò uno sguardo torvo a Charis e poi continuò a guardare, imperterrito, la parete di fronte a lui.

< Beh, allora io, magari, andrei. Grazie mille per la colazione. > Recuperò le sue cose e fece per uscire.

< Ehi! Non... insomma, non fare caso a quello che dice, non devi andare via... > Robert si alzò in piedi e cercò di fermarla, pestando, nel mentre, un piede a quell'insensibile del suo amico, lasciandolo mugolare di dolore.

< Davvero. Preferisco andare, non voglio arrecarvi altro disturbo, avete già fatto abbastanza per me. > Sorrise poco convinta e oltrepassò la porta scorrevole, le spalle curve sotto il peso, sebbene minimo, della sua chitarra acustica e della sua busta di plastica rosa piena di vestiti.

< Complimenti, perfetto esempio di gentleman inglese! > Lo rimproverò quando tornò a sedersi accanto a lui, scostando da sé, in malo modo, la tazza.

< Io ho semplicemente fatto un'osservazione! Non è mica colpa mia se le brucia il fatto di essere una barbona e non vuole sentirselo dire! > Si difese piccato.

< Magari, se solo fossi stato più gentile! > Gli fece presente con sarcasmo.

< Oh, andiamo, Rob! Che c'è? Ti sei già perdutamente innamorato di lei? > Allargò le braccia esasperato.

< E' una questione di rispetto, Tom! Non si tratta così la gente! > Protestò.

< E va bene! Scusa! > Incrociò di nuovo le braccia al petto e sbuffò forte.

< Non è a me che dovresti fare delle scuse, comunque. > Fece spallucce e si alzò, dirigendosi verso la cassiera.

Tom lo seguì docile verso il piccolo parco giochi di Barnes, il solito, quello dove si riunivano con i loro amici dopo la scuola per fumare in tutta tranquillità una sigaretta. Era vuoto visto il cielo minaccioso e Robert si lasciò cadere sulla prima altalena cigolante ed estrasse il pacchetto di sigarette con annesso accendino dalla tasca interna del giubbotto che indossava.

Tom, invece, si lasciò cadere su quella di fianco, cominciando a dondolarsi: non aveva voglia di fumare.

< Senti, non voglio prendermela con te... > Esordì Robert, voltandosi a guardarlo, dopo aver buttato fuori una nuvola di fumo grigiastra.

< Lo so. Hai detto la verità, come al solito. > Gli rivolse un mezzo sorriso e frenò la corsa dell'altalena, facendo attrito con le punte delle scarpe sul terreno ancora umido dell'ultima pioggia.

< Credi che sia arrivata da poco qui? Non l'ho mai vista in giro prima di ieri sera. > Gli chiese Robert, spegnendo la sigaretta con la punta della scarpa e osservando il mozzicone come fosse la cosa più interessante del mondo.

Tom fece spallucce.

< L'ho vista un paio di volte prima che tu tornassi. Le ho lasciato qualche moneta perché suona divinamente, dovresti sentirla. > Lo osservò.

< Magari, quando la rivedo, le chiedo di suonare qualcosa per me. > Pensò ad alta voce.

Tom non rispose, limitandosi a nascondere un sorrisetto malizioso, prima di saltare giù dall'altalena e infilare le mani nelle tasche dei jeans.

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Capitolo 3
*** Love... maybe ***


Salve! Ultimo aggiornamento della serata, ragazze! Fiuff... che fatica immane portare avanti tre Ff consecutivamente... xD

Passo immediatamente ai ringraziamenti:

Katy Twilighter: Tom è un cafone, è vero xD ma povero ancora non ha avuto modo di scoprire che tipo di persona è Charis e appena lo farà cambierà idea su di lei, vedrai ^^. L'idea del proprietario del negozio che caccia via Charis l'ho presa dal video di Avril Lavigne con la canzone Nobody's Home, perché mi ha colpita particolarmente T_T. Sono felicissima che la mia idea ti piaccia, perché mi sprona a continuarla. Come al solito, ti ringrazio infinitamente del commento *_* un abbraccio tenerissimo, cara!

_Miss_: Credo tu volessi recensire il secondo capitolo, ma la tua recensione è finita nel primo xD, ma non preoccuparti, come hai notato, l'ho letta e, ovviamente, l'ho apprezzata moltissimo *_*  Sì, decisamente nel loro dialogo ho voluto dare l'impressione di due amici di vecchia data e credo che una sintonia del genere sia più probabile trovarla con uno sconosciuto che con un conoscente e, beh... in un certo senso Rob è già perso di lei... ti ringrazio immensamente per la recensione *_* e spero di ricevere un tuo parere anche su questo capitolo ^^

Ringrazio tutti coloro che leggono soltanto e aggiungono tra i preferiti/seguiti/da ricordare *_* vi voglio bene <3!

She Holds A Key

 

< Kristen! Allora, come stai? > La accolse Robert appena la vide arrivare con il suo borsone in spalla e la solita espressione imbronciata.

< Odio gli aerei! > Borbottò indignata, lasciando che il borsone le scivolasse dalle spalla e toccasse il pavimento di marmo bianco dell'aeroporto con un tonfo sordo.

< Sei stata male di nuovo, eh? > La prese in giro prima di abbracciarla e di sollevarla quasi da terra.

< Mmm... > Borbottò lei, separandosi di malavoglia dalle sue braccia calde e confortanti.

< Beh, adesso ci rifacciamo! Ho detto agli altri che ci saremmo incontrati al solito pub di Barnes, ti va di venirci, vero? > Le chiese con entusiasmo mentre raccoglieva il suo borsone da terra e se lo issava in spalla.

< D'accordo, ma avrei bisogno di cambiarmi, prima. Sono vestita peggio di uno straccione! > Si lamentò, seguendolo.

< Rimani a casa mia, no? E' inutile prenotare una stanza. > Le fece presente, osservandola mentre caricava il bagaglio in macchina e le apriva la portiera.

< Se a te non dà fastidio... > Rispose lei, impadronendosi immediatamente della radio e cambiando stazione.

< Allora, cosa mi racconti? > Le domandò, facendo manovra.

< Niente di che, solite cose. Tu? > Aprì il vano porta-oggetti e rovistò tra il mucchio di cd di Robert: Van Morrison più che altro.

< Solito. Quasi rimpiango il set, almeno lì ci si divertiva. > Si fermò ad un semaforo e la osservò sbirciare tra i suoi oggetti.

< Lo sai che non si rovista nelle cose altrui? > La rimproverò bonariamente.

< Ma io sono tua amica, no? > Gli fece gli occhi dolci, come una bambina scoperta a rovistare nel sacchetto delle caramelle.

< Ma non ti ho di certo dato il permesso! > Si difese lui.

< D'accordo! Che noioso che sei! > Richiuse il tutto ed incrociò le braccia al petto, sbuffando.

Robert rise: a volte Kristen era così infantile che lo faceva sorridere. Era come una bambina capricciosa che non sapeva decidersi.

Quando arrivarono a casa, Robert le cedette la sua stanza: lui si sarebbe sistemato sul divano, in salotto.

Attese che finisse di sistemarsi guardando un quiz televisivo e sorseggiando una birra, poi, appena la vide riemergere dalla stanza, si avviò alla porta ed uscirono, diretti al Lion, solito pub di sempre.

Gli ricordava così tanto la sua infanzia e la sua adolescenza quel posto, che, ormai, faticava a separarsene. Lo stesso per i suoi amici di vecchia data. Avevano anche provato a cambiare locale, per respirare aria nuova, ma l'atmosfera non era così rilassata come al Lion ed allora erano ritornati alle vecchie abitudini di una volta.

< Kris! > La salutò Tom, allargando le braccia in segno di benvenuto.

Erano già tutti intenti a sorseggiare un drink, senza contare che Markus era già mezzo ubriaco e farfugliava circa una ragazza bionda che era riuscito a scoparsi in spiaggia l'estate scorsa.

< Cosa ti porto? > Le chiese, sussurrandole in un orecchio per cercare di farsi sentire al di sopra della confusione.

< Una Coca. Non ho proprio voglia di dar di matto, stasera. > Si giustificò.

< D'accordo, una Coca. > Sorrise lui, allontanandosi verso il bancone.

Ritornò con una Coca per lei e una birra per lui. Le si sedette accanto e ascoltò i deliri di Markus come tutti, sorridendo. Quando ci si metteva riusciva davvero ad avere fantasia.

< Credi che le abbia fatte davvero tutte queste cose? > Gli chiese lei, avvicinandosi con la sedia e portando il viso vicino al suo per farsi ascoltare meglio.

< Markus ha molta fantasia... > Robert fece spallucce.

Lei rise e appoggiò la testa alla sua spalla. Robert non se ne infastidì: d'altronde, erano atteggiamenti all'ordine del giorno per loro, per lo meno, quando condividevano la scena e il backstage.

Robert giocò con una ciocca dei suoi capelli, attorcigliandosela intorno al dito, la bottiglia di birra nell'altra mano e lo sguardo ai suoi amici.

< Sono così stanca! Andiamo? > Lo pregò mezz'ora dopo quando l'atmosfera aveva cominciato a riscaldarsi nel pub e la gente era aumentata.

< Sì, va bene. > Acconsentì, alzandosi e salutando gli altri.

< Rob, dalle una botta da parte mia. > Ben gli lanciò un'occhiata maliziosa, tirandolo appena per la manica della maglia.

< No, non credo lo farò. > Rispose, allontanandosi.

Era vero, probabilmente i loro atteggiamenti erano troppo espliciti per essere quelli usuali in un'amicizia, ma loro erano davvero soltanto amici; ottimi amici, forse. C'era una certa sintonia sul set che non poteva negare ed erano perfetti nel ruolo di Edward e Bella, così terribilmente innamorati l'uno dell'altra e così dipendenti dal loro amore, ma tutto si fermava lì. Avevano approfondito il loro rapporto solo per non sembrare estranei durante le riprese, dato che si parlava comunque di una storia d'amore, avevano provato qualche scena insieme in roulotte e, quando ne avevano l'occasione, uscivano insieme per distrarsi. Come quel week-end. Poteva sembrare strano che lei si muovesse dalla California a Londra solo per vederlo, ma loro erano fatti così, si cercavano, erano come calamite che non potevano restare troppo a lungo lontani dal loro polo d'attrazione opposto.

< Allora... buonanotte. > Le mormorò quando la vide comparire in salotto, mentre lui sistemava il divano per la notte.

< Senti, Rob... posso dirti una cosa? > Sussurrò per tutta risposta, mordendosi il labbro inferiore.

Le piaceva come i suoi denti torturassero la pelle più sensibile delle labbra. Fu come un fulmine a ciel sereno, ma per la prima volta vide Kristen come una donna e non come la sua collega di set. Era bellissima nel suo baby-doll bianco ricamato di rosa, i capelli sciolti sulle spalle, mossi e i piedi nudi che si torturavano a vicenda.

< Dimmi. > La invitò a proseguire.

< Voglio... voglio che... > Tentennò, abbassando lo sguardo, mentre lo sentiva avvicinarsi per controllare che stesse bene, pensò.

< Kikì, tutto bene? > Lo immaginò aggrottare le sopracciglia. Si rifiutava di alzare lo sguardo su di lui. Sorrise nella consapevolezza che, ormai, lo conosceva fin troppo bene.

< Sì... tutto bene... voglio solo... > Riprovò a dire.

< Solo...? > La incitò, alzandole il mento per incontrare i suoi occhi castano-verde.

< Solo... essere amata da te. > Terminò con uno sbuffo, pentendosi immediatamente delle cose che aveva detto.

Vide Robert sgranare appena gli occhi, lo vide serrare la mascella come se fosse furioso, ma lo vide anche rilassarsi l'istante successivo, vide i suoi occhi farsi più limpidi, il suo sorriso sghembo, tipico di Edward Cullen, ricomparire sulle sue labbra morbide e le sue mani andare ad accarezzarle dolcemente il viso.

< Kristen, tu sei... > Le alitò ad un centimetro dalle labbra. Il suo respiro odorava di dentifricio alla menta e di nicotina.

< ... perfetta. > Continuò, mentre lei chiudeva gli occhi e avvertiva il tocco delle sue labbra sulle sue. Il suo fu un bacio delicato, non troppo esigente, ma nemmeno tanto casto, in particolare perché Kristen lo aveva desiderato da così tanto che non riuscì a controllarsi e, infilata una mano tra la sua chioma ribelle, lo attirò di più a sé, approfondendo il bacio.

Lui le posò le mani sui fianchi, spingendola indietro verso il muro, prudente, risalendo con le dita la schiena, facendole venire i brividi. Oltrepassò il tessuto trasparente e le carezzò la pelle profumata della nuca, facendola gemere, spingendosi con le labbra lungo il suo collo e nell'incavo dei seni.

Kristen sembrò rovesciare gli occhi all'indietro quando Robert le sollevò il baby-doll e le annusò la pancia, sospirando.

Era stanca di aspettare ancora. Gli mise una mano sul petto e lo costrinse ad indietreggiare verso la sua stanza, fino al letto sul quale si distese, poggiando la testa sul cuscino e piegando le gambe in modo tale da consentirgli un accesso più comodo.

Robert non se lo fece ripetere due volte e gattonò tra le sue gambe fino a raggiungere il suo viso e le sue labbra, che fece nuovamente sue.

Le sfilò il baby-doll, lanciandolo lontano e scendendo con le labbra sui suoi seni e poi fino all'ombelico, fino all'elastico delle mutandine bianche che indossava.

Kristen sollevò il bacino in una muta richiesta di avere di più e lui sorrise della sua impazienza così spontanea, sfilandole piano, lentamente, l'intimo e ritornando su di lei che, con le mani, si stava impegnando per liberarlo dei boxer.

Entrò in lei con rapidità, lasciandola boccheggiante e lasciando che chiudesse gli occhi e si accasciasse con la testa sul cuscino come se avesse già raggiunto il massimo del piacere.

Robert continuò con le sue spinte fin quando non la sentì irrigidirsi e poi gridare il suo nome, appendendosi alle sue spalle, conficcandogli le unghie nella pelle accaldata.

Quando la coprì delicatamente con il lenzuolo, lei era già mezza addormentata e lui, sistematosi accanto a lei, giratosi su un fianco, ritenne più saggio lasciarla dormire indisturbata e non cercò più il suo calore, cadendo in un sonno profondo quanto breve.

 

Quando si svegliò, la prima cosa a cui ebbe modo di pensare, fu al viso della ragazza della strada, Charis. Si scostava il ciuffo cadutole davanti agli occhi e sorrideva.

Rimase quasi abbagliato da quella visione e, per un attimo, credette di star solo sognando.

< 'giorno! > La voce di Kristen, ancora impastata dal sonno, lo risvegliò dalla sua trance.

< Ehi... > Le sorrise debole. Lei gli si raggomitolò accanto, coprendosi con il lenzuolo e richiudendo gli occhi. Le accarezzò i capelli e la fronte, cercando di togliersi dalla mente quel viso delicato e perfetto. Quella stessa notte aveva fatto l'amore con Kristen e non poteva già tradirla, anche se solo con il pensiero, in quel modo. Era scorretto e non era sua abitudine.

< Hai fame? Posso preparare la colazione, se vuoi. > Gli disse, alzando lo sguardo su di lui e sorridendogli.

< Sì, grazie. > Rispose, abbassando il viso per baciarle le labbra.

Si districò dalle lenzuola e sbadigliò, arruffandosi i capelli, prima di scendere dal letto ed infilarsi il baby-doll di quella notte e l'intimo, sotto lo sguardo distratto di Robert.

Barcollò in cucina e la sentì armeggiare con sportelli e pentole per una mezz'ora circa, prima di vederla tornare con un vassoio pieno di cose da mangiare: tè, caffè, latte, brioche calde, toast, marmellata all'amarena e burro e plum-cakes.

< Mmm... sembra tutto buonissimo! > Si mise seduto e afferrò una brioche e una tazza di caffè-latte.

< Senti... > Cominciò lei, inginocchiandosi sul letto e spostando una ciocca di capelli ribelle dietro l'orecchio. < Riguardo stanotte... ehm... insomma... cosa siamo adesso? Se siamo qualcosa... > Continuò, torturandosi le mani.

Robert smise di mangiare e la osservò. Non sapeva cosa rispondere. Ci aveva fatto l'amore, ci aveva fatto sesso, l'aveva illusa... chissà cosa. Forse non gli andava di trovare una giustificazione a quello che aveva fatto, forse voleva che il loro rimanesse il rapporto di sempre, quello delle pacche sulle spalle, degli abbracci, dei baci furtivi solo per alimentare la stampa, dei sorrisi e delle occhiate segrete, o, forse, voleva smetterla di sentirsi così solo, come un supereroe ed il suo potere, voleva poter condividere ciò che provava con qualcuno, discutere, litigare e fare la pace.

Sospirò e si passò una mano tra i capelli.

< Possiamo... provarci, se vuoi. A stare insieme, intendo. > Riuscì a borbottare alla fine, arrossendo come un quindicenne alla sua prima cotta.

Kristen sorrise e gli si avvicinò per abbracciarlo.

< Possiamo provarci. > Concordò, baciandogli una guancia.

 

Charis, quel giorno, era grata alle nuvole scure e al vento che si era alzato impetuoso e le scompigliava la frangia scura, mentre lei, rannicchiata sulle scale di un vecchio portone, si guardava distrattamente intorno, gli occhi stretti per ripararli dalla polvere trasportata dal vento.

Adorava l'Inghilterra solo per quell'aspetto: le nuvole, la pioggia, il vento e l'umidità.

Il sole la faceva sentire a disagio, indifferente della sua potenza e della solarità che poteva trasmettere, lei amava rifugiarsi nelle tenebre, dove nessuno poteva riconoscerla e non c'era un particolare motivo, era così fin da quando era soltanto un'adolescente e, adesso, che aveva vent'anni, non era cambiato nulla.

Costretta nella sua felpa nera si rialzò di malavoglia, afferrando la sua chitarra e cominciò a camminare: era l'alba e lei, ancora una volta, non aveva dormito. Aveva trovato un posto abbastanza confortevole dove passare la notte: una di quelle panchine in un parco lì vicino, sprofondato nel verde, ma non era servito distendere la coperta e contare le stelle. Non aveva sonno, forse, oppure erano i troppi pensieri che non riuscivano a darle pace.

Camminava con la testa bassa, Charis per difendersi dagli sguardi dei più mattinieri che avevano deciso, nonostante la giornata, di prodigarsi nel jogging, le cuffie nelle orecchie e la fascia sulla fronte, da veri sportivi.

Le punte delle sue Converse erano diventate estremamente interessanti da guardare, tanto che nemmeno si accorse di essere andata a sbattere contro qualcosa, o qualcuno.

< Ehi! Dovresti decisamente stare più attenta quando cammini! > Ancora lui! Ma cos'era, una persecuzione?

< Già e tu dovresti evitare di giocherellare con il cellulare quando fai una passeggiata. Siamo pari. > Rispose, sorridendo.

< Va bene, siamo pari. > Robert ricambiò il sorriso.

< Come mai in giro a quest'ora? > Gli chiese curiosa. Il cielo si era schiarito, segno che dovevano essere circa le sette di mattina.

< Lavoro. Devo incontrare il mio manager per valutare un nuovo contratto. Tu? > Rivoltò la domanda.

Charis fece spallucce.

< Solito. Cerco un posto che m'ispiri abbastanza da fermarmici per la giornata. > Rispose.

< Ti va se lo cerchiamo insieme? > Le domandò, mettendo via il cellulare ed osservandola. Forse non avrebbe dovuto farlo, forse avrebbe dovuto lasciarla semplicemente andare, ma non aveva saputo resistere. Quella ragazza lo attraeva troppo, inutile nasconderlo.

< E il tuo appuntamento di lavoro? > Gli fece presente, guardandolo con sospetto.

< E' tra un'ora circa, direi che posso permettermi uno svago. > Ponderò, facendo spallucce.

< D'accordo allora, se ti va di perdere tempo con me... > Si incamminò, scostandosi i capelli dalla fronte con uno sbuffo.

Robert lo trovò un gesto così dolce e così incredibilmente infantile che sorrise.

< Cosa? > Gli chiese lei.

< Niente. > Rise. < Niente, davvero. > Cercò di convincerla.

< Farò finta di averti creduto. > Stette al gioco lei.

Continuarono a camminare in silenzio, sotto quel cielo che minacciava pioggia, fin quando non raggiunsero una piazza circolare: niente di particolare, in verità, ma a Charis le si strinse lo stomaco al solo vederla, perciò convenne che fosse quello il posto giusto per quella giornata.

Saltellò per raggiungere le inferriate che circondavano la stessa piazza e, incrociate le gambe, si sedette e aprì la chitarra di fronte a lei, estraendola e imbracciandola, lasciando la custodia aperta al suo fianco.

< Hai trovato la tua ispirazione qui, allora. > Era una constatazione la sua, mentre si sedeva accanto a lei e la osservava riscaldare le dita sulla tastiera.

< E' stupendo qui. Così tranquillo... > Chiarì, prendendo a strimpellare.

< Cosa suoni? > Le domandò, le sopracciglia corrugate, non riuscendo a riconoscere la melodia.

< Quello che mi ispira questo posto. Iniziò sempre così: suonando le mie emozioni. > Spiegò ovvia.

< Riesci a vivere così, da sola, senza nessuno, senza problemi? > Le domandò curioso.

< E' difficile, a volte: vorresti tornare a casa, alla tua vita che, seppur insignificante e inutile, era pur sempre la tua e bene o male ti eri adattata a viverla, ma poi pensi che non vuoi proprio ritrovarti di nuovo in quella situazione e preferisci il silenzio intorno a te. > Non era sicura di essere riuscita ad esprimersi a dovere.

< Non conosci proprio nessuno qui? > Non voleva essere invadente, ma non aveva mai avuto l'occasione di incontrare una ragazza-vagabonda ed era curioso, ammaliato.

< Beh, ora conosco te. > E sorrise, riprendendo a suonare.

La sua musica era incredibilmente dolce, sentita, vera, profonda, emozionante che Robert perse la cognizione del tempo e riuscì a concentrarsi solamente sul movimento delle dita di lei sulle corde, del suo sguardo perso e dei suoi capelli svolazzanti. Tom forse aveva ragione: si stava innamorando di lei, irrimediabilmente e Kristen era solo un pensiero lontano in quell'istante, dimenticato.

Le prime gocce di pioggia riuscirono a svegliarlo e lui scosse la testa per liberarsi dai pensieri che l'avevano affollata fino a quel momento, infilando una mano nella tasca dei jeans per estrarvi un mucchio di monetine che lasciò nella custodia della sua chitarra, alzandosi e allungando un braccio.

< Sei sicuro che valga tutte quelle monete? > Gli domandò, osservandolo maliziosa.

< Sì, sicurissimo e, forse, anche di più. > Rispose convinto.

Si allontanò, camminando all'indietro e osservandola guardarlo stranita. Quando si voltò gli venne in mente che non sapeva nemmeno il suo nome.

< Ehi! > La chiamò, voltandosi di nuovo. < Non so neanche il tuo nome! > Le urlò quando ebbe la sua totale attenzione.

< Charis! > Rispose lei di rimando, sorridendo.

< Io sono Robert! > Le urlò ancora, ricambiando il sorriso.

Charis sorrise e lo osservò allontanarsi, le mani nelle tasche dei jeans e lo sguardo basso.

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Capitolo 4
*** Bed ***


Salve! Ecco l'aggiornamento di questa Ff a cui tengo particolarmente, ma prima, ovviamente, le risposte alle recensioni:

 

Katy Twilighter: Che bello ritrovarti anche qui, sai? *-* E sono d'accordo, dobbiamo sognare un po' anche noi, altrimenti non ci rimane niente e se è vero che stanno sul serio insieme Kris e Rob lei è già fortunata di suo, quindi, a noi almeno ci lascia i sogni xD e poi, sì, hai ragione, porella, fa sempre da terzo incomodo xD sono contenta che tra le tre questa sia la Ff che tu preferisca di più, perché davvero, la sento particolarmente mia in un modo che non riesco nemmeno a spiegare, perciò mi fa piacere sapere questo xD Ancora grazie mille per tutto *-*

_Miss_: Grazie mille per i complimenti, cara *_* uhm... forse hai ragione, Rob sta un po' illudendo Kris, ma non lo fa di proposito, perché, in fondo, non sa se è amore con Charis, per ora c'è ancora una strana attrazione, perché non ha mai conosciuto una ragazza come lei (cioè vagabonda, per intenderci xD) quindi, è parecchio confuso xD Spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento e grazie ancora *_*

Un ringraziamento speciale a tutti quello che hanno solo letto e che hanno inserito questa Ff tra i preferiti/seguiti/da ricordare *_*

 

Ed ora, il capitolo!

She Holds A Key

 

< Mi manchi, sai? > Mormorò Kristen al telefono. Robert credeva d'impazzire se continuavano in quel modo: insomma, erano già arrivati alla fase del mieloso e zuccheroso rapporto di coppia? 

< Anche tu mi manchi, Kris, lo sai. > Era sdraiato sul letto, le persiane della finestra della sua stanza totalmente abbassate, la luce spenta.

Forse Kristen non era la ragazza giusta per lui, ma aveva promesso che ci avrebbero provato a mantenere una qualche sorta di rapporto e non voleva deluderla, anche perché Kristen era così fragile quando si parlava di sentimenti che aveva il terrore di vederla rompersi tra le sue stesse mani.

< Cosa fai di bello, stasera? > Gli chiese, cambiando argomento. < Rimorchi qualche bella ragazza in un bar e mi tradisci? > Scherzò, ridendo e la sua risata era così contagiosa che anche Robert rise divertito.

< Troppo semplice, comunque, ci vuole qualcosa di più teatrale per il grande Robert Pattinson! > Si prese in giro, osservando il soffitto scuro.

< Già dimenticavo che l'uomo più sexy dell'anno meriti sempre il meglio. > Lo canzonò ancora lei, divertita. Robert la immaginò spostarsi i capelli dietro le orecchie e sfogliare un'altra pagina del copione che gli aveva detto prima di star leggendo.

< Già, è così infatti. Comunque, tra poco si torna sul set! > Era contento davvero, in fondo, di tornare a lavoro e di rivedere i suoi colleghi. Non sarebbe stato come essere a Londra, la sua città, ma era così rilassante stare in compagnia dei ragazzi, che ci rinunciava ben volentieri alla sua città natale.

< Uhm... > Non ne era particolarmente entusiasta, ma Robert pensò derivasse più che altro dall'altro suo progetto lavorativo, che l'avrebbe tenuta impegnata in contemporanea con le riprese del terzo episodio della Saga di Twilight. 

Mentre si crogiolava nel silenzio che proveniva dall'altro lato della cornetta, ostinato, ripensò a Charis e alla bellissima sfumatura dei suoi occhi: l'azzurro e il grigio si fondevano insieme come un cielo nuvoloso, ma con sprazzi di sereno qua e là. Sorrise involontariamente, tanto che si accorse che Kris stava parlando giusto in tempo per salutarla e augurarle la buonanotte. Quella ragazza aveva il potere di disconnetterlo momentaneamente dal mondo reale, facendogli perdere la nozione del tempo e dello spazio intorno a lui.

Sbuffò, riponendo il cellulare accanto a lui, sul comodino, prima di alzarsi in piedi e guardarsi intorno, come se volesse inquadrare qualcosa in particolare, ma non sapesse nemmeno lui cosa.

Si scompigliò i capelli, poi, senza nessun preavviso, il campanello trillò e lui si ritrovò quasi scioccamente a sperare che fosse lei, la ragazza della strada. In fondo, poteva averlo seguito fino a trovare casa sua. Era una barbona e poteva rendersi invisibile se voleva, e poi lui, distratto com'era, non se ne sarebbe nemmeno accorto.

< Tom! Qual buon vento? > Sorrise all'amico che aveva in mano due bottiglie di birra e un dvd.

< Beh, ho pensato che, visto che stasera non sei dell'umore giusto per fare baldoria, potevamo vederci un film e... > Passò le bottiglie a Robert che lo osservò scettico fare cenno a qualcuno di avanzare. Sulle prime pensò che Tom dovesse essere già ubriaco, sebbene erano solo le otto di sera, d'altra parte, sperò ardentemente che non avesse portato qualche sua amica con la scusa di avergli procurato solo un sano e sicuro divertimento.

La figura che gli si presentò davanti, tuttavia, era l'ultima (o forse la prima?) che si sarebbe mai aspettato: Charis.

< Come...? Voglio dire, cosa diavolo...? > La indicò, mentre lei alzava una mano in segno di saluto, imbarazzata.

< Tranquillo, non l'ho rapita. > Lo tranquillizzò Tom, entrando in casa e dandogli una sonora pacca sulla spalla, prima di impossessarsi del divano.

< Ehm... entra... > Si stropicciò i capelli e le fece spazio per farla passare, diventando rosso come un quindicenne alla sua prima cotta.

Charis fece qualche passo avanti nel salotto, guardandosi intorno e pensando che quella casa le ricordava molto la sua: stessa carta da parati, stesso stile.

Si tolse la sciarpa e si sbottonò il cappotto, rivelando una T-shirt consumata dei Beatles.

< Dai a me. > Robert afferrò cappotto e sciarpa e li appese sull'attaccapanni all'angolo, rovesciando, nel frattempo, il portaombrelli.

Charis rise, mentre Tom alzò gli occhi al cielo in un chiaro segno di esasperazione.

Dannazione! L'aveva sempre detto che quel portaombrelli doveva sparire di lì!

Charis era dannatamente affascinata dal suo modo bizzarro di scompigliarsi i capelli, dal volto che arrossiva come quello di un bambino, dalla sua totale scoordinazione e dal suo essere pasticcione come un bambino.

< Siediti, fa' come se fossi a casa tua. > La invitò, indicandole il divano. Lei non se lo fece ripetere due volte e prese posto accanto a Tom che, nel frattempo, aveva già inserito il dvd nel lettore e stava soltanto aspettando che fossero tutti pronti per far partire il film.

Quando anche Robert ebbe occupato il suo posto accanto a Charis, schiacciò play e lasciò che la classica musica della Warner Bros desse avvio al film.

< Qualcosa da mangiare? > Chiese, facendo segno a Tom di seguirlo in cucina.

< Sì, ti accompagno. > Magari non era educato lasciare Charis da sola, ma capiva benissimo che Robert doveva sapere come l'aveva condotta a casa sua.

< Allora? Cosa ti salta in mente di portarla qui? > Lo aggredì, rovesciando la busta di pop-corn che aveva precedentemente afferrato dalla credenza, nell'attesa che Tom arrivasse in cucina.

< Credevo ti piacesse! > Borbottò lui sulla difensiva, alzando le mani come se fosse di fronte a dei poliziotti.

< Sì... cioè, no! Cosa diavolo dici? E poi sto con Kristen, non posso fare quello che voglio! > Agitò confuso la testa e versò i pop-corn in una ciotola.

< Oh, insomma! Sappiamo entrambi che non funzionerà! E poi, mi hai accusato di essere stato scortese con lei e ho cercato di rimediare! L'ho incontrata per caso, non sono certo andato a cercarla e tra una cosa e l'altra le ho detto che stavo per venire a casa tua a farti compagnia e siccome mi è sembrata parecchio giù di morale le ho proposto di venire! > Acchiappò un pop-corn con le dita e se lo infilò in bocca.

Robert sbuffò, rimettendo a posto il sacchetto.

< Scusa, non ce l'ho con te, lo sai. E' solo che... non lo so, mi manda in confusione la sua presenza! > Sbottò esasperato.

< Beh, è molto carina, a guardarla bene. > Asserì Tom, continuando a rubare dalla ciotola.

< Ho promesso a Kris che ci avrei provato a stare con lei... > Sussurrò, colpevole.

Tom sbuffò e alzò gli occhi al cielo.

< Oh, ma che t'importa di Kristen? Voglio dire, lei non è qui e non sa cosa stai facendo, tecnicamente potresti farti chi vuoi. > Rispose.

< Tom, lascia che ti dica una cosa: Fai. Schifo! > Afferrò la ciotola e fece per uscire dalla stanza, diretto in salotto.

< E dai! E' la verità! > Lo inseguì.

Robert lo fulminò con lo sguardo, poi, continuò fino in salotto e poggiò la ciotola sul tavolino di vetro di fronte alla tv.

Charis si era sfilata le scarpe e aveva rannicchiato le gambe al petto, mangiucchiandosi un'unghia.

Quando si accorse dello sguardo di lui, allargò gli occhi, sorpresa e si affrettò a mettere giù le gambe.

< Mi spiace! Cioè... è che era la mia posizione preferita quando guardavo film a casa mia... > Cercò di spiegarsi.

< Tranquilla! Non preoccuparti! Ho detto di fare come se fossi a casa tua e questo vale per qualsiasi cosa. > Le sorrise e Charis ricambiò, riguadagnando la posizione precedente, afferrando una manciata di pop-corn dalla ciotola e mangiandone uno alla volta mentre guardava, concentrata, il film.

Robert notò Tom imitare, con il labiale, la voce con cui si era rivolto a lei, facendo più che altro un sacco di smorfie.

Era anche disposto ad ammetterlo, perdeva letteralmente la testa quando era con lei, diceva un sacco di cose stupide e diventava peggio della sua adolescenza, ma non era disposto a lasciarsi prendere in giro da uno che non usciva con una ragazza da una vita!

Continuarono a guardare il film in silenzio, fino a quando Tom decise di andarsene a dormire, chiedendo con nonchalance disarmante di poter usufruire del letto della camera degli ospiti, cosa che, ovviamente, Robert non poteva rifiutargli.

Sfilò il dvd dal lettore e lo rimise nella custodia, si risedette sul divano, spostò un po' più a destra la ciotola vuota dei pop-corn, poggiò il telecomando sul bracciolo della poltrona, giocò con la sua maglietta e finì per torturarsi i capelli. Il tutto sotto lo sguardo divertito e tenero di Charis, che sorrideva nascosta tra le sue braccia forse un po' troppo magre.

< A-allora, piaciuto il film? > Le domandò, sorridendo nervoso.

< Sì, è stato... bello passare una serata con voi. Di solito me ne sto da sola a suonare la prima cosa che mi viene in mente, ma... a volte è un po' deprimente, ecco. > Storse la bocca come se stesse dicendo una cavolata.

< Sei scappata di casa... hai detto... perché? > Si sporse in avanti e incrociò le mani sulle ginocchia, con fare casuale.

Charis fece spallucce.

< E'... una storia lunga, credo. > Rispose dopo qualche istante.

< Abbiamo tempo... > Le fece presente con un sorriso d'incoraggiamento.

< Vedi, mio... fratello Michael è morto qualche tempo fa, sai... un incidente d'auto, insomma uno di quegli articoli che non fai fatica a ritrovare sul giornale la domenica mattina: il solito camionista ubriaco che ha deciso di mettersi a guidare e, per puro caso, ha ucciso un ragazzo che stava tornando a casa... > Buttò fuori sarcasticamente.

< Insomma, da quel momento in casa, con i miei, non è stato più lo stesso. Mia madre continuava a piangere e mio padre era sempre via per lavoro, perciò... la cosa è degenerata in breve tempo, quando mi sono stancata di vederli comportarsi come se la vita non potesse andare avanti lo stesso. Lo so, è strano sentirselo dire, ma Michael non avrebbe voluto vederci così arrendevoli... > Continuò, torturandosi le mani le une con le altre e abbassando lo sguardo.

< Incominciarono a prendersela con me, perché ero stata io ad incoraggiarlo ad uscire quella sera, dicevano che se non mi avesse dato retta, sarebbe stato ancora con noi... > Riprese dopo un momento di pausa, gli occhi lucidi.

< Dio, è terribile... > Mormorò Robert, osservandola.

< L'ho fatto per il suo bene, voglio dire, volevo solo che avesse una vita come tutti gli altri, volevo che smettesse di occuparsi di me e delle mie... paranoie esistenziali, ecco perché l'ho costretto ad uscire. > La voce le tremò e lei alzò gli occhi al cielo nel tentativo di non piangere, sbattendo le ciglia velocemente, come se potesse servire ad asciugarle tutte quelle lacrime.

< Poi, i miei hanno cominciato a litigare e una sera ho semplicemente radunato tutte le mie cose e sono corsa via da lì. Non era il mio posto e non avrei fatto altro che peggiorare la situazione. > Terminò con un sospiro.

Robert non sapeva cosa dire: poteva solo immaginare cosa avesse dovuto passare, poteva solo tentare di capire cosa voleva dire, in verità, perdere un fratello.

< Mi... dispiace, insomma, non volevo farti ricordare tutte queste cose così spiacevoli, sono stato uno stupido a domandartelo... > Si scompigliò i capelli in difficoltà.

< No, non importa, non è colpa tua. > Cercò di sorridere, strofinandosi le palme delle mani sui jeans ed asciugandosi, l'istante successivo, gli occhi, tirando su col naso.

< Magari è meglio che vada, si è fatto tardi. > Si alzò, guardandosi intorno come per individuare la sua borsa.

< Perché non resti? Intendo, per la notte. Saranno secoli che non dormi su un vero letto e qui c'è posto a sufficienza per entrambi... cioè, intendo, in casa... ovvio. > Si maledisse in silenzio per la sua imbranataggine.

Charis, invece, sorrise appena, solo per non sembrare maleducata.

< Non vorrei disturbare, magari domani hai da fare e devi alzarti presto. > Fece un gesto con la mano come a voler scacciare una mosca, segno che non doveva preoccuparsi così tanto per lei.

< In verità sono in vacanza fino a fine mese, perciò... > Rispose lui, considerando la cosa.

< D'accordo, allora, se a te fa piacere. > Sorrise di nuovo.

< Puoi dormire nel mio letto, io mi metto sul divano. > Indicò il corridoio che portava alle camere.

< Oh no! Non è giusto che ti privi del tuo letto, è casa tua questa! Dormirò io sul divano! > Si affrettò a rispondere.

< Nemmeno per sogno! Sei tu l'ospite qui! > Protestò lui, avviandosi verso la sua stanza e lei non poté far altro che seguirlo.

< Se ti serve qualsiasi cosa, sono di là... > Sussurrò per non svegliare Tom, nella stanza accanto.

< Davvero! Posso dormire io sul divano! > Protestò ancora. La stanza era grandissima, molto più della sua a New York, e, sicuramente il letto doveva essere comodissimo, ma non se la sentiva di approfittare così.

< Insisto. Sei un'ospite, è giusto che io ti ceda il letto. > Tentò di convincerla per l'ennesima volta.

< E' così... insomma, il letto è così grande che potremmo starci tutti e due, no? > Propose, indicando l'arredo, dal copriletto appena sgualcito lì dove Robert si era disteso qualche ora prima per rispondere al telefono.

< Magari vuoi startene per conto tuo... insomma... > Provò, imbarazzato. Cielo! Se il solo averla davanti gli provocava una tempesta ormonale da mettere in imbarazzo persino il dongiovanni più incallito, non osava immaginare dormirci insieme!

< Non c'è problema per me, davvero. Ero abituata a dormire con mia sorella minore, sai, aveva paura dei temporali... > Spiegò con un sorriso dolce. Sua sorella le mancava, era la persona a cui aveva più pensato prima di lasciare casa.

< D'accordo allora. Se hai bisogno del bagno è da quella parte. > Si rassegnò alla fine, entrando nella stanza e afferrando la sua maglietta consumata, di quelle che indossi quasi per caso per andare a dormire.

< Sì, grazie. > Si allontanò verso l'unica porta chiusa della stanza e la aprì, cercando di fare quanto meno rumore possibile.

Aprì il rubinetto e si sciacquò il viso: ripensare a Michael, nonostante tutto il tempo che era trascorso, faceva ancora male e sapere che i suoi genitori non avrebbero cercato di capirla, né tanto meno di cercarla, era un'ulteriore pugnalata al petto. Si appoggiò ai bordi del lavandino con le mani, sorreggendovisi e alzando lo sguardo fino a riflettersi sulla superficie dello specchio.

Le lacrime si mischiavano alle gocce d'acqua che le stavano ancora scorrendo sul viso.

Aveva promesso a Michael che non avrebbe più pianto, che sarebbe stata forte, eppure non era sicura di riuscire a farcela da sola.

Afferrò l'asciugamano al suo fianco e si strofinò il viso, tirando su con il naso, sciolse i capelli e abbandonò l'elastico sulla mensola di vetro sotto lo specchio, osservandosi un'ultima volta prima di lasciare la stanza.

Robert era già sotto le coperte, le mani dietro la testa e lo sguardo perso al soffitto bianco.

Charis si ritrovò a pensare che avrebbe voluto sapere cosa gli frullava per la testa in quel momento.

Si sfilò le scarpe e i jeans che sarebbero stati troppo scomodi e ingombranti per dormire e rimase in intimo. Forse era troppo spudorato entrare nel letto di uno sconosciuto così, con solo una maglia consumata dei Beatles, ma in ogni caso non avrebbe avuto niente da mettere, perché il suo vagabondare non le permetteva di indossare pigiami per la notte.

Scostò piano le coperte e ci si infilò sotto, poggiando la testa sul cuscino e rilassandosi per l'improvvisa sensazione di calore e morbidezza che non assaporava più da tempo.

E poi le lenzuola profumavano di pesca e di qualcosa che non riusciva a riconoscere, menta forse.

< Tutto bene? > Le sussurrò lui. Si voltò e si trovò a scontrarsi con due meravigliosi occhi azzurri, sfavillanti anche nella più completa oscurità.

Annuì.

Robert sorrise lieve prima di stropicciarsi un occhio con le dita, come un bambino.

Charis sorrise e si scostò una ciocca di capelli dalla fronte, portandola dietro un orecchio.

< Buonanotte allora. > Le augurò, voltandosi dall'altra parte e sospirando beato.

< Buonanotte. > Mormorò lei, restando per qualche minuto immobile nella sua posizione, senza riuscire ad addormentarsi.

Era strano addormentarsi con qualcuno accanto dopo così tanto tempo, dopo che aveva deciso di lasciare casa e di non farci mai più ritorno. Adesso Marianne a chi avrebbe chiesto di dormire insieme durante i temporali? Ne era così terrorizzata che, quando si infilava nel suo letto, la sentiva tremare tutta accanto a sé e doveva stringerla in un abbraccio per farla smettere. La verità, forse, era che le mancava e le sarebbe mancata sempre, per sempre.

Robert, d'altro canto, sebbene non riuscisse a chiudere occhio, doveva ammettere che si sentiva in pace con se stesso, nonostante una ragazza semi-sconosciuta nel suo letto. Insomma, non era come con Kristen: con lei, più che altro, si ritrovava a farci sesso e basta, con Charis, invece, c'era come un velo magico disteso nell'aria che li circondava, qualcosa di estremamente morbido, che rendeva tutto più puro e pacifico e non lo faceva sentire un perfetto imbecille.

Mosse appena le gambe, indolenzite dalla posizione scomoda che aveva assunto pur di non toccare la pelle di lei, e poté tirare un sospiro di sollievo quando si accorse di non aver fatto poi così tanto rumore con le lenzuola e le coperte.

Sistemò meglio la testa sul cuscino e chiuse gli occhi, nella speranza che il sonno arrivasse presto, ma dopo dieci minuti fu costretto a constatare che era ancora perfettamente sveglio. Chissà se lo era anche lei.

Si voltò dalla sua parte e la vide con gli occhi socchiusi, ma non di come chi sta per cadere in un sonno profondo, ma di chi sta cercando di ricordare qualcosa di vitale.

< Non riesci a dormire? > Mormorò, cercando di non spaventarla.

Lei sorrise e scosse la testa.

< Nemmeno io. > Rispose.

< E allora cosa facciamo? > Gli chiese.

< Non lo so, tu che stai facendo? > Le domandò, puntando lo sguardo sulla stessa porzione di soffitto che sembrava interessare tanto lei.

< Sto cercando di contare le pecorelle. Di solito facevo così quando ero a casa per addormentarmi. > Fece spallucce e continuò la sua conta mentale.

< E funziona? > Chiese curioso.

< Quasi mai, ma a volte sì. > Si voltò a lanciargli uno sguardo e, l'attimo dopo, decise di assumere la sua stessa posizione e si voltò su un fianco, il suo volto a un centimetro di distanza.

< Perché non mi racconti qualcosa di te? > Continuò poco dopo.

< Che cosa vuoi sapere? > Aggrottò le sopracciglia.

< Non lo so, qualsiasi cosa. Chi è il ragazzo nella stanza accanto, per esempio? > Forse era troppo curiosa, ma voleva davvero conoscerlo meglio.

< Lui è Tom, il mio migliore amico. Voglio dire, ci conosciamo da... beh, praticamente da quando siamo nati e abbiamo tentato la carriera di attori insieme. > Le spiegò brevemente.

< Tu hai sorelle, fratelli? > Si grattò il naso con un dito e a Robert ricordò tanto una bambina.

< Sì, due sorelle: la prima, Victoria e la seconda Elisabeth, anche se tutti la chiamano Lizzy. > Rispose.

< Hai studiato per diventare attore? > Sussurrò, muovendosi appena.

< Mio padre mi convinse a frequentare una scuola di recitazione quando ero adolescente, per conoscere delle ragazze, diceva. > Rise piano. < Alla fine, comunque, mi ci sono affezionato davvero, alla recitazione intendo. >

< E hai incontrato qualche ragazza? > Rise anche lei.

< Nessuna che mi filasse, ad essere sincero. > Arricciò le labbra in una maniera così buffa che Charis dovette mettere una mano davanti alla bocca per non far rumore.

< Cosa? > Le chiese, senza capire.

< E' che eri così buffo che non ce l'ho fatta. > Si schiarì la voce e tornò seria.

< Hai detto di avere un'altra sorella, anche lei... sì, insomma, anche lei ce l'ha con te per la morte di tuo fratello? > Aveva timore di affrontare ancora quell'argomento perché non voleva farla intristire.

< No e in fondo, trovo difficile che si sia effettivamente resa conto di cosa è successo a Michael. I miei le hanno raccontato che è dovuto partire per un viaggio lontano e che non si sa quando ritornerà e lei non ha fatto più domande. Mia madre dice che è troppo piccola per dirle la verità, ma io trovo che avere sette anni non significhi affatto essere troppo piccoli. > Spiegò.

< Non l'hai più sentita da quando hai deciso di scappare? > Aveva una strana voglia di toccarla, solo per sentire se la sua pelle era così morbida come sembrava.

< No e ho paura che con il passare del tempo venga influenzata dai miei genitori e che, un bel giorno, se deciderò di tornare a casa, non voglia più vedermi. > Lo pensava davvero. Sua madre era capace di tutto e suo padre la assecondava in ogni cosa.

< Ma lei ti vuole bene e sono sicuro che non si lascerà trarre in inganno da quello che dicono i tuoi su di te. > La rassicurò, sicuro.

< Lo spero. > Ma non ci credeva poi molto.

< Risolverete tutto, vedrai. Magari non adesso, magari quando ti sentirai pronta, ma sono sicuro che troverete un accordo. > Cercò di tranquillizzarla, accarezzandole un braccio a mo' di conforto: la sua pelle era davvero morbida e soffice, da mordere.

Charis sorrise e chiuse gli occhi.

Nemmeno si accorse di sprofondare in un sonno sereno e senza incubi come non le capitava più da mesi ormai.

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Capitolo 5
*** Who Knows ***


Ma che bello, sono aumentate le recensioni per questa storia!!! *Me è troppo felice e zompetta allegra per la stanza xD* ok, mi riprendo e vi saluto ovviamente, sperando che le vostre vacanze stiano procedendo per il meglio. Le mie sono cominciate esattamente una settimana fa alle undici di mattina, appena mi sono liberata del peso degli Esami di Stato e adesso posso bighellonare a casa quando voglio e come voglio xD.

Ma passiamo alle recensioni:

BrandNewSibyl: Ehilà, eccoti! Bello il nuovo nick, anche se anche l'altro mi piaceva xD, comunque, non siamo qui per parlare di nick (anche perché il mio fa pena xD). Grazie per esserti sbilanciata e per aver affrontato questo tuffo xD e sono contenta che consideri Charis come uno di quei personaggi che riescono, nel bene o nel male, a far emergere qualcosa dentro di noi, perché è quella la sensazione che mi ero riproposta di ricreare e poi tengo particolarmente a questo personaggio, perché lo sento mio in un modo del tutto particolare che, all'inizio, mi ha lasciata anche abbastanza perplessa (i miei soliti dubbi ù_ù). Sono contenta che la storia ti piaccia così tanto e poi, hai ragione sui personaggi: Tom fa tanto il gradasso, ma alla fine è il primo che si dà da fare per Rob e anche per Charis e Rob è davvero dolce, sì. La scena del letto mi ha preoccupata all'inizio, perché mi sembrava troppo azzardata, voglio dire, nessuno sano di mente si infilerebbe nel letto di uno che conosci sì e no da due giorni, ma poi non ho resistito, perché era venuta fuori davvero, davvero dolce e me ne sono innamorata anch'io, perciò sono contenta di aver trasmesso la stessa cosa *_*! Ti ringrazio per la recensione e per i continui complimenti. Spero che anche questo capitolo ti piaccia. Un abbraccio e un bacio!

uley: Miky! Posso chiamarti così, vero? Sono contenta che tu sia approdata sulla mia Ff e sono doppiamente contenta che tu abbia deciso di farmi conoscere la tua opinione in merito *-* mi fa davvero piacere che la storia ti piaccia e che il personaggio di Charis sia di tuo gradimento. Hai ragione, la storia di Charis è particolarmente triste e, effettivamente, lei "vagabondeggia" per il mondo e fa finta di essere forte e di sapersela cavare perché è anche estremamente fragile e lo si noterà nei capitoli che verranno. Spero che anche questo nuovo capitolo ti soddisfi e che tu voglia lasciarmi un commento, un bacione e un abbraccio ^^

_Miss_: Per vedere se tutto è così perfetto come sembra, basterà continuare a seguire xD! Sono contenta che la storia ti piaccia e spero di rivedere un tuo commento anche per questo capitolo. Un bacio e un abbraccio *-*

Lyomael: Quando ho riletto la scena del letto, ho pensato la stessa cosa, cioè che avesse un non so che di quotidianità e alla fine, pur essendo perplessa inizialmente, l'ho mantenuta come scena, perché era proprio quella l'impressione che volevo dare, il quotidiano e il normale xD. Ti ringrazio per la recensione e spero che anche questo capitolo ti soddisfi, un bacio e un abbraccio! *-*

Ringrazio tutti coloro che leggono silenziosamente e che inseriscono la Ff tra i preferiti/da ricordare/seguiti *-* vi addorrro <3

Vi lascio al capitolo e alla prossima!

 

She Holds A Key

Dopo quell'esperienza poteva davvero dirsi un maniaco. Insomma, lui non era affatto il tipo di uomo che, appena sveglio si girava dall'altra parte e si metteva a fissare la ragazza che gli dormiva di fianco, ammirandone la bellezza come se fosse un fiore raro. Non era uno di quelli, punto. Eppure lo stava facendo e, se qualcuno gli avesse chiesto il perché, non sarebbe stato in grado di rispondere.

Charis era come una bambina un po' cresciuta mentre dormiva: teneva la bocca socchiusa, come se non riuscisse a respirare bene solo dal naso, i capelli scomposti sulla fronte e sul viso, una mano arpionata al lenzuolo, le gambe una sull'altra e, ogni tanto, muoveva l'occhio destro, come in un tic nervoso.

Robert si ritrovò a fissarla senza rendersene nemmeno bene conto ed era stato così attento a non fare rumore, che avrebbe potuto tentare anche la carriera di ladro, un giorno, quando la sua fama di attore sarebbe svanita del tutto.

Quando il suo cellulare vibrò sul comodino, producendo un rumore che assordante è un eufemismo, maledisse colui che aveva avuto l'ardire di interrompere un momento tanto idilliaco.

Afferrò l'aggeggio infernale e lesse il nome dello scocciatore: Kellan.

Scivolò fuori dalle coperte il più silenziosamente possibile, mentre Charis cambiava posizione e mugolava appena, infastidita.

Si allontanò nel salotto e rispose.

< Kellan! Qual buon vento? >

< Robs! Ehi, amico, che fine hai fatto? Non ti si sente da giorni! > Brontolò l'interlocutore con un sorriso.

< Sono in vacanza, Kell, se te ne fossi scordato. > Borbottò, passeggiando per tutta la lunghezza della stanza.

< Ma non si è mai in vacanza per un'uscita con gli amici, vero? Io e Jack siamo venuti fino a Londra appositamente per te! > Esultò.

< Ma fate sul serio? > Si bloccò di colpo e aggrottò le sopracciglia.

< Certo che sì! Perché, qualcosa non va? > Gli chiese.

< No! No, è solo che... non me lo aspettavo, tutto qui. > Rispose con foga.

< D'accordo, allora noi stamattina ce ne andiamo a zonzo ad esplorare la fauna e stasera tu ci porti in un bel posto, vero? > Lo immaginò fare gli occhi da cucciolo abbandonato.

< D'accordo, certo! > Forse era un po' esuberante e più pasticcione di lui, ma sapeva essere un buon amico Kellan, quando voleva.

< Bene! Ma veniamo al punto: c'è qualcuna con te, vero? > Il solito curioso.

< Insomma, ma gli affaracci tuoi mai, eh? > Brontolò lui. Lo sentì ridere, quasi a voler sottolineare il fatto che l'avesse scoperto. < Sì, c'è qualcuna, contento? > Si arrese alla fine, depresso.

< Ehi! Non sarà una racchia, no? > Gli chiese quasi preoccupato.

< No! Cioè... no! Ma cosa ti salta in mente! > Si dovette trattenere per non urlare.

< E allora cos'è quel tono da funerale? > Domandò.

< Ma niente... cioè... insomma, non ci ho fatto niente, ecco... > Si scompigliò i capelli.

< Rob, stai perdendo colpi, amico! > Lo prese in giro.

< Smettila! E' che... insomma, la conosco da poco e non voglio che si faccia strane idee su di me. > Spiegò.

< Va bene, va bene. C'è almeno una possibilità di vederla questa fanciulla? Perché non le chiedi di venire con noi, stasera? > Propose.

< Non è esattamente il tipo da locali e da posti troppo chiassosi, ma ci proverò a convincerla. > Asserì.

< Va bene, ci conto, eh? Allora a stasera! > E agganciò.

Si rigirò per un istante il cellulare tra le mani.

< Ehi. > Si voltò di scatto: Charis era sulla porta, le mani tra i capelli scomposti e gli occhi socchiusi, come se avesse ancora sonno.

< Ehi. Già sveglia? Ti ho disturbata? > Chiese apprensivo, andandole incontro.

< No. > Sbadigliò. < Sono io che sono mattiniera. > Continuò.

< Puoi tornare a letto se vuoi, sono solo le sette e mezzo. > Gettò un'occhiata all'orologio.

< Sì, credo che ci farò un pensierino. Tu non vieni? > E quella cos'era, una proposta indecente? Maledetta la sua boccaccia! Quando aveva sonno non pensava alle cose che diceva, agiva d'istinto, dannazione!

< Ti raggiungo tra un momento, va bene? > La osservò allontanarsi, rossa in viso.

Aveva urgente bisogno di una doccia gelata. Decisamente. Non poteva eccitarsi al solo suono della sua voce appena roca vista la sveglia mattutina e non poteva fare pensieri impuri su di lei solo perché gli aveva appena proposto di raggiungerla a letto. Lei era così dolce, bella e innocente, che temeva di rovinare tutto.

Prese un bel respiro e la raggiunse. Era già sotto le coperte e si stava tormentando una ciocca di capelli, arrotolandosela intorno al dito.

< Ehi. > La salutò con un sussurro, sedendosi dal suo lato e tornando sotto le lenzuola.

Gli sorrise.

< Passato il sonno? > Le domandò.

Charis annuì, ma sbadigliò l'attimo successivo e Robert rise divertito.

< Ok, forse no. > Ammise alla fine e rise anche lei.

Richiuse gli occhi l'istante successivo, ma non si addormentò.

Aveva una voglia matta di baciarla, ma forse aveva solo tanta fretta da non saperla nemmeno gestire.

Si trattenne, irrigidendo tutti i muscoli pur di evitare di fare qualcosa di altamente stupido e avventato e posò lo sguardo sulla parete di fronte, bianca.

Sembrò ricordarsi improvvisamente della proposta che gli aveva fatto Kellan: portarla con sé quella sera. Non aveva cuore di chiederglielo però.

< Senti... posso chiederti una cosa? > Le domandò, qualche istante dopo.

< Certo. > Rispose, guardandolo.

< I miei amici hanno organizzato una serata in un pub questa sera e... non so, ho pensato che ti avrebbe fatto piacere stare un po' in compagnia. > Fece spallucce.

< Oh. Beh... è molto gentile da parte tua pensarci, ma... non ho un vestito adatto. > Si guardò, accorgendosi solo in quell'istante di essere ancora in intimo. Arrossì involontariamente.

< Non preoccuparti per quello. Mia sorella ha lasciato qui un sacco dei suoi e dovreste avere più o meno la stessa taglia, perciò... > Fu grato al suo cervello in quel momento, per avergli fornito una risposta valida e una scusa per invogliarla ad accompagnarlo.

Charis abbassò lo sguardo e sorrise appena. Robert era troppo gentile con lei e non se lo meritava affatto.

< Va bene, grazie... allora. > Fu grata di accettare. Le andava di trascorrere una giornata in società. 

< Facciamo colazione, ti va? > Le domandò dopo qualche istante, rimettendosi in piedi e avviandosi in cucina.

Charis annuì e lo seguì contenta, infilandosi i jeans e cercando di dare una forma all'ammasso di capelli che si era ritrovata in testa.

Dalla cucina arrivava già il profumo squisito delle brioche e del caffè.

< Sei un cuoco, allora! Dì la verità. > Sorrise, prendendo posto, mentre Robert finiva di portare in tavolo il succo d'arancia e i toast con la marmellata.

Sorrise.

< No, affatto, ma mi piacerebbe. Sono costretto a mangiare le solite schifezze dei McDonald's e il cibo della mensa se non sono costretto a tornare a casa e a cavarmela con un misero panino. > Bevve un sorso di latte.

< Mia madre mi insegnò a cucinare le frittelle qualche anno fa, quando mio fratello era ancora con noi e mi divertii così tanto che volli riprovarci da sola: per poco riuscii ad evitare di mandare la casa in fiamme! > Rise di quel pensiero, mentre reggeva uno spigolo di toast in mano.

< Che disastro! > Scherzò lui, strofinandosi le mani l'una con l'altra per scuoterle dalle briciole della brioche.

< Beh, mia madre mi ha proibito anche solo di accendere il gas da quel momento, perciò... la tua bellissima unifamiliare è al sicuro. > Lo prese in giro, versandosi un bicchiere di succo d'arancia.

< Ehi, già svegli? > La voce di Tom li distrasse: aveva appena fatto il suo ingresso, sbadigliando e grattandosi la testa, peggiorando la situazione dei suoi capelli neri già tutti arruffati per natura e avvicinandosi alla prima sedia disponibile per poi sedercisi di peso.

Charis notò che indossava solo una canotta bianca e un paio di boxer scozzesi e se ne sentì estremamente in imbarazzo, lei, che non aveva mai visto nemmeno suo fratello in quelle condizioni. Cercò di non darci peso e continuò a mangiare tranquilla, abbassando lo sguardo sul suo bicchiere. Se l'avesse vista sua madre, in una casa sconosciuta, con due ragazzi altrettanto sconosciuti, avrebbe sicuramente dato di matto. Per un attimo quel pensiero la stupì e la rese felice, perché avrebbe quasi voluto tirare fuori la macchina fotografica e immortalare quella situazione così poco usuale per lei. Rise, rise come una sciocca e sentì, per un secondo, gli sguardi dei due ragazzi puntati su di lei, sorpresi e meravigliati.

< Cosa? > Alternò lo sguardo da Charis a Robert, cercando di capire cosa si fosse perso di importante, ma Robert scosse la testa e fece spallucce e Charis era troppo impegnata a ridere per preoccuparsi di rispondere.

< Scusate, è solo che... mi è venuta in mente una scena e... insomma, è divertente, tutto qui. > Cercò di spiegarsi, asciugando le lacrime che erano arrivate a sfiorarle le guance, leggere.

< Ok, sono seria. > Fece un respiro profondo e si rimise dritta sulla sedia, Tom e Robert ancora stralunati.

Quando si ripresero, l'uno continuò a trafficare con i cereali e il latte, l'altro afferrò un bicchiere pulito e lo riempì di caffè-latte, afferrando una brioche.

< Allora, sei di nostri stasera, Tom? > Gli chiese Robert.

< Mmm... dove andate? > Chiese lui curioso.

< Solito posto, direi. Kellan e Jackson mi hanno raggiunto fin qui e pretendono di essere accompagnati a divertirsi. > Fece spallucce.

< Perché no! Non ho niente di meglio da fare. Charis tu sei dei nostri? > Le domandò, sorseggiando dal suo bicchiere.

Charis annuì soltanto, impegnata a trafficare con la marmellata che stava cercando di spalmare su un toast. Era così concentrata che Robert credette non avesse mai spalmato marmellata in vita sua.

Era un sacco di tempo che era andata via di casa e forse era un po' impacciata riguardo la quotidianità. Sembrava come una bambina che impara a mangiare da sola. Tirava appena fuori la lingua per la concentrazione e a Robert, per un attimo, fece una tenerezza unica e si ritrovò a sorridere dolce.

< Hai... bisogno di aiuto? > Quasi rise mentre le indicava il toast.

< Oh! No, grazie. > Arrossì all'improvviso e si scostò una ciocca di capelli dalla fronte, portandosela dietro l'orecchio.

Tom alzò gli occhi al cielo e finì in fretta di fare colazione per sparire nella stanza degli ospiti a vestirsi.

Ritornò dopo qualche minuto e, salutati Robert e Charis con la promessa che si sarebbero rivisti quella sera, sparì, lasciandoli soli in cucina, immersi in un silenzio piuttosto imbarazzante.

Robert si schiarì la voce e abbassò lo sguardo, sorridendo a disagio.

< A-allora... la tua famiglia dov'è? > Gli chiese alla fine lei, cedendo. Odiava i silenzi imbarazzanti; era... paralizzante.

< A New York, da mia sorella. Insomma, ero venuto per passare qualche settimana con loro, ma... non fa niente, va bene lo stesso. > Fece spallucce e giocherellò con il bicchiere.

< Perché non sei andato con loro? > Domandò, anche se non voleva sembrare troppo invadente.

< Beh, sono tornato a casa non per partire di nuovo dopo neanche un giorno. Se sono tornato è per restare e rilassarmi. > Spiegò.

< E' una sensazione che capisco, quella di essere messi in disparte, lasciati soli. > Scosse appena la testa.

< Non mi sento abbandonato, è solo che... mi sento infastidito da questo atteggiamento nei miei confronti. > Rispose con naturalezza.

< Dovresti dirglielo, insomma, ti capirebbero... > Provò.

Robert annuì, distratto, come se stesse pensando a qualcosa di molto più importante del fatto che i suoi si trovassero a New York in quel momento.

Quando rialzò lo sguardo su di lei, notò con tenerezza che, nonostante tutti gli sforzi che era sicuro ci avesse messo per non impiastricciarsi di marmellata, ne aveva comunque la bocca e il naso sporchi.

< Cielo, sono un disastro! Penserai che sono una ritardata! > Scosse la testa e arrossì prima di recuperare un tovagliolo di carta e pulirsi.

< No! > Rispose con foga. < No... è... insomma... sei dolce... > Continuò, più pacato.

Charis gli sorrise.

< Grazie per la colazione. Erano mesi che non ne facevo una decente. > Riusciva a raccattare qualcosa alla mensa dei poveri, dove non c'era bisogno di pagare, qualche brioche a volte e, ma più raramente, un bicchiere di latte o una tazza di caffè caldo. Non se ne lamentava, d'altronde, aveva scelto lei di vivere così e non poteva dare la colpa a nessuno o, perlomeno, a nessuno che non fosse lei stessa.

< Figurati. > Le rispose con un'alzata di spalle.

In quell'istante squillò nuovamente il cellulare di Robert e lui fu costretto, suo malgrado, a ritrovarsi a discutere con il suo manager. Era in vacanza, certo, ma non poteva permettersi di rimanere assente dalle scene così a lungo, perciò, ci aveva pensato lui ad organizzargli un'intervista di alto livello lì, a Londra. Doveva solo presentarsi agli studi della rivista People entro mezz'ora e al resto ci avrebbe pensato lui.

Robert sbuffò e attaccò: si sentiva stordito al solo pensiero di dover lasciare Charis lì, da sola. Voleva passare del tempo con lei, conoscerla, sapere cosa le piaceva fare, se aveva amici, se aveva avuto fidanzati, a che età aveva dato il primo bacio, se si era già concessa intimamente a qualcuno... voleva sapere tutto di lei. Ne era ossessionato.

< Ehm... senti, io devo andare. Il mio manager, Nick, ha pensato bene di farmi lavorare anche in vacanza e mi ha prenotato un'intervista qui a Londra fra mezz'ora. A te va di fare qualcosa? > Le chiese, stropicciandosi i capelli.

< Non so, se vuoi posso andarmene e... ci vediamo direttamente al locale stasera. > Rispose pratica.

< Oh no! No, intendevo che puoi restare qui se ti va, solo che non voglio che ti annoi. Ti porterei con me, ma... ho paura che a Nick non farebbe affatto piacere. > Si scusò.

< Beh, ho la mia chitarra. Non ho bisogno d'altro. > Sorrise appena, alzandosi e sparecchiando la tavola.

< D'accordo allora. Dovrò essere di ritorno in un paio d'ore circa. > La avvisò, infilandosi le scarpe e afferrando la giacca sull'attaccapanni all'ingresso.

Charis annuì e poggiò le palme delle mani sul tavolo, come se stesse per fare uno di quegli esercizi di ginnastica artistica sulla trave.

< Ci... vediamo, allora. > Era di fronte a lei e avrebbe tanto voluto baciarla, anche solo una guancia, solo per potersi portare via un po' del suo profumo, ma non osava, perché non voleva spaventarla e non voleva darle una brutta impressione.

Le si avvicinò lo stesso, lei ancora immobile nella posizione precedente e, all'ultimo, quando stava quasi per ritrarsi, dopo aver pensato che sarebbe stata una sciocchezza la sua, fu lei ad avvicinare le sue labbra alla pelle della guancia e a depositarvi un bacio tenero, affettuoso.

La barba appena incolta di lui pizzicava, ma non ci fece caso.

Robert la osservò, l'espressione a metà tra il sorpreso e il compiaciuto, e le sorrise prima di allontanarsi verso la porta.

 

Charis sistemò i pochi piatti, appena lavati, nella credenza dietro di lei, dove aveva intravisto gli altri e si asciugò le mani con lo strofinaccio sulla sedia. Qualcuno l'avrebbe presa per pazza, ma lei amava lavare i piatti: lo faceva sempre, o meglio, lo aveva sempre fatto a casa e non le era mai particolarmente dispiaciuto e adesso che aveva avuto la possibilità di rifarlo, non ci aveva pensato su due volte.

Appese lo strofinaccio al piccolo chiodino accanto al lavabo e si diresse nella stanza di Robert per recuperare la sua fedele chitarra, unica amica.

Si sedette sulle lenzuola gualcite e incrociò le gambe, poggiando la chitarra sulle stesse e prendendo a suonare.

Non suonava qualcosa di preciso e, come aveva detto a Robert qualche giorno prima, cominciava sempre con quelle che erano le sue emozioni tradotte in musica, ma, a dir la verità, quella mattina le sue emozioni erano piuttosto confuse, non aveva idea di cosa stesse provando in realtà.

Robert era stato gentile con lei e anche Tom, il suo amico, a suo modo, si era dimostrato disponibile, ma c'era qualcosa di più, qualcosa che faticava a spiegarsi. L'aveva visto così vicino quella mattina, avrebbe potuto allungare una mano e sfiorargli il viso e sembrava così indeciso sul da farsi, che lei non aveva resistito e aveva avvicinato le labbra alla sua guancia morbida e appena ispida per via della barba che stava ricrescendo e che lui non si era preoccupato di radere. Ma in fondo le piaceva anche così.

Un momento. Aveva davvero detto che le piaceva? Sì, doveva averlo fatto perché altrimenti quel dubbio non sarebbe mai sorto.

Arrestò la musica e restò sorpresa di quel pensiero. Insomma, è lecito provare affetto per qualcuno che, per una sola ed unica volta nella tua vita, tenta di preoccuparsi per te; è lecito baciargli una guancia per ringraziarlo perché erano giorni che non bevevi qualcosa di caldo ed era lecito sentire la sua mancanza in quel momento. La mancanza di quel tono di voce incerto, profondo, appena rauco come se si fosse appena svegliato.

Ma era lecito farselo piacere, quello stesso ragazzo? Forse sì, forse no.

Non conosceva niente di lui. Era sicura che se glielo avesse rivelato-il fatto che non conosceva niente di lui-Robert avrebbe riso e magari le avrebbe consigliato di farsi un giro su Internet o di affacciarsi ad un'edicola per comprare uno di quei giornaletti da ragazzina per sapere tutto quello che gli altri credevano dovesse essere importante conoscere su di lui, ma lei comunque non lo conosceva. 

Ci aveva dormito insieme, nello stesso letto, aveva avvertito il suo calore durante la notte e il suo respiro regolare nei pochi minuti in cui si svegliava, aveva sentito il suo braccio sfiorarle la vita, forse inavvertitamente, e poi il fruscio delle lenzuola che venivano spostate: aveva creduto che si stesse per alzare per andare a dormire sul divano, in salotto, invece tutto s'era quietato in pochi istanti e lei aveva capito che doveva aver solo cambiato posizione ed aveva tirato un sospiro di sollievo che l'aveva sorpresa, anche se poi non aveva avuto più modo di pensarci perché si era di nuovo addormentata.

I pensieri non l'avrebbero lasciata abbastanza in pace per potersi dedicare alla musica. Abbandonò la chitarra sul letto e si alzò, decidendo di esplorare la casa. Imboccò il corridoio abbastanza largo e lungo e sorpassò la stanza in cui aveva dormito Tom e che aveva capito essere quella degli ospiti. Sulla destra, accanto alla camera degli ospiti c'era una stanza piccola, graziosa, dalle pareti dipinte di celeste, un letto a baldacchino e una scrivania modesta, tenuta in ordine: doveva essere la stanza di una delle sorelle di Robert. Richiuse la porta e passò oltre: un'altra stanza, dalle pareti turchese e da un semplice letto singolo. Sulla porta di legno chiaro capeggiava una targhetta: Lizzie-Private. Esattamente di fronte alla stanza di Robert, all'altra estremità del corridoio, la stanza dei suoi genitori e poi un bagno completo di vasca idromassaggio e doccia.

Di fronte alla camera di Victoria uno studio, stipato di tre librerie colme di libri, di una scrivania e di due poltrone dall'aria comoda. Se nelle altre stanze aveva deciso di non entrare, non poteva dirsi altrettanto per questa: lei adorava i libri e quella stanza era così calda e accogliente, che quasi le parve di esserci stata invitata. Entrò e si chiuse la porta alle spalle, avvicinandosi subito ad una delle prime librerie a destra. Non erano libri, sebbene a prima vista lo potessero sembrare, erano album di foto. Magari rischiava di infrangere qualche regola circa la privacy a cui ognuno di noi aveva diritto, ma si disse che non era poi così grave e che un'occhiata e delle semplici fotografie di famiglia non avrebbe costituito di certo un reato grave.

Gli album erano tutti uguali: stessa copertina di pelle marrone e stessa rilegatura dorata dai fogli che sapevano di antico, come se fossero stati pergamena, perciò ne scelse uno a caso dal mezzo e si diresse alla scrivania, poggiandovelo sopra e aprendolo cauta.

Quelle erano sicuramente foto di Robert da bambino. La prima lo ritraeva con la mamma, in ospedale probabilmente, a poche ore dalla nascita. Charis si ritrovò a sorridere tenera: era un neonato bellissimo.

Sfogliò ancora e lo ritrovò tra le braccia di una delle due sorelle, appena più grande della prima foto e ancora durante il cambio del pannolino e il momento del bagnetto prima di andare a dormire. Ancora nel passeggino, nella culla e sul fasciatoio, steso a pancia in giù, un'espressione minacciosa sul viso che la fece ridere.

Erano frammenti della sua vita, sprazzi di vita quotidiana che la facevano sentire felice e serena, perché lei, di quei momenti non aveva nemmeno un ricordo, o meglio, l'aveva, ma aveva deciso di bruciare tutto dopo la morte di Michael, perché ogni foto glielo ricordava in maniera dolorosa e insopportabile e lei non voleva averci più niente a che fare con il dolore.

Ricordava ancora le fotografie divorate dalle fiamme del caminetto del salotto che si accartocciavano in maniera sinistra, stridendo appena.

Una lacrima le rigò una guancia e lei si affrettò ad asciugarla, chiudendo l'album di foto e correndo a rimetterlo al suo posto.

Abbandonò la stanza e ritornò dalla sua chitarra che spostò contro il muro, in attesa. Si distese sul letto e chiuse gli occhi perché non voleva pensare, si rifiutava di farlo, eppure i ricordi sono terribilmente insistenti, non ci lasciano in pace quando ne abbiamo bisogno, ci opprimono e ci tolgono l'aria e lei si sentiva così, priva di aria, senza respiro e senza controllo.

Ricominciò a piangere, più forte, raggomitolandosi tra le coperte e le lenzuola sfatte che sapevano ancora del suo profumo dolce ed intenso, di uomo.

Era così difficile ricominciare? Era così difficile vivere?

 

Quando Robert rientrò, un'ora più tardi, non la trovò in cucina e nemmeno nel salotto. Posò le chiavi della macchina sul tavolino dell'ingresso e appesa la sua giacca scura sull'attaccapanni.

< Charis? > La chiamò.

Nessuna risposta.

Si affacciò nella sua stanza e la trovò raggomitolata in posizione fetale tra le lenzuola gualcite, il viso sul suo cuscino e le scarpe che sporgevano oltre il letto. Si era addormentata.

Le si avvicinò e le si sedette accanto, allungano una mano per accarezzarle una guancia, sentendola umida sotto il suo tocco: forse aveva pianto e lui non era lì, a sostenerla, a farle forza e quasi si maledisse e maledisse Nick e quella stupida intervista.

Le accarezzò piano i capelli e le scostò una ciocca di capelli finitale sulla fronte, sistemandogliela dietro un orecchio e sorridendo tenero.

< Robert... > Mormorò lei, ma non diede segno di essersi svegliata. Si voltò dall'altro lato, favorendo la visuale a Robert che adesso ce l'aveva esattamente di fronte.

< Shh! Sono qui, dormi... > Le accarezzò i capelli e lei parve sentirlo e apprezzare quel gesto perché sorrise e non aprì gli occhi, continuando a sognare tranquilla.

Robert non poteva far altro che ammetterlo: Charis l'aveva incantato ed era attratto da lei come uno spillo è attratto dalla calamita.

Chissà se lei ricambiava, chissà se lei avrebbe capito...

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Capitolo 6
*** Eyes and Lips ***


Salve ragazze! Come procedono le vostre vacanze estive? Le mie bene, anche se è sempre la solita routine xD E' proprio vero che quando si va a scuola si vorrebbe essere in vacanza e quando si è in vacanza si vorrebbe essere a scuola xD

Comunque, bando alle ciance e ringraziamo le splendide persone che hanno recensito lo scorso capitolo:

BrandNewSibyl: Io l'ho sempre detto che Tom ha quel fascino particolare che incanta tutte, alla faccia del Pattz xD! No, davvero, a parte gli scherzi, io adoro Sturridge specialmente per la sua faccina da bimbo e per la sua stramberia, perché se Pattz se l'è scelto come migliore amico vorrà pur dire che anche lui è un po' schizzato o no? xD Sono contenta che ti piaccia Charis e se devo essere sincera, la parte degli album fotografici è piaciuta molto anche a me, perché mi ricordava una di quelle immersioni nel passato che facevo sempre io quando scovavo le foto di me piccola e mi mettevo a guardarle insieme con mia madre *_* Cielo, come al solito ci ho messo un secolo ad aggiornare, perdonami, ma spero che ne sia valsa la pena e che vorrai farmi sapere cosa ne pensi. E' un onore per me ricevere un tuo parere, davvero *_*

_Miss_: Questa Charis riscuote parecchio successo, vedo! Bene, bene *si gratta il mento con fare cospiratore* no, in verità, Charis mi rappresenta molto, caratterialmente parlando, più di qualsiasi mio altro personaggio, perciò tengo particolarmente a lei e alla riuscita della storia ^^ Spero che anche questo capitolo ti piaccia e grazie infinite per la recensione, cara *_*

uley: Devo mordermi la lingua in questo caso per non dire troppo, perché rischierei di fare spoiler, ma mi duole dire che dovrai attendere un altro capitolo prima della famosa uscita con Kell e Jack perché Charis e Rob hanno ancora qualcosina da sistemare, sisi e non aggiungo altro, perché leggerai da te ^^ Ti ringrazio per la recensione e sono d'accordo con te, Charis è ancora molto fragile per la morte del fratello e Robert vuole solo proteggerla, anche se questo sentimento che sente per lei non gli è ancora molto chiaro... si vedrà xD e comunque non sei l'unica che quando legge si fa i film mentali, tranquilla *_*

Lyomael: E' tutto così semplice e pulito in quello che scrivi... questa frase mi ha colpita molto, sul serio, infatti sono rimasta lì, imbambolata a fissarla per una decina di minuti buoni e non esagero, perché non pensavo che facesse questo effetto la mia scrittura. Mi hai colpita, positivamente ovvio e ti ringrazio per le belle parole e per la recensione, sul serio. Spero che anche questo capitolo ti soddisfi *_*

Ringrazio anche tutti quelli che hanno aggiunto la storia tra le preferite/seguite/da ricordare *_* vi adoro, ragazze! <3

Ed ora, buona lettura xD!

 

She Holds A Key

< Oh Dio, mi sono addormentata? > Non ne era sicura, ma supponeva di averlo fatto, anche se aveva un mal di testa da impazzirci e aveva bisogno di un'aspirina.

< Sì, lo hai fatto. > Sorrise Robert, alzandosi dalla poltrona sulla quale si era seduto circa un'ora prima con l'intenzione di leggere un buon libro.

Charis ricadde stancamente con la testa sul cuscino e sospirò.

< Mi dispiace. > Mormorò, voltandosi a guardarlo.

< Non ti devi scusare di nulla, Charis. Ti ho detto che devi pensare che questa sia casa tua ed intendo in tutti i sensi, quindi, tecnicamente, puoi anche dormire. > Poggiò il libro sul bracciolo della poltrona, aperto in due per mantenere il segno e si alzò, sedendosi accanto a lei sul letto.

Lei si stropicciò un occhio e sbadigliò.

< Com'è andata l'intervista? > Domandò, cambiando discorso.

< Mm... solite domande inutili, ma bene. > Aveva stretto gli occhi e aveva guardato il soffitto per un attimo prima di sorridere disteso.

Charis fece spallucce e si mise seduta, poggiando la schiena contro la testiera del letto.

Robert stava per dirle qualcosa quando il suo cellulare squillò, costringendolo a sospirare e a tirarlo fuori dalla tasca dei jeans.

Kris lampeggiava sullo schermo e lui si ritrovò a chiudere gli occhi per un momento prima di sorridere a Charis a mo' di scusa, alzandosi dal letto e spostandosi in corridoio.

< Ciao, Kris. > La salutò senza particolare entusiasmo.

< Ciao. Cos'è successo? > Non poteva aspettarsi certo che Kristen non se ne sarebbe accorta.

< Niente, tutto come al solito. > Rispose, cercando di essere sufficientemente convincente.

< Come mai quella voce allora? > La immaginò aggrottare le sopracciglia.

< Sono solo stanco: Nick mi ha prenotato un'intervista stamattina e sono stato costretto a rispondere alle solite quattro domande senza senso per due ore. > Borbottò con poca convinzione.

< Oh, beh, mi dispiace. Vorrei essere lì per farti distrarre, ma... ho saputo che ci penseranno Kellan e Jack stasera. Sono venuti a trovarti, vero? > La sentì sorridere appena.

< Non li ho visti in giro, ma Kellan mi ha chiamato stamattina per organizzarci. > Spiegò.

< Allora divertiti! Metti da parte i problemi almeno per una sera e cerca di essere felice. > Sembrava quasi un rimprovero.

< Ci proverò, davvero. > Le promise. < E tu, cosa fai di bello? > Continuò.

< Solito. Mia madre ha preteso che l'accompagnassi in un nuovo centro commerciale che hanno appena aperto e devo ancora finire di prepararmi. > Sbuffò.

Robert rise leggero: Kristen odiava prepararsi per uscire. Se avesse potuto, sarebbe uscita di casa in jeans e pantofole, ma i paparazzi le erano costantemente alle calcagna e la sua manager non avrebbe tollerato una caduta di stile. Era già stata abbondantemente criticata per i vestiti che sceglieva per presentarsi alle occasioni importanti, non poteva continuare a dare spettacolo di sé in quel modo.

< Allora forse è meglio che vai, so quanto può essere pressante tua madre. > Spiò all'interno della sua stanza e notò che Charis aveva afferrato il libro che aveva poggiato sulla poltrona e adesso lo stava sfogliando come a cercare una parte particolarmente interessante.

< Già, forse è meglio. Ci sentiamo domani, magari. Ti amo. > Non ebbe la forza di rispondere e semplicemente agganciò, lasciando il cellulare sul mobile in corridoio e tornando verso la sua stanza.

Charis alzò gli occhi su di lui e sventolò appena il libro.

< Bello. > Disse solo, riprendendo a leggere.

< E' uno dei miei libri preferiti, lo conosco a memoria ormai. > Sorrise.

< Allora non avrai niente in contrario se lo prendo in prestito. > Ricambiò il sorriso e chiuse il libro, lisciandone la copertina con le mani.

Lui scosse appena la testa e si accomodò di nuovo accanto a lei, la schiena contro la testiera, una gamba stesa e l'altra a terra.

< Non sapevo parlassi nel sonno. > Le disse all'improvviso.

< Non dirmelo. Ho detto qualcosa di strano, vero? > Si voltò a guardarlo preoccupata.

< No, tu hai solo... detto il mio nome... > Si sentì stranamente avvampare mentre ricordava i suoi sussurri.

< Una volta sola? > Chiese ancora lei, il cuore che batteva furiosamente nel petto e in gola e in ogni fibra del suo essere, assordante.

< Tre... > Fu costretto ad ammettere, come se fosse stata colpa sua.

< Cielo! Non mi capita spesso, di parlare nel sonno voglio dire, solitamente succede quando sono rimasta scossa da qualcosa. O qualcuno. > Spiegò ed era vero.

L'ultima volta che era successo era ancora a casa e Michael era morto già da tre giorni. Sua madre, la mattina dopo, le aveva detto che l'aveva sentita mormorare il nome di Michael come una nenia e l'aveva sentita supplicarlo di non fare qualcosa.

< Così... io ti avrei scossa. > Era piuttosto divertito dalla cosa.

< Non so. Forse. > Abbassò lo sguardo e sentì le guance bollenti e la testa vuota.

< Sono piuttosto bravo ad impressionare le persone, sai? > Rise di se stesso.

< Non è una cosa brutta. > Gli fece notare, rialzando lo sguardo e dimenticandosi del rossore ancora diffuso sul suo viso.

< No? Io dico di sì, a volte. Dico cose che non dovrei. > Rispose, aggrottando le sopracciglia.

< Dici solo quello che pensi ed è giusto. Essere un attore vuol dire fingere sulla scena, non nella propria vita privata. > Obiettò.

< Hai ragione, ma questo non è valido nella mia vita. Si aspettano tutti che io sia un modello per la gioventù, un perfetto Edward Cullen. > Borbottò afflitto.

< E' solo perché non ti conoscono, ma tu non cerchi di proteggerti. > Gli accarezzò una spalla e lui tremò.

< E tu come lo sai? > Non lo conosceva, non aveva visto nessuno dei suoi film, né letto una sua intervista.

< I tuoi occhi non sanno mentire, non ne sono capaci ed io ci leggo la verità. > Sorrise.

Robert rispose al sorriso e si passò una mano tra i capelli, imbarazzato.

< E cosa ci vedi adesso? > Quando rialzò lo sguardo era incredibilmente serio e Charis sentì un brivido scorrerle giù lungo la spina dorsale, facendola tremare lieve.

< Agitazione, ansia, paura, gioia e... > Aveva paura di continuare.

< E...? > Insistette lui.

< Eccitazione. > Mormorò flebile.

< Sei brava a leggere le persone, Charis, sai? > Le fece notare, evitando di metterla ulteriormente in imbarazzo.

< Sono una buona osservatrice. > Fece spallucce. < E tu? Sai leggere nei miei occhi, Robert? Sai dirmi quello che provo adesso? > Anche lei era seria ora.

Robert la osservò, scrutando in quegli abissi cristallini qualcosa che rimandasse ad una qualche emozione. I suoi occhi erano tristezza, calma, tranquillità e amore. Tutto insieme, tutti fusi in quelle iridi di specchio.

< Credo di sapere quello che provi, di comprenderlo. > La confortò.

< E secondo te sono normale? Posso provare tutto questo insieme? > Domandò.

< Tu sei forte, Charis, davvero. Credi di non esserlo, perché dentro soffri ancora, ma sei forte abbastanza per sopportare il dolore che ti porti dietro, lo sei stata abbastanza per lasciare la tua città e la tua famiglia, lo sei stata abbastanza per fidarti di uno sconosciuto e di dormirci insieme, nello stesso letto, senza sapere niente di lui. > Tentò di farle capire. Pensava davvero quello che aveva appena detto. Per lui Charis era così, acqua e fuoco, gioia e tristezza, rabbia e amore.

< Quello si chiama coraggio. > Scherzò, ridendo.

< Può darsi... > Ammise lui, stando allo scherzo.

Charis concentrò lo sguardo sulla parete bianca di fronte a sé e si mosse appena tra le lenzuola per stare più comoda e Robert fece lo stesso. Si ritrovarono spalla a spalla, senza fiatare, composti.

< Perché fai tutto questo, Robert? > Gli chiese all'improvviso, spostando di nuovo lo sguardo su di lui.

Era una domanda a cui non aveva ancora saputo rispondere: stare con lei era così naturale, così semplice, che gli sembrava abitasse in casa sua da sempre, quasi fosse una sorella acquisita, ma allo stesso tempo, sentiva che Charis aveva bisogno di aiuto, di protezione, di gentilezza e di un po' di affetto e lui, sebbene non si fosse mai ritenuto un romanticone, né tanto meno qualcuno in grado di confortare gli altri, voleva cercare di fare il possibile per lei.

Fece spallucce prima di rispondere.

< La prima volta che ti ho vista mi hai colpita. Ne ho visti di vagabondi, credimi, ma non ne ho mai visto uno con la tua determinazione negli occhi, con la voglia di combattere per cercare di essere qualcuno diverso, migliore e, soprattutto, non ho mai visto una vagabonda donna. > Sorrise quasi divertito, ma presto la sua espressione ridivenne seria e continuò. < La mattina successiva mi sono svegliato e ti ho come... sognata, se possiamo definite sogno qualcosa che ho visto da sveglio, e mi sorridevi e ho semplicemente capito che avrei dovuto darti una possibilità. > Era sincero e anche questo Charis glielo riusciva a leggere negli occhi.

< Devo ringraziarti, allora, prode cavaliere in difese di povere donzelle! > Charis notò che con Robert era tremendamente semplice scherzare e ridere e... dormirci insieme, sì, perché lei non aveva dormito insieme con nessun ragazzo prima di allora e aveva sempre pensato che la prima volta sarebbe stato un trauma: l'imbarazzo, il non sapere bene cosa dire. Con lui non c'era niente di tutto questo e anche in quel momento, che stavano solo chiacchierando distesi sul letto di lui, quando lei avrebbe probabilmente dovuto vergognarsi di essere andata a spiare le sue foto, era semplice parlare. Aveva voglia di raccontargli tutto della sua vita, tutte le sue emozioni, tutte le sue sofferenze, tutti i posti che aveva avuto l'occasione di visitare, tutti i treni che aveva preso, i volti di tutte le persone che aveva visto.

< Sono sempre un inglese e gli inglesi sono dei gentiluomini! > Approvò lui, fiero di se stesso, assumendo un'espressione altezzosa, da principe che fece scoppiare a ridere Charis.

< Te la posso dire una cosa? > Gli chiese, abbassando lo sguardo come se fosse stata colta a rubare caramelle.

< Tutto quello che vuoi, ti ascolto. > Rispose, sorridendo sereno.

< Lo so che ti sembrerà strano, ma... non mi è mai piaciuto tenermi dentro quello che provo e sono sempre stata piuttosto diretta nelle relazioni con le persone, perché non mi piace mentire, perciò... > Si avvicinò al suo viso e Robert sentì le sue guance infiammarsi all'istante, mentre la osservava senza capire bene quali fossero le sue reali intenzioni.

Charis gli baciò una guancia, prudente e delicata come lo era stata quella mattina quando lui era uscito di casa, e gli passò un braccio intorno al collo come per abbracciarlo.

Robert capì la sua intenzione e le circondò la vita con le braccia, traendola a sé e stringendosela forte al petto.

Aveva la sensazione che avrebbe sentito battere il suo cuore furiosamente, come un martello pneumatico, ma non gli importava molto. Si sentiva accaldato, eccitato, sereno, ricco di qualcosa che nemmeno lui riusciva a spiegare ed era felice con quel piccolo corpo stretto al suo petto e il viso nascosto in quella massa di cappelli scuri profumati.

< Ti voglio bene. > Sussurrò lei, la voce attutita perché aveva poggiato le labbra sulla stoffa della maglietta di lui, nascondendosi quasi.

< Puoi sempre contare su di me, Charis, lo sai e ti prego di farlo quando ne sentirai il bisogno, d'accordo? > Sembrava più una preghiera la sua, ma andava bene lo stesso, perché Charis annuì e si districò dall'abbraccio con un sorriso timido ma bellissimo al quale Robert rispose con entusiasmo.

< E, per la cronaca, ti voglio bene anch'io. > Le sussurrò prima di baciarle la fronte e accarezzarle appena i capelli.

 

La sera era tiepida, nonostante le nuvole che minacciavano un temporale e Charis si sentiva piuttosto a disagio in quei vestiti che non le appartenevano: aveva scelto una minigonna di jeans scuro e una maglietta rossa leggermente scollata. Non aveva avuto scelta perché l'armadio della sorella di Robert era pieno di gonne e shorts, ma non era contemplato neanche un pantalone, se non consideriamo quello della tuta e un jeans sdrucito che Victoria utilizzava per lo più in casa. In definitiva, aveva trascorso quasi una mezz'ora davanti allo specchio dell'ingresso a cercare di convincersi che indossare una gonna non era così male e che le stava persino bene, considerate le gambe snelle e ben tornite. Robert le era passato di fianco per cercare la sua felpa preferita e l'aveva vista indecisa, torturarsi una ciocca di capelli neri e scrutarsi con attenzione nello specchio e aveva sorriso.

< Qualcosa non va? > Le aveva domandato, mettendosi esattamente dietro di lei e osservando entrambe le loro figure nel riflesso del vetro.

< E' che... non mi sento a mio agio! > Sbuffò lei, voltandosi verso di lui e mettendo il broncio.

< Posso prestarti uno dei miei jeans, se vuoi. Ti andranno larghi ed eccessivamente lunghi, forse, ma niente che una cinta e un paio di pieghe non possano risolvere. > Le propose con fare scherzoso.

< Non sei divertente! > Sbottò lei, incrociando le braccia.

< Io non vedo niente di strano, sei... perfetta! > E lo pensava davvero: Charis aveva delle bellissime gambe e, nonostante la carnagione chiara che faceva contrasto con il nero della minigonna, era comunque bellissima, più di chiunque altra.

Avrebbe dovuto smetterla di fare pensieri osceni! Dio! Ci mancava solo che tentasse di saltarle addosso e potevano anche rinchiuderlo in un manicomio!

Distolse lo sguardo dai suoi arti inferiori e lo sollevò sul suo viso. Aveva messo in risalto gli occhi con un filo di matita nera e aveva decorato le labbra con del lucido.

Calma, Robert. Ci vuole solo calma. Adesso distoglierai gli occhi da quelle bellissime curve che sono le sue labbra e smetterai di pensare che vuoi soltanto baciarla.

La sua coscienza ci provava, davvero, a farlo ragionare, ma Robert aveva momentaneamente spento tutto quello che collegava la parte razionale del suo cervello a quella istintiva e si era ritrovato ad un centimetro dalle labbra di Charis, senza rendersene neanche conto.

Lei aveva ancora lo sguardo frustrato e le labbra atteggiate in un adorabile broncio che fu costretta a sciogliere quando le labbra di Robert si posarono sulle sue, dolci e leggere.

Aveva sgranato gli occhi per la sorpresa e aveva poggiato le mani istintivamente sul suo petto per allontanarlo, ma quando Robert aveva forzato appena per chiedere completo accesso alla sua bocca, suggendo delicatamente il suo labbro superiore, si era rifiutata di abbandonare quel contatto e aveva stretto le braccia intorno al suo collo, schiudendo le labbra e permettendo alla lingua di Robert di incontrare la sua.

Non aveva mai baciato un ragazzo, se non si contava un certo Adam delle scuole superiori, ma era stata una stupida scommessa e poi non era neanche carino. Robert, invece, non solo era bello da mozzare il fiato, e non aveva il cuore per impedirsi di pensarlo, ma era stato anche estremamente gentile nei suoi confronti e premuroso come nessuno prima.

Le sue mani dalle dita lunghe e affusolate, si erano intrecciate tra i suoi capelli neri, prendendo a carezzarli e, proprio quando Charis credeva che sarebbe svenuta, perché non c'era nulla che ricordasse di più intenso e di più bello, Robert lasciò la sua bocca e scese a lambirle il collo, costringendola a reclinare la testa all'indietro.

Era come una bambola nelle sue mani, non aveva le forze necessarie per scostarsi da lui e la sua mente non riusciva a ragionare lucidamente già da un po', per cui, era inutile tentare di opporre resistenza, anche perché lo voleva anche lei, sebbene non ci avesse pensato affatto prima di quel bacio.

La coscienza di Robert si era definitivamente spenta e la parte irrazionale del suo cervello sembrava agire per lui: non riusciva ad abbandonare la sua pelle morbida, profumata, fresca e non voleva farlo. Affatto.

Si sarebbe aspettato una protesta, uno schiaffo, ma quello che riuscì ad ottenere da Charis, furono soltanto dei sospiri trattenuti a malapena e una strattonata alla sua camicia, forse nel tentativo di strappargliela di dosso, anche se non ne era propriamente sicuro, perché faceva fatica ad immaginare Charis così audace.

L'aveva sospinta gentilmente contro la prima parete disponibile e le aveva fugacemente accarezzato una coscia, perché non voleva di certo spaventarla, ma lei sembrava così fiduciosa, così totalmente in sua balia, che Robert credeva che avrebbe anche potuto chiederle di sposarlo in quel momento e lei avrebbe risposto di sì, come se si fosse trattato di qualcosa di assolutamente normale.

Le sollevò appena la maglietta, solo per scoprirle la pancia e accarezzarla brevemente, facendola fremere e sospirare, poi il suo cellulare squillò rumorosamente dalla tasca dei suoi jeans e, sebbene lui avesse fatto il possibile per ignorare quel suono fastidioso, al settimo squillo, Charis, che doveva essersi accorta che qualcosa stonava nell'atmosfera idilliaca che si era venuta a creare intorno a loro, lo fermò, mormorando il suo nome con fare incerto.

< Dovresti... dovresti rispondere... > Aggiunse, facendo fatica a guardarlo negli occhi.

Lui arrossì appena ed estrasse il cellulare dalla tasca, ritornando nel mondo reale.

< Pronto? Sì, stiamo arrivando, certo. No, non preoccuparti. D'accordo, a fra poco. > Charis era riuscita soltanto a sentire queste parole, mentre si sistemava i capelli con aria imbarazzata, conscia di quello che era successo.

L'aveva baciato. L'aveva baciato sul serio e le era anche piaciuto.

Si sfiorò le labbra con due dita, come se non potesse essere vero.

< Mi spiace, ti ho rovinato il trucco. > Le sorrise in maniera gentile e le sistemò i capelli dietro le orecchie, come avrebbe fatto un padre con la figlia minore.

< Non... non importa... > Riuscì a mormorare. Si sarebbe mai ripresa? Non ne era sicura.

Erano lì: Robert che continuava a guardarla e Charis che faceva finta di niente, le dita ancora sulle sue labbra.

< Senti, se ti ho in qualche modo spaventata, offesa, non so... mi... mi dispiace, io... non volevo... > Cercò di sistemare la situazione lui, scompigliandosi i capelli e arrossendo.

Charis scosse la testa lentamente.

< No, no, è solo che... è stato il mio primo vero bacio e... non avrei mai pensato che... insomma, che sarebbe successo così... > Non che se lo fosse immaginato in qualche modo e non che quello non fosse un posto adatto, ma aveva come l'impressione che fosse successo tutto troppo velocemente.

Robert realizzò solo in quel momento che, forse, aveva appena commesso uno dei più gravi errori della sua vita.

Imbecille! Imbecille! Imbecille! L'hai quasi assalita! Idiota!

Era inutile rimproverarsi, il danno era ormai compiuto. Oltretutto, erano in ritardo.

< Sarà meglio andare. > Proruppe a bassa voce, come se non volesse disturbare.

Charis annuì soltanto, inerme.

Si sentiva schifosamente nuda davanti a lui, schifosamente insignificante.

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Capitolo 7
*** Moon ***


Salve ragazze! Allora, che dire? La Ff procede un po' a rilento, specialmente perché tengo particolarmente alla sua stesura e non voglio fare le cose di fretta per poi farvi leggere qualcosa che io in primis non apprezzo e poi perché in Charis c'è un pezzetto di me e a volte è estremamente difficile mettere nero su bianco quello che penso e provo, perciò, perdonate per il ritardo.

Questo capitolo mi ha provocato un mal di testa assurdo xD, specialmente l'ultima parte, anche se è stata scritta di getto. Ci tenevo poi a sottolineare che entrambe le parti in corsivo, sono © a Federico Garcia Lorca e deriva dalla sua raccolta poetica Sonetti che io personalmente adoro e venero, perciò, non è roba mia xD!

Ringrazio le tre splendide personcine che hanno commentato, vale a dire:

_Miss_: Ti ha lasciata perplessa l'ultima parte? Davvero? Beh, in primis mi è uscita di getto e poi sentivo che aveva bisogno di concludersi così il capitolo, altrimenti avrei finito con il descrivere anche la serata al club e volevo che quella fosse una cosa distinta, perché succederanno diverse cose che ora scoprirai, quindi, spero di aver chiarito la tua perplessità ^^ Grazie per la recensione e per tutti i complimenti *_*

BrandNewSibyl: Ma so benissimo che non eravate pronte ad una cosa del genere, cosa credi? xD e non sarai pronta nemmeno a quello che succederà in questo capitolo, temo, che io considero piuttosto "fuori dal mondo", quasi "onirico" se posso permettermi di usarla come parola. Ovviamente, il riferimento ai Green Day non si era capito, nono xD (abbiamo gli stessi gusti musicali a quanto pare *-*)! Spero di non averci messo un'eternità ad aggiornare ç_ç e comunque ti ringrazio per essere presente in ogni mia singola storia e per tutti i complimenti che ogni volta mi fai e, mi raccomando, non mi morire xD! Love youuu <3

uley: Corrono troppo, forse, è vero, ma è del tutto voluto, non preoccuparti e in ogni caso, cucineranno nel loro brodo ancora per un bel pò di tempo, quindi... *me sadica* xD! Il problema Kristen non so ancora bene come affrontarlo, quindi, anche volendo, non saprei dirti se mai si risolverà, ma in ogni caso, sono un tantino stanca dei lieti fine e potrei decidere di stravolgere tutto e far morire Charis ahahahah xD! No, non credo che morirà, tranquilla xD! Ti ringrazio per la recensione e per i complimenti e spero che il capitolo ti piaccia! Love you, darling *_*

 

She Holds A Key

Rimasero in silenzio per tutto il tragitto che li condusse da casa di Robert fino al famoso ritrovo dei suoi amici, un pub piuttosto intimo, anche se stipato di gente fino agli angoli, dall'atmosfera decisamente blues, uno di quei luoghi dove i cantautori avrebbero benissimo potuto ritrovarsi per scrivere i loro testi.

Robert la condusse attraverso il fiume umano, salutando di tanto in tanto qualche conoscente, fino ad un tavolino appartato dove Tom e altri tre ragazzi più un paio di bellissime ragazze, stavano già conversando amabilmente.

< Ciao ragazzi, come andiamo? > Salutò Robert, sedendosi accanto ad un ragazzo dai capelli di media lunghezza, castani.

< Al solito, tu? > Rispose lui, facendo spallucce.

< Rob!!! Ma dov'eri? > Kellan quasi lo buttò giù dalla sedia nel tentativo di abbracciarlo fraternamente.

< D'accordo, Kellan, mi stai strozzando, adesso! > Cercò di allentare la presa delle sue braccia dal suo collo, invano.

< Oh, ma questa bella signorina qui, chi è? > I suoi occhi ebbero un guizzo malizioso che fece arrossire Charis, che decise di puntare lo sguardo in basso, sulle sue Converse rovinate.

< Ragazzi, lei è Charis, Charis, loro sono Kellan, Jackson, Marcus, Tom che già conosci, Tracy e Megan. > La presentò Robert, mentre Charis sorrideva timidamente e stringeva la mano a tutti.

Fu invitata a sedersi dal ragazzo di cui aveva appena memorizzato il nome: Jackson.

Il chiacchiericcio, dopo la sua presentazione, era ricominciato intorno al tavolo e lei si guardava intorno piuttosto imbarazzata. Non era il tipo da pub, da amici, da folle di persone che non conosceva; tendeva a sentirsi fin troppo in imbarazzo e fuori luogo.

< Allora, tu cosa fai nella vita? > Le chiese Jackson con un sorriso gentile, mentre sorseggiava la sua birra direttamente dalla bottiglia.

< Beh, è piuttosto complicato... sono scappata di casa qualche tempo fa e... mi piace credere che sono una specie di giramondo. > Sorrise appena.

< Wow! Sembra... non so come dire... bello! > Si espresse Jackson, realmente interessato alla cosa. < E hai visto molti posti? > Continuò.

< Non molti, no. Ho visitato Parigi perché era uno dei miei sogni fin da bambina, Amsterdam, Roma e adesso sono qui. > Spiegò brevemente.

< Parigi è bellissima! La prima volta che ho visto la Tour Eiffel ne sono rimasto incantato, non riuscivo a spiccicare parola, ma d'altronde, avevo solo sette anni. > Rise.

Robert continuava ad osservarla, le mani strette davanti a lui e i gomiti sul tavolino di legno. C'era affinità tra lei e Jackson, era tangibile, ma non sapeva dire se sarebbe potuto esserci anche qualcosa di più. Charis non era la sua ragazza, anche se l'aveva baciata nel suo appartamento solo mezz'ora prima, quindi, teoricamente, avrebbe potuto fare quello che voleva.

Si accese una sigaretta e cercò di non pensarci. Era distratto e non aveva nessuna voglia di prendere parte alle chiacchiere, fin quando non si accorse che qualcuno gli aveva appena sfilato di mano la sigaretta, consumata a metà, per spegnerla nel posacenere sul tavolo.

< Lo sai che dovresti smettere? > La sua voce gli arrivò come una pugnalata al cuore.

< Perché dovrei? Perché potrei morire di cancro? > Piegò appena la testa all'indietro per riuscire a vedere il suo viso e poi la voltò alla sua destra, dove Charis aveva appena occupato la sedia lasciata libera da Marcus.

< Già, proprio così. > Annuì convinta.

< Tanto prima o poi tutti muoiono. > Rispose, facendo spallucce e giocherellando con il mozzicone spento nel posacenere.

Charis si sistemò la gonna e si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, abbassando lo sguardo e non sapendo bene cosa dire o fare.

Quello che era successo a casa sua, poco prima, l'aveva destabilizzata e non aveva fatto altro che renderla ancora più insicura circa quello che erano, o sarebbero potuti essere, i suoi sentimenti per Robert.

Era attratta da lui, era innegabile, ma non poteva rischiare di legarsi a qualcuno che, prima o poi, l'avrebbe lasciata perdere. In fondo lei era soltanto una vagabonda, un rifiuto della società, a cosa sarebbe servito sperare in qualcosa di impossibile?

E poi, aveva bevuto solo una birra, ma già le girava la testa e quando Tom si presentò accanto a lei, persuadendola a bere un bicchierino di... qualcosa di cui nemmeno riusciva a ricordare il nome, aveva cercato di dire di no, ma nessuno aveva cercato di difenderla e lei si era ritrovata costretta a mandare giù il contenuto del bicchiere in un solo sorso. Il liquido ambrato le aveva bruciato la gola e riscaldato lo stomaco e non aveva fatto altro che peggiorare il suo mal di testa.

< Tom, sei un coglione! Ti pareva il caso di farla ubriacare? > Aveva sentito dire da Robert in tono piuttosto alterato.

< Non potevo di certo sapere che non reggeva l'alcool, e poi si diverte, no? > Tom aveva fatto un cenno oltre la spalla di Robert, dove Charis aveva appena cercato di alzarsi in piedi, cadendo rovinosamente a terra e cominciando a ridere della sua stessa disgrazia, riuscendo l'istante successivo a poggiare nuovamente i piedi a terra e sbilanciandosi verso Kellan che ebbe la prontezza di afferrarla per la vita, prima che  gli rovinasse addosso.

< Forse è il caso che la riporti a casa. > Robert mise da parte la sua bottiglia di birra e si avvicinò a Kellan e Charis, attirando la sua attenzione carezzandole appena un braccio.

< Ce ne andiamo a casa adesso, va bene? > Le chiese dolcemente.

< A casa?!? No! Io voglio stare qui con lui! > E indicò Kellan, scoppiando a ridere l'istante successivo.

Kellan, da parte sua, stava cercando di trattenersi, ma quando vide la faccia disperata di Robert, non poté fermarsi e cominciò a ridacchiare senza ritegno.

< Kellan, non ti ci mettere anche tu, per favore! > Lo rimproverò.

< E dai, amico! Che vuoi che sia? E' solo una sbronza! Domani le sarà passato tutto e nemmeno si ricorderà di essersi buttata giù cinque bicchieri di whisky e una birra, vero dolcezza? > Kellan le accarezzò una guancia con il dorso di un dito e le sorrise, mentre Charis continuava a dimenarsi per sfuggire alla presa di Robert che le aveva stretto un braccio e stava cercando di avvicinarla a sé.

< Lasciami andare! > Quasi urlò.

< Senti, visto che sembra che voglia stare con me, magari sarebbe una buona idea se ce la portassi io alla macchina, no? > Propose Kellan e Robert dovette dargli ragione: allentò la presa dal braccio di lei e seguì Kellan fuori dal locale dopo aver salutato tutti.

Kellan, con non pochi sforzi, era riuscito a farla sedere davanti e ad allacciarle la cintura, sebbene fosse stato quasi costretto a promettere che si sarebbero rivisti presto per una serata indimenticabile, a detta di Charis.

< Ci vediamo, Kellan, va bene? > Lo salutò Robert, entrando in macchina e inserendo la chiave nel quadro per accendere il motore.

< Sì, ci vediamo e, mi raccomando, non la sciupare troppo! > Gli fece l'occhiolino, appoggiato con una mano all'intelaiatura dello sportello di Charis e Robert si ritrovò a sorridere prima di spingere l'acceleratore e partire.

Ogni tanto lanciava un'occhiata a Charis che sembrava sul punto di addormentarsi: la gonna le si era alzata a scoprirle le cosce e la maglia era cadente da una spalla. Era più saggio per lui non soffermarsi troppo su quei particolari.

Il calore della sua pelle, quando fu costretto a prenderla in braccio per portarla in casa, visto che sembrava non essere affatto in grado di reggersi da sola, gli rinviò le immagini di quella sera: il loro bacio, il modo in cui scherzava con Jackson, l'entusiasmo con cui si era gettata su Kellan. Doveva ammetterlo, faceva male.

Spinse la porta della sua stanza con un piede per aprirla e depositò Charis sul suo letto, coprendola con il lenzuolo.

Stava già per andare via quando la sentì mormorare il suo nome.

< Non... andare... ti prego... > Allungò un braccio, come se potesse arrivare a toccarlo e Robert, osservandola, non poté certo disdegnare il suo desiderio: le si avvicinò di nuovo e le strinse la mano tra le sue.

< Sono qui, non vado da nessuna parte. > Le mormorò, baciandole la fronte e spostandole i capelli che avrebbero potuto darle fastidio.

Charis sorrise e si voltò su un fianco, verso di lui, serena, continuando a dormire.

Robert le si stese accanto, vestito, rifiutandosi di lasciarle andare la mano e osservandola: il naso all'insù, le ciocche nere ribelli, il viso dai tratti dolci, le labbra morbide e piene, le palpebre chiuse e lucenti per via dell'ombretto... le accarezzò piano la fronte, leggero, con la paura di poterla svegliare e poi sorrise del modo in cui aveva atteggiato le sopracciglia: arcuate verso il basso, quasi fosse arrabbiata per qualcosa.

Non riusciva ancora a capacitarsi del perché l'avesse baciata: certo, Charis era una bella ragazza, insolita, diversa da quelle che conosceva ogni giorno. Non era una modella e non vestiva alla moda, aveva un viso innocente, da bambina e non si preoccupava certo di risultare indelicata. Era di una dolcezza incredibile ed era forte e determinata come una leonessa. Era perfetta per lui e, oltretutto, non era Kristen. E' vero, sarebbe stata una bassezza da parte sua se lei avesse scoperto che, per tutto quel tempo, l'aveva soltanto illusa, ma non c'era Charis nella sua vita, allora. Non gli era ancora entrata in casa, sconvolgendolo e, cosa più importante, non l'aveva ancora baciata, né aveva avuto l'impulso di farlo.

Forse, però, anche lui si stava illudendo. Come poteva sapere che Charis provava i suoi stessi sentimenti? E poi, quali sentimenti, di preciso? Non poteva dire di amarla. Poteva solo ammettere che avvertiva nei suoi confronti un certo tipo di attrazione che l'aveva scombussolato.

Era inutile crucciarsi così: prima o poi lui sarebbe partito e lei avrebbe continuato con la sua attività di girovaga, perché pensare che tra loro sarebbe potuto funzionare?

Lui era un attore di fama, adesso, sempre in giro a promuovere film, a rilasciare interviste, a girare qualche nuovo progetto e lei? Lei sarebbe stata la classica "ragazza normale scappata di casa" che aveva avuto la fortuna di incrociarlo e di cui lui si era follemente innamorato. Era una storia sentita troppe volte e che non avrebbe funzionato affatto. Con Kristen era più semplice, perché facevano due vite identiche ed ognuno non avrebbe preteso dall'altro cose che avrebbero cozzato con impegni vari.

Le osservò di nuovo il viso, avvertendo una morsa stringergli il cuore e lacerargli il petto. Come poteva lasciarla semplicemente andare? Come poteva dirle che per lui non avrebbe mai contato qualcosa e che quel bacio era stato uno sbaglio?

Non lo era stato e non lo sarebbe stato mai. Quella era l'unica cosa giusta che aveva deciso di fare in un anno e dover mentire solo per salvarla da se stesso era una delle cose più viscide che potesse fare. Eppure era necessario. Non erano così coinvolti da restarci male entrambe e lui era sicuramente più forte, avrebbe sopportato meglio il dolore.

Chiuse gli occhi, cercando di riposare e ben presto le immagini di un futuro vuoto, costretto in qualcosa di cui non era pienamente felice, gli invasero la coscienza e i sogni, rendendolo inquieto e agitato.

 

Quando Charis si svegliò, la mattina dopo, l'unica cosa che riusciva a ricordare era che forse aveva bevuto un po' troppo ed aveva cercato di provarci con uno degli amici di Robert. Il resto era confuso e annebbiato e non riusciva a ricollegare le azioni, specie perché la testa le faceva male e a stento riusciva a sopportare la luce del sole che proveniva dalla finestra accanto a lei.

Si mosse sotto le lenzuola, con grande sforzo, sentendo tutte le ossa e i muscoli indolenziti e spossati, come dopo una brutta influenza. 

< Tutto bene? Come ti senti? > Riconobbe la voce di Robert e, alzando gli occhi, riuscì a scorgerlo seduto accanto a lei che la osservava preoccupato.

< Male. > Riuscì a rispondere con un gemito.

< Vado a prenderti un'aspirina e ti porto una tazza di thè caldo, va bene? > Le accarezzò la fronte e le sorrise prima di alzarsi e sparire in cucina.

Charis chiuse di nuovo gli occhi e si resse la fronte con una mano, come se potesse servire a qualcosa.

Dopo qualche istante, Robert tornò con un bicchiere d'acqua e un'aspirina, che poggiò sul comodino, aiutandola a mettersi seduta.

Per qualche secondo, il mondo di Charis vorticò senza sosta e lei fu costretta ad abbassare lo sguardo sulle lenzuola, avvertendo ancora in bocca il sapore di alcool. Robert le aveva anche procurato una bacinella, nel caso avesse avvertito il bisogno di vomitare.

< Ce la fai a mandarla giù? > Le passò la pillola, che Charis mise in bocca all'istante, e poi il bicchiere d'acqua che trangugiò in un sorso.

Voleva solo che la testa smettesse di fare così rumore: era come avvertire migliaia di martelli pneumatici scalfire l'asfalto, solo che al posto dell'asfalto c'era il suo cervello.

Robert le passò la tazza di thè caldo, invitandola a berlo, perché avrebbe alleviato il senso di nausea e il dolore ai muscoli.

< Ti sei mai ubriacata? > Le chiese con un mezzo sorriso, quando la vide riprendere colore.

< No. > Rispose lei, poggiando la nuca contro la testiera del letto e chiudendo gli occhi.

< E ti è venuto in mente di farlo proprio ieri sera? > Non voleva essere scortese, stava solo cercando di chiacchierare un po' per evitare che si concentrasse sul dolore alla testa che sentiva.

< Qualcuno deve avermi messo in mano un sacco di bicchierini pieni di qualcosa di forte. > Disse, anche se si rendeva conto che non aveva molto senso.

< Credevo che essendo una ragazza di strada fossi abituata a queste cose, mi spiace non averti fermata prima. > Le scostò i capelli dalla fronte e le poggiò il palmo della mano sulla pelle, per controllare che non avesse la febbre. Sembrava stesse bene, doveva solo smaltire la sbornia e la prima volta era traumatica per tutti, lo sapeva bene.

Tom l'aveva fatto ubriacare quando aveva quindici anni e il mattino dopo si era ritrovato steso nel giardino del vicino senza sapere bene come ci fosse effettivamente finito. Non riusciva a muoversi e quando aveva provato ad alzarsi aveva vomitato sul cespuglio di rose più vicino, scatenando le ire della signora Masen e beccandosi una punizione di un mese dai suoi genitori: niente tv, niente videogiochi e niente uscite con Tom.

< Al massimo reggo una birra. > Gli spiegò, sorridendo appena, intontita.

< La prima volta è così per tutti, vedrai che passerà in fretta. Hai solo bisogno di riposare. > La tranquillizzò, accarezzandole una mano.

Non riusciva neanche a spiegarsi come mai non riusciva ad evitare il contatto fisico con lei. Aveva sempre bisogno di toccarle una mano, i capelli, di sfiorarle una guancia e, ad ogni tocco, il suo cuore accelerava come impazzito. Non era solo affetto.

Charis gli consegnò la tazza di thè vuota e scivolò nuovamente con la testa sul cuscino, chiudendo gli occhi e pregando di addormentarsi in fretta. Voleva solo che tutto quello finisse, perché lei non era mai stata una di quelle ragazze che sopporta bene il dolore. Tendeva, anzi, a diventare piuttosto melodrammatica al riguardo e finiva sempre con il far preoccupare tutti.

Nel dormiveglia la sua mente le rinviò le immagini della sera prima, quando Robert l'aveva baciata contro il muro dell'ingresso e lei si ritrovò a tremare, avvertendo la pelle d'oca risalire lungo la sua epidermide. Robert doveva essere ancora accanto a lei, perché lo sentì armeggiare con qualcosa e poi poggiarle una coperta sul corpo, credendo che quel tremore fosse dovuto al freddo. Non era freddo, era caldo, tanto caldo.

Ricordava ancora il sapore delle sue labbra, il modo gentile con cui l'aveva invitata ad approfondire il contatto, il calore delle sue mani sul suo viso, l'azzurro intenso dei suoi occhi quando si erano separati e la sua paura di aver fatto qualcosa che avrebbe potuto offenderla.

Avrebbe voluto baciarlo ancora e non sentirsi una cretina perché non aveva abbastanza esperienza in fatto di ragazzi. Voleva sentire il suo calore contro di sé e voleva che durasse per sempre.

Forse stava delirando. Magari non sapeva neanche quello che stava dicendo. Sicuramente era ancora l'alcool in circolo che la faceva vaneggiare, ma si ritrovò ad aprire gli occhi e ad incontrare la figura di Robert, seduto accanto a lei con la schiena contro la testiera del letto, che leggeva assorto e tranquillo, come un angelo custode che vegliava su di lei.

Charis non si mosse e studiò la sua espressione concentrata, la forma perfetta della mano che reggeva il libro e lo sfogliare lento dell'altra, le sue lunghe dita affusolate, perfette per suonare il piano e per accarezzare una donna.

Restò pensierosa a fissarlo, nello stesso modo in cui si osserva un quadro di inestimabile valore, con meraviglia e con una punta di gelosia perché sai che quell'oggetto raro non potrà mai essere tuo.

Charis sapeva che lei e Robert appartenevano a due mondi troppo distanti per appartenersi, eppure era egoista, e voleva godere della sua presenza fin quando lui non l'avesse mandata via.

Si mise a sedere, spaventando Robert, notando come il dolore alla testa era ormai un ricordo e anche l'indolenzimento dei muscoli. Si sentiva ancora un po' disorientata, ma niente che una bella dormita non avrebbe potuto risolvere.

< Va meglio? > Si sentì chiedere.

Annuì.

< Stavo leggendo le poesie di Federico Garcia Lorca, lo conosci? > Le chiese, mostrandole il libro.

Charis fece segno di no con la testa, stropicciandosi un occhio.

< Leggimene una. > Gli chiese, interessata.

 

Potessero le mie mani sfogliare 

Pronunzio il tuo nome 

nelle notti scure, 

quando sorgono gli astri 

per bere dalla luna 

e dormono le frasche 

delle macchie occulte. 

E mi sento vuoto 

di musica e passione. 

Orologio pazzo che suona 

antiche ore morte. 

Pronunzio il tuo nome 

in questa notte scura, 

e il tuo nome risuona 

più lontano che mai. 

Più lontano di tutte le stelle 

e più dolente della dolce pioggia. 

T'amerò come allora 

qualche volta? Che colpa 

ha mai questo mio cuore? 

Se la nebbia svanisce, 

quale nuova passione mi attende? 

Sarà tranquilla e pura? 

Potessero le mie mani 

sfogliare la luna!

 

Avrebbe voluto che le sue mani prendessero a sfogliare lei, un velo alla volta, uno strato di pelle per uno, per conoscerla più a fondo, per scoprire tutti i suoi segreti e avrebbe voluto amarla come se non fossero altro che anime pure, spiriti di un altro universo e di un'altra dimensione, dove sarebbe stato semplice il loro incontro. Invece era difficile e, forse, lei neanche lo sapeva cosa sentiva adesso, nonostante fosse in grado di leggergli negli occhi come nessuno aveva mai fatto.

Si era voltato verso di lei, dopo la lettura e l'aveva osservata paziente, occhi negli occhi. Era come parlare.

E poi l'aveva vista avvicinarsi al suo viso, timorosa, le guance chiazziate di rosso e gli occhi azzurri come l'oceano più profondo, come gli abissi.

< Saresti disposto a regalarmela la luna? > Gli sussurrò dolce e non era una pretesa, non era la parte più romantica di lei che aveva parlato, perché sapeva cos'era la luna e sapeva cosa per Robert rappresentasse.

< Tutto quello che vuoi. > Mormorò lui di rimando, il libro semi aperto sulle ginocchia, gli occhi fissi nei suoi.

Charis ritrovò le sue mani perse tra i capelli di lui, il suo viso troppo vicino, le labbra che appena si sfioravano e non seppe se era giusto, né se era sbagliato, né se se ne sarebbe pentita, prima o poi, perché agì e basta. Mise un punto ai suoi pensieri sconnessi e tolse l'audio alla sua coscienza, aumentando il volume del cuore.

Chiuse gli occhi ed incontrò le sue labbra, inginocchiata tra le sue gambe, le mani a sorreggerla, a tenerla legata al mondo e la mente in sintonia con la sua, perché entrambe volevano la stessa, identica cosa: smettere di pensare.

Robert dimenticò di aver baciato un'altra ragazza all'infuori di lei, di aver accarezzato altri capelli all'infuori dei suoi, neri e lucenti, e dimenticò il suo nome, dove si trovava, le frasi che aveva detto e le cose che aveva fatto.

L'avvicinò a sé, esigendo un contatto più profondo, sentendola liquefarsi tra le sue mani e modellarsi a suo piacimento, come plastilina morbida.

Quando si separarono per recuperare aria, l'abbracciò stretta, impedendole di fuggire e guardandosi intorno, come se non riconoscesse nulla di quello che lo circondava, come se conoscesse solo lei, impressa sul suo corpo come un tatuaggio.

Charis si aggrappò alle sue spalle, alla sua maglietta consunta e, per la prima volta, si sentì bene, meravigliosamente se stessa ed incredibilmente vera.

< Da dove vieni, tu? > Sentì Robert mormorare disorientato ed ebbe la tentazione di ridere, ridere forte, ma si limitò a strofinare il viso contro il suo collo profumato, desiderando non abbandonarlo mai, non andare mai via. Desiderando essere in una di quelle ampolle di vetro che trovi a Natale nelle vetrine dei negozi, quelle che se le scuoti nevica, dove il tempo è fermo e il paesaggio più bello e il mondo più dolce.

 

Nella rete della luna,

ragno del cielo,

s'impigliano le stelle

svolazzanti.

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Capitolo 8
*** You're Not the One ***


Salve! Che bello aggiornare a quest'ora, è tutto così calmo *-*, ma passiamo ai ringraziamenti, doverosi:

_Miss_: Il bacio finale era quello che mi preoccupava di più in effetti, perché volevo che venisse fuori esattamente come lo immaginavo nella mia testa e  il risultato alla fine mi è parso sufficiente, perciò grazie per i complimenti e sono felice che tu l'abbia trovato perfetto, dolce e romantico *_*. Ho notato che quella frase Mise un punto ai suoi pensieri sconnessi e tolse l'audio alla sua coscienze, aumentando il volume del cuore, ha colpito un po' tutti e anch'io di primo impatto ho pensato che fosse bella, perché in effetti descrive un po' come sono io, dò troppa retta alla mia coscienza e poche volte al mio cuore e volevo che almeno la mia protagonista si sciogliesse un po'. Grazie ancora di cuore e un abbraccio *-*

uley: *-* sei tu a farmi secca con i tuoi commenti ed io ogni volta che li rileggo muoio un po', nel senso che sono felice di riuscire a trasmettervi tutte queste emozioni e, tecnicamente, è quello che cerco di riprodurre, perché quando immagino una scena, la visualizzo come un filmino all'inizio e poi cerco di riprodurla fedelmente sul foglio bianco del pc, sebbene sia difficile, perché un film è più scorrevole e non c'è bisogno di molti particolari perché può essere visto, mentre una descrizione è più complessa, ma faccio del mio meglio e sapere che vi arrivi così direttamente, mi fa piacere *-*. Come ho già detto nella recensione a _Miss_ quella frase mi rispecchia moltissimo, perché io ascolto sempre più la mia testa che il mio cuore e volevo che almeno la mia protagonista facesse il contrario. Grazie per la recensione e un abbraccio ^^

BrandNewSibyl: Ma insomma, riuscirai ancora per molto a farmi arrossire ad ogni tuo minimo commento, vero? E comunque, per la cronaca, volevo un poema epico per il capitolo xD scherzo, capisco la fretta e ti ringrazio come al solito per essere sempre più che presente in ogni mia storia e di regalarmi tutti quei bellissimi complimenti, ben accetti per altro *-*. Spero che anche questo capitolo ti piaccia al pari dei precedenti ^^ Un bacione e un mega abbraccio <3

 

Prima della lettura, volevo solo ricordarvi la mia One-Shot su Rob, ~Burn, ecco il link: ~Burn 

 

Buona lettura!

 

She Holds A Key

Robert non ricordò di essersi nemmeno addormentato, eppure, si ritrovò ad aprire gli occhi nel buio più totale, svegliato da quello che gli era sembrato il suo cellulare, abbandonato chissà dove. Charis era ancora abbracciata a lui, il viso sulla sua spalla, un braccio a circondargli il collo, dormiva beata. Si domandò come avesse fatto, in tutto quel tempo, a non cambiare posizione. Le sue gambe erano piegate in maniera quasi innaturale e la schiena pendeva a destra, come se stesse per cadere. Forse, era semplicemente nata per dormire su di lui, abbracciata in quel modo curioso e buffo. Sorrise, stringendola e dimenticandosi del cellulare che continuava a squillare. Probabilmente era nel paio di jeans che aveva indossato la sera prima e che aveva rimesso al loro posto quella mattina. Quando era in vacanza non si preoccupava di telefonare a nessuno per avvertire che stava bene: Nick riteneva più saggio lasciarlo cuocere nel suo brodo e i suoi amici avevano la possibilità di vederlo tutti i giorni, anche solo suonando alla sua porta, perciò non occorreva un telefono e la sua agenda era libera, totalmente, infinitamente libera, perciò, sostanzialmente, il cellulare in vacanza non serviva.

Poi, quasi fosse un pensiero irrazionale, una meteora che gli aveva attraversato la mente all'improvviso, si ricordò di lei, Kristen.

Spalancò gli occhi dalla sorpresa e quasi immaginò il suo nome lampeggiare sullo schermo del suo iPhone che, nel frattempo, aveva smesso di insistere.

Osservò Charis, tentando di muovere una mano per accarezzarle i capelli in modo tale che non si svegliasse, e un'altra meteora, più splendente della prima, si riversò nel suo pensatoio, facendogli dimenticare anche Kristen, probabilmente preoccupata per lui, probabilmente desiderosa di sentire la sua voce.

Non gliene importava assolutamente niente. 

Lui era già sulla sua nuvola rosa e non aveva bisogno d'altro. Aveva tra le braccia l'unica cosa che gli interessava al momento e il resto del mondo poteva anche andare a farsi fottere, perché in ogni caso lui non avrebbe mosso un dito per sistemare le cose.

Si rendeva conto che i suoi pensieri al riguardo erano piuttosto irrazionali, ma si disse che, almeno, era perfettamente in grado di stabilire le sue priorità e sicuramente quella di "badare" a Charis era in cima alla lista.

La diretta interessata si mosse appena, stringendo gli occhi e mugolando infastidita, come se qualcuno l'avesse svegliata, poi, rischiando quasi di rovesciarsi dal letto, si stiracchiò e quando riuscì a mettere bene a fuoco la stanza, il cielo scuro che intravedeva oltre la finestra e le tende e, soprattutto, Robert, sorrise, stropicciandosi un occhio con le nocche della mano sinistra, ricordando a Robert una bambina.

< Ehi. > Le mormorò, accarezzandole una guancia.

< Buonasera. > Mormorò in risposta lei, appropriandosi della posizione precedente, chiudendo nuovamente gli occhi e rilassandosi.

< Abbiamo dormito un sacco. > Constatò qualche istante dopo ancora ad occhi chiusi.

< A quanto pare sì. > Robert le poggiò una mano sulla vita, ancorandola stretta a sé, mentre con l'altra le riordinava i capelli dolcemente.

< Sei sveglio da tanto? > Gli chiese, godendo di quelle coccole delicate.

< Non molto, dieci minuti forse. > Rispose, sorridendole calmo.

Charis annuì e gli baciò una guancia, allontanandosi di poco dal suo petto solo per vederlo in viso e stiracchiarsi meglio.

< Non dormivo così tanto da mesi! > Sospirò di sollievo, sedendosi all'indiana accanto a lui, lasciando che continuasse a giocare con le ciocche dei suoi capelli.

< Non avevi un letto comodo per farlo. > Rispose lui ovvio, pizzicandole il naso per gioco.

< Già. > Annuì lei, assorta, guardandosi intorno. < E così, questa è sul serio la tua stanza. > Continuò.

Chissà perché le veniva in mente in quel momento. A prima vista la camera di Robert sembrava la stanza di un albergo, ma supponeva che non fosse per sua spontanea iniziativa. Appena entrata, la prima cosa che aveva visto era stata il letto, la testiera nera che correva lungo la parete corta della stanza, quella sinistra, un piccolo armadio alla destra dello stesso, di legno scuro, contro cui aveva appoggiato la sua chitarra. Di fronte un piccolo mobiletto con una tv e una decina di cassetti in cui, supponeva, dovesse esserci la biancheria e, per finire, nell'angolo più lontano della stanza, proprio accanto alla finestra ampia, tre valigie, di cui una era più che altro un borsone, una chitarra acustica, simile alla sua e un poster dell'Arsenal al muro, logoro ai bordi.

< E' proprio camera mia, perché, non ti piace? > Le domandò, ridacchiando.

Charis fece spallucce e osservò le tende ricamate della finestra.

< E' insolita. > Obiettò non riuscendo a trovare nessun altro aggettivo che potesse descriverla meglio.

< Non è la camera stereotipata di un ragazzo, lo so. > La anticipò prima che potesse aggiungere qualcos'altro.

< Non sono stata nella camera di nessun ragazzo, quindi, non potrei giudicare, ma non credo sia quello che mi ha colpito. > Rifletté.

< E cosa allora? > Domandò, facendo spallucce e guardandosi anche lui intorno, come se i muri potessero dargli una risposta esauriente.

< Niente scrivania, niente computer, niente vestiti sparsi in giro, niente riviste porno sotto il letto, niente di compromettente. Niente di niente. > Si sporse oltre il letto per guardarci sotto, sospettando di trovarvi una rivista di Playboy, invece nulla, solo un leggero strato di polvere e un calzino spaiato.

Robert rise.

< Non sono stato quel genere di adolescente, a dir la verità. Sai, quelli da giornaletti porno sotto l'asse semovente del pavimento, con una collezione di film per adulti nell'armadio sotto i vestiti o dai preservativi nel cassetto del comodino. > Spiegò con un sorriso.

< Però! Sei informato piuttosto bene sui nascondigli, vedo. > Lo prese in giro.

Robert fece spallucce, indifferente alla sua provocazione.

< Ho guardato parecchi film. > Si difese.

< Va bene, ma non è che magari qui ci portavi le ragazze dopo la scuola e i giornaletti li nascondevi nella camera di qualche tuo amico? > Gli domandò, gli occhi ridotti a fessure e il sorriso minaccioso.

< Beh... > Si passò, nervoso, una mano tra i capelli, abbassando lo sguardo, preso in contropiede. < In verità ci ho portato solo due ragazze qui e... beh, d'accordo, qualche volta ho sbirciato i giornaletti di Tom. > Confessò, prendendo a giocare con il lenzuolo, vergognandosene terribilmente.

Charis rise divertita.

< Mi spiace, non volevo metterti in imbarazzo, scusami. > Gli scompigliò i capelli e lo convinse a rialzare lo sguardo su di lei.

< Fa niente, non è importante. > Rispose, facendo spallucce, il tono di voce ridotto ad un sussurro.

< Eri innamorato delle ragazze che hai portato qui? > Sentiva che, nonostante fosse rimasto visibilmente scosso dalla confessione di poco prima, poteva continuare a fare domande su quel versante e lei voleva conoscere ogni minima cosa di lui, anche quella più insignificante.

< Non lo so, forse sì, chissà. > Si mantenne sul vago. Non aveva voglia di raccontarle di Sarah né di Kristen. Sarah era stata la sua prima vera ragazza e, beh, credeva di esserne innamorato, sì e anche tanto. L'aveva conosciuta durante un ballo scolastico a cui Tom l'aveva convinto a partecipare solo perché avrebbero potuto bere birra gratis e aveva faticato parecchio a chiederle di uscire, perché non si sentiva adatto, ma quando lei aveva accettato era come rinato. Si erano frequentati per un po' e poteva dire di esserci stato insieme anche se, alla fine dei conti, si erano scambiati solo qualche bacio e qualche carezza, ma niente di più. Di Kristen, ormai, sapeva tutto il mondo, o quasi.

< A me piaceva un ragazzo alle superiori. > Cominciò lei, vedendolo restio a confidarsi. < Si chiamava Jason, sai, il classico atleta, giocatore di punta della squadra di football e blablabla. > Continuò.

Robert sorrise appena.

< E hai mai provato a dirgli che ti piaceva? > Le chiese curioso.

Charis scosse la testa.

< Era il più carino della scuola ed io soltanto la sfigata della situazione, quella che gira con le felpe di una taglia più grande, che porta gli occhiali e se ne sta sempre per conto suo. > Elencò, sarcastica, alzando gli occhi al cielo.

< Ti piace ancora lui? > Sentì lo stomaco stringersi in una morsa in attesa della risposta.

< No! Voglio dire, durante l'adolescenza succede, ormoni in subbuglio, testosterone a mille, un po' come per voi ragazzi. Poi passa. > Spiegò, pratica.

< E non hai mai... avuto altri ragazzi? > Perché ne era così interessato? Cosa gliene importava, in fondo?

Charis scosse la testa.

< E non hai mai... insomma, avuto... rapporti intimi con nessuno? > Si sentì arrossire e si diede dello stupido per la sua poca discrezione.

< No, ma, ehi papà, tranquillo! > Lo prese in giro, sorridendo.

< La virtù di una ragazza è importante. > Dichiarò assorto.

Charis non riuscì davvero a trattenersi e rise forte.

Robert la osservò sorpreso.

< Cosa ho detto? > Domandò, perplesso.

< La... virtù... ah, santo cielo! Non siamo nel Settecento, Robert! > Aveva le lacrime agli occhi.

< Ehi, non offendere i miei credo! > La rimproverò, pizzicandole un fianco. Peccato che non soffrisse affatto il solletico.

< D'accordo, come vuoi. Però, insomma, ne avrai violate tante di virtù a questo punto. > Gli fece presente, pragmatica.

Robert storse la bocca.

< Non così tante. > Ammise.

< Non così tante non è un numero definito. > Obiettò lei, sbuffando.

< E a te cosa importa? Vuoi essere la prossima? > Si morse la lingua, ma non lo fece abbastanza in fretta da non permettere alle parole di uscirgli dalle labbra.

< Scusa... cioè, non volevo certo insinuare che... > Tentò di rimediare, abbassando lo sguardo. Aveva sempre una gran paura di poter offenderla e di mandarla via e lui non voleva che se ne andasse.

Charis fece spallucce, tranquilla.

< E comunque, sai, lo dico per te, chissà quante malattie potresti aver contratto o aver trasmesso! > Gli fece segno di no con un dito, come per ammonirlo.

< Ho usato precauzioni, ovvio. > Sorrise malizioso, avvicinandosi al suo viso e soffiandole via una ciocca di capelli dispettosa.

< Allora sei più bravo di quanto pensassi. > Mormorò lei, dispettosa.

< Non posso giudicare io. > La baciò, le guance ancora in fiamme per la figuraccia di prima.

Charis accolse le sue labbra come se non avesse aspettato altro che quel momento, intrecciando una mano tra le sue ciocche ribelli e morbide, avvicinandosi di più a lui.

Quando si separarono Charis si mise in ginocchio esattamente di fronte a lui, sorridendo ed intrappolandosi un labbro tra i denti, come se fosse indecisa circa qualcosa.

Rilassò le spalle e poggiò entrambe le mani sulle cosce.

< Stai per meditare? > Le chiese Robert, osservandola divertito.

Lei scosse la testa, continuando a sorridere.

< D'accordo, devo adeguarmi allora. > Imitò la sua posizione e la scrutò in silenzio, perdendosi nei suoi occhi blu e chiedendosi se fosse possibile stare così bene con una ragazza dopo così poco tempo, se fosse naturale dimenticarsi di tutti i problemi, di tutte le cose che si era cercato di raggiungere, di tutto quello che si era promesso.

Charis allungò una mano verso il suo zigomo, catturando qualcosa tra due dita: una ciglia color oro.

< Devi esprimere un desiderio ora. > Gli ricordò, trattenendo la ciglia tra il pollice e l'indice.

< Non credo in queste cose, Charis. > Era la prima volta che diceva il suo nome? Non se lo ricordava, ma aveva quest'impressione. E a lei, che non era mai piaciuto il suo nome, perché le ricordava quello della gatta del vicino, in quel momento, suonò meravigliosamente bene detto da lui, quasi sospirato.

< Dovresti. > Lo ammonì con lo sguardo. < Se non sogni non sei un vero essere umano. > Continuò, la ciglia ancora sospesa in mezzo a loro.

< Non ho desideri, ora. Non voglio rimanere deluso poi, se non si avverano. > Fece spallucce.

< E' perché non ci credi abbastanza! > Tentò di spiegarli. < Se ci credi sul serio, niente è impossibile. >

< Grande lezione di vita, mi sento illuminato, davvero. Dovrebbero sceglierti come prossimo Buddha. Avresti successo! > La prese in giro, sorridendo e lei stette al gioco, ridendo di rimando.

< Ma i Buddha vengono educati da piccoli e poi io non sono un maschio. Ma comunque, non è questo il punto. Forza, esprimi un desiderio. > Poggiò una mano sul materasso accanto a lei, morbido.

Robert alzò gli occhi al cielo.

< Non ne ho voglia. > Protestò come un bambino capriccioso.

< Oh, andiamo! Possibile che in questo momento non desideri ardentemente niente? Neanche una piccola, insignificante cosa? > Lo guardò con gli occhi da cerbiatto, dolci e ammalianti.

In verità c'era una cosa che desiderava ardentemente, ma era inutile ricamarci sopra, perché non avrebbe avuto successo. Voleva che rimanesse con lui, Charis. Voleva poterla far conoscere a tutti, amici e parenti e colleghi di set, voleva che volasse con lui a Montreal per le riprese di Eclipse di lì a poco, voleva che fosse presente sul set mentre lui era impegnato in qualche discussione con il regista, voleva potersi svegliare al mattino presto e vederla addormentata accanto a sé, serena, voleva ritrovarla al tramonto, quando sarebbe rientrato, per raccontargli della sua giornata e per lasciarsi coccolare come un bambino. Avrebbe voluto tenerla per mano e passeggiare fino a tardi, sotto la luna, magari in uno di quei parchi isolati tanto frequenti in Canada, sedersi su una panchina e contare le stelle fino a smarrirsi nel caos di luci del cielo scuro.

Chiuse gli occhi e si concentrò. Ci credette fermamente per un attimo ed immaginò perfino frammenti di vita con lei, come se potesse servire.

Quando riaprì gli occhi Charis lo guardava sorridente e con un solo soffio fece volare via la ciglia che si perse nell'aria densa di polvere, sebbene la finestra fosse aperta, la tenda che si muoveva sinuosa avanti e indietro, mossa dal vento.

< Non era così difficile, vero? > Gli domandò, avvicinandosi un po' di più a lui e piegando la testa per guardarlo negli occhi.

Robert fece segno di no con il capo e allungò una mano per sfiorarle una guancia liscia e morbida.

Charis chiuse gli occhi a quel tocco, spingendosi contro la sua mano e posandovi un leggero bacio sul palmo l'istante successivo, facendolo sorridere tenero.

Scivolò con la testa di lato e le si avvicinò per baciarle le labbra e gustare di nuovo il suo sapore zuccherato, sfiorandole il profilo del collo con due dita e avvertendo la pelle d'oca ricoprirle l'epidermide nei punti più sensibili.

< Charis... io... > Le mormorò, poggiando la fronte contro la sua, abbassando le palpebre per un breve istante, privandola della vista delle sue iridi color acquamarina.

Attese la continuazione di quella frase con trepidazione, quasi come se sentisse che quello che le avrebbe detto, le avrebbe cambiato la vita, per sempre, nel bene o nel male.

< Io... voglio solo che tu... > Si fermò ancora.

< Cosa? > Sussurrò allora lei, impaziente.

< ...non vada più via, Charis. Voglio che lasci che io provi ad amarti. > Gli sembrò quasi di arrossire, ma non se ne vergognò, grato all'oscurità che gli permetteva di nascondersi.

< Sai anche tu che non è possibile. > Mormorò, spiazzata, il petto che le batteva incontrollato al ritmo del suo cuore.

< Hai detto tu che dovevo provare a sognare. E' quello che sto facendo. > Rispose.

Charis scosse la testa.

< Ne hai scelto uno difficile allora. Se sei così pretenzioso è ovvio che tu non riesca ad esaudirne nemmeno mezzo. > Sorrise e volse lo sguardo alla finestra pur di non fissarlo su di lui.

Robert neanche provò a sorridere, preso a guardarla, attendendo che si decidesse ad affrontarlo.

< Vieni con me. Qui o in un altro posto, che differenza fa? > Cercò di convincerla, rinunciando ad attendere.

< Conduco una vita troppo diversa dalla tua, lo sai. > Gli ricordò.

< Se anche tu non nutrivi nessuna speranza in noi, perché mi hai baciato? > Le chiese, infervorandosi.

Lo aveva illuso, era così?

Charis avvertì il suo sapore ancora sulle labbra, il tocco delicato delle sue mani sulla pelle, il viso in fiamme quando le si avvicinava, una morsa allo stomaco dolorosa quando non sentiva la sua presenza. Non l'aveva illuso, aveva solo creduto che le cose avrebbero preso una piega diversa, forse. Aveva egoisticamente pensato di poter godere della sua presenza in modo esauriente fin quando lui non le avrebbe detto che doveva andar via, che non poteva più stare con lei ed ora erano già arrivati al capolinea senza neanche essere partiti.

< Perché lo desideravo. > Ammise, fissando le coperte, scivolando di lato e sciogliendo la posizione scomoda delle ginocchia, piegate ancora all'indietro.

< E ora vuoi abbandonarmi. > Non era una domanda.

< E' che... insomma, ho semplicemente pensato che potevamo vivere questa cosa fin quando tu non saresti dovuto partire. E' stato egoista da parte mia, lo ammetto, ma è la verità. Pensavo che saresti stato tu, prima o poi, ad allontanarmi. > Spiegò semplice.

< Ieri pensavo di farlo, sai? Pensavo che sarebbe stato troppo difficile per te rinunciare alla libertà e all'indipendenza che ti era guadagnata durante tutto questo tempo, lontana dalla tua famiglia, ma ci ho riflettuto abbastanza e so che non sarei in grado di lasciarti andare. Mi mancheresti come l'ossigeno, Charis. > Scosse la testa e sorrise amaro.

Il cellulare di Robert squillò di nuovo, ancora intrappolato nella stoffa dei jeans e, per un attimo, spezzò l'atmosfera di intimità che si era venuta a creare.

< Non rispondi? > Gli chiese in un sussurro e Robert, mosso da chissà quale forza, si mise in piedi e si trascinò fino all'armadio, prendendo a rovistare nelle tasche dei jeans, estraendo l'oggetto qualche istante dopo.

Kris lampeggiava sullo schermo.

Avrebbe dovuto rispondere? Con Charis lì presente?

< Pronto. > Si rassegnò alla fine, rimanendo fermo davanti alle ante dell'armadio ancora aperto.

< Rob! Ma si può sapere che fine hai fatto? Ti sto chiamando da ore! E ti ho lasciato un mucchio di messaggi! > La voce preoccupata e furiosa di Kristen lo investì come un fiume in piena.

< Scusami, ieri ho bevuto un po' e ho dormito per tutta la mattina, mi spiace tu ti sia preoccupata. > Si stropicciò la faccia con una mano e attese.

< D'accordo, ma potevi avvisarmi. > La sua voce si addolcì e Robert fu sicuro che stesse sorridendo.

< Hai ragione, avrei dovuto farlo. > Asserì. Avrebbe voluto girarsi verso Charis per controllare che non fosse scappata nel frattempo, ma si sorprese nel constatare che non ne aveva la forza.

< Non importa. Allora, solo due settimane prima del nostro incontro, sopravviveremo? > Scherzò lei, ignara della battaglia interiore del suo ragazzo.

Portare con lui Charis avrebbe comportato problemi con Kristen e, dall'altro lato, non poteva presentare Charis come un'amica visti i sentimenti che provava nei suoi confronti, ma non poteva neanche presentare Kristen come la sua ragazza, perché avrebbe ferito lei. Perché doveva essere tutto così difficile?

< Sopravviveremo, decisamente. > Rispose atono.

< Cosa succede? Ti sento strano. > Proferì la voce di Kristen e la immaginò con gli occhi stretti a tentare di capire cosa stesse pensando.

< Niente, sai che sono una pezza quando dormo troppo. > Mentì.

< E' meglio che ti lascio riprendere, allora. Chiamami più tardi, va bene? > Sembrava quasi una richiesta d'aiuto.

< Sì, va bene. > Promise.

< Allora a dopo. Ti amo. > Non riattaccò, aspettando che lui rispondesse.

< Sì, ti amo anch'io. > Rispose alla fine, agganciando e rimanendo per una manciata di secondi con il cellulare in mano e l'espressione vuota dipinta in viso.

Sentì un tramestio dietro di sé, il rumore di lenzuola che vengono spostate, ma non aveva il coraggio di voltarsi perché gli faceva troppa paura quello che avrebbe visto.

Sentì Charis accanto a lui, avvertì il calore del suo corpo, ma riuscì a lanciarle solo un'occhiata di sfuggita. Aveva afferrato la sua chitarra e la sua busta rosa piena di vestiti ed aveva marciato fuori dalla stanza. Robert sapeva bene cosa significava, ma non aveva il coraggio di fermarla e presto la porta d'ingresso sarebbe sbattuta con violenza, o magari non se ne sarebbe neanche accorto, e lei sarebbe scomparsa, forse per sempre.

Lanciò il telefono sul letto con noncuranza e raggiunse il salotto, in fretta. Charis era lì, sulla soglia della porta, la mano sulla maniglia e forse solo la speranza che lui avesse abbastanza forza da impedirle di andarsene.

Quando si rese conto che non avrebbe mosso un dito per farla restare, aprì la porta e poi, come un flash, si ricordò che aveva indosso ancora il vestito della sorella di Robert e volse appena la testa, riuscendo ad inquadrare solo un lembo della sua maglietta scura.

< Te lo riporto appena trovo un posto per cambiarmi e grazie per la disponibilità, davvero. > Disse atona.

Robert non rispose e lei oltrepassò la porta e scese velocemente i tre gradini che l'avrebbero condotta sul selciato del piccolo giardino, rinunciando a voltarsi indietro.

< Non andare! > Avrebbe voluto sentirla minuti prima quella voce ed illudersi, ancora una volta, che non era stata utilizzata solo come un ripiego.

Una lacrima di rabbia le scivolò sulla guancia, mentre si arrestava e si voltava indietro per osservarlo lì, fermo, immobile sui gradini, lo sguardo spento, le braccia abbandonate lungo i fianchi.

< Vorrei un motivo per restare, ma suppongo non ce ne siano. > Affermò, riprendendo il suo cammino.

< Kristen è solo... > Tentò lui, ma venne interrotto.

< Solo cosa, esattamente? Solo la tua fidanzata? Grazie per avermi avvisata in tempo! Per quanto sarebbe durato questo giochetto, una settimana, due, fino alla fine della tua vacanza qui? Hai trattato entrambe come giocattoli, Robert, non te ne rendi conto? > Quasi urlò, avvicinandosi di qualche passo.

< Non c'eri tu nella mia vita, Charis. Ho dato una possibilità a Kristen perché ero stanco di sentirmi da solo, ma non ti avevo ancora conosciuta. > Rispose, avvicinandosi di rimando anche lui.

< Dovrei rimanerne colpita? Mi disgusta il tuo comportamento. > Storse la bocca e si allontanò, evitando di dar ancora retta ai suoi richiami.

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Capitolo 9
*** I Trust You ***


Se siete sopravvissuti allo scorso aggiornamento, piuttosto traumatico a vedere dalle recensioni xD, allora posso darvi una piccola anticipazione: niente paranoie per voi e niente pomodori per me e non è un indovinello, ma lo scoprirete tra poco, dopo le rispose alle vostre recensioni (ho una carriera da presentatrice tv, vero? xD):

Lyomael: Ho riflettuto un po' sulla tua frase: quanto l'orgoglio di Charis sia forte ed è stato un bene, sai? Voglio dire, se riesco a migliorare è anche grazie a voi e al fatto che con le vostre recensioni mi spronate a riflettere su quello che scrivo, ma, tornando alla tua frase, dicevo, ci ho pensato. Non credo che Charis sia orgogliosa o, per lo meno, non nel senso lato del termine. Ha deciso di allontanarsi da Robert non per paura di affrontarlo, quanto per il fatto che lui l'ha evidentemente tradita e leggendo questo capitolo ti accorgerai, suppongo, che quello di Charis non sia semplice orgoglio, ma qualcosa di più. Praticamente, lei vuole a tutti i costi convincerlo che non sono adatti a stare insieme, quando, invece, Rob è convinto dell'esatto contrario. Ora, la mia non è una critica alla tua osservazione, perché quella parolina che hai usato, vale a dire orgoglio, è fondamentale nella vita di Charis e, insomma, sei riuscita ad inquadrare fin da ora un aspetto di lei che forse emergerà più avanti (anche se forse se ne ha avuto un assaggio quando ha parlato della famiglia e della lite circa la morte del fratello), quindi, con ciò, non voglio far altro che ringraziarti per avermi permesso di costruire un po' meglio la psicologia di questo mio personaggio estremamente complicato e di avermi dato una dritta per i capitoli futuri ^^. Spero che il prossimo capitolo ti ispiri altrettante riflessioni stimolanti per me e ovviamente anche per te. Un abbraccio e grazie ancora *-*

BrandNewSibyl: Tesoro, mi auguro tu non sia davvero esplosa nell'attesa xD, perché nel caso così fosse, avresti pienamente ragione a chiedermi un rimborso totale xD. Scherzi a parte, ti ringrazio per avermi promossa a pieni voti e sono contenta di averti destabilizzata, perché era proprio l'emozione che volevo trasmettere. Parliamoci chiaro, si sapeva fin dall'inizio che questi due non avrebbero concluso niente di buono, vero? xD, ma hai ragione, Rob ha davvero bisogno di mettere la testa a posto e vedrai che due donne saranno meglio di una, o, almeno spero ^^. Grazie, ciccia, non sai quanto adori le tue parole *-*! Un abbraccio <3

uley: Le cose che contano non si ottengono mai con facilità, hai proprio ragione! Non vorrei spoilerare troppo, perché rischierei di rovinare l'attesa (ma quanto siamo perfidi, oggi? xD), ma Charis è piuttosto arrendevole in questo capitolo e d'altronde, come non soccombere al fascino british di Rob, ma sa il fatto suo e se è riuscita a cavarsela lontano da casa, in mezzo ad una strada, con pochissimo con cui vivere, sono sicura che saprà cavarsele anche nella complicata gestione di un ammaliatore quale Rob xD, tu non credi? Non so se ciò che vorresti che Rob facesse si realizzi in questo capitolo, ma spero comunque che non ne rimarrai delusa *-* Un abbraccio e grazie per i complimenti e per la recensione ^^

_Miss_: Oh no, non puoi ammazzare Rob e neanche me! xD! Me tapina xD! Effettivamente, è stato tutto come un fulmine a ciel sereno per Charis e Rob, lasciamelo dire, è stato un emerito coglione perché sembra quasi che l'abbia fatto di proposito, ma...*riflette sul fatto che sta criticando la sua stessa storia, si gratta il mento ed emette un verso di stupore in stile Hamtaro il criceto*... ok, ti dico solo: continua a confidare in me xD! Ti ringrazio per la recensione e un abbraccio *-*

 

Ringrazio tutti quelli che hanno solo letto e che hanno inserito la Ff tra i seguiti/preferiti/da ricordare <3

 

She...

 

Quando voleva stare da sola Charis cercava il primo luna-park disponibile. Che fosse anche a venti chilometri di distanza dal luogo in cui si trovava, non le interessava, l'importante era arrivarci.

Amava i luna-park. Da piccola costringeva suo fratello a portarcela e, sebbene lui le offrisse solo mezz'ora del suo tempo, puntualmente lei lo convinceva a rimanerci fino alla chiusura delle giostre, quando soltanto i proprietari della struttura e i dipendenti rimanevano nei dintorni e le luci si spegnevano a schiera.

Non sapeva dire cosa le piaceva di più di un luna-park: forse erano le luci colorate, forse la folla di persone in cui poteva confondersi, forse l'odore di polvere o lo schiamazzo dei bambini, o l'odore di zucchero filato, così intenso che sembrava avercelo sulla lingua.

Il luna-park di Barnes non era grande come quelli che allestivano a New York, ma c'erano moltissimi bambini e l'aria che si respirava era identica. Le luci colorate la accolsero, poi un gruppo di bambini che la spintonarono di lato per riuscire a passare e una decina di giostre dall'aria divertente.

Charis si confuse tra la folla e vagò senza sosta fino al limitare del parco, in una posizione strategica da cui poteva osservare gli altri senza essere osservata a sua volta.

< Charis?!? Cosa ci fai qui? > Si voltò di scatto al suono di quella voce conosciuta e trasalì appena. Tom.

Lei fece spallucce e abbassò lo sguardo alle sue Converse nere e logore. Abbandonò la sua chitarra contro il muretto e i suoi "bagagli" lì accanto e scivolò con la schiena contro i mattoni leggermente umidi, la testa tra le ginocchia.

Tom rispettò il suo silenzio e le si sedette semplicemente accanto, osservando le luci delle giostre e i bambini che attendevano il loro turno.

< Tu lo sapevi, no? > Gli domandò a voce bassa, quasi un pigolio.

< Sapevo cosa? > Si voltò verso la sua figura e inarcò le sopracciglia, curioso.

< Di Kristen. Lo sapevi. > E questa volta non era una domanda, ma un'affermazione.

Tom sospirò.

< Sì, lo sapevo. > Tom era come Robert, non riusciva a mentire e se lo faceva riuscivano a scoprirlo subito solo osservandolo negli occhi.

Charis avrebbe avuto voglia di rispondere bene, sembra che solo io non ne fossi al corrente, allora, ma non lo fece e si limitò ad annuire.

< Senti, so che adesso Robert potrà sembrarti uno stronzo e so che pensi che ti ha solamente illusa, ma non l'ho mai visto comportarsi così con una ragazza. Insomma, avete dormito nello stesso letto, ti ha accolto in casa sua, sebbene neanche ti conoscesse, ti ha donato affetto. > Tentò. Ovviamente non parlava da parte di Robert, ma lui lo conosceva meglio di chiunque altro e sapeva che quando Robert si comportava così era una cosa seria.

< Stronzate! Un mucchio di stronzate! Non l'ho mai visto comportarsi così con una ragazza, ma certo! Come se potessi cascarci come una stupida per la seconda volta! Ti ha mandato lui a dirmi questo, vero? > Rispose, acida e arrabbiata con se stessa per essersi lasciata prendere in giro così.

< No, non l'ha fatto e non lo farebbe mai e se hai avuto modo di conoscerlo un po' in questi giorni, lo sai anche tu. So che sei arrabbiata, ma cerca di pensarci e lascia Kristen da parte per un attimo soltanto. Siete elettricità pura, lo sai anche tu, specialmente quando state insieme, specialmente quando il tuo sguardo indugia nel suo e sembrate volervi leggere dentro e so che lo senti anche tu. > Tentò di farle capire. In fondo, era quello che pensava. Quando aveva visto Robert così protettivo al pub, quando l'aveva osservato cercare gli occhi di lei e incrociarli, anche se solo per un istante, aveva avuto l'impressione di entrare in una dimensione ultraterrena e di estraniarsi insieme con loro. Erano pura e semplice magia.

< Non ho la forza di pensarci, va bene? Mi ha mentito ed io... io sono stata trattata esattamente come una qualsiasi delle sue tante puttane, lo capisci? Ho cercato di scavare in lui e di comprenderlo. Ha detto che dovevo permettergli di amarmi e ho provato davvero a lasciarmi andare e cosa ne ho ricavato, Tom? Un ti amo anch'io sussurrato al telefono e sbattutomi in faccia come se non fossi lì ad ascoltare tutto! > Due lacrime di rabbia e frustrazione le rigarono le guance pallide.

Tom non seppe far altro che poggiarle una mano sulla spalla, cercando di confortarla, senza successo, perché Charis continuò a piangere e non sapeva nemmeno lei se era per il dolore di aver perso la sua anima gemella o per la frustrazione di essere stata illusa senza un minimo di tatto e riguardo.

< Vorrei dirti di provare a parlargli, ma so che hai bisogno di tempo, posso capirlo. > Le mormorò Tom mentre il vociare nel luna-park andava spegnendosi, considerata l'ora tarda.

< Non so neanche se ho intenzione di farlo. > Borbottò lei in risposta.

Tom si rimise in piedi e infilò le mani nelle tasche, guardando il cielo.

< Hai intenzione di rimanere qui? > Le domandò alla fine, senza sapere bene come rompere quel silenzio imbarazzante.

Charis annuì, la testa tra le ginocchia, i capelli che le offrivano protezione dal vento fresco che sapeva di pioggia.

< Buonanotte allora, Charis. > La salutò, allontanandosi senza guardarsi indietro, perché non gli andava giù l'idea di voltarsi e di vederla spezzata a terra, tanti piccoli frammenti come tasselli di un puzzle che andavano ricomposti.

Charis si raggomitolò su se stessa e pensò che, in fondo, la vita è ingiusta, come aveva sempre saputo, perché ti donava qualcosa di bello e importante e poi decideva di strappartelo via senza preavviso, ferendoti.

Si riscosse e avvicinò a sé la federa della chitarra, facendo stridere la cerniera della tasca centrale e frugandovi con le mani per qualche istante, estraendone un piccolo quaderno consumato di colore azzurro e una penna biro blu consumata a metà.

 

Sai, Michael, a volte credo che tu sia fortunato, incredibilmente fortunato ad essere scappato via dal mondo così, all'improvviso. Non voglio che tu creda che mi sia indifferente la tua mancanza, ma io non sono come te e non ho la forza per continuare a combattere di fronte alle difficoltà. Mi dicevi sempre che la vita è una grande partita di pallone: ci si allena fino allo sfinimento, con il rischio di poter perdere, ma anche di vincere. Io credo di aver perso, mentre tu, tu hai sicuramente vinto.

Credevo che la musica avrebbe alleviato la mia sofferenza, quella della noncuranza dei nostri genitori, quella della tua perdita, quella del mondo che mi circonda, ma non basta e non basterà mai.

Credevo che Robert fosse il pezzo giusto del puzzle, quello che cerchi per anni e che quando ti capita tra le mani stenti a crederci, ma sbagliavo anche su questo, perché lui è già il pezzo mancante di qualcun altro ed io sono solo una barbona sola e rifiutata dalla società che passa le sue giornate a strimpellare qualcosa di insensato per guadagnare qualche spicciolo e questo vestito, quello che porto addosso ora, è, come sempre, un vestito non mio che mi farà sentire meglio per qualche ora, come una pozione magica, ma poi, una volta sfilato e lavato, perderà i suoi poteri e mi svelerà nella mia vera natura.

Volevo ingannare qualcuno così? Forse solo me stessa.

Vorrei che fossi qui e che mi regalassi uno dei tuoi sorrisi sinceri, quelli che sapevano illuminarmi una giornata anche se fuori c'era vento, nebbia e la pioggia che mi faceva scivolare sulle foglie d'autunno bagnate del vialetto.

Vorrei che mi abbracciassi e mi dicessi che non sono sbagliata, è il mondo a non essere fatto per me.

Vorrei crederti una di queste stelle che spuntano fuori dalle nuvole e si fanno sentire con la loro brillantezza, ma la verità è che non ho garanzie e non ne avrò mai e sarò sempre una perdente, perché avrò troppa paura di rischiare.

Mi manchi.

 

La mattina dopo Charis, il luna-park ancora vuoto e silenzioso, si spogliò del vestito della sorella di Robert e si infilò una delle sue felpe anonime e sformate e un paio di jeans scuri a sigaretta e si avviò verso la casa di Robert con in mano la stoffa colorata che, per una sera soltanto, le aveva fatto credere di poter essere diversa, migliore, una persona a cui voler semplicemente bene.

Fece il percorso all'indietro immersa nei suoi pensieri, senza essere in grado di concentrarsi su alcunché e quando, finalmente, scorse il vialetto dell'abitazione dall'altro lato della strada, indugiò qualche attimo, come per accertarsi che valesse davvero la pena tentare.

Suonò il campanello una sola volta e attese paziente. Un tramestio e un'imprecazione non trattenuta la fecero sorridere appena, ma la conseguente apertura della porta la ritrovò seria e fredda come la sera prima.

Robert rimase immobile ad osservare la sua figura fragile e dolce stretta nella felpa pesante, nella mano il vestito di sua sorella, leggermente spiegazzato e stretto nella sua mano destra come fosse un anti-stress necessario.

Charis non disse nulla e tese soltanto la mano con il vestito, rifiutandosi di alzare gli occhi ed incontrare i suoi, perché avrebbe ceduto e lei non voleva risultare debole.

< Charis, senti... > Provò Robert, prendendo un respiro profondo e scompigliandosi i capelli con una mano.

< Ti ho riportato il vestito. > Lo fermò lei prima che potesse dire qualcos'altro, sempre senza guardarlo.

Robert sospirò e raccolse il pezzo di stoffa dalle sue mani, osservandolo per un istante e ricordandosi della sera al pub, quando l'aveva vista tra le braccia di Kellan e più tardi addormentata nel suo letto a due piazze, completamente ubriaca e bellissima, una fragile bambola di porcellana finemente lavorata.

< Non vuoi entrare? Ho preparato la colazione. > Le chiese, speranzoso, osservandola già sparire oltre il vialetto costeggiato d'erba.

Charis non rispose e proseguì la sua camminata, mentre lui si dava mentalmente del coglione per essersela lasciata scappare così, come se lei fosse una qualunque, da una scopata e via.

Lo sapeva che era impossibile che loro diventassero una coppia, ma non riusciva a lasciarla andare, non riusciva a concepire una notte senza di lei al suo fianco, una mattina senza i suoi capelli setosi sotto le dita o le sue guance lisce e morbide, o la sua risata cristallina e dolcissima come zucchero di canna, le sue labbra perfette e i suoi occhi lucenti e vibranti di vita.

Come poteva averle fatto una cosa del genere? Come poteva averla usata così?

Voleva che andasse con lui a Montreal senza minimamente tenere in conto le conseguenze che quel gesto avrebbe comportato: l'incontro con Kristen, i litigi continui, le spiegazioni, le fughe, i musi lunghi e le offese. La voleva accanto, però e di questo era sicuro, più che sicuro, mentre di Kristen non era sicuro affatto, anche se solo la sera prima le aveva detto che l'amava.

Charis aveva ormai superato un isolato e lui riusciva ancora a vederla, nonostante la sua figura di facesse sempre più piccola e sfocata ad ogni passo.

< Charis! Charis! > Urlò, saltando le scale e correndo per raggiungerla, il vestito lanciato nell'erba del vicino, sotto il sole ancora tiepido.

Lei non si fermò e continuò a camminare, incurante.

< Charis... voglio che tu venga con me... > Riuscì a dirle, raggiungendola e cercando di attirare la sua attenzione, camminando all'indietro con il fiatone per via della corsa.

< Dove? Da Kristen? Per fare cosa, esattamente? Per vedervi amoreggiare come una povera cretina? > Si fermò di colpo ed i suoi occhi si accesero di rabbia e delusione.

< Per stare con me, perché ti voglio al mio fianco. > Rispose lui, ignorando il richiamo di Kristen che gli lanciava la sua coscienza.

< E quando te ne sei reso conto? Mentre mormoravi alla tua fidanzata che l'amavi? > Sbottò acida.

< Io non ho mai provato niente del genere, Charis, non ho mai avvertito i brividi percorrermi mentre parlavo con una ragazza, non mi sono mai sentito così felice come con te vicino. > Le dichiarò, esasperato dalla sua resistenza.

Stava solo cercando di farsi "perdonare", di riconquistare la sua fiducia.

< Non possiamo stare insieme, Robert, te l'ho già detto. > Chiarì per la seconda volta.

< Provamelo. Voglio che tu mi faccia capire che sbaglio su di noi, che non siamo davvero anime gemelle. > La sfidò, sicuro.

Charis sorrise appena, abbassando lo sguardo e pensò che, beh, un tentativo poteva anche farlo, anche se avrebbe comportato dolore e sofferenza, anche se lei era forte abbastanza da sopportarlo.

< Non garantisco il successo, comunque. > Borbottò.

< Devi provarmelo, è una condizione necessaria per la riuscita della prova, quindi, non dimenticartene. > Robert le solleticò una guancia, premuroso e lei gli fece l'occhiolino.

Quella sfida sarebbe stata la sua rovina, senza ombra di dubbio, perché come poteva negare qualcosa che effettivamente esisteva? Come poteva anche solo prendere in considerazione l'ipotesi che loro non fossero la metà della stessa medaglia, quando era lampante che lo erano e che riuscivano a capirsi con uno sguardo, che ritrovavano la loro complicità anche dopo un litigio, come se non fosse mai accaduto niente?

Se non ci provava, se non rischiava, non l'avrebbe mai saputo e lei non voleva vivere nel dubbio, perciò, seguì Robert fino a casa e sistemò nuovamente le sue cose nel posto in cui le aveva lasciate l'ultima volta, sedendosi sul letto e pensando che era come tornare a casa e sentirsi cullati da quell'atmosfera di assoluta pace e bellezza.

Robert gattonò sul letto fin quasi a raggiungerla e si raggomitolò al suo fianco come un gattino, sebbene non ci somigliasse affatto vista la sua altezza.

La osservò in silenzio, meditativo, pensieroso, con lo sguardo limpido e assolutamente felice.

< Smettila di fissarmi. > Lo riprese lei bonariamente, alzando gli occhi al cielo.

< Ti sto guardando, non ti sto fissando. E' diverso. > Replicò lui, dondolandosi appena.

< Beh, allora smettila di guardarmi. > Si corresse, continuando a fissare l'armadio di fronte a lei.

< Mi piace guardarti. > Sorrise.

< A me non piace essere guardata, invece. > Ribatté piccata e infastidita, nonostante la voglia che aveva di sorridergli.

< Lo credo bene! Non hai fatto altro che nasconderti in questi anni! > Si mise comodo, distendendo le gambe e prendendo a torturare un lembo di lenzuolo, lo sguardo basso.

< Non che un barbone abbia tanta compagnia, sai? > Sbuffò Charis, lanciandogli un'occhiata furtiva.

Robert fece spallucce.

< Mi dispiace davvero per quella storia di Kristen. Avrei dovuto parlartene subito. > Scosse la testa, rimproverandosi mentalmente. La verità era che avere Charis intorno gli aveva fatto dimenticare completamente di tutto il resto e Kristen e quello che comportava era passato in secondo piano.

< Eri troppo impegnato a far finta di essere single, ti capisco. > Non era un rimprovero, perché aveva sorriso divertita. Avrebbe voluto urlargli contro tutto quello che non aveva avuto modo di urlargli la sera prima, ma era inutile. Bastava un suo sguardo e tutta la sua rabbia svaniva come neve al primo sole e la sua mente si schiariva, la sua anima di quietava.

Robert rise piano, una risata nervosa e imbarazzata e Charis lo capì da come si spettinò i capelli con una mano l'istante successivo.

< Tom mi ha detto che hai dormito al luna-park, stanotte. > Cominciò dopo interminabili minuti di silenzio.

Charis annuì soltanto, continuando a dargli le spalle.

< Suppongo che il luna-park di qui non ispiri quanto quello di New York. > Sorrise triste e malinconico senza neanche sapere bene il perché.

< A me piacciono tutti e comunque non c'è bisogno che tu offenda la tua cittadina solo perché io sono americana e vuoi farmi un favore. Non sono venuta qui per disprezzare l'Inghilterra, anzi; sono gli inglesi che non mi piacciono. > Si schiarì appena la voce, come se si fosse resa conto solo in quell'istante di cosa aveva detto.

Lui, d'altro canto, non la prese affatto sul personale e rise liberamente questa volta, felice di essere riuscito a riguadagnarsi la sua fiducia così in fretta, perché se c'era una cosa che aveva capito di Charis in quei pochi giorni, era che ti diceva la verità solo se si fidava ciecamente o quasi di te.

< Ma io sono inglese. > Le fece notare, voltando il capo verso di lei, osservandola arrossire.

Charis sbuffò, presa in contropiede. Ovviamente sapeva che Robert era inglese, ovvio, solo che lui era totalmente diverso dal resto della popolazione, era un caso a sé stante e come faceva a spiegargli le emozioni che le scombussolavano lo stomaco quando incrociava i suoi occhi o quando lo vedeva sorridere?

< Hai capito cosa intendo. > Si spostò un ciuffo di capelli dietro l'orecchio, cercando di non far tremare la propria voce.

< Io ho solo capito che odi gli inglesi. > La provocò, mettendosi di nuovo in ginocchio e arrivandole alle spalle, rischiando di spaventarla a morte, solo per accarezzarle i capelli lucenti e sfiorarle il profilo del collo.

< Odio tutti gli inglesi tranne te. > Specificò.

< E come mai? Sono una specie di... eccezione matematica? Del tipo, l'eccezione che conferma la regola? > Con il polpastrello del dito indice seguì il profilo dell'orecchio, per poi scendere verso la mascella e il mento, sporgendosi un po' di lato per osservarla.

< Una specie... sì... > Non poteva circuirla in quel modo! Era scorretto! Ma non aveva certo la forza per impedirglielo.

Robert continuò la sua esplorazione, accarezzandole le labbra, il naso, le palpebre che lei chiuse docile, le sopracciglia e la fronte, fino all'attaccatura dei capelli, sentendo l'epidermide tendersi e infuocarsi al suo passaggio.

Si avvicinò con il viso a sfiorarle una guancia con le labbra e avvertì il suo spostamento, seppure minimo, all'indietro, come se volesse sottrarsi a quel tocco e automaticamente anche lui si fermò, pensando che non gradisse affatto un contatto più profondo. Osservò gli occhi di lei specchiarsi nei suoi e l'indecisione prendere possesso dei suoi pensieri, poi la sentì avvicinarsi come a rallentatore e avvertì il suo battito accelerare.

Indagò i suoi occhi, quasi potesse scorgervi sdegno o paura o imbarazzo, ma Charis non provava niente di tutto quello, solo la dannata voglia di baciarlo ancora e ancora e ancora, fino ad essere sazia delle sue labbra e delle sue carezze.

Socchiuse gli occhi in contemporanea con lui e avvertì la consistenza delle sue labbra contro le sue e il suo sapore dolce e esotico, che sapeva di mare e di pioggia, della fine pioggia inglese che tanto la infastidiva.

Strinse una mano sulla sua nuca, afferrandogli qualche ciocca di capelli, avvicinandolo a sé e Robert fece altrettanto, poggiandole una mano su un fianco, mentre l'altra le tirava appena indietro i capelli perché non le dessero fastidio.

Lasciò appena le sue labbra per recuperare ossigeno e Charis si accorse che non ci aveva nemmeno pensato al fatto che avessero bisogno di respirare, perché con lui era tutto maledettamente normale e semplice che ci si dimenticava persino delle proprie priorità, ma non ebbe modo di pensare a molto altro, visto che le impegnò le labbra in un bacio decisamente meno casto del precedente e più audace, in cui si permise di assaggiare l'interno del suo labbro superiore con la lingua prima di lasciarla definitivamente libera.

Charis chiuse gli occhi e appoggiò la fronte alla sua. Sentiva così caldo che credeva sarebbe svenuta lì, su di lui, sebbene non le importasse granché della fine che avrebbe fatto.

< Tutto bene? > Si sentì mormorare. Una mano le sfiorava una guancia e l'altra i capelli delle nuca, solleticandole la base del collo, più sensibile.

Annuì e respirò a fondo.

Quando riaprì gli occhi si ritrovò lo sguardo di Robert, che la studiava attentamente, addosso, ma non le diede fastidio.

Indugiò qualche secondo ancora sulle sue labbra gonfie e abbassò di poco il viso per poterle sfiorare di nuovo, facendolo sorridere.

Charis si scostò da lui e si voltò definitivamente, poggiando le ginocchia sul materasso e fronteggiandolo. Forzò con una mano sulla sua spalla per convincerlo ad indietreggiare e a distendersi, cosa per cui Robert non si fece pregare affatto e poi gli si stese vicino, intrecciando una gamba tra le sue e poggiando la testa sul suo petto, poco sopra agli addominali mediamente scolpiti.

< Mi sei mancata stanotte, sai? > Le disse, stringendola a sé.

Lei aveva cercato di non pensarci, invece.

< Volevo venire a cercarti, ma, anche se sembra una patetica scusa e Barnes non è così esteso, non sapevo da dove cominciare e ho rinunciato. Ti avevo ferita e avevi tutto il diritto di inveirmi contro. > Proseguì a bassa voce.

< Cosa le dirai ora? Dirai che siamo soltanto amici? > Gli chiese, il tremore nel tono di voce ben udibile.

Robert sospirò. Ci aveva pensato, ma non era ancora giunto ad una conclusione logica e che non implicasse necessariamente una delle due in maniera equivoca.

< Non lo so. Devo pensarci. > Borbottò poco convinto.

Charis alzò la testa dal suo petto e si sistemò contro di lui, reggendosi sul suo corpo per poterlo guardare in viso.

< Tu la ami, vero? > Schietta e diretta.

< Ho solo promesso che avremmo provato ad essere una coppia, ma non le ho giurato amore eterno, né le ho chiesto di sposarmi. > Quasi si arrabbiò, ma non per la domanda in sé, quanto per la fretta che aveva avuto nel rispondere di sì a Kristen, quella mattina di pochi giorni prima.

< Quindi non la ami, ma non vuoi neanche ferirla. > Constatò lei, comprensiva.

< Siamo amici, è ovvio che non voglio farle del male. > Rispose, facendo spallucce.

Charis annuì.

< Non dovrei partire con te e lo sai bene. > Gli fece presente, scuotendo la testa.

< Sì che devi, invece! Io ti voglio al mio fianco! Morirei senza di te e ho bisogno della tua dolcezza e del tuo candore. >Corrugò le sopracciglia in un'espressione severa che quasi spaventò Charis.

< E' contro ogni regola. > Sorrise lei, facendo scontrare le punte dei loro nasi, dolcemente.

< Al diavolo le regole! > Le bisbigliò prima di baciarla di nuovo.

< E che ne dici di quella non tradire? > Gli rammentò, separandosi dalla sua bocca, facendolo mugolare insoddisfatto.

Sbuffò e alzò gli occhi al cielo.

< Senti, ci siamo immischiati insieme in questa faccenda, giusto? E allora insieme ne verremo a capo. E comunque, una volta che sarai con me a Montreal non potrò tenere la cosa nascosta troppo a lungo. > Rifletté, pensando in particolar modo a Kellan, l'unico che non si faceva mai gli affaracci suoi.

Charis sospirò e si distese di nuovo al suo fianco, osservando il soffitto rischiarato dalla luce del giorno.

< Neanche la conosco questa ragazza e già le sto facendo un torto. > Borbottò.

< Non puoi decidere chi farti piacere. Succede e basta. > La frase, in verità, sarebbe dovuta essere non puoi decidere di chi innamorarti, ma innamoramento sembrava una parola ancora troppo grande per lui e, forse, anche per lei.

< Io ho fame, che ne dici di un toast? > Le domandò qualche istante dopo, voltando il viso per osservarla.

< Certo, con la possibilità, anzi la certezza, oserei dire, che tu mandi a fuoco la cucina e per conseguenza l'intera casa. > Rispose, sarcastica.

< Allora ordiniamo qualcosa dal cinese. > Propose, facendo spallucce.

< Cucino io, va bene? > Si mise seduta sul letto.

< Tu?!? Sai cucinare? > Era sbalordito. Insomma, non che non se l'aspettasse, ma diciamo che per lui era già un miracolo vedere qualcuno ai fornelli, figuriamoci vederci una ragazza che negli ultimi mesi aveva vissuto in strada.

< Niente di speciale, solo il necessario, ma me la cavo. > Fece spallucce e si diresse in cucina, cominciando a prendere confidenza con padelle, posate e fornelli. Robert si ricordò di dover ringraziare quella santa di sua sorella che gli aveva ricordato di fare la spesa, altrimenti l'unica cosa che Charis avrebbe visto uscire da quel frigorifero, sarebbe stata il niente più assoluto.

Quando si misero a tavola, ognuno davanti al suo bel piatto di spaghetti fumante, Robert dovette constatare che Charis era davvero un'ottima cuoca, e poteva dirlo senza aver ancora assaggiato nulla. Si muoveva con tale disinvoltura tra i fornelli e sembrava essere la migliore amica di ogni singolo ingrediente che utilizzava.

< Sono sconcertato dalla tua bravura. > Si complimentò, masticando una forchettata generosa di spaghetti.

< Sconcertato?!? Perché sconcertato? > Charis riempì il suo bicchiere d'acqua e ne bevve un sorso, tenendolo d'occhio in attesa di una risposta.

< Perché non me l'aspettavo. > Rispose, sorridente.

< Non sai ancora tutto di me. > Abbassò lo sguardo sul suo piatto e finì di mangiare in silenzio.

< E' per questo che ti porto con me, perché voglio scoprirlo. > Le fece presente, aiutandola a sparecchiare.

< Non voglio causare problemi. Se voi litigherete a causa mia, sarà anche più difficile lavorare, ci hai pensato? Siete i protagonisti di questo progetto e avete un sacco di scene da girare insieme, giusto? Non ci sarebbe più la giusta sintonia se io mandassi a monte tutto. E comunque non voglio immischiarmi in qualcosa di più grande di me. > Lo osservò, una mano appoggiata contro il ripiano dove avevano appena posato tutti i piatti.

< E' stata colpa mia, Charis, non tua. Dovevo dirti fin dal primo istante, fin dal momento in cui ho capito che avrei potuto provare qualcosa per te, di Kristen e non l'ho fatto soltanto perché temevo che saresti scappata. Risolverò tutto, vedrai. > Le sistemò i capelli dietro le orecchie e le accarezzò le guance morbide.

< Mi fido di te. > Rispose lei, mormorando e abbracciandolo, inspirando il buon profumo della sua pelle.

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Capitolo 10
*** You Are Beautiful ***


Eccomi qui ad aggiornare! Contavo di farlo prima, tuttavia, sono stata presa dal fatto di aver dato l'esame d'ammissione all'Università a Roma e da tutto il resto e ho trascurato un po' l'aggiornamento, ma oggi ho finalmente ricevuto la buona notizia, ovvero: sono stata ammessa alla facoltà di Mediazione Linguistica e Interculturale all'Università della Sapienza a Roma e quindi, il mio spostamento nella capitale è definitivo, almeno per andare a studiare, per cui, ho deciso di aggiornare per festeggiare un po' con tutte voi xD

Passiamo ai ringraziamenti a quelle meravigliose due donzelle che sprecano tempo prezioso per commentare i miei deliri *.*, ovvero:

_Miss_: Ma quale ritardo?!? Sono io, piuttosto, che aggiorno sempre dopo vent'anni! Mi fa piacere che il capitolo ti sia piaciuto e hai proprio ragione, per Charis sarà difficile avere a che fare anche con Kristen, ma vedrai presto cosa succederà, perché il viaggio si sta avvicinando. Grazie per i complimenti e per il tuo commento, ovviamente! *.*

sibylla: Non c'è stata cosa più bella che tu potessi dirmi, se non quella che il capitolo precedente è stato magico. Sarò io strana, che vengo ogni santa volta attirata da queste paroline che risvegliano qualcosa di immenso nel mio cuore, ma tutte le volte che qualcuna di voi mi dice qualcosa di simile, avrei solo voglia di avervi qui per potervi abbracciare e non sto scherzando, affatto. In questo caso, sono io che rimango senza parole, per cui, grazie moltissime per la tua recensione, per le tue parole e per il tuo sostegno e spero che questo capitolo ti piaccia <3

Ed ora, prima di tergiversare ancora una volta, sarà meglio che vi lasci in balia del nuovo capitolo!

 

 

Charis prendeva ormai parte a tutte quelle che erano le riunioni delle più famose compagnie di Londra e, si sa, parliamo di Robert e dei suoi amici, come la fidanzata di quest'ultimo.

Nonostante Robert fosse spaventato all'idea che qualche paparazzo li privasse della libertà di poter uscire tranquillamente la sera o che costringesse Charis a nascondersi, non si faceva problemi nel prenderla per mano o nel riservarle gesti intimi come quello di scostarle i capelli per sistemarglieli dietro l'orecchio. Baciarla era troppo rischioso e, il più delle volte, si era limitato a baci casti sulla guancia o sulla fronte che avevano in ogni caso il potere di destabilizzarla dal punto di vista emotivo tanto quanto un bacio sulle labbra.

Insomma, per i loro amici erano ormai una coppia dichiarata. 

D'altro canto, Charis, sebbene fosse ancora intimidita dall'intera faccenda e si mostrasse restia nei confronti della comitiva, era felice di essere stata accettata per quella che era e si era subito rincuorata quando aveva notato che nessuno degli amici di Robert aveva mostrato compassione quando aveva parlato della morte di Michael e della conseguente accusa da parte dei suoi genitori, o ribrezzo per la condizione nella quale era vissuta da quando aveva deciso di abbandonare New York. Aveva optato per la sincerità perché, tutto sommato, non aveva nulla da nascondere e non voleva che fossero costretti a cercare informazioni su di lei, facendosene un'idea totalmente sbagliata.

Le mancava il girovagare alla scoperta di angoli o piccoli spazi dove potesse raccogliersi nella sua musica, ma, ogni volta che osservava Robert e gli leggeva negli occhi la felicità che provava nell'averla accanto, non riusciva a pentirsi di quella insignificante perdita e poi, in ogni caso, le piaceva prendersi cura di lui, perché Robert era convinto che lei non stesse facendo altro. Fondamentalmente, sarebbe dovuto essere il contrario, perché Charis era ancora fragile e provata, nonostante la forza interiore che possedeva e che le permetteva di superare le difficoltà e di spianare la strada per continuare il cammino, ma ormai si era decisamente abituato alla sua personalità fuori dal comune e, pur di non farla arrabbiare, le lasciava campo libero.

< Cosa ti va di fare, stasera? Film e pop-corn? > Le chiese una delle ultime sere prima della partenza, sorridendo.

Charis annuì e lasciò che fosse lui ad occuparsi del film, mentre lei si accingeva a preparare lo spuntino.

La partenza la spaventava. Forse era perché sapeva di dover affrontare Kristen all'arrivo, o forse perché sperava che Robert cambiasse idea e la lasciasse lì, a vivere la sua vita di sempre, fatto sta che non era tranquilla e se non era tranquilla, poteva voler dire solo una cosa: non doveva affrontare quel viaggio, ma Robert era così testardo! Non sarebbe mai riuscita a convincerlo e poi come avrebbe sopportato la sua lontananza, sapendolo insieme ad un'altra ragazza a fare finta che non fosse successo niente?

Era sempre così: quando cercava di valutare tutti i contro che quella scelta comportava, automaticamente le si presentavano anche i pro, lasciandola ancora più confusa e in dubbio.

L'unica cosa di cui era sicura, era che si stava totalmente, irrimediabilmente innamorando di Robert e che, in un modo o nell'altro, questo non avrebbe fatto altro che provocarle sofferenza. In fondo, l'aveva previsto quando aveva accettato di seguirlo a casa, la mattina dopo la loro litigata, e si era ripromessa di essere forte e di saper, a qualunque costo, accettare la realtà, ma ora che quella realtà era vicina e cominciava a fare paura, non era più così sicura di saper affrontare il dolore.

E se avesse scelto Kristen? E se appena l'avesse rivista, si fosse reso conto di quanto le era mancata e non avrebbe atteso un istante prima di lanciarsi tra le sue braccia? Avrebbe dovuto recitare una parte che non le apparteneva e avrebbe dovuto fingersi felice per la coppia.

Quando riusciva a scacciare il demone nella sua testa che le risvegliava questi pensieri, riusciva persino a convincersi che Robert non sarebbe mai stato in grado di farle del male e che, glielo aveva promesso, non l'avrebbe mai lasciata. Charis sapeva meglio di chiunque altro, forse, che le promesse sono labili e devono superare mille ostacoli per poter essere mantenute. Anche Michael le aveva promesso, quando lei era ancora una bambina e lui soltanto il fratello maggiore, che non l'avrebbe mai abbandonata, che le sarebbe sempre stato vicino; aveva giurato e invece ora era volato a far compagnia agli angeli, come spiegava sempre sua madre a sua sorella e non avrebbe più potuto starle accanto. Non poteva certo incolparlo di non aver mantenuto la promessa, visto che non era dipeso da lui, ma, a volte, sentiva come un vuoto all'altezza del cuore, un vuoto che prima la presenza del fratello e quella promessa riuscivano a colmare.

Tirò su col naso e si diresse, scodella di pop-corn in una mano e due birre fresche nell'altra, nel salone, dove Robert aveva già fatto partire il dvd.

Gli si sedette accanto, posando la ciotola sul tavolino di vetro lì davanti, insieme alle due birre e sforzandosi di sorridergli.

Sospirò.

< Cos'hai? > Le domandò, aggrottando le sopracciglia e osservandola attento.

Sapeva fin troppo bene quando qualcosa non andava: Charis si chiudeva a riccio, sospirava, si sforzava di sorridere e parlava poco. Non che parlasse molto, in realtà, ma sembrava improvvisamente incapace di proferire parola e poi glielo leggeva negli occhi, vedeva distintamente quella macchia scura che oscurava la luce che solitamente emanavano.

Lei fece spallucce, indifferente.

Robert afferrò il telecomando, puntandolo contro la tv, e premette il tasto pausa. 

Charis lo guardò confusa.

< Perché hai messo in pausa? > Gli domandò.

< Perché non ho intenzione di vedere il film se prima non mi hai detto cosa c'è che non va. > Le rispose, serio.

< Non c'è niente che non va! > Ribatté.

< Charis, non le sai dire le bugie e poi ti conosco abbastanza bene da capirlo quando c'è qualcosa che ti preoccupa. > Le fece notare con arrendevolezza.

< E' che... semplicemente non sono del tutto convinta che dovrei partire con te. Insomma, lo voglio, certo, ma credo che non sia la cosa migliore per te. > Sbuffò, arresa all'evidenza della sua incertezza e del suo dubbio.

< Ne abbiamo già parlato, Charis. E' sicuramente la cosa migliore per me, credimi. > Si spettinò i capelli, imbarazzato.

< E se tu dovessi renderti conto che la ami, che per te non è solo una semplice amica? Se dovessi finire a fare il terzo incomodo? > Chiese, timorosa.

< Per Kris non potrò mai provare quello che provo per te, lo sai. > Le scostò una ciocca di capelli dal viso e gliela ordinò dietro l'orecchio destro.

< Ma come fai ad essere così sicuro che non proverai mai nulla per lei? Per i prossimi tre mesi ci lavorerai a stretto contatto! > Spiegò, sedendosi di fronte a lui nella posizione del loto e osservandolo quasi con furia.

< Ascolta, so che può sembrare assurdo, ma quando incontri la persona giusta, lo sai e basta, non c'è un perché, né una spiegazione. Avviene e basta ed io sono sicuro che tu sia la ragazza giusta. > Arrossì, ma non abbassò lo sguardo e lo tenne fisso nei suoi occhi azzurro scuro, bellissimi.

< Tu ti aspetti così tanto da me ed io... io non so se sono in grado di soddisfare tutte le tue aspettative, sai? > Sorrise appena.

< Io non mi aspetto niente da te, Charis, se non che tu ti convinca una volta per tutte che ho bisogno di te e che non ti lascerò scappare. > Le rispose, sorridendole di rimando e avvicinandosi al suo viso per baciarle dolcemente le labbra.

Doveva ammetterlo: non si era ancora abituata ai baci di Robert, né alle sue coccole o alle sue attenzioni. Era come ritornare bambini e scoprire il mondo un po' per volta, seguendo le indicazioni dei propri genitori. Lei stava scoprendo l'affetto sincero, quello che solo una persona speciale può donarti, quello che lei riusciva a paragonare solo a Michael.

Non se la sentiva di fare paragoni: Robert non era Michael, erano due persone completamente diverse che, tuttavia, si comportavano esattamente nello stesso identico modo con lei.

Charis gli si avvicinò, poggiando la testa sul suo petto e scivolando appena con il busto sul divano, per stare più comoda, allungando le gambe sotto il tavolino di vetro.

Robert le accarezzò la testa e le baciò i capelli, prima di far ripartire il film.

La scena televisiva venne occupata da una bimba bionda e da una donna, sua madre, probabilmente.

< Che film è? > Gli chiese, sottovoce.

< Shh! > Le baciò una tempia e sorrise.

Charis continuò ad osservare lo schermo anche quando l'inquadratura si spostò in un'abitazione disordinata, dalle pareti giallognole e dagli oggetti gettati alla rinfusa sul pavimento.

< Indubbiamente una casa di uomini. > Osservò con raccapriccio.

Robert rise, conscio che aveva ragione. Il suo appartamento a Londra, quello che aveva condiviso con Tom prima dell'arrivo del successo, ne era sicuramente una testimonianza valida.

< Ehi, ma quello sei tu! > Esclamò Charis, puntando il dito contro lo schermo e spalancando la bocca, stupita.

< Sono io, affermativo. > Rispose.

< Quindi questo è un tuo film! > Esplose, alzando lo sguardo su di lui.

< E pensa, l'ho girato nella tua città. > Aggiunse.

< Ma come...? Insomma, sembra abbastanza recente, no? E' già uscito il dvd? > Domandò.

< Beh... Allen, il regista, ha cominciato a mettere insieme le scene e a produrre una sorta di schizzo, una bozza e ha pensato di darne una copia ad ognuno degli attori per avere anche una loro opinione, quindi, tecnicamente, questo è il primo montaggio. > Spiegò pratico, scusandosi con lo sguardo.

Charis fece spallucce e tornò alla tv.

< E questo cosa significa? > Le domandò, curioso.

< Questo cosa? > Non capiva.

< Questa tua alzata di spalle, cosa significa? > Riprovò.

< Che va bene, cioè... mi piace che tu mi metta al corrente delle cose che fai. > Arrossì e abbassò lo sguardo.

< Mi spiace se ho approfittato della serata per "lavorare". > Imitò con le dita il simbolo delle virgolette.

< Non devi scusarti! E' sempre un film, no? E poi è qualcosa di nuovo, almeno, non uno di quei soliti, noiosi film, visti e rivisti in tv almeno un migliaio di volte. > Sbuffò, a riprova di quanto odiasse le numerose repliche, specialmente quelle natalizie, dei film più insulsi, quelli che la prima volta che li vedi fanno ridere, ma alla cinquantesima che li ripropongono, hanno perso tutto il loro divertimento.

< D'accordo, se a te va bene... > Rispose, tornando a guardare lo schermo anche lui.

Non fiatarono più per tutta la durata del film, neanche per chiedersi di passarsi la scodella dei pop-corn.

Charis si sentiva parte integrante di quel contesto cittadino: molte delle strade dove aveva camminato Robert/Tyler erano le sue preferite, quelle che prediligeva per le passeggiate pomeridiane, per non parlare di Central Park che era sicuramente una delle sue mete predilette, specialmente nei pomeriggi d'estate, quando potevi stenderti sull'erba a leggere un buon libro con sottofondo soltanto il vociare allegro dei bambini, le chiacchiere delle madri che spingevano i carrozzini e qualche schiamazzo che proveniva dal lago. Lo trovava estremamente rilassante. Anche a Michael piaceva quel posto.

Quando la sorellina di Tyler ripose le pietre sulla lapide del fratello, morto durante l'incidente delle Torri Gemelle, Charis pianse, silenziosamente, ma pianse. Le lacrime le facevano bruciare gli occhi e tracciavano una scia salata lungo le sue guance, una scia che automaticamente si asciugava, lasciando la pelle secca e umida.

< Ehi, piangi? > Le mormorò Robert, accortosi dopo qualche minuto soltanto delle sue lacrime e dei suoi singhiozzi.

Charis annuì e tirò su col naso.

< Oh, piccola, ti sei commossa! > Imitò la voce di una donna anziana, riuscendo a strapparle un sorrisino, stringendosela al petto e carezzandole i capelli.

< Era così tanto che non piangevo per un film, sai? > Gli confessò quando fu riuscita a riprendersi, mentre in tv scorrevano i titoli di coda del film, ancora approssimativi.

< Davvero? Dì la verità, hai pianto per la mia orribile interpretazione e non per il soggetto, confessa. > Sorrise dolce.

< Effettivamente... anche per quella. > Stette al gioco, prendendolo in giro e ricambiando il sorriso.

< Almeno hai confessato. > Si rallegrò lui, alzandosi per andare a recuperare il dvd dal lettore e rimetterlo nella custodia.

< Sei stato magnifico e dovresti davvero credere di più in te stesso. Hai talento. > Lo raggiunse e gli strinse le braccia intorno alla vita, prendendolo alle spalle e nascondendo il viso nella sua camicia profumata.

Robert si voltò, prendendole le mani e facendo in modo che le allacciasse intorno al suo collo; abbassò il viso sino a sfiorarle il naso con il suo.

< Grazie, futuro critico di cinema. > Le sorrise e poi unì le loro labbra in un bacio, solleticandole, leggero, i fianchi senza sollevare la sua maglietta leggera.

Si separò da lei per riprendere fiato, mantenendo gli occhi chiusi e conservando la sensazione di benessere e di morbidezza che solo quei baci erano in grado di trasmettergli, poi, la baciò di nuovo, avvertendo le mani di lei risalirgli la nuca e stringergli i capelli corti tra le sue dita sottili, quasi volessero strapparli.

La sospinse leggero contro la parete accanto alla poltrona, quella che divideva il salotto dal corridoio con le altre stanze, e continuò ad assaggiare la sua bocca, a nutrirsi del suo sapore dolce.

Charis lo lasciò fare. Quando Robert la baciava era come perdersi in un oblio fatto di zucchero e stelle luccicanti e lei, puntualmente, ne rimaneva stordita al punto che voleva soltanto assecondarlo il più possibile, lasciarsi modellare l'anima da tutto quel desiderio.

Robert continuò a baciarla anche quando cominciò a condurla in camera da letto, stretta al suo petto quasi potesse sfuggirle, la voglia di sentirla ancora più vicina, tanto che quando la sollevò appena per depositarla con delicatezza sul materasso morbido, ebbe la tentazione di tenerla in braccio, le gambe avvinghiate ai suoi fianchi, per tutto il tempo necessario affinché non fossero stati entrambi sazi di quelle carezze e di quei baci.

Si portò su di lei, mantenendosi con le braccia per non gravarle addosso, riprendendo a baciarle la pelle candida e morbida, che arrossiva appena al passaggio delle sue labbra. Sfiorò appena con la lingua la linea della mascella, poi seguì con il naso il profilo del collo, inspirando il profumo della sua pelle, divorandola di baci.

Charis si lasciò sfuggire un sospiro, mentre gli scompigliava i capelli con le mani e, implicitamente, lo pregava di continuare.

Robert scostò un lembo della maglia, scoprendole una spalla e mordendola per gioco, senza farle male, mentre intrufolava le dita sotto la stoffa e accarezzava la pelle nuda, disegnando forme astratte sulla sua pancia, intorno all'ombelico e poi più su, intorno al suo reggiseno semplice, strappandole qualche ansito.

Charis, immobile, non riusciva neanche a capire cosa stesse succedendo; era completamente nelle sue mani e poteva fare di lei ciò che credeva.

Non protestò nemmeno quando la costrinse a sollevarsi seduta per sfilarle la maglia, spingendola dolcemente contro il materasso l'istante successivo e cominciando ad esplorare la pelle con le labbra calde e rosse.

Le scostò appena la bretella del reggiseno, lasciando che ricadesse lungo il braccio e, istintivamente, Charis si coprì con entrambi gli arti, come una bimba di fronte al dottore che la visita per la prima volta.

Robert se ne accorse e le sorrise, baciandole una guancia e cercando di tranquillizzarla.

< Non vuoi che ti guardi? > Le domandò, la voce arrochita dal piacere.

Charis lo osservò e dovette ammettere che era uno spettacolo: a causa della foga nei movimenti più della metà dei bottoni della camicia che indossava si erano slacciati, lasciando intravedere una porzione di pelle abbastanza ampia, aveva i capelli spettinati a causa del ripetuto passaggio delle sue mani tra di essi, le guance arrossate e gli occhi più scuri, desiderosi e passionali.

Scosse la testa e distolse lo sguardo.

< Cosa c'è che non va? Hai paura? > Le accarezzò la fronte con due dita, delicato e prudente.

Non voleva spaventarla e sapeva che per lei, quella, era la prima volta.

< Non... non credo di essere pronta. Non ancora. > Sussurrò, temendo una reazione che non arrivò, perché Robert le sorrise soltanto e le rialzò la bretella del reggiseno, sollevando le coperte e nascondendo il suo corpo alla vista.

< Scusa. > Sentiva che non si era arrabbiato, ma voleva comunque fargli capire che le dispiaceva.

< E di cosa? La prima volta è una cosa seria. > Le baciò la fronte e si sedette lì accanto, sul letto, sbottonandosi completamente la camicia e facendola scorrere giù lungo le braccia, prima di lanciarla sulla sedia lì davanti e recuperare la solita maglietta che usava per dormire.

Seppure con impaccio, anche Charis decise di liberarsi dei jeans e, infilatasi nuovamente la maglia, si stese sotto le coperte definitivamente e si voltò verso di lui.

Robert la guardò e le sorrise di nuovo, tranquillizzandola.

Come poteva essere arrabbiato con lei se lo osservava in quel modo, se sapeva bene che anche lei lo voleva enormemente, ma semplicemente ancora non se la sentiva di dimostrarglielo fisicamente, se aveva letto nei suoi occhi chiari la stessa passione?

< A cosa pensi? > Gli domandò in un sussurro, avvicinandosi a lui e sfiorandogli le gambe con un ginocchio, inconsapevolmente. Robert dormiva sempre in boxer e maglietta e fino a quel momento non era mai stato un problema, ma ora il solo pensiero che avesse anche solo le gambe scoperte, la mandò in confusione e la fece arrossire, ma non si scostò e nemmeno lui.

< Penso che è bello che tu sia qui, stanotte. > Le rispose sincero.

Charis gli si raggomitolò accanto, incastrando una gamba tra la sua e rilassandosi, mentre Robert le circondava la vita con un braccio e le baciava una tempia dolcemente, cullandola come una bimba.

< Sei bellissima, Charis e ancora non te ne rendi conto. > Le mormorò, quasi fosse un segreto, qualcosa che non avrebbe voluto dire.

Lei strofinò la guancia sulla sua maglietta e chiuse gli occhi, non sapendo ancora cosa rispondere e sentendosi in difficoltà.

< Anche tu sei bellissimo. > Riuscì a rispondere dopo qualche istante.

Robert sorrise e la strinse a sé un po' di più.

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Capitolo 11
*** Goodbyes hurt ***


Salve ragazze! Oggi non ho molta voglia di tergiversare in discorsi inutili, perciò, vado al sodo e passo subito ai ringraziamenti xD:

_Miss_: *.* sono contenta ti sia piaciuto il capitolo scorso e sono ancora più contenta che ti sia piaciuto l'atteggiamento di Rob. So che molti ragazzi, al giorno d'oggi, non si comportano così, ma io sono rimasta ancora un po' bambina sotto questo aspetto e sogno ancora il principe azzurro, ecco perché molti degli atteggiamenti di Rob rispecchiano quelli del mio ragazzo ideale xD. Grazie mille per la recensione e per il sostegno continuo. Smack!

 

sibylla: *muore* Allora è proprio vero che mi vuoi morta! xD! Mi dici che sei rimasta senza parole, che quello precedente è stato uno dei tuoi capitoli preferiti in assoluto, che la mia Ff ti fa sognare, che la parola magico è troppo poco per descrivere il capitolo, e tu ti aspetti davvero che io non muoia seduta stante sulla sedia?!? O_o! No, ok, sono collassata, il che è ben diverso! xD! Tu mi onori, nel vero senso della parola, perché detto da te che scrivi divinamente, non può essere altro che questo, un onore *.* Grazie della recensione e del sostegno costante, non so cosa farei senza le tue recensioni... Smack!

 

Non mi resta che dirvi: Enjoy!

 

 

 

Lei odiava le partenze. Anche gli arrivi, se proprio doveva essere sincera, ma odiava di più le partenze. Odiava il trambusto degli aeroporti, sempre stipati di gente di ogni razza e di ogni età che si affannava a controllare l'orario del proprio mezzo sugli enormi tabelloni luminosi alle pareti. Odiava i dibattiti che nascevano nel caso in cui qualcuno tentava di superare ingiustamente la fila. Odiava le hostess che atterravano con i loro mini trolley al seguito che sembravano percorrere l'intero aeroporto come fosse una pista su cui sfilare. Odiava i bambini che correvano da tutte le parti e le rispettive madri che tentavano di raggiungerli. Odiava i pianti di tutti quelli che erano costretti ad abbandonare coloro che amavano. Odiava quell'inutile biglietto che le avrebbe permesso di salire a bordo e che ora stringeva in mano con foga eccessiva.

Odiava dire addio a Londra e, forse, anche al suo amore per Robert. O forse sarebbe stato meglio dire affetto, non amore. 

Robert le aveva prestato un borsone e lei, docile, la sera prima, aveva ordinato lì dentro tutti i suoi vestiti, che non erano molti e aveva richiuso la cerniera, buttando via l'ormai consunta busta rosa. Aveva messo la chitarra in spalla, come uno zainetto e, anche se sembrava essere più grande di lei, come le aveva fatto simpaticamente notare Robert, lei, almeno, aveva l'illusione di potercisi nascondere.

Non che volesse farlo, solo che tutta quella gente la mandava in paranoia.

< Avete già fatto il check-in, siete liberi da pesi scomodi, possiamo andare a fare colazione? > Aveva ribadito, sarcasticamente, Tom che si era gentilmente offerto di fare compagnia ad entrambi prima della partenza.

Nick, il manager di Rob, li seguiva a breve distanza, impegnato in una conversazione alquanto animata al cellulare.

< Pensi solo a mangiare! > Lo rimproverò con un sorriso Robert.

< Beh, dovreste anche voi! La colazione è il pasto più importante della giornata! > Brontolò contrariato, incrociando le braccia al petto.

Charis continuò a stritolare il suo biglietto tra le mani con la voglia di appallottolarlo e di lanciarlo nel primo cestino disponibile. Prestava poca attenzione a quello che avveniva intorno a lei, compresi i discorsi dei due ragazzi al suo fianco.

< E va bene! Non ho intenzione di sentire le tue lamentele per un'altra ora! > Robert alzò gli occhi al cielo e si diresse verso uno dei tanti bar che affollavano l'aeroporto che,Fortuna volle, fosse semivuoto.

Si sistemarono ad un tavolo nell'angolo più remoto del locale e si abbandonarono sulle sedie.

Nick si arrestò vicino ad uno dei tanti check-in in corso, una mano sul fianco e il viso infiammato dalla rabbia, mentre continuava ad inveire contro l'interlocutore al cellulare.

< Io vado in bagno. > Annunciò Charis quando finirono di ordinare e subito si alzò dalla sedia e si diresse verso destra, incontro all'unica porta che recava l'indicazione WC.

Non era poi così traumatico, no? Aveva viaggiato molto in quell'ultimo periodo e Rob aveva ragione: a Londra o a Vancouver che differenza faceva?

Prese un bel respiro e si appoggiò al lavandino, la voglia di vomitare e di tornare a casa.

Lo specchio opaco rifletté la sua immagine e Charis si ritrovò a pensare che in quel momento assomigliava molto a quella che era stata all'età di dieci anni. Aveva lo stesso sguardo spaurito e lo stesso colorito pallido di quando, per la prima volta, i suoi genitori l'avevano accompagnata dal dentista. L'odore di disinfettante le aveva dato alla testa e il viso troppo burbero del medico l'avevano fatto vomitare nel cestino della sala d'aspetto sotto lo sguardo compassionevole di una signora anziana che stava sfogliando una rivista e di quello divertito di suo fratello che, l'istante dopo, l'aveva presa in braccio e aveva cercato di distrarla.

Peccato che non ci fosse nessuno a farlo in quel momento. Il respiro le si accelerò e lei dovette chinare la testa per cercare di frenare il capogiro.

< Charis, tutto bene? > La voce di Robert le arrivò ovattata per via della porta pesante.

Non rispose perché non voleva mentire.

< La colazione si fredda. > Lo sentì continuare.

Aprì il rubinetto e si sciacquò le mani, poi, lo richiuse.

< Charis! > Odiava anche il suo nome in quel momento e odiava Robert che l'aveva costretta a partire con lui.

Si trattenne dallo sferrare un pugno allo specchio, mentre le lacrime le riempivano gli  occhi, segno inconfutabile della sua stupida idiozia.

< Ehi, che succede? > Questa volta la voce di Robert non era più ovattata ed arrivava distintamente da dietro di lei. Le sarebbe bastato voltarsi per incontrare il suo viso perfetto, invece, si limitò a sollevare lo sguardo verso la superficie riflettente di fronte a lei. Robert aveva un'aria preoccupata e accigliata e le aveva posato una mano sulla spalla a mo' di conforto.

Rimasero in silenzio per qualche istante, fin quando Charis non si risollevò del tutto, allontanandosi dal suo tocco e dal suo viso per raggiungere il dispenser di asciugamani usa e getta. Sfilò due fogli di carta spessa e si asciugò le ultime gocce d'acqua sulle mani.

Robert seguì le sue azioni, scrutandole il viso con attenzione, poi, quando lei era già sul punto di aprire la porta per ritornare nella sala del locale, le afferrò un polso e la costrinse a voltarsi verso di lui.

< Voglio sapere quello che succede, Charis. > Le disse, freddo.

< Niente. > Rispose lei, facendo spallucce e ricacciando indietro le lacrime che minacciavano di sopraffarla ancora.

< Non sai dire le bugie, lo sai. > Quasi sorrise.

< Odio gli aeroporti. > Il che era vero.

< C'è dell'altro, vero? > Ebbe voglia di allungare una mano e riordinarle i capelli, ma non lo fece. Rimase immobile, gli occhi puntati nei suoi.

Charis, invece, distolse per un attimo lo sguardo e sospirò arresa; era al corrente che poteva difficilmente nascondergli qualcosa, ma credeva che l'eccitazione per il viaggio e l'impazienza del dover rivedere i propri compagni di set, avrebbe smorzato la sua capacità di leggerle le emozioni solo attraverso uno sguardo.

< Vorrei restare. > Ammise, fingendo di non vedere la sfumatura triste che gli occhi di Robert avevano assunto.

< Pensavo la tua fosse solo paura. Credevo che ti spaventasse il fatto di potermi... perdere, una volta rivisto Kristen. > Abbassò lo sguardo ed ebbe voglia di piangere, invece, si limitò a scuotere la testa, dandosi mentalmente dell'idiota. Forse Charis aveva paura, sì, ma solo di un altro addio, di dover abbandonare di nuovo tutto per ricostruirlo in un'altra città.

Charis gli prese una mano con dolcezza, facendo in modo che rialzasse lo sguardo su di lei e la smettesse di sentirsi in colpa.

< E' così, ho paura di perderti, ma ho ancora più paura di ricominciare. > Confermò i suoi pensieri.

< Ma io ti sarò vicino. > La sua voce risuonò disperata tra le piastrelle immacolate del bagno delle ragazze.

Charis sorrise lieve.

< Sì, ci sarai, ma solo fisicamente. Prima o poi sarai troppo impegnato con le riprese per badare alle mie inutili lamentele. > Tentò di spiegarsi.

< Quindi... non vuoi venire... > Mormorò, carezzandole il viso con lo sguardo.

Lei scosse la testa. Il suo posto non era lì, con lui. La sua casa era diventata la strada, ormai e se doveva essere infelice e distruggere l'entusiasmo di Robert, tanto valeva non partire affatto.

< Io sono perso senza di te. Ho bisogno di saperti vicina. Non sopporto l'idea di non poterti rivedere per tre mesi. > Scosse la testa anche lui, mentre il suo cuore perdeva un battito e accelerava la sua corsa.

Charis si morse un labbro per non cominciare a piangere, mentre ancora stringeva la sua mano affusolata e calda. Gli addii facevano male, ecco perché li odiava. Sapeva meglio di chiunque altro quanto potessero strapparti il cuore e ridurlo a brandelli; ci era passata anche con Michael, perché l'evidenza che lui non sarebbe tornato, l'impossibilità di sentire ancora la sua voce, la sua risata, di vederlo lanciare le sue occhiate truci, l'aveva colpita in pieno petto come una pallottola e lei si era ritrovata inerme a subire il colpo, stringendo i denti e andando avanti, anche se faceva male e bruciava e lei si sentiva persa e spoglia come un albero autunnale.

Non sapeva cosa rispondere, ancora troppo impegnata a cercare di contrastare le gocce salate che minacciavano di scorrerle lungo il viso e rimase in silenzio, in attesa.

< Charis, ti prego... ti lascerò tornare indietro se vorrai, ma ti prego, vieni con me adesso. > Robert aveva la voce rotta dal pianto che faticava a nascondere e il suo era solo un mormorio quasi indistinto, eppure, Charis lo avvertì comunque, specie perché i suoi muscoli si tesero, il suo cuore cominciò a pompare più sangue nelle vene, accelerando e le lacrime le bagnarono le guance.

Si sentiva debole e disorientata, come se avesse corso per miglia senza mai fermarsi, la testa le doleva ed anche il cuore e quando il pianto si trasformò in tremiti e singhiozzi, Robert l'attirò a sé, contro il suo petto.

Stringeva un lembo della sua maglia con forza e ne inspirava l'odore al tempo stesso, quell'essenza che era soltanto sua e di nessun altro e che lei avrebbe riconosciuto tra mille.

< Ragazzi, si può sapere cosa diavolo combinate lì dentro? L'aereo parte tra poco più di venti minuti e la colazione si sta freddando, forza! > La voce di Tom li riportò indietro, alla realtà, facendoli sobbalzare dallo spavento.

Charis lo lasciò andare, tirando su col naso, mentre Robert si preoccupava di sistemarle i capelli dietro le orecchie e di sorriderle, anche se il suo cuore lacrimava.

< Vai, arrivo tra un minuto. > Gli disse, riavvicinandosi al lavandino.

Robert aprì la porta, desolato e il volto di Tom, già pronto all'ennesima battuta maliziosa, si spense all'istante, facendo posto ad un'espressione preoccupata a cui Robert non si degnò di dare risposta.

Sedettero al tavolo e mentre Robert si rigirava tra le mani il suo bicchiere di caffè americano e giocherellava con la bustina di zucchero, Tom non poté fare a meno di notare che aveva pianto.

Sapeva che il suo migliore amico era estremamente sensibile, insomma, quantomeno, più sensibile di qualsiasi altro ragazzo di sua conoscenza, ma non pensava che l'avrebbe mai visto piangere per una ragazza. Charis si portava dietro il suo bagaglio di malinconia e tristezza da sempre, perciò era normale vederla abbattuta, ma Robert, sempre così solare e scherzoso, davvero non ce lo vedeva a fare la parte dell'emo complessato ed enigmatico.

Quando Charis tornò al tavolo, lanciandogli appena un'occhiata e tentando di mettere su un sorriso poco convincente, capì definitivamente che c'era qualcosa che non andava, ma non chiese niente e attese.

Lei terminò il suo muffin al cioccolato e il suo cappuccino e Robert la sua tazza di caffè, in silenzio.

Mancavano dieci minuti alla partenza dell'aereo e Nick trovò più saggio cominciare ad avviarsi al gate giusto, per evitare che la folla dell'ultimo minuto creasse scompiglio.

< Allora, Rob, amico, ci rivediamo a Natale, no? > Tom sorrise e lo abbracciò, incoraggiandolo come sempre con qualche affettuosa pacca sulla spalla.

< Odio dover passare il Natale con te, lo sai, Sturridge? > Scherzò, abbassandogli il berretto sugli occhi.

< Anche io! E' per questo che lo passiamo insieme, dico bene? > Rise.

< Già, è vero. > Asserì Robert, alzando le mani in segno di resa.

< Charis, è stato un vero piacere conoscerti. Mi raccomando, non viziarlo troppo. > Le sussurrò in un orecchio, abbracciandola brevemente.

< E' meglio andare, ragazzi. L'hostess è già qui ed è meglio che prendiamo posto prima che l'aereo si riempia. > Nick sorrise a Tom e spinse Robert e Charis verso la signorina che attendeva paziente di controllare i loro biglietti.

Dopo un'ultima occhiata, Charis si disse che, in fondo, poteva sempre far finta che quello non fosse altro che uno dei suoi viaggi, di quelli che l'avrebbero portata via per qualche tempo e le avrebbero permesso di conoscere qualcosa di più del mondo.

Seguì Robert all'interno del corridoio metallico che li avrebbe condotti sul velivolo e salutò cordiale le hostess in attesa dei passeggeri.

Individuarono i loro posti e si misero comodi.

Charis allacciò già la cintura e spiò oltre il finestrino, sebbene non si vedesse altro che l'asfalto della pista e qualche pilota.

< Hai paura di volare? > Le domandò Robert con un sorriso.

< E' quello per cui siamo stati creati, perché dovrei avere paura? > Rispose, facendo spallucce.

< Ma non abbiamo un paio di ali legate dietro la schiena. > Osservò lui di rimando.

< Fisicamente no, ma mentalmente potremmo sconfiggere anche quella barriera. > Ribatté lei.

< E tu riesci a farlo? > Aggrottò le sopracciglia in maniera buffa e la osservò.

< Da quando ho incontrato te, sì. > Incrociò i suoi occhi e sorrise.

 

Charis non si sentiva affatto a suo agio in quell'albergo di lusso. Robert le aveva detto che di solito era lì che li sistemavano in attesa che le roulotte fossero pronte, ma a lei quel posto non piaceva.

Era tutto finto. 

Lo capiva dall'espressione statica e dalla postura rigida dei ragazzi alla reception e dalla finta buona educazione con cui i signori seduti al tavolo da gioco si impegnavano a discorrere con gli avversari.

Le stanze di tutti i membri del cast erano collegate da una porta di legno chiaro e a lei era stata affidata quella accanto a Robert, che non solo comunicava con la camera di quest'ultimo, ma anche con quella di una certa Nikki, una ragazza che aveva avuto modo di intravedere seduta sui divanetti di fronte l'ascensore e che le era parsa subito simpatica.

Il ragazzo che l'aveva accompagnata alla sua stanza fece un piccolo inchino e si chiuse la porta alle spalle, lasciandola sola.

Non aveva ancora avuto il coraggio di entrare pienamente nella stanza e aveva optato per starsene lì, sulla soglia, a meravigliarsi dei tendaggi sontuosi alle finestre e al piccolo balconcino, del letto a baldacchino dal copriletto color oro, dei vasi antichi posizionati su mensole di vetro e pieni di fiori freschi, della moquette color porpora perfettamente pulita e dei quadri alle pareti: dipinti di un pittore che non conosceva, ma che sapeva bene come impressionare.

Fece un passo verso il letto a baldacchino e poi un altro e un altro ancora, fino a posare la borsa da viaggio a terra, vicino al comodino, per sedersi su quegli strati di stoffa immensamente soffici e pensare che, anche se non era lì che voleva stare, ci si sarebbe abituata.

Non ebbe neanche il tempo di assimilare il pensiero, che qualcuno bussò alla porta e lei, immaginando che fosse Robert, corse ad aprire.

E lei era lì, esattamente di fronte a Charis.

Non era molto alta, ma aveva il fisico asciutto e magro, come il suo, i capelli neri, corti e sbarazzini e gli occhi verde prato, magnetici.

Seppe che si trattava di Kristen, non perché Robert era accanto a lei e le stringeva la mano, ma perché l'aveva sempre immaginata così, nemmeno lei riusciva a spiegare come fosse possibile.

Kristen alzò una mano in segno di saluto e sorrise impacciata, mentre Charis distoglieva lo sguardo da lei per posarlo su Robert che si stava passando la mano libera nella chioma più o meno folta.

< Charis, lei è Kristen; Kristen, lei è Charis, la mia amica... d'infanzia, te ne ho parlato qualche volta. > Ruppe il ghiaccio lui. Se Charis non era in grado di dire le bugie, nemmeno Robert lo era, ma forse Kristen non riusciva a leggergli negli occhi come invece faceva lei, e non se ne accorse.

< E' un piacere. > Kristen le tese la mano e lei fece altrettanto, stringendogliela e cercando di sorridere.

Non riusciva ad odiarla, perché sembrava essere fragile tanto quanto lei, bisognosa d'affetto e di protezione.

< Il piacere è mio, Robert mi ha parlato molto di te. > Rispose, cercando di essere convincente.

< Noi andiamo a mangiare, vuoi unirti a noi? > Robert arrossì appena e poi le sorrise nervoso.

L'occhiataccia che gli rivolse Kristen sembrò non sfiorarlo nemmeno.

< Meglio di no, ho... da sistemare la mia roba, sì e poi voglio andare a letto presto, i fusi orari mi scombussolano sempre un po'... > Rispose, facendo spallucce.

< O-ok, allora ci vediamo domani, magari. Buona notte. > Charis lo vide indeciso.

< Buona notte e divertitevi. > Sorrise e chiuse la porta, appoggiandovisi contro e sospirando.

Sapeva che fosse avventato seguire Robert, ma non immaginava certo fino a quel punto.

Kristen voleva soltanto passare del tempo sola con lui ed era concepibile, visto che erano settimane che non si vedevano, mentre lei, estranea ed inutile presenza, sarebbe stata costretta a segregarsi in albergo fin quando qualcuno non si fosse accorto della sua presenza.

Aveva di nuovo voglia di fuggire via.

Si svestì velocemente e provò a mandare via il senso di inadeguatezza con una doccia calda, invano.

Si pettinò i capelli e se li asciugò, indossò la biancheria pulita e la sua vecchia maglia e impiegò circa cinque minuti a lavarsi i denti; tutto pur di non pensare.

Si infilò sotto le coperte e spense la luce, immergendo il viso tra i cuscini morbidi che odoravano di vaniglia e pensò a quella volta quando sua madre era incinta di Marianne e mancavano pochi giorni al parto. Era andata a dormire alla stessa ora di sempre, poi, a notte fonda, suo padre l'aveva svegliata e le aveva detto di vestirsi in fretta perché la mamma stava per partorire e avrebbero dovuto portarla in ospedale.

Non aveva fatto caso al trambusto generale per tentare di prendere tutto l'occorrente, si era messa in un angolo del salotto e aveva aspettato che suo padre le dicesse di andare in macchina. Anche allora si era sentita inutile.

Chiuse gli occhi e provò ad addormentarsi, ma dopo venti minuti, poté constatare di essere ancora sveglia e di non avere nessuna voglia di dormire.

Accese la televisione e le voci gracchianti di una sit-com le tennero compagnia fin quando, dalla porta di legno chiaro, non sbucò il viso di Robert.

Aveva sussurrato il suo nome e Charis si era voltata spaventata, riconoscendolo appena nel buio fitto.

< Posso? > Le aveva chiesto.

< Certo, sì. > Aveva risposto.

Robert era vestito del pigiama (Charis notò che, questa volta, aveva indossato anche i pantaloni e non soltanto la maglietta) e si intrufolò svelto sotto le coperte accanto a lei, rabbrividendo per il freddo.

< Già di ritorno? > Gli chiese divertita.

< Non volevo lasciarti sola troppo a lungo. > Si giustificò con un'alzata di spalle.

< E Kristen? Non... voleva stare da sola con te, stanotte? > Non che le interessasse, ma aveva pensato davvero che si sarebbero rivisti solo il giorno successivo, a colazione.

< Le ho detto che ero stanco e volevo riposare. > Charis lo vide arrossire e scompigliarsi i capelli e lei credette di sciogliersi per la sua innocenza e bellezza.

< Non devi evitarla per me. Non è giusto. > Lo rimbrottò, anche se era felice che avesse scelto di passare la notte con lei, come a Londra.

< Non sarà mai quello che sei tu per me, Charis, mettitelo in testa. > Le mormorò, sfiorandole le labbra con le sue.

< Continui a starci insieme, però. > Gli fece notare. Non era un rimprovero, solo la semplice verità.

Robert sospirò e Charis si pentì immediatamente di quella constatazione.

< E' complicato e poi non voglio ferirla. Ne ha già passate tante. > Si difese con un sorriso spento.

< Una di noi due sarà costretta a farlo. > Disse lei, sussurrando e volgendo lo sguardo alla televisione ancora accesa.

< Cosa? > Robert sgranò gli occhi, impaurito.

< A soffrire. Prima o poi dovrai dirle la verità, oppure dire addio a me. In ogni caso,

una di noi due soffrirà. > Spiegò.

Robert rimase in silenzio, pensieroso. Aveva aggrottato le sopracciglia e stretto gli occhi in due fessure.

Il suo cervello stava rielaborando quella frase, forse nel tentativo di non farla risultare così drastica.

In ogni caso, una di noi due soffrirà.

Aveva ragione, ovviamente, perché Charis aveva sempre ragione, eppure non sarebbe riuscito a dirle addio e il pensiero di far soffrire Kristen, lo angustiava.

Si voltò a osservarla e pensò che in particolare quella sera, era stranamente candida, come un petalo di quei fiori che sua madre adorava, i Lilium o più comunemente gigli: resistenti al freddo, ma immensamente delicati e puri.

Chissà se profumava anche come quei fiori.

Le si avvicinò per scoprirlo, silenziosamente, anche se quando la punta del suo naso stava per sfiorare la pelle del collo di lei, Charis si voltò sorpresa, poi, capendo le intenzioni di Robert, sorrise appena e lo lasciò fare e lui poté finalmente verificare il suo profumo che, strano, non aveva niente a che fare con i gigli.

Era salsedine mista all'odore di erba bagnata e terriccio subito dopo un forte acquazzone.

Le baciò la pelle candida e le poggiò una mano sulla spalla per avvicinarla a sé ancora un po'.

Charis chiuse gli occhi e si beò di quel tocco delicato che, quasi all'improvviso, era risalito alla sua guancia e poi alla sua tempia, fino all'attaccatura dei capelli.

Robert le accarezzò il viso come se fosse fatta di porcellana finissima e con un indice, delineò le curve delle sue labbra, pregustandone il sapore.

La baciò lentamente, deliziandosi di anche il suo più piccolo movimento, a partire dai brividi che sapeva le stavano correndo giù lungo la schiena e le braccia.

< Tu vuoi farmi morire. > Gli mormorò quando si separarono.

< Io voglio continuare a farti volare, è diverso. > Le sorrise e appoggiò la fronte alla sua, sorridendo.

< Sono già ad una quota sufficientemente alta da non permettermi di precipitare, ma grazie del pensiero. > Soffiò, baciandolo brevemente per una seconda volta.

Le due parole che avrebbe tanto voluto dirle, gli rimasero impigliate in gola mentre la stringeva al suo petto e la cullava come una bambina.

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Capitolo 12
*** Maybe I have to give up and come home ***


Salve! Aggiorno in fretta, eh? Ogni tanto devo ammetterlo, dò retta alla mia buona volontà e mi affido solo e soltanto a lei e siccome è da questa mattina che avevo voglia di postare, ora lo faccio e spero di farvi contenti xD.

Passo a ringraziare, come al solito, le stupende stelline che commentano, ovvero:

sibylla: Non so quanto questo capitolo ti farà esaltare perché è al quanto di passaggio e si ripetono sostanzialmente cose che già si sono dette, ma sono felice tu sia rimasta contenta dell'11°, perché mi sentivo molto ispirata quando l'ho scritto *.*. Charis, purtroppo, fa la difficile, soprattutto con Robert, perché si è vista strappare via davanti agli occhi suo fratello e crede che possa succedere la stessa cosa con Robert e, fondamentalmente, è quello che Kristen, anche se inconsapevolmente, sta facendo. E' paranoica quasi, se non di più, di lui ù_ù. Al solito, mi inchino davanti ai tuoi commenti che mi fanno arrossire e spero che questo capitolo ti piaccia al pari dei precedenti *.*

_Miss_: Addirittura ti faccio sognare?!? O_o! Ma io sono onoratissima di farlo e, se posso, di continuare a farlo, perché è un po' il mio intento quello di farvi sognare, quindi grazie mille per le tue preziose considerazioni e sono felice che quel pezzo ti sia piaciuto particolarmente, perché è anche uno dei miei preferiti (strano -.-"). Ancora grazie del commento e della costante partecipazione, spero che questo capitolo ti soddisfi quanto il precedente *.*.

 

Lo ripeto qui, onde evitare lanci di pomodori (xD): questo è soltanto un capitolo di passaggio, dove non accade nulla di fondamentalmente importante, ma che, al tempo stesso, serviva per chiarire i pensieri di Kristen circa la nuova comparsa (Charis), quelli di Charis e, perché no, anche quelli del nostro Rob.

 

Detto questo, ENJOY! <3

 

 

Un tramestio e un'imprecazione mormorata la svegliarono. Inizialmente riuscì soltanto a mettere a fuoco le tende del baldacchino, scure per via del sole che non era ancora sorto. La televisione era stata spenta e la sveglia sul comodino segnava le cinque e un quarto di mattina. Sospirò e si voltò verso destra, convinta che il tramestio provenisse da Robert. Quest'ultimo, infatti, era seduto sul letto, già completamente vestito e si stava massaggiando un polso.

< Oh no, ti ho svegliata. > Si voltò verso di lei e sospirò rassegnato.

Charis sorrise.

< Non importa. Dove vai? > Gli chiese in un sussurro appena udibile.

< Oggi è il primo giorno di riprese. Solitamente cominciamo alle sei, ma dobbiamo essere lì un po' prima per via del trucco. > Spiegò, scompigliandosi i capelli con una mano e sbadigliando.

< Vuoi che venga anch'io? > Gli domandò, mettendosi seduta e stropicciandosi un occhio.

< E' presto, potresti continuare a dormire... > Le sorrise nel buio e le accarezzò una ciocca di capelli setosa e profumata.

< L'unica cosa che voglio è stare con te, lo sai. > Mormorò, scostando le coperte e cercando di individuare a tentoni le sue Converse.

Le parole che si era sentito dire da lei quella notte continuarono ad echeggiargli nella testa e nelle orecchie, come un mantra.

E se, per colpa sua, le avesse allontanate entrambe? Se non fosse stato in grado di gestire la situazione e avesse lasciato che se ne andassero, lasciandolo solo e con l'amaro in bocca per aver fatto l'ennesima stronzata?

La osservò vestirsi, pettinarsi e poi correre in bagno. Distinse il rumore gradevole e rilassante dell'acqua che scorreva e si distrasse ad osservare il lato del letto dove aveva dormito lei, ancora tiepido.

Ci passò un palmo sopra per saggiare quel calore e seguì con le dita anche la più piccola delle pieghe che il suo corpo aveva creato sul lenzuolo, adattandosi ai suoi movimenti. Charis e Kristen erano diverse, ma simili al tempo stesso. Erano entrambe fragili ed entrambe avevano sofferto. Per motivi differenti, certo, ma il dolore, la sofferenza, non fa distinzioni; è sempre la stessa, da qualunque punto la si guardi e fa male e brucia allo stesso modo.

I giornali, per mesi, non avevano fatto altro che ripetere che c'era del tenero tra lui e la Stewart e ben presto aveva cominciato a convincersene, fino a quella sera a casa sua in cui avevano fatto l'amore e alla mattina successiva, quando lui le aveva dato una possibilità. Kristen si era fidata di lui, gli aveva consegnato il suo cuore per medicarlo e lui, inizialmente, aveva ricucito tutti i tagli, disinfettato le ferite più superficiali e applicato un bel cerotto, ma poi il pensiero di Charis si era fatto sempre più insistente, la voglia di conoscerla meglio, di scoprirla, era diventata l'unica cosa che gli interessava davvero. E più passava del tempo con lei, più si vedeva coinvolto dalla bellezza candida che era, più riscopriva la voglia di lei che ancora nutriva, più sentiva, allo stesso tempo, crescere il disinteresse che avvertiva per Kristen e tutto ciò che la riguardava. Come la sera prima.

Non gli erano mai piaciuti i locali troppo affollati, ma Kristen aveva insistito perché, sosteneva, non li avrebbero riconosciuti e Robert, dopo un giro in pista, aveva dovuto darle ragione, eppure era come se avesse vissuto quella serata fuori dal suo corpo, completamente estraneo a quello che succedeva intorno a lui.

Kristen l'aveva trascinato a ballare e lui aveva accettato passivamente; aveva ricambiato i suoi baci con poco fervore e più volte si era ritrovato ad abbandonarle la mano che lei gli aveva prontamente afferrato, perché infastidito dal contatto.

Charis era l'unica che riusciva a completarlo, le loro anime erano affini e parlavano la stessa lingua, avevano gli stessi desideri.

< Andiamo? > La voce della stessa Charis lo riportò alla realtà, facendolo sobbalzare quasi dallo spavento.

Annuì, la testa da un'altra parte e si alzò per seguirla fuori dalla stanza, qualche raggio di sole che già cominciava a fare capolino tra le tende pesanti.

L'aria del mattino era frizzante e odorava di erba e bagnato.

Era uno dei pochi odori che Charis adorava, perché le permetteva di ricordare che la città non era soltanto un ammasso di macchine e fabbriche che scaricavano nei fiumi i loro rifiuti inquinanti e che ammantavano il cielo di quella spessa coltre grigia che lo rendeva opaco e malinconico.

L'albergo era circondato di alberi folti, inumiditi dalla notte appena trascorsa e il cielo era stranamente limpido, neanche una nuvola.

Erano usciti tutti insieme dalle porte scorrevoli: lei e Robert, Kristen, Nikki, Jackson, Kellan e Taylor, un ragazzo dalla carnagione scura e dagli occhi vispi e si erano diretti verso le macchine della produzione già posteggiate all'ingresso. Aveva lasciato che Robert seguisse Kristen e Nikki nella prima vettura e lei si era intrufolata in quella già occupata da Taylor e Ashley che non aveva avuto modo di notare all'ingresso.

< Ash sei peggio di un fantasma! Non potevi aspettarci alla reception come una qualunque umana? > Taylor alzò gli occhi al cielo e Ashley rise divertita.

< Mi piace prendervi di sorpresa. > Fece spallucce, poi, con uno scatto improvviso, si voltò verso Charis e le tese la mano, cordiale. < Io sono Ashley. Ho sentito dire che sei una vecchia amica di Robert, eh? > A quanto pareva, neanche una notte e tutti la conoscevano già.

< Sì... direi di sì. > Balbettò in risposta Charis, arrossendo.

< Sai che hai dei bellissimi occhi? Sbaglio o sono grigio-azzurri? > Continuò, scrutandola più attentamente.

< Azzurri, più che altro. > Confermò con fare indeciso. Anche perché non le era mai capitato prima che qualcuno si interessasse del colore dei suoi occhi.

< Forse con la luce cambiano colore, tu che ne dici, Taylor? Non ti sembrano grigi i suoi occhi? > Si voltò verso il ragazzo che aveva appena estratto il suo cellulare dalla tasca e sembrava concentrato in qualcosa di importante.

Eppure, alla domanda di Ashley, alzò anche lui lo sguardo sul suo viso e Charis ebbe voglia di allontanarsi e di scappare, perché non amava essere al centro dell'attenzione e non sopportava le troppe chiacchiere.

< Sono azzurri, Ash, non grigi. > Obiettò il ragazzo, tornando al suo aggeggio elettronico.

< Con la luce assumono una sfumatura diversa! > Protestò lei, convinta.

In quel momento, a toglierla dall'impiccio di dover dire necessariamente qualcosa, la portiera del sedile anteriore del passeggero si aprì, trascinando nella vettura un sorridente Kellan.

< Ashley ti sta facendo una radiografia completa, vero? > Charis si sentì rincuorata dalla sua presenza, anche se dopo un istante si ricordò che era con lui che aveva fatto la figura della ragazzina facile quella sera al pub, a Londra.

< Io non sto facendo nessuna radiografia, Kellan! Stavo soltanto... > Ma lui la interruppe.

< Lascia perdere, ok? Sono troppo stanco per le chiacchiere. Non sono riuscito a dormire neanche un'ora. > Si sistemò sul sedile e si rilassò, chiudendo gli occhi e sospirando, grato della quiete che era riuscito a ristabilire.

Quando il conducente arrivò non ci fu più modo di conversare. La radio trasmetteva il suo tg delle cinque e quarantacinque, Taylor osservava il paesaggio naturale che scorreva monotono fuori dal finestrino, Ashley aveva infilato i suoi occhiali scuri e aveva chiuso gli occhi per riposare, Kellan dormiva della grossa e lei non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo e di permettere alla sensazione di nervosismo e di panico di abbandonarla.

Non era mai stata molto socievole, cosa per cui veniva rimproverata spesso dai suoi genitori e l'unica persona a casa con cui aveva avuto delle conversazioni intelligenti, era stato suo fratello Michael e qualche volta sua sorella, Marianne.

Non riusciva mai a mostrare vero entusiasmo per qualcosa e, il più delle volte, il suo atteggiamento non faceva che spaventare chi gli stava intorno e finire per allontanarlo.

Robert, poi, era un caso a parte; niente a che fare con le persone che aveva conosciuto sino a quel momento.

Eliminò la condensa sul vetro del finestrino con il dorso di un dito e scrutò fuori. Non era ancora orario di traffico e davanti a loro si stagliavano soltanto le altre due macchine della produzione e un autobus di turisti, presumibilmente.

Quel viaggio, quasi inconsapevolmente, la stava già distruggendo.

Non era insieme a Robert e, anche se in quel momento poteva risultare una stupidaggine, lui si sarebbe allontanato sempre di più, richiamato dai mille impegni e lei sarebbe stata in disparte ad attendere che si ricordasse di lei, a vederlo circondato dai suoi amici e da Kristen, gente che lì, al contrario di lei, aveva un ruolo.

Aveva deciso di seguirlo e aveva deciso, implicitamente, di assumersi tutte le responsabilità di ciò che riguardava, ma non era ancora riuscita a convincersi di ciò che si era ripetuta sempre nelle ultime settimane prima della partenza.

L'avrebbe perso e lei avrebbe dovuto lasciarlo andare.

 

< Dobbiamo portarcela dietro ovunque? > Bisbigliò Kristen all'orecchio di Robert, facendo un cenno con la testa a Charis che, in disparte, seduta in terra contro uno dei telai inutilizzati, scriveva su un quadernino dalla copertina arancio, durante una pausa dalle riprese.

Solitamente, durante le pause e dopo aver girato una scena ad alta tensione sessuale, come avrebbe detto Catherine Hardwick, la loro prima regista, cercavano di rimanere in contatto: continuavano a chiacchierare, si scambiavano battute e cercavano di essere affettuosi ed era quello che stava succedendo anche in quel caso.

Robert era già rientrato perfettamente nel caos del backstage e dei ciak urlati all'improvviso dall'aiuto regista.

< Non dà alcun fastidio, Kristen. > Sbottò, osservando la figura della sua amica d'infanzia con attenzione.

< Beh, d'accordo, ma qui non ci è di nessuna utilità, sbaglio? > Infilò le mani nelle tasche dei jeans di scena e lo guardò con fare esasperato.

< E' di aiuto a me. > Sfuggì a lui dalla bocca e quando si rese conto delle parole che aveva appena pronunciato, era troppo tardi per ritirare tutto.

Kristen, confusa, lo osservò con le sopracciglia aggrottate, come quelle di chi cerca di rimettere in ordine eventi scorsi troppo velocemente.

< A me non sembra ti stia aiutando e poi è un'asociale, ama stare per conto suo, non vedi? > Proferì, alzando gli occhi al cielo.

< Ti dà fastidio, non è così? Neanche la conosci e già non la sopporti, ammettilo. > Si stava arrabbiando e si era avvicinato pericolosamente al suo viso con un'aria minacciosa.

Kristen indietreggiò di qualche passo, incredula. Robert non si infuriava mai.

< Perché ci tieni così tanto? Cos'ha di speciale? > Mormorò a denti stretti come se le costasse uno sforzo enorme.

Robert si calmò, conscio che in quel modo la situazione non avrebbe fatto altro che precipitare, e rilassò le spalle.

< Le ho solo promesso che avrebbe potuto assistere alle riprese, tutto qui. > Proferì con aria rassegnata e dolce.

Kristen sospirò, più tranquilla.

< Mi spiace, stavo per comportarmi di nuovo come una bambina capricciosa. > Abbassò lo sguardo e sprofondò la testa nel maglione di scena di lui, cercando conforto.

Robert le accarezzò i capelli e sospirò piano, accogliendo il suo calore e gettando un'altra occhiata su Charis che continuava a scrivere imperterrita, insensibile ai rumori continui dei tecnici dietro di lei e del brusio delle camere da presa spostate da un posto all'altro.

Quando Kristen si allontanò da lui con l'intenzione di trascorrere gli ultimi cinque minuti a chiacchierare con Nikki, Robert poté permettersi di respirare e dopo aver scrollato le spalle e aver passato velocemente una mano nella massa studiatamente spettinata che erano i suoi capelli, si diresse verso Charis, sedendole accanto.

Lei parve non farci caso e continuò a scrivere, i capelli che le scivolavano continuamente sugli occhi.

< Cosa scrivi? > Le domandò, spaventandola.

< Non ti ho sentito arrivare. > Sorrise e riprese a scrivere.

< Sei molto concentrata. Qualcosa d'importante? > Continuò lui, incrociando le gambe e osservando il lento correre della penna sul foglio pieno per metà.

< Niente d'importante. Scrivo a Michael. E' il mio modo di sentirlo vicino, in realtà; una sciocchezza. > Fece spallucce.

< Se ti fa stare meglio non è una sciocchezza. > Asserì.

Charis non rispose.

< Ti piace stare qui, stai bene? > Le spostò una ciocca di capelli scuri dietro un orecchio e cercò di farle alzare lo sguardo su di lui, riuscendoci solo qualche istante dopo.

< Suppongo di sì, va tutto bene. > Si ritrovò a rispondere.

Era confusa circa le sue intenzioni. Voleva stare accanto a Robert e voleva ritrovare la libertà della strada.

< Sicura? Puoi dirmelo, sai, se c'è qualcosa che non va. > Le accarezzò una guancia con il dorso di un dito e provò l'impulso di baciarla e stringerla a sé.

< E' che... non c'è posto qui per me. Non sono un'attrice, non sono una comparsa, non sono un tecnico, né l'aiuto regista, né una truccatrice; non sono nessuno. Sto qui, vi osservo, vedo come recitate e torno con voi in albergo come se potessi in qualche modo sentirmi appagata della giornata trascorsa, ma non è così. Non è il mio mondo, Robert. > Scosse la testa e osservò la confusione intorno a loro, come se potesse raccontare una storia.

Robert sospirò e si stropicciò i capelli.

< Vorrei poterti dare delle garanzie, vorrei poter dire che parlerò a Kristen e che le dirò la verità, che non sono innamorato di lei, ma di te e che non riesco a non pensarti, ma la verità è che non posso farlo. Forse lo farò, forse troverò la forza necessaria domani o magari tra un mese, ma tu non aspetteresti comunque, lo so. > Aveva in testa così tanti pensieri che non era neanche sicuro che stesse esprimendosi per il meglio.

< Io non voglio che tu scelga, Robert. Non voglio darti un ultimatum. Siamo entrambe importanti per te e non riesci a lasciarci, ma non possiamo vivere così per sempre, lo sai anche tu. Un giorno lei vorrà sposarsi e tu glielo chiederai, perché sarà quello che vorrai anche tu e allora io continuerò a fare la parte della tua amica d'infanzia con cui, nel frattempo, la tradisci. Non voglio arrivare a questo e nemmeno tu lo vuoi. > Tentò di spiegargli.

Robert abbassò lo sguardo.

Sarebbe davvero andata così? E cosa aveva voluto dirgli con quelle parole? Che era un vigliacco, che non sapeva cosa fare della sua vita sentimentale e non faceva altro che incasinare anche altri? Poteva anche essere la verità quella, chi poteva assicurargli il contrario?

Rimasero in silenzio fin quando il regista non lo richiamò in scena e lui fu costretto a lasciarla ai suoi pensieri e al suo quaderno malridotto e pieno di speranze e sogni che solo Michael conosceva, solo lei sapeva.

 

Michael, ho imparato che un cuore malandato può ancora continuare a battere se riesce a trovare qualcuno con cui farlo ed ho anche imparato che fa male. E' come quando decidi di strapparti via l'ago di una flebo dalla pelle perché vuoi scappare e tornare a casa.

Ti ricordi quando mi dicesti che, se fossi finito in ospedale, per un motivo o per un altro, avrei dovuto pregare la mamma affinché non ti facessero alcun tipo di iniezione?

Io me lo ricordo. Avevo annuito alle tue parole, ma non ne avevo capito appieno il senso.

Ora capisco il perché.

Quando subisci qualcosa che non ti sei cercato volontariamente, il tutto fa male, brucia e prude, ma poi passa. Dopo un po' sai che non ne potrai fare a meno, che ricorderai quel dolore e anche se coscientemente ti ritroverai a ripugnarlo, a ricordarlo con odio, incoscientemente, lo rivorresti indietro, per avere davvero qualcosa per cui soffrire e stare male.

Non l'ho cercato io Robert, mi ha trovata lui, come si trova un gattino abbandonato nel bidone dell'immondizia e lo si porta a casa per offrirgli affetto e una ciotola di latte tiepido e osservarlo bere con avidità.

Mi ha curata e poi ferito di nuovo.

Ha sistemato e rotto.

Mi ha fatto sperare e disperare.

Mi ha fatto sentire viva, a casa, amata e protetta come avrei potuto sentirmi solo con te.

Ma ora? Ora cosa siamo?

Cenere di qualcosa che è già passato?

Io non appartengo a questo posto, non sono di qui e non lo sarò mai.

Forse dovrei andare via e lasciarlo alla sua vita.

Forse dovrei smetterla di essere così paranoica.

Forse avrei bisogno di un tuo consiglio, ora, o di ritornare bambina per poter andare a piangere sulle ginocchia della mamma e sentirmi coccolata e in pace.

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Capitolo 13
*** You have walked on my feelings ***


Salve, fanciulle! Perdonerete mai questo mio enorme ritardo? Spero proprio di sì! Avrei dovuto aggiornare una settimana e mezza fa, ma il capitolo non era ancora pronto e allora ho dovuto rimandare: maledetta ispirazione! E' stato un vero e proprio parto questo capitolo, perché, nonostante avessi le immagini in testa, le parole non ne volevano sapere di venire fuori e infatti ho finito di scriverlo sabato pomeriggio dopo quasi un'ora di riflessione su cosa ci doveva essere e cosa no, per cui, spero che apprezzerete il mio sforzo, anche se suppongo che dopo averlo letto vorrete uccidermi xD.

Ma passiamo ai ringraziamenti:

_Miss_: Grazie mille *.*! Effettivamente l'intensità è totalmente voluta, perché sento questa storia particolarmente vicina e voglio che esca al meglio, per questo ci metto anima e cuore quando scrivo. Ti ringrazio per i complimenti e hai ragione, Charis quando scrive a Michael è sempre molto diretta e soprattutto intensa, perché sono i suoi pensieri e il suo modo di vivere e vedere la vita, che nessun altro conosce, perché solo Michael, anche se lontano, può capirla pienamente. Spero che anche questo capitolo ti soddisfi, un abbraccio! <3

SweetCherry: Una nuova commentatrice, che bello *.*! Cara, dire che eri incacchiata con Rob è poco xD! Accolgo pienamente il tuo sfogo, nel senso che, ovviamente, lo capisco benissimo. Robert è egoista, ma solo perché ha tanta paura di rimanere da solo e vorrebbe qualche certezza in più. Sul lato Charis ti sostengo: l'ha praticamente costretta ad abbandonare la sua vita libera per seguirlo a Vancouver per le riprese, ma qui non fa altro che passare il tempo con Kris e anche se Charis lo rispetta, si sente sempre più usata. Spero che questo capitolo ti piaccia tanto quanto il precedente e suppongo che anche questo ti farà incacchiare enormemente xD. Grazie per la recensione, un abbraccio! *.*

Wild Girl: *.* *.* *.* ed ora come faccio io a trovare le parole per ringraziarti a dovere? La tua recensione mi ha riempito il cuore di gioia e mi ha fatto sciogliere come un gelato dalla dolcezza <3. Ti sono grata dei complimenti e sono contenta che i miei capitoli servano a mandar via il dottore xD, perché la salute prima di tutto, eh xD! No, a parte gli scherzi, sono felicissima che la mia storia ti prenda così tanto da farti entrare in EFP solo per rileggerla. Credo che un po' tutti la vedano come Charis, nessuno può stare con due piedi nella stessa scarpa e, ovviamente, Charis è troppo comprensiva e buona per porre Rob di fronte ad una scelta, perché non vuole che qualcuno soffra per causa sua, quindi comprende la difficoltà di Robert di confessare tutto a Kris. Sai una cosa? Credo che Charis seguirà il tuo consiglio :). Grazie mille ancora e un abbraccio! <3

Ed ora, un ringraziamento anche a tutti coloro che hanno solo letto *.* e a chi preferisce ecc. ecc. <3!

 

Buona lettura! ^^

 

 

Charis aveva l'orribile e al tempo stesso eccitante tentazione di aprire la porta di quella stanza costosa e fuggire via, all'aeroporto, alla stazione, in qualsiasi posto lei si sarebbe sicuramente sentita più a suo agio che lì, in quel letto comodo ma soffocante che sembrava inghiottirla, istante dopo istante.

Robert non si era fermato a dormire con lei, quella sera. In verità, aveva altro da sperimentare con Kristen, dalla quale, secondo quest'ultima, era stato lontano fin troppo e lei, docile, lo aveva lasciato andare con una triste consapevolezza nel cuore.

Robert avrebbe voluto fare l'amore con lei, quella sera, a Londra, ma lei l'aveva rifiutato perché, come una stupida ragazzina immersa nel suo mondo di favole e zucchero filato, credeva che la prima volta dovesse essere speciale, con il ragazzo che amava davvero e che la ricambiava e non con qualcuno che le voleva bene, ma, al tempo stesso, non riusciva a dire addio alla fidanzata per cui non provava niente.

Non sapeva neanche lei perché ci stesse pensando; perché stesse pensando al momento in cui lui l'aveva adagiata sulle lenzuola fresche e aveva preso a spogliarla.

Non sapeva nemmeno se quello che provava era risentimento, amarezza oppure senso di colpa per non aver accettato.

In fondo, si diceva, la prerogativa di fare l'amore con Robert spettava a Kristen, non a lei.

Sbuffò e rivolse lo sguardo al soffitto.

Dopo tutto, implicitamente aveva accettato anche lei quella situazione, quella sorta di ménage à trois che si stava verificando: lui, lei e l'altra.

Si girò su un fianco.

Non capiva nemmeno come facesse a tenersi tutto dentro e a non urlare al mondo intero che lui ormai era tutto il suo mondo ed era anche solo impensabile che potesse viverne senza.

Aveva sempre pensato che ci fosse qualcosa di sbagliato in lei e anche se Michael le aveva sempre ripetuto che non era vero, lei ne era fermamente convinta.

Doveva prendere il primo volo per Londra e andare via di lì, era l'unica cosa corretta. Magari avrebbe aiutato Robert a riflettere e lei avrebbe ricominciato a vivere con la testa piuttosto che con il cuore.

Sbuffò per la seconda volta e si rintanò meglio sotto le coperte.

A New York capitava che nevicasse, ma il freddo non era mai così insopportabile e nonostante Charis preferisse il freddo al caldo, non poteva fare a meno di rabbrividire.

Un colpo alla porta la fece irrigidire prima dalla paura e poi dalla sorpresa.

Robert non avrebbe di certo bussato alla porta principale e poi doveva essere ancora troppo impegnato per pensarla; non aveva richiesto il servizio in camera e non si era data appuntamento con nessuno.

Con un grande sforzo di volontà riuscì a scostare le coperte e ad alzarsi, scalza, per raggiungere la porta, aprendola appena.

< Ehi, tutta sola? > Kellan.

< Direi di sì, perché? Cercavi Robert? > Gli chiese.

< In verità sì: ho provato a bussare alla porta della sua camera, ma non risponde nessuno e nemmeno a quella di Kristen. > Spiegò, indicando le due porte.

< Oh. Non ho idea di dove sia, mi spiace. > Era sorpresa. Non era neanche da Kristen. Era sicura che se fosse uscito l'avrebbe avvertita.

< Hai provato in terrazza? Magari è lì o al bar. > Tentò di suggerirgli.

< Jack è andato a controllare: niente. Comunque, si farà vivo in un modo o nell'altro. Senti, ci siamo trasferiti tutti in giardino a chiacchierare, perché non vieni anche tu? Ci farebbe piacere la tua compagnia. > Kellan sorrise e Charis dovette ammettere che, nonostante tutto, l'idea di rimanere da sola con i suoi pensieri non l'allettava per niente e che una chiacchierata non l'avrebbe di certo uccisa.

< D'accordo, dammi un minuto. Entra se vuoi. > Aprì la porta e si precipitò al suo borsone per cercare di tirarne fuori qualcosa di caldo e comodo, lasciando che Kellan la seguisse all'interno e desse un'occhiata in giro.

< Non ci si abitua mai a questo genere di cose, vero? > Le domandò, le mani nelle tasche dei jeans e lo sguardo rivolto alla finestra.

< Che vuoi dire? > Aveva recuperato uno dei vestitini di lana che non indossava dalla notte di Natale di due anni prima e un paio di collant scuri, altrettanto inutilizzati e li reggeva in mano, l'espressione confusa per via della domanda del ragazzo.

< Intendo al lusso, non ci si abitua mai. > Spiegò con un mezzo sorriso.

< Non che io abbia mai pernottato in una stanza del genere... > Gli fece notare Charis, facendo spallucce.

Kellan non rispose e lei scivolò veloce in bagno per cambiarsi. Il vestito metteva in risalto il suo fisico asciutto e lei, osservandosi allo specchio, sembrò tornare indietro nel tempo a qualche settimana prima, quando aveva indossato il vestito della sorella di Robert per fare bella figura al pub.

Adesso i capelli le erano cresciuti di qualche centimetro e la pelle bianca del viso era tirata e pallida a causa del freddo, ma, per il resto, era tutto esattamente come poco tempo prima.

Slegò i capelli e lasciò che gli ricadessero leggeri a sfiorarle appena le spalle e infilò in fretta le sue adorate Converse malridotte.

< Non c'era bisogno di mettere un vestito, sai? > Rise Kellan quando la vide uscire dal bagno.

< Lo so, ma avevo bisogno di qualcosa di caldo e questo è l'unico indumento più caldo che ho. > Abbozzò un sorriso e si diresse alla porta, seguita a ruota da lui.

Presero l'ascensore e Kellan, senza indecisioni, spinse il pulsante con il numero tredici stampato sopra a rilievo.

Charis pensò che era buffo come alcuni credessero che un numero potesse portare sfortuna. Era solo suggestione, per lei.

Quando il plin dell'ascensore li avvisò che erano giunti a destinazione, Kellan le fece segno di avanzare per prima con un sorriso galante e Charis non si fece pregare.

Non era mai stata in terrazza prima d'ora, ma sembrava che loro ne avessero già fatto un abituè a soli tre giorni di pernottazione lì.

Il pavimento luccicava come uno specchio e un vivaio di piante faceva da cornice all'intero ambiente, costellato qua e là di divanetti e piccoli tavolini su cui erano già state poggiate alcune bottiglie di birra e qualche confezione di stuzzichini.

< Ehi, si può sapere dove vi eravate cacciati, voi due? Vi ho cercati dappertutto! > Brontolò Kellan in direzione di Robert e Kristen che se ne stavano tranquillamente abbracciati, seduti su un cuscino, lei tra le gambe appena aperte di lui.

< Siamo andati a fare un giro, perché, è vietato, scimmione? > Lo apostrofò Kristen, aspirando dalla sigaretta che reggeva tra le dita e poi passandola a Robert.

Kellan sbuffò: da quando Nikki aveva dovuto recitare quella battuta in Twilight nessuno aveva più smesso di apostrofarlo così. Non che la cosa gli desse eccessivamente fastidio, ma a volte era irritante.

< Comunque, anche se non sono riuscito a trovare voi due colombelle, vi ho portato un'altra piccola viandante. > Fece cenno a Charis, che fino a quel momento si era guardata intorno con interesse, di sedersi tra lui ed Ashley e lei, con un sorriso, si era precipitata sul cuscino marrone che le avevano riservato.

Sentiva lo sguardo di Robert addosso, ma non osava girarsi per affrontarlo.

Ashley aveva iniziato con lei un'interessante conversazione su quanto il vestito che aveva appena indossato fosse estremamente alla moda, nonostante la fattura di qualche anno prima, e lei, pur di non contraddirla o di presentarsi poco interessata, aveva fatto finta di essere rapita dalle sue parole, annuendovi ogni tanto con entusiasmo.

Kellan, poi, le aveva messo in mano una bottiglia di birra e, sebbene non ne avesse bevuto che un sorso, si sentiva già accaldata e su di giri, come se avesse la febbre.

Gli altri, in cerchio, continuavano a discutere delle riprese e Jackson era l'animatore della serata, impegnato a raccontare gli aneddoti più divertenti del backstage, sui quali ridevano tutti, anche i diretti interessati e anche lei.

Erano tutti come una grande famiglia, una piccola realtà che, inizialmente, si era dovuta riunire forzatamente, ma che, man mano, ci aveva quasi preso gusto a farlo e niente di quello che dicevano o facevano risultava un caso: si conoscevano tutti alla perfezione e Charis, ammirata, si ritrovò ad ammettere a se stessa che nella sua famiglia non c'era mai stata così tanta armonia e così tanta voglia di stare insieme ed era paradossalmente bellissimo respirare quella sensazione in mezzo ad un gruppo di perfetti estranei.

Robert e Kristen non partecipavano alla conversazione, immersi nella loro bolla di intimità fatta di coccole, baci, sussurri e strette.

Charis aveva approfittato del diverbio che era nato tra Nikki e Taylor circa il chi, il come e il quando era successo che lui, per scherzo, avesse scambiato la sua vecchia parrucca alla Jacob per quella alla Rosalie, che Charis si sorprese a fissarli con impudenza.

Kristen era accoccolata tra le gambe di Robert che, a sua volta, aveva appoggiato una guancia contro la sua tempia e pareva sussurrarle qualcosa di estremamente importante.

Si sentì improvvisamente cadere, come qualcuno che abbia già deciso di buttarsi dal grattacielo più alto della città, ma speri sempre che ci sia qualcuno, all'ultimo minuto, che lo convinca a cambiare idea, che lo faccia ragionare.

Quel qualcuno per lei non era arrivato ed ora stava inesorabilmente cadendo nel vuoto ed era senza ali, non poteva proteggersi e non poteva lottare.

Robert avrebbe anche potuto dirle che quelli che nutriva per Kristen non erano gli stessi sentimenti che nutriva per lei, ma non sarebbe bastato, perché non era cieca e poteva vederlo con i suoi occhi lo spettacolo che, in quel momento, offrivano a tutti: erano l'emblema, la perfetta rappresentazione della coppia innamorata ed era convinta che neanche Robert potesse arrivare ad un livello così alto di recitazione con una persona alla quale, lui stesso le aveva riferito, voleva bene.

Incurante del vestito che le scopriva le gambe, Charis si strinse le ginocchia al petto, circondandole con le braccia e vi affondò dentro il volto, a proteggersi, mentre la brezza fredda le scompigliava i capelli e le stelle erano uniche spettatrici del suo dolore, perché intorno a lei tutti sorridevano, ignari.

Ma, si disse, andava bene anche così; non si aspettava certo che la comprendessero, che fossero solidali con lei e che le dessero pacche affettuose sulle spalla a mo' di consolazione.

Non sarebbe dovuta andare, l'aveva sempre saputo. Si era lasciata ingannare per la seconda volta e la colpa era stata solo ed esclusivamente la sua, perché aveva dato retta al suo cuore e non alla sua testa.

< Ehi, tutto bene? > Rialzò il viso al suono di quella voce squillante, Ashley, che le aveva appena carezzato la testa in un gesto affettuoso e materno.

< Sì, sì, sto bene. Sono solo stanca, magari vado a dormire. > Si stropicciò gli occhi e si sforzò di sorriderle, sebbene Ashley non parve credere affatto alle sue parole.

< D'accordo, come vuoi. > Riuscì soltanto a risponderle, lanciando anche lei un'occhiata a Robert e Kristen.

Charis non si preoccupò di salutare nessuno e, alzatasi, si diresse spedita verso l'ascensore, aspettandolo con lo sguardo basso e le braccia che le circondavano il busto, quasi a ripararsi da qualcosa che era prossimo ad arrivare.

Non doveva essere delusa; non doveva dimostrarsi debole: aveva accettato le sue condizioni e lo sapeva, dannazione se lo sapeva, che sarebbe sprofondata in un mare di solitudine, perciò doveva solo far finta di nulla e continuare a vivere.

Robert non era un ragazzo cattivo, non amava trattare le donne come bambole, eppure lei si sentiva gli arti di pezza e tutti i fili che avevano contribuito fino a quel momento a tenerla su, si stavano scucendo e non c'era una sarta abbastanza brava da saperla rappezzare. Sarebbe tornato da lei e avrebbe fatto finta di niente; si sarebbe dimenticato di Kristen e l'avrebbe baciata e per un po' si sarebbero entrambi crogiolati nell'illusione che erano felici ed insieme.

Il corridoio che conduceva alla sua stanza era ancora illuminato e, una volta raggiunta la porta di legno, dovette concentrarsi un istante prima di essere in grado di recuperare la tessera magnetica dalla tasca del vestito e inserirla nell'apposita fessura, perché la testa aveva preso a farle male, affollata da mille pensieri.

Aveva appena girato la maniglia, quando sentì dietro di sé un passo svelto. Attese di veder comparire il possessore di quel passo, la porta semi aperta, una mano sulla maniglia gelida e gli occhi spenti.

E lui era lì, come aveva immaginato.

La osservava dispiaciuto e deluso da se stesso per lo spettacolo che era stato costretto a mettere in scena.

< Perché sei andata via? > Le domandò con il fiatone. L'ascensore gli era sembrato incredibilmente lento e aveva optato per le scale.

< Perché sarei dovuta rimanere? > Rispose lei, la voce più dura di quanto si aspettasse.

Robert rimase disorientato da quella determinazione e da quell'autorevolezza che non le aveva ancora mai letto negli occhi azzurri e per un po' non disse niente.

< Mi dispiace per quello che hai visto... > Provò, abbassando lo sguardo.

< Perché, cos'ho visto? > Chiese, aggrottando le sopracciglia.

< Andiamo, Charis. Ti ho detto che mi dispiace. > Si avvicinò a lei di due passi, le braccia abbandonate lungo i fianchi.

< Io non posso restare qui, Robert. Sono stanca di sentirti dire che ti dispiace. > Si scostò una ciocca di capelli davanti agli occhi e abbassò lo sguardo sulla moquette rossa del corridoio.

< Vuoi... vuoi andare via davvero? E dove? > Le chiese, preso in contropiede dalla sua decisione. Pensava che, dopo i primi giorni, lei si sarebbe sicuramente abituata a quella vita e avrebbe cambiato idea.

< Torno a Londra e continuo a fare la mia vita di sempre. Qui sono di troppo. > Spiegò, prendendo a torturarsi le mani.

< Ma io credevo che... insomma... pensavo che non ti dispiacesse rimanere qui. > Si avvicinò di altri due passi. Ancora un metro e avrebbe potuto sfiorarla.

< Lo so, sono stata io ad immischiarmi nella vostra vita e credevo che potesse andare tutto per il meglio, ma mi sbagliavo. > Come avrebbe fatto senza Robert? Come poteva tornare ad essere la solita Charis che vagabonda in cerca di spiccioli per mangiare dopo quell'incontro?

< Ascolta, se è per Kristen, ti prometto che... > Ma Charis lo interruppe.

< Cosa? Mi prometti cosa? Che le dirai la verità? Che metterai le cose in chiaro? Che la farai soffrire? > Rialzò lo sguardo su di lui e fu lei, questa volta, ad avvicinarsi a lui, arrabbiata e delusa da quel comportamento.

< Non sono stato corretto nei vostri confronti, hai ragione e non lo nego, ma posso rimediare... > Tentò.

Charis scosse la testa e sorrise amara.

< Quando mi hai chiesto di partire con te ho accettato e forse sono stata un'egoista a farlo, ma ho pensato che, sebbene le riprese e i tuoi impegni sul set, saremmo potuti stare insieme, avremmo potuto continuare quello che avevamo cominciato a Londra, ma sono stata una stupida a non rendermi conto che tu non puoi fare a meno di stare con lei. Ho visto come la guardi e come lei guarda te ed io in tutto ciò non sono compresa e va bene. Hai calpestato i miei sentimenti, Robert, ma non voglio fartene una colpa, sono stata io a permettertelo e non voglio fingere, sono stata contenta tu l'abbia fatto, perché non mi sentivo così... felice da tanto tempo; è giusto che tu rimanga con lei. > Concluse con gli occhi lucidi, già lanciata nella sua stanza.

Robert rimase immobile a fissarla. Era il discorso più lungo che aveva sentito pronunciare da Charis e lo feriva, perché, ancora una volta, era la verità.

< Ed io come faccio senza di te? > Mugugnò prima che la porta della sua stanza si chiudesse.

Charis sorrise, debole.

< Ce la farai... ci sei riuscito fino ad ora. > La porta si chiuse e così il suo cuore.

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Capitolo 14
*** Thinking of You ***


Salve, salvino! Sì, lo so, sono in ritardo, ma non avete idea di quanto sia stressante la vita universitaria (l'ho già detto questo? xD) e di quanto bisogna essere pazienti per non arrabbiarsi per gli orari del cavolfiore che ti propinano. No, a parte gli scherzi, ho avuto un calo di ispirazione circa questa storia e mi sono ripresa con difficoltà. Il fatto è che mi occorre un'atmosfera un po' particolare per riuscire a scriverla e in questi giorni non ho quasi mai avuto la concentrazione giusta, perciò, davvero, perdonatemi *si mette in ginocchia con la sua migliore espressione da cucciolo abbandonato*.

Ci tenevo a precisare che, vista la nuova funzione del sito di rispondere direttamente alle recensioni, utilizzerò questo nuovo metodo per le recensioni a partire da questo capitolo in poi, quindi, ora, passo a rispondervi in maniera adeguata:

Luxi: Io un mostro di bravura?!? O.O No, sul serio, la mia faccia era più o meno questa quando ho letto la tua recensione. Ti ringrazio per i tuoi gentilissimi complimenti e sono contenta che la Ff ti piaccia. Emozionare e trasmettere qualcosa di forte è il mio primo obiettivo (ma penso sia quello di un po' tutti gli autori ^^), quindi ti ringrazio infinitamente e mi scuso di nuovo per il ritardo *me commossa per la recensione stupenda ç.ç*

Londoner: Certo che ho il coraggio di dirti che sei brava, tsè xD, è la verità! Ti ringrazio per i complimenti, davvero non mi aspettavo che questa storia potesse avere un simile impatto. Ho sempre detto che c'è un enorme fetta del mio cuore in mezzo (ed è la verità), ma che in così tante riusciate ad immedesimarvi nel personaggio di Charis, mi lascia ancora basita e non perché sia impossibile, ma perché credo di averla creata come una ragazza piuttosto complessa e dal carattere complicato, difficile da immaginare. Ad ogni modo, sono contenta che tu ci sia riuscita e sono contenta di essere riuscita a farti addirittura commuovere, perché se voglio fare qualcosa con questa Ff è proprio trasmettere le mie emozioni mentre scrivo. Noto che siete tutte parecchio arrabbiate con Rob, eh? xD anch'io lo sarei al posto vostro, eh, non pensate il contrario, ma sarà perché sono di parte e lo conosco come mio personaggio, non riesco ad odiarlo ^^. Ad ogni modo, spero che questo capitolo ti soddisfi al pari del precedente e scusami per il ritardo mostruoso ed imbarazzante. Un abbraccio!

LostGirl: Naomi, ti capisco: vorrei anche io che la Kristen per magia svanisse (ecco perché vorrei una bacchetta magica), ma, fidati, non darà fastidio ancora per molto *urla di gioia al solo pensiero*. Tornando alla tua recensione, sono contenta tu abbia vissuto il capitolo come una scena da film, perché è stata la stessa sensazione che avvertivo io mentre lo scrivevo; era come se stessi osservando un video e stessi descrivendo le loro azioni e sono oltremodo contenta del fatto che sia risultato tangibile il loro allontanamento e lo strazio che ne è derivato, specialmente da parte di Charis, perché in fondo è una scelta che ha preso solo lei. Ancora, non trovo le parole per ringraziarti, ma spero che questo capitolo ti soddisfi e scusami anche tu per il ritardo. Un abbraccio *.*

SweetCherry: Oh mamma, ma quanta rabbia! xD povero Rob! *Rob corre a nascondersi per sfuggire all'ira di Jess* *l'autrice lo richiama* xD. Per me è ancora una sorpresa vedere come riusciate ad immedesimarvi così tanto e sono davvero contenta di suscitare in voi queste reazioni (per intenderci, quando ho letto "Eclipse", la scena della tenda e poi più avanti quando Bella bacia Jacob, volevo buttare il libro fuori dal balcone, distruggerlo, dargli fuoco e non so cos'altro e non mi era successo con nessun altro libro O.o), perché mi fate capire che tenete alla storia e ai personaggi e anche, ovviamente, alle loro vicende e che vi ci appassionate come se fosse qualcosa di reale *.*. Mi sento profondamente lusingata, specialmente perché le tue recensioni sono magnifiche, le adoro, riesci sempre ad "entrare" nel capitolo in maniera sconvolgente *.* Piano "distruggi Rob" dici, eh? *pensa, pensa, pensa*. Quest'idea mi alletta, non sia mai che possa metterla in pratica *risata malefica*. Un grazie immenso per la recensione e per tutti i complimenti e chiedo venia per il ritardo. Un abbraccio *.*

 

Ed ora, godetevi il capitolo! <3

 

 

 

 

Robert, disteso sul letto da una piazza e mezzo della sua camera d'albergo, gli occhi puntati al soffitto, le braccia a circondargli la testa, completamente vestito, pensò che quello che dicono i poeti non sono solo un'accozzaglia indecifrabile di frasi e parole, ma è la semplice e pura verità.

L'amore fa male. 

E lui non si era mai sentito meno vivo come allora, da quando Charis era salita sul primo volo diretta a Londra, quattro mesi prima della fine delle riprese e due mesi prima di Natale.

Sapeva quanto fosse inutile rimirare il soffitto nella speranza che lei varcasse la porta della sua stanza, ma non riusciva a farne a meno.

Non poteva certo vietarle di andarsene, perché, in fondo, chi era lui per decidere della sua vita?, ma sperava che, in un modo o in un altro, lei gli sarebbe rimasta accanto. Non faceva fatica ad ammettere che Charis aveva ragione quando diceva che prima o poi lui le avrebbe fatte soffrire entrambe, ma rendersene conto solo ora, quando era tutto inutile, quando bruciava e faceva male, era un'altra cosa; non si era voluto mai dividere dalla convinzione che stesse facendo la cosa giusta: amava entrambe, magari in maniera diversa, ma le amava entrambe e doveva essere considerato un reato se non voleva che nessuna delle due soffrisse per lui?

< E' inutile che ti torturi, sai? Hai torto, un torto marcio. > Kellan, di cui non era richiesta la presenza sul set per quella giornata, aveva deciso di fargli compagnia e se ne stava stravaccato nella poltroncina di vimini a leggere uno dei copioni che il suo agente gli aveva consegnato la sera prima e ogni tanto lanciava a Robert occhiate esasperate e significative.

< Di cosa parli? > Robert si rifiutò tacitamente di cambiare posizione e rimase steso a pancia in su, perso nel candore del soffitto, lo stesso candore che associava a Charis.

< Sai benissimo di cosa parlo. > Rispose lui, mettendo da parte il copione ed osservandolo attento.

Robert sbuffò e sospirò insieme, rassegnato.

< Pensavi di tenercelo nascosto, ma la verità è che l'hanno capito tutti. > Continuò lui, un accenno di sorriso sul bel volto.

< Le ho fatto del male, Kellan e questa volta non c'è nessuna possibilità di rimediare. Lei è a Londra ed io ci ritorno tra due mesi e mi manca, cazzo se mi manca! > Avrebbe voluto soffocarsi nel cuscino, invece, l'unica cosa che riuscì a fare fu prendere a pugni il materasso sotto di lui, provocando un rumore sordo, ovattato, che lo fece sentire meglio.

Kellan sospirò e si stropicciò la faccia.

< Senti, lo so che ti senti in dovere di proteggere anche Kristen, ma in questo modo non fai che peggiorare la situazione. Lei se ne accorgerà. Non è una stupida e, che tu lo ammetta o meno, è in grado di leggere le tue emozioni e si renderà presto conto che le hai mentito circa Charis. > Aggiunse.

< E allora cosa vuoi che faccia? Devo andare da lei e confessarle che la mattina dopo che avevamo fatto l'amore io, appena sveglio, pensavo solo a Charis, ai suoi occhi e alla voglia che avevo di rivederla? > Quasi urlò, mettendosi seduto e scompigliandosi i capelli con una mano, nervoso.

< Se necessario sì. Non puoi illuderle entrambe. Devi decidere. > Fece spallucce e si alzò per recuperare una sigaretta dal pacchetto abbandonato sul tavolino di vetro di fronte a lui.

Perché era sempre così difficile prendere una decisione? Perché non poteva essere tutto lineare e semplice nella vita?

Per disperazione, sarebbe finito dalla parte sbagliata e avrebbe cozzato la testa contro il muro come suo solito.

Qui, però, non si trattava di scegliere un copione o di ordinare un piatto piuttosto di un altro: qui si trattava di imparare ad amare e, si sa, nell'amore non si può tornare indietro, perché il cuore è un muscolo involontario e fa quello che gli pare, indipendentemente dalla nostra volontà o dalla nostra coscienza e quando ha deciso per chi vale davvero la pena battere, beh, non lo si può ignorare, non gli si può dire stai sbagliando, so io quello che è giusto per me. 

< Cosa posso fare, Kellan? Cosa devo fare? > Mugolò disperato in direzione dell'amico che sorrise appena e scosse la testa.

< Vai a prenderla. Spiega come stanno realmente le cose a Kris e va' da lei. > Rispose, facendo spallucce.

Robert scosse la testa, frustrato. Aveva deluso due delle donne più importanti della sua vita in meno di due giorni. Come poteva? Kristen non sarebbe mai stata in grado di fingere di fronte alla produzione e al regista che tutto andava bene, perché era una brava attrice, ma quando si parlava dei sentimenti della sua vita reale, era tutta un'altra storia e lei abbandonava la maschera di indifferenza nel camerino.

La conosceva abbastanza bene da saperlo e non se la sentiva di farla soffrire, di lasciarla andare; era troppo egoista e la paura di rimanere completamente da solo continuava a tormentarlo.

< Non ci riesco. > Borbottò, stropicciandosi gli occhi arrossati.

Kellan sospirò e spense la sigaretta nel posacenere di cristallo davanti a lui.

< Non è così complicato, Rob. Tu non ami Kristen e, probabilmente, nemmeno lei ama te. Ti ha scelto come ripiego. Sapeva di poter contare su di te perché avete instaurato un bel rapporto negli anni scorsi e quando Michael l'ha lasciata, ha pensato di consolarsi con il suo migliore amico di set. > Kellan era cosciente di aver appena sganciato una bomba, una di quelle che ha la potenza di distruggere e frantumare il cuore e lo spirito, ma non le importava. Robert doveva capire, aprire gli occhi e vedere le cose per quelle che effettivamente erano. Si sbagliava: Kristen era una brava attrice, ma non solo sul set. Aveva trascorso con Michael quelli che vengono definiti i migliori anni della vita, ovvero, l'adolescenza ed era più che normale che una volta archiviata la loro relazione, lei si sarebbe sentita sola e insicura.

Robert era alla sua portata: negli anni precedenti avevano avuto modo di approfondire il loro rapporto e il loro feeling era cresciuto esponenzialmente, come dimostravano le diverse riviste di gossip che, puntualmente, pubblicavano foto più o meno compromettenti. Erano migliori amici e portare la relazione al livello successivo non era stato poi così difficile.

Kellan sentiva che era così, anche se Kristen non l'avrebbe mai ammesso.

< Kristen non è in grado di farmi una cosa del genere... > Tentò lui, osservandolo con occhi tristi e improvvisamente consapevoli.

< Io sono tuo amico, Robert, lo sai e ti sarò vicino qualunque decisione prenderai, ma Charis non è una ragazza qualunque, non lo è per te. Devi andare a riprenderla. > Gli si sedette accanto e lo fissò, serio.

Non erano da lui quei discorsi, ma c'era sempre un momento in cui bisognava mettere da parte i giochi, chiudere i peluche e le macchinine nel loro baule e tirare fuori i fogli e i pennarelli colorati per creare qualcosa di più concreto di una pista da corsa immaginaria. E quello era decisamente il momento giusto.

Robert sospirò e ricadde disteso contro il materasso, gli occhi di nuovo fissi al soffitto bianco.

< Se hai bisogno, sono nella mia stanza. > Kellan scomparve e con lui anche l'illusione che potesse esserci qualcuno che potesse comprenderlo e che non forzasse le cose solo perché aveva capito che Charis era qualcosa di importante per lui.

Chiuse gli occhi e cercò di ricordare il suo sapore, quello delicato delle sue labbra, il profumo deciso dei suoi capelli, la sua pelle morbida e bianca, gli occhi azzurri che risplendevano anche in una giornata di pioggia.

Ripensò a quella volta che l'aveva baciata con irruenza prima che si recassero in quel pub, di quando avevano visto insieme Remember Me e di come lei si era lasciata accarezzare, spogliare, di come i loro corpi sembravano essere stati creati per unirsi, per appagare il loro desiderio e poco importava se lei gli si era negata, poco importava se non se l'era sentita di fare l'amore con lui, perché era in grado di aspettare e di amarla come meritava. Poi, come un lampo, un fulmine nel bel mezzo del temporale, anche i ricordi con Kristen tornarono a galla, tutti i momenti che avevano condiviso nel backstage, le risate, gli scherzi e le prese in giro; il loro sfiorarsi sul set che sembrava elettricità allo stato puro; il modo delicato e prudente con cui si erano baciati la prima volta durante le riprese di Twilight e la sera in cui Kristen non aveva resistito e l'aveva baciato per davvero, davanti alla sua roulotte, prima di andare a dormire; i segreti che gli aveva confessato e le lacrime che aveva versato perché Michael non voleva più stare con lei; il party a cui aveva deciso di partecipare anche lui pur di non lasciarla sola e le notti spese a vedere film comici, sperando che smettesse di piangere.

L'avrebbe fatto qualunque buon amico, no? Gli amici sono una parte essenziale della nostra esistenza e bisogna dedicarsi a loro con cuore e coraggio, ma era davvero sicuro che i sentimenti che provava per Kristen andassero oltre l'amicizia? L'aveva ripetuto mille volte anche a Charis: era una questione delicata, ma se ci rifletteva con attenzione, Kellan aveva ragione: lui si era comportato come un buon amico con Kristen. Odiava vederla piangere e non sopportava che qualcuno la ferisse, ma il tutto si fermava lì. Se ripensava alle lacrime di Charis, invece, gli si contorceva lo stomaco dal dolore e gli sembrava di essere rimasto senz'aria, di stare per avere un attacco d'asma. Il cuore cominciava a battere più velocemente e la testa gli girava e non avrebbe voluto far altro che essere lì con lei in quell'istante per poterla sfiorare, per poterle semplicemente dire che era un bastardo insensibile, ma che lei non voleva che andasse più via, perché se l'avesse rifatto, sarebbe sicuramente morto.

Quando riaprì gli occhi gli parve di essere di fronte ad un bivio, come quando aveva deciso di portare Charis con sé, eppure questa volta non era indeciso, sapeva bene quale strada percorrere e conosceva la meta. I cartelli erano chiari.

Si alzò, raccattò il suo zaino da viaggio da sotto il letto e cominciò a infilarci dentro quanti più vestiti possibili, alla rinfusa, dimenticando la chitarra e i libri accatastati sul comodino.

Prima di uscire dalla stanza chiamò l'aeroporto e fece in modo di farsi riservare un posto sul primo volo diretto a Londra. Non chiamò Nick e non avvisò i suoi genitori. Aveva solo bisogno di parlare con il regista e con Kellan e, forse, anche con Kristen, perché, almeno, non voleva mentirle.

Corse fuori dalla stanza e raggiunse l'ascensore in un paio di falcate, ansioso che le porte metalliche si aprissero.

< Dove scappi? > Si voltò nella direzione da cui proveniva, forte e chiara, la voce di Kristen; una voce sorridente e serena, una voce che probabilmente sarebbe scomparsa nel giro di pochi istanti, sostituita da grida e lacrime.

< Devo parlare con David. > Rispose, flebile.

< Per cosa? > Continuò lei. Robert sapeva che non poteva nascondere lo zaino ancora a lungo: prima o poi se ne sarebbe accorta e aveva promesso a se stesso che non le avrebbe fatto del male, non in quella circostanza.

< Devo andare a Londra, subito. > Chiarì senza guardarla.

< E' successo qualcosa? > Era vicina, accanto a lui e un altro passo soltanto bastava affinché si sfiorassero.

< No, niente di grave, ma devo andare. > Doveva fare in fretta.

Kristen rimase in silenzio, le sopracciglia aggrottate e un'espressione confusa dipinta sul viso sfilato.

< Kris, io... non voglio stare con te. Non ti amo. > La fronteggiò, mentre la sua mente continuava a ripetere che era la cosa giusta, che non avrebbe potuto continuare ad ingannarla ancora per molto.

I suoi occhi verdi divennero lucidi all'istante.

< Co-cosa?!? Stai scherzando, vero? > Aveva i capelli corti, ma niente le impedì di portarseli comunque indietro con una mano, nervosamente.

< No, non sto scherzando. Mi dispiace, Kris. > Fece per avvicinarsi, ma lei si tirò indietro in un chiaro gesto di rifiuto e lui non osò più muovere un passo verso di lei.

< Cos'è stato tutto questo tempo insieme, per te? Una presa in giro? > Urlò. Tecnicamente quel piano dell'albergo era riservato solo al cast e in quel momento erano tutti impegnati sul set, tranne Kellan e loro due, però, faceva comunque un certo effetto sentire la sua voce rimbalzare sulle porte di legno scuro.

< Mi spiace averti fatta soffrire, davvero, credimi, ma non posso continuare ad illuderti. Ti ho promesso che ci avremmo provato e l'abbiamo fatto. Non è andata come speravo, tutto qui. > Vederla soffrire era la prova più dolorosa per lui, seconda soltanto allo sguardo che Charis gli aveva rivolto quando era sparita nella sua stanza dopo avergli comunicato la sua voglia di andare via.

< Tutto qui, certo. Tutto qui. Perché per te è semplice far finta di niente. Ti sei divertito con me, mi hai fatto credere di corrispondere i miei sentimenti e adesso mi butti via perché ti senti annoiato. C'entra lei, vero? > Il suo sguardo duro lo fece sussultare, mentre le porte automatiche dell'ascensore si aprivano e si richiudevano.

< Li ho visti gli sguardi che vi scambiavate, sai? Pensavo che tra amici fosse normale, pensavo che un legame costruito sin dall'infanzia fosse più forte di qualsiasi altro rapporto, invece tu sei innamorato di lei. > Continuò sprezzante.

< Ascolta, Kris, so che ho sbagliato a mentirti, so che avrei dovuto dirti tutto fin da principio, ma non volevo che soffrissi, non volevo essere giudicato un approfittatore e mi odiavo al solo pensiero di perdervi. > Confessò lui sincero, abbassando lo sguardo sul pavimento.

< Per tutto questo tempo hai usato anche lei, davvero meritevole, Robert. Un vero gentleman. > Sorrise sarcastica e gli voltò le spalle.

Aveva ragione. Aveva usato anche Charis, perché anche lei era venuta a conoscenza della verità in maniera cruda.

< Spero che lei riesca a perdonarti, perché io non so se lo farei. > Kristen si era fermata a metà del corridoio e aveva gli occhi limpidi, quelli di chi non serba rancore e di chi non se la sente di giudicare, perché gli errori, purtroppo, li commettiamo tutti.

Robert le sorrise appena, mentre chiamava di nuovo l'ascensore e la scaldava con il suo sguardo colmo di gratitudine e di scuse.

Sperava davvero di poter essere perdonato e, si sa, la speranza è sempre l'ultima a morire. O, almeno, è così che recita il vecchio detto. 

 

Charis se ne stava seduta, rannicchiata, sui gradini dell'ingresso di quella che era la modesta abitazione di Tom Sturridge, colui al quale non andava a genio che il suo amico si divertisse con una barbona. Un tempo. Poi, da quando aveva imparato a conoscerla meglio e da quando aveva notato gli sguardi che si scambiavano con Robert, si era semplicemente rassegnato ad ammettere che, forse, Charis poteva davvero essere la ragazza giusta per il suo migliore amico di sempre.

Quando l'aveva vista gironzolare sui marciapiedi di Barnes con la sua chitarra sulla spalla e quello sguardo triste e spento di chi non ha più speranze, l'aveva rincorsa e aveva lasciato scorrere le sue parole che, come un fiume in piena, avevano trasportato anche lui alla deriva. Le aveva proposto di condividere l'appartamento, perché l'inverno a Londra era rigido e non risparmiava nessuno e lei, anche se con riluttanza, aveva accettato e si era ritrovata ad occupare la brandina nella camera di Tom, quella che non utilizzava più nessuno e che a lui serviva solo come accumulo di cianfrusaglie inutili.

La rete cigolava quando ti ci sedevi sopra e Charis non poteva stendere le gambe perché i piedi superavano il bordo del materasso, ma non si lamentava. Era al caldo e poteva impegnare le sue giornate con la musica

< Sicura di non voler venire? Si tratta solo di una mezz'oretta. > Le chiese un pomeriggio sul tardi, affacciandosi nella sua stanza. Robert l'aveva avvertito del suo arrivo qualche ora prima, ma non aveva avuto il coraggio di dirlo a Charis. Non l'avrebbe presa bene, secondo lui, ma, forse, accompagnarlo all'aeroporto non era una cattiva idea.

< Sicura. Resto qui. > Rispose con un sorriso, mettendo la chitarra da parte.

Era sicura che il freno che aveva messo alle sue lacrime prima o poi avrebbe ceduto, riducendola a nient'altro che un ammasso di carne e vestiti raggomitolato sotto le coperte, eppure, continuava a sorridere e a convincersi che era stata la cosa migliore da fare, allontanarsi da quel posto e da Robert; non riusciva a rimpiangerlo. Lui le mancava, certo, ma non poteva continuare a vivere con due piedi in una scarpa per sempre, aveva bisogno di crescere e la sua lontananza gli avrebbe fatto bene.

Tom sbatté la porta di casa e Charis si ritrovò a ciondolare in giro per la casa, una vecchia maglia di Tom a farle da vestito, senza sapere cosa fare.

Accese la televisione e cambiò canale una quindicina di volte prima di riuscire a trovare un film che la interessasse davvero. Comunque, non ebbe nemmeno il tempo di capire quale fosse la trama, perché sentì la porta di casa aprirsi, la voce di Tom che la salutava e il tonfo di qualcosa di pesante sul pavimento.

Incuriosita dallo strano trambusto Cailin si voltò e il suo cuore mancò un battito e la testa prese a girarle così forte che temette di vomitare e le orecchie presero a fischiarle, prima che le sue corde vocali decidessero di emettere un qualunque tipo di suono.

< Ciao. > Lo sguardo limpido di Robert si riflesse nel suo, pietrificata dalla sua presenza e dal modo impacciato con cui aveva infilato le mani nelle tasche posteriori dei jeans ed era arrossito.

< Marcus mi sta aspettando, perciò... ci vediamo più tardi! > La voce di Tom che lasciava, imbarazzato, nuovamente l'abitazione, fu solo una eco che svanì in fretta, ma non permise a nessuno dei due di essere meno imbarazzato.

< Come stai? > Le chiese in un sussurro.

Charis fece spallucce, dandogli nuovamente le spalle e portandosi le ginocchia al petto in un tentativo inutile di protezione, anche se non sapeva bene da cosa.

Non rispose, ma avvertì distintamente i passi di Robert farsi sempre più vicini, fin quando non se lo ritrovò seduto accanto a lei.

Avrebbe potuto allungare una mano e sfiorarlo, sentire di nuovo il suo calore e perdersi nel suo profumo.

< Possiamo parlare? > Se non altro, stava cercando in tutti i modi di avviare una conversazione.

Lei fece spallucce, lo sguardo fisso alle immagini del film che scorrevano sullo schermo.

< Sono stato un idiota. Lo sono stato, sul serio e non ho fatto altro che maledirmi in questi giorni. Mi mancavi. > Abbassò lo sguardo sulla federa giallo limone del divano.

< Abbiamo sbagliato tutto, io ho sbagliato tutto con te, ma voglio rimediare e starti vicino. > Continuò.

Quante volte ancora doveva sentirlo chiedere scusa? Quante volte ancora sarebbe dovuta andare via per fargli rendere conto dei suoi errori? Quante volte lui sarebbe stato disposto ad andarla a prendere per chiarire?

< Non dici niente? > Allungò una mano e le sfiorò una ciocca di capelli scuri, poi la guancia, prudente, come se avesse potuto scottarsi.

< Cosa vuoi sentirti dire? > Gli domandò, voltandosi verso di lui e costringendolo ad allontanare la mano che rimase sospesa ad un centimetro dalla sua pelle.

< Voglio solo farmi perdonare, Charis. > Le rispose, incredulo di fronte a quella richiesta.

< E hai lasciato tutto per correre qui a farti perdonare? > Il suo cuore perse un altro battito quando i suoi occhi si concentrarono sulla curva invitante delle labbra.

< Sì e per dirti che ti amo, che Kristen non c'entra niente e che io ho solo bisogno di te. > La maglietta di Tom le scoprì definitivamente le gambe quando si mosse per sedersi all'indiana di fronte a lui, seria.

< Chi mi garantisce che la tua è la verità? > Voleva sorridere, ma quella era una cosa seria e c'era poco da ridere.

< Sono qui. Sono qui, Charis. Non ti basta? >

Sì.

Forse.

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Capitolo 15
*** And I feel empty ***


Ok, ragazze, non ho scuse: lunedì 28 sarebbe un mese esatto che non aggiorno questa Ff ed io sono profondamente delusa di me stessa ç.ç Purtroppo non ho capitoli pronti e ogni volta che progetto di mettermi a scrivere, c'è sempre qualcosa che fa svanire tutta la mia concentrazione, perciò, non posso fare altro che chiedervi scusa, perché voi commentate, siete ansiose di sapere come va avanti la faccenda e, nel frattempo, io, che sono la narratrice onnisciente di tutto, me ne sto in panciolle a far niente ç.ç

Comunque, tanto per risollevarmi il morale, tra pochi giorni è Natale ed io, anche se farò gli auguri rispondendo a coloro che saranno così gentili da lasciarmi una recensione, volevo approfittarne per augurare anche a tutti quelli che leggono soltanto o che magari danno solo una sbirciatina, un felice e gioioso Natale da trascorrere con i propri cari! 

Non so se riuscirò ad aggiornare prima della fine dell'anno, in ogni caso, ho in programma una Ff natalizia con Rob come protagonista, che spero di riuscire a postare prima del 30, quindi, in caso non riuscissi ad aggiornare She holds a Key in tempo, i miei auguri saranno rimandati nella Ff natalizia ^^

Siccome vi ho annoiato fin troppo e credo che avete aspettato anche troppo, posso anche ritirarmi e lasciarvi alla lettura, ma non prima di aver nuovamente ringraziato tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, chi ha letto e chi ha aggiunto tra le preferite/seguite.

Ancora BUON NATALE a tutti *.*

 

Ff

 

 

La sua presenza lì non le bastava. Non le bastava perché lo conosceva e sapeva che, appena fosse sbarcato a Vancouver, sarebbe corso da Kristen e le avrebbe detto che era stata solo una stronzata allontanarsi da lei per seguire un amore vano e senza futuro.

L'avrebbe fatto e lei ne era certa.

Quando i loro occhi si incrociavano avvertiva il battito cardiaco accelerare e le mani tremare, ma non voleva soffrire ancora e non voleva doverlo dividere con qualcun'altra solo perché lui non aveva il coraggio di scegliere. 

Sapeva meglio di tutti cosa voleva dire affrontare il presente e cercare di sopravvivervi; sapeva cosa voleva dire ritrovarsi di fronte ad una finestra, la custodia della chitarra su una spalla e l'indecisione tra l'andare e il restare; sapeva cosa voleva dire scegliere e sapeva cosa voleva dire rinunciare a qualcuno che amavi, eppure lui, magari, la considerava soltanto come una delle solite ragazze che vogliono un po' d'attenzione e che sarebbero disposte anche a tagliarsi una mano pur di far avvicinare qualcuno che possa prestargli soccorso. Forse, per lui, era qualcuno da compatire, qualcuno di cui prendersi cura fin quando non è diventato abbastanza forte per cavarsela da solo, qualcuno per cui provi tenerezza; ma lei non voleva la sua pietà e non voleva il suo amore forzato; non voleva che l'aiutasse se era soltanto per dovere, per avere la coscienza pulita la notte, prima di addormentarsi.

Eppure il ti amo che aveva pronunciato velocemente, forse nella speranza che lei non lo notasse, forse perché aveva solo paura di essere respinto definitivamente, le ronzava ancora nelle orecchie ed era diventato così fastidioso, che per un attimo aveva avuto la tentazione di urlare che ne aveva avuto abbastanza e che era stufa di quel mediocre replay, perché il sonoro nella sua testa non corrispondeva all'originale e lei non ascoltava mai le riproduzioni fasulle.

Era strano non avere niente da dire, era strano fare finta che non fosse solo a pochi centimetri di distanza da lei sul divano arancione di Tom ed era difficile ignorare le sue occhiate, così maledettamente eloquenti. Il volto della giornalista che annunciava le ultime notizie era diventato confuso e la sua voce si era trasformata in una eco lontana. I suoi pensieri, invece, quelli sì che facevano rumore, come forse anche quelli di Robert. I suoi occhi scintillavano nell'oscurità, illuminati solo dal bagliore del televisore e Cailin avrebbe potuto giurare che erano dello stesso azzurro dell'oceano, quell'oceano che lei aveva visto solo una volta con Michael, in vacanza con i suoi amici, e dal quale era rimasta profondamente colpita, tanto che quando Michael le si era avvicinato e le aveva chiesto se la sua era stata una sorpresa gradita, Cailin aveva risposto che quando sarebbe morta, voleva che la sua vita potesse continuare in quella distesa azzurra che spumeggiava a riva, trasudando salsedine. Michael aveva solo riso, ma lei era seria.

Aveva sognato di poter rivedere l'oceano, ma da quando aveva incontrato Robert credeva non ce ne fosse più il bisogno, perché i suoi occhi ne racchiudevano un pezzetto, in ogni loro minima sfumatura e luccichio.

< Sai che non mi piace essere guardata. > Borbottò, incrociando le braccia al petto come una bambina capricciosa. Forse non toccava a lei allentare la tensione, ma non sopportava i silenzi densi di tensione.

< Non riesco a farne a meno, mi dispiace. > Lo sentì mormorare, mentre la stoffa della sua camicia chiara sfregava contro il tessuto del divano, producendo uno stridio fastidioso con cui Cailin capì che doveva essersi avvicinato di un altro centimetro a lei.

< Risparmia queste frasi per Kristen. > Si mosse anche lei, raggomitolandosi con le ginocchia al petto.

Lo sentì sospirare e poi, inavvertitamente, avvertì il tocco delle sue dita tra i suoi capelli.

< Vuoi capirlo una buona volta che se sono qui non è per prenderti in giro di nuovo? Ho lasciato Kristen e tutto quello che la riguarda a Vancouver e non ho intenzione di trascorrere i pochi giorni di vacanza qui a parlare di lei. > Sospirò di nuovo e le accarezzò la schiena, riscaldandola all'istante.

Magari aveva anche ragione, ma le era piombato davanti all'improvviso con la solita frase di scuse che non le bastava più e dopo tutto quello che aveva dovuto passare non era sicura che, ritornando pappa e ciccia con lui, potesse essere una buona idea.

< Cosa devo fare per convincerti? > Le chiese, scostandole una ciocca di capelli dalla guancia.

< Non ho intenzione di metterti alla prova... > Scosse la testa.

< E allora cosa posso fare per farti capire che sei tu la persona che amo? > Si avvicinò ancora un po'.

Di nuovo quella parola, di nuovo quel ti amo che le rimbombava nella testa e di nuovo il battito cardiaco che accelerava, le guance che scottavano e le braccia che formicolavano per la voglia di abbracciarlo e dimenticare il resto.

La porta si aprì e si richiuse e Cailin capì che Tom era rientrato. Non aveva neanche guardato l'orologio: d'altronde era qualcosa a cui era abituata. Con Robert dimenticava anche le cose più elementari.

< Ehi, ancora in piedi voi due? > Tom sistemò il giaccone sull'appendiabiti e sorrise a Cailin.

< Non ci siamo accorti di che ora fosse... > Si giustificò lei, facendo spallucce.

< Rob, se vuoi rimanere qui potremmo dividere il letto, o, non so, potrei dormire sul divano e lasciare a te... > Ma lui lo interruppe subito.

< Lascia stare, dormirò io sul divano. > Si alzò, andando a recuperare lo zaino nell'ingresso con il necessario per il cambio. Aveva bisogno di una doccia prima di andare a letto, sperando che la testa collaborasse con l'acqua bollente per svuotarsi dei pensieri e dello stress di quelle ore.

< Sicuro? Guarda che per me non sarebbe un problema cederti il letto. > Tom alzò lo sguardo su di lui, osservandolo con attenzione.

< Sicurissimo, Tom. Sono un ospite e gli ospiti dormono sul divano, dico bene? > Sorrise.

< Come vuoi. Allora io magari vado a dormire, sono distrutto. > Sbadigliò, barcollando leggermente verso la porta della camera.

< Sarai stanco per il viaggio, forse è meglio se ti lascio dormire. > Cailin spense la televisione, lasciando cadere la stanza nel buio più completo, gettando a Robert un'occhiata veloce.

< Non sono così stanco, ma non posso trattenerti contro la tua volontà, perciò, sogni d'oro. > Le disse, risultando freddo e scostante.

Charis non riuscì a muoversi e rimase ferma lì, in quell'angolo di buio, senza sapere cosa fare, con le mani nelle tasche dei jeans e i piedi che si calpestavano a vicenda.

Robert tirò fuori dal suo zaino una maglietta sdrucita e il pantalone di una tuta e cominciò a spogliarsi.

L'aveva fatto così tante volte di fronte a lei che Charis non riusciva a capire il motivo per cui stava arrossendo e si sentiva la bocca asciutta, senza contare che le mancavano le forze per allontanarsi nella stanza che divideva con Tom.

Il bagliore dei lampioni sulla strada arrivava fioco all'interno del piccolo salotto, eppure questo non impedì alla luce di mettere in risalto, per un solo, lunghissimo istante, le braccia muscolose di Robert e la pelle diafana dello stomaco, così come le gambe modellate dalle ore trascorse in palestra per la preparazione del film.

Quando ebbe finito di vestirsi e di sistemare i cuscini in modo tale che potesse riposarci comodamente, si spostò verso l'armadio accanto al televisore per recuperare una coperta e sistemarla diligentemente sul suo giaciglio improvvisato.

Si passò una mano tra i capelli prima di voltarsi nuovamente verso di lei.

< Non volevi lasciarmi dormire? > Le domandò, aggrottando le sopracciglia.

< Ehm... sì, sì... vado. > Charis si riscosse, come fulminata, e quasi corse verso la camera da letto, le guance ancora in fiamme e il respiro corto.

Non avrebbe dovuto farle quell'effetto. Non dopo tutto quello che le aveva fatto passare, non dopo che aveva deciso di chiudere definitivamente con lui e di continuare con la sua vita di sempre.

Barnes era così piccola che si era preparata all'eventualità di incrociarlo nuovamente per strada, certo, magari durante le vacanze di Natale, ed era consapevole che nell'aver accettato l'ospitalità di Tom, era come aver accettato anche l'intero pacchetto amicizie, ma la sua presenza non doveva comunque stordirla e confonderla così tanto.

< Avrei dovuto avvisarti... > Sussurrò Tom nella penombra, spaventandola, mentre si raggomitolava sotto le coperte.

< Non è colpa tua. > Non poteva certo prendersela con Tom. I sentimenti erano i suoi, il cuore ferito era dentro il suo petto e non poteva accusare Tom di aver semplicemente aiutato un amico a sistemare le cose, ospitandolo in casa sua.

< E' che... non avete chiarito molto, vero? E Robert non mi ha quasi rivolto la parola durante il tragitto dall'aeroporto. > Spiegò, voltandosi verso la finestra che si affacciava sul giardino.

< Sono io quella che non vuole chiarire. > Era cosciente di non fornire molte informazioni a Tom in quel modo, ma non era in grado di spiegargli l'intera faccenda, specie perché cominciava a farle male la testa e aveva solo voglia di dimenticare quella sera.

Tom rimase in silenzio, rispettando il suo desiderio silenzioso di chiudere l'argomento e Charis chiuse gli occhi nella speranza di abbandonarsi velocemente all'oblio del sonno.

 

Robert non era riuscito a dormire. Aveva trascorso gran parte della nottata a fissare lo schermo nero della televisione di fronte a lui, la stanchezza che pian piano si impossessava delle sue membra e la resistenza della sua testa a scivolare nel sonno.

Se qualcuno fosse entrato nella stanza, avrebbe sicuramente pensato che fosse concentrato a guardare un film o qualcosa di particolarmente interessante, ma poi avrebbe notato il suo sguardo perso e vuoto e avrebbe capito che erano i suoi pensieri a colorare lo schermo. Nei suoi pensieri, però, non c'erano colori, solo macchie bianche e nere o color seppia, il colore dei ricordi sbiaditi.

Non che si aspettasse che Charis lo avrebbe accolto a braccia aperte, perché aveva tutto il diritto di disprezzarlo, ma che almeno capisse, quello sì, se lo aspettava; invece era rimasta fredda e scostante per tutto il tempo e si rifiutava di convincersi che l'amore che le dichiarava era vero e glielo stava donando.

Il ticchettio dell'orologio a forma di gufo alla parete era la sua unica compagnia.

Le coperte non erano così calde come si aspettava, ma ci era abituato, perché niente, da quando Charis si era allontanata da lui, era più caldo. A Vancouver credeva che fosse il clima a rendere le lenzuola ghiacciate e un riscaldamento poco adeguato all'ambiente; tornando a casa, a Londra, pensava di ritrovare quel calore materno che gli era mancato, il calore del proprio letto, invece anche lì la situazione era la stessa: freddo e gelo, ovunque. Quando Charis dormiva con lui faceva sempre caldo, tutto era permeato da quel torpore piacevole e rilassante in cui avresti voglia di rimanere per sempre, il torpore tipico dei giorni d'inverno trascorsi a letto, sotto il piumone, con tua madre che ti coccola per tutto il tempo, facendoti sentire importante.

Si voltò a pancia in su, gli occhi al soffitto che andava rischiarandosi: dovevano essere le sei ormai e lui non aveva dormito affatto.

Provò a chiudere gli occhi nella speranza che la stanchezza avesse la meglio, ma quando avvertì un fruscio leggero e un passo delicato, i suoi sensi rimasero sull'attenti e, pur mantenendo gli occhi chiusi, tese le orecchie per captare altri rumori. Forse Tom si era alzato.

La rete del divano scricchiolò quando un altro peso la costrinse ad appiattirsi, ma lui non si mosse, né diede segno di essere sveglio.

Charis pensava che forse avrebbe dovuto attendere che si svegliasse, ma non sopportava l'idea di averlo così vicino e non poterlo neanche sfiorare, perciò aveva rinunciato al calore delle sue coperte ed aveva cercato di essere il più silenziosa possibile nell'uscire dalla stanza e nell'attraversare il corridoio fino al salotto e poi al divano.

Robert era l'emblema della pace: aveva gli occhi chiusi, un braccio penzoloni che quasi toccava il pavimento e l'altro rintanato sotto la coperta, così come il resto del corpo, raggomitolato per riuscire a tenere al caldo anche i piedi. Il viso era contratto in un'espressione vagamente triste e severa.

Era così bello, che Charis non aveva potuto impedire alle sue gambe di fermarsi un istante per ammirarlo da lontano, prima di raggiungerlo e sederglisi accanto, facendo scricchiolare le molle del vecchio divano.

Aveva paura di svegliarlo, ma i suoi arti sembravano non rispondere più agli impulsi del suo cervello e vide la sua mano tremante sondare l'aria per raggiungere la sua pelle liscia e morbida, per perdersi nelle ciocche ribelli dei suoi capelli e per delineare il profilo perfetto del suo viso.

Sospirò di sollievo e benessere, quando, senza alcun preavviso, Robert le afferrò la mano, ancora sulla sua guancia, trascinandola verso le sue labbra. Charis trattenne il fiato, il cuore che le rumoreggiava impazzito all'interno della sua cassa toracica, mentre avvertiva sotto le dita la consistenza di quelle labbra, che avrebbe voluto baciare, ma che, invece, si protesero per sfiorarle il palmo della mano.

Poi, Robert socchiuse gli occhi, come appena sveglio e Charis allontanò la mano, timorosa. Rimasero a scrutarsi silenziosi per qualche istante, fin quando Charis non si accorse che i muscoli di Robert, fino a quel momento in tensione, si erano distesi.

< Non dormivi... > Ma non era una domanda.

< Non ci riesco. > Rispose in un sussurro, abbassando lo sguardo.

< Perché? > Gli domandò, aggrottando le sopracciglia, come se non sapesse.

< Fa troppo freddo senza di te. > E come se il suo corpo volesse sottolineare il concetto, tremò, raggomitolandosi ancora di più.

< Avresti freddo comunque, questa non è nemmeno una vera coperta. > Sorrise appena, stropicciando il cotone tra le dita.

< Avresti potuto dividere il letto con Tom, è abbastanza grande per entrambi ed ora non saresti congelato. > Continuò, premurosa.

< Non voglio dividere il letto con Tom. Non voglio dividere il letto con nessuno se non sei tu. > Ribadì, sollevandosi con il busto.

Charis sospirò esasperata, continuando a sorridere appena.

< Posso cederti il mio, tanto stavo per preparare la colazione. > Gli propose, facendo spallucce.

< No, non ce n'è bisogno. > E detto questo, la strattonò quasi verso di sé, abbracciandola e rubando un po' del suo calore.

< Sei freddo! > E rise appena, strofinando il viso sulla sua maglietta.

Robert rise con lei, mentre sentiva le mani di Charis accarezzargli la schiena nel tentativo di riscaldarlo.

< Ti preparo qualcosa di caldo, va bene? > Si separò da lui, scompigliandogli i capelli e alzandosi per andare in cucina.

Robert la trattenne per un polso prima che potesse allontanarsi troppo. La guardò negli occhi per qualche istante, cercando di capire cosa le passasse per la testa in quel momento.

< Charis... tu... tu credi che potrò mai rimediare a quello che ti ho fatto? > Era solo un sussurro il suo, ma la destabilizzò come se fosse stato un grido.

< Io so solo che non voglio perderti, Robert e ti ho perso già troppe volte. > I suoi occhi azzurri divennero liquidi.

< Neanch'io voglio perderti, Charis. > Avrebbe desiderato baciarla, sentire ancora quel calore contro di sé.

< Sai che ci sarò. Sempre. > Gli mormorò, sporgendosi verso di lui e baciandogli una guancia con tenerezza, rifiutandosi di abbandonare la sua pelle.

 

Ed io mi sento vuoto

di passione e di musica.

Orologio impazziti che canta

morte ore antiche.

Federico Garcia Lorca

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Capitolo 16
*** Show Me How Much I Worth to You ***


Ma ciao, donzelle! Ho mantenuto la promessa di postare entro oggi e sono fiera di me *me si applaude da sola*. Mi spiace dirvi, però, che la One-Shot natalizia non è ancora pronta e che la posterò domani, perché devo revisionarla ed ora ho soltanto il tempo di aggiornare She holds a Key *.*

Come al solito, ringrazio di cuore le meravigliose personcine che hanno recensito lo scorso capitolo, tutti quelli che hanno letto e che hanno inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare *.* vi adoro, non dimenticatevelo.

Giacché il nuovo capitolo arriverà nell'anno nuovo e, vi prometto, lo avrete per il 6 gennaio, colgo l'occasione per augurarvi UNO SCOPPIETTANTE 2011 e che il nuovo anno possa portarvi ancora più gioia e soddisfazione del 2010 *.*

Detto ciò, per non diventare logorroica, vi lascio al nuovo capitolo, sperando che vi piaccia <3

 

She holds a key

 

< Dovremmo svegliarlo? > Tom e Charis stavano facendo colazione, seduti intorno al tavolo della cucina, le tazze di caffè bollente tra le mani e lo sguardo in direzione di Robert che dormiva beato sul divano, il solito braccio penzoloni e la coperta che gli scopriva una gamba.

< Non ha dormito affatto, stanotte. > Soppesò Charis, tentata dalla proposta di Tom, ma solo perché voleva ascoltare ancora la sua voce e riprendere totale confidenza con lui, come qualche settimana prima.

< Ma sono le undici e, in ogni caso, sono geloso: potevo restarmene a letto anch'io! > Protestò lui di rimando, imbronciandosi.

< Io non ti ho svegliato! > Sorrise lei, sinceramente divertita. In quelle due settimane aveva imparato a conoscere Tom e, sebbene ci fossero lati di lui che emergevano con facilità, come la simpatia, il disordine, il suo essere un eterno dongiovanni e il suo essere costantemente positivo, c'erano anche aspetti di lui che Charis non avrebbe mai pensato potessero appartenergli: la sensibilità, la devozione totale che dimostrava nei confronti delle persone che amava e la malinconia che faceva capolino nei suoi occhi azzurri quando nessuno lo stava guardando e lui si isolava nel suo mondo.

< Fondamentalmente è comunque colpa tua: hai preparato il caffè alle sette di mattina! > Borbottò, incrociando le braccia al petto.

Lei sorrise e alzò gli occhi al cielo, fintamente esasperata.

< Fà come vuoi, ma io me ne tiro fuori. > Alzò le mani in segno di resa e si avviò al lavandino per sciacquare la sua tazza, o meglio, la tazza che le aveva prestato Tom e a cui, ormai, si era totalmente e incondizionatamente affezionata.

Si diresse nella camera da letto per vestirsi, mentre sentiva Tom trafficare con cuscini e coperte nel tentativo blando di soffocare il suo miglior amico e un sorriso spontaneo fece capolino sul suo volto quando sentì Robert minacciare di ucciderlo per quell'attentato.

< Sei un codardo, Rob! Perché non ti alzi e combatti da vero uomo? > Lo incitò Tom, saltellando sulle gambe come un lottatore di pugilato pronto a sferrare uno dei suoi micidiali attacchi.

< Perché sono più alto di te e ti straccerei e non voglio sorbirmi le lamentele di tua madre sul fatto che siamo cresciuti, ma ci comportiamo ancora come dei bambini immaturi. > Brontolò, sorridendo appena.

Aveva recuperato appena un'ora di sonno e si sentiva distrutto; le ossa gli dolevano come dopo un brutto raffreddore e la testa minacciava di scoppiargli da un momento all'altro.

< Dov'è Charis? > Chiese quando Tom si decise, con uno sbuffo, a deporre le armi.

< A vestirsi, credo. Tu hai intenzione di poltrire ancora a lungo? Pensavo che potremmo andare a fare un giro a Londra, in centro. Credo che a Charis farebbe piacere. > Si sedette sulla poltrona e lo fissò, stropicciando il cuscino che ancora reggeva in mano.

Robert si chiese, inconsciamente, da quanto Tom sapeva cosa avrebbe fatto piacere o meno a Charis.

< Sì, perché no. Mi alzo subito. > Rispose, lasciando da parte quei pensieri e mettendosi seduto per cercare di recuperare un po' di lucidità.

Mentre avanzava verso il bagno per una doccia, si ritrovò a pensare che, in fondo, Tom e Charis avevano convissuto per ben due settimane insieme e che era normale che avessero approfondito la loro conoscenza, ma non riusciva ancora a capacitarsi del perché Tom, alla fine, avesse deciso di prenderla sotto la sua ala. Insomma, non era un mistero per nessuno dei suoi amici che Tom non vedeva di buon occhio Charis per il fatto che fosse una barbone, così come era ovvio che avrebbe preferito per lui una ragazza dello show business; ma allora perché aveva deciso di ospitarla? Era solo per fargli un favore? Era solo perché lui, non potendone occuparsene Robert, si sentiva in dovere di fare qualcosa?

Gli aveva parlato della sera in cui avevano litigato e della voglia di Charis di partire nuovamente per Barnes, ma, se da un lato Tom non aveva fatto altro che rimproverarlo per la sua indelicatezza e per la sua stronzaggine, dall'altro, non aveva perso tempo a fargli sapere che appoggiava in pieno la sua scelta di rimanere con Kristen, perché le cose con lei sarebbero state più semplici; insomma, non era cambiato niente, o forse sì, o forse era solo lui che si faceva strane fantasie.

Mentre l'acqua calda lo rilassava, trascinandolo in un semi-oblio, sperò soltanto che il rapporto con Charis non fosse così tragico da non poter essere recuperato, perché le mancava da morire.

< Cielo, scusa! Non pensavo ci fosse già qualcuno! > La voce di Charis gli giunse ovattata a causa dell'acqua e del vapore che gli aveva, per un istante, ammortizzato i sensi, ma il suo corpo reagì all'istante, chiudendo la manopola dell'acqua e afferrando l'accappatoio lì vicino.

< Non preoccuparti, in ogni caso, ho finito. > Rispose con un mezzo sorriso, arrossendo di imbarazzo.

Quando scostò la tendina opaca della doccia, vide Charis seduta sul coperchio del water con lo sguardo basso e le guance rosse, le mani che si torturavano tra di loro.

Sembrava rifiutarsi di alzare lo sguardo su di lui che, nel frattempo, aveva calzato le ciabatte di spugna per evitare di lasciare impronte ovunque, e le si era avvicinato silenziosamente.

< Hai bisogno di qualcosa? > Le mormorò, sfiorandole una ciocca di capelli scuri.

Charis alzò lo sguardo limpido su di lui, dimentica di avere le guance in fiamme e dimentica che lui fosse coperto solo da un misero accappatoio di cotone azzurro.

< Avevo solo bisogno del pettine. > Rispose, non potendo fare a meno di notare come Robert fosse ancora più bello appena uscito dalla doccia, con i capelli in disordine che gocciolavano, il viso appena umido a causa del vapore e gli occhi di un azzurro appena più chiaro del solito.

Le sorrise, rischiando di farle venire un infarto, poi, con delicatezza, cominciò a far scorrere le dita tra le sue ciocche scure, districando con dolcezza i pochi nodi venutisi a creare durante la notte e sistemando le poche ciocche che proprio non ne volevano sapere di stare al loro posto.

< Ecco, ora sei perfetta. > E le sorrise di nuovo, guardandola negli occhi e accarezzandole appena una guancia con un dito.

< Faresti meglio a vestirti... potresti prenderti un accidente... > Gli consigliò, deglutendo a vuoto.

< D'accordo e, oh! quasi dimenticavo, grazie per il tè di stamattina. > E si piegò appena sulle ginocchia per depositarle un bacio sulla fronte che la fece fremere di desiderio: desiderio di abbracciarlo e di ritrovare le sue labbra morbide e rassicuranti.

< Di... di niente. > Balbettò, prima che lui avesse raggiunto la porta.

Possibile che ogni volta che lo vedeva, doveva sentirsi così su di giri, da non ricordarsi nemmeno più il suo nome?

 

Le vetrine di Oxford Street si stavano già preparando al Natale. Charis pensava che fosse ancora troppo presto, eppure vedeva i commessi preoccuparsi di sistemare le illuminazioni intorno all'insegna del negozio e di decorare l'albero all'interno con quelle che sembravano delle maxi palline color blu e argento.

Aveva sempre amato l'atmosfera natalizia, specie perché, avendo una sorella più piccola, si divertiva a decorare l'albero con lei, a disseminare angioletti di porcellana per la casa, ad appendere la ghirlanda sulla porta d'ingresso, a mettere insieme le statuine del presepe, a recuperare il muschio fresco nel boschetto vicino casa e a riempire di luci la terrazza e il giardino; adesso che erano ormai due anni che era scappata e che non aveva dato notizie di sé, tutto le sembrava relativo e scontato. Natale era un giorno come tutti gli altri, per cosa si sarebbe dovuta entusiasmare, per l'arrivo di Babbo Natale? Per una cena in famiglia, tutti felici e contenti? Per lo stridore della carta tra le mani quando scartava i regali sotto l'albero? Non era più una bambina, anche se le sarebbe tanto piaciuto esserlo. Avrebbe voluto conservare quell'innocenza infantile che contraddistingueva i bambini, per sempre; quell'essere genuini e sinceri, quella schiettezza e quella curiosità che i grandi dimenticavano.

Costruiva sempre un enorme pupazzo di neve con Michael, il più grande del quartiere. Un inverno avevano deciso di battezzarlo e lei aveva deciso per Frosty. A Michael era piaciuto così tanto che, ogni inverno, quando la neve era abbastanza da poterci ricavare un pupazzo, lo battezzava nello stesso identico modo. Frosty aveva sempre la sciarpa colorata del papà, un cappello a cilindro dello zio, due biglie nere al posto degli occhi, una carota come naso, uvetta per la bocca e due ramoscelli come braccia, eppure, anche quando decidevano di vestirlo diversamente, il nome rimaneva lo stesso: era diventata una tradizione.

L'anno in cui Michael era scomparso Frosty non era stato costruito, sebbene fosse caduta neve a sufficienza. Charis aveva appena trovato la forza per aiutare sua sorella con l'albero e il presepe, eppure, quando era arrivato il momento di tirare fuori le tazze natalizie per la colazione, non ce l'aveva fatta ed era scoppiata a piangere con la tazza di Michael tra le mani e Marianne che le chiedeva se andava tutto bene e se doveva chiamare la mamma.

Non ricordava di aver trascorso un Natale più brutto.

< Charis? Ehi, ci sei? > Si accorse con qualche secondo di ritardo che Tom le stava sventolando una mano davanti agli occhi.

< Sì, sì, ci sono... ero soprappensiero... > Rispose, voltandosi verso di lui.

< Beh, ce ne siamo accorti! Stavamo pensando di andare a pattinare, che ne dici? > Le propose con un sorriso.

Il suo sguardo, però, cercò quello di Robert, color oceano e, quando lo ritrovò, i ricordi tristi vennero spazzati via e lei si disse che era abbastanza forte da superarli.

< E' una bella idea, sì. > Sorrise e vide Robert ricambiare.

Si strinse nel suo giaccone e, mentre Tom si allontanava per andare a comprare le sigarette, Charis gli si avvicinò, come per caso.

< Dimmi che hai anche solo una vaga idea di come si pattina. > Ruppe il silenzio Robert, gli occhi supplicanti.

Charis annuì convinta e fu tentata di ridere quando Robert tirò un sospiro di sollievo.

< Non sai pattinare?!? > Gli chiese stupita.

< E' già tanto se riesco a mettere un piede dietro l'altro e se so andare in bicicletta, credimi. > Si scompigliò i capelli, ritornando con le mani nelle tasche dei jeans l'istante successivo.

< Ma pattinare non è così difficile! E' come camminare. > Gli spiegò.

< Parla per te. > Borbottò, voltando lo sguardo al traffico.

Charis rise e saltellò sul posto per riscaldarsi.

< Hai freddo? > Lo sguardo di Robert ritornò su di lei, preoccupato.

< Solo un po'... > Ammise.

Robert non ci pensò su due volte e la strinse in un abbraccio, sfregandole la schiena per riscaldarla, mentre Charis immergeva il volto nel risvolto della giacca pesante e chiudeva gli occhi, il cuore che batteva all'impazzata.

< Stai tremando. Avresti dovuto indossare qualcosa di più pesante. > Le fece presente, continuando a stringerla.

Avrebbe voluto rispondere che, se ogni volta che aveva freddo, era previsto un abbraccio, sarebbe anche potuta andare in giro nuda, ma rimase in silenzio a godersi il calore confortante del suo corpo.

Sarebbe bastato così poco per perdonarlo, per ritornare come prima, ma non poteva prendersi in giro e non poteva prendere in giro lui: aveva bisogno di tempo.

Gli solleticò la nuca con le dita, avvertendo i capelli più corti solleticarla e lui trattenere appena il respiro.

Aveva bisogno di tempo, ma nel frattempo desiderava ardentemente le sue attenzioni, le sue coccole senza pretese e il poter toccare la sua pelle calda; sentire il suo respiro accanto durante la notte, prima di addormentarsi e poter contemplare il suo viso la mattina, prima che si svegliasse.

Eppure non poteva chiedergli una cosa del genere; non poteva chiedergli di essere il suo giocattolo personale, da trattare a proprio piacimento solo per una mera soddisfazione personale, perché l'avrebbe fatto soffrire e con lui avrebbe sofferto anche lei, irrimediabilmente.

Dovevano andarci piano.

Si allontanò controvoglia, evitando le sue mani che avrebbero solo voluto sistemarle i capelli scomposti dal vento. Robert non parve deluso, ma Charis lo conosceva bene e sapeva leggere nei suoi occhi così a fondo, da accorgersi del velo di malinconia che aveva prodotto il suo gesto.

Rimasero in silenzio per i minuti successivi, fin quando raggiunsero il palaghiaccio e ordinarono tre paia di pattini.

< Dio, ma è impossibile camminare con questi affari ai piedi! > Si lamentò Robert, avanzando barcollante verso il corridoio che li avrebbe condotti in pista.

Era alquanto buffo: somigliava ad uno di quei clown che camminano sui trampoli e che devono costantemente muovere le braccia per mantenersi in equilibrio.

Tom li aveva preceduti, mentre Charis lo stava ancora aspettando, dando un'occhiata alla pista già piena di persone e premurandosi di sistemare meglio la sciarpa intorno al collo.

< Senti, non so se sia una buona idea, sai? Cadrò e... mi romperò qualcosa e tu farai la stessa fine se mi aiuti. > Si mantenne al bordo della pista, indeciso se afferrare la mano che Charis gli porgeva.

< Non cadrai, fidati. > Gli sorrise rassicurante.

Robert sbuffò, ma accettò lo stesso l'invito, lasciandosi trascinare sul ghiaccio liscio.

Strinse la presa sulla mano di Charis quando si sentì cadere e, anche se era sicuro di averle fatto male, Charis non si lamentò e sorrise soltanto.

< Devi piegarti leggermente in avanti e devi rilassarti; se stai come uno stoccafisso è più semplice cadere. > Gli spiegò.

Fece come aveva detto, inclinando leggermente la schiena in avanti e piegando le ginocchia, quando Charis cominciò a farlo avanzare.

Fecero quasi mezzo giro di pista prima che Robert riuscisse a rilassare i muscoli e a non essere troppo rigido.

< Ora ti lascio, ok? > Abbandonò la sua mano, spingendolo appena per farlo avanzare.

< Come sarebbe a dire che mi lasci?!? Non sono ancora capace! > Borbottò, voltandosi all'indietro verso di lei.

< Ci stai riuscendo benissimo, però! > Charis fu costretta ad urlare per farsi sentire, visto che ormai Robert si era allontanato di un po', senza neanche rendersene conto.

Stava pattinando da solo e, anche se era un po' impacciato e a volte aveva ancora la sensazione di cadere, rischiando di rompersi qualcosa, stava andando meglio di quanto aveva previsto.

< Sto pattinando da solo! > Sorrise quando intravide Charis che, nel frattempo, aveva fatto un altro giro di pista.

< Cosa ti avevo detto? E' semplice come camminare. > Fece spallucce.

Le si avvicinò, stando attento a non investire i pochi bambini che gli passavano davanti.

Aveva le mani fredde e il naso completamente insensibile, eppure, solo la sua presenza riusciva a riscaldarlo.

< Avresti dovuto farti prestare un paio di guanti da Tom. > Constatò quando le afferrò una mano.

Lei fece spallucce, sorridendo.

< Non ti piace proprio farti aiutare, eh? > Sorrideva anche lui, ma la sua era una domanda seria.

Charis fece di nuovo spallucce, mostrandogli la lingua.

< Ma che modi per una signora! > La rimbrottò scherzosamente, raggiungendola da dietro e poggiandole le mani sulla vita, costringendola ad un urletto spaventato.

Robert le si plasmò sulla schiena come una seconda pelle, riscaldandola e dandole la possibilità di ascoltare il suo cuore che batteva lo stesso ritmo del suo.

Lui, d'altro canto, inspirò il buon profumo dei suoi capelli e la morbidezza della sua pelle che gli era mancata.

< Potrebbero vederci... > Mormorò lei. Non che le importasse che qualche paparazzo li immortalasse in quella posa romantica, ma non voleva che Robert passasse dei guai per colpa sua.

< E' l'unica cosa che non mi interessa al momento. > Rispose lui tranquillo, allontanandosi da lei, lasciandola preda del gelo, e obbligandola a cozzare la schiena contro il perimetro della pista, in un angolo meno frequentato degli altri.

< E cos'è che ti interessa ora? > Gli domandò timorosa, arrossendo.

I suoi occhi parlavano chiaro, perfino il respiro leggero che la raggiungeva, non stava facendo altro che reclamarla, eppure, ancora non bastava. 

Robert, ad un centimetro dalle sue labbra, non rispose, guardandola negli occhi e chiedendosi se era poi così difficile amare e sentire il cuore e lo stomaco in subbuglio, le guance bollenti e il formicolio alle mani, perché lui quei sintomi li avvertiva tutti, distintamente.

< Te, Charis. Sei l'unica cosa di cui m'importa. > Le sussurrò ad un passo dal baciarla. 

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Capitolo 17
*** Closer ***


Salve!

Forse sono l'unica nell'universo a non essere depressa per la fine delle vacanze xD, anyway, ho deciso di aggiornare oggi e non il 6 come vi avevo promesso, nella speranza che qualcuno si facesse avanti per lasciarmi una recensione, ma nulla ç.ç non sarete mica diventati così grassi da non riuscire ad entrare più nella sedia della scrivania, spero! xD

A parte gli scherzi, spero vivamente che il capitolo precedente vi abbia soddisfatto e, in caso contrario, gradirei capire cosa avreste voluto di diverso; sapete benissimo che anche le critiche costruttive sono ben accette ^^

Questa volta ho una piccola nota pre-capitolo da sottoporre alla vostra attenzione e, anche se non la riterrete importante, io ci tengo ad esprimere il mio personalissimo parere circa il 17° capitolo, ovvero quello che vi appropinquate (ma che termine forbito ù.ù) a leggere:

Non sto a dirvi come è nato il capitolo, quando o perché (quello sì che sarebbe inutile!), ma piuttosto quello che ho provato io scrivendolo; mi spiego meglio: fin dalla fine dello scorso capitolo (subito dopo la scena del quasi-bacio) avevo previsto che il 17° avrebbe potuto benissimo trattare dell'indecisione di Charis circa il baciare o meno Rob, il tentativo (magari) di allontanarlo, le sue motivazione, una plausibile sceneggiata da parte di lui etc; poi, scrivendo, è uscito fuori tutt'altro, come spesso capita. Charis è venuta fuori in maniera più esplicita che negli altri capitoli, ha cercato di smettere di difendersi continuamente e di mettere a nudo quelle che sono le sue emozioni, quindi mi scuso fin da ora se la Charis di questo capitolo risulterà OC rispetto a quella degli inizi e, ovviamente, so che le persone non maturano così in fretta (oppure cambiano idea, quello che volete), ma ci vogliono anni (o, a volte, non maturano affatto xD), perciò se qualcosa risulterà incongruente, è solo perché nella mia testa Charis ha deciso di assumere un atteggiamento differente, mantenendo solo in parte quella che è stata, la "vecchia" lei, insomma.

Volevo solo avvisarvi di questo e sappiate che questo capitolo ha richiesto molta più fatica di quello che mi aspettavo, visto che era già ben tutto collocato nella mia testa e poi, all'ultimo, le mie dita hanno prodotto altro ù.ù

Ringrazio, nel frattempo, le 78 persone che hanno fatto visita allo scorso capitolo e che spero l'abbiano gradito *.*

 

Enjoy the reading! <3

 

she holds a key

 

 

 

< Per quanto pensi di fermarti? > La domanda arrivò all'improvviso, mentre la cameriera del ristorante cinese che avevano scelto per rifocillarsi dopo il pattinaggio, serviva loro tre porzioni di spaghetti in salsa di soia, tre bicchieri di tè verde e una porzione di riso alla cantonese che Tom sistemò al centro del tavolo.

< Tre giorni, suppongo. David mi ha assicurato che non c'erano problemi se volevo assentarmi di più, che avrebbero filmato le scene in cui non era richiesta la mia presenza, ma preferisco tornare per non scombussolargli il piano di lavoro. > Rispose, sistemandosi le bacchette in mano e cominciando ad immergere i suoi spaghetti nella salsa.

Tom annuì brevemente, lo sguardo al piatto.

Charis sprofondò il viso nella sua tazza di tè verde, perché aveva avvertito di nuovo quella strana sensazione alla bocca dello stomaco, quel malessere velato, quell'amarezza che le era salita fino in gola e che era sempre difficile cacciare via. Sarebbe andato via di nuovo e lei sarebbe rimasta sola, almeno fino a Natale.

Ci sarebbe stato Tom con lei, ma era la stessa cosa? Anche lui era entrato a far parte della sua vita insieme a Robert, ma poteva posizionarli sullo stesso livello? Con Tom si era confidata solo lo stretto necessario, quel tanto per non dover portare un enorme peso sulle spalle; Robert...,beh, Robert sapeva tutto di lei o, almeno, le piaceva crederlo.

Lo squillo del cellulare di Tom catturò l'attenzione di tutti e tre e, mentre lui lo estraeva dalla tasca e dava una sbirciata al nome sul display, Robert le lanciò un'occhiata che la costrinse ad abbassare lo sguardo; e non perché era un'occhiata sprezzante, dura o carica di pregiudizi, ma perché era stata così intensa da farle rivivere gli istanti sulla pista di pattinaggio, quelli in cui l'aveva ingabbiata con il suo corpo e le aveva dimostrato, ancora una volta, di essere lì per riconquistare la sua fiducia e il suo affetto. Avrebbe potuto annullare la distanza che li separava, fingere che non aveva aspettato altro da tutta la mattina, ma si era scansata, limitandosi ad un sorriso imbarazzato che lo aveva frenato.

< Scusate, torno subito. > Tom si era alzato, allontanandosi fuori del locale, lo sguardo serio e gli occhi tristi; gli stessi occhi che Charis gli aveva visto soltanto quando era riuscita ad osservarlo senza farsi notare e lui, credendosi solo, aveva abbassato le sue difese.

Seguì il suo percorso con lo sguardo, chiedendosi chi potesse essere al telefono e, allo stesso tempo, immaginandosi il volto di colui o colei che era in grado di risucchiargli l'allegria.

Robert catturò la sua attenzione, lasciando che le bacchette cadessero sul tavolo, come due shanghai.

I suoi occhi erano freddi, il suo sguardo acqua ghiacciata e Charis, in fondo, era convinta che sarebbe successo, prima o poi, anche se non era riuscita ad evitare al suo viso di assumere un'espressione meravigliata e ai suoi occhi di dilatarsi dallo stupore. Conosceva Robert e sapeva che la sfuriata era vicina; ora che erano soli, eccetto una coppia a qualche tavolo di distanza e i proprietari del locale che stavano chiacchierando davanti alle loro tazze di tè, era il momento migliore.

< E' per questo che mi eviti. E' per lui. > Se non ce l'avesse avuto di fronte non sarebbe stata in grado di riconoscere la sua voce.

< Lui chi? > Non voleva riferirsi di certo a Tom, vero?

< Tom, il mio migliore amico, quello a cui non andavi a genio, quello che ti disprezzava perché eri una barbona, quello che cercava di convincermi che non eri adatta a me. > Elencò sarcastico, osservandola con astio.

Non avrebbe mai pensato di poter guardarla con quel sentimento che gli si agitava nello stomaco, nella pancia, nel suo intero corpo, eppure, lo sguardo che aveva rivolto a Tom quando si era alzato per ottenere un po' di privacy al telefono, l'aveva fatto scattare. Ero lo stesso sguardo che aveva rivolto a lui i primi giorni di conoscenza, quando cercava di capirti, di studiarti, di leggerti negli occhi le emozioni che provavi e lui era geloso; geloso della persona che conosceva dalla nascita.

Charis si lasciò sfuggire una risata.

< E' uno scherzo, vero? > Gli chiese, le dita che giocavano con il bordo della tazza di fronte a lei. < Insomma, io innamorata del tuo migliore amico?!? Dovresti davvero smettere di guardare film sentimentali, se ti fanno questo effetto. > Sorrise.

< Beh, non è quello che succede? Il protagonista di turno finisce solo e depresso, mentre il suo migliore amico si porta a letto la sua ragazza. > Rispose, soppesando la cosa.

< Io non vado a letto con Tom, Robert. > L'ilarità era scomparsa anche dal suo tono di voce, perché quelle allusioni leggere stavano cominciando a darle sui nervi ed era stanca; voleva essere lasciata in pace, voleva far finta che fosse tutto semplice, che fosse a New York e che sarebbe bastata una telefonata perché Michael corresse a prenderla.

Ma si trovava dall'altra parte del mondo e Michael non c'era, era morto e il suo cellulare era in un cassetto della sua vecchia scrivania.

Robert prese un respiro profondo e si passò la mano tra i capelli spettinati, cercando di recuperare la calma e di non trarre conclusioni affrettate. Era deluso, arrabbiato e sconvolto. Aveva fatto i suoi errori, certo e non poteva biasimare Charis se adesso preferiva andarci cauta, ma quella mancanza di sfiducia, quel sottrarsi continuo alle sue carezze e quell'assenza di complicità che li aveva accomunati all'inizio, gli pesavano sulle spalle come un macigno. Per quanto lui cercasse di risalire la montagna, rotolava sempre giù, schiacciato dal peso della pietra e rimettersi in piedi era difficile.

< Sto... sto solo cercando di capire perché tu sia ancora così diffidente nei miei confronti. > Abbassò lo sguardo e la sua voce si tramutò in un pigolio soffocato.

< Mi hai ferita, Robert! Cosa dovevo fare, saltarti in braccio e fare finta di niente?!? Mi dispiace, ma non ci riesco. > Era una spiegazione più che sufficiente. Credeva di essere l'unico ad anelare il rapporto precedente, quello fatto di carezze e confidenze, ma era lei che aveva dovuto sopportare quella commedia per settimane, era lei ad essere stata tradita, non lui. Avrebbe potuto baciarlo sulla pista da pattinaggio, avrebbe potuto risolvere la questione quella mattina stessa: avrebbe potuto abbracciarlo, dirgli che era tutto sistemato e lasciarlo partire per Vancouver con il cuore più leggero, ma sarebbe cambiato qualcosa?

< No! Non voglio il tuo perdono se non credi che sia giusto, solo... mi manchi e... mi sembri così lontana che... > Tentò di spiegarle, incespicando con le parole e tirandosi i capelli con una mano.

Charis sospirò, leggendo negli occhi di Robert quella tristezza e quella paura di rimanere solo che avrebbe letto anche nei suoi se solo avesse avuto uno specchio a portata di mano e gli fece pena. Pena, non nel senso che avrebbe fatto tutto quello che le avrebbe chiesto pur di non vederlo giù, ma pena nel senso che avrebbe voluto che quel casino non fosse successo, che avrebbe preferito conoscere la verità subito, piuttosto che essere costretta ad abbandonarlo dopo una telefonata con Kristen, che, nonostante tentasse di convincersi che andare a Vancouver non era stata la scelta migliore, ci sarebbe voluta ritornare solo per stare con lui, per dividere il letto con lui senza la paura di essere scoperti, per passeggiare mano nella mano senza che Kristen sospettasse qualcosa e per poter finalmente dire a tutti che non erano soltanto amici e che non voleva che fossero considerati tali, perché Robert l'aveva rapita, in tutti i sensi.

Gli sfiorò i capelli con una mano, avvertendoli morbidi sotto le dita ed incredibilmente setosi e sorrise.

< Robert io sono qui, con te. Non sono lontana, sono qui. > Gli sussurrò, cercando di vedergli gli occhi.

< Ti voglio più vicina. > Mormorò, lasciandosi accarezzare come un gattino bisognoso di coccole e amore.

Charis si alzò dalla panca su cui era seduta e fece il giro del tavolo, obbligando Robert ad alzare lo sguardo per tentare di capire cosa volesse fare. Si sedette a forza sulle sue gambe, circondandogli la spalla con un braccio e sorridendo divertita.

< Va meglio ora? > Gli domandò.

Robert le circondò la vita con le braccia e immerse il viso nell'incavo tra il collo e la spalla, lasciandosi solleticare dai suoi capelli profumati.

Annuì, stringendola e facendole venire la pelle d'oca con il suo respiro a diretto contatto con la pelle calda.

< Non ci provare mai più ad andartene. > La supplicò, chiudendo gli occhi e desiderando rimanere così per sempre.

< Non vado da nessuna parte. > Seguì i contorni del suo viso con un dito, attenta ad essere delicata e capì che quello che le era mancato di più di Robert, non era stata tanto la sua presenza, quanto il sentirsi sicura tra le sue braccia e il battito del cuore sincrono al suo, quasi che l'uno fosse il prolungamento o il rafforzamento dell'altro.

Robert trattenne il respiro alle sue carezze dolci, guardandola negli occhi e cercando di imprimere nella memoria ogni più piccola sfumatura dei suoi.

Aveva così voglia di baciarla, di sapere che il suo sapore non era cambiato in quelle settimane di lontananza, che, quando gli sfiorò le labbra con l'indice, non resistette e le schiuse appena. Charis non si allontanò né mise fine al contatto. Le labbra di Robert erano qualcosa di unico, create per essere ammirate e baciate, per donare piacere.

Ritrasse il dito qualche secondo più tardi e avvicinò il viso al suo, miscelando i respiri e i profumi, poi chiuse gli occhi e lo baciò come se fosse stato qualcosa che aspettava da tanto e che solo ora le veniva concesso.

Delineò la linea della sua mascella con le dita mentre Robert chiedeva accesso alla sua bocca e le torturava il labbro superiore con la lingua, in una dolce ed estenuante carezza.

Ebbero la forza di separarsi solo quando qualcuno al loro fianco tossicchiò, manifestando la propria presenza: Tom.

Charis nascose le guance rosse d'imbarazzo nel bavero della giacca di Robert, vulnerabile come sempre, mentre Tom ridacchiava divertito.

< Fate pure, prego. Per me non c'è problema, sono invisibile. > Proruppe allegro, riprendendo a mangiare.

< Chi era a telefono? > Gli chiese invece Robert, schiarendosi la voce e recuperando di nuovo le bacchette per riprendere a mangiare, Charis ancora in grembo come una bimba.

< Quella scocciatrice di Samantha. Le avrò detto mille volte di smetterla di chiamarmi! > Brontolò indignato.

< Hai fatto colpo, Tom, dovresti esserne contento. > Sorrise, rifilandogli una pacca scherzosa sulla spalla, rischiando di fargli andare di traverso gli spaghetti, ormai freddi.

< Sarò contento quando la ragazza in questione non avrà nome Samantha. > Replicò, bevendo un sorso di tè e lanciando un'occhiata a Charis che, con maestria, si stava scostando una ciocca di capelli davanti agli occhi per farsi imboccare da Robert.

< Beh, comunque ha detto che deve parlarmi di una cosa importante, perciò non ho potuto rifiutare... > Continuò, sbuffando.

< Una cosa importante? Non sarà incinta, spero! > Quasi non urlò.

< Vuoi smetterla di dire stronzate? Sai essere un fottuto bastardo quando vuoi! > Lo rimbeccò, mollandogli uno scappellotto sulla nuca, evitando Charis per un soffio.

< Ehi, la mia era solo un'ipotesi! > Si difese lui, ridendo.

< Ah sì?!? Tienile per te le tue ipotesi la prossima volta. > Grugnì e Charis pensò che, in fondo, non era così difficile essere uomini e capirsi al volo.

Fino a poco prima Robert aveva sospettato del suo migliore amico, di lei, eppure adesso sembrava aver accantonato l'idea, ritornando ad essere il solito giocherellone con lui.

Nei momenti difficili è naturale dubitare delle persone che ti circondano, anche di quelle più care, cosa di cui era stata vittima anche lei con i suoi genitori: l'avevano accusata ingiustamente di aver provocato la morte di Michael quando lei voleva soltanto che si divertisse per una sera e che mettesse da parte il senso di protezione che nutriva per lei. Non era stata colpa sua, era stata colpa del caso e di quell'automobilista imprudente.

Non era stata colpa sua.

Non era stata colpa sua.

Non era stata colpa s...

Doveva solo smettere di pensarci

 

Michael,

l'ho rifatto: non ho mantenuto la promessa, quella di smettere di pensare che la tua morte sia stata colpa mia. E' tutto più semplice quando puoi accusare qualcun altro: l'autista ubriaco, un colpo di sonno, un cartello stradale dimenticato, il gatto che ha attraversato la strada all'improvviso... quando accusi te stesso, invece, tutto cambia e la giornata non è più così bella come quando ti sei alzata.

A volte chiudo gli occhi e mi sembra di poter tornare indietro nel tempo, a quando ero solo un minuscolo fagotto, a quando i problemi non esistevano, perché c'erano altre persone ad occuparsene. Se stavi male bastava frignare finché non arrivava la mamma che ti prendeva in braccio e ti cullava, cercando di farti smettere. C'era qualcuno a prendersi cura di te.

Ma quando sei grande cosa puoi fare?

Piangere? Urlare fino a quando non senti la gola bruciare? Far finta di niente?

Non so cosa sia giusto, ma non c'è più nessuno pronto a risolvere i tuoi problemi; devi cavartela da solo e il più delle volte è difficile.

E' così complicato fingere...

 

Charis sentì il fruscio delle lenzuola che venivano mosse e smise di scrivere, lasciando che la penna facesse da segnalibro e allungandosi verso il comodino per depositarvi il diario.

Robert le baciò la guancia e le accarezzò i capelli con dolcezza, strappandole un sorriso.

< Cosa stavi facendo? > Le chiese con un mormorio basso e appena udibile.

< Scrivevo a Michael. > Si accoccolò con la testa sulla sua spalla, ritrovando quel calore così familiare.

< Ti fa stare bene scrivergli? > Non voleva essere invadente, voleva solo cercare di capire, sistemare le ultime tessere del puzzle che gli mancavano.

< A volte. > Rispose, facendo spallucce.

< Avevo un diario quando ero un ragazzino; me lo regalarono i miei nonni ad un compleanno. Pensavo fosse più una cosa da donna, insomma, affidare i propri pensieri ad una carta che non poteva risponderti, mi sembrava stupido, ma comincia ad usarlo, tanto che divenne un'abitudine. > Le raccontò per metterla a proprio agio, continuando a carezzarle i capelli.

< E ti faceva stare meglio? > Charis alzò lo sguardo su di lui, curiosa. Scrivere a Michael era per lei qualcosa di terapeutico, un modo come un altro per sentirlo ancora vicino, per fingere che fosse lì accanto e lei gli stesse raccontando l'ennesima giornata.

< Sì, era come... come una terapia, come andare da uno psicologo e scoprire cose di te che prima non conoscevi. > Ci pensò un po' su, cercando di rievocare la sensazione della penna che graffiava la carta e delle sue emozioni che scivolavano leggere, il cuore che diventava improvvisamente più leggero.

Charis gli circondò la vita con un braccio, sospirando piano, pensando che dividere il letto con lui le era mancato più di quanto era disposta ad ammettere.

Tom era uscito qualche ora prima, lasciandogli campo libero nella disposizione per la notte, considerato che, come aveva assicurato, non sarebbe rientrato prima della mattina dopo sul tardi.

< Tornerai con me a Vancouver? > Le domandò dopo qualche minuto di silenzio, indeciso.

< Tu vuoi che io venga? > Rispose invece lei, sollevando gli occhi sul suo viso e sorridendo lieve, conoscendo già la risposta.

Robert annuì, lasciandola libera di inginocchiarsi di fronte a lui e di prendergli una mano.

Gli occhi le brillavano ed era più bella che mai.

< Allora posso anche farci un pensierino. > Sussurrò, fintamente pensierosa.

Dove sarebbe mai potuto essere il suo posto se non al suo fianco?

< Sono capace di portartici di peso, bada. > Le fece presente, unendo la fronte alla sua.

Charis neanche rispose, gli occhi fissi sulle sue labbra rosse e sulla voglia che aveva di baciarlo.

I loro respiri erano un'unica cosa e, anche quando Robert decise di porre fine all'agonia e di fare sue quelle labbra, Charis pensò che non c'era una fine; non esisteva materia che le permettesse di capire dove terminava lei e dove cominciava lui.

Le mani, animate di vita propria, corsero ad accarezzargli la nuca nel tentativo di avvicinarlo ancora a sé, come se lui non avesse ancora provveduto ad ancorarlesi addosso, plasmandosi al suo corpo minuto.

Le dita di Robert scivolarono sotto il tessuto sottile della camicia che le aveva prestato per dormire e che lei aveva abbottonato soltanto a metà, lasciando la pancia scoperta e risalirono lente verso i bottoni, facendoli emergere dalla loro corrispettiva asola.

Charis abbassò lo sguardo, allontanandosi dalle sue labbra, il respiro affannoso, per carpire ogni suo più piccolo movimento e si scoprì impaziente quando tutti i bottoni vennero slacciati, di sentire le sue carezze e il calore di quelle mani gentili.

Non portava il reggiseno e, sebbene ricordarlo in quel momento fosse alquanto imbarazzante e si diede della stupida almeno un milione di volte prima di convincersi che a Robert non sarebbe importato granché, mentre la camicia le scivolava via dalle spalle per essere lanciata in qualche imprecisata parte della stanza, si scoprì assolutamente a suo agio; non nuda e in imbarazzo come la volta precedente, ma nel posto giusto al momento giusto, semplicemente.

I capelli vennero portati all'indietro da una mano di lui, ansioso di guardarla negli occhi e di scoprire cosa provava, come stava.

Charis gli sorrise appena, lasciando che le guance le si imporporassero appena, rendendola adorabile e Robert ricambiò, sfiorandole la schiena e osservandola inarcarsi verso di lui, sopraffatta dai brividi.

La baciò di nuovo, sollevandola quel tanto per farla distendere accanto a lui e sovrastarla, puntellandosi sui gomiti, le sue gambe schiuse intorno alla sua vita.

< Non sei obbligata a fare niente, lo sai. > Le mormorò, solleticandole una guancia con il naso.

Per tutta risposta lei gli accarezzò i capelli, inclinando la testa sul cuscino per osservarlo meglio e cominciando con una mano a disegnare figure immaginarie sulla sua schiena nuda, avvertendo i muscoli irrigidirsi e i suoi occhi chiudersi, sopraffatto dal piacere di quella carezza appena accennata e lui seppe che era quello che voleva, che non si stava offrendo a lui per dovere, che voleva sentirlo riempire anche la più piccola cellula del suo corpo e che voleva condividere con lui il dolore, il piacere, gli ansiti, i sospiri, i gemiti, la paura, la gioia, l'inadeguatezza, il non saper trattenersi, la foga, le carezze sempre più audaci della sua prima volta.

E fu sua.

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Capitolo 18
*** Puzzle ***


Buon salve! Sono in ritardo come al solito e, per di più, il capitolo non mi piace neanche un po' ç.ç L'ispirazione, a quanto pare, ha deciso di abbandonarmi e si è comodamente fatta i fattacci suoi per un mucchio di tempo!

Comunque, passando a cose serie, ringrazio infinitamente tutte coloro che hanno commentato e tutte le 107 persone che hanno letto *.* (non è che lascereste anche voi un piccolo commento? xD)

Vi informo che ieri sera ho creato un account su Facebook solo per le mie storie in cui inserirò le foto dei personaggi, spoiler, avvisi e quant'altro e, se volete, potete aggiungermi, specificandomi il nick che avete su EFP così vi posso riconoscere più facilmente ^^

Questo è il link: http://www.facebook.com/profile.php?id=100002038959874&sk=wall

Approfittando, inoltre, dell'insana voglia che ho oggi di postare, pubblicherò una One-Shot, sempre su Robert e che non è altro che il continuo di Christmas Eve's Wish e una raccolta di drabble sempre sul Roberto che ho voluto fare per divertirmi un po' con l'aiuto del mio lettore mp3 impostato su random. Se volete, quindi, potete dare un'occhiata anche a queste che pubblicherò subito dopo She holds a Key *.*

Ultima cosa e scompaio, giuro xD: She holds a Key sta volgendo al termine e credo che manchino ancora due, massimo tre capitoli ç.ç mi sembrava giusto avvisarvi ^^

 

Ed ora, buona lettura! *.*

 

 

Quando Robert si svegliò, la mattina successiva, Tom non era ancora rientrato e fu il primo pensiero che raggiunse il suo cervello, subito dopo aver socchiuso gli occhi. Nessun rumore in cucina, branda deserta e silenzio assoluto in bagno.

Sbadigliò, realizzando di essere ancora abbracciato a Charis. Sorrise nel ritrovarla nella stessa identica posizione in cui si era addormentata dopo che avevano fatto l'amore. Le aveva rimboccato le coperte come ad una bambina, attento che non prendesse freddo e, anche se avrebbe preferito che indossasse di nuovo la camicia, aveva ritenuto che fosse troppo rischioso tentare di fargliela indossare senza svegliarla.

Le si era accoccolato accanto, facendo aderire il petto alla sua schiena pallida e circondandole la vita con un braccio. La sua pelle odorava di buono, di fiori di campo e di bagnoschiuma alle more ed era così rilassante ascoltare il suo respiro tranquillo, che non ci mise molto ad addormentarsi anche lui.

Allungò una mano nella sua direzione, scostandole una ciocca di capelli che le era caduta su una guancia e si premurò di essere il più delicato possibile per non interrompere il suo placido sonno.

Era ancora più bella quando dormiva, o forse era ancora più bella perché era diventata una donna, una donna a tutti gli effetti.

Sorrise e sprofondò il viso tra i suoi capelli, rilassandosi: chissà se era tardi.

Charis si mosse appena; il suo viso assunse un'espressione corrucciata, di chi è in procinto di svegliarsi e il suo corpo si mosse quasi in automatico a fronteggiare quello di Robert, che cercò con una mano, a tentoni.

< Buongiorno. > Le mormorò soffice, baciandole una guancia morbida e lei, gli occhi ancora chiusi, sorrise, portandosi ancora più vicino a lui.

< E' da molto che sei sveglio? > Gli domandò, accarezzandogli i capelli alla cieca.

< Pochi minuti. Non sarebbe ora di aprire questi occhi meravigliosi? > La prese in giro, baciandole le palpebre e poi la fronte.

< Ho paura che possa essere stato tutto un sogno. > Aveva fatto l'amore con Robert, si era donata totalmente e incondizionatamente ad un uomo per la prima volta. Ricordava ogni istante, ogni carezza, ogni stretta e ogni bacio, ma se appena sveglia si fosse ritrovata nel solito letto in cui aveva dormito tutte quelle notti? Se si fosse resa conto che Robert aveva dormito sul divano come la notte prima? Come avrebbe reagito?

< E' tutto vero, Charis, io sono qui. > Le rispose e sentì le sue dita tra i capelli e poi delineare il profilo del viso, il collo e la spalla.

Socchiuse gli occhi e lo splendore dei raggi del sole che facevano capolino dalla persiana della finestra accanto a loro le rimandarono il color azzurro cielo degli occhi di Robert e il suo sorriso contagioso. Si sentì una stupida per aver creduto che fosse stato tutto frutto della sua immaginazione, ma, allo stesso tempo, si sentì estremamente euforica, felice come non le capitava da tempo.

Robert era accanto a lei, poteva toccarlo ed ora lei era sua, sua e di nessun altro.

Le venne in mente l'oceano e non seppe neanche spiegarsi il perché. Forse era per via degli occhi di Robert, così intensi ed infiniti.

< L'hai mai visto l'oceano? > Gli chiese d'improvviso, un sorriso che le illuminò anche gli occhi.

< Sì, un paio di volte, perché? > La osservò scettico, le sopracciglia aggrottate e un mezzo sorriso a stravolgergli la linea delle labbra.

< I tuoi occhi mi ricordano l'oceano. > Fece forza sulle braccia e si portò su di lui, i gomiti ad un centimetro dal suo viso. Non le importava se era nuda, se non aveva neanche pensato ad indossare gli slip o la camicia che lui le aveva prestato, non le importava di nient'altro se non di quel momento e di quella intimità calda e accogliente che erano riusciti a creare e che aveva pervaso tutta la stanza.

< Ma davvero?!? > Afferrò una sua ciocca di capelli neri con due dita e se la arrotolò intorno ad uno di questi ultimi, quasi volesse strapparli via.

Charis annuì convinta, disegnando con l'indice il profilo delle sue labbra.

< Perché proprio l'oceano? Perché non il cielo? > Era una stupidaggine, se ne rendeva conto, eppure era solo curioso, non voleva essere il solito perfezionista noioso. 

< Perché il cielo può anche essere in tempesta, coperto di nubi, spento; i tuoi occhi non sono mai così, come l'oceano, mantengono il loro colore. > Gli spiegò, facendo spallucce divertita dalla sua curiosità.

Rimase spiazzato da quella risposta e non ebbe modo di dire altro, anche perché Charis si chinò a baciarlo, assaggiando quelle labbra che conservavano ancora il sapore e il profumo della sua pelle.

< Devi proprio andare via? > Gli chiese, accoccolandosi con la testa sul suo petto, giocherellando con la pelle liscia e tesa del collo, facendogli scappare un sospiro beato.

< Vieni con me. > Le propose, baciandole i capelli e torturando di carezze il suo ventre scoperto.

< Non ho voglia di rivedere Kristen. Insomma, sarà furiosa. > Non che lei non lo fosse stata, specialmente quando aveva dovuto intuire da una telefonata che Robert era impegnato, ma le cose con Kristen erano diverse. Erano colleghi di set, avevano condiviso centinaia di scene insieme, avevano convissuto per mesi e, se lei si era dichiarata, era perché ci credeva davvero in quel rapporto. Vedersi strappare via il ragazzo di cui era innamorata da una ragazza che per giorni aveva finto di essere solo una semplice amica, doveva essere stato terribile.

< Non mi è parsa così fuori di sé, ma forse era solo perché stavo partendo e sapeva di non potermi fermare. E, comunque, perché dovresti preoccuparti di lei? Voglio dire, sarai mia ospite, non ha diritto di opporsi. > Le fece notare.

Era tutto come qualche settimana prima: voleva andare con lui, ma c'era una parte di lei che le diceva di restare a Londra e di non interferire. Unica differenza: adesso era davvero sicura che Robert non avrebbe cambiato idea circa i suoi sentimenti. Non sapeva come poteva dirlo con così tanta sicurezza, eppure, ne era certa. Forse era dovuto al fatto che avevano compiuto un passo importante quella notte, forse era perché lo sentiva meno titubante nei suoi confronti e più rilassato, forse perché anche l'idea di ritornare a Vancouver non lo spaventava e non lo agitava, nemmeno se ci avesse dovuto portare lei, o forse non era nessuno di questi motivi. Il suo cuore le diceva che era così e che doveva fidarsi.

< Posso venire a trovarti fra qualche settimana, con Tom. > Lui avrebbe avuto il tempo di chiarire e Kristen, forse, di sbollire la rabbia. Era la soluzione migliore, senza ombra di dubbio.

< Non posso stare neanche un minuto lontano da te e tu vorresti venire a trovarmi fra qualche settimana?!? Morirò! > Finse, melodrammatico. Charis rise, contagiandolo.

< Esagerato! Dì la verità, vuoi che ti accompagni solo perché, adesso che non sono più inesperta, vuoi approfittare di me! > Scherzò, pizzicandogli un braccio.

Robert le fece il solletico alla pancia, lasciandola contorcersi tra le lenzuola e implorare pietà, sopraffatta dalle risate.

< E anche se fosse? Sono sicuro che non opporresti la minima resistenza, vero? > La provocò, bloccandole i polsi sulla testa con una mano e permettendole di riprendere fiato.

Charis, per tutta risposta, approfittando della stretta fattasi più debole intorno ai suoi polsi, si liberò e intrecciò le mani tra i suoi capelli, avvicinandogli il viso al suo e osservandolo un istante negli occhi prima di baciarlo e di schiudere appena le gambe perché lui potesse sistemarsi meglio.

Robert la osservò, sorridendole sereno e sfiorandole una guancia con la punta del naso.

Era strano; si sentiva diverso e, anche se con Charis avrebbe dovuto esserci abituato, ormai, non riuscì a respingere i pensieri che gli affollavano la mente. Non si era mai ritenuto un ragazzo rude, che si preoccupava solo di se stesso e che con una ragazza faceva il romantico solo per portarsela a letto, ma l'urgenza, specie dopo la prima notte d'amore, l'aveva sempre sentita. Quell'insana voglia di continuare a godere del calore del corpo dell'altra persona, di fare in modo che assapori meglio le sensazioni e che riesca ad essere più sciolta, non dovendosi preoccupare del dolore.

Con Charis anche questo era diverso. Era stata lei ad accordargli il permesso, era stata lei a schiudere le gambe in un chiaro invito; un invito che lui non aveva intenzione di cogliere.

Avrebbe voluto soltanto stringersela al petto e coccolarla per ore, farle sapere che si sentiva immensamente fortunato ad averla accanto e che adesso che era con lei non aveva intenzione di lasciarla scappare.

< Che succede? > Gli chiese, spettinandogli i capelli e osservandolo attenta.

Robert scosse la testa e continuò a sorriderle, chinandosi a baciarla l'istante successivo.

< Sei bellissima. > Le mormorò in un orecchio, nessun accenno di malizia, avvertendo le sue guance tingersi di rosso per l'imbarazzo.

< Guarda che così finirò per crederti. > Riuscì a fargli notare, invertendo le posizioni e facendolo scoppiare a ridere.

< Ma è quello che voglio, lo sai. > Le scostò una ciocca di capelli dalla fronte e la vide alzare gli occhi al cielo e fingersi esasperata.

< Sarà meglio alzarsi se non vogliamo che Tom vomiti, al suo ritorno. > Lo prese in giro, scostando le coperte e mettendosi in piedi alla ricerca dei suoi vestiti.

 

Michael,

è difficile cercare di descrivere a parole le sensazioni che mi agitano lo stomaco e la pancia. So che non si può dare un nome a tutto, ma questa volta è come se la parola ce l'avessi sulla punta della lingua, ma non riuscissi a pronunciarla.

Riesci a capirmi?

Ho fatto l'amore con Robert e niente mi è mai sembrato più giusto: i pezzi del puzzle hanno combaciato alla perfezione ed io mi sono sentita completa come mai prima.

Ricordi la tua ragazza, Michael?

Io ricordo solo che si chiamava Rachel e che aveva i capelli rossi come il fuoco, ricci e ribelli e una manciata di lentiggini sulle guance. Era bella e tu le volevi bene, te lo si leggeva negli occhi.

Vi avevo scoperti a baciarvi sul divano ed ero rimasta immobile, in silenzio, nel tentativo di non farmi scoprire, ad assaporare quell'atmosfera di intimità e di assoluta perfezione che aleggiava nella stanza.

Ho sempre pensato che foste un po' come uno di quei quadri che il nonno costruiva durante le domeniche d'estate, quelli formati da tante tesserine colorate che andavano a creare un disegno in stile mosaico. Tu eri lo stelo della candela, bianco e perfetto e lei la fiamma che riscaldava la cera e la scioglieva.

Ho davanti agli occhi la sua immagine piangente al tuo funerale, l'abbraccio che mi regalò e che fu in grado di scaldarmi il cuore, gelido e il giglio che aveva posato accanto alla tua fotografia, perché erano i tuoi fiori preferiti e gliene regalavi sempre un mazzo quando dovevate uscire a cena.

Il vostro puzzle non verrà mai completato, la candela si è spenta e la cera si è sciolta.

Farò anch'io la stessa vostra fine?

Anche io e Robert ci spegneremo?

Vorrei tanto che tu fossi qui, a rassicurarmi e a dirmi che no, non credi che ci succederà niente di male e che avremo sempre la forza e la pazienza di rimetterci in piedi se mai cadremo.

 

< Sicura di non voler venire? > Charis lo abbracciò, il brusio dell'aeroporto che le dava fastidio e i pensieri che si concentravano tutti sull'addio che si stavano scambiando.

< Vengo a trovarti presto, lo sai. > Gli rispose, sorridendo e lasciandogli un bacio sulla guancia.

< Lo so, ma vorrei che partissi con me. > Lasciò cadere il borsone a terra e la sollevò tra le braccia, facendola ridere divertita.

Pensò che era proprio lui il pezzo del puzzle che le mancava per incorniciare il suo quadro e le sembrò tutto meno grigio e meno triste.

< Non ci mettere troppo a raggiungermi. > Le raccomandò, rimettendola a terra e scompigliandole i capelli, prima di afferrare il borsone e salutare anche Tom che aveva assistito alla scena con l'aria divertita di chi l'aveva sempre sospettato che sarebbe andata a finire così.

Mentre l'aereo prendeva quota e il segnale di allacciare le cinture si spegneva, Robert pensò che il cielo, dall'alto, aveva un colore diverso, più bianco che azzurro, e che le nuvole, non erano così belle come dal basso.

Non era terrorizzato all'idea di rivedere Kristen e aveva voglia di mettersi subito al lavoro e dare il massimo.

Per la prima volta si sentiva integro, sereno, euforico e completo. Gli bastava pensare a Charis, al suo sguardo consapevole, alla sua presenza accanto a lui durante la notte e alle loro mani intrecciate che non si slegavano nemmeno durante il sonno, per sentirsi parte di qualcosa che non aveva mai assaporato e che si era illuso di poter ritrovare in Kristen.

Magari ora era arrabbiata con lui, forse l'avrebbe preso a calci e a pugni quando sarebbe rientrato in albergo o forse avrebbe finto indifferenza e non l'avrebbe neanche salutato; le parole che le aveva detto prima di partire gli ronzavano ancora in testa, ma non se ne pentiva. Sarebbe stato difficile, per un po', sopportare i suoi sguardi sofferenti e i suoi occhi lucidi costantemente pronti a piangere, senza poterla sostenere perché era lui la causa di quel dolore, ma presto anche lei se ne sarebbe fatta una ragione e l'avrebbe semplicemente lasciato andare e, forse, avrebbe accettato la sua amicizia.

La sua stanza era rimasta la stessa di quando era partito, tre giorni prima. David doveva aver dato disposizioni che non venisse toccata, perché persino il letto non era stato rifatto e le lattine di birra vuote erano ancora accartocciate sul tavolino accanto al balcone.

Spalancò la finestra e chiuse le tende per cambiarsi, quando un bussare appena accennato lo distrassero dal suo proposito.

Kristen, ancora più piccola e fragile di quando l'aveva lasciata, si stava torturando le mani, due profonde occhiaie a segnarle gli occhi, i capelli più ribelli del solito.

< Ciao. > Mormorò lui, esitante.

< Ciao. > Rispose flebile. < Ehm... beh, volevo solo sapere come stavi e ho sentito la porta della tua stanza chiudersi, così ho pensato di bussare... > Continuò, veloce, gli occhi bassi.

< Sto bene. Tu, piuttosto, come stai? > Era così pallida che come minimo non aveva mangiato nemmeno un boccone nelle ultime ventiquattro ore.

< David ci ha fatto lavorare molto e... sono piuttosto stanca, ma... è tutto sotto controllo, davvero. > Non seppe se fosse un'opera di auto-convincimento o stesse realmente cercando di convincere lui che stava bene.

< Da quando non dormi, Kris? Sei uno zombie. > E non era un'offesa. Ovvio che se ne rendesse conto da sola di essere un disastro, ma non voleva vederla stare così male per lui.

< Te l'ho detto, David ci ha fatto lavorare molto e... > Ma lui la interruppe.

< Non è solo questo, vero? E' colpa mia. > Non l'aveva nemmeno invitata ad entrare.

< No! No, senti, non voglio che tu ti senta in colpa per quello che è successo tra di noi, ok? Insomma, se non mi ami è giusto così, non potevi continuare a fingere. > Alzò gli occhi su di lui e Robert notò che sarebbe scoppiata a piangere da un momento all'altro.

< Sono preoccupato per te, lo capisci? Ti ho lasciata perché non ti amo, ma non voglio vederti così triste. Sei mia amica, Kris e lo sarai per sempre, se vorrai, ma, ti prego, non punirti per qualcosa che non hai fatto. > Forse doveva essere più deciso, forse doveva urlargliele quelle parole, ma vederla così piccola gliel'aveva impedito, sapendo che non si sarebbe potuta difendere in nessun modo, nemmeno con le parole.

< Io... non ho più nessuno. > Singhiozzò.

< Kris, non sono il tuo ragazzo, ma questo non vuol dire che devi sentirti abbandonata. Sei hai bisogno di qualcosa sono qui, ci sarò sempre. > Le accarezzò i capelli con dolcezza, cercando di riordinarli e le sorrise lieve.

< Ma Charis... > Borbottò poco convinta.

< Charis capirà. > La abbracciò, lasciando che si avvicinasse a lui lentamente e si lasciasse andare.

La stava soltanto aiutando, non stava facendo niente di male e Charis sapeva che, in qualche modo, teneva anche a Kristen e che non poteva abbandonarla.

< Ora mangia qualcosa e va' a dormire, d'accordo? > Le mormorò, scostandola da sé e asciugandole le lacrime con un dito.

Kristen annuì e gli sorrise grata prima di scomparire oltre la porta, verso la sua stanza.

Charis avrebbe capito.

Forse. 

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Capitolo 19
*** Trust ***


Salve!

Aggiorno come promesso, anche se in ritardo, ma solo perché ho avuto un imprevisto -.-

Sto seriamente prendendo in considerazione il fatto che questo sarà il penultimo capitolo della Ff, anche perché, anche se magari qualcuna di voi sperava nella risoluzione di alcuni problemi, come la famiglia di Charis, la rappacificazione con i suoi genitori e il rapporto che ha perso con Marianne (la sorellina), ma non voglio tirarla troppo per le lunghe, perché finirei per annoiare.

Se questo non sarà il penultimo capitolo, comunque, lo sarà il 20° e il 21° sarà l'ultimo. Vedrò.

Ringrazio tutte le persone che hanno letto, commentato, inserito tra i seguiti/preferiti/da ricordare <3 vi adoro e questa storia non sarebbe mai continuata senza il vostro supporto <3

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

Ritornare sul set era un po' come ritornare a casa, a Londra. Come riavere tra le braccia i propri familiari e sentirti libero di poter esprimere tutto quello che hai dentro.

Robert pensò che, in fondo, in quell'ultimo periodo, non si era affatto goduto la compagnia dei suoi colleghi e amici, impegnato com'era a destreggiarsi nelle sue avventure amorose e scoprire che non ce l'avevano con lui, che lo capivano e che erano felici che fosse ritornato, gli aveva ridato nuova forza.

Incontrare gli occhi di Kristen era ancora difficile: vi leggeva una tristezza e una malinconia che sapeva essere solo colpa sua, delle sue azioni e sapere che non poteva farci niente, che avrebbe dovuto rimanere impassibile a vederla indossare la maschera della brava attrice che non fa i capricci, lo rendevano frustrato e dispiaciuto.

< Le passerà. L'hai appena lasciata, è ovvio che sia a pezzi. > Aveva commentato Kellan quando gliene aveva parlato. Forse le sarebbe passato, forse era solo perché erano trascorsi pochi giorni da quando le aveva chiaramente detto che non l'amava più ed era corso da Charis, ma recitare con lei era difficile.

Avevano girato la scena della proposta di matrimonio quella mattina ed era stato costretto a calarsi nella parte di un Edward che ama alla follia Bella e che vuole soltanto trascorrere il resto della sua vita accanto a lei, senza freni.

Quando l'aveva baciato e trascinato sul letto, aveva capito che Kristen non stava fingendo; non era Bella, non stava interpretando un personaggio, ma solo lei stessa.

Era perfetta per la scena, il regista ne era rimasto entusiasta, ma lei era scappata subito dopo lo Stop! dell'aiuto regista e Ashley le era corsa dietro, lanciandogli uno sguardo di scuse, come se fosse colpa sua.

Era Bella che voleva fare l'amore con Edward e donarsi completamente a lui, o era Kristen che voleva che succedesse, come qualche settimana prima?

Aveva scelto la sua strada, non voleva cambiare idea. Amava Charis e aveva lottato per riconquistare la sua fiducia; non aveva intenzione di complicare di nuovo le cose.

Si era spettinato i capelli con una mano ed aveva continuato a fare finta di niente, riguardando la scena con il regista e cercando di capire se avrebbe funzionato una volta terminato il montaggio del film. Aveva ignorato Kristen quando aveva avvertito la sua presenza accanto a lui, seduto su una sedia di tela di fronte al piccolo schermo della macchina da presa e lei non aveva sbattuto ciglio, conscia che, ora che non erano più una coppia, le cose avrebbero preso una piega diversa e lei doveva farsene una ragione.

Erano rientrati tardi, quella sera, dopo una cena veloce in un ristorante non lontano dal set e Robert aveva chiuso la porta della sua stanza senza augurare la buonanotte a nessuno, Kristen compresa.

Si era scrollato di dosso la stanchezza e il senso di colpa con una doccia calda e si era infilato sotto le coperte con la voglia di sentire la voce di Charis e magari di averla accanto per poterla coccolare e ripeterle quanto fosse importante per lui.

Le mani cercarono cercato il telefono e non fece neanche in tempo a cercare il numero del cellulare di Tom, che il suo nome apparve sullo schermo, lampeggiante, segno che lo stava chiamando.

< Tom! > Rispose, sereno.

< Mi spiace, ma il signor Sturridge non c'è al momento. Vuole lasciargli un messaggio? > Rispose Charis allegra.

< Sì, perché no. Gli dica, gentilmente, che avevo desiderio di parlare con una certa Charis; abita in casa sua al momento. Può farmi questo favore? > Stette al gioco con un sorriso divertito e rilassato.

< Con piacere, signor Pattinson. > Sorrideva e Robert riusciva a capirlo anche se non poteva vederla.

Rimasero in silenzio per qualche istante, fin quando Robert non la sentì schiarirsi la voce imbarazzata.

< Sei ancora in linea? > Le chiese per rompere il ghiaccio. Era strano che avessero ancora bisogno di certi accorgimenti tra di loro, dopo che si erano dichiarati entrambi e non erano estranei, ma a Robert piaceva il fatto che lei non fosse cambiata in quel lasso di tempo e il pensiero che non l'avrebbe fatto mai lo rilassava e lo faceva sentire al sicuro.

< Sì, sono ancora qui. Come stai? Il viaggio è stato tranquillo? > Gli chiese con un mormorio basso e dolce.

< Sto bene, tutto normale, come al solito. Tu? > Sorrise, sistemandosi meglio con la testa sul cuscino.

< Bene, ma mi manchi. > Gli confessò.

< Anche tu. Vorrei che fossi qui adesso. > Mormorò, chiudendo gli occhi ed immaginandosela seduta sul suo letto a fissare il soffitto.

< E' bello essere tornati sul set? Ti mancava? > Cambiò argomento, tirando su col naso. Non voleva piangere, perché non ce n'era bisogno. L'avrebbe raggiunto entro qualche settimana e il suo mondo avrebbe smesso di vacillare.

< E' un po' come tornare a Londra, come essere in famiglia. Mi sembrava di esser stato via per un intero mese! > Rise e Charis con lui. Avrebbe voluto dirle di Kristen, del desiderio che aveva di proteggerla e di dimostrarle la sua vicinanza, ma ebbe paura e rimase in silenzio, solo il suo respiro nella cornetta.

< Dove sei adesso? > Si stese per osservare il soffitto bianco sopra di lei, immaginando che fosse il cielo.

< Sotto le coperte. Tu? > Mosse una gamba e il fruscio del lenzuolo gli ricordarono di quando aveva trascorso la giornata ad osservarla dormire, memorizzando ogni sua più piccola espressione.

< Sul mio letto, a fare finta che il soffitto sia un cielo stellato. > Non aveva più paura di rivelargli quello che le passava per la testa, perché era sicura, adesso, che lui ricambiasse i suoi sentimenti totalmente, senza remore.

< Hai sempre avuto una grande fantasia e immaginazione per queste cose, lo sai. > Sorrise leggero.

< Tom dice che dovremmo cominciare a prepararci psicologicamente all'invasione dei media quando questa storia verrà fuori. > Gliel'aveva detto quella mattina a colazione e lei aveva reagito allontanando da sé la tazza di latte, improvvisamente le era passata la fame. Non era ancora pronta per rivelarsi al mondo, o meglio, al mondo di Robert, quello fatto di riviste patinate, telecamere e macchine fotografiche che ti seguono ovunque, fan che ti inseguono per un autografo o una foto e body-guard sempre al seguito.

Voleva crogiolarsi ancora un po' nell'illusione che Robert non era una star nascente di Hollywood, ma solo un ragazzo qualunque che lei aveva incontrato per caso e di cui si era innamorata senza averlo neanche programmato. Per la stampa e le riviste c'era tempo.

< Sei preoccupata? Ti spaventa? > Le chiese, comprensivo. Kellan gli aveva fatto tornare in mente che di lì a qualche mese ci sarebbe stata la premier di Remember Me e che ora che era fidanzato avrebbe dovuto provvedere a farsi accompagnare egregiamente sul tappeto rosso. Aveva rimosso il pensiero perché troppo occupato a cercare di distogliere lo sguardo dalle occhiaie di Kristen, ma adesso che Charis ne aveva parlato, l'idea di averla al suo fianco per un'occasione speciale come la premier di un suo film, riprese a tormentarlo. Non ci sarebbe stato nulla di male, certo, ad invitarla, ma se lei avesse detto di no? Se avesse preferito rimanere all'ombra ancora un po', giusto il tempo di abituarsi a tutti quei cambiamenti?

Aveva paura di una sua possibile reazione negativa, era quella la verità.

< No, è solo che sarebbe una cosa nuova per me e... insomma, non voglio farti sfigurare. > Rispose e Robert quasi la immaginò fare spallucce.

< Sfigurare?!? Scherzi? Potresti presentarti davanti alle telecamere anche in pigiama, non mi importerebbe un accidenti. > Rise, anche se era serio, mortalmente serio.

< Le tue fan mi odieranno a morte, lo so. > Borbottò.

< Ehi, insomma, qual è il problema? Le fan, le foto sui giornali, i gossip, io? > Le chiese, facendo frusciare di nuovo le lenzuola calde.

< Il problema sono io, Robert. Io non sono una di quelle ragazze che cerca di mettersi in mostra, che sfoggia abiti costosi solo perché non vuole essere fotografata vestita come una barbona. Io sono una barbona! Lo sono stata, lo sono ancora perché non ho una famiglia. Ho un tetto sulla testa, ho cibo a sufficienza nel frigorifero, ma lo sono ancora. Non voglio metterti in imbarazzo. > Gli spiegò, cercando di essere chiara e Robert se la figurò mentre cercava di non mettersi a piangere e di rimuovere il dolore che il ricordo della sua famiglia le procurava.

< Charis, non voglio parlare a telefono di tutto questo. Voglio dire, tu una famiglia ce l'hai! Non sarà quella biologica, ma hai me, hai Tom e hai tutte le persone che ti vogliono bene e che ti staranno sempre vicino, qualunque cosa accada. E poi, dovresti saperlo che neanch'io sono il genere di ragazzo che se ne va in giro tirato a lucido perché potrebbero sbucare i fotografi da un cespuglio. Non mi metti in nessuna situazione imbarazzante, Charis, te lo ripeterò fin quando non te ne convincerai anche tu. Io ti amo ed è solo questo che conta. > Realizzò, in quell'istante, che doveva essere la prima volta che le confessava esplicitamente di amarla. Era sicuro di averglielo fatto capire in diversi modi, ma era la prima volta che pronunciava quelle tre piccole parole senza timore.

La sentì sospirare rassegnata, mentre tratteneva il respiro nella speranza che non avesse cambiato idea, decidendo di ritirare i suoi sentimenti.

< Ti amo anch'io, lo sai. > L'aveva detto con la voce ridotta ad un sussurro e con un piccolo accenno di velata paura, ma l'aveva detto e ciò bastò a rincuorarlo e a fargli riprendere fiato.

< Lo so. > Sorrise.

< E' tardi e immagino che domani sarai costretto a svegliarti presto. Ti lascio riposare. Sogni d'oro. > Mormorò e Robert chiuse gli occhi, assaporando il suono della sua voce vellutata.

< Sogni d'oro, Charis. Dormi bene. > Attese che lei agganciasse e sospirò, riponendo il cellulare sul comodino e voltandosi dall'altro lato per cercare di prendere sonno.

Pensò che, tutto sommato, sarebbe stato bello averla accanto a sé per la premier di Remember Me e al diavolo la sua vene negativa. Insieme erano riusciti a superare difficoltà ben più grandi dell'apparizione ad un evento pubblico e se avesse rifiutato, non avrebbe certo potuto biasimarla, era comprensibile.

Non aveva mai avuto una vita come la sua, divisa tra set, interviste, flash di decine di paparazzi che non vogliono lasciarti in pace, gossip e bodyguard che si accertano che fili tutto liscio, che tu sia in albergo o in qualche programma televisivo in vece di ospite speciale.

Non sarebbe stato un dramma.

Sì, doveva chiederglielo.

 

L'hai mai detto ti amo a Rachel, Michael?

Io l'ho detto solo una volta in vita mia ed è stato una settimana e mezzo fa, a Robert. Ho sempre trovato squallido confessare i propri sentimenti per telefono, ma è stato così naturale e ho provato una stretta così piacevole allo stomaco quando lui me l'ha sussurrato, che mi sono sentita in debito.

Non ero costretta a dirgli che lo ricambiavo, lo so, ma volevo e ho trascorso la notte a chiedermi se guardarlo negli occhi mentre glielo dicevo avrebbe cambiato qualcosa, oppure la sensazione sarebbe rimasta la stessa, magari amplificata.

Credo che saresti andato d'accordo con Robert; vi somigliate molto, specialmente interiormente, a livello di anima.

Chissà se saresti stato geloso di lui, se mi avresti guardata con rimprovero vedendomi rientrare più tardi la sera, se mi avresti presa in disparte e messo in guardia sulle sue possibili intenzioni, se avresti avuto da ridire sul fatto che lui è un attore di Hollywood ed io una semplice ragazza di New York che ha tanti problemi e pochi sogni.

Forse sì, o forse saresti stato felice per me e avresti sorriso, vedendomi serena e innamorata per la prima volta.

Quando sono in aereo, mi illudo di esserti vicina e di poterti quasi sfiorare. Se credessi agli angeli, probabilmente adesso penserei che sei seduto su di una nuvola a scrutarmi con i tuoi occhi chiari e brillanti.

Ma io non credo agli angeli, anche se continuo comunque a scriverti, consapevole che non potrai rispondermi, né sentirmi.

Il giorno del tuo funerale papà disse che non ti avrebbe mai perdonato per essertene andato così, lasciandoci soli.

Soffri per questo, o non senti assolutamente nulla?

Ho pensato che era cattivo da parte sua dire così, ma in fondo anch'io, all'inizio, ero arrabbiata con te per avermi lasciata.

Se potessi parlare, mi chiederesti se ti ho perdonato?

 

Quando atterrarono, recuperarono i bagagli e si diressero all'uscita, dove una macchina della produzione li stava già attendendo.

Erano due settimane che non vedeva Robert e anche se aveva avuto la possibilità di sentirlo per telefono tutte le sere, gli mancava e non vedeva l'ora di abbracciarlo.

L'hotel era deserto, eccezion fatta per il receptionist e per un gruppo di uomini che stava discutendo circa una faccenda piuttosto importante.

Robert aveva fatto disporre due letti in una suite accanto alla sua, ma era solo una mera formalità, visto che dava per scontato che Charis avrebbe dormito con lui.

Nick aveva continuato a ribadirgli costantemente quanto fosse importante la discrezione, specie con il personale degli alberghi in cui risiedevano e, a furia di ramanzine, se ne era convinto anche lui.

I fotografi avrebbero pagato per una sua foto in camera da letto con una perfetta sconosciuta da assediare e seguire, perciò, meglio andarci cauti.

Charis posò le sue cose in camera, in attesa che Tom tornasse: aveva insistito per lasciare loro la giusta privacy ed era andato a salutare Robert per primo.

La suite era identica a quella che aveva avuto modo di occupare lei qualche settimana prima, forse solo più luminosa.

< Il tuo cavaliere ti sta aspettando. > Le fece l'occhiolino Tom, rientrando e lasciando la porta aperta.

< Ci vediamo per cena, no? > Gli chiese lei con un sorriso.

< Ho bisogno di una doccia e vi raggiungo. > Si chiuse la porta alle spalle, accingendosi a compiere i pochi passi che la separavano dalla stanza di Robert.

Non ebbe bisogno di bussare visto che la porta era stata socchiusa.

Robert era disteso sul letto ampio, intento a leggere un copione, la punta di una matita che ogni tanto scompariva tra le sue labbra e che, più raramente, utilizzava per sottolineare qualcosa.

Quasi non se lo ricordava così bello.

Era così concentrato che non doveva averla sentita arrivare, perciò ne approfittò per fare il giro del letto e lasciarsi cadere con un piccolo balzo sul lato opposto al suo.

< E' più importante questo copione di me? > Lo prese in giro, avvicinandoglisi e facendo appena in tempo a leggere lo stupore nei suoi occhi prima di abbracciarlo di slancio.

< Sei un ninja! Non ti ho sentita arrivare! > Esclamò, ricambiando la stretta e mettendo da parte il copione e la matita mordicchiata.

< Eri troppo distratto... > Lo canzonò, allontanandosi quel tanto per riuscire a vedergli il viso e sorridergli.

< Non accadrà più, promesso. > Mormorò prima di baciarle le labbra per un tempo che ad entrambi parve infinito.

< Mi sei mancato. > Soffiò quando si separarono.

< Anche tu. Non vedevo l'ora che arrivassi. > Ammise, sorridendogli, mentre lei gli passava una mano tra i capelli disordinati e soffici e profumati.

< Beh, ora che sono qui, dovremmo trovare qualcosa da fare. > Si sedette sulle sue gambe, a cavalcioni, incrociando le mani dietro il suo collo e approfittando del calore del suo corpo.

< Mm. Io, in realtà, avrei una mezza idea. > Esibì il suo sorriso storto, che gli fece brillare gli occhi e le si avvicinò per baciarle una guancia con dolcezza.

< Ah sì? E quale sarebbe? Sono curiosa. > Fece scorrere le mani fino alla vita di lui, la pelle coperta soltanto da una maglietta color del cielo che ben si sposava con i suoi occhi e che Charis non perse tempo a sollevare per intrufolarvi due dita e farlo rabbrividire.

< E' troppo faticoso spiegarlo; sarebbe meglio una dimostrazione pratica. > Le bisbigliò, liberandola della felpa con un gesto solo e costringendola a rimanere seminuda.

Charis lasciò le sue mani vagare fino alla cintura dei jeans, slacciandoli e lasciandosi sovrastare.

Forse era perché quella era la sua prima esperienza d'amore, ma non aveva mai avvertito il bisogno urgente di avere qualcosa. Desiderava la pelle di Robert, voleva che i loro profumi si mischiassero, che i loro sospiri entrassero in collisione e che i suoi gemiti fossero la continuazione di quelli di lui mentre la spogliava, la venerava come una dea e la invitava ad essere sua per quella sera, quella notte, per sempre.

Charis, però, non cedette alla tentazione del sonno e lasciò che i suoi occhi indugiassero sui lineamenti perfetti e ben delineati del viso di Robert, che seguissero la curva delle spalle, dei muscoli appena evidenziati delle braccia e del torace e della linea sensuale dei fianchi.

Robert quando dormiva ritornava bambino. Charis aveva sempre pensato che fosse così per tutti: aveva osservato sua sorella dormire diverse volte, specie quando Marianne la svegliava durante un temporale e lei la invitava a dividere il letto, ma poi non riusciva ad addormentarsi, presa com'era ad accarezzarle i capelli e a cercare di tranquillizzarla, ma Robert era diverso. Riacquistava quell'innocenza nell'espressione tipica dei bambini, di coloro ai quali sai che non potrai mai fare del male.

Schiudeva appena le labbra e ti cercava con la mano. Poi, quando stava per svegliarsi, strizzava gli occhi e li socchiudeva lentamente, rannicchiandosi ancora di più sotto le coperte e poi ti sorrideva, felice e candido.

< Sei rimasta sveglia? > Le chiese, reprimendo uno sbadiglio.

Charis annuì soltanto, presa dai suoi occhi e dalla mano che lui si era rifiutato di lasciarle.

Stranamente, Robert provò la stessa sensazione di quella volta in cui aveva baciato Charis: l'immagine di Kristen gli attraversò la mente come un fulmine e, inspiegabilmente, seppe che era quello il momento migliore per dirle della decisione che aveva preso. Non era agitato, sapeva di non aver fatto nulla di male ed era sicuro che Charis avesse fiducia in lui.

< Devo dirti una cosa. > Charis aggrottò solo le sopracciglia, facendoglisi più vicina, ma non disse nulla e attese che continuasse. < Ho detto a Kristen che se ha bisogno di me, per qualunque cosa, può considerarmi suo amico. Ho... insomma, ho tentennato all'inizio perché non avevo idea di come l'avresti presa... > Le spiegò, imbarazzato dalla sua stessa confessione.

< Io mi fido di te, Robert. Kristen sta soffrendo e non solo perché non ha più te, ed è giusto che abbia qualcuno vicino. Vorrei aiutarla, ma non sono sicura che vorrà il mio aiuto. > Rispose, serena.

< Puoi provare a parlarci, però. E' così fragile in questo periodo, che ho l'impressione che si spezzerà da un momento all'altro e non vuole dare ascolto a nessuno. Credo che tu sia l'unica in grado di comprenderla, almeno in parte. > Le sistemò i capelli dietro le orecchie, attento.

Charis fece spallucce, rimandando la questione.

< Oh, e voglio che tu mi faccia una promessa, anzi, voglio solo che tu dica sì. > Continuò raggiante.

< Perché? Cos'è, uno scherzo? > Domandò lei, sospettosa.

< Tu dillo e basta. Lo saprai a tempo debito, devi solo fidarti. > Continuò a sorridere.

< Sì? > Disse, perplessa.

E, anche se aveva l'inflessione di domanda, a Robert andò bene lo stesso.

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Capitolo 20
*** Clothes ***


Salve gente!

Questo, alla fine, è il penultimo capitolo della Ff ç.ç sono già triste al pensiero di dover abbandonare anche Charis *sigh*; comunque ho un'altra Ff già bella pronta per i vostri giudizi xD e, per una volta, sarà qualcosa di "comico", niente drammi xD

Ringrazio chi commenta, chi legge, chi inserisce/ha inserito la Ff tra i preferiti/seguiti/da ricordare <3

L'ultimo capitolo arriverà per martedì, suppongo. Troverete uno spoiler lunedì sulla mia pagina autore su Facebook Frytty Efp.

 

Buona lettura! <3

 

 

 

 

Due mesi e mezzo sembravano essere volati e Charis si ritrovò a camminare nervosamente avanti e indietro nella stanza che divideva con Tom, quell'enorme custodia dorata che un ragazzo dall'espressione stralunata le aveva appena consegnato dopo aver bussato alla porta tre volte di seguito.

Tom era scappato via alle sette del mattino con la scusa di un incontro di cui si era dimenticato e Robert, che da qualche giorno era rientrato a Londra, aveva deciso di dormire a casa dei suoi, promettendole che l'avrebbe passata a prendere per l'ora di pranzo per presentarla alla sua famiglia. Era nervosa e non sapeva perché.

Da quando aveva risposto di sì a Robert, quella sera a Vancouver, non era successo niente di eccitante o sconvolgente. Aveva provato a parlare con Kristen, cercando di mettersi nei suoi panni e di provare a capire quello che aveva passato quando la sua relazione con Michael si era bruscamente interrotta a causa dei continui gossip che circolavano su di lei e Robert e lei, d'altra parte, aveva cercato di farle capire che la storia tra lei e Robert non era stata programmata e che, anzi, lei non avrebbe mai pensato che un ragazzo come lui avrebbe mai potuto innamorarsi di una barbona che non aveva fatto altro che dare dispiaceri alla sua famiglia e che si portava dietro, sulle spalle, il peso enorme della scomparsa di suo fratello, a cui teneva moltissimo.

Al cuore non si comandava e nemmeno alle farfalle nello stomaco e questo Kristen lo sapeva.

Non ce l'aveva con lei e non aveva mai pensato che aveva voluto rubarle il "fidanzato". Aveva capito che tra loro c'era qualcosa che superava di gran lunga il rapporto d'amicizia, ma si era sempre tranquillizzata, pensando che quando due persone si conoscono da molto tempo, è normale diventare quasi parte della stessa famiglia ed essere così in sintonia da non aver bisogno di parole per comunicare.

Erano riuscite, almeno per un po', a mettere da parte i propri rancori e a ragionare obiettivamente e non individualmente.

Robert era rimasto positivamente impressionato quando le aveva viste ridere insieme e, per la prima volta, aveva davvero creduto che tutto poteva essere sistemato se sussisteva la volontà.

In realtà, non era nervosa neanche per il pranzo a casa Pattinson.

Continuava a ripetersi che non c'era niente di male se la madre di Robert aveva deciso di invitarla per conoscerla, finalmente e se le sue sorelle fossero impazienti di fare quattro chiacchiere con lei. Non aveva paura di non essere accettata, perché la sola presenza di Robert bastava a convincerla che non ce n'era motivo. Se i suoi genitori erano stati in grado di crescere un ragazzo, un uomo come lui e se lui aveva in qualche modo preso da entrambi, non avrebbe riscontrato nessun problema.

Non era nervosa perché non sapeva cosa quel di due mesi e mezzo prima voleva significare.

Era nervosa, si disse alla fine, per il contenuto di quello strano involucro dorato che lei aveva visto solo una volta in tutta la sua vita: al matrimonio di sua cugina Julia.

Sua madre l'aveva obbligata a trascinare per le scale una confezione nera come quella per due rampe di scale per consegnarla ad una delle cugine a cui era più affezionata, senza avere la più pallida idea di cosa potesse contenere di così pesante. Aveva solo otto anni ed era stata quasi travolta da quell'ammasso di plastica quando era inciampata nel penultimo gradino, riuscendo a non rompersi il naso per miracolo.

Quando Julia aveva aperto il sacchetto, circondata dalle sue amiche, Charis aveva capito che il peso che era stata costretta a portare, non era altro che un meraviglioso abito da sposa color avorio, rifinito di strass e fiori cuciti a mano. Era stata la cosa più bella che i suoi occhi avevano mai visto in otto anni di vita.

Solo che l'involucro che le aveva fatto recapitare Robert non pesava come quello di sua cugina, anzi, era piuttosto leggero.

< Char? Sei qui? > Il tramestio delle chiavi che venivano lanciate nello svuotatasche dell'ingresso da Tom, la distrassero dai suoi pensieri.

< Sì, sono in camera! > Rispose atona.

< Cosa fai? > Tom si era svestito della giacca grigia e l'aveva osservata accigliato.

< Sto cercando di capire cosa fare di questo. > Indicò l'involucro con fare esasperato e Tom scoppiò a ridere.

< Perché non lo apri? > Proposta interessante, doveva ammetterlo.

< Secondo te cos'è? > Alzò lo sguardo su di lui, speranzosa.

< Un vestito? Un completo? Se non lo apri non lo saprai mai. > Fece spallucce, semplice. Per lui era così facile...

< E se fosse... non so, un abito da sposa? > Si stropicciò le mani, imbarazzata e ansiosa.

< Pensi che Robert ti abbia inviato un abito da sposa?!? Ti ha chiesto di sposarlo? > Strabuzzò gli occhi, sedendosi sul suo letto.

< No! Cielo, no! E' che... sono così nervosa! > Sbuffò, ricadendo seduta accanto a lui.

< Vuoi che lo faccia io? > Si propose con un sorriso, vedendola in difficoltà.

Charis annuì, passandogli l'involucro che Tom appese al pomello dell'armadio di fronte a loro per tirare giù la cerniera con più facilità.

Charis seguì con gli occhi il percorso della zip e quando Tom la guardò per un'ultima volta prima di scostare i due lembi di plastica, trattenne il respiro, quasi si sarebbe ritrovata di fronte ad una bomba con timer.

Tom aveva ragione: era un vestito; un vestito da sera, per essere precisi.

Era corto, color rosa antico, senza bretelle e con un coprispalla abbinato.

< Cosa ti dicevo? E' un vestito da sera. > Le sorrise Tom, scompigliandole i capelli affettuosamente.

< E cosa dovrei farci con un vestito da sera? A parte indossarlo, intendo. > Chiese, sinceramente sorpresa.

Tom fece spallucce.

< Suppongo dovrai chiederlo a Rob. > Rispose, scomparendo in cucina.

Charis lo seguì.

< Odio quando non mi si dicono le cose! > Sbuffò, sedendosi sul piano da lavoro dove Tom aveva iniziato a prepararsi dei toast.

< Magari è una sorpresa; sai come è fatto Robert, no? > Continuò tranquillo a spalmare burro sulle fette di pan brioche morbide.

< Spero solo non mi porti in un covo di celebrità. > Soppesò alla fine con un sospiro.

 

Robert arrivò con dieci minuti d'anticipo e, anche se lei era già pronta da più di mezz'ora, non si mosse quando Tom andò ad aprire la porta e salutò Robert con il suo solito abbraccio. Continuò a fissare imperterrita l'incerata della tavola, persa nei suoi pensieri.

< Buongiorno! Pronta? > Robert si era abbassato per baciarle una guancia, sorridente come sempre.

< Sì, andiamo. > Charis si riscosse, alzandosi e salutando Tom prima di recuperare la giacca di jeans e avviarsi alla porta.

< Che succede? Come mai quell'aria triste? > Robert le lanciò un'occhiata mentre imboccava un vialetto costituito da giardini e bellissime villette unifamiliari. A Charis sembrava di essere in un posto di quelli che puoi trovare soltanto nei libri di narrativa per ragazzi.

< Non sono triste. > Puntualizzò, dando un'occhiata fuori del finestrino.

< Come no? E' successo qualcosa? Ho fatto qualcosa che non va? > Dopo tutti i guai che aveva combinato con Kristen e con lei, gli veniva naturale pensare subito al fatto che ne aveva combinata una delle sue quando Charis era giù di morale. Non che avesse la coda di paglia, questo no, ma era costantemente sotto pressione quando si trattava di lei e della sua serenità.

< No, a parte mandarmi un abito da sera di Dolce e Gabbana senza spiegarmi nemmeno il perché. > Mormorò, torturandosi le mani.

Robert fermò la macchina accanto ad una villetta color glicine, i cespugli senza fiori per via della stagione fredda e i giochi per i bambini deserti.

< Volevo che fosse una sorpresa, ma visto che sei così amareggiata per la cosa e non voglio che tu continui a rimuginarci sopra per tutta la giornata, posso anche dirtelo. > Charis alzò il viso su di lui, piena d'aspettativa.

< Volevo che mi accompagnassi alla premier di Remember Me fra una settimana. > Continuò e questa volta fu lui ad abbassare lo sguardo in attesa di una risposta che sentiva essere negativa.

< Alla premier di... un tuo film? In mezzo a gente dello spettacolo, registi e fan? > Domandò lei, sorpresa e titubante.

Robert annuì mesto.

Non avrebbe dovuto chiederglielo. Adesso l'aveva messa in una posizione difficile. Se voleva dire di no, si sarebbe costretta ad accettare per non dargli una delusione e, probabilmente, anche per non sprecare il meraviglioso abito che le aveva fatto recapitare appositamente. Ecco perché aveva intenzione di rivelarglielo soltanto il giorno prima della premier. Non perché in quel modo non avrebbe potuto rifiutare, chiariamoci, ma soltanto perché avrebbe potuto vivere la scelta con più serenità.

< Non so cosa dire, Robert. Insomma, so che non ne abbiamo mai parlato esplicitamente, ma voglio che tu sappia una cosa: sono la tua ragazza e, in un modo o in un altro, ho imparato ad accettare il tuo mondo, così diverso dal mio e sappi che, se sono così restia a mostrarmi alle telecamere e ai flash delle macchine fotografiche, non è perché mi vergogno di te, perché non voglio che tu sia quello che sei adesso. Io voglio essere la tua fidanzata ufficiale, ma ho paura di non essere adatta, di non essere all'altezza di camminare al tuo fianco su un tappeto rosso con mille altre star del cinema. Ho paura che tu ti accorga della differenza tra me e... le altre e che possa decidere di... lasciarmi. > Spiegò tutto d'un fiato, le lacrime agli occhi.

< Scherzi? Cioè, voglio dire... tu sei fantastica Charis, non potresti mai sfigurare, né al mio fianco, né al fianco di nessun altro, quando te ne renderai conto? Non voglio che tu accetti se non te la senti, voglio che tu faccia quello che vuoi; non posso obbligarti. > Le sistemò i capelli e le sorrise.

< No! E' ok, voglio venire! > Si affrettò a rispondere, lasciandolo sorpreso, mentre lei arrossiva.

< O-ok. Sicura? > Le chiese di nuovo prima di rimettere in moto la macchina.

Charis annuì e Robert tirò un sospiro di sollievo.

< Ed io che pensavo mi avresti come minimo schiaffeggiato per aver fatto tutto di nascosto. > Scosse la testa e continuò a percorrere il vialetto deserto.

< Beh, voglio prima accertarmi di come mi starà il vestito. E comunque, devo salvarti dalle grinfie di quell'attrice bionda, no? > Era agitata, ma non più come prima. Ora era un'agitazione di aspettativa.

< Oh, giusto, Emilie. > E sottolineò quel nome con fare malizioso e provocatorio.

< Gnegne. > Lo prese in giro, facendolo scoppiare a ridere.

< Mi piace quando fai la gelosa. > Accostò e si slacciò la cintura, scendendo dalla macchina per poter andare ad aprirle la portiera.

< Dici che piacerò ai tuoi? > Gli chiese, sotterrando l'ascia di guerra.

< Dico che piacerai sicuramente ai miei, soprattutto a mio padre. > La guidò verso casa con le mani sui suoi fianchi, parlandole all'orecchio.

< Oh, bene, perché è tua madre che mi preoccupa. > Sbottò insicura.

< Andrà benissimo, vedrai. Non essere tesa. > Le baciò le labbra, affiancandosi a lei e suonando il campanello.

Un cane prese ad abbaiare e, immediatamente dopo, i passi concitati di due persone riecheggiarono per le scale fino alla porta.

< Robert! Mamma, è arrivato Rob! > La sorella di Robert (impossibile dire quale delle due) gli saltò addosso, abbracciandolo. Lo stesso fece la seconda.

< Lizzy, Victoria, lei è Charis, la mia fidanzata. Ve ne avevo parlato, no? > Esordì Robert, spingendo Charis davanti a lui.

< Certo! Che piacere! Finalmente ti conosciamo! Entrate pure. > Lizzy si fece da parte per farli passare e la madre di Robert, Clare, arrivò giusto in tempo per sorridere dello sguardo stupito di Charis alla vista del salotto.

Non che i suoi genitori erano poveri, ma non avevano un salotto così spazioso e così elegante, anche perché sua madre odiava avere oggetti sparsi in giro e quindi il mobilio era ridotto al minimo indispensabile.

< Mamma, papà, lei è Charis. > Charis fece saettare lo sguardo sulla figura del padre di Robert, di cui non si era neanche accorta, sprofondata in poltrona intento a leggere il giornale.

< E' la prima volta per te a Barnes? > Le chiese Clare, sorridendole cortese.

< No, sto qui da quasi un anno, ormai. > Rispose imbarazzata, mentre Robert le afferrava una mano, facendo intrecciare le loro dita.

< E' un piacere conoscerti, comunque. > Continuò Clare e anche Richard sorrise sereno, mettendo da parte il giornale e alzandosi per aiutare la moglie ad apparecchiare la tavola.

< Anche per me, sul serio. > Rispose Charis affabile, arrossendo.

Il pranzo proseguì tranquillamente, come aveva predetto Robert, e, anche se le sorelle di Robert la coinvolsero nei racconti delle avventure umilianti di un Robert bambino e adolescente, con grande disapprovazione del protagonista, si divertì moltissimo.

Quando rientrarono a casa ed entrambi occuparono il divano per godersi un film, approfittando del fatto che Tom fosse uscito e che quindi era impossibilitato a monopolizzare il telecomando, Charis ripensò alla proposta di Robert di seguirlo per la premier e al suo aver accettato.

Non era pentita, anzi. A Robert aveva detto la verità: voleva andarci, voleva accompagnarlo e poi, prima o dopo, avrebbe dovuto fare i conti con la parte famosa di lui, abituarsi ai fotografi, alle fan, ai giornalisti e se non si decideva a farlo ora, poi sarebbe stato molto più difficile. In definitiva, quindi, non poteva dirsi turbata.

< A cosa pensi? > Le chiese lui sottovoce, accarezzandole una guancia con il dorso di un dito.

< Alla premier della prossima settimana. > Confessò, continuando a mantenere gli occhi fissi allo schermo.

< Hai cambiato idea, non vuoi più venire? > Strano che la sua voce non avesse preso un'inflessione amareggiata.

< Voglio ancora venirci, mettitelo in testa. Non ti libererai di me. > Scherzò, alzando gli occhi su di lui.

Robert sorrise e la abbracciò, costringendola a poggiare il capo sulla sua spalla.

< Sarai bellissima, lo so. > Le disse convinto, accarezzandole un braccio.

< Posso sempre dare la colpa a te, altrimenti. Il vestito, in fondo, l'hai scelto tu. > Ironizzò, spostando appena la testa per baciarlo.

< Nessuna colpa; sarai perfetta. > Bisbigliò prima di baciarla per una seconda volta.

E per un attimo anche Charis ci credette.

Per un attimo, tra le sue braccia, si sentì davvero perfetta e bellissima, anche senza il vestito costoso addosso.

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Capitolo 21
*** She Holds A Key ***


Ohi! Rieccomi!

Questo è l'ultimo capitolo e non avete idea di quanti pianti mi sono fatta mentre finivo di scriverlo ç.ç mi mancherà un mondo Charis, perché, ripeto, è parte di me e fino ad ora è il personaggio che più mi rappresenta tra quelli che ho creato.

Ringrazio, per l'ultima volta, tutti quelli che hanno commentato, recensito, preferito, inserito tra le seguite e le ricordate e che mi hanno aiutata a continuare a scrivere. Non mi stancherò mai di ripetervelo: senza di voi, noi scrittori non saremmo niente, neanche polvere *.*

Perciò, GRAZIE

Solo per informazione, ritornerò giovedì con una nuova Ff, sempre su Robert Pattinson, che si chiamerà Symbiosis e che consta di dieci capitoli; mi farebbe piacere se vorrete seguirmi anche lì *.*

 

Buona lettura! <3

 

P.S. Quest'ultimo capitolo è la chiave per comprendere anche il titolo dell'intera Ff ^^

 

 

 

 

< Sei uno splendore, Charis! > In effetti, quando Tom glielo disse, lo sguardo sincero e sorridente, non faticò a credergli. Si era affidata alle mani esperte di Liz, la sorella di Robert, e non aveva dubbi che il risultato fosse stratosferico. Non perché, come diceva Liz, c'era della buona materia prima su cui lavorare, ma perché lei era semplicemente una dea nel trucco e parrucco.

Il vestito di Robert, poi, le stava alla perfezione e anche se le lasciava una spalla e parte della schiena scoperti, si sentiva a proprio agio.

< Grazie, anche tu stai benissimo. > Rispose, arrossendo appena e dovette ringraziare il fard se non si notò molto.

< Oh, ma io non devo andare ad una premier in veste ufficiale, tu sì. > Si appoggiò allo stipite della porta con una spalla, continuando ad osservarla mentre lei si guardava incredula allo specchio.

< Non farmici pensare... > Borbottò, sospirando. Aveva trascorso tutta la mattina a pensare che sicuramente avrebbe fatto una brutta figura, sarebbe inciampata, non avrebbe saputo cosa rispondere ai giornalisti, avrebbe perso di vista Robert e si sarebbe messa a piangere dallo sconforto. Non era riuscita a distrarsi con niente: aveva provato a leggere, ma dopo un'ora, si era accorta di star leggendo la stessa, identica riga da chissà quanto e aveva lasciato perdere; la televisione non le era stata d'aiuto, visto che avevano deciso di trasmettere la premier di un nuovo film di Brad Pitt avvenuta a Los Angeles il giorno prima, cosa che le aveva nuovamente ricordato che quella sera sarebbe toccato a lei sfilare sul tappeto rosso accanto a Robert. Avrebbe voluto essere Angelina Jolie, o, perlomeno, una star affermata, di successo, che non avrebbe avuto paura sapendo di una sua esibizione pubblica, ma, sfortunatamente non lo era. Era solo una sciocca ragazzina di New York fuggita a Londra con la sua chitarra e senza un centesimo in tasca. Non avrebbe mai potuto competere con loro, i VIP.

< Sei ancora in tempo per rifiutare. > Le fece presente lui, dando un'occhiata all'orologio che segnava le sei.

< E costringere Robert ad andarci da solo? No, ho promesso, non posso tirarmi indietro all'ultimo minuto. > Scosse la testa.

< Puoi, se non te la senti. Robert non se la prenderà e poi, è solo una premier, riuscirebbe a cavarsela da solo, come sempre. > Cercò di tranquillizzarla.

< Posso far finta di stare poco bene e svenire in macchina. > Ironizzò, sorridendo.

< Quello sì che sarebbe squallido! > Rise Tom, portandosi alle sue spalle e scompigliandole i capelli, attento a non rovinare la messa in piega perfetta.

< Robert si offrirebbe di accompagnarti a casa per vedere come stai, arriverebbe in ritardo, le fan lo assalirebbero per gli autografi, si beccherà i rimproveri del suo agente e si addormenterebbe sulla poltrona durante il film per lo stress. > Continuò, cercando di risollevarle il morale.

< Lo dici come se ci fossi passato anche tu. > Lo osservò guardinga.

< Chi, io?!? No, assolutamente no! Io non mi addormento durante le premier! > Sbottò, offeso.

< Perché dovrebbe farlo Rob, allora? > Chiese, sospettosa.

< E' quello che succede quando sei stanco, no? > Rispose ovvio, facendo spallucce.

Charis decise di lasciar perdere, imitando il suo gesto e voltandosi di nuovo verso lo specchio.

< Credi che le fan di Robert mi odieranno? > Domandò, lo sguardo abbattuto.

< Charis, è impossibile che ti odino! Sei una di loro e prima o poi capiranno che Rob ti ha scelta perché sei diversa da tutte le altre e non ti atteggi a super diva anche se sei la fidanzata ufficiale di un attore famoso e sei semplicemente te stessa, sempre e comunque. Vedrai, andrà bene. > Charis lo guardò stralunata.

Certo, non si atteggiava a super diva, non era diversa dalle fan di Robert, era cresciuta a New York e aveva dovuto lottare per conquistarsi almeno una piccola fetta di felicità e non aveva mai preteso niente da nessuno.

Avrebbe voluto che ci fosse Michael a rassicurarla, ma, anche se aveva superato la sua morte affidandosi alle pagine di un diario, avrebbe preferito il suo abbraccio e il caldo rassicurante del suo corpo; invece era stretta a Tom. Era grata a lui e a Robert per tutto quello che avevano fatto per lei e per tutte le volte che le avevano teso la mano per farla rialzare ed era sicura che niente avrebbe potuto ricambiare la loro gentilezza.

< Tom, devi trovarti una ragazza. > Proruppe, separandosi dal suo abbraccio.

< Come? Perché? > Le domandò stranito, strabuzzando gli occhi.

< Perché meriti anche tu di essere felice. > Rispose semplice.

< Ma io sono felice! > Protestò, quasi offeso.

< Sei felice, ma secondo me una ragazza la meriti comunque. > Soppesò.

< Hai qualcuna da propormi? > Incrociò le braccia al petto e ammiccò.

< Beh... sono sicura che mia sorella stravederebbe per te. > Scherzò.

< Ah sì? E quanti anni avrebbe? > Chiese lui, ignaro.

< Dodici. > Era davvero convinta che a Marianne, Tom sarebbe piaciuto. Era il classico ragazzo che sapeva divertirsi (a volte anche troppo, avrebbe aggiunto), che se ama una ragazza, vi rimane fedele (e questo Robert glielo aveva assicurato) e che si faceva naturalmente voler bene.

< Non ho intenzione di finire in galera per causa tua, sappilo! > La ammonì proprio mentre il campanello di casa trillò forte e Charis trattenne un respiro, agitata.

< Calmati, è solo Robert, non uno stuolo di giornalisti! > Le pizzicò un braccio e le baciò una guancia, avviandosi verso le scale.

Aveva ragione, era soltanto Robert, doveva decisamente calmarsi.

Tom si ritrovò davanti un Robert spettinato, ma impeccabile nel suo completo grigio, camicia azzurra e sorridente come non mai.

Prima che potesse anche solo cercare rassicurazione su Charis, Tom lo precedette.

< E' splendida, sarà la ragazza più bella sul tappeto rosso, vedrai. > Gli mormorò come se fosse un segreto.

Robert sospirò di sollievo ed entrò.

< Tu non vieni? > Domandò, rivolto a Tom.

< Sono allergico ai tuoi film, Rob, lo sai. Al massimo faccio un salto all'after-party. > Rise, sventolando una mano, come se fosse qualcosa di irrilevante.

< Guarda che potrei anche stufarmi di dire ai buttafuori di farti entrare! > Chiarì, divertito.

Era felice che Charis non avesse avuto ripensamenti durante quel lasso di tempo trascorso in appartamenti diversi.

Sua sorella aveva ironizzato, dicendo che sembrava più come se avessero dovuto sposarsi e lo sposo non poteva dormire nella stessa stanza con la sposa, per tradizione e lui era arrossito come un bambino, sotto lo sguardo comprensivo di sua madre.

Chissà se Charis avrebbe accettato di sposarlo, un giorno.

Chissà se sarebbero ancora stati insieme.

Infilò le mani in tasca e attese che Charis scendesse, osservando Tom cambiare canale in televisione per fermarsi su un documentario.

Neanche la sentì arrivare, ma quando sentì la sua presa sulla sua mano, si voltò e le sorrise.

< Sei... incantevole! > La guardò. Il vestito che le aveva regalato metteva in risalto le sue forme in maniera perfetta e lei sembrava un'altra, più solare ed energica.

< Anche tu stai benissimo. > Abbassò lo sguardo e si torturò le labbra con i denti, in difficoltà.

Il cuore le batteva all'impazzata, tanto che la scusa che aveva detto di voler trovare pur di non partecipare alla premier, non la credeva più tanto impossibile.

< Allora, andiamo? Sei pronta? > Le domandò lui, premuroso.

< Suppongo di sì. > Salutò Tom con un abbraccio breve e si lasciò trascinare fino alla limousine nera parcheggiata di fronte al vialetto di accesso della casa.

< Chi l'avrebbe mai detto che sarei entrata in una limousine! > Scherzò, tentando di stemperare la tensione crescente.

< C'è sempre una prima volta per tutto e poi, non è così diversa da una macchina normale. Fosse stato per me, ci sarei arrivato in bicicletta. > Le sistemò un ciuffo di capelli dietro le orecchie, mentre l'autista metteva in moto e si inseriva, svelto, nel traffico cittadino scorrevole.

Si sentiva le gambe molli e aveva mal di pancia. Si strinse a Robert, cercando conforto e lui le accarezzò i capelli, stringendole una mano.

< Sei preoccupata? > Le chiese sottovoce.

Charis annuì, alzando gli occhi sul suo viso.

< Non ti lascerò da sola, promesso e non dovrai dire niente se non vorrai. > La calmò.

Aveva parlato a Nick del piccolo problema che avrebbe riscontrato Charis nel parlare con i giornalisti e lui gli aveva semplicemente risposto che se non voleva, non era obbligata a fare nulla, poteva non rispondere.

< E posso anche evitare di fare autografi, vero? > Si informò, ansiosa.

< Devi fare solo quello che senti, Charis, nient'altro. > Le sorrise, passandole un braccio intorno alla vita e facendole poggiare il capo sulla sua spalla.

< Dio! Dici che i miei genitori mi vedranno? > Potevano aver visto tutte le altre foto che i paparazzi avevano scattato a lei e a Robert durante tutti quei mesi; potevano averla riconosciuta.

Robert fece spallucce, sorpreso da quella domanda.

< Non saprei, forse sì. Il film è ambientato a New York e fra qualche giorno voleremo lì per un'altra premier, quindi, probabilmente, Internet sarà invasa di nostre foto già tra qualche ora. > Soppesò, perplesso.

Charis non gli aveva più parlato della sua famiglia, non aveva menzionato i suoi genitori neanche una volta e si era mantenuta sul vago quando i suoi le avevano chiesto cos'era successo a New York da spingerla ad andare a Londra.

Michael rimaneva il suo unico parente, il suo unico legame con la persona che era stata un tempo.

L'autista si fermò, comunicando che erano arrivati e Charis distinse con chiarezza le urla delle fan al di là della vettura.

Lanciò un'occhiata a Robert di terrore puro e lui, per tutta risposta, le strinse ancora di più la mano, decidendo di aspettare per aprire la portiera ed uscire.

< Puoi tornare a casa, se non te la senti, Charis, lo sai. > Le accarezzò una guancia con un dito e osservò il suo volto rilassarsi.

Scosse la testa e deglutì.

< No, ce la faccio, è che... > Abbassò lo sguardo, incapace di continuare.

< Cosa? > La spronò lui, le urla che si facevano sempre più alte e impazienti.

< Che devo ancora abituarmi a tutto questo, a te. > Sussurrò.

< Devi essere fiera di quello che sei, Charis. Sono sicuro che Michael lo è, ovunque sia, esista qualcosa oltre la morte o meno. > Se la strinse al petto e lei cercò di non piangere, cercò di non pensare al fatto che se non fosse stato per Michael, lei, Robert, neanche l'avrebbe conosciuto e che se avesse deciso di togliere Londra dalle sue tappe, non sarebbe mai stata lì presente. Robert avrebbe potuto decidere di andarci da solo, o con qualche altra ragazza e lei sarebbe stata chissà dove a chiedere l'elemosina e a suonare la sua chitarra e a scrivere su quel diario consumato.

Forse Michael l'aveva guidata, forse le anime dei nostri cari scomparsi ci accompagnano davvero nel viaggio che è la vita, quello più faticoso e che ci indicano la strada giusta e le scelte da fare, anche quando sembra impossibile prendere una direzione, anche quando ci sembra che vada tutto a rotoli.

 

 

Diverso tempo dopo...

 

Michael,

chissà se sei accanto a me adesso e stai leggendo queste parole.

Ti voglio bene, lo sai e se, un giorno, vorrai sapere se ti ho perdonato, quel giorno, ti risponderò di sì, l'ho fatto, ti ho perdonato.

In fondo, la tua non è stata una scelta facile. Non hai scelto la strada più breve, più comoda. Hai scelto la strada più difficile, tortuosa e dolorosa.

So quanto ti costa non essere più qui con noi, so quanto costa a me non sentire più la tua voce, non ascoltarti mentre mi leggi i tuoi libri preferiti e mi tieni per mano quando devo dormire.

Tu quel prezzo lo hai pagato e noi ne stiamo ricevendo il resto qui, sulla terra, ma va bene.

Sai cosa ho trovato nel cassetto della tua scrivania, oggi? Una chiave.

Sì, lo so, è strano, anche perché non sono riuscita a capire a cosa serva: un cassetto, un diario, un lucchetto?

Robert pensa che quella chiave tu l'abbia lasciata a me, che sia un regalo per cui non hai avuto il tempo di scrivere una dedica. Dice che forse è la chiave della tua anima, del tuo cuore e di tutte quelle cose che hai condiviso con me e che non volevi venissero perse, è una chiave simbolica.

Magari è così, chissà.

Mamma e papà hanno venduto la casa e sono andati via; non c'erano quando mi sono convinta a venirli a trovare e l'agente immobiliare non mi ha saputo dire dove siano andati. Probabilmente in una di quelle case sul mare, in Florida, di quelle che piacevano a Marianne e alla mamma. Non mi sono sentita triste per la loro partenza. In fondo, non ho mai preteso che mi aspettassero. Tu dicevi sempre che io camminavo davanti a tutti di almeno dieci metri e mi rendo conto che avevi ragione, è così e lo dice anche Robert, che è l'unico che riesce a seguirmi, a non perdermi.

Hanno portato via le tue cose e nella tua stanza sono rimasti solo i vecchi poster dei Ramones e i tuoi libri; l'agente immobiliare mi ha detto che posso prenderli, se voglio, perché mamma e papà non hanno espresso desideri a riguardo. Dei libri non gli è mai importato e neanche di me.

Anche la mia stanza non esiste più, sai? I vestiti sono stati ammucchiati dentro delle enormi buste di plastica destinate alla parrocchia più vicina. Sono riuscita a salvare qualcosa, ma il resto ho preferito andasse a chi ne ha più bisogno di me.

La casa così vuota è strana ed io non ci sono più abituata, ormai.

Tra poco arriveranno dei possibili e acquirenti e noi dovremo andar via. Possiamo restare, ma sono io a volermi lasciare tutto alle spalle.

Non rimpiango di essere venuta, avevo davvero voglia di vedere Marianne e di sapere come stava, se aveva un fidanzato e se la scuola le piaceva, ma loro sono scivolati via ed io ho la sola colpa di averci messo troppo tempo.

Robert dice che è giusto così, è giusto che si siano allontanati, perché la loro vista mi avrebbe fatto soffrire e, sai, lui odia vedermi piangere, come te. Dice che se lo faccio, gli spunteranno i capelli bianchi per il dolore e, anche se io non ci credo, non ho nessun motivo per piangere e non voglio farlo neanche ora.

E' come una lettera d'addio, vero? Ho scritto così tanto da sentirmi una di quelle ragazze che ha intenzione di suicidarsi e lascia un biglietto di scuse alla famiglia.

La tua chiave, comunque, la porterò con me, chissà che non sia un altro dei tanti segnali che mi hai lasciato fino ad ora.

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