Only Innocent Lives

di Sophie Hatter
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo (Remus Lupin) ***
Capitolo 2: *** Iniziazione (James Potter) ***
Capitolo 3: *** Questioni irrisolte (Sirius Black) ***
Capitolo 4: *** La prima battaglia (Lily Evans) ***
Capitolo 5: *** Il matrimonio (Remus Lupin) ***
Capitolo 6: *** È così facile capirlo (Sirius Black, Remus Lupin) ***
Capitolo 7: *** La spada di Grifondoro - I parte (James Potter, Remus Lupin) ***
Capitolo 8: *** La spada di Grifondoro - II parte (James Potter, Remus Lupin) ***
Capitolo 9: *** Amicizia (Lily Evans, Severus Piton, Sirius Black) ***
Capitolo 10: *** Andare fino in fondo (Regulus Black) ***
Capitolo 11: *** La tomba di Regulus (Sirius Black, Remus Lupin) ***



Capitolo 1
*** Prologo (Remus Lupin) ***


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Nota introduttiva: non so quanti dei miei vecchi ed affezionati lettori ritroverò, ma posso annunciare che ho deciso di riprendere in mano le mie fanfiction in via definitiva. Il titolo di questa storia è preso da una frase di Sirius Black pronunciata alla fine del terzo libro  (“What was there to be gained by fighting the most evil wizard who has ever existed? Only innocent lives, Peter!”). Come già citato nell'introduzione, rappresenta per me un sequel di Between You And The Giant Squid, nel senso che terrò conto di quanto ho narrato in quella storia, ma non c'è nulla che impedisca di capirne il contenuto anche senza aver letto la fanfiction precedente, che sto attualmente ripubblicando in versione riveduta e corretta.
I personaggi principali di questa storia saranno James e Lily Potter, Remus Lupin, Sirius Black, Peter Minus, Albus Silente, Severus Piton, Regulus Black e i membri dell'Ordine della Fenice (purtroppo il numero limitato di selezioni mi impediva di inserirli tutti).
Premetto subito che non sarà una storia "facile", si parlerà anche di guerra e di violenza e i personaggi si faranno del male l'un l'altro fino alla fine. Ci sarà anche una storia slash, ovvero Remus/Sirius. Se a qualcuno non piace la coppia, cerchi altrove. Io ormai non posso vederli se non insieme.
Ringrazio in anticipo chi si avventurerà nella lettura.




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Prologo



Sì, era per quello che piangevo; per la specie umana. Per il fatto che l’uomo non è per niente buono. Poi capii che era solo un bluff e che in realtà piangevo per me stesso, per la mia solitudine, la mia delusione, la presa di coscienza della mia mortalità, la consapevolezza che l’universo è un luogo buio, vuoto, e la vita è soltanto un giro in giostra, e quando squilla il campanello e tu devi scendere dalla giostra, metti i piedi sul nulla. E a quel punto, è tutto finito, non c’è più niente. Carne e anima potrebbero anche non essere mai esistite.

(Joe R. Lansdale, La notte del drive-in)





25 Agosto 1993

Era  seduto immobile sul bordo del letto da ore, forse da quando si era svegliato quella mattina. Non lo sapeva più nemmeno lui.

Stava ancora cercando di capire se fosse stato solo un incubo.

Era l’ipotesi più probabile, aveva tutte le caratteristiche per essere un incubo. Uno dei peggiori, che aveva dato voce a tutte le sue paure più terribili. Nel sogno, aveva perso tutto ciò che possedeva; non beni materiali, di cui non gli era mai importato – avrebbe preferito di gran lunga vedersi spezzare la bacchetta davanti agli occhi, o guardare la sua casa prendere fuoco – ma le persone, quelle persone che erano state tutto per lui, quelle che gli avevano dato una ragione per vivere che non fosse semplicemente il trascinarsi per inerzia giorno dopo giorno, senza una prospettiva o uno scopo, soltanto perché la morte non sopraggiungeva.

Se quel sogno fosse stato vero, sarebbe stato decisamente troppo.

James. I suoi occhiali. Erano rotti e lui li aveva raccolti dal pavimento del salotto. Gli erano caduti, probabilmente quando era stato colpito al petto dal raggio di luce verde.

Lily. Un rivolo di sangue le si era raggrumato lungo la tempia. Aveva colpito la libreria, scagliata indietro dall’urto. La sua collana, l’unico gioiello che le aveva mai visto indossare in tutti quegli anni, si era rotta. Lui aveva preso una perla e se l’era messa in tasca.

Poi era entrato in un’altra casa. L’aveva accolto una donna anziana, acciaccata, con troppe lacrime da versare. Gli sembrava di essere stato trattenuto lì un’eternità. Alla fine, aveva accettato di portare via con sé quel diario di un giovane Peter di appena undici anni, che scriveva entusiasta dei suoi nuovi amici e di quanto si sentisse finalmente accettato.

L’ultimo pezzo della collezione era un mantello scuro, che era stato dimenticato a casa sua molto tempo addietro. Odorava di foresta e di pelo di cane. Come se il suo proprietario ci si fosse rotolato a lungo in mezzo all’erba.

Non era stato nell’appartamento di Sirius, prima di tutto perché non sapeva dove si trovasse – a tal punto si era prodigato di portare avanti la messinscena del sospetto nei suoi confronti – e, in secondo luogo, perché non desiderava per nulla al mondo metterci piede. Se l’avesse fatto, probabilmente la rabbia l’avrebbe spinto a dare fuoco immediatamente a tutto il suo contenuto.

Un momento. Stava ragionando come se il sogno fosse vero. Doveva svegliarsi, non si poteva permettere di perdere tempo con inutili angosce. Là fuori c’era la guerra, una guerra che anche lui doveva combattere.

Continuava a pensare in maniera frenetica, eppure non si era ancora mosso da quel letto. Fissava il muro vuoto, il cielo a malapena visibile dall’unica finestra, gli scaffali disordinati, l’appendiabiti. Eccolo lì, il mantello scuro. Riusciva a distinguerlo nettamente, anche dopo aver chiuso e riaperto gli occhi. E gli altri oggetti?

Si alzò e diresse la sua attenzione verso una scatola intarsiata in legno che riposava sopra una delle mensole, una delle poche cose che fosse mai riuscito a fabbricare da solo senza usare la magia. Avrebbe dovuto essere il posto dove riporre la sua bacchetta. La aprì. Eccoli, gli occhiali rotti, le perle senza più filo e il diario. La copertina era di un vecchio giallo sbiadito.

Quindi era tutto vero.

Non gli era mai importato nulla delle cose materiali e ora erano tutto ciò che gli restava. Lily e James e Peter e Sirius, invece, dov’erano finiti? Dove li avevano portati? Era reale il biancore di quei cadaveri? E quel dito reciso, custodito in un’urna cosparsa di lacrime, non poteva essere solo un incanto? Chi gli stava giocando quel brutto scherzo?

Voldemort, era tutta colpa di Voldemort. Se solo lui non fosse mai esistito, ora lui si sarebbe svegliato e avrebbe scoperto di aver soltanto sognato. E poi avrebbe potuto attendere la luna piena con serenità, consapevole del fatto che di lì a breve i suoi amici lo avrebbero raggiunto…

Sul tavolo giaceva un giornale sgualcito. Lo notò solo in quel momento, quando il suo lungo risveglio dal torpore glielo permise. Vi si avvicinò lentamente, anche se gli sembrava di sentire qualcosa, dentro di lui, che gli gridava disperatamente di non farlo.  

C’era una foto in prima pagina, molti Dissennatori disposti in cerchio. Non ne aveva mai visti così tanti – o forse sì, ma ora non riusciva a ricordare. Al centro c’era l’arrestato, a testa china, i capelli corvini che scendevano  a coprirgli il viso. Era ammanettato. Sembrava immobile, rassegnato, i titoli a caratteri cubitali sovrastavano trionfanti la sua immagine, come se gioissero essi stessi per la sua cattura.

All’improvviso l’uomo alzò la testa ed emise un grido terribile, lacerante, rabbioso, che gelò completamente il sangue nelle vene di Remus. Quell’ultimo sguardo carico di odio e disperazione, prima che i Dissennatori lo trascinassero via, sembrava diretto esattamente verso di lui.

No, pensò, non è colpa di Voldemort. È soltanto colpa tua. Tu ci hai condotti alla morte. E perché hai risparmiato me? Ero così inutile ai tuoi occhi? Che cosa ti costava farmi fuori?

Afferrò il giornale e lo strappò con violenza, lo distrusse senza pietà, fino all’ultima pagina. Le unghie si affannavano a lacerare la carta sempre più in fretta per evitare che arrivasse il peggio. I frammenti delle pagine si sparsero per la stanza, volteggiandogli attorno, finché non gli restò in mano nulla. Non aveva mai avuto un simile scatto di rabbia, o meglio, in quel momento non riusciva a ricordare - di nuovo.

Cercò di reprimere il bisogno di fare a pezzi qualche altra cosa, stringendo violentemente i pugni. Era  la bestia che faceva questo, non lui, non l’essere umano. Non poteva ridursi al pari della bestia. Lui era razionale, lui sapeva controllarsi.

Improvvisamente sentì bussare alla porta.

Si ricordò che c’erano degli incantesimi a proteggere la sua casa e che erano in pochi a conoscere quell’indirizzo. Ma estrasse comunque la bacchetta, per precauzione, e sollevò cautamente la tenda della finestra per osservare il suo visitatore senza essere visto.

In quel momento, ricordò.

“Apri questa porta, non ho tutta la giornata per aspettare che tu ti decida”.

Remus fece scattare la serratura con un colpo di bacchetta. L’uomo che si trovava di fronte a lui non gli era mai sembrato giovane, neppure negli anni della scuola, nonostante avessero la stessa età. Lo fissava con durezza, quasi con disprezzo. Sapeva che c’era un motivo se lo guardava così. E non era tanto per i brutti tiri nei suoi confronti durante gli anni scolastici, né per il fatto che lui era amico del marito della donna che amava… il motivo per cui, probabilmente, Severus Piton lo detestava di più era perché Remus l’aveva visto sciogliersi in lacrime.

I dettagli riaffiorarono rapidamente. Era successo al funerale, lui era tornato indietro di corsa perché aveva scordato il mantello e se n’era reso conto solamente dopo aver mosso diversi passi in totale smarrimento nella foresta nebbiosa che circondava Godric’s Hollow, dopo che tutti se n’erano andati, dopo aver finto un contegno e una forza d’animo che in realtà non aveva di fronte alle persone che gli si erano parate dinnanzi per porgli le loro condoglianze, anche se quella era una tragedia pubblica, che aveva toccato tutto il mondo magico. Ma nessuno, in fondo, poteva rendersi veramente conto di cosa significasse essere l’unico rimasto.

Aveva iniziato a sentire freddo e si era accorto della dimenticanza. Poi, avendo realizzato di essere finalmente solo, era tornato verso la tomba. All’inizio non si era accorto della figura incappucciata, non l’aveva distinta dall’ombra nera del cipresso che si innalzava lì accanto. Soltanto dopo aver fatto diversi passi in quella direzione aveva sentito i singhiozzi.

Senza dubbio, se l’avesse riconosciuto subito sarebbe andato via. Ma era rimasto a sufficienza da vederlo voltarsi, con il volto sfigurato dal pianto. Aveva visto montare la collera dentro di lui in un lampo, lo aveva osservato alzare la bacchetta senza riuscire a trovare la prontezza di reagire. Ma, anziché colpirlo, l’uomo si era semplicemente Smaterializzato.

Era pressoché certo che lo odiasse di più per questo. Perché era stato testimone della sua debolezza.

Alle spalle di Severus Piton riconobbe Albus Silente. Anche lui pareva invecchiato di cent’anni. Da quanto tempo non lo vedeva? Giorni, settimane, mesi? Non riusciva a ricordare.

“Buongiorno, Remus”.

Si scostò per lasciarli entrare. Non aveva idea di cosa volessero.

“Che cosa succede?”

Entrambi lo fissavano come se non sapessero bene che espressione assumere. Remus si guardò intorno, vide i pezzi di giornale ancora a terra. Sentendo la vergogna affluire tutta d’un colpo, cancellò quelle tracce della sua disperazione con la bacchetta, anche se ormai avevano visto tutto.

“Come ti senti oggi, Remus? La memoria va meglio?”

La memoria?

“A dire il vero, sono un po’ confuso”, rispose, cercando di ragionare. Non capiva perché fossero venuti a trovarlo.

“Suppongo sia normale. Sei ancora convinto di voler recuperare quei ricordi? Non devi farlo per nessuno, se non per te stesso”.

Remus si rese conto di non comprendere affatto ciò di cui Silente stava parlando.

“A quanto pare la precedente pozione non ha sortito un grande effetto”, disse Piton, con un filo di voce sottilmente maligno. Remus lo fissò guardingo, gli sovvenne che non si fidava di Piton. Ma l’aveva visto piangere davanti alla tomba, l’aveva visto disperato per la morte di Lily. Se davvero i sospetti nei suoi confronti erano fondati, non poteva che essersi pentito amaramente della sua condotta.

“Faremo un nuovo tentativo. Sempre se lo desideri ancora”.

Remus si sentiva in difficoltà, ma si rese conto di avere qualcosa che non andava. Quella confusione, quei vuoti, quel riportare improvvisamente alla mente cose che il momento prima erano seppellite nell’oblio più totale. Doveva essergli successo qualcosa e Silente voleva aiutarlo. Si fidava di Silente, perciò gli avrebbe dato ascolto.

“Sì, lo desidero ancora”.

“Bene”.

Piton appoggiò sul tavolo due fiale estratte da una tasca interna del mantello. Una aveva al suo interno un liquido verdastro. Di colpo, ne ricordò il sapore. Non era rivoltante, a differenza della maggior parte delle altre pozioni che aveva assaggiato in vita sua. Al contrario, gli era rimasto impresso quel gusto piacevole, quasi dolce.

L’altra ampolla, invece, conteneva un liquido tendente al giallastro, con grumi scuri che vi galleggiavano dentro. Non voleva assolutamente sapere se fossero semplici foglie o zampe di animale. Aveva sempre detestato preparare pozioni.

“E la seconda?” chiese, constatando che non riusciva a ricordare di averla mai vista o assaggiata.

“La seconda è per la prossima luna piena”, disse Silente. “È un preparato recentissimo, totalmente innovativo. Se la assumerai a partire da settimana prima ti permetterà una trasformazione serena, tanto che ti accorgerai a malapena di essere un lupo”.

“Oh. Magnifico”, commentò, anche se parzialmente incredulo. Le sue trasformazioni erano sempre state dolorose e fonte di tormento per lui, fatta eccezione per quelle volte in cui i suoi amici gli avevano fatto compagnia. Dicevano che era diventato docile, quasi un agnellino, quando trascorreva le notti insieme a loro sotto forma animale.

“Detto fra le righe, Lupin, sei costretto ad assumerla”, disse Piton, scoccandogli un’occhiata penetrante, come se volesse inchiodarlo sul posto. Remus scrollò le spalle.

“Certo, Severus, non lascerei mai che qualcosa in cui hai investito il tuo talento vada sprecata”, replicò, mentre gli tornava in mente James che lo rimproverava sempre perché si comportava in modo troppo gentile con Mocciosus. In effetti, al suo posto, il suo amico avrebbe ribattuto in toni molto più accesi.

 “Per quanto tu abbia ragione, non è tanto per questo motivo che ti è caldamente raccomandato di bere quella pozione prima di trasformarti in… beh, noi tutti sappiamo bene cosa. Te lo consiglio maggiormente perché, a quanto pare, l’ultima volta ti sei lasciato prendere un po’ troppo la mano”.

“Severus, basta così”, intervenne Silente. Remus ebbe un altro flash. Rivide il suo corpo riflesso nello specchio dopo l’ultima notte di luna piena, le zone dove spiccavano spaventosi segni di morsi raggrumati di sangue, di lividi, di graffi profondi almeno un paio di centimetri che gli deturpavano il petto. Ricordò i cadaveri di animali sbranati che aveva lasciato a marcire nel bosco. Ricordò che la gente nei dintorni aveva iniziato ad ipotizzare la presenza di una bestia feroce nei paraggi, pronta ad attaccare i villaggi e a massacrarne gli abitanti. Non voleva arrivare a quel punto, ad ogni costo. Già una volta aveva rischiato di recidere una vita umana, e la vergogna e il rimorso che avevano accompagnato quell’episodio non l’avevano lasciato in pace per anni. Ma era solo perché i suoi amici non erano più con lui che aveva ripreso ad avere quella ferocia quando assumeva le sembianze di un lupo. Era solo colpa di Voldemort. Colpa di Sirius. Come era possibile, come poteva essere stato proprio lui?

“È difficile andare avanti, per tutti noi”, disse Silente. “Con questa spero che tu possa avere un po’ di sollievo”, concluse, indicando l’ampolla.

Remus la fissò a lungo, poi annuì.

“Grazie”.

“Informami se noti qualche miglioramento nella memoria, così potremo ridurre gradualmente la dose dell’altra pozione. Purtroppo ad alte dosi ha qualche effetto collaterale e se fosse possibile vorrei evitare di vederti più deperito”.

Remus sorrise a Silente, sforzandosi di mostrarsi riconoscente per qualcosa che ancora gli sfuggiva. Era terribilmente frustrante. Non era sufficiente che i suoi amici fossero morti?

Si congedò dai suoi due ospiti in breve tempo, poi si sedette al tavolo, prese fra le mani la fiala contenente la pozione verdastra e la rimirò a lungo, rigirandosela fra le mani. Cominciava a farsi strada un’idea, dentro di lui. E se invece di cercare di ricordare si fosse fatto cancellare completamente la memoria di quegli eventi? Non sarebbe stato forse un sollievo di gran lunga maggiore? Perché aveva chiesto a Silente di aiutarlo a recuperare quel suo bagaglio di reminiscenze? Dimenticandosi di aver avuto degli amici, di aver visto i loro cadaveri e di sapere che uno di loro li aveva traditi non avrebbe più sofferto. Avrebbe ricominciato a vivere come prima di approdare a Hogwarts: in solitudine, ignaro del fatto che potesse esserci qualcuno là fuori capace di renderlo felice.

Eppure, sapeva già che non avrebbe seguito l’impeccabilità di quel ragionamento.

Doveva capire. Doveva cercare di comprendere cosa fosse successo e perché. Doveva sapere come fosse stato possibile che Sirius li avesse ingannati tutti, per così tanto tempo. Perché proprio lui, che amava James come un fratello. E che con lui era stato sempre così… ambiguo. Un perenne battibecco durante gli anni di scuola, si punzecchiavano con qualsiasi pretesto perché erano così diversi l’uno dall’altro. Eppure, Sirius era quello che più di tutti l’aveva difeso, quello che scatenava tutta la sua violenza contro i Serpeverde che osavano prendersi gioco di lui, quello che aveva avuto l’idea di diventare un Animagus insieme a Peter e James per non lasciarlo solo, quello che lo spronava ogni volta che lui si mostrava titubante. Era impossibile spiegare il riconoscimento e l’affetto viscerale che Remus aveva imparato a nutrire per lui, nonostante i suoi modi bruschi e il suo carattere infantile, spesso intrattabile. Escludeva a priori che potesse essere stata l’influenza negativa della sua famiglia a trascinarlo verso Voldemort; Sirius li disprezzava tutti, dal primo all’ultimo, non avrebbe mai dato loro un briciolo di credito. Ma allora cosa? Cosa l’aveva spinto a tal punto?

Si accorse di avere un violento mal di testa che gli trafiggeva le tempie. Non avrebbe cavato più nulla da quei ragionamenti inconcludenti. Guardò fuori dalla finestra e, mentre una lacrima silenziosa gli scivolava lungo la guancia, stappò la boccetta e trangugiò di colpo il liquido verde dal sapore dolce.



What was once so real, now doesn't even exist. 

And now the memories are going, so just the feelings persist. 

And what thoughts come back I sometimes try to resist.

(Bedhead, Powder)

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Capitolo 2
*** Iniziazione (James Potter) ***


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Capitolo 1 – Iniziazione

 

 

Volevo che tu imparassi una cosa da lei: volevo che tu vedessi che cosa è il vero coraggio, tu che credi che sia rappresentato da un uomo col fucile in mano. Aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare egualmente e arrivare fino in fondo, qualsiasi cosa succeda. È raro vincere, in questi casi, ma qualche volta succede.

(Harper Lee, Il buio oltre la siepe)

 


Luglio 1978



C’era decisamente troppa agitazione nell’aria, quel giorno.

James si stava sforzando con tutto se stesso, ma proprio non ci riusciva a stare calmo, o quantomeno a dare l’apparenza di esserlo. Non si era mai preoccupato di porre un filtro tra il suo stato d’animo e il suo atteggiamento; pertanto, ogni suo gesto, in preda ad emozioni forti, risultava plateale. Camminare su e giù per la stanza senza uno scopo, tamburellare rumorosamente con le dita sullo stipite della porta, incrociare le braccia e subito dopo cambiare idea e infilare le mani in tasca, tutto era espressione evidente della sua impazienza. Peraltro, come spesso gli accadeva in simili circostanze, non si rendeva assolutamente conto che, facendo così, accresceva a dismisura l’ulteriore nervosismo di chi gli stava intorno.

In effetti, era da diversi minuti che gli altri avevano smesso di parlare o di dedicarsi a temporanee attività come sfogliare un qualsiasi libro dell’immensa collezione presente nel salotto dei Potter. Si erano ammutoliti tutti, come se l’unico passatempo di rilievo potesse essere guardarlo mentre scalpitava senza tregua da un angolo all’altro. Si fermò di colpo, fissando le facce dei presenti, tutte rivolte verso di lui.

“Beh? Che c’è?” bofonchiò.

“Sei peggio di un animale in gabbia”, commentò Remus, con un sorriso forzato, che James ricambiò.

“Sì, lo so, ma quest’attesa mi sta uccidendo. Non si potrebbero muovere?”

“Oh, avanti James, non siamo noi che dettiamo gli ordini”, ribatté Lily.

“Potrebbe essere successo qualcosa di grave”, ipotizzò Peter, improvvisamente allarmato.

“Nah, secondo me l’unico problema è che la McGranitt sta aspettando i risultati dei nostri M.A.G.O. per verificare se siamo veramente idonei”, disse Sirius, allungando le gambe dalla sua postazione privilegiata in poltrona. James scambiò un’occhiata silenziosa con lui, che sembrava il ritratto della tranquillità più assoluta. Come diavolo faceva? Lui non vedeva l’ora. Sarebbe stato ancora più fico che ricevere il diploma.

Beh, in realtà non è che fosse poi così fico. In un certo senso, stavano per autocondannarsi a morte. Sempre se Voldemort avesse vinto, mentre in caso contrario la morte sarebbe stata la sua. Ma faceva paura, l’idea di mettersi contro Voldemort. Era qualcosa di grande, di terrificante. Non era come fare pratica di incantesimi di Difesa Contro Le Arti Oscure sui Serpeverde a Hogwarts.

Già, Hogwarts. E chi l’avrebbe rivista più. Tempo qualche mese e altri studenti dalle facce ignote avrebbero preso a dormire nei letti a baldacchino che un tempo avevano ospitato tutti loro. La nostalgia si mischiò all’ansia, rendendo James un concentrato di turbamenti altamente reattivo.

In quei giorni, in attesa di ricevere le istruzioni da Silente, si era dovuto sforzare molto per sopprimere quanto più possibile quel suo lato malinconico. Aveva chiuso in cantina tutti i libri di scuola, incastrati in un unico baule con pochi colpi di bacchetta, aveva fatto sparire le raccolte di figurine delle Cioccorane e tolto i poster del Quidditch dalle pareti. Anche il suo vecchio distintivo di Caposcuola era stato chiuso da qualche parte, insieme alla vecchia divisa. Aveva risparmiato solamente i testi di Difesa, ma più per scrupolo che per vera necessità, dato che, come anche i suoi M.A.G.O. avevano confermato, in quel campo la sua conoscenza era più che completa. Era perfino riuscito a sbalordire l’Auror che l’aveva esaminato, cosa che, ovviamente, aveva gonfiato il suo orgoglio a dismisura.

Ma non aveva indugiato eccessivamente neppure in quelle piccole autocelebrazioni. Sirius stesso, che ancora per poco continuava a vivere a casa sua, aveva constatato che era stata tutta farina del suo sacco; James ovviamente aveva obbligato anche lui a fare lo stesso, e in pochi giorni avevano fatto piazza pulita dei vecchi ricordi di Hogwarts. Non c’era più tempo da perdere in spensieratezze, quei giorni erano finiti. Ora si trattava di affrontare una guerra.

Era lusingato del fatto che Silente si fosse rivolto proprio a lui, fra tanti. Significava che lo riteneva all’altezza. Certo, però, così facendo gli aveva affibbiato l’ennesima responsabilità, e per giunta ben più pesante di quella di fare il Caposcuola: ora si trattava di fare il difensore della gente.

Chissà come funzionava essere ammessi. Ci sarebbe stata una cerimonia? E poi, avrebbero subito combattuto in prima linea o si sarebbero prima occupati di faccende minori? Chi altro ne faceva parte? Perché Silente aveva scelto loro, proprio quelli che sarebbero rimasti nella storia di Hogwarts per via delle loro continue opere di distruzione fisica e psicologica nei confronti del corpo docente?

Era così stressante diventare adulti di colpo. Una vocetta dentro di lui si chiedeva chi gliel’avesse fatto fare. In fondo, non era stato obbligato a dire di sì; era stata una sua decisione spontanea, da individuo in pieno possesso delle sue facoltà mentali. Sì, lui aveva quell’enorme difetto, si buttava a fare qualcosa senza mai rifletterci su troppo a lungo – anzi, senza rifletterci per nulla. Era per quel motivo che si era cacciato nei guai innumerevoli volte. Ma sapeva che stavolta non stava sbagliando (ne era così convinto anche perché tutti i suoi amici lo avevano appoggiato e seguito, mentre nessuno, né Remus né Lily, aveva mai accennato al fatto che potesse essere una cattiva idea – il che equivaleva più o meno ad aver ricevuto un’autorizzazione ufficiale dal Ministero della Magia).

E poi, in fondo, l’aveva sempre saputo. Anche se non aveva mai scelto una futura carriera definitiva durante gli anni a Hogwarts, era certo che non desiderava finire a svolgere un impiego noioso. Bramava una vita eccitante, attiva ed avventurosa. Ne aveva parlato tante volte con Sirius, e sapeva che la pensava allo stesso modo.

“Perché non ti siedi, James?”  gli propose Peter, amichevolmente, indicandogli la sedia libera alla sua destra.

“Uhm, sì, grazie, forse è meglio”.

 Si sforzò di non pensare a nulla per qualche secondo, così come era abituato a fare ogni volta che a Hogwarts finiva in punizione e qualcuno – in genere la McGranitt – attaccava una lunga e noiosa predica volta a cercare di riportarlo sulla retta via, ma non ci riuscì; la necessità di parlare si era fatta più forte di lui.

“Allora, convinto al cento per cento?” domandò a Peter, battendogli una mano sulla spalla.

“Beh, sì, credo. Forse. Insomma… a dire il vero ho un po’ di paura…”

“Tranquillo, non sei mica l’unico”.

“Io non ho paura”, fece notare Sirius, in tono sprezzante.

“Lo immaginavamo. Infatti non eri incluso nel discorso”, commentò Remus.

“Secondo te altrimenti per quale ragione sarei finito a Grifondoro, eh?”

“Poco importa, non siamo più a scuola”.

“Già, perché invece tu hai proprio l’aria della persona terrorizzata. Non ti scalfisce mai niente…”

“Ma come, ero convinto di manifestare abbastanza bene il mio fastidio nel momento in cui ti metti a parlare a sproposito!”

“Sono sicuro che se Voldemort ci sfidasse a colpi di dialettica vinceresti di sicuro senza bisogno del nostro aiuto, è un peccato che non sia così”, borbottò Sirius, caustico.

“E tu, Pads? In che cosa pensi che riusciresti a vincere?” domandò James, divertito dal battibecco in corso.

“Se fosse una lotta a chi è il più bello, ovviamente”, rispose Sirius, scuotendo teatralmente i capelli corvini, che durante gli ultimi mesi aveva lasciato crescere fino alle spalle in segno di ribellione assoluta. Remus gli gettò di sfuggita un’occhiata scettica.

“Oh, sì, la tua sarebbe davvero una missione umanitaria…”

“Ehi, c’è Silente!” strillò Peter. Tutti si volsero immediatamente verso il camino, che aveva improvvisamente virato il colore delle sue fiamme verso un verde smeraldino. Tra le lingue di fuoco spuntava il volto del Preside di Hogwarts, per nulla mutato dall’ultimo giorno in cui l’avevano visto, in occasione dell’ultimo addio alla scuola di magia.

“Scusateci per l’attesa, alcuni dei nostri sono appena rientrati da una missione imprevista. Bene, vedo che ci siete tutti: potete usare la Metropolvere e recarvi alla Taverna del Drago Fumante”.

“Mi… mi scusi, signore, e l’indirizzo?” domandò Peter, titubante.

“Basterà questo, non preoccupatevi”, sorrise Silente.

“Va… va bene”. Peter non sembrava molto convinto. Del resto, i viaggi via camino non erano mai stati i suoi preferiti.

James afferrò una manciata di polvere volante, seguito dagli altri. Incrociò lo sguardo di Sirius: l’amico aveva un entusiastico bagliore negli occhi, totalmente eccitato all’idea di combattere finalmente in prima fila. Ne avevano discusso, qualche giorno addietro. Sirius non sembrava per nulla turbato dalla possibilità di rimetterci la pelle e James era leggermente preoccupato per questo; era abbastanza sicuro che tutta quella smania di gettarsi nella mischia fosse dovuta principalmente al desiderio di scontrarsi apertamente con quei membri della sua famiglia che, come tutto il mondo magico ben sapeva, erano entrati a far parte delle schiere di Voldemort. Sua cugina Bellatrix era una pazza furiosa e per giunta molto vicina a Voldemort, da quanto si sapeva, perciò estremamente pericolosa; mentre il fratello, Regulus, era un ragazzino sciocco che non aveva assolutamente idea di quello in cui si stava cacciando. Se per caso un giorno si fossero trovati faccia a faccia, forse Sirius avrebbe finito per pentirsene. Era l’unico, fra loro, a dover affrontare la prospettiva di doversi scontrare con la sua stessa famiglia. James aveva provato a domandarsi che cosa avrebbe fatto se si fosse trovato nei suoi panni, ma non era riuscito a giungere ad una conclusione; non era semplicemente in grado di immaginare che cosa significasse stare al posto di Sirius.

“Prima le signore”, offrì cavallerescamente l’amico, rivolto a Lily, e James ebbe un moto interiore di ribellione. Stava trascinando la persona che amava verso una guerra, a scontrarsi con maghi oscuri indubbiamente molto più potenti di cinque studenti appena usciti da Hogwarts e se lei fosse morta per questo non se lo sarebbe mai perdonato, mai. Ma anche con lei aveva discusso e non c’era stato verso di far sì che ci ripensasse. Lily era incredibilmente testarda, e aveva tremendamente insistito per non essere lasciata in secondo piano solamente in quanto donna; di sicuro, per quanto riguardava le abilità tecniche e le conoscenze, non era seconda a nessuno, fra loro. Ma quando la osservò entrare nel camino, lanciare la polvere tra le fiamme e scomparire, non poté fare a meno di sentirsi stringere lo stomaco in una morsa di paura.

Peter fu il secondo, Remus il terzo. Sirius gli strizzò l’occhio con un sorrisetto complice prima di sparire in mezzo ad un lampo di luce verde. James si strinse nelle spalle, sospirando fra sé. In fondo sapeva che, in ogni caso, non avrebbe potuto dare a Silente una risposta diversa quando gli aveva offerto di entrare a far parte dell’organizzazione di quel probabile suicidio di massa.


*

Quando James fu catapultato fuori dal camino con un violento ruzzolone, si ritrovò immerso in una momentanea nuvola di polvere che non gli permetteva di vedere al di là del suo naso. Per questo si prese uno spavento non indifferente quando qualcuno ben poco distante da lui cacciò un improvviso urlo di dolore.

Istintivamente estrasse la bacchetta e si mise in piedi, per poi ritrovarsi di fronte ad uno spettacolo che lo lasciò decisamente interdetto. Si trovava in una stanza semivuota e scarsamente illuminata dall’unica finestra in grado di fare luce all’interno; una piccola folla di persone si era raccolta intorno all’unico letto e fissava con apprensione l’uomo che Hagrid stava deponendo con discutibile delicatezza sul materasso. Lo riconobbe subito, aveva visto alcune sue foto sui giornali nei mesi scorsi; la piccola differenza, però, era che gli mancava… una gamba.

L’uomo si lamentò ancora, finché non ebbe toccato il letto. Una Minerva McGranitt molto meno contenuta di quanto fosse durante le lezioni ad Hogwarts gli si avvicinò immediatamente, osservando l’arto mutilato.

“Dovevate portarlo immediatamente al San Mungo!” disse, rivolgendosi a due giovani sulla trentina, che si assomigliavano in maniera impressionante, scarmigliati e imbrattati di sangue.

“Non ha voluto muoversi finché non li ha messi in fuga o fatti fuori tutti, professoressa, non c’è stato verso”, si difese uno dei due, quello leggermente più alto e robusto.

“In queste condizioni è… è…”

“…impossibile salvare l’arto, sì, Minerva. Lo so. Non mi interessa”.

“Come sarebbe a dire che non ti interessa?”

“Pensate ad accogliere gli ospiti, piuttosto”. L’uomo mutilato li fissò con un ghigno a metà fra una smorfia di dolore e una specie di sorriso. James ricambiò l’occhiata solo per una frazione di secondo; si rese conto solo in quel momento che all’uomo, probabilmente, mancava anche un occhio, la cui orbita vuota era coperta da una benda nera. Un brivido freddo gli percorse la schiena; volse lo sguardo attorno verso Peter, Remus, Sirius e Lily e notò che anche loro erano piuttosto impietriti.

“Largo, fate largo”, disse all’improvviso una voce alle sue spalle. James fece un balzo indietro, appena in tempo per far passare una giovanissima strega con una chioma di capelli scuri incredibilmente lunga raccolta in un’unica treccia, che trasportava un grosso borsone, un catino d’acqua e degli asciugamani. Una Guaritrice. Era la prima volta che ne vedeva una; sapeva che Lily aveva preso seriamente in considerazione quel tipo di carriera.

Mentre la Guaritrice si affaccendava intorno all’uomo mutilato, Albus Silente si volse finalmente verso di loro.

“Mi dispiace per questo ingresso un po’ brusco che vi è toccato”, disse, distaccandosi dal gruppetto di gente che prestava attenzioni e cure al ferito. A parte Hagrid e la McGranitt, James si rese conto di non riconoscere altre facce. I due giovani, probabilmente fratelli, avevano a occhio e croce almeno una decina d’anni più di loro, quindi di sicuro non li aveva mai incrociati a Hogwarts; lo stesso valeva per quel tipo basso con lunghi ricci castani che stava aiutando a bendare la gamba dell’uomo ferito. Altri erano decisamente troppo anziani per aver potuto frequentare la scuola di magia insieme a loro: una donna sulla quarantina dall’aria nobile, con uno scialle verde smeraldo, un’altra di forse una decina d’anni più vecchia, un po’ curva, con il viso magro e incavato e i capelli tirati indietro in maniera simile alla McGranitt; due uomini piuttosto anziani, uno con un cappello assurdo che quasi gli copriva l’intera faccia, l’altro con dei comici baffetti a punta; un tipo alto con la mascella squadrata, un altro con una lunga barba nera e la carnagione olivastra e un terzo dall’aria importante, molto curata. C’era infine una coppia che si avvicinava maggiormente a loro in quanto ad età: lui biondo e silenzioso, lei con un viso simpatico, rotondeggiante.

“Sembra fatto apposta per spaventarvi, eh? Ehi, benvenuti nell’Ordine della Fenice, potreste rischiare di tornare senza una gamba la prossima volta”, disse loro Hagrid, cercando di sdrammatizzare.

“Peggio: potreste non tornare affatto se non vi guardate bene le spalle. È solo per questo motivo che io ci ho rimesso così poco. Vigilanza costante! Ah, a proposito, piacere, Alastor Moody”.

James vide che Peter gettava un’occhiata preoccupata alla porta d’ingresso e ridacchiò fra sé. Doveva essere rimasto parecchio scioccato.

Fecero un giro di presentazioni in breve: Marlene McKinnon era la Guaritrice, Benjy Fenwick l’uomo con i capelli lunghi, Gideon e Fabian Prewett i due fratelli, Emmeline Vance e Dorcas Meadowes le due donne più anziane, Frank e Alice Paciock la coppia giovane, Caradoc Dearborn l’uomo con la barba nera, Edgar Bones quello distinto – James ricordò di averlo già sentito, era uno importante nel Ministero probabilmente –, Sturgis Podmore era quello con la mascella squadrata e Elphias Doge e Dedalus Lux i due vecchietti. Insomma, poco più giovani di Silente.

“Signore, scusi la domanda, ma come mai ci troviamo proprio qui?”

“Questo è il nostro quartier generale temporaneo, era la locanda gestita da mio fratello Aberforth prima che si trasferisse alla Testa di Porco”.

James sgranò leggermente gli occhi, incredulo.

“Suo… fratello è il proprietario della Testa di Porco?”

Silente sorrise lievemente, divertito.

“Tranquillo, James, non è solito fare la spia”.

Già, pensò, altrimenti un sacco di nostri scherzi ai danni dei Serpeverde maturati là dentro non sarebbero mai andati in porto.

“A proposito di Aberforth, dovrebbe arrivare a breve…”

In quell’esatto momento, ci fu un lampo di luce verde e un uomo uscì ruzzolando dal camino, spolverandosi le vesti con aria seccata.

“Visto? Una puntualità impeccabile”.

James scrutò con attenzione l’uomo che doveva essere il fratello di Silente. Di sicuro gli assomigliava molto, la barba lunga e gli occhi di quell’azzurro quasi di ghiaccio erano gli stessi; tuttavia, portamento, sguardo ed espressioni erano quanto di più diverso ci potesse essere.

“Ah, siete voi i nuovi acquisti”, bofonchiò, squadrandoli uno ad uno con una certa diffidenza.

“Non sono un po’ troppo giovani, questi qui?” obiettò, in tono polemico.

“Non tanto quanto lei potrebbe essere troppo vecchio, signore”, rispose James, ricevendo in tutta risposta un’occhiata di disapprovazione da parte di Lily. Accidenti a lui e alla sua incapacità di filtrare i pensieri prima di aprire bocca.

“Ragazzo, il tuo ex preside, qui, è molto più decrepito di me”, ribatté il proprietario della Testa di Porco, indicando Silente che, anziché sentirsi offeso, se la rideva sotto i baffi.

“Non badateci, Aberforth ci ha raggiunti qui oggi soltanto per presenziare alla vostra piccola cerimonia d’iniziazione”, disse loro. Lui, in tutta risposta, si strinse nelle spalle.

“Ero soltanto curioso di vedere chi avevi trascinato questa volta nei tuoi folli progetti”, replicò.

“A dire la verità noi non vediamo l’ora di gettarci in tutta questa follia”, disse Sirius, sogghignando.

“Ma guardateli, solo perché non hanno neppure una cicatrice credono di poter salvare il mondo…” bofonchiò Moody, alle loro spalle.

“Ci dia un po’ di tempo per riguadagnare un po’ di vantaggio e poi potremo fare a gara”, scherzò Sirius. James vide Remus alzare gli occhi al soffitto e scuotere la testa, rassegnato. Poi incrociò lo sguardo di Lily: non aveva detto una parola da quando erano capitombolati lì dentro. Tentò di capire se fosse spaventata, ma era chiusa ed impenetrabile nella sua aria pensierosa. Sembrava distratta da qualcos’altro, qualcosa che non aveva niente a che fare con le persone che stavano loro intorno.

James si avvicinò con circospezione e le passò un braccio intorno alla vita, stringendola leggermente verso di sé. Lei si riscosse e lo guardò, sorridendogli. Chissà se poteva stare tranquillo.


*

La cerimonia d’iniziazione che aveva messo tanto timore a Peter non richiese altro se non firmare una pergamena lievemente consunta con un inchiostro invisibile abilmente stregato – solo i firmatari potevano leggerne il contenuto – usando una piuma proveniente direttamente dalla coda di Fanny, la fenice di Silente. Dopodiché, il preside li presentò al resto dell’Ordine come dei ragazzi molto abili e molto coraggiosi, che traevano una particolare forza dall’unione profonda che c’era fra tutti loro e che era importante che non si spezzasse mai.

In effetti, James sapeva che sarebbe stato mille volte più difficile affrontare una scelta simile se qualcuno fra tutti gli altri si fosse tirato indietro.

Perché Sirius era quello che incitava ad agire da protagonisti, a lottare in prima linea. Remus era quello che riusciva a frenare le avventatezze eccessive, che sapeva fare la scelta più prudente. Peter forse aveva più bisogno dell’aiuto degli altri, ma il suo sostegno e la sua fedeltà non mancavano mai. E Lily era intelligente, brillante, capace di tirare fuori sempre la soluzione giusta.

Le cose erano cambiate in fretta dai tempi in cui erano solamente degli studenti scapestrati. Beh, Lily non era mai stata scapestrata. Remus, invece, un paio di volte si era lasciato andare a mollare qualche pugno ben assestato ad alcuni disgraziati Serpeverde; vederlo in azione una volta tanto al posto suo o di Sirius era stato decisamente soddisfacente.

James sorrise, scuotendo la testa.

Dopo il discorso, Aberforth aveva stappato una bottiglia di Idromele e avevano fatto un brindisi al loro ingresso nell’Ordine. Avevano perfino scattato una fotografia; Alastor Moody si era rapidamente rimesso in piedi grazie ad un paio di stampelle.

“Date retta a me, che ne ho viste di cotte e di crude”, aveva detto loro, avvicinandosi con andatura claudicante. “Dovete guardarvi sempre le spalle a vicenda. Sempre. Quei dannati Mangiamorte agiscono in gruppo e se vi ritroverete da soli per voi sarà la fine”.

Lily strinse la mano di James, silenziosamente. Lui rivolse all’Auror un sorriso di circostanza e la trascinò fuori, su un piccolo terrazzo sgangherato.

“Beh? Che te ne pare?” le chiese, una volta respirata un po’ d’aria.

“Non so se me li aspettassi così. Il fratello di Silente è un tipo stranissimo. E il cappello di Elphias Doge, l’hai visto? L’ha rubato ad un mago Babbano e l’ha modificato, e ora ci tira fuori conigli, fiori, fazzoletti…”

“Wow, è davvero geniale. Devo assolutamente convincerlo a prestarmelo per un giorno”.

“Non ne hai bisogno, Potter, sei già straordinariamente buffo così”.

James incrociò le braccia, sfoggiando un’espressione imbronciata.

“Che cosa vorresti dire, Evans?”

“Che i tuoi capelli sono sempre più terribili. Guarda la foto”, gli disse Lily, mostrandogliela, “Sembri… uno spaventapasseri”.

“Ah ah ah! E che diavolo è uno spaventapassanti? Una cosa per le persone asociali?”

Lily rise, poi gli prese il viso tra le mani e lo baciò delicatamente.

“Sono un po’ preoccupato. Sirius, sai, suo fratello è un Mangiamorte ora… e Peter, potrebbe non farcela, dovremo stare attenti a non lasciarlo solo… e ho letto stamattina sul giornale che i Lupi Mannari si sono uniti a Voldemort, Remus la prenderà malissimo…”

Lily si strinse nelle spalle, rannicchiandosi fra le sue braccia, alla ricerca di protezione dal vento.

“Ormai ci siamo dentro”.

“Già”.

James accarezzò i capelli di Lily, poi vuotò il suo bicchiere di Idromele in un colpo solo. Fissò il tramonto che si stava spegnendo all’orizzonte ed emise un lungo e silenzioso sospiro. Non aveva mai pensato, durante tutta la sua vita, che si potesse diventare adulti così bruscamente.

 

 

 

Beyond the horizon of the place we lived when we were young

In a world of magnets and miracles

Our thoughts strayed constantly and without boundary,

The ringing of the division bell had begun.

There was a ragged band that followed in our footsteps,

Running before time took our dreams away.

The grass was greener,

The light was brighter,

With friends surrounded,

The nights of wonder.

 

(Pink Floyd, High Hopes)

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Capitolo 3
*** Questioni irrisolte (Sirius Black) ***


Capitolo 2 – Questioni irrisolte

 

Come molte persone, mi piace trascinarmi questo senso dell’occasione perduta, perché dà alla mia vita una sorta di patina estetica ed è una buona scusa per sentirmi infelice quando le cose non vanno bene.

(Jonathan Coe, L’amore non guasta)

 

Agosto 1978

 

Sirius uscì dalla Gringott con l’aria più soddisfatta del mondo.

C’era la guerra, Voldemort imperversava ovunque e mieteva decine di vittime, colpendo indiscriminatamente maghi e Babbani, ma lui, in quel momento, non poteva proprio fare a meno di essere euforico. Aveva appena intascato una fortuna che gli avrebbe permesso di cavarsela egregiamente, da un punto di vista economico, per diversi anni della sua vita futura.

Se non per tutta la sua vita futura.

Probabilmente dipendeva da quanto sarebbe campato, ma non intendeva pensare troppo in là, al momento.

Avevano tentato di trovare qualche cavillo per impedirgli di appropriarsi di quei soldi, ma non ci erano riusciti. Ed ora, a sette mesi dalla morte di suo zio Alphard, erano entrati finalmente in suo possesso, depositati nella cassetta di sicurezza della Gringott, fuori dalla portata di sua madre, suo padre e qualsiasi altro suo parente.

Sogghignò tra sé: sapeva benissimo quanto sarebbe piaciuto a Bellatrix o a Narcissa mettere le mani su quella piccola fortuna. Sicuramente in quel momento si stavano torcendo le budella dalla rabbia. Ma zio Alphard era scapolo, un povero vecchio dimenticato da tutti che solo Sirius, ogni tanto, andava a trovare. Lo aveva fatto un po’ perché era uno dei metodi più efficaci per sfuggire al controllo della sua famiglia quando ancora viveva con loro, e un po’ perché l’anziano parente gli faceva pena. Faticava a muoversi fin da quando lui era piccolo, e il suo Elfo Domestico non era mai stato in grado di supplire alla presenza di un essere umano che lo confortasse e lo accompagnasse in giardino a respirare un po’ d’aria. Per quanto ne sapeva Sirius, nessun altro parente si era mai interessato molto di lui, se non per mere formalità. Giusto Andromeda gli chiedeva sue notizie ogni tanto, ma abitava lontano e, per via del suo matrimonio con Ted, aveva tagliato i ponti con tutti i consanguinei. Del resto, zio Alphard non era esattamente un uomo di larghe vedute, e come tutti gli altri disapprovava i matrimoni fra Purosangue e Babbani.

Probabilmente l’aveva sempre creduto un ottimo nipote, in quanto Sirius aveva omesso di raccontargli alcuni dettagli, come ad esempio la fuga da casa e la sua permanenza dai Babbanofili Potter; non aveva potuto nascondere di essere finito a Grifondoro, ma neppure aveva mai pensato di farlo. Andava troppo fiero di aver rotto quella tradizione, quindi risparmiò al vecchio zio soltanto le informazioni che avrebbero potuto minare il quieto vivere. Del resto sapeva benissimo che lui, secondo Walburga e Orion, era il figlio degenere, eppure non si era mai sognato di non accoglierlo in casa sua.

Il testamento di zio Alphard era stato redatto nel 1975 e da allora non era stato più toccato, segno del fatto che le sue decisioni erano già state prese da tempo; nessuno, neppure i parenti più stretti, avevano potuto fare nulla per accaparrarsi quell’eredità. Sirius era diventato maggiorenne lo scorso febbraio perciò, allo stato attuale, possedeva tutti i requisiti per entrare in possesso della somma di denaro.

Insieme a quell’inaspettata quantità di Galeoni, Sirius aveva ereditato anche la casa di zio Alphard; tuttavia, decise immediatamente di disfarsene. Liberare il suo Elfo Domestico sarebbe stata la prima cosa che avrebbe fatto; non desiderava averne uno fra i piedi, inoltre, se erano tutti come Kreacher, preferiva di gran lunga averci a che fare il meno possibile. In ogni caso, quella villa era troppo grande per una sola persona e troppo isolata; l’avrebbe venduta e sarebbe andato alla ricerca di un appartamento a Londra, in un posto finalmente pieno di vita – senza offesa per i genitori di James, ai quali di sicuro si addiceva maggiormente la vita di campagna; dopo un po’, però, diventava una vera barba. Non che avesse mai osato lamentarsene, chiaramente; era già loro grato per l’ospitalità e la gentilezza con cui l’avevano accolto, quell’estate in cui aveva deciso di scappare. Ma ora poteva scegliere, non doveva più pesare sulle spalle di nessuno.

Come prima cosa, ovviamente, avrebbe risarcito i Potter con una parte del denaro che aveva ricevuto in eredità. Era doveroso che lo facesse. Si erano comportati come dei secondi genitori, per lui, e questo non l’avrebbe mai scordato; tuttavia, dato che ora aveva la possibilità di ripagare, lo avrebbe fatto senza esitazione. Non voleva neppure dare l’impressione di andarsene di corsa, come se da loro si fosse trovato male. Perciò, pensò che prima era meglio cercare il nuovo appartamento, dopodiché avrebbe dato loro l’avviso.

Non sapeva se a James avrebbe dovuto dirlo prima, invece; in realtà, non sapeva neanche come dirglielo. Gli aveva accennato al fatto che gli fosse toccata quell’eredità, quando suo zio era morto, e insieme avevano riso di gusto immaginando quanto si fossero infuriati i suoi parenti a quella notizia. Ma poi non ne avevano più parlato. Era stato Remus, un giorno, a introdurre il discorso con lui e a consigliargli di cercare un avvocato, dopo che Sirius aveva appena saputo, tramite una simpatica Strillettera, che i suoi avevano minacciato di non fargli mai vedere l’ombra di un soldo. A quanto pareva, Remus conosceva abbastanza bene il modo in cui funzionavano quelle assurde faccende burocratiche che dovevano passare per un tribunale dei maghi; Sirius riuscì a fargli confessare il perché solo dopo diverso tempo, e fu così che scoprì che i genitori di Remus avevano tentato di farsi risarcire chiedendo un processo per il fatto che lui era stato morso da piccolo da un Lupo Mannaro. Ma Fenrir Greyback, il responsabile della sua disgrazia, aveva più mezzi di loro e riuscì a farla franca senza troppi problemi.

Entrò al Paiolo Magico e ordinò un bicchierino di Firewhiskey. Un piccolo e semplice modo per festeggiare in solitario la sua terza grande vittoria contro la sua famiglia. Nelle altre occasioni non gli era stato possibile celebrare l’avvenimento nella maniera più consona: quando era stato Smistato a Grifondoro aveva solo undici anni e non conosceva ancora i passaggi segreti che portavano a Hogsmeade, mentre quando era scappato di casa era notte inoltrata e arrancare sotto il peso di un enorme baule era più un fastidio che una gioia. Ma ora se lo meritava, eccome. Il fatto di essere stato diseredato dai suoi aveva assunto la stessa importanza dell’esistenza di Mocciosus, o delle lezioni di Storia della Magia.

Gli piaceva ancora fare paragoni con Hogwarts. Era stata la sua unica e vera casa fino ai sedici anni, quando era finito ad accamparsi da James.

Mentre l’alcol gli scorreva nella gola, bruciandogli l’esofago, decise che avrebbe aspettato a dirlo a James. L’amico era già parecchio agitato per via dell’ingresso nell’Ordine e aveva bisogno di recuperare un po’ di equilibrio, perciò, per il suo bene, non gliel’avrebbe detto subito, risparmiandogli un ulteriore motivo di turbamento. Piuttosto, aveva bisogno di una mano per scegliere il nuovo appartamento. Lui era troppo impulsivo ed impaziente, e probabilmente avrebbe finito per gettarsi a pesce sul primo loculo che gli fosse capitato sottomano; ecco perché si sarebbe fatto accompagnare da Remus, pensò, mentre un ghigno sardonico gli affiorava sul volto.

Obiettò a se stesso che non faceva quella scelta soltanto per puro egoismo personale, vale a dire consapevole del fatto che Remus era una persona pratica, con occhio critico e in grado di valutare a mente fredda i pro e i contro delle situazioni, cosa che a lui non sempre riusciva. No, c’era anche un buon quantitativo di altruismo nella sua decisione. Nell’ultimo anno, malgrado Sirius avesse strisciato e implorato perdono e giurato che mai più gli sarebbe passato per l’anticamera del cervello di fare una cosa del genere, i loro rapporti erano stati altalenanti. Non che il punzecchiarsi a vicenda per via delle loro abissali diversità di carattere fosse una cosa nuova per entrambi, ma spesso e volentieri Remus aveva oltrepassato quel sottile limite di causticità a cui Sirius non era affatto abituato, e che, nonostante non desse per nulla a vederlo, l’aveva ferito. James, ovviamente, se n’era accorto (quando mai James non si accorgeva di qualcosa). Gli aveva suggerito di essere paziente, perché era normale che Remus coltivasse ancora un minimo di risentimento per quanto era accaduto, ma con il tempo l’avrebbe mandata giù e non si sarebbe più lasciato sfuggire quelle sottili battutine spinose.

In realtà, al contrario delle predizioni di James, Remus non aveva mai smesso.

Forse neppure lo faceva apposta, si disse Sirius. Forse anche lui era umano e ogni tanto rimuginava un po’ troppo sulle cose, com’era tipico di Remus, e allora finiva per sentirsi di nuovo male per aver quasi rischiato di uccidere un essere umano. Forse era vero che, come gli aveva detto quella notte in preda a lacrime violente, lui dava la colpa principalmente a se stesso. Per quello che era, ovvero un mostro. In realtà era solo Remus che credeva di essere un mostro. Lui, James e Peter non l’avevano mai pensato, mai.

A Sirius dispiaceva davvero di avergli causato tutto quel malessere interiore. Non aveva pensato abbastanza, come al solito, era stato un idiota. Però cavolo, si trattava di Mocciosus. Possibile che Remus dovesse autocolpevolizzarsi a tal punto per un individuo simile?

Beh, in ogni caso lui non aveva intenzione di smettere di lottare. Voleva che tutto tornasse ad essere sereno e spensierato tra loro, come negli anni della scuola, quando lo tormentava in ogni modo durante una lezione noiosa e sapeva che non se la sarebbe presa, anche se dava l’impressione di farlo. O quando, a mezzanotte inoltrata, Moony gli passava con aria stizzita l’ennesimo tema da copiare, cedendo dopo almeno una mezzora di suppliche continue, bofonchiando che era tardi e voleva andare a letto e doveva sbrigarsi a spegnere la luce, per poi gettargli sulle spalle una coperta di lana sentendolo rabbrividire dal freddo. O quando a cena, senza che lui gliel’avesse chiesto, gli versava nel piatto la sua porzione di polpette alla cipolla, perché sapeva che Sirius ne andava matto.

Gli mancavano tutte quelle piccole e silenziose attenzioni, che ultimamente si erano diradate e fatte più forzate. Non che poi Remus avesse mai mancato di essergli vicino in momenti di bisogno, né di scrivergli personalmente le sue solite lettere prolisse durante l’estate, ma c’era quel qualcosa in più che Sirius rivoleva a tutti i costi, che smaniava di riassaporare. Era diverso dal rapporto che aveva con James. Lui e James erano follemente simili, spesso pensavano la stessa cosa senza saperlo e ogni loro piccolo litigio non era mai durato più di cinque minuti, perché entrambi non resistevano a tenersi il broncio: tutto ciò che volevano era ridere insieme, divertirsi, infrangere le regole, lodarsi a vicenda e, ogni tanto, fare lunghi discorsi profondi che li rendevano quasi irriconoscibili. Erano fatti così, e le cose non erano mai cambiate, neppure dopo che James si era messo con la Evans – Lily. Aveva avuto una paura tale da sfiorare la paranoia che, una volta arrivata lei, si sarebbero allontanati, ma aveva suo malgrado dovuto riconoscere di essersi sbagliato. L’ultimo anno di scuola per James era stato sovraccarico, tra la Evans, l’incarico di Caposcuola e di capitano della squadra di Quidditch, ma piuttosto che non perdere tempo con lui soltanto per il gusto di farlo aveva trascorso nottate quasi insonni.

Insomma, a conti fatti, Sirius sapeva che non avrebbe mai perso James. Era come un fratello per lui, e se mai un giorno Lily avesse trascinato l’amico all’altare l’aveva già avvertita che avrebbe dovuto concedere a Prongs delle seconde nozze con lui. Nessuno aveva osato prendere poco sul serio tale affermazione.

Scosse via una ciocca ribelle dal viso con un gesto brusco, mentre si faceva versare un altro bicchiere. In fondo, avrebbe anche potuto lasciar perdere Remus. Aveva fatto quello che doveva fare: si era scusato, si era umiliato, aveva pianto e strisciato, aveva perfino evitato di infastidirlo per una settimana intera. Che cavolo voleva in più da lui? Che gli scrivesse una serenata? Era peggio della Evans quando si offendeva con James. Si corresse mentalmente. Non Evans, Lily. Aveva deciso che gli fosse simpatica, in via definitiva. O meglio, non aveva più motivi per trovarla antipatica.

Beh, al diavolo, pensò. Gli chiederò di accompagnarmi a scegliere un appartamento, passeremo una giornata insieme senza James e Peter a ficcare il naso e vedremo di affrontare il problema.

Sirius pagò, uscì e si diresse verso la Londra Babbana. Camminò per qualche isolato, poi si nascose in un vicolo stretto e, assicuratosi di non essere visto, tirò fuori la bacchetta. Bastò una lieve concentrazione per far apparire il suo Patronus. Gli era sempre riuscito bene, del resto.

La prima volta che aveva eseguito quell’incantesimo, aveva finto di rimanere un po’ deluso. Il suo Patronus era uno scoiattolo. Non esattamente un animale molto virile. Tuttavia era il primo animale che avesse mai visto, quando era ancora molto piccolo; lo aveva invidiato profondamente, perché quello poteva correre e saltare liberamente fra i rami dell’albero che stava di fronte alla finestra di camera sua, mentre a lui non era permesso uscire senza la sorveglianza di un adulto che vigilasse sul suo corretto comportamento. Quante idiozie era stato costretto a subire.

Sogghignò divertito fra sé e sé, mentre inviava il Patronus da Remus. Sapeva bene che gli sarebbe preso un colpo, dato che era con quel metodo che Silente aveva stabilito che i membri dell’Ordine dovessero comunicare tra loro. Ma almeno Remus si sarebbe preoccupato e sarebbe corso subito da lui, senza fare tante storie o accampare scuse poco credibili. E poi, non aveva altro mezzo per contattarlo così, su due piedi, quindi il suo uso improprio della magia era totalmente giustificabile. Mica poteva attaccare un bigliettino alla zampa di un gufo e mandarglielo, ci avrebbe messo degli anni.


*

“Che cosa… che sta succedendo, Sirius?”

Lo osservò venire verso di lui, dal punto in cui si era Materializzato. Non sapeva se mostrare la sua ilarità o meno. Remus aveva il respiro leggermente affannoso e i capelli un po’ scarmigliati. Forse l’aveva fatto agitare troppo, probabilmente aveva creduto di doversi preparare ad affrontare uno stuolo di Mangiamorte, a giudicare dall’aria ansiosa con cui si guardava intorno.

“Nulla, sta’ tranquillo, Moony”, lo rassicurò, restando sul vago. Non aveva ancora capito se si sarebbe arrabbiato o meno. James l’avrebbe fatto, ad esempio. Ma Remus non era mai prevedibile; era capace di scuotere la testa e poi immergersi nella più assoluta indifferenza anche di fronte a catastrofi di proporzioni galattiche. Ecco perché non lo aveva mai messo in punizione a sufficienza, quando era Prefetto.

“Cosa vorrebbe dire nulla?” obiettò lui, inarcando un sopracciglio con aria perplessa. Continuava a gettare occhiate in giro, alla ricerca di un pericolo. Com’era buffo.

“Vorrebbe dire che non ti ho chiamato per una questione di… beh… Tu-sai-cosa”, rispose Sirius, cercando di mantenere un minimo di segretezza. Erano pur sempre a Diagon Alley.

“Ma se mi è arrivato un tuo… Silente ha detto di…”

Ecco, forse stavolta ce l’aveva fatta a farlo infuriare. Esibì una faccia innocente, stringendosi nelle spalle.

“Beh, vedi, non sapevo in che altro modo contattarti”, si scusò, con il massimo del candore. Negli occhi chiari di Remus lampeggiò la disapprovazione. Ecco che arrivava la ramanzina.

“Ed è per qualcosa di urgente che mi hai chiamato?”

“Uhm… beh, certo che sì! Volevo renderti partecipe del fatto che stamattina sono andato alla Gringott e mi hanno consegnato il malloppo. Ce l’ho fatta, ora si staranno tutti mangiando le mani dalla rabbia”, disse Sirius, con entusiasmo, tentando di coinvolgerlo emotivamente. Per poco non si metteva a scodinzolare. Patetico, sussurrò una voce dentro di lui.

“Capisco. Una questione della massima priorità”, ironizzò Remus, strorcendo la bocca in una smorfia lieve.

“E dai, non essere noioso. Andiamo a farci un goccetto. Così, per festeggiare”. Omise accuratamente il fatto di essersi già scolato un paio di bicchieri da solo.

Si fissarono per qualche interminabile secondo. Sirius si chiese come facesse Remus ad avere uno sguardo così dannatamente capace di farlo sentire in colpa – quasi. Poi lo osservò sospirare, uno dei suoi tipici sospiri rassegnati.

“Che altro ti serve?” gli domandò.

“Niente! O meglio, pensavo che adesso che ho questi soldi da parte potrei prendere un appartamento mio, in fondo è ora che la smetta di dare disturbo a James… zio Alphard mi ha lasciato anche la casa, ma non mi piace, per me è troppo grande, penso che la venderò… e intanto, ecco… perché non mi accompagni a cercare qualcosa?”

Sorrise, ma Remus sembrava più freddo. Aveva arricciato le labbra in quel suo tipico modo da sapientino.

“Perché non hai chiamato James?”

“Oh, aveva sicuramente da fare con Lily”, disse Sirius, di getto. Per poco non si prese a schiaffi da solo. Era così difficile dirgli la verità, cioè che non aveva pensato neppure per un secondo di chiamare James? Voleva che fosse Remus ad aiutarlo.

“Capisco. E cosa ti autorizzava a pensare che invece io fossi automaticamente disponibile a soddisfare i tuoi desideri?”

“Veramente io… al diavolo, Remus. Scusa se ti ho disturbato, torna pure a casa”.

Sirius si voltò e fece per allontanarsi. Il signor Remus John Moony Lupin aveva davvero l’incredibile capacità di farlo uscire dai gangheri. Cosa gli costava dire di sì e basta, senza fare tante storie? Avrebbe dovuto capire, dato che era così intelligente, che quel suo piccolo gesto era un modo per tentare di riconciliarsi definitivamente con lui. Forse avrebbe dovuto stendergli un tappeto sotto i piedi, o fare lui stesso da tappeto. Dannazione.

“Fammi capire, vuoi cercare un appartamento a Nocturn Alley?” gli gridò dietro Remus. Sirius si rese conto che, in effetti, era quella la direzione che stava intraprendendo.

“No, pezzo d’idiota”, bofonchiò, fermandosi e girandosi a guardarlo. Non sapeva più che pesci prendere, oltre al fatto che non capiva a che gioco stessero giocando.

“E allora andiamo, non ho tempo da perdere”, rispose Remus, facendogli un cenno con la mano e avviandosi nella direzione opposta. Sirius inarcò un sopracciglio, perplesso. No, decisamente non ci capiva nulla. Per quale motivo ora aveva deciso di accompagnarlo?

Quello era tutto matto.

Lo raggiunse di corsa, poi si mise ad abbaiare e gli addentò il mantello, imitando Padfoot. Si sarebbe volentieri trasformato in quel momento – era così liberatorio, ogni tanto, essere solo un cane – ma era in mezzo ad una strada frequentata e per di più era un Animagus non registrato. Decise che la sua avventatezza non arrivava a tanto.

Remus lo scosse via, ridendo.

“Non dovrò mica portarti in giro al guinzaglio, spero”, disse, ironico. Sirius gli affondò i canini nella spalla.

“AHO!”

“Ecco, ora ti ho ripagato di quel morso sul sedere che mi hai dato l’anno scorso quando eravamo in giro per la luna piena”.

“Ti ricordo che non sono cosciente di quello che faccio quando non sono in forma umana”, sbottò Remus, fingendosi indispettito.

“Però scommetto che non ti è dispiaciuto”, ribatté Sirius. Moony gli gettò un’occhiata perplessa. “Nel senso che volevi punirmi per qualcosa e quello è stato il modo migliore che hai trovato”.

“Aha”.

Ecco, forse ora avrebbe dovuto introdurre il discorso. Era il momento adatto, dopotutto. Ma che discorso? Remus si liberò la fronte dai capelli con un gesto distratto. I suoi capelli erano odiosamente lisci, mentre quelli di Sirius si aggrovigliavano per un nonnulla. Lo squadrò da capo a piedi: non era cambiato, i suoi abiti erano sempre un po’ logori e rattoppati e aveva l’aria stanca, segnata da due occhiaie profonde. Eppure, in qualche strano ed inspiegabile modo, riusciva sempre ad apparire dignitoso.

Il momento passò e Sirius non ebbe la forza di dire nulla.


*

Alla fine, come previsto, Sirius fece un acquisto intelligente sopratutto grazie a Remus.

Fu lui a consigliargli una villetta su un piano, con le finestre che davano su un ampio cortile esterno, di modo che gli fosse possibile sgattaiolare fuori anche in forma canina senza essere visto da tutti. Nella casa a fianco abitava una vecchia Strega in pensione praticamente sorda. Inoltre c’era un ampio garage a disposizione, collegato direttamente con la taverna, che faceva proprio al caso suo: Sirius aveva maturato il progetto di costruirsi una moto volante e aveva iniziato ad assemblare qualche pezzo nel corso dell’estate con l’aiuto prezioso del signor Potter. Infine, la casa disponeva di un camino e di una vasca da bagno che all’occorrenza poteva trasformarsi in una doccia; era stato il precedente proprietario ad apportare questa modifica. Il quartiere era tranquillo, abitato prevalentemente da Babbani o da maghi in pensione. Ovviamente non ci pensò su più di tanto e accettò subito di comprare la casa.

James non la prese poi così male. Sembrava dispiaciuto, ovviamente, ma disse che capiva e che approvava la decisione. Gli confessò che anche lui stava pensando di andare a vivere per conto suo e che probabilmente l’avrebbe fatto presto, anche per lasciare i suoi fuori dai guai. I signori Potter non vollero accettare denaro da Sirius e James non lo aiutò a convincerli, quindi lasciò loro sul tavolo della cucina due biglietti per assistere alla finale del campionato nazionale di Quidditch in un palco privato che aveva acquistato di persona. Dopodiché, prese i suoi bagagli e cominciò il trasloco.

 Remus venne ad aiutarlo, esattamente come fecero Peter e James. Non partecipò alla battaglia di cuscini e materassi che si scatenò a un certo punto, perdendosi inevitabilmente tutto il divertimento, nonostante Sirius avesse cercato di coinvolgerlo aizzandogli contro uno dei suoi guanciali – il problema fu che non calibrò bene la forza del colpo di bacchetta e per poco non rischiò di buttarlo giù dalla finestra. Al diavolo, anche quando agiva a fin di bene finiva per combinare disastri. Per di più Remus reagì con la solita indifferenza condita da una punta di disapprovazione, cosa che lo fece irritare ancora di più. Voleva che gli urlasse contro, che lo picchiasse davanti agli altri piuttosto, anziché continuare a nascondersi dietro una finta riconciliazione che non c’era mai stata.

Doveva parlargli, una volta per tutte.

Quando si fece ora di cena, Peter e James dissero che dovevano andare a casa. La sera erano di turno al quartier generale dell’Ordine, ma Peter doveva prima cucinare per sua madre, che nell’ultimo periodo si era presa parecchi malanni e doveva passare molto tempo a letto. James decise che l’avrebbe accompagnato: con quella sua enorme faccia tosta riusciva alla perfezione a calarsi nella parte del bravo ragazzo e a piacere indiscriminatamente a tutti i genitori. Perfino la madre e il padre di Lily, a cui era stato presentato quell’estate, a quanto pareva l’avevano trovato immediatamente adorabile. Già, paradossalmente si trattava dello stesso ragazzino magro ed occhialuto che il terzo giorno a Hogwarts si era messo a lanciare Caccabombe insieme a lui dalla Torre di Astronomia.

“Moony, dove diavolo stai andando?” grugnì Sirius, infastidito, quando lo vide prendere il mantello insieme agli altri due. Remus lo guardò senza capire, corrugando la fronte.

“Ci siamo dimenticati qualcosa?” chiese Peter, sulla porta, voltandosi.

“No, no, voi due sloggiate”, rispose Sirius, facendo un gesto stizzito con la mano. James alzò le spalle e fece un sorrisetto, battendo una mano sulla spalla di Peter e avviandosi al cancello insieme a lui, dopo avergli urlato un saluto. Per fortuna, i suoi amici erano perfettamente abituati ai suoi momentanei sbalzi di umore conditi da un’aggressività apparentemente ingiustificata, perciò non se la prendevano praticamente mai per quelle bazzecole.

Remus attese pazientemente che Sirius lo guardasse negli occhi prima di parlare, come faceva sempre. Detestava non avere un contatto diretto.

“C’è qualcosa che devi dirmi?”

Sirius lo fissò intensamente, sforzandosi di pensare a qualcosa di intelligente e sensato da dire in quel momento per arrivare finalmente al punto cruciale. Qualcosa che non avesse già ripetuto infinite volte quell’anno a scuola, appena era successo tutto quanto; evidentemente non era stato abbastanza credibile. Ma come poteva esprimersi meglio? Mi dispiace. Sei mio amico. Mi dispiace davvero, non volevo. Perché dobbiamo pensarci ancora? Che cavolo ho fatto di così irreparabile? Perché non possiamo fare pace?

Niente gli sembrò adeguato. Era un disastro, un completo disastro.

Si strinse nelle spalle, con un sospiro.

“Niente, pensavo soltanto che… visto che abiti lontano e magari, non so, se vuoi un po’ di compagnia, considerato che adesso vivo da solo… se ogni tanto vuoi fermarti qui, c’è una stanza in più, come sai”.

Remus rimase in silenzio per qualche secondo, guardando altrove e tormentandosi le mani. Sirius si morse il labbro. Quando impiegava così tanto tempo per rispondere l’avrebbe ucciso. Sembrava quasi che stesse scegliendo le parole per un discorso di universale importanza.

“Non devi sentirti in obbligo di ripagarmi per averti accompagnato in giro a cercare una casa”, replicò infine.  Oh, certo. Come se gli avesse fatto lui un dannato favore.  Aver tentato di fare il primo passo per venirgli incontro non contava niente. Decise che avrebbe gettato la spugna, definitivamente. Che si arrangiasse, non ne voleva più sapere.

“Va bene, ciao, Remus...”

“…Comunque grazie”.

Si voltò giusto in tempo per vederlo sorridere lievemente e fargli un cenno di saluto, prima che si chiudesse la porta alle spalle.

Sirius sbuffò e si abbandonò a sedere sul pavimento, fissando un punto indefinito sulla parete bianca di fronte a sé.

 

 

 

There isn't time to stand still,
We are co
nstantly changing.
You're draining my will,
I find myself rearranging my points of view.
There isn't much I could do.

(The Chameleons, Nostalgia)

 

 

Nota di fine capitolo: mi sono sempre chiesta, fin dalla prima volta che ho letto Il prigioniero di Azkaban, per quale razza di motivo Sirius sospettasse proprio di Remus durante la guerra, quando divenne chiaro che c’era una spia tra loro. La conclusione a cui sono giunta è stata che, per forza di cose, si dev’essere creato un attrito fra loro, che li ha portati ad allontanarsi; la causa primitiva di questo attrito potrebbe essere stata lo scherzo giocato da Sirius a Piton al loro quinto anno di scuola, quando gli rivelò come entrare nel passaggio segreto del Platano Picchiatore, omettendo il fatto che si sarebbe trovato di fronte un Lupo Mannaro in piena trasformazione. Ci tengo a scrivere una storia che sia il più in canon possibile, quindi cercherò di portare avanti questa tesi in maniera convincente; in questo capitolo cominciano ad esserci degli accenni ma, giusto per precisare, ho preferito fare luce su questo punto. Entreranno successivamente in gioco anche tante altre concause, ma questo, diciamo, è il primum movens.

Altra delucidazione per chi non ha letto Between You And The Giant Squid: James e Lily al settimo anno sono stati Capiscuola, ma grazie alla simpatia dei traduttori italiani che in HP1 hanno reso “they were Head Boy and Girl” come “erano i primi della classe”, in molti non ne sono al corrente. Giusto per precisare che non me lo sono inventata io, ma la Rowling stessa.

Ultimissima cosa, poi ho finito con le comunicazioni noiose: come avrete notato ho inserito delle date, per inquadrare meglio gli avvenimenti. Per sistemare l’ordine cronologico mi sono avvalsa dell’HP Lexicon, per il quale un giorno o l’altro scriverò una lode in rima baciata.

Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno recensito finora, vi tedierò a sufficienza con le risposte personali come al solito :) mi raccomando di non trattenervi dal farmi notare se ci sono cose poco convincenti o non corrette, io in primis ho il terrore di sbagliare qualcosa visto che mi ritrovo a gestire così tanti personaggi e una trama non proprio semplice. Al prossimo capitolo :) 

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Capitolo 4
*** La prima battaglia (Lily Evans) ***


Capitolo 3 – La prima battaglia

 

We’re all hurtling towards death, yet here we are for the moment, alive. Each of us knowing we’re going to die, each of us secretly believing we won’t.

(Charlie Kaufman, Synecdoche, New York)

 

 

Novembre 1978

 

Non aveva davvero pensato che sarebbe giunta a compiere un passo del genere tanto in fretta.

Era successo tutto così rapidamente, da quando avevano terminato l’ultimo anno a Hogwarts, che faceva quasi fatica a tenere il filo di tutti gli avvenimenti. Quando si svegliava era disorientata. Si chiedeva dove diamine si trovasse per almeno una decina di secondi, prima di ricordare che non era più a Londra, nella sua vecchia casa troppo piccola per quattro persone.

Era stato un problema convincere i suoi genitori. Le litigate con Petunia erano diventate furiose. Le aveva lanciato addosso ogni possibile parola velenosa per manifestarle tutto il suo disprezzo, e Lily l’aveva ignorata per giorni, inghiottendo ogni insulto, finché non aveva più retto e le aveva tirato uno schiaffo in pieno volto. I suoi genitori erano rimasti a guardarle, ammutoliti. A nulla erano valsi i loro bonari tentativi di riappacificarle nel corso degli anni, dal momento in cui Lily era stata ammessa a Hogwarts. Forse neppure avevano mai saputo che posizione prendere: la gelosia di Petunia poteva risultare comprensibile, entro certi limiti, ma sentirsi fieri di Lily era inevitabile. Era giudiziosa ma al tempo stesso vivace e sveglia, aveva ricevuto un sacco di incarichi importanti e preso sempre il massimo dei voti. Ed era sempre stata così paziente di fronte all’ostilità manifesta di Petunia, almeno fino a quel momento.

Ma che Lily si costringesse a subire era un caso totalmente eccezionale. Se qualcuno a Hogwarts l’aveva apostrofata in malo modo non l’aveva mai fatta passare liscia, per quanto solitamente si fosse limitata ad usare le parole per ribattere, senza mettere mano alla bacchetta, come invece James usava fare con fin troppa facilità. Ogni tanto qualche fattura da parte sua era volata, ma più come mezzo di difesa che di attacco. In ogni caso sapeva essere tagliente quanto lo era la sorella con lei e non si era mai risparmiata con nessuno, che si trattasse di un fastidioso Serpeverde o di un professore stesso (Horace Slughorn ne sapeva qualcosa, anche se non l’aveva mai punita per le sue risposte azzardate, pur essendo nella posizione di poterlo fare). Perfino Severus ne aveva pagate le conseguenze: dopo un’ultima, gelida e risentita occhiata che lui non era riuscito a sostenere, l’ultimo giorno del quinto anno di scuola, non l’aveva più degnato di una sola attenzione. Lui non fece neppure un tentativo di tornare sui suoi passi e lasciar perdere Voldemort, i Mangiamorte e le Arti Oscure, perciò Lily si convinse che aveva fatto la cosa giusta a chiudere quell’amicizia in maniera definitiva. Versò lacrime molto amare quando era certa di non essere vista né sentita, sentì la sua mancanza ogni giorno e indugiò parecchio quella volta che si ritrovò a passare di fronte al parco giochi dove si erano conosciuti da bambini, ma non tornò mai indietro. Per assurdità avrebbe anche potuto ammettere che l’insulto nei suoi confronti gli fosse sfuggito per via dell’acceso alterco che si stava svolgendo quel giorno con James, ma non le aveva dato della stupida, o dell’impicciona… l’aveva chiamata Sanguesporco. Aveva definitivamente intrapreso la strada dei suoi amici di Serpeverde, quelli che guardavano tutti dall’alto in basso a meno che non avessero una sola goccia di sangue babbano nelle loro vene, quelli che progettavano di unirsi a Voldemort, quelli che ignoravano con aria sprezzante i messaggi di tolleranza che lanciavano gli insegnanti. Questo significava che lei e Severus non potevano più, in nessun caso, essere amici. Le sue idee erano diventate quelle stesse idee verso cui Lily provava orrore e disgusto. Ai suoi occhi, ormai, lei non era altro che una macchia d’impurità e di insulto alla magia. In ogni caso, anche se lei non fosse stata la prima a decidere che ogni rapporto fra loro doveva essere troncato, prima o poi Severus avrebbe comunque finito per non rivolgerle più la parola; e come poteva? Dato che aveva abbracciato quelle idee, non era più possibile contraddirsi e continuare a mantenere un rapporto d’amicizia con una come lei, con le sue origini.

Le furono necessari dei mesi per imparare a controllare la rabbia. Ricordava bene la convinzione con cui, quando erano piccoli, le aveva detto che non importava che i suoi genitori non fossero maghi; ricordava le sue anticipazioni su come e quando sarebbero venuti a parlare con la sua famiglia per spiegare che era stata ammessa a Hogwarts; ricordava che non c’era mai stata una sola nota di disprezzo nella sua voce. Poi tutto era cambiato, lentamente. All’inizio, Severus non si preoccupava di allontanarsi dai suoi compagni per venire a salutarla e scambiare due parole con lei. Non si faceva problemi a sedersi a fianco a lei a Pozioni. Si offriva volontariamente di spiegarle qualche nuovo incantesimo dopo lezione, qualcosa di più avanzato rispetto al programma di quell’anno in cui già lei riusciva sorprendentemente bene. Dopo un po’, però, era lei che lo cercava più spesso. Ogni tanto lui fingeva di non vederla, per poi correre da lei di nascosto e dirle che le dispiaceva da morire, ma che doveva sbrigare un affare urgente con i suoi amici. E poi aveva cominciato a tenere il muso anche a lei dopo gli alterchi con James, dopo che lei gli aveva fatto notare che né Potter né i suoi amici si avvalevano delle Arti Oscure, anzi, le aborrivano.

Aveva smesso di rivangare i vecchi ricordi, la gioia del primo ingresso a Hogwarts, dell’acquisto della bacchetta, della prima gita a Hogsmeade. Inevitabilmente, tutti quegli episodi erano legati a lui.

Si era sempre detta che doveva essere forte e farcela da sola. E infatti, all’apparenza, ci era riuscita; non si era più voltata indietro. Ma in realtà le era pesato enormemente non potersi confidare con qualcuno che la conosceva meglio di chiunque altro.

Ora, però, Lily era ospite a casa di James. A tempo indeterminato. Da quando era entrata nell’Ordine, l’angoscia per il destino della sua famiglia aveva raggiunto l’apice. I Mangiamorte si divertivano con i Babbani. Li torturavano, li mutilavano, li facevano morire come topi in trappola. Senza un motivo. Soltanto perché stavano dietro a quel mostro. Sì, Voldemort era un mostro, non c’era altra definizione possibile. Per quanto potesse essere potente e terrificante, Lily si era promessa che, se mai si fosse trovata faccia a faccia con lui, non avrebbe avuto paura. Non avrebbe indietreggiato, né chiamato James, né implorato pietà. No, lo avrebbe guardato dritto negli occhi e avrebbe combattuto fino all’ultimo sangue.

Però non poteva lasciare che la sua famiglia venisse coinvolta in una lotta che non aveva niente a che fare con loro, di cui loro non avevano colpa. Pertanto, da quando era rincasata da Hogwarts, aveva cominciato a prepararli all’idea che dovevano nascondersi. Casa sua poteva essere rintracciabile. Severus sapeva dove si trovava e se davvero si era unito a loro... Merlino, davvero non poteva concepire l’idea che potesse tradirli e consegnarli a Voldemort o ai suoi seguaci. Li aveva conosciuti, non aveva mai mancato loro di rispetto. Ma per quanto facesse male doveva essere pronta a tutto, anche ad un’eventualità così orribile.

James si era offerto di trovare una soluzione che risolvesse definitivamente le sue angosce e dopo aver parlato con i suoi genitori era venuto a dirle, tutto trionfante, dopo un viaggio ininterrotto dal Galles a bordo del suo manico di scopa – aveva paura che i gufi venissero intercettati, perciò pensava che fosse più sicuro comunicare di persona – che la sua famiglia metteva a disposizione dei signori Evans la loro tenuta scozzese, per nascondersi finché il peggio non fosse passato.

A quel punto, cominciarono i litigi con Petunia, che non voleva assolutamente saperne di trasferirsi in Scozia.  Non le andava a genio la loro bizzarra pronuncia, non le piaceva il clima freddo, non voleva andare a vivere in un posto che apparteneva a gente con poteri magici. Ma Lily sapeva che doveva fare di tutto perché anche lei si mettesse in salvo; se le fosse successo qualcosa per causa sua, pur con tutto l’odio immeritato che la sorella le riversava costantemente contro da qualche anno a quella parte, non se lo sarebbe mai perdonato. Per questo, quando Petunia le disse che lo faceva soltanto per sé stessa, perché così avrebbe potuto andare a fare la vita sregolata che sognava insieme a James, non riuscì più a trattenersi e il suo schiaffo fu improvviso e pieno di rabbia.

I suoi genitori sembravano dispiaciuti, ma Lily non provò neppure a giustificarsi. Era stanca, terribilmente stanca di sentirsi addossare il peso di essere una strega. Non l’aveva scelto lei. Non avrebbe cambiato le cose, se avesse potuto. Si sarebbe tenuta l’affetto di Petunia e la vicinanza dei suoi genitori e avrebbe rinunciato ad ogni suo potere, se solo avesse potuto.

Però sapeva che così non avrebbe mai conosciuto James. In ogni caso, qualunque fosse stato il suo destino, non sarebbe mai stata completamente felice.

Beh, ormai non aveva importanza pensare a queste cose.

Lily sbatté le palpebre, poi rabbrividì. Era stata svegliata dalla luce e dal vento. Quella notte faceva straordinariamente caldo, così aveva lasciato aperta la finestra, dopo che James se n’era andato. Faceva sempre così, passava dalla finestra. Diceva che era più emozionante e gli sembrava di sfidare un pericolo, anche se in realtà non c’era nessuno a vigilare su di loro la notte, neppure la sua Elfa Domestica.

Allungò una mano per raccogliere la coperta, che era caduta a terra. Ultimamente aveva il sonno agitato e nemmeno la buonanotte di James serviva a calmarla.

Sospirò. I suoi genitori, ormai, erano al sicuro. Petunia invece, all’ultimo momento, aveva trovato il modo di scampare a quel destino infame: si era sposata, in fretta e furia, ed era andata a vivere con il marito nella loro nuova casa. Ovviamente Lily al matrimonio non era stata invitata, con la scusa che fosse stato tutto organizzato in poco tempo, senza la possibilità di mettere in piedi una cerimonia molto studiata. Le aveva comunque spedito un bigliettino con le sue fredde congratulazioni, ricevendo in cambio poche, scarne parole: grazie, Vernon Dursley. Un uomo pomposo e terribilmente ottuso, a parer suo.

La casa dove vivevano i suoi genitori ora, la casa che i genitori di James così generosamente le avevano spontaneamente offerto, era stata protetta da un unico incantesimo: avrebbe potuto entrare solamente qualcuno esplicitamente invitato da loro. Lily si raccomandò in ogni modo che facessero attenzione a chi incontravano e che non si fidassero troppo facilmente anche di quella che sembrava loro gente normale, ma non voleva che i suoi genitori conducessero una vita da reclusi per colpa sua. Desiderava per loro una vita normale, come lo era la precedente, lontano da tutte le sciagure che lei, per via della sua natura, si era inevitabilmente trascinata dietro. Lasciò loro il suo vecchio e fedele gufo, di modo che potessero tenersi in contatto; ormai, in sette anni, si erano abituati alla presenza dell’animale in casa e avevano imparato a comunicare in quel modo con lei quando era a Hogwarts.

Non aveva davvero idea di cosa potesse fare per ringraziare i signori Potter. Erano stati enormemente gentili con lei, pur avendola conosciuta soltanto all’inizio di luglio, con l’inizio delle vacanze estive. James ci teneva tanto. Ovviamente, loro sapevano già tutto di lei – quando mai quello zuccone era capace di tenere la bocca chiusa – ma erano stati talmente gentili da farle pensare che James non avesse accennato loro al fatto che, fino a un paio di anni prima, la ragazza che stavano accogliendo in casa con tale disinteressata ospitalità detestava loro figlio, al punto da preferirgli una Piovra Gigante. Ne era rimasta sorpresa e non aveva saputo bene come reagire, fin quando James non le aveva spiegato, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, che non avrebbe mai potuto parlar male di lei, neppure quando si sentiva rivolgere i peggiori insulti.

“Sì, ok, lo ammetto, ero un sottomesso. Mi piacevi comunque da morire, anche se mi odiavi e non mi potevi vedere. E contro ogni previsione speravo che un giorno avresti comunque cambiato idea”.

Lily si era immediatamente intenerita di fronte a quelle parole e gli aveva dato un bacio improvviso, profondo.

“Ecco, come vedi ho fatto bene a perseverare contro ogni previsione: altrimenti non ci avrei mai guadagnato questo!”

Era proprio incorreggibile.

“Siamo stati tutti e due degli stupidi, davvero molto stupidi. Tu di più, però, Potter”.

“Ehi! Non è vero, mi ritengo profondamente offeso dalle tue parole”.

“Beh, era evidente! Ti davi tutte quelle arie e facevi lo sbruffone perché chissà quale voce idiota dentro la tua testa ti aveva suggerito che fosse quello il modo migliore per attirare la mia attenzione…”

“Già, non ricordarmi che questo metodo funzionava con tutto il resto della gente, di cui non mi interessava un beneamato nulla”.

“Facevi quasi ridere, se non fosse che eri estremamente fastidioso”.

“Ti faccio presente che hai ammesso anche la tua, di stupidità, signora Caposcuola”.

“Ex Caposcuola. E poi dovrebbe essere un’offesa? In tal caso stai offendendo anche te stesso, ti ricordo…”

“Sì, chissà come ho fatto a non far crollare la scuola. Assurdo. Silente è matto, davvero, ha tutta la mia stima ma è completamente matto”.

“O forse sei tu che lo sei, per questo ti sembrano matti gli altri”.

“Stavamo parlando della tua stupidità, comunque, non cambiare discorso…!”

“Oh, sì, certo. Beh, semplicemente, mi sono lasciata ingannare in maniera eccessiva dalle apparenze… e spesso ho ragionato spiegandomi i tuoi comportamenti in base a ciò che io credevo realistico, senza appurare che fosse quella la giusta versione dei fatti”.

“Ecco! Quindi torneresti indietro e mi daresti una possibilità prima del settimo anno, Evans?”

“Non lo so, avresti dovuto mostrarmi prima chi era realmente James Potter”.

“Quindi il più stupido resto comunque io, è questo il succo del discorso?”

“No, per una volta ti assicuro che non volevo essere offensiva…”

“Comunque te ne sei pentita?”

“No”.

“Come sarebbe a dire no? Hai appena finito di dire che…”

“…Sì, ma tu pensi che avrebbe funzionato ugualmente bene quando entrambi non eravamo abbastanza maturi?”

“Mah, e quand’è che tu non saresti stata matura?”

“Beh, per tutto il tempo in cui non ho voluto ammettere che le cose non stavano come sembrava a me e tutte le volte che ti ho giudicato in maniera troppo superficiale”.

“Sei ironica, per caso?”

“No, James… tu invece la tua paranoia non la abbandoni mai, eh?”

“Oh, sentitela, ora fa la superiore”.

“Ma quindi fammi capire, i tuoi genitori non sanno nemmeno di quella volta che ti ho paragonato a un Ricciocorno Schiattoso a lezione di Cura delle Creature Magiche?”

“Ah, ah, ah. No, non lo sanno, ma hai riaperto una vecchia ferita e ora dovrai guarirla”.

“Scommetto venti Galeoni che ci riuscirò subito…”

Lily sorrise, stiracchiandosi lievemente ad occhi chiusi. Quello era stato, in assoluto, il più bel cambiamento della sua vita. Non che fosse passata dall’odiare James a pensare che non avesse alcun difetto, ma aveva scoperto che i suoi difetti, quelli reali… le piacevano. Era umano. Insicuro, paranoico, impulsivo, spudorato e pure un po’ permaloso. Ma era adorabile.

I suoi genitori erano molto più vecchi di quanto Lily non si aspettasse. Entrambi avevano già i capelli ingrigiti. Cominciò a capire, almeno in parte, che cosa avesse originato il James dell’inizio: per tanti anni non erano riusciti ad avere figli, pur avendone desiderati, e poi, all’improvviso, quando più nessuno ci sperava, era arrivato lui. Accolto più o meno come un dono di Merlino. A James non era mai mancato nulla: regali, attenzioni, affetto… lo si evinceva dalle mille foto di famiglia che tappezzavano la casa, nelle quali era immortalato in ogni situazione possibile e immaginabile. James appena nato, James con il primo paio di occhiali, James in visita alla riserva dei draghi in Romania, James sul primo manico di scopa, James senza denti che mangiava un gelato ormai sciolto che gli aveva sporcato e reso appiccicosa tutta la faccia. E poi James allo stadio del Quidditch, James che comprava la bacchetta – scagliando per errore una Fattura Orcovolante sul povero Olivander – e James che saltellava impaziente aspettando il treno per Hogwarts. C’era solo una cosa che, a suo dire, gli era mancata e questa cosa era un fratello. Ecco spiegato, quindi, il sempiterno e quasi patologico attaccamento a Sirius, che compariva in diverse foto dell’ultimo periodo, quelle in cui James aveva praticamente l’età di adesso.

In ogni caso, i genitori erano senza dubbio soggetti particolari. Il padre di James, Angus, era un inventore e da giovane aveva viaggiato letteralmente ovunque fino ai quarant’anni, quando aveva incontrato la sua futura moglie. Conosceva mille culture diverse, sia magiche che babbane. La madre, Jean Louise, era una scrittrice: aveva composto la sua opera principale, un’enciclopedia per maghi dai sei ai dieci anni di età, proprio grazie alle conoscenze di Angus, che aveva riversato tutto il suo sapere in quella piccola raccolta.

Era facile pensare che James fosse stato enormemente viziato e probabilmente era vero; ma era anche cresciuto in una famiglia con saldi principi, che pur essendo Purosangue non aveva mai neppure minimamente tentato di inculcargli le idee di intolleranza e superiorità che portavano molti maghi a unirsi a Voldemort o a parteggiare per lui. In più, nonostante avessero un patrimonio familiare ingente, non lo ostentavano: la loro era una casa enorme, per gli standard a cui era abituata Lily, ma semplice, senza lampadari placcati in oro o giganteschi letti a baldacchino. C’era un modesto giardino tutt’intorno, con alberi da frutto anche esotici. Avevano unElfa Domestica che risiedeva in una stanza tutta sua in un’ala della casa separata. L’unico dettaglio considerabile come eccesso era forse il mini-campo da Quidditch che era stato fatto costruire per un piccolo James di appena quattro anni sul retro della casa, di modo che si potesse allenare a suo piacimento con Pluffe e Bolidi. Lily non avrebbe mai scordato la sua prima lezione di volo, quando non sapeva neppure da che parte girarsi per salire su una scopa, mentre quel pischello in una manciata di secondi era scomparso dalla visuale di tutti, per poi tornare trionfalmente con un festone che aveva strappato da una delle prime case di Hogsmeade, dove in quel periodo si teneva la festa del paese. Un disastro naturale annunciato, ecco cos’era.

Lily si rigirò nel letto, sopraffatta da un moto d’inquietudine. Il distacco dai suoi genitori era stato brusco e ingiusto. Aveva sperato, almeno per un certo periodo, che una volta finita Hogwarts avrebbe potuto trovare un lavoro a Londra con facilità, di modo da riuscire a vederli più spesso rispetto alle sole vacanze di Natale o di Pasqua. E invece aveva dovuto allontanarli, per il loro bene. Allo stesso modo, da quando era entrata a far parte dell’Ordine, aveva perso quasi tutti i suoi contatti con le persone esterne.  Adorava Alice e si trovava benissimo anche con Marlene, in più i Gideon e Fabian le avevano promesso che le avrebbero fatto conoscere la loro sorella, Molly, che a quanto pareva aveva tre incantevoli bambini di otto, sei e due anni, più due gemelli di qualche mese, molto difficili da tenere a bada, con cui Lily si sarebbe intrattenuta molto volentieri. Ma le sue amicizie di Hogwarts, che per lei erano state tanto preziose, si erano rapidamente disperse nel nulla. Sapeva che Margaret Kinglake si era trasferita in Francia e aveva iniziato un tirocinio presso l’Ufficio delle Relazioni Internazionali Magiche, ma era da agosto che non aveva più sue notizie. Delia Lindgreen, invece, era stata presa ai provini per la nazionale juniores di Quidditch, quindi ora era in giro per il mondo insieme alla squadra, anche lei ben lontana da tutto quel trambusto. Helen Miller era andata in vacanza in Irlanda a studiare draghi, ippogrifi e unicorni, essendo sempre stata un’appassionata di Creature Magiche, e qualche mese fa le aveva scritto entusiasta per dirle che si sarebbe fermata lì, almeno temporaneamente, dato che volevano offrirle un impiego. Elizabeth Lachey di Corvonero, una ragazza tranquilla con cui chiacchierava piacevolmente ogni tanto a lezione, era sparita nel nulla dopo averle raccontato di essersi fidanzata con un ricco Purosangue di una ventina d’anni più vecchio di loro. L’unica che le aveva ancora scritto di recente era Mary Macdonald. Anche Mary, come lei, aveva entrambi i genitori Babbani; nelle sue ultime lettere le aveva fatto sapere che aveva deciso di rinunciare al suo sogno di aprire un negozio esoterico a Diagon Alley, per restare vicino alla sua famiglia e proteggerla. L’avevano assunta in una piccola biblioteca per maghi non lontano da casa sua, ma anche Mary, come Lily, aveva molta paura per i suoi. Non aveva idea di come rassicurarla; non c’era nulla di confortante in quanto stava accadendo nel mondo magico, né sembrava servisse a qualcosa la cautela con cui il Ministero divulgava le notizie su Voldemort, con la scusa di non voler generare il panico.

Improvvisamente, Lily sentì bussare sul vetro della finestra. Si alzò di scatto, ricordando di averla lasciata aperta. Maledetto Potter.

“Si può?” lo sentì bisbigliare. Nel frattempo, era già scivolato nella stanza, scendendo dal suo manico di scopa. Praticamente una domanda retorica.

“Fai come se fossi a casa tua”, ironizzò Lily, con un ghigno a malapena visibile nella fioca luce del mattino appena sorto. Si stropicciò gli occhi per qualche secondo, sbadigliando. James si avvicinò a passi leggeri, prese la sottile vestaglia che stava appoggiata sulla sedia accanto all’armadio e la posò sulle spalle di Lily. Poi, con delicatezza, le prese una mano e le infilò il braccio nella manica dell’indumento.

“Brava bambina”, le disse, ridacchiando alle sue spalle.

“Ero già sveglia da un po’”, bofonchiò lei, in tutta risposta.

“Ma è ancora presto. Che ti succede? Devo prepararti una Pozione Soporifera?”

“No, dovresti praticare un Incantesimo Sigillante alle tue labbra”, rise lei, infilando anche l’altra manica della vestaglia. James esibì una smorfia fintamente offesa.

“Non costringermi a doverti dimostrare chi è che comanda qui”, la avvertì, agitando l’indice.

“A giudicare da quanto ho visto finora, direi decisamente tua madre. E dato che, come mi hai riferito, ormai mi adora, non ti permetterebbe mai di torcermi un solo capello, signorino Potter”. Quelle ultime parole le pronunciò in una fedele imitazione dell’Elfa Domestica di James, Libby, che lo trattava sempre con una riverenza e un rispetto impressionanti. Chissà quanto l’aveva fatta dannare, quello scapestrato.

L’ormai ex Malandrino le fece scivolare le mani sui fianchi, con la scusa di chiuderle la vestaglia con il laccio. Lily si sentì pervasa da un calore insolito. Nonostante tutto era bello essere lì. Cercò di scordarsi delle parole di Petunia, della perdita di Severus e della lontananza dai suoi genitori. Era la prima volta in vita sua che concedeva tutta quella intimità quotidiana ad un’altra persona; per indole sua, non pensava che sarebbe mai giunta ad un tale passo. Era difficile per lei farsi vincere così, arrendersi ad un sentimento, farsi coinvolgere profondamente. James, però, in qualche strana e tuttora poco comprensibile maniera, ci era riuscito.

Sul volto le spuntò un lieve sorriso, mentre lui le solleticava il collo con la lingua.

“Comunque, a che cosa devo la tua visita?” chiese, rabbrividendo leggermente.

“Oh, sì, giusto, ti è arrivata una lettera”, borbottò James, staccandosi. “Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere saperlo…”

“Dai, andiamo, Potter, sono curiosa!” esclamò lei, prendendolo per un braccio e trascinandolo di corsa fuori dalla stanza e poi giù per le scale, fino alla luminosa sala da pranzo.

La sua corrispondenza le era stata recapitata da un gufo cornuto nero, che apparteneva a Mary. Lily si illuminò: evidentemente non tutti i contatti erano persi. Con gioia aprì la busta, mentre James prendeva a sfogliare il nuovo numero del mensile di Quidditch.

Lily lesse in fretta la lettera scritta in quella grafia minuta e tondeggiante che conosceva bene, riga dopo riga. Giunta alla fine, il suo sorriso si era spento, lasciando il posto ad un’espressione a metà fra il preoccupato e il perplesso.

“James…”

“Umpf?”

“Credo che dovremmo chiamare Silente, subito”.


*

Lily strinse la bacchetta nascosta nella tasca del mantello con forza spasmodica mentre avanzava in mezzo a quella piccola folla, stringendosi silenziosamente al fianco di Mary. Erano entrambe pallide; lo sforzo per non lasciar trapelare la loro angoscia era immenso.

Lily sapeva che era importante non farsi notare. Altrimenti, tutto il piano dell’Ordine sarebbe saltato. Aveva avvertito soltanto Mary, perché in caso contrario sarebbe stata scoperta subito. Ma non c’era stato il tempo di organizzarsi in maniera migliore. Sai, Lily, il motivo principale per cui ti ho scritto non è rivangare episodi nostalgici, come ho fatto finora, lasciandomi trascinare dai ricordi. Ci tenevo, invece, ad avvisarti di un’iniziativa del Ministero di cui sono stata avvertita grazie ad un loro comunicato che mi è stato spedito poco tempo fa. Pare che si siano allarmati per via dei continui attacchi di Tu-Sai-Chi verso i maghi con origini Babbane e le loro famiglie, pertanto hanno contattato me e altri per proporci di recarci in un rifugio protetto apposta per la gente come noi, dove gli Auror del Ministero ci difenderanno dagli attacchi dei Mangiamorte. Io ho deciso che andrò, così potrò lasciare la mia famiglia a condurre una vita normale, senza che debbano aver paura di subire rappresaglie per causa mia. Ci faranno partire questa sera, se vorrai esserci. Non penso, so bene quanto ci tieni a restare con James, però ho pensato ugualmente di fartelo sapere. Sento spesso la tua mancanza, come delle altre, e mi dispiace che la guerra e mille altri avvenimenti ci abbiano separate. Dovevano esserci per forza uno o più infiltrati all’interno del Ministero per aver architettato un piano del genere: Mary aveva mostrato a Lily la lettera ricevuta e sembrava davvero autentica. Era estremamente difficile falsificare i sigilli del Ministero, per quanto ne sapeva lei. Ma Silente nutriva già simili sospetti, perciò non c’era da restarne sorpresi più di tanto. Poteva trattarsi di chiunque. Non dovevano fidarsi di nessuno. Ma ora, la cosa importante era salvare quelle persone.

“Scordatelo, Lily, non permetterò mai che tu lo faccia, non andrai là da sola!”

“È solo un diversivo, James, razza di idiota, devo farli scappare al momento opportuno, altrimenti potrebbero essere presi tra due fuochi…”

“Sono maghi, sanno difendersi!”

“Non è detto, potrebbero portarsi dietro bambini o anziani, non possiamo rischiare. Se sono entrata anch’io nell’Ordine non è per stare a guardare, James!”

Era stato un piano ingegnoso. Tutti sapevano che Voldemort se la prendeva con i maghi di origini Babbane, che voleva purificare il mondo magico da quelli che lui considerava indegni. Quel falso comunicato del Ministero era stato diffuso proprio ai maghi in questione, probabilmente tramite le conoscenze che i Mangiamorte avevano a Hogwarts. Di sicuro anche Severus aveva collaborato ad indicare quelli che secondo Voldemort erano i Sanguesporco. Si sentì ribollire di rabbia. Perché non aveva fatto anche il suo nome, allora? Aveva forse avuto pietà? No, aveva semplicemente intuito che lei non ci sarebbe cascata, che non avrebbe scelto di andare a nascondersi e di cercare protezione presso il Ministero.

Chiuse gli occhi per un attimo, continuando a camminare. Non doveva essere impulsiva. Se si fosse lasciata andare all’ira che provava in quel momento e li avesse attaccati, non avrebbe ottenuto nulla.

“Qualcun altro dovrebbe venire con te, potrei camuffarmi…”

“Ti riconoscerebbero facilmente, James. Sanno che non sei Babbano di nascita. Capirebbero subito che è un imbroglio. E non c’è il tempo per preparare una Pozione Polisucco, sai bene che ci vuole quasi un mese”.

“Ma Lily…”

“Quando darò il segnale, potrai venire a salvarmi e fare l’eroe”.

Il piano prevedeva di farli salire su un treno. Come se si stessero dirigendo verso una destinazione dove il Ministero li avrebbe messi al sicuro, lontano da Voldemort.

E invece, probabilmente volevano sterminarli. Di chi era stata quell’orribile idea? Perché uccidere delle persone innocenti, perché?

“Lasciala andare, James. Sa quello che fa”, aveva detto Sirius, sorprendentemente. Lily lo aveva guardato in maniera lievemente scettica, ma lui in tutta risposta le aveva fatto l’occhiolino, come se volesse tranquillizzarla. A quel punto, anche Remus e Peter avevano preso le sue difese.

“So che ti preoccupi per lei, ma se la cava meglio di noi quattro messi insieme con gli incantesimi non verbali. E hai visto come ha tenuto testa a Mulciber e Avery l’ultima volta?”

“Già, Remus ha ragione, io non sarei mai stato in grado di farcela, la stavano accerchiando da ogni parte e…”

“Sì, sì va bene. So quanto è brava e in grado di cavarsela, davvero. Ma così è molto più pericoloso”.

“Saremo comunque nei paraggi. Interverremo al momento giusto. Dai, James, smettila di fare la madre apprensiva”.

“È l’unico modo in cui può funzionare”.

Quando arrivarono nei pressi del treno, fermo ad una stazione ormai abbandonata dai Babbani da decenni, Lily seppe che era il momento giusto. Sfilò rapidamente la bacchetta dalla tasca, senza dare nell’occhio, e lanciò in cielo delle scintille rosse con un incantesimo non verbale.

I Mangiamorte si voltarono di scatto verso il centro del gruppo.

“Protego!” urlò Lily, con altrettanta rapidità, isolando tutti i maghi che stavano per finire nelle loro grinfie.

“Che sta succedendo?”

“È una trappola, armatevi, presto!”

In una manciata di secondi si creò il caos più totale. James e gli altri arrivarono come fulmini dal cielo a bordo delle scope e cominciarono a lanciare incantesimi sui Mangiamorte. La gente si spaventò. In molti fuggirono al di fuori del Sortilegio Scudo di Lily, rompendolo. Lily vide Remus, Emmeline e Caradoc accorrere a coprire le spalle a quelli che stavano scappando, impedendo ai Mangiamorte di lanciarsi al loro inseguimento. Erano tantissimi. Più di loro, forse. Alcuni dei maghi caduti nella trappola sfoderarono le bacchette e iniziarono a combattere. Altri, disorientati, non sapevano che fare. Fu solo quando uno dei Mangiamorte lanciò in aria il Marchio Nero che si riebbero e scelsero se ritirarsi o lottare.

“Di qua! Di qua!”

Hagrid era giunto al limitare della pianura dove si trovavano. Guidava un calesse trainato dai Thestral. Quelli che si erano dati alla fuga corsero disperati verso di lui, sempre protetti da Remus, Emmeline e Caradoc e quando il calesse fu pieno Hagrid si alzò in volo, portandoli via dalla battaglia. Lily lanciò uno Stupeficium contro un uomo incappucciato che stava per attaccare la gente in fuga, tenendo ancora stretta la mano di Mary, e pregò che tutti i bambini e gli anziani si fossero messi in salvo.

Erano stati abili. Molti si erano trasformati in veri impiegati del Ministero grazie alla Pozione Polisucco. Gli effetti, però, stavano svanendo e Lily si ritrovò a duellare con una donna alta e cadaverica, che lanciava ridendo le sue Maledizioni Senza Perdono. Mary cercò di aiutarla con un Expelliarmus, ma venne colpita da un Cruciatus prima che potesse finire di pronunciare l’incantesimo. Si accasciò a terra, urlando.

“Mary!”

Lily sbalzò via con un Impedimenta due Mangiamorte che stavano per avventarsi su di lei, ma percepì il movimento simile a un colpo di frusta della bacchetta di Bellatrix Lestrange e seppe che era perduta, senza che ci fosse il tempo di reagire. Ma l’incantesimo fu preceduto di una frazione di secondo da un Everte Statim e fu bruscamente deviato verso l’alto mentre la donna veniva scagliata a terra con violenza improvvisa.

Lily guardò alle sue spalle. L’incantesimo era stato lanciato contemporaneamente da Peter e James, che ora correvano verso di lei. Aiutò Mary a rialzarsi, mentre Benjy Fenwick, volteggiando sopra le loro teste a bordo della sua scopa, colpiva con un Petrificus Totalus diversi Mangiamorte nelle vicinanze. James fece per scagliarsi contro Bellatrix Lestrange ma Moody, la gamba mutilata ora sostituita da una finta in legno, lo precedette.

“Questa è un osso duro, ragazzo, lasciala ad uno più esperto!”

Moody si lanciò all’attacco, mentre a poca distanza da lui si udivano delle urla strazianti. Un gruppo di Mangiamorte aveva impedito la fuga a quello che doveva essere un parente Babbano di qualche mago. L’avevano sollevato per aria con un Levicorpus e lo stavano marchiando a fuoco sul petto con una fiamma incandescente che usciva dalle loro bacchette. James cambiò direzione e si diresse verso di loro insieme a Sirius, che sbucò da dietro un albero all’improvviso, i vestiti lacerati in più punti e un rivolo di sangue che gli colava copiosamente da un taglio sulla fronte. Pochi secondi dopo, Peter fermò tre avversari con un Dominusterra. Lily raccolse con un Incantesimo di Appello la bacchetta di Mary, ma prima che potesse riconsegnargliela un Sectumsempra mancò Emmeline, che duellava alle loro spalle con Malfoy e la colpì in pieno petto.

“NO!”

Mary sgranò gli occhi per l’orrore mentre si sentiva lacerare le carni in ogni punto del corpo e vedeva il sangue sgorgare a fiotti dalle ferite.

Finite Incantatem! Peter, portala via, ti prego, mettila in salvo!” supplicò Lily, rivolta al ragazzo, anche lui malconcio. Peter annuì in fretta, poi recuperò la scopa e vi si issò sopra, prendendo Mary con sé. Lily lo osservò ammirata lanciare un potente incantesimo di fuoco per impedire ai Mangiamorte che li inseguissero o li attaccassero. Aveva sempre visto Peter piuttosto in difficoltà senza il supporto degli altri, invece sapeva perfettamente cavarsela da solo.

James e Sirius, intanto, avevano allontanato i Mangiamorte dal Babbano. Lily corse a soccorrerlo. L’ustione gli aveva orribilmente sfregiato il torace in profondità e ora la pelle era ridotta a bolle e aree necrotiche. Lily tentò qualche Incantesimo di Guarigione, mentre l’uomo, svenuto, non dava segni di vita se non un debole respiro superficiale. A un certo punto sentì gridare, vide Sirius cadere esanime e James che veniva rapidamente accerchiato e lanciato a terra, in preda a sofferenti contorsioni… non ci pensò due volte e corse verso di lui, lanciando Schiantesimi e colpendo due di loro, per poi pararsi davanti all’uomo che amava. Il getto di una fiamma le sfiorò una spalla mentre si scansava, bruciandole la manica del vestito e i capelli. James, alle sue spalle, si rialzò e con un Impedimenta sbalzò i due Mangiamorte rimasti contro un grosso albero; il colpo fu abbastanza forte da metterli fuori combattimento. Si guardarono negli occhi con intensità, senza sapere cosa pensare perché tutto succedeva troppo velocemente, poi Lily lo prese per un braccio e cominciò a correre via, dove Hagrid li stava aspettando per mettersi in salvo. Lily, però, si ricordò del Babbano ferito.

“Aspetta un-”

“Cercavi qualcuno?”

Fu una voce fredda e acuta a risponderle, che sembrava provenire da ogni parte. Una minacciosa figura nera planò sopra le loro teste senza l’ausilio di una scopa, poggiandosi tra lei e il corpo del Babbano.

“Perché non vieni a prendertelo, ragazzina?” disse di nuovo quella voce strascicata, così terrificante da far gelare il sangue nelle vene. Lily sbiancò quando lo vide abbassarsi il cappuccio. Quello che la fissava sembrava un teschio, non il volto di un essere umano.

Realizzò che per la prima volta si trovava faccia a faccia con l’essere abominevole che era responsabile di tutto.

Voldemort.

“Credi davvero che una come te possa fare qualcosa? Sei solo una piccola, sporca figlia di Babbani…”

James si parò al suo fianco, tremante, fissando Colui Che Non Deve Essere Nominato con aria di sfida.

“Non osare insultarla!”

Una risata agghiacciante riempì loro le orecchie.

“Potter! Tu che provieni da una così nobile famiglia. Quelli come te dovrebbero amarmi, sostenermi. Io sono venuto a proteggervi. A preservare le vostre origini, a cancellare quelli che osano contaminarle con la loro ridicola e finta magia. Unisciti a me”.

“Te lo puoi scordare!”

“Non si rifiuta così un invito dell’Oscuro Signore. Quest’uomo pagherà al posto tuo. Avada-”

“NO!”

Il raggio verde uscito dalla bacchetta di Voldemort colpì il terreno, mentre il corpo dell’uomo volava dritto ai piedi di Lily e James, che senza saperlo avevano lanciato contemporaneamente un Incantesimo di Appello. Un gelido silenzio carico di rabbia calò improvvisamente, mentre Voldemort li fissava come se volesse incenerirli con lo sguardo.

“Avete osato sfidarmi… la pagherete!”

“RIDDLE, BASTA ORA!”

Un cerchio di altissime fiamme si alzò intorno a Voldemort, schermando Lily e James dai suoi incantesimi, mentre Albus Silente si parava davanti a loro, il mantello svolazzante e gli occhiali a mezzaluna in bilico sul naso adunco. Una scossa fece tremare la terra intorno a loro mentre l’ira di Voldemort si amplificava e James per poco non perse l’equilibrio.

“Silente, anche tu sconterai la pena che meriti per la tua arroganza, un giorno! Nessuno di voi vincerà! Ricordatelo!”

Le scosse diventarono sempre più forti, il mantello di Silente si staccò e volò via, infine Voldemort scomparve e il terreno smise di tremare. Lily cadde in ginocchio, senza fiato.

Lentamente, il preside di Hogwarts si volse verso di loro.

“Signore… dobbiamo portare in salvo quest’uomo al più presto, deve essere curato urgentemente…”

“Siete stati molto coraggiosi”.

James si zittì di colpo. Lily guardò Silente negli occhi, inspiegabilmente sorpresa. Forse aveva ragione, ma sentir pronunciare certe parole di lode da lui era, in ogni caso, una strana emozione. Non poté fare a meno di sorridere impercettibilmente.

“Credo che anche voi abbiate bisogno di un po’ di assistenza”, aggiunse, e solo in quel momento Lily si accorse del bruciore intenso alla spalla. Vi posò lo sguardo e vide che la pelle era diventata nerastra, come le ustioni del Babbano. James, invece, lasciò cadere a terra la bacchetta, che aveva tenuto stretta finora con le prime tre dita della mano piegate in maniera innaturale.

“Hanno tentato di strapparmela”, si giustificò lui, accorgendosi del modo in cui Lily lo guardava. Notò anche che zoppicava. Si rialzò, con le gambe che tremavano e non riuscivano a fermarsi. Erano stati faccia a faccia con Voldemort. Ancora non poteva crederci.

Silente fece apparire una sorta di lettiga in cui depose il corpo levitante del Babbano, ancora privo di conoscenza. Lily lo seguì, facendo appoggiare James sulla sua spalla. I Mangiamorte si erano ritirati, il Marchio Nero era sparito. In fondo alla radura li aspettavano Hagrid e gli altri.

Mary era insieme a Marlene e a Peter ed era stata bendata. Sembrava stesse bene, a parte per il profondo taglio che le solcava una guancia. In ogni caso Peter le era stato vicino e ora le stava raccontando qualcosa di divertente, riuscendo a farla ridere. Benjy era caduto dalla scopa, colpito da un incantesimo; Hagrid lo stava sistemando sul calesse trainato dai Thestral con cui era tornato a prenderli, mentre Emmeline stava loro a fianco, scossa da qualche lacrima. Continuava a chiedere scusa a Benjy per non aver frenato in tempo la sua caduta. Ma Benjy non se la prendeva mai per nulla, neppure quando lo mettevano a fare i turni di guardia con quel barbone brontolone di Aberforth, come lo chiamavano Gideon e Fabian.

Infine, in un angolo appartato, Remus era chino sulla testa di Sirius. Lily capì subito che il trambusto che aveva sentito in lontananza proveniva da lui.

“Ahia, Remus, non ci penso neanche, allontanati!”

“Ma se non ti ho nemmeno toccato!”

“È una cosa psicologica, non puoi capire”.

“Sirius, non essere idiota, ci è già voluto un sacco di tempo per fermare l’emorragia”.

“NON VOGLIO CHE UN AGO MI ENTRI NELLA TESTA!”

“Non dovrò cucirti a mano, te l’ho già detto, userò la bacchetta per guidarlo…”

“NON MI FIDO!”

“Non c’è altro modo, le ferite da magia oscura non si rimarginano da sole o con incantesimi, se non ti vuoi dissanguare completamente dovresti lasciarmi fare…!”

“Certo, così la mia povera faccia ne uscirà sfigurata!”

“Preferisci farlo da solo allo specchio, per caso? Così nel frattempo riusciresti anche ad ammirarti. Guadagnerai fascino con una cicatrice, garantito”.

“Ah ah ah, davvero molto, molto divertente”.

“Non fare l’ingrato, Sirius, quest’uomo coraggioso ti ha salvato la vita” si intromise Caradoc, ridacchiando divertito. Aveva il torace fasciato da un bendaggio stretto e stava trangugiando una pozione; probabilmente aveva qualche costola rotta. Sirius corrugò la fronte, incredulo.
“Nah, non l’avrebbe mai fatto. Sarebbe stato troppo divertente rimanere ad osservare mentre i Mangiamorte infierivano sul mio cadavere”.

“Il tuo senso dell’umorismo è davvero di pessimo gusto”, commentò Remus con una punta di acidità. “In ogni caso, sì, sono stato io a trascinare il tuo corpo esanime lontano dagli incantesimi volanti che avrebbero potuto colpirti in qualsiasi momento”.

Sirius lo fissò, scettico.

“Hm. E perché l’hai fatto?”

“Perché nessuno ti aveva visto tornare, quindi sono venuto a cercarti”.

“Questa non è una spiegazione”.

“Oh, invece lo è, e anche molto soddisfacente”.

“Quindi significa che sono in debito con te?”

“Assolutamente sì”.

“E come dovrei ripagare?”

“Restando fermo e lasciandoti cucire questo taglio come si deve, senza strillare come un infante”.

“Perdona la domanda, ma tu che vantaggio ne trarresti?”

“Semplicemente un po’ di sadico divertimento. Mi accontento di poco”.

“Oh, e va bene, ma ti giuro che se mi sfiguri… AHO!”

Lily rise fra sé, osservando la scena. Eppure, in quel contesto non vi era nulla di divertente. Avevano lottato per salvare delle vite, ma alcuni ci avevano comunque rimesso la pelle. E anche lei e James sarebbero morti, se non fosse intervenuto Silente. Essere due contro uno, in quel caso, non costituiva alcun vantaggio: si trattava di Voldemort e tutti sapevano bene che solo pochi fortunati potevano vantarsi di essergli sopravvissuti. Se non avesse volutamente perso tempo a lusingare James per attirarlo dalla sua parte, l’avrebbe probabilmente ucciso senza il benché minimo scrupolo.

Lily si voltò a guardarlo. Era rimasto in assoluto silenzio, da quando era intervenuto Silente. Stava osservando con un’ombra sul volto Marlene accingersi a curare le profonde e crudeli ferite del Babbano. Pochi secondi dopo, arrivò Edgar insieme a quella che doveva essere la figlia dell’uomo, che scoppiò in lacrime e grida appena lo vide ridotto in quello stato. James non distolse lo sguardo un solo secondo e, più tempo passava, più si approfondavano le rughe sulla sua fronte. Non era più il ragazzino spensierato e un po’ infantile dei tempi di Hogwarts, quello che le stava accanto in quel momento. Per quanto si fosse sempre schierato contro le Arti Oscure, la sua maturazione era stata incredibile: era stato lui a trascinare tutti in quella battaglia, mettendosi in gioco in prima persona. Si rese conto di amarlo come e più di prima e che non voleva più separarsi da lui. Era inutile domandarsi il perché, lo sapeva e basta. Se il loro destino era quello di morire domani, voleva che morissero insieme; se invece gli fosse stato concesso di superare la longevità di Albus Silente, non desiderava passare un solo giorno lontano da lui. Si alzò in punta di piedi e avvicinò le labbra al suo orecchio.

“James…”

“Sì?”

Esitò un attimo, chiedendosi se non fosse completamente impazzita. Poi accantonò il pensiero e si piantò saldamente di fronte a lui con le mani sui fianchi.

“Potter, sarà la prima e l’ultima volta che mi sentirai implorare. Sposami, ti prego”.

 

 

 

And if a double-decker bus
Crashes in to us,
To die by your side
Is such a heavenly way to die.
And if a ten ton truck
Kills the both of us,
To die by your side
Well the pleasure, the privilege is mine.

(The Smiths - There Is A Light That Never Goes Out)

 

 

 

 

Nota di fine capitolo: giusto un piccolo appunto su Peter. L’ho reso attivo nella battaglia – e succederà altre volte – non perché io voglia sfociare nell’OOC, ma perché ci ho riflettuto a lungo e sono giunta alla conclusione che, per forza di cose, non fosse proprio così imbranato come volesse far sembrare. Ha delle abilità nascoste che, secondo me, emergono quando entra in gioco la sua personale sopravvivenza, come in questo caso. In questo momento della storia Voldemort non si è ancora avvicinato a lui perciò, per Peter, i nemici sono i Mangiamorte. Se fosse stato totalmente incapace, non penso che l’avrebbero ammesso nell’Ordine. O che Voldemort si sarebbe servito di lui. Quando sarà il momento tratterò del suo “passaggio al lato oscuro”, e spero di riuscire a farlo in maniera convincente.

Altra cosa: la citazione iniziale è stata volutamente da me lasciata in lingua originale perché il film da cui è tratta non è ancora stato doppiato e non è uscito nei cinema italiani – e forse, ahimè, non uscirà mai. In ogni caso, lo consiglio vivamente a chi ha lo sbatti di leggersi i sottotitoli e a chi ama – almeno quanto me – le opere cinematografiche disfattiste e pessimiste all’ennesima potenza.

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Capitolo 5
*** Il matrimonio (Remus Lupin) ***


Capitolo 4 – Il matrimonio

 

Senti, tu sei la risposta di Dio a Giobbe: sai, avresti messo fine a tutte le discussioni tra loro. Dio avrebbe indicato te e detto: “Faccio tante cose tremende, ma ne so fare anche come questa, sai”. E Giobbe avrebbe detto: “Okay, hai vinto”.

(Woody Allen, Manhattan)

 

 

Dicembre 1978

 

Remus era enormemente, immensamente, straordinariamente felice del fatto che quel giorno fosse finalmente arrivato.

Non tanto perché fosse contento per James e Lily, tuttavia, quanto per il fatto che non ne poteva davvero più.

Era stato un vero e proprio calvario, in cui lui era stato messo in mezzo, consultato, interpellato, assillato e torturato da chiunque. Da Sirius perché era stato scelto come testimone di James, e quindi era sovreccitato, ma anche teso e in ansia. Doveva scegliere il vestito, ma l’idea di essere troppo elegante non gli andava per niente giù; gli sembrava di tornare all’epoca degli abiti da cerimonia che i suoi genitori lo costringevano ad indossare per quelle pompose cene di famiglia. Quindi, Remus l’aveva pazientemente accompagnato a cercare qualcosa di adatto, sorbendosi tutta l’ipercriticità e la pignoleria di Sirius in materia di abbigliamento, cosa che lo rendeva quasi peggio di una donna.

Poi Peter era venuto da lui a sfogarsi un po’, perché ci era rimasto male. Sperava che James scegliesse lui come testimone, anche se sapeva benissimo che fosse scontata l’elezione di Sirius a tale ruolo; nonostante ciò si era, a suo dire, stupidamente illuso, e ora non sapeva come prenderla, perché avrebbe dovuto essere felice per James, ma nel contempo credeva di avergli sempre dimostrato la massima devozione e il più sentito attaccamento, e ora si sentiva non ricambiato in quel sentimento d’amicizia che forse, per James, non era poi così forte.

Remus, francamente, non sapeva che dirgli. Tra loro quattro, era sempre stata in vigore quella tacita regola: si comportavano come se fossero tutti uniti e alla pari ma, nel momento in cui c’era da scegliere, James avrebbe sempre preferito Sirius, e viceversa. Lui non l’aveva mai presa sul personale; era inutile, essendo il loro legame di fratellanza e di unione così evidente che sarebbe risultato ridicolo contestarlo o anche solo provare a minarlo. Non vi era motivo di farne una colpa a nessuno dei due, seppure magari, ogni tanto, quel pizzico di egoistico risentimento verso quelle preferenze così evidenti si faceva vivo anche in lui. Ma era una cosa totalmente momentanea e passeggera, che Remus con abilità sopprimeva e ignorava, non giudicandola degna d’attenzione. In fondo, non aveva di che lamentarsi: quando era arrivato a Hogwarts era totalmente convinto che neppure si sarebbe fatto degli amici, essendo già un enorme privilegio, per lui, la possibilità di frequentare la scuola di magia che Silente gli aveva concesso. Poi quei tre bizzarri individui, come li aveva definiti all’inizio, si erano intromessi a forza e senza permesso nella sua vita, facendo ciò che quasi nessun essere umano aveva mai fatto per lui: si erano preoccupati. Perché ogni tanto spariva, e finiva in infermeria. Perché era sempre così chiuso e non si confidava mai con nessuno. Perché avevano paura che qualcuno lo picchiasse, data la quantità di graffi, lividi e segni di morsi che a malapena riusciva a coprire. Ricordava bene quel Sirius dodicenne dall’aria imbronciata, che aveva minacciato di punire i suoi ipotetici aggressori con profonda convinzione, subito spalleggiato da un risoluto James e da un infervorato Peter. A furia di impicciarsi così tanto degli affari suoi, quei tre piccoli scapestrati avevano finito per instaurare con lui un legame così forte da risultare quasi assurdo a suoi occhi di undicenne e solitario Lupo Mannaro. Insomma, a Hogwarts Remus era stato doppiamente baciato dalla fortuna; di  conseguenza, non si riteneva nella posizione di esigere più di quanto già avesse inaspettatamente ricevuto.

Poi una sera, durante un turno di guardia, si era ritrovato a chiacchierare con Lily. Mancava ormai una settimana al matrimonio e lei, fino a quel momento, era sempre stata raggiante e sicura di sé. Tuttavia, quando si trovò faccia a faccia con lui, non ci volle molto perché cominciassero ad emergere le preoccupazioni.

“Remus, posso chiederlo a te perché sei una persona prudente, con la testa sulle spalle. Pensi che io stia facendo uno sbaglio?”

“Lily, e da quando tu non saresti una persona prudente e con la testa sulle spalle?”

“Da quando ho iniziato ad uscire con James, probabilmente”.

“Questo sarà meglio non dirglielo”.

“Già, si offenderebbe a morte…!”

“Sarebbe capace di tenerti il broncio anche sull’altare”.

“Te lo immagini? No, questa donna crudele ha offeso il mio orgoglio, non la sposo più!

“Non sarebbe mai capace di dirlo sul serio”.

“Sì, ma lo conosci. James non riflette, si lancia istintivamente nelle direzioni più entusiasmanti. Probabilmente è dotato di una fortuna sfacciata, dato che nella maggior parte dei casi gli va bene e non ha di che pentirsene a posteriori. Ma stavolta potrebbe farlo, per quanto mi è dato sapere”.

“Lily. Non vorrei sembrare esagerato, ma probabilmente James sta sognando questo giorno da quando ancora non era stato preso nella squadra di Quidditch di Grifondoro”.

“È che ancora non riesco a concepirlo pienamente, suppongo”.

“Sei troppo modesta, semplicemente. Per migliorare potresti prendere lezioni da Sirius, lui è indubbiamente un maestro in quel campo”.

“Grazie, Remus”.

“E di cosa?”

“È che, sai… con te non mi sono mai dovuta preoccupare più di tanto di sembrare più forte di quanto io sia in realtà”.

“Credo che nessuno di noi lo sia. Abbiamo tutti le nostre debolezze. C’è solo chi si sforza di più di nasconderle e chi di meno”.

“E credi che sia un bene nascondere queste debolezze?”

“Ti impedisce di essere giudicato solo per quelle”.

“Remus, io sono convinta che nessuna persona assennata e di buon cuore ti giudicherebbe soltanto per la tua licantropia”.

“Devo aver conosciuto davvero ben poche persone assennate e di buon cuore, allora. Silente, ad esempio. E poi Sirius, Peter, James… e tu. Non me ne vengono in mente altre”.

“E allora sono onorata di far parte di questa minoranza”.

Infine, la sera prima del matrimonio, Remus si era ritrovato a prendere parte ad una serata fra Malandrini nel nuovo appartamento di Sirius, in compagnia di alcune bottiglie di Firewhiskey, per brindare all’evento. La casa era cambiata molto dall’ultima volta che Remus vi aveva messo piede: Sirius l’aveva riempita con ogni cianfrusaglia possibile ed immaginabile, perfino un vecchio orologio a cucù non più funzionante che aveva chiesto in regalo a un vecchio Babbano della casa di fronte, il quale stava trasportando fuori l’ormai inutile suppellettile con l’intenzione di buttarlo in una discarica. Inoltre, un nuovo inquilino ora bazzicava l’appartamento: si trattava di un vecchio gatto, completamente nero eccetto che per la zampa posteriore sinistra e la punta della coda. Era un po’ malandato, gli mancava un pezzo d’orecchio e alle volte sembrava non possedere un grande equilibrio; Sirius l’aveva trovato un giorno in giardino alla ricerca di cibo, mentre tentava invano di agguantare qualche passero che si posava sul muretto di cinta. Padfoot si era lasciato impietosire e gli aveva lasciato qualche avanzo di carne. Il giorno dopo, il gatto si era presentato alla stessa ora a miagolare davanti alla porta-finestra che dava sul cortile. Una bella faccia tosta.

“Da quando l’ho fatto entrare in casa non si schioda dal divano, per Merlino. O, se lo fa, è per piazzarsi a dormire nella scatola delle scarpe. E appena rientro in casa fa le fusa, si struscia… un vero ruffiano”.

“Un po’ come te quando pregavi Moony di toglierci le punizioni”.

“Io non pregavo proprio nessuno!”

“Oh sì, invece, sembravi un condannato a morte che implora la grazia ad un passo dall’esecuzione”.

“Tu sei tutto scemo, Prongs. Non riesco ancora a capire come sia possibile che ti sposi”.

“Perché sono bello, Sirius, quante volte te lo devo ripetere?”

“Già, hai ragione, l’avevo scordato… Wormtail, vuoi fare una piccola scommessa con me? Secondo te quanto tempo dovrà passare prima che Lily lo uccida?”

“Dai, Padfoot, non succederà, Lily è innamorata di James!”

“Moony… tu sei d’accordo con lui?”

“In che senso?”

“Pensi che Lily non riuscirà a sopportarmi?”

“Sirius esagera e basta, come al solito. Lo sai. Non dirmi che ti fai suggestionare così!”

“No, no, certo, è solo… era soltanto una riflessione estemporanea. Fai finta che non abbia detto niente”.

“Sei preoccupato?”

“Ma no, è solo che… sì, va bene, sono preoccupato. Sarà un fiasco totale. Vero?”

“Questa tua paranoia non ha alcun fondamento logico, lo sai”.

“Non direi, l’ho delusa e schifata per sei anni su sette…”

“Ora però non è più così”.

“Già, magari ha preso solo una botta in testa troppo forte”.

“Domani sera a quest’ora verrai da me e mi guarderai in faccia, e se starai sorridendo felice perché tutto è andato bene mi riterrò autorizzato ad insultarti cordialmente, Prongs”.

“Uff, e va bene, ho capito. Starò zitto. Siete tutti invidiosi perché mi sposo prima di voi, dite la verità”.

“Basta che ci lasci un pezzo di torta e smetteremo di invidiarti!”

Finalmente, però, quell’accidenti di matrimonio era stato celebrato. Ora Remus poteva sperare di avere un po’ di pace.

Si pentì di scoprirsi così intollerante, ma in quel caso non poteva farne a meno. Apprezzava il fatto di essere visto come una persona saggia e posata, a cui chiedere consigli nei momenti di incertezza; tuttavia, in quel mesetto trascorso da quando Lily e James avevano deciso di sposarsi, era stato decisamente sovraccaricato.

Il guaio era che anche lui aveva i suoi pensieri per la testa, che però, a differenza di quelli degli altri, non trovavano uno sbocco esterno. Di rado riusciva a confidarsi con qualcuno in maniera seria e profonda. Questo, inevitabilmente, lo faceva sentire sbilanciato, sobbarcato del peso di altre quattro persone oltre al suo.

Ma ora, grazie a Godric, il giovane funzionario del Ministero dalla voce tremolante aveva terminato di officiare quel rito raccolto, quasi improvvisato, i cui invitati si potevano contare sulle dita delle mani.

Marlene era riuscita ad esserci, e così Gideon e Fabian. Dietro di loro stavano Frank, Alice, Benjy, Sturgis e Caradoc. Hagrid si era sistemato in fondo, per non coprire la visuale, e a lui si unì Dorcas, che arrivò leggermente in ritardo, appena concluso il suo turno di guardia all’Ordine. In prima fila si erano sistemati i genitori di James e Lily; il contrasto fra gli abiti da cerimonia babbani e quelli da mago era bizzarro, quasi divertente. Peter, invece, era seduto a fianco a lui e nonostante tutto era emozionato e commosso. Mary, l’amica di Lily, scattava le fotografie. L’aveva sentita sussurrare a Peter il suo odio profondo per le macchine fotomagiche; quelle babbane, a suo dire, erano molto più facili da usare, ma quando aveva proposto di adoperare una di quelle Sirius l’aveva guardata storto, commentando in maniera decisamente sarcastica l’inutilità di possedere fotografie non animate.

Ad ogni modo, Remus non poteva negare che l’intera cerimonia fosse stata oltremodo divertente.

Il pallore ansioso di James aveva raggiunto un biancore quasi cadaverico. Aveva rischiato più volte di inciampare sul tappeto e Remus aveva colto senza difficoltà le rapide occhiatacce che Lily gli aveva rifilato. Nel bel mezzo di un momento di silenzio Hagrid doveva essere scoppiato in lacrime, perché più o meno tutti avevano sentito Dorcas sbottare: “Che diamine, Hagrid, non piangere così, mi ci vorrebbe un ombrello per ripararmi! Non ti sei portato un fazzoletto?”. Infine, una volta concluso il rito, il padre di Lily si era alzato in piedi ad applaudire vigorosamente, dopodiché aveva esclamato: “Siete meravigliosi, bellissimi, non importa se non sei andato dal parrucchiere, ragazzo!”. James era diventato di un acceso rosso vergogna e per una volta si era straordinariamente astenuto dal replicare. Sirius, invece, aveva preso a sbellicarsi fragorosamente dalle risate, incurante delle occhiatacce di Mary. Lily si era coperta il volto con le mani, come se volesse sotterrarsi. Anche Peter si era lasciato trascinare dall’ilarità generale, segno del fatto che quel momento di delusione che aveva condiviso con lui era passato, per fortuna. Indubbiamente James ci teneva ad avere intorno persone felici, in quel giorno così importante. Perciò anche Remus aveva deciso di tenere i suoi crucci per sé.

Sullo spiazzo antistante l’edificio del Ministero color giallo limone in cui Lily e James si erano appena sposati, Mary insisté per mettere tutti in posa per alcune foto. Fin dall’inizio incontrò serie difficoltà nel far rientrare Hagrid nell’inquadratura dell’obiettivo. Remus rimase discretamente in disparte, ad osservare in silenzio: non amava le fotografie. Trovava di non riuscire a sorridere mai abbastanza. Un sacco di volte Sirius lo aveva rimproverato perché esibiva sempre “quella faccia da funerale, come se qualcuno stesse per picchiarti”. Dopodiché, in genere, gli lanciava una Fattura Solleticante finché Remus non crollava a terra in preda a risate lacrimanti.

Si accorse che aveva smesso di nevicare ed era uscito il sole. Qualche pallido raggio illuminava i volti di Lily e James, ma non ce ne sarebbe stato bisogno: splendevano già da soli. Remus sorrise fra sé. Aveva sempre saputo che sarebbe finita così: James non aveva mai desiderato altro in tutta la sua spensierata giovinezza e Lily, da quando aveva iniziato ad uscire con lui all’ultimo anno, non aveva mai dato segno di essersene pentita, nonostante i chiacchiericci della gente, le incomprensioni e le faticose riconciliazioni che, per forza di cose, nascevano dallo scontrarsi di due caratteri forti come i loro. Si godette quel riverbero istantaneo di felicità come se fosse suo; nella sua misera vita di licantropo non sarebbe mai giunto un giorno simile. Solo le persone normali potevano imparare ad amarsi senza farsi del male, e già non era facile neppure per loro.

“Ehi, ma… Remus John Lupin, vieni subito qui!” esclamò James a un certo punto, notando improvvisamente la sua assenza nel gruppetto che si accalcava davanti all’obiettivo di Mary. James fissò lo sguardo nel suo e gli fece un cenno con la testa, indignato; lui sorrise, si schermì e restò al suo posto. A quel punto, capì che forse avrebbe fatto meglio ad ubbidire subito all’amico. James, Sirius e Peter si guardarono nello stesso momento con aria complice, dopodiché si staccarono dal gruppo e corsero verso di lui. Remus, interdetto, non fece in tempo a scappare e venne agguantato di colpo da tre paia di braccia che lo sollevarono letteralmente di peso e lo trascinarono verso gli altri. Fu depositato alla sinistra di Lily, che gli mise un braccio intorno alle spalle sorridendogli radiosa; subito dopo Sirius si piazzò alla sua destra, bloccandolo in una morsa ferrea.

“Non pensare nemmeno per un momento di sfuggire al tuo destino”, gli sussurrò all’orecchio, con un ghigno sardonico. Remus rispose con un sorriso disincantato: il suo destino non era certo quello di prendere pienamente parte alla felicità completa e totalizzante che in quel momento pervadeva ciascuno dei suoi amici. Su di lui incombeva perennemente l’ombra del lupo.

“Lily, non monopolizzare Moony, ora lo voglio io!” esclamò James, dopo che la prima foto fu scattata. Remus venne bruscamente afferrato per un braccio e trascinato a fianco del novello sposo, mentre Peter sgusciava rapido di fianco a Lily.

Mentre si mettevano in posa, Sirius picchettò Remus sulla spalla per richiamare la sua attenzione.

“Un cervo come si deve dovrebbe avere un bel paio di corna”, gli sussurrò, con aria malignamente complice. Remus scosse la testa con un sorriso, ma poi, di fronte all’espressione perentoria di Sirius, decise di piegarsi al suo volere. Entrambi alzarono quindi di nascosto le mani dietro la testa di James che, ignaro di tutto, esibiva un sorriso a trentadue denti guancia a guancia con Lily. Mary non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere; fu così che nella fotografia venne immortalata prima la comparsa di due mani con le dita sollevate a cornificare un James tutto preso a sistemarsi la cravatta, poi la scoperta del perfido scherzo e l’assalto vendicativo dello sposo nei confronti dei due responsabili. In breve tempo tutti e tre si ritrovarono a terra, mentre Lily non sapeva se ridere o mettersi le mani nei capelli e Peter saltellava intorno a loro indeciso su quale parte difendere.

Insomma, più che un matrimonio fu uno spettacolo comico.

“Qualche malalingua aveva osato insinuare che il sottoscritto sarebbe giunto ad irretire a tal punto la qui presente fanciulla soltanto quando sarebbero piovute zucche dal cielo”, esordì più tardi James, sollevando il bicchiere già pronto per il brindisi del piccolo rinfresco, “ma come avete potuto constatare è bastato attendere la neve”.

Remus osservò Lily ridere e allungare un buffetto sulla spalla di James. Era raggiante come non l’aveva mai vista; anche James, ora che la parte del cerimoniale era terminata, aveva recuperato appieno la sua spavalderia verbale.

“Insomma, tutti quelli che avevano scommesso contro di me ora sono rovinati. Ora che ci penso, forse dovrei correre a nascondermi”, continuò James, divertito. Lily roteò gli occhi.

“Non tirare troppo la corda, Potter, o potrei decidere di pugnalarti”, replicò, avvicinandogli alla gola il coltello per la torta. Mary scattò verso di loro, entusiasta.

“Fermi così, è stupenda!” esclamò e prese ad armeggiare con la macchina fotografica. Remus sorrise. Ne sarebbe uscito un album del matrimonio decisamente unico nel suo genere, con pose di quel tipo.

“Prima che il tutto possa concludersi con voi due che andate a vivere insieme felici e contenti, ci terrei ad avvertire Lily di alcune cosette”, intervenne Sirius, improvvisamente. Remus sollevò un angolo della bocca in un’espressione scettica, non sapendo bene che cosa dovessero aspettarsi di sentire.

“Dunque, innanzitutto James russa. Più forte di me, sebbene si ostini a dire il contrario. Il caro Peter testimonierà in mio favore, dato che per ben sette anni a Hogwarts ha avuto l’onore di occupare il letto in mezzo ai nostri. E non stupirti se parla nel sonno, anche quello è perfettamente normale; una volta ho provato a rispondergli e il risultato è stato che abbiamo dialogato per una buona mezzora riguardo a un branco di unicorni impazziti che nel suo sogno continuavano a calpestargli il tema di Trasfigurazione. Continuava a dirmi ‘Sirius, portali a pascolare da un’altra parte!’

Tutti scoppiarono a ridere, ma Remus sapeva che il peggio doveva ancora venire.

“Seconda cosa: potrete comprare l’armadio più grande e spazioso del mondo, James non lo userà mai. Sostiene che se lascia i vestiti in giro li ritrova più facilmente. Quando si doveva preparare per qualche appuntamento con te, in particolare, il mio letto diventava il posto preferito di deposito per gli indumenti scartati”, continuò Sirius, rivolto a Lily. James cominciò a guardarlo male, facendogli segno che se esagerava l’avrebbe ucciso.

“E da ultimo, mi raccomando, se sei di fretta non cedergli mai il bagno. Resta sotto la doccia per circa due ore, probabilmente insaponandosi anche sotto le unghie, e anche quando ha finito sembra scordarsi che il resto del mondo esista. Probabilmente si incanta a rimirarsi davanti allo specchio, anche se non ho mai osato sbirciare per verificare che fosse proprio così”.

James fece cenno a Sirius che l’avrebbe sgozzato, passandosi l’indice teso sotto la gola.

“Black, sei morto”, gli disse, con teatralità. Sirius, in tutta risposta, esibì un sorrisetto beffardo.

“C’è Remus a difendermi”, obiettò, tirandolo per la manica di modo che finisse per frapporsi in mezzo a lui e Prongs. Il licantropo si sentì crescere dentro un leggero moto di stizza.

“Sei abbastanza grande da non aver più bisogno della mamma”, ribatté, rivolto a Sirius, in tono solo lievemente meno controllato del solito. James scoppiò sonoramente a ridere.

“Sappi che questa me la legherò al dito per i prossimi vent’anni, Moony”, gli sibilò Sirius all’orecchio, simulando un tono minaccioso. Senza scomporsi minimamente, Remus alzò in aria il suo bicchiere di Spumante Caramellato e tutti gli altri lo imitarono per il brindisi.

“A Lily e James… ovvero, a chi dei due riuscirà a sopravvivere alla loro futura vita coniugale. Le scommesse sono aperte”, sentenziò Sirius, teatralmente. Remus osservò i suoi ridenti occhi grigi chiudersi mentre buttava giù la bevanda tutto d’un fiato. Mille domande gli affiorarono alla mente, tutte ricollegate a lui, e fu solo allora che Remus si rese conto di quale fosse la fonte dei suoi crucci nell’ultimo periodo, il motivo per cui tanto gli era pesato sobbarcarsi delle confidenze degli altri senza poter confessare i propri pensieri.

Negli ultimi mesi, Sirius si era comportato in modo strano con lui.

Era diventato insolitamente appiccicoso. A cominciare da quando l’aveva praticamente costretto ad accompagnarlo in giro per Londra a scegliere un nuovo appartamento in cui trasferirsi. Più volte, in seguito, l’aveva cercato con insistenza, giungendo sempre ad un punto in cui sembrava volergli dire qualcosa; ma forse era solo una sua impressione, perché alla fine il tutto si risolveva con qualche battuta sarcastica o qualche frase fuori luogo delle sue. Forse sarebbe stato più semplice domandargli direttamente che cosa ci fosse che non andava, ma credeva di saperlo: James si stava allontanando verso una nuova vita con Lily e Sirius, di colpo, si stava sentendo mancare il terreno sotto i piedi. Non poteva arrabbiarsi o essere geloso di Lily perché James non gliene dava modo, come non lo aveva mai fatto. La scelta di andarsene da casa di Prongs per trasferirsi altrove era stata di Sirius: nessuno l’aveva costretto mettendolo alla porta con le valigie in mano. Inoltre, ora che James aveva deciso di sposarsi, aveva fatto di tutto per coinvolgere il suo migliore amico, eleggendolo immediatamente a suo testimone. Era corso a dirglielo praticamente pochi secondi dopo aver detto di sì a Lily. Non c’erano colpe imputabili al suo comportamento e Sirius lo sapeva bene; senza contare che, sopra ogni cosa, desiderava vederlo felice. Perché se James era triste, tutto il divertimento svaniva.

Tuttavia, Sirius era fatto così: aveva bisogno dell’attaccamento ad altre persone. Non era un solitario come Remus. Sirius doveva parlare, ridere, fare del sarcasmo, agire in maniera testarda, sfogarsi con qualcuno o su qualcuno. Doveva dare spettacolo, sentirsi apprezzato. Come in quel momento, con tutti gli occhi puntati su di lui, ad ascoltare le sue battute divertenti. E ora James, inevitabilmente, sarebbe venuto meno a quel ruolo, almeno in parte. Ma era giusto così, anche Remus lo sapeva: per quanto sembrasse ieri che erano usciti da Hogwarts, era giunta finalmente l’ora di crescere, di pensare a costruire qualcosa; una famiglia, magari. Forse qualcuno li avrebbe potuti giudicare troppo giovani, ma con la guerra a cui avevano scelto di prendere parte non potevano neppure essere sicuri di essere ancora vivi tra un anno. Non rischiare di avere rimpianti per non aver realizzato un desiderio importante diventava una sorta di priorità. Ma Sirius non aveva la testa per queste cose. Non era in grado di dare una famiglia a qualcun altro, in quel momento, perché una famiglia mancava prima di tutto a lui. Anche se James gliene aveva fornito un ottimo surrogato, accogliendolo in casa propria come un fratello quando era stato diseredato, Remus si rendeva conto che non era la stessa cosa e che forse quella perdita non sarebbe mai stata colmata.

Ma il punto, al di là di queste inutili elucubrazioni, era che Remus non voleva chiedere nessuna spiegazione a Sirius per il suo comportamento. Non voleva sentirsi dire che Sirius aveva paura di essere abbandonato da James e per questo cercava conforto presso di lui. Questo pensiero riapriva una vecchia ferita che aveva cercato di seppellire con numerosi e spesso inutili sforzi, ovvero la sensazione di sentirsi usare da Sirius. Come era accaduto qualche anno addietro, quando nei pensieri di Sirius, per quella notte, lui era stato soltanto la bestia feroce che avrebbe dovuto spaventare – e forse ferire, o peggio – Severus Piton. Soltanto per divertimento. Remus avrebbe voluto che ci fossero altre spiegazioni, più logiche, più sensate, più favorevoli per giustificare il comportamento di Sirius, ma semplicemente non ce n’erano.

Non voleva provare di nuovo quella sensazione. Per questo si era chiuso. Non del tutto, non avrebbe potuto. Era troppo nostalgico e non poteva non commuoversi al ricordo di quel ragazzino dodicenne dall’aria sprezzante che, con un luccichio vivace negli occhi grigi, gli aveva annunciato, insieme ad un James più basso e magrolino e ad un Peter dal viso più paffuto ed infantile, che sarebbero diventati Animagi per fargli compagnia durante le sue dolorose notti di luna piena. Così come non poteva scordare tutti gli altri momenti di felicità vissuti insieme. Remus aveva chiuso soltanto quella piccola porticina che stava molto, molto in fondo e che significava ‘fiducia incondizionata’. Non era tutto bianco o nero, per lui, come invece lo era per Sirius, che di sicuro non avrebbe potuto comprendere quella spiegazione e si sarebbe offeso a morte dicendo che questo voleva dire che non lo considerava più suo amico. Non era così, Sirius era ancora suo amico. L’aveva perdonato per quell’episodio, ma non riusciva a farlo del tutto per ciò che aveva significato nel profondo.

Venne infine il momento in cui i due sposi scelsero di congedarsi. Non c’era tempo per la luna di miele, ma James aveva promesso a Lily che, non appena la guerra sarebbe finita, sarebbero fuggiti insieme su un’isola semi-deserta del Mediterraneo a godersi il semplice calore dei raggi solari. Nel frattempo, l’avrebbe portata fino alla loro nuova casa a bordo del suo manico di scopa. Inutile dire che Lily ci aveva messo parecchio per farsi convincere ad acconsentire a una tale proposta. Era ben noto a tutti i frequentatori di Hogwarts dei loro anni in che razza di modo volasse James Potter e di sicuro non lo si poteva definire ‘affidabile’. Una volta il povero Peter, che non amava particolarmente librarsi a metri e metri di distanza da terra, si era lasciato persuadere a fare un giro con James, solo per provare; quando Prongs l’aveva finalmente lasciato scendere, era corso a nascondersi dietro a un albero per vomitare.

Nonostante ciò, la sera prima James aveva annunciato loro, con aria trionfalmente gongolante, che aveva convinto Lily a salire sulla scopa con lui per volare verso la loro nuova casa una volta conclusi i festeggiamenti. Era sicuro che sarebbe stato terribilmente romantico. Lily non sembrava essere dello stesso parere, ma si avvicinò comunque a salutarli con un sorriso.

“Ti farò sapere se sono sopravvissuta”, gli sussurrò, mentre lo abbracciava. Il contrasto fra il bianco del suo abito e il rosso cupo dei suoi capelli era incantevole.

“Ehi, Lily! Sai che una volta James è andato a farsi un volo clandestino nella Foresta Proibita ed è andato a sbattere contro un Centauro in corsa? Potrei giurare che aveva già quel manico di scopa…”

“Non è assolutamente vero, non ascoltare questo folle millantatore! Me la pagherai, Sirius!” intervenne James, già volteggiante per aria. Passò a fianco a Lily e la trascinò sulla scopa senza lasciarle il tempo di replicare.

“Arrivederci, messeri! Ci vedremo domani sera alla riunione dell’Ordine, se sarò ancora integro”.

“James, piantala di fare il buffone!”

“Sì, amore”.

“Lily, lanciaci i fiori!”

Il bouquet colpì in testa Fabian e venne prontamente afferrato da Gideon prima che toccasse terra.

“Ehi, fratellino, dammelo, l’ho toccato prima io!”

“Conta chi lo prende per primo, spiacente, Fabian”.

“Questo si chiama giocare sporco!”

“Ma andiamo, che te ne faresti di questo? Non c’è nessuna donna sana di mente che aspirerebbe a sposarti!”

“Sappi che se volevi offendere la mia bellezza hai insultato anche te stesso!”

Nel mentre, Lily e James si erano alzati in volo nel cielo in cui ormai splendeva il precoce tramonto delle giornate d’inverno. Remus non si accorse di essere rimasto fermo a fissare Sirius che si sbracciava, rideva e salutava per almeno cinque buoni minuti. Pensò che James ci aveva visto giusto a sceglierlo come testimone: Sirius si lamentava tanto del suo odio recondito per formalità e cerimoniali, ma in realtà, inconsciamente, vi si trovava a suo agio. Forse, paradossalmente, la cosa era dovuta proprio alla sua educazione infantile, che lui tanto detestava. Eppure non ci si può liberare facilmente da certi marchi, pensò Remus, sfiorandosi distrattamente la spalla sinistra nel punto in cui era stato morso da piccolo. Sirius risaltava inevitabilmente fra tutti loro, con quel suo impeccabile abito blu scuro, quel taglio di capelli fresco e quella risata contagiosa, onnipresente, ma per nulla sciocca o eccessiva. Non aveva tentennato un solo secondo, anzi, era stato lui ad allungare un silenzioso spintone a James perché tirasse su la schiena mentre camminava verso Lily, completamente irrigidito dalla tensione. Era stato l’anima della festa, aveva versato da bere e riserbato sguardi ammiccanti a chiunque. Ma Remus sapeva già che non gliel’avrebbe fatto notare; testardo com’era, Padfoot non avrebbe mai ammesso che qualcosa di positivo in lui potesse essere derivato da quella famiglia che tanto detestava. Non solo, probabilmente avrebbe anche finito per prendersela con lui per aver fatto quella stupida insinuazione. E avrebbero bisticciato, tanto per cambiare. Era meglio starsene zitti.

Senza che quasi se ne accorgesse, si ritrovò a guardarlo negli occhi: Sirius si era voltato impercettibilmente verso di lui, distogliendo lo sguardo dalla scopa volante che si allontanava. Non si preoccupava minimamente di metterlo in imbarazzo, fissandolo in modo così diretto ed intenso; Remus si sentì come inchiodato a terra da quello sguardo, incapace di sostenerlo.

“Beh, credo che andrò a casa, ragazzi”, disse loro Peter, con aria mesta. Remus capì che non era dell’umore migliore e gli dispiacque. Le cose non erano semplici per nessuno di loro, in quel momento.

“Non fare quel muso lungo, Pete”, lo apostrofò Sirius, raccogliendo un po’ di neve da terra e tirandogliela addosso.

“Dai, Padfoot, è l’unico vestito bello che ho!” protestò lui, fregandosi energicamente il punto in cui la palla di neve l’aveva colpito.

“È solo acqua, Wormtail… che ti prende?”

“Nulla, nulla… sono solo stanco, scusatemi. Me ne vado a casa”.

“Come vuoi, ci vediamo domani sera”.

Remus sospirò, accigliato. Si domandò se Peter non avesse ragione ad essere così depresso. In fondo, fin da quando la loro storia di guai e scorribande a scuola aveva avuto inizio, James era sempre stato il collante del gruppo; senza di lui, probabilmente, i Malandrini non sarebbero mai esistiti. Era lui che era riuscito ad unire fra loro persone così eterogenee, in virtù del suo buon cuore, della sua totale assenza di pregiudizi, del suo spirito di iniziativa e del suo senso di giustizia. Era lui che li aveva trascinati ad entrare nell’Ordine. Senza James, lui e Sirius avrebbero probabilmente litigato un’infinità di volte, passando più giorni a non rivolgersi la parola piuttosto che a conversare piacevolmente. Senza James, il piccolo Peter non avrebbe probabilmente mai trovato la forza di imbarcarsi in un’operazione così difficile come il diventare un Animagus, lui che fin dall’inizio si era convinto fermamente di essere una frana in Trasfigurazione.

Ma senza James, ora, sarebbe bastato quello che si era costruito negli anni di scuola?

Ora che non c’erano più motivi per continuare a restare lì, tutti presero a salutarsi e a prendere congedo per tornare verso casa. Hagrid aveva ancora gli occhi lucidi. Remus si strinse nelle spalle per celare un brivido e accennò un saluto. Lo attendeva un lungo e freddoloso viaggio verso casa ed era meglio per lui non perdere altro tempo.

Ma mentre si stava incamminando, si sentì strattonare per una manica. Si voltò e si trovò davanti Sirius, che lo fissava con un sorriso storto dipinto in viso, le palpebre pesanti e l’odore di alcol che gli aleggiava sulle labbra. Si domandò come fosse possibile che la sua figura risultasse superbamente dignitosa anche in quello stato; ne dedusse che doveva essere una questione di geni di famiglia.

“Fermati da me stasera”, gli disse in un soffio, con la più grande sfacciataggine del mondo. Remus, in tutta risposta, si limitò a fissarlo con aria perplessa.

“E dai, farai tardissimo a viaggiare con la scopa, guarda che ore sono. E potrebbe riprendere a nevicare da un momento all’altro. E non hai soldi per il Nottetempo. Non essere ridicolo, su”.

Il licantropo sospirò, rassegnato. Sapeva che non era per quel motivo che glielo stava chiedendo. La vera ragione era che James si era sposato, era andato a vivere con Lily e Sirius, in quel momento, non voleva sentire il vuoto che il suo migliore amico aveva inevitabilmente lasciato al suo fianco. Esigeva un rimpiazzo e lui era sicuramente il più gentile e il più disponibile. Quello che faceva poche domande, preferendo non impicciarsi. Quello che non voleva nulla in cambio. Ma aveva ragione, suo malgrado. Si era fatto buio, ma le nuvole incombevano ancora nel cielo di Londra. E non aveva in tasca che pochi Zellini, come al solito.

“Non protestare se mi alzo prima di mezzogiorno”, rispose, e Sirius esibì un sorriso trionfante. Poi gli cedettero le ginocchia e solo in quel momento Remus si accorse di quanto fosse ubriaco.  Non poté sottrarsi quando gli si appoggiò sulla spalla a peso morto, bofonchiando parole senza senso.

Scosse la testa e si Smaterializzò, trascinandolo con sé, fino al cancello di casa sua.

“Remus”.
“Hm?”

“Fa freddo”, bofonchiò Sirius, con la voce impastata, mentre Remus si sforzava di aprire la porta di casa e contemporaneamente sorreggere quella zucca vuota.

“È inverno, Sirius”, gli rispose, pacatamente, anche se sapeva che era inutile usare la logica con un giovane mago sbronzo.

“No, non fuori… fa freddo qui”, replicò Sirius, e puntò un indice diritto al cuore di Remus. Il licantropo lo fissò con aria interrogativa, non riuscendo a capire dove volesse arrivare.

“Sei freddo con me. È una cosa che non sopporto. Potresti smetterla, per piacere?”

“Va bene, la smetterò”, lo assecondò Remus, convenendo fra sé e sé che non era il caso di perdere tempo con quei deliri. Il mattino dopo, probabilmente, Sirius si sarebbe scordato di tutto. Forse aveva ragione, ma da quando perdeva tempo con qualcosa che non riguardasse James?

“Non ce la faccio a levarmi questo dannato vestito”, lo udì lamentarsi poco dopo, quando erano entrati e l’aveva depositato in camera sua, per poi fermarsi un momento in bagno a sciacquarsi il viso. Sospirò, si asciugò le mani e tornò nella stanza di Sirius. Lo trovò seduto sul letto, completamente ingarbugliato: non si era tolto le scarpe e quindi il pantalone vi si era abilmente intrappolato, dopodiché, probabilmente, aveva tentato di rimuovere la parte superiore, ottenendo di rimanere incastrato con la testa.

Remus non riuscì a trattenersi e scoppiò sonoramente a ridere.

“Non è divertente!” protestò Sirius, piccato. Gli si avvicinò e gli liberò la testa, poi si occupò del resto. Si disse che James avrebbe riso di lui e l’avrebbe chiamato mamma.

Improvvisamente, Remus smise di aiutare Sirius e si fermò a pensare. Era sempre stato così, anche quando erano ancora a scuola. Ad esempio quella volta che, a una partita di Quidditch di Grifondoro, si era levato un vento freddo e improvviso e Sirius aveva scordato il mantello in dormitorio, perciò, sentendolo tremare, gliene aveva gettato sulle spalle un lembo del suo. O quella volta che si era preso un pugno sul naso da un Serpeverde per impedire che colpissero lui. O ancora quando gli aveva suggerito la risposta durante Storia della Magia quell’unica, assurda ed indimenticabile volta in cui il professor Rüf aveva deciso di interrompere il suo noioso monologo per fare una domanda. Aveva sempre provato l’impulso di prendersi cura di Sirius, nonostante fosse ormai adulto e perfettamente in grado di cavarsela da solo, e non capiva assolutamente cosa fosse a spingerlo in tale direzione.

Forse, stupidamente, in fondo ci teneva ad essere lui a colmare quel vuoto lasciato da James.

 

 

So walk with me

On this new spring morning,

I'll walk you 'till your fears are none.

I'm a new baby weeping,

I'm the flower you're keeping

That without love will wilt and die.

I need your life in my life.

 

(Noah And The Whale, I Have Nothing)

 

 

 

Nota di fine capitolo: torno dopo tanto tempo ad aggiornare questa storia perché, nel caso in cui a qualcuno importasse, ho voluto prima cercare una soluzione adatta a risolvere un enorme grattacapo che la trama della fanfiction mi aveva sollevato nel corso della sua pianificazione. Non volevo commettere errori, perciò ho speso tutto questo tempo a documentarmi, formulare ipotesi, cancellare e ri-pianificare (un vero macello, insomma). Ora sono arrivata ad una conclusione, perciò mi sento libera di continuare senza crucci.

Altre piccole annotazioni:

-          - Non so se sia canon l’uso del termine “macchina fotomagica”; l’ho trovato in uso in una fra le mie fanfiction preferite (si chiama Destinati a diventare fantasmi) e ho deciso di prenderlo in prestito perché suonava decisamente bene, la trovo un “espressione da JKR”.

-          - Per l’idea della fotografia del matrimonio con la sposa che punta il coltello alla gola dello sposo, si ringraziano i miei genitori, che possiedono una foto identica nel loro album del matrimonio e da cui ho preso spunto.

-          - Quella su Peter resta una mia personalissima ed opinabile teoria, però ho voluto provare ad ideare una sorta di spiegazione per il suo tradimento ai danni di quelli che,  in ogni caso, erano i suoi migliori amici – in particolare James, che adorava e venerava. Escluderei che sia tutto imputabile alla vigliaccheria; Peter non solo è stato Smistato a Grifondoro, ma, nel portare avanti il suo tradimento, possiamo intuire che non si comporta da persona spaventata e messa alle strette, dato che riesce ad ingannare così bene tutti, da Silente a Sirius a James. Ergo ho supposto che, nel momento in cui Voldemort gli offre la possibilità di risparmiarlo in cambio del tradimento dei Potter, ci sia qualcos’altro, oltre la paura di morire, che spinge Peter a dire di sì. Sappiamo che gli è sempre piaciuto essere circondato e protetto da ‘amici potenti’, ma come mai tutt’a un tratto James e gli altri non gli vanno più bene? Così ho pensato che potesse esserci un motivo che spinge Peter ad allontanarsi dagli altri Malandrini, come ad esempio il vedersi preferire Sirius in tutto (scelto come testimone, come padrino di Harry eccetera) da parte della persona che gli stava più a cuore, ovvero James. Comunque, il tutto verrà approfondito in un futuro capitolo su Peter (sì, grande sforzo da parte mia visto l’odio per il personaggio, ma non dargli spazio non sarebbe corretto per la storia che ho in mente).


 

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Capitolo 6
*** È così facile capirlo (Sirius Black, Remus Lupin) ***


Capitolo 5 – È così facile capirlo

 

 

Si chiama entropia; è come quando esce il dentifricio dal tubo e non può più rientrare dentro.

(Woody Allen, Whatever works)



 Dicembre 1979

Sirius Black si appoggiò con la schiena alla porta chiusa, il bel viso nascosto fra le mani a celare una smorfia di disperazione completa.

Nella sua testa, i pensieri vorticavano tanto velocemente da far male.

Era finito in un enorme, gigantesco, stratosferico casino. Anzi, ci si era gettato di propria iniziativa senza riflettere a sufficienza, come gli era successo tante altre volte. Ma questo pasticcio era infinitamente più compromettente, disastroso e senza via d’uscita di tutti gli altri in cui si fosse mai cacciato in vita sua.

Sbatté violentemente un pugno contro la porta, nel tentativo di incanalare all’esterno almeno una piccola parte della rabbia e della frustrazione che stava provando in quel momento. Ma non servì a nulla. Aveva rovinato tutto, e non c’era nessuna soluzione possibile.

Continuava a chiedersi come diavolo gli fosse saltato in mente di fare una cosa del genere. Lui non era così, non era uno di quelli. Non gli piacevano gli uomini. Certo, le ragazze non l’avevano mai particolarmente divertito. Era perfettamente consapevole del fascino che aveva da sempre esercitato sulla popolazione femminile di Hogwarts fin da quando non era altro che un ragazzino imberbe, ma non aveva approfittato che di un centesimo delle possibilità che questa sua popolarità gli offriva. Aveva provato il sesso come ogni ragazzo della sua età desiderava fare, ma poi finiva lì; quelle piagnucolone con miliardi di sbalzi umorali non facevano per lui. Troppo complicate. Quello che Sirius amava erano i rapporti diretti, alla mano, senza filtri. Quello che amava era stare con i suoi amici, i Malandrini, con cui aveva costruito esattamente quel tipo di relazione che era in grado di dargli le massime soddisfazioni. Era molto più spassoso andare a tirare una Caccabomba nel campo di Quidditch durante gli allenamenti della squadra di Serpeverde piuttosto che sprecare il suo tempo a cercare di capire cos’avesse detto che non andava per far infuriare a morte una donna. Perciò, al contrario di James che non aveva mai desiderato altro che riuscire a farsi notare da Lily, non aveva mai sprecato tempo alla ricerca di una relazione stabile. Ma questo non significava che gli piacessero gli uomini. Quando aveva voglia, schioccava le dita e aveva subito una ragazzina sognante pronta a soddisfarlo. Poi finiva lì. C’era una bella differenza tra questo e dire che gli piacessero gli uomini.

Strinse violentemente i pugni lungo e fianchi e digrignò i denti, come per ringhiare contro uno scocciatore invisibile. Non riusciva a capire che diavolo gli aveva preso. Doveva darsi una calmata, immediatamente; tutta quella tensione era insopportabile.

Afferrò una delle sedie che si trovavano intorno al tavolo della cucina e vi si accomodò sopra, prendendo a dondolarsi sulle gambe posteriori. Si inclinava avanti e indietro, fissando il vuoto, e intanto rifletteva. Era sempre stato il suo modo per schiarirsi le idee, anche se non di rado i suoi amici lo avevano preso per pazzo, quando lo vedevano entrare in quella specie di trance. Era capitato spesso che le comode ed ambite poltrone della sala comune venissero perentoriamente segregate ogni qualvolta lui ne avesse bisogno. Nel momento in cui eri il primogenito dei Black, farsi obbedire dagli appartenenti al mondo magico non era per nulla difficile; il suo era comunque un nome temuto, verso il quale si facevano ancora tante riverenze. Perfino a lui, che era stato diseredato ed eliminato, con un’antiestetica bruciatura, dal lussuoso arazzo sul quale erano intessuti i nomi dei suoi parenti più o meno remoti. Ora aveva un’altra cosa in comune con Andromeda, oltre al fatto di essere un ribelle come lei. Aveva sempre adorato la cugina. Probabilmente senza di lei ora sarebbe stato mentalmente soggiogato dal pensiero della razza pura che i suoi genitori bramavano tanto di inculcargli. Se lo avessero visto poco fa, però, probabilmente si sarebbero suicidati per la disperazione. Non solo il loro primogenito, che avrebbe dovuto rappresentare l’orgoglio del casato, li aveva rinnegati facendosi Smistare a Grifondoro, infangando il loro nome e facendo comunella con un Babbanofilo Potter, ma ora aveva persino osato sfidare i naturali costumi sessuali gettandosi in atteggiamenti riprovevoli con un Mezzosangue Lupo Mannaro.

Magari gli sarebbe direttamente venuto un colpo apoplettico e me ne sarei liberato una volta per tutte, pensò, con un ghigno.

Ma stava divagando da quello che avrebbe dovuto essere l’oggetto principale delle sue elucubrazioni. Si disse che doveva ricercare una causa ben precisa per quel suo comportamento, perché di sicuro non poteva essere che gli piacessero gli uomini. Lui era un Black, che diamine. Non una femminuccia.

Era stato Remus. Era tutta colpa di Remus. L’aveva fatto perché lui non accennava a capire, nonostante tutti i tentativi che aveva fatto di comunicare con lui, di cercare un modo per scusarsi che non comprendesse l’opzione di umiliarsi nuovamente di fronte a lui in maniera così plateale come gli era toccato fare quando quella maledetta cosa era appena successa. Si era sforzato di trovare mille modi per fargli intendere che voleva far tornare le cose fra loro come erano prima di quello scherzo, ma Remus non ci era mai arrivato, dannazione. Aveva sempre fatto finta di niente, consapevolmente o meno. Non accennava a volerlo perdonare una volta per tutte. Infieriva ancora con quel suo occasionale e sottile sarcasmo, che Sirius non riusciva più a sopportare. Aveva fatto di tutto per riuscire a dirglielo in modo diretto, ma non ci era mai riuscito. Quando capitava l’occasione, finiva sempre per sentirsi uno stupido.

Poi la sera prima, anche se non si ricordava bene come, doveva aver invitato Remus a fermarsi da lui per la notte. Fin da quando aveva acquistato la casa, quell’idiota non aveva mai approfittato della sua offerta, palesata mesi prima, di usufruire all’occorrenza della stanza per gli ospiti di cui Sirius disponeva. Preferiva tornare a casa da suo padre, che probabilmente si sentiva solo. Beh, se era così, si sentiva solo da una vita, e ci si era molto probabilmente abituato alla perfezione. Perché la madre di Remus era morta quando loro facevano il quarto anno a Hogwarts, e lui di sicuro non aveva potuto mollare gli studi per stare con il padre. Oltretutto, per quanto Sirius sapesse che fosse cattivo pensarla così, il padre sembrava aver quasi paura di Remus, per via della sua natura. Era apparso molto contento, quasi sollevato, quelle volte che Sirius, Peter e James erano venuti a prendere Remus durante le vacanze estive per portarlo a trascorrere la notte della trasformazione da un’altra parte. Non sapeva che fossero Animagi, ma non aveva mai fatto loro domande. Evidentemente, riteneva per lui che fosse molto meglio così. Del resto, era un figlio di Babbani, e su quelle cose i figli di Babbani cascavano sempre come pere cotte; solo a un incosciente sarebbe saltato in mente di andare a prendersela con Fenrir Greyback, che era noto anche alla sua famiglia per la ferocia con cui si scagliava alla ricerca di giovani vittime da mordere. Ma per fortuna c’erano loro ad aiutare Remus e a stargli vicini.

Comunque, per farla breve, la scusa di dover stare vicino a suo padre non reggeva. Era vecchio, va bene, e i figli di Babbani non vivono tanto quanto i maghi Purosangue, ma se qualche volta Remus fosse rimasto a dormire da lui anziché mettersi in viaggio sulla scopa all’alba per tornare fino nel Sussex non avrebbe fatto del male a nessuno. La sera scorsa, poi, sarebbe stato da pazzi mettersi in viaggio con la neve. Solo quell’incosciente di James poteva rischiare tanto, ma la nuova casa sua e di Lily era a pochi passi da dove si erano sposati.

Tuttavia Remus, con quel suo odioso distacco e quella sua ironica dialettica, pretendeva di essere credibile propinandogli quella panzana.

Ridicolo. Sirius non ci era mai cascato. Non aveva insistito, comunque, fino alla sera prima. Gli si era presentata davanti la possibilità di controbattere ai suoi rifiuti con argomentazioni inoppugnabili, di fronte alle quali nemmeno quel precisino aveva potuto opporsi efficacemente. Poi però ricordava solo di non essere più riuscito a reggersi bene sulle gambe, di aver avvertito uno strappo a livello dell’ombelico e di essere stato catapultato fino al cancello di casa. A quel punto, probabilmente, gli era venuto da vomitare.

Perché ovviamente Remus non l’aveva avvertito prima di Smaterializzarsi, così lui non aveva potuto prepararsi psicologicamente all’idea. Davvero carino da parte sua.

Ma stava divagando ancora, doveva concentrarsi sulle cose importanti.

Per farla breve, quando si era svegliato quella mattina, tutta l’euforia alcolica gli aveva lasciato soltanto un gran cerchio alla testa. Stranamente, però, si era ritrovato con le coperte addosso e non, come al solito, gettate impietosamente a terra lasciandolo a patire il freddo. Evidentemente l’ubriacatura gli aveva concesso un sonno profondo come un sasso, tanto che non si era agitato e rigirato in continuazione, come sempre gli succedeva durante la notte. Aveva assaporato il calore della coperta di lana per un tempo smisuratamente lungo prima di decidersi ad alzarsi; nel momento in cui, però, aveva drizzato le orecchie e udito dei rumori sospetti provenienti dalla cucina, non ci aveva messo molto ad afferrare la bacchetta e a dirigersi di soppiatto verso la stanza in cui si trovava il presunto intruso. Per poi scoprire che si trattava semplicemente di Remus che aveva preparato la colazione.

Si tuffò nel ricordo, ormai totalmente assorbito da quel compito vitale che consisteva nel ricercare l’esatto istante in cui tutto aveva avuto inizio.

 

*

“Non c’era bisogno che ti dessi così tanto da fare”, gracchiò Sirius, con voce roca. Remus corrugò la fronte, senza staccare gli occhi dalle tazze di caffè che stava posando con attenzione sul vassoio.

“Avevo fame”, ribatté, semplicemente. Lui scoppiò a ridere, divertito, gettando la testa all’indietro.

“Per una volta hai fatto una cosa sensata, allora”, gli disse, afferrando una fetta di pane tostato e divorandola in due bocconi.

“Che vuoi dire?” gli domandò il licantropo.

“Beh”, cominciò Sirius, con la bocca ancora piena, “se non sbaglio, ti ho detto di fare come se fossi a casa tua”.

“Oh, sì, può darsi che tu abbia bofonchiato qualcosa del genere ieri sera, prima di cadere a peso morto sul materasso senza nemmeno infilarti sotto le coperte”.

“Ma… ma allora come… mi ci hai messo tu…?”

“Già, non avevo nessuna voglia di sorbirmi le tue lamentele appena alzato perché ti avevo lasciato a dormire con le chiappe al gelo”.

Sirius lo osservò con perplessità, stringendo la bocca. Perché gli piaceva tanto rigirare i punti di vista, al punto da far sembrare faccende prive di importanza dei veri e propri gesti di gentilezza? Era stato carino, da parte sua, metterlo sotto le coperte. Avrebbe potuto lasciare che si arrangiasse. Figurarsi cosa gliene importava, al signor Remus John Lupin, di sorbirsi per l’ennesima volta delle recriminazioni da parte sua. Sirius aveva sempre adorato avere qualcosa da ridire con lui. S’inventava qualsiasi facezia pur di riuscirci. Perché Remus non si arrabbiava quasi mai e, quando lui riusciva in quell’intento, ne traeva un’autentica ed impagabile soddisfazione. Molta più di quanta ne provava quando rispondeva correttamente ad una domanda della McGranitt pur essendo stato colto in un momento di totale disattenzione.

Eppure, nonostante questa sua sadica tendenza, Remus era comunque suo amico. Più o meno.

Mangiarono in silenzio totale per qualche minuto. Gli aveva perfino fatto i pancakes. Ci versò sopra un quintale di marmellata, pensando che forse, dopotutto, Moony non lo odiava poi così tanto. Forse gli era passata, finalmente. Forse era stata solo una sua impressione che ce l’avesse ancora con lui.

“Beh, come hai potuto vedere qui non è poi tanto male”, gli disse, cercando di instaurare un dialogo pacifico. Remus, in tutta risposta, inarcò un sopracciglio.

“Già, soprattutto dopo che mi hai praticamente costretto a fermarmi”, commentò. Sirius ritirò mentalmente le dichiarazioni formulate finora: che ci fosse ancora dell’astio era evidente.

“Dato lo scarso entusiasmo con cui hai accolto questa costrizione, perché ti sei impegnato tanto? Avresti potuto tranquillamente lasciarmi sulla porta di casa e andartene, tanto non me lo sarei ricordato”.

Lo osservò impallidire leggermente – già, Remus non arrossiva come tutti i comuni mortali, al contrario: tendeva ad assumere un colorito ancor più cadaverico se messo in imbarazzo – ed esultò mentalmente, convinto di aver avuto la prova che aveva colto nel segno. Anche se non capiva come diavolo potesse odiarlo e al tempo stesso preoccuparsi di lui.

“Non ti scaldare tanto, lo faccio solo perché non voglio avere sulla coscienza la tua sindrome dell’abbandono ora che James si è sposato ed è andato a vivere con Lily”.

Ma che accidenti stava dicendo?!

Era vero, lui e James erano sempre stati estremamente uniti, avevano perfino vissuto insieme per due estati. Ma Sirius aveva ormai metabolizzato la presenza di Lily ed imparato ad accettarla. Tanto, sapeva che poteva Smaterializzarsi in ogni momento a casa loro, se ne avesse avuto voglia. Non abitavano così lontano. E avevano ancora gli specchi, il che equivaleva alla possibilità di comunicare in ogni momento. Quale astruso processo mentale aveva fatto partorire quel pensiero alla mente contorta di Remus?

“Piantala con le tue teorie psicanalitiche campate in aria”, tagliò corto, deciso a non dargli corda. Non era particolarmente in vena di discutere. Il modo in cui lo trattava era assolutamente incoerente e privo di ogni logica; se davvero non aveva intenzione di perdonarlo per quello scherzo, perché non l’aveva lasciato perdere fin da subito? Bastava dirgli con chiarezza, fin dal momento in cui aveva saputo di aver quasi ucciso Piton: Sirius Black, sei un idiota senza cervello e io non voglio avere più nulla a che fare con te. Dove stava il divertimento nell’aver scelto di prolungare la sua agonia? Evidentemente, Remus era sadico tanto quanto lui.

“Va bene, vedo che ti sei alzato con il piede sbagliato”.

Sirius lo osservò alzarsi ed uscire dalla cucina in perfetto silenzio, mantenendo il volto contratto nella sua miglior espressione imbronciata. Aveva davvero della faccia tosta ad accusarlo in quel modo di cose inverosimili. Era terribilmente frustrante. Tutto l’impegno che stava incanalando nei confronti di Remus non solo veniva da lui ignorato, ma perfino travisato. Per una volta che James non c’entrava nulla, ecco che lui doveva intervenire a tirarlo in ballo. Per Merlino, cosa diavolo era? Un complesso d’inferiorità?

“E dai, non andartene via subito”, brontolò, vedendolo afferrare il mantello logoro dall’attaccapanni. Remus inarcò un sopracciglio, con aria scettica.

“La sbornia ti è passata, questa notte saprai metterti il pigiama senza bisogno che ci sia io a supportarti fisicamente”, ribatté, e a Sirius toccò chiedersi che diavolo stesse dicendo.

“Oh. Non te lo ricordi?” sghignazzò infatti Remus. Lo osservò ridere di gusto, non sapendo se unirsi a lui o se doversi vergognare.

“Andiamo, com’è possibile che non riuscissi nemmeno a spogliarmi per mettermi a letto?” gli chiese, incapace di resistere alla curiosità. Remus rise ancora di più.

“Beh, stavi cercando di farlo, ma sei rimasto più o meno incastrato nei vestiti e non sapevi più come uscirne…”

“Ah ah, molto divertente”, bofonchiò Sirius, guardandolo storto. Remus rideva davvero di rado, pensò. Forse avrebbe dovuto andare fiero di essere la causa di tanta straordinaria ilarità.

“In ogni caso”, riprese, dopo essersi ricomposto, “non voglio darti altro disturbo, perciò…”

“Oh, e piantala!”

Sirius si alzò in piedi e andò dritto verso di lui, con un impeto che non sapeva da dove gli sorgesse.

“Non mi dai alcun disturbo. Smettila di dire sciocchezze”, gli ordinò, togliendogli il mantello dalle mani con un gesto secco.

Per qualche secondo si squadrarono in completo silenzio, le fronti corrugate e le labbra serrate, gli occhi grigi e ardenti di Sirius fissi in quelli chiari di Remus.

“Qual è il problema, Sirius?” gli chiese Remus, in tutta calma, come se davvero non capisse cosa c’era che non andava, quando l’unica causa del problema, in tutto questo, era soltanto lui. Lui che non voleva perdonarlo, che si ostinava a trattarlo in quel modo. Sirius sospirò, esasperato, allargò le braccia e scosse la testa. Non voleva crederci, per lui era troppo da sopportare.  Perché doveva farla così difficile, cosa voleva di più da lui?

Forse era soltanto per via di quello stupido complesso nei confronti di James, forse doveva solo dimostrargli che teneva anche a lui, che non gli importava solo di James o di se stesso. Forse

“Che diamine, è così facile capirlo”, disse, parlando tra sé, come se Remus non ci fosse.

“Che cosa?”  domandò lui.

Beh, ma era chiaro… dato che gli aveva giocato quello scherzo, Moony aveva cominciato a pensare che non tenesse abbastanza alla loro amicizia. Ma non era vero, anzi, era tutto l’opposto! Per Merlino…

“Sirius, ne ho un po’ abbastanza di questi tuoi criptici modi di fare, perciò, se non hai intenzione di dirmi di che si tratta, lasciami andare a casa”, si sentì dire, con una vena di impazienza che lo fece irritare di colpo.

Il secondo dopo, Sirius assecondò un impulso che non capì assolutamente da dove gli nacque.

Si avvicinò pericolosamente a Remus e gli prese il viso tra le mani, per poi premere le labbra violentemente contro le sue. Il cuore gli balzò nel petto. Ecco, era questo che avrebbe dovuto fare già da tempo. Perché non capiva, perché? Approfondì il bacio, insinuando la lingua nella sua bocca attonita. Lo sentiva immobile, inerte, incapace di reagire. Voleva solo dimostrarglielo, dimostrargli che lui ci teneva. Che per lui era importante. Che lo voleva nella sua vita. Che lo voleva…

Stava succedendo qualcosa di strano.

Remus aveva dischiuso le labbra, più di quanto non gli consentisse prima la sua espressione sbigottita. E lui lo stava ancora baciando. Perché? Perché sentiva così voglia di farlo? Era bravo a baciare, lo sapeva. Tante ragazze gliel’avevano detto. Glielo stava dimostrando, che era bravo. E ora Remus rispondeva, muoveva la lingua contro la sua, anche se il resto del suo corpo era come pietrificato… forse quello era un segnale… forse stava iniziando a capire cosa voleva dirgli. Forse voleva dirgli che per lui era lo stesso – lo stesso cosa? E perché ora si sentiva incredibilmente eccitato? Cosa diavolo gli stava succedendo?

Non voleva smettere. Godric solo sapeva che non voleva smettere.

Se quello era l’unico modo…

Ma non era per quello. Era così… disperato.

Lo voleva così tanto.

Lo spinse contro la porta e gli aprì la camicia, con violenza.

Remus fece per tirarsi indietro, ma non poteva andare da nessuna parte.

Gli infilò una mano tra i capelli, tirò e strinse e accarezzò.

L’erezione era quasi dolorosa, probabilmente non aveva più sangue alla testa dato che non capiva più un accidenti. Doveva sfogarsi, doveva…

Ma quando Remus allungò una mano a sfiorargli il fianco si spaventò.

Balzò indietro, di colpo. Lo vide ritrarre subito la mano, lo sguardo fisso a terra.

In quel preciso istante, Sirius Black provò la più grande sensazione di vergogna di tutta la sua vita.

Le gambe presero a tremargli visibilmente, in preda ad un’agitazione convulsa.

Mancava poco che non respirasse più.

Fu Remus ad espirare rumorosamente al suo posto. Come se avesse trattenuto il fiato per tutto il tempo. Sirius alzò gli occhi su di lui, lentamente, e rimase a fissarlo stringendo le mani sulle gambe, nel vano tentativo di far cessare quel tremolio assurdo.

Remus lo guardava come se stesse osservando una specie di alieno, con gli occhi sgranati e colmi di stupore, e Sirius si sentì pervadere da un moto di rabbia. Non aveva fatto tutto da solo, non era giusto fissarlo con quegli occhi, come a volergli dare tutta la colpa. Lui… lui non sapeva più cosa fare. Quello era l’unico balzano modo in cui gli era saltato in testa di poter provare ad aggiustare le cose. Ma era stata una sensazione devastante. Remus aveva smesso di essere il suo amico di sempre, in quel momento. Non era quello che aveva provato, no, non amicizia. Era stato qualcosa di completamente diverso. Non era preparato ad una sensazione del genere, non era preparato al modo in cui il suo corpo aveva reagito. Come diavolo gli era saltato in mente?

 “Forse è meglio che me ne vada”.

Sentì un colpo al cuore. Non si aspettava di sentirsi dire questo. Fuggire di fronte alle difficoltà… una reazione da vero Grifondoro. Complimenti, Remus John Lupin.

Sollevò su di lui uno sguardo colmo d’ira e di risentimento, come se volesse incenerirlo sul posto.

“Sì, forse è meglio”, scandì, con voce tagliente. Solo qualche secondo dopo si accorse di avere ancora stretto in mano il mantello di Remus. Glielo porse con un gesto secco, trovando ancora più irritante il modo in cui se ne stava lì in silenzio, ad aspettare che lui se ne rendesse conto. Per Merlino, non era stata solo volontà sua. Avrebbe potuto scansarlo, respingerlo, fermarlo. Ma no, non l’aveva fatto. Remus aveva risposto. Se n’era accorto, eccome se se n’era accorto. E ora lo lasciava lì così, senza una sola parola di spiegazione?

“Ciao, Sirius”, lo salutò, inforcando la porta. Si sentì esplodere dalla rabbia e richiuse l’uscio con un colpo violento, assicurandosi che si avvertisse la forza bruta che aveva volutamente messo in quel gesto. Poi appoggiò la schiena allo stipite, coprendosi il volto con le mani. Mezzora dopo era ancora lì, nella stessa posizione.

 

*

Remus vagò a lungo per le strade di Londra, quella mattina, senza una meta precisa. Sentiva soltanto l’impellente bisogno di sfogare, in una qualche maniera, la tensione e la frustrazione che gli attanagliavano le viscere.

All’inizio, desiderò ardentemente poter dimenticare ogni singolo istante di quanto era successo a casa di Sirius. Sarebbe stato meglio per tutti, cancellare l’imbarazzo, la vergogna e l’umiliazione con un colpo di spugna. Sia lui che Sirius avrebbero tirato un sospiro di sollievo, ne era certo. E non ci sarebbe stato alcun bisogno di fingere che tutto andasse bene davanti a Peter o James, per fare in modo che non capissero quello che era successo.

Soprattutto, lui e Sirius avrebbero potuto continuare ad essere amici.

Perché, dopo quello che era successo, non era affatto sicuro che ci fossero le condizioni per proseguire in tal senso.

Ma dimenticare non era possibile. Che cosa potevano fare? Smettere di vedersi? Inutile anche solo tentare. Gli impegni con l’Ordine li avrebbero comunque portati ad incrociarsi spesso. Senza contare che gli altri avrebbero cominciato a fare domande e questa, ne era certo, era la cosa che meno di tutte lui e Sirius desideravano.

Era una faccenda che riguardava esclusivamente loro due.

E poi, che facce avrebbero fatto James e Peter se mai l’avessero raccontato loro? Probabilmente Peter sarebbe svenuto e a James sarebbero usciti gli occhi fuori dalle orbite. Potevano essere le persone dalle più larghe vedute di questo mondo, ma si trattava di due loro intimi amici che, a dispetto di ogni loro aspettativa, si erano messi a pomiciare come adolescenti in calore. Nessuno dei due avrebbe potuto prendere la notizia con serenità e nonchalance, questo era fuori discussione.

Per cui, l’unico con cui doveva vedersela era Sirius.

Era la prima volta da quando erano diventati amici che c’era qualcosa esclusivamente tra loro, in cui James non fosse coinvolto. Era facile supporre che, questa volta, Sirius non sarebbe corso dal suo migliore amico a raccontargli tutto. Era una strana sensazione, un formicolio che gli risaliva rapido lungo la nuca e lo faceva rabbrividire di colpo, anche se era ben chiuso nel suo mantello a proteggersi dal freddo di dicembre. Quasi con orrore, Remus realizzò che gli faceva piacere che fosse così, che per una volta il primogenito Black avesse concentrato tutte le sue attenzioni esclusivamente su di lui, puntandogli addosso quegli occhi fiammeggianti e avventandosi su di lui in quella maniera.

Il cuore gli martellava ancora furiosamente nel petto. È perché sto camminando troppo veloce, si disse. Provò a rallentare il passo. Non aveva idea di dove fosse, nella maniera più assoluta. Non conosceva bene Londra e il suo senso dell’orientamento era sempre stato particolarmente scarso.

Sospirò e decise che doveva riflettere con ordine.

Prima domanda. Avrebbe potuto prevederlo?

No. Assolutamente no. Indipendentemente dal fatto che Sirius Black fosse una persona imprevedibile, quella volta aveva decisamente superato se stesso. Infatti, quando aveva chiuso improvvisamente le distanze fra loro, lui era rimasto pietrificato per diversi secondi prima di reagire. E anche nei momenti immediatamente precedenti, non aveva ricevuto segnali di alcun genere. La notte prima era andato a dormire di malavoglia, la testa affollata da mille pensieri, dopo aver infilato il pigiama all’ubriachissimo proprietario di casa. Ma che c’era di ambiguo in quello? Si erano sempre comportati così, fra loro. Bisticci e frecciatine ad ogni occasione, ma poi lui era sempre il primo a difenderlo o ad aiutarlo quando ce n’era bisogno; anzi, lo faceva con una ferocia che alle volte lo lasciava sorpreso. Lo stesso aveva sempre fatto lui, seppur in modi meno plateali. Era esattamente su quello che stava riflettendo prima di andare a dormire.

Però no, non avrebbe potuto prevederlo.

Avrebbe potuto evitarlo?

Forse, ma era con le spalle alla porta. Sirius non gli aveva lasciato molte possibilità di fuga. E lo sconcerto era stato più forte di ogni capacità motoria. Però avrebbe potuto allontanarlo da sé in ogni momento, sebbene Sirius fosse fisicamente più forte. No, di certo non poteva accusarlo di violenza.

Ora, però, veniva la domanda più importante. Perché l’aveva assecondato?

Si portò una mano alla bocca in un gesto delicato ed inconscio, che quasi lo spaventò.

Aveva sentito con chiarezza ogni cosa, eppure ora ricordava solo dettagli sfuocati e confusi. Le labbra di Sirius erano morbide come sembravano. Avrebbe voluto morderle. Gli aveva strappato la camicia e sfiorato un capezzolo – ne era certo, l’aveva fatto apposta. E tutto quello che lui aveva provato era stato piacere. Storse la bocca in una smorfia di disgusto. Era semplicemente assurdo, mai e poi mai fino a quel momento aveva pensato a Sirius in quel modo. La frequente tensione dovuta allo scontrarsi dei loro caratteri profondamente diversi, contrapposta all’affetto che comunque si era creato fra loro, era una cosa totalmente diversa. Non c’entrava nulla. Sirius era suo amico, perché era proprio così necessario rovinare tutto sentendosi attratto da lui? Possibile che non fosse capace di contaminare qualcosa di prezioso con la sua essenza di mostro?

Razionalmente si rendeva conto che la licantropia non c’entrava nulla, ma pensarlo era più forte di lui.

Era un deviato, un essere pericoloso. Doveva stare alla larga da tutti, soprattutto da Sirius.

Si rese conto che una simile prospettiva lo gettava nello sconforto più nero e totale. Si trattava dei suoi amici, dei suoi unici, veri amici. Le sole persone che l’avevano mai accettato per quello che era, i soli che non avevano avuto paura di lui, ma anzi, avevano cercato un modo per fargli compagnia nella sua animalesca solitudine del plenilunio. Reagendo in quel modo, formulando quei pensieri, Remus li aveva traditi. Non capiva da dove saltasse fuori quel genere di reazione nei confronti di Sirius, ma lui aveva sicuramente una scusa pronta per quello che aveva fatto. Probabilmente era stato un capriccio del momento, una curiosità da soddisfare o, perché no, un nuovo, divertentissimo scherzo. Uno scherzo che però, contrariamente ad ogni aspettativa e logica, a lui era piaciuto.

Non doveva mai più lasciare che quella situazione si ripetesse. Altrimenti, tutto si sarebbe rovinato irrimediabilmente. Avrebbe iniziato ad odiare Sirius perché si prendeva gioco di lui. E poi, un giorno o l’altro, James e Peter l’avrebbero scoperto. E allora sì che l’avrebbero guardato con orrore, scansato ed emarginato, come qualsiasi altra persona avrebbe già fatto al loro posto quando avevano scoperto che era un Lupo Mannaro.

Alzò lo sguardo ad osservare il cielo. Il vento era forte e le nuvole si spostavano veloci, senza che una si fermasse per aspettare l’altra, sospinte da una forza troppo grande che di sicuro non riuscivano a comprendere, né tantomeno a contrastare.

Strinse gli occhi e deglutì a vuoto, accorgendosi solo in quel momento di avere un groppo alla gola.

Non voleva rimanere solo.

*

30 Agosto 1993

 

Quella mattina, Remus aprì la porta di casa a mente del tutto lucida. Nessun vuoto di memoria quel giorno, nessuno stato confusionale gli aveva fatto sovrapporre i piani temporali. Sapeva chi aveva bussato alla porta e che cosa voleva. Sapeva che Lily e James erano morti e che Sirius li aveva traditi.

Anche se una parte di lui non riusciva ancora a crederci del tutto.

“Buongiorno, Remus”.

“Buongiorno, professore”.

Silente gli sorrise cordialmente, facendo il suo ingresso in casa di Remus. Questa volta era solo; sospirò di sollievo. Piton era sempre stato oltremodo sospettoso e di fronte alle sue imminenti dichiarazioni avrebbe probabilmente cominciato a sollevare quesiti inopportuni.

“Come va stamane? Meglio?” gli domandò il Preside.

“Oh, sì, molto meglio. Credo che la memoria sia tornata definitivamente a posto”, rispose Remus, sfoggiando un sorriso rassicurante con tutta la naturalezza possibile.

“Bene, molto bene. Allora non avrai più bisogno di questa”, disse Silente, accennando alla fiala di pozione verde smeraldo che sbucava dalla sua tasca destra. Remus annuì, sforzandosi di sembrare convincente.

“Non è il caso di preoccuparsi, signore. Credo proprio che sia stato l’effetto di una luna piena particolarmente devastante. Non ho ricordato nulla di strano o pericoloso. Mi dispiace di averla disturbata per niente”.

“Oh, non ti devi preoccupare per questo. Vedrai, con la Pozione Antilupo avrai molto sollievo. Ho chiesto al professor Piton di farti il favore di preparartela ogni mese”.

“La ringrazio, signore. Sono sicuro che la prossima sarà la notte da lupo migliore di tutta la mia vita”.

Sapeva benissimo che quella era una gigantesca, colossale bugia. Le sue nottate migliori le aveva già vissute, anni fa, quando scorrazzava libero in compagnia di tre Animagi illegali nei dintorni di Hogsmeade, per poi tornare a sdraiarsi nel buio della Stamberga Strillante e risvegliarsi con un sorriso sul volto. Quei momenti non sarebbero mai tornati, né, men che meno, sarebbero mai stati eguagliati da qualsiasi altra esperienza in cui James, Peter e Sirius non sarebbero stati presenti al suo fianco.

Ma non poteva tradirsi di fronte a Silente.

“Allora, verrai a Hogwarts, Remus?”

“Se proprio lei non ha nessun altro a disposizione, signore…”

“Te l’ho proposto perché ritengo che saresti un eccellente insegnante”.

Remus sorrise con aria nostalgica.

“Già, un passato nell’Ordine della Fenice garantisce un buon curriculum a tutti”.

“Non è solo questo”, rispose Silente, con dolcezza. Il licantropo chinò lo sguardo a terra.

“Lei mi lusinga, signore”, mormorò. La sua carriera di disoccupato era stata così interminabile che, ora, sentirsi proporre un posto di lavoro senza aver dovuto andare a cercarlo era quasi incredibile.

“Inoltre, ho ragione di pensare che ti farà piacere insegnare a Harry”, aggiunse Silente, come per sollevarlo dall’imbarazzo.

“Oh, sì, moltissimo. È bello sapere che c’è ancora una speranza promettente”.

Il Preside lo guardò attentamente negli occhi, come se volesse cogliere un fremito delle sue emozioni. Remus si sforzò di rimanere tranquillo.

“Si affezionerà a te”.

S’incupì a quelle parole. Non si aspettava una simile affermazione.

“Forse è meglio che resti all’oscuro dei miei rapporti con James. Sapere troppo potrebbe ferirlo”.

“Non è solo per quello, Remus. Harry ha un gran cuore e gli piacerai, anche se non saprà che eri amico di James”.

Il licantropo sorrise, quasi impercettibilmente.

“Le crederò, signore”.

“Bene. Viaggerai in treno?”

“Sì. Ho sempre amato quel viaggio”.

“Allora ci rivedremo dopodomani a Hogwarts”.

Silente esibì un sorriso di congedo e uscì a passi impercettibili dalla casa di Remus. Lui richiuse la porta alle sue spalle, poi sospirò e vi si appoggiò contro di schiena.

Non poteva dirlo al Preside, perché aveva la forte sensazione che la cosa non lo riguardasse. Ma la pozione di Piton non gli era servita a ricordare cos’era successo durante la notte di luna piena del 2 agosto scorso. Non soffriva più di amnesie mattutine e di stati confusionali, ma quell’intervallo di vuoto completo era rimasto: non sapeva cosa avesse fatto la mattina dopo, come e dove si fosse svegliato, come fosse tornato a casa. C’era qualcosa, qualcosa… come un chiodo che gli graffiava un angolo della mente, ma che lui non riusciva ad afferrare. Il suo ricordo era ancora perso nell’oblio e lui doveva recuperarlo da solo. Silente aveva fatto per lui tutto ciò che poteva.

Nei giorni scorsi, dopo che la pozione di Piton aveva sortito il suo effetto e lui aveva recuperato del tutto la lucidità, si era messo a sfogliare i suoi vecchi libri di scuola, alla ricerca di una risposta. Se si fosse trattato di un semplice Incantesimo di Memoria, grazie alla pozione avrebbe ricordato. Era molto efficace e un pozionista abile come Piton non avrebbe di sicuro potuto sbagliare nel prepararla. Invece, Remus non aveva ricordato un bel nulla.

Aveva divorato febbrilmente pagine su pagine, ritrovando vecchi appunti frettolosi scarabocchiati a lato di qualche paragrafo, ogni tanto messaggi con una grafia diversa – quella di James, o Sirius, che si divertivano a farlo imbestialire pasticciandogli i libri durante le ore di lezione. Si era morso le labbra e mangiato le unghie centinaia di volte, e ogni minuto il suo sguardo tornava a quel mantello appeso all’attaccapanni all’ingresso. Ora non aveva problemi a ricordare che fosse di Sirius. Avrebbe dovuto bruciarlo, gettarlo via, farlo sparire, ma il pensiero e il nome di Sirius gli risuonavano continuamente nella testa, come se volessero dirgli che era in quella direzione che doveva scavare. Dopo qualche giorno, aveva ritrovato il capitolo sugli Incantesimi di Memoria. Quello classico era spiegato molto bene, fin nei minimi dettagli, ma non era ciò che gli serviva. Alla fine del capitolo, c’era solo un breve paragrafo che accennava ad un altro tipo di incantesimo: uno che serviva non a modificare la memoria, ma a cancellare. Il testo recitava così: questo incantesimo permette di cancellare dalla mente della persona oggetto dell’incantesimo il ricordo di uno o più episodi, purché collegati da uno stesso filo conduttore. Ma non specificava nulla di più. Per ulteriori approfondimenti, consultare un testo di magia più avanzata. Probabilmente era di difficile esecuzione, poco conosciuto o praticato. Dato che la memoria non veniva modificata ma cancellata, era probabile che fosse per quel motivo che Remus non aveva alcuna reminescenza di quel determinato intervallo di tempo. Ma perché quella sensazione martellante che c’entrasse Sirius, soprattutto ora che era evaso da Azkaban? Si disse che forse era stato incosciente ad aver mentito a Silente. Forse Sirius, in qualche maniera a lui ignota, l’aveva stregato in modo da poterlo usare per avere accesso a Hogwarts. Più o meno in tutto il mondo magico si vociferava che mirasse ad uccidere Harry. La testimonianza di Caramell, riguardo agli ultimi, folli giorni di Sirius ad Azkaban prima dell’evasione, era sulla bocca di tutti. Poteva essere molto pericoloso, per lui, tornare a Hogwarts, se davvero rischiava di favorirlo inconsciamente in qualche maniera. Ma di sicuro, se esisteva una risposta alle sue domande, stava in qualche libro del reparto proibito della Biblioteca. Non ne esistevano di più fornite. Doveva tornare a Hogwarts, ad ogni costo. Avrebbe preso il treno, così, se ce ne fosse stato bisogno, avrebbe protetto Harry durante il viaggio. E a scuola lo avrebbe tenuto sempre d’occhio, di modo da non lasciare a Sirius la possibilità di avvicinarglisi, se questo era ciò a cui mirava.

Sirius, il suo padrino. Quello che lo faceva volare per aria quando non aveva che pochi mesi, facendo spaventare a morte Lily e ridere di gusto il bambino. Era incredibile. Assolutamente incredibile.

Ma ora doveva farsi coraggio e tornare laggiù, dove risiedevano tutti i suoi ricordi più dolorosi.

Inoltre sentiva di dovere più di un favore a Silente, dopo che, contro ogni previsione, anni prima gli aveva permesso di frequentare Hogwarts e ora, al di là di qualsiasi aspettativa, era tornato per offrirgli un impiego – probabilmente il più dignitoso ed interessante di tutta la sua vita, aggiunse fra sé. Perciò, era sua intenzione impegnarsi a fondo per ricompensarlo. Non voleva comportarsi di nuovo da ingrato, come aveva fatto nel momento in cui aveva permesso a James, Sirius e Peter di diventare Animagi illegalmente, soltanto per il desiderio egoistico di allontanare da sé la solitudine.

Sarebbe stato un buon insegnante, e avrebbe protetto Harry.

E nel frattempo avrebbe cercato delle risposte.

 

 

Never thought you'd make me perspire.
Never thought I'd do you the same.
Never thought I'd fill with desire.
Never thought I'd feel so ashamed.

(Placebo, My Sweet Prince)

 

 

Nota di fine capitolo: oh, beh. È stato scritto quasi tutto mentre ero sotto esame e con la colonna sonora dell’Ultimo dei Mohicani di sottofondo, quindi, se è delirante e tragico, cercate di capirmi. Ho deciso di tornare anche per un attimo al presente nell’ultima parte, e probabilmente lo farò ancora, perché il prologo di questa storia non era campato in aria. C’è comunque un collegamento con la tresca tra Remus e Sirius che sta avendo luogo in quello che è il “passato”. Insomma, alla fine si capirà tutto (ho già lasciato troppi indizi XD). Ho comunque aggiunto una data anche al prologo dopo aver potuto fare le giuste ricerche; sì, sono maniacale, ma mi sono basata sulle reali date delle fasi lunari scovate sui calendari.

Inoltre, penso proprio che da qui in avanti molti capitoli assumeranno un punto di vista multiplo, proprio come questo, così da non perdere per strada i vari fili di Arianna – che sono veramente tanti, e se uscirò mentalmente sana dalla stesura di questa fanfic credo che mi stringerò la mano da sola XD. Spero di non destare troppa confusione nella lettura, altrimenti, se si inizia a non capire più nulla, vi prego, fatemelo notare.

Ad ogni modo, grazie un sacchissimo a tutti. Ho ricevuto delle recensioni stupende, talmente tanto che davvero non so se me le merito. Grazie, non smetterò mai di dirlo.

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Capitolo 7
*** La spada di Grifondoro - I parte (James Potter, Remus Lupin) ***


[Un grazie infinite ai Russian Circles, che mi hanno dato esattamente l’ispirazione che mi serviva per scrivere questo capitolo, pur essendo io un’evidente capra nel partorire scene di guerra e d’azione.

Il capitolo è stato diviso in due perché mi è uscito inevitabilmente ed infinitamente lungo, stavolta più delle altre. Buona lettura.]

 

 

Capitolo 6 – La spada di Grifondoro (I parte)

 

L’esperienza del pericolo rende vigliacchi ogni giorno di più. Rende sciocchi, e sono al punto che esser vivo per caso, quando tanti migliori di me sono morti, non mi soddisfa e non mi basta. A volte, dopo aver ascoltato l’inutile radio, guardando dal vetro le vigne deserte penso che vivere per caso non è vivere. E mi chiedo se sono davvero scampato.

(Cesare Pavese, La casa in collina)

 

Gennaio 1979

James si svegliò di soprassalto, la fronte madida di sudore freddo. Si tirò su a sedere di colpo e si rese conto, con immenso sollievo, che non stava precipitando. Nessuna voragine di vuoto l’aveva inghiottito, nessun braccio serpentino munito di artigli lo stava trascinando giù, nessun nodo alla gola gli impediva più di gridare. Ora poteva farlo, se desiderava. Buttò fuori tutto il fiato che aveva nei polmoni. Era stata solo una di quelle orribili allucinazioni da sonno, che ogni tanto lo coglievano impreparato peggiorando incubi già abbastanza terrificanti. In effetti, prima della parte in cui una specie di Tranello del Diavolo lo risucchiava in un baratro buio, c’era stata una sequenza peggiore.

Guardò alla sua sinistra, ma il letto era vuoto. Lily aveva il turno di notte al quartier generale dell’Ordine e ancora non era rientrata. Si impose categoricamente di non farsi prendere dal panico; era stato solo un sogno, non c’era alcuna necessità di agitarsi.

Ma l’incubo continuava a restargli stampato nella mente, senza accennare a volersi dissolvere. Riusciva a ricordarlo fin nei dettagli con anomala precisione e per questo motivo ancora non riusciva a convincersi del tutto del fatto che non fosse reale.

All’inizio era ancora a Hogwarts. C’era un Molliccio nell’armadio del dormitorio. L’aveva aperto perché Sirius l’aveva sfidato a farlo, dicendogli che non ne avrebbe avuto il coraggio. Sciocchezze, lui non aveva paura di simili bazzecole. Tuttavia, quando aveva aperto l’armadio, il Molliccio si era trasformato nel cadavere di Lily. Martoriato e pieno di lividi, la pelle di un colore spettrale. All’inizio aveva cercato di ridere e di far scomparire il Molliccio. Poi però si era reso conto che qualcosa non andava. Il corpo continuava a rimanere lì. Solo in un secondo momento aveva notato l’anello d’argento sull’anulare della mano destra… il Molliccio non poteva sapere che si sarebbero sposati, se erano ancora a Hogwarts. Quindi, quella era la vera Lily. Dopo aver raggiunto quella consapevolezza si era sentito sprofondare. Si era gettato su di lei e aveva iniziato a scuoterla, ma non c’era stato niente da fare. A quel punto aveva iniziato a piangere, poi di colpo era diventato buio e quei tentacoli spinosi l’avevano ghermito dal nulla, risalendo dalla scala a chiocciola del dormitorio che portava alla stanza, la cui porta era rimasta aperta. E non era servito a nulla aggrapparsi a Lily, lei non l’aveva trattenuto e lui aveva cominciato a cadere. Tentando di gridare e non riuscendoci.

Ma non era la sua sorte che l’aveva terrorizzato di più. Doveva sapere se Lily stava bene, non gli importava che fosse stato solo un incubo.

In tutta la sua vita non aveva mai sognato la morte di nessuno.

Come riscossosi da un’improvvisa paralisi, James si fiondò all’istante fuori dal letto, liberandosi delle coperte con un unico e potente calcio, per poi precipitarsi giù dalle scale a perdifiato. Arrivò al camino del salotto, afferrò un po’ di Metropolvere e chiese di essere messo in contatto con la Taverna del Drago Fumante.

Poco dopo si trovò di fronte il volto di Sturgis Podmore, immerso in un profondo sbadiglio.

“Ehilà, James, tutto bene?” gli domandò, dopo aver serrato la mascella squadrata. Era probabile che non avesse chiuso occhio per tutta la notte.

“Devo parlare con Lily, subito”, disse James, con tono di allarme. Era necessario sapere immediatamente che era viva e stava bene, e che il suo sogno non significava nulla. Voleva vederla davanti ai suoi occhi, mentre gli parlava e gli sorrideva, o anche solo mentre si scuoteva i capelli dietro le spalle con grazia. Non importava cosa avrebbe fatto, l’essenziale era che dimostrasse di non essere un cadavere.

“Amico, Lily qui non c’è…”

“COME?! Ti prego, valla a cercare, per favore, devo parlarle!” esclamò, sentendosi invadere dal panico. Non poteva essere morta. Non poteva essere morta…

“James, a dire il vero Lily è…”

“È COSA?”

“…Che sta succedendo?”

James si voltò di scatto e per poco non svenne sul pavimento.

Lily era appena rientrata ed era più bella e più viva di quanto potesse immaginare.

Si riscosse, cercando di riacquistare almeno una parvenza di dignità.

“È tornata ora, Sturgis… perdonami se ti ho disturbato per niente”, disse, rivolgendosi alla figura nel camino.

“Figurati, amico, ma se mi avessi lasciato parlare te l’avrei spiegato io. Beh, credo che andrò a farmi un sonnellino. Buona giornata, ragazzi”.

Il camino tornò ad essere spento. James continuò a fissarlo per qualche secondo, tendendo l’orecchio per cercare di percepire la reazione di Lily.

“Sei stato per caso colto da un’amnesia e ti sei dimenticato che avevo il turno di guardia all’Ordine?” gli chiese lei, incerta. James si diede un’occhiata nello specchio alla sua sinistra, esitante. In effetti, aveva fatto figure migliori. Stava seduto davanti al camino, in pigiama, senza ciabatte, spettinato e con gli occhiali storti, mortalmente pallido in volto e con due occhiaie da far paura. Non esattamente un bello spettacolo, insomma.

“James?”

Tornò a guardare Lily, indeciso se sentirsi in colpa o meno. Ma la paura che gli si era insinuata nella mente fino all’istante prima che lei rincasasse era stata troppa.

“No, non ti preoccupare, la mia memoria è a posto”, rispose, sollevandosi da terra con movimenti incerti. Lily si slacciò il mantello e lo lasciò cadere sulla poltrona.

“E allora perché hai contattato Sturgis a quest’ora?” gli domandò. James fissò il pavimento. Aveva visto il suo cadavere. L’aveva toccato. Aveva visto la sua morte.

“Avevo fatto un brutto sogno, tutto qui”, ammise, contrariato. Come aveva previsto, Lily scoppiò a ridere.
“Non è stato affatto divertente, sappilo! È stato il sogno più brutto che io abbia mai fatto in tutta la mia vita!”

Lily gli si avvicinò, posandogli delicatamente le mani sulle spalle.

“E che cos’hai sognato esattamente?”

“Ah, certo, vuoi anche che te lo racconti? Così mi toccherà rivivere mentalmente quella bellissima esperienza? No, grazie, davvero non ci tengo, usa la Legilimanzia perché davvero io non mi scucirò la bocca…”

“James… adesso devi decisamente calmarti”, ordinò lei, in tono perentorio. Gli si premette contro all’improvviso, lasciandolo totalmente spiazzato. Lo baciò e lui rispose in automatico, anche se colto totalmente di sorpresa. Assaporò inerte le sue mani correre sul tessuto del pigiama, sollevarlo e insinuarsi al di sotto, a contatto diretto con la pelle. Rabbrividì; erano fredde, gelate. Come quelle di un cadavere. Il cadavere del suo sogno…

“Lily, ti prego, non ce la faccio”, la interruppe, mollando la presa sui suoi fianchi. Lei si interruppe, ad un paio di centimetri dai suoi boxer. Era un peccato fermarla, in quei momenti. Sapeva che ci sarebbe rimasta male. Ma quell’immagine continuava a tormentarlo e non accennava a volersene andare.

“Che ti prende, Potter? Non posso nemmeno lasciarti solo per una notte?” obiettò lei.

“Non posso raccontarti tutto, mi prenderesti in giro…” bofonchiò James, guardandola di sottecchi. Lily inarcò un sopracciglio.

“Tranquillo, questo credo di averlo fatto già abbastanza durante gli anni di scuola. Ora che siamo sposati possiamo dedicarci ad altro”.

James inarcò un sopracciglio, abbozzando un sorrisetto. Quella ragazza era divenuta insaziabile. Certo, nei suoi sogni di adolescente irrequieto aveva sempre bramato di ritrovarsi al più presto possibile in un letto con lei – era pur sempre un uomo, che diamine – ma in seguito si era abituato a pensare che Lily non ne volesse sapere di lui, perciò aveva finito coll’accettare l’idea che la gran parte dei suoi desideri fossero destinati a rimanere semplici fantasie.

E invece, proprio quando era giunto al momento della massima rassegnazione, di colpo era stato costretto a ricredersi.

Nella mente gli balenò d’improvviso un pensiero malandrino che non poté fare a meno di esprimere seduta stante.

“Sei mai stata fisicamente attratta da me quando ancora non stavamo insieme?”

Come previsto Lily lo fulminò con lo sguardo, ma questo non impedì a James di notare il rossore violento di cui si erano colorate le sue guance. Rimase in attesa, gongolante.

“Ci sono cose di cui le persone possono non accorgersi… finché non succede qualcosa che apre loro definitivamente gli occhi”, sentenziò infine Lily. Il sorriso di James si allargò.

“Uh, molto diplomatica come risposta. Essere sposata ti ha resa meno caustica”.

“Fai attenzione a quello che dici, Potter”, lo minacciò lei, prima che entrambi scoppiassero a ridere.

“Ad ogni modo, per stasera devi essere pronto. Abbiamo un compito molto importante da svolgere e sono sicura che non vorrai mancare”.

“Di che si tratta?”

“Trasferire la spada di Grifondoro dalla camera  di massima sicurezza della Gringott fino al suo ufficio di Hogwarts. Pare che Voldemort voglia impossessarsene – sai, è indistruttibile, gli farebbe molto comodo averla. Tutto a bordo delle scope, usare una Passaporta sarebbe troppo rischioso. Ci siamo già divisi i tragitti da coprire. Noi ci occuperemo dell’ultimo tratto”.

James inarcò un sopracciglio, fissando Lily con aria perplessa.

“Aspetta un momento. Da dove salta fuori tutta questa storia?”

“Ieri sera Edgar è arrivato di corsa alla Taverna dicendo che avevano appena scoperto che uno dei suoi Goblin era sotto Imperius. L’hanno trovato nei sotterranei della Gringott oltre l’orario di chiusura, quando non avrebbe dovuto essere lì. Abbiamo parlato con Silente via camino e lui ci ha rivelato che Voldemort, molto probabilmente, sta puntando alla spada di Grifondoro. Non si è sbottonato di più, desolata”.

“E a te non dà fastidio tutto questo?”

Lily sgranò gli occhi, sorpresa.

“Di cosa parli?“ gli chiese.

“Beh, del fatto che queste notizie sembrino piovere dal cielo. Fino a pochi giorni fa stavamo tutti in attesa di un attacco all’Ufficio delle Relazioni con i Babbani, e ora ecco che entra in gioco la spada… saremo anche gli ultimi arrivati e i più giovani del gruppo, ma non è giusto tenerci all’oscuro di tutti questi sviluppi”.

“James, se Silente non diffonde troppo determinate informazioni avrà le sue ragioni per farlo. Se inavvertitamente qualcuno di noi lasciasse trapelare qualcosa sotto il naso di un Mangiamorte, molti progetti dell’Ordine andrebbero in fumo ancora prima di essere portati a termine. Non possiamo fare di testa nostra. Hai visto cos’è successo il mese scorso a Gideon e Fabian quando hanno deciso di loro iniziativa di entrare in casa di Yaxley per cercare le prove che lo incastrassero come seguace di Voldemort… ci hanno quasi rimesso la pelle, anche se l’hanno fatto perché ha quasi ucciso Emmeline. E ricordati anche che Silente è il membro dell’Ordine che meglio di tutti conosce Voldemort, visto che è stato suo allievo a Hogwarts. Quindi saprà cosa gli passa per la testa, o quantomeno riuscirà ad andarci molto vicino”.

James sbuffò, passandosi nervosamente una mano fra i capelli. Lily aveva ragione, era inevitabile riconoscerlo. Come al solito rifletteva con calma e cercando di considerare ogni punto di vista, senza gettarsi a corpo morto contro ciò che le sembrava ingiusto, come invece faceva lui. Da quando vivevano insieme aveva imparato molto da lei, lo riconoscevano tutti. Forse sposarsi aveva fatto bene ad entrambi, in fin dei conti.

*

Remus osservò il Patronus di Lily dissolversi lentamente nel nulla davanti ai suoi occhi, lasciando soltanto un tenue alone argenteo che indugiò nell’aria per ancora qualche secondo, prima di scomparire definitivamente. Tuttavia, continuò a fissare il punto in cui era apparsa la cerva per ancora molto tempo, con sguardo vacuo e assente.

Questa volta, Silente aveva affidato loro una missione importante.

Non che loro, gli ultimi arrivati, fossero i soli incaricati di portarla a termine; se ne sarebbe occupato tutto l’Ordine della Fenice, perché pareva si trattasse di una questione della massima importanza. Ultimamente c’erano stati dei tentativi di furto con scasso alla Gringott, anche il Profeta ne aveva riportato la notizia. Era più che probabile che c’entrasse Voldemort. I Giganti erano passati dalla sua parte già da tempo, di recente anche alcuni Lupi Mannari avevano compiuto gesti di solidarietà nei suoi confronti, e si vociferava che mirasse perfino ai Dissennatori. Ma in tutto ciò non poteva certo farsi sfuggire i Goblin. Che ne avesse corrotto qualcuno o che l’avesse posto sotto maledizione Imperius, non aveva grande importanza. Ora anche una delle roccaforti più salde del mondo magico rischiava di cedere.

Insomma, si trattava di un compito importante. Tutti i membri dell’Ordine avrebbero partecipato. L’idea di un fallimento non poteva essere neppure vagamente contemplata.

Ripassò mentalmente il piano. Silente avrebbe prelevato la spada dalla sua camera blindata della Gringott poco prima dell’orario di chiusura. Avrebbe portato con sé un falso e, scortato dalla McGranitt, da suo fratello Aberforth, da Elphias Doge e da Hagrid, avrebbe raggiunto i confini di Hogwarts, dove molto probabilmente l’avrebbe atteso un drappello di Mangiamorte, se non Voldemort stesso. Ma Silente dubitava che cascasse nel tranello. Perciò, nel mentre, Caradoc, Dedalus, Emmeline e Dorcas avrebbero trasportato la spada a bordo delle scope lungo il primo quarto di tragitto. Dopodiché l’avrebbero passata di mano a Moody, Benji, Marlene e Sturgis. Alla seconda tappa li aspettavano Frank e Alice, insieme a Edgar, Gideon e Fabian. E infine sarebbe toccato a loro. Gli inseparabili cinque, come Moody aveva preso ad appellarli scherzosamente. Lui, James, Lily, Peter… e Sirius. Già, lo stesso Sirius con cui non scambiava una parola da ormai due settimane. Che l’aveva assalito, baciato e poi respinto, lasciandolo lì come un ebete senza uno straccio di spiegazione. Lo stesso Sirius che ormai, dopo tutte quelle infinite giornate trascorse a rimuginare, crucciarsi, maledirsi e strapparsi i capelli aveva cominciato ad odiare.

Nessuno si era ancora reso conto di nulla, per il momento, ma era solo questione di tempo.

E poi? Come avrebbero affrontato James e Peter, i loro amici di sempre?

Come si sarebbero affrontati l’un l’altro?

L’idea di dover affrontare quella missione insieme, ora, metteva Remus profondamente a disagio. I sentimenti non dovevano interferire con gli affari dell’Ordine. Erano la cosa più importante da lasciare fuori, perché se c’era un insegnamento che aveva tratto da quei primi mesi di attività segreta era che le parole di Moody udite la prima sera non erano altro che la sacrosanta verità. Il punto cruciale era restare uniti, guardarsi le spalle a vicenda. Iniziando a bisticciare fra loro come adolescenti puerili, questa coesione sarebbe presto andata in frantumi.

Sospirò per l’ennesima volta, coprendosi il volto con le mani. Aveva intenzione di accantonare l’argomento, almeno per quella sera. Avrebbe compiuto ogni sforzo possibile per non pensarci. Dopodiché, una volta portata a termine la missione, avrebbe cercato un momento libero per parlare con Sirius in maniera adulta e matura, senza accampare più scuse.

Ironia della sorte, ad annullare quel buon proposito poteva bastare il semplice fatto di non sopravvivere ad uno dei colpi nemici durante quella notte.

 

*

James imprecò mentalmente più e più volte, mentre continuava a zigzagare intorno agli altri a velocità costante.

Forse Albus Silente, quando aveva ideato quel magnifico piano, non aveva previsto la nebbia.

Nonostante la luce delle cinque bacchette, la luminosità era molto scarsa. Cercava di tenersi ad una quota intermedia, di modo che la foschia non fosse eccessiva e che, nel contempo, si trovassero abbastanza in alto da non rischiare di urtare la cima di qualche albero. Ma James non si sentiva affatto tranquillo, in quelle condizioni. Non potevano vedere se qualcuno si stava avvicinando e lo Spioscopio di Peter poteva non avere un raggio di copertura sufficiente. Inoltre, le luci delle bacchette li rendevano visibili. Questo poteva essere molto, molto rischioso.

Si stavano dando il cambio nel trasportare la spada, nascondendosi a turno sotto il Mantello dell’Invisibilità. Peter si era congratulato con lui per l’idea geniale che aveva avuto nel portarselo dietro, ma se fosse intervenuto Voldemort in persona non aveva alcuna certezza che sarebbe servito a qualcosa. Aveva sentito dire che Silente poteva vedere al di sotto dei Mantelli dell’Invisibilità, perciò forse anche Voldemort era in grado di farlo.

Per giunta, in quell’esatto momento era Lily a portare la spada. La sua ansia stava crescendo a dismisura. Più di una volta, nel corso della giornata, ancora tormentato dal ricordo di quel sogno maledetto, era stato tentato di sedarla e rinchiuderla da qualche parte togliendole la bacchetta, di modo da impedirle di partecipare alla missione anche contro la sua volontà. Ma alla fine aveva ceduto, consapevole di quanto lei si sarebbe arrabbiata se solo avesse osato fare una cosa del genere.

Secondo i suoi calcoli non doveva mancare molto a Hogwarts. Aveva fatto in modo che Lily compisse l’ultimo tragitto, quello che secondo lui presentava meno rischi. Bastava varcare i confini di Hogsmeade e da lì in poi sarebbero stati protetti da una sorta di schermata contro gli incantesimi dei maghi oscuri. Si trattava di una magia molto potente, che Silente stava alimentando con le sue stesse energie vitali, e aveva una durata nel tempo limitata. Non aveva avuto bisogno di domandare perché non venisse utilizzata in maniera perenne per difendere le case dagli attacchi dei Mangiamorte: in meno di ventiquattro ore, un simile incantesimo avrebbe prosciugato il mago che lo stava eseguendo di ogni energia vitale, portandolo praticamente alle soglie della morte. Motivo per cui dovevano darsi una mossa, se non volevano rischiare troppo.

“Ragazzi, ora basta girare a vuoto, andiamo dritti e facciamola finita!” urlò quindi agli altri, cercando di ignorare un brivido.

“Ma James, Silente ha detto di…”

“Remus, ormai ci siamo, non essere polemico! Prima la spada arriva a destinazione e meglio sarà per tutti”.

“James, ti ricordo che fino a prova contraria sono io che la sto portando!”

“E va bene, allora dammela subito!”

“Non ci penso nemmeno!”

“Oh, andiamo, Lily, non essere ridicola!”

Le volò vicino, intuendo più o meno dove si trovava; allungò una mano e le strappò il Mantello dell’Invisibilità dalla testa.

“James, che diavolo fai?!”

“È troppo pericoloso per te avere addosso questa cosa, non voglio che ti facciano del male…”

“Tu hai già fatto il tuo turno, vuoi levarti dai piedi?”

“RAGAZZI! LO SPIOSCOPIO!”

“Avrà captato male, come hanno fatto a trovarci?”

Immediatamente dopo, un incantesimo mancò per un pelo Sirius e colpì il manico della sua scopa, che prese a vorticare furiosamente, e solo grazie ad un controincantesimo di Remus non lo sbalzò giù di colpo. James si sentì letteralmente invadere dal panico.

“SPEGNETE LE BACCHETTE!” ordinò, poi sfilò la spada dalla presa di Lily e la ricoprì con il Mantello.

“CE L’HO IO LA SPADA! PRENDETE ME!” gridò. “Sirius, Remus, Peter, dovete proteggere Lily, io correrò a Hogwarts, così inseguiranno me, andate via di qui! Svelti!”

“MA CHE DIAVOLO DICI, NOI VENIAMO CON TE, NON SE NE PARLA!”

“SIRIUS, MUOVETEVI!”

“Andiamo, Lily!”

“No… James, no!”

James saettò via immediatamente, senza lasciare loro il tempo di replicare. Sentì urlare qualche incantesimo alle sue spalle, ma non se ne preoccupò. L’importante era trascinare l’attenzione lontano da loro. Non poteva lasciare che il suo sogno si avverasse.

“Voldemort! Ce l’ho io la spada, vieni a prendere me!”

Una specie di improvvisa tromba d’aria si abbatté improvvisamente su di lui, sbalzandolo lontano e facendogli perdere la presa sul manico della scopa. Senza che avesse avuto il tempo di rendersene conto, stava precipitando verso terra. Sentì Lily urlare e un incantesimo frenare la sua caduta, ma tutto ciò di cui si preoccupò in quell’istante fu di non lasciar andare la spada.

La spada era la cosa più importante.

Toccò il suolo erboso sotto di lui con un tonfo lieve, la presa ancora salda. Ce l’aveva fatta. Il momento dopo, però, si rese conto di essere rimasto senza bacchetta.

Un fruscio sinistro gli sfiorò la nuca, quasi impercettibile. Si volse, disarmato. Era in trappola. Voldemort stava per attaccarlo, ne era certo. In pochi secondi avrebbe decretato la sua fine.

A quel punto, gli venne in mente un’idea geniale. Usare la spada. Era indistruttibile ed era l’unica sua possibilità di salvezza. Pregò quindi che la leggenda fosse vera.

“Non preferiresti consegnarmi quell’arma e vivere, Potter?” gli sussurrò quella voce sinistra che ormai aveva già imparato a riconoscere. La stessa che l’aveva tentato, invitandolo ad unirsi a lui, credendo forse di offrirgli un privilegio irrinunciabile.

“Non ci sarebbe più vita se vincessi tu”, ribatté a denti stretti, quasi ringhiando. Era buio e lui non vedeva quasi nulla. Un netto svantaggio.

“Sia come vuoi… Crucio!”

James alzò la spada e la mulinò davanti a sé con disperazione. Intercettò l’incantesimo e lo respinse, probabilmente per pura fortuna. Sbalordito, aprì bene gli occhi e constatò che non era stato colpito. Allora la spada era davvero indistruttibile.

Un altro getto di luce gli arrivò contro a velocità altissima, di nuovo lo parò, facendolo rimbalzare contro la lama. Allora una pioggia di scintille gli venne scagliata contro da ogni angolo e James roteò la spada selvaggiamente, da una parte all’altra, senza sosta, i colpi che si abbattevano sulla lama con un clangore metallico.

“Non hai alcuna idea del potere che quell’oggetto racchiude… non sei degno di maneggiarla”, soffiò Voldemort, con rabbia. James percepì la sua presenza volteggiargli intorno. Cominciò a girare su se stesso, tenendosi pronto, le mani strette spasmodicamente intorno all’elsa. Sapeva che non avrebbe ceduto.

“Non ne sai abbastanza, allora… solo un vero Grifondoro sa utilizzare come si deve questa spada”, replicò, con una nota di spavalderia che lo stupì. Dentro di sé non si sentiva così avventato. La paura iniziava a roderlo dentro. L’arma era pesante, in più non vedeva nulla. Prima o poi avrebbe ceduto sotto il peso di qualche attacco.

“Sono solo menzogne, Potter! Menzogne che la gente come Silente si inventa per dare qualche falsa speranza ai deboli. La verità è che gli oggetti dei Fondatori diventano estremamente malleabili nelle mani di un mago abbastanza potente da meritarli”.

“Cosa che di sicuro tu non sei”.

“COME OSI?”

Questa volta James fu costretto a piegarsi in ginocchio per non farsi sfuggire la spada dalle mani. Strinse i denti, sentendo le dita scivolare sull’impugnatura sagomata, i palmi che dolevano ferocemente. Era davvero un oggetto potente, assorbiva gli incantesimi e li schermava completamente, lasciandolo del tutto indenne. Se Voldemort se ne fosse impadronito, sarebbe stata la fine.

“Sfidami se hai il coraggio, Potter! Sfidami ad armi pari, come si conviene a due maghi del nostro rango”.

Ora Voldemort era ben visibile davanti a lui, gli occhi spettrali rosso fuoco che trafiggevano James da parte a parte, come se volessero inchiodare al suolo. Tra le mani reggeva un qualcosa di incandescente e luminoso, che aveva tutte le sembianze di una spada creata apposta per affrontarlo ad armi pari. Perfino di quello era capace, di creare oggetti dal nulla, fatti di puro ed essenziale potere. James sentì il freddo invaderlo. Era la sua fine.

“Non l’avrai mai”, sussurrò, cupo, e con un grido di battaglia si lanciò contro Voldemort brandendo la spada di Grifondoro sopra la sua testa. Le lame s’incrociarono, sfrigolando. Non era preparato a combattere in quel modo. Abbassò l’arma appena in tempo per impedire che gli venisse amputato un piede.

“Sei uno sciocco a non arrenderti!”

Tutto era cambiato. Ora duellavano come cavalieri, fino all’ultimo sangue. Le braccia gli stavano diventando pesanti. Riusciva a malapena a parare i colpi, contrattaccare a sua volta era troppo difficile, avrebbe dovuto essere molto più rapido. Voldemort colpì ancora; la lama stridette, pericolosamente vicino al suo orecchio. Lo sentì fare forza e come niente il metallo gli trafisse i muscoli, poco più in su della spalla.

Avrebbe voluto urlare, ma serrò le labbra e trattenne il fiato. Avvertì la macabra sensazione del sangue sgorgare dalla ferita. Tentò di spingere verso l’alto, ma si sentiva schiacciare. Non aveva più forza nelle braccia, il dolore era troppo forte, Voldemort era troppo forte e sogghignava prendendosi gioco di lui, consapevole fin dall’inizio che avrebbe vinto… Lily, Lily era tutto ciò a cui riusciva a pensare in quel momento. Pregò con tutte le sue forze che si fosse messa in salvo e che fosse abbastanza lontana da non vederlo morire.

 

[fine 1° parte]

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Capitolo 8
*** La spada di Grifondoro - II parte (James Potter, Remus Lupin) ***


 Capitolo 6 – La spada di Grifondoro (II parte)

 

 

“LASCIALO STARE!”

Un’improvvisa e fortissima folata di vento investì James e Voldemort, separandoli di colpo. James rotolò a terra, sforzandosi di non mollare la presa sulla spada di Grifondoro nonostante la fitta lancinante alla spalla.

“No! Lily, no!”

Che diavolo ci faceva lì? Perché era tornata indietro, anziché fare come le aveva ordinato? Non avrebbe dovuto venire a salvarlo, quella testarda imprudente ragazza…

Voldemort, che si era immediatamente ricomposto, scoppiò in un’agghiacciante risata.

“Credi davvero di poter fare qualcosa contro di me? Crucio!”

Lily tentò di rispondere con un altro incantesimo, ma la Maledizione era troppo potente. Si raggomitolò su se stessa, stringendosi le braccia intorno al corpo e contraendo il volto in una smorfia di dolore. Poi cadde a terra, priva di sensi.

Voldemort rise ancora più forte.

“No!”

James tentò di rialzarsi, ma con un movimento secco la bacchetta di Voldemort lo scagliò lontano. Rotolò su se stesso e sulla spalla lancinante, gridando.

“Lily! No! Lasciala stare!”

“È così debole ed inetta che è bastata un po’ di sofferenza per metterla immediatamente al tappeto. Non ti vergogni, Potter? Dovresti stare insieme a gente più forte…”

James stava per urlare di nuovo, quando colse un movimento con la coda dell’occhio alla sua sinistra. Si voltò, e intravide un luccichio fra gli alberi. Si avvicinava. A poco a poco, veniva verso di lui.

Non capiva che stava succedendo. Voldemort gli dava le spalle.

“Vediamo se un’altra dose può servire a farle riprendere i sensi… Crucio!”

Improvvisamente, James capì di cosa si trattava.

Era la cerva. Il Patronus di Lily. Senza emettere un solo suono, stava venendo verso di lui.

Aveva qualcosa in bocca. La sua scopa.

James rimase immobile, non osando muovere un solo muscolo.

“Avanti, stupida ragazzina, svegliati!”

La cerva depositò la scopa ai piedi di James, mentre la voce sussurrata di Lily gli giungeva alle orecchie.

“Devi portare la spada entro i confini. Io tratterrò Voldemort. Non osare fermarti, James, non osare fermarti!”

James afferrò la scopa, poi sollevò l’arma con il braccio ancora sano.

Il loro compito era portarla in salvo, portarla a Hogwarts.

“Lily…”

Non era forte abbastanza per combattere Voldemort. Ma quella spada respingeva i suoi incantesimi. E lui aveva di nuovo la sua scopa. Volare era ciò che sapeva fare meglio. Doveva recuperare Lily e volare verso Hogwarts, o morire nel tentativo.

“Cosa si prova a veder morire la persona che ami, Potter?”

“STUPEFICIUM!”

Un fiotto di luce colpì Voldemort nell’esatto momento in cui si era voltato verso James, cogliendolo troppo di sorpresa perché potesse reagire. Lily aveva solo finto di essere svenuta.

In men che non si dica James schivò l’incantesimo che Voldemort fece partire dalla bacchetta non appena riuscì a risollevarsi da terra dopo il colpo ricevuto da Lily; balzò sulla scopa, afferrò sua moglie per la vita trascinandola in alto insieme a lui e cominciò a sfrecciare verso le guglie di Hogwarts ad una velocità che probabilmente non aveva mai raggiunto, neppure nella più agguerrita delle partite a Quidditch.

Una serie di muri di pietra cominciarono ad elevarsi dal terreno lungo il loro percorso, ma James li scansò tutti. Aveva smesso di sentire il dolore, teneva solo le due mani salde sul manico della scopa. Lily reggeva la spada, dietro di lui.

Cominciarono a volare frecce di fuoco dalle loro spalle. James volava a zig-zag, muovendosi più veloce che mai. Quando una delle frecce colpì la scopa, Lily spense immediatamente il fuoco con la bacchetta.

“Ci siamo! Tieni duro!” urlò James. “Quella è la barriera! Ce l’abbiamo fat-”

Voldemort si Materializzò di fronte a loro, alzò un vortice che li fece roteare lontano in un testa-coda vertiginoso, ma poi una pioggia di scintille esplose contro di lui e lo mancò per un soffio. La scopa era come impazzita. James vide Aberforth e Fanny attaccare Voldemort insieme e allora tentò di fermare il manico che vorticava e puntò dritto contro la barriera. La passò reggendosi con una mano sola, la spalla ferita faceva troppo male, e allora la scopa inchiodò di colpo e Lily venne sbalzata in avanti dall’urto, senza che avesse fatto in tempo a tenersi, precipitando e schiantandosi al suolo.

 

*

“Non dovremmo tornare a riprenderla? James ci ha detto di portarla in salvo…” disse Peter, ansimante.

“E chi diavolo si occupa di questi scocciatori nel frattempo?” replicò Sirius, scagliando un Petrificus Totalus sul Mangiamorte più vicino. “Non possiamo fare altro per quella testa di rapa. Ci ho provato a convincerla, ma non ha voluto sentire ragioni”.

“Puoi darle forse torto?” obiettò Remus, facendo apparire una barriera d’acqua che li protesse tutti e tre dall’Incantesimo d’Incendio che era stato scagliato contro di loro.

“Ehi! Sono arrivati i rinforzi!” urlò Peter, gioioso, vedendo planare verso di loro cinque figure a bordo di una scopa. Gideon, Fabian, Frank, Alice e Edgar li avevano raggiunti sul luogo dell’attacco, non appena erano riusciti ad avvertirli.

“Era ora!” esclamò Sirius, con una risata trionfante.

Remus stava duellando con un Mangiamorte. Sollevò lo sguardo per errore, fu una distrazione automatica di cui si rese conto quando ormai era troppo tardi.

“NO!”

Avvenne tutto in una manciata di secondi, senza che Remus potesse avere il tempo di reagire ed impedire cheSirius che gli si parasse davanti e prendesse l’incantesimo diretto a lui in pieno petto. Sentì il tonfo del suo corpo che cadeva esanime ai suoi piedi, mentre il respiro gli si frantumava in gola. Non poté correre in suo aiuto perché dovette prima fronteggiare il Mangiamorte che aveva scagliato il colpo, sul quale si lanciò con una ferocia che non aveva mai pensato di avere. Quello iniziò ad arretrare, finché quasi non si confuse con il gruppo di suoi compagni che era stato accerchiato dagli altri membri dell’Ordine giunti in loro soccorso. Sirius non gli rivolgeva la parola da giorni per via di quello che era successo fra loro, eppure ora si era messo in mezzo per difenderlo senza un solo secondo di esitazione. Pregando che non fosse morto, combatté gettandosi in mezzo alla mischia, inseguendo l’uomo incappucciato che tentava di sfuggirgli, uguale a tutti gli altri, un corpo senza volto. Lo perse di vista, poi lo vide, era uscito dal gruppo, tentava di scappare. Lo inseguì e scagliò incantesimi a raffica, senza dargli il tempo di reagire, si accanì e lo colpì più e più volte fino a che non lo ebbe fatto precipitare nel piccolo e ripido burrone davanti a lui.

Lo osservò trionfalmente capitombolare giù per la scarpata, un corpo inerte come quello di Sirius che, poco fa, era caduto ai suoi piedi. Si sentì stringere il cuore in una morsa mentre cercava di immaginare il dolore che quell’uomo stava provando. Il dolore che gli spettava per aver colpito Sirius. Rimase ad osservarlo fino all’ultimo, sentendo l’odio defluire dalla punta delle dita, appagato dal gesto compiuto.

Appena toccò il fondo, però, il cappuccio volò via dal volto dell’uomo.

Quello non era lo stesso Mangiamorte che stava duellando con lui. Era certo di avergli intravisto almeno mezza faccia, coperta da barba e baffi folti.

Quello che giaceva lì in basso, invece, aveva i tratti pallidi e acerbi di un ragazzo molto giovane. Remus trattenne il fiato. Era quasi sicuro di conoscerlo. Allora Sirius aveva ragione, si era unito realmente a Voldemort. Ma se l’avesse lasciato lì, il suo stesso signore non avrebbe probabilmente avuto pietà di lui, vedendolo sconfitto.

Si guardò intorno. Nessuno stava badando a lui. Perciò, scelse di agire.

Si calò rapidamente giù per il burrone e arrivò in fondo. Aveva colpito Regulus con numerosi Schiantesimi, perciò non era certo che potesse bastare un Reinnerva per rianimarlo. Tuttavia, avrebbe comunque tentato.

Prima, però, doveva nasconderlo. Guardò in alto per controllare che nessuno li stesse tenendo d’occhio, dopodiché afferrò il corpo inerte del ragazzo e lo trascinò rapidamente dietro al tronco rinsecchito dell’albero più vicino.

Per seconda cosa, lo disarmò. Non desiderava essere freddato dal ragazzo per reazione istintiva non appena l’avesse risvegliato. Erano pur sempre schierati da due parti opposte.

Infine, si fermò a riflettere. Aiutarlo era davvero la cosa giusta? In fondo, si era unito a Voldemort. Aveva fatto una scelta, teoricamente. Ma quanto era stato realmente frutto della sua volontà, fra le più che probabili pressioni dei genitori e il rancore nei confronti di Sirius?

Scosse la testa, sospirando. Non poteva non avere pietà di lui.

Tentò diverse volte. Dopo un po’, finalmente, Regulus cominciò ad aprire gli occhi. Mentre era ancora stordito, lo zittì con un Incantesimo di Silenzio, prima che si mettesse a gridare e li facesse scoprire. In effetti, fino a pochi minuti prima l’aveva aggredito con ferocia fino a che non l’aveva visto stramazzare al suolo. Forse nell’urto si era rotto una gamba, data la posizione innaturale in cui la teneva piegata.

All’inizio, non appena lo riconobbe, lo guardò con il terrore più puro nello sguardo. Poi tentò di urlare, come aveva previsto. Dopodiché cercò di alzarsi per fuggire, ma il dolore glielo impedì istantaneamente.

Remus strinse i denti. Ora veniva la parte più difficile.

“Non voglio farti del male, devi cercare di stare fermo”, gli disse, e in tutta risposta Regulus provò ad alzarsi di nuovo, ma anche questa volta non ebbe successo.

“Dico sul serio, prima non volevo colpire te, ti ho confuso con un altro. Ora stammi bene a sentire: voglio soltanto farti andare via di qui. Dopodiché ti restituirò la voce e la bacchetta e faremo finta di non esserci mai visti. Sei d’accordo?”

Regulus lo fissò immobile, senza battere ciglio, il petto che si abbassava e si sollevava velocemente. Era un incredibile misto fra il riflesso esatto di Sirius e la sua contraddizione, nel modo in cui lo guardava e cercava di fargli credere che non aveva paura di morire in quel momento.

“Se le mie intenzioni fossero quelle di ucciderti, potrei farlo ora senza nessun problema. Lascia perdere quell’ipotesi. L’alternativa qual è? Che sono pazzo?”

Gli tese la mano, sperando che accettasse. Probabilmente lui non lo capiva, ma non era giusto che si fosse condannato senza pietà ad un destino simile. Avrebbe dovuto essere a Hogwarts a finire il suo ultimo anno di scuola, non a rischiare la vita per un essere malvagio che, non appena non gli fosse servito più, l’avrebbe schiacciato come una mosca. Nonostante l’astio che intercorreva fra lui e Sirius, non lo meritava. Forse aveva ancora una possibilità di salvarsi.

“Regulus, andiamo, non abbiamo tempo da perdere!”

Estrasse la bacchetta e la agitò, con impazienza.

“Avanti, dimmi, dove vuoi essere portato?”

Il ragazzo boccheggiò, come se una mano invisibile avesse appena smesso di stringergli la gola in una morsa. Remus rimase fermo di fronte a lui, con la mano ancora tesa, aspettando.

“A Londra, c’è un’amica. Marple Avenue”, mormorò infine Regulus.

“Bene. Ora tieniti forte”.

L’istante dopo, Remus agitò la bacchetta ed entrambi scomparvero, lasciando dietro di loro soltanto il turbinio delle foglie secche sul terreno.

 

“È qui?”

“Sì… quella casa là in fondo”.

“Quella con la cancellata rossa?”

“Esatto”.

Remus annuì in silenzio. Si guardò attentamente intorno, sporgendosi lievemente dal porticato sotto il quale lui e il secondogenito Black si celavano agli sguardi furtivi della notte inoltrata.

“Sembra che non ci sia in giro nessuno. Andiamo”.

Prese Regulus sotto braccio e lo fece appoggiare alla sua spalla, di modo che potesse sorreggersi a lui senza appoggiare il peso sulla gamba rotta.

Il ragazzo aveva smesso di emettere fiato, fatta eccezione per qualche gemito di dolore che talvolta gli sfuggiva. Si muovevano lentamente, camminando rasenti ai muri. Remus continuava a guardarsi intorno e a tenere la mano sinistra infilata in tasca, la presa salda sulla bacchetta, nell’eventualità in cui si manifestasse qualche presenza indesiderata alle loro spalle.

“Perché lo fai?” domandò infine Regulus, seccamente, esalando in un soffio aspro quelle parole che già ronzavano da diversi minuti nella testa di Remus. A ben guardare, il suo comportamento non aveva alcun senso. Non aveva nessun debito od obbligo nei confronti di quel ragazzo. E non era nemmeno certo di poter affermare che in tal modo aveva fatto un piacere a Sirius, perché era piuttosto convinto che, se gliel’avesse riferito, il suo amico avrebbe cominciato a sbraitare su tutte le furie. Aveva sempre additato Regulus come un futuro Mangiamorte, quando erano a scuola, e alla fine ci aveva visto giusto. Le rare volte che lo nominava, lo faceva avendo cura di lasciar trasparire il maggior disprezzo possibile dal suo tono di voce. Ma davvero avrebbe potuto fare a meno di essere felice sapendo che si era salvato anziché morire indecorosamente durante la sua prima battaglia? Era pur sempre suo fratello.

Scosse la testa, corrugando la fronte.

“Ci sono cose che rinuncio a capire in partenza”, rispose, rassegnato. Non aveva idea di cosa significasse avere un fratello, men che meno avere un fratello ed odiarlo.

“Perché non mi uccidi subito?” replicò Regulus, con uno sguardo di sfida. “Hai paura o vuoi illudermi fino all’ultimo momento?”

Remus scosse la testa, gettandogli un’occhiata in tralice.

“Ti ho già detto che se avessi voluto ucciderti l’avrei fatto subito. Perché sprecare energie?”

“Sei amico di Sirius. E lui è pazzo. Quindi sarai pazzo anche tu”.

“Allora avevo ragione quando ti ho chiesto se questa era la tua seconda ipotesi”.

“Mi stavi inseguendo, mi hai quasi ammazzato…”

“Te l’ho detto, mi sono sbagliato. Non stavo inseguendo te. Tu piuttosto, perché sei fuggito?”

Il ragazzo s’incupì, distogliendo lo sguardo in preda alla vergogna.

“Tu e i tuoi amici non mi avete dato altra possibilità…”

“Bel coraggio che avete, voi Mangiamorte”.

Regulus si irrigidì, cercando di divincolarsi dalla presa di Remus.

“Hai ragione, sono un Mangiamorte! Che te ne importa allora di salvarmi la vita?”

Remus si fermò, voltandosi a guardarlo dritto negli occhi.

“Tu forse non avevi ancora esattamente realizzato il pasticcio in cui ti stavi andando a cacciare, prima di questa notte. Adesso, finalmente, ne hai avuto un assaggio. Quanta pietà ritieni che avrebbe avuto Voldemort se ti avesse visto ridotto così, perché eri fuggito anziché combattere, perché avevi avuto paura? Forse l’hai già intuito, ma ti do un aiutino: nessuna. Portandoti via di lì ho semplicemente voluto fornirti una seconda possibilità. Rifletti attentamente sulla strada che hai scelto e, se cambierai idea, sappi che ci sarà chi è pronto ad accoglierti”.

“E chi? Sirius, forse?” rise beffardo Regulus. Remus scosse il capo, con aria assente.

“Se davvero tu lo desiderassi, potresti fare in modo che perfino Sirius decida di proteggerti. Ma non spetta a me dirti come”.

“Ti ringrazio di aver sprecato fiato per me. Ora vattene, posso farcela da solo”.

Staccandosi dal suo supporto, il ragazzo si trascinò fino al cancello barcollando. Remus sospirò, rassegnato, dopodiché estrasse la bacchetta di Regulus dalla tasca del mantello.

“Questa potrebbe esserti utile”, gli gridò, per poi lanciargliela fra le mani con precisione. Regulus esitò per qualche secondo, poi diede le spalle a Remus con aria incupita, borbottando qualcosa. L’attimo dopo apparvero delle grucce a sostenerlo, ma non ci fu bisogno che si muovesse ancora molto. Dalla porta della casa era appena uscita una ragazza dai capelli scuri che, appena lo vide, gli corse incontro a perdifiato, sbiancando completamente in volto.

“Che cosa ti è successo? Cosa ti hanno fatto? Te l’avevo detto che era un’idiozia, che non dovevi…”

Era giovane, probabilmente della stessa età di Regulus. Remus li studiò in silenzio per qualche secondo, osservando il giovane Black reagire con un teatrale gesto d’impazienza.

“Non mi è successo niente, quindi ti prego, non metterti a piangere. Ora dammi una mano, per favore”.

Lei reagì prontamente, offrendogli una spalla su cui appoggiarsi. Era davvero giovane, molto probabilmente andava ancora a Hogwarts. Ma in quei primi e freddi giorni di gennaio era ancora tempo di vacanze natalizie e Regulus aveva saputo immediatamente dove trovarla. Forse era una vecchia amica che non vedeva da mesi. Forse qualcosa di più.

A un certo punto, la ragazza si voltò verso di lui e incontrò volutamente il suo sguardo. L’espressione spaventata ed apprensiva per un momento sparì, lasciando il posto ad un debole sorriso.

“Grazie… chiunque lei sia, grazie”, gli disse, e Remus non poté fare a meno di sorriderle di rimando. Forse, in qualche modo, lei avrebbe potuto aiutare Regulus a cambiare idea sulle sue scelte di vita. Ma non era più affar suo, da quel momento in poi. Aveva agito mosso da pietà nei suoi confronti, ma non era sicuro di poterselo permettere una seconda volta. Lui e quel ragazzo si trovavano a far parte di due schieramenti completamente opposti, fra i quali un risparmio di colpi poteva facilmente essere ricambiato con un subdolo attacco alle spalle.

Tuttavia, forse, Silente avrebbe approvato il suo gesto. In fondo, era lo stesso che aveva dato una possibilità ad un Lupo Mannaro.

 

*

James rimase a fissare il corpo inerte di Lily per ore, senza muoversi di un millimetro dalla sua posizione. Era precipitata soltanto da un paio di metri d’altezza, grazie a Godric, ma lui non aveva fatto in tempo ad estrarre la bacchetta e a fermare la sua caduta.

L’urlo di sconfitta di Voldemort era comunque giunto alle sue orecchie nel momento in cui si era reso conto che la spada di Grifondoro si trovava ormai fuori dalla sua portata.

Era stato sempre Aberforth ad aiutarlo a prestare a Lily i primi soccorsi. Mentre la McGranitt portava l’arma a Silente, il suo scorbutico fratello aveva fatto portare immediatamente Lily al San Mungo. Aveva ricevuto tempestivamente tutte le cure possibili; dopodiché era stata sedata per garantirle il giusto riposo. Non era immobile e mortalmente pallida come nel suo sogno e almeno quello lo rassicurava: poteva vedere chiaramente il ritmico abbassarsi e sollevarsi del suo torace, che solo ogni tanto veniva interrotto da qualche inconscio sussulto a cui poi seguiva un lieve movimento del capo, un girarsi sul fianco. Ogni tanto le prendeva la mano, per assicurarsi che la sua pelle fosse calda come quando, appena sveglia, gli accarezzava dolcemente una guancia.

Si toccò distrattamente la spalla sinistra. Anche la sua ferita era stata medicata. Sapeva che gli sarebbe rimasta una profonda cicatrice, ma l’avrebbe diplomaticamente considerato un marchio da vero Grifondoro, dato il modo in cui se l’era procurata.

Si coprì il volto con le mani e chiuse gli occhi, cercando di ottenere un vago e momentaneo sollievo. Il sogno di quella mattina era stato inequivocabilmente premonitore. Se Lily l’avesse preso sul serio, forse l’avrebbe ascoltato e se ne sarebbe rimasta a casa anziché precipitarsi a combattere Voldemort. Il suo corpo era rimasto enormemente provato da quella battaglia, sia per le numerose fratture provocate dalla caduta che per il dolore sopportato quando Voldemort l’aveva torturata. L’amava con tutto se stesso, ma certe volte era davvero troppo testarda. Del resto, però, era sempre stata così: anche quando non aveva ancora l’incarico di Prefetto o Caposcuola e, quindi, un presunto dovere che pesasse sulla sua coscienza, si era sempre precipitata a difendere le persone senza pensarci due volte. Non avrebbe potuto aspettarsi nulla di diverso dalla Lily adulta che ora combatteva nell’Ordine della Fenice.

Era inutile impedirle di scendere in campo con lui e gli altri. Non c’era alcuna argomentazione abbastanza efficace per farla desistere. Neppure se il prezzo da pagare era quello, risvegliarsi con un corpo martoriato che solo dopo molti giorni sarebbe guarito. Ma James si disse che sapeva già cosa fare, in fondo. Non aveva avuto bisogno di rifletterci: fin da quella mattina aveva avuta ben chiara nella mente quell’unica e indiscutibile idea. Se mai il suo sogno si fosse avverato, si sarebbe ucciso. Non poteva sopportare una vita senza di lei, neppure se avessero sconfitto Voldemort e ottenuto ciò per cui lottavano ogni giorno.

 

 

Si accontenta di cause leggere la guerra del cuore,

Il lamento di un cane abbattuto da un’ombra di passo.

Si soddisfa di brevi agonie sulla strada di casa,

Uno scoppio di sangue, un’assenza apparecchiata per cena.

 

(Fabrizio De André, Disamistade)

 

 

 

 

Nota di fine capitolo: dare corpo a questa storia mi sta complicando sempre di più la vita. Non avevo previsto di far entrare Regulus così nella storia, eppure, alla fine, il mio desiderio di onnipotenza del “gestisci-mille-personaggi-alla-volta” ha prevalso XD il fatto è che Regulus è un altro dei grossi interrogativi che mi tormenta riguardo a questo “periodo buio” su cui la Rowling ha detto ben poco. Sappiamo che, pur essendosi unito ai Mangiamorte, a un certo punto cambia idea e decide di distruggere Voldemort. La Rowling liquida il tutto con la storia di Kreacher, ma poi, da lì, come caspita avrà fatto un ragazzino di diciassette anni a scoprire tutte quelle cose sugli Horcrux, di cui, a quanto pare, non si trovano informazioni dettagliate in nessun libro facilmente reperibile? Non credo che Voldemort se ne fosse vantato davanti a lui. Più volte lo vediamo preoccupato di tenere nascosto il segreto, neppure a Bellatrix – che è la più fidata fra i suoi Mangiamorte – rivela cosa esattamente le ha fatto nascondere nella sua camera blindata della Gringott. Regulus, molto probabilmente, non era un Mangiamorte così importante. Avevo già provato ad immaginare una possibile soluzione per questo problema, e ci avevo scritto su una storia di tre capitoli, postata ormai tanto tempo fa… il punto è che non mi tornavano i conti, perché ho poi scoperto che Regulus muore prima che muoia l’altro personaggio su cui mi sono basata per quella storia. Ergo, nei prossimi capitoli fornirò una versione un po’ diversa, ma che a me convince comunque. Anche se sono affezionata a quella fanfiction, fu il mio primo tentativo di noir/storia di terrore e quindi resterà lì dov’è XD

Bene, credo di aver detto tutto. Con i prossimi capitoli si chiarirà un po’ dove voglio andare a parare.

A presto!

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Capitolo 9
*** Amicizia (Lily Evans, Severus Piton, Sirius Black) ***



 

Capitolo 7 – Amicizia

 

Il tempo non ruota in cerchio, ma avanza veloce in linea retta. È per questo che l’uomo non può essere felice, perché la felicità è desiderio di ripetizione.

(Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere)

 

Gennaio 1979

“James, andiamo, convincili tu che le mie condizioni di salute sono ottime. Io voglio andare a casa”, bofonchiò Sirius, sbattendo i pugni sul letto con un infantilismo estremamente consapevole.

Ne aveva abbastanza di restare chiuso nelle quattro mura del San Mungo.

“Non credo di essere nella posizione adatta per oppormi alle decisioni di quelli che comandano qui, spiacente, Pads”, si scusò James in tutta risposta, e Sirius dovette fare uno sforzo molto grande per non mettersi a urlare. Neppure il suo migliore amico muoveva un dito per aiutarlo, dannazione.

“Sei veramente una carogna infame”, sibilò, coprendosi con il lenzuolo fin quasi sopra i capelli. James scoppiò a ridere sonoramente.

“Spiegami, qual è il tuo grande problema? Ci è andato Remus a dare da mangiare al gatto”.

“REMUS?!”

“Sì, si è offerto volontario ieri sera, quando l’ho incrociato qui fuori, così ho lasciato che se ne occupasse lui…”

“...E quando sarebbe stato qui?”

“Sirius, l’ho appena detto. Ieri sera”.

“Impossibile. Io non l’ho visto”.

“È perché stavi già dormendo della grossa. Credo che tu abbia leggermente perso il senso del tempo. È passato a vedere come stava Lily, siamo rimasti nella sua stanza a chiacchierare un po’ e poi l’ho accompagnato qui, ma nemmeno le cannonate ti avrebbero svegliato”.

“Ah. Certo. Capisco”.

Quindi Remus era venuto a trovarlo. Si era vagamente preoccupato della sua salute, dopo che si era preso quell’incantesimo in pieno petto per salvarlo. E non perché fosse stato disarmato o messo alle strette, oh, no. Il signorino si era semplicemente distratto a guardare per aria, nel bel mezzo di una battaglia. Davvero una mossa astuta da parte sua.

Per una fortunata coincidenza in quel momento Sirius aveva gli occhi fissi su di lui, perciò aveva potuto intercettare con precisione l’attacco del Mangiamorte.

Ma come minimo si aspettava dei ringraziamenti per questo.

Non che l’avesse fatto per un tornaconto personale, no di certo. Ma almeno, in quel modo, Remus non avrebbe più potuto evitare di rivolgergli la parola. Era praticamente costretto a farlo, non c’era via di scampo. Così avrebbe risparmiato a lui l’oneroso compito di andare a cercarlo per chiarire una determinata faccenda ancora non risolta.

Aveva aspettato per giorni quell’occasione, che fino a quel momento non era mai arrivata. Non aveva preso in considerazione neppure per un secondo l’idea di essere lui a prendere l’iniziativa, risparmiando così tempo ed energie, perché non appena ci ripensava la vergogna lo faceva sprofondare metri e metri sotto terra. Ripensare a ciò che aveva sentito e provato quel giorno era assolutamente imbarazzante, figuriamoci tirare fuori l’argomento in una conversazione con Remus. Certo, era rischioso continuare su quella strada. Prima o poi James si sarebbe accorto che qualcosa non andava perché, per quanto fosse estremamente assorbito dalla sua nuova vita coniugale, Prongs si guardava sempre attorno. Non gli era mai sfuggito nulla, neppure quando, negli anni di scuola, non faceva altro che nominare Lily. Sembrava sempre essere con la testa fra le nuvole, ma bastava poco per rendersi conto che in realtà non era così; anche i professori avevano dovuto fare i conti con questo errato giudizio. Molti ci avevano messo del tempo per capacitarsi di come quel ragazzino che sembrava perennemente distratto riuscisse a rispondere ogni volta in maniera corretta ad una loro domanda.

Anche quelle volte in cui decidevano che non avevano nessuna voglia di seguire e per passare il tempo si mettevano a raccontare barzellette a Peter o a dare fastidio a Remus, che puntualmente si sforzava il più possibile di ignorarli per non dar loro soddisfazione, ma senza alcun successo.

Indubbiamente James aveva ricevuto una buona istruzione magica fin da piccolo, grazie ai genitori che l’avevano cresciuto come una specie di bambino prodigio. Ma i suoi eccellenti risultati a scuola non erano un semplice vivere di rendita.

Insomma, l’idea che il suo migliore amico si rendesse conto di qualcosa lo terrorizzava. Già l’altra notte, durante la missione, era stato difficile. Un paio di volte era stato inevitabilmente costretto a rivolgere la parola a Remus e aveva dovuto recitare al massimo delle sue capacità per farlo con un tono di voce e un’espressione normale. Lui era stato altrettanto bravo, ma James lo era di più. Un giorno o l’altro, gli avrebbe letto nel pensiero. Ne era certo.

Doveva pensare a cosa dire, a come affrontare Remus. Ormai era certo di avere la vittoria in pugno, non avrebbe potuto fare a meno di fronteggiarlo in maniera diretta senza che fosse lui a doverlo rincorrere. Ma Sirius voleva essere pronto. Non poteva lasciarlo parlare, perché altrimenti Remus l’avrebbe fatto arrabbiare e avrebbero finito per litigare irrimediabilmente. No, stavolta doveva fare la persona matura. Doveva essere lui a gestire il tutto e doveva farlo in maniera rapida e indolore.

“Sirius?”

Si voltò verso James, riaffiorando di colpo dal baratro dei suoi cupi pensieri. L’amico lo guardava con aria interrogativa.

“Sì, scusa, sono ancora un po’ stordito. Dicevi?”

“Dicevo che sto andando a casa a farmi una doccia, è dall’altro ieri notte che non mi schiodo da qui. Mi hanno detto che Lily dovrebbe svegliarsi in mattinata, l’effetto delle pozioni sedative ormai dovrebbe essere terminato. Fai un salto a vedere come sta, magari”.

“Oh, sì… sì, certo, non ti preoccupare. Ci penso io”.

“Grazie, Pads. Torno fra poco”.

Osservò la figura smilza di James dileguarsi in pochi secondi, attraversando l’uscio della sua stanza con una rapida falcata. Doveva fare in fretta, se davvero non voleva che iniziasse a sospettare qualcosa.

 

*

Lily si era svegliata da pochi minuti quando sentì bussare inaspettatamente alla porta.

James le aveva lasciato un biglietto sul comodino per informarla che sarebbe passato fra un paio d’ore, perciò non aveva idea di chi potesse essere.

“Avanti”, disse, in ogni caso.

Rimase piuttosto sorpresa nel trovarsi davanti nientemeno che Sirius Black in persona.

“Che ci fai tu qui?” domandò, aggrottando la fronte. Sirius esibì un’espressione scontenta.

“E va bene, va bene, me ne vado”, borbottò, facendo per uscire.

“Ma che dici? Puoi entrare, ma non capisco…”

“Beh, sono ricoverato qui anch’io. Immagino che James non abbia fatto in tempo a dirtelo, ieri notte, quando ti sei svegliata”.

“No, hai ragione. Credo di aver aperto gli occhi per poco più di trenta secondi”.

“Capisco”.

Si osservarono in silenzio, per qualche secondo. Quale che fosse il motivo, Lily non si sarebbe comunque aspettata che proprio Sirius la venisse a trovare. Tra di loro, quando lei e James avevano cominciato a uscire insieme, non era esattamente nato un rapporto idilliaco. Per una serie di pregiudizi e circostanze non favorenti, si erano trattati con indifferente causticità fino a quando, un giorno, il signorino Black doveva essersi reso conto di aver esagerato con l’astio ingiustificato nei suoi confronti. Non che, ovviamente, fosse venuto a scusarsi in maniera diretta. Però, ad un certo punto, era nata una sottospecie di tregua fra loro, dato che per colpa di quei disaccordi James ci stava rimettendo la sanità mentale. Tuttavia, non si poteva certo dire che fossero poi diventati grandi amici.

“Che ti è successo, dunque?” domandò Lily, per rompere il ghiaccio.

“Ho dovuto salvare la vita ad un cretino”, rispose Sirius, cupo. Lily fu estremamente tentata di scoppiare a ridere, ma cercò di contenersi per non irritare il suo già abbastanza labile umore.

“Mi dispiace. E chi è questo essere degno di tanti insulti?”

“Uno che una volta al mese diventa aggressivo e con zanne appuntite”.

“Oh. Capisco. Beh, immagino che te ne sarà stato grato…”

“Non ne ho la più pallida idea, dato che finora non si è degnato di venirmelo a dire”, sbottò Sirius, palesemente irritato. Lily incrociò le braccia, perplessa. Era da diversi giorni che aveva notato qualcosa di strano. Sirius, peraltro, sembrava evidentemente bisognoso di confidarsi con qualcuno, come denotava la maniera in cui era esploso, apparentemente senza una giustificazione valida. Ma ovviamente era troppo orgoglioso per chiedere una mano a qualcuno in maniera chiara ed esplicita.

“Puoi sederti, se vuoi”, gli disse, in tono cortese. In fondo, passare metà dello scorso anno a lanciarsi frecciatine velenose era stata una gran perdita di tempo e di energie inutilmente sprecate. Se ora Sirius aveva cambiato modo di porsi nei suoi confronti, doveva fare anche lei la sua parte e provare a metterlo a suo agio.

“In ogni caso, l’altra notte non avresti dovuto scappare via in quel modo. James mi ha rotto le scatole per un sacco di tempo, perché si era raccomandato che ti portassimo al sicuro e invece nessuno di noi si è dimostrato all’altezza del compito. Insomma, una vera tortura…”

“Oh, andiamo, Sirius. Sappiamo entrambi che se non ci fossi stata io, saresti corso tu a salvargli la pelle”.

“Beh, certo che sì! Ma con me non avrebbe avuto nulla da obiettare”.

“Tu credi? Avrebbe sbraitato anche con te, invece. Sei il suo migliore amico e gli importa della tua vita tanto quanto della mia”.

“Un po’ troppo protettivo, il ragazzo”.

Lily ridacchiò, dopodiché calò il silenzio. Sirius sembrava totalmente assorbito dai suoi pensieri. Le tornò in mente quelle occhiate fulminanti gettate da Remus al suo indirizzo che aveva intercettato, per puro caso, nei giorni precedenti, alle riunioni dell’Ordine, ogni volta che il giovane Black aveva fatto una delle sue sgargianti battute. Non era una reazione normale, di questo ne era certa. In genere Remus fingeva – pessimamente – di non ridere, o faceva qualche commento composto e lievemente sarcastico, oppure si copriva il volto con le mani e sospirava tra sé, semplicemente. Aveva anche notato che, quando si era trovato a passare per caso vicino a Sirius, entrambi si erano ignorati totalmente, con aria impassibile, se non per un muscolo contratto sulla guancia. Dopodiché, Remus era rimasto quasi sempre in silenzio. Non che di solito parlasse molto, ma sembrava avere quasi paura di aprir bocca, come se si sentisse in imbarazzo. Vedendo ora che anche Sirius  si comportava in maniera simile, non poteva fare a meno di lambiccarsi il cervello a riguardo.

“Vedo che stai meglio. James può stare tranquillo”.

“Sì, è stata solo una brutta caduta, niente di più”.

“Già”.

Oh, al diavolo, non poteva starsene lì zitta e buona e far finta di niente.

“Comunque, se vuoi un consiglio spassionato, smettila di fare quella faccia da funerale. Vedrai che Remus tornerà presto, così potrete parlare dei vostri problemi sentimentali e risolverli da persone adulte e mature”.

Sirius sgranò gli occhi e sbiancò di colpo, sconvolto, e in quella manciata di secondi che precedettero la sua esplosione Lily capì di averci azzeccato.

“COM’E’ POSSIBILE CHE TU LO SAPPIA?!”

L’ex-Caposcuola lo fissò perplessa, la fronte corrugata, in attesa che il suo stato di shock si attenuasse quel tanto che bastava da condurre una conversazione su toni di voce che non andassero oltre l’udibile dall’orecchio umano. Erano pur sempre in un ospedale, dopotutto, e non era certo il luogo adatto per fare tutto quel casino.

“TE L’HA DETTO LUI, VERO? IO LO AMMAZZO!”

“Sirius, per l’amor del cielo, piantala! Remus non mi ha detto proprio un bel niente, smettila di prendertela con lui”.

Il pallore sul volto del primogenito Black sembrò attenuarsi lievemente. Dopo un paio di secondi tornò verso la sedia, che aveva quasi rovesciato alzandosi di scatto in quel modo, e si aggrappò allo schienale, rimanendo a fissare Lily con occhi sgranati.

“Spiegami come diamine hai fatto a…”

“Oh, avanti, sono una donna. Non potresti capire come ci sono arrivata”.

Omise attentamente il fatto che, fino a poco prima, le sue erano soltanto congetture, altrimenti avrebbe finito per scatenare un putiferio ancora più grande, perché Sirius si sarebbe reso conto di essersi irrimediabilmente tradito con le sue stesse mani.

Il giovane strinse le labbra, come se stesse ponderando se doveva sentirsi offeso da quel commento. Lily scosse impercettibilmente la testa, persa nei suoi pensieri. Che ci fosse qualcosa che non andava fra quei due era evidente, a meno di non essere ciechi o privi di spirito d’osservazione. Sul fattore sentimentale, forse, era già più difficile indovinare. Ma nei giorni scorsi aveva colto certi sguardi da parte di entrambi, nei momenti in cui pensavano di non essere osservati, che lasciavano intuire qualcosa del genere.

Non era stato difficile arrivare a formulare determinate congetture, per quanto potessero sembrare astruse e campate in aria.

“Beh? Che hai intenzione di fare?”

“In che senso?!”

“Oh, andiamo, Sirius… non si tratta di una ragazzina qualunque. Si tratta di Remus”.

Lui la fulminò con lo sguardo, incrociando le braccia.

“Lo so benissimo, ma appunto per questo tu ed io faremo finta che non sia mai successo nulla”.

Lily strinse la bocca in una smorfia scettica, una di quelle che le riusciva meglio.

“E di lui che mi dici? È d’accordo su questa strategia?” domandò, praticamente certa del fatto che non fosse così.

“Oh, ci puoi giurare. È da non so quanto che fa qualsiasi cosa per ignorarmi”.

Il che era decisamente un comportamento non da Remus.

“Ma se non gli hai parlato direttamente, forse non dovresti saltare a conclusioni affrettate…”

Si fermò, poi si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. Forse, qualche anno prima, seguire questo suo stesso consiglio le avrebbe risparmiato un sacco di dolorosi battibecchi con James.

“Lily, dai, non c’è bisogno di scriverselo in fronte a caratteri cubitali. Se i suoi intenti fossero stati diversi, sarebbe venuto a parlarmi. Ma non l’ha fatto, perciò basta, chiuso, non voglio più sentir parlare di questa storia. È stato un errore, un mio errore, d’accordo, ma non si ripeterà”.

Lily sgranò gli occhi, guardando sorpresa il bel giovane afflitto. Non poteva crederci. Se c’era una cosa su cui non avrebbe mai scommesso, era che fosse stato Sirius a cominciare.

“Che hai da fissarmi così?” brontolò Sirius, accorgendosi di essere diventato improvvisamente oggetto di tanto stupore. Lily rise, incredula.

“Niente, ma… complimenti”, gli disse, facendolo incupire di colpo.

“Ti avverto, se dici qualcosa a James di tutta questa faccenda correrò da lui e lo obbligherò a raccontarmi tutti i più sordidi dettagli della vostra prima notte di nozze”.

Lily strinse le labbra, gettandogli un’occhiataccia.

“Sei ancora convinto che io sia una spiona?”

“No, non è questo, è che… non voglio che James lo sappia, tutto qui”, ammise lui, con voce mesta. La ragazza si strinse nelle spalle.

“Wow, sarà forse la prima volta in tutti i tuoi diciotto anni che non gli confesserai ogni dettaglio della tua vita”.

Sirius chinò lo sguardo, contrariato.

“Beh, stavolta non posso… è troppo… nemmeno lui capirebbe. È stato uno sbaglio”.

Si ostinava a ripeterlo, come per convincersene lui stesso. Dopotutto, probabilmente, era normale cercare di pensarla così, al suo posto. Verosimilmente si era trattato di una situazione inaspettata, in cui, a prescindere da cosa fosse successo, sia Remus che Sirius si erano ritrovati catapultati di colpo, senza alcun preavviso. Non era sicura del fatto che James ne sarebbe rimasto scioccato – forse all’inizio, ma James era la tipica persona che non si faceva condizionare da alcun pregiudizio nel momento in cui si trattava dei suoi amici. Di questo Lily era certa. Non si era mai posto alcun problema nel simpatizzare con uno come Sirius, che proveniva da una nobile famiglia Purosangue con la puzza sotto il naso e palesi simpatie per i maghi oscuri, né con Remus, che era di origini umili e per giunta un licantropo, e neppure con Peter, che scolasticamente non era mai stato brillante come lui e non possedeva la sua indole esuberante. Probabilmente sarebbe caduto dalle nuvole dato che, per quanto ne sapeva lei, non c’era mai stata alcuna avvisaglia di una possibile tresca fra quei due. Si erano sempre comportati da amici, come chiunque si aspettava da loro. Eppure, c’era qualcosa che a Lily faceva sorridere. L’imbarazzo di Sirius, il suo senso di colpevolezza, le occhiatacce che Remus gli aveva gettato sotto il suo naso in un paio di occasioni, il fatto che Sirius si fosse preso un incantesimo in pieno petto per salvare Remus… si sforzò di rimanere seria, altrimenti il giovane Black l’avrebbe probabilmente uccisa. Ma personalmente lei non lo trovava così snaturato. Da persona estranea al loro gruppetto intimamente chiuso, aveva sempre visto quei due beccarsi per ogni minima bazzecola, domandandosi più e più volte come Remus fosse in grado di sopportare i tormenti che Sirius gli dava, per puro divertimento, senza lasciargli mai un attimo di tregua, per poi vederli comunque perennemente insieme, pronti a difendersi l’un l’altro o a ridere e scherzare come se nulla fosse, senza che nessuno dei due si facesse problemi a riguardo. Era diverso dal rapporto che condividevano Sirius e James – mancava solo che quei due si completassero le frasi a vicenda per sembrare più simili l’uno all’altro – o di quello che aveva Peter con ciascuno di loro. Peter adorava talmente tanto James e Sirius che molto raramente osava anche solo contraddirli. Si sarebbe buttato dalla Torre di Grifondoro per loro, era evidente. Ma Remus… avrebbe fatto lo stesso per Sirius, questo era certo. Tuttavia, almeno in apparenza, spesso sembrava voler dimostrare l’esatto contrario. Era complicato da spiegare, ma allo stesso tempo così chiaro ed evidente.

“Cosa devo fare, Lily?”

Alzò la testa, sorpresa, interrompendo il corso dei suoi pensieri. Sirius era chino in avanti, il volto nascosto fra le mani. Sembrava davvero disperato.

“Beh, forse… innanzitutto dovresti cercare di capire perché è successo”.

“PER ERRORE!”

“Sirius, che diamine, non c’è bisogno di urlare!” protestò lei, vivamente. Sirius chinò di nuovo il capo.

“Scusa”, mormorò. “Comunque, quante volte te lo devo ripetere? È stato un errore, un grosso, grossissimo errore, niente di più”.

“Oh, Merlino… è una risposta troppo sbrigativa”, sbottò Lily, spazientita. “Anch’io, quando ho baciato James per la prima volta, subito dopo ho creduto di aver fatto un errore”.

“Mi duole contraddire la tua infinita saggezza da mondo delle favole, ma che tu abbia baciato James, in un’ottica esterna, è una cosa assolutamente ed innegabilmente normale”.

“Non è così tanto normale gettarsi fra le braccia di una persona che fino a poco tempo prima affermavi di odiare…”

“Lo è ancora meno fare una cosa del genere con uno del tuo stesso sesso, scusa ma in questo caso vinco io!” esclamò Sirius, piccato. Lily sospirò, arrendendosi.

“Oh, quindi è questo che ti preoccupa? Che tu abbia baciato un uomo?”

“Beh, che diamine, certo che mi preoccupa! Ma non solo: aggiungici anche che l’uomo in questione è un mio amico, uno dei miei migliori amici. E che facendo questa cosa, con cui probabilmente pensavo di rimediare alla spaccatura che c’è fra noi, non ho fatto altro che creare un pretesto definitivo per far allontanare Remus da me senza alcuna speranza di tornare indietro. Ora capisci? È un disastro! Un completo, completo disastro”.

Lily rimase ad osservarlo crogiolarsi nella sua disperazione per qualche secondo. Era indubbiamente una situazione complicata, per di più non aveva idea di cosa fosse quella spaccatura a cui Sirius aveva accennato. James non le aveva mai raccontato nulla a proposito, di conseguenza poteva dedurre che non ne sapesse niente neppure lui. E quindi, probabilmente, Sirius non aveva intenzione di parlarne. Meglio restare concentrati sui fatti recenti.

“Sirius, sei tu che vuoi vederlo come un disastro”, gli disse, convinta. “Forse potrebbe non esserlo. Forse dovresti solo andare da Remus e parlargli, in maniera chiara e concisa”.

Sirius sospirò, distogliendo lo sguardo.

“Lui… non vuole parlarmi”, disse, in un soffio.

“Io non credo proprio”, rispose Lily, decisa a non lasciarlo desistere.

“Te l’ha detto lui?”

“No, ma …”

“…E allora come fai a saperlo?”

“Andiamo, Sirius, Remus non è il tipo da lasciare volutamente in sospeso questioni come queste. Siete adulti, per Godric, dovete fronteggiare la cosa. È una faccenda che riguarda voi due soltanto, perciò nessun altro si intrometterà, te lo garantisco. Ma se non vuoi che James ti faccia domande, non puoi continuare così. Prima o poi si accorgerà che non vi parlate, o che lo fate solo davanti a lui, per far sì che non sospetti niente. Ma ti prego, smettila di pensare soltanto a come ti giudicherebbero gli altri, o l’unica cosa che ci andrà di mezzo sarà la tua amicizia con Remus. E non mi sembra il caso di gettarla via”.

Sostenne il suo sguardo con decisione, sperando con tutta se stessa che capitolasse e le desse finalmente ragione, per il bene suo e per quello di Remus.

Alla fine, lo osservò sospirare con rassegnazione ed annuire, e si concedette di esultare mentalmente.

“E va bene, lo farò…”

“Ottimo”.

“Ma lui mi riderà in faccia, sappilo, e allora io darò la colpa a te”.

“Ritieniti autorizzato”, rispose, con noncuranza. L’importante era che quei due si parlassero e basta.

“Non ci credi, eh? Vedrai, te lo dimostrerò!”

“Oh, piantala, Sirius, non devi dimostrare nulla a nessuno! Smettila di fare il bambino troppo cresciuto…”

In quel momento, la porta si spalancò di botto. James entrò, veloce come un fulmine, pallido in volto.

“Ehi”, lo salutò Lily, sorridendo. Lui non emise fiato. Rimase serio, poi le si avvicinò, lentamente. Sirius si fece da parte, osservandolo con aria preoccupata. Sembrava che tutta la voglia di vivere gli fosse defluita via di colpo, lasciando posto ad un corpo ambulante.

Lily alzò lo sguardo, ma James non la guardò negli occhi. Senza ancora aver aperto bocca si cavò di tasca una busta spiegazzata, la rimirò per un attimo con sguardo vacuo e poi gliela consegnò. Solo in quel momento lei notò il luccichio che offuscava le sue iridi nocciola.

“Non so come dirtelo… l’ho trovato a casa stamattina”, mormorò, con un filo di voce. Lily estrasse il contenuto della busta. Era un biglietto di Petunia, scritto con una grafia un po’ più tremolante del solito.

Lo lesse, dopodiché desiderò di potersi svegliare da quel brutto sogno.

 

*

Ne era venuto a conoscenza per puro caso ed era altrettanto per caso se adesso si trovava lì, esattamente quando anche lei si era recata in quel luogo.

Non credeva di trovarcela, non se l’aspettava nella maniera più assoluta.

Il necrologio datava la loro morte ad un paio di giorni prima, quindi forse era dal funerale che veniva lì a far loro visita.

Poteva immaginare il dolore che provava.

Fu un colpo al cuore intravederla lì; avrebbe desiderato ardentemente essersi sbagliato, ma era impossibile non riconoscere il suo corpo esile e i suoi capelli color cremisi anche da centinaia di metri di distanza. Era dalla fine della scuola che non si incrociavano più, ma non aveva smesso di pensarle un solo giorno.

Povero sciocco.

Sapeva che si era sposata. Con quell’insulso pallone gonfiato, per giunta. Era una delle cose che non le avrebbe mai perdonato: fra tutti quanti, tutti quelli che la volevano e che avrebbero pagato oro per trascorrere almeno un’ora soli con lei, proprio lui aveva dovuto scegliere? Si era tormentato segretamente per mesi cercando di capire il perché. Certe volte, lasciandosi sopraffare dall’ira, pensava che di sicuro l’aveva fatto apposta, per ferirlo. Aveva scelto Potter con il preciso scopo di osservare compiaciuta mentre lui si dilaniava nella sofferenza più atroce. E questo pensiero, in realtà, lo consolava. Perché se fosse stato così significava che, in realtà, non provava niente per quell’arrogante bastardo.

Tuttavia, era ingiusto attribuirle una tale cattiveria. Lily non era capace di un gesto simile, anche se ora lo detestava.

Perciò, forse, prima o poi avrebbe accettato la realtà.

In fondo, era solo l’ennesimo inganno in cui per anni si era crogiolato, quello di credere veramente alle parole di Lily quando affermava con sicurezza di detestare James Potter. Così come si era illuso fino alla fine che, standole vicino ogni giorno, prima o poi lei lo avrebbe guardato con occhi diversi da quelli di semplice amica. Migliori amici, come diceva sempre lei.

Ma era stato sufficiente un po’ di forzato idealismo per mettere fine alla loro amicizia. Forse anche su quella aveva preso un abbaglio.

Fece per avvicinarsi di qualche passo, ma poi si fermò, scoraggiato. Cosa pensava di fare? Andare a consolarla? L’avrebbe respinto. Perché lui ora stava dall’altra parte. E lei lo sapeva.

Con la sua intelligenza e le capacità di cui era dotata avrebbe potuto fare cose molto più eclatanti ed ammirevoli che servire nell’ombra uno come Silente. Uno che aveva tenuto per sette anni a Hogwarts un Lupo Mannaro, facendo correre un rischio incredibile a quegli studenti di cui tanto affermava di preoccuparsi.

Lei continuava a dargli le spalle. Chissà se era cambiata, se il suo viso si era fatto più dolce, più stanco. Non assomigliava per nulla a quella strega di sua sorella; Lily aveva preso tutto dal padre. Si sforzò di non pensare ai pomeriggi trascorsi a casa sua, a finire i temi delle vacanze estive. Sua madre, forse, aveva capito. Ogni tanto gli aveva fatto qualche battuta. Ma lei no, non si era mai sforzata di vedere cosa ci fosse sotto.

E non era di sicuro intenzionato ad andarglielo a dire, non ora che era sposata con James Potter.

Aveva portato dei fiori comprati in un negozio di maghi. Di quelli che non appassivano se non dopo anni. Voleva lasciare agli Evans qualcosa che fosse degno di loro, non un mazzo dozzinale che dopo qualche giorno sarebbe già stato da buttare. Erano stati sempre molto buoni con lui, non l’avevano mai giudicato per il posto in cui viveva, per come si vestiva o per il fatto che sua madre non fosse mai passata a ringraziarli quando lo facevano restare a cena. Lily aveva indubbiamente preso da loro. Poi, però, un giorno qualcosa dentro di lei era cambiato. E non c’era stato più nulla da fare.

Si domandò perché fosse lì da sola. Suo marito era così attento e premuroso da non averla neppure accompagnata sulla tomba dei suoi genitori. Strinse i pugni, con rabbia. Se fosse toccato a lui, non si sarebbe comportato così. Non l’avrebbe mai lasciata sola. Mai.

Soltanto perché per una volta si era lasciato travolgere dalla rabbia e dall’umiliazione. Aveva sbagliato, certo, prendendosela con lei. Ma avrebbe fatto qualsiasi cosa per rimediare, si sarebbe perfino tagliato un braccio.

E invece aveva passato i restanti due anni a Hogwarts ad osservarla da lontano, reprimendo qualsiasi sentimento con forza brutale. L’estate non era andato a trovarla a casa. Quando si era sparsa la voce che si vedeva con Potter, si era impegnato ancora di più per non lasciar trasparire la sua ira cocente agli occhi dei suoi compagni, perché altrimenti avrebbe disonorato ciò di cui faceva ormai parte. Ma non gliel’aveva mai perdonato.

Ora, però, che motivo c’era di portare ancora rancore? Lily stava vivendo un lutto, probabilmente il peggiore della sua vita. Lui, in passato, era stato suo amico. Aveva conosciuto i suoi genitori. Era un suo diritto andare su quella tomba a lasciare loro i suoi fiori, qualunque cosa ne pensasse lei.

Non aveva il potere di impedirglielo.

Si avvicinava lentamente, guardando a terra, contando i passi che li separavano. Il cuore gli batteva all’impazzata nel petto. Che doveva fare? Ignorarla? Salutarla? E se poi lei avesse fatto finta di non vederlo? Sarebbe stato ancora più umiliante…

Alzò gli occhi e vide che lei si era voltata e lo stava fissando.

Ormai era troppo tardi per ripensarci.

“Che ci fai qui?” gli domandò, gelida. Lui si fermò. I suoi occhi brillavano ancora intensamente, come un tempo.

“Ho mancato il funerale, non lo sapevo”, spiegò, mostrandosi impassibile. Era diventato abile, ormai nulla traspariva dal suo volto. Dedicarsi all’approfondimento degli studi in Occlumanzia durante quei mesi trascorsi dalla fine della scuola gli aveva giovato molto in questo senso.

“Se è per quello, anch’io non c’ero. Ma sono sicura che tu sappia il perché. Porta i miei ringraziamenti al tuo signore per questo”, gli rispose, sprezzante. Severus ebbe un tuffo al cuore. La battaglia della notte precedente… doveva essere rimasta ferita. Non era venuto a conoscenza dei dettagli, si stava occupando di altre faccende in quella circostanza.

“Non avresti dovuto unirti a quella banda di sciocchi…”

“Oh, e da quando sei tu a dirmi cosa devo fare della mia vita?”

“Non ho mai voluto che la rischiassi, a differenza di qualcun altro”.

“Io credo che ti convenga limitarti a sperare che un giorno non ci troveremo faccia a faccia in una situazione come quella dell’altra notte. O sei con Voldemort, o sei contro di lui”.

Severus non reagì a quella frase sferzante. La guardò semplicemente negli occhi, poi chinò il capo.

“Mi dispiace per la tua perdita”, le disse, in tono compunto.

“Ti ringrazio”.

Con quella nota di sarcasmo che ancora aleggiava nell’aria, Lily lo superò e se ne andò a passo spedito. Severus non si voltò indietro per guardarla andare via, per quanto lo desiderasse; si limitò ad espirare, lasciando fuoriuscire dai polmoni tutto il fiato che finora aveva inconsapevolmente trattenuto.

Avanzò lentamente verso la tomba dei suoi genitori. Non avendo potuto seppellirli, il suo dolore doveva essere ancora più grande. Non poteva certo sperare di consolarla, ormai. Ma avrebbe voluto farlo. Ci sarebbe stato sempre, per lei, se solo Lily lo avesse voluto.

Ma Lily non voleva. L’aveva rifiutato già da tempo e lui ne era ben consapevole. Avrebbe dato la vita per poter tornare indietro nel tempo e mutare il corso degli avvenimenti di quel giorno maledetto, uccidendosi piuttosto, se proprio non poteva fare altro, ma neppure la più potente delle magie poteva aiutarlo.

Depose i fiori a fianco della lapide della signora Evans, mentre una lacrima silenziosa gli scendeva lungo la guancia.

 

*

Quando Remus passò a trovarlo, quella sera, Sirius era perfettamente sveglio. Il giorno dopo l’avrebbero finalmente lasciato andare a casa. James aveva accompagnato via Lily, che aveva chiesto di essere dimessa prima del tempo, mormorandogli soltanto un breve saluto. Ma non c’era ragione di offendersi. In quel momento, dopo un recente scontro ravvicinato con Voldemort e dopo aver dovuto dare alla propria moglie la notizia che i suoi genitori erano morti, sepolti da un’improvvisa valanga durante una passeggiata in montagna, James era sicuramente in stato di shock. Avrebbe voluto fare qualcosa per lui, ma finché era bloccato lì non c’era che da rassegnarsi e aspettare. Gli dispiaceva per Lily, gli dispiaceva un sacco. Quello non era sicuramente il momento più adatto per ricevere una notizia del genere. Il fatto che poi fosse rimasta un paio di giorni in ospedale sotto sedativi le aveva fatto perdere il funerale organizzato dalla sorella, dato che James era rimasto tutto il tempo insieme a lei e aveva trovato il biglietto recapitato a casa loro soltanto quella mattina. La sfortuna aveva colpito duramente, quella volta. Ma per il momento lui non era nella posizione di poter fare alcunché.

Aveva comunque un problema piuttosto urgente da risolvere e aveva trascorso l’intera giornata lambiccandosi il cervello per cercare le parole giuste da pronunciare, una volta che Remus gli fosse comparso davanti. E adesso era pronto. L’aveva accolto con un saluto cortese, neutrale, aveva perfino fatto un paio di battute nel tentativo di farlo ridere quando lui gli aveva chiesto scusa per ciò che era successo e l’aveva ringraziato per essersi messo in mezzo durante la battaglia. Tuttavia, ciò che aspettava con ansia era il momento in cui avrebbe pronunciato il suo perfetto discorso. Lily aveva ragione, quella faccenda andava risolta. Ma c’era un solo modo di risolverla che non contemplasse il dare inizio a litigi e rancori eterni ed irreparabili.

“Senti, io ci ho riflettuto su attentamente… guardati intorno, guarda dove siamo. Rischiamo le nostre vite tutti i giorni, Lily e James sono sfuggiti a Voldemort in persona per miracolo, ma per quello che ne sappiamo potremmo lasciarci la pelle domani, o dopodomani. E io non voglio che questo succeda mentre noi due abbiamo smesso di parlarci per una sciocchezza. Dimentichiamo tutto, lasciamocelo alle spalle e restiamo amici. Ti prego, Moony”.

Remus lo osservò in silenzio per molti, lunghissimi secondi. Aveva lo sguardo vacuo, perso nel nulla. Sirius aspettò, trattenendo il fiato. Aveva seriamente paura che di lì a poco esplodesse e si mettesse a prenderlo a pugni. Perché in teoria ne avrebbe avuti tutti i diritti. Quello che gli aveva appena chiesto era di ignorare totalmente un problema, fare finta che non fosse mai successo e continuare come se niente fosse ad essere amici, amici. Dopo quello che avevano fatto, era semplicemente ridicolo. Lo sapeva, l’aveva sempre saputo che c’era qualcosa, un tarlo che gli rodeva la mente, un’inquietudine che aveva sempre covato dentro fin dagli anni della scuola. Ma non aveva mai capito. Non aveva mai collegato nulla, forse perché c’era James che faceva in modo di impiegare quasi tutte le sue energie. E perché c’era Peter, sempre insieme a loro. Non c’erano mai stati lui e Remus e basta. Non fino a qualche settimana prima. Eppure, quello che voleva era davvero dimenticare tutto. Era una cosa troppo grande da affrontare, checché ne dicesse Lily, e lui non ne era capace. Non poteva condurre una conversazione sui loro istinti sessuali deviati, era al di fuori di ogni umana concezione. E non ne avrebbero cavato nulla, anche se ci avessero provato. Sarebbero solo finiti a darsi la colpa l’un l’altro nel tentativo di stabilire chi avesse iniziato a fare cosa.

I secondi passavano e Sirius non faceva altro che pregare che Remus accettasse.

“Va bene”, disse infine. Sirius corrugò la fronte, incerto, e lo osservò per cercare di capire se fosse serio. Non si aspettava che capitolasse così facilmente. Remus non si comportava così, di solito. Preferiva risolvere le cose, metterle bene in chiaro.

“Sei sicuro?” gli domandò. Moony stirò le labbra in un sorriso lieve.

“Sì, certamente. Va bene così, Sirius. Siamo amici. È tutto a posto”.

Ora avrebbe dovuto tirare un sospiro di sollievo, in teoria. Ma per qualche assurda, inspiegabile ed irritante ragione si sentiva ancora più inquieto di prima.

“Ora, scusami ma sto morendo di fame. Ti devo lasciare. Vado a chiedere che portino da mangiare anche a te, se vuoi”.

“Oh, sì, ti ringrazio”.

Era finto. Tutto tremendamente finto. Ma doveva sforzarsi al massimo per essere convincente, di modo che quella faccenda finisse morta e sepolta nelle loro coscienze, perché sarebbe bastato un niente a farla riaffiorare.

Quando Remus uscì dalla sua stanza, Sirius si accorse che sentiva come una specie di enorme macigno pesargli sul petto.

 

 

 

And I die, when you mention his name.

And I lied, I should have kissed you when we were runnin’ in the rain.

What am I, darlin’?

A whisper in your ear? A piece of your cake?

What am I, darlin’?

A boy you can fear or your biggest mistake?

 

(Damien Rice, Cheers, Darlin’)

 

 

 

Nota di fine capitolo: c’è un motivo per cui ho fatto sì che Lily sappia di Remus e Sirius. Prima di tutto perché Lily e Sirius dovevano essere, secondo le idee della Rowling, molto amici (il tono con cui lei gli scrive quella lettera che Harry ritrova a Grimmauld Place non è certo quello di una persona indifferente, o di una semplice conoscente), e se in questa fanfiction siamo già al punto in cui i rapporti fra loro sono cordiali, sentivo che ci fosse bisogno di arrivare ad un gradino di confidenza maggiore. Per cui, ho pensato che nulla potesse farli avvicinare tanto quanto la condivisione da parte di Lily della loro storia. È una sorta di segreto che resta fra loro, che farà sì che Sirius si confidi con lei. Invece, per quanto riguarda Remus, so che la Rowling aveva espresso pensieri favorevoli per quella scena del terzo film in cui il suo personaggio dice a Harry che lui era molto legato a Lily perché lei gli era rimasta vicino in momenti in cui nessun altro c’era. Beh, quei momenti a cui si riferisce non possono che essere quelli in cui tutti sospetteranno erroneamente di Remus come spia e lo estrometteranno dal gruppo al punto tale che non sarà nemmeno messo al corrente dello scambio tra Sirius e Peter. Nella mia idea, dunque, Lily non crederà mai che lui sia la spia. E questo anche perché sa di come Remus è coinvolto con Sirius. Ma è inutile dilungarsi troppo per ora, ci arriverò prima o poi (più poi che prima, visto che per ora siamo ancora agli eventi del ’79 XD).

Altra cosa: il motivo per cui ho fatto sì che Lily mancasse il funerale dei genitori è che viene detto da qualche parte (non ricordo se in uno dei libri o in un’intervista a JK Rowling) che Lily e Petunia dopo la scuola non si vedono più, ma mantengono semplicemente qualche scarso contatto.

Ultimissima cosa: è la prima volta che scrivo dando voce a Piton, è uno degli esperimenti che da tempo volevo fare. Pareri spassionati sulla resa del personaggio mi sarebbero molto, molto utili. Ringrazio ancora una volta tutti coloro che mi lasciano bellissime recensioni, non so davvero come farei senza di voi ♥

A presto!

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Capitolo 10
*** Andare fino in fondo (Regulus Black) ***


Capitolo 8 – Andare fino in fondo




Ma un vigliacco, perfino un vigliacco, può morire da coraggioso, compiendo un solo gesto.
(Frank Herbert, Dune)





Gennaio 1979


“È inutile che continui a guardarmi in quel modo, non ho nessuna intenzione di raccontarti cos’è successo.”

Regulus contrasse il volto pallido in una smorfia di dolore mentre appoggiava inavvertitamente parte del peso sulla gamba rotta. Ricambiò con aria imbronciata l’espressione dura e irremovibile di Erin, che evidentemente non aveva intenzione di desistere.
Era sempre stata incredibilmente testarda, per sua sfortuna. Ma aveva iniziato a rivelarsi tale soltanto quando l’aveva lasciato perché lui era entrato a far parte dei Mangiamorte.
“In tal caso, puoi scordarti qualsiasi aiuto da parte mia,” replicò lei, duramente. “Non ti darò una pozione per sistemarti le ossa, sarai costretto ad andare in giro così e finirai per diventare zoppo. E non potrai nemmeno servire il tuo Signore, date le condizioni in cui ti sei ridotto. Perciò, decisamente non ti conviene.”
Regulus sospirò, stizzito. Era incredibile l’ostinazione di quella ragazza. Lui era un Black e lei avrebbe dovuto obbedire senza fiatare a qualsiasi accenno di ordine che fosse uscito dalle sue labbra. Ma non l’aveva mai fatto, neppure quando, fin dall’inizio, le aveva intimato di non impicciarsi degli affari suoi e di restare fuori dalla sua vita.
L’unico motivo per cui anche lei non aveva mai reso pubblica la loro relazione era che non poteva farsi vedere in giro con un simpatizzante di Voldemort. Perché la zia che l’aveva presa in carico dopo l’aspro divorzio dei genitori era, come Regulus aveva scoperto poi, nientemeno che un membro dell’Ordine della Fenice.
Aveva scelto di farsi portare a casa sua perché sapeva che la donna non sarebbe stata presente, probabilmente impegnata nello stesso scontro in cui lui era rimasto ferito, non certo perché morisse dalla voglia di rivedere Erin. L’ultima volta era stato prima che lei tornasse a Hogwarts per il settimo anno, esattamente quando l’aveva piantato. Un ricordo poco piacevole, dunque.
“Che vogliamo fare, quindi? Rimanere qui a fissarci in silenzio?” sbottò lei, passandosi nervosamente una mano fra i capelli mossi e scuri. Regulus si sentì cogliere da un attimo di debolezza, ricordandosi improvvisamente di quando quelle dita scorrevano delicatamente sulla sua nuca. Non una vera e propria carezza, perché lui non tollerava i gesti d’affetto. Tuttavia, era il contatto fisico più significativo che riuscisse a ricordare.
“Per qualche secondo ho pensato che avresti potuto mettere da parte il rancore e darmi semplicemente una mano. Evidentemente mi sbagliavo,” rispose infine, abbassando lo sguardo in maniera studiata. Sperava segretamente di impietosirla, di indurla a non insistere facendo leva sulla sua sensibilità più intima. Ma Erin, ormai, lo conosceva fin troppo bene.
“Se non avessi voluto aiutarti, ti avrei cacciato quando ancora ti trovavi fuori dal cancello di casa mia,” gli rispose, fissandolo diritto negli occhi con tutta la disapprovazione possibile.
Regulus si accorse che non sapeva più come rabbonirla: fin dal momento in cui aveva detto il suo sì definitivo a Voldemort, era stato consapevole che Erin non l’avrebbe mai accettato. Aveva segnato la fine degli incontri clandestini nei corridoi immersi nel buio, dei momenti rubati in qualche aula vuota dei sotterranei, dell’apparente indifferenza mentre stavano seduti allo stesso tavolo della biblioteca. Sul momento, Regulus non vi aveva dato molto peso. Era convinto che sarebbe riuscito a gestire la situazione, in qualche modo, e che Erin tenesse troppo a lui per non mettere da parte il dettaglio di quel nuovo marchio impresso sul suo avambraccio. Tuttavia, lei gli aveva dimostrato di pensarla diversamente; la sua autorevolezza in quanto rampollo di una nobile casata non aveva mai sortito alcun effetto su di lei, Mezzosangue cresciuta fra Babbani fino al momento in cui era stata chiamata a Hogwarts.
Erin continuava a fissarlo con quello sguardo di ghiaccio e Regulus stava iniziando a non poterne più: gli occhi di lei erano sempre stati troppo espressivi. Riusciva sempre a capire immediatamente quando era arrabbiata, ferita o contrariata semplicemente guardandola; spesso aveva pensato che fosse piacevole poter avere un rapporto così diretto con qualcuno, abituato com’era a relazioni familiari fredde e composte, basate su formalità e cerimoniali che solo un Purosangue poteva comprendere. Ma in quel momento si rendeva conto che non avrebbe voluto vedere il suo disprezzo: si era fatto portare da lei perché sperava in un aiuto, non in un’accoglienza così ostile.
“Non muoverò un dito finché non mi spiegherai il perché,” disse infine lei, voltandosi verso la finestra con le braccia dietro la schiena. Regulus stava per protestare nuovamente, quando la porta di casa si aprì ed entrambi rimasero immobili, a fissare con sguardo pietrificato la persona appena comparsa sulla soglia.
“Hai ospiti?” domandò la donna, chiudendosi con studiata lentezza l’uscio alle spalle.
Erin fissò Regulus per un breve istante, totalmente incerta su cosa rispondere.
“Una visita inaspettata, posso spiegarti... è appena arrivato, non ho avuto il tempo di... lasciami sistemare un attimo.”
Con qualche rapido colpo di bacchetta, Erin fece accomodare Regulus su una poltrona, posizionò un poggiapiedi sotto la sua gamba rotta e gli fece comparire a fianco persino un bicchiere d’acqua. Il giovane Black borbottò fra sé con stizza, domandandosi se fosse stato davvero necessario aspettare fino a quel momento anziché fare tutte quelle storie.
“Erin, vorrei sapere cosa sta succedendo,” disse la donna, in tono controllato ma fermo. L’attimo dopo, la bacchetta di Regulus volò nella sua mano destra. “Perché hai fatto entrare uno di loro in casa mia?”
La ragazza sospirò, coprendosi il volto con una mano. Dopodiché si fece coraggio e tornò a guardare la donna.
“È un mio compagno di scuola – un mio ex compagno di scuola – a dire il vero è il mio ex ragazzo, anche se non gli piace che io lo dica in giro. Non mi farà del male, non ne farà nemmeno a te. Si è ferito e si è fatto portare qui, ma quello che l’ha lasciato qui davanti non era dei suoi.”
“Direi che è più che altro dei vostri,” s’intromise Regulus, con un’alzata di spalle. “Mi sono ferito cadendo in un burrone, durante la battaglia, quello si è impietosito e mi ha salvato la vita. Toglierò il disturbo al più presto, gliel’assicuro.”
La situazione aveva decisamente del paradossale. Un membro dell’Ordine della Fenice non si trovava certo tutti i giorni un giovane Mangiamorte in casa, che fosse contemporaneamente anche amico di sua nipote.
La donna continuava a fissarlo, con sguardo indecifrabile. Non assomigliava ad Erin – se ben ricordava, era semplicemente la sorellastra della madre; sua nonna si era risposata dopo la Grande Guerra di Grindelwald e aveva avuto un’altra figlia, o così gli sembrava di rammentare. Aveva una strana luce negli occhi, quasi un fuoco, e un portamento altero, misurato, tipico di chi discende da una famiglia aristocratica. Tuttavia, Regulus non aveva ancora capito se stava meditando di ucciderlo.
“Sono Dorcas Meadowes,” si presentò, accomodandosi nella poltrona di fronte a lui. “Tu chi saresti?”
“Regulus Black,” rispose il ragazzo, rassegnato. Ormai non poteva farci nulla: avrebbe dovuto restare sul campo di battaglia anziché farsi portare fin lì, almeno sarebbe morto, ma con l’onore di essersi battuto.
“C’era da aspettarselo, eh? Certo, lo sanno tutti da che parte stanno i Black. Tutti tranne Sirius. Una gran testa calda, il ragazzo, ma molto più coraggioso di dieci di voi Mangiamorte messi insieme.”
Regulus digrignò i denti, offeso.
“Lei non ci conosce, non ha il diritto di dire nulla su nessuno di noi.”
“Questo è quello che credi tu,” rispose la donna, in tono beffardo.
“Che vuol dire?” domandò Regulus, incerto.
“È una storia lunga. Ma dimmi, Regulus... cos’hai intenzione di fare, adesso che sei capitato qui? Approfittare della mia ospitalità e del fatto che oggi non ho voglia di uccidere, per poi tornare dal tuo padrone?”
Il ragazzo strinse i pugni, impotente. Le parole della donna lo colpivano come violente sferzate. Sapeva che aveva ragione, ma cos’altro avrebbe potuto fare?
“Lei sa che non ho altra scelta.”
“Non è vero. Una scelta ce l’hai, come tutti.”
“Chi non è con lui è contro di lui.”
“Non ti sembra di essere troppo grande per giocare ancora a fare tutto il contrario di quello che fa Sirius?”
Regulus esplose in una risata sarcastica; non era certo quella la risposta che si aspettava.
“Lo conosce, vero?”
“Sì, abbastanza bene.”
“Allora non dovrebbe faticare molto per capire perché non andiamo d’accordo.”
“Può darsi, ma non è una giustificazione valida per scegliere di stare dalla parte sbagliata.”
“Io non...”
“Non pensavi che sarebbe stato così, vero? Che ti avrebbero gettato immediatamente nella mischia, ordinandoti di uccidere. Ma questo è il minimo: anche noi uccidiamo in battaglia, è una lotta per la sopravvivenza. Però, se non sei stato capace di uccidere un tuo nemico, l’uomo che ha avuto pietà di te e ti ha portato fin qui, cosa farai quando ti chiederanno di torturare e ammazzare degli innocenti?”
Regulus deglutì a vuoto, interdetto. Era proprio durante la battaglia di poche ore prima che aveva realizzato la stessa, identica conclusione. Nei mesi precedenti, durante il suo primo periodo da Mangiamorte, non ci aveva mai pensato; i compiti che gli avevano affidato all’inizio erano di poco conto, come lanciare in aria il Marchio Nero per spaventare i villaggi, rubare o spiare, ma la guerra era tutt’altra cosa, una realtà con cui in precedenza non era mai venuto in contatto. Nessuno gli aveva mai chiesto di uccidere, perciò, da sciocco, aveva creduto che quel compito non gli sarebbe mai stato affidato.
Si sentì prendere dal panico. Tutto ciò che poteva fare era rispondere nel modo in cui i suoi genitori gli avevano insegnato: loro sicuramente conoscevano le giuste ragioni.
“Se coloro che sopravvivono appartengono alla razza più pura, non può che esservi un nobile fine dietro...”
Dorcas Meadowes rispose con una risata velenosa.
“Voldemort non si è fatto alcuno scrupolo nel far assassinare anche maghi Purosangue che si sono rifiutati di unirsi a lui. Ma questo, purtroppo, non è l’aspetto più importante della questione.”
“E quale sarebbe?”
“Ragazzo, il reale scopo di Voldemort non è quello di purificare la razza magica. Quello è più che altro un buon biglietto da visita, un modo per raccogliere adepti. In realtà, però, ciò che Voldemort vuole davvero è qualcosa che ha intenzione di tenere soltanto per sé, qualcosa per cui sta sfruttando tutti voi sciocchi che gli siete corsi dietro.”
Regulus osservò la donna, sbigottito. Cominciò a domandarsi chi diavolo fosse e come potesse essere certa di tutte quelle sentenze che andava declamando: sembrava conoscere l’Oscuro Signore molto meglio di quanto non lo conoscesse lui, che pure portava il suo Marchio sull’avambraccio. Appariva molto sicura di ciò che diceva, e a nulla gli servì continuare a ripetersi che, probabilmente, si trattava soltanto di un bluff; la curiosità per quelle parole così assurde era ormai troppa.
“E di che si tratta?” domandò.
“Non ho intenzione di dire nulla di fronte a mia nipote.”
Regulus si volse verso Erin, che era rimasta ad assistere in silenzio all’intera conversazione. Con un’occhiata dura, le fece un cenno eloquente verso la porta.
“Va’ fuori.”
“Tu non mi dai ordini!” sbottò lei, irata.
“Ti ricordo che a scuola io ero il prefetto e tu l’alunna semplice, perciò non ci sono dubbi su chi comanda fra noi due. Esci.”
Erin si voltò verso Dorcas Meadowes, cercando sostegno.
“Zia, non se ne parla assolutamente!”
“Fa’ come ti dice,” rispose però lei, lasciandola completamente sbigottita.
“Ma perché non posso ascoltare?!”
“È una faccenda troppo delicata e soprattutto troppo mostruosa per essere udita da chi non è stato contaminato dal male di Voldemort. Per favore, dimostrati matura come al solito.”
Erin si diresse verso la porta con aria furente e lasciò la stanza, senza aggiungere altro, anche se Regulus sapeva benissimo che dentro di sé lo stava maledicendo in ogni lingua possibile.
“Molto bene,” disse quindi Dorcas, tornando a guardare il ragazzo. “Ti mostrerò qualcosa che nessun altro sa, dato che lo desideri. Ma tieni presente che questo cambierà tutto. Non potrai più fare a meno di assumerti le tue responsabilità.”
“Questo sarò io a deciderlo, se permetti,” ribatté Regulus, piccato. Non capiva più nulla di ciò che quella donna intendeva dirgli; nella sua testa albergava soltanto la confusione più nera.
“Voldemort non desidera che i suoi Mangiamorte siano persone coraggiose, dico bene?”
Il ragazzo si sentì avvampare di vergogna e un moto di rabbia affiorò nello sguardo nobilmente offeso che rivolse a Dorcas.
“È una falsità, servire qualcuno fino alla morte è molto più che semplice coraggio.”
“Quale senso avrebbe la tua morte se fosse per una causa sbagliata, per qualcosa in cui neanche tu credi, o peggio ancora... per qualcosa che interessa soltanto il tuo padrone?”
“Non ci sono prove di tutto questo,” replicò il ragazzo, con aria di sfida. Dorcas incurvò le labbra in un sorriso storto, ermetico; gli volse le spalle, aprì un’anta della credenza che le stava di fronte per tirarne fuori un oggetto che Regulus non riuscì a vedere, poi estrasse la bacchetta e se la puntò alla tempia.
Il ragazzo intuì in fretta dove voleva arrivare e a quel punto avvertì una scossa che lo fece vacillare, destabilizzare, quasi perdere l’equilibrio.
Dorcas si volse di nuovo verso di lui. Il suo sguardo era spiritato, quasi folle.
“È giusto che tu veda, perciò ora non opporre resistenza. Ci vorrà solo qualche minuto,” gli disse, prima di afferrarlo per il polso e trascinarlo verso il Pensatoio, per poi tuffarvisi dentro insieme a lui senza aggiungere altro.
Regulus non ebbe il tempo di protestare.

*

“C’è qualcosa che non mi convince in te, Black,” mormorò Severus Piton all’orecchio di Regulus, in un tono di voce quasi impercettibile. Le loro conversazioni avvenivano quasi sempre in quella maniera: nel bel mezzo di una riunione dei Mangiamorte, i due sedevano sempre l’uno a fianco all’altro, uniti da un silenzioso legame che nessuno dei due avrebbe saputo ben definire.
“Non so come aiutarti, Severus. Sono qui solamente per fare rapporto sull’accaduto, nient’altro,” replicò Regulus, stringendosi nelle spalle, senza fissare negli occhi il suo interlocutore. Sapeva che Piton era un abile Occlumante e in quei frangenti non era assolutamente il caso di cadere in balia di una delle sue ispezioni. Sforzarsi di tener chiusa la mente senza dare nell’occhio era estremamente difficile, ma era stato proprio l’uomo seduto a fianco a lui ad insegnarglielo, prima dell’ingresso alla corte di Voldemort.
“Voglio solo augurarmi che tu non ci faccia passare dei guai,” gli intimò Severus, muovendo appena le labbra. Regulus finse di ignorarlo, rivolgendo un cenno di saluto a Narcissa e Bellatrix, che avevano appena fatto il loro ingresso nella sala. Notò che le due cugine stavano venendo nella loro direzione, perciò decise di tagliar corto con Piton e si voltò verso di lui.
“Ascoltami, Principe, non c’è nulla che non va. Sono sopravvissuto, sto bene, potresti almeno mostrare un po’ di gioia per questo.”
Gli occhi neri di Severus trafissero Regulus da parte a parte, forse nel tentativo di farlo vacillare, ma lui non distolse lo sguardo. Era stato addestrato talmente bene da sapere come ingannare il suo maestro.
“Cerca di fare attenzione a quello che dici,” rispose infine l’altro, ermeticamente. Regulus annuì in fretta, dopodiché accolse Bellatrix e Narcissa con un educato ed appena accennato sorriso.
“Vogliamo sapere chi è stato, cugino. Non si compie un affronto simile nei confronti della famiglia Black,” gli disse Bellatrix, mentre l’entusiastica follia che la contraddistingueva traboccava dai suoi occhi fissi su di lui. Probabilmente si stava già immaginando i mille, terribili modi in cui avrebbe volentieri ripagato l’offesa.
“Tra poco rivelerò tutto,” si limitò a rispondere Regulus, con cortesia. “È così che desidera l’Oscuro Signore.”
“Tu stai bene?” domandò Narcissa, corrugando solo lievemente la fronte. Mantenere il contegno era indispensabile.
“Certo, Cissy. Ho la pelle dura, non basta qualche colpo di bacchetta a farmi crollare,” rispose Regulus, gonfiando leggermente il petto. Ignorò deliberatamente il ricordo della fuga, della caduta e di tutto ciò che ne era seguito. Era stato un puro miracolo che nessuno l’avesse visto o riconosciuto.
Guardandosi intorno, si domandò quanti fra quei Mangiamorte lì riuniti avrebbero continuato a seguire Voldemort con cieca fedeltà, se solo avessero visto ciò che aveva visto lui. Gli sembrava quasi surreale che, fino a pochi giorni prima, fosse anche lui parte di quel branco di ingenui; aver cambiato modo di vedere le cose in maniera così rapida l
’aveva scombussolato non poco. Per giorni si era tormentato al pensiero di un cambiamento così sconvolgente, domandandosi se non l’avesse inizialmente accettato soltanto per foga ed inesperienza, come gli era successo quando aveva scelto di unirsi ai Mangiamorte; tuttavia, ora che si trovava lì, si sentiva perfettamente calmo e deciso, come se di colpo avesse raggiunto la consapevolezza e la maturità che gli erano mancate in passato.
Subito dopo, si sentì sfiorare il polso.
“L’Oscuro Signore è arrivato,” gli sussurrò Severus. Regulus gli gettò un’occhiata in tralice, domandandosi, come già tante altre volte in passato, che cosa passasse nella testa dell’altro. Si era sempre chiesto se la passione quasi ossessiva di Severus per l’Occlumanzia fosse imputabile soltanto alla sua sete di conoscenze e abilità magiche, piuttosto che all’estrema necessità di nascondere a tutti i suoi reali pensieri.
Paradossalmente, Severus era la persona più vicina a lui, ma anche quella che conosceva meno di tutti. Era stato il primo a degnarlo di reale considerazione all’interno della Casa di Serpeverde, ignorando deliberatamente il fatto che fosse fratello di un soggetto come Sirius – motivo per il quale, sicuramente, tutti gli altri lo tenevano ad una certa distanza. Non era loro permesso dire ad alta voce che la casata dei Black stesse andando incontro alla rovina, ma Regulus era conscio che tutti a Serpeverde lo pensassero, per via di Sirius.
Con Severus, però, le cose erano andate diversamente. Era iniziato tutto a una riunione del Lumaclub, per poi proseguire con qualche aiuto in Pozioni e, infine, la sua ufficiale introduzione nel gruppo dei futuri Mangiamorte. Regulus aveva così iniziato a frequentare assiduamente Avery, Mulciber, i Carrow, Malfoy e altra gente più grande di lui, conquistandosi le occhiate invidiose dei suoi coetanei, ma era sempre stato Severus quello che si preoccupava maggiormente di lui. Tuttavia, mai una volta si era lasciato andare nel confessargli quali fossero le sue preoccupazioni più intime; tutto ciò che Regulus sapeva di lui, l’aveva appreso per osservazione indiretta, imparando anche a capire che Severus accettava le sue confidenze, ma non ne avrebbe regalate altrettante.
Nonostante ciò, ora Regulus era costretto a tenersi a distanza anche dall’unico che avrebbe potuto definire un amico.
Nessuno doveva sospettare, altrimenti sarebbe stata la sua fine.
Svuotando completamente la mente, il giovane Black s’inchinò come gli altri all’ingresso di Voldemort. Attese pazientemente in silenzio, finché non venne chiamato.
“Avvicinati, Regulus.”
Si alzò e camminò a passi misurati e composti, fino a raggiungere il suo Signore.
“Miei cari amici, la scorsa notte è successo qualcosa di molto grave.”
Tutti rimasero in perfetto silenzio, protesi nell’ascolto di ogni parola pronunciata da Voldemort.
“Si tratta di un terribile affronto, che dovrà essere ripagato col sangue.”
Regulus vide Bellatrix sorridere, sgranando gli occhi.
“Durante la battaglia, il nostro giovane compagno è caduto prigioniero di una nemica, è stato torturato da questa persona vile e senza scrupoli e solo per caso ora è qui per raccontarvelo.”
Regulus chiuse gli occhi, solo per un istante.

“Hai ancora bisogno di restare fra loro, ti servono altre informazioni. Non ti sarà utile uscire allo scoperto ora, Voldemort si metterebbe a darti la caccia e la tua missione finirebbe molto prima di cominciare.”
“Belle parole, le tue, ma come posso fare a tornare? Sono stato portato qui da quel tuo amico, ho lasciato che mi salvaste la vita, senza contare che sono fuggito anziché combattere... se tornassi, l’Oscuro Signore mi farebbe uccidere.”
“Far parte dei Mangiamorte non ti ha insegnato proprio nulla, eh?”
“Non capisco cosa intendi, Dorcas.”
“Devi fingere, Regulus. Nessuno ha visto Remus trasportarti qui, dato che eri caduto in quel precipizio. Devi tornare da Voldemort e raccontargli che sei stato fatto prigioniero da me, che ti ho torturato e che solo per miracolo sei riuscito a scappare.”
Regulus scrutò Dorcas con espressione sorpresa, quasi ammirata. Quella donna era completamente pazza, ma non certo stupida. Faceva ancora fatica a capire come una personalità simile potesse aver avuto la storia che aveva appena visto nel Pensatoio, ma quello era, indubbiamente, il tipico modo di ragionare dei Serpeverde.
La guardò e annuì, con un sorriso storto.
“E va bene, Dorcas, allora fammi vedere che sai fare,” disse, gettando a terra la bacchetta. Lei gli gettò un’occhiata interdetta.
“Che significa?”
“Non prenderanno mai sul serio il fatto che io sia stato fatto prigioniero e torturato, se non lo rendiamo credibile. Perciò, questo è quello che faremo ora: prenderai la tua bacchetta, mi farai del male, mi ridurrai in fin di vita e poi mi farai Smaterializzare con la bacchetta di Erin in un luogo nascosto qui intorno. A quel punto chiamerò uno dei miei compagni in soccorso, ma dovrò essere solo. Non voglio che tu lo veda in faccia, né che lui veda te: questo aggiungerebbe soltanto ulteriori problemi.”
Dorcas lo fissò in silenzio, stringendo le labbra.
“Ti è chiaro il perché dovrai darmi la bacchetta di Erin, no? Dovrò fingere di essermi liberato avendogliela sottratta, se usassi la mia non sarebbe credibile. Sapranno che non avrò avuto a che fare con degli sciocchi sprovveduti, ma esattamente con te: Voldemort ti conosce bene, sa che non sei una strega da sottovalutare.”
Dorcas continuò a non pronunciare alcuna parola, limitandosi ad incrociare le braccia.
“Dopo aver fatto questo, dovrai portare Erin in un luogo sicuro e nascondercela. Dovunque tu voglia, basta che resti lì. Dovrò fare il suo nome quando racconterò cos’è successo, è inevitabile; alcuni sanno che ci conoscevamo, fare un collegamento fra me e te potrebbe risultare facile. Perciò, dovrai tenerla assolutamente fuori dai guai.”
“Sai che non sarà d’accordo, vero?”
Regulus sollevò il capo, fieramente.
“Lo so benissimo, e so che non lo sei nemmeno tu. Ma è l’unica scelta che abbiamo, se vogliamo andare fino in fondo.”
Dorcas lo scrutò a lungo. Regulus si sforzò di non vacillare nemmeno per un istante, nonostante il tumulto che lo agitava nel profondo.
“Non ti ho mostrato quei ricordi perché volevo obbligarti a seguire questa strada. Puoi sempre mollare tutto e scappare, anche con Erin, se lo desideri. Potrei darvi una mano.”
“È inutile, sono piuttosto certo che mi troverebbero. Non si abbandona Voldemort senza pagarne le conseguenze.”
Era la risposta più facile da fornire; Regulus tralasciò volutamente il fatto che, ormai, era pienamente convinto di voler proseguire lungo quella strada, senza alcun ripensamento. Non voleva tirarsi indietro, non l’avrebbe fatto per niente al mondo: per la prima volta in vita sua, si sentiva come se qualcuno gli avesse finalmente aperto gli occhi con forza bruta. Aveva aderito alla causa di Voldemort soltanto perché credeva che fosse l’unica cosa giusta che gli restava da fare per guadagnarsi appieno l’onore di essere un Black, di essere amato e ammirato dalla sua famiglia come lo era stato Sirius prima di passare dall’altra parte, di essere guardato con orgoglio da suo padre che, ne era certo, aveva sempre dubitato della sua forza di carattere, credendolo un inetto. Ma era tutto terribilmente sbagliato, un errore così grande che non capiva come avesse potuto non accorgersene: non stava combattendo per una giusta causa, ma soltanto per la sete di potere di un uomo che si era trasformato in un mostro pur di sfuggire alla morte. Nessuno avrebbe ricavato alcun beneficio nell’aiutarlo a raggiungere il suo scopo: non Bellatrix, così smaniosa d’amore e di gloria, non Lucius, disposto ad essere incredibilmente servile pur di ottenere una fetta di successo, non Severus, così accecato dalle potenzialità della Magia Oscura, e nemmeno la sua famiglia. Aveva chiaramente visto nei ricordi di Dorcas cosa interessasse realmente a Voldemort, e non era la purezza della razza magica.
“Avanti, non perdiamo altro tempo,” disse infine, con impazienza. Dorcas sospirò, rassegnata.
“E va bene. Se può consolarti, sappi che mi dispiace.”
Dopodiché il primo Schiantesimo lo scagliò contro la parete, facendogli battere violentemente la testa.

“È stata Dorcas Meadowes, un membro dell’Ordine della Fenice, a farmi prigioniero. Pensava di avermi torturato talmente tanto da avermi ridotto in fin di vita, ma quando sua nipote è scesa nella cantina della loro casa, in cui mi aveva rinchiuso, per accertarsi delle mie condizioni, sono riuscito a rubarle la bacchetta e a Smaterializzarmi. È solo grazie al Principe Mezzosangue se sono vivo.”
Piton gli restituì lo sguardo, piegando lievemente gli angoli della bocca. Regulus esibì un’espressione di sincera e quasi commossa riconoscenza, mettendo da parte l’appena percettibile senso di colpa per aver usato l’amico per la buona riuscita del suo piano. Nessuno dei presenti avrebbe potuto vedere nulla di strano in quella mossa: era più o meno risaputo che Regulus fosse il protetto del Principe.

“Sei un vero idiota, Black. Te l’avevo detto di aspettare, se non ti sentivi ancora pronto a combattere. Sei appena maggiorenne, dopotutto. Ma ovviamente non hai voluto darmi retta, cacciandoti come sempre in guai disastrosi.”
Regulus non riuscì a replicare a quell’aspra arringa rivolta contro di lui; era troppo debole per poterlo fare. Dorcas aveva eseguito il suo compito alla perfezione e, una volta terminato, il giovane Black aveva trovato a malapena la forza di Smaterializzarsi. In quel momento giaceva su una branda nel salotto di Spinner’s End, mentre Severus si muoveva velocemente tra garze, calderoni, fiale e dispense.
“Dovrai fornire delle spiegazioni per tutto questo, e non ti aspettare di essere assegnato ad altre missioni importanti per un bel po’ di tempo.”
Regulus imprecò mentalmente: Severus era davvero incapace di non accanirsi su di lui con il suo tono da insegnante intransigente, perfino in una situazione come quella, nella quale il suo interlocutore era a malapena in grado di capire dove si trovasse.
D’improvviso, si ricordò che a un certo punto aveva visto Erin entrare nella stanza. Era riuscito a scorgere la sua espressione scioccata, le lacrime che le avevano offuscato gli occhi. Per Dorcas era stato difficile trattenerla ed impedire così che mandasse tutto all’aria.
Sorrise in silenzio, guardando fuori dalla finestra. Allora le importava veramente di lui.

“Noi giuriamo vendetta a quella donna. Il suo sangue verrà versato per ripagare ciò che ha fatto al nostro compagno.”
I Mangiamorte annuirono e applaudirono con entusiasmo alle parole di Lord Voldemort. Regulus si voltò, per capire se poteva tornare al suo posto; l’Oscuro Signore, però, si chinò verso di lui per sussurrargli qualcosa.
“Più tardi parleremo in privato. Raggiungimi quando avremo finito.”
“Sì, mio Signore.”
Mentre tornava al suo posto, per un attimo, Regulus pensò che sarebbe stato inevitabile cedere e farsi prendere dal panico. Era probabile che Voldemort avesse compreso che il suo era solamente un trucco e volesse smascherarlo una volta soli, per poi ucciderlo senza pensarci su una seconda volta; per quale altra ragione avrebbe dovuto desiderare di discutere con lui faccia a faccia? Lui non era uno di quelli importanti, lì dentro. Non era Bellatrix, non era Barty, e neppure Severus.
La sua fine era praticamente segnata.
Si sforzò di concentrarsi su Erin e sulle lacrime che aveva versato nel vederlo a terra ferito e in quel modo, incredibilmente, la paura svanì di colpo.

*

“Kreacher, ascolta bene quello che sto per dirti,” mormorò Regulus, dando le spalle all’elfo domestico, lo sguardo rivolto allo specchio di fronte a lui. Studiò con attenzione il suo volto pallido e impassibile, i suoi occhi grigi privi di qualsiasi ombra di timore, le labbra tirate in una smorfia decisa; dopodiché, fissò il riflesso dell’elfo.
“Cosa desiderate, padrone?”
“Ti ordino di tornare indietro, qualsiasi cosa accada. Se le cose si mettono male, se ti trovi in qualche pericolo, la prima cosa che dovrai fare sarà tornare qui. Mi hai capito bene?”
“Sì, padrone, perfettamente,” rispose Kreacher, con un lieve inchino. Regulus si voltò, chiudendosi il mantello sulle spalle.
“D’accordo. Ora puoi andare. E ricordati di dire all’Oscuro Signore che per te è un onore servirlo,” concluse, poi osservò l’elfo Smaterializzarsi sotto i suoi occhi.
Ripensò al momento in cui aveva creduto fosse giunta la sua ora, quando il Signore Oscuro gli aveva ordinato di recarsi da lui per parlare in privato: in realtà, si era trattato della coincidenza più fortunata in cui Regulus potesse sperare.
Voldemort aveva richiesto di fare uso del suo elfo domestico per una piccola missione, una cosa di poco conto, senza entrare in maggiori dettagli. Come Severus gli disse più tardi, desiderava semplicemente qualcosa in cambio da lui, dopo che gli aveva fatto fare la figura dello sciocco cadendo prigioniero di quella donna. Il giovane Black non aveva potuto sottrarsi, perciò si era ritrovato ad assentire rispettosamente e a garantire che per Kreacher sarebbe stato un piacere essere a disposizione per l’Oscuro Signore; tuttavia, dentro di sé, non avvertiva buoni presentimenti. Tutto ciò che poteva fare era ordinare a Kreacher di ritornare, conscio del fatto che non avrebbe potuto evitare di obbedirgli. Il padrone era lui, lui soltanto.
Si avvicinò alla porta di camera sua, gettando un’occhiata furtiva all’esterno, in corridoio. Nessun rumore. Suo padre era in giro, a caccia di qualche cimelio all’asta, tutto preso dalla nuova smania di rendere la casa maggiormente sfarzosa; sua madre, probabilmente, stava riposando in compagnia di un bicchiere di Idromele. Poteva stare tranquillo, almeno per il momento.
Con un incantesimo serrò la porta, poi fece apparire tutto ciò che gli serviva per continuare con le ricerche. Aveva trovato un paio di libri nella biblioteca privata di suo padre, ma per sottrarli e sostituirli con una copia Trasfigurata ci era voluto del tempo; nessuno doveva accorgersi di ciò che stava facendo, nessun dettaglio fuori posto doveva essere notato. Era perfettamente consapevole dei guai in cui si stava cacciando, giorno dopo giorno stava giungendo perfino ad accettare l’idea che per questo sarebbe morto, ma non voleva che nessuno ci andasse di mezzo, né i suoi genitori né Kreacher. Non uno di loro avrebbe dovuto sospettare che aveva in mente di tradire Voldemort.
Dorcas gli aveva spiegato che non era riuscita a scoprire molto sugli Horcrux, perché i libri di testo tendevano a parlarne il meno possibile. Quello che Regulus aveva letto a riguardo fino a quel momento era, più o meno, equivalente a ciò che gli aveva spiegato lei. Le informazioni che avevano in mano erano quindi molto scarse – Dorcas non aveva nemmeno le prove che Voldemort avesse davvero creato un Horcrux, anche se lo dava praticamente per scontato – ma Regulus si sentiva fiducioso del fatto che, prima o poi, avrebbe finito per scoprire qualcosa. Faceva ancora parte della schiera dei Mangiamorte, doveva soltanto stare molto attento a raccogliere i giusti indizi e a scovare le informazioni che gli servivano.
Tuttavia, quando quella sera Kreacher ritornò al numero dodici di Grimmauld Place, il giovane Black si rese conto con sgomento che senza volerlo aveva raggiunto il bersaglio.

*

“Lei non ha mai detto niente nemmeno a me. Questo non è giusto, io sono sua nipote, vivo con lei... ho il diritto di conoscere la verità.”
“Solo perché sei una Corvonero sapientona?”
“Vai al diavolo, Regulus!”
“Senti, Erin, non ti puoi arrabbiare perché le persone hanno dei segreti. Tutto quello che posso dirti è che tua zia, come sai, era compagna di Casa di Voldemort. Era una delle poche persone che non lo amavano, perché lui era un ammiratore di Grindelwald ma lei al contrario lo detestava, dato che aveva fatto imprigionare e uccidere qualcuno della sua famiglia. Credo lo avesse fatto perché il ramo di suo padre non era composto da Purosangue, ma non sono riuscito a leggere fino in fondo il ritaglio di giornale nel ricordo che ho visto.”
“Sì, è andata così. Mio nonno Jacob, per sopravvivere durante quegli anni di razzismo, si finse un mago di nobile lignaggio. Aveva rubato qualche stemma, modificato qualche memoria e si era costruito un albero genealogico, così i genitori della nonna, che invece erano dei nobili Purosangue, ci cascarono e gliela diedero in moglie. Grindelwald però lo conosceva, era delle sue parti, sapeva che era un impostore. Lo cercò e lo imprigionò a Nurmengard, dove morì. Zia Dorcas all’epoca era a Hogwarts.”
“Ecco, sai già tutto. Insomma, tua zia con il tempo ha maturato sempre di più il proposito di far guerra a Voldemort, perché sosteneva gli stessi ideali di Grindelwald ed evidentemente non le piaceva l’idea che qualcun altro potesse fare la fine di suo padre... fai due più due, Erin. Sono stati compagni di Casa. Lei ha avuto la possibilità di sapere molto, moltissimo sul suo conto.”

Quel cruciale ricordo di Dorcas riaffiorò improvvisamente alla memoria di Regulus, senza che lui potesse fare in tempo a fermarlo: rivide la giovane Dorcas Meadowes seduta compostamente a una delle riunioni del club di Lumacorno, poco più in là stava Tom Riddle, che discuteva affabilmente con il professore. Tutti ridevano alle sue battute e Dorcas stava al gioco; era ancora troppo presto per uscire allo scoperto. Quando l’incontro si era concluso, Dorcas si era accorta che Riddle era rimasto indietro. Uscendo dalla stanza aveva rallentato, cercando di non dare nell’occhio, e per qualche secondo era rimasta ferma dietro la porta dell’ufficio dell’insegnante, trattenendo il respiro.
“Signore, volevo chiederle una cosa.”
“Chiedi, ragazzo mio, chiedi...”
“Signore, mi chiedevo che cosa sa degli... degli Horcrux.”
Mentre Lumacorno borbottava qualcosa, Dorcas vide che una sua compagna si voltava a cercarla con lo sguardo per vedere come mai non fosse più a fianco a lei, perciò si allontanò in fretta dalla porta.

Erin sospirò, coprendosi gli occhi.
“Ancora mi domando come ci sia finita, a Serpeverde.”
Regulus credeva di sapere il perché; la ragazza da giovane era stata cresciuta con modi aristocratici tipici di una famiglia Purosangue, ma soprattutto in lei era forte l’ambizione di vendicare la sua famiglia. Tuttavia, il tono di Erin lo infastidì.
“Oh, certo, conosci solo feccia uscita da lì, vero? Chissà che abominio sarebbe frequentare uno di quelli.”
La ragazza lo squadrò duramente, incollerita. Regulus si rese immediatamente conto del perché: era la prima volta che accennava anche solo vagamente alla loro relazione mentre, quando erano ancora a Hogwarts, le aveva sempre impedito di parlarne con chiunque, perfino tra loro. Era come se non esistesse nulla che li unisse, come se i loro incontri clandestini non fossero mai avvenuti. Erin aveva sempre chinato la testa e obbedito, facendo finta che non le importasse più di tanto, ma Regulus sapeva che non era così.
“Stammi bene a sentire. Io voglio darle una mano, ma non posso farlo se la gente comincia a ficcare il naso. Sì, compresa te.”
Ferirla e allontanarla era l’unico modo per tenerla al sicuro. Regulus non poteva fare altro, anche se quella poteva essere l’ultima volta che riuscivano a vedersi.
“Un giorno potrò spiegarti meglio, se giudicherò che tu sia in grado di comprendere.”
“Sei un idiota, lo sei sempre stato. Tu e la tua mania di tenere segreta ogni cosa... non ti capisco, ma purtroppo non ho del Veritaserum a disposizione, quindi immagino di non avere altra scelta.”
Si guardarono a lungo negli occhi. Lei aveva un’aria cupa, imbronciata. Regulus frenò immediatamente la compassione, evitando di farsi pervadere dai sensi di colpa per le bugie e le costrizioni a cui l’aveva sottomessa fin dall’inizio del loro rapporto; per come stavano le cose in quel momento, era l’unico modo per far sì che Erin non finisse nei guai.
“Devo andare.”
Si alzò, senza lasciarle il tempo di replicare. Le diede un bacio veloce, al quale lei reagì con un misto di sorpresa ed inerzia. Forse non lo desiderava più, il che poteva essere soltanto un bene per lei; avrebbe sofferto di meno la sua mancanza.
Prima di scomparire le lanciò un’ultima, silenziosa occhiata di cui lei non si accorse mai.

*

Nessuno avrebbe mai scommesso sul fatto che Kreacher sapesse piangere, esattamente come era in grado di fare un qualsiasi essere umano. Eppure erano lacrime copiose e calde quelle che scivolavano sul suo muso raggrinzito mentre osservava Regulus morire dentro quella maledetta caverna, erano gemiti di frustrante dolore quelli che si udivano a tarda notte tra le mura del numero dodici di Grimmauld Place, dopo che l’angoscia aveva finalmente concesso a Walburga di prendere sonno, erano spasmi di pianto quelli che scuotevano il piccolo e sgraziato corpo dell’elfo mentre spolverava in silenzio una stanza destinata a rimanere vuota per sempre. Aveva giurato al suo padrone di non dire nulla riguardo a ciò che gli era successo e che aveva visto, e la sua parola fu mantenuta; nessuno seppe mai cosa gli accadde. Dopo un mese dalla scomparsa saltò fuori una lettera indirizzata ai genitori,  che risultò essere stata scritta proprio dal secondogenito Black, in cui egli informava che, se non fosse più tornato a casa, significava che era morto per mano di Voldemort, o di qualcuno a lui vicino, perché non si era dimostrato all’altezza dei compiti affidatigli. La mattina in cui la scrisse, in realtà, Regulus sapeva benissimo che non sarebbe sopravvissuto; tuttavia era essenziale tenere nascosto il furto dell’Horcrux, perciò accettò con tranquillità di lasciar credere che fosse morto perché aveva avuto paura ed era fuggito. Con una smorfia amara pensò che Sirius, quantomeno, ci avrebbe creduto di sicuro.
Non gli sarebbe dispiaciuto rivedere il fratello prima di sparire in quelle acque nere, soltanto per dirgli che finalmente stavano dalla stessa parte. Ma accettò con rapida rassegnazione che anche quello non era possibile.
A Erin inviò via gufo un biglietto anonimo, in cui diceva semplicemente di amarla; non pensava che ci fosse bisogno di aggiungere altro.

 





Let her treat you like a criminal,
So you can treat her like a priest.
Never tell the one you love that you do,
Save it for the deathbed.
And do everything she’d never do.

(The National, Cardinal Song)





Nota di fine capitolo: innanzitutto, se ancora qualcuno dei miei vecchi lettori capiterà da queste parti, porgo le mie scuse per l’enorme ritardo dell’aggiornamento. Trovare l’ispirazione necessaria per scrivere bene un capitolo così complesso è stato, purtroppo, molto difficile, sia per la storia che dovevo costruire sia perché ho attraversato un periodo pieno di problemi personali; purtroppo, ogni volta che provavo a lavorarci riuscivo a stendere a malapena due righe. Per fortuna qualche giorno fa devo aver preso una forte botta in testa e sono riuscita a superare questo blocco, tornando finalmente a vedere la luce. Mi dispiace immensamente di averci messo così tanto, davvero, credo di avere ben poche scusanti e mi auguro che un blocco simile non ricapiti più; per ora posso dire soltanto che il prossimo capitolo è uno di quelli che non vedo l’ora di scrivere da secoli, perciò, esami permettendo, arriverà più in fretta di questo. Avrei potuto eliminarlo? Forse, però era da tempo che desideravo scrivere la storia di Regulus e dar voce così a un personaggio che amo, perciò mi auguro che almeno un pochino ne valesse la pena. Se non sto rivolgendomi al nulla – il che sarebbe anche possibile XD – vi ringrazio infinitamente per la vostra pazienza.
In ogni caso, questo è il modo in cui ho scelto di spiegare la storia di Regulus. Ho inserito la figura di Dorcas per due motivi: uno, Dorcas viene uccisa personalmente da Voldemort (il che fa dedurre che fosse un nemico importante) ma nessuno spiega mai il perché; due, mi serviva un metodo efficace per far scoprire a Regulus degli Horcrux. Il fatto che Voldemort si fosse vantato davanti a lui, francamente, non mi sembra così credibile: Regulus non era un Mangiamorte importante e Voldemort sembrava tenerci molto a non far scoprire a nessuno che avesse creato degli Horcrux. Perciò, ho adottato questo espediente. È convincente o fa schifo? C’è qualcosa che non si capisce? Fatemelo sapere. In ogni caso, quello che mi riprometto è di ricominciare ad aggiornare una volta al mese. Spero di farcela, ce la metterò tutta.
A presto,
S.

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Capitolo 11
*** La tomba di Regulus (Sirius Black, Remus Lupin) ***


oil9 Avviso numero 1: pubblico oggi anziché domani, perché domani ho un esame e volevo concedermi almeno un momento di svago in questa tediosa giornata di ripasso u.u

Avviso numero 2: questo capitolo contiene scene spinte fra persone dello stesso sesso, seppure non descritte nel dettaglio così come da rating. Se l’argomento vi disturba, non leggete.

Evvai che mi sono giocata la sorpresa XD







Capitolo 9 – La tomba di Regulus





Stasera, ripensandoci, con il cuore e lo stomaco in subbuglio, mi dico che forse in fondo la vita umana è così: molta disperazione, ma con qualche istante di bellezza dove il tempo non è più lo stesso.

(Muriel Barbery, L’eleganza del riccio)






Marzo 1979

Era ormai divenuta un’usanza, per Lily e i Malandrini, trascorrere almeno una sera a settimana a casa di Sirius. L’idea era stata di James, che aveva insistito per mantenere costanti i rapporti nonostante la situazione attuale, fatta di continue missioni per l’Ordine, di matrimoni e di responsabilità nuove, rendesse spesso difficile ritrovarsi tutti insieme; ogni tanto, su timida insistenza di Peter, veniva invitata anche Mary. Sirius si divertiva a prendere in giro l’amico, che gli domandava sempre il favore di contattare la ragazza al posto suo, sostenendo che così non ci avrebbe mai combinato niente; Peter per un po’ faceva finta di rimanerci male, dopodiché l’atmosfera tornava ad essere distesa e scherzosa per tutti.
La verità era che, in quei momenti, a Sirius sembrava di ritornare ai tempi di Hogwarts, quando le preoccupazioni principali erano costituite dal non farsi beccare da Gazza in giro per i corridoi di notte, mentre tutto il resto erano soltanto risa, scherzi e bravate. Ora che erano stati spinti a diventare adulti non eccedevano più come in quegli anni, ma il clima che tutti insieme riuscivano a ricreare era più o meno lo stesso.
Più o meno, perché Sirius non poteva evitare di lasciarsi tormentare ogni tanto dai pensieri che il rapporto fra lui e Remus gli procuravano.
Per quanto si sforzasse di mostrarsi sorridente e sereno, certe volte sentiva l’impellente bisogno di cedere a quei turbamenti. Si isolava e diveniva di colpo taciturno, rendendosi così la vita molto più difficile; era complicato nascondere agli altri quegli strani atteggiamenti ed era solo per miracolo che James non se ne fosse già accorto.
“Hai due minuti?” sussurrò quindi a Lily, non appena le capitò vicino. La ragazza sulle prime si mostrò sorpresa, ma poi annuì con convinzione.
“Certo,” rispose, e seguì Sirius in cucina, lasciandosi alle spalle James e Remus che giocavano a scacchi in mezzo al tifo di Peter e Mary.
“Che succede?” domandò quindi lei mentre Sirius le dava le spalle, intento a versarsi un bicchierino di Whiskey Incendiario. Si vergognava come un cane per essersi rivolto a lei, ma era l’unica che era al corrente di come stessero realmente le cose e, dopotutto, l’altra volta parlargliene gli aveva fatto bene.
“Volevo solo sapere se ti sembra che ci sia qualcosa di strano,” rispose infine, con una stretta di spalle fintamente noncurante.
“Beh, non mi hai spiegato nei dettagli come avete sistemato la questione...”
“Ma sì invece, ti ho detto che abbiamo messo le cose a posto. È la verità. Gli ho chiesto di lasciar perdere quello che era successo e di restare amici, perché rompere i rapporti per una sciocchezza del genere sarebbe stato stupido.”
Sirius versò due dita di Whiskey in un altro bicchiere, poi lo porse a Lily, ignorando la sua espressione lievemente perplessa. Sapeva che lei beveva raramente alcolici, ma era tutto ciò che aveva da offrirle in quel momento.
“E lui ha accettato?” domandò lei, prendendo il bicchiere. Sirius vuotò il suo in un attimo: il familiare bruciore alla gola lo aiutò ad eliminare rapidamente le sue reticenze nel confidarsi.
“Sì, ha detto che gli stava bene.”
“Ma...?”
“Ma credo che non sia vero. C’è qualcosa di strano. Certo, abbiamo ricominciato a parlarci, però... non lo so, sembra che faccia comunque di tutto per non rimanere solo con me. Non si è più fermato a dormire da me, ad esempio – ok, io non gliel’ho più chiesto, ma gli avevo già detto che avrebbe potuto farlo quando preferiva e non ho mai revocato l’invito – e poi, quella volta che avremmo dovuto essere di turno insieme, si è inventato una balla e ha fatto cambio con Peter...”
“E qual era questa balla?”
“Stava male suo padre.”
“Oh, Sirius, magari era vero!”
“È la scusa che mi propina da mesi, ormai, quando vuole svicolare da queste situazioni... non me la bevo più.”
Sirius posò il bicchiere sul tavolo piuttosto rumorosamente, con tutte le intenzioni di far trapelare la sua nobile stizza. Lo irritava che Remus lo prendesse in giro, ma ancora di più che lo credesse così tonto da cascarci.
“Beh, se questa... faccenda dell’amicizia non funziona tanto bene, forse non avete affrontato la questione nel modo giusto,” osservò Lily, in tono pacato. Il giovane Black fissò ardentemente i suoi occhi grigi in quelli della ragazza, domandandosi che diamine volesse insinuare.
“Era l’unico modo per non perderlo,” obiettò, allargando le braccia. Era vero, anche lui avvertiva costantemente la sensazione che quel nuovo rapporto fosse tremendamente finto. Ma era giunto alla conclusione che, comportandosi come se tutto fosse normale, le cose sarebbero migliorate e magari anche tornate come prima – nonostante la parte più profonda di se stesso gli suggerisse che, con quel gesto sconsiderato, si fosse giocato per sempre la possibilità di riparare la frattura tra lui e Remus.
E quel pensiero lo mandava tremendamente in bestia.
“Purtroppo non ci sono dentro, quindi non posso sapere cosa passi esattamente nella testa di Remus.”
“Ma come, tutto il tempo che avete passato insieme quando eravate prefetti... avrai imparato a conoscerlo, no?”
“Non quanto si possa credere,” obiettò Lily, con un sorriso pensieroso. “Sai com’è fatto Remus, preferisce stare sulle sue. Non mi ha mai detto molto di lui. E in ogni caso, se vogliamo stare a cercare il pelo nell’uovo, sei tu che sei uno dei suoi migliori amici da una vita, non io.”
Sirius fu profondamente tentato di domandarle come potesse esserci un pelo dentro a un uovo, ma poi scosse la testa e lasciò perdere; quella era tutta matta e solo James avrebbe potuto sposarsela.
“Beh, voi donne non vi vantate mica di essere quelle che capiscono sempre tutto?”
“Andiamo, Sirius, non fare il bambino. Se cerchi un consiglio sono pronta a dartelo, ma non ho intenzione di farmi trascinare in discorsi sessisti.”
Sirius fissò con intensità l’angolo del tavolo, passandosi distrattamente una mano sul collo. Gli seccava profondamente dover chiedere aiuto a qualcuno per risolvere un problema così imbarazzante, ma doveva riconoscere che, tutto sommato, parlare con Lily la scorsa volta era stato piacevole. Non si era sentito giudicato, offeso o deriso, né lei l’aveva mai guardato come se fosse un alieno; se avesse dovuto confessarsi con James, era certo che la notizia l’avrebbe quantomeno gettato in un profondo stato di shock per un paio di giorni, per quanto fosse il suo migliore amico. Per James i Malandrini erano sempre stati un gruppo di veri amici – amici e basta, nient’altro; non era una persona capace di scorgere malizia in rapporti come quello che condivideva con lui, Remus e Peter. Mentre Lily, forse, aveva visto qualcosa di più a cui nessuno aveva mai fatto caso. Sirius sapeva che qualcosa, in effetti, c’era sempre stato; solo l’aveva capito troppo tardi e troppo bruscamente.
“Sentiamo, di’ quello che hai da dire,” borbottò infine, arrendendosi. Lily sospirò.
“Forse dovreste cercare di passare un po’ di tempo insieme, da soli, per capire cosa passa per la testa di Remus. So già cosa stai per dire, ma tu prova a chiederglielo esplicitamente, così se si rifiuterà saprai se cerca realmente delle scuse per non stare con te.”
“Se lo faccio penserà male,” obiettò Sirius, incupito.
“Dato che avete scelto di rimanere amici, non avrebbe nessun motivo di farlo. Gli amici passano del tempo insieme, no? Con James lo fai.”
Il primogenito Black annuì in silenzio. Effettivamente, il ragionamento di Lily non faceva una grinza. Avrebbe potuto sfoderarlo contro Remus come un’arma assolutamente invincibile. Tuttavia c’era anche qualcos’altro che lo tormentava...
“Pensi che dovrei dirlo a James?” domandò, a voce bassa. Lily sorrise lievemente, sorseggiando il suo Whiskey.
“Se non ti sembra questo il momento, puoi sempre aspettare. James non scapperà. Non aggiungere altra carne al fuoco se non è necessario.”
“Mentre torniamo di là mi spieghi che diavolo significhi, questo e quell’altra storia del pelo nell’uovo,” replicò Sirius, mentre si incamminava verso il salotto. James e Remus stavano ancora giocando; nessuno si era accorto di niente, per fortuna. Sirius sapeva bene che Remus era praticamente imbattibile a Scacchi Magici e in circostanze normali si sarebbe seduto a fianco a lui con noncuranza, per poi cominciare a fargli mille dispetti allo scopo di distrarlo e farlo perdere; in quell’occasione, però, si limitò a restare seduto alle sue spalle, fissandogli intensamente la nuca, come se da un momento all’altro il suo cranio potesse scoperchiarsi e mostrargli cosa passasse esattamente per la testa del licantropo.
Si era decisamente rammollito.

*

Se solo avesse intuito quello che stava per scoprire, quella mattina Remus si sarebbe ben guardato dall’aprire il giornale mentre consumava la sua scarna colazione.
Aveva mille problemi per la testa; suo padre si stava ammalando piuttosto seriamente e per ricevere le cure necessarie avrebbe dovuto lasciare il lavoro, cosa che avrebbe implicato la necessità che fosse Remus a trovarsene uno, nonostante le prime richieste per un’occupazione inoltrate nei mesi precedenti non avessero dato alcun frutto; sua zia si era gentilmente offerta di prendere il fratello in casa con lei, ma se non fosse riuscito a mantenersi da solo Remus avrebbe dovuto vendere la dimora paterna e si sarebbe ritrovato in mezzo a una strada, senza un posto dove andare. I pochi risparmi che avevano da parte servivano per le cure, questo era assolutamente fuori discussione. Tuttavia, già era difficile trovare un impiego con degli orari che gli permettessero comunque di prestare servizio all’Ordine, ma ancora peggiori erano le speranze di farsi assumere nonostante la sua licantropia. Erano diverse notti che l’angoscia lo tormentava e non gli faceva prendere sonno, perciò quello di sfogliare la Gazzetta del Profeta appena alzato fu un gesto totalmente automatico, in cui forse si augurava inconsciamente di trovare un certo sollievo, constatando di non essere l’unico a cui le cose andavano male.
La prima pagina era sovrapponibile a quella di qualsiasi altro giorno degli ultimi mesi: un omicidio nel Sussex, un Marchio Nero avvistato al limitare di una foresta, una casa bruciata, l’inarrestabile perdita di credibilità del primo ministro, le rubriche L’Auror del mese e Tecniche di autodifesa contro i Maghi Oscuri. All’interno, un’inchiesta sui Vampiri: realtà e leggenda. Chi sono veramente? Si uniranno a Colui-che-non-deve-essere-nominato? Poi la terza pagina, quella dei necrologi.
Remus era abituato a leggere tutta la Gazzetta da cima a fondo ma, anche se così non fosse stato, era impossibile che l’occhio non cadesse su quell’annuncio. Era scritto con caratteri molto più grandi degli altri e a fianco si stagliava una fotografia incorniciata da mille ghirigori.
Aveva ripensato di rado a quella fredda nottata d’inizio gennaio, preso com’era da tutti i suoi crucci personali; non si aspettava, perciò, di ritrovarselo davanti agli occhi in quel modo. La famiglia annunciava con dolore la prematura dipartita del tanto amato figlio ed erede – quello che Sirius non era più da molto tempo. Non aveva nemmeno compiuto diciotto anni.
Remus si passò una mano tra i fini capelli castani, osservando le parole sbiadirsi e diventare sfuocate man mano che il suo sguardo si perdeva nel vuoto. Ingenuamente aveva sperato davvero che Regulus ce la facesse, dopo che l’aveva portato in salvo dalla sua amica. Forse avrebbe dovuto insistere anziché lavarsene così precocemente le mani, avrebbe dovuto tornare e farlo sedere di fronte a lui e spiegargli in tono perentorio che stava sbagliando tutto, senza lasciargli una scelta ma vessandolo finché non si fosse convinto pienamente.
O forse era comunque inevitabile che finisse in quel modo, perché Voldemort era il Mago Oscuro più potente che fosse mai esistito e probabilmente l’aveva trovato senza troppi sforzi.
Magari era stato lo stesso Regulus a tornare da lui, consapevole di avere di fronte, in alternativa, soltanto un’onta familiare difficilmente sopportabile.
Remus sospirò. Doveva avvisare Sirius, anche se la sua reazione sarebbe stata, probabilmente, un’ostentata indifferenza o un’aria seccata per averlo svegliato a quell’ora del mattino. Non gli aveva mai raccontato di ciò che era successo tra lui e Regulus durante la battaglia di quella notte, ma dopo averci riflettuto qualche istante decise che quello non era il momento; meglio non fornirgli altri appigli per insultare un morto, almeno temporaneamente.

*

Buffo come, trascorsi diversi anni dall’ultima volta che aveva visto quel luogo, Sirius si fosse quasi scordato di come era fatto.
Ritrovarcisi dopo tanto tempo, per di più praticamente contro la sua volontà, accrebbe ancora di più il suo fastidio.
C’era davvero bisogno di costruire quell’imponente mausoleo attorniato da gigantesche statue? Che se ne facevano di un simile lusso architettonico i morti della sua famiglia che giacevano lì dentro? Assolutamente niente, si rispose. Ma la necessità di rimarcare lo sfarzo e la nobiltà di sangue per potersi ergere e distinguere da tutte le tombe comuni del cimitero era stata sicuramente più forte, quando i suoi trisavoli avevano pensato a quella costruzione.
Per quanto lo riguardava, era solo un modo inutile di occupare spazio.
“Dobbiamo entrare per forza?” domandò, senza preoccuparsi di celare troppo l’astio. Sapeva che Remus l’avrebbe odiato per quel suo atteggiamento, ma sul momento non gli interessava granché.
“Beh, siamo venuti fin qui ormai. Prenditi un minuto.”
“Oh, no, non credere di lasciarmi andare lì dentro da solo. Tu verrai con me.”
Lo trascinò per un braccio, quasi strattonandolo; lui non oppose resistenza e, se provò fastidio, non lo diede a vedere. Forse pensava che in simili frangenti si potesse essere più pazienti con lui, ma Sirius si disse che l’avrebbe fatto pentire di averlo portato lì. Perché non era stata una sua proposta, aveva acconsentito soltanto perché Remus si era fatto insistente ed era il modo migliore di farlo tacere, ma quando Lily gli aveva suggerito che trascorressero del tempo da soli non aveva certo pensato che l’ideale fosse fare una gita al cimitero sulla tomba di suo fratello.
Pareva che non avessero neppure ritrovato il corpo, dato che vi erano annunci di ricompense da parte della sua famiglia per chi avesse fornito informazioni in merito. Regulus doveva averla fatta grossa per arrivare a tanto. Quando Remus gli aveva dato la notizia inizialmente non ci aveva creduto, poi però i giornali si erano interessati della vicenda e in tutta la settimana successiva erano stati pubblicati fantasiosi articoli sulla storia della famiglia Black; sua madre aveva addirittura lanciato un lacrimoso appello affinché chi sapeva qualcosa sulla scomparsa del figlio si facesse avanti. Tuttavia, il mistero si era risolto in un nulla di fatto. Probabile che il suo stupido fratello si fosse cacciato in qualche pasticcio per conto di Voldemort e ci avesse rimesso le penne, molto semplicemente.
Di malavoglia, Sirius si guardò intorno. L’interno del mausoleo non era certo meno sfarzoso dell’esterno: le tombe erano disposte secondo un perimetro circolare e ognuna era sormontata da una statua a grandezza naturale raffigurante il defunto. I nomi erano incisi in oro, lo stemma di famiglia troneggiava al loro fianco e sulla parete, in fondo, faceva bella mostra di sé una copia dell’arazzo con la genealogia di famiglia molto simile a quella che si trovava in casa sua.
Anche lì, ovviamente, il punto in cui avrebbe dovuto trovarsi il suo nome era ridotto a una bruciatura nerastra.
Per lui non ci sarebbe mai stato posto lì dentro, era chiaro.
Si sentì pervadere da un moto di disgusto verso tutto ciò che quella tomba rappresentava; per qualche strano motivo, improvvisamente, si mise a pensare alla famiglia di James. Che l’aveva accolto come un figlio, ma che non era la sua vera famiglia. Nessuno avrebbe mai potuto cambiare il suo cognome o i suoi tratti somatici. La sensazione di repulsione si estese anche contro se stesso quando si ritrovò a pensare che non era giusto il modo in cui stavano le cose per lui: in tutte le case avrebbe dovuto esserci il clima che regnava dentro casa di James, tutti i bambini avrebbero dovuto avere il diritto di essere viziati e adorati com’era stato per l’amico. Si sentì uno schifo per aver provato quel moto d’invidia, perciò lo represse bruscamente affinché Remus non si accorgesse di nulla.
“Ti sembra una cosa sana di mente costruire un posto come questo?” gli domandò quindi, con il proposito di mettere da parte quelle riflessioni.
“Suppongo che sia una cosa abituale se appartieni a certi ranghi...”
“Non ti ho chiesto che cos’è abituale, Remus, ti ho chiesto una tua opinione. Possibile che tu non ti sappia mai esporre?” lo attaccò, trafiggendolo con lo sguardo. Ripensò a quel maledetto giorno in cui aveva rovinato tutto fra loro, al modo in cui lui aveva preso ed era fuggito di corsa da casa sua. Remus aveva fegato per tante cose, ma non quando si trattava di dire la propria: avrebbe potuto fermarsi, urlargli contro, dirgli che era completamente ammattito oppure anche che gli era piaciuto, sarebbe bastato dire qualcosa.
E invece ora giocavano di nuovo ad essere amici, soltanto perché l’alternativa era smettere di parlarsi.
“Senti, non ti ho portato qui per farti un dispetto o qualsiasi altra cosa tu stia pensando. Tuo fratello è morto e, che ti piaccia o no, era comunque tuo fratello. Pensaci per un paio di minuti, poi potremo andarcene.”
“Oh, andiamo, Remus, che senso ha? Non gli parlavo da mesi, ci odiavamo e per di più era un Mangiamorte! Cosa dovrei fare, mettermi a piangere? In teoria non faccio più parte della loro stramaledetta famiglia, visto che come puoi vedere il mio nome è stato cancellato, che cosa diamine dovrebbe importarmene?”
Si rese conto che stava gridando, e un po’ gli dispiacque di essere la causa di quell’espressione contrita che si era dipinta sul volto di Remus. Ma lui non capiva, non poteva capire.
“Non era mia intenzione farti un torto portandoti qui,” gli rispose lui, semplicemente. Sirius si avvicinò un poco.
“Lo so che non è una situazione facile da afferrare, ma riesci a capire perché non me ne importa niente?”
“Hai ragione, forse non ci arrivo. Ma non credo che davvero non te ne importi niente.”
A dispetto del suo tentativo di calmarsi, a quelle parole Sirius si sentì di nuovo assalire dalla rabbia.
“Per la barba di Merlino, Remus, perché dovrebbe?! Regulus era soltanto un idiota!” esclamò, voltandosi per un attimo ad osservare la statua che raffigurava suo fratello. Ricordava bene i tratti del suo viso, eppure gli sembrò di averlo visto per l’ultima volta un’infinità di tempo prima e realizzò che probabilmente era così impegnato ad ignorarlo che non l’aveva neppure guardato veramente. Si era abituato a ragionare come se non esistesse, perché loro si comportavano come se lui fosse morto anziché semplicemente fuggito.
“Era molto giovane,” replicò Remus, ancora con quell’aria grave sul volto.
“Era un idiota,” ripeté Sirius, con voce spezzata. Avrebbe dato qualsiasi cosa per averlo davanti in quel momento e poterlo prendere selvaggiamente a pugni, senza risparmiargli un solo colpo, fino a farlo crollare a terra talmente malridotto da non riuscire neppure a parlare; a quel punto, urlando di rabbia, gli avrebbe intimato di smetterla con quelle stupidaggini e mollare Voldemort subito per venire con lui. Quello sciocco ragazzino non aveva scelto la sua strada perché era malvagio, ma soltanto perché faceva sempre tutto ciò che gli altri si aspettavano da lui, senza battere ciglio; era solo un vigliacco servile e incapace, che aveva giocato a fare l’adulto ed era finito in un pasticcio che gli era costato la vita. Sirius sentì di odiarlo con forza, provò disgusto all’idea che un suo consanguineo stretto potesse essere così diverso da lui, così estraneo, così totalmente opposto, ma se solo avesse potuto prenderlo da parte e pestarlo con tutta la forza che aveva forse avrebbe potuto fargli cambiare idea. Era questa l’unica cosa che Regulus aveva sempre compreso, le imposizioni. E lui che era il fratello maggiore, nonostante per la sua famiglia ormai fosse soltanto una macchia bruciata su un arazzo, non aveva forse il diritto di farsi valere?
Ma era tardi per pensarci. Non c’era più nulla da salvare, neppure i resti di un corpo morto. Aveva fallito.
Quel pensiero gli rimase fisso in testa per diversi minuti, mentre rimaneva lì immobile a fissare le lettere incise impietosamente sulla pietra. Si chiese se fossero mai stati felici insieme, come sarebbe stato giusto che fosse; magari quando erano molto piccoli, ancora troppo sciocchi per capire cosa imponesse loro un cognome che nessuno dei due, in fondo, aveva esplicitamente chiesto di ricevere.
A un certo punto, però, Sirius si voltò e si accorse di una cosa.
Di fianco a lui stava Remus, un Remus che sembrava sentirsi fuori posto e quasi in colpa per averlo trascinato fin lì, che si tormentava l’orlo del mantello rattoppato talmente tanto che prima o poi l’avrebbe scucito, che si mordeva il labbro inferiore e si guardava attorno con sguardo perso, mentre chissà quali pensieri gli affollavano la mente. Sirius avrebbe voluto strattonarlo e dirgli di parlare, una volta tanto, di aprire bocca e rivelargli cosa lo angustiava tanto, su quali argomenti stesse riflettendo di fronte a un luogo che non gli apparteneva, in cui stavano sepolte persone che non avevano nulla a che vedere con lui.
Però Remus era lì, insieme a lui.
Era l’unico che gli stava a fianco in un momento del genere. L’unico che l’aveva costretto ad affrontare una situazione che lui avrebbe volentieri ignorato.
Era sempre stato così. Remus che insisteva perché facesse i compiti delle vacanze, Remus che lo allontanava quando stava per fare a botte con qualche Serpeverde, Remus che gli stava a fianco quando doveva vomitare, Remus che si assumeva la colpa per tirarlo fuori dai guai. Non capiva perché si desse tanto da fare per lui, né riusciva a comprendere come questo si conciliasse con i loro continui battibecchi, le loro diversità e l’allontanamento che si era creato tra loro dopo l’episodio con Mocciosus, ma Remus non aveva mai smesso di occuparsi di lui, anche se nessuno gliel’aveva mai chiesto. Questo era il dato di fatto. Alle volte era fastidioso, pungente e supponente e Sirius l’avrebbe preso a schiaffi se non fosse stato suo amico, ma c’era. C’era sempre.
Non poté fare a meno di reprimere quel qualcosa che improvvisamente gli diede la forza di reagire e neppure ci provò. Dopo avergli piantato in faccia due occhi grigio ardente, lo spinse di colpo verso la parete e quasi lo soffocò con un bacio disperato.

*

Il battito del pendolo suonò le quattro mentre Sirius e Remus entravano in casa, pochi secondi dopo essersi Smaterializzati sulla soglia; il primogenito Black si passò una mano fra i capelli, con un sospiro e uno sguardo ancora stravolto.
“Va bene, sediamoci e parliamone,” disse, dopo un enorme sforzo. “Tutto si può risolvere, no?”
Il licantropo lo guardò corrugando la fronte e scuotendo la testa, rassegnato.
“No, questo no. Ci abbiamo già provato e non si può risolvere,” replicò. Sirius sgranò gli occhi e per un attimo sembrò precipitare dentro un baratro di disperazione, come se quella fosse l’ultima risposta che volesse sentirsi dare; allora Remus gli prese il viso fra le mani tremanti e lo baciò, per sancire con i fatti le sue stesse parole. Era inutile tentare di seppellire quel qualcosa che si era inevitabilmente creato tra loro sotto una coltre di menzogne.
Sirius sembrò alleggerirsi di colpo sotto il suo tocco, come se quel gesto l’avesse liberato da un’apprensione che gli gravava sul cuore; anche questa volta, Remus lo lasciò fare. Accolse la sua lingua e le sue mani senza protestare o tirarsi indietro, gli permise di accarezzargli proprio quella zona così sensibile dietro l’orecchio e di insinuarsi fra i capelli sulla nuca, scendere lungo la schiena e poi risalire sul petto fino a scivolare sul fianco. Questa volta aveva molta più consapevolezza di ciò che stava succedendo, sia fuori che dentro il suo corpo, perciò non si impietrì, anche se gli fu impossibile non sentirsi in tensione per ciò che stava capitando, e nonostante tutto lasciò ancora che fosse Sirius a fare le prime mosse, con il timore che si tirasse indietro di nuovo non appena lui avesse osato controbattere. A un certo punto, però, Padfoot s’incagliò ad armeggiare con la chiusura del mantello e Remus, sbuffando, si staccò da lui per avere campo libero e dargli una mano.
“Questo accidenti di...”
“Lascia.”
Scostò le mani di Sirius con un gesto perentorio, poi con calma e rapidità gli allentò il mantello e lo gettò sopra alla poltrona di fronte al caminetto.
Sirius lo guardò e gli sorrise, e a Remus vennero i brividi. Erano sempre gli stessi occhi grigi di Sirius, quelli che conosceva da una vita e che da anni si posavano su di lui con le più svariate espressioni possibili, ma in quel momento pensò che non l’aveva mai visto così, le guance arrossate, i capelli scarmigliati, le labbra tirate a scoprire i denti con un’aria quasi infantile. Rimase a contemplarlo per qualche secondo, poi qualcosa scattò in lui e in pochi secondi gli aprì la veste, tirando e strappando. L’aveva già visto più che mezzo nudo altre volte – Sirius non era uno che si vergognava del suo corpo – ma l’idea di averlo lì soltanto per sé, senza che ci fosse nessun altro a interromperli o a tenerli d’occhio, gli diede improvvisamente alla testa.
Quando anche Sirius si gettò su di lui per ricambiare, Remus lo intercettò con un’occhiata.
“Non hai un posto più comodo dell’anticamera?” domandò, affannosamente, nonostante le mani dell’altro s’insinuassero dappertutto.
“Bastava chiedere,” replicò lui, e senza che Remus facesse in tempo ad accorgersene gli prese la bacchetta dalla tasca e Smaterializzò entrambi in camera da letto.
Il resto, nonostante l’eccitazione di entrambi fosse allo stremo, successe con molta lentezza.
Nella penombra della stanza Remus lasciò che Sirius lo spogliasse e lo toccasse con una maestria che nella sua immaginazione gli aveva sempre conferito, forse per via della grazia innata con cui si muoveva in ogni situazione e in ogni gesto, dalle più elaborate alle più banali: Sirius non era mai goffo o fuori tempo, non inciampava, non pestava i piedi a nessuno. Per questo, incantato com’era da quell’assurda naturalezza, Remus si scordò di provare imbarazzo fino al momento in cui l’altro non si accorse che non gli riusciva a staccare gli occhi di dosso.
“Che c’è?” domandò, brusco, interrompendosi. Il licantropo arrossì.
“Nulla...” mormorò, poi d’istinto gli mise una mano sulla nuca, esercitando una leggera pressione. Sirius oppose una veemente resistenza e gli imprigionò il polso in una stretta; Remus reagì con un colpo di reni, ribaltando le loro posizioni, e per un po’ lottarono come due bambini, rotolandosi fra cuscini e coperte. In circostanze normali Sirius sarebbe risultato decisamente il più forte tra i due ma, forse perché la luna piena era pericolosamente vicina – e con essa il vigore del lupo – Remus riuscì invece ad imprigionarlo sul materasso a pancia in giù, bloccandogli i polsi con le mani e le gambe, semplicemente, sedendoglisi sopra.
“Moony, ti prego, sto soffocando!” si lamentò Sirius, ma lui lo ignorò, perso nell’ammirare quel corpo prigioniero sotto di lui che tante volte, invece, gli era sembrato distante e intoccabile. La bestia dentro di lui reclamava di più, perciò finì di svestirlo e cominciò a toccarlo, in silenzio, chinandosi poi per disseminare leggeri morsi sulla sua spalla sinistra; Sirius smise di opporre resistenza e Remus avvicinò il volto al suo per udirne i gemiti e i respiri accelerati. Chiuse gli occhi, stringendolo con una mano e con l’altra accarezzando i punti più sensibili, portandolo quasi al limite; lasciò poi che Sirius lo fermasse all’ultimo e che lo ribaltasse supino per scendere con la bocca esattamente dove lui desiderava, rompendo finalmente ogni barriera.
Si persero in quei giochi nuovi per entrambi per un tempo di cui nessuno dei due riuscì a tenere il conto, senza lasciarsi un attimo di respiro; sapevano entrambi che, se si fossero ritrovati a riflettere in un momento morto, questo li avrebbe condotti a fermarsi. Perciò, all’insaputa l’uno dell’altro, tutti e due fecero il possibile per colmare ogni secondo con carezze eccitanti, baci avidi, segni di unghie sulla pelle, gemiti soffocati e imprecazioni quando i canini affondavano troppo nella carne, esplorando una dimensione fisica dell’altro che non conoscevano, imparando rapidamente i gesti che davano maggior piacere, i punti più sensibili. Sirius non lasciò in pace Remus nemmeno nei secondi che seguirono il primo orgasmo; lo costrinse a voltarsi e a piegarsi alla sua voglia, ma nonostante tutto lui non aprì bocca per protestare a quella dolorosa forzatura. Mentre Sirius era dentro di lui, finalmente tutto gli sembrò giusto: aveva cercato di non desiderarlo, ma era quello che voleva, quello che il suo istinto reclamava a gran voce fin da quando Sirius l’aveva colto alla sprovvista con quel bacio un paio di mesi prima. Quel sentimento smise di colpo di fargli paura per lasciar posto ad un piacere che mai aveva provato e Remus sorrise silenziosamente sotto le spinte, perché se era così significava che la paura non era abbastanza forte e che non lo era nemmeno per Sirius, che gli stava strattonando ciocche di capelli con tutta la forza che aveva.
Non ci furono più angosce e timori finché tutto non finì e Remus si ritrovò raggomitolato su un fianco, con il braccio sinistro di Sirius intorno al torace, avvinghiato in una stretta decisa che non accennava a volerlo liberare.
La sua pelle scottava e il suo respiro nell’orecchio era profondo, a volte lievemente spezzato.
A quel punto, giunta finalmente la calma, Remus ebbe il tempo per riflettere.
Si domandò che razza di folli pensieri fossero scattati nel cervello di Padfoot nel momento in cui aveva deciso di infrangere quel veto che entrambi si erano posti di comune accordo. Possibile che davvero provasse qualcosa? Che si fosse reso conto di aver proposto un’assurdità, quando gli aveva chiesto di ignorare tutto e restare amici?
O forse era più probabile che si fosse sentito solo e abbandonato in un momento infelice, senza che nessun altro a parte lui l’avesse aiutato ad affrontare la morte di suo fratello?
Si disse che era stupido rovinare un simile momento di pace con inutili elucubrazioni, ma dopo svariati tentativi di assopirsi fu costretto ad arrendersi. Il bisogno di ritrovarsi in solitudine, a riflettere con la sola compagnia di se stesso, prevalse su tutto.
Si liberò quindi dall’abbraccio di Sirius per cominciare a rivestirsi, cercando di ignorare il suo sguardo assonnato.
“Scusa ma si è fatto tardi, devo andare a fare rapporto a Moody,” gli disse quindi, inventandosi la prima sciocchezza che gli venne in mente. Sirius corrugò la fronte con evidente disappunto, poi si voltò freddamente dall’altra parte.
“Come desideri. Fatti vivo.”
Remus annuì, accorgendosi che il cuore gli batteva pesantemente nel petto. Quando uscì di casa, lasciò che il vento fresco del crepuscolo gli scompigliasse ancora di più i capelli. Dopo essersi accertato che nessuno lo potesse vedere si pizzicò una guancia, per avere la conferma di non trovarsi nel bel mezzo di un sogno troppo vivido.
In che razza di disastro si erano cacciati, non riusciva neppure a immaginarlo.


 




Come on fallen star, I refuse to let you die.
‘Cause that’s wrong and I’ve been waiting far too long
It’s wrong, and I’ve been waiting far too long
For you to be… be mine.

(Placebo, Centrefolds)







Nota di fine capitolo: di norma non è nelle mie corde domandare recensioni, ma devo ammettere che mi piacerebbe ricevere un po’ di commenti sulla parte sconcia XD (vabbé, sconcia si fa per dire, visto che mi sono attenuta al rating arancione). Ho fatto bene/non ho fatto bene ad inserirla ora? È uscita bene o è una schifezza? Ogni commento sarà prezioso per me, dato che è la prima volta che mi cimento con quest’impresa.
Non è un caso, comunque, che io abbia fatto tacere a Remus quell’episodio su Regulus. Tra Sirius e Remus si deve costruire man mano un rapporto in cui la sincerità fra i due viene sempre meno, fino al punto che sospetteranno entrambi che l’altro sia la spia... e in questi casi si comincia sempre con le piccole bugie, che l’uno crede innocenti ma che l’altro interpreterà come gravi omissioni.
Ho un altro appunto da fare riguardo alla storia di Regulus, dato che qualcuno me l'ha domandato nelle recensioni: Dorcas non ha mai detto degli Horcrux a nessuno, per il momento, l'ha fatto soltanto con Regulus perché ha visto che era solo un ragazzo cacciatosi in un pasticcio più grande di lui e ne ha avuto pietà. Dorcas, nella mia idea, è un personaggio in cerca di una vendetta solitaria, che riguarda soltanto lei e la sua famiglia, per questo si è tenuta per sé quel ricordo. Nonostante ciò, il primo a scoprire qualcosa di concreto è stato proprio Regulus, ma non ha avuto né tempo né modo di comunicarlo a Dorcas: sia perché era troppo rischioso mettersi in contatto, sia perché Regulus scopre l'Horcrux e contemporaneamente ci rimette le penne. Per questo tutta la storia finisce sepolta con lui e quello di Dorcas resterà, alla fine, un sospetto senza prove, perché tutto sommato lei ha soltanto origliato una conversazione, anche se è convinta che quella sia la vera essenza di Voldemort, ciò che davvero gli interessa, e per questo ha voluto mostrarlo a Regulus, che invece credeva di seguire degli ideali stando al suo servizio.
Secondo ciò che sta nella mia testa, poco prima di morire, Dorcas accennerà qualcosa a Silente, insinuando in lui il sospetto (che dovrà pur essere nato da qualcosa, non credo che un giorno il buon Albus si sia svegliato e si sia detto "Oh, cominciamo a fare ricerche difficili e lunghe anni per vedere se quel vecchio volpone di Voldemort non si è per caso creato un Horcrux..."). Poi però, come sappiamo, Dorcas viene uccisa direttamente da Voldemort e quindi Silente inizierà le sue ricerche praticamente dal nulla, finendo con ciò che avviene in HP6.
Spero che così sia più chiaro, mi rendo conto che avrei dovuto specificarlo la scorsa volta. Dovrei scrivere uno spin-off su Dorcas, in effetti XD 
Continuerò ad aggiornare una volta al mese, lo so che è un tempo piuttosto lungo ma almeno così sono piuttosto sicura di riuscire a finire il capitolo e di avere il tempo di riguardarlo con calma. In ogni caso, lascerò degli aggiornamenti sulla mia pagina autore, se a qualcuno possono interessare per sapere a che punto sono.
Un grazie sincero a chi ha commentato lo scorso capitolo, ricordandosi dell’esistenza di questa storia. Mi ha fatto un immenso piacere rileggervi ^_^
A presto!
S.

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