Light and Darkness

di Bethan Flynn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Darkness swallows all the Light ***
Capitolo 2: *** The place I hate the most ***
Capitolo 3: *** You don't always have a choice ***
Capitolo 4: *** Holy pain ***
Capitolo 5: *** May I be wrong? ***
Capitolo 6: *** The clock stops ***
Capitolo 7: *** Trust the Death and you'll not kill anyone ***
Capitolo 8: *** Moonlight ***
Capitolo 9: *** Memories, Rhum and Names ***
Capitolo 10: *** Morning ***
Capitolo 11: *** Fallen into a Top Hat ***
Capitolo 12: *** Tears for Freedom ***
Capitolo 13: *** The Girl from the Moon ***
Capitolo 14: *** Reunion Tears ***
Capitolo 15: *** Shadows are changing ***
Capitolo 16: *** Snow Kiss ***
Capitolo 17: *** Cooking feelings ***
Capitolo 18: *** You are the Lighthouse in my Darkness ***
Capitolo 19: *** Madness fire ***
Capitolo 20: *** A Voice of Rage ***
Capitolo 21: *** Breaking all the Lies ***
Capitolo 22: *** Disclosing Secrets, Revealing Hypocrisy. ***
Capitolo 23: *** Good Morning, Darkness ***
Capitolo 24: *** Even in Darkness Love can born. ***
Capitolo 25: *** A New Direction. ***
Capitolo 26: *** Entering Reality. ***
Capitolo 27: *** A New Mixed Plot. ***
Capitolo 28: *** We must find the Strenght. ***
Capitolo 29: *** Everything is Connected. ***
Capitolo 30: *** If you Loved your Life, it's because it was Worth it. ***
Capitolo 31: *** Romeo and Juliet: sacrifice for a New World. ***
Capitolo 32: *** Light and Darkness. ***



Capitolo 1
*** Darkness swallows all the Light ***


Il bosco era immerso nella quiete pomeridiana, piena soltanto dei suoni naturali di alberi e animali selvatici.
Sul piccolo lago era affacciata una capanna di assi di legno, semplice, con il tetto di paglia e solo una finestra, la si sarebbe potuta dire formata da una sola stanza, e nemmeno tanto grande.
I raggi obliqui mandavano bagliori dorati sulle cime degli alberi e sull'acqua, inzuppando ogni cosa dei colori che fanno da preludio al rosso del tramonto, facendo sembrare l'intero paesaggio immerso in una bolla scintillante e sospesa nel tempo.
Un sasso venne lanciato nello specchio d'acqua con una discreta potenza, producendo spruzzi e una serie di cerchi concentrici, che si allargarono sempre di più.
La ragazza alzò gli occhi, illuminati dai raggi del sole di bagliori dorati, che tuttavia non riuscivano a smorzare del tutto il loro colore nero, che sembrava nato dalla stessa oscurità.
-Chi sei?- parlò con voce sicura e ferma, fissando un punto imprecisato nel mezzo degli alberi.
Ne uscì una ragazzina impacciata, infagottata in un lungo kimono, con occhi dorati e una grossa stella nera in fronte.
-Di', akuma, mi credete scema per caso?- ringhiò la proprietaria della capanna, mentre fra le sue mani compariva un oggetto rotondo simile ad uno specchio, al cui interno però non si scorgeva alcun riflesso, ma solo un buio totale e profondo.
-Mi manda Cross Marian- quel nome fece scattare qualcosa nella ragazza, che abbassò lievemente l'arma, sempre cauta -che cosa vuoi?- sibilò, fissando l'akuma in cagnesco.
-Vuole che veniate da lui- rispose quella, senza fare una piega. Ovvio, era una macchina senza emozioni, pensò l'esorcista con disprezzo: come poteva pensare che provasse qualcosa nel vedere la sua ostilità?
-Ha! Se vuole vedermi digli di alzare le chiappe dai suoi inutili esperimenti e dalle sue missioni astruse. Io da qui non mi muovo- sbottò, mentre lo specchio scompariva come se non ci fosse mai stato.
-Si, immaginavo che avresti dato una risposta del genere. Vai pure, tu- la voce secca del Generale fu seguita dall'uscita dal folto degli alberi di un uomo alto, con lunghi capelli rossi e una maschera a coprirgli metà del viso. Sul volto era stampato un sorriso beffardo. L'akuma si ritirò.
La ragazza sbuffò, fissando la superficie del lago che a quel punto era tornata intatta, riflettendo il paesaggio circostante. Il colore dei raggi era ormai mutato, e l'intera boscaglia era attraversata da una luce rosata diffusa, a tratti rossa come il sangue, quando il sole riusciva a raggiungere un punto ben definito.
-Beh? Adesso rifiuti pure gli inviti a cena?- l'uomo si sedette di fianco a lei, che non fece una piega.
-Che cavolo vuoi? Mi sembrava di essere stata chiara, l'ultima volta- sbottò con malgrazia -non aiuterò l'Ordine, voglio solo vivere in pace- le sue mani afferrarono un coltello da caccia e iniziarono ad affilarlo su una pietra lì a fianco, che evidentemente ne aveva visti passare molti altri.
Cross la osservò di sottecchi, e non potè non pensare che nel suo aspetto così emaciato e intriso di solitudine vi fosse qualcosa di incredibilmente attraente.
Era così magra che quasi scompativa nella veste nera che le arrivava fino alle caviglie, e che le copriva il capo con un cappuccio pesante. L'unica parte chiaramente visibile di lei erano gli occhi, il cui nero faceva sembrare sbiadita anche la trama del tessuto che la avvolgeva.
Spinto da chissà quale impulso, alzò una mano e le tolse il cappuccio, accarezzandole il viso.
Una cascata di capelli bianchi, luminosi, che contrastavano talmente tanto con l'oscurità della sua figura da far male agli occhi, le piovvero sul viso e sulla schiena, dritti e liscissimi. Sembrava quasi una creatura di un altro mondo, pensò.
La ragazza poggiò il coltello di fianco a sè con un sospiro, poi piantò quei pozzi d'ombra dritti nei suoi occhi, che ci sprofondarono dentro senza alcun ritegno.
Le dita sottili di lei afferrarono il bordo della maschera e gliela strapparono dal viso con violenza, gettandola a terra, rivelando un occhio scuro quanto i suoi, differente dall'altro, color nocciola, che adesso la fissava con un'espressione quasi sofferente.
-Che cosa vuoi, Marian?- mormorò piano.
Spostò il viso vicinissimo al suo, guardandola in ogni dettaglio: in effetti era vero che si somigliavano, e non solo per quel colore dell'iride. Avevano la stessa espressione stanca e beffarda al tempo stesso stampata in volto, quasi deridessero la vita e tutti coloro che si affannavano a viverla; avevano lo stesso carattere schivo e orgoglioso, che in Marian si era tradotto in un'ostentazione di sicurezza e in lei in un desiderio di venire inghiottita dalle tenebre che il dono maledetto dell'innocence le aveva dato il potere di controllare.
-Non voglio lasciarti sola- disse -non posso- lei sbottò in una risata sarcastica -ma come? Il Generale Marian Cross, noto a tutti come il peggior donnaiolo, scansafatiche e alcolizzato dell'intero Ordine che si preoccupa per me?- lo guardò gelida -ma fammi il favore. So cavarmela perfettamente da sola, non ho proprio bisogno delle tue paturnie- disse acida.
-Perchè fai così?- l'uomo non aveva alcuna intenzione di demordere.
-Perchè? Marian, siamo fratelli, nel caso te ne fossi scordato. Io sono tua sorella!- sibilò scocciata -non può funzionare, non così, non ora. Poteva, finchè non l'abbiamo scoperto, ma non adesso- mormorò abbassando gli occhi.
-Non è detto che non ci sia rimedio...- fece lui accarezzandole una spalla, ma la ragazza lo scansò bruscamente.
-Smettila. Non toccarmi- gli ringhiò contro -non sfiorarmi mai più, nemmeno con un dito, se ti è cara la pelle- quel paesaggio idilliaco sembrò offuscato dall'oscurità che trapelava dalla figura di lei.
-Non c'è rimedio, non c'è. Io sono condannata, e per qualcosa che non ho chiesto di avere- concluse seccamente -finirò inghiottita, quando la mia resistenza finirà, e voglio morire sapendo di non aver contribuito al prestigio dei miei assassini- la sua voce era dura, atona, impenetrabile.
-Aster...-
-Non chiamarmi così!- gridò, alzandosi violentemente in piedi -non voglio quel nome, non ne voglio nessuno, voglio solo essere lasciata in pace e che il mondo si scordi della mia esistenza!- l'uomo si alzò a sua volta, fece due passi e la strinse fra le braccia così forte che non ci fu modo per lei di divincolarsi.
-L'Ordine può proteggerti. Lì sanno come fare, e io non ci metterò piede, se tu non vorrai, ma ti prego, va’ da loro- disse deciso –Komui non è il tipo che tu credi. Non è stato lui che l’ha deciso- ma la ragazza lo allontanò con un brusco spintone, voltandogli le spalle.
-Io non mi muovo di qui. L’Ordine dovrebbe già ringraziarmi abbastanza per non essermi unita al suo nemico- mormorò sottovoce.
-Aster…- riprovò lui, ma la punta del coltello arrivò fulminea pericolosamente vicina al suo occhio.
-Ti ho detto- sussurrò minacciosa, fissandolo –di non chiamarmi così. Se non sai usare altri nomi, non chiamarmi affatto- gettò a terra l’arma e volse ostinatamente la testa verso il laghetto, ormai privo di ogni luce, un abisso gelido quanto quello che Marian scorgeva negli occhi e nel cuore della ragazza.
-Io parto- sospirò –non ci vedremo per un po’- lei tacque, quindi continuò –a dire il vero, non so se ci rivedremo affatto- pensò alla sua missione, e a ciò che ne sarebbe inevitabilmente seguito, e concluse che sarebbe stata una fortuna se ne fosse uscito vivo.
Quelle parole sortirono un qualche effetto.
La ragazza si girò nuovamente a guardarlo, uno sguardo spento –e dove vai?- chiese, le labbra incurvate in un sorriso che i suoi occhi non appoggiavano –dove ti mandano, stavolta? Che modo hanno escogitato per farti fuori, Marian?- sussurrò.
Il Generale la guardò con un misto di preoccupazione e stizza: se fosse rimasta lì, avrebbe finito per impazzire sul serio, pensò. Ma non voleva essere aiutata, lo capiva chiaramente.
Voleva soltanto lasciarsi morire, e tutto per colpa sua.
-Mi mandano a spiare il Conte, a cercare i suoi seguaci, cose così- buttò lì in tono frettoloso –niente, alla fine ero venuto solo per dirti questo. Ma non sembra che ti importi molto se mi faranno secco o meno- disse aspramente.
-Esatto- mormorò lei, senza neppure guardarlo.
Quell’unica parola gli fece più male di tutto quel dialogo senza senso.
Non disse più niente, imboccò il sentiero da cui era venuto e sparì nell’oscurità.
Allora, e solo allora sul viso della ragazza qualcosa cambiò. Una sottile breccia nell’oscurità rivelò lo scintillio di un dolore sopito sotto strati di gelo.
Una lacrima, una sola, le scivolò lungo la guancia pallida.

Note dell'Autrice:

Ok, a chi adesso teme che non smetterò mai di pubblicare fanfiction do perfettamente ragione! XD
Fatemi almeno spiegare in due righe il perchè di questa proliferazione: avevo un bel po' di OC nel cassetto da quando ho iniziato a leggere d.gray-man, e innescati dal primo (e più importante) mi sono venuti fuori tutti. Nonostante abbia anche una grande passione per lo yaoi, ve lo risparmio, perchè sono assolutamente negata a scrivere una storia yaoi mantenendo IC i personaggi. Già con queste ho dei grossi problemi, come chi ha letto le mie precedenti avrà già ampiamente notato XD
Forse qui mi salvo, dal momento che il carattere di uno dei personaggi che svilupperò di più si adatta bene alla situazione... ma non vi dirò altro, perchè il pairing stavolta lo scoprirete solo mano a mano che va avanti la storia u.u
Non so esattamente il perchè, ma sono affezionata a questo OC. Questa fanfiction l'ho scritta piuttosto velocemente e non è ancora conclusa, eppure mi sta decisamente appassionando.
Ah, a proposito: io ho messo rating giallo, però potrebbero esserci scene un po' tragiche... dal momento che non ho molta dimestichezza con i rating, se qualcuno leggendo pensasse che sia necessario alzarlo ad arancione me lo dica!! Grazie *_*
Non so con quanta regolarità potrò aggiornare, dal momento che per l'appunto non è ancora finita e saranno probabili (anzi, certi) nuovi inserimenti all'interno della storia principale... in ogni caso, pubblico intanto questo primo capitolo sperando che un po' vi incuriosisca e VI SCONGIURO di commentare (con l'altra la disperazione ha funzionato, coraggio, non mi smentite XDXD)! >_> 
Ok, smetto di tediarvi con queste inutili note, spero di non dovermi suicidare per concludere questa fanfiction e torno a scriverne un altro po' XD

A presto! ^_^

Bethan

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Capitolo 2
*** The place I hate the most ***


La sala d’ingresso era stracolma di bare, ma nessun vivo era a piangere su di esse.
Logico, era notte fonda: anche il dolore andava a dormire, prima o poi.
Il portone si aprì sussultando sotto la spinta di mani sottili, avvolte da ampie maniche nere, e si richiuse con uno schianto che rimbombò nel silenzio riempito solo dalla presenza oscura della morte.
Presenza che iniziò ad essere scacciata dallo scalpiccio dei piedi del visitatore sul pavimento bianco e nero, mentre si destreggiava fra le miriadi di casse.
Quello era l’Ordine.
Il luogo che lei odiava di più al mondo.
Sapeva che di tutte quelle persone morte si sarebbe persa ogni traccia, sapeva che non erano che la punta dell’iceberg, nonostante quella sala ne contenesse migliaia, sapeva che lei avrebbe potuto benissimo essere là in mezzo, anonima fra gli anonimi, corpo devastato su cui qualche sconosciuto troppo sensibile avrebbe speso qualche lacrima e poi via, bruciata di nascosto da tutti.
L’avrebbe quasi preferito all’essere lì, pensò, inoltrandosi ancora di più in quel labirinto.
“Che cavolo ci faccio, io, qui?” pensò per l’ennesima volta, guardandosi intorno.
Non che la rendesse nervosa quel posto, i morti le facevano molta meno impressione dei vivi.
Perlomeno non avevano finti sentimenti cui fare appello per giustificare le azioni più efferate, perlomeno non provavano niente, perlomeno vivevano nella costante oscurità.
Come lei.
Arrivò in fondo e si fermò, guardandosi alle spalle.
Un sorriso sarcastico le incurvò le labbra, cui come sempre non corrispose un mutamento nella fisionomia, né negli occhi.
-Questo dovrebbe salvarmi, Marian?- sussurrò, voltando la schiena a quello spettacolo e incamminandosi su per le scale.

Abbattè la porta con un calcio, scardinandola e facendo sobbalzare l’uomo collassato sulla scrivania, un biondino sulla trentina circa.
-Chi sei?- chiese allarmato, mettendosi subito sulla difensiva.
La ragazza non fece una piega e si tolse il cappuccio. Gli occhi dell’uomo si spalancarono ancora di più.
-Chiama Komui, muoviti- sbottò lei senza dire altro. Quello si precipitò fuori dalla stanza.
Appoggiò la borsa a terra, fra un caos primordiale di fogli svolazzanti, e l’occhio le cadde per caso su quello che doveva star leggendo il tizio che aveva trovato lì dentro prima di addormentarsi.
“Caduti: 200. Successi: 0” recitava l’intestazione.
Seguiva una lista di duecento nomi, fredda come la carta su cui era stampata.
Forse non tutti sapevano cosa fosse realmente successo a quei duecento nomi.
Le dita sottili strapparono il foglio, riducendolo in brandelli piccolissimi.
-Sei venuta- una voce trafelata la fece girare. Fissò l’uomo dai capelli neri come se non lo vedesse neppure.
-Chiudi la porta- ordinò. Quello eseguì senza fiatare, poi andò a sedersi di fronte a lei, dietro la scrivania.
-A…-
-Se non volete che passi istantaneamente dalla parte dei vostri nemici e faccia sparire questo posto dalla faccia della terra- sibilò la ragazza, facendosi vicinissima a lui –non. Dovete. Usare. Quel nome- scandì parola per parola, stringendo gli occhi –sono stata chiara?- chiese poi, scansandosi bruscamente.
Il Supervisore annuì, deglutendo rumorosamente.
-Credevo non saresti più tornata- sussurrò.
-Non ho certo ricevuto la chiamata divina, non dormirtene sugli allori- sbottò.
-Allora perché sei qui?- gli occhi di Komui si piantarono nei suoi senza mostrare cenni di cedimento.
-Affari miei. Allora, la volete la mia innocence o no? Posso benissimo tornarmene da dove sono venuta- rispose acida, evitando la domanda.
Perché era lì? Avrebbe tanto voluto saperlo anche lei.
L’uomo sospirò, passandosi una mano fra i capelli. Era stanco, si vedeva, ma la cosa non la intenerì: quelli come lui, pensò, avrebbero dovuto sentirsi schiacciati dal peso di ciò che facevano per tutta la vita.
Il Supervisore aprì un cassetto, traendone fuori due bracciali, uno bianco e uno nero, e glieli lanciò.
-Indossali. Ti aiuteranno a sopportare il dolore- mormorò.
La ragazza fece come le era stato detto e sentì immediatamente una sensazione di sollievo nel petto, come se le fosse stato tolto un carico estremamente pesante dalle spalle.
-Hai mai evocato?- le chiese poi. Lei scoppiò in una risata sarcastica –mi prendi in giro? Dovunque andassi, quei maledetti mostri non facevano altro che inseguirmi. Ogni volta dovevo quasi morire per salvarmi la vita- sbottò, facendo un cenno brusco con la mano.
-Mi dispiace-
-Sai che me ne faccio delle scuse. Preferirei che mi aveste ammazzata subito, piuttosto che trovarmi qui- il suo tono aveva perso la pacatezza, ed era diventato rabbioso e frustrato.
Komui la fissò qualche istante, poi si alzò –ti faccio vedere la tua stanza- iniziò, ma lei lo interruppe subito.
-Basta che tu mi dica dov’è. Non ho intenzione di passare altro tempo assieme a te- disse netta.
Una volta ottenute le indicazioni, se ne andò silenziosa com’era venuta, il cappuccio ben calcato sul capo a mimetizzarla con il buio dei corridoi.
Komui si abbandonò pesantemente sulla sedia.
Non se lo sarebbe mai aspettato. Evidentemente era stata opera di Cross, pensò prendendosi la testa fra le mani.
Quella ragazzina era davvero una bomba ad orologeria.
Eppure, era sopravvissuta, e per quella guerra forse sarebbe stata molto importante.

---

-Hoshi- la figura incappucciata disse semplicemente questo, sedendosi all’angolo più remoto del tavolo.
Allen guardò Linalee interrogativo, e la ragazza sospirò –dev’essere arrivata ieri sera. Stamani mio fratello era piuttosto scosso. Non so niente di lei- sussurrò.
L’albino la squadrò nuovamente –fa un po’ paura- bisbigliò.
-E ha addirittura le orecchie, pensate un po’- il volto pallido circondato dal cappuccio si era girato verso di loro, fissandoli uno alla volta con due occhi che mal si distinguevano dal colore dell’abito.
Linalee sorrise imbarazzata –scusa, non volevamo essere invadenti. Io sono…- iniziò, ma quella fece una smorfia di disprezzo –non mi interessa sapere i vostri nomi. Per la cronaca, non c’è categoria di persone che io disprezzi più di voi- disse fredda –mi disgustate. Quindi vedete di starmi alla larga- concluse, rimettendosi a mangiare.
-Ma che modi…- sussurrò Allen. Linalee alzò le spalle, ma si vedeva lontano un miglio che le parole di quella novellina l’avevano ferita.
Era fatta così, non sapeva odiare.
-Ehi, potevi pure essere un po’ più gentile- sbottò l’albino all’indirizzo della ragazza.
Quella fece come se non avesse sentito niente.
-Stavo parlando con te- continuò Allen ostinato.
-Allen, lascia per…- sussurrò Linalee, ma le mani della nuova venuta sbatterono violentemente sul tavolo, facendo voltare tutta la sala.
Scansò la sedia e si avvicinò ai due, guardandoli con espressione indecifrabile. All’interno dei suoi occhi, i ragazzi scorsero solo vuoto, nient’altro.
Un vuoto tenebroso e denso, che risucchiava al minimo contatto.
-Forse non mi sono spiegata- mormorò minacciosa, muovendo un passo verso Allen –io non sono qui per mia volontà. Non mi sento investita da chissà quale missione da martire. Odio questo posto più di ogni altra cosa, e gli esorcisti non li sopporto- l’albino fece un passo indietro –ve lo dico chiaro e tondo: statemi alla larga, altrimenti vi ammazzo- girò le spalle a entrambi, afferrò il suo vassoio e dopo averlo scaraventato fra quelli sporchi uscì a passo spedito dalla sala.
I due si guardarono sbalorditi.
-Neppure il tipo di prima era così tremendo- disse l’albino, rimettendosi a mangiare.
Con “tipo di prima” intendeva Kanda, che dopo averlo quasi ammazzato perché il custode l’aveva scambiato per un akuma si era pure rifiutato di rivolgergli la parola.
Linalee alzò le spalle, sospirando –Kanda è fatto così. Probabilmente dobbiamo solo imparare a conoscere anche lei- disse –non ho più fame- prese il vassoio e buttò via il resto della colazione.

---

-Dunque, Allen e Kanda, voi andrete a Matera- quelle parole furono per l’albino come una sentenza capitale, ma non erano che buone notizie, rispetto a ciò che sarebbe venuto dopo.
-Io non vado in missione con le mammolette- sibilò Kanda, zuccheroso come al solito.
-Se è per questo nemmeno io amo i maleducati- lo rimbeccò Allen.
-Non sarete da soli- aggiunse Komui, come se non li avesse neppure sentiti, e fu allora che il ragazzo temette davvero il peggio.
La porta si spalancò e ne entrò Hoshi, avvolta nella stessa lunga veste nera, che la rendeva simile ad un fantasma.
-Hoshi è arrivata ieri sera. Vi accompagnerà- la ragazza posò gli occhi neri su di loro, senza neppure accennare ad un saluto.
L’albino alzò gli occhi al cielo, mentre Kanda sembrò non far caso all’aperta ostilità della nuova arrivata. Si ritirarono senza neppure una parola.
-Partiremo domattina. Fatevi trovare alle cinque davanti all’uscita, o andrò senza di voi- disse seccamente il moro ad un certo punto.
Allen sbuffò –ti ho già detto che non c’è bisogno di usare quel tono-
-Insomma, piantatela con questo cicaleccio. Non è così difficile mettere una sveglia- sbottò la ragazza all’improvviso, troncando la discussione. Gli occhi del giapponese si posarono increduli su di lei: mai nessuno gli aveva ribattuto con quel tono.
-Senti un po’, ragazzina…- iniziò, ma lei sbuffò sarcastica –ragazzina? Guarda che ho un nome, razza di idiota. Usalo, se vuoi che ti degni di una risposta. Anche se preferirei tu ne facessi a meno- poi infilò il corridoio che portava alla propria stanza senza aggiungere altro, scomparendo ben presto nella penombra.
Il moro fece un verso così scocciato che ad Allen vennero i brividi: si fermò sul posto e non si mosse finchè non ebbe sentito i passi di entrambi affievolirsi.
Sarebbe stata una lunga missione, pensò rassegnato. Si chiese se fossero più pericolosi gli akuma o quei due, e optò per la seconda.

La stanza era piccola, ma la ragazza non se ne curò affatto. Era abituata a stare stretta.
Buttò all’indietro il cappuccio, lasciando liberi i capelli che scesero come una cascata argentea contrastando nettamente col nero della veste.
Si sedette sul letto, sospirando, e chiuse gli occhi.
Che diamine c’era andata a fare, lì?
Loro non potevano aiutarla. Nessuno poteva, pensò. Marian si sbagliava.
Marian.
Si, forse era per lui che l’aveva fatto. Forse era perché si era pentita di come l’aveva trattato l’ultima volta, forse era perché avrebbe voluto chiedergli scusa.
Ma scusa di cosa?
Era stato per colpa sua che lei era entrata in contatto con l’innocence, era stata colpa di Marian se l’avevano portata là e poi…
Rabbrividì istintivamente, portandosi una mano ai polsi. Sentì il freddo dei braccialetti a contatto con la pelle.
Era più forte di lei. Disprezzava quel posto, odiava l’innocence e tutti quelli che credevano fosse una cosa buona e mandata dall’amore di Dio. Sempre ammesso che un Dio fosse esistito, pensò, doveva avere dei grossi problemi di vista.
Pensò a quelli che avrebbero dovuto essere suoi “compagni” e rise di gusto quando quella parola le venne alla mente: quel moro, non era davvero compagno di nessuno. Si vedeva da un chilometro. Quanto agli altri due, beh, forse fra loro avrebbero anche potuto trovarsi bene, ma avrebbero scoperto prima o poi in cosa trasformava le persone quel posto.
Non c’era posto per l’amicizia, non c’era posto per l’amore, non lì.
Una volta che uno entrava lì dentro, se aveva la fortuna di sopravvivere diventava una mera macchina da guerra, con non più sentimenti che quelle del Conte.
Questo era successo a Marian, e questo sarebbe successo a lei, pensò. Era inutile cercare di stringere legami; si sarebbero spezzati come ragnatele al minimo soffio di vento.
Guardò la finestra sbarrata, che mostrava uno spicchio di cielo nero, punteggiato da stelle, in cui la luna sorrideva beffarda e sofferente, intervallata dalle sagome della grata che serrava i vetri.
Detestava quel posto, pensò per l’ennesima volta.





Note dell'Autrice:

Secondo capitolo postato in fretterrima (?) perchè devo andare al corso di Carnevale a prendere la pioggia u.u
Dannato tempo dimmerdlkfjhlàdjh ò___ò
Cooomunque, scleri a parte, avete scoperto il nome della mia beneamata protagonista... per chi non lo sapesse, Hoshi vuol dire "stella" in giapponese, mentre Aster (che si, è il nome del Tiranno delle Cronache del Mondo Emerso, anche se qui è solo una coincidenza XD) vuol dire "stella" in greco. Non so ancora come usare questa corrispondenza, comunque qualcosa mi inventerò!
Decisamente, la mia protagonista non ha un carattere amabile e gentile stavolta. Avevo parecchia rabbia da incanalare .___. poi cambierà, anche se io stessa non sono ancora riuscita a capire come il cambiamento sia avvenuto O_o i misteri della scrittura...
Vabbè gente, vi saluto che vado a imbacuccarmi!!

Grazie mille a xxxDemonholic e a Sherly per le recensioni! ^__^ Spero che il capitolo vi sia piaciuto!!

A presto!!

Bethan 

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Capitolo 3
*** You don't always have a choice ***


-Ma voi prendete sempre il treno in questo modo?- Allen ansimava, sdraiato sul tetto della carrozza che sfrecciava nella luce mattutina.
Appena fecero il loro ingresso, la croce che portavano sugli abiti fece loro da lasciapassare: gli assegnarono subito uno scompartimento.
Hoshi lesse svogliatamente il fascicolo riguardante la missione, poi lo gettò sul sedile e si trincerò dietro al solito silenzio, guardando fuori dal finestrino, incurante delle chiacchiere degli altri esorcisti.
Non aveva praticamente chiuso occhio, si sentiva ancor più nervosa e irritabile del solito, e come se non bastasse le faceva pure un freddo cane.
Pensò agli akuma che probabilmente avrebbero trovato: se fossero serviti a scaricarla di quella tensione, sarebbe stata ben felice di farne fuori a centinaia.
Represse un ghigno al pensiero dell’azione della sua innocence.
Sua.
Represse lo sbuffo che le saliva alle labbra.
Come se lei l’avesse mai voluta, quella cosa innestata dentro al corpo, pensò.
-Signorina Hoshi, non avete una bella cera. Volete mangiare qualcosa?- Toma, il finder, le porse un pezzo di pane, ma la ragazza scosse la testa in segno di diniego e tornò a guardare fuori il paesaggio ormai reso netto dai raggi del sole.
-Sto bene, grazie- mormorò dopo un po’ con un sospiro. Era inutile essere sgarbate all’ennesima potenza con quel poveretto. Probabilmente non si immaginava neppure ciò che lo aspettava, oppure lo sapeva ma non aveva niente da perdere, magari aveva perso l’intera sua famiglia in quella guerra assurda, magari pensava che quelle battaglie fossero giuste e gli esorcisti fossero eroi.
Tutte balle, ma nessuno gliel’aveva mai detto.
Come nessuno aveva mai avvertito lei.
-Forse dovresti mangiare- la voce forzatamente gentile di Allen le provocò un moto di stizza. Non avercela con i finder era una cosa, essere gentile con gli esorcisti era tutto un altro paio di maniche. Era per colpa loro che lei si trovava lì.
-Ho detto che non ho fame. Lasciami in pace- sbottò secca senza neppure girarsi, col tono più tetro di cui era capace.
Sentì su di sé gli sguardi risentiti dell’albino e del finder, e quello lievemente sorpreso del giapponese: grazie al cielo una persona che non si scandalizzava per la sua scortesia.
In ogni caso, questo non voleva certo dire che se lo sarebbe fatto amico. Non c’era possibilità di contatto fra quei soldati convinti di essere scelti da Dio e lei, che di un dio non voleva neppure sentir parlare. Lei era stata scelta dalla voglia che gli uomini avevano di emulare quel Dio la cui esistenza non era neppure certa.
Lei era il frutto della presunzione umana.
Il progressivo rallentare del treno e la coscienza di essere finalmente arrivati la riscossero da quei pensieri.
Scesero, trovandosi in una stazione deserta e spazzata da una brezza gelida.
Hoshi si incamminò passivamente dietro gli altri, nascondendo il volto nel cappuccio.
Ad un tratto, la radio sulle spalle di Toma diede segni di vita: gli altri finder chiamavano aiuto, c’era un akuma, poi la comunicazione si interruppe di botto con uno sfrigolio. Il gruppetto arrivò velocemente all’entrata della città: una porta arcuata, divelta e incastonata in un cerchio di mura distrutto qua e là.
-Muoviamoci, forza- disse d’improvviso la ragazza, rimboccandosi le maniche e precedendo gli altri attraverso l’arco di pietra. I braccialetti-amuleto le scintillarono ai polsi, mentre si metteva in contatto con l’innocence.
Arrivarono sul luogo dov’erano i finder e videro la scena da un’altura: gli uomini erano assediati da un akuma che non somigliava a nessuno di quelli che Kanda e Allen avevano visto fino a quel momento, ma lei ne aveva visti eccome.
-Un livello due- mormorò. Gli altri si girarono a guardarla, sorpresi, ma Hoshi non fece una piega e continuò.
-Hanno un ego, e sono decisamente più potenti degli altri- disse piano –state attenti a non farvi ammazzare, perché io non vi aiuterò- continuò con un ghigno sarcastico –non sono qui per fare da balia a nessuno-
-Guarda che nessuno debba fare da balia a te, piuttosto, novellina- gli occhi neri della ragazza si strinsero, ma il suo volto non mutò in altro modo l’espressione neutra che teneva di solito, come se non avesse neppure sentito le parole del moro.
-Avete proprio un modo spiacevole di parlare, voi due- sbottò Allen, lanciandosi contro l’akuma.
-Non mi accomunare a nessuno di voi, se ti è cara la vita, esorcista- sibilò Hoshi sfrecciandogli accanto e correndo verso la barriera.
Doveva disattivarla e portare via quella roba prima che l’akuma si pappasse quel ragazzino ingenuo, pensò mentre un boato le suggeriva che la battaglia era iniziata.
Quando finalmente riuscì a demolire l’ultimo talisman, si trovò davanti una ragazza con lunghi capelli biondi che fuoriuscivano da una fasciatura che le copriva metà testa e che arrivava quasi agli occhi, metallici.
Dietro di lei stava un uomo deforme, avvolto in un mantello logoro.
Loro avevano l’innocence.
-Forza, consegnatecela- Kanda era apparso di fianco a lei.
-Aspettate- balbettò l’uomo –io sono vecchio, non mi rimane molto da vivere. Lasciateci insieme fino alla fine, poi potrete prendervela-
-Non possiamo. Non abbiamo tempo- mormorò Hoshi fissando il vuoto. Quella scena le faceva stranamente stringere lo stomaco, riportandole alla memoria ricordi dolorosi che lei avrebbe voluto tenere sopiti nella tomba di gelo che aveva costruito.
Improvvisamente il pavimento sotto di loro cedette con uno schianto, facendoli precipitare sempre più a fondo.

L’atterraggio non era stato granchè, ma sarebbe anche potuto andare, se solo quel giapponese acido non le fosse caduto addosso.
-Spostati- ringhiò lei, scansandolo bruscamente. Aveva preso una bella botta alla schiena, e dovette respirare a fondo un paio di volte prima di recuperare l’uso dei polmoni.
-Dove sono andati quei due?- Kanda si alzò in piedi, seguito subito dalla ragazza.
-Sono scappati- sbottò lei –andiamo, forza- iniziò a correre per quello che sembrava un labirinto di corridoi, imponendosi di non far caso al dolore per la caduta.
Ad un tratto, Toma sbucò di fronte a loro –grazie al cielo- esclamò sollevato –temevo di avervi perduti! Dov’è il signor Walker?- Hoshi fece un verso scocciato –quell’idiota si stava facendo ammazzare senza alcun ritegno. Perlomeno terrà occupato l’akuma finchè noi non troviamo quella bambola e la facciamo fuori- il finder ebbe il buonsenso di non replicare e li seguì mentre si rimettevano a correre.
Hoshi sentì l’innocence al suo interno premere per venire fuori e dovette fermarsi di schianto, cercando di reprimere l’invocazione.
-Ma che cavolo…- sussurrò. Non le succedeva mai, se non quando era molto vicina ad un akuma. Eppure lì non ce n’erano, erano solo lei, Kanda, e…
Si girò di scatto –spostati, quello è l’akuma!- gridò, ma fu troppo lenta.
Il nemico si era già trasformato, colpendo il giapponese in modo così violento da fargli sfondare una serie di pareti.
“Innocence. Specchio della Notte” fra le mani di Hoshi si materializzò uno specchio rotondo, con una cornice argentea ed elaborata, al cui interno si scorgeva solo la più completa oscurità.
Kanda, nel frattempo, non dava segni di vita, crollato addosso all’ennesima parete.
-Ehi, akuma- ringhiò la ragazza, mettendosi fra lui e il moro –giochiamo un po’, vuoi?- sentì il metallo dei bracciali bruciarle attorno ai polsi, ma era un dolore sopportabile, rispetto a quello che sentiva prima.
-Primo riflesso. Polvere- dal centro dell’arma uscì un vortice di sabbia bianca, accecante, luminosa, che avvolse l’akuma completamente. Quello iniziò a strillare.
-Stattene buono per un momento- sbottò lei, girandosi verso il giapponese.
Respirava.
Grazie al cielo, non avrebbe dovuto beccarsi una sfuriata perché aveva lasciato morire uno dei preziosi soldati dell’Ordine, pensò.
Vide la polvere sgretolarsi lentamente.
-Ok, adesso fatti un bel viaggetto, akuma- mormorò, mentre si preparava ad effettuare la seconda invocazione.
-Sono Allen, fermati!- la ragazza fissò la massa bianca scettica –mi vuoi prendere in giro?- sibilò avvicinandosi cautamente.
Una enorme mano bianca ruppe la barriera.
Hoshi saltò indietro: era la sinistra. Non era l’akuma. Ma com’era possibile?
Disattivò l’evocazione e dissolse la polvere, rivelando un Allen sconvolto e ferito.
-Quel bastardo si è sostituito a Toma, poi mi ha messo addosso la sua pelle ed è fuggito- ringhiò l’albino.
La ragazza si diede della stupida per non averci fatto caso.
-Stavo badando a quello lì, sembrava morto- disse seccamente a mo’ di scusa, girandosi verso il giapponese collassato a terra.
Allen scosse la testa –fa niente. Forza, dobbiamo trovare quell’innocence- disse. Hoshi annuì –prendi Toma- mormorò, poi si caricò Kanda sulle spalle e se lo trascinò dietro, nonostante pesasse davvero tanto.
Camminarono in silenzio per qualche minuto.
Hoshi rifletteva, del tutto indifferente alla concitazione della battaglia: perché quei ragazzi erano così disposti a farsi ammazzare per l’innocence? Cos’era per loro quella che lei vedeva come una costrizione?
Forse non avevano provato quel dolore, pensò.
Forse non sapevano cosa voleva dire per lei sincronizzarsi. Le sarebbe piaciuto pensare che ci fosse qualcuno che lo sapesse, ma era una speranza vana.
Lei era l’unica.
-Tutto bene?- la voce dell’albino la riscosse e si rese conto di zoppicare vistosamente sotto il peso di Kanda. Scosse la testa –abbiamo fatto un bel volo. Niente di grave, passerà- ansimò.
-Forse dovremmo fer…- insistette lui, ma la ragazza lo fulminò con lo sguardo.
-Non serve che vi preoccupiate per me. E’ quanto di più ipocrita possiate fare- sibilò, aggiustandosi meglio il ragazzo sulle spalle –non ho bisogno di aiuto. Troviamo quella maledetta bambola, stacchiamole la spina e facciamo fuori il vecchio. Tanto ha poco da vivere- sbottò. Allen rimase zitto, pensando sempre di più a quanto poco sopportasse lei e il tipo mezzo morto che stava trasportando.
Sbucarono in una grande sala, di cui non riuscivano quasi a vedere la fine.
Nel mezzo, la bambola e il vecchio, soli.
-Oh, finalmente- ringhiò Hoshi, mollando Kanda a terra senza troppe cerimonie e dirigendosi a passo spedito verso i due.
-Non possiamo più aspettare. Devo prendere l’innocence, a costo di uccidervi entrambi- disse ferma, guardandoli.
La bambola saltò in piedi, afferrando una colonna diroccata e facendo per scaraventargliela addosso.
-Baratro- mormorò Hoshi, e lo specchio si materializzò istantaneamente fra lei e la colonna, gigantesco, inghiottendola senza lasciarne traccia per poi tornare a dimensioni normali.
-Se non vuoi fare la stessa fine, consegnami l’innocence- mormorò minacciosa –adesso- voleva andar via da quel posto, si odiava per la sofferenza che stava causando, ma non poteva fare a meno di smettere di pensare che a lei nessuno aveva concesso una scelta.
La vita era crudele, e non era mai completamente in mano a chi la possedeva.
Allen si parò davanti a loro, fissandola truce –aspettiamo. Non c’è bisogno di prenderla subito-
La ragazza lo guardò irritata –scusa? Nel caso tu te ne fossi scordato, c’è un livello due che ci sta dando la caccia- disse sarcastica, ma quello non si mosse.
-Non voglio vedere una cosa del genere- disse.
La spada di Kanda spuntò da dietro l’orecchio della ragazza, puntata contro Allen –se non ti sposti, ammazzo anche te- sibilò il giapponese, che a malapena si reggeva in piedi.
-Fallo. Mi sacrificherò io per loro- gli occhi grigi di Allen li guardarono entrambi. Hoshi scrollò le spalle.
-Benissimo, aspetteremo finchè il vecchio non tira le cuoia- si sedette pesantemente a terra –che aspetti, Yu Kanda? Riposati finchè puoi, fra poco avremo visite- mormorò, sentendo l’innocence sempre più irrequieta.
-Gsor..?- la voce strozzata della bambola diede conferma alla sua premonizione, mentre il vecchio dietro di lei si trasformava nell’akuma, il volto distorto da un ghigno beffardo.
-Freeeegati, esorcisti!- cantilenò.
-Era lei ad avere l’innocence!- Hoshi scattò in piedi e si mise in guardia –maledizione, finchè la tiene non posso assorbirlo- sbottò.
Allen scattò verso l’akuma, il braccio che assumeva pian piano un’altra forma, simile ad un cannone.
-Ma che…- la ragazza lo fissò sbalordita.
-Si sta evolvendo. Probabilmente è una reazione dovuta alla rabbia- disse secco Kanda.
-Idiota. Non ce la farà mai in quel modo- la ragazza evocò lo specchio.
-Terzo riflesso. Lama- mormorò. Infilò una mano nell’oscurità e ne estrasse una katana dal manico argenteo e dalla lama nera come il carbone, come il centro dello specchio che scomparve non appena la punta ne fu estratta.
Schizzò verso la battaglia, dove Allen stava bombardando l’akuma di proiettili che però non riuscivano a scalfirne la pelle di sabbia.
-Recupera l’innocence! Al resto ci penso io!- Hoshi saltò su una colonna, ma l’albino non diede segno di averla sentita.
-Al diavolo! Stupido idiota!- sbottò, gettandosi sull’akuma e tagliandogli l’estremità che reggeva il cuore della bambola.
-Maledettaaaaaaa!- quello si rigirò, pronto a colpirla, e Hoshi vide che non ce l’avrebbe mai fatta a parare in tempo. Chiuse gli occhi, ma il colpo non venne, sostituito invece da un mugolio di dolore.
Davanti a sé, Kanda crollò a terra, colpito a una spalla.
-Ma che diavolo fai?!- strillò lei avvicinandosi, ma il giapponese la respinse bruscamente –forza, finiscilo. Quello là non può farcela- ansimò.
Hoshi lo guardò per un istante, poi annuì e evocò lo specchio, lanciandolo fra l’akuma e Allen.
-Baratro- l’arma si allargò, e il nemico fu acchiappato dal vortice che lo trascinò in quella densa oscurità, urlando furiosamente finchè non ne fu assorbito.
Hoshi cadde a terra in ginocchio, ansimando e tenendosi i polsi: vi erano profonde bruciature dove il metallo toccava la pelle, e sentiva come se il cuore le fosse stretto in una morsa.
Cessò l’evocazione, ma continuò a sentirsi sfinita.
Allen fu subito da loro. Gli porse il cuore della bambola senza una parola, l’innocence che risplendeva debolmente: la odiò più che mai. Non era causa che di dolore.
-Fanne ciò che vuoi- mormorò brusca, poi afferrò un braccio di Kanda, incurante delle sue proteste.
-Senti, io e te dobbiamo curarci, quindi non rompere. Chiaro? Altrimenti ti lascio qui- sbottò sfinita.
Non l’avrebbe lasciato lì, ma solo perché l’aveva salvata. Altrimenti, un pensierino ce l’avrebbe fatto eccome.
Non degnò Allen di ulteriori occhiate, se erano conciati a quel modo la colpa era solo sua e della sua gentilezza suicida.
Una volta usciti, sentirono la bambola cantare.

---

-Voi siete pazienti gravi, guaribili in cinque mesi!- protestò il dottore, ma Hoshi gli lanciò un’occhiataccia da dietro il cappuccio.
-Cinque mesi sono troppi. C’è chi non li ha- disse noncurante, facendogli un cenno con la mano e incamminandosi dietro a Kanda.
-Che cosa sei, tu?- gli chiese dopo un po’. Quello non rispose.
Hoshi ne era rimasta incuriosita, suo malgrado: aveva subito ferite gravissime, era stato colpito dagli akuma e nonostante tutto nello spazio di tre giorni si era completamente ripreso.
-Potrei farti la stessa domanda, novellina- fece acido, accennando ai suoi polsi con un cenno del capo.
La ragazza ghignò –direi che potremmo farci entrambi gli affari nostri, Yu Kanda- disse, tirandosi giù le maniche.
-Solo Kanda- sbottò lui.
-Allora io sono Hoshi, e non “novellina”- replicò lei impassibile, sancendo tacitamente una neutralità.
Strano, pensò.
Quello che stavano facendo, poteva essere definito come “chiacchierare”? Sbuffò al solo pensiero: quella missione era veramente stata una palla al piede, ed un’assurda perdita di tempo.
Quando sarebbero tornati all’Ordine, avrebbe chiesto di mandarla in missione da sola. Molto meglio, pensò, poter agire come le pareva.
-Oh? Che ci fanno qui pazienti guaribili in cinque mesi?-
-Sono venuti a dirti che se ne tornano a casa, con o senza innocence. Qui puoi pensarci anche da solo, ormai- disse Hoshi, fissandolo. Allen le rimandò uno sguardo sperduto, che si spalancò ancora di più quando il canto che proveniva dall’interno della struttura cessò improvvisamente.
Nonostante l’istinto le suggerisse di andarsene da lì, Hoshi aspettò finchè l’albino non ritornò con l’innocence e con un’espressione così triste in viso che non se la sentì di infierire ulteriormente.
Anzi, contrariamente a ogni previsione gli andò vicino, prendendogli l’innocence dalle mani e infilandola in una borsa –non a tutti viene data una scelta, Allen Walker- mormorò, battendogli una mano sulla spalla. Poi si incamminò verso la stazione senza dire più niente per tutto il viaggio, sentendosi addosso lo sguardo stupito di quelle iridi chiare.



Note dell'Autrice:

Eccomi qua ^__^
Mi sento molto simile a Hoshi in questo periodo, credo di avere la sua stessa aura omicida che mi aleggia intorno. La gente mi evita °w°
Ad ogni modo, eccovi la prima missione e un assaggio dell'innocence di Hoshi che ovviamente non esaurisce qui la sua funzione... con una cosa del genere ci si può sbizzarrire alla grande, lo vedrete XD
Forse qualcuno dei lettori più attenti avrà già capito qualcosa su Hoshi e la sua innocence, però il tusso sarà rivelato nel prossimo capitolo, perchè sennò questo veniva troppo lungo u.u
Adoro farla rispondere male a tutti. Mi sento realizzata, dopo due OC al limite della sdolcinatezza XD
Rispondiamo ai commenti e smettiamo di farneticare:

Sherly: si, lo studio del Romanticismo tedesco sta influenzando questa fanfiction in modo drammatico. Nel punto che sto scrivendo ora poi sembra di leggere Tieck .__.
Non lo so, mi sta appassionando questa cosa. Dopo oggi poi, la mia sete di sangue è alle stelle ò__ò figurati (parentesi che non c'entra un cavolo con la ff) che l'hanno avvertita a distanza persone che non c'entravano niente XD

Kamm: uh, che bello *__* una new entry ^__^ sono felice che Hoshi ti piaccia :3 è piuttosto intrattabile all'inizio, e quando incontra Lavi... beh, lo leggerai XD di sicuro non gliele manda a dire!

Scusate per la brevità ma devo scappare a studiare un piano malefico u.u
Al prossimo capitolo!!

Recensite T_T sennò come cavolo miglioro io?!

Un bacio a tutti quelli che leggono/seguono ^__^

Bethan

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Capitolo 4
*** Holy pain ***


Arrivarono all’Ordine, rischiarono la morte per un’invenzione finita male di Komui, cosa a cui le dissero di abituarsi, e finalmente poterono tornare nelle loro stanze demolite.
Hoshi scaraventò la borsa sul letto e ne tirò fuori l’innocence, conscia che a breve qualcuno sarebbe venuto a chiamarla per portarla da Hebraska.
Sospirò, fissando l’immenso buco nel muro: perlomeno adesso il cielo era chiaramente visibile senza sbarre ad ostruirlo, pensò. Avrebbe dovuto rimanere così, tanto a lei non dava fastidio il freddo.
Come volevasi dimostrare, un “toc toc” lieve alla porta, ancora miracolosamente intera, le segnalò che era il momento di uscire.
Si trovò di fronte un altro elemento che mise a dura prova la sua sopportazione: Linalee.
-Mio fratello…- iniziò, ma Hoshi la interruppe bruscamente.
-Si, si, lo so- disse annoiata –dimmi solo dov’è Hebraska-
-Devo portatrici io. Non sai la password per entrare- rispose secca la cinese, affiancandosi a lei. Era evidente che la faticosa sopportazione era reciproca. Hoshi pregò di non aver mai missioni assieme a lei, perché non era affatto sicura che avrebbe retto bene come in quella appena svolta.
Forse, una così, l’avrebbe lasciata al suo destino senza pensarci due volte.
Perlomeno quell’Allen un po’ di spina dorsale l’aveva.
Arrivarono nel sotterraneo in un silenzio teso, ma la ragazza ormai aveva altro a cui pensare. Con ogni probabilità, Hebraska avrebbe insistito per esaminarla, e il pensiero che quella cosa le sondasse di nuovo tutto il corpo la faceva sudare freddo.
Una volta era stata abbastanza.
-Oh, eccovi- sorrise Komui, come se non avrebbe dovuto essere ad aiutare a rimettere a posto tutto ciò che la sua fallimentare macchina aveva demolito.
Hoshi gli porse l’innocence senza una parola, girandosi subito per andarsene, ma l’uomo la richiamò come aveva temuto.
-Devi farti esaminare, Hoshi- mormorò fermo –Hebraska, prendila- la ragazza sentì le braccia di quella cosa afferrarla e immobilizzarla prima che potesse scappare, e iniziò a divincolarsi sotto gli occhi stupiti di Linalee.
-Lasciami! Lasciami andare, non voglio! Sto bene, mollami!- ringhiò, dibattendosi come una bestia in gabbia.
-Hoshi, non è… non è niente, Heb è un’amica…- provò a dire la cinese, ma l’altra iniziò a gridare con tutto il fiato che aveva in gola, mentre veniva sollevata nel baratro.
-Fratello…- sussurrò Linalee, ma Komui le mise una mano sulla spalla.
-Dovrà abituarsi- disse duro –non può pensare di eludere l’analisi- mormorò con un tono fermo come raramente la ragazza gli aveva sentito.
Le urla di Hoshi riempivano lo spazio vuoto, come se l’essere sondata da Hebraska le provocasse un dolore fuori dall’immaginabile.
-Lasciami! Lasciami andare!- gridava.
-Se… ti ribelli, il… dolore peggiora. Stai… ferma- mormorò Hebraska, senza lasciarla andare.
-Innocence! Baratro!- gridò Hoshi, ma le sue parole si trasformarono in un urlo di dolore quando lo specchio si manifestò fra lei e Hebraska.
-Fermala! Fratello, fermala!- Linalee si aggrappò alla ringhiera, fissando con occhi sbarrati il dolore di Hoshi –basta, non vedi che le fa male?- ma lui non disse niente.
Hebraska controllò l’evocazione di Hoshi fino a farla sparire, mentre la ragazza non smetteva di gridare, poi la posò a terra.
-La… sincronizzazione è… del 92%- mormorò –un… ottimo risultato-
-Preferirei morire!- gridò lei, il volto rigato di lacrime, l’espressione gelida stravolta dalla sofferenza –perché non mi avete ammazzata subito? Perché non sono morta come gli altri?- diede uno spintone a Linalee che le si era accucciata accanto –non toccarmi! Che nessuno di voi mi metta più le mani addosso! E riprenditi questa roba!- gettò i braccialetti violentemente verso Komui, rivelando le bruciature sui polsi.
La cinese fissò gli oggetti con occhi sbarrati –ma quelli…- sussurrò, le iridi viola che si spostavano dai cerchietti che tintinnavano sul pavimento alla ragazza sconvolta che aveva di fianco.
-Fratello, cosa significa?- sussurrò atterrita, ma lui non rispose, continuando a fissare Hoshi, serio.
-Non sei morta, Hoshi, questo è quanto. E questo ti rende speciale- la ragazza sputò ai suoi piedi –speciale? Io non ho mai chiesto di esserlo!- urlò –io non sono speciale, Komui, sono condannata. Per colpa vostra- ansimò, il respiro rotto da violenti colpi di tosse.
-Linalee, portala via- disse secco il supervisore, voltando le spalle a entrambe.
-Bastardo- sibilò Hoshi –odio questo posto, odio l’innocence, odio l’Ordine e odio Dio! Che possiate crepare tutti nel peggiore dei modi!- le braccia di Linalee si strinsero attorno alle sue spalle, mentre la ragazza se la trascinava dietro, ancora sconvolta.
-Forza, usciamo di qui- le sussurrò, ma nella sua voce non c’era traccia di stizza, solo di un orrore di cui non aveva il coraggio di chiedere conferma.
Hoshi si lasciò condurre fuori, senza riuscire a smettere di piangere.
Sentiva bruciare tutto il corpo, ogni nervo implorava quel dolore di smettere, ogni sua cellula avrebbe voluto rigettare quella cosa ancorata forzatamente al suo corpo, senza che avesse modo di riuscirci.
Ormai, avrebbe dovuto vivere così finchè non fosse morta o per gli akuma, o per una provvidenziale pazzia.
Hebraska era fatta d’innocence, e l’essere sondata da lei era stata la peggiore delle torture, come la prima volta.
Arrivarono di fronte alla sua stanza che lei nemmeno se ne accorse, ma si rese benissimo conto che qualcosa non tornava, una volta entrate.
-E’ la mia stanza, nella tua fa troppo freddo- disse ferma Linalee –starai qui per oggi, non voglio sentirti discutere- la cacciò a letto e le tolse il cappuccio prima che Hoshi potesse fermarla.
Vide diverse espressioni passare sul volto della mora quando vide la cascata di capelli candidi scivolare sulle sue spalle.
Comprensione, negazione dell’evidenza, orrore di fronte all’impossibilità di non vedere.
Hoshi si tirò su nuovamente il cappuccio, la mano che le tremava –per stasera sarò fuori di qui- sussurrò, ansimando e sdraiandosi sul materasso. Il contatto col cuscino gelido fu un sollievo per la testa che sembrava andarle a fuoco –lasciami sola. Per favore- aggiunse poi, dando le spalle alla ragazza.
Sentì qualcosa di morbido e pesante appoggiarsi sul suo corpo, facendole caldo, poi udì il “clic” della porta che si chiudeva, e solo allora concesse ad un sonno sfinito di portare lei e la sua anima nell’oblio che tanto desiderava.

---

-Fratello, cosa significa? Che cos’è Hoshi?- Linalee stava piantata davanti alla scrivania di Komui, fissandolo decisa. Non si sarebbe mossa da lì finchè non avesse ottenuto una risposta.
Aveva una sua teoria, e sperava vivamente di sbagliarsi.
Komui sospirò, serio come la ragazza non l’aveva mai visto –attualmente, è l’unica sopravvissuta al tentativo di un innesto forzato dell’innocence- disse –l’unica che non sia caduta- sua sorella lo guardò con occhi sbarrati.
-Tu…- sussurrò incredula –tu hai fatto un esperimento del genere?- non poteva crederci. Non poteva credere che suo fratello, dopo tutto quello che entrambi avevano passato, avesse potuto continuare a tentare la sincronizzazione forzata.
-Fu Cross a portarla da me. Aveva tredici anni, allora- disse atono –riusciva ad utilizzare Judjment e ad evocare Maria come se fossero sue, anche se con una percentuale di sincronizzazione molto bassa, quindi decidemmo di sondare se all’interno di Heb vi fossero cubi compatibili con lei- Linalee lo guardava sempre più inorridita.
-Ma lei ha sofferto, prima, e quelle bruciature…- iniziò, ma suo fratello la interruppe alzando una mano.
-Heb trovò un cubo meno refrattario di altri, e l’ufficio centrale le diede l’ordine di procedere prima che io potessi fare qualsiasi cosa- continuò mesto –funzionò, almeno in parte. Hoshi si sincronizzò con l’innocence, ma a un prezzo enorme. Ogni volta che invoca, sente un dolore terribile, e il contatto con la materia sacra è né più né meno che una tortura, per lei- sospirò –quei braccialetti dovrebbero servire a contenere il contatto, ma evidentemente non funzionano-
-Ma… se soffre così tanto, perché Heb non può riprendere il cubo dentro di sé?- chiese Linalee in un sussurro. Komui scosse la testa –non sappiamo perché, ma non c’è mai riuscita. E’ come se l’innocence si fosse fusa con Hoshi. Se hai visto i suoi capelli…- Linalee annuì -…e i suoi occhi, quelli non erano così. Il fisico di Hoshi si è assimilato alle caratteristiche della sua innocence, lo Specchio della Notte- concluse l’uomo.
Linalee non disse niente. Adesso capiva il perché Hoshi fosse così scostante e mostrasse costantemente disprezzo verso di loro.
Lei avrebbe fatto lo stesso, tutti avrebbero fatto lo stesso.
-Linalee- suo fratello la chiamò, e lei lo guardò negli occhi scuri –non puoi aiutarla, finchè non sarà lei a lasciartelo fare. Non sprecare energie su quella strada- mormorò –abbiamo già tentato di tutto, ma il suo odio è troppo forte. E’ già un risultato il fatto che si sia unita all’Ordine, dopo due anni- la ragazza sbattè le mani sul tavolo, frustrata –e dovrei lasciarla perdere?! Dopo tutto quello che ha passato?- chiese accorata.
-Non puoi farci niente, Lina- rispose lui –e nemmeno gli altri possono. Per questo, vorrei che tu non dicessi a nessuno quello che ti ho detto io oggi- la guardò serio –potrebbe decidere di andar via di nuovo, se si sentisse accerchiata- la ragazza frenò le parole che le salivano alla bocca, fissando ostinatamente in terra.
Komui si alzò e le mise una mano sulla spalla, ma Linalee lo scansò –ho capito. Farò come dici- disse solo, poi uscì di corsa dallo studio.
Komui rimase solo, in mezzo alle scartoffie, chiedendosi quanto ancora gli avrebbe portato via quella guerra.

Linalee camminava alla cieca per i corridoi, incurante di dove la stavano portando le sue gambe.
Andava bene dovunque, pensò, purchè fosse abbastanza lontano da quella stanza.
Non poteva credere a tutto ciò.
Non poteva credere alla freddezza di suo fratello verso Hoshi.
Riusciva a stento ad immaginare come si sarebbe sentita lei, se le avessero fatto una cosa simile. Anche lei era stata portata all’Ordine contro la sua volontà, ma c’era sempre stato suo fratello, e lei era una compatibile dalla nascita. Avevano stravolto la sua vita, ma per dargliene un’altra in cui non c’era solo dolore.
La vita di Hoshi, cos’era, invece?
Costretta a vivere in quel posto e a soffrire per persone che le avevano impiantato a forza nel corpo una cosa che lei non voleva e che tuttavia la condizionava così pesantemente da cambiarle i connotati.
Si chiese quale fosse il suo aspetto, prima. Forse non aveva avuto quegli occhi di quel nero così innaturale, in cui era praticamente impossibile distinguere la pupilla dall’iride. Forse il suo viso non era così pallido, e di sicuro i suoi capelli avevano un altro colore. Forse sorrideva, prima.
Forse amava, prima. Adesso odiava e basta.
Sbattè violentemente contro qualcuno che aveva appena girato un angolo e il flusso dei suoi pensieri si interruppe.
-L-linalee! Scusami! Come stai?- un trafelato Allen la aiutò a rialzarsi. La ragazza si stampò in viso un sorriso forzato: non doveva dire niente agli altri, soprattutto ad Allen. Lui nemmeno lo sapeva, cos’era un caduto.
-Sto bene. Com’è andata la missione?- chiese per sviare il discorso dal suo attuale stato d’animo.
L’albino sospirò –un incubo- si lamentò –fra Kanda e Hoshi, credevo che mi avrebbero fatto fuori prima loro degli akuma- Linalee ridacchiò –mi sembri tutto intero- Allen annuì pensieroso.
-Già, dov’è Hoshi? Aveva lei l’innocence se non sbaglio- chiese dopo un po’ che camminavano in silenzio. La ragazza dovette darsi un bel da fare per non trasalire, sussultare o ammutolire e dare una risposta semplice come “l’ha già portata a Heb, adesso starà riposando”.
-E’ strana, Hoshi- fece il ragazzo dopo un po’.
-C-cosa intendi?- balbettò Linalee sulla difensiva, prima che la sua razionalità le dicesse che non c’era nulla di cui preoccuparsi, che Allen non poteva avere neppure l’idea più remota di cosa avesse fatto realmente l’Ordine a quella ragazza.
-Sembra che ci detesti tutti, eppure in missione mi ha aiutato, alla fine, ed ha aiutato anche Kanda- rimuginò lui.
-Lei ci odia, ma questo non credo voglia dire che lascerebbe morire qualcuno- disse Linalee –non mi sembra cattiva. Un po’ come Kanda- tagliò corto poi. L’albino annuì –chissà perché odia gli esorcisti- mormorò dopo un po’.
-Allen- lo chiamò la ragazza.
-Mh?-
Fece un respiro profondo –non chiederglielo, per favore- Allen la guardò con tanto d’occhi –ma quindi tu lo sai?- Linalee annuì mesta –si, ma non posso dire niente a proposito. Ti chiedo solo di non domandare a Hoshi perché ci odi, sarà lei a dirlo, se vorrà- mormorò.
L’albino sorrise –tranquilla, non le chiederò niente. Ognuno ha diritto a tenersi i suoi segreti- la ragazza sospirò sollevata –anche se non per questo sarà più facilmente sopportabile-.


Note dell'Autrice:
Credevo non ce l'avrei fatta ad aggiornare in tempo T.T vi chiedo scusa ma devo allungare i tempi, perchè fra studio e tutto non riesco a concentrarmi bene sulla trama generale -__- cercherò comunque di aggiornare con regolarità!
Dunque, finalmente si scopre (piuttosto presto in verità) come mai la mia disgraziatissima protagonista detesti l'Ordine e tutta la combriccola. Come darle torto? Sono stata leggermente cattiva, ma mi farò perdonare u.u
Grazie a Sherly per la recensione, scusate se non mi dilungo ma sto morendo dal sonno =_= è stata una giornata psicologicamente stressante XD

Grazie a tutti quelli che leggono/seguono!

Bethan



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Capitolo 5
*** May I be wrong? ***


Si svegliò quando la stanza era ormai immersa nell’oscurità.
-Cavolo, ho dormito troppo- mugugnò, alzandosi bruscamente. La testa le girò.
Aveva i muscoli ancora indolenziti dalla tensione, e le tempie le facevano un male cane. Aveva pure fame, ma sarebbe scesa solo dopo aver capito che ore fossero e essersi accertata che non ci fosse nessuno a mensa.
Non aveva voglia di vedere altri esorcisti, non aveva voglia di vedere nessuno.
“Non è vero” pensò subito dopo “lui, lui lo vorresti vedere, se ci fosse” scacciò subito quella voce molesta dalla sua mente.
No. Doveva dimenticarlo. Lei non ne aveva bisogno, non aveva bisogno di nessuno. Non poteva amare, con tutto quell’odio.
Si alzò e gettò un occhio alla sveglia poggiata sul comodino: le dieci e mezzo. Si chiese dove fosse andata Linalee. Osservò il letto sfatto, sospirando: non poteva lasciarlo così.
Lo rifece in un lampo e poi lasciò la stanza, chiudendosi piano la porta alle spalle. Si sentiva tremendamente debole, come se fosse stata malata per un sacco di tempo.
Scese lentamente le scale, affacciandosi alla mensa: il salone era deserto, fatta eccezione per Jerry, il cuoco, che stava rassettando.
Emise un soffio di sopportazione, ma doveva mangiare, o sarebbe collassata sul posto.
Si avvicinò cautamente al bancone, e quando l’uomo si accorse della sua presenza la guardò con tanto d’occhi.
-C’è… è ancora possibile mangiare, o è troppo tardi?- domandò impacciata –posso prepararmi qualcosa da sola, non è un problema- aggiunse, ma il cuoco la guardò con un gran sorriso –assolutamente no! Siediti e dimmi cosa vuoi mangiare, si vede che ne hai un gran bisogno!- esclamò, pigiandola su una sedia.
Hoshi era troppo stanca per replicare qualsiasi cosa –roba calorica. Quello che c’è- mormorò soltanto. Mai come in quel momento sentiva di aver bisogno di energie.
-Lascia fare a me!- cinguettò Jerry, mettendosi subito a spadellare.
Il profumo che le giunse dalla cucina poco dopo ebbe l’effetto di far brontolare ancora di più il suo già irritatissimo stomaco.
Il cuoco le mise davanti un piatto dopo l’altro e Hoshi divorò tutto senza lasciarne neppure una briciola.
L’uomo la osservò di sottecchi, appoggiato al bancone.
-Hai ancora fame, per caso?- chiese, quando vide l’espressione contrariata della ragazza posarsi sul piatto vuoto. Hoshi sembrò riprendersi, assumendo il solito viso neutro –ho già mangiato abbastanza, grazie- disse, ma il cuoco le mise a tradimento sotto il naso una gigantesca fetta di torta al cioccolato. Lo stomaco rimandò un boato di gradimento, e Hoshi si strinse la pancia con le braccia, arrossendo sotto la risatina di Jerry.
-Mangia quanto vuoi. E’ il mio lavoro- cinguettò, sedendosi di fronte a lei.
Per qualche minuto, l’unico rumore fu il tintinnio della forchetta della ragazza contro al piatto, mentre mangiava quel dolce che sembrava non finire mai.
-Quanti anni hai?- le chiese lui dopo un po’. Hoshi rimase qualche secondo in silenzio, prima di rispondere.
-Ne ho quindici- mormorò a bassa voce. Quant’era che nessuno le chiedeva informazioni su di sé? L’unico era stato… lui.
Basta, doveva smettere di pensarci.
-Oh, allora hai l’età di Allen!- esclamò il cuoco –che strano, sembri molto più grande. Sarà perché sei sempre così seria…- se Hoshi fosse stata in condizioni migliori l’avrebbe mandato tranquillamente a scaricare, dicendogli che la faccia che aveva non era affare che lo riguardasse, ma in quel momento si limitò solo a continuare a mangiare.
-Mi chiedo ancora perché permettano che dei ragazzini come voi vadano in guerra…- sussurrò Jerry a un certo punto. Hoshi smise inconsciamente di mangiare e lo guardò stupita.
Credeva che tutti lì dentro fossero devoti alla causa, e considerassero gli esorcisti nè più nè meno che carne da macello, utile solo per recuperare quei maledetti frammenti.
-Insomma, alla vostra età dovreste andare a scuola, dovreste essere liberi e preoccuparvi di cose frivole e assolutamente normali. Non dovreste rischiare di farvi ammazzare un giorno si e l’altro pure- la ragazza continuò a guardarlo senza interromperlo. Non sapeva cosa dire.
-Io lavoro qui da trent’anni, ormai, e eccetto i Generali non mi è mai capitato di vedere un esorcista che avesse più di vent’anni- continuò quello –me li vedo arrivare qui, a questo bancone, sempre più distrutti e stanchi, e penso che l’unica cosa che posso fare sia dargli un qualche conforto facendogli da mangiare- ridacchiò –ho sempre pensato che a pancia piena si ragioni meglio e si pianga di meno- le labbra di Hoshi si piegarono in un sorriso involontario, non sarcastico.
Forse non erano tutti così disumani in quel posto.
Chissà cos’avrebbe detto quell’uomo se avesse saputo cosa le avevano fatto. Fu tentata di dirglielo, ma fu solo un istante, e il gelo tornò a prendere il sopravvento. Nessuno poteva capirla. Al massimo, avrebbero potuto compatirla, o guardarla con orrore, come Linalee quando aveva visto i suoi capelli.
-Grazie per la cena- mormorò, alzandosi.
Jerry le sfilò gentilmente il piatto dalle dita –faccio io. Torna quando vuoi- disse, scomparendo in cucina.
Hoshi si inerpicò su per le scale fino a raggiungere la propria stanza, più confusa che mai.
Una ventata d’aria gelida le colpì il viso quando entrò: avrebbe anche dovuto riparare quel buco, pensò, o sarebbe morta assiderata.
Ma poi vide Linalee stesa sul suo letto, e capì che quella giornata non voleva decisamente saperne di finire. Come avesse fatto ad addormentarsi con quel freddo, pensò, era proprio un mistero.
-Stupida- sibilò, prendendola in braccio e barcollando alla volta della stanza della cinese. Arrivò senza fiato, la adagiò sul materasso e uscì velocemente, sbuffando.
Spirito di sacrificio, che cosa inutile. Nessuno l’avrebbe mai ripagata.
Tornata nella propria stanza, non fece altro che rigirarsi nel letto ghiacciato per un’ora di fila, finchè non decise che forse sarebbe stato meglio andare a scaricare un po’ di tensione riattivando i muscoli.
Ridiscese numerose rampe di scale, sino ad arrivare all’arena dove gli esorcisti di solito si allenavano.
In un angolo erano accatastate delle katane di legno. Hoshi ne prese una con entrambe le mani.
E fu come tornare indietro nel tempo.

-Una katana? Sei migliorata ancora-
-Sta’ zitto. Devo concentrarmi-
-Tienila con entrambe le mani. Lascia il mondo fuori, e va’ dove ti guida il filo-

-Woah!- l’esclamazione di sorpresa e l’incontro con qualcosa di duro e resistente al legno le fecero aprire gli occhi, trovandosi davanti un Allen spaventato, che aveva fermato la spada con la mano sinistra.
-S-s-scusami! Non credevo… di solito non c’è nessuno a quest’ora!- si giustificò l’albino balbettando. Hoshi sospirò, abbassando l’arma. Non aveva neppure la forza di essere acida, dopo quella giornata –non riuscivo a dormire. Se ti do fastidio me ne vado- disse, ma il ragazzo la bloccò.
-No, senti… puoi insegnarmi?- lei lo guardò con tanto d’occhi indicare la katana che teneva in mano.
Allen si diede dello stupido, ma non gli era venuto in mente altro. Non poteva certo dirle che dopo essere andato a fare lo spuntino di mezzanotte era rimasto ad osservarla per dieci minuti buoni.
Hoshi scrollò le spalle –prendine una. Sono ammassate là in fondo- disse, poi sospirò. Se quello doveva essere un allenamento serio, non poteva certo pensare di farlo bardata a quel modo.
Si sbottonò la veste e se la tirò via dalla testa, lasciando scivolare i capelli candidi sulle spalle. Addosso portava un paio di pantaloni larghi e una canottiera, entrambi neri, che facevano risaltare ancora di più il contrasto col pallore generale della sua figura.
L’albino s’incantò a guardarla, finchè lei non sbuffò scocciata –allora? La prendi quella katana oppure no?- sbottò, indicandogli nuovamente il mucchio. Allen si riscosse –si, si, certo- borbottò, afferrando la prima che gli capitava. POteva pure sembrare una fata, ma aveva la gentilezza della più cattiva delle streghe.
Hoshi sospirò rassegnata, avvicinandoglisi.
-Non ci capisci proprio niente, vero?- gli chiese, avvicinandosi –quella è troppo corta, non vedi? Su quell’elsa non riuscirai mai a tenere entrambe le mani, è da bambini- ne prese una adatta e gliela porse.
-G-grazie- balbettò lui, sorpreso da quell’improvvisa trattabilità.
Ad essere sincero, aveva creduto che Hoshi l’avrebbe fulminato solo per averle osato chiederle di allenarsi insieme.
La ragazza iniziò ad insegnargli i fondamenti delle posizioni base, come tenere l’arma, eccetera, ma Allen riusciva solo a fissarla con aria stranita.
Mentre spiegava, il suo viso perse del tutto quell’espressione gelida e indifferente.
-Quanti anni hai?- le chiese ad un tratto, guadagnandosi un’occhiataccia coi fiocchi.
Hoshi si mise le mani sui fianchi –hai sentito almeno una parola di tutto quello che ho detto?- chiese acida. Allen arrossì.
-Senti, vuoi imparare sul serio o vuoi solo chiedermi qualcosa? Non ha senso che io sprechi la voce per dirti cose che non ti interessano- non sapeva neppure lei da dove le fossero uscite quelle parole. Era chiaramente un invito a farle domande, un invito alquanto pericoloso, se si considerava l’intera faccenda.
Che diamine le era preso?
L’albino la guardò con tanto d’occhi, e Hoshi pensò che anche lei, se avesse potuto sdoppiarsi, avrebbe guardato a quel modo la se stessa che aveva pronunciato quella frase.
-A-allora… quanti anni hai?- chiese di nuovo. La ragazza lo squadrò: davvero avevano la stessa età? Sembrava molto più giovane, nonostante i capelli.
-Quindici. Tu?- chiese di rimando, nonostante lo sapesse già. Si sedette a terra, prevedendo un interrogatorio.
La curiosità di quel ragazzo era palpabile.
-Anch’io! Che strano, sembri più grande- Hoshi sentì su di se quegli occhi argentei pressanti, e si sentì inspiegabilmente a disagio.
Che poteva farci, se non dimostrava la sua età? Era inutile che glielo ripetessero tutti.
-Sei stata maledetta anche tu?- mormorò dopo un po’. Stavolta fu il turno di Hoshi di guardarlo sbalordita.
-Ma che cavolo vuoi dire?- chiese. L’albino indicò i suoi capelli candidi, identici –io sono così per la maledizione di mio padre- disse semplicemente. Hoshi rimase in silenzio, poi la curiosità ebbe la meglio.
-Perché… perché ti ha maledetto?- domandò. Allen sorrise, grattandosi la testa imbarazzato –dopo che è morto, l’ho trasformato in akuma. Lui mi ha maledetto, e allora la mia innocence si è attivata e… l’ho ucciso- la sua voce si ridusse ad un sussurro nelle ultime parole.
La ragazza lo guardò incredula.
-Come fai a parlarne così?- sussurrò –come fai a far sembrare che non ti sia successo niente?- l’albino tossicchiò –è che… non voglio che altri si preoccupino per me, e non voglio rischiare di trasferire su chi mi sta vicino i miei stati d’animo peggiori- ridacchiò, ma Hoshi non ci trovava proprio niente da ridere.
Non ci capiva più niente.
Allora lei stava sbagliando?
Si alzò di scatto, afferrando il mantello e gettandoselo addosso, coprendosi di nuovo i capelli e tornando il solito spettro nero.
-Ehi, dove stai andando?- Allen scattò in piedi, seguendola.
-A letto. Sono stanca- mormorò seccamente lei, cercando di seminarlo.
-Hoshi, non volevo essere inva…- iniziò l’albino, ma la ragazza si girò bruscamente verso di lui –quello che fate non è affar mio, e quello che faccio io non è affar tuo né di nessuno, Allen Walker. Non farmi più domande- sussurrò, poi gli diede le spalle e sparì poco dopo.
L’albino rimase ancora qualche istante nell’oscurità, poi si avviò alla volta della propria stanza.


Note dell'Autrice:

Ommioddio, chiedo scusa a chi segue o legge la storia per questo aggiornamento così in ritardo... purtroppo sono veramente stracarica di cose da fare, e anche la storia non sono più riuscita a portarla avanti col ritmo serrato che ho sempre tenuto... ho un po' l'acqua alla gola, in parole povere .__.
Dunque, spendiamo mezza riga sulla comparsa di Jerry, che è un personaggio che non viene quasi mai utilizzato nelle fanfiction... eppure ho voluto farlo risaltare più del solito perchè è sufficientemente distaccato dagli esorcisti per non guadagnarsi le ire di Hoshi, eppure allo stesso tempo lavora in mezzo a loro mettendoci l'anima, quindi capisce molte più cose di quante non ne dia a vedere in realtà.
Come chi ha seguito la storia finora potrà ben vedere, sono incapace di mantenere un personaggio inflessibile a lungo. I primi dubbi serpeggiano già nella testa di Hoshi...

Rispondiamo ai commenti:

Sherly: credevo che non avrei più aggiornato T.T sono veramente morta in questi giorni e m'è pure tornato il mal d'orecchiiiiiiiih *si dispera*
Spero che il capitolo ti sia piaciuto comunque ^^

_Sora_: si lo so, con Hoshi ci sono andata giù abbastanza pesante... e ovviamente le sue disgrazie non sono certo finite qui -.- mi sento una carogna enorme, però anche se non l'ho ancora scritta ho bene in mente la storia, quindi preparati al peggio X°D

Insomma, chi legge, CHIUNQUE, lasci un commentino ç__ç
Grazie a tutti in ogni caso ^^

Bethan

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Capitolo 6
*** The clock stops ***


-Ehi, ma che facce da funerale!- Komui sorseggiava allegramente caffè, fulminato di tanto in tanto dalle occhiate velenose di Hoshi e abbacchiato per la faccia di Linalee, che continuava a guardare costantemente a terra. Allen, dal canto suo, non spiccicava parola, ed era ricaduto in un inquietante mutismo.
-Dunque, forse, ho detto forse, in questa città il tempo si sta riavvolgendo, quindi probabilmente, ma è solo una probabilità, c’è dell’innocence, ma non sperateci troppo, però andate a dare un’occhiata, ricordando sempre che è un for…-
-Si, abbiamo capito che è un forse, idiota- ringhiò Hoshi a denti stretti. Non aveva praticamente chiuso occhio, e in quella nottata aveva solo concluso che il dialogo fra lei e quell’albino masochista doveva finire fra i ricordi inutili. Non avrebbe cambiato una virgola nel suo comportamento, a lei non interessava farli sentire meno in colpa, anzi.
Che portassero il peso di ciò che avevano fatto per tutta la vita, pensò con rabbia.
-Ci pensiamo noi, Komui. Quando partiamo?- Allen riemerse dall’afasia e fissò l’uomo stancamente.
-Avete il treno fra dieci minuti- rispose quello, sorseggiando caffè.
I tre esorcisti, malgrado il grado elevato delle loro preoccupazioni, si guardarono sbalorditi.
-Dieci minuti?!- gridarono in coro, schizzando fuori dalla stanza.
Komui finì il caffè, poi si rimise al lavoro.
Lo squillo del telefono lo fece sobbalzare –pronto?-
-Ehi, Komui. Come vanno le cose?- quella voce aspra era inconfondibile.
-Non bastava un discepolo, adesso pure lei- mormorò tetro nella cornetta.
Silenzio.
-Ci siete ancora, Generale?- stavolta era il suo turno di essere sarcastico.
-E’ lì con te?- chiese quello.
-No. L’ho appena mandata in missione con Allen e Linalee-
Ancora silenzio.
-Come… va?- fece poi Cross, esitante.
-Va che non ho mai visto nessuno odiare così tanto l’Ordine e l’innocence. Rischia davvero una caduta, se il suo stato d’animo continua ad essere questo- disse secco Komui –credo che se il Conte le offrisse di estrarle l’innocence dal corpo si consegnerebbe a loro senza troppi complimenti-
-Non lo farebbe mai- la voce del Generale era sicura –Aster non è quel tipo di persona-
-Oh, e tu la conosci, vero? Tu, che prima l’hai voluta creare e che poi l’hai abbandonata a noi che non ne sappiamo niente, con tutto il suo bagaglio di odio e dolore che non mi sento nemmeno di rimproverarle- sbottò il supervisore.
-Le fa ancora male?- l’uomo all’altro capo della cornetta fece finta di non sentire lo sfogo di Komui.
-Si. Ieri è stata esaminata da Hebraska, al ritorno dalla sua prima missione- mormorò, rabbrividendo al ricordo –le sue urla erano disumane-
Il silenzio dall’altra parte del filo fu più lungo, stavolta.
-Tenetemi informato- disse infine Cross, riagganciando prima che Komui avesse il tempo di replicare.
-Che infame…- sibilò, scaraventando da una parte il telefono.
Non aveva il cuore di ritenere Hoshi anormale. Tutti avrebbero provato sentimenti analoghi ai suoi, se fossero stati al suo posto.
Solo, quell’uomo non aveva mai pensato nemmeno per un secondo al fatto che la ragazza si fosse sottoposta a quella tortura solo perchè era stato lui, Cross, a portarla là.
Komui ricordava precisamente le ultime sue parole, prima che Heb la facesse sincronizzare con l’innocence.
“Marian mi ha portata qui, non ho paura”.
E il caro “Marian” si era volatilizzato, dissolto nel nulla, tre giorni dopo, senza neppure aspettare che Hoshi si rialzasse dal letto.
Era stato allora, ricordò Komui. Era stato il sentimento di abbandono a farla scappare da lì.
Hoshi si sentiva abbandonata, si era sempre sentita così, e non era da biasimare.
Ma lui non sapeva proprio che cosa fare.
-Non lasciarti andare ai sentimentalismi- sibilò a se stesso, mentre scorreva da dietro le lenti degli occhiali liste infinite di morti e caduti –devi pensare… pensare a vincere-.

---

-Non mi sembra che ci sia niente di così anormale in questa città, finora- disse Linalee, sorseggiando il suo tè –forse mio fratello si è sbagliato- ma Allen scorse in lontananza Hoshi, che arrivava ben più in fretta e con una faccia ben più scura del solito.
-Normale un corno. Ho appena salvato una donna da un akuma, ma è scappata via come un razzo. L’ho persa di vista- ansimò per lo sforzo dell’invocazione –da questa città non si può uscire, inoltre. Ho provato anche a sfondare il muro che la circonda, ma appena lo varcavo mi ritrovavo all’interno- i due la fissarono sbalorditi, sentendosi decisamente inutili.
-Beh? Avete forse intenzione di aspettare che il Conte vi porti i pasticcini?- sbottò acida, accennando alle bevande calde –dobbiamo ritrovare quella donna, era fatta più o meno così- afferrò un foglio di carta e tirò fuori dalla borsa una matita, con cui tracciò uno schizzo sorprendentemente preciso di una giovane donna,molto magra e con capelli neri raccolti in una crocchia. Un aspetto non molto rassicurante, a dire la verità, e completato da due occhi nerissimi e spalancati.
-Ehi, sei bravissima!- esclamò Linalee, ma ricevette solo un’occhiata gelida –stampatevela bene in testa- mormorò –perché fra dieci secondi quel foglio non sarà altro che polvere- li oltrepassò prima che avessero il tempo di capire il senso delle sue parole.
-Terzo riflesso. Lama- mormorò. Fece appena in tempo ad afferrare l’elsa della katana che l’intera locanda sembrò saltare in aria.
Hoshi finì catapultata dietro al bancone, mentre gli avventori che fino a poco prima avevano l’aspetto di tranquilli cittadini si trasformarono in macchine distorte e mostruose.
Tutti, tranne una.
-Allen!- gridò la ragazza, rimettendosi in piedi –è lei, sta scappando dalla finestra! Prendetela prima che la facciano fuori, qui ci penso io!- gridò. L’albino scattò all’inseguimento, mentre Linalee esitava –ma… non possiamo lasciarti qui!- Hoshi le fu accanto in un balzo, puntandole l’arma alla gola, fino a sfiorare la pelle –se non te ne vai adesso- sibilò –assorbo te e tutta questa marmaglia senza distinzioni di sorta. Tanto a me fate schifo tutti- dall’espressione di Linalee, poteva sembrare che l’avesse colpita sul serio, ma funzionò. La cinese corse dietro ad Allen, lasciando Hoshi da sola in mezzo agli akuma.
-Bene, e ora…- sul viso della ragazza si aprì un ghigno.

-Allora siete voi la compatibile di questa innocence!- Allen guardava la donna vestita di nero, sorridendo incoraggiante.
Finalmente un po’ di cose sembravano funzionare.
-Ma… ma io non so come ho fatto!- esclamò quella, sgranando gli occhi.
-Allen!- Linalee si fiondò nella stanza entrando dalla finestra e facendo quasi venire un infarto alla povera donna.
-Calmatevi! E’ un’amica- esclamò l’albino, vedendo con sommo spavento un coltello da macellaio comparire fra le mani ossute.
-Hoshi è rimasta nella locanda, Allen!- disse la cinese trafelata. L’albino la fissò sbigottito –ma non può affrontarli tutti da sola!-
-Chi è quella, Allen?-
La donna stava pulendo con estrema attenzione il suo orologio, del tutto incurante della loro discussione.
-Questa è Miranda. E’ la compatibile dell’innocence che riavvolge il tempo in questa città- spiegò l’albino sorridendo, ma uno schianto che mandò in frantumi l’intera stanza gli rese impossibile dire altro.
Sbattè violentemente la testa, e l’ultima cosa che vide, prima di svenire, fu una serie di croci.

Hoshi sputò a terra, ansimando. Finalmente aveva fatto piazza pulita, pensò, cessando l’evocazione.
Era stata dura davvero, credeva che non ce l’avrebbe mai fatta a inghiottirne così tanti.
Corse fuori dalla locanda e vide un assembramento di persone sotto a un palazzo diroccato. Ebbe un pessimo presentimento e si mise a correre.
Facendosi largo fra la folla, vide una parete su cui si allargava una gigantesca macchia di sangue, lo stesso con cui era scritta una frase sul muro, a caratteri cubitali.
“Fottetevi, esorcisti”.
-Maledizione- sibilò fra i denti, allontanandosi in fretta.
Appena fu sicura di essere sola, si sedette a terra.
“Pensa, pensa” si ripetè fermamente, chiudendo gli occhi.
Quella non era opera di akuma.
Non c’erano i corpi, ma neppure la polvere che ne rimaneva dopo essere stati disintegrati dal virus.
Il Conte non si sarebbe mai scomodato per una cosa simile, pensò.
Saltò in piedi: doveva fare in fretta, o per quei due e per la donna sarebbe stata la fine. Ma non aveva idea da dove iniziare a cercare.
-Eeeeesorcista, trovata!- lo stridio dell’akuma le ferì le orecchie, mentre si gettava da un lato per evitare il colpo.
-Capiti a proposito, bestiaccia- ringhiò: quello che di sicuro nessuno all’Ordine sapeva, era che lei era capace di modificare gli akuma, proprio come faceva Marian.
Evocò fulminea lo Specchio, vi infilò una mano dentro e ne estrasse una sorta di sabbia luccicante, più sottile della Polvere.
-Quarto riflesso: polvere di stelle- si portò di fronte all’akuma con un balzò e gliela soffiò in viso prima che quello potesse fare qualsiasi cosa.
La macchina si immobilizzò di schianto, scomposta come una bambola venuta male.
-Bene, akuma- mormorò Hoshi, ansimando per lo sforzo dell’evocazione –qualcuno dei tuoi ha portato un ragazzino coi capelli bianchi, una cinese e una donna scheletrica da qualche parte- sussurrò minacciosa. Quello annuì come in trance –portamici e ti farò il favore di non ucciderti- continuò lei.
L’akuma si mosse, indicandole la strada, e Hoshi gli tenne dietro di corsa.

Quando si svegliò, la prima sensazione che lo colpì fu il dolore terribile al braccio sinistro. Aprì gli occhi, e vide di essere inchiodato a una parete da candele appuntite, le stesse che trapassavano le mani di Miranda, fermandole all’orologio.
C’era sangue ovunque.
-Lina… Linalee!- esclamò, accorgendosi della ragazza. Non si muoveva, aveva i capelli acconciati in grossi boccoli e un vestito nero pieno di gale le avvolgeva il corpo, ridondando dalla sedia su cui era adagiata come una bambola di porcellana.
-Lei sta bene, Allen- sussurrò una vocina sottile.
Il ragazzo si girò, trovandosi faccia a faccia con una ragazzina dalla carnagione olivastra, capelli ispidi e una serie di croci in fronte. Aveva occhi innaturali, dorati, che lo fissavano con sguardo quasi famelico.
-Che cosa le hai fatto?- ringhiò, cercando di divincolarsi dalle candele, ma le ferite gli mandarono una serie infinita di scariche dolorose.
-Non mi ribellerei, se fossi in te- ridacchiò quella sorniona –rischi di farti male- sussurrò. Una mano piccola gli passò sul viso.
Improvvisamente, la parete opposta a quella dove si trovavano cedette con uno schianto, rivelando un akuma gigantesco.
Stranamente, la ragazzina fece una faccia sorpresa, come se non l’avesse chiamato lei.
-Ma che…- sussurrò, poi vide la figura a cavalcioni della macchina.
-Bene. Allora avevo visto giusto, non vi siete fatti far fuori dagli akuma- un’ansimante Hoshi scese con un balzo dalla schiena dell’akuma, stringendo in mano una katana dalla lama nera, ghignando all’indirizzo di Allen –quanto a te- disse, girandosi verso la ragazzina –spero che tu sia resistente, altrimenti ora ti ammazzo- sibilò.
Quella per tutta risposta si mise a ridere, una risata agghiacciante, poi fissò Hoshi, spavalda.
-Se credi di potermi far fuori così facilmente…-
-Hoshi, sta’ attenta! Non è come sembra!- gridò Allen, ma la bambina gli fu subito di fronte, senza smettere quel sorriso che le spaccava il volto in due, orribile.
-Chi sei?- sussurrò Hoshi, in guardia.
-Sono Road Kamelot, della famiglia Noah. Noi siamo i veri apostoli, voi surrogati non potete niente- replicò lei, poi afferrò repentinamente una candela e la piantò nell’occhio sinistro di Allen.
-Allen!- gridò Hoshi, ma Road si volse verso di lei, tetra.
-Non ti avvicinare- mormorò, alzandosi –ma guarda, una sopravvissuta alla caduta. L’Ordine è messo veramente male per sacrificare migliaia di persone per ottenerne una- sussurrò melliflua, avvicinandosi a lei. Hoshi rimase pietrificata, senza riuscire a smettere di fissare Allen, lo sguardo a metà fra il sofferente e lo stupito.
-Non sono cose che ti riguardino, chiunque tu sia- rispose fredda, senza muoversi e senza distogliere lo sguardo scuro da quello dorato della ragazzina.
-Ah, ma devi sentire un gran male, no? Non si può diventare apostoli senza essere scelti e sperare che ciò non abbia un prezzo…-
-Ho… Hoshi?- il mormorio di Allen le arrivò distintamente alle orecchie.
“Non ascoltare” si sorprese a pensare “non voglio che tu senta” serrò gli occhi, mostrando per la prima volta quanta paura avesse di quella bambinetta folle che ora le stava distante pochi centimetri.
-E se noi, i Noah, potessimo liberarti da questa sofferenza? Se noi potessimo portarti via quell’innocence? Se potessimo restituirti la vita che avevi prima?- le palpebre della ragazza si spalancarono.
-Cosa..?- sussurrò. Era una trappola, di sicuro, eppure era così allettante…
-Dovrai solo cederci la tua innocence e ne sarai liberata per sempre- le dita di Road si infilarono fra le sue, prendendola per mano –non sarai più costretta a sentire dolore, non sentirai mai più parlare di innocence. L'Ordine non può estrarla dal tuo corpo, ma noi si. Abbiamo le tecniche- mormorò sorridendo, un sorriso diverso, stavolta, umano.
-Hoshi, è una trappola! Non darle ascolto!- il grido di Allen sembrava ovattato, rispetto ai sussurri di quella ragazzina. Le sue parole le rimbombavano in testa.
Forse poteva aiutarla davvero, forse poteva sul serio portarle via l’innocence.
Quanto avrebbe voluto che fosse così.
Sapeva benissimo che erano tutte balle, che neppure all’Ordine avevano potuto toglierla dal suo corpo senza rischiare la sua vita.
Era condannata, ormai, e dubitava seriamente che il nemico potesse avere una seria spinta di umanità tale da poterla aiutare.
-Terzo riflesso- sussurrò –lama- la katana si piantò di traverso nel corpo della ragazzina, che sputò sangue, allibita.
-Non credere di potermi fregare così- sibilò, gli occhi ridotti a fessure –non ho nessuna intenzione di cadere dalla padella nella brace!- estrasse con violenza l’arma, ma non fu abbastanza veloce per evitare l’attacco degli akuma.
Frammenti di parete la colpirono, e l’onda d’urto la scaraventò accanto ad Allen, che si liberò dalle candele con uno strattone.
-Deficiente! Che diamine fai?- gli gridò, vedendo il sangue scorrere a fiumi dalle ferite –morirai dissanguato!-
Prima che l’albino potesse rispondere, Hoshi vide le macchine ricaricare i colpi, dirigendoli verso la donna inchiodata all’orologio.
Schizzò in piedi, incurante dell’urlo di Allen, e si gettò addosso a lei, prendendo i proiettili al suo posto.
Quella iniziò a urlare, ma Hoshi la zittì bruscamente.
-Silenzio! Non urli- sbottò, chiudendo gli occhi. Sentì il virus retrocedere lentamente, perché su di lei non aveva effetto, ma le ferite rimasero, e la ragazza si sentiva sempre più debole.
-Non… non ce la faccio a… mantenere l’evocazione- sussurrò, cadendo a terra. I contorni di ogni cosa si fecero sfocati, i suoni arrivavano sempre più indistinti alle sue orecchie.
Alla fine, ce l’aveva fatta: l’avrebbero uccisa, e sarebbe stata libera. Sorrise inconsciamente.
-Ehi, che sta facendo quella donna?-
Hoshi sentì un’innocence estranea agire sul suo corpo, provocandole un dolore ancora peggiore di quello che le causava Hebraska.
Iniziò a gridare a più non posso –basta! Basta! Smettila!- sentì due mani ferme che le afferravano i polsi.
-Hoshi, che hai? Calmati!- la voce di Allen. La ragazza si liberò con uno strattone, dandogli una gomitata in pieno viso.
Attraverso gli occhi pieni di lacrime, vide sagome di orologi fuoriuscire dalle mani di quella donna ed entrarle nel corpo. La afferrò bruscamente per le spalle, scuotendola –la smetta! Per favore, la fermi! Sto impazzendo!- le gridò in faccia, ottenendo come effetto solo quello di spaventarla ancora di più.
Due braccia la afferrarono, e Hoshi si trovò il viso schiacciato contro il petto di Allen.
-Scusami. Farà un po’ male- disse, poi la ragazza avvertì un dolore sordo alla base del collo, e tutto sprofondò nel buio.


Note dell'Autrice:

...scusatemi T__T
E' una vita che non aggiorno, ma sono stata veramente sommersa dalle cose da fare...
Che depressione ç__ç cercherò di postare i capitoli con più regolarità, perdonatemi questa paura lungherrima (?). Spero che la lunghezza dignitosa del capitolo serva a farmi perdonare almeno un po' >_>''

Rispondiamo ai commenti:

_Sora_: si, oddio... Hoshi inizia ad aprirsi ma con Linalee non è che le cose ancora vadano proprio alla grande XD si, Jerry sarà piuttosto presente in questa fanfiction, svolge un po' il ruolo che nelle altre svolgeva Miranda... e mi è piaciuto abbastanza scrivere le parti con lui, devo ammetterlo!

ValeXAnime: l'acidità di Hoshi durerà ancora per un po' XD per quanto riguarda le curiosità su Allen... aspettate e vedrete! ;) sono a caccia di continui colpi di scena, perciò non rivelo niente! u.u ^^

Sherly: ecco il 6° capitolo con un ritardo disumano °___° suvvia, capiscimi almeno tu T_T spero ti piaccia, perlomeno qui c'è un po' d'azione! E sul seguito non ti dirò mai niente, mwahahahahahahahahaha!!! :P

Grazie a tutti coloro che leggono/seguono/commentano la fanfiction!! ^^

Baci!

Bethan

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Capitolo 7
*** Trust the Death and you'll not kill anyone ***


-Il tuo corpo sta reagendo bene, ragazzina. Fra un po’ non ci sarà più bisogno di questi aghi- il vecchio calvo che la curava in quei giorni saltò giù dal letto. Ormai aveva smesso di aspettarsi una risposta.
-Allen? Linalee?- mormorò all’improvviso Hoshi. Si era resa conto di non avere idea di che fine avessero fatto.
-Allen si è ripreso, adesso che stai meglio posso farlo entrare. Era meglio non rischiare, prima che tu ti fossi ristabilita- spiegò. Hoshi non fece in tempo a dirgli che non le interessava vederlo, che il vecchio stava già andando verso la porta –puoi entrare, ragazzino- disse brusco, lasciandoli soli.
L’albino tossicchiò imbarazzato, poi vide lo sguardo della ragazza fisso sulla benda che portava sull’occhio.
-Oh, questo… si sta rigenerando, a quanto pare- ridacchiò, sedendosi su una sedia di fianco al suo letto.
Una fitta dietro la testa le fece stringere gli occhi, e la ragazza sentì male al tatto.
-Ah, si. Scusami- fece Allen a disagio –è che non sapevo come calmarti- Hoshi scosse il capo –va bene, non è niente. Hai fatto bene- mormorò. Rabbrividì al pensiero del dolore che aveva avvertito sotto l’influsso dell’innocence di quella donna.
Si sentiva stanchissima, così stanca che non riusciva neppure a trovare la forza per dire a Allen di levarsi dai piedi e lasciarla dormire una volta per tutte.
-Hoshi?- chiamò lui ad un tratto.
-Mh?- fu il suo mugugno infastidito. Perché doveva sempre trovare qualcosa da dire? Non poteva starsene zitto?
-Perché… perché l’evocazione di Miranda ti ha fatto così male? Io non ho sentito niente, anzi, guariva pure le ferite-
-Non sono affari tuoi- rispose la ragazza con voce secca.
-Ma potremmo trovarci di nuovo in missione con lei, e…- provò a continuare l’albino, ma lei lo interruppe di nuovo, scocciata.
-Se dovesse succedere, troverò una soluzione al momento. Non sono cose che ti riguardino, in ogni caso- ripetè, girandosi dall’altra parte.
In quel momento, in realtà, non avrebbe voluto essere così brusca.
Ma doveva dissuaderlo dal chiederle altro. Se si fosse ricordato delle parole di quella ragazzina sarebbe stata la fine.
Allen avrebbe dato tutti i soldi che non aveva per capire cosa le passasse per la testa, pensò guardandola fissare il vuoto.
Aveva capito benissimo che non era cattiva, Hoshi era solo… arrabbiata. Anche se gli sembrava riduttivo dirlo a quel modo, visto l’odio che le trapelava da tutti i pori.
Non sapeva come spiegarselo, ma sentiva che in qualche modo era diversa anche da Kanda: il giapponese sarebbe stato capace di lasciare dei compagni in pericolo, lei no.
Forse.
O forse stava solo facendo troppi viaggi mentali.
-Linalee non si è ancora svegliata…- sussurrò a un tratto, giusto per cambiare argomento. Hoshi continuò a rimanere in silenzio, e lui fece lo stesso.
Ad un tratto sentirono un boato provenire dalla stanza accanto.
-Che cavolo…- fece Hoshi, cercando di alzarsi, ma Allen la spinse a letto –non è il caso che tu ti muova. Vado a vedere io- la ragazza gli diede uno spintone con la poca forza che aveva.
-Non dirmi cosa devo fare, Allen Walker- sussurrò con aria omicida, buttando le coperte da una parte e tirandosi in piedi.
Hoshi si avviò verso l’uscita della stanza, il pavimento freddo sotto i piedi nudi.
-Ma che diamine è successo qui?!- la sentì gridare Allen, che si affrettò a raggiungerla.
Ai lati della porta a fianco c’erano due grosse chiazze di sangue, ai piedi delle quali stavano gli abiti delle guardie, vuoti.
-Una visitina dal Conte, ma ci ha pensato Linalee- il vecchio che aveva curato entrambi spuntò apparentemente dal nulla, facendoli sobbalzare.
“Ma quando è arrivato questo qua?” pensò Hoshi irritata.
-Ah, allora sta bene!- esclamò Allen sollevato, entrando di corsa.
La ragazza girò i tacchi e decise che sarebbe tornata in camera. Qualcosa le diceva che non l’avrebbero lasciata molto in pace, prima della prossima missione: meglio dileguarsi e riprendersi prima che la incastrassero di nuovo.
-Hoshi!-
Ecco, giust’appunto.
A malincuore tornò nel luogo da cui l’aveva chiamata quella stramaledetta voce, augurandole ogni sorta di maledizione e di disgrazia, trovandoci un Komui sorridente accanto al vecchietto e a un tizio con capelli rosso fuoco.
-Woah! Un’altra maledetta?- fece quello, sorridendo.
Hoshi sfoderò un ghigno a trentadue denti –esattamente. Dubito che ci sia una maledizione più grande della mia- disse seccamente, poi si rivolse al supervisore –allora, che vuoi?-
Komui sospirò –solo dirti che partirai con Allen, Lina e Lavi, qui- il rosso fece un cenno di saluto che fu pesantemente ignorato –per andare a cercare il Generale Cross. Riteniamo che il Conte miri ai nostri soldati più potenti, il vostro compito sarà quello di riportarli all’Ordine- concluse.
-E visto che sono così potenti, non ci potrebbero tornare da soli, all’Ordine?- sbuffò la ragazza –specialmente lui. Perché ce l’avete così con me, Komui, eh?- ringhiò frustrata, poi uscì precipitosamente dalla stanza, sbattendo la porta con violenza.
-Aster, eh Komui?- la voce del vecchio risuonò nel silenzio che aveva lasciato l’uscita di Hoshi.
Il supervisore annuì –tenetela d’occhio. Odia l’ordine- mormorò –anche se non è più irrequieta come quando è arrivata-
-Cosa temi da lei?- chiese il vecchio, appollaiandosi su una pila di fogli.
-Che possa seguire il Conte per odio nei nostri confronti- mormorò.
-Non lo farebbe mai!- la voce di Allen risuonò improvvisa e veemente, facendoli trasalire –quella ragazzina, Road, ha proposto a Hoshi di unirsi a loro- disse accorato –dicendole che in cambio le avrebbero tolto l’innocence, ma lei non ha accettato- Komui sorrise –non ha certo rifiutato per amore della nostra causa. Potrebbe arrivare qualcun altro e lei potrebbe non avere abbastanza prontezza da capire che se non ci riesce Heb, nessun altro può farlo- mormorò.
-Ma perché odia così tanto l’innocence?- chiese Allen.
-Questa è una cosa che non posso dirti, Allen. Dovrai chiederlo a lei, se mai vorrà risponderti- l’albino fissò il muro immusonito: possibile che sembrava che tutti sapessero tutto tranne lui?
-Non crucciarti: sono un mago con le ragazze, forse ci dirà qualcosa- il ragazzo con i capelli rossi gli porse una mano, che Allen strinse perplesso.
-Io sono Lavi, l’allievo di Bookman, qui. Piacere- disse sorridendo.

-Devo ammettere che ci sai davvero fare! Potresti competere con Yu!- una voce giuliva le fece perdere la concentrazione.
Hoshi sospirò seccata: niente da fare, quello non era proprio un buon posto per allenarsi in santa pace.
-Hai cinque secondi per dirmi chi sei, cosa cavolo vuoi e sparire, prima che ti dimostri quanto male può fare una katana di legno- disse inflessibile, senza neppure girarsi a guardare il suo interlocutore.
-Avevi ragione, Allen! Ha un bel caratterino!- fece ancora la voce.
-L-lavi, non…- balbettò l’albino.
Hoshi si girò a guardarli, fulminando entrambi con gli occhi neri, i capelli candidi trattenuti sulla fronte da una benda.
-Allora? Ve ne andate si o no?- ripetè, fissandoli.
-Io sono Lavi, l’allievo di Bookman, piacere!- esclamò giulivo il rosso, schizzandole accanto. Hoshi si scansò –il piacere è tutto tuo. Adesso smettetela di seccarmi- sbottò allontanandosi.
-Ma vorremmo sapere perché odi l’innocence!- il rosso riuscì a stento a finire quella frase che un’altra spada, vera, stavolta, dalla lama carbone, comparve nelle mani di Hoshi e si avvicinò pericolosamente alla sua gola.
-Tu- sibilò a Lavi, la cui espressione del viso era mutata dalla spavalderia allo spavento –non ti azzardare ad impicciarti nei fatti miei. Non farmi domande. Non rivolgermi la parola- sussurrò minacciosa, muovendo un altro passo e sfiorando la pelle del ragazzo con la lama –quanto a te- disse rivolta a Allen, senza guardarlo ma con un tono così secco che il ragazzo sobbalzò –portalo via, prima che lo ammazzi sul serio- l’albino afferrò il rosso per un braccio, trascinandolo via dall’arena.
-Te l’avevo detto che dovevi lasciarla in pace!- sussurrò infuriato, chiudendosi la porta alle spalle.

-Cavolo, quant’è irascibile!- Lavi e Allen passeggiavano per la città, in mezzo alla consueta folla domenicale.
-Non è irascibile, odia tutto dell’Ordine. E dire che ti avevo pure avvertito- sospirò –adesso sarà un inferno andare in missione assieme-
Lavi scrollò le spalle –ti fai toccare troppo dai comportamenti altrui, tu- disse con un sorriso sghembo –dovresti prenderli più alla leggera, oppure finirai per scoppiare e pensare che ce l’abbiano sempre tutti con te!- Allen non disse niente.
Si sentiva stranamente a disagio, senza il suo occhio sinistro funzionante, in mezzo a quella folla. Era come se gli akuma potessero attaccarlo da un momento all’altro senza che lui potesse far niente per evitarlo; una sensazione di paura schiacciante lo spinse a camminare più velocemente, allontanandosi da Lavi.
-Sei un esorcista?- un clic appena dietro la testa lo fece voltare, ma fece appena in tempo a rendersi conto del pericolo che un grosso cerchio nero si frappose fra lui e l’akuma, inghiottendolo senza lasciarne traccia.
-Dico, ma sei cretino o cosa? Andartene in giro così, senza neppure aspettarti un attacco!- Hoshi piombò accanto a lui, ridimensionando l’innocence.
-Ho-Hoshi?- balbettò Allen, ancora scosso. Lei lo fulminò con lo sguardo –piantala di ripetere il mio nome, ti sembro forse la fata turchina? Evoca quell’innocence, prima che mi tocchi salvarti di nuovo!- sbottò, ripartendo all’attacco.
Un boato alle sue spalle lo fece girare di scatto. Lavi, in piedi su un enorme martello, lo fissava sorridendo –credo sia meglio se fai come dice. Se entri in assetto da combattimento dopo che questi ti hanno già visto sei fritto, Allen!-
L’albino girò la testa da una parte e dall’altra, vedendo solo figure umane.
“Come faccio a distinguere gli umani dagli akuma?” pensò disperato “rischio di uccidere qualcuno!”.
-Spostati! Idiota, levati di lì!- un urlo, poi un boato e un colpo che non arrivò, sostituito da qualcosa di pesante che gli cadeva addosso.
Hoshi si liberò dalle sue braccia con uno strattone e gli diede uno schiaffo –svegliati, ragazzino!- gli gridò in faccia –è l’ultima volta che ti salvo la vita. Questi qua sono tutti akuma, e quelli che non lo sono, prima o poi lo saranno! Se ti è cara la pelle, comincia ad ammazzarli!- il sangue le colava copioso lungo la schiena, mentre Allen ancora stentava a capacitarsi del fatto che Hoshi gli avesse appena salvato la vita.
La ragazza evocò la spada e falciò una serie di persone di fronte a loro.
-Hoshi, sono uma…- ma appena l’innocence della ragazza li toccò, si trasformarono in macchine.
“Come fanno?” Allen era totalmente in crisi “come fanno a distinguerli?”
-Allen, per noi gli umani sono nemici al pari degli akuma. Al contrario di te, non possiamo distinguerli. Andiamo a caso- gli soffiò Lavi nell’orecchio, prima di disintegrarne un altro gruppo.
-A-andate a caso? Ma se ci fossero delle persone…-
-Un sacrificio in nome della guerra, così lo vede qualcuno. Poi ci sono quelli come lei- disse, accennando a Hoshi che non faceva distinzioni di sorta e uccideva chiunque le si parasse davanti –a cui non importa niente né della razza umana, né degli akuma-
il rosso schizzò nuovamente all’attacco, mentre Allen rimase imbambolato a guardarli.
Già, anche il suo maestro gliel’aveva detto, una volta.
Lui riusciva a distinguere akuma ed esseri umani, perciò per lui era impensabile uccidere una persona.
Ma per gli altri esorcisti, quella era la prassi.
Strinse i denti, evocando l’innocence, anche se sapeva che non ce l’avrebbe mai fatta.
Con un balzo, Hoshi gli fu accanto –senti- ansimò –non puoi star qui aspettando che una luce divina illumini gli akuma- emise un mugolio di dolore, dovuto all’evocazione dell’innocence e alle ferite. Allen si sentì tremendamente inutile: era colpa sua se era ridotta a quel modo.
-Io… percepisco quali sono gli akuma- soffiò la ragazza –quindi segui me, e ammazza quelli che ti dico io, d’accordo?- lo fissò con gli occhi color carbone, che sembravano inghiottire ogni cosa nelle stesse tenebre che scatenava la sua innocence.
-Ok- rispose semplicemente, tenendole dietro.
Hoshi non sembrava affatto una che si preoccupava di una o due vite umane nel mezzo alla battaglia, ma decise di fidarsi, perché era l’unico modo in quel momento in cui poteva distinguerle.

Hoshi si gettò a terra, ansimante, e cessò l’evocazione.
Il dolore al petto si affievolì poco a poco, mentre rimase il bruciore delle ferite.
-Quanti ne avete fatti fuori?- la voce di Lavi, arrochita dalla fatica, fece capolino da qualche parte fra le macerie.
-Ma che te ne frega- sbuffò Hoshi –leviamoci di qui prima che… ah!- cadde a terra, completamente senza forze. La schiena le mandava fitte terribili.
-Dobbiamo portarti all’Ordine, sono piuttosto gravi- suo malgrado, la ragazza afferrò il braccio che il rosso le porgeva. Allen li seguì, senza dire una parola.
Salirono sul martello del ragazzo.
-Reggetevi forte!- fece quello, prima di partire a una velocità incredibile.
Hoshi ebbe l’improvvisa sensazione di perdere l’equilibrio, ma sentì due mani afferrare le sue spalle.
-Rilassati, non cadi. Ti tengo io- mormorò l’albino. Lei annuì, troppo stanca persino per replicare.
Sfondarono una parete come se nulla fosse, piombando nello studio di Komui fra le scartoffie e un imbufalito Bookman Senior, che minacciò Lavi di svariate morti.
Hoshi smontò barcollante dall’arma, poi andò dritta di fronte a Komui, guardandolo negli occhi.
Non poteva andare avanti così, lo sapeva lei stessa.
-Dammi quei bracciali, Komui- sussurrò, chinando il capo –avete vinto- il supervisore fece dapprima una faccia stupita, poi aprì il cassetto della scrivania e porse i monili a Hoshi.
-Abbiamo fatto delle modifiche. Non dovrebbero più bruciare- la ragazza annuì, indossandoli, poi le forze l’abbandonarono completamente e tutto si fece buio.






Note dell'Autrice:

Sembra che in questa fanfiction sia riuscita ad usare tutte le scene più inutili del manga XD ma vabbè, perlomeno non c'è sempre lo stesso scenario!
Cooomunque, sto cercando di fare capitoli più lunghi per farmi perdonare le mie assenze infinite... prevedo che dopo questo capitolo sarà un macello per me aggiornare, quindi scusatemi in anticipo T_T
Ah, a chi volesse chiedermelo no, Lavi non mi sta sulle scatole XD non so perchè nelle mie fanfiction è sempre in cattiva luce, forse ho un'avversione inconscia per quel tipo di personaggi .___.

Rispondo ai commenti e torno a studiare ç__ç

ValeXAnime: grazie per i complimenti ^^ sono contenta che ti piaccia, questa fanfiction è un po' un terno al lotto X'D Allen sostanzialmente per ora fa il bischero, ma poi si riprenderà, forza e coraggio! Per quanto riguarda il nome, anzi, I nomi, sia "Aster" che "Hoshi" vogliono dire "stella", uno in greco e l'altro in giapponese. Non so ancora perchè le ho dato due nomi ad essere sincera, devo ancora raccapezzarmi su come far tornare questo particolare (per la serie "complichiamoci la vita mode: ON)! >_>
Ah, il nome "Aster" non c'entra niente col Tiranno di Licia Troisi x_x è una coincidenza X3

Sherly: eccoti un altro capitolo bello lungo... è così tanto che l'ho scritto che mi ero pure scordata di averlo inserito XD però devo dire che mi piace abbastanza... ^^

Baci a tutti!

Bethan


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Capitolo 8
*** Moonlight ***


Si svegliò cullata da un dondolio ritmico, sentì qualcosa di morbido sotto la testa.
-Mh? Ma dove sono..?- mormorò, aprendo gli occhi e trovandosi a fissare un soffitto color rosso mattone e un finestrino fuori dal quale sfrecciava veloce un paesaggio di campagna.
-Oh, Hoshi! Ti sei svegliata!-
Quella voce... avrebbe preferito continuare a dormire, pensò stizzita alzandosi e fissando torva una Linalee sorridente e sollevata.
-Le ferite erano piuttosto gravi, ma non potevamo aspettare a partire. Ti abbiamo caricata sul treno mentre eri ancora svenuta- spiegò la cinese, porgendole un piatto con un panino alla marmellata. Hoshi annuì, afferrando il cibo.
In effetti, era affamata; se ne rese conto solo in quel momento.
-Te lo manda Jerry. Ha detto di salutarti- continuò Linalee. La ragazza fece un altro cenno d’assenso, iniziando a mangiare.
-Hoshi?-
Possibile che non avesse altro da fare che infastidirla? Ci saranno stati anche gli altri, su quel treno, perché doveva stare lì con lei, adesso che si era svegliata?
-Mh- fece, senza guardarla.
-Credo… credo che dopo dovresti andare da Allen- qualcosa nel tono della sua voce indusse Hoshi a guardarla per la prima volta. Linalee si tormentava le mani in grembo, e gli occhi sviavano continuamente dai suoi.
-Si sente in colpa per le tue ferite. Dice che tu l’hai salvato perché non voleva combattere- mormorò.
Hoshi sbuffò sonoramente, ingoiando l’ultimo morso del panino –e cos’avrei dovuto fare? Immagino che Komui non sarebbe stato molto contento di sapere che l’avevo lasciato crepare perché si è fatto sconvolgere dalle sembianze umane degli akuma- sbottò bruscamente –come se fosse una novità. Dovreste avere un po’ più di pelo sullo stomaco, voialtri- tornò a guardare fuori dal finestrino, senza di fatto rispondere all’esortazione della mora.
Linalee sospirò –parlaci, più tardi, o perlomeno fagli vedere che stai bene- disse con rassegnazione, uscendo dallo scompartimento e lasciandola finalmente sola.

-Cooooosa? E dovrei andarci io?-
-Lavi, col tuo martello farai in un attimo! Allen deve aver perso il treno!-
Le voci accorate fuori dallo scompartimento la svegliarono, e Hoshi vide che si erano rimessi in moto. Quando il treno si era fermato aveva sentito un po’ di trambusto e le parole “Timcampi” e “gatto” ripetersi svariate volte: come minimo quel cretino di un golem si era di nuovo fatto mangiare.
Tale golem, tale padrone, pensò sospirando.
-Ehi, bellezza. Dobbiamo andare a riprendere Allen, salta su- Lavi spalancò la porta scorrevole, battendole una mano sulla spalla.
Hoshi si girò lentamente, gli occhi neri piantati in quello verde di lui –uno- sussurrò –chiamami un’altra volta in quel modo e non sarai più sopra il treno ma sotto- disse con voce fintamente carezzevole. Il rosso arretrò di un passo mentre lei si alzava in piedi.
-Due- continuò, senza badare alla sua fretta –leva quella mano e ti farò il favore di lasciarla attaccata al braccio- Lavi tirò via di scatto la mano dalla sua spalla.
-Ora va meglio- fece Hoshi, rimettendosi a sedere e dandogli le spalle.
-Ehi, ma mi hai sentito o cosa?- la voce di Lavi era irritata, molto. Non ci badò, per lei poteva anche odiarla, sarebbe stato un sentimento totalmente ricambiato, pensò.
-Purtroppo si. Non è affar mio se quel bamboccio non riesce neppure a prendere un treno- rispose lentamente, senza girarsi a guardarlo.
-E’ affar tuo dal momento in cui ti è stata assegnata questa missione, ragazzina. E adesso finitela di perdere tempo, montate su quell’affare e andatelo a riprendere!- la voce di Bookman Senior fece capolino dalla porta dello scompartimento.
-Non darmi ordini, vecchio- mormorò Hoshi seccata, fissando ostinatamente il vetro alla finestra.
Le importava poco che fosse un'autorità o che fosse più anziano.
-Hoshi, per favore. Allen potrebbe essere in pericolo, potrebbe non aver semplicemente perso il treno. Non fare la difficile proprio adesso- la supplica di Linalee le fece definitivamente perdere le staffe.
-Vi ho già detto che io non sono qui per fare da balia a nessuno!- esclamò alzandosi in piedi e fissandoli con tutta l’antipatia di cui era capace –se ti interessa tanto di lui, perché non ci vai tu a recuperarlo?- la fissò con aria di sfida, finchè lei non alzò gli occhi.
Per qualche interminabile istante, nessuno aprì bocca.
Hoshi sospirò seccata: in qualche modo avrebbe dovuto far capire ad Allen che non poteva intromettersi costantemente nella sua condotta di vita con le sue idiozie.
Prima l’allenamento fittizio, poi il trauma degli akuma, adesso questo.
“Accidenti a lui” pensò, evocando l’innocence e trattenendo fra i denti una serie di improperi.
-Quinto riflesso. Ali dalle Stelle- mormorò. Sulla sua schiena brillarono due ali piumate, candide.
I tre esorcisti la fissarono con tanto d’occhi mentre saltava sulla cornice del finestrino, spalancandola con uno scatto.
-Che c’è adesso? Credevate che sarei salita ancora su quel coso? Avanti, vediamo di muoverci, rossino- sbottò seccata, lanciandosi nel buio senza aspettarlo.
-E’ davvero insopportabile- mormorò Lavi, tenendole dietro.

---

-Aiutateci, venerabile monaco oscuro! Quel castello è infestato da un vampiro!-
-Vi giuro che il vampiro vi sembrerà ben poca cosa, quando ve l’avrò fatta pagare per tutto il tempo che mi avete fatto perdere- un urlo di spavento collettivo si innalzò dal drappello di uomini accerchiati attorno ad un Allen legato come un salame, quando Hoshi si lasciò cadere fra loro, i capelli candidi che sembravano risplendere alla luce delle torce, gli occhi neri come il cielo notturno freddi e spietati, che sembravano inghiottire ogni goccia di luce.
-Non credo vi convenga contraddirla- Lavi spuntò da un barile, facendoli sobbalzare nuovamente.
-Fermi tutti, sono altri monaci oscuri!- gridò un uomo, indicando le croci sulle vesti dei due nuovi arrivati.
“Oh, no” pensò Allen, mentre Hoshi e Lavi venivano letteralmente presi d’assalto e legati per bene come lui.
-Quel bastardo di Marian- sibilò la ragazza dopo la spiegazione, lasciandoli increduli –ci ha proprio incastrati. Ehi, voialtri- apostrofò il drappello –il tipo che vi ha detto di rivolgervi a noi era un tizio con capelli rossi e una maschera, per caso?- quelli annuirono all’istante.
Allen la fissò sbalordito –Hoshi, conosci il maestro?- chiese. Lei fece un sorriso a metà fra il sarcastico e lo scocciato, ma al ragazzo sembrò che nella sua espressione vi fosse anche qualcosa di incredibilmente triste. Non rispose niente.
-Liberateci. Andiamo a prendere a calci quel coso, ho davvero voglia di sfogarmi- disse con un tale gelo da far rabbrividire tutti i presenti.
Li accompagnarono di fronte al castello, tenendosi a debita distanza. Hoshi si diresse decisa verso l’entrata, seguita da due titubanti Allen e Lavi, uno più teso dell’altro. Si girò verso di loro, sbuffando.
-Insomma, quanto tempo vi serve per fare tre passi? Prima lo facciamo fuori, prima ce ne andiamo da questa manica di schizzati!- si girò di schiena e i capelli scintillarono sotto la luce della luna, piena e incredibilmente grande, che faceva da sfondo all’intero paesaggio.
L’albino trovò che Hoshi sembrava nata per la notte. Niente di lei sembrava fuori luogo, dal pallore della pelle e dei capelli, quasi latteo, alle tenebre degli occhi, alla freddezza dell’espressione.
Si rese conto di stare fissandola già da un po’ e si riscosse con un sussulto.
-Paura, Allen?- disse beffardo Lavi, che in realtà era teso quanto lui.
Un urlo assordante li fece voltare tutti e tre di scatto.
-Ha preso Franz!-
Un uomo alto, scheletrico, con capelli mezzi bianchi e mezzi neri e lunghissimi canini appuntiti aveva afferrato uno degli uomini, azzannandolo al collo e succhiandone il sangue.
-Dannazione, ma quando è arrivato?- Hoshi evocò la katana, ma il vampiro fu più veloce, schizzando verso di lei e colpendola così forte da farle fare un volo di decine di metri.
-Hoshi!- Allen e Lavi corsero verso di lei, ma la ragazza non volle nessun aiuto.
-Dove cavolo è andato?- ansimò rimettendosi in piedi. Sentiva un dolore lancinante al petto, che le levava il fiato, e ipotizzò di avere almeno un paio di costole rotte.
-Dev’essere rientrato nel castello- disse Lavi –ti ha dato una bella botta, sicura di star bene?- le toccò un fianco e la ragazza trasalì, cercando di nascondere il dolore alla meno peggio.
-Non sono affari che vi riguardino, non voglio che degli esorcisti si preoccupino per me- sbottò allontanandosi da loro –forza, esploriamo questo postaccio- disse, arrancando verso l’entrata.
-Sei anche tu un’esorcista, che tu lo voglia o no- mormorò il rosso, tenendole dietro assieme ad Allen. Non arrivò nessuna risposta, come al solito.

Hoshi aveva la vista appannata, e non riusciva a respirare. Era come se fosse avvolta in una coltre bollente e soffocante, che non le lasciava scampo.
La sagoma della donna di fronte a sé andava e veniva, tirare il fiato le era sempre più difficile.
Si era fatta cogliere di sorpresa da quell’akuma come una stupida, pensò, ma non aveva sufficienti energie per tirarsi fuori da quella situazione, non dopo che quel maledetto vampiro l’aveva massacrata.
-Che c’è, esorcista? Non combatti più?- fece Eliade, beffarda. Hoshi, nonostante la situazione, le rivolse un sorriso di commiserazione –non ho mai avuto nessun motivo per combattervi- ansimò –non più di quanti non ne abbia per combattere ciò che sono. Uccidimi pure, se è questo che vuoi- il mondo si fece a chiazze nere, mentre la ragazza sentiva le forze abbandonarla sempre di più.
-Akuma! Lasciala stare!- un boato, la sensazione di soffocamento che le veniva strappata via dal petto, le gambe che le cedevano ma che non incontrarono il terreno. Si sentì afferrare e posare a terra con delicatezza.
Strinse gli occhi, cercando di recuperare il fiato; il petto le faceva male da morire, e credeva che anche le ferite sulla schiena non se la stessero passando tanto bene.
-Allen, portala via da qui. Ci pensiamo io e Crowlyno a finirla- la voce di Lavi, poi Hoshi si sentì sollevare.
-Lascia…- iniziò, ma Allen, con tono sorprendentemente secco, la interruppe.
-Non provare a dirmi che sei in grado di camminare- fece, allontanandosi velocemente dalla scena della battaglia. Dopo un po’, la ragazza avvertì sul viso la sensazione dell’aria fredda del mattino. Evidentemente erano usciti.
Quel dondolio iniziò a darle la nausea.
-F-ferma…- violenti colpi di tosse le mozzarono le parole in gola. Sentì in bocca il sapore del sangue.
Allen si fermò dopo poco, posandola nuovamente a terra.
Poco a poco, la vista tornò nitida e le orecchie smisero di fischiarle, disturbi sostituiti dall’improvviso arrivo del dolore causatole dalle ferite.
-Ahi- sussurrò, stringendo le palpebre.
-Dove ti fa male?- se le costole non le avessero minacciato il collasso definitivo, a quella domanda Hoshi avrebbe riso.
-Dappertutto- rispose, la voce fioca –credo… di avere poco di intero- sentì il ragazzo trafficare di fianco a sé, ma si sentiva così debole da non riuscire neppure a girare la testa.
Qualcosa di freddo le si posò sul fianco, scatenandole un bruciore infernale.
-Ehi, ma che…- l’ennesima fitta le impedì di continuare.
-Hai una bella ferita. Devo almeno pulirla, stai ferma- disse Allen. Poco a poco, Hoshi sentì il dolore calmarsi e avvertì quel fresco quasi come un beneficio.
-Penso… che siano le costole… il problema- sussurrò senza fiato –a-aiutami a… tirarmi su- un braccio di Allen le passò dietro le spalle, mettendola dritta.
-Va meglio?- chiese. Hoshi annuì, sorpresa di come la voce del ragazzo suonasse preoccupata.
-Grazie- fece lei dopo un po’. Vide l’albino aggrottare le sopracciglia, ma era troppo sfinita per rinfacciargli la sua lentezza di comprendonio.
-Per… prima- continuò, distogliendo lo sguardo dagli occhi grigi di lui, rendendosi conto solo in quel momento che il sinistro si era rigenerato, la stella che spiccava nitida sulla pelle chiara.
-Dovresti ringraziarmi se fossi tutta intera. Ho lasciato che ti riducesse in questo stato…- mormorò Allen imbarazzato, spostando gli occhi a terra.
Hoshi non rispose niente; aveva avuto una paura folle di morire, quando l’akuma era riuscita a inchiodarla a quella parete. Buffo, dopo essersi ripetuta per anni che avrebbe preferito la polvere e l’oblio al suo destino attuale, si era ritrovata a sentirsi sollevata per non essere morta lì.
Sempre che avesse resistito, pensò, scossa dall’ennesimo attacco di tosse che le provocò nuove fitte in tutto il corpo.
-Eeeeeehi! Allen! Hoshi!- la voce di Lavi risuonò per tutto il cortile, allegra come al solito. La ragazza si portò una mano alla testa: ma come diamine faceva ad essere sempre così giulivo e ad urlare sempre così a sproposito?
-La signorina è ridotta malissimo, invero?- appena Hoshi sentì quella voce le montò una stizza infinita.
-E di chi credi che sia la colpa, vampiro demente?- sbottò ricominciando quasi subito a tossire
-Hoshi, non trattarlo male! Crowlyno era confuso- spiegò Lavi con un’aria fintamente innocente, cui rispose solo lo sguardo infuriato della ragazza: se solo avesse potuto muoversi, il destino migliore che sarebbe potuto capitargli sarebbe stato finire con la testa staccata di netto.
-Sono costernato, invero…- provò a scusarsi lui, ma Hoshi non voleva nemmeno sentirlo –cosa me ne faccio delle tue scuse? Non sprecare il fiato- ringhiò fra i denti, aggrappandosi a un albero per rimettersi in piedi. Allen le si fece vicino, ma lei lo scansò –ce la faccio- disse fredda. Il ragazzo si ritirò di colpo, come se gli avesse dato uno schiaffo.
-Quinto riflesso- ansimò lei senza badarci, ma si sentì afferrare per un braccio.
-Sei impazzita o cosa? Non ce la farai mai a sostenere l’evocazione, forza, salite tutti sul martello!- Lavi se la trascinò dietro, e Hoshi si ritrovò di nuovo spiaccicata su quella cosa infernale, troppo debole perfino per potersi ribellare.
Odiava quel coso, le sembrava continuamente di cadere.
Sussultò quando partirono, ma come la volta precedente due mani ferme si posarono sulle sue spalle e la trascinarono all’indietro, facendole appoggiare la schiena.
-Ti tengo io. Tu pensa a riposarti, non agitarti- le mormorò Allen all’orecchio.
Poco dopo Hoshi si addormentò.





Note dell'Autrice:

Al ritmo di un capitolo all'anno ce la farò XD
Scherzi a parte, scusatemi ma sono troppo sfinita per commentare questo capitolo x_x la primavera e il cambio dell'ora mi distruggono nel profondo T_T e in più sta iniziando a venirmi l'ansia perchè mi manca ancora tantissimo per finire questa fanfiction e non ho mai tempo per scriverla (doppio T_T)...
Vado a studiare (triplo T__T)...

Pietà, qualcuno commenti >_>

Baci a tutti :)

Bethan

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Capitolo 9
*** Memories, Rhum and Names ***


-Ma figurarsi se è morto! Quello non muore nemmeno se lo ammazzi- la voce secca di Hoshi fece girare il capannello di persone a guardarla con tanto d’occhi, compresa la bellissima donna che stava loro di fronte.
L’ennesima donna di Marian. Il cuore della ragazza diede una fitta inaspettata a quel pensiero, ma Hoshi si affrettò subito a spingerla sotto la solita corazza gelida.
-Tu devi essere As…- iniziò Anita, ma lei la interruppe bruscamente, fissandola gelida con gli occhi scuri.
-Hoshi. Non provare a chiamarmi in quel modo- sibilò a voce bassissima, eppure udita da tutti.
La donna inarcò le sopracciglia, ma la ragazza distolse lo sguardo dal suo e continuò a parlare imperterrita.
-Ci serve una nave, se vogliamo trovarlo. Morto, non è morto davvero- aggiunse.
“Se sei morto ti ammazzo, Marian”
Quel pensiero illogico, ma soprattutto il dolore che lo accompagnò, la colpirono come una coltellata, passando attraverso tutte le sue difese come se fossero diventate burro.
-Ti fanno male le ferite?- Linalee la guardava preoccupata. Lei annuì seccamente: alla fine, l’essere stata ridotta a un colabrodo si era rivelato provvidenziale.
-Ho sentito parlare di te. Marian mi ha detto di darti questa, se mai ti avessi incontrata- la donna si alzò e si avvicinò a lei, lo strascico del vestito che la seguiva come un’onda cangiante, e le mise al collo una sottile catena argentata, con appesa una clessidra piena di un liquido trasparente, eppure più denso dell’acqua.
-Ha detto che può aiutarti a sopportare l’effetto dell’innocence tua e altrui. Non so cosa significhi- mormorò. La ragazza annuì, infilandosi il ciondolo sotto la veste –lo so io. Grazie- mormorò semplicemente, poi uscì dalla stanza senza salutare né la padrona, né nessun altro, diretta chissà dove.
-Che modi… ci dispiace- iniziò Linalee, ma Anita la interruppe con un sorriso –no. Conosco la sua storia molto bene, Marian me ne parlava spesso- il suo sguardo si adombrò un istante.
-Hoshi… Hoshi conosce il maestro?- la voce incerta di Allen risuonò nella stanza angusta. Le labbra della donna si incurvarono nuovamente in un sorriso triste –si, ma non sarò io a dirti altro- mormorò, tornando a sedersi –è una cosa fra di loro, se la curiosità ti preme, chiedi a lei- concluse.
Tornarono quasi subito a concentrarsi sui dettagli della missione, senza che Hoshi rimettesse piede nella casa adorna di fregi dell’amante di Marian Cross.

“Adesso va meglio. Stavo soffocando, là dentro” pensò Hoshi, seduta in pericolante equilibrio sugli scogli spazzati dal vento e dagli schizzi d’acqua.
Fra le dita si rigirava la piccola clessidra consegnatale da Anita: la conosceva molto bene. La portava Marian, quando doveva sincronizzarsi con Judjement.
Già, perché nonostante molti non lo sapessero, lui non era esattamente il compatibile di quella pistola, ricordò con un sorriso. Era più un prestito a tempo indeterminato, così la definiva. E quella clessidra lo privava del dolore, effetto necessario della sincronizzazione con un’innocence che non è la propria.
Avrebbe funzionato anche su di lei?
Lo sperava davvero. Per questo aveva accettato: si era resa conto, soprattutto dopo il disastroso recupero del vampiro, che non poteva andare avanti a quel modo. L’evocazione le succhiava ogni energia, i Riflessi dal Secondo in su erano una tortura per il suo fisico.
Se quell’affare avrebbe potuto aiutarla, forse era ora di accantonare una piccola parte d’orgoglio per salvarsi la vita e la salute mentale.
Quello che non andava, era lei.
Quella donna.
Non ci voleva una mente superiore per capire che tipo di relazione ci fosse fra lei e Marian, pensò gettando un sasso nell’acqua, che lo inghiottì in un batter d’occhio.
Sospirò: forse era meglio così. Non avrebbe mai potuto venirne fuori niente di buono.
Ma allora perché le importava così tanto?
Perché stava così male, pensando a lui?
Un secondo sospiro seguì il primo: che la connessione fra lei e... l'altra si stesse facendo più forte? Sapeva che quei sentimenti non erano i propri. Forse fingere per così tanto tempo l'aveva condizionata.
Lei stessa si era tirata indietro, alla fine, e in cuor suo sapeva perché l’aveva fatto: sentiva le attenzioni di Marian come costrette da un senso di colpa perenne, che però con lei aveva poco e niente a che vedere.
Sospirò: poteva girarci intorno quanto le pareva, ma iniziava a pesarle ogni cosa.
Quel dolore nascosto, quella maschera gelida che frapponeva costantemente fra sé e gli altri, quell’odio che non le lasciava scampo, verso chi era morto come sarebbe dovuta morire lei e per chi viveva come lei senza che questo gli fosse di peso.
A volte si sentiva scoppiare, ma non poteva cedere.
Mostrarsi debole, sarebbe stato consegnarsi nelle loro mani, e lei non poteva permetterlo. Non avrebbe sofferto ulteriormente per colpa loro.
-Hoshi?-
La ragazza alzò gli occhi al cielo: ancora lei. Fra tutti quegli esorcisti era quella che sopportava di meno. Perché non riusciva a lasciarla in pace e a degnarla della più completa indifferenza?
In fondo, non avrebbe dovuto essere difficile.
-Mh?- sembrava diventata la sua risposta abituale, ormai.
-Non sei più tornata, iniziavamo a preoccuparci. E’ quasi buio- disse Linalee, saltando sugli scogli, fino a raggiungerla –stiamo andando a mangiare, vieni con noi?- Hoshi sospirò, facendo un cenno infastidito con la testa. Non le andava proprio di dover dare spiegazioni sul perché e per come aveva abbandonato la casa di Anita, non le andava di sentirsi addosso gli sguardi per metà curiosi e per metà ostili di quei ragazzi, non le andava di fare niente, a dire il vero.
-Non ho fame- rispose semplicemente.
La cinese per tutta risposta sospirò e si sedette accanto a lei, apparentemente totalmente ignara, o indifferente, al fatto che la sua presenza fosse per l’altra fonte di enorme fastidio.
-Hoshi, io capisco che tu odi l’Ordine, ma l’innocence in sé non c’entra niente con quello che ti è successo- esordì a un tratto, lasciandola completamente di stucco.
Cos’è, voleva mettersi a farle da psicologa adesso?
-Non puoi capire. Nessuno di voi può, non può nemmeno chi l’ha fatto- prese per certo che la cinese sapesse la versione "riveduta e corretta" sulla sua storia, altrimenti non le avrebbe mai parlato in quel modo.
-E invece si, ti capisco, anche se di sicuro sono stata più fortunata. Anch’io sono stata portata all’Ordine contro la mia volontà, strappata da mio fratello, che poi è stato costretto a raggiungermi- disse tutto d’un fiato –anch’io per molto tempo non sono mai riuscita a capire perché dovessi fare questa vita, quale giustizia richiedesse il mio sacrificio per persone che nemmeno sapevano della mia esistenza- sorrise, tesa –forse non l’ho capito nemmeno ora- mormorò.
Hoshi era disorientata: dove diamine voleva andare a parare con quel discorso? Non era certo interessata a conoscere i retroscena della sua vita, non era così stupida da pensare che fossero arrivati tutti lì per un caso allegro e benigno.
No, quello che le dava più fastidio di ogni altra cosa era come fingessero costantemente che la loro fosse la vita più bella del mondo, come adorassero l’innocence e i poteri che gli dava, come se fossero cose di cui essere felici anziché condanne a vita. Lo disse, così brutalmente che Linalee spalancò gli occhi e rimase zitta per diversi minuti.
Il mare si era ormai fatto nero, e quel colore iniziò pian piano a rilassarla: Hoshi adorava i toni scuri. Sarà perché vi annegavano il colore innaturale dei suoi capelli e il pallore della sua pelle, sarà perché nessuno notava il nero abisso dei suoi occhi, se era circondata da tenebre altrettanto profonde.
-Io… io non amo l’innocence- mormorò Linalee sottovoce a un certo punto –anzi, credo di odiarla, perché è per causa sua se esiste questa guerra, è per causa sua che il mondo intero è in balia del Conte da un lato e dell’Ordine dall’altro- stavolta fu il turno di Hoshi di spalancare gli occhi: si era aspettata una filippica sulla bontà dell’innocence e della loro missione, e ora si sentiva dire che alla fine anche i più accondiscendenti la pensavano esattamente come lei.
-Il motivo per cui non manifesto quest’odio, è perché non voglio aggiungere sofferenze alle sofferenze- continuò, fissando l’acqua scura di fronte a loro –so che non sono l’unica ad avere i miei motivi per odiare tutto questo, perciò non voglio affliggere gli altri con le mie lamentele. Con questo, non intendo dire che tu lo faccia- aggiunse precipitosamente, rendendosi conto del senso equivocabile dell’intero discorso –solo, non sentirti l’unica a desiderare altro, rispetto a questo. Tutti noi abbiamo dei segreti gli uni con gli altri, ma per quello che riusciamo ad esternare, riusciamo ad aiutarci a vicenda. Non voglio metterti fretta, né dirti cosa fare, però forse dovresti provare- Hoshi non disse niente, ognuna delle parole di Linalee si stampava a fuoco nella sua testa, come se le avesse sapute a memoria da tempi lontanissimi –tenere tutto dentro non è sempre la strada migliore. Pochi possono capire ciò che proviamo, se non gli diamo neppure uno spiraglio di luce- rimasero zitte per altro tempo. Hoshi non sapeva cosa dire, Linalee aveva finito.
Ad un tratto, la ragazza si alzò in piedi di scatto, afferrando la cinese per un polso.
-Andiamo a mangiare, mi è venuta fame- mormorò semplicemente, tirandosela dietro.
Anche se non la vedeva, avrebbe potuto giurare che stesse sorridendo.

-Non sapevo tu parlassi il cinese!- Linalee fissava stupita Hoshi che, dopo aver sfoderato un cinese impeccabile, si sbafava famelica tutta la roba che aveva ordinato.
Alzò le spalle, facendo l’indifferente –me l’ha insegnato…- si interruppe, mordendosi la lingua e continuando a mangiare. Non era davvero il caso di spingersi così oltre, aveva già fatto uno sforzo notevole a prolungare la vicinanza con Linalee e a riconoscere un barlume di senso in quello che le aveva detto.
Parlarle di Marian, proprio non era il caso, e fortunatamente lo capì pure la mora, che non si azzardò a farle ulteriori domande.
-Aaaah, dannazione. Ho bisogno di qualcosa di più forte, che è ‘sta roba?- sbottò, mandando giù un bicchiere di una bevanda alcolica come se fosse acqua.
-Hoshi, non credo dovremmo…- Linalee era titubante, ma l’altra si lanciò in un’appassionante diatriba in cinese, al termine della quale il tizio dietro al bancone le piazzò davanti una gigantesca bottiglia di rhum.
Si girò verso la cinese con un sorriso spavaldo –allora, non posso certo finirmela da sola!-
I bicchieri si riempirono e svuotarono in un lampo, finchè le due ragazze non si ritrovarono abbracciate e barcollanti lungo la strada di ritorno per la locanda.
-Ehi, Linalee- biascicò Hoshi –certo che lo reggi proprio poco l’alcool. Mi stai trascinando in terra!- strillò, sentendo l’altra accasciarsi e tirarla per un braccio. Linalee scoppiò in un accesso di risatine isteriche che rimbombarono per la strada semideserta.
Paia d’occhi spalancati si girarono a guardarle –ma che vogliono? Adesso li…- cercò di non barcollare, ma la risata della mora le si attaccò ben presto, facendola accasciare seduta sul selciato freddo.
-Dobbiamo tornare… alla locanda- ansimò, quando le parve di aver recuperato un minimo di autocontrollo. Si passò il braccio di Linalee attorno alle spalle e la tirò in piedi, barcollando vertiginosamente.
-Ma che cosa avete fatto?-
Hoshi si girò verso il punto da cui era venuta quella voce, trovando un attonito Allen a fissarle con tanto d’occhi.
-Oh, niente, abbiamo alzato un po’ il gomito, tutto qui- rispose Linalee da un punto imprecisato verso il basso. Hoshi iniziava a non capire più niente, e l’arrivo dell’albino aveva solo peggiorato le cose, facendola scoppiare a ridere senza apparente motivo.
-Ho…- iniziò lui avvicinandosi, ma la ragazza non ne voleva sapere di smettere, le lacrime agli occhi.
-Assurdo- lo fissò dal basso verso l’alto, sorridendo, e Allen arrossì istantaneamente.
Fortunatamente si riprese e, fra una fermata e l’altra, riuscirono a riportare Linalee in camera e a metterla a letto, cosa che non richiese poco impegno, dal momento che era messa decisamente peggio di Hoshi.
Lei e Allen si incamminarono verso le loro stanze, nel corridoio parallelo, in uno strano silenzio.
Hoshi vedeva il pavimento ondeggiare terribilmente, come se fossero stati su una barca in un mare in tempesta; Allen, dal canto suo, non riusciva in nessun modo a levarsi dalla testa il suono della risata della ragazza, mai sentito, eppure così forte, e il modo in cui cambiava il suo viso quando sorrideva.
A discapito degli occhi, sembrava risplendere.
Scosse violentemente la testa, scacciando quei pensieri: per fortuna erano arrivati.
Si girò verso Hoshi, ma la testa della ragazza gli si appoggiò alle spalle pesantemente.
-E-e-e-ehi! Hoshi!- balbettò imbarazzatissimo, ma il corpo di lei pigiava contro il suo sempre di più, sbilanciandolo e facendolo finire addossato alla parete.
Ad Allen scappò un sorriso: si era addormentata. Evidentemente avevano bevuto parecchio.
Solo che adesso si presentava un problema: come cavolo avrebbe fatto a portarla in camera, se non aveva la sua chiave?
Un’idea si fece strada nella sua mente, cancellata dalla ferma volontà di restare con tutti gli arti attaccati al corpo e supportata dal fatto che se Lavi fosse uscito in quell’istante dalla sua stanza e li avesse trovati in quel modo sarebbe scoppiata la terza guerra mondiale.
Cercando di non svegliarla, fece scattare la chiave nella serratura e la trasportò fino al letto, adagiandola sul materasso. I capelli bianchi si sparsero sul cuscino, confondendosi con la tinta del tessuto.
Sembrava scesa direttamente dalla luna, pensò mentre richiudeva la porta a doppia mandata e si sedeva sul letto di fianco a lei.
Inutile negarlo a se stesso, l’aveva trovata bella fin dal primo momento in cui l’aveva vista senza quel cappuccio che le coprisse il viso, senza quel mantello nel quale quasi spariva.
E si sentiva in qualche modo vicino al suo odio verso l’innocence, anche se non riusciva a capire il perché. Sapeva solo che quando Hoshi diceva di disprezzare loro e l’Ordine, una parte di sé non poteva fare a meno di pensare con convinzione che poteva capirla, anche se non aveva idea del motivo della sua avversione.
Avrebbe voluto chiederglielo, ma riusciva a sentire un’immensa sofferenza dietro quell’odio, un dolore che non voleva essere lui a risvegliare.
Sospirò, facendo per alzarsi: avrebbe dormito sul pavimento, almeno Hoshi non avrebbe pensato male.
Una mano si aggrappò alla sua manica e lo tirò inesorabilmente verso il materasso, nonostante i suoi sforzi (non così decisi, in verità) per opporsi.
Hoshi aveva aperto gli occhi, che ora spiccavano come gemme color carbone sul biancore del suo viso, ma era evidente che non fosse ancora granchè in sé.
-Hoshi, dovresti dormire- sussurrò Allen, benedicendo il buio che nascondeva le sue guance –domani avrai un mal di testa infernale- ma la ragazza lo trascinò di fianco a sé e si rannicchiò addosso al suo petto prima che l’albino potesse pronunciare anche una sola sillaba.
-Stai qui- sussurrò lei, a metà fra il sonno e la veglia. Il ragazzo si stupì di quanto fosse mingherlina anche in confronto a lui, e di quanto sembrasse indifesa in quel momento. Ben altra cosa dal gelo indistruttibile che usava ostentare.
-Sono qui. Dormi, tranquilla- mormorò, tirando su le coperte con un sospiro: mal che fosse andata, le sue urla avrebbero fatto da sveglia all’intera locanda.
Non che a lui personalmente dispiacesse l’intera situazione, pensò azzardando a circondare le spalle di Hoshi con un braccio. La ragazza non si mosse, continuando a tenere gli occhi chiusi.
L’incognita sarebbe stata vedere se la cosa non fosse dispiaciuta a lei una volta che fosse tornata in sé. Allen pregò di svegliarsi prima di quel momento, per poter almeno salvare le apparenze.
-Allen- sussurrò lei appena prima di crollare nuovamente addormentata.
-Dimmi- bisbigliò lui in rimando. Sentì una ciocca più lunga dei capelli di Hoshi intrecciarsi alle sue dita, morbida come seta.
-Io mi chiamo Aster- l’albino spalancò un poco la bocca, senza saper bene cosa dire, eppure qualcosa gli suggeriva che non era una rivelazione di poco conto.
Il respiro della ragazza si fece nuovamente pesante, e Allen rimase sveglio a lungo, a tratti guardando lei, a tratti fissandosi sul cielo stellato che si intravedeva fuori dalla finestra.



Note dell'Autrice:

Che. Razza. Di. Capitolo.
OK, l'amicizia fra Hoshi e Linalee è come quella fra tigre siberiana e topolino risecchito (povera Lina XD), però in qualche modo dovevo pur sbrogliare la vicenda... non vi preoccupate per alcuni punti oscuri, (MOLTO) più in là saranno chiariti ^^
Sto facendo una fatica boia a descrivere quell'impedito di Allen. Si vede che non sono abituata a pensarci, eh? ^_^''

PER FAVORE RECENSITE T___T *sclera*

(Grazie a Sherly, come al solito ^^ come farei senza di te?? ç_ç)

Ciao a tutti!! ^^

Bethan

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Capitolo 10
*** Morning ***


Le sembrava che una squadra di gnomi con scarponi chiodati ai piedi le stesse marciando in testa.
Ma quel che era peggio, era che non si ricordava praticamente niente della sera prima.
Ok, la sua memoria arrivava finchè lei e Linalee non si erano accasciate ubriache in mezzo alla strada, ridendo come due povere sceme, ma cos’era successo dopo?
Aprì piano un occhio, ottenendo un mal di testa lancinante in cambio per via della luce del mattino che ormai filtrava copiosa anche attraverso le tende, e quello che vide la lasciò pietrificata.
Accanto a lei dormiva della grossa Allen.
Il cuore iniziò a batterle all’impazzata, mentre sentiva le guance diventare color rosso fuoco. D’istinto, si guardò: completamente vestita, e lui pure. Si concesse un minuscolo sospiro di sollievo, che fu subito rimpiazzato da una domanda fondamentale.
“Come diamine sono arrivata qui?”
L’albino non dava segno di riprendersi dal sonno, e Hoshi ricordò che Linalee le aveva detto che avrebbero sostato un paio di giorni nella locanda, in attesa della partenza. Probabilmente il resto della combriccola era andato a farsi un giro, altro motivo di enorme sollievo.
Più che altro, Hoshi sperava ardentemente di non aver combinato niente di… “compromettente”. Sentì il viso infiammarsi di nuovo a quel pensiero e d’istinto scosse la testa.
No, no, non poteva averlo fatto.
E quell’Allen proprio non era il tipo, con tutte le arie da gentleman che si dava.
Ad un tratto il ragazzo si mosse, spalancando gli occhi e trovandosi a fissare i suoi ad una distanza che contava decisamente troppo pochi centimetri.
Praticamente saltò fuori dal letto, ancora più imbarazzato di lei –Ho-Hoshi, non è come sembra… vi ho trovate ieri sera, poi tu ti sei addormentata qui fuori e non sapevo dove tenevi la chiave- farfugliò distogliendo lo sguardo dal suo, decisamente nel panico.
-Ok, ok, ma non urlare. Ti prego, mi scoppia la testa- replicò lei, prendendosi le tempie fra le mani. Perché accidenti non si ricordava niente? E perchè, anche se persa nei fumi dell’alcol, aveva fatto una cosa come addormentarsi… lì?!
Il pavimento sembrò girarle sotto gli occhi: ma quanto diamine avevano bevuto? Forse aveva esagerato nel decidere di prendere la serata alla leggera. Si ricordò della cinese, decisamente meno avvezza di lei al bere.
-Linalee?- mormorò, alzando la testa di scatto.
Pessima mossa. Strinse gli occhi per il dolore. Allen sorrise –l’abbiamo portata in camera ieri sera, c’eri anche tu ma credo che la memoria ti abbia giocato qualche scherzo- ridacchiò sotto i baffi, ma Hoshi era ancora troppo stordita per replicare come si conveniva. Sentì il ragazzo trafficare, poi le porse un bicchiere –bevilo. Ti schiarirà un po’ le idee- Hoshi lo fissò sospettosa –non è altro alcol, vero?- lo annusò, sentendo solo un intenso odore di limone. L’albino rise di nuovo –no, no, tranquilla. Credo che tu ne abbia avuto abbastanza, sai- continuò, sedendosi di nuovo sul letto di fianco a lei e stiracchiandosi le braccia dietro la schiena –il maestro era avvezzo alle sbronze, ho dovuto scovare dei metodi per rendergli sopportabile la mattina successiva. Va meglio?- chiese, quando la ragazza poggiò il bicchiere sul tavolino. In effetti, il giramento di testa era sparito, e la stanza era piacevolmente ferma.
Il dolore però restava, come le ricordò l’ennesima fitta che le attraversò le tempie non appena fece l’errore di guardare la luce che entrava dalle finestre.
-Ho un rimedio anche per il mal di testa, però dovresti lasciarmi fare e non minacciarmi di morte- Allen esitò, sotto lo sguardo degli occhi scuri di Hoshi.
-Dimmi che devo fare- sospirò poi la ragazza.
L’aveva vista ubriaca come non mai, probabilmente gli era collassata davanti in uno stato pietoso, non sarebbe stata una così grande tragedia se le avesse anche fatto passare il mal di testa, già che c’era.
L’albino annuì –stenditi e appoggia la testa sulle mie gambe, qui- lei lo fissò forse con un’occhiata più truce di quanto in realtà volesse essere, perché lui alzò le mani spaventato –è solo per rilassarti. Un massaggio, tutto qua- sempre continuando a guardarlo, Hoshi raccolse i capelli da una parte e adagiò la testa sulle gambe di Allen.
-Bene, adesso chiudi gli occhi e cerca solo di stare tranquilla- mormorò il ragazzo. Hoshi obbedì, serrò le palpebre, ma quanto allo stare tranquilla non se ne parlava neppure.
Quella situazione era troppo strana.
Sentì le dita fresche di Allen sulla pelle, e poco mancò che non schizzasse per aria.
-Rilassati. Non lo verrà a sapere nessuno, se è questo che ti preoccupa- ridacchiò l’albino, senza smettere il massaggio.
Piano piano il mal di testa iniziò a scemare, e Hoshi fu presa da una voglia terribile di addormentarsi.
-Basta. Mi sta venendo sonno- mugugnò, cercando di alzarsi, ma una mano dell’albino la trattenne, e gli occhi di Allen si fissarono nei suoi.
-Che ti prende?- la ragazza cercò di scansarsi, ma lui la chiamò di nuovo.
-Ieri sera… forse non ti ricordi, ma mi hai detto una cosa- esordì, prendendola così alla larga che Hoshi temette il peggio.
“Oddio, cosa cavolo gli ho detto?” pensò nel panico più totale.
-Non aprirò bocca con nessuno, ma voglio solo sapere se è una cosa che anch’io devo dimenticare- cercò di rassicurarla Allen.
-Cosa ti ho detto?- mormorò Hoshi, temendo di sapere la risposta.
-Mi… mi hai detto come ti chiami. Cioè, so che sembra stupido, ma…- tentò di spiegare lui, ma la ragazza sorrise mesta.
-No, non è stupido. Ho capito- sussurrò, poi tornò a guardarlo in viso –puoi ricordarlo, ma azzardati a farne parola o a chiamarmi in quel modo se altri sono presenti e ci penserò io a fartelo scordare- aggiunse, vagamente minacciosa ma col sorriso che non accennava a scollarsi dalle sue labbra.
-O-ok. Tranquilla, sarò una tomba- “per evitare di diventarlo davvero” aggiunse lui col pensiero, ma si guardò bene dal dirlo.
La accompagnò alla porta in silenzio, dopo che Hoshi ebbe constatato che sarebbe stata un’idea geniale levarsi di lì prima di far precipitare del tutto la situazione.
-Allen- lo richiamò, prima che chiudesse la porta.
-Si?-
-Grazie- gli sorrise, un’ultima volta, poi si incamminò nel corridoio.

Bussò cautamente alla porta, ancora scossa dal risveglio inaspettato.
Dall’interno risuonò un “avanti” con una voce che sembrava provenire letteralmente dall’oltretomba.
Aprì piano, trovando Linalee raggomitolata sul letto, gli occhi chiusi e la testa fra le mani. Le tende erano completamente tirate, lasciando la stanza in penombra.
-Ehi, come va?- sussurrò Hoshi, sedendosi a tentoni sul letto.
-Male, a dire il vero. Non reggo granchè gli alcolici- rispose di rimando lei con un bisbiglio.
-Cosa ti senti?- un’idea le si affacciò nella mente.
-Mi scoppia la testa, gira tutto e ho la nausea. Senza contare che non ho quasi dormito- si lamentò lei. L’altra annuì –aspettami qua, torno subito- schizzò in piedi, dirigendosi verso la camera da cui era venuta senza neppure pensarci.
Bussò con decisione e Allen spalancò la porta, fissandola disorientato –tutto ok?- chiese.
-Hai ancora limone?- domandò lei di rimando –credo che Linalee regga l’alcol peggio di me- aggiunse come giustificazione. L’albino le porse un frutto intero –spremine almeno metà in un bicchiere d’acqua- la istruì –se avete bisogno d’aiuto, sapete dove trovarmi- disse. La ragazza annuì, afferrando il limone e tornando in fretta in camera dell’altra.
La trovò nella stessa posizione di prima.
-Ci penso io, intanto facciamo un po’ di luce- spalancò le tende e Linalee strillò –richiudile, richiudile! La mia testa!- sussurrò subito dopo, stordita dal suo stesso urlo.
Hoshi non le badò e afferrò un bicchiere, riempiendolo d’acqua e spremendoci dentro il limone, come le aveva detto Allen.
Poi mise il tutto sotto il naso della ragazza –bevi- lei obbedì senza fiatare, tracannando la bevanda tutta d’un fiato.
-Come va ora?- chiese Hoshi di nuovo.
Linalee sorrise –va meglio. E’ scemato un po’ anche il mal di testa- l’altra annuì soddisfatta.
-Esco, vado a fare una passeggiata- disse alzandosi di scatto –non so se rientro per l’ora di pranzo, nel caso mangiate senza di me- la cinese la guardò stupita –ma come fai ad essere così in forma? Io sono uno straccio, e pensare che sono pure più grande di te!-
Hoshi le rispose con un ghigno –Marian ti abitua a questo ed altro. Chiedi ad Allen- disse con tono sorprendentemente allegro prima di uscire tirandosi dietro la porta.

Camminò a lungo per le vie del paese, un piccolo agglomerato di case dove, fatta eccezione per la dimora di Anita, vivevano quasi esclusivamente pescatori. Un crocevia pieno di viaggiatori di passaggio, a volte gremito di popoli diversi e a volte semideserto e addormentato in riva al mare.
Così era quella mattina, la cui calma marittima sembrava accompagnare il risveglio di Hoshi dallo stordimento dovuto al rhum. La strada principale, quella che tagliava di netto il paese, era praticamente deserta, fatta eccezione per una vecchia signora che intrecciava cestini con un gatto nero in grembo.
La ragazza si fermò per azzarezzarlo e quello fece subito le fusa.
Osservò ammirata i cesti e le corone intrecciate dalla donna, le cui dita abili sembravano in grado di realizzare ogni cosa.
Lei creava, non distruggeva, pensò.
Si sentì immensamente triste, inutile e sola, e riprese a camminare senza meta.
Era come se la sera prima, fra le parole di Linalee, la sbronza e il risveglio, quella stessa mattina, le avessero mostrato chiaramente quanto lei stessa desiderasse con tutte le proprie forze non odiare più, quanto avrebbe voluto lottare per costruire qualcosa, anziché per distruggere un nemico sconosciuto e se stessa assieme a lui.
Ma una parte di lei non riusciva a sganciarsi da quel destino d’odio.
Era come se il suo intero corpo si ribellasse di fronte alla prospettiva dell’abbandono del desiderio di vendetta per tutto il dolore e la sofferenza che avrebbe provato finchè l’innocence non l’avesse sfiancata.
Pensandoci, lo sentì montare, furioso e possente come prima, ma c’era qualcosa di diverso.
C’era un rimpianto, c’era una domanda: doveva davvero vivere così?
Non poteva rinunciare a tutto ciò che era stata e a ciò che aveva pensato fino a quel momento, non lo voleva, eppure non poteva chiedersi se quella voglia di una punizione per i suoi carnefici non potesse convivere con il desiderio di avere una vita normale.
Con amicizie, dissidie, amore.
Amore.
L’ultima parola le fece salire alle labbra un sorriso sarcastico, mentre pensava a Marian: non poteva esserci amore, con quell’uomo, no. Per una serie infinita di motivi, fra i quali il fatto che fosse un donnaiolo incallito con la tendenza a sparire nel nulla era solo l’ultima ruota del carro.
No, non il volto di Marian, ma un altro le era passato con un lampo nella mente.
-Eeeeeehi! Hoshi!- quella voce giuliva e sguaiata le impedì di comprendere razionalmente chi fosse.
Si girò con un moto di stizza
: ecco, aveva appena pensato di abbandonare la via dell’odio, perché doveva comparire proprio lui a ricordarle quanto fosse giustificata?
-Che vuoi?- ringhiò, nel malumore più completo a causa del chiasso improvviso e dell’interruzione netta dei suoi pensieri.
Il rosso alzò le braccia –ti ho vista camminare sola soletta e ho pensato di accompagnarti!- esclamò semplicemente, tenendole dietro.
-E cosa ti fa pensare che io non stessi bene da sola?- chiese lei seccata, non riuscendo a scollarselo dai talloni neppure aumentando il passo.
-Chiamalo intuito da Bookman- sorrise lui, per niente infastidito dalla stizza della ragazza.
-Allora fa piuttosto schifo, lasciatelo dire- sbottò Hoshi, fermandosi di schianto quando davanti a loro si aprì lo spiazzo che dava direttamente sul mare.
-E tu lasciati dire che quando fai così sei peggio di Yu- fece Lavi noncurante.
-Si può sapere che vuoi?- Hoshi raccattò un sasso da terra e lo lanciò nell’acqua. Quello fece un volo di svariati metri prima di atterrare con un tonfo sonoro nell’acqua piatta come una tavola e blu come il cielo terso.
-Solo chiacchierare, niente di che-
-Ci sono Linalee e Allen, per questo- replicò lei freddamente, ricominciando a camminare.
-Ma con te non l’ho mai fatto-
-E non sai quanto vorrei che le cose fossero continuate in questo modo! Non ho intenzione di venire a parlarti della mia vita, e tantomeno mi interessa la tua, quindi perché non vai a gridare al vento, se proprio vuoi sprecare il fiato?- schizzò acida Hoshi, girandosi una buona volta a guardarlo –che c’è, credi di essere tanto irresistibile e divertente? Beh, mi dispiace deluderti, ma non lo sei, affatto. Sei soltanto un ipocrita esattamente come tutti, solo che ti nascondi sotto la maschera dell’amicone. Non serve che tu finga: vai ad autocompiacerti del tuo ruolo da qualcun altro!- respirò affannosamente, cercando di recuperare fiato. Non aveva previsto di scoppiare in quel modo.
-Allora anche tu sei capace di arrabbiarti…- mormorò Lavi fissandola –credevo non riuscissi a riscaldare tutto quel gelo che ti circonda-
-Ha parlato mister sincerità. Vai a fare le tue prediche da un’altra parte, ti ho detto. Qui non serviranno a niente- Hoshi gli girò nuovamente le spalle e si incamminò verso la locanda, decisamente più stizzita di quando era uscita. A distanza, poteva udire i passi di Lavi nella sua stessa direzione.
Decisamente, se poteva sopportare Allen e Linalee, Lavi per lei era troppo.




Note dell'Autrice:

Non succede quasi nulla in questo capitolo T_T mi farò perdonare con i prossimi, so che sto andando un po' a rilento... ma non ho molto tempo per scrivere, purtroppo ç_ç
Non mi accollo nessuna responsabilità per i metodi di Allen per far smaltire la sbornia: me li sono inventati di sana pianta XD
Vado gente, sto crollando dal sonno.

Grazie infinite a Sherly, l'unica commentatrice di questa disgraziata fanfiction X°D

Bethan

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Capitolo 11
*** Fallen into a Top Hat ***


-Oddio, ma che cos’è?- Crowley fissò allibito l’enorme nuvola che si dirigeva a tutta velocità verso la nave.
-Sono akuma! Presto, in assetto da combattimento, tutti quanti!- gridò Bookman Senior, evocando la sua innocence.
Gli altri fecero lo stesso, ma la nuvola di akuma oltrepassò l’imbarcazione senza nemmeno soffermarsi.
-Cosa? Sono passati oltre?- Lavi era allibito.
-Hoshi! Allen!- il grido di Linalee li mise tutti in allarme –gli akuma li hanno trascinati su!-
Un attacco improvviso alla nave li fece sobbalzare –dobbiamo difendere qui, se la caveranno- mormorò il rosso, il martello che già si ingrandiva a dismisura.

-Reggiti- fu l’unica cosa che Hoshi mormorò ad Allen, dopo averlo afferrato da sotto le ascelle e aver evocato le ali. Schizzò verso il cielo a tutta velocità, lasciandosi dietro la massa di akuma.
-Hoshi! Allen!- Linalee li raggiunse poco dopo, librandosi nell’aria grazie ai dark boots –state bene?- i due annuirono –ci avevano solo trascinati con loro, ma li ho sistemati- mormorò Hoshi –cosa diamine stavano cer…- la sua voce si smorzò sul nascere quando vide il chiaro obiettivo degli akuma all’orizzonte.
Un enorme tronco d’uomo, senza braccia, testa e gambe, di dimensioni gigantesche e con una croce stampata sotto il collo, galleggiava a mezz’aria pochi chilometri distante da loro.
La ragazza non smise un secondo di fissarlo a occhi sgranati, mentre planava pian piano a terra.
-Hoshi?- appena lo lasciò andare, Allen si accorse che stava tremando.
-Che ti succede? Cos’è quella cosa?- fissò Linalee agitato, ma gli rispose un altro sguardo attonito.
-La Caduta…- sussurrò la ragazza, mentre le lacrime le scendevano lungo le guance –ma… Suman era un compatibile. Perché è caduto?-
-Cos’è la Caduta? Che significa? Chi è Suman?- l’albino era sempre più disorientato, ma Hoshi si alzò in piedi e si accucciò davanti a Linalee –lo sistemo io, quello- mormorò, guardandola negli occhi –ti prometto che cercherò di non ucciderlo. Ti prometto che cercherò di salvarlo. Ma tu va’ via, è la mia battaglia- la cinese la fissò per qualche istante, poi annuì e schizzò nella direzione da cui era venuta.
-Hoshi, che cos’è?- sussurrò di nuovo il ragazzo, avvicinandosi a lei.
Gli sorrise, ma in quel sorriso non c’era gioia, e neppure odio.
C’erano paura, dolore, disperazione.
-E’ quello che potrei diventare io- mormorò solamente –la Caduta. Il peccato che investe coloro che si sono avvicinati a Dio senza esserne scelti. L’essere inghiottiti e consumati dall’innocence- le sue dita sfiorarono i braccialetti che aveva ai polsi –non so come abbia fatto un compatibile a cadere, non so come sia possibile. So che è ciò che succede quando un non compatibile cerca di sincronizzarsi- gli occhi di Allen si spalancavano sempre di più mano a mano che la ragazza parlava.
-Hoshi, quindi tu hai…- lei scosse la testa, come a intuire la domanda inopportuna.
Non avrebbe voluto dirgli tutto, ma a quel punto pensò che ci fosse rimasta ben poca scelta. Decise di fidarsi di Allen.
-Riuscivo a utilizzare l’innocence di Marian, Judjement. Perciò mi portò all’Ordine, e Heb inserì forzatamente l’innocence nel mio corpo- la voce le tremò, come sempre quando ricordava quei momenti –non si sa come, non fui inghiottita dall’innocence come gli altri milioni prima di me. Forse il mio destino è stato solo peggiore. Forse il dolore che avverto quando entro in contatto con l’innocence è solo un altro tipo di punizione- concluse piano, abbassando la testa.
Allen non disse niente, ma mentalmente si stava dando dell’idiota in tutte le lingue del mondo per aver anche solo pensato di poter indovinare la ragione dell’odio della ragazza.
Era ovvio che odiasse l’Ordine e odiasse loro, pensò. Non riusciva nemmeno a immaginare cos’avrebbe provato lui in una situazione del genere.
-Hoshi, io… non so cosa sia successo a quell’esorcista- esordì facendosi più vicino a lei e scostandole i capelli dal viso con un dito. Stranamente non lo scansò con un colpo di spada. Vide che i suoi occhi neri erano lucidi.
-Però ti prometto che farò di tutto per salvarlo, per non lasciarlo in balìa dell’innocence- la ragazza si girò lentamente a guardarlo, in volto un’espressione smarrita e confusa.
Il boschetto di canne di bambù in cui erano atterrati iniziava a farsi buio, il sole che calava inesorabilmente dietro i monti della Cina.
-Non diventerai così- mormorò Allen, e il suo braccio si mosse totalmente contro la sua volontà, aggirando le spalle di Hoshi e tirandola a sé. La ragazza non protestò, non si mosse, si limitò ad appoggiare la testa sulla sua spalla.
C’era qualcosa in Allen che le impediva di respingerlo come faceva col resto del mondo. Lo sentiva più vicino a sé di quanto nessuno fosse mai stato, seppure si conoscessero poco.
Del resto, non gli aveva detto il suo vero nome per sbaglio. Sbronza o meno, aveva fatto crollare una delle sue barriere più resistenti senza fare praticamente nulla, e questo qualcosa doveva pur voler dire.
Un boato così forte da far tremare la terra li riscosse. Hoshi fissò lo sguardo sul Caduto, uno sguardo non più perso, ma determinato, poi si girò verso Allen –andiamo- mormorò. Lo afferrò per le braccia e spiccò il volo, divenendo un puntino nel cielo.

---

-Ehi! Che diamine sta succedendo laggiù?- il Caduto stava distruggendo qualsiasi cosa trovasse sul proprio cammino.
Gli esorcisti rimasti sulla nave potevano solo pregare che non si rivolgesse in quella direzione, perché se oltre agli akuma avrebbero dovuto affrontare anche quello, sarebbe stata la fine.
-Sta per essere inghiottito dalla potenza dell’innocence- sussurrò Linalee senza fiato, rispondendo a Lavi –Allen e Hoshi sono laggiù- mormorò. Il rosso le prese una mano, guardandola negli occhi –sono forti. Ce la faranno- disse, ostentando una sicurezza che non aveva. Loro non potevano in alcun modo abbandonare la nave, o per l’equipaggio sarebbe stata la fine.
-Mio fratello mi ha detto che non è possibile salvarlo- continuò la cinese in un sussurro ansioso.
Lavi non disse niente, sferrando l’ennesimo attacco ad un altro gruppo di akuma che li stava attaccando.

-Allen! Portala via!- Hoshi fece appena in tempo a scaraventare la bambina che aveva tratto fuori dal corpo di Suman in braccio ad Allen che fu risucchiata al suo posto.
Si trovò a galleggiare in uno spazio buio, che le levava totalmente il fiato, e che presto si popolò di immagini che le attraversarono la mente come se fossero parte integrante della sua vita.
Vide un uomo giovane con due bambini, un maschio e una femmina.
Lo vide partire, la bambina piangeva.
Vide un tizio con croci in fronte e con un cappello a cilindro fissare lo stesso giovane uomo, steso a terra in un lago di sangue, con un sorriso diabolico.
Vide l’uomo supplicarlo di non ucciderlo, e allora capì.
La spada comparve fra le sue mani e fendette lo spazio di fronte a lei, finchè Hoshi non riuscì a tornare all’aria aperta.
Evocando le ali, schizzò di fronte al mezzobusto di Suman che sbucava fuori da quella roba.
-Tu- annaspò, cercando di recuperare fiato –io e te siamo uguali. Tu hai pregato il demonio perché volevi tornare dalla tua famiglia, e l’innocence ti ha condannato senza considerare che stavi per morire per colpa sua. Tu la odi, e la odio anch’io- gli occhi dell’uomo, prima spalancati in un’espressione di dolore incosciente, la fissarono sorpresi.
Hoshi lo guardò di rimando –mordimi la mano, e non lasciarla andare per nessun motivo- mormorò.
-Hoshi!- la voce di Allen le arrivò dall’alto, poi il ragazzo si lanciò giù dalla spalla del Caduto, afferrandosi a lei –che vuoi fare?- la ragazza respirò affannosamente per lo sforzo di mantenere l’evocazione attiva tutto quel tempo.
-Allen, la vedi quella cosa laggiù?- indicò lo squarcio da lei aperto, in prossimità del cuore di quella figura enorme, dove si vedeva un braccio tramutato in arma anti akuma, l’innocence di Suman. L’albino annuì –bene, devi andare a prenderla, e staccarla da lui- disse Hoshi decisa –resterà senza un braccio, ma perlomeno rimarrà vivo- Allen la fissò con tanto d’occhi –e tu cosa farai?-
-Cercherò di tirarlo via da qui prima che salti tutto in aria. Puoi farlo, allora?- chiese brusca, guardandolo intensamente negli occhi.
Allen annuì, e la ragazza prese un respiro profondo –bene, allora io ti lancio verso quel buco. Fai più in fretta che puoi, e stai attento- prese lo sclancio e scaraventò l’albino dritto nella fessura, sentendo poi il dolore lancinante delle sue dita che venivano morse da Suman.
Poco dopo, sentì una scossa terribile propagarsi lungo tutto il suo corpo, infiammandole di dolore ogni singolo nervo.
Gridò a squarciagola, ma non consentì all’uomo di lasciare la sua mano.
Voleva salvarlo, doveva capire se per lei c’era una speranza oppure no, qualora fosse diventata così; doveva farlo per lui e per se stessa.
All’improvviso il mondo attorno a loro esplose con una luce accecante, tanto che Hoshi non riuscì più a vedere neppure Suman, che era a centimetri da lei.
Chiuse gli occhi, sentendosi cadere.

-Hoshi! Hoshi, svegliati!- la prima cosa che sentì fu il dolore alla mano. Si tirò su di scatto, facendo sobbalzare uno stravolto Allen. Erano in un boschetto di canne di bambù, simile a quello da cui erano partiti. Il cielo era completamente buio.
-Suman?- chiese subito lei, fissando l’albino. Quello esitò –è… è là, ma…- si interruppe.
-Ma cosa, Allen?- la ragazza piantò gli occhi in quelli grigi di lui, che la aiutò ad alzarsi –forse è meglio se vieni a vedere- mormorò, tirandola per un braccio. Appena furono vicini all’uomo, Hoshi capì istantaneamente l’esitazione di Allen nello spiegarle le sue condizioni.
Suman c’era, il suo corpo era lì, ma era come se non ci fosse.
Incosciente, privato del tutto della ragione.
Hoshi deglutì a vuoto, accucciandosi di fronte a lui e chinando la testa –allora non ci sono speranze- sussurrò, serrando le palpebre –è una condanna firmata- sentì la mano di Allen stringerle una spalla, poi un rumore strano le fece rialzare il capo di scatto.
Il corpo di Suman iniziò a coprirsi di bolle, sempre più grosse, finchè non esplose. Allen afferrò Hoshi per le spalle e la scaraventò dentro una chiazza enorme di cespugli, preso da chissà quale istinto. La ragazza non fece neppure in tempo a protestare che dagli alberi sbucò fuori lo stesso tipo che aveva visto nella memoria di Suman.
Il Noah col cappello a cilindro.
L’albino si mise un dito davanti alle labbra, e i suoi occhi schizzarono per un istante nella direzione di Hoshi, prima di fissarsi nuovamente sul tipo appena arrivato.
-L’hai ucciso tu?- chiese alzandosi in piedi. Quello per tutta risposta fece un largo sorriso, accarezzando una grossa farfalla nera che gli si era appena posata sulla spalla.
-Piccolo, tu sei Allen Walker, per caso?-
Hoshi, nascosta dietro al cespuglio, era completamente paralizzata. Perché quel Noah cercava Allen? Lo scrutò nuovamente, attenta a non sporgersi troppo: il suo viso, nonostante fosse calmo, le incuteva una paura terribile. Aveva gli stessi occhi dorati di Road, quella che avevano incontrato quando avevano recuperato Miranda.
Quando vide la mano dell’uomo infilarsi di netto dentro al petto di Allen, poco mancò che non urlasse. Si tappò la bocca, gli occhi spalancati, terrorizzata quanto l’albino, che però era ancora vivo e vegeto.
Quel terrore, non l'aveva mai provato. Non credeva ci fossero emozioni in grado di oltrepassare la sua indifferenza.
-Sai, io tocco solo ciò che penso di voler toccare. Immagina un po’ come sarebbe, sentirsi strappare il cuore dal petto- sussurrò dolcemente il Noah, avvicinandosi al ragazzo sempre di più.
“Che aspetti?! Esci di qui e vallo ad aiutare!” si gridò mentalmente Hoshi, ma le sue gambe non volevano saperne di schiodarsi dal punto in cui Allen l’aveva lanciata. La paura la paralizzava completamente.
-Beh, cominciamo col distruggere questa innocence così fastidiosa!- la mano dell’uomo si spostò sul braccio di Allen, che sotto il suo tocco andò completamente in frantumi. Il ragazzo urlò di dolore, e fu allora che finalmente il corpo di Hoshi si mosse.
-Baratro- mormorò, uscendo allo scoperto. Lo specchio nero si spalancò fra il nemico ed Allen, ma il Noah non dava segno di volersi far inghiottire.
Hoshi sogghignò: era fin troppo ovvio.
-Chi sei tu, piccola? Una sua amica?- sorrise, muovendo un passo per avvicinarsi a lei, ma la katana comparve in un lampo nelle mani di Hoshi e la ragazza si slanciò contro il Noah, arrivandogli così vicino da tranciargli una ciocca di capelli.
-Woah. Sei un bel tipino, ma non sei sulla mia lista- sospirò –non posso far fuori una così bella ragazza per passatempo, no?-
-A che gioco stai giocando?- sibilò Hoshi, attaccandolo di nuovo e frapponendosi fra lui ed Allen.
-Hoshi, no! Vai via, subito!- gridò l’albino, ma lei non gli diede retta.
-Tim, prendi l’innocence di Suman e portala via di qui. Torna dagli altri, muoviti- mormorò. Il golem dorato eseguì immediatamente, schizzando via.
-Uff, ti ho già detto che non- fece il Noah, arrivandole vicinissimo di schianto –voglio- le trapassò la testa con una mano –ucciderti- Hoshi sentì le gambe cederle improvvisamente, senza alcun dolore, e un senso di spossatezza incredibile piombarle addosso. Non riusciva neppure a mantenere l’evocazione.
-Bas... tardo- ansimò, cadendo in ginocchio –che… che mi hai fatto?- quello per tutta risposta sorrise di nuovo.
-Oh, fra poco cadrai in un bel sonno, ma non così in fretta- si spostò accanto ad Allen e prese in mano la farfalla –fagli solo un buco nel cuore, Tease, non distruggerlo. Almeno avranno il tempo di dirsi addio- Hoshi si gettò contro di lui, ma era troppo tardi: la mano e il golem dell’uomo entrarono e uscirono dal petto dell’albino, accompagnate da una fontana di sangue.
-A-Allen- bisbigliò Hoshi, l’incoscienza ormai sempre più vicina. Sentì le dita del braccio sano dell’albino stringere lievemente le sue, poi più nulla.
Prima che potesse urlare, precipitò nel buio.
-Bye bye, piccoli- furono le ultime parole che udì.






Note dell'Autrice:

Lo so, aggiorno a tempi spaventosi, ma spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo... è lungo e ricco di rivelazioni *__* credo sia fra i miei preferiti ^_^''
ODIO Tyki Mikk, non so se si nota dalle mie fanfiction XD
Non per fare spoiler, ma sto facendo un casino coi nomi di Hoshi nella parte di fanfiction che sto scrivendo... spero solo di non ingarbugliarmi troppo..! (siete ancora ben lungi dal leggerla XD credo sia la fanfiction più lunga che ho scritto *annuisce*)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto :) in periodo di esami non posso fare di meglio -___-

Rispondiamo ai commenti:

ValexAnime: anche se il tuo commento era al cap. 9 ti rispondo qui perchè l'ho visto adesso XD purtroppo Crowley non riesco mai ad inserirlo adeguatamente da nessuna parte... è un personaggio che non mi dice granchè >_> si, il rapporto con Linalee sarà moooooolto altalenante... è una storia piena di sconvolgimenti, e per quanto riguarda la night 205... ho già il mio piano d'azione *____* a dire il vero la storia l'ho già in mente tutta a grandi linee, però devo scriverne ancora un bel po'! Spero che continui a piacerti ^^

Sherly: ecco qui il cap. 11! Buona lettura ;)



A presto e qualcuno commenti! X°D

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Capitolo 12
*** Tears for Freedom ***


-Si è svegliata. Presto, chiama Linalee-
Hoshi aprì gli occhi, trovandosi a fissare un soffitto di legno e sentendosi avvolta in coperte soffici e calde.
Ma non si illuse che fosse la pace.
Ricordava tutto, e dentro sentiva soltanto un gelo immenso.
Rivide vivida la scena del Noah che estraeva la mano dal petto di Allen, assieme al sangue. D’istinto sollevò la mano destra, fissandosi le dita e ricordando la lieve, ultima stretta del ragazzo.
Era stata solo colpa sua. Perché non l’aveva aiutato? Perché si era fatta fregare da quel Noah come una pivella?
-Hoshi! Grazie a Dio ti sei svegliata! Come stai?- vide gli occhi viola di Linalee sopra il suo viso, e si tirò su a sedere.
Come andava?
E come diavolo faceva a rispondere?
Sentiva come se tutto dentro di sé stesse urlando a squarciagola un dolore che non aveva mai provato, e che era milioni di volte più intenso di quelli fisici che era ormai abituata a sentire.
-Dov’è?- sussurrò, fissandola. La vide abbassare lo sguardo.
-Non l’abbiamo trovato- le lacrime iniziarono a scorrerle lungo le guance –è arrivato Tim, ci ha fatto vedere la proiezione del luogo in cui eravate e ci ha dato l’innocence, ma quando siamo arrivati, c’eri soltanto tu-
Hoshi chinò la testa.
Rimasero in silenzio finchè qualcuno bussò piano alla porta –credo che dovreste venire entrambe. Vi farebbe bene sentire- Anita, un sorriso dolce stampato in viso, si avvicinò a loro, ma come fece per aiutare Hoshi ad alzarsi quella la scansò con un movimento brusco.
-Non mi toccare!- ringhiò, buttando da una parte le coperte e rimettendosi in piedi.
La sua mano sinistra era bendata, e una fitta sorda le ricordò che Suman gliel’aveva morsa fino a romperla.
Si diressero verso la hall della locanda e vi trovarono un signore di mezza età, con lunghe basette arricciate e una gigantesca barba.
Linalee sembrava conoscerlo, ma Hoshi era più interessata a ciò che aveva da dire.
-Allen Walker è alla nostra sede, attualmente. E’ vivo, ma ha perso l’innocence che aveva nel braccio- dopo che ebbe sentito quello, non ci fu bisogno per lei di sapere altro.
Era vivo, nonostante lei stessa non si spiegasse come diamine fosse potuta accadere una cosa del genere, ed era libero dall’innocence.
Linalee evidentemente non vedeva la situazione così rosea, dal momento che era scoppiata nuovamente a piangere. Hoshi si inginocchiò di fianco a lei, stringendole un braccio, ma senza guardarla negli occhi –è vivo. Ed è libero. Non c’è motivo di sentirsi tristi- mormorò, ma era solo una mezza verità.
Anche lei si sentiva triste, per una marea di motivi assieme.
Allen desiderava essere esorcista, e poteva ben immaginare quanto gli sarebbe pesata una volta ripresosi.
Avrebbe tanto voluto vederlo, pensò.
“Per cosa? E’ colpa tua quello che gli è successo” si disse subito, alzandosi e uscendo dalla locanda.
La nave, attraccata al porticciolo lì di fronte, era ridotta a brandelli.
-Questo è un bel guaio… non riusciremo mai a partire, così- Lavi le comparve accanto, il volto serio e privo di quel sorriso giulivo ad ogni costo che voleva sempre ostentare.
Hoshi lo trovò quasi più simpatico, ma subito accantonò quel pensiero.
Simpatico? Quel coniglio idiota? Doveva essere veramente stordita.
-Non preoccupatevi, il quartier generale ha mandato una nuova esorcista, grazie alla quale potrete partire subito- disse il tizio della sede Asia, indicando il ponte da cui stava scendendo una donna sui venticinque anni, con capelli neri e mossi, spettinati dal vento.
Hoshi la fissò con tanto d’occhi: quella era la donna che avevano recuperato dalla città del riavvolgimento!
Miranda evocò l’innocence, e la nave tornò come nuova sotto il suo influsso. Ma mentre tutti erano impegnati a rimirare il lavoro fatto e a impedire la morte per suicidio dell’insicurissima esorcista che si era appena buttata in mare, convinta di aver ecceduto, Hoshi riusciva a pensare solo all’effetto che quell’innocence le aveva fatto la prima volta.
E ora lei avrebbe dovuto viaggiare con quella tortura al seguito? Piuttosto sarebbe arrivata in Giappone a nuoto, pensò.
Anita le comparve accanto –il ciondolo che ti ho dato ti aiuterà a sopportare anche questo. Marian l’ha modificato apposta- le sorrise, un’espressione che non fu ricambiata da Hoshi.
L’avversità che sentiva verso quella donna sembrava sparita del tutto dal suo corpo, così come il fastidio per la vicinanza di Lavi o di altri esorcisti, sostituiti da un’indifferente apatia. Il dolore martellante che si faceva continuamente sentire da un luogo da cui non poteva essere eliminato l’aveva completamente fagocitata.
Si sentiva stordita, e l’unica cosa cui riusciva a pensare era che avrebbe voluto vedere Allen, accertarsi che stesse bene e chiedergli scusa per non averlo aiutato.
Ma non poteva farlo, e con ogni probabilità non l’avrebbe rivisto mai più. Lo ammise con se stessa: era questa la cosa che più le faceva male. Non ne capiva il motivo, ma era inutile fingere.

-Queste sono le nuove divise, me le ha date Johnny alla Home- disse Miranda, asciugandosi i capelli con un asciugamano.
Hoshi si infilò dietro un paravento e scartò l’abito: consisteva nell’abituale mantello che scendeva, nero, fino ai piedi, chiuso sotto al collo con una spilla recante il fregio dell’Ordine. Sotto, una casacca bianca e pantaloni neri, stretti e morbidi. Ai piedi i soliti stivali. La indossò.
-Sono comode, e leggerissime!- sentì la voce di Lavi nella stanza.
-Linalee, qui c’è anche la tua…- disse gentilmente Miranda, ma la cinese era seduta su una cassapanca, fissando il vuoto con sguardo spento. Hoshi pensò che in quel momento dovessero assomigliarsi davvero tanto.
-Miss Lina si sente colpevole per la sorte di Allen. Pensa che sarebbe dovuta essere là ad aiutarlo- mormorò Bookman Senior, scoccando un’occhiata in tralice a Hoshi, che non ci badò e si avvicinò alla cinese, accucciandosi davanti a lei e asciugandole una lacrima dal viso.
-Non è colpa tua. E’ a causa mia che è successo tutto quanto- mormorò. Trasalirono entrambe quando Lavi ruppe un vetro con un cazzotto.
-Insomma, vuoi dirci o no cos’è successo?!- l’aggredì –c’eri tu con Allen, no? Come mai ha perso l’innocence? E Suman? Che fine ha fatto?- gridò. La ragazza si alzò in piedi con tutta calma, la voglia di urlare repressa a stento, e si avvicinò al rosso, fino ad essere distante pochi centimetri.
-La colpa è mia. Punto. Se vi serve per andare avanti, pensatela così. A me non importa- sibilò a fatica, controllando l’esplosione che avrebbe lasciato libera una volta sola.
-Senti ragazzina, forse a te potrà anche non fregartene nulla di tutti noi messi assieme, ma a noi interessa gli uni degli altri! E vogliamo sapere cosa diamine è successo!- il rosso la prese bruscamente per le spalle, ma Hoshi gli tirò uno schiaffo così violento che lo fece barcollare.
Una lacrima sfuggì alla sua guardia, solcando la guancia chiara. La ragazza strinse per un attimo gli occhi, poi corse fuori dalla stanza, sbattendo la porta.
Percorse a passo svelto tutto il ponte della nave, incurante delle occhiate a metà fra il reverenziale e l’intimorito che le lanciavano i marinai, e si sedette a cavalcioni della prua, col viso rivolto verso il mare.
Solo allora permise alle lacrime di scendere, senza che nessuno le vedesse. Tirò su il cappuccio del mantello per proteggersi dal vento e per celare meglio una sofferenza di cui neppure lei conosceva l’origine.
Il grigio delle onde, dello stesso colore del cielo plumbeo sopra di loro, le mise nostalgia.
“Mi dispiace, Allen” pensò, frenando a stento i singhiozzi “non volevo” chinò la testa, raccogliendo le ginocchia al petto, e rimase lì.





Note dell'Autrice:

Ommioddio che capitolo deprimente! Mi sento sempre triste quando leggo questo pezzo! ç_ç
Insomma, qualcuno che legge mi faccia capire se questa storia fa schifo o meno, please!!! >_______<

A presto!

Bethan

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Capitolo 13
*** The Girl from the Moon ***


-Lavi, sei un idiota!- Linalee era scattata in piedi non appena Hoshi aveva lasciato la cabina –è chiaro che è successo qualcosa di grave, è chiaro che anche Hoshi è sconvolta e che probabilmente si sente responsabile. Come ti è saltato in testa di aggredirla in quel modo?- disse severamente fissando il rosso in cagnesco.
Bookman rincarò la dose –non ti ho insegnato ad essere un osservatore imparziale, Lavi? Non metterti in testa di ricoprire un qualche ruolo qui che non sia il tuo- mormorò seccamente –e poi, non credo proprio che la storia di quel ragazzo sia finita- disse sibillino, con un mezzo sorriso.
-F-forse dovresti chiederle scusa- bisbigliò incerta Miranda, temendo un’esplosione del ragazzo sotto quel bombardamento di critiche.
-E va bene, e va bene! Ho capito, vado a chiederle scusa!- sbottò, uscendo anche lui dalla porta.
Pochi istanti dopo, un boato fragoroso ruppe il silenzio, e un colpo terribile fece oscillare la barca.
-Sul ponte!- gridò Miranda, cadendo in ginocchio all’improvviso –sul ponte si sta verificando una recovery continua!- gli altri esorcisti schizzarono fuori, evocando a loro volta l’innocence.

-Sta’ zitto! Su di me il virus non ha effetto, piantala di gridare!- Hoshi respirò affannosamente, mentre l’azione dell’innocence di Miranda le curava le ferite con un bruciore dell’altro mondo.
Aveva visto la sagoma dell’akuma in lontananza, l’aveva visto prepararsi all’attacco, ma aveva erroneamente creduto che fosse diretto verso di lei, e non verso Lavi che si stava avvicinando alle sue spalle. Aveva solo fatto in tempo a scagliarsi contro il ragazzo e a ricevere i proiettili al posto suo, per chissà quale istinto suicida.
Lavi scagliò il timbro di fuoco direttamente sull’akuma, che però non fece una piega, continuando a librarsi nell’aria. Sembrava un enorme scheletro nero.
Attaccò velocissimo, e il pugno arrivò incredibilmente vicino alla testa del rosso, ma stavolta Hoshi era pronta.
-Baratro!- gridò. Lo specchio si materializzò all’istante, e l’akuma si ritrasse.
-Titolo- gracchiò con voce metallica, afferrando Hoshi per il collo così velocemente che la ragazza non ebbe il tempo di fare niente. La scagliò in aria, colpendola al petto. Hoshi gridò dal dolore, sentendo le costole rompersi per l’ennesima volta.
-“La ragazza e la luna”- concluse l’akuma, salendo verso di lei, ma Hoshi si sentì afferrare al volo e riportare verso la nave, dove la recovery la rimise in sesto.
-Lavi, pensa tu ad Hoshi- Linalee corse lungo tutto il manico del martello, saltando nell’aria –a distruggere quello ci penso io- mormorò.

---

Allen si svegliò di soprassalto, trovandosi a fissare un soffitto bianco.
Avvertì la sensazione delle bende alla mano e al torace, e il ruvido di una coperta di lana stesa addosso.
Era vivo.
Inspiegabilmente, era ancora vivo.
Aveva un buco nel cuore, ma era ancora vivo.
Lacrime iniziarono a scorrergli lungo le guance, sentiva le spalle tremare incontrollate, scaricare di colpo tutta la tensione e la paura che aveva avuto.
Ricordò un tocco caldo sulla mano destra.
Hoshi.
“Maledizione” pensò, cercando di alzarsi.
Lei aveva visto tutto. Lo aveva visto… morire.
Cosa le era successo dopo? Cosa le aveva fatto quel Noah? Aveva detto di non volerla uccidere, ma Allen non poteva fare a meno di non fidarsi, chissà come mai.
Si mise in piedi, uscì dalla stanza e iniziò a vagare alla cieca, totalmente ignaro di dove si trovasse, sperando di individuare qualcuno a cui chiedere.
Si trovò di fronte ad un enorme portone, chiuso.
-Hai bisogno di qualcosa?- chiese una voce alle sue spalle.
Allen fece segno di no con la testa –sono solo arrivato fin qui, ma non si apre. Cosa c’è dietro?- chiese, riferendosi alla porta.
-C’è il nostro dio protettore, ma è sigillata. Allora non vuoi niente?- continuò la voce.
L’albino abbassò lo sguardo, senza girarsi verso il punto in cui supponeva trovarsi il suo interlocutore, una sola, apparentemente insignificante, domanda in testa.
-Vorrei sapere come sta- mormorò.
-Chi?- la voce era confusa.
-Hoshi- Allen serrò gli occhi, mentre nella sua mente riviveva con chiarezza tutta la scena –io l’ho lasciata là, dopo averle promesso che avrei salvato Suman, quando avrei dovuto mostrarle che esiste una speranza! Devo tornare!- esclamò, appoggiando il braccio ferito alla parete.
-Anche senza braccio sinistro?- fu la domanda, stavolta –non puoi combattere a fianco di altri esorcisti, sul campo, senza innocence, ma puoi scegliere un’altra strada ed essere ugualmente di supporto. Nemmeno Dio ti biasimerà per questo- continuò. Fu solo allora che Allen si girò, trovandosi faccia a faccia con un giovane uomo, biondo e con uno strano cappello in testa.
-Dio?- fece un sorriso, pensando a Hoshi e a quanto lei odiasse quel nome. Adesso la capiva, in un certo senso. Dopo aver visto la Caduta, dopo aver saputo contro cosa doveva lottare lei ogni giorno, non poteva fare a meno di chiedersi se questo Dio che tutti loro servivano fosse veramente così giusto. –E chi se ne importa- mormorò, sentendo le lacrime ricominciare a scorrere.
-Io sono arrivato fin qui perché mi sono posto un obiettivo! L’ho fatto in onore di Mana, lo faccio in aiuto ai miei compagni! Non posso mollare, non ho altre strade!- gridò con tutto il fiato che aveva in gola, picchiando la parete con la mano ferita, incurante del dolore e della scia di sangue che stava lasciando sull’intonaco.
-Basta così, Allen Walker- il suo interlocutore sorrise, poggiandogli una mano sulla spalla –sono Bak Chan, supervisore della Sede Asia. La tua innocence non è morta, dovevo solo verificare le tue motivazioni- disse –se verrai con me, ti dirò tutto con calma- l’albino, semplicemente incredulo, lo seguì.
Forse non tutto era perduto.
-Hoshi è la ragazza che era con te nella radura?- chiese Bak mentre camminavano. Allen annuì.
-Four l’ha trovata assieme a te, ma l’ha lasciata lì- continuò l’uomo imbarazzato –però abbiamo mandato un nostro membro ad avvertire della tua situazione, e fra i componenti del gruppo ha descritto anche una ragazza con i capelli bianchi. E’ lei?- l’albino fece nuovamente cenno di si, sollevato.
Allora stava bene.
In quel momento, decise di fare l’impossibile pur di tornare a combattere al più presto.

---

Improvvisamente, la nave cominciò a tremare.
-Un terremoto..!- Lavi si afferrò alla balaustra, senza lasciar andare Hoshi.
-Ma siamo in mare, com’è possibile?- anche Crowley faticava a mantenere l’equilibrio, e in un lampo la poppa dell’imbarcazione si immerse completamente nell’acqua, cominciando ad affondare.
-La nave sta affondando!- gridò Miranda, mentre tutti erano in preda al panico più completo.
Una catena elaborata comparve attorno all’innocence della donna.
-E’ la dark matter- susurrò Hoshi –Linalee dev’essere nei guai, vado anch’io- si staccò dal rosso ed evocò le ali.
-Ferma, Hoshi!- Miranda la afferrò per una manica, cercando di non piombare nell’acqua scura sottostante –la mia recovery non copre fino laggiù, le tue ferite torneranno fuori!- ma Hoshi se la scrollò bruscamente di dosso –non importa! Le mie ferite non sono niente di grave- mormorò, spiccando il volo alla massima velocità possibile.
-Ma che dici, le costole..!- le gridò dietro Lavi, ma la ragazza era già lontana, e non sarebbe tornata indietro.

La katana si abbattè sull’akuma sprizzando una marea di scintille contro la sua pelle coriacea, e Hoshi si portò fra lui e Linalee.
-Titolo- fece il nemico, senza fare una piega, ma la ragazza gli si scagliò di nuovo addosso, colpendolo a più non posso.
-Linalee! Non posso nulla contro questo qua!- gridò, sperando che in qualche modo capisse. Lei poteva soltanto distrarlo, almeno finchè non ne avesse trovato il punto debole.
La cinese afferrò il concetto e gli sferrò un poderoso calcio da dietro, ma fu allora che Hoshi si sentì trascinare inesorabilmente verso il basso.
-Ma che diamine..?- sussurrò, sbattendo furiosamente le ali per rimanere in aria, ma una gamba le era già sprofondata nell’acqua, e lo stesso stava succedendo anche a Linalee.
-Due fanciulle inghiottite dall’oscurità- sibilò l’akuma, e Hoshi sentì all’improvviso l’acqua richiudersi sopra di lei e il fiato mancarle.
Tutto si faceva sempre più buio, e non capiva se la sua stessa paura la stava facendo svenire o se davvero il profondo del mare non riceveva un barlume di luce.
In un lampo, un’immagine luminosa le passò nella mente.
Allen.
Strinse i pugni: non poteva morire lì. Doveva rivederlo, lo sentiva. Doveva capire.
“Evocazione, limite massimo” pensò, sentendo il suo organismo sforzarsi a dismisura.
“Caduta dalle Stelle”
L’acqua attorno a sé si illuminò all’improvviso di una luce accecante, che avvolse interamente la dark matter, sgretolandola come ferro arrugginito.
Le ali ricomparvero sulla sua schiena, bianche e luminose, e Hoshi diede delle poderose spinte, afferrando Linalee e tirandola fuori dall’acqua, all’aria gelida.
La cinese iniziò subito a tossire, cosa che sollevò Hoshi, dal momento che indicava che era ancora viva.
-Ho… shi?- mormorò incredula, ma la ragazza non aveva tempo da perdere. Non poteva certo mantenere quello stato di cose a lungo.
-Rimettiti in sesto, Linalee- disse piano, fissando l’akuma con tutto l’odio di cui era capace –la partita è ben lungi dal concludersi!- appena la cinese ebbe rievocato i dark boots, Hoshi si scagliò contro il nemico.
I suoi capelli si erano allungati, arrivavano ora fin sotto ai fianchi, e risplendevano candidi, come se fossero fatti di luce. Dietro la schiena di Hoshi, galleggiava lo Specchio, a proteggerle le spalle.
-Se proprio devo precipitare all’Inferno, non ci andrò da sola, akuma!- gridò, tranciandogli di netto un braccio con la spada.
Sentiva le forze scemarle rapidamente, e l’innocence acquisire sempre più presa sul suo corpo, divorandola.
-Linalee, aiutami!- urlò, inseguendo l’akuma.
La ragazza, ancora parzialmente avvolta dalla dark matter, schizzò in aria, altissima, fino a quando Hoshi non riuscì a distinguere che un puntino nel cielo, ma che si ingrandiva sempre di più.
Appena si rese conto di cosa voleva fare, Hoshi si maledisse in tutte le lingue e anche al contrario.
-Fermati…- sussurrò, fissando il cielo con gli occhi spalancati. Poi Linalee, completamente avvolta dalla dark matter, iniziò a precipitare verso di loro.
Fulminea, Hoshi evocò la Polvere, immobilizzando l’akuma, e si tuffò sott’acqua, girandosi di schiena.
Doveva stare attenta, molto attenta: se avesse assorbito anche Linalee, non ci sarebbero state speranze di recuperarla.
“Sprigionamento, percentuale massima di sincronizzazione, diametro massimo” lo Specchio si ingrandì a dismisura e Hoshi sentì chiaramente l’akuma precipitarvi dentro.
Fu allora che vi si sganciò, afferrando Linalee per un pelo e traendola fuori dal vortice. Era in condizioni pietose, l’attrito con l’aria e con l’acqua l’aveva coperta di bruciature, e i capelli erano cortissimi.
“Chiusura!” lo Specchio scomparve, inghiottendo l’akuma e la dark matter assieme ad esso. Hoshi si spinse verso la superficie, trascinando la cinese con sé. Vide strani simboli sulle sue gambe, e Linalee non accennava a risvegliarsi.
L’evocazione cessò contro la sua volontà: il suo corpo era esausto.
-Linalee- ansimò, cercando di tenere a galla entrambe –ti prego, svegliati- sussurrò –io posso anche morire, ma non lascerò che tu mi segua- la sagoma delle ali brillò sulla sua schiena, ma una voce conosciuta la fermò.
-Ehi, posso portarvi io!-
“Questo…” pensò Hoshi, rivolgendo lo sguardo verso l’alto: un akuma le stava fissando sorridendo in modo stranamente amichevole. Hoshi lo riconobbe e il cuore le fece un balzo.
-Chomesuke..?- mormorò –salva Linalee, lei… non si sveglia!- improvvisamente la ragazza sentì qualcosa allontanarla dalla cinese, e una luce accecante le esplose a fianco, tanto che dovette rituffarsi sott’acqua per sopportarla.
-Linalee!- gridò, riemergendo e vedendo qualcosa di incredibile.
La ragazza, sempre svenuta, galleggiava in una sorta di gigantesco cristallo che l’aveva avvolta all’improvviso.
-Ma… che significa?- Hoshi nuotò verso di lei, ma l’akuma la afferrò e la issò sulle proprie spalle, provvedendo poi a farsi carico anche della mora.
-L’innocence l’ha salvata- disse semplicemente –dov’è la tua nave? Questa cosa mi fa male alle mani- Hoshi gli indicò la direzione, pregando che fossero tutti sani e salvi.
Un’ultima volta per quella giornata estenuante si trovò a pensare ad Allen, mentre l’aria che le sferzava il viso sembrava volesse fare di tutto per farla cadere nell’acqua.
Era merito suo se erano vive, in un certo senso, pensò.
Se non le fosse venuto in mente mentre stava per affogare, forse avrebbe lasciato perdere tutto.
Non era davvero stato un caso, se inconsciamente gli aveva detto il suo vero nome.

-Ehi! Che cos’è quell’affare?- Crowley indicò una sagoma luminosa nel cielo, e Lavi scattò subito in guardia.
-E’ un akuma! Ce ne sono altri?- afferrò faticosamente il martello, ma quando quello fu sopra la nave ne discese una figura familiare –fermi! Non è un nemico!- Hoshi crollò sfinita sul ponte, il corpo che le tremava in modo incontrollabile. Miranda le fu subito vicino, e Chomesuke lasciò andare il cristallo con un sospiro di sollievo.
-Cos’è successo? Perché Linalee è lì dentro?- chiese Lavi. Hoshi gli raccontò in breve tutta la sequenza, ansimando per lo sforzo, e all’affermazione che l’innocence di Linalee l’aveva salvata per sua scelta ci fu un momento di agitazione generale.
La ragazza iniziava a non capire più niente. Sentiva la testa ovattata, i brividi scuoterle il corpo, e un dolore lancinante alla schiena.
-Com’è possibile? Neppure la mia recovery ha effetto…- sussurrò Miranda atterrita, fissando il dorso di Hoshi.
-Che… che c’è?- balbettò lei, la vista offuscata, ma prima che qualcuno potesse risponderle vide tutto farsi nero.




Note dell'Autrice:

Uff, questa fanfiction mi sta uccidendo... perdonatemi, ma finchè non saranno finiti gli esami sarà dura per me aggiornare con regolarità! ç___ç
Capitolo drammatico... ma dal prossimo (spero) le cose inizieranno a farsi un po' più chiare... intanto io sto continuando a scriverla, ma chi me l'ha fatto fare di pubblicarla prima che fosse finita??? T____T
Le parole di Allen a Bak non sono uguali a quelle del manga... non avevo voglia di andarle a cercare per copiarle, perdonatemi XD

Rispondiamo ai commenti (e torniamo a studiare ç__ç):

Ciel 88: sono contenta che la storia ti piaccia ^^ scrivendola via via ho in mente così tanti colpi di scena che sarà un miracolo se entro l'anno l'avrò finita XD per quanto riguarda il povero Lavi... non hai ancora visto nulla, purtroppo XD cercherò perlomeno di dargli una conclusione felice, ma è ancora tutto da vedere! Su Allen... ho la bocca cucita u.u

Haruharuchan: sono contenta che ti piaccia ^^ continua a seguirla, mi raccomando! :D

Sherly: periodi bui? Mi sembra un eufemismo, se penso a quello che deve ancora succedere..! Ma non avrai una parola da me u.u niente spoiler come le volte scorse!!! :P

A presto!! Continuate a recensire ^____^

Bethan

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Capitolo 14
*** Reunion Tears ***


-Anita?- Hoshi entrò nella sua cabina dopo aver bussato cautamente. La donna si girò verso di lei con un sorriso –sono felice di vederti già in piedi. Eri conciata proprio male, e quella bruciatura…- la ragazza tagliò corto –è tutto a posto. In poco tempo mi sarò ripresa- mormorò, sapendo benissimo che non era così.
La sua schiena era quasi completamente coperta da una gigantesca ustione, frutto dell’eccessivo sprigionamento dell’innocence, ed in particolare del Baratro. Lei e quella roba erano connesse così intimamente che non sarebbe stato minimamente pensabile il poter inghiottire una mole di dark matter simile a quella che aveva assorbito lei senza ripercussioni sul fisico.
Ma, a parte lo shock, non sembrava una reazione di rigetto, né faceva troppo male.
No, era lì per un motivo diverso dal commentare le sue ferite, di sicuro minori di altre.
-Io… volevo dirle che Marian mi ha parlato spesso di lei- esordì, imbarazzata. L’antipatia per quella donna, natale solo per il fatto che avesse frequentato Cross, era come svanita, a fronte di qualcosa di ben più grave ed importante.
Hoshi non si faceva illusioni come gli altri, su quanti oltre a loro esorcisti sarebbero usciti vivi da quella nave.
Anita sorrise –non devi parlarne, se non vuoi. E’ normale avere un po’ di astio- ma Hoshi scosse la testa –non è che me ne importi granchè… adesso- disse, sviando gli occhi da quelli azzurri della donna. Meglio che non si accorgesse su chi verteva il suo cambiamento di trasporto, e non poteva fare a meno di pensare che sarebbe stato meglio se lei stessa l’avesse ignorato.
-Lui… credo che lui ti ami sul serio. Altrimenti non me ne avrebbe mai parlato, non in quel modo- vide gli occhi di Anita riempirsi di lacrime a quelle parole, e un sorriso triste spuntarle alle labbra.
-Credo sia stato l’unico uomo che sia riuscito a farsi ricambiare- mormorò in risposta.
Hoshi abbassò il capo –mi…- le parole erano così inutili che le si mozzavano in gola –mi dispiace. Non avresti mai dovuto seguirci in questo viaggio, l’innocence non porta che sofferenza a coloro che non sono stati scelti-
-Va bene così. Ho deciso io di seguirlo, e di aiutare voi a trovarlo. Ogni vita ha il suo scopo ultimo, e il mio è stato questo, anche se breve- Anita le sorrise, accarezzandole una guancia –digli da parte mia che è l’unica cosa che sto rimpiangendo in questo momento- sussurrò, guardandola negli occhi. Hoshi stavolta non distolse lo sguardo, ma annuì –te lo prometto, glielo dirò- si congedò e chiuse piano la porta, intravedendo Anita prendersi il viso fra le mani.

-Siete sopravvissuti soltanto voi?- la voce di Linalee tremava, e Hoshi non ebbe il coraggio di guardarla negli occhi. Fissò ostinatamente l’orizzonte, trattenendo un nodo in gola che premeva a dismisura per uscire.
Li fecero salire su una scialuppa, che fu calata sulle spalle di Chomesuke senza che Anita e il resto del gruppetto li seguisse. La donna sorrise a Hoshi, e accarezzò i capelli cortissimi di Linalee.
-Hai degli splendidi capelli neri- mormorò sorridendo. Sul viso di Linalee parrò un barlume di comprensione, seguita subito dopo dalla disperazione.
-No!- gridò, ma Anita non smise di sorridere.
 -Falli ricrescere, eh- disse. Poi annuì, rivolta a Miranda che piangeva a dirotto.
-Non posso- sussurrò lei –non posso scioglierlo- Hoshi le posò una mano sulla spalla –fallo. Adesso, non c’è scelta- tremando, la donna obbedì, e l’akuma schizzò via prima che potessero vedere i volti dei membri dell’equipaggio coprirsi di stelle nere.
Hoshi dormì per tutto il tragitto del viaggio. Komui le aveva tassativamente ordinato di non usare l’innocence, a meno che non si fosse reso assolutamente indispensabile.

---

-Sembro proprio un clown- Allen entrò nella sala dove Bak e il resto della sezione scientifica stavano esaminando la sua innocence ristabilita.
-Com’è andata la tua ispezione?- chiese l’uomo.
-Bene, non hanno riscontrato anormalità- rispose l’albino, in un primo momento.
-Signor Bak…- aggiunse poi –quando posso partire?- l’altro sospirò: era ovvio, inutile pensare che se ne potesse star buono ad esercitare il suo nuovo potere.
-Sei sicuro di voler andare subito?- chiese, facendo un tentativo, ma il ragazzo annuì subito –i miei compagni sono a Edo, saranno preoccupati per me. Devo tornare alla mia missione- disse fermamente.
Bak fece un cenno affermativo con la testa –vai a prepararti, apriamo il gate fra poco- l’albino schizzò nella sua stanza, i passi che si persero ben presto nel porticato.
Entrò e iniziò a raccattare oggetti alla rinfusa, considerando che in battaglia avrebbe dovuto essenzialmente essere leggero.
Sperava che gli altri non ce l’avessero troppo con lui per tutto il tempo che ci aveva messo a sincronizzarsi con l’innocence, ma non si fece troppe illusioni: sapeva che ci sarebbe stata almeno una persona che gliel’avrebbe fatto oltremodo pesare.
L’espressione terrorizzata che aveva scorto sul suo viso, l’ultima cosa che aveva visto prima di… morire –era ancora così strano pensare quella parola-, non voleva saperne di togliersi dalla sua testa.
E il suo nome. Quante volte l’aveva ripetuto?
Scosse il capo, interrogandosi se lo spazzolino da denti fosse assolutamente necessario: doveva smettere di pensare a lei in quel modo. Che gli era preso? Era come se la sentisse stranamente simile a lui, nonostante potessero sembrare diametralmente opposti, e da quando era arrivata all’Ordine non aveva potuto fare a meno di sentirsene inspiegabilmente attratto.
Rinunciò a preparare un qualsivoglia bagaglio con un nesso logico e afferrò solo qualcosa da mangiare, prima di tornare velocemente nella sala dove avrebbero aperto il gate.

---

Hoshi vide gli akuma puntare dritto verso di lei e Linalee: con la spada non ce l’avrebbe mai fatta a distruggerli tutti, e già l’evocazione le stava richiedendo uno sforzo immane.
-Linalee, mi sa che sono al limite- ansimò, alzandosi faticosamente in piedi e mettendosi davanti a lei –cercherò di trattenerli più che posso, tu scappa via da qua. Muoviti!- le gridò, vedendo che esitava.
Gli akuma le furono addosso, ne distrusse due o tre, poi la spada le scomparve dalle mani e sentì gli attacchi dei nemici colpirla in pieno.
Grazie al cielo era immune a quel virus, anche se non sarebbe sopravvissuta molto a lungo in quella situazione.
-Edge End!- i nemici furono spazzati via e sgretolati da una sorprendente onda d’urto. Hoshi fece appena in tempo ad evitarla gettandosi a terra e coprendosi la testa con le braccia.
-Hoshi! Stai bene?- quella voce… la ragazza spalancò gli occhi.
-CREPA!- udì uno schianto portentoso, poi la voce acida di Kanda.
-Mammoletta?! Che significa?-
-E’ quello che vorrei sapere anch’io- fu la laconica risposta.
Hoshi alzò la testa di scatto, trovandosi a fissare un Allen che a sua volta fissava in cagnesco Kanda, Mugen che strideva contro il suo braccio sinistro.
Allen era avvolto in un mantello bianco, al quale era legata una maschera simile a quella di un clown. Il braccio sinistro, che il Noah gli aveva distrutto davanti a lei, era di nuovo lì.
La ragazza lo guardò stordita: ok, le avevano già detto che era vivo, ma finchè non se l’era visto davanti aveva quasi faticato a crederci. E l’innocence? Come diamine aveva fatto a ricrescergli il braccio?
-A… Allen?- bisbigliò, cercando di rimettersi in piedi e sentendo urlare ogni fibra del suo corpo. Il ragazzo le sorrise, porgendole una mano.
Hoshi la afferrò, ma quando la aiutò ad alzarsi prese lo slancio e gli passò un braccio attorno al collo, in silenzio, appoggiando la testa sul suo petto.
Sentì il suo cuore, dove in teoria avrebbe dovuto esserci un buco, battere forte e regolare. Le dita di Allen non lasciarono la sua mano, intrecciandosi alle sue.
Rimasero così per qualche secondo, senza che nessuno dei due sapesse cosa dire, o forse senza che vi fosse bisogno di dire niente.

Linalee e Lavi fissarono a bocca aperta le due figure abbracciate in lontananza, cercando di connettere la Hoshi che conoscevano con quella che adesso non stava opponendo alcuna resistenza a un contatto così ravvicinato.
-Lina, ma fra Allen e Hoshi, cioè…- Lavi deglutì senza distogliere gli occhi –c’è del tenero, secondo te?- lei scosse la testa e abbassò gli occhi –non lo so- mormorò.
Perché il vedere Allen e Hoshi così vicini le dava quella sensazione sgradevole?
Erano entrambi suoi compagni, avrebbe dovuto essere contenta se fra loro vi fosse stato un sentimento più profondo.
A pensarci bene, non era solo il fatto di vederli vicini, quanto piuttosto il sentirli vicini.
Sembrava che entrambi fossero continuamente in lotta per non venire avviluppati da una condanna alle tenebre perenni, e se per Hoshi la causa di queste tenebre era nota, per Allen non si era ancora manifestata.
Il fatto che fossero entrambi inseguiti dall’oscurità, rendeva Hoshi molto più vicina ad Allen di quanto lei, Linalee, avrebbe mai potuto essere.
Questo, anche se ancora non ne capiva il motivo, la faceva star male.
-Linalee! Abbassati!- un corpo pesante si gettò su di lei all’improvviso, e l’aria fu avvolta da un rumore esplosivo ed allucinante, cui fece seguito un’onda d’urto che fece rotolare lei e il suo salvatore un bel po’ di metri indietro.
Quando la cinese si rialzò, quasi stentò a credere a ciò che vedeva.
Di Edo non era rimasta in piedi nemmeno una briciola.
L’intera città era stata disintegrata, ridotta a pochi cumuli di macerie instabili qua e là.
-Ugh…-
Sentì il lamento di fianco a sé e poco mancò che non le venisse un colpo.
-Hoshi! Ma che hai fatto?- la ragazza scosse piano la testa –non è nulla. Non credo che potrebbe andare peggio, ormai- mormorò, rialzandosi a fatica. La divisa era quasi a brandelli, il mantello lacero e le maniche strappate, da cui si intravedeva il rosso delle ferite.
-Sei ferita (ecco a voi Capitanessa Ovvio! Linalee il Genio! Scusate, ma dovevo scriverlo XD n.d.A), dobbiamo cercare un riparo- disse la mora, sostenendola.
Le aveva appena salvato la vita, e lei si preoccupava del fatto che avesse abbracciato Allen dopo che se l'era visto morire davanti. Si diede dell’idiota totale, aiutandola a camminare verso il punto in cui avevano scorto gli altri.
-Ce… ce la faccio ora- ansimò Hoshi, gettandosi a terra sotto l’arcata di un grande ponte, una fra le poche strutture di cui fosse rimasto qualche frammento.
Alcune ferite che si era procurata durante il combattimento sulla nave si erano riaperte, e la schiena le bruciava da impazzire per via dell’evocazione dell’innocence.
-Non avresti dovuto evocarla…- mormorò Linalee.
Hoshi fece un gesto seccato con la mano –ci avrebbero ammazzate entrambe. Smetti di preoccuparti e riposati, che pure tu non sei conciata bene- disse quasi bruscamente. La cinese si allontanò e lei chiuse gli occhi, cercando di recuperare un minimo di controllo sul suo corpo.
Ad un tratto, qualcuno la coprì con un mantello, facendola sobbalzare.
Si ritrovò a fissare gli occhi sgranati di Allen, sorpreso dalla sua reazione improvvisa.
-Scusa, non volevo spaventarti. E’ che pensavo sarebbe meglio tu non prendessi freddo- le sorrise imbarazzato e Hoshi annuì, spostando bruscamente lo sguardo verso terra e sentendosi arrossire.
L’albino si sedette accanto a lei, sospirando.
-Sono arrivato tardi. Scusami- mormorò dopo un po’.
Hoshi lo guardò con tanto d’occhi, dimenticando momentaneamente l’imbarazzo: era quasi morto perché lei era stata troppo incapace per aiutarlo e si scusava? Avrebbe dovuto provare un grosso istinto omicida nei suoi confronti, invece. Glielo disse e lui rise.
-No, nessun istinto omicida. Non sono affatto sicuro che al tuo posto io sarei riuscito ad avere una qualsiasi reazione. Anch’io ero terrorizzato. E poi- continuò, alzando di scatto la testa come se gli si fosse accesa una lampadina nel cervello –ha ferito anche te, giusto? Quando ti ha… ecco, insomma… la testa- balbettò a disagio.
Decisamente, la parola “trapassato” non aveva un bel suono in quel contesto. Hoshi sospirò –niente di che. Voleva solo farmi svenire, immagino lo divertisse l’idea…- si interruppe. L’idea di cosa? Di torturarla, di farla assistere. Non avrebbe voluto ammetterlo, ma vederlo uccidere Allen e non poter far niente per fermarlo era stata una vera agonia.
Le dita dell’albino si alzarono dal pavimento e le sfiorarono una guancia. Hoshi si rese conto di stare piangendo e scansò bruscamente la testa.
-Non… non è nulla- sussurrò, asciugandosi frettolosamente gli occhi con una manica –sono solo stanca, tutto qui- ma il nodo che aveva in gola stava decisamente premendo per uscire, esattamente come le era successo sulla nave.
Non piangeva spesso, per dolore. Piangeva molto per rabbia.
Non aveva mai pianto per felicità, eppure in quel momento il fatto che Allen fosse miracolosamente vivo e vegeto davanti a lei la rendeva felice fino alle lacrime.
Sentì le dita dell’albino scostarle delicatamente le mani dal viso, e si ritrovò a fissare i suoi occhi argentati sorprendentemente da vicino.
-Coraggio, Hoshi- le sussurrò sorridendo –è finita. Siamo qui tutti e due- lei annuì e gli sorrise a sua volta, sentendo di nuovo le lacrime pizzicarle gli occhi, ma prima che potesse formulare una risposta si sentì risucchiare all’indietro.
-Hoshi!-
-Allen!-
-Linalee!-
-Kanda!-
-Lavi!-
-Signor Crowley!-



Note dell'Autrice:

Non lamentatevi che questo è un capitolo lungherrimo, per festeggiare il fatto che finalmente sono riuscita a riprendere a scrivere 'sta benedetta storia (la mia scorta di capitoli si stava quasi esaurendo T_T)!
Immagino che certe cose si stiano chiarendo, ma non illudtevi: il tutto è moooooooooooolto più complicato di quanto non sembri. Se continuerete a seguirmi, ne vedrete di colpi di scena!

Rispondo ai commenti e torno a studiare per l'ennesimo esame... possibile che la vita di una studentessa universitaria debba essere programmata solo in base agli appelli? Ah, bei tempi del liceo!

ValeXAnime: gli sviluppi fra Hoshi e Allen saranno chiariti a "breve" ^__- ... come vedi Hoshi è ancora in piedi, anche se sembra che sia passata in un tritacarne, ma ci vuol altro per metterla fuori combattimento XD è un po' tipo Kanda da questo punto di vista! Diciamo che ancora per un po' seguirò la storia originale, anche se ne salto parecchi pezzi che dovrei riscrivere tali e quali (come il modo in cui Allen ritrova l'innocence, in questo capitolo l'ho saltato alla grande XD)... ma diciamo che non mancheranno i colpi di scena, soprattutto da un certo punto in poi mi staccherò dalla storia per seguire un filo conduttore completamente diverso, e spererei che il manga non mi smentisse a ogni capitolo che esce!

Alla prossima! ^__^

Bethan

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Capitolo 15
*** Shadows are changing ***


-Ora… toglietevi… di… dosso!- la voce di Hoshi arrivò soffocata alle cinque persone sopra di lei.
Ma non era tanto il peso a farle pregare che si togliessero da lì il più velocemente possibile, bensì il fatto di trovarsi Allen letteralmente spiaccicato addosso, il viso così vicino che poteva sentirne il calore.
“Oddio, no, Hoshi! Non è proprio il momento!” pensò in preda al panico.
Ad un tratto sentì l’albino ringhiare, puntellandosi sulle braccia.
-Insomma! Hoshi è ferita, quanto ci mettete a spostarvi?!- gridò, le braccia che tremavano per lo sforzo. Gli altri esorcisti si ripresero e finalmente riuscirono ad alzarsi in piedi.
-Grazie- sussurrò Hoshi ad Allen con un mezzo sorriso –credevo sarei morta-.
“In tutti i sensi, davvero” pensò poi laconica, sentendo il suo cuore che ancora non voleva saperne di far cessare quel battito furioso.
-Ma dove siamo? Come facciamo ad uscire da qui?- si guardarono intorno, disorientati. Si trovavano in una sorta di città, con case quadrate e piuttosto basse, dipinte di bianco.
-Non c’è un’uscita, ma una chiave si- quella voce li fece girare tutti in blocco, e Hoshi pregò di trovarsi in un incubo.
Di fronte a loro stava il Noah che aveva ucciso Allen, quella notte. Si avvicinò all’albino, scompigliandosi i capelli neri –piccolo- mormorò –perché sei ancora vivo?!- allungò una mano verso di lui, ma le sue dita incontrarono la katana di Hoshi, che si era spostata davanti ad Allen.
-Azzardati solo a toccarlo e giuro che quella mano te la faccio mangiare- sibilò la ragazza stringendo gli occhi nell’espressione più omicida che le riuscì.
Il Noah ritirò la mano di scatto, alzando entrambe le braccia.
-Accidenti tesoro, ti ho proprio sconvolta, eh?- la punta della katana sfiorò la sua gola, fulminea –smettila di dire stronzate e vieni al sodo, così poi posso ammazzarti- ringhiò Hoshi minacciandolo.
Quello lanciò loro una chiave, poi saltellò fuori dalla portata della ragazza, sorridendo –la porta è in cima alla torre. Dovete raggiungerla in poco tempo, o l’arca si sgretolerà. In bocca al lupo, piccoli- una porta a scacchi uscì dal suolo, e il moro vi sparì all’interno.
-Allen, ma voi… come dire, lo conoscete?- chiese Lavi, indicando lui e Hoshi.
-E’ il Noah che ci ha attaccati quella notte- mormorò la ragazza –e ora vi sarei grata se non faceste altre domande. Non abbiamo molto tempo- disse secca, aggiustandosi alla bell’e meglio il mantello a brandelli. Tutti furono d’accordo, e decisero di aprire una porta qualsiasi.
-Hoshi- bisbigliò Allen, tenendosi in fondo alla fila assieme a lei –non dovresti evocare l’innocence. Linalee mi ha detto che non ti sei ancora ripresa, no?- la ragazza scosse la testa –ce la faccio ad evocarla. Fa un po’ male, ma ci sono abituata- l’albino le afferrò un polso, guardandola seriamente –non farlo. Ci siamo io e gli altri a combattere-
-Ci sono già Chaoji e Linalee da proteggere. Due sono più che abbastanza- disse seccamente, ma Allen non si diede per vinto.
-Non sarebbe certo una seccatura, Ho…-
-Insomma, basta! Credi che non sappia badare a me stessa?- sbottò lei, più secca di quanto non avesse voluto. Non voleva che si preoccupasse per lei, specialmente dopo che, se fosse stato per l’aiuto che Hoshi era stata in grado di dargli, Allen avrebbe tranquillamente potuto essere morto.
-A... Aster- la chiamò di nuovo lui, sottovoce. La ragazza si pietrificò sul posto, dandogli le spalle.
-Io non so cosa mi stia prendendo- continuò Allen, mettendole le mani sulle spalle –ma non lascerò che tu ti faccia distruggere dall’innocence. Il tuo corpo ha già subito abbastanza danni- mormorò –per Suman e per i caduti non c’è speranza, ma per te esiste ancora. Non usare l’innocence, sarò io a proteggerti- le dita di Allen le scivolarono lungo la schiena e l’albino la sorpassò velocemente, raggiungendo il resto del gruppo che li stava ormai chiamando.
Le mani di Hoshi si spostarono inconsciamente dove prima erano quelle del ragazzo.
Il cuore le batteva forte, sempre di più, ogni volta che erano vicini.
Il viso di Marian, non lo ricordava quasi più.
Cos’era quel sentimento?

---

Hoshi si sentì afferrare bruscamente per una caviglia e trascinare nella sala dalla quale erano usciti poco prima, dove Allen aveva sconfitto Tyki Mikk.
Sbattè violentemente la schiena a terra, e si girò a guardare ciò che l’aveva afferrata con la vista appannata dal dolore.
Il noah si era rimesso in piedi, ma era trasfigurato. Dal suo corpo si dipartivano cose simili a tentacoli, e il suo aspetto ormai rassomigliava solo vagamente a quello di un essere umano. Ma ancora peggiore del suo mutamento, era la sensazione di forza che sentiva provenire da lui.
Hoshi fece appena in tempo ad alzarsi che uno dei tentacoli si abbattè proprio dove lei era sdraiata un attimo prima.
Allen le fu davanti in un lampo.
-Sta’ dietro di me e appena riesco a tenerlo occupato va’ a nasconderti!- le urlò, impugnando la spada.
Hoshi non si mosse, mentre il noah attaccava Allen senza pietà.
-Hoshi! Vai!- gridò lui nuovamente, mentre si sforzava al massimo per tener testa all’attacco di Tyki.
-No- mormorò lei. Come se tutto si stesse muovendo a rallentatore, come se fossero immersi nell’acqua, vide un colpo arrivare diretto verso Allen da sinistra. Non ce l’avrebbe mai fatta a pararlo, impegnato com’era a tener testa agli altri. Hoshi gli si lanciò addosso, e sentì il dolore esploderle in ogni fibra del corpo, mentre veniva scagliata lontano.
Aprì gli occhi, e sotto di sé vide solo buio, solo ombra, quella in cui lei, prima o poi, sarebbe di certo dovuta cadere.
Quindi, perché aspettare?
Perché illudersi della possibilità di una luce, se destinata comunque a spegnersi?
Non evocò le ali, non gridò.
Le tenebre l’avvolsero.

Dopo che l’aveva vista cadere nel vuoto, non aveva capito più niente.
A malapena si era accorto dell’arrivo di Cross, a malapena aveva sentito la rabbia per Lavi e Chaoji aggiungersi al dolore che gli aveva causato vedere Hoshi sparire nell’oscurità.
Non sapeva se stesse gridando, piangendo, non capiva se fosse o meno in grado di pensare.
Si era semplicemente slanciato contro quello che una volta era stato Tyki Mikk e il Conte, desiderando solo farla finita.
Improvvisamente, sentì il suo corpo immobilizzarsi durante l’attacco.
-Fermate il karte garte! Fermatelo!- un portentoso cazzotto in testa gli fece rimbombare persino il cervello.
-Cosa credi di fare, discemolo? Non puoi combattere contro il Conte quando sei accecato dall’odio- gli ringhiò contro Cross.
-Mi lasci andare, dannazione! Non me ne frega niente!- urlò con quanto fiato aveva in gola, ma il sussurro dell’uomo riuscì a oltrepassare persino le sue grida.
-Se farai ciò che ti dico avrai una speranza di rivederli, discemolo. Quindi smettila di dibatterti e fammi lavorare!-.

---

Si era alzata, tremendamente dolorante ma viva, senza capire un accidente di cosa fosse successo.
“Io… ero morta, no?” si chiese, fissando allibita la città ricostruitasi attorno a lei.
C’erano due alternative: o quello era l’aldilà, e non ne era poi così sicura, dal momento che era ancora coperta di ferite e il dolore lo sentiva più che bene, o mentre era caduta in quella sorta di limbo era successo qualcosa.
Quel “qualcosa” si manifestò piuttosto bene quando alle sue spalle si aprì una porta, da cui uscirono Linalee, Allen e lui.
-Tu!- Hoshi spalancò gli occhi allibita, indicando Marian, ma il suo sguardo fu ancora una volta sviato dagli occhi argentati di Allen.
La fissavano, sgranati e pieni di sollievo. Sulle labbra, un sorriso appena accennato.
Fu in quel momento che sentì dentro di sé il suono nitido di qualcosa che si spezzava.
-Oh, va’ al diavolo, Marian Cross- mormorò, sorridendo a sua volta.
Corse incontro a loro, ma oltrepassò l’uomo e Linalee e si lanciò addosso ad Allen, facendo sussultare entrambi per le ferite. Il ragazzo fece appena in tempo a prenderla al volo per non cadere.
-Non- le sussurrò lui in un orecchio –farlo mai più- le sue braccia la strinsero, incuranti del dolore.
-Nemmeno tu, allora- la voce le uscì in un tono stranamente ilare. Chissà perché si sentiva così allegra, in quel momento che forse sarebbe stato l’origine di complicazioni ancora più grandi di quelle che c’erano state fino a quel punto.
-EHIIII! ALLEEEEEN!- l’urlo di Lavi rimbombò nella sala, come se il rosso fosse davvero lì, e Hoshi si staccò precipitosamente dall’albino, arrossendo e ripromettendosi a bassa voce di ammazzare quel coniglio idiota e arrostirlo a fuoco lento con un contorno di patate.
-Non è qui, è solo che possiamo sentire le voci da una stanza all’altra- spiegò Allen, sorridendo imbarazzato.
-Ma cos’è successo?- chiese Hoshi mentre si appropinquavano come se niente fosse verso due allibiti Cross e Linalee, che facevano del loro meglio per nascondere lo sconcerto.
Hoshi pensò che anche la se stessa di due mesi prima, ancora sepolta da qualche parte, stesse facendo la stessa identica faccia, oltre a lanciare ogni serie di sventure e di maledizioni su quella situazione assurda.
Per un attimo i suoi occhi neri si spostarono in quello nocciola di Marian, e oltre allo stupore vi lessero una serie di sensazioni identificabili, ma che la colpirono con la forza di un pugno.
Rimise subito la solita maschera gelida: non avrebbe lasciato che quel trasporto inutile verso di lui la riavviluppasse in un vortice senza rimedio. Non dopo aver conosciuto Anita, non dopo aver conosciuto Allen.
Sbirciò il ragazzo di fianco a sé e poco mancò che le venisse un colpo, chiedendosi come avesse fatto a non averlo notato prima.
Si spostò di quattro o cinque passi, indicando un punto imprecisato alle spalle dell’albino –A-A-Allen- balbettò incerta. Lui la fissò sorpreso, seguendo la direzione indicata dal suo dito –che c’è?- chiese poi, tornando a voltarsi verso di lei.
-Come che c’è?! Non dirmi che non lo vedi! Ce l’hai addosso!- strillò Hoshi, avvicinandosi e cercando di toccare quell’affare, che però si spostava seguendo Allen come una seconda ombra che usciva direttamente dal suo corpo.
-Tu lo vedi?- stavolta fu il turno della voce di Cross di essere sbalordita. La ragazza si girò verso di lui, seccata.
-Certo che lo vedo, come si fa a non vederlo? E’ tremendo! Ma che accidenti è successo?- sbottò, ma per quanto ci provasse, quella creatura non si smuoveva di un millimetro, e tantomeno si lasciava toccare.
Il povero Allen a questo punto iniziò davvero ad inquietarsi, come se non fosse bastato tutto quello che era accaduto sull’arca e nella stanza in cui l’aveva fatto entrare il maestro.
Gli venne un lampo di genio improvviso, ricordandosi cosa aveva visto nello specchio.
-Hoshi, quello che vedi è per caso una sorta di sagoma umana nerastra con un mantello bianco?- chiese, pragmatico e incredibilmente preciso. La ragazza annuì, senza distogliere gli occhi. Allen sospirò –allora vorrei tanto sapere anch’io cosa sia- mormorò, guardando il Generale, che però non proferì parola e continuò a scrutare Hoshi sospettoso, di tanto in tanto.
La ragazza sospirò: sarebbe stata dura farci l’abitudine. Quello era davvero inquietante, e chissà perché non prometteva niente di buono.

Camminarono per la città, cercando di capire come diamine fare ad uscire da lì, quando Allen aprì una porta decisamente infelice.
Hoshi si sentì strattonare, e senza pensare a nulla si aggrappò alla prima persona dietro di lei, che sfortuna volle fosse Kanda, e da lì in poi fu un susseguirsi di proteste e imprecazioni.
-Dannazione Allen! Non potevi stare attento?!- sbottò, facendo un notevole sforzo per sostenere il peso del ragazzo, la cui unica reazione fu un sospiro di sollievo per il non essere volato di sotto.
Sopra di loro fioccavano gli insulti.
-Oh, fate silenzio. Ho mal di testa- disse Hoshi laconica. In un lampo, le ali comparvero sulla sua schiena e riuscì a riportare tutti sull’arca, accasciandosi a terra subito dopo.
-Hoshi, non avresti dovuto evocarla- mormorò Linalee, aiutandola a rialzarsi –poco male. Se aspettavamo un altro po’ saremmo volati tutti di sotto- rispose lei a bassa voce, fissando Cross in cagnesco.
-Ehi, razza di idiota!- lo apostrofò, lanciandogli Timcampi dritto in testa –visto che sei così esperto di quest’affare, che ne dici di farci uscire di qui alla svelta? O vogliamo aspettare che il Conte ci porti tè e pasticcini?- sbuffò, appoggiandosi alla compagna.
-Ma voi vi conoscete?- chiese Lavi, ma il suo interesse di Bookman fu subito smorzato dall’occhiata fulminante che gli lanciò la ragazza –non sono affari tuoi, Bookman Junior. Tieni il tuo lunghissimo naso fuori dai cavoli miei, grazie- sillabò a denti stretti. Il rosso si toccò la punta del naso, afflitto, mentre Allen cercava di consolarlo dicendogli che aveva dimensioni assolutamente normali. Anche lui non poteva fare a meno di chiedersi perché Hoshi e il maestro si conoscessero, perché lei non ne avesse mai parlato –non che parlasse granchè di sè, comunque- e soprattutto che tipo di rapporto ci fosse fra loro.
Sentì una stretta allo stomaco, e si diede del cretino.
“Assurdo” pensò, scuotendo la testa e continuando a parlare a vanvera ad un oltremodo depresso Lavi col complesso del naso “sono geloso. Posso solo pregare che nessuno lo scopra mai” alzò gli occhi al cielo, sospirando.

-Ti vedo cambiata, As…-
-Ti ho detto di non usare quel nome. Tu non puoi più farlo- il tono della risposta fu mortalmente gelido.
Hoshi e Cross camminavano fianco a fianco, mentre l’uomo cercava la porta che li avrebbe condotti fuori dall’arca.
-Perché, c’è qualcun altro che può?-
-Non sono affaracci tuoi-
-Mi sei mancata- quell’affermazione le fece balzare il cuore in petto, ma sapeva che era una gioia destinata ad estinguersi nella rabbia e nell’inutilità della sua stessa esistenza.
-Smettila- mormorò guardando fisso davanti a sé.
-Perché?- Hoshi sapeva quanto fosse superficiale quell’uomo, quindi quel tono addolorato servì solo a farla irritare ancora di più.
-Perché per colpa tua ha già perso la vita una persona. Non ci sarò anch’io nella lista- disse secca. L’uomo si girò sorpreso a guardarla, e lei gli scoccò un’occhiata fredda come il Polo Nord.
-Anita- mormorò –non preoccuparti, non l’ho fatta morire con la consapevolezza di quante volte tu ti sia scordato della sua adorazione. Le ho detto che la amavi- continuarono a camminare in silenzio.
-E di Allen? Che mi dici?-
Hoshi rimase ostinatamente zitta, senza guardarlo.
Non poteva certo parlare con quell’uomo di qualcosa che non aveva ancora avuto il coraggio di ammettere neppure con se stessa.
-Lui può usarlo, il tuo nome?- continuò Marian. La ragazza annuì bruscamente, intenzionata a dargli il colpo di grazia che lo facesse tacere una volta per tutte.
Inaspettatamente, Cross sorrise.
-Si, sei cambiata-
Nessuno dei due disse più niente.





Note dell'Autrice:

Uffi, non commenta nessuno T__T ma io aggiorno fiduciosa, sperando che ci sia qualcuno che legga!
L'arca l'ho sintetizzata alla grande, questa fanfiction sta raggiungendo proporzioni per me epiche, discostandosi dalla storia in maniera molto complicata (rileggendo questo capitolo mi ero pure scordata che Hoshi potesse vedere l'ombra attaccata ad Allen! Dovrò ricontrollare tutto il seguito, me misera!!! ç__ç), quindi non avevo voglia (che autrice seria) di dilungarmi troppo su punti che avrei mantenuti identici all'originale... fin qui mi sono attenuta parecchio, dal prossimo capitolo in poi inizieremo a variare!
Spero che il prossimo capitolo sia quello che piace anche a me (si, non ricordarselo è da criminali, ma è tantissimo che non la rileggo tutta!!) e che questo seppure corto sia piaciuto anche a voi!

Alla prossima!

Bethan 

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Capitolo 16
*** Snow Kiss ***


Quel Link era davvero una palla al piede, pensò Hoshi seccata, mentre il treno su cui viaggiavano sfrecciava fulmineo in mezzo al paesaggio innevato.
Non bastava che Allen fosse infestato da un noah, non bastava il fatto che lui si dovesse vedere alle spalle quel… coso ogni volta che si guardava allo specchio, non bastava la tensione datagli dal fatto che il Quattordicesimo avrebbe potuto prendere possesso del suo corpo da un momento all’altro, no. Dovevano anche appioppargli quel cagnolino scodinzolante che sbavava alla sola idea che Lvellie gli lanciasse un osso. Hoshi lo disprezzava con tutte le sue forze, ma non era niente rispetto all’opinione che aveva del sovrintendente.
Quello, fosse stato per lei, sarebbe ben valsa la pena di essere condannati a morte, pur di farlo fuori.
Quando l’aveva rivisto era stato come tornare indietro nel tempo. C’era anche lui fra quelli che avevano deciso di impiantarle l’innocence nel corpo, ed era stato lui a portarla da Hebraska, gettandola in quel baratro senza pietà.
Dopo quel commovente reincontro, dopo quella caterva di buone notizie, la ciliegina sulla torta era stata che Komui aveva deciso di spedire lei, Allen e il segugio in missione in un paesino sperduto in mezzo alle montagne, ovviamente in pieno inverno.
Non che a Hoshi dispiacesse la neve: l’aveva vista poche volte, ed aveva sempre un effetto calmante su di lei, soprattutto per il silenzio con cui ovattava ogni cosa.
Era la presenza di quel regolamento con le gambe che proprio non le andava giù, anche perché erano davvero scarse le possibilità di parlare con Allen senza che lui sentisse.
Sospirò depressa, fissando il buio prendersi le cime degli alberi e l’orizzonte: le sembrava che quella situazione con Allen fosse destinata a non risolversi, in quel modo.
Per lei era già abbastanza sconcertante che vi fosse una situazione diversa dall’antipatia con un esorcista, anzi, con più di uno, considerato il fatto che dopo tutto quello che avevano passato aveva smesso di minacciare di morte Lavi e gli altri ogni cinque secondi. Sospirò nuovamente: forse Cross aveva ragione. Entrare all’Ordine l’aveva cambiata.
Se quel cambiamento sarebbe stato fonte di sofferenze più grosse ancora o di felicità, solo il tempo avrebbe saputo dirlo. Ma Hoshi non era così convinta di volerlo arrestare, non come ne era stata in passato.
-Hoshi, tutto bene?- la voce gentile di Allen la riscosse.
Ecco, lupus in fabula.
Sorrise distrattamente, facendo cenno di si con la testa e sforzandosi di non guardare l’inquietante figura alle sue spalle. Le ricordava un po’ il modo in cui le anime dovevano fuoriuscire dagli akuma, secondo quanto le aveva raccontato Allen una volta.
Solo che quel noah non era l’anima di Allen, su questo non ci pioveva, e Hoshi ne era certa.
Non lo era mai stata e non lo sarebbe stata mai.
Un tonfo sordo la distrasse nuovamente: il pesante librone che il tizio biondo stava leggendo era caduto a terra, mentre il suo proprietario era piombato in un sonno catatonico.
-Oh, finalmente- sussurrò seccata –credevo avrebbe continuato a scrutarci all’infinito, aspettando che so, che uno dei due si trasformasse nel Conte all’improvviso- Allen ridacchiò sottovoce.
Nessuno dei due voleva che si svegliasse.
Hoshi rabbrividì: in quella carrozza iniziava a fare decisamente freddo. Aveva le mani congelate e le nocche arrossate e doloranti.
-Chissà che temperatura c’è fuori- sussurrò, strofinandosi le palme nel tentativo vano di ottenere un po’ di calore.
Allen si alzò cautamente, pregando che Link se ne stesse buono a dormire, e si sedette di fianco a lei, circondandole le spalle con un braccio e mettendole addosso il proprio mantello.
-Va meglio?- Hoshi credette di essere diventata di un colore analogo a quello di un pomodoro maturo, mentre rispondeva in un sussurro –si, ma tu non hai freddo?- Allen fece cenno di no con la testa –mangio troppo per averne- sorrise.
-Vero- ridacchiò lei, ripensando alle enormi porzioni di cibo che mettevano l’intera mensa a rischio di crolli.
Il mantello, o forse e più probabilmente la vicinanza di Allen, contribuirono ben presto a scaldarla, e poco dopo Hoshi si addormentò addosso a lui.
L’albino rimase a guardarla, sorridendo e pensando a quanto sembrasse davvero più piccola mentre dormiva. In un certo senso lo rassicurava, dal momento che avevano la stessa età e Hoshi sembrava sempre molto più grande. Le accarezzò distrattamente i capelli, sospirando.
Che diamine stava facendo?
Avrebbe messo nei guai anche lei, se avesse continuato a quel modo. Finchè non l’avevano sorvegliato, poteva anche andare, ma adesso era tutto un altro paio di maniche. Link avrebbe messo sotto torchio anche lei.
Eppure la stessa Hoshi sembrava non preoccuparsene granchè, visto com’era crollata.
Sentì un movimento di fronte a lui, e vide che l’ispettore si era svegliato.
Lo guardò seriamente, portandosi l’indice davanti alle labbra.
Quello li fissò per qualche istante, poi accennò un mezzo sorriso e iniziò a scribacchiare furiosamente sul suo taccuino.
Si, era decisamente irritante, pensò Allen.

---

Nella sua mente era maturata un’idea completamente folle e tremendamente allettante al tempo stesso.
Decisamente, Hoshi non era mai stata una che pensava una vita prima di decidere cosa fare. Seguiva l’istinto, e quel giorno l’istinto le diceva che doveva tentare il tutto per tutto prima che le cose si aggravassero.
Arrivarono al tramonto del giorno dopo, e il treno li sbarcò in una minuscola stazione, niente più che una piattaforma nel bel mezzo del nulla.
Allen si inchiodò sul posto appena sceso, fissando ad occhi sgranati il paesaggio innevato.
In effetti era uno spettacolo meraviglioso: le colline erano completamente bianche, simili a dolci di zucchero, ed anche i gruppi di alberi sparsi qua e là erano carichi di neve, con mucchietti che cadevano di tanto in tanto. Il sole spargeva raggi arancioni sulle cime degli abeti, mentre dall’altro lato il blu della notte avvolgeva il tutto in una penombra in cui non mancava mai del tutto la luce.
-Walker! Muovetevi, dobbiamo cercare l’innocence!- la voce secca di Link interruppe quella contemplazione, e l’albino si avviò verso di lui imbronciato –si, si, un attimo. Non ho mai visto la neve- disse, distogliendo sconsolato gli occhi dal paesaggio.
Sulle labbra di Hoshi si disegnò un sorriso diabolico.
-Polvere- sussurrò con un filo di voce. Nella sua mano comparve l’innocence, luccicante e in tutto e per tutto simile alla neve.
Si chinò a terra e tirò su una manciata di ghiaccio, appallottolandola fino a formare una palla abbastanza dura a cui aveva mescolato l’innocence.
-Ehi, ispettore!- chiamò. Quello si girò con aria scocciata, guardandola da sopra gli occhiali, e la palla di neve lo colpì in pieno viso, facendolo crollare a terra.
-E ora stattene un po’ a nanna- mormorò Hoshi con un sorriso soddisfatto davanti a un Allen a metà fra il divertito e lo sconcertato.
-Ma che hai fatto? E’ svenuto!- lei fece cenno di no con la testa, togliendosi il mantello e coprendo il malcapitato: farlo addormentare era un conto, tornare e trovare il cagnolino di Lvellie morto assiderato era tutto un altro paio di maniche.
-No, l’ho solo spedito a dormire- sospirò –quando si sveglierà, per sua sfortuna non potrà fare rapporto sul mio comportamento disdicevole, perché non si ricorderà assolutamente nulla- ghignò all’indirizzo di Allen, che scoppiò a ridere.
Lo rimpiattarono in un luogo abbastanza riparato, per evitare di essere incriminati di tentato omicidio, poi uscirono nuovamente all’aria aperta.
-E ora che facciamo?- chiese Allen, ma fece appena in tempo a finire la frase che si sentì sollevare in aria.
-Un giro- rispose Hoshi semplicemente, tenendolo per le braccia –possibilmente lontani da quell’ispettore e dal luogo della missione. Reggiti!- aumentò la velocità, il vento che sferzava loro i visi, gelido, eppure senza riuscire ad inculcare il suo freddo in nessuno dei due.
La compagnia reciproca era più che sufficiente per tenersi al caldo.
La luna era già spuntata nel cielo, tonda e argentea, quando Hoshi si diresse in picchiata verso terra, atterrando nel bel mezzo di una conca fra colline alberate.
Il silenzio era totale, ovattato, calmo. La nottata era limpida, e le stelle risplendevano quanto la luna, illuminando la neve e riflettendosi sui cristalli di ghiaccio.
-Che meraviglia- sussurrò Allen a voce bassissima per non rompere quell’incanto.
Hoshi sorrise –davvero non l’avevi mai vista?- lui scosse la testa.
-Allora guardala meglio!- un’altra palla bianca, fatta solo di neve stavolta, colpì in piena testa l’albino, finendogli fin dentro il collo. Al vedere la sua faccia intirizzita Hoshi scoppiò a ridere.
-Cosa cavolo ridi?! E’ gelida!- Allen la colpì a sua volta con un’altra palla di neve e di lì a poco il silenzio si riempì delle loro risate mentre ingaggiavano una furiosa battaglia.
Hoshi fuggì dal fuoco nemico fino sulla sommità della collina, dove si lasciò cadere in un mucchio di neve, stanca morta.
-Ehi, ti arrendi di già? Wah!- Allen scivolò su un punto ghiacciato, finendole addosso. Riuscì a puntellarsi sulle braccia prima di spiaccicarla, ma ormai la frittata era bell’e che fatta.

Il silenzio tornò ad invadere il paesaggio, mentre nessuno dei due riusciva a muoversi di un millimetro o a spiccicare parola.
Si guardarono semplicemente negli occhi, ancora il fiato corto per la battaglia appena terminata.
Hoshi fissò Allen, stagliato contro il cielo, i capelli e gli occhi chiari quanto il disco della luna che aveva alle spalle. Sembrava fosse sceso direttamente da lì. Si rese conto di non scorgere più la figura nera che da quando erano scesi dall’arca l’aveva sempre seguito e se ne rallegrò. Un terzo incomodo in quel momento serviva meno che mai. Con un dito seguì distrattamente il contorno della cicatrice vermiglia che gli aveva lasciato Mana, e che correva lungo tutta la guancia.
Allen la fissava di rimando, pensando che la neve sembrava essere il suo habitat naturale. Gli occhi neri riflettevano le stelle, inglobandole e traendone luce, quasi volessero abbandonare le tenebre che li avevano creati. Sentì le dita di Hoshi sulla guancia, bollenti nonostante fossero immersi nel ghiaccio.
Uno schianto improvviso, seguito da un fruscio, li fece sobbalzare.
Un ramoscello aveva ceduto sotto il peso della neve. Allen ridacchiò per il suo scatto nervoso: non ci riuscivano gli akuma a fargli saltare i nervi e ci riusciva lei.
-Scusa, per poco non ti spiaccicavo- mormorò, facendo per rialzarsi, ma le dita di Hoshi si strinsero attorno al nastro scuro che portava attorno al collo, tirandolo nuovamente verso di sé.
Allen spalancò appena gli occhi, mentre sulle labbra della ragazza compariva un sorriso timido, sincero, mentre facendo leva su un braccio si avvicinava a lui.
Appoggiò le labbra sulle sue, chiudendo gli occhi per un istante.
Si staccò dopo poco, lasciandolo andare e abbassando la testa, come se si fosse resa conto in quell’istante di cosa fosse successo.
-Scusa- bisbigliò impercettibilmente, ma Allen le sollevò il viso, intrecciando le dita nei suoi capelli e ristabilendo il contatto in modo più deciso.
Le braccia di Hoshi si strinsero attorno alla sua schiena, le dita che premevano sulle spalle, mentre piombavano di nuovo a capofitto nella neve.
La sensazione delle labbra morbide della ragazza gli dava una sorta di scarica elettrica. Non aveva mai baciato nessuno prima, ma dopo aver provato dubitava che avrebbe mai voluto baciare qualcuno che non fosse lei.
Si staccarono per mancanza di fiato, e Allen appoggiò la fronte sulla sua, guardandola negli occhi sgranati.
Le sorrise, baciandola di nuovo lievemente sulle labbra e sulle guance. La sentiva stringersi a sé sempre di più ad ogni movimento.
Ad un tratto le labbra della ragazza si impadronirono decise del suo collo, e Allen sentì una tale scossa di brividi che per poco non sussultò.
-Ho-Ho-Hoshi- balbettò arrossendo –non credo di essere nelle condizioni adatte. Vorrei mantenere la mia fama di gentleman ancora per un po’- disse precipitosamente. La sentì ridacchiare, e il suo respiro sulla pelle forse fu una tortura ancora peggiore.
Invertì le posizioni all’improvviso, finendo con la schiena nella neve gelida e facendo appoggiare Hoshi sul suo petto.
Per un po’ rimasero in silenzio, ascoltando solo il rumore dei loro cuori che scompariva nel manto bianco che avvolgeva ogni cosa.
-Allen- disse lei dopo un po’, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli.
Sembrava ci provasse gusto a farlo soffrire, pensò l’albino con un sospiro. O forse era lui ad essere davvero troppo imbranato.
-Dimmi-
-Non chiamarmi più Hoshi. Non tu- mormorò. Le strinse le braccia attorno alla schiena così forte che a un certo punto la ragazza lanciò un mugolio soffocato.
-Mi ftai uccidendo!- ansimò tirandogli i capelli.
-Ops, scusa. Il braccio sinistro- ghignò lui per tutta risposta. Lei lo guardò in cagnesco –era un discorso serio- disse mettendo il broncio.
Allen le sorrise dolcemente, tirandosi a sedere e prendendola in braccio.
-Lo so, Aster- mormorò, dandole un bacio sui capelli.
Rimasero immersi in quel bianco per diverso altro tempo, prima che si decidessero a cercare l’innocence e a recuperare il malcapitato ispettore.
Per loro, in quel momento il resto del mondo poteva aspettare.

---

Lungo il viaggio di ritorno, nessuno dei tre disse niente.
Hoshi e Allen avevano deciso di comune accordo di inventarsi che Link era stato attaccato dall’akuma, che gli aveva fatto prendere una forte botta in testa, causa della momentanea amnesia.
Per supportare questa ipotesi, la ragazza gli aveva sferrato un sonoro cazzotto prima di annullare l’effetto dell’innocence.
Adesso stavano nello scompartimento del treno, seduti come quando erano partiti: Allen e Link da un lato, Hoshi dall’altro.
La ragazza guardava fuori dal finestrino, lasciando trapelare solo un’espressione indifferente e apatica, mentre in realtà stava ancora cercando di rielaborare quello che era successo senza svenire.
Ok, non era poi così sprovveduta in fatto di uomini, e il pensiero di Marian la colpì così bruscamente che dovette controllare ogni suo vaso sanguigno per non far affluire il rossore alle guance.
Già, avrebbe dovuto parlare con Allen anche di quello, prima o poi.
Meglio poi che prima, constatò decisa.
Per quel giorno aveva già agito abbastanza.
Sospirò impercettibilmente, chiudendo gli occhi e tornando indietro col pensiero a poche ore prima.
La tentazione di scaraventare Link fuori dallo scompartimento o di addormentarlo di nuovo si fece sentire più forte che mai.
“Non farti prendere troppo la mano, tu” si ammonì.
Sentiva ancora sulle labbra e addosso il calore di Allen, e il solo ricordo bastava a farle spuntare sulle labbra un sorriso incontrollato, che si affrettava subito a nascondere fissando ostinatamente fuori dal finestrino.
Aveva agito senza pensare, assolutamente. Solo, quando l’aveva visto rialzarsi aveva deciso che non voleva farlo andare via. O meglio, qualcosa dentro di sé aveva deciso per tutto il resto.
Il cuore ricominciava a batterle all’impazzata al solo pensiero, e non riusciva ancora a capire se quella felicità dovesse considerarla sciocca oppure abbandonarsi ad essa.
Lanciò un’occhiata di sbieco ad Allen, che fissava il vetro ostinatamente quanto lei e, probabilmente, senza vederlo nemmeno, esattamente come lei.
No, non era sciocca.
Non era stupido essere felice, dopo aver passato anni a soffrire.
Adesso riusciva a capirlo, anche se difficilmente sarebbe riuscita ad esprimerlo.
Non voleva lasciar andare quella luce che si era accesa nelle tenebre che l’avevano sempre avvolta, e che adesso la scaldava. Non l’avrebbe lasciata senza lottare.

Allen la stava guardando dall’inizio del viaggio.
O meglio, stava guardando il suo riflesso nel vetro, dal momento che, se i suoi occhi si fossero spostati troppo, sicuramente Link avrebbe iniziato a scribacchiare, e lui non aveva proprio voglia che quel suono lo distraesse.
Fissava il paesaggio fuori dal finestrino, ma ogni tanto sulle sue labbra spuntava quel sorriso che aveva avuto nella radura: probabilmente il mondo fuori dal treno era solo un diversivo, esattamente come per lui.
Iniziò a meditare propositi oscuri contro Link, che includevano alcolici e sonniferi, ma ben presto la sua mente tornò ad altro.
Non avevano parlato molto, dopo. Sembrava non ce ne fosse bisogno, eppure a lui non sarebbe dispiaciuto sentirla ancora più vicina.
Si disse di dare tempo al tempo, lei non era un tipo che era pensabile di forzare.
Tutte le volte che vedeva le sue labbra incurvarsi, veniva voglia di sorridere anche a lui; era un po’ infantile, detta a quel modo, ma non credeva di essersi mai sentito così felice. Considerato che quello era probabilmente uno dei momenti più bui della sua esistenza era un bel risultato.
La guardò di nuovo: era convinta di essere fatta d’ombra, ma lui sapeva che c’era molto di più. Sapeva che c’era la luce, l’aveva vista, anche in quelle iridi nerissime che sembravano assorbire ogni cosa.
Sospirò, pensando a come si sarebbe evoluta la situazione una volta tornati alla Home. Avrebbero dovuto dirlo a qualcuno? Il solo pensiero gli strideva nel cervello: non ne vedeva l’assoluta necessità, soprattutto in quelle condizioni, eppure non voleva nemmeno auto infliggersi la pena di stare separato da lei per un tempo troppo lungo.
“Sono patetico” alzò gli occhi al cielo, sbuffando.
La vide gettargli un’occhiata con un sopracciglio alzato e le sorrise, scuotendo appena la testa e rinnovando l’impegno nel trovare qualche bomba che facesse dormire Link ben sodo per un tempo abbastanza lungo.



Note dell'Autrice:

Fiiiiiiiiiiiinalmenteeeeeee ecco il mio capitolo preferito *____* spero mi perdonerete i miei ritmi di aggiornamento di m*** ma da questo punto in poi cominciano i casini, e quelli grossi! Insomma, la storia si deve un po' movimentare, quindi godiamoci questo capitolo puccioso prima della caduta dalla padella nella brace u.u
L'idea della neve mi è venuta ascoltando la sigla di d.gray, "Snow Kiss"... non ho idea di cosa voglia dire il testo, è il titolo che mi ha ispirata XD
Quel povero Link viene un po' strapazzato, ma visto quanto è antipatico nei primi capitoli in cui appare penso che me la potrete passare! XD

Rispondo ai commenti ^^

Ciel 88: se aspettavi delle variazioni, eccoti accontentata! Da ora in poi sarà un miracolo se io stessa mi ricorderò tutto l'intreccio che ho messo in piedi!! Spero che riuscirò a coinvolgere voi lettori fino alla fine, e soprattutto che il manga non mi smentisca completamente! ^__^

Sherly: ecco a te ciò che ho infinite volte rifiutato di spoilerare! Spero che il capitolo ti sia piaciuto :D :D

Yuchimiki: chi legge e commenta non rompe mai!! u.u è bello sapere che la storia piace a qualcuno *__* povero Marian, nel manga fa pure una brutta fine... anche se continuo a sperare che non sia morto del tutto XD

Alla prossima (che non so quando sarà, sorry T_T)! Leggete e commentate :D

Bethan

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Capitolo 17
*** Cooking feelings ***


-Ehi, Hoshi! Com’è andata la missione?-
Lavi si sedette accanto a lei, che per tutta risposta iniziò a tossire furiosamente, rischiando di soffocare con l’acqua che stava bevendo.
-N-non credevo di spaventarti così- balbettò lui, vedendo la sua occhiata truce.
-Tsk. E’ andata benissimo, devo ancora capire cosa ci troviate di difficile nel far fuori due akuma. Con quello che è successo nell’arca, quelle bestiacce mi sembrano l’ultimo nostro problema- rispose secca, alzandosi e impilando il vassoio su quelli sporchi.
Poi filò via dalla mensa a gambe levate, prima che a qualcun altro venisse in mente la balzana idea di chiederle come fosse andata quella missione.
Eppure avrebbe voluto dirlo a qualcuno, pensò tristemente, appoggiando i gomiti alla balaustra di una bifora ai piani superiori della torre e guardando fuori.
Anche solo un mese prima, pensare a tutto ciò le sarebbe stato impossibile: non le sarebbe mai passato per la testa di voler condividere ciò che provava con qualcuno là dentro.
Stava cambiando, ed era merito di Allen, anche se doveva ancora decidere se fosse un merito o una colpa.
Entrò in camera, facendo per sedersi sul letto, quando sentì bussare alla porta.
Sbuffò piano, irritata: se era di nuovo Lavi avrebbe fatto un bel volo, stavolta, pensò, ma andata ad aprire si trovò davanti Linalee, che la fissava sorridendo, lievemente imbarazzata.
-Ah, sei tu- disse Hoshi, spostandosi per farla entrare –credevo che fosse Lavi-
La cinese si sedette sul letto, torturandosi una ciocca di capelli cortissimi.
-Tutto bene?- Hoshi la osservò con un sopracciglio alzato: di solito Linalee non era così nervosa. Nella mente le si accese un campanello di allarme.
-Hoshi, ecco… da quando siete tornati da quella missione tu ed Allen siete strani- esordì lei tenendo gli occhi bassi. Hoshi iniziò a darsi della stupida in ventun lingue diverse per non averci pensato prima: era così ovvio!
-E’… è successo qualcosa?- chiese, guardandola. Stavolta fu il turno di Hoshi di abbassare lo sguardo, imbarazzata e a disagio come non mai.
Era la prima volta che si sentiva a quel modo, che non voleva procurare un dolore ad un’altra persona. Eppure, la sua indole prevalse: non voleva nascondersi, e tantomeno una bugia momentanea avrebbe potuto riparare la cosa tanto a lungo. Sperava solo che Linalee non se la prendesse troppo e non andasse a spifferarlo in giro, e pregò che Allen non venisse a sapere nulla.
-Ehm, ecco, senti, Linalee…- iniziò esitante, cercando le parole –io non sono molto abituata a parlare di queste cose, e nemmeno dei fatti miei in generale- la mora fece per aprire bocca, ma Hoshi continuò: le cose erano già abbastanza difficili così senza che l’altra si mettesse a interromperla.
-Diciamo che per me Allen è speciale, ecco. Nel modo in cui nessun altro lo è mai stato- disse decisa. Linalee sorrise, cercando di nascondere una tristezza che però era fin troppo evidente. Hoshi si chiese se non avrebbe fatto meglio a rassicurarla e a dirle che non era successo assolutamente niente e che niente sarebbe stato ciò che sarebbe continuato ad accadere, ma scacciò subito quel pensiero contorto.
Sincerità sempre e comunque, anche quando faceva male.
Sentiva che era la cosa giusta da fare e da dire, ma non potè fare a meno di sentire una sgradevole sensazione nel vedere la ragazza intristirsi.
-Sono… sono contenta- sussurrò, ma Hoshi si accucciò di fronte al letto, fissandola negli occhi viola seriamente.
-Non sai mentire- constatò. Una lacrima scese lungo la guancia di Linalee, e Hoshi dovette trattenersi a stento dallo scappare urlando.
-Scusami- sussurrò nuovamente la mora –dovrei essere contenta, non so che mi prende- si asciugò le lacrime col dorso della mano. Hoshi sospirò –non scusarti. Probabilmente per Allen saresti stata molto più adatta tu- mormorò, gettandosi sul letto accanto a lei. Perché doveva consolarla? Aspettarsi un conforto da lei era come voler prolungare la tortura prima del suicidio, pensò laconica.
-No, non credo- rispose Linalee, girandosi a guardarla –anche se avrei voluto- mormorò, distogliendo nuovamente gli occhi dai suoi.
Hoshi alzò gli occhi al cielo: era peggio che essere arrostita a fuoco lento, quella conversazione.
-Voi siete molto più simili di quanto non vi accorgiate- continuò Linalee.
-Da cosa lo vedi?- chiese Hoshi, rigirando suo malgrado il coltello nella ferita. Era la stessa cosa che sentiva lei ogni volta che era vicina ad Allen; allora non erano semplici paranoie.
-Non lo so esattamente. Non so come spiegarlo, ma lo sento- mormorò.
Risposta utile, non c’era che dire, pensò Hoshi sospirando.
Rimasero in un silenzio pesante come il cemento per alcuni minuti, che alla ragazza parvero ore, poi Linalee si alzò e uscì dalla stanza.
Hoshi accolse quella partenza con un sollievo inaudito, sdraiandosi sul letto.
Cosa cavolo aveva messo in moto?

---

La trovò che piangeva nella sala degli allenamenti, e non gli passò neppure per la testa di chiederle cosa fosse successo.
Era ovvio, anche se pure lui aveva fatto il finto tonto per non causare guai.
Sospirando si avvicinò a lei e le mise un braccio attorno alle spalle: Linalee alzò per un attimo gli occhi a guardarlo, occhi in cui passò un lampo misto fra sollievo e delusione nel vedere che era lui e non Allen, dopo il quale ricominciò a singhiozzare piano.
La abbracciò, cercando di calmarla.
-Coraggio, Lina… non è la fine del mondo- sussurrò.
Lei cercò di riprendere fiato –lo so, sono una stupida- disse fra le lacrime –non so neppure perché mi abbia sconvolta così tanto, dovrei essere contenta per loro- le ultime parole furono di nuovo soffocate dal pianto.
-Beh, contenta forse è un po’ esagerato… però direi che non devi starci troppo male. Era una cosa piuttosto evidente- forse non erano esattamente le parole adatte per tirarle su il morale, dal momento che la ragazza si mise a piangere ancora più forte.
-S-scusa- balbettò ad un tratto –che figura, dopo tutto quello che abbiamo passato, crollare per una cosa simile- fece un maldestro tentativo di sorriso.
Lavi sospirò –di che ti scusi? E’ normale che tu non l’abbia presa bene- le scompigliò i cortissimi capelli neri.
-I-io non lo conosco nemmeno così tanto Allen, non so che cosa mi sia preso…- sussurrò con un filo di voce.
-Non c’è bisogno di conoscere chissà quanto una persona, per sentirsene coinvolti- mormorò Lavi, pensando a se stesso.
Scacciò subito quel pensiero molesto dalla sua testa: gli stava frullando in mente un po’ troppo spesso, da quando era entrato all’Ordine.
Poco a poco Linalee iniziò a calmarsi.
-Lavi, non…- iniziò, ma il rosso non la lasciò nemmeno finire.
-Sta’ tranquilla. Un Bookman sa mantenere un segreto- le strizzò l’occhio, dandole un buffetto sulla guancia. La cinese sorrise.
Uscirono dalla sala, e poco prima che si separassero la mora gli schioccò un bacio su una guancia, salutandolo con la mano.
Lavi rimase solo davanti alla porta, come inebetito, prima di sparire nel buio del corridoio.

---

Per quanto ci provasse, non riusciva davvero a prendere sonno.
Quel letto non gli era mai sembrato una costrizione tanto grande. Fissò di sbieco il supervisore addormentato in terra e infilò una mano sotto il cuscino, tirandone fuori una fialetta piena di un liquido trasparente.
Con un ghigno, pensò alle parole di Komui quando gli aveva detto di avere problemi di sonno.
“Occhio che se ne prendi troppo non ti svegli più per due giorni!” gli aveva detto il supervisore. Proprio quello che serviva per starsene un po’ tranquilli, pensò in un impeto di ribellione, rovesciandone l’intero contenuto sul cuscino in cui Link immerse poco dopo la faccia, girandosi.
-Bye bye, ispettore- sussurrò l’albino.
Non era molto sicuro che quella fosse una cosa esattamente permessa, ma se non si fosse alzato da lì e non fosse uscito da quella stanza soffocante sarebbe diventato matto.
Si tirò su, vestendosi precipitosamente, e uscì di soppiatto dalla stanza, senza alcun dubbio su dove andare.

---

-Ho fame. Posso prepararmi qualcosa io, se mi lasci usare la cucina-
-L’ho già visto questo copione, dolcezza. Siediti lì, mi ci vorrà un minuto!- Jerry tornò ai fornelli cinguettando, lasciando Hoshi seduta nella mensa deserta. Incredibile quanto quell’uomo fosse devoto al proprio lavoro. Ad essere sincera, non sapeva neppure perché fosse lì. O meglio, lo sapeva, ma non era affatto sicura di sapere come iniziare il discorso.
Il cuoco le piazzò davanti una fetta gigante di torta al cioccolato, e Hoshi sorrise al ricordo della prima che le aveva fatto sbafare.
Sembravano passati secoli.
-Sembra un mucchio di tempo, eh?- sorrise Jerry, sedendosi di fronte a lei e guardandola mangiare –non sembri nemmeno la stessa persona che la stava mangiando la prima volta- la ragazza masticò in silenzio, poi sorrise a sua volta, sospirando.
-No. Probabilmente è così- picchiettò sul piatto con la forchetta, incerta.
-Ne vuoi parlare?- le parole dell’uomo furono una manna dal cielo. Hoshi gli raccontò tutto, facendo finalmente uscire quella marea di sensazioni che la stavano soffocando da quando erano tornati dalla missione.
-Sei felice, ora- disse Jerry, quando ebbe finito. Non era una domanda: quel tizio avrebbe dovuto fare il filosofo, altro che il cuoco.
-Si- rispose lei, e mentre lo diceva si rese conto di esserlo veramente –è solo che…- continuò, ma l’uomo intercettò ciò che voleva dire e le posò una mano sul braccio.
-Non preoccuparti per Linalee. Queste cose succedono, siete tutti abbastanza forti da capirlo- disse con un tono molto da mamma chioccia –è stata lei per prima a tenderti una mano e a voler stringere amicizia. Se non vi arrenderete di fronte a questo scoglio, probabilmente in poco tempo le cose si sistemeranno- Hoshi sospirò –non so cosa fare. Quando è venuta da me avrei voluto parlarle, spiegarle, ma non ce l’ho fatta- con sua sorpresa, lo sentì ridacchiare.
-Che c’è di tanto divertente?- chiese sulla difensiva.
-Temi il confronto. E’ normale anche questo, ma io credo che Allen non avesse molti dubbi- sentenzio, poi le fece l’occhiolino –fattelo dire da uno che ai maschietti ci fa caso- l’espressione e il tono con cui pronunciò quella frase furono così buffi che Hoshi scoppiò a ridere.
Jerry la guardò con un’espressione a metà fra il contento e il sorpreso.
-Sai, quando quella sera sei venuta qui mi facevi quasi paura- disse, iniziando a sparecchiare.
-Cosa? E perché?- chiese lei, seguendolo in cucina.
Jerry mise i piatti nell’acquaio e si girò nuovamente a guardarla –sembravi così… arrabbiata, ecco. Con tutti. Col mondo, con l’Ordine, con gli esorcisti. Era come se in questo buio fossi destinata a scomparire- Hoshi non rispose niente, addentando una mela. Era vero, era arrabbiata. Lo era ancora, ma non le sembrava più così importante. Perché?
-Sai, io ho una mia teoria sui sentimenti opposti- continuò lui, appoggiando il mento sui palmi delle mani e appoggiando i gomiti sul bancone –l’odio è ciò che conduce alla distruzione, sia essa rivolta verso noi stessi o verso ciò che odiamo. L’opposto dell’odio è l’amore, e quindi l’amore rivolge alla vita, rivolge ad una bellezza che quando si odia non siamo capaci di scorgere- di nuovo, Hoshi non disse niente. Non ci trovava proprio nulla da obiettare, sembrava fatta apposta per lei.
Quindi quello che sentiva quando stava con Allen era l’opposto dell’odio?
Era l’amore?
Vedendola pensierosa, il cuoco le diede un buffetto sulla guancia –sai quanto ci ho messo per elaborare questa teoria?- la ragazza fece cenno di no col capo, perplessa per la domanda.
-Dieci secondi. Mi è venuta in mente parlando con te- ridacchiò lui. Hoshi sorrise.
-Prenditi tempo, piccola. Nessuno capisce mai subito queste cose- la ragazza annuì, pensando a quanto fosse vero. Non si era nemmeno resa conto di stare cambiando così tanto. Aveva semplicemente ceduto millimetro per millimetro, accettando il tutto.
-Hai paura?- le chiese, dopo un po’. La ragazza ci pensò su qualche istante, prima di rispondere –no- mormorò poi –dovrei averne?- Jerry scosse la testa –no- rispose –è un bene che tu non ne abbia-.
Poco dopo Hoshi decise di riavviarsi in camera. Ringraziò Jerry e fece per avviarsi verso le scale, quando il cuoco la richiamò.
-Ehi, Hoshi-
-Dimmi- rispose lei voltandosi.
-Sono contento per te- sorrideva. Sorrise anche lei.
-Grazie- sussurrò.








Note dell'Autrice:

Ma come, nessuno mi ha commentato lo scorso capitolo??? T___T Che depressione!
Scusate il ritardo ma sono andata in Germania per due settimane e la ff è rimasta in Italia XD per farmi perdonare metterò altri due capitoli prima di ripartire!
Vado a disfare la valigia .___.
Qualcuno commenti T^T

Baci!

Bethan

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Capitolo 18
*** You are the Lighthouse in my Darkness ***


-E voi cosa ci fate qui?-
-Potrei chiederti la stessa cosa, discemolo. Che fine ha fatto il tuo cane da guardia?- Allen si grattò pigramente un orecchio –diciamo che aveva bisogno di riposo e l’ho un po’ aiutato- disse, restando sul vago.
Continuava a chiedersi che cosa ci facesse il suo maestro davanti alla stanza di Hoshi a quell’ora, ma ogni sua domanda fu prevenuta dall’intervento della diretta interessata.
-Posso esservi utile?- la voce risuonò beffarda alle loro spalle.
-Devo parlarti- disse subito Cross, facendo un passo in avanti. Gli occhi neri di Hoshi si spostarono su Allen, con uno sguardo decisamente più gentile di quello che avevano riservato al Generale –ti serve qualcosa?- chiese. L’albino scosse la testa, mesto.
-Volevo solo vederti, ma se ti disturbo…- la ragazza fece subito cenno di no, lanciandogli la chiave della camera –aspettami. Tanto sarà una cosa breve- disse, accennando seccamente all’uomo di fianco a loro.
Allen annuì ed entrò nella stanza, lasciandoli fuori. Hoshi e Marian si allontanarono, infilandosi in uno sgabuzzino abbandonato.
-Allora, che vuoi?- chiese lei bruscamente. Non le piaceva affatto che la fosse venuta a cercare a quell’ora, e meno ancora le piaceva che lui ed Allen si fossero incrociati davanti alla sua stanza.
-Solo chiederti se le voci che girano sono vere-
-Sai come la penso riguardo alle voci sul mio conto- ci fu un rumore secco di un palmo che picchiava contro la parete.
-Questo non è uno scherzo, maledizione. Hai capito o no cosa c’è dentro quel ragazzo?- Hoshi guardò l’uomo che le stava di fronte, gelida –ho capito benissimo. E lo vedo, anche, quindi penso di avere più ragioni di tutti voi per capire- mormorò.
-Hoshi, è condannato. Soffrirai di nuovo- stavolta fu il turno della ragazza di sbottare.
-Anch’io sono condannata, Marian. Ma lui è riuscito a mostrarmi che nonostante questo prima della sentenza si può ancora vivere- sibilò a una manciata di centimetri dal suo viso –che anche nelle tenebre più profonde si può trovare una luce- si allontanò da lui, tornando fredda come il marmo –che ti prende? Non dirmi che sei geloso- mormorò in tono di scherno. Trattarlo a quel modo le faceva male. Non avrebbe voluto farlo soffrire, ma era l’unico modo che aveva per proteggere la se stessa che aveva trovato lì. Doveva erigere barriere che reggessero la peggiore delle tempeste, per non far portare via quel germoglio luminoso nato su terra bruciata.
All’improvviso le braccia dell’uomo la afferrarono, sbattendole la schiena contro il muro, e le labbra di Marian si impadronirono delle sue.
Hoshi gli sferrò un calcio allo stomaco con tutta la forza che aveva, facendolo finire addosso alla parete opposta, poi lo afferrò per il bavero per la giacca e lo scaraventò brutalmente fuori dallo stanzino.
-Non mi toccare- ansimò con la voce che le tremava –mai più, mai più in questo modo!- la sua voce salì fino a diventare un grido che riecheggiò nel corridoio. Non se ne preoccupò: su quei piani, così in alto, non c’era quasi nessuno.
-Ma che succede?- quasi nessuno, tranne lui. Hoshi imprecò mentalmente, fissando con odio l’uomo steso a terra.
-Niente. La discussione è conclusa, e non ritornerò sull’argomento- nelle sue mani brillò la katana nera, che in un istante si ficcò sotto la gola di Cross, lasciandovi un sottile solco rosso –che ti sia da monito- sibilò fissandolo –azzardati a rifarlo e l’avere una testa attaccata al collo non sarà più un tuo problema- l’arma scomparve, Hoshi afferrò Allen per un polso, trascinandolo in camera e sbattendo violentemente la porta.
Marian si passò un dito dove Hoshi l’aveva ferito, fissando il rosso del sangue sul polpastrello con un sorriso amaro stampato in viso.
Alla fine, lo spingerla a seguire l’Ordine l’aveva fatta allontanare da lui.
Non importava, se lei era felice. Ma temeva che in questo modo le cose avrebbero potuto solamente volgersi al peggio.

---

Cercò di recuperare un minimo di autocontrollo, mentre Allen la guardava con tanto d’occhi. Forse non si aspettava di vederle saltare i nervi a quel modo.
-Scusa se ti ho fatto aspettare- disse, constatando con sollievo che anche il tono di voce era tornato alla normalità –c’era qualche punto che andava messo in chiaro- andò ad abbandonarsi pigramente sul letto, poggiando la schiena contro il muro gelido e sospirando. L’albino si sedette di fianco a lei in silenzio.
Intanto fuori aveva iniziato a piovere. L’acqua scrosciava sulle pareti della torre, rimbombando al suo interno e alterando ogni suono. Quel rumore le faceva venire sonno, pensò Hoshi sbadigliando.
-Come mai conosci il maestro?- chiese Allen dopo un po’. Lei abbozzò un sorriso amaro: in effetti, era un po’ una pretesa il non dirgli nulla.
Si chiese come l’avrebbe presa.
“Hai paura?” le parole di Jerry le tornarono in mente.
“Adesso si” pensò. Adesso aveva paura, anche se non sapeva bene di cosa.
-Sei sicuro di volerlo sapere?- gli chiese, guardandolo negli occhi. Allen la fissò di rimando a metà fra l’incuriosito e lo spaventato –s-so che il maestro è una persona particolare, ma così mi fai paura- Hoshi ridacchiò, ma i suoi occhi non sorridevano affatto –e fai bene ad averne. Sapessi quanta ne ho io- mormorò, abbassando la testa e fissando il materasso.
Da dove doveva iniziare?
Sentì un braccio di Allen passarle intorno alle spalle, e la cosa la rincuorò. Intrecciò le dita con quelle della mano che poggiava sulla sua spalla destra e cominciò.
-Io… ricordo poco della mia infanzia. Vivevo in un orfanotrofio, non so dove, ma tutte le volte che ci ripenso mi torna in mente il rumore del mare, quindi forse si trovava su una scogliera, o su una spiaggia- mormorò, rievocando quelle scarse immagini che le tornavano alla mente –non avevo né questi capelli, né questi occhi- sorrise, tirandosi distrattamente una ciocca bianca –e ricordo che il loro colore mi sembrò importante soltanto quando, a dodici anni, venne mio fratello a portarmi via di lì- sentì Allen trattenere lievemente il fiato, e pensò che avesse già fatto il collegamento –capelli rossi, e occhi castani. Marian è mio fratello- mormorò Hoshi.
-Ma… a dodici anni ero già allievo del maestro anch’io, perché non ti ho mai vista?- chiese Allen disorientato.
-Perché Marian mi lascò ad Edo, in una casa curata solo da akuma modificati da lui- continuò la ragazza –sarà per questo che non mi fanno tanto effetto. Veniva spesso a trovarmi, però, quasi tutti i giorni. Possibile che non ti ricordi?- l’albino fece un verso di comprensione –ora che mi ci fai pensare, si… quasi tutti i giorni, appena dopo l’ora di cena, e stava via tutta la notte- Hoshi annuì, intercettando lo sguardo sorpreso del ragazzo –non biasimarti per aver pensato che andasse a donne. Appena mi fui ambientata, la sua principale occupazione tornò quella- ridacchiò, ma di nuovo un’ombra triste le oscurò il viso.
Non gli aveva ancora detto tutto.
Non ne aveva il coraggio.
-Ma cosa ti ha detto prima per farti arrabbiare a quel modo? Credevo lo avresti ucciso!- a puntino arrivò la domanda di Allen, che la mandò ancora più in crisi. Hoshi lo fissò, poi fece un gesto noncurante con una mano, trincerando ogni sua preoccupazione dietro ad un’espressione spavalda –dovevo solo mettere nettamente in chiaro una cosa- mormorò, fissando il muro di fronte a sé.
Allen non insistette, cosa che da Hoshi fu ringraziata con molte benedizioni. Non sapeva perché, ma quel piccolo ed insignificante particolare non voleva assolutamente saperne di uscire dalla sua bocca.
Concluse che non era poi così importante. Quel passato, chissà come, per lei non contava più niente. E se a Marian fosse venuta la balzana idea di fare la spia, avrebbe modificato tutti i suoi akuma e gliel’avrebbe dato in pasto.
Un sorriso omicida le si allargò sul volto al pensiero.
-Ho-Hoshi?- Allen la fissava spaventato, e lei sospirò: possibile che incutesse così paura?
-Niente, stavo solo pensando- disse, non contribuendo per niente a sopire i timori dell’albino.
-A cosa?- chiese titubante.
-Al fatto che ti avevo detto di chiamarmi in un altro modo, se non ricordo male- rispose, grattandosi un dito con finta noncuranza.
Lo sentì sorridere, e ancora una volta si stupì di come con Allen sembrasse superfluo ogni contatto per sapere cosa stava facendo o che espressione aveva sul viso.
La colpì un pensiero improvviso, utile anche per sviare da argomenti pericolosi.
-E Link? L’hai sepolto vivo?- chiese, guardandolo con un sopracciglio alzato.
Il sorriso sadico stavolta s’impadronì del volto di Allen, che iniziò a sghignazzare, raccontando qualcosa su un’oscura e sinistra invenzione di Komui.
Quel teatrino la fece ridere, anche se ben ricordava la devastazione che era capace di causare il pallino delle invenzioni di quel pazzo.
Era ovvio però che stavano continuando a sviare dall’argomento principale, e così fu finchè Allen non si decise ad affrontarlo.
-Ehi- fece a un certo punto, serio. Gli occhi di Hoshi si fissarono nei suoi.
-Quello che è successo in missione… ecco…- santo cielo, che imbarazzo! Hoshi distolse bruscamente lo sguardo, sentendosi arrossire fino alla radice dei capelli, mentre il cuore le batteva all’impazzata nel petto, del tutto incurante dell’infarto a cui era prossima la sua proprietaria.
-…so che la domanda può sembrare strana- continuò Allen, evidentemente in agitazione quanto lei, dal momento che continuava a guardare da una parte all’altra come impazzito.
-…ma tu sai perché è successo?- chiese, alla fine.
Hoshi tutto si aspettava, meno che una domanda del genere.
Avrebbe tanto voluto saperlo anche lei, il perché. Sapeva che l’aveva voluto, sapeva che ne era felice, ma non aveva la più pallida idea del perché fosse successo.
Non voleva dargli il nome di sentimento. Non ci riusciva. Non ancora.
-I-io non lo so- sussurrò, avvertendo uno strano gelo invaderle il petto e lo stomaco, una sensazione così sgradevole che le fece sgranare gli occhi.
“Ma che mi succede?” sentiva le mani artigliare la stoffa della veste, fredde come il marmo.

Si pentì istantaneamente di averle fatto quella domanda non appena la vide andare in crisi a quel modo.
In effetti, a dirla tutta il perché non lo sapeva nemmeno lui. Non sapeva neppure se fosse così importante ma, che fosse fondamentale o meno, il non saperlo spiegare disorientava Hoshi a morte per qualche motivo a lui oscuro.
Le prese una mano e quasi si spaventò nel sentire quant’era gelata.
Decise in quell’istante che non poteva sopportare di vederla in quello stato, e che avrebbe preferito di gran lunga che gli tirasse un manrovescio per quello che stava per fare.
Non capiva cosa l’avesse spinto verso di lei a quel modo, sentiva come se fra loro ci fosse una sorta di connessione, come se potessero capirsi ad un livello molto, molto più profondo del normale.
Le accarezzò lievemente una guancia, girando il viso verso il suo e portandosi vicino a lei. Hoshi seguì i suoi movimenti senza staccare gli occhi dai suoi.
Ancora una volta, ad Allen quelle tenebre sembrarono luminose.
Appoggiò lievemente le labbra su quelle di Hoshi, sfiorandole il viso con le mani.
Non sapevano perché stesse succedendo tutto ciò, eppure il ragazzo sentiva che nessuno dei due voleva che finisse.
Hoshi ricambiò il bacio, infilando le dita fra i suoi capelli. La schiena gli si riempì di brividi.
Si separarono, e la strinse a sé senza dire una parola.

-Scusami. Non avrei dovuto chiedertelo, dal momento che nemmeno io lo so- stretta fra le braccia di Allen, quelle parole le arrivarono come da una dimensione fastidiosa e lontana. In quell’istante più che mai avrebbe voluto scordare ogni cosa esterna e rimanere sola con quella pacificante sensazione di felicità.
-Non scusarti. E’ che ancora non ce la faccio a…- sussurrò, ma si interruppe. Non riusciva a fare cosa? A rendere conto del suo passato? A superare quella paura che si era impadronita di lei quando avrebbe dovuto salire tutto a galla? Avrebbe tanto voluto non averla, eppure non riusciva a levarsela dalla mente, intuendone solo molto vagamente il motivo.
-Lo so. Va tutto bene- mormorò Allen, appoggiandole le labbra sui capelli. Hoshi si stupì di come si sentisse bene in quel momento, di come ogni problema, ogni odio ed ogni rabbia fossero svaniti come polvere dalla sua anima.
-Si- bisbigliò in risposta. Finchè le cose fossero andate a quel modo, non poteva che andare tutto bene, pensò chiudendo gli occhi.
-Aster- la chiamò lui dopo un po’. Buffo come suonasse incerto quando usava il suo vero nome, pensò. In effetti, pareva strano anche a lei: erano secoli che nessuno la chiamava così.
Una fitta allo stomaco le ricordò chi fosse stato il primo a farlo, ma la ragazza la scacciò con rabbia. Perché doveva sempre intromettersi nei suoi pensieri?
-Dimmi-
-Tu non hai paura?- Hoshi emise uno sbuffo di esasperazione.
-Cos’è, la serata delle domande impossibili?- rispose acida, senza rendersi nemmeno conto di essere scattata sulla difensiva. Allen non disse niente, ma lo sentì irrigidirsi e sospirò.
-Scusa. Te l’ho detto, non ci sono abituata- mormorò.
Ci fu solo silenzio, fino a quando non si decise a parlare di nuovo.
-Io… ho paura, Allen- disse pianissimo, rendendosi conto di averlo ammesso per la prima volta anche con se stessa.
-Ho paura di queste tenebre. Voglio che finiscano, ma so che sono destinata a caderci comunque- la sua voce si affievolì ulteriormente. Allen le accarezzò i capelli, attorcigliandosi una ciocca attorno a un dito. Erano cresciuti, adesso arrivavano una buona spanna sotto le spalle, candidi come una cascata di ghiaccio.
-Finiranno- mormorò, ma la sua voce non era più sicura come prima. Hoshi riuscì a sentire la sua paura da quell’unica parola.
Anche lui rischiava di essere inghiottito dall’oscurità. Tendeva a dimenticarlo un po’ troppo spesso, si rimproverò.
-Lo sai? Non c’è mai quando siamo insieme- disse con un mezzo sorriso, sbirciando sopra la spalla del ragazzo. Si riferiva all’ombra del Quattordicesimo. Allen sorrise a sua volta.
-Non lo dici per rincuorarmi?- chiese. Lei lo guardò interdetta –certo che no. Piuttosto che dire una cosa simile per finta starei zitta, mi pare ovvio- disse decisa, aspettando che le spiegasse il perché di quella domanda.
-Non sopporto come mi guardano- disse con un sospiro secco –gli altri. Come se sul mio capo pendesse una sentenza di morte- la sua voce si fece diversa dal solito tono rassicurante, era frustrata, dura, amareggiata. Hoshi sentì come se Allen stesse per la prima volta dicendo realmente cosa pensava dietro a quella maschera sorridente che indossava sempre per non far preoccupare gli altri.
-Non sono granchè nel decifrare i rapporti umani- disse –ma credo che lo facciano perché sono preoccupati per te- era la risposta più ovvia ad un problema del genere, eppure si odiò per avergliela data.
Lei stessa sapeva benissimo che quelle parole non significavano niente.
-Tu non lo fai. Non sei preoccupata?- domandò Allen in tono di sfida. La ragazza non ci badò: decise che finchè gli fosse servito per buttar fuori tutto ciò che non aveva mai espresso, avrebbe sopportato di tutto.
-Certo che lo sono- rispose decisa come sempre –ma io so come ci si sente. Per questo non lo faccio. Per chi non lo sa è più difficile, credo- aggiunse.
-Sembra che per loro io non sia più lo stesso di prima. Mi sento come un estraneo di cui nessuno si fida-
-Questo non è vero- quelle parole le sfuggirono di bocca prima che potesse controllarsi, innescate dallo sfogo di Allen. Il ragazzo la guardò senza dire niente, e Hoshi lo fissò di rimando dritto negli occhi, senza distogliere lo sguardo nemmeno per un istante –io mi fido. Quella cosa non sei tu. Potrà anche possederti e divorarti, ma non sei tu. Non lo penso, e non lo penserò mai- disse con enfasi.
Allen la strinse a sé con più forza, e Hoshi ricambiò l’abbraccio. Lo sentiva fragile, e non l’avrebbe lasciato andare a fondo in quel buio senza lottare assieme a lui.
Osservandolo in silenzio, erigendo barriere fra sé e tutti loro, aveva visto benissimo che Allen lottava con tutti, ma che nessuno lottava realmente con lui.
-Grazie- rispose dopo un po’, senza allentare la presa –io… io credo sia per questo. Non avevo mai detto queste cose a nessuno- mormorò. Il cuore di Hoshi fece una serie di capriole, malgrado la serietà della conversazione.

Rimasero in quella stanza tutta la notte, senza chiudere occhio.
Si conobbero forse ad un livello ancora più profondo di quello delle confidenze più segrete; le tenebre che li avvolgevano si fusero e loro si incontrarono in esse, illuminandole con la loro luce maledetta dalla vita.

All’alba, Allen fece per andarsene, quando, appena ebbe messo la mano sulla maniglia della porta, Hoshi lo afferrò per una manica, gli occhi bassi.
Il ragazzo le prese la mano, guardandola dolcemente.
-Tutto bene?- era più un modo per darle l’occasione di parlare, più che per chiederle realmente conto della situazione.
Entrambi dubitavano che potesse andare meglio, in quel momento.
-Ecco, Allen, io…- balbettò lei incerta, senza sollevare gli occhi dal pavimento. La voce le tremava, poi d’improvviso alzò il viso e lo guardò con un’espressione a metà fra la decisione e la paura.
-Io… non lo so, non so perché stia succedendo- sussurrò, tormentandosi i capelli con la mano libera –so solo che c’è una cosa che anch’io non ho mai detto a nessuno, e che vorrei dire a te. Però devi farmi una promessa- aggiunse precipitosamente, gli occhi lucidi e le guance arrossate. Allen si avvicinò a lei e le sfiorò la fronte con un bacio, appoggiandovi poi sopra la sua e fissandola negli occhi.
-Tutto quello che vuoi- disse.
-Devi credermi. Promettimi che crederai a quello che ti dico, qualsiasi cosa possa succedere- la ragazza si morse un labbro, ma una lacrima le sfuggì ugualmente dagli occhi scuri.
La baciò dolcemente e a lungo, finchè non la sentì rilassarsi, poi si staccò e le mormorò a fior di labbra –credo soltanto a te-.

Hoshi sentiva che era quello l’essenziale. Si fidava di Allen, ma lui doveva crederle, o quello che erano riusciti a trovare sarebbe potuto facilmente sparire nel nulla per una sola parola di troppo.
Non avrebbe sopportato di perderlo.
Non dopo aver capito.
Era vero, non sapeva né il motivo né le conseguenze che ciò che stava succedendo avrebbe potuto avere, ma era perfettamente conscia di cosa stesse succedendo.
Passò le braccia attorno al collo di Allen e avvicinò le labbra al suo orecchio. Era sicura che il ragazzo potesse sentire i battiti del suo cuore, da tanto che erano forti.
“Hai paura?” la voce di Jerry le risuonò in testa anche in quel momento.
“No, di questo no” pensò sicura, chiudendo gli occhi.
-Ti amo- sussurrò.
Non sapeva quando la sua mente avesse fatto il passo definitivo che l’aveva portata a capirlo, ma ne era perfettamente certa. Poco importavano i motivi, alla fine, e poco importava il fatto che stesse accadendo tutto all’improvviso. Aveva aspettato fin troppo, immobile in un gelo che le aveva portato solo dolore e buio. Adesso era ansiosa di immergersi totalmente in quella luce, non importava per quanto sarebbe durata.
Sentì la risposta di Allen, sentì l’emozione nella sua voce e intuì che la sua doveva aver suonato in un modo simile.
Non importava quanto a lungo sarebbe durata quella luce, no, purchè ci fosse in quel preciso istante.






Note dell'Autrice:

E all'alba della mia partenza per l'Irlanda, eccovi un nuovo sdolcinatissimo capitolo in cui non succede un'emerita cippa di niente!
Ma gli sviluppi arriveranno, tanti e tutti insieme, dovete solo avere pazienza. Siccome con questo caldo boia mi sono presa una congestione non posso stare molto a commentare... se avete osservazioni scrivetele nei commenti e vi risponderò appena mi riprendo!

Rispondiamo ai commenti:

DarkAngel_oF_DarkNess: sono troppo contenta quando leggo i commenti di qualcuno a cui piace la mia fanfiction *__* spero che continui a seguirla anche nella sua lenta evoluzione (con tutti i colpi di scena che ho in mente dovrò rileggerla tutta prima di postare ogni successivo capitolo..!) :)

Sherly: ooooh, adesso ci siamo u.u questo capitolo bello sentimentale credo che ti piacerà (spero!) ;) il "capitanessa ovvio" mi è uscito dal cuore, vista la situazione... Lina avrà il suo sviluppo come tutti gli altri personaggi... aspetta e vedrai! ;D

Baci a tutti!! Fatemi trovare qualche commento quando torno >____<

Bethan

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Capitolo 19
*** Madness fire ***


Appoggiò il palmo della mano al legno freddo della porta.
Non sapeva se bussare o meno, vista l’ora e la situazione, ma davvero non sapeva a chi rivolgersi.
Ad un tratto la porta si spalancò improvvisamente, facendola sobbalzare. Si trovò davanti all’unico occhio verde di Lavi che la guardava beffardo.
-Hai intenzione di star lì a meditare ancora per molto?- chiese ridacchiando e spostandosi per farla passare.
-Non volevo disturbare…- sussurrò senza muoversi, sbirciando dentro.
-Il vecchio non c’è- disse lui, intuendo i suoi pensieri –è andato in missione, tornerà domani- Linalee entrò a passo felpato nella stanza stracolma di libri, giornali e fogli fitti di scrittura accatastati dovunque. C’era a malapena lo spazio per camminare.
Si sedette sul letto, sentendo le molle cigolare quando Lavi fece lo stesso.
-Che succede?- chiese lui, semplicemente.
Linalee non sapeva perché fosse capitata proprio da lui. Forse perché era l’unico a sapere, l’unico con cui avesse parlato.
-Non riesco a dormire- mormorò, sentendosi opprimere il petto al pensiero di rievocare un’altra volta tutto quello che sentiva.
Non era mai stata così confusa, così divisa.
Il rosso sospirò –andiamo, forza- la prese per mano, facendola rialzare e forzandola fuori dalla camera.
-Ehi, aspetta! Andiamo dove?- balbettò stupita. Lavi sorrise –non credo questo sia il posto migliore per te, ora. Andiamo a farci un giro- spalancò una finestra e tirò fuori l’innocence, evocandola.
-Ma se mio fratello ci scopre…- iniziò lei, non opponendo però resistenza quando il ragazzo la prese in braccio e salì sul manico del martello.
-Gli dirò che ho evitato che tu impazzissi. Dovrebbe essermi abbastanza grato- sentenziò, partendo a tutta velocità verso il cielo.
-E gli akuma..!- non stavano facendo nulla di male, tecnicamente. L’Ordine non era una prigione. Però era molto pericoloso, dato che lei non poteva neppure usare l’innocence.
-Ci sono io, tranquilla- mormorò Lavi concentrato sulla destinazione.
In un impeto di ribellione, Linalee decise di non preoccuparsi e si appoggiò al petto del ragazzo, godendo del vento freddo della notte che sembrava spazzare via tutti i pensieri che le bruciavano dentro.

Arrivarono in un paese in festa, diverso dal grigiore quotidiano.
Lanterne dai colori allegri erano appese dovunque, lungo la via principale ma anche nei vicoli più nascosti. La luce regnava sovrana, di mille sfumature diverse.
Un delizioso profumo di cibo si spandeva per ogni anfratto, e dovunque era un viavai di gente che rideva e scherzava, incurante del freddo.
-C’è una festa… non lo sapevo- mormorò Linalee, rinfrancata da quella vista. Lavi le mise un braccio attorno alle spalle con un gran sorriso e le indicò la folla –che aspettiamo? Andiamo, avanti!- si immersero nel flusso di persone, per una volta dimentichi del fatto che potessero esservi degli akuma.
Il ragazzo indossava vestiti normali, l’innocence ben nascosta sotto al maglione. Non c’era quel bersaglio sul loro cuore, per una volta, ed entrambi se ne sentirono liberati.
Si sedettero ad un banco dove vendevano dolci, e Lavi intercettò lo sguardo malinconico di Linalee posarsi su tutto quello che Allen mangiava abitualmente a colazione.
“Maledizione. Ma ti piace così tanto?” pensò frustrato, quando gli venne un’idea sentendo i discorsi delle persone dietro di loro.
-A che ora è lo spettacolo pirotecnico?- chiese una ragazza a quella che le stava accanto.
-Fra un’ora, sul ponte! Forza, andiamo a ballare!- corsero via ridendo. Osservò di nuovo Linalee, che non dava segno di averle sentite.
La afferrò per un braccio, trascinandola verso un punto se possibile ancora più zeppo di persone, da cui si sentiva una forte musica allegra.
-Lavi, non credo di…- iniziò lei, ma le appoggiò un dito sulla bocca, zittendola.
-Cerca di non dare spazio a quei pensieri. Non li escludere, semplicemente pensa ad altro- mormorò sorridendo.
Ballarono assieme, il viso della ragazza che andava sempre di più distendendosi, poi ad un tratto Lavi guardò la torre dell’orologio: c’erano quasi.
-Andiamo- le sussurrò in un orecchio, avvicinandosi a lei –ti porto a vedere una cosa!- Linalee lo seguì senza fiatare.

-Appena in tempo!- esclamò Lavi, sbucando sull’argine del fiume nell’esatto istante in cui un enorme fuoco d’artificio color arancione esplodeva sopra di loro.
-Wow! I fuochi d’artificio! Li adoro!- Linalee si sentì rinascere a quella vista. Le ricordava la sua infanzia in Cina, quando ogni festa si concludeva sempre con uno spettacolo scintillante.
Era grata a Lavi per averla portata lì, consentendo alla sua mente di concentrarsi su cose più piacevoli. Non le aveva chiesto niente, e gli era riconoscente anche per questo: in fondo, la cosa che meno voleva fare era parlarne.
Avrebbe voluto dimenticare tutto ciò che aveva provato ed essere semplicemente contenta per i suoi compagni, ma qualcosa in lei non ci riusciva. Ricordò la freddezza di Hoshi quando aveva affrontato l’argomento, probabilmente dovuta al disagio, e si sentì stupida per essere andata a piangere da lei in quel modo.
Come se volesse rinfacciarle la sua felicità. Ma chi si credeva di essere?
-Ci pensi ancora?- la voce del ragazzo la riscosse dai suoi pensieri, mentre altre figure brillavano fra le stelle, colorandole.
Fece un sorriso mesto –sembra che non possa farne a meno- sussurrò –non so cosa fare- sentì la voce iniziare a tremare e si impose di controllarsi. Non voleva crollare come l’ultima volta, ma Lavi la abbracciò, stringendole le braccia attorno alla schiena.
-Sfogati pure. Nessuno verrà a sapere di stasera- mormorò.
Quelle parole ebbero l’effetto di farla sciogliere del tutto. Iniziò a singhiozzare, prima piano, poi sempre più forte, il suono del suo pianto che si mescolava con lo scoppiettare dei fuochi.
Lavi non sapeva che fare. Era la prima volta in vita sua che si trovava totalmente preso alla sprovvista a quel modo.
La missione nell’arca lo aveva messo davanti ad un crocevia drammatico, e il Sogno di Road aveva evidenziato come giusta la strada peggiore.
Cosa doveva fare?
Strinse le braccia attorno al corpo di Linalee, sentendola tremare contro il suo petto. Sospirò: in quel momento non poteva fare davvero niente, e non solo per via della propria situazione delicata.
Dubitava che la ragazza sarebbe stata in grado di rispondergli in maniera decisa, qualora lui avesse… scosse violentemente la testa, sforzandosi di scacciare immediatamente quel pensiero.
Lui non doveva fare niente. Essere lì in quelle circostanze era già un rischio abbastanza grosso.
Non poteva andare oltre, quello era il confine che non doveva in nessun modo oltrepassare.
Rimasero lì ancora, Lavi si limitò a stringere a sé la ragazza piangente. Il rumore dei suoi singhiozzi si mescolava all’esplosione del fuoco.

---

-Ehi- il richiamo brusco del cretino del villaggio la fece voltare con un sopracciglio alzato ed un’aria decisamente scocciata stampata in viso.
Se voleva litigare, non aveva che da dirlo. Sarebbe stata la volta buona per levarselo definitivamente dai piedi, ma purtroppo per lei sembrava che le intenzioni di Lavi non fossero quelle di farsi amabilmente scannare.
-Che vuoi?- chiese, caustica come al solito, mentre appoggiava pesantemente il vassoio sulla pila lasciata da Allen.
-Devo parlarti. Adesso- disse il rosso, senza smettere di fissarla un secondo con quell’aria truce.
Hoshi sospirò, girandosi verso Allen che la guardava poco distante. Gli fece cenno di avviarsi con la mano, non sapeva perché ma l’aria di Lavi la rassicurava ben poco.
Lo seguì fino in giardino, lontano da orecchi indiscreti.
-Cosa c’è fra te ed Allen?- chiese lui senza alcun preambolo.
La ragazza sbottò in una risata irritata e sarcastica –scusa? E perché dovrebbe interessarti?- domandò di rimando.
Possibile che non riuscissero in alcun modo a lasciarla in pace?
-Mi interessa perché Lina sta male- rispose Lavi brusco, strappandole un ghigno beffardo.
Allora era davvero andata a piagnucolare da lui, pensò, non senza una punta di delusione. Credeva che Linalee fosse diversa, tutto sommato. L’aveva sopravvalutata.
-Mi dispiace, ma non posso farci niente. Se Allen avesse scelto lei, io mi sarei fatta da parte- disse seccamente, poi mosse due passi verso il castello, girandogli le spalle e dandogli a intendere che la questione per lei era chiusa.
Non avrebbe sprecato una parola di più su quell’argomento, ma prima che potesse allontanarsi a sufficienza sentì il rumore del martello di Lavi che veniva scagliato a tutta forza contro di lei.
Riuscì a schivarlo per un pelo, abbassandosi all’ultimo secondo.
-Baratro- mormorò, gli occhi che nei giorni precedenti avevano mostrato qualche barlume di luce tornati ad essere pozzi senza fondo, famelici, che inghiottivano qualsiasi cosa si parasse davanti a loro con l’intento di ostacolarli.
Lavi frenò l’attacco, evitando lo specchio che minacciava di inghiottire la sua arma.
-Non mi farò problemi, Bookman Junior- disse piano Hoshi, fissandolo –se è la lotta che vuoi, sii pronto a morire- la katana nera le comparve fra le mani, la lama insolitamente lunga –ti concedo di pensare a ciò che hai di importante, poi sappi che se mi attacchi non avrò remore- non distolse nemmeno un istante gli occhi dal suo. Il ragazzo aggrottò le sopracciglia e assottigliò le palpebre –è per ciò che ho di importante che sto facendo questo. Tu devi sparire! Timbro di fuoco!- piantò il martello a terra, e le fiamme si sprigionarono immediatamente, altissime, in colonne immense.
Hoshi tracciò fulminea un cerchio attorno a sé con la katana –Sesto Riflesso: grembo materno- sussurrò. Una sfera nera come la notte la avvolse completamente, lasciandola per qualche istante immersa in un’oscurità densa e tiepida. Sentì l’energia venire risucchiata piano dal suo corpo da quella nuova tecnica. Era potente, ma esigeva un prezzo alto, constatò, sentendo la carne dei polsi bruciare.
La sciolse appena in tempo per vedere Lavi roteare di nuovo la sua arma, e non perse un istante.
Lo specchio si materializzò al suo fianco, mentre scattava fulminea verso il ragazzo, prevedendo un nuovo timbro di fuoco, ma le fiamme stavolta le si pararono davanti improvvise, circondandola in una cerchia mortale.
-Dannazione- imprecò, tossendo per il fumo e notando con preoccupazione crescente che il cerchio si stringeva sempre di più. Non poteva usare di nuovo il Sesto Riflesso, ne sarebbe andato della sua vita. Ma anche se avesse tentato di usare il Baratro, quelle fiamme avrebbero continuato a rigenerarsi.
Era in trappola.
-Illusione, vento dell’Est!- una voce profonda seguita da una fortissima folata di vento gelido che disperse in un istante le fiamme piombò di fianco a lei.
-Kanda?- Hoshi lo fissò sbigottita: che quello la salvasse era davvero una cosa fuori dal mondo, ancora di più dell’improvvisa pazzia di Lavi.
-Tsk. Vuoi fermare quel pazzo o devo pensarci io?- sbottò acido il giapponese. Hoshi annuì ed evocò la katana.
Non avrebbe voluto ucciderlo, e quello fu un pensiero che stupì lei stessa in primo luogo, ma non le stava dando alternative.
Corse di lato, facendo un cenno d’intesa a Kanda, che annuì ed iniziò ad attaccare Lavi per tenerlo impegnato.
Infilò una mano nello specchio, ne estrasse la polvere argentea e la tenne ben stretta nel palmo della mano. Adesso doveva avvicinarsi al ragazzo abbastanza per lanciargliela in faccia e bloccarlo.
Poteva farlo in un solo modo, constatò, osservando l’ampio raggio che il martello del rosso copriva a terra.
Doveva volare.
Le bruciature facevano urlare ogni suo singolo nervo, assieme alla fatica dell’evocazione.
-Ali- mormorò, spiccando il volo immediatamente.
Con una manovra molto azzardata, riuscì a portarsi velocemente accanto al viso di Lavi, soffiandogli la polvere addosso, ma l’attacco del rosso era già partito, ed il martello si schiantò contro di lei, avvolto dalle fiamme.
Hoshi sentì solo un dolore allucinante, poi tutto si fece buio.






Note dell'Autrice:

Ecco il nuovo capitolo... vi comunico con molta depressione che non so quanto riuscirò ancora ad aggiornare la fanfiction. Spero che aspetterete, sono determinata a portarla fino in fondo visto che ormai ne ho già scritta un bel po', ma sto passando un periodo schifoso e la voglia di scrivere è ancora meno di quella di studiare, il che è tutto dire. Cercherò di postare con regolarità i capitoli che ancora mi rimangono. Mi dispiace se vi farò aspettare.
Grazie a tutti coloro a cui la mia storia piace e che mi aspetteranno comunque.

Baci

Bethan

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Capitolo 20
*** A Voice of Rage ***


-Ahia- quando sentì quel sussurro soffocato credette in un primo momento di avere le traveggole. Poi vide gli occhi scuri di Hoshi schiudersi leggermente, fino a spalancarsi del tutto, neri, stanchi, ma vivi.
Le dita della ragazza strinsero le sue.
-Che cavolo… è successo?- sussurrò, portandosi l’altra mano alla tempia.
Allen le scostò gentilmente un ciuffo di capelli dal viso –Lavi ti ha attaccata- si rese conto che la sua voce non voleva saperne di rimanere ferma, ma davvero non avrebbe saputo cosa farci.
Quando aveva visto arrivare Kanda, anche lui pieno di ferite, con Hoshi in braccio conciata a quel modo, aveva creduto che sarebbe impazzito. Persino Komui, che di solito era abbastanza paziente, era arrivato ad allontanarlo in malo modo dall’infermeria.
Invano aveva tentato di estorcere a Kanda informazioni su ciò che era successo. Il giapponese si era chiuso in un mutismo incorruttibile ed era sparito chissà dove.
Ma la cosa peggiore era un’altra.
Ed Allen non riusciva davvero a capacitarsi di come fosse potuta succedere una cosa simile.
-Lavi… Lavi ti ha colpita in pieno col timbro di fuoco- mormorò con un filo di voce, chinando la testa –sei qui da una settimana, non ti svegliavi, credevo…- Hoshi si tirò a sedere ed appoggiò la testa sulla sua spalla, ponendo fine al suo sussurro sconclusionato –si- mormorò –l’ho pensato anch’io-.
-Ma… perché?- le chiese dopo un po’, senza muoversi di un millimetro da quella posizione.
La sentì sospirare –non vuoi saperlo- disse piano. Suo malgrado, Allen si staccò per guardarla negli occhi con aria interrogativa –che significa? Certo che voglio saperlo- mormorò.
Hoshi sospirò nuovamente e si appoggiò ai guanciali –Linalee… è innamorata di te, ecco- distolse lo sguardo imbarazzata, fissando un lembo del lenzuolo –e Lavi mi odia per questo-
-Ma non ha senso, cosa c’entra Lavi?- chiese, ma di fronte all’ennesimo sospiro della ragazza si sentì oltremodo ottuso su qualsiasi cosa riguardasse i sentimenti umani.
-A Lavi piace Linalee, Allen. Possibile che tu non te ne sia mai accorto?- disse, come se fosse stata una cosa di dominio pubblico.
-Ma Lavi è il fut…- tentò ancora Allen, ma fu interrotto da un gesto brusco di Hoshi –insomma! Credi davvero che conti così tanto? Lavi non ha mica fatto una dichiarazione d’amore, ha solo tentato di farmi fuori!- sbottò, più seccata di quanto in realtà avrebbe voluto.
Il ragazzo abbassò gli occhi, sospirando a sua volta.
Quindi in pratica era colpa sua, era questo che Hoshi voleva fargli capire.
Linalee era palesemente innamorata di lui e lui, Allen, l’aveva ferita, seppur involontariamente. Ma cosa poteva farci?
Voleva molto bene all’amica, ma quello che sentiva per Hoshi era una cosa totalizzante, che lo assorbiva completamente, non paragonabile a nessuna sensazione che avesse mai provato.
Inutile dire che la reazione di Lavi era senza scusanti. Il primo impulso che aveva avuto dopo aver sentito la secca replica di Hoshi era stato quello di andare a rendergli pan per focaccia, o perlomeno un sonoro cazzotto.
Ma il problema era un altro, e più serio, e mano a mano che un’idea che avrebbe preferito non partorire nemmeno prendeva sempre più piede nella sua testa, si convinse che quella era l’unica alternativa possibile.
Per lui, per Hoshi, per tutti. Non solo per quello che era successo quel giorno, ma per ciò che sarebbe potuto succedere nei giorni a venire.
Prese una mano della ragazza, sentendo quanto le dita di Hoshi fossero calde rispetto alle sue, rese gelide da quello che stava per dire.
Si inumidì invano le labbra, tentando di schiarirsi la voce, fissando le loro dita intrecciate, poi parlò, ed ogni parola era una coltellata che si imprimeva sempre più a fondo nel suo stomaco.
-Hoshi, non possiamo continuare. Non voglio assolutamente che per colpa mia tu debba venire ferita. Non lo sopporterò un’altra volta- mormorò senza alzare lo sguardo.
Hoshi non disse niente, ma il suo corpo, che prima dava segni di vitalità, si immobilizzò completamente, come fosse pietra. La mano di Hoshi rimase inerte fra le sue, senza nemmeno il più impercettibile dei movimenti.
-Non capisco- fu il suo unico sussurro, dopo un tempo che ad Allen sembrò eterno. Per la rima volta alzò gli occhi a guardare il suo viso: pallida come al solito, non c’era traccia sulle sue guance del lieve rosa che le tingeva a volte quando erano insieme. Gli occhi neri fissavano il lenzuolo, smarriti, immensamente profondi.
-Tutto questo non farà che causarti dolore. Sai cosa sarò destinato a diventare, Hoshi. Non può durare, in ogni caso- si stupì di quanto suonasse decisa la sua voce, di quanto fosse fredda, a discapito del dolore che avvertiva nel petto, che bruciava come mille lame incandescenti. Doverla perdere dopo averla appena trovata gli sembrava una cosa contro natura.
Di nuovo, un silenzio lunghissimo, poi la ragazza disse altre due parole, con un tono così duro che gli venne quasi voglia di fare dietrofront, di dirle che niente di ciò che aveva detto era vero, che avrebbe voluto continuare a stare con lei finchè la sua anima avesse avuto forza per resistere al Noah.
-Vattene via- mormorò, piantando gli occhi neri nei suoi e sfilando la mano dalla sua stretta.
-Hoshi…- balbettò Allen, ma lo sguardo che lei gli rivolse era esattamente quello dei primi giorni, quando ancora era convinta di odiarli.
Ma adesso non c’era odio.
C’erano delusione, rabbia, sofferenza, e amore, suo malgrado.
-Lasciami in pace- sibilò. Lo fissò fino a che non fu costretto ad alzarsi mestamente e ad uscire. Poco dopo sentì lo scricchiolio della chiave che girava. Barcollò fino nella sua stanza e si buttò sul letto, incurante del fatto che il tonfo avrebbe molto probabilmente svegliato Link.
Si girò verso il muro e pianse.

---

Spalancò la porta col calcio più violento che le riuscì, scardinandola. Vide la ragazza con i capelli neri sobbalzare e fissarla prima sbalordita, poi impaurita dal suo sguardo.
-Hoshi! Che succede?- di nuovo, la solita voce pietosa e compassionevole. Non poteva sopportarla. La rabbia la prese improvvisa, accecandola. Le tirò uno schiaffo così forte che la fece cadere in terra tenendosi la guancia.
Respirò affannosamente, cercando con tutte le sue forze di reprimere l’istinto che voleva solo schiantare una per una tutte le ossa di quel corpo minuto che aveva davanti, e lo sforzo fu così grande che le lacrime iniziarono a scenderle copiose dagli occhi neri.
-E’ tuo, adesso- mormorò in tono glaciale –spero sarai contenta- fissò qualche istante le iridi viola di Linalee attraverso il velo umido, cercando di trasmettere tutto il dolore, tutta la delusione che stava provando in quel momento.
Si era fidata, di nuovo.
E l’avevano tradita, di nuovo.
Voltò le spalle alla cinese, facendo per uscire.
-Hoshi, aspetta, ti prego!- Linalee la afferrò per una manica, barcollando ancora per la forza del colpo, ma la ragazza se la scrollò di dosso con violenza, gettandola contro la parete.
-Avvicinati un’altra volta a me e ti ammazzo- sibilò con una voce che la mora stentò a riconoscere –dillo anche agli altri tuoi amici. Statemi lontani, non voglio più avere a che fare con nessuno di voi- la voce le si ruppe, ma ormai aveva finito. Uscì dalla stanza, lasciando la ragazza accasciata per terra, il sangue che colava da una ferita sul labbro, un grosso livido che andava allargandosi sulla guancia.

-Cos’è questa storia?- Komui le stava davanti, serio, ma gli rispose un’occhiata da far paura.
-Non azzardarti- mormorò la ragazza –a darmi la colpa di qualsiasi cosa. Prenditela con i tuoi adepti che non sono in grado di compiere un’azione coerente- dita sottili afferrarono il fascicolo della missione e Hoshi uscì sbattendo la porta. L’uomo sospirò, prendendosi il viso fra le mani.
Com’era potuto succedere?
Sembrava che le cose stessero andando meglio, sembrava che Hoshi si fosse integrata a suo modo col gruppo, sembrava che Allen l’avesse aiutata.
Lavi era sotto chiave, interrogato strettamente da Bookman, senza alcuna pietà.
Linalee non faceva che piangere, sconvolta, e girava per l’Ordine con viso inespressivo.
Allen, dal canto suo, non era messo affatto meglio. Non apriva quasi mai bocca, era come se il peso di tutto ciò che era successo gli si fosse riversato improvvisamente addosso, cancellando il suo solito sorriso inglese.
Ironico, pensò Komui. Tutti gliel’avevano sempre rimproverato, ma solo adesso che non c’era più capiva realmente quanto fosse rassicurante.
Qualcosa aveva rotto quell’equilibrio, e lui era un osservatore troppo scaltro per fingere di non aver capito quale fosse stata la causa scatenante di quel disastro. Gli anni passati all’Ordine l’avevano reso in grado di vedere anche cose che normalmente altri non coglievano.
Ma avere un quadro generale della situazione non lo aiutava affatto. Non poteva scusare Lavi per ciò che aveva fatto, non poteva sottrarlo dalle domande del suo maestro, ma non poteva nemmeno permettere che il gruppo di esorcisti rischiasse la vita per mano di un elemento incontrollabile come Hoshi.
Per questo aveva deciso di spedirla in missione da sola, perché avesse il tempo di sfogarsi e calmarsi un po’, sempre sperando che funzionasse in qualche modo.

Un boato assordante e un’esplosione, seguiti da una violenta onda d’urto che la sbalzò via di parecchi metri, invasero la sala grande all’improvviso.
Hoshi atterrò sulla schiena, i fogli che teneva in mano sparsi e volteggianti nel caos generale. Dovunque erano grida e gemiti.
Si alzò in piedi, incurante del dolore, fissando senza alcun orrore lo scenario raccapricciante che le si parava davanti.
Uno stuolo immenso di akuma aveva invaso il salone, e la Noah della forma si era introdotta nell’Ordine tramite l’arca. Le venne quasi da ridere: tanto lavoro per sorvegliare Allen, perché non usasse l’arca da solo, e poi i Noah riuscivano ad intrufolarsi proprio grazie ad essa.
-E’ così divertente, esorcista? Sei sola contro tutti- la apostrofò la donna, ghignando, ma Hoshi le rispose con un sorriso sarcastico ancora più ampio.
-Non ho alcuna intenzione di combattere contro di voi- disse candidamente, mettendosi a sedere. Le sue labbra erano incurvate in un sorriso, ma i suoi occhi erano come spenti, inespressivi, bui.
-Ti uccideremo, lo sai, esorcista?- chiese di nuovo la Noah, sovrastando con la sua voce acuta le grida di supplica dei finder e degli uomini stesi a terra, preghiere cui Hoshi chiuse ogni spiraglio di luce in faccia.
-Fate pure. Perlomeno voi non vi tradite l’un l’altro. Siete degni di stima- iniziò a dire con un’alzata di spalle, ma poi, in fondo alla sala, vide qualcosa che le bloccò le parole sul nascere.
Un akuma aveva afferrato Jerry, il cuoco, per la gola, e l’uomo stava per morire soffocato, prima che per l’azione del virus.
-Baratro- mormorò. Lo specchio si aprì sotto i piedi della macchina, che ne venne istantaneamente inghiottita, liberando la sua vittima.
-Ah, allora c’è qualcuno che vuoi difendere!- esclamò la donna con un risolino, ma Hoshi non diede segno di averla sentita.
Fulminea, si scagliò verso il cuoco steso a terra, stendendo il Grembo attorno a loro.
-Posso aprire un portale col Baratro- sussurrò nell’oscurità –ti porterà al sicuro. Non tornare qui, non mi troverai, probabilmente- benedisse il buio che l’accompagnava sempre, perché sentiva il calore delle lacrime rigarle le guance gelate.
-Hoshi, non fare pazzie- la voce di Jerry tremava –non farti inghiottire dalle tenebre, puoi uscirne, me l’hai dimostrato- la ragazza gli strinse una spalla.
-Sei stato l’unico qui dentro che non mi abbia presa in giro, e te ne sono infinitamente grata- mormorò –per favore, non cominciare a farlo adesso, non farlo mai. Addio, Jerry- avvertì la stretta dell’uomo sul suo braccio dissolversi mentre veniva inghiottito dall’innocence di Hoshi, trasportato in un luogo dove la ragazza era certa che nessuno l’avrebbe trovato per un po’. Sperava solo rimanesse lì.
Dissolse la sfera, trovandosi di fronte all’esercito dei nemici.
Chiuse gli occhi, mentre avvertiva con precisione il rumore dei proiettili che venivano caricati e puntati contro il suo corpo.
Volle che l’ultima immagine a passarle nella mente fosse lui, e rivide nei minimi dettagli i suoi occhi grigi, e quella cicatrice scarlatta che gli squarciava la guancia, la lacrima che non aveva mai versato.
E fu quel viso che vide quando, assordata dal rumore assordante degli spari degli akuma, si sentì strappar via dal suolo e trascinare bruscamente fuori dalla traiettoria mortale.
Si scrollò bruscamente il corpo di Allen di dosso, senza dire una parola nemmeno di ringraziamento.
In quel momento, ogni suo nervo era impegnato nello sforzo sovrumano di non abbracciarlo, di non mettersi a piangere di fronte a lui, di non mostrargli la sua debolezza ed il suo dolore. I suoi occhi scuri evitavano continuamente le iridi argentate del ragazzo, perché Hoshi sapeva benissimo che quel baratro impenetrabile si apriva solo di fronte ad Allen.
Improvvisamente avvertì un dolore sordo a lato del viso, e fece appena in tempo a realizzare che era uno schiaffo quando l’akuma emerse dalle macerie di fronte a loro.
-Trovati, esorcisti!- strillò, poi li fissò per qualche istante, come se fosse indeciso su chi dei due far fuori.
La ragazza colse il momento alla perfezione. Appena lo vide tendere le dita per tirare il colpo buttò Allen fuori dal raggio d’azione, ben consapevole che quell’attacco probabilmente l’avrebbe uccisa.
-Non mentivo, Allen- sussurrò. Il suo nome gridato con una disperazione che non avrebbe mai voluto sentire fu l’ultimo contatto col mondo prima di sprofondare nel buio.

Fissò il corpo di Hoshi frantumare una parete dopo l’altra, spinto dalla potenza del colpo del livello 4. Era come se il mondo si fosse fermato, com’era successo quella volta sull’arca. Un’incredibile voglia di distruggere ogni cosa si aggrappò alle sue viscere, infiammandogli tutto il corpo mentre nella testa udì un’improvvisa voce suadente.
Posso aiutarti nel massacro” sussurrò.
“Chi sei?” Allen pose la domanda senza sapere neppure se il suo interlocutore esistesse o fosse un mero frutto della sua disperazione. Il volto di Hoshi imbrattato di sangue gli passò in un lampo nella mente, mentre si sentiva gridare il suo nome in maniera indistinta, come se fosse stato immerso sott’acqua.
Ha importanza?” quelle parole furono la molla che lo fece scattare.
Chiuse gli occhi, li riaprì e si trovò di fronte l’akuma.
Iniziò ad attaccarlo senza pietà, mentre tutto attorno a lui si tingeva di un silenzio terribile. Era diventato sordo alle grida, ai richiami, alle voci di quelli che aveva considerato suoi compagni.
Voleva soltanto ucciderlo, e non appena si era abbandonato a quella voce suadente la furia l’aveva avvolto in un abbraccio di fuoco, facendogli scordare tutto e tutti.




Note dell'Autrice:

Nonostante il mio periodo no, non posso mollare una cosa già iniziata... e soprattutto dovevo festeggiare la mia felicità per il finale del capitolo 207 (per chi non l'avesse letto: FILATE SU UN SITO DI SCANS) :D :D :D io lo sapevo!!! *saltella gaia e felice su un prato (?)* ^____^
Diciamo che mi ha risollevato (un pochino) il morale...
Questo capitolo è, come dire... allegro, vero? >_> di qui in poi la storia diventa un macello, spero che l'andamento del manga non mi smentisca troppo perchè già come l'ho scritta finora è un'impresa ricordarmela, se poi devo pure modificarla... aiuto ç____ç

Rispondiamo ai commenti:

DarkAngel_oF_DarkNess: Lavi nelle mie fanfiction diventa sempre la carogna di turno... ma in questa fanfiction ci sarà una conclusione un po' diversa dal solito, almeno per come me la sono immaginata finora. Spero che con l'inizio dell'università mi sparisca il blocco dello scrittore, intanto buona lettura e grazie per i complimenti e per il commento ;)

Ciel88: ehm... come dire... credo che questo capitolo non mostri proprio come le cose fra Allen e Hoshi vadano sempre meglio ''>_> ...fra poco iniziano a entrare in campo cose misteriose che non conosco ancora nemmeno io che sto scrivendo (siam messi bene..!!)... spero di riuscire a far rimanere tutti a bocca aperta! ^^

Sherly: periodo no... tu mi capisci, vero? T^T mamma mia... mi sento come Hoshi in questo momento -.-

Grazie a tutti, finchè ci sarà qualcuno che leggerà non smetterò di scrivere!

Baci!


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Capitolo 21
*** Breaking all the Lies ***


Buio. Non c’era altro.
Quel buio che aveva desiderato non aveva però un compagno fondamentale: l’oblio.
Era ancora cosciente, in qualche modo.
“E’ questo l’aldilà? Un’immensa tenebra senza niente, buona solo a rendere folli?” pensò, cercando il suo corpo senza trovarlo. Non aveva sensibilità, si sentiva semplicemente galleggiare.
Con una tranquillità sorprendente si mise a pensare ad Allen.
Il dolore, neppure quello era stato soppresso in quel luogo, la colpì di schianto.
Non l’avrebbe rivisto mai più, e l’unico ricordo che lui avrebbe serbato di lei sarebbe stato quello della sua morte.
Il ricordo dolce di quella missione, immersi nella neve e nel silenzio, tornò a graffiare il suo petto, lasciandovi strisce infuocate che ben presto sentì scorrere dove intuiva dovesse esserci il suo viso.
Lacrime, bollenti, le solcavano le guance.
La percezione del corpo stava ritornando, scacciando il silenzio che iniziava a popolarsi di suoni lievi ma acuti.
Poi, una voce più chiara delle altre.
“Svegliati!” ordinò.
Le scappò quasi da ridere, non appena la riconobbe.
“Sono morta, idiota, ed il fatto che tu mi stia parlando vuol dire che sei morto pure tu” ma la voce non dette segno di aver sentito la risposta.
“Svegliati, maledizione! Svegliati, Aster!” un suono buffo seguì quel richiamo.
No, si disse ripensandoci. Non era buffo, soprattutto non addosso a lui.
Stava piangendo, sentiva distintamente i singhiozzi sommessi.
L’oscurità attorno a lei si fece meno densa, iniziando a popolarsi di ombre. Di fronte a lei se ne stagliò una particolarmente grande e vicina.
Hoshi aprì la bocca e parlò.

-N… non sono… m-morta, idiota- la ragazza stesa di fianco a lui in un bagno di sangue aveva socchiuso gli occhi, e poco ci mancò che non perdesse totalmente la calma.
Piano, delicatamente, la mise seduta.
-Aster…- sentì la propria voce tremare. Non sapeva cosa gli stesse prendendo, ma quando entrando nella sala si era trovato davanti a quella scena aveva creduto di impazzire.
Aveva giurato che non l’avrebbe lasciata andare senza spiegarle, senza un chiarimento, e invece l’aveva quasi persa.
-N-non usare… quel nome- ansimò lei senza guardarlo –ti ho… d-detto che… tu non puoi- ma dopo aver detto questo si accasciò contro il suo petto, e Marian la sentì tremare.
Esitante, le circondò le spalle con le braccia. Maria continuava a cantare l’inno, nascondendoli alla vista dell’akuma, che non avrebbe avuto in ogni caso molte possibilità di attaccarli.
Allen lo stava incalzando, accecato dalla rabbia, distruggendo tutto ciò che incontrava sul suo cammino.
-Va tutto bene. Sei al sicuro- sussurrò, accarezzando piano i capelli candidi di Hoshi, ma la sentì piangere.
-Perché… p-perché non s-sono morta?- sussurrò fra le lacrime –non ho… niente, qui- l’uomo non rispose.
Era evidente che la marcia indietro di Allen era stata il colpo di grazia. Ma guardando il ragazzo combattere senza dare più un filo di corda alla ragione intuì che non era finita lì, per loro. Fissò il volto di Hoshi, pieno di ferite, rigato di lacrime, forse senza motivo, e decise che per lui era venuto il momento di farsi da parte.
Ciò che c’era fra loro non era paragonabile a niente.
Erano indispensabili l’uno all’altra, complementari in un modo che nessuno poteva comprendere.
Gelidi finchè l’uno non dava all’altra calore, pronti ad esplodere come vulcani quando venivano separati.
-Hoshi, guarda Allen. Devi fermarlo- mormorò con voce ferma.
La ragazza si staccò piano dal suo petto, lo sguardo vacuo, e fissò il combattimento.
-Lui non vorrebbe. Non vuole più avere niente a che fare con me- rispose in un sussurro, ma nei suoi occhi Marian scorse una scintilla che diceva tutto il contrario.
-E’ per te che combatte in quel modo, perché ti crede morta. Devi fermarlo, perché siete importanti l’uno per l’altra- disse, ma lei scansò la mano che le aveva posato sulla spalla.
-Non sai niente di me- sbottò, spostando gli occhi sul pavimento.
-Sono tuo fratello. Siamo connessi, che tu lo voglia o no- sentì le parole venirgli a mancare, ma sapeva che era quello il momento di dirglielo, o l’avrebbe persa per sempre –e ti voglio bene- le iridi nere di Hoshi si piantarono in quelle nocciola di lui, poi le dita della ragazza corsero in un punto familiare e la maschera bianca cadde a terra.
Un occhio nero quanto i suoi la fissò di rimando senza distogliersi un secondo.
Entrambi sapevano cosa voleva dire quel segnale, ma le dita di Marian sfiorarono dolcemente il suo viso, voltandolo verso il campo di battaglia –è lui, non io- sussurrò sorridendo –quindi fai in modo che rimanga vivo- le labbra di Hoshi si piegarono in un sorriso, per la prima volta non sarcastico, ma dolce. La ragazza si alzò in piedi a fatica, arrivando fino al limitare della barriera di Maria.
-Marian- lo chiamò, voltandogli le spalle.
-Si?-
-Hai il permesso di chiamarmi Aster, ora- disse senza voltarsi –perché fra poco saprai tutto- le ultime parole furono un sussurro impercettibile, che l’altro non colse. La ragazza schizzò fuori dalla barriera.
L’uomo sentì un filo bollente attraversargli la guancia, subito spazzato via da un guanto ruvido.
-Non fare troppo il sentimentale, tu- borbottò a se stesso, rimettendosi in piedi.
Ma sorrideva.

---

La porta si spalancò ed entrò Hoshi coperta di sangue. Non degnò nessuna delle persone che avrebbero voluto affaccendarsi intorno a lei, ma filò dritta davanti ad una ragazza con corti capelli neri, che la guardava con gli occhi sbarrati, e le tese una mano.
-Andiamo- disse –andiamo a combattere, Linalee- le loro dita si intrecciarono e la ragazza si trascinò dietro la cinese, uscendo dall’infermeria e sbattendo la porta.
-Hoshi, io non posso…- iniziò Linalee, ma l’altra annuì –lo so. Infatti ti porto da Hebraska- scesero velocemente piani di scale, il respiro di Hoshi che si faceva sempre più spezzato ad ogni gradino.
-Hoshi, fermati qui. Andrò io- di nuovo, Hoshi scosse la testa –no. Devo combattere anch’io- disse risoluta, continuando a camminare appoggiandosi al corrimano.
-Ma sei coperta di ferite!- in un lampo gli occhi neri furono a millimetri da quelli viola.
-Senti- sibilò –non mi serve la pietà, odio quel tuo tono pietoso con tutte le mie forze. Tu cosa faresti al mio posto?- la fissò finchè non annuì, poi ripresero la discesa.

-Linalee, Hoshi- Hebraska avanzò fino al parapetto –stiamo… evacuando la base… cosa ci fate… qui?- Hoshi mollò la mano di Linalee e si accasciò a terra ansimando, poi indicò la ragazza in piedi di fianco a sé.
-Deve combattere, dalle l’innocence- disse con un filo di voce –e poi libera la mia- concluse. Hebraska rimase a fissarla in silenzio per svariati istanti, mentre i rumori della battaglia si facevano sempre più vicini.
-Sei… sicura? Le tue… condizioni…- ma la ragazza non la fece finire e si alzò in piedi di scatto, voltandosi verso Linalee.
Per la prima volta, le sorrise sul serio. Buffo quanto trovasse facile quell’espressione in un momento in cui la disperazione era così viva in lei da potersi quasi materializzare.
-Guarda come si fa, Linalee. Lo faccio prima io- disse. Si tolse i bracciali, lanciandoli a terra, poi fissò Hebraska.
-Io sono Aster, la Stella Caduta. A te ho lasciato la mia compagna, fedele in battaglia. Ora la voglio al mio fianco- pronunciò con voce chiara e forte.

Il mondo piombò improvvisamente in una tenebra senza fondo, densa come cemento, in cui una tensione terribile impediva di muoversi.
Linalee era paralizzata, ma avvertiva ancora la presenza di Hebraska e di Hoshi. Cercò di gridare, ma non ci riuscì.
Una luce improvvisa squarciò il buio, cadendo dal cielo in una linea sottile ed illuminando la figura di Hoshi che, inginocchiata, raccolse una sfera luminosa fra le mani, sorridendo come di fronte a qualcuno che si è aspettato da tempo.
-Combattiamo insieme- la sentì dire, poi la sala con le sue luci ed i suoi rumori riapparve così repentinamente da disorientarla. Un boato fece tremare all’impazzata la piattaforma su cui si trovavano, mentre il tempo ricominciava a scorrere.
-Adesso tocca a te, Linalee- la voce di Hoshi le fece alzare lo sguardo, ma quella creatura niente aveva dell’esorcista tenebrosa e gelida che era abituata a conoscere.
Capelli color rosso fuoco scendevano lisci sino sotto le spalle, e due occhi dorati la fissavano gentili. Eccetto per i colori, era identica ad Hoshi.
-Andiamo, Hoshi- mormorò la stessa voce, ma da un altro punto. Linalee si girò di scatto, trovandosi a fissare l’esorcista che ben conosceva che tendeva una mano verso l’altra. Quella annuì, correndole incontro, e sulle schiene di entrambe spuntarono ali.
Bianche come la luna quelle di Hoshi, nere come la notte quelle della sua proiezione, che stridevano con la luminosità della sua figura.

Aster avvertì il dolore dell’evocazione in ogni suo nervo, e seppe di non poterla mantenere a lungo.
Fece un cenno d’intesa alla sua gemella ed entrambe partirono come proiettili verso il centro della battaglia.
Nessuno sapeva, lì. Solo lei, Komui e Hebraska.
L’innocence di Hoshi era lei, Aster, e la ragazza per mantenere l’evocazione aveva bisogno di un potere sovrumano, che solo i blocchi custoditi all’interno del corpo di Hebraska potevano darle.
Per questo i loro ruoli erano stati scambiati, ma negli anni tutti si erano resi conto di come lei iniziasse sempre più ad assimilarsi agli umani.
Lei stessa non capiva come fosse possibile.
Non aveva ricordi, la sua vita iniziava quando aveva spalancato gli occhi sul soffitto dell’infermeria dell’Ordine, quando tutti avevano iniziato a farle domande su come fosse possibile la sua assunzione di quella forma, perché potesse parlare ed agire come un essere umano.
Domande per cui lei non aveva risposta.
Non si sentiva diversa dagli esseri che la circondavano: l’avevano rivoltata come un calzino, ed avevano constatato la presenza di tutti gli organi della specie umana perfettamente funzionanti. L’unica cosa che non la rendeva come loro era il fatto che Hebraska percepisse l’innocence dentro ogni fibra del suo corpo, come se ne fosse composta, e che se Hoshi faceva cessare l’evocazione lei, Aster, piombava in un sonno fatto di tenebre.
Scacciò quelle riflessioni e strinse le dita di Hoshi fra le sue: era come se la ragazza in carne ed ossa fosse la sua evocazione.
I loro occhi si puntarono all’unisono su Allen e l’akuma, e senza bisogno che fra le due vi fossero parole si mossero in perfetta sincronia, come se fossero capaci di leggere l’una nel pensiero dell’altra.
Hoshi si fiondò su Allen, afferrandolo saldamente fra le braccia, mentre Aster estrasse la katana nera ed iniziò ad attaccare l’akuma con tutte le sue forze.

Si sentì strappare violentemente dal combattimento, ed un lampo bianco prese il suo posto contro il livello quattro.
Serrò gli occhi: non voleva credere a quello che gli stavano mostrando, non voleva credere all’ennesima illusione.
Hoshi era morta salvando lui.
-Apri gli occhi, non temere. Lei è viva, finchè lo sono anch’io- una voce gentile gli parlò all’orecchio, una voce che gli parve familiare e sconosciuta al tempo stesso.
Vide capelli rossi ed occhi dorati, ma il viso era inconfondibile.
-Hoshi..? Che ti è successo?- sussurrò all’improvviso, mentre la ragazza lo posava a terra. Gli sorrise dolcemente –sono Hoshi, ma non quella che tu ami. Lei sta combattendo lassù- mormorò volgendo il viso verso la battaglia. Il ragazzo fissò allibito le ali corvine che spiccavano sulla schiena candida della giovane, rendendosi conto in quel momento e con estremo imbarazzo che era completamente nuda.
Distolse bruscamente lo sguardo, arrossendo, e le porse frettolosamente il proprio mantello, ma quella continuò a sorridere scuotendo la testa. I capelli ondeggiarono come lingue di fuoco.
-Non mi servirà, nel posto dove dovrò tornare- disse –lei ha detto che tu devi rimanere qui. Io vado ad aiutarla, o non ce la faremo in tempo- mormorò, poi si girò a guardarlo negli occhi, ed Allen non proferì parola. Era tutto così confuso che riusciva a stento a ricordarsi dove fosse.
-M-ma tu… chi sei?- balbettò. Non era la Hoshi che lui conosceva, senza ombra di dubbio, eppure sentiva che loro due erano collegate in modo indissolubile.
La ragazza non smise di sorridere –io sono Hoshi, ma lei è Aster. Non dimenticarlo- rispose, poi spiccò il volo, velocissima, sollevando una nuvola di polvere.
L’aura dorata che li aveva avvolti fino a quel momento scomparve all’improvviso, e con essa i residui della sua furia.
Allen sentì le gambe cedergli, e le ginocchia picchiarono violentemente contro il pavimento, mentre le mattonelle si coprivano di gocce di sangue.
-Allen, spostati!- due braccia sottili lo afferrarono bruscamente, e là dove poco prima c’era lui il ragazzo vide un enorme buco.
-L-linalee?- non ci capiva più niente. Quando le era tornata l’innocence? Per quanto tempo era rimasto in quello stato di furia incosciente?
-Cosa sta succedendo?- mormorò, guardando le due ragazze che combattevano come angeli contro l’akuma. Erano in netto vantaggio, lo si vedeva da come lo stavano mettendo alle strette.
La cinese scosse il capo –non ne ho idea. E’ stata Hoshi a portarmi qui, e poi ha richiamato qualcosa dal corpo di Hebraska- disse, ma un grido le impedì di continuare la spiegazione.
-Allen!- quella voce, quella la riconobbe senza esitazione. Fissò la ragazza dai capelli candidi che scagliava l’akuma a terra e volava a tutta velocità verso di loro.
Afferrò Allen senza tanti complimenti sotto le ascelle e tornò velocissima verso il nemico.
-Sfodera l’innocence, devi trattenerlo!- gridò. Il ragazzo impugnò la spada con maggior forza e quando furono sopra il livello quattro gliela piantò nello stomaco aiutato da Hoshi.
-Hoshi! Linalee!- gridò la ragazza senza fiato. Ansimava pesantemente, ed era coperta di sangue.
-Questo giocattolo ve lo rompo subitoooooo!- l’akuma gettò uno strillo che li stordì, ma la sua voce acuta fu interrotta da due schianti uno di seguito all’altro.
Linalee aveva preso la spinta in aria, e si era gettata sul manico della spada, conficcandola ancora di più nel corpo dell’akuma.
Hoshi, dal canto suo, aveva fatto apparire una polvere dorata, che aveva bloccato completamente i movimenti dell’akuma.
-Marian!- nella voce di Aster era percepibile il sollievo, mentre il nemico veniva trapassato dai proiettili del generale.

All’improvviso, sentì che qualcosa non andava.
La presa sull’elsa della spada le si allentò involontariamente e si sentì scivolare all’indietro.
-Heb… Hebraska- sussurrò –prendi Hoshi, ora- le palpebre le calavano inesorabilmente su un buio silenzioso, e l’ultimo rumore che udì prima di cadervi fu il suo nome, il suo vero nome, gridato da Allen.
Sorrise.






Note dell'Autrice:

Tan tan tan taaaaaaaan *W* ecco a voi la rivelazione! XD sono consapevole del fatto che questo capitolo sia un gran casino, quindi se a qualcuno servono chiarimenti non esiti a chiedermeli!!
Come dire... continuare questa fanfiction si sta rivelando una tortura x___x sono arrivata a un punto in cui non so più se seguire la storia o staccarmene, perchè se seguo il ritmo con cui escono i nuovi capitoli la finisco fra dieci anni!! T^T Ma a quel punto manca ancora un po' di tempo... da ora in poi l'azione si velocizzerà un bel po', non sono nemmeno molto sicura del risultato a dire il vero :S speriamo in bene!!

Rispondo ai commenti ;)

DarkAngel_oF_DarkNess: lentamente, ma la storia prosegue .___. le mie energie si stanno prosciugando! Allora... Linalee non passerà delle belle giornate nei prossimi capitoli, ma si aggiusterà tutto (spero, perchè ancora non ho capito come farò DX)! Spero che questo capitolo ti piaccia e che non sia troppo confuso!! >_> a presto!! :)

Ciel88: aiuto quante domande @__@ XD guarda, come si evolverà la faccenda di Linalee non è ancora chiaro nemmeno a me .___. perlomeno su Aster questo capitolo ha chiarito un po' di cose! Spero ti sia piaciuto! ^^

Sherly: ecco il momento topico! Da ora in poi NON so più come andrà a finire la storia D: nè quanto riuscirò a scriverla con questo stato d'animo, sto andando avanti di una pagina alla settimana (quando va bene D:)!

Continuate a sostenermi *si dispera*

A presto! <3

Bethan

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Capitolo 22
*** Disclosing Secrets, Revealing Hypocrisy. ***


-Che cosa significa questo?- quella voce irata la svegliò.
Aprì gli occhi, e fu come la prima volta che era giunta lì. Vedeva soltanto il soffitto bianco dell’infermeria dell’Ordine, troppo stremata per fare qualsiasi movimento.
Ma almeno era ancora viva, e se lei era viva voleva dire che lo era anche Hoshi.
-Abbassate la voce, generale…- iniziò Komui, ma un pugno sbattè violentemente sul tavolo.
-Chi è questa ragazza? Non è mia sorella, perché Hoshi è all’interno di Hebraska?- il tono salì di parecchie ottave, ferendole le orecchie.
-Hoshi!- qualcuno si era accorto che si era svegliata, evidentemente.
-Non chiamarla a quel modo! Lei non è Hoshi!-
Decise di provare a muoversi. Stare sdraiata lì ad ascoltare la rabbia di quell’uomo di certo non l’avrebbe aiutata.
-Te la senti di muoverti? Come stai?- Komui le fu subito accanto, sostenendole le spalle. I capelli bianchi piovvero in avanti a formare una tenda fra lei ed il mondo, che ora stava per venire a conoscenza della sua vera natura.
-E’… è stata dura- sussurrò, cercando di recuperare l’uso delle corde vocali –come sta?- l’uomo sorrise incoraggiante –il fatto che tu sia sveglia e riesca a muoverti è un ottimo segnale. Fra poco tornerò da Hebraska- Aster annuì, sfinita anche da quegli insignificanti movimenti.
-Chi sei tu?- alzò per la prima volta gli occhi neri ad incontrare quelli di Marian Cross e per la prima volta si sentì intimorita.
Aveva recitato una parte per anni con quell’uomo. Non poteva davvero biasimarlo se l’avrebbe odiata.
Del resto, per lei non significava niente. Si era attenuta a quel ruolo solo per via dei sentimenti di Hoshi, non per i suoi.
-Io… sono Aster- mormorò pianissimo –sono l’innocence di Hoshi- lo disse a voce alta per la prima volta, e fu in quel momento che avvertì profondamente il divario fra lei e quelle creature terrene.
Non l’avrebbero mai più guardata con gli stessi occhi.
-Che significa?- quella voce le fece correre un brivido lungo la schiena. Sentì lo stomaco contrarsi in una morsa gelida.
Perché era lì? Perché doveva sentire?
Era l’unica persona che non voleva che scoprisse tutto, l’unica persona che voleva che continuasse a considerarla umana.
-Significa che hanno ingannato tutti, Allen- sbottò il generale dando le spalle al letto.
-Non è vero!- si stupì di come suonò forte la sua voce in quella frase, a discapito della sua debolezza. Fissò gli uomini di fronte a sé, poi Allen, poi di nuovo il materasso –voglio parlare con Allen, da sola- aggiunse –uscite tutti, per favore- disse pianissimo.
Si sentiva uno straccio. Non sapeva come avrebbe fatto a spiegargli tutto, era certa che non avrebbe mai capito che i suoi sentimenti erano gli stessi di un essere umano, nonostante fosse fatta d’innocence.
Si prese la testa fra le mani. Non si era mai sentita così disperata.

La vide infilare le lunghe dita sottili fra le ciocche di capelli bianchi e rimanere lì a capo chino, senza dire una parola.
Appena la porta si chiuse, afferrò uno sgabello e si sedette vicino al letto, circondandole le spalle con un braccio. Non sapeva cosa fosse successo, aveva il netto sentore che quello di cui Hoshi, o Aster, voleva parlargli non fossero buone notizie, ma non riusciva a vederla in quello stato.
Avrebbe quasi preferito che tornasse gelida e scostante come al solito.
Sentì una mano della ragazza stringere la sua, fredda come il marmo.
-Hoshi…- un brusco scuotimento di testa.
-Non chiamarmi più così, Allen- mormorò –non è quello il mio nome, io non sono Hoshi- si tirò su lentamente, il volto inespressivo, gli occhi neri in cui il ragazzo scorse tutte le emozioni che si stava sforzando atrocemente di non far trapelare.
Iniziò a raccontargli tutto, un fiume in piena di rivelazioni che lo lasciavano sempre più stordito.
-Nessuno sa come sia possibile, ma io sono effettivamente un essere umano, solo mossa dall’innocence, o meglio, fatta di innocence- mormorò –ma il mio corpo funziona come il vostro… e anche la mia mente- Allen intuì dove voleva arrivare con quel discorso, e decise di prendere il toro per le corna.
Mentre Aster parlava, aveva pensato che non gliene sarebbe importato nulla se lei fosse stata fatta di innocence o di marmo, se fosse stata terrena o aliena. Quello che veramente gli interessava sapere, era una cosa sola.
-Aster- disse il suo nome prendendola per mano, interrompendola.
Avrebbe dovuto fare l’abitudine a chiamarla in quel modo, più che al resto, pensò sospirando.
Poi la guardò negli occhi, e tutte le sue convinzioni non fecero che rafforzarsi quando li vide lucidi.
-Allen, io non…- iniziò lei in un sussurro, ma il ragazzo le mise un dito sulle labbra, sorridendo.
-Per quanto mi riguarda, potresti anche venire dalla luna- disse, pensando a quanto comunque sembrasse così –io sono innamorato di te. Ti ho mentito quando ti ho detto che doveva finire, e me ne sono reso conto quando ti ho creduta morta- vide lo stupore misto alla speranza farsi largo sul suo viso –non importa se non sei la vera Hoshi, io è te che conosco. Devo sapere soltanto una cosa- tornò a guardarla seriamente, e lei annuì col cuore in gola.
-Quella notte, stavi fingendo?-
La mente della ragazza volò alle due minuscole parole che gli aveva detto, ed in un istante ripercorse ogni sfaccettatura dei motivi per cui le aveva concepite e la bocca le aveva realizzate senza nemmeno stare a pensare se fossero giuste o sbagliate.
No, non aveva mentito.
Quando Allen aveva detto che sarebbe dovuto finire tutto, era stato come se il mondo si fosse ribaltato. Aveva pensato che forse era la sua maledizione, il non poter essere affine al mondo dei sentimenti umani. Aveva creduto che l’unica cosa verso cui avrebbe potuto indirizzarsi fosse la sua missione di Innocence.
Ma come fare, dopo che si è sperimentata la luce che si è in grado di irradiare e di ricevere, a cadere di nuovo nel buio del proprio interno, estraneo ad ogni specie e freddo come un materiale sconosciuto?
Non voleva mai più riprovare quella disperazione. La morte sarebbe stata preferibile.
Il dolore fisico che fino a quel momento l’aveva tanto terrorizzata e riempita d’odio non le sembrava più così insopportabile, al confronto.
Scosse piano la testa, senza smettere di guardare Allen negli occhi neppure per un secondo.
-Però sai cosa sono. Finirò per trasformarmi nel tuo opposto- a quelle parole, Aster gli strinse una mano e gli scostò una ciocca di capelli che era finita davanti agli occhi.
Fosse anche diventato un Noah, non avrebbe potuto smettere di amarli.
Allora disse l’unica cosa possibile.
-Quando succederà, ti ucciderò- sussurrò –tu sai cosa sono io- lo sguardo del ragazzo si fece dapprima stupito, poi sul suo volto si disegnò il sorriso dolce che lei amava.
-Soltanto tu potevi dirlo. E’ per questo che ti amo-
Dopo quelle parole, per un bel po’ non ce ne furono altre.
Con un futuro così incerto di fronte, entrambi vedevano nell’altro l’unica propria sicurezza.

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Quanto tempo era che era rinchiuso in quella stanza?
Giorni, settimane, mesi?
Non lo sapeva più. L’interrogatorio del vecchio Bookman l’aveva privato di ogni contatto col mondo esterno, ed anche quando aveva sentito i rumori della battaglia, i crolli e le grida, era rimasto lì, inerme, senza neppure ribellarsi.
Perché aveva attaccato Hoshi a quel modo?
Non lo sapeva nemmeno lui. Era come se una forza cui non aveva potuto opporsi l’avesse spinto e manovrato; una forza resa ancor più potente dalle lacrime di Linalee.
Dunque era quello il prezzo da pagare per un Bookman che si lasciava prendere dalle emozioni?
Il non avere controllo su di sé?
Sentì la porta aprirsi con un leggero clic, ma non si voltò a guardare. Era sicuramente il Vecchio, tornato per ricominciare a metterlo sotto torchio. Ma anche i suoi sensi intorpiditi si accorsero della differenza nei passi che attraversavano la stanza diretti al suo letto.
Si tirò su di scatto, il cuore che iniziò all’improvviso a battere a mille, il corpo avvolto dallo stesso fuoco che l’aveva reso folle.
-Cosa ci fai qui?- la sua voce quasi lo spaventò: non era niente più che un roco sussurro, nulla era rimasto della sua finta gaiezza.
Ironico, pensò. Per la prima volta si stava davvero mostrando senza alcuna barriera.
E non era davvero un bell’aspetto. Lo dedusse anche dall’occhiata per metà sconcertata e per metà addolorata che gli lanciarono quegli occhi scuri.
La ragazza gli porse un bicchiere senza dire una parola.
-Se il Vecchio scopre che sei qui…-
-Avrà tempo da perdere, ora che il segreto di Hoshi è noto a tutti- fu la risposta appena mormorata. Un campanello si accese nella sua testa.
-Che segreto?- chiese, incapace di trattenersi.
Linalee sorrise mestamente –lei… non è la vera Hoshi, la sorella del Generale. E’ la sua arma anti-akuma-
Lavi la guardò senza dire una parola. Per lui non significava niente, ma dubitava che per la ragazza fosse lo stesso. In poche parole, Allen si era innamorato di un’arma.
La sentì sospirare –a quanto pare agisce e pensa esattamente come un essere umano. Nessuno sa cosa sia successo-
-E la sua compatibile? Dov’è?-
-Vive rinchiusa dentro Hebraska. Dicono che altrimenti non riuscirebbe a sopportare lo sforzo continuo della sincronizzazione-
-E Allen lo sa?- Lavi decise di tirare la bomba. Era inutile rimandare quel discorso e continuare a girarci intorno. Linalee annuì, chinando la testa.
Ci furono degli interi, interminabili minuti di silenzio, durante i quali il ragazzo si sforzò di mandar giù quello che la compagna gli aveva portato da mangiare. Il rumore delle sue mandibole riempiva il vuoto della stanza.
-Lavi…- fece lei a un certo punto –mi hanno detto perché hai attaccato Ho… Aster- si corresse avvampando. Evidentemente, il vero nome dell’arma era quello, pensò Lavi. Alle parole di Linalee il cuore aveva iniziato ad andargli a mille. Era sicuro del rifiuto, ma non del fatto che gli sarebbe scivolato addosso senza lasciare tracce, come era solita fare ogni emozione di troppo fino a poco tempo prima.
-Io… non posso ricambiarti. Non ora, non in questa situazione- nel freddo che afferrava le viscere di Lavi in una morsa, il ragazzo sentì un barlume tiepido di speranza.
“Non ora” pensò.
-Ho bisogno di tempo. E anche tu- continuò la cinese –hai attaccato una compagna per un motivo inutile. Sei arrabbiato con Allen, che adesso porta sulle spalle un destino molto peggiore del nostro- la voce le si incrinò –ed io devo dimenticarlo e andare avanti. Prima, non potrò far nulla. Mi dispiace, Lavi- si alzò di scatto dal letto, ma il ragazzo capì di non volerla lasciare andare, non ancora, non prima di aver tentato il tutto per tutto.
Senza dire una parola le afferrò un polso con delicatezza ma con decisione e la tirò a sé.
Serrò l’unica palpebra per non vedere gli occhi sgranati di lei mentre le loro labbra si incrociavano in un bacio proibito, protetto dal silenzio e dalla consapevolezza che ciò che l’aveva scatenato non sarebbe dovuto esistere.
Rimase ad occhi chiusi finchè non udì il rumore della porta che si chiudeva dietro le spalle di Linalee.

---

Colpo, colpo, parata. Rumore di lama contro lama, spostamenti dal rumore appena percettibile, fulminei come colpi di vento. Ogni tanto il cozzare dei metalli l’uno contro l’altro svegliava il pubblico che assisteva meravigliato al combattimento.
Lei, da una parte. L’innocence, l’arma, ormai lo sapevano tutti. Combatteva con tutta se stessa per recuperare l’allenamento perduto durante l’ultima convalescenza.
Dall’altra, uno spadaccino che fino a quel momento avevano ritenuto tutti impossibile da sconfiggere, e che invece stava trovando chi gli desse molto filo da torcere.
Nella sala d’allenamento non volava una mosca. Tutti gli occhi erano puntati o sulla ragazza o sul giapponese, ma non c’era come al solito un allegro chiacchiericcio su chi dei due avrebbe vinto. Gli astanti li osservavano, in silenzio, meditando.
Allen era fra loro, e non le staccò gli occhi di dosso un momento. Sembrava che si stesse riprendendo bene, segno che le condizioni della vera Hoshi dovevano essersi stabilizzate. Per una settimana Aster era stata costretta a letto, e poi non aveva potuto quasi camminare senza appoggiarsi a qualcuno. Inutile dire che Allen era stato ben felice di assolvere all’incarico, ma oltre alla non indifferente scocciatura di trovarsi Link sempre incollato sapeva benissimo che per l’orgoglio di Aster quella situazione non sarebbe potuta continuare a lungo.
Sospirò. Aster. Ancora non ci aveva fatto l’abitudine. Strano che dopo tutto ciò che aveva scoperto l’unico problema rilevante per lui fosse il nome.
“I miei crucci mi stanno rendendo insensibile” pensò. Dopo aver saputo della memory del Quattordicesimo Noah impiantata dentro di sé, tutto era iniziato a sembrargli così falso, così senza ragion d’essere, come se fino a quel momento avesse vissuto in un limbo, totalmente inconsapevole di cosa fossero veramente il pericolo e la paura.
E peggio ancora, aveva avvertito chiaramente quanto nessuno dei suoi compagni, nessuno degli altri Esorcisti, era riuscito a capire il suo stato d’animo. Era come se lui avesse mosso un passo, in avanti o indietro non avrebbe saputo dirlo, e su quel differente gradino l’unica che aveva osato seguirlo era stata lei. Aster.
Un tocco fresco sul braccio lo distrasse dal combattimento e da quei pensieri. Vide Linalee fissarlo e fargli cenno di seguirla. Spostò incerto gli occhi sul combattimento, fissando Aster, che per una frazione di secondo incrociò il suo sguardo, fissò impercettibilmente Linalee e annuì. Allen seguì la compagna sospirando.
Altri problemi? Sperava davvero di no.

Aster scorse di sfuggita Linalee avvicinarsi ad Allen, ed involontariamente le scappò un colpo più forte che il giapponese riuscì a stento ad evitare, guardandola storto.
Si riprese quasi subito, ma il benefico vuoto che il combattimento aveva creato in lei era stato spezzato da quella scena, ed ora voleva concludere per andarlo a cercare da qualche altra parte.
Non voleva pensare. Non voleva farsi venire dubbi, non su Allen. Credeva in lui.
Strinse gli occhi, serrando il ritmo dei colpi finchè la katana di Kanda non volò via di parecchi metri, conficcandosi nel terreno. Fu come se quella bolla di silenzio si frantumasse all’improvviso: tutti quelli che stavano guardando iniziarono a cicaleggiare a più non posso. Aspettò che il moro recuperasse la sua arma, poi quando le passò accanto gli sussurrò un “grazie” appena percettibile, cui rispose un secco cenno d’assenso.
Era stata lei a chiedergli di allenarsi. Aveva bisogno di qualcuno freddo come quel tipo per recuperare la sua calma scostante: in quei giorni sentiva che sarebbe stata necessaria. Kanda aveva accettato senza farle alcun tipo di domanda, e questo era stato un altro punto a favore.
Si somigliavano, ma non si sarebbero capiti mai. Avevano entrambi troppi segreti, troppe ferite da leccarsi.
-Ho… Aster- la chiamò una voce profonda. Si girò controvoglia, ma con un lieve sorriso sulle labbra. Non voleva essere scortese con quel tipo. Era uno dei pochi a non meritarselo, oltre ad Allen, l’unico che tentasse sul serio di chiamarla col suo vero nome.
-Dimmi, Marie-
-Ci hanno assegnato una missione di gruppo, partiremo domani all’alba- disse con un mezzo sorriso, ma la ragazza fece una faccia sgomenta.
-Una missione? Adesso? Ma dico, l’hanno visto come siamo conciati?- Marie era ancora pieno di fasciature, Allen e Lavi meglio non parlarne, Crowley manco s’era svegliato e Linalee passava ancora gran parte della giornata a riposo. Le uniche eccezioni erano lei e Kanda, miracolosamente guarito in tre giorni, come al solito.
Il ragazzo sospirò –lo so, ma a quanto pare è una cosa urgente- Aster sospirò –e va bene. Sarà meglio che vada a prepararmi allora- lo salutò ed imboccò le scale che portavano alla propria stanza.
Una figura ossuta e trafelata le si schiantò addosso da un corridoio laterale, facendola cadere a terra.
-Ehi, ma fa’ attenzione!- ringhiò Aster, massaggiandosi la schiena dolorante. Una terrorizzata Miranda scattò in piedi in meno di un secondo, aiutandola a rialzarsi in maniera eccessivamente nervosa.
-Scusami! Oh santo cielo, scusami! Non volevo, è che… è che… è che…- balbettò all’infinito, finchè all’altra non scappò un sorriso.
-Ehi, calma. Non ti mangerò per questo- Miranda fece una faccia appena appena sollevata, ma quando Aster fece per andarsene le afferrò una manica.
-Senti, stavo cercando te…- mormorò incerta e rossa in volto. La ragazza inarcò un sopracciglio, aspettando che parlasse.
-So… so che sei in missione con Marie. Io… non so cosa fare, ho chiesto a Komui di mandarvi con voi, ma ha detto che sono ancora troppo debole, ma lui hai visto com’è conciato, io…- Aster aveva già intuito dove sarebbe andata a parare la conversazione appena aveva sentito il nome del ragazzo di mezzo. Strinse amichevolmente una spalla a Miranda –ci penserò io a lui- disse tranquillamente –cercherò di fartelo tornare più intero possibile- l’altra le rivolse uno sguardo grato, poi la lasciò andare.

Filò come un razzo per i corridoi, pregando di non essere costretta ad incappare proprio in quello in cui Linalee aveva trascinato Allen.
Speranza vana, come volevasi dimostrare.
Sentì le voci dietro ad un angolo, e fece appena in tempo a fermarsi, appoggiando la schiena alla parete fredda.
-Linalee, non potremmo andare da un’altra parte? Aster potrebbe…- il sussurro di Allen le giungeva alle orecchie perfettamente percettibile, amplificato dal vuoto dei corridoi.
-Ci vorrà poco. Lei si sta allenando ancora- contro ogni suo comportamento precedente, Aster non si scansò. Rimase lì, in ascolto.

-Cosa ci trovi in lei, Allen?- la domanda posta senza tanti giri di parole ebbe l’effetto di fargli strabuzzare gli occhi.
-Linalee, non credo sia…- balbettò incerto. Da una parte non voleva darle un dolore, rivangando la sua totale e spassionata adorazione per Aster, dall’altra si era un po’ risentito per quella specie di richiesta di spiegazioni, come se stesse facendo qualcosa di sbagliato.
Lo è, Allen. Molto sbagliato. Ma perché non dovresti farlo?
Rieccola. L’aveva quasi scordata. La voce che aveva sentito nell’oblio della furia, durante la battaglia, risuonò nella sua testa.
Perché sarebbe sbagliato? Non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello di chiedersi chi fosse a parlare nella sua testa. La sola idea lo riempiva d’orrore, eppure non riusciva ad avvertirla come una presenza molesta.
Perché lei è il nostro opposto. Ma vi è molto di lei in te. Detto questo, la voce tacque, e il ragazzo riemerse dallo stato catatonico in cui era piombato, trovandosi nuovamente di fronte gli occhi lucidi e ansiosi di Linalee.
-Ma insomma, si può sapere che avete tutti?- la aggredì con un moto di stizza improvvisa, così contrario al suo solito contegno che se ne stupì senza fare però in tempo né a pentirsene, né a frenarsi –è fatta d’innocence. E allora? Hai sentito tuo fratello, pensa e prova sentimenti come un essere umano, lei è un essere umano- disse con enfasi. La ragazza sgranò gli occhi, sorpresa da quello scatto improvviso, poi scosse la testa, afferrandogli una manica.
-Non lo è, Allen. L’innocence non è umana- sussurrò, ma quelle parole non fecero altro che infervorare la sua rabbia. Liberò il polso dalle dita di Linalee con uno strattone.
-Se l’innocence non è umana, allora neppure noi lo siamo! Devo ricordarti che ne siamo compatibili?- la sua voce era salita di parecchie ottave, e la cinese si ritrasse spaventata. Si impose di calmarsi.
“Ma che diamine mi sta succedendo?”
-Non sarà umana, Linalee- mormorò con un tono di voce più basso –ma nemmeno io lo sono. Non del tutto- entrambi pensarono di scatto al Noah che premeva dentro di lui, che lo incitava ad abbandonarglisi, a seguirlo nell’oscurità.
-Ma tu sei nato come un essere umano, tu non sei parte delle tenebre, Allen..!- esclamò la ragazza, tentando nuovamente di avvicinarsi a lui, ma l’albino si scansò.
-Nemmeno lei fa parte delle tenebre. E’ così semplice da capire, perché non ci riesci?- ne aveva abbastanza di quel discorso. Se le intenzioni di Linalee erano quelle di distogliere la sua attenzione da Aster, avrebbe fatto meglio a dirle che era una battaglia persa in partenza.
-Perché finirà per distruggerti, qualsiasi cosa accada!- strillò improvvisamente la cinese, perdendo la calma –se sconfiggeremo il Conte e troveremo il cuore, lei scomparirà senza lasciare traccia! Ci hai mai pensato? E se il Quattordicesimo…- prese bruscamente fiato. Aveva sempre evitato di nominarlo davanti a lui, ed ora che l’aveva fatto assieme a quel nome uscirono anche le lacrime –se il Quattordicesimo riuscisse a prendere possesso del tuo corpo, lei ti ucciderebbe- sussurrò piangendo, ma Allen, per tutta risposta, le sorrise.
-E’ proprio per questo che la amo, Linalee- disse con dolcezza –lei è l’unica che potrebbe salvarmi, qualora io mi trasformassi in Noah- le lacrime continuavano a scorrere sulle guance della cinese –io e lei siamo entrambi condannati, e lo saremmo anche se ci separassimo. Se non ci fosse lei, voi sareste costretti ad uccidermi comunque. Lasciate che a farlo sia chi decido io- disse con fermezza, poi, dopo un momento di esitazione, passò un dito sul viso di Linalee, sorridendo. Del suo scatto di rabbia improvviso, di quella voce che aveva levato i suoi più affossati istinti in superficie, non erano rimaste tracce.
-Il Dio che tanto amate ci ha già dato un’esistenza più dura del normale. Lasciate che siamo felici, finchè ci sarà concesso- quelle parole le doveva anche ad Aster. Non voleva che continuasse ad essere oggetto di quell’attenzione impaurita e maligna.

Fece appena in tempo a sgattaiolare via, prima di sentire i passi concitati di Linalee nella direzione opposta alla sua.
L’ascoltare quel dialogo l’aveva frastornata.
Da una parte era arrabbiata con la cinese: dopo tutto quello che era successo, dopo che Lavi l’aveva attaccata per colpa sua, dopo che lei, Aster, l’aveva aiutata a recuperare l’innocence, era andata da Allen per convincerlo a lasciarla perdere.
E poi pretendeva pure di esserle amica. Scosse la testa: evidentemente l’ipocrisia contro cui il suo odio l’aveva messa in guardia esisteva davvero, in fondo.
Dall’altro lato, non avrebbe potuto essere più felice. Le parole di Allen, il suo scatto di rabbia, la fermezza con cui aveva parlato di loro, le avevano fatto capire che lui non l’avrebbe abbandonata, perché avevano un disperato bisogno l’uno dell’altra.







Note dell'Autrice:

Prima cosa fondamentale: se c'è ancora qualche anima pia che segue questa fanfiction, chiedo SCUSA per il ritardo immenso.
Avevo già detto di aver avuto un momento di crisi con questa fanfiction, soltanto ora mi pare d'essermi sbloccata... è stata dura!
Per farmi perdonare ho messo un capitolo piuttosto lungo, spero di riuscire ad aggiornare i prossimi se non con regolarità almeno non troppo distanti l'uno dall'altro!

Grazie a tutti coloro che leggono!!

Baci <3

Bethan

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Capitolo 23
*** Good Morning, Darkness ***


Avvertì l’innocence che componeva il suo corpo ribellarsi con tutte quelle forze a quel contatto. Eppure Aster non sciolse l’abbraccio, nemmeno quando vide il volto dell’ombra alle spalle del ragazzo attaccato al suo.
Non si staccò dal corpo di Allen neppure quando sentì ogni suo muscolo tendersi per conficcare quella spada ancora più a fondo nel petto del giovane, anziché per estrarla.
L’innocence cadde a terra con un clangore che nel silenzio risultò assordante, lasciando una grossa croce bruciata sulla divisa del ragazzo.
-Idiota di un mammoletta!- il grido di Kanda la fece quasi sussultare, ma la risposta che ricevette fu come un regalo inatteso.
-Ti ho detto che mi chiamo Allen- mormorò piano l’albino, portando un braccio a circondare le spalle della ragazza.
Non fece trapelare il sollievo dal viso, si limitò soltanto a fissarlo negli occhi per essere sicura che ogni traccia di ciò che vi aveva intravisto poco prima fosse sparita del tutto.
Vi trovò solo Allen, incredibilmente stanco e spaventato. Deglutì: non era il momento per lasciarsi andare ai sentimentalismi o per farsi prendere dal panico.
Erano conciati malissimo: Marie aveva perso due dita, e gli altri erano tutti feriti in modo più o meno grave, ma non si sentiva neppure un lamento.
Quelle tre sillabe scandite dalla bocca di Allen avevano gettato il gelo su di loro.
Aster si schiarì la voce, cercando di recuperare la favella –Link, fai richiesta per il Gate, dobbiamo portare i bambini fuori di qui- cercò di dare alla voce un tono fermo, ma sentì che le sue corde vocali si sforzavano allo spasimo per non farla tremare –Kanda, aiuta Marie, adesso vedo cosa posso fare per quel braccio. Forza, spostiamoci tutti verso l’ingresso- l’ultima frase suonò come un sospiro rassegnato.
La ragazza aveva un tono così sconfitto che tutti obbedirono senza fiatare.

-Miranda mi farà la pelle…- Marie stava stringendo i denti, mentre la ragazza gli fasciava la mano alla bell’e meglio, almeno per farla smettere di sanguinare, ma quelle parole gli fecero strabuzzare gli occhi.
-Co-cosa?- balbettò. Aster sollevò lo sguardo, fissandolo smarrita.
-Ah. Non avrei dovuto dirlo. Dimentica tutto- sussurrò, riprendendo il suo lavoro, ma Marie la interruppe, posandole gentilmente la mano sana sulla spalla.
-Hai già fatto tanto. All’Ordine mi cureranno meglio, per adesso può bastare- le disse con tono gentile. La vide deglutire ed annuire piano, scomparendo dietro i capelli: quello che era successo era stato uno shock per tutti, ma per lei aveva segnato l’inizio di un infinito processo che si sarebbe concluso con una sentenza di morte.
-Va’ da lui. Mi sembra che stia meglio- un sospiro, poi un altro cenno d’assenso e la ragazza si alzò in piedi, dirigendosi verso l’angolo in cui Allen si era accasciato. Un sospiro di sollievo le salì alle labbra quando vide che l’ombra era momentaneamente scomparsa.

La vide avvicinarsi cautamente, come se avesse paura di lui. Quello sguardo lo colpì come una saetta, e gli fece più male della consapevolezza del fatto che tutto fosse iniziato.
Il petto gli bruciava, e in testa gli rimbombava l’unica parola da lui pronunciata all’unisono con quella voce che gli aveva perforato la testa.
“Buongiorno”
-Buongiorno un accidente. Piantala di ripeterlo- la voce aspra della ragazza lo fece sussultare. Aster si sedette davanti a lui, fissandolo seria. Stavolta non riuscì a sostenere il suo sguardo, puntò gli occhi verso il pavimento.
-Anche tu hai paura, no? Va’ via- mormorò. Quel Noah aveva il potere di allontanare persino lei. Doveva essere una cosa davvero ripugnante, rischiare di diventarlo.
-No. Io non ho paura di te-
-Ma hai paura di quello che…- non riuscì a finire la frase, la voce gli si strozzò in gola.
Lei scosse la testa con violenza –no. Ho paura perché prima tutto in me stessa voleva ucciderti- disse secca. Allen fece un sorriso amaro –dovrai farlo, se prenderà il sopravvento- mormorò. Aster non rispose. Iniziava solo in quell’istante a comprendere l’enormità della promessa che gli aveva fatto.
Quando aveva sentito l’innocence premere per scagliarsi verso di lui era stata presa da una disperazione che non aveva mai provato. Lo sforzo di trattenerla l’aveva privata di ogni energia, ed il Noah non si era affatto svegliato del tutto. Allen aveva quasi subito ripreso il controllo.
Deglutì a vuoto. Quando il processo fosse stato completo, cosa avrebbe fatto?
La mano dell’albino che si posò sulla sua la fece quasi sussultare, scansando bruscamente quei pensieri.
-Scusami. Non avrei dovuto parlarti in quel modo- sorrideva, ma Aster vide benissimo che era un sorriso stanco, spaventato. Si avvicinò a lui e lo abbracciò, accarezzandogli i capelli.
-E’ finita, per ora. Tu combatterai, e anch’io- sussurrò.

---

Sentì i suoi passi sul pavimento freddo, inconfondibili. Del resto, chi altro poteva venire lì a quell’ora di notte, se non lei?
-Il solito?- chiese, affacciandosi. Ma gli rispose uno sguardo spento, come quello di chi ha dormito un sonno spezzato e fatto di incubi.
-No. Dammi qualcosa per dormire, per favore- sussurrò, prendendosi la testa fra le mani. L’uomo mise a bollire una camomilla, ma pensava che ciò che le servisse non fosse un sonnifero. Andò a sedersi di fronte a lei.
-So che ce l’hai con me. Non serve che ti sforzi di nasconderlo- sospirò la ragazza, fissando un punto imprecisato nel buio, ma lui scosse una mano con noncuranza.
-Non sono un bambino, so perché l’hai fatto. Non è davvero qualcosa per cui arrabbiarsi- disse con un mezzo sorriso. Lei rispose a quell’espressione incerta, rivangando la padellata in testa che si era beccata dal cuoco, quando l’aveva fatto tornare all’Ordine.
-Piuttosto, perché sei conciata così?- lei fece uno sguardo vacuo –non sono ferita-.
-Non sto parlando delle ferite- afferrò il bollitore con due tazze e lo mise sul tavolo.
Aster sospirò di nuovo, poi fece un sorriso mesto mentre gli occhi le diventavano lucidi.
-Non ce la faccio a parlare, stasera. Non di questo- sussurrò inghiottendo piccoli sorsi della bevanda bollente. La finì in un lampo, poi si alzò di scatto.
-Scusami. Devo andare- Jerry sospirò.
-Va bene. Torna quando vuoi, lo sai- disse, ma lei era già sparita nel buio.

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Fu tornando indietro che lo vide.
Un uomo in una toga da prete, con corti capelli e occhiali tondi, che bussava alla porta di Marian.
Sentì un brivido percorrerle tutta la spina dorsale, così forte che iniziarono a tremarle le mani.
Rimase ferma nel buio, poi sentì un rumore fortissimo dall’interno della stanza, delle grida. Scattò verso la porta, la buttò giù con un calcio, e lo vide. Sentì il suo potere aggrapparsi al proprio corpo in cerca di qualcosa che lei non aveva, lo vide tenere Marian nelle sue grinfie. L’influenza che quell’essere aveva su di lei le dava la nausea, ma si sforzò di reagire.
-Lascialo andare! Lui non ha quello che cerchi!- evocò la spada nera e con un balzo si frappose fra i due, tranciando di netto l’artiglio con cui il nemico aveva afferrato il generale.
-Va’ via, stupida! Questo qua è al di sopra delle tue forze!- gridò l’uomo.
-Scappa tu, piuttosto. Lui non può uccidermi- mormorò.
-Povera illusa! Non riuscirai a sottrarmelo!- gridò l’essere, attaccandola di nuovo. Aster non si scompose.
-Baratro- mormorò, e istantaneamente lo specchio nero si aprì di fronte a lei. Il nemico non riuscì a sottrarsi in tempo, venne risucchiato e l’arma si richiuse sulle sue grida.
Aster si girò di scatto verso l’uomo disteso dietro di lei: non c’era un secondo da perdere.
-Togliti dai piedi, prima che quel pazzo ritorni. Sai che noi non possiamo sconfiggerlo- mormorò fissandolo negli occhi, ma le rispose uno sguardo di disprezzo misto a dolore. La spalla del generale era coperta di sangue.
-Perché dovrei crederti? Mi hai sempre mentito-
-Tu hai mentito a lei. Consideralo il pagamento del tuo debito, e ricorda che è colpa tua se tua sorella è in queste condizioni- rispose brusca –non c’è tempo, Marian! Proteggerò io Hoshi, e quando troveremo il Cuore e tutto questo finirà lei sarà libera di nuovo. Ma non voglio che quando uscirà da Hebraska si ritrovi sola- si fissarono negli occhi ancora per qualche istante, poi l’uomo fece un cenno d’assenso. Aster scattò in piedi, indicandogli la finestra.
-Siediti lì mentre ti medico in qualche modo. Lascia qui Judgement- iniziò a trafficare alla ricerca di bende.
-Cosa? E perché?-
-Perché è l’unica cosa tramite la quale possono rintracciarti. Tu non sei il compatibile di quell’arma, Heb avverte quando un’arma è usata dalla persona sbagliata. L’unico modo per non farti trovare è lasciarla qui e fingere di essere morto- disse tutto d’un fiato, rinunciando a cercare le bende e strappandosi una manica per fasciare alla bell’e meglio le ferite.
-Trovati un dottore quando sarai fuori- ordinò.
-Baderai ad Allen?- una mano dell’uomo le afferrò il mento, costringendola a guardarlo negli occhi. Nessuno dei due aveva dubbi in cosa consisteva quel “badare”.
-Gliel’ho promesso- rispose lei semplicemente, la gola chiusa.
Marian fece un sorriso sghembo, poi avvicinò improvvisamente il volto al suo, posandole un bacio leggero sulle labbra. Aster rimase immobile, il cuore che andava a mille, cercando di non far trapelare lo sconcerto.
-E’ stato bello vederti fingere. Prenditi cura di mia sorella- le sussurrò. Poi la ragazza sentì un improvviso e lancinante dolore alla nuca. Un velo nero cadde davanti ai suoi occhi, e tutto sprofondò nell’incoscienza.






Note dell'Autrice:

Ecco a voi un altro capitolo! Spero di riuscire a farmi perdonare per la lunga assenza!!
Sono giuliva perchè finalmente sono riuscita a finire di scrivere tutta la storia *__* è troppo stressante pubblicare qualcosa senza averlo finito, non credo che lo rifarò .__.
Che bello, c'era ancora qualcuno che seguiva ^___^ ora rispondo ai commenti:

ValeXAnime: la mia crisi con la scrittura di questa fanfiction è arrivata soprattutto nel momento in cui non sapevo se avrei continuato a seguire il manga o se avrei inventato la fine della storia... ho optato per quest'ultima soluzione, anche perchè altrimenti sarebbe stata una cosa dai tempi d'attesa improponibili! Linalee sta sulle scatole anche a me, ma nel finale non sarà più così ooc... diciamo che sta attraversando un momento di crisi interiore XD

Sherly: visto che alla fine sono riuscita a continuarla?? Mi dispiaceva troppo non riuscire a finirla T__T anche se una volta finita forse rimpiangerete il fatto che non sia rimasta incompiuta D: D:

bartandes89: che bello, una new entry ^^ sono contenta che la mia fanfiction ti piaccia!! :D :D è la mia terza fanfiction, dopo un po' non sapevo più che tipo di innocence inventarmi! Meno male che questa sembra aver avuto successo!! Continua a seguire, mi raccomando!!

 DarkAngel_oF_DarkNess: Linalee in questa fanfiction attraversa una crisi mistica da manuale XD mi ero troppo stancata di vederla sempre carina e coccolosa e di non poer fare niente per renderla più antipatica! Di qui in poi la storia inizia a farsi più angosciante... e alla fine non manca nemmeno moltissimo in fin dei conti T_T

Grazie a tutti voi che seguite e leggete!! :D

Baci!

Bethan

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Capitolo 24
*** Even in Darkness Love can born. ***


Corre. Non sa dove stia andando, sa soltanto che deve correre.
Alberi fitti, alti, dai tronchi scuri la circondano, le intralciano il cammino con le loro radici, le oscurano il sentiero con le fitte fronde.
L’unico lampo di luce in quella foresta sconosciuta è lei, vestita di bianco, i capelli sciolti, che raccolgono ogni barlume che la luna piena riesce a far filtrare sotto quelle nubi vegetali.
Non c’è più tempo, deve correre. Non importa se il vestito si straccia, non fa niente se perderà qualcosa in quella corsa.
La clessidra è quasi alla fine, e lei deve fare più in fretta che può.
All’improvviso, arriva.
Una radura illuminata d’argento si spalanca di fronte a lei, che quasi ci cade dentro. Rallenta, il suo passo si fa solenne.
Al limitare degli alberi è pieno di figure orrende, grottesche, ma lei non le vede, perché al centro di quello spiazzo c’è lui.
Il cuore le va all’impazzata, sa che il tempo sta per scadere. Libera l’istinto che fino a quel momento ha trattenuto, una lunga spada nera compare nelle sue mani, mentre la pelle chiarissima del ragazzo di fronte a lei diventa sempre più scura.
Lo trafigge senza alcuna esitazione, prima che i suoi occhi diventino dorati.
Vuole vedere ancora il loro colore lunare, prima della fine.

***

-No! No! Non l’ho fatto, no!- la ragazza stesa sul letto iniziò a gridare all’improvviso, gli occhi ancora serrati. Linalee scattò in piedi con un balzo e le fu subito accanto.
-Ho… Aster! E’ solo un incubo, svegliati!- la scrollò, ma quella si divincolò nel sonno.
-Io non l’ho ucciso! Io non l’ho ucciso!- gridò a pieni polmoni, ma poi spalancò gli occhi di schianto.
Occhi neri, pieni di paura e, suo malgrado, di lacrime.
Lacrime che si affrettò ad ingoiare quando vide chi le stava accanto.
-Era solo un sogno…- mormorò la cinese debolmente. Aster annuì secca.
-Cos’è successo?- domandò, prendendosi la testa fra le mani. Le faceva un male dannato, ma era ben lungi dall’essersi scordata ogni cosa.
Doveva fare un po’ di scena, perché Linalee e tutto l’Ordine ci cascassero con tutte le scarpe e credessero nella morte di Marian.
-Ti… ti abbiamo trovata svenuta nella stanza del generale Cross- la voce di Linalee ebbe un tremito, Aster finse di sussultare, di ricordare.
Era fin troppo facile ingannare gli umani, aveva ben avuto l’occasione di constatarlo.
-Si è svegliata?! E nessuno mi dice nulla?! Fatemi entrare!-
-Walker, non pote…-
-Sta’ zitto!- dopo quell’elegante ruggito la porta della stanza venne praticamente scardinata da un Allen infuriato come nessuno l’aveva mai visto.
-Ehm… dovrei parlare un attimo con lui da sola, se non ti spiace- fece la ragazza rivolta a Linalee, che le lanciò un’occhiata a metà fra il risentito e il curioso ed uscì dalla porta.
L’albino si avvicinò al letto in cui era stesa, ed in un lampo furono ricoperti da una membrana nera come la notte.
-Qui potremo parlare senza che ci sentano, visto che hai provvidenzialmente scardinato l’unica fonte che gli avrebbe impedito di origliare- ridacchiò, ma tornò subito seria. Anche in quel buio vedeva il luccichio negli occhi di Allen, e niente le premeva quanto rassicurarlo.
-Marian è vivo. Sta’ tranquillo- disse.
“Vivo e vegeto” commentò fra sé e sé ironica, ripensando al bacio d’addio che le aveva dato.
-Era pieno di sangue-
-Perché ha combattuto contro qualcosa che sta cercando te- continuò lei senza mezzi termini –ascoltami, abbiamo poco tempo. Non so cosa sia, è il mio corpo che mi guida. Sento che ti sta cercando, che l’altra notte mirava a te- mormorò stringendo le dita sul lenzuolo. Quella cosa le aveva provocato una sensazione infinitamente sgradevole, aveva fatto reagire ogni singolo grammo d’innocence nella sua pelle e nelle sue vene.
Ne aveva avuto una paura terribile.
-L’ho spedito piuttosto lontano da qui, ma è molto probabile che quando tornerà tenterà un nuovo attacco- la sua mente stava lavorando febbrilmente, malgrado il mal di testa. Doveva mettere in guardia Allen, lo doveva proteggere.
Il ragazzo si sedette a tentoni sul letto di fronte a lei e le prese con decisione il viso fra le mani. Quel contatto improvviso la lasciò senza fiato, così come l’estrema vicinanza fra i loro volti. Per qualche istante, tutte le preoccupazioni sparirono, lasciando spazio solo al cuore che batteva all’impazzata.
-La vuoi smettere di preoccuparti solo per me? Io non sono un bambino, e non voglio che tu corra pericolo- disse –questa cosa che ho dentro non mi rende più debole. Sono lo stesso di prima- sussurrò poco prima di baciarla, ma nell’esatto istante in cui le loro labbra si toccarono, Aster sentì tutte le sue cellule urlarle all’unisono una sola parola.
Uccidilo
In preda al panico, cercò di sottrarsi al contatto col ragazzo, ma le sue braccia la stringevano con più forza di quanta non fosse necessaria, ed allora capì.
Non era Allen a baciarla, in quel momento.
Cercò di sciogliere la barriera, ma l’innocence non le ubbidì. Stava riversando troppa energia nel trattenerla dall’uccidere Allen, e non riusciva a comandare l’oscurità che li circondava.
Sentì una mano infilarsi decisa fra i suoi capelli, mentre le labbra si staccavano dalle sue per scendere sul collo, lasciando una lunga scia di baci.
Gli tirò uno spintone per allontanarlo, ma improvvisamente sentì il suo corpo rilassarsi e la tensione svanire così com’era venuta.
Era tornato Allen.
Ma non la stava affatto lasciando.
-A-Allen?- balbettò, cercando con una mano il suo viso.
-Scusa- soffiò lui contro la sua pelle –emerge quando… divento irruento, ecco- la sua fronte si appoggiò alla sua spalla –è come se fosse la mia parte nera, quella che non ho mai lasciato trapelare- mormorò.
Un’idea folle si fece strada nella mente della ragazza.
Non riusciva assolutamente a comprendere come avesse potuto concepire un pensiero simile, eppure sentiva che entrambi ne avrebbero avuto bisogno.
-Questo è il regno dell’oscurità- sussurrò –qui niente ha un volto riconoscibile. Qui l’ombra che ti segue non si vede. Qui possiamo essere ciò che vogliamo- sentì il ragazzo trattenere il fiato prima di rispondere.
-E se prendesse di nuovo il sopravvento?-
-Lascia che faccia ciò che tu desideri. Ognuno di noi ha una parte di tenebra nel proprio cuore. Il compito arduo sta nell’imparare a dominarla-.

Dopo queste parole, le labbra del ragazzo ripresero lì da dov’erano state interrotte, ma stavolta era lui, Allen, che comandava, non il Noah.
Piano, con delicatezza, fece scendere fin sotto la spalla la manica della ragazza, seguendo con la bocca ciò che stavano facendo le mani.
Ad ogni bacio sentiva la pelle riempirsi di brividi, quando le dita di Allen si spostarono sfiorando il seno le sfuggì un sospiro. Si aggrappò alla sua schiena, tirandolo sul letto assieme a sé, sentendo il suo corpo pesare sopra di lei, preda del più proibito dei piaceri, ma anche del più dolce. Quello fra due condannati che avvertivano l'avvicinarsi della sentenza.
Fissò gli occhi di Allen, chiedendosi come facessero a brillare anche in quel buio, e d’istinto le tornò in mente il sogno. Si irrigidì di botto.
-Tutto bene?- la voce, anche se roca, era sempre la sua, gentile e premurosa, ed i suoi gesti non avevano nulla a che vedere con quelli del Noah che era in lui.
Decise di dimenticare tutto, per un po’. Chi fossero, cosa sarebbe successo loro, cos’avrebbe dovuto fare nel caso le cose si fossero messe male. Si abbandonò alle sensazioni che quel contatto ravvicinato le procurava.
Affondò le dita nei capelli del ragazzo e intrecciò le labbra con le sue in un bacio di fuoco, che spazzò via ogni loro preoccupazione.
Sentiva le mani di Allen scivolare sempre più giù sulla sua pelle nuda, ed iniziò ad imitarlo, godendosi ogni suo sospiro come se fosse proprio.
Non aveva paura del dolore, ne aveva sopportato tanto che il bruciore che sentì invaderla fu per lei estremamente dolce.
Le sfuggì un gemito, ed il ragazzo si fermò.
-Scusami- mormorò, l’imbarazzo quasi tangibile nella sua voce –io… io non ho mai…- Aster lo strinse più forte a sé.
-Nemmeno io. Non c’è problema- sussurrò. Entrambi desideravano che continuasse, e quando finì sembrò essere durato assieme un’eternità e troppo poco.
Rimasero chiusi in quel buio protettivo per ore, forse giorni, completamente noncuranti di cosa accadesse all’esterno. Allen era lì con lei, l’unica persona che davvero potesse rappresentare una luce nell’oscurità che la circondava, e lei non avrebbe mai voluto nient’altro.

---


Passi nel buio. Diversi, stavolta, ma poteva facilmente intuire a chi appartenessero.
Jerry sospirò accendendo i fornelli: per lui non sarebbe bastata una semplice camomilla.
“Pare che il mio lavoro qui non sia ancora finito” pensò con un sorriso, vedendosi comparire davanti una zazzera bianca e due occhi spiritati.
-C’è ancora da mangiare?- chiese il ragazzino speranzoso. Il cuoco si mise le mani sui fianchi.
-Guarda un po’, stavo giusto mettendomi a preparare la tua colazione! Siediti, se hai pazienza ti preparo qualcosa- disse con tono scherzoso, mettendo sui fornelli una quantità incredibile di cibo.
Era Allen, dopotutto.
Mentre quel bendidio cuoceva a fuoco lento l’uomo andò a sedersi di fronte a lui, osservandolo e rendendosi conto di provare una sorta di gelosia paterna nei confronti di Aster. Sperava che quel ragazzino non la facesse soffrire.
Immerso in quei pensieri doveva aver assunto un’espressione piuttosto truce, perché Allen inghiottì intimorito.
-Va tutto bene?- chiese con un filo di voce. Jerry si scrollò subito con un ghigno –alla grande! Tu, piuttosto! Mi sembri piuttosto sveglio per quest’ora, non è vero, dolcezza?- gli ammiccò, sperando in quel modo di ottenere qualche informazione.
Il ragazzo sospirò, assumendo un’espressione depressa.
-Secondo te finirà mai?- mormorò alla fine. Jerry attese che continuasse. –Mi sembra che continueremo a combattere in eterno, senza mai poter pensare al futuro come a qualcosa in cui dovremo costruire anziché distruggere- addentò voracemente un panino –non ci sarà mai un minimo di tranquillità, non è vero?- l’uomo rimase in silenzio, pensieroso.
Era vero, a quei ragazzi era tolta la possibilità di crearsi una vita. Erano apostoli, dopo tutto, dovevano sacrificarsi per dare all’umanità ciò che a loro era negato. Tutti avevano accettato quel compito, ma che non ne soffrissero era tutto un altro paio di maniche.
-A volte penso che lei avesse ragione, prima- continuò Allen –noi non abbiamo scelto niente. Sono stati gli eventi e persone più potenti di noi che ci hanno travolti- lo guardò negli occhi, Jerry scorse lo scintillio nella penombra –ho sempre pensato che avrei dovuto continuare a camminare in eterno, ma adesso vorrei solo fermarmi un momento-.
-Sono anni che lavoro qui. Arrivai da bambino- esordì Jerry, mettendosi comodo –anni in cui non ho visto altro che ragazzi prima più grandi, poi della stessa mia età ed infine più giovani venire e combattere, combattere e morire, senza che nessuno mai abbia alzato la voce per protestare- quella era stata una delle cose che gli aveva fatto più rabbia. L’incapacità di quei ragazzi di ribellarsi, di cercare di scoprire la verità sotto l’oceano di cose non dette.
-Quando Aster è arrivata qui, ho sentito come una scossa, come se finalmente un vento contrario si fosse messo a soffiare, perché lei non vuole essere costretta a sacrificarsi- mormorò –sebbene viva sulle spalle di un sacrificio, lei avrebbe preferito morire piuttosto che trovarsi in una situazione del genere- Allen annuì. L’odio di Aster per quel luogo e per tutto ciò che rappresentava era stato ciò che di lei l’aveva attratto fin dall’inizio, perché esprimeva ciò che in lui era soffocato.
-Ho un po’ di paura- disse infine –cosa succederà se il Noah prenderà possesso del mio corpo?- Jerry sospirò.
-Immagino che appena accadrà avrai chi ti toglierà dall’impiccio- una voce femminile fredda li fece sussultare. Linalee stava in piedi alle loro spalle, fissando Allen –domani abbiamo una missione- disse –partiremo all’alba per la Turchia. Fatti trovare pronto da Link- riferito il messaggio, la ragazza scomparve nell’oscurità così com’era venuta.

---

Nella sala regnava il più cupo mutismo. Tutti erano impegnati con i preparativi per la missione, sarebbero partiti presto e separati.
Aster ed Allen si passarono accanto senza guardarsi neppure, si erano già salutati. La ragazza sarebbe andata in Grecia con Linalee, Allen in Turchia assieme a Kanda e ad altri Third Exorcists.
Quando passò accanto alla cinese si guadagnò un’occhiata di puro veleno, e poco mancò che non le rispondesse con un sorriso sarcastico.
“Bell’ipocrita. Se penso a quanto volevi fare amicizia…” pensò ironica, mettendosi la borsa a tracolla. Poi guardò Crowley e Miranda, che avrebbero viaggiato con loro, ignorando Linalee di proposito.
-Pronti? La carrozza sta aspettando- mormorò, tirandosi su il cappuccio. Da fuori proveniva il rumore incessante dello scroscio violento della pioggia. I due annuirono e si avviarono dietro di lei.
“Sta’ attento… Allen”.

La vide uscire senza voltarsi indietro. Tipico suo, avrebbe potuto dire, ma quella visione lo turbò oltremisura.
Era come se un orribile presentimento si fosse impadronito di lui, come se dopo quella missione…
Niente sarà più lo stesso, Allen.
Ecco, appunto. Ma perché quella dannata voce doveva sempre comparire nei momenti meno opportuni? Oltretutto sembrava addirittura che gli leggesse nel pensiero! Si impose di ignorarla, seguendo Kanda assieme a Link.
Sospirò rassegnato: Kanda, Link e il Quattordicesimo nella sua testa.
“Ti prego, fa’ che questa missione finisca presto!”


Note dell'Autrice:

Allora... LO SO, faccio schifo a descrivere le scene d'amore .___. spero che non sia stata troppo pietosa da leggere T^T
Quanto al resto, Linalee è una vera m.... in questo capitolo, anche se so che poi si riscatterà la sto veramente odiando! XD
Annuncio: la storia si sta avviando verso la sua conclusione. Non so quanto mancherà ancora di preciso, ma le cose sono in declino... quindi preparatevi psicologicamente! Io non vi dico nulla!

Scusatemi se non rispondo ai commenti ma è periodo di esami e sono non di fretta, di più! ç__ç

Grazie a tutti voi che seguite e commentate!!! Buone feste a tutti quanti!! :D

Baci <3

Bethan

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Capitolo 25
*** A New Direction. ***


-Miranda, attenta!- Aster diede un colpo d’ali e si buttò sulla compagna, appena in tempo per evitarle di venire colpita dai proiettili dei gemelli. Il terreno sotto di loro franò.
-Maledizione! Reggiti forte!- la sollevò in volo, portandola in un posto più riparato. Vide che tremava e che era coperta di sudore.
“Non ce la farà ancora per molto” pensò, voltandosi a fissare il campo di battaglia.
Erano stremati. Sembrava che i Noah fossero più potenti che mai, quasi nessuno dei loro attacchi andava a segno.
Con la coda dell’occhio vide un attacco diretto verso Linalee.
-Resta nascosta! Crowley, proteggila!- gridò con tutto il fiato che aveva prima di scaraventarsi alle spalle della ragazza, parando il colpo del gemello moro con la sua katana. Le sembrava che tutto il corpo avesse preso fuoco; l’innocence evocata per così tanto tempo le procurava dolori terribili.
-Ma guarda chi si vede! Se non sbaglio, il nostro ultimo incontro risale ai tempi dell’arca, non è vero, dolcezza?- quella voce le gelò il sangue nelle vene ancor prima di vedere da chi provenisse.
Tyki Mikk era comparso davanti a lei dal nulla, all’improvviso.
-Maledetto, ci mancavi solo tu…- sibilò, riportandosi in posizione d’attacco.
Quello alzò le mani –tranquilla, non voglio combattere, voglio solo parlare- disse tranquillamente –credo che presto a te e al tuo amichetto servirà il nostro aiuto, sai?-.
Il fendente di Aster gli tranciò la camicia, rivelando la cicatrice lasciata dalla spada di Allen.
-Se tocchi ancora una volta Allen… io…- ansimò, incapace di riprendere fiato.
L’uomo sorrise beffardo, avvicinandosi al suo viso.
-Sai, piccola, credo che non avrete molta scelta. Entrambi dovete decidere dove sta il giusto e dove lo sbagliato, mi pare- la ragazza gli mollò uno schiaffo.
-Non tentare di infinocchiarmi con le tue menzogne, Noah!- ringhiò scansandosi. Lo sguardo di Tyki si fece duro –molto bene. Lo vedrai da sola, ma adesso ti chiedo di seguirmi, prima che sia costretto a portarti via con la forza- Aster sbottò in una risata amara –seguirti? Ma per chi mi hai presa?-

Se vuoi aiutarlo, va’ con lui.

La voce arrivò improvvisa nella sua testa, rimbombando fortissima.
Aster cadde a terra, l’evocazione si disattivò di schianto, nonostante ogni cellula del suo corpo si fosse tesa allo spasimo al sentire quelle parole.
-Che cavolo succede?! Che diamine mi stai facendo?!- gridò rivolta a Tyki, ma quello scosse la testa.
-Non sono io. Lui ha ragione, l’unico modo che hai per aiutare Allen è venire con me-
-Allen non vorrebbe mai che ti seguissi, bastardo!- le bruciava la gola, faceva fatica a respirare. Sentì due braccia sorreggerla.
-Aster! Che cosa vuoi da lei?! Vattene via!- Linalee.

Non sta mentendo. Nemmeno io sto mentendo. E’ l’unico modo che hai per evitare che la situazione precipiti.

Gridò con tutto il fiato che aveva in gola. Le sembrava che ogni parola venisse marchiata a fuoco nel suo cervello.
-Smettila… smettila…- sussurrò, paralizzata dal dolore.
Avvertì su di sé l’ombra di Tyki Mikk.
-Allora, verrai?- chiese di nuovo.
Piangendo, Aster annuì. Serrò gli occhi, ma sentì ugualmente Linalee trattenere il respiro.
-Dove stai andando?! Hai intenzione di tradirci? Lui è un Noah, tu sei Innocence!- gridò. L’uomo la prese in braccio, ed il dolore esplose nuovamente.
-Fammi camminare! Ti seguirò, ma non toccarmi!- gridò, ma quando vide la mano dell’uomo infilarsi nella sua testa si fermò all’improvviso, respirando affannosamente.
L’ultima cosa che sentì prima di svenire fu il suo nome gridato da Linalee.

***

-Puoi baciare la tua sposa-
Avvertì le labbra di Allen sulle sue, per un istante libere del Quattordicesimo, dolci come tutto era all’inizio.
Il bruciore arrivò all’improvviso, e seppe che era la fine.
Evocò la katana, le lacrime che le scorrevano sul viso. Si scostò un istante per guardare il ragazzo in faccia. La pelle aveva perso il suo pallore, era diventata ambrata, come quella dei Noah.
Gi occhi però erano rimasti i suoi, argentati, luminosi, che la imploravano.
“Fallo. Adesso” dicevano.
Sentì la lama nera farsi strada nel corpo di Allen, poi un dolore improvviso e lancinante la fece sussultare.
Si staccò e guardò in basso.
Il vestito che indossava, candido come la neve, stava cambiando velocemente colore.
Rosso, come il sangue.

***

Quando si svegliò, era nelle segrete dell’Ordine.
Sbattè la testa contro il muro, fissando nel vuoto. Sentiva il peso dei sigilli che aveva sul braccio privarlo di ogni energia.
Cosa diamine era successo? Da quando Alma aveva scatenato la sua potenza non ricordava niente, soltanto un buio da cui non riusciva a fuggire e lei, la voce, che gli parlava senza sosta.

Noi due siamo una cosa sola, Allen.
Il tempo è vicino, ormai.
Hai bisogno della mia potenza, ed io ho bisogno del tuo corpo.
Siamo l’ibrido che spezzerà questo ciclo corrotto.

Serrò le palpebre, ma il buio lo spaventò e le riaprì immediatamente. Posò gli occhi sul piatto ancora pieno del pranzo e gli venne un conato di vomito.
Non si faceva troppe illusioni, sapeva cos’era successo alla sede Asia. Il Quattordicesimo si era impossessato del suo corpo. Alla fine ce l’aveva fatta, entrando in risonanza con gli akuma c’era riuscito.
Sospirò, dando un’altra testata alla parete, più forte stavolta.
L’avrebbero ucciso.
Poteva figurarsi la scena: Komui e Linalee avrebbero tentato di difenderlo, ma Lvellie non avrebbe sentito ragioni.
Si chiedeva soltanto se avrebbero permesso a lei di farlo. Non desiderava altro che uscire da quel mondo per mano sua.

Sono davvero questi i tuoi desideri? Potremmo diventare molto più grandi, insieme.

-Sta’ zitto!- gridò al Noah. La sua voce rimbombò nella cella angusta e la testa gli mandò una fitta. Si accasciò a terra, troppo debole persino per sfogare la sua frustrazione camminando.

---

-Fratello… dove sono Lavi e Bookman?- la voce tremante di Linalee.
Preoccupata.
Nascondeva a stento il pianto.
“Perdonami, Linalee. Non avrei mai voluto sentire la tua voce in questo modo” il supervisore sospirò, accasciandosi nuovamente sulla sedia da cui si era alzato poco prima, quando aveva salutato il Consiglio.
-Per quanto ne sappiamo, sono nelle mani dei Noah. Ma non abbiamo idea del perché abbiano preso proprio loro- mormorò. Sentì sua sorella trattenere il respiro, poi passi veloci ed una porta che sbatteva.
Non sarebbe mai riuscito a proteggerli tutti, non con la Sede Centrale che agiva in quella maniera così piena di efferatezza. Avrebbero dovuto rimanere uniti contro il Conte, ed invece si stavano mangiando gli uni con gli altri.
Forse era davvero questo il destino degli uomini, pensò chiudendo gli occhi.

Corse a più non posso senza meta, fino a fermarsi esausta in un corridoio. Spalancò una porta e fissò la stanza, intatta, identica a com’era l’ultima volta che c’era entrata.
Si portò un dito alle labbra senza pensarci.
E decise.
Non poteva dimenticare Allen, ma non avrebbe lasciato Lavi nelle loro mani. Non poteva farlo, perché il suo cuore le diceva che era giusto così.
Aster se n’era andata con i Noah.
Non pensava che li avesse realmente traditi, dopo ciò che rischiava Allen dubitava che la ragazza potesse davvero passare alla fazione opposta.
Doveva sapere qualcosa che tutti loro ignoravano, e di cui era a conoscenza anche Allen.
Da quando Hoshi era entrata nell’Ordine, e ancor di più da quando la sua vera natura era stata rivelata, loro malgrado tutti avevano iniziato a farsi domande su quella guerra.
Se fosse davvero giusta. Se ne valesse la pena.
Se il loro sacrificare ogni energia e passione a quella causa avesse davvero un senso.
Prima avrebbe pianto e urlato, ma sarebbe sottostata alle decisioni del Consiglio. Andare a riprendere Bookman e il suo allievo nella tana dei Noah, che nemmeno sapevano dove si trovasse, sarebbe stato decisamente fuori discussione. Avrebbero solo perso altri elementi utili alla guerra.
Ma adesso il vento era cambiato, lo sentiva anche lei.
Quelle con cui i Noah stavano giocando erano vite, ed il fatto che anche l’Ordine avesse fatto la stessa cosa per centinaia di anni le aveva fatto comprendere finalmente tutto l’orrore di cui erano stati complici.
“Non c’è giustizia in questa guerra” pensò amaramente.
Si tirò su il cappuccio dell’uniforme, evocò i Dark Boots e spiccò il volo dalla finestra.


Note dell'Autrice:

Eeeeeeeee... capitolo di Natale!! :D Tantissimi auguri a tutti, soprattutto a voi che leggete le mie fanfiction, vi auguro un anno pieno di spirito di sopportazione per i miei deliri!! ^__^
Vi annuncio un altro colpo di scena nel prossimo capitolo... ma non anticipo altro! Spero che questo vi sia piaciuto!

Un ringraziamento speciale a Darkangel: sono contentissima che la mia fanfiction ti piaccia così tanto *-* sono questi i regali di Natale che fanno felici noi poveri autori *commozione* tanti auguri!!!

Ancora buon Natale, popolo di efp!

Baci!

Bethan <3

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Capitolo 26
*** Entering Reality. ***


-Allora, ti senti pronta?-
Aprì piano gli occhi, richiamata da quella voce. Si trovò a fissare il solito bianco splendente che ricopriva ogni cosa attorno a sé.
Non poteva più sopportarlo. Serrò di nuovo le palpebre e di nuovo quella cortina di piacevole oscurità cadde su di lei.
-Pronta per cosa?- chiese. Non sapeva con chi stesse parlando, ma senza dubbio era interessante che qualcuno si rivolgesse a lei così direttamente.
Quant’era che non apriva bocca? Faticò persino a riconoscere la sua voce, così debole.
-Presto il suo destino sarà compiuto, e tu sarai libera- disse la voce.
Sussultò –non voglio, non a quel prezzo!- esclamò, e si sorprese di come il suo tono fosse immediatamente salito, rimbombando contro quelle pareti invisibili.
-E’ ciò che desidera, poiché lei sarà la causa della morte di colui che ama. Ma tu devi uscire, o quando tutto finirà soccomberai-
Allora l’avrebbe ucciso, pensò tristemente, e poi si sarebbe fatta uccidere.
Che destino ignobile e crudele, perdere la vita dopo averla appena trovata. Avrebbe preferito essere al suo posto, perché per lei quella vita che l’altra aveva soltanto adesso compreso non aveva alcun valore.
Perché lei l’aveva già persa.
-E’ il loro destino. Tu non puoi opporti- continuò il suo interlocutore.
-Non sopravvivrò fuori da qui- mormorò chinando la testa fra le ginocchia.
-Tutti noi ci abbiamo pensato. Ti daremo parte della nostra energia perché tu possa resistere fino alla fine-
-Sei sicuro che funzionerà?- chiese titubante, sollevando appena il capo.
Quasi potè avvertire il suo cenno d’assenso mentre diceva –si-.
Respirò a fondo –e allora vieni a pendermi- disse decisa.
Una mano si tese di fronte a lei, e mentre la prendeva nella sua mente comparvero un sorriso gentile e due occhi dorati.
-Certamente, Hoshi-

---

Una ragazza magrissima, con capelli di un rosso fiammante che le arrivavano fino alle anche, cadde sul freddo pavimento della sala.
Era nuda, ma non se ne curava più di tanto. Le sue dita sfiorarono le mattonelle gelide, i suoi occhi si abituarono alla penombra, così diversa dalla luce accecante che per anni l’aveva avvolta e protetta.
D’un tratto sentì qualcosa di morbido posarsi sulle sue spalle.
-Sono il Noah del piacere, ragazza. Questo dovrebbe dirti tutto, fammi il favore di coprirti- disse una voce lievemente divertita.
Sentì le guance scottare. Stava arrossendo, e quasi le venne da ridere.
Da quanto tempo aveva perso la percezione del proprio corpo?
Si strinse addosso il mantello, mentre si aggrappava alla mano dell’uomo per rimettersi in piedi. Quello le infilò al collo un ciondolo con una sfera dorata, che riluceva debolmente come se fosse viva. Si sentì subito più in forze.
-Non perderlo. Lì sta l’energia che ti aiuterà- disse con un sorriso.
Hoshi lo guardò interdetta nei grandi occhi dorati, simili ai suoi –perché fai questo?- mormorò.
Avrebbero dovuto essere nemici, loro, e Aster più di tutti avrebbe dovuto uccidere i Noah. Invece non sentiva tutta questa ostilità nei loro confronti, segno che anche l’altra non l’avvertiva.
-Perchè non voglio perdere ciò che ho- rispose in maniera sorprendentemente secca –ed ora muoviti, dobbiamo andare a liberare anche un’altra persona da questo posto- la prese per un braccio e se la trascinò dietro.
-A-aspetta!- balbettò lei.
-Ma che vuoi? Dobbiamo fare in fretta, ti dico!- esclamò quello stizzito.
-Come ti chiami?- chiese. Il Noah alzò gli occhi al cielo –Tyki. Tyki Mikk. E ora, se hai finito con le domande superflue…- disse voltandole di nuovo le spalle.
-Grazie, Tyki…- mormorò andandogli dietro.
-Hm? E per cosa?- chiese quello distratto, cercando la strada giusta.
-Per avermi salvata-.

---

Si svegliò con la testa che le mandava fitte lancinanti, ed emise un mugolio di dolore.
“Ma dove diavolo sono?” si chiese, alzandosi e premendosi le tempie.
-Sei dentro di me. Adesso metti questo, se vuoi smettere di sentire quel dolore- un oggetto rotondo e lucente rimbalzò sul letto accanto a sé. Aster seguì la traiettoria da cui era arrivato e trasalì vedendo da chi provenisse.
-Tu! Vuoi dirmi che siamo nel “Sogno”? Maledetti, mi avete ingannata!- ringhiò, ma il dolore esplose in mille punture di spillo che sembravano perforarle ogni centimetro di pelle.
-Non ti ha ingannata nessuno. Se ti metterai quel ciondolo smetterai di soffrire come un cane e allora potrò spiegarti cosa succede- la voce di Road era dura, seria. Non sembrava più la bambina pestifera e sadica che aveva conosciuto.
-Perché dovrei fidarmi?- ringhiò, sapendo bene di non avere scelta.
-Puoi anche restare così. Ti avviso che andrà soltanto peggiorando, perché dovrò usare molto del potere della mia dark matter di qui in avanti- rispose la Noah con noncuranza.
Aster prese la collana e se la infilò con rabbia. Il dolore scemò all’istante.
Road si alzò dall’angolo in cui era seduta, andando ad adagiarsi accanto a lei. La fissò seriamente.
-Adesso ascoltami bene. Se vuoi salvare l'anima di Allen prima che diventi un Noah, è l’unico modo che hai per farlo- mormorò. Il suo tono serio la fece desistere dal fare ogni commento.
-Il Quattordicesimo è il figlio del Conte del Millennio- cominciò –essi vissero come uomini in un paese dilaniato dalla guerra santa-.

***

-Fratello! Mana! Non è possibile, svegliati!- un giovane uomo singhiozzava disperato, gettandosi sul corpo di un ragazzino, steso a terra e coperto di sangue, e scrollandolo senza sosta.
Fu in quel momento che qualcosa in lui si ruppe.
Avevano perduto i loro genitori. I loro fratelli. Aveva visto morire tutti attorno a sé, ma c’era sempre rimasto lui.
Non l’avrebbe tollerato, mai.
-Salvatelo- singhiozzò –che qualcuno lo salvi!- il suo urlo salì come un uragano in tempesta, perforò le nubi, si circondò di lampi viola che ricaddero su Mana in un fragore assordante.
Neah fu sbalzato all’indietro dalla corrente d’aria.
Appena riuscì a rialzarsi, lo vide. Stava davanti a lui, galleggiando nell’aria, un tizio buffo e terrificante al tempo stesso, grasso, con un gran sorriso e con un cappello cilindrico in testa.
In quelle fattezze non aveva niente che gli fosse familiare, ma lo riconobbe immediatamente.
-Papà..?- mormorò avvicinandosi. Quello gli sorrise –se vuoi che faccia tornare in vita tuo fratello, dovrai seguirmi, Neah- disse con gentilezza.
-M-ma se ti seguo- mormorò lui –non potremo più stare insieme- gettò un’occhiata al fratello a terra.
-Ma lui vivrà. Non è questo ciò che vuoi? Per tutto c’è un prezzo, Neah- rispose l’uomo.
Neah deglutì. Colui che era stato suo padre, adesso gli faceva paura. Vi era qualcosa di magico in lui, qualcosa di oscuro.
Ma la tentazione lo vinse.
-E sia. Mi unirò a te, non mi importa cosa dovrò fare, ma fa’ tornare in vita Mana!- singhiozzò.
Il ghigno sul volto del padre divenne ancora più ampio. Una folgore si abbattè dritta sul corpo del ragazzino esanime, mentre Neah sentì un dolore atroce alle mani, così forte che gli risalì lungo tutti i nervi del braccio, bruciando senza pietà.
Gridò con quanto fiato aveva in corpo.
-Sarai un ottimo Suonatore, figlio mio- mormorò suo padre.
-Neah?- gli occhi di Neah si aprirono leggermente, trovandosi a fissare quelli di Mana, sgranati ed impauriti, ma inequivocabilmente vivi.
Malgrado il dolore, sorrise.
-Andrà tutto bene, Mana, sarò sempre con te…- sussurrò, mentre una luce lo avvolgeva.
-Neah..!-
“Non so se ci rivedremo, Mana. Se mai vorrai ritrovare qualcosa di me, cerca una ragazza di nome Christine Walker. Lei ti mostrerà qualcosa che mi appartiene” la telepatia. Il loro segreto, nessuno ne era a conoscenza.
La luce diventò accecante, e quando si svegliò non vi erano più né Mana né il campo di battaglia attorno a lui, solo un immenso salone dal pavimento a scacchi.

***

Aster cominciò con suo grande orrore a capire.
-Allen è suo figlio…- sussurrò –è per questo che si vuole reincarnare in lui…- l’intera storia la lasciava sbigottita.
Road però scosse la testa –hai ragione, Allen è suo figlio, ma la storia non finisce qui. Come sai, Mana trovò Allen, gli insegnò ciò che Neah con la telepatia gli diceva, e poi morì all’improvviso- disse gravemente –Neah uscì di senno. Fino a quel momento aveva lavorato per il Conte perchè Mana rimanesse in vita. Quando morì, Neah tradì-
-Cosa fece?- chiese Aster.
-Cercò di uccidere il Conte, perché credeva che se avesse preso il suo posto avrebbe potuto riportare Mana in vita. Ma fu lui a finire ucciso. Prima di morire, giurò vendetta, giurò che avrebbe trovato il Lord e che avrebbe avuto ragione di lui. Si è reincarnato in Allen per portare a termine questo compito- mormorò.
-Ma Allen tentò di resuscitare Mana…- iniziò Hoshi, Ma Road intuì la sua domanda e la interruppe.
-Il Conte ha realmente la possibilità di far tornare le persone dal mondo dei morti. Il richiamo che usa per gli akuma può essere senza problemi usato anche sui corpi originari. E’ il suo potere, come il mio è il Sogno. Ma quella volta non riconobbe Neah dentro Allen, e credo che il ricordo di Mana fosse andato perduto per via dei danni che la battaglia gli aveva procurato- mormorò –lo resuscitò come Akuma, e Allen lo distrusse, come ben sai- concluse.
Aster rimase in silenzio per svariato tempo. La testa le girava.
-E io… io cosa c’entro con tutto questo?- sussurrò. La cosa le stava sfuggendo di mano. Si era infiltrata nel covo dei Noah, e aveva appreso cose per le quali tutto l’Ordine avrebbe volentieri dato la testa.
-Ascolta, ti sembrerà strano, ma nessuno di noi ha scelto di essere un Noah- rispose Road. La sua voce assunse una strana sfumatura, simile a rabbia.
-La trasformazione porta un dolore indicibile, e ti ritrovi legato al Conte anche se non vuoi. Siamo le sue marionette, nient’altro. Certo, ad alcuni di noi va bene- disse sarcastica –immortalità, un mucchio di soldi, donne, cibo, potere e massacro- il suo tono era sprezzante –ma io non volevo vivere in questo modo, non voglio vivere in questo modo- incredibilmente, la sua voce si spezzò. Aster andò nel panico. Cosa doveva fare? Consolarla, forse? Ma se fino a un mese prima si sarebbero staccate la testa a vicenda!
La ragazzina recuperò presto il controllo –il solo motivo per cui io posso essere qui a parlarti è che nemmeno il Conte può entrare qui dentro, soprattutto ora che il suo potere si è indebolito per via del ritorno di Neah- disse pragmatica –ma io non voglio che il ciclo ricominci. Se Neah prenderà il suo posto, sarà tutto come prima! Dipenderemo ancora dal futuro Conte per l’eternità, e peraltro in un mondo vuoto e distrutto dai “Tre giorni di Tenebra”- mormorò.
Fu allora che Aster capì.
Non erano poi così diversi, lei e quei Noah che si stavano ribellando.
Sottomessi ad un potere millenario, senza mai aver avuto la possibilità di scegliere, prede di un dolore che non avrebbe conosciuto fine se non con la morte.
Alla fine, non vi era un Dio alla base di tutto. L’obiettivo era solo distruggere il Conte definitivamente.
-Ma… se il Conte verrà ucciso, a voi cosa succederà?- chiese. Buffo, fino a poco prima l’avrebbe scannata volentieri e adesso addirittura si preoccupava.
Road dovette pensare la stessa cosa, perché sulle labbra le spuntò un sorriso ironico –quelli più giovani, come Tyki, probabilmente ritorneranno umani. Quanto a noi più anziani…- non finì la frase, ma il significato era chiaro ugualmente.
Essere anziani per loro voleva dire avere centinaia o forse migliaia di anni.
Aster abbassò lo sguardo inquieta, poi fissò nuovamente Road.
-Cosa dovrei fare io?- mormorò. Solo Allen poteva uccidere il Conte, ma se il Quattordicesimo si fosse impossessato di Allen, allora poi sarebbe ricominciato tutto da capo.
-Allen ucciderà il Conte. E’ un destino già scritto, e noi faremo in modo che questo avvenga il prima possibile- rispose –provocheremo la battaglia. Tyki si è già messo in moto. Tu dovrai soltanto fare ciò che hai già deciso: uccidere Allen quando sarà troppo tardi- concluse.
Sentire quella sentenza inevitabile così vicina le fece girare la testa. Ma sapeva di doverlo fare. Dopo tutto ciò che il Conte gli aveva causato, Allen non avrebbe mai e poi mai sopportato di diventarlo. E per lei non avrebbe avuto senso vivere dopo che lui fosse morto.
La sua mente volò ad Hoshi: sperava che Cross fosse ancora vivo da qualche parte, e soprattutto che spuntasse al momento opportuno.
Improvvisamente, Road rizzò la testa.
-Dobbiamo andare. Tyki si sta muovendo- disse.


Note dell'Autrice:

Eeeeee... pronti per lo schock dell'anno nuovo??? E da qui la mia storia non c'entra più niente con quella originaria... è stata una decisione molto sofferta, ma non potevo decidere di seguire il manga perchè arrivati a questo punto ci sarebbero voluti secoli!
Si, credo profondamente che i Noah non siano così carogne, anche se nella prima parte del manga la mia sopportazione verso di loro tende a meno infinito... però cerco sempre di riscattarne qualcuno XD
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Buon anno a tutti!!

DarkAngel_ un GRAZIE enorme per le tue recenzioni *-* spero che il proseguimento della fanfiction non ti sconvolga troppo... diciamo che mi sono impegnata con le invenzioni! Buon anno (in ritardo T_T ) !! :D

Baci a tuttiiii <3

Bethan

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Capitolo 27
*** A New Mixed Plot. ***


Tyki si bloccò sul posto, e lei quasi gli andò a sbattere addosso.
-Ehi, ma che fai?!- esclamò recuperando l’equilibrio appena in tempo. Ancora non si era abituata a camminare di nuovo con le sue gambe.
-Maledizione. E’ già qui- sibilò il Noah voltandosi verso di lei –sta’ dietro di me, è pericoloso- disse, poi sfondò la porta con un calcio.
Ciò che videro lasciò Hoshi pietrificata dall’orrore.
Un essere simile ad una mummia stava attaccando Allen, e a quanto pareva già Link aveva subìto la sua forza. L’uomo giaceva a terra, strani motivi simili ad ali che gli fuoriuscivano dagli occhi, immobile.
Tyki si slanciò contro l’essere, e improvvisamente nella stanza comparvero anche Road e Aster.
-Hoshi! Che diamine ci fai fuori da Hebraska?!- la ragazza si parò di fronte a lei, sguainando la spada –lascia perdere, me lo dirai dopo- continuò. Strinse gli occhi e sferrò un fendente al nemico, che lo evitò per un soffio.
-Sta’ lontano da Allen- ringhiò. Il braccio del ragazzo aveva assunto una strana forma, era come se Allen non riuscisse più a controllarlo.
-Tim… campi- la voce di Link emerse in un soffio dal pavimento –portali… via- le dita del biondo si illuminarono, ed un’enorme palla gialla sfondò la parete, inghiottendo tutti loro in un boccone.
Furono sputati in una radura, parecchio lontani dall’Ordine. Si rialzarono da terra doloranti.
-Perché mi avete portato via? Adesso ci daranno la caccia! Io non verrò mai con voi!- Allen gridava all’indirizzo di Tyki, stringendo Aster fra le braccia.
-Piccolo, sei tu che devi scegliere da che parte stare. Non siamo noi ad essere ibridi- ribattè duro il Noah –qui l’unico mostro sei tu-
-Smettila. Allen non è un mostro- Aster lo fissò in cagnesco, poi si girò verso il ragazzo –fidati di loro- sussurrò semplicemente. Allen la guardò allibito –fidarmi?! Come posso fidarmi? Fino a una settimana fa stavano per uccidermi!- che proprio lei gli dicesse una cosa simile era assurdo.
-Allen!- la ragazza lo afferrò per le braccia e lo fissò negli occhi –non hai altra scelta. Io nemmeno. Ti spiegherò tutto, ma adesso dobbiamo trovare un posto sicuro in cui andare. Fidati almeno di me, sai che non ti tradirei mai- aveva un’espressione accorata e rassegnata. Allen capì che la situazione stava precipitando, ormai le cose erano fuori dal loro controllo come da quello di chiunque altro. Non potevano far altro che assecondare gli eventi. Chinò la testa –va bene. Conosco un posto, posso aprire il gate- mormorò. Aster annuì sollevata, poi si voltò verso la ragazza dai capelli rossi che si reggeva a malapena in piedi, aggrappata al braccio di Tyki Mikk.
-Vuoi venire con noi?- chiese. Hoshi fece un cenno di diniego –mi ha tirata fuori da lì. Andrò con lui- disse decisa. L’altra annuì e si avvicinò a lei –ho bisogno che tu resista. Fammi rimanere con lui fino alla fine, poi sarai definitivamente libera- disse a voce bassa –Marian è vivo, l’ho fatto fuggire dall’Ordine in modo che possa rintracciarti quando tutto sarà finito- Hoshi annuì. Gli occhi di Aster si spostarono sul Noah, poi nuovamente su di lei, pieni di tristezza –potrebbe seguire la nostra sorte. Quindi sta’ attenta a ciò che provi- mormorò stringendole una mano. Si avviò verso Allen, che già si accingeva a varcare il gate. L’ombra di Neah era ben visibile alle sue spalle, ormai –come farete a rintracciarci?- chiese a Road. La bambina indicò il ciondolo che portava al collo –e se quello non funzionasse, il Conte può percepire lui- continuò accennando ad Allen con la testa. La ragazza annuì e seguì il compagno, immergendosi in una luce bianca.

---

-Maledizione! Com’è possibile che siano tutti spariti nel nulla?!- Komui si aggirava nella stanza come un leone in gabbia, mentre gli unici tre esorcisti rimasti, Marie, Miranda e Crowley, stavano in silenzio e ad occhi bassi di fronte alla sua scrivania.
-I Noah si sono infiltrati, Linalee è finita chissà dove, Aster e Hoshi sono scappate assieme ad Allen!- si sedette pesantemente sulla sedia, sospirando e prendendosi il volto fra le mani, spostando gli occhiali.
-Io non posso proteggerli, ormai. Non più- mormorò affranto –per l’Ordine adesso sono dei traditori, almeno quelli che hanno seguito Allen- fissò i tre che continuavano a rimanere zitti –ascoltatemi bene. Lo so che siete preoccupati per loro. Anch’io lo sono, c’è mia sorella là fuori- disse –ma dovete starvene il più possibile tranquilli, altrimenti non potrò più fare più niente contro l’Ufficio Centrale. Quelli guardano a voi come a delle macchine al pari degli akuma- appoggiò la schiena al sedile, stirandosi.
Nessuno disse niente, ma tutti colsero l’espressione incredibilmente seria di Miranda mentre fissava come suo solito il pavimento.
-Ehi, che cos’hai?- Marie le si affiancò quando furono usciti, parlando a bassa voce. Non aveva potuto vederla in viso, ma aveva sentito i battiti del suo cuore e il ritmo del suo respiro decisamente più calmi e decisi del solito. Miranda lo prese per mano, svoltando in un corridoio buio e deserto.
-Parto- disse semplicemente. Una parola, e il cuore ricominciò a batterle furiosamente nel petto –io so dov’è andata Linalee, non posso lasciarla da sola- mormorò. Marie non riusciva a celare lo stupore dietro alla sua solita espressione gentile. Miranda, quella Miranda che aveva sempre paura di prendere una decisione, che non avrebbe mai fatto niente per andare contro la volontà altrui, stava pensando di abbandonare tutto. Stava pensando di mettere a rischio la propria vita per gettarsi in una missione senza speranza, da cui però dipendeva la vita di due compagni.
E lui, come un idiota, nonostante fosse ben a conoscenza della parte oscura dell’Ordine, non aveva aperto bocca per protestare davanti alla filippica di Komui.
Sorrise, appoggiandosi al muro –bene. Quando partiamo?- sentì il cuore di Miranda mancare un battito, e il suo fare altrettanto.
-No, andrò da sola, io…- iniziò lei, ma Marie la zittì subito –se avessi voluto andare da sola, non avresti dovuto dirmi niente. Perché adesso verrò con te, qualsiasi cosa tu abbia da obiettare- Miranda rimase in silenzio, poi le sue dita strinsero leggermente più forte quelle di Marie mentre un sussurro soffocato le usciva dalle labbra.
-Grazie, Marie-.

---

-E così Tyki e Road hanno intenzione di proteggerlo…- la voce del Conte risuonò in modo raccapricciante nella stanza. Il silenzio era così denso che si sarebbe potuto tagliare con un coltello. Linalee ascoltava col fiato sospeso, tenendo gli occhi puntati ora su Bookman, ora su Lavi che stava seduto immobile, il capo reclinato sul petto, respirando affannosamente.
“Lavi… che cosa ti hanno fatto?” pensò atterrita. Stava cominciando a temere di essersi infilata in una cosa più grande di lei. Quando era arrivata di fronte al nascondiglio del Conte, una porta le si era aperta davanti come se la stessero aspettando. Avrebbe fatto carte false pur di non entrare da lì. Come se non bastasse, non aveva incontrato nemmeno un akuma durante tutto il tragitto che l’aveva portata alla fine dietro la porta di quella sala, dove tutti i suoi nemici erano pronti a farla a fettine al minimo sospetto della sua presenza. Era ovvio che la stessero aspettando, o perlomeno che il Conte si aspettasse che qualcuno cercasse di introdursi nel suo covo. Voleva giovare al gatto col topo, e lei lo sapeva. Ma c'erano forse alternative?
Certo, era arrivata fin lì, ma davvero non aveva idea di come fare per tirare fuori Lavi da quel posto.
-E tu che ci fai qui, piccola?- fu appena un sussurro, ma mancò poco che le scappasse un grido. Si girò di scatto per trovarsi a un soffio dal volto ironico di Tyki Mikk.
Rimase immobile, terrorizzata “è finita” pensò, ma una mano le battè sulla spalla.
-Coraggio. Se non ti beccano loro, io non ti farò nulla. Sei qui per salvarlo, eh?- chiese il Noah, affacciandosi allo spiraglio. Solo in quel momento Linalee notò la ragazza che stava alle sue spalle.
-Hoshi?!- che ci faceva con lui? Come era uscita da Hebraska?
La rossa sorrise, mettendosi un indice davanti alle labbra. Sembrava decisamente più in forze e meno eterea di quando lei e Aster avevano combattuto assieme.
-Tyki! Dov’è Aster?- bisbigliò all’indirizzo dell’uomo –è con Allen- rispose lui –Road sta cercando di nascondere tutte le nostre tracce, comprese le tue. Dico, non hai avuto nemmeno il sospetto di essere riuscita a entrare un po’ troppo facilmente?- a quella domanda ironica la cinese sgranò gli occhi.
Allora era per quello che era andato tutto così liscio! Road l’aveva aiutata?! Ma che diamine stava succedendo?
Avrebbe voluto fargli altre domande, ma quello le fece cenno di tacere e indicò lo spiraglio. Linalee si sporse per guardare.
-Allora, Bookman. Che tipo di relazione c’è fra Road e il Quattordicesimo? Perché lo sta aiutando?- il Conte si era avvicinato al vecchio, più minaccioso che mai.
-Dovresti saperlo già. Che razza di padre sei, se non conosci neppure la tua famiglia?- a quelle parole taglienti, un Noah colpì violentemente Lavi, mandandolo contro la parete opposta. Linalee sussultò, la mano premuta sulla bocca.
“Come faccio a salvarlo? Come faccio?” pensò disperata. Si stava facendo prendere dal panico.
-Forse sapranno dircelo quei tre dietro la porta, Conte- sussurrò mellifluo il Noah. Con un cigolio sinistro, il legno si spalancò sempre di più, scoprendoli alla vista.


Note dell'Autrice:

Finalmente riesco a concludere un capitolo con un po' di sana SUSPANCE! Alleluja XD e da adesso... mi spiace dirvelo ma entriamo nella parte finale e decisamente "nera" della storia T^T il genere drammatico non l'ho scelto a caso... ma non farò spoiler, riserverò i commenti ai capitoli successivi, dove la situazione si delineerà ancora meglio!
Intanto spero che questo vi sia piaciuto, come si può ben vedere non resisto dall'infilare scene tenere di Marie e Miranda dovunque, li amo troppo <3

DarkAngel_ come farei senza i tuoi commenti??? Se già lo scorso capitolo ti aveva messo l'ansia non oso immaginare il finale di questo! Sarò più rapida ad aggiornare, promesso! :3 soprattutto nella parte finale con le invenzioni mi sono scatenata XD se proprio devo discostarmi dal manga tanto vale farlo con stile (?)!
A presto! :D

Baci a tutti ^^ suvvia, unitevi alla mia affezionata e commentate!!

Bethan

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Capitolo 28
*** We must find the Strenght. ***


-Dev’essere impazzita…- sospirò Marie quando Miranda ebbe finito di spiegargli le intenzioni di Linalee –la faranno fuori prima che noi riusciamo a scoprire dove si sia cacciata…- la ragazza non disse niente, continuando a fissare davanti a sé.
Era una bella giornata, e il sole sembrava quasi deridere le loro poche speranze, illuminando dal cielo terso la loro disastrosa situazione.
Non aveva la più pallida idea di dove cercare il Conte. Linalee non aveva aperto bocca su questo punto. Ma non voleva essere la solita, noiosa e fifona Miranda, che aspettava sempre che fossero gli altri ad agire e a fare qualcosa.
Anche se la sua innocence non le consentiva di attaccare, avrebbe comunque potuto proteggere. Alzò gli occhi ed il suo sguardo si scontrò con una figura familiare.
-Non è possibile… Marie…- sussurrò alzandosi in piedi di scatto. Un ragazzo alto, mal vestito e con lunghi capelli neri si fece loro incontro. Incredibilmente sul suo volto si disegnò un sorriso.
-Allora, niente “bentornato”, per me?-

---

Allen dormiva della grossa, dopo la medicina e le cure della vecchia. Aster si soffermò qualche minuto a guardarlo, poi si alzò lentamente, stirandosi.
Erano arrivati là da tre giorni, e ancora non c’era nessun segno che le cose si stessero effettivamente muovendo.
La vecchia Ba-Ba li aveva accolti come se sapesse già tutto, e aveva iniziato a recitare una serie di formule che avevano fatto scomparire quelle cose dal corpo di Allen.
L’ombra alle spalle del ragazzo le fece un gran sorriso, Aster voltò lo sguardo, nauseata.
-Vattene…- mormorò sfinita, prendendosi la testa fra le mani. Erano settimane che non dormiva più di un paio d’ore per notte. Come chiudeva gli occhi, incubi terribili le riempivano la testa. Prima la storia di Mana e Neah, poi Road, poi il Conte e infine lo stesso, tremendo sogno.
Lei che correva in un bosco, vestita di bianco, Allen in una radura che la aspettava. Un bacio, e poi quel dolore, lancinante, come se fosse vero, e il sangue che imbrattava tutto. E lei sapeva benissimo che non era soltanto suo.
E’ così che dovrà finire.
La voce le parlò all’improvviso e la testa le mandò una fitta.
-Taci. Non è che uno stupido sogno- ringhiò a mezza voce all’indirizzo dell’ombra. Quella, per tutta risposta, esibì un ghigno ancora più ampio, rimanendo in silenzio.
In quei giorni di stasi non aveva fatto altro che pensare a ciò che aveva promesso al ragazzo, e più che mai sentiva di non essere in grado di mantenere la parola data.
Le sembrava così ingiusto che la loro felicità fosse durata tanto poco. Adesso aveva quasi paura ad avvicinarsi a lui, temeva che non sarebbe stata in grado di controllare il proprio corpo se il Quattordicesimo avesse preso il sopravvento.
-Non voglio ucciderlo…- sussurrò chiudendo gli occhi. Sapeva che era inutile ragionare a quel modo. Anche se ci avesse provato con tutte le sue forze, l’innocence di cui era composta reagiva alla presenza della dark matter con l’istinto omicida. Non avrebbe potuto opporsi quando la trasformazione fosse stata completa, nemmeno se avesse voluto.
Una lacrima le sfuggì da sotto le palpebre. Decise di alzarsi e di uscire.
Non ne poteva più di quell’immobilità. Road aveva detto loro di aspettare i segni, ma fino a quel momento non c’erano stati che silenzio e neve che cadeva ritmica e lenta.
La vecchia era seduta sulla soglia, fumando una pipa. Aster le si affiancò senza dire niente, lasciando che il freddo le colpisse il viso.
-Fra non molto si sveglierà- disse Ba-Ba ad un tratto. La ragazza annuì e continuò a fissare il bianco davanti a sé.
-Cos’hai intenzione di fare?- le chiese. Proprio la domanda meno opportuna, constatò Aster con un sospiro.
-So che lo ami. Mantenere ciò che hai promesso è l’unico modo in cui puoi dimostrarglielo- continuò la vecchia.
Aster avrebbe voluto ribattere, ma la sua attenzione fu catturata da tre figure immerse nella nebbia che stavano avanzando. La katana nera le comparve fra le mani –entri in casa- mormorò alla donna, mettendosi davanti alla porta. Quella non si scompose –abbassa la tua arma. Li stavo aspettando, e anche tu- disse con un sorriso enigmatico. La ragazza osservò le tre ombre più attentamente, e quando le riconobbe mancò poco che le venisse un colpo.
-Non può essere…- sussurrò –è vivo?- si girò verso la vecchia, che sorrise.
Kanda, Miranda e Marie arrivarono alla porta poco dopo, bardati come non mai in pellicce e giacconi.
-Strano vederti così sensibile al freddo, Kanda- disse la ragazza con un ghigno.
Le rispose un sorriso intirizzito che niente aveva perso del suo sarcasmo –aspetta che mi sia ambientato, novellina-.
Il vederli arrivare aveva portato una ventata d’aria fresca.
Aster si sentì rinfrancata: le cose stavano iniziando pian piano a sbloccarsi. Avrebbe fatto bene a farsi venire in mente qualcosa.

---

Era successo tutto in un lampo. Un secondo prima, loro tre erano stati costretti dal potere di uno dei Noah ad entrare nella sala, mentre il Conte si avvicinava sempre di più. Linalee poteva sentire lo sguardo di Lavi perforarle la schiena e il suo respiro affannato rompere il silenzio, chiedendole soltanto perché fosse lì.
Il pensare al motivo per cui si trovava in quel guaio le diede la forza di alzare gli occhi e di fissare il suo nemico con aria di sfida. Non poteva parlare, ma non erano necessarie le parole per comunicare il suo disprezzo.
Le rispose un ghigno folle –allora, piccola Linalee. Sei venuta a salvare il tuo amichetto? Lo sai che lui come Bookman non avrebbe mai fatto altrettanto per te, vero?- non aveva idea di dove volesse andare a parare, ma non le importava.
“Se solo sapessi quanto ti stai sbagliando, bastardo” pensò con rabbia, rimpiangendo più che mai il non potergli sputare in faccia ogni sillaba.
Lo sguardo del Conte si spostò su Hoshi, e Linalee ammirò la calma della ragazza. Il suo sguardo era di pura indifferenza, come se non fosse assolutamente intimorita dal trovarsi di fronte al loro peggiore nemico, nonché a morte certa.
-Dunque Tyki ti ha liberata, vero? E dov’è il tuo fratellino? Perché non è stato lui a salvarti?- bastò menzionare il Generale perché gli occhi della ragazza mandassero lampi, ma non si spostarono mai da quelli del Noah.
Fu proprio quando il Conte si rivolse a Tyki che si scatenò il putiferio.
Dal centro della sala un’esplosione sollevò un polverone che in un baleno rese impossibile vedere a più di un palmo dal naso. Linalee avvertì le proprie braccia, prima irrigidite dalla dark matter, rilassarsi all’improvviso e libere di muoversi. La prima cosa che fece fu schizzare da Lavi, sollevandolo da terra.
-Che… cavolo sei venuta a fare? Stupida…- il ragazzo era pallido e madido di sudore, le mani che gli tremavano. Linalee fece passare un suo braccio sopra le proprie spalle –ti porto via di qua, coraggio- sussurrò facendolo appoggiare a sé. Mosse due passi, quando sentì il peso alleviarsi all’improvviso.
-Tsk. Questo stupido coniglio non sa far altro che mettersi nei casini!- il sentire quella voce la stupì così tanto che parlò prima di pensare.
-Yu!- si mise una mano sulla bocca, aspettandosi un’occhiataccia che non arrivò. Il moro prese Lavi sulle spalle e le sorrise –allora, vuoi star qui ancora per molto o possiamo andare?- la ragazza convenne che per i saluti ci sarebbe stato tempo più tardi e filò dietro al giapponese, che si dirigeva sicuro verso il centro della sala.
-Conte!- il Noah, che fino a quel momento aveva attaccato Tyki, si girò di scatto a quel richiamo, il viso trasfigurato in una maschera d’ira. Di fronte a lui c’era Allen, con la spada bianca in mano, ma a tutti era chiaro che quello non era il loro Allen. Gli occhi dorati spiccavano in modo innaturale sulla carnagione scura, l’espressione era beffarda e trionfante.
-Dannazione- imprecò Tyki fra i denti. Prese Hoshi in braccio e filò anche lui nella stessa direzione di Kanda, quando si sentì tirare un lembo dei pantaloni.
A terra stava una figura rannicchiata che si reggeva la testa con la mano, respirando affannosamente. Due occhi neri come la notte, in cui dilagava un’oscurità disperata, lo fissarono imploranti –portalo via da qui- sussurrò Aster –è troppo forte per me, rischio di ucciderlo- il Noah la fissò allibito –è quello che devi fare, no?- ma lei scosse la testa.
Sentiva che era troppo presto, che qualcosa doveva ancora succedere. Non sapeva se era solo la sensazione lasciatale dal sogno, ma era certa che in quel momento non ce l’avrebbe fatta. Guardò Tyki dritto in viso –ti prego…- la ragazza dai capelli rossi smontò dalle sue braccia e si accucciò accanto ad Aster.
-Fa’ come dice- ordinò perentoria. L’uomo rimase interdetto, ma qualcosa gli diceva che sarebbe stato meglio dar loro retta e filarsela prima che la porta aperta da Road si chiudesse.
Si, perché Road era l’unica che potesse penetrare là dentro. Si chiese se stesse bene. Hoshi aiutò Aster a rimettersi in piedi –forza, dobbiamo andarcene- disse quella, appoggiandosi a lei. Giunsero davanti ad un globo di luce che brillava immobile in mezzo a quel caos. Con un’ultima occhiata alle sue spalle e con la consapevolezza che stava lasciando ciò che aveva di più prezioso nelle mani di quello che fino a poco tempo prima era stato per lei un nemico, Aster varcò il portale.

---

-Che ti è saltato in mente? Avresti dovuto aspettare e ucciderlo!- Tyki sbattè violentemente la mano sul tavolo. Aster rimase seduta a occhi bassi, i capelli che le piovevano davanti.
-Era la nostra occasione, avrebbe ucciso il Conte e poi tu avresti ucciso lui!- si passò le dita fra i capelli neri sospirando. Nessuno nella sala disse niente.
Linalee era al capezzale di Lavi, che continuava a dormire un sonno tormentato da incubi. Allen era stato di nuovo affidato alle cure della vecchia Ba-Ba. Aster avrebbe voluto vederlo, ma per dirgli cosa? Che non ci sarebbe riuscita? Che non avrebbe mai sopportato di fargli del male, figurarsi ucciderlo?
-Smettila, Tyki. Non è così semplice- la voce sottile ma decisa di Hoshi si levò dal divano –se Aster ha sentito che quello non era il momento di ucciderlo, allora va bene così. Dobbiamo pensare ad un altro piano d’azione- la ragazza fissò con determinazione il Noah negli occhi.
La discussione fu interrotta dal rumore di passi giù per le scale.
-Allen vuole vederti. Va’, finchè è ancora lui- a quelle parole Aster scattò in piedi e schizzò al piano di sopra. I suoi passi scomparvero ben presto dietro al rumore di una porta che si chiudeva.
Nella stanza cadde il silenzio. Tyki fumava nervosamente una sigaretta, appoggiato al tavolo. Marie e Miranda stavano seduti sul divano, rigidi come stoccafissi, senza sapere da che parte guardare mentre Hoshi, accanto a loro, fissava pigramente fuori dalla finestra.
Il primo a parlare fu Kanda –voi Noah non siete connessi in qualche modo? Non potete avvertire la presenza del Conte?- chiese brusco. Non riusciva a fidarsi di Tyki. Quello sbuffò –se io potessi sentire la sua presenza saremmo già tutti morti, perché è un canale a doppio senso, Esorcista- rispose secco –in questo momento è Road che ci sta proteggendo. Dobbiamo sbrigarci anche perché non so quanto riuscirà a resistere-.
-Lavi starà bene?- la voce incerta di Miranda ruppe per l’ennesima volta il silenzio.
Tyki sospirò –gli è stato impiantato un parassita da uno dei miei fratelli- spiegò –potrebbe ucciderlo in ogni momento, c’è soltanto un modo di salvarlo…-
-Dimmi qual è- Linalee era letteralmente apparsa dal nulla in cima alle scale. Pallida, spettinata, due occhiaie profonde che le circondavano gli occhi –Lavi sta sempre peggio- le tremava la voce –non riesco più a svegliarlo nemmeno quando sta avendo un incubo- il Noah la fissò gravemente, poi parlò.
-L’unica cosa che può sconfiggere la dark matter è l’innocence nella sua forma più pura. Qualcuno deve donarla a lui- nessuno disse nulla, aspettando che continuasse.
-Esiste un processo, chiamato “trasferimento”- proseguì –con cui un compatibile di tipo parassita può far passare la propria innocence nel corpo di un’altra persona tramite il sangue…- i suoi occhi si piantarono in quelli di Linalee –fra di voi, l’unica che ha qualche speranza di farcela sei tu. Sbaglio o la tua innocence si è fusa col tuo sangue?- chiese, indicando con la testa gli anelli alle caviglie della ragazza. Linalee annuì –bene- disse il Noah –se vuoi salvare il tuo Lavi, devi rinunciare alla tua innocence-
-Nessuno di noi può perdere l’innocence, dobbiamo essere tutti in grado di combattere- Kanda fece girare tutti i presenti –una volta che Lavi avrà assimilato la sua, potrà restituirgliela?- chiese. Tyki alzò le spalle –non ne ho idea. Può darsi che per distruggere la dark matter allo stato puro l’innocence consumi tutta la propria forza spirituale e non ne rimanga traccia. So solo che questo è l’unico modo- concluse spegnendo la cicca sul pavimento.
-Lo farò. Tu fammi strada-
-Linalee, sei forse impazzita?! Chi ti dice che non sia un trucco?- il giapponese scattò sulla difensiva.
-Se fosse stato un trucco, avrebbero già potuto chiamare tutta la famiglia e farci fuori- intervenne Hoshi –se Linalee se la sente, la decisione spetta a lei- gli occhi dorati sostennero lo sguardo di quelli blu di Kanda. Fu il giapponese ad abbassarli per primo.
La cinese annuì nuovamente e salì le scale, facendo cenno al Noah di seguirla.
Agli altri non rimase che star lì e aspettare.


Note dell'Autrice:

Lo so, mi state volendo male! Questi capitoli mettono l'ansia anche a me x_x e il titolo è da Star Wars, ma non mi veniva in mente nient'altro T_T ora che siamo quasi in fondo voglio farvi stare un po' col fiato sospeso, altrimenti che gusto c'è? XD

DarkAngel_: cavolo quanti complimenti *____* grazie mille, sono commossa ç__ç *si soffia il naso e si ricompone* Linalee si sta svegliando, è stato un sollievo pure per me smettere di descriverla così rompic...!! ora che siamo quasi in fondo mi sta venendo un bel po' di depressione... sono affezionata a questa storia T_T ah, se te ami la mia fanfiction io AMO le tue recensioni ^___^ Quanto a Marian, lo vedremo fra poco! Forza e coraggio XD a presto! <3

bartandes89: amo il tuo nome *__* a parte questo slancio di follia, sono felice che la fanfiction ti piaccia!! :D alla fin fine forse il personaggio di Linalee è quello che cambia di più... quando ho iniziato a scrivere la storia la odiavo "leggermente"... però si dà a tutti una seconda possibilità u.u

Fuggo a studiare! Al prossimo capitolo!

Bethan <3

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Capitolo 29
*** Everything is Connected. ***


Sentiva le voci dal piano di sotto come se fossero distanti anni luce. Allen era seduto sul letto, pallido come al solito, e fissava fuori dalla finestra.
Al collo riluceva una sfera dorata identica a quella che portava lei. Gli occhi grigi intercettarono il suo sguardo –me l’ha data Tyki. Serve per controllare il Quattordicesimo ancora per un po’- sorrise mesto. Aster si avvicinò al letto lentamente. Sentiva come se le gambe le fossero diventate di piombo, la testa le girava.
-Scusami- sussurrò a voce bassissima una volta seduta. Bastò quella parola perché le lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento iniziassero a scendere.
Lacrime di dolore, perché sapeva che non avrebbe potuto far niente per impedire il corso degli eventi, lacrime di frustrazione, per non essere riuscita a mantenere la parola data ad Allen, lacrime di disperazione, perché non voleva continuare a vivere in un mondo buio com’era quello prima che Allen vi portasse la luce.
Le braccia del ragazzo la strinsero, portando la sua testa sul proprio petto.
Il ragazzo non disse niente, si limitò ad abbracciarla. Poco a poco i singhiozzi di Aster si calmarono, ma la sua tristezza era rimasta, intensa, palpabile nell’aria che la circondava.
-A dire la verità… sono contento che tu non l’abbia fatto, ancora- mormorò Allen a un tratto.
La ragazza si scostò un poco per guardarlo negli occhi, aspettando che continuasse.
-C’è… una cosa che voglio chiederti, Aster- iniziò abbassando lo sguardo.
-Dimmi- non sentì la propria voce rispondergli. Ogni suono le sembrava sovrastato dai battiti furiosi del suo cuore.
Allen la strinse di nuovo a sé e la ragazza si trovò all’improvviso con la testa appoggiata contro il suo petto.
-Sposami-.

---

Tyki esaminò il corpo di Lavi, in cerca della ferita dalla quale suo fratello doveva aver iniettato il parassita.
La trovò, profonda, alla base del collo.
-E’ qui- annuì sicuro, scansandosi per fare spazio a Linalee.
La ragazza avanzò tremando e si sedette di schianto di fianco a lui, rigida come un sasso.
-Che… che cosa devo fare?- chiese, gli occhi sbarrati. Tyki incrociò il suo sguardo, poi trasse dalla cintola un pugnale acuminato.
Miranda scattò verso Linalee, ma Marie la trattenne.
-Ora- disse il Noah gettandole un’occhiataccia –ti ferirò in modo che il tuo sangue possa entrare in questa ferita. Tu devi concentrarti- enfatizzò l’ultima parola –con tutte le tue forze per convogliare l’innocence in quel punto, in modo che passi nel corpo di Bookman. Hai capito?- Linalee annuì, tesa come non mai.
-Dammi la mano, allora- Tyki incise un piccolo taglio su un dito, poi lo poggiò sulla ferita di Lavi non appena il sangue iniziò a scorrere.
Linalee prese un profondo respiro, chiuse gli occhi ed entrò in una specie di trance.
“Innocence. Aiutami. Aiutalo”
Sentì l’energia fluirle nelle vene, in tutto il corpo, assieme al sangue, e pian piano convogliarsi verso la sua mano ed il suo dito.
Mano a mano che l’innocence la lasciava, avvertiva un freddo mai sentito prima impadronirsi del suo corpo. Quando anche l’ultimo residuo la abbandonò, tolse di scatto il dito dalla ferita del ragazzo e sarebbe caduta a terra se due braccia non l’avessero afferrata al volo.
-Razza di cretina! Ma che diavolo hai fatto?!- dietro il velo che le appannava la vista, scorse l’occhio di Lavi, aperto, vivo. Sorrise senza dire niente.
Si sentiva tremendamente debole, e aveva un freddo terribile.
-Lasciala a me, Bookman. Fra poco vomiterai anche l’anima- le mani del Noah afferrarono Linalee saldamente, mentre le proteste di Lavi furono immediatamente ammutolite dai conati che lo fecero schizzare in bagno.
-La tua innocence sta avendo effetto. Sta espellendo il parassita- disse Tyki, stendendo la ragazza sul letto e facendo cenno alla vecchia Ba-Ba di portargli delle coperte –adesso stai calma e dormi- ordinò. La ragazza annuì, poi chiuse gli occhi e sprofondò immediatamente nel sonno.
Nella stanza regnava un silenzio di tomba, rotto solo di tanto in tanto dal rumore della guarigione del povero Lavi.
Tyki li fissò uno dopo l’altro con aria scocciata –beh? Cosa sono quelle facce? Ce l’ha fatta, dovreste essere contenti!- esclamò alzandosi e stirandosi le braccia.
-Linalee… si riprenderà, vero?- Miranda lo fissava intimorita, ma anche determinata.
Il Noah sbuffò –certo. Guarda che trasferire l’innocence non è certo una cosa da poco, se poi pensi che ha anche perso una notevole quantità di sangue il fatto che stia così è perfettamente normale- rispose, suonando più sicuro di quanto non fosse in realtà.
Sperava che la ragazza non avesse esagerato e non rischiasse di morire dissanguata, ma pensò bene di tenere per sé questi dubbi.
D’un tratto, la vecchia padrona di casa battè le mani –bene. E’ stata una giornata snervante per tutti, credo che una dormita non ci farebbe male- Kanda stava per ribattere, ma lei lo interruppe –credi che conciati in questo modo sareste in grado non dico di fare, ma anche solo di pensare qualcosa? Hai idea di quello che hanno passato i tuoi compagni? Dammi retta, una nottata non ci rovinerà- malgrado la fretta, si trovarono tutti d’accordo.

---

Il vento spazzava implacabile la collina sabbiosa, sollevando nuvole accecanti di polvere e facendo volare ovunque sterpi secchi.
Il legno della vecchia casa scricchiolava in modo decisamente inquietante, facendo ad ogni istante sembrare che qualcuno si fosse introdotto nell’abitazione.
All’ennesimo schianto di una finestra, un uomo alto schizzò su dal letto imprecando a più non posso, afferrando un fucile.
Quando si fu reso conto che, come al solito, era stato un falso allarme, scese in cucina e si versò un bicchiere di whisky, senza che il fiume di maledizioni cessasse un attimo di scorrere dalle sue labbra.
Ormai si era installato lì da due mesi, durante i quali non aveva fatto altro che respingere attacchi di ogni tipo di akuma e bestia feroce che popolavano quel luogo dimenticato da Dio e dagli uomini.
Era esausto, il caldo lo faceva impazzire, la ferita ci aveva messo settimane a guarire del tutto e anche Maria iniziava a dare segni di cedimento, quando veniva invocata.
“Non posso più stare qui. Devo trovare una soluzione” pensò ingoiando il liquido ambrato tutto d’un fiato.
La sua mente volò ai ragazzini esorcisti. Non aveva la più pallida idea di come si fosse evoluta la situazione all’Ordine da quando era scappato, ma sentiva che le cose non potevano che essere precipitate.
Allen si sarebbe trasformato in Noah, che lo volesse o no, pensò sbuffando una nuvola grigia dalle labbra, mentre l’ennesima sigaretta si consumava più veloce che mai.
Uno scricchiolio decisamente simile ad un passo lo fece sobbalzare.
Stavolta non sbagliava.
Gettò via il mozzicone e si diresse cautamente verso l’angolo della veranda, dove aveva sentito il rumore.
-Non voglio combattere, Marian Cross. Posa quel fucile- la voce proveniva dalle sue spalle.
-Tu!- ringhiò, non accennando minimamente ad abbassare l’arma, nonostante sapeva che sarebbe stata utile quanto uno stuzzicadenti contro il corno di un rinoceronte.
-Si, io. Ti ho detto che non sono venuta per combattere. Ho un messaggio da parte di Aster- la bambina dagli ispidi capelli neri mosse un passo verso di lui, tendendogli una lettera. Cross la fissò più sospettoso che mai.
-Non ti aspetterai davvero che me la beva- disse sarcastico, senza prendere il foglio che Road gli stava porgendo. Notò che la Noah sembrava avere la carnagione più pallida del solito, e non aveva più quell’espressione di crudeltà infantile stampata in volto. Al suo posto, un sorriso amaro e rassegnato stendeva le sue labbra, facendola sembrare molto più adulta.
-Non è un trucco. Vuole vederti, siamo quasi alla fine della commedia. Anche Allen vuole che tu venga con me- gli disse, continuando a tenere gli occhi bassi.
Sempre scrutandola, il generale prese la lettera dalle mani della bambina.

“Marian,

il momento è giunto. Allen non può più aspettare, e io non continuerò a vivere dopo averlo ucciso.
Questa lettera non è un inganno di Road, lei è dalla nostra parte. Se la seguirai, ti spiegherà tutto.
Non so se faremo in tempo a salutarci, quindi comincio qui a dirti solo una minima parte di quello che vorrei.
Hoshi è libera, e non sconvolgerti se la vedrai persa dietro a Tyki Mikk. Il confine si sta sfaldando, la linea di distinzione fra luce ed ombra diventa sempre meno marcata, e in alcuni punti le nostre metà si stanno fondendo.
Quando per me sarà tutto finito, prenditi cura di lei, ma non tarparle le ali. Il tempo per il sospetto è finito, gli unici veri nemici sono coloro che pretendono di controllare due forze che nel corso dei millenni non hanno fatto altro che gravitare l’una attorno all’altra, a tratti attraendosi e a tratti respingendosi, ma che non sono mai state nemiche. Luce ed ombra, bianco e nero, sono necessari l’uno all’altro affinchè esistano.
Capisci cosa intendo, vero?
L’Ordine e il Conte sono i veri nemici. Nessuno di loro è Dio o un suo rappresentante, entrambi combattono per vendetta o per sete di potere.
Mi dispiace di averti sempre ingannato sulla mia natura. L’Ordine mi ha sempre impedito di confessarti qualunque cosa, pena il mio ritorno alla forma originaria.
La verità è che se avessi saputo prima quanta sofferenza avrei causato, forse sarei tornata mansueta a fare il cubo nella pancia di Hebraska.
Ma dal momento in cui ho aperto gli occhi, ho avuto percezione del mio corpo ed ho ascoltato i miei pensieri, ho amato la vita.
Ho amato il poter camminare, l’essere in grado di allenare il fisico e di viaggiare per il mondo, in me si è radicato un istinto vitale, e per niente al mondo avrei rinunciato a tutto questo.
Non ho mai minimamente pensato, fino a poco tempo fa, che a quell’esistenza di larva che a me è sempre sembrata tanto odiosa ho condannato un’altra persona.
Ma adesso basta, pagherò con la mia vita il prezzo per quella di Hoshi, e spero che questo basterà a farle capire che mi dispiace.
Volevo vivere, e trovando Allen ho scoperto che oltre che ad un motivo per vivere ne esiste anche uno per morire. Il non voler continuare a camminare su una terra dove in mezzo ai miliardi di persone non c’è l’unica che per te valga tutte le altre.
Per anni siamo stati fratelli, anche se per finta. Fra noi c’è stato più di quanto fra consanguinei non fosse consentito. Penso di poterti affidare questa specie di testamento a mo’ di spiegazione per le mie azioni, assieme ad una richiesta.
Sii fra i fautori del nuovo mondo. Comprendi il messaggio che ciò che sta accadendo urla con la forza di un uragano ogni minuto che passa e non rinchiuderti in una tradizione che non ha mai avuto alcun significato se non quello di essere di semplice comprensione.
Fonda una nuova organizzazione che faccia comprendere al mondo la verità, e non una dolce menzogna. Questa è la mia ultima volontà.
Ho sempre voluto bene a te e a tutti i compagni dell’Ordine, anche se non l’ho mai detto a nessuno. Fallo tu per me.

Addio.

Aster”

-Mi credi adesso?-
L’uomo non rispose. Infilò due dita sotto al bordo della maschera e se la strappò dal viso, rivelando un occhio nero come le tenebre della notte.
Si asciugò le lacrime col dorso della mano.
-Andiamo- disse.



Note dell'Autrice:

Ommioddiosanto che depressione T^T e se lo dico io che ho scritto la storia... tenetevi forte, gente, perchè i prossimi capitoli saranno (purtroppo) gli ultimi. Mi terrò il commento lacrimevole per la fine, non voglio tediarvi con le mie pippe mentali. Se scrivete, conoscete pure voi la depressione che si prova quando si arriva in fondo a una storia!
Volevo mettere il punto in cui compare Marian in un capitolo a sè, ma il tutto sarebbe risultato decisamente troppo corto. Va bene la suspance, ma non esageriamo!

Rispondiamo ai commenti (quanti, che felicità *____*):

DarkAngel_: ma ciao :D non sei da rinchiudere in un manicomio, anzi, direi che c'hai preso abbastanza con Tyki! Mi sembra sia la prima fanfiction in cui non solo non lo faccio crepare (lo ODIO), ma lo rendo anche buono! Mi sa che sono io da rinchiudere in un manicomio .___. non potevo assolutamente escludere KANDA dalla parte finale, quando nel manga l'ho visto tornare ho fatto un balletto di gioia! (?) Per Road devi pazientare ancora un po', ma poco, te l'assicuro ^^ continua a seguire, mi sto affezionando alle tue recensioni :D

bartandes89: sarò felicissima di sorbirmi tutta la vostra ansia, sennò che l'ho scritta a fare la fanfiction? XD per il dispiacere di tutti quelli che la odiano, Linalee NON si suiciderà X°D se te hai paura a leggere i prossimi... io ho paura a pubblicarli, pensa te :S a presto!! ^__^

risep4: che bello, sono contenta che ti piaccia la fanfiction! Grazie per i complimenti ^^ purtroppo la vena pessimistica che prenderà la storia coincide con i miei pensieri sulla fine del manga... speriamo di no T__T il personaggio di Hoshi è sorto in un periodo in cui io stavo esattamente come lei, pensa che elemento che sono °__°

Grazie a tutti e a presto! ^___^

Bethan <3

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Capitolo 30
*** If you Loved your Life, it's because it was Worth it. ***


Aprì gli occhi lentamente e si trovò davanti un soffitto di travi di legno.
La testa le faceva male, ma si sentiva abbastanza in forze. Tentò di alzarsi, e subito sentì una mano che le sorreggeva la schiena.
-Come ti senti?- si girò a fissare un occhio verde che le rimandò uno sguardo oltremodo angosciato, contornato da una profonda occhiaia violacea.
-Sto bene. Tu?- che razza di dialogo, dopo che aveva temuto di non rivederlo mai più. Le venne quasi da ridere.
Il rosso annuì –bene. Il mio stomaco credo che sia da qualche parte nelle fogne, ma non mi posso lamentare- Linalee ridacchiò, poi d’istinto si appoggiò a lui che le circondò le spalle con le braccia, stringendola.
Nessuno dei due aveva il coraggio di affrontare l’argomento più spinoso.
Linalee non aveva più l’innocence. Non poteva più combattere, e tutto ciò che per una vita era stata avrebbe dovuto cambiarlo alla radice.
Si sentiva smarrita e vuota, ma anche sollevata di un peso e di una responsabilità che non aveva mai sentito suoi.
-Se ci fosse stato un altro modo… avrei quasi preferito rimetterci le penne- mormorò Lavi.
-Non dirlo nemmeno per scherzo!- il sentire la sua voce acquistare nuovamente un tono che non fosse debole la rincuorò. Il ragazzo abbassò la testa.
-So che non avrei dovuto parlare così, non dopo tutto quello che hai sacrificato, ma…- Linalee gli mise un indice sulle labbra e sorrise –non importa. Non è stata una costrizione, è stata una mia scelta e sono felice che le cose siano andate così. Non c’è proprio niente da rimpiangere- scostò le dita e continuò a guardarlo negli occhi. Dopo un attimo di esitazione serrò le palpebre e posò le labbra su quelle di Lavi, mentre nel silenzio si udivano soltanto i loro respiri.
Il ragazzo la strinse a sé, e nessuno dei due ruppe quell’incanto e quella bolla di pace che si era creata nel bel mezzo della tempesta.
Entrambi sapevano che presto l’aria sarebbe stata riempita del suono dei pianti.

---

-Che pensi di fare, dopo?- uno sbuffo di fumo uscì dalle labbra del Noah, sdraiato scompostamente sul divano. Hoshi lo fissò smarrita –in che senso?- chiese per prendere tempo. Non ci aveva sul serio pensato. Era rimasta così tanto tempo rinchiusa da essersi convinta che lo sarebbe stata per sempre. Non aveva idea di cosa avrebbe potuto fare una volta libera, però pensò d’istinto che le sarebbe piaciuto restare con lui, che l’aveva liberata.
Appena formulò quel pensiero arrossì violentemente e girò il viso di scatto verso la finestra.
Sentì il sospiro di Tyki e il rumore delle molle che cigolavano mentre l’uomo si metteva a sedere.
-Io probabilmente rimarrò in vita. Sono il Noah più giovane fra i miei fratelli- disse, tirando un’altra boccata di fumo. Hoshi annuì, voltandosi solo quando fu certa che ogni minima sfumatura di colore fosse completamente scomparsa dalla sua faccia.
-Nemmeno io ho idea di che fare- proseguì Tyki guardando il tramonto che iniziava ad indorare i bordi delle finestre. La ragazza continuò a tacere, senza capire dove volesse andare a parare con quel discorso. Non osava neppure illudersi.
-Immagino che continuerò a vagabondare per il mondo- disse con una mezza risata, spegnendo quello che rimaneva del mozzicone di sigaretta.
Hoshi si appoggiò allo schienale del divano e chiuse gli occhi. Lui perlomeno sapeva che c’era qualcosa che gli piaceva fare nella vita.
Lei non aveva mai viaggiato, non aveva mai conosciuto niente di piacevole, solo la luce accecante ed il tepore del corpo di Hebraska.
-Però viaggiare da soli è davvero noioso…- il corpo della ragazza sobbalzò quando anche il Noah si lasciò cadere sui cuscini. Aprì gli occhi e si ritrovò a fissare le iridi dorate di Tyki.
-Verresti con me?-

---

Avevano deciso tutto.
Il luogo e il modo in cui si sarebbero svolti la cerimonia e l’incontro col Conte.
Sapevano che il loro nemico non aspettava altro che Road sciogliesse le barriere che li proteggevano per poterli rintracciare.
Aster viveva quei giorni e quelle discussioni come se non appartenessero più alla realtà, ogni fibra del suo corpo era impegnata a pensare a ciò che avrebbe dovuto fare di lì a poco.
Sarebbe finito tutto.
Smise di affettare le verdure per il pranzo quando la vista le si offuscò per l’ennesima volta e si asciugò gli occhi con rabbia.
Non doveva piangere. Non doveva farsi vedere debole, o Allen avrebbe sofferto ancora di più. L’unico pensiero che riusciva a rincuorarla era quello che se ne sarebbe andata assieme a lui. Che non sarebbe rimasta sola in un mondo senza alcuna fonte di luce.
Ironico, pensò con un sorriso amaro, guardando il pomeriggio nebbioso fuori dalla finestra, le nuvole che si confondevano nella neve.
Aveva sempre detto di non credere in un Dio, in un Inferno o in un Paradiso, le aveva sempre ritenute facili consolazioni per chi non riusciva ad accettare la morte.
Eppure avrebbe davvero voluto che esistesse un luogo in cui lei ed Allen si sarebbero potuti ritrovare, in cui le loro anime avrebbero potuto finalmente vivere in pace, senza innocence né dark matter, senza Ordine né Noah.
Le braccia del ragazzo le circondarono la vita all’improvviso. Evidentemente l’aveva vista piangere. Mollò il coltello e gli strinse le mani.
Avevano ridotto i contatti al minimo per non affrettare la trasformazione di Allen, perciò sciolsero quasi subito l’abbraccio.
-Andrà tutto bene- le sussurrò all’orecchio –non avere rimpianti, fallo per me- Aster si girò a guardarlo, ma non parlò con lui.
-Quando dovrà accadere, uccidimi. Costringilo a farlo, sono stata chiara?- disse all’ombra che sbucava alle spalle del ragazzo. Quella allargò il suo ghigno e annuì. La ragazza fissò le iridi argentate.
-Glielo impedirò- disse Allen. Ma lei scosse la testa.
-Non farlo. Quando tutto finirà, io tornerei una materia impersonale e non voglio. Voglio che tutto finisca quando ancora mi ricordo di te, voglio essere distrutta quando ancora sono umana- aveva perso il suo tono tranquillo, la sua voce era accorata.
-Allen, ti prego- gli prese le mani –non voglio vivere in un mondo dove non ci sia tu. Non è della vita che mi importa, se non posso passarla insieme a te- le braccia di Allen la strinsero nuovamente, poi lo sentì annuire.
-D’accordo. Lo farò- la voce gli tremava. Entrambi sentivano lo stesso dolore, la stessa rabbia verso quell’ingiustizia, verso quel destino che strappava loro una felicità appena vissuta.
Ma l’avevano avuta, comunque. Se stavano rimpiangendo la vita era perché per qualche motivo era valsa la pena vivere.
Con quella consapevolezza e con quella tensione, passarono i giorni finchè non arrivò il momento.
Road comparve in salotto mentre stavano riposando, improvvisa come un fulmine. Marian Cross era al suo fianco, con un’espressione decisamente sconvolta stampata in viso.
-E’ ora- disse la bambina. Aster osservò come sembrasse deperita e come osservasse Allen con insolita tristezza.
Improvvisamente la sua mente collegò anche gli ultimi pezzi del mosaico.
“Talvolta i Noah cambiano forma, quando vengono scelti per esserlo. A molti di noi è accaduto” aveva detto Tyki, un giorno.
-Christine Walker…- sussurrò attonita, troppo piano perché i suoi compagni la sentissero, ma abbastanza forte perché Road si voltasse verso di lei.
Le fece un sorriso stanco e annuì. Aster vide i suoi occhi riempirsi di lacrime che non si era mai permessa di piangere.
Si alzò in piedi –Portale- mormorò. Lo Specchio si materializzò a grandezza d’uomo.
La ragazza distolse a fatica gli occhi dalla maggiore dei Noah. Fissò i volti che la scrutavano uno per uno, per ultimo Marian. Gli sorrise, sapeva che le parole non servivano.
-Andiamo- si addentrò nell’oscurità, ma non vi era ancora completamente scomparsa che una mano afferrò la sua.
Allen.
Sorrise immergendosi nel buio. Assieme a lui non era poi così spaventoso.




Note dell'Autrice:

Amo la scena fra Tyki e Hoshi, amo la scena fra Tyki e Hoshi, credo sia quella che preferisco in tutta la fanfiction *__* dieci righe su centoventi pagine, direi che non c'è male! Ora facciamo tutti un bel respiro profondo perchè mancano SOLO due capitoli alla fine. Che tristezza T^T

DarkAngel_: nooooo non puoi morirmi ora, sennò io come faccio senza le tue recensioni??? ç__ç *si ricompone* ecco, adesso si scopre anche CHI fosse Road per la mia mente malata, anche se Allen non lo saprà mai. Cioè, inserire una scena strappalacrime con lui che abbraccia sua mamma che sembra sua figlia mi sembrava troppo °__°
Animo, le tue sofferenze sono quasi alla fine! Twitter non ce l'ho, però ho facebook *è impedita con internet* tu ce l'hai? :)

 Silphyde19: ciao :D è sempre bello vedere nuovi recensori, anche se quasi alla fine! Sono felice che la fic ti sia piaciuta, purtroppo questi ultimi capitoli non brilleranno per allegria >_> non posso farci niente, secondo me la storia originale finirà malissimo, e tutti i finali felici che mi ero immaginata seguendo la storia non stavano in piedi! Sono depressa pure io che l'ho scritta, il che è tutto dire ç__ç

risep4: dai povera Lina, anche lei a suo modo ce l'ha messa tutta in fondo (ma solo in fondo eh, all'inizio mi sono sforzata per renderla insopportabile XD). Il matrimonio ci sarà nel prossimo capitolo, cercherò di pubblicarlo il prima possibile! :)

Ciao a tutti! :D

Bethan

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Capitolo 31
*** Romeo and Juliet: sacrifice for a New World. ***


-E tu saresti un sacerdote?- la ragazza fissò il generale con occhio critico, mentre Linalee cercava disperatamente di farla star ferma per aggiustarle il vestito.
Era di seta e pizzo, nero come la notte.
Avevano cercato di convincerla a metterlo bianco, ma non ne aveva voluto sapere. Non voleva dare ragione al sogno che aveva fatto.
Si scrutò nello specchio di fortuna appeso alla parete e sorrise, pensando a quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che si era osservata lì.
Nella capanna sul lago tutto era rimasto come quando l’aveva lasciato.
La gonna era ampia e soffice, e Aster si vide molto più simile ad un angelo della morte che ad una sposa.
-Del resto, è quello che sarò…- mormorò fra sé.
Marian le sorrise –sono pur sempre un membro dell’Ordine, quindi ho dignità di uomo di chiesa- disse ironico.
-Un prete serio si impiccherebbe se si sentisse paragonato a te!- replicò lei ridacchiando.
-Finito!- Linalee si alzò dal pavimento. Aster le sorrise –grazie. Potresti lasciarci un minuto da soli? Chiamami quando inizia la cerimonia- la abbracciò, entrambe capirono che quello era l’ultimo saluto fra loro.
-Mi dispiace, Aster. Per tutto- Linalee si mise a singhiozzare sulla sua spalla in tempo zero, ma l’altra le diede una leggera botta in testa.
-Smettila. Sei sempre a frignare, vedete piuttosto di creare un mondo in cui le cose vadano meglio- mormorò –e sta’ attenta agli scatti d’ira di quel coniglio idiota. Se fa qualcosa tu comunicamelo, se sarò ancora da qualche parte provvederò a fulminarlo- la cinese ridacchiò fra le lacrime. Si strinsero un’ultima volta, poi uscì.
Aster si girò a fissare Marian con un sorriso mesto in viso –e così siamo alla fine- sospirò –tieni presente quello che ho scritto nella lettera- disse fissandolo.
L’uomo annuì, e la ragazza vide chiaramente le lacrime brillare nei suoi occhi.
-E’ tutta colpa mia se…- iniziò, ma lei lo zittì bruscamente –non sei uomo da rimpianti, Marian Cross. Quel che è stato è stato, ormai è inutile pentirsene- disse, poi continuò con tono più dolce –ti ho mentito perché Hoshi lo voleva, perché dentro di me sentivo di continuo la fiducia che lei aveva in te. Ma tutti e tre dovevamo crescere, prima o poi- gli accarezzò una guancia. L’uomo ormai non frenava più le lacrime.
-Sii per lei un fratello e nient’altro. Non rinchiuderla di nuovo. E’ la mia ultima volontà- posò le labbra sulle sue in un bacio leggero, fraterno.
-Aster, è ora- la voce di Linalee fece capolino da dietro la tenda che separava quella stanza dal resto della casa.
La ragazza annuì –arrivo- poi fissò di nuovo gli occhi di Marian.
-E’ il momento- disse. Un nodo le chiuse la gola, il cuore cominciò a batterle all’impazzata e la paura risucchiò quegli ultimi barlumi di felicità così come il suo specchio aveva sempre risucchiato i nemici.
-Ehi- fece il Generale, prendendola sottobraccio.
-Si?- chiese, tesa come una corda di violino mentre spalancavano la tenda.
-Sei bellissima-.

---

La vide arrivare all’altare accompagnata dal suo maestro.
L’espressione seria del suo viso si mutò in un sorriso quando i loro occhi si incrociarono.
Sapevano che sarebbe finita quel giorno, ma finchè potevano rimanere insieme poco importava che fossero vivi o morti.
Avvolta in quel vestito sembrava rugiada sui petali di una rosa nera, illuminata dai raggi dell’alba.
Sentì il cuore accelerare. Sembrava che tutto il bosco stesse trattenendo il respiro.
Il generale la condusse accanto a lui, poi le lasciò il braccio e prese il suo posto dietro all’altare, ricavato da un grosso tronco di legno.
-Sappiamo tutti perché siamo qui, oggi- esordì l’uomo. Allen guardò Aster negli occhi, che gli restituirono uno sguardo deciso.
Non l’avrebbe lasciato.
-Celebriamo un’unione nata dalla più grande delle scissioni…-
Non sapeva cosa ci fosse dopo la morte, ma quegli occhi giuravano che sarebbe rimasta con lui.
-…quella fra luce ed ombra, quella fra nature opposte che hanno avuto il coraggio, la forza e la saggezza di trovare gli inscindibili punti di unità che le rendono indispensabili l’una all’altra…-
Non importava se lei fosse innocence e lui fosse umano, le loro anime erano affini, fatte della medesima sostanza, quale che fosse.
-…un’unione che ci ha insegnato che anche nelle tenebre esiste una luce, come nella notte esistono le stelle…-
Ma vide che anche lei aveva paura.
-…e che anche quando sulla nostra vita pende una sentenza, non dobbiamo perdere la speranza di trovare un motivo per continuare a viverla- l’introduzione di Cross era finita. Adesso iniziava la cerimonia.
-Allen, Aster- li guardò seriamente –le vostre anime non meritano di venire separate. Quindi rispondete con la massima sincerità- fissò negli occhi il suo allievo.
Allen sentì un nodo alla gola nel comprendere che non era solo Aster che stava lasciando.
Lasciava una vita che era stata piena di persone che l’avevano aiutato a crescere.
Lasciava quell’uomo, che soltanto ora capì essere per lui come un padre.
-Allen- disse Cross –sei tu disposto, nella tua più intima essenza, a trascorrere l’eternità con Aster, a farti carico delle sue sofferenze come se fossero tue e ad essere per lei un sostegno come lei lo sarà per te?- quella formula non era certo tradizionale, ma nessuno si sorprese più di tanto. Quel matrimonio era tutto fuorchè una cerimonia tradizionale.
Il ragazzo fissò negli occhi il suo maestro, poi lei.
-Giuro che non mi separerò mai da te. Se anche dopo la morte le nostre anime si disperdessero, verrò a cercarti in ogni luogo dove il corpo umano mi impedirebbe di andare. Non sarai mai sola, e se ti troverai ad esserlo, saprai che io ti sto cercando- una lacrima solcò il viso della ragazza mentre gli sorrideva.
Cross fece anche a lei la stessa domanda.
-Non lascerò che le tenebre o la luce ci dividano. Abbiamo scoperto quanto esse siano intimamente connesse, possiamo superarne i limiti. Qualsiasi cosa accada, io non ti lascerò mai- rispose.
Il generale annuì, poi porse loro due anelli, fatti di due fili intrecciati, uno bianco e uno nero.
Aster percepì qualcosa su quegli anelli, e fissò Cross interrogativa. Lui annuì nuovamente.
Allen le mise l’anello e lei fece lo stesso. Entrambi videro con sommo stupore il metallo dissolversi a contatto con la propria pelle.
-Capirete tutto a tempo debito- disse l’uomo sorridendo –adesso niente potrà separarvi-.
Aster guardò gli occhi argentati di Allen, sapendo che sarebbe stato il loro ultimo sguardo.
-Ti amo- disse lui, avvicinandosi per baciarla.
-Ti amo- le loro labbra si incontrarono, il ciondolo che aveva al collo si spaccò con uno schianto e una fitta che scosse l’intero corpo della ragazza le fece capire che Allen era perduto, e che tutto doveva accadere come avevano progettato.
Si staccò da lui e vide la pelle scurirsi. Un attimo prima che anche gli occhi si facessero dorati, dalle labbra del Noah uscì una parola sussurrata.
-Scusatemi-.

-Ma bene! Ecco che finalmente il nostro esorcista ha lasciato il passo a mio figlio!- la voce orrenda del Conte risuonò alle loro spalle, ma Aster non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi.
Neah evocò la spada che fino a poco tempo prima era appartenuta ad Allen e si slanciò contro il nemico.
Il Conte estrasse la propria arma, ma nel momento in cui le lame si incrociarono accadde qualcosa che nessuno si sarebbe mai immaginato.
L’arma di Neah tagliò di netto quella del Conte e trapassò il suo corpo come se fossero stati fatti di burro.
Per un istante fu come se il mondo si fosse fermato, poi l’urlo disumano, raccapricciante del nemico scosse la terra fin nelle viscere, fece tremare gli alberi e accasciare tutti i presenti a terra.
Era l’urlo di tutte le anime che aveva condannato a vivere come akuma che venivano liberate. Era il dolore di migliaia di vite spezzate in una guerra inutile. Era la rabbia di millenni passati ad uccidere senza capire perché.
Road, poco lontana da Aster, svanì in una nuvola di polvere, e altrettanto successe a tutti gli altri Noah tranne che Tyki e Neah. Il Noah del piacere, però, si era raggomitolato a terra e urlava, come se soffrisse immensamente.
Hoshi era china su di lui, gli gridava qualcosa cercando di sovrastare il frastuono.
All’improvviso, tutto finì e di nuovo il silenzio rotto solo dai singhiozzi dell’unico Noah rimasto in vita popolò la radura.
Dalle labbra di Neah scaturì una risata malvagia, intrisa di sete di sangue e vendetta, ma anche di un dolore che durava da millenni.
Aster seppe che quello era il momento di muoversi.
Con incredibile calma evocò la katana nera e le ali, sollevandosi velocissima di fronte a quello che una volta era stato Allen.
-Ricorda ciò che mi hai promesso- gli sibilò ad un soffio dal volto, sentendo ogni fibra del suo corpo premere affinchè lo uccidesse.
Nella mano di Neah ricomparve la spada, e la ragazza fece appena in tempo a trafiggerlo che sentì un dolore lancinante attraversarle tutto il corpo.
Sorrise un’ultima volta, poi chiuse gli occhi.
-Ti amo, Aster- quella voce fu l’ultima cosa che sentì, la sua voce, fioca negli ultimi respiri. Con voce altrettanto debole, rispose.
-Anch’io, Allen. Per sempre-.

---

Era finita.
Senza che nessuno se ne rendesse conto.
Komui stesso l’aveva realizzato quando, scendendo da Hebraska, aveva trovato l’abisso in cui lei dimorava completamente vuoto e sordo ai suoi richiami.
Allora aveva capito che qualcosa era successo.
Era corso sulla torre, ed aveva visto che dal martello di Lavi era appena atterrata una piccola compagnia di persone, fra cui c’era anche sua sorella.
Piangevano.
Due corpi vennero depositati a terra delicatamente, e l’uomo capì che tutto si era concluso.
Chiamò ogni nome che gli venisse in mente della sede mentre correva a rotta di collo giù per le scale fino ad attraversare il salone e ad arrivare in giardino col fiatone.
Linalee, Lavi, Kanda, il generale Cross, Marie, Miranda, Hoshi e un giovane che non aveva mai visto stavano in piedi in silenzio, attorno ai due corpi distesi a terra.
Sua sorella singhiozzava sulla spalla di Lavi, Miranda si premeva le mani sulla bocca cercando di controllarsi, le braccia di Marie che la stringevano.
All’improvviso, Hoshi crollò in ginocchio ed i suoi singhiozzi riempirono il silenzio tranquillo della mattina appena sbocciata.
Il giovane si chinò su di lei, circondandole le spalle con un braccio.
Komui lo riconobbe: Tyki Mikk.
Lo era, ne era sicuro, ma allo stesso tempo non lo era.
I suoi occhi erano color nocciola, e la pelle era decisamente pallida.
Corse trafelato verso il gruppetto. Sua sorella si staccò da Lavi e gli corse incontro, volandogli addosso.
La strinse, ancora troppo incredulo per parlare.
-E’ finita- sussurrò Linalee fra le lacrime –non esistono più né l’innocence, né la dark matter-. I ragazzi si avvicinarono al supervisore e tutti si guardarono senza dire una parola.
Avevano vinto, ma non c’era allegria in quella vittoria.
Soltanto dopo millenni di guerre inutili comprendevano quanto fosse stato enorme il loro errore, quanti sacrifici inutili aveva richiesto, quanto sbagliati fossero stati i fondamenti su cui avevano agito.
Un nuovo pianto riempì lo spazio vasto del giardino.
I ragazzi della sezione scientifica si erano raccolti attorno ai corpi di Aster e Allen, immobili, pallidi come al solito, le dita intrecciate. Sarebbero potuti sembrare addormentati, se non fosse stato per il sangue sui loro vestiti.
Arrivò Jerry, ma Linalee lo intercettò.
-Jerry, no…- ma le lacrime rigavano già il volto del cuoco.
Tutti avevano capito.
Se l’Ordine aveva portato qualcosa di buono, era quello: coloro che avevano resistito aggrappati a quell’ingannevole scialuppa di salvataggio erano diventati un organismo unico, capace di capirsi con uno sguardo ed in grado di avvertire le emozioni altrui senza che vi fosse bisogno di parole.
Una nuova creatura, frutto dell’unione e non della guerra.
Il Generale Cross, gli occhi rossi ed il viso stravolto, gli si fece incontro tendendogli una mano.
-Un nuovo inizio, Komui- disse fissandolo.
Komui prese quella mano.
-Un nuovo inizio-.

---

Le campane suonavano tetre, mentre un lunghissimo corteo di figure vestite di nero sfilava attraverso il piccolo paese e poi si inoltrava nelle colline.
Gli abitanti guardavano perplessi quel fiume di persone dirigersi verso un punto nel bosco in cui non c’era niente se non colline nevose circondate da alberi.
In prima fila, una ragazza con lunghi capelli neri stringeva convulsamente la mano di un giovane dai capelli rossi, pallida. Entrambi piangevano. Dietro di loro, un’altra coppia sembrava la loro nemesi. Lei, lunghissimi capelli rossi, fissava le bare, senza piangere come se il proprio dolore fosse troppo grande per essere espresso. Lui le teneva un braccio attorno alle spalle, sorreggendola di tanto in tanto quando inciampava, ma non sembrava direttamente coinvolto nel dolore generale che accompagnava quelle due casse di legno chiaro.
Arrivarono sulla sommità di una collina.
Cross depose con attenzione i lati delle bare che stava trasportando, lo stesso fece Jerry, che aveva insistito per avere quel compito.
Scavarono una fossa insieme, e quando fu abbastanza profonda vi posero le bare una accanto all’altra.
-Komui- Cross chiamò l’uomo che si staccò dal corteo e gli andò vicino, gli occhi gonfi e rossi come tutti gli altri.
Il generale trasse fuori una lettera dalla tasca e gliela consegnò.
-Dovrai aiutarmi, avrò bisogno di qualcuno che sappia vedere, per questo lavoro- disse con un sorriso. Poi, prima ancora che l’uomo potesse fargli domande, di volse verso le bare.
-Le vostre anime troveranno la pace. Andate, adesso- una luce lo avvolse, e tutti videro uscire due figure dalla fossa, simili a sbuffi di fumo, una di un bianco perlaceo ed intenso, l’altra nera come il carbone.
Si intrecciarono, e nella mente di tutti risuonò una parola detta all’unisono da due voci ben note.

“Grazie”

Nello stesso istante, gli occhi bicolori di Marian Cross si velarono di una sfumatura perlacea.
La sua cecità era il prezzo per non aver mai saputo vedere con gli occhi giusti.
Adesso avrebbe potuto farlo, per il bene di tutti.



Note dell'Autrice:

...ok, e così siamo alla fine. Il prossimo capitolo sarà una sorta di epilogo, ma il grosso è successo in questo. Credo sia inutile dire che sto piangendo pure io ç_ç non avevo mai fatto finire male una storia, la cosa mi ha alquanto scossa .__. (sono ai limiti della follia, lo so T_T)
Spero che a tutti coloro che hanno letto la mia fanfiction sia piaciuta, vi ringrazio di cuore <3

Rispondiamo ai commenti (madonna che depressione):

risep4: spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo, anche se in tutte le fanfiction che ho scritto non avevo mai tirato fuori una cosa così deprimente! Grazie per i tuoi commenti, a una povera scrittrice fanno sempre piacere :) nel prossimo e ultimo capitolo cercherò di dare una conclusione un po' meno amara di questa!

bartandes89: ...mi sento un po' in colpa a proporti un capitolo come questo dopo che già hai sofferto in quelli precedenti! Però la conclusione poteva essere soltanto questa, quindi cerchiamo di vederci qualche aspetto positivo ç__ç grazie mille per aver letto e commentato, metterò l'ultimo capitolo fra pochi giorni :)

DarkAngel_: carissima, una delle cose che mi mancheranno di più di questa fanfiction saranno le tue recensioni! *_* *si soffia il naso* spero tu possa reggere il dolore di una conclusione così deprimente (XD), visto che già questa povera autrice sta cercando un modo per suicidarsi T^T su facebook mi chiamo Bethan Flynn, ecco il link perchè ce ne sono un po' -> https://www.facebook.com/bethan91?ref=tn_tnmn
Al prossimo capitolo, e grazie per tutti i tuoi commenti <3 penso che prima o poi tornerò con un'altra fanfiction, ma volevo vedere un po' come evolve il manga! nell'attesa puoi spulciare quelle che ho già scritto, se ti va ^^ finiscono meglio di questa, perlomeno XD

 Silphyde19: oddio mi dispiace D: non credevo che potesse essere così triste come epilogo! ç_ç come puoi vedere dal titolo del capitolo, ho avuto una coppia ispiratrice per questo finale! Sono contenta che la fanfiction ti sia piaciuta, grazie per averla letta ^___^

Ringrazio ancora una volta tutti voi che avete letto, seguito, commentato ^__^

A presto <3

Bethan

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Capitolo 32
*** Light and Darkness. ***


Non c'era mai nessuno su quella collina. La neve e gli abeti regnavano sovrani, la natura dominava il paesaggio, senza che vi fosse segno della mano umana.
Solo una volta all'anno, in concomitanza di due pietre scolpite, gli abitanti degli ultimi villaggi osservavano con curiosità le persone che, in abiti neri e dall'aspetto triste, si dirigevano verso la collina su cui nessuno andava mai.

-Oh, arrivano. Li sento- Miranda si voltò nella direzione indicatale da Marie, i capelli ricci che seguivano il soffio del vento, e vide tre figure sbucare oltre la collina.
Salutò con la mano, poi il suo sguardo tornò a rivolgersi alle lapidi.
-Mamma, sono stanca! Dove stiamo andando?- una voce infantile echeggiò ben presto alle loro spalle.
-Siamo arrivati, tesoro- Linalee raggiunse i due amici, seguita da Lavi che teneva per mano una bambina con un caschetto di capelli color rosso scuro e intensi occhi verdi.
-Eccoci, scusate il ritardo- disse –siamo tutti?- Miranda scosse la testa.
-Mancano Hoshi e Tyki, ma non so se hanno ricevuto il mio messaggio- mormorò.
-Certo che l’abbiamo ricevuto! Un po’ di pazienza, eravamo dall’altra parte del Paese!- una voce maschile parecchio affaticata fece capolino dietro di loro. Tyki avanzava nella neve portando Hoshi in braccio. La ragazza non aveva ancora recuperato completamente le forze perdute negli anni di inattività.
Ripresero fiato, poi rimasero tutti fermi in piedi di fronte a due semplici lapidi di pietra immerse nella neve.
-Come sta tuo fratello, Lina?- chiese a un tratto Miranda. La cinese sorrise –bene. E’ molto impegnato con Notte Stellata assieme a Cross- gettò un’occhiata di sbieco ad Hoshi.
Notte Stellata. La nuova organizzazione sorta dalle macerie dell’Ordine e dei seguaci rimasti del Conte.
Le famiglie dei Caduti e dei morti erano state messe al corrente di tutto, e chi voleva si era unito all’organizzazione per cercare di rimettere in sesto i Paesi più distrutti dalle guerre.
Tutti loro avevano approvato il progetto, ma nessuno aveva voluto parteciparvi attivamente eccetto Kanda.
“Non ho nient’altro da fare. Forse mi farà bene creare qualcosa, anziché voler distruggere” aveva detto salutandoli.
Per loro c’erano state abbastanza guerre, ormai.
Le sofferenze li avevano segnati nel profondo e non li abbandonavano né li avrebbero abbandonati mai. Ma quando si sentivano schiacciare dal peso del loro passato, pensavano a chi per quel presente ed il futuro che sarebbe venuto aveva sacrificato la propria vita ed una possibile felicità, e tutti i loro problemi riacquistavano la giusta dimensione.
-Secondo voi… ci sono ancora, da qualche parte?- la voce di Hoshi tremava. Tyki le prese la mano senza dire niente.
Linalee annuì, decisa.
-Si. Loro sono ancora qui, e sono insieme-.


Light and Darkness - Fine


Note dell'Autrice:

Ebbene si, è finita davvero. Ringrazio dal profondo del cuore tutti voi che avete letto, seguito e commentato, è una delle fanfiction a cui tengo di più, perchè l'ho scritta in un periodo molto particolare della mia vita, e sono davvero felice che sia piaciuta a qualcuno.
Perdonatemi la brevità, non ci crederete ma il fatto che sia finita rende triste anche me :(

risep4: purtroppo come ultimo capitolo è corto, però essendo giusto un epilogo non volevo esagerare. Spero che ti sia comunque piaciuto, nonostante la conclusione triste! Grazie per aver letto la mia storia, sono davvero felice che ti sia piaciuta così tanto! Sono quelle cose che fanno sentire realizzati :D un bacio!

DarkAngel_: oddio se penso che è l'ultima volta che rispondo a un tuo commento mi metto a piangere sul serio ç___ç *si ricompone* è dispiaciuto troppo anche a me farli morire, ma il loro sacrificio ha fatto sì che tutto ciò che fino a quel momento aveva causato morte e distruzione finisse. Doveva concludersi così, non c'era altra scelta. Appena ho iniziato a scrivere questa fanfiction l'unica cosa che avevo ben chiara era il finale che, nonostante sia tristissimo, sono abbastanza contenta di com'è venuto :)
Alla fine sono riuscita ad aggiungerti su facebook, è stata una passione! Prima non mi prendeva il link, poi mettevo il tuo nome e non ti trovava, quel giorno gli girava storta davvero XD si, penso che tornerò con un'altra fanfiction, e credo che tornerò anche al mio grande amore che non è Allen ma Kanda, però ci vorrà un po' di tempo! Una delle difficoltà peggiori di "Light and Darkness" è stato l'averla pubblicata quando non era ancora finita! Ho avuto dei periodi di interruzione lunghissimi, ed è una cosa che odio -___-'' però dubito che se scriverò un'altra fanfiction verrà bene quanto questa! *non vuole essere immodesta, ma sotto sotto ne va fiera u.u''*
Grazie per tutti i tuoi commenti e per aver sofferto fino in fondo con i poveri personaggi! E ovviamente grazie per aver letto anche le altre fanfiction *-* felicissima che ti siano piaciute! Cercherò di tornare presto! :)

Ancora una volta, grazie a tutti <3

Bethan

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