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“Sofia, questo è il regalo di tua madre. Quando se ne è
andata mi ha chiesto di consegnartelo solo il giorno del tuo ventesimo
compleanno.”. Mio padre mi consegnò un cofanetto di legno tutto impolverato con
scritto sopra“L.T.”:
le iniziali della mamma. “Voleva che restassi da sola, io non devo vederlo. Fai
con calma.”. E uscì dalla stanza. Mi tremavano le mani, ero indecisa se aprire
o no il regalo. Se ne era andata quando io avevo solo otto anni, poi non l’ho
più rivista. Non mi aveva mai telefonato o scritto, non aveva mai voluto sapere
se stavo bene, cosa facevo, se avevo bisogno di lei. Non sapevo dove era, se
aveva iniziato una nuova vita o se le mancavo. Forse le risposte sono qui dentro…Mi feci coraggio e aprii il cofanetto,
la prima cosa che vidi fu una sua foto, un bellissimo primo piano e sorrisi: le
assomigliavo tantissimo e questo mi fece un po’ felice. Continuai a sbirciare
nel piccolo scrigno e trovai un libretto per gli assegni e una lettera. Il
cuore cominciò a battermi all’impazzata. Aprii il foglio e riconobbi la
scrittura ordinata di mamma.
Sofia, piccola mia, se leggi questa lettera significa che ormai
sei una donna e che io sono morta. Bambina mia, non avrei mai voluto lasciarti
da sola, ma l’ho fatto per te, per proteggerti da un mondo troppo complicato.
Ciò che leggerai lo troverai impossibile, ma è la pura verità: la mia famiglia
era nobile e potente grazie a delle doti tramandate di generazione in
generazione. Come le mie antenate, io sono una strega e lo sei anche tu. Le
leggende parlano di donne diaboliche che hanno fatto un patto con il diavolo e
che devono essere bruciate al rogo, tramite la caccia alle streghe. Quasi tutte
le donne della nostra famiglia sono morte in questo modo, altre sono state uccise
segretamente da uomini di chiesa. Ma noi streghe non siamo tutte uguali, non
siamo tutte crudeli e spietate. Da quando ho scoperto i miei poteri, ho
combattuto contro La setta dei Giusti, un’organizzazione che ha un unico scopo:
sterminarci. Ho dedicato parte della mia esistenza a salvare la nostra specie e
a difenderti, fin quando ho capito che l’unico modo per farti restare in vita
era quello di starti lontana. Ora hai un ruolo molto importante e voglio che tu
lo svolga: raggiungere le tue simili a Londra e combattere con loro. Non devi
aver paura, hanno sempre saputo che un giorno saresti andata da loro e ti
insegneranno tutto ciò di cui hai bisogno. Ti ho aperto un conto un banca, per
cinque o sei anni non avrai problemi economici. Tesoro mio, ti auguro tanta
fortuna e una vita più felice della mia, so che non mi deluderai…
Ti prego di non svelare nulla a tuo padre, non deve sapere niente di questa
storia, un giorno capirai. Un forte abbraccio…
Lara Tiziani
Ero terrorizzata, tremavo come una foglia sul letto della
mia camera. Non solo avevo scoperto che mia madre era morta, ma ero una strega
che probabilmente sarebbe stata uccisa da un momento all’altro. Piansi in
silenzio, perché non sapevo cosa fare e mi sentivo terribilmente sola: cosa ne
sarebbe stata della mia vita? Sarei dovuta partire e lasciare mio padre da
solo? Cosa sarebbe successo a Londra? Le domande aumentavano con il passare dei
minuti e capii che dovevo avere qualche risposta, almeno per sapere se ero in
pericolo di vita. Mia madre non era riuscita a spiegarmi molto bene la
situazione e probabilmente lo aveva fatto di proposito. Forse sarei dovuta
partire per Londra, magari solo per qualche giorno, poi sarei ritornata alla
vita di tutti i giorni, cercando di dimenticare questa storia assurda. Quando
mi sentii più calma decisi di avvertire mio padre dell’imminente partenza.
Mentre uscivo dalla stanza, mi guardai allo specchio, fortunatamente non si notava che avevo pianto. Sorrisi poco
convinta e presi un bel respiro. Era impossibile che fossi una strega, me ne
sarei accorta se avessi avuto qualche potere particolare: non sapevo fare magie
o preparare pozioni. Ero sempre stata una ragazza comune, timida, non amavo
mettermi in mostra e fino a pochi minuti prima sapevo cosa avrei voluto fare nei
prossimi anni: laurearmi in giurisprudenza e andare a convivere con il mio
ragazzo, Christian. Adesso la sorte aveva deciso di prendersi gioco di me.
Erano passati dieci giorni da quando avevo aperto lo scrigno
di mia madre e avevo deciso che avrei provato ad accettare la realtà. Non
sapevo se sarei riuscita a stare per un po’ di tempo a Londra, ma dovevo
tentare perché altrimenti i suoi sacrifici sarebbero stati vani. Mio padre e i
miei amici sapevano che mia madre mi aveva assicurato un posto in una della
università inglesi, dove avrei potuto continuare gli studi.Mio padre era contento per me, anche se mi
confessò che si sarebbe sentito troppo solo nella nostra casa enorme, mentre
Christian era furioso, aveva paura che tra noi sarebbe finita. Poche ore prima
della mia partenza litigammo pesantemente e lui mi disse che non pensavo a lui,
che la lontananza ci avrebbe fatto del male. Gli dissi che avrei fatto il
possibile per mantenere vivo il nostro rapporto e che sarei tornata spesso in
Italia, ma non sapevo se avrei potuto mantenere quelle promesse.
Il viaggio fu molto rapido e quando presi un taxi a Londra,
gli chiesi di portarmi all’indirizzo che mia madre aveva segnato dietro alla
sua foto. Dopo mezz’ora di viaggio, arrivammo ad una specie di castello
sperduto tra la campagna. Era un edificio imponente, elegante e mi intimoriva.
Suonai al cancello e mi aprirono, così varcai timorosamente la soglia e entrai
nel giardino. C’erano tantissimi cespugli e alberi, tutto era curato nei minimi
particolari, sembrava una rappresentazione di un quadro. C’era fin troppo
silenzio, si sentivano solamente i miei passi sul sentiero. Improvvisamente
comparve di fronte a me una donna bionda, con i capelli sistemati in una lunga
treccia. Era molto chiara e magra, ma era bellissima. Mi sorrise e mi strinse
la mano: “Piacere, sono Marie Florance. Tu sei senza
ombra di dubbio Sofia, la figlia di Lara Tiziani. Sei uguale a lei, non c’è che
dire.”.
“Lei conosceva mia madre?”. Sembrava una donna simpatica e
gentile, mi sentivo meno preoccupata. Forse lei e mia madre erano amiche.
Doveva avere tra i trenta e i quarant’anni, i suoi lineamenti erano delicati e
aveva degli enormi occhi viola.
“Erano in molti a conoscerla qui dentro, ma questo lo
scoprirai tu stessa. Vieni, sarai stanca. Ti accompagno subito alla tua stanza.
Sei arrivata in un giorno triste, oggi è morta un’altra ragazza, aveva
venticinque anni. Povera Sarah…”. Entrammo nella
casa, non c’era nessuno per i corridoi che stavamo attraversando. Mentre mi
guardavo intorno, Marie continuava a parlare: “Le altre sono tutte nelle
segrete, le conoscerai più tardi o forse domani mattina. Appena ti sentirai
pronta inizieremo ad ascoltare tutte le tue domande e a darti tutte le risposte
che vuoi. Non deve essere facile per te scoprire dopo vent’anni la tua vera
identità. Io l’ho sempre saputo e ne sono sempre stata felice. Mia madre mi ha
insegnato quasi tutto quello che so, quindi per me è stato più facile accettare
di vivere qui, al palazzo di Ermen.”.
“Il palazzo di Ermen? Si chiama
così questo castello?”.
Marie sorrise e mi disse: “Si, in onore delmarito della donna che lo ha fondato. Da
seicento anni noi streghe dimoriamo qui e tramandiamo il nostro sapere e le
nostre tradizioni alle generazioni future.”.
Ci fermammo davanti ad una porta, estrasse un enorme mazzo
di chiavi dalla tasca ed entrammo. Mi guardò attentamente, aspettando che
finissi di guardarmi intorno e disse: “Pensavamo che ti avrebbe fatto piacere
alloggiare nella camera di Lara. Ora ti lascio sistemare le tue cose. Oh,
un’altra cosa, i tuoi jeans e la tua maglietta sono molto carini, ma non sono
molto adatti al nostro ambiente. Tra un paio d’ore ti farò portare dei nuovi
indumenti e spero non ti rechi troppo fastidio indossarli.”
Arrossii, non pensavo che il mio modo di presentarmi potesse
essere sbagliato. Marie sembrò capire il mio imbarazzo, così si affrettò ad
aggiungere: “Non è colpa tua, non potevi saperlo. Sappi che qui nessuno ti
costringerà a indossare abiti che non sono di tuo gradimento, perciò se vuoi
puoi continuare a indossare le tue cose, ma con il tempo imparerai ad
apprezzare il guardaroba che ti forniremo.”. Con queste parole si congedò e
rimasi per la prima volta da sola in quel posto sconosciuto.
Mentre sistemavo i pochi effetti personali che avevo portato
con me, Marie tornò con degli abiti per me e mi disse di prepararmi in breve
tempo perché tutti mi attendevano per una riunione. Mi lasciò gli abiti sul
letto e uscì di fretta. Rimasi stupita dal guardaroba: nel giro di poche ore mi
avevano fornito molto di più di quello che sperassi. C’erano numerose maglie di
modelli diversi, delle gonne ampie e lunghe, delle camicie e tre abiti. Uno in
particolare era bellissimo: era aderente e la gonna cadeva morbida sui fianchi.
Il davanti aveva un evidente scollatura ed era decorato con delle perline nere.
Sospirai, pensando che probabilmente non avrei mai avuto occasione di
indossarlo. L’unica pecca del mio nuovo guardaroba era che il nero era l’unico
colore dominante. Tipico per delle streghe. Speravo fossero più originali.Optai
per una camicia molto semplice e una delle gonne, abbinandoli con degli stivali
semplici e comodi. Mi guardai allo specchio e mi sorpresi di ciò che rifletteva:
il mio volto era sempre lo stesso, gli occhi castani, il naso all’insù, i
capelli castani, lunghi e lisci che ricadevano morbidi sulle spalle, ma con
quegli abiti addosso ero diversa, sembravo più grande e più matura, ma non mi
sentivo me stessa. Possibile che potessi notare tutti quei cambiamenti nel giro
di poche ore? Mi guardai più volte allo specchio, cercando di convincermi che
era solo la mia suggestione, che andava tutto bene. In quell’istante volevo
solo sentire la voce di Christian, anche se non avrei potuto confidargli le mie
paure. Volevo sentirlo ridere, prendermi in giro, volevo osservarlo mentre
leggeva. Morivo dalla voglia di chiamarlo, ma una parte di me sapeva che non
era il momento adatto, dovevo andare alla riunione, l’avrei cercato più tardi.
Chissà se in quel momento mi stava pensando, se anche lui voleva stare un po’
con me…
Mi feci coraggio e mi
avviai per i corridoi silenziosamente, preoccupata per quello che mi attendeva.
Che genere di riunioni tenevano le streghe? Era come veniva descritto nei
libri? E se non mi volevano tra i piedi? In fondo ero una perfetta sconosciuta,
catapultata in un luogo terrificante contro la propria volontà.
Quando vidi Marie venirmi incontro, mi sentii sollevata,
avevo proprio bisogno di un supporto morale. Stavo per dirle che non potevo
farcela, che non mi sentivo pronta per affrontare tutto ciò, ma non ce ne fu
bisogno, perché riuscì a leggere la mia espressione: “Guardati, sei
pallidissima. Però devo ammetterti che temevo il peggio, pensavo che saresti
scappata via dal terrore. Adesso andiamo, vedrai, sarà interessante.”. Mi guidò
per altri tre o quattro corridoi, che sembravano interminabili, poi entrammo in
un enorme sala. Era molto simile a un aula di tribunale, solo cento volte più
grande. Appena entrai, tutti i presenti si voltarono a guardarmi, proprio come
temevo. Mentre passavo tra le centinaia di persone riunite, osservai alcuni
volti: alcuni mi sorrisero, altri sembravano solamente incuriositi, raramente
qualcuno sussurrava qualcosa all’orecchio della persona vicina. Rimasi stupita
del fatto che non c’erano solamente donne, ma c’erano anche molti uomini, anche
se sembravano leggermente in minoranza.Marie era ancora di fianco a me, così le dissi: “Chi sono tutti questi uomini?
Non ci sono solo streghe qui?”.
Lei mi guardò come se avessi detto qualcosa di totalmente
assurdo, poi rise a bassa voce e mi rispose: “Stai dimenticando gli stregoni…
Ce ne sono molti in giro per il mondo, più di quanti tu possa immaginare.”.
Mi sentivo una stupida, come avevo fatto a non arrivarci da
sola? Continuai ad osservare la gente, ringraziando il cielo che avevo deciso
di indossare i nuovi abiti, almeno avevo qualcosa in comune con i presenti. La
sala era piena di panche dove streghe e stregoni dovevano prendere posto. Ci
sedemmo al centro della sala e solo allora mi accorsi che c’erano una decina di
persone sedute su delle poltrone situate su un palco che ci osservavano
attentamente. Una donna elegante e con i capelli grigi e lunghissimi si alzò e
cominciò a parlare: “Bene, ci siamo tutti. Benvenuta Sofia Castelli, questa è
la tua prima riunione in questo edificio. Sei al cospetto della Corte dei
Severi e ti chiedo rispetto per il nostro operato. Non temere se ciò che
sentirai da qui in avanti ti sembrerà poco chiaro, per i primi mesi Marie ti
affiancherà e colmerà le tue lacune. Anche Kevin Larris ti darà una mano,
appena ritornerà dal suo viaggio in Francia.”.
Detto questo iniziò a rivolgersi al resto della sala: “Io,
Lavinia Manieri, voglio esporre a tutti i presenti una nuova strategia contro la
Setta dei Giusti. Devo ammettere che negli ultimi decenni hanno acquisito
potere, uccidendo molti della nostra specie, ma anche noi abbiamo fatto
numerosi progressi e oggi sono lieta di mostrarvi un nuovo incantesimo.
Samantha, raggiungimi!”.
Una ragazza con i capelli rossi e ricci si alzò e salì sul
palco. Doveva avere la mia stessa età, ma a causa delle sue movenze sembrava
molto più grande. Era alta e il suo viso era pieno di lentiggini, il suo
sguardo era impenetrabile, il suo volto molto serio. Con naturalezza e senza
timore iniziò a parlare: “Io, Samantha Ryan, ho fatto numerose ricerche per
accentuare il potere del fuoco e sono pronta a mostrarvi i miei risultati.”.
Spostò lo sguardo su una poltrona vuota e rimase immobile
per qualche secondo. Disse una frase in una lingua incomprensibile e in quel
preciso istante i suoi capelli danzarono nell’aria come se ci fosse una forte
tormenta . Il suo sguardo divenne sempre più concentrato e cupo, dai suoi occhi
uscì un raggio verde che colpì la poltrona. Inizialmente non successe nulla,
poi ci fu una forte esplosione e la poltrona si sgretolò in un secondo,
lasciando un grande strato di cenere tutto intorno. Una buona parte della sala
venne ricoperta di una nebbia fitta, che si diradò lentamente. Samantha sorrise
soddisfatta e il suo sguardo mi fece gelare il sangue: era perfido, sembrava
assetata di morte e di vendetta. Quella ragazza era in grado di far esplodere
tutto ciò che le capitava di tiro con una facilità e una crudeltà sorprendente.
Temevo che per lei non ci fosse differenza tra un oggetto e un essere umano e
rabbrividii: non volevo diventare un’assassina, avere il suo stesso sguardo
compiaciuto dopo aver portato distruzione. Marie appoggiò una mano sulla mia
spalla e mi disse all’orecchio: “Non preoccuparti, non è niente. Capirai con il
tempo, fidati.”.
Mi voltai a guardarla, sembrava tranquilla, quello che era
appena successo non l’aveva turbata. Così mi guardai intorno e vidi le reazioni
di streghe e stregoni: sembravano soddisfatti, alcuni annuivano in cenno di
approvazione. Forse anche mia madre era così, spietata, egoista e senza
scrupoli. Provai ad accostare le poche immagini che avevo di lei, i ricordi
confusi della mia infanzia, ma non riuscii ad intravedere la crudeltà o l’odio
nel suo sguardo affettuoso. Dovevo assolutamente sapere di più su quella strana
associazione, sul palazzo e probabilmente solo Marie avrebbe avuto la pazienza
di ascoltarmi. Dovevo solamente stare attenta a non farmi fare il lavaggio del
cervello o qualcosa di simile. D’altronde, se mia madre aveva sperato che io mi
unissi alle streghe, probabilmente sapeva che c’era una qualche probabilità che
me la sarei cavata con le mie forze.
Tornai a guardare il palco. Lavinia, la donna che era a capo
della riunione sorrise soddisfatta a Samantha e la congedò dopo essersi
complimentata con lei. Si rivolse nuovamente al pubblico: “Da domani mattina
Samantha e altre streghe vi approfondiranno questo incantesimo e lo useremo per
il prossimo scontro. Inutile ricordarvi che sono ben accetti nuovi sortilegi e
nuove idee. Con questo è tutto, vi congedo. Siete liberi di tornare alle vostre
occupazioni.”. Mi alzai e cercai di farmi largo tra la folla, senza perdere di
vista Marie.
NOTE: ciao Emily Doyle, voglio ringraziarti per la tua
recensione, terrò presente i tuoi suggerimenti e sappi che sono sempre ben
accetti. Spero che continuerai a seguire la storia e ovviamente fammi sapere il
tuo parere!
Mentre uscivamo dalla sala dissi a Marie che avevo mille
domande da farle e tantissime perplessità. Così mi invitò nella sua camera a
prendere un thè. La sua non era una semplice camera da letto, era quasi un
grande appartamento arredato con dei mobili antichi e ben lavorati. Tutto era
perfettamente in ordine e non riuscii a far a meno di notare ogni dettaglio
dell’arredamento: le pareti erano ricoperte da tele di ogni genere, i mobili invasi
da portafoto e gingilli vari. In una stanza più piccola, era stato organizzato
un semplice salotto, con al centro due poltrone e un tavolino. Mi fece
accomodare mentre mi versava gentilmente del thè. Anche se la conoscevo da
poche ore Marie iniziava a starmi simpatica, aveva sempre il sorriso stampato
sulle labbra e fino a quel momento aveva fatto di tutto per farmi sentire un
po’ a mio agio. Era il momento di fare le domande, così mi feci coraggio e
inizia: “Da quanto tempo sei qui?”
“Sono venuta qui quando avevo solo cinque anni e adesso ne
ho trentaquattro. Anche se ero solo una bambina, desideravo fortemente rimanere
al palazzo, dedicare la mia vita alla magia.”.
“Io invece non so se voglio restare qui, è tutto troppo
diverso dalla mia realtà. Mi manca la vita di prima, la routine quotidiana,
tutto…”
“Oh, è normale, ma con il tempo vedrai le cose in modo
diverso. Tu sei una strega, sei destinata a condurre una vita fuori dal comune,
inoltre qui non è così male, sai? Forse oggi ti sei spaventata alla riunione,
ma siamo i tuoi simili, devi fidarti di noi…”.
“Si, ma Samantha… E’ stato orribile, uccidete la gente con i
vostri poteri? E poi cos’è la Corte dei Severi?”
“Non so che idea ti sei potuta fare di noi, ma non ci
divertiamo ad uccidere la gente… La nostra è una difesa, non puoi capire come
ci si sente a subire la crudeltà della Setta dei Giusti. Ho visto gente morire
a causa loro, tua madre ha perso la vita in un loro agguato. Credono di essere
in grado di fare giustizia perseguitandoci, ma abbiamo già un tribunale: la
Corte dei Severi, l’organo che giudica streghe e stregoni. Se uno di noi ha dei
comportamenti scorretti viene bandito dal palazzo e nei casi più gravi
condannato a morte. La nostra comunità è basata sulla giustizia più di quella
umana, siamo gente onesta, mentre la Setta dei Giusti ci giudica come dei
mostri. Ecco perché la società umana racconta leggende terribili su di noi, ma
sappi che solo pochissime sono vere. Nella storia ci sono state streghe eccezionali,
donne forti e determinate che hanno migliorato il nostro futuro. Loro hanno
combattuto per la nostra libertà, con la speranza che un giorno non ci sarà più
bisogno di nascondersi tra queste mura. Noi dobbiamo continuare ciò che loro
hanno iniziato e non posso prometterti che un giorno vedrai i miglioramenti e
che i tuoi figli non vivranno con l’incubo di dover scappare e evitare i
rapporti con il resto del mondo. Forse quando arriverà quel giorno tu ed io
saremo morte, ma vale la pena di tentare. Io lo faccio per mio marito e la mia
bambina, ho trovato la mia motivazione. La tua qual’ è?”.
Aveva detto tutto questo con parole di determinazione,
sapeva che quello che faceva era giusto e che avrebbe proseguito, incurante
della paura o del dolore. Lei aveva qualcuno da difendere, qualcuno per cui
avrebbe rischiato la morte. La guardai in volto: in apparenza sembrava una
donna fragile, chiusa in se stessa, ma in realtà era molto forte, più di
chiunque altro avessi conosciuto. In quel momento desiderai essere come lei, lo
desideravo con tutto il cuore. Riflettei su ciò che aveva detto, poi ammisi:
“Io non ho una motivazione o uno scopo, per questo non riesco a trovare una
ragione alla mia permanenza in questo luogo…”. Mi sentivo terribilmente
insignificante e pensai che forse non avrei mai trovato il mio ruolo in quel
palazzo.
Marie mi guardò per qualche istante, poi mi strinse la mano
e disse: “Io so per chi devi andare avanti: per Lara, solo per lei. Sai, era un
membro della Corte dei Severi. Lavorava giorno e notte per studiare nuove
strategie, inoltre insegnava alle streghe più giovani. Aveva sempre mille cose
da fare e tante cose da dire. Però una parte del suo cuore era rimasto con te e
quando ci raccontava di come le mancavi, aggiungeva sempre che saresti
diventata una donna fantastica. In fondo sapeva che saresti rimasta qui con noi
e sperava che tu potessi prendere il suo posto nella Corte. Vuoi deluderla?”.
Non potevo credere che mia madre avesse una così piena
fiducia in me. Non solo sperava che il mio futuro si intrecciasse con quello
delle streghe, ma voleva che diventassi potente, un riferimento per la comunità
in cui aveva creduto. Mi sentivo lusingata, ma preoccupata dalle enormi
responsabilità che avrei dovuto affrontare se fossi diventata membro della
Corte dei Severi. Non avevo mai desiderato stare al centro dell’attenzione,
tantomeno emergere dal gruppo, ero prevalentemente un’osservatrice silenziosa. Provai
a immaginarmi sul palco che avevo visto solo poco fa, cercai di vedermi nel bel
mezzo di un mio discorso, decisa e senza timore della reazione dei presenti, ma
sapevo che non era per me.
Guardai Marie e le dissi: “No, non voglio deluderla. Però
per adesso preferisco solamente ambientarmi, farmi una mia idea di ciò per cui
lottate. Vi chiedo solo un po’ di tempo, farò del mio meglio per esservi
d’aiuto.”.
“Bene, è proprio ciò che volevo sentire. Ti insegnerò
parecchio da oggi in poi, inizieremo da qualcosa di semplice ma utile. Da cosa
vuoi iniziare? Medicina, filtri magici, trasformazione di oggetti… Quando avrai
appreso abbastanza, affronteremo il discorso demoni”.
Demoni? Ebbi un sussulto al cuore. Avevo letto mille libri
su mostri, vampiri, esseri della notte, ma pensavo fossero frutto della
fantasia della gente, non avrei mai creduto che personaggi simili potessero
esistere nel mondo reale, inoltre non avevo idea di quanto potessero essere
pericolosi o come affrontarli. L’unica cosa certa è che ero terrorizzata, la
paura aveva preso posto nel mio cuore e nella mia testa. Come potevo
sopravvivere se un giorno avessi incontrato un demone? Probabilmente sarei
morta al primo scontro, non ero molto ferrata sull’autodifesa. Sentivo il cuore
battere all’impazzata, le mani tremarmi, non osavo immaginare che aspetto
potessi avere. Lievemente sussurrai: “I … demoni? Cioè, come può essere
possibile?”.
“Sei terrorizzata, vero?”. Il suo volto divenne più serio
del solito: “Ti prometto che quando arriverà il giorno in cui dovrai
combatterli, sarai più che preparata. Ti giuro che se ci fosse anche una sola
probabilità che tu non possa resistere alle loro battaglie, resterai segregata
nella tua stanza. Ma tutto ciò non servirà, perché quel giorno sarai in grado
di badare a te stessa. Ricordati queste parole e portale con te quando avrai
paura e temerai di non farcela.”
Annuii, cercando di mostrare serenità. Le sue parole
sembravano sincere e sentivo che dovevo crederle, che non mi avrebbe
abbandonata al mio destino. Inoltre non avevo altre alternative, potevo
solamente ascoltare i suoi consigli e i suoi insegnamenti, non avrei mai potuto
fare di testa mia. Sapevo che quel giorno la Sofia Castelli di sempre si era
arresa per far spazio a una nuova Sofia, forse più inquietante, cupa,
pericolosa, ma pur sempre determinata a seguire la sua strada ed affrontare le
difficoltà. Una parte di me, quella legata ai primi venti anni della mia
esistenza, mi stava abbandonando, forse per sempre, probabilmente dopo
l’esperienza al palazzo di Ermen non sarei ritornata come prima e forse
Christian non sarebbe riuscito a identificarmi nella mia nuova personalità.
Temevo che se fossi cambiata, lui si sarebbe allontanato da me e non avrei
sopportato il suo abbandono.
I giorni successivi mi dedicai alle lezioni di Marie. Lei
aveva tantissima pazienza con me, era sempre pronta a rispondere alle mie mille
domande, mi raccontava le sue esperienze e mi incoraggiava negli studi. Notai
con stupore che apprendevo in fretta, più di ciò che avrei mai potuto sperare.
Marie sosteneva che essendo destinata alla stregoneria, era più che logico che
imparassi tutto in breve tempo. Avevo sempre mille cose da fare, mille pozioni
da imparare e mille sortilegi da testare. Avevo iniziato a studiare la lingua
celtica, che era molto difficile, ma la trovavo affascinante oltre ogni dire.
Iniziai a prendere confidenza con il luogo e con i suoi residenti. Cominciai a
passare del tempo con delle mie coetanee, anche se provavo simpatia solo per
due o tre ragazze, le altre mi mettevano in soggezione. Con mio grande piacere
conobbi la figlia di Marie, la piccola Elene. Aveva
poco più di tre anni ed era molto intelligente e allegra, i suoi occhi viola
erano dolci e pieni di vita. Era adorabile e mi divertivo molto a passare del
tempo con lei e a guardarla giocare. Con lei ebbi la conferma che c’era del
bene nelle streghe e smisi di pensare che si trattassero di assassine.
Le giornate trascorrevano velocemente, mi dedicavo
esclusivamente allo studio e non avevo tempo per pensare alle mie paure.
Sentivo che tutto stava andando per il meglio e che ben presto mi sarei messa
in paro con le mie coetanee, mi sentivo felice. Felice ma non completa e me ne
rendevo conto quando chiamavo Christian. Parlavamo al telefono tutte le sere,
prima che io andassi a dormire e ogni volta che sentivo la sua voce desideravo
prendere il primo aereo per Roma solo per vederlo poche ore. Ero stanca di
dovergli nascondere la verità, non mi sentivo onesta nei suoi confronti anche
perché tra di noi non c’erano mai stati segreti. In lui cominciò a nascere il
sospetto che gli mentissi, perciò le sue telefonate diventavano sempre più
sospettose: credeva che mi vedessi con un altro ragazzo e io soffrivo in
silenzio, ogni sua parola era per me come una pugnalata al cuore. Invece di
avere il suo sostegno, ricevevosolo
parole fredde, scaricava in quel modo la sua rabbia e la sua preoccupazione,
mentre io mi sentivo annegare nella sua sofferenza.
Nonostante questo problema, i giorni sembravano volare e dimenticai
che Marie non era la mia unica guida di apprendimento. Era il 15 luglio, il mio
dodicesimo giorno nel palazzo, quando qualcuno bussò alla mia stanza. Io ero
seduta sulla mia poltrona a leggere, non aspettavo visite. Alzai lo sguardo e
vidi di fronte a me un ragazzo alto, con i capelli neri e mossi e gli occhi
verdi. Rimasi incantata dal suo sorriso: era ben disegnato sul suo volto e
sembrava dolce e onesto. Inostri
sguardi si incrociarono per un tempo che mi parve infinito, mentre il mio cuore
batteva a mille e rimasi immobile, incapace di dire una sola parola. Il ragazzo
si avvicinò a me e mi porse la mano: “Ciao, Sofia. Io sono Kevin Larris, devono averti parlato di me. Desideravo tornare
prima per conoscerti, ma ho avuto numerosi impegni in Francia.”.
In quel momento tornai a riflettere e a prendere lucidità,
ma mi sentivo ipnotizzata dai suoi occhi. Gli strinsi la mano e dissi: “Ciao,
non ti aspettavo. Vuoi accomodarti?”.
Si mise seduto sulla poltrona di fronte alla mia e iniziò a
studiarmi. Abbassai lo sguardo intimidita, mentre aspettavo in silenzio che lui
iniziasse il discorso. Dopo un po’ disse: “Marie mi ha parlato di te, mi ha
spiegato come hai passato questi primi giorni. Hai avuto molta paura, non è
vero?”.
“Ad essere sincera, il primo giorno ero terrorizzata, ma ora
sembra che vada meglio, inizio a capire questo mondo. Credo che a modo mio mi
sto adattando.”.
Lui mi sorrise, mentre continuava a studiarmi, poi aggiunse:
“Sei stata cresciuta da un umano, non mi sorprende che sei un po’ riluttante a
riconoscere la tua vera natura. I miei genitori erano entrambi stregoni, ho una
mentalità differente dalla tua…”. Si fermò un
istante, poi mi guardò serio: “Sai chi sono io?”.
Lo guardai confusa, così dissi: ”Cosa dovrei sapere?”.
Iniziò quindi a parlarmi del suo passato: “Mio padre, Simon Larris, venne dal Canada quando aveva solo sei anni. Il
destino volle che nello stesso anno, una bambina italiana rimasta orfana venne
accolta in questo palazzo: era Lara, tua madre. Furono per molti anni compagni
di giochi e nove anni dopo tra loro nacque una storia, che li ha cambiati
profondamente. Si sono amati follemente, fin quando Lara partì per Roma, la sua
città natale. Aveva diciotto anni, era troppo giovane per capire che ciò che avrebbe
fatto di lì a poco era un errore. Rimase
in Italia per quattro mesi e quando lei e Simon si ritrovarono lei era diversa:
aveva conosciuto un italiano ed era convinta che la sua vita potesse proseguire
in maniera più semplice, abbandonando la magia. Simon la amava follemente, la
lasciò libera di seguire il suo cuore e Lara scelse una nuova vita a Roma. Mio
padre credeva che la sua vita avrebbe proseguito senza un senso, che non
avrebbe amato nessun’altra. Poi conobbe mia madre, si sposarono e nacqui io.
Era felice, più di quanto sperava, aveva un ottimo futuro davanti a sé. Sperava
che anche Lara stesse bene e volle constatarlo di persona. Così la cercò e la
rivide: era sposata e a breve avrebbe avuto una bambina. Lei gli confessò che
non voleva svelare a sua figlia la verità, che la sua bambina avrebbe condotto
una vita normale, quella che lei aveva conquistato dopo molti anni. Simon le
disse che la piccola non poteva fuggire da ciò che era, che un giorno avrebbe
dovuto fare i conti con i suoi poteri, ma Lara non volle sentir ragione. Circa
nove anni dopo, Lara tornò al palazzo. Aveva capito che aveva commesso molti
errori, che doveva tornare a esercitare la stregoneria. Ci vollero parecchi
mesi prima che tutti la riaccettassero nella comunità, ma ci riuscì. Mio padre
era rimasto vedovo, poter rivedere Lara era per lui una grande gioia, così fece
di tutto per riconquistarla. Con mille difficoltà e mille dubbi, la loro storia
riprese da dove era stata interrotta, ancora più potente di prima. Lara
confessò a Simon quanto era stato doloroso per lei abbandonarti e che solo in
caso della sua morte tu avresti saputo che eri una strega. Gli disse dello
scrigno che avresti dovuto ricevere per i tuoi venti anni e che lei aveva
sempre saputo che saresti diventata una donna forte e intelligente. Simon però
temeva che sarebbe stato troppo tardi per te, che avevi bisogno di essere
istruita il prima possibile, ma Lara era sempre stata molto testarda e anche
quella volta non dette retta a mio padre. La sua testardaggine però la fece
entrare nella Corte e a diventare una delle streghe più potenti. Purtroppo, tre
anni fa, durante un attacco nel bosco, si allontanò dagli altri e venne ferita
a gravemente. Simon tentò di salvarla inutilmente, persero entrambi la vita
quella notte. Li trovarono la mattina seguente, restarono insieme fino alla morte.
Lara è stata il grande amore di mio padre e per lei fu lo stesso.”. Rimanemmo
in silenzio, a fissare il vuoto.
Erano molte le verità che mi erano state celate su mia
madre. Nel giro di pochi giorni avevo scoperto che la sua vita era stata più
difficile di quanto potessi immaginare, aveva sempre deciso di allontanarsi
dalle persone che amava. Sperai che gli anni con Simon l’avessero resa felice,
l’avessero aiutata nei momenti più tristi però mi venne spontaneo chiedermi
quanto avesse amato mio padre. Non potevo pensare che lo avesse sposato per un
capriccio o perché amare Simon significava continuare la stregoneria, non era
capace di una crudeltà simile. Come si può sposare un uomo che non si ama
realmente? Avevo pochi ricordi dei miei genitori insieme, ma sembravano felici,
fatti l’uno per l’altra.
Tornai a guardare Kevin, chiedendomi se aveva qualcosa in
comune con l’uomo che aveva fatto innamorare mia madre. Lui mi guardava
insicuro, dopo un po’ di incertezza disse: “Non ci siamo incontrati per caso,
sono stato io a insistere perché potessi istruirti. Quello che sto per dirti
forse non ti farà piacere, ma voglio che tu sappia la verità, visto che per
molti anni ti è stata negata.”
Volevo alzarmi, evitare di ascoltare quello che stava per
dirmi, perché avevo il sospetto che avrebbe reso tutto più difficile. Volevo potermi
fidarmi di lui come mi fidavo di Marie, ma forse non sarebbe mai stato
possibile. Preoccupata dissi: “Non voglio sapere nulla. Speravo che tu potessi
aiutarmi, ma non è così, vero?”.
Mi allontanai dalla poltrona e mi affacciai alla finestra,
cercando di controllarmi. Kevin mi afferrò per un braccio e mi costrinse a
girarmi e a guardarlo negli occhi. Il suo volto era a pochi centimetri dal mio
e il suo sorriso era sparito: “Ascoltami, ti prego. Ho perso mia madre quando
avevo solo cinque anni, avevo solo mio padre. Quando Lara tornò qui avevo nove
anni, ma notai subito il sentimento che la legava a Simon e non mi faceva
impazzire. I primi anni non volli sapere nulla di loro due, poi chiesi a mio
padre la verità. Lui non sapeva e non voleva mentirmi, perciò mi raccontò del rapporto
che aveva con Lara, giurandomi però che questo non poteva sminuire l’amore per
mia madre, Anne. Iniziai ad odiare Lara, non potevo far a meno di pensare che
Simon non avesse fatto altro che desiderarla, anche quando era sposato con Anne
e restare qui divenne insopportabile. Provai a resistere, ma quando seppi di
te, credevo di impazzire: li sentii parlare del tuo futuro e mio padre le disse
che desiderava conoscerti e che ti avrebbe voluto bene come una figlia. Temendo
che tu avresti raggiunto tua madre, decisi di andare in Canada. Simon non si
oppose, diceva che avevo bisogno di tempo per riflettere e per capire che il
mio odio per Lara e per te non mi avrebbe portato da nessuna parte. Aveva
ragione, come sempre, così dopo tre anni ritornai al palazzo di Ermes. Ero
cambiato, non ero più un ragazzino, provai ad accettare tua madre. Lei era
sempre gentile con me, era paziente ma credo che aveva smesso di sperare che la
accettassi. La mattina che seppi della loro morte, il mio odio per lei
riaffiorò all’improvviso: se lei non si fosse allontanata durante lo scontro
lui non sarebbe morto, se lei non fosse tornata al palazzo, io e lui avremmo
vissuto in tranquillità e probabilmente sarebbe ancora qui…”.
Si interruppe. Il suo volto era sofferente, non provavo rabbia per lui, volevo
solo consolarlo. Prima che potessi dire qualcosa, lui proseguì: “Credevo che
l’odio mi avrebbe fatto diventare un mostro, ma passò, riuscii a superare quel
momento difficile. Sapevo però che saresti venuta, lo sapevano tutti. Marie
cercò di vederti tramite le sue arti e quando ti mise a fuoco le sembrò di
vedere Lara. Mi dissero che dovevo allontanarmi da Londra, almeno per i primi
mesi e che dovevo starti lontano. Ma io non sono un pazzo, stavo acquisendo
potere, così spiegai alla corte che non solo sarei rimasto qui, ma desideravo
istruirti personalmente, per due motivi. Il primo, perché mio padre avrebbe
fatto il possibile per essere la tua guida e proteggerti. Il secondo è che ho
bisogno di avere di te un’idea diversa. Per molti anni ho visto te e tua madre
come un pericolo, delle persone negative, ora voglio dimostrare a me stesso che
non era vero. Sappi che è difficile: solo guardarti mi fa affiorare ricordi
dolorosi. La tua somiglianza con Lara è impressionante, credo che l’immagine
che ora ho davanti a me è la stessa che poteva vedere mio padre anni prima,
quando osservava attentamente la donna che ha sempre amato. Sei libera di
odiarmi, di dirmi che non vuoi avere nulla a che fare con me, me lo merito e lo
accetterò.”. Detto questo rimase in silenzio, a fissare il pavimento.
La sua storia e la sua strana motivazione mi preoccupavano
molto, ma non era giusto farlo soffrire ancora. Sapevo che ero in grado di
affrontare il suo rammarico nei miei confronti. Dovevo dimostrarglielo e
trovavo necessario che sapesse che ancheio avevo bisogno del suo appoggio. Mi avvicinai a lui, non sapevo da
dove cominciare, non mi sarebbe bastata tutta la giornata per raccontargli di
me e dei miei timori :“Non posso odiarti, avrei agito allo stesso modo. Anche
io mi chiederò sempre se mia madre ha amato di più Simon rispetto a mio padre ma
saperlo non cambierà il mio futuro.”.
Provai a regalargli uno dei miei sorrisi rassicuranti e
sembrò che si stesse calmando. Ci guardammo negli occhi per un arco di tempo
elevato, ognuno stava studiando l’altro, cercando di capire le emozioni e ciò
che stava pensando. Infine abbassai lo sguardo e arrossii.
Lui mi arruffò i capelli e cercò di sdrammatizzare la
situazione: “Credo di poterti sopportare… Non è
difficile come credevo. “ e mi sorrise.
“Kevin, ho bisogno del tuo aiuto. Senza di te potrei non
farcela.”.
“Sono qui per questo, devi solo fidarti di me. Non avrei
dovuto scaricare su di te le mie angosce, ho sbagliato, ma non sarebbe stato
onesto nei tuoi confronti nasconderti il passato. Avevo pensato di spiegarti
tutto dopo alcuni mesi, ma sarebbe stato peggio, non trovi?”.
“Si, forse hai ragione. Mi dispiace per quello che hai
sofferto, non posso capire il tuo dolore ma non mi opporrò se un giorno non
vorrai più farmi da guida.”.
“Questo non succederà mai… Ehi, ti
aspetto domattina alle sette per il tuo primo combattimento. Non cercare scuse.
Domani io e te ci scontreremo.”. Uscì dalla stanza, lasciandomi da sola ad
affrontare la paura derivante dalle sue parole. Sapevo che un giorno o l’altro
avrei dovuto iniziare a combattere, ma in cuor mio speravo che fosse il più
tardi possibile.
Rimasi nella mia stanza per molto tempo, cenai da sola e
speravo di crogiolarmi nei miei pensieri per il resto della serata, ma Marie
venne a cercarmi. Sapeva che avevo conosciuto Kevin e temeva che ciò mi avrebbe
turbato. Le spiegai che andava tutto bene e che ero semplicemente agitata per
la mia prima battaglia.
Lei mi studiò per qualche minuto, poi tentò di rassicurarmi:
“Kevin è un ragazzo fuori dal comune, può metterti soggezione, ma è un bravo
stregone e sa ilfatto suo. Ha solo
ventuno anni, ma è tra i più potenti a praticare stregoneria. Devi essere
onorata di poter apprendere da lui, ma sappi che non sarà semplice, è molto
severo e pretende molto dagli altri. Scoprirai da te che è un ragazzo
eccezionale, proprio come i suoi genitori. Io li ho conosciuti entrambi e posso
assicurarti che hanno fatto il possibile perché diventasse un uomo leale e intelligente.
A mio parere hanno avuto ottimi risultati, ma inutile perdere tempo in
chiacchiere, lo capirai molto presto. Per domani non aver paura, non ti farà
del male, vuole solo che tu impari il prima possibile a difenderti perchè devi essere in grado di badare a te stessa.”.
La ringraziai e lei si congedò, lasciandomi del tempo per
riflettere sulle sue parole. Decisi di chiamare mio padre e come al solito
raccontai una marea di bugie sull’università. Non meritava tutto questo, il
palazzo di Ermes lo aveva privato della sua famiglia, era a tutti gli effetti
un uomo solo. Avrei voluto spiegargli del perché mia madre era andata via di
casa perché per molti anni si era tormentato credendo di non essere stato alla
sua altezza. Avrei desiderato dirgli che stavo diventando una strega, ma che
gli avrei voluto bene per sempre e che per lui ci sarei stata ogni volta che
avrebbe avuto bisogno di me, ma non era facile, non avrebbe capito, mi avrebbe
presa per pazza. Iniziai a comprendere che umani e stregoni non erano ancora in
grado di convivere pacificamente e che era necessario nascondere la nostra
identità a tutti i costi. Sapevo che un giorno avrei dovuto fare una scelta
importante: rinunciare alla mia nuova vita da strega oppure dire per sempre
addio a Christian. Fino a poche ore fa credevo che non sarebbe stato necessario
perderlo, che avrebbe accettato di starmi a fianco anche se dovevo utilizzare i
miei poteri, ma quella sera mi accorsi che le mie erano solo illusioni, amavo
Christian più di chiunque altro, ma il mio amore non sarebbe bastato a
convincerlo che per lui non ero una minaccia.
La mattina seguente mi preparai in fretta e mi recai al
cortile, sperando che Kevin avesse cambiato idea e che lo avrei affrontato
successivamente. Lui era già lì, seduto su uno dei muretti intento a parlare
con un paio di streghe. Quando mi vide mi venne incontro e non potei far a meno
di osservarlo come avevo fatto il giorno precedente: anche lui portava degli
abiti scuri e la camicia che indossava metteva in evidenza le sua muscolatura.
Ero totalmente terrorizzata all’idea di dover combattere contro uno stregone,
non riuscivo a pensare con razionalità, volevo solo che la giornata finisse al
più presto.
Quando mi venne abbastanza vicino, mi sorrise e mi fece
cenno di seguirlo. Mentre ci dirigevamo verso il retro dell’enorme edificio,
iniziò a parlare: “Stai tranquilla, non è nulla di troppo impegnativo, voglio
solo testare le tue capacità.”.
Ci fermammo in una parte del giardino priva di cespugli e
alberi. Il sole picchiava forte anche se era presto, il caldo era
insopportabile. Kevin si sistemò a tre o quattro metri di distanza da me e
sempre sorridendo, mi disse di attaccarlo usando unicamente la mia forza fisica.
Feci un respiro profondo, dicendo a me stessa che era semplicemente una prova e
che dovevo solo prestare attenzione a ciò che facevo. Mossi un passo verso di
lui, cercando di avvicinarmi, ma non ci riuscii. Era come se polsi e caviglie
fossero bloccati con delle ganasce di ferro e per quanta pressione potessi
fare, una forza immaginaria non mi consentiva nessun movimento. Provai più
volte a liberarmi dalla morsa, ma invano, così alzai lo sguardo verso Kevin.
Era molto concentrato, sempre abbastanza distante. Il palmo della sua mano era
rivolta verso di me ed emanava un lieve bagliore. Poi chiuse la mano e urlò:
“Riprova!”
Feci molti tentativi, cominciavo ad avere mal di testa e il
respiro affannato. Quando meno me lo aspettavo, con i suoi poteri mi scaraventò dalla parte
opposta del cortile, sentivo il vento troppo forte contro il mio corpo e
aspettavo l’imminente impatto con il suolo. Solo all’ultimo istante, sentii
sotto di me una pressione che mi risparmiò di ferirmi gravemente o di rompermi
qualche osso. Rimasi seduta per terra, coprendomi la testa con le mani.
Cominciava a girarmi la testa e mi sentivo terribilmente spossata. Volevo
ritornare nella mia stanza, riposarmi per pochi minuti e calmarmi. Kevin corse
verso di me e mi costrinse a guardarlo in faccia: “Rialzati, cosa aspetti? In
battaglia saresti già morta… Adesso prova a pensare a qualche incantesimo, sei
una strega!”
Con il fiato corto, risposi:“Sono esausta, facciamo una
pausa, ti prego.”
Mi sollevò di peso, in pochi secondi ero in piedi di fronte
a lui. Mi guardò severo e mi ordinò di ricominciare da capo, perchè non sarei
rientrata a palazzo finchè non fossi riuscita ad attaccarlo. Mi concentrai e
provai a ricordare tutti gli insegnamenti di Marie, cercando ciò che poteva
essermi di aiuto. Decisi di tentare con un incantesimo di invisibilità,
ricordavo perfettamente come funzionava. Con un po’ di timore, ripetei la
formula in celtico e sentii una forte scossa provenire dal mio corpo. Iniziai a
vedere il paesaggio intorno a me più chiaro, segno che il mio incantesimo aveva
funzionato. Kevin cambiò espressione, sembrava compiaciuto della mia idea. Mi
avvicinai a lui, cercando di farmi venire in mente qualcosa di efficace.
Proprio mentre mi sentivo vittoriosa, venni fermata per l’ennesima volta, ma in
modo più completo. Kevin aveva bloccato ogni parte del mio corpo, potevo solo
muovere i miei occhi. Si avvicinò verso di me, mi afferrò il volto con una mano
e mi fece tornare visibile. Mi guardò vittorioso, poi commentò: “Stai iniziando
ad usare il cervello! Con un umano o un demone avresti avuto la meglio, ma
sappi che se sei invisibile agli occhi, con la magia si può rintracciare ogni
tuo movimento.”. Mi lasciò andare, mi allontanai leggermente da lui, ero
arrabbiata e stanca: “Per adesso può bastare, ma da ora in poi non faremo altro
che esercitarci e non sarò clemente come oggi. Devi attaccare e difenderti
contemporaneamente, devi ferire il nemico ma devi pensare a rimanere in vita,
chiaro?”
Il suo tono di voce non ammetteva repliche, perciò mi
limitai ad annuire e a camminargli a fianco silenziosamente. Proseguimmo per il
giardino senza parlare, in parte perché non ne avevo voglia, ma soprattutto
perché per la prima volta osservai bene quella parte di cortile. Il sentiero
era formato da piccole pietre bianche, ben incastonate tra loro, gli alberi
erano altissimi e carichi di fiori. Nelle zone d’ombra c’erano delle panchine
in pietra dall’aria secolare, ma perfette in ogni loro dettaglio, su alcune
riposavano pigramente dei gatti. In un angolo nascosto del giardino c’era un
lago circondato da cinque salici piangenti, con i rami che danzavano nell’aria,
scossi dalla lieve brezza. Prima di metter piede in quel luogo, credevo che sarei
stata costretta a vivere in un luogo tetro, buio, ma ciò che i miei occhi
osservavano e registravano erano la rappresentazione della perfezione. Avrei
potuto passare ore a passeggiare in quel giardino, solo per guardare incantata
il paesaggio. Kevin notò che la mia attenzione era rivolta al cortile, quindi
mi lasciò il tempo di osservare tutto ciò che volevo e mi permetteva di
fermarmi di tanto in tanto. Quando rientrammo nel palazzo, mi lasciò tornare nella mia camera per rinfrescarmi e
riposarmi, ne avevo assolutamente bisogno. Mi accorsi che ero stata ben sette
ore ad allenarmi, il tempo era letteralmente volato. Mi feci una doccia fresca
e mi sentii subito meglio, la testa non mi faceva più male. Decisi di viziarmi
un po’, mettendomi della crema per il corpo e sistemandomi i capelli. Infine mi
dedicai alla lettura, per rilassarmi e per cercare di apprendere nuove formule.
Dopo un’ora, Marie e Elene vennero a trovarmi, per sapere se
andava tutto bene. La bambina mi corse incontro e volle che la prendessi in
braccio. Come sempre mi raccontò di come aveva trascorso la giornata e mi
dimostrò cosa aveva imparato. Mi riempiva di felicità sentirla ridere e
rendermi partecipe dei suoi giochi, ma Marie la congedò, dicendo che aveva
bisogno di parlarmi. Sua figlia ubbidì, ma prima di andarsene mi chiese se nei
giorni successivi poteva venire a giocare nella mia stanza.
Quando Elene si allontanò, Marie mi riempì di mille domande,
voleva sapere tutti i dettagli dei miei progressi e rimase in silenzio finchè
non finii di farle un resoconto dell’esercitazione. Quando terminai, disse:
“Non credevo che ti avrebbe trattenuta per tutte queste ore, solitamente i
primi allenamenti sono meno intensi. Credi che avrai problemi a continuare ad
avere Kevin come guida?”.
Ero arrabbiata con lui, aveva fatto di tutto per
innervosirmi e c’era riuscito benissimo, ma ero convinta che i suoi
insegnamenti erano necessari, anche se erano estenuanti. Non mi sarei tirata
indietro per nessuna ragione al mondo: “No, voglio continuare, davvero. Va
tutto bene, mi insegnerà molte cose…”. Avevo assunto un tono notevolmente
preoccupato, infatti Marie scoppiò a ridere.
“Non temere, nessuno ti impedirà di ascoltare i suoi
consigli. Volevo solo avere conferma che tutto andasse per il verso giusto.
Però voglio essere informata di qualsiasi problema, anche il più banale, siamo
intesi? Non voglio essere tenuta all’oscuro di niente, vista anche la
diffidenza che ha nei tuoi confronti.”
Abbassai lo sguardo, dispiaciuta. Odiavo pensare che lui non
riuscisse a fidarsi di me solo perché Lara era mia madre, lo trovavo ingiusto.
Marie mi studiò per qualche istante, poi sul suo volto si disegnò un sorriso
malizioso e aggiunse: “Non essere delusa, il tempo porta consiglio e sono certa
che si gli farai cambiare idea.”.
Con quelle parole riuscii a calmarmi e quella sera riposai
tranquilla, ignara di come Kevin volesse continuare l’addestramento.
Gli allenamenti con Kevin proseguivano ininterrottamente e
mi distruggevano fisicamente e psicologicamente. Il primo giorno aveva impedito
che mi ferissi, ma successivamente questo non si verificò più. Ogni sera
tornavo nella mia stanza con numerosi lividi e tagli su tutto il corpo, molte
volte il dolore mi impediva di dormire. Avrei potuto curarmi, ne ero capace, ma
Kevin mi costrinse a non farlo, perchè dovevo avere
il terrore di farmi del male e questo avrebbe accelerato il mio apprendimento.
Così ogni mattina verificava che non mi fossi medicata durante la notte e con
il passare delle ore nuove ferite si aggiungevano a quelle che ancora dovevano
rimarginarsi. Non aveva alcuna pietà di me, neanche quando mi slogavo un polso
o una caviglia e tutto ciò non faceva altro che farmi arrabbiare e innervosire.
Provai a ribellarmi numerose volte, urlandogli contro tutto ciò che mi passava
per la testa, ma lui continuava a dirmi che i suoi metodi avrebbero avuto
presto ottimi risultati e che un giorno lo avrei ringraziato. Avevo forti dubbi
sui suoi criteri di insegnamento, ma non commentavo, avevo deciso di soffrire
in silenzio o almeno ci riuscii per le prime settimane.
Era appena iniziato agosto, il caldo accompagnava tutti i
miei allenamenti. Quel giorno mi sentivo stranamente sicura di me stessa, i
lividi cominciavano a diminuire anche se erano sempre evidenti e dolorosi. Mi
allenavo da circa tre ore, ero riuscita ad evitare numerosi attacchi da parte
di Kevin, ero migliorata tantissimo, lo avevano notato tutti. D’un tratto,
mentre scagliavo su di lui dei rami, mi sentii colpire da dietro le spalle.
Persi l’equilibrio e l’incantesimo di Kevin mi trascinò per diversi metri lungo
il terreno, fin quando il tronco di un albero non fece da ostacolo. Sbattei la
testa sul suolo, mentre con la gamba colpii la pianta. Era stata la caduta più
violenta degli ultimi giorni, a malapena riuscivo a respirare. La testa pulsava
fortemente, mentre sentivo una dolorosa fitta vicino al ginocchio destro, come
se delle lame affilate scavassero sotto la mia pelle. Avrei voluto urlare,
stavo troppo male, ma il dolore mi impediva di emettere qualsiasi suono,
inoltre non riuscivo ad alzarmi in piedi. Il panico lasciò posto alla
consapevolezza di essermi rotta la gamba. Alzai lo sguardo, sperando che
qualcuno capisse che stavo male e che mi soccorresse.
Seduta per terra, vidi Kevin avvicinarsi a me, mentre
diceva: “Forza, alzati. Dobbiamo proseguire. Perché resti immobile?”. Non si
era accorto che mi era impossibile stare in piedi, perciò provai a dire con un
filo di voce: “Io…non…nonposso…cioè…”
ma le parole mi morirono in gola.
Non mi dette il tempo di riprendermi e cercò di sollevarmi
da terra, prendendomi per le braccia. Proprio mentre mi dava sostegno per
alzarmi, il dolore aumentò e urlai: “Fermo… La gamba
è rotta. Non posso muovermi. Lasciami a terra.”. Caddi addosso a lui e una
fitta ancora più forte mi colpì al ginocchio. Lui mi strinse forte a sé e
iniziò a preoccuparsi. Avrei voluto piangere, ma non volevo che lui mi vedesse
fragile o vulnerabile, perciò nessuna lacrima rigò il volto. Stringevo i denti
per il dolore, sapevo che non mi era possibile muovermi. Kevin mi prese tra le
sue braccia e mi portò nella mia stanza.
Quando mi adagiò sul letto, cominciai a perdere la
cognizione di ciò che mi succedeva intorno: sembrava di essere invasa dal
dolore, nella mia mente non c’era posto per altro. Vidi Marie entrare di corsa
nella camera, con il volto preoccupato. Cercai di concentrarmi su quello che
stavano dicendo, riuscii a notare solamente che
entrambi erano molto agitati. D’un tratto Kevin si avvicinò a me e si sedette
al bordo del letto, mentre io mi contorcevo dal dolore. Con voce calma disse:
“Tra pochi secondi andrà tutto meglio…Ti curerò io…”.
Forse in quel momento non riuscivo a pensare con lucidità,
così iniziai a urlargli addosso: “Ora sei contento, vero? Mi avresti potuto
uccidere, ne sei consapevole? E’ questo dolore che mi sta uccidendo…
Lo so, non riesco a resistere.”.
Iniziò ad agitarsi, le mani gli tremavano: “No, non è vero,
stai tranquilla…”. Posò le sue mani sul ginocchio
rotto e rimase immobile.
Mi spostai leggermente per evitare quel contatto e una nuova
fitta mi fece inarcare la schiena: “Non mi toccare…
vattene via, non voglio vederti mai più. Chiaro? Rispondimi: sono stata
abbastanza chiara?”. Kevin rimase interdetto, non sapeva come comportarsi con
me, probabilmente non stavo dando un bello spettacolo di me stessa, ma era più
forte di me, la rabbia aveva superato il mio autocontrollo.
Marie si avvicinò al letto e mi bloccò le spalle: “Stai
tranquilla, vuole solo darti una mano. Non puoi curarti da sola.”. Guardò Kevin
e gli suggerì: “Fai in fretta, sta veramente male. Guarda come trema…”.
Lui appoggiò nuovamente le mani sul mio ginocchio e chiuse
gli occhi. Sentivo le ossa rimarginarsi provocandomi molta sofferenza, così
chiusi e gli occhi e appoggiai la testa sul cuscino. La ferita doveva essere
molto grave, perché ci vollero diversi minuti perché le fitte terminassero.
Mentre attendevo e notavo che la mia gamba stava migliorando, dissi: “Non
voglio restare qui, devo andarmene. Voglio solo vedere Christian, vorrei che
lui fosse con me adesso, starei meglio.”
Marie e Kevin non dissero nulla, così riaprii gli occhi: si
stavano guardando preoccupati ma non mi risposero. Poi il mio sguardo incrociò
quello di Kevin, solo in quel momento mi parlò: “La tua gamba sta ritornando
intatta. Riposati questa notte e se domani mattina hai ancora voglia di tornare
in Italia nessuno ti tratterrà qui.”. Detto questo tolse le mani dalla mia
gamba e si alzò dal letto.
Marie mi studiò per qualche secondo, poi si rivolse a Kevin:
“Non può andare via, abbiamo bisogno di lei. Sofia, ti prego, rifletti: è stato
solo un incidente, ora stai bene, sei solo un po’ stanca. Domani mattina potrai
continuare a esercitarti, come sempre. Si è risolto tutto.”.
Cercai di evitare il suo sguardo e analizzai attentamente la
gamba: riuscivo a muoverla perfettamente e non mi provocava alcun dolore, ero
veramente guarita, ma sapevo che sarebbe potuta andare peggio. Senza guardare
le mie guide, sussurrai: “Non so se sia il caso di restare qui, ci penserò un
po’. Nel frattempo voglio restare da sola a riflettere. Soprattutto, non voglio
vedere te, Kevin.”. Alzai lo sguardo e notai che lui mi stava fissando senza
rivelare le sue emozioni: “Ho tentato di accettare i tuoi metodi, ma sei
solamente pazzo. Credi che i tagli, le ossa rotte possano rendermi una strega
migliore o una donna più forte? Pensavo fossi uno degli stregoni più abili,
speravo di poter contare su di te, invece da quando ti ho conosciuto le poche
certezze che avevo su questa nuova vita si sono frantumate.”.
Ci guardammo per un tempo che mi sembrò interminabile,
infine rispose: “Non era mia intenzione rendere la tua permanenza in queste
mura insopportabile. Vattene, sei solo una ragazzina egoista…
Non fai parte del nostro mondo. Un giorno dovrai smettere di scappare dalle
difficoltà. Dovrai affrontare i tuoi problemi, ma quel giorno sarai sola. Sola
ad a combattere le tue paure.”. Fece cenno a Marie di uscire insieme a lui
dalla mia stanza e rimasi sul letto a riflettere. Le sue parole mi avevano
ferita profondamente, ogni frase non faceva altro che insinuare dubbi nella mia
testa: e se ero io quella sbagliata? Forse non avevo fatto abbastanza per
diventare parte di quel mondo, dove ognuno aveva il suo ruolo, le sue
convinzioni. Io ero per metà una semplice umana, probabilmente era per questo
motivo che mi sentivo così fragile e sperduta. Mi rannicchiai su me stessa e
piansi, quella volta non riuscii a tenere dentro le lacrime e con il volto
ancora bagnato mi addormentai, desiderando di non aver mai fatto quel discorso
con Kevin.
Mi svegliai nel cuore della notte, era impossibile non
accorgersi di quanto tremasse la stanza. Doveva essere un terremoto fortissimo,
anche perché da oltre la porta si sentiva molta confusione. Balzai dal letto,
cercando di farmi strada nel buio. Mi sentivo ancora molto affaticata a causa
dell’incidente di poche ore prima. Sapevo che dovevo correre fuori
dall’edificio ma credevo che non avrei mai fatto in tempo. D’un tratto la porta
si spalancò e la luce proveniente dai corridoi era accecante: “Sofia, muoviti,
dobbiamo difenderci!”. Era Kevin, il suo volto era teso e preoccupato. Gli
corsi incontro, felice di vederlo e di sapere che era venuto a soccorrermi. Mi
buttai fra le sue braccia, faticavo a stare in piedi. Lui mi strinse forte a sé
e sussurrò: “Dannazione, sei ancora così debole!”.
Non riuscivo a capire quello che stava succedendo,
cominciavo solamente a realizzare che non si trattava di un semplice terremoto
e che eravamo nei guai: “Kevin, cosa sta succedendo? Siamo in pericolo?”.
“I demoni ci stanno attaccando. Dobbiamo raggiungere gli
altri, in fretta…”. Mi prese per mano e iniziammo a
correre, più veloceche potevo. Le mie gambe
però giocavano brutti scherzi, inciampai più volte ma prima che potessi toccare
terra le braccia della mia guida mi afferravano per incitarmi a continuare
quella corsa contro il tempo. Una parte di me sapeva che stavamo andando
incontro alla morte, ma improvvisamente mi sentivo tranquilla: ero con Kevin,
avremo combattuto insieme, non mi aveva abbandonata. Saremo rimasti insieme
fino alla fine e d’un tratto capii quanto fosse importante per me. Finalmente
avevo trovato la mia motivazione: renderlo fiero di me e farmi perdonare le
cose orribili che gli avevo urlato in faccia. Potevano sembrare scopi
insignificanti, ma in quel momento era ciò che mi dava forza per affrontare le
mie paure.
Mi lasciai condurre verso corridoi privi di luce e stretti finchè non arrivammo in una sala antica e abbandonata. Una
sua parete era rasa al suolo, consentendo il passaggio a degli esseri deformi e
dalla pelle grigia. Alcuni di loro avevano delle armi arrugginite che ferivano
gravemente la mia gente. Nella sala erano presenti tutte le streghe e tutti gli
stregoni, ognuno di loro si batteva con coraggio per evitare che i nostri
nemici si impossessassero del palazzo. Riconobbi la maggior parte delle persone
con cui avevo condiviso le mie ultime giornate e non potei fare a meno di
notare che molti erano stesi a terra. Un centinaio di cadaveri erano sdraiati
sul pavimento, nessuno si curava più di loro, la battaglia non era terminata e
sarebbe andata avanti ancora per molto.
Kevin d’un tratto abbandonò la mia mano e voltandosi per
regalarmi un ultimo sguardo disse: “Se vedi che per noi non c’è più speranza,
scappa. Fallo per me.”. E corse via, nel giro di pochi secondi mi risultò
difficile distinguerlo tra la folla. Il non vederlo mi provocò una strana
reazione: mi sentivo persa, temevo di non avere più occasione di rivedere i
suoi occhi verdi e sinceri, era una paura superiore a quella del combattere.
Sapevo che non sarei mai riuscita a scappare da quelle mura, i demoni non mi
avrebbero permesso di allontanarmi, mi avrebbero uccisa, in un modo o
nell’altro. I miei pensieri furono interrotti da tre mostri che mi circondarono
e che erano pronti ad attaccarmi. Avevano occhi simili a quelli dei serpenti e
la loro pelle era lucida, dai loro pori usciva una strana sostanza viscida. Non
potevo far a meno di notare il loro odore sgradevole e la loro voce rauca.
Senza esitazione lanciai il primo incantesimo: due demoni caddero a terra, in
una pozza di sangue. Il terzo nemico mi corse incontro, agitando la sua ascia e
urlando a squarciagola. Tesi la mano contro di lui e pronunciai la formula in
celtico: la sua arma esplose e pezzi della sua lama gli trafissero il cranio.
Rimase immobile davanti a me, mentre sul suo volto sfigurato compariva un
perfido sorriso, poi scivolò per terra, privo di vita.
Sentii che le forze mi stavano abbandonando: Kevin aveva
ragione, ero ancora debole. Mi appoggiai ad una delle pareti, cercando di
riprendere fiato. La stanza intorno a me sembrava ruotare senza sosta, avevo la
vista annebbiata. Dovevo continuare a combattere, sapevo che ero in grado di
lottare lucidamente ancora per un po’. I minuti passavano lenti, i gesti erano
sempre più precisi e i riflessi rapidi. Tolsi la vita ad altri sei demoni, poi
lottai con un mostro altissimo, infine persi il conto dei nemici che stavo
uccidendo. In quel momento non riuscivo a percepire la presenza delle altre
streghe, ero concentrata unicamente su me stessa e le mie strategie. Non avevo
modo di cercare con lo sguardo le mie guide, perché per ogni demone che
riuscivo a sconfiggere, un altro mi si parava davanti. Oltre agli incantesimi,
iniziai a ricorrere alle armi, perché ero riuscita a sfilare un pugnale ad uno
dei corpi stesi a terra.
D’un tratto riconobbi Marie, un demone la stava mettendo in
difficoltà ma lei sembrava ancora sicura di sé. Mentre le correvo incontro per
prestarle aiuto, il mostro la trapassò con la sua spada. Dal ventre di lei
iniziò a fuoriuscire del sangue, il suo volto divenne pallido e le sue gambe
cedettero. Il demone la afferrò per i capelli e pronunciò un incantesimo di
fuoco. Parte del suo viso fu invaso da delle fiamme verdi e iniziò ad urlare
per il dolore. Accelerai il passo e mi gettai contro quell’essere ripugnante.
Si girò di scatto, mi ferì ad un braccio e cominciai a sanguinare. La ferita
non era molto profonda ma occupava tutto l’avambraccio, impedendomi di muovere
l’arto. Sentivo la ferita bruciare mentre del sangue caldo colava lentamente
sulla mia pelle, per poi lasciare delle macchie scure sul pavimento.
Il demone rise soddisfatto, credeva di essere a un passo
dalla vittoria, ma la mia rabbia era incontenibile, aveva fatto del male a
Marie e avrebbe pagato con la sua stessa vita. Lo colpii con il pugnale in
pieno petto e pronunciai un incantesimo di avvelenamento. In quel modo la lama
della mia arma fu letale per lui e in pochi secondi il suo cuore smise di
battere.
Corsi incontro a Marie, che giaceva a terra, immobile. Mi
inginocchiai vicino a lei e le tolsi i capelli dal viso. Il suo volto era in
parte bruciato, cancellando alcuni dettagli dei suoi lineamenti. I suoi grandi
occhi viola erano sbarrati, la bocca socchiusa. Provai a chiamarla due, tre
volte, ma invano. Recitai alcune formule di guarigione, ma non c’era più niente
da fare per lei. Tra le lacrime le dissi: “Marie, non puoi andartene così…Marie…”
Un uomo corse verso di me e prese il corpo di Marie tra le
sue braccia. Era alto, i suoi capelli erano in parte ingrigiti, ma il volto non
dimostrava alcun segno dell’età. Aveva le lacrime agli occhi e in quel momento
capii che era suo marito. Le baciò la fronte e la guardò attentamente, mentre
non poteva celare il suo dolore. Le sussurrò qualche frase all’orecchio, ma non
riuscii a capire nulla a causa della grande confusione nella stanza. Poi vidi
Kevin, era stanco ma non sembrava ferito. Si voltò verso di me e capì che era
successo qualcosa di terribile. Lo vidi venirmi incontro, guardare il corpo
privo di vita di Marie e baciarle la mano. Anche il suo volto non riusciva a
nascondere la sofferenza per la perdita di una buona amica, ma a differenza di
me, sembrava ragionare con lucidità.
Mi aiutò a rimettermi in piedi e in quell’istante notò il
braccio sanguinante: “Vieni, andiamocene da qui. Per adesso non c’è più nulla
che puoi fare.”.
Guardai per l’ultima volta Marie, cercando di smettere di
piangere e lasciai che Kevin mi conducesse lontano da quell’inferno. La
battaglia era finita, avevamo respinto i demoni, ma probabilmente a un caro
prezzo. Da quel che avevo potuto constatare c’erano state molte vittime tra di
noi e molti feriti.
Kevin rimase vicino a me, a consolarmi e a medicarmi il braccio.
Ero a pezzi, era come se vagavo in una stanza buia e fredda , mentre lui era un
piccolo spiraglio di luce, lontano e difficile da raggiungere, ma una parte di
me, non so se la testa o il cuore suggeriva di andargli incontro.
Ritornare alla normalità non fu facile, non potevo
cancellare dai miei ricordi il dolore, la morte e le terribili immagini della
notte dell’attacco, l'unica mia certezza era che non potevo abbandonare la mia gente, sarei rimasta ad affrontare le avversità con loro. L’intero Palazzo non si fermò un solo istante, vennero
organizzati i funerali per i deceduti e iniziò la ricostruzione delle sale
distrutte. Fortunatamente, dopo la tragedia ci fu una buona notizia: Kevin avrebbe
fatto parte della Corte dei Severi. Lui era felicissimo e emozionato, così il
suo entusiasmo riuscì a contagiarmi e a tirarmi su il morale.
La cerimonia di nomina era fissata per il 9 agosto alle sei
del pomeriggio. Mancava solo mezz’ora e sarei scesa alla sala, tutto era
perfetto, la serata sarebbe stata fantastica, mi sentivo bene. Mentre mi stavo
sistemando i capelli, squillò il cellulare: era Christian.
“Ciao, amore… Come stai?”.
“E me lo chiedi? Sofia, che stai facendo? Ti rendi conto che
è più di una settimana che non ti fai sentire?”. Sembrava molto arrabbiato.
Possibile che mi ero dimenticata di telefonargli? Avevo così tanti pensieri che
mi ero scordata di lui, non mi era mai successo.
“Possibile? Ti sbagli, non può essere passato così tanto
tempo. Mi dispiace se ti ho fatto preoccupare…”.
“Senti, smettila con i tuoi soliti mi dispiace e dimmi che hai… Da quando sei partita è cambiato qualcosa, anche tu
sei cambiata. Voglio la verità…”
Aveva ragione, ero diversa, ma non potevo dirgli quello che
stavo vivendo. Inoltre non ero più sicura dei miei sentimenti nei suoi
confronti, anche perché cominciavo a voler bene a Kevin e questo iniziava a
logorare la mia storia con Christian. Sapevo però che parte della verità dovevo
rivelargliela: “Non sai quanto mi è difficile dirtelo: sono confusa. Qui è
tutto diverso, mi sono resa conto che voglio di più da una relazione. Tu sei
importante per me, ma non mi basta più. Mi dispiace dirtelo così, avrei dovuto
parlartene prima…”.
“Oddio, Sofia. Che stai cercando di dirmi? Mi vuoi
lasciare?”. Era sempre più nervoso, odiavo quando si arrabbiava in quel modo,
non ragionava più.
“Voglio del tempo per riflettere. Non ti chiedo altro.”
“Forse non hai capito: voglio una risposta in questo preciso
istante…”.
Non sapevo cosa dire, non volevo prenderlo in giro o
ferirlo, ma sapevo di non amarlo più come prima. Con voce tremante, risposi:
“Hai ragione, forse è meglio farla finita. Non pensavo che sarebbe andata in
questo modo. Temo che questo sia un addio…”.
“Allora addio, Sofia. Non sentiamoci più, è meglio troncare
ogni tipo di rapporto.”. E riattaccò. Mi misi seduta sul pavimento, la schiena
appoggiata al letto. C’è un limite alla sofferenza? Dopo quanto dolore un cuore
può smettere di battere? Io ero al limite della sopportazione, mi sentivo vuota
e insensibile. Avrei desiderato starmene immobile per sempre, lasciare che i
minuti, le ore scivolassero sul mio corpo privando la mia vita di ogni senso.
Rimasi a fissare il pavimento, senza muovermi, fin quando suonò la sveglia del
cellulare, per ricordarmi che la cerimonia stava per iniziare. Mi guardai per
l’ultima volta allo specchio, notando il riflesso di quella ragazza vestita di
scuro e con il volto stranamente pallido.
I corridoi erano deserti, erano già tutti alla Sala Reale. Accelerai
il passo, desideravo distrarmi, essere circondata dalla gente, per non pensare
a Christian. Sapevo che lasciarlo era la scelta più opportuna perché ormai
avevo deciso di vivere come una strega. Questo nuovo mondo non poteva
coincidere con quello passato, inoltre non avevo intenzione di mollare tutto,
non dopo tutto quello che avevo passato.
Entrai nella sala e presi posto.Non c’erano addobbi o decorazioni, tutto era
molto semplice, ma elegante e curato nei minimi dettagli, come sempre. Al
centro della sala presero posto i membri della Corte dei Severi e notai subito
che era stata preparata una poltrona vuota per Kevin. Nella sala scese il
silenzio e prese parola Edmond Cross, uno stregone con cui avevo avuto modo di
parlare poche settimane prima. Era un uomo sui trenta anni ed era molto
intelligente e affascinante: “Io, Edmond Cross, parlo a nome della Corte dei
Severi. Convochiamo Kevin Larris.”.
Kevin entrò deciso nella stanza. Oltre al suo classico
abbigliamento composto da camicia nera e pantaloni scuri, aveva un mantello
nero che gli regalava un fascino particolare. Il suo volto era serio e un po’
teso. Appena lo vidi, mi sentii subito meglio, dimenticai quello che avevo
fatto pochi minuti prima e pensai solo a lui. Strinse la mano a Edmund, che
proseguì: “Kevin Larris è invitato ad unirsi alla
Corte dei Severi per il suo continuo impegno in questi anni per la nostra
comunità e per il coraggio mostrato nell’ultima battaglia. Kevin Larris, ti offriamo un grande privilegio, ma da esso derivano
grandi impegni. Sei disposto ad accettarli e continuare il tuo operato con
giudizio e fedeltà per la nostra comunità?”.
“Io, Kevin Larris, sono onorato di
entrare a far parte della Corte dei Severi e giuro di accettare le
responsabilità che mi affiderete.”.
“Allora così sia. Hai la nostra fiducia, siamo sicuri che
non ci deluderai.”.
Si strinsero nuovamente la mano, poi Edmond lasciò Kevin da
solo: era il momento del discorso. Ci aveva lavorato a lungo, in modo quasi
maniacale e non mi aveva dato il permesso di leggerlo. Fece uno dei suoi soliti
sorrisi, poi cominciò a parlare: “Io, Kevin Larris,
ho sempre desiderato far parte del Corte dei Severi, ma non sempre i sogni
possono avverarsi. Quest’oggi però questo sogno è diventato realtà, ma ho ancora
molti progetti, molti desideri. Mi sono accorto che questo non è il punto di
arrivo, ma un punto di partenza. E’ l’opportunità per migliorare me stesso e
ciò che mi circonda. In questo giorno vorrei ricordare a tutti voi il nostro
obbiettivo: vivere senza la minaccia dei demoni e della Setta dei Giusti. Un
singolo individuo non può nulla, ma insieme possiamo cambiare la nostra vita.”.
Streghe e stregoni applaudirono entusiasti. Kevin sorrise e si
mise seduto alla sua poltrona. Ero fiera di lui e sapevo che lui in quel momento
era felicissimo. Tutti i membri della Corte si alzarono dal loro posto e
andarono a stringergli la mano, come da tradizione. La cerimonia era finita,
lasciando posto ai festeggiamenti.
Mi avviai con la folla alla sala dove era stato organizzato
un buffet e attesi l’entrata di Kevin, volevo fargli le mie congratulazioni e
parlargli, ormai sapevo che passare del tempo con lui mi faceva stare bene.
Aspettai impaziente per alcuni minuti, fin quando i componenti della Corte
entrarono chiacchierando. Ovviamente, l’attenzione era tutta per il nuovo
membro, perciò si trattenne con decine di persone che volevano scambiare due
chiacchiere con lui, poi finalmente si avvicinò verso di me e lo abbracciai,
sussurrandogli all’orecchio che meritava tutto questo e che ero felicissima per
lui. Mi studiò per qualche istante e
prese il mio volto tra le mani, costringendomi a guardarlo negli occhi: “Per me
tutto questo è molto importante, ma se tu fossi ritornata in Italia, la mia
nomina non avrebbe colmato il vuoto che avresti lasciato.”
“Per me tutto questo è molto importante, ma se tu fossi
ritornata in Italia, la mia nomina non avrebbe colmato il vuoto che avresti
lasciato.”
Rimasi pietrificata da quelle parole, dal suo sguardo carico
di sentimento. Avrei tanto voluto dirgli che per me lui era importante, che
stava diventando parte della mia nuova vita, ma una parte di me aveva paura. Io
e Christian ci eravamo appena lasciati, non ero pronta a lasciarmi andare in
una nuova storia, inoltre non mi sembrava giusto.
Presi coraggio e mentre Kevin mi teneva ancora il volto con
le sue mani, dissi: “Cosa vuoi dire? Ti prego, ho bisogno di capire...”.
“Cosa c’è da capire? Pensavo che i miei gesti e le mie
attenzioni fossero chiare. Sofia, io mi sto innamorando di te, ogni secondo
passato al tuo fianco è un regalo meraviglioso. Lo so che sta succedendo tutto
in così poco tempo, ma io voglio provare a starti vicino e non solo come una guida
o come amico...”.
Abbassai lo sguardo, non avevo il coraggio di guardarlo
ancora negli occhi. Improvvisamente ebbi paura delle sue parole, anche se erano
sincere. Forse non ero ancora pronta per amarlo, o forse già provavo qualcosa
per lui. In quell’ istante mi resi conto che avevo paura solamente della mia
indecisione. Lui capì dalla mia espressione che qualcosa non andava e si
allontanò un po’ da me.
Rialzai lo sguardo e guardai il suo volto deluso: “Kevin, io
non so cosa provo per te. Sono certa che ti voglio bene, sei il mio punto di
riferimento e la persona che mi è stata più vicina in questo periodo difficile.
Con te ho conosciuto parti del mio carattere che ignoravo, ho scoperto cos’ è
il terrore, la sofferenza, ma ho anche capito che a volte esce una parte di me
del tutto nuova, la mia parte più coraggiosa. Io ho così tante cose da
imparare, devo ancora conoscere me stessa, perché non sono più la ragazzina che
viveva a Roma, persa nel suo mondo. Come posso provare a conoscerti se ancora
non so chi sono io? Iniziare una storia con te non mi porterebbe da nessuna
parte, mi confonderebbe le idee. L’ unica cosa che conta per me in questo
momento è diventare una strega forte e indipendente, tutto il resto è solo una
distrazione che non posso permettermi.”. Mentre dicevo questo delle lacrime
scorrevano solitarie sul mio viso, soffrivo terribilmente, ero distrutta. Desideravo
con tutto il cuore amarlo, renderlo felice, essere al suo fianco, ma i problemi
e la sofferenza degli ultimi giorni creavano una barriera tra noi due. Nel
mondo c’erano cose più importanti dei miei sentimenti nei suoi confronti, c’era
una guerra che durava decenni, c’era odio. Avrei tanto voluto che tutto questo
sparisse, che ci fossimo solo lui ed io, ma tutto ciò era da egoisti, non potevo
fingere di non vedere la terribile realtà che ci circondava.
Speravo che lui capisse, che il mio discorso non rovinasse
il nostro rapporto, ma non fu così. Mi guardò adirato, i suoi occhi mostravano
tutta la sua rabbia e rispose: “Lo sapevo, pensi sempre a te stessa. Per te non
conta nient’ altro, le persone che ti circondano non hanno alcun valore. Io
darei la vita per te e tu mi ripaghi in questo modo? Stai rovinando uno dei
giorni più belli della mia vita, aspettavo questo momento da tanti anni e con
due semplici parole l’ hai reso un inferno. Tu sei proprio come tua madre,
distruggi tutto ciò che hai intorno.”.
Non erano solo le sue parole a ferirmi, era anche il suo
sguardo, carico di odio e rancore. Non era più il Kevin che mi era stato
accanto negli ultimi giorni, era un estraneo. Non voleva capire ciò che
provavo, quanto stessi soffrendo in quel momento. La sua freddezza nei miei
confronti mi fece sentire sola, per la prima volta da quando mi ero trasferita
al Palazzo di Ermen. Nei primi giorni sapevo di poter
contare su Marie e quando lei era morta, non mi sentivo abbandonata perchè Kevin era al mio fianco, mi aveva dato la forza per
rialzarmi e sperare in un futuro migliore. Ma in quel momento ero veramente
sola e mi mancava il respiro.
Dovevo allontanarmi da quegli occhi verdi e da quello
sguardo crudele. Piangendo, corsi lontana da lui, non mi importava più della
festa. Uscii dal salone, percorsi di fretta i corridoi deserti, sperando che
nessuno mi seguisse. Andai nel giardino, l’ aria era calda, non c’ era un filo
di vento. Mi incamminai verso un viale secondario e mi misi seduta su una
panchina, sola con il mio dolore. In quel momento riuscivo solamente a
piangere, non volevo fare altro. I singhiozzi mi toglievano il respiro, mi
sentivo a pezzi. Dopo circa dieci minuti iniziai a calmarmi, mi asciugai le
lacrime e mi lasciai travolgere dal silenzio del giardino. Sapevo che nessuno
avrebbe notato la mia assenza almeno fino alla fine dei festeggiamenti. Nessuno
mi avrebbe cercata e nessuno avrebbe interrotto quel momento. Decisi di
rimanere lì ancora per un po’, avrei affrontato i miei problemi in un altro
momento, magari il giorno successivo.
Ad un tratto sentii una risata cristallina, molto simile
alla mia. Sentivo dei passi veloci verso la mia direzione e improvvisamente
vidi una ragazza, forse più giovane di me, che correva spensierata. Dietro di
lei c’era un ragazzo alto, con i capelli castani e un po’ lunghi. Il ragazzo la
raggiunse e la abbracciò teneramente. In quel momento vidi il volto della
ragazza: era mia madre. Mi alzai dalla panchina e urlai: “Mamma!”. Ma lei non
mi sentì, nemmeno quel ragazzo. Non riuscivano a vedermi, mentre io non
riuscivo a credere ai miei occhi.
I due ragazzi si guardavano intensamente e si misero seduti
su una panchina vicino a quella dove fino a poco fa ero seduta. Ero incantata
da tutto ciò, forse stavo sognando e non avevo intenzione di svegliarmi. Una
nuova lacrima mi bagnò il viso, ero così vicina a mia madre, potevo rivedere
ancora una volta il suo volto.
Il ragazzo le baciò delicatamente le labbra e le disse:
“Promettimi che sarà sempre così.”
Lara lo guardò interrogativa: “A cosa ti riferisci Simon?”.
Simon. Quel ragazzo era il padre di Kevin. Lo guardai in volto, per trovare
delle somiglianze. L’ unica cosa in comune con il figlio erano gli occhi, dello
stesso colore che mi aveva incantato.
Simon riprese a parlare: “Promettimi che non ci lasceremo
mai, che un giorno mi sposerai e che passeremo tutta la vita insieme.”.
Lara sorrise dolcemente e rispose: “Lo prometto. Nulla potrà
cambiare quello che provo per te, perché io ti amerò sempre. Prometto anche che
un giorno ti sposerò, ma quel giorno è ancora lontano. Abbiamo solo quindici
anni!”. Entrambi scoppiarono a ridere, felici di essere insieme. Sorrisi amaramente
e mormorai tra me e me: “Mamma, non sai quanto ti sbagli.”.
L’ immagine si dissolse lentamente e davanti a me trovai una
donna che indossava un lungo mantello nero. I suoi capelli castani scuri erano
molto corti e lisci. I suoi occhi erano scuri, spenti, ma di un taglio
bellissimo. Era molto magra, con il volto delicato che stonava con il suo
sorriso. Si, perché quel sorriso non mi convinceva per niente.
“Sofia, finalmente ho il piacere di conoscerti.”.
Indietreggiai titubante: “Chi sei tu, e come sai il mio
nome?”.
“Sono l’ unica donna che abbia amato Simon. Io sono Anne.”.
Non era possibile, non poteva essere la madre di Kevin.