How can I break this spell?

di _hurricane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hot Milk ***
Capitolo 2: *** Something Stupid ***
Capitolo 3: *** Brothers ***
Capitolo 4: *** Euphoria ***
Capitolo 5: *** Chocolate eyes 'n Magazines ***
Capitolo 6: *** Autumn wind ***
Capitolo 7: *** Night surprise ***
Capitolo 8: *** Looking for a smile ***
Capitolo 9: *** Just one tear ***
Capitolo 10: *** No brother no cry ***
Capitolo 11: *** Truth ***
Capitolo 12: *** Enough? ***
Capitolo 13: *** Change is in the air ***
Capitolo 14: *** Trial ***
Capitolo 15: *** Invitation ***
Capitolo 16: *** Heaven ***
Capitolo 17: *** Hell ***
Capitolo 18: *** Bluff ***
Capitolo 19: *** Idea ***
Capitolo 20: *** Meeting ***
Capitolo 21: *** Deliciously insecure ***
Capitolo 22: *** Confessions ***
Capitolo 23: *** Face to face ***
Capitolo 24: *** Happiness ***
Capitolo 25: *** Blame it on the music ***
Capitolo 26: *** Under the sheets ***
Capitolo 27: *** Wrong day ***
Capitolo 28: *** Knock Knock ***
Capitolo 29: *** Back in my arms ***
Capitolo 30: *** Breathing love ***
Capitolo 31: *** Two is better than one ***



Capitolo 1
*** Hot Milk ***


1. Hot Milk

 

2:59

Kurt guardò i numeri della sveglia elettronica scattare a 3:00. L’unica luce visibile era proprio quella dei numeretti rossi, che sembravano pulsare nel buio della sua stanza grigio Dior. Rossi come la sciarpa di Blaine nel suo sogno, in cui finalmente non erano più soltanto due Usignoli della Dalton che si divertivano a prendere insieme il cappuccino da Starbucks. Eppure, Kurt era così contento… no, deliziato da quell’equilibrio che si era creato dal niente, da essere allo stesso tempo terrorizzato di mandarlo all’aria con una parola di troppo. La convinzione prevalente degli ultimi giorni era stata quella di aspettare, in modo che le cose potessero nascere da sole, o almeno in modo da poterlo sperare, e intanto passare ogni sabato mattina con Blaine. In fondo, non era detto che il semplice fatto che fosse gay implicasse un interesse nei suoi confronti; e sicuramente aveva avuto a che fare con molti più ragazzi di lui in precedenza, non essendo l’unico ad averlo dichiarato apertamente nella sua scuola. Sospirando, Kurt si alzò dal letto, accese la piccola lampada sul comodino color tortora e si diresse verso le scale, per andare in cucina. Il resto della casa era decisamente diverso dalla sua stanza: non avendo potuto trasmettere a suo padre il senso dello stile, aveva preferito lasciar perdere e pensare ad arredare la sua stanza come se fosse il suo piccolo loft. Sembrava di passare dal rifugio di un taglialegna all’atelier interrato di Dolce e Gabbana. Con i piedi nudi e infreddoliti, cercò di percorrere con cautela il pavimento del salotto, per non svegliare nessuno. Era una cosa che gli riusciva bene: camminare con passo leggiadro era fondamentale nelle sfilate di moda, e da bambino ne aveva fatte così tante nella sua cameretta, quando suo padre faceva il turno doppio in officina. Metteva le scarpe col tacco di sua madre, perfettamente allineate nell’armadio della camera da letto, come se lei potesse ancora indossarle; poi un foulard e magari una pelliccia, cercando di abbinarli il meglio possibile al colore del pigiama. Doveva mettere chili di cotone in ogni scarpa per farci entrare i piedi, e faceva male, ma non gli importava. Immaginava di essere a Parigi, Milano, New York, protagonista della settimana della moda. E poi l’odore di sua madre lo faceva sentire così al sicuro…

Arrivato in cucina, Kurt rimase sorpreso nel trovare la luce accesa. Raramente suo padre andava in giro per casa la notte; ma in effetti, pensò un secondo dopo, anche lui lo faceva raramente, quindi non ne poteva essere tanto sicuro. Poi gli venne in mente che ormai in quella casa non erano più soltanto in due. Infatti, varcata la porta di legno della cucina in stile rustico, si trovò davanti Finn. Le sue spalle sembravano ancora più larghe davanti ad un angolo cottura così piccolo, e il fatto che fosse seduto al tavolo al centro della stanza, rannicchiato su una tazza vuota, lo faceva sembrare una specie di enorme orso, raggomitolato su sé stesso per leccarsi le ferite. Per Kurt lo era stato una volta: un cucciolo ferito che avrebbe tanto voluto accudire… ma adesso gli sembrava fosse passata una vita. “Ciao Finn” esordì con voce annoiata, consapevole del fatto che come al solito il suo neo-fratellastro non lo avrebbe messo al corrente delle sue preoccupazioni, e che d’altro canto non si sarebbe interessato delle sue. E infatti l’unica risposta che ottenne fu un “Ciao Kurt”, senza nemmeno un’alzata di sguardo. Non potè fare a meno di notare che accanto alla tazza, sul cui bordo Finn continuava a disegnare cerchi immaginari con l’indice, c’era il suo cellulare. Cercando di sbirciare qualche frase dal messaggio che intravedeva sullo schermo, si avvicinò al tavolo, e con nonchalance passò alle spalle di Finn per dirigersi al frigorifero. L’unica parola che riuscì a leggere fu il mittente, “Rachel”, e tanto bastava per capire. Rachel gli aveva accennato che tra lei e Finn c’erano dei problemi. Una volta aperto il frigo, rintracciò un cartone di latte tra i toast avanzati avvolti nel chellofan e le bibite gassate, per versarlo in un pentolino e berlo caldo insieme ad un po’ di miele. “Vuoi del latte caldo?” chiese a Finn per cortesia, dandogli le spalle. Solitamente quella frase ne precedeva un’altra, del tipo “Cos’hai Finn? Parliamo un po’!”, ma quella notte era davvero solo per cortesia. Era andato in cucina per sedersi e rimuginare su come comportarsi con Blaine, non per sentire di nuovo parlare di Miss Rachel Berry e delle sue manie di protagonismo. Perché molto probabilmente la questione aveva a che fare con qualche suo colpo di testa… Eppure, sapere di essersi perso chissà quanti acuti di Mercedes, litigate tra Finn e Puck, addirittura granite in faccia e nuovi modi inventati da Rachel per essere al centro dell’attenzione, lo facevano sentire un alieno in divisa rossa e blu. Si consolava pensando che almeno, rinunciando a tutte quelle cose, aveva ottenuto la tranquillità e la sicurezza che soltanto Blaine poteva dargli. “No, grazie” rispose Finn, continuando a girare l’indice sul bordo della tazza in maniera quasi ipnotica. Sicuramente era stato tratto in inganno dalla domanda, e per evitare di autorizzare involontariamente Kurt ad una lunga “chiacchierata cuore a cuore” aveva risposto di no. Kurt lo intuì subito: “No, dico sul serio, non è per parlare” aggiunse, voltandosi verso di lui con il pentolino in mano. “Allora ok” rispose Finn, alzando lo sguardo e spingendo la tazza verso Kurt. Dieci minuti dopo entrambi avevano finito di bere, e non c’era più una scusa plausibile per non parlare. Ma Kurt era deciso a farsi gli affari suoi questa volta, così prese le tazze (impedendo a Finn di fare altri cerchi concentrici immaginari sulla sua) e le ripose nel lavandino. Senza dire una parola si diresse verso la porta, deciso a riflettere nella sua stanza, dove sicuramente non avrebbe incontrato nessuno visto che Finn preferiva dormire sul divano-letto del salotto, in attesa di una casa più grande. Non aveva più varcato quella soglia da quando aveva detto quella parola. La parola che in casa sua non doveva assolutamente essere pronunciata; “forse sarebbe meglio mettere un cartello all’entrata” aveva detto Kurt a suo padre, per sminuire l’accaduto. “Aspetta”. Kurt si fermò sulla porta. “Mi dispiace, Kurt. Di essere così… scontroso.” “Non fa niente Finn, lo capisco. Si vede che c’è qualcosa che ti preoccupa… non ne devi parlare per forza.” Kurt si girò di nuovo verso l’interno della cucina, appoggiandosi con un gomito allo stipite della porta, una gamba incrociata sull’altra, in attesa del classico sfogo liberatorio etero che inizia con “Le donne!” o qualcosa di simile. Nel periodo in cui Finn era l’obiettivo di un grande piano che consisteva in breve nello screditare il sesso femminile, aveva notato quanto una donna potesse essere problematica… è vero, Quinn era in preda agli sconvolgimenti ormonali, ma era certo che Rachel riuscisse ad essere difficile da sopportare tanto quanto un’adolescente incinta, cacciata di casa e arrabbiata con il resto del genere umano. Il sorrisino saccente testimoniava la sua soddisfazione nel sapere di essere così bravo a predire i pensieri degli etero, e di Finn, ma scomparve quando invece si sentì dire: “E tu? Perché ti sei alzato?” “I-io…” esitò, abbassando lo sguardo sulle sue unghie dei piedi, “…si è fatto tardi, torno a dormire.” Girò i tacchi, e stavolta si diresse verso il suo loft senza preoccuparsi del rumore dei piedi. Raccontare a Finn dei suoi dubbi non avrebbe fatto altro che accreditare la sua opinione, secondo la quale lui era una specie di stalker di bei ragazzi che non sapeva distinguere l’amicizia dall’infatuazione. E poi, perché doveva essere lui ad aprirsi per primo? Lasciandosi sprofondare nel materasso, giunse all’amara conclusione che forse nessuno avrebbe potuto capirlo. Nemmeno Mercedes, che aveva subito una specie di overdose da discorsi omosessuali al Bel Grissino un po’ di tempo prima. “Lascia le cose come stanno” continuava a ripetersi tra sé e sé, prima guardando il soffitto e poi anche ad occhi chiusi, dopo aver spento la lampada sul comodino. Molto presto, il suo pensiero si spostò egoisticamente alle borse sotto gli occhi che di certo avrebbe avuto la mattina dopo. Alla fine riuscì a prendere sonno, con la mente dispersa tra creme da notte e copri occhiaie.

 

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Capitolo 2
*** Something Stupid ***


2. Something Stupid

 

“Buongiorno usignolo!”

Eccolo, il saluto che gli scaldava il cuore. “Pronto per le prove?” Kurt fece fatica a rispondere in tempo, essendosi incantato, come accadeva spesso, a guardare i capelli perfetti di Blaine immaginando di poterci giocare con le dita. “Eh? Ah, si, certo!” “Uhm, hai fatto le ore piccole, vero?” disse Blaine tenendosi il mento con la mano e scrutandolo divertito. “Cavolo, le occhiaie!” pensò Kurt sconvolto. Evidentemente il suo choc era più palese di quanto pensasse, perché Blaine lo rassicurò dicendo: “Ehi, tranquillo! Anche a me succedeva di studiare fino a tardi all’inizio!” Un’amichevole pacca sulla spalla e poi un “Ci vediamo alle prove!” mentre si allontanava per il corridoio luminoso della Dalton con la valigetta sotto braccio. Kurt si toccò la spalla sorridendo. Se bastava così poco per farlo sentire felice, non era dannatamente egoista volere a tutti i costi qualcosa di più? Dopo aver lottato tutta la vita per essere sé stesso, aveva trovato qualcuno a cui andava bene davvero. Non era abbastanza questo?

Anche Blaine aveva lottato per essere sé stesso. Sapere di non doverlo più fare era un gran sollievo, ma spesso si ritrovava a domandarsi cosa sarebbe successo se invece avesse deciso di restare, e combattere. Per questo aveva voluto trovare un suo “riscatto”, aiutando Kurt a far convivere la sua identità con il suo ambiente scolastico… tuttavia, non era arrabbiato con lui per aver mollato. Al contrario, la sua paura ora era di sentirgli dire di voler tornare al McKinley, per riuscire dove lui aveva fallito. Ogni volta che lo vedeva a scuola, prima di avvicinarsi restava ad osservarlo per un po’, cercando di capire dalla sua espressione quanto fosse felice di stare lì. Se lo vedeva troppo stressato per lo studio, o con le sopracciglia leggermente aggrottate per chissà quale preoccupazione, interveniva con una delle sue frasi sarcastiche, sperando (forse un po’ egoisticamente) che in quel modo Kurt avrebbe realizzato che ne valeva la pena. A fine giornata, se per caso aveva avuto troppo da fare, gli mandava un messaggio con la buonanotte: le sue scuse per non averglielo ricordato ancora una volta. In realtà non sapeva con certezza se Kurt carpisse davvero le sue intenzioni dietro quei gesti così semplici, apparentemente privi di senso… eppure, sarebbe bastata una piccola, semplice frase per fare in modo che Kurt restasse alla Dalton senza provare il minimo rimpianto per quello che si era lasciato alle spalle.

Dopo una settimana di scuola abbastanza ordinaria per entrambi, arrivò il consueto sabato mattina, quello per cui Kurt si alzava molto presto, eccitato come un bambino che deve aprire i regali di Natale sotto l’albero. Puntualmente i vestiti che aveva scelto la sera prima mettendo a soqquadro i suoi armadi non andavano più bene, perciò dovette ricominciare tutto da capo. “Il vantaggio del non sapersi vestire” pensò tra sé e sé, immaginando quanto tempo si potesse risparmiare. Quando uscì dalla sua camera, indossando già la giacca e il cappello rosso e grigio abbinato alla sua sciarpona preferita, il resto della famiglia era riunito in cucina per la colazione: Finn ancora nel suo anonimo pigiama a rombi blu, la madre in tuta, nonostante i consigli di Kurt sull’essere curata anche in casa, e suo padre con la classica camicia di flanella a quadretti. Ma in quel momento dare lezioni di moda era l’ultimo dei suoi pensieri, così saluto tutti con entusiasmo e uscì velocemente. Era da un po’ di sabati che la cosa andava avanti, perciò tutti e tre, chi più chi meno, avevano capito di cosa si trattava. Sull’autobus per raggiungere il centro di Lima, dove per volere di qualche anima pia era sorto Starbucks, la testimonianza che la modernità del resto dell’America era riuscita ad infettare un minimo quella piccola città, Kurt si mise alle orecchie le cuffie del suo iPod per ripassare ancora una volta “Something Stupid”, la canzone della settimana al Glee Club degli Usignoli. La verità è che quel “qualcosa di stupido” era proprio quello che avrebbe voluto dire a Blaine, o meglio ancora sentirsi dire. Senza rendersene conto, ad un certo punto non la stava più semplicemente canticchiando; per fortuna l’autobus era semivuoto, ma i pochi presenti non poterono fare a meno di notare che Kurt si agitava come se avesse un microfono in mano, intonando con la sua voce angelica (ovviamente nei panni di Nicole Kidman):

[ http://www.youtube.com/watch?v=BoY432ga0wQ&playnext=1&list=PLE78852E34B5E2678 ]

 

I know I stand in line 
Until you think you have the time 
To spend an evening with me 
And if we go someplace to dance 
I know that there's a chance 
You won't be leaving with me 

Then afterwards we drop into a quiet little place 
And have a drink or two 
And then I go and spoil it all 
By saying something stupid 
Like I love you 


Continuò anche sceso dall’autobus, e durante il breve tragitto per arrivare al bar. Improvvisamente una voce, calda e familiare, si unì alla sua.


I can see it in your eyes 
That you despise the same old lines 
You heard the night before 
And though it's just a line to you 
For me it's true 
And never seemed so right before 

I practice every day to find some clever 
lines to say 
To make the meaning come through 
But then I think I'll wait until the evening 
gets late 
And I'm alone with you 

 

Blaine camminava accanto a lui lungo il marciapiede, ondeggiando a ritmo di musica come se stesse ballando un walzer immaginario. Iniziò a fare giravolte intorno a Kurt, che intanto era sempre più rapito e ammaliato dai suoi movimenti, dalla sua voce, dai suoi occhi... Un enorme sorriso faceva presagire le parole che poco dopo sarebbero uscite dalla sua bocca, sussurrate ma allo stesso tempo ferme e decise.

 

The time is right 
Your perfume fills my head 
The stars get red 
And oh the night's so blue 
And then I go and spoil it all 
By saying something stupid 
Like I love you 
I love you... 


“I love you.”

La canzone era appena finita. Blaine si fermò, con un’espressione indecifrabile in viso, facendo desiderare a Kurt di essere fulminato all’istante (ovviamente dopo essersi tolto il maglione firmato). “Oddio, mi sa che ho perso il conto, lo dice almeno venti volte alla fine!” disse di scatto, cercando di essere credibile. La sua finta risata non convinse nemmeno lui, ma Blaine sembrò cascarci. “Eh si, hai ragione. Allora, cappuccino?”

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Capitolo 3
*** Brothers ***


3. Brothers

 

Il fatto che Kurt pesasse 45 chili dopo una cena abbondante aveva da sempre disilluso suo padre sulle possibilità di vederlo diventare un quarterback o un lottatore di box, e la larghezza irrisoria delle sue spalle non lo rendeva adatto nemmeno per il nuoto. Eppure, inspiegabilmente, quando tornava a casa arrabbiato per qualcosa riusciva a sbattere la porta così forte da far tremare le fondamenta, tanto da rincuorare suo padre sui suoi sogni di gloria andati in fumo, un secondo prima di preoccuparsi della causa di tanta rabbia. Quella mattina in realtà era frustrazione, mista alla voglia di prendersi a padellate in testa o di andare in giro per la città in leggins e maglia corta come punizione per essersi lasciato sfuggire quelle dannate parole. Burt Hummel, sapendo in partenza che il motivo era un ragazzo e sapendo anche di non essere ancora emotivamente preparato ad affrontare certi discorsi con suo figlio, fece un cenno a Finn, indicando Kurt che si allontanava a testa bassa verso la sua stanza. Il ragazzo, un po’ riluttante, rispose con un cenno di assenso, sapendo in cuor suo di essere in debito con l’uomo che aveva davanti, e in fondo anche con il suo nuovo “fratello”. Da quando aveva detto quella parola, aveva creato una specie di muro tra di loro, nonostante il chiarimento al matrimonio dei genitori, quando gli aveva promesso che gli avrebbe sempre guardato le spalle. In quel momento, sentendo la porta della stanza di Kurt sbattere più violentemente di quella dell’ingresso, Finn si rese finalmente conto che “guardarti le spalle” non doveva necessariamente significare picchiare chi ti minaccia o farti da scorta come se fossi il presidente degli Stati Uniti, perché ci sono colpi più duri da affrontare di granite in faccia o spinte contro gli armadietti. E lui lo sapeva bene. Per la seconda volta era stato tradito, e con la stessa persona: Puck, l’amico più muscoloso, più delinquente e più sessualmente attivo di lui. E che si trattasse di uomini o di donne, tutti prima o poi mentono, feriscono, deludono: consolare Kurt non sarebbe stato poi così difficile. Ormai erano sopravvissuti alla convivenza forzata, alla teatralità di Lady Gaga, al tentativo di Kurt di far sembrare la stanza un bazar indiano gay… si, ce l’avrebbero fatta. “Sarò tuo fratello” promise a sé stesso Finn, scendendo le scale che portavano alla camera di Kurt dopo aver recuperato un sandwich vegetariano dal frigo, consapevole del fatto che Kurt avrebbe preferito pranzare da solo.

“Vattene via”. Era la voce acuta di Kurt, resa più ovattata dal cuscino nel quale aveva affondato la sua testa. Finn ci mise un po’ a realizzarlo, visto che la stanza era per la maggior parte nella penombra e che Kurt era diventato un tutt’uno con il suo letto; inoltre si rese conto che, pur essendo passato non molto tempo dall’ultima volta che vi era entrato, l’arredamento era cambiato ancora una volta. Sempre gli stessi mobili in stile essenziale e chic, ma con un ordine diverso; in particolare, lo specchio da camerino che Kurt usava per i suoi rituali di idratazione, e che prima era alla base delle scale, ora si trovava in un angolo, accanto al letto. Al suo posto c’era una specie di piccola bacheca, come quelle della scuola usate per attaccarci i volantini con le puntine. Finn si avvicinò al muro per vedere meglio, a causa della luce fievole proveniente dalla piccola lampada sul comodino di Kurt, in fondo alla stanza. C’era la foto di un ragazzo con i capelli neri, un po’ troppo gellati (pensò con eccessivo senso critico), con una divisa uguale a quella di Kurt; una scritta realizzata con i ritagli di giornale che diceva “coraggio”; una serie di scontrini di Starbucks perfettamente allineati per data; e infine un cuoricino con al centro un nome, Blaine. In pratica, quella bacheca gli aveva appena fornito il “quadro della situazione” senza nemmeno aver avuto bisogno di parlare. Però non spiegava il perché della rabbia di Kurt, così Finn, sempre rimanendo a distanza dal letto, decise di provare: “Allora Kurt, cosa è succ-“ “Lo so che stai guardando la bacheca”. La voce di Kurt sembrava provenire da dentro una bolla, e il fatto che riuscisse ad essere così serio continuando a tenere la testa affondata nel cuscino iniziò a provocare una certa ilarità mista a tenerezza in Finn. Proprio come un vero fratello minore, Kurt in quel momento era un bambino capriccioso, che finge di non volere attenzioni soltanto per sentirsi più lusingato nel riceverle, e orgoglioso, che dice “Non c’è niente che non va” sperando con tutto il cuore che l’altra persona non ci creda. E proprio come Finn si era immaginato, lui sarebbe stato il fratello maggiore, sempre in grado di prevedere le mosse dell’altro ma mai capace di farglielo pesare. “Che ne diresti di girarti? In pratica da qui non ti vedo, e ti sento a malapena!” Finn decise di prendere Kurt per il verso dell’umorismo, visto che solitamente non riusciva a fare a meno di rispondere ad una battuta con un’altra ancora più tagliente. “Beh, accendi la luce allora”. Ancora la voce ovattata. Finn fece una piccola risata, riflettendo sul perché non ci avesse pensato prima, e una volta trovato l’interruttore eseguì. Kurt era disteso sul suo letto matrimoniale come l’uomo vitruviano, ma a pancia in giù; sembrava non avere la minima intenzione di voler cambiare posizione. “Ok, se vuoi restare così per me va bene, tanto sei tu che devi ascoltare me”. I discorsi ad effetto non preparati erano la sua specialità, perché poteva dire le cose senza pensarci troppo; al contrario, quando doveva dire qualcosa di prestabilito perdeva continuamente il filo. Questo era Finn. “So cosa stai pensando: perché dovrei confidarti i fatti miei quando tu non mi racconti nemmeno cosa succede al Glee Club? E infatti hai ragione. Ecco, io e Rachel… lei mi ha tradito. Con Puck. E io sono arrabbiato con lei, col mondo, con te perché te ne sei andato, con me stesso perché non riesco mai a far funzionare niente, né dentro questa casa né fuori.”  Kurt lentamente si girò, lasciando una voragine sul cuscino. Si mise seduto sul bordo del letto, senza alzare lo sguardo ma facendo cenno a Finn di avvicinarsi. Finn non se lo fece ripetere due volte, e avanzando concluse: “Per questo voglio far funzionare almeno una cosa. Questa cosa… Io e te. Dopo il matrimonio, quelle belle parole che ti ho detto sono rimaste solo parole, e ho capito che devo impegnarmi di più”. “Finn, non devi sentirti obbligato a-“ “Non mi sento obbligato! Come posso spiegarti…” Ecco di nuovo la faccia da cucciolo ferito, come quando si erano incontrati in cucina di notte. “Kurt, io voglio essere tuo fratello”. Kurt alzò lo sguardo, mostrando per la prima volta alla debole luce i suoi occhi, ora improvvisamente lucidi. Un minuto di silenzio. “…mi sono lasciato scappare che lo amo, e lui… sembrava così sollevato quando ho inventato una scusa. Che IDIOTA che sono”. Finn sorrise. “Dai, racconta dall’inizio”. Si sedette anche lui sul letto, e dopo avervi poggiato il piatto con il sandwich, rimase ad ascoltare Kurt come non aveva mai fatto prima.

 

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Capitolo 4
*** Euphoria ***


4. Euphoria

 

Quel pomeriggio, un’importante notizia sconvolse casa Hummel. Subito dopo pranzo Burt convocò tutti in salotto, la stanza sicuramente più irriconoscibile da quando la famiglia si era allargata, dato che i vestiti di Finn erano ammassati in varie pile sul tavolo e il caminetto ormai inutilizzato era diventato una scarpiera. Una felpa grigia con il logo del McKinley stava distesa sullo schienale di una sedia, mentre su un termosifone si asciugava in bella vista la sua biancheria intima. Finn e Kurt salirono insieme dalla sua stanza, Kurt con la tipica espressione “Non c’è niente da vedere, non ho pianto”. I quattro si sedettero intorno al tavolo/scaffale di vestiti di Finn, in attesa. La faccia di suo padre non faceva presagire niente di buono, così Kurt, in un momento di pessimismo già abbondantemente avviato, interruppe il silenzio: “Devo tornare al McKinley vero? La rata della Dalton è troppo alta, lo sapevo!” Incrociò le braccia sul tavolo e abbassò la testa, battendo ripetutamente la fronte sul legno come un martello su un’incudine. La chiassosa risata di suo padre lo lasciò con la fronte a mezz’aria, a fissare il bordo del tavolo domandandosi cosa ci fosse da ridere. “No Kurt, sta tranquillo! La notizia è che… ho trovato una casa!” Kurt alzò la testa, sentendosi più leggero di 20 chili, per potersi sistemare il ciuffo stravolto e assaporare le reazioni della sua nuova famiglia. Burt e sua moglie Carole si abbracciarono; Finn invece aveva una faccia strana, quella di chi deve fare una rivelazione sconcertante sapendo di rovinare un momento di gioia collettiva. “Finn, cosa c’è? Non è quello che volevi?” gli domandò Kurt preoccupato. Forse voleva tornare a vivere nella sua vecchia casa, sbigottito dal suo improvviso sfogo esistenziale? L’idea di poter essere la causa della sua imminente fuga iniziò a rimbombare nella sua testa. Anche i genitori si fermarono a guardare Finn, incuriositi. “Infatti, è quello che volevo. Ma adesso non ce n’è più bisogno” rispose il ragazzo con incredibile tranquillità. Panico. Kurt era sul punto di piangere ancora una volta e maledirsi per aver raccontato a Finn tutte le sue cotte andate male, dal bambino biondo dell’asilo che era scappato via urlando fino all’ultima, quella per Blaine. Forse avrebbe dovuto diventare suo fratello a piccole dosi! “Kurt, perché mi guardi in quel modo? Sto dicendo che voglio dividere la camera con te!” esordì Finn, preoccupato dall’espressione tra il folle e il disperato di Kurt. Come se l’avessero provato, tutti e tre tirarono un sospiro di sollievo, che riecheggiò in quel salotto disordinato come fosse una folata di vento. La serenità che improvvisamente riempì la stanza calò come una nebbiolina sottile, a nascondere almeno per un momento gli effetti fin troppo visibili di una convivenza da perfezionare. “Oh Finn, che bello!” esclamò Kurt, sfoggiando il più bello dei sorrisi. La nebbia di serenità era calata anche sulla sua tristezza, trasformandola in quell’euforia travolgente che lo prendeva ogni volta che si parlava di cambiamenti. “Dovrò cambiare arredamento! Allora, stavolta lascerò perdere il catalogo IKEA, fa troppo camera preconfezionata da grande magazzino, non trovi? Ci vuole un tocco più personale, un tocco alla Furt! Potremmo fare un mix tra colori caldi stile Far West, magari con un appendi-abiti rustico e una poltrona di pelle marrone, e colori freddi tipo stagione autunno-inverno Armani del ’94! Poi una cabina armadio… tappeto di piume… lampadario blu cobalto… puff coi cowboys…” Per chiunque tranne che per Kurt, da un certo punto in poi il discorso iniziò ad essere un susseguirsi di parole senza senso e abbinamenti improbabili, per quello che ne capivano ovviamente. La scena era alquanto comica: Finn indietreggiava, mentre Kurt continuava a parlare a raffica elencando tipi di carta da parati con le dita (era già arrivato a 8) e avanzando verso di lui. “Ok Kurt, poi decidiamo…” “Va bene, va bene mettiamo quella lilla!” “No, aspett- che colore sarebbe?!” Niente da fare, nessuna di quelle frasi riusciva a spegnerlo... Finn si rese conto che forse c’era soltanto un modo per farlo, un modo che conosceva piuttosto bene. In fondo era stato proprio Kurt a consigliargli di risolvere i problemi cantando, quando era stato invitato a casa Fabray. Il fatto che i risultati non fossero stati proprio rosei (il ricordo del padre di Quinn che puntava il timer del microonde era ancora particolarmente vivido) in un primo momento lo scoraggiò, ma Kurt continuava a parlare e il camino/scarpiera gli sbarrava la strada per la fuga. Di colpo si fermò.

 “SHUT UP!”

 [ http://www.youtube.com/watch?v=jLp8C2OfkqY ]

 

Shut up, shut up, shut up
Don't wanna hear it
Get out, get out, get out
Get out of my way
Step up, step up, step up
You'll never stop me
Nothing you say today
Is gonna bring me down

Don't tell me who I should be
And don't try to tell me what's right for me
Don't tell me what I should do
I don't wanna waste my time
I'll watch you fade away

So shut up, shut up, shut up
Don't wanna hear it
Get out, get out, get out
Get out of my way
Step up, step up, step up
You'll never stop me
Nothing you say today
Is gonna bring me down!

 

Kurt lo fissava sconvolto, imbarazzato da un lato per sè stesso e dall’altro proprio per Finn, che si dimenava per tutto il salotto senza un minimo di musica di sottofondo. Almeno in autobus lui aveva avuto quella dell’iPod! Alla fine della canzone Finn tornò vicino a lui, per niente toccato dalle facce leggermente allibite di sua madre e di Burt, e disse: “Ok, ora posso parlare?!” “S-si, certo” rispose Kurt a testa bassa, sentendosi in colpa per averlo assalito con concetti di stile troppo complessi per lui. Decise che da quel momento avrebbe fornito al suo nuovo fratello insegnamenti di estetica e stile in pillole. Ma se credeva che gli avrebbe lasciato arredare la stanza come quella che aveva nella vecchia casa, beh, si sbagliava di grosso! Piuttosto che vedere dei cowboys rincorrersi sul soffitto, avrebbe preferito indossare una salopette. Glieli avrebbe concessi su un puff, una lampada, un cuscino… o magari avrebbero potuto usare un teschio di bufalo come soprammobile, ma la cosa probabilmente gli avrebbe provocato incubi notturni.

“Per favore, decidiamo insieme” continuò Finn. “L’ultima volta che hai fatto tutto da solo, abbiamo visto com’è andata a finire…” concluse riferendosi più che altro a sé stesso ed al suo comportamento, nonostante pensasse seriamente che quell’arredamento da negozio di tappeti orientali fosse orrendo. “Va bene, scendo a prenderti il mio blocco di riviste Casa&Moda dal 90 ad oggi e dei post-it, così ognuno può segnare le cose che gli piacciono!” rispose Kurt, preso da un entusiasmo moderato ma pronto a scoppiare nuovamente da un momento all’altro, unito alla fervida speranza, in cuor suo, che Finn scegliesse cose accettabili. 

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Capitolo 5
*** Chocolate eyes 'n Magazines ***


5. Chocolate eyes 'n Magazines

 

Quando Finn vide tornare Kurt in salotto dopo una buona mezz’ora, non poteva certo sapere che aveva accuratamente strappato le pagine raffiguranti suppellettili di dubbio gusto. Aveva inoltre perso tempo a causa di svariati dubbi esistenziali, quando si era trovato davanti qualcosa di meraviglioso e imperdibile da un lato della pagina, e qualcosa di terribile dall’altro, dovendo decidere nel giro di un secondo se valesse la pena correre il rischio. In effetti, Finn trovò molto strano che in certi punti delle riviste ci fossero salti di 10 pagine, ma Kurt si giustificò dicendo che molte le aveva usate da piccolo come poster e che ormai non si potevano più recuperare. Nel corso del pomeriggio, le riviste si riempirono a poco a poco di post-it blu e fucsia, rispettivamente di Finn e Kurt; quelli fucsia riportavano vari gradi di apprezzamento, “accettabile”, “non male”, “F A V O L O S O”, “pensarci su”, “bel colore”… Finn cercò ripetutamente di non ridere vedendo Kurt così indeciso tra l’uno e l’altro voto, specialmente quando lui finì un’ora prima, giusto in tempo per vedere la partita di football. Di tanto in tanto, durante il match, vedeva con la coda dell’occhio che Kurt era ancora lì, seduto tra ammassi di jeans, post-it appallottolati e riviste ordinate per anno di pubblicazione, ad arrotolarsi il ciuffo tra le dita, animato da chissà quale dilemma.

Nei giorni che seguirono, Kurt riuscì a distrarsi dal pensiero di Blaine grazie all’impegno di trovare una giusta via di mezzo tra i suoi gusti e quelli di Finn, un impegno sicuramente non da poco. Tuttavia, era un compito che non poteva portare anche a scuola: se fosse stato ancora al McKinley avrebbe sicuramente tappezzato l’anta dell’armadietto con ritagli di riviste e tasselli di gradazioni di colore, ma alla Dalton era tutto molto più impersonale ed elegante, e cose del genere non si addicevano ai mobili in mogano e ai divani di pelle. Né poteva portarseli nella sua carpetta, visto che era già strapiena di libri e di testi per le prove degli Usignoli. Perciò alla Dalton il suo pensiero tornava ad essere uno soltanto… Dopo la lunga chiacchierata con Finn, il consiglio che aveva ricevuto, e che trovava essere la cosa più ragionevole da fare, era stato quello di comportarsi come se niente fosse successo, perchè probabilmente per Blaine era davvero così. Il pensiero che invece Blaine avesse capito quella frase ma l’avesse volutamente ignorata lo assillava nel profondo, insieme alla consapevolezza di essere destinato a rimanere nel dubbio.

Dopo le prove degli Usignoli del mercoledì Kurt, che solitamente rimaneva qualche minuto in più per fare correzioni su una canzone o per suggerire brani da mettere in repertorio, raccolse la sua cartella da terra e si diresse verso la porta. Sentendosi tirare per la giacca, si voltò: Blaine lo fissava con un sopracciglio aggrottato, una delle espressioni che Kurt amava di più in assoluto, perché gli dava l’idea di una persona che riesce a leggerti dentro e che da un semplice gesto capisce che c’è qualcosa che non va. Il che aveva dei risvolti decisamente negativi, visto che il suo scopo era quello di evitare Blaine il più possibile e che, se davvero ne era in grado come pensava Kurt, avrebbe scoperto ciò che lui non aveva più intenzione di ripetere se non dopo una dichiarazione d’amore degna di un romanzo rosa. “E’ tutto ok?” – la tipica domanda alla quale se rispondi di sì non vieni creduto, e se rispondi di no sei costretto a spiegare perché. Forse Blaine non sapeva leggere dentro, ma era bravo a mettere le persone con le spalle al muro. Comunque sia, Kurt decise che era di gran lunga meglio non essere creduto, perciò rispose: “Si, certo! Scusa, vado di fretta perché devo ri-arredare la mia stanza, quindi ho molto da fare a casa”. Decisamente più convincente della sua scusa dopo “Something Stupid”, pensò. “Come mai? Non ti piace più?” domandò Blaine sinceramente incuriosito, visto che Kurt si era spesso dilungato su quanta dedizione avesse messo nell’arredare la sua stanza, mostrandogli addirittura delle foto (ovviamente nessuna di loro raffigurava la sua “bacheca segreta”). “Mi piace molto, lo sai, però Finn ha finalmente deciso di dividerla con me e mi è sembrato giusto cambiarla”. “Oh, quindi tuo padre non cerca più un’altra casa?” “L’aveva trovata, ma poi Finn ha detto che non ce n’era più bisogno… beh, meglio così, altrimenti pagare la retta della scuola sarebbe stato ancora più difficile!” Quella normale conversazione rincuorò Kurt sulla sua capacità di essere credibile, e di conseguenza sul fatto che non fosse necessario evitare apertamente Blaine. Il problema si sarebbe presentato sabato, quando il tempo da passare con lui sarebbe stato superiore ai 5 minuti… Scacciando questa nuova preoccupazione dalla mente, si congedò: “Beh, allora vado… la scelta della carta da parati richiederà molto tempo!” Si grattò la testa, impacciato. “Ehm, bene allora… ci vediamo”. Si allontanò senza che l’altro potesse rispondere. Colpa di quegli occhi color cioccolato e quelle labbra perfette, oggetto di sogni ad occhi aperti e maledizioni per tutto il tragitto dalla Dalton fino a casa… e fino a sera.

Anche dalla piccola foto sulla bacheca di Kurt, gli occhi di Blaine sembravano penetrarlo come se fossero reali. Più volte aveva pensato di toglierla, senza mai trovare il coraggio. In effetti, quella foto incorniciata aveva per Kurt lo stesso effetto di quei soprammobili in finto oro a forma di faraone, venduti in negozi di oggettistica da quattro soldi, che sembrano seguirti con lo sguardo dall’alto del loro scaffale, oppure l’effetto di uno di quegli enormi ritratti, solitamente affissi nel corridoio di un castello medievale, che ti fissano con cattivi propositi. Più che esserne spaventato, però, Kurt ne era così ammaliato che spesso Finn, scendendo le scale del suo seminterrato, lo ritrovava impalato al centro della stanza, con una mano sul mento, a fissarla. Altre volte invece lo vedeva fare avanti e indietro, o muoversi verso destra e poi verso sinistra, testando quanto davvero quella fotografia lo seguisse con lo sguardo. Insomma, vedendolo da fuori era uno spettacolo divertente e un po’ raccapricciante allo stesso tempo. Fino a quel giorno Finn non se ne era preoccupato più di tanto: si limitava a fare marcia indietro, oppure ad aspettare che Kurt uscisse dal suo stato di trance per dirgli che la cena era pronta, chiedere se aveva visto i suoi calzini a righe ecc. Ma essendo recentemente diventati fratelli, Finn, vedendo ancora una volta Kurt in piedi davanti alla sua bacheca, noncurante della radio che trasmetteva una delle sue canzoni preferite, decise che tra le sue nuove mansioni di fratello c’era sicuramente quella di fargli presente quanto la cosa fosse anormale. “Kurt… KURT!” Il diretto interessato sobbalzò. “Eh?! Oh, si, la cena! Arrivo!” si precipitò a rispondere. “Veramente sono ancora le 6 del pomeriggio” rispose Finn, in tono leggermente sarcastico. “Si può sapere che stai facendo?!” “Stavo… decidendo dove mettere la bacheca quando ci saranno i nuovi mobili. Secondo te dovrebbe stare di fronte alla finestra per avere più luce, oppure sopra la testata del letto?” – le sue doti di improvvisazione erano davvero un dono del cielo. Eppure, Finn insistette. “Si, certo” sentenziò sorridendo. Scese le scale verso di lui, e dandogli una pacca sulla spalla continuò: “Forse dovresti toglierla, sai? Non ti fa un bell’effetto”. “Tanto non cambia niente. Li vedo comunque a scuola”. “Li vedi?” chiese Finn incuriosito. “Si, i suoi occhi” fu la risposta, così breve eppure così carica di significato. Specialmente per Finn, che tutti i giorni faceva i conti con quelli di Rachel, che sembravano urlare in ogni momento “Perdonami, perdonami, perdonami!” mentre lui vi vedeva riflesso, come in due piccoli schermi, quel tradimento compiuto per una rabbia così stupida e infantile. Entrambi soggiogati dal potere di due occhi marroni, rimasero in silenzio. Complice, una canzone semi-sconosciuta proveniente dalla radio:

 [ http://www.youtube.com/watch?v=bOyqIpHJ4NQ ]

 

Ran outta hope, ran outta faith
Ran outta milk about quarter past eight
I gave up on dreams and regrets
I gave up smoking but not cigarettes

Chocolate eyes, chocolate eyes
Things are looking up
Chocolate eyes, chocolate eyes
Things are looking up for us, for us

Ran outta juice, ran outta cool
Went for a drive but ran out of road
You ran out on me, left me all alone
You ran all of the way home

Chocolate eyes, chocolate eyes
Things are looking up
Chocolate eyes, chocolate eyes
Things are looking up for us, for us

I don't know where I'm going
All I know is where I have been.

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Capitolo 6
*** Autumn wind ***


6. Autumn wind

 

La mattina dopo, Kurt arrivò leggermente in anticipo alla Dalton. Non aveva dormito molto a causa degli occhi di Blaine, vividi e lucenti anche nei suoi sogni, perciò tanto valeva alzarsi prima e mettersi le creme mattutine con un po’ più di calma. Se avesse saputo che questo avrebbe significato scoprire una cosa tanto sconvolgente, forse ci avrebbe pensato due volte e sarebbe andato a comprare un pacchetto di sonniferi dalla farmacia di turno. Infatti, appena sceso dall’autobus nell’ampio parcheggio della Dalton, la scuola maschile più esclusiva della zona, si trovò davanti qualcosa di assolutamente inaspettato: una ragazza. Il semplice fatto che fosse di sesso femminile era già un evento, in effetti; ma la cosa non lo avrebbe colpito più di tanto, se la ragazza in questione non avesse avuto il braccio di Blaine attorno alle spalle. Kurt rimase a debita distanza, strabuzzando gli occhi per essere sicuro che quello fosse davvero Blaine. Divisa della Dalton (beh, ovvio), cartella marrone, sciarpa rossa, mascella scolpita, labbra da sogno impegnate in sorrisini da flirt, riga sempre perfetta e riccioli ben pettinati fatti apposta per essere scombinati. Sì, era proprio lui. Da dietro un cespuglio, con una capacità di mimetizzazione degna di un militare in Vietnam, Kurt continuò a spiare i due, appoggiati allo sportello di un’automobile blu, fino a quando non sentì degli studenti ridere dietro di lui, giustamente divertiti nel vederlo accovacciato tra le foglie. Si voltò di scatto, diventando improvvisamente rosso nell’atto di inventare qualche scusa: “Mi-mi erano caduti dei fogli…” balbettò. Voltatosi di nuovo verso il “luogo del delitto”, si accorse che sia Blaine che la sua misteriosa accompagnatrice erano svaniti. Si guardò intorno per cercarla: di sicuro non era entrata a scuola con lui. Ma si rese conto, un secondo dopo, che era stato così intento a squadrare Blaine dalla testa ai piedi che non ricordava nemmeno che faccia avesse quella ragazza. Poteva anche avere 12 anni, per quello che sapeva; una dodicenne in divisa verde e azzurra, e questo già denotava la tendenza agli abbinamenti scontati della scuola da cui proveniva, qualunque essa fosse. Si avviò velocemente all’ingresso, mordendosi le labbra per non aver perso più tempo ad idratarsi il viso quella mattina.

Anche se le prove degli Usignoli erano solo il mercoledì, spesso Kurt e Blaine si incontravano nella sala mensa per pranzare e chiacchierare. Negli ultimi giorni Kurt si era sempre portato uno snack da casa, proprio per evitare quel consueto incontro; anche quel giovedì, si apprestava a mangiare il suo cibo biologico e bere la sua bevanda ipocalorica in uno dei cortili interni della Dalton, su una panchina più appartata rispetto alle altre. I pini perfettamente curati che lo circondavano erano scossi dal vento fresco dell’autunno, che a tratti faceva rabbrividire Kurt nella sua giacca blu e lo costringeva a tenere il suo piattino di carta attaccato alla panchina con una mano. “Non capisco come fai a mangiare quella roba” – una voce proveniente dal nulla lo fece sussultare, nonostante fosse dannatamente familiare. Il vento la disperse nell’aria, rendendo impossibile capire da quale punto preciso del cortile provenisse. Kurt realizzò soltanto quando Blaine si sedette accanto a lui, facendosi spazio tra una bottiglia di succo all’ACE e la sua cartella. Cercò di mascherare la sorpresa rispondendo prontamente: “Non puoi pretendere di avere una pelle liscia e niente smagliature se mangi schifezze”. Blaine gli sorrise, ma un velo di tristezza aleggiava sul suo viso, cosa che non gli sfuggì. Quando si trattava di Blaine, ogni espressione aveva un significato, e ogni gesto andava interpretato. Tuttavia, aveva paura di chiedere quale fosse il problema, ancora tormentato dalla possibilità che quella frase di Something Stupid detta fuori posto lo avesse turbato o persino infastidito. O magari, pensò, semplicemente aveva problemi per la testa che non riguardavano lui. In fondo, forse non era neanche più gay! Calò un silenzio imbarazzante, interrotto a tratti da Kurt che masticava imperterrito una foglia di lattuga, quasi con l’intento di riempirlo con quel rumore insistente. “Kurt” - il suo nome uscì dalla bocca di Blaine in tono interrogativo, facendo già presagire un’imminente continuazione. Il rumore del cibo tra i suoi denti fu sostituito da quello dei battiti del suo cuore, sempre più martellante e soprattutto sempre più accelerato. L’ansia di sapere cosa passasse per la testa di Blaine era palpabile, come le foglie avvizzite a causa dell’autunno, ammassate ai bordi dei viali del centro di Lima. Lo fu ancora di più quando Blaine schiuse nuovamente le labbra, per concludere: “Ho fatto qualcosa di sbagliato?” Kurt avrebbe voluto rispondere “Sì, hai deliberatamente ignorato la mia casuale dichiarazione d’amore e oggi hai abbracciato una RAGAZZA!” ma tenne a freno la lingua e rispose: “Certo che no! Perché dici così?”. Blaine si grattò la testa; era ancora più affascinante quando non sapeva cosa dire. Gli dava un’aria da non-del-tutto-perfetto-ma-quasi che Kurt adorava. “Andiamo Kurt…” disse sospirando. Poi lo guardò dritto negli occhi, ignaro del fatto che questo gesto, invece di comunicargli l’importanza delle sue successive parole, lo avrebbe semplicemente distratto. Kurt infatti si stava già crogiolando in quel marrone scuro; se la biologia molecolare glielo avesse permesso, con tutta probabilità si sarebbe liquefatto. Ma la frase che seguì lo riportò bruscamente alla realtà: “Perché mi stai evitando?!” Più che un’accusa, era quasi una supplica. “Ma che dici? Non è v-“ “Invece si! Io non mi intendo molto di strategie e segnali, sai, però mia sorella dice che se un ragazzo un giorno dice che deve ri-arredare la sua stanza, quello dopo che suo padre si è preso una malattia dal nome impronunciabile, e quello dopo ancora che un albero è caduto sul contatore elettrico della sua casa, beh, qualcosa non va!” Kurt si rese improvvisamente conto che le sue scuse nel corso della settimana non erano state molto convincenti, ma non se ne preoccupò più di tanto. La sua mente si era focalizzata su “mia sorella”. Che fosse…? “T-tu hai una sorella?!” domandò con un tono quasi sconvolto, diverso da quello calmo e disinteressato che avrebbe voluto. “Si, mi accompagna a scuola tutte le mattine… ma cosa c’entra adesso mia sorella?!” ribattè Blaine irritato. “Perché non me l’hai mai detto?” continuò Kurt, deciso a cambiare l’argomento del discorso come se nulla fosse. Blaine si alzò di scatto dalla panchina. “Ok Kurt, sai che ti dico? Quando vuoi farmi sapere cosa ti passa per la testa, fammi uno squillo”. “No, aspetta!” disse Kurt strattonandolo per la manica della giacca, e ricevendo in tutta risposta uno sguardo furibondo. “Sto aspettando”. Ma Blaine voleva sentire una verità che Kurt si vergognava troppo a dire: “ti sto evitando perché ti amo”. Rimasero in silenzio, l’uno nero di rabbia e l’altro interdetto, frustrato, combattuto. Lasciare quella manica senza aggiungere una parola forse avrebbe significato perderlo per sempre, ma anche dire la verità. Aveva sentito di coppie di amici che non si erano più parlati dopo un rifiuto ad una dichiarazione d’amore, per evitare di far soffrire il povero malcapitato o semplicemente per l’imbarazzo dell’altro nel dover far finta di niente. Non potè far altro che stringere più forte, sperando che, per chissà quale legge telecinetica, i pensieri che le sue labbra si rifiutavano di esprimere avrebbero raggiunto la mente di Blaine. “Non te ne andare” sussurrò disperato. Ma Blaine lo ignorò, cercando di liberarsi dalla stretta incredibilmente ferma dato l’aspetto gracile di Kurt. Ci riuscì con un forte strattone, poi aggiunse: “Allora dimmi perché mi eviti” – “Non posso” – “Perché no?!” – “Non posso!” – “Basta, me ne va-“

Ma l’ultima frase gli rimase incastrata in gola, soffocata da un bacio al sapore di frutta.

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Capitolo 7
*** Night surprise ***


7. Night Surprise

 

“Non posso” – “Perché no?!” – “Non posso!” – “Basta, me ne va-“

Kurt lo fece senza pensare. Vedendo Blaine allontanarsi, il suo corpo reagì d’istinto prendendogli il viso tra le mani e accostando prepotentemente le labbra alle sue. Come una reazione chimica, una pianta rampicante che si protende verso il sole, un predatore che scatta all’odore della preda. Si accorse di aver baciato Blaine soltanto dopo averlo fatto, come se la frazione di secondo intercorsa tra quella frase ed il suo gesto non fosse mai esistita. La campanella assordante che stabiliva la fine della pausa pranzo lo riportò bruscamente alla realtà: lasciò il viso di Blaine e si allontanò di un passo, rosso come un peperone, portandosi una mano alla bocca in segno di visibile sconcerto per quello che era stato in grado di fare. Non osò guardare Blaine negli occhi; si voltò, raccolse la sua cartella insieme agli avanzi del pranzo lasciato a metà e corse via verso l’interno dell’edificio. Blaine era così sorpreso da ciò che gli era appena successo che non seppe bene cosa fare, perciò i suoi riflessi non furono abbastanza pronti da fermare Kurt, ormai sparito senza che se ne accorgesse. Si mosse al rallentatore, come se lo scenario attorno a lui fosse quello di un film appena visto, non appartenente alla realtà. Durante le lezioni successive non si incontrarono, e per tutto il giorno nessuno dei due ebbe il coraggio di mandare un messaggio all’altro.

A cena, Kurt si dibatteva tra l’estasi del ricordo e il rimorso per la sua deliberata incoscienza, infilzando i pezzi di hamburger nel suo piatto come se volesse bucare il piatto, la tovaglia e il legno del tavolo. Carole, la madre di Finn, lo apostrofò: “Va bene Kurt, non cucinerò più hamburger!” “Oh, scusami… non c’entrano gli hamburger. Sono solo un po’… stanco”. Si alzò da tavola sorridendo lievemente; Finn lo guardò con aria preoccupata, ma preferì lasciargli un po’ di spazio. Kurt si diresse alla veranda antistante la casa: un piccolo portico, due sedie ed un tavolino, al quale amava sedersi da piccolo per disegnare arcobaleni e prati fioriti con i pastelli a cera. Si sedette sulla sedia che il più delle volte era stata occupata da sua madre, mentre lo guardava giocare sotto il portico; uscì il suo iPhone dalla tasca dei pantaloni, sperando di vedere un messaggio che non c’era. Lo rimise al suo posto, deluso, e nel rialzare lo sguardo notò una figura femminile provenire dal vialetto. Nonostante la luce della cucina fosse troppo debole per illuminare bene anche l’esterno, per Kurt i mocassini color cuoio di Rachel Berry erano inconfondibili. Avvolta in un cappotto bianco a pois marroni, abbinato ad un berretto di lana, la ragazza stava proprio camminando verso di lui. Si fermò sulle scale di legno, e con aria furtiva si mise in punta di piedi, sbirciando all’interno, sicuramente per accertarsi che Finn fosse in casa. “Si, è in cucina” mormorò Kurt precedendo la sua domanda. “Oh, bene!” esclamò Rachel con aria soddisfatta. Dopo aver frugato tra le tasche del suo lungo cappotto, ne uscì un CD e aggiunse: “Per favore, puoi farglielo ascoltare? E’ importante”. Kurt la squadrò con aria interrogativa. “Ehm, si, certo” rispose prendendo il CD. “Grazie Kurt, sei un tesoro!”  disse Rachel salendo improvvisamente sotto il portico. Gli diede un bacio sulla guancia e lo salutò, per poi scomparire velocemente nel buio, soddisfatta di aver portato a termine la sua missione. Kurt lo dedusse dalla piroetta che le vide fare, mentre si allontanava lungo il vialetto. Evidentemente era certa che quel disco, qualunque cosa contenesse, avrebbe davvero funzionato. Questo generò in lui una grande curiosità, così tornò in cucina senza pensarci due volte. Finn stava lavando i piatti, occupando come al solito metà della stanza con la sua alta figura. “Finn, puoi venire giù un momento?” disse Kurt. Il fratello si voltò. “Va bene, mi asciugo le mani e arrivo”. Kurt decise di iniziare a scendere in camera, per attaccare lo stereo alla presa a muro. Quando Finn lo raggiunse, esordì senza mezzi termini, sventolando il CD: “L’ha appena portato Rachel, è per te”. Finn cercò istintivamente di appropriarsene non appena Kurt fece per premere il tasto di accensione dello stereo, ma l’agilità ebbe la meglio sulla forza e con uno scatto impercettibile il CD era già pronto per partire. “Dai Finn, sappiamo entrambi che vuoi sapere cosa dice” disse Kurt per convincerlo a lasciargli il braccio, in modo da poter premere il pulsante “Play”. Il ragazzo sospirò, lasciando la presa.

 [ http://www.youtube.com/watch?v=bt42hh6lce8 ]

 

Can you forgive me again?
I don't know what I said
But I didn't mean to hurt you

I heard the words come out
I felt that I would die
It hurt so much to hurt you

Then you look at me
You're not shouting anymore
You're silently broken

I'd give anything now
to kill those words for you

Each time I say something I regret I cry "I don't want to lose you."
But somehow I know that you will never leave me, yeah.

'Cause you were made for me
Somehow I'll make you see
How happy you make me

I can't live this life
Without you by my side
I need you to survive

So stay with me
You look in my eyes and I'm screaming inside that I'm sorry.

And you forgive me again
You're my one true friend
And I never meant to hurt you
 

 

“Ti amo, Finn.”

 

I due ragazzi rimasero per un pò in silenzio. Kurt scrutava Finn attentamente, anche durante la canzone, per interpretare la sua reazione; ma l’unica cosa che notò fu che teneva i pugni chiusi e la mascella serrata, come se volesse trattenersi dallo spaccare in due lo stereo. Quando la canzone ripartì in automatico, Finn girò i tacchi e lasciò la stanza, senza dire una parola. Kurt si sentì in dovere di non seguirlo, come Finn stesso aveva fatto quando lui si era alzato da tavola poco prima. Si sedette sul letto, ormai circondato da scatoloni vari, pieni di libri o di vestiti pronti da sistemare negli armadi in arrivo insieme agli altri mobili che avevano scelto insieme. La voce dolce e cristallina di Rachel continuava a chiedere un perdono difficile da ottenere, ma in fondo la musica poteva fare miracoli. Purtroppo Kurt non sarebbe stato al McKinley il giorno dopo per vedere eventuali sviluppi, e la cosa gli dispiacque molto. Lasciò che il brano si ripetesse per almeno 5 volte, in modo da potersi concentrare sui problemi di Finn e non sui suoi, oppure su quali altre canzoni Rachel avrebbe potuto interpretare invece di quella. Ma la cosa non durò molto: il suono di un sms e la vibrazione dell’iPhone nella sua tasca lo distrassero da quel tormentato appello. Subito in apprensione, lo tirò fuori per scoprire che il nome sullo schermo era proprio quello di Blaine. Fece un respiro profondo, poi lo toccò con l’indice per scoprire il contenuto del messaggio: “Possiamo vederci domani sera alle 8 al Bel Grissino? Ti devo parlare”. Quell’ultima frase poteva presupporre varie possibilità, alle quali Kurt preferì non pensare. Si limitò a rispondere “Ok, a domani”, per poi tornare a lasciarsi cullare dalla voce di Rachel.

“I can’t live this life without you by my side.”

Quel verso si incastonò prepotente nella sua mente, ormai abbandonatasi all’abbraccio di un sonno a dir poco inquieto. 

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Capitolo 8
*** Looking for a smile ***


8. Looking for a smile

 

“Kurt ti ha dato il mio CD?”

Finn chiuse lo sportello del suo armadietto, ritrovandosi Rachel a pochi centimetri da lui: le mani dietro la schiena, nascoste dalle pieghe della gonna a quadretti bianchi e verdi, fremevano in attesa di una risposta. Lo sguardo pieno di fiducia e speranza mascherava in realtà una grande ansia, che solo Finn era in grado di notare anche quando a detta di tutti gli altri Rachel aveva il controllo della situazione, forse anche troppo. Solo lui aveva sempre saputo riconoscere le piccole crepe della perfetta corazza di Rachel Berry, la voce di punta del Glee Club nonché forse la persona più egocentrica dopo Sue Sylvester. In verità, lui stesso in molte occasioni aveva trovato impossibile stare dalla sua parte o darle ragione, ma in un modo o nell’altro quelle debolezze note soltanto a lui lo avevano fatto innamorare. Era proprio questo il problema.

“Si, me l’ha dato” rispose Finn seccamente, evitando di guardarla negli occhi. Deciso a chiudere lì il discorso, si voltò dall’altra parte ed iniziò a camminare lungo il corridoio del McKinley. “E l’hai ascoltato?” si sentì domandare da dietro. Nonostante un suo passo coprisse il doppio della distanza rispetto a quello di Rachel, il suo accelerare non la allontanò affatto. Continuava a sentire la sua presenza insistente, la sua impazienza palpabile, il suo pendere visibilmente dalle sue labbra. “Si” disse in tono seccato e scostante, senza smettere di camminare verso l’aula di chimica. Improvvisamente dovette fermarsi, bloccato da Rachel che lo aveva appena sorpassato con un balzo. In realtà avrebbe potuto tranquillamente passarle accanto, o addirittura spostarla, ma Rachel lo avrebbe comunque pedinato per il resto della giornata. “Non… non hai niente da dirmi?” disse la ragazza abbandonando il finto sguardo speranzoso, mantenendo ancora un po’ della sua iniziale sicurezza con le braccia sui fianchi, a mo’ di sfida. Finn trovò il coraggio di guardarla negli occhi, e rispose: “Lo sapevo già che sei una brava cantante, quindi no, non ho niente da dirti”. “Ma Finn, quella canzone era-“ “Quella canzone era solo un modo per cantarmi cose che mi hai già detto. Perché dovrebbe cambiare qualcosa?”. A quella domanda Rachel non seppe cosa rispondere, e Finn approfittò della sua indecisione per passarle accanto, senza toccarla, e proseguire. Ovviamente questo non gli impedì di pensare a lei per il resto della giornata: a tutte le volte in cui avevano litigato per le sue trovate poco felici (prima fra tutte l’aver spedito Sunshine Corazon in un covo di tossicodipendenti), e le volte in cui avevano fatto pace; persino le volte in cui lei gli aveva negato quel “qualcosa in più” che Finn avrebbe voluto, rimpiangendo terribilmente di averlo già fatto con Santana. Tutto si ripeteva nella sua mente, ogni volta che la incrociava per caso, come in un film in rewind, in cui le persone camminano all’indietro e parlano alla velocità della luce. Stava davvero provando a perdonarla, ma ogni volta che prendeva la decisione di andare a dirglielo, pensava all’improvviso a quello che aveva fatto, e il solo immaginarlo, anche per un istante, gli provocava un insano desiderio di distruggere qualcosa. Come avrebbe potuto convivere con una cosa del genere? E come avrebbe potuto Rachel stare con un ragazzo che covava così tanto odio dentro di sé? E poi, pensava Finn, se davvero l’avesse perdonata non avrebbe nutrito quei sentimenti… non ha senso dire di aver perdonato e poi serbare rancore. Forse è più autodistruttivo del non perdonare affatto.

Durante la lezione di chimica, in cui come al solito lasciava che il suo compagno di esperimenti facesse tutto il lavoro sporco, Finn iniziò a riflettere sui rapporti al Glee Club. Quinn aveva partorito una bambina che per molto tempo lui aveva considerato sua figlia, poi l’aveva data in adozione, e adesso aveva magicamente 10 chili in meno e camminava per i corridoi abbracciata a Sam come se niente fosse. Tina aveva lasciato Artie per mettersi con Mike Chang, e Artie ora stava con Brittany, nonostante l’avesse considerata più stupida di un comodino fino all’anno precedente. Kurt aveva avuto una cotta per lui, poi ci aveva provato con Sam, senza mai preoccuparsi di sembrare spudorato; e adesso che amava davvero un ragazzo, che potenzialmente avrebbe potuto ricambiare, non aveva il coraggio di dirglielo. E lui, il quarterback della scuola, era entrato nel Club, si era fidanzato con Rachel, aveva perso il suo ruolo… però era felice. Se l’anno prima gli avessero chiesto le sue previsioni per il futuro o le sue priorità, di certo non sarebbe stata questa la risposta. Come faceva la sua felicità a dipendere da cose che non avrebbe neanche voluto?

Tra questi ed altri profondi pensieri, di cui Finn stesso si meravigliò, l’ora passò velocemente. Tornato agli armadietti per riporre i libri di chimica praticamente inutilizzati, notò che Mercedes, dall’altro lato del corridoio, era impegnata in un’animata conversazione telefonica. “Ok, ho capit- va bene, stai calmo, ascolta… dai Kurt non fare così!” farfugliava la ragazza agitando il braccio non impegnato a reggere il cellulare, come faceva di solito quando era agitata. Finn non potè fare a meno di avvicinarsi. “Kurt? E’ successo qualcosa a Kurt?” chiese concitato, come se parlasse di suo figlio. Sul momento la cosa lo sconcertò leggermente, ma in fondo si sentì fiero di essere un fratello così premuroso. Mercedes lo guardò come se avesse visto un vassoio di crocchette gratis, e premendosi il cellulare contro il petto per evitare che l’interlocutore sentisse, bisbigliò: “Sì, è lui… ha combinato un casino con Blaine, poi ha fatto un incubo in cui lo scaricava e ora non vuole andare all’appuntamento, guarda non ci ho capito niente! Tieni, te lo passo!” Con questo, consegnò il suo telefonino ricoperto di glitter a Finn e si affrettò ad allontanarsi prima che potesse contestare. Finn, dopo aver sperimentato l’euforia di Kurt sulla questione dei mobili, non si meravigliò neanche un po’ della fuga di Mercedes: evidentemente stava avendo una reazione molto simile. Fece un respiro profondo, promettendosi di non cantare ancora una volta senza sottofondo musicale, e per giunta al telefono; poi se lo mise all’orecchio: “Kurt, sono Finn”. “Finn?!” – la voce di Kurt era più acuta del solito, accentuata dal suo stato di nervosismo. “Che ci fai tu col telefono di Mercedes?!” “Lascia perdere. Allora, dimmi cosa succede. Però, per favore, CON CALMA”. “Ok, sarò breve: ho baciato Blaine perché lui voleva sapere perché lo stessi evitando, e io non potevo dirglielo però non potevo nemmeno lasciarlo andare via così, allora l’ho baciato e poi sono scappato, lui mi ha mandato un messaggio e vuole vedermi stasera a cena per parlare, ma parlare di cosa? Stanotte ho sognato che mi scaricava e i miei sogni non sbagliano mai, lo sai? Sono premonitori! Da piccolo ho sognato di avere una bambola con le trecce bionde con cui prendere il thè, e poi qualche giorno dopo ho barattato una delle mie trousse per una bambola identica di una bambina della mia classe! Quindi andrà male, è sicuro!”. Finn si chiese quante ore avrebbe dovuto passare al telefono se Kurt non avesse specificato “sarò breve”, e ancora una volta i discorsi senza senso di suo fratello lo fecero sorridere. Si fece addirittura scappare una risata, che non sfuggì a Kurt: “Cosa c’è da ridere?” disse irritato. “E’ una cosa seria!”. “Scusa, scusa, hai ragione. Però Kurt, l’altra volta non mi avevi detto di aver sognato di essere fidanzato con Blaine? Come fai a sapere che si avvererà il sogno di stanotte e non quell’altro?”. Per un po’ non sentì alcun suono dall’altra parte. “…Wow, in effetti non ci avevo pensato. Però quel sogno è quello che faccio più spesso, perciò magari domani andrà male come ho sognato, ma poi Blaine cambierà idea e si avvererà il sogno più ricorrente! Cavolo, non ti facevo così intelligente Finn!”. In effetti, pensò Finn, nemmeno lui. “Ehm, è un piacere Kurt. Sono contento di essere stato utile”. “Bene, adesso rimane l’altro dilemma: cosa mi metto? Avevo pensato al golfino color panna coi pantaloni marroni, però-“ “Buona giornata, Kurt!” disse prontamente Finn poco prima di chiudere la chiamata. Kurt era riuscito ancora una volta a non farlo concentrare troppo sui suoi problemi esistenziali, e la cosa lo rallegrò. Si affrettò a rintracciare Mercedes per restituirle il cellulare, per poi continuare la sua mattinata scolastica con una ritrovata serenità. Ogni volta che il pensiero tornava accidentalmente su Rachel, Finn cercava di focalizzarlo sui “sogni premonitori” di Kurt per poter sorridere istintivamente come uno stupido. Avere un fratello gay e un po’ paranoico aveva dei lati decisamente positivi… tranne per i consigli di vestiario. A questo proposito infatti Finn aveva stabilito una specie di clausola che vietava a Kurt qualsiasi intervento sul suo guardaroba, cosa che aveva profondamente deluso la sua verve da stilista. Tornando verso casa, Finn decise di chiedergli ulteriori chiarimenti sulla vicenda una volta giunto a destinazione: aveva davvero bisogno di sorridere, una volta di più.

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Capitolo 9
*** Just one tear ***


9. Just one tear

 

Kurt era seduto sulle scale dell’ingresso, avvolto in una delle sue tante giacche firmate, con una spessa sciarpa azzurra attorno al collo. Giocherellava con un pezzo di cartoncino colorato, che Finn riconobbe quasi subito: il cuoricino con la scritta Blaine, fino a poco prima appeso in bacheca. Probabilmente si stava già chiedendo cosa ne avrebbe dovuto fare, da quel giorno in poi: tutto dipendeva da quella serata. Lo piegava e ripiegava, prima in due, poi in quattro, per poi riaprirlo e guardare quel nome rivelarsi davanti ai suoi occhi come se fuoriuscisse da un piccolo bocciolo. “Ehi, sei già pronto?” gli chiese Finn arrivando dal vialetto con lo zaino in spalla. Kurt alzò lo sguardo. “Si, non sono andato a scuola quindi ho avuto tutto il giorno per decidere cosa mettere”. Peccato che non sia bastato a calmare la mia ansia, pensò allo stesso tempo. Finn non potè percepire quel pensiero nascosto, ma la gamba destra di Kurt che batteva frenetica sullo scalino e quel rigirare il cuoricino tra le mani erano un tipico segno di apprensione, insieme a quello di sistemarsi continuamente il ciuffo. Ormai lo conosceva bene, suo fratello. E si domandò istintivamente se anche Kurt, allo stesso modo, in quei giorni avesse registrato i suoi atteggiamenti, i suoi gesti e le sue parole come un database, per tracciare il suo profilo psicologico. Ma forse era stato preso da ben altri pensieri… Comunque sia, sicuramente se l’avesse fatto sarebbe stato molto più metodico: se avesse potuto, avrebbe riempito di post-it lo stesso Finn. Si sedette accanto a lui, occupando la parte restante di scalino e ostruendo così il passaggio a chiunque avesse voluto entrare in casa oppure uscire. Avrebbe voluto ringraziarlo per i sorrisi che involontariamente gli aveva regalato, ma poco prima di parlare pensò che da un certo punto di vista la cosa avrebbe potuto risultare offensiva: della serie “ridiamo delle disgrazie altrui”. Non seppe che altro dire, così rimase a guardare anche lui quel cuore piegarsi e aprirsi, piegarsi e aprirsi, ormai segnato da due linee profonde che creavano una croce, con il centro nella ‘A’ di Blaine. “Pensi davvero che andrà bene?” esordì Kurt dopo un lungo silenzio, senza staccare gli occhi dal cuore. Finn pensò a lungo prima di rispondere. “Non lo so Kurt, davvero. Però so questo: quando tornerai a casa stasera, non sarai da solo. So che non è abbastanza per te, che da tutta la vita senti il bisogno di un ragazzo che sia il tuo ragazzo… ma se per caso oggi non dovesse accadere, non vorrà dire che sei solo”. L’enfasi del suo discorso colpì anche lui. “Lo sono sempre stato, sai?” rispose Kurt con un velo di amarezza. Poi la tramutò in un piccolo sorriso, aggiungendo: “Dovrò abituarmi a questo grande cambiamento”. Finn sorrise di rimando. “Beh, io dovrò convivere con le tue scelte immobiliari, perciò… direi che siamo pari!” Risero di gusto, come due bambini esausti dopo un pomeriggio di giochi. Più che altro, esausti di fare i conti con le delusioni della vita.

“E’ ora” disse Kurt dopo aver smesso di ridere. “Come fai a saperlo?” chiese Finn, incuriosito dal fatto che non avesse nemmeno guardato l’orologio, o lo schermo del suo iPhone. “Non lo so. Ma sono pronto, perciò è ora” rispose il ragazzo, sorridendo ancora una volta. Si alzò lentamente dallo scalino, riaccartocciò con cura il cuore e lo mise in una tasca interna della giacca, al sicuro dagli occhi indiscreti del diretto interessato. Poi si spazzolò i pantaloni con le mani, e risalì sotto il portico per specchiarsi in una delle finestre della casa. Mentre si sistemava il ciuffo col suo pettine sempre a portata di mano, intravide il riflesso di Finn, ancora seduto sulle scale ma girato verso di lui, con un sorriso di scherno sul viso. Kurt ricambiò divertito, poi si voltò e si incamminò a passo fiero. “Buona fortuna!” sentì gridare a Finn. Rispose semplicemente con un’alzata del braccio, e un pollice in su. Stringendosi ancora di più nel suo cappotto, si diresse lentamente verso il Bel Grissino, sapendo di essere in netto anticipo. Si concesse di respirare la fresca brezza serale, e godere dello spettacolo, un po’ triste ma per lui affascinante, delle foglie marroni ai margini dei marciapiedi. Ma anche in quelle semplici cose vide Blaine. Lo immaginò al suo fianco, sotto braccio, ad indicare con meraviglia una foglia ancora verde, oppure rallegrarsi insieme a lui della limpidezza del cielo. Vide sé stesso condividere con Blaine i piaceri più superflui e banali. Poi tornò alla realtà: quella di un ragazzo di diciassette anni che non ha mai provato cosa significhi vedere il proprio amore ricambiato, che cammina lungo un viale alberato sperando che il ragazzo perfetto scelga proprio lui, tra tanti, chissà quanti. Un ragazzo che pensava di sapere cosa fosse l’amore, immaginandolo roseo e un po’ frivolo come il suo soffermarsi sulle foglie degli alberi. Senza neanche accorgersene, si ritrovò dall’altro lato della strada rispetto al Bel Grissino. L’insegna luminosa del locale più in voga di Lima lo abbagliò. Dopo aver guardato a destra e a sinistra attraversò, per ritrovarsi davanti alla vetrina. Guardò l’orologio a muro all’interno: ancora le sette e trenta. A quel punto si pentì di essere così in anticipo, un po’ come la mattina prima, quando aveva creduto che Blaine fosse passato all’altra sponda senza degnarsi di informarlo. Essere in anticipo ha troppe controindicazioni, pensò sarcastico. Quella mezz’ora passò lentamente: osservare le coppiette che entravano nel locale per giudicare il loro abbigliamento diventò a lungo andare un passatempo squallido. Le otto meno dieci. Kurt sentì salire il cuore in gola, scoprendo Blaine vestito meglio del solito scendere da un’auto blu appena parcheggiata, fino ad un secondo prima priva di importanza. Jeans scuri e stretti e una camicia probabilmente sul grigio (si sforzò di riconoscere il colore da lontano), leggermente nascosta da un cappotto nero sbottonato sul davanti. Il modo di camminare spavaldo e sicuro di Blaine, quello di quando cantava i suoi assoli, svanì non appena si accorse di Kurt. Quel cambiamento di espressione e di andatura lo lusingò: forse, anche Kurt aveva qualche effetto collaterale su Blaine?

“Ciao, scusami… forse sono un po’ in ritardo” disse Blaine ancora prima di fermarsi, andando incontro a Kurt. “No, sei in perfetto orario. Sono io che sono in anticipo!” fu la risposta, maldestra ed esitante. Si guardarono, entrambi terribilmente impacciati al ricordo di quel bacio rubato, tanto che non si sfiorarono nemmeno per salutarsi. Blaine fece cenno di seguirlo, per entrare finalmente al Bel Grissino. Kurt aveva la faccia di uno che sta per salire al banco dei testimoni, o di un cantante che sta per esibirsi sul palco senza sapere le parole. Trovato un tavolo libero, si tolse la giacca per poggiarla sullo schienale della sedia: aveva un maglioncino blu con un colletto di camicia cucito sopra, come sempre ben abbottonato. Si sedette, ricordandosi di fare profondi respiri di tanto in tanto per evitare di essere ucciso dalla sua stessa apprensione. Anche Blaine si era tolto la giacca, e stava già seduto di fronte a lui. La scena che Kurt aveva sempre sognato, con l’aggiunta di luci soffuse e una candela al centro del tavolo, e sicuramente con premesse ben diverse. Per esempio, il sogno di Kurt comprendeva la sicurezza di poter baciare Blaine in qualsiasi momento. Avrebbe dato il mondo per rendere quell’evento così assurdo e sconveniente la sua routine quotidiana, la sua normalità. Terrorizzato nuovamente all’idea che l’altro potesse davvero leggergli dentro, si augurò che la conversazione iniziasse al più presto, e certamente non sarebbe stato lui a parlare per primo. Infatti, Blaine non tardò. Si passò una mano tra i capelli, cosa che faceva sempre quando era nervoso. “Kurt, facciamo un patto”. Kurt lo guardò con aria interrogativa e leggermente preoccupata. A quel punto, qualunque frase che non fosse “baciami adesso” l’avrebbe preoccupato. Blaine continuò: “Siamo sinceri, come abbiamo sempre fatto. Anche se è doloroso, o imbarazzante. Diciamoci la verità stasera, va bene?” Era evidente che la verità che Blaine aveva da dire gli sarebbe costata molto poco, rispetto al macigno nel petto di Kurt. “Va bene” rispose lui con un filo di voce, sapendo di non avere altra scelta. “Volete ordinare?” azzardò una cameriera alle spalle della sedia di Kurt, interrompendo la solennità del momento. “Non… non abbiamo ancora deciso, grazie” rispose Blaine con il suo tono delicato, anche se il tempismo della donna lo aveva un po’ irritato. Si schiarì la voce, per concentrarsi nuovamente sul discorso. “Dicevamo”. Eccole, le fatidiche parole stavano ormai per essere pronunciate. Kurt strinse i pugni sotto il tavolo, rallegrandosi di non aver tenuto ancora il cuore di cartoncino tra le mani: l’avrebbe disintegrato. Blaine chiuse gli occhi, probabilmente per formulare al meglio possibile la frase. “Sarò io il primo ad essere sincero. Kurt, io credo… che tu abbia frainteso”. Il sangue lentamente defluì dalla testa di Kurt per finire chissà dove, lasciando il suo viso di un colore ancora più pallido della sua carnagione di porcellana. Dimenticò di respirare. “E’ che ci stiamo frequentando spesso, e io sono il primo gay dichiarato che conosci oltre te… perciò è normale, e ti chiedo scusa per non averlo capito subito quando hai iniziato ad evitarmi. Però è questo il problema. Kurt… hai mai preso in considerazione l’idea che io ti piaccia soltanto perchè sono gay come te?” Kurt istintivamente tirò indietro la testa, sorpreso. Non riusciva a pensare a cosa dire, come faceva Blaine, perciò rispose senza preoccuparsi delle sue parole: “Frena i cavalli Blaine, tu… stai cercando di dirmi che non pensi di piacermi abbastanza?!” In effetti, era veramente il colmo. “Non… non è proprio così. Non so come… cerco di spiegarmi meglio. Mettiamo il caso che anche tu piaccia a me”. Quel “mettiamo il caso” piacque molto a Kurt, ma Blaine fece finta di non notarlo. “Sai, neanche io ho mai avuto un vero ragazzo, però ho vissuto certe… esperienze, ecco. Tu devi ancora sperimentare, tutto ti sembra nuovo e per questo meraviglioso a prescindere. Poi raggiungi le tue conclusioni, capisci che avevi ragione, che sei davvero fatto come credevi, o magari che invece non lo sei… e non hai più voglia di sperimentare. Quello che voglio dire, Kurt, è che io non voglio che tu sperimenti con me. Vorrei sapere di piacerti per come sono davvero, per la mia personalità, non per il semplice fatto che sono la prima persona che incontri che può materialmente ricambiare. E anche se tu pensi il contrario, io so che è così”. La logica perversa di quelle parole investì Kurt come un treno merci in corsa, forse più violentemente di quanto avrebbe potuto fare un vero e proprio due di picche. In effetti, sarebbe stato meglio essere rifiutato che sentirsi dire di non essere lui quello abbastanza interessato. E quel “mettiamo il caso”… non c’era nessun caso, era la verità. Se Kurt avesse già avuto altre esperienze, come a quanto pare le aveva avute Blaine, sarebbero già stati una coppia; su questo Kurt non ebbe alcun dubbio, e proprio questa certezza lo mandò su tutte le furie. Rimase per un po’ con la bocca semi-aperta, sforzandosi di non piangere per la rabbia che sentiva pian piano montare dentro di sé. Era tutto così… assurdo. Talmente assurdo che la rabbia alla fine prese il sopravvento. Anche Blaine la vide arrivare, un secondo prima che scoppiasse dalle labbra di Kurt: “Blaine, ti rendi conto di quello che stai dicendo?! Mi stai punendo perché non ho avuto nessuna botta e via o nessun flirt prima di conoscere te?! Perché è di questo che parliamo, se nemmeno tu hai mai avuto un vero ragazzo! E quindi cosa pensi, che io ti abbia baciato perché voglio portarti a letto, come una cheerleader con gli ormoni impazziti?! Come un gay represso che non vede l’ora di darsi da fare con il primo bel ragazzo omosessuale che si è trovato davanti? Ma che razza di opinione hai di me?!” Il brusio delle voci degli altri avventori e la leggera musica di sottofondo del Bel Grissino coprivano ormai a malapena le parole di Kurt, che continuava ad impegnarsi con tutte le sue forze per non versare neanche una lacrima davanti a Blaine. In fondo, si era già preso i pochi pezzi rimasti del suo cuore, e poteva bastare. “Kurt, io non volevo offenderti, dico solo che-“ “Dici solo che io non sono all’altezza. Che ti userò e poi ti butterò via, per provare qualcos’altro, come fanno tutti, o magari come hai fatto tu in passato. Ma io non sono tutti, e non sono nemmeno te”. “Ascolta… è così difficile trovare qualcuno che sia come noi, specie in questa città, che quando ci riusciamo pensiamo di non dovercelo fare scappare a tutti i costi, magari ce lo facciamo piacere per forza…e poi si finisce per far soffrire le persone. E’ questo che intendo, capisci? Lo dico anche perché tengo molto a te e alla nostra amicizia…  Per esempio, ora che sei alla Dalton potresti conoscere molti altri ragazzi, ma non ci hai neanche provato perché credi di essere interessato a me!”. “Lo credo? Cosa ne puoi sapere tu? Lo sai cosa credevo, Blaine?”. Le parole ormai bruciavano nella sua gola, impossibili da fermare. “…che tu fossi speciale, premuroso, sensibile, e sì, affascinante. Ma più di tutto, credevo che fossi la persona più bella dell’intero mondo. Credevo che gli altri ragazzi non contassero niente rispetto a te. E per tutti questi motivi credevo che, se proprio avessi voluto scaricarmi, l’avresti fatto senza umiliarmi in questo modo!”. Kurt si alzò dalla sedia, ormai fuori di sé. Il viso sconvolto di Blaine inizio ad apparirgli sfocato, e rendendosi conto di non potersi più trattenere, prese frettolosamente la giacca per andarsene. “Kurt! Kurt, ti prego!” gridò Blaine, alzandosi a sua volta. La conversazione stava per diventare di dominio pubblico, ma Kurt decise di evitare di dare un ulteriore spettacolo, e fece qualche passo indietro. Si avvicinò a Blaine, guardandolo dritto negli occhi, quegli occhi in cui sarebbe voluto morire all’istante, e gli disse a bassa voce, con un grandissimo sforzo di autocontrollo: “Avevi detto che dovevamo essere sinceri, e lo sei stato, anche troppo. Perciò è il mio turno. Se davvero io e te avremmo potuto avere una possibilità, sappi che l’hai appena buttata al vento, perché io non ti avrei mai tradito, ferito, abbandonato, o usato per capire la mia vera identità. Io so chi sono. Sono Kurt Hummel, e ti-“ Si fermò, raccogliendo il coraggio rimasto, consapevole di essere ormai ad un punto di non ritorno. Non aveva senso continuare a mentire, e la voglia un po’ meschina di far sentire Blaine terribilmente in colpa rese quelle parole, per natura dolci e bellissime, fredde e taglienti come lame. “…e ti amo”. Chiuse gli occhi, concedendosi una sola, piccola lacrima che cadde sulla manica della camicia di Blaine. Li riaprì soltanto dopo essersi voltato, per poi correre via e permettere alle altre mille di bagnare il suo viso.

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Capitolo 10
*** No brother no cry ***


10. No brother no cry

 

La porta di casa si chiuse con un tonfo sordo dietro di lui. “Ehi Kurt, come mai già a casa?” domandò Finn dalla cucina, dove stava cenando con sua madre e Burt. Il silenzio di Kurt preoccupò tutti e tre, ancora di più quando attraverso la porta aperta videro i suoi occhi rossi di pianto. Finn si alzò istintivamente dal tavolo, ma dovette sedersi subito, fulminato da uno sguardo assassino del fratello. Senza dire una parola, Kurt si tolse la sciarpa e la giacca, consapevole di essere osservato da sei occhi sconvolti, e le gettò sul divano del salotto. Poi si diresse verso la sua stanza, chiudendo la porta con una forza inaudita, che non gli apparteneva. Era ancora tutto sfocato intorno a lui, ma riuscì ugualmente a scendere le scale per andare davanti alla sua dannata bacheca. La guardò, questa volta senza esserne né ammaliato né orgoglioso. Le braccia iniziarono a muoversi convulsamente come se non fossero controllate dal suo cervello, come quando aveva baciato Blaine senza neanche rendersene conto. E come quella volta, le lasciò fare. In un attimo strappò via la foto, la scritta “coraggio”, gli scontrini di Starbucks. Tutto in mille pezzi. Sentì il petto bruciare, ma non era mancanza d’aria. Era rabbia, vendicativa, incontenibile, malata. Un sentimento che raramente gli era appartenuto; forse, soltanto quando suo padre aveva iniziato a legare con Finn, escludendolo dalla sua vita. Ma anche in quel caso, era una rabbia fatta di tristezza, pronta a svanire al minimo cenno di affetto. Kurt si strinse le mani al petto, sconvolto da quella sensazione sconosciuta che si era impossessata di lui per colpa di Blaine… evidentemente, il potere esercitato su di lui da quel ragazzo superava la sua immaginazione. Guardò ancora una volta la bacheca, spoglia e vuota come quando l’aveva comprata. Le parole di conforto che Finn gli aveva affettuosamente detto prima che uscisse di casa purtroppo non erano abbastanza… perché l’unico ragazzo che aveva mai amato, amato davvero, credeva si trattasse di una stupida cotta, un gioco, un’egoistica ricerca di nuove sensazioni, o di risposte… ma era amore, amore e basta! Come aveva potuto essere così ottuso da non accorgersene? Allora quella frase detta fuori tempo, Blaine non l’aveva capita sul serio!

Con un turbine di pensieri così vorticoso da stordirlo, Kurt prese la bacheca, la alzò per sganciarla dai due chiodi che la tenevano appesa al muro, e la lanciò contro la parete opposta con una foga che spaventò persino lui. Sembrava l’incredibile Hulk, con dieci taglie in meno, una carnagione normale e i vestiti ancora interi addosso. “…KURT! CHE HAI FATTO?!” gridò Finn entrando dalla porta, terrorizzato dal rumore che aveva appena sentito, pur trovandosi in cucina. Lo vide al centro della stanza, avvolto su sé stesso come un riccio nel tentativo di nascondere la vergogna dilagante sul suo viso per aver permesso che Finn vedesse uno spettacolo così squallido. Pezzettini di carta stracciata erano tutti sparsi intorno e la bacheca di sughero si trovava ormai spaccata in due contro il muro. In pochi secondi, Kurt sentì due braccia calde ed enormi avvolgerlo, alleviando così il freddo che era riuscito a portarsi da fuori nonostante i riscaldamenti della casa, e una mano accarezzargli i capelli con delicatezza. Un po’ come la forza di Kurt, che agli occhi degli altri era qualcosa di incredibile, allo stesso modo era la dolcezza dei gesti di Finn, che fino a poco tempo prima sarebbe morto piuttosto che entrare così in intimità con Kurt, e che in generale dava l’idea di un elefante impacciato in materia d’amore. “Non piangere…” sussurrò Finn. “Non piangere… non piangere, Kurt” ripeteva. Non avendo molto successo, non seppe che altro dire se non quella frase già pronunciata sulle scale del portico: “Non sei solo”. Sentì Kurt aggrapparsi alle sue spalle e stringere, con la testa ancora abbassata tra le ginocchia, singhiozzando sempre meno. Il dolore delle sue unghie nella carne era un po’ fastidioso, ma sentendosi come un’ancora di salvezza, Finn non vi fece caso. Kurt fu così intenerito da quel gesto, gesto che probabilmente nessuno dei due avrebbe mai avuto il coraggio di raccontare, che preferì non dire niente di sdolcinato, per non mettere Finn in imbarazzo. Semplicemente, con grande sorpresa di Finn, sciolse l’abbraccio e si diresse verso il suo letto. Una volta disteso, si tolse le scarpe con le punte dei piedi e chiuse gli occhi. Le lenzuola si chiusero sopra di lui, grazie a due mani invisibili. Finn si meravigliò di quell’impeto di istinto paterno lievemente patetico, così decise di non indugiare ancora, rischiando di ritrovarsi accanto al letto di Kurt per cantargli una ninna nanna. Si voltò e uscì dalla stanza, premurandosi di spegnere la luce prima di chiudersi la porta alle spalle.

Il padre di Kurt faceva avanti e indietro nel salotto, come se Finn fosse un medico venuto ad annunciare le condizioni fisiche di suo figlio dopo un intervento ad alto rischio. “Sta bene adesso” disse Finn, interrompendo quel frenetico rito. Il suo sguardo si poggiò senza volerlo sulla giacca di Kurt, accasciata sul divano a pochi passi da lui. Si avvicinò ed iniziò a frugare nelle varie tasche, fino a quando non trovò il cellulare di Kurt ancora acceso, con una lunga serie di chiamate senza risposta. Con qualche impaccio, visto che i telefoni touch non erano proprio la sua specialità a causa delle dita troppo grandi, riuscì a cliccare su una delle chiamate per risalire al numero, per poi selezionare “Invia messaggio”. Ci mise una decina di minuti per scrivere: le lettere erano troppo piccole e vicine l’una all’altra. Alla fine, rilesse soddisfatto nella sua mente: “Sono Finn, il fratello di Kurt. Domani mattina da Starbucks verrò io… Vorrei parlarti”. Inviò il messaggio, certo che Blaine l’avrebbe letto, anche se probabilmente non avrebbe risposto. Invece arrivò in poco tempo la risposta: un “Ok” secco, sicuramente a causa di un’improvvisa preoccupazione per Kurt e per quello che aveva potuto dire una volta arrivato a casa, vista la reazione di suo fratello. Finn spense l’iPhone di Kurt, dopo un’accurata ricerca del tasto di spegnimento che si rivelò essere l’unico, quello centrale sotto lo schermo. La tecnologia ha decisamente fatto passi da gigante, pensò. Decise di non andare a dormire accanto a Kurt, come faceva ormai da qualche tempo in attesa dell’arrivo del suo letto singolo. La mattina dopo Kurt si sarebbe probabilmente accorto del suo risveglio anticipato e si sarebbe chiesto dove fosse diretto, mentre Finn voleva mantenere una certa segretezza. Così sgomberò ancora una volta il divano letto del salotto dai cuscini, recuperò un plaid dalla poltrona lì accanto e un pigiama dallo scatolone sotto il camino. Guardò la tv fino a tardi, riflettendo sulle parole da dire a Blaine. In realtà non erano molte, e sapeva che preparandosi un discorso infiocchettato sarebbe soltanto apparso stupido e impacciato, come se il suo aspetto non facesse già abbastanza, specie per una persona che non lo aveva mai visto. E poi, aveva solo una domanda da fargli: “Che hai fatto?”. Che hai fatto per distruggere Kurt in quel modo?, pensò Finn continuando a fare zapping con il telecomando, senza prestare la minima attenzione ai programmi in tv. Eppure, aveva sempre pensato che i gay fossero ipersensibili, e che avessero molto più tatto degli etero quando si trattava di certe cose. Ma rendendosi conto di conoscerne soltanto uno, e cioè Kurt, pensò che forse non erano tutti come lui. Però Kurt gli era sembrato abbastanza preparato psicologicamente quando era uscito di casa, perciò Blaine doveva averlo scaricato proprio in malo modo… Istintivamente, pensò anche a Rachel. Era possibile che anche lei si fosse ridotta così, dopo che lui l’aveva scacciata quella mattina? Quella possibilità lo fece sentire tremendamente in colpa, dopo di che si sentì in colpa per essersi sentito in colpa: non era lui quello che aveva tradito! E quella storia di Santana non era mica successa quando stava con Rachel! Le era bastata una bugia innocente sulla sua verginità per buttarsi tra le braccia di un altro?! Sbuffò, irritato dal fatto che per l’ennesima volta non era riuscito a concentrarsi solo sui problemi di Kurt. Spense la tv e gettò il telecomando sull’altro divano, che faceva ad angolo con il suo. Per fortuna si ricordò di puntare la sveglia che aveva messo sul tavolino lì vicino, altrimenti la mattina dopo non si sarebbe mai svegliato in tempo… Si riaccoccolò sotto il plaid, cercando di prendere sonno nonostante avesse in testa l’immagine di Blaine preso ripetutamente a pugni, o forse era quella di Puck; le due figure si alternavano a tratti nei suoi pensieri contorti. Ma Kurt non gli avrebbe mai perdonato il fatto di aver rovinato il bel visino del suo amato, perciò si ripropose di essere diplomatico, dimenticandosene un secondo dopo. Mai prendere decisioni risolute poco prima di addormentarsi!

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Capitolo 11
*** Truth ***


11. Truth

 

“Ha fatto COSA?!”

Kurt alzò lo sguardo furibondo dalla sua ciotola di cereali, la sua colazione ritardataria, visto che ormai era mezzogiorno. La lunga dormita aveva alleviato la sua rabbia, a quanto pare destinata a ricomparire molto presto. “Ehm, veramente non avrei dovuto dirtelo… E’ andato a parlare con quel ragazzo, Wayne” – “BLAINE” disse Kurt correggendo severamente suo padre. Il rosso della vergogna divampò automaticamente sulle sue guance, al solo pensiero di Blaine rimproverato come un bambino da suo fratello nei panni del cavaliere al salvataggio della dama oltraggiata. Certo, lo aveva visto in quelle vesti una volta, ma non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere! “Ormai staranno parlando da un pezzo” rispose suo padre, cercando di tranquillizzarlo. “Vedrai che non farà niente di stupido”. Kurt si domandò come facesse ad esserne così sicuro, per poi tornare a sgranocchiare furiosamente i suoi cereali al miele. “Oh Finn, io ti ammazzo” disse a mezza bocca, tra una cucchiaiata e l’altra.

Qualche ora prima, la sveglia di Finn aveva suonato puntuale. Il ragazzo si svegliò, stiracchiandosi pigramente, e ricordando soltanto qualche secondo dopo il motivo di quella “levataccia”. Non fece molto caso a cosa mettere: solita felpa blu scuro, jeans e scarpe da ginnastica. Si preparò per uscire senza preoccuparsi di fare colazione, assicurandosi soltanto che Kurt fosse ancora profondamente addormentato. “Ehi Finn, dove vai di bello?” gli chiese sua madre, un po’ sorpresa di vederlo in giro per casa. Solitamente, a quell’ora usciva Kurt. “Ehm, io… mi andava di fare jogging” disse lui impacciato. “Coi jeans?!” domandò sua madre, perfettamente conscia di aver appena sentito una colossale bugia. “Oh, già… beh, ecco…” Carole lo conosceva troppo bene, e le bastò uno sguardo accigliato per convincerlo a sputare il rospo. “Voglio sapere cosa è successo a Kurt, ma non mi va di chiederlo a lui. Vado a parlare con il suo amico, Blaine”. “Sei sicuro che sia una buona idea? Potresti peggiorare le cose…” rispose la madre, un po’ preoccupata. L’equilibrio che avevano così faticosamente creato avrebbe potuto crollare come un castello di carte dopo un’incursione tanto sconsiderata nella vita privata di Kurt. “Tranquilla, non picchierò nessuno!” promise Finn, credendo che il problema fosse semplicemente quello. Per evitare di rimanere bloccato in una discussione a senso unico con sua madre, si affrettò ad uscire di casa, dopo aver specificato: “Non dire niente a Kurt!”. Non sapeva però che Carole se lo sarebbe lasciato sfuggire con suo marito, e che suo marito non avrebbe saputo mentire a Kurt, suo figlio, dotato della capacità di condurre interrogatori alla Law ‘n Order peggio del professor Schuester quando cercava il colpevole della “Gleest”. Perciò, sicuro di non correre alcun rischio, prese l’autobus per raggiungere Starbucks.

Quella mattina il sole era abbastanza caldo, così Finn, una volta sceso dal mezzo, si alzò le maniche della felpa fino ai gomiti. Blaine, che era già all’ingresso del bar, lo vide da lontano e fraintese il gesto pensando che Finn volesse picchiarlo a sangue, ma non indietreggiò quando questo lo raggiunse. Si limitò a dirgli sarcastico: “Se vuoi picchiarmi, per favore non rompermi il naso. Mi piace”. Finn sorrise, riconoscendo già un po’ di suo fratello in quel ragazzo appena incontrato, nonostante all’apparenza non gli somigliasse affatto. Kurt non aveva quell’aria da belloccio fiero e spavaldo, ma chissà, all’interno forse non era davvero così. “Non voglio picchiarti” rispose Finn. “Voglio sapere cosa è successo ieri, per filo e per segno”. Blaine ne fu un po’ sorpreso: “Oh, capisco. Kurt non te lo ha raccontato?”. “Non mi andava di chiedere, e comunque in ogni caso ieri sera non ci sarebbe riuscito”. La frase accusatoria colpì visibilmente Blaine, che si affrettò a rispondere: “Ok, entriamo”. Una volta al tavolo ordinarono due cappuccini, tanto per dare un senso alla loro presenza. Blaine era molto a disagio, ma non si tirò indietro; schiarendosi la voce, disse: “Ecco, io… non so bene da dove cominciare…” - “Tranquillo, abbiamo tutto il tempo del mondo” incalzò Finn. “Bene” rispose Blaine, sollevato – o forse no – da quella precisazione. “Immagino tu sappia che Kurt mi ha baciato”. Vedendo Finn annuire, continuò: “Beh, ecco, ho pensato di dover chiarire con lui quello che pensavo… Ma credo di aver esagerato”. Finn continuava ad annuire. “Ma allora ti ha detto qualcosa?!” disse Blaine, sentendosi un po’ preso in giro. “Assolutamente no” rispose Finn, impassibile. “Sto annuendo perché è sicuro che tu abbia esagerato. Mi è bastato vedere Kurt in faccia per capirlo”. Ancora una volta, una frase accusatoria più tagliente di un coltello. Blaine si sentì ufficialmente l’imputato di un tribunale. “Va bene, andiamo al punto. Io… non pensavo che avrebbe reagito così, davvero. Cioè, sospettavo di piacergli ma non ne ero sicuro, poi mi ha baciato e allora ho capito… Ma pensavo fosse una cotta e basta. Si, insomma, anche lui…” Si bloccò all’improvviso. “…anche lui?” ripetè Finn, sempre più curioso di capire cosa diamine fosse successo tra quei due. Blaine sospirò, prima di rispondere: “…anche lui mi piace”. Finn cambiò espressione: ma allora, qual era il problema?! “…però non nel suo stesso modo, cioè non ancora. Mi piacerebbe frequentarlo, mi piace il suo stile, il suo carattere, ma non…” Si bloccò ancora una volta. “Blaine, non ti offendere, ma inizi ad irritarmi” disse Finn spazientito. “Scusa, è che mi sento un po’ a disagio a parlare di queste cose con uno sconosciuto”. “Io non sono uno sconosciuto, sono il fratello di Kurt, e se tu vuoi rimediare a quello che hai fatto è meglio che mi spieghi bene cosa sta succedendo!”. Il piano di Finn in quel momento cambiò: forse non ci sarebbe stato bisogno di tacere su quell’incontro e consolare Kurt per mesi interi; forse, avrebbe dovuto soltanto tornare a casa, dire a Kurt le cose che Blaine non aveva avuto l’occasione o il coraggio di dirgli e fare da mediatore. L’intera cosa gli sembrò molto molto molto gay: se Karofsky e gli altri lo avessero saputo, lo avrebbero preso in giro fino al diploma. Ma ormai stava imparando a dar loro poca importanza. Intanto, Blaine si decise finalmente a vuotare il sacco: “…non lo amo, ecco tutto. Non penso sia una colpa, insomma se mi piace sarà questione di tempo, no?” Finn annuì, e rispose: “Scusa se te lo chiedo, ma tu queste cose le hai dette a Kurt?!” Blaine abbassò lo sguardo. “No”. Una breve pausa. “…ma è colpa sua! Se lui mi avesse detto da subito che era davvero innamorato di me, io non gli avrei fatto tutto quel discorso sul fatto che non lo consideravo abbastanza interessato! Pensavo di piacergli soltanto perché sono il primo gay che ha incontrato oltre lui!”. La vergogna non risparmia nemmeno i più spavaldi, e nemmeno Blaine Anderson, che continuava a guardarsi le ginocchia. Finn sgranò gli occhi. “Tu… starai scherzando! Kurt passa i pomeriggi a fissare una tua foto appesa al muro, e tu gli hai detto che non lo consideri abbastanza interessato?!” Si morse la lingua, sapendo che Kurt avrebbe tentato di ucciderlo per aver rivelato quel particolare. Blaine si sentì attaccato, e rispose stizzito: “Te l’ho detto, non mi ha mai fatto intendere niente!” Finn lo fissò con aria severa. “Sei proprio uno stupido”. “Come scusa?!” ribattè Blaine, trovando inammissibile di essere offeso da un ragazzo appena conosciuto. “Something Stupid. Allora non l’avevi capito per davvero”. Blaine rimase lì a fissarlo, sentendosi improvvisamente la persona più idiota della terra. “Oh mio Dio” disse, portandosi una mano alla fronte. “Sì, sei proprio uno stupido” ribattè Finn come a voler formulare la sua sentenza definitiva. “Va bene, ecco cosa faremo”, continuò, “ora tu vieni a casa con me, e dici a Kurt le stesse cose che mi hai detto”. “Dubito che voglia parlarmi, mi ha detto che l’ho umiliato. E poi cosa dovrei dirgli? Resta comunque il fatto che non provo le stesse cose; non vedo perché dovrebbe accontentarsi. Anzi, non merita di accontentarsi”. A Finn non sfuggì quella precisazione: non era forse amore quello? Ancora in erba, certo, ma lo sguardo di Blaine non mentiva: avrebbe lasciato andare Kurt soltanto per vederlo felice. Ma Kurt non lo sarebbe stato, senza di lui. “Forse hai ragione, non lo merita. Ma credo che dovrebbe darti una possibilità… che tu dovresti darti una possibilità. Ho quest’impressione, Blaine…” disse Finn, risoluto. Si sentì improvvisamente un rinomato terapista di coppia. “Credo che tu abbia detto quelle cose a Kurt per paura di soffrire”. Blaine lo guardò accigliato, ribattendo: “Che vuoi dire?!”. “Beh, hai detto che pensavi di piacergli soltanto perché sei gay… forse, qualcun altro ha fatto così in passato”. Blaine si sentì improvvisamente scoperto e senza difese. “Sì, ma… lui ha creduto che fossi stato io ad averlo fatto con qualcuno in passato, e io gliel’ho lasciato credere”. Finn lo guardò ancora una volta con severità. “Mi correggo: sei davvero uno stupido”.

 

 

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Capitolo 12
*** Enough? ***


12. Enough?

 

Dopo essersi fatto pregare un pò, Blaine si fece convincere a tornare a casa con Finn. “Ormai mia sorella starà arrivando, le dico di persona che non torno per pranzo” disse pensieroso. “Credevo fossi venuto in macchina” gli rispose Finn. “Ne abbiamo una in comune, e oggi serviva a lei…” “Ah, capisco”. La conversazione si interruppe lì. Dopo pochi minuti, una macchina blu arrivò davanti al bar e si fermò. Ne uscì una ragazza con lunghi boccoli neri e occhi castani, incredibilmente simile a suo fratello, con una camicetta bianca a maniche corte infilata dentro dei jeans chiari. Una ragazza molto semplice, ironica ed anche un po’ sfrontata, cosa che Finn potè testare sulla sua pelle quando le sentì dire, dopo essersi piazzata gli occhiali da sole scuri tra i capelli: “Ciao Blaine, vedo che te la stai spassando eh?”. Diventò paonazzo al pensiero di essere stato scambiato per un flirt di Blaine, il quale a sua volta rispose con un velo di stizza: “Sei sempre la solita, Jane. Comunque, volevo dirti che non torno a pranzo. Ho una cosa importante da fare”. La ragazza gli fece l’occhiolino, dopo aver squadrato Finn dalla testa ai piedi: “Oh si, lo vedo! Beh, potevi dirmelo prima di farmi attraversare tutta Lima comunque!”. Finn aveva definitivamente cambiato carnagione, offeso dalle insinuazioni della ragazza e allo stesso tempo lusingato dal suo sarcastico complimento e da quelle occhiate ammiccanti. Sentì il bisogno di mettere le cose in chiaro, cercando di apparire il meno impacciato possibile: “Ehm, scusate se vi interrompo, ma vorrei precisare che io e Blaine non siamo usciti insieme. Io non sono… gay”. Blaine e Jane si girarono verso di lui con aria interrogativa, come a dire “nessuno ti aveva chiesto di specificarlo”; ma Jane si lasciò scappare un piccolo sorriso che lusingò Finn ancora di più. “…comunque…” continuò la ragazza “…a questo punto io andrei. Ma ti conviene trovare un modo per tornare a casa, perchè io non farò di nuovo tutta questa strada!”. “Tranquilla, sopravvivrò” rispose Blaine, anche se effettivamente non si era messo d'accordo in nessun modo con Finn su come tornare. “Bene allora… è stato un piacere conoscerti…” disse Jane guardando Finn con un sopracciglio alzato, aspettando di sentirgli dire il suo nome. Finn ci mise un po’ a capire, incantato com’era sulla scollatura della sua camicetta: “…ehm, Finn! Piacere mio!”. La ragazza gli sorrise beffarda, divertita dal suo impaccio e forse anche dal suo nuovo colorito. Si diresse nuovamente alla macchina con passo spavaldo, lo stesso di suo fratello; chiuse la portiera, mise in moto e si allontanò dopo un colpo di clacson. Finn distolse lo sguardo solo dopo essersi accorto di quello di Blaine, fisso su di lui, che borbottò: “…non pensarci neanche”.

Lungo la strada per tornare a casa, in autobus, Finn decise di saperne un po’ di più, nonostante l’avvertimento. “Allora… Jane e Blaine, eh?” chiese ironicamente. “Già, i miei genitori amano le rime… forse un po’ troppo!” rispose l’altro ridendo. “Ti somiglia molto” continuò Finn. “Beh sai, siamo gemelli!”. “Ah, non l’avevo capito! Tutto si spiega” concluse Finn. Il discorso non andò oltre, e in poco tempo furono alla fermata vicino casa Hummel. “Siamo arrivati” disse Finn una volta imboccato il vialetto. “FINN! SEI UN UOMO MORTO!” tuonò la voce acuta ed isterica di Kurt dall’interno, avendo percepito il suo arrivo anche da quella distanza. La porta si spalancò. “Non so ancora come, ci sto lavor-“ la parola gli rimase incastrata in gola, vedendo Blaine insieme al suo neo-odiato fratello. Su due piedi, Kurt pensò a quanto fosse brutta la felpa che indossava, quella che metteva quando progettava di passare il week-end in casa a deprimersi davanti ad una coppa di gelato e il dvd di Titanic. Un secondo dopo, si dibatteva già per decidere quale dei due individui che aveva davanti avrebbe dovuto ricevere per primo le sue urla. Prima ancora di poter giungere ad una conclusione, Finn avanzò verso di lui, facendo cenno a Blaine di seguirlo, e disse: “Andiamo Kurt, è così che mi ripaghi per averti procurato un fidanzato?”. Kurt lo guardò fisso, cercando di capire quanto di vero ci fosse in quella battuta. Blaine intervenne: “Sono venuto per parlarti! Ho detto una marea di cavolate Kurt… Lasciami spiegare!”. Kurt spostò lo sguardo su di lui, trasformandosi magicamente dal mastino che era stato fino ad un secondo prima ad un gatto ferito e desideroso di carezze. Inizialmente pensò di cacciare entrambi in malo modo, ma la remota possibilità che la frase detta da Finn fosse seria era troppo importante per non essere opportunamente confutata. “Vieni dentro” concluse Kurt dopo un lungo sospiro. Blaine obbedì, lasciando Finn solo nel vialetto. “Con te poi faccio i conti!” aggiunse Kurt, vedendo che Finn si era subito rilassato; un modo per fargli sapere che la cosa non era finita lì. In realtà sapeva che, se fosse davvero andata bene, avrebbe dovuto far erigere una statua d’oro a suo onore in giardino. Ormai era quasi l’una, così la madre di Finn, intenta a preparare il pranzo in cucina, chiese a Kurt sfoggiando un ampio sorriso: “Il tuo amico resta per pranzo?”. Kurt guardò a sua volta Blaine: “Il mio amico resta per pranzo?”. “Si… Si, grazie!” ripetè per farsi sentire anche dalla donna. Kurt gli fece strada verso il suo seminterrato, dimenticando che la bacheca rotta era ancora lì, in un angolo. Blaine la notò subito, poi guardò verso di lui con aria interrogativa e leggermente sconvolta, sperando che quella cosa non fosse davvero avvenuta a causa sua. Kurt non rispose alla silenziosa domanda, e gli fece cenno di sedersi con lui sul bordo del letto. Non c’erano ancora sedie, tranne per la sua poltrona minimal a forma di uovo.

“Dimmi che non sei venuto per dirmi cose idiote del tipo restiamo amici…” disse Kurt, pessimista come sempre. Blaine rise lievemente. “No, non sono qui per questo”. Il che poteva voler dire “fidanziamoci” oppure “dimenticati della mia esistenza”. Di lì a poco, Kurt avrebbe conosciuto la risposta. “Per favore, non mi interrompere, sennò va a finire come ieri”. Kurt annuì, per poi mettersi le mani in grembo con aria attenta. Blaine cominciò: “Ieri avevo promesso di essere sincero, ma ti ho lasciato credere una cosa che non è la verità. Quando ho detto che so cosa vuol dire sperimentare, farsi piacere una persona per forza e tutte quelle cavolate lì… intendevo che lo so perché qualcuno lo ha fatto con me, non il contrario”. Kurt cercò istintivamente di parlare, ma Blaine lo fermò: “No! Non mi interrompere. Non mi va di soffermarmi su questo discorso, perché in realtà dovremmo parlare d’altro io e te. Per farla breve, era un ragazzo che mi piaceva da morire quando ero al primo anno; stravedevo per lui. Ad un certo punto ha iniziato a provarci, e non mi sembrava vero. Quando poi le cose si sono fatte serie, mi ha detto di aver capito di non essere gay per davvero, e mi ha ringraziato per avergli permesso di capirlo. Un esperimento, tutto qua. Perciò è giusto che io ti chieda scusa per aver pensato che tu potessi comportarti come lui. Perdonami, Kurt”. Quegli occhi di cioccolato fondente, dolci ed amareggiati, rapirono Kurt ancora una volta. Blaine si schiarì la voce, poi continuò: “C’è anche un’altra cosa per cui devo chiederti scusa. Io… avevo intuito di piacerti, ma non pensavo che tu… mi amassi. Non è mai successo che qualcuno mi amasse, perciò non l’ho saputo neanche notare”. Le guance di Kurt si tinsero lievemente di rosso, per il leggero imbarazzo ma anche per l’eccitazione di scoprire la continuazione. “Per questo ti ho detto quelle cose, senza sapere che ti avrebbero ferito così tanto. Invece, se tu me l’avessi detto…” Kurt maledì Blaine per quella pausa: stava per morire. Finalmente, concluse: “…ti avrei detto che mi piaci, tanto. E che non ti amo, ma credo che un giorno potrei farlo”. Kurt fece per avvicinarsi di più, estasiato da quelle parole, ma Blaine lo allontanò poggiando una mano sul suo petto. “Aspetta, non ho ancora finito. Voglio che tu ci pensi bene… vuoi davvero accontentarti così? Una persona come te, Kurt, meriterebbe di essere amata dal primo giorno, tutti i giorni. Né io né te sappiamo quanto dovremo aspettare prima che accada, e io non voglio dirlo perché mi sento obbligato, o per farti stare più tranquillo. Perciò ti sto chiedendo: è abbastanza? E’ abbastanza questo per te?”. Kurt lo guardò in quegli occhi profondissimi; poi gli prese la mano, ancora poggiata sul suo petto, con la sua. “Non è abbastanza” disse risoluto. “E’ tutto”. Entrambi sorrisero, consapevoli di ciò che sarebbe accaduto da un momento all’altro. Questa volta, fu Blaine a prendere tra le mani il viso di Kurt.

Fu un bacio diverso. Non più disperato, colpevole, o non ricambiato. Non facevano altro che stringersi, sempre di più, cercarsi avidamente e poi trovarsi, ancora e ancora. Soddisfatti, si allontanarono lievemente l’uno dall’altro. Kurt si tastò la tasca dei pantaloni, per uscirne il famoso cuoricino stropicciato. “Lo sapevo” disse guardandolo. “Sapevo di aver fatto bene a tenerlo”.

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Capitolo 13
*** Change is in the air ***


13. Change is in the air

 

“E’ prontooo!”

La voce di Carole risuonò in tutta la casa come un allarme antincendio. “Andiamo?” chiese Kurt a Blaine, alzandosi dal letto e tendendogli una mano. Blaine la prese senza esitare, e l’improvvisa normalità di quel gesto pervase Kurt di una gioia difficile da descrivere. Pensò ancora una volta alle foglie d’autunno, a loro due seduti su una panchina ad osservarle… Non era stata una visione tanto assurda ed irrealizzabile, dopotutto.

Una volta in cucina, Blaine si assentò per andare in bagno, e Kurt ne approfittò per dare alla famiglia delle precise e semplici istruzioni, badando a non alzare troppo la voce: “Ascoltate… soprattutto tu, papà!”, sottolineò vedendolo troppo distratto. “Niente sorrisetti ambigui, domande imbarazzanti sulla sua omosessualità o cose del genere… va bene?”. “Con me sfondi una porta aperta”, rispose suo padre alzando le spalle, “sai che preferisco non entrare nella tua vita privata”. Kurt si domandò istintivamente se davvero quello fosse ciò che voleva. Se Finn avesse portato a casa una ragazza, suo padre non sarebbe riuscito a trattenersi dal fare domande stupide e inappropriate… era il suo modo di mostrarsi interessato. Blaine tornò giusto in tempo per distoglierlo da questi pensieri; si sedette accanto a lui, visibilmente a disagio. Per un po’ regnò il silenzio, poi Finn e Burt iniziarono a parlare dell’ultima partita dei Nix e della squalifica di un giocatore di cui Kurt aveva già scordato il nome un secondo dopo… Gli sembrò una scena già vissuta, quando suo padre e Carole si frequentavano da poco; ma stavolta c’era Blaine, seduto accanto a lui, su una sedia della sua cucina. Quei due potevano parlare di quello che volevano.

Finito il pranzo, Blaine decise di recarsi alla fermata dell’autobus per tornare a casa, dopo aver insistito per non essere riaccompagnato in macchina. Kurt camminò con lui per quel breve tratto di strada, cercando di gustare ogni secondo di quella passeggiata tanto a lungo immaginata, ed ora finalmente vissuta. “Ah, quasi dimenticavo, credo che a Finn piaccia mia sorella” disse Blaine dal nulla. “Tua sorella? Perché, quando l’ha conosciuta?” chiese Kurt incuriosito. “Stamattina doveva venire a prendermi e si sono conosciuti. Cioè, lei pensava che io e lui… ecco…”. Kurt arrestò il passo, rispondendo con aria critica: “Cosa? Voi due?! Non ti ci vedrei proprio!”. Blaine sorrise di gusto. Diede una lieve spinta a Kurt, poi aggiunse: “Chissà perché lo sospettavo!”. La sua risata piena e soddisfatta era musica per le orecchie di Kurt, il quale ricambiò la spinta, ridendo a sua volta con voce cristallina.  Presto – troppo presto per lui – arrivarono alla fermata. L’autobus sarebbe passato a breve, così decisero di salutarsi prima, per evitare di non poterlo fare come si deve. L’impaccio di entrambi era abbastanza palese: nel giro di due giorni, era cambiato tutto. “Ci sentiamo, va bene?” chiese Kurt, come a voler essere rassicurato dalla risposta di Blaine. “Certo” disse l’altro sorridendo. “Ciao Kurt” concluse, dandogli un delicatissimo bacio sulle labbra. Ancora una volta, un gesto che sarebbe diventato la loro normalità. Kurt si chiese se il rossore delle sue guance si sarebbe prima o poi alleviato, o se anche quello sarebbe stato parte della sua routine con Blaine. Sorrise, improvvisamente desideroso di chiudersi in una stanza per poter urlare e saltare a destra e a manca senza che nessuno lo vedesse, dando così sfogo all’adrenalina che pervadeva il suo corpo. Salutato a sua volta Blaine, si voltò per tornare a casa e “fare i conti” con Finn, non sapendo ancora se continuare a fargli credere di essere arrabbiato o meno… in realtà, il sorriso da ebete che aveva in volto non glielo avrebbe neanche permesso.

Finn era rimasto sotto il portico ad aspettarlo, seduto sulle scale con le braccia incrociate e un ghigno di soddisfazione stampato in viso. Non solo aveva risolto le cose tra Kurt e Blaine, ma aveva anche conosciuto uno schianto di ragazza… un po’ troppo impertinente forse, ma era proprio quello ad averlo intrigato. Era un po’ stanco di vedere Rachel supplicarlo in tutti i modi, dire di volersi piegare a qualsiasi suo desiderio pur di tornare insieme a lui… invece quella ragazza dai folti boccoli neri aveva l’aria di una che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno. Sicuramente, se fosse stata al posto di Rachel, avrebbe detto qualcosa tipo “Ehi, se vuoi tornare con me bene, altrimenti smamma!”. Finn si morse le labbra. E’ davvero così facile? Basta un ‘chiodo schiaccia chiodo’?, pensò. Intanto Kurt aveva appena fatto il suo ingresso nel vialetto, e vedendo Finn così pensieroso non potè fare a meno di ricordare le parole di Blaine. Stava per fare qualche battuta sarcastica, ma Finn si accorse di lui e lo precedette: “Ehilà! Allora, non dovevamo fare i conti?”. Il ghigno era diventato ancora più grande, quasi in segno di sfida. Kurt rimase un po’ interdetto, cercando di racimolare un po’ della rabbia che aveva in corpo quella mattina, che si era ormai volatilizzata, e soprattutto di sembrare credibile nonostante la felicità che sprizzava da ogni suo poro. “Si, infatti…” disse prendendo tempo. “Anche se è andata bene, ciò non toglie che non avresti dovuto farlo!”. Ma che sto dicendo?!, pensò intanto nella sua mente, Certo che avresti dovuto! Ma quel fare il sostenuto lo divertiva. “Ah si? Beh, allora me lo ricorderò per la prossima volta” rispose Finn ridendo, sapendo di avere il coltello dalla parte del manico. “Si, esatto!” disse Kurt avvicinandosi ancora di più allo scalino, tradito dal suo sorriso che sembrava voler dire “grazie” in tutte le lingue del mondo. Poi gli tornò in mente la battuta sarcastica che voleva fare, e sedendosi accanto a Finn aggiunse: “Comunque, vedo che anche tu ne hai tratto qualche vantaggio!”. Finn cambiò subito espressione: “Ah, vedo che le voci girano!”, rispose oltraggiato. “Così ti piace, eh?” continuò Kurt imperterrito. “Beh, è una bella ragazza, tutto qui” fu la risposta. In effetti, non poteva certo dire di conoscerla bene. “Questo è ovvio, è la sorella di Blaine!” disse Kurt, come se Finn avesse detto una cosa assolutamente scontata. “Oh scusa, non ci avevo pensato!” rispose Finn con aria sarcastica. Entrambi risero con serenità. Si percepiva nell’aria qualcosa di diverso… forse il sentore del cambiamento. Anche se Finn poteva aggrapparsi soltanto ad un sorriso malizioso di Jane Anderson verso di lui, sentiva comunque che quell’incontro avrebbe significato qualcosa; più che altro, lo sperava. E Kurt, beh, inutile dire che la sua vita era davvero cambiata. Il bacio strappato con la forza da Karofsky era ormai un lontano ricordo, dissoltosi come una nuvola di fumo nel momento stesso in cui Blaine lo aveva baciato di sua spontanea volontà, in camera sua. Quello era il suo primo bacio.

“…Comunque, Finn, vedi di andarci piano” disse Kurt dopo un po’. “Che vuoi dire?!” chiese Finn, perplesso. “Sai come vanno queste cose, tu ti metti con la sorella del mio ragazzo, poi magari litigate e io ne pago le conseguenze” continuò l’altro, con un’aria leggera a vedersi ma sotto sotto con un fondo di serietà. Finn gli lanciò un’occhiataccia: “O magari il contrario?! E comunque, ci siamo scambiati due parole Kurt… sei tu che devi andarci piano!”. Ma Kurt guardava ormai al futuro, immaginando le famiglie Hummel e Anderson imparentate, due coppiette felici che passeggiano per il centro di Lima. “Va bene, va bene” rispose sospirando. In effetti, non aveva senso preoccuparsene in anticipo. La cosa di cui doveva preoccuparsi, forse, era l’eventuale reazione di Rachel. Non riuscì pertanto a trattenersi dal fare l’unica domanda che Finn non voleva sentirsi dire: “Senti, e… Rachel?”. Un’altra occhiataccia, che fece indietreggiare Kurt lungo lo scalino, per quanto piccolo fosse lo spazio rimasto tra lui e la ringhiera. Alzò le mani, in segno di resa: “Afferrato, non ne vuoi parlare” concluse. “Non c’è niente da dire, in realtà” ribattè Finn. Ed era la verità… se davvero era bastata una scollatura e un atteggiamento un po’ impertinente di una sconosciuta per non pensare più a Rachel, non c’era davvero molto da aggiungere. Era finita. Anche se Jane Anderson con tutta probabilità aveva già dimenticato il suo nome… era finita comunque.

L’arrivo di un camion abbastanza vistoso davanti al vialetto di casa Hummel distolse i due fratelli dalle rispettive riflessioni. “I mobili!” esclamò Kurt saltando dallo scalino come una molla. Finn non era dello stesso entusiasmo, sapendo in partenza che sarebbe toccato a lui prenderli e spostarli per la stanza secondo le direttive di Kurt, troppo debole per alzare una poltrona. Tutto era stato pagato in anticipo, grazie al servizio di shopping online del sito di Casa&Moda, la stessa ditta delle innumerevoli riviste di Kurt; perciò dovettero solo firmare un modulo presentato dal conducente. Anche Burt e Carole si accorsero del trambusto provocato dal motore del camion appena spento, così uscirono a vedere. “Salve, vuole qualcosa da bere?” disse gioiosa la madre di Finn all’uomo appena sceso dal mezzo. “Si, un succo di frutta magari!” rispose lui senza esitazione, avviandosi verso l’abitazione. Finn scoccò un’occhiata di disappunto verso sua madre: lo aveva praticamente condannato ad essere l’unico a dover trasportare i mobili. Per fortuna Burt la notò, accorrendo prontamente in suo aiuto mentre suo figlio iniziava già a dare ordini su cosa prendere prima, in che modo, e in quale lato della stanza posizionarla. “Quella scrivania ha degli scomparti interni Finn, non puoi prenderla in quel modo!” disse Kurt, tra una cosa e l’altra. Finn e Burt si scambiavano di nascosto sguardi infastiditi e allo stesso tempo divertiti, come sempre, dal modo di fare di Kurt. Ci volle un’ora e mezza per portarli tutti dentro, anche perché il fatto che la stanza fosse interrata rispetto alla casa creava un po’ di problemi. Kurt avrebbe voluto ordinare anche un armadio di proporzioni esagerate, che a differenza di quello componibile che aveva non sarebbe passato dalla porta, ma i suoi familiari erano riusciti a dissuaderlo. Finn si sarebbe accontentato anche di uno scomparto tutto suo dell’armadio di Kurt, al quale era stato proposto di spostare le sciarpe sullo stesso scaffale degli stivali per fare spazio; ma la cosa era fuori questione, così si era deciso di comprare un altro armadio, molto più piccolo.

Il mix di moda chic e mascolinità che Kurt aveva cercato di ottenere risultò alla fine un po’ bizzarro. Era come se la stanza fosse divisa da un’invisibile linea verticale, perfettamente al centro: a destra c’era il lato di Finn, con toni caldi, una poltrona bordeaux, scaffali con sopra modellini di macchine o vecchi soldatini verdi che Kurt gli aveva gentilmente concesso a patto che i cowboys scomparissero dalla sua vista. A sinistra, Kurt era rimasto fedele al suo stile “essential-fashion”, che pur essendo poco eccessivo risaltava per contrasto con l’altro lato della stanza: lo specchio da camerino c’era ancora, con accanto un puff tondo di pelle bianca e la famosa scrivania con scomparti interni, dotata anche di una lampada incorporata. Insomma, la cosa che avrebbe dato senso a quella camera sarebbe stata, a conti fatti, un muro divisorio. Ma Kurt sembrava sinceramente soddisfatto del suo operato, e Finn, mentre osservava il risultato finale con un po’ meno entusiasmo, giunse alla conclusione che un altro cambiamento era proprio quello che gli serviva, e che quel piccolo angolo di eterosessualità in fondo poteva bastare.

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Capitolo 14
*** Trial ***


14. Trial

 

Nei giorni seguenti, Kurt e Blaine si impegnarono per superare a poco a poco l’imbarazzo di farsi vedere alla Dalton mano nella mano. In realtà scoprirono presto che la cosa non aveva sconvolto più di tanto gli altri alunni, abituati a vederli quasi sempre insieme all’ora di pranzo; molti infatti avevano annunciato in tono amichevole, vedendoli passare per il corridoio: “Io l’avevo detto!”. Purtroppo, gli Usignoli non erano della stessa opinione. Alle prove del mercoledì, infatti, il Consiglio del Glee Club della Dalton decise di affrontare, con sorpresa degli stessi interessati, il tema della loro relazione. “Stiamo insieme da sabato e già iniziano i problemi” sussurrò Kurt all’orecchio di Blaine, seduto accanto a lui sul divano di pelle della stanza riunioni con una faccia sconcertata, forse più della sua. Blaine lo guardò facendo un profondo respiro, e gli strinse la mano nel tentativo di rassicurarlo. La profonda connessione tra i loro sguardi preoccupati fu interrotta dalla voce tonante del capo del Consiglio, seduto al centro tra altri due Usignoli con in mano un martelletto da giudice. “Prima di iniziare le prove, come ho già anticipato, c’è un argomento che dobbiamo discutere” iniziò con aria seria. Kurt si sentì profondamente offeso dal fatto che la cosa più bella che gli fosse mai capitata fosse considerata un banale “argomento” di cui parlare, quasi un intralcio. Non potè fare a meno di guardare il “giudice” con aria di sfida, come un assassino in attesa di giudizio che non ha paura della sentenza. Il ragazzo intanto continuò: “Premetto che nessuno qui deve rispondere della sua vita privata, essendo libero di fare quello che vuole nel rispetto della politica tollerante della nostra scuola. Ma non possiamo ignorare il fatto -“ fece una pausa, guardando i due imputati in attesa, “- che un’eventuale relazione amorosa tra due membri degli Usignoli potrebbe generare dei problemi a livello artistico, nel caso andasse a finire male”. Quella conclusione irritò Kurt ancora di più, facendolo sobbalzare lievemente sul divano, stizzito. I bisbigli tra gli altri membri iniziarono a circolare attorno a loro: Kurt riuscì a percepire qualcosa come “In fondo, Blaine non è il tipo per una cosa seria”, oppure “Però non sta a noi decidere”, e ancora “Andiamo, Hummel non lo lascerà mai, è così preso!”. “Silenzio, per favore!” disse il capo del Consiglio battendo il martello di legno sulla sua base circolare. Kurt ne approfittò per alzare la mano una volta che l’ordine venne ristabilito, ignorando Blaine che cercava di tenerlo incollato al divano tirandolo per un lembo della divisa. Si alzò in piedi, sforzandosi di essere gentile e diplomatico almeno nella prima fase del dibattito. Si schiarì la voce, poi disse: “Capisco le vostre perplessità, cari Usignoli, ma credo che, come è stato saggiamente premesso, ognuno sia libero di fare quello che vuole nel suo privato. In fondo, è per questo che mi sono trasferito in questa scuola! Inoltre vorrei aggiungere che, a meno che non si tratti di duetti, io dovrei solo cantare nel coro come gli altri e quindi i litigi con Blaine o un’eventuale… rottura“ - il fatto di dover pronunciare quella parola come se fosse una possibilità già assodata lo nauseò - “non comprometterebbero il rendimento artistico di questo Club”. Detto questo si sedette, sfoggiando un sorrisetto di soddisfazione e compiacimento che svanì subito dopo, quando gli altri Usignoli si sentirono in diritto di dire la loro opinione: “Ma la complicità è alla base del canto corale!” – “E se uno dei due poi si rifiutasse di cantare con l’altro?!” – “Una cosa del genere non succedeva dal 1976!”. Non sapeva più dove volgere lo sguardo, vedendo ovunque persone ostili o in alternativa restie a prendere le sue difese. Si girò verso Blaine per cercare conforto, comprensione o almeno per riconoscere nei suoi occhi la stessa sua apprensione; lo vide invece passivo, quasi indifferente, con lo sguardo fisso sul pavimento e le mani incrociate all’altezza delle ginocchia. Si sentì all’improvviso a combattere da solo, come aveva sempre fatto, e anche se non si trattava di un bullo che lo spingeva contro gli armadietti, faceva ugualmente male. “Scusate… SCUSATE!” disse con un tono di voce leggermente alto, interrompendo le sentenze della giuria. Stavolta parlò rimanendo seduto: “Al Glee Club del McKinley non è mai stato un problema. Ci sono sempre state relazioni tra i membri, anzi ci sono tutt’ora, e il fatto che ci fossero litigi, tradimenti o rotture non ha mai influito sull’interpretazione delle canzoni!”. Un ragazzo con i capelli ossigenati gli rispose dal mucchio: “E come fai a dirlo? Forse è proprio per questo che alle Regionali dell’anno scorso siete arrivati terzi!”. Voci sommesse di approvazione iniziarono a diffondersi per la stanza, interrotte ancora una volta dal capo del Consiglio: “Va bene, arriviamo al dunque. Hummel, Anderson, è ovvio che noi non possiamo obbligarvi a fare nulla, come ho già detto. Questa riunione mira soltanto a darvi uno spunto per riflettere, per gestire questa cosa con calma e serietà, pensando alle conseguenze che le vostre azioni potrebbero avere su questo Club. E che sia chiaro, non c’è niente di personale”. L’ultima precisazione non servì a cancellare il disgusto sul viso di Kurt, provocato dall’espressione “questa cosa”. Blaine continuò a rimanere in silenzio, limitandosi ad alzare lo sguardo dal pavimento per annuire alle parole appena udite, mostrandosi accondiscendente davanti agli altri Usingoli e accentuando così la differenza tra la sua reazione e quella di Kurt.

Senza ulteriori indugi o commenti, si passò alle prove canore come tutti i mercoledì. Kurt si limitò a fare la sua parte, evitando appositamente di incrociare lo sguardo di Blaine durante le varie canzoni. Alla fine prese la sua cartella e si allontanò dalla stanza senza neanche salutare, come aveva fatto per alcuni giorni prima di baciarlo nel cortile della Dalton. Gli sembrò improvvisamente di essere tornato indietro. “Kurt, aspetta!” disse Blaine rincorrendolo lungo il corridoio. Kurt si fermò senza voltarsi, aspettando di essere raggiunto. “So cosa stai pensando…” disse Blaine, improvvisamente in piedi davanti a lui, “…che avrei dovuto dire qualcosa anch’io”. Kurt gli lanciò uno sguardo eloquente, alzando un sopracciglio come a voler dire “Secondo te?!”. Ma non disse nulla, aspettando che l’altro continuasse: “Hai ragione, è soltanto che non sapevo che dire, mi hanno colto un po’ di sorpresa. E poi… più che altro, stavo riflettendo”. “Riflettendo?!” ripetè Kurt. “Si…” continuò Blaine, “…insomma, vedendo te batterti in quel modo per noi due, per me… non avrei mai voluto che tu dovessi arrivare a tanto, per una persona che non ricambia ancora quello che provi. Stiamo insieme da qualche giorno Kurt, e guarda cosa hai dovuto affrontare, dopo tutto quello che avevi già passato… Pensavo di poterti dare serenità, ma a quanto pare non è così”. Kurt sgranò gli occhi, in preda all’esasperazione. Il loro rapporto era davvero così debole da poter essere messo in discussione così facilmente?! “E’ stata una mia scelta reagire in quel modo” rispose, cercando di pesare le parole. “Anche se si fosse trattato di altre due persone, le avrei difese ugualmente, perché l’ho trovato ingiusto. E poi, sarebbe bastato che tu ti alzassi insieme a me per darmi serenità. Non ti capisco” concluse. “Hai sentito quei bisbigli… ciò che pensano di me… e di te” disse Blaine risoluto. “E allora? Ho imparato a fregarmene dell’opinione degli altri all’età di 7 anni” rispose Kurt alzando le spalle. “Non voglio che tu soffra, Kurt. Tutto qui. Forse hanno ragione, dovremmo riflettere”. Kurt gli sorrise con una leggera aria di superiorità, e rispose: “Tu rifletti pure. Per me è tutto molto chiaro”. Si risistemò la cartella sulla spalla, abbassò lo sguardo e riprese a camminare, sperando di sentire i passi di Blaine dietro di lui ancora una volta. Ma furono soltanto i suoi a risuonare lungo il corridoio.

Quella sera, mentre guardava un talk show alla tv con Finn, Carole e suo padre senza fare minimamente caso a cosa stesse dicendo il presentatore né ai commenti dei familiari, il suono di un messaggio proveniente dall’iPhone poggiato sul tavolo del salotto lo destò da quello stato di semi-veglia. Il nome che avrebbe tanto voluto vedere era proprio lì, scritto sullo schermo luminoso. “Riflettere è da stupidi. Hai ragione tu. Scusami” diceva l’sms apparso subito dopo il tocco leggero del suo indice. Kurt tirò un lungo sospiro di sollievo, sperando vivamente di non dover più patire attese così lunghe da quel giorno in poi. Ci pensò un po’ su, poi decise di non essere melodrammatico e di buttarla sul ridere, così scrisse con strabiliante velocità “Ma io ho sempre ragione! ;)” ed inviò il messaggio. Blaine fu abbastanza veloce a rispondere con altrettanto sarcasmo: “Si, ti piacerebbe!”. Kurt rise, sollevato. Ripensò alla frase di Blaine di quel pomeriggio, “Pensavo di poterti dare serenità, ma a quanto pare non è così”, e rise ancora una volta, incuriosendo i suoi familiari seduti sul divano alle sue spalle. Era così evidente che Blaine sottovalutava il potere che aveva su di lui, che la cosa risultò all’improvviso esilarante, così come era esilarante il pensiero che le opinioni di quelle persone potessero in qualche modo minacciare quel potere… praticamente impossibile. Impossibile non trovare serenità in quel sorriso rassicurante, in quella mano stretta nella sua, in quei caldi occhi di cioccolato fuso. Impossibile non desiderare quella labbra morbide, fatte apposta per essere morse. Impossibile non amare Blaine, pur sapendo di non essere del tutto ricambiato… impossibile.

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Capitolo 15
*** Invitation ***


15. Invitation

 

“Che ne dici di cenare da me stasera?”

Kurt fu colto di sorpresa da quella domanda entusiasta di Blaine, detta durante la pausa pranzo di un’altra monotona mattinata di scuola. Era passata una settimana dal “processo” degli Usignoli, e il suo atteggiamento era notevolmente cambiato. Mandava messaggi a Kurt di sua spontanea iniziativa, lo invitava spesso ad uscire… era come se volesse farsi perdonare per aver messo tutto in discussione così facilmente, quel famoso mercoledì. Kurt in cuor suo ne era consapevole, ma quelle attenzioni inaspettate lo rendevano così euforico che non si era sognato neanche lontanamente di chiedere spiegazioni. E poi, perché avrebbe dovuto? E’ questo che si fa quando si è fidanzati… il solo pensare di potersi definire tale lo mandava in estasi. Tuttavia, quella domanda lo rese un po’ titubante. Insomma, a casa sua? Con sua sorella, e i suoi… genitori? “Da te? Ecco, non saprei…” rispose cercando di non essere drastico, mentre faceva scorrere il suo vassoio lungo il self-service incredibilmente fornito della Dalton Academy. “Si, esatto” – disse Blaine sorridendo, come se non avesse chiaramente notato la preoccupazione sul volto del suo ragazzo – “perché?”. Parlavano senza potersi guardare in viso, intenti a scegliere cosa mangiare tra un’affermazione e l’altra, le voci già sommesse coperte dai rumori degli alunni ai tavoli, delle posate e dei piatti. “Beh…” rispose Kurt dopo aver poggiato sul suo piatto una grossa palla di purè, “non credi che sia, ecco… un po’ presto?”. In realtà, il fatto che quel pensiero fosse balenato nella mente di Blaine lo lusingava molto: voleva dire che aveva intenzione di rendere le cose più serie, e forse lui avrebbe dovuto semplicemente accettarlo con entusiasmo. Ma allo stesso tempo, Kurt non potè fare a meno di preoccuparsi di poter diventare il “ragazzo ufficiale” di Blaine soltanto perché lui sentiva il bisogno di alleviare i suoi sensi di colpa. Blaine ci pensò un po’, sempre rimanendo dietro a Kurt con il suo vassoio, poi disse: “Beh, è soltanto una cena. Uhm, forse però è un po’ presto per cucinare per te in effetti…”. Kurt si fermò di colpo, rischiando di provocare una specie di tamponamento lungo la fila di vassoi dietro di loro. “Come sarebbe, cucinare per me?!” – “Sì, i miei sono a cena fuori per il loro anniversario e mia sorella è ad un pigiama party. Ho pensato che poteva essere un’idea carina… Comunque, lasciamo perdere” rispose Blaine tranquillo, selezionando da un cestino di vimini un budino al cioccolato come dessert, per non mostrare la sua leggera delusione. Kurt invece si dimenticò di scegliere il suo dolce, già intento a pensare a lui e Blaine soli in casa, con tante piccole candele lungo l’asse di un caminetto a legna e prelibatezze afrodisiache preparate appositamente per lui dal suo ragazzo. Dirigendosi verso il tavolo che ormai era diventato di loro proprietà, disse: “No, è che… credevo che ci fossero i tuoi. Per questo mi sembrava un po’ presto”. Blaine si sedette di fronte a lui, poi rise. “Pensavi che volessi presentarti ufficialmente?” disse divertito. Kurt arrossì. “Ehm, si, esatto…”. “Beh, per quello è decisamente presto” gli rispose l’altro grattandosi la testa. “Quindi ti va bene?” continuò dopo aver bevuto un sorso di Pepsi. “Si, certo” rispose Kurt, ancora rosso in viso e con lo stomaco in subbuglio. Che cosa aveva in mente Blaine? Secondo il suo conosciutissimo repertorio di film romantici sugli etero, le cenette a lume di candela organizzate a casa di uno dei due fidanzati preannunciavano sempre qualcosa di più. In fondo, perché non lo aveva invitato al Bel Grissino o al cinema come le altre volte nel corso di quella settimana? Il rossore sulle guance di Kurt si trasformò pian piano in pallore cadaverico, mentre guardava Blaine mangiare con aria innocente immaginandolo fare qualcosa di molto meno innocente… qualcosa che, paradossalmente, non gli era mai passata per la testa. Non aveva mai affrontato quell’argomento con Blaine, né con nessun’altro ovviamente. In effetti, non era forse presto anche per quello? Stavano insieme da poco più di una settimana! E soprattutto, Blaine aveva intenzione di fare sesso senza amore? In fondo, le fatidiche parole non erano ancora arrivate. “Non mangi?” disse Blaine interrompendo i pensieri convulsi di Kurt. “Eh? Mi sa che mi si è chiuso un po’ lo stomaco” rispose lui, non mentendo del tutto. Non voleva il sesso senza l’amore, ma non voleva nemmeno dover dire di no a Blaine… e poi, davvero ci sarebbe riuscito? Gli sembrava impossibile che le parole “no” o “fermati” potessero davvero far parte del suo vocabolario, quando si trattava di Blaine. Senza neanche accorgersene, e soprattutto senza avere uno straccio di prova certa che Blaine avesse davvero cattive intenzioni, arrivò alla conclusione sicura ed assoluta che quella sera sarebbe avvenuta la sua prima volta. Il panico gli impedì definitivamente di mangiare, e quel purè apparsogli così invitante andò miseramente sprecato nel cestino della mensa della Dalton.

Una volta tornato a casa, Kurt non ebbe il coraggio di condividere le sue preoccupazioni, o più che altro il suo terrore, con Finn. Né con suo padre, ma ovviamente quello era fuori discussione: qualche mese prima aveva lasciato a metà il film di Brokeback Mountain subito dopo la famosa scena della tenda, e sicuramente immaginare Kurt al posto di uno dei due cowboys non sarebbe stato l’ideale. E Finn, per quanto fosse stato di grande aiuto superando le sue barriere sia nei confronti di Kurt che del mondo gay in generale, quasi sicuramente non avrebbe potuto dargli il giusto consiglio. Inoltre Kurt sapeva bene che suo fratello era molto pentito di averlo fatto con Santana per la prima volta, perciò era meglio non tirare fuori un tema del genere. Perciò, quando entrambi gli chiesero perché stava mettendo a soqquadro l’armadio, rispose semplicemente: “Esco con Blaine”. La sua apprensione latente fu scambiata così per la solita indecisione su come vestirsi. Cercando di scegliere tra un look casual e uno più formale, arrivò alla conclusione che, indipendentemente da come sarebbe stato il “dopocena”, di certo l’occasione era romantica e importante: il suo ragazzo cucinava per lui. Perciò scelse una giacca blu scuro abbastanza elegante, con sotto una camicia bianca ed un piccolo papion. Blaine gli aveva sempre detto che quel colore, lo stesso della divisa della Dalton, gli donava infinitamente a causa del contrasto con la sua pelle chiara. Si spruzzò il suo profumo preferito, quello pubblicizzato da Britney Spears, sul collo; poi si pettinò accuratamente i capelli davanti allo specchio, cercando di alzarli un po’ per non sembrare un damerino impettito con il ciuffo schiacciato. Fece un respiro profondo e uscì dalla sua stanza per tornare in salotto, al piano superiore. Burt stava seduto sul divano sgranocchiando patatine (cosa che Kurt disapprovava caldamente, essendo piene di roba artificiale), facendo zapping tra i canali sportivi come al solito. “Papà, posso prendere la tua macchina?” chiese Kurt, sfilando la giacca dall’appendi-abiti dell’ingresso. “Perché?” - rispose suo padre senza togliere la mano dal pacchetto – “Non viene sempre a prenderti lui?”. Kurt pensò improvvisamente al fatto che sia il Bel Grissino che il multisala erano più vicini a casa sua che a quella di Blaine, perciò era sempre andata così in effetti. Si rese conto che dire la verità avrebbe soltanto generato una discussione imbarazzante per entrambi, così mentì: “Si lo so, ma oggi andiamo in un locale vicino casa sua, quindi non avrebbe senso”. “Uhm, va bene, ma fai attenzione!” rispose suo padre senza pensarci su più di tanto. Ancora intento a sgranocchiare, indicò con una mano le chiavi poggiate sulla credenza dell’ingresso, in risposta a Kurt che voleva sapere dove fossero. “Ok, grazie! Buona serata a tutti!” disse ad alta voce, per poi prendere le chiavi della macchina ed uscire di casa.

Blaine gli aveva spiegato come arrivare a casa sua; Lima era percorsa da una grande strada principale, bastava solo sapere a quale traversa svoltare. Kurt ci impiegò una buona mezz’ora per arrivare, forse per la lunghezza del percorso, o forse per il suo intento di andare il più piano possibile: era come se l’ansia bloccasse il suo piede fino ad un certo punto del pedale dell’acceleratore, e non oltre. Comunque sia, riuscì ad arrivare alle otto e trenta, quindi soltanto con un ritardo di un quarto d’ora. La casa di Blaine era una villetta indipendente ad un solo piano, con un giardino ben curato affiancato da un garage. Non a caso si trovava nella zona residenziale di Lima, quella delle famiglie benestanti che iscrivono i figli alle scuole private praticamente dalla loro nascita, senza dover rinunciare al budget del viaggio di nozze. Luci soffuse illuminavano le finestre della villetta bianca, mostrandone a tratti gli interni in legno. Kurt parcheggiò la macchina, riconoscendo la casa dalla descrizione che Blaine ne aveva fatto, con particolare attenzione per le differenze tra la sua e quelle un po’ pacchiane del circondario, con le colonne doriche all’esterno e busti di finte statue greche di dubbio gusto. Una volta chiusa l’automobile, si diresse all’unico campanello presente accanto al cancello nero e suonò, accertatosi che la scritta fosse davvero “Anderson”. Un rumore elettronico e metallico segnalò poco dopo l’apertura automatica del cancello, dal quale sarebbe tranquillamente passato un SUV senza dover fare troppa attenzione. Una stradina di ciottoli e ghiaia divideva in due il giardino, collegando il cancello all’ingresso della villa. Prima ancora di vedere la porta aprirsi davanti a lui, Kurt sentì dall’interno l’inizio di una canzone abbastanza familiare. La porta si aprì e Blaine apparve sulla soglia, cantando:

 

[ http://www.youtube.com/watch?v=dpXCrhGfXHU&feature=fvst ]

 

Well you done done me and you bet I felt it
I tried to be chill but you're so hot that I melted
I fell right through the cracks
Now I'm trying to get back
Before the cool done run out
I'll be giving it my bestest
And nothing's going to stop me but divine intervention
I reckon it's again my turn to win some or learn some

I won't hesitate no more, no more
It cannot wait, I'm yours

 

Well open up your mind and see like me
Open up your plans and damn you're free
Look into your heart and you'll find love love love love
Listen to the music of the moment baby sing with me
I love peace for melody
And It's our God-forsaken right to be loved love loved love loved

So I won't hesitate no more, no more
It cannot wait I'm sure
There's no need to complicate 
Our time is short
This is our fate, I'm yours

 

Con il suo solito fare spavaldo da solista, Blaine volteggiava intorno a Kurt, che era così ammaliato e sinceramente felice che Blaine avesse avuto un’idea tanto carina da non fare minimamente caso all’arredamento della casa in cui era appena entrato, nè al fatto che Blaine indossasse un grembiule da cuoco macchiato d’olio e delle presine da cucina. Non potè fare altro che sorridergli, e fargli eco alla fine delle frasi della canzone, come un corista in sottofondo. Tuttavia, questo non gli impedì di domandarsi, tra una strofa e l’altra, il significato nascosto delle parole “I won’t hesitate no more, no more, I cannot wait, I’m yours”.

 

 

- Cari lettori e lettrici, ci tengo a scusarmi con voi per il ritardo nel pubblicare questo capitolo rispetto agli altri, dovuto alla mia assenza da casa durante il week end e ad una settimana di università piuttosto piena. E' probabile che questo capiti altre volte, perciò mi scuso sinceramente in anticipo, e colgo l'occasione per ringraziarvi di essere così affettuosamente interessati a questa storia. Tra l'altro, volevo precisare (se qualcuno per caso se lo stesse chiedendo) che sia la Klaine che i trip mentali di Kurt sul sesso sono fatti che ho scritto molto molto molto prima che accadessero nella serie, quindi YAY ME!

Come sempre, _hurricane vi augura una buona lettura! A presto!

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Capitolo 16
*** Heaven ***


WARNING: temporaneo rating GIALLO per la presenza di una scena Lime.

 

16. Heaven

 

Alla fine della canzone, Blaine andò a spegnere lo stereo posizionato su uno scaffale dell’ampio salone di ingresso. A causa dell’improvviso silenzio, Kurt potè finalmente soffermarsi su dove si trovava. Un lucidissimo parquet scricchiolava lievemente sotto le sue scarpe; un camino di ultima generazione riscaldava l’ambiente con la sua luce, sovrastato da un enorme televisore al plasma. Tutto sembrava urlare “siamo ricchi sfondati”, ma la cosa non lo mise a disagio più di tanto, visto che, a differenza dell’arredamento, Blaine era decisamente meno elegante di lui: capelli scompigliati, come Kurt non li aveva mai visti, e goccioline di sudore sulla fronte a causa del calore emanato dai fornelli. Sorrise istintivamente vedendo il suo ragazzo conciato in quel modo, e soprattutto accorgendosi di trovarlo comunque attraente, anzi forse di più. “Lo so, sono indecente!” - disse Blaine interpretando i suoi pensieri – “Vado ad uscire il pollo dal forno e poi mi cambio!”. Senza aspettare che Kurt rispondesse, il ragazzo tornò in cucina, alla quale si poteva accedere attraverso un grande arco in muratura. Così lui ne approfittò per fare un breve giro della casa, avviandosi lungo il corridoio che conduceva alla zona notte. Non indugiò molto nelle singole stanze, tranne per quella di Blaine, che scoprì essere anche quella di Jane visto che dentro vi erano un letto a castello, due scrivanie, due armadi. Rimase un po’ deluso, trovandola fin troppo ordinaria e in linea con il resto della casa: non prevaleva né uno stile femminile né uno maschile. Ma in fondo, pensò subito dopo, neanche nella sua.

Intanto Blaine lo stava cercando: “Kurt, dove sei finito?” disse entrando proprio nella sua stanza. “Ehi, scusa, davo solo un’occhiata” rispose Kurt, colto sul fatto. “Tranquillo, non c’è problema” disse Blaine dirigendosi al suo armadio per cercare qualcosa da mettere che non fosse una maglietta sudaticcia. Kurt intuì subito la sua intenzione, e pensò istintivamente di uscire dalla stanza; ma la cosa lo avrebbe fatto apparire alquanto infantile, così fece finta di non essere per niente a disagio. Blaine frugò un po’ nel suo armadio, senza dubbio ordinato ma mai quanto quello di Kurt, per uscirne alla fine una camicia bianca sagomata, troppo sagomata. Senza battere ciglio, Kurt lo guardò togliersi il grembule macchiato, e poi la polo a maniche corte che aveva addosso. Sperò che Blaine non si accorgesse del suo progressivo impallidire alla vista del suo corpo mezzo nudo, scolpito come quello dei busti greci delle ville pacchiane del quartiere. E anche con la camicia, il risultato non cambiava poi tanto. “Ehm, dovrei sistemare anche i capelli, ma si raffredda tutto” disse Blaine mortificato, raccogliendo la roba da lavare che aveva buttato sul letto. “Ma figurati, non ce n’è bisogno…” – disse Kurt – “…sei comunque splendido”. Il suo colorito cambiò ancora una volta. Se davvero la sua pelle era di porcellana, era proprio una stranissima varietà di porcellana, un po’ come quegli anelli che cambiano colore con l’umore. Blaine si avvicinò a lui sorridendo. “Tu di più”. Gli prese il mento e lo baciò con straordinaria semplicità. “Bene, allora si mangia!” esclamò subito dopo.

La cenetta romantica prevedeva un antipasto di salumi e formaggi disposti a cerchio su un piatto, proprio come un vero ristorante; il già menzionato pollo arrosto, con contorno di patate; un soufflé al caramello per dessert, il dolce preferito di Kurt. Come nei suoi più vividi sogni ad occhi aperti, un candelabro stava al centro del tavolo della sala da pranzo, rendendo l’atmosfera molto intima. Il cibo era davvero buono, ma anche se non lo fosse stato Kurt non ci avrebbe fatto molto caso: ad ogni nuova portata, sentiva il famoso “dopocena” avvicinarsi sempre di più. Inoltre, l’orologio sul muro faceva capire chiaramente che la cena stava durando troppo poco, e che quindi sarebbe nata spontaneamente la domanda: “E adesso?”. Blaine si accorse della sua eccessiva attenzione per l’orologio, e chiese: “Tutto bene? Sei silenzioso”. “Scusa, è che… sono sorpreso. E’ tutto molto bello, Blaine”. Blaine sorrise, inclinando la testa con aria interrogativa: “Ah, quindi ti sorprende che io possa organizzare qualcosa di bello?”. Kurt non colse il sarcasmo, e si affrettò a precisare: “N-no, no, non intendevo dire questo!”. “Scherzavo Kurt!” rispose Blaine, per poi farsi una sonora risata. Senza aggiungere altro, si alzò per iniziare a sparecchiare: ormai avevano finito anche il dolce. Kurt si alzò a sua volta, ma Blaine lo fulminò con lo sguardo: “Non ti azzardare, sei mio ospite!”. Kurt gli obbedì giusto il tempo di farlo andare in cucina, poi prese il suo piatto e lo seguì, noncurante del suo ordine. “Kurt!” lo apostrofò Blaine vedendolo apparire dal grande arco. Lui lo ignorò volutamente, dirigendosi verso il lavandino per poi arrotolarsi le maniche della giacca. Ebbe appena il tempo di alzare la leva per far scorrere l’acqua che Blaine fu dietro di lui, con l’intento di prendergli il piatto dalle mani. Protendendosi verso il lavandino,il ragazzo si avvicinò pericolosamente al suo orecchio con le labbra. Kurt sentì un brivido scorrergli lungo il corpo, al contatto del petto di Blaine contro la sua schiena e del suo respiro caldo sul collo. Senza nemmeno aspettare che Blaine parlasse, lasciò andare il piatto sul fondo del lavandino, permettendo all’acqua di scorrervi sopra. “Hai un buon odore” disse Blaine annusando il suo adorato profumo di Britney Spears, e forse avvertendo i brividi di eccitazione lungo la sua schiena. Kurt non rispose: non riusciva a pensare ad una frase di senso compiuto da dire. Blaine iniziò a baciargli l’incavo dietro l’orecchio, poi il lobo, tenendogli le braccia ferme sul bordo del lavandino con le sue. Kurt comunque non avrebbe avuto la forza di spostarle: sentiva i muscoli come pietrificati, tranne quelli delle labbra, che si mordeva ogni volta che Blaine gli respirava nell’orecchio con fare provocatorio. “Blaine… così mi fai impazzire” riuscì a sussurrare. “Ah si?” - disse l'altro con aria soddisfatta, quella di chi sa di detenere il potere - “E così?”. Detto ciò, lasciò il braccio destro di Kurt per scendere lentamente verso il basso. In un lampo, slacciò con incredibile facilità la sua cintura e infilò la mano nei suoi slip, continuando a baciarlo dietro l’orecchio. Kurt sentì lentamente il poco raziocinio rimasto fare spazio all’eccitazione e ai pensieri più perversi, cancellando in un attimo la sua ferma convinzione di non voler fare sesso senza prima aver ottenuto l’amore. Avrebbe voluto girarsi e strappare quella camicia semi-trasparente dal corpo di Blaine, baciarlo ovunque, morderlo, ma quel su e giù nei suoi pantaloni lo teneva inchiodato al lavandino. Le frasi che balenavano convulse nella sua mente però non poterono più essere trattenute, e senza preoccuparsi di dosare il tono della voce riuscì a dire ansimando: “Ti prego, non smettere”. E Blaine non ne aveva per niente l’intenzione: vedere e sentire Kurt totalmente schiavo delle sue azioni gli provocava una goduria indescrivibile.

Alla fine, passata l’eccitazione del momento, Kurt cercò dentro di sé il coraggio di voltarsi. Era avvenuto in un attimo, senza nemmeno poter guardare Blaine in faccia: sembrava quasi irreale. Sentendo la sua mano uscire lentamente dai pantaloni, lo fece. Ora aveva la schiena contro il bordo del lavandino; Blaine era ancora vicino, a quanto pare non intenzionato ad indietreggiare. Kurt lo tirò per i capelli neri ed arruffati con tutte e due le mani, per fiondarsi sulle sue labbra, spudorato. Il passare dall’imbarazzo alla lussuria in quel modo lo fece sentire come un assassino dotato di personalità multiple. Continuarono a baciarsi avidamente per un tempo indefinibile, troppo poco per il Mister Hyde che si celava dentro di lui. Ma Dottor Jekyll era ancora lì da qualche parte, a domandarsi dove sarebbero andati a finire, e soprattutto se fosse la cosa giusta lasciare che accadesse. Così fu Kurt, inaspettatamente, ad interrompere quel gioco di labbra per sussurrare: “Blaine, tu vuoi… farlo?”. Non era un invito, bensì una domanda che nascondeva un velo di paura. Blaine infatti non fraintese, e rispose rimanendo a pochi millimetri da lui: “Vorrei, lo ammetto. Ma non sarebbe giusto”. Le due personalità di Kurt iniziarono a combattere su quanto quell’affermazione potesse essere un sollievo o meno. Alla fine prevalse quella buona, casta e romantica, che nonostante la perversione appena passata non avrebbe voluto la sua prima volta sul lavandino di una cucina. Blaine notò l’improvviso rilassamento sul volto di Kurt, e chiese: “Pensavi che ti avessi invitato apposta, vero?”. Kurt arrossì, improvvisamente scoperto. “Beh, l’ho… sospettato”. Blaine sorrise. “Non ti ho invitato con quell’intento, sul serio. E’ stata una cosa inaspettata. Non dovevi metterti quel profumo!” concluse sarcastico. “Ah, quindi sarebbe colpa mia?” rispose Kurt, facendo finta di offendersi. Blaine lo guardò dritto negli occhi, diventando improvvisamente serio. “Quando sarà il momento giusto lo capiremo, vedrai. In quel momento, saprò di amarti anch’io” disse con tono rassicurante, accarezzandogli una guancia. “Lo so” rispose Kurt chiudendo gli occhi, per godersi la delicatezza di quella stessa mano che poco prima lo aveva portato in paradiso.

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** Hell ***


17. Hell

 

Il resto della serata passò tranquillamente: coccole e pop-corn fatti in casa davanti al dvd di Moulin Rouge. Kurt ovviamente non riuscì a trattenersi dal piangere sulla scena finale, e Blaine non riuscì a trattenersi dal consolarlo con una carezza. Alla fine si salutarono con un bacio passionale sull’uscio, ripromettendosi di vedersi l’indomani all’entrata della Dalton, come sempre.

Kurt guidò la macchina di suo padre con una lentezza maggiore rispetto a quella dell'andata, per concedersi di rimuginare su quello che era successo: i respiri, i baci, le carezze e… il resto. Era la prima cosa sufficientemente vicina al sesso che avesse mai sperimentato… e soprattutto, la prima volta che si era sentito a casa. Su quel divano troppo classico e raffinato per lui, con le mani sporche del sale di una ciotola di pop-corn, in una villa mai vista prima dei quartieri alti di Lima… ma forse, pensò mentre voltava l’angolo che portava al vialetto di casa, dipendeva semplicemente da Blaine. Il luogo aveva ben poca importanza. Il flusso dei pensieri smielati nella sua mente si interruppe bruscamente, quasi violentemente, come se qualcuno lo avesse schiaffeggiato all’improvviso o gli avesse gettato una secchiata d’acqua gelida nel bel mezzo della notte. Una figura alta e robusta, troppo robusta per essere quella di Finn, gli impediva di vedere la porta di ingresso. Kurt parcheggiò la macchina al solito posto, poi scese per capire chi fosse… o più che altro, per accertarsi che non fosse chi lui credeva. Avanzò con passo lento e incerto lungo il vialetto; il cuore batteva all’impazzata per la paura… quel familiare e odiato terrore che Dave Karofsky gli provocava ogni volta.

“Buonasera checca! Passavo di qui e ho pensato di farti una sorpresa!” esordì la grossa figura, confermando i suoi sospetti. Nonostante la paura fosse il sentimento prevalente, Kurt non potè fare a meno di sentire l’irrefrenabile desiderio di saltargli al collo, pur sapendo che sarebbe stato inutile, per impedirgli di parlare. Impedirgli di dire qualsiasi cosa che avrebbe potuto rovinare quella serata magica. No, non stavolta si ripeteva Kurt, ora ansimando pesantemente. Decise di rimanere a debita distanza e non rispondere: magari se ne sarebbe andato, seccato dal suo ostinato silenzio. Ma Karofsky, che indossava come al solito la giacca bianca e rossa del McKinley come se non avesse altri vestiti nel suo armadio (la cosa comunque non avrebbe sorpreso Kurt), sfoggiò un ghigno malizioso e continuò: “Sei stato dal tuo fidanzatino, eh?”. Il terrore si trasformò nel panico più profondo e angosciante che Kurt avesse mai provato, al solo pensiero che quel bullo conoscesse i suoi spostamenti… e soprattutto che potesse conoscere l’indirizzo di Blaine. Il pallore di porcellana ora risplendeva nel buio del suo vialetto come una luna piena, visibile da quei piccoli pezzi di pelle non coperti dalla giacca o dalla sciarpa a righe. E Dave Karofsky amava quel bianco cadaverico e la capacità di provocarlo a suo piacimento. Kurt continuò a non rispondere, sbirciando con la coda dell’occhio verso casa per vedere se c’era qualcuno ancora sveglio. Niente, proprio quella volta che gli sarebbe servito, suo padre, che di solito lo aspettava sveglio a qualsiasi costo pur di accertarsi che non passasse la notte con Blaine, si era addormentato. Tutto giaceva nell’oscurità; in effetti, Moulin Rouge si era portato via una buona parte della serata ed era ormai l’una di notte. Il bullo avanzò con passo fiero, ma Kurt non indietreggiò. “Sai che voce gira a scuola?” continuò beffardo. Kurt scosse il capo, sempre più angosciato, chiedendosi dove diamine volesse arrivare stavolta. “No? Te la dirò in breve…” - disse Karofsky in risposta al suo impercettibile gesto – “…dicono che ti ho fatto un favore a farti trasferire, visto che ti sei messo con quel tappo pieno di gel che a modo suo ha tentato di farmi fare outing. Il che è irritante, primo perché è fuori questione che IO ti faccia un favore, e secondo perché quel tizio mi sta davvero sulle scatole”. Il discorso non faceva una piega, persino per Kurt. L’unica piega sarebbe stata quella del possibile coinvolgimento di Blaine. Un istinto di protezione che raramente gli era appartenuto fece capolino dalla coltre di paura che lo avvolgeva; così, raccolse il coraggio e la determinazione di salvaguardare il suo fidanzato a qualsiasi costo, sufficienti per dire: “Quello che succede tra me e Blaine non deve riguardarti, Karofsky”. Cercò di essere persino intimidatorio, pur sapendo di non avere nessuna minaccia credibile da potergli rivolgere. Nessun “gruppo di amici” con precedenti penali da mandare alla sua porta, nessuna possibilità di denuncia visto come era andata a finire la prima volta, e nessuna arma segreta nelle tasche della sua giacca. Erano solo lui e Karofsky in quel vialetto. Solo lui e l’ennesimo ostacolo sulla strada per la sua dannatissima felicità. “Invece si, se questo significa averti fatto un favore” rispose l’altro con voce ferma. “Invece no” ribattè Kurt guardandolo dritto negli occhi. Karofsky avanzò con un solo, unico passo, in modo da essere praticamente faccia a faccia con lui. “Come hai detto?!” disse avvicinandosi ancora di più. Kurt poteva sentire l’alito pesante di quella montagna di carne e ossa sulla sua pelle delicata e perfetta, come un vento fastidioso e implacabile. Fece un respiro profondo. “Ho detto che non ti riguarda!”. Karofsky lo prese per il mento con uno scatto; Kurt potè sentire le sue dita premere ai bordi della mascella, e serrò i denti cercando di diminuire il dolore. Avrebbe potuto urlare, svegliare tutta la casa e forse il vicinato, ma non voleva farlo. Karofsky sarebbe scappato, per poi tornare un’altra volta ed essere ancora più arrabbiato… forse se la sarebbe presa direttamente con Blaine. No, avrebbe risolto quella cosa da solo, pur non sapendo come fare. “Non sfidare la mia pazienza, Hummel!” sussurrò il bullo stringendo la presa. Kurt sapeva bene che quelle grosse mani non avrebbero lasciato il suo volto se non di loro spontanea volontà, perciò l’unica cosa che potè fare è prendere Karofsky per la giacca, a mò di sfida. Karofsky stesso rise, sapendo di essere in grado di alzare quello scricciolo da terra con una mano sola. Trovò la cosa talmente ridicola che lo lasciò andare con una lieve spinta, che Kurt frenò poggiando un piede all’indietro. Poi si spazzolò la giacca, come se fosse stato in qualche modo contaminato, ed esclamò: “Sei senza speranza!”. Kurt non ci pensò due volte (ne sarebbe bastata una per realizzare che non era una buona idea) e gli sferrò un pugno in piena faccia con tutta la forza che aveva. Forza che per Karofsky non era poi molta, visto che gli uscirono tre gocce contate di sangue dal labbro superiore, ma che per Kurt era così inusuale da provocargli un dolore lancinante alle nocche della mano destra. Karofsky indietreggiò leggermente per il colpo, poi guardò l’altro in cagnesco, adirato per un simile oltraggio e incredulo per la stupidità di quel ragazzo che pesava non più di 50 chili; ma l’ira ebbe decisamente la meglio, e così la risposta arrivò puntuale. Kurt si ritrovò a terra senza nemmeno sapere come, visto che era intento a massaggiarsi la mano con l’altra mentre Karofsky prendeva la decisione di contrattaccare. Il freddo della ghiaia sotto la sua schiena non era niente in confronto al bruciore che sentì all’occhio sinistro e al sopracciglio; un rosso scuro gli impediva di vedere bene il cielo sopra di lui. Sentì una voce grossa tuonare a pochi passi da lui: “Questo ti basterà per un po’!”. Rimase disteso sul vialetto, sperando che il suo rivale se ne andasse dopo quel lapidario messaggio. Ma non sentì dei passi allontanarsi, anzi, il contrario. Dall’occhio non ricoperto di sangue vide Karofsky leggermente chino su di lui, il suo viso per niente sfregiato che lo osservava come un gatto spiaccicato sull’asfalto. “L’altro ricordino lo lascio alla tua mogliettina, che ne pensi?”. “No, NO!” rispose Kurt contorcendosi per l’apprensione e coprendosi l’occhio ferito. Stranamente, la sua risposta ebbe effetto. “Uhm, a pensarci bene con lui non sarebbe divertente. Allora ci rivedremo io e te, baby!”. Con questo, il ragazzo indietreggiò scomparendo dalla vista di Kurt, che lo sentì allontanarsi a passo lento lungo il vialetto. Aspettò qualche minuto per essere sicuro che non tornasse, poi si alzò a fatica da terra, cercando di non svenire alla vista del rosso sulle sue mani: una perché aveva coperto l’occhio, l’altra per il tentativo di pugno. Si introdusse silenziosamente in casa, cercando di lamentarsi a voce bassa: era impossibile non gemere per il dolore. Si affrettò a chiudersi in bagno per lavare le ferite; l’acqua ossigenata lo costrinse a mordersi le labbra per non farsi sentire dal resto della casa. Prese due grandi cerotti da uno degli armadietti del bagno, uno per la mano e uno per il sopracciglio. Per l’occhio nero che avrebbe avuto il giorno dopo purtroppo sarebbe servita una benda da pirata, che di certo non sarebbe passata inosservata oltre ad essere decisamente poco chic. Con cautela, andò in camera per mettersi il pigiama; Finn dormiva della grossa, niente avrebbe potuto svegliarlo. Si concesse quindi di accendere le piccole lucette tutte intorno al suo specchio da camerino, accanto alla scrivania. Si guardò con attenzione, cercando poi di modellare il ciuffo nel tentativo di coprire il cerotto, senza grandi risultati. Per la mano avrebbe messo i guanti, trovando una scusa per tenerli tutto il giorno.

Dall’indomani sarebbe stato di nuovo il povero gay perseguitato, anche alla Dalton. Strinse i pugni, arrabbiato come non mai con la sorte, con Dave Karofsky e con coloro che avevano avuto l’ardire di metterlo al mondo, non sapendo che avrebbe consacrato la sua esistenza a rendere impossibile la sua. Poi spense le luci e filò dritto a letto, ma il sonno si fece attendere a lungo. Karofsky si sarebbe fatto vivo ancora una volta, per rovinargli anche l’altra metà del viso. E Blaine non avrebbe dovuto essere presente, questo era chiaro. In un attimo, il ricordo della serata più bella della sua vita era diventato un incubo senza via d’uscita.

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Capitolo 18
*** Bluff ***


18. Bluff

 

Quella mattina, Kurt si alzò con largo anticipo per uscire di casa senza essere visto. Attingendo alla sua lunga lista di berretti, riuscì a trovarne uno che poteva coprirgli la fronte fino al sopracciglio, anche se lo faceva sembrare un rapinatore. Con una massiccia dose di fondotinta coprì il livido sull’occhio alla meno peggio, ma era comunque gonfio e semi-chiuso e Blaine lo avrebbe notato di sicuro. Riflettè un attimo sulla possibilità di non andare a scuola, ma preferiva affrontare l’argomento con Blaine che con la famiglia riunita e angosciata. Per non far preoccupare nessuno, lasciò un biglietto sul tavolo della cucina: “Sono uscito prima per fare colazione con Blaine. Un bacio, Kurt”. Dopo di che rubò un po’ di ghiaccio dal freezer e se lo premette sull’occhio lungo il tragitto da casa alla fermata dell’autobus, per poi buttarlo in un’aiuola all'arrivo del mezzo. Il parcheggio della Dalton era ancora deserto; mancava mezz’ora all’orario di entrata. Kurt ne approfittò per uscire dalla tasca della divisa il suo specchietto, cercando di esercitarsi a tenere l’occhio colpito il più aperto possibile, ma faceva troppo male. Così passò al piano B: un grande paio di occhiali da sole. Avrebbe detto a Blaine di aver dormito poco dopo la loro serata romantica, e di voler coprire le occhiaie… Forse gli avrebbe creduto senza problemi; in fondo, aveva provato sulla sua pelle che il suo ragazzo non era proprio un genio in materia di intuizioni. E quando Karofsky si sarebbe fatto nuovamente vivo per completare l’opera, avrebbe usato la stessa scusa, sperando che intanto l’occhio ferito in precedenza fosse già tornato alla normalità. Decise comunque di non aspettare Blaine all’ingresso come al solito, in modo da ridurre il tempo da passare insieme soltanto alla pausa pranzo. Perciò, quando vide i primi alunni arrivare con le loro costose macchine, si recò frettolosamente all’interno della Dalton.

Al momento del pranzo, tuttavia, Kurt non se la sentì di andare in sala mensa come ogni giorno, visto che mangiare con gli occhiali da sole sarebbe stata una cosa decisamente stupida agli occhi di chiunque. Perciò andò ancora una volta nel cortiletto dove aveva rubato un bacio a Blaine, sapendo che probabilmente lui avrebbe capito e si sarebbe recato lì, non vedendolo in mensa. E infatti, dopo qualche minuto di attesa sulla panchina, lo vide apparire. “Kurt, che ci fai qui?” esordì Blaine avvicinandosi verso di lui con il vassoio tra le mani. Kurt rispose senza alzare lo sguardo, premurandosi di tenere gli occhiali ben attaccati al viso e il berretto premuto sulla testa, nonostante il solito vento fastidioso. “Ho dormito poco stanotte, non mi andava di mangiare in mensa con questi occhialoni!” disse quindi accennando un sorriso. “Oh, capisco… e come mai hai dormito poco?” rispose Blaine sedendosi accanto a lui, riferendosi maliziosamente alla cena a casa sua. Kurt colse la battuta e disse prontamente: “Troppi lavandini per la testa”. Entrambi risero, ma Blaine notò che la risata di Kurt sembrava molto di circostanza. “…è tutto ok, vero?” disse dopo aver finito la sua insalata. “Certo!” rispose Kurt con eccessivo entusiasmo, un classico quando si sta fingendo. Blaine alzò un sopracciglio in segno di disappunto, ma decise di cambiare argomento, incuriosito dal berretto che vedeva per la prima volta sulla testa del suo ragazzo. “Hai dei capelli così belli, non dovresti coprirli così” disse quindi con sincera tenerezza, per poi toglierlo dalla testa di Kurt senza preavviso. Quando iniziò a sistemargli il ciuffo scompigliato, Kurt strinse i pugni sperando che non notasse niente, ma non resistette e disse con troppa stizza, allontanando la sua mano: “Dai Blaine, lascia stare”. Blaine si convinse ancora di più del fatto che qualcosa non andasse, così insistette: “Kurt, cosa c’è?” – “Niente, ti ho detto che è tutto ok!” fu la risposta secca e scostante. “Dai, ridammi il cappello” aggiunse Kurt. “No, prima dimmi che cos’hai” rispose Blaine deciso. “Ho dormito poco Blaine, è così difficile da capire?!”. Il fatto che continuasse a sistemarsi gli occhiali tra una frase e l’altra insospettì Blaine sempre di più col passare dei minuti, così alla fine decise di usare le maniere forti e li tolse con un gesto veloce dal viso di Kurt, il quale girò istintivamente il viso dall’altra parte. Blaine lo fece voltare nuovamente, questa volta con un tocco gentile sulla guancia. Kurt obbedì a malincuore, tenendo la testa bassa, per poi coprirsi l’occhio con la mano un secondo dopo sussurrando: “Non guardarmi”. Potè vedere con l’occhio libero e sano l’espressione sconvolta e al contempo deliziosamente preoccupata di Blaine, che a poco a poco cambiava in una di rabbia controllata. “Chi è stato” disse infatti senza sforzarsi di farla sembrare una domanda. “Blaine, lascia perdere, veramente” rispose Kurt senza togliersi la mano dal viso. Ci pensò Blaine, sempre con la sua estrema delicatezza, prendendogliela e stringendola con la sua. Kurt sospirò, rimanendo però in silenzio. Blaine lo guardò negli occhi per un lungo minuto, aspettando che trovasse il coraggio di parlare. Bastò infatti la dolcezza del suo sguardo a far sciogliere Kurt, insieme alla sua lingua: “Karofsky. Dave Karofksy” disse semplicemente. Blaine lo guardò perplesso, poi disse: “Quel… quel bullo che ti aveva minacciato al McKinley?” – “Sì” rispose Kurt. “E… perché?!” continuò Blaine. “Perché…” - disse Kurt esitando – “…perché ha saputo che sto con te, perciò la gente dice che mi ha fatto un favore a farmi andar via”. Decise di non dire nulla sul fatto che ci avrebbe riprovato, per non farlo preoccupare inutilmente. In fondo, a cosa sarebbe servito? “Oh, capisco” disse Blaine dopo una lunga pausa. “Mi… mi dispiace. Senza volerlo, non faccio che causarti problemi” aggiunse poi. Kurt si avvicinò a lui e disse: “A me non interessa. Ricordalo sempre”. Blaine sorrise annuendo, ma la preoccupazione non poteva svanire con tanta facilità: “Però potrebbe farlo ancora, Kurt. Io non posso permetterlo”. “Non c’è niente che possiamo fare, nessuno dei due. Senza una prova, è solo la sua parola contro la mia e un livido sulla mia faccia che potrebbe essere stato causato da chiunque” disse Kurt con tranquillità, rassegnato al suo destino. La campanella di fine pranzo interruppe Blaine mentre stava cercando di dire qualcosa. “Blaine, non preoccuparti. Andrà tutto bene” gli disse Kurt, dandogli una carezza. L’assurdo era che era lui a dover tranquillizzare il suo ragazzo, pur sapendo di dover affrontare il secondo round un giorno o l’altro. Blaine lo baciò sulla guancia, vicino al livido. Poi si separarono per tornare alle rispettive lezioni.

All’uscita si rincontrarono, come facevano ogni giorno nonostante dovessero prendere strade diverse. Blaine prese Kurt sotto braccio con entusiasmo, esclamando: “Ho avuto un’idea!”. Kurt lo guardò perplesso, senza capire di cosa stesse parlando. “Un registratore!” disse quindi Blaine vedendo la sua espressione, aspettandosi un sorriso o un commento di approvazione. Ma Kurt continuava a guardarlo in modo strano; in realtà aveva capito, ma sperava stesse scherzando: pensava di essere in un Tv-movie poliziesco?! “… per incastrare Karofsky” concluse quindi Blaine, lievemente deluso. Ormai erano arrivati alla sua macchina, era il momento di congedarsi. “Oh” rispose Kurt. “Non credo sia una buona idea” aggiunse poi. “Perché? Puoi tenerlo sempre con te, e se si ripresenta avrai un modo per ricattarlo! Dovrà lasciarti in pace per forza” disse Blaine con ritrovato entusiasmo mentre apriva lo sportello della sua auto. Kurt cercò di pesare le parole, per non offendere Blaine e la sua geniale idea: “E’ una bella idea Blaine, davvero… ma significherebbe denunciarlo, far preoccupare mio padre… Non è il caso”. “Ma non devi denunciarlo, devi solo dirgli che potresti farlo. Anzi, meglio ancora, puoi dirgli che hai già registrato quello che è successo… Insomma, un bluff!” disse Blaine prontamente, lasciando Kurt senza parole con la sua logica schiacciante. “Va bene… ci penserò” rispose, non volendo ammettere che quel piano aveva un suo senso. “Bravo” disse Blaine dandogli un bacio in fronte, come un padre premuroso. Poi entrò in macchina e mise in moto. Kurt lo guardò andar via salutandolo con la mano, poi si diresse alla fermata dell’autobus, pensieroso. Davvero sarebbe stato così facile? E se Karofsky se ne fosse fregato? Avrebbe dovuto denunciarlo, ottenendo al massimo una diffida, o peggio ancora la protezione a vista come per i pentiti. Gli gelò il sangue al solo pensiero di macchine con vetri scuri appostate davanti casa sua e tizi vestiti di nero con gli auricolari trasparenti. Aveva senso rischiare di sconvolgere la vita di altre tre persone? In fondo, Karofsky lo aveva minacciato di farsi vivo solo un’altra volta. Kurt si auto convinse del fatto che sarebbe stato davvero così, pur sapendo che molto probabilmente quel bullo ci avrebbe preso gusto non vedendo reazioni da parte sua. E il pensiero del viso di Blaine sfigurato da un pugno continuava a perseguitarlo…

Una volta giunto a casa, dovette nuovamente affrontare la realtà. Stanco di fingere, chiuse la porta dietro di sè e si tolse gli occhiali e il berretto, aspettando pazientemente che la bufera si scatenasse. Il primo ad accorgersene fu Finn, che come sempre stava seduto sul divano a fare zapping tra i canali sportivi. "Ciao Kurt, tutto ok a scu-" si interruppe vedendo il livido sul suo viso. Il padre di Kurt, proveniente dalla cucina, lo vide alzarsi di scatto dal divano e precipitarsi alla porta con fare minaccioso; gli bastò guardare Kurt (che intanto cercava inutilmente di tirare il fratello per il maglione) per capire il motivo di quella reazione. Come previsto, Kurt e Carole dovettero quasi murare la porta per impedire loro di andare a cercare Karofsky. Si calmarono soltanto quando lui accennò all’idea di Blaine, anche se ci volle un po’ per convincerli visto che, specie secondo Burt, una sana dose di legnate aveva più effetto di un bluff o in alternativa di un procedimento penale. Inoltre Kurt sminuì notevolmente la cosa: mentì dicendo che Karofsky era un po’ brillo, e che quindi da sobrio probabilmente non l’avrebbe rifatto. Alla fine, la soluzione del registratore mise tutti d’accordo. Kurt lo comunicò con un sms a Blaine, che rispose riprendendo le sue vecchie parole: “Ma io ho sempre ragione!”.

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Capitolo 19
*** Idea ***


19. Idea

 

Col passare dei giorni, non vedendo Karofsky arrivare, Kurt si auto convinse di essere scampato definitivamente a quella minaccia. Tuttavia, i suoi familiari non erano dello stesso avviso, tanto che suo padre aveva iniziato ad accompagnarlo personalmente a scuola e non gli permetteva più di tornare tardi la sera se non con Blaine che lo scortava fino all’ingresso, dove ovviamente lui stava ad aspettarlo sveglio. Probabilmente c’era in gioco anche una buona dose di senso di colpa, per non essere intervenuto quando Kurt ne aveva avuto bisogno. Anche Blaine aveva sviluppato un atteggiamento molto protettivo, minacciando di voler far del male a Karofsky nonostante Kurt sapesse benissimo che il suo istinto alla violenza era pari a quello di un criceto. Lusingato da quelle minacce poco credibili, riuscì a godersi una settimana di relativa tranquillità – per quanto possibile visto che era come se facesse parte del Programma di protezione testimoni della CIA – aiutato anche dal fatto che l’occhio ferito stava a poco a poco guarendo. Il suo kit di creme ebbe ovviamente un ruolo centrale nella “riabilitazione”, visto che ne aveva alcune specificatamente indicate per alleviare il gonfiore ed aiutare i lividi a svanire. Quando la sua faccia tornò alla completa normalità, fu sicuro di poter fare lo stesso con la sua vita, e così riuscì a poco a poco ad allentare il regime di protezione che si era creato intorno a lui.

Un pomeriggio, lui e Blaine decisero di andare per negozi al centro commerciale di Lima. I gusti di Blaine erano sicuramente più facili di quelli di Kurt, che trovava da ridire sull’accostamento cromatico della maggior parte delle vetrine e sulla qualità dei capi che provava. La sfida diventò quindi trovare qualcosa che gli piacesse, cosa che divertiva molto Blaine, il quale dopo una buona mezz’ora di su e giù per i piani individuò una giacca verde mela che fece illuminare gli occhi di Kurt. Dopo averla comprata, entrambi si diressero al banco dei gelati al primo piano. Un ragazzo alto e massiccio, con una felpa grigia un po’ dimessa, era in fila davanti a loro, intento ad ordinare un cono al pistacchio per quella che probabilmente era sua madre, la donna accanto a lui. Kurt e Blaine si misero dietro di loro, aspettando il loro turno. “Ecco qui, mamma” disse il ragazzo porgendo il cono alla signora, ridicolmente più bassa e di certo molto più curata di lui. Nel girarsi, si accorse della loro presenza e loro della sua. A Kurt gelò il sangue nelle vene, vedendo Karofsky ad un passo da lui con Blaine accanto a lui. Il pensiero che fossero nel luogo più affollato della città lo rassicurò all’istante, così passo ad interrogarsi sul perché Karofsky, che lui considerava al pari di una scimmia senza cervello, fosse insieme a sua madre a fare compere come un qualsiasi normale adolescente. Dal canto suo, Karofsky era visibilmente combattuto tra il fare finta di non conoscerli e il salutarli come se niente fosse, tanto che sua madre era ancora in attesa del cono, rimasto nella sua mano. Blaine prese la decisione al posto suo, esordendo beffardo: “Ciao, David!”. Kurt gli scoccò un’occhiata di disapprovazione, terrorizzato all’idea che il suo ragazzo facesse una scenata davanti a tutti. Così gli strinse la mano più del dovuto, intimandogli in questo modo di non fare cose di cui si sarebbe potuto pentire. Karofsky continuava a guardarli senza dire nulla, così la madre lo apostrofò: “David, è maleducazione non rispondere ad un saluto!”. L’eccessiva cortesia di quella donnetta impettita, con un tailleur beige e i capelli castani freschi di parrucchiere appariva assurda agli occhi di Kurt, se paragonata alla “mancanza di tatto” di suo figlio, nonché al suo aspetto. “Ehm, ciao” disse quindi il ragazzo senza preoccuparsii di aggiungere altro, e soprattutto senza guardare Kurt, il quale intanto si stava sforzando di non ridere vedendo l’incubo delle sue notti timido e impacciato come un bambino che si nasconde dietro la gonna della mamma. “Avanti tesoro, il mio gelato si sta sciogliendo” disse ancora la donna, interrompendo l’imbarazzante silenzio. Una volta ottenuto quello che voleva, congedò i due con un sorriso, invitando poi il figlio a seguirla verso l’altra ala del centro commerciale. Karofsky raccolse da terra le buste che aveva ai suoi piedi – che né Kurt né Blaine avevano notato, colpiti dalla scena che avevano di fronte – e si affrettò a seguire sua madre senza degnarli di uno sguardo, visibilmente rosso di vergogna. Kurt disse sarcastico a Blaine, prima di avvicinarsi al bancone per la sua ordinazione: “Sento che mi farà pagare anche questa!”. L’altro rise divertito, poi si sedettero ad uno dei tavoli liberi con i gelati appena chiesti. Non fecero in tempo a dare la prima leccata, che videro nuovamente Karofsky e sua madre passare velocemente davanti all’angolo di ristoro dove si trovavano, il ragazzo con in mano il doppio delle buste che aveva in precedenza. “Ma dove andremo a finire Magda!” - mormorava sua madre parlando al cellulare, seguita come sempre dal figlio – “Due ragazzi mano nella mano, ti rendi conto? Pensavo che almeno lo facessero di nascosto, insomma, qui ci sono delle famiglie no?! …David! Suvvia, fai attenzione con quelle buste, tesoro!”. Era evidente che la donna non si era accorta di aver detto quelle parole mentre passava proprio davanti a loro, seduti al tavolo. Kurt e Blaine si guardarono, per poi sorridersi a vicenda con complicità, entrambi quasi impietositi da come l’ignoranza potesse nascondersi anche sotto i vestiti più costosi… e anche dal motivo lampante per il quale Karofsky era così dannatamente represso. Per Kurt soprattutto, all’improvviso l’odio e la rabbia erano come svaniti. Non potè fare a meno di pensare che tipo di persona sarebbe diventato se suo padre avesse fatto di tutto per ostacolare le sue scelte, o se avesse fatto finta di non vedere, come forse accadeva nella famiglia di Karofsky. Certo, le sue caratteristiche fisiche non gli avrebbero permesso di diventare l’incubo degli altri studenti, ma avrebbe potuto essere tante altre cose: meschino, asociale, violento verso sé stesso. In fondo, i modi per fare del male sono innumerevoli… mentre il modo di amare, purtroppo o per fortuna, è uno soltanto.

“So cosa stai pensando” esordì Blaine dal silenzio, interrompendo i suoi pensieri. “Davvero?” rispose Kurt continuando a mangiare il suo cono gelato. “Lo fa solo per sentirsi meglio, ormai è chiaro. Però non vuol dire che tu debba lasciarlo fare, Kurt” concluse il ragazzo con aria di rimprovero e preoccupazione. Kurt rispose annuendo, rapito nuovamente dalle sue riflessioni. Lui era lo “scaccia-pensieri” di Karofsky. Come quelle palline gommose che puoi stringere nel palmo della mano per scaricare i nervi… Era evidente che rendergli la vita difficile era il modo che aveva quel ragazzo per rendere più facile la sua. Tuttavia, Kurt avrebbe preferito che i suoi zigomi non dovessero più pagare il prezzo dei problemi interiori di David Karofsky, perciò giunse alla conclusione che la trovata del bluff di Blaine era comunque la cosa migliore da fare, in caso di un eventuale nuovo incontro. Poteva sempre trovarsi un altro pungiball, no?! Magari un suo cartonato a grandezza naturale sul quale poter lanciare freccette appuntite, o un enorme sacco da box con la sua faccia stampata sopra… Rabbrividì istintivamente al pensiero. “Andiamo? Si sta facendo tardi” disse una volta tornato alla realtà. “Va bene, ti riaccompagno a casa” rispose Blaine. “No dai, prendo l’autobus. Non ti viene neanche di strada” ribattè subito Kurt, senza pensare a ciò che stava dicendo. “Sei sicuro? Guarda che tuo padre mi uccide se scopre che ti ho lasciato solo!” – “Non lo saprà, tranquillo. E poi, credo che ormai sia giunto il momento di vivere come una persona normale invece che come un sorvegliato speciale!”. Blaine rise, lasciandosi convincere dal sarcasmo di Kurt.

Al parcheggio del centro commerciale si separarono, ovviamente dopo la promessa di Kurt di mandare un sms una volta giunto a casa. Erano più o meno le 7 del pomeriggio, e l’autobus sarebbe passato di lì a breve. Ma Kurt, una volta salutato Blaine che si allontanava con la sua auto, non si diresse alla fermata. Uscì l’iPhone dalla tasca dei suoi pantaloni attillati, e cercò il numero di Finn in rubrica. “Pronto?” rispose il suo nuovo fratello dopo qualche squillo di attesa. “Ciao Finn, sono Kurt!” – “Sì lo so chi sei, leggo il nome sullo schermo! E’ successo qualcosa?!” rispose Finn, come sempre iper-protettivo. “No, no, va tutto bene” si affrettò a precisare Kurt. Poi continuò: “Ti ho chiamato per chiederti una cosa”. La breve pausa indusse Finn a dire, curioso: “Che cosa? Dimmi!” – “Finn, mi daresti l’indirizzo di Dave Karofsky?”. Stavolta la pausa fu molto più lunga, tanto che Kurt dovette ripetere al telefono: “Finn? Sei ancora lì?!”. “Si, sono qui… ma non so il suo indirizzo” rispose il ragazzo col suo solito tono impacciato di quando inventava una scusa sul momento. “I giocatori della squadra di football devono essere sempre reperibili l’uno per l'altro Finn. Forse non te lo ricordi, ma facevo parte della squadra anch’io” disse Kurt con tranquillità, consapevole della bugia del fratello. “Perché lo vuoi sapere?” rispose allora Finn. “Devo parlargli. Tranquillo, non mi succederà niente” disse Kurt con estrema sicurezza. “E io dovrei crederti? Almeno fammi venire con te!” sentì rispondere dall’altra parte. “Non sarà del tutto sincero se ci sei tu” – disse allora Kurt – “…per favore, fidati di me”. Il lungo silenzio che seguì gli fece capire che Finn stava riflettendo sul da farsi. “Va bene, ma se ti succede qualcosa e sopravvivi, poi ti ammazzo io” rispose l’altro dopo un sospiro. Una volta ottenuto l’indirizzo, Kurt riagganciò, rassicurando il fratello fino all’esasperazione e convincendolo a non dire nulla né a suo padre né a Blaine, anche perché entrambi avrebbero decisamente dato di matto. Si diresse quindi alla fermata dell’autobus, ma con una destinazione ben diversa da casa sua. Un posto in cui non era mai stato prima.

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Capitolo 20
*** Meeting ***


20. Meeting

 

La casa di David Karofsky era quanto di più ordinario potesse esistere in America. Una staccionata bianca ne circondava il piccolo giardino, sovrastato dalla classica bandiera a stelle e strisce ben issata su un palo. Kurt la riconobbe dal numero civico stampato sulla buca delle lettere, insieme al cognome “Karofsky” in bella vista sotto il patio marrone scuro della casa. Non c’era nessun campanello all’esterno, così dovette aprire il cancelletto di legno e arrivare fino alle scale del patio, a pochi passi dalla porta. Riflettè per qualche secondo su ciò che stava per fare, ritrovandosi a fare avanti e indietro più volte nel dubbio di essere in procinto di compiere la sua totale rovina e di farsi perseguitare per il resto della sua vita. Infatti, fu solo in quel momento che si rese conto che i genitori di Karofsky, vedendo uno come lui spuntare a casa loro nel tardo pomeriggio per parlare con il figlio, avrebbero inteso tutt’altro, e questo avrebbe mandato Dave su tutte le furie. Insomma, il rischio di peggiorare la situazione era sufficientemente alto per decidere di lasciar perdere.

Kurt era appena giunto a questa saggia conclusione, quando la porta alla quale stava per dare le spalle si aprì. La donna tozza, elegante e a quanto pareva omofoba che aveva avuto il piacere di incontrare quello stesso pomeriggio, era ora davanti a lui, a guardarlo con vago sospetto. “Hai bisogno di qualcosa, caro?” disse con il suo tono eccessivamente cortese dopo averlo squadrato da capo a piedi. Kurt deglutì, consapevole del fatto che ormai le circostanze avevano deciso per lui. “Ehm, buonasera signora. Chiedo scusa, io… sono un amico di David” disse cercando di sembrare naturale. La donna si illuminò di finta sorpresa (o almeno, sembrò palesemente finta a Kurt): “Oooh, tu sei uno dei due ragazzi che abbiamo incontrato oggi pomeriggio! Prego, accomodati!”. Detto ciò, gli fece cenno di entrare in un accogliente e ordinatissimo atrio, che si apriva a destra verso un salotto in legno, mentre di fronte conduceva a delle scale per il piano superiore, presumibilmente quello della zona notte. “Tesoro, c’è il tuo amic- oh, scusa caro, come hai detto di chiamarti?” disse la donna interrompendo il suo grido, non sapendo il nome del suo nuovo ospite. “Kurt” rispose lui, premurandosi di non precisare il cognome per paura che la donna lo riconoscesse, vista la sospensione temporanea che suo figlio aveva subito a causa sua un po’ di tempo prima. “Tesoro, c’è il tuo amico Kurt qui sotto!” urlò nuovamente la donna. Poi aggiunse, abbassando il tono di voce: “Beh, vado a preparare qualcosa per la cena, spero mi scuserai!”. “Oh, di niente, anzi scusi per l’orario” rispose Kurt con gentilezza.

Karofsky apparve dalla cima delle scale di legno non appena sua madre ebbe cambiato stanza. Indossava una maglia nera aderente che lo faceva sembrare ancora più imponente, e i pantaloni grigi di una tuta. La sua faccia faceva presagire il peggio; l’unica cosa che lo avrebbe distolto dal compiere un omicidio era, probabilmente, la presenza di sua madre sul luogo del possibile crimine. Sempre detto che lei non lo avrebbe aiutato a nascondere il corpo, ovviamente. Nella mente di Kurt, si delineava già la perfetta trama di un film dell’orrore in cui la classica famigliola americana si rivela un covo di spietati assassini con un cimitero segreto in giardino. Ma nonostante lo sguardo di Karofsky fosse minaccioso, le sue parole non potevano tradire i suoi pensieri; le orecchie di sua madre erano troppo vicine. Perciò si limitò a dire: “Sali”. Kurt non se lo fece ripetere, anche se l’istinto di voltarsi e scappare dalla porta di ingresso era abbastanza forte. La domanda “Che diamine sto facendo?” rimbombava pesantemente nella sua testa. Karofsky non aspettò la sua risposta: si girò e si diresse alla sua camera. Kurt lo ritrovò infatti in piedi davanti al suo letto; non si preoccupò molto di guardarsi intorno, anche perché voleva andare al sodo e lasciare quella casa al più presto. “Chiudi la porta” disse Karofsky, impassibile. Kurt sgranò gli occhi, con la netta impressione di essersi definitivamente condannato alla morte. Ma obbedì, anche perché nemmeno lui voleva essere sentito dalla madre del ragazzo, che a quanto pare aveva un udito non indifferente. Eseguì l’ordine e si voltò nuovamente verso Karofsky, che improvvisamente era ad un passo da lui. “Che-cavolo-ci-fai-QUI?!” disse l’enorme giocatore di football alitandogli in faccia, quasi sillabando ogni parola per aumentarne il significato. In effetti, anche per Kurt quella era una domanda più che sensata. “Oggi ti ho visto con tua madre e… volevo parlarti” disse lui semplicemente. Dave fu sorpreso dalla risposta, perché indietreggiò lievemente. “Oh” disse grattandosi la testa. “Pensavo fossi venuto a cantartela davanti ai miei” concluse poi. “No, non lo farò…” rispose Kurt, correggendosi subito dopo, preoccupato dalla faccia soddisfatta dell’altro: “…ma non vuol dire che non lo farò in futuro, se ce ne sarà bisogno!”. Dave si limitò ad un ghigno beffardo. “Beh? Cosa c’è di così importante da venire fino a qui e farmi passare per una checca davanti a mia madre?!” disse dopo un po’. “Ecco, è proprio questo il punto…” rispose Kurt rimanendo sempre vicino alla porta, pronto a darsela a gambe. “…credo di aver capito perché fai così”. La faccia di Dave era sempre più interrogativa. “Così come?!” disse quindi facendo finta di non capire. “Così… con me. Forse è perché non puoi dirle che sei come me, mentre io ho potuto”. La spavalderia del bullo svanì all’istante, ma pur di non mostrare di essere stato palesemente scoperto, il ragazzo passò al contrattacco: “Ma come ti permetti, Hummel?!”. “Me lo devi proprio far dire?” ribatté Kurt esasperato, riferendosi al bacio che Dave gli aveva deliberatamente rubato contro la sua volontà nello spogliatoio. Karofsky capì subito, ma si ostinò a mentire: “Se sculetti in giro come una ragazzina, poi non lamentarti se i maschi fanno confusione! Non vuol dire un bel niente”. Kurt preferì non insistere, e cercò quindi di concludere il discorso: “Comunque sia… ho sentito cosa ha detto tua madre di me e Blaine, per questo dico che ho capito. Perciò, se davvero non vuoi dirlglielo, allora trova un modo per sfogarti che non includa il perseguitare altre persone. Tutto qui”. La probabilità di un pugno in arrivo era ormai molto alta, ma era anche vero che il segno sarebbe stato poi visto dalla madre super perfetta di Karofsky, e questa era, in parole povere, la debolissima garanzia di salvezza di Kurt. Dave rispose prontamente: “E dovrei farlo perché me lo dici tu?! Mi sembrava di essere stato chiaro, io non faccio favori a te”. “Infatti dovresti farne uno a te” – continuò Kurt – “perché prima o poi io potrei stancarmi, e consegnare ai tuoi, o magari alla polizia, le registrazioni del nostro ultimo incontro”. Ormai bisognava passare alle maniere forti, e tanto valeva usare l’arma ideata da Blaine per togliersi il pensiero una volta per tutte. Dave sbiancò. “Stai mentendo” disse cercando di auto-convincersene. Iniziò quindi ad avvicinarsi pericolosamente a Kurt, ormai premuto contro la porta della stanza. “Non credo che dovresti correre il rischio di scoprirlo” disse Kurt, sorpreso dalla sua audacia e sfrontatezza. “Tesoro, la cenaaaaa!” si sentì improvvisamente rimbombare dal piano di sotto. David Karofsky chiuse gli occhi, esasperato. “No, infatti” disse rassegnato. “Il problema è che non c’è nessuno che mi piace spingere contro gli armadietti quanto te”. Kurt non seppe se essere lusingato o sconvolto da quell’affermazione. “N-non era questo che intendevo…” – disse – “…insomma, potresti, che so, andare a fare jogging, iscriverti ad un corso per il controllo della rabbia…”. La faccia poco convinta di Karofsky lo indusse a lasciar perdere con quelle idee stupide. “TESORO!” sentirono nuovamente i due. “Apri la porta e tornatene a casa. Non farti più vedere” disse quindi Dave. Kurt eseguì senza aggiungere altro, consapevole del fatto che quelle parole, nella lingua di Karofksy, equivalevano ad un “Ti lascerò in pace”. Una volta scese le scale, non dovette premurarsi di dire di no ad un invito a cena che evidentemente non sarebbe mai arrivato: troppo equivoco per la perfetta famiglia Karofsky. Chissà a quante domande impertinenti avrebbe dovuto rispondere il ragazzo una volta congedatosi da Kurt, che per questo non potè fare a meno di sentirsi un po’ in colpa. La donna lo salutò con la solita cordialità artificialmente costruita, invitando ancora una volta il figlio a venire in cucina per mangiare, come se Kurt se ne fosse già andato da un pezzo. Anche Karofsky non si perse in inutili convenevoli, limitandosi ad aprire la porta dell’ingresso a testa bassa per poi richiuderla alle spalle di Kurt.

L’esortazione della madre di Karofsky gli fece subito venire in mente che anche a casa sua era ora di cena, e che forse c’era qualcuno in ansia per lui. Il dubbio diventò certezza quando il suo iPhone, messo in modalità silenziosa per evitare interruzioni, si rivelò pieno di chiamate di Finn e messaggi preoccupati di Blaine, che aspettava ancora di sapere se era arrivato a casa sano e salvo. Mentre si dirigeva alla fermata dell’autobus, si premurò di rispondere al suo fidanzato dicendo che se lo era dimenticato, e che era tutto a posto; una bugia a fin di bene, per non farlo preoccupare. Poi scrisse a Finn, dicendo che le sue ossa erano tutte al loro posto e che presto sarebbe tornato a casa. Ed era proprio così: sarebbe tornato a casa, e alla normalità. Ma forse, lo stesso non si poteva dire di Dave Karofsky.

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Capitolo 21
*** Deliciously insecure ***


21. “Deliciously insecure”

 

Il periodo che seguì a quella piccola “disavventura” risolta, con un grosso aiuto della fortuna, dalla vecchia cara diplomazia, fu per Kurt uno dei più sereni della sua vita. Anche Blaine infatti, col passare dei giorni, si limitava ormai a ricordare di tanto in tanto la sua geniale idea del registratore, vantandosi di aver saggiamente risolto la situazione e non sapendo che Kurt aveva fatto irruzione in territorio nemico a sua insaputa. Kurt, dal canto suo, avvertiva a volte un certo senso di colpa nell’averglielo tenuto nascosto, ma col tempo si convinse del fatto che ormai dirlo non avrebbe cambiato le cose. I suoi pensieri infatti erano focalizzati su un’altra questione: tra pochi giorni, lui e Blaine avrebbero compiuto il loro primo “mesiversario”; in effetti, la prima occasione importante tra fidanzati che Kurt avesse mai festeggiato. Il fatto che Blaine non avesse accennato a parlarne aveva scatenato in lui, da bravo paranoico qual era, la preoccupazione che il suo ragazzo non avesse idea di quale fosse la data, oppure che non desse importanza a cose del genere e che quindi avrebbe giudicato patetico, da parte di Kurt, un eventuale regalo. Decise quindi di rivolgersi all’unica persona più o meno di sua conoscenza che poteva sapere dettagli così personali su Blaine: sua sorella.

La perfetta occasione arrivò puntuale, quando un giorno Blaine gli disse che nel pomeriggio avrebbe accompagnato suo padre ad una esposizione di auto d’epoca, per accontentare il suo estremo bisogno di “pomeriggi tra uomini”, conversazioni virili su macchine, sport e donne e cose del genere. Non avendo però il numero di Jane, Kurt decise di recarsi a casa sua alla cieca, sperando di trovarla lì. Ovviamente Finn, sentendogli dire “Mi vedo con la sorella di Blaine” mentre stava uscendo, non potè fare a meno di incuriosirsi. “Sua sorella? Come mai?” gli chiese con aria disinvolta, avvicinandosi all’ingresso. “Devo chiederle una cosa importante, per un regalo che vorrei fare a Blaine” rispose Kurt, rivolgendogli poi un’occhiata eloquente che sembrava voler dire: “Lo so che vuoi venire anche tu”. Finn non se lo fece ripetere due volte, dato che non aveva più visto quella ragazza così sfrontata e intrigante da quando aveva salvato in estremis il rapporto tra Kurt e Blaine, e il fratello, sentendosi ancora in debito per quella storia e non avendo potuto erigere la statua d’oro per evidente mancanza di fondi, non ebbe il coraggio di dirgli di no. “Papà, stiamo prendendo la tua macchina!” gridò Kurt uscendo. Finn intanto prese la prima giacca disponibile dall’attacca-panni del salotto e le chiavi dell’auto sul tavolino, per seguirlo. Durante il tragitto, Kurt gli spiegò le sue preoccupazioni sul mesiversario in avvicinamento (mancavano tre giorni), ma Finn non potè rassicurarlo più di tanto, conoscendo Blaine decisamente poco. Ancora una volta, infatti, si sforzò di non cadere nei soliti clichè sulla naturale dolcezza e la smielata tendenza al romanticismo degli omosessuali, e preferì quindi non sputare sentenze affrettate su ciò che Jane avrebbe potuto rivelargli al riguardo.

La casa degli Anderson era come sempre quella che spiccava di più, in quanto ad eleganza e semplicità, in un quartiere di ricchi esibizionisti. Finn stesso fu molto colpito dal cattivo gusto di alcune abitazioni, sorprendendo Kurt che gli disse sarcastico: “Non sapevo ti intendessi di estetica immobiliare!”. Dopo aver parcheggiato la macchina, si recarono insieme al campanello. Kurt esitò un po’ prima di suonare, ricordandosi improvvisamente che avrebbe potuto trovare la madre di Blaine, che non aveva mai conosciuto. La quale, soprattutto, poteva anche non sapere della sua esistenza. “Vuoi che suoni io?!” disse Finn distogliendolo da quel pensiero. Kurt non rispose, fece un profondo respiro e premette il pulsante. Una voce femminile rispose dalle piccole grate sotto il campanello: “Si?!” – “Ehm, salve, sono Kurt, il rag-… ehm, un amico di Jane” si corresse, impacciato. “Di Jane? Te la chiamo subito, entra pure!” rispose la voce, che apparteneva quindi alla madre dei gemelli. Finn guardò Kurt stranito, domandandosi quale ruolo avrebbe dovuto interpretare in quella strana commedia. I due attesero la progressiva apertura del cancello automatico, poi si diressero verso l’ingresso. La donna che aveva risposto al campanello aprì prontamente la porta, esclamando: “Salve, sono Elizabeth Anderson, è un piacere conoscervi!”. Tese la mano prima a Kurt e poi a Finn, che dissero i loro nomi, imbarazzati. Kurt non potè fare a meno di notare quanto Elizabeth Anderson fosse incredibilmente bella. Chiaramente responsabile della componente genetica orientale della famiglia, la madre di Blaine aveva una pelle liscia e perfetta come quella di una ventenne; i capelli nerissimi come quelli dei figli erano leggermente mossi, raccolti in una coda alta. Indossava una canottiera aderente, che permetteva quindi di apprezzare a pieno il colore scuro delle sue braccia, e un pantalone da tuta; l’asciugamano che portava intorno al collo gli fece intuire che doveva aver interrotto qualche esercizio di ginnastica. “Scusate l’aspetto” disse infatti la donna, sistemandosi i capelli già perfetti (come qualcuno di sua conoscenza). “Oh, non si preoccupi!” rispose Kurt prontamente, ammaliato dal sorriso sincero e rassicurante della madre del suo fidanzato. “Jane sta arrivando, era a fare la doccia. Prego, sedetevi pure in salotto mentre la aspettate!” continuò lei, conducendoli appunto verso il salotto in cui Kurt e Blaine avevano guardato Moulin Rouge qualche tempo prima. Elizabeth Anderson aspettò che Finn e Kurt si fossero seduti, dopo di che rivolse loro un altro ampio sorriso e si congedò, dicendo: “Io torno alla mia ginnastica, ma se avete bisogno di qualcosa, chiamatemi! Sono in palestra, basta scendere le scale della cantina per arrivarci!”. La notizia che gli Anderson avessero una palestra domestica al piano di sotto uscì dalle labbra perfette della donna come la cosa più normale del mondo, ovviamente non altrettanto normale per Kurt e Finn, che si scambiarono occhiate sconvolte. “Te lo sei scelto bene” disse Finn sottovoce, ricevendo una lieve gomitata dal fratello seduto accanto a lui. L’eco sommesso di una musica ritmata da aerobica arrivò improvvisamente alle loro orecchie.

“Oh guarda, il fidanzato segreto di mio fratello e il fratello non-gay del fidanzato segreto di mio fratello!” esordì una voce squillante da dietro il divano. I due si voltarono di scatto, quasi nello stesso momento, scoprendo davanti ai loro occhi, come previsto, Jane. Anche lei era in tenuta sportiva, ma i pantaloncini erano molto più corti di quelli della madre e i capelli lunghi erano ancora umidi, freschi di phon. La ragazza li fissò con aria sarcastica e superiore, frizionandosi la chioma scura con un asciugamano rosa; poi fece il giro del divano per posizionarsi davanti a loro, e continuò: “Mi fa piacere che mi considerate vostra amica, nonostante tu” – volse lo sguardo verso Finn – “mi abbia visto solo una volta, e tu” – poi verso Kurt – “nemmeno quella!”. Mentre Finn si godeva lo spettacolo di questa seconda volta, squadrando con nonchalance le sue gambe snelle, Kurt prontamente rispose: “Hai ragione, ti chiedo scusa, ma non sapevo se fosse il caso di dire che sono il ragazzo di Blaine. E poi, è con te che vorrei parlare”. Jane fu visibilmente sorpresa dall’ultima frase. “Come mai? E’ successo qualcosa?” disse sedendosi tra i due (visto che Finn si era intelligentemente spostato sul lato sinistro, lasciando il centro libero). “No, no, è solo che tra poco tempo faremo un mese, e non so se… se per lui sia una ricorrenza importante, ecco” disse quindi Kurt, intimidito. Jane esplose in una sonora risata, sorprendendo i due fratelli. Kurt, in particolare, si chiese quanto quella ragazza lo trovasse ridicolo per arrivare a tanto. “Sei proprio come dice!” - disse Jane dopo aver smesso di ridere – “Aspetta, com’era… oh, si, deliziosamente insicuro!”. Come al solito, la pelle color porcellana di Kurt si trasformò in una buccia di pomodoro maturo. Nonostante questo, il sorriso della ragazza seduta accanto a lui gli fece capire che quello, più che un modo per metterlo in imbarazzo, era un sincero complimento nella strana ed ironica lingua di Jane Anderson. Kurt, ancora visibilmente rosso in viso, rispose: “Allora parla di me?”. Jane si tolse l’asciugamano dal capo, poggiandolo poi sul bracciolo del divano, e disse: “Beh, se iniziare il 70% delle frasi con Io e Kurt oppure Kurt pensa che non è parlare di te, allora no!”. Kurt non potè trattenersi dal sorridere come uno stupido. “…comunque ne parla solo con me, perciò per ora omettiamo di dirlo a Miss Anderson e consorte, ok?” continuò lei. “Certo, non c’è problema” rispose Kurt. “Allora, pensi che gli farà piacere ricevere un regalo?” aggiunse. “Certo! Adora le lampade fluorescenti stile loft da single spensierato, le giacche sagomate e i cuscini con le stampe!” rispose Jane, procurandogli in questo modo già tre idee regalo accettabili. Kurt stava per ringraziarla, ma la ragazza fu improvvisamente incuriosita dalla presenza di Finn, e non si fece problemi a chiedergli, sfrontata: “E tu invece perché sei qui?”. Finn, che aveva ascoltato la conversazione in religioso silenzio come se non ci fosse nemmeno, si sentì improvvisamente scoperto, come se fosse nudo al centro dell’auditorium del McKinley durante un’assemblea scolastica. “Beh, ho… ho voluto accompagnare mio fratello” disse con falsa innocenza. Jane alzò un sopracciglio, nello stesso identico modo in cui era solito fare suo fratello quando Kurt inventava scuse poco credibili per qualcosa. “Oooh, capisco…” – rispose lei – “…che fratello premuroso!”. Kurt dovette trattenersi per non scoppiare a ridere, poi decise di venire in soccorso del fratello: “Jane, sei stata di grande aiuto. Ora dobbiamo andare, grazie davvero! E' stato un piacere conoscerti”. Alzatosi dal divano, stava per salutare affettuosamente la ragazza quando il rumore della porta d’ingresso che si apriva lo costrinse ad immobilizzarsi. “Mamma, siamo a casa!” gridò una voce forte, melodiosa e dannatamente familiare.

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Capitolo 22
*** Confessions ***


22. Confessions

 

I tre ragazzi si guardarono allibiti, come tre rapinatori scoperti a rubare l’argenteria. Il primo istinto di Kurt sarebbe stato quello di nascondersi sotto il divano, ma la stazza di Finn gli avrebbe impedito di fare lo stesso, così scartò subito l’idea. Blaine, dopo aver chiuso la porta dietro di sé, li squadrò a sua volta con sorpresa, soffermandosi su Kurt e voltandosi poi verso suo padre. Era un uomo sulla cinquantina, ben vestito, con un filo di barba e i capelli brizzolati, troppo ordinario agli occhi di Kurt rispetto alla bellezza dei suoi familiari e sicuramente più vecchio della moglie di almeno dieci anni. Fu Jane ad interrompere il silenzio imbarazzante dei presenti, esclamando con naturalezza: “Ciao Blaine, ciao papà! Vi siete divertiti?”. Si allontanò quindi dal divano per dirigersi all’ingresso ed abbracciare suo padre, che intanto stava rispondendo pacato: “Si certo, è stato molto interessante”. Blaine continuava a guardare Kurt con un’espressione che sembrava voler dire “Cosa ci fai qui?!” e Kurt, dal canto suo, non sapeva se continuare a far finta di essere amico di Jane o meno. Ma le parole della ragazza erano state chiare: Blaine non aveva parlato di lui ai suoi genitori. Così decise di anticipare in contropiede la domanda che sicuramente il padre dei gemelli avrebbe fatto; raggiunse i tre sull’uscio, lasciando Finn imbambolato vicino al divano, e disse sorridente: “Salve signor Anderson, sono Kurt, un amico di Jane“. “Oh, io sono Simon Anderson, piacere” rispose l’uomo con cordialità, stringendogli la mano. “Lui è il mio ragazzo, papà” disse Blaine all’improvviso. Kurt rimase con la mano sospesa a mezz’aria: il signor Anderson infatti aveva appena lasciato la presa. L’uomo si voltò verso suo figlio con un velo di sconcerto, poi di nuovo verso Kurt; si limitò ad abbassare la mano con aria mesta, e a dire: “Vado a salutare tua madre”. Senza aggiungere altro, si diresse alla cantina-palestra, lasciando i ragazzi da soli in salotto. “Perché l’hai fatto?!” - disse Jane dando una lieve spinta a suo fratello – “Lo sai che ha sempre pensato che fossi soltanto convinto di essere gay!”. Blaine le lanciò un’occhiataccia, che lei intese prontamente come un “Lasciaci soli”. La ragazza prese quindi Finn (che era ancora in piedi accanto al divano, leggermente frastornato dalla situazione caotica) sotto braccio, accompagnandolo in giardino dalla porta del retro.

Kurt era rimasto fermo dov’era, impietrito. Fu Blaine a parlare per primo: “Ti chiedo scusa per mio padre” disse semplicemente, a testa bassa. Kurt si avvicinò a lui, leggendo la vergogna sul suo viso, e rispose: “Non fa niente, e poi è colpa mia, non sarei dovuto venire”. “No, invece è colpa mia. Avrei dovuto stare al tuo gioco, ma vedendoti qui, davanti a lui, mi sono reso conto di essere stufo di fingere. Non posso far finta che tu non sia niente, Kurt” rispose a sua volta Blaine. Kurt, intenerito da quelle parole, gli prese il viso tra le mani per alzarlo e guardare il suo ragazzo negli occhi. “Io e te sappiamo la verità, e tanto basta. Non dovevi fare questo per me”. “L’ho fatto anche per me stesso,” – disse Blaine, prendendo le mani di Kurt con le sue – “perché non posso più lasciargli credere di essere soltanto confuso. Ha sempre pensato che avrei cambiato idea, sai? Non vedendomi mai con nessun ragazzo, era convinto che prima o poi mi sarebbe passata”. Kurt stava per rispondere, quando la madre di Blaine sbucò all’improvviso. Vedendola, i due si staccarono l’uno dall’altro istintivamente, ma la donna non sembrava nutrire alcun tipo di imbarazzo. Si avvicinò a Kurt e gli disse all’orecchio, ma in modo che Blaine sentisse: “Ora è meglio che tu vada, devo parlare con quello stupido di mio marito. Ma sappi che sei il benvenuto, anzi, considerati invitato a cena per quando le acque si saranno calmate, d’accordo?”. “G-grazie” rispose Kurt sommessamente. Poi la donna si voltò verso suo figlio, rivolgendogli un sorriso rassicurante, e gli mise una mano tra i capelli ricci per arruffarli. “Andrà tutto bene, tranquillo” gli disse dopo avergli dato un dolcissimo bacio sulla fronte. Blaine si limitò a chiudere gli occhi e sorridere a sua volta, godendosi quel gesto affettuoso. “…però avresti dovuto presentarlo prima a me!” aggiunse lei dopo un po’. Kurt e Blaine risero, ormai rilassati. Proprio come Blaine nel canto, sua madre aveva il talento naturale di rassicurare le persone, avvolgerle con la sua voce calda e familiare, e senza nemmeno aver bisogno di una musica di sottofondo. Era come se emanasse una specie di aura protettiva, un’atmosfera di serenità di cui Kurt si era già perdutamente innamorato.

Intanto, Finn e Jane erano usciti nel giardino che si trovava dietro la villetta (sì, girava tutto intorno alla casa). Una tettoia in stile rustico proteggeva un angolo cottura e un tavolo in legno dalle possibili intemperie, e un po’ più in là, al centro del prato inglese perfettamente potato, un grande panno azzurrino copriva qualcosa che Finn riconobbe come una piscina. Cercò in tutti i modi di non mostrare sorpresa, come se tutto quel lusso fosse assolutamente normale per lui. Tuttavia, per quel poco che aveva imparato a conoscere di Jane Anderson, sapeva ormai che a quella ragazza non sfuggiva nulla. Forse per non metterlo in imbarazzo, lei però non commentò lo sguardo contrito che Finn aveva involontariamente ottenuto nel tentativo di sembrare a suo agio; lo condusse quasi alla fine della tettoia, dove un piccolo scalino separava il patio con l’angolo cottura dall’inizio del prato, e si sedette, aspettando di essere imitata. Poi disse, guardando dritto davanti a sé e poggiando i gomiti sulle ginocchia, imbronciata: “Con questi capelli umidi mi verrà sicuramente la febbre, dannazione!”. Finn non seppe cosa rispondere, visto che era probabilmente la verità. Ma un’occasione così “intima” per approfondire la conoscenza di Jane non gli sarebbe più capitata, così decise di mostrarsi interessato ai problemi che, pur non apparendo per niente in superficie, animavano in segreto le giornate di quella famiglia. “Allora… si può sapere che gli è preso a tuo padre?” disse quindi, guardando anche lui in direzione della piscina per evitare che il suo sguardo cadesse nuovamente sulle gambe nude della ragazza. Lei rimase un po’ in silenzio, facendo pensare a Finn di essere stato forse troppo diretto ed invadente. Ma poi rispose con tranquillità e pacatezza, dando sfogo a pensieri che evidentemente covava da molto tempo: “Sai, quando da generazioni il tuo cognome si trasmette di padre in figlio, il tuo albero genealogico è il trionfo della virilità e ti viene insegnato che per nulla al mondo deve andare perduto o contaminato, cresci con aspettative, ecco, diciamo eccessive. Poi ti nascono due gemelli, che col passare del tempo si rivelano una ragazza piena di sé, con i modi da maschiaccio, nessuna intenzione di sposarsi e un senso materno inesistente, e un adolescente dichiaratamente fiero di essere omosessuale che, nel migliore dei casi, dovrà sposarsi in un altro Stato e fecondare gli ovuli di una donna sconosciuta per avere un bambino. Ecco cosa gli è preso”. Finn si voltò verso di lei con un’aria leggermente stravolta, a causa di quell’inaspettato fiume di parole. Non credeva certo che Jane si sarebbe aperta così, come se niente fosse, e la cosa lo lusingò. O forse, semplicemente nessuno le aveva mai chiesto quale fosse il problema; solitamente è così nelle “famiglie perfette”. “Scusami, forse non dovevo chiedertelo…” disse quindi Finn, mettendosi sulla difensiva. “No, direi che dovrei essere io a scusarmi per aver iniziato a parlare a raffica, come al mio solito” disse Jane sorridendogli. Parlare a raffica… a quanto pare era una prerogativa standard delle ragazze che, in un modo o nell’altro, avrebbero finito per interessare a Finn. “Puoi continuare se vuoi, io sono sicuramente più bravo ad ascoltare che a parlare” disse lui, sorridendole di rimando. La ragazza prese una ciocca dei suoi capelli scurissimi, ormai quasi asciutti, tra le dita, e riprese: “Non è che sia un omofobo, anzi, non ha nessun problema con cose del genere. E’ solo che noi lo abbiamo… confuso. Credeva di potermi guardare estasiato mentre pettinavo i capelli di una Barbie, o mentre giocavo con un finto servizio da thè, e Blaine sarebbe stato il figlio perfetto, bello, simpatico, pieno di talento, perfetto da far conoscere alla figlia di qualche suo collega di lavoro. Aveva pianificato tutto, poi si è reso conto che all’età di dieci anni io rubavo la merenda alle altre bambine per scambiarla con macchinine giocattolo, e Blaine guardava musical in tv cercando di imitarne i passi. Lo abbiamo deluso, tutto qui”. Finn rimase molto colpito da quel racconto, meravigliandosi di quante cose potessero nascondersi dietro quella bellissima apparenza. “E tua madre invece?” chiese dopo un po’. “A lei non è mai importato di cose come il buon nome della famiglia, in fondo il cognome non è il suo. Ha sempre saputo che Blaine era gay, e beh, diciamo che chiunque se ne sarebbe reso conto! Sai, non c’è stato il tipico momento da ‘Mamma, papà, io sono gay!’, perché la risposta sarebbe stata ‘Ma va?!’. Sia a me che a lei è sempre andato bene, insomma, lui è Blaine. Mio padre invece, pur sapendolo, ha sempre fatto finta di niente; non ha fatto altro che sperare di vederlo apparire dalla porta di ingresso con una ragazza da presentargli. Kurt è stato un duro colpo… Blaine è davvero un IDIOTA”. “Forse non voleva più illuderlo,” – disse Finn con sincerità – “e vedrai che prima o poi tuo padre accetterà la cosa. Anche per il padre di Kurt non è stato semplice, e ammetto che anche io non mi sono sempre comportato bene”. Ripensò istintivamente alla discussione con Kurt sull’arredamento della loro stanza, quando lo aveva chiamato in un modo che non avrebbe mai, mai più ripetuto. “Si, ma ora il padre di Kurt ha te,” – rispose Jane, lasciando cadere la ciocca che si era rigirata tra le dita – “mentre il mio continuerà ad avere due figli con le personalità scambiate. Dovremmo recitare in una sit-com” concluse, tornando al suo solito sarcasmo che, per un po’ di tempo, sembrava averla abbandonata. Lo squarcio nella sua impenetrabile scorza di sicurezza e spavalderia si stava ormai richiudendo, e Finn, consapevole di questo, ne approfittò per dirle: “Comunque se ti va di parlare ancora, potremmo… sentirci, ecco”. Arrossì, guardandosi i piedi in attesa di una risposta indisponente. “In quel caso chiamerei uno psicologo, non credi?!” rispose Jane, esaudendo così le tragiche aspettative di Finn. Ma poi si corresse: “Scusa, a volte sono davvero terribile. Magari prendiamo un caffè qualche volta”. A Finn sembrò tanto di sentir parlare di uno di quegli incontri che in realtà non sarebbero mai avvenuti, ma il sorriso di Jane gli sembrò sincero.

“Finn, è meglio se andiamo” disse una flebile voce proveniente dal vetro di una delle finestrelle alle loro spalle. Il viso di Kurt vi era premuto contro, in attesa. Finn sospirò, facendogli segno di aspettare un minuto e sperando che Kurt lo facesse all’ingresso, e non rimanendo lì. Ma era evidente che il ragazzo aveva molta fretta, perché si limitò ad annuire, senza scollare il naso dal vetro che si stava a poco a poco appannando. Finn sbuffò più pesantemente, quasi sperando di essere sentito. Jane si accorse della sua stizza, e cercò di giustificare la fretta di Kurt dicendo: “Sicuramente mia madre e mio padre vorranno parlare, dovreste andare”. In realtà, il fastidio di Finn era dato dal desiderio di voler concludere in bellezza quella chiacchierata cuore a cuore, magari ottenendo un indirizzo e-mail, o un numero di cellulare. Ma capì che arrivare nuovamente così vicino alla vera Jane Anderson, la ragazza bella, simpatica ed intelligente che nonostante questo pensava di poter essere una delusione per qualcuno, sarebbe stato difficile, se non impossibile. Come quelle comete che passano vicino alla Terra una volta ogni diecimila anni, chissà quando gli sarebbe capitata un’altra occasione di vedere Jane… vederla davvero.

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Capitolo 23
*** Face to face ***


23. Face to face

 

Finn si alzò dallo scalino con aria mesta, seguito dalla sorella di Blaine. Una volta raggiunto l’ingresso, la salutò con un banalissimo “A presto” e disse a Kurt che l’avrebbe aspettato in macchina, per lasciargli salutare Blaine. Anche Jane e sua madre abbandonarono momentaneamente il salotto, e i due ragazzi rimasero soli. “Ci vediamo domani a scuola” disse Kurt, imbarazzato e un po’ intontito da ciò che la sua visita aveva involontariamente provocato. “Certo” rispose Blaine come a volerlo rassicurare della sua presenza. Rimasero in silenzio per un attimo, a guardarsi; poi sospirarono all’unisono, cercando di alleggerire in tal modo il peso dei problemi e delle preoccupazioni che ormai sembravano spuntare come funghi in un bosco da quando si erano messi insieme. Entrambi capirono di aver pensato la stessa cosa nello stesso momento, e si sorrisero l’un l’altro, quasi divertiti. “Fammi sapere se ci sono problemi” disse infine Kurt avvicinandosi a Blaine per dargli un leggero bacio sulle labbra, impaurito dalla possibile presenza di qualche suo familiare dietro l’angolo. Blaine si lasciò baciare accogliendo il viso di Kurt con la mano destra, poi rispose: “Va bene, stai tranquillo!”. Kurt gli sorrise nuovamente, poi si avviò verso la porta e uscì.

Blaine lo guardò raggiungere la macchina di Finn, già in moto sulla strada, e non richiuse la porta finchè non li vide allontanarsi. Una volta chiusa, rimase sull’uscio aspettando che il resto della sua famiglia, appostato chissà dove, facesse capolino in salotto: sua madre per dirgli qualcosa di sdolcinato sulla sua prima storia seria, Jane per qualche commento sarcastico e suo padre… preferiva non immaginarlo. La prima a farsi viva fu sua sorella, che era andata in bagno a legarsi i capelli in due lunghe trecce e ad infilarsi una felpa dopo il fresco preso in giardino. “Credo che dovrò smettere di introdurre zuccheri nel mio corpo per almeno una settimana” disse mentre andava a sedersi ancora una volta sul divano. “Ma se non ci siamo detti niente” rispose Blaine sbuffando, immaginando che la sorella avesse origliato il loro breve saluto sulla porta. “Puah,” continuò Jane, cercando il telecomando della TV al plasma tra i cuscini, “non parlo di quello! Quando lo guardi, i tuoi occhi grondano miele!”. Rise di gusto, accovacciandosi a gambe incrociate sul divano mentre cercava qualche programma divertente dove la gente rischia di farsi del serio male fisico per un minuto di notorietà – il suo genere di programmi televisivi preferito. Blaine alzò gli occhi al cielo irritato, ma all’improvviso gli venne in mente una cosa. Una cosa piuttosto ovvia al dire il vero, che a causa di quel turbine di eventi gli era sfuggita. “Jane…” disse avvicinandosi anche a lui al divano, “…ma esattamente, cosa ci faceva qui Kurt?!”. Si sedette accanto a lei, in attesa di una risposta. Ricordava benissimo di aver detto al suo ragazzo che quel pomeriggio non sarebbe stato a casa, quindi Kurt era venuto proprio in virtù di quella informazione?! La mente di Jane, intanto, era arrivata alla stessa conclusione: non poteva dirgli che Kurt era venuto a cercare lui, anche perché gli avrebbe sicuramente chiesto il permesso prima di irrompere in casa sua. Quindi inventò sul momento una scusa, approfittando della presenza di Finn e della sua innegabile goffaggine, che si prestava perfettamente alla risposta: “Credo sia stata un’idea di Finn, ha farfugliato qualcosa sul fatto che ‘passavano di qui per caso’… mi dispiace, erano qui per me caro!”. Blaine sorrise divertito, per niente sorpreso: aveva notato un certo interesse di Finn verso sua sorella quando lei era andata a prenderlo da Starbucks, e a quanto pare la sua impressione era fondata.

“Comunque non avresti dovuto farlo” aggiunse dopo un po’ Jane, improvvisamente seria. “Cioè avrei dovuto continuare a lasciarlo nel dubbio?!” rispose Blaine stizzito. “Certo!” – disse sua sorella alzando le mani al cielo, come se lui le avesse fatto la domanda più ovvia del mondo – “Non dovevi nemmeno mentire, l’aveva già fatto Kurt al posto tuo!”. Blaine la guardò con aria di rimprovero, profondamente offeso dalla mancanza di sensibilità di sua sorella. “Possibile che tu non capisca?” le disse esasperato, poi aggiunse: “Che senso ha fingere ancora?!”. “Blaine, come io fingo di essere interessata ad una normale, piatta e prestabilita vita matrimoniale futura, tu avresti potuto fingere di essere attratto dall’altro sesso almeno fino al college! In fondo, se non se n’è accorto nemmeno quando sei entrato in quel coretto di gay canterini, potevi andare avanti anche tutta la vita, non credi?” rispose Jane senza battere ciglio. “Tanto per cominciare gli Usignoli non sono tutti gay,” – disse Blaine puntiglioso – “e comunque no, non credo”. Tra i due calò il silenzio, che però non era destinato a durare a lungo: una norma che Blaine ormai aveva imparato a sue spese, con sua sorella. “Comunque…” - esordì lei con l’intento palese di cambiare discorso - “…è adorabile”. Blaine si voltò a guardarla alzando un sopracciglio con aria compiaciuta, come per dire “Lo so”.

“Sarai contenta!” sentirono all’improvviso i due fratelli dal piano di sotto, riconoscendo la voce del padre. Jane riprese in mano il telecomando per abbassare leggermente il volume della televisione, dove intanto due orientali stavano cercando di sopravvivere a delle rapide sopra un minuscolo canotto giallo. Il signor Anderson infatti non si era azzardato a risalire le scale della cantina-palestra senza prima avere la certezza che il fidanzato di suo figlio se ne fosse già andato, e anche allora era rimasto lì sotto, intento a discutere con la moglie. “Avevi ragione, hai sempre avuto ragione! Lo vuoi messo per iscritto?!” continuava a dirle, infervorato. Le voci dei due coniugi si facevano a poco a poco più vicine, così Jane e Blaine intuirono che i loro genitori stavano per raggiungerli. La ragazza spense definitivamente la tv, aspettando di vederli comparire. “Smettila di farne un dramma, Simon!” disse la madre dei gemelli comparendo dalla cima delle scale che conducevano al piano inferiore della casa. Guardava in direzione del marito, dietro di sé, perciò si accorse della presenza dei figli soltanto quando anche lui fu in salotto. L’uomo, vedendo lo sguardo supplichevole di Blaine che dal divano sembrava volergli dire “Ti prego, non uccidermi”, fece un profondo respiro, cercando di cambiare tono. Fece cenno alla moglie di lasciare la stanza, poi si avvicinò e si sedette accanto a lui. Anche Jane intuì di essere di troppo, e raggiunse silenziosamente la madre in cucina dopo aver dato un impercettibile pizzicotto al braccio di Blaine, il loro segno in codice per “Ti sono vicina” o meglio “Origlierò tutto dall’altra stanza”. Blaine ne approfittò per prendere un po’ più di spazio, lasciandone dell’altro a suo padre in modo da farlo sedere più comodamente accanto a lui. L’uomo si passò una mano tra i capelli brizzolati, poi si voltò verso di lui, guardandolo negli occhi come aveva sempre fatto quando doveva affrontare discorsi “da uomo a uomo” con suo figlio. “Blaine, sai benissimo come la penso su queste cose,” – iniziò con aria solenne – “ho sempre detto che dovrebbero permettere ai gay di sposarsi, ascolto Elton John, insomma non mi sembra di essere un bigotto. Però per te… per te è diverso!”. Blaine lo guardò con aria apprensiva, aspettando una continuazione che non tardò: “Tu sei il mio figlio maschio, quello che dovrà portare avanti il cognome e…” – “Infatti, il cognome” lo interruppe Blaine, “mi sembrava strano non aver ancora sentito questa parola. Guarda che quello lo posso trasmettere anche avendo un marito, papà”. L’uomo trasalì visibilmente sentendo la parola marito provenire dalle labbra di suo figlio con tanta sicurezza, come se fosse scontato. “Ma, non starai mica pensando di sposarti?!” chiese sconvolto. “Certo che no, ma prima o poi dovrò farlo, no?” rispose Blaine leggermente infastidito dalla domanda stupida di suo padre. “Sì ma… insomma, potresti anche cambiare… cambiare idea, giusto?” – altra domanda stupida, decisamente stupida. Forse suo padre non era ciò che si può definire “bigotto”, ma credeva ancora che l’orientamento sessuale potesse essere cambiato al pari di un capo d’abbigliamento di taglia sbagliata muniti di scontrino fiscale. “Non credo pro-“ cominciò Blaine, ma si corresse, cercando di apparire meno drastico: “Non credo”. “Oh, capisco” rispose suo padre abbassando la testa, e interrompendo così la connessione di sguardi fondamentale per la sua definizione di “chiacchierata da uomo a uomo”. Ma poi Blaine lo vide alzarla di nuovo, per domandare incuriosito: “E questo ragazzo, Kurt… i suoi genitori cosa dicono?”. Forse spera di poter trovare degli alleati, pensò Blaine sospettoso. Ma non avendo nulla di cui preoccuparsi, rispose con tranquillità: “Sua madre è morta quando lui era piccolo, ma da quello che Kurt mi ha raccontato lo sapeva benissimo. Suo padre lo ha accettato senza problemi”. Certo, aveva omesso qualche piccolo dettaglio sul rapporto tra Kurt e suo padre, ma era pur vero che adesso, dopo qualche incomprensione, era realmente un buon rapporto. Guardò suo padre con aria soddisfatta, sapendo di averlo messo a tacere con quella sintesi piuttosto esaustiva. “E state insieme da… da molto?” domandò quindi l’uomo, tradendo una certa preoccupazione. “In realtà da quasi un mese, infatti era un po’ presto per presentartelo. Ma ormai era qui, non potevo certo fare finta di niente” rispose Blaine. Suo padre lo guardò con aria perplessa, facendogli capire che sì, avrebbe anche potuto fare finta di niente. Blaine ignorò il silenzioso suggerimento, e aggiunse: “C’è qualcos’altro che vuoi dirmi, papà?”. Simon Anderson tacque per un po’, poi rispose: “Sì, un piccolo favore: non diciamolo ai miei colleghi quando li invito qui a cena, va bene?”. Blaine chiuse gli occhi e sbuffò, infastidito. “Naturalmente, papà” rispose alzandosi dal divano. Senza girarsi a guardarlo, si diresse in cucina per aiutare sua madre e sua sorella ad apparecchiare la tavola per la cena, durante la quale nessuno avrebbe più tirato fuori quell’argomento visto che suo padre lo aveva temporaneamente archiviato. Come tutte le sere, avrebbero fatto finta che suo padre fosse una persona presente e che non passasse le intere giornate nel suo ufficio da commercialista, che sua madre fosse in grado di fare le pulizie di casa senza l’aiuto della domestica, che Jane fosse minimamente interessata ad entrare nella squadra di cheerleaders della sua accademia femminile e che lui fosse ancora insicuro sulla sua identità sessuale.

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Capitolo 24
*** Happiness ***


24. Happiness

 

“Buongiorno splendore! E auguri a noi!”

Tre giorni dopo la fatidica visita a casa Anderson, che grazie all’astuzia di Jane non aveva destato grandi sospetti, Blaine salutò in questo modo il suo ragazzo nell’affollato parcheggio della Dalton, poco prima di entrare a scuola. Kurt non ebbe il tempo di rispondere, travolto istantaneamente da un bacio appassionato che lo fece arrossire come non mai: tutti gli altri alunni dell’accademia li stavano fissando. Era ormai risaputo che la politica della nuova scuola di Kurt si basava sulla tolleranza e il rispetto verso qualsiasi scelta o orientamento sessuale, ma questo non aveva mai implicato anche l’indifferenza o la riservatezza, né poteva impedire a gruppetti di adolescenti pettegoli di iniziare a confabulare tra loro. Kurt e Blaine, da un mese a quella parte, erano ormai “famosi” per aver mostrato in pubblico la loro relazione, ma si erano sempre limitati ad andare in giro mano nella mano, evitando effusioni particolari. Certo, non che a Kurt tutto questo importasse, mentre Blaine lo attirava a sé per i fianchi per baciarlo davanti a tutti, meravigliosamente strafottente. Tra i curiosi spiccavano ovviamente alcuni degli Usignoli, che volenti o nolenti avevano imparato ad accettare che all’interno del loro Club ci fosse una relazione lievemente al di là dell’amicizia o dell’intesa artistica e musicale, sempre più “rincuorati” riguardo il destino delle loro performance dalla serietà che, giorno per giorno, traspariva dagli atteggiamenti dei due ragazzi l’uno verso l’altro.

“Buongiorno a te, auguri!” rispose Kurt, sospirando per l’emozione di quel bacio inaspettato. “Sappi che questo non è l’unico regalo in programma!” disse Blaine sorridente, conscio del fatto che quella frase avrebbe lasciato l’altro in preda ad una curiosità atroce per il resto della giornata. Si avviarono insieme all’ingresso, come sempre mano nella mano. “Allora… cosa si fa stasera?” gli disse Kurt, visto che in quei tre giorni non ne avevano minimamente parlato. In effetti, non avevano parlato neanche dell’esito della serata a casa di Blaine: il ragazzo infatti aveva soltanto riferito di aver chiarito la situazione, desideroso di lasciarsi la questione alle spalle senza dare a Kurt inutili preoccupazioni. E l’invito a cena di sua madre, tra l’altro, era stato affettuosamente rinnovato. “I miei sono ad un convegno dell’ordine dei commercialisti nel Kentucky, direi che siamo fortunati! Vieni da me? Stavolta ordiniamo delle pizze!” rispose Blaine con entusiasmo mentre percorrevano il corridoio principale, luminoso ed accogliente come sempre. Kurt, ricordando la prima volta in cui aveva varcato la soglia di casa Anderson e soprattutto cosa era successo nella sua cucina, non potè fare a meno di deglutire. Non credeva che il suo ragazzo avesse la casa a disposizione così spesso… a lui non capitava mai! Ma Blaine, pur non guardando Kurt in viso, intuì la sua apprensione visto che tardava a rispondere, così precisò: “Ho detto i miei genitori, non mia sorella. Anche se credo che si chiuderà a chiave nella sua stanza, pur di non aver a che fare con le nostre chiacchierate smielate! E cito testualmente”. Kurt rise e si fermò, essendo ormai arrivato davanti alla porta dell’aula destinata alla sua prima lezione della giornata. “Va bene, ci vediamo da te per le 8?” rispose sorridente. “Certo” disse Blaine, sciogliendo la stretta delle loro mani. Un altro bacio, questa volta lieve e delicato, e si separarono.

Quel pomeriggio, oltre a decidere come sempre che cosa indossare, Kurt si dedicò alla scelta del regalo di Blaine. Il giorno prima, infatti, era riuscito a comprare ben tre regali differenti, cercando poi in Finn il consiglio rivelatore che gli avrebbe permesso di darne uno a Blaine e riciclare gli altri due, magari tenendoli. Come era prevedibile, il fratello aveva scartato il cofanetto di accessori che comprendeva pinzetta (Kurt desiderava ardentemente mettere le mani sulle sopracciglia di Blaine, e quella sarebbe stata una scusa perfetta), forbicine e limetta per unghie, giudicandolo troppo “da Kurt”. La lampada fluorescente consigliata da Jane era stata allo stesso modo abolita dalla lista, in favore di un cuscino blu sul quale Kurt aveva fatto applicare una stampa di una loro fotografia fatta in una di quelle macchinette automatiche per le fototessere del centro commerciale di Lima. L’immagine comprendeva più scatti in successione, riportando così tutte le loro possibili espressioni, dalla più seria alla più stupida ed insensata. Il dubbio di Kurt era che quel regalo avrebbe potuto mettere nei guai Blaine, visto che in un modo o nell’altro i suoi genitori lo avrebbero visto. Ma Finn lo aveva rassicurato dicendogli che lo avrebbe di certo apprezzato, perché qualunque persona sana di mente lo avrebbe fatto.

Visto che la serata non comprendeva più la cenetta al lume di candela preparata appositamente da Blaine, Kurt decise di essere un po’ più informale, abolendo così un’eventuale giacca. Scelse una camicia azzurrina abbinata ad un pantalone blu scuro, ed un cappello che richiamava entrambi i colori. Mentre si apprestava a scegliere anche la sciarpa, indeciso tra una a righe ed un’altra a tinta unita, Finn entrò nella stanza. “Kurt, abbiamo un problema” gli disse con tono serio. Kurt si girò verso di lui, dando così le spalle al suo armadio aperto, e lo guardò con apprensione. “Mi ero dimenticato del cinema con i ragazzi del Glee stasera, mi serve la macchina” concluse suo fratello con voce debole, quasi terrorizzato dalla possibile reazione di Kurt. Il quale, invece, tirò un profondo sospiro di sollievo, abituato ormai a ben altre preoccupazioni rispetto ad una cosa del genere. “E che problema c’è? Mi accompagni, vai al cinema e poi mi vieni a prendere” rispose infatti con aria saccente. Finn si grattò la testa e disse: “Oh, in effetti non ci avevo pensato”. Kurt alzò gli occhi al cielo e si voltò nuovamente verso il suo scaffale delle sciarpe. Una volta completato il suo look, si dedicò ai capelli; poi indugiò un po’ su quale profumo scegliere: l’ultima volta, era stato un dettaglio più che rilevante. Alla fine decise di azzardare e riutilizzare quello stesso profumo, lasciandosi trasportare per un attimo dai possibili risvolti che quella decisione avrebbe potuto provocare. La voce di Finn che lo chiamava dall’ingresso lo destò da pensieri non molto casti, così spense le luci dello specchio, si diede un’ultima pettinata al ciuffo e raggiunse il fratello, premurandosi di non dimenticare il regalo.

“Buona serata Kurt, divertitevi! Passo verso mezzanotte ok?” gli disse Finn dopo averlo lasciato davanti a casa Anderson; erano le 8 in punto. “Va bene! Divertiti anche tu, e salutami tutti” rispose Kurt chiudendo lo sportello dell’auto. Una volta suonato il campanello, dovette aspettare soltanto pochi minuti prima che la bellissima voce del suo fidanzato gli desse il benvenuto dalle sottili fessure sotto il pulsante. Kurt raggiunse a grandi passi l’ingresso, animato da una tranquillità che raramente gli era appartenuta, da quando stava con Blaine. Lui stesso si sorprese di come l’apprensione di quella mattina alla notizia di dover nuovamente andare a casa del suo ragazzo fosse improvvisamente svanita. In quel momento, aspettando di essere accolto da lui, si rese conto che tutte le sue preoccupazioni sulle priorità dell’altro, sui suoi sentimenti o giudizi… erano state inutili. Blaine parlava di lui. Parlava bene di lui, quasi stravedeva per lui. Lo chiamava “splendore”, lo baciava davanti a tutta la scuola, ricordava la data del loro primo mesiversario. Blaine lo aspettava all’entrata della scuola ogni mattina, e ogni sera gli dava la buonanotte. Lo invitava a casa sua quando poteva, e adorava mettere le mani nei suoi jeans attillati appoggiato al bordo del lavandino della cucina. Non si era mai lamentato di un suo difetto, errore o debolezza, e Kurt si stava ancora interrogando, dopo un mese, su quali potessero essere i suoi, di difetti. In quel momento, in quei velocissimi secondi di attesa al di là della porta, Kurt capì di essere felice.

“Ta-daaan!” esordì Blaine aprendo la porta d’ingresso in maniera alquanto goffa, visto che era contemporaneamente intento a reggere qualcosa di piatto e rettangolare, rivestito da una carta da regalo verde con una coccarda rossa al centro. Kurt sorrise, uscendo da dietro la schiena una scatola a fantasia. Blaine fece qualche passo indietro, permettendogli di entrare, e poi richiuse la porta con il piede destro. “Pensavo che ce li saremmo scambiati a fine serata!” disse Kurt un po’ sorpreso. “Lo so, ma ho aspettato anche troppo per vedere la faccia che farai! Non resisto” rispose Blaine, ancora alle prese con quello strano pacco che lo copriva praticamente dal mento a un po’ più sotto della cintura. “Va bene, ma lascia che ti dia una mano!” disse quindi Kurt prendendoglielo dalle mani, dopo aver poggiato la sua scatola sul mobile più vicino. I due si guardarono, cercando di decidere silenziosamente chi dei due avrebbe dovuto aprire il suo regalo per primo. La profonda riflessione fu interrotta dal rumore di una porta che sbatteva: Kurt vide Jane passare da un capo all’altro della stanza come un siluro, coprendosi un lato del viso con la mano per non guardare verso l’ingresso. “Io non sono mai stata qui e non voglio sapere cosa state facendo!” gridò la ragazza tutto d’un fiato, poco prima di raggiungere l’altro lato del salotto, per poi aprire la porta della sua stanza e richiuderla dietro di lei. Il rumore sommesso ma persistente di una canzone rock a tutto volume, proveniente da quella direzione, impedì alle orecchie della ragazza di sentire le risate chiassose di suo fratello e di Kurt, divertiti dalla sua piccola sceneggiata. “Crede che ti violenterò qui sull’ingresso!” disse Blaine tra una risata e l’altra, quasi piegato in due. “Dai, aprilo” continuò poco dopo, una volta tornato serio. “Io per primo?” gli chiese Kurt, titubante. Blaine annuì, aspettando che l’altro scartasse finalmente il pacco che gli aveva preso dalle mani poco prima dell’irruzione di sua sorella. Kurt gli sorrise, dopo di che tolse con cura la coccarda rossa e, seguendo le linee ricoperte di scotch trasparente, strappò la carta da regalo che avvolgeva quella specie di tavola rettangolare. L’involucro verde cadde ai suoi piedi con un fruscio, mostrando finalmente ai suoi occhi curiosi ciò che conteneva. Tra le sue mani, una bacheca di sughero, identica a quella che aveva rotto contro il muro della sua stanza un po’ di tempo prima, riportava un’enorme scritta realizzata con ritagli di giornale: “I love you”.

Kurt guardò quelle grandi lettere, tutte diverse l’una dall’altra, per un minuto che gli sembrò infinito. Le analizzò una ad una, accertandosi di aver letto la frase giusta. Quella frase. Poi la osservò nel suo complesso, rivedendovi dentro tutta la sua vita, quasi come se l’avesse vissuta solo per poter arrivare a quel momento. Per poter vedere scritte su una bacheca da 10 dollari, con pezzi di ritagli di giornale, quelle tre parole. Poi la poggiò contro il muro con cautela, si avvicinò a Blaine e lo abbracciò, stringendolo a sé con tutta la forza che aveva. Sentire le braccia dell’altro avvolgerlo con la stessa intensità, gli fece capire che quell’istante era perfetto così com’era, senza bisogno di parole.

Blaine parlava di lui. Parlava bene di lui, quasi stravedeva per lui. Lo chiamava “splendore”, lo baciava davanti a tutta la scuola, ricordava la data del loro primo mesiversario. Blaine lo aspettava all’entrata della scuola ogni mattina, e ogni sera gli dava la buonanotte. Lo invitava a casa sua quando poteva, e adorava mettere le mani nei suoi jeans attillati appoggiato al bordo del lavandino della cucina. Non si era mai lamentato di un suo difetto, errore o debolezza. Ma più di ogni altra cosa, Blaine lo amava.

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Capitolo 25
*** Blame it on the music ***


WARNING: temporaneo rating GIALLO.

 

25. Blame it on the music

 

La musica rock non era mai stato l’ideale di Kurt in fatto di momenti intimi o romantici; un sottofondo soft, magari con un accenno di jazz, sarebbe stato sicuramente più gradito. Eppure, gli ci volle molto tempo prima di sciogliere quell’abbraccio, tanto quel momento era perfetto. Blaine lo guardò sorridente, e anche leggermente imbarazzato; infatti si affrettò subito a dire: “Bene, adesso tocca a me!”. Kurt lo guardò aprire il coperchio superiore della scatola che lui stesso aveva decorato con cura, realizzando delle perfette righe di glitter dorato lungo la sua superficie. Poi però si concentrò sul viso di Blaine, stando attento ad ogni minimo cambiamento di espressione. Potè quindi tirare un sospiro di sollievo, quando lo vide sorridere con grande spontaneità alla vista delle loro buffissime facce in successione stampate su un cuscino blu. “E’ bellissimo! Grazie Kurt!” gli disse sorridendo ancora di più: Kurt non aveva mai visto tutti i denti del suo fidanzato in una sola volta, prima di allora. E probabilmente lo stesso valeva per Blaine, visto che anche Kurt sfoggiava un enorme sorriso da quando aveva aperto il suo regalo, un sorriso che lo avrebbe sicuramente contraddistinto per almeno due giorni. “Vado a posarlo in camera!” gli disse dopo avergli dato un bacio sulla guancia, per poi dirigersi appunto verso la fonte della musica che continuava ininterrottamente a rimbombare per la casa. Kurt lo aspettò per qualche minuto, rimanendo sempre all’ingresso; una volta tornato, Blaine gli disse: “Jane ha detto che il suo tasso glicemico ha raggiunto livelli preoccupanti, ma è il suo modo per dire che le piace”. Kurt rise divertito, sperando di poter riuscire ad imparare i vari significati nascosti dietro il sarcasmo della sorella di Blaine, proprio come faceva lui. “Andiamo a mangiare, siamo qui nell’atrio praticamente da mezz’ora!” concluse il ragazzo facendogli cenno di seguirlo in sala da pranzo. Due pizze erano già pronte sul tavolo, visto che Blaine conosceva i gusti di Kurt: ordinava sempre sul leggero, al massimo pomodoro, formaggio e prosciutto con un filo di origano sopra. La cena procedette tranquilla, per quanto potesse esserlo visto che Jane non accennava minimamente ad abbassare il volume del suo stereo; ma entrambi i ragazzi erano troppo estasiati dall’andamento della serata, e della loro storia, per farne un problema.

Dopo aver sparecchiato, decisero di guardare un po’ di tv sul divano del salotto, che dava le spalle all’ingresso. Era ormai chiaro infatti che la loro era una coppia non molto “mondana”: starsene abbracciati a guardare un film in casa era diventato il loro ideale di serata romantica, forse anche meglio di andare a mangiare fuori, o passeggiare il pomeriggio. Dava ad entrambi un senso di serenità quasi surreale, una certa sicurezza in quella ricorrenza abituale, quasi monotona. Tuttavia, ben presto si resero conto che il volume della tv avrebbe dovuto essere messo al massimo per sovrastare quello della musica, e si guardarono perplessi, non sapendo cosa fare. Blaine, avendo la capacità di diventare malizioso nel giro di un secondo, spense la tv, appoggiò il telecomando sul bracciolo del divano e con fare innocente avvolse le spalle di Kurt con il suo braccio. “Stavo pensando che questa musica ha un vantaggio” sussurrò all’orecchio di Kurt. “Ah si? E quale sarebbe?” chiese lui, davvero troppo ingenuo per capirlo. Blaine si allontanò dal suo orecchio, per guardarlo negli occhi. “Nessuno può sentirci” rispose sorridendo, stavolta con un tono sufficientemente alto. Kurt ricambiò il sorriso. Non aveva più senso lasciare che le due parti di sé stesso litigassero furiosamente: Blaine lo amava. E nessuno lo aveva mai amato, al di fuori della sua famiglia. Che cos’altro avrebbe dovuto aspettare?

Blaine interpretò a dovere quel sorriso. Si avvicinò ancora di più e lo baciò, infilando le sue dita tra i capelli lisci di Kurt e accarezzando il suo viso con la mano libera. Kurt, sopraffatto dalla foga e dall’intraprendenza che indubbiamente distingueva il suo ragazzo da lui, si decise a non essere da meno, facendo mente locale per ricordare tutte le scene di sesso o di quasi-sesso dei film che aveva visto, non avendo esperienze reali a cui appigliarsi. Ma si ritrovò a pensare troppo, a dosare i movimenti, e si rese conto, mentre Blaine continuava a baciarlo con passione, che in quel modo non si sarebbe goduto l’importanza e la bellezza di quei momenti. Perciò decise semplicemente di non pensare, di lasciarsi andare proprio come aveva fatto qualche ora prima, a casa sua, ricordando il “momento del lavandino”. Chiuse gli occhi e afferrò i ricci di Blaine con una mano, poggiando poi l’altra sul suo petto. Quasi nello stesso momento, tutti e due capirono che stare seduti l’uno accanto all’altro non era più abbastanza; senza permettere alle loro labbra di staccarsi e alle loro mani di cercare i rispettivi visi, si alzarono a poco a poco, poggiando le ginocchia sul divano, non preoccupandosi di sporcarlo con le scarpe. Blaine iniziò a sbottonare la camicia di Kurt, dedicandosi allo stesso tempo ad un succhiotto sul suo collo che il giorno dopo avrebbe dovuto coprire con quintali di fondotinta. Kurt lo sapeva benissimo, ma era l’ultimo dei suoi pensieri. Quando anche l’ultimo bottone venne liberato dalle dita di Blaine, il ragazzo gli sfilò la camicia di dosso e lasciò che l’altro prendesse i bordi inferiori della sua polo – sì, indossava una polo a maniche corte – per toglierla. L’operazione richiese ovviamente molto meno tempo rispetto a quella sulla camicia di Kurt, e i due si ritrovarono a petto nudo. Le luci del salotto non erano per niente soffuse (altra cosa che Kurt avrebbe corretto, se avesse potuto, insieme alla musica rock), perciò non c’era molto spazio per l’immaginazione: il fisico di Blaine era indubbiamente più adulto e scolpito di quello di Kurt, che si sentì un po’ in imbarazzo trovandosi sotto le dita addominali definiti e perfetti. Ma il modo in cui Blaine lo guardava, gli trasmetteva una tale dose di desiderio da fargli dimenticare qualsiasi tipo di imbarazzo o inibizione: sentirsi voluto in quel modo era una cosa che non aveva mai provato prima. Blaine riprese a baciarlo, mordendogli lievemente il labbro superiore, ed iniziò a premere il suo corpo contro il suo per farlo stendere sotto di lui. Si ritrovarono così uno sopra l’altro, la gamba destra di Blaine tra le cosce di Kurt. I pantaloni c’erano ancora, ma quegli strati di tessuto non potevano certo nascondere l’eccitazione che accomunava entrambi, sotto i boxer. “Hai messo di nuovo il profumo, lo fai apposta” sussurrò Blaine all’orecchio dell’altro mentre ne baciava i bordi. Kurt si limitò ad un risolino sarcastico; la lingua di Blaine che percorreva avidamente il suo collo e quello sfregare ai piani bassi gli impedivano di formulare una frase che avesse un senso. Le sue mani intanto sfioravano la schiena del fidanzato; si ritrovava senza volerlo a stringerne la pelle con le unghie quando Blaine raggiungeva con la sua lingua un punto preciso, nell’incavo dietro l’orecchio. Poteva quasi sentire le sue labbra deformarsi in un sorriso, poco prima di riprendere da dove avevano lasciato, soddisfatte di risultare così irresistibili. Il fatto che Blaine non accennasse a toccarlo al di sotto della vita gli fece intuire che forse aspettava un suo segnale, in modo da non turbarlo. Così si prese di coraggio e lasciò la schiena di Blaine per cercare di slacciare la cintura dei suoi jeans.

“Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiinnnnnn!” – il suono del campanello sembrò ancora più interminabile, forte e fastidioso di quanto non fosse in realtà, alle orecchie dei due. “Dev’essere Finn, è in anticipo” sussurrò Kurt lasciando la cintura dell’altro, improvvisamente preoccupato. “Allora facciamolo aspettare” gli rispose Blaine accarezzandogli una mano, come per invitarlo a riprendere da dove avevano interrotto. Kurt gli sorrise, sentendosi quasi sfidato da quell’affermazione, desideroso di dimostrargli che ne aveva il coraggio.

“Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiinnnnnn!” – ancora più insistente, terribilmente insistente. Kurt e Blaine decisero silenziosamente di ignorare anche quella seconda chiamata, ma qualcun altro non era dello stesso avviso. “Blaine, ti decidi ad aprir-“ esordì sua sorella uscendo dalla sua stanza, ma le parole le morirono in bocca (cosa che succedeva in occasioni davvero rarissime). I due ragazzi si guardarono tra loro, sconvolti; Blaine scattò come una molla giù dal divano, riallacciando in fretta e furia la cintura che Kurt aveva quasi tolto e cercando con lo sguardo la sua polo. Kurt, più rosso del pomodoro della sua pizza margherita, non ebbe il coraggio di guardare Jane in faccia; si chinò per raccogliere la sua camicia e scappò verso il bagno, imbarazzatissimo. Anche Jane, che solitamente aveva la risposta pronta, rimase interdetta a pochi passi dalla porta della sua camera, fissando suo fratello come se fosse E.T. appena sceso dalla sua astronave. “Oh mio Di- OH MIO DIO!” ripetè la ragazza quando lo sguardo le cadde involontariamente sull’evidente gonfiore dei pantaloni di suo fratello; si coprì gli occhi con una mano e si diresse alla porta, allibita. Blaine ne approfittò per finire di vestirsi e raggiungere Kurt, sperando che non fosse già in preda ad una crisi di nervi.

“Ciao Jane, sono venuto a prendere Kurt” le disse Finn con cordialità, vedendola sull’uscio. “E-ecco loro, cioè lui, è… in bagno” rispose lei impacciata. Finn, che non l’aveva mai vista così insicura su cosa dire, si insospettì. “E’ successo qualcosa?! Non è che sta male?” rispose, cercando intanto di guardare al di là della testa di Jane per sbirciare in casa. “No no no no no è tutto a posto!” – a quanto pare le doti di improvvisazione della sorella di Blaine erano più scarse di quelle di Finn quando si trovava in imbarazzo; aveva ripetuto la parola “no” già cinque volte. Kurt la salvò da ulteriori domande apparendo sulla porta con un’aria sconvolta: la camicia aveva due asole senza bottoni, e solitamente lui la abbottonava quasi tutta; la sciarpa gli era stata palesemente avvolta intorno al collo da Blaine e il cappello era messo al contrario. Finn lo squadrò dalla testa ai piedi, alzando un sopracciglio; decise di rimandare a più tardi le domande, o forse di non farle affatto, preoccupato da una risposta che era già evidente davanti a lui e di cui voleva sapere poco e niente. “Ciao Jane” disse Kurt a testa bassa, coprendosi gli occhi con la visiera del cappello per non incrociare i suoi. Poi si diresse verso la macchina insieme a Finn, portandosi sotto braccio la bacheca che Blaine gli aveva regalato.

Jane richiuse la porta e si voltò verso suo fratello, che stava appoggiato a quella del bagno dentro il quale aveva dato una sistemata a Kurt in tutta fretta. Si guardarono per qualche minuto, lui nuovamente spavaldo e sorridente e lei ancora un po’ scossa. Ma poi, nello stesso momento, scoppiarono a ridere. Anche Kurt, seduto in macchina sul sedile del passeggero, si dovette trattenere dal ridere davanti a Finn. Perché anche se non avevano potuto fare ciò che volevano, quello sarebbe stato un giorno da ricordare, per tutta la vita.

 

* * *

 

_hurricane's corner:

100 recensioni - HURRAY! HURRAY! HURRAY! (citz. Emma Pillsbury)

Ci tenevo a cogliere l'occasione per ringraziare ancora una volta tutti coloro che si sono appassionati a questa storia, e che continuano a riempirmi di complimenti che puntualmente mi fanno arrossire! Inoltre, vi chiedo scusa in anticipo perchè so già che mi odierete per quel "Driiiiiin!". Ma in fondo, le cose belle si fanno sempre attendere, no? 

Purtroppo, dopo aver scritto più o meno 4 capitoli di fila (di cui questo era l'ultimo), sto avendo una specie di blocco dello scrittore (forse perchè la situazione tra Kurt e Blaine è già perfetta così!), ma vi prometto che non vi farò aspettare molto... voglio solo che i prossimi capitoli siano spontanei e non forzati dalla fretta, come lo sono stati tutti gli altri! Quindi vi chiedo solo un pò di pazienza. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, nonostante il mancato happy-ending! Non sono molto brava con le scene hot, tendo sempre a non sottolineare particolari sconci - sono una di quelle che quando dicono le parolacce abbassano di colpo la voce, e ho detto tutto!

Un grosso bacio a tutti/e, la vostra _hurricane!

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Capitolo 26
*** Under the sheets ***


26. Under the sheets

 

Jane Anderson aveva una visione tutta sua dei ragazzi. Più che altro, una visione tutta sua della vita. Nonostante fosse innegabilmente bella, non aveva alle spalle una lunga lista di relazioni, né la fila di pretendenti dietro la porta di casa. In effetti frequentando un’accademia femminile le occasioni non erano mai state molte; il signor Anderson, infatti, aveva saggiamente deciso di mandare i figli in scuole non miste, in modo da poter accuratamente selezionare figli e figlie di colleghi di lavoro da presentare ai due gemelli… non sapendo che in questo modo avrebbe semplicemente fatto un favore ad entrambi.

La verità infatti era che Jane Anderson era annoiata dall’altro sesso. E anche dal suo, per inciso. Ovunque guardasse, non vedeva altro che regole: regole su come vestirsi o comportarsi a scuola, regole su come stare seduti a tavola, come rivolgersi agli adulti, come non fare il bagno in piscina d’inverno, come non mettere i piedi sul divano bianco e come non mettere la musica rock ad alto volume. E la cosa che più la esasperava, era che nessuno ne era infastidito quanto lo era lei. Nemmeno Blaine a dirla tutta, ma lui era l’unica persona che non la aveva mai annoiata. Specialmente quando si era resa conto che suo fratello era omosessuale… Finalmente, finalmente qualcosa di diverso!, aveva pensato Jane. Qualcosa che andasse contro le “regole” imposte da qualcuno più in alto, che si trattasse di suo padre, della società, di Dio. In quel preciso momento, Jane guardò suo fratello e lo vide per la prima volta. E col passare del tempo, vide in lui molto altro: la determinazione e il coraggio di essere sempre sé stesso, per esempio. Blaine era l’unico al mondo che non l’avrebbe mai, mai annoiata.

A quello ci pensava già il resto del genere umano, in ogni caso: i presentatori dei talk-show, le sue frivole compagne di scuola, i suoi genitori. E i ragazzi, oh, i ragazzi… Ci aveva provato, davvero. Almeno un appuntamento a settimana, quando era al primo anno di liceo: il periodo di affollamento dell’agenda iniziava dopo l’uscita dell’annuario scolastico, quando i fratelli o conoscenti delle altre alunne dell’accademia venivano in un modo o nell’altro in contatto con una delle copie dell’album, e puntualmente chiedevano alla ragazza di turno: “E quella chi è?”. Col passare del tempo, Jane non aveva ancora un fidanzato e i vari ragazzi scartati dalla sua lista immaginaria iniziarono a spargere voci non molto carine su di lei: la “assaggia-uomini” la chiamavano, li assaggia e poi li butta via con tutta la carta. La realtà era che Jane, annoiata a morte da banalissimi discorsi sul football, le borse di studio per il college, la stupidità delle cheerleader – argomento di punta del sesso forte per mostrare intelligenza – o in alternativa complimenti sulla sua bellezza, finiva per non richiamare più quasi tutti i possibili fidanzati. La maggior parte delle persone avrebbe definito una persona del genere apatica, anormale, persino vanitosa: le ragazze in particolare erano convinte che scartasse i loro conoscenti perché non li considerava “alla sua altezza”. Ma Jane Anderson, la attraente, spigliata, socievole e a volte insopportabile Jane Anderson, cercava semplicemente qualcosa di più. Non qualcuno con cui infrangere le regole – aveva avuto un’esperienza con un motociclista squattrinato, e non era andata molto bene – ma qualcuno che non gliene imponesse di nuove. Il mondo intorno a lei cercava in tutti i modi di suggerirle quanto fosse impossibile una cosa del genere, visto che le relazioni comportano, in un modo o nell’altro, qualche regola.

Era per tutti questi motivi che Jane, da un certo punto di vista inspiegabilmente, era stata attratta da Finn. La cosa assurda infatti era che Finn poteva essere considerato una persona decisamente inquadrata, per niente fuori dal comune, escludendo la sua proverbiale altezza e la sua incapacità nel ballo. Ma si era dimostrato uno dei pochi che, in risposta al sarcasmo spesso pungente e forse di cattivo gusto di Jane, non aveva storto il naso o voltato lo sguardo altrove. Innumerevoli appuntamenti passati si erano conclusi in silenzi imbarazzanti a causa di quella qualità – o difetto? – di Jane, o peggio, in lapidari rimproveri come “Non è divertente” oppure “Ma che problema hai tu?”. Finn si limitava a sorridere con quella sua aria contrita da “non so che cosa dire” e ad arrossire. Forse perché era davvero preso da lei, oppure perché semplicemente non coglieva il senso delle sue frecciatine – pensò Jane quella sera, distesa sul suo letto sotto quello di Blaine.

“Scommetti che indovino a cosa stai pensando?” esordì la voce di suo fratello, dall’alto. La stanza era buia già da un pezzo, ma evidentemente nessuno dei due aveva abbastanza sonno. Jane non rispose, tentando di far credere a Blaine di essersi già addormentata così da guadagnare altro tempo per sane riflessioni sulla sua esistenza. “…tanto lo so che sei sveglia, non stai russando!” esclamò Blaine dopo qualche minuto. “Ooooh” sbuffò Jane dal suo letto, incrociando le braccia sotto le lenzuola. Un altro minuto di silenzio. “Allora, scommetti?” ripetè suo fratello con ostinazione. “Va bene, sentiamo…” - rispose Jane roteando gli occhi nel buio – “…ma sappi che non riguarda il vostro piccolo film porno!”. “Ah, dannazione!” – ribattè Blaine deluso – “Ero convinto che la cosa ti avrebbe traumatizzato per la vita!”. Jane si limitò a sbuffare lievemente, riportando le braccia lungo il corpo. Non aveva voglia di parlare, e anche se non lo avrebbe ammesso nemmeno se fosse stata costretta alla tortura della ruota medievale, la cosa la aveva effettivamente sconvolta. Era sempre stata cosciente del fatto che suo fratello fosse un ragazzo attraente, diciamo pure decisamente attraente. Ormai era impossibile tenere il conto di quante volte aveva dovuto provocare amare delusioni alle sue amiche, comunicando loro che Blaine aveva “altri interessi”. Le risposte potevano variare: da “E’ un gran peccato” di quelle già rassegnate, al “Ma sei sicura? Magari gli faccio cambiare idea!” delle ragazze etero intraprendenti che credono di poter rivoltare un uomo come un calzino, al classico commento da donna vissuta “Sempre i migliori!”. Un altro vantaggio dell’omosessualità di Blaine, col senno di poi, era che almeno non doveva ritrovarsi le sue frivole compagne di scuola anche in giro per la casa. Ma era un’altra storia sapere che il suo fratello-decisamente-attraente avesse una vita sessuale, o meglio vederla svolgersi praticamente sotto i suoi occhi. Kurt le piaceva, e anche molto. Certo, lui e suo fratello messi insieme erano davvero da diabete, ma Blaine era felice quando parlava di Kurt, perciò Kurt era la persona giusta. Non andava altrettanto bene averlo visto in procinto di fare sesso con il suo gemello sul divano del suo salotto, però. Probabilmente non avrebbe più guardato quel divano con gli stessi occhi… cavolo, adorava quel divano! Era così comodo.

“Ci sono!” esclamò Blaine dopo un po’ di tempo – eppure Jane era quasi certa che si fosse addormentato, visto che aveva smesso di parlare. “Finn” concluse con tono entusiasta, come se avesse vinto la lotteria. Poi continuò: “Quando sono stati qui l’altra volta, ho visto che eravate insieme in giardino quando Kurt è andato a chiamarlo”. Jane rispose stizzita: “E allora? Cosa dovevo fare, chiuderlo in uno sgabuzzino? Non so nemmeno se possa materialmente entrarci”. Cambiare discorso con disinvoltura le riusciva sempre benissimo. “Ah-ah, bel tentativo” rispose Blaine, cogliendo alla perfezione il trucco. Ogni loro conversazione ormai era una lotta ad armi pari; si conoscevano così bene che mentirsi a vicenda, anche al buio di una camera da letto, senza potersi guardare negli occhi, era impossibile. “Guarda che puoi dirlo che ti piace. Sarà il nostro segreto, così nessuno a parte me saprà mai che sei umana!” continuò Blaine, soffocando palesemente una risata. Non sentì una risposta provenire da sotto di lui, ma un fruscio gli fece intuire che Jane si era alzata dal letto. Quando un cuscino lo colpì in piena faccia, la sua supposizione divenne ufficialmente una certezza. “Allora questo segreto morirà con te!” esclamò Jane con tono minaccioso, facendo finta di soffocare Blaine con il suo cuscino mentre con l’altra mano si teneva dalla scaletta che collegava i due letti. Due melodiose risate, inquietantemente simili, invasero la stanza per molti minuti. Quando entrambi riuscirono a tornare seri, calò uno strano e surreale silenzio. Jane rimase sulla scaletta, appoggiandosi al materasso di Blaine con tutte e due le braccia in modo da poter intravedere il suo viso nel buio. Poteva scorgere i suoi denti bianchissimi brillare in un sorriso eloquente, ancora in attesa di una risposta da parte sua. La ragazza sospirò, rassegnata. Non avrebbe mai potuto nascondere qualcosa a Blaine per un periodo di tempo che superasse i tre giorni. Blaine era quello che non la annoiava mai; glielo doveva.

“E’ che…” – sussurrò, insicura – “…io non capisco. E’… stupido”. Il bianco dei denti di Blaine si triplicò. “Lo sapevo, ti piace!” rispose con aria eccitata, ma sempre sottovoce, come se qualcuno in casa avesse potuto sentirli. Jane alzò un braccio per sorreggersi la testa con la mano, imbronciata. “Comunque sì, lo è. Ma è un bravo ragazzo, è stato davvero gentile con me e Kurt!” le disse Blaine dopo qualche secondo. “Sì, anche con me” rispose Jane sovrappensiero, riferendosi alla conversazione sotto il portico del loro giardino e alla sensazione di tranquillità che aveva provato nel raccontare a Finn cose che non aveva mai condiviso con nessuno, all’infuori di Blaine. Che Finn potesse essere la seconda persona che non l’avrebbe mai annoiata? Quella sì che era una bella domanda. Continuando a ripetersela nella mente, si sporse ancora di più verso il letto del fratello per dargli un bacio sul naso, come facevano da piccoli. “Buonanotte” sussurrò prima di scendere dalla scaletta e tornare sotto le sue coperte.

Tornò anche ai suoi pensieri. Nessuno dei ragazzi con cui era uscita negli anni precedenti le aveva ispirato quella fiducia, perché lei stessa sapeva che ciò che si aspettavano da lei era ben altro: una ragazza bella, intelligente e ricca aveva anche il coraggio di lamentarsi di qualcosa? O di pretendere qualcosa? In fondo nessuno può dire e fare quello che gli pare senza conseguenze, è così che va la vita. Ma Finn? Aveva assecondato il suo sfogo soltanto per mostrarsi interessato? O davvero era disposto a rivederla per “parlare un po’”, pur avendo capito quanto fosse difficile il suo carattere? Le sembrava una cosa davvero assurda. Se avesse conosciuto un’altra persona indisponente come lei, probabilmente l’avrebbe odiata. Un’altra Jane Anderson… una sola basta e avanza, pensò tra sé e sé. Alla fine, anche se con difficoltà, si addormentò, riflettendo su quale fosse il modo migliore per ottenere il numero di Finn evitando una colossale umiliazione, come quella di chiederlo a suo fratello. E soprattutto su cosa avrebbe fatto dopo, con quel numero. Cercarlo subito sarebbe stato squallido… o solo gentile? La sua esperienza in materia di gentilezza era palesemente carente. Come quella in amore.

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Capitolo 27
*** Wrong day ***


27. Wrong day

 

Il giorno dopo, Jane non ebbe bisogno di umiliarsi chiedendo a Blaine il numero di Finn; lei però non sapeva ancora il perché. Blaine infatti non aveva mantenuto molto a lungo il segreto di sua sorella, spinto dal desiderio di poterla rendere felice – era la prima volta che la vedeva minimamente interessata a qualcuno che non fosse stessa, o lui, e non poteva farsi scappare l’occasione di combinare un incontro a sua insaputa. Ovviamente anche Kurt fu a dir poco eccitato all’idea di poter essere il Cupido della situazione, specialmente se questo significava stringere ancora di più i legami con la famiglia Anderson. Il piano era molto semplice: Kurt aveva chiesto a Finn di accompagnarlo al centro commerciale, e Blaine aveva chiesto la stessa cosa a Jane. Entrambi quindi non erano a conoscenza del fatto che in realtà sarebbe stata una vera e propria uscita a quattro.

Kurt e Finn furono i primi ad arrivare. Finn parcheggiò la macchina del padre di Kurt davanti all’ingresso principale, spense il motore e scese dall'auto, aspettando che suo fratello facesse la stessa cosa. Ma Kurt, che non aveva molto talento nell’essere discreto, si guardava attorno con aria attenta come un coniglietto con le orecchie alzate, sperando di scorgere i due gemelli da qualche parte. “Che cosa stai aspettando?” chiese Finn incuriosito, guardandolo attraverso il finestrino. Il fatto che Kurt lo avesse invitato a fare spese con lui era già di per sé una cosa strana, e quel comportamento non faceva altro che peggiorare la strana sensazione di Finn. La sensazione che ci fosse sotto qualcosa di cui non era a conoscenza. Non ottenne risposta, ma in compenso vide Kurt saltellare di colpo sul suo sedile, come faceva di solito quando voleva trattenere un urlo di gioia o un applauso di approvazione, e sorridere con aria compiaciuta. Poi lo vide scendere dalla macchina, specchiarsi fugacemente nel finestrino per accertarsi che i capelli fossero a posto e dirigersi verso il lato destro del parcheggio. Due persone gli stavano venendo incontro… due persone decisamente familiari.

Non ci fu bisogno di molte spiegazioni: Jane e Finn, quasi nello stesso momento, sgranarono gli occhi guardando l’uno verso l’altro, realizzando in poco tempo quale fosse il piano geniale dei rispettivi fratelli. Kurt prese Blaine per mano, conducendolo verso Finn in modo da farli salutare. “Ciao Blaine” disse Finn con tono quasi infastidito, volendo sottintendere “Grazie tante”. Blaine ricambiò il saluto sorridendo soddisfatto, poi tirò Kurt per la mano per dirigersi verso l’ingresso. Era palesemente chiaro che quella mossa innaturale mirava a far salutare Finn e Jane da soli. Jane era forse la più imbarazzata tra i due – il che era un vero e proprio evento – perché era abbastanza chiaro che, se quell’incontro era stato così abilmente programmato, voleva dire che Blaine aveva ricevuto un qualche segnale da parte sua, una confidenza, altrimenti non lo avrebbe mai fatto. L’unica cosa che la consolava era la possibilità che forse Finn non sarebbe mai arrivato a quella conclusione. Si impose di essere la Jane di sempre, così la buttò subito sul ridere: “Che coincidenza eh?”. Finn sorrise lievemente, impacciato come al solito; si portò una mano dietro la nuca per grattarsi i capelli, come per prendere tempo. “Eh già… allora, entriamo?” disse poi. Kurt e Blaine li stavano aspettando a pochi passi dalle porte scorrevoli dell’entrata, mascherando malamente occhiate curiose verso di loro. Una volta che si furono riuniti, i quattro ragazzi entrarono nel centro commerciale, pur non avendo una meta precisa.

Ormai novembre stava per finire, e nelle vetrine dei negozi iniziavano a vedersi i primi addobbi natalizi. Coloro che preferivano comprare i regali di Natale con largo anticipo solitamente approfittavano di quella settimana per evitare la confusione degli ultimi giorni, perciò non era raro incontrare più di una persona conosciuta nello stesso pomeriggio – in fondo, Lima non era poi così grande. Ma naturalmente, tra tutti gli abitanti di Lima, Kurt incontrò proprio lei. Questa volta era da sola; indossava un tailleur beige con un’enorme spilla dorata sul davanti, e i capelli erano raccolti in una crocchia con un’innumerevole quantità di forcine. Portava due buste, probabilmente contenenti scarpe e chissà quante altre combinazioni possibili di completi eleganti, ed era intenta ad osservare una vetrina di articoli per la casa, indecisa tra una teiera azzurrina ed una di porcellana bianca. D’un tratto, la donna alzò lo sguardo e si voltò, colpita dalla vista di un ragazzo, riflesso nella vetrina, che camminava mano nella mano con un altro. Di nuovo.

“TU!” gridò la signora Karofsky, lasciando che le sue buste cadessero al suolo per poter indicare Kurt con aria inquisitoria. Kurt rimase pietrificato, tanto quanto gli altri tre che erano con lui, leggermente spaventato da quell’aria minacciosa. Forse la madre di Dave non era poi tanto diversa da suo figlio, pensò in quel breve attimo di silenzio - la quiete che precedeva la tempesta. La donna continuava ad indicarlo, come se lo volesse trapassare da parte a parte con il suo indice o ridurlo in cenere con il suo sguardo, che in realtà spaziava continuamente, quasi febbrilmente, dal suo viso a quello di Blaine. L’indice invece era rimasto fermo, fermo su di lui. Kurt deglutì, aspettando di sapere quale orrenda colpa poteva aver commesso per essere additato a quel modo. “Che cosa hai detto a mio figlio?!” disse la donna con tono furente. Kurt diventò freddo come il ghiaccio, tanto che Blaine potè quasi sentire il calore della sua mano affievolirsi tra le sue dita, che intanto continuavano a stringerla. “I-io… non gli ho detto niente!” disse, cercando di evitare un “peggio” che sarebbe arrivato comunque. Blaine era proprio lì, accanto a lui, e di lì a poco avrebbe scoperto che lui gli aveva mentito. Cioè, tecnicamente aveva omesso di raccontargli di essere andato a casa di Karofsky di sua spontanea volontà, ma era certo che Blaine l’avrebbe presa molto male. In fondo, era per questo che non glielo aveva detto... e per non farlo preoccupare. Ma Blaine non aveva ancora capito di cosa la signora Karofsky stesse realmente parlando, così decise di intervenire in aiuto di Kurt, dicendole: “Signora, la prego di calmarsi, Kurt non ha fatto nulla!”. “NULLA?! Dimmi un po’ ragazzo, secondo te è nulla venire in casa MIA e convincere mio figlio di essere GAY?!” rispose la donna quasi fuori di sé, enfatizzando le parole principali: casa “sua”, come se Kurt fosse entrato da un tunnel sotterraneo o avesse fatto irruzione con uno squadrone militare invece di suonare semplicemente il campanello, e “gay”, che indubbiamente rappresentava il fulcro della questione.

Blaine la guardò con aria sconvolta; fu un secondo, e la sua mano non era più intrecciata a quella gelida di Kurt. Si voltò verso di lui, sperando di aver capito male. Kurt a casa di… Karofsky?! “Blaine, ti prego, non è come pensi!” disse Kurt strattonandolo per un lembo della felpa, per costringerlo a guardarlo negli occhi. Finn, che era a conoscenza di ciò che era successo, intervenne pensando di migliorare la situazione: “E’ vero Blaine, ascoltalo!” disse avvicinandosi, mentre Jane guardava tutti gli altri domandandosi cosa stesse succedendo. Blaine si girò verso di lui, furibondo: “Quindi tu lo sapevi?!”. Intanto la madre di Karofsky era ancora lì, e pretendeva una spiegazione. Non le importava certo di vedere quei due adolescenti effeminati litigare. “Allora, cosa gli hai detto?” ripetè, ignorando palesemente ciò che stava accadendo davanti ai suoi occhi. Blaine infatti aveva indietreggiato per affiancarsi a Jane, guardando la scena a pochi passi di distanza, come se non fosse più affar suo. “Io… signora, mi ascolti” – rispose Kurt, cercando di non pensare a quanta distanza quella donna era riuscita a mettere tra lui e Blaine, per evitare di saltarle al collo – “io non ho detto niente a Dave. O meglio, gli ho solo detto di essere sé stesso, invece di continuare a… sì, insomma, di tenersi la rabbia dentro”. Avrebbe dovuto dire “di continuare a sfogarla su di me”, ma pensò che questo avrebbe generato problemi a Karofsky, che sicuramente di problemi ne aveva già abbastanza – il più grande era proprio lì davanti a lui. La donna non fu per niente soddisfatta: “Essere sé stesso? Tu lo hai cambiato! Hai trasformato mio figlio in un’altra persona!”. Kurt la guardò negli occhi per la prima volta. In un attimo, trovò dentro sé stesso una risolutezza che credeva di aver perso, e rispose composto: “No, signora. Lui è sempre stato quella persona. Soltanto che lei non è mai riuscita a vederlo davvero”. La donna indietreggiò visibilmente, come se fosse stata colpita da una freccia – e forse lo era. La freccia della nuda, dura e tagliente verità nel centro del suo petto. Si sforzò di rivolgere a Kurt un ultimo sguardo di sfida, ma non le riuscì molto bene; poi raccolse le sue buste, si voltò e riprese a guardare le vetrine come se niente fosse. Come se quella sua scenata avesse magicamente sistemato le cose, riportando suo figlio ad essere di nuovo normale.

Kurt sospirò, stringendo la mano che Finn aveva poggiato sulla sua spalla, in segno di conforto e appoggio. Poi si voltò verso Blaine, che parlava a bassa voce con sua sorella tenendo la testa china e facendo cenni di dissenso con il viso di tanto in tanto. Probabilmente lei stava cercando di tranquillizzarlo, senza riuscirci. “Blaine…” disse Kurt facendo un passo verso di lui. Il ragazzo alzò lo sguardo, ma Kurt avrebbe preferito che rimanesse fisso sul pavimento, perché dentro ci vide un oceano di delusione. Lo stesso che Blaine aveva visto nei suoi occhi quella sera al Bel Grissino, quando stava per rovinare tutto ancora prima che iniziasse. Si sforzò di non annegarci dentro, e continuò: “E’ vero, sono stato a casa di Karofsky dopo che lo abbiamo incontrato qui insieme a sua madre. Volevo dirgli di smetterla, così gli ho consigliato di trovare un altro modo di sfogarsi… tutto qui! Non te l’ho detto soltanto per non farti preoccupare! Per favore, scusami”. L’oceano degli occhi di Blaine però era già in tempesta. Il ragazzo si avvicinò a lui e rispose: “Avevamo deciso che avresti bluffato se si fosse rifatto vivo, era tutto sistemato! Perché hai dovuto fare di testa tua?! Poteva succederti qualcosa!”. “Ma alla fine ha fatto outing, no? Non è meglio per tutti?” rispose Kurt, cercando di far vedere a Blaine il lato positivo della vicenda. “Meglio per tutti? Probabilmente adesso ti starà odiando ancora di più! L’outing dev’essere una cosa spontanea, Kurt! Cosa gli hai detto per convincerlo? Cosa hai fatto?” rispose l’altro. L’ultima domanda era sentenziosa, decisamente sentenziosa. Era evidente che Blaine ormai aveva smesso di ragionare con la testa, lasciando che fosse un cuore innamorato, ferito e insensatamente dubbioso a parlare per lui. “Fatto?! Blaine, non penserai mica…? Guarda che io non gli ho detto di dirlo ai suoi, gli ho solo detto di lasciare in pace me!” rispose Kurt sconvolto. Il litigio stava prendendo una piega troppo brutta per i suoi gusti. “E allora perché non me l’hai detto?” rispose Blaine, continuando a riferirsi a chissà quale scomoda verità. “Perché sapevo che ti saresti arrabbiato! Volevo soltanto sistemare tutto, per poter stare più tranquillo… per far stare più tranquillo te!” rispose Kurt, ormai avvilito. “No, la verità è che non ti sei fidato di me” disse Blaine con fermezza. Poi si voltò verso sua sorella e disse: “Jane, andiamo a casa”. Jane guardò Finn e Kurt senza saper bene cosa dire; si limitò a sorridere lievemente, soffermandosi di più su Kurt, cercando di fargli capire che in qualche modo la situazione si sarebbe risolta. Conosceva bene suo fratello: quando si arrabbiava perdeva la testa, e spesso diceva cose di cui puntualmente si pentiva il giorno dopo. Era quasi sicura che sarebbe andata così anche quella volta.

Kurt guardò il suo fidanzato allontanarsi. Avrebbe voluto corrergli dietro e urlare chiedendogli di fermarsi, ma gli sembrava di non averne neanche la forza. Non poteva credere che Blaine pensasse davvero certe cose. “Ti amo” sussurrò tra sé e sé, mentre Finn lo incoraggiava silenziosamente a camminare verso l’uscita.

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Capitolo 28
*** Knock Knock ***


28. Knock Knock

 

“Vado io!” gridò Finn rivolgendosi al resto di casa Hummel, dopo aver sentito il campanello suonare. In realtà non ce ne sarebbe stato bisogno: Burt si era già addormentato sul divano, crollato in men che non si dica dopo una stressante giornata di lavoro; Carol stava lavando i piatti in cucina, canticchiando così forte da non aver nemmeno sentito il suono del campanello, né l’avviso di Finn; e Kurt, beh, Kurt… non aveva cenato e si era rintanato in camera, probabilmente a fissare la sua nuova bacheca, come faceva una volta con quella creata da lui. Quelle tre parole di carta di giornale erano sicuramente più ipnotiche degli scontrini di Starbucks, forse persino degli occhi di Blaine in quella sua piccola foto. In realtà, Kurt non si sarebbe mai stancato di guardare né le une, né gli altri. Aveva mandato un paio di messaggi di scuse a Blaine, ma lui aveva chiaramente deciso di ignorarli.

“Si?” disse Finn aprendo la porta con aria leggermente svogliata. Chi poteva essere a quell’ora? Nessuno si sogna di far visita a qualcuno alle 11 di sera, e senza avvisare per giunta. Non era molto educato. “Ciao” rispose una ragazza mora a pochi passi da lui, infagottata in una giacca beige. Finn deglutì: Jane Anderson era sullo zerbino di casa sua. Forse non era stata molto educata, ma era certo che ci sarebbe facilmente passato sopra. “Oh” non riuscì a fare a meno di dire, sentendosi terribilmente stupido. “Ciao Jane” – si corresse – “vuoi entrare?”. La ragazza esitò leggermente, cercando di sbirciare all’interno, per quanto fosse difficile vista la stazza di Finn. Si sentiva l’audio di una tv accesa, e in quella che doveva essere la cucina una donna cercava di imitare la melodia di una canzone molto in voga alla radio. “No, meglio di no” concluse Jane dopo una breve riflessione. Finn pensò che fosse meglio non insistere; ma Jane doveva essere venuta lì per un motivo importante, visto che la strada da casa sua non era poca. Fu lei ad anticipare la sua domanda curiosa: “Ti starai chiedendo cosa ci faccio qui. In effetti, è una domanda abbastanza sensata. Avevo bisogno di parlarti…”. Finn inclinò leggermente la testa, cercando di mantenersi composto e di non pensare che quella ragazza fosse davvero venuta appositamente per parlare con lui. “… di Kurt e Blaine” concluse Jane. “Oh, si, certo” rispose Finn, come se la cosa fosse alquanto ovvia. “Ci sediamo lì sugli scalini allora?” chiese poi. Stare lì a parlare sull’uscio lo imbarazzava; poteva ormai sentire gli occhi indiscreti della madre oltrepassare la sua schiena per fare una radiografia della ragazza con cui stava parlando. “Va bene” disse Jane, poi si voltò e andò a sedersi. Finn chiuse la porta dietro di sé e la imitò. Sembrava passata una vita da quando, su quegli stessi scalini, aveva cercato di rassicurare Kurt sul suo appuntamento con Blaine. Il giorno dopo aveva anche incontrato Jane per la prima volta, e adesso lei era lì, nello stesso posto. Eppure, era poco più di un mese.

“Credo che Blaine abbia esagerato” iniziò la ragazza, stringendosi nel suo cappotto. Faceva abbastanza freddo, specialmente se si stava fermi. “Si, lo credo anch’io. Però penso si senta… tradito, ecco. So cosa vuol dire” rispose Finn, pentendosi subito dell’ultima frase. Non voleva che la discussione diventasse una sua seduta psicologica, specie con la ragazza che gli piaceva. Era deprimente. Per fortuna anche Jane era dello stesso avviso, o forse semplicemente non voleva sviare dal discorso principale; così non chiese nulla riguardo a quell’allusione. Disse invece: “Però lo sapevi. Sapevi che Kurt non glielo aveva detto”. Il tono non era accusatorio, sembrava una semplice constatazione. Finn cercò ugualmente di giustificarsi: “Ma è stato Kurt a chiedermelo. Non voleva farlo preoccupare, tutto qui. Dico solo che capisco anche Blaine, insomma… ma gli passerà, no?”. Jane si grattò la testa pensierosa, poi disse: “Uhm, si, credo di si. In realtà è per questo che sono qui. Io conosco mio fratello, so i suoi pregi come i suoi difetti. Usa troppo gel per capelli e non chiude mai il barattolo, lascia i calzini sporchi sul mio letto quando ce l’ha con me e prova i suoi assoli passeggiando sui divani del salotto. Ma più di tutto, è orgoglioso. Terribilmente orgoglioso. Una volta non mi ha parlato per una settimana, soltanto perché non voleva ammettere di avere torto. Se non facciamo qualcosa noi, potrebbe passare anche un mese, visto che con le vacanze di Natale non si potranno vedere neanche a scuola”. Finn aveva ascoltato Jane molto attentamente, affascinato dal modo in cui parlava di suo fratello. Invidiava quel legame profondo che traspariva dalle sue parole, pur essendo parole non proprio positive. Si chiese se lui e Kurt avrebbero mai potuto averlo, o se invece era un privilegio concesso soltanto ai fratelli di sangue, o per giunta ai gemelli. Persone che ancor prima di nascere sono indissolubilmente unite. Cercò di lasciar correre quei pensieri per soffermarsi su ciò che Jane aveva detto, così rispose: “Fare qualcosa? Che intendi?”. Jane si voltò verso di lui con aria soddisfatta, sfoggiando un sorrisetto quasi sadico che gli ricordò lontanamente Rachel ed i suoi piani per la conquista della popolarità. Un’altra cosa in comune dopo la parlantina – forse, le ragazze che gli piacevano rispettavano davvero un suo standard, di cui nemmeno lui era a conoscenza.

“Li faremo incontrare domani,” – rispose Jane risoluta – “possibilmente qui da voi. I miei tornano domani mattina dal convegno, quindi casa mia non è disponibile”. Finn alzò un sopracciglio con aria leggermente preoccupata: che intenzioni aveva Jane? “Perché per forza in casa? Un parco non va bene?” chiese alla ragazza. Lei lo guardò come se avesse detto chissà quale eresia, e rispose: “No che non va bene! Blaine non gli chiederà mai scusa in un luogo pubblico, dove può passare chiunque! Devono esserci soltanto loro!”. Finn continuava a non capire, e iniziò a domandarsi se il problema fosse lui o il fatto che Jane non avesse spiegato il suo piano in modo sufficientemente chiaro. “Jane, non ti seguo” – disse imbarazzato – “se hai detto che Blaine è orgoglioso, perchè ora dici che chiederà scusa a Kurt?”. Jane rispose con aria saccente: “Perché io gli farò credere che Kurt vuole chiedere scusa a lui. E tu farai lo stesso con Kurt, ovviamente. E’ un classico nelle soap opera: si incontrano, dopo qualche minuto si rendono conto dell’equivoco, e sul momento se la prendono ancora di più. Ma poi si guardano, e all’improvviso si domandano ‘Ma andiamo, ne vale davvero la pena?’ ed il gioco è fatto”. Finn non potè fare a meno di continuare a guardarla con aria interrogativa. “Scusa se mi permetto, ma… il tuo piano si basa su un clichè da soap opera?!” le chiese senza pensarci due volte. “Ma l’amore è pieno di clichè, non te l’hanno mai detto?” rispose Jane sorridendo beffarda. Finn non rispose, colpito da quella frase un po’ strana. Quasi… cinica. Come se Jane Anderson non ci credesse affatto, nell’amore. Ma poteva mai farle una domanda così personale? Non si stava parlando né di lei, né di lui, su quegli scalini.

Jane notò l’improvviso silenzio di Finn, così gli chiese: “Ho detto qualcosa che non va?”. Finn fece un mezzo sorriso e rispose: “No, è solo che… ecco, forse io ho un’altra idea dell’amore”. Che cosa assurda, il ragazzo che fa lezioni di romanticismo alla ragazza. La discussione stava per diventare davvero surreale. “Un’altra idea, eh? Beh, io più che altro non ce l’ho un’idea, quindi non preoccuparti” rispose Jane con tranquillità, quasi prendendosi gioco di sé stessa. “Cioè non ti sei mai…?” disse Finn incuriosito. La cosa strana non era che Jane poteva non essersi mai innamorata, ma più che altro che nessuno si fosse mai innamorato di lei. “No no, mi dispiace, non fornisco retroscena!” si affrettò a rispondere Jane, subito sulla difensiva. Si morse la lingua per aver permesso che Finn scoprisse un altro dei suoi segreti. O meglio, l’avrebbe fatto se avesse potuto, ma le battevano i denti per il freddo.

Finn si avvicinò senza pensarci troppo. Anzi, senza pensarci affatto. Accostò il suo fianco a quello di Jane, lungo lo scalino; poi mise un braccio dietro la sua schiena e la strinse, massaggiandole la spalla con l’intento di riscaldarla. Nessuno dei due disse nulla, per una serie di lunghissimi minuti. Jane non ebbe il coraggio di alzare il viso, per non incrociare lo sguardo di Finn; avrebbe visto quanto era diventata rossa. Avrebbe capito all’istante quanto le fosse sconosciuto un contatto del genere, e magari avrebbe pensato che, se davvero era così, doveva esserci un motivo più che valido, visto che esteticamente non le mancava nulla. Avrebbe capito che si stancava dei ragazzi troppo facilmente, e che d’altro canto i ragazzi si stancavano di lei perché era pigra, viziata, sfacciata e per niente romantica. Chissà quante cose avrebbe letto nel suo sguardo… non poteva alzarlo, non in quel momento. Avrebbe mandato a monte la sua reputazione di ragazza sicura di sé, costruita con tanto cinismo, sfrontatezza e pungente sarcasmo. Avrebbe mostrato debolezza, ad una persona che non era suo fratello. Ma poi sentì una mano, grande e fredda, accarezzarle il mento e spingerlo verso l’alto, e non seppe resistere. Finn la guardò negli occhi, il viso a pochi centimetri dal suo. Lo vide esitare, cercando un segno di approvazione da parte sua, prima di fare ciò che aveva chiaramente intenzione di fare. Ma Jane si limitò a guardarlo a sua volta, senza dire o fare nulla, neanche un lieve cenno con la testa. Finn accostò il naso al suo – anche quello era davvero freddo. Le punte si toccarono per un breve attimo.

Jane sentì le labbra di Finn sulle sue; si muovevano in modo lento e delicato, non se lo aspettava. Pensava che Finn sarebbe stato più impacciato, come lo era sempre: quando le parlava a testa bassa, quando non sapeva cosa dire a causa delle sue battutacce, o quando lei lo beccava mentre la guardava di sottecchi e lui distoglieva lo sguardo (era capitato varie volte). Invece il tocco delle sue labbra fu lieve, quasi impercettibile: le sembrò come se qualcuno fosse venuto in punta di piedi a bussare alla porta con voce sommessa. A bussare alla porta del suo cuore.

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Capitolo 29
*** Back in my arms ***


29. Back in my arms

 

Dopo il loro primo bacio, Finn e Jane si scambiarono i loro numeri di cellulare per aggiornarsi a vicenda su eventuali cambiamenti di programma. In linea di massima, il piano consisteva nel portare Blaine a casa Hummel la sera successiva: Finn aveva convinto Burt e sua madre ad uscire, consigliando loro un film che andava assolutamente visto, dopo aver casualmente tirato fuori dalla tasca dei suoi jeans due “biglietti in più” non rimborsabili che un suo compagno del Glee Club non sapeva a chi regalare. Alla notizia che Blaine aveva deciso di recarsi da lui per scusarsi, Kurt fu così felice e sollevato che Finn si sentì improvvisamente in colpa, ed iniziò a pensare che quel piano non avrebbe fatto altro che ulteriori danni. Nel primo pomeriggio inviò un sms a Jane dicendole di mandare tutto a monte, ma lei rispose seccamente con un “Scordatelo”, e tanto bastò per farlo rassegnare per il resto della giornata.

Poco prima dell’arrivo dei gemelli, verso le otto di sera, Burt e Carole uscirono in macchina. Finn li imitò più o meno un quarto d’ora dopo: Jane lo avrebbe raggiunto con la sua auto in un parco lì vicino, per “aspettare insieme” gli sviluppi della serata e magari sbirciare di tanto in tanto dalla strada. Estremamente puntuale, la macchina dei fratelli Anderson fece capolino nel vialetto alle otto e mezza. Solitamente Jane non era molto puntuale: era abituata ad andare ad appuntamenti di cui non le importava molto, mentre quella era una vera e propria emergenza.

Kurt sentì il rumore crescente del motore di un’auto in avvicinamento; Finn aveva detto che Blaine sarebbe arrivato alle otto e mezza, o almeno così aveva saputo da Jane. Non si era chiesto come facesse Finn ad essere già così strettamente in contatto con lei: non riusciva a pensare ad altro che al suo ragazzo. Avevano avuto discussioni in passato, eccome se le avevano avute: il loro inizio non era stato molto roseo, in effetti. Era stato un inizio di lacrime, fraintendimenti, baci rubati, parole non dette. Ma non aveva mai visto Blaine così deluso da lui, e quella consapevolezza lo terrorizzava letteralmente. Aveva paura che quello sguardo non se ne sarebbe mai andato dai suoi bellissimi occhi, che non sarebbero mai più stati gli stessi: quelli che gli scoccavano occhiate fugaci alle prove degli Usignoli, quelli che più di una volta lo avevano fatto sentire ardentemente desiderato, e amato. Non poteva fare a meno di quegli occhi. Vederli su una foto appesa ad una bacheca di sughero non era abbastanza, non più.

Corse in cucina per sbirciare fuori attraverso la finestra che dava sul patio: Blaine stava scendendo da una macchina blu. Probabilmente aveva salutato Jane prima che Kurt potesse vederlo, perché si voltò senza dire nulla e si diresse verso la porta d’ingresso. La ragazza intanto rimise in moto, lanciando una fugace occhiata agli scalini sui quali Finn l’aveva baciata la sera prima, e si allontanò. Kurt rimase con il naso attaccato al vetro della finestra, osservando di sbieco i movimenti di Blaine lungo il vialetto di casa sua. Era ancora ai piedi degli scalini, sembrava non avere alcuna intenzione di salirvi sopra. Aveva un’aria più dimessa del solito: era domenica, non erano andati a scuola, perciò i suoi capelli non erano ricoperti di gel come gli altri giorni. Pur essendo corti, erano ricci, folti ed indomabili; incorniciavano il suo viso tondo alla perfezione. Indossava un maglioncino azzurro molto semplice, con sotto dei jeans scuri ed aderenti. Non sembrava aver prestato molta attenzione a cosa mettersi, e stranamente neanche Kurt lo aveva fatto. Non si trattava più di fare colpo, o di dover impressionare l’altro in qualche modo; era una fase ormai ampiamente superata. Kurt avrebbe amato Blaine anche con il look peggiore di questo mondo, e lo stesso valeva per Blaine, che intanto, dopo qualche altro secondo di esitazione, si era deciso a salire sul patio.

Kurt si staccò dal vetro ed entrò in salotto, avvicinandosi anche lui alla porta. Pur non sapendolo, i due ormai erano a pochi centimetri di distanza, con soltanto un sottile strato di legno ed un pomello a dividerli. Entrambi guardavano fisso davanti a loro, l’uno cercando il coraggio di suonare il campanello, l’altro il coraggio di fare un passo avanti e aprire quella dannata porta. Più o meno nello stesso istante tutti e due si decisero, così che Blaine rimase con il dito a mezz’aria pronto a premere il pulsante, trovandosi Kurt davanti a lui. Si scrutarono attentamente, come se non si conoscessero.

“Ciao Blaine” disse Kurt sorridendogli come un bambino imbarazzato. “Ciao Kurt” ricambiò l’altro. Non sorrise, ma i suoi occhi sembravano essere tornati quelli di prima. Kurt tirò un sospiro di sollievo nel rendersene conto. “Entra” disse poi, facendosi da parte per lasciare spazio a Blaine. Gli fece cenno di seguirlo in camera sua: anche se la casa era vuota, tutte quelle finestre in salotto e in cucina non rendevano l’ambiente abbastanza intimo per il chiarimento che sperava di ottenere, mentre il seminterrato era perfetto. Era uno dei motivi per cui adorava la sua stanza: gli dava un senso di pace e protezione, come una piccola bolla sotterranea. Blaine acconsentì silenziosamente, e una volta arrivati  i due si sedettero sul bordo del letto di Kurt, nel lato “gay” del piccolo loft. Entrambi tenevano le mani in grembo, forse per paura di toccare per sbaglio quella dell’altro… o nella speranza che l’altro trovasse il coraggio di farlo.

Fu Blaine ad interrompere il silenzio, pronunciando la frase ampiamente prevista da sua sorella: “Allora, Jane mi ha detto che volevi chiedermi di nuovo scusa” disse guardando dritto davanti a sé, verso un punto imprecisato del muro. Kurt alzò un sopracciglio, confuso, e rispose: “Veramente Finn ha detto che tu volevi chiedermi scusa. Per aver… per aver dubitato di me”. Abbassò lo sguardo sulle sue mani, inquieto, in attesa di una risposta. Blaine ci pensò su per un po’, poi concluse: “Oh, è tutto chiaro. Hanno voluto ricambiare il nostro ‘scherzetto’ dell’uscita a quattro”. Kurt lo vide sbuffare con aria infastidita, ma a lui poco importava che Finn e Jane avessero combinato quell’incontro. Doveva ridurre quell’enorme distanza tra loro, a tutti i costi. “Beh, ma ormai siamo qui” – disse speranzoso – “tanto vale parlare, no?”. Blaine sospirò in modo ancora più pesante, poi poggiò i gomiti sulle ginocchia e, inaspettatamente per Kurt, si mise la testa tra le mani. Kurt lo osservò per un lungo minuto, mordendosi le labbra in attesa di una sua parola, un gesto, qualsiasi cosa.

“Sì” disse Blaine interrompendo nuovamente il silenzio di tomba della stanza sotterranea. Kurt inclinò la testa, cercando di capire a cosa l’altro si riferisse… semplicemente al fatto di dover parlare? “Sì, ho dubitato di te” continuò il ragazzo moro, senza alzare la testa. Kurt cercò di avvicinarsi senza che lui se ne accorgesse, scivolando in modo impercettibile lungo il bordo del materasso, e tentò di iniziare una frase: “Davvero hai pensato…”. Ma si bloccò: non riusciva nemmeno a dirlo. Non era umanamente possibile pensare che lui avrebbe potuto tradire Blaine… né con Karofsky, né con qualsiasi altro uomo sulla faccia del pianeta. Il profilo di Blaine iniziò a diventare leggermente sfocato, a causa delle lacrime di rabbia che tanto odiava, perché il più delle volte erano impossibili da trattenere. Blaine fu sorpreso da quella frase lasciata a metà; si voltò per la prima volta verso l’altro, e non riuscì più a mantenere il cipiglio distaccato che si era ripromesso di avere. Era arrabbiato con Kurt: gli aveva mentito, aveva corso un pericolo inutile e non aveva avuto fiducia in lui. E questo andava contro la sua folle ed utopica idea di un amore puro, cristallino e sempre sincero. Non voleva amare un bugiardo. Ma gli occhi chiari di Kurt erano capaci di far cadere le difese di chiunque, specie quando erano lucidi a causa di un pianto imminente. Per Blaine, erano una visione insopportabile. “No, io…” cominciò lentamente, poi si corresse: “Sì, l’ho pensato. Ma solo per un momento... quando sono arrabbiato perdo la testa. Kurt… perdonami”. Kurt si avvicinò ancora di più, stavolta senza preoccuparsi di passare inosservato. I loro visi si trovarono a pochi centimetri l’uno dall’altro, tanto che Blaine poteva quasi vedere il suo riflesso nella piccola lacrima che stava solcando la guancia candida dell’altro. Con delicatezza, vi posò sopra l’indice per asciugarla.

“E tu perdona me, Blaine. Non ti mentirò mai più. Lo giuro” disse Kurt, colpito da quel gesto. Poi si protese verso Blaine, accorciando ancora di più quella distanza che sembrava non finire mai, la distanza che per un giorno che era sembrato una vita li aveva separati. Era stato straziante, così tanto che non poteva più aspettare. “Ho avuto paura di perderti” sussurrò sulle labbra di Blaine. Le vide distendersi in un piccolo sorriso, e rispondere: “Tu non mi perderai mai Kurt. Ti amo... troppo. Troppo per lasciarti andar via”. “Allora non farlo... mai” rispose Kurt in un sospiro.

Poi si baciarono, con una foga che forse non avevano mai avuto. Quella che si ha quando ci si rende conto di avere tra le mani una cosa troppo preziosa persino per essere descritta a parole. Troppo importante per poter vivere senza. Troppo bella per non desiderarla. Entrambi presero tra le mani il viso dell'altro, tenendolo stretto per i capelli come per paura che svanisse all'improvviso. Si staccarono per un istante, e guardandosi negli occhi capirono.

“Ti voglio” sussurrò Blaine a Kurt, prima di riprendere da dove avevano interrotto.

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Capitolo 30
*** Breathing love ***


WARNING: temporaneo rating ARANCIONE (o giallo? beh, insomma, porcherie!)

 

30. Breathing love

 

“Perché non c’è nessuno?!” chiese Jane accostando la macchina al lato opposto della strada rispetto alla casa degli Hummel. Non c’era il minimo movimento, né in cucina né in salotto. “Forse sono usciti” rispose Finn ingenuamente guardando anche lui fuori dal finestrino, dopo aver indugiato per un po’ sul profilo della ragazza intenta a cercare qualcosa nel cassetto del cruscotto. Lei ne uscì un piccolo binocolo nero, lo spolverò e si voltò nuovamente verso l’abitazione. “Non avrebbe senso, hanno una casa vuota a disposizione” disse mentre guardava attraverso le spesse lenti, cercando di scrutare più attentamente ogni singola finestra. Poi le distaccò leggermente dal viso, pensierosa. “Non staranno mica…?” chiese Finn allarmato. Trasalì al solo pensiero di Kurt e Blaine nudi a pochi passi dal suo letto. Jane si girò verso di lui con aria divertita, rispondendo: “Non lo so e non lo voglio sapere!”. Detto questo, posò il binocolo al suo posto: l’esperienza del suo divano le era bastata, e forse era meglio non scoprire cosa stava davvero accadendo in quella casa. E poi, se non avevano sentito grida o rumori di piatti rotti, voleva dire che in un modo o nell’altro il loro piano era riuscito. Rimasero per un po’ in silenzio, entrambi domandandosi cosa avrebbero fatto visto che non c’era niente da spiare.

“Beh, che ti va di fare?” chiese Jane sorridendo. Finn ricambiò il sorriso. “Questo” disse poggiando una mano sulla sua guancia, per poi baciarla ancora una volta. Jane sobbalzò lievemente per la sorpresa; due baci in due giorni significavano praticamente una relazione stabile, visti i suoi standard. Baciare Finn le piaceva: aveva modi gentili e delicati, la faceva sentire al sicuro. Ma non riuscì a fare a meno di dirgli: “Finn, aspetta”. Lo scostò lievemente, poggiando una mano sul suo petto. “Cosa c’è?” rispose lui imbarazzato, prevedendo di essere scaricato a tempo di record. “Forse stiamo correndo un po’ troppo,” – continuò lei, gli occhi bassi sul maglione di Finn – “ma non è colpa tua. E’ solo che… so già che rovinerò tutto, Finn”. Tolse la mano per riportarla sulla sua gamba e si distanziò ancora di più. Non voleva deluderlo, ma nemmeno illuderlo. Forse era meglio annunciargli in anticipo come sarebbe andata a finire. “Non puoi saperlo con certezza,” – rispose lui, quasi intenerito, - “e poi… vorrà dire che correrò il rischio”. Jane alzò lo sguardo verso Finn e gli sorrise. Nessuno aveva mai voluto correre quel rischio. Era un burrone troppo ripido e scosceso, quello del suo carattere. Pochi si erano avventurati lungo le sue pendici, e la maggior parte avevano rinunciato a meno della metà del percorso. E Finn… probabilmente sarebbe stato uno di quegli escursionisti sprovveduti e incoscienti, che non si portano dietro né corde né picconi. Avrebbe risalito quel burrone a mani nude, e chissà quante volte avrebbe rischiato di cadere. Ma lui era pronto a correre il rischio. E nessuno, nessuno prima di lui lo aveva mai fatto.

Jane guardò intensamente il folle che aveva davanti, per poi avvicinarsi di nuovo. Finn le accarezzò ancora una volta il viso con dolcezza e la baciò. Per una buona mezz’ora non fecero altro: baciarsi, accarezzarsi e respirare. Così tanto che alla fine i vetri dell’auto di Jane si appannarono, e l’aria all’interno dell’abitacolo sembrò condensarsi di un amore appena nato.

 

* * *

 

Kurt arrossì lievemente a causa delle parole del suo ragazzo, che sembrava volerlo spogliare con gli occhi. Non se lo fece ripetere due volte: con uno scatto femminile e leggiadro, si mise a cavalcioni sopra Blaine, che gli prese il viso con tutte e due le mani e riprese a baciarlo quasi selvaggiamente. Kurt gli cinse il collo con le sue, ricambiando con altrettanta foga e ritmando l’andamento delle sue labbra con quelle del bacino. Raramente le loro lingue si erano intrecciate con così tanta passione.

“Mi fai impazzire” si lasciò scappare Blaine interrompendo il lungo bacio con uno schiocco, per poi iniziare ad accarezzare la schiena di Kurt sotto il maglione come per sollecitarlo a non smettere. Non l’avesse mai fatto. Kurt si ricordò di aver già sentito quella frase, ma stavolta proveniva da una bocca che non era la sua; ricordava anche cosa era successo, dopo quella frase. Sorrise malizioso e disse: “Ah si?”. Blaine sembrò non capire, ma qualche secondo dopo, quando la mano di Kurt lasciò i suoi ricci per posarsi tra le sue cosce, anche lui ricordò. “E così?” continuò infatti Kurt, sbottonando lentamente i suoi jeans per infilargli una mano nei boxer, e allontanandosi lievemente per avere lo spazio necessario a restituirgli il favore. Blaine sorrise come uno stupido, riuscendo soltanto a sfilarsi in fretta il maglione prima di essere troppo annebbiato dal piacere per fare qualcosa che non fosse gemere. Kurt, dal canto suo, cercò di non pensare molto a quello che stava facendo – per quanto fosse difficile – perché davvero non gli si addiceva. Ma si ricordò di quanto la cosa lo avesse mandato in estasi, quando era stato Blaine a farla a lui, e non potè fare altro che desiderare ardentemente di poter regalare al suo ragazzo le stesse emozioni con quell'insistente su e giù della sua mano. La uscì dai boxer di Blaine appena in tempo da non sporcarsi, poi lo guardò, sorridendo trionfante. Provocare simili sensazioni alla persona che amava gli regalò un senso di felicità che eguagliava soltanto il momento in cui aveva letto “I love you” sulla bacheca regalatagli da Blaine.

Quest’ultimo si morse il labbro inferiore, mostrando a Kurt l’espressione più lussuriosa che avesse mai visto – persino più lussuriosa di quelle degli attori tatuati dei pochi film porno che era riuscito a guardare. Il ragazzo si fiondò su di lui prendendolo per i fianchi, in modo da riavvicinarlo a sè, poi afferrò i lembi del suo maglione per toglierlo. Kurt alzò le braccia, concedendosi il lusso di mordersi anche lui il labbro per l’eccitazione nel breve momento in cui l’indumento gli coprì il viso, prima di essere buttato lontano, sul pavimento. I loro petti iniziarono a sfiorarsi come in una danza febbrile, le bocche si cercavano continuamente senza averne mai abbastanza, e le rispettive eccitazioni – Blaine a quanto pare aveva un “tempo di ricarica” decisamente breve – ormai si toccavano insistentemente, generando in entrambi gemiti e mugolii di tanto in tanto. Senza chiedere né aspettare un segnale di approvazione, Blaine scese le mani lungo il corpo di Kurt fino ad arrivare ai pantaloni. Senza smettere di baciarlo, riuscì a togliere il bottone dalla sua asola ma non ad abbassare la cerniera. Kurt si staccò dalle sue labbra e sorrise, mostrando una tranquillità innaturale, nonostante fosse nervoso tanto quanto Blaine – ed eccitato tanto quanto Blaine, su questo non c’era ombra di dubbio. Si scostò da lui a malincuore, si alzò in piedi e lentamente si abbassò i pantaloni, cercando di nascondere il fremito di nervosismo delle sue mani impacciate, senza riuscirci molto bene. Blaine, ancora seduto sul bordo del letto, fece lo stesso; i jeans vennero gettati sul pavimento e i due si accasciarono sul letto, l’uno sull’altro. Blaine, che si trovava disteso sulla schiena con Kurt sopra di lui, scese senza ritegno la sua mano lungo la schiena dell’altro fino ad arrivare al sedere, in modo da premere ancora di più il bacino del ragazzo contro il suo. Non potè fare altro che compiacersi, sentendo Kurt stringere ancora di più i suoi capelli. Con uno scatto deciso gli cinse i fianchi con tutte e due le mani e lo spostò di fianco a lui, in modo da invertire le posizioni.

Kurt accolse Blaine tra le sue cosce senza protestare: ancora quello sfregare irresistibile, come sul divano di casa Anderson, ma stavolta con uno strato di stoffa in meno. Blaine iniziò a baciarlo lungo il collo: ormai aveva capito il “punto debole” di Kurt, e sentirlo gemere sommessamente per questo lo mandava letteralmente in estasi. Con la mano destra percorse il suo fianco, per fermarsi al bordo dei boxer. Lentamente, Blaine sfilò le mutande a Kurt fino alle ginocchia, in modo che lui potesse togliersele. Sul momento Kurt si sentì scoperto, fragile, vulnerabile, ed arrossì. Blaine aveva sotto gli occhi l’effetto palese che era in grado di generare nel suo corpo, e forse non esiste momento in cui si è più vulnerabili. Quando anche Blaine, deciso a non far sentire Kurt a disagio, si sfilò i suoi boxer grigi, fu chiaro che non era solo lui a provocare quel risultato. Si guardarono imbarazzati, ma fu solo un secondo. Quello dopo, i loro corpi impazienti erano di nuovo uniti, aderendo perfettamente l’uno all’altro come i tasselli di un puzzle. Blaine spostò le mani di Kurt sopra la testa, tenendogli i polsi fermi con le sue, mentre Kurt, dal canto suo, accavallò le gambe sopra i fianchi di Blaine stringendolo in una morsa senza via di scampo.

Dopo qualche minuto, Blaine decise che non poteva più aspettare. Né fisicamente né psicologicamente. Voleva Kurt come non aveva mai voluto nessuno in tutta la sua vita. Quando si staccò dalle labbra dell’altro per guardarlo e fargli capire le sue intenzioni, non ebbe nemmeno bisogno di parlare. Vide riflessa negli occhi chiarissimi di Kurt la stessa passione incontrollabile, e tanto bastò. Gli sorrise, poi lo baciò, stavolta più teneramente: non avrebbe avuto quelle labbra alla sua portata per un po’ di tempo. Si scostò leggermente, lasciando a Kurt lo spazio necessario per girarsi e mettersi “a quattro zampe”. Kurt lo fece con un lieve velo di imbarazzo, che aumentò quando non risentì Blaine avvicinarsi. Lo stava osservando?

“B-Blaine…?” disse girando leggermente il viso, senza cambiare posizione. Lo vide in piedi, gli occhi che spaziavano per il pavimento probabilmente in cerca dei pantaloni. Il ragazzo si passò una mano tra i ricci scompigliati, poi gli disse: “Ehm, ecco, stavo cercando… dovrei avere un preservativo nel portafoglio”. Kurt si alzò dal letto e senza pensarci due volte si diresse al suo specchio da camerino, che in basso aveva vari cassetti. “Terzo cassetto, angolo sinistro,” – disse quasi divertito, come se recitasse un copione – “mio padre me li ha procurati per sicurezza, anche se spera che io non li usi mai!”. Aprì il cassetto in questione e ne uscì un piccolo quadratino di plastica blu; lo aprì, poi si avvicinò nuovamente a Blaine e glielo porse. Dopo di che si voltò per tornare alla sua “postazione” e lasciare all’altro il tempo di mettere il preservativo senza che sentisse i suoi occhi addosso. Mentre l’eccitazione di Kurt si era leggermente affievolita, quella di Blaine per fortuna non lo era affatto: forse era la vista di Kurt in quella posizione ad impedirglielo, o semplicemente l’immaginare ciò che stavano per fare.

“Sei pronto?” gli disse una volta avvicinatosi, leggermente chino su di lui in modo da poterglielo sussurrare all’orecchio. “Sì” rispose Kurt con fermezza, stringendo le lenzuola tra le mani. Dio, se c’era una cosa per cui era pronto, era quella. All’inizio fu doloroso: nessuno dei due, troppo presi dalla foga del momento, aveva pensato ad usare un qualche tipo di lubrificante – e a quanto pare Burt Hummel non aveva avuto l’ardire di andare oltre l’acquisto di un pacco di Durex. Kurt aveva a disposizione un’enorme quantità di creme e oli per le mani, ma alla proposta di Blaine di usarne uno trasalì: erano cimeli sacri, non poteva neanche pensare di utilizzarli per una cosa del genere. Quando però la presenza di Blaine dentro di lui divenne davvero troppo dolorosa, si arrese e gli indicò un tubetto di crema emoliente - tubetto che non avrebbe più guardato con gli stessi occhi - in modo che la cosa risultasse più semplice. Blaine ne mise un pò sul preservativo e riprovò. Fu delicato e gentile, chiedendo continuamente “Va bene così?” oppure “Faccio più piano?”.

Quando la parte peggiore passò, Kurt si rese conto di non aver capito niente del sesso, fino a quel momento. Pensava che non ci potesse essere spazio per la dolcezza, quando sei a quattro zampe come un animale, dominato da un’altra persona, e per questo aveva sempre avuto una certa repulsione nei confronti degli aspetti “fisici” dell’amore. Pensava fosse soltanto una questione di poteri e ruoli: parte attiva, parte passiva, uno comanda e l’altro si lascia comandare. Ma quando si ritrovò a dire a Blaine di non smettere per nulla al mondo, si rese conto che nessuno dei due stava ordinando qualcosa all’altro. Anzi, paradossalmente era Blaine che soddisfaceva puntuale le richieste di Kurt, non il contrario. Chiuse gli occhi, lasciandosi guidare dal ritmo delle spinte regolari, dei respiri eccitati di Blaine e delle sue mani, l’una tra le sue gambe, intenta a soddisfare la sua più recente richiesta, e l’altra poggiata sulla sua schiena sudata.

Blaine annunciò il finale ripetendo il nome di Kurt più o meno una decina di volte – Kurt avrebbe voluto che fossero almeno il doppio, era troppo eccitante sentire il suo nome detto in quel modo. Anche lui aveva più volte detto quello di Blaine, come se avesse avuto paura di non poterlo pronunciare mai più. Come se avesse voluto far sapere alle lenzuola impregnate del loro sudore e all'aria impregnata dei loro gemiti che quel nome gli apparteneva.

Alla fine si accasciarono l’uno sull’altro, stremati. Blaine rimase disteso su Kurt, accarezzandogli i capelli spettinati e inguardabili, a detta dello stesso Kurt. Il calore del corpo dell’altro sopra di lui lo avvolse come un guscio; nonostante sentisse l’estremo bisogno di una doccia, non avrebbe mai trovato un valido motivo per alzarsi da lì e farne a meno.

Rimasero in quella posizione per una buona mezz’ora o forse più, senza parlare. Era tutto troppo perfetto per essere rovinato da qualcosa di banale come le parole: i respiri dicono molte più cose. Quelli di Kurt e Blaine si erano sussurrati amore per tutto il tempo.

 

* * *

 

_hurricane's corner:

Della serie: come parlare di sesso, senza parlare di sesso! Credo che la parola più volgare sia stata "preservativo" .-. Purtroppo o per fortuna ho una naturale incapacità nel descrivere un rapporto erotico senza metterci della smielata dolcezza, specialmente se è Klaine poi! Spero davvero che abbiate apprezzato ugualmente!

Questo avrebbe dovuto essere l'ultimo capitolo, ma finire così nell'aria mi lasciava un certo senso di insoddisfazione, perciò sappiate che il 31 sarà l'ultimo. Quindi a presto, miei cari! 

with so much love, _hurricane!

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Capitolo 31
*** Two is better than one ***


31. Two is better than one

 

Jane guardò il sottile orologio che aveva al polso, cercando di capire che ora fosse senza essere abbagliata dal riflesso del sole sul suo vetro opaco. Erano le 11, e Finn doveva essere lì già da mezz’ora. La ragazza si sistemò il tubino nero di raso che aveva addosso specchiandosi nel vetro di un taxi parcheggiato accanto al marciapiede, irritata dal fatto che il fiore che aveva cercato di incastonare tra i suoi boccoli scuri continuava a spostarsi indipendentemente dalla sua volontà. Un ragazzo alto e robusto, con indosso uno smoking, le corse incontro attraversando la strada trafficata. Jane lo guardò con aria accigliata e di rimprovero: lei non era mai stata una campionessa di puntualità, ma non avrebbe ammesso ritardi quel giorno. Era un giorno troppo speciale.

“Sei in ritardo” sentenziò con severità, come se la sua espressione non rendesse abbastanza l’idea. “Lo so, scusami!” rispose Finn mortificato, asciugandosi qualche gocciolina di sudore dalla fronte ampia. “Li hai portati?” gli chiese Jane senza mezzi termini, sperando che il suo storico ex fidanzato non si fosse dimenticato del suo compito. “Certo che li ho portati!” rispose lui stizzito, offeso dalla silenziosa insinuazione. “Allora andiamo, manchiamo solo noi” disse Jane, sorridendogli per farsi perdonare.

Si erano amati tanto, Finn e Jane. Erano stati insieme quasi tre anni, durante i quali avevano litigato innumerevoli volte e fatto l’amore altrettante volte, per rimediare. Jane aveva imparato che uscire quasi tutti i giorni con la stessa persona non è poi così noioso, se è la persona che ami, e Finn aveva imparato che gli sbalzi d’umore di Quinn Fabray incinta non erano niente in confronto a quelli di Jane durante la settimana di ciclo. Si erano amati così tanto che, quando Jane aveva ottenuto un posto in un giornale scandalistico di New York - grazie alla sua straordinaria dote di rintracciare scoop bollenti e soprattutto di fregarsene della sensibilità dei diretti interessati - Finn, che doveva ancora finire il college a Lima, la lasciò andare e le augurò di essere felice. Si erano ripromessi di vedersi di tanto in tanto, magari nei week-end: ma era una di quelle promesse che a lungo andare non vengono mantenute, né per colpa dell’uno, né per colpa dell’altro. Silenziosamente smisero di cercarsi, dopo qualche interminabile litigata per telefono sul fatto che Jane si rifiutasse di tornare a Lima a causa della sua nuova “vita mondana”, o che Finn non trovasse mai il tempo di prendere un treno per raggiungerla. Quelle litigate che, paradossalmente, si fanno perché ci si ama troppo per rendersi conto che è già finita.

Si erano amati così tanto che anche adesso, a due anni di distanza da quando si erano lasciati, non erano in grado di odiarsi. Si presero per mano e si diressero all’interno di un alto e scuro edificio del centro di Hartford, Connecticut.

 

* * *

 

“Cos’è? L’ansia dell’ultimo minuto?” disse Blaine a Kurt, preoccupato dalla stretta troppo insistente della sua mano, sorridendogli come soltanto lui sapeva fare. Kurt, che era seduto accanto a lui, lo guardò negli occhi, lasciandosi rapire ancora una volta da quello sguardo profondo come il mare, come se fosse la prima, come se quei cinque anni non fossero mai passati. “Ma no, cosa dici… è solo che è un’ora che aspettiamo” rispose Kurt sorridendogli di rimando. Sembravano due perfetti manichini di una vetrina: entrambi in giacca nera e camicia bianca, un giglio nel taschino, con l’unica differenza che Kurt preferiva ancora il papion alla cravatta e pertanto non aveva voluto rinunciarvi. “Sei proprio impaziente di diventare mio marito!” gli disse quindi Blaine, lanciandogli un’occhiata ammiccante e sarcastica. “Veramente mi riferivo al caldo, è insopportabile! Mi sudano anche le mani!” rispose Kurt ridendo, contagiando il suo futuro sposo.

A dirla tutta, non era così che Kurt avrebbe voluto il suo matrimonio: attendere il turno come dal salumiere, con la differenza di essere in smoking, alla sede del Comune di uno dei pochi Stati che lo consentivano, e di aver dovuto percorrere centinaia di chilometri in auto per arrivarci. Non avrebbe nemmeno voluto camminare lungo la navata di una chiesa, con Blaine ad aspettarlo sorridente ai piedi dell’altare. Kurt non credeva in Dio, e non aveva certo bisogno del suo benestare per sposare l’uomo che amava. Avrebbe voluto sposare Blaine su una spiaggia assolata, o all’ombra degli alberi di un parco, così che un soffio di vento leggero avrebbe sicuramente scompigliato i suoi bellissimi ricci scuri. E più di tutto, avrebbe voluto avere sua madre accanto a lui, vederla commuoversi e stringere la mano di suo padre, come lui stringeva quella di Blaine in quella calda mattina d’estate.

Nonostante questo, Kurt era più che sicuro che quel giorno sarebbe stato il più bello della sua vita, proprio come dicono nei film. Anche se per la cerimonia erano necessari solo due testimoni, tutti gli ex membri del Glee Club del McKinley erano stati disposti a seguirli in un altro Stato per assistere al loro matrimonio. C’era Rachel, che aveva fatto l’impossibile per trovare il tempo di esserci, nonostante i suoi impegni lavorativi a Broadway; i primi tempi dopo la scoperta della relazione tra Finn e Jane erano stati quasi depressivi, ma dopo più o meno un anno di struggenti lamentele e canzoni segretamente - e anche non segretamente - dedicate a lui, era arrivata alla fantasiosa conclusione che quello era un segno del destino, un messaggio dal cielo che voleva indirizzarla sulla giusta strada: quella della sua carriera. C’era Mercedes, visibilmente incinta e con al fianco il suo fidanzato, conosciuto nella parrocchia di Lima alle prove del coro; Santana, Brittany, Quinn, e tutti gli altri. Quasi nessuna delle coppie del liceo aveva resistito all’inesorabile scorrere del tempo, ma era come se tutto fosse rimasto uguale: loro c’erano ancora, e amavano riferirsi a loro stessi come “membri del Glee Club”. C’era anche il professor Schuester con Emma Pillsbury al suo fianco, quasi tutti gli Usignoli della Dalton, anche se non più in divisa, e ovviamente le famiglie di Kurt e Blaine, ad eccezione del signor Anderson.

Da quando i due ragazzi erano andati a convivere (più o meno due anni prima, quando Finn e Jane si erano lasciati), Blaine aveva progressivamente perso il rapporto con suo padre, che diceva di dover andare a cene di lavoro ogni qualvolta veniva invitato a casa loro. A Natale, a Pasqua e per il giorno del Ringraziamento mandava cartoline di auguri e ceste regalo piene di roba da mangiare. Chiamava una volta l’anno, per il compleanno di Blaine; lui lo ringraziava per gli auguri, poi rispondeva con frasi gentili e generiche alla domanda “Kurt come sta?”. Alla notizia del matrimonio, suo padre gli aveva detto che gli sarebbe piaciuto esserci, ma che il suo capo non gli dava il permesso di lasciare lo Stato a causa di pratiche importanti da sbrigare. Si era offerto di pagare a Kurt e Blaine il viaggio di nozze, ma Blaine aveva rifiutato.

“Anderson, Hummel?” disse una donna da dietro una scrivania, una decina di sedie più avanti rispetto a loro nella piccola sala d’attesa. “Sì, arriviamo!” disse Kurt alzandosi in piedi come una molla. Si girò verso i pochi invitati, sperando di scorgere i due testimoni. “Dove sono Finn e Jane?” chiese a Blaine con aria preoccupata. Voleva che tutto filasse liscio, aveva i nervi a fior di pelle. Blaine alzò le spalle, cercandoli con lo sguardo. Li videro arrivare concitati, Finn con in mano una piccola scatolina bianca e l’altra mano stretta in quella di Jane. “Andiamo” disse Blaine a Kurt con voce rassicurante.

 

* * *


Burt Hummel piangeva, e anche Elizabeth Anderson. Voleva bene a Kurt quasi quanto voleva bene al suo stesso figlio. Durante le varie cene, nel corso di quegli anni, i due avevano scoperto di avere molte cose in comune in fatto di moda, ma più di tutto, la madre di Blaine aveva capito che quel ragazzo magrolino e dalla pelle chiara come la Luna avrebbe amato suo figlio per tutta la vita. E non gli sarebbe mai stata abbastanza grata per questo. Seduta accanto al suo futuro con-suocero, guardò Kurt con gli occhi lucidi e gli sorrise, sperando che potesse bastare a fargli capire quello che provava. Il ragazzo ricambiò, noncurante degli innumerevoli articoli della Costituzione che il funzionario statale in piedi davanti a loro stava leggendo.

“Blaine Anderson, vuoi tu prendere il qui presente Kurt Hummel come tuo legittimo sposo?” disse l’uomo con in mano un foglio ed una lunga lista di documenti che avrebbero dovuto firmare. Blaine strinse ancora di più la mano di Kurt; non l’aveva mai lasciata, neanche per un secondo. Temporeggiò, per far credere all’altro di essere indeciso: sapeva che ci sarebbe cascato. Kurt lo guardò preoccupato, sgranando i suoi occhi chiari. Quando vide Blaine sorridere divertito, gli diede una lieve gomitata al fianco. Gli invitati dietro di loro risero sommessamente. “Certo che lo voglio!” disse Blaine con voce entusiasta, facendo ridere ancora di più i presenti e persino il funzionario del Comune, che non sembrava essere esattamente di buonumore.

“Kurt Hummel, vuoi tu prendere il qui presente Blaine Anderson come tuo legittimo sposo?”. Kurt si girò verso Blaine, che tornò improvvisamente serio e assunse un’aria solenne, in attesa di sentire quelle tre parole uscire dalla bocca del suo fidanzato. “Sì, lo voglio” rispose Kurt al funzionario, ma mantenendo gli occhi fissi su Blaine, che gli sorrise. “Con il potere conferitomi dallo Stato del Connecticut, dichiaro in nome della Legge che siete uniti in matrimonio” disse l’uomo. Jane, che era alla destra di suo fratello, fece un lieve cenno a Finn, in modo che capisse che quello era il suo momento. Il ragazzo uscì dal taschino del suo smoking la scatolina bianca che era stato incaricato di portare e la aprì, dopo di che si avvicinò ai due novelli sposi. Kurt e Blaine presero gli anelli per scambiarseli, non prima di aver attentamente osservato la scritta incisa all’interno: “My teenage dream”. Era la prima canzone che Kurt aveva sentito alla Dalton, cantata dalla voce melodiosa di Blaine. Già allora aveva iniziato ad amarlo, stregato dalle sue movenze perfette e dal suo sguardo. Era stato come un sortilegio che da quel momento non aveva fatto altro che tenerlo legato a Blaine da un filo invisibile. Un filo che più volte si era allungato, allontanandoli, ma mai tanto da separarli. Un incantesimo impossibile da spezzare.

Kurt infilò l’anello all’anulare di Blaine, che fece la stessa cosa e gli sussurrò all’orecchio quella che sapeva essere la sua strofa preferita: “No regrets, just love”. Kurt gli sorrise e lo baciò teneramente sulle labbra. Tutti i presenti applaudirono felici, ma per Kurt la stanza sembrava avvolta da un silenzio surreale. Era come se tutto fosse sfocato e lontano, come ricoperto da uno strato di nebbia sottile. Ai suoi occhi c’era solo Blaine, le sue labbra perfette allungate in un sorriso bellissimo e rassicurante e le dita della sua mano intrecciate indissolubilmente alle sue. I suoi ricci scuri che accarezzava ogni sera, prima di andare a letto. Le sue guance lisce e morbide, tranne quando si lasciava crescere quel filo di barba che gli pizzicava le labbra quando lo baciava. E i suoi occhi, nei quali si perdeva ogni singola volta che si fermava più di un secondo a guardarvi dentro.

Kurt prese per mano suo marito e lo condusse verso l’uscita. La loro vita era appena iniziata.

 

 

The End.

 

 

_hurricane's corner:

Ebbene sì, è arrivato il momento dei saluti. Devo dire che mi dispiace che la storia sia finita, anche perchè quando l'ho iniziata non pensavo che l'avrei fatta durare così tanto e soprattutto che così tante persone l'avrebbero seguita!

Forse alcuni di voi non apprezzeranno la scelta stilistica di spostare la storia nel futuro proprio all'ultimo capitolo, lasciando in sospeso molte cose: la storia tra Finn e Jane, le cene a casa Anderson, Karofsky dopo che ha fatto outing... Ma non so perchè, sento che è giusto così. Il centro di tutto erano Kurt e Blaine, e dopo il capitolo 30 non riuscivo a trovare un modo per renderli più felici, all'infuori di questo. Volevo far finire la storia con un numero tondo per una specie di stupido capriccio, ma dettagli. Posso solo dirvi, se ne avrete voglia, di sforzarvi e immaginare come tutte queste cose avrebbero potuto essere. E poi l'idea per quest'ultimo capitolo mi è balenata in testa all'improvviso - come buona parte delle mie idee d'altronde - e dovevo per forza scriverla. Mi piaceva troppo.

Molti mi hanno chiesto se continuerò a scrivere su Glee, perciò volevo anticiparvi che la mia testa è già strapiena di idee, il problema più che altro è che mi manca il tempo. Posso solo dirvi che sentirete ancora parlare di me, e che tra queste idee c'è sicuramente una future-fic che continui questa storia, probabilmente con il titolo di questo capitolo proprio per dare continuità. Avrei anche intenzione di scrivere una CrissColfer, ma non ne sono molto sicura. Spero con tutto il cuore di poter leggere recensioni dalle stesse persone che hanno commentato questa mia storia, perchè anche se non vi conosco posso dire che mi avete fatto sentire davvero apprezzata... Non avevo mai scritto storie così lunghe e sentirmi dire da alcuni di avere talento è stata una gioia.

Ringrazio tutti coloro che hanno letto e recensito - e con tutti, intendo proprio TUTTI - ma in particolare coloro che hanno seguito la storia con molto interesse, dandomi la loro opinione su ogni singolo capitolo: JulesCullenMeyer, Lusio, Kklaine (scusate se non cito tutti, non ho buona memoria!) e Writer_V, con la quale è nato una specie di rapporto di reciproca ammirazione che spero continui per molto tempo!

Inoltre volevo ringraziare le varie pagine Klaine di Facebook che mi hanno gentilmente concesso di pubblicare i singoli capitoli sulla loro bacheca, una fra tutte •You're kιllιng me now. Anιmαl ιnsιde of you• che mi ha permesso di trovare lettori appassionati, fantastici e gentilissimi, amministratrici comprese! Spero davvero che mi permetterete di farlo ancora in futuro, vi ringrazio tanto!

Con questo (visto che ho scritto un poema più lungo del previsto) _hurricane vi saluta e vi augura buone vacanze.

A presto!

 

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