Come essere un perfetto gentiluomo di naccho (/viewuser.php?uid=4531)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 1 *** 1. ***
Salve
a tutti! Innanzitutto grazie per aver aperto questa storia,
è la prima volta che scrivo una UsaUk e spero vi piaccia,
visto che a me questa coppia non fa impazzire ò.ò
dunque. Scrivo queste due righe per avvertirvi che i personaggi OC
inseriti in questa storia (Scozia, Isole Ebridi, Galles, Irlanda del
Nord, Isole Vergini, volendo parlare di nazioni) sono stati -escludendo
Scozia- espressamente creati da me e il mio maritino unicamente per
questa fancition e il GDR di Hetalia su Facebook. Troverete tutte le
informazioni a fine capitolo~ Buona lettura!
Come
essere un perfetto gentiluomo
1.
Tea
caldo. Una dolce, aromatica tazza di tea caldo. Arricchito con una
punta di miele, ambrato, zuccherato al punto giusto. Tea caldo. Lo
stesso tea caldo che lo accompagnava tutti i giorni alle cinque
precise di pomeriggio e non solo, lo stesso tea caldo che riusciva a
rilassarlo anche più di un bagno bollente. Lo stesso tea
caldo che
gli stava andando di traverso in quel preciso istante.
“Co...
cosa?!” tossicchiò Arthur Kirkland, giovane
commerciante di spezie
di appena ventitré anni, capelli biondi, occhi verdi,
sopracciglia
un po' folte, ma non se n'era mai realmente fatto un problema. Anzi,
secondo lui denotavano uno charme che solo un inglese poteva
avere.
Una
bella signora sulla quarantina, capelli castani raccolti sulla testa
in morbidi boccoli, rigirò il cucchiaino dorato
nella tazza,
prima di scuoterlo leggermente sul bordo e posarlo sul piattino.
Posò
la mano sul grembo e rivolse un bel sorriso al suo nipotino,
aggiustandosi i lunghi guanti bianchi di seta che le arrivavano
all'avambraccio.
“Converrai
con me che è l'unica resa attuabile” sorrise lei,
prendendo tra le
mani la tazzina finemente decorata e portandola alle labbra, bevendo
un leggero sorso. “La pregevole famiglia ci ha postulato un
simile
favore, sarebbe spregevole da parte nostra declinare”
allargò il
sorriso, assottigliando gli occhi come solo lei sapeva fare.
Piegò
la testa, fissando il nipote dritto negli occhi, con quello sguardo
al quale non si poteva di certo dire di no. “Domandare
è lecito,
rispondere è cortesia.” continuò,
“Sicché non vorremmo bensì
gettar sfregio sulla nostra famiglia esimendo la gentile
richiesta...”
“N-no,
certo che no...” biascicò lui, posando il
fazzoletto di seta con
il quale si era pulito il viso. Certo che no? Era una catastrofe!
Come poteva quella stupida famiglia caricarli di un peso tale?! Ma
cosa... cosa?!
“Sublime,
invero” squittì lei, prendendo nuovamente la tazza
tra le dita.
“Mi aspetto una risultanza impeccabile come tua abitudine,
Arthur”
“Oh...
immancabile, zia... tenterò di non disattendere le tue
prospettive”
biascicò Arthur abbassando il viso e mordendosi un labbro,
invaso
dalla rabbia.
“Nevvero”
concluse la donna, poggiando la tazzina ormai vuota sul piattino,
poggiando nuovamente le mani sul grembo e rivolgendogli un sorriso
benevolo... o almeno così tentava di essere. Arthur
conosceva quel
sorriso, e significava tanti guai.
“Se
ora volete congedarmi, zia, mi accomiato per riordinare le
idee...” si alzò, con un leggero inchino della
testa, e la zia concesse
l'uscita con un leggero segno della mano.
Arthur
chiuse la porta alle sue spalle, prendendo un grosso respiro e
cominciando a camminare a passo deciso per il corridoio di marmo.
Salì le scale velocemente, quasi travolgendo una cameriera
che stava
trasportando delle lenzuola probabilmente da lavare, e
arrivò al
piano rialzato, attraversando il lungo corridoio e infiltrandosi in
uno più piccolo, aprendo poi l'ultima porta sulla destra. La
sbattè
alle proprie spalle ansimando pesantemente, tenendo stretta la
maniglia tra le dita.
“Non
è possibile... ma cosa!” esclamò,
colpendo con un calcio il
piccolo tavolino posto di lato, per fortuna libero da qualsiasi
oggetto. “Cosa! Sono tutti impazziti, per chi cazzo mi hanno
preso?!” continuò, togliendosi la giacca e
scaraventandola per
terra, tirandosi il fiocco che aveva al collo per slegarlo e lanciare
anch'esso in qualche punto imprecisato della stanza. “Qui
sono
tutti pazzi! Tutti! E stanno cercando di fare impazzire anche
me!”
continuò ad urlare, per poi dirigersi verso il letto e
buttarvisi
sopra a peso morto, portando una mano sugli occhi.
Aveva
già un sacco di problemi da solo, gestire il commercio,
regolare il
trasporto delle spezie, delle sete, scegliere con cura la gente con
la quale lavorare, gestire il traffico... insomma, non aveva di certo
tempo per le stupidaggini!
Prima
ancora che potesse inveire nuovamente, il suo telefono cellulare
squillò, diffondendo l'inno inglese per la stanza.
“Sì?”
rispose, con un sospiro enorme.
“Signor
Kirkland? La macchina è in cortile, la aspettiamo”
rispose una
voce seria ma giovanile dall'altra parte.
“Uhm...
sì, arrivo” fece, chiudendo la chiamata e andando
a recuperare la
giacca, optando per una cravatta, molto più... 'moderna', se
vogliamo dire così, rispetto a quel fiocco così
tremendamente
retro.
Scese
nuovamente le scale, non incontrando per fortuna nessun membro della
sua famiglia, e si diresse verso l'ingresso, dove il suo maggiordomo
lo stava attendendo.
“Da
questa parte, signore” disse in tono pacato, con la testa
leggermente inclinata verso il basso e una mano sul petto.
“Grazie,
Rupert” rispose Arthur, massaggiandosi la tempia e uscendo
dalla
porta di casa, già stata precedentemente aperta dalle
cameriere. Il
suo maggiordomo lo seguì tenendo tra le mani un registro.
L'auto,
una audi A8 nera, era poco fuori l'enorme portone di casa Kirkland,
con l'autista che manteneva spalancata la portiera passeggero. Arthur
entrò massaggiandosi ancora la tempia, seguito da Rupert.
L'autista
chiuse la portiera e corse al posto guida, mettendosi subito al
volante.
“Va
tutto bene, signore? Devo prenderle un'aspirina?”
domandò il
maggiordomo, posando sulle gambe il registro.
“No...
una pistola, forse...” mormorò lui. Poggiandosi al
bracciolo e
continuando a massaggiarsi la tempia.
“Signore...”
biascicò lui, con un'occhiata quasi di rimprovero.
“Lo
so, Rupert, lo so...” sospirò Arthur, passandosi
la mano sul collo
e aggrottando le sopracciglia. “Sono stanco di essere preso
per un
idiota! Ho un lavoro anche io a cui badare!”
esclamò, affranto.
“La
signora ha comunicato le nuove direttive” rispose lui,
aprendo il
registro e estraendo una penna dal taschino.
“Oh,
certo. Evviva. Dimmi tutto” sospirò ancora,
accavallando le gambe
e chiudendo gli occhi.
“La
data del matrimonio è fissata per il cinque agosto, abbiamo
già
contattato l'organizzazione che sta provvedendo a sistemare tutto
ciò
che riguarda la cerimonia e il ricevimento, la sala è stata
prenotata, domani pomeriggio la sarta andrà a casa della
sposa per
il vestito. Quanto a... quel problema...” mormorò
l'ultima frase,
guardando sottecchi il suo signorino, alzando leggermente le
sopracciglia, preoccupato.
Sentì
provenire un grande sospiro da lui, che si posò una mano
sugli
occhi. “Dimmi...”
“Dovrebbe
arrivare oggi in città, ho già incaricato un
autista di andare a
prelevarlo dall'aeroporto. Dovreste incontrarvi stasera stessa per
cena”
“Oh,
non vedo l'ora.” commentò ironico Arthur,
incrociando le braccia
sul petto. “Puoi ripetermi quanto tempo ho?”
“Due
mesi e mezzo, signore”
“Vale
la pena suicidarsi, allora...”
L'impresa
commerciale Kirkland era sorta a metà 1800 e si era subito
affermata
nel grande viavai mercantile che caratterizzava quegli anni. La sua
vicinanza alla casata reale e gli stretti rapporti con la compagnia
delle Indie, seppur nel suo periodo di crisi, avevano aiutato la
piccola impresa ad evolversi sempre di più e diventare il
colosso
del management di spezie e seta proveniente dalle Indie che era oggi.
Arthur
Kirkland, nonostante i suoi soli ventitré anni, era alla
stregua del
presidente, suo padre, ormai troppo vecchio per curare ogni dettaglio
fino in fondo.
Ogni
membro maschile della famiglia Kirkland lavorava nel complesso. Anche
se erano tutti figli di donne diverse, erano fratelli e comunque si
sentivano una sola famiglia.
Il
fratello maggiore, Logan, era il figlio della prima moglie del signor
Kirkland, ed era di origini scozzesi. Infatti Logan aveva i capelli
rossi e qualche sparuta lentiggine, gli occhi verdi e un carattere
piuttosto irrequieto, e piuttosto 'libero'. Aveva ventisette anni e
nell'impresa si occupava delle relazioni estere. Dopo c'era Arthur,
che si occupava della gestione interna dell'azienda, e da qualche
tempo aveva sostituito il padre nel ruolo di presidente del gruppo,
diventando, se possibile, più sclerato di prima. Sua madre
era
inglese, ed era la moglie ufficiale del signor Kirkland. Il terzo
figlio si chiamava Sky, diciott'anni, allegro, gioviale, anche lui
con i capelli rossi e gli occhi verdi, lentiggini sul viso. Sua madre
proveniva dalle isole Ebridi, nella Scozia nord-occidentale. Aiutava
Logan nella gestione dei rapporti esteri. Il quarto figlio era Ray,
un piccolo scricciolo di appena un metro e sessantuno troppo spaurito
per fare qualsiasi cosa. Sua madre era di origini gallesi, e lui era
stato preso nella famiglia sin da piccolo a causa della sua morte.
Aveva diciassette anni e, a differenza di tutti i suoi fratelli,
aveva occhi nocciola e capelli castani. Nel gruppo era il
responsabile superiore della contabilità. Il più
piccolo era Kain,
di appena quindici anni. Insieme a Ray frequentava ancora la scuola,
e non aveva ancora un vero ruolo nella gestione dell'azienda. Come
gli altri due fratelli, aveva occhi verdi e capelli rossi, sua mamma
era originaria dell'Irlanda del Nord.
Arthur
amava molto i suoi fratelli, anche se ognuno aveva i suoi difetti.
Logan lo trattava sempre male, e non perdeva occasione per deriderlo,
Sky parlava troppo ed era sempre invasivo, al contrario, i suoi due
fratelli minori non fiatavano affatto. Tutto sommato, il suo rapporto
con loro era piuttosto armonioso.
Il
telefono cellulare del suo maggiordomo squillò
all'improvviso,
risvegliandolo dai suoi pensieri, quando voltarono nel parcheggio
della sede centrale del gruppo Kirkland.
“Pronto?”
ci fu un secondo di silenzio, durante il quale Arthur vide il suo
maggiordomo cambiare espressione almeno cinque volte.
“...cosa?! È
molto grave. Cercatelo dappertutto!” esclamò, con
gli occhi fuori
dalle orbite. “Tenetemi informato” chiuse il
telefono con uno
scatto, poi prese un respiro voltandosi verso Arthur.
“...
il signorino è scomparso dall'aeroporto. Ha eluso le nostre
guardie
del corpo e sembra che si sia allontanato con la sua auto da
solo”
“...
come hai detto?!” sbottò Arthur, quasi dando una
testata al
tettuccio della macchina. No, no... no! Perché,
perché succedeva
tutto a lui?!
L'auto
si fermò davanti alla sede centrale del gruppo Kirkland,
l'autista
scese e aprì la portiera ad entrambi, che si precipitarono
fuori
quasi schizzando.
“Chiama
tutti quelli che puoi, chiama la polizia, chiama l'esercito, chiama
chi vuoi! Ma trovalo. Entro questa sera lo voglio alla mia scrivania!
Poi ci penserò io a come ucciderlo lentamente e con
dolore” sibilò
tra i denti, stringendo i pugni delle mani.
All'improvviso
ci fu il rumore rombante di una frenata, e una Audi spyder bianca,
così bianca che luccicava tremendamente sotto il sole di
giugno,
comparve dall'angolo della strada sgommando a velocità
probabilmente
non concessa nemmeno ad Indianapolis.
Con
un altro terribile, stridulo freno l'auto si fermò giusto
davanti ad
Arthur e al suo maggiordomo, perplessi, shockati, senza parole.
Le
guardie del corpo circondarono l'auto, ma Arthur, con gli occhi
ancora spalancati dallo stupore e dallo spavento, alzò una
mano per
farli allontanare.
Il
finestrino scuro si abbassò lentamente, e un musica
assordante
cominciò ad uscire da quel colosso di auto.
Una
testa bionda, con un ridicolo ciuffo che spuntava e stava in piedi
per chissà quale strano fenomeno fisico, un viso nascosto da
un paio
di occhiali da sole neri e un odioso, odioso sorriso spuntarono da
quell'auto bianca e luccicante.
“Ehilà,
come va~?”
----------------
Grazie
di essere giunti fin qui<3 spero questo capitolo vi sia piaciuto
nonostante la scarsa lunghezza. Come promesso, ecco i profili e degli
identificativi dei fratelli di Arthur.
Logan: come
già scritto, è il maggiore dei fratelli Kirkland,
e rappresenta la Scozia. Tenterò di mantenere il suo
carattere così com'è descritto nel fandom, anche
se ovviamente lo manipolerò a mio piacimento :D non me ne
vogliate!
Sky: le
Isole Ebridi sono un gruppo di isole raggruppate in interne ed esterne
accanto alla Scozia. Sono state di dominio norvegese fino al 1280 prima
di passare nuovamente nelle mani della Scozia. Il nome di Sky
è preso dal nome di una delle principali isole, Skye. E' il
secondo dei fratelli Kirkland ed è un vero logorroico,
capace di mettere in difficoltà chiunque gli parli
perché non sta mai zitto.
Ray:
rappresenta il Galles ed è veramente piccolo e silenzioso,
molto spaurito e soprattutto non riesce a reggere i suoi tre fratelli
maggiori così pieni di vita e chiacchieroni (soprattutto
Sky). Non è molto abituato ai rapporti umani e per questo,
se gli succede qualcosa, piange spesso. La sua camera è
piena di libri e passa un sacco di tempo in biblioteca.
Kain: in
irlandese il suo nome significa 'testa rossa', e rappresenta l'Irlanda
del Nord. Il suo carattere è simile a quello di Ray, ed
è perennemente in agitazione, con la paura di essere
lasciato indietro dai suoi fratelli. Il fratello con il quale
è più legato è Ray, oltre che per il
carattere simile, anche per la passione per la lettura.
L'Irlanda è rappresentata niente poco di meno che dalla famosa cugina di Arthur che presto andrà in sposa ad uno dei fratelli Jones~
<3
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Capitolo 2 *** 2. ***
2.
Un
rombo attraversò la strada tranquilla, rompendo il gentile
silenzio
che era solito accarezzare quella parte della città
così tranquilla
e stazionaria.
Non
si può dire che gli abitanti della zona residenziale poco
fuori New
York non fossero abituati a quel rumore, visto che ormai faceva parte
della routine quotidiana, sopratutto alle sei del mattino.
L'Audi
spyder bianca parcheggiò nel vialetto buio di un'enorme
villa a due
piani situata al centro di un rigoglioso giardino perfettamente
curato, arricchito da fontane e giochi d'acqua, ora spenti visto
l'esoso orario. Il motore si spense, nello stesso momento in cui la
porta laterale in vetro murano che dava sul giardino si
spalancò.
“Dobbiamo
parlare.” sibilò una voce femminile piuttosto
irritata, mentre il
proprietario dell'auto scendeva, togliendosi gli occhiali da sole e
posandoseli sulla testa.
“Ehi
madre, sei già in piedi?” sorrise lui, inforcando
gli occhiali da
vista e mettendoli sul naso.
“Non
ho assolutamente voglia di scherzare, Alfred. Entra subito
dentro”
ordinò la donna indicandogli con forza l'interno della casa.
Il
ragazzo scosse la testa con un sorriso e girò gli occhi per
aria,
come se fosse abituato ad una routine del genere.
Il
soggiorno che si trovava oltre la porta finestra era il quinto per
grandezza, si poteva dire fosse uno dei soggiorni più
piccoli della
casa, visto che dava verso i garage, davanti al giardino. C'era un
tavolino basso di legno sopra un tappeto persiano finemente decorato.
Un vaso di fiori era poggiato sulla superficie legnosa e il tutto era
circondato da divani di velluto, a cui cambiavano rivestimento a
seconda del colore dei fiori sul tavolo. Questa volta erano rossi,
come i papaveri orientali nel vaso.
“Siediti”
continuò lei, con un tono duro, indicandogli il divano con
una mano.
Alfred gettò la giacca sulla spalliera e si
stravaccò sul morbido
velluto con un gemito compiaciuto, prima di stiracchiarsi
rumorosamente.
“Siedi
composto, Alfred. Sono veramente seria questa volta.” il modo
con
il quale sua madre stava insistendo questa volta era piuttosto
fastidioso.
“Madre,
ho veramente sonno. Non possiamo parlarne questo pomeriggio?”
cercò
di modulare il linguaggio e, per rendere la cosa ancora più
credibile chiuse gli occhi passandosi una mano tra i capelli biondi,
con uno sbadiglio.
“No,
Alfred. La tua condotta adesso ha raggiunto il limite. E visto il
grande evento che ci attende, non posso di certo permettermi di
presentare mio figlio in queste condizioni.”
cominciò spedita la
signora Jones, congiungendo le mani e posandole sulle gambe.
“Beh,
è presto fatto: non verrò e saremo tutti
più contenti!” esclamò
lui con un sorriso complice e si alzò, stiracchiandosi
nuovamente.
La
donna sorrise con lui e piegò la testa di lato, con una
leggera
risata. “Hai ragione, Alfred. Per quale atipico motivo tu
dovresti
partecipare al matrimonio di tuo fratello maggiore?”
continuò, con
il sorriso che si allargava ancora, presagendo nulla di buono.
“Come
ho fatto ad essere così sciocca, avevo la soluzione a
portata di
mano... adesso siediti.” mise in evidenza le ultime due
parole come
se stesse per regolare il lancio di una bomba.
Alfred
sbattè gli occhi, piuttosto allucinato, e si sedette
lentamente,
senza staccare lo sguardo da lei. C'era decisamente qualcosa che non
andava, e la cosa non lo faceva gioire per nulla.
La
signora Jones continuò a guardarlo fisso negli occhi, quegli
occhi
azzurri identici ai suoi. Aggrottò le sopracciglia, poi le
rilassò,
segno che stava cercando le parole giuste per cominciare il discorso.
Di solito non era mai nulla di serio, insomma, i soliti richiami, i
soliti 'perché non la smetti di girare la notte per i
locali',
oppure 'perché non metti la testa a posto' oppure
'perché non sei
come tuo fratello' e cose simili; ma questa volta il modo con il
quale lo stava fissando non poteva che fargli vedere tempesta
all'orizzonte.
Lei
prese un respiro e si aggiustò la vestaglia, abbassando
prima lo
sguardo e poi alzandolo nuovamente verso di lui. “Vista la
tua
condotta, e vista l'imminente data del matrimonio, io e tuo padre
abbiamo deciso di comune accordo di frenare questo tuo carattere
libertino ed esuberante affidandoti ad un parente della sposa
perché
ti rieduchi dalla testa ai piedi e faccia di te un perfetto
gentiluomo entro la data delle nozze.”
Alfred
sbattè gli occhi, alzando leggermente il busto dalla
poltrona in
velluto così comoda prima, ma che adesso sembrava diventata
ruvida
come carta vetrata.
Non
poteva essere sul serio. Stava sicuramente scherzando, insomma... era
impossibile! Chi diavolo si credevano di essere e chi era quello
stupido, schifoso inglese che aveva accettato un incarico del
genere?!
“Mi...
stai prendendo in giro...” sorrise Alfred, indicandola e
annuendo
con la testa. “Ci ero quasi cascato! Avanti madre, non
scherziamo... avrete sicuramente altro a cui pensare...”
“Sei
tu quello che mi dà più pensieri”
rispose lei, lanciandogli uno
sguardo furente. “E grazie alle nozze ho finalmente trovato
il modo
per farti calmare. Partirai per Londra domattina”
“Cosa?!
Madre, starai scherzando!” esclamò ancora,
alzandosi si scatto
dalla poltrona e aggrottando le sopracciglia.
Lei
scosse la testa, posandosi una mano sulla fronte e mettendosi in
piedi lentamente. “Perché non puoi essere come
Matthew...”
Alfred
aggrottò le sopracciglia e strinse i pugni, digrignando i
denti e
tentando di frenare la rabbia che gli montava in corpo. Per fortuna
il groppo in gola gli impediva di parlare. Prese la sua giacca e,
pestando i piedi, lasciò il piccolo soggiorno, salendo la
rampa di
scale in ferro battuto e stringendosi la giacca al petto, mentre gli
occhi erano diventati lucidi.
Perché
non puoi essere come tuo fratello? Perché non puoi essere
come
Matthew o Aaron? Era sempre la solita storia! Non c'era volta in cui
non mettessero in mezzo suo fratello gemello o suo fratello maggiore.
Non era di certo colpa sua se sapevano godersi la vita! E ora questo
fatto che Aaron si sposasse... era veramente una cavolata, privarsi
di ogni libertà per essere prigioniero di... una donna! Una
donna
inglese, poi!
Come
poteva accettarlo? Ecco, infatti. Non poteva, ma allo stesso modo non
poteva fare nulla per impedirsi di stare male, per un sacco di
motivi.
E
ora... questo? Ma che stronzata?!
Aprì
la porta della sua camera e la sbattè con forza, sperando di
svegliare tutti i residenti della casa. Gettò la giacca per
terra e
scese i tre piccoli scalini che lo dividevano dalla sua 'sala
giochi'. La superò e si sfilò la maglia,
gettandola per terra,
facendo la stessa cosa con i pantaloni. Lanciò le scarpe da
qualche
parte nella stanza e, in boxer, si gettò sul letto,
aggrappandosi al
cuscino. Poggiò entrambi gli occhiali sul comodino e chiuse
gli
occhi, aggrottando le sopracciglia piuttosto irritato e lanciando un
sospiro. Ci avrebbe pensato domani, sì... ci avrebbe pensato
dopo
un... sano... sonn--... zzz.
“Signorino,
si svegli, è ora di prepararsi per andare
all'aeroporto” una voce
femminile si accostò al suo orecchio, mentre qualcun altro
gli
tirava via le coperte e qualcun altro ancora apriva prepotentemente
le tende della sua camera facendo entrare la luce del sole.
“Cosa...
cosa? Cosa volete?!” esclamò, alzandosi di scatto,
con i capelli
tutti arruffati e gli occhi assonnati. Lanciò uno sguardo
veloce
all'orologio vedendo che erano appena le nove di mattina. Aveva
dormito si e no tre ore!
“Signorino,
la prego di sbrigarsi, dobbiamo essere in aeroporto entro le
undici”
disse il suo maggiordomo, piegando con cura le coperte che egli
stesso aveva tirato via dal letto del suo signorino.
“Ma...
ma...” biascicò, non capendo ancora cosa stesse
succedendo. Un
altro maggiordomo e la cameriera che erano con lui lo fecero alzare,
accompagnandolo in bagno e costringendolo a farsi una doccia veloce,
poi lui lo asciugò con forza, phonandogli i capelli mentre
la
cameriera preparava i vestiti necessari.
“Ma...”
mormorò ancora, mentre il maggiordomo spegneva
l'apparecchio. “Cosa
succede...?”
Il
suo maggiordomo personale, Tony, entrò con i vestiti pronti
e li
posò sul comò lì accanto.
“Il suo jet parte per Chicago alle
13.35, dobbiamo essere in aeroporto entro le 11”
“Chi...
Chicago?” mormorò lui mentre l'altro maggiordomo
lo aiutava ad
infilarsi una camicia.
“La
signora ha chiesto di prenotargli il volo più vicino per
Londra e
l'unico disponibile ha lo scalo a Chicago”
continuò Tony,
terminando di vestirlo. Alfred cercò di mettere in chiaro le
idee,
perché non aveva capito nulla di quello che era successo.
“Jet?
Chicago? Londra...? Un momento! Io non ho mai detto che ci sarei
andato!” esclamò, mentre lo accompagnavano
nuovamente nella sua
stanza.
“Ordini
della signora, signorino Alfred. Le cameriere si sono già
preoccupate di preparargli la valigia, la sua auto è
già stata
mandata a Chicago per essere imbarcata il prima possibile.”
“Tutto
questo è ridicolo!” esclamò, togliendo
la cravatta dalle mani del
maggiordomo e tentando di legarsela da solo, anche se sapeva
benissimo di essere negato.
“Signorino...”
mormorò lui, facendosi restituire la cravatta e
legandogliela per
bene. “Avanti, la veda come un'occasione per visitare
Londra”
“Me
ne frego di Londra!” esclamò lui, poi
sbattè gli occhi,
pensandoci un attimo. “Visitare Londra... perché
no” si allargò
un sorriso sul suo volto, mentre si infilava la giacca e si
aggiustava gli occhiali da sole sul naso. “Molto bene,
Tony...
vedrò di conoscere Londra sino in fondo~”
Il
maggiordomo scosse la testa e sospirò, ben intuendo la frase
e ormai
conoscendo troppo bene il suo signorino per poterla fraintendere in
qualsiasi modo.
“Da
qui in poi devo lasciarla andare, signorino. La signora ha
espressamente chiesto che ve la caviate da solo a Londra”
disse il
suo maggiordomo, una volta atterrati a Chicago.
“Eh?
Ma mancano sei ore all'imbarco, cosa farò fino ad
allora?”
piagnucolò lui, alzando le sopracciglia.
“Il
mio ordine era di lasciarla a Chicago e vedere il suo effettivo
imbarco sull'aereo per Londra”
Alfredo
sospirò passandosi una mano tra i capelli. Sua madre era
pazza, suo
padre era pazzo e anche i componenti di quella stupida famiglia
inglese erano pazzi! Ma perché doveva capitare a lui?
“Va
bene... allora io vado a farmi un giro per l'aeroporto”
sospirò
ancora abbassando il viso quasi sconfitto.
“Mi
suole informarla che ad ogni uscita sono state piazzate delle guardie
perché lei non fugga.”
Alfred
sbatté gli occhi e fece una smorfia. Anche se gli fosse
balenato in
testa di fuggire, ora non avrebbe potuto fare neanche quello.
“Strega.”
sibilò, togliendosi la giacca e posandosela sulla spalla,
infilando
l'altra mano nella tasca del pantalone. “Allora ci vediamo
dopo,
fai il check-in per me”
“Sì,
signorino.”
Alfred
cominciò a camminare per il lungo corridoio contornato di
bandiere
delle più svariate nazioni. Con un gesto veloce si tolse gli
occhiali da vista e posò sul naso quelli da sole, si
allentò la
cravatta e si sbottonò la camicia. Non poteva di certo
andare in
giro come un signorino inglese! Ah, ogni riferimento era puramente
casuale~
Sfoderò
il suo sorriso migliore, e già mietette qualche vittima, tra
le
giovani ragazze di una squadra di cheerleader che stava portando i
propri bagagli al check-in nazionale. Poi fu la volta di alcuni
ragazzi vestiti con una divisa scolastica, probabilmente... inglesi.
Un brivido gli attraversò la schiena ma continuò
a sorridere,
mettendo un piede davanti all'altro.
Persino
un giovane cameriere di un bar lì accanto rimase fisso a
guardarlo
tanto che i due, totalmente distratti, si scontrarono, facendo cadere
il vassoio che il ragazzino portava tra le mani.
“Oh!”
esclamò Alfred, mentre il giovane si chinava, rosso come un
peperone, a raccogliere le tazzine. Il caffè, purtroppo, si
era
versato sulla camicia immacolata di Alfred.
“Mi...
mi dispiace da morire, signore! C-cercherò di
rimediare...”
biascicò lui, con la testa bassa e il vassoio tra le mani.
Alfred
allargò un sorriso e lo prese per un braccio. “Sai
dov'è il
bagno?”
Il
ragazzino annuì, mentre il batticuore gli saliva per il
contatto.
“Bene,
allora portami lì~”
Il
ragazzino annuì, ancora più rosso, e lo
portò nel bagno dei
dipendenti del bar dove lavorava, chiudendo la porta a chiave.
“Mi...
mi dispiace ancora, signore...” mormorò lui, che
con un panno
tentava di far scolorire la macchia di caffè, mentre Alfred
con
assoluta nonchalance si allentava la cravatta e si sbottonava la
camicia, scoprendo il petto.
Il
ragazzino abbassò ancora di più il viso, ormai
anche le sue
orecchie erano diventate rosse e il batticuore gli rimbombava in
gola.
“Ehi...”
sussurrò Alfred, allargando un sorriso e cominciando ad
accarezzare
i capelli del ragazzo. “Sembri giovane, quanti anni
hai?”
“Di...
diciassette, signore...” mormorò lui, mentre quel
tocco,
stranamente, lo stava facendo andare ancora più su di giri.
“Sei
proprio giovane...” sorrise, mentre la mano scivolava sul
mento del
ragazzo e lo faceva alzare verso il suo. “Non trovi che
questo
posto così stretto sia... stimolante?” il suo
sorriso si allargò,
trasformandosi in un ghigno, mentre il giovane sotto di lui lo
fissava con gli occhi spalancati e le guance rosse, che quasi
cominciava a sudare. Oh, com'erano onesti i giovani d'oggi~ alla
parola stimolante quel ragazzino tanto carino si era già
eccitato.
Stimolante~
“Qualcosa
mi dice che la pensiamo in due...” mormorò al suo
orecchio, prima
di cominciare a morderglielo con lentezza e regolarità,
mentre il
panno bagnato scivolava dalle mani del ragazzino sino a terra.
La
mano del giovane cameriere si aggrappò alla camicia di
Alfred, lui
sorrise prima di passargli la lingua sotto l'orecchio per poi
scendere sul collo, cominciando a mordicchiarlo.
“Ho
sei ore libere... ti va di farmi compagnia?~” chiese, in un
sussurro sexy vicino al suo orecchio, ma la risposta non giunse dalle
labbra del ragazzo, ma dal vigore della sua eccitazione che premeva
sulla gamba di Alfred.
“Mh...”
sorrise lui, infilando immediatamente una mano nei pantaloni della
divisa del giovane, abbassandoglieli sino alle natiche, insieme ai
boxer.
Il
ragazzo si strinse a lui, spingendo la sua eccitazione contro la
gamba di Alfred, e il sedere contro la sua mano.
Oh,
quanto adorava vincere~
“Non
mi hai neanche detto il tuo nome, scricciolo... vorrei chiamarti
mentre vengo dentro di te...” ancora un sussurro sexy contro
l'orecchio del povero ragazzo, che ormai mugolava anche solo per il
leggero tocco di dita del biondo di fronte a lui.
“M-Max...
mi chiamo... Max...” ansimò, allacciandogli le
braccia al collo,
nel frattempo che Alfred faceva miseramente cadere boxer e pantaloni
del ragazzo sul pavimento.
“Max,
mh? Bel nome... mi piace” sorrise, sedendosi sul ripiano dei
lavabo
in -finto- marmo e facendo accomodare il giovane sulle sue gambe.
Avvicinò le dita alle sue labbra e le passò su di
esse, prima di
fargliele socchiudere. “Avanti, lecca...”
Il
ragazzo prese due dita tra le labbra e cominciò a succhiarle
e
leccarle, con minuziosità, mentre Alfred vedeva che
l'eccitazione
del giovane ormai era quasi vicina al limite. Sorrise e gli
passò
una mano tra i capelli, prima di allontanare le dita dalla sua bocca
e avvicinarle alle sue natiche.
Massaggiò
un po' l'entrata, poi ne inserì uno, mentre con la bocca gli
mordicchiava il collo. Il ragazzo gemeva e ansimava contro di lui,
strusciava la propria eccitazione contro il suo stomaco, cominciava a
pregare di avere di più. Alfred allargò un ghigno
e non lo fece
aspettare, inserendo subito dopo l'altro dito, per allargarlo nel
miglior modo possibile. Quando adorava i ragazzini docili e
accondiscendenti come questo giovane cameriere~.
Quando
finalmente lo penetrò, gli coprì una mano con la
bocca. Non fosse
mai che entrasse qualcuno a disturbare quel momento così
particolare, no?~
Per
almeno un'ora continuò a cambiare posizioni e modi
finché non fu
pienamente soddisfatto. Come promesso, ogni volta che raggiungeva
l'orgasmo mugolava il nome del ragazzo, che lo seguiva a ruota, se
non era già venuto prima di lui.
Compiaciuto,
si fece aiutare dal ragazzo a 'pulirsi' come meglio poteva e gli
schioccò un veloce bacio sulla fronte.
“Prendo
in prestito questa~” sorrise, appropriandosi della camicia
del
cameriere e lasciandogli la sua, ancora sporca di caffè.
Uscì dal
bagno gongolante e si rimise gli occhiali da sole, lasciando la
cravatta slacciata e la giacca sulla spalla. Il ragazzino
uscì poco
dopo di lui coprendo la macchia di caffè con il gilet del
bar,
totalmente sconvolto e come nuovo, sospirando insieme a tutti gli
altri che seguivano la forma slanciata di quell'americano
così
strano.
“Signorino,
è ora dell'imbarco” lo avvertì Tony,
chinando leggermente la
testa.
“Ok~
beh, allora ci sentiamo presto!” esclamò,
battendogli una mano
sulla spalla e prendendo il bagaglio a mano. “Non sentire la
mia
mancanza!” rise, alzando una mano per salutarlo e
avvicinandosi al
metal detector.
“Tenterò
di sopravvivere con questo peso nel cuore, signorino...”
Alfred
sorrise, facendogli l'occhiolino. “Mi mancherai,
Tony!” e lo
salutò, passando attraverso il metal detector e lanciando
uno
sguardo compiaciuto alla poliziotta che lo stava controllando.
Salì
sull'aereo e si sedette sul suo posto in prima classe, chiudendo gli
occhi. Aveva dato un'occhiata ai suoi 'compagni di viaggio' e non
c'era veramente nessuno che valesse la pena di portarsi nel bagno
della classe. Pazienza, avrebbe dormito di più e avrebbe
avuto più
energie per conoscere a fondo i londinesi~
Atterrò
a Londra la mattina dopo, dopo una beata notte passata nel
più
profondo dei sonni e a qualche ammiccamento alle hostess, e appena
arrivò alla sala per il ritiro bagagli, vide dalla porta
automatica
almeno sei o sette energumeni vestiti di nero che lo attendevano.
Oh,
ma non si sarebbe fatto scarrozzare in giro per Londra da quegli
scimmioni~ prese il cellulare e chiamò il suo adorato Tony,
facendosi dare l'indirizzo lavorativo di questo stupido 'parente
della sposa' e prese il suo bagaglio, uscendo una felpa con i teschi
e mettendosela fin sulla testa, coprendola con il cappuccio. Si
unì
ad un gruppo di suore e si piegò, passando davanti agli
energumeni
che lo cercavano con lo sguardo. Ah~ niente di più facile!
Andò a
ritirare il suo tesorino e dopo averla abbracciata si mise alla
guida, dettando l'indirizzo al suo navigatore satellitare
incorporato.
“A
noi due, schifoso inglese, vedremo di tra noi due l'avrà
vinta~”
------------
Salve a tutti!
Innanzitutto grazie mille per le recensioni<3 non pensavo,
addirittura così tante! Beh spero di aver centrato il punto
giusto! è.é e spero di continuarla
presto<3 (il secondo capitolo l'avevo già pronto,
nyah XD)
Marlot, per rispondere alla tua precisazione su Sky... hai proprio
ragione! Ma è proprio perché ha vissuto tanto con
Norvegia da bambino che ora parla così tanto...
perché stare con quel ragazzo sempre serio e taciturno lo
intristiva! Ma quando si arrabbia è capace di essere come
Norvegia... o come Scozia XD ecco, vorrei farvi vedere veloci veloci
dei disegnini su questi personaggi che ovviamente non conoscete (mi
dispiace, non ne ho ancora nessuno presentabile di Kain
ç_ç) -> Sky -> Ray (scusate, non ne avevo
una più normale X°DD) penso che Scozia lo conosciate tutti u.u
Al prossimo capitolo!<3
|
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Capitolo 3 *** 3. ***
3.
Probabilmente
in tutta la sua vita non aveva mai sentito tanta rabbia montargli in
corpo. Quell'odioso sorriso si specchiava nei suoi occhi furenti e
quegli stupidi occhiali da sole lo accecavano. Quella stupida
macchina aveva lasciato dei segni di frenata sulla strada
dell'azienda e sopratutto si era permesso di parlargli in quel modo
così scurrile e campagnolo, con quell'odioso accento
americano e con
tutta quella informalità! Ma chi si credeva di essere,
quell'idiota?!
Arthur
aggrottò le sopracciglia e strinse i pugni, così
forte che quasi
gli sanguinarono. Il suo maggiordomo personale sbatteva gli occhi tra
il sorpreso e lo sconcertato, poi scosse la testa e chiamò
il capo
delle guardie del corpo, avvisando di sospendere le ricerche visto
che il signorino era arrivato sano e salvo e soprattutto da solo
all'azienda.
“...
Rupert. Accompagna il signorino a lasciare l'auto nel parcheggio e
poi conducilo nel mio ufficio.” sibilò, chiudendo
gli occhi con un
lungo sospiro e il sopracciglio destro che gli tremava.
“Subito,
signore...” mormorò lui, avvicinandosi all'Audi
bianca e
inchinandosi al ragazzo, che gli sorrise.
“Ehi,
ciao! Io sono Alfred!” esclamò, allungandogli la
mano. Rupert
sbattè nuovamente li occhi piuttosto allibito e
chinò di nuovo la
testa. “Segua le mie indicazioni, signorino...”
“Non
c'è bisogno di essere così rigidi! Sciogliti un
po'!” continuò
Alfred, battendogli una mano sulla spalla.
Arthur
si avvicinò all'auto e con uno scatto si portò
vicino al
finestrino, così velocemente che Alfred si ritrasse dentro
come
farebbe una tartaruga nel guscio.
“Mi
stai già creando problemi, americano. Vai a parcheggiare
l'auto e
poi vieni nel mio ufficio, prima che ti stacchi quel sorriso demente
che hai sul viso a suon di pestate.”
Alfred
sbatté gli occhi più volte, poi cominciarono a
tremargli le labbra
e infine scoppiò in una risata. Si alzò gli
occhiali da sole
rivelando un paio di profondi occhi azzurri. Si avvicinò e
posò
l'indice sulla fronte di Arthur, allargando un ghigno strafottente.
“Se
voglio venire o meno nel tuo ufficio lo decido io,
inglese...”
mormorò, facendogli il verso. “Capito? ...Molto
bene, pinguino!
Mostrami la strada per questo parcheggio~” concluse,
togliendo
l'indice dalla fronte del ragazzo e rivolgendosi al povero
maggiordomo della famiglia Kirkland.
“Da...
da questa parte, signore...” biascicò, ancora
senza parole.
Prima
ancora che Arthur potesse rispondere alla frecciatina, l'auto bianca
sfrecciò nuovamente sulla strada, prendendo la discesa che
portava
al parcheggio interno e sotterraneo dell'azienda.
Interdetto,
Arthur rimase qualche minuto a fissare il punto dal quale l'Audi era
partita senza proferire parola. Strinse il pugno e pestò il
piede
per terra, con un verso per niente contento. Attraversò la
strada e
salì le scale che portavano al grande ingresso pestando
ancora i
piedi. Due garzoni ben vestiti gli aprirono le porte di vetro con
scritto sopra “Kirkland Corporation Inc.”
inchinandosi.
Arthur
lasciò il suo giubbotto al primo collaboratore del suo
maggiordomo
che trovò e si massaggiò la tempia, camminando
velocemente nella
grande lobby e passando per il cancelletto automatico.
“Buongiorno,
signor Kirkland” lo salutò il poliziotto
lì accanto, e Arthur
rispose con un lieve cenno della testa. Si diresse nell'atrio degli
ascensori e ne chiamò uno, continuando a massaggiarsi la
testa. Aprì
gli occhi quando l'ascensore arrivò e le porte si aprirono
con un
bing sonoro.
Forse
era peggio di quanto si sarebbe aspettato, forse era veramente il
peggio che poteva capitargli. Quel sorriso strafottente! Quanto lo
odiava, gli ricordava suo fratello maggiore quando lo prendeva in
giro, e non era affatto un punto a favore di quello stupido
americano. Premette
il tasto per salire all'ultimo piano e si poggiò alla parete
dell'ascensore. Semplicemente, non voleva pensare. Almeno nel
tragitto dell'ascensore non voleva pensare.
Al
ventottesimo piano le porte si aprirono e, coperto da libri e
scartoffie, suo fratello Ray entrò nell'ascensore.
Arthur
lo osservò mentre, barcollando, si poggiava alla parete per
evitare
che i fogli cadessero.
“Oh”
sembrava averlo notato. “Buongiorno, Arthur...”
mormorò,
abbassando leggermente lo sguardo.
“Buongiorno,
Ray” rispose lui, tentando di allargargli un sorriso. Almeno
lui
era una visione tranquillizzante. “Come va?”
“U-uhm,
proprio adesso ho finito di controllare i bilanci e sono tutti verso
il positivo, stavo giusto portando questi in ufficio per rivederli ed
archiviarli, perché...”
“No,
no... Ray!” lo interruppe Arthur, posando una mano sulla sua
testolina castana e accarezzando leggermente. “Come stai tu,
non
l'azienda...”
“O...
oh.” rispose, arrossendo e abbassando lo sguardo, tentando di
nascondersi dietro le carte. “S-sto bene, grazie...”
Arthur
gli sorrise. Per fortuna nella sua famiglia c'erano tipi come Ray e
Kain, che erano così calmi e tranquilli che facevano
rilassare anche
lui ogni volta che li vedeva. E poi Ray era l'unico dei suoi fratelli
che svolgeva il suo lavoro egregiamente, senza intoppi né
ritardi,
al contrario di quelle altre due piaghe di Sky e Logan.
Solo
che era raro vederlo sorridere. Non perché non fosse felice
o altro,
era proprio una cosa che, gli aveva detto suo padre, aveva ereditato
dalla mamma. Era così timido che anche quando era contento
non
riusciva a sorridere. Arthur, personalmente, pensava che
probabilmente non c'era stato ancora un avvenimento che aveva reso
Ray così felice da farlo finalmente sorridere.
Al
trentatreesimo piano Ray scese salutando suo fratello, e Arthur fece
il resto del suo viaggio in ascensore da solo, finché non
arrivò
all'ultimo piano, il quarantasettesimo, dove c'era l'ufficio che era
di suo padre e quello degli affari esteri dove lavoravano i suoi
altri due fratelli.
Per
fortuna il piano era talmente grande che, anche se i due facevano
casino o cavolate per conto loro -specie Sky con i suoi
chiacchiericci-, Arthur nemmeno riusciva a sentirli, la maggior
parte delle volte.
Altri
maggiordomi si inchinarono quando Arthur passò per la lobby
e alcuni
responsabili e segretari lo salutarono.
“Ah!
Sei arrivato!” esclamò una voce familiare
emergendo dal corridoio
destro della lobby. Una testa rossa saltellante gli si
avvicinò e lo
salutò, fermandosi a pochi centimetri da lui.
“Allora, mi hanno
detto che è arrivato! Dov'è? Guarda che voglio
conoscerlo!”
esclamò ancora, sbattendo i grandi occhi verdi e
sorridendogli.
“Ti
prego, Sky, non ti ci mettere anche tu...”
mormorò, passandosi una
mano tra i capelli biondi e facendo un gesto eloquente con l'altra
mano. “È peggio delle sette piaghe d'Egitto, non
credo di
potercela fare...” continuò, affranto.
“Non
puoi arrenderti se non ci hai nemmeno provato!” gli rispose
lui,
sempre con una certa nota di vivacità nella voce, e gli
afferrò un
braccio. “Devi dimostrargli o no quanto i Kirkland siano
migliori
di lui? Devi rimetterlo in riga per bene!” gli sorrise,
annuendo e
facendogli l'occhiolino.
Arthur
lo guardò inizialmente scettico, poi tirò su un
leggero sorriso,
scuotendo la testa. “Forse saresti adatto più di
me a questo
incarico...”
“Eh?
Oh no, no!” Sky mosse una mano davanti al viso e rise
“Non credo
ne sarei capace. Ci sarà un motivo per il quale sei tu al
posto di
papà ora e non io, o Logan~ avanti, metticela
tutta!” esclamò,
chiudendo la mano a pugno, e poi colpendogli leggermente la spalla.
“Farò
del mio meglio...” sospirò Arthur, salutandolo.
Strano ma vero, ma
la chiacchierata con Sky gli aveva infuso un po' di speranza. E poi
aveva ragione: doveva dimostrare a quell'americano del cavolo quando
i Kirkland fossero migliori di lui e della sua famigliola da
strapazzo.
Quando
entrò nel suo ufficio si sedette alla poltrona e si
massaggiò
ancora la tempia. Aprì un cassetto e prese un analgesico.
Che almeno
fosse stato in forma una volta che avrebbe dovuto affrontare quella
testa con l'antenna!
Si
girò verso la finestra e ammirò la sua Londra con
un sorriso. Come
si poteva solo paragonare a quel groviglio confuso e sporco di vie
che erano le città americane?!
Vide
il Tamigi e il London Eye che girava lento, e proprio lì
vicino il
Big Ben in tutta la sua maestosità. Avrebbe giurato di poter
riconoscere ogni singola via anche guardandola dall'alto del suo
ufficio, persino la più lontana.
Le
rivolse un ultimo guardo e poi si girò nuovamente verso la
sua
scrivania, leggendo alcune carte su alcune recenti rivolte in un
filatoio in India. Sospirò, lasciandola un attimo. Avrebbe
fatto
meglio a rileggerle con più calma quando l'odioso americano
se ne
fosse andato.
Quasi
come una maledizione, la porta si aprì e l'odioso americano
entrò
così boriosamente che sembrava occupare più
spazio di quanto non
fosse in realtà.
Rupert
sembrava piuttosto scosso. Chissà che viaggio
traumatizzante, un
quarto d'ora di ascensore con quel pazzo da manicomio.
“Caspita,
ci trattiamo veramente bene!” esclamò con un
fischio il biondo,
abbassando gli occhiali da sole, per poi toglierseli e poggiarli
sulla scrivania di Arthur, prendendo tra le mani gli occhiali da
vista e mettendoli sul naso.
Aha.
Oltre che scemo anche miope. Si accomodò senza
permesso su una
delle due poltrone che erano poste davanti alla scrivania e
continuò
a guardarsi attorno, incrociando le gambe.
“Ah...
ehm.” tossicchiò Arthur, sperando di risvegliarlo
dalla catalessi.
Il ragazzo posò lo sguardo su di lui e gli rivolse un
sorriso che
aveva un non so che di infantile. Veramente puerile.
“Puoi
lasciarci soli, Rupert” disse, congedando il maggiordomo che
uscì
dalla porta con un inchino. Arthur sospirò congiungendo le
mani e
poggiandoci la fronte, non sicuro di cosa dovesse dire. L'americano
continuava a fissarlo con quel sorriso idiota e quello sguardo da
deficiente.
“Allora...
signorino.” cominciò, aprendo un cassetto per
controllare dove il
suo maggiordomo aveva lasciato la scheda del suddetto ragazzo.
“Può
ripetermi il suo nome?”
“Alfred
F. Jones, signore~” rispose allegro lui, dondolando
leggermente la
testa.
La
F sta per Fastidiosa Piaga dell'Umanità? Arthur
alzò
leggermente lo sguardo verso di lui e alzò le sopracciglia.
Trovò
il fascicolo e gli diede una veloce occhiata. Aveva diciannove anni,
ed era nato il quattro luglio. Beh, un vero americano doc, non c'era
che dire. Allargò un leggero ghigno per la
pateticità che i suoi
occhi erano costretti a guardare e poi scosse la testa, lasciando il
fascicolo sulla scrivania, premunendosi di leggerlo più
tardi.
“Allora?”
continuò la piaga, il cui sguardo e sorriso sembravano
leggermente
diversi da quelli che aveva poco prima. Sembravano diventati quasi...
di sfida.
“Allora
cosa?” domandò Arthur, alzando le sopracciglia
piuttosto sorpreso
da quel leggero ma vistoso cambiamento.
“Ha
intenzione di tenermi nascosto il suo nome per tutto il
tempo?” il
sorriso ormai si era trasformato in un ghigno, i suoi occhi azzurri
scintillavano quasi pericolosamente illuminati dalla luce del
tramonto.
“Mh.”
mormorò lui, ritraendo leggermente il viso, come se servisse
a far
cambiare espressione all'altro. “Arthur Kirkland”
concluse,
congiungendo le mani sulla scrivania.
Sentì
un leggero risolino provenire dalle labbra piegate del ragazzo, la
luce negli occhi che si faceva sempre più scintillante.
C'era
qualcosa che non andava, in quel ragazzo, senza alcun dubbio.
Il
cuore cominciò a battere quasi preso dallo spavento che
potesse
succedere qualcosa. Ma no, cosa mai sarebbe potuto succedere...?
Eppure... eppure quello sguardo era troppo strano.
Continuò
a fissarlo sottecchi. Non aveva risposto, aveva continuato a
sorridergli. E stava diventando anche piuttosto fastidioso.
“Che...”
biascicò, assottigliando gli occhi e separando le mani,
poggiandole
al bordo della scrivania. “Che cosa c'è di
divertente? Togliti
quel sorriso idiota dalla faccia”
Il
ragazzo chiuse gli occhi e lasciò andare un leggero sospiro,
mischiato ad una lieve risatina, per niente carina. Poi
tornò a
guardarlo, e con uno scatto che quasi fece cadere Arthur dalla
poltrona, salì sulla scrivania e gli tirò la
cravatta,
avvicinandolo a sé.
Non
si stava sbagliando, quel tizio era pazzo! Lo fissò con gli
occhi
spalancati spaventati a morte, mentre si specchiava nelle lenti degli
occhiali che riflettevano la sua immagine e quella della finestra
dietro di lui.
“Avanti,
amico. Lo sappiamo entrambi che questa cosa non va ad
entrambi.”
mormorò, con un tono di voce che aveva un non so che di
suadente.
“Quindi, che ne dici di fare un patto? Facciamo finta di
portare
avanti questa roba del gentiluomo, ognuno si fa i cazzi suoi, e io
non mi presento al matrimonio, che ne dici, eh, Artie...?”
continuò, tirando ancora un po' la cravatta e avvicinandosi
pericolosamente al suo viso.
“Ma
cosa...?” mormorò subito, mentre il suo petto
faceva su e giù per
lo spavento e la tensione. Un patto... far finta che stia andando
tutto bene, e ognuno per la sua strada... niente problemi, niente
sgridate, libertà e meno pensieri, nessuno a cui badare...
Poi
all'improvviso si ricordò delle parole di suo fratello Sky. Non
puoi arrenderti se non ci hai nemmeno provato! Devi dimostrargli o no
quanto i Kirkland siano migliori di lui?
Alzò
il viso, aggrottando le sopracciglia in uno sguardo fiero. No, non
poteva deludere le aspettative di Sky, e di tutta la sua famiglia. Lo
spinse, rischiando di rimanere soffocato dalla sua stessa cravatta,
ma il ragazzo la mollò fortunatamente prima di cadere
rovinosamente
sulla moquette dell'ufficio.
“Te
lo scordi, americano. Forse non riesci a comprendere la differenza
che c'è tra me e te, non scenderei a patti così
infimi neanche se
fosse la regina stessa a chiedermelo! Non tradirò la fiducia
della
famiglia Kirkland solo perché vuoi continuare a copulare
senza
riprodurti come un riccio, senza offesa per i ricci ovviamente. Tu
devi comprendere...” rise leggermente, poggiando il palmo
della
mano sopra alla scrivania e sporgendosi per osservarlo meglio.
“Che
noi inglesi siamo un passo avanti rispetto a voi, perché
dovremmo
scendere a patti con gente di basso livello come la vostra? Ho
ricevuto degli ordini... e li rispetterò, anche contro la
tua
inutile e infruttifera volontà.”
L'americano
lo fissò dritto negli occhi, mentre lo stesso sorriso di
sfida che
prima troneggiava sul proprio volto adesso era allargato su quello di
quell'inglese del cavolo. Aggrottò le sopracciglia
infastidito e si
pulì i pantaloni, continuando a lanciargli sguardi di
ghiaccio, come
se servisse a fargli cambiare idea.
Era
chiaro che con quel sopracciglione non si poteva ragionare. Gli
regalò una smorfia contenente tutto il suo disprezzo, e dopo
aver
pronunciato un forte verso di dissenso, si girò di spalle,
lasciando
l'ufficio.
Il
sorriso trionfante di Arthur si fece ancora più largo quando
l'altro
aprì la porta. Ad aspettare l'americano c'era Rupert, il suo
caro e
fedele maggiordomo.
“Rupert?
Lo lascio a te... fai in modo che non scappi e che sia pronto per la
cena, questa sera”
“Sarà
fatto, signore” rispose lui, piegando leggermente la testa ed
ordinando a due energumeni di condurlo gentilmente verso la lobby.
“Ehi,
lasciatemi!” tentò di reagire lui, ma sapeva che
sarebbe stato
inutile. Incrociò le braccia e sbuffò, mentre
ripercorreva al
contrario il corridoio.
Mentre
stava per superare la reception della lobby insieme alle due guardie
del corpo, vide due teste rosse che si avvicinavano parlandosi tra
loro.
Alzò
le sopracciglia, c'era qualcosa di familiare nei loro visi... ma
certo! Gli occhi verdi, le sopracciglia spesse... parenti
dell'inglese di merda!
“Oh!”
esclamò il più basso, con i capelli di un rosso
più acceso e gli
occhi luminosi, avvicinandosi e tirandosi dietro l'altro che, a
confronto, era un armadio. “Allora sei tu, eh?
L'americano...” lo
guardò, poi gli sorrise, sbattendo gli occhioni verdi.
Alfred
restituì lo sbatter di occhi ma non il sorriso. Il primo
stupido
inglese che invece di mandarlo a quel paese gli sorrideva neanche
fossero vecchi amici ritrovati.
“Ehi,
come ti chiami? Il mio nome è Sky Kirkland! Ah, anche se il
nostro
cognome lo saprai sicuramente, vero?” ridacchiò
girandosi verso il
ragazzo più alto che alzò le sopracciglia
piuttosto annoiato.
“Allora? Il viaggio è stato lungo? E hai
già parlato con Arthur,
vero? Chissà che impressione vi siete dati, probabilmente
non
riuscite a sopportarvi... sai mio fratello non ama molto qualsiasi
cosa che non sia inglese! Beh, ma è tipico di lui. Beh,
allora? Il
tuo nome, me lo vuoi dire?”
Ma...
quanto parla... fu il primo di Alfred, mentre fissava le
labbra
del ragazzo che si muovevano velocissime. Quasi gli ricordavano
quelle del piccolo cameriere che si era fatto nel bagno all'aeroporto
di Chicago, anche se la sensazione che avvertiva su di lui era
piuttosto diversa.
“...
Alfred.” biascicò, atterrito, senza parole. La sua
parlantina
veloce, i suoi occhi verdi come l'erba e le sue labbra l'avevano
totalmente distratto e mandato KO.
Sorrise,
e si piegò leggermente, prendendo la mano del ragazzo.
Aveva
trovato la sua prossima vittima.
“Mi
chiamo Alfred F. Jones, è un vero piacere
conoscerti...” continuò,
modulando per bene il tono della voce, portando la mano del ragazzo
vicino alle sue labbra e sfiorandola lentamente.
Sky
sbattè gli occhi e così fece Logan, suo fratello
maggiore, alzando
un sopracciglio sbigottito.
“Ehi,
cosa credi di fare, americano?!” fece quest'ultimo, separando
la
mano del fratello da quella del ragazzo usando la cartelletta che
aveva in mano come arma.
“Ehi.”
rispose Alfred, stizzito, massaggiandosi la mano. “Chi ti
credi di
essere...” sibilò, ma Sky si mise in mezzo prima
che potesse
completare la frase.
“Ah!
Ehm... non prendertela, lui è sempre così. Non
è molto socievole~”
rispose, agitando una mano. “Lui è Logan,
è il maggiore tra noi.
Su, Logan, saluta!” intimò il ragazzo, girando i
suoi occhi verdi
verso di lui.
“Tsk.”
si limitò a dire l'altro, mettendo una mano in tasca e
scostando lo
sguardo.
Mh.
Brother Complexed. Rende le cose più interessanti!♥
sorrise ancora, e fece un leggero inchino. Lanciò un ultimo
sguardo
azzurro verso quel faccino lentigginoso e lanciandogli uno sguardo
più che eloquente sulle sue intenzioni. Far
arrabbiare quell'energumeno del fratello sarà ancora
più
divertente~
Sky
sbattè gli occhi a quello sguardo che sicuramente non aveva
niente
di buono, soprattutto come gli occhi di quell'americano gli stavano
sfiorando lentamente il collo e il petto. All'improvviso la mano di
Logan gli coprì gli occhi e cominciò a tirarlo
indietro.
“L-Logan?
Che diavolo stai facendo?!” esclamò, tentando al
contempo di non
cadere e di togliersi la mano del fratello dagli occhi.
Lui
grugnì qualcosa e lanciò un ultimo sguardo
infuocato all'americano,
che sorrise ancora più vittorioso.
Non
vedo l'ora di mettere le mani addosso al tuo adorato fratellino~...
|
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Capitolo 4 *** 4. ***
4.
Logan
aggrottò le sopracciglia. Fissò le carte sulla
sua scrivania e poi
assottigliò gli occhi. Perché le mani gli
prudevano? Stupido
americano.
“Ehi,
Logan? Hai finito? Arriveremo tardi per la cena e Arthur è
già
abbastanza girato” fece Sky, prendendo la sua giacca a vento
blu
dall'appendiabiti.
“Mh.
Arrivo.” grugnì lui, lanciando un'ultima occhiata
alle carte, che
in quel momento gli parevano scritte in arabo, e alzandosi dalla
scrivania in modo rumoroso, raccogliendo la sua giacca e mettendola
addosso.
“Ehi,
sei nervoso?” domandò di nuovo Sky, infilando il
cellulare nella
tasca della giacca.
Logan
non rispose, come al suo solito, e cacciò fuori dal taschino
un
pacco di sigarette e un accendino. Sapeva che la cosa infastidiva
Sky, ma non poteva di certo smettere di fumare solo perché i
suoi
dolci occhioni verdi glielo chiedevano.
Lasciarono
l'ufficio, arrivarono nella lobby dove la segretaria li
salutò e si
inchinò. Entrarono nell'ascensore, in silenzio. Logan
sembrava
particolarmente irritato, e Sky lo conosceva troppo bene, sapeva di
non dover parlare troppo o gli avrebbe spento la sigaretta in faccia.
… ovviamente
non l'avrebbe mai fatto sul serio, ma era sempre meglio non
provocarlo.
Poi,
all'improvviso, fu il primo ad aprire bocca. “Quell'americano
non
mi piace per nulla” sibilò, a denti stretti,
fissando il suo
riflesso contro le porte dorate.
“Uh?
Perché?” domandò lui, innocentemente,
smettendo di guardare lo
schermo del suo cellulare.
Logan
gli lanciò una veloce occhiata, assottigliando gli occhi, e
Sky alzò
le sopracciglia.
“Ma...
dai” mormorò lui stesso, rimettendo il cellulare
nella tasca.
“Solo perché mi ha guardato in un certo modo non
significa di
certo che--”
“Lascia
perdere, Sky” sbottò il fratello maggiore,
togliendo la sigaretta
spenta dalle labbra per un secondo. La rigirò tra le dita e
poi la
rimise tra le labbra, mordicchiando il filtro. Gli montava una rabbia
ripensando a quello sguardo carico di lascivia che si era posato
sull'unico fratello del quale gli importasse almeno un minimo.
Eh
no, Sky no. Come si permetteva quello schifoso americano di spogliare
con gli occhi suo fratello minore? Ma altro che cartellina, la
prossima volta gli avrebbe cavato via gli occhi con le dita.
E
poi si sarebbe visto chi avrebbe riso, tra i due.
“La
macchina vi sta aspettando all'uscita, signori”
annunciò uno dei
maggiordomi, chinandosi leggermente. Sky lo salutò con una
mano
mentre con l'altra continuava ad armeggiare con il cellulare.
“Vuoi
mollare quel coso? Te lo lancio via” sputò Logan,
con una smorfia,
mentre finalmente poteva accendersi la sua sigaretta.
“Non
rompere, appena usciamo lo metto via, c'è il wireless qui e
sto
vedendo una cosa” rispose lui, gonfiando leggermente le
guance.
“Seh.
Muoviti” concluse lui, aspirando dalla sigaretta e uscendo
dall'azienda a grandi falcate.
“Un
mom...! E va beh” sbottò Sky, lasciando perdere il
cellulare e
seguendo il fratello sino in macchina.
Lo
avevano praticamente rinchiuso in quella che sarebbe stata la sua
camera per i prossimi due mesi e mezzo. Niente di che, era grande
quasi quanto la sua, ma il gusto nell'arredamento era pessimo. Il
maggiordomo dai capelli rosso scuri dell'inglese del cavolo gli aveva
indicato la camera per potersi cambiare, ma due pinguini erano
piazzati davanti alla sua porta per non farlo uscire prima di cena.
“Tsk.”
sbottò, allentandosi la cravatta quel poco che bastava per
toglierla
senza disfarla, visto che non avrebbe MAI chiesto ad uno schifoso
inglese di aiutarlo a rifarla. Si tolse la camicia del piccolo
cameriere di Chicago e la gettò per terra, era troppo
stretta per
poterne fare utilizzo più avanti, quindi l'avrebbe fatta
buttare.
Aprì una delle sue valigie, ricordandosi di dover
assolutamente
ordinare a qualcuno di sistemarne il contenuto negli armadi e
cassetti. Tirò fuori una camicia bianca e la posò
sul letto. Uff...
si era già annoiato, perché non c'era nessuno ad
aiutarlo?! Girò
gli occhi al cielo e aprì la valigia contenente i completi,
e ne
uscì uno gessato. In realtà non sapeva come si
sarebbe dovuto
vestire, ma 'sti cazzi. A lui non importava di fare bella figura.
La
porta della sua camera si aprì, ed entrò un
maggiordomo seguito da
una cameriera con le trecce, che chiuse la porta alle spalle. Si
inchinarono leggermente e Alfred alzò le sopracciglia.
“In
questa casa non c'è l'accortezza di bussare....?”
mormorò,
sbattendo gli occhi piuttosto sorpreso. E se fosse stato nudo?!
Dannazione.
“Ci
voglia perdonare per la rudezza, signore. Manca pochissimo alla cena
e siamo stati incaricati di aiutarla a prepararsi.” rispose
il
maggiordomo, piegando la testa per scusarsi. La cameriera non aveva
ancora alzato la testa da prima.
“Ah.”
fece Alfred, piuttosto shockato. Ad un cenno dell'uomo, la ragazza si
mosse velocemente e cominciò a svuotare le valigie per
riporre con
ordine ogni indumento ed effetto personale nei cassetti e negli
armadi. Alfred la osservava come se fosse una qualche specie di
fantasma terrificante.
Il
maggiordomo prese la cravatta che il ragazzo si era premurato di non
disfare e la slegò, ponendola tra le altre. Ignorando il
lamento di
Alfred, prese il completo di Calvin Klein che lo stilista gli aveva
regalato insieme ad altri cinquanta per aver posato per la sua
campagna autunno-inverno e lo posò con cura sul letto,
accanto alla
camicia bianca che Alfred aveva tirato fuori poco prima. Ottima
scelta... pensò, piuttosto scioccato dal suo
stesso pensiero. La
cameriera portò una cravatta grigia e la porse all'uomo.
“Se
vuole iniziare a cambiarsi, signorino...” cominciò
lui, prendendo
la camicia tra le mani.
“Oh.”
Alfred si risvegliò come da un sogno e sbattè gli
occhi, facendosi
aiutare a mettere la camicia. Cominciò ad abbottonarla
mentre la
ragazza puliva la giacca e i pantaloni. Quasi come una manna dal
cielo, fu il maggiordomo a legargli la cravatta e quando fu tutto
sistemato, la cameriera prese i vestiti per terra tra le mani, per
portarli a lavare.
“Ehi,
scusa. Quella camicia puoi buttarla... mi va stretta” la
richiamò
Alfred, e la ragazza annuì, uscendo dalla porta insieme al
maggiordomo.
“La
cena è praticamente pronta, signorino. Se può
scendere subito...”
fece lui, sulla porta.
Alfred
annuì distrattamente e le porta si chiusero. Uhm, almeno i
camerieri
inglesi erano efficienti. Si stiracchiò, mise il cellulare
in tasca
e uscì trionfante dalla porta, guardandosi intorno e
salutando i due
energumeni ai lati della porta, con aria di sfida.
“Dove
devo andare per la cena?” chiese, con un sorriso benevolo.
L'uomo a
destra gli indicò il corridoio e poi le scale, dicendogli di
girare
poi a destra. Alfred seguì le informazioni e
cominciò a scendere le
scale con le mani nelle tasche, pensando se fosse il caso di
fargliela pagare ora o più avanti a quello schifoso inglese.
Mentre
andava notò le cameriere che si muovevano veloci nei grandi
corridoi, poi un ragazzino molto basso con i capelli castani che
camminava a testa bassa. Si accorse delle sopracciglia folte e
capì
che anche lui doveva essere un membro della famiglia. Si
avvicinò.
“Ehilà!”
esclamò, e il ragazzino si girò quasi spaventato
e lo fissò con
gli occhioni nocciola spalancati. A parte le sopracciglia, il piccolo
non assomigliava per nulla allo schifoso inglese. Anche se in effetti
neanche gli altri due gli assomigliavano poi così tanto.
“Sa...
sal... salve” biascicò, arrossendo sulle gote.
Doveva sicuramente
essere molto timido, e anche di poche parole.
“Io
sono Alfred, e tu?” sorrise, esuberante. Metterlo in
difficoltà
sembrava proprio divertente.
“Ra...
Ray...” sussurrò, poi alzò il viso
verso di lui, come in un
impeto di coraggio, per guardarlo negli occhi e salutarlo come si
deve. Alfred ridacchiò sommessamente, divertito. Quasi
detestava
ammetterlo, ma i membri di quella famiglia sembravano decisamente
interessanti~ ma chiedere delucidazioni al piccolo scricciolo forse
non era una buona idea.
“Piacere,
Ray” rispose, allungando la mano che l'altro strinse con poca
forza. “Mi sono perso, mi accompagneresti nella sala dove
dovremmo
cenare?”
“Ce...
certo, seguimi...” biascicò lui, cominciando a
camminare
velocemente davanti all'americano, per condurlo in una stanza enorme,
tutta schifosamente decorata che vomitava cattivo gusto da ogni
parte. O almeno secondo gli standard di Alfred.
Al
lungo tavolo erano seduti una signora con lunghi capelli biondi, che
doveva più o meno avere l'età di sua madre, a
capotavola; un'altra
signora castana e boccolosa, più o meno sulla quarantina.
Accanto a
lei, poi, c'erano dei posti vuoti e dall'altra parte del tavolo era
seduto un signore, con una coperta sulle gambe e folte sopracciglia,
probabilmente o... quasi sicuramente il signor Kirkland. Accanto a
lui c'era un signore con i capelli rossi e gli occhi azzurri, che
discuteva con lui di qualcosa che sembrava essere molto divertente.
Poi c'erano altri posti vuoti e poi... lei.
Katherine
Kirkland, colei che sarebbe diventata la moglie di suo fratello
maggiore. I capelli rossi ondulati raccolti in una folta coda, un
vestitino nero e quella posa da brava ragazza che Alfred odiava.
L'aveva vista solo in foto, visto che era abilmente riuscito a
scansarsi ogni visita che la ragazza e la sua famiglia avevano fatto
a New York, ma non poteva di certo scordare la foto che troneggiava
sulla scrivania del fratello maggiore. Quegli odiosi occhi verdi
sorridenti e quelle lentiggini sul viso chiaro. Non la odiava, alla
fine era la donna che suo fratello amava, ma non poteva fare a meno
di non sopportarla.
“Ah!
Tu devi essere Alfred!” esclamò bonario il signor
Kirkland,
allargando le braccia. “Avanti, avvicinati! Non essere
timido!”
rise, facendogli segno di avvicinarsi con una mano. I due ragazzi
andarono verso di lui, Ray si avvicinò e gli posò
un tenero bacio
sulla guancia, come di consuetudine.
“Come
è andata la giornata?” chiese l'uomo,
accarezzandogli i capelli.
Ray chiuse gli occhi, le guance si arrossarono leggermente e rispose
“Bene...”
Il
padre pareva soddisfatto, Alfred invece alzò un sopracciglio
ritenendo la reazione del ragazzino decisamente poco gioviale.
Ray
si andò a sedere e Alfred piegò leggermente la
testa, prima di
allargare un sorriso. “E' un piacere conoscerla, signor
Kirkland.
Sono Alfred F. Jones, perdonate la mia irruzione in casa vostra,
spero di imparare molto dalla mia permanenza qui”
Il
signor Kirkland sembrava piacevolmente sorpreso dalle parole del
ragazzo, sorrise agli altri seduti al tavolo e poi si rivolse di
nuovo al ragazzo. “Beh, sembra che l'aria di Londra gli abbia
già
giovato!” rise rumorosamente, picchiandogli la spalla con un
palmo
della mano. Alfred spalancò gli occhi per il dolore e poi si
allontanò salutandolo mentre l'uomo continuava a ridere. Si
inchinò
all'uomo con i capelli rossi.
“Ciao
Alfred, sono Arden Kirkland, sono il padre di Katherine... non
abbiamo avuto occasione di conoscerci” sorrise e gli
allungò la
mano, che Alfred strinse con un sorriso poco convincente.
“Salve...
mi dispiace non poter essere stato presente le volte in cui siete
venuti a trovarci” si scusò, anche se in
realtà non gli
dispiaceva per nulla. L'uomo gli sorrise e lo congedò,
ricominciando
a chiacchierare rumorosamente con il signor Kirkland.
Alfred
camminò a passo lento fino a raggiungere il posto dove la
ragazza
era seduta. Aggrottò le sopracciglia, ma non voleva farle
capire
subito quanto poco le stesse simpatica.
Contrariamente
alle sue aspettative, la ragazza si alzò in piedi, gli fece
un
inchino e poi cercò di sorridergli.
Alfred
alzò entrambe le sopracciglia, non aspettandosi un gesto
così umile
da una... una inglese. Fece un leggero verso sorpreso, poi
chinò la
testa anche lui. Si avvicinò e le prese la mano per posarvi
le
labbra. “E' un piacere conoscervi, signorina
Katherine”. Quanto
gli faceva male dire una cavolata del genere.
“Oh...
ehm” sembrava in difficoltà, cominciò
ad attorcigliarsi una
ciocca di lunghi capelli rossi con le dita della mano che non era tra
quelle di Alfred.
“Il
piacere è mio... Alfred. Spero diventeremo amici
perché ehm... beh,
se non lo fossimo la vita in famiglia sarebbe piuttosto
difficile!”
ridacchiò nervosamente, poi portò la mano lungo
il vestito.
Alfred
si impietrì come avesse appena sentito una notizia
scioccante. Cosa?
No! No! Tutta l'immagine che si era creato mentalmente della ragazza
era totalmente l'opposto! Doveva essere antipatica, snob, altezzosa,
pretenziosa... un sacco di osa! Certamente non si aspettava una
ragazza che sarebbe stata perfetta per fare la commessa in un grande
magazzino alla moda.
Sbatté
gli occhi. Era solo l'inizio, no? Magari era tutta scena e in
realtà
sotto sotto era una vipera. Le risposte con un leggero verso,
annuendo e permettendole di sedersi. Sentì un leggero
sospiro di
sollievo che proveniva dalla ragazza. Forse era tesa, aveva paura di
non piacere al fratello minore del suo futuro marito. Sembrava fosse
andato tutto bene, però. Forse.
Alfred si avvicinò alla signora
bionda a capotavola e piegò la testa, ancora pensieroso. Le
baciò
la mano e poi si sforzò di sorriderle, illuminando gli occhi
azzurri.
“Lei
deve essere la signora Kirkland, lo riesco a capire dagli occhi, sono
verdi come quelli dei suoi figli” mormorò, con
voce calcolata
facendo sorridere la signora, che aveva un aspetto molto calmo e un
po' trasandato, un po' sciupato. In effetti era totalmente diversa
dalla pomposa signora che sedeva accanto a lei, che sicuramente era
la madre di Katherine.
No,
decisamente la ragazza non aveva preso nulla dalla madre a parte gli
occhi smeraldi. Lei era semplice, sembrava anche lontanamente, molto
lontanamente simpatica, e i suoi occhi non avevano di certo la luce
di altezzosità che balenava in quelli della signora.
“I
miei entusiastici ossequi, qual gaudio finalmente potervi mirare,
signorino Alfred” fece lei, allungandogli la mano che Alfred
esitò
a prendere perché stava ancora cercando di capire le prime
tre
parole della frase. Cosa...? E'... completamente impazzita?
Pensò, toccando riluttante la mano e abbassando il viso
verso di
essa, per posarvi le labbra.
“Le
mie isperanze non son state dunque disattese, potendo rimirar un
giovine tanto affabile e cavalleresco” sorrise lei, piegando
leggermente la testa in segno di assenso.
Alfred
fissò la mano della donna non sicuro di cosa dovesse
rispondere.
Sbatté gli occhi, cominciando a sudare freddo. Ma che cosa
aveva
questa famiglia?! Anzi, questa donna!
“Madre,
la prego. Dubito che il signorino Alfred possa altresì
capire il
vostro aulico modo di parlare” intervenne Katherine,
drizzando la
schiena e fissando la mamma.
La
signora allargò un sorriso piuttosto di scherno nei
confronti del
ragazzo e allontanò la mano, permettendo al ragazzo di
alzarsi.
“Vogliate
perdonarmi. Non sono abituata ad usare un linguaggio di basso
livello” rispose, sottolineando le ultime parole squadrando
Alfred.
… puttana.
In
quel momento, fece ingresso un ragazzino alto quasi quanto Ray, con i
capelli rossi e ondulati, gli occhi verdi e le lentiggini. Alfred lo
guardò per un secondo. Ma quanti cavolo sono? Si
chiese,
mentre il giovane si avvicinava a lui e lo salutava con un inchino.
“Sono
Kain Kirkland, è... è un piacere
conoscerti” mormorò e Alfred
rivedette in lui lo stesso comportamento del ragazzino dagli occhi
nocciola. Beh sì, senza dubbio erano fratelli. Presto lo
seguirono
Arthur, Logan e Sky, opportunamente cambiati e rassettati, eleganti
nei loro costumi.
Arthur
squadrò Alfred, dando poi un'occhiata alla stanza e agli
altri
ospiti. Sembrava non aver combinato nessun guaio, per ora.
Sky
si sporse per salutare Alfred, ma Logan lo trascinò via,
facendolo
sedere nel posto libero accanto a Ray e sedendosi lui stesso tra il
fratello e lo zio, occupando ogni posto disponibile da quella parte
del tavolo.
Alfred
allargò un sorriso. Ma quanto era divertente? A testa alta,
sorpassò
la signora mamma di Katherine, il ragazzino con i capelli rossi e si
andò a sedere nel posto proprio di fronte a Sky,
costringendo Arthur
ad averlo come vicino di posto.
“Spero
tu non abbia creato nessun danno o disturbo tra i miei
parenti”
sussurrò Arthur, senza guardarlo, posando elegantemente il
tovagliolo sulle gambe.
“Tsk.
Non ci sarei riuscito nemmeno volendo. Specialmente con quella
strega” sbottò Alfred, giocherellando con la punta
di una
forchetta.
Arthur
alzò le sopracciglia. “Cosa?”
continuò, quasi sconcertato.
“Lei.
La madre di Katherine” sputò lui, con un verso
schifato e
contrariato, rigirandosi la forchetta tra le mani. Arthur
lasciò
andare un leggerissimo sospiro. Beh, in fondo sapeva che poteva
trattarsi solo di sua zia, ma conoscendo l'americano... se avesse
avuto qualcosa da ridere su sua madre l'avrebbe ucciso. Con la
forchetta con la quale stava giocando in quel momento.
“Questa
serve per mangiare, sono stato chiaro? Non te l'hanno insegnato
all'asilo?” sibilò, con un sorriso beffardo e un
bel tono ironico
come solo lui sapeva fare, togliendogli la posata dalle dita e
posandola al suo posto.
“Come
sei divertente.” scimmiottò Alfred, aggrottando le
sopracciglia
con una smorfia che voleva assomigliare ad un sorriso di scherno
“Ma
ti eserciti per poter fare queste battute o ti escono
naturali?”
I
due si fissarono, entrambi con un sorriso-smorfia sul volto, mentre
l'aria attorno a loro era elettrica. Logan alzò le
sopracciglia e li
fissò annoiato, chiedendosi chi fosse il diciannovenne tra i
due.
Probabilmente nessuno, persino Kain, seduto accanto a loro, sembrava
più grande e serio.
“Direi
di fare un brindisi al nostro ospite, che si è
già dimostrato
affabile e gentile” rise il signor Kirkland alzando il
bicchiere
colmo verso il ragazzo. “Che questa esperienza ti aiuti a
maturare,
ragazzo, e che ti faccia capire quali sono i veri valori della
vita!”
esclamò, per poi cominciare a ridere sonoramente, come
prima. Arthur
scosse la testa con un sospiro, Alfred sbattè gli occhi
sorpreso.
Non
c'è niente di normale in questa famiglia...
Dopo
il brindisi le cameriere cominciarono a portare le pietanze su piatti
di porcellana; tutti mangiavano in assoluto silenzio.
“Ehi,
è vietato anche parlare a tavola?”
sbottò a voce bassa Alfred,
rivolgendosi al suo vicino di posto.
“Quando
si mangia non si parla, non te l'hanno insegnato, americano?”
rispose Arthur, senza neanche guardarlo in viso. “Dedichiamo
il
dopo cena alla chiacchierata consueta. Durante il convito mangiamo in
silenzio. E, se non ti dispiace, vorrei finire la mia bistecca. Buon
appetito”
“Tsk.”
sbottò Alfred, ricominciando a mangiare. Cuoco inglese?
Improbabile, era sicuramente la mano di un italiano quella che c'era
in quella bistecca, appunto, alla fiorentina. Alzò gli occhi
mentre
gustava il piatto, osservando ogni singolo membro della famiglia. Il
signor Kirkland era tarchiato, anziano, con i capelli bianchi e le
sopracciglia folte, un'aria bonaria ma anche seria nei suoi sguardi.
Arden Kirkland era un bell'uomo di mezz'età, con i capelli
brizzolati rossi, gli occhi verdi e piccoli, la pelle chiara e le
lentiggini. Era molto alto, magro, quasi scavato ma avrebbe sfidato
chiunque a non esserlo con una moglie del genere. Accanto a lui
sedeva il maggiore dei fratelli Kirkland, Logan. Alto, magro ma
atletico, occhi verdi e profondi, lentiggini, capelli rosso scuro,
aria truce. Certamente non un simpaticone. Ogni tanto gli lanciava
qualche occhiataccia, certamente il suo piccolo flirt con il
fratellino minore non era stato di suo gradimento... che bellezza!
Quanto adorava ficcarsi in situazioni del genere~.
Accanto
a lui era seduta la sua nuova vittima: Sky. Piccolo di statura,
almeno in confronto al fratello maggiore, capelli rossi, quasi
arancioni, occhi verdi e grandi, lentiggini sul viso, sorriso sempre
stampato sul volto. Sicuramente esuberante e molto più
vivace degli
altri fratelli. E poi aveva un culo stupendo... tra le tante cose.
Seduto
lì accanto c'era il piccolino che l'aveva accompagnato nella
sala da
pranzo, il suo nome doveva essere qualcosa tipo Ray. Basso di
statura, non gli arrivava neanche alla spalla, capelli castani, occhi
nocciola e grandi, guanciotte rosse e un'espressione sempre triste
sul viso. Quasi gli faceva tenerezza.
Poi
c'era Katherine. Occhi verdi e lentiggini, pelle chiara, capelli
lunghi e mossi, rossi come quelli del padre, raccolti in una coda
alta. Aveva il viso rotondo, quasi pacioccone, ma le braccia magre ed
esili come quelle del padre. Aveva le dita lunghe e affusolate, e un
seno piccolo, che probabilmente non arrivava neanche alla seconda
misura. Beh, nel complesso Alfred sapeva riconoscere una bella donna,
ma questo non significava di certo che doveva stargli simpatica.
Seduta
a capotavola la signora Kirkland faceva la sua figura nella sua
immensa modestia. I capelli biondi a caschetto, l'espressione calma e
dolce, gli occhi verdi abbassati sul tavolo, l'aria quasi stanca e
provata. Assomigliava molto ad Arthur, ma era sicuramente una donna
che Alfred avrebbe potuto senza dubbio ammirare ad occhi chiusi.
Tutto il contrario della madre di Katherine, avvolta nella sua
sciarpa di pelliccia, truccata così pesantemente che
sembrava
stuccata, rossetto rosso, ombretto viola, capelli corvini
probabilmente tinti, vestito da sera elegante, lunghi guanti di seta,
aria altezzosa. Ringraziava almeno che la ragazza avesse preso da
quel santo del padre, che sembrava, al contrario, una persona
squisita.
Accanto
a lui c'era un altro piccolino dai capelli mossi e rossi, l'ultimo
che si era presentato, Kain. Sembrava arrabbiato con il mondo, aveva
le sopracciglia aggrottate mentre mangiava il suo piatto, e le labbra
arricciate. Si domandava come mai tutti i fratelli erano
così
diversi, e avevano in comune solo gli occhi, fatta eccezione per il
piccolino dagli occhi nocciola. Somigliavano tutti al signor
Kirkland, ma nessuno di loro somigliava alla madre.
Beh,
coincidenza? In effetti neanche lui e suo fratello Matthew
somigliavano ad Aaron, non si erano mai posti il problema.
Una
volta finita la cena, si spostarono tutti in una sala adiacente
illuminata da un enorme lampadario e piena di poltrone pregiate,
rivestite di seta. Il signor Kirkland era seduto su una sedia a
rotelle, con la giacca da camera e una coperta sulle gambe e rideva
bonariamente come se fosse il più in salute di tutti, mentre
si
raccontavano cosa avevano fatto durante la giornata.
Ma
quanto cavolo poteva essere interessante parlare di cosa si era fatto
o non fatto in azienda?! Che noia, che noiaa...
“Ehi,
americano! Cioè... Alfred! Hai da fare? Sai giocare a CoD?
Nessuno
dei miei fratelli vuole mai giocare con me, ma tu mi sembri un tipo
che sa di cosa sto parlando!” esclamò Sky,
avvicinandosi a lui e
parlando a raffica con il sorriso sulle labbra.
Alfred
lo fissò un attimo, poi ricambiò volentieri il
sorriso, con una
punta di malizia. Il poverino non sapeva a cosa andava incontro...
“Stai scherzando? Sono un campione! Ti potrei battere anche
ad
occhi chiusi...” lo sfidò, allargando il sorriso.
Sky
ricambiò con altrettanto brio. “Ah sì?
Vediamo un po' cosa sai
fare, allora!”
“Prego,
guidami~” sorrise piegando leggermente la testa di lato.
Arthur li
fissò con la cosa dell'occhio, incerto se lasciarli andare o
seguirli.
“Ehi”
prima ancora che potesse pensare a qualsiasi cosa, Logan si
accostò
a lui con le sopracciglia aggrottate “Lo vuoi mollare solo
con
quello? Andiamo” sibilò, prendendo Arthur per un
braccio e
trascinandolo dietro i due.
“L-Logan?!”
sbottò Arthur, mentre si faceva trascinare dal fratello
maggiore.
“Che diamine...?”
“Vuoi
lasciare Sky con quello schifoso americano? Muoviti” rispose
Logan,
continuando tirarlo per il corridoio.
Arthur
lo osservò e si lasciò scappare un sorriso.
Vedere Logan che si
preoccupava per uno dei fratelli forse era una delle poche cose buone
che l'americano aveva fatto capitare in casa.
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Finalmente un nuovo
capitolo! çAç perdonate il ritardo! Ero rimasta
bloccata su un punto e non riuscivo ad andare avanti... ehm, ma salvo
imprevisti universitari il quinto dovrebbe arrivare entro un mesetto XD
morga 99, ti ringrazio ç_ç mi sorprende tu ti sia
iscritta solo per questa misera fanfic... spero continuerai a seguirmi
come tutti gli altri del resto! Vi lascio con una cover della fanfic
che ho realizzato nei momenti liberi in cui potevo scrivere ma non mi
andava u_u
Come essere un perfetto gentiluomo~
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** 5. ***
5.
La
camera di Sky si trovava in cima alle scale, nel corridoio opposto a
quella dov'erano le stanze di Arthur e di Ray. Appena aperta la
porta, Alfred pensò di essere entrato in un mondo totalmente
diverso, neanche fosse l'armadio che portava a Narnia. I corridoi di
marmo, le pareti rosse, i lampadari di cristallo e ogni decorazione
tardo-gotica lasciavano spazio ad una camera degna di un giovane
ragazzo della sua età. Bianco, verde e arancione erano i
colori che
dominavano la stanza, che quasi sembrava più piccola di
quella dove
avrebbe dovuto alloggiare lui per i prossimi due mesi.
Il
parquet di legno chiaro dominava la parte centrale della stanza, dove
al muro era appesa una televisione sicuramente full hd, mentre per
terra erano disposte in ordine varie console. Di fronte alla tv
c'erano due puff, blu, sopra uno dei quali era poggiato un joystick
wireless. Appena dietro di essi, un basso scalino portava ad un
angolo pavimentato di bianco dove c'era un bel letto a una piazza e
mezzo francese, le cui coperte erano con fantasie poco consone ad un
ragazzo della sua età, come stelle su uno sfondo blu e cose
simili.
Al lato del letto c'erano poggiati vari cuscini di dimensioni diverse
e qualche peluche, probabilmente ricordi d'infanzia, e un piccolo
netbook bianco. Sopra la testiera, nel muro erano praticamente stati
scavati degli scaffali pieni di libri e, più probabilmente,
fumetti
e giochini vari. Ad entrambi i lati c'era una piccola lampada a muro
dal design particolare. Sceso di nuovo il piccolo scalino, in fondo
alla stanza, quasi accanto al letto era poggiata la scrivania, con un
computer fisso e uno portatile, vari fogli, probabilmente di lavoro,
e altri fumetti poggiati alla rinfusa. Nascosta in un angolo, dietro
la parete dove c'era la tv, si trovava la porta del bagno, che Alfred
purtroppo non ebbe il piacere di vedere. Proprio accanto alla porta
d'entrata c'era un attaccapanni, quasi poggiato ad un armadio a muro
che si confondeva con la parete arancione.
Certamente
una ventata di aria fresca in quella casa che puzzava di vecchio.
La
luce era deliziosamente soffusa, bastavano i giusti movimenti per
creare l'atmosfera giusta, pensò Alfred accomodandosi sul
puff
accanto all'altro che aveva già preso il joystick tra le
mani.
“Ah!”
Sky sbattè un attimo gli occhi poi mollò lo
stesso al ragazzo
americano per andare a cercare l'altro, cominciando a gattonare per
il parquet come fosse un animale.
Alfred
alzò le sopracciglia e allargò un bel sorriso,
seguendo con gli
occhi ogni singolo movimento che faceva quel sedere per aria, che non
faceva altro che dirgli 'vieni a prendermi, vieni a prendermi, vieni
a prendermi...', ma non poteva di certo saltargli addosso
così, no♥
avrebbe innanzitutto creato l'atmosfera giusta, e poi quel bel
copriletto con le stelle sopra sarebbe stato presto scaraventato via
dal letto, insieme a tutti i vestiti del rossino~.
“Eccolo!”
esclamò Sky, ritornando a gattoni sul puff, sedendosi con un
saltello e avviando il gioco.
“Se
perdi cosa mi dai in cambio?” mormorò quasi
innocentemente Alfred,
con un sorriso gentile.
“Oh...
uhm, in che senso?” domandò il giovane Kirkland,
lanciandogli una
veloce occhiata per concentrarsi sulla schermata.
Alfred
si avvicinò leggermente, quasi poteva sentire il profumo dei
capelli
dell'inglese che, ignaro, continuava a far avviare il gioco che ormai
era nella sua schermata di start.
“Beh,
hai detto tu che volevi vedere cosa sapevo fare, e ti assicuro che
non sono solo bravo a giocare a CoD♥”
mormorò, malizioso, suadente nelle sue orecchie, cominciando
ad
avvicinare una mano alla sua cravatta. “Ne caso io vinca, e
vincerò... mi piacerebbe avere un premio...”
continuò, afferrando
il nodo della cravatta del giovane e cominciando a tirarlo.
“M-m
che cosa stai dicendo...?” biascicò lui, cercando
di allontanarsi
leggermente, con le guance rosse. Cosa... cosa? Ci stava provando?
Sì
che ci stava provando, stava cercando di slacciargli la cravatta!
“Oh, è cominciato!” esclamò,
lanciando una veloce occhiata alla
schermata della tv.
“Un
ragazzo della tua età dovrebbe intrattenersi con altri tipi
di
giochi♥”
fece, giocoso, Alfred, posando la mano sulle sue per togliergli il
joystick dalle dita.
La
porta si aprì, ed entrò Arthur nella stanza. O
meglio, Arthur era
il primo ma la porta era stata chiaramente spalancata dalla mano
furente di Logan.
Sky
piegò la testa di lato, osservandoli sorpreso.
“Che... cosa ci
fate qui?”
“Improvvisa
voglia di giocare.” rispose Arthur, avvicinandosi, seguito a
passo
svelto da Logan, la cui espressione avrebbe potuto bruciare
all'istante un intero bosco. Sky si aggiustò la cravatta,
sperando
non ci fosse alcun segno vistoso dello strano discorso di poco prima,
mentre il suo povero personaggio era già stato ucciso tre
volte.
“Spostati.”
sputò Logan, alzando di peso l'americano e togliendogli il
joystick
dalle mani, sedendosi al suo posto.
“Ehi,
ci stavo giocando io!” si lamentò Alfred, poggiato
al piccolo
scalino che portava al rialzo con il letto, dove Arthur si era appena
seduto.
“Ora
non più” rispose Logan, concentrato sullo schermo
tv, anche se in
realtà aveva già mandato più di
un'occhiata di fuoco al fratello
minore, che aveva stranamente le guance più rosse del solito.
Alfred
sbuffò, allentandosi la cravatta e andandosi a sedere sul
letto,
dove Arthur aveva preso possesso del piccolo netbook del fratello.
“Che
fai, spii le cose degli altri?” fece Alfred, stizzito, ma
lanciando
un'occhiata al desktop dove troneggiava come sfondo una foto in primo
piano di Sky e Logan probabilmente in qualche spiaggia assolata della
Nuova Caledonia.
“Oh.
E' dell'estate scorsa” mormorò tra sé
Arthur, aprendo con
nonchalance la cartella “New Caledonia” visto che
tanto non aveva
niente di meglio da fare e Logan l'avrebbe ucciso se se ne fosse
andato mollandolo con lo stupido americano.
Alfred
lo osservava incuriosito mentre cambiava di foto in foto. Tra i
paesaggi da sogno, il mare limpido le palme e le varie cose, c'erano
quasi esclusivamente foto del fratello maggiore.
“Ehi,
pare ci sia andato solo lui in vacanza” commentò
Alfred, con finta
nonchalance, prendendo un pupazzo tra gli altri e rigirandoselo tra
le dita.
“In
Nuova Caledonia ci sono andati solo lui e Sky, l'estate
scorsa.”
rispose Arthur, continuando a guardare le foto. Però
l'americano
aveva ragione, il 90% erano tutte con Logan, anche se non mancavano
quelle in cui c'erano entrambi.
“Oh,
si saranno divertiti un mondo...” fece Alfred, con una punta
di
secca ironia, alzando lo sguardo verso i due che giocavano.
“Sono
sempre stati legati da quando erano bambini. Nonostante Logan abbia
quel carattere... anche quando Sky venne portato via... ma
perché ti
sto dicendo queste cose?!” sbottò Arthur,
chiudendo la cartella e
picchiettando le dita sulla superficie del netbook.
“Ohh...
dai, è interessante” rispose Alfred, stendendosi
sul letto con il
pupazzo tra le braccia e sorridendogli, come a volergli far
continuare la storia.
“Che
cosa te ne importa?” continuò l'inglese, chiudendo
il computer e
poggiandolo al lato del letto.
Alfred
alzò le spalle, con un sorriso “Ho il diritto di
conoscere la
famiglia che mi ospita~”
Arthur
alzò le sopracciglia irritato, assottigliò gli
occhi ma si girò
verso di lui, inginocchiando le gambe e posandoci sopra i gomiti.
“Noi
siamo cinque fratelli, ma in realtà siamo tutti figli di
madri
diverse” cominciò, allentandosi la cravatta,
ancora incerto se
raccontare o meno la storia.
“Ah
sì? Beh si nota parecchio, anche se vi somigliate si nota
una certa
differenza!” esclamò Alfred, con una leggera
risata, non di
scherno, ma neanche di allegria.
Arthur
lo fulminò con lo sguardo e fece una smorfia, girando il
viso
dall'altra parte. “Logan è figlio della prima
moglie di mio padre,
anche se hanno divorziato poco dopo la sua nascita. Mia madre
è
l'attuale moglie di mio padre, ma lui ha avuto un sacco di amanti
negli anni successivi. Non ricordo bene, ma quando Sky
arrivò in
casa io avevo circa sei anni, e non sapevo nulla di questo fratello,
mentre pochi mesi prima era nato Ray... sua mamma era morta dandolo
alla luce quindi papà l'aveva subito fatto entrare in
famiglia. Sky
aveva un anno, Ray era appena nato, io ero piccolo e non capivo,
mentre Logan aveva già otto anni e non sopportava l'idea di
avere
così tanti fratelli. Probabilmente mia madre
cercò di farli
avvicinare perché ricordo di averli visti spesso giocare
insieme,
mentre con me non ha mai voluto giocare” sospirò
Arthur,
passandosi una mano tra i capelli. “Però quando
Sky compì tre
anni fu portato via e andò a vivere con sua madre nelle
isole Ebridi
per tipo sette anni, finché non tornò a vivere
con noi alla sua
morte”
“Ugh,
qui c'è qualcuno che porta sfiga”
commentò con una smorfia
Alfred, tirando un orecchio al pupazzo poggiato sul suo petto.
“Probabilmente
è mio padre che se le sceglie deboli di salute. Tutt'ora io
non so
se la madre di Kain è viva o meno, non l'ho mai
conosciuta”
“Mh”
rispose Alfred, fissando il pupazzo pensieroso. Ecco svelato il
mistero, erano tutti figli di donne diverse. Ma che razza di gusto
provava quell'uomo a mettere incinta tutte queste donne? Lui non
avrebbe mai sopportato di vivere con l'ansia che da un giorno
all'altro avrebbe potuto ritrovarsi un nuovo fratellino a gironzolare
per casa.
Comunque,
c'era decisamente un fondamento al complesso del fratello minore del
rosso maggiore, probabilmente qualcosa che era successa quando erano
piccoli e che sicuramente Arthur non poteva ricordare. Era
interessante. Scoprire tutti i segreti che nascondeva questa famiglia
poteva rivelarsi un utile e dilettevole passatempo nei due mesi che
lo separavano dalle nozze.
“Che
cavolo stai fantasticando con quella faccia da idiota?”
sbottò
Arthur, togliendo il peluche di Sky dal petto del ragazzo e
rimettendolo a posto.
“No!
Mi piaceva!” esclamò lui, allungando il braccio
per riprenderlo.
“Ma
smettila di fare il bambino!” rispose lui, muovendo la mano
per non
farglielo afferrare di nuovo.
“Ridammelo!”
continuò Alfred, continuando a spingersi sull'inglese per
recuperare
il peluche, afferrandolo per una zampetta.
“Ho
detto di no, stai fer--!” biascicò, mentre i
movimenti bruschi
dell'altro lo fecero scivolare e cadere sul materasso, trascinandosi
il peluche e la mano dell'americano, che rotolò sopra di lui.
“Ah!
E' mio!” esclamò, a cavalcioni su di lui, alzando
il suo nuovo
trofeo.
“Levati
immediatamente da me! Spostati!” esclamò, dandogli
dei pugni sulle
cosce per farlo spostare. Che posizione imbarazzante! Per fortuna che
i due erano troppo concentrati nel gioco per poterli calcolare.
“No.
E' la punizione per avermi tolto il peluche.” rispose lui,
arricciando le labbra con tono di sfida e mettendo il broncio come
farebbe un bambino.
“Finiscila,
e alzati subito!” continuò Arthur, cercando di
spostarsi, ma non
si poteva certo dire che l'americano fosse un fuscello.
Alfred
piegò la testa, avvicinandosi al suo viso così
tanto che le punte
dei suoi capelli poggiavano sulle guance che piano piano stavano
diventando rosse d'imbarazzo dell'inglese. Figurarsi se per lui avere
il viso così vicino a quello di un altro fosse un problema,
ma a
quanto pareva, l'algido principe dei limoni acerbi non gradiva questo
contatto ravvicinato♥.
“Cosa
c'è, Artie? Non ti piace il contatto umano? Dovresti essere
più
caloroso con i tuoi ospiti~” mormorò Alfred,
allargando il suo
sorriso di scherno sul viso.
Arthur
aggrottò le sopracciglia e cercò di spingere le
mani sul petto
dell'altro, per allontanarlo. “N-non sono fatti tuoi, io sono
come
mi pare con i miei ospiti! E ora spostati!” sputò,
girando il viso
di lato e chiudendo gli occhi, riempendolo di pugni sul petto.
Alfred
ridacchiò, decisamente divertito. Gli sembrava di prendere
in giro
un bambino delle medie, invece che un ragazzo addirittura
più grande
di lui. Che spreco di carni, che spreco di cervello. Ma doveva,
doveva divertirsi un po', praticamente si stava offrendo su di un
piatto di argento allo scherno!
Si
avvicinò ancora di più e prese a mordicchiargli
un orecchio,
assolutamente sicuro di destare una delle reazioni più
divertenti
che avesse mai visto in tutta la sua vita.
Arthur
spalancò gli occhi, fino ad allora rimasti chiusi, ed
arrossì fino
alla punta delle orecchie quando sentì i denti del ragazzo
sopra di
lui cominciare a sfiorargli il lobo, poi la conchiglia, tirando
lentamente e con sapienza.
“...
NOOOO!” urlò, spingendo via l'americano con tutta
la forza che
aveva, facendolo rotolare giù dallo scalino per finire tra i
due
puff, praticamente a viso per terra.
“Non
ti permettere mai più! Ti stacco i denti uno ad uno, ti
cucio le
labbra con la sparachiodi! Ti uccido, ti ammazzo!”
continuò, dando
in escandescenza, tenendo una mano sull'orecchio incriminato,
indicandolo con l'altra. “Se provi un'altra volta a fare una
cosa
del genere ti ritroverai la faccia come un quadro di
Picasso!”
sbraitò, pestando i piedi come impazzito e uscendo dalla
camera
sbattendo la porta.
Logan
alzò un sopracciglio e poi fissò l'americano che
nel frattempo si
era girato e fissava il soffitto con un bernoccolo sulla fronte.
“Ma
che cosa hai fatto?” domandò Sky, piegando la
testa di lato.
Alfred
cominciò a ridere sinceramente divertito, mettendosi seduto
e
massaggiandosi la fronte. “Niente, niente...”
mormorò i
risposta, prima di alzarsi e uscire dalla camera, continuando a
ridere.
Sky
e Logan si guardarono negli occhi e alzarono entrambi le
sopracciglia, confusi.
Ok,
questo era troppo, troppo. Doveva andare immediatamente da sua zia,
da suo padre, dalle forze dell'ordine, dall'esercito per far
allontanare quell'americano pazzo e maniaco da lui! Non era
possibile, perché doveva accadere a lui? Nessuno, mai
nessuno si era
mai permesso di toccarlo, figurarsi di mordicchiarlo in quel modo
così schifosamente lascivo! Aveva ancora i brividi, mentre
pestava i
piedi e a passo veloce ritornava in camera sua e sbatteva la porta
chiudendola a chiave.
Non
avrebbe potuto resistere oltre. Va bene le prese in giro, va bene i
sorrisi di scherno ma quello superava oltremodo ogni limite! Da dove
aveva preso il diritto, quello schifoso americano di potergli
mordicchiare l'orecchio?! No, no! Una cosa così sconveniente
e... e
pervertita! Non esisteva né in cielo né in terra!
No. Per ora
sarebbe andato a dormire, il giorno dopo gliel'avrebbe fatta pagare,
o non si sarebbe più chiamato Arthur Kirkland!
Alfred
si guardò intorno, confuso. Bene, davvero fantastico. E
adesso come
faceva a tornare in camera sua? Quella casa era così grande
e
sconosciuta che non si sarebbe orientato nemmeno con un navigatore
satellitare.
Ok,
doveva tornare dove quella sera avevano cenato per cercare di
ripercorrere al contrario la strada che aveva fatto con Ray Kirkland.
…
certo,
ma dov'era quella sala? Scese le scale che aveva salito con il
rossino e si guardò intorno. Sì, il senso
dell'orientamento non era
mai stato il suo forte, ma qua si rasentava il ridicolo, come poteva
perdersi in una casa?!
Scese
un'altra rampa di scale che non aveva mai visto ma che gli ispirava
fiducia. Arrivò in una stanza che gli sembrava uguale a
tutte le
altre, non c'era nessuno in giro. Che nervi! Ma dov'era tutta la
servitù che fino a tre ore prima formicolava in ogni
angolo?! Un
luce proveniva da una stanza lì vicino, Alfred decise di
sporsi per
vedere se ci fosse qualcuno che avrebbe potuto aiutarlo. Un piccolo
fuoco scoppiettava in un camino, e su un delle poltrone di velluto
disposte in ordine lì difronte c'era seduta niente poco di
meno che
la causa di tutti i suoi guai: Katherine Kirkland.
La
ragazza si girò verso di lui e si alzò di scatto,
aggiustandosi il
vestito e dedicandogli un breve inchino.
Alfred
la salutò con un breve cenno della testa, maledicendosi per
la sua
fortuna. In una casa così gigantesca invece di trovare
qualche bel
cameriere da portare in bagno si era ritrovata con l'unico essere
sulla faccia della terra che non avrebbe voluto incontrare.
“Buona
sera... non riesci a dormire?” domandò lei,
poggiandosi una mano
sul collo, nervosa.
“...
diciamo di sì” rispose Alfred, alzando un
sopracciglio. Non poteva
di certo dirgli che si era perso, non a lei.
Katherine
congiunse le mani davanti e cominciò a stropicciarsi il
vestito.
Alfred continuò a fissarla, conscio di starla mettendo in
difficoltà. Infondo non avrebbe fatto male a nessuno, farla
sentire
a disagio per un po'.
“Oh...
ehm, la settimana prossima Aaron verrà qui per qualche
giorno, lo
sapevi?” fece all'improvviso lei, alzando il viso e cercando
di
guadagnare un po' di coraggio. Non poteva mostrarsi ancora timida e
insicura con il fratello minore del suo futuro marito a due mesi
dalle nozze!
“Mh.
No, non lo sapevo” rispose seccato Alfred. E no che non lo
sapeva,
lui non sapeva mai niente, anzi. Era stato spedito a Londra da un
giorno all'altro senza neanche poter ribattere. “Non ho
potere
decisionale a casa mia, e non mi dicono niente di quello che
fanno”
rispose. Non era proprio vero, ma farla sentire in colpa sembrava
divertente.
“...
oh” mugolò Katherine, abbassando il viso
colpevole. Alfred
aggrottò le sopracciglia. Cos'era questo? Senso... di colpa?
No,
impossibile, non poteva provare senso di colpa nei confronti di
Katherine Kirkland, infondo era tutta colpa sua se lui era in quella
situazione.
…
vero?
“Che...
cosa ti sei fatto?” mormorò, avvicinandosi
leggermente e alzando
una mano verso la sua fronte, dove troneggiava il bernoccolo che si
era fatto poco prima.
“Niente!”
esclamò lui, arrossendo e nascondendo la fronte con la mano.
“S-sono
andato a sbattere, non è niente di che”
sbottò, guardando in
un'altra direzione. Ecco, una figura ridicola era proprio quella che
aspettava di fare di fronte a lei.
“Dobbiamo
chiamare qualcuno, se non metti del ghiaccio si
gonfierà” rispose
lei, afferrando il vestito e correndo verso il divano, dov'era
poggiata la sua borsetta. Prese il cellulare e digitò
velocemente un
numero, aspettando che rispondessero dall'altra parte.
“Rupert?
Perdonami se ti disturbo a quest'ora, sono Katherine. Il signorino
Jones ha una brutta escoriazione sulla fronte ma non vedo personale
in giro. Ti dispiacerebbe mandare qualcuno con del ghiaccio nella
stanza del caminetto verde? Va bene... ti ringrazio” fece,
velocemente, con un tono autoritario ma che sembrava in qualche modo
amichevole.
Alfred
la osservò con le sopracciglia alzate. “... non...
non era
necessario, sai?” sbottò, arrossendo leggermente e
scostando lo
sguardo ancora una volta.
“Vuoi
dirmi che sai già orientarti in questa casa? Io non credo.
Anche io
che ci vengo spesso mi perdo in continuazione.” rispose lei,
riponendo il cellulare nella borsetta.
Alfred
aggrottò le sopracciglia vistosamente in imbarazzo.
Scoperto. Quella
ragazza era molto più furba di quanto non sembrasse.
“Rupert
ha detto che il maggiordomo incaricato di servirti è
arrivato da
poco, si scusa del ritardo e che manderà lui così
poi potrà
portarti in camera tua” concluse Katherine, girandosi verso
di lui
e sorridendo.
Alfred
assottigliò gli occhi. No, non era gratitudine quella che
sentiva.
Assolutamente. “Grazie.” rispose, però,
incrociando le braccia
con fare stizzito.
“Di
niente” sorrise lei, sedendosi nuovamente sul divano.
Seguirono
parecchi minuti di silenzio, durante i quali Alfred continuò
a
grattarsi la nuca nervosamente e Katherine continuò a
fissare il
piccolo fuoco che scoppiettava nel camino.
“Allora...
ehm... tu non vai a casa?” biascicò Alfred, quasi
per rompere quel
silenzio snervante.
“Sto
aspettando che mio padre e mio zio finiscano di
chiacchierare”
rispose lei, girando lo sguardo verso di lui.
Bene.
La conversazione era nuovamente morta. Era così odioso stare
nella
stessa stanza con lei! Incrociò le braccia stizzito,
battendo un
piede velocemente per terra.
Per
fortuna poco dopo fece ingresso un uomo molto alto, vestito da
maggiordomo e con i capelli rossi. Ma... era il maggiordomo dello
schifoso inglese! Alfred piegò la testa di lato confuso.
“Oh,
Thomas! Non sapevo fossi stato assegnato tu al signorino Jones... ti
credevo ancora in India” sorrise Katherine, alzandosi e
avvicinandosi ai due.
Alfred
alzò nuovamente le sopracciglia.
“Signorina
Katherine, è un piacere rivedervi. Spero siate in forma. Il
signor
Kirkland mi ha chiamato espressamente dall'India per poter servire il
signorino Jones durante la sua permanenza a Londra” l'uomo
fece un
inchino sentito nei confronti di entrambi. Katherine sorrise.
Alfred
sbatté ancora gli occhi, sentendosi escluso dalla
conversazione.
“Signorino
Jones, il mio nome è Thomas e sono incaricato di servirla in
ogni
suo bisogno. Usufruisca di me come più crede” si
rivolse
finalmente a lui l'uomo.
“Oh...
ehm... certo, certo. E' un... piacere conoscerti, Thomas.”
biascicò
Alfred, ancora un po' titubante. “Sei... ehm, molto
somigliante al
maggiordomo dello schif... ehm, cioè di Arthur.”
“Io
e Rupert siamo gemelli eterozigoti, signorino. Serviamo la famiglia
Kirkland da quando siamo piccoli” informò il
maggiordomo ancora
con la testa china.
“...
ah.” fece Alfred, semplicemente. Ovvio. Poteva arrivarci
anche lui.
“Signorina
Katherine? I vostri genitori chiedono di lei, l'auto è
pronta”
spuntò all'improvviso una cameriera dalla parte opposta
della
stanza.
“Arrivo
subito!” rispose la ragazza, prendendo la sua borsa e
salutando
entrambi.
“Spero
potremo diventare amici, Alfred... arrivederci” si rivolse ad
Alfred con un sorriso.
Alfred
rispose con un cenno della testa. Ma poteva scordarselo!
Cioè... più
o meno, ecco.
Il
maggiordomo lo accompagnò nella sua camera. Si era ritrovato
praticamente dall'altra parte della casa, stupidi inglesi che
facevano le case complicate.
Congedò
Thomas e si buttò sul letto, sfilandosi la cravatta e
lanciando via
la giacca. Era a Londra da meno di ventiquattr'ore ed erano
già
successe troppe cose.
Lanciò
via tutti i suoi vestiti e si ficcò nel bagno per farsi una
doccia
rigenerante, poi si mise i boxer e ritornò nella camera con
un
asciugamano in testa. Dal suo bagaglio a mano tirò fuori il
suo
computer portatile e se lo poggiò sulle gambe. Se tutto era
andato
come doveva, Tony avrebbe dovuto già aperto l'accesso a
internet, e
infatti così era.
Non
fece neanche in tempo a collegarsi, che un messaggio spuntò
nella
cartella.
-Ciao
Alf. Sei arrivato? Tutto a posto? C'è bel tempo?
Alfred
alzò un sopracciglio e sospirò, arricciando le
labbra.
-Ciao
Matt, ovvio che sono arrivato, dove dovrei essere secondo te? Il
tempo è normale.
-Ahahah,
dai scherzavo. Hai conosciuto la famiglia? Com'è?
-E'
un caso perso. Sono cinque figli tutti di donne diverse, e sono tutti
uno più andato dell'altro. Quello che dovrebbe raddrizzarmi
crede di
essere il re del mondo. Per me è solo il principe dei limoni
acidi.
-Ahahahah,
davvero? Cinque tutti di donne diverse? Ahahah e io che pensavo che
fossi tu quello a cui piaceva farlo in giro.
-Non
paragonarmi a quel ciccione, mi offendo.
-Scherzo,
Alf. Sei nervoso? Hai incontrato Katherine? Devi salutarmela. Che ore
sono lì da te?
-...
sì. L'ho incontrata. Lo farò. Qui è
l'una e mezza di notte, devo
andare, buona notte.
-Buona
notte
Chiuse
la chat in fretta, sbuffando. L'ultima persona che voleva sentire era
il suo fratello gemello. Gli era passata la voglia persino di
navigare in internet. Poggiò il portatile sul comodino e lo
chiuse,
spegnendo la luce e stendendosi, portando un braccio sotto il
cuscino. Una bella dormita era proprio quella che ci voleva per
affrontare la giornata di domani.
-----------------------------------
Piccole
curiosità prive di interesse:
-Sky
è mancino.
-Logan
sa suonare il violino. Ma non lo fa mai davanti a qualcuno.
-Quando
devono lavorare, Arthur, Sky e Logan alloggiano in due appartamenti
vicino alla ditta, Arthur da solo, Logan con Sky.
-Katherine
rappresenta l'Irlanda.
-Ray
ama leggere. Camera sua è una piccola biblioteca e spesso lo
si vede girare con un tomo più grande di lui tra le mani.
-La
madre di Kain è viva, ma non può mantenere il
figlio, così sin da quando è nato Kain ha vissuto
nella mansione dei Kirkland con gli altri fratelli.
-Aaron,
il fratello maggiore di Alfred e Matthew rappresenta tutta l'America
settentrionale. E' biondo e ha gli occhi azzurri, ma non porta gli
occhiali.
-Logan
è alto 181 cm, Sky 170 cm, Ray 161 cm, Kain 165 cm
e Katherine 163 cm. Arthur come tutti sapete è alto 175 cm e
Alfred 177 cm.
Compleanni:
.Logan
è nato il 30 Novembre, il giorno di Sant'Andrea, patrono di
Scozia.
.Arthur
non ha un compleanno, ma di solito si 'festeggia' l'Arthur day il 3
Marzo.
.Sky
è nato il 28 Novembre, il giorno in cui le isole Ebridi sono
tornate in mano alla Scozia.
.Ray
è nato il 1 Marzo, giorno di San Davide, patrono del Galles.
.Kain
è nato il 17 Marzo, giorno di San Patrizio, patrono
d'Irlanda.
.Katherine
è nata il 6 Dicembre, giorno della dichiarazione
d'indipendenza della Repubblica d'Irlanda.
.Alfred
è nato il 4 Luglio, giono della dichiarazione d'indipendenza
degli Stati Uniti d'America.
-Arden
Kirkland è fratello minore del signor Kirkland (del quale
non ho ancora deciso un nome :D). Hanno un fratello ed una sorella
minori.
----------------------------------
Ciao a tutti. Vorrei
rispondere ad ognuno di voi ma non ci riesco ç_ç
mi dispiace... spero continuiate a seguirla e commentarla anche se non
vi ringrazio uno alla volta... grazie a tutti >u<;
|
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Capitolo 6 *** 6. ***
6.
Arthur
picchiettò la penna alla scrivania, portandosi le mani tra i
capelli. No, no. Non poteva assolutamente continuare così.
Lo
stupido americano era arrivato da neanche un giorno e già
aveva
combinato un sacco di guai! Era fuggito dall'aeroporto, aveva
strisciato l'asfalto davanti all'azienda, si era permesso di voler
scendere a patti infimi con lui, stava provando ad irretire sue
fratello minore e ultimo, ma non meno importante, aveva osato...
OSATO fare quella... quella cosa!
Arthur
si toccò l'orecchio incriminato e aggrottò le
sopracciglia furente,
sentendo il sangue che gli confluiva in volto. Poco gli mancava di
spezzare la penna tra le sue mani, tanta era la pressione che ci
stava mettendo a stringerla.
Ma
cosa, cosa diamine avrebbe dovuto fare per raddrizzare una piaga del
genere? Lui era sempre cresciuto secondo i dettati del galateo, della
cortesia, della buona educazione. Come poteva insegnare tutte queste
cose in due mesi a quel buono a nulla, rischiando, in caso di
fallimento, di rovinare le nozze di sua cugina e di venire per sempre
declassato a inetto?
Non
amava essere il presidente della società, non si sentiva
all'altezza. Ma per la famiglia avrebbe fatto di tutto. Nonostante
suo padre fosse un uomo molto... ehm, 'libertino', aveva un gran
cuore ed era solo grazie a lui se l'azienda era riuscita ad attutire
i colpi e a resistere alla recente crisi finanziaria. Non aveva fatto
mancare nulla ai suoi figli, neanche illegittimi. Tanti pezzi grossi
nel mondo del business hanno scheletri nell'armadio e figli
illegittimi che ignorano o 'aiutano' sottobanco. Suo padre invece si
era sempre fatto carico delle sue responsabilità, se
così si
vogliono chiamare. Per quanto i figli legittimi fossero soltanto lui
e Logan, suo padre non aveva mai fatto mancare niente agli altri.
Né
a Sky, né a Ray e nemmeno a Kain, e neanche alle loro
madri... o per
lo meno, per quanto ne sapeva Arthur. La mamma di Ray era morta
dandolo alla luce, quindi c'era stato poco da... aiutare. Un grande
aiuto l'aveva certamente ricevuto la mamma di Sky, prima della sua
morte. Della mamma di Kain non aveva mai indagato, infondo. C'era
sicuramente qualche motivo particolare se Kain aveva vissuto sempre
in casa Kirkland, al contrario di Sky.
… ma
non era questo il pensiero principale! Il pensiero principale era
come liberarsi del fastidioso americano o per lo meno riuscire a
trasformarlo anche solo di facciata in quello che sua zia voleva per
il matrimonio.
Ma
poi, tra tutti, perché proprio lui?! Esistevano tanti di
quei
maestri nelle arti della cortesia e buona educazione, con tutti i
soldi che avevano potevano semplicemente affittarne uno per due mesi
ed evitare a lui questa seccatura! Doveva pur portare avanti
un'azienda, lui! E vivere la sua vita in modo tranquillo, fino alla
fine dei suoi giorni!
La
sfortuna di suo padre era stata che, nonostante le sue scappatelle,
avesse avuto solo figli maschi. L'azienda era in mano sua, che era il
secondo figlio maggiore, ma nella relazione tra Aaron Jones, figlio
maggiore dell'industria meccanica Jones e sua cugina Katherine, suo
padre aveva visto un'ottima possibilità per allacciare
rapporti
economici tra le due aziende. Con un accordo del genere avrebbero
potuto certamente modernizzare i filatoi in India e renderli sempre
più efficienti, con tutti i vantaggi di condividere, ormai,
un'unica
famiglia.
Arthur
sperava che Katherine e questo Aaron potessero avere presto un
figlio, che crescesse sano, forte e intelligente per mollargli
l'azienda tra le mani e godersi un po' di meritato riposo... o per lo
meno per scollarsi di dosso la carica di presidente. Avrebbe fatto di
tutto per aiutare l'azienda in ogni suo modo, anche lavare i vetri,
se necessario, ma l'impegno di presidente era troppo gravoso per uno
come lui. E sapeva che nessuno dei suoi fratelli sarebbe stato
capace. Logan era troppo burbero e cinico, menefreghista. L'azienda
sarebbe crollata nel giro di due mesi e mezzo. Sky capiva pochissimo
di gestione interna ed economia, per questo si occupava con Logan
delle relazioni estere e di procedere agli accordi con le aziende
oltremare, oltre che svolgere la maggior parte delle business trip,
come quella in Nuova Caledonia l'estate scorsa (che poi i due
l'avevano presa come una vacanza, era tutt'altra cosa).
Ray
aveva un bel cervello, era celere, veloce, puntiglioso, preciso ma
troppo timido e pauroso, non sarebbe riuscito a prendere il mano
l'azienda neanche sotto un apprendistato lungo dieci anni. Kain era
ancora piccolo, ma aveva già manifestato il suo totale
disinteresse
per l'azienda e tutti i suoi affiliati, preferendo frequentare la
London Leiths School of Food and Wine per diventare uno chef d'alta
classe. Non aveva voluto assolutamente sentire ragioni, e suo padre
si era arreso visto che gli altri suoi figli lavoravano già
in
azienda.
Avrebbe
voluto avere un po' della fermezza di Kain. In realtà non
aveva una
vera e propria passione da seguire, né una scuola che gli
sarebbe
piaciuto frequentare, ma avrebbe tanto voluto poter far valere un po'
di più le sue opinioni all'interno della famiglia. Logan e
Kain
erano quelli che, nonostante tutto, si piegavano di meno al volere
della famiglia. Logan probabilmente lavorava in azienda
perché non
aveva di meglio da fare oltre che andarsene il sabato sera in giro
per i locali a trovare la sua prossima vittima a letto (e in questo
non era poi così differente dall'idiota americano) oppure
bere il
suo whisky a tutte le ore del giorno.
Vista
la parlantina veloce e disarmante di Sky, le relazioni estere erano
proprio ciò che sembrava adatto a lui, considerata anche la
sua
passione per i viaggi e i paesi strani.
Arthur
alzò la testa, fissando nel vuoto verso la porta. Ormai
aveva
ventitré anni, ma non aveva alcuna intenzione di sposarsi.
Probabilmente visto il matrimonio di Katherine, i suoi non si erano
permessi di uscirsene con cavolate tipo matrimonio combinato o
promessi sposi dalla nascita.
E
poi lui non aveva alcun interesse in una relazione amorosa, o si
sarebbe già trovato una bella ragazza. Troppi problemi, poco
tempo
per pensarci, un'azienda da gestire. Come avrebbe potuto trovare il
tempo per andarsi a cercare una fidanzata?
Probabilmente
era ciò che i suoi genitori sospiravano da tempo. Logan era
totalmente escluso, probabilmente non si sarebbe mai sistemato in
vita sua. Lui stesso non aveva tempo né interesse nel
cercarsi una
compagna... Sky aveva solo diciannove anni, ma come lui non aveva mai
avuto una ragazza, neanche al liceo. Strano, lo charme della famiglia
Kirkland sarebbe dovuto far morire le donne dietro quegli occhioni
verdi e quei capelli rossi. Forse il fatto che fosse un tantino
esuberante bloccava tutto quanto. Come il fatto che Arthur fosse un
pochino acido.
Più
guardava alla sua famiglia, più si disperava pensando che
probabilmente sarebbe stato l'unico a cui avrebbero potuto appioppare
un matrimonio di punto in bianco, visto che in casa sua trovavano
divertente incaricarlo di cose senza il suo permesso, informandolo
solo il giorno prima.
Quella
mattina Alfred si svegliò con una particolare voglia di
sesso. Beh,
erano già tre giorni che non lo faceva, per lui significava
abominio, infrazione delle regole. Dondolò la testa
stiracchiandosi
mentre raggiungeva gli occhiali poggiati sul comodino. Oggi doveva
assolutamente fare qualcosa, o sarebbe morto di noia. E non era
assolutamente contemplato per il grande Alfred F. Jones la morte per
tedio. Al massimo sarebbe morto facendo sesso! Sì, quella
sì che
sarebbe stata una morte figa.
Andò
in bagno a rinfrescarsi e si vestì pronto per un bel giro
turistico
per Londra. Si ammirò allo specchio, che gran bel pezzo di
manzo
aveva davanti agli occhi. Alzò le sopracciglia soddisfatto e
infilò
in tasca i suoi occhiali da sole graduati e il cellulare, con il
portafoglio e tutte le carte di credito.
Scese
fiero le scale e grazie ad una cameriera riuscì a trovare la
sala da
pranzo dove due dei fratelli Kirkland stavano facendo colazione, i
due più piccoli.
Si
sedette salutando rumorosamente i fratelli e ordinando alla cameriera
uova, bacon e succo d'arancia.
Kain
si girò verso di lui e storse il naso, Ray
continuò a bere il suo
latte senza scomporsi.
Che
famiglia noiosa.
“Ehi...”
mormorò, allungandosi verso i due con fare circospetto.
“Avete da
fare? Perché non andiamo un po' a sballarci in giro per
Londra?”
A
Ray quasi cadde il bicchiere dalle mani, l'espressione schifata di
Kain si intensificò.
“Io...
devo andare a scuola” concluse velocemente Ray, alzandosi e
prendendo la sua borsa, mettendola a tracolla sulla sua perfettamente
stirata divisa della Westminster School, la scuola più
importante e
costosa di Londra, con le sue 25mila sterline di tassa annuale.
In
pochi secondi Ray si era volatilizzato, e mentre servivano uova e
bacon ad Alfred, era rimasto solo Kain.
Il
rossino girò lo sguardo verso l'americano con un terribile
presentimento.
“Anche
tu devi andare a scuola?” sorrise Alfred, con uno sguardo che
non
voleva essere rifiutato.
“...
no. Ma non ti accompagno in giro per Londra” rispose lui,
storcendo
le labbra.
In
quel momento fece ingresso Thomas, il maggiordomo che era stato
affidato ad Alfred. Fece un breve inchino di saluto ai due, mentre
Alfred lo fissava mangiando rumorosamente.
“Buongiorno
signorino Alfred, signorino Kain” disse, alzando finalmente
la
testa. “Il signorino Arthur ha chiesto di recarsi in ufficio
nel
più breve tempo possibile”
“Oh,
che noia. Digli che ho da fare” rispose Alfred, mandando
giù le
uova che aveva ingurgitato.
“Temo
che questo non sia possibile, signorino. L'auto l'attende tra dieci
minuti fuori dall'abitazione” e detto questo si
congedò uscendo
dalla stanza.
Alfred
aggrottò le sopracciglia e sbuffò, tornando a
mangiare il suo
bacon. Ecco, neanche un giorno di libertà. Sarebbe diventato
un
frustrato! Ecco!
Si
girò verso Kain che mangiava il suo cornetto e
allargò il suo
ghigno.
“Ehi,
Kane” fece, indicandolo con la forchetta.
“Mi
chiamo Kain” redarguì lui, senza guardarlo.
“Sì,
come ti pare, tu vieni con me, vero?” continuò,
avvicinandosi con
il suo sguardo che conquista.
Kain
voltò il viso verso di lui con un'espressione sconcertata.
“Eh?!
Scordatelo.” sputò lui, storcendo il naso
nuovamente.
“Avanti,
sarà spassoso. Se sei con me ci lasceranno andare prima e
potrò
andare a farmi il giro di Londra! Vedrai che ti divertirai... fidati
di me” continuò lui, posandogli una mano sulla
spalla.
“Tu
sei tutto matto...” rispose Kain, spostandogli gentilmente la
mano
ed alzandosi. Thomas rientrò nella stanza e si
inchinò nuovamente.
“Dobbiamo
andare, signorino” fece, con calma.
“Oh!
Viene anche Kane!” esclamò Alfred, afferrando il
ragazzo per il
braccio e trascinandolo fuori dalla stanza, seguito poco dopo dal
maggiordomo.
“Che...
cosa?! No!”
Arthur
alzò le sopracciglia e sospirò leggermente
massaggiandosi la
tempia. Perché toccava a lui caricarsi di tutto il lavoro
che
bisognava fare per la sua maledetta famiglia?
Erano
in una delle sale d'aspetto della ditta, lussuosamente arredata,
quella per gli ospiti veramente importanti. Con lui c'era Katherine
ed oltre ad aspettare il disastroso americano, attendevano l'arrivo
dell'organizzatore di matrimoni e dei suoi assistenti.
“Arthur?
Va tutto bene?” domandò la cugina, grattandosi una
guancia un po'
preoccupata.
Arthur
scosse velocemente la testa e sospirò, poggiando la testa
sulla
spalliera del divano. “Da quando è arrivato
quell'americano ho un
mal di testa nonstop che non vuole passare”
lamentò, chiudendo gli
occhi.
Katherine
aggrottò le sopracciglia sentendosi colpevole e
arricciò le labbra.
“Mi dispiace”
“Non
è colpa tua, è lui che è un caso
disperato” sospirò Arthur,
massaggiandosi la tempia.
In
quel momento uno degli assistenti annunciò l'arrivo
dell'organizzatore dei matrimoni ed una donna alta e ben vestita fece
ingresso nella sala, seguita da un uomo, probabilmente il suo
assistente.
“Signor
Kirkland, è un vero onore fare la vostra conoscenza. Sono
Irene
Estellenchs,
mi occuperò del matrimonio. Lei dev'essere la signorina
Katherine,
non è vero?” la donna con un marcato accento
spagnolo sorrise ad
entrambi.
“Oh...
la prego, mi dia del tu” sbattè gli occhi
Katherine, in imbarazzo.
La bellezza latina di quella donna era veramente spiazzante.
“Prego,
accomodatevi” fece Arthur, con un cenno, indicando i divani.
La
signora si sedette mentre il suo assistente rimase in piedi e
piegò
leggermente la testa.
“Se
non vi crea fastidi ho mandato il mio altro... mh, assistente a
prenderci delle tazze di caffè, sempre che ritorni
intero...”
mormorò a denti stretti l'ultima parte, guardando altrove
con aria
preoccupata e rassegnata.
Arthur
e Katherine sbatterono gli occhi, non capendo.
L'auto
si fermò davanti all'impresa commerciale Kirkland,
scaricando
Alfred, Kain e il maggiordomo.
“Non
ho mai detto che volessi venire” borbottò Kain
furioso, mentre
saliva le scale dell'edificio.
“Ho
detto che ci divertiremo, perché non ti fidi di
me?~” rispose
Alfred, facendogli l'occhiolino. Kain rabbrividì mentre i
portieri
spalancavano il portone di vetro della ditta permettendogli di
entrare.
“Il
signorino Arthur vi attende nella sala ospiti numero 4” fece
Thomas, cominciando a guidarli verso l'ascensore.
“No,
io ho altro da fare. Ci vedia--” tentò Kain,
girando i tacchi, ma
Alfred lo tirò per un braccio e lo fece entrare
nell'ascensore.
“Daai,
non fare così!” sorrise mentre le porte si
chiudevano e
l'ascensore partiva.
Kain
lo fissò in modo sconcertato. Mai nessuno si era permesso di
trattarlo in quel modo, nessuno! Assottigliò gli occhi e si
scostò
in malo modo da lui, fissando contrariato le porte dorate
dell'ascensore.
Alfred
scosse la testa con un sorrisetto e lasciò correre. Era solo
un
ragazzino che doveva essere addestrato~. Appena l'ascensore
arrivò
al piano predestinato, Kain schizzò fuori pestando i piedi,
intenzionato ad andarsene.
“Signorino
Kain? Aspetti” intimò Thomas, con tono
preoccupato, mentre sia lui
che Alfred cominciavano a seguirlo.
“Avanti
Kane, non essere così!” ridacchiava l'americano,
che evidentemente
trovava la cosa, molto, troppo divertente.
“Non
ho alcuna intenzione di rimanere qui. Non ci volevo venire
inizialmente e non ho alcun motivo per restare! Torno a casa, Thomas,
chiamami un'auto” rispose Kain, tagliente come la lama di un
coltello, mente voltava l'angolo.
Si
accorse troppo tardi che qualcuno probabilmente aveva avuto la sua
stessa idea. Riuscì solo a vedere che c'era qualcuno prima
di
finirgli incontro urtandolo e finendo per terra con un goffo
lamento, sentendosi poco dopo le mani e il petto bruciare.
Aprì
gli occhi e vide tre coppette di carta per terra, svuotate del loro
contenuto, caffè, che parzialmente era finito per terra e
parzialmente sui suoi abiti e sul povero malcapitato di fronte a lui.
Alzò
lo guardo e a terra c'era un ragazzo alto, quasi quanto suo fratello
Logan, vestito in modo particolarmente vistoso per una ditta, la
pelle olivastra, i tratti ispanici, occhiali dalla montatura spessa e
nera, occhi verdi e capelli con uno strano taglio scalato, biondo
platino, sicuramente tinto, e un ridicolo ciuffo... rosa sulla parte
sinistra della frangia.
“Ohi...
ohi... mi dispiace, mi dispiace. Non avevo visto qualcuno stesse
girando l'angolo” fece il ragazzo, con accento spagnolo. Il
caffè
era finito sulla sua maglia bianca sporcandola e marcando in modo non
proprio casto la sua bellezza latina.
Kain
rimase fermo a fissare la maglia ormai color caffè
appiccicarsi ai
pettorali e al ventre piatto del giovane come se il suo cervello
fosse improvvisamente entrato in trance.
“V-va
tutto bene...? Ti sei scottato?” mormorò il
ragazzo, avvicinandosi
e raccogliendo le tre tazzine di caffè. “Io...
io... scusami, ma
mi sono perso” continuava, ma lo sguardo di Kain continuava
ad
essere fisso sulla maglia e il pantalone bagnati che si appiccicavano
a quelle forme.
Deglutì,
sentendo le guance che si arrossavano e dei movimenti poco sicuri tra
le sue gambe. Per fortuna qualcuno intervenne.
“È
tutto a posto, signorino?” fece Thomas, aiutandolo ad alzarsi
e
risvegliandolo dal coma.
“Oh...
oh. sì. No... cioè, penso di
sì.” ora sì che le ustioni del
caffè cominciavano a fare leggermente male. “Mi
dispiace, è stata
colpa mia” fece, cercando di non guardare il ragazzo che nel
frattempo si era alzato.
“N-no,
non è colpa tua. La colpa è mia...”
“Ok,
ok. La colpa è di entrambi. Ora vogliamo andare?”
si intromise
Alfred, cercando di liquidare il discorso. Non si poteva mica perdere
tempo in questo modo!
“Oh,
ehm... s-sei nuovo? Non ti ho mai visto qui...” domanda
più che
lecita, non avrebbero mai assunto in ditta un tipo del genere, la
curiosità sul sapere chi fosse lo stava quasi mangiando.
“N-no,
io non lavoro aquì!” esclamò,
concludendo la frase in spagnolo
per la fretta. “S-sono il... l'assistente dell'organizzatrice
del
matrimonio...”
“Oh.”
mormorò Kain, adesso si spiegava tutto. “E ti sei
perso? Stiamo
andando giusto lì, ti accompagniamo... ma prima, Thomas?
Potresti
farci avere un cambio d'abito veloce?”
Il
maggiordomo annuì aprendo la chiamata attraverso
l'auricolare.
“Contatterò la sartoria più vicina. Mi
può dire il suo nome,
signorino? Cercheremo le sue misure nel nostro database”
“Oh.
Oh.” database...?
Il ragazzo sbattè gli occhi un po' confuso.
“Gabriél. Gabriél
Estellenchs”
Gabriél...
un nome come un altro, ma nelle orecchie di Kain risuonava come il
più meraviglioso dei nomi.
… oh
no.
Erano
già passati venti minuti da quando la signora Estellenchs
aveva
fatto ingresso e del suo assistente nemmeno l'ombra.
La
signora sembrava inquieta e ogni tanto sospirava, come a voler dire
'lo sapevo, perché l'ho fatto'. Arthur e Katherine si
guardavano
interrogativi senza sapere cosa dire o fare, ma non potevano passare
la giornata aspettando che quell'assistente si facesse vivo. Lui
aveva del lavoro da fare!
“Signora
Estellenchs... possiamo cominciare se vuole”
La
donna scosse un secondo la testa e guardò Arthur per un
secondo,
alzando le sopracciglia. “Oh. Oh, certo signor Kirkland, mi
chiami pure Irene. Mi
dispiace per il tempo che le sto facendo perdere... come al solito,
affidarmi a lui è sempre un errore”
sospirò con un amaro sorriso
rassegnato.
“Vuole
che vada a cercarlo?” fece l'assistente con gli occhiali da
sole e
lo sguardo truce.
“No,
non ce n'è bisogno. Lo raccatteremo quando avremo
finito” ripose
lei con nonchalance agitando una mano.
Ma
che...? Arthur
alzò le sopracciglia e lasciò correre, infondo
non erano problemi
suoi.
Proprio
in quel momento la porta si aprì e Arthur vide fare ingresso
l'odioso americano, Thomas, un tipo dai capelli strani e suoi
fratello Kain.
“Kain?
Cosa ci fai qui?” domandò, ma non fece in tempo a
ricevere
risposta.
“Gabriél,
ma insomma quanto ci hai messo? E che diavolo è successo ai
tuoi
vestiti, dove sono finiti? E dove sono i caffè?!”
sbottò la
donna, alzandosi in piedi.
“Ehm,
è successo un piccolo incidente...”
mormorò il ragazzo,
giocherellando con le dita. La donna si passò la mano nei
capelli
castani raccolti in uno chignon lento e poi la posò sugli
occhi, con
un grosso sorriso.
“Sono
stato io. Mentre girava l'angolo gli sono finito addosso e i
caffè
sono caduti, la colpa è mia” rispose Kain, con la
sua solita aria
seria.
“...
Kain, ma tu che ci vai qui?” mormorò Arthur.
“L'ho
portato io!” esclamò Alfred, con un sorriso
giocondo.
“E
questa libertà da dove te la sei presa?” rispose
Arthur,
fulminandolo con lo sguardo.
“Mi
pareva si stesse annoiando” ribattè Alfred.
“A
te paiono troppe cose che non dovrebbero parerti.”
continuò
Arthur, aggrottando le sopracciglia.
Tutti
sembravano parecchio interessati alla loro improvvisa discussione.
Gabriél
ridacchiò nascondendosi le labbra con un pugno.
“Sembrano marito e
moglie che battibeccano”
Kain
si girò verso di lui e non gli piacque per niente il
batticuore che
gli stava salendo dal cuore fino alle orecchie, coprendo con il suo
rumore persino il litigio tra quei due.
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Questo capitolo
è un capitolo di passaggio, mi dispiace °_°
nel prossimo succederanno cose più interessanti... spero XD
ad ogni modo, Gabriél è anch'egli una nazione e
rappresenta le Isole Baleari<3 Eccolo qui -> Gabriél.
Anche se sembra bassino, qui, in realtà è alto
178 cm! Se vi interessa scoprirete di più su di lui
più avanti nella storia :3 ecco qui invece Kain
e Katherine (qui in realtà sono stati disegnati in
veste di fratelli come Irlanda del Nord e Repubblica di Irlanda, ecco
perché Kain sembra così piccolo e basso qui. In
realtà Katherine è una nanetta e Kain sta
crescendo quindi tra un po' la supererà XD)
Spero vi sia piaciuto e che continuiate a seguire questo sclero! Le
parti UsaUk arriveranno, pazientate. Fate evolvere la storia
ç_ç non siate impazienti!
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