Un comique mariage

di nefert70
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Marsaglia ***
Capitolo 2: *** Mai ***
Capitolo 3: *** Moglie e madre ***
Capitolo 4: *** Finalmente insieme ***
Capitolo 5: *** La follia ***
Capitolo 6: *** Oblio ***



Capitolo 1
*** La Marsaglia ***


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23 aprile 1680, Torino - Palazzo Canalis
Le cameriere erano affaccendate a trasportare catini di acqua calda e pezze pulite nella stanza della contessa Monica Francesca moglie del conte Francesco Maurizio Canalis di Cumiana.
La giovane duchessa soffriva da ore per un difficile travaglio mentre suo marito era in salotto con il cognato Carlo Ludovico d’Agliè e la madre la contessa vedova Anna.
Finalmente la porta si aprì e una delle cameriere entrò, in braccio il piccolo appena nato “E’ una femmina” annunciò.
La contessa Anna immediatamente si alzò dalla poltrona di velluto e prese la piccola fra le braccia, sapeva che suo figlio come tutti gli uomini desiderava un figlio maschio.
La bambina strillava e la nonna cominciò ad accarezzarla per tranquillizzarla. La neonata smise di piangere e cominciò a succhiare il dito della nonna. La piccola era straordinariamente bella, nonostante il parto non fosse stato facile. La piccola testolina era ricoperta di una folta peluria scura, la pelle era candida e gli occhi avevano una forma allungata che preannunciava sguardi ammiccanti.
“Guarda è bellissima” disse emozionata mostrando la neonata al figlio.
“Speravo fosse un maschio” le rispose brusco il conte senza neppure guardare la figlia.
La contessa lanciò uno sguardo truce al figlio e poi guardando la piccola disse “Non ascoltare tuo padre piccola mia,  sarai bellissima e  lo conquisterai presto come farai con tutti gli altri uomini, il tuo nome sarà Anna Carlotta Teresa”.
 
1 giugno 1693, Torino -  Convento della Visitazione
Suor Giuseppina non sapeva più dove guardare. La piccola era scomparsa e tra poco i suoi genitori sarebbero venuta a prenderla. Doveva assolutamente trovarla.
“Contessina Anna ?” continuò a urlare cercandola per il chiostro.
Ad un certo punto dalla folta chioma di un albero vide una testolina scura fare capolino.
La suora trattenne il respiro. La fanciulla era appesa ad un alto ramo con la testa all’ingiù. “Contessina cosa fate lassù?” chiese trepidante la suora.
 “Fate attenzione” ma non fece neppure in tempo a finire la frase che la piccola si lasciò cadere e con un’ampia giravolta finì in piedi davanti alla piccola suora.
“Sono contenta che oggi andiate via, se foste rimasta mi avreste fatto morire” esclamò suor Giuseppina arrabbiata.
Anna abbassò di lato il capo e con voce melodiosa “Veramente siete contenta che me ne vada? A me mancherete molto” e gli occhi già le si stavano velando di lacrime.
Come sempre suor Giuseppina non poteva resistere a quella bambina, un suo solo  sguardo e tutta la rabbia svaniva.  Era questo il suo maggior cruccio, la bambina era buona ma la sua bellezza era incredibile e più cresceva e più diventava bella. Cosa le sarebbe successo una volta che sarebbe uscita dalle mura sicure del convento?
“Dobbiamo sbrigarci, Vostro padre sarà qui tra poco” concluse Suor Giuseppina prendendo delicatamente il braccio della piccola e spingendola verso il dormitorio.
___
Anna aveva indossato l’abito di seta celeste che le era stato recapitato nei giorni precedenti e suor Giuseppina aveva cercato di tenera a bada i riccioli ribelli della piccola legandoli in una coda bassa sulla destra del viso. Era incantevole.
Suo padre era un uomo alto e magro, la faccia severa e il piglio autoritario. Quel giorno indossava la divisa di  ufficiale dei dragoni di SAR. Appena vide la figlia rimase senza parole, la bambina era ancora più bella dell’ultima volta che l’aveva vista, ed era anche cresciuta, ora il bel viso gli arrivava alla spalla.
“Figlia mia, siete incantevole, e il colore dell’abito scelto da vostra madre vi dono moltissimo” riuscì solo a dire.
La bambina fece un inchino come le era stato insegnato ma poi corse incontro al padre e si lanciò in un caldo abbraccio. Il padre sorrise e improvvisamente il suo volto cambiò espressione, l’unica cosa che si poteva scorgere era l’amore verso quella meravigliosa creatura.
Suor Giuseppina sorrise, la bambina aveva conquistato anche lui.
 
4 ottobre 1693 – Castello della Marsaglia
La famiglia dei conti Canalis era nel proprio castello della Marsaglia dall’estate precedente.
Il piccolo castello era di forma quadrata e con  le facciate bianche, apparteneva alla famiglia da generazioni ed era il luogo di villeggiatura estiva preferita dalla famiglia del Conte.
Il conte Francesco Maurizio era al comando del suo battaglione nell’assedio di Pinerolo che ormai si protraeva da mesi e questo era il motivo per cui la famiglia ancora risiedeva nel castello.
Il conte aveva invitato e  anche ordinato diverse volte alla moglie di rientrare a Torino ma la sua sposa si era ostinata a volergli rimane il più vicino possibile, anche se dal piccolo castello si sentivano spesso i rombi assordanti dell’artiglieria.
Anna era alla finestra  e vedeva le luci dei cannoni di entrambi gli schieramenti. Nello stesso istante la madre entrò e con voce alterata esclamò “Anna presto, preparati, dobbiamo andare via. Il nostro esercito si sta ritirando e dobbiamo fuggire”.
“Mai” rispose la piccola e continuò a guardare le luci della battaglia.
 
5 ottobre 1693, campo Sabaudo sulla strada per Torino.
La contessa Monica era disperata. Non sapeva più dove cercarla ma ormai era convinta che la piccola fosse tornata al castello. Era stato difficile convincerla a partire con loro e probabilmente, conoscendo il carattere della figlia aveva solo fatto finta di assecondarla, poi alla prima occasione era tornata indietro.
La contessa non aveva altra scelta, doveva dirlo al marito. Si avvicinò alla tenda ducale e si fece annunciare.
Quando entrò però vide solo il duca Vittorio Emanuele. “Altezza, scusatemi. Mi era stato detto che mio marito era qui con voi.” esordì la contessa. Il duca alzò lo sguardo “E’ appena andato via, Strano che non lo abbiate incontrato. Ma cosa è successo, Signora? Vi vedo sconvolta” rispose Vittorio porgendole uno sgabello da campo.
Monica non sapeva cosa fare, ma alla fine decise di confidarsi con il duca “Mia figlia altezza, è scomparsa. Credo sia tornata al castello. Se fosse stato per lei non lo avremmo mai abbandonato”.
Il duca si inginocchiò davanti alla contessa e prendendole le mani le disse “Signora, domani mattina vostra figlia sarà nuovamente tra le vostre braccia. Ve lo prometto. Ora andate e non dite nulla a vostro marito”.
___
Poche ore dopo al castello della Marsaglia
Il duca aveva indossato abiti comuni ed era giunto al castello spronando il cavallo all’impazzata.
I soldati francesi si erano accampati nello splendido parco che circondava il castello ma il duca riuscì ad intrufolarsi e a raggiungere l’interno. Ora era nascosto nel passaggio segreto che le aveva indicato la contessa e da li poteva osservare senza essere visto cosa accadeva nel grande salotto.
Il generale Catinet si era appena tolto la bionda parrucca e si stava massaggiando la nuca quando si aprì la porta ed entrarono due soldati che trascinavano una fanciulla recalcitrante.
Il duca rimase colpito nel guardare la giovane. Era dunque questa la figlia del  conte Canalis? I lunghi capelli ricci e bruni erano sciolti e le arrivavano quasi alla vita. La pelle era candida ma in quel momento le guance erano in fiamme per lo sforzo di divincolarsi dalla presa dei soldati. Il corpo era l’essenza stessa delle femminilità, sottile, sinuoso ma dalle curve arrotondate nei giusti punti. Era bellissima pur essendo ancora giovanissima, chissà che donna affascinante sarebbe diventata?
Questi pensieri distrassero il duca che non si accorse che il generale Catinet si era avvicinato alla fanciulla ed aveva cominciato ad accarezzarle la guancia.
Anna a quel contatto scalciò e colpì il generale sullo stinco sinistro, facendolo allontanare immediatamente.
“Che puledra selvaggia” disse il generale massaggiandosi la gamba.
“Non osate toccarmi mai più” ribatte Anna.
“Come mai il vostro esercito vi ha lasciato qui? Un premio per il vincitore?” continuò il generale con una sonora risata.
Anna era furiosa, quell'arrogante francese si stava prendendo gioco di lei e si era appropriato della sua casa.
“Nessuno mi ha lasciato qui. Sono tornata per uccidervi. Nessuno ha il diritto di abitare questa casa tranne la mia famiglia. Ve la farò pagare. “
Anna era senza freno. Il generale la guardava e rideva. “Voi vorrete uccidermi? E dopo? Sareste morta nel giro di pochi minuti. Lo sapete?” le chiese il generale quando smise di ridere.
“Non mi importa. Ma almeno voi non toccherete più le mie cose” gli rispose Anna alterata.
Il duca Vittorio all’interno dello stretto passaggio era impietrito, quella fanciulla aveva più coraggio di lui e di tutti i suoi generali messi insieme. Doveva fare qualcosa. Se fossero usciti salvi da li avrebbe firmato la pace con i francesi e permesso al suo popolo di ritrovare un po’ di serenità. Erano anni che il Piemonte era teatro di atroci battaglie e chi ne soffriva di più era la popolazione inerme.
“Portatela in una camera di sopra, ora ho altro da fare. Dopo penserò ad ammaestrare la piccola furia” ordinò il generale.
___
Il duca finalmente trovò la contessina.
Anna stava pensando a come fuggire. Forse avrebbe fatto meglio  a dare ascolto alla madre. Non sarebbe dovuta tornare indietro. Chissà cosa aveva in mente il generale.
Anna era immersa nei suoi pensieri quando sentì aprirsi una piccola apertura nel muro e vide uscire un uomo alto, moro e di circa trent’anni che le faceva segno di tacere.
“Chi siete?” sussurrò Anna.
“Vittorio” rispose semplicemente il duca, poi continuò “Sono venuto a prendervi, Vostra madre è in ansia per voi”.
“Devo cambiarmi d’abito”. A quelle parole Vittorio strabuzzò gli occhi, allora Anna continuò “Non vorrete che venga con voi vestita così, la gonna sarebbe d’impedimento. Per fortuna questa è la stanza di mio fratello, deve aver lasciato degli abiti”.
Il duca vide la fanciulla togliere le spille dal corpetto e sfilarlo con naturalezza senza accorgersi dell’effetto che stava facendo sull’uomo che aveva di fronte.
Per fortuna rimase con la sottogonna  perché Vittorio non avrebbe sopportato di vedere un centimetro in più della sua candida pelle.
Anna si infilò dei pantaloni maschili e poi sfilò via la sottogonna, poi si mise una camicia ed una giacca. Legò i capelli in una coda e infilò gli alti stivali. “Ora sono pronta”.
Vittorio era senza parole, nessuna donna gli aveva mai fatto un effetto simile, neppure la sua amante Jeanne,  contessa di Verrua.
Ripresosi Vittorio precedette Anna nello stretto corridoio. “Non sapevo di questo passaggio segreto” esclamò Anna. “E’stata vostra madre a descrivermelo” rispose il duca con la voce ancora colma dal desiderio represso.
Così come era entrato il duca riuscì ad uscire con la sua preziosa suddita. Salirono sullo stallone che Vittorio aveva nascosto tra gli alberi e spronandolo si diressero verso il loro accampamento. 

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Capitolo 2
*** Mai ***


1 agosto 1696, Torino – Palazzo Madama
Anna era già da quasi un anno damigella d’onore della duchessa Giovanna Battista madre dell’attuale duca Vittorio Amedeo II.  Purtroppo le continue battaglie che ancora si combattevano sul territorio piemontese tra l’esercito imperiale e l’esercito francese avevano trattenuto il duca lontano dalla corte e qualche mese prima era anche accaduto un fatto alquanto increscioso, la duchessa di Verrua, amante del duca, era stata avvelenata ed era stato proprio il duca a salvarla e così Anna non aveva ancora avuto l’occasione di conoscerlo.  
Ora era tornato, a Torino, a fine agosto sarebbe stato firmato un trattato di pace tra Francia e Ducato di Savoia.
La duchessa madre risiedeva  nel palazzo conosciuto come palazzo madama e che lei stessa aveva fatto rinnovare dall’architetto Juvarra, e ad Anna era stata assegnata un’ampia stanza poco lontano da quella della duchessa.
Devo sbrigarmi, pensava Anna, come al solito era in ritardo ma oggi era una giornata importante, il duca era rientrato da pochi giorni e proprio oggi avrebbe fatto visita alla madre.
Correndo per il lungo corridoio del palazzo Anna non si accorse della piccola corte che aveva appena salito l’ampio scalone di marmo bianco e fu così che si ritrovò tra due possenti braccia che la stringevano.
“Questo si che è un bel benvenuto a casa” la voce maschile era profonda e le ricordava qualcuno.
Anna alzò il viso e rimase senza parole anzi riuscì solo a dire “Vittorio”.
Il duca d’Ormea a fianco del duca riprese immediatamente la contessina “Mademoiselle di Cumiana, non è certo questo il modo di rivolgervi al nostro duca”.
La contessa di Verrua alle spalle del duca alzò il ventaglio a coprirsi le labbra che alla vista di quella scena si erano incurvate in un sorriso amaro. Gli occhi chiari della contessa fissarono a lungo la fanciulla tra le braccia del duca e poi esclamò “Di questa non ero stata informata”.
Anna non riusciva più a dire nulla, continuava a guardare Vittorio negli occhi ma alla fine il duca sciolse l’abbraccio e Anna dovette risistemarsi.
Fece un profondo inchino e poi con gli occhi bassi, altrimenti non sarebbe riuscita a profferire parola disse “Perdonatemi, Vostra altezza. Non vi avevo visto”
“Nessun problema, mademoiselle, non sono mai stato accolto meglio in questa casa.” poi porgendole la mano continuò  “So che siete stata nominata dama d’onore della mia signora madre. Bene accompagnateci da lei”
Anna era intimidita e non sapeva come comportarsi, prendere la mano del duca significava compromettersi, ma dopotutto non poteva certo rifiutare un tale onore, appoggio la sua manina su quella grande del duca e si diressero verso le stanze della duchessa Giovanna.
 
Settembre 1696, Torino – Piazza Castello
Dopo la pace siglata tra la Francia e il piccolo ducato di Savoia a Torino erano tornate le feste, festeggiavano i grandi signori ma anche il popolo scendeva in piazza a ballare, bere e fare l’amore.
La contessa di Verrua aveva inaugurato la moda di Versailles, le grandi dame si travestivano e partecipavano alle feste popolari, anche Anna una sera decise di provarci.
Il duca Vittorio Amedeo rideva della nuova fantasia della sua amante ma la lasciava divertirsi, quella sera però aveva deciso di travestirsi anche lui e di incontrarla senza che lei lo aspettasse, sarebbe stato un nuovo gioco che la sua Jeanne avrebbe trovato molto eccitante, ne era sicuro.
Vittorio Amedeo aveva indossato la divisa da semplice soldato e uscendo dalla porta della servitù aveva raggiunto piazza Castello gremita di gente.
C’era musica, ballo e il vino scorreva nuovamente a fiumi, il suo popolo era felice e lui era felice di avergli reso quella felicità.
Individuò immediatamente la sua preda, come facevano a non riconoscerla? La contessa di Verrua stava ballando con un capitano e sembrava non disdegnare le calorose attenzioni dell’ufficiale. Vittorio rimase per un po’ a guardare e cominciò a pentirsi della sua idea, vedere Jeanne comportarsi in quel modo non era una cosa piacevole.  Si voltò deciso a tornare verso il palazzo o ancora meglio ad andare a divertirsi con qualche giovane di facili costumi quando riconobbe la giovane contessina di Cumiana vestita da serva.
La raggiunse alle spalle e le sussurrò all’orecchio “Anche voi non avete resistito alla tentazione” Anna fece un balzo in avanti e si voltò ritrovandosi gli occhi di Vittorio Amedeo che catturavano i suoi e riuscì solo a dire “Altezza” e quando stava per accennare l’inchino Vittorio le cinse la vita e la trascinò a ballare dicendole “No, o rovinerete tutto il divertimento, questa sera siamo solo Anna e Vittorio. Siete d’accordo?”
“Si” rispose Anna già affannata dalla veloce danza.
Le ore successive furono meravigliose per entrambi, ballarono, bevvero tanto e camminarono tra la folla fino a raggiunger il lungo Po.
Anna non era mai stata tanto bene ma capiva bene che era ora di tornare “Altezza” poi si corresse con un sorriso malizioso “Vittorio, è ora di tornare verso la piazza, devo rientrare a palazzo, se vostra madre mi cercasse, come potrei spiegare la mia assenza?”
Vittorio le prese la mano “Ogni vostro desiderio è un ordine” e posò un casto bacio sul palmo della mano. Anna era un fuoco, non riusciva a staccare gli occhi da quelli del duca e quando questi avvicinò il viso al suo non oppose resistenza. Il baciò fu prima dolce, poi sempre più intimo. Anna non era mai stata baciata e non sapeva cosa aspettarsi, quando il duca insinuò la sua lingua nella sua bocca fu come stordita dalla sensazione che provò, si appoggio con tutto il suo corpo contro quello del duca e lo lasciò fare.
Quando però la mano del duca si insinuò all’interno del corpetto la sua volontà ebbe il sopravvento e si staccò ansimante da Vittorio che cercava di riabbracciarla “Vi prego non mi costringete a fuggire” gli disse tra un respiro e l’altro.
Vittorio cercò di placare il suo desiderio e riprendendo possesso della sua volontà le porse il braccio “Avete ragione è meglio tornare a casa. Vogliate perdonarmi ma siete così irresistibile.”.
Durante il resto del tragitto ne il duca ne Anna riuscivano a profferire parola, il momento che avevano vissuto era stato troppo intenso per riuscire a parlare di qualsiasi futile cosa.
Giunti alla porta della servitù di palazzo madama Anna si congedò con un inchino, Vittorio le prese il gomito e facendola voltare “Sapete che anche la contessa di Verrua all’inizio mi ha rifiutato” poi si inchinò e si diresse verso il palazzo ducale.
 
Novembre 1699 – Torino, Palazzo Madama
Le dame correvano affaccendate per preparare i bagagli e poter così raggiungere al più presto la residenza di Stupinigi, da qualche giorno c’erano stati i primi casi di vaiolo anche tra i personaggi più illustri.
Anna si diresse alle stanze della duchessa madre, bussò ed aprì la porta senza aspettare il consenso.
La duchessa era di fronte al camino acceso e stava leggendo un lettera quando la vide entrare. “Mia cara Anna, venite e leggete cosa mi scrive mio figlio. Anche la contessa di Verrua è stata colpita dal vaiolo”
Anna si portò immediatamente la mano sul cuore, il suo pensiero fu al duca “Non anche vostro figlio?”
La duchessa madre non rispose ma le porse la lettera che Anna cominciò a leggere
            Mia carissima madre,
sono costretto a scrivervi per annunciarvi che la nostra amatissima amica la contessa di Verrua è stata colpita dal vaiolo.
Tutta la sua bella persona è ricoperta da purolenti pustole. La mia carissima moglie si è prodigata nel curarla ma non posso permettere che continui.
Sarò io stesso ad occuparmi della contessa in questi tristi giorni.
Ho mandato tutti via, se lei morirà forse morirò anche io.
Vi affido i miei figli e la mia adorata moglie, prendetevi cura di loro se io non potessi più farlo.
Il vostro affezionato figlio
        Vittorio Amedeo
 
Anna si sentì svenire e si sedette sulla poltrona accanto alla duchessa “Come l’ama”  disse.
La duchessa rispose “Quella donna lo ha ammaliato, quello non è amore. Che Dio lo protegga e protegga tutti noi. Voi siete già pronta?”
“Si” fu la risposta di Anna.
 
12 ottobre 1700, Venaria (TO) - Reggia di Venaria Reale
Anna bussò all’alta porta di legno decorato. Dall’interno una flebile voce “Andate via”.
Anna non curante aprì la porta ed entrò. “Ho detto che voglio essere lasciato solo” disse il duca senza togliere le mani dalla nuca ed alzare il volto.
“Perdonatemi Vostra altezza, ho appena saputo” alla voce della contessina Vittorio si riprese, rindossò l’elegante parrucca e si alzò andandole incontro.
“La mia amante mi ha abbandonato.” iniziò a raccontare Vittorio “Che assurdità, vero? Quando mai si è sentito che una favorita abbandoni il suo amante e fugga via. E poi, dopo tutto quello che ho fatto per lei neppure sei mesi fà” continuò Vittorio con un riso amaro.
Anna non sapeva cosa dirgli, ma desiderava tanto consolarlo “Sapete,  molte volte non è per mancanza d’amore, ma forse era stanca di essere un’amante, una puttana. Come spesso la chiamavano i cortigiani”
“Essere la mia amante è un onore. Non lo sapete contessina” urlò Vittorio prendendo la mano di Anna e cominciando a baciarla.
“Altezza Vi prego” Anna non aveva mai visto il duca così alterato, tra i cortigiani vi erano racconti degli sbalzi di umore del duca ma con lei in fondo si era sempre comportato bene.
“Mia cara, cosa avete, vi sento tremare. Sapete contessina, vi ho sempre desiderato. Fin dalla prima volta che vi ho vista. E dopo quella notte non ho più dimenticato il gusto delle vostre labbra” continuò Vittorio facendosi sempre più intraprendente.
“Altezza, Vi prego. “ rispose Anna.
Gli occhi di Vittorio ora bruciavano di passione “Voi mi amate vero?”.
Anna non sapeva come rispondergli. Si lo amava, dalla prima volta che lo aveva visto alla Marsaglia. “Sapete bene cosa provo per voi” continuò Anna cercando di allontanarsi da lui.
“E’ per questo che siete qui, giusto? Volete sostituire madame de Verrua?” ormai Vittorio era accecato dal desiderio e Anna era terrorizzata.
“No, non sarò mai la vostra amante” urlò Anna e riuscendo a liberarsi dalla presa fuggì via.
“Se non sarete mia non sarete di nessun altro” le urlò dietro Vittorio guardando il pezzo di merletto dell’abito di Anna che gli era rimasto nella mano.
 
Maggio 1701, Torino – Palazzo Canalis
La famiglia Canalis era riunita nel piccolo salotto giallo al piano terra del proprio palazzo. Il conte Francesco aveva in mano una lettera e continuava a farla volteggiare in aria.
“Non è possibile. Anche il marchese di Broglio ha ritirato la sua richiesta. Prima chiedono la sua mano e subito dopo o vengono mandati al fronte o ritirano la richiesta. Non può essere una casualità” urlava il conte.
La contessa Monica tenendo una mano su quella della figlia e lo sguardo verso il marito “Mio caro vi prego non urlate, non serve a nulla alterarsi. Vi fa solo male”
Lodovico Canalis prese la parola “Padre, dovevamo aspettarcelo. Il duca boicotta tutte le offerte di matrimonio per  Anna”
“Cosa vorreste dire che avrei dovuto diventare l’amante del duca così oggi mi avreste già sposato?” Anna non aveva resistito, parlavano di lei come se non ci fosse.
“Mia cara nessuno ti ha mai chiesto e ti chiederà una cosa del genere. Ma non so cosa fare? Le tue sorelle sono tutte sposate o monache. Vuoi entrare in convento anche tu?” le chiede il conte suo padre
“Se avessi voluto farmi monaca l’avrei già fatto. E poi questa soddisfazione al duca non la darò mai” concluse Anna.
  

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Capitolo 3
*** Moglie e madre ***


15 aprile 1703, Torino – Palazzo Madama
Anna era stata convocata nelle stanze della duchessa madre ad un’ora strana, le sette di mattina. Solitamente la duchessa a quell’ora dormiva ancora.
Anna bussò alla porta e ricevuto l’invito ad entrare aprì l’alta porta. La duchessa non era sola ad attenderla, con suo grande stupore era presente anche il fratello Lodovico e Francesco Ignazio Novarina conte di San Sebastiano.
La contessina si inchinò alla duchessa madre e avvicinandosi al fratello gli porse la guancia per il bacio.
“Lodovico, cosa ci fate voi qui e a quest’ora? E’ forse successo qualcosa?” chiese Anna timorosa.
Intervenne la duchessa  “Non preoccupatevi mia cara, sono io che ho invitato questi gentiluomini nella mia stanza come ho invitato voi. Ora venite ad accomodarvi vicino a me. Ho da parlarvi”
Anna si sedette sullo stretto divano accanto alla duchessa, le mani giunte in grembo e il cuore che batteva forte.
La duchessa posando una mano su quelle della contessina continuò a parlare “So quello che mio figlio vi ha fatto e vi sta ancora facendo. Ogni pretendente viene minacciato e nessuno ha il coraggio di contrastarlo. Voi vi siete comportata virtuosamente come vi è stato insegnato e questa è la ricompensa. Se aveste ceduto probabilmente ora sareste già sposata.”. La duchessa prese fiato e poi continuò “Ho deciso di sfidare mio figlio e combinarvi un matrimonio. Il conte di San Sebastiano, qui presente, è disposto a sfidare l’ira del duca ed ha accettato di prendervi in moglie. Vostro fratello, con il consenso di vostro padre è qui per concludere l’accordo.”.
Anna aveva ascoltato senza dire nulla ora il silenzio della duchessa invitava lei a parlare. “Grazie Madame per la dimostrazione del vostro affetto. “
“Perdonatemi se mi intrometto” intervenne il conte “Contessina, so di non essere il miglior partito per voi. Sono vecchio e brutto. Ma vi posso assicurare che avrete sempre il mio eterno amore”.
Anna porse la mano al duca che la prese e la baciò “Ringrazio anche voi Conte, sono onorata di diventare vostra moglie e vi prometto la mia eterna gratitudine oltre al mio affetto incondizionato. “  e poi concluse dicendo  “Ma il duca impedirà anche queste nozze. Una volta affisse le pubblicazioni, cosa gli impedirà di allontanare il conte?”.
Lodovico, che finora era rimasto silenzioso intervenne “Non vi dovete preoccupare di questo, abbiamo pensato a tutto. La duchessa si occuperà di ottenere la dispensa dalle pubblicazioni dall’arcivescovo Vibò.  Il marchese di Entraque, Il marchese Pallavicino e il conte Pertengo sono disposti a farvi da testimoni. Sarete informata della data del matrimonio solo il giorno prima. Ne capite certo il motivo.”
Anna alzò gli occhi verso il fratello e rispose “Certamente”.
 
21 aprile 1703, Torino – Cattedrale di  San Giovanni Battista
Ore 23.30 – La chiesa era buia e silenziosa, Anna accompagnata dal fratello Lodovico entrò timorosa. Si fecero il segno della croce e si diressero decisi verso l’altare. Il conte di San Sebastiano era già arrivato e attendeva la sposa sull’altare. Anche i testimoni  e il vescovo erano presenti.
Il Vescovo li unì in matrimonio con la formula di rito e dopo la firma del registro da parte degli sposi e dei testimoni, tutti stava per tornare nelle proprie stanze quando una guarnigione di guardie fece irruzione nella cattedrale.
I presenti rimasero pietrificati. Cosa significava?
Dalle due ali di guardie venne fuori il duca Vittorio Amedeo, lo sguardo truce, gli occhi iniettati d’odio. Si avvicinò alla contessina e prendendola per il gomito la spinse “Come avete osato? Avrete molto tempo per pentirvene.  Portatela al convento della Visitazione di Pinerolo e che non esca mai più”.
Il conte cercò di difendere la moglie ma immediatamente fu circondato da due guardie che lo bloccarono e trascinarono via.
“Portateli via tutti. Imprigionateli a Rivoli.” urlò il duca uscendo.
 
Pinerolo (TO) – Convento della Visitazione
Luglio 1703
Anna era stata convocata nell’ufficio della madre superiore, bussò ansiosa. Chissà cosa era successo? Sperava non la trasferissero.
Appena entrata si fermò davanti alla scrivania di legno scuso e aspettò che la madre badessa le rivolgesse la parola.
La madre era  intenta a leggere una missiva ed un’altra era posata sulla scrivania.
“Mia cara a corte non si sono dimenticati di voi. “ disse la madre alzando lo sguardo  e porgendogli la lettera ancora chiusa che era sulla scrivania.
Anna l’aprì.
            Mia cara contessa,
non vi abbiamo dimenticato. Sto facendo tutto quello che è in mio potere per intercedere a Vostro favore presso mio marito il duca. So che non avete fatto nulla per meritarvi ciò che vi è stato imposto. Non so quanto tempo ancora dovrete rimanere segregata, per il momento sono riuscita solo a far liberare vostro marito e gli altri gentiluomini presenti la sera del vostro matrimonio. Abbiate fede.
Vostra
Anne Marie duchessa di Savoia
_______
Gennaio 1707
Anna era inginocchiata nella sua cella quando la  madre badessa aprì la porta “Perdonatemi, contessa.”.
Anna girò il volto e vedendo la suora si alzò in piedi. “Ditemi madre”
“Ho appena ricevuto questo messaggio dalla corte” disse porgendogli  la missiva “Finalmente siete stata graziata. Potete tornare a casa. Vostro marito vi sta aspettando fuori. “ disse
Anna non riuscì a trattenere le lacrime  “Finalmente” disse abbracciando l’anziana suora i cui occhi erano anche essi velati di lacrime.
Erano quattro anni che Anna non vedeva il marito, il conte appena la vide uscire dal portone del convento le corse incontro e prendendole le mani le baciò.
“Mia cara non vedevo l’ora di rivedervi. Sapervi dentro quelle mura era per me terribile. Io fuori e Voi ancora rinchiusa. “
“E’ stato giusto così, ero io la causa di tutto” riuscì solo a dire Anna.
Quando la carrozza partì Anna vide il conte titubante e gli chiese “Cosa succede, Francesco? Ditemi”
“Anna, non so come dirvelo. So che se avreste potuto scegliere non sareste mai diventata mia moglie. Meritavate e meritate molto di più. Quindi sono disposto a ritirarmi e accettare un’annullamento” disse tutto d’un fiato il conte.
“Mio caro Francesco non potevo desiderare sposo più devoto e affettuoso di voi. Desidero solo diventare vostra moglie a tutti gli effetti e rendervi felice. “ rispose Anna poggiando la sua mano su quelle sudate del duca.
“Mia cara” riuscì solo a rispondere il duca Francesco baciandole la mano.
 
25 gennaio 1710, San Sebastiano (TO)  – Castello di San Sebastiano
Anna era seduta accanto al fuoco e sorrideva guardando suo marito giocare con la loro primogenita, Paola di neanche due anni.
La prima fitta fece fare una smorfia alla contessa ma nessuno se ne accorse.
Alla seconda Anna tentò di alzarsi e subito si sentì bagnare le gambe da un liquido caldo, le si erano rotte le acque.
“Francesco, Vi prego mandate a chiamare la levatrice, vostro figlio vuole nascere” disse ansimante Anna.
Appena la piccola Paola vide sua madre in piedi le corse in contro credendo che volesse giocare con lei, immediatamente il padre la prese in braccio e la consegnò ad una delle cameriere.
“Vado subito mia cara ma prima vi accompagno in camera” le rispose.
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Anna era distesa sul grande letto in ferro battuto nero sormontato da un baldacchino di broccato rosso cupo foderato di seta greggia.
Quando la levatrice arrivò il bambino stava per uscire, “Non avete voluto aspettarmi signora contessa” le disse appena contemplata la scena.
“Veramente è lui che non ha voluto” e poi urlò.
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Anna teneva fra le braccia suo figlio, il suo primo figlio maschio, Francesco sarebbe stato contento.
Il conte entrò nella stanza e vide sua moglie e suo figlio, si avvicinò e pose un bacio sulla fronte di Anna che alzando lo sguardo gli sorrise.
“Nostro figlio” gli disse porgendogli il bambino.
“Paolo Federico. Sarai un valoroso soldato” sussurrò il conte .
 
31 marzo 1715, Torino - Palazzo reale, gabinetto reale
Dal 1713 il duca Vittorio Amedeo e la consorte Anna Maria erano stati incoronati re e regina di Sicilia ed erano rientrati a Torino solo nel settembre 1714, pochi mesi dopo era scoppiata in città l’ennesima epidemia di vaiolo.
La corte era a lutto, il 22 marzo era morto l’erede al trono, il principe di Piemonte Vittorio Amedeo ed il re era come impazzito, dalla morte del figlio non era più uscito dalle sue stanze e neppure la regina era riuscita a convincerlo a ritornare ai suoi doveri.
Nonostante il pericolo per la sua salute e per quella della creatura che portava in grembo,  Anna non poteva rifiutarsi di accorrere nelle stanze della regina che l’aveva convocata.
La regina era avvolta nell’abito nero da lutto e nonostante il dolore cercava di adempiere i suoi doveri e sostituire il marito nei propri.
“Mia cara contessa” la salutò la regina appena la vide “sono così felice di vedervi. Ho bisogno del vostro aiuto”.
Anna si alzò dall’inchino e rispose “Sono al vostro servizio maestà, sapete che non posso rifiutarvi nulla”.
“Dovreste andare da mio marito” disse solo la regina. Anna la guardò stupita e non sapeva come risponderle, era molto offesa.
“Maestà, chiedetemi tutto ma non questo. Oltretutto sono al termine della mia gravidanza” riuscì solo a dirle.
“Perdonatemi contessa, mi sono espressa male. Dovrete andare da mio marito ma per cercare di convincerlo” poi precisò “a parole, conosco la vostra moralità. Ed è proprio per questo che chiedo a voi questo favore. Mio marito non vi ha mai dimenticato. Credo che siate l’unica che gli abbia detto no. Quindi forse siete anche l’unica che può farlo rinsavire in questo momento.”.
“Capisco, solo che l’ultima volta che sono andata da lui per dimostrargli la mia amicizia.” Anna si interruppe pensando all’ultimo incontro con Vittorio Amedeo. “ Sapete come è andata a finire”
“Lo so, ma credo che questa volta sarà diverso. Mi rimanete solo voi. Vi prego”  la regina aveva concluso e la risposta non permetteva repliche.
___
Mezz’ora dopo - Stanze del re
Anna bussò alla porta, come si aspettava non ricevette risposta allora tentò di aprirla ma era chiusa dall’interno.
Anna si fece coraggio “ Maestà, sono la contessa di San Sebastiano. Vi prego di aprirmi. Ho necessità di parlarvi”
Dall’interno il silenzio.
Anna ricominciò a bussare “Maestà Vi prego, rispondetemi”.
“Andatevene” fu la sola risposta che ricevette.
“Maestà, l’ultima volta ci siamo lasciati male, dobbiamo parlare” fu la sola cosa che le venne in mente.
“Non temete per la vostra incolumità” rispose provocatorio Vittorio Amedeo.
“No.  So, che non mi fareste alcun male” disse Anna pregando nel suo cuore che fosse la verità.
Per un momento pensò che neppure questo avesse convito il re poi sentì scattare il chiavistello.
Anna fece un profondo respiro ed entrò.
La stanza era immersa nel buio e l’aria era impregnata degli effluvi corporei di molti giorni. Per un momento temette di vomitare poi per fortuna il re scostò una pesante tenda ed aprì una finestra.
“Avvicinatevi alla finestra, contessa. Non vorrei che mi sveniste. “ disse Vittorio Amedeo.
Il re si ritrovò ad ammirare come sempre la sconvolgente bellezza della contessa che neppure la gravidanza aveva intaccato, anzi le donava ancora più dolcezza.
“Non vi sembra inopportuno mostrarmi la vostra felicità proprio in questo momento” disse Vittorio Amedeo indicando il ventre pronunciato della contessa.
“Perdonatemi, maestà  la cosa non è voluta “ rispose Anna.
“Si certo. Quanti figli avete?” continuò il re
“Questo è il mio sesto figlio. Paola ha sette anni, Paolo Federico cinque, Carlo quattro, Giacinta tre e Clara ha appena compiuto un anno” si dilungò Anna pensando ai suoi figli.
“Allora siete felice? Nonostante tutto?” chiese ancora il re sedendosi sull’ampia poltrona di fronte al camino e facendo segno alla contessa di accomodarsi sull’altra.
“Sì, maestà. Mi ritengo una donna molto fortunata. Mio marito è un bravo uomo che mi ama e mi apprezza ed ho dei figli stupendi” rispose la contessa aggiustando le pieghe della gonna del suo semplice abito nero.
“Allora ditemi perché siete venuta qua?” Vittorio Amedeo era stanco dei convenevoli, gli faceva piacere la presenza della contessa ma la vicinanza era sempre per lui fonte di tensione. Il desiderio per quella donna non si era ancora spento e ormai sapeva che non si sarebbe mai spento. Desiderava che la contessa dicesse ciò per cui era venuta e lo lasciasse nuovamente solo con i suoi pensieri.
“L’intera corte è preoccupata per la vostra salute e per il regno” cominciò la contessa  “Non potete rimanere segregato in queste stanze per sempre, la vostra salute ne risente e così anche il governo. Vi siete guardato maestà? Siete l’ombra del potente sovrano che appena un anno fa è rientrato dalla Sicilia. Capisco che la morte di Vostro figlio vi ha distrutto. Sono madre e quindi posso immaginare il dolore che provate. Ma non potete dimenticare di essere anche un sovrano. Il popolo è anche vostro figlio. Il popolo ha bisogno di voi. “ Anna non sapeva più cosa dire. Perché il re avrebbe dovuto darle ascolto, probabilmente erano cose che aveva già sentito.
Anna continuò alzandosi dalla poltrona “Probabilmente non vi ho detto nulla che non vi era già stato detto e che voi non sappiate. Mi è stato chiesto di intercedere e l’ho fatto. Ma perdonatemi l’ardore, sono contenta di averlo fatto. Sapete che vi sono sempre stata affezionata. Mi dispiaceva pensare a come ci eravamo lasciati l’ultima volta. Spero che dopo oggi, qualunque decisione prendiate mi consideriate sempre come un’amica fedele. Ora vi lascio. Spero che molto presto vi vedremo riprendere i vostri doveri.”.
Vittorio Amedeo allungò la mano e prese il polso delicato della contessa e le baciò il palmo della mano. “Perdonatemi contessa, per tutto il male che vi ho fatto”  e la lasciò andare. 

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Capitolo 4
*** Finalmente insieme ***


27 settembre 1724, Torino - Palazzo Novarina
La contessa vestita nel suo abito nero da lutto era alla scrivania che era stata del marito. Con le lacrime agli occhi stava cercando di capire cosa il notaio le stava spiegando quando un valletto le consegnò una lettera.
Il sigillo era quello del re.
“Perdonatemi un momento” disse al notaio e dopo aver rotto il sigillo si avvicinò alla finestra per leggere la lettera.
Torino, 26 settembre  1724
            Mia cara contessa,
sono addolorato per  la triste perdita che avete subito.
Vostro marito era un uomo buono e giusto che, nonostante gli avvenimenti passati, ho potuto conoscere e annoverare tra i cari amici in questi ultimi anni.
Posso immaginare la situazione in cui vi state trovando con sette figli in tenera età.
Se non sbaglio il vostro ultimogenito ha appena compiuto due anni?
Spero che vogliate ascoltare i miei consigli come io a suo tempo ascoltai i vostri.
Avete bisogno di un’occupazione a corte che vi tenga occupata e quindi vi propongo di entrare a far parte delle dame di mia nuora la principessa Polissena, che come sapete è appena giunta a Torino ed ha bisogno di persone amiche al suo fianco.
Appena vi sarete ripresa dal vostro lutto raggiungeteci a corte e prendete il posto che vi spetta di diritto.
Il sempre vostro affezionato
             Vittorio Amedeo
 
 
26 settembre 1728, Torino, Palazzo reale
Il re e il principe di Piemonte Carlo Emanuele erano nel gabinetto regio. Il re era in piedi alla finestra. L’abito a lutto per la recente morte della regina Anne Marie rendeva la sua figura ancora più cupa. Anche il principe era in piedi di fronte alla scrivania e in lui l’abito a lutto acuiva l’aspetto gracile e l’incurvatura della schiena.
Carlo Emanuele era famoso per la sua poca loquacità ma adesso sembrava un fiume in piena. Suo padre aveva appena fatto spostare la sua camera da letto.
“Come vi siete permesso? Ora non sono neppure libero di dormire con mia moglie? Ho assecondato tutti i vostri capricci anche quello di non andare a caccia tutti i giorni. Ma ora questo non l’accetto.” concluse Carlo Emanuele lanciando uno sguardo iroso al padre.
Vittorio Amedeo si voltò molto lentamente e stranamente era tranquillo. “Hai finito?” gli disse solamente. Poi non ricevendo risposta continuò “Mi sono permesso perché sono il re. Tua moglie ti distrae dalla politica. Tu un giorno mi succederai e non puoi farti dominare da una donna”.
“Proprio voi mi dite questo. “ Carlo Emanuele era ormai senza freni “Mia madre è ancora calda nella tomba e la contessa non fa che entrare e uscire dalle vostre stanze” il suo odio per Anna finalmente fu espresso. “Anzi forse ho capito, padre. Volete avere libero accesso alle stanze di mia moglie, senza la mia presenza, quando volete vedere la vostra amante”.
Vittorio Amedeo cominciava ad irritarsi “La contessa non è la mia amante e tu lo sai benissimo. Tua madre le ha concesso la sua amicizia e questo dovrebbe farti capire molte cose”.
“Mia madre era troppo buona. Ha persino curato la vostra precedente favorita, la contessa di Verrua. Quindi questo non significa nulla” rispose Carlo Emanuele.
“Ti ho detto che non centra nulla con la mia decisione riguardo alla tua stanza. “ rispose Vittorio Amedeo.
“Perdonatemi di dubitarne. Comunque sappiate che non rispetterò la vostra decisione né ora né mai” concluse Carlo Emanuele uscendo sbattendo la porta.
 
31 maggio 1730, Stupinigi – Palazzo di caccia
La corte si era da poco trasferita per trascorrere qualche giorno nella riserva di caccia reale. La contessa Anna era ancora indaffarata a far disfare i bagagli dalle cameriere quando sentì bussare alla porta.
Una delle giovani cameriere andò ad aprire e il re entrò stranamente solo nella stanza.
Anna fu sorpresa, si inchinò e domandò “Maestà. Cosa vi porta nelle mie stanze e da solo?”.
“Per favore lasciateci soli. Ho bisogno di parlare con la contessa in privato. “ disse solamente Vittorio Amedeo.
Anna congedò le cameriere e poi indicò la poltrona al re perché vi si accomodasse.
Dopo che si furono entrambi seduti, Anna non resistette a chiedere “Maestà, non vi sembra poco opportuno una vostra visita da solo nelle mie stanze. La corte ha già frainteso i nostri rapporti. Oggi penseranno di averne la conferma”
“Sinceramente non mi interessa. Sto per prendere una decisione molto importate ed ho  bisogno di Voi. Dovete essere la mia donna”  Anna quando udì le parole di Vittorio trattenne il fiato. Non di nuovo. Come faceva a dirgli di nuovo di no.
“Maestà, vi ho già dato la mia risposta molto tempo fa e non ho cambiato idea. Se volete che lasci la corte, lo farò Ma non sarò mai la vostra amante” disse tutto d’un fiato.
Vittorio sorrise “Vi conosco e ricordo anche molto bene la vostra risposta. Infatti, vi sto chiedendo di sposarmi. Morganaticamente. “
“Perdonatemi maestà, credo di non aver capito?” Anna era rimasta senza parole.
“Ho intenzione di sposarvi morganaticamente come Luigi XIV fece con madame de Maintenon. Credo che questo possiate accettarlo”  Vittorio dicendo queste parole si alzò in piedi e porse la mano alla contessa. Anna guardandolo negli occhi posò la sua mano in quella del re e alzandosi “Certo maestà. Sarò onorata di diventare vostra moglie.”
Vittorio Amedeo abbracciò Anna e finalmente dopo trentaquattro anni le loro labbra si riunirono. Sembrava che il tempo stesse tornando indietro. Erano di nuovo solo Anna  e Vittorio. Erano di nuovo in via Po a Torino in quella notte di festa, finalmente si erano trovati per non lasciarsi più.
 
8 agosto 1730, Torino – Palazzo reale
Anna ormai entrava e usciva dalle stanze del re senza preoccuparsi più dell’opinione dei cortigiani. Presto sarebbe divenuta sua moglie anche se la notizia non era ancora stata annunciata.
Questa volta però il re l’aveva convocata nel suo gabinetto e non nelle sue stanze private. Anna era incuriosita, sicuramente voleva parlargli di qualche problema relativo al governo. Negli ultimi anni, anche prima della sua proposta di matrimonio molte volte il re l’aveva interpellata per questioni politiche e amministrative e lei era stata molto onorata di essergli stata d’aiuto.
Anna bussò alla porta ma non aspettò l’invito ad entrare. Spinse la pesante porta ed entrò. Il re era seduto alla sua scrivania ed era impegnato a leggere. Appena la sentì entrare si alzò e le andò incontro. Prendendola fra le braccia la baciò appassionatamente. Anna ormai era abituata alla passionalità del re ma comunque ogni volta che la prendeva fra le braccia si ritrovava ad emozionarsi come una fanciulla al primo amore.
“Venite amore mio, ho da farvi vedere dei documenti molto importanti per il nostro futuro. “ disse Vittorio indirizzandola verso la scrivania.
“Maestà non ho molto tempo. La principessa Vostra nuora si inquieta sempre quando non mi trova fra le sue dame.” rispose Anna.
“Mi dispiace, mia cara. E’ mio figlio che la istiga contro di voi per ferire me.” disse Vittorio baciandole il palmo della mano.
“Leggete” disse Vittorio porgendo ad Anna un foglio scritto di suo pugno.
Anna cominciò a leggere, immediatamente si rese conto di cosa fosse. L’atto di abdicazione di Vittorio Amedeo.
Anna da una parte era felice che dopo il matrimonio Vittorio non sarebbe più stato re ma semplicemente suo marito ma dall’altra lo conosceva molto bene, un uomo come lui che aveva trascorso la vita tra le guerre e il  governo del  Piemonte sarebbe stato capace di essere un semplice uomo di campagna? O prima o poi si sarebbe stancato e si sarebbe pentito della propria decisione? A tutto questo pensò Anna, per l’ennesima volta, leggendo quella dichiarazione.
“Alla fine l’avete scritto.” gli disse.
“Sì, mi sono ispirato a quello scritto da Carlo V. Mi riservo una rendita di 150000 lire e intendo trasferirci a Chambéry. Approvate la mia decisione?” rispose Vittorio sorridente e stranamente euforico.
“Sapete come la penso. Qualunque cosa voi decidiate per me va bene. Quando pensate di avvisare vostro figlio, di questa decisione?”
“Prima vorrei che ci sposassimo e poi dirò tutto insieme a Carlo. A proposito” e cercando fra le innumerevoli carte sulla scrivania mostrò ad Anna un altro foglio. “E’ giunta proprio oggi la dispensa papale che avevo richiesto come cavaliere dell’ordine mauriziano. Ormai nulla ci impedisce di sposarci. Pensavo di attendere la partenza della corte per il castello del Valentino che avverrà la prossima settimana. Per voi va bene?”
“Si, sapete che non vedo l’ora di diventare vostra moglie. Ma credo di dover accompagnare la principessa vostra nuora.”
“Inventeremo qualcosa per farvi rimanere qui a palazzo, non preoccupatevi.” la tranquillizzò baciandole le labbra.
 
12 agosto 1730, Torino – Cappella del palazzo reale
Era tutto pronto, tra meno di mezzora  sarebbe diventata la moglie del re. Mai Anna avrebbe sperato tanto. Sapeva di amare il re dalla prima volta che lo aveva visto. Quanto volte poi aveva avuto la tentazione di cedere alle sue avances. Ma era rimasta ferma nei suoi principi e forse era stato proprio il suo carattere determinato che oggi l’avrebbe portata davanti al curato. Anna ne era certa, se ne fosse diventata l’amante quando era una fanciulla inesperta o anche dopo, quando era rimasta vedova, come molti dei cortigiani pensavano probabilmente il re non l’avrebbe chiesta in sposa. Dopotutto perché sposarla se poteva avere già tutto quello che voleva da lei?
Tutto quello che aveva fatto non lo aveva progettato ma sicuramente era stata la tattica migliore. E poi molto presto il re non sarebbe più stato re e quindi non si doveva più preoccupare di essere ritenuta un’opportunista.
Mancavano pochi minuti alle dieci, era ora di affrettarsi e raggiungere la cappella reale dove sapeva che Vittorio l’attendeva con i testimoni: il segretario di stato Lanfranchi e il cameriere personale Barbier.
Anna aveva scelto per l’occasione un abito di seta giallo pallido, che faceva risaltare i capelli scuri su cui i primi fili argentati creavano giochi di luce.
Il re le aveva fatto giungere proprio quella mattina un fascio di meravigliose rose rosse. Anna ne prese una e annusandone la forte fragranza si incamminò verso la cappella reale.
Anna giunse come al solito in ritardo.
Vittorio prendendole la mano da baciare la rimproverò bonariamente “Non cambierete mai. Vi fate sempre attendere.”
Anna sorrise all’uomo che aveva sempre amato “Perdonatemi maestà, prometto che non succederà più”
Il curato lesse la forma di rito. Gli sposi dissero il si sacramentale. I testimoni confermarono firmando l’atto di matrimonio. Anna era la moglie di Vittorio Amedeo II duca di Savoia primo re di Sicilia.
Il re aveva organizzato un piccolo brindisi nelle sue stanze private a cui parteciparono i testimoni e il curato ma presto tutti gli invitati lasciarono soli i neo sposi.
Vittorio era agitato come un ragazzo alla prima esperienza eppure aveva  64 anni  e la fama di donnaiolo.
Anche Anna si sentiva emozionata, molte volte era stata tentata di cedergli ed ora era sua moglie.
Vittorio si avvicinò alla bella moglie e cingendole la vita la baciò con trasporto. “Avrei voluto che tutto questo fosse accaduto quando ero più giovane. Ma voi mi fate sentire come un ragazzino”
“Voi siete un ragazzo Vittorio. Lo stesso giovane uomo che mi ha salvato la vita alla Marsaglia. Per me sarete sempre così” rispose Anna ricambiando il bacio.
Tenendosi per mano raggiunsero la stanza da letto, Vittorio chiuse la porta e si appoggiò con tutto il corpo ai battenti, non riusciva a staccare gli occhi da Anna.
Anna si voltò e come se il tempo si riavvolgesse cominciò a togliere le spille del corpetto, gli occhi sempre fissi in quelli di Vittorio Amedeo.
Anche la gonna scivolò via, poi fu la volta della sottogonna e del panier, Anna rimase con i lunghi mutandoni e la sottile camicia. Vittorio era estasiato, lo stesso effetto di trentasei anni prima.
Lentamente si avvicinò alla sua sposa togliendosi la giacca, quando la raggiunse Anna cominciò a slacciargli l’elaborato fiocco che cadde a terra velocemente seguito dalla camicia.
Vittorio non resistette oltre, cinse la vita della donna che aveva desiderato per tutta la vita e cominciò a baciarla senza più freno, raggiunsero il letto e ci caddero sopra.
I pochi indumenti che ancora li coprivano furono strappati via dal desiderio ormai irrefrenabile di entrambi.
Anna aveva amato suo marito, aveva avuto da lui i suoi setti meravigliosi figli ma mai aveva provato quella passione, quel desiderio, quell’appagamento totale.
  

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Capitolo 5
*** La follia ***


31 agosto 1730, Castello di Rivoli
Vittorio aveva convocato nel suo studio tutti i ministri ed il figlio Carlo Emanuele  per l’annuncio ufficiale della sua abdicazione.
Si sentiva sollevato, ormai riteneva che il figlio Carlo, per quanto non sempre da lui approvato, fosse ormai maturo per prendere le redini dello stato e poi desiderava con tutto il cuore ritirarsi a vita privata accanto ad Anna.
Erano ormai giunti tutti, suo figlio fu l’ultimo e una volta che si fu accomodato sulla sedia di fronte al padre Vittorio prese la parola “Signori, vi ho riuniti per leggervi un atto che ho redatto”
Fece un lungo silenzio e guardò le facce dei suoi ministri e del figlio, tutti era al quanto ansiosi, Carlo era agitato.
Vittorio cominciò la lettura.
Carlo ad un certo punto non resistette ed interruppe il padre “Padre vi prego basta. Vi supplico non continuate. Non potete abbandonare tutto. Al massimo nominatemi reggente ma non abbandonate il trono. Ho bisogno dei vostri consigli”
Vittorio si alzò dalla poltrona e posando le mani sulle spalle del figlio “ No, io non sono solito fare le cose a metà. La mia vita è sempre stata tutto o niente. Potrei non approvare le tue decisioni e ne nascerebbero dei dissapori. Il comando spetta ad una sola persona altrimenti il decoro della corono ne rimarrebbe offeso.”
Il marchese d’Ormea prese la parola  “Maestà, se siete convinto della vostra decisione nessuno può opporvisi. Avete già deciso quando volete farla diventare ufficiale?”
“Il più presto possibile. Vi lascio organizzare la cerimonia. Dopodiché lascerò Torino per sempre. Mia moglie ed io ci ritireremo a Chambery. Un’ultima cosa ho da comunicarvi, ho investito mia moglie del titolo e del territorio del marchesato di Spigno” rispose Vittorio.
 
3 settembre 1730, Castello di Rivoli
Il marchese d’Ormea non aveva perso tempo e la cerimonia di abdicazione era stata organizzata nel giro di tre giorni.
Anna aveva già fatto preparare i bauli che stavano per essere caricati sulle carrozze.
Per gioco del destino era la prima volta che assisteva ad una cerimonia come moglie del re ma sarebbe stata anche l’ultima perché alla presenza dell’arcivescovo, dei ministri, dei più bei nomi della corte torinese e ai ministri stranieri Vittorio Amedeo stava firmando la sua rinuncia al trono.
Terminato di firmare il documento Vittorio si alzò dalla poltrona che non era più sua e indicandola disse “Carlo ora è tua. Ho fatto tutto quello che ritenevo giusto. Per il futuro confido nelle tue capacità .”
Poi raccolse il cappello piumato poggiato sul tavolo e porgendo la mano ad Anna “Mia cara ora andiamo, il nostro compito qui è terminato. Ci aspetta una nuova vita”
Anna e Vittorio salutando con un ampio inchino il nuovo re e la corte si allontanarono.
 
4 febbraio 1731, Castello di Chambery
Erano trascorsi cinque mesi dall’arrivo di Vittorio e Anna a Chambery e la vita dei due coniugi trascorreva serena.
La felice vita coniugale aveva messo in secondo piano la vita politica e Vittorio non sembrava per nulla pentito della sua scelta.
Quando il tempo era clemente facevano lunghe passeggiate altrimenti trascorrevano le giornate fra i libri della rifornita biblioteca del castello.
Anche Anna era serena, i figli maggiori avevano già tutti contratto vantaggiosi matrimoni e i due più piccoli, Luigi e Biagio erano ospiti del più rinomato collegio di Torino.
Vittorio quella sera era strano, la cena quasi sempre molto frugale era stata completamente saltata e Anna era al quanto preoccupata.
“Vittorio, cosa avete? Non avete toccato cibo?”  domandò Anna avvicinandosi al marito.
Vittorio però non riuscì a rispondere, i pochi suoni che uscivano dalle sue labbra erano incomprensibili.
Anna avvicinandosi gli toccò una mano ma Vittorio non riuscì a stringerla. I suoi occhi ora la guardavano fissi e colmi di terrore.
Anna fu presa dal panico “Vittorio cosa ti succede?  Perché non mi parli?” E tra le lacrime chiamò il cameriere.
Insieme, di peso lo portarono nella sua camera e lo misero a letto. Il medico fu immediatamente chiamato.
La notte strascorse nell’angoscia. Il medico appena giunto non potè che appurare l’apoplessia di Vittorio e purtroppo non dette ad Anna molte speranze.
Anna non volle abbandonare il marito per nessuna ragione. Il segretario di Vittorio si occupò di inviare la notizia al figlio Carlo.
 
5 febbraio 1731, Torino - Castello Reale
Carlo Emanuele e la regina Polissena si erano appena ritirati dopo una nottata trascorsa ad una festa da ballo.
Il re si stava facendo spogliare dal suo cameriere personale quando bussarono alla sua porta.
“Chi sarà mai a quest’ora? Andate ad aprire” ordinò Carlo
Il cameriere ritornò immediatamente con una lettera. “Per voi maestà da Chambery, sembra una cosa urgente” disse consegnandogliela.
Quando Carlo l’aprì e lesse, si dovette sedere per non cadere.
“Prendetemi un vestito da viaggio e fatemi preparare immediatamente una carrozza. Devo andare da mio padre” disse prima di alzarsi e andare nelle stanze della regina per comunicarle la notizia.
 
27 luglio 1731 , Castello di Chambery
Vittorio Amedeo passeggiava al braccio del figlio nell’assolato giardino del castello. La malattia che lo aveva colpito cinque mesi  prima sembrava non aver lasciato traccia nel vecchio sovrano anzi sembrava non essere mai stato così in forma.
Carlo dalla malattia del padre gli aveva fatto visita spesso e negli ultimi mesi l’ex re si era intromesso molte volte negli affari di stato provocando un irrigidimento da parte del figlio ma soprattutto del ministro d’Ormea.
Padre e figlio sembravano discutere serenamente ma come spesso accadeva negli ultimi tempi improvvisamente Vittorio si alterò e cominciò a inveire contro Carlo.
“Sei un buono a nulla. Tutto quello che ho creato lo stai distruggendo. Mai avrei dovuto consegnarti il mio trono. “ continuava a inveire Vittorio contro Carlo che per rispetto non rispondeva.
Anna che aveva assistito alla scena da poco distante corse verso il marito e il figliastro per porre rimedio  “Vittorio vi prego, non fate così. Non vi fa bene agitarvi in questo modo” cercò di calmarlo Anna ma ne ricavò solo ingiurie.
“Silenzio donna. E’ colpa tua se ci troviamo in questa situazione. Se non fosse stato per te non avrei mai lasciato il trono a questo inetto” disse indicando il figlio.
Carlo non resistette all’ennesima umiliazione e prima di voltarsi per andarsene disse “Cosa volete? Riprendervi il trono? Fate pure. Vostra moglie non aspetta altro che indossare la corona che fu di mia madre”
“Come osi? Torino è in festa al solo pensiero del mio ritorno.” gli urlò dietro Vittorio trattenuto a stento da Anna.
 
25 agosto 1731, castello di Chambery
“Vittorio vi prego non fatelo. Tutto questo non porterà a nulla di buono. Ascoltatemi” Anna tentò per l’ennesima volta di convincere il marito a non tornare a Torino, ma Vittorio non voleva ascoltare ragioni.
“Se non volete venire con me, nessuno vi obbliga. Restate pure qui o andate dove volete. Non mi importa. Io devo andare ad aggiustare le cose a Torino.” le rispose irritato Vittorio lasciandola sola nel salotto.
Anna, con le braccia lungo i fianchi e le lacrime agli occhi era esausta, non poteva fare altro che seguire il marito e stargli vicino come aveva fatto negli ultimi mesi.
In cuor suo pregò Dio che la aiutasse a sopportare tutto quello che l’aspettava.
 
29 agosto 1731, Castello di Moncalieri
L’ex re Vittorio Amedeo, la moglie e il suo segretario personale si erano installati nel castello di Moncalieri da alcuni giorni e Vittorio Amedeo aveva convocato il ministro d’Ormea per annullare l’atto di abdicazione.
Appena giunto il ministro fu accolto dal ex monarca con accuse e ingiurie.
“Finalmente vi siete degnato di rispondere all’ordine del Vostro re” lo apostrofò Vittorio appena il ministro fu introdotto alla sua presenza.
“Perdonatemi, ma voi siete l’ex re. E’ Vostro figlio l’attuale sovrano ed è a lui che io rispondo” cercò di rispondere il più gentilmente possibile il marchese d’Ormea.
Vittorio, come era solito negli ultimi mesi, fu preso da un raptus di ira “Come osate. Quell’atto è nullo nella forma e nella sostanza. E’ una fortuna che io sia qui. A Torino è tutto in disordine. Sono stato costretto a tornare in Piemonte per rimediare alla vostra stoltezza” .
Anna che era presente cercò di calmare il marito e poi rivolgendosi al marchese “Marchese, cercate di parlare con il re. Provate a vedere se è possibile trovare una soluzione. L’ultima volta che mio marito e suo figlio si sono incontrati il re mi sembrava intenzionato a rinunciare al trono pur di accontentare e tranquillizzare suo padre. Così non è possibile andare avanti.”
Poi facendo accomodare Vittorio su una poltrona continuò “ Mio marito ha anche minacciato di far intervenire gli imperiali. E questo il Piemonte non può permetterselo. Confidiamo in voi”
Il ministro si inchinò e uscendo disse “Capisco tutto perfettamente. Molto presto metteremo fine a questa situazione”.
 
28 settembre 1731, Palazzo reale – Consiglio di Stato
Carlo Emanuele aveva convocato il consiglio perché stava sinceramente valutando la possibilità di revocare l’abdicazione paterna.
“Signori, ho molto riflettuto e la situazione in cui ci stiamo trovando non è più sostenibile. Per il bene dello stato sono disposto ad accettare la revoca dell’abdicazione e a cedere nuovamente il trono a mio padre”
Non appena il re ebbe finito tutti i componenti il consiglio cominciarono e parlare uno sull’altro.
“Signori Vi prego uno alla volta” li zittì Carlo Emanuele.
Prese la parola il marchese d’Ormea “Maestà, quello che avete appena detto è impensabile. Innanzi tutto Vostro padre, firmando l’atto di abdicazione ha rinunciato a tutti i suoi diritti ed è divenuto un cittadino comune. Quindi il suo comportamento è collocabile nel reato di lesa maestà” Poi continuò “Vostro padre è vittima della moglie. Fu lei infatti a chiedermi di convincervi a rinunciare al trono. Quella donna desidera cingere la corona. Io stesso ho visto il dipinto che ha commissionato. In piedi, su un tavolino la corona che fu di vostra madre e la sua mano che si stende quasi a toccarla. Non possiamo. Non potete permettere questa innominia.” concluse il marchese riaccomodandosi al suo posto.
Immediatamente prese la parola Monsignor Carlo Arborio di Gattinara, arcivescovo di Torino. “Maestà non potete permettere che la cattiva furia che vive accanto a vostro padre abbia la meglio. La sua ambizione non si ferma di fronte a nulla, pur di cingere la corona regia è disposta a mettere a repentaglio la quiete pubblica e il destino del regno. Posso solo concludere così. Vi imploro mio re, conservate il seggio. Potete e dovete.”
Quando anche l’ultimo dei consiglieri ebbe espresso la sua opinione, ed erano tutti concordi a non permettergli di rinunciare al trono, a Carlo non rimase che chiedere “Cosa mi consigliate di fare per risolvere la questione? Ricordatevi che è sempre mio padre.”. 

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Capitolo 6
*** Oblio ***


Notte tra il 28 e 29 settembre 1731 – Castello di Moncalieri
Il conte di Perosa al comando di una guarnigione di soldati era appena giunto nelle vicinanze del castello di Moncalieri.
Il castello era avvolto dal buio e all’interno tutti i suoi abitanti dormivano tranquilli ignari di ciò che stava per accadere.
Il comandate ordinò ai soldati di circondare il castello poi prese dodici ufficiali ed entrò con la forza.
Il conte si diresse direttamente nella stanza di Vittorio Amedeo, spalancò la porta e ordinò agli ufficiali di prelevare l’ex sovrano, nel contempo leggeva l’ordine d’arresto firmato da re Carlo Emanuele.
Anna che dormiva nella stanza accanto fu svegliata dai forti rumori e senza neppure indossare la vestaglia si precipitò nella stanza del marito.
Anna cominciò ad urlare e si lanciò contro gli ufficiali nel vano intento di aiutare il marito ma ottenne solo di essere strascinata via anch’essa.
Vittorio fu fatto salire su una carrozza e Anna su un'altra. Le urla di entrambi  furono coperte dal rumore delle ruote sul selciato.
 
29 settembre 1731 – Fortezza di Ceva
Anna aveva trascorso la nottata in lacrime.
Solo la clemenza di uno dei due ufficiale, che si era tolto la giacca e gli è l’aveva poggiata sulle spalle  le aveva permesso di non morire assiderata.
La carrozza non si era mai fermata, era quasi mezzo giorno quando, dalla finestrella Anna vide una svettante costruzione grigia.
“Ma dove mi conducete?” chiese con un filo di voce.
I due ufficiali si guardarono e poi il più anziano, abbassando lo sguardo rispose “L’ordine di sua maestà è di portarvi nelle prigioni di Ceva”
“Ceva? Ma lì di solito vengono recluse le donne di malavita” disse Anna ricominciando a piangere.
___
Nello stesso momento – Castello di Rivoli
Vittorio sembrava impazzito, era stato necessario l’intervento di quattro ufficiali per riuscire a  rinchiuderlo in una cella del castello. L’ordine era di non lasciarlo mai incustodito e pertanto fuori dalla porta della cella erano presenti due soldati.
 
10 dicembre 1731 –Torino, Palazzo reale
Carlo era intento a leggere l’ennesima lettera accorata inviatagli dal padre.
Vittorio dopo i primi giorni di furia cieca in cui si temette per la sua incolumità si era tranquillizzato.
Da qualche mese infatti  era stato trasferito dalle prigioni alle stanze del castello.
Ormai Carlo riceveva quel tipo di lettera tutti i giorni. Suo padre gli chiedeva e implorava la ricongiunzione con la moglie.
Il ministro d’Ormea era appena entrato e porgendo il documento da firmare disse “La solita lettera di vostro padre?”
“Si, poniamo fine a questa sofferenza. Credo che entrambi siano stati puniti abbastanza” e firmò l’ordine di rilascio della matrigna.
 
11 dicembre 1731 – Castello di Rivoli
Anna era stata per tre lunghi mesi rinchiusa nelle carceri di Ceva con le delinquenti comuni. La camicia da notte che indossava al suo arrivo era stata sostituita da dei vecchi abiti che le erano stati consegnati e che ancora indossava.
Quando giunse al castello di Rivoli trovò Vittorio circondato dai soldati, invecchiato e stanco.
L’ex re da parte sua, quasi non riconobbe la moglie. I capelli erano sporchi precocemente imbiancati. Gli abiti sporchi e logori.
Anna gli si buttò fra le braccia piangendo “Vittorio, pensavo che non vi avrei più rivisto”
“Mia cara, cosa vi hanno fatto?” poi piangendo a sua volta “Cosa vi ho fatto?”
 
5 febbraio 1732 - Torino, Palazzo reale
Il ministro d’Ormea entrò senza neppure bussare. Carlo Emanuele era alla sua scrivania intento a leggere uno dei tanti rapporti quotidiani.
“Che succede marchese?” chiese preoccupato il re
“Vostro padre maestà. Ha subito un altro attacco apoplettico. La marchesa Anna chiede a Vostra maestà di cambiare residenza. Ritiene che Rivoli sia poco adatta alle condizioni del marito.
“O alle sue” rispose scostante il re.
 
2 aprile 1732 – Sulla strada tra Rivoli e Moncalieri
Negli ultimi due mesi la salute di Vittorio era peggiorata radicalmente.
Finalmente re Carlo aveva concesso al padre e alla moglie di trasferirsi da Rivoli al castello di Moncalieri.
Vittorio era stato adagiato su una lettiga e scortato da numerosi soldati stava raggiungendo la sua nuova residenza.
La carovana sembra quasi un corteo funebre. Anna seguiva il marito in una carrozza chiusa. Gli occhi colmi di pianto e la corona del rosario fra le mani.
 
31 ottobre 1732, Castello di Moncalieri
La stanza era buia e l’odore della morte già aleggiava ovunque.
Vittorio Amedeo giaceva immobile nel suo grande letto a baldacchino, accanto a lui padre Perardi, il suo confessore, che gli parlava di Dio e lo invitava a perdonare.
“Sire. Se perdonate sarete perdonato. Se mi capite baciate questo crocifisso” disse padre Perardi all’orecchio del moribondo
Vittorio Emanuele protese le mani e preso il crocifisso baciò con fervore l’immagine di Cristo.
Anna era poco distante, in disparte per lasciargli ricevere gli ultimi sacramenti in assoluta riservatezza.
Dopo che padre Perardi si fu allontanato Anna si avvicinò al letto del marito e prendendogli la mano gli accarezzò il viso.
Gli occhi di Vittorio la fissavano, forse senza vederla realmente.
Ad un certo punto nel silenzio della stanza risuonò flebile la voce di Vittorio “ti amo”.
Anna avvicinò le labbra a quelle del marito e gli dette un ultimo bacio, poi sistemandosi meglio sul letto posò la testa di Vittorio sul suo petto.
L’orologio aveva da poco suonato le nove quando Anna si accorse che il suo Vittorio aveva messo di respirare, e cullandolo cominciò a piangere.
 
1 novembre 1732, Castello di Moncalieri
Il re Carlo Emanuele III entrò deciso nella stanza da letto del padre e lo vide, immobile, freddo, contratto nel dolore che lo aveva portato alla morte. Accanto a lui con gli occhi rossi di pianto la sua matrigna la marchesa di Spigno. Carlo Emanuele rimase come sempre affascinato dalla bellezza della ormai cinquantaduenne marchesa, anche sconvolta dal dolore era bellissima.
Carlo Emanuele scaccio questi pensieri dalla mente e rivolgendosi sprezzante alla marchesa “Signora il vostro tempo è giunto, non avete più nulla da fare qui. Domani sarete trasferita”
“Non mi è neppure permesso di piangere mio marito” rispose la marchesa avvicinandosi al re e allungando una mano sul suo braccio “Carlo vi prego”. Anna non fece in tempo a finire la frase che sentì lo schiocco della mano del re sulla sua guancia e cadde a terra.
“Non permettetevi mai più di rivolgervi a me chiamandomi per nome” le urlò Carlo Emanuele colmo di rabbia  “Mio padre vi ha dato il suo amore, mia madre la sua amicizia ma da me avrete sempre e solo il mio disprezzo” continuò
Anna era rimasta a terra la mano sulla guancia rovente.
“Per l’affetto che nutrivo per mio padre vi concedo di scegliere il posto del vostro esilio, fate che sia il più lontano dalla mia vista” incalzò Carlo Emanuele.
Anna continuava a piangere, non riusciva a pensare. Dove andare?
“Allora, signora, dove volete trascorrere i vostri ultimi anni?” incalzò Carlo Emanuele.
“Il monastero della Visitazione di Pinerolo” rispose Anna in un sussurro.
“Ebbene, così sia. Ritiratevi nelle vostre stanze domani all’alba vi sarete condotta” concluse Carlo Emanuele congedandola con un gesto brusco della mano.
 
2 novembre 1732, Pinerolo – Monastero della Visitazione
Non le era stato concesso di portare nulla con se, solo pochi capi di abbigliamento e la biancheria intima. Il suo bagaglio era davvero leggero.
Il capitano delle guardie che era al comando della guarnigione che l’aveva scortata al monastero, bussò ripetutamente all’ampio portone di legno.
Finalmente una suora aprì la finestrella e domandò “Cosa volete?”
Il capitano un po’ imbarazzato per l’incarico assegnatogli le rispose “Per ordine del nostro re, Carlo Emanuele III di Savoia sono a condurvi la marchesa di Spigno perché sia da voi accolta e custodita sino alla sua morte” e le mostrò l’ordine firmato dal re.
La suora aprì leggermente la porta e allungando la mano “Consegnatemi l’ordine, lo mostrerò alla madre badessa, aspettate” e richiuse il portone.
Dopo poco tempo al di là del portone si sentirono risuonare numerosi passi, il portone si aprì e ne uscì un’anziana suora.
“Sono la madre badessa, la signora marchesa è la ben venuta nel nostro monastero” disse portando un braccio sulle spalle di Anna. “Venite signora, Vostra sorella e Vostra nipote vi aspettano” concluse attraversando il portone che si richiuse per sempre.
Due suore, una più anziana e una più giovane le corsero incontro abbracciandola. Anna riconoscendo la sorella minore stava per pronunciarne il nome quando questa la interruppe “Io sono solo suor Luisa e lei suor Teresa, gli altri nomi sono rimasti fuori da quel portone”
“Andate a preparare la stanza “ intervenne la madre badessa “La marchesa ed io dobbiamo parlare”
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Lo studiolo della madre era piccolo e spoglio come del resto tutto il convento, Anna lo ricordava molto bene.
“Mia cara signora, mi duole molto la morte del vostro sposo e la situazione che si è andata a creare” cominciò  la madre badessa.
“Reverendissima madre, non mi aspetto nessun trattamento speciale, non intendo prendere i voti ma desidero vivere secondo la vostra regola” rispose Anna
“Sia come voi desiderate” concluse la madre badessa.
 
11 aprile 1769, Pinerolo – Monastero della Visitazione
La piccola suora corse lungo il corridoio e aprì la porta dello studio della madre badessa  “Perdonatemi madre ma la marchesa sta morendo, chiede di Voi. Il curato le ha già dato gli ultimi sacramenti”
Suor Teresa, ormai da molti anni madre badessa, si alzò e corse al capezzale della zia.
“Zia ditemi” disse la madre badessa prendendo la mano della moribonda fra le sue.
Anna faticava a respirare, ma cercò di raccogliere tutte le forze per parlare “Promettetemi che mi seppellirete nella vostra cripta” poi riprese fiato e continuò “nessuna lapide, il mondo mi ha ignorata che continui a farlo”  e chiuse gli occhi.
  

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