Only Innocent Lives di Sophie Hatter (/viewuser.php?uid=16304)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo (Remus Lupin) ***
Capitolo 2: *** Iniziazione (James Potter) ***
Capitolo 3: *** Questioni irrisolte (Sirius Black) ***
Capitolo 4: *** La prima battaglia (Lily Evans) ***
Capitolo 5: *** Il matrimonio (Remus Lupin) ***
Capitolo 6: *** È così facile capirlo (Sirius Black, Remus Lupin) ***
Capitolo 7: *** La spada di Grifondoro - I parte (James Potter, Remus Lupin) ***
Capitolo 8: *** La spada di Grifondoro - II parte (James Potter, Remus Lupin) ***
Capitolo 9: *** Amicizia (Lily Evans, Severus Piton, Sirius Black) ***
Capitolo 10: *** Andare fino in fondo (Regulus Black) ***
Capitolo 11: *** La tomba di Regulus (Sirius Black, Remus Lupin) ***
Capitolo 1 *** Prologo (Remus Lupin) ***
oil
Nota
introduttiva: non so quanti dei miei vecchi ed affezionati
lettori ritroverò, ma posso annunciare che ho deciso di
riprendere in mano le mie fanfiction in via definitiva. Il titolo di questa storia è preso da una frase di Sirius Black
pronunciata alla fine del terzo libro (“What was there to be gained by
fighting the most evil wizard who has ever existed? Only innocent
lives, Peter!”). Come già citato nell'introduzione, rappresenta per me un sequel di Between You And The Giant Squid, nel senso che terrò conto di quanto ho narrato in quella storia, ma non c'è nulla che impedisca di capirne il contenuto anche senza aver letto la fanfiction precedente, che sto attualmente ripubblicando in versione riveduta e corretta. I personaggi principali di questa storia saranno James e Lily Potter, Remus Lupin, Sirius Black, Peter Minus, Albus Silente, Severus Piton, Regulus Black e i membri dell'Ordine della Fenice (purtroppo il numero limitato di selezioni mi impediva di inserirli tutti). Premetto subito che non sarà una storia "facile", si parlerà anche di guerra e di violenza e i personaggi si faranno del male l'un l'altro fino alla fine. Ci sarà anche una storia slash, ovvero Remus/Sirius. Se a qualcuno non piace la coppia, cerchi altrove. Io ormai non posso vederli se non insieme.
Ringrazio in anticipo chi si avventurerà nella lettura.
Prologo
Sì,
era per quello che piangevo; per la specie umana. Per il fatto che
l’uomo non è per niente buono. Poi capii che era
solo un bluff e che in realtà
piangevo per me stesso, per la mia solitudine, la mia delusione, la
presa di
coscienza della mia mortalità, la consapevolezza che
l’universo è un luogo buio,
vuoto, e la vita è soltanto un giro in giostra, e quando
squilla il campanello
e tu devi scendere dalla giostra, metti i piedi sul nulla. E a quel
punto, è
tutto finito, non c’è più niente. Carne
e anima potrebbero anche non essere mai
esistite.
(Joe R. Lansdale, La notte del drive-in)
25 Agosto 1993
Era seduto immobile sul bordo
del letto da ore, forse da quando si era svegliato quella mattina. Non
lo sapeva più nemmeno lui.
Stava ancora cercando di capire se fosse
stato solo un incubo.
Era l’ipotesi più
probabile, aveva tutte le caratteristiche per essere un incubo. Uno dei
peggiori, che aveva dato voce a tutte le sue paure più
terribili. Nel sogno, aveva perso tutto ciò che possedeva;
non beni materiali, di cui non gli era mai importato –
avrebbe preferito di gran lunga vedersi spezzare la bacchetta davanti
agli occhi, o guardare la sua casa prendere fuoco – ma le
persone, quelle persone che erano state tutto per lui, quelle che gli
avevano dato una ragione per vivere che non fosse semplicemente il
trascinarsi per inerzia giorno dopo giorno, senza una prospettiva o uno
scopo, soltanto perché la morte non sopraggiungeva.
Se quel sogno fosse stato vero, sarebbe
stato decisamente troppo.
James. I suoi occhiali. Erano rotti e
lui li aveva raccolti dal pavimento del salotto. Gli erano caduti,
probabilmente quando era stato colpito al petto dal raggio di luce
verde.
Lily. Un rivolo di sangue le si era
raggrumato lungo la tempia. Aveva colpito la libreria, scagliata
indietro dall’urto. La sua collana, l’unico
gioiello che le aveva mai visto indossare in tutti quegli anni, si era
rotta. Lui aveva preso una perla e se l’era messa in tasca.
Poi era entrato in un’altra
casa. L’aveva accolto una donna anziana, acciaccata, con
troppe lacrime da versare. Gli sembrava di essere stato trattenuto
lì un’eternità. Alla fine, aveva
accettato di portare via con sé quel diario di un giovane
Peter di appena undici anni, che scriveva entusiasta dei suoi nuovi
amici e di quanto si sentisse finalmente accettato.
L’ultimo pezzo della
collezione era un mantello scuro, che era stato dimenticato a casa sua
molto tempo addietro. Odorava di foresta e di pelo di cane. Come se il
suo proprietario ci si fosse rotolato a lungo in mezzo
all’erba.
Non era stato
nell’appartamento di Sirius, prima di tutto perché
non sapeva dove si trovasse – a tal punto si era prodigato di
portare avanti la messinscena del sospetto nei suoi confronti
– e, in secondo luogo, perché non desiderava per
nulla al mondo metterci piede. Se l’avesse fatto,
probabilmente la rabbia l’avrebbe spinto a dare fuoco
immediatamente a tutto il suo contenuto.
Un momento. Stava ragionando come se il
sogno fosse vero. Doveva svegliarsi, non si poteva permettere di
perdere tempo con inutili angosce. Là fuori c’era
la guerra, una guerra che anche lui doveva combattere.
Continuava a pensare in maniera
frenetica, eppure non si era ancora mosso da quel letto. Fissava il
muro vuoto, il cielo a malapena visibile dall’unica finestra,
gli scaffali disordinati, l’appendiabiti. Eccolo
lì, il mantello scuro. Riusciva a distinguerlo nettamente,
anche dopo aver chiuso e riaperto gli occhi. E gli altri oggetti?
Si alzò e diresse la sua
attenzione verso una scatola intarsiata in legno che riposava sopra una
delle mensole, una delle poche cose che fosse mai riuscito a fabbricare
da solo senza usare la magia. Avrebbe dovuto essere il posto dove
riporre la sua bacchetta. La aprì. Eccoli, gli occhiali
rotti, le perle senza più filo e il diario. La copertina
era di un vecchio giallo sbiadito.
Non gli era mai importato nulla delle
cose materiali e ora erano tutto ciò che gli restava. Lily
e James e Peter e Sirius, invece, dov’erano finiti? Dove li
avevano portati? Era reale il biancore di quei cadaveri? E quel dito
reciso, custodito in un’urna cosparsa di lacrime, non poteva
essere solo un incanto? Chi gli stava giocando quel brutto scherzo?
Voldemort, era tutta colpa di Voldemort.
Se solo lui non fosse mai esistito, ora lui si sarebbe svegliato e
avrebbe scoperto di aver soltanto sognato. E poi avrebbe potuto
attendere la luna piena con serenità, consapevole del fatto
che di lì a breve i suoi amici lo avrebbero raggiunto…
Sul tavolo giaceva un giornale
sgualcito. Lo notò solo in quel momento, quando il suo lungo
risveglio dal torpore glielo permise. Vi si avvicinò
lentamente, anche se gli sembrava di sentire qualcosa, dentro di lui,
che gli gridava disperatamente di non farlo.
C’era una foto in prima
pagina, molti Dissennatori disposti in cerchio. Non ne aveva mai visti
così tanti – o forse sì, ma ora non
riusciva a ricordare. Al centro c’era l’arrestato,
a testa china, i capelli corvini che scendevano a coprirgli
il viso. Era ammanettato. Sembrava immobile, rassegnato, i titoli a
caratteri cubitali sovrastavano trionfanti la sua immagine, come se
gioissero essi stessi per la sua cattura.
All’improvviso
l’uomo alzò la testa ed emise un grido terribile,
lacerante, rabbioso, che gelò completamente il sangue nelle
vene di Remus. Quell’ultimo sguardo carico di odio e
disperazione, prima che i Dissennatori lo trascinassero via, sembrava
diretto esattamente verso di lui.
No,
pensò, non
è colpa di Voldemort. È soltanto colpa tua. Tu ci
hai condotti alla morte. E perché hai risparmiato me? Ero
così inutile ai tuoi occhi? Che cosa ti costava farmi fuori?
Afferrò il giornale e lo
strappò con violenza, lo distrusse senza pietà,
fino all’ultima pagina. Le unghie si affannavano a lacerare
la carta sempre più in fretta per evitare che arrivasse il
peggio. I frammenti delle pagine si sparsero per la stanza,
volteggiandogli
attorno, finché non gli restò in mano nulla. Non
aveva mai avuto un simile scatto di rabbia, o meglio, in quel momento
non riusciva a ricordare - di nuovo.
Cercò di reprimere il bisogno
di fare a pezzi qualche altra cosa, stringendo violentemente i pugni.
Era la bestia che faceva questo, non lui, non
l’essere umano. Non poteva ridursi al pari della bestia. Lui
era razionale, lui sapeva controllarsi.
Improvvisamente sentì bussare
alla porta.
Si ricordò che
c’erano degli incantesimi a proteggere la sua casa e che
erano in pochi a conoscere quell’indirizzo. Ma estrasse
comunque la bacchetta, per precauzione, e sollevò cautamente
la tenda della finestra per osservare il suo visitatore senza essere
visto.
In quel momento, ricordò.
“Apri questa porta, non ho
tutta la giornata per aspettare che tu ti decida”.
Remus fece scattare la serratura con un
colpo di bacchetta. L’uomo che si trovava di fronte a lui non
gli era mai sembrato giovane, neppure negli anni della scuola,
nonostante avessero la stessa età. Lo fissava con durezza,
quasi con disprezzo. Sapeva che c’era un motivo se lo
guardava così. E non era tanto per i brutti tiri nei suoi
confronti durante gli anni scolastici, né per il fatto che
lui era amico del marito della donna che amava… il motivo
per cui, probabilmente, Severus Piton lo detestava di più
era perché Remus l’aveva visto sciogliersi in
lacrime.
I dettagli riaffiorarono rapidamente.
Era successo al funerale, lui era tornato indietro di corsa
perché aveva scordato il mantello e se n’era reso
conto solamente dopo aver mosso diversi passi in totale smarrimento
nella foresta nebbiosa che circondava Godric’s Hollow, dopo
che
tutti se n’erano andati, dopo aver finto un contegno e una
forza d’animo che in realtà non aveva di fronte
alle persone che gli si erano parate dinnanzi per porgli le loro
condoglianze, anche se quella era una tragedia pubblica, che aveva
toccato tutto il mondo magico. Ma nessuno, in fondo, poteva rendersi
veramente conto di cosa significasse essere l’unico rimasto.
Aveva iniziato a sentire freddo e si era
accorto della dimenticanza. Poi, avendo realizzato di essere finalmente
solo, era tornato verso la tomba. All’inizio non si era
accorto della figura incappucciata, non l’aveva distinta
dall’ombra nera del cipresso che si innalzava lì
accanto. Soltanto dopo aver fatto diversi passi in quella direzione
aveva sentito i singhiozzi.
Senza dubbio, se l’avesse
riconosciuto subito sarebbe andato via. Ma era rimasto a sufficienza da
vederlo voltarsi, con il volto sfigurato dal pianto. Aveva visto
montare la collera dentro di lui in un lampo, lo aveva osservato alzare
la bacchetta senza riuscire a trovare la prontezza di reagire. Ma,
anziché colpirlo, l’uomo si era semplicemente
Smaterializzato.
Era pressoché certo che lo
odiasse di più per questo. Perché era stato
testimone della sua debolezza.
Alle spalle di Severus Piton riconobbe
Albus Silente. Anche lui pareva invecchiato di cent’anni. Da
quanto tempo non lo vedeva? Giorni, settimane, mesi? Non riusciva a
ricordare.
Si scostò per lasciarli
entrare. Non aveva idea di cosa volessero.
Entrambi lo fissavano come se non
sapessero bene che espressione assumere. Remus si guardò
intorno, vide i pezzi di giornale ancora a terra. Sentendo la vergogna
affluire tutta d’un colpo, cancellò quelle tracce
della sua disperazione con la bacchetta, anche se ormai avevano visto
tutto.
“Come ti senti oggi, Remus? La
memoria va meglio?”
“A dire il vero, sono un
po’ confuso”, rispose, cercando di ragionare. Non
capiva perché fossero venuti a trovarlo.
“Suppongo sia normale. Sei
ancora convinto di voler recuperare quei ricordi? Non devi farlo per
nessuno, se non per te stesso”.
Remus si rese conto di non comprendere
affatto ciò di cui Silente stava parlando.
“A quanto pare la precedente
pozione non ha sortito un grande effetto”, disse Piton, con
un filo di voce sottilmente maligno. Remus lo fissò
guardingo, gli sovvenne che non si fidava di Piton. Ma
l’aveva visto piangere davanti alla tomba, l’aveva
visto disperato per la morte di Lily. Se davvero i sospetti nei suoi
confronti erano fondati, non poteva che essersi pentito amaramente
della sua condotta.
“Faremo un nuovo tentativo.
Sempre se lo desideri ancora”.
Remus si sentiva in
difficoltà, ma si rese conto di avere qualcosa che non
andava. Quella confusione, quei vuoti, quel riportare improvvisamente
alla mente cose che il momento prima erano seppellite
nell’oblio più totale. Doveva essergli successo
qualcosa e Silente voleva aiutarlo. Si fidava di Silente,
perciò gli avrebbe dato ascolto.
“Sì, lo desidero
ancora”.
Piton appoggiò sul tavolo due
fiale estratte da una tasca interna del mantello. Una aveva al suo
interno un liquido verdastro. Di colpo, ne ricordò il
sapore. Non era rivoltante, a differenza della maggior parte delle
altre pozioni che aveva assaggiato in vita sua. Al contrario, gli era
rimasto impresso quel gusto piacevole, quasi dolce.
L’altra ampolla, invece,
conteneva un liquido tendente al giallastro, con grumi scuri che vi
galleggiavano dentro. Non voleva assolutamente sapere se fossero
semplici foglie o zampe di animale. Aveva sempre detestato preparare
pozioni.
“E la seconda?”
chiese, constatando che non riusciva a ricordare di averla mai vista o
assaggiata.
“La seconda è per
la prossima luna piena”, disse Silente. “È un
preparato recentissimo, totalmente innovativo. Se la assumerai a partire da settimana prima ti permetterà una trasformazione serena, tanto che
ti accorgerai a malapena di essere un lupo”.
“Oh. Magnifico”,
commentò, anche se parzialmente incredulo. Le sue
trasformazioni erano sempre state dolorose e fonte di tormento per lui,
fatta eccezione per quelle volte in cui i suoi amici gli avevano fatto
compagnia. Dicevano che era diventato docile, quasi un agnellino,
quando trascorreva le notti insieme a loro sotto forma animale.
“Detto fra le righe, Lupin,
sei costretto ad assumerla”, disse Piton, scoccandogli
un’occhiata penetrante, come se volesse inchiodarlo sul
posto. Remus scrollò le spalle.
“Certo, Severus, non lascerei
mai che qualcosa in cui hai investito il tuo talento vada
sprecata”, replicò, mentre gli tornava in mente
James che lo rimproverava sempre perché si comportava in
modo troppo gentile con Mocciosus. In effetti, al suo posto, il suo
amico avrebbe ribattuto in toni molto più accesi.
“Per quanto tu abbia
ragione, non è tanto per questo motivo che ti è
caldamente raccomandato di bere quella pozione prima di trasformarti in… beh, noi tutti sappiamo bene cosa. Te lo consiglio
maggiormente perché, a quanto pare, l’ultima volta
ti sei lasciato prendere un po’ troppo la mano”.
“Severus, basta
così”, intervenne Silente. Remus ebbe un altro
flash. Rivide il suo corpo riflesso nello specchio dopo
l’ultima notte di luna piena, le zone dove spiccavano
spaventosi segni di morsi raggrumati di sangue, di lividi, di graffi
profondi almeno un paio di centimetri che gli deturpavano il petto.
Ricordò i cadaveri di animali sbranati che aveva lasciato a
marcire nel bosco. Ricordò che la gente nei dintorni aveva
iniziato ad ipotizzare la presenza di una bestia feroce nei paraggi,
pronta ad attaccare i villaggi e a massacrarne gli abitanti. Non voleva
arrivare a quel punto, ad ogni costo. Già una volta aveva
rischiato di recidere una vita umana, e la vergogna e il rimorso che
avevano accompagnato quell’episodio non l’avevano
lasciato in pace per anni. Ma era solo perché i suoi amici
non erano più con lui che aveva ripreso ad avere quella
ferocia quando assumeva le sembianze di un lupo. Era solo colpa di
Voldemort. Colpa di Sirius. Come era possibile, come poteva essere
stato proprio lui?
“È difficile andare
avanti, per tutti noi”, disse Silente. “Con questa
spero che tu possa avere un po’ di sollievo”,
concluse, indicando l’ampolla.
Remus la fissò a lungo, poi
annuì.
“Informami se noti qualche
miglioramento nella memoria, così potremo ridurre
gradualmente la dose dell’altra pozione. Purtroppo ad alte
dosi ha qualche effetto collaterale e se fosse possibile vorrei
evitare di vederti più deperito”.
Remus sorrise a Silente, sforzandosi di
mostrarsi riconoscente per qualcosa che ancora gli sfuggiva. Era
terribilmente frustrante. Non era sufficiente che i suoi amici fossero
morti?
Si congedò dai suoi due
ospiti in breve tempo, poi si sedette al tavolo, prese fra le mani la
fiala contenente la pozione verdastra e la rimirò a lungo,
rigirandosela fra le mani. Cominciava a farsi strada un’idea,
dentro di lui. E se invece di cercare di ricordare si fosse fatto
cancellare completamente la memoria di quegli eventi? Non sarebbe stato
forse un sollievo di gran lunga maggiore? Perché aveva
chiesto a Silente di aiutarlo a recuperare quel suo bagaglio di
reminiscenze? Dimenticandosi di aver avuto degli amici, di aver visto i
loro cadaveri e di sapere che uno di loro li aveva traditi non avrebbe
più sofferto. Avrebbe ricominciato a vivere come prima di
approdare a Hogwarts: in solitudine, ignaro del fatto che potesse
esserci qualcuno là fuori capace di renderlo felice.
Eppure, sapeva già che non
avrebbe seguito l’impeccabilità di quel
ragionamento.
Doveva capire. Doveva cercare di
comprendere cosa fosse successo e perché. Doveva sapere
come fosse stato possibile che Sirius li avesse ingannati tutti, per
così tanto tempo. Perché proprio lui, che amava
James come un fratello. E che con lui era stato sempre così… ambiguo. Un perenne battibecco durante gli anni di scuola,
si punzecchiavano con qualsiasi pretesto perché erano
così diversi l’uno dall’altro. Eppure,
Sirius era quello che più di tutti l’aveva difeso,
quello che scatenava tutta la sua violenza contro i Serpeverde che
osavano prendersi gioco di lui, quello che aveva avuto l’idea
di diventare un Animagus insieme a Peter e James per non lasciarlo
solo, quello che lo spronava ogni volta che lui si mostrava titubante.
Era impossibile spiegare il riconoscimento e l’affetto
viscerale che Remus aveva imparato a nutrire per lui, nonostante i suoi
modi bruschi e il suo carattere infantile, spesso intrattabile.
Escludeva a priori che potesse essere stata l’influenza
negativa della sua famiglia a trascinarlo verso Voldemort; Sirius li
disprezzava tutti, dal primo all’ultimo, non avrebbe mai dato
loro un briciolo di credito. Ma allora cosa? Cosa l’aveva
spinto a tal punto?
Si
accorse di avere un violento mal di
testa che gli trafiggeva le tempie. Non avrebbe cavato più
nulla da quei ragionamenti inconcludenti. Guardò fuori dalla
finestra e, mentre una lacrima silenziosa gli scivolava lungo la
guancia, stappò la boccetta e trangugiò di colpo
il liquido verde dal sapore dolce.
What
was once so real, now doesn't even exist.
And
now the memories are going, so just the feelings persist.
And what thoughts come back I
sometimes try to resist.
(Bedhead, Powder)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Iniziazione (James Potter) ***
oil
Capitolo 1
–
Iniziazione
Volevo che
tu imparassi una cosa da lei: volevo che tu vedessi che cosa
è il vero
coraggio, tu che credi che sia rappresentato da un uomo col fucile in
mano.
Aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di
cominciare,
e cominciare egualmente e arrivare fino in fondo, qualsiasi cosa
succeda. È
raro vincere, in questi casi, ma qualche volta succede.
(Harper Lee, Il buio oltre la siepe)
Luglio 1978
C’era
decisamente troppa
agitazione nell’aria, quel giorno.
James
si stava sforzando con
tutto se stesso, ma proprio non ci riusciva a stare calmo, o quantomeno
a dare
l’apparenza di esserlo. Non si era mai preoccupato di porre
un filtro tra il
suo stato d’animo e il suo atteggiamento; pertanto, ogni suo
gesto, in preda ad
emozioni forti, risultava plateale. Camminare su e giù per
la stanza senza uno
scopo, tamburellare rumorosamente con le dita sullo stipite della
porta,
incrociare le braccia e subito dopo cambiare idea e infilare le mani in
tasca,
tutto era espressione evidente della sua impazienza. Peraltro, come
spesso gli
accadeva in simili circostanze, non si rendeva assolutamente conto che,
facendo
così, accresceva a dismisura l’ulteriore
nervosismo di chi gli stava intorno.
In
effetti, era da diversi minuti
che gli altri avevano smesso di parlare o di dedicarsi a temporanee
attività come
sfogliare un qualsiasi libro dell’immensa collezione presente
nel salotto dei
Potter. Si erano ammutoliti tutti, come se l’unico passatempo
di rilievo
potesse essere guardarlo mentre scalpitava senza tregua da un angolo
all’altro.
Si fermò di colpo, fissando le facce dei presenti, tutte
rivolte verso di lui.
“Beh?
Che c’è?” bofonchiò.
“Sei
peggio di un animale in
gabbia”, commentò Remus, con un sorriso forzato,
che James ricambiò.
“Sì,
lo so, ma quest’attesa mi
sta uccidendo. Non si potrebbero muovere?”
“Oh,
avanti James, non siamo noi
che dettiamo gli ordini”, ribatté Lily.
“Potrebbe
essere successo
qualcosa di grave”, ipotizzò Peter,
improvvisamente allarmato.
“Nah,
secondo me l’unico problema
è che la McGranitt sta aspettando i risultati dei nostri
M.A.G.O. per
verificare se siamo veramente idonei”, disse Sirius,
allungando le gambe dalla
sua postazione privilegiata in poltrona. James scambiò
un’occhiata silenziosa
con lui, che sembrava il ritratto della tranquillità
più assoluta. Come diavolo
faceva? Lui non vedeva l’ora. Sarebbe stato ancora
più fico che ricevere il
diploma.
Beh,
in realtà non è che fosse
poi così fico. In un certo senso, stavano per
autocondannarsi a morte. Sempre
se Voldemort avesse vinto, mentre in caso contrario la morte sarebbe
stata la
sua. Ma faceva paura, l’idea di mettersi contro Voldemort.
Era qualcosa di
grande, di terrificante. Non era come fare pratica di incantesimi di
Difesa
Contro Le Arti Oscure sui Serpeverde a Hogwarts.
Già,
Hogwarts. E chi l’avrebbe
rivista più. Tempo qualche mese e altri studenti dalle facce
ignote avrebbero
preso a dormire nei letti a baldacchino che un tempo avevano ospitato
tutti
loro. La nostalgia si mischiò all’ansia, rendendo
James un concentrato di
turbamenti altamente reattivo.
In
quei giorni, in attesa di
ricevere le istruzioni da Silente, si era dovuto sforzare molto per
sopprimere
quanto più possibile quel suo lato malinconico. Aveva chiuso
in cantina tutti i
libri di scuola, incastrati in un unico baule con pochi colpi di
bacchetta, aveva
fatto sparire le raccolte di figurine delle Cioccorane e tolto i poster
del
Quidditch dalle pareti. Anche il suo vecchio distintivo di Caposcuola
era stato
chiuso da qualche parte, insieme alla vecchia divisa. Aveva risparmiato
solamente i testi di Difesa, ma più per scrupolo che per
vera necessità, dato
che, come anche i suoi M.A.G.O. avevano confermato, in quel campo la
sua
conoscenza era più che completa. Era perfino riuscito a
sbalordire l’Auror che
l’aveva esaminato, cosa che, ovviamente, aveva gonfiato il
suo orgoglio a
dismisura.
Ma
non aveva indugiato
eccessivamente neppure in quelle piccole autocelebrazioni. Sirius
stesso, che
ancora per poco continuava a vivere a casa sua, aveva constatato che
era stata
tutta farina del suo sacco; James ovviamente aveva obbligato anche lui
a fare
lo stesso, e in pochi giorni avevano fatto piazza pulita dei vecchi
ricordi di
Hogwarts. Non c’era più tempo da perdere in
spensieratezze, quei giorni erano
finiti. Ora si trattava di affrontare una guerra.
Era
lusingato del fatto che
Silente si fosse rivolto proprio a lui, fra tanti. Significava che lo
riteneva
all’altezza. Certo, però, così facendo
gli aveva affibbiato l’ennesima
responsabilità, e per giunta ben più pesante di
quella di fare il Caposcuola:
ora si trattava di fare il difensore della gente.
Chissà
come funzionava essere
ammessi. Ci sarebbe stata una cerimonia? E poi, avrebbero subito
combattuto in
prima linea o si sarebbero prima occupati di faccende minori? Chi altro
ne
faceva parte? Perché Silente aveva scelto loro, proprio
quelli che sarebbero
rimasti nella storia di Hogwarts per via delle loro continue opere di
distruzione fisica e psicologica nei confronti del corpo docente?
Era
così stressante diventare
adulti di colpo. Una vocetta dentro di lui si chiedeva chi
gliel’avesse fatto
fare. In fondo, non era stato obbligato a dire di sì; era
stata una sua
decisione spontanea, da individuo in pieno possesso delle sue facoltà
mentali. Sì, lui aveva
quell’enorme difetto, si buttava a fare qualcosa senza mai
rifletterci su
troppo a lungo – anzi, senza rifletterci per nulla. Era per
quel motivo che si
era cacciato nei guai innumerevoli volte. Ma sapeva che stavolta non
stava
sbagliando (ne era così convinto anche perché
tutti i suoi amici lo avevano
appoggiato e seguito, mentre nessuno, né Remus né
Lily, aveva mai accennato al
fatto che potesse essere una cattiva idea – il che equivaleva
più o meno ad
aver ricevuto un’autorizzazione ufficiale dal Ministero della
Magia).
E
poi, in fondo, l’aveva sempre
saputo. Anche se non aveva mai scelto una futura carriera definitiva
durante
gli anni a Hogwarts, era certo che non desiderava finire a svolgere un
impiego
noioso. Bramava una vita eccitante, attiva ed avventurosa. Ne aveva
parlato
tante volte con Sirius, e sapeva che la pensava allo stesso modo.
“Perché
non ti siedi,
James?” gli
propose Peter,
amichevolmente, indicandogli la sedia libera alla sua destra.
“Uhm,
sì, grazie, forse è
meglio”.
Si sforzò di non
pensare a nulla per qualche
secondo, così come era abituato a fare ogni volta che a
Hogwarts finiva in
punizione e qualcuno – in genere la McGranitt –
attaccava una lunga e noiosa
predica volta a cercare di riportarlo sulla retta via, ma non ci
riuscì; la
necessità di parlare si era fatta più forte di
lui.
“Allora,
convinto al cento per
cento?” domandò a Peter, battendogli una mano
sulla spalla.
“Beh,
sì, credo. Forse. Insomma…
a dire il vero ho un po’ di paura…”
“Tranquillo,
non sei mica
l’unico”.
“Io
non ho paura”, fece notare
Sirius, in tono sprezzante.
“Lo
immaginavamo. Infatti non eri
incluso nel discorso”, commentò Remus.
“Secondo
te altrimenti per quale
ragione sarei finito a Grifondoro, eh?”
“Poco
importa, non siamo più a
scuola”.
“Già,
perché invece tu hai
proprio l’aria della persona terrorizzata. Non ti scalfisce
mai niente…”
“Ma
come, ero convinto di manifestare
abbastanza bene il mio fastidio nel momento in cui ti metti a parlare a
sproposito!”
“Sono
sicuro che se Voldemort ci
sfidasse a colpi di dialettica vinceresti di sicuro senza bisogno del
nostro
aiuto, è un peccato che non sia così”,
borbottò Sirius, caustico.
“E
tu, Pads? In che cosa pensi
che riusciresti a vincere?” domandò James,
divertito dal battibecco in corso.
“Se
fosse una lotta a chi è il
più bello, ovviamente”, rispose Sirius, scuotendo
teatralmente i capelli
corvini, che durante gli ultimi mesi aveva lasciato crescere fino alle
spalle
in segno di ribellione assoluta. Remus gli gettò di sfuggita
un’occhiata
scettica.
“Oh,
sì, la tua sarebbe davvero
una missione umanitaria…”
“Ehi,
c’è Silente!” strillò
Peter. Tutti si volsero immediatamente verso il camino, che aveva
improvvisamente virato il colore delle sue fiamme verso un verde
smeraldino.
Tra le lingue di fuoco spuntava il volto del Preside di Hogwarts, per
nulla
mutato dall’ultimo giorno in cui l’avevano visto,
in occasione dell’ultimo
addio alla scuola di magia.
“Scusateci
per l’attesa, alcuni
dei nostri sono appena rientrati da una missione imprevista. Bene, vedo
che ci
siete tutti: potete usare la Metropolvere e recarvi alla Taverna del
Drago
Fumante”.
“Mi… mi scusi, signore, e l’indirizzo?”
domandò Peter, titubante.
“Basterà
questo, non
preoccupatevi”, sorrise Silente.
“Va… va bene”. Peter non
sembrava molto convinto. Del resto, i viaggi via camino non erano mai
stati i
suoi preferiti.
James
afferrò una manciata di
polvere volante, seguito dagli altri. Incrociò lo sguardo di
Sirius: l’amico
aveva un entusiastico bagliore negli occhi, totalmente eccitato
all’idea di
combattere finalmente in prima fila. Ne avevano discusso, qualche
giorno
addietro. Sirius non sembrava per nulla turbato dalla
possibilità di rimetterci
la pelle e James era leggermente preoccupato per questo; era
abbastanza sicuro
che tutta quella smania di gettarsi nella mischia fosse dovuta
principalmente
al desiderio di scontrarsi apertamente con quei membri della sua
famiglia che,
come tutto il mondo magico ben sapeva, erano entrati a far parte delle
schiere
di Voldemort. Sua cugina Bellatrix era una pazza furiosa e per giunta
molto
vicina a Voldemort, da quanto si sapeva, perciò estremamente
pericolosa; mentre
il fratello, Regulus, era un ragazzino sciocco che non aveva
assolutamente idea
di quello in cui si stava cacciando. Se per caso un giorno si fossero
trovati
faccia a faccia, forse Sirius avrebbe finito per pentirsene. Era
l’unico, fra
loro, a dover affrontare la prospettiva di doversi scontrare con la sua
stessa
famiglia. James aveva provato a domandarsi che cosa avrebbe fatto se si fosse trovato nei suoi panni,
ma non era riuscito a giungere ad una conclusione; non era
semplicemente in
grado di immaginare che cosa significasse stare al posto di Sirius.
“Prima
le signore”, offrì
cavallerescamente l’amico, rivolto a Lily, e James ebbe un
moto interiore di
ribellione. Stava trascinando la persona che amava verso una guerra, a
scontrarsi con maghi oscuri indubbiamente molto più potenti
di cinque studenti
appena usciti da Hogwarts e se lei fosse morta per questo non se lo
sarebbe
mai perdonato, mai. Ma anche con lei aveva discusso e non
c’era stato verso di
far sì che ci ripensasse. Lily era incredibilmente testarda,
e aveva
tremendamente insistito per non essere lasciata in secondo piano
solamente in
quanto donna; di sicuro, per quanto riguardava le abilità
tecniche e le
conoscenze, non era seconda a nessuno, fra loro. Ma quando la
osservò entrare
nel camino, lanciare la polvere tra le fiamme e scomparire, non
poté fare a
meno di sentirsi stringere lo stomaco in una morsa di paura.
Peter
fu il secondo, Remus il
terzo. Sirius gli strizzò l’occhio con un
sorrisetto complice prima di sparire
in mezzo ad un lampo di luce verde. James si strinse nelle spalle,
sospirando
fra sé. In fondo sapeva che, in ogni caso, non avrebbe
potuto dare a Silente
una risposta diversa quando gli aveva offerto di entrare a far parte
dell’organizzazione di quel probabile suicidio di massa.
*
Quando
James fu catapultato fuori
dal camino con un violento ruzzolone, si ritrovò immerso in
una momentanea
nuvola di polvere che non gli permetteva di vedere al di là
del suo naso. Per
questo si prese uno spavento non indifferente quando qualcuno ben poco
distante
da lui cacciò un improvviso urlo di dolore.
Istintivamente
estrasse la
bacchetta e si mise in piedi, per poi ritrovarsi di fronte ad uno
spettacolo
che lo lasciò decisamente interdetto. Si trovava in una
stanza semivuota e
scarsamente illuminata dall’unica finestra in grado di fare
luce all’interno;
una piccola folla di persone si era raccolta intorno
all’unico letto e fissava
con apprensione l’uomo che Hagrid stava deponendo con
discutibile delicatezza
sul materasso. Lo riconobbe subito, aveva visto alcune sue foto sui
giornali
nei mesi scorsi; la piccola differenza, però, era che gli
mancava… una gamba.
L’uomo
si lamentò ancora, finché
non ebbe toccato il letto. Una Minerva McGranitt molto meno contenuta
di quanto
fosse durante le lezioni ad Hogwarts gli si avvicinò
immediatamente, osservando
l’arto mutilato.
“Dovevate
portarlo immediatamente
al San Mungo!” disse, rivolgendosi a due giovani sulla
trentina, che si
assomigliavano in maniera impressionante, scarmigliati e imbrattati di
sangue.
“Non
ha voluto muoversi finché
non li ha messi in fuga o fatti fuori tutti, professoressa, non
c’è stato
verso”, si difese uno dei due, quello leggermente
più alto e robusto.
“In
queste condizioni è… è…”
“…impossibile salvare l’arto,
sì, Minerva. Lo so. Non mi interessa”.
“Come
sarebbe a dire che non ti
interessa?”
“Pensate
ad accogliere gli
ospiti, piuttosto”. L’uomo mutilato li
fissò con un ghigno a metà fra una
smorfia di dolore e una specie di sorriso. James ricambiò
l’occhiata solo per
una frazione di secondo; si rese conto solo in quel momento che
all’uomo,
probabilmente, mancava anche un occhio, la cui orbita vuota era coperta
da una
benda nera. Un brivido freddo gli percorse la schiena; volse lo sguardo
attorno
verso Peter, Remus, Sirius e Lily e notò che anche loro
erano piuttosto
impietriti.
“Largo,
fate largo”, disse
all’improvviso una voce alle sue spalle. James fece un balzo
indietro, appena
in tempo per far passare una giovanissima strega con una chioma di
capelli
scuri incredibilmente lunga raccolta in un’unica treccia, che
trasportava un
grosso borsone, un catino d’acqua e degli asciugamani. Una
Guaritrice. Era la
prima volta che ne vedeva una; sapeva che Lily aveva preso seriamente
in
considerazione quel tipo di carriera.
Mentre
la Guaritrice si
affaccendava intorno all’uomo mutilato, Albus Silente si
volse finalmente verso
di loro.
“Mi
dispiace per questo ingresso
un po’ brusco che vi è toccato”, disse,
distaccandosi dal gruppetto di gente
che prestava attenzioni e cure al ferito. A parte Hagrid e la
McGranitt, James
si rese conto di non riconoscere altre facce. I due giovani,
probabilmente
fratelli, avevano a occhio e croce almeno una decina d’anni
più di loro, quindi
di sicuro non li aveva mai incrociati a Hogwarts; lo stesso valeva per
quel
tipo basso con lunghi ricci castani che stava aiutando a bendare la
gamba
dell’uomo ferito. Altri erano decisamente troppo anziani per
aver potuto
frequentare la scuola di magia insieme a loro: una donna sulla
quarantina
dall’aria nobile, con uno scialle verde smeraldo,
un’altra di forse una decina d’anni più vecchia,
un po’ curva, con il viso magro e incavato e i capelli tirati
indietro in
maniera simile alla McGranitt; due uomini piuttosto anziani, uno con un
cappello assurdo che quasi gli copriva l’intera faccia,
l’altro con dei comici
baffetti a punta; un tipo alto con la mascella squadrata, un altro con
una
lunga barba nera e la carnagione olivastra e un terzo
dall’aria importante,
molto curata. C’era infine una coppia che si avvicinava
maggiormente a loro in
quanto ad età: lui biondo e silenzioso, lei con un viso
simpatico,
rotondeggiante.
“Sembra
fatto apposta per
spaventarvi, eh? Ehi, benvenuti nell’Ordine della Fenice,
potreste rischiare di
tornare senza una gamba la prossima volta”, disse loro
Hagrid, cercando di
sdrammatizzare.
“Peggio:
potreste non tornare affatto
se non vi guardate bene le spalle. È solo per questo motivo
che io ci ho
rimesso così poco. Vigilanza costante! Ah, a proposito,
piacere, Alastor
Moody”.
James
vide che Peter gettava
un’occhiata preoccupata alla porta d’ingresso e
ridacchiò fra sé. Doveva essere
rimasto parecchio scioccato.
Fecero
un giro di presentazioni
in breve: Marlene McKinnon era la Guaritrice, Benjy Fenwick
l’uomo con i
capelli lunghi, Gideon e Fabian Prewett i due fratelli, Emmeline Vance
e Dorcas
Meadowes le due donne più anziane, Frank e Alice Paciock la
coppia giovane,
Caradoc Dearborn l’uomo con la barba nera, Edgar Bones quello
distinto – James
ricordò di averlo già sentito, era uno importante
nel Ministero probabilmente
–, Sturgis Podmore era quello con la mascella squadrata e
Elphias Doge e
Dedalus Lux i due vecchietti. Insomma, poco più giovani di
Silente.
“Signore,
scusi la domanda, ma
come mai ci troviamo proprio qui?”
“Questo
è il nostro quartier
generale temporaneo, era la locanda gestita da mio fratello Aberforth
prima che
si trasferisse alla Testa di Porco”.
James
sgranò leggermente gli
occhi, incredulo.
“Suo… fratello è il proprietario
della Testa di Porco?”
Silente
sorrise lievemente,
divertito.
“Tranquillo,
James, non è solito
fare la spia”.
Già, pensò, altrimenti un sacco di nostri scherzi ai
danni dei Serpeverde maturati là dentro non sarebbero mai
andati in porto.
“A
proposito di Aberforth,
dovrebbe arrivare a breve…”
In
quell’esatto momento, ci fu un
lampo di luce verde e un uomo uscì ruzzolando dal camino,
spolverandosi le
vesti con aria seccata.
“Visto?
Una puntualità
impeccabile”.
James
scrutò con attenzione
l’uomo che doveva essere il fratello di Silente. Di sicuro
gli assomigliava
molto, la barba lunga e gli occhi di quell’azzurro quasi di
ghiaccio erano gli
stessi; tuttavia, portamento, sguardo ed espressioni erano quanto di
più
diverso ci potesse essere.
“Ah,
siete voi i nuovi acquisti”,
bofonchiò, squadrandoli uno ad uno con una certa diffidenza.
“Non
sono un po’ troppo giovani,
questi qui?” obiettò, in tono polemico.
“Non
tanto quanto lei potrebbe
essere troppo vecchio, signore”, rispose James, ricevendo in
tutta risposta
un’occhiata di disapprovazione da parte di Lily. Accidenti a
lui e alla sua
incapacità di filtrare i pensieri prima di aprire bocca.
“Ragazzo,
il tuo ex preside,
qui, è molto più decrepito di me”,
ribatté il proprietario della Testa di Porco,
indicando Silente che, anziché sentirsi offeso, se la rideva
sotto i baffi.
“Non
badateci, Aberforth ci ha
raggiunti qui oggi soltanto per presenziare alla vostra piccola
cerimonia d’iniziazione”,
disse loro. Lui, in tutta risposta, si strinse nelle spalle.
“Ero
soltanto curioso di vedere
chi avevi trascinato questa volta nei tuoi folli progetti”,
replicò.
“A
dire la verità noi non vediamo
l’ora di gettarci in tutta questa follia”, disse
Sirius, sogghignando.
“Ma
guardateli, solo perché non
hanno neppure una cicatrice credono di poter salvare il mondo…” bofonchiò
Moody, alle loro spalle.
“Ci
dia un po’ di tempo per
riguadagnare un po’ di vantaggio e poi potremo fare a
gara”, scherzò Sirius. James vide
Remus alzare gli occhi al soffitto e scuotere la testa, rassegnato. Poi
incrociò
lo sguardo di Lily: non aveva detto una parola da quando erano
capitombolati
lì dentro. Tentò di capire se fosse spaventata, ma era
chiusa ed impenetrabile
nella sua aria pensierosa. Sembrava distratta da
qualcos’altro, qualcosa che
non aveva niente a che fare con le persone che stavano loro intorno.
James si avvicinò con circospezione e
le passò un braccio intorno alla vita, stringendola leggermente verso
di sé. Lei
si riscosse e lo guardò, sorridendogli. Chissà se
poteva stare tranquillo.
*
La
cerimonia d’iniziazione che
aveva messo tanto timore a Peter non richiese altro se non firmare una
pergamena lievemente consunta con un inchiostro invisibile abilmente
stregato –
solo i firmatari potevano leggerne il contenuto – usando una
piuma proveniente
direttamente dalla coda di Fanny, la fenice di Silente.
Dopodiché, il preside
li presentò al resto dell’Ordine come dei ragazzi
molto abili e molto
coraggiosi, che traevano una particolare forza dall’unione
profonda che c’era
fra tutti loro e che era importante che non si spezzasse mai.
In
effetti, James sapeva che
sarebbe stato mille volte più difficile affrontare una
scelta simile se
qualcuno fra tutti gli altri si fosse tirato indietro.
Perché
Sirius era quello che
incitava ad agire da protagonisti, a lottare in prima linea. Remus era
quello
che riusciva a frenare le avventatezze eccessive, che sapeva fare la
scelta più
prudente. Peter forse aveva più bisogno dell’aiuto
degli altri, ma il suo
sostegno e la sua fedeltà non mancavano mai. E Lily era
intelligente,
brillante, capace di tirare fuori sempre la soluzione giusta.
Le
cose erano cambiate in fretta
dai tempi in cui erano solamente degli studenti scapestrati. Beh, Lily
non era
mai stata scapestrata. Remus, invece, un paio di volte si era lasciato
andare a
mollare qualche pugno ben assestato ad alcuni disgraziati Serpeverde;
vederlo
in azione una volta tanto al posto suo o di Sirius era stato
decisamente
soddisfacente.
James
sorrise, scuotendo la
testa.
Dopo
il discorso, Aberforth aveva
stappato una bottiglia di Idromele e avevano fatto un brindisi al loro
ingresso
nell’Ordine. Avevano perfino scattato una fotografia; Alastor
Moody si era
rapidamente rimesso in piedi grazie ad un paio di stampelle.
“Date
retta a me, che ne ho viste
di cotte e di crude”, aveva detto loro, avvicinandosi con
andatura claudicante.
“Dovete
guardarvi sempre le spalle a vicenda. Sempre.
Quei dannati Mangiamorte agiscono in gruppo e se vi ritroverete da
soli per
voi sarà la fine”.
Lily
strinse la mano di James,
silenziosamente. Lui rivolse all’Auror un sorriso di
circostanza e la trascinò
fuori, su un piccolo terrazzo sgangherato.
“Beh?
Che te ne pare?” le chiese, una
volta respirata un po’ d’aria.
“Non
so se me li aspettassi così.
Il fratello di Silente è un tipo stranissimo. E il cappello
di Elphias Doge, l’hai
visto? L’ha rubato ad un mago Babbano e l’ha
modificato, e ora ci tira fuori
conigli, fiori, fazzoletti…”
“Wow,
è davvero geniale. Devo assolutamente
convincerlo a prestarmelo per un giorno”.
“Non
ne hai bisogno, Potter, sei
già straordinariamente buffo così”.
James
incrociò le braccia,
sfoggiando un’espressione imbronciata.
“Che
cosa vorresti dire, Evans?”
“Che
i tuoi capelli sono sempre
più terribili. Guarda la foto”, gli disse Lily,
mostrandogliela, “Sembri… uno
spaventapasseri”.
“Ah
ah ah! E che diavolo è uno spaventapassanti?
Una cosa per le
persone asociali?”
Lily
rise, poi gli prese il viso
tra le mani e lo baciò delicatamente.
“Sono
un po’ preoccupato. Sirius,
sai, suo fratello è un Mangiamorte ora… e Peter,
potrebbe non farcela, dovremo
stare attenti a non lasciarlo solo… e ho letto stamattina
sul giornale che i
Lupi Mannari si sono uniti a Voldemort, Remus la prenderà
malissimo…”
Lily
si strinse nelle spalle,
rannicchiandosi fra le sue braccia, alla ricerca di protezione dal
vento.
“Ormai
ci siamo dentro”.
“Già”.
James
accarezzò i capelli di
Lily, poi vuotò il suo bicchiere di Idromele in un colpo
solo. Fissò il
tramonto che si stava spegnendo all’orizzonte ed emise un
lungo e silenzioso
sospiro. Non aveva mai pensato, durante tutta la sua vita, che si
potesse
diventare adulti così bruscamente.
Beyond
the horizon of the place we lived when we were young
In a
world of magnets and miracles
Our
thoughts strayed constantly and without boundary,
The
ringing of the division bell had begun.
There was
a ragged band that followed in our footsteps,
Running
before time took our dreams away.
The grass
was greener,
The light
was brighter,
With
friends surrounded,
The
nights of wonder.
(Pink Floyd, High Hopes)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Questioni irrisolte (Sirius Black) ***
Capitolo
2 – Questioni irrisolte
Come
molte persone, mi piace trascinarmi
questo senso dell’occasione perduta, perché
dà alla mia vita una sorta di
patina estetica ed è una buona scusa per sentirmi infelice
quando le cose non
vanno bene.
(Jonathan Coe, L’amore non
guasta)
Agosto 1978
Sirius
uscì dalla Gringott con
l’aria più soddisfatta del mondo.
C’era
la guerra, Voldemort
imperversava ovunque e mieteva decine di vittime, colpendo
indiscriminatamente
maghi e Babbani, ma lui, in quel momento, non poteva proprio fare a
meno di
essere euforico. Aveva appena intascato una fortuna che gli avrebbe
permesso di
cavarsela egregiamente, da un punto di vista economico, per diversi
anni della
sua vita futura.
Se
non per tutta la sua vita futura.
Probabilmente
dipendeva da quanto
sarebbe campato, ma non intendeva pensare troppo in là, al
momento.
Avevano
tentato di trovare
qualche cavillo per impedirgli di appropriarsi di quei soldi, ma non ci
erano
riusciti. Ed ora, a sette mesi dalla morte di suo zio Alphard, erano
entrati
finalmente in suo possesso, depositati nella cassetta di sicurezza
della
Gringott, fuori dalla portata di sua madre, suo padre e qualsiasi altro
suo
parente.
Sogghignò
tra sé: sapeva
benissimo quanto sarebbe piaciuto a Bellatrix o a Narcissa mettere le
mani su
quella piccola fortuna. Sicuramente in quel momento si stavano torcendo
le
budella dalla rabbia. Ma zio Alphard era scapolo, un povero vecchio
dimenticato
da tutti che solo Sirius, ogni tanto, andava a trovare. Lo aveva fatto
un po’
perché era uno dei metodi più efficaci per
sfuggire al controllo della sua
famiglia quando ancora viveva con loro, e un po’
perché l’anziano parente gli
faceva pena. Faticava a muoversi fin da quando lui era piccolo, e il
suo Elfo
Domestico non era mai stato in grado di supplire alla presenza di un
essere
umano che lo confortasse e lo accompagnasse in giardino a respirare un
po’
d’aria. Per quanto ne sapeva Sirius, nessun altro parente si
era mai
interessato molto di lui, se non per mere formalità. Giusto
Andromeda gli
chiedeva sue notizie ogni tanto, ma abitava lontano e, per via del suo
matrimonio con Ted, aveva tagliato i ponti con tutti i consanguinei.
Del resto,
zio Alphard non era esattamente un uomo di larghe vedute, e come tutti
gli
altri disapprovava i matrimoni fra Purosangue e Babbani.
Probabilmente
l’aveva sempre
creduto un ottimo nipote, in quanto Sirius aveva omesso di raccontargli
alcuni
dettagli, come ad esempio la fuga da casa e la sua permanenza dai Babbanofili Potter; non aveva potuto
nascondere di essere finito a Grifondoro, ma neppure aveva mai pensato
di
farlo. Andava troppo fiero di aver rotto quella tradizione, quindi
risparmiò al
vecchio zio soltanto le informazioni che avrebbero potuto minare il
quieto
vivere. Del resto sapeva benissimo che lui, secondo Walburga e Orion, era il figlio degenere,
eppure non
si era mai sognato di non accoglierlo in casa sua.
Il
testamento di zio Alphard era
stato redatto nel 1975 e da allora non era stato più
toccato, segno del fatto
che le sue decisioni erano già state prese da tempo;
nessuno, neppure i parenti
più stretti, avevano potuto fare nulla per accaparrarsi
quell’eredità. Sirius
era diventato maggiorenne lo scorso febbraio perciò, allo
stato attuale,
possedeva tutti i requisiti per entrare in possesso della somma di
denaro.
Insieme
a quell’inaspettata
quantità di Galeoni, Sirius aveva ereditato anche la casa di
zio Alphard;
tuttavia, decise immediatamente di disfarsene. Liberare il suo Elfo
Domestico
sarebbe stata la prima cosa che avrebbe fatto; non desiderava averne
uno fra i
piedi, inoltre, se erano tutti come Kreacher, preferiva di gran lunga
averci a
che fare il meno possibile. In ogni caso, quella villa era troppo
grande per
una sola persona e troppo isolata; l’avrebbe venduta e
sarebbe andato alla
ricerca di un appartamento a Londra, in un posto finalmente pieno di
vita –
senza offesa per i genitori di James, ai quali di sicuro si addiceva
maggiormente
la vita di campagna; dopo un po’, però, diventava
una vera barba. Non che
avesse mai osato lamentarsene, chiaramente; era già loro
grato per l’ospitalità
e la gentilezza con cui l’avevano accolto,
quell’estate in cui aveva deciso di
scappare. Ma ora poteva scegliere, non doveva più pesare
sulle spalle di
nessuno.
Come
prima cosa, ovviamente,
avrebbe risarcito i Potter con una parte del denaro che aveva ricevuto
in
eredità. Era doveroso che lo facesse. Si erano comportati
come dei secondi
genitori, per lui, e questo non l’avrebbe mai scordato;
tuttavia, dato che ora
aveva la possibilità di ripagare, lo avrebbe fatto senza
esitazione. Non voleva
neppure dare l’impressione di andarsene di corsa, come se da
loro si fosse
trovato male. Perciò, pensò che prima era meglio
cercare il nuovo appartamento,
dopodiché avrebbe dato loro l’avviso.
Non
sapeva se a James avrebbe
dovuto dirlo prima, invece; in realtà, non sapeva neanche come dirglielo. Gli aveva accennato al
fatto che gli fosse toccata
quell’eredità, quando suo zio era morto, e insieme
avevano riso di gusto
immaginando quanto si fossero infuriati i suoi parenti a quella
notizia. Ma poi
non ne avevano più parlato. Era stato Remus, un giorno, a
introdurre il
discorso con lui e a consigliargli di cercare un avvocato, dopo che
Sirius
aveva appena saputo, tramite una simpatica Strillettera, che i suoi
avevano
minacciato di non fargli mai vedere l’ombra di un soldo. A
quanto pareva, Remus
conosceva abbastanza bene il modo in cui funzionavano quelle assurde
faccende
burocratiche che dovevano passare per un tribunale dei maghi; Sirius
riuscì a
fargli confessare il perché solo dopo diverso tempo, e fu
così che scoprì che i
genitori di Remus avevano tentato di farsi risarcire chiedendo un
processo per
il fatto che lui era stato morso da piccolo da un Lupo Mannaro. Ma
Fenrir
Greyback, il responsabile della sua disgrazia, aveva più
mezzi di loro e riuscì
a farla franca senza troppi problemi.
Entrò
al Paiolo Magico e ordinò
un bicchierino di Firewhiskey. Un piccolo e semplice modo per
festeggiare in
solitario la sua terza grande vittoria contro la sua famiglia. Nelle
altre
occasioni non gli era stato possibile celebrare l’avvenimento
nella maniera più
consona: quando era stato Smistato a Grifondoro aveva solo undici anni
e non
conosceva ancora i passaggi segreti che portavano a Hogsmeade, mentre
quando
era scappato di casa era notte inoltrata e arrancare sotto il peso di
un enorme
baule era più un fastidio che una gioia. Ma ora se lo
meritava, eccome. Il
fatto di essere stato diseredato dai suoi aveva assunto la stessa
importanza
dell’esistenza di Mocciosus, o delle lezioni di Storia della
Magia.
Gli
piaceva ancora fare paragoni
con Hogwarts. Era stata la sua unica e vera casa fino ai sedici anni,
quando
era finito ad accamparsi da James.
Mentre
l’alcol gli scorreva nella
gola, bruciandogli l’esofago, decise che avrebbe aspettato a
dirlo a James.
L’amico era già parecchio agitato per via
dell’ingresso nell’Ordine e aveva
bisogno di recuperare un po’ di equilibrio,
perciò, per il suo bene, non gliel’avrebbe
detto subito, risparmiandogli un ulteriore motivo di turbamento.
Piuttosto,
aveva bisogno di una mano per scegliere il nuovo appartamento. Lui era
troppo
impulsivo ed impaziente, e probabilmente avrebbe finito per gettarsi a
pesce
sul primo loculo che gli fosse capitato sottomano; ecco
perché si sarebbe fatto
accompagnare da Remus, pensò, mentre un ghigno sardonico gli
affiorava sul
volto.
Obiettò
a se stesso che non
faceva quella scelta soltanto per puro egoismo personale, vale a dire
consapevole del fatto che Remus era una persona pratica, con occhio
critico e
in grado di valutare a mente fredda i pro e i contro delle situazioni,
cosa che
a lui non sempre riusciva. No, c’era anche un buon
quantitativo di altruismo
nella sua decisione. Nell’ultimo anno, malgrado Sirius avesse
strisciato e
implorato perdono e giurato che mai più gli sarebbe passato
per l’anticamera
del cervello di fare una cosa del genere, i loro rapporti erano stati
altalenanti. Non che il punzecchiarsi a vicenda per via delle loro
abissali
diversità di carattere fosse una cosa nuova per entrambi, ma
spesso e
volentieri Remus aveva oltrepassato quel sottile limite di causticità a
cui
Sirius non era affatto abituato, e che, nonostante non desse per nulla
a
vederlo, l’aveva ferito. James, ovviamente, se
n’era accorto (quando mai James
non si accorgeva di qualcosa). Gli aveva suggerito di essere paziente,
perché
era normale che Remus coltivasse ancora un minimo di risentimento per
quanto
era accaduto, ma con il tempo l’avrebbe mandata
giù e non si sarebbe più
lasciato sfuggire quelle sottili battutine spinose.
In
realtà, al contrario delle
predizioni di James, Remus non aveva mai smesso.
Forse
neppure lo faceva apposta,
si disse Sirius. Forse anche lui era umano e ogni tanto rimuginava un
po’
troppo sulle cose, com’era tipico di Remus, e allora finiva
per sentirsi di
nuovo male per aver quasi rischiato di uccidere un essere umano. Forse
era vero
che, come gli aveva detto quella notte in preda a lacrime violente, lui
dava la
colpa principalmente a se stesso. Per quello che era, ovvero un mostro.
In
realtà era solo Remus che credeva di essere un mostro. Lui,
James e Peter non
l’avevano mai pensato, mai.
A
Sirius dispiaceva davvero di
avergli causato tutto quel malessere interiore. Non aveva pensato
abbastanza,
come al solito, era stato un idiota. Però cavolo, si
trattava di Mocciosus.
Possibile che Remus dovesse autocolpevolizzarsi a tal punto per un
individuo
simile?
Beh,
in ogni caso lui non aveva
intenzione di smettere di lottare. Voleva che tutto tornasse ad essere
sereno e
spensierato tra loro, come negli anni della scuola, quando lo
tormentava in
ogni modo durante una lezione noiosa e sapeva che non se la sarebbe
presa,
anche se dava l’impressione di farlo. O quando, a mezzanotte
inoltrata, Moony gli
passava con aria stizzita l’ennesimo tema da copiare,
cedendo dopo almeno una mezzora di suppliche continue, bofonchiando che era
tardi e voleva andare a letto e doveva sbrigarsi a spegnere la luce,
per poi
gettargli sulle spalle una coperta di lana sentendolo rabbrividire dal
freddo.
O quando a cena, senza che lui gliel’avesse chiesto, gli
versava nel piatto la
sua porzione di polpette alla cipolla, perché sapeva che
Sirius ne andava
matto.
Gli
mancavano tutte quelle
piccole e silenziose attenzioni, che ultimamente si erano diradate e
fatte più
forzate. Non che poi Remus avesse mai mancato di essergli vicino in
momenti di
bisogno, né di scrivergli personalmente le sue solite
lettere prolisse durante
l’estate, ma c’era quel qualcosa in più
che Sirius rivoleva a tutti i costi,
che smaniava di riassaporare. Era diverso dal rapporto che aveva con
James. Lui
e James erano follemente simili, spesso pensavano la stessa cosa senza
saperlo
e ogni loro piccolo litigio non era mai durato più di cinque
minuti, perché
entrambi non resistevano a tenersi il broncio: tutto ciò che
volevano era ridere
insieme, divertirsi, infrangere le regole, lodarsi a vicenda e, ogni
tanto,
fare lunghi discorsi profondi che li rendevano quasi irriconoscibili.
Erano
fatti così, e le cose non erano mai cambiate, neppure dopo
che James si era
messo con la Evans – Lily. Aveva avuto una paura tale da
sfiorare la paranoia
che, una volta arrivata lei, si sarebbero allontanati, ma aveva suo
malgrado
dovuto riconoscere di essersi sbagliato. L’ultimo anno di
scuola per James era
stato sovraccarico, tra la Evans, l’incarico di Caposcuola e
di capitano della
squadra di Quidditch, ma piuttosto che non perdere tempo con lui
soltanto per
il gusto di farlo aveva trascorso nottate quasi insonni.
Insomma,
a conti fatti, Sirius
sapeva che non avrebbe mai perso James. Era come un fratello per lui, e
se mai
un giorno Lily avesse trascinato l’amico all’altare
l’aveva già avvertita che
avrebbe dovuto concedere a Prongs delle seconde nozze con lui. Nessuno
aveva
osato prendere poco sul serio tale affermazione.
Scosse
via una ciocca ribelle dal
viso con un gesto brusco, mentre si faceva versare un altro bicchiere.
In
fondo, avrebbe anche potuto lasciar perdere Remus. Aveva fatto quello
che
doveva fare: si era scusato, si era umiliato, aveva pianto e
strisciato, aveva
perfino evitato di infastidirlo per una settimana intera. Che cavolo
voleva in
più da lui? Che gli scrivesse una serenata? Era peggio della
Evans quando si
offendeva con James. Si corresse mentalmente. Non Evans, Lily. Aveva
deciso che
gli fosse simpatica, in via definitiva. O meglio, non aveva
più motivi per
trovarla antipatica.
Beh, al diavolo, pensò. Gli
chiederò di accompagnarmi a scegliere un appartamento,
passeremo una giornata
insieme senza James e Peter a ficcare il naso e vedremo di affrontare
il
problema.
Sirius
pagò, uscì e si diresse
verso la Londra Babbana. Camminò per qualche isolato, poi si
nascose in un
vicolo stretto e, assicuratosi di non essere visto, tirò
fuori la bacchetta.
Bastò una lieve concentrazione per far apparire il suo
Patronus. Gli era sempre
riuscito bene, del resto.
La
prima volta che aveva eseguito
quell’incantesimo, aveva finto di rimanere un po’
deluso. Il suo Patronus era
uno scoiattolo. Non esattamente un animale molto virile. Tuttavia era
il primo
animale che avesse mai visto, quando era ancora molto piccolo; lo aveva
invidiato profondamente, perché quello poteva correre e
saltare liberamente fra
i rami dell’albero che stava di fronte alla finestra di
camera sua, mentre a
lui non era permesso uscire senza la sorveglianza di un adulto che
vigilasse
sul suo corretto comportamento.
Quante idiozie era stato costretto a subire.
Sogghignò
divertito fra sé e sé,
mentre inviava il Patronus da Remus. Sapeva bene che gli sarebbe preso
un
colpo, dato che era con quel metodo che Silente aveva stabilito che i
membri
dell’Ordine dovessero comunicare tra loro. Ma almeno Remus si
sarebbe
preoccupato e sarebbe corso subito da lui, senza fare tante storie o
accampare
scuse poco credibili. E poi, non aveva altro mezzo per contattarlo
così, su due
piedi, quindi il suo uso improprio della magia era totalmente
giustificabile.
Mica poteva attaccare un bigliettino alla zampa di un gufo e
mandarglielo, ci
avrebbe messo degli anni.
*
“Che
cosa… che sta succedendo,
Sirius?”
Lo
osservò venire verso di lui,
dal punto in cui si era Materializzato. Non sapeva se mostrare la sua
ilarità o
meno. Remus aveva il respiro leggermente affannoso e i capelli un
po’
scarmigliati. Forse l’aveva fatto agitare troppo,
probabilmente aveva creduto
di doversi preparare ad affrontare uno stuolo di Mangiamorte, a
giudicare
dall’aria ansiosa con cui si guardava intorno.
“Nulla,
sta’ tranquillo, Moony”,
lo rassicurò, restando sul vago. Non aveva ancora capito se
si sarebbe arrabbiato
o meno. James l’avrebbe fatto, ad esempio. Ma Remus non era
mai prevedibile;
era capace di scuotere la testa e poi immergersi nella più
assoluta
indifferenza anche di fronte a catastrofi di proporzioni galattiche.
Ecco
perché non lo aveva mai messo in punizione a sufficienza,
quando era Prefetto.
“Cosa
vorrebbe dire nulla?”
obiettò lui, inarcando un
sopracciglio con aria perplessa. Continuava a gettare occhiate in giro,
alla
ricerca di un pericolo. Com’era buffo.
“Vorrebbe
dire che non ti ho
chiamato per una questione di… beh…
Tu-sai-cosa”, rispose Sirius, cercando di
mantenere un minimo di segretezza. Erano pur sempre a Diagon Alley.
“Ma
se mi è arrivato un tuo…
Silente ha detto di…”
Ecco,
forse stavolta ce l’aveva
fatta a farlo infuriare. Esibì una faccia innocente,
stringendosi nelle spalle.
“Beh,
vedi, non sapevo in che
altro modo contattarti”, si scusò, con il massimo
del candore. Negli occhi
chiari di Remus lampeggiò la disapprovazione. Ecco che
arrivava la ramanzina.
“Ed
è per qualcosa di urgente
che mi hai chiamato?”
“Uhm… beh, certo che sì! Volevo
renderti partecipe del fatto che stamattina sono andato alla Gringott e
mi
hanno consegnato il malloppo. Ce l’ho fatta, ora si staranno
tutti mangiando le
mani dalla rabbia”, disse Sirius, con entusiasmo, tentando di
coinvolgerlo
emotivamente. Per poco non si metteva a scodinzolare. Patetico,
sussurrò una voce dentro di lui.
“Capisco.
Una questione della
massima priorità”, ironizzò Remus,
strorcendo la bocca in una smorfia lieve.
“E
dai, non essere noioso. Andiamo
a farci un goccetto. Così, per festeggiare”. Omise
accuratamente il fatto di
essersi già scolato un paio di bicchieri da solo.
Si
fissarono per qualche
interminabile secondo. Sirius si chiese come facesse Remus ad avere uno
sguardo
così dannatamente capace di farlo sentire in colpa
– quasi. Poi lo osservò
sospirare, uno dei suoi tipici sospiri rassegnati.
“Che
altro ti serve?” gli
domandò.
“Niente!
O meglio, pensavo che
adesso che ho questi soldi da parte potrei prendere un appartamento
mio, in
fondo è ora che la smetta di dare disturbo a James… zio Alphard mi ha lasciato
anche la casa, ma non mi piace, per me è troppo grande,
penso che la venderò…
e intanto, ecco… perché non mi accompagni a
cercare qualcosa?”
Sorrise,
ma Remus sembrava più
freddo. Aveva arricciato le labbra in quel suo tipico modo da
sapientino.
“Perché
non hai chiamato James?”
“Oh,
aveva sicuramente da fare
con Lily”, disse Sirius, di getto. Per poco non si prese a
schiaffi da solo.
Era così difficile dirgli la verità,
cioè che non aveva pensato neppure per
un secondo di chiamare James? Voleva che fosse Remus ad aiutarlo.
“Capisco.
E cosa ti autorizzava a
pensare che invece io fossi automaticamente disponibile a soddisfare i
tuoi
desideri?”
“Veramente
io… al diavolo,
Remus. Scusa se ti ho disturbato, torna pure a casa”.
Sirius
si voltò e fece per
allontanarsi. Il signor Remus John Moony Lupin aveva davvero
l’incredibile
capacità di farlo uscire dai gangheri. Cosa gli costava dire
di sì e basta,
senza fare tante storie? Avrebbe dovuto capire, dato che era
così intelligente,
che quel suo piccolo gesto era un modo per tentare di riconciliarsi
definitivamente con lui. Forse avrebbe dovuto stendergli un tappeto
sotto i
piedi, o fare lui stesso da tappeto. Dannazione.
“Fammi
capire, vuoi cercare un
appartamento a Nocturn Alley?” gli gridò dietro
Remus. Sirius si rese conto
che, in effetti, era quella la direzione che stava intraprendendo.
“No,
pezzo d’idiota”, bofonchiò,
fermandosi e girandosi a guardarlo. Non sapeva più che pesci
prendere, oltre al
fatto che non capiva a che gioco stessero giocando.
“E
allora andiamo, non ho tempo
da perdere”, rispose Remus, facendogli un cenno con la mano e
avviandosi nella
direzione opposta. Sirius inarcò un sopracciglio, perplesso.
No, decisamente
non ci capiva nulla. Per quale motivo ora aveva deciso di accompagnarlo?
Quello
era tutto matto.
Lo
raggiunse di corsa, poi si
mise ad abbaiare e gli addentò il mantello, imitando
Padfoot. Si sarebbe
volentieri trasformato in quel momento – era così
liberatorio, ogni tanto,
essere solo un cane – ma era in mezzo ad una strada
frequentata e per di più
era un Animagus non registrato. Decise che la sua avventatezza non
arrivava a
tanto.
Remus
lo scosse via, ridendo.
“Non
dovrò mica portarti in giro
al guinzaglio, spero”, disse, ironico. Sirius gli
affondò i canini nella
spalla.
“AHO!”
“Ecco,
ora ti ho ripagato di quel
morso sul sedere che mi hai dato l’anno scorso quando eravamo
in giro per la luna
piena”.
“Ti
ricordo che non sono
cosciente di quello che faccio quando non sono in forma
umana”, sbottò Remus,
fingendosi indispettito.
“Però
scommetto che non ti è
dispiaciuto”, ribatté Sirius. Moony gli
gettò un’occhiata perplessa. “Nel senso
che volevi punirmi per qualcosa e quello è stato il modo
migliore che hai
trovato”.
“Aha”.
Ecco,
forse ora avrebbe dovuto
introdurre il discorso. Era il momento adatto, dopotutto. Ma che
discorso?
Remus si liberò la fronte dai capelli con un gesto
distratto. I suoi capelli
erano odiosamente lisci, mentre quelli di Sirius si aggrovigliavano per
un
nonnulla. Lo squadrò da capo a piedi: non era cambiato, i
suoi abiti erano sempre
un po’ logori e rattoppati e aveva l’aria stanca,
segnata da due occhiaie
profonde. Eppure, in qualche strano ed inspiegabile modo, riusciva
sempre ad
apparire dignitoso.
Il
momento passò e Sirius non
ebbe la forza di dire nulla.
*
Alla
fine, come previsto, Sirius
fece un acquisto intelligente sopratutto grazie a Remus.
Fu
lui a consigliargli una
villetta su un piano, con le finestre che davano su un ampio cortile
esterno,
di modo che gli fosse possibile sgattaiolare fuori anche in forma
canina senza
essere visto da tutti. Nella casa a fianco abitava una vecchia Strega
in
pensione praticamente sorda. Inoltre c’era un ampio garage a
disposizione,
collegato direttamente con la taverna, che faceva proprio al caso suo:
Sirius
aveva maturato il progetto di costruirsi una moto volante e aveva
iniziato ad
assemblare qualche pezzo nel corso dell’estate con
l’aiuto prezioso del signor
Potter. Infine, la casa disponeva di un camino e di una vasca da bagno
che
all’occorrenza poteva trasformarsi in una doccia; era stato
il precedente
proprietario ad apportare questa modifica. Il quartiere era tranquillo,
abitato
prevalentemente da Babbani o da maghi in pensione. Ovviamente non ci
pensò su
più di tanto e accettò subito di comprare la casa.
James
non la prese poi così male.
Sembrava dispiaciuto, ovviamente, ma disse che capiva e che approvava
la
decisione. Gli confessò che anche lui stava pensando di
andare a vivere per
conto suo e che probabilmente l’avrebbe fatto presto, anche
per lasciare i suoi
fuori dai guai. I signori Potter non vollero accettare denaro da Sirius
e James
non lo aiutò a convincerli, quindi lasciò loro
sul tavolo della cucina due
biglietti per assistere alla finale del campionato nazionale di
Quidditch in un
palco privato che aveva acquistato di persona. Dopodiché,
prese i suoi bagagli
e cominciò il trasloco.
Remus venne ad aiutarlo,
esattamente come
fecero Peter e James. Non partecipò alla battaglia di
cuscini e materassi che
si scatenò a un certo punto, perdendosi inevitabilmente
tutto il divertimento,
nonostante Sirius avesse cercato di coinvolgerlo aizzandogli contro uno
dei
suoi guanciali – il problema fu che non calibrò
bene la forza del colpo di
bacchetta e per poco non rischiò di buttarlo giù
dalla finestra. Al diavolo,
anche quando agiva a fin di bene finiva per combinare disastri. Per di
più
Remus reagì con la solita indifferenza condita da una punta
di disapprovazione,
cosa che lo fece irritare ancora di più. Voleva che gli
urlasse contro, che lo
picchiasse davanti agli altri piuttosto, anziché continuare
a nascondersi
dietro una finta riconciliazione che non c’era mai stata.
Doveva
parlargli, una volta per
tutte.
Quando
si fece ora di cena, Peter
e James dissero che dovevano andare a casa. La sera erano di turno al
quartier
generale dell’Ordine, ma Peter doveva prima cucinare per sua
madre, che
nell’ultimo periodo si era presa parecchi malanni e doveva
passare molto tempo
a letto. James decise che l’avrebbe accompagnato: con quella
sua enorme faccia
tosta riusciva alla perfezione a calarsi nella parte del bravo ragazzo
e a
piacere indiscriminatamente a tutti i genitori. Perfino la madre e il
padre di
Lily, a cui era stato presentato quell’estate, a quanto
pareva l’avevano
trovato immediatamente adorabile. Già, paradossalmente si
trattava dello stesso
ragazzino magro ed occhialuto che il terzo giorno a Hogwarts si era
messo a
lanciare Caccabombe insieme a lui dalla Torre di Astronomia.
“Moony,
dove diavolo stai andando?”
grugnì Sirius, infastidito, quando lo vide prendere il
mantello insieme agli
altri due. Remus lo guardò senza capire, corrugando la
fronte.
“Ci
siamo dimenticati qualcosa?”
chiese Peter, sulla porta, voltandosi.
“No,
no, voi due sloggiate”,
rispose Sirius, facendo un gesto stizzito con la mano. James
alzò le spalle e
fece un sorrisetto, battendo una mano sulla spalla di Peter e
avviandosi al
cancello insieme a lui, dopo avergli urlato un saluto. Per fortuna, i
suoi
amici erano perfettamente abituati ai suoi momentanei sbalzi di umore
conditi
da un’aggressività apparentemente ingiustificata,
perciò non se la prendevano
praticamente mai per quelle bazzecole.
Remus
attese pazientemente che Sirius lo
guardasse negli occhi prima di parlare, come faceva sempre. Detestava
non avere
un contatto diretto.
“C’è
qualcosa che devi dirmi?”
Sirius
lo fissò intensamente,
sforzandosi di pensare a qualcosa di intelligente e sensato da dire in
quel
momento per arrivare finalmente al punto cruciale. Qualcosa che non
avesse già
ripetuto infinite volte quell’anno a scuola, appena era
successo tutto quanto;
evidentemente non era stato abbastanza credibile. Ma come poteva
esprimersi
meglio? Mi dispiace. Sei
mio amico. Mi dispiace davvero, non volevo. Perché
dobbiamo pensarci ancora? Che cavolo ho fatto di così
irreparabile? Perché non
possiamo fare pace?
Niente
gli sembrò adeguato. Era
un disastro, un completo disastro.
Si
strinse nelle spalle, con un
sospiro.
“Niente,
pensavo soltanto che…
visto che abiti lontano e magari, non so, se vuoi un po’ di
compagnia,
considerato che adesso vivo da solo… se ogni tanto vuoi
fermarti qui, c’è una
stanza in più, come sai”.
Remus
rimase in silenzio per
qualche secondo, guardando altrove e tormentandosi le mani. Sirius si
morse il
labbro. Quando impiegava così tanto tempo per rispondere
l’avrebbe ucciso.
Sembrava quasi che stesse scegliendo le parole per un discorso di
universale
importanza.
“Non
devi sentirti in obbligo di
ripagarmi per averti accompagnato in giro a cercare una
casa”, replicò infine. Oh,
certo. Come se gli avesse fatto lui
un dannato favore. Aver
tentato di fare il primo passo per
venirgli incontro non contava niente. Decise che avrebbe gettato la
spugna,
definitivamente. Che si arrangiasse, non ne voleva più
sapere.
“Va
bene, ciao, Remus...”
“…Comunque grazie”.
Si
voltò giusto in tempo per
vederlo sorridere lievemente e fargli un cenno di saluto, prima che si
chiudesse la porta alle spalle.
Sirius
sbuffò e si abbandonò a
sedere sul pavimento, fissando un punto indefinito sulla parete bianca
di
fronte a sé.
There isn't
time to stand still,
We are constantly
changing.
You're draining my will,
I find myself rearranging my points of view.
There
isn't much I could do.
(The Chameleons, Nostalgia)
Nota di fine capitolo: mi sono sempre
chiesta, fin dalla prima
volta che ho letto Il prigioniero di
Azkaban, per quale razza di motivo Sirius sospettasse proprio
di Remus
durante la guerra, quando divenne chiaro che c’era una spia
tra loro. La
conclusione a cui sono giunta è stata che, per forza di
cose, si dev’essere
creato un attrito fra loro, che li ha portati ad allontanarsi; la causa
primitiva
di questo attrito potrebbe essere stata lo scherzo giocato da Sirius a
Piton al
loro quinto anno di scuola, quando gli rivelò come entrare
nel passaggio segreto
del Platano Picchiatore, omettendo il fatto che si sarebbe trovato di
fronte un
Lupo Mannaro in piena trasformazione. Ci tengo a scrivere una storia
che sia il
più in canon possibile, quindi cercherò di
portare avanti questa tesi in
maniera convincente; in questo capitolo cominciano ad esserci degli
accenni ma,
giusto per precisare, ho preferito fare luce su questo punto.
Entreranno
successivamente in gioco anche tante altre concause, ma questo,
diciamo, è il
primum movens.
Altra delucidazione per chi non ha letto Between You And The Giant Squid: James
e Lily al settimo anno sono stati
Capiscuola, ma grazie alla simpatia dei traduttori italiani che in HP1
hanno
reso “they were Head Boy and Girl” come
“erano i primi della classe”, in molti
non ne sono al corrente. Giusto per precisare che non me lo sono
inventata io,
ma la Rowling stessa.
Ultimissima cosa, poi ho finito con le
comunicazioni noiose: come avrete
notato ho inserito delle date, per inquadrare meglio gli avvenimenti.
Per
sistemare l’ordine cronologico mi sono avvalsa
dell’HP Lexicon, per il quale un
giorno o l’altro scriverò una lode in rima baciata.
Ringrazio
di cuore tutti coloro
che hanno recensito finora, vi tedierò a sufficienza con le
risposte personali
come al solito :) mi raccomando di non trattenervi dal farmi notare se
ci sono
cose poco convincenti o non corrette, io in primis ho il terrore di
sbagliare
qualcosa visto che mi ritrovo a gestire così tanti
personaggi e una trama non
proprio semplice. Al prossimo capitolo :)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** La prima battaglia (Lily Evans) ***
Capitolo
3 – La prima battaglia
We’re all hurtling
towards death, yet here we are for the moment, alive. Each of us
knowing we’re
going to die, each of us secretly believing we won’t.
(Charlie Kaufman, Synecdoche, New York)
Novembre 1978
Non
aveva davvero pensato che sarebbe
giunta a compiere un passo del genere tanto in fretta.
Era
successo tutto così rapidamente, da
quando avevano terminato l’ultimo anno a Hogwarts, che faceva
quasi fatica a
tenere il filo di tutti gli avvenimenti. Quando si svegliava era
disorientata.
Si chiedeva dove diamine si trovasse per almeno una decina di secondi,
prima di
ricordare che non era più a Londra, nella sua vecchia casa
troppo piccola per
quattro persone.
Era
stato un problema convincere i suoi
genitori. Le litigate con Petunia erano diventate furiose. Le aveva
lanciato
addosso ogni possibile parola velenosa per manifestarle tutto il suo
disprezzo,
e Lily l’aveva ignorata per giorni, inghiottendo ogni
insulto, finché non aveva
più retto e le aveva tirato uno schiaffo in pieno volto. I
suoi genitori erano
rimasti a guardarle, ammutoliti. A nulla erano valsi i loro bonari
tentativi di
riappacificarle nel corso degli anni, dal momento in cui Lily era stata
ammessa
a Hogwarts. Forse neppure avevano mai saputo che posizione prendere: la
gelosia
di Petunia poteva risultare comprensibile, entro certi limiti, ma
sentirsi
fieri di Lily era inevitabile. Era giudiziosa ma al tempo stesso vivace
e
sveglia, aveva ricevuto un sacco di incarichi importanti e preso sempre
il
massimo dei voti. Ed era sempre stata così paziente di
fronte all’ostilità
manifesta di Petunia, almeno fino a quel momento.
Ma
che Lily si costringesse a subire era
un caso totalmente eccezionale. Se qualcuno a Hogwarts
l’aveva apostrofata in
malo modo non l’aveva mai fatta passare liscia, per quanto
solitamente si fosse
limitata ad usare le parole per ribattere, senza mettere mano alla
bacchetta,
come invece James usava fare con fin troppa facilità. Ogni
tanto qualche
fattura da parte sua era volata, ma più come mezzo di difesa
che di attacco. In
ogni caso sapeva essere tagliente quanto lo era la sorella con lei e
non si
era mai risparmiata con nessuno, che si trattasse di un fastidioso
Serpeverde o
di un professore stesso (Horace Slughorn ne sapeva qualcosa, anche se
non
l’aveva mai punita per le sue risposte azzardate, pur essendo
nella posizione
di poterlo fare). Perfino Severus ne aveva pagate le conseguenze: dopo
un’ultima, gelida e risentita occhiata che lui non era
riuscito a sostenere,
l’ultimo giorno del quinto anno di scuola, non
l’aveva più degnato di una sola
attenzione. Lui non fece neppure un tentativo di tornare sui suoi passi
e
lasciar perdere Voldemort, i Mangiamorte e le Arti Oscure,
perciò Lily si
convinse che aveva fatto la cosa giusta a chiudere
quell’amicizia in maniera
definitiva. Versò lacrime molto amare quando era certa di
non essere vista né
sentita, sentì la sua mancanza ogni giorno e
indugiò parecchio quella volta che
si ritrovò a passare di fronte al parco giochi dove si erano
conosciuti da
bambini, ma non tornò mai indietro. Per assurdità
avrebbe anche potuto
ammettere che l’insulto nei suoi confronti gli fosse sfuggito
per via
dell’acceso alterco che si stava svolgendo quel giorno con
James, ma non le
aveva dato della stupida, o dell’impicciona…
l’aveva chiamata Sanguesporco.
Aveva definitivamente intrapreso la strada dei suoi amici di
Serpeverde, quelli
che guardavano tutti dall’alto in basso a meno che non
avessero una sola goccia
di sangue babbano nelle loro vene, quelli che progettavano di unirsi a
Voldemort, quelli che ignoravano con aria sprezzante i messaggi di
tolleranza
che lanciavano gli insegnanti. Questo significava che lei e Severus non
potevano più, in nessun caso, essere amici. Le sue idee
erano diventate quelle
stesse idee verso cui Lily provava orrore e disgusto. Ai suoi occhi,
ormai, lei
non era altro che una macchia d’impurità e di
insulto alla magia. In ogni caso,
anche se lei non fosse stata la prima a decidere che ogni rapporto fra
loro
doveva essere troncato, prima o poi Severus avrebbe comunque finito per
non
rivolgerle più la parola; e come poteva? Dato che aveva
abbracciato quelle
idee, non era più possibile contraddirsi e continuare a
mantenere un rapporto
d’amicizia con una come lei, con le sue origini.
Le
furono necessari dei mesi per imparare
a controllare la rabbia. Ricordava bene la convinzione con cui, quando
erano
piccoli, le aveva detto che non importava che i suoi genitori non
fossero
maghi; ricordava le sue anticipazioni su come e quando sarebbero venuti
a
parlare con la sua famiglia per spiegare che era stata ammessa a
Hogwarts;
ricordava che non c’era mai stata una sola nota di disprezzo
nella sua voce.
Poi tutto era cambiato, lentamente. All’inizio, Severus non
si preoccupava di
allontanarsi dai suoi compagni per venire a salutarla e scambiare due
parole
con lei. Non si faceva problemi a sedersi a fianco a lei a Pozioni. Si
offriva
volontariamente di spiegarle qualche nuovo incantesimo dopo lezione,
qualcosa
di più avanzato rispetto al programma di
quell’anno in cui già lei riusciva
sorprendentemente bene. Dopo un po’, però, era lei
che lo cercava più spesso.
Ogni tanto lui fingeva di non vederla, per poi correre da lei di
nascosto e
dirle che le dispiaceva da morire, ma che doveva sbrigare un affare
urgente con
i suoi amici. E poi aveva cominciato a tenere il muso anche a lei dopo
gli
alterchi con James, dopo che lei gli aveva fatto notare che
né Potter né i suoi
amici si avvalevano delle Arti Oscure, anzi, le aborrivano.
Aveva
smesso di rivangare i vecchi
ricordi, la gioia del primo ingresso a Hogwarts,
dell’acquisto della bacchetta,
della prima gita a Hogsmeade. Inevitabilmente, tutti quegli episodi
erano
legati a lui.
Si
era sempre detta che doveva essere
forte e farcela da sola. E infatti, all’apparenza, ci era
riuscita; non si era
più voltata indietro. Ma in realtà le era pesato
enormemente non potersi
confidare con qualcuno che la conosceva meglio di chiunque altro.
Ora,
però, Lily era ospite a casa di
James. A tempo indeterminato. Da quando era entrata
nell’Ordine, l’angoscia per
il destino della sua famiglia aveva raggiunto l’apice. I
Mangiamorte si divertivano con i
Babbani. Li
torturavano, li mutilavano, li facevano morire come topi in trappola.
Senza un
motivo. Soltanto perché stavano dietro a quel mostro.
Sì, Voldemort era un
mostro, non c’era altra definizione possibile. Per quanto
potesse essere
potente e terrificante, Lily si era promessa che, se mai si fosse
trovata
faccia a faccia con lui, non avrebbe avuto paura. Non avrebbe
indietreggiato,
né chiamato James, né implorato pietà.
No, lo avrebbe guardato dritto negli
occhi e avrebbe combattuto fino all’ultimo sangue.
Però
non poteva lasciare che la sua
famiglia venisse coinvolta in una lotta che non aveva niente a che fare
con
loro, di cui loro non avevano colpa. Pertanto, da quando era rincasata
da
Hogwarts, aveva cominciato a prepararli all’idea che dovevano
nascondersi. Casa
sua poteva essere rintracciabile. Severus sapeva dove si trovava e se
davvero si
era unito a loro... Merlino, davvero non poteva concepire
l’idea che potesse
tradirli e consegnarli a Voldemort o ai suoi seguaci. Li aveva
conosciuti, non
aveva mai mancato loro di rispetto. Ma per quanto facesse male doveva
essere
pronta a tutto, anche ad un’eventualità
così orribile.
James
si era offerto di trovare una
soluzione che risolvesse definitivamente le sue angosce e dopo aver
parlato
con i suoi genitori era venuto a dirle, tutto trionfante, dopo un
viaggio
ininterrotto dal Galles a bordo del suo manico di scopa –
aveva paura che i
gufi venissero intercettati, perciò pensava che fosse
più sicuro comunicare di
persona – che la sua famiglia metteva a disposizione dei
signori Evans la loro
tenuta scozzese, per nascondersi finché il peggio non fosse
passato.
A
quel punto, cominciarono i litigi con
Petunia, che non voleva assolutamente saperne di trasferirsi in Scozia. Non le andava a genio la
loro bizzarra
pronuncia, non le piaceva il clima freddo, non voleva andare a vivere
in un
posto che apparteneva a gente con poteri magici. Ma Lily sapeva che
doveva fare
di tutto perché anche lei si mettesse in salvo; se le fosse
successo qualcosa
per causa sua, pur con tutto l’odio immeritato che la sorella
le riversava
costantemente contro da qualche anno a quella parte, non se lo sarebbe
mai
perdonato. Per questo, quando Petunia le disse che lo faceva soltanto
per sé
stessa, perché così avrebbe potuto andare a fare
la vita sregolata che sognava
insieme a James, non riuscì più a trattenersi e
il suo schiaffo fu improvviso e
pieno di rabbia.
I
suoi genitori sembravano dispiaciuti,
ma Lily non provò neppure a giustificarsi. Era stanca,
terribilmente stanca di
sentirsi addossare il peso di essere una strega. Non l’aveva
scelto lei. Non
avrebbe cambiato le cose, se avesse potuto. Si sarebbe tenuta
l’affetto di
Petunia e la vicinanza dei suoi genitori e avrebbe rinunciato ad ogni
suo
potere, se solo avesse potuto.
Però
sapeva che così non avrebbe mai
conosciuto James. In ogni caso, qualunque fosse stato il suo destino,
non
sarebbe mai stata completamente felice.
Beh,
ormai non aveva importanza pensare a
queste cose.
Lily
sbatté le palpebre, poi rabbrividì.
Era stata svegliata dalla luce e dal vento. Quella notte faceva
straordinariamente caldo, così aveva lasciato aperta la
finestra, dopo che
James se n’era andato. Faceva sempre così, passava
dalla finestra. Diceva che
era più emozionante e gli sembrava di sfidare un pericolo,
anche se in realtà
non c’era nessuno a vigilare su di loro la notte, neppure la
sua Elfa
Domestica.
Allungò
una mano per raccogliere la
coperta, che era caduta a terra. Ultimamente aveva il sonno agitato e
nemmeno
la buonanotte di James serviva a calmarla.
Sospirò.
I suoi genitori, ormai, erano al
sicuro. Petunia invece, all’ultimo momento, aveva trovato il
modo di scampare a
quel destino infame: si era
sposata,
in fretta e furia, ed era andata a vivere con il marito nella loro
nuova casa.
Ovviamente Lily al matrimonio non era stata invitata, con la scusa che
fosse
stato tutto organizzato in poco tempo, senza la possibilità
di mettere in piedi
una cerimonia molto studiata. Le aveva comunque spedito un bigliettino
con le
sue fredde congratulazioni, ricevendo in cambio poche, scarne parole: grazie, Vernon Dursley. Un uomo pomposo
e terribilmente ottuso, a parer suo.
La
casa dove vivevano i suoi genitori
ora, la casa che i genitori di James così generosamente le
avevano
spontaneamente offerto, era stata protetta da un unico incantesimo:
avrebbe
potuto entrare solamente qualcuno esplicitamente invitato da loro. Lily
si raccomandò
in ogni modo che facessero attenzione a chi incontravano e che non si
fidassero
troppo facilmente anche di quella che sembrava loro gente normale, ma
non
voleva che i suoi genitori conducessero una vita da reclusi per colpa
sua.
Desiderava per loro una vita normale, come lo era la precedente,
lontano da
tutte le sciagure che lei, per via della sua natura, si era
inevitabilmente
trascinata dietro. Lasciò loro il suo vecchio e fedele gufo,
di modo che
potessero tenersi in contatto; ormai, in sette anni, si erano abituati
alla
presenza dell’animale in casa e avevano imparato a
comunicare in quel modo con
lei quando era a Hogwarts.
Non
aveva davvero idea di cosa potesse
fare per ringraziare i signori Potter. Erano stati enormemente gentili
con lei,
pur avendola conosciuta soltanto all’inizio di luglio, con
l’inizio delle
vacanze estive. James ci teneva tanto. Ovviamente, loro sapevano
già tutto di
lei – quando mai quello zuccone era capace di tenere la bocca
chiusa – ma erano
stati talmente gentili da farle pensare che James non avesse accennato
loro al
fatto che, fino a un paio di anni prima, la ragazza che stavano
accogliendo in
casa con tale disinteressata ospitalità detestava loro
figlio, al punto da
preferirgli una Piovra Gigante. Ne era rimasta sorpresa e non aveva
saputo bene
come reagire, fin quando James non le aveva spiegato, come se fosse la
cosa più
ovvia del mondo, che non avrebbe mai potuto parlar male di lei, neppure
quando
si sentiva rivolgere i peggiori insulti.
“Sì, ok, lo ammetto, ero un
sottomesso. Mi
piacevi comunque da morire, anche se mi odiavi e non mi potevi vedere.
E contro
ogni previsione speravo che un giorno avresti comunque cambiato
idea”.
Lily
si era immediatamente intenerita di
fronte a quelle parole e gli aveva dato un bacio improvviso, profondo.
“Ecco, come vedi ho fatto bene a
perseverare
contro ogni previsione: altrimenti non ci avrei mai guadagnato
questo!”
Era
proprio incorreggibile.
“Siamo stati tutti e due degli stupidi,
davvero
molto stupidi. Tu di più, però, Potter”.
“Ehi! Non è vero, mi ritengo
profondamente offeso
dalle tue parole”.
“Beh, era evidente! Ti davi tutte quelle
arie e
facevi lo sbruffone perché chissà quale voce
idiota dentro la tua testa ti
aveva suggerito che fosse quello il modo migliore per attirare la mia
attenzione…”
“Già, non ricordarmi che
questo metodo funzionava
con tutto il resto della gente, di cui non mi interessava un beneamato
nulla”.
“Facevi quasi ridere, se non fosse che
eri
estremamente fastidioso”.
“Ti faccio presente che hai ammesso anche
la tua,
di stupidità, signora Caposcuola”.
“Ex Caposcuola. E poi dovrebbe essere
un’offesa?
In tal caso stai offendendo anche te stesso, ti ricordo…”
“Sì, chissà come ho
fatto a non far crollare la
scuola. Assurdo. Silente è matto, davvero, ha tutta la mia
stima ma è
completamente matto”.
“O forse sei tu che lo sei, per questo ti
sembrano matti gli altri”.
“Stavamo parlando della tua
stupidità, comunque,
non cambiare discorso…!”
“Oh, sì, certo. Beh,
semplicemente, mi sono
lasciata ingannare in maniera eccessiva dalle apparenze… e
spesso ho ragionato
spiegandomi i tuoi comportamenti in base a ciò che io
credevo realistico, senza
appurare che fosse quella la giusta versione dei fatti”.
“Ecco! Quindi torneresti indietro e mi
daresti
una possibilità prima del settimo anno, Evans?”
“Non lo so, avresti dovuto mostrarmi
prima chi
era realmente James Potter”.
“Quindi il più stupido resto
comunque io, è
questo il succo del discorso?”
“No, per una volta ti assicuro che non
volevo
essere offensiva…”
“Comunque te ne sei pentita?”
“No”.
“Come sarebbe a dire no? Hai appena
finito di
dire che…”
“…Sì, ma tu pensi
che avrebbe funzionato
ugualmente bene quando entrambi non eravamo abbastanza
maturi?”
“Mah, e quand’è che
tu non saresti stata matura?”
“Beh, per tutto il tempo in cui non ho
voluto
ammettere che le cose non stavano come sembrava a me e tutte le volte
che ti
ho giudicato in maniera troppo superficiale”.
“Sei ironica, per caso?”
“No, James… tu invece la tua
paranoia non la
abbandoni mai, eh?”
“Oh, sentitela, ora fa la
superiore”.
“Ma quindi fammi capire, i tuoi genitori
non
sanno nemmeno di quella volta che ti ho paragonato a un Ricciocorno
Schiattoso
a lezione di Cura delle Creature Magiche?”
“Ah, ah, ah. No, non lo sanno, ma hai
riaperto
una vecchia ferita e ora dovrai guarirla”.
“Scommetto venti Galeoni che ci
riuscirò subito…”
Lily
sorrise, stiracchiandosi lievemente
ad occhi chiusi. Quello era stato, in assoluto, il più bel
cambiamento della
sua vita. Non che fosse passata dall’odiare James a pensare
che non avesse
alcun difetto, ma aveva scoperto che i suoi difetti, quelli reali… le
piacevano. Era umano. Insicuro, paranoico, impulsivo, spudorato e pure
un po’
permaloso. Ma era adorabile.
I
suoi genitori erano molto più vecchi di
quanto Lily non si aspettasse. Entrambi avevano già i
capelli ingrigiti.
Cominciò a capire, almeno in parte, che cosa avesse
originato il James
dell’inizio: per tanti anni non erano riusciti ad avere
figli, pur avendone
desiderati, e poi, all’improvviso, quando più
nessuno ci sperava, era arrivato
lui. Accolto più o meno come un dono di Merlino. A James non
era mai mancato
nulla: regali, attenzioni, affetto… lo si evinceva dalle
mille foto di
famiglia che tappezzavano la casa, nelle quali era immortalato in ogni
situazione possibile e immaginabile. James appena nato, James con il
primo paio
di occhiali, James in visita alla riserva dei draghi in Romania, James
sul
primo manico di scopa, James senza denti che mangiava un gelato ormai
sciolto
che gli aveva sporcato e reso appiccicosa tutta la faccia. E poi James
allo
stadio del Quidditch, James che comprava la bacchetta –
scagliando per errore
una Fattura Orcovolante sul povero Olivander – e James che
saltellava
impaziente aspettando il treno per Hogwarts. C’era solo una
cosa che, a suo
dire, gli era mancata e questa cosa era un fratello. Ecco spiegato,
quindi, il
sempiterno e quasi patologico attaccamento a Sirius, che compariva in
diverse
foto dell’ultimo periodo, quelle in cui James aveva
praticamente l’età di
adesso.
In
ogni caso, i genitori erano senza
dubbio soggetti particolari. Il padre di James, Angus, era un
inventore e da
giovane aveva viaggiato letteralmente ovunque fino ai
quarant’anni, quando
aveva incontrato la sua futura moglie. Conosceva mille culture diverse,
sia
magiche che babbane. La madre, Jean Louise, era una scrittrice: aveva
composto
la sua opera principale, un’enciclopedia per maghi dai sei ai
dieci anni di
età, proprio grazie alle conoscenze di Angus, che aveva
riversato tutto il suo
sapere in quella piccola raccolta.
Era
facile pensare che James fosse stato
enormemente viziato e probabilmente era vero; ma era anche cresciuto
in una
famiglia con saldi principi, che pur essendo Purosangue non aveva mai
neppure
minimamente tentato di inculcargli le idee di intolleranza e
superiorità che
portavano molti maghi a unirsi a Voldemort o a parteggiare per lui. In
più,
nonostante avessero un patrimonio familiare ingente, non lo
ostentavano: la
loro era una casa enorme, per gli standard a cui era abituata Lily, ma
semplice, senza lampadari placcati in oro o giganteschi letti a
baldacchino.
C’era un modesto giardino tutt’intorno, con alberi
da frutto anche esotici. Avevano
un’Elfa
Domestica che risiedeva in una stanza tutta sua in un’ala
della
casa separata. L’unico dettaglio considerabile come eccesso
era forse il
mini-campo da Quidditch che era stato fatto costruire per un piccolo
James di
appena quattro anni sul retro della casa, di modo che si potesse
allenare a suo
piacimento con Pluffe e Bolidi. Lily non avrebbe mai scordato la sua
prima
lezione di volo, quando non sapeva neppure da che parte girarsi per
salire su
una scopa, mentre quel pischello in una manciata di secondi era
scomparso dalla
visuale di tutti, per poi tornare trionfalmente con un festone che
aveva
strappato da una delle prime case di Hogsmeade, dove in quel periodo si
teneva
la festa del paese. Un disastro naturale annunciato, ecco
cos’era.
Lily
si rigirò nel letto, sopraffatta da
un moto d’inquietudine. Il distacco dai suoi genitori era
stato brusco e
ingiusto. Aveva sperato, almeno per un certo periodo, che una volta
finita
Hogwarts avrebbe potuto trovare un lavoro a Londra con
facilità, di modo da
riuscire a vederli più spesso rispetto alle sole vacanze di
Natale o di Pasqua.
E invece aveva dovuto allontanarli, per il loro bene. Allo stesso modo,
da
quando era entrata a far parte dell’Ordine, aveva perso quasi
tutti i suoi
contatti con le persone esterne. Adorava
Alice e si trovava benissimo anche con Marlene, in più i
Gideon e Fabian le
avevano promesso che le avrebbero fatto conoscere la loro sorella,
Molly, che a
quanto pareva aveva tre incantevoli bambini di otto, sei e due anni,
più due
gemelli di qualche mese, molto difficili da tenere a bada, con cui Lily
si
sarebbe intrattenuta molto volentieri. Ma le sue amicizie di Hogwarts,
che per
lei erano state tanto preziose, si erano rapidamente disperse nel
nulla. Sapeva
che Margaret Kinglake si era trasferita in Francia e aveva iniziato un
tirocinio presso l’Ufficio delle Relazioni Internazionali
Magiche, ma era da
agosto che non aveva più sue notizie. Delia Lindgreen,
invece, era stata presa
ai provini per la nazionale juniores di Quidditch, quindi ora era in
giro per
il mondo insieme alla squadra, anche lei ben lontana da tutto quel
trambusto.
Helen Miller era andata in vacanza in Irlanda a studiare draghi,
ippogrifi e
unicorni, essendo sempre stata un’appassionata di Creature
Magiche, e qualche
mese fa le aveva scritto entusiasta per dirle che si sarebbe fermata
lì, almeno
temporaneamente, dato che volevano offrirle un impiego. Elizabeth
Lachey di
Corvonero, una ragazza tranquilla con cui chiacchierava piacevolmente
ogni
tanto a lezione, era sparita nel nulla dopo averle raccontato di
essersi
fidanzata con un ricco Purosangue di una ventina d’anni
più vecchio di loro.
L’unica che le aveva ancora scritto di recente era Mary
Macdonald. Anche Mary,
come lei, aveva entrambi i genitori Babbani; nelle sue ultime lettere
le aveva
fatto sapere che aveva deciso di rinunciare al suo sogno di aprire un
negozio
esoterico a Diagon Alley, per restare vicino alla sua famiglia e
proteggerla.
L’avevano assunta in una piccola biblioteca per maghi non
lontano da casa sua,
ma anche Mary, come Lily, aveva molta paura per i suoi. Non aveva idea
di come
rassicurarla; non c’era nulla di confortante in quanto stava
accadendo nel
mondo magico, né sembrava servisse a qualcosa la cautela con
cui il Ministero
divulgava le notizie su Voldemort, con la scusa di non voler generare
il
panico.
Improvvisamente,
Lily sentì bussare sul
vetro della finestra. Si alzò di scatto, ricordando di
averla lasciata aperta. Maledetto Potter.
“Si
può?” lo sentì bisbigliare. Nel
frattempo, era già scivolato nella stanza, scendendo dal suo
manico di scopa.
Praticamente una domanda retorica.
“Fai
come se fossi a casa tua”, ironizzò
Lily, con un ghigno a malapena visibile nella fioca luce del mattino
appena
sorto. Si stropicciò gli occhi per qualche secondo,
sbadigliando. James si
avvicinò a passi leggeri, prese la sottile vestaglia che
stava appoggiata sulla
sedia accanto all’armadio e la posò sulle spalle
di Lily. Poi, con delicatezza,
le prese una mano e le infilò il braccio nella manica
dell’indumento.
“Brava
bambina”, le disse, ridacchiando
alle sue spalle.
“Ero
già sveglia da un po’”,
bofonchiò
lei, in tutta risposta.
“Ma
è ancora presto. Che ti succede? Devo
prepararti una Pozione Soporifera?”
“No,
dovresti praticare un Incantesimo
Sigillante alle tue labbra”, rise lei, infilando anche
l’altra manica della
vestaglia. James esibì una smorfia fintamente offesa.
“Non
costringermi a doverti dimostrare
chi è che comanda qui”, la avvertì,
agitando l’indice.
“A
giudicare da quanto ho visto finora,
direi decisamente tua madre. E dato che, come mi hai riferito, ormai mi
adora,
non ti permetterebbe mai di torcermi un solo capello, signorino
Potter”. Quelle ultime parole le
pronunciò in una fedele
imitazione dell’Elfa Domestica di James, Libby, che lo
trattava sempre con una
riverenza e un rispetto impressionanti. Chissà quanto
l’aveva fatta dannare,
quello scapestrato.
L’ormai
ex Malandrino le fece scivolare
le mani sui fianchi, con la scusa di chiuderle la vestaglia con il
laccio. Lily
si sentì pervasa da un calore insolito. Nonostante tutto era
bello essere lì.
Cercò di scordarsi delle parole di Petunia, della perdita di
Severus e della
lontananza dai suoi genitori. Era la prima volta in vita sua che
concedeva
tutta quella intimità quotidiana ad un’altra
persona; per indole sua, non
pensava che sarebbe mai giunta ad un tale passo. Era difficile per lei
farsi
vincere così, arrendersi ad un sentimento, farsi coinvolgere
profondamente.
James, però, in qualche strana e tuttora poco comprensibile
maniera, ci era
riuscito.
Sul
volto le spuntò un lieve sorriso,
mentre lui le solleticava il collo con la lingua.
“Comunque,
a che cosa devo la tua
visita?” chiese, rabbrividendo leggermente.
“Oh,
sì, giusto, ti è arrivata una
lettera”, borbottò James, staccandosi.
“Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere
saperlo…”
“Dai,
andiamo, Potter, sono curiosa!”
esclamò lei, prendendolo per un braccio e trascinandolo di
corsa fuori dalla
stanza e poi giù per le scale, fino alla luminosa sala da
pranzo.
La
sua corrispondenza le era stata
recapitata da un gufo cornuto nero, che apparteneva a Mary. Lily si
illuminò:
evidentemente non tutti i contatti erano persi. Con gioia
aprì la busta, mentre
James prendeva a sfogliare il nuovo numero del mensile di Quidditch.
Lily
lesse in fretta la lettera scritta
in quella grafia minuta e tondeggiante che conosceva bene, riga dopo
riga.
Giunta alla fine, il suo sorriso si era spento, lasciando il posto ad
un’espressione a metà fra il preoccupato e il
perplesso.
“James…”
“Umpf?”
“Credo
che dovremmo chiamare Silente,
subito”.
*
Lily
strinse la bacchetta nascosta nella
tasca del mantello con forza spasmodica mentre avanzava in mezzo a
quella
piccola folla, stringendosi silenziosamente al fianco di Mary. Erano
entrambe
pallide; lo sforzo per non lasciar trapelare la loro angoscia era
immenso.
Lily
sapeva che era importante non farsi
notare. Altrimenti, tutto il piano dell’Ordine sarebbe
saltato. Aveva avvertito
soltanto Mary, perché in caso contrario sarebbe stata
scoperta subito. Ma non
c’era stato il tempo di organizzarsi in maniera migliore. Sai, Lily, il motivo principale per cui ti ho
scritto non è rivangare
episodi nostalgici, come ho fatto finora, lasciandomi trascinare dai
ricordi.
Ci tenevo, invece, ad avvisarti di un’iniziativa del
Ministero di cui sono
stata avvertita grazie ad un loro comunicato che mi è stato
spedito poco tempo
fa. Pare che si siano allarmati per via dei continui attacchi di
Tu-Sai-Chi
verso i maghi con origini Babbane e le loro famiglie, pertanto hanno
contattato
me e altri per proporci di recarci in un rifugio protetto apposta per
la gente
come noi, dove gli Auror del Ministero ci difenderanno dagli attacchi
dei
Mangiamorte. Io ho deciso che andrò, così
potrò lasciare la mia famiglia a
condurre una vita normale, senza che debbano aver paura di subire
rappresaglie
per causa mia. Ci faranno partire questa sera, se vorrai esserci. Non
penso, so
bene quanto ci tieni a restare con James, però ho pensato
ugualmente di fartelo
sapere. Sento spesso la tua mancanza, come delle altre, e mi dispiace
che la
guerra e mille altri avvenimenti ci abbiano separate. Dovevano
esserci per
forza uno o più infiltrati all’interno del
Ministero per aver architettato un
piano del genere: Mary aveva mostrato a Lily la lettera ricevuta e
sembrava
davvero autentica. Era estremamente difficile falsificare i sigilli del
Ministero, per quanto ne sapeva lei. Ma Silente nutriva già
simili sospetti,
perciò non c’era da restarne sorpresi
più di tanto. Poteva trattarsi di
chiunque. Non dovevano fidarsi di nessuno. Ma ora, la cosa importante
era
salvare quelle persone.
“Scordatelo, Lily, non
permetterò mai che tu lo
faccia, non andrai là da sola!”
“È solo un diversivo, James,
razza di idiota,
devo farli scappare al momento opportuno, altrimenti potrebbero essere
presi
tra due fuochi…”
“Sono maghi, sanno difendersi!”
“Non è detto, potrebbero
portarsi dietro bambini
o anziani, non possiamo rischiare. Se sono entrata anch’io
nell’Ordine non è
per stare a guardare, James!”
Era
stato un piano ingegnoso. Tutti
sapevano che Voldemort se la prendeva con i maghi di origini Babbane,
che
voleva purificare il mondo magico da quelli che lui considerava
indegni. Quel
falso comunicato del Ministero era stato diffuso proprio ai maghi in
questione,
probabilmente tramite le conoscenze che i Mangiamorte avevano a
Hogwarts. Di
sicuro anche Severus aveva collaborato ad indicare quelli che secondo
Voldemort
erano i Sanguesporco. Si
sentì
ribollire di rabbia. Perché non aveva fatto anche il suo
nome, allora? Aveva
forse avuto pietà? No, aveva semplicemente intuito che lei
non ci sarebbe
cascata, che non avrebbe scelto di andare a nascondersi e di cercare
protezione
presso il Ministero.
Chiuse
gli occhi per un attimo,
continuando a camminare. Non doveva essere impulsiva. Se si fosse
lasciata
andare all’ira che provava in quel momento e li avesse
attaccati, non avrebbe
ottenuto nulla.
“Qualcun altro dovrebbe venire con te,
potrei
camuffarmi…”
“Ti riconoscerebbero facilmente, James.
Sanno che
non sei Babbano di nascita. Capirebbero subito che è un
imbroglio. E non c’è il
tempo per preparare una Pozione Polisucco, sai bene che ci vuole quasi
un
mese”.
“Ma Lily…”
“Quando darò il segnale,
potrai venire a salvarmi
e fare l’eroe”.
Il
piano prevedeva di farli salire su un
treno. Come se si stessero dirigendo verso una destinazione dove il
Ministero
li avrebbe messi al sicuro, lontano da Voldemort.
E
invece, probabilmente volevano
sterminarli. Di chi era stata quell’orribile idea?
Perché uccidere delle
persone innocenti, perché?
“Lasciala andare, James. Sa quello che
fa”, aveva
detto Sirius, sorprendentemente. Lily lo aveva guardato in maniera
lievemente
scettica, ma lui in tutta risposta le aveva fatto
l’occhiolino, come se volesse
tranquillizzarla. A quel punto, anche Remus e Peter avevano preso le
sue
difese.
“So che ti preoccupi per lei, ma se la
cava
meglio di noi quattro messi insieme con gli incantesimi non verbali. E
hai
visto come ha tenuto testa a Mulciber e Avery l’ultima
volta?”
“Già, Remus ha ragione, io non
sarei mai stato in
grado di farcela, la stavano accerchiando da ogni parte e…”
“Sì, sì va bene. So
quanto è brava e in grado di
cavarsela, davvero. Ma così è molto
più pericoloso”.
“Saremo comunque nei paraggi.
Interverremo al
momento giusto. Dai, James, smettila di fare la madre
apprensiva”.
“È l’unico modo in
cui può funzionare”.
Quando
arrivarono nei pressi del treno,
fermo ad una stazione ormai abbandonata dai Babbani da decenni, Lily
seppe che
era il momento giusto. Sfilò rapidamente la bacchetta dalla
tasca, senza dare
nell’occhio, e lanciò in cielo delle scintille
rosse con un incantesimo non
verbale.
I
Mangiamorte si voltarono di scatto
verso il centro del gruppo.
“Protego!”
urlò Lily, con altrettanta
rapidità, isolando tutti i maghi che stavano per finire
nelle loro grinfie.
“Che
sta succedendo?”
“È
una trappola, armatevi, presto!”
In
una manciata di secondi si creò il
caos più totale. James e gli altri arrivarono come fulmini
dal cielo a bordo
delle scope e cominciarono a lanciare incantesimi sui Mangiamorte. La
gente si
spaventò. In molti fuggirono al di fuori del Sortilegio
Scudo di Lily,
rompendolo. Lily vide Remus, Emmeline e Caradoc accorrere a coprire le
spalle a
quelli che stavano scappando, impedendo ai Mangiamorte di lanciarsi al
loro
inseguimento. Erano tantissimi. Più di loro, forse. Alcuni
dei maghi caduti
nella trappola sfoderarono le bacchette e iniziarono a combattere.
Altri,
disorientati, non sapevano che fare. Fu solo quando uno dei Mangiamorte
lanciò
in aria il Marchio Nero che si riebbero e scelsero se ritirarsi o
lottare.
“Di
qua! Di qua!”
Hagrid
era giunto al limitare della
pianura dove si trovavano. Guidava un calesse trainato dai Thestral.
Quelli che
si erano dati alla fuga corsero disperati verso di lui, sempre protetti
da
Remus, Emmeline e Caradoc e quando il calesse fu pieno Hagrid si
alzò in volo,
portandoli via dalla battaglia. Lily lanciò uno Stupeficium contro un uomo incappucciato
che stava per attaccare la
gente in fuga, tenendo ancora stretta la mano di Mary, e
pregò che tutti i
bambini e gli anziani si fossero messi in salvo.
Erano
stati abili. Molti si erano
trasformati in veri impiegati del Ministero grazie alla Pozione
Polisucco. Gli
effetti, però, stavano svanendo e Lily si
ritrovò a duellare con una donna
alta e cadaverica, che lanciava ridendo le sue Maledizioni Senza
Perdono. Mary
cercò di aiutarla con un Expelliarmus,
ma venne colpita da un Cruciatus prima
che potesse finire di pronunciare l’incantesimo. Si
accasciò a terra, urlando.
“Mary!”
Lily
sbalzò via con un Impedimenta
due Mangiamorte che stavano
per avventarsi su di lei, ma percepì il movimento simile a
un colpo di frusta
della bacchetta di Bellatrix Lestrange e seppe che era perduta, senza
che ci
fosse il tempo di reagire. Ma l’incantesimo fu preceduto di
una frazione di
secondo da un Everte Statim e fu
bruscamente deviato verso l’alto mentre la donna veniva
scagliata a terra con
violenza improvvisa.
Lily
guardò alle sue spalle.
L’incantesimo era stato lanciato contemporaneamente da Peter
e James, che ora
correvano verso di lei. Aiutò Mary a rialzarsi, mentre Benjy
Fenwick,
volteggiando sopra le loro teste a bordo della sua scopa, colpiva con
un Petrificus Totalus diversi
Mangiamorte
nelle vicinanze. James fece per scagliarsi contro Bellatrix Lestrange
ma Moody,
la gamba mutilata ora sostituita da una finta in legno, lo precedette.
“Questa
è un osso duro, ragazzo, lasciala
ad uno più esperto!”
Moody
si lanciò all’attacco, mentre a
poca distanza da lui si udivano delle urla strazianti. Un gruppo di
Mangiamorte
aveva impedito la fuga a quello che doveva essere un parente Babbano di
qualche
mago. L’avevano sollevato per aria con un Levicorpus
e lo stavano marchiando a fuoco sul petto con una fiamma incandescente
che
usciva dalle loro bacchette. James cambiò direzione e si
diresse verso di loro
insieme a Sirius, che sbucò da dietro un albero
all’improvviso, i vestiti
lacerati in più punti e un rivolo di sangue che gli colava
copiosamente da un
taglio sulla fronte. Pochi secondi dopo, Peter fermò tre
avversari con un Dominusterra. Lily
raccolse con un
Incantesimo di Appello la bacchetta di Mary, ma prima che potesse
riconsegnargliela un Sectumsempra
mancò Emmeline, che duellava alle loro spalle con Malfoy e
la colpì in pieno
petto.
“NO!”
Mary
sgranò gli occhi per l’orrore mentre
si sentiva lacerare le carni in ogni punto del corpo e vedeva il sangue
sgorgare a fiotti dalle ferite.
“Finite
Incantatem! Peter, portala via, ti prego, mettila in
salvo!” supplicò Lily,
rivolta al ragazzo, anche lui malconcio. Peter annuì in
fretta, poi recuperò la
scopa e vi si issò sopra, prendendo Mary con sé.
Lily lo osservò ammirata
lanciare un potente incantesimo di fuoco per impedire ai Mangiamorte
che li
inseguissero o li attaccassero. Aveva sempre visto Peter piuttosto in
difficoltà senza il supporto degli altri, invece sapeva
perfettamente
cavarsela da solo.
James
e Sirius, intanto, avevano
allontanato i Mangiamorte dal Babbano. Lily corse a soccorrerlo.
L’ustione gli
aveva orribilmente sfregiato il torace in profondità e ora
la pelle era
ridotta a bolle e aree necrotiche. Lily tentò qualche
Incantesimo di
Guarigione, mentre l’uomo, svenuto, non dava segni di vita se
non un debole
respiro superficiale. A un certo punto sentì gridare, vide
Sirius cadere
esanime e James che veniva rapidamente accerchiato e lanciato a terra,
in preda
a sofferenti contorsioni… non ci pensò due volte
e corse verso di lui,
lanciando Schiantesimi e colpendo due di loro, per poi pararsi davanti
all’uomo
che amava. Il getto di una fiamma le sfiorò una spalla
mentre si scansava,
bruciandole la manica del vestito e i capelli. James, alle sue spalle,
si
rialzò e con un Impedimenta
sbalzò i
due Mangiamorte rimasti contro un grosso albero; il colpo fu abbastanza
forte
da metterli fuori combattimento. Si guardarono negli occhi con
intensità, senza
sapere cosa pensare perché tutto succedeva troppo
velocemente, poi Lily lo
prese per un braccio e cominciò a correre via, dove Hagrid
li stava aspettando
per mettersi in salvo. Lily, però, si ricordò del
Babbano ferito.
“Aspetta
un-”
“Cercavi
qualcuno?”
Fu
una voce fredda e acuta a risponderle,
che sembrava provenire da ogni parte. Una minacciosa figura nera
planò sopra le
loro teste senza l’ausilio di una scopa, poggiandosi tra lei
e il corpo del
Babbano.
“Perché
non vieni a prendertelo,
ragazzina?” disse di nuovo quella voce strascicata,
così terrificante da far
gelare il sangue nelle vene. Lily sbiancò quando lo vide
abbassarsi il
cappuccio. Quello che la fissava sembrava un teschio, non il volto di
un essere
umano.
Realizzò
che per la prima volta si
trovava faccia a faccia con l’essere abominevole che era
responsabile di tutto.
Voldemort.
“Credi
davvero che una come te possa fare
qualcosa? Sei solo una piccola, sporca figlia di Babbani…”
James
si parò al suo fianco, tremante,
fissando Colui Che Non Deve Essere Nominato con aria di sfida.
“Non
osare insultarla!”
Una
risata agghiacciante riempì loro le
orecchie.
“Potter!
Tu che provieni da una così
nobile famiglia. Quelli come te dovrebbero amarmi, sostenermi. Io sono
venuto a
proteggervi. A preservare le vostre origini, a cancellare quelli che
osano
contaminarle con la loro ridicola e finta magia. Unisciti a
me”.
“Te
lo puoi scordare!”
“Non
si rifiuta così un invito
dell’Oscuro Signore. Quest’uomo pagherà
al posto tuo. Avada-”
“NO!”
Il
raggio verde uscito dalla bacchetta di
Voldemort colpì il terreno, mentre il corpo
dell’uomo volava dritto ai piedi di
Lily e James, che senza saperlo avevano lanciato contemporaneamente un
Incantesimo di Appello. Un gelido silenzio carico di rabbia
calò
improvvisamente, mentre Voldemort li fissava come se volesse
incenerirli con lo
sguardo.
“Avete
osato sfidarmi… la pagherete!”
“RIDDLE,
BASTA ORA!”
Un
cerchio di altissime fiamme si alzò
intorno a Voldemort, schermando Lily e James dai suoi incantesimi,
mentre Albus
Silente si parava davanti a loro, il mantello svolazzante e gli
occhiali a
mezzaluna in bilico sul naso adunco. Una scossa fece tremare la terra
intorno a
loro mentre l’ira di Voldemort si amplificava e James per
poco non perse
l’equilibrio.
“Silente,
anche tu sconterai la pena che
meriti per la tua arroganza, un giorno! Nessuno di voi
vincerà! Ricordatelo!”
Le
scosse diventarono sempre più forti,
il mantello di Silente si staccò e volò via,
infine Voldemort scomparve e il
terreno smise di tremare. Lily cadde in ginocchio, senza fiato.
Lentamente,
il preside di Hogwarts si
volse verso di loro.
“Signore… dobbiamo portare in salvo
quest’uomo al più presto, deve essere curato
urgentemente…”
“Siete
stati molto coraggiosi”.
James
si zittì di colpo. Lily guardò
Silente negli occhi, inspiegabilmente sorpresa. Forse aveva ragione, ma
sentir
pronunciare certe parole di lode da lui era, in ogni caso, una strana
emozione.
Non poté fare a meno di sorridere impercettibilmente.
“Credo
che anche voi abbiate bisogno di
un po’ di assistenza”, aggiunse, e solo in quel
momento Lily si accorse del
bruciore intenso alla spalla. Vi posò lo sguardo e vide che
la pelle era
diventata nerastra, come le ustioni del Babbano. James, invece,
lasciò cadere a
terra la bacchetta, che aveva tenuto stretta finora con le prime tre
dita della
mano piegate in maniera innaturale.
“Hanno
tentato di strapparmela”, si
giustificò lui, accorgendosi del modo in cui Lily lo
guardava. Notò anche che
zoppicava. Si rialzò, con le gambe che tremavano e non
riuscivano a fermarsi.
Erano stati faccia a faccia con Voldemort. Ancora non poteva crederci.
Silente
fece apparire una sorta di
lettiga in cui depose il corpo levitante del Babbano, ancora privo di
conoscenza. Lily lo seguì, facendo appoggiare James sulla
sua spalla. I
Mangiamorte si erano ritirati, il Marchio Nero era sparito. In fondo
alla
radura li aspettavano Hagrid e gli altri.
Mary
era insieme a Marlene e a Peter ed
era stata bendata. Sembrava stesse bene, a parte per il profondo taglio
che le
solcava una guancia. In ogni caso Peter le era stato vicino e ora le
stava
raccontando qualcosa di divertente, riuscendo a farla ridere. Benjy era
caduto
dalla scopa, colpito da un incantesimo; Hagrid lo stava sistemando sul
calesse
trainato dai Thestral con cui era tornato a prenderli, mentre Emmeline
stava
loro a fianco, scossa da qualche lacrima. Continuava a chiedere scusa a
Benjy
per non aver frenato in tempo la sua caduta. Ma Benjy non se la
prendeva mai
per nulla, neppure quando lo mettevano a fare i turni di guardia con quel barbone brontolone di Aberforth,
come lo chiamavano Gideon e Fabian.
Infine,
in un angolo appartato, Remus era
chino sulla testa di Sirius. Lily capì subito che il
trambusto che aveva sentito
in lontananza proveniva da lui.
“Ahia,
Remus, non ci penso neanche,
allontanati!”
“Ma
se non ti ho nemmeno toccato!”
“È
una cosa psicologica, non puoi
capire”.
“Sirius,
non essere idiota, ci è già
voluto un sacco di tempo per fermare l’emorragia”.
“NON
VOGLIO CHE UN AGO MI ENTRI NELLA
TESTA!”
“Non
dovrò cucirti a mano, te l’ho già
detto, userò la bacchetta per guidarlo…”
“NON
MI FIDO!”
“Non
c’è altro modo, le ferite da magia
oscura non si rimarginano da sole o con incantesimi, se non ti vuoi
dissanguare
completamente dovresti lasciarmi fare…!”
“Certo,
così la mia povera faccia ne
uscirà sfigurata!”
“Preferisci
farlo da solo allo specchio,
per caso? Così nel frattempo riusciresti anche ad ammirarti.
Guadagnerai
fascino con una cicatrice, garantito”.
“Ah
ah ah, davvero molto, molto
divertente”.
“Non
fare l’ingrato, Sirius, quest’uomo
coraggioso ti ha salvato la vita” si intromise Caradoc,
ridacchiando divertito.
Aveva il torace fasciato da un bendaggio stretto e stava trangugiando
una
pozione; probabilmente aveva qualche costola rotta. Sirius
corrugò la fronte,
incredulo.
“Nah, non l’avrebbe mai fatto. Sarebbe stato troppo
divertente rimanere ad
osservare mentre i Mangiamorte infierivano sul mio cadavere”.
“Il
tuo senso dell’umorismo è davvero di
pessimo gusto”, commentò Remus con una punta di
acidità. “In ogni caso, sì,
sono stato io a trascinare il tuo corpo esanime lontano dagli
incantesimi
volanti che avrebbero potuto colpirti in qualsiasi momento”.
Sirius
lo fissò, scettico.
“Hm.
E perché l’hai fatto?”
“Perché
nessuno ti aveva visto tornare,
quindi sono venuto a cercarti”.
“Questa
non è una spiegazione”.
“Oh,
invece lo è, e anche molto
soddisfacente”.
“Quindi
significa che sono in debito con
te?”
“Assolutamente
sì”.
“E
come dovrei ripagare?”
“Restando
fermo e lasciandoti cucire
questo taglio come si deve, senza strillare come un infante”.
“Perdona
la domanda, ma tu che vantaggio
ne trarresti?”
“Semplicemente
un po’ di sadico
divertimento. Mi accontento di poco”.
“Oh,
e va bene, ma ti giuro che se mi sfiguri… AHO!”
Lily
rise fra sé, osservando la scena.
Eppure, in quel contesto non vi era nulla di divertente. Avevano
lottato per
salvare delle vite, ma alcuni ci avevano comunque rimesso la pelle. E
anche lei
e James sarebbero morti, se non fosse intervenuto Silente. Essere due
contro
uno, in quel caso, non costituiva alcun vantaggio: si trattava di
Voldemort e
tutti sapevano bene che solo pochi fortunati potevano vantarsi di
essergli
sopravvissuti. Se non avesse volutamente perso tempo a lusingare James
per
attirarlo dalla sua parte, l’avrebbe probabilmente ucciso
senza il benché
minimo scrupolo.
Lily
si voltò a guardarlo. Era rimasto in
assoluto silenzio, da quando era intervenuto Silente. Stava osservando
con
un’ombra sul volto Marlene accingersi a curare le profonde e
crudeli ferite del
Babbano. Pochi secondi dopo, arrivò Edgar insieme a quella
che doveva essere la
figlia dell’uomo, che scoppiò in lacrime e grida
appena lo vide ridotto in
quello stato. James non distolse lo sguardo un solo secondo e,
più tempo
passava, più si approfondavano le rughe sulla sua fronte.
Non era più il
ragazzino spensierato e un po’ infantile dei tempi di
Hogwarts, quello che le
stava accanto in quel momento. Per quanto si fosse sempre schierato
contro le
Arti Oscure, la sua maturazione era stata incredibile: era stato lui a
trascinare tutti in quella battaglia, mettendosi in gioco in prima
persona. Si
rese conto di amarlo come e più di prima e che non voleva
più separarsi da
lui. Era inutile domandarsi il perché, lo sapeva e basta. Se
il loro destino
era quello di morire domani, voleva che morissero insieme; se invece
gli fosse
stato concesso di superare la longevità di Albus Silente,
non desiderava
passare un solo giorno lontano da lui. Si alzò in punta di
piedi e avvicinò le
labbra al suo orecchio.
“James…”
“Sì?”
Esitò
un attimo, chiedendosi se non fosse
completamente impazzita. Poi accantonò il pensiero e si
piantò saldamente di
fronte a lui con le mani sui fianchi.
“Potter,
sarà la prima e l’ultima volta
che mi sentirai implorare. Sposami, ti prego”.
And if a double-decker
bus
Crashes in to us,
To die by your side
Is such a heavenly way to die.
And if a ten ton truck
Kills the both of us,
To die by your side
Well the pleasure, the privilege is mine.
(The Smiths - There Is A Light That Never Goes Out)
Nota di fine
capitolo: giusto un piccolo appunto su Peter. L’ho
reso attivo nella battaglia – e succederà altre
volte – non perché io voglia
sfociare nell’OOC, ma perché ci ho riflettuto a
lungo e sono giunta alla
conclusione che, per forza di cose, non fosse proprio così
imbranato come
volesse far sembrare. Ha delle abilità nascoste che, secondo
me, emergono
quando entra in gioco la sua personale sopravvivenza, come in questo
caso. In
questo momento della storia Voldemort non si è ancora
avvicinato a lui perciò,
per Peter, i nemici sono i Mangiamorte. Se fosse stato totalmente
incapace, non
penso che l’avrebbero ammesso nell’Ordine. O che
Voldemort si sarebbe servito
di lui. Quando sarà il momento tratterò del suo
“passaggio al lato oscuro”, e
spero di riuscire a farlo in maniera convincente.
Altra
cosa: la citazione iniziale è stata
volutamente da me lasciata in lingua originale perché il
film da cui è tratta
non è ancora stato doppiato e non è uscito nei
cinema italiani – e forse,
ahimè, non uscirà mai. In ogni caso, lo consiglio
vivamente a chi ha lo sbatti
di leggersi i sottotitoli e a chi ama – almeno quanto me
– le opere
cinematografiche disfattiste e pessimiste all’ennesima
potenza.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Il matrimonio (Remus Lupin) ***
Capitolo 4
–
Il matrimonio
Senti, tu
sei la risposta di Dio a Giobbe: sai, avresti messo fine a tutte le
discussioni
tra loro. Dio avrebbe indicato te e detto: “Faccio tante cose
tremende, ma ne
so fare anche come questa, sai”. E Giobbe avrebbe detto:
“Okay, hai vinto”.
(Woody Allen, Manhattan)
Dicembre 1978
Remus
era enormemente,
immensamente, straordinariamente felice del fatto che quel giorno fosse
finalmente arrivato.
Non
tanto perché fosse contento
per James e Lily, tuttavia, quanto per il fatto che non ne poteva
davvero più.
Era
stato un vero e proprio
calvario, in cui lui era stato messo in mezzo, consultato,
interpellato,
assillato e torturato da chiunque. Da Sirius perché era
stato scelto come
testimone di James, e quindi era sovreccitato, ma anche teso e in
ansia. Doveva
scegliere il vestito, ma l’idea di essere troppo elegante non
gli andava per
niente giù; gli sembrava di tornare all’epoca
degli abiti da cerimonia che i
suoi genitori lo costringevano ad indossare per quelle pompose cene di
famiglia. Quindi, Remus l’aveva pazientemente accompagnato a
cercare qualcosa
di adatto, sorbendosi tutta l’ipercriticità e la
pignoleria di Sirius in
materia di abbigliamento, cosa che lo rendeva quasi peggio di una donna.
Poi
Peter era venuto da lui a
sfogarsi un po’, perché ci era rimasto male.
Sperava che James scegliesse lui
come testimone, anche se sapeva benissimo che fosse scontata
l’elezione di
Sirius a tale ruolo; nonostante ciò si era, a suo dire,
stupidamente illuso, e
ora non sapeva come prenderla, perché avrebbe dovuto essere
felice per James,
ma nel contempo credeva di avergli sempre dimostrato la massima
devozione e il
più sentito attaccamento, e ora si sentiva non ricambiato in
quel sentimento
d’amicizia che forse, per James, non era poi così
forte.
Remus,
francamente, non sapeva
che dirgli. Tra loro quattro, era sempre stata in vigore quella tacita
regola:
si comportavano come se fossero tutti uniti e alla pari ma, nel momento
in cui
c’era da scegliere, James avrebbe sempre preferito Sirius, e
viceversa. Lui non
l’aveva mai presa sul personale; era inutile, essendo il loro
legame di
fratellanza e di unione così evidente che sarebbe risultato
ridicolo contestarlo
o anche solo provare a minarlo. Non vi era motivo di farne una colpa a
nessuno
dei due, seppure magari, ogni tanto, quel pizzico di egoistico
risentimento
verso quelle preferenze così evidenti si faceva vivo anche
in lui. Ma era una
cosa totalmente momentanea e passeggera, che Remus con
abilità sopprimeva e
ignorava, non giudicandola degna d’attenzione. In fondo, non
aveva di che
lamentarsi: quando era arrivato a Hogwarts era totalmente convinto che
neppure
si sarebbe fatto degli amici, essendo già un enorme
privilegio, per lui, la
possibilità di frequentare la scuola di magia che Silente
gli aveva concesso.
Poi quei tre bizzarri individui,
come
li aveva definiti all’inizio, si erano intromessi a forza e
senza permesso
nella sua vita, facendo ciò che quasi nessun essere umano
aveva mai fatto per
lui: si erano preoccupati. Perché ogni tanto spariva, e
finiva in infermeria.
Perché era sempre così chiuso e non si confidava
mai con nessuno. Perché
avevano paura che qualcuno lo picchiasse, data la quantità
di graffi, lividi e
segni di morsi che a malapena riusciva a coprire. Ricordava bene quel
Sirius
dodicenne dall’aria imbronciata, che aveva minacciato di
punire i suoi
ipotetici aggressori con profonda convinzione, subito spalleggiato da
un
risoluto James e da un infervorato Peter. A furia di impicciarsi
così tanto
degli affari suoi, quei tre piccoli scapestrati avevano finito per
instaurare
con lui un legame così forte da risultare quasi assurdo a
suoi occhi di undicenne
e solitario Lupo Mannaro. Insomma, a Hogwarts Remus era stato
doppiamente
baciato dalla fortuna; di conseguenza,
non si riteneva nella posizione di esigere più di quanto
già avesse
inaspettatamente ricevuto.
Poi
una sera, durante un turno di
guardia, si era ritrovato a chiacchierare con Lily. Mancava ormai una
settimana
al matrimonio e lei, fino a quel momento, era sempre stata raggiante e
sicura
di sé. Tuttavia, quando si trovò faccia a faccia
con lui, non ci volle molto
perché cominciassero ad emergere le preoccupazioni.
“Remus, posso chiederlo a te
perché sei una
persona prudente, con la testa sulle spalle. Pensi che io stia facendo
uno
sbaglio?”
“Lily, e da quando tu non
saresti una persona prudente e con la testa sulle spalle?”
“Da quando ho iniziato ad uscire con
James,
probabilmente”.
“Questo sarà meglio non
dirglielo”.
“Già, si offenderebbe a morte…!”
“Sarebbe capace di tenerti il broncio
anche
sull’altare”.
“Te lo immagini? No, questa
donna crudele ha offeso il mio
orgoglio, non la sposo più!”
“Non sarebbe mai capace di dirlo sul
serio”.
“Sì, ma lo conosci. James non
riflette, si
lancia istintivamente nelle direzioni più entusiasmanti.
Probabilmente è dotato
di una fortuna sfacciata, dato che nella maggior parte dei casi gli va
bene e
non ha di che pentirsene a posteriori. Ma stavolta potrebbe farlo, per
quanto
mi è dato sapere”.
“Lily. Non vorrei sembrare esagerato, ma
probabilmente James sta sognando questo giorno da quando ancora non era
stato
preso nella squadra di Quidditch di Grifondoro”.
“È che ancora non riesco a
concepirlo
pienamente, suppongo”.
“Sei troppo modesta, semplicemente. Per
migliorare potresti prendere lezioni da Sirius, lui è
indubbiamente un maestro
in quel campo”.
“Grazie, Remus”.
“E di cosa?”
“È che, sai… con
te non mi sono mai dovuta
preoccupare più di tanto di sembrare più forte di
quanto io sia in realtà”.
“Credo che nessuno di noi lo sia. Abbiamo
tutti le nostre debolezze. C’è solo chi si sforza
di più di nasconderle e chi
di meno”.
“E credi che sia un bene nascondere
queste
debolezze?”
“Ti impedisce di essere giudicato solo
per
quelle”.
“Remus, io sono convinta che nessuna
persona
assennata e di buon cuore ti giudicherebbe soltanto per la tua
licantropia”.
“Devo aver conosciuto davvero ben poche
persone assennate e di buon cuore, allora. Silente, ad esempio. E poi
Sirius,
Peter, James… e tu. Non me ne vengono in mente
altre”.
“E allora sono onorata di far parte di
questa
minoranza”.
Infine,
la sera prima del
matrimonio, Remus si era ritrovato a prendere parte ad una serata fra
Malandrini nel nuovo appartamento di Sirius, in compagnia di alcune
bottiglie
di Firewhiskey, per brindare all’evento. La casa era cambiata
molto dall’ultima
volta che Remus vi aveva messo piede: Sirius l’aveva riempita
con ogni
cianfrusaglia possibile ed immaginabile, perfino un vecchio orologio a
cucù non
più funzionante che aveva chiesto in regalo a un vecchio
Babbano della casa di
fronte, il quale stava trasportando fuori l’ormai inutile
suppellettile con
l’intenzione di buttarlo in una discarica. Inoltre, un nuovo
inquilino ora
bazzicava l’appartamento: si trattava di un vecchio gatto,
completamente nero
eccetto che per la zampa posteriore sinistra e la punta della coda. Era
un po’
malandato, gli mancava un pezzo d’orecchio e alle volte
sembrava non possedere
un grande equilibrio; Sirius l’aveva trovato un giorno in
giardino alla ricerca
di cibo, mentre tentava invano di agguantare qualche passero che si
posava sul
muretto di cinta. Padfoot si era lasciato impietosire e gli aveva
lasciato qualche
avanzo di carne. Il giorno dopo, il gatto si era presentato alla stessa
ora a
miagolare davanti alla porta-finestra che dava sul cortile. Una bella
faccia
tosta.
“Da quando l’ho fatto entrare
in casa non si
schioda dal divano, per Merlino. O, se lo fa, è per
piazzarsi a dormire nella
scatola delle scarpe. E appena rientro in casa fa le fusa, si struscia… un
vero ruffiano”.
“Un po’ come te quando pregavi
Moony di
toglierci le punizioni”.
“Io non pregavo proprio
nessuno!”
“Oh sì, invece, sembravi un
condannato a
morte che implora la grazia ad un passo
dall’esecuzione”.
“Tu sei tutto scemo, Prongs. Non riesco
ancora a capire come sia possibile che ti sposi”.
“Perché sono bello, Sirius,
quante volte te
lo devo ripetere?”
“Già, hai ragione,
l’avevo scordato…
Wormtail, vuoi fare una piccola scommessa con me? Secondo te quanto
tempo dovrà
passare prima che Lily lo uccida?”
“Dai, Padfoot, non succederà,
Lily è
innamorata di James!”
“Moony… tu sei
d’accordo con lui?”
“In che senso?”
“Pensi che Lily non riuscirà a
sopportarmi?”
“Sirius esagera e basta, come al solito.
Lo
sai. Non dirmi che ti fai suggestionare così!”
“No, no, certo, è solo… era soltanto una
riflessione estemporanea. Fai finta che non abbia detto
niente”.
“Sei preoccupato?”
“Ma no, è solo che… sì, va bene, sono
preoccupato. Sarà un fiasco totale. Vero?”
“Questa tua paranoia non ha alcun
fondamento
logico, lo sai”.
“Non direi, l’ho delusa e
schifata per sei
anni su sette…”
“Ora però non è
più così”.
“Già, magari ha preso solo una
botta in testa
troppo forte”.
“Domani sera a quest’ora verrai
da me e mi
guarderai in faccia, e se starai sorridendo felice perché
tutto è andato bene
mi riterrò autorizzato ad insultarti cordialmente,
Prongs”.
“Uff, e va bene, ho capito.
Starò zitto.
Siete tutti invidiosi perché mi sposo prima di voi, dite la
verità”.
“Basta che ci lasci un pezzo di torta e
smetteremo di invidiarti!”
Finalmente,
però, quell’accidenti
di matrimonio era stato celebrato. Ora Remus poteva sperare di avere un
po’ di
pace.
Si
pentì di scoprirsi così
intollerante, ma in quel caso non poteva farne a meno. Apprezzava il
fatto di
essere visto come una persona saggia e posata, a cui chiedere consigli
nei
momenti di incertezza; tuttavia, in quel mesetto trascorso da quando
Lily e
James avevano deciso di sposarsi, era stato decisamente sovraccaricato.
Il
guaio era che anche lui aveva
i suoi pensieri per la testa, che però, a differenza di
quelli degli altri, non
trovavano uno sbocco esterno. Di rado riusciva a confidarsi con
qualcuno in
maniera seria e profonda. Questo, inevitabilmente, lo faceva sentire
sbilanciato, sobbarcato del peso di altre quattro persone oltre al suo.
Ma
ora, grazie a Godric, il
giovane funzionario del Ministero dalla voce tremolante aveva terminato
di
officiare quel rito raccolto, quasi improvvisato, i cui invitati si
potevano
contare sulle dita delle mani.
Marlene
era riuscita ad esserci,
e così Gideon e Fabian. Dietro di loro stavano Frank, Alice,
Benjy, Sturgis e
Caradoc. Hagrid si era sistemato in fondo, per non coprire la visuale,
e a lui
si unì Dorcas, che arrivò leggermente in ritardo,
appena concluso il suo turno
di guardia all’Ordine. In prima fila si erano sistemati i
genitori di James e
Lily; il contrasto fra gli abiti da cerimonia babbani e quelli da mago
era bizzarro,
quasi divertente. Peter, invece, era seduto a fianco a lui e
nonostante tutto
era emozionato e commosso. Mary, l’amica di Lily, scattava le
fotografie. L’aveva
sentita sussurrare a Peter il suo odio profondo per le macchine
fotomagiche;
quelle babbane, a suo dire, erano molto più facili da usare,
ma quando aveva
proposto di adoperare una di quelle Sirius l’aveva guardata
storto, commentando
in maniera decisamente sarcastica l’inutilità di
possedere fotografie non
animate.
Ad
ogni modo, Remus non poteva
negare che l’intera cerimonia fosse stata oltremodo
divertente.
Il
pallore ansioso di James aveva
raggiunto un biancore quasi cadaverico. Aveva rischiato più
volte di inciampare
sul tappeto e Remus aveva colto senza difficoltà le rapide
occhiatacce che
Lily gli aveva rifilato. Nel bel mezzo di un momento di silenzio Hagrid
doveva
essere scoppiato in lacrime, perché più o meno
tutti avevano sentito Dorcas
sbottare: “Che diamine, Hagrid, non piangere così,
mi ci vorrebbe un ombrello
per ripararmi! Non ti sei portato un fazzoletto?”. Infine,
una volta concluso
il rito, il padre di Lily si era alzato in piedi ad applaudire
vigorosamente,
dopodiché aveva esclamato: “Siete meravigliosi,
bellissimi, non importa se non
sei andato dal parrucchiere, ragazzo!”. James era diventato
di un acceso rosso
vergogna e per una volta si era straordinariamente astenuto dal
replicare. Sirius,
invece, aveva preso a sbellicarsi fragorosamente dalle risate,
incurante delle
occhiatacce di Mary. Lily si era coperta il volto con le mani, come se
volesse
sotterrarsi. Anche Peter si era lasciato trascinare
dall’ilarità generale,
segno del fatto che quel momento di delusione che aveva condiviso con
lui era
passato, per fortuna. Indubbiamente James ci teneva ad avere intorno
persone felici,
in quel giorno così importante. Perciò anche
Remus aveva deciso di tenere i
suoi crucci per sé.
Sullo
spiazzo antistante
l’edificio del Ministero color giallo limone in cui Lily e
James si erano
appena sposati, Mary insisté per mettere tutti in posa per
alcune foto. Fin
dall’inizio incontrò serie difficoltà
nel far rientrare Hagrid
nell’inquadratura dell’obiettivo. Remus rimase
discretamente in disparte, ad
osservare in silenzio: non amava le fotografie. Trovava di non riuscire
a
sorridere mai abbastanza. Un sacco di volte Sirius lo aveva
rimproverato perché
esibiva sempre “quella faccia da
funerale, come se qualcuno stesse per picchiarti”.
Dopodiché, in genere,
gli lanciava una Fattura Solleticante finché Remus non
crollava a terra in
preda a risate lacrimanti.
Si
accorse che aveva smesso di
nevicare ed era uscito il sole. Qualche pallido raggio illuminava i
volti di
Lily e James, ma non ce ne sarebbe stato bisogno: splendevano
già da soli.
Remus sorrise fra sé. Aveva sempre saputo che sarebbe finita
così: James non
aveva mai desiderato altro in tutta la sua spensierata giovinezza e
Lily, da
quando aveva iniziato ad uscire con lui all’ultimo anno, non
aveva mai dato
segno di essersene pentita, nonostante i chiacchiericci della gente, le
incomprensioni e le faticose riconciliazioni che, per forza di cose,
nascevano
dallo scontrarsi di due caratteri forti come i loro. Si godette quel
riverbero
istantaneo di felicità come se fosse suo; nella sua misera
vita di licantropo
non sarebbe mai giunto un giorno simile. Solo le persone normali
potevano
imparare ad amarsi senza farsi del male, e già non era
facile neppure per loro.
“Ehi,
ma… Remus John Lupin,
vieni subito qui!” esclamò James a un certo punto,
notando improvvisamente la
sua assenza nel gruppetto che si accalcava davanti
all’obiettivo di Mary. James
fissò lo sguardo nel suo e gli fece un cenno con la testa,
indignato; lui
sorrise, si schermì e restò al suo posto. A quel
punto, capì che forse avrebbe
fatto meglio ad ubbidire subito all’amico. James, Sirius e
Peter si guardarono
nello stesso momento con aria complice, dopodiché si
staccarono dal gruppo e corsero
verso di lui. Remus, interdetto, non fece in tempo a scappare e venne
agguantato di colpo da tre paia di braccia che lo sollevarono
letteralmente di
peso e lo trascinarono verso gli altri. Fu depositato alla sinistra di
Lily,
che gli mise un braccio intorno alle spalle sorridendogli radiosa;
subito dopo
Sirius si piazzò alla sua destra, bloccandolo in una morsa
ferrea.
“Non
pensare nemmeno per un
momento di sfuggire al tuo destino”, gli sussurrò
all’orecchio, con un ghigno
sardonico. Remus rispose con un sorriso disincantato: il suo destino
non era
certo quello di prendere pienamente parte alla felicità
completa e totalizzante
che in quel momento pervadeva ciascuno dei suoi amici. Su di lui
incombeva
perennemente l’ombra del lupo.
“Lily,
non monopolizzare Moony,
ora lo voglio io!” esclamò James, dopo che la
prima foto fu scattata. Remus
venne bruscamente afferrato per un braccio e trascinato a fianco del
novello
sposo, mentre Peter sgusciava rapido di fianco a Lily.
Mentre
si mettevano in posa,
Sirius picchettò Remus sulla spalla per richiamare la sua
attenzione.
“Un
cervo come si deve dovrebbe
avere un bel paio di corna”, gli sussurrò, con
aria malignamente complice.
Remus scosse la testa con un sorriso, ma poi, di fronte
all’espressione
perentoria di Sirius, decise di piegarsi al suo volere. Entrambi
alzarono
quindi di nascosto le mani dietro la testa di James che, ignaro di
tutto,
esibiva un sorriso a trentadue denti guancia a guancia con Lily. Mary
non
riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere; fu
così che nella fotografia venne
immortalata prima la comparsa di due mani con le dita sollevate a
cornificare
un James tutto preso a sistemarsi la cravatta, poi la scoperta del
perfido
scherzo e l’assalto vendicativo dello sposo nei confronti dei
due responsabili.
In breve tempo tutti e tre si ritrovarono a terra, mentre Lily non
sapeva se
ridere o mettersi le mani nei capelli e Peter saltellava intorno a loro
indeciso su quale parte difendere.
Insomma,
più che un matrimonio fu
uno spettacolo comico.
“Qualche
malalingua aveva osato
insinuare che il sottoscritto sarebbe giunto ad irretire a tal punto la
qui
presente fanciulla soltanto quando sarebbero piovute zucche dal
cielo”, esordì più
tardi James, sollevando il bicchiere già pronto per il
brindisi del piccolo
rinfresco, “ma come avete potuto constatare è
bastato attendere la neve”.
Remus
osservò Lily ridere e
allungare un buffetto sulla spalla di James. Era raggiante come non
l’aveva mai
vista; anche James, ora che la parte del cerimoniale era terminata,
aveva
recuperato appieno la sua spavalderia verbale.
“Insomma,
tutti quelli che
avevano scommesso contro di me ora sono rovinati. Ora che ci penso,
forse
dovrei correre a nascondermi”, continuò James,
divertito. Lily roteò gli occhi.
“Non
tirare troppo la corda,
Potter, o potrei decidere di pugnalarti”, replicò,
avvicinandogli alla gola il
coltello per la torta. Mary scattò verso di loro, entusiasta.
“Fermi
così, è stupenda!”
esclamò e prese ad armeggiare con la macchina fotografica.
Remus sorrise. Ne
sarebbe uscito un album del matrimonio decisamente unico nel suo
genere, con
pose di quel tipo.
“Prima
che il tutto possa
concludersi con voi due che andate a vivere insieme felici e contenti,
ci
terrei ad avvertire Lily di alcune cosette”, intervenne
Sirius, improvvisamente.
Remus sollevò un angolo della bocca in
un’espressione scettica, non sapendo
bene che cosa dovessero aspettarsi di sentire.
“Dunque,
innanzitutto James
russa. Più forte di me, sebbene si ostini a dire il
contrario. Il caro Peter
testimonierà in mio favore, dato che per ben sette anni a
Hogwarts ha avuto
l’onore di occupare il letto in mezzo ai nostri. E non
stupirti se parla nel
sonno, anche quello è perfettamente normale; una volta ho
provato a
rispondergli e il risultato è stato che abbiamo dialogato
per una buona
mezzora riguardo a un branco di unicorni impazziti che nel suo sogno
continuavano a calpestargli il tema di Trasfigurazione. Continuava a
dirmi ‘Sirius, portali a pascolare
da un’altra
parte!’”
Tutti
scoppiarono a ridere, ma
Remus sapeva che il peggio doveva ancora venire.
“Seconda
cosa: potrete comprare
l’armadio più grande e spazioso del mondo, James
non lo userà mai. Sostiene che
se lascia i vestiti in giro li ritrova più facilmente.
Quando si doveva
preparare per qualche appuntamento con te, in particolare, il mio letto
diventava il posto preferito di deposito per gli indumenti
scartati”, continuò
Sirius, rivolto a Lily. James cominciò a guardarlo male,
facendogli segno che
se esagerava l’avrebbe ucciso.
“E
da ultimo, mi raccomando, se
sei di fretta non cedergli mai il
bagno. Resta sotto la doccia per circa due ore, probabilmente
insaponandosi
anche sotto le unghie, e anche quando ha finito sembra scordarsi che il
resto
del mondo esista. Probabilmente si incanta a rimirarsi davanti allo
specchio,
anche se non ho mai osato sbirciare per verificare che fosse proprio
così”.
James
fece cenno a Sirius che
l’avrebbe sgozzato, passandosi l’indice teso sotto
la gola.
“Black,
sei morto”, gli disse,
con teatralità. Sirius, in tutta risposta, esibì
un sorrisetto beffardo.
“C’è
Remus a difendermi”,
obiettò, tirandolo per la manica di modo che finisse per
frapporsi in mezzo a
lui e Prongs. Il licantropo si sentì crescere dentro un
leggero moto di stizza.
“Sei
abbastanza grande da non
aver più bisogno della mamma”, ribatté,
rivolto a Sirius, in tono solo
lievemente meno controllato del solito. James scoppiò
sonoramente a ridere.
“Sappi
che questa me la legherò
al dito per i prossimi vent’anni, Moony”, gli
sibilò Sirius all’orecchio,
simulando un tono minaccioso. Senza scomporsi minimamente, Remus
alzò in aria
il suo bicchiere di Spumante Caramellato e tutti gli altri lo imitarono
per il
brindisi.
“A
Lily e James… ovvero, a chi
dei due riuscirà a sopravvivere alla loro futura vita
coniugale. Le scommesse
sono aperte”, sentenziò Sirius, teatralmente.
Remus osservò i suoi ridenti
occhi grigi chiudersi mentre buttava giù la bevanda tutto
d’un fiato. Mille
domande gli affiorarono alla mente, tutte ricollegate a lui, e fu solo
allora
che Remus si rese conto di quale fosse la fonte dei suoi crucci
nell’ultimo
periodo, il motivo per cui tanto gli era pesato sobbarcarsi delle
confidenze
degli altri senza poter confessare i propri pensieri.
Negli
ultimi mesi, Sirius si era
comportato in modo strano con lui.
Era
diventato insolitamente
appiccicoso. A cominciare da quando l’aveva praticamente
costretto ad
accompagnarlo in giro per Londra a scegliere un nuovo appartamento in
cui
trasferirsi. Più volte, in seguito, l’aveva
cercato con insistenza, giungendo
sempre ad un punto in cui sembrava volergli dire qualcosa; ma forse era
solo
una sua impressione, perché alla fine il tutto si risolveva
con qualche battuta
sarcastica o qualche frase fuori luogo delle sue. Forse sarebbe stato
più
semplice domandargli direttamente che cosa ci fosse che non andava, ma
credeva
di saperlo: James si stava allontanando verso una nuova vita con Lily e
Sirius,
di colpo, si stava sentendo mancare il terreno sotto i piedi. Non
poteva
arrabbiarsi o essere geloso di Lily perché James non gliene
dava modo, come non
lo aveva mai fatto. La scelta di andarsene da casa di Prongs per
trasferirsi
altrove era stata di Sirius: nessuno l’aveva costretto
mettendolo alla porta
con le valigie in mano. Inoltre, ora che James aveva deciso di
sposarsi, aveva
fatto di tutto per coinvolgere il suo migliore amico, eleggendolo
immediatamente a suo testimone. Era corso a dirglielo praticamente
pochi
secondi dopo aver detto di sì a Lily. Non c’erano
colpe imputabili al suo
comportamento e Sirius lo sapeva bene; senza contare che, sopra ogni
cosa,
desiderava vederlo felice. Perché se James era triste, tutto
il divertimento
svaniva.
Tuttavia,
Sirius era fatto così:
aveva bisogno dell’attaccamento ad altre persone. Non era un
solitario come
Remus. Sirius doveva parlare, ridere, fare del sarcasmo, agire in
maniera
testarda, sfogarsi con qualcuno o su qualcuno. Doveva dare spettacolo,
sentirsi
apprezzato. Come in quel momento, con tutti gli occhi puntati su di
lui, ad
ascoltare le sue battute divertenti. E ora James, inevitabilmente,
sarebbe
venuto meno a quel ruolo, almeno in parte. Ma era giusto
così, anche Remus lo
sapeva: per quanto sembrasse ieri che erano usciti da Hogwarts, era
giunta finalmente
l’ora di crescere, di pensare a costruire qualcosa; una
famiglia, magari. Forse
qualcuno li avrebbe potuti giudicare troppo giovani, ma con la guerra a
cui
avevano scelto di prendere parte non potevano neppure essere sicuri di
essere
ancora vivi tra un anno. Non rischiare di avere rimpianti per non aver
realizzato un desiderio importante diventava una sorta di
priorità. Ma Sirius
non aveva la testa per queste cose. Non era in grado di dare una
famiglia a
qualcun altro, in quel momento, perché una famiglia mancava
prima di tutto a
lui. Anche se James gliene aveva fornito un ottimo surrogato,
accogliendolo in
casa propria come un fratello quando era stato diseredato, Remus si
rendeva
conto che non era la stessa cosa e che forse quella perdita non
sarebbe mai
stata colmata.
Ma
il punto, al di là di queste
inutili elucubrazioni, era che Remus non voleva chiedere nessuna
spiegazione a
Sirius per il suo comportamento. Non voleva sentirsi dire che Sirius
aveva
paura di essere abbandonato da James e per questo cercava conforto
presso di
lui. Questo pensiero riapriva una vecchia ferita che aveva cercato di
seppellire con numerosi e spesso inutili sforzi, ovvero la sensazione
di
sentirsi usare da Sirius. Come era
accaduto qualche anno addietro, quando nei pensieri di Sirius, per
quella
notte, lui era stato soltanto la bestia feroce che avrebbe dovuto
spaventare –
e forse ferire, o peggio – Severus Piton. Soltanto per
divertimento. Remus
avrebbe voluto che ci fossero altre spiegazioni, più
logiche, più sensate, più
favorevoli per giustificare il comportamento di Sirius, ma
semplicemente non ce
n’erano.
Non
voleva provare di nuovo
quella sensazione. Per questo si era chiuso. Non del tutto, non avrebbe
potuto.
Era troppo nostalgico e non poteva non commuoversi al ricordo di quel
ragazzino
dodicenne dall’aria sprezzante che, con un luccichio vivace
negli occhi grigi,
gli aveva annunciato, insieme ad un James più basso e
magrolino e ad un Peter
dal viso più paffuto ed infantile, che sarebbero diventati
Animagi per fargli
compagnia durante le sue dolorose notti di luna piena. Così come non poteva scordare tutti gli altri
momenti di felicità
vissuti insieme. Remus aveva chiuso soltanto quella piccola porticina
che stava
molto, molto in fondo e che significava ‘fiducia
incondizionata’. Non era tutto
bianco o nero, per lui, come invece lo era per Sirius, che di sicuro
non
avrebbe potuto comprendere quella spiegazione e si sarebbe offeso a
morte
dicendo che questo voleva dire che non lo considerava più
suo amico. Non era
così, Sirius era ancora suo amico. L’aveva
perdonato per quell’episodio, ma non
riusciva a farlo del tutto per ciò che aveva significato nel
profondo.
Venne
infine il momento in cui i
due sposi scelsero di congedarsi. Non c’era tempo per la luna
di miele, ma
James aveva promesso a Lily che, non appena la guerra sarebbe finita,
sarebbero fuggiti insieme su un’isola semi-deserta del Mediterraneo a godersi
il semplice calore
dei raggi solari. Nel frattempo, l’avrebbe portata fino alla
loro nuova casa a
bordo del suo manico di scopa. Inutile dire che Lily ci aveva messo
parecchio
per farsi convincere ad acconsentire a una tale proposta. Era ben noto
a tutti
i frequentatori di Hogwarts dei loro anni in che razza di modo volasse
James
Potter e di sicuro non lo si poteva definire
‘affidabile’. Una volta il povero
Peter, che non amava particolarmente librarsi a metri e metri di distanza da terra, si era lasciato persuadere
a fare
un giro con James, solo per provare; quando Prongs l’aveva finalmente lasciato scendere, era
corso a nascondersi dietro a un albero per vomitare.
Nonostante
ciò, la sera prima
James aveva annunciato loro, con aria trionfalmente gongolante, che
aveva
convinto Lily a salire sulla scopa con lui per volare verso la loro
nuova casa
una volta conclusi i festeggiamenti. Era sicuro che sarebbe stato
terribilmente
romantico. Lily non sembrava essere dello stesso parere, ma si
avvicinò
comunque a salutarli con un sorriso.
“Ti
farò sapere se sono
sopravvissuta”, gli sussurrò, mentre lo
abbracciava. Il contrasto fra il bianco
del suo abito e il rosso cupo dei suoi capelli era incantevole.
“Ehi,
Lily! Sai che una volta
James è andato a farsi un volo clandestino nella Foresta
Proibita ed è andato a
sbattere contro un Centauro in corsa? Potrei giurare che aveva
già quel manico
di scopa…”
“Non
è assolutamente vero, non
ascoltare questo folle millantatore! Me la pagherai, Sirius!”
intervenne James,
già volteggiante per aria. Passò a fianco a Lily
e la trascinò sulla scopa
senza lasciarle il tempo di replicare.
“Arrivederci,
messeri! Ci vedremo
domani sera alla riunione dell’Ordine, se sarò
ancora integro”.
“James,
piantala di fare il
buffone!”
“Sì,
amore”.
“Lily,
lanciaci i fiori!”
Il
bouquet colpì in testa Fabian
e venne prontamente afferrato da Gideon prima che toccasse terra.
“Ehi,
fratellino, dammelo, l’ho
toccato prima io!”
“Conta
chi lo prende per primo,
spiacente, Fabian”.
“Questo
si chiama giocare
sporco!”
“Ma
andiamo, che te ne faresti di
questo? Non c’è nessuna donna sana di mente che
aspirerebbe a sposarti!”
“Sappi
che se volevi offendere la
mia bellezza hai insultato anche te stesso!”
Nel
mentre, Lily e James si erano
alzati in volo nel cielo in cui ormai splendeva il precoce tramonto
delle
giornate d’inverno. Remus non si accorse di essere rimasto
fermo a fissare
Sirius che si sbracciava, rideva e salutava per almeno cinque buoni
minuti. Pensò
che James ci aveva visto giusto a sceglierlo come testimone: Sirius si
lamentava tanto del suo odio recondito per formalità e
cerimoniali, ma in
realtà, inconsciamente, vi si trovava a suo agio. Forse,
paradossalmente, la
cosa era dovuta proprio alla sua educazione infantile, che lui tanto
detestava.
Eppure non ci si può liberare facilmente da certi marchi,
pensò Remus,
sfiorandosi distrattamente la spalla sinistra nel punto in cui era
stato morso
da piccolo. Sirius risaltava inevitabilmente fra tutti loro, con quel
suo
impeccabile abito blu scuro, quel taglio di capelli fresco e quella
risata
contagiosa, onnipresente, ma per nulla sciocca o eccessiva. Non aveva
tentennato un solo secondo, anzi, era stato lui ad allungare un
silenzioso
spintone a James perché tirasse su la schiena mentre
camminava verso Lily,
completamente irrigidito dalla tensione. Era stato l’anima
della festa, aveva
versato da bere e riserbato sguardi ammiccanti a chiunque. Ma Remus
sapeva già
che non gliel’avrebbe fatto notare; testardo
com’era, Padfoot non avrebbe mai
ammesso che qualcosa di positivo in lui potesse essere derivato da
quella famiglia
che tanto detestava. Non solo, probabilmente avrebbe anche finito per
prendersela con lui per aver fatto quella stupida insinuazione. E
avrebbero
bisticciato, tanto per cambiare. Era meglio starsene zitti.
Senza
che quasi se ne accorgesse,
si ritrovò a guardarlo negli occhi: Sirius si era voltato
impercettibilmente
verso di lui, distogliendo lo sguardo dalla scopa volante che si
allontanava.
Non si preoccupava minimamente di metterlo in imbarazzo, fissandolo in
modo
così diretto ed intenso; Remus si sentì come
inchiodato a terra da quello
sguardo, incapace di sostenerlo.
“Beh,
credo che andrò a casa,
ragazzi”, disse loro Peter, con aria mesta. Remus
capì che non era dell’umore
migliore e gli dispiacque. Le cose non erano semplici per nessuno di
loro, in
quel momento.
“Non
fare quel muso lungo, Pete”,
lo apostrofò Sirius, raccogliendo un po’ di neve
da terra e tirandogliela
addosso.
“Dai,
Padfoot, è l’unico vestito
bello che ho!” protestò lui, fregandosi
energicamente il punto in cui la palla
di neve l’aveva colpito.
“È
solo acqua, Wormtail… che ti
prende?”
“Nulla,
nulla… sono solo stanco,
scusatemi. Me ne vado a casa”.
“Come
vuoi, ci vediamo domani
sera”.
Remus
sospirò, accigliato. Si
domandò se Peter non avesse ragione ad essere
così depresso. In fondo, fin da
quando la loro storia di guai e scorribande a scuola aveva avuto
inizio, James
era sempre stato il collante del gruppo; senza di lui, probabilmente, i
Malandrini non sarebbero mai esistiti. Era lui che era riuscito ad
unire fra
loro persone così eterogenee, in virtù del suo
buon cuore, della sua totale
assenza di pregiudizi, del suo spirito di iniziativa e del suo senso di
giustizia. Era lui che li aveva trascinati ad entrare
nell’Ordine. Senza James,
lui e Sirius avrebbero probabilmente litigato
un’infinità di volte, passando
più giorni a non rivolgersi la parola piuttosto che a
conversare piacevolmente.
Senza James, il piccolo Peter non avrebbe probabilmente mai trovato la
forza di
imbarcarsi in un’operazione così difficile come il
diventare un Animagus, lui
che fin dall’inizio si era convinto fermamente di essere una
frana in
Trasfigurazione.
Ma
senza James, ora, sarebbe
bastato quello che si era costruito negli anni di scuola?
Ora
che non c’erano più motivi
per continuare a restare lì, tutti presero a salutarsi e a
prendere congedo per
tornare verso casa. Hagrid aveva ancora gli occhi lucidi. Remus si
strinse
nelle spalle per celare un brivido e accennò un saluto. Lo
attendeva un lungo e
freddoloso viaggio verso casa ed era meglio per lui non perdere altro
tempo.
Ma
mentre si stava incamminando,
si sentì strattonare per una manica. Si voltò e
si trovò davanti Sirius, che lo
fissava con un sorriso storto dipinto in viso, le palpebre pesanti e
l’odore di
alcol che gli aleggiava sulle labbra. Si domandò come fosse
possibile che la
sua figura risultasse superbamente dignitosa anche in quello stato; ne
dedusse
che doveva essere una questione di geni di famiglia.
“Fermati
da me stasera”, gli
disse in un soffio, con la più grande sfacciataggine del
mondo. Remus, in tutta
risposta, si limitò a fissarlo con aria perplessa.
“E
dai, farai tardissimo a
viaggiare con la scopa, guarda che ore sono. E potrebbe riprendere a
nevicare
da un momento all’altro. E non hai soldi per il Nottetempo.
Non essere ridicolo,
su”.
Il
licantropo sospirò,
rassegnato. Sapeva che non era per quel motivo che glielo stava
chiedendo. La
vera ragione era che James si era sposato, era andato a vivere con Lily
e
Sirius, in quel momento, non voleva sentire il vuoto che il suo
migliore amico
aveva inevitabilmente lasciato al suo fianco. Esigeva un rimpiazzo e
lui era
sicuramente il più gentile e il più disponibile.
Quello che faceva poche
domande, preferendo non impicciarsi. Quello che non voleva nulla in
cambio. Ma
aveva ragione, suo malgrado. Si era fatto buio, ma le nuvole
incombevano ancora
nel cielo di Londra. E non aveva in tasca che pochi Zellini, come al
solito.
“Non
protestare se mi alzo prima
di mezzogiorno”, rispose, e Sirius esibì un
sorriso trionfante. Poi gli
cedettero le ginocchia e solo in quel momento Remus si accorse di
quanto fosse
ubriaco. Non
poté sottrarsi quando gli
si appoggiò sulla spalla a peso morto, bofonchiando parole
senza senso.
Scosse
la testa e si
Smaterializzò, trascinandolo con sé, fino al
cancello di casa sua.
“Remus”.
“Hm?”
“Fa
freddo”, bofonchiò Sirius,
con la voce impastata, mentre Remus si sforzava di aprire la porta di
casa e
contemporaneamente sorreggere quella zucca vuota.
“È
inverno, Sirius”, gli rispose,
pacatamente, anche se sapeva che era inutile usare la logica con un
giovane
mago sbronzo.
“No,
non fuori… fa freddo qui”,
replicò Sirius, e puntò un indice diritto al
cuore di Remus. Il licantropo lo
fissò con aria interrogativa, non riuscendo a capire dove
volesse arrivare.
“Sei
freddo con me. È una cosa
che non sopporto. Potresti smetterla, per piacere?”
“Va
bene, la smetterò”, lo
assecondò Remus, convenendo fra sé e
sé che non era il caso di perdere tempo
con quei deliri. Il mattino dopo, probabilmente, Sirius si sarebbe
scordato di
tutto. Forse aveva ragione, ma da quando perdeva tempo con
qualcosa che
non riguardasse James?
“Non
ce la faccio a levarmi
questo dannato vestito”, lo udì lamentarsi poco
dopo, quando erano entrati e
l’aveva depositato in camera sua, per poi fermarsi un momento
in bagno a sciacquarsi
il viso. Sospirò, si asciugò le mani e
tornò nella stanza di Sirius. Lo trovò
seduto sul letto, completamente ingarbugliato: non si era tolto le
scarpe e
quindi il pantalone vi si era abilmente intrappolato,
dopodiché, probabilmente,
aveva tentato di rimuovere la parte superiore, ottenendo di rimanere
incastrato
con la testa.
Remus
non riuscì a trattenersi e
scoppiò sonoramente a ridere.
“Non
è divertente!” protestò
Sirius, piccato. Gli si avvicinò e gli liberò la
testa, poi si occupò del
resto. Si disse che James avrebbe riso di lui e l’avrebbe
chiamato mamma.
Improvvisamente,
Remus smise di
aiutare Sirius e si fermò a pensare. Era sempre stato
così, anche quando erano
ancora a scuola. Ad esempio quella volta che, a una partita di
Quidditch di
Grifondoro, si era levato un vento freddo e improvviso e Sirius aveva
scordato
il mantello in dormitorio, perciò, sentendolo tremare,
gliene aveva gettato
sulle spalle un lembo del suo. O quella volta che si era preso un pugno
sul
naso da un Serpeverde per impedire che colpissero lui. O ancora quando
gli
aveva suggerito la risposta durante Storia della Magia
quell’unica, assurda ed
indimenticabile volta in cui il professor Rüf aveva
deciso di interrompere il suo noioso monologo per fare una domanda.
Aveva
sempre provato l’impulso di prendersi cura di Sirius,
nonostante fosse ormai
adulto e perfettamente in grado di cavarsela da solo, e non capiva
assolutamente cosa fosse a spingerlo in tale direzione.
Forse,
stupidamente, in fondo ci
teneva ad essere lui a colmare quel vuoto lasciato da James.
So walk
with me
On this
new spring morning,
I'll walk
you 'till your fears are none.
I'm a new
baby weeping,
I'm the
flower you're keeping
That
without love will wilt and die.
I need
your life in my life.
(Noah And The Whale, I Have
Nothing)
Nota di fine capitolo: torno dopo tanto
tempo ad aggiornare questa
storia perché, nel caso in cui a qualcuno importasse, ho
voluto prima cercare
una soluzione adatta a risolvere un enorme grattacapo che la trama
della fanfiction
mi aveva sollevato nel corso della sua pianificazione. Non volevo
commettere
errori, perciò ho speso tutto questo tempo a documentarmi,
formulare ipotesi,
cancellare e ri-pianificare (un vero macello, insomma). Ora sono
arrivata ad
una conclusione, perciò mi sento libera di continuare senza
crucci.
Altre
piccole annotazioni:
-
- Non so se
sia canon l’uso del termine “macchina
fotomagica”; l’ho trovato in uso in una
fra le mie fanfiction preferite (si chiama Destinati
a diventare fantasmi) e ho deciso di prenderlo in prestito
perché suonava
decisamente bene, la trovo un “espressione da JKR”.
-
- Per l’idea
della fotografia del matrimonio con la sposa che punta il coltello alla
gola
dello sposo, si ringraziano i miei genitori, che possiedono una foto
identica
nel loro album del matrimonio e da cui ho preso spunto.
-
- Quella su
Peter resta una mia personalissima ed opinabile teoria, però
ho voluto provare
ad ideare una sorta di spiegazione per il suo tradimento ai danni di
quelli che, in ogni
caso, erano i suoi migliori amici –
in particolare James, che adorava e venerava. Escluderei che sia tutto
imputabile alla vigliaccheria; Peter non solo è stato
Smistato a Grifondoro,
ma, nel portare avanti il suo tradimento, possiamo intuire che non si
comporta
da persona spaventata e messa alle strette, dato che riesce ad
ingannare così
bene tutti, da Silente a Sirius a James. Ergo ho supposto che, nel
momento in
cui Voldemort gli offre la possibilità di risparmiarlo in
cambio del tradimento
dei Potter, ci sia qualcos’altro, oltre la paura di morire,
che spinge Peter a
dire di sì. Sappiamo che gli è sempre piaciuto
essere circondato e protetto da
‘amici potenti’, ma come mai tutt’a un
tratto James e gli altri non gli vanno
più bene? Così ho pensato che potesse esserci un
motivo che spinge Peter ad
allontanarsi dagli altri Malandrini, come ad esempio il vedersi
preferire
Sirius in tutto (scelto come testimone, come padrino di Harry eccetera)
da
parte della persona che gli stava più a cuore, ovvero James.
Comunque, il tutto
verrà approfondito in un futuro capitolo su Peter
(sì, grande sforzo da parte
mia visto l’odio per il personaggio, ma non dargli spazio non
sarebbe corretto
per la storia che ho in mente).
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** È così facile capirlo (Sirius Black, Remus Lupin) ***
Capitolo 5
–
È così facile capirlo
Si chiama
entropia; è come quando esce il dentifricio dal tubo e non
può più rientrare
dentro.
(Woody Allen, Whatever works)
Dicembre 1979 Sirius
Black si appoggiò con la
schiena alla porta chiusa, il bel viso nascosto fra le mani a celare
una
smorfia di disperazione completa.
Nella
sua testa, i pensieri
vorticavano tanto velocemente da far male.
Era
finito in un enorme,
gigantesco, stratosferico casino. Anzi, ci si era gettato di propria
iniziativa
senza riflettere a sufficienza, come gli era successo tante altre
volte. Ma
questo pasticcio era infinitamente più compromettente,
disastroso e senza via
d’uscita di tutti gli altri in cui si fosse mai cacciato in
vita sua.
Sbatté
violentemente un pugno
contro la porta, nel tentativo di incanalare all’esterno
almeno una piccola
parte della rabbia e della frustrazione che stava provando in quel
momento. Ma
non servì a nulla. Aveva rovinato tutto, e non
c’era nessuna soluzione
possibile.
Continuava
a chiedersi come
diavolo gli fosse saltato in mente di fare una cosa del genere. Lui non
era
così, non era uno di quelli. Non gli piacevano gli uomini.
Certo, le ragazze
non l’avevano mai particolarmente divertito. Era
perfettamente consapevole del
fascino che aveva da sempre esercitato sulla popolazione femminile di
Hogwarts
fin da quando non era altro che un ragazzino imberbe, ma non aveva
approfittato
che di un centesimo delle possibilità che questa sua
popolarità gli offriva.
Aveva provato il sesso come ogni ragazzo della sua età
desiderava fare, ma poi
finiva lì; quelle piagnucolone con miliardi di sbalzi
umorali non facevano per
lui. Troppo complicate. Quello che Sirius amava erano i rapporti
diretti, alla
mano, senza filtri. Quello che amava era stare con i suoi amici, i
Malandrini,
con cui aveva costruito esattamente quel tipo di relazione che era in
grado di
dargli le massime soddisfazioni. Era molto più spassoso
andare a tirare una
Caccabomba nel campo di Quidditch durante gli allenamenti della squadra
di
Serpeverde piuttosto che sprecare il suo tempo a cercare di capire
cos’avesse
detto che non andava per far infuriare a morte una donna.
Perciò, al contrario
di James che non aveva mai desiderato altro che riuscire a farsi notare
da
Lily, non aveva mai sprecato tempo alla ricerca di una relazione
stabile. Ma
questo non significava che gli piacessero gli uomini. Quando aveva
voglia,
schioccava le dita e aveva subito una ragazzina sognante pronta a
soddisfarlo.
Poi finiva lì. C’era una bella differenza tra
questo e dire che gli piacessero
gli uomini.
Strinse
violentemente i pugni
lungo e fianchi e digrignò i denti, come per ringhiare
contro uno scocciatore
invisibile. Non riusciva a capire che diavolo gli aveva preso. Doveva
darsi una
calmata, immediatamente; tutta quella tensione era insopportabile.
Afferrò
una delle sedie che si
trovavano intorno al tavolo della cucina e vi si accomodò
sopra, prendendo a
dondolarsi sulle gambe posteriori. Si inclinava avanti e indietro,
fissando il
vuoto, e intanto rifletteva. Era sempre stato il suo modo per
schiarirsi le
idee, anche se non di rado i suoi amici lo avevano preso per pazzo,
quando lo
vedevano entrare in quella specie di trance. Era capitato spesso
che le
comode ed ambite poltrone della sala comune venissero perentoriamente segregate
ogni
qualvolta lui ne avesse bisogno.
Nel
momento in cui eri il primogenito dei Black, farsi obbedire dagli
appartenenti
al mondo magico non era per nulla difficile; il suo era comunque un
nome
temuto, verso il quale si facevano ancora tante riverenze. Perfino a
lui, che
era stato diseredato ed eliminato, con un’antiestetica
bruciatura, dal lussuoso
arazzo sul quale erano intessuti i nomi dei suoi parenti più
o meno remoti. Ora
aveva un’altra cosa in comune con Andromeda, oltre al fatto
di essere un
ribelle come lei. Aveva sempre adorato la cugina. Probabilmente senza
di lei
ora sarebbe stato mentalmente soggiogato dal pensiero della razza pura
che i
suoi genitori bramavano tanto di inculcargli. Se lo avessero visto poco
fa,
però, probabilmente si sarebbero suicidati per la
disperazione. Non solo il
loro primogenito, che avrebbe dovuto rappresentare l’orgoglio
del casato, li
aveva rinnegati facendosi Smistare a Grifondoro, infangando il loro
nome e
facendo comunella con un Babbanofilo Potter,
ma ora aveva persino osato sfidare i naturali costumi sessuali
gettandosi in
atteggiamenti riprovevoli con un Mezzosangue Lupo Mannaro.
Magari gli sarebbe direttamente venuto un
colpo apoplettico e me ne sarei liberato una volta per tutte,
pensò, con un ghigno.
Ma
stava divagando da quello che
avrebbe dovuto essere l’oggetto principale delle sue
elucubrazioni. Si disse
che doveva ricercare una causa ben precisa per quel suo comportamento,
perché
di sicuro non poteva essere che gli piacessero gli uomini. Lui era un
Black,
che diamine. Non una femminuccia.
Era
stato Remus. Era tutta colpa
di Remus. L’aveva fatto perché lui non accennava a
capire, nonostante tutti i
tentativi che aveva fatto di comunicare con lui, di cercare un modo per
scusarsi che non comprendesse l’opzione di umiliarsi
nuovamente di fronte a lui
in maniera così plateale come gli era toccato fare quando
quella maledetta cosa
era appena successa. Si era sforzato di trovare mille modi per fargli
intendere
che voleva far tornare le cose fra loro come erano prima di quello
scherzo, ma
Remus non ci era mai arrivato, dannazione. Aveva sempre fatto finta di
niente,
consapevolmente o meno. Non accennava a volerlo perdonare una volta per
tutte.
Infieriva ancora con quel suo occasionale e sottile sarcasmo, che
Sirius non
riusciva più a sopportare. Aveva fatto di tutto per riuscire
a dirglielo in
modo diretto, ma non ci era mai riuscito. Quando capitava
l’occasione, finiva
sempre per sentirsi uno stupido.
Poi
la sera prima, anche se non
si ricordava bene come, doveva aver invitato Remus a fermarsi da lui
per la
notte. Fin da quando aveva acquistato la casa, quell’idiota
non aveva mai
approfittato della sua offerta, palesata mesi prima, di usufruire
all’occorrenza della stanza per gli ospiti di cui Sirius
disponeva. Preferiva
tornare a casa da suo padre, che probabilmente si sentiva solo. Beh, se
era
così, si sentiva solo da una vita, e ci si era molto
probabilmente abituato
alla perfezione. Perché la madre di Remus era morta quando
loro facevano il
quarto anno a Hogwarts, e lui di sicuro non aveva potuto mollare gli
studi per
stare con il padre. Oltretutto, per quanto Sirius sapesse che fosse
cattivo
pensarla così, il padre sembrava aver quasi paura di Remus,
per via della sua
natura. Era apparso molto contento, quasi sollevato, quelle volte che
Sirius,
Peter e James erano venuti a prendere Remus durante le vacanze estive
per
portarlo a trascorrere la notte della trasformazione da
un’altra parte. Non
sapeva che fossero Animagi, ma non aveva mai fatto loro domande.
Evidentemente,
riteneva per lui che fosse molto meglio così. Del resto, era
un figlio di
Babbani, e su quelle cose i figli di Babbani cascavano sempre come pere
cotte;
solo a un incosciente sarebbe saltato in mente di andare a prendersela
con
Fenrir Greyback, che era noto anche alla sua famiglia per la ferocia
con cui si
scagliava alla ricerca di giovani vittime da mordere. Ma per fortuna
c’erano
loro ad aiutare Remus e a stargli vicini.
Comunque,
per farla breve, la
scusa di dover stare vicino a suo padre non reggeva. Era vecchio, va
bene, e i
figli di Babbani non vivono tanto quanto i maghi Purosangue, ma se
qualche
volta Remus fosse rimasto a dormire da lui anziché mettersi
in viaggio sulla
scopa all’alba per tornare fino nel Sussex non avrebbe fatto
del male a
nessuno. La sera scorsa, poi, sarebbe stato da pazzi mettersi in
viaggio con la
neve. Solo quell’incosciente di James poteva rischiare tanto,
ma la nuova casa
sua e di Lily era a pochi passi da dove si erano sposati.
Tuttavia
Remus, con quel suo
odioso distacco e quella sua ironica dialettica, pretendeva di essere
credibile
propinandogli quella panzana.
Ridicolo.
Sirius non ci era mai
cascato. Non aveva insistito, comunque, fino alla sera prima. Gli si
era
presentata davanti la possibilità di controbattere ai suoi
rifiuti con
argomentazioni inoppugnabili, di fronte alle quali nemmeno quel
precisino aveva
potuto opporsi efficacemente. Poi però ricordava solo di non
essere più
riuscito a reggersi bene sulle gambe, di aver avvertito uno strappo a
livello
dell’ombelico e di essere stato catapultato fino al cancello
di casa. A quel
punto, probabilmente, gli era venuto da vomitare.
Perché
ovviamente Remus non
l’aveva avvertito prima di Smaterializzarsi, così
lui non aveva potuto
prepararsi psicologicamente all’idea. Davvero carino da parte
sua.
Ma
stava divagando ancora, doveva
concentrarsi sulle cose importanti.
Per
farla breve, quando si era
svegliato quella mattina, tutta l’euforia alcolica gli aveva
lasciato soltanto
un gran cerchio alla testa. Stranamente, però, si era
ritrovato con le coperte
addosso e non, come al solito, gettate impietosamente a terra
lasciandolo a
patire il freddo. Evidentemente l’ubriacatura gli aveva
concesso un sonno
profondo come un sasso, tanto che non si era agitato e rigirato in
continuazione, come sempre gli succedeva durante la notte. Aveva
assaporato il
calore della coperta di lana per un tempo smisuratamente lungo prima di
decidersi ad alzarsi; nel momento in cui, però, aveva
drizzato le orecchie e
udito dei rumori sospetti provenienti dalla cucina, non ci aveva messo
molto ad
afferrare la bacchetta e a dirigersi di soppiatto verso la stanza in
cui si
trovava il presunto intruso. Per poi scoprire che si trattava
semplicemente di Remus
che aveva preparato la colazione.
Si
tuffò nel ricordo, ormai
totalmente assorbito da quel compito vitale che consisteva nel
ricercare
l’esatto istante in cui tutto aveva avuto inizio.
*
“Non
c’era bisogno che ti dessi
così tanto da fare”, gracchiò Sirius,
con voce roca. Remus corrugò la fronte,
senza staccare gli occhi dalle tazze di caffè che stava
posando con attenzione
sul vassoio.
“Avevo
fame”, ribatté,
semplicemente. Lui scoppiò a ridere, divertito, gettando la
testa all’indietro.
“Per
una volta hai fatto una cosa
sensata, allora”, gli disse, afferrando una fetta di pane
tostato e divorandola
in due bocconi.
“Che
vuoi dire?” gli domandò il
licantropo.
“Beh”,
cominciò Sirius, con la
bocca ancora piena, “se non sbaglio, ti ho detto di fare come
se fossi a casa
tua”.
“Oh,
sì, può darsi che tu abbia
bofonchiato qualcosa del genere ieri sera, prima di cadere a peso morto
sul
materasso senza nemmeno infilarti sotto le coperte”.
“Ma… ma allora come… mi ci hai
messo tu…?”
“Già,
non avevo nessuna voglia di
sorbirmi le tue lamentele appena alzato perché ti avevo
lasciato a dormire con
le chiappe al gelo”.
Sirius
lo osservò con
perplessità, stringendo la bocca. Perché gli
piaceva tanto rigirare i punti di
vista, al punto da far sembrare faccende prive di importanza dei veri e
propri
gesti di gentilezza? Era stato carino, da parte sua, metterlo sotto le
coperte.
Avrebbe potuto lasciare che si arrangiasse. Figurarsi cosa gliene
importava, al
signor Remus John Lupin, di sorbirsi per l’ennesima volta
delle recriminazioni
da parte sua. Sirius aveva sempre adorato
avere qualcosa da ridire con lui. S’inventava qualsiasi
facezia pur di
riuscirci. Perché Remus non si arrabbiava quasi mai e,
quando lui riusciva in
quell’intento, ne traeva un’autentica ed impagabile
soddisfazione. Molta più di
quanta ne provava quando rispondeva correttamente ad una domanda della
McGranitt pur essendo stato colto in un momento di totale disattenzione.
Eppure,
nonostante questa sua
sadica tendenza, Remus era comunque suo amico. Più o meno.
Mangiarono
in silenzio totale per
qualche minuto. Gli aveva perfino fatto i pancakes. Ci versò
sopra un quintale
di marmellata, pensando che forse, dopotutto, Moony non lo odiava poi
così
tanto. Forse gli era passata, finalmente. Forse era stata solo una sua
impressione che ce l’avesse ancora con lui.
“Beh,
come hai potuto vedere qui
non è poi tanto male”, gli disse, cercando di
instaurare un dialogo pacifico.
Remus, in tutta risposta, inarcò un sopracciglio.
“Già,
soprattutto dopo che mi hai
praticamente costretto a fermarmi”, commentò.
Sirius ritirò mentalmente le
dichiarazioni formulate finora: che ci fosse ancora
dell’astio era evidente.
“Dato
lo scarso entusiasmo con
cui hai accolto questa costrizione,
perché ti sei impegnato tanto? Avresti potuto
tranquillamente lasciarmi sulla
porta di casa e andartene, tanto non me lo sarei ricordato”.
Lo
osservò impallidire
leggermente – già, Remus non arrossiva come tutti
i comuni mortali, al
contrario: tendeva ad assumere un colorito ancor più
cadaverico se messo in
imbarazzo – ed esultò mentalmente, convinto di
aver avuto la prova che aveva
colto nel segno. Anche se non capiva come diavolo potesse odiarlo e al
tempo
stesso preoccuparsi di lui.
“Non
ti scaldare tanto, lo faccio
solo perché non voglio avere sulla coscienza la tua sindrome
dell’abbandono ora
che James si è sposato ed è andato a vivere con
Lily”.
Ma
che accidenti stava dicendo?!
Era
vero, lui e James erano
sempre stati estremamente uniti, avevano perfino vissuto insieme per
due
estati. Ma Sirius aveva ormai metabolizzato la presenza di Lily ed
imparato ad
accettarla. Tanto, sapeva che poteva Smaterializzarsi in ogni momento a
casa
loro, se ne avesse avuto voglia. Non abitavano così lontano.
E avevano ancora
gli specchi, il che equivaleva alla possibilità di
comunicare in ogni momento.
Quale astruso processo mentale aveva fatto partorire quel pensiero alla
mente
contorta di Remus?
“Piantala
con le tue teorie
psicanalitiche campate in aria”, tagliò corto,
deciso a non dargli corda. Non
era particolarmente in vena di discutere. Il modo in cui lo trattava
era
assolutamente incoerente e privo di ogni logica; se davvero non aveva
intenzione di perdonarlo per quello scherzo, perché non
l’aveva lasciato
perdere fin da subito? Bastava dirgli con chiarezza, fin dal momento in
cui
aveva saputo di aver quasi ucciso Piton: Sirius
Black, sei un idiota senza cervello e io non voglio avere
più nulla a che fare
con te. Dove stava il divertimento nell’aver scelto
di prolungare la sua
agonia? Evidentemente, Remus era sadico tanto quanto lui.
“Va
bene, vedo che ti sei alzato
con il piede sbagliato”.
Sirius
lo osservò alzarsi ed
uscire dalla cucina in perfetto silenzio, mantenendo il volto contratto
nella
sua miglior espressione imbronciata. Aveva davvero della faccia tosta
ad
accusarlo in quel modo di cose inverosimili. Era terribilmente
frustrante.
Tutto l’impegno che stava incanalando nei confronti di Remus
non solo veniva da
lui ignorato, ma perfino travisato. Per una volta che James non
c’entrava
nulla, ecco che lui doveva intervenire a tirarlo in ballo. Per Merlino,
cosa
diavolo era? Un complesso d’inferiorità?
“E
dai, non andartene via
subito”, brontolò, vedendolo afferrare il mantello
logoro dall’attaccapanni.
Remus inarcò un sopracciglio, con aria scettica.
“La
sbornia ti è passata, questa
notte saprai metterti il pigiama senza bisogno che ci sia io a
supportarti
fisicamente”, ribatté, e a Sirius toccò
chiedersi che diavolo stesse dicendo.
“Oh.
Non te lo ricordi?”
sghignazzò infatti Remus. Lo osservò ridere di
gusto, non sapendo se unirsi a
lui o se doversi vergognare.
“Andiamo,
com’è possibile che non
riuscissi nemmeno a spogliarmi per mettermi a letto?” gli
chiese, incapace di
resistere alla curiosità. Remus rise ancora di
più.
“Beh,
stavi cercando di farlo, ma
sei rimasto più o meno incastrato nei vestiti e non sapevi
più come uscirne…”
“Ah
ah, molto divertente”,
bofonchiò Sirius, guardandolo storto. Remus rideva davvero
di rado, pensò.
Forse avrebbe dovuto andare fiero di essere la causa di tanta
straordinaria
ilarità.
“In
ogni caso”, riprese, dopo
essersi ricomposto, “non voglio darti altro disturbo,
perciò…”
“Oh,
e piantala!”
Sirius
si alzò in piedi e andò
dritto verso di lui, con un impeto che non sapeva da dove gli sorgesse.
“Non
mi dai alcun disturbo. Smettila
di dire sciocchezze”, gli ordinò, togliendogli il
mantello dalle mani con un
gesto secco.
Per
qualche secondo si
squadrarono in completo silenzio, le fronti corrugate e le labbra
serrate, gli
occhi grigi e ardenti di Sirius fissi in quelli chiari di Remus.
“Qual
è il problema, Sirius?” gli
chiese Remus, in tutta calma, come se davvero
non capisse cosa c’era che non andava, quando
l’unica causa del problema,
in tutto questo, era soltanto lui.
Lui che non voleva perdonarlo, che si ostinava a trattarlo in quel
modo. Sirius
sospirò, esasperato, allargò le braccia e scosse
la testa. Non voleva crederci,
per lui era troppo da sopportare.
Perché
doveva farla così difficile, cosa voleva di più
da lui?
Forse
era soltanto per via di
quello stupido complesso nei confronti di James, forse doveva solo
dimostrargli
che teneva anche a lui, che non gli importava solo di James o di se
stesso. Forse…
“Che
diamine, è così facile
capirlo”, disse, parlando tra sé, come se Remus
non ci fosse.
“Che
cosa?” domandò
lui.
Beh,
ma era chiaro… dato che gli
aveva giocato quello scherzo, Moony aveva cominciato a pensare che non
tenesse
abbastanza alla loro amicizia. Ma non era vero, anzi, era tutto
l’opposto! Per Merlino…
“Sirius,
ne ho un po’ abbastanza di
questi tuoi criptici modi di fare, perciò, se non hai
intenzione di dirmi di
che si tratta, lasciami andare a casa”, si sentì dire, con una vena di impazienza che lo fece irritare di colpo.
Il
secondo dopo, Sirius assecondò
un impulso che non capì assolutamente da dove gli nacque.
Si
avvicinò pericolosamente a
Remus e gli prese il viso tra le mani, per poi premere le labbra
violentemente
contro le sue. Il cuore gli balzò nel petto. Ecco, era
questo che avrebbe
dovuto fare già da tempo. Perché non capiva, perché? Approfondì
il bacio, insinuando la lingua nella sua bocca
attonita. Lo sentiva immobile, inerte, incapace di reagire. Voleva solo
dimostrarglielo, dimostrargli che lui ci teneva. Che per lui era
importante.
Che lo voleva nella sua vita. Che lo voleva…
Stava
succedendo qualcosa di
strano.
Remus
aveva dischiuso le labbra,
più di quanto non gli consentisse prima la sua espressione
sbigottita. E lui lo
stava ancora baciando.
Perché? Perché
sentiva così voglia di farlo? Era bravo a baciare, lo
sapeva. Tante ragazze
gliel’avevano detto. Glielo stava dimostrando, che era bravo.
E ora Remus
rispondeva, muoveva la lingua contro la sua, anche se il resto del suo
corpo
era come pietrificato… forse quello era un segnale… forse stava iniziando a
capire cosa voleva dirgli. Forse voleva dirgli che per lui era lo
stesso – lo
stesso cosa? E perché ora si sentiva incredibilmente
eccitato? Cosa diavolo gli
stava succedendo?
Non
voleva smettere. Godric solo
sapeva che non voleva smettere.
Se
quello era l’unico modo…
Ma
non era per quello. Era così…
disperato.
Lo
voleva così tanto.
Lo
spinse contro la porta e gli
aprì la camicia, con violenza.
Remus
fece per tirarsi indietro, ma
non poteva andare da nessuna parte.
Gli
infilò una mano tra i
capelli, tirò e strinse e accarezzò.
L’erezione
era quasi dolorosa,
probabilmente non aveva più sangue alla testa dato che non
capiva più un
accidenti. Doveva sfogarsi, doveva…
Ma
quando Remus allungò una mano
a sfiorargli il fianco si spaventò.
Balzò
indietro, di colpo. Lo vide
ritrarre subito la mano, lo sguardo fisso a terra.
In
quel preciso istante, Sirius
Black provò la più grande sensazione di vergogna
di tutta la sua vita.
Le
gambe presero a tremargli
visibilmente, in preda ad un’agitazione convulsa.
Mancava
poco che non respirasse
più.
Fu
Remus ad espirare
rumorosamente al suo posto. Come se avesse trattenuto il fiato per
tutto il
tempo. Sirius alzò gli occhi su di lui, lentamente, e rimase
a fissarlo
stringendo le mani sulle gambe, nel vano tentativo di far cessare quel
tremolio
assurdo.
Remus
lo guardava come se stesse
osservando una specie di alieno, con gli occhi sgranati e colmi di
stupore, e
Sirius si sentì pervadere da un moto di rabbia. Non aveva
fatto tutto da solo,
non era giusto fissarlo con quegli occhi, come a volergli dare tutta la
colpa. Lui… lui non sapeva più cosa fare. Quello era
l’unico balzano modo in cui gli era
saltato in testa di poter provare ad aggiustare le cose. Ma era stata
una
sensazione devastante. Remus aveva smesso di essere il suo amico di
sempre, in
quel momento. Non era quello che aveva provato, no, non amicizia. Era
stato
qualcosa di completamente diverso. Non era preparato ad una sensazione
del
genere, non era preparato al modo in cui il suo corpo aveva reagito.
Come diavolo
gli era saltato in mente?
“Forse
è meglio che me ne vada”.
Sentì
un colpo al cuore. Non si
aspettava di sentirsi dire questo. Fuggire di fronte alle
difficoltà… una reazione
da vero Grifondoro. Complimenti, Remus John Lupin.
Sollevò
su di lui uno sguardo
colmo d’ira e di risentimento, come se volesse incenerirlo
sul posto.
“Sì,
forse è meglio”, scandì, con
voce tagliente. Solo qualche secondo dopo si accorse di avere ancora
stretto in
mano il mantello di Remus. Glielo porse con un gesto secco, trovando
ancora più
irritante il modo in cui se ne stava lì in silenzio, ad
aspettare che lui se ne
rendesse conto. Per Merlino, non era stata solo volontà sua.
Avrebbe potuto
scansarlo, respingerlo, fermarlo. Ma no, non l’aveva fatto.
Remus aveva risposto. Se
n’era accorto, eccome se se
n’era accorto. E ora lo lasciava lì
così, senza una sola parola di spiegazione?
“Ciao,
Sirius”, lo salutò,
inforcando la porta. Si sentì esplodere dalla rabbia e
richiuse l’uscio con un
colpo violento, assicurandosi che si avvertisse la forza bruta che
aveva
volutamente messo in quel gesto. Poi appoggiò la schiena
allo stipite,
coprendosi il volto con le mani. Mezzora dopo era ancora lì,
nella stessa
posizione.
*
Remus
vagò a lungo per le strade
di Londra, quella mattina, senza una meta precisa. Sentiva soltanto
l’impellente bisogno di sfogare, in una qualche maniera, la
tensione e la
frustrazione che gli attanagliavano le viscere.
All’inizio,
desiderò ardentemente
poter dimenticare ogni singolo istante di quanto era successo a casa di
Sirius.
Sarebbe stato meglio per tutti, cancellare l’imbarazzo, la
vergogna e
l’umiliazione con un colpo di spugna. Sia lui che Sirius
avrebbero tirato un
sospiro di sollievo, ne era certo. E non ci sarebbe stato alcun bisogno
di
fingere che tutto andasse bene davanti a Peter o James, per fare in
modo che
non capissero quello che era successo.
Soprattutto,
lui e Sirius
avrebbero potuto continuare ad essere amici.
Perché,
dopo quello che era
successo, non era affatto sicuro che ci fossero le condizioni per
proseguire in
tal senso.
Ma
dimenticare non era possibile.
Che cosa potevano fare? Smettere di vedersi? Inutile anche solo
tentare. Gli
impegni con l’Ordine li avrebbero comunque portati ad
incrociarsi spesso. Senza
contare che gli altri avrebbero cominciato a fare domande e questa, ne
era
certo, era la cosa che meno di tutte lui e Sirius desideravano.
Era
una faccenda che riguardava
esclusivamente loro due.
E
poi, che facce avrebbero fatto
James e Peter se mai l’avessero raccontato loro?
Probabilmente Peter sarebbe
svenuto e a James sarebbero usciti gli occhi fuori dalle orbite.
Potevano
essere le persone dalle più larghe vedute di questo mondo,
ma si trattava di
due loro intimi amici che, a dispetto di ogni loro aspettativa, si
erano messi
a pomiciare come adolescenti in calore. Nessuno dei due avrebbe potuto
prendere
la notizia con serenità e nonchalance, questo era fuori
discussione.
Per
cui, l’unico con cui doveva
vedersela era Sirius.
Era
la prima volta da quando
erano diventati amici che c’era qualcosa esclusivamente tra
loro, in cui James
non fosse coinvolto. Era facile supporre che, questa volta, Sirius non
sarebbe
corso dal suo migliore amico a raccontargli tutto. Era una strana
sensazione,
un formicolio che gli risaliva rapido lungo la nuca e lo faceva
rabbrividire di
colpo, anche se era ben chiuso nel suo mantello a proteggersi dal
freddo di
dicembre. Quasi con orrore, Remus realizzò che gli faceva piacere che fosse così, che
per una volta il primogenito Black
avesse concentrato tutte le sue attenzioni esclusivamente su di lui,
puntandogli addosso quegli occhi fiammeggianti e avventandosi su di lui
in
quella maniera.
Il
cuore gli martellava ancora
furiosamente nel petto. È
perché sto
camminando troppo veloce, si disse. Provò a
rallentare il passo. Non aveva
idea di dove fosse, nella maniera più assoluta. Non
conosceva bene Londra e il
suo senso dell’orientamento era sempre stato particolarmente
scarso.
Sospirò
e decise che doveva
riflettere con ordine.
Prima
domanda. Avrebbe potuto
prevederlo?
No.
Assolutamente no.
Indipendentemente dal fatto che Sirius Black fosse una persona
imprevedibile,
quella volta aveva decisamente superato se stesso. Infatti, quando
aveva chiuso
improvvisamente le distanze fra loro, lui era rimasto pietrificato per
diversi
secondi prima di reagire. E anche nei momenti immediatamente
precedenti, non
aveva ricevuto segnali di alcun genere. La notte prima era andato a
dormire di
malavoglia, la testa affollata da mille pensieri, dopo aver infilato il
pigiama
all’ubriachissimo proprietario di casa. Ma che
c’era di ambiguo in quello? Si
erano sempre comportati così, fra loro. Bisticci e
frecciatine ad ogni
occasione, ma poi lui era sempre il primo a difenderlo o ad aiutarlo
quando ce
n’era bisogno; anzi, lo faceva con una ferocia che alle volte
lo lasciava
sorpreso. Lo stesso aveva sempre fatto lui, seppur in modi meno
plateali. Era
esattamente su quello che stava riflettendo prima di andare a dormire.
Però
no, non avrebbe potuto
prevederlo.
Avrebbe
potuto evitarlo?
Forse,
ma era con le spalle alla
porta. Sirius non gli aveva lasciato molte possibilità di
fuga. E lo sconcerto
era stato più forte di ogni capacità motoria.
Però avrebbe potuto allontanarlo
da sé in ogni momento, sebbene Sirius fosse fisicamente
più forte. No, di certo
non poteva accusarlo di violenza.
Ora,
però, veniva la domanda più
importante. Perché l’aveva assecondato?
Si
portò una mano alla bocca in
un gesto delicato ed inconscio, che quasi lo spaventò.
Aveva
sentito con chiarezza ogni
cosa, eppure ora ricordava solo dettagli sfuocati e confusi. Le labbra
di
Sirius erano morbide come sembravano. Avrebbe
voluto morderle. Gli aveva strappato la camicia e sfiorato un
capezzolo –
ne era certo, l’aveva fatto apposta. E tutto quello che lui
aveva provato era
stato piacere. Storse la bocca in
una
smorfia di disgusto. Era semplicemente assurdo, mai e poi mai fino a
quel
momento aveva pensato a Sirius in quel
modo. La frequente tensione dovuta allo scontrarsi dei loro
caratteri
profondamente diversi, contrapposta all’affetto che comunque
si era creato fra
loro, era una cosa totalmente diversa. Non c’entrava nulla.
Sirius era suo
amico, perché era proprio così necessario
rovinare tutto sentendosi attratto da
lui? Possibile che non fosse capace di contaminare qualcosa di prezioso
con la
sua essenza di mostro?
Razionalmente
si rendeva conto
che la licantropia non c’entrava nulla, ma pensarlo era
più forte di lui.
Era
un deviato, un essere
pericoloso. Doveva stare alla larga da tutti, soprattutto da Sirius.
Si
rese conto che una simile
prospettiva lo gettava nello sconforto più nero e totale. Si
trattava dei suoi
amici, dei suoi unici, veri amici. Le sole persone che
l’avevano mai accettato
per quello che era, i soli che non avevano avuto paura di lui, ma anzi,
avevano
cercato un modo per fargli compagnia nella sua animalesca solitudine
del
plenilunio. Reagendo in quel modo, formulando quei pensieri, Remus li
aveva
traditi. Non capiva da dove saltasse fuori quel genere di reazione nei
confronti di Sirius, ma lui aveva sicuramente una scusa pronta per
quello che
aveva fatto. Probabilmente era stato un capriccio del momento, una
curiosità da
soddisfare o, perché no, un nuovo, divertentissimo scherzo.
Uno scherzo che
però, contrariamente ad ogni aspettativa e logica, a lui era
piaciuto.
Non
doveva mai più lasciare che
quella situazione si ripetesse. Altrimenti, tutto si sarebbe rovinato
irrimediabilmente. Avrebbe iniziato ad odiare Sirius perché
si prendeva gioco
di lui. E poi, un giorno o l’altro, James e Peter
l’avrebbero scoperto. E allora
sì che l’avrebbero guardato con orrore, scansato
ed emarginato, come qualsiasi
altra persona avrebbe già fatto al loro posto quando avevano
scoperto che era
un Lupo Mannaro.
Alzò
lo sguardo ad osservare il
cielo. Il vento era forte e le nuvole si spostavano veloci, senza che
una si
fermasse per aspettare l’altra, sospinte da una forza troppo
grande che di
sicuro non riuscivano a comprendere, né tantomeno a
contrastare.
Strinse
gli occhi e deglutì a
vuoto, accorgendosi solo in quel momento di avere un groppo alla gola.
Non voleva rimanere solo.
*
30 Agosto 1993
Quella
mattina, Remus aprì la
porta di casa a mente del tutto lucida. Nessun vuoto di memoria quel
giorno,
nessuno stato confusionale gli aveva fatto sovrapporre i piani
temporali.
Sapeva chi aveva bussato alla porta e che cosa voleva. Sapeva che Lily
e James
erano morti e che Sirius li aveva traditi.
Anche se una parte di lui non riusciva ancora
a crederci del tutto.
“Buongiorno,
Remus”.
“Buongiorno,
professore”.
Silente
gli sorrise cordialmente,
facendo il suo ingresso in casa di Remus. Questa volta era solo;
sospirò di
sollievo. Piton era sempre stato oltremodo sospettoso e di fronte alle
sue
imminenti dichiarazioni avrebbe probabilmente cominciato a sollevare
quesiti
inopportuni.
“Come
va stamane? Meglio?” gli
domandò il Preside.
“Oh,
sì, molto meglio. Credo che
la memoria sia tornata definitivamente a posto”, rispose
Remus, sfoggiando un
sorriso rassicurante con tutta la naturalezza possibile.
“Bene,
molto bene. Allora non
avrai più bisogno di questa”, disse Silente,
accennando alla fiala di pozione
verde smeraldo che sbucava dalla sua tasca destra. Remus
annuì, sforzandosi di
sembrare convincente.
“Non
è il caso di preoccuparsi,
signore. Credo proprio che sia stato l’effetto di una luna
piena particolarmente
devastante. Non ho ricordato nulla di strano o pericoloso. Mi dispiace
di
averla disturbata per niente”.
“Oh,
non ti devi preoccupare per
questo. Vedrai, con la Pozione Antilupo avrai molto sollievo. Ho
chiesto al
professor Piton di farti il favore di preparartela ogni mese”.
“La
ringrazio, signore. Sono
sicuro che la prossima sarà la notte da lupo migliore di
tutta la mia vita”.
Sapeva
benissimo che quella era
una gigantesca, colossale bugia. Le sue nottate migliori le aveva
già vissute,
anni fa, quando scorrazzava libero in compagnia di tre Animagi illegali
nei
dintorni di Hogsmeade, per poi tornare a sdraiarsi nel buio della
Stamberga
Strillante e risvegliarsi con un sorriso sul volto. Quei momenti non
sarebbero
mai tornati, né, men che meno, sarebbero mai stati
eguagliati da qualsiasi
altra esperienza in cui James, Peter e Sirius non sarebbero stati
presenti al
suo fianco.
Ma
non poteva tradirsi di fronte
a Silente.
“Allora,
verrai a Hogwarts,
Remus?”
“Se
proprio lei non ha nessun
altro a disposizione, signore…”
“Te
l’ho proposto perché ritengo
che saresti un eccellente insegnante”.
Remus
sorrise con aria
nostalgica.
“Già,
un passato nell’Ordine
della Fenice garantisce un buon curriculum a tutti”.
“Non
è solo questo”, rispose
Silente, con dolcezza. Il licantropo chinò lo sguardo a
terra.
“Lei
mi lusinga, signore”,
mormorò. La sua carriera di disoccupato era stata
così interminabile che, ora,
sentirsi proporre un posto di lavoro senza aver dovuto andare a
cercarlo era
quasi incredibile.
“Inoltre,
ho ragione di pensare
che ti farà piacere insegnare a Harry”, aggiunse
Silente, come per sollevarlo
dall’imbarazzo.
“Oh,
sì, moltissimo. È bello
sapere che c’è ancora una speranza
promettente”.
Il
Preside lo guardò attentamente
negli occhi, come se volesse cogliere un fremito delle sue emozioni.
Remus si
sforzò di rimanere tranquillo.
“Si
affezionerà a te”.
S’incupì
a quelle parole. Non si
aspettava una simile affermazione.
“Forse
è meglio che resti
all’oscuro dei miei rapporti con James. Sapere troppo
potrebbe ferirlo”.
“Non
è solo per quello, Remus. Harry
ha un gran cuore e gli piacerai, anche se non saprà che eri
amico di James”.
Il
licantropo sorrise, quasi
impercettibilmente.
“Le
crederò, signore”.
“Bene.
Viaggerai in treno?”
“Sì.
Ho sempre amato quel
viaggio”.
“Allora
ci rivedremo dopodomani a
Hogwarts”.
Silente
esibì un sorriso di
congedo e uscì a passi impercettibili dalla casa di Remus.
Lui richiuse la
porta alle sue spalle, poi sospirò e vi si
appoggiò contro di schiena.
Non
poteva dirlo al Preside,
perché aveva la forte sensazione che la cosa non lo
riguardasse. Ma la pozione
di Piton non gli era servita a ricordare cos’era successo
durante la notte di
luna piena del 2 agosto scorso. Non soffriva più di amnesie
mattutine e di
stati confusionali, ma quell’intervallo di vuoto completo era
rimasto: non
sapeva cosa avesse fatto la mattina dopo, come e dove si fosse
svegliato, come
fosse tornato a casa. C’era qualcosa, qualcosa…
come un chiodo che gli
graffiava un angolo della mente, ma che lui non riusciva ad afferrare.
Il suo
ricordo era ancora perso nell’oblio e lui doveva recuperarlo
da solo. Silente
aveva fatto per lui tutto ciò che poteva.
Nei
giorni scorsi, dopo che la
pozione di Piton aveva sortito il suo effetto e lui aveva recuperato
del tutto
la lucidità, si era messo a sfogliare i suoi vecchi libri di
scuola, alla
ricerca di una risposta. Se si fosse trattato di un semplice
Incantesimo di
Memoria, grazie alla pozione avrebbe ricordato. Era molto efficace e
un
pozionista abile come Piton non avrebbe di sicuro potuto sbagliare nel
prepararla. Invece, Remus non aveva ricordato un bel nulla.
Aveva
divorato febbrilmente
pagine su pagine, ritrovando vecchi appunti frettolosi scarabocchiati a
lato di
qualche paragrafo, ogni tanto messaggi con una grafia diversa
– quella di
James, o Sirius, che si divertivano a farlo imbestialire
pasticciandogli i
libri durante le ore di lezione. Si era morso le labbra e mangiato le
unghie
centinaia di volte, e ogni minuto il suo sguardo tornava a quel
mantello appeso
all’attaccapanni all’ingresso. Ora non aveva
problemi a ricordare che fosse di
Sirius. Avrebbe dovuto bruciarlo, gettarlo via, farlo sparire, ma il
pensiero e
il nome di Sirius gli risuonavano continuamente nella testa, come se
volessero
dirgli che era in quella direzione che doveva scavare. Dopo qualche
giorno,
aveva ritrovato il capitolo sugli Incantesimi di Memoria. Quello
classico era
spiegato molto bene, fin nei minimi dettagli, ma non era ciò
che gli serviva.
Alla fine del capitolo, c’era solo un breve paragrafo che
accennava ad un altro
tipo di incantesimo: uno che serviva non a modificare la memoria, ma a
cancellare. Il testo recitava così: questo
incantesimo permette di cancellare dalla mente della persona oggetto
dell’incantesimo il ricordo di uno o più episodi,
purché collegati da uno
stesso filo conduttore. Ma non specificava nulla di
più. Per ulteriori
approfondimenti, consultare un
testo di magia più avanzata. Probabilmente era di
difficile esecuzione,
poco conosciuto o praticato. Dato che la memoria non veniva modificata
ma
cancellata, era probabile che fosse per quel motivo che Remus non aveva
alcuna
reminescenza di quel determinato intervallo di tempo. Ma
perché quella
sensazione martellante che c’entrasse Sirius, soprattutto ora
che era evaso da
Azkaban? Si disse che forse era stato incosciente ad aver mentito a
Silente.
Forse Sirius, in qualche maniera a lui ignota, l’aveva
stregato in modo da
poterlo usare per avere accesso a Hogwarts. Più o meno in
tutto il mondo magico
si vociferava che mirasse ad uccidere Harry. La testimonianza di
Caramell, riguardo
agli ultimi, folli giorni di Sirius ad Azkaban prima
dell’evasione, era sulla
bocca di tutti. Poteva essere molto pericoloso, per lui, tornare a
Hogwarts, se
davvero rischiava di favorirlo inconsciamente in qualche maniera. Ma di
sicuro,
se esisteva una risposta alle sue domande, stava in qualche libro del
reparto proibito
della Biblioteca. Non ne esistevano di più fornite. Doveva tornare a Hogwarts, ad ogni costo.
Avrebbe preso il treno,
così, se ce ne fosse stato bisogno, avrebbe protetto Harry
durante il viaggio.
E a scuola lo avrebbe tenuto sempre d’occhio, di modo da non
lasciare a Sirius
la possibilità di avvicinarglisi, se questo era
ciò a cui mirava.
Sirius,
il suo padrino. Quello
che lo faceva volare per aria quando non aveva che pochi mesi, facendo
spaventare a morte Lily e ridere di gusto il bambino. Era incredibile.
Assolutamente incredibile.
Ma
ora doveva farsi coraggio e
tornare laggiù, dove risiedevano tutti i suoi ricordi
più dolorosi.
Inoltre
sentiva di dovere più di
un favore a Silente, dopo che, contro ogni previsione, anni prima gli
aveva
permesso di frequentare Hogwarts e ora, al di là di
qualsiasi aspettativa, era
tornato per offrirgli un impiego – probabilmente il
più dignitoso ed
interessante di tutta la sua vita, aggiunse fra sé.
Perciò, era sua intenzione
impegnarsi a fondo per ricompensarlo. Non voleva comportarsi di nuovo
da
ingrato, come aveva fatto nel momento in cui aveva permesso a James,
Sirius e
Peter di diventare Animagi illegalmente, soltanto per il desiderio
egoistico di
allontanare da sé la solitudine.
Sarebbe
stato un buon insegnante,
e avrebbe protetto Harry.
E
nel frattempo avrebbe cercato
delle risposte.
Never thought you'd
make me perspire.
Never thought I'd do you the same.
Never thought I'd fill with desire.
Never thought I'd feel so ashamed.
(Placebo, My
Sweet Prince)
Nota di fine capitolo: oh, beh.
È stato scritto quasi tutto mentre
ero sotto esame e con la colonna sonora dell’Ultimo
dei Mohicani di sottofondo, quindi, se è
delirante e tragico,
cercate di capirmi. Ho deciso di tornare anche per un attimo al
presente
nell’ultima parte, e probabilmente lo farò ancora,
perché il prologo di questa
storia non era campato in aria. C’è comunque un
collegamento con la tresca tra
Remus e Sirius che sta avendo luogo in quello che è il
“passato”. Insomma, alla
fine si capirà tutto (ho già lasciato troppi
indizi XD). Ho comunque aggiunto
una data anche al prologo dopo aver potuto fare le giuste ricerche;
sì, sono
maniacale, ma mi sono basata sulle reali date delle fasi lunari scovate
sui
calendari.
Inoltre,
penso proprio che da qui
in avanti molti capitoli assumeranno un punto di vista multiplo,
proprio come
questo, così da non perdere per strada i vari fili di
Arianna – che sono
veramente tanti, e se uscirò mentalmente sana dalla stesura
di questa fanfic
credo che mi stringerò la mano da sola XD. Spero di non
destare troppa
confusione nella lettura, altrimenti, se si inizia a non capire
più nulla, vi
prego, fatemelo notare.
Ad
ogni modo, grazie un sacchissimo a tutti. Ho
ricevuto delle recensioni stupende, talmente tanto che davvero non so
se me
le merito. Grazie, non smetterò mai di dirlo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** La spada di Grifondoro - I parte (James Potter, Remus Lupin) ***
[Un
grazie infinite ai Russian
Circles, che mi hanno dato esattamente l’ispirazione che mi
serviva per
scrivere questo capitolo, pur essendo io un’evidente capra
nel partorire scene
di guerra e d’azione.
Il
capitolo è stato diviso in due
perché mi è uscito inevitabilmente ed
infinitamente lungo, stavolta più delle
altre. Buona lettura.]
Capitolo 6
–
La spada di Grifondoro (I parte)
L’esperienza
del pericolo rende vigliacchi ogni giorno di più. Rende
sciocchi, e sono al
punto che esser vivo per caso, quando tanti migliori di me sono morti,
non mi
soddisfa e non mi basta. A volte, dopo aver ascoltato
l’inutile radio,
guardando dal vetro le vigne deserte penso che vivere per caso non
è vivere. E
mi chiedo se sono davvero scampato.
(Cesare Pavese, La casa in collina)
Gennaio 1979
James
si svegliò di soprassalto,
la fronte madida di sudore freddo. Si tirò su a sedere di
colpo e si rese
conto, con immenso sollievo, che non stava precipitando. Nessuna
voragine di
vuoto l’aveva inghiottito, nessun braccio serpentino munito
di artigli lo stava
trascinando giù, nessun nodo alla gola gli impediva
più di gridare. Ora poteva
farlo, se desiderava. Buttò fuori tutto il fiato che aveva
nei polmoni. Era
stata solo una di quelle orribili allucinazioni da sonno, che ogni
tanto lo
coglievano impreparato peggiorando incubi già abbastanza
terrificanti. In
effetti, prima della parte in cui una specie di Tranello del Diavolo lo
risucchiava in un baratro buio, c’era stata una sequenza
peggiore.
Guardò
alla sua sinistra, ma il
letto era vuoto. Lily aveva il turno di notte al quartier generale
dell’Ordine
e ancora non era rientrata. Si impose categoricamente di non farsi
prendere dal
panico; era stato solo un sogno, non c’era alcuna
necessità di agitarsi.
Ma
l’incubo continuava a
restargli stampato nella mente, senza accennare a volersi dissolvere.
Riusciva
a ricordarlo fin nei dettagli con anomala precisione e per questo
motivo
ancora non riusciva a convincersi del tutto del fatto che non fosse
reale.
All’inizio
era ancora a Hogwarts.
C’era un Molliccio nell’armadio del dormitorio.
L’aveva aperto perché Sirius
l’aveva sfidato a farlo, dicendogli che non ne avrebbe avuto
il coraggio. Sciocchezze,
lui non aveva paura di simili bazzecole. Tuttavia, quando aveva aperto
l’armadio, il Molliccio si era trasformato nel cadavere di
Lily. Martoriato e
pieno di lividi, la pelle di un colore spettrale. All’inizio
aveva cercato di
ridere e di far scomparire il Molliccio. Poi però si era
reso conto che
qualcosa non andava. Il corpo continuava a rimanere lì. Solo
in un secondo
momento aveva notato l’anello d’argento
sull’anulare della mano destra… il
Molliccio non poteva sapere che si sarebbero sposati, se erano ancora a
Hogwarts. Quindi, quella era la vera Lily. Dopo aver raggiunto quella
consapevolezza si era sentito sprofondare. Si era gettato su di lei e
aveva
iniziato a scuoterla, ma non c’era stato niente da fare. A
quel punto aveva
iniziato a piangere, poi di colpo era diventato buio e quei tentacoli
spinosi
l’avevano ghermito dal nulla, risalendo dalla scala a
chiocciola del dormitorio
che portava alla stanza, la cui porta era rimasta aperta. E non era
servito a
nulla aggrapparsi a Lily, lei non l’aveva trattenuto e lui
aveva cominciato a cadere.
Tentando di gridare e non riuscendoci.
Ma
non era la sua sorte che
l’aveva terrorizzato di più. Doveva sapere se Lily
stava bene, non gli
importava che fosse stato solo un incubo.
In
tutta la sua vita non aveva
mai sognato la morte di nessuno.
Come
riscossosi da un’improvvisa
paralisi, James si fiondò all’istante fuori dal
letto, liberandosi delle
coperte con un unico e potente calcio, per poi precipitarsi
giù dalle scale a
perdifiato. Arrivò al camino del salotto, afferrò
un po’ di Metropolvere e chiese
di essere messo in contatto con la Taverna del Drago Fumante.
Poco
dopo si trovò di fronte il
volto di Sturgis Podmore, immerso in un profondo sbadiglio.
“Ehilà,
James, tutto bene?” gli
domandò, dopo aver serrato la mascella squadrata. Era
probabile che non avesse
chiuso occhio per tutta la notte.
“Devo
parlare con Lily, subito”,
disse James, con tono di allarme. Era necessario sapere immediatamente
che era
viva e stava bene, e che il suo sogno non significava nulla. Voleva
vederla
davanti ai suoi occhi, mentre gli parlava e gli sorrideva, o anche solo
mentre
si scuoteva i capelli dietro le spalle con grazia. Non importava cosa
avrebbe
fatto, l’essenziale era che dimostrasse di non essere un
cadavere.
“Amico,
Lily qui non c’è…”
“COME?!
Ti prego, valla a
cercare, per favore, devo parlarle!” esclamò,
sentendosi invadere dal panico.
Non poteva essere morta. Non poteva essere morta…
“James,
a dire il vero Lily è…”
“È
COSA?”
“…Che sta succedendo?”
James
si voltò di scatto e per
poco non svenne sul pavimento.
Lily
era appena rientrata ed era
più bella e più viva di quanto potesse immaginare.
Si
riscosse, cercando di
riacquistare almeno una parvenza di dignità.
“È
tornata ora, Sturgis…
perdonami se ti ho disturbato per niente”, disse,
rivolgendosi alla figura nel
camino.
“Figurati,
amico, ma se mi avessi
lasciato parlare te l’avrei spiegato io. Beh, credo che
andrò a farmi un
sonnellino. Buona giornata, ragazzi”.
Il
camino tornò ad essere spento.
James continuò a fissarlo per qualche secondo, tendendo
l’orecchio per cercare
di percepire la reazione di Lily.
“Sei
stato per caso colto da
un’amnesia e ti sei dimenticato che avevo il turno di guardia
all’Ordine?” gli
chiese lei, incerta. James si diede un’occhiata nello
specchio alla sua
sinistra, esitante. In effetti, aveva fatto figure migliori. Stava
seduto
davanti al camino, in pigiama, senza ciabatte, spettinato e con gli
occhiali
storti, mortalmente pallido in volto e con due occhiaie da far paura.
Non
esattamente un bello spettacolo, insomma.
“James?”
Tornò
a guardare Lily, indeciso
se sentirsi in colpa o meno. Ma la paura che gli si era insinuata nella
mente
fino all’istante prima che lei rincasasse era stata troppa.
“No,
non ti preoccupare, la mia
memoria è a posto”, rispose, sollevandosi da terra
con movimenti incerti. Lily
si slacciò il mantello e lo lasciò cadere sulla
poltrona.
“E
allora perché hai contattato
Sturgis a quest’ora?” gli domandò. James
fissò il pavimento. Aveva visto il suo
cadavere. L’aveva toccato. Aveva visto la sua morte.
“Avevo
fatto un brutto sogno,
tutto qui”, ammise, contrariato. Come aveva previsto, Lily
scoppiò a ridere.
“Non è stato affatto divertente, sappilo!
È stato il sogno più brutto che io
abbia mai fatto in tutta la mia vita!”
Lily
gli si avvicinò, posandogli
delicatamente le mani sulle spalle.
“E
che cos’hai sognato
esattamente?”
“Ah,
certo, vuoi anche che te lo
racconti? Così mi toccherà rivivere mentalmente
quella bellissima esperienza?
No, grazie, davvero non ci tengo, usa la Legilimanzia perché
davvero io non mi
scucirò la bocca…”
“James… adesso devi decisamente
calmarti”, ordinò lei, in tono perentorio. Gli si
premette contro
all’improvviso, lasciandolo totalmente spiazzato. Lo
baciò e lui rispose in
automatico, anche se colto totalmente di sorpresa. Assaporò
inerte le sue mani
correre sul tessuto del pigiama, sollevarlo e insinuarsi al di sotto, a
contatto diretto con la pelle. Rabbrividì; erano fredde,
gelate. Come quelle di
un cadavere. Il cadavere del suo sogno…
“Lily,
ti prego, non ce la
faccio”, la interruppe, mollando la presa sui suoi fianchi.
Lei si interruppe,
ad un paio di centimetri dai suoi boxer. Era un peccato fermarla, in
quei
momenti. Sapeva che ci sarebbe rimasta male. Ma
quell’immagine continuava a
tormentarlo e non accennava a volersene andare.
“Che
ti prende, Potter? Non posso
nemmeno lasciarti solo per una notte?” obiettò lei.
“Non
posso raccontarti tutto, mi
prenderesti in giro…” bofonchiò James,
guardandola di sottecchi. Lily inarcò
un sopracciglio.
“Tranquillo,
questo credo di
averlo fatto già abbastanza durante gli anni di scuola. Ora
che siamo sposati
possiamo dedicarci ad altro”.
James
inarcò un sopracciglio,
abbozzando un sorrisetto. Quella ragazza era divenuta insaziabile.
Certo, nei
suoi sogni di adolescente irrequieto aveva sempre bramato di ritrovarsi
al più
presto possibile in un letto con lei – era pur sempre un
uomo, che diamine – ma
in seguito si era abituato a pensare che Lily non ne volesse sapere di
lui,
perciò aveva finito coll’accettare
l’idea che la gran parte dei suoi desideri
fossero destinati a rimanere semplici fantasie.
E
invece, proprio quando era
giunto al momento della massima rassegnazione, di colpo era stato
costretto a
ricredersi.
Nella
mente gli balenò
d’improvviso un pensiero malandrino che non poté
fare a meno di esprimere
seduta stante.
“Sei
mai stata fisicamente
attratta da me quando ancora non stavamo insieme?”
Come
previsto Lily lo fulminò con
lo sguardo, ma questo non impedì a James di notare il
rossore violento di cui
si erano colorate le sue guance. Rimase in attesa, gongolante.
“Ci
sono cose di cui le persone
possono non accorgersi… finché non succede
qualcosa che apre loro
definitivamente gli occhi”, sentenziò infine Lily.
Il sorriso di James si
allargò.
“Uh,
molto diplomatica come
risposta. Essere sposata ti ha resa meno caustica”.
“Fai
attenzione a quello che
dici, Potter”, lo minacciò lei, prima che entrambi
scoppiassero a ridere.
“Ad
ogni modo, per stasera devi
essere pronto. Abbiamo un compito molto importante da svolgere e sono
sicura
che non vorrai mancare”.
“Di
che si tratta?”
“Trasferire
la spada di
Grifondoro dalla camera di
massima
sicurezza della Gringott fino al suo ufficio di Hogwarts. Pare che
Voldemort
voglia impossessarsene – sai, è indistruttibile,
gli farebbe molto comodo
averla. Tutto a bordo delle scope, usare una Passaporta sarebbe troppo
rischioso. Ci siamo già divisi i tragitti da coprire. Noi ci
occuperemo
dell’ultimo tratto”.
James
inarcò un sopracciglio,
fissando Lily con aria perplessa.
“Aspetta
un momento. Da dove
salta fuori tutta questa storia?”
“Ieri
sera Edgar è arrivato di
corsa alla Taverna dicendo che avevano appena scoperto che uno dei suoi
Goblin
era sotto Imperius. L’hanno trovato nei sotterranei della
Gringott oltre
l’orario di chiusura, quando non avrebbe dovuto essere
lì. Abbiamo parlato con
Silente via camino e lui ci ha rivelato che Voldemort, molto
probabilmente,
sta puntando alla spada di Grifondoro. Non si è sbottonato
di più, desolata”.
“E
a te non dà fastidio tutto
questo?”
Lily
sgranò gli occhi, sorpresa.
“Di
cosa parli?“ gli chiese.
“Beh,
del fatto che queste
notizie sembrino piovere dal cielo. Fino a pochi giorni fa stavamo
tutti in attesa
di un attacco all’Ufficio delle Relazioni con i Babbani, e
ora ecco che entra
in gioco la spada… saremo anche gli ultimi arrivati e i
più giovani del
gruppo, ma non è giusto tenerci all’oscuro di
tutti questi sviluppi”.
“James,
se Silente non diffonde
troppo determinate informazioni avrà le sue ragioni per
farlo. Se
inavvertitamente qualcuno di noi lasciasse trapelare qualcosa sotto il
naso di
un Mangiamorte, molti progetti dell’Ordine andrebbero in fumo
ancora prima di
essere portati a termine. Non possiamo fare di testa nostra. Hai visto
cos’è
successo il mese scorso a Gideon e Fabian quando hanno deciso di loro
iniziativa
di entrare in casa di Yaxley per cercare le prove che lo incastrassero
come
seguace di Voldemort… ci hanno quasi rimesso la pelle,
anche se l’hanno fatto
perché ha quasi ucciso Emmeline. E ricordati anche che Silente è il membro dell’Ordine che meglio di tutti conosce Voldemort, visto che è stato suo allievo a Hogwarts. Quindi saprà cosa gli passa per la testa, o quantomeno riuscirà ad andarci molto vicino”.
James
sbuffò, passandosi
nervosamente una mano fra i capelli. Lily aveva ragione, era
inevitabile
riconoscerlo. Come al solito rifletteva con calma e cercando di
considerare
ogni punto di vista, senza gettarsi a corpo morto contro ciò
che le sembrava
ingiusto, come invece faceva lui. Da quando vivevano insieme aveva
imparato
molto da lei, lo riconoscevano tutti. Forse sposarsi aveva fatto bene
ad
entrambi, in fin dei conti.
*
Remus
osservò il Patronus di Lily
dissolversi lentamente nel nulla davanti ai suoi occhi, lasciando
soltanto un
tenue alone argenteo che indugiò nell’aria per
ancora qualche secondo, prima di
scomparire definitivamente. Tuttavia, continuò a fissare il
punto in cui era
apparsa la cerva per ancora molto tempo, con sguardo vacuo e assente.
Questa
volta, Silente aveva
affidato loro una missione importante.
Non
che loro, gli ultimi
arrivati, fossero i soli incaricati di portarla a termine; se ne
sarebbe
occupato tutto l’Ordine della Fenice, perché
pareva si trattasse di una
questione della massima importanza. Ultimamente c’erano stati
dei tentativi di
furto con scasso alla Gringott, anche il Profeta
ne aveva riportato la notizia. Era più che probabile che
c’entrasse Voldemort.
I Giganti erano passati dalla sua parte già da tempo, di
recente anche alcuni
Lupi Mannari avevano compiuto gesti di solidarietà nei suoi
confronti, e si
vociferava che mirasse perfino ai Dissennatori. Ma in tutto
ciò non poteva
certo farsi sfuggire i Goblin. Che ne avesse corrotto qualcuno o che
l’avesse
posto sotto maledizione Imperius, non aveva grande importanza. Ora
anche una
delle roccaforti più salde del mondo magico rischiava di
cedere.
Insomma,
si trattava di un
compito importante. Tutti i membri dell’Ordine avrebbero
partecipato. L’idea di
un fallimento non poteva essere neppure vagamente contemplata.
Ripassò
mentalmente il piano.
Silente avrebbe prelevato la spada dalla sua camera blindata della
Gringott
poco prima dell’orario di chiusura. Avrebbe portato con
sé un falso e, scortato
dalla McGranitt, da suo fratello Aberforth, da Elphias Doge e da
Hagrid,
avrebbe raggiunto i confini di Hogwarts, dove molto probabilmente
l’avrebbe
atteso un drappello di Mangiamorte, se non Voldemort stesso. Ma Silente
dubitava che cascasse nel tranello. Perciò, nel mentre,
Caradoc, Dedalus,
Emmeline e Dorcas avrebbero trasportato la spada a bordo delle scope
lungo il
primo quarto di tragitto. Dopodiché l’avrebbero
passata di mano a Moody, Benji,
Marlene e Sturgis. Alla seconda tappa li aspettavano Frank e Alice,
insieme a
Edgar, Gideon e Fabian. E infine sarebbe toccato a loro. Gli
inseparabili
cinque, come Moody aveva preso ad appellarli scherzosamente. Lui,
James, Lily,
Peter… e Sirius. Già, lo stesso Sirius con cui
non scambiava una parola da
ormai due settimane. Che l’aveva assalito, baciato e poi
respinto, lasciandolo
lì come un ebete senza uno straccio di spiegazione. Lo
stesso Sirius che ormai,
dopo tutte quelle infinite giornate trascorse a rimuginare, crucciarsi,
maledirsi e strapparsi i capelli aveva cominciato ad odiare.
Nessuno
si era ancora reso conto
di nulla, per il momento, ma era solo questione di tempo.
E
poi? Come avrebbero affrontato
James e Peter, i loro amici di sempre?
Come
si sarebbero affrontati l’un
l’altro?
L’idea
di dover affrontare quella
missione insieme, ora, metteva Remus profondamente a disagio. I
sentimenti non
dovevano interferire con gli affari dell’Ordine. Erano la
cosa più importante
da lasciare fuori, perché se c’era un insegnamento
che aveva tratto da quei
primi mesi di attività segreta era che le parole di Moody
udite la prima sera
non erano altro che la sacrosanta verità. Il punto cruciale
era restare uniti,
guardarsi le spalle a vicenda. Iniziando a bisticciare fra loro come
adolescenti puerili, questa coesione sarebbe presto andata in frantumi.
Sospirò
per l’ennesima volta,
coprendosi il volto con le mani. Aveva intenzione di accantonare
l’argomento,
almeno per quella sera. Avrebbe compiuto ogni sforzo possibile per non
pensarci. Dopodiché, una volta portata a termine la
missione, avrebbe cercato
un momento libero per parlare con Sirius in maniera adulta e matura,
senza
accampare più scuse.
Ironia
della sorte, ad annullare
quel buon proposito poteva bastare il semplice fatto di non
sopravvivere ad uno
dei colpi nemici durante quella notte.
*
James
imprecò mentalmente più e
più volte, mentre continuava a zigzagare intorno agli altri
a velocità
costante.
Forse
Albus Silente, quando aveva
ideato quel magnifico piano, non aveva previsto la nebbia.
Nonostante
la luce delle cinque
bacchette, la luminosità era molto scarsa. Cercava di
tenersi ad una quota
intermedia, di modo che la foschia non fosse eccessiva e che, nel
contempo, si
trovassero abbastanza in alto da non rischiare di urtare la cima di
qualche
albero. Ma James non si sentiva affatto tranquillo, in quelle
condizioni. Non
potevano vedere se qualcuno si stava avvicinando e lo Spioscopio di
Peter
poteva non avere un raggio di copertura sufficiente. Inoltre, le luci
delle
bacchette li rendevano visibili. Questo poteva essere molto, molto
rischioso.
Si
stavano dando il cambio nel
trasportare la spada, nascondendosi a turno sotto il Mantello
dell’Invisibilità. Peter si era congratulato con
lui per l’idea geniale che
aveva avuto nel portarselo dietro, ma se fosse intervenuto Voldemort in
persona
non aveva alcuna certezza che sarebbe servito a qualcosa. Aveva sentito
dire
che Silente poteva vedere al di sotto dei Mantelli
dell’Invisibilità, perciò
forse anche Voldemort era in grado di farlo.
Per
giunta, in quell’esatto
momento era Lily a portare la spada. La sua ansia stava crescendo a
dismisura.
Più di una volta, nel corso della giornata, ancora
tormentato dal ricordo di
quel sogno maledetto, era stato tentato di sedarla e rinchiuderla da
qualche
parte togliendole la bacchetta, di modo da impedirle di partecipare
alla
missione anche contro la sua volontà. Ma alla fine aveva
ceduto, consapevole di
quanto lei si sarebbe arrabbiata se solo avesse osato fare una cosa del
genere.
Secondo
i suoi calcoli non doveva
mancare molto a Hogwarts. Aveva fatto in modo che Lily compisse
l’ultimo
tragitto, quello che secondo lui presentava meno rischi. Bastava
varcare i
confini di Hogsmeade e da lì in poi sarebbero stati
protetti da una sorta di
schermata contro gli incantesimi dei maghi oscuri. Si trattava di una
magia
molto potente, che Silente stava alimentando con le sue stesse energie
vitali,
e aveva una durata nel tempo limitata. Non aveva avuto bisogno di
domandare
perché non venisse utilizzata in maniera perenne per
difendere le case dagli
attacchi dei Mangiamorte: in meno di ventiquattro ore, un simile
incantesimo avrebbe
prosciugato il mago che lo stava eseguendo di ogni energia vitale,
portandolo
praticamente alle soglie della morte. Motivo per cui dovevano darsi una
mossa,
se non volevano rischiare troppo.
“Ragazzi,
ora basta girare a
vuoto, andiamo dritti e facciamola finita!” urlò
quindi agli altri, cercando di
ignorare un brivido.
“Ma
James, Silente ha detto di…”
“Remus,
ormai ci siamo, non
essere polemico! Prima la spada arriva a destinazione e meglio
sarà per tutti”.
“James,
ti ricordo che fino a
prova contraria sono io che la sto portando!”
“E
va bene, allora dammela
subito!”
“Non
ci penso nemmeno!”
“Oh,
andiamo, Lily, non essere
ridicola!”
Le
volò vicino, intuendo più o
meno dove si trovava; allungò una mano e le
strappò il Mantello
dell’Invisibilità dalla testa.
“James,
che diavolo fai?!”
“È
troppo pericoloso per te avere
addosso questa cosa, non voglio che ti facciano del male…”
“Tu
hai già fatto il tuo turno,
vuoi levarti dai piedi?”
“RAGAZZI!
LO SPIOSCOPIO!”
“Avrà
captato male, come hanno
fatto a trovarci?”
Immediatamente
dopo, un
incantesimo mancò per un pelo Sirius e colpì il
manico della sua scopa, che
prese a vorticare furiosamente, e solo grazie ad un controincantesimo
di Remus
non lo sbalzò giù di colpo. James si
sentì letteralmente invadere dal panico.
“SPEGNETE
LE BACCHETTE!” ordinò,
poi sfilò la spada dalla presa di Lily e la
ricoprì con il Mantello.
“CE
L’HO IO LA SPADA! PRENDETE
ME!” gridò. “Sirius, Remus, Peter,
dovete proteggere Lily, io correrò a
Hogwarts, così inseguiranno me, andate via di qui!
Svelti!”
“MA
CHE DIAVOLO DICI, NOI VENIAMO
CON TE, NON SE NE PARLA!”
“SIRIUS,
MUOVETEVI!”
“Andiamo,
Lily!”
“No… James, no!”
James
saettò via immediatamente,
senza lasciare loro il tempo di replicare. Sentì urlare
qualche incantesimo
alle sue spalle, ma non se ne preoccupò.
L’importante era trascinare l’attenzione
lontano da loro. Non poteva lasciare che il suo sogno si avverasse.
“Voldemort!
Ce l’ho io la spada,
vieni a prendere me!”
Una
specie di improvvisa tromba d’aria
si abbatté improvvisamente su di lui, sbalzandolo lontano e
facendogli perdere
la presa sul manico della scopa. Senza che avesse avuto il tempo di
rendersene
conto, stava precipitando verso terra. Sentì Lily urlare e
un incantesimo
frenare la sua caduta, ma tutto ciò di cui si
preoccupò in quell’istante fu di
non lasciar andare la spada.
La
spada era la cosa più
importante.
Toccò
il suolo erboso sotto di
lui con un tonfo lieve, la presa ancora salda. Ce l’aveva
fatta. Il momento
dopo, però, si rese conto di essere rimasto senza bacchetta.
Un
fruscio sinistro gli sfiorò la
nuca, quasi impercettibile. Si volse, disarmato. Era in trappola.
Voldemort
stava per attaccarlo, ne era certo. In pochi secondi avrebbe decretato
la sua
fine.
A
quel punto, gli venne in mente
un’idea geniale. Usare la spada. Era indistruttibile ed era
l’unica sua
possibilità di salvezza. Pregò quindi che la
leggenda fosse vera.
“Non
preferiresti consegnarmi
quell’arma e vivere, Potter?” gli
sussurrò quella voce sinistra che ormai aveva
già imparato a riconoscere. La stessa che l’aveva
tentato, invitandolo ad
unirsi a lui, credendo forse di offrirgli un privilegio irrinunciabile.
“Non
ci sarebbe più vita se
vincessi tu”, ribatté a denti stretti, quasi
ringhiando. Era buio e lui non
vedeva quasi nulla. Un netto svantaggio.
“Sia
come vuoi… Crucio!”
James
alzò la spada e la mulinò
davanti a sé con disperazione. Intercettò
l’incantesimo e lo respinse,
probabilmente per pura fortuna. Sbalordito, aprì bene gli
occhi e constatò che
non era stato colpito. Allora la spada era davvero indistruttibile.
Un
altro getto di luce gli arrivò
contro a velocità altissima, di nuovo lo parò,
facendolo rimbalzare contro la
lama. Allora una pioggia di scintille gli venne scagliata contro da
ogni
angolo e James roteò la spada selvaggiamente, da una parte
all’altra, senza
sosta, i colpi che si abbattevano sulla lama con un clangore metallico.
“Non
hai alcuna idea del potere
che quell’oggetto racchiude… non sei degno di
maneggiarla”, soffiò Voldemort,
con rabbia. James percepì la sua presenza volteggiargli
intorno. Cominciò a
girare su se stesso, tenendosi pronto, le mani strette spasmodicamente
intorno
all’elsa. Sapeva che non avrebbe ceduto.
“Non
ne sai abbastanza, allora…
solo un vero Grifondoro sa utilizzare come si deve questa
spada”, replicò, con
una nota di spavalderia che lo stupì. Dentro di
sé non si sentiva così
avventato. La paura iniziava a roderlo dentro. L’arma era
pesante, in più non
vedeva nulla. Prima o poi avrebbe ceduto sotto il peso di qualche
attacco.
“Sono
solo menzogne, Potter!
Menzogne che la gente come Silente si inventa per dare qualche falsa
speranza
ai deboli. La verità è che gli oggetti dei
Fondatori diventano estremamente
malleabili nelle mani di un mago abbastanza potente da
meritarli”.
“Cosa
che di sicuro tu non sei”.
“COME
OSI?”
Questa
volta James fu costretto a
piegarsi in ginocchio per non farsi sfuggire la spada dalle mani.
Strinse i
denti, sentendo le dita scivolare sull’impugnatura sagomata,
i palmi che
dolevano ferocemente. Era davvero un oggetto potente, assorbiva gli
incantesimi
e li schermava completamente, lasciandolo del tutto indenne. Se
Voldemort se ne
fosse impadronito, sarebbe stata la fine.
“Sfidami
se hai il coraggio,
Potter! Sfidami ad armi pari, come si conviene a due maghi del nostro
rango”.
Ora
Voldemort era ben visibile
davanti a lui, gli occhi spettrali rosso fuoco che trafiggevano James
da parte
a parte, come se volessero inchiodare al suolo. Tra le mani reggeva un
qualcosa
di incandescente e luminoso, che aveva tutte le sembianze di una spada
creata
apposta per affrontarlo ad armi pari. Perfino di quello era capace, di
creare
oggetti dal nulla, fatti di puro ed essenziale potere. James
sentì il freddo
invaderlo. Era la sua fine.
“Non
l’avrai mai”, sussurrò,
cupo, e con un grido di battaglia si lanciò contro Voldemort
brandendo la spada
di Grifondoro sopra la sua testa. Le lame s’incrociarono,
sfrigolando. Non era
preparato a combattere in quel modo. Abbassò
l’arma appena in tempo per
impedire che gli venisse amputato un piede.
“Sei
uno sciocco a non
arrenderti!”
Tutto
era cambiato. Ora
duellavano come cavalieri, fino all’ultimo sangue. Le braccia
gli stavano
diventando pesanti. Riusciva a malapena a parare i colpi,
contrattaccare a sua
volta era troppo difficile, avrebbe dovuto essere molto più
rapido. Voldemort
colpì ancora; la lama stridette, pericolosamente vicino al
suo orecchio. Lo
sentì fare forza e come niente il metallo gli trafisse i
muscoli, poco più in
su della spalla.
Avrebbe
voluto urlare, ma serrò
le labbra e trattenne il fiato. Avvertì la macabra
sensazione del sangue sgorgare
dalla ferita. Tentò di spingere verso l’alto, ma
si sentiva schiacciare. Non
aveva più forza nelle braccia, il dolore era troppo forte,
Voldemort era troppo
forte e sogghignava prendendosi gioco di lui, consapevole fin
dall’inizio che
avrebbe vinto… Lily, Lily era tutto ciò a cui
riusciva a pensare in quel
momento. Pregò con tutte le sue forze che si fosse messa in
salvo e che fosse
abbastanza lontana da non vederlo morire.
[fine 1° parte]
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** La spada di Grifondoro - II parte (James Potter, Remus Lupin) ***
Capitolo 6
– La spada di Grifondoro (II parte)
“LASCIALO
STARE!”
Un’improvvisa
e fortissima folata
di vento investì James e Voldemort, separandoli di colpo.
James rotolò a terra,
sforzandosi di non mollare la presa sulla spada di Grifondoro
nonostante la
fitta lancinante alla spalla.
“No!
Lily, no!”
Che
diavolo ci faceva lì? Perché
era tornata indietro, anziché fare come le aveva ordinato?
Non avrebbe dovuto
venire a salvarlo, quella testarda imprudente ragazza…
Voldemort,
che si era
immediatamente ricomposto, scoppiò in
un’agghiacciante risata.
“Credi
davvero di poter fare
qualcosa contro di me? Crucio!”
Lily
tentò di rispondere con un
altro incantesimo, ma la Maledizione era troppo potente. Si
raggomitolò su se
stessa, stringendosi le braccia intorno al corpo e contraendo il volto
in una
smorfia di dolore. Poi cadde a terra, priva di sensi.
Voldemort
rise ancora più forte.
“No!”
James
tentò di rialzarsi, ma con
un movimento secco la bacchetta di Voldemort lo scagliò
lontano. Rotolò su se
stesso e sulla spalla lancinante, gridando.
“Lily!
No! Lasciala stare!”
“È
così debole ed inetta che è
bastata un po’ di sofferenza per metterla immediatamente al
tappeto. Non ti
vergogni, Potter? Dovresti stare insieme a gente più forte…”
James
stava per urlare di nuovo,
quando colse un movimento con la coda dell’occhio alla sua
sinistra. Si voltò,
e intravide un luccichio fra gli alberi. Si avvicinava. A poco a poco,
veniva
verso di lui.
Non
capiva che stava succedendo.
Voldemort gli dava le spalle.
“Vediamo
se un’altra dose può servire
a farle riprendere i sensi… Crucio!”
Improvvisamente,
James capì di
cosa si trattava.
Era
la cerva. Il Patronus di
Lily. Senza emettere un solo suono, stava venendo verso di lui.
Aveva
qualcosa in bocca. La sua
scopa.
James
rimase immobile, non osando
muovere un solo muscolo.
“Avanti,
stupida ragazzina,
svegliati!”
La
cerva depositò la scopa ai
piedi di James, mentre la voce sussurrata di Lily gli giungeva alle
orecchie.
“Devi
portare la spada entro i
confini. Io tratterrò Voldemort. Non osare fermarti, James,
non osare
fermarti!”
James
afferrò la scopa, poi
sollevò l’arma con il braccio ancora sano.
Il
loro compito era portarla in
salvo, portarla a Hogwarts.
“Lily…”
Non
era forte abbastanza per
combattere Voldemort. Ma quella spada respingeva i suoi incantesimi. E
lui
aveva di nuovo la sua scopa. Volare era ciò che sapeva fare
meglio. Doveva
recuperare Lily e volare verso Hogwarts, o morire nel tentativo.
“Cosa
si prova a veder morire la
persona che ami, Potter?”
“STUPEFICIUM!”
Un
fiotto di luce colpì Voldemort
nell’esatto momento in cui si era voltato verso James,
cogliendolo troppo di
sorpresa perché potesse reagire. Lily aveva solo finto di
essere svenuta.
In
men che non si dica James
schivò l’incantesimo che Voldemort fece partire
dalla bacchetta non appena
riuscì a risollevarsi da terra dopo il colpo ricevuto da
Lily; balzò sulla
scopa, afferrò sua moglie per la vita trascinandola in alto
insieme a lui e
cominciò a sfrecciare verso le guglie di Hogwarts ad una
velocità che
probabilmente non aveva mai raggiunto, neppure nella più
agguerrita delle
partite a Quidditch.
Una
serie di muri di pietra
cominciarono ad elevarsi dal terreno lungo il loro percorso, ma James
li scansò
tutti. Aveva smesso di sentire il dolore, teneva solo le due mani salde
sul
manico della scopa. Lily reggeva la spada, dietro di lui.
Cominciarono
a volare frecce di
fuoco dalle loro spalle. James volava a zig-zag, muovendosi
più veloce che mai.
Quando una delle frecce colpì la scopa, Lily spense
immediatamente il fuoco con
la bacchetta.
“Ci
siamo! Tieni duro!” urlò
James. “Quella è la barriera! Ce
l’abbiamo fat-”
Voldemort
si Materializzò di
fronte a loro, alzò un vortice che li fece roteare lontano
in un testa-coda
vertiginoso, ma poi una pioggia di scintille esplose contro di lui e lo
mancò
per un soffio. La scopa era come impazzita. James vide Aberforth e
Fanny
attaccare Voldemort insieme e allora tentò di fermare il
manico che vorticava
e puntò dritto contro la barriera. La passò
reggendosi con una mano sola, la
spalla ferita faceva troppo male, e allora la scopa inchiodò
di colpo e Lily
venne sbalzata in avanti dall’urto, senza che avesse fatto in
tempo a tenersi,
precipitando e schiantandosi al suolo.
*
“Non
dovremmo tornare a
riprenderla? James ci ha detto di portarla in salvo…” disse Peter, ansimante.
“E
chi diavolo si occupa di
questi scocciatori nel frattempo?” replicò Sirius,
scagliando un Petrificus Totalus
sul Mangiamorte più
vicino. “Non possiamo fare altro per quella testa di rapa. Ci
ho provato a
convincerla, ma non ha voluto sentire ragioni”.
“Puoi
darle forse torto?” obiettò
Remus, facendo apparire una barriera d’acqua che li protesse
tutti e tre dall’Incantesimo
d’Incendio che era stato scagliato contro di loro.
“Ehi!
Sono arrivati i rinforzi!”
urlò Peter, gioioso, vedendo planare verso di loro cinque
figure a bordo di una
scopa. Gideon, Fabian, Frank, Alice e Edgar li avevano raggiunti sul
luogo dell’attacco,
non appena erano riusciti ad avvertirli.
“Era
ora!”
esclamò Sirius, con una risata trionfante.
Remus
stava duellando con un
Mangiamorte. Sollevò lo sguardo per errore, fu una
distrazione automatica di
cui si rese conto quando ormai era troppo tardi.
“NO!”
Avvenne
tutto in una manciata di secondi, senza che Remus potesse avere il
tempo di reagire ed impedire cheSirius
che gli si parasse davanti e prendesse l’incantesimo diretto
a lui in pieno
petto. Sentì il tonfo del suo corpo che cadeva esanime ai
suoi piedi, mentre il respiro gli si frantumava in gola. Non
poté correre in suo aiuto perché dovette prima
fronteggiare il Mangiamorte che
aveva scagliato il colpo, sul quale si lanciò con una
ferocia che non aveva mai
pensato di avere. Quello iniziò ad arretrare,
finché quasi non si confuse con
il gruppo di suoi compagni che era stato accerchiato dagli altri membri
dell’Ordine
giunti in loro soccorso. Sirius non gli rivolgeva la parola da giorni
per via
di quello che era successo fra loro, eppure ora si era messo in mezzo
per
difenderlo senza un solo secondo di esitazione. Pregando che non fosse
morto,
combatté gettandosi in mezzo alla mischia, inseguendo
l’uomo incappucciato che
tentava di sfuggirgli, uguale a tutti gli altri, un corpo senza volto.
Lo perse
di vista, poi lo vide, era uscito dal gruppo, tentava di scappare. Lo
inseguì e
scagliò incantesimi a raffica, senza dargli il tempo di
reagire, si accanì e lo
colpì più e più volte fino a che non
lo ebbe fatto precipitare nel piccolo e
ripido burrone davanti a lui.
Lo
osservò trionfalmente
capitombolare giù per la scarpata, un corpo inerte come
quello di Sirius che,
poco fa, era caduto ai suoi piedi. Si sentì stringere il
cuore in una morsa
mentre cercava di immaginare il dolore che quell’uomo stava
provando. Il dolore
che gli spettava per aver colpito Sirius. Rimase ad osservarlo fino
all’ultimo,
sentendo l’odio defluire dalla punta delle dita, appagato dal
gesto compiuto.
Appena
toccò il fondo, però, il
cappuccio volò via dal volto dell’uomo.
Quello
non era lo stesso Mangiamorte
che stava duellando con lui. Era certo di avergli intravisto almeno
mezza
faccia, coperta da barba e baffi folti.
Quello
che giaceva lì in basso,
invece, aveva i tratti pallidi e acerbi di un ragazzo molto giovane.
Remus trattenne
il fiato. Era quasi sicuro di conoscerlo. Allora Sirius aveva ragione,
si era
unito realmente a Voldemort. Ma se l’avesse lasciato
lì, il suo stesso signore
non avrebbe probabilmente avuto pietà di lui, vedendolo
sconfitto.
Si
guardò intorno. Nessuno stava
badando a lui. Perciò, scelse di agire.
Si
calò rapidamente giù per il
burrone e arrivò in fondo. Aveva colpito Regulus con
numerosi Schiantesimi,
perciò non era certo che potesse bastare un Reinnerva
per rianimarlo. Tuttavia, avrebbe comunque tentato.
Prima,
però, doveva nasconderlo.
Guardò in alto per controllare che nessuno li stesse tenendo
d’occhio, dopodiché
afferrò il corpo inerte del ragazzo e lo trascinò
rapidamente dietro al tronco
rinsecchito dell’albero più vicino.
Per
seconda cosa, lo disarmò. Non
desiderava essere freddato dal ragazzo per reazione istintiva non
appena
l’avesse risvegliato. Erano pur sempre schierati da due parti
opposte.
Infine,
si fermò a riflettere.
Aiutarlo era davvero la cosa giusta? In fondo, si era unito a
Voldemort. Aveva
fatto una scelta, teoricamente. Ma quanto era stato realmente frutto
della sua
volontà, fra le più che probabili pressioni dei
genitori e il rancore nei
confronti di Sirius?
Scosse
la testa, sospirando. Non
poteva non avere pietà di lui.
Tentò
diverse volte. Dopo un po’,
finalmente, Regulus cominciò ad aprire gli occhi. Mentre era
ancora stordito,
lo zittì con un Incantesimo di Silenzio, prima che si
mettesse a gridare e li
facesse scoprire. In effetti, fino a pochi minuti prima
l’aveva aggredito con
ferocia fino a che non l’aveva visto stramazzare al suolo.
Forse nell’urto si
era rotto una gamba, data la posizione innaturale in cui la teneva
piegata.
All’inizio,
non appena lo
riconobbe, lo guardò con il terrore più puro
nello sguardo. Poi tentò di
urlare, come aveva previsto. Dopodiché cercò di
alzarsi per fuggire, ma il
dolore glielo impedì istantaneamente.
Remus
strinse i denti. Ora veniva
la parte più difficile.
“Non
voglio farti del male, devi
cercare di stare fermo”, gli disse, e in tutta risposta
Regulus provò ad
alzarsi di nuovo, ma anche questa volta non ebbe successo.
“Dico
sul serio, prima non volevo
colpire te, ti ho confuso con un altro. Ora stammi bene a sentire:
voglio
soltanto farti andare via di qui. Dopodiché ti
restituirò la voce e la
bacchetta e faremo finta di non esserci mai visti. Sei
d’accordo?”
Regulus
lo fissò immobile, senza
battere ciglio, il petto che si abbassava e si sollevava velocemente.
Era un
incredibile misto fra il riflesso esatto di Sirius e la sua
contraddizione, nel
modo in cui lo guardava e cercava di fargli credere che non aveva paura
di
morire in quel momento.
“Se
le mie intenzioni fossero
quelle di ucciderti, potrei farlo ora senza nessun problema. Lascia
perdere
quell’ipotesi. L’alternativa qual è? Che
sono pazzo?”
Gli
tese la mano, sperando che
accettasse. Probabilmente lui non lo capiva, ma non era giusto che si
fosse
condannato senza pietà ad un destino simile. Avrebbe dovuto
essere a Hogwarts a
finire il suo ultimo anno di scuola, non a rischiare la vita per un
essere
malvagio che, non appena non gli fosse servito più,
l’avrebbe schiacciato come
una mosca. Nonostante l’astio che intercorreva fra lui e
Sirius, non lo
meritava. Forse aveva ancora una possibilità di salvarsi.
“Regulus,
andiamo, non abbiamo
tempo da perdere!”
Estrasse
la bacchetta e la agitò,
con impazienza.
“Avanti,
dimmi, dove vuoi essere
portato?”
Il
ragazzo boccheggiò, come se
una mano invisibile avesse appena smesso di stringergli la gola in una
morsa.
Remus rimase fermo di fronte a lui, con la mano ancora tesa, aspettando.
“A
Londra, c’è un’amica. Marple
Avenue”, mormorò infine Regulus.
“Bene.
Ora tieniti forte”.
L’istante
dopo, Remus agitò la
bacchetta ed entrambi scomparvero, lasciando dietro di loro soltanto il
turbinio delle foglie secche sul terreno.
“È
qui?”
“Sì… quella casa là in fondo”.
“Quella
con la cancellata rossa?”
“Esatto”.
Remus
annuì in silenzio. Si
guardò attentamente intorno, sporgendosi lievemente dal
porticato sotto il
quale lui e il secondogenito Black si celavano agli sguardi furtivi
della notte
inoltrata.
“Sembra
che non ci sia in giro
nessuno. Andiamo”.
Prese
Regulus sotto braccio e lo
fece appoggiare alla sua spalla, di modo che potesse sorreggersi a lui
senza
appoggiare il peso sulla gamba rotta.
Il
ragazzo aveva smesso di
emettere fiato, fatta eccezione per qualche gemito di dolore che
talvolta gli
sfuggiva. Si muovevano lentamente, camminando rasenti ai muri. Remus
continuava
a guardarsi intorno e a tenere la mano sinistra infilata in tasca, la
presa
salda sulla bacchetta, nell’eventualità in cui si
manifestasse qualche presenza
indesiderata alle loro spalle.
“Perché
lo fai?” domandò infine
Regulus, seccamente, esalando in un soffio aspro quelle parole che
già
ronzavano da diversi minuti nella testa di Remus. A ben guardare, il
suo
comportamento non aveva alcun senso. Non aveva nessun debito od obbligo
nei
confronti di quel ragazzo. E non era nemmeno certo di poter affermare
che in
tal modo aveva fatto un piacere a Sirius, perché era
piuttosto convinto che, se
gliel’avesse riferito, il suo amico avrebbe cominciato a
sbraitare su tutte le
furie. Aveva sempre additato Regulus come un futuro Mangiamorte, quando
erano a
scuola, e alla fine ci aveva visto giusto. Le rare volte che lo
nominava, lo
faceva avendo cura di lasciar trasparire il maggior disprezzo possibile
dal suo
tono di voce. Ma davvero avrebbe potuto fare a meno di essere felice
sapendo
che si era salvato anziché morire indecorosamente durante la
sua prima
battaglia? Era pur sempre suo fratello.
Scosse
la testa, corrugando la
fronte.
“Ci
sono cose che rinuncio a
capire in partenza”, rispose, rassegnato. Non aveva idea di
cosa significasse
avere un fratello, men che meno avere un fratello ed odiarlo.
“Perché
non mi uccidi subito?”
replicò Regulus, con uno sguardo di sfida. “Hai
paura o vuoi illudermi fino
all’ultimo momento?”
Remus
scosse la testa,
gettandogli un’occhiata in tralice.
“Ti
ho già detto che se avessi
voluto ucciderti l’avrei fatto subito. Perché
sprecare energie?”
“Sei
amico di Sirius. E lui è
pazzo. Quindi sarai pazzo anche tu”.
“Allora
avevo ragione quando ti
ho chiesto se questa era la tua seconda ipotesi”.
“Mi
stavi inseguendo, mi hai
quasi ammazzato…”
“Te
l’ho detto, mi sono
sbagliato. Non stavo inseguendo te. Tu piuttosto, perché sei
fuggito?”
Il
ragazzo s’incupì, distogliendo
lo sguardo in preda alla vergogna.
“Tu
e i tuoi amici non mi avete
dato altra possibilità…”
“Bel
coraggio che avete, voi
Mangiamorte”.
Regulus
si irrigidì, cercando di
divincolarsi dalla presa di Remus.
“Hai
ragione, sono un
Mangiamorte! Che te ne importa allora di salvarmi la vita?”
Remus
si fermò, voltandosi a
guardarlo dritto negli occhi.
“Tu
forse non avevi ancora
esattamente realizzato il pasticcio in cui ti stavi andando a cacciare,
prima
di questa notte. Adesso, finalmente, ne hai avuto un assaggio. Quanta
pietà
ritieni che avrebbe avuto Voldemort se ti avesse visto ridotto
così, perché eri
fuggito anziché combattere, perché avevi avuto
paura? Forse l’hai già intuito,
ma ti do un aiutino: nessuna. Portandoti via di lì ho
semplicemente voluto
fornirti una seconda possibilità. Rifletti attentamente
sulla strada che hai
scelto e, se cambierai idea, sappi che ci sarà chi
è pronto ad accoglierti”.
“E
chi? Sirius, forse?” rise
beffardo Regulus. Remus scosse il capo, con aria assente.
“Se
davvero tu lo desiderassi,
potresti fare in modo che perfino Sirius decida di proteggerti. Ma non
spetta a
me dirti come”.
“Ti
ringrazio di aver sprecato
fiato per me. Ora vattene, posso farcela da solo”.
Staccandosi
dal suo supporto, il
ragazzo si trascinò fino al cancello barcollando. Remus
sospirò, rassegnato,
dopodiché estrasse la bacchetta di Regulus dalla tasca del
mantello.
“Questa
potrebbe esserti utile”,
gli gridò, per poi lanciargliela fra le mani con precisione.
Regulus esitò per
qualche secondo, poi diede le spalle a Remus con aria incupita,
borbottando
qualcosa. L’attimo dopo apparvero delle grucce a sostenerlo,
ma non ci fu
bisogno che si muovesse ancora molto. Dalla porta della casa era appena
uscita
una ragazza dai capelli scuri che, appena lo vide, gli corse incontro a
perdifiato, sbiancando completamente in volto.
“Che
cosa ti è successo? Cosa ti
hanno fatto? Te l’avevo detto che era un’idiozia,
che non dovevi…”
Era
giovane, probabilmente della
stessa età di Regulus. Remus li studiò in
silenzio per qualche secondo,
osservando il giovane Black reagire con un teatrale gesto
d’impazienza.
“Non
mi è successo niente, quindi
ti prego, non metterti a piangere. Ora dammi una mano, per
favore”.
Lei
reagì prontamente,
offrendogli una spalla su cui appoggiarsi. Era davvero giovane, molto
probabilmente andava ancora a Hogwarts. Ma in quei primi e freddi
giorni di
gennaio era ancora tempo di vacanze natalizie e Regulus aveva saputo
immediatamente dove trovarla. Forse era una vecchia amica che non
vedeva da
mesi. Forse qualcosa di più.
A
un certo punto, la ragazza si
voltò verso di lui e incontrò volutamente il suo
sguardo. L’espressione
spaventata ed apprensiva per un momento sparì, lasciando il
posto ad un debole
sorriso.
“Grazie… chiunque lei sia,
grazie”, gli disse, e Remus non poté fare a meno
di sorriderle di rimando.
Forse, in qualche modo, lei avrebbe potuto aiutare Regulus a cambiare
idea
sulle sue scelte di vita. Ma non era più affar suo, da quel
momento in poi.
Aveva agito mosso da pietà nei suoi confronti, ma non era
sicuro di poterselo
permettere una seconda volta. Lui e quel ragazzo si trovavano a far
parte di
due schieramenti completamente opposti, fra i quali un risparmio di
colpi
poteva facilmente essere ricambiato con un subdolo attacco alle spalle.
Tuttavia,
forse, Silente avrebbe
approvato il suo gesto. In fondo, era lo stesso che aveva dato una
possibilità
ad un Lupo Mannaro.
*
James
rimase a fissare il corpo
inerte di Lily per ore, senza muoversi di un millimetro dalla sua
posizione. Era
precipitata soltanto da un paio di metri d’altezza, grazie a
Godric, ma lui non
aveva fatto in tempo ad estrarre la bacchetta e a fermare la sua
caduta.
L’urlo
di sconfitta di Voldemort
era comunque giunto alle sue orecchie nel momento in cui si era reso
conto che
la spada di Grifondoro si trovava ormai fuori dalla sua portata.
Era
stato sempre Aberforth ad
aiutarlo a prestare a Lily i primi soccorsi. Mentre la McGranitt
portava l’arma
a Silente, il suo scorbutico fratello aveva fatto portare
immediatamente Lily
al San Mungo. Aveva ricevuto tempestivamente tutte le cure possibili;
dopodiché
era stata sedata per garantirle il giusto riposo. Non era immobile e
mortalmente pallida come nel suo sogno e almeno quello lo rassicurava:
poteva
vedere chiaramente il ritmico abbassarsi e sollevarsi del suo torace,
che solo
ogni tanto veniva interrotto da qualche inconscio sussulto a cui poi
seguiva un
lieve movimento del capo, un girarsi sul fianco. Ogni tanto le prendeva
la
mano, per assicurarsi che la sua pelle fosse calda come quando, appena
sveglia,
gli accarezzava dolcemente una guancia.
Si
toccò distrattamente la spalla
sinistra. Anche la sua ferita era stata medicata. Sapeva che gli
sarebbe
rimasta una profonda cicatrice, ma l’avrebbe diplomaticamente
considerato un
marchio da vero Grifondoro, dato il modo in cui se l’era
procurata.
Si
coprì il volto con le mani e
chiuse gli occhi, cercando di ottenere un vago e momentaneo sollievo.
Il sogno
di quella mattina era stato inequivocabilmente premonitore. Se Lily
l’avesse
preso sul serio, forse l’avrebbe ascoltato e se ne sarebbe
rimasta a casa
anziché precipitarsi a combattere Voldemort. Il suo corpo
era rimasto
enormemente provato da quella battaglia, sia per le numerose fratture
provocate
dalla caduta che per il dolore sopportato quando Voldemort
l’aveva torturata.
L’amava con tutto se stesso, ma certe volte era davvero
troppo testarda. Del
resto, però, era sempre stata così: anche quando
non aveva ancora l’incarico di
Prefetto o Caposcuola e, quindi, un presunto dovere che pesasse sulla
sua
coscienza, si era sempre precipitata a difendere le persone senza
pensarci due
volte. Non avrebbe potuto aspettarsi nulla di diverso dalla Lily adulta
che ora
combatteva nell’Ordine della Fenice.
Era
inutile impedirle di scendere
in campo con lui e gli altri. Non c’era alcuna argomentazione
abbastanza
efficace per farla desistere. Neppure se il prezzo da pagare era
quello,
risvegliarsi con un corpo martoriato che solo dopo molti giorni sarebbe
guarito. Ma James si disse che sapeva già cosa fare, in
fondo. Non aveva avuto
bisogno di rifletterci: fin da quella mattina aveva avuta ben chiara
nella
mente quell’unica e indiscutibile idea. Se mai il suo sogno
si fosse avverato,
si sarebbe ucciso. Non poteva sopportare una vita senza di lei, neppure
se
avessero sconfitto Voldemort e ottenuto ciò per cui
lottavano ogni giorno.
Si accontenta di cause leggere la guerra del
cuore,
Il lamento di un cane abbattuto da
un’ombra
di passo.
Si soddisfa di brevi agonie sulla strada di
casa,
Uno scoppio di sangue, un’assenza
apparecchiata per cena.
(Fabrizio De
André, Disamistade)
Nota di fine
capitolo: dare corpo a questa storia mi
sta complicando sempre di più la vita. Non avevo previsto di
far entrare
Regulus così nella storia, eppure, alla fine, il mio
desiderio di onnipotenza
del “gestisci-mille-personaggi-alla-volta” ha
prevalso XD il fatto è che
Regulus è un altro dei grossi interrogativi che mi tormenta
riguardo a questo
“periodo buio” su cui la Rowling ha detto ben poco.
Sappiamo che, pur essendosi
unito ai Mangiamorte, a un certo punto cambia idea e decide di
distruggere
Voldemort. La Rowling liquida il tutto con la storia di Kreacher, ma
poi, da
lì, come caspita avrà fatto un ragazzino di
diciassette anni a scoprire tutte
quelle cose sugli Horcrux, di cui, a quanto pare, non si trovano
informazioni
dettagliate in nessun libro facilmente reperibile? Non credo che
Voldemort se
ne fosse vantato davanti a lui. Più volte lo vediamo
preoccupato di tenere
nascosto il segreto, neppure a Bellatrix – che è
la più fidata fra i suoi
Mangiamorte – rivela cosa esattamente le ha fatto nascondere
nella sua camera
blindata della Gringott. Regulus, molto probabilmente, non era un
Mangiamorte
così importante. Avevo già provato ad immaginare
una possibile soluzione per
questo problema, e ci avevo scritto su una storia di tre capitoli,
postata
ormai tanto tempo fa… il punto è che non mi
tornavano i conti, perché ho poi
scoperto che Regulus muore prima che muoia l’altro
personaggio su cui mi sono
basata per quella storia. Ergo, nei prossimi capitoli
fornirò una versione un
po’ diversa, ma che a me convince comunque. Anche se sono
affezionata a quella
fanfiction, fu il mio primo tentativo di noir/storia di terrore e
quindi
resterà lì dov’è XD
Bene,
credo di aver detto tutto. Con i
prossimi capitoli si chiarirà un po’ dove voglio
andare a parare.
A
presto!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Amicizia (Lily Evans, Severus Piton, Sirius Black) ***
Capitolo
7 – Amicizia
Il
tempo non ruota in cerchio, ma avanza veloce
in linea retta. È per questo che l’uomo non
può essere felice, perché la
felicità è desiderio di ripetizione.
(Milan Kundera, L’insostenibile
leggerezza dell’essere)
Gennaio 1979
“James,
andiamo, convincili tu
che le mie condizioni di salute sono ottime. Io voglio andare a
casa”,
bofonchiò Sirius, sbattendo i pugni sul letto con un
infantilismo estremamente
consapevole.
Ne
aveva abbastanza di restare
chiuso nelle quattro mura del San Mungo.
“Non
credo di essere nella
posizione adatta per oppormi alle decisioni di quelli che comandano
qui,
spiacente, Pads”, si scusò James in tutta
risposta, e Sirius dovette fare uno
sforzo molto grande per non mettersi a urlare. Neppure il suo migliore
amico
muoveva un dito per aiutarlo, dannazione.
“Sei
veramente una carogna
infame”, sibilò, coprendosi con il lenzuolo fin
quasi sopra i capelli. James
scoppiò a ridere sonoramente.
“Spiegami,
qual è il tuo grande
problema? Ci è andato Remus a dare da mangiare al
gatto”.
“REMUS?!”
“Sì,
si è offerto volontario ieri
sera, quando l’ho incrociato qui fuori, così ho
lasciato che se ne occupasse
lui…”
“...E quando sarebbe stato qui?”
“Sirius,
l’ho appena detto. Ieri
sera”.
“Impossibile.
Io non l’ho visto”.
“È
perché stavi già dormendo
della grossa. Credo che tu abbia leggermente perso il senso del tempo.
È
passato a vedere come stava Lily, siamo rimasti nella sua stanza a
chiacchierare un po’ e poi l’ho accompagnato qui,
ma nemmeno le cannonate ti
avrebbero svegliato”.
“Ah.
Certo. Capisco”.
Quindi
Remus era venuto a
trovarlo. Si era vagamente preoccupato della sua salute, dopo che si
era preso
quell’incantesimo in pieno petto per salvarlo. E non
perché fosse stato
disarmato o messo alle strette, oh, no. Il signorino si era
semplicemente
distratto a guardare per aria, nel bel mezzo di una battaglia. Davvero
una
mossa astuta da parte sua.
Per
una fortunata coincidenza in
quel momento Sirius aveva gli occhi fissi su di lui, perciò
aveva potuto
intercettare con precisione l’attacco del Mangiamorte.
Ma
come minimo si aspettava dei
ringraziamenti per questo.
Non
che l’avesse fatto per un
tornaconto personale, no di certo. Ma almeno, in quel modo, Remus non
avrebbe
più potuto evitare di rivolgergli la parola. Era
praticamente costretto a
farlo, non c’era via di scampo. Così avrebbe
risparmiato a lui l’oneroso
compito di andare a cercarlo per chiarire una determinata faccenda
ancora non
risolta.
Aveva
aspettato per giorni
quell’occasione, che fino a quel momento non era mai
arrivata. Non aveva preso
in considerazione neppure per un secondo l’idea di essere lui
a prendere
l’iniziativa, risparmiando così tempo ed energie,
perché non appena ci
ripensava la vergogna lo faceva sprofondare metri e metri sotto terra.
Ripensare
a ciò che aveva sentito e provato quel giorno era
assolutamente imbarazzante,
figuriamoci tirare fuori l’argomento in una conversazione con
Remus. Certo, era
rischioso continuare su quella strada. Prima o poi James si sarebbe
accorto che
qualcosa non andava perché, per quanto fosse estremamente
assorbito dalla sua
nuova vita coniugale, Prongs si guardava sempre attorno. Non gli era
mai
sfuggito nulla, neppure quando, negli anni di scuola, non faceva altro
che
nominare Lily. Sembrava sempre essere con la testa fra le nuvole, ma
bastava
poco per rendersi conto che in realtà non era
così; anche i professori avevano
dovuto fare i conti con questo errato giudizio. Molti ci avevano messo
del
tempo per capacitarsi di come quel ragazzino che sembrava perennemente
distratto riuscisse a rispondere ogni volta in maniera corretta ad una
loro
domanda.
Anche
quelle volte in cui
decidevano che non avevano nessuna voglia di seguire e per passare il
tempo si
mettevano a raccontare barzellette a Peter o a dare fastidio a Remus,
che
puntualmente si sforzava il più possibile di ignorarli per
non dar loro
soddisfazione, ma senza alcun successo.
Indubbiamente
James aveva
ricevuto una buona istruzione magica fin da piccolo, grazie ai genitori
che
l’avevano cresciuto come una specie di bambino prodigio. Ma i
suoi eccellenti
risultati a scuola non erano un semplice vivere di rendita.
Insomma,
l’idea che il suo
migliore amico si rendesse conto di qualcosa lo terrorizzava.
Già l’altra
notte, durante la missione, era stato difficile. Un paio di volte era
stato
inevitabilmente costretto a rivolgere la parola a Remus e aveva dovuto
recitare al massimo delle sue capacità per farlo con un tono
di voce e
un’espressione normale. Lui era stato altrettanto bravo, ma
James lo era di
più. Un giorno o l’altro, gli avrebbe letto nel
pensiero. Ne era certo.
Doveva
pensare a cosa dire, a
come affrontare Remus. Ormai era certo di avere la vittoria in pugno,
non
avrebbe potuto fare a meno di fronteggiarlo in maniera diretta senza
che fosse
lui a doverlo rincorrere. Ma Sirius voleva essere pronto. Non poteva
lasciarlo
parlare, perché altrimenti Remus l’avrebbe fatto
arrabbiare e avrebbero finito
per litigare irrimediabilmente. No, stavolta doveva fare la persona
matura.
Doveva essere lui a gestire il tutto e doveva farlo in maniera rapida
e
indolore.
“Sirius?”
Si
voltò verso James,
riaffiorando di colpo dal baratro dei suoi cupi pensieri.
L’amico lo guardava
con aria interrogativa.
“Sì,
scusa, sono ancora un po’
stordito. Dicevi?”
“Dicevo
che sto andando a casa a
farmi una doccia, è dall’altro ieri notte che non
mi schiodo da qui. Mi hanno
detto che Lily dovrebbe svegliarsi in mattinata, l’effetto
delle pozioni
sedative ormai dovrebbe essere terminato. Fai un salto a vedere come
sta,
magari”.
“Oh,
sì… sì, certo, non ti
preoccupare. Ci penso io”.
“Grazie,
Pads. Torno fra poco”.
Osservò
la figura smilza di James
dileguarsi in pochi secondi, attraversando l’uscio della sua
stanza con una
rapida falcata. Doveva fare in fretta, se davvero non voleva che
iniziasse a
sospettare qualcosa.
*
Lily
si era svegliata da pochi
minuti quando sentì bussare inaspettatamente alla porta.
James
le aveva lasciato un
biglietto sul comodino per informarla che sarebbe passato fra un paio
d’ore,
perciò non aveva idea di chi potesse essere.
“Avanti”,
disse, in ogni caso.
Rimase
piuttosto sorpresa nel trovarsi
davanti nientemeno che Sirius Black in persona.
“Che
ci fai tu qui?” domandò,
aggrottando la fronte. Sirius esibì un’espressione
scontenta.
“E
va bene, va bene, me ne vado”,
borbottò, facendo per uscire.
“Ma
che dici? Puoi entrare, ma
non capisco…”
“Beh,
sono ricoverato qui
anch’io. Immagino che James non abbia fatto in tempo a
dirtelo, ieri notte,
quando ti sei svegliata”.
“No,
hai ragione. Credo di aver
aperto gli occhi per poco più di trenta secondi”.
“Capisco”.
Si
osservarono in silenzio, per qualche
secondo. Quale che fosse il motivo, Lily non si sarebbe comunque
aspettata che
proprio Sirius la venisse a trovare. Tra di loro, quando lei e James
avevano
cominciato a uscire insieme, non era esattamente nato un rapporto
idilliaco.
Per una serie di pregiudizi e circostanze non favorenti, si erano
trattati con
indifferente causticità fino a quando, un giorno, il
signorino Black doveva
essersi reso conto di aver esagerato con l’astio
ingiustificato nei suoi
confronti. Non che, ovviamente, fosse venuto a scusarsi in maniera
diretta. Però,
ad un certo punto, era nata una sottospecie di tregua fra loro, dato
che per
colpa di quei disaccordi James ci stava rimettendo la sanità
mentale. Tuttavia,
non si poteva certo dire che fossero poi diventati grandi amici.
“Che
ti è successo, dunque?”
domandò Lily, per rompere il ghiaccio.
“Ho
dovuto salvare la vita ad un
cretino”, rispose Sirius, cupo. Lily fu estremamente tentata
di scoppiare a
ridere, ma cercò di contenersi per non irritare il suo
già abbastanza labile
umore.
“Mi
dispiace. E chi è questo
essere degno di tanti insulti?”
“Uno
che una volta al mese
diventa aggressivo e con zanne appuntite”.
“Oh.
Capisco. Beh, immagino che
te ne sarà stato grato…”
“Non
ne ho la più pallida idea,
dato che finora non si è degnato di venirmelo a
dire”, sbottò Sirius,
palesemente irritato. Lily incrociò le braccia, perplessa.
Era da diversi
giorni che aveva notato qualcosa di strano. Sirius, peraltro, sembrava
evidentemente bisognoso di confidarsi con qualcuno, come denotava la
maniera in
cui era esploso, apparentemente senza una giustificazione valida. Ma
ovviamente
era troppo orgoglioso per chiedere una mano a qualcuno in maniera chiara ed esplicita.
“Puoi
sederti, se vuoi”, gli
disse, in tono cortese. In fondo, passare metà dello scorso
anno a lanciarsi
frecciatine velenose era stata una gran perdita di tempo e di energie
inutilmente sprecate. Se ora Sirius aveva cambiato modo di porsi nei
suoi
confronti, doveva fare anche lei la sua parte e provare a metterlo a
suo agio.
“In
ogni caso, l’altra notte non
avresti dovuto scappare via in quel modo. James mi ha rotto le scatole
per un
sacco di tempo, perché si era raccomandato che ti portassimo
al sicuro e invece
nessuno di noi si è dimostrato all’altezza del
compito. Insomma, una vera
tortura…”
“Oh,
andiamo, Sirius. Sappiamo
entrambi che se non ci fossi stata io, saresti corso tu a salvargli la
pelle”.
“Beh,
certo che sì! Ma con me non
avrebbe avuto nulla da obiettare”.
“Tu
credi? Avrebbe sbraitato
anche con te, invece. Sei il suo migliore amico e gli importa della tua
vita
tanto quanto della mia”.
“Un
po’ troppo protettivo, il
ragazzo”.
Lily
ridacchiò, dopodiché calò il
silenzio. Sirius sembrava totalmente assorbito dai suoi pensieri. Le
tornò in
mente quelle occhiate fulminanti gettate da Remus al suo indirizzo che
aveva
intercettato, per puro caso, nei giorni precedenti, alle riunioni
dell’Ordine,
ogni volta che il giovane Black aveva fatto una delle sue sgargianti
battute.
Non era una reazione normale, di questo ne era certa. In genere Remus
fingeva –
pessimamente – di non ridere, o faceva qualche commento
composto e lievemente
sarcastico, oppure si copriva il volto con le mani e sospirava tra
sé,
semplicemente. Aveva anche notato che, quando si era trovato a passare
per caso
vicino a Sirius, entrambi si erano ignorati totalmente, con aria
impassibile,
se non per un muscolo contratto sulla guancia. Dopodiché,
Remus era rimasto
quasi sempre in silenzio. Non che di solito parlasse molto, ma sembrava
avere
quasi paura di aprir bocca, come se si sentisse in imbarazzo. Vedendo
ora che
anche Sirius si
comportava in maniera
simile, non poteva fare a meno di lambiccarsi il cervello a riguardo.
“Vedo
che stai meglio. James può
stare tranquillo”.
“Sì,
è stata solo una brutta
caduta, niente di più”.
“Già”.
Oh,
al diavolo, non poteva
starsene lì zitta e buona e far finta di niente.
“Comunque,
se vuoi un consiglio
spassionato, smettila di fare quella faccia da funerale. Vedrai che
Remus
tornerà presto, così potrete parlare dei vostri
problemi sentimentali e risolverli
da persone adulte e mature”.
Sirius
sgranò gli occhi e sbiancò
di colpo, sconvolto, e in quella manciata di secondi che precedettero
la sua
esplosione Lily capì di averci azzeccato.
“COM’E’
POSSIBILE CHE TU LO
SAPPIA?!”
L’ex-Caposcuola
lo fissò perplessa,
la fronte corrugata, in attesa che il suo stato di shock si attenuasse
quel
tanto che bastava da condurre una conversazione su toni di voce che non
andassero oltre l’udibile dall’orecchio umano.
Erano pur sempre in un ospedale,
dopotutto, e non era certo il luogo adatto per fare tutto quel casino.
“TE
L’HA DETTO LUI, VERO? IO LO
AMMAZZO!”
“Sirius,
per l’amor del cielo, piantala!
Remus non mi ha detto proprio
un bel niente, smettila di prendertela con lui”.
Il
pallore sul volto del
primogenito Black sembrò attenuarsi lievemente. Dopo un paio
di secondi tornò
verso la sedia, che aveva quasi rovesciato alzandosi di scatto in quel
modo, e
si aggrappò allo schienale, rimanendo a fissare Lily con
occhi sgranati.
“Spiegami
come diamine hai fatto
a…”
“Oh,
avanti, sono una donna. Non
potresti capire come ci sono arrivata”.
Omise
attentamente il fatto che,
fino a poco prima, le sue erano soltanto congetture, altrimenti avrebbe
finito
per scatenare un putiferio ancora più grande,
perché Sirius si sarebbe reso
conto di essersi irrimediabilmente tradito con le sue stesse mani.
Il
giovane strinse le labbra,
come se stesse ponderando se doveva sentirsi offeso da quel commento.
Lily
scosse impercettibilmente la testa, persa nei suoi pensieri. Che ci
fosse
qualcosa che non andava fra quei due era evidente, a meno di non essere
ciechi
o privi di spirito d’osservazione. Sul fattore sentimentale,
forse, era già più
difficile indovinare. Ma nei giorni scorsi aveva colto certi sguardi da
parte
di entrambi, nei momenti in cui pensavano di non essere osservati, che
lasciavano intuire qualcosa del genere.
Non
era stato difficile arrivare
a formulare determinate congetture, per quanto potessero sembrare
astruse e
campate in aria.
“Beh?
Che hai intenzione di
fare?”
“In
che senso?!”
“Oh,
andiamo, Sirius… non si
tratta di una ragazzina qualunque. Si tratta di Remus”.
Lui
la fulminò con lo sguardo,
incrociando le braccia.
“Lo
so benissimo, ma appunto per
questo tu ed io faremo finta che non sia mai successo nulla”.
Lily
strinse la bocca in una
smorfia scettica, una di quelle che le riusciva meglio.
“E
di lui che mi dici? È
d’accordo su questa strategia?” domandò,
praticamente certa del fatto che non
fosse così.
“Oh,
ci puoi giurare. È da non so
quanto che fa qualsiasi cosa per ignorarmi”.
Il che era decisamente un comportamento non
da Remus.
“Ma
se non gli hai parlato
direttamente, forse non dovresti saltare a conclusioni affrettate…”
Si
fermò, poi si lasciò sfuggire
un mezzo sorriso. Forse, qualche anno prima, seguire questo suo stesso
consiglio le avrebbe risparmiato un sacco di dolorosi battibecchi con
James.
“Lily,
dai, non c’è bisogno di
scriverselo in fronte a caratteri cubitali. Se i suoi intenti fossero
stati
diversi, sarebbe venuto a parlarmi. Ma non l’ha fatto,
perciò basta, chiuso,
non voglio più sentir parlare di questa storia. È
stato un errore, un mio errore,
d’accordo, ma non si
ripeterà”.
Lily
sgranò gli occhi, guardando
sorpresa il bel giovane afflitto. Non poteva crederci. Se
c’era una cosa su cui
non avrebbe mai scommesso, era che fosse stato Sirius a cominciare.
“Che
hai da fissarmi così?”
brontolò Sirius, accorgendosi di essere diventato
improvvisamente oggetto di
tanto stupore. Lily rise, incredula.
“Niente,
ma… complimenti”, gli
disse, facendolo incupire di colpo.
“Ti
avverto, se dici qualcosa a
James di tutta questa faccenda correrò da lui e lo
obbligherò a raccontarmi
tutti i più sordidi dettagli della vostra prima notte di
nozze”.
Lily
strinse le labbra,
gettandogli un’occhiataccia.
“Sei
ancora convinto che io sia
una spiona?”
“No,
non è questo, è che… non
voglio che James lo sappia, tutto qui”, ammise lui, con voce
mesta. La ragazza
si strinse nelle spalle.
“Wow,
sarà forse la prima volta
in tutti i tuoi diciotto anni che non gli confesserai ogni dettaglio
della tua
vita”.
Sirius
chinò lo sguardo,
contrariato.
“Beh,
stavolta non posso… è
troppo… nemmeno lui capirebbe. È stato uno
sbaglio”.
Si
ostinava a ripeterlo, come per
convincersene lui stesso. Dopotutto, probabilmente, era normale cercare
di
pensarla così, al suo posto. Verosimilmente si era trattato
di una situazione
inaspettata, in cui, a prescindere da cosa fosse successo, sia Remus
che Sirius
si erano ritrovati catapultati di colpo, senza alcun preavviso. Non era
sicura
del fatto che James ne sarebbe rimasto scioccato – forse
all’inizio, ma James
era la tipica persona che non si faceva condizionare da alcun
pregiudizio nel
momento in cui si trattava dei suoi amici. Di questo Lily era certa.
Non si era
mai posto alcun problema nel simpatizzare con uno come Sirius, che
proveniva da
una nobile famiglia Purosangue con la puzza sotto il naso e palesi
simpatie per
i maghi oscuri, né con Remus, che era di origini umili e per
giunta un
licantropo, e neppure con Peter, che scolasticamente non era mai stato
brillante
come lui e non possedeva la sua indole esuberante. Probabilmente
sarebbe caduto
dalle nuvole dato che, per quanto ne sapeva lei, non c’era
mai stata alcuna
avvisaglia di una possibile tresca fra quei due. Si erano sempre
comportati da
amici, come chiunque si aspettava da loro. Eppure, c’era
qualcosa che a Lily
faceva sorridere. L’imbarazzo di Sirius, il suo senso di
colpevolezza, le
occhiatacce che Remus gli aveva gettato sotto il suo naso in un paio di
occasioni,
il fatto che Sirius si fosse preso un incantesimo in pieno petto per
salvare
Remus… si sforzò di rimanere seria, altrimenti
il giovane Black l’avrebbe
probabilmente uccisa. Ma personalmente lei non lo trovava
così snaturato. Da
persona estranea al loro gruppetto intimamente chiuso, aveva sempre
visto quei
due beccarsi per ogni minima bazzecola, domandandosi più e
più volte come Remus
fosse in grado di sopportare i tormenti che Sirius gli dava, per puro
divertimento, senza lasciargli mai un attimo di tregua, per poi vederli
comunque perennemente insieme, pronti a difendersi l’un
l’altro o a ridere e
scherzare come se nulla fosse, senza che nessuno dei due si facesse
problemi a
riguardo. Era diverso dal rapporto che condividevano Sirius e James
– mancava
solo che quei due si completassero le frasi a vicenda per sembrare
più simili
l’uno all’altro – o di quello che aveva
Peter con ciascuno di loro. Peter
adorava talmente tanto James e Sirius che molto raramente osava anche
solo
contraddirli. Si sarebbe buttato dalla Torre di Grifondoro per loro,
era
evidente. Ma Remus… avrebbe fatto lo stesso per Sirius,
questo era certo.
Tuttavia, almeno in apparenza, spesso sembrava voler dimostrare
l’esatto
contrario. Era complicato da spiegare, ma allo stesso tempo
così chiaro ed
evidente.
“Cosa
devo fare, Lily?”
Alzò
la testa, sorpresa,
interrompendo il corso dei suoi pensieri. Sirius era chino in avanti,
il volto
nascosto fra le mani. Sembrava davvero disperato.
“Beh,
forse… innanzitutto
dovresti cercare di capire perché è
successo”.
“PER
ERRORE!”
“Sirius,
che diamine, non c’è
bisogno di urlare!” protestò lei, vivamente.
Sirius chinò di nuovo il capo.
“Scusa”,
mormorò. “Comunque,
quante volte te lo devo ripetere? È stato un errore, un
grosso, grossissimo
errore, niente di più”.
“Oh,
Merlino… è una risposta
troppo sbrigativa”, sbottò Lily, spazientita.
“Anch’io, quando ho baciato James
per la prima volta, subito dopo ho creduto di aver fatto un
errore”.
“Mi
duole contraddire la tua
infinita saggezza da mondo delle favole, ma che tu abbia baciato James,
in un’ottica
esterna, è una cosa assolutamente ed innegabilmente normale”.
“Non
è così tanto normale
gettarsi fra le braccia di una persona che fino a poco tempo prima
affermavi di
odiare…”
“Lo
è ancora meno fare una cosa
del genere con uno del tuo stesso sesso, scusa ma in questo caso vinco
io!”
esclamò Sirius, piccato. Lily sospirò,
arrendendosi.
“Oh,
quindi è questo che ti
preoccupa? Che tu abbia baciato un uomo?”
“Beh,
che diamine, certo che mi
preoccupa! Ma non solo: aggiungici anche che l’uomo in
questione è un mio
amico, uno dei miei migliori amici. E che facendo questa cosa, con cui
probabilmente pensavo di rimediare alla spaccatura che
c’è fra noi, non ho
fatto altro che creare un pretesto definitivo per far allontanare Remus
da me
senza alcuna speranza di tornare indietro. Ora capisci? È un
disastro! Un
completo, completo disastro”.
Lily
rimase ad osservarlo
crogiolarsi nella sua disperazione per qualche secondo. Era
indubbiamente una
situazione complicata, per di più non aveva idea di cosa
fosse quella
spaccatura a cui Sirius aveva accennato. James non le aveva mai
raccontato
nulla a proposito, di conseguenza poteva dedurre che non ne sapesse
niente
neppure lui. E quindi, probabilmente, Sirius non aveva intenzione di
parlarne.
Meglio restare concentrati sui fatti recenti.
“Sirius,
sei tu che vuoi vederlo
come un disastro”, gli disse, convinta. “Forse
potrebbe non esserlo. Forse
dovresti solo andare da Remus e parlargli, in maniera chiara e
concisa”.
Sirius
sospirò, distogliendo lo
sguardo.
“Lui… non vuole parlarmi”,
disse, in un soffio.
“Io
non credo proprio”, rispose
Lily, decisa a non lasciarlo desistere.
“Te
l’ha detto lui?”
“No,
ma …”
“…E allora come fai a saperlo?”
“Andiamo,
Sirius, Remus non è il
tipo da lasciare volutamente in sospeso questioni come queste. Siete
adulti,
per Godric, dovete fronteggiare la cosa. È una faccenda che
riguarda voi due
soltanto, perciò nessun altro si intrometterà, te
lo garantisco. Ma se non vuoi
che James ti faccia domande, non puoi continuare così. Prima
o poi si accorgerà
che non vi parlate, o che lo fate solo davanti a lui, per far
sì che non
sospetti niente. Ma ti prego, smettila di pensare soltanto a come ti
giudicherebbero gli altri, o l’unica cosa che ci
andrà di mezzo sarà la tua
amicizia con Remus. E non mi sembra il caso di gettarla via”.
Sostenne
il suo sguardo con
decisione, sperando con tutta se stessa che capitolasse e le desse
finalmente
ragione, per il bene suo e per quello di Remus.
Alla
fine, lo osservò sospirare
con rassegnazione ed annuire, e si concedette di esultare mentalmente.
“E
va bene, lo farò…”
“Ottimo”.
“Ma
lui mi riderà in faccia,
sappilo, e allora io darò la colpa a te”.
“Ritieniti
autorizzato”, rispose,
con noncuranza. L’importante era che quei due si parlassero e
basta.
“Non
ci credi, eh? Vedrai, te lo
dimostrerò!”
“Oh,
piantala, Sirius, non devi
dimostrare nulla a nessuno! Smettila di fare il bambino troppo
cresciuto…”
In
quel momento, la porta si
spalancò di botto. James entrò, veloce come un
fulmine, pallido in volto.
“Ehi”,
lo salutò Lily,
sorridendo. Lui non emise fiato. Rimase serio, poi le si
avvicinò, lentamente.
Sirius si fece da parte, osservandolo con aria preoccupata. Sembrava
che tutta
la voglia di vivere gli fosse defluita via di colpo, lasciando posto ad
un
corpo ambulante.
Lily
alzò lo sguardo, ma James
non la guardò negli occhi. Senza ancora aver aperto bocca si
cavò di tasca una
busta spiegazzata, la rimirò per un attimo con sguardo vacuo
e poi gliela
consegnò. Solo in quel momento lei notò il
luccichio che offuscava le sue iridi
nocciola.
“Non
so come dirtelo… l’ho
trovato a casa stamattina”, mormorò, con un filo
di voce. Lily estrasse il
contenuto della busta. Era un biglietto di Petunia, scritto con una
grafia un
po’ più tremolante del solito.
Lo
lesse, dopodiché desiderò di
potersi svegliare da quel brutto sogno.
*
Ne
era venuto a conoscenza per
puro caso ed era altrettanto per caso se adesso si trovava
lì, esattamente
quando anche lei si era recata in quel luogo.
Non
credeva di trovarcela, non se
l’aspettava nella maniera più assoluta.
Il
necrologio datava la loro
morte ad un paio di giorni prima, quindi forse era dal funerale che
veniva lì a
far loro visita.
Poteva
immaginare il dolore che
provava.
Fu
un colpo al cuore intravederla
lì; avrebbe desiderato ardentemente essersi sbagliato, ma
era impossibile non
riconoscere il suo corpo esile e i suoi capelli color cremisi anche da
centinaia di metri di distanza. Era dalla fine della scuola che non si
incrociavano più, ma non aveva smesso di pensarle un solo
giorno.
Povero
sciocco.
Sapeva
che si era sposata. Con
quell’insulso pallone gonfiato, per giunta. Era una delle
cose che non le
avrebbe mai perdonato: fra tutti quanti, tutti quelli che la volevano e
che
avrebbero pagato oro per trascorrere almeno un’ora soli con
lei, proprio lui
aveva dovuto scegliere? Si era tormentato segretamente per mesi
cercando di
capire il perché. Certe volte, lasciandosi sopraffare
dall’ira, pensava che di
sicuro l’aveva fatto apposta, per ferirlo. Aveva scelto
Potter con il preciso
scopo di osservare compiaciuta mentre lui si dilaniava nella sofferenza
più
atroce. E questo pensiero, in realtà, lo consolava.
Perché se fosse stato così
significava che, in realtà, non provava niente per
quell’arrogante bastardo.
Tuttavia,
era ingiusto attribuirle
una tale cattiveria. Lily non era capace di un gesto simile, anche se
ora lo
detestava.
Perciò,
forse, prima o poi
avrebbe accettato la realtà.
In
fondo, era solo l’ennesimo
inganno in cui per anni si era crogiolato, quello di credere veramente
alle parole
di Lily quando affermava con sicurezza di detestare James Potter.
Così come si
era illuso fino alla fine che, standole vicino ogni giorno, prima o poi
lei lo
avrebbe guardato con occhi diversi da quelli di semplice amica. Migliori amici, come diceva sempre lei.
Ma
era stato sufficiente un po’
di forzato idealismo per mettere fine alla loro amicizia. Forse anche
su quella
aveva preso un abbaglio.
Fece
per avvicinarsi di qualche
passo, ma poi si fermò, scoraggiato. Cosa pensava di fare?
Andare a consolarla?
L’avrebbe respinto. Perché lui ora stava dall’altra
parte. E lei lo sapeva.
Con
la sua intelligenza e le
capacità di cui era dotata avrebbe potuto fare cose molto
più eclatanti ed
ammirevoli che servire nell’ombra uno come Silente. Uno che
aveva tenuto per
sette anni a Hogwarts un Lupo Mannaro, facendo correre un rischio
incredibile a
quegli studenti di cui tanto affermava di preoccuparsi.
Lei
continuava a dargli le
spalle. Chissà se era cambiata, se il suo viso si era fatto
più dolce, più
stanco. Non assomigliava per nulla a quella strega di sua sorella; Lily
aveva
preso tutto dal padre. Si sforzò di non pensare ai pomeriggi
trascorsi a casa
sua, a finire i temi delle vacanze estive. Sua madre, forse, aveva
capito. Ogni
tanto gli aveva fatto qualche battuta. Ma lei no, non si era mai
sforzata di
vedere cosa ci fosse sotto.
E
non era di sicuro intenzionato
ad andarglielo a dire, non ora che era sposata con James Potter.
Aveva
portato dei fiori comprati
in un negozio di maghi. Di quelli che non appassivano se non dopo anni.
Voleva
lasciare agli Evans qualcosa che fosse degno di loro, non un mazzo
dozzinale
che dopo qualche giorno sarebbe già stato da buttare. Erano
stati sempre molto
buoni con lui, non l’avevano mai giudicato per il posto in
cui viveva, per come
si vestiva o per il fatto che sua madre non fosse mai passata a
ringraziarli
quando lo facevano restare a cena. Lily aveva indubbiamente preso da
loro. Poi,
però, un giorno qualcosa dentro di lei era cambiato. E non
c’era stato più
nulla da fare.
Si
domandò perché fosse lì da
sola. Suo marito era così attento e premuroso da non averla
neppure
accompagnata sulla tomba dei suoi genitori. Strinse i pugni, con
rabbia. Se
fosse toccato a lui, non si sarebbe comportato così. Non
l’avrebbe mai lasciata
sola. Mai.
Soltanto
perché per una volta si
era lasciato travolgere dalla rabbia e dall’umiliazione.
Aveva sbagliato,
certo, prendendosela con lei. Ma avrebbe fatto qualsiasi cosa per
rimediare, si
sarebbe perfino tagliato un braccio.
E
invece aveva passato i restanti
due anni a Hogwarts ad osservarla da lontano, reprimendo qualsiasi
sentimento
con forza brutale. L’estate non era andato a trovarla a casa.
Quando si era
sparsa la voce che si vedeva con Potter, si era impegnato ancora di
più per non
lasciar trasparire la sua ira cocente agli occhi dei suoi compagni,
perché
altrimenti avrebbe disonorato ciò di cui faceva ormai parte.
Ma non gliel’aveva
mai perdonato.
Ora,
però, che motivo c’era di
portare ancora rancore? Lily stava vivendo un lutto, probabilmente il
peggiore
della sua vita. Lui, in passato, era stato suo amico. Aveva conosciuto
i suoi
genitori. Era un suo diritto andare su quella tomba a lasciare loro i
suoi
fiori, qualunque cosa ne pensasse lei.
Non
aveva il potere di
impedirglielo.
Si
avvicinava lentamente,
guardando a terra, contando i passi che li separavano. Il cuore gli
batteva
all’impazzata nel petto. Che doveva fare? Ignorarla?
Salutarla? E se poi lei
avesse fatto finta di non vederlo? Sarebbe stato ancora più
umiliante…
Alzò
gli occhi e vide che lei si
era voltata e lo stava fissando.
Ormai
era troppo tardi per
ripensarci.
“Che
ci fai qui?” gli domandò,
gelida. Lui si fermò. I suoi occhi brillavano ancora
intensamente, come un
tempo.
“Ho
mancato il funerale, non lo
sapevo”, spiegò, mostrandosi impassibile. Era
diventato abile, ormai nulla
traspariva dal suo volto. Dedicarsi all’approfondimento degli
studi in
Occlumanzia durante quei mesi trascorsi dalla fine della scuola gli
aveva
giovato molto in questo senso.
“Se
è per quello, anch’io non c’ero.
Ma sono sicura che tu sappia il perché. Porta i miei
ringraziamenti al tuo
signore per questo”, gli rispose, sprezzante. Severus ebbe un
tuffo al cuore.
La battaglia della notte precedente… doveva essere rimasta
ferita. Non era
venuto a conoscenza dei dettagli, si stava occupando di altre faccende
in
quella circostanza.
“Non
avresti dovuto unirti a
quella banda di sciocchi…”
“Oh,
e da quando sei tu a dirmi
cosa devo fare della mia vita?”
“Non
ho mai voluto che la
rischiassi, a differenza di qualcun altro”.
“Io
credo che ti convenga
limitarti a sperare che un giorno non ci troveremo faccia a faccia in
una
situazione come quella dell’altra notte. O sei con Voldemort,
o sei contro di
lui”.
Severus
non reagì a quella frase
sferzante. La guardò semplicemente negli occhi, poi
chinò il capo.
“Mi
dispiace per la tua perdita”,
le disse, in tono compunto.
“Ti
ringrazio”.
Con
quella nota di sarcasmo che
ancora aleggiava nell’aria, Lily lo superò e se ne
andò a passo spedito.
Severus non si voltò indietro per guardarla andare via, per
quanto lo
desiderasse; si limitò ad espirare, lasciando fuoriuscire
dai polmoni tutto il
fiato che finora aveva inconsapevolmente trattenuto.
Avanzò
lentamente verso la tomba
dei suoi genitori. Non avendo potuto seppellirli, il suo dolore doveva
essere
ancora più grande. Non poteva certo sperare di consolarla,
ormai. Ma avrebbe
voluto farlo. Ci sarebbe stato sempre, per lei, se solo Lily lo avesse
voluto.
Ma
Lily non voleva. L’aveva
rifiutato già da tempo e lui ne era ben consapevole.
Avrebbe dato la vita per
poter tornare indietro nel tempo e mutare il corso degli avvenimenti di
quel
giorno maledetto, uccidendosi piuttosto, se proprio non poteva fare
altro, ma
neppure la più potente delle magie poteva aiutarlo.
Depose
i fiori a fianco della
lapide della signora Evans, mentre una lacrima silenziosa gli scendeva
lungo la
guancia.
*
Quando
Remus passò a trovarlo,
quella sera, Sirius era perfettamente sveglio. Il giorno dopo
l’avrebbero
finalmente lasciato andare a casa. James aveva accompagnato via Lily,
che aveva
chiesto di essere dimessa prima del tempo, mormorandogli soltanto un
breve
saluto. Ma non c’era ragione di offendersi. In quel momento,
dopo un recente
scontro ravvicinato con Voldemort e dopo aver dovuto dare alla propria
moglie
la notizia che i suoi genitori erano morti, sepolti da
un’improvvisa valanga
durante una passeggiata in montagna, James era sicuramente in stato di
shock. Avrebbe
voluto fare qualcosa per lui, ma finché era bloccato
lì non c’era che da
rassegnarsi e aspettare. Gli dispiaceva per Lily, gli dispiaceva un
sacco. Quello
non era sicuramente il momento più adatto per ricevere una
notizia del genere. Il
fatto che poi fosse rimasta un paio di giorni in ospedale sotto
sedativi le
aveva fatto perdere il funerale organizzato dalla sorella, dato che
James era
rimasto tutto il tempo insieme a lei e aveva trovato il biglietto
recapitato a
casa loro soltanto quella mattina. La sfortuna aveva colpito duramente,
quella
volta. Ma per il momento lui non era nella posizione di poter fare
alcunché.
Aveva
comunque un problema
piuttosto urgente da risolvere e aveva trascorso l’intera
giornata
lambiccandosi il cervello per cercare le parole giuste da pronunciare,
una volta
che Remus gli fosse comparso davanti. E adesso era pronto.
L’aveva accolto con
un saluto cortese, neutrale, aveva perfino fatto un paio di battute nel
tentativo di farlo ridere quando lui gli aveva chiesto scusa per
ciò che era
successo e l’aveva ringraziato per essersi messo in mezzo
durante la battaglia.
Tuttavia, ciò che aspettava con ansia era il momento in cui
avrebbe pronunciato
il suo perfetto discorso. Lily aveva ragione, quella faccenda andava
risolta. Ma
c’era un solo modo di risolverla che non contemplasse il dare
inizio a litigi e
rancori eterni ed irreparabili.
“Senti,
io ci ho riflettuto su
attentamente… guardati intorno, guarda dove siamo.
Rischiamo le nostre vite
tutti i giorni, Lily e James sono sfuggiti a Voldemort in persona per
miracolo,
ma per quello che ne sappiamo potremmo lasciarci la pelle domani, o
dopodomani.
E io non voglio che questo succeda mentre noi due abbiamo smesso di
parlarci
per una sciocchezza. Dimentichiamo tutto, lasciamocelo alle spalle e
restiamo
amici. Ti prego, Moony”.
Remus
lo osservò in silenzio per
molti, lunghissimi secondi. Aveva lo sguardo vacuo, perso nel nulla.
Sirius aspettò,
trattenendo il fiato. Aveva seriamente paura che di lì a
poco esplodesse e si
mettesse a prenderlo a pugni. Perché in teoria ne avrebbe
avuti tutti i
diritti. Quello che gli aveva appena chiesto era di ignorare totalmente
un problema,
fare finta che non fosse mai successo e continuare come se niente fosse
ad
essere amici, amici. Dopo quello
che
avevano fatto, era semplicemente ridicolo. Lo sapeva, l’aveva
sempre saputo che
c’era qualcosa, un tarlo che gli rodeva la mente,
un’inquietudine che aveva
sempre covato dentro fin dagli anni della scuola. Ma non aveva mai
capito. Non
aveva mai collegato nulla, forse perché c’era
James che faceva in modo di
impiegare quasi tutte le sue energie. E perché
c’era Peter, sempre insieme a
loro. Non c’erano mai stati lui e Remus e basta. Non fino a
qualche settimana
prima. Eppure, quello che voleva era davvero dimenticare tutto. Era una
cosa
troppo grande da affrontare, checché ne dicesse Lily, e lui
non ne era capace.
Non poteva condurre una conversazione sui loro istinti sessuali
deviati, era al
di fuori di ogni umana concezione. E non ne avrebbero cavato nulla,
anche se ci
avessero provato. Sarebbero solo finiti a darsi la colpa l’un
l’altro nel
tentativo di stabilire chi avesse iniziato a fare cosa.
I secondi passavano e Sirius non
faceva altro che pregare che Remus accettasse.
“Va
bene”, disse infine. Sirius
corrugò la fronte, incerto, e lo osservò per
cercare di capire se fosse serio.
Non si aspettava che capitolasse così facilmente. Remus non
si comportava così,
di solito. Preferiva risolvere le cose, metterle bene in chiaro.
“Sei
sicuro?” gli domandò. Moony
stirò le labbra in un sorriso lieve.
“Sì,
certamente. Va bene così,
Sirius. Siamo amici. È tutto a posto”.
Ora
avrebbe dovuto tirare un
sospiro di sollievo, in teoria. Ma per qualche assurda, inspiegabile ed
irritante ragione si sentiva ancora più inquieto di prima.
“Ora,
scusami ma sto morendo di
fame. Ti devo lasciare. Vado a chiedere che portino da mangiare anche a
te, se
vuoi”.
“Oh,
sì, ti ringrazio”.
Era
finto. Tutto tremendamente
finto. Ma doveva sforzarsi al massimo per essere convincente, di modo
che
quella faccenda finisse morta e sepolta nelle loro coscienze,
perché sarebbe
bastato un niente a farla riaffiorare.
Quando
Remus uscì dalla sua
stanza, Sirius si accorse che sentiva come una specie di enorme macigno
pesargli sul petto.
And I die, when you mention his name.
And I lied, I should have kissed you when we were
runnin’ in the rain.
What am I, darlin’?
A whisper in your ear? A piece of your cake?
What am I, darlin’?
A boy you can fear or your biggest mistake?
(Damien Rice, Cheers, Darlin’)
Nota di fine
capitolo: c’è un motivo per cui ho fatto
sì che Lily sappia di Remus e Sirius. Prima di tutto
perché Lily e Sirius
dovevano essere, secondo le idee della Rowling, molto amici (il tono
con cui
lei gli scrive quella lettera che Harry ritrova a Grimmauld Place non
è certo
quello di una persona indifferente, o di una semplice conoscente), e se
in
questa fanfiction siamo già al punto in cui i rapporti fra
loro sono cordiali,
sentivo che ci fosse bisogno di arrivare ad un gradino di confidenza
maggiore.
Per cui, ho pensato che nulla potesse farli avvicinare tanto quanto la
condivisione da parte di Lily della loro storia. È una sorta
di segreto che
resta fra loro, che farà sì che Sirius si confidi
con lei. Invece, per quanto
riguarda Remus, so che la Rowling aveva espresso pensieri favorevoli
per quella
scena del terzo film in cui il suo personaggio dice a Harry che lui era
molto
legato a Lily perché lei gli era rimasta vicino in momenti
in cui nessun altro
c’era. Beh, quei momenti a cui si riferisce non possono che
essere quelli in
cui tutti sospetteranno erroneamente di Remus come spia e lo
estrometteranno
dal gruppo al punto tale che non sarà nemmeno messo al
corrente dello scambio
tra Sirius e Peter. Nella mia idea, dunque, Lily non crederà
mai che lui sia la
spia. E questo anche perché sa di come Remus è
coinvolto con Sirius. Ma è
inutile dilungarsi troppo per ora, ci arriverò prima o poi
(più poi che prima,
visto che per ora siamo ancora agli eventi del ’79 XD).
Altra
cosa: il motivo per cui ho fatto sì che
Lily mancasse il funerale dei genitori è che viene detto da
qualche parte (non
ricordo se in uno dei libri o in un’intervista a JK Rowling)
che Lily e Petunia
dopo la scuola non si vedono più, ma mantengono
semplicemente qualche scarso
contatto.
Ultimissima
cosa: è la prima volta che scrivo
dando voce a Piton, è uno degli esperimenti che da tempo
volevo fare. Pareri spassionati
sulla resa del personaggio mi sarebbero molto, molto utili. Ringrazio
ancora
una volta tutti coloro che mi lasciano bellissime recensioni, non so
davvero
come farei senza di voi ♥
A
presto!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Andare fino in fondo (Regulus Black) ***
Capitolo
8 – Andare fino in fondo
Ma
un vigliacco, perfino un vigliacco, può morire da
coraggioso, compiendo un solo gesto.
(Frank Herbert, Dune)
Gennaio
1979
“È inutile che continui a guardarmi in quel modo,
non ho nessuna intenzione di raccontarti cos’è
successo.”
Regulus contrasse
il volto pallido in una smorfia di dolore mentre appoggiava
inavvertitamente parte del peso sulla gamba rotta. Ricambiò
con aria imbronciata l’espressione dura e irremovibile di
Erin, che evidentemente non aveva intenzione di desistere.
Era sempre stata
incredibilmente testarda, per sua sfortuna. Ma aveva iniziato a
rivelarsi tale soltanto quando l’aveva lasciato
perché lui era entrato a far parte dei Mangiamorte.
“In tal
caso, puoi scordarti qualsiasi aiuto da parte mia,”
replicò lei, duramente. “Non ti darò
una pozione per sistemarti le ossa, sarai costretto ad andare in giro
così e finirai per diventare zoppo. E non potrai nemmeno
servire il tuo Signore, date le condizioni in cui ti sei ridotto.
Perciò, decisamente non ti conviene.”
Regulus
sospirò, stizzito. Era incredibile l’ostinazione
di quella ragazza. Lui era un Black e lei avrebbe dovuto obbedire senza
fiatare a qualsiasi accenno di ordine che fosse uscito dalle sue
labbra. Ma non l’aveva mai fatto, neppure quando, fin
dall’inizio, le aveva intimato di non impicciarsi degli
affari suoi e di restare fuori dalla sua vita.
L’unico
motivo per cui anche lei non aveva mai reso pubblica la loro relazione
era che non poteva farsi vedere in giro con un simpatizzante di
Voldemort. Perché la zia che l’aveva presa in
carico dopo l’aspro divorzio dei genitori era, come Regulus
aveva scoperto poi, nientemeno che un membro dell’Ordine
della Fenice.
Aveva scelto di
farsi portare a casa sua perché sapeva che la donna non
sarebbe stata presente, probabilmente impegnata nello stesso scontro in
cui lui era rimasto ferito, non certo perché morisse dalla
voglia di rivedere Erin. L’ultima volta era stato prima che
lei tornasse a Hogwarts per il settimo anno, esattamente quando
l’aveva piantato. Un ricordo poco piacevole, dunque.
“Che
vogliamo fare, quindi? Rimanere qui a fissarci in silenzio?”
sbottò lei, passandosi nervosamente una mano fra i capelli
mossi e scuri. Regulus si sentì cogliere da un attimo di
debolezza, ricordandosi improvvisamente di quando quelle dita
scorrevano delicatamente sulla sua nuca. Non una vera e propria
carezza, perché lui non tollerava i gesti
d’affetto. Tuttavia, era il contatto fisico più
significativo che riuscisse a ricordare.
“Per
qualche secondo ho pensato che avresti potuto mettere da parte il
rancore e darmi semplicemente una mano. Evidentemente mi
sbagliavo,” rispose infine, abbassando lo sguardo in maniera
studiata. Sperava segretamente di impietosirla, di indurla a non
insistere facendo leva sulla sua sensibilità più
intima. Ma Erin, ormai, lo conosceva fin troppo bene.
“Se non
avessi voluto aiutarti, ti avrei cacciato quando ancora ti trovavi
fuori dal cancello di casa mia,” gli rispose, fissandolo
diritto negli occhi con tutta la disapprovazione possibile.
Regulus si
accorse che non sapeva più come rabbonirla: fin dal momento
in cui aveva detto il suo sì definitivo a Voldemort, era
stato consapevole che Erin non l’avrebbe mai accettato. Aveva
segnato la fine degli incontri clandestini nei corridoi immersi nel
buio, dei momenti rubati in qualche aula vuota dei sotterranei,
dell’apparente indifferenza mentre stavano seduti allo stesso
tavolo della biblioteca. Sul momento, Regulus non vi aveva dato molto
peso. Era convinto che sarebbe riuscito a gestire la situazione, in
qualche modo, e che Erin tenesse troppo a lui per non mettere da parte
il dettaglio di quel nuovo marchio impresso sul suo avambraccio.
Tuttavia, lei gli aveva dimostrato di pensarla diversamente; la sua
autorevolezza in quanto rampollo di una nobile casata non aveva mai
sortito alcun effetto su di lei, Mezzosangue cresciuta fra Babbani fino
al momento in cui era stata chiamata a Hogwarts.
Erin continuava a
fissarlo con quello sguardo di ghiaccio e Regulus stava iniziando a non
poterne più: gli occhi di lei erano sempre stati troppo
espressivi. Riusciva sempre a capire immediatamente quando era
arrabbiata, ferita o contrariata semplicemente guardandola; spesso
aveva pensato che fosse piacevole poter avere un rapporto
così diretto con qualcuno, abituato com’era a
relazioni familiari fredde e composte, basate su formalità e
cerimoniali che solo un Purosangue poteva comprendere. Ma in quel
momento si rendeva conto che non avrebbe voluto vedere il suo
disprezzo: si era fatto portare da lei perché sperava in un
aiuto, non in un’accoglienza così ostile.
“Non
muoverò un dito finché non mi spiegherai il
perché,” disse infine lei, voltandosi verso la
finestra con le braccia dietro la schiena. Regulus stava per protestare
nuovamente, quando la porta di casa si aprì ed entrambi
rimasero immobili, a fissare con sguardo pietrificato la persona appena
comparsa sulla soglia.
“Hai
ospiti?” domandò la donna, chiudendosi con
studiata lentezza l’uscio alle spalle.
Erin
fissò Regulus per un breve istante, totalmente incerta su
cosa rispondere.
“Una
visita inaspettata, posso spiegarti... è appena arrivato,
non ho avuto il tempo di... lasciami sistemare un attimo.”
Con qualche
rapido colpo di bacchetta, Erin fece accomodare Regulus su una
poltrona, posizionò un poggiapiedi sotto la sua gamba rotta
e gli fece comparire a fianco persino un bicchiere d’acqua.
Il giovane Black borbottò fra sé con stizza,
domandandosi se fosse stato davvero necessario aspettare fino a quel
momento anziché fare tutte quelle storie.
“Erin,
vorrei sapere cosa sta succedendo,” disse la donna, in tono
controllato ma fermo. L’attimo dopo, la bacchetta di Regulus
volò nella sua mano destra. “Perché hai
fatto entrare uno di loro in casa mia?”
La ragazza
sospirò, coprendosi il volto con una mano.
Dopodiché si fece coraggio e tornò a guardare la
donna.
“È
un mio compagno di scuola – un mio ex compagno di scuola
– a dire il vero è il mio ex ragazzo, anche se non
gli piace che io lo dica in giro. Non mi farà del male, non
ne farà nemmeno a te. Si è ferito e si
è fatto portare qui, ma quello che l’ha lasciato
qui davanti non era dei suoi.”
“Direi
che è più che altro dei vostri,”
s’intromise Regulus, con un’alzata di spalle.
“Mi sono ferito cadendo in un burrone, durante la battaglia,
quello si è impietosito e mi ha salvato la vita.
Toglierò il disturbo al più presto,
gliel’assicuro.”
La situazione
aveva decisamente del paradossale. Un membro dell’Ordine
della Fenice non si trovava certo tutti i giorni un giovane Mangiamorte
in casa, che fosse contemporaneamente anche amico di sua nipote.
La donna
continuava a fissarlo, con sguardo indecifrabile. Non assomigliava ad
Erin – se ben ricordava, era semplicemente la sorellastra
della madre; sua nonna si era risposata dopo la Grande Guerra di
Grindelwald e aveva avuto un’altra figlia, o così
gli sembrava di rammentare. Aveva una strana luce negli occhi, quasi un
fuoco, e un portamento altero, misurato, tipico di chi discende da una
famiglia aristocratica. Tuttavia, Regulus non aveva ancora capito se
stava meditando di ucciderlo.
“Sono
Dorcas Meadowes,” si presentò, accomodandosi nella
poltrona di fronte a lui. “Tu chi saresti?”
“Regulus
Black,” rispose il ragazzo, rassegnato. Ormai non poteva
farci nulla: avrebbe dovuto restare sul campo di battaglia
anziché farsi portare fin lì, almeno sarebbe
morto, ma con l’onore di essersi battuto.
“C’era
da aspettarselo, eh? Certo, lo sanno tutti da che parte stanno i Black.
Tutti tranne Sirius. Una gran testa calda, il ragazzo, ma molto
più coraggioso di dieci di voi Mangiamorte messi
insieme.”
Regulus
digrignò i denti, offeso.
“Lei
non ci conosce, non ha il diritto di dire nulla su nessuno di
noi.”
“Questo
è quello che credi tu,” rispose la donna, in tono
beffardo.
“Che
vuol dire?” domandò Regulus, incerto.
“È
una storia lunga. Ma dimmi, Regulus... cos’hai intenzione di
fare, adesso che sei capitato qui? Approfittare della mia
ospitalità e del fatto che oggi non ho voglia di uccidere,
per poi tornare dal tuo padrone?”
Il ragazzo
strinse i pugni, impotente. Le parole della donna lo colpivano come
violente sferzate. Sapeva che aveva ragione, ma cos’altro
avrebbe potuto fare?
“Lei sa
che non ho altra scelta.”
“Non
è vero. Una scelta ce l’hai, come tutti.”
“Chi
non è con lui è contro di lui.”
“Non ti
sembra di essere troppo grande per giocare ancora a fare tutto il
contrario di quello che fa Sirius?”
Regulus esplose
in una risata sarcastica; non era certo quella la risposta che si
aspettava.
“Lo
conosce, vero?”
“Sì,
abbastanza bene.”
“Allora
non dovrebbe faticare molto per capire perché non andiamo
d’accordo.”
“Può
darsi, ma non è una giustificazione valida per scegliere di
stare dalla parte sbagliata.”
“Io
non...”
“Non
pensavi che sarebbe stato così, vero? Che ti avrebbero
gettato immediatamente nella mischia, ordinandoti di uccidere. Ma
questo è il minimo: anche noi uccidiamo in battaglia,
è una lotta per la sopravvivenza. Però, se non
sei stato capace di uccidere un tuo nemico, l’uomo che ha
avuto pietà di te e ti ha portato fin qui, cosa farai quando
ti chiederanno di torturare e ammazzare degli innocenti?”
Regulus
deglutì a vuoto, interdetto. Era proprio durante la
battaglia di poche ore prima che aveva realizzato la stessa, identica
conclusione. Nei mesi precedenti, durante il suo primo periodo da
Mangiamorte, non ci aveva mai pensato; i compiti che gli avevano
affidato all’inizio erano di poco conto, come lanciare in
aria il Marchio Nero per spaventare i villaggi, rubare o spiare, ma la
guerra era tutt’altra cosa, una realtà con cui in
precedenza non era mai venuto in contatto. Nessuno gli aveva mai
chiesto di uccidere, perciò, da sciocco, aveva creduto che
quel compito non gli sarebbe mai stato affidato.
Si
sentì prendere dal panico. Tutto ciò che poteva
fare era rispondere nel modo in cui i suoi genitori gli avevano
insegnato: loro sicuramente conoscevano le giuste ragioni.
“Se
coloro che sopravvivono appartengono alla razza più pura,
non può che esservi un nobile fine dietro...”
Dorcas Meadowes
rispose con una risata velenosa.
“Voldemort
non si è fatto alcuno scrupolo nel far assassinare anche
maghi Purosangue che si sono rifiutati di unirsi a lui. Ma questo,
purtroppo, non è l’aspetto più
importante della questione.”
“E
quale sarebbe?”
“Ragazzo,
il reale scopo di Voldemort non è quello di purificare la
razza magica. Quello è più che altro un buon
biglietto da visita, un modo per raccogliere adepti. In
realtà, però, ciò che Voldemort vuole
davvero è qualcosa che ha intenzione di tenere soltanto per
sé, qualcosa per cui sta sfruttando tutti voi sciocchi che
gli siete corsi dietro.”
Regulus
osservò la donna, sbigottito. Cominciò a
domandarsi chi diavolo fosse e come potesse essere certa di tutte
quelle sentenze che andava declamando: sembrava conoscere
l’Oscuro Signore molto meglio di quanto non lo conoscesse
lui, che pure portava il suo Marchio sull’avambraccio.
Appariva molto sicura di ciò che diceva, e a nulla gli
servì continuare a ripetersi che, probabilmente, si trattava
soltanto di un bluff; la curiosità per quelle parole
così assurde era ormai troppa.
“E di
che si tratta?” domandò.
“Non ho
intenzione di dire nulla di fronte a mia nipote.”
Regulus si volse
verso Erin, che era rimasta ad assistere in silenzio
all’intera conversazione. Con un’occhiata dura, le
fece un cenno eloquente verso la porta.
“Va’
fuori.”
“Tu non
mi dai ordini!” sbottò lei, irata.
“Ti
ricordo che a scuola io ero il prefetto e tu l’alunna
semplice, perciò non ci sono dubbi su chi comanda fra noi
due. Esci.”
Erin si
voltò verso Dorcas Meadowes, cercando sostegno.
“Zia,
non se ne parla assolutamente!”
“Fa’
come ti dice,” rispose però lei, lasciandola
completamente sbigottita.
“Ma
perché non posso ascoltare?!”
“È
una faccenda troppo delicata e soprattutto troppo mostruosa per essere
udita da chi non è stato contaminato dal male di Voldemort.
Per favore, dimostrati matura come al solito.”
Erin si diresse
verso la porta con aria furente e lasciò la stanza, senza aggiungere altro, anche se Regulus sapeva benissimo che dentro di sé lo stava maledicendo in ogni lingua possibile.
“Molto
bene,” disse quindi Dorcas, tornando a guardare il ragazzo.
“Ti mostrerò qualcosa che nessun altro sa, dato
che lo desideri. Ma tieni presente che questo cambierà
tutto. Non potrai più fare a meno di assumerti le tue
responsabilità.”
“Questo
sarò io a deciderlo, se permetti,”
ribatté Regulus, piccato. Non capiva più nulla di
ciò che quella donna intendeva dirgli; nella sua testa
albergava soltanto la confusione più nera.
“Voldemort
non desidera che i suoi Mangiamorte siano persone coraggiose, dico
bene?”
Il ragazzo si
sentì avvampare di vergogna e un moto di rabbia
affiorò nello sguardo nobilmente offeso che rivolse a Dorcas.
“È
una falsità, servire qualcuno fino alla morte è
molto più che semplice coraggio.”
“Quale
senso avrebbe la tua morte se fosse per una causa sbagliata, per
qualcosa in cui neanche tu credi, o peggio ancora... per qualcosa che
interessa soltanto il tuo padrone?”
“Non ci
sono prove di tutto questo,” replicò il ragazzo,
con aria di sfida. Dorcas incurvò le labbra in un sorriso
storto, ermetico; gli volse le spalle, aprì
un’anta della credenza che le stava di fronte per tirarne
fuori un oggetto che Regulus non riuscì a vedere, poi
estrasse la bacchetta e se la puntò alla tempia.
Il ragazzo
intuì in fretta dove voleva arrivare e a quel punto
avvertì una scossa che lo fece vacillare, destabilizzare,
quasi perdere l’equilibrio.
Dorcas si volse
di nuovo verso di lui. Il suo sguardo era spiritato, quasi folle.
“È
giusto che tu veda, perciò ora non opporre resistenza. Ci
vorrà solo qualche minuto,” gli disse, prima di
afferrarlo per il polso e trascinarlo verso il Pensatoio, per poi
tuffarvisi dentro insieme a lui senza aggiungere altro.
Regulus non ebbe
il tempo di protestare.
*
“C’è
qualcosa che non mi convince in te, Black,”
mormorò Severus Piton all’orecchio di Regulus, in
un tono di voce quasi impercettibile. Le loro conversazioni avvenivano
quasi sempre in quella maniera: nel bel mezzo di una riunione dei
Mangiamorte, i due sedevano sempre l’uno a fianco
all’altro, uniti da un silenzioso legame che nessuno dei due
avrebbe saputo ben definire.
“Non so
come aiutarti, Severus. Sono qui solamente per fare rapporto
sull’accaduto, nient’altro,”
replicò Regulus, stringendosi nelle spalle, senza fissare
negli occhi il suo interlocutore. Sapeva che Piton era un abile
Occlumante e in quei frangenti non era assolutamente il caso di cadere
in balia di una delle sue ispezioni.
Sforzarsi di tener chiusa la mente senza dare nell’occhio era
estremamente difficile, ma era stato proprio l’uomo seduto a
fianco a lui ad insegnarglielo, prima dell’ingresso alla
corte di Voldemort.
“Voglio
solo augurarmi che tu non ci faccia passare dei guai,” gli
intimò Severus, muovendo appena le labbra. Regulus finse di
ignorarlo, rivolgendo un cenno di saluto a Narcissa e Bellatrix, che
avevano appena fatto il loro ingresso nella sala. Notò che
le due cugine stavano venendo nella loro direzione, perciò
decise di tagliar corto con Piton e si voltò verso di lui.
“Ascoltami,
Principe, non c’è nulla che non va. Sono
sopravvissuto, sto bene, potresti almeno mostrare un po’ di
gioia per questo.”
Gli occhi neri di
Severus trafissero Regulus da parte a parte, forse nel tentativo di
farlo vacillare, ma lui non distolse lo sguardo. Era stato addestrato
talmente bene da sapere come ingannare il suo maestro.
“Cerca
di fare attenzione a quello che dici,” rispose infine
l’altro, ermeticamente. Regulus annuì in fretta,
dopodiché accolse Bellatrix e Narcissa con un educato ed
appena accennato sorriso.
“Vogliamo
sapere chi è stato, cugino. Non si compie un affronto simile
nei confronti della famiglia Black,” gli disse Bellatrix,
mentre l’entusiastica follia che la contraddistingueva
traboccava dai suoi occhi fissi su di lui. Probabilmente si stava
già immaginando i mille, terribili modi in cui avrebbe
volentieri ripagato l’offesa.
“Tra
poco rivelerò tutto,” si limitò a
rispondere Regulus, con cortesia. “È
così che desidera l’Oscuro Signore.”
“Tu
stai bene?” domandò Narcissa, corrugando solo
lievemente la fronte. Mantenere il contegno era indispensabile.
“Certo,
Cissy. Ho la pelle dura, non basta qualche colpo di bacchetta a farmi
crollare,” rispose Regulus, gonfiando leggermente il petto.
Ignorò deliberatamente il ricordo della fuga, della caduta e
di tutto ciò che ne era seguito. Era stato un puro miracolo
che nessuno l’avesse visto o riconosciuto.
Guardandosi intorno, si domandò quanti fra quei Mangiamorte
lì riuniti avrebbero continuato a seguire Voldemort con
cieca fedeltà, se solo avessero visto ciò che
aveva visto lui. Gli sembrava quasi surreale che, fino a pochi giorni
prima, fosse anche lui parte di quel branco di ingenui; aver cambiato
modo di vedere le cose in maniera così rapida l’aveva
scombussolato non poco. Per giorni si era tormentato al pensiero di un
cambiamento così sconvolgente, domandandosi se non l’avesse
inizialmente accettato soltanto per foga ed inesperienza, come gli era
successo quando aveva scelto di unirsi ai Mangiamorte; tuttavia, ora
che si trovava lì, si sentiva perfettamente calmo e deciso,
come se di colpo avesse raggiunto la consapevolezza e la
maturità che gli erano mancate in passato.
Subito dopo, si
sentì sfiorare il polso.
“L’Oscuro
Signore è arrivato,” gli sussurrò
Severus. Regulus gli gettò un’occhiata in tralice,
domandandosi, come già tante altre volte in passato, che
cosa passasse nella testa dell’altro. Si era sempre chiesto
se la passione quasi ossessiva di Severus per l’Occlumanzia
fosse imputabile soltanto alla sua sete di conoscenze e
abilità magiche, piuttosto che all’estrema
necessità di nascondere a tutti i suoi reali pensieri.
Paradossalmente,
Severus era la persona più vicina a lui, ma anche quella che
conosceva meno di tutti. Era stato il primo a degnarlo di reale
considerazione all’interno della Casa di Serpeverde,
ignorando deliberatamente il fatto che fosse fratello di un soggetto
come Sirius – motivo per il quale, sicuramente, tutti gli
altri lo tenevano ad una certa distanza. Non era loro permesso dire ad
alta voce che la casata dei Black stesse andando incontro alla rovina,
ma Regulus era conscio che tutti a Serpeverde lo pensassero, per via di
Sirius.
Con Severus,
però, le cose erano andate diversamente. Era iniziato tutto
a una riunione del Lumaclub, per poi proseguire con qualche aiuto in
Pozioni e, infine, la sua ufficiale introduzione nel gruppo dei futuri
Mangiamorte. Regulus aveva così iniziato a frequentare
assiduamente Avery, Mulciber, i Carrow, Malfoy e altra gente
più grande di lui, conquistandosi le occhiate invidiose dei
suoi coetanei, ma era sempre stato Severus quello che si preoccupava
maggiormente di lui. Tuttavia, mai una volta si era lasciato andare nel
confessargli quali fossero le sue preoccupazioni più intime;
tutto ciò che Regulus sapeva di lui, l’aveva
appreso per osservazione indiretta, imparando anche a capire che
Severus accettava le sue confidenze, ma non ne avrebbe regalate
altrettante.
Nonostante
ciò, ora Regulus era costretto a tenersi a distanza anche
dall’unico che avrebbe potuto definire un amico.
Nessuno doveva
sospettare, altrimenti sarebbe stata la sua fine.
Svuotando
completamente la mente, il giovane Black s’inchinò
come gli altri all’ingresso di Voldemort. Attese
pazientemente in silenzio, finché non venne chiamato.
“Avvicinati,
Regulus.”
Si
alzò e camminò a passi misurati e composti, fino
a raggiungere il suo Signore.
“Miei
cari amici, la scorsa notte è successo qualcosa di molto
grave.”
Tutti rimasero in
perfetto silenzio, protesi nell’ascolto di ogni parola
pronunciata da Voldemort.
“Si
tratta di un terribile affronto, che dovrà essere ripagato
col sangue.”
Regulus vide
Bellatrix sorridere, sgranando gli occhi.
“Durante
la battaglia, il nostro giovane compagno è caduto
prigioniero di una nemica, è stato torturato da questa
persona vile e senza scrupoli e solo per caso ora è qui per
raccontarvelo.”
Regulus chiuse
gli occhi, solo per un istante.
“Hai
ancora bisogno di restare fra loro, ti servono altre informazioni. Non
ti sarà utile uscire allo scoperto ora, Voldemort si
metterebbe a darti la caccia e la tua missione finirebbe molto prima di
cominciare.”
“Belle
parole, le tue, ma come posso fare a tornare? Sono stato portato qui da
quel tuo amico, ho lasciato che mi salvaste la vita, senza contare che
sono fuggito anziché combattere... se tornassi,
l’Oscuro Signore mi farebbe uccidere.”
“Far
parte dei Mangiamorte non ti ha insegnato proprio nulla, eh?”
“Non
capisco cosa intendi, Dorcas.”
“Devi
fingere, Regulus. Nessuno ha visto Remus trasportarti qui, dato che eri
caduto in quel precipizio. Devi tornare da Voldemort e raccontargli che
sei stato fatto prigioniero da me, che ti ho torturato e che solo per
miracolo sei riuscito a scappare.”
Regulus
scrutò Dorcas con espressione sorpresa, quasi ammirata.
Quella donna era completamente pazza, ma non certo stupida. Faceva
ancora fatica a capire come una personalità simile potesse
aver avuto la storia che aveva appena visto nel Pensatoio, ma
quello era, indubbiamente, il tipico modo di ragionare dei Serpeverde.
La
guardò e annuì, con un sorriso storto.
“E
va bene, Dorcas, allora fammi vedere che sai fare,” disse,
gettando a terra la bacchetta. Lei gli gettò
un’occhiata interdetta.
“Che
significa?”
“Non
prenderanno mai sul serio il fatto che io sia stato fatto prigioniero e
torturato, se non lo rendiamo credibile. Perciò, questo
è quello che faremo ora: prenderai la tua bacchetta, mi
farai del male, mi ridurrai in fin di vita e poi mi farai
Smaterializzare con la bacchetta di Erin in un luogo nascosto qui
intorno. A quel punto chiamerò uno dei miei compagni in
soccorso, ma dovrò essere solo. Non voglio che tu lo veda in
faccia, né che lui veda te: questo aggiungerebbe soltanto
ulteriori problemi.”
Dorcas
lo fissò in silenzio, stringendo le labbra.
“Ti
è chiaro il perché dovrai darmi la bacchetta di
Erin, no? Dovrò fingere di essermi liberato avendogliela
sottratta, se usassi la mia non sarebbe credibile. Sapranno che non
avrò avuto a che fare con degli sciocchi sprovveduti, ma
esattamente con te: Voldemort ti conosce bene, sa che non sei una
strega da sottovalutare.”
Dorcas
continuò a non pronunciare alcuna parola, limitandosi ad
incrociare le braccia.
“Dopo
aver fatto questo, dovrai portare Erin in un luogo sicuro e
nascondercela. Dovunque tu voglia, basta che resti lì.
Dovrò fare il suo nome quando racconterò
cos’è successo, è inevitabile; alcuni
sanno che ci conoscevamo, fare un collegamento fra me e te potrebbe
risultare facile. Perciò, dovrai tenerla assolutamente fuori
dai guai.”
“Sai
che non sarà d’accordo, vero?”
Regulus
sollevò il capo, fieramente.
“Lo
so benissimo, e so che non lo sei nemmeno tu. Ma è
l’unica scelta che abbiamo, se vogliamo andare fino in
fondo.”
Dorcas
lo scrutò a lungo. Regulus si sforzò di non
vacillare nemmeno per un istante, nonostante il tumulto che lo agitava
nel profondo.
“Non
ti ho mostrato quei ricordi perché volevo obbligarti a
seguire questa strada. Puoi sempre mollare tutto e scappare, anche con
Erin, se lo desideri. Potrei darvi una mano.”
“È
inutile, sono piuttosto certo che mi troverebbero. Non si abbandona
Voldemort senza pagarne le conseguenze.”
Era
la risposta più facile da fornire; Regulus
tralasciò volutamente il fatto che, ormai, era pienamente
convinto di voler proseguire lungo quella strada, senza alcun ripensamento. Non
voleva tirarsi indietro, non l’avrebbe fatto per niente al
mondo: per la prima volta in vita sua, si sentiva come se qualcuno gli
avesse finalmente aperto gli occhi con forza bruta. Aveva aderito alla
causa di Voldemort soltanto perché credeva che fosse
l’unica cosa giusta che gli restava da fare per guadagnarsi
appieno l’onore di essere un Black, di essere amato e
ammirato dalla sua famiglia come lo era stato Sirius prima di passare
dall’altra parte, di essere guardato con orgoglio da suo
padre che, ne era certo, aveva sempre dubitato della sua forza di
carattere, credendolo un inetto. Ma era tutto terribilmente sbagliato,
un errore così grande che non capiva come avesse potuto non
accorgersene: non stava combattendo per una giusta causa, ma soltanto
per la sete di potere di un uomo che si era trasformato in un mostro
pur di sfuggire alla morte. Nessuno avrebbe ricavato alcun beneficio
nell’aiutarlo a raggiungere il suo scopo: non Bellatrix,
così smaniosa d’amore e di gloria, non Lucius,
disposto ad essere incredibilmente servile pur di ottenere una fetta di
successo, non Severus, così accecato dalle
potenzialità della Magia Oscura, e nemmeno la sua famiglia.
Aveva chiaramente visto nei ricordi di Dorcas cosa interessasse
realmente a Voldemort, e non era la purezza della razza magica.
“Avanti,
non perdiamo altro tempo,” disse infine, con impazienza.
Dorcas sospirò, rassegnata.
“E
va bene. Se può consolarti, sappi che mi dispiace.”
Dopodiché
il primo Schiantesimo lo scagliò contro la parete,
facendogli battere violentemente la testa.
“È
stata Dorcas Meadowes, un membro dell’Ordine della Fenice, a
farmi prigioniero. Pensava di avermi torturato talmente tanto da avermi
ridotto in fin di vita, ma quando sua nipote è scesa nella
cantina della loro casa, in cui mi aveva rinchiuso, per accertarsi
delle mie condizioni, sono riuscito a rubarle la bacchetta e a
Smaterializzarmi. È solo grazie al Principe Mezzosangue se
sono vivo.”
Piton gli
restituì lo sguardo, piegando lievemente gli angoli della
bocca. Regulus esibì un’espressione di sincera e
quasi commossa riconoscenza, mettendo da parte l’appena
percettibile senso di colpa per aver usato l’amico per la
buona riuscita del suo piano. Nessuno dei presenti avrebbe potuto
vedere nulla di strano in quella mossa: era più o meno
risaputo che Regulus fosse il protetto del Principe.
“Sei
un vero idiota, Black. Te l’avevo detto di aspettare, se non
ti sentivi ancora pronto a combattere. Sei appena maggiorenne,
dopotutto. Ma ovviamente non hai voluto darmi retta, cacciandoti come
sempre in guai disastrosi.”
Regulus
non riuscì a replicare a quell’aspra arringa
rivolta contro di lui; era troppo debole per poterlo fare. Dorcas aveva
eseguito il suo compito alla perfezione e, una volta terminato, il
giovane Black aveva trovato a malapena la forza di Smaterializzarsi. In
quel momento giaceva su una branda nel salotto di Spinner’s
End, mentre Severus si muoveva velocemente tra garze, calderoni, fiale
e dispense.
“Dovrai
fornire delle spiegazioni per tutto questo, e non ti aspettare di
essere assegnato ad altre missioni importanti per un bel po’
di tempo.”
Regulus imprecò mentalmente: Severus era davvero
incapace di non accanirsi su di lui con il suo tono da insegnante
intransigente, perfino in una situazione come quella, nella quale il
suo interlocutore era a malapena in grado di capire dove si trovasse.
D’improvviso,
si ricordò che a un certo punto aveva visto Erin entrare
nella stanza. Era riuscito a scorgere la sua espressione scioccata, le
lacrime che le avevano offuscato gli occhi. Per Dorcas era stato
difficile trattenerla ed impedire così che mandasse tutto
all’aria.
Sorrise
in silenzio, guardando fuori dalla finestra. Allora le importava
veramente di lui.
“Noi
giuriamo vendetta a quella donna. Il suo sangue verrà
versato per ripagare ciò che ha fatto al nostro
compagno.”
I Mangiamorte
annuirono e applaudirono con entusiasmo alle parole di Lord Voldemort.
Regulus si voltò, per capire se poteva tornare al suo posto;
l’Oscuro Signore, però, si chinò verso
di lui per sussurrargli qualcosa.
“Più
tardi parleremo in privato. Raggiungimi quando avremo finito.”
“Sì,
mio Signore.”
Mentre tornava al
suo posto, per un attimo, Regulus pensò che sarebbe stato
inevitabile cedere e farsi prendere dal panico. Era probabile che
Voldemort avesse compreso che il suo era solamente un trucco e volesse
smascherarlo una volta soli, per poi ucciderlo senza pensarci su una
seconda volta; per quale altra ragione avrebbe dovuto desiderare di
discutere con lui faccia a faccia? Lui non era uno di quelli
importanti, lì dentro. Non era Bellatrix, non era Barty, e
neppure Severus.
La sua fine era
praticamente segnata.
Si
sforzò di concentrarsi su Erin e sulle lacrime che aveva
versato nel vederlo a terra ferito e in quel modo, incredibilmente, la
paura svanì di colpo.
*
“Kreacher,
ascolta bene quello che sto per dirti,” mormorò
Regulus, dando le spalle all’elfo domestico, lo sguardo
rivolto allo specchio di fronte a lui. Studiò con attenzione
il suo volto pallido e impassibile, i suoi occhi grigi privi di
qualsiasi ombra di timore, le labbra tirate in una smorfia decisa;
dopodiché, fissò il riflesso dell’elfo.
“Cosa
desiderate, padrone?”
“Ti
ordino di tornare indietro, qualsiasi cosa accada. Se le cose si
mettono male, se ti trovi in qualche pericolo, la prima cosa che dovrai
fare sarà tornare qui. Mi hai capito bene?”
“Sì,
padrone, perfettamente,” rispose Kreacher, con un lieve
inchino. Regulus si voltò, chiudendosi il mantello sulle
spalle.
“D’accordo.
Ora puoi andare. E ricordati di dire all’Oscuro Signore che
per te è un onore servirlo,” concluse, poi
osservò l’elfo Smaterializzarsi sotto i suoi occhi.
Ripensò
al momento in cui aveva creduto fosse giunta la sua ora, quando il
Signore Oscuro gli aveva ordinato di recarsi da lui per parlare in
privato: in realtà, si era trattato della coincidenza
più fortunata in cui Regulus potesse sperare.
Voldemort aveva
richiesto di fare uso del suo elfo domestico per una piccola missione,
una cosa di poco conto, senza entrare in maggiori dettagli. Come
Severus gli disse più tardi, desiderava semplicemente
qualcosa in cambio da lui, dopo che gli aveva fatto fare la figura
dello sciocco cadendo prigioniero di quella donna. Il giovane Black non
aveva potuto sottrarsi, perciò si era ritrovato ad assentire
rispettosamente e a garantire che per Kreacher sarebbe stato un piacere
essere a disposizione per l’Oscuro Signore; tuttavia, dentro
di sé, non avvertiva buoni presentimenti. Tutto
ciò che poteva fare era ordinare a Kreacher di ritornare,
conscio del fatto che non avrebbe potuto evitare di obbedirgli. Il
padrone era lui, lui soltanto.
Si
avvicinò alla porta di camera sua, gettando
un’occhiata furtiva all’esterno, in corridoio.
Nessun rumore. Suo padre era in giro, a caccia di qualche cimelio
all’asta, tutto preso dalla nuova smania di rendere la casa
maggiormente sfarzosa; sua madre, probabilmente, stava riposando in
compagnia di un bicchiere di Idromele. Poteva stare tranquillo, almeno
per il momento.
Con un
incantesimo serrò la porta, poi fece apparire tutto
ciò che gli serviva per continuare con le ricerche. Aveva
trovato un paio di libri nella biblioteca privata di suo padre, ma per
sottrarli e sostituirli con una copia Trasfigurata ci era voluto del
tempo; nessuno doveva accorgersi di ciò che stava facendo,
nessun dettaglio fuori posto doveva essere notato. Era perfettamente
consapevole dei guai in cui si stava cacciando, giorno dopo giorno
stava giungendo perfino ad accettare l’idea che per questo
sarebbe morto, ma non voleva che nessuno ci andasse di mezzo,
né i suoi genitori né Kreacher. Non uno di loro
avrebbe dovuto sospettare che aveva in mente di tradire Voldemort.
Dorcas gli aveva
spiegato che non era riuscita a scoprire molto sugli Horcrux,
perché i libri di testo tendevano a parlarne il meno
possibile. Quello che Regulus aveva letto a riguardo fino a quel
momento era, più o meno, equivalente a ciò che
gli aveva spiegato lei. Le informazioni che avevano in mano erano
quindi molto scarse – Dorcas non aveva nemmeno le prove che
Voldemort avesse davvero creato un Horcrux, anche se lo dava
praticamente per scontato – ma Regulus si sentiva fiducioso
del fatto che, prima o poi, avrebbe finito per scoprire qualcosa.
Faceva ancora parte della schiera dei Mangiamorte, doveva soltanto
stare molto attento a raccogliere i giusti indizi e a scovare le
informazioni che gli servivano.
Tuttavia, quando
quella sera Kreacher ritornò al numero dodici di Grimmauld
Place, il giovane Black si rese conto con sgomento che senza volerlo
aveva raggiunto il bersaglio.
*
“Lei
non ha mai detto niente nemmeno a me. Questo non è giusto,
io sono sua nipote, vivo con lei... ho il diritto di
conoscere la verità.”
“Solo
perché sei una Corvonero sapientona?”
“Vai al
diavolo, Regulus!”
“Senti,
Erin, non ti puoi arrabbiare perché le persone hanno dei
segreti. Tutto quello che posso dirti è che tua zia, come
sai, era compagna di Casa di Voldemort. Era una delle poche persone che
non lo amavano, perché lui era un ammiratore di Grindelwald
ma lei al contrario lo detestava, dato che aveva fatto imprigionare e
uccidere qualcuno della sua famiglia. Credo lo avesse fatto
perché il ramo di suo padre non era composto da Purosangue,
ma non sono riuscito a leggere fino in fondo il ritaglio di giornale
nel ricordo che ho visto.”
“Sì,
è andata così. Mio nonno Jacob, per sopravvivere
durante quegli anni di razzismo, si finse un mago di nobile lignaggio.
Aveva rubato qualche stemma, modificato qualche memoria e si era
costruito un albero genealogico, così i genitori della
nonna, che invece erano dei nobili Purosangue, ci cascarono e gliela
diedero in moglie. Grindelwald però lo conosceva, era delle
sue parti, sapeva che era un impostore. Lo cercò e lo
imprigionò a Nurmengard, dove morì. Zia Dorcas
all’epoca era a Hogwarts.”
“Ecco,
sai già tutto. Insomma, tua zia con il tempo ha maturato
sempre di più il proposito di far guerra a Voldemort,
perché sosteneva gli stessi ideali di Grindelwald ed
evidentemente non le piaceva l’idea che qualcun altro potesse
fare la fine di suo padre... fai due più due, Erin. Sono
stati compagni di Casa. Lei ha avuto la possibilità di
sapere molto, moltissimo sul suo conto.”
Quel
cruciale ricordo di Dorcas riaffiorò improvvisamente alla
memoria di Regulus, senza che lui potesse fare in tempo a fermarlo:
rivide la giovane Dorcas Meadowes seduta compostamente a una delle
riunioni del club di Lumacorno, poco più in là
stava Tom Riddle, che discuteva affabilmente con il professore. Tutti
ridevano alle sue battute e Dorcas stava al gioco; era ancora troppo
presto per uscire allo scoperto. Quando l’incontro si era
concluso, Dorcas si era accorta che Riddle era rimasto indietro.
Uscendo dalla stanza aveva rallentato, cercando di non dare
nell’occhio, e per qualche secondo era rimasta ferma dietro
la porta dell’ufficio dell’insegnante, trattenendo
il respiro.
“Signore,
volevo chiederle una cosa.”
“Chiedi,
ragazzo mio, chiedi...”
“Signore,
mi chiedevo che cosa sa degli... degli Horcrux.”
Mentre
Lumacorno borbottava qualcosa, Dorcas vide che una sua compagna si
voltava a cercarla con lo sguardo per vedere come mai non fosse
più a fianco a lei, perciò si
allontanò in fretta dalla porta.
Erin
sospirò, coprendosi gli occhi.
“Ancora
mi domando come ci sia finita, a Serpeverde.”
Regulus credeva
di sapere il perché; la ragazza da giovane era stata
cresciuta con modi aristocratici tipici di una famiglia Purosangue, ma
soprattutto in lei era forte l’ambizione di vendicare la sua
famiglia. Tuttavia, il tono di Erin lo infastidì.
“Oh,
certo, conosci solo feccia uscita da lì, vero?
Chissà che abominio sarebbe frequentare uno di
quelli.”
La ragazza lo
squadrò duramente, incollerita. Regulus si rese
immediatamente conto del perché: era la prima volta che
accennava anche solo vagamente alla loro relazione mentre, quando erano
ancora a Hogwarts, le aveva sempre impedito di parlarne con chiunque,
perfino tra loro. Era come se non esistesse nulla che li unisse, come
se i loro incontri clandestini non fossero mai avvenuti. Erin aveva
sempre chinato la testa e obbedito, facendo finta che non le importasse
più di tanto, ma Regulus sapeva che non era così.
“Stammi
bene a sentire. Io voglio darle una mano, ma non posso farlo se la
gente comincia a ficcare il naso. Sì, compresa te.”
Ferirla e
allontanarla era l’unico modo per tenerla al sicuro. Regulus
non poteva fare altro, anche se quella poteva essere l’ultima
volta che riuscivano a vedersi.
“Un
giorno potrò spiegarti meglio, se giudicherò che
tu sia in grado di comprendere.”
“Sei un
idiota, lo sei sempre stato. Tu e la tua mania di tenere segreta ogni
cosa... non ti capisco, ma purtroppo non ho del Veritaserum a
disposizione, quindi immagino di non avere altra scelta.”
Si guardarono a
lungo negli occhi. Lei aveva un’aria cupa, imbronciata.
Regulus frenò immediatamente la compassione, evitando di
farsi pervadere dai sensi di colpa per le bugie e le costrizioni a cui
l’aveva sottomessa fin dall’inizio del loro
rapporto; per come stavano le cose in quel momento, era
l’unico modo per far sì che Erin non finisse nei
guai.
“Devo
andare.”
Si
alzò, senza lasciarle il tempo di replicare. Le diede un
bacio veloce, al quale lei reagì con un misto di sorpresa ed
inerzia. Forse non lo desiderava più, il che poteva essere
soltanto un bene per lei; avrebbe sofferto di meno la sua mancanza.
Prima di
scomparire le lanciò un’ultima, silenziosa
occhiata di cui lei non si accorse mai.
*
Nessuno avrebbe
mai scommesso sul fatto che Kreacher sapesse piangere, esattamente come
era in grado di fare un qualsiasi essere umano. Eppure erano lacrime
copiose e calde quelle che scivolavano sul suo muso raggrinzito mentre
osservava Regulus morire dentro quella maledetta caverna, erano gemiti
di frustrante dolore quelli che si udivano a tarda notte tra le mura
del numero dodici di Grimmauld Place, dopo che l’angoscia
aveva finalmente concesso a Walburga di prendere sonno, erano spasmi di
pianto quelli che scuotevano il piccolo e sgraziato corpo
dell’elfo mentre spolverava in silenzio una stanza destinata
a rimanere vuota per sempre. Aveva giurato al suo padrone di non dire
nulla riguardo a ciò che gli era successo e che aveva visto,
e la sua parola fu mantenuta; nessuno seppe mai cosa gli accadde. Dopo
un mese dalla scomparsa saltò fuori una lettera indirizzata
ai genitori, che risultò essere stata scritta
proprio dal secondogenito Black, in cui egli informava che, se non
fosse più tornato a casa, significava che era morto per mano
di Voldemort, o di qualcuno a lui vicino, perché non si era
dimostrato all’altezza dei compiti affidatigli. La mattina in
cui la scrisse, in realtà, Regulus sapeva benissimo che non
sarebbe sopravvissuto; tuttavia era essenziale tenere nascosto il furto
dell’Horcrux, perciò accettò con
tranquillità di lasciar credere che fosse morto
perché aveva avuto paura ed era fuggito. Con una smorfia
amara pensò che Sirius, quantomeno, ci avrebbe creduto di
sicuro.
Non gli sarebbe
dispiaciuto rivedere il fratello prima di sparire in quelle acque nere,
soltanto per dirgli che finalmente stavano dalla stessa parte. Ma
accettò con rapida rassegnazione che anche quello non era
possibile.
A Erin
inviò via gufo un biglietto anonimo, in cui diceva
semplicemente di amarla; non pensava che ci fosse bisogno di aggiungere
altro.
Let
her treat you like a criminal,
So
you can treat her like a priest.
Never
tell the one you love that you do,
Save
it for the deathbed.
And
do everything she’d never do.
(The National, Cardinal Song)
Nota di fine capitolo:
innanzitutto, se ancora qualcuno dei miei vecchi lettori
capiterà da queste parti, porgo le mie scuse per
l’enorme ritardo dell’aggiornamento. Trovare
l’ispirazione necessaria per scrivere bene un capitolo
così complesso è stato, purtroppo, molto
difficile, sia per la storia che dovevo costruire sia perché
ho attraversato un periodo pieno di problemi personali; purtroppo, ogni
volta che provavo a lavorarci riuscivo a stendere a malapena due righe.
Per fortuna qualche giorno fa devo aver preso una forte botta in testa
e sono riuscita a superare questo blocco, tornando finalmente a vedere
la luce. Mi dispiace immensamente di averci messo così
tanto, davvero, credo di avere ben poche scusanti e mi auguro che un
blocco simile non ricapiti più; per ora posso dire soltanto
che il prossimo capitolo è uno di quelli che non vedo
l’ora di scrivere da secoli, perciò, esami
permettendo, arriverà più in fretta di questo.
Avrei potuto eliminarlo? Forse, però era da tempo che
desideravo scrivere la storia di Regulus e dar voce così a
un personaggio che amo, perciò mi auguro che almeno un
pochino ne valesse la pena. Se non sto rivolgendomi al nulla
– il che sarebbe anche possibile XD – vi ringrazio
infinitamente per la vostra pazienza.
In ogni caso,
questo è il modo in cui ho scelto di spiegare la storia di
Regulus. Ho inserito la figura di Dorcas per due motivi: uno, Dorcas
viene uccisa personalmente da Voldemort (il che fa dedurre che fosse un
nemico importante) ma nessuno spiega mai il perché; due, mi
serviva un metodo efficace per far scoprire a Regulus degli Horcrux. Il
fatto che Voldemort si fosse vantato davanti a lui, francamente, non mi
sembra così credibile: Regulus non era un Mangiamorte
importante e Voldemort sembrava tenerci molto a non far scoprire a
nessuno che avesse creato degli Horcrux. Perciò, ho adottato
questo espediente. È convincente o fa schifo?
C’è qualcosa che non si capisce? Fatemelo sapere.
In ogni caso, quello che mi riprometto è di ricominciare ad
aggiornare una volta al mese. Spero di farcela, ce la metterò tutta.
A presto,
S.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** La tomba di Regulus (Sirius Black, Remus Lupin) ***
oil9
Avviso numero 1: pubblico
oggi anziché domani, perché domani ho un esame e
volevo concedermi almeno un momento di svago in questa tediosa giornata
di ripasso u.u
Avviso numero 2: questo
capitolo contiene scene spinte fra persone dello stesso sesso, seppure
non descritte nel dettaglio così come da rating. Se
l’argomento vi disturba, non leggete.
Evvai
che mi sono giocata la sorpresa XD
Capitolo
9 – La tomba di Regulus
Stasera,
ripensandoci, con il cuore e lo stomaco in subbuglio, mi dico che forse
in fondo la vita umana è così: molta
disperazione, ma con
qualche istante di bellezza dove il tempo non è
più lo
stesso.
(Muriel Barbery, L’eleganza
del riccio)
Marzo
1979
Era ormai
divenuta
un’usanza, per Lily e i Malandrini, trascorrere almeno una
sera a
settimana a casa di Sirius. L’idea era stata di James, che
aveva
insistito per mantenere costanti i rapporti nonostante la situazione
attuale, fatta di continue missioni per l’Ordine, di
matrimoni e
di responsabilità nuove, rendesse spesso difficile
ritrovarsi
tutti insieme; ogni tanto, su timida insistenza di Peter, veniva
invitata anche Mary. Sirius si divertiva a prendere in giro
l’amico, che gli domandava sempre il favore di contattare la
ragazza al
posto suo, sostenendo che così non ci avrebbe mai combinato
niente;
Peter per un po’ faceva finta di rimanerci male,
dopodiché
l’atmosfera tornava ad essere distesa e scherzosa per tutti.
La
verità era che, in
quei momenti, a Sirius sembrava di ritornare ai tempi di Hogwarts,
quando le preoccupazioni principali erano costituite dal non farsi
beccare da Gazza in giro per i corridoi di notte, mentre tutto il resto
erano soltanto risa, scherzi e bravate. Ora che erano stati spinti a
diventare adulti non eccedevano più come in quegli anni, ma
il
clima che tutti insieme riuscivano a ricreare era più o meno
lo
stesso.
Più o
meno,
perché Sirius non poteva evitare di lasciarsi tormentare
ogni
tanto dai pensieri che il rapporto fra lui e Remus gli procuravano.
Per quanto si
sforzasse di
mostrarsi sorridente e sereno, certe volte sentiva
l’impellente
bisogno di cedere a quei turbamenti. Si isolava e diveniva di colpo
taciturno, rendendosi così la vita molto più
difficile;
era complicato nascondere agli altri quegli strani atteggiamenti ed era
solo per miracolo che James non se ne fosse già accorto.
“Hai
due minuti?”
sussurrò quindi a Lily, non appena le capitò
vicino. La
ragazza sulle prime si mostrò sorpresa, ma poi
annuì con
convinzione.
“Certo,”
rispose,
e seguì Sirius in cucina, lasciandosi alle spalle James e
Remus
che giocavano a scacchi in mezzo al tifo di Peter e Mary.
“Che
succede?”
domandò quindi lei mentre Sirius le dava le spalle, intento
a
versarsi un bicchierino di Whiskey Incendiario. Si vergognava come un
cane per essersi rivolto a lei, ma era l’unica che era al
corrente di come
stessero realmente le cose e, dopotutto, l’altra volta
parlargliene gli aveva fatto bene.
“Volevo
solo sapere se
ti sembra che ci sia qualcosa di strano,” rispose infine, con
una
stretta di spalle fintamente noncurante.
“Beh,
non mi hai spiegato nei dettagli come avete sistemato la
questione...”
“Ma
sì invece, ti
ho detto che abbiamo messo le cose a posto. È la
verità.
Gli ho chiesto di lasciar perdere quello che era successo e di restare
amici, perché rompere i rapporti per una sciocchezza del
genere
sarebbe stato stupido.”
Sirius
versò due dita
di Whiskey in un altro bicchiere, poi lo porse a Lily, ignorando la sua
espressione lievemente perplessa. Sapeva che lei beveva raramente
alcolici, ma era tutto ciò che aveva da offrirle in quel
momento.
“E lui
ha
accettato?” domandò lei, prendendo il bicchiere.
Sirius
vuotò il suo in un attimo: il familiare bruciore alla gola
lo
aiutò ad eliminare rapidamente le sue reticenze nel
confidarsi.
“Sì,
ha detto che gli stava bene.”
“Ma...?”
“Ma
credo che non sia vero. C’è qualcosa di strano.
Certo, abbiamo ricominciato a parlarci, però... non lo so,
sembra che
faccia comunque di tutto per non rimanere solo con me. Non si
è
più fermato a dormire da me, ad esempio – ok, io
non
gliel’ho più chiesto, ma gli avevo già
detto che
avrebbe potuto farlo quando preferiva e non ho mai revocato l’invito – e poi,
quella volta che
avremmo dovuto essere di turno insieme, si è inventato una
balla
e ha fatto cambio con Peter...”
“E qual
era questa balla?”
“Stava
male suo padre.”
“Oh,
Sirius, magari era vero!”
“È
la scusa che
mi propina da mesi, ormai, quando vuole svicolare da queste
situazioni... non me la bevo più.”
Sirius
posò il
bicchiere sul tavolo piuttosto rumorosamente, con tutte le intenzioni
di far trapelare la sua nobile stizza. Lo irritava che Remus lo
prendesse in giro, ma ancora di più che lo credesse
così
tonto da cascarci.
“Beh,
se questa...
faccenda dell’amicizia non funziona tanto bene, forse non
avete
affrontato la questione nel modo giusto,” osservò
Lily, in
tono pacato. Il giovane Black fissò ardentemente i suoi
occhi
grigi in quelli della ragazza, domandandosi che diamine volesse
insinuare.
“Era
l’unico modo
per non perderlo,” obiettò, allargando le braccia.
Era
vero, anche lui avvertiva costantemente la sensazione che quel nuovo
rapporto fosse tremendamente finto. Ma era giunto alla conclusione che,
comportandosi come se tutto fosse normale, le cose sarebbero migliorate
e magari anche tornate come prima – nonostante la parte
più
profonda di se stesso gli suggerisse che, con quel gesto sconsiderato,
si fosse giocato per sempre la possibilità di riparare la
frattura tra lui e Remus.
E quel pensiero
lo mandava tremendamente in bestia.
“Purtroppo
non ci sono dentro, quindi non posso sapere cosa passi esattamente
nella testa di Remus.”
“Ma
come, tutto il tempo che avete passato insieme quando eravate
prefetti... avrai imparato a conoscerlo, no?”
“Non
quanto si possa
credere,” obiettò Lily, con un sorriso pensieroso.
“Sai com’è fatto Remus, preferisce stare
sulle sue.
Non mi ha mai detto molto di lui. E in ogni caso, se vogliamo stare a
cercare il pelo nell’uovo, sei tu che sei uno dei
suoi migliori amici da una vita, non io.”
Sirius fu
profondamente
tentato di domandarle come potesse esserci un pelo dentro a un uovo, ma
poi scosse la testa e lasciò perdere; quella era tutta matta
e
solo James avrebbe potuto sposarsela.
“Beh,
voi donne non vi vantate mica di essere quelle che capiscono sempre
tutto?”
“Andiamo,
Sirius, non
fare il bambino. Se cerchi un consiglio sono pronta a dartelo, ma non
ho intenzione di farmi trascinare in discorsi sessisti.”
Sirius
fissò con
intensità l’angolo del tavolo, passandosi
distrattamente
una mano sul collo. Gli seccava profondamente dover chiedere aiuto a
qualcuno per risolvere un problema così imbarazzante, ma
doveva
riconoscere che, tutto sommato, parlare con Lily la scorsa volta era
stato piacevole. Non si era sentito giudicato, offeso o deriso,
né lei l’aveva mai guardato come se fosse un
alieno; se
avesse dovuto confessarsi con James, era certo che la notizia
l’avrebbe quantomeno gettato in un profondo stato di shock
per un
paio di giorni, per quanto fosse il suo migliore amico. Per James i
Malandrini erano sempre stati un gruppo di veri amici – amici
e
basta, nient’altro; non era una persona capace di scorgere
malizia in rapporti come quello che condivideva con lui, Remus e Peter.
Mentre Lily, forse, aveva visto
qualcosa di più a cui nessuno aveva mai fatto caso. Sirius
sapeva che qualcosa, in effetti, c’era sempre stato; solo
l’aveva capito troppo tardi e troppo bruscamente.
“Sentiamo,
di’ quello che hai da dire,” borbottò
infine, arrendendosi. Lily sospirò.
“Forse
dovreste cercare
di passare un po’ di tempo insieme, da soli, per capire cosa
passa per la testa di Remus. So già cosa stai per dire, ma
tu
prova a chiederglielo esplicitamente, così se si
rifiuterà saprai se cerca realmente delle scuse per non
stare
con te.”
“Se lo
faccio penserà male,” obiettò Sirius,
incupito.
“Dato
che avete scelto
di rimanere amici, non avrebbe nessun motivo di farlo. Gli amici
passano del tempo insieme, no? Con James lo fai.”
Il primogenito
Black
annuì in silenzio. Effettivamente, il ragionamento di Lily
non
faceva una grinza. Avrebbe potuto sfoderarlo contro Remus come
un’arma assolutamente invincibile. Tuttavia c’era anche qualcos’altro
che lo tormentava...
“Pensi
che dovrei dirlo
a James?” domandò, a voce bassa. Lily sorrise
lievemente,
sorseggiando il suo Whiskey.
“Se non
ti sembra questo
il momento, puoi sempre aspettare. James non scapperà. Non
aggiungere altra carne al fuoco se non è
necessario.”
“Mentre
torniamo di
là mi spieghi che diavolo significhi, questo e
quell’altra
storia del pelo nell’uovo,” replicò
Sirius, mentre
si incamminava verso il salotto. James e Remus stavano ancora giocando;
nessuno si era accorto di niente, per fortuna. Sirius sapeva bene che
Remus era praticamente imbattibile a Scacchi Magici e in circostanze
normali
si sarebbe seduto a fianco a lui con noncuranza, per poi cominciare a
fargli mille dispetti allo scopo di distrarlo e farlo perdere; in
quell’occasione, però, si limitò a
restare seduto
alle sue spalle, fissandogli intensamente la nuca, come se da un
momento all’altro il suo cranio potesse scoperchiarsi e
mostrargli cosa passasse esattamente per la testa del licantropo.
Si era
decisamente rammollito.
*
Se solo avesse
intuito quello
che stava per scoprire, quella mattina Remus si sarebbe ben guardato
dall’aprire il giornale mentre consumava la sua scarna
colazione.
Aveva mille
problemi per la
testa; suo padre si stava ammalando piuttosto seriamente e per ricevere
le cure necessarie avrebbe dovuto lasciare il lavoro, cosa che avrebbe
implicato la necessità che fosse Remus a trovarsene uno,
nonostante le prime richieste per un’occupazione inoltrate
nei
mesi precedenti non avessero dato alcun frutto; sua zia si era
gentilmente offerta
di prendere il fratello in casa con lei, ma se non fosse riuscito a
mantenersi da solo Remus avrebbe dovuto vendere la dimora paterna e si
sarebbe ritrovato in mezzo a una strada, senza un posto dove andare. I
pochi risparmi che avevano da parte servivano per le cure, questo era
assolutamente fuori discussione. Tuttavia, già era difficile
trovare un impiego con degli orari che gli permettessero comunque di
prestare servizio all’Ordine, ma ancora peggiori erano le
speranze di farsi assumere nonostante la sua licantropia. Erano diverse
notti che l’angoscia lo tormentava e non gli faceva prendere
sonno, perciò quello di sfogliare la Gazzetta del Profeta
appena alzato fu un gesto totalmente automatico, in cui forse si
augurava inconsciamente di trovare un certo sollievo, constatando di
non essere l’unico a cui le cose andavano male.
La prima pagina
era
sovrapponibile a quella di qualsiasi altro giorno degli ultimi mesi: un
omicidio nel Sussex, un Marchio Nero avvistato al limitare di una
foresta, una casa bruciata, l’inarrestabile perdita di
credibilità del primo ministro, le rubriche L’Auror del mese
e Tecniche di
autodifesa contro i Maghi Oscuri. All’interno,
un’inchiesta sui Vampiri: realtà e leggenda.
Chi sono veramente? Si uniranno a Colui-che-non-deve-essere-nominato?
Poi la terza pagina, quella dei necrologi.
Remus era
abituato a leggere
tutta la Gazzetta da cima a fondo ma, anche se così non
fosse
stato, era impossibile che l’occhio non cadesse su
quell’annuncio. Era scritto con caratteri molto
più grandi
degli altri e a fianco si stagliava una fotografia incorniciata da
mille ghirigori.
Aveva ripensato
di rado a
quella fredda nottata d’inizio gennaio, preso
com’era da
tutti i suoi crucci personali; non si aspettava, perciò, di
ritrovarselo davanti agli occhi in quel modo. La famiglia annunciava
con dolore la prematura dipartita del tanto amato figlio ed erede
– quello che Sirius non era più da molto tempo.
Non aveva
nemmeno compiuto diciotto anni.
Remus si
passò una mano
tra i fini capelli castani, osservando le parole sbiadirsi e diventare
sfuocate man mano che il suo sguardo si perdeva nel vuoto. Ingenuamente
aveva sperato davvero che Regulus ce la facesse, dopo che
l’aveva
portato in salvo dalla sua amica. Forse avrebbe dovuto insistere
anziché lavarsene così precocemente le mani,
avrebbe
dovuto tornare e farlo sedere di fronte a lui e spiegargli in tono
perentorio che stava sbagliando tutto, senza lasciargli una scelta ma
vessandolo finché non si fosse convinto pienamente.
O forse era
comunque
inevitabile che finisse in quel modo, perché Voldemort era
il
Mago Oscuro più potente che fosse mai esistito e
probabilmente
l’aveva trovato senza troppi sforzi.
Magari era stato
lo stesso
Regulus a tornare da lui, consapevole di avere di fronte, in
alternativa, soltanto un’onta familiare difficilmente
sopportabile.
Remus
sospirò. Doveva
avvisare Sirius, anche se la sua reazione sarebbe stata, probabilmente,
un’ostentata indifferenza o un’aria seccata per
averlo
svegliato a quell’ora del mattino. Non gli aveva mai
raccontato
di ciò che era successo tra lui e Regulus durante la
battaglia
di quella notte, ma dopo averci riflettuto qualche istante decise che
quello non era il momento; meglio non fornirgli altri appigli per
insultare un morto, almeno temporaneamente.
*
Buffo come,
trascorsi diversi
anni dall’ultima volta che aveva visto quel luogo, Sirius si
fosse quasi scordato di come era fatto.
Ritrovarcisi dopo
tanto tempo,
per di più praticamente contro la sua volontà,
accrebbe
ancora di più il suo fastidio.
C’era
davvero bisogno di
costruire quell’imponente mausoleo attorniato da gigantesche
statue? Che se ne facevano di un simile lusso architettonico i morti
della sua famiglia che giacevano lì dentro? Assolutamente
niente, si rispose. Ma la necessità di rimarcare lo sfarzo e
la
nobiltà di sangue per potersi ergere e distinguere da tutte
le
tombe comuni del cimitero era stata sicuramente più forte,
quando i suoi trisavoli avevano pensato a quella costruzione.
Per quanto lo
riguardava, era solo un modo inutile di occupare spazio.
“Dobbiamo
entrare per
forza?” domandò, senza preoccuparsi di celare
troppo
l’astio. Sapeva che Remus l’avrebbe odiato per quel
suo
atteggiamento, ma sul momento non gli interessava granché.
“Beh,
siamo venuti fin qui ormai. Prenditi un minuto.”
“Oh,
no, non credere di lasciarmi andare lì dentro da solo. Tu
verrai con me.”
Lo
trascinò per un
braccio, quasi strattonandolo; lui non oppose resistenza e, se
provò fastidio, non lo diede a vedere. Forse pensava che in
simili frangenti si potesse essere più pazienti con lui, ma
Sirius si disse che l’avrebbe fatto pentire di averlo portato
lì. Perché non era stata una sua proposta, aveva
acconsentito soltanto perché Remus si era fatto insistente
ed
era il modo migliore di farlo tacere, ma quando Lily gli aveva
suggerito che trascorressero del tempo da soli non aveva certo pensato
che l’ideale fosse fare una gita al cimitero sulla tomba di
suo
fratello.
Pareva che non
avessero
neppure ritrovato il corpo, dato che vi erano annunci di ricompense da
parte della sua famiglia per chi avesse fornito informazioni in merito.
Regulus doveva averla fatta grossa per arrivare a tanto. Quando Remus
gli aveva dato la notizia inizialmente non ci aveva creduto, poi
però i giornali si erano interessati della vicenda e in
tutta la
settimana successiva erano stati pubblicati fantasiosi articoli sulla
storia della famiglia Black; sua madre aveva addirittura lanciato un
lacrimoso appello affinché chi sapeva qualcosa sulla
scomparsa
del figlio si facesse avanti. Tuttavia, il mistero si era risolto in un
nulla di fatto. Probabile che il suo stupido fratello si fosse cacciato
in qualche pasticcio per conto di Voldemort e ci avesse rimesso le
penne, molto semplicemente.
Di malavoglia,
Sirius si
guardò intorno. L’interno del mausoleo non era
certo meno
sfarzoso dell’esterno: le tombe erano disposte secondo un
perimetro circolare e ognuna era sormontata da una statua a grandezza
naturale raffigurante il defunto. I nomi erano incisi in oro, lo stemma
di famiglia troneggiava al loro fianco e sulla parete, in fondo, faceva
bella mostra di sé una copia dell’arazzo con la
genealogia
di famiglia molto simile a quella che si trovava in casa sua.
Anche
lì, ovviamente, il punto in cui avrebbe dovuto trovarsi il
suo nome era ridotto a una bruciatura nerastra.
Per lui non ci
sarebbe mai stato posto lì dentro, era chiaro.
Si
sentì pervadere da
un moto di disgusto verso tutto ciò che quella tomba
rappresentava; per qualche strano motivo, improvvisamente, si mise a
pensare alla famiglia di James. Che l’aveva accolto come un
figlio, ma che non era la sua vera
famiglia. Nessuno avrebbe mai potuto cambiare il suo cognome o i suoi
tratti somatici. La sensazione di repulsione si estese anche contro se
stesso quando si ritrovò a pensare che non era giusto il
modo in
cui stavano le cose per lui: in tutte le case avrebbe dovuto esserci il
clima che regnava dentro casa di James, tutti i bambini avrebbero
dovuto avere il diritto di essere viziati e adorati com’era
stato
per l’amico. Si sentì uno
schifo per aver provato quel moto
d’invidia, perciò lo represse bruscamente
affinché
Remus non si accorgesse di nulla.
“Ti
sembra una cosa sana
di mente costruire un posto come questo?” gli
domandò
quindi, con il proposito di mettere da parte quelle riflessioni.
“Suppongo
che sia una cosa abituale se appartieni a certi ranghi...”
“Non ti
ho chiesto che
cos’è abituale, Remus, ti ho chiesto una tua
opinione.
Possibile che tu non ti sappia mai esporre?” lo
attaccò,
trafiggendolo con lo sguardo. Ripensò a quel maledetto
giorno in
cui aveva rovinato tutto fra loro, al modo in cui lui aveva preso ed
era fuggito di corsa da casa sua. Remus aveva fegato per tante cose, ma
non quando si trattava di dire la propria: avrebbe potuto fermarsi,
urlargli contro, dirgli che era completamente ammattito oppure anche
che gli era piaciuto, sarebbe bastato dire qualcosa.
E invece ora
giocavano di nuovo ad essere amici, soltanto perché
l’alternativa era smettere di parlarsi.
“Senti,
non ti ho
portato qui per farti un dispetto o qualsiasi altra cosa tu stia
pensando. Tuo fratello è morto e, che ti piaccia o no, era
comunque tuo fratello. Pensaci per un paio di minuti, poi potremo
andarcene.”
“Oh,
andiamo, Remus, che
senso ha? Non gli parlavo da mesi, ci odiavamo e per
di più era un Mangiamorte! Cosa dovrei fare, mettermi a
piangere? In teoria non faccio più parte della loro
stramaledetta famiglia, visto che come puoi vedere il mio nome
è
stato cancellato,
che cosa diamine dovrebbe importarmene?”
Si rese conto che
stava
gridando, e un po’ gli dispiacque di essere la causa di
quell’espressione contrita che si era dipinta sul volto di
Remus.
Ma lui non capiva, non poteva capire.
“Non
era mia intenzione
farti un torto portandoti qui,” gli rispose lui,
semplicemente.
Sirius si avvicinò un poco.
“Lo so
che non è
una situazione facile da afferrare, ma riesci a capire
perché
non me ne importa niente?”
“Hai
ragione, forse non ci arrivo. Ma non credo che davvero non te ne
importi niente.”
A dispetto del suo tentativo di calmarsi, a quelle parole Sirius si
sentì di nuovo assalire dalla rabbia.
“Per
la barba di
Merlino, Remus, perché dovrebbe?! Regulus era soltanto un
idiota!” esclamò, voltandosi per un attimo ad
osservare la statua che raffigurava suo fratello. Ricordava bene i
tratti del suo viso, eppure gli sembrò di averlo visto per
l’ultima volta un’infinità di tempo
prima e
realizzò che probabilmente era così impegnato ad
ignorarlo che non l’aveva neppure guardato veramente. Si era
abituato a ragionare come se non esistesse, perché loro si
comportavano come se lui fosse morto anziché semplicemente
fuggito.
“Era
molto giovane,” replicò Remus, ancora con
quell’aria grave sul volto.
“Era un
idiota,”
ripeté Sirius, con voce spezzata. Avrebbe dato qualsiasi
cosa
per averlo davanti in quel momento e poterlo prendere selvaggiamente a
pugni, senza risparmiargli un solo colpo, fino a farlo crollare a terra
talmente malridotto da non riuscire neppure a parlare; a quel punto,
urlando di rabbia, gli avrebbe intimato di smetterla con quelle
stupidaggini e mollare Voldemort subito per venire con lui. Quello
sciocco ragazzino non aveva scelto la sua strada perché era
malvagio, ma soltanto perché faceva sempre tutto
ciò che
gli altri si aspettavano da lui, senza battere ciglio; era solo un
vigliacco servile e incapace, che aveva giocato a fare
l’adulto
ed era finito in un pasticcio che gli era costato la vita. Sirius
sentì di odiarlo con forza, provò disgusto
all’idea
che un suo consanguineo stretto potesse essere così diverso
da
lui, così estraneo, così totalmente opposto, ma
se solo
avesse potuto prenderlo da parte e pestarlo con tutta la forza che
aveva forse avrebbe potuto fargli cambiare idea. Era questa
l’unica cosa che Regulus aveva sempre compreso, le
imposizioni. E
lui che era il fratello maggiore, nonostante per la sua famiglia ormai
fosse soltanto una macchia bruciata su un arazzo, non aveva
forse il diritto di farsi valere?
Ma era tardi per
pensarci. Non c’era più nulla da salvare, neppure
i resti di un corpo morto. Aveva fallito.
Quel pensiero gli
rimase fisso
in testa per diversi minuti, mentre rimaneva lì immobile a
fissare le lettere incise impietosamente sulla pietra. Si chiese se
fossero mai stati felici insieme, come sarebbe stato giusto che fosse;
magari quando erano molto piccoli, ancora troppo sciocchi per capire
cosa imponesse loro un cognome che nessuno dei due, in fondo, aveva
esplicitamente chiesto di ricevere.
A un certo punto,
però, Sirius si voltò e si accorse di una cosa.
Di fianco a lui
stava Remus,
un Remus che sembrava sentirsi fuori posto e quasi in colpa per averlo
trascinato fin lì, che si tormentava l’orlo del
mantello
rattoppato talmente tanto che prima o poi l’avrebbe scucito,
che
si mordeva il labbro inferiore e si guardava attorno con sguardo perso,
mentre chissà quali pensieri gli affollavano la mente.
Sirius
avrebbe voluto strattonarlo e dirgli di parlare, una volta tanto, di
aprire bocca e rivelargli cosa lo angustiava tanto, su quali argomenti
stesse riflettendo di fronte a un luogo che non gli apparteneva, in cui
stavano sepolte persone che non avevano nulla a che vedere con lui.
Però
Remus era lì, insieme a lui.
Era
l’unico che gli
stava a fianco in un momento del genere. L’unico che
l’aveva costretto ad affrontare una situazione che lui
avrebbe
volentieri ignorato.
Era sempre stato
così.
Remus che insisteva perché facesse i compiti delle vacanze,
Remus che lo allontanava quando stava per fare a botte con qualche
Serpeverde, Remus che gli stava a fianco quando doveva vomitare, Remus
che si assumeva la colpa per tirarlo fuori dai guai. Non capiva
perché si desse tanto da fare per lui, né
riusciva a
comprendere come questo si conciliasse con i loro continui battibecchi,
le loro diversità e l’allontanamento che si era
creato tra
loro dopo l’episodio con Mocciosus, ma Remus non aveva mai
smesso
di occuparsi di lui, anche se nessuno gliel’aveva mai
chiesto.
Questo era il dato di fatto. Alle volte era fastidioso, pungente e
supponente e Sirius l’avrebbe preso
a schiaffi se non fosse stato suo amico, ma c’era. C’era sempre.
Non
poté fare a meno di
reprimere quel qualcosa che improvvisamente gli diede la forza di
reagire e neppure ci provò. Dopo avergli piantato in faccia
due
occhi grigio ardente, lo spinse di colpo verso la parete e quasi lo
soffocò con un bacio disperato.
*
Il battito del
pendolo
suonò le quattro mentre Sirius e Remus entravano in casa,
pochi
secondi dopo essersi Smaterializzati sulla soglia; il primogenito Black
si passò una mano fra i capelli, con un sospiro e uno
sguardo
ancora stravolto.
“Va
bene, sediamoci e parliamone,” disse, dopo un enorme sforzo.
“Tutto si può risolvere, no?”
Il licantropo lo
guardò corrugando la fronte e scuotendo la testa,
rassegnato.
“No,
questo no. Ci
abbiamo già provato e non si può
risolvere,”
replicò. Sirius sgranò gli occhi e per un attimo
sembrò precipitare dentro un baratro di disperazione, come
se
quella fosse l’ultima risposta che volesse sentirsi dare;
allora
Remus gli prese il viso fra le mani tremanti e lo baciò, per
sancire con i fatti le sue stesse parole. Era inutile tentare di
seppellire quel qualcosa che si era inevitabilmente creato tra loro
sotto una coltre di menzogne.
Sirius
sembrò
alleggerirsi di colpo sotto il suo tocco, come se quel gesto
l’avesse liberato da un’apprensione che gli gravava
sul
cuore; anche questa volta, Remus lo lasciò fare. Accolse la
sua
lingua e le sue mani senza protestare o tirarsi indietro, gli permise
di accarezzargli proprio quella zona così sensibile dietro
l’orecchio e di insinuarsi fra i capelli sulla nuca, scendere
lungo la schiena e poi risalire sul petto fino a scivolare sul fianco.
Questa volta aveva molta più consapevolezza di
ciò che
stava succedendo, sia fuori che dentro il suo corpo, perciò
non
si impietrì, anche se gli fu impossibile non sentirsi in
tensione per ciò che stava capitando, e nonostante tutto
lasciò ancora che fosse Sirius a fare le prime mosse, con il
timore che si tirasse indietro di nuovo non appena lui avesse osato
controbattere. A un certo punto, però, Padfoot
s’incagliò ad armeggiare con la chiusura del
mantello e
Remus, sbuffando, si staccò da lui per avere campo libero e
dargli una mano.
“Questo
accidenti di...”
“Lascia.”
Scostò
le mani di
Sirius con un gesto perentorio, poi con calma e rapidità gli
allentò il mantello e lo gettò sopra alla
poltrona di
fronte al caminetto.
Sirius lo
guardò e gli
sorrise, e a Remus vennero i brividi. Erano sempre gli stessi occhi
grigi di Sirius, quelli che conosceva da una vita e che da anni si
posavano su di lui con le più svariate espressioni
possibili, ma
in quel momento pensò che non l’aveva mai visto
così, le guance arrossate, i capelli scarmigliati, le labbra
tirate a scoprire i denti con un’aria quasi infantile. Rimase
a
contemplarlo per qualche secondo, poi qualcosa scattò in lui
e
in pochi secondi gli aprì la veste, tirando e strappando.
L’aveva già visto più che mezzo nudo
altre volte
– Sirius non era uno che si vergognava del suo corpo
– ma
l’idea di averlo lì soltanto per sé,
senza che ci
fosse nessun altro a interromperli o a tenerli d’occhio, gli
diede improvvisamente alla testa.
Quando anche
Sirius si gettò su di lui per ricambiare, Remus lo
intercettò con un’occhiata.
“Non
hai un posto
più comodo dell’anticamera?”
domandò,
affannosamente, nonostante le mani dell’altro
s’insinuassero dappertutto.
“Bastava
chiedere,” replicò lui, e senza che Remus facesse
in tempo
ad accorgersene gli prese la bacchetta dalla tasca e
Smaterializzò entrambi in camera da letto.
Il resto,
nonostante l’eccitazione di entrambi fosse allo stremo,
successe con molta lentezza.
Nella penombra
della stanza
Remus lasciò che Sirius lo spogliasse e lo toccasse con una
maestria che nella sua immaginazione gli aveva sempre conferito, forse
per via della grazia innata con cui si muoveva in ogni situazione e in
ogni gesto, dalle più elaborate alle più banali:
Sirius
non era mai goffo o fuori tempo, non inciampava, non pestava i piedi a
nessuno. Per questo, incantato com’era da
quell’assurda
naturalezza, Remus si scordò di provare imbarazzo fino al
momento in cui l’altro non si accorse che non gli riusciva a
staccare gli occhi di dosso.
“Che
c’è?” domandò, brusco,
interrompendosi. Il licantropo arrossì.
“Nulla...”
mormorò, poi d’istinto gli mise una mano sulla
nuca,
esercitando una leggera pressione. Sirius oppose una veemente
resistenza e gli imprigionò il polso in una stretta; Remus
reagì con un colpo di reni, ribaltando le loro posizioni, e
per
un po’ lottarono come due bambini, rotolandosi fra cuscini e
coperte. In circostanze normali Sirius sarebbe risultato decisamente il
più forte tra i due ma, forse perché la luna
piena era
pericolosamente vicina – e con essa il vigore del lupo
–
Remus riuscì invece ad imprigionarlo sul materasso a pancia
in
giù, bloccandogli i polsi con le mani e le gambe,
semplicemente,
sedendoglisi sopra.
“Moony,
ti prego, sto
soffocando!” si lamentò Sirius, ma lui lo
ignorò,
perso nell’ammirare quel corpo prigioniero sotto di lui che
tante
volte, invece, gli era sembrato distante e intoccabile. La bestia
dentro di lui reclamava di più, perciò
finì di
svestirlo e cominciò a toccarlo, in silenzio, chinandosi poi
per
disseminare leggeri morsi sulla sua spalla sinistra; Sirius smise di
opporre resistenza e Remus avvicinò il volto al suo per
udirne i
gemiti e i respiri accelerati. Chiuse gli occhi, stringendolo con una
mano e con l’altra accarezzando i punti più
sensibili,
portandolo quasi al limite; lasciò poi che Sirius lo
fermasse
all’ultimo e che lo ribaltasse supino per scendere con la
bocca
esattamente dove lui desiderava, rompendo finalmente ogni barriera.
Si persero in
quei giochi
nuovi per entrambi per un tempo di cui nessuno dei due
riuscì a
tenere il conto, senza lasciarsi un attimo di respiro; sapevano
entrambi che, se si fossero ritrovati a riflettere in un momento morto,
questo li avrebbe condotti a fermarsi. Perciò,
all’insaputa l’uno dell’altro, tutti e
due fecero il
possibile per colmare ogni secondo con carezze eccitanti, baci avidi,
segni di unghie sulla pelle, gemiti soffocati e imprecazioni quando i
canini affondavano troppo nella carne, esplorando una dimensione fisica
dell’altro che non conoscevano, imparando rapidamente i gesti
che
davano maggior piacere, i punti più sensibili. Sirius non
lasciò in pace Remus nemmeno nei secondi che seguirono il
primo
orgasmo; lo costrinse a voltarsi e a piegarsi alla sua voglia, ma
nonostante tutto lui non aprì bocca per protestare a quella
dolorosa forzatura. Mentre Sirius era dentro di lui, finalmente tutto
gli sembrò giusto: aveva cercato di non desiderarlo, ma era
quello che voleva, quello che il suo istinto reclamava a gran voce fin
da quando Sirius l’aveva colto alla sprovvista con quel bacio
un
paio di mesi prima. Quel sentimento smise di colpo di fargli paura per
lasciar posto ad un piacere che mai aveva provato e Remus sorrise
silenziosamente sotto le spinte, perché se era
così
significava che la paura non era abbastanza forte e che non lo era
nemmeno per Sirius, che gli stava strattonando ciocche di capelli con
tutta la forza che aveva.
Non ci furono
più
angosce e timori finché tutto non finì e Remus si
ritrovò raggomitolato su un fianco, con il braccio sinistro
di
Sirius intorno al torace, avvinghiato in una stretta decisa che non
accennava a volerlo liberare.
La sua pelle
scottava e il suo respiro nell’orecchio era profondo, a volte
lievemente spezzato.
A quel punto,
giunta finalmente la calma, Remus ebbe il tempo per riflettere.
Si
domandò che razza di
folli pensieri fossero scattati nel cervello di Padfoot nel momento in
cui aveva deciso di infrangere quel veto che entrambi si erano posti di
comune accordo. Possibile che davvero provasse qualcosa? Che si fosse
reso conto di aver proposto un’assurdità, quando
gli aveva
chiesto di ignorare tutto e restare amici?
O forse era
più
probabile che si fosse sentito solo e abbandonato in un momento
infelice, senza che nessun altro a parte lui l’avesse aiutato
ad
affrontare la morte di suo fratello?
Si disse che era
stupido
rovinare un simile momento di pace con inutili elucubrazioni, ma dopo
svariati tentativi di assopirsi fu costretto ad arrendersi. Il bisogno
di ritrovarsi in solitudine, a riflettere con la sola compagnia di se
stesso, prevalse su tutto.
Si
liberò quindi
dall’abbraccio di Sirius per cominciare a rivestirsi,
cercando di
ignorare il suo sguardo assonnato.
“Scusa
ma si è
fatto tardi, devo andare a fare rapporto a Moody,” gli disse
quindi, inventandosi la prima sciocchezza che gli venne in mente.
Sirius corrugò la fronte con evidente disappunto, poi si
voltò freddamente dall’altra parte.
“Come
desideri. Fatti vivo.”
Remus
annuì,
accorgendosi che il cuore gli batteva pesantemente nel petto. Quando
uscì di casa, lasciò che il vento fresco
del
crepuscolo gli scompigliasse ancora di più i capelli. Dopo
essersi accertato che nessuno lo potesse vedere si pizzicò
una
guancia, per avere la conferma di non trovarsi nel bel mezzo di un
sogno troppo vivido.
In che razza di
disastro si erano cacciati, non riusciva neppure a immaginarlo.
Come
on fallen star, I refuse to let you die.
‘Cause
that’s wrong and I’ve been waiting far too long
It’s
wrong, and I’ve been waiting far too long
For
you to be… be mine.
(Placebo, Centrefolds)
Nota di fine capitolo:
di
norma non è nelle mie corde domandare recensioni, ma devo
ammettere che mi piacerebbe ricevere un po’ di commenti sulla
parte sconcia XD (vabbé, sconcia si fa per dire, visto che
mi
sono attenuta al rating arancione). Ho fatto bene/non ho fatto bene ad
inserirla ora?
È uscita bene o è una schifezza? Ogni commento
sarà prezioso per me, dato che è la prima volta
che mi
cimento con quest’impresa.
Non è
un caso,
comunque, che io abbia fatto tacere a Remus quell’episodio su
Regulus. Tra Sirius e Remus si deve costruire man mano un rapporto in
cui la sincerità fra i due viene sempre meno, fino al punto
che
sospetteranno entrambi che l’altro sia la spia... e in questi
casi si comincia sempre con le piccole bugie, che l’uno crede
innocenti ma che l’altro interpreterà come gravi
omissioni.
Ho un altro appunto da fare riguardo alla storia di Regulus, dato che
qualcuno me l'ha domandato nelle recensioni: Dorcas non ha mai
detto degli Horcrux a nessuno, per il momento, l'ha fatto
soltanto
con Regulus perché ha visto che era solo un ragazzo
cacciatosi
in un pasticcio più grande di lui e ne ha avuto
pietà.
Dorcas, nella mia idea, è un personaggio in cerca di una
vendetta
solitaria, che riguarda soltanto lei e la sua famiglia, per questo si
è tenuta per sé quel ricordo. Nonostante
ciò, il
primo a scoprire qualcosa di concreto è stato proprio
Regulus,
ma non ha avuto né tempo né modo di comunicarlo a
Dorcas:
sia perché era troppo rischioso mettersi in contatto, sia
perché Regulus scopre l'Horcrux e contemporaneamente ci
rimette
le penne. Per questo tutta la storia finisce sepolta con lui e quello
di Dorcas resterà, alla fine, un sospetto senza prove,
perché tutto sommato lei ha soltanto origliato una
conversazione, anche se è convinta che quella sia la vera
essenza di Voldemort, ciò che davvero gli interessa, e per
questo ha voluto mostrarlo a Regulus, che invece credeva di seguire
degli ideali stando al suo servizio.
Secondo ciò che sta nella mia testa, poco prima di morire,
Dorcas accennerà qualcosa
a Silente, insinuando in lui il sospetto (che dovrà pur
essere
nato da qualcosa, non credo che un giorno il buon Albus si sia
svegliato e si sia detto "Oh, cominciamo a fare ricerche difficili e
lunghe anni per vedere se quel vecchio volpone di Voldemort non si
è per caso creato un Horcrux..."). Poi però, come
sappiamo, Dorcas
viene uccisa direttamente da Voldemort e quindi Silente
inizierà
le sue ricerche praticamente dal nulla, finendo con ciò che
avviene in HP6.
Spero
che così sia
più chiaro, mi rendo conto che avrei dovuto specificarlo la
scorsa
volta. Dovrei scrivere uno spin-off su Dorcas, in effetti XD
Continuerò
ad
aggiornare una volta al mese, lo so che è un tempo piuttosto
lungo ma almeno così sono piuttosto sicura di riuscire a
finire
il capitolo e di avere il tempo di riguardarlo con calma. In ogni caso,
lascerò degli aggiornamenti sulla mia pagina autore, se a
qualcuno
possono interessare per sapere a che punto sono.
Un
grazie sincero a chi ha commentato lo scorso capitolo,
ricordandosi dell’esistenza di questa storia. Mi ha
fatto un immenso piacere rileggervi ^_^
A presto!
S.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=657862
|