Across the border - From Tokio to L.A.

di CowgirlSara
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Heart painting ***
Capitolo 2: *** 2 - Learning arts ***
Capitolo 3: *** 3 - One way ***
Capitolo 4: *** 4 - Turn & burn ***
Capitolo 5: *** 5 - Pieces of heart ***
Capitolo 6: *** 6 - The brokenhearted ***
Capitolo 7: *** 7 - Something explodes ***
Capitolo 8: *** 8 - In this tonight ***
Capitolo 9: *** 9 - Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1 - Heart painting ***


1 - Heart painting
Questa è la mia nuova ff. E’ un’idea che avevo in testa da un po’, ma solo il trasferimento dei gemelli nella città degli angeli (e dove altro potrebbero stare? *_*) mi ha ispirato la trama definitiva.
Non sarà lunghissima, ma era un po’ di tempo che non avevo la certezza di poter finire una storia, quindi ne sono fiera. Ma non chiedetemi tempi e numero di capitoli, perché è ancora in corso!
Per la prima volta posto in contemporanea su Efp e sul forum delle AdulTh, speriamo bene…

La fanfiction è scritta con il massimo rispetto per i Tokio Hotel, per gli altri personaggi reali citati, il loro lavoro e la loro vita privata. Quanto scritto è una storia di pura fantasia, i fatti narrati non vogliono dare rappresentazione della realtà. Non ha alcun scopo di lucro.
I Tokio Hotel non mi appartengono, così come gli altri personaggi reali e le canzoni che eventualmente userò.  

  
Vi lascio, che mi sono dilungata anche troppo ^_^
Aspetto i vostri commenti, buona lettura!
 
Sara
 
Across the Border
From Tokio to L.A.
 
1. Heart Painting
 
Pardon the way that I stare
There's nothing else to compare
The sight of you leaves me weak
There are no words left to speak
But if you feel like I feel
Please let me know that it's real
(Can't Take My Eyes Off Of You) *
 
L’aveva notato subito. Perché spiccava, tra la folla anonima, in cima a quelle zeppe vertiginose. Non che ne avesse bisogno, per attirare l’attenzione.
Era completamente vestito di nero, escluso che per i riflessi violacei della giacca che portava col colletto rialzato. Doveva avere il collo lungo.
I capelli erano tagliati molto corti ai lati, più lunghi nel ciuffo corvino e pettinati ordinatamente col gel. Teneva elegantemente una flûte con una mano, mentre con l’altra si circondava il torace.
Reggendosi in un equilibrio che, allo stesso tempo, sembrava precario e perfetto per lui, sulle snelle e lunghe gambe da fenicottero, osservava con genuina curiosità il quadro. I suoi espressivi occhi nocciola, resi più grandi dal trucco nero sfumato, erano brillanti e si spostavano veloci sulla superficie colorata del dipinto.
Sembrava veramente colpito da quello che vedeva, così come lo era lui. Voleva conoscerlo.
 
 
*****
 
 
Bill stava osservando il quadro. Era grande, tipo due metri per tre, ma questo non lo rendeva meno intenso. I colori, in contrasto tra caldi e freddi, sembravano lasciare la tela, per la loro forza; le pennellate potenti, i colpi di luce quasi improvvisi, le zone d’ombra, tutto sembrava parlare direttamente alla sensibilità artistica ed estetica del ragazzo. Diede un’occhiata panoramica agli altri dipinti nella sala, poi tornò a quello che stava guardando, dedicando una certa attenzione alla firma.
M. H. Heller…
Il cantante pensò che quel pittore incontrasse decisamente il suo gusto, nonostante le sue opere avessero delle notevoli dimensioni. Bevve un sorso dal bicchiere che aveva in mano, dicendosi che avrebbe dovuto complimentarsi con lui.
“Ti piace?” Gli domandò una voce alla sua sinistra; il ragazzo si voltò flessuoso.
Chi gli parlava era un giovane poco più basso di lui, la pelle appena dorata dal sole, i corti capelli castani tagliati in una zazzera disordinata. Lo fissava con un sorriso sincero ed un paio di curiosi occhi blu, circondati da lunghe ciglia scure.
Bill gli diede una veloce occhiata, valutando il suo abbigliamento fatto di jeans slavati e maglione dai colori neutri. Secondo lui voleva apparire trascurato, ma ad un occhio allenato come quello del cantante non poteva sfuggire la prestigiosa firma dietro a quel capo di maglieria portato con nonchalance. E poi aveva una faccia simpatica e aperta, quindi decise che poteva essere gentile.
“Molto.” Gli rispose con un piccolo sorriso, poi scrutò di nuovo il dipinto. “È molto grande, ma mi piacciono i colori, queste luci e… Insomma, mi trasmette emozione e io amo le cose che mi trasmettono emozione, anche se…” Continuava a parlare, movendo le mani e l’altro lo osservava divertito. “…non è il mio preferito, preferisco quello là in fondo, adoro l’arancione.”
L’altro ragazzo fece una risatina allegra. “Quindi compreresti uno di questi quadri?” Gli chiese poi.
“Oh, sì!” Rispose Bill sicuro. “Comprerei quello arancione.” Continuò indicando il dipinto sulla parete di fronte. “Hai idea di quanto possa costare?”
“Beh, direi circa trenta…”
“Trenta dollari?!” Esclamò stupito il cantante.
“Trentamila.”
“Oh! Capisco…” Annuì quindi. “Per spese superiori a diecimila devo consultare il mio commercialista, che sta in Europa.”
L’altro si concesse un’espressione compiaciuta. “Sei un compratore oculato.” Affermò quindi.
“Decisamente.” Replicò compito Bill, poi si scambiarono uno sguardo divertito e scoppiarono a ridere. “Bill, piacere.” Si presentò infine il cantante, porgendo la mano.
“Michael.” Rispose lui, stringendola.
Rimasero per qualche istante così: mano nella mano, fissandosi negli occhi.
Michael si disse che aveva fatto bene ad avvicinarsi e rivolgergli la parola: gli occhi e il sorriso di Bill erano abbaglianti, indimenticabili.
“Non sei di queste parti, eh?” Soggiunse Michael, una volta che si furono lasciati le mani.
“E cosa te lo fa pensare?” Ribatté Bill. “Credevo di avere un perfetto accento californiano!” Aggiunse scherzoso, cosa che intensificò la durezza della sua pronuncia.
L’altro sorrise dolcemente. “Sembra più una cosa… mitteleuropea…” Ipotizzò poi.
“Germania dell’Est.” Ammise il cantante tranquillo, quindi prese un sorso del suo champagne.
“Ecco.” Annuì divertito Michael; gli piaceva parlare con quel ragazzo all’apparenza tanto raffinato, ma così naturale e quasi buffo nella conversazione. “Frequenti spesso i vernissage?” Gli chiese, infatti, curioso.
“A dire il vero…” Esordì Bill, prima di finire la bevanda. “…non sapevo nemmeno cosa fosse un vernissage, prima di stasera. E dire che mia madre qualche mostra l’ha anche fatta…” Quindi, in un solo gesto, ruotò quasi danzando e posò il bicchiere sul vassoio di un cameriere di passaggio.
“Tua madre dipinge?” Domandò sorpreso Michael, dopo aver assimilato la grazia con cui si era mosso il suo interlocutore.
“Sì.” Annuì compito. “Niente di così grande e lirico, però… mi piacciono.” L’altro sorrise di nuovo.
“Ho l’impressione che anche tu sia un artista…” Disse Michael ispirato.
Bill abbassò un attimo gli occhi, con un sorriso quasi timido. “Beh, immagino che nel mio campo io… lo sia.” Affermò quindi, tornando a guardarlo in faccia.
“E in che campo…”
“Michael?” Lo chiamò una voce alle sue spalle, lui e Bill si voltarono.
Era un ragazzo pallido e biondo, con un completo blu, due sottili occhi azzurri e un’espressione a metà tra l’infastidito e l’altezzoso.
“Johnathan…” Mormorò vagamente imbarazzato Michael, poi guardò Bill e tornò subito al nuovo arrivato. “Lui è Bill.” Presentò quindi.
Il cantante fece per porgergli la mano, ma lui lo ignorò alzando il mento. Bill arricciò il naso con espressione disturbata.
“Michael.” Riprese Johnathan, ignorando il cantante. “Blackwood e quel tipo olandese ti stanno aspettando di là.”
Michael guardò Bill con espressione delusa, ma lui gli rispose con un sorriso comprensivo.
“A quanto pare la vecchia Europa stasera ti tormenta.” Gli disse anche, sempre sorridendo.
“Mi spiace, ma non posso rimandare oltre questo impegno.” Affermò rammaricato l’altro.
“Non preoccuparti.” Soggiunse Bill, stringendosi nelle spalle. “Anche io dovrei cercare l’amica con cui sono venuto…” Aggiunse guardandosi intorno.
“È stato un piacere, Bill.” Gli disse Michael con dolcezza, facendolo voltare verso di se. Si sorrisero.
“Anche per me.” Confessò sinceramente il cantante.
“Spero di rivederti.” Si augurò l’altro ragazzo.
“Sarebbe bello…”
Li interruppe un colpo di tosse di Johnathan, che infastidì Bill e richiamò al dovere Michael; si salutarono velocemente, ma, mentre i due andavano via, il cantante si ricordò che voleva chiedergli una cosa.
“Michael!” Lo richiamò e lui si girò subito.
“Sì?”
“Tu conosci l’artista che ha dipinto questi quadri?” Chiese Bill, indicando le opere che lo circondavano.
Michael sorrise sornione. “Certo.” Rispose annuendo. “Sono io.”
E l’espressione sorpresa che fece Bill gli assicurò che la decisione di volerlo conoscere era stata la più giusta dell’ultima settimana.
 
 
*****
 
 
Bill scese fluidamente le scale, seguito da Scotty, e si diresse in cucina insieme al cane. Si fermò vicino al grande tavolo di cristallo. La vetrata, che attraversava tutto quel lato della casa, dall’ingresso fino al soggiorno, illuminava di un sole dolce tutto l’ambiente. Era una delle cose che gli erano subito piaciute di quella casa: era piena di luce.
Guardò verso la cucina; oltre il bancone, vicino al lavabo, si muoveva Eve. I capelli appuntati sulla testa un po’ a caso e una maglietta slabbrata beige sopra i leggings neri, uno dei suoi classici abbigliamenti da casa.
Era strano come quella ragazza fosse diventata parte della loro vita così in fretta. Erano passati, infatti, solo pochi mesi da quando l’avevano assunta.
Quando si era presentata al colloquio con i jeans sdruciti, gli anfibi e i capelli arruffati, Tom le aveva subito segato le gambe: lui voleva una governante come si deve, una di quelle belle donnine paffute che si vedono nei telefilm, non una mezza squatter con lo smalto sbocconcellato! E quando Bill gli aveva ricordato che lui, con gli squatter, ci aveva perfino dormito, Tom gli aveva praticamente abbaiato contro. Almeno fino a quando Eve aveva fatto notare ad entrambi che non era educato parlare davanti ad una persona in una lingua a lei incomprensibile…
Bill, invece, aveva avvertito subito qualcosa in quella ragazza. Era diversa. Sì, i suoi abiti erano chiaramente cheap, i suoi capelli necessitavano di una visita urgente dal parrucchiere e aveva un modo di fare ruvido e scontroso, ma qualcosa gli diceva che era speciale. Così l’aveva voluta mettere alla prova. E lei gli aveva cucinato la migliore pasta al pomodoro che lui e Tom avessero mai mangiato.
I primi tempi erano stati un po’ difficili per tutti. Eve era brutalmente sincera, sarcastica e molto a modo suo; per esempio, non era possibile contestarle il menu, pena il doversi ordinare una pizza per non morire di fame, cosa che lui e Tom erano stati costretti a fare più di una volta… La ragazza, però, era anche efficiente, pignola, assolutamente non invadente e fissata con la pulizia, cosa che Tom apprezzava moltissimo ma che, ovviamente, non le diceva mai.
Bill, inoltre, aveva sviluppato con lei un rapporto di amicizia particolare, che tanti non riuscivano a capire; perché Eve gli diceva sempre in faccia cosa pensava e gli amici di Bill non comprendevano come mai lui non se la prendesse a morte per i suoi giudizi taglienti. Quello che le persone vicine al cantante non capivano era che Bill, crescendo, sentiva proprio la necessità di una persona che fosse sincera con lui, che gli parlasse come ad una persona con un cervello, facendogli anche male, ma mettendolo davanti ai fatti. Bill non voleva più essere protetto, voleva avere un rapporto alla pari, voleva qualcuno che gli volesse bene senza essere accondiscendente. E Eve era così.
Su una cosa, però, Bill non voleva entrare, anche se era curioso come un babbuino: i rapporti tra la ragazza e Tom. Quei due sembravano sempre camminare su un filo, come si studiassero da mesi. Si parlavano a monosillabi, oppure s’insultavano, o si divertivano per ore con i doppi sensi di cui erano entrambi maestri. Probabilmente erano troppo simili. La maggior parte del tempo, comunque, sembravano andare abbastanza d’accordo e finché c’era pace in casa a lui andava bene.
“Volevi dirmi qualcosa, Bill?” Domandò la ragazza senza voltarsi.
Il cantante sorrise e andò a sedersi sul bancone della cucina, mentre il cagnolino preferì tornare indietro e raggiungere il divano.
“Sai quella mostra dove sono andato venerdì con Nathalie?” Esordì Bill, dondolando i piedi. Il viso di Eve si contorse in una smorfia. “Perché quando ti parlo di Naty fai sempre una faccia come se ti fossero venute le mestruazioni all’improvviso?”
“Forse perché la sua sembra quella di una che ha perennemente le mestruazioni?” Rispose pronta la ragazza.
“Oh, lasciamo perdere!” Glissò Bill. “La mostra, dicevo.” Riprese con noncuranza. “Ho conosciuto una persona…” Confessò, facendosi appena più titubante.
Eve lasciò i piatti della colazione che stava lavando e si girò verso il ragazzo, incrociò le braccia e lo fissò concentrata.
“Hai conosciuto una persona…” Ripeté seria.
“Sì.” Annuì lui, continuando a dondolare i piedi contro il mobile della cucina.
“Era un po’ che non mi dicevi di aver conosciuto qualcuno.” Affermò Eve, appoggiata al pensile dietro di se.
“Già.” Ammise Bill vago. “Però di solito te lo dico dopo.” Sottolineò quindi.
“Quindi stiamo parlando di un prima?” L’interrogò lei.
“Un molto prima, direi.” Rispose il ragazzo. “Abbiamo parlato solo per qualche minuto, in realtà, ma…” Parlava guardando verso l’alto, come concentrato a ricordare quei momenti. “Non saprei spiegare… Mi ha colpito, nonostante abbiamo parlato per poco. Era tanto che non mi succedeva.”
“Mi stai dicendo che non hai concluso?” Chiese sorpresa la ragazza.
“No!” Esclamò Bill quasi offeso. “Per chi mi hai preso?!”
“Oh, andiamo!” Sbottò Eve. “Non fare il santarellino con me! Certe storie me le hai raccontate tu, mica le ho lette sui tabloid!”
“Stronza…” Commentò lui con un mezzo sorrisino divertito. “Ok, devo ammettere che, se l’occasione lo permette, non disdegno del sano sesso fine a se stesso, ma non è questo il caso.” Confessò tranquillo.
Eve aggrottò le sopracciglia, studiando il suo interlocutore, poi si staccò dal mobile e lo raggiunse. Posò le mani ai lati del ragazzo e lo guardò negli occhi da vicino.
“Vai avanti.” Lo incitò.
“Beh…” Bill deviò lo sguardo e continuò a parlare. “Ti giuro che, mentre parlavamo, il sesso non mi è nemmeno passato per la testa. È stata una conversazione breve, però è come se fosse scattato qualcosa…” Sembrava un po’ imbarazzato ed emozionato e questo fece sorridere sinceramente Eve. “Credo di piacergli, ha detto che vuole rivedermi…”
“Chi non vorrebbe rivederti, Bill…” Commentò la ragazza.
“Smettila!” Esclamò lui ridendo e dandole una piccola spinta; anche lei rise.
Eve, quindi, si spostò da lui, tornando a lavare le tazze lasciate nel lavandino. Bill rimase seduto sul bancone, sapeva che la conversazione non era finita.
“Lui com’è?” Domandò infatti la ragazza, poco dopo.
“Cosa ti fa pensare che sia un lui?” Replicò compito il ragazzo.
“L’ultima ragazza con cui sei uscito sono io e non mi risulta che abbiamo fatto sesso.” Rispose Eve.
“Anche perché te lo ricorderesti.” Soggiunse lui con voce sensuale; si scambiarono un’occhiata divertita, prima di ridere ancora. “Ad ogni modo, sì, è un po’ che non frequento ragazze.”
“Bene, allora dimmi com’è.” Insisté lei.
“È alto più o meno come me, ha i capelli castani e gli occhi blu… Ma proprio blu, scuro, molto belli.” Descrisse assorto, con il suo solito modo di gesticolare. “Ma, soprattutto, è stato così piacevole conversare con lui, ho avuto la sensazione di poterci parlare per ore.”
“Non dubito che tu sia capace di parlare per ore senza stancarti.” Affermò sarcastica Eve.
“Oh, ti odio! La smetti di sfottere?!” Esclamò Bill fintamente offeso; in realtà reprimeva una risata. Lei, intanto, ridacchiava.
“È sexy? Affascinante?” S’informò quindi.
“Eccome se lo è! E poi è simpatico, ha gusto nel vestire, ed è un artista. Un pittore.” Spiegò il cantante.
“Un pittore…” Ripeté compiaciuta la ragazza.
“Sì, fa dei quadri bellissimi, vedessi, mi piacciono tanto!” Aggiunse entusiasta lui.
“Lo rivedrai?” Gli chiese Eve con un sorriso dolce.
“Ti ho detto: mi piacerebbe.” Rispose Bill. “Però non abbiamo nemmeno avuto il tempo di scambiarci i numeri di telefono, anche se…” Lei lo incitò con un gesto. “Ho preso qualche informazione su internet…”
“Bill!” Esclamò Eve, con giocoso rimprovero, lui rise furbo. “Dimmi.” Gli ordinò quindi.
“Allora… Ha ventisette anni, la sua prima mostra importante l’ha fatta tre anni fa, da allora è in continua crescita nelle quotazioni, insegna all’università – disegno dal vivo e prospettiva – e il suo più grande sogno, a quanto pare, sarebbe esporre un’opera al MoMa… Non so che sia questo MoMa, penso una roba da artisti…”
Il viso di Eve divenne tristemente neutro e, se fosse stata un cartone animato, le sarebbe comparso un enorme gocciolone sulla testa.
“Bill…” Mormorò atona, lui la guardò incuriosito. “Se l’ignoranza fosse musica, tu saresti un’orchestra sinfonica.” Sentenziò poi.
“Sei cattiva!” Protestò lui.
“Cazzo, ma sei una capra tibetana, che posso farci!” Ribatté lei. “Il MoMa è il più grande museo di arte moderna del mondo, a New York!”
“Senti, non sono mica il ministro dei beni culturali…” Biascicò debolmente il cantante, abbassando la testa mortificato.
Eve si pentì di essere stata brusca. Tornò da lui, si fermò fra le sue gambe e gli prese il viso tra le mani. Si guardarono negli occhi.
“Dai, scusami.” Gli disse con dolcezza. “Promettimi, però, che t’informerai meglio, prima di rivederlo.” Gli chiese.
“Devo rivederlo, Eve?” Le chiese lui, con una faccina tenera e incerta.
“Assolutamente sì!” Rispose sicura lei. “E adesso dammi un bacio.” Bill sorrise e la baciò a fior di labbra, poi si sorrisero, concludendo definitivamente la conversazione.
 
 
*****
 
 
Era una mattina tiepida e il sole illuminava senza invadenza tutta l’aula, bagnando i banchi di legno chiaro, l’enorme lavagna, la cattedra. I sedili degli studenti si disponevano come in un piccolo anfiteatro, permettendo a tutti una visuale perfetta dell’insegnante.
Bill si era scelto un posto laterale, in alto, lontano dalla massa principale degli allievi, che avevano scelto i posti centrali più in basso, vicino alla cattedra. In quel punto era tranquillo, nessuno sembrava far caso a lui, nonostante il cappello e gli occhiali da sole che non si era mai tolto.
Assistere alla lezione era stata un’esperienza affascinante. Quanto gli sarebbe piaciuto avere dei professori così! La scuola sarebbe stata tanto più interessante! Perché gli argomenti trattati gli erano piaciuti, lo avevano realmente intrigato, anche se non sapeva se fosse per la materia in se o per l’insegnante. Secondo la sua modesta opinione, infatti, Michael era un ottimo professore. La classe pendeva dalle sue labbra!
Beh, certo era molto sexy, con quella maglietta verde aderente e quei jeans assai sdruciti… Però aveva anche un’aria autorevole, spiegava con cura, precisione e semplicità. E aveva una voce bellissima! Cioè, insomma… Non dovrebbe essere dalla voce che si giudica un insegnante, però…
Quando la lezione terminò, Bill attese che gli allievi defluissero dall’aula; li guardò salutare Michael, alcuni lasciargli i loro lavori e allontanarsi uno dopo l’altro. Scese, infine, verso il centro della classe.
Davanti a Michael era rimasto solo un gruppo di tre ragazze; da dove si trovava, Bill non poteva capire cosa stavano dicendo, ma il loro atteggiamento gli ricordava quello delle proprie fans quando se lo trovavano davanti. Ad ogni modo, a Michael, non mancava niente per essere una rockstar.
Bill si avvicinò con un sorriso tranquillo, aggiustandosi in spalla la grande borsa, mentre le tre ragazze si allontanavano ridacchiando tra se e lanciando sguardi al giovane pittore; forse speravano di aver attirato l’attenzione dell’insegnante, erano effettivamente appariscenti.
Michael, poi, si era piegato sulla scrivania e sembrava cercare qualcosa, aveva la fronte aggrottata e una strana smorfia buffa. Bill sorrise fermandosi accanto alla cattedra.
“Dimmi.” L’incitò Michael senza guardarlo, forse pensando all’ennesimo allievo.
“È stata una bellissima lezione.” Affermò Bill, quindi vide la testa dell’altro ragazzo scattare stupita verso l’alto per guardarlo e poi aprirsi in un sorriso sorpreso.
“Bill!” Esclamò felice.
“Ciao.” Salutò l’altro.
Michael gli diede una veloce occhiata generale: era diverso dalla sera in cui lo aveva conosciuto. Era vestito in modo molto più semplice. Portava scarpe da ginnastica, jeans grigi aderenti, una maglietta più scura che gli andava un po’ larga, una specie di cappello floscio e grandi occhiali da sole fumé che gli coprivano metà faccia. Era bello come un angelo grunge.
“Che bella sorpresa.” Commentò infine. “Come mi hai trovato?”
“Mi sono informato…” Rispose vago Bill. “E devo dire che ne è valsa la pena, mi è piaciuto molto assistere.”
“Ne sono lieto.” Annuì Michael. “È bello rivederti.” Aggiunse dolcemente.
“Anche per me.” Replicò l’altro con un sorriso.
Seguì un momento di silenzio, in cui si guardarono; Michael cercava i begli occhi di Bill dietro le lenti, mentre lui si muoveva da un piede all’altro, tormentandoseli. Il cuore di entrambi batteva leggermente accelerato.
“Oggi hai un po’ di tempo?” Domandò quindi Bill. Dì di sì, dì di sì…
“Sei fortunato.” Rispose Michael, col suo bel sorriso aperto. “Prendiamo un caffè insieme?”
“Sì!” Accettò immediato il cantante. “Cioè… Ecco, se il bar non è troppo affollato…” Aggiunse con cautela.
L’altro ragazzo si chiese il perché di questo improvviso timore. Si era già fatto una certa convinzione, su Bill; certamente era un personaggio pubblico, ma gli sarebbe piaciuto saperne di più. Sembrava l’occasione giusta, almeno stavolta nessuno li avrebbe interrotti.
“Non preoccuparti, a quest’ora è piuttosto tranquillo.” Lo rassicurò quindi.
“Bene.” Annuì Bill. “Andiamo.”
 
Si ritrovarono a camminare insieme, lungo i viali alberati del campus, nelle pozze di luce e ombra create dalle foglie.
Michael osservava Bill al suo fianco, la sua andatura sicura, la testa alta, le labbra perfette, il collo affusolato. La maglietta gli era scivolata di lato, mostrando una invitante spalla candida; la sua pelle chiara doveva essere morbida ed elastica in quel punto… Meglio pensare ad altro.
“Così, hai preso informazioni su di me.” Affermò il pittore, quindi attese la reazione di Bill.
Lui si girò e sorrise radioso. “Detto in questo modo, sembra una roba da spie!” Commentò allegro. “In realtà ho solo dato un’occhiata al tuo sito.” Aggiunse poi, sempre sorridendo.
“Che ne pensi?” Gli chiese allora Michael.
“È molto bello.” Rispose Bill. “I tuoi quadri mi piacciono davvero tanto. Ho visto che fai anche dipinti di persone, a volte…”
“Il figurativo mi piace, ogni tanto ho ancora voglia di farlo.” Spiegò tranquillo l’artista. Si sorrisero.
“Io, qualche volta, disegno figurini, sai, per la linea di abbigliamento… insomma, per i gadget del gruppo…” Raccontò Bill con innocenza.
“Quindi lavori con un gruppo…” Soggiunse incuriosito Michael, lui annuì. “Sei un musicista.” Realizzò, Bill confermò.
“In realtà, io non suono, sono un cantante.” Precisò poi.
“L’avevo sospettato.” Replicò l’interlocutore. “Se fossi stato un attore, ti avrei conosciuto prima, visto l’ambiente che frequento.”
“Non nego che mi piacerebbe recitare ed ho anche ricevuto delle proposte, ma nessuna mi ha convinto del tutto, aspetto quella giusta.” Dichiarò Bill, gesticolando in quel suo modo particolare. “Cantare, però, mi piace ancora tantissimo, esibirmi, stare sul palco, sentire gli applausi e l’entusiasmo, l’amore del pubblico.”
“Ho la sensazione che il tuo pubblico ti ami davvero tanto, Bill.” Commentò Michael sorridendo.
“Sì. E io adoro le fans.” Confermò lui, ma poi si fece più serio. “Non è sempre facile, però, veicolare tutti questi sentimenti, è purtroppo molto semplice che l’entusiasmo dei fans diventi qualcosa di negativo e pericoloso. Mi è successo, non sono belle situazioni…”
Michael lo guardò: aveva abbassato il viso e la sua espressione si era fatta pensierosa. Era sorpreso, perché non l’avrebbe fatto una persona da riflessioni del genere, soprattutto fatte così seriamente. Ma, del resto, lo conosceva appena.
“Sai se è vietato fumare, qui?” La voce di Bill lo riscosse dai propri pensieri.
Michael si guardò intorno; erano arrivati alla caffetteria, non c’era molta gente, ma almeno un paio di gruppetti avevano all’interno dei fumatori.
“Penso proprio di no.” Rispose quindi.
“Meno male!” Esclamò il cantante sollevato, mentre estraeva dalla borsa il pacchetto di sigarette e l’accendino. “Qui in America siete molto severi ed io dovrei smettere, ma proprio non ci riesco!”
Michael avrebbe voluto commentare con una battuta simpatica, ma vedere Bill accendersi una sigaretta fu un’esperienza che lo lasciò senza parole.
Seguì ipnotizzato la lunga mano elegante portare la sigaretta alle labbra, che si schiusero delicatamente per accoglierla, con un movimento preciso della mandibola più perfetta che avesse mai visto; il tutto contornato da un profilo esatto come quello di una pittura egizia.
“Bill.”
“Hm?”
“Hai mai pensato di fare un calco delle tue mani?” Domandò Michael al cantante, mentre si sedevano ad un tavolino tranquillo, tra sole e ombra.
“Un calco delle mie mani?” Ripeté stupito il cantante, alzando un sopracciglio.
“Sono stupende, mi piacerebbe farci una scultura.” Spiegò l’altro, continuando a fissare quelle dita affusolate stringere il mozzicone.
L’espressione di Bill si aprì in un sorriso incredulo e divertito. “È il complimento più bizzarro che mi abbiamo mai fatto e, credimi, ne ho sentite di tutti i colori!” Commentò quindi. 
“Ma io dico sul serio.” Replicò tranquillo il pittore.
“Oh, beh, in questo caso…” Mormorò Bill, poi gli rivolse uno sguardo espressivo e luminoso. “Credo che potrebbe piacermi… se lo facessi tu.” Sottolineò.
Il cantante era consapevole dell’effetto che poteva fare un suo sguardo del genere. Fissava quasi compiaciuto il turbamento negli occhi di Michael. Gli piacevano i suoi occhi, quell’intenso blu scuro, metallico, vivo come uno specchio d’acqua.
Il ragazzo, infine, gli sorrise, sporgendosi un po’ verso di lui. Si ritrovarono a pochi centimetri di distanza uno dall’altro.
“Sei una persona affascinante.” Mormorò Michael. Bill rispose al sorriso, accondiscendente. “Come si chiama il tuo gruppo?” Gli chiese poi, cambiando argomento. Lo vide esitante per un attimo.
“Tokio Hotel.” Rispose quindi, leggermente rigido.
“Hm, credo di avervi sentito nominare…” Commentò pensieroso Michael. “Mi piace, è curioso, moderno, divertente.” Come finì la frase, però, si accorse dell’espressione di Bill. “Sembri sorpreso…”
Lui si riscosse. “No, è che…” Esordì poi. “Quando parliamo del nome del gruppo, la domanda che ci fanno sempre è: perché Tokio, perché Hotel… Onestamente, mi sono stancato di rispondere, ormai lo sanno anche i sassi, non interessa più a nessuno. Tu, invece, hai detto solo che lo trovi divertente… Sei il primo.” Spiegò quindi.
“Capisco.” Commentò serio il pittore.
“Non fraintendere!” Esclamò animato Bill. “Sono colpito favorevolmente!”
“Bene.” Annuì Michael. “Pensavo di aver detto qualcosa di offensivo!”
“No, no!” Negò subito l’altro, accompagnando le parole con i gesti delle mani.
Una giovane cameriera coi capelli rossi e le lentiggini venne a prendere le ordinazioni, interrompendo i loro discorsi. Li osservò incuriosita, facendo immediatamente irrigidire Bill, ma sembrò non riconoscere nessuno dei due; forse era solo colpita dal fatto che fossero due gran bei ragazzi.
Quando se ne andò, il cantante tornò a guardare il suo interlocutore, girandosi un po’ meccanicamente. Lo trovò a fissarlo con un sorriso tranquillo.
“Credo che tu possa anche toglierti gli occhiali.” Gli disse.
“Io, veramente…” Tentò Bill.
“È tranquillo.” Riprese Michael. “E se la cameriera fosse una tua fan, penso che starebbe urlando e piangendo in mezzo al locale.” Aggiunse ridendo.
“Non è per quello.” Mormorò lui, abbassando il capo. “È che… non mi sono truccato, stamattina.”
Michael spalancò gli occhi stupito, poi fu travolto da un’ondata di tenerezza e gli sorrise.
“Per me non affatto un problema, Bill.” Dichiarò poi, con delicatezza.
“Lo è per me.” Replicò il cantante.
Il pittore, in realtà, moriva dalla voglia di rivedere gli occhi di Bill, ma decise rapidamente di assecondare il suo disagio e non spronarlo a scoprirsi.
“Come vuoi, allora.” Soggiunse quindi. Bill gli sorrise grato.
“Dimmi un po’…” Riprese poco dopo l’artista, quando la cameriera gli ebbe portato le ordinazioni. “Come mai un tedesco decide di trasferirsi nella città degli angeli?” Gli chiese.
“Beh, prima di tutto, non è una cosa definitiva.” Ci tenne a precisare. “E, ad ogni modo, facendo musica è quasi normale, qui ci sono i migliori professionisti, gli studi più attrezzati, le tecnologie più avanzate e noi tedeschi siamo molto pignoli, vogliamo il meglio!” Rispose Bill. “E poi… Avevamo bisogno di cambiare aria, l’ultimo periodo non è stato facile, abbiamo avuto dei problemi abbastanza seri con alcune brutte persone…” Parlava serio, girando lentamente col cucchiaio il suo cappuccino. “Eravamo stressati, stanchi e credo avessimo bisogno entrambi di una crescita personale… Oltretutto la musica rock è nata qui, quindi penso sia il posto migliore! Ci piace molto Los Angeles, ci sentiamo più liberi.”
Michael non aveva ascoltato molto dopo la parola entrambi. Quindi, quando Bill parlava al plurale non intendeva la band, come lui aveva pensato all’inizio, ma se stesso e un’altra persona
“Allora… non ti sei trasferito da solo…” Intervenne infatti.
“Oh, no!” Esclamò Bill allegro. “Non potrei mai pensare di vivere da qualche parte senza Tom!”
Ecco, c’è un Tom… Esalò delusa la voce interiore di Michael.
“State insieme da tanto?” Gli domandò pacato, contenendo in un tono neutro lo strano dolore che provava. Bill gli dedicò un sorriso furbo, aveva capito che lui aveva frainteso.
“Tutta la vita, anzi, da prima di nascere, direi.” Rispose infine; Michael aggrottò la fronte. “Tom è il mio gemello, siamo molto uniti.” Spiegò quindi, allegro. “È anche il chitarrista della band.”
“Ah…” Soffiò Michael, poi si aggiustò sulla sedia, apparentemente a disagio. “Scusa, avevo pensato che…”
“Fa niente.” Replicò Bill stringendosi nelle spalle. “A volte do alcune cose per scontate, tutti sanno di mio fratello, non ho pensato che non ci conosci.” Aggiunse, posando una mano sulla sua con intento rassicurante.
Michael guardò quelle lunghe dita bianche, le unghie smaltate di grigio. La mano di Bill era morbida, tiepida, il contatto piacevolissimo.
“Perdonami lo stesso.” Affermò Michael, prima che l’altro interrompesse il tocco, con suo grande dispiacere.
Bill si strinse ancora nelle spalle. “Se dovessi offendermi di quello che pensano di me e Tom, spenderei il tempo a fare querele.” Dichiarò noncurante. “Anzi, ti dirò, spesso mi piace provocare queste persone…” Specificò poi, con un’espressione pestifera.
“Immagino!” Rise Michael.
Non era difficile, per lui, pensare a Bill che provocava qualcuno, il suo stesso modo di porsi era una provocazione. Michael si trovò a riflettere su quanto potesse essere interessante, in determinate circostanze, farsi provocare da lui.
Nessuno dei due, comunque, poteva immaginare quanto fosse forte la curiosità reciproca. Avrebbero entrambi voluto parlare per ore, raccontarsi tutto quello che valeva la pena sapere, superare lo scoglio della conoscenza per arrivare in fretta ad altro.
E parlarono. Di musica, di arte, di viaggi, di gusti personali, senza stancarsi a vicenda, sorridendosi senza sforzo e ascoltandosi uno con l’altro.
La conversazione ebbe termine quando squillò il cellulare di Bill. Gli era arrivato un messaggio.
Scheisse!” Esclamò il cantante sbirciando il display. “Scusa, Michael, ma… mi ero dimenticato di avere un appuntamento con mio fratello!” Disse al pittore.
“Spero che questo sia da attribuire alla mia brillante conversazione.” Commentò splendente lui.
“Assolutamente sì!” Ribatté immediato Bill con un sorriso abbagliante. “È stato piacevolissimo, parlare con te.” Aggiunse poi, dolcemente.
“Sensazione oltremodo reciproca.” Replicò Michael con uno sguardo tenero.
“Dobbiamo rivederci al più presto.” Soggiunse il cantante, con tono deciso, seduto eretto sulla sedia.
Michael sorrise. “Mi piacerebbe che tu venissi a vedere il mio studio.”
“Davvero?!” Fece Bill sorpreso. L’altro annuì.
“Chiamami, ci mettiamo d’accordo.” Affermò, porgendogli un biglietto da visita; lui lo prese e l’osservò incerto, poi alzò gli occhi sul pittore.
“Posso chiamarti?” Domandò, quasi con ingenuità.
“Devi.” Gli ordinò Michael con un sorriso incoraggiante. Non vedeva l’ora di mostrargli il suo mondo, di vedere la sua bellezza in mezzo alla propria arte.
 
CONTINUA
 
 NOTE:
* Traduzione dei versi della canzone in introduzione (per chi ha qualche difficoltà con l'inglese, non diamo niente per scontato ^_-):
    Perdona il modo in cui ti sto fissando
    Non c'è niente che regga il confronto
    Vederti mi lascia senza forze
    Non sono rimaste parole da dire
    Ma se provi quello che provo io
    Ti prego fammi sapere che è vero
    (perdonate le imprecisioni ^_^)


Ah, ringrazio il team di Efp per aver inserito la possibilità di rispondere alle recensioni! Mi avete levato un peso e ora sono libera di rispondere a tutti con calma!

 
 

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Capitolo 2
*** 2 - Learning arts ***


From tokio
Nonostante le mie buone intenzioni, non sono andata molto avanti con la storia, ma visto che qualche capitolo pronto comunque ce l’ho, credo sia il caso di proseguire almeno per voi! ^_^
Eccovi il secondo capitolo, dove farà la sua sfolgorante apparizione il nostro Tatone adorato! *_* (e chi pensasse che Tom non è un tatone patastruffolo, non ha capito niente di lui!)
Ma il giudizio lo lascio a voi!

A proposito… Ho visto tante letture ma pochi commenti…Via, fatevi coraggio, aspetto il vostro giudizio!

Buona lettura e grazie di nuovo a chi ha commentato!
Sara


2. Learning Arts

There's a lot of talk going `round now
Let'em talk, you know you're the only one
There's a lot of walls need tearing down
Together we could take them down one by one
(Let's Be Friends – Bruce Springsteen)

“Eve!” Richiamò, per almeno la quarantesima volta, la voce concitata di Bill.
La ragazza roteò gli occhi, poi continuò a sistemarsi i capelli allo specchio; nonostante l’ansia nel tono di Bill stesse raggiungendo livelli di guardia, lei sapeva benissimo di non essere in ritardo.
Era successo tutto piuttosto in fretta, ripensò. Meno di un paio di settimane prima Bill era andato ad una mostra con la sua adorata Nathalie – simpatia a tratti del tutto inspiegabile, secondo Eve – ed era tornato tutto preso dalla nuova conoscenza; pochi giorni dopo aveva rivisto il soggetto in questione ed era rientrato talmente su di giri, che Eve aveva dovuto calmarlo con una tisana. I due ragazzi, poi, avevano cominciato a sentirsi per telefono, intavolando lunghe conversazioni fitte e, all’apparenza, intime, da cui Bill usciva immancabilmente sospirante e con sguardo perso. Due giorni prima, infine, era stato fissato l’appuntamento. Eve, all’inizio, si era stupita che le avesse chiesto di accompagnarlo, ma aveva velocemente capito che il cantante necessitava di un sostegno per stemperare l’ansia. Ora era pronta per aiutarlo.
“Eve!” Il tono stava diventando lamentoso.
“Arrivo!” Sbottò lei nel suo solito modo brusco.
Uscì nel corridoio, mentre s’infilava una lunga catena al collo; fece per imboccare le scale verso il salone, ma sentì un rumore sulla rampa superiore. Sul ballatoio c’era Tom in accappatoio.
Sorrideva con un angolo della bocca; la pelle del collo e della parte di petto che si vedeva, erano umide, le treccine ancora gocciolanti.
“Hey.” Lo salutò Eve, avvicinandosi a lui.
“Uscite?” Chiese il chitarrista.
“Ehm, sì…” Rispose incerta lei; non era sicura di poter parlare liberamente a Tom degli affari di Bill. “Andiamo a vedere lo studio di quel pittore, sai… il nuovo amico di Bill…” Aggiunse cauta.
“Ah…” Commentò Tom, deviando lo sguardo e irrigidendosi.
Il ragazzo, però, si sentì prendere la mano, così tornò a guardare Eve, che gli sorrise con dolcezza.
“Tranquillo.” Lo rassicurò, stringendo appena le sue dita tra le proprie. “Te lo tengo d’occhio io e poi ti dico.”
Tom si rilassò un pochino, dopo quelle parole e rifece un mezzo sorriso.
“Non fargli fare casini.” Biascicò quindi. Eve ridacchiò e gli carezzò una guancia.
La ragazza, nel frattempo, aveva salito i gradini che li separavano, fermandosi su quello appena sotto al suo. Gli posò le mani sulle spalle e lo guardò negli occhi.
“La cena per i cani è nel frigo della dispensa, quella per te nel forno della cucina.” Lo informò. “Non confonderle.” Aggiunse sarcastica. Tom fece una smorfia.
“Voi non tornate?” Le chiese poi.
“Devo a Bill una cena da Salade Arcade.” Rispose Eve; le mani di lui posate leggere sui fianchi.
“Quanto scommetti che prende la Mega Cheese?” Fece il chitarrista.
Eve alzò l’indice, con espressione severa. “Non scommetto su cose ovvie!” Dichiarò. Ridacchiarono.
Eve, quindi, dopo un breve saluto, si sfilò dalla sua presa e ridiscese le scale; prima di scendere anche l’altra rampa, però, guardò di nuovo Tom.
“Non divertirti troppo, tutto solo.” Gli raccomandò.
“Credo che organizzerò un festino con cibo spazzatura, ballerine discinte e fiumi d’alcool.” Affermò serafico il ragazzo.
“Bene.” Annuì Eve. “Non sporcare i tappeti.” Gl’intimò atona. “Ci vediamo dopo.” Aggiunse, però, con uno sguardo caldo. Tom le sorrise soddisfatto.
“Smettetela di pomiciare sulle scale! Io ho fretta!” Gridò Bill in quel momento.


*****


Le indicazioni condussero Bill e Eve ad una strada tra le colline di Malibu. Aveva guidato la ragazza, perché il cantante era agitato per l’imminente incontro.
La vegetazione era rigogliosa lungo le curve che risalivano calme e, quando arrivarono al numero civico che gl’interessava, trovarono un cancello aperto su un giardino lussureggiante.
Si guardarono, esprimendo perplessità riguardo al fatto che non fosse chiuso. Bill verificò l’indirizzo sul proprio palmare, poi, mentre erano indecisi su cosa fare, mandò un messaggio a Michael, che rispose invitandoli con entusiasmo ad entrare.
Nello spiazzo in cui parcheggiarono, accanto ad una vecchia jeep rossa, c’era una piccola costruzione in mattoni grezzi ed una molto più grande che rassomigliava ad un hangar da aeroporto. Nuovamente si guardarono perplessi.
Eve e Bill si avvicinarono alle grandi porte di metallo, dove campeggiava una coloratissima statua a grandezza umana dalla difficile interpretazione. C’era anche un campanello molto banale, col cognome di Michael.
“Suoniamo?” Domandò incerto Bill.
“Sennò che siamo venuti a fare qui?” Replicò pratica Eve.
“Non me la immaginavo così, casa sua…” Affermò poi il cantante, continuando ad osservare il luogo.
“Un po’ strana è, effettivamente.” Commentò lei, ma non fece in tempo a dire altro, perché la serratura della porta scattò. “Ci avrà sentiti?” Fece Eve.
“C’è una telecamera.” Rispose Bill, indicandole un punto sopra le loro teste. Si sorrisero ed entrarono.
Si ritrovarono in un breve atrio, dove c’era una sedia strana, con le gambe a forma di pappagallo, e un’ombrelliera fatta a tulipano. Una porta a vetri, composta da riquadri colorati, socchiusa, da dove presumibilmente si aveva accesso all’abitazione vera e propria.
Bill, con un’espressione allegra e curiosa rivolta ad Eve, scostò l’anta e si fece seguire dentro.
Lo spazio era ampio e chiaro, grazie al lucernario che si apriva sul soffitto. I grandi dipinti occupavano i due lati lunghi dello stanzone, alcuni accompagnati da tavoli, sedie; panni bianchi o sporchi di vernice erano lasciati a terra o su supporti improvvisati. Tutto era impregnato dall’odore dei colori, del diluente, dell’olio di lino.
Una piccola scala con la ringhiera bianca, dava su una porta a circa metà del lato sinistro. In fondo, una parete di cubi di vetro separava un secondo ambiente; lì davanti, una pesante scrivania di legno scuro era ingombrata da carte e da un pc portatile. Non c’era nessuno.
Eve e Bill si scambiarono un’occhiata, poi avanzarono, guardandosi intorno.
La ragazza era molto colpita dai quadri di Michael: erano belli, emozionanti proprio come le aveva detto Bill, ne era affascinata.
“Ciao!” Li sorprese una voce. Spostarono gli occhi dal dipinto che stavano entrambi guardando e videro Michael andargli incontro, mentre si asciugava le mani con uno straccio.
“Ciao…” Mormorò Bill, con voce emozionata. Eve lo guardò, accorgendosi subito dei suoi occhi improvvisamente più brillanti ed espressivi. Sorrise tra se.
Michael, oltretutto, era veramente un bel ragazzo. Alto, spalle sufficientemente larghe, nonostante fosse magro. I leggeri e larghi pantaloni caki e la canottiera bianca sporca di vernice, oltre a stargli da dio, facevano molto artista cool. Aveva anche degli occhi bellissimi, proprio come le aveva riferito il cantante; peccato che la sua attenzione fosse tutta per Bill.
I due, infatti, si fissavano, sorridendo in un modo che la diceva lunga sulla reciproca attrazione.
“Ehm…” Tossicchiò Eve, ancora in attesa di essere presentata.
Bill si riscosse, abbassò gli occhi verso di lei, quasi sorpreso, poi le afferrò la mano di scatto.
“Eve!” Esclamò, quindi si rivolse al pittore. “Michael, lei è Eve, una mia cara amica.” La presentò concitato.
“Piacere.” Fece lui, porgendole la mano con un bel sorriso.
“Piacere mio.” Rispose la ragazza, prima di stringergliela.
“Scusatemi, se non sono arrivato subito.” Affermò l’artista. “Stavo dipingendo, così, quando vi ho visto arrivare, sono andato a pulirmi le mai.” Spiegò.
“Non preoccuparti.” Replicò gentile Bill. “Ci stavamo godendo i tuoi quadri.”
“Sono bellissimi, davvero.” Soggiunse Eve.
“Grazie!” Esclamò Michael, con un altro sorriso dolce e sexy. Beh, non ai livelli di quelli di Tom, ma sufficientemente da turbare maschi e femmine.
“Posso offrirvi qualcosa da bere?” Domandò quindi il pittore ai due ospiti.
“Sì, grazie.” Rispose Bill, mentre Eve annuiva.
Poco dopo erano seduti presso la scrivania, sorseggiando dell’ottimo the freddo. L’atmosfera era amichevole e anche Eve, che era notoriamente scontrosa, conversava amabilmente, per la gioia di Bill.
“È davvero particolare, casa tua.” Affermò, ad un certo punto, la ragazza.
“Beh, sì.” Ammise Michael. “Era il magazzino in cui un riccone teneva la sua collezione di auto d’epoca.” Raccontò.
“E come ci sei finito, tu?” Domandò incuriosito Bill.
“Il tizio è fallito, ha dovuto vendere tutto.” Spiegò il pittore. “La villa se l’è comprata un divo di Hollywood, credo… Questo terreno ed il capannone, invece, erano rimasti. Il prezzo era buono, così l’ho preso io.” Aggiunse, stringendosi nelle spalle.
“È comodo, per dipingere.” Constatò Eve, osservando l’ambiente.
“Oh, sì.” Annuì lui. “Specie se non sai contenerti nelle dimensioni!” Scherzò poi. Risero.
Un momento dopo, sentirono la porta che si apriva: qualcuno aveva aperto con le chiavi.
“Michael?” Chiamò una voce maschile; il pittore si alzò e si sporse oltre il quadro che gli copriva la visuale dell’entrata.
“Oh, Johnathan… Vieni.” Fece poi, invitando il nuovo arrivato.
Eve percepì Bill irrigidirsi, si girò verso di lui e si accorse subito del disagio nella sua espressione. Gli prese la mano e, quando lui la guardò, l’interrogò con gli occhi. Il ragazzo rispose scuotendo il capo, cercando di convincerla che andava tutto bene.
Johnathan, nel frattempo, li aveva raggiunti. Era uno slavato biondino con un’espressione supponente che diede subito sui nervi ad Eve. Li osservava circospetto, specie Bill.
“John, ti ricordi di Bill, vero?” Gli chiese Michael.
“Oh, sì.” Rispose lui atono. “Molto bene…” Aggiunse, con uno sguardo ostile per il cantante.
“Piacere di rivederti.” Soggiunse educato Bill, alzandosi e porgendogli la mano. La ragazza si sentì molto orgogliosa di lui, perché si stava dimostrando superiore. “Lei è Eve, una mia amica.”
“Piacere.” Fece lei, dopo essersi alzata. Anche loro si strinsero la mano, ma fu una cosa sfuggente, probabilmente spiacevole per entrambi.
“John è una specie di assistente.” Spiegò Michael; ad Eve non sfuggì la smorfia di Bill. “Mi è praticamente indispensabile, perché quando sono preso a dipingere mi dimentico anche di pagare le bollette! Se non ci fosse lui, mi avrebbero già staccato la luce!” Scherzò poi.
Bill fece un retorico sorrisino amaro, tra se, mentre Eve alzava le sopracciglia perplessa, prima d’intercettare un’occhiata analizzatrice e maligna di Johnathan per il cantante. Ok, bello, sei ufficialmente archiviato come stronzo… Si disse la ragazza.
“Sai, John…” Intervenne Michael, apparentemente ignorando la tensione crescente. “…ho scoperto che Bill è il cantante dei Tokio Hotel, li conosci?”
Il ragazzo biondo lo guardò, poi tornò su Bill. “Sì… Non è quella band emo per ragazzine?”
A quella battuta fatta con scarso umorismo, scese il silenzio. Bill era rimasto stranamente impalato, fissava il vuoto, forse temendo una brutta figura. Eve, però, non era intenzionata a fare altrettanto.
“Non credo che tu li abbia ascoltati bene.” Gli disse infatti, dura.
“Mi spiace, ma non sono molto il mio genere.” Replicò antipatico Johnathan.
“Allora, dovresti pensarci prima di parlare.” Ribatté velenosa lei.
“Eve…” Esalò supplicante Bill, mentre loro si scambiavano occhiate saettanti, sotto lo sguardo perplesso di Michael.
La ragazza, dopo la richiesta dell’amico, si ritirò di un passo, ma non risparmiò altri sguardi omicidi verso il biondo. Non le piaceva proprio quel tizio, faceva stare male Bill ed il suo istinto protettivo non lo ammetteva.
“Ti va di vedere il mio materiale per la scultura, Bill?” Domandò gentilmente Michael al cantante, interrompendo il silenzio elettrico che si era instaurato. Bill sembrò accendersi come una lampadina, felice che la tensione fosse stata allentata. Sorrise al pittore e annuì contento.
“Vieni.” Lo invitò con un gesto.
Il ragazzo superò fluidamente Eve e poi Johnathan, cui dedicò un’occhiata di superiorità, con un sopracciglio esplicitamente alzato.
Eve e John rimasero soli. Il ragazzo seguì con lo sguardo gli altri due, finché non sparirono dalla vista; quando tornò a girarsi, lei era più vicina. Trasalì, scostandosi.
“Tranquillo.” Fece lei, mentre sbirciava alcuni schizzi sulla scrivania. “Non ho intenzione di affogarti nel the freddo.” Gli assicurò, ma poi alzò su di lui uno sguardo penetrante. “Ma attento. Ti tengo d’occhio.”
“Cosa sei? La sua guardia del corpo?” Sbottò sarcastico lui, incrociando le braccia. Eve si strinse nelle spalle, incurante.
“La governante.” Rispose serena.

Michael condusse Bill nella stanza cui si accedeva tramite le scale che aveva visto prima. Era più piccola dell’ambiente principale e più buia; c’era uno strano odore, ma non fastidioso. Il pittore accese la luce.
C’erano dei tavoli in legno, lungo le pareti, con sopra scatole e barattoli, attrezzi di cui gli sfuggiva l’uso. In un angolo c’era uno di quei cosi girevoli, che probabilmente aveva un nome specifico che Bill non sapeva, ma che aveva visto usare per fare vasi e oggetti in terracotta. Al centro della stanza campeggiava una specie di blocco di legno con sopra qualcosa di coperto con un telo.
“Avremo fatto bene a lasciarli soli?” Chiese ironico Michael. Bill, mentre si guardava intorno, ridacchiò.
“Eve, di solito, non morde.” Affermò allegro.
“Di solito?” Fece incerto l’altro.
“Beh, se lo fa in determinati momenti, non dovresti chiederlo a me!” Scherzò il cantante; si scambiarono uno sguardo divertito e malizioso, poi risero insieme.
Bill, poi, si mise a girare per la stanza, osservando incuriosito, toccando oggetti e utensili con dita leggere, quasi con timore di far danno.
“Sono felice di poterti, finalmente, guardare negli occhi.” Mormorò Michael, dopo aver fermato Bill toccandogli un braccio e averlo fatto voltare verso di se. Lui sorrise con tenerezza, ricambiando lo sguardo.
Rimasero a fissarsi per un lungo momento. Gli occhi di Bill erano belli proprio come li ricordava: nocciola chiaro, dorato, il trucco leggero che lo faceva risaltare, le ciglia lunghe. Vivi ed espressivi, così pieni di sensazioni ed emozioni da potersi perdere.
E il sentimento era reciproco. Perché Bill non trovava niente di inquietante nei lampi metallici che attraversavano il blu cupo delle iridi di Michael, anzi li trovava appassionati e caldi.
“Mi perdoni per l’atteggiamento di Johnathan, vero?” Fece Michael, continuando a guardarlo negli occhi.
L’artista, però, capì subito di aver affrontato un argomento infelice, perché Bill s’incupì e distolse lo sguardo.
“Lascia stare.” Gli disse. “Non è colpa tua.” Aggiunse, stringendosi nelle spalle, mentre si allontanava di qualche passo. Michael sospirò, dispiaciuto di averlo allontanato.
“Questo cos’è?” Domandò Bill, distogliendo l’altro dai suoi pensieri; lo vide osservare incuriosito l’oggetto al centro della stanza, coperto dal telo. Michael sorrise.
“È un progetto a cui sto lavorando.” Spiegò avvicinandosi. “Dovrebbe essere inserito in una struttura che sto saldando nel garage.”
Bill sgranò gli occhi sorpreso. “Sei veramente poliedrico!” Si complimentò poi. Lui fece un sorriso soddisfatto.
“Vuoi vederlo?” Gli chiese quindi; Bill annuì entusiasta. “Mi fa molto piacere, che tu sia tanto interessato alle mie opere.” Dichiarò, prima di afferrare i lembi del telo per toglierlo.
“Ma è ovvio, Michael! Sono stupende!” Esclamò il cantante.
“Non è così ovvio, credimi.” Commentò Michael.
“Per me sì.” Ribatté pacato Bill; si scambiarono un’occhiata solidale.
La scultura venne scoperta con un gesto abbastanza energico, ma, mentre lo faceva, Michael non distolse gli occhi da Bill.
Si trattava di un flessuoso busto di donna, atteggiato in una posa tesa, il seno in evidenza, la schiena arcuata, come si protendesse verso… il piacere. Quella fu l’impressione che diede al cantante.
“Oh… E’ molto… sensuale.” Mormorò Bill a commento. E lo pensava davvero.
“Era quello l’intento.” Replicò Michael soddisfatto, osservando la propria opera.  
“Sembri conoscere bene il corpo femminile…” Constatò Bill, mentre osservava la statua da ogni angolazione. Chissà perché, la cosa sembrava dargli un po’ fastidio.
“Devo dire che lo studio dell’anatomia mi appassiona.” Affermò Michael allusivo; Bill alzò gli occhi e si scambiarono uno sguardo significativo. “Certo, mi ha aiutato essere stato sposato.” Aggiunse tranquillo.
Bill fermò improvvisamente il giro che stava facendo intorno alla statua e fissò sbalordito Michael.
“Sei stato sposato?” Gli chiese; lui ridacchiò.
“Lo sono ancora, tecnicamente, ma è solo una questione legale, siamo separati da tempo. Lei vive con una donna, ora.” Rispose poi.
“Ah, capisco…” Mormorò il cantante.
“Ho sempre conosciuto le sue inclinazioni sessuali.” Spiegò allora Michael, accorgendosi della perplessità di Bill. “Anzi, stare con lei ha chiarito le idee anche a me, è una donna eccezionale.”
Bill era ancora sorpreso da quei discorsi, continuava a fissare Michael con la fronte aggrottata. Grazie alla sua vita nel mondo dello spettacolo, il cantante, era cresciuto in fretta ed aveva fatto esperienze più intense di quelle che normalmente avrebbe un ragazzo della sua età, eppure era solo da poco che alcune cose su se stesso e sulle proprie preferenze gli erano diventate chiare. E non era stato semplice. Per questo gli sembrava strano sentir parlare di certi argomenti con quella tranquillità.
“Anne è ancora la mia agente, quindi ci vediamo spesso.” Concluse il pittore.
“Siete in buoni rapporti, allora.” Commentò atono l’altro.
“Assolutamente.” Annuì Michael. “Ci vogliamo bene, Anne non è stata solo una compagna, un’amante…” Continuò, guardando assorto la statua. “…ma è anche la mia migliore amica, una specie di madre… Considerato anche che ha sedici anni più di me!” Dichiarò infine, allegro.
“Adesso mi sento molto banale.” Affermò sconsolato Bill. “Credevo che la mia vita fosse originale, ma tu mi batti alla grande!” Si guardarono e risero, ma nel cantante restava un po’ d’imbarazzo.
Michael, allora, si avvicinò a lui, gli sorrise dolcemente, guardandolo negli occhi. Bill prese un lungo respiro, rispondendo allo sguardo con occhi tremanti ed emozionati. Sentiva il calore del suo corpo sul proprio ed il suo profumo, di eucalipto e sole.
“Tu non potresti mai essere banale, Bill.” Gli sussurrò Michael, mentre l’altro non riusciva a staccare gli occhi dalle sue labbra.
“È tutta la vita che ci provo.” Rispose poi, sempre fissando la sua bocca.
“Secondo me ci riesci benissimo.” Mormorò carezzevole il pittore, spostando gli occhi su ogni particolare di quel viso bellissimo. Non riusciva a capire come fosse riuscito ancora a non toccarlo.
“Credo di doverti dire che sono leggermente narcisista e che i tuoi complimenti potrebbero farmi diventare molto frivolo e disponibile…” Lo avvertì Bill, con voce bassa e sensuale. Michael rise piano.
“La cosa potrebbe piacermi.” Soggiunse quindi.
I loro corpi, ormai, si sfioravano e cominciava a fare piuttosto caldo. Michael alzò una mano, carezzando in modo appena percepibile il braccio nudo di Bill, che fu percorso da un lungo e piacevole brivido.
“Forse dovremmo tornare di là, prima che succeda qualcosa.” Affermò il pittore, continuando a fissare il cantante.
“Non mi risulta che Eve abbia mai ucciso qualcuno.” Esalò Bill, perso nei suoi occhi.
“Intendevo: prima che succeda qualcosa qui.” Sottolineò Michael; l’altro gli sorrise malizioso, ma poi si ricompose ed annuì.

******


La macchina scivolava tranquilla lungo le strade, in uno sfolgorante tramonto californiano. Ora guidava Bill. Avevano lasciato la casa di Michael, dopo che lui e il cantante erano tornati nello studio. Eve si era accorta subito che nell’altra stanza era successo qualcosa e che Bill moriva dalla voglia di raccontarglielo; così avevano salutato, con la promessa di rivedersi presto ed avevano preso la via del ritorno.
I primi minuti di viaggio erano stati tutti per il racconto del ragazzo, entusiasta del quasi bacio che c’era stato. Lei l’aveva ascoltato contenta, perché lo vedeva felice.
Adesso si dirigevano alla loro cena nel regno delle insalate. Eve finì di rispondere ad un messaggio e poi ripose il cellulare in borsa.
“Tom ti saluta.” Riferì al cantante.
Bill fece una smorfia. “Perché quando siamo insieme, chiama sempre te?” Fece poi, fintamente offeso. “Sono gelosissimo.” Affermò.
“Anche lui.” Ribatté Eve. Risero piano.
“Evie...” Chiamò poi, con una voce quasi da bambino.
“Dimmi, tesoro.” Lo incitò dolcemente lei.
“Secondo te, quei due scopano?” Domandò timoroso, continuando a guardare la strada.
“Oh, ci puoi scommettere!” Esclamò la ragazza.
“Cazzo, Eve… Non dirmi così!” Replicò affranto lui. “Speravo dicessi qualcosa tipo: no, Bill, ti stai facendo le tue solite paranoie inutili!”
“Tu non vuoi sentirti dire questo.” Dichiarò sicura Eve.
“No…” Ammise Bill scrollando il capo.
“Mi pare chiaro che tra loro c’è qualcosa, Johnathan è troppo territoriale per non andarci a letto.” Esaminò la ragazza.
“Già.” Annuì il cantante.
“Ma dammi retta, amore.” Riprese lei, posandogli una mano sul ginocchio. “Quello stronzo è già passato, perché è evidente quanto tu piaccia a Michael.”
“Anche lui mi piace tanto.” Affermò lui, quasi triste.
“Non ti scoraggiare, lo mollerà.” Lo rassicurò Eve. “Nessuno è alla tua altezza, piccolo.” Aggiunse con uno sguardo orgoglioso. Bill le rispose con un sorrisino grato.
“Ti adoro, quando mi veneri.” Le disse poi, con un’occhiata furba.
“Non ti ci abituare, stronzetto.” Replicò lei, con un sorriso storto. “Dai, ora, che ho fame.”
“Lo dici a me! Mangerei uno stadio!” Dichiarò energico il cantante, prima di ripartire da un semaforo, direzione Salade Arcade.


*****


Quando Bill e Eve arrivarono a casa era ormai notte; furono salutati allegramente dai cani, che li accolsero nell’ingresso, illuminato solo da una piccola lampada.
“Ti va di bere?” Domandò Bill alla ragazza, mentre procedevano verso la cucina.
“Sì.” Annuì lei. “C’è dell’acqua tonica in frigo.”
Si fermarono a bere e Eve si accorse che Bill appariva pensieroso, così gli si avvicinò e lo abbracciò da dietro. Lui sospirò, prima di stringerle le mani.
“Non tormentarti con le pene d’amore, tesoro.” Gli disse con dolcezza. “Non ce n’è ragione.”
Bill stirò le labbra in un sorriso un po’ forzato. “Ti voglio bene, Evie.”
“E io ti amo, lo sai?” Dichiarò lei, strizzandoselo contro.
“Ah! Ma sei scema?!” Protestò il ragazzo ridendo. “Mi rompi tutto!”
“Per forza, sei un secchio d’ossa!” Sbottò Eve divertita. “Vattene a letto, non hai il fisico!” Lui le fece la linguaccia.
Bill, poi, smise di ridere e si girò verso la ragazza con occhi luccicanti e le sorrise con tenerezza.
“Grazie, Eve.” Le disse, con tono sincero.
“E di che? Sei tu che mi hai assunta.” Rispose lei, stringendosi nelle spalle.
“Allora, sono proprio bravo.” Si complimentò lui, con un’alzata di sopracciglia.
Scoppiarono a ridere, prima di zittirsi a vicenda per il rischio di svegliare Tom.
Si salutarono con un bacio sulle scale, poi Eve andò in camera sua, che si trovava nel mezzanino. La ragazza si cambiò e si lavò i denti, quindi salì al piano superiore.

La sua stanza non era completamente buia, a lui piaceva dormire con le tende aperte, e poi il televisore era acceso. Eve lo spense e poi guardò il letto.
Lui dormiva quasi bocconi, abbracciato al cuscino, le treccine legate in una coda bassa, come sempre quando riposava.
La ragazza si sedette sul materasso, cominciando a carezzargli piano le spalle nude e la schiena, poi si piegò su di lui e prese a baciargli la spina dorsale.
Tom, a quel punto, mugugnò, lasciò il cuscino e masticò, prima di aprire appena gli occhi.
“Finalmente.” Biascicò con voce roca. “Mi ero stancato di aspettare.”
“Ma se dormivi.” Ribatté ironica la ragazza.
“Eh, sai, dopo il festino…” Mormorò il ragazzo, girandosi ancora un po’ verso di lei e facendole un sorrisetto sardonico.
“Ah, già! Dimenticavo…” Commentò Eve, una mano ferma sul suo petto. “Sei stato bravo: non c’è un cuscino fuori posto, una bottiglia in giro, una macchia di bicchiere sul tavolo…”
“Mi hai insegnato bene.” Replicò lui con un’occhiata allusiva, appena prima di passarle una mano sulla nuca e cominciare ad accarezzarle i capelli.
“Sono una brava maestra.” Dichiarò la ragazza, mentre Tom la tirava a se con un sorriso furbo. Si baciarono lentamente.
“Com’è andata?” Chiese il chitarrista, quando si staccarono.
Eve, che gli stava baciando il collo e la spalla, sollevò il viso e lo guardò negli occhi. Lui sembrava in attesa, ma lei ora non aveva voglia di parlare. Gli sorrise promettente.
“Ne parliamo dopo.” Gli disse.
“Ma…” Tentò Tom.
“Dopo.” Ripeté lei, tornando alla sua occupazione precedente.
Sapeva che, comunque, non sarebbe stato difficile convincerlo, perché sentì subito le sue mani spostarsi sui propri fianchi. Sorrise, poi si sollevò sedendosi sul suo bacino. Non ci sarebbe stato bisogno d’altro per capire che la conversazione era rimandata, ma si scambiarono un’occhiata d’intesa, prima che Eve si togliesse la canottiera.

Bill si era già messo a letto e fissava il soffitto, indeciso su cosa fare. Mettersi l’i-pod nelle orecchie e favorire il sonno con un po’ di musica? Riprendere in mano il quaderno e dare un’occhiata a quel testo che proprio non voleva saperne di uscire? Smazzarsi le meningi pensando che Michael in quel momento poteva essere con Johnathan?
Lo squillo del cellulare lo distolse dai suoi ragionamenti autolesionisti.
Guardò il display ed il cuore cominciò a battergli forte; lanciò un’occhiata alla sveglia sul comodino, era quasi l’una. Sorrise e rispose.
“Ciao, Michael.” Mormorò, cercando di non mostrare la soddisfazione che provava.
“Ciao, Bill.” Rispose l’artista.
“Come mai a quest’ora?” Chiese il cantante, nascondendo in un tono casuale la felicità per essere stato chiamato.
“Non riuscivo a dormire, non avevo voglia di dipingere…” Rispose Michael. “Avevo voglia di sentirti.” Aggiunse, con voce calda.
“Ah… Quindi sei da solo…” Buttò lì il cantante, lusingato da quell’attenzione.
“Completamente.” Affermò sicuro l’altro. Bill non trattenne un gesto esultante, scattando sul materasso. “Tu cosa facevi?” Gli domandò nel frattempo il pittore.
Bill sorrise furbo. “Aspettavo che tu mi chiamassi.” Mentì poi, soave. Michael rise, con un suono caldo e dolce.
“Sei unico, Bill Kaulitz!” Esclamò quindi.
Partì, da quel momento, una conversazione che li tenne impegnati a lungo, dimostrando ad entrambi che c’era poco da fare, potevano girarci intorno quanto volevano, ma qualcosa tra loro era nato ed ora, lo stavano coltivando con passione.

Eve sentiva la grande mano calda di Tom percorrere lenta la sua schiena, in una carezza confortante. Lei, invece, osservava il suo petto che si alzava e abbassava piano.
Tom aveva una pelle stupenda, morbida, liscia. Gli toccò piano, con la punta delle dita, lo sterno, il pettorale, il capezzolo scuro che riusciva a vedere, poi gli diede un bacio. Sollevò, quindi, il viso e guardò il suo: il mezzo broncio sexy, le lunghe ciglia ad adombrare gli occhi assorti.
“Cosa vuoi sapere?” Gli chiese improvvisa. Lui aprì gli occhi, guardandola nei suoi.
“Che tipo è? Il… pittore.” Esordì, dopo un attimo.
Eve fece un sorrisino furbo. “Sexy.” Tom s’incupì subito, irrigidendosi. “Proprio il tipo che piace a me: alto, begli occhi, belle mani…”
Lui si scostò un poco. “Ci godi a farmi incazzare?” Sbottò.
“Tanto.” Ribatté lei. “Sei eccitante, quando ti girano…”
“Vaffanculo.” Sbuffò Tom, dandole una piccola scossa, senza spingerla realmente via. Eve ridacchiava.
“Sul serio.” Riprese la ragazza. “È un bel ragazzo, simpatico, dolce e fa dei quadri bellissimi, dovresti vederli.”
“Hm…” Mugugnò lui, con una smorfia.
“È intelligente.” Continuò Eve, ignorandolo. “E guarda Bill in un modo bello.”
Tom si rifece improvvisamente attento. “Come sarebbe?” Domandò.
“Un modo bello, Tom.” Ripeté lei. “Come te lo spiego… Lo guarda come se fosse una cosa bella, preziosa.”
Tom sembrò riflettere per qualche secondo, fissando il buio. Teneva la ragazza ancora contro di se, come se sentire il suo corpo gli desse sicurezza.
“Tu pensi che possa andare bene?” Le chiese infine, senza guardarla.
“Sembrano molto in sintonia.” Rispose tranquilla Eve.
“Vorrei che ne parlasse con me.” Confessò Tom, un po’ abbattuto.
“Forse, se non te ne parla, è perché ha paura di come potresti reagire.” Ipotizzò lei, osservando il disagio sul bel viso del ragazzo.
“Non sono un troglodita!” Reagì il chitarrista. “Io potrei… capire…”
“Neghi che le scelte sessuali di tuo fratello ti creino dei problemi?” Fece la ragazza, continuando a tenere d’occhio le sue reazioni.
Tom grugnì, la lasciò e si voltò su un fianco dandole le spalle.
Eve sospirò; non era mai facile trattare con lui, bisognava sempre andarci con le molle, era uno scorbutico testardo. La ragazza, però aveva imparato che la dolcezza spesso funzionava. Si girò verso di lui, gli carezzò la spalla, poi ci posò il viso e gliela baciò.
“Dai, orsetto.” Gli disse con tenerezza.
“Ti odio, quando mi chiami così.” Replicò burbero lui.
Lei rise piano. “Allora ti chiamerò porcospino.” Tom sbuffò.
“Hai ragione, sai.” Mormorò poi, dopo un momento di silenzio pensoso. “All’inizio, quando ho capito cosa stava succedendo a Bill, l’ho presa male, non capivo, non accettavo, non riuscivo nemmeno a guardarlo in faccia, però…” Eve lo incoraggiò abbracciandolo e dandogli un altro bacio sulla spalla. “Io gli voglio bene, Eve, non voglio che abbia paura di me. Non sono una persona aperta, lo so, ma per Bill… io posso provare.”
“Ti ama tanto.” Sussurrò la ragazza con dolcezza al suo orecchio, lui annuì. “Forse, è solo che non si sente pronto.” Aggiunse.
“Lo aspetterò, allora.” Dichiarò Tom.
“Magari potresti provare a fargli capire che sei disponibile.” Suggerì Eve.
“E come?” L’interrogò lui.
“Parlandogli di qualcosa che finora non gli hai detto tu per primo…”
“Intendi di noi due?” Fece Tom, girando la testa.
“Sì.” Annuì Eve.
“Credevo lo avessi fatto tu.” Affermò il chitarrista.
“No.” Rispose lei. “Rispetto il vostro rapporto e non credo di dover parlare di cose che riguardano voi due, anche se ci sono di mezzo io.” Aggiunse pacata.
“E che ne so…” Commentò Tom stringendosi nelle spalle. “Tu e Bill sembrate sempre così affiatati!”
“Eh, certo!” Sbottò Eve. “Glielo potevo dire in un momento del nostro affiatamento: ah, sai Bill, io e tuo fratello, da circa tre mesi, ogni tanto scopiamo, ma così, eh, per passare il tempo!”
“Pensi veramente che io lo faccia per passare il tempo?” Ribatté Tom, con tono offeso e quasi triste, mentre si girava dalla sua parte.
“No…” Rispose un po’ imbarazzata lei. “Ma non so perché lo fai…” Ammise poi.
“Non pensi che ti guardo in un modo… bello?” Le chiese quindi il ragazzo, citando le sue parole di prima.
Eve guardò i suoi occhi. Erano stranamente chiari, nell’oscurità; le ciglia folte e morbide gli ombreggiavano le guance. Se erano belli, gli occhi di Tom… Grandi e con quel meraviglioso taglio a mandorla che li rendeva esotici e affascinanti. L’avevano sempre turbata, specie da quando si era accorta che avevano uno sguardo speciale per lei.
“Sì, lo penso.” Rispose infine, carezzandogli il viso; Tom la tirò a se.
“E allora, non farti domande stupide.” Le disse poi. “Stringimi e basta.”

CONTINUA

NOTE:
Come sempre la traduzione dei versi in introduzione:
“Ci sono un sacco di chiacchiere in giro ora
Lasciali parlare, tu sai di essere l’unico
Ci sono un sacco di muri che devono essere tirati giù
Insieme potremo abbatterli uno dopo l’altro”

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Capitolo 3
*** 3 - One way ***


3 - One way
Eccovi qua il terzo capitolo! Grazie ancora a tutti quelli che hanno commentato i precedenti! Recensite numerosi!

Buona lettura!
Sara

3. One Way

‘Cause we were walking on the wild side
Running down a one way street
(One way street – Bruce Springsteen)

Eve stava pregustando la sua agognata possibilità di rimettere in bocca un po’ di carne. Stese con cura la bella e profumata fetta di prosciutto praghese sul suo toast, aggiunse il formaggio e si preparò a richiuderlo con l’altra fetta di pane, prima di metterlo nel tostapane. Aveva già l’acquolina in bocca.
“Quella è carne?” Domandò secca una voce profonda alle sue spalle.
La ragazza sospirò, scrollando le spalle, poi si girò, per vedere Tom che le puntava il dito contro.
“Sì.” Ammise atona.
“Assassina.” Sentenziò lui, versandosi un bicchiere di succo d’arancia.
“Tom, sei un talebano di merda.” Replicò scocciata Eve, inserendo il panino nel tostapane.
“E tu sei una selvaggia che uccide per nutrirsi.” Ribatté Tom, mentre si sedeva a tavola e riempiva la tazza di cereali.
“Oh, sant’Iddio! Detto così, sembra che sto bollendo in pentola innocenti esploratori nella foresta del Borneo!” Sbottò la ragazza.
“Perché? Ci sono esploratori innocenti?” Fece il chitarrista; a quella battuta si scambiarono un’ironica occhiata complice e poi risero piano.
“Ad ogni modo.” Riprese Eve. “Io, adesso, mangerò questo toast e tu, ti mangerai la lingua, perché ho talmente bisogno di proteine animali che potrei mettermi a sgranocchiare anche te!” Affermò quindi.
“Lo sai che mi piacciono i morsi…” Rispose lui, con un’alzata di sopracciglia; Eve scosse il capo divertita, prima di tornare a tenere d’occhio il tostapane.
“Che buon odore! Cosa c’è per colazione?” Esclamò Bill entrando in quel momento.
“Eve sta per mangiare un panino con del maiale morto.” Dichiarò Tom.
“Ah…” Esalò deluso il cantante.
Eve sorrise tra se. A volte la ragazza aveva l’impressione che Bill morisse dalla voglia di addentare una costoletta, ma che si trattenesse perché ormai si era convertito al vegetarianesimo e tornare indietro avrebbe voluto dire essere incongruente con le proprie decisioni.
“Eve, non dovresti.” La rimproverò infatti.
“Fottiti, Bill.” Replicò calma lei, addentando il toast.
Tutti, quindi, si dedicarono alla propria colazione e Bill si rassegnò ai suoi cereali integrali, lamentandosi, però, del fatto che Eve non gli faceva mai i pancakes.
“Tornate a pranzo?” Chiese la ragazza, quando ebbe finito di gustarsi il proprio panino.
“No.” Rispose Tom, mentre metteva la tazza nel lavandino. “Andiamo a prendere Gustav e Georg all’aeroporto, poi andiamo tutti a pranzo con David.”
“Ha detto che paga lui.” Intervenne Bill.
“Secondo me addebita tutto sulla lista rimborsi della Universal.” Commentò Eve sarcastica, prima di prendersi del succo d’arancia.
“Probabile.” Confermò Tom. “Gli ha addebitato anche le medicine per la diarrea che s’è preso in Sudafrica…”
I tre ragazzi, trattenendosi a stento, si cambiarono occhiate divertite e poi scoppiarono a ridere.
“Beh, allora divertitevi.” Affermò infine Eve. “E salutatemi i ragazzi.”


*****


La ragazza fermò la macchina nel vialetto e scese, pronta a scaricare le buste della spesa. Lo sportello si chiuse con un suono ovattato.
Una volta, Eve, aveva posseduto una vecchia Ford marroncina. Un tempo, Eve, viveva nella sua vecchia Ford marroncina. A dire il vero, era durato poco tempo, circa due mesi, fino alla sua assunzione come – com’era il termine che usavano loro? – Hausfrau dei teutonici gemelli Kaulitz.
E la sua vecchia Ford, un giorno, così per capriccio, l’aveva abbandonata, forse non ritenendosi all’altezza della sua nuova vita.
Bill non aveva inteso ragioni: il giorno dopo il trapasso della Ford, era arrivato a casa col suo culo secco sopra i sedili di una fiammante Audi A1 rosso lacca. A quanto pareva, i ragazzi avevano un contratto di sponsorizzazione con la casa automobilistica tedesca e bastava che gli dicessero di avere bisogno di una macchina, che quelli gliela infilavano sotto il sedere senza nemmeno chiedergli se avevano la patente. Il bello di mangiare broccoli e cagare dollari.
La ragazza, nonostante le proteste, aveva dovuto accettare di usare l’auto – non era possibile avere una discussione civile con Bill Kaulitz – ma ora era contenta, perché la macchina era bella e andava proprio bene.
Prese la prima busta dal bagagliaio e la posò a terra, poi, mentre prendeva la seconda, qualcuno la chiamò. Si girò sorpresa e vide il bel ragazzo castano che le sorrideva.
“Michael!” Esclamò stupita, guardandolo avvicinarsi.
“Ciao.” Salutò l’artista.
“Che ci fai da queste parti?” Gli chiese Eve, ricominciando a scaricare la spesa dalla macchina.
“Sono andato a vedere la sede per una mostra, qui vicino.” Rispose tranquillo Michael.
“Hai fatto bene a passare.” Soggiunse la ragazza. “Anche se… Mi dispiace, ma Bill non è in casa.” Aggiunse con uno sguardo allusivo.
“Ah…” Commentò il pittore.” “Vedere te, mi fa comunque piacere.”
“Certo.” Annuì retorica Eve. Michael sorrise consapevole.
“Posso darti una mano?” Si offrì quindi.
“Oh, grazie!” Accettò entusiasta lei. “A patto che ti piacciano i cani.”
“Perché?” Domandò timoroso il ragazzo.
“Perché quando aprirò la porta, ce ne saranno cinque che ci verranno addosso.” Spiegò Eve.
“Hm… Di solito mi piacciono, ma siamo sicuri che io piacerò a loro?” Ribatté lui con sguardo teso.
La ragazza ridacchiò. “Ok, facciamo così… Entro prima io e li faccio uscire in giardino.” Michael annuì rassicurato.
Pochi minuti dopo erano in cucina e Eve ringraziava di nuovo Michael per averla aiutata, cosa che i ragazzi facevano assai di rado. Il ragazzo però guardava i cani che lo studiavano da fuori la vetrata.
“Io ne vedo solo quattro…” Fece infine. “Non è che uno si è appostato dietro il divano ed è pronto ad azzannarmi un polpaccio?”
“Eheheh!” Rise Eve, mentre riponeva la roba nei pensili. “No, tranquillo, penso che Tom abbia portato Frank con se.”
“E gli altri non sono gelosi, poi?” S’informò lui con genuina curiosità.
“Oh, da morire! Vedessi come regolano i conti, dopo!” Esclamò lei. “Ad ogni modo, Frank è il cane di Tom. Gli altri sono più billici, diciamo, tranne i due piccoli spelacchiosi, quelli me li devo sorbire io.” Aggiunse, indicando i quattro zampe che ormai si disinteressavano del nuovo arrivato.
“Eve, sei incredibile!” Commentò divertito Michael.
“La maggior parte delle volte mi dicono che sono pazza.” Fece lei, stringendosi nelle spalle.
“È la sorte in cui incorre ogni artista.” Soggiunse lui; si scambiarono un’occhiata significativa e sorrisero.
“Mi dispiace che tu non abbia trovato Bill.” Affermò la ragazza, sedendosi al banco della cucina, dopo aver invitato Michael a fare altrettanto.
“Non fa niente, lo chiamerò dopo.” Replicò tranquillo il pittore.
“Sono venuti gli altri del gruppo, stanno provando in uno studio a Malibu.” Spiegò la ragazza, torcendosi sulla sedia per prendere due bicchieri. “Lo Starr e… qualcosa…”
“Lo studio Starr & Kneets?”
“Sì, quello!”
“Lo conosco, lo usa spesso un mio amico che si occupa di colonne sonore.” Dichiarò Michael. “Non è lontano da casa mia…”
“Beh, allora puoi passare lì; loro, solitamente, escono verso le sei.” Fece Eve, con tono casuale, cogliendo lo sguardo interessato dell’artista. “Ma, adesso, prima di andare, ti bevi qualcosa insieme a me.”


******


Michael aspettava appoggiato alla sua jeep, nella luce calda del tardo pomeriggio losangelino. Lo studio si affacciava su un giardino ben tenuto e molto geometrico. Lui aveva dovuto parcheggiare un po’ lontano dall’ingresso, perché c’erano diverse altre auto.
Erano passate da poco le sei, quando la porta si aprì e ne uscì un gruppetto di persone; stavano ridendo forte. Erano guidati da un ragazzo coi capelli lunghi e da uno alto con occhiali da sole e una felpa enorme. Decisamente non parlavano inglese.
Il pittore si scostò dalla macchina e fece qualche passo per vedere meglio; in quel momento uscì anche Bill. Rideva, soave, insieme ad una ragazza bionda. Indossava una camicia a quadri sui toni dell’arancio, jeans e anfibi invecchiati; la grande borsa in spalla.
Michael si avvicinò; i primi due che erano usciti gli passarono vicino e quello alto lo guardò in modo strano. Il ragazzo, però, non se ne preoccupò più di tanto, perché era già concentrato altrove.
Bill andava diritto verso di lui, ma non lo aveva ancora visto perché parlava con la ragazza. Lei era una biondina minuta, carina, che ancheggiava vistosamente sui tacchi altissimi dei suoi stivaletti.
“Ciao.” Salutò Michael, quando gli fu praticamente di fronte.
Bill alzò lo sguardo e rimase praticamente paralizzato per un lungo secondo, poi sollevò la sua lunga mano bianca e si sfilò gli occhiali da sole come al rallentatore.
“Michael…” Esalò il cantante.
L’artista gli sorrise felice e lui, a quel punto, si illuminò come un neon fosforescente e sorrise mostrando anche i denti che non aveva.
Michael, però, si accorse di un movimento alla sinistra del ragazzo che aveva davanti; abbassò lo sguardo e notò la biondina che lo guardava male, mentre richiamava l’attenzione di Bill toccandogli il braccio. Lui girò appena il capo, senza distogliere gli occhi dal pittore. La ragazza gli disse qualcosa in tedesco, di cui Michael comprese solo la parola “hotel”. Bill le rispose distrattamente, sempre guardando il ragazzo e lei sembrò disapprovare, perché incrociò le braccia e mise su il broncio, lanciando un’occhiata ostile a Michael, poi, quasi battendo in piedi, si allontanò con espressione delusa.
“La tua amica sembra un po’ offesa.” Commentò Michael, indicando con la testa la ragazza che saliva in una delle macchine dietro di loro.
“Oh, no!” Esclamò candido Bill. “È Naty, le passerà… Mi farò perdonare.”
“Non voglio sapere come!” Scherzò l’altro.
“Ah, niente di proibito! Le comprerò un bel paio di scarpe!” Replicò, poi intercettò uno sguardo dolce di Michael solo per lui e, allora, sorrise. “Mi hai fatto davvero una sorpresa, come sapevi che ero qui?” Gli chiese.
“Diciamo che ho le mie fonti…” Rispose cospirativo l’artista. Bill aggrottò sospettoso la fronte, ma poi, in modo repentino, sorrise radioso.
“Non importa come, quello che conta è che sei qui!” Dichiarò quindi, allegro.
Michael gli sorrise, ma la sua espressione ridivenne neutra, quando il ragazzo alto con la felpa arrivò vicino a Bill. Il pittore si sentì esaminare dal suo sguardo penetrante, anche se coperto dalle lenti scure degli occhiali che quello indossava. Il cantante, invece, si girò verso il nuovo arrivato sorridendo.
“Tomi…” Lo appellò con confidenza. “Questo è Michael, ti ho parlato di lui…” Gli disse poi, indicandogli l’altro ragazzo.
“Ah… sì…” Biascicò lui. “Piacere.” Mormorò quindi, senza fare cenno di porgergli la mano, ma continuando ad osservarlo.
“Michael, ti presento Tom, mio fratello.” Riprese nel frattempo il cantante.
“Oh…” Fece Michael, sorpreso. “Piacere mio.” Aggiunse sorridendo.
Si concesse, quindi, un momento per osservarli, visto che Bill si era girato verso il fratello per dirgli qualcosa, anche se la comunicazione, al momento, non sembrava verbale. La loro somiglianza non era immediata, visto il look molto diverso che avevano, ma quando li avevi davanti era innegabile che fossero gemelli identici.
“Mi aspetti in macchina?” Chiedeva in quel momento Bill a Tom. “Due minuti…” Il gemello non rispose, si limitò a fare un cenno con la testa e allontanarsi con un saluto veloce a Michael.
“Uno di poche parole, tuo fratello.” Commentò il pittore, senza malizia.
“Eh, sì.” Annuì Bill. “Ma ti assicuro che è una persona dolcissima.” Aggiunse con orgoglio, poi mise le mani sui fianchi sottili e fissò intensamente Michael, sollevando un provocante sopracciglio. “Adesso, però, voglio sapere che cosa ci fai qui.”
L’altro ridacchiò divertito, poi sorrise e tornò a guardare Bill con una luce maliziosa negli occhi.
“Volevo chiederti se ti andava di uscire a cena con me.” Affermò infine.
Bill spalancò deliziosamente le labbra in un’espressione sorpresa, ma Michael non sapeva dire se lo aveva stupito in modo piacevole oppure no; sembrava preoccupato.
“A…a cena? Io e te?” Balbettò alla fine il cantante.
“Sarebbe l’ora, non trovi?” Replicò Michael.
Bill lo fissò per qualche istante in quei suoi occhi così blu, poi abbassò lo sguardo sul resto di lui: la maglietta bianca, la camicia a quadretti sopra, i jeans, le scarpe da ginnastica. Gli piaceva davvero molto quello che vedeva.
“Sì, penso di sì.” Rispose infine, tornando a guardarlo negli occhi.
“Facciamo venerdì sera?” Incalzò allora Michael.
“Perfetto.” Accettò immediatamente Bill. “Dove mi porti?”
“Oh, beh… non lo so…” Rispose impreparato il pittore. “Sono il tipo che decide all’ultimo momento… E’ un problema?”
“Ecco… era soprattutto per sapere come vestirmi…” Confessò il cantante con lieve imbarazzo.
“Informale.” Affermò Michael con apparente sicurezza. La sicurezza di sapere che Bill avrebbe potuto tranquillamente mettersi anche un sacco della spazzatura e sarebbe stato, comunque, più bello e sexy di chiunque altro.
Quando Bill, pochi minuti dopo, salì in macchina, aveva un’espressione estatica; guardò Tom, seduto al posto di guida, e il suo sorriso si allargò ancora di più.
“Beh?” Fece il chitarrista, con un cenno.
“Usciamo a cena, venerdì.” Riferì il cantante gongolando.
“Ah…” Esalò rigido Tom, sistemandosi sul sedile e spostando lo sguardo avanti.
“Tomi.” Lo chiamò piano Bill, con una mano posata sul suo braccio; il gemello si girò. “Grazie.”
Si guardarono negli occhi per un lungo momento. Non c’era molto da dire. Bill sapeva che Tom aveva capito ed era felice che gli avesse concesso quei pochi minuti con Michael.
“Ti voglio bene.” Disse Bill, mentre guardava il fratello con adorante tenerezza.
“Sì, dai…” Tagliò corto Tom, abbassando gli occhi.
“Volete darvi anche un bacetto…” Intervenne Georg, dal sedile posteriore.
“O ci portate a cena?” Concluse Gustav, sporgendosi in avanti.
I gemelli guardarono verso gli amici, poi Bill rise contento, mentre Tom, rosso in faccia e col broncio, ingranava la prima ed usciva dal parcheggio.


*****


Bill fermò la macchina più o meno dove l’altra volta, vicino a quella di Michael. Solo alcuni lampioncini lungo il vialetto d’accesso illuminavano il giardino.
Il ragazzo, prima di scendere, si concesse un minuto per stemperare l’agitazione; si accese una sigaretta e la fumò nervosamente.
Non era in ansia per l’appuntamento in se. Beh, anche per quello, perché lui e Michael, finora, non avevano potuto passare molto tempo insieme. Il suo nervosismo, però, era più che altro dovuto al fatto che erano anni che non usciva da solo con qualcuno e non certo perché non avesse voluto. Era la sua vita da star a non andare d’accordo con gli appuntamenti intimi. Guardie del corpo, paparazzi, rischio di ragazzine infoiate che lo disturbano, erano tutte cose che inibivano il romanticismo. Le poche “storie” che aveva avuto negli ultimi tempi si erano consumate in fretta, tra alcool e camere d’albergo, senza il tempo che i sentimenti ci si mettessero nel mezzo.
Era stanco di tutto questo, voleva crescere e non aveva ancora rinunciato all’amore, anche se era abbastanza pragmatico da non illudersi sulla durata infinita di tale sentimento.
Michael gli piaceva davvero tanto e in un modo che non gli capitava da tempo, per questo era fermamente deciso ad andarci piano.
Prese un lungo respiro. Doveva rimanere presente a se stesso, se voleva mantenere il suo piano, perché temeva molto la commistione tra presenza di Michael, alcool, luci soffuse… ed il suo scarso autocontrollo davanti ad un’attrazione fisica come quella che provava per il pittore.
Bill, finalmente, si decise a scendere dalla macchina. Aprì lo sportello, si mise in piedi e prese una lunga boccata finale, prima di gettare a terra il mozzicone e spegnerlo col tacco. Prese, poi, la sua borsa e se la sistemò in spalla, respirò forte, si girò verso la casa e restò immobile. Dopo qualche istante d’osservazione, rise tra se.
La strana statua, sì, quella che non si capiva bene cos’era. Beh, era un lampione. Sotto quella specie di cappello, infatti, c’era una lampada che spargeva una luce giallina proprio davanti all’entrata.
Sorridendo, Bill, si diresse verso la porta di metallo, ma non fece in tempo a suonare il campanello perché gli venne aperto. Michael lo aspettava sulla soglia della porta colorata.
Il pittore indossava una semplice maglietta chiara e dei jeans. Gli sorrideva tranquillo, ma Bill si fece perplesso, perché non sembrava affatto pronto per uscire.
“Sono arrivato troppo presto?” Chiese infatti, entrando.
“No, sei puntualissimo.” Rispose calmo Michael.
“Beh, allora temo di essermi vestito troppo elegante…” Affermò quindi, perplesso, mentre osservava l’altro ragazzo.
Il pittore gli dedicò una lunga occhiata. Bill portava dei jeans scuri, con riflessi luccicanti neri, gli stivali con la zeppa con cui lo aveva conosciuto ed una giacca nera tipo smoking; sotto, quella che sembrava una t-shirt nera e alcune collane d’argento al collo.
“Sei stupendo.” Commentò poi.
“Io… io non capisco…” Fece confuso il cantante. “Dove mi porti?” Domandò timoroso; dall’abbigliamento di Michael, si stava già aspettando un locale di basso ordine…
“Ecco…” Tentò di replicare l’artista, poi si grattò la nuca con apparente disagio. “Se non è un problema, avrei pensato di cenare qui.” Confessò infine.
“Ohhh…” Esalò Bill, incapace di aggiungere altro.
“Vedi…” Continuò Michael, invitandolo a procedere verso l’interno della casa. “…ho pensato che, per te, poteva essere, come dire, complicato, andare in un locale pubblico senza bodyguard e con un ragazzo.” Spiegò, mentre camminavano. “Sono un buon cuoco ed ho pensato che, beh, potevo impegnarmi un po’ e preparare un’ottima cena!”
Bill si fermò e guardò serio Michael; lui si accigliò preoccupato, ma ben presto le labbra del cantante si arricciarono in un sorriso malizioso.
“Se anche tu lo avessi fatto solo per avermi tutto per te, ti avrei perdonato.” Dichiarò suadente. L’altro non poté fare a meno di ridere deliziato.
Michael spinse delicatamente Bill ad entrare nella stanza oltre la parete di cubi di vetro. Lì, c’era una piccola cucina moderna, pervasa da un buonissimo profumo di sugo di pomodoro. Accanto alla parete di vetro c’era un alto tavolo rotondo contornato da quattro bizzarri sgabelli uno diverso dall’altro. Sul lato destro, un arco dava accesso ad un altro ambiente.
Sul fornello c’era una pentola di acqua bollente ed una padella colma di sugo, anche quella bolliva piano. Bill osservava tutto con occhi curiosi.
“I ravioli li ho comprati, ma la salsa l’ho fatta io.” Affermò Michael, dalle sue spalle.
Il cantante si voltò verso di lui con un sorriso rilassato. “Sembra ottima.” Commentò.
“Vuoi assaggiare?” Gli chiese allora il pittore, dopo essersi avvicinato al fornello e aver girato il sugo con un cucchiaio di legno che era posato lì vicino. Bill annuì.
Michael prese un po’ di salsa con la punta del mestolo e lo porse a Bill, tenendoci una mano sotto per non versargli niente addosso. Lui, senza distogliere per un attimo gli occhi da quelli dell’artista, assaggiò lentamente. Il sugo era ottimo, ma Bill quasi non se ne accorse, perché l’aria era diventata improvvisamente elettrica, tra di loro, tanto da sembrare quasi solida.
Bill era ipnotizzato dallo sguardo liquido di Michael e si rese conto che il suo pollice era sulle proprie labbra solo quando stava già succedendo. Il dito pulì una piccola traccia di sugo dal suo labbro inferiore, tastandone delicatamente la morbidezza, per poi tornare al proprietario, nella sua bocca. Se lo succhiò piano, quasi gustandolo, e questo provocò in Bill un lungo brivido che finì esattamente in quel posto. Il cantante deglutì.
Michael, però, probabilmente rendendosi conto di essersi spinto un po’ oltre, abbassò lo sguardo e sorrise con vago imbarazzo.
“Ok…” Fece poi, alzando le mani e facendo un passo indietro. “Sarà meglio calmarsi.” Bill sorrise, un po’ deluso forse, ma rassicurato. “Se vuoi posare le tue cose, di là c’è un divano.” Gli disse Michael, mentre gli indicava la stanza accanto.
“Grazie.” Disse Bill educatamente e gli passò accanto sfiorandolo col proprio corpo. Michael, gli occhi socchiusi, seguì col capo la scia del suo profumo.
Il cantante entrò nel piccolo salottino. C’era un divano lungo la parete, con davanti un tappeto in stile messicano e un tavolino basso di legno. La stanza, tramite una vetrata dall’aria vissuta, si affacciava su una veranda abbastanza cadente. Bill sorrise, di quell’ambiente che faceva così tanto artista, mentre posava la borsa sul divano.
“Oh, non vedevo un televisore come questo da quando vivevo a Loitsche!” Esclamò poi, quando vide il vecchio apparecchio.
Michael si affacciò sulla porta, sorridente, aveva in mano una bottiglia di vino che stava stappando.
“Non guardo molta televisione.” Affermò serafico.
Bill, nel frattempo, si era spostato ed osservava delle fotografie disposte sopra alcune mensole, l’altro ne seguiva i movimenti, sempre col sorriso sulle labbra.
“Questo sei tu?” Domandò infine Bill, prendendo in mano una cornice.
Era una foto molto allegra con dei ragazzini vestiti bene, ma piuttosto sconvolti dall’agitazione della festa che sembrava essere in corso dietro di loro.
“Sì.” Rispose Michael, osservando l’immagine. “È il mio Bar mitzvah.” Bill sollevò su di lui uno sguardo interrogativo. “Si tratta di una cerimonia ebraica per l’entrata nell’età adulta, anche se in realtà si entra più che altro nell’adolescenza.” Spiegò poi.
“Sei ebreo?” Chiese sorpreso il cantante.
“Sì, in via del tutto genetica, sì.” Annuì Michael. “Ma non sono molto praticante, al contrario del resto della mia famiglia.”
Bill sorrise e posò la cornice, assicurandosi di rimetterla come l’aveva trovata.
“Li vedi spesso?” S’informò quindi.
“Non molto, vivono a Sacramento e poi… L’essere la pecora nera della famiglia non mi aiuta nel rapporto. Non speravano certo che diventassi un degenerato artista bisessuale!” Concluse la frase con tono allegro. Bill gli sorrise dolcemente.
“Mia madre pensa che se si vede un talento, in una persona che si ama, lo si deve assecondare.” Affermò quindi, sereno.
“E lei lo ha fatto? Con te e tuo fratello?” Chiese Michael.
“Mi ha lasciato tingere i capelli, fare un piercing e suonare nelle birrerie prima dei dodici anni, quindi… direi di sì.” Rispose soave Bill. L’altro rise con tenerezza.
“Ti va un bicchiere di vino?” Fece poi, alzando la bottiglia. Bill annuì allegramente.

Eve scese le scale mentre ancora si tamponava i capelli con un asciugamano. Era sempre confusa riguardo a ciò che era accaduto solo una mezz’ora prima.
Era tornata a casa abbastanza tardi, perché si era attardata a fare shopping con la sua amica Consuelo. Quando era arrivata a casa, aveva trovato Tom seduto sulla sponda del divano che strimpellava la chitarra. Le aveva detto di non mettersi a cucinare, di andare a farsi una doccia, che pensava a tutto lui. Lei, dopo alcune proteste, aveva accettato recalcitrante, convinta da Tom che la blandiva con il fatto di avere la casa libera. Ma chissà cosa aveva in mente davvero.
Arrivò al piano terra e trovò tutto in penombra, tranne per alcune candele accese sul tavolino del salone, sul mobile bar, sul tavolo della sala da pranzo. Si guardò intorno perplessa.
Tom era in cima ai due gradoni che portavano dal salone alla sala da pranzo e la guardava compiaciuto; sorrise e allargò le mani.
“Che diavolo succede?” Domandò allegra Eve, scaraventando l’asciugamano sulla ringhiera. “Questa roba?” Indicò le candele. “Un attacco di romanticismo?”
“Se anche fosse?” Ribatté Tom, mentre si avvicinava.
“Non sembra una cosa molto da te, ma…” Fece lei, passandogli le braccia intorno al collo. “…mi piace.” Aggiunse strofinando il naso contro la sua guancia. Tom sorrise e la strinse.
“Non ti preoccupare per la cena, ho ordinato tutto da Bellini.” Le sussurrò quindi all’orecchio. Lei si scostò sorridendo entusiasta.
“Filetto alla Wellington?!” Chiese speranzosa.
“Scordatelo.” Ripose acido Tom.
“Hm, vabbene…” Commentò arresa Eve, stringendosi di nuovo a lui. “Ti perdono perché fanno delle verdure meravigliose.” E sorrise, sentendo il chitarrista che faceva altrettanto contro la sua pelle.
“Oh, aspetta…” Tom si fermò, allontanandosi appena dalla ragazza; tirò fuori qualcosa, era un telecomando, lo puntò e spinse il bottone. La musica che partì, sorprese Eve.
“Ah, ma questo è…” Esclamò incredula.
“Non te lo aspettavi, eh?” Le fece lui, con un sorrisetto sbieco dei suoi.
“Tu, stasera, vuoi proprio rendermi disponibile…” Mormorò la ragazza, mentre lo teneva stretto.
“And we're walkin' on the wildside, runnin' down a one way street…” Canticchiò Tom al suo orecchio, mentre le carezzava la schiena fino al sedere, con delicata voluttà.
“Oddio, che voce sexy.” Commentò Eve ridacchiando. “Dovrò proprio dartela… Le candele, la cena di Bellini, la musica del Boss…”
“Vuoi cenare prima o dopo?” Le chiese allora Tom, con tono furbo.
“Stavo per dire che volevo fare l’amore… prima e dopo cena.” Replicò Eve, il sorriso malizioso. Lui rispose arricciando sensualmente le labbra, poi la prese per i fianchi, tirandola su. La ragazza si aggrappò a lui sorridendo, mentre si dirigevano al divano.

Bill, nel corso della cena, si era tolto la giacca. Sotto non portava una t-shirt, bensì una canottiera. Non era «secco» come lo aveva immaginato Michael. Era certamente esile, ma anche tonico. Le sue lunghe braccia candide erano modellate da muscoli proporzionati alla massa del suo corpo. Ed erano bellissime.
“È tutto buonissimo, Michael.” Affermò il cantante, prima di pulirsi delicatamente la bocca con il tovagliolo.
“Grazie.” Rispose il pittore, sorridendogli.
Si scambiarono un lungo sguardo caldo. Michael posava il mento su una mano alzata, Bill era composto in cima allo sgabello. L’altra mano dell’artista si sollevò lentamente, mentre tutto il resto, compresi gli occhi, era rimasto immobile. Posò le dita e carezzò piano l’avambraccio di Bill, lui lo guardò farlo e sorrise appena.
“Cosa significa questa scritta?” Gli chiese pacato, continuando a percorrere con le dita il tatuaggio.
“Freiheit…” Pronunciò il cantante, osservando il proprio braccio e la mano calda di Michael. “Significa libertà.” L’altro sollevò le sopracciglia, apparentemente sorpreso.
“Libertà… Interessante.” Commentò con un sorriso storto. “Ti sentivi… prigioniero?”
“In un certo senso!” Fece Bill, prima di bere l’ennesimo sorso di vino. “Finché siamo stati minorenni, ci controllavano di continuo: non fumare, non bere, dì poche parolacce in tv…” Come sempre, spiegava le cose gesticolando. “Quando ho compiuto diciotto anni mi sono sentito veramente liberato, più padrone di me stesso e delle mie decisioni e così… Ora sembra una cavolata, lo so…”
“Penso che le motivazioni di una decisione, alla fine, siano sempre sensate.” Dichiarò tranquillo Michael. “L’importante è che non ti abbia stancato.”
“Oh, beh… no, anzi, mi piace ancora!” Ribatté allegro Bill, carezzandosi il braccio.
“Ne hai altri? Di tatuaggi?” Chiese il pittore, dopo aver svuotato il bicchiere.
“Questo non lo hai visto?” Replicò Bill, mentre girava appena il capo e si chinava verso di lui. Michael si trovò sotto gli occhi il logo dei Tokio Hotel, chiaramente stampigliato sulla sensualissima nuca del loro frontman. Lo riconobbe per averlo visto nel loro sito, dove aveva curiosato giorni prima.
“Oh!” Esclamò sorpreso l’artista. “Ti hanno marchiato!”
“Come una vacca!” Cinguettò Bill raddrizzandosi. “In realtà allora non mi sembrava questo. Il logo era il simbolo del mio sogno, un sogno realizzato.” Spiegò poi, con un sorriso addolcito dal ricordo.
“Ho anche il sospetto che non sia l’ultimo tatuaggio che hai…” Ipotizzò poi il pittore, incuriosito.
“Oh, sì!” Esclamò Bill. “Ma non ti dirò cosa rappresentano o dove sono gli altri, perché una volta tanto ho conosciuto una persona che non sa a memoria la mappa del mio corpo, tatuaggi, piercing e nei compresi. Voglio mantenere un po’ di mistero.” Ammiccò infine.
“Approvo in pieno.” Commentò Michael, mentre lo fissava, leggermente sporto verso di lui.  “Anche perché, sarei interessato a scoprirla da solo, quella mappa.” Concluse, dedicando all’intera figura del cantante un’occhiata languida, per poi tornare sui suoi occhi.
Bill lo fissò con un sorriso provocante, all’apparenza allettato dalla proposta, poi distolse gli occhi e bevve, lasciando il bicchiere vuoto.
Anche Michael sorrise. Stare con Bill gli faceva un effetto inebriante. O forse era il vino. Ma si sentiva bene, come non succedeva da tanto, troppo tempo. Voleva che questa serata si concludesse il più tardi possibile.
“Che ne dici? Stappiamo un’altra bottiglia?” Domandò al cantante. Bill gli sorrise allegro.
“Assolutamente.” Annuì quindi.

Tom e Eve stavano mangiando seduti davanti al bancone della cucina. Avevano scaldato la cena e aperto una bottiglia di vino.
La ragazza era appollaiata su uno sgabello e spiluccava i resti di un meraviglioso crostone di verdure. Tom la osservava, ciondolando col bicchiere in mano. Lei indossava una lunga maglietta grigia e teneva una gamba piegata vicino al petto. I capelli, che nel frattempo si erano asciugati, erano un po’ sconvolti.
Il chitarrista allungò una mano e le carezzò la testa; lei reclinò il capo sulla spalla e lo guardò, sorridendo dolcemente.
“Sei bella, arruffata.” Le disse lui, continuando a carezzarla. Lei sorrise ancora, compiaciuta come un gattino coccolato. “Se ti vedesse Bill, tutta scompigliata…”
“Gli direi che è colpa tua.” Ribatté tranquilla la ragazza. Tom sbuffò un sorriso.
Il chitarrista, quindi, si raddrizzò sullo sgabello e versò ad entrambi un altro bicchiere di vino.
“Sai dove sono andati a cena?” Chiese poi a Eve.
“Bill mi ha detto che Michael avrebbe deciso all’ultimo momento.” Rispose la ragazza, mentre prendeva il proprio bicchiere. “E l’ho visto un po’ preoccupato…”
Tom accennò una risata cinica. “Vorrai dire che era in paranoia dura!” Commentò poi. Ridacchiarono.
“Mi spieghi perché siete così? Avete sempre bisogno di programmare tutto, siete dei maniaci del controllo!” Affermò Eve, spalancando gli occhi.
“Siamo tedeschi.” Fece incurante lui, stringendosi nelle spalle. Lei rise e gli diede una piccola spinta. “Ad ogni modo… Credo che avere le cose sistemate ci dia sicurezza.”
“Oh, i miei piccolini…” Cinguettò Eve, allungandosi per carezzargli la guancia.
“Smettila, scema!” Reagì Tom, ma sorrideva sotto i baffi.
Eve, allora, si alzò ed andò a sedersi sulle sue ginocchia. Gli circondò il collo con le braccia e gli sbaciucchiò tempia e guancia, mentre lui sorrideva lusingato.
“Sai.” Mormorò Tom, scostandola appena per guardarla negli occhi. “È per questo che ci piaci tanto, perché non ti perdi mai in un bicchier d’acqua, sai sempre di cosa abbiamo bisogno, ti prendi cura di noi e non pretendi niente in cambio.”
“Beh, ho un ottimo stipendio e lo straordinario pagato in natura.” Replicò concreta lei. Tom sorrise furbo.
“E dillo che ci vuoi bene.” La blandì poi, dondolandola contro di se. Lei rise contenta, poggiando il capo sulla sua spalla.
“Vi voglio bene.” Sussurrò quindi. Tom le prese la mano e le baciò il polso.
“Mangiamo il dessert?” Le chiese poi.
“Hai preso i budini al cioccolato?” Il chitarrista annuì con un sorrisetto storto. “Stasera ti sei proprio impegnato…” Aggiunse la ragazza, prima di mettersi cavalcioni su di lui.
“Che ne dici se prima facciamo un po’ di pulizia, qui sul bancone?” Domandò ammiccante Tom.
“Sì, è meglio.” Annuì Eve, poi si girò un po’ e con una manata scansò la roba che c’era sul piano. Lui la prese con sicurezza per il sedere e ce la fece mettere sopra. Già si baciavano.

Se non combinava qualcosa con lui stasera, era un completo idiota. Bill riempiva la stanza con la sua sola presenza: il suo profumo, le sue sigarette, il suo gesticolare, la sua risata solare, la sua luce. Sì, perché, anche se la cucina era illuminata soltanto dalla piccola luce sul fornello e da qualche vecchia candela accesa sul tavolo, lui faceva risplendere ogni cosa intorno a se. E Michael desiderava essere scaldato da quella luce molto più a fondo.
“Hmpf… fa caldo…” Dichiarò Bill, stiracchiandosi un po’ le spalle. Michael sorrise.
“Sarà il vino.” Commentò poi. “Ne abbiamo bevute quasi tre bottiglie.” Aggiunse, indicando i vuoti sulla tavola. Bill rise.
“Sì.” Fece quindi, appoggiando il mento su una mano, cosa che avvicinò il suo viso a quello dell’artista. “Mi sa che sono un po’ brillo.”
“Stai attento, potrei approfittarmene.” Affermò ironico l’altro, accorciando ulteriormente le distanze.
“Qualcosa ti fa pensare che ti respingerei?” Replicò suadente Bill, mentre lo fissava negli occhi.
“Hm, non ti conosco ancora molto, devo capire fin dove posso spingermi…” Ribatté Michael, abbassando lo sguardo su quelle labbra rosa, carnose e invitanti.
“Penso, almeno… fin qui.” Esalò lui, prima di cozzare la bocca contro la sua.
Quando Bill fece per scostarsi, Michael non glielo permise. Passò una mano sulla sua nuca liscia e tiepida, tirandoselo più vicino. Il cantante, per non perdere l’equilibrio sullo sgabello, lo prese per la maglietta all’altezza delle costole; le sentiva chiaramente sotto la stoffa.
Iniziarono ad assaggiarsi reciprocamente le labbra, con lentezza curiosa, succhiando piano. Le mani di Michael tenevano il viso di Bill, carezzavano il suo lungo collo candido; quelle del cantante erano aggrappate alla t-shirt del pittore e saggiavano la consistenza del suo corpo oltre lo strato sottile del cotone. Poi successe.
La lingua di Bill – impertinente – fece capolino improvvisa, iniziando a leccare le labbra di Michael con piccoli tocchi sensuali.
L’artista non aveva mai sottovalutato l’attrazione che provava per Bill, ma quel gesto, provocante e sfrontato, lo stava eccitando più del previsto.
Si lasciò andare ad un gemito soffocato, poi si sporse verso di lui, quasi scivolando dallo sgabello, e lo afferrò alla vita, tirandolo più vicino. Anche il cantante scivolò sul bordo del sedile e gl’infilò una mano sotto la maglia.
Continuarono a baciarsi a lungo, sempre più profondamente e con sempre maggiore coinvolgimento fisico, ma quando Michael si staccò per baciare il collo di Bill, lui lo prese per le braccia e si scostò appena. Il pittore, preso com’era, non si accorse subito del cambiamento e cercò di continuare a baciarlo.
“Michael…” Esalò la voce arrochita di Bill, tentando ancora di spostarsi.
“Oh, Bill… Dio…” Soffiò l’altro sul suo collo; il cantante emise un gemito basso e si contorse sensualmente tra le sue braccia. Lui lo strinse.
“Mi… Michael…” balbettò però Bill, provando ad allontanarsi ancora.
Il pittore, allora, con un sorriso deluso, lo lasciò andare ed alzò gli occhi nei suoi. Aveva un’espressione interrogativa e un po’ preoccupata.
“Cosa c’è?” Gli chiese quindi, paziente.
Bill abbassò gli occhi, girando appena il capo, imbarazzato.
“Io… Michael…” Esordì incerto, le mani nervose. “In questo momento, io, davvero, vorrei tanto fare l’amore con te…”
“Anch’io, Bill.” Lo interruppe l’altro, mentre gli prendeva la mano vellutata, che era posata sul bordo del tavolo. Il cantante lo guardò.
“Vorrei, ma non posso.” Affermò quindi. Michael spalancò gli occhi sorpreso.
“Oh…” Commentò, prima di risistemarsi sullo sgabello. “È perché, per principio, non lo fai al primo appuntamento?” Chiese poi, scherzoso.
“Oh, no!” Esclamò Bill. “Lo faccio! Lo faccio anche senza appuntamento, ma…” Aggiunse, poi si alzò da tavola e si diresse nel salottino. Michael lo seguì, vagamente allarmato.
“Bill…” Lo chiamò, un tantino affranto.
Il cantante, che si stava già infilando la giacca, sbuffò e si fermò con le braccia lungo il corpo, il capo basso.
“So che ti devo una spiegazione, però…” Fece mesto, poi prese un lungo respiro. “Non so come farlo senza sembrarti infantile o stupidamente egocentrico.” Spiegò quindi.
“Ti prego, provaci.” Lo incitò Michael, fermo nel vano della porta.
Bill respirò di nuovo, come per darsi coraggio, poi, sempre senza riuscire a guardare l’altro ragazzo, iniziò a parlare.
“Tu hai una storia con Johnathan, vero?” Esordì titubante. Michael aprì le labbra, apparentemente sorpreso, quindi si fece serio.
“Sì, ma…” Ammise infine, prima di continuare. “…è superficiale, solo…”
“Ti supplico, non dire: solo sesso!” Lo interruppe Bill, alzando una mano. “Ti credo, ma non cambia niente: c’è un’altra persona nella tua vita e io… Io non sono bravo ad arrivare secondo.”
“Non capisco, Bill.” Affermò arreso il pittore, la fronte aggrottata. Il cantante allargò le mani.
“Io sono egocentrico, è vero.” Dichiarò poi. “Sono egocentrico, esibizionista, possessivo, infantile e anche uno stupido romantico…” Michael sorrise a quelle parole. “…ma quando mi accorgo che una persona m’interessa – davvero – non posso accettare di non essere l’unico nella sua vita, il solo oggetto del suo desiderio, l’unica persona con cui vuole passare il tempo… Ecco, adesso puoi prendermi in giro.”
Ma Michael aveva un sorriso tutt’altro che derisorio. Lo guardava con dolcezza e quasi comprensione. Si avvicinò piano a lui e gli accarezzò una guancia morbida.
“Anche tu sei importante per me. Molto più di quanto avrei creduto all’inizio di questa cena.” Gli disse. “E mi rendo conto che niente di quello che potrei dirti, cambierebbe le cose, stasera.” Continuò pacato. “Però, per dovere di cronaca, la mia storia con John è finita da un pezzo, per quanto mi riguarda. Solo che… non sono bravo a chiudere le relazioni, aspetto sempre che succeda da se o che mi lascino gli altri.” Bill lo osservava con un’espressione poco convinta. “Ma visto che sei dovuto venire dalla Germania, per farmi ricredere, ti prometto che parlerò con lui e farò del mio meglio per mettere a posto le cose.” Gli garantì infine.
“Non ti sto chiedendo niente, Michael.” Soggiunse Bill, dopo un sospiro.
“Lo so.” Annuì lui. “È proprio per questo che voglio farlo.”
“Grazie.” Soffiò colpito il cantante, con un sorriso timido.
“Allora, te ne vai?” Gli chiese quindi il pittore, fermo davanti a lui, a pochi centimetri dal suo corpo. Bill osservò la situazione, poi diede un’alzata di sopracciglia.
“È meglio di sì…” Rispose infine.
Michael, però, dopo avergli sorriso, si avvicinò ancora e gli posò una mano sul viso. Percorse col pollice la sua mandibola perfetta, carezzò con le altre dita la pelle morbida dietro l’orecchio e poi lo baciò piano, con tenerezza, sulle labbra umide e calde.
“Non baciarmi ancora…” Lo supplicò Bill, parlando contro la sua bocca con voce piagnucolosa.
“Perché? Io lo trovo molto piacevole…” Ribatté Michael, mentre continuava a depositare piccoli baci, cui veniva riposto senza attesa.
“Perché finirò per fare la cazzata che mi sono ripromesso di non fare!” Esclamò però Bill e l’altro, a quel punto, non poté fare a meno di scoppiare a ridere.
“Grazie per questa serata meravigliosa, Bill Kaulitz.” Gli disse quindi, prima di scoccargli un ultimo bacio a stampo.

Bill tornò a casa che erano quasi le due. Percorse la sala da pranzo, vide le candele spente sul tavolo, attraversò il salone, si accorse dell’asciugamano sulla ringhiera delle scale. Alzò le sopracciglia, domandandosi cosa fosse successo in casa, ma fu una cosa fugace.
Arrivato nella propria camera, gettò borsa e giacca sulla poltrona, poi si sedette sul bordo del letto e si tolse gli stivali, buttandoli poi in un angolo. Sbuffò.
“Hey.” Lo chiamò una voce. Alzò gli occhi e vide Eve affacciata allo stipite della porta. “Sei già tornato?” Gli chiese la ragazza.
“Sì.” Rispose semplicemente lui.
“Ma va tutto bene?” L’interrogò allora lei, mentre gli si avvicinava. Bill annuì.
“Sì, certo, è stata una serata bellissima.” Affermò poi, tranquillo, con un sorriso. Eve gli prese il viso tra le mani.
“Sembri stanco, però.” Gli disse.
“Lo sono!” Esclamò il cantante. “È stato piuttosto… intenso.” Aggiunse, con uno sguardo significativo. Eve fece un sorrisino furbo.
“Non mi scappi, domattina mi racconti tutto!” Gl’intimò con l’indice alzato.
“Ok.” Acconsentì arrendevole Bill. Lei gli sorrise e gli diede un piccolo bacio sulle labbra, prima di allontanarsi.
“Buonanotte, allora.” Gli augurò. “Ci vediamo domani.” E fece per infilare la porta.
“Eve.” La chiamò però il ragazzo; lei si girò. “Puoi anche tornare da Tom, tanto lo so.”
La ragazza rimase come pietrificata per qualche istante, con un'espressione stupita, quindi chiuse le labbra e fece un sorrisino retorico e amaro, mentre rilassava i muscoli.
“Doveva dirtelo lui.” Affermò calma.
“L’ho capito da solo.” Replicò serafico lui.
“E come… insomma…” Balbettò Eve, incerta perfino su cosa voleva sapere.
“Conosco molto bene l’odore di mio fratello.” Spiegò il cantante. “E ci sono volte, come ora, in cui tu sai tanto di Tom. Troppo, perché tu ci abbia solo scambiato due chiacchiere a cena…”
Eve sbuffò un sorriso consapevole, incrociando le braccia. Bill sorrideva sereno, poco colpito dalla conversazione appena avuta.
“Mi fa piacere, sai.” Le disse. “Quindi… vai da lui e non ti preoccupare. Buonanotte.”
Eve lo salutò e quindi si avviò lungo il corridoio. Per un attimo pensò di tornare comunque in camera sua, ma poi tornò indietro.
Aprì la porta di Tom, entrò e la richiuse alle proprie spalle; si avvicinò al letto e scivolò sotto il lenzuolo. Lui le dava le spalle. Lo abbracciò alla vita, Tom prese un lungo respiro, poi le prese la mano posata sul suo petto. Eve gli baciò la spalla, posò il capo sul cuscino e sorrise, prima di prendere sonno.
 
CONTINUA
 


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Capitolo 4
*** 4 - Turn & burn ***


across
Mi decido a postare il capitolo 4, anche se volevo prima finire il 5 (e non ci sono riuscita…), quindi vi chiedo un po’ di pazienza per avere il seguito! ^_^ Siate magnanimi.

Ho visto che la storia ha un discreto seguito, ma che i commenti sono pochissimi… Via, possibile che non abbiate nemmeno da dirmi: “Che cavolo scrivi? Datti all’ippica!”
Vi aspetto, non pretendo poemi, bastano due paroline. Grazie in anticipo!

N.B.: piccolo avvertimento d'obbligo, visto che qui non ci sono solo maggiorenni.
        Nel capitolo sono presenti scene di nudo, linguaggio a tratti pensante (si sente di peggio, lo so, ma non si sa mai) e una
        scena di sesso omosessuale, anche se non particolareggiata. Tanto dovevo. ^_^

Buona lettura!
Sara

4. Turn and burn

Love is an angel disguised as lust
Here in our bed 'til the morning comes
(Because the night – Bruce Springsteen)

Eve stava passando l’aspirapolvere in salone e, mentre dava un’aspirata energica alla poltrona vicina alle scale, lanciò un’occhiata a Bill.
Il ragazzo, in teoria, doveva fare ginnastica; in pratica, era mollemente adagiato di pancia sulla grande palla rossa di gomma e si dondolava guardando assorto oltre la vetrata che aveva davanti. Eve decise di fargli un piccolo scherzo.
Gli si avvicinò piano, con l’elettrodomestico ancora in funzione ed un sorrisetto pestifero sulle labbra. Arrivata a portata di tubo, allungò il braccio e gli aspirò il fondo dei pantaloni.
“Ahu!” Esclamò lui sorpreso e anche un po’ spaventato, portandosi una mano al sedere; quando, però, vide l’espressione di Eve, rise a sua volta. “Scema! Che mi fai?!” Le disse.
“Così impari a tenere il culo per aria!” Replicò lei allegra.
“Hey!” Sbottò Bill, fintamente offeso. “C’è chi gradisce il mio culo per aria!”
“Perché hai un gran bel sederino, dolcezza!” Entrambi scoppiarono a ridere.
Bill, poco dopo, si alzò dal pavimento ed andò a sedersi sul divano. Eve, tornata al proprio lavoro, gli sorrise.
“Quando rivedrai Michael?” Gli chiese poi.
“Hm, non lo so… L’altra sera è finita in modo un po’ strano…” Rispose incerto lui, stringendosi nelle spalle.
“Ma non vi siete baciati?” L’interrogò Eve, appoggiandosi sull’asta dell’aspirapolvere.
“Oh, se ci siamo baciati!” Esclamò Bill. “È stato un bacio di quelli… Ohhh… Di quelli che i pantaloni ti diventano molto stretti!”
“Più stretti di quelli che porti di solito?” Chiese maliziosa la ragazza.
“Tanto, tanto di più.” Rispose lui ammiccante.
Eve rise ed andò a sedersi acanto al cantante, gli passò un braccio intorno alle spalle e gli carezzò i capelli. Il ragazzo sorrise compiaciuto.
“Come siete rimasti?” Gli domandò poi, dolcemente.
Bill sospirò, prima di rispondere. “Mi ha detto che vuole risolvere le cose con Johnathan, anche se io non glielo ho chiesto.”
“Te lo avevo detto che l’avrebbe mollato!” Esclamò entusiasta Eve.
“Non lo avrebbe fatto.” La freddò il cantante; lei lo guardò interrogativa. “Ma ci si è messa di mezzo la mia integrità…”
“Aspetta.” Lo fermò lei, alzando una mano. “Tu non ci sei andato a letto perché aveva ancora in piedi la storia con Johnathan?” Gli chiese poi.
“Sono tanto idiota?” Ribatté lui, dopo aver annuito; si scambiarono un’occhiata ovvia, entrambi con le sopracciglia alzate.
Eve, infine, sorrise e lo strinse a se, baciandogli una guancia; Bill mugolò soddisfatto.
“Tu sei un adorabile biscottino sexy e vedrai che la tua attesa verrà ripagata.” Gli garantì la ragazza.
“Speriamo!” Esalò contrito Bill, con un sorrisetto perplesso.
“Hai fame? Ti va una delle mie macedonie speciali?” Chiese allora lei.
“Col gelato?” S’informò impaziente il ragazzo. Lei annuì. “La voglio!”
“Prima bacino!” Pretese la ragazza e lui l’accontentò allegramente.
Si scambiarono alcuni bacetti a fiori di labbra, poi entrambi tirarono fuori la lingua, cominciando a darsi tocchi scherzosi con la punta.
“Ma cazzo!” Li interruppe una voce stizzita. “Fate schifo!” Aggiunse Tom. Loro si staccarono e risero come scemi.
“Sì, ridete…” Commentò burbero il chitarrista, mentre gli passava davanti. “E tu…” Fece poi, puntando il dito contro Eve. “…non dovresti, tipo: passare l’aspirapolvere, cucinare, pulire i cessi?! Non ti paghiamo per slinguazzare!” Sbottò infine, prima di lasciare il salone e dirigersi in cucina.
Eve e Bill si guardarono, fecero delle smorfie fintamente preoccupate, poi risero di nuovo.
“Ha il culo storto, oggi.” Affermò quindi il cantante.
“Già, ho notato.” Annuì la ragazza.
“Vai a fargli un po’ di coccole, vediamo se lo addolcisci.” Le consigliò Bill, dandole una piccola spinta con la spalla.
“A quanto pare non sono pagata per questo.” Dichiarò lei, fingendosi acida, con riferimento alle parole del chitarrista.
“Ti do un bonus, se me lo fai diventare meno misantropo.” Replicò compito il cantante.
Eve scoppiò di nuovo a ridere, poi, dopo un’arruffata ai capelli di Bill, si alzò, pronta a guadagnarsi lo straordinario facendo rientrare i borbottii di Tom.
 
Michael era davanti alla grande tela rettangolare e la osservava, sperando che qualcosa gli dicesse quale colore usare come successivo. L’ispirazione, però, non era sua amica, quel giorno.
Sentì Johnathan muoversi in cucina e sospirò. Era passata quasi una settimana dalla sua cena con Bill e Michael non aveva ancora trovato il modo di parlare con il ragazzo. A causa dei suoi impegni, in parte; a causa della sua mancanza di coraggio, soprattutto.
Si lasciò cadere su uno sgabello e sospirò di nuovo, rigirandosi il pennello pulito tra le mani. Non poteva continuare a comportarsi così o la sua storia con Bill rischiava di non cominciare nemmeno. E questo non doveva succedere.
Era ancora soprapensiero, quando sentì un paio di mani posarsi sulle sue spalle e massaggiarlo piano.
“Dovresti riposarti un po’.” Gli disse Johnathan, continuando a massaggiare.
“Non posso.” Replicò Michael, mentre tentava di sottrarsi, ma l’altro lo tratteneva, anche se garbatamente. “Ho una mostra tra meno di un mese e tre dipinti da finire, se non mi metto a lavorare Anne mi ucciderà.”
“Quella donna ti sfrutta.” Sentenziò l’altro. “Tu hai bisogno dei tuoi tempi, di vivere ogni opera… Anne non capisce la tua arte.”
Michael s’irrigidì, infastidito da quell’affermazione, quindi si scostò, per alzarsi e fronteggiarlo.
“Anne è l’unica persona che abbia creduto in me, quando non ero nessuno e vivevo in una roulotte.” Dichiarò fermo. “Credo che capisca benissimo.”
“Non volevo offendere Anne.” Precisò Johnathan compito. “È solo che non vive a stretto contatto con te e la tua creatività come… come me.”
Ecco. Questa convinzione di Johnathan di capire meglio degli altri chi lui fosse e cosa volesse dire attraverso l’arte, era una cosa che proprio Michael non comprendeva. E che gli dava anche parecchio fastidio. Era meglio chiarire, una volta per tutte.
“A questo proposito, John…” Tentò Michael.
Lui sorrise e gli si avvicinò, allungando una mano come se volesse accarezzarlo, ma il pittore si sottrasse, prima di spostarsi verso il tavolo e posare il pennello.
“C’è qualcosa che non va?” Gli chiese Johnathan.
“Dimmelo tu.” Fece Michael allargando le mani. “Secondo te la nostra storia funziona? Sono settimane che non ci tocchiamo con un dito…”
“Perché tu, ogni volta, ti sottrai! Come hai fatto ora.” Protestò l’altro.
“È inutile raccontarci favole, è finita, John.” Ribatté tranquillo il pittore.
Il suo interlocutore, però, non era così sereno. Contrasse la mandibola ed i suoi occhi si fecero più sottili. Michael si accorse del cambiamento e aggrottò le sopracciglia.
“È per via di quel tipo, vero? Il cantante.” L’interrogò Johnathan.
“Bill non c’entra niente.” Rispose l’artista. “La nostra storia era finita prima che conoscessi lui, e lo sai.”
“Certo, nega. Cos’altro dovresti fare?” Soggiunse ostile l’altro, con un gesto incurante della mano. “Tanto lo so che te lo scopi.”       
Michael scosse la testa. “Tra me e Bill non è successo niente di quello che pensi.” Disse poi.
“Ah, no?” Replicò retorico Johnathan. “E allora cosa ci faceva a casa tua, venerdì sera? Parlavate di musica?” Gli chiese quindi.
L’espressione di Michael si fece interrogativa e seria, lo fissava con la fronte aggrottata.
“Tu cosa ne sai che era da me?” Domandò quindi, sospettoso. Johnathan si ritrasse appena, scrollando le spalle.
“Ho visto la sua macchina parcheggiata qui fuori.” Rispose infine, con apparente incuranza.
“Sei dovuto entrare in giardino, per vedere la macchina.” Ribatté accigliato il pittore.
“E allora? Io entro continuamente, ho le chiavi di…”
“Tu mi spii, John?” Lo interruppe Michael, con tono accusatorio.
“Ma che cosa dici?!” Esclamò indignato il ragazzo biondo. “Sono passato per caso! E quando ho visto che c’era qualcuno ho pensato di non entrare. E credo di aver fatto bene, perché eri con lui!” Aggiunse, in tono quasi offeso.
“Ti avevo detto che sarei stato impegnato, non c’era nessun motivo per venire qui!” Protestò l’artista, ormai arrabbiato per l’atteggiamento che stava tenendo il suo assistente.
“Ho capito subito che lui ti piaceva e che avresti voluto vederlo da solo.” Tentò di giustificarsi Johnathan. “Io dovevo…”
“Basta.” Lo bloccò Michael, alzando le mani. “Non voglio sentire più niente da te.”
“Ora sei arrabbiato, ma lascia che ti passi…” Riprese l’altro, mentre si avvicinava e provava a prenderlo per le spalle, ma il pittore si scansò, fissandolo con sguardo duro.
“No, non hai capito.” Gli disse. “È finita, Johnathan. Non ho più bisogno di te, neanche come assistente, vattene da casa mia.”
Johnathan socchiuse la bocca, apparentemente sorpreso, poi la chiuse ed il suo sguardo si fece astioso.
“Lo so che cosa volevi, tu.” Dichiarò quindi. “Volevi continuare a farmi lavorare per te, come uno schiavo, e nel frattempo, sotto i miei occhi, volevi scoparti quel culo secco!”
“Esci da questa casa, John.” Gl’intimò Michael, facendo finta di non aver sentito quello che lui aveva appena detto.
“E cosa pensi di fare, senza di me? Non sei capace di pagarti una bolletta, di fare la spesa!” Continuò però Johnathan, mentre si avvicinava ancora; Michael lo scansò con una spinta.
“Vivo da solo da quando avevo diciotto anni e mi sembra di essermela cavata.” Gli rispose poi. “Non ho bisogno di te. E ora, vattene, per favore.”
Johnathan prese un lungo respiro nervoso, poi alzò le mani, girò i tacchi e sparì oltre la parete di cubi di vetro. Tornò pochi istanti dopo, giacca indosso e zaino in mano.
“Come vuoi, me ne vado.” Affermò con atteggiamento superiore, prima di scostarsi il ciuffo dal viso con un gesto del capo. “Ma te ne pentirai.” Aggiunse, senza guardarlo.
S’incamminò, quindi, verso la porta, sotto lo sguardo serio di Michael, ancora arrabbiato per la recente discussione. Johnathan si fermò sulla soglia della porta colorata e si voltò.
“Spero che tu e quel manico di scopa vi divertiate e che lo abbia stretto come piace a te.” Gli augurò acido. “Vaffanculo, Michael.” Aggiunse, appena prima di uscire imprecando ancora.
Il pittore prese un lungo respiro, quindi si sedette su uno sgabello che aveva a portata di mano. Odiava fare quel tipo di discussioni, uscivano sempre fuori cose che non avrebbe voluto sapere, per quello cercava di evitarle. Stavolta non c’era scelta, però. E, per qualche motivo, si sentiva sollevato. Guardò i pennelli ed i colori. Forse, ora, l’ispirazione sarebbe tornata.          

Bill, seduto nel salottino privato dello studio, guardava fuori dalla grande finestra. C’era il sole e molte persone erano in spiaggia, le vedeva bene, anche se non era vicinissima. Lui, invece, si era dovuto mettere una felpa, perché lì dentro, con l’aria condizionata, faceva abbastanza freddo.
Guardò il proprio cellulare posato sul tavolo. Dopo la cena aveva sentito poco Michael, brevi telefonate a causa degli impegni di uno o dell’altro, ma ne sentiva la mancanza.
Aspettava, più che altro, che lui gli dicesse di aver sistemato le cose con Johnathan, ma quella chiamata non era ancora arrivata. Sbuffò deluso e allungò un braccio, prima di posarci sopra il capo. Fuori la gente faceva il bagno.
Il ragazzo cominciava a pensare di essere stato stupido. Insomma, come gli era saltato in mente di fare la persona seria proprio con Michael? Eppure, molte altre volte, non ci aveva pensato così tanto ad infilarsi a letto con qualcuno che lo attraeva molto di meno. Forse il pittore si era pentito di essere stato accondiscendente ed ora si sarebbe cercato qualcuno di più disponibile… E la cosa buffa era che Bill fosse una persona disponibile! In quel senso, s’intende…
La scopata è andata in vacca, caro Bill…
Ma si pentì subito di quel pensiero sboccato. Michael non poteva essere una semplice scopata, questo, ormai, lo aveva capito. C’era una bella affinità tra loro e non era solo fisica. Sembrava strano, per una persona come Bill che non era mai stato appassionato di certe cose, ma era veramente colpito dalla sua arte. Non gli era capitato molte volte nella vita di essere così emozionato per qualcosa fatto da un altro. E questo doveva pur avere un significato.
Se almeno fosse arrivata quella telefonata…Sospirò, mentre si risollevava.
Un piccolo piatto bianco con sopra quella che all’apparenza sembrava una gustosa fetta di cheesecake alle fragole, gli fu posato davanti. Bill alzò gli occhi e incontrò il sorriso tenero di Tom.
“Grazie.” Gli disse con un piccolo sorriso.
“Oggi non hai mangiato quasi niente, così…” Ribatté il fratello, mentre gli si sedeva vicino; la torta nel suo piatto era già stata iniziata.
“La pasta non era un gran che.” Affermò Bill, prendendo la forchetta per assaggiare.
“Già.” Annuì Tom. “Eve ci ha abituati male.” Aggiunse, prima di prendere una forchettata del suo dolce. Nessuno dei due amava più tanto mangiare fuori casa, da quando c’era la governante.
“Eh, sì.” Confermò il gemello. “È una cuoca fantastica.”
Tom, mentre entrambi mangiavano la torta, osservava di sottecchi il fratello. Era qualche giorno che lo vedeva un po’ strano, anche se non ne capiva i motivi. Probabilmente era per quel pittore.
“Qualcosa che non va?” Gli chiese infine.
“Hm, no.” Fece lui vago, stringendosi nelle spalle.
“È che mi sembri un po’ giù ultimamente.” Incalzò Tom, ficcandosi in bocca l’ultimo grosso boccone di cheesecake. Bill si girò verso di lui e gli sorrise dolcemente, come solo lui sapeva fare.
“Sei il migliore fratello del mondo, lo sai?” Gli disse, intimamente commosso dalla sua ruvida ma apprezzatissima preoccupazione.
Tom abbassò timidamente gli occhi, con quelle sue ciglia lunghissime. “Non credo.” Mormorò imbarazzato, pesticciando con la forchetta in quel che era rimasto nel piatto.
“Oh, beh… Hai tanti difetti, certamente…” Soggiunse Bill, lui lo guardò male. “Ma sei il mio fratellone.” Aggiunse allora il cantante, con un sorriso dei suoi. Tom sbuffò.
“Non vuoi proprio dirmi niente?” Provò comunque, mentre guardava Bill finire il dolce.
“Mettiamola così.” Replicò Bill, dedicando lo sguardo al gemello. “Farò come hai fatto tu con la faccenda di Eve…”
“Humpf, non ti è ancora andato giù, quel rospo?” S’informò cauto.
“Oh, a me sì! Ma non so come l’abbia presa lei…” Ribatté malizioso. Tom scosse la testa.
“Mi ha mandato in bianco per un po’, ma credo le stia passando…” Commentò serafico.
“Tomi.” Lo chiamò il fratello, lui lo guardò interrogativo. “Va tutto bene, davvero.” Gli garantì, stringendogli appena la spalla. “Devo solo risolvere una cosa e spero succeda a breve.”
Sì, doveva proprio essere qualcosa relativo a quel tipo, il pittore con gli occhi blu. Tom preferiva non sapere cosa suo fratello avesse in sospeso con quel ragazzo, erano anni che non s’infischiavano uno negli affari privati dell’altro. Lo avrebbe lasciato fare, ma se quel tizio provava anche solo a farlo piangere una volta, il mondo della pittura si sarebbe ritrovato con un artista in meno.          

La galleria era luminosa e l’effetto di chiarore dato dal sole che entrava dalle grandi vetrate era amplificato dalle pareti chiare, dal legno dorato, dalle ringhiere di metallo.
Michael, appena entrato, si diresse verso i pannelli di legno che separavano gli uffici, salutando una delle ragazze che lavoravano lì. Nel primo piccolo ufficio c’era una ragazza dai corti capelli rosso acceso, acconciati in ciuffi sparati. Era di spalle.
“Buongiorno, Jess.” Fece Michael fermo sulla porta; lei si girò sorridendo.
“Michael!” Esclamò contenta, prima di andargli incontro e abbracciarlo. Si diedero un veloce bacio.
Jess, l’assistente di Anne, era una ragazza solare e simpatica, una che non si faceva troppi problemi. Lei e Michael avevano avuto una breve storia, qualche anno prima, che era finita senza tanti rimpianti da parte di entrambi e, quindi, erano rimasti amici.
“Cosa ci fai da queste parti?” Chiese la ragazza al pittore, quando si furono salutati.
“Ho bisogno di parlare con Anne.” Rispose lui. “C’è?”
“C’è sempre per te lo sai. È nel suo ufficio.” Gli disse lei, indicandogli il piano superiore.
“Bene.” Annuì il ragazzo. “Vado da lei, ma… La settimana prossima pranziamo insieme, promesso?”
“Hey!” Sbottò lei, mettendosi le mani sui fianchi. “Sei tu quello super impegnato!” Gli ricordò poi, con un sorriso di rimprovero.
“Ti giuro che trovo il tempo!” Replicò Michael a mani alzate.
“Sì, sì, ti conosco…” Soggiunse scettica lei, ma poi gli sorrise con dolcezza.
“No, giuro. Chiamami lunedì.” Dichiarò il pittore. “Adesso vado su.” Aggiunse, dirigendosi alle scale.
“Passa a salutare, quando vai via.” Gli raccomandò Jess, mentre agitava la mano; lui fece altrettanto, quindi sparì al piano di sopra.
L’ufficio di Anne ricordava lo spazio del piano inferiore come stile di arredamento ed aveva un’intera parete a vetri che affacciava sull’interno della galleria.
Michael trovò la sua agente impegnata in una telefonata in francese. Lei lo vide arrivare, gli sorrise e lo salutò con la mano, continuando a tenere la cornetta all’orecchio.
Il ragazzo cominciò a guardarsi intorno, gironzolando nell’ufficio come se fosse a casa propria ed era un po’ così; si avvicinò alla caffettiera, sempre pronta come voleva Anne, si versò un po’ di caffè in una tazza, poi si appoggiò al mobile, osservando la donna.
Anne aveva compiuto da poco quarantatre anni, ma chiunque gliene avrebbe attribuito qualcuno di meno senza problemi. I capelli biondi e ricci erano legati in una disordinata coda alta, portava un maglioncino di cotone bianco e dei pantaloni morbidi beige, le scarpe rigorosamente col tacco. Trucco sobrio ma perfetto. A Michael sembrava sempre bella come quando l’aveva conosciuta.
La telefonata finalmente si concluse con calorosi saluti in uno strano misto di inglese e francese; Anne spense il cordless e lo posò sulla base con un sospiro soddisfatto. Michael, che stava spiluccando un cioccolatino, alzò gli occhi e le sorrise.
“Con chi parlavi?” Le chiese gentile.
“Era De Poissiere.” Rispose lei. “Quell’uomo ti vuole, Mickey!” Aggiunse entusiasta.
“Spero non in senso fisico!” Ribatté ironico lui, ridacchiando.
Lei si fermò, incrociò le braccia e lo analizzò con un’occhiata. “Non ci giurerei, fossi in te…”
“Oh, Anne…” Commentò divertito il ragazzo.
“Bene, siamo seri per una volta.” Riprese la donna, battendo le mani. “La mostra in Francia si farà, ormai è certo.”
“Ti adoro, donna.” Soggiunse lui, soddisfatto. “A questo punto, quando?”
“Beh, primavera prossima, prima è impossibile…” Rispose lei, mentre sistemava alcune cose sulla scrivania. “…hai già due mostre importanti, prima della fine dell’anno, non voglio sovraccaricarti troppo, altrimenti non lavori bene.”
“E pensare che qualcuno crede che mi sfrutti…” Affermò serio il pittore.
“Chi?” S’informò la donna, aggrottando la fronte.
“Hm, non importa…” Glissò Michael con un gesto della mano.
“Mickey.” Lo richiamò l’agente. “Che cosa ci fai qui?” Gli domandò seria.
Lui sospirò, poi si staccò dal mobile e raggiunse la grande finestra che dava sulla strada posteriore alla galleria.
“Penso di aver bisogno di un cancello automatico.” Dichiarò infine.
“Sono anni che te lo dico.” Gli ricordò lei. “Da quando hai comprato la casa, e non hai mai voluto darmi retta, cosa è cambiato, adesso?”
“Diciamo che recenti sviluppi nella mia vita privata, mi hanno convinto ad essere meno… aperto.” Spiegò il ragazzo, tornando a guardarla.
“Recenti sviluppi?”
“Ho rotto con Johnathan.” Affermò secco, stringendosi nelle spalle. Anne allargò le mani e alzò gli occhi al cielo.
“Dio esiste!” Esclamò poi. Michael ridacchiò. “Ma il cancello, perché?”
“Diciamo che non è stata una rottura indolore e… è brutto dirlo, ma non mi fido di lui.” Confessò quindi il pittore, quasi imbarazzato.
“Ok, ci penso io.” Fece Anne, pratica come sempre. “Ti faccio installare il cancello, la telecamera, il citofono, tutto quello di cui hai bisogno e mi attivo anche per trovarti un nuovo assistente…”
“Va bene, ma che sia racchia – o racchio – e molto professionale.” Intervenne lui.
“Mickey, non è da te…” Commentò maliziosa la donna.
“Mi tengo lontano dalle tentazioni, stavolta, visto che c’è anche…”
“C’è già qualcun altro?” L’interrogò lei, senza fargli finire la frase.
“Sì, c’è.” Annuì Michael.
“Dimmi che stavolta è una persona positiva e solare.” Lo implorò Anne con tono piagnucoloso.
“Lo sembrerebbe.” Rispose lui, con il sorriso sognante che gli ispirava sempre il ricordo di Bill.
“Bene.” Si complimentò lei. “Io voglio che tu sia felice e che la tua creatività sia nutrita.”
“Devo dire che le cose sono già migliorate.” Ammise soddisfatto il pittore.
“Meraviglioso!” Esclamò contenta Anne. “Vieni qui, abbracciami.” Lo incitò quindi, facendosi avvolgere dalle sue braccia. Michael posò il viso nell’incavo del suo collo e la baciò.
“Lo sai che ti amo, vero?” Le disse con dolcezza. Lei gli accarezzò i capelli.
“Anche io, tesoro.” Replicò poi, prima di baciargli la tempia. “Se non fossi una donna impegnata…”
“A proposito.” Soggiunse lui, scostandosi un po’. “Quella santa donna di Dana, quando te la sposi?” Anne lo guardò male, ma poi scoppiarono a ridere.   
“Vieni a cena da noi, stasera?” Gli chiede poi Anne.
“Mi spiace, ma ho altri programmi...” Rispose lui restando sul vago, ma con un sorriso furbo.

Il telefono di Bill squillò che erano quasi le sei del pomeriggio. Lui si stava preparando ad uscire dallo studio ed era impegnato a radunare le proprie cose. Gli altri erano già al piano di sotto.
Hallo?” Rispose distrattamente, con un’intonazione fin troppo tedesca.
“Non sei in Germania, vero?” Gli chiese una voce leggermente allarmata.
“Michael? N… no, sono in California!” Dichiarò poi deciso, riprendendosi dalla sorpresa. “Perché?” Chiese sospettoso.
“Non so… Da come hai risposto…” Balbettò Michael, che improvvisamente si era sentito stupido.
“Ahh… Ho parlato in tedesco tutto il giorno, sarà per quello…” Ipotizzò il cantante, le mani improvvisamente sudate.
“È un po’ che non ci sentiamo, vero?” Riprese allora il pittore.
“Già…” Esalò rammaricato Bill. “Sono stato molto impegnato…”
“Anche io, però…”
“Cosa?” Soggiunse impaziente Bill, speranzoso che fosse finalmente arrivata la chiamata tanto attesa. Sentì un sospiro dall’altra parte del telefono.
“Ti andrebbe di cenare ancora insieme?” Gli chiese timidamente Michael, dopo qualche istante di silenzio. Bill rimase un po’ deluso.
“Certo che mi andrebbe, ma…”
“Ci sono alcune cose di cui dobbiamo parlare.” Lo interruppe l’altro.
“Di che cosa dobbiamo parlare?” Domandò secco il cantante, aggrottando le sopracciglia.
“Di quello che mi hai costretto a fare con Johnathan e delle conseguenze che questo porterà…” Rispose Michael, con un tono inequivocabilmente ironico e malizioso.
Bill, cellulare in una mano e occhiali da sole nell’altra, rimase a bocca aperta in mezzo al salottino dello studio. Aspettava quella notizia, ma, inutile dirlo, non ci credeva veramente.
“Bill?” Chiamò Michael attraverso la cornetta.
“In inglese non mi viene quello che voglio dire!” Esclamò lui, riportandosi l’apparecchio all’orecchio. Il pittore rise.
“Allora dillo in tedesco!” Gli consigliò divertito.
“Qua… quando…” Balbettò invece.
“Ce la fai stasera?” S’informò con delicatezza Michael.
“Tra mezz’ora sono lì.” Dichiarò sicuro Bill, quindi chiuse la chiamata, prese la borsa e si precipitò per le scale. Non c’era certo tempo da perdere!

Quando aprì la porta, Michael si trovò davanti un Bill col fiatone. Spalancò gli occhi sorpreso, ma poi, davanti a quel bel viso struccato, sorrise.
“Sei venuto di corsa?” Gli chiese scherzando.
Il cantante lo fissò contrito, alzando un minaccioso sopracciglio, poi entrò in casa, scansandolo e si diresse all’interno. Michael lo seguì perplesso.
Bill, mentre camminava con la falcata elegante di un modello in passerella, si sfilò la giacca e la buttò, insieme alla borsa, su una delle sedie davanti alla scrivania.
“Bill, cosa…” Provò ad interrogarlo il pittore.
Il ragazzo si girò verso di lui, sospirò e si scostò i capelli dal viso, poi gli sorrise con la sua espressione più provocante. “Mi hai fatto penare, eh?” Sussurrò poi, mani sui fianchi.
Michael sorrise e fece per rispondere, ma non ci riuscì. Bill gli arrivò addosso, buttandogli le braccia al collo e cominciò a baciarlo con passione. Lui reagì assecondandolo.
Finirono contro la parete di cubi di vetro, mentre si assaggiavano selvaggiamente. Quelli erano baci che esigevano qualcosa in più. Michael si scostò, restando con gli occhi fissi in quelli languidi di Bill, quindi si sfilò la maglietta. Il cantante fece un sorrisino storto e furbo. Ripresero a baciarsi.
Lasciarono il muro. Michael spingeva Bill in una direzione specifica, mentre gli slacciava la camicia bianca che portava. E, nel frattempo, si toccavano, si baciavano, si leccavano ovunque fosse possibile stando in piedi e camminando.
Oltrepassarono l’arco che si apriva sulla sinistra della cucina; lì partivano le scale che conducevano al piano superiore. Bill non sapeva cosa aveva alle spalle, ma non ci pensava.
Michael si fermò, prese il viso di Bill tra le mani e lo baciò con grande tenerezza; l’altro si aggrappò alle sue braccia, gemendo piano. Il pittore sentiva il suo piercing contro i denti. Lo voleva così tanto da aver paura di mangiarselo. E Bill sembrava pensarla allo stesso modo.
Salirono qualche gradino, ma Bill era di spalle e inciampò. Michael lo tenne per la vita. Risero, ma poi si guardarono negli occhi. Il desiderio era così bello, nello sguardo di entrambi, che doveva essere assecondato. Subito.
Michael accompagnò Bill a sedersi sui gradini, lui gli sorrise. Il pittore, poi, scese su di lui, baciandogli il collo, le scapole sporgenti e perfette, il petto magro. Le dita del cantante infilate tra i capelli, i suoi sospiri nelle orecchie.
La pelle di Bill era bianca. Oh, così bianca! E tiepida, e morbida. Lui si torceva sotto il suo tocco. E non parlava, ma i suoi gemiti erano più che eloquenti.
E Michael scese ancora. Carezzò, succhiò, i suoi capezzoli piccoli e scuri, scoprendo finalmente un pezzo di quella mappa tanto agognata: il piercing argentato sul capezzolo sinistro. E, quando la sua lingua ne tracciò il contorno con piccoli circoli, Bill si lasciò sfuggire un “Ah!” soddisfatto ma esigente e lo spinse ancora su di se.
La lingua di Michael, allora, percorse la linea dell’addome, fino all’ombelico, mentre il respiro di Bill si faceva più pesante. Anche lì c’era un piercing.
Il pittore, poi, scoprì una nuova traccia sulla pelle del cantante. C’era una stella concentrica tatuata sulla sensuale piega dell’inguine, sulla destra, scoperta dai pantaloni fin troppo bassi. Ma quando Michael la sfiorò con le labbra, Bill, quasi infastidito, grugnì in protesta.
L’artista sorrise. Sapeva perché faceva così. Era fin troppo chiaro, dal punto in cui si trovava. Così, mentre continuava a baciare languidamente la stella, una mano di Michael slacciò i jeans del cantante. E fu proprio lui a muoversi per tirarli più giù insieme ai boxer.
Accontentarlo non fu un grande sacrificio per il pittore. Si avvicinò delicato, con tutto il viso, con piccoli baci, ma Bill esigeva molto di più e glielo fece capire senza difficoltà.
E quando, finalmente, lo prese in bocca, il cantante inarcò la schiena e reclinò il capo con un gemito soffocato, quindi si aggrappò con tutta la forza che aveva alla ringhiera bianca.

Tom rientrò a casa che era il tramonto. Eve, ormai, era diventata come i cani: lo riconosceva già da come infilava la chiave nella serratura. Si pulì le mani e voltò verso l’entrata.
“Ciao.” Lo salutò, appena spuntò in sala da pranzo.
Lui sorrise, abbassò gli occhi, con quella sua dolce timidezza che lo rendeva assolutamente impossibile da non desiderare.
“Ciao.” Le rispose poi, entrando in cucina e appoggiandosi subito al mobile.
“Bill è ancora fuori?” Gli chiese la ragazza, occhieggiando dietro di lui.
“No.” Rispose Tom. “È scappato dallo studio come se fosse inseguito dai demoni, si è anche preso la macchina e io mi sono dovuto far accompagnare.” Aggiunse.
“Come? E non ti ha detto niente?” Fece lei, sorpresa.
“Eh, no… Non risponde nemmeno al telefono, ma non credo dovermi preoccupare più di tanto, perché mentre fuggiva mi ha gridato che andava da Michael…” Spiegò il ragazzo, con una smorfia amara.
“Ah!” Esclamò Eve, poi fece un sorriso furbo. “Allora sarà meglio non disturbarlo…”
“Che palle!” Sbottò Tom. “Non voglio sapere niente di questa storia.” Sentenziò, alzando le mani.
“Tranquillo, è al sicuro.” Gli garantì la ragazza, tornando a girarsi verso i fornelli. “Anche se è un peccato, perché avevo fatto le lasagne al ragù di verdure…”
“Beh…” Fece Tom, affiancandola. “Ce n’è di più per me.” Si guardarono sorridendo. “Sei ancora arrabbiata?” Le domandò poi.
“Ma no…” Rispose lei, scuotendo il capo senza guardarlo. Tom le passò un braccio intorno alla vita, i loro occhi s’incontrarono di nuovo.
“Mi dispiace di non aver parlato di noi con Bill.” Mormorò lui.
“Sapevo che non lo avresti fatto, Tom.” Replicò tranquilla lei. “Ma va bene lo stesso, sai?” Aggiunse, posandogli una mano sul viso.
“Lui lo aveva capito da un pezzo, vero?” Fece il chitarrista, dopo un sospiro.
“Faresti bene a non sottovalutare la sua gemellosità.” Affermò Eve, dandogli un colpetto sul naso.
Tom sbuffò un mezzo sorriso. “È cotto di quello, eh?” Le chiese poi.
“Vedi che quando vuoi sei gemelloso anche tu?” Soggiunse la ragazza, mentre gli prendeva il mento tra le dita e glielo scuoteva a destra e sinistra.
“No, no!” Sbottò lui, sottraendosi alla sua presa. “Ripeto: non voglio saperne niente!”
“Ok, fai il bravo!” Esclamò divertita Eve. “Ti prometto che non ne parlo e ti faccio anche i brownies.” Gli assicurò poi.
“Oh, ecco! Ora si che si ragiona!” Commentò soddisfatto Tom. “E prima di cominciare, dammi anche un bacio.” Aggiunse, prima di prenderla per la vita.  

Dopo quello che era successo per le scale, Bill e Michael erano riusciti ad arrivare in camera da letto. Quello che rimaneva dei vestiti abbandonato per terra, prima di ricominciare il gioco sul basso letto bianco del pittore.
La reciproca – e squisitamente fisica – conoscenza si era conclusa in modo estremamente soddisfacente, in una fusione completa dei loro corpi, agevolata dalla disponibilità di Bill e dall’esperienza di Michael.
Il rapporto si era consumato nella luce tiepida del tramonto e vedersi non aveva creato imbarazzi a nessuno dei due, aveva anzi spronato l’esplorazione reciproca fatta di baci, carezze e assaggi.
Era sera, ormai, e Michael tornò a sedersi sul letto dopo essere stato in bagno. Bill era steso praticamente bocconi, nudo e scoperto; si appoggiava sui gomiti e fumava. Le ginocchia piegate, i piedi che dondolavano in modo quasi infantile. Osservava curioso il murales che ornava la parete sopra il letto.
Il pittore si adagiò su un fianco, accanto a lui. Osservò per un attimo quel suo corpo sottile e bianco, poi sorrise e gli carezzò il fianco. Bill si girò sorridendo soddisfatto, mentre si torceva appena, per il solletico provocato dalle dita dell’altro sulla pelle.
“Cosa rappresenta questo?” Domandò poi il cantante, indicando col mozzicone il murales, prima di spengere la sigaretta nel posacenere sul comodino. Michael osservò la parete.
“La spirale della passione, no?” Rispose quindi, mimando con la mano il cerchio di colori che si avvolgeva su se stesso. “I suoi colori intensi, il suo turbinio, la promiscuità…”
“Davvero?” Fece Bill perplesso, aggrottando la fronte.
“Hm, mi piaceva la forma.” Ammise divertito Michael. “A volte si cercano significati dove non ci sono.” Aggiunse sorridente.
“Già.” Commentò Bill, con gli occhi ancora sulla spirale colorata.
“Ma scommetto che qui…” Riprese Michael, tracciando con un dito l’arzigogolata scritta nera che adornava il fianco sottile di Bill. “…un significato c’è.”
Il cantante seguì i movimenti della sua mano con sguardo pensoso e sorrise appena.
“Vuoi sapere cosa vuol dire, vero?” Chiese quindi a Michael. Lui annuì. “Wir hören nie auf zu schreien… Wir skehren zum Ursprung zurück.” Pronunciò in tedesco.
“Hm, non avrei mai detto che il tedesco fosse una lingua sensuale…” Commentò Michael con un sorriso languido, poi accarezzò il tatuaggio, fino alla natica di Bill. Lui sorrise, nascondendo il viso nel cuscino. “Però devi tradurre.” Gl’intimò l’altro. Il cantante rialzò la testa.
“Non smetteremo mai di gridare, torniamo alle origini.” Mormorò poi. Michael lo fissò pensieroso.
“E perché ti sei fatto incidere sulla pelle una cosa del genere?” L’interrogò poi, con la fronte corrucciata, fissandolo negli occhi. Bill abbassò lo sguardo.
“C’è stato un periodo, durante la lavorazione del nostro ultimo disco, in cui molti mi accusavano di essere cambiato.” Esordì pacato. “Di essere diventato troppo sofisticato, distaccato, freddo, di non ricordarmi più chi ero, da dove venivo.” Michael lo ascoltava attento, anche se lui non lo guardava. “Ma non è così. Io sono sempre me stesso, so chi sono, mi ricordo benissimo da dove vengo.” Alzò gli occhi in quelli blu del pittore ed erano intensi, brillavano di determinazione. “Se non fossi stato povero, se non avessi dovuto lottare ogni giorno per realizzare il mio sogno, non sarei arrivato dove sono. L’unica differenza è che prima compravo i vestiti sulle bancarelle e ora nelle boutique degli stilisti…” Fece un sorriso luminoso. “Ma se avessi potuto, lo avrei fatto anche allora!”
Michael lo guardava sorridendo dolcemente ed era come se l’energia di Bill gli arrivasse addosso, simile ad una vibrazione profonda e bellissima.
“Sai.” Mormorò infine, con una mano che si spostava lenta tra la spalla e la schiena del cantante. “Credo che ti stavo aspettando.”
Bill sorrise radioso, poi si spostò verso di lui. Lo abbracciò e si fece abbracciare, ma continuando a guardare Michael negli occhi.
“Sei fortunato.” Gli disse. “Sono un tipo puntuale.” Scherzò poi, ammiccando con le sopracciglia.
Michael rise, ma Bill, dopo essersi strusciato voluttuosamente contro di lui, cominciò a baciargli il collo, le mani sul suo torace.
“Hey, ma non ti stanchi mai, tu?” Gli chiese sorpreso e divertito il pittore.
“Hm, sono tedesco…” Rispose il cantante, continuando con i suoi piccoli baci impertinenti. “Siamo un popolo molto pignolo… Dobbiamo fare e rifare e rifare una cosa, finché non raggiungiamo la perfezione…”

La mattina era sorta luminosa, trovandoli ancora vicini. Era piacevole, per Michael, quel dormiveglia con Bill tra le braccia. Ascoltava il suo respiro, respirava il suo profumo, accarezzava la sua pelle morbida. Si godeva ogni sensazione.
Sentì Bill emettere un piccolo mugolio dolce e accoccolarsi meglio contro di lui. Sorrise, ad occhi socchiusi, e gli passò una mano lungo la schiena liscia.
Sembrava che niente potesse turbare quel momento magico, sospeso tra il sonno ed il risveglio. Invece…
Avrebbe dovuto sentire qualche rumore, perché la camera da letto era un soppalco che affacciava direttamente sullo studio, quindi qualsiasi cosa fosse successo di sotto… Eppure la prima cosa che sentì furono i passi sulle scale e poi la sua voce.
“Lo sapevo.” Fin troppo alto il tono, seppure privo di sentimento. Li svegliò per bene entrambi.
Michael scattò a sedere, voltandosi verso la porta, il lenzuolo bianco che gli copriva appena il pube. Bill, al suo fianco, si sollevò sulle braccia, era bocconi ma completamente scoperto.
Johnathan era fermo sulla soglia, le braccia incrociate, che li fissava con aria saputa, privo dell’imbarazzo che sarebbe necessario davanti ad una scena del genere. Imbarazzo che, per altro, sentiva tutto Bill, alla ricerca disperata del lenzuolo.
“Johnathan, che diavolo ci fai qui?” L’interrogò rabbioso Michael.
“Niente.” Rispose lui, stringendosi nelle spalle. “Volevo solo provare la mia teoria… E, a quanto pare, ci sono riuscito.” Aggiunse, prima di voltarsi e infilare le scale.
Michael guardò Bill. Il cantante aveva un’espressione smarrita, interrogativa. Lui scosse il capo, rammaricato, poi lasciò di corsa il letto, afferrò un pareo blu abbandonato sulla poltrona vicino alla porta e seguì il ragazzo che se ne era andato.
“Johnathan, fermati!” Gli gridò dietro, raggiungendolo al centro dello studio. Lui si girò con espressione saccente.
“Non sei proprio bravo a mentire, Michael caro.” Gli disse con una smorfia schifata.
“Cosa non ti è risultato chiaro nella frase: esci da questa casa, non ho bisogno di te?” Gli chiese duro il pittore, ignorando la sua affermazione. Si era messo il pareo intorno ai fianchi e gli parlava eretto, le braccia lungo il corpo.
“Volevo solo dimostrarti che avevo ragione.” Replicò piccato Johnathan. “Ti sbatti quel manico di scopa, proprio come avevo detto io! Anche se hai negato!”
“E come lo hai dimostrato? Seguendoci, spiandoci, entrando in casa mia senza permesso?” Ribatté Michael, senza trattenere la rabbia.
“Sei un ipocrita!” Gridò il biondo.
“E tu sei uno spostato, John!” Esclamò l’artista allargando le braccia. “In casa mia faccio quello che voglio, non sono più affari tuoi. Dammi le chiavi.” Aggiunse, porgendogli poi il palmo della mano. Johnathan assunse un’espressione neutra.
“Potrei aver fatto un doppione.” Affermò atono.
“Non m’importa, cambierò le serrature.” Ribatté Michael. “Dammi le chiavi.”
Johnathan gli porse un mazzo di chiavi unite da un semplice cerchietto di metallo, Michael le prese, le strinse nel pugno e riabbassò la mano.
“E adesso vattene.” Gli ordinò, indicando la porta.
Lo sguardo che gli rivolse Johnathan era gelido, non adirato, non deluso o triste, ma freddo. Michael lo fissava senza cedere. Le labbra del biondo, infine, si piegarono in un sorriso inquietante, quindi sbuffò una risatina sprezzante, gli diede le spalle ed uscì. Il pittore si lasciò andare ad un sospiro frustrato.

Michael salì nuovamente di sopra, già intriso di sensi di colpa. Chinò il capo prima di entrare in camera, ma quando lo rialzò si trovò davanti Bill già vestito che si stava allacciando i pantaloni.
“Bill…” Esalò dispiaciuto; lui lo guardò con un mezzo sorrisino mesto.
“Vado a casa.” Affermò pacato.
“Speravo che avremmo fatto colazione insieme.” Replicò contrito Michael, avvicinandosi un po’. Bill sollevò le sopracciglia e sorrise retorico.
“Meglio di no, mi sento un po’ a disagio…” Mormorò. “So che ti sarà difficile crederlo, ma non è mio costume mostrare il mio sedere nudo agli estranei.” Dichiarò poi, ironico. Il pittore sospirò abbattuto.
“Scusa…” Soffiò dispiaciuto.
“Pensavo che avessi chiarito con lui.” Disse Bill, senza accusa.
“Anche io, ti giuro.” Ribatté immediato l’altro ed era chiaro che fosse sincero. “Mi dispiace tanto, Bill…” Aggiunse con tono triste. Bill gli si avvicinò con un piccolo sorriso.
“Non ti preoccupare.” Lo rassicurò, gli occhi dolci. “Anche se il risveglio è stato brusco, la notte è valsa la pena.” Specificò poi, prima di dargli un bacio a fior di labbra. “A presto.”
Bill scese le scale, recuperò borsa e giacca, poi s’incamminò verso l’uscita. Michael si affacciò al balcone della camera da letto e lo guardò.
“Bill.” Lo chiamò dall’alto. Lui, già arrivato a metà percorso, si girò e alzò gli occhi, poi sorrise.
“Dimmi.” Lo incitò.
“Per la cronaca: hai un bellissimo sedere.” Gli disse Michael, sincero e sorridente.
Bill sorrise radioso, si sistemò la borsa in spalla, poi girò i tacchi e se ne andò sculettando.

CONTINUA

Note
La traduzione dei versi in intro:
“L’amore è un angelo travestito da lussuria
Qui nel nostro letto finché arriva il mattino”

E grazie a zio Bruce di esistere e continuare a scrivere versi stupendi ^_-

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Capitolo 5
*** 5 - Pieces of heart ***


5 - Pieces of heart Prima di tutto, scusatemi per il ritardo, sono molto impegnata con il lavoro, gli orari proibitivi e la fatica che faccio, quindi a malincuore mi resta poco da dedicare alla scrittura… -_-
Con i ritagli, però, sono riuscita a finire questo capitolo; speriamo ne sia uscito qualcosa di buono!
A voi il giudizio!

Le canzoni che ho usato in questo e negli altri capitoli appartengono ai loro legittimi autori che ne detengono ogni diritto. Io le uso solo per amore e non ne traggo alcun lucro.

Buona lettura ^_^
Sara

5. Pieces of heart

Have I said too much
Maybe I haven't said enough
But know that every word was a piece of my heart
(Every Word Was A Piece Of My Heart – Bon Jovi)

Tom era uscito dall’acqua ed aveva portato il suo scultoreo corpo bagnato su uno dei lettini intorno alla piscina; dopo essersi infilato gli occhiali da sole, si era spaparanzato per bene, a gambe larghe e con la faccia soddisfatta.
Eve uscì in giardino con una strana smorfia sul viso, si avvicinò al bordo della vasca, mise le mani sui fianchi e fissò il ragazzo. Lui, apparentemente, la ignorava.
“Non hai visto che c’erano foglie, nell’acqua?” Gli domandò allora lei.
“Hm.” Fu l’unico commento di Tom, insieme ad una lievissima alzata di sopracciglia.
La ragazza sbuffò, alzando gli occhi al cielo, poi superò i lettini e recuperò un retino dal manico lungo vicino allo sgabuzzino degli attrezzi, rassegnata ad un altro compito fuori contratto. Insieme a placare le isterie di Bill, curare lo scazzo di Tom, pulire il culo ai cani e tutta un’altra serie di compiti bizzarri che esulava l’ordinario lavoro di una governante.
Tom, nel frattempo, osservava distrattamente la scena. Eve indossava un paio di shorts di jeans sfilacciati e una maglietta blu di Che Guevara che gli ricordava quella che lui stesso aveva posseduto da ragazzino.
Ripensandoci… Ora che Eve si era spostata dalla sua parte, la scena si stava facendo interessante. Lei si era piegata in avanti per fare meglio il lavoro ed il panorama che offriva gli stava facendo rivalutare la pulizia della piscina… Però! Eve aveva proprio un gran bel culo!
“Smettila di guardarmi il sedere!” Gli ordinò lei, senza voltarsi.
“Che ne sai che lo sto facendo?” Replicò lui piccato.
“Sento il rumore della tua cupidigia!” Rispose Eve, prima di rialzarsi, girarsi e fissarlo con un sopracciglio alzato ed espressione retorica.
“Senti…” Riprese Tom, impedendole di voltarsi di nuovo. “Perché questo lavoro non lo fa un professionista?” Le chiese.
“Perché l’ultimo professionista che è venuto qui a pulire la piscina, ci ha provato con tuo fratello… e anche con me.” Gli ricordò Eve.
Lui, purtroppo, se lo ricordava benissimo, quella specie di surfista palestrato e abbronzato, con sull’addome una tartaruga delle Seychelles – viva – e l’occhio ceruleo. Era stata una bruttissima esperienza vederlo flirtare prima con Eve e poi con Bill, senza vergogna. Tom aveva ardentemente desiderato affogarlo nella piscina durante il trattamento al cloro. Così, magari, gli si disinfettava il cervello.
“Ti sei messo la crema?” Gli domandò Eve, riportandolo al presente.
“Hm, no.” Le rispose distrattamente.
“Tom, sei sotto il sole della California e con tutti i nei che hai e le sigarette che fumi, credo sia fondamentale per la tua salute metterla subito.” Pontificò la ragazza.
Tom non reagì fregandosene, come aveva pensato lei. Le sue labbra si stesero in un sorriso storto e furbo; abbassò appena gli occhiali e la fissò seducente.
“Me la spalmi tu?” Le chiese invitante.
Eve sorrise accondiscendente, poi si spostò vicino a lui, ancheggiando. Tom la seguiva con gli occhi, soddisfatto. La ragazza prese il flacone dell’abbronzante dal tavolino di bambù accanto al lettino dove era sdraiato lui e ne svitò il tappo con sguardo languido, poi girò la bottiglietta e… schizzò l’addome del chitarrista con una lunga striscia di crema!
Tom sobbalzò violentemente, rischiando di cadere dalla sdraio, mentre Eve ridacchiava contenta.
“Ma che cazzo!” Sbottò il ragazzo, pulendosi con un asciugamano. “È fredda!”
“Così impari a fare il seduttore!” Esclamò trionfante la ragazza, che lo sovrastava con le mani sui fianchi.  
“Stronza! Vieni qui…” Replicò lui, prima di prenderla per i fianchi, tirarsela addosso e cominciare a farle il solletico.
Bill li trovò così: avvinghiati sul lettino a farsi i dispetti ridendo. Si avvicinò sorridendo.
“Scusate se vi disturbo…” Fece, mentre si fermava vicino all’altro lettino.
Tom trasalì e si scostò di dosso Eve con uno spintone; lei per un pelo non cadde di sotto.
“Hey!” Protestò la ragazza, raddrizzandosi. Bill ridacchiava. Tom, invece, fece il vago, guardando altrove.
Il cantante, nel frattempo, si era seduto sull’altro lettino e sorrideva vispo guardando alternativamente il fratello e la governante.
“Volevo solo dirvi di non preoccuparvi, perché stasera avrete la casa solo per voi.” Affermò poi.
Tom contrasse la mascella e abbassò gli occhi. Eve lo guardò di sottecchi. Sapeva che reagiva così perché faticava ad accettare la relazione del fratello con Michael. La ragazza si stupiva di come riuscisse a capirlo bene e questa cosa la allarmava, perché non le era mai successo con un uomo. E poi c’era tutta questa tenerezza che… le faceva un po’ paura.
Eve allungò una mano e gli carezzò con leggerezza l’orecchio e la nuca, lui si sottrasse senza guardarla e, allora, lei ritirò il braccio.
“Vado da Michael.” Riprese Bill, chiaramente facendo finta di non essersi accorto della scena.
“Bene.” Annuì Eve, prima di tornare a guardarlo sorridendo. “Cenate fuori?” Gli chiese quindi.
“Ehm, no…” Rispose lui, con un’allusiva alzata di sopracciglia.
“Ah, ok.” Ribatté la ragazza con espressione complice. “Allora ti preparo qualcosa io.” Aggiunse, mentre si alzava dal lettino.
“Oh, grazie!” Esclamò contento Bill.
“Ma come?” Intervenne torvo Tom. “Lo mandi ad un appuntamento con il cestino del pic nic?!”
Eve si fermò accanto a Bill e gli passò un braccio intorno alle spalle, poi fissò decisa il chitarrista.
“Certo.” Dichiarò seria. “Non lascio il mio piccolino senza cena, in una casa dove si nutrono solo d’arte!” Aggiunse, quindi si piegò su Bill e gli diede un bacio a stampo sulle labbra.
Entrambi i gemelli la seguirono con lo sguardo mentre rientrava in casa, poi tornarono a guardarsi. Bill sorrideva radioso.
“Mi ama.” Gongolò, sfarfallando le ciglia. Il fratello sbuffò, prima di rimettersi sdraiato.

Il piccolo salotto era inondato dalla luce aranciata del tramonto. Bill e Michael erano sul tappeto, le schiene contro il divano, coperti soltanto da una morbida e colorata coperta stile indiano. Stavano consumando la cena che aveva preparato per loro Eve. Mangiavano con le mani, senza preoccuparsi troppo.
“Eve è veramente un’ottima cuoca.” Commentò Michael, con in mano quel che restava di un delizioso involtino di frittata con formaggio.
“Già.” Annuì Bill, prima di sporgersi su di lui, per prendere un altro pezzo dalla vaschetta a fianco del pittore; così facendo si scoprì, restando nudo sulle ginocchia di Michael. Lui sorrise e gli accarezzò la schiena e le natiche. “È tutto ottimo, ma un pranzo vero è ancora meglio, devi venire a mangiare da noi.” Aggiunse Bill.
“Ne sono sicuro e verrò volentieri, quando m’inviterai.” Rispose Michael.
Bill tornò accanto a lui, adagiandosi contro la sua spalla, mentre si leccava le dita. “Vorrei anche che tu conoscessi meglio Tom, così magari la smette di agitarsi.” Affermò poi.
“E perché si agita?” Domandò perplesso il pittore, aggrottando le sopracciglia.
“Si preoccupa tanto per me, mi vuole bene e… credo non abbia del tutto digerito le mie scelte sessuali.” Spiegò il cantante. “Sai, lui è molto etero…”
“Oh, capisco.” Commentò l’altro. Bill si strinse di più a lui, strusciando la guancia sulla sua spalla.
“Tom ed Eve hanno una storia.” Dichiarò quindi. Michael lo guardò sorpreso.
“Ah, sì?” Fece. Bill annuì. “Ed è un problema?”
“No, per me no.” Rispose il cantante, scotendo il capo. “Anzi, trovo che siano carinissimi insieme, però… C’è qualcosa di strano, secondo me.”
“Cosa può esserci di strano, a parte i normali tentennamenti all’inizio di una relazione…” Intervenne il pittore.
“A volte ho la netta sensazione che la cosa, per lui, sia molto più seria di quello che è disposto ad ammettere.” Affermò Bill. “E che questo faccia terribilmente paura a lei.”
“Quindi pensi che Eve non sia altrettanto coinvolta?” S’informò delicatamente Michael.
“È proprio questo il problema!” Esclamò il cantante, mettendosi seduto e voltandosi verso di lui. “Io penso che lo sia e non capisco cosa la spaventi tanto!”
“L’amore è un sentimento impegnativo che di solito ci coglie impreparati, non credo di dovertelo spiegare io.” Commentò saggiamente l’altro.
“Lo so.” Ammise Bill sospirando. “È che sarei molto felice, se tra loro funzionasse…”
“Vuoi bene ad entrambi, è per questo.” Gli disse dolcemente Michael, mentre lo tirava a se e gli carezzava i capelli. “Sei dolce a preoccuparti per loro.” Aggiunse, dandogli un bacio sulla fronte.
“Hey! Cos’è questo bacio da moribondo?! Impegnati un po’!” Protestò il cantante, facendo ridere il compagno. Michael, allora, gli prese il viso tra le mani e lo baciò profondamente.
 
La cucina era illuminata solo dagli ultimi raggi del sole serale che attraversavano la vetrata della sala da pranzo.
Tom si fermò davanti al muretto che divideva le due stanze ed afferrò i bordi di marmo con forza. Eve era indaffarata come sempre, anche se lui aveva chiesto una cena semplice; gli dava le spalle, mentre affettava verdure vicino al lavello.
“Non è un problema, sai.” Affermò ad un certo punto la ragazza, senza voltarsi. Tom assunse un’espressione confusa e aggrottò la fronte.
“Cosa?” Chiese quindi. Eve sospirò e si voltò verso di lui.
“Se vuoi continuare come prima, intendo, come quando pensavamo che Bill non sapesse…” Spiegò lei. “Se preferisci stare lontani, quando non siamo soli, non scambiare effusioni…” Aggiunse, con un gesto incoraggiante.
Tom continuava a fissarla torvo, l’espressione indecifrabile. Eve abbassò e spostò lo sguardo.
“Lo capisco, perché in fondo, questa tra noi, non è una cosa seria e se non ti va di esporti troppo è normale.” Puntualizzò infine.
Tom strinse involontariamente il piano di marmo. Guardava la figura di Eve, ferma nella penombra. Lei continuava a tenere gli occhi bassi. Anche lui, infine, abbassò lo sguardo.
“Non è una cosa seria, già.” Soffiò quindi, scuotendo appena la testa.
Quando alzò gli occhi si trovò davanti Eve che gli sorrideva un po’ incerta. Lui sospirò raddrizzandosi.
“Ma va bene così.” Gli disse la ragazza, poi gli prese il viso. “Tutto a posto, vero?” Chiese quindi, fissandolo negli occhi.
“Certo, certo.” Annuì Tom, deviando però lo sguardo. “Tutto a posto, sì.”
“No, guardami negli occhi.” Gli ordinò lei, costringendolo con le mani. Lui la fissò nelle sue iridi grigio-verdi. “Siamo a posto, sì?” Tom annuì.
Eve sorrise più sicura, si alzò sulle punte e gli diede un delicato bacio sulle labbra. Tom sembrava sempre serio, però.
“Andiamo! Che cosa c’è?” Gli domandò allora la ragazza, sempre tenendogli il viso.
“Va tutto bene, davvero.” Rispose Tom, facendo un mezzo sorriso.
“Non cambia niente, dai.” Gli garantì Eve. “Non vuoi esporti davanti a Bill, ma quando siamo soli…” Aggiunse, con un’occhiata ammiccante. Tom si concesse un sorrisetto storto.
“Va bene, sì.” Confermò poi, posandole le mani sulla vita.
“Abbracciami.” Gli chiese Eve, mentre gli stringeva le braccia al collo.
Tom l’abbracciò, la strinse forte, ma non chiuse gli occhi. Guardò oltre la spalla su cui poggiava il mento, senza vedere molto, in realtà. Pensava alle parole di Eve. Non era vero che voleva nascondersi da Bill. Aveva reagito d’istinto, in piscina. Lui non voleva nascondersi da nessuno…

Michael baciò la schiena imperlata di sudore di Bill, l’accarezzò piano, esplorò con gli occhi ogni neo, sentì l’alzarsi e abbassarsi della cassa toracica a causa del respiro ancora affannato, poi si spostò. Si mise su un fianco e portò l’altro ragazzo con se, facendogli assumere una posizione più comoda, contro il proprio corpo. Gli accarezzò i capelli e lo baciò sulla spalla. Bill respirò rilassato.
L’amplesso era stato passionale, non privo di un certo ardore violento, ma li aveva lasciati entrambi molto soddisfatti. Ora si riposavano, uno nelle braccia dell’altro.
“Sai, io…” Mormorò Bill, mentre stringeva al petto la mano di Michael. “Io ho sempre paura… Ho sempre avuto paura di questo.” L’altro lo ascoltava serio. “Non sono così portato a concedermi.” Il pittore lo strinse un po’ di più e sospirò sul suo collo. “Ma con te è più facile.”
“Bill…” Sussurrò Michael colpito.
“Te le voglio dire queste cose, perché… Perché voglio che tu sappia che non sono così sfrontato con tutti, che con te… è più bello.” Confessò però Bill, senza farlo continuare.
Quindi si girò tra le braccia di Michael, per poterlo guardare negli occhi. Lo trovò ad osservarlo con un sorriso dolce.
“Avevo bisogno da tanto di qualcosa che somigliasse a te.” Affermò poi, scostandogli i capelli dal viso.
E l’artista sperò che Bill capisse quella frase, perché gli sarebbe stato impossibile spiegare le sensazioni che gli dava stare con lui, dare un senso a quel misto di candore e malizia, intelligenza e ingenuità, provocazione e ritrosia che rendeva così speciale e unico il cantante.
Lo guardò negli occhi, trovandolo che sorrideva consapevole e comprensivo; Michael si sentì rassicurato ed il cuore gli s’invase di luce.
“Sì, lo so, sono adorabile.” Scherzò poi Bill, con un sorriso capace di sciogliere ghiacci eterni.
Il pittore rise e lo abbracciò. Bill si accomodò contro di lui, prima di sbadigliare. Michael non si era mai sentito così pieno e creativo; si addormentò con un milione di nuove idee.

Attraverso le listarelle della veneziana penetrava una pallida luce violacea che annunciava il primo mattino. Già sapevi che ci sarebbe stato il sole. A volte lo annoiava la monotonia del tempo californiano ma, d’altra parte, se non fosse stato in California…
Strinse tra le braccia il corpo soffice di Eve, lei sospirò morbidamente, senza svegliarsi. Tom affondò il viso nei suoi capelli profumati.
Il ragazzo ricordò i tempi in cui si erano conosciuti. Lei era strana, scontrosa, una freak, faceva le pulizie con gli anfibi ai piedi, ascoltava Springsteen a tutto volume. E lui non stentava ad ammettere di aver avuto dei pregiudizi. Ad ogni modo, in quel periodo, lui stava con Tina.
Era stata una storia seria, durata più di due anni, coperta accuratamente dalla loro produzione e dalla sua personale avversione a rendere pubblico ciò che era privato. Aveva amato Tina, il suo rapporto con lei lo aveva reso più uomo, più sicuro di se, ma anche i grandi amori a volte finiscono.
Il breve periodo di convivenza in California li aveva messi alla prova ed erano falliti. I motivi, francamente, non li aveva capiti tutt’ora, sapeva solo che avevano finito per sentirsi e vedersi sempre meno, dopo le feste, finché avevano dovuto ammettere che era finita.
Solo allora aveva iniziato a guardare Eve con occhi diversi.
Eve che faceva sorrisi storti e battute pungenti. Eve che parlava con i suoi cani. Eve che aveva capito, senza che lui glielo dicesse, che preferiva la tazza calda per il caffè. Eve che, quasi all’improvviso, aveva cominciato a smuovergli qualcosa dentro e non solo a livello fisico.
Le accarezzò il fianco, poi la pancia, le baciò la spalla. Lei si contorse tra le sue braccia, sospirando. Tom sapeva che le piaceva svegliarsi così. Eve si girò tra le sue braccia e rispose al bacio che lui le diede subito, restando però ad occhi chiusi.
Cominciarono a baciarsi e toccarsi, ma quando Tom la spinse sul materasso per andarle sopra, lei lo bloccò con una mano. Il ragazzo la guardò, aggrottando la fronte.
“Che fai, dai…” Mormorò Eve, mentre gli accarezzava il viso.
“Lo sai cosa faccio.” Rispose lui, prima di tornare a baciarle il collo.
“Senza protezione no, andiamo!” Protestò la ragazza allegra.
“Oh, già!” Esclamò Tom, scostandosi. “Scusa… io…”
“Tranquillo, eri sovrappensiero.” Scherzò Eve, mentre gli aggiustava una treccina dietro l’orecchio. Lui storse la bocca, mettendosi su un fianco accanto a lei. “Non credo che tu voglia avere un figlio alla tua età e soprattutto da una come me!” Aggiunse Eve, con una risatina consapevole.
Quelle parole, però, dette con leggerezza, fecero inspiegabilmente male a Tom. Si allontanò ancora un poco da lei e la fissò serio. Eve, perplessa, lo osservava con espressione interrogativa.
“Perché non dovrei volere un figlio da te?” Le chiese quindi, quasi indignato.
“Come: perché?” Replicò incredula la ragazza. “Beh, prima di tutto perché la nostra non può definirsi una storia importante e poi… perché io sono una qualunque, tu vivi in un altro mondo…”
Non poteva accettarlo. La loro era una storia importante! Per lui lo era! E poi che cazzate erano queste del vivere in mondi diversi?! Ma se lui si sentiva una persona banale per la maggior parte del tempo! Lui era banale, noioso, normale, un borghese cagasotto!
Tom, a quel punto, si sentì obbligato a dirlo. Prese Eve per le spalle e la fissò negli occhi.
“Ma io… Sono innamorato di te, Eve.” Proclamò tremante ma sicuro.
Vide chiaramente il panico impossessarsi dello sguardo di lei, sgranarle gli occhi e impallidirle il viso, poi la ragazza diventò rigida tra le sue braccia e la paura divenne rabbia. Eve si divincolò dalla sua stretta e uscì dal letto, s’infilò la maglietta abbandonata a terra e si girò verso il letto.
“No.” Affermò secca. “No, tu non puoi essere innamorato di me, non va bene, non è giusto e non è così che doveva andare.” Aggiunse quasi feroce.
Tom era sconvolto, letteralmente. Tutto si era aspettato tranne una reazione simile. Credeva che anche lei… La vide girare i tacchi e dirigersi alla porta.
“Eve!” La chiamò, sporgendosi sul letto, ma lei se ne era già andata.

Bill si svegliò e fece un lungo sbadigliò, poi allungò un braccio ma non trovò Michael accanto a se, tra le lenzuola turchesi spiegazzate. Si tirò a sedere guardandosi intorno un po’ spaesato.
“Michael?” Chiamò a voce alta.
“Sono di sotto.” Gli rispose una voce un po’ lontana, proveniente da oltre il balcone.
“Dimmi che hai fatto il caffè.” Lo supplicò allora il cantante, mentre si alzava piano. Sentì il pittore ridere.
“Metti il mio accappatoio e scendi, il caffè è caldo!” Gli disse poi, con voce allegra.
Bill si diresse in bagno, fece pipì, si lavò il viso, poi prese il leggero e morbido accappatoio bianco di Michael e se l’infilò. Se lo strinse addosso, annusandone profondamente il profumo, quindi sorrise e si diresse, scalzo, al piano di sotto.
Dopo essersi versato un’abbondate tazza di caffè caldo ed aver cercato la borsa per la prima, imprescindibile, sigaretta della giornata, cercò Michael tra le tele dello studio.
Lo trovò poco più in là, concentrato davanti ad una grande tela. Era seduto che mescolava colori su un tavolino che usava come tavolozza. Indossava solo il suo pareo azzurro.
“Ti sei alzato per dipingere?” Domandò il cantante incuriosito, fermandosi a qualche passo da lui.
Michael alzò gli occhi e gli sorrise. “A volte mi alzo anche nel mezzo della notte per dipingere, è come… un richiamo irresistibile.” Poi aggrottò la fronte, accorgendosi della sigaretta accesa. “Tu stai già fumando?”
Bill si strinse nelle spalle. “È una specie di richiamo irresistibile.” Lo imitò poi.
Michael gli dedicò uno sguardo malevolo, ma decise di non insistere. Quando, però, vide Bill tornare verso la cucina, gli venne un’idea che proprio non poteva ignorare.
“Bill, fermati.” Gl’intimò gentilmente. Lui si girò con espressione interrogativa. “Siediti lì.” Lo invitò il pittore, indicandogli una grossa cassa di legno alla sua destra.
“Qui?” Domandò perplesso Bill, Michael annuì. “Che devo fare?” Chiese ancora, dopo essersi seduto.
“Niente.” Rispose l’artista tornando a concentrarsi sulla tela. “Continua a fumare e bere il caffè.”
Passarono alcuni lunghi minuti in cui Michael spostava continuamente l’attenzione da Bill al quadro e usava velocemente un carboncino. Bill, gambe accavallate e sigaretta tra le dita, lo osservava sospettoso e un po’ a disagio.
“Non mi stai facendo il ritratto, vero?” Si decise a chiedergli poco dopo, sentendo crescere l’ansia.
“Se fosse?” Ribatté l’altro con un sorrisino storto.
“Dai!” Esclamò il cantante, alzandosi e raggiungendo il pittore.
La sua espressione, quando arrivò a portata di vista della tela, era scettica e quasi canzonatoria, ma davanti a quei primi tratti di matita, che delineavano chiaramente la sua figura seduta ed i tratti del suo viso, si bloccò, facendosi serio. Il cuore gli accelerò i battiti, improvviso.
Aveva visto migliaia di proprie foto, durante la sua carriera, a colori e in bianco e nero, posate o prese di sorpresa, ma nessuna di quelle lo aveva mai colpito come questo ritratto schizzato dalla mano di Michael in pochi minuti. E questo perché nessuna foto avrebbe potuto cogliere di lui ciò che c’era nell’imperfezione di quel disegno fatto da qualcuno che gli voleva bene.
“Io… sono così?” Mormorò emozionato.
“Tu sei molto più bello di così.” Gli rispose Michael dolcemente.
Bill lo guardò e gli sorrise, poi tornò ad osservare la tela, mentre con la mano sinistra carezzava teneramente la nuca del pittore. Il pittore gli posò una mano sulla vita, in una presa intima.
Il cantante rimase ad osservare ancora per qualche secondo il quadro abbozzato: una specie di paesaggio marino e la sua figura seduta, assorta.
“Puoi continuare.” Sentenziò infine Bill, abbassando lo sguardo su Michael.
“Oh, grazie!” Esclamò lui, sorridendo scherzoso, mentre faceva una specie d’inchino.
“Però dopo facciamo la doccia, insieme.” Aggiunse allora il cantante, facendosi malizioso, mentre guardava di sbieco l’altro ragazzo.
“Come vuoi, sei tu che dai gli ordini.” Replicò ubbidiente Michael.
“Vedi che ci siamo capiti subito…” Affermò provocante Bill, prima che il pittore iniziasse a ridere e lui si allontanasse soddisfatto.

Ok, è rimasta shockata perché non se lo aspettava…
Questo pensava Tom, rimasto sul letto a fissare il soffitto dopo la brusca reazione di Eve.
Non sapeva quanto tempo fosse passato. Si era, infine, alzato ed era andato in bagno a farsi una doccia. La ragazza, probabilmente, doveva sbollire, le voleva dare tempo.
Finito di lavarsi e asciugarsi, s’infilò una maglietta e un paio di boxer e scese al piano di sotto.
Gli mancavano pochi gradini per mettere piede sul mezzanino, quando Eve uscì dalla propria camera con un borsone in spalla. Tom aggrottò la fronte incredulo.
“Che cazzo stai facendo?!” Esclamò quindi.
Eve sussultò, fermandosi, poi alzò lo sguardo verso di lui, lo fissò solo un attimo e riabbassò gli occhi.
“Vado da Consuelo, per ora.” Affermò infine, sempre a testa bassa. “Il resto della roba verrò a prenderlo…”
“Il resto della roba?!” La interruppe Tom con tono torvo. “Che vuol dire?”
“Me ne vado, Tom.” Rispose semplicemente Eve, continuando a non guardarlo, poi si sistemò il borsone sulla spalla e fece per scendere al piano terra.
Tom si mosse con velocità: saltò gli ultimi scalini che lo separavano da lei e l’afferrò per un braccio, facendola voltare verso di se.
“Sei impazzita?” Gli chiese sibilando, finalmente occhi negli occhi.
“No.” Rispose secca lei. “Tu sei impazzito.”
Rimasero a fissarsi in silenzio per alcuni istanti. Tom aveva il respiro pesante, lo sguardo arrabbiato. Eve era ferma e seria.
“Io sono una tua dipendente, sono la governante, Tom.” Gli disse infine la ragazza. “Tu non puoi essere innamorato di me.”
“E chi lo ha detto? È scritto sul tuo contratto?” Ribatté lui, continuando a stringerla per il braccio.
“Non è giusto, non doveva accadere.” Fece Eve, abbassando di nuovo lo sguardo. “Ho sbagliato io, ad iniziare questa storia, ma ora deve finire, subito e l’unico modo è andarmene.”
“Tu non ragioni, Eve.” Le disse il chitarrista. “Non puoi pensare veramente che sia uno sbaglio…”
“Lasciami Tom.” Gli ordinò lei, gli occhi che guardavano altrove.
“Non puoi andartene… Cosa… Cosa dirò a Bill?” Tentò allora il ragazzo, il cui tono di voce stava diventando disperato.
“Mi spiace, ma non è un mio problema.” Dichiarò fredda Eve, prima di divincolarsi dalla sua presa ormai debole e scendere le scale che portavano di sotto.
Tom rimase immobile sul pianerottolo fissando il vuoto lasciato dalla figura di lei. Ma che cazzo era successo? Non riusciva assolutamente a capire che diavolo fosse successo…
Si guardò intorno smarrito, incredulo e solo allora si accorse che dalla camera di Eve proveniva della musica. Impietoso, il Boss cantava.

Your jacket hung on the chair where you left it last night
Everything was in place, everything was all right
But you were missing
Missing...

Bill entrò in casa sorridente. Non vedeva l’ora di raccontare a Tom ed Eve del ritratto che Michael gli stava facendo. Era eccitato e felice.
Arrivato in sala da pranzo, però, si accorse subito che qualcosa non andava, nonostante i cani gli saltassero ancora intorno festanti per il suo ritorno.
Le luci erano spente, le finestre ancora oscurate dal filtro solare dei vetri e c’era troppo silenzio per essere quasi ora di cena. Il cantante si guardò intorno, ma tutto era apparentemente apposto.
Bill, allora, si diresse in salotto e, appena scesi i due gradoni, scorse Tom seduto sul divano con una bottiglia di birra in mano, a ciondolare tra le sue gambe divaricate. Sorrise e si avvicinò al gemello, ma quando vide la sua faccia, anche lui s’incupì.
“Tomi…” Chiamò tentennante.
“Hn…” Fece il fratello, prima di prendere in sorso di birra.
“Dov’è Eve?” Domandò Bill, guardandosi intorno con aria innocente.
“Se n’è andata.” Rispose Tom, senza alzare la testa. Bill si girò verso di lui con gli occhi spalancati.
“Come: andata? Sarà a fare la spesa…” Replicò candido, poggiando la borsa sulla poltrona più vicina; poi si sedette accanto al gemello.
“No, ho detto che se n’è andata, Bill!” Reagì Tom, voltandosi di scatto verso di lui, che dovette arretrare col busto per evitare un colpo. “Ci ha mollati, si è licenziata, ha lasciato questa casa…” L’espressione di Bill era sempre più incredula e quasi spaventata. “Ha lasciato me…”
Gli occhi di Tom, mentre pronunciava quelle ultime parole, si erano fatti lucidi ed abbassò il capo, tirando su col naso, prima di lasciarsi del tutto andare. Bevve un sorso e sospirò.
Bill, invece, non era più stupito o allarmato, aveva aggrottato la fronte e indurito lo sguardo.
“Che cosa le hai fatto, Tom?” Domandò quindi, convinto che il fratello ne avesse combinata un’altra delle sue e fatto scappare la sua adorata governante.
“Che cosa le ho fatto io?!” Ribatté il chitarrista, alzando sul gemello due occhi sgranati e lucidi. “Cosa mi ha fatto lei! Le ho detto che sono innamorato di lei ed ha reagito come una pazza, ha cominciato a dire che era tutto sbagliato ed è praticamente scappata! Che cazzo ne so di cosa ha in quella testa bacata! Non è così che una donna dovrebbe reagire quando un uomo le dice che la ama, cazzo!” Tom aveva parlato tutto d’un fiato e ora ansimava, con l’aria di chi è sull’orlo del pianto.
Ora il viso di Bill, al quale era impossibile mascherare le proprie emozioni, era contrito e dispiaciuto. Il cantante posò una mano su quella del fratello e la strinse dolcemente.
“Io, ti giuro, non ci ho capito niente…” Mormorò Tom, prima di riabbassare di nuovo la testa.
“Tom, tu lo sai perché Eve viveva in macchina?” Chiese Bill, dopo qualche istante di silenzio. Il fratello lo guardo, apparentemente confuso da quella domanda.
“No… non me ne ha mai parlato…” Rispose poi, facendosi attento.
“Eve lavorava in questo ristorante di lusso, nel centro di Los Angeles.” Esordì Bill, sapendo che almeno di questo Tom era a conoscenza. “Beh, lei aveva una storia col proprietario e lui le aveva dato anche un piccolo appartamento di sua proprietà dove stare e dove s’incontravano. È durata due anni, ma lui era sposato…” Raccontava continuando a stringere la mano di Tom. “La moglie li ha scoperti e lui, da bravo stronzo, non solo l’ha lasciata subito, ma l’ha anche licenziata e cacciata di casa. E così è stata costretta a vivere in macchina.”
Tom lo fissava incredulo, non aveva idea di tutta quella storia: lei, a quanto pareva, non si era mai fidata abbastanza da raccontarglielo. Era arrabbiato e deluso.
“Non può aver pensato che potessi comportarmi come un tale bastardo!” Esclamò rabbioso. “Quasi un anno ha passato in questa casa, mesi nel mio letto e pensa che io sia così stronzo? Allora non mi conosce, cazzo!” Aggiunse stringendo i pugni.
Bill si avvicinò a lui e avvolse la sua spalla col braccio, sperando che il suo tocco caldo lo potesse rilassare solo un poco. Poi parlò.
“O forse… ha solo paura.” Affermò consapevole.
“Paura di cosa? Io non le farei mai del male…” Replicò Tom disperato.
“Lo so, Tomi… lo so…” Sussurrò il fratello, mentre lui lo abbracciava cercando di trattenere i singhiozzi.
“Che è successo, Billi? Che cazzo è successo?” Si domandò ancora una volta Tom, il viso affondato nel petto magro del gemello, che gli abbracciò il capo, carezzandogli piano le trecce.
Bill, stringendo il fratello tra le braccia, guardò la stanza vuota oltre le sue spalle; anche lui avrebbe tanto voluto capire bene come erano arrivati fin lì.

CONTINUA


Note
Traduzione dei versi in introduzione e a fine capitolo:

“Ho detto troppo
Forse non ho detto abbastanza
Ma sappi che ogni parola era un pezzo del mio cuore”
(Every Word Was A Piece Of My Heart)

“La tua giacca sulla sedia dove l’avevi lasciata ieri sera
Tutto era al posto giusto, tutto era a posto
Ma tu mancavi
Mancavi…”
(Missing – Bruce Springsteen)

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Capitolo 6
*** 6 - The brokenhearted ***


6
Non ci posso credere! E nemmeno voi, immagino… Cmq, nonostante le avversità ho finito un altro capitolo. Tante cose da dire non ne ho, a parte un GRAZIE gigante per la pazienza!
Vi lascio alla lettura, fatemi sapere cosa ne pensate!

A presto!
Sara

6. The brokenhearted
 
Now don't let our love slip into this darkness
Don't leave me to the brokenhearted, …
And tell me that you love me
Tell me that you need me
Tell me that you love me
Tell me that you want me…
(The brokenhearted – Bruce Springsteen)

Lo schermo del cellulare s’illuminò, mentre vibrava vicino alla mano di Bill. Lui lo afferrò sospirando e si voltò dall’altra parte per rispondere.
“Pronto.” Fece, a voce bassa.
“Bill, ero preoccupato.” Replicò la voce di Michael. “È tutta la sera che provo a chiamarti.”
“Scusami, è che…” Rispose titubante, prima di abbassare ancora la voce. “Abbiamo avuto un contrattempo, a casa…”
“Spero niente di grave.” Soggiunse il pittore.
Bill diede un veloce sguardo alle proprie spalle, poi si riportò l’apparecchio vicino alle labbra. “No, tranquillo, va tutto bene.” Più o meno… pensò.
“Dovevamo decidere per domani.” Gli ricordò quindi Michael.
“Oddio, mi ero dimenticato!” Esclamò Bill, tappandosi poi la bocca. “Mi spiace, ma domani sarà un casino, dobbiamo andare in studio e poi c’è il pranzo con i nuovi produttori…”
“Non ti preoccupare, tesoro.” Ribatté dolcemente l’altro, sentendolo allarmato. “Possiamo vederci dopodomani tranquillamente.”
“Oh, no! Voglio vederti.” Dichiarò perentorio Bill. “Senti, perché non vieni qui a cena, domani sera?” Propose quindi.
Michael tacque un istante. “Sei sicuro che non è un problema?” Azzardò poi.
“No, davvero… Ho bisogno di te.” Rispose mogio Bill. “Ti devo parlare di una cosa, ma voglio farlo di persona.”
“Vabbene, come vuoi.” Acconsentì il pittore.
“Ci vediamo verso le sette e mezza, ok?” Michael rispose affermativamente, quindi si salutarono.
Bill chiuse la chiamata e tornò a girarsi dalla parte opposta. La schiena di Tom era chiara nella penombra bluastra della camera, anche per la maglietta bianca che indossava. Il cantante posò con leggerezza una mano tra le sue scapole ed ascoltò il suo battito ed il suo respiro: finalmente dormiva.
Tom non si era disperato, non aveva nemmeno pianto, ma il suo dolore e la sua rabbia erano quasi palpabili. Bill stesso era arrabbiato: voleva bene ad Eve e lei non poteva andarsene così, senza una spiegazione. Lui la pretendeva! Si era fidato di lei e ora…
Accarezzò piano la schiena grande del fratello, poi si avvicinò e ci posò contro la fronte. Odiava quando Tom soffriva, perché teneva tutto dentro. Se avesse fatto una scenata, come sarebbe capitato a lui, almeno si sarebbe sfogato… Cazzo, una spiegazione ci doveva essere per forza!
Si avvicinò un po’ di più a Tom, sospirando contro la sua spalla. Ora, l’unica cosa che potesse fare era stargli accanto.

Michael arrivò a casa di Bill quando la sera stava già tingendo d’arancio tutta la valle. Parcheggiò sul lindo vialetto, scese e si avviò verso la costruzione scura e moderna. Il campanello era anonimo, nessun nome o cognome sopra. Appena lo fece suonare, si levò un abbaiare violento dall’interno della casa. Oh, cacchio… pensò il pittore. Si era scordato dei cani.
Bill aprì la porta dopo qualche secondo e subito i cinque quattro zampe lo circondarono impietosamente.
“Ciao… Perché sei così rigido?” Gli chiese il cantante, vedendolo fermo davanti al portone.
“Ehm… Ho… qualche problema con i cani…” Ammise imbarazzato Michael.
“Ohhh!” Fece Bill, stupito, ma poi sorrise. “Tranquillo, non ti fanno niente, rilassati, fatti annusare per bene e non toccarli sulla testa ma porgigli la mano.” Gli consigliò poi.
Michael cercò di fare come gli diceva lui, pur restando un tantino rigido; quando porse la mano, i cani gliela annusarono, quindi uno dei più grossi, un cane snello e maculato, gliela leccò amichevolmente e questo sembrò cambiare l’atteggiamento anche degli altri quattro. Il pittore alzò gli occhi e vide Bill che sorrideva radioso.
“Vedi? Già gli piaci.” Affermò tranquillo il cantante. “E adesso entra, devo baciarti.” Aggiunse, invitandolo a precederlo nell’ingresso. Michael sorrise e ubbidì, seguito dai cani.
Una volta entrati, si sentì una specie di fischio basso, gli animali uggiolarono e poi sparirono velocemente verso la sala da pranzo, causando lo stupore dell’artista.
“Li ha chiamati Tom.” Spiegò Bill, quindi gli prese la mano. “Vieni qui.” Michael sorrise, mentre l’altro gli passava le braccia intorno al collo.
I due si persero in un bacio coinvolgente e appassionato, che tolse a Michael i dubbi che la stringata telefonata della notte prima gli aveva messo.
“Mi mancavi.” Sussurrò Bill al suo orecchio, quando si allontanarono.
“Anche tu.” Rispose Michael contro il suo collo morbido.
“Vieni.” Lo invitò di nuovo il cantante, prendendolo per mano e guidandolo in casa.
Michael ricordava che dall’ingresso si entrava direttamente nella luminosa sala da pranzo che affacciava sulla moderna cucina. Gli piaceva quella casa.
“Scusa il disordine…” Gli diceva Bill nel frattempo.
Michael si guardò intorno. Sul grande tavolo di cristallo c’erano un paio di piatti sporchi, tazze e bicchieri: chiaramente i resti della colazione. In cucina, poi, c’era un notevole casino, compresi piatti che spuntavano dal lavello. Niente a che vedere con la pulizia e lo splendore di quando ci era stato la prima volta.
“Che è successo? Eve si è presa una vacanza?” Domandò scherzoso; certo non si aspettava che l’espressione di Bill si facesse così seria e sfuggente.
“Eve si è licenziata.” Affermò infine il cantante.
La notizia non avrebbe potuto stupirlo di più. Spalancò gli occhi e appena la bocca. Era incredulo, ma la faccia di Bill era così seria che poteva solo essere vero.
“Non riesco a crederci.” Mormorò infine.
“Nemmeno io.” Replico immediato Bill, prima di chinare la testa e proseguire verso il salone.
“Mi sembrava di aver capito che fosse affezionata a voi…” Continuò Michael, seguendolo. Il cantante si strinse nelle spalle.
“Lo credevo anche io, però…”
“Bill.” Lo chiamò il pittore, interrompendo la sua frase, mentre lo prendeva per il braccio facendolo delicatamente voltare verso di se. “Che cosa è successo?”
Lo sguardo di Bill era triste. “Non ho ben capito cosa sia successo tra lei e Tom, il racconto di mio fratello non è stato molto chiaro, ma… Hanno litigato e lei se n’è andata.” Poteva dire solo questo.
“Mi dispiace…” Mormorò Michael rammaricato.
“Anche a me.” Ammise Bill sconsolato. “Ma quello che mi fa stare peggio è che io mi fidavo di lei.” Aggiunse amaramente. “Non sono una persona che concede facilmente la propria fiducia, lo sai… Per la vita che faccio e l’ambiente che frequento, mi è difficile aprirmi alle persone e con lei l’ho fatto… Sono molto deluso.”
“Capisco…” Commentò Michael. “Abbracciami.” Disse poi, aprendo le braccia e accogliendo Bill, per cullarlo contro di se qualche secondo.
“Andiamo, vieni a salutare Tom.” Affermò il cantante, quando si lasciarono, incamminandosi verso la porta finestra aperta.
“Sarà il caso?” Domandò incerto il pittore.
“Preferisco che vi vediate ora, piuttosto che tu affronti il suo buonumore poi a tavola.” Spiegò Bill, prendendolo per mano e costringendolo a seguirlo. “Già normalmente Tom non è troppo affabile con le persone che conosce poco, immaginati in questi giorni…”
“Ok… Ti seguo…” Acconsentì allora Michael, pur restando titubante.

Uscirono in giardino. Si trattava di un ampio rettangolo circondato da alte siepi e abbellito da palme e cactus; gli arredamenti erano di legno chiaro, i cuscini panna. Lettini e sdraio erano disposti di lato, su uno spazio rialzato in legno che terminava con una copertura sotto la quale c’era un ampio divano. Il tutto aveva un’aria elegante ma accogliente.
Tom era in piedi vicino al bordo della piscina, il cane dal pelo brizzolato era seduto quasi contro i suoi piedi. Il ragazzo fumava, apparentemente tranquillo. Loro si avvicinarono.
“Tomi…” Lo chiamò Bill, lui si voltò, scrutò il fratello e poi il suo accompagnatore. “È arrivato Michael.” Annunciò il cantante.
“Ciao.” Salutò il chitarrista, con un cenno del capo, mentre continuava a fumare.
“Ciao…” Rispose titubante Michael. “Come va?” Osò poi.
“Di merda.” Replicò immediato Tom.
Il silenzio glaciale che scese, imbarazzò tutti i presenti, compresi i cani. Ma Bill, se voleva, poteva avere il sangue freddo di un vero leader, quindi intervenne battendo allegramente le mani.
“Ok, ordiniamo la pizza?” Fece infilandosi in mezzo agli altri due. “Tu vuoi il solito Tom? E tu cosa prendi Michael? Io credo che mi farò una doppia mozzarella stasera…” E così blaterando si avviò verso l’interno della casa.
“A me andrebbe una pizza con salame piccante…” Azzardò il pittore, bloccando la frase quando vide Bill voltarsi verso di lui con espressione severa.
“Michael, tu non puoi!” Esclamò il cantante.
“Bill, ti assicuro che non soffro di acidità di stomaco.” Replicò tranquillo l’altro.
“Non è per quello!” Sbottò lui. “Tu sei ebreo, non dovresti mangiare carne di maiale! Te ne prendo una come la mia, ti piacerà!” Aggiunse, prima di trotterellare dentro.
“Ma, Bill, io non sono… praticante…” Tentò di replicare Michael, inascoltato.
Scoraggiato, il giovane pittore si voltò verso Tom e lo trovò a fissarlo con un sorriso sornione, pur avendo comunque gli occhi tristi.
“Rassegnati.” Fece il chitarrista ciccando a terra. “Non ti darà pace, ieri l’ho beccato su un sito di tradizioni ebraiche.”
“Beh, da una parte mi fa piacere, è una cosa tenera che s’interessi alla mia cultura, ma…” Replicò l’artista sorridendo. “Pensi che non serva se gli dico che la dieta kosher non mi manca per niente?”
“Non servirà.” Sentenziò Tom, mentre gli passava accanto e scuoteva il capo.
“Tom.” Lo chiamò Michael, appena lui lo ebbe sorpassato.
“Dimmi.” Lo incitò il chitarrista, tornando a guardarlo.
“Davvero per te non è un problema se ceno qui e resto a dormire?” Gli chiese il pittore con tono conciliante.
“Nessun problema.” Rispose Tom. “Io… Voglio solo che mio fratello stia bene, quindi, se con te è felice, per me è ok. Stai tranquillo.” Aggiunse, prima di spegnere la sigaretta ed entrare in casa.

Cenarono seduti al tavolo di cristallo, che Tom aveva sommariamente pulito con una spugna. La pizza era ottima, ma la conversazione languiva un po’.
Michael stava osservando Bill, quando questo si girò sorridendo. Lui non poté fare altro che rispondere allo stesso modo.
“Cosa hai da guardarmi?” Gli chiese allegro il cantante.
“È strano vederti con la barba.” Rispose sincero il pittore.
Bill alzò una mano e si carezzò le guance dove compariva la lieve ombreggiatura di una barba non fatta da un paio di giorni.
“Non ho avuto voglia di farmela.” Spiegò Bill. “L’anno scorso ho avuto un periodo «barboso»…” Raccontò, mimando le virgolette con le dita. “Mi sembrava una cosa figa, mi sentivo molto rock, ma poi ho cambiato idea…”
“E cosa ti ha convinto?” Domandò innocentemente Michael.
“Beh…” Esitò il cantante, abbassando la testa.
“È stata Eve.” Intervenne Tom arido. “Gli ha fatto una testa così sul fatto che la barba non gli dona.” Aggiunse atono, prima di riabbassare gli occhi sul proprio piatto.
Bill fece una risatina nervosa. “Alla fine ho dovuto riprendere a radermi regolarmente o non mi avrebbe lasciato in pace!” Scherzò, con un certo sforzo.
Michael gli sorrise, ma solo con le labbra, poi lanciò un’occhiata in tralice a Tom. L’espressione del chitarrista era distratta e nervosa. Il pittore era dispiaciuto che la conversazione fosse scivolata involontariamente su un argomento spinoso.
Tom, ad un certo punto, lasciò le posate, si pulì la bocca dopo aver bevuto e quindi si alzò. Bill seguì le sue mosse con sguardo interrogativo.
“Io vado a farmi la doccia e dopo esco.” Annunciò il chitarrista.
“Esci?” Intervenne Bill. “E dove vai?”
“Ancora non lo so.” Rispose il fratello, stringendosi nelle spalle, poi s’incamminò verso le scale.
“Con chi esci?!” Gli gridò dietro il cantante, sporgendosi sulla spalliera della sedia.
“Amici.” Rispose vago Tom, mentre saliva le scale.
Bill tornò a girarsi verso il tavolo con espressione cupa. Michael lo osservava un po’ preoccupato.
“Che succede?” Gli chiese cauto.
“Non abbiamo amici a Los Angeles.” Rispose Bill, prima di alzarsi da tavola e uscire in giardino.

Michael lo raggiunse pochi minuti dopo, trovandolo che fumava assorto in un angolo semibuio.
“Se mi avessi detto che uscivi a fumare, ti avrei accompagnato volentieri.” Gli disse dolcemente, mentre camminava verso di lui.
“Eve non vuole che fumi in casa…” Rendendosi conto di quello che stava dicendo, Bill troncò la frase con una smorfia amara. “Immagino che, a questo punto, le stupide regole di Eve non valgano più un cazzo.” Commentò poi acido, prima di ciccare a terra.
“Va tutto bene, Bill?” Domandò allora il pittore.
“Non va bene niente.” Esalò esasperato il cantante, dopo un lungo sospiro. “Essere gemelli è una cosa bellissima e terribile allo stesso tempo.”
“Immagino che un legame del genere sia piuttosto impegnativo.” Commentò comprensivo l’altro.
“Oh, Michael, lo amo così tanto!” Sbottò Bill crucciato. “Odio vederlo arrabbiato e triste, odio sentirlo così, perché divento triste anche io e allora lui lo sarà ancora di più e sarà tutto un crescendo di depressione e incazzatura, finché non litigheremo tra di noi e tutto finirà uno schifo!” Aggiunse gesticolando con espressione abbattuta.
“Correggimi se sbaglio, ma penso che questo meccanismo funzioni allo stesso modo con la gioia.” Affermò conciliante Michael, mentre si fermava accanto a lui.
“Sì… Ma adesso non è un periodo gioioso!” Sbottò il cantante, spegnendo la sigaretta nel posacenere posato su un tavolino lì accanto. “Dio, vorrei aiutarlo, ma non so che cosa fare!”
“Hai parlato con Eve?” Gli chiese tranquillo l’altro.
Bill si girò verso di lui con espressione sorpresa, gli occhi spalancati, poi sbuffò e abbassò lo sguardo.
“E quando? Non è più tornata qui e quando ho provato a chiamarla non mi ha risposto.” Dichiarò infine, stringendosi nelle spalle.
“Beh, però ti deve una spiegazione.” Soggiunse pratico Michael. “Se non per l’amicizia che vi legava, almeno perché anche tu eri il suo datore di lavoro.”
Bill lo fissò ancora una volta stupito. “Hai ragione…” Mormorò poi. “Se n’è andata senza motivo, io ho diritto di sapere!” Aggiunse, già più deciso, raddrizzandosi.
“Sai dov’è ora?” Domandò il pittore. Bill si fece perplesso.
“Penso che sia andata dalla sua amica Consuelo…” Tentennò senza guardare un punto preciso. “Una volta Eve mi ha detto che abita a South Los Angeles.”
“Ah, è un quartiere pericoloso.“ Si lasciò sfuggire Michael. Bill lo guardò aggrottando la fronte.
“Davvero?” Fece preoccupato.
“Non ti allarmare, ti posso accompagnare io, conosco la zona e possiamo usare la mia macchina, darà certamente meno nell’occhio della tua.” Propose allora il pittore. L’altro sorrise radioso.
“Oh, ti adoro!” Esclamò contento, prima di abbracciarlo. “Come posso ringraziarti?” Aggiunse languido, facendosi più morbido tra le sue braccia.
“Avrei un paio d’idee…” Replicò il pittore, altrettanto sensuale, stringendolo a se.
“Vuoi vedere camera mia?”
“Magari.”
“Ti avverto che è un po’ in disordine, non sono molto bravo a tenere a posto.” Gli confessò Bill, mentre lo prendeva per mano e lo guidava dentro.
“Anche io sono disordinato, Bill.” Affermò tranquillo Michael.
“Sì, ma il tuo è un disordine carino, colorato, creativo, il mio è solo squallido, sporco, orrendo disordine…” Commentò accigliato il cantante.
“Andrà bene, Bill.” Lo rassicurò lui, prima di lasciargli un bacio leggero sulle labbra.

“Bill, questo non è disordine! Questo è… il Big One!” Fu l’esclamazione divertita di Michael una volta varca la soglia della camera del cantante.
“Ma Eve manca quasi da tre giorni!” Ribatté lui con un broncetto infantile.
“Non farmi tornare qui quando mancherà da una settimana!” Scherzò ancora il pittore.
“Uffa!” Protestò l’altro. “Dovevo portarti in camera di Tom e dirti che era la mia…”
“Vieni qui.” Gli ordinò dolcemente Michael. “Ho dormito in posti ben peggiori, non ti preoccupare… Non sono per niente schizzinoso, quando si tratta di te…” Gli sussurrò poi, quando lo ebbe contro di se.
“Sei sicuro?” L’interrogò preoccupato Bill.
“Sì.” Annuì l’altro. “Basta che fai andare via il cane, perché mi crea qualche problema lasciarmi andare mentre sono osservato…”
Bill si scostò di scatto da lui, con uno sguardo brillante e divertito che aveva acceso i suoi occhi, quindi si voltò verso il letto dove, in mezzo ad un groviglio inaccettabile di lenzuola, svettava il musetto marroncino ed espressivo di un bassotto. Bill si girò completamente verso il cane.
“Kikki, raus!” Ordinò autoritario, ma col sorriso sulle labbra. Il cagnolino alzò le orecchie, poi si rizzò e balzò giù dal letto, si scosse e lasciò la stanza. Bill guardò Michael con soddisfazione.
“Oh, mi piace quando dai ordini in tedesco.” Mormorò languido il pittore.
“Se vuoi posso dartene un sacco…” Replicò lui con espressione furba, mentre gli cingeva il collo con le braccia.
Iniziarono a baciarsi con passione, avvicinandosi sempre più al letto. Ci caddero sopra e Bill si mise a cavalcioni sul bacino di Michael, il quale, però, fece un’espressione strana. Bloccò il compagno con una mano alzata, mentre con l’altra frugava sotto la propria schiena. Tirò fuori qualcosa di scuro dalla forma approssimativamente quadrata e lo guardò aggrottando la fronte.
“Dimmi che questo non è un vecchio toast mangiucchiato.” Implorò con una smorfia.
Bill glielo strappò di mano e lo gettò lontano. “Non lo è.” Dichiarò assoluto, quindi tornò a baciarlo e Michael non pensò più a niente.

Bill aveva pensato che posti del genere esistessero sono nei telefilm, o al cinema. Invece quei sobborghi squallidi, con gli edifici bassi e chiari, le case fatiscenti, i negozi abbandonati, i vicoli stretti chiusi da reti di metallo rotte, i campetti da basket arsi dal sole, esistevano davvero e lui li stava attraversando seduto sulla jeep rossa di Michael.
Il ragazzo non poteva pensare che Eve si fosse rifugiata in un posto del genere. La persona più rassicurante che aveva visto era una vecchietta di colore dall’aria battagliera. Il resto della popolazione sembrava per lo più fatta da giovani afroamericani o latini vestiti come rapper molto cattivi, sopra a macchine troppo pompate.
“Non riesco a credere che Eve sia venuta a vivere qui.” Mormorò cupo Bill, continuando ad osservare fuori dal finestrino.
“Non è poi così tremendo, credimi.” Lo rassicurò Michael che guidava disinvolto. “Io ho vissuto in un’area di parcheggio per roulotte non molto lontano da qui…” Intercettò uno sguardo inorridito e sorpreso del cantante. “Era prima di sfondare! Non si può spiccare subito il volo!”
Bill ridacchiò. “Lo dici a me? Sono cresciuto nella patria delle carote, casa nostra era un colabrodo, non sono certo cresciuto nella bambagia.” Replicò poi.
“Come era l’indirizzo?” Gli chiese quindi Michael con un sorriso.
“Crab Street 1022.” Rispose Bill studiando un foglietto spiegazzato che aveva in mano.
“Dovremmo quasi esserci…”
Quella dove avevano svoltato era una strada dall’aspetto leggermente migliore del resto del quartiere. Le case erano basse, di colori chiari, precedute da piccoli giardini spogli e troppo brulli, però nel complesso si aveva meno la sensazione di essere a Beirut invece che a Los Angeles.
“È questa.” Annunciò Michael, arrestando la macchina davanti ad una casetta linda con un giardino più curato rispetto alla media della via.
Bill scrutò la piccola veranda adornata di piante grasse, il vialetto ordinato, il pick up blu parcheggiato davanti alla casa. Era tutto ben tenuto e non aveva motivo di pensare male della migliore amica di Eve. Prese la propria borsa e se la mise in spalla, pronto a scendere.
“Bill…” Lo chiamò però Michael, facendolo voltare. “Aspetta me.” Lo pregò quindi, scendendo velocemente e andando ad aprire la portiera a Bill, senza mai smettere di guardarsi intorno.
“Dio, Michael, se fai così mi sembra di avere il body guard!” Si lamentò il cantante.
“Non voglio che ti succeda niente…” Provò a replicare lui.
“Oh, andiamo!” Sbottò scocciato Bill, prima di aggiustarsi gli occhiali e procedere determinato verso la porta, portando il piccolo carico che depositò sulle scale.
Bill aveva un aspetto dimesso quel giorno. Indossava un paio di jeans grigi slavati e una maglietta blu scuro; cuffia grigia e scarpe da ginnastica completavano il look, insieme ad una grossa borsa grigia. Precedette Michael all’entrata della casa, camminando col suo passo deciso ed elegante.
Il pittore esitò un attimo, quindi lo seguì, leggermente preoccupato. Ma non conosceva Bill abbastanza da sapere che sotto quell’apparenza remissiva si nascondeva un guerriero pronto ad affrontare il nemico. Bill bussò alla porta.
Qualche attimo e venne ad aprire una ragazza piccolina, pelle olivastra e capelli scuri, chiaramente latina, che lo fissò perplessa, aggrottando le sopracciglia. Michael era dietro al cantante.
“Non compro niente.” Dichiarò quindi.
“E io non vendo niente.” Le rispose immediato il ragazzo. “Sono Bill Kaulitz, cerco Eve, è qui, vero?” Continuò, spiando dietro alla ragazza, forte della propria altezza.
“Ah…” Fece lei, prima di scrutarlo per bene. “Ti facevo più basso.”
“Posso entrare, sì?” Soggiunse lui, ignorando la sua frase, poi la scansò con poca grazia, infilandosi in casa. La ragazza lo seguì con uno sguardo severo.
“Non ti ho dato il permesso!” Sbraitò con le mani sui fianchi; lui continuò ad ignorarla, mentre gettava con un elegante gesto distratto la borsa sul divano colorato. Michael, nel frattempo, li aveva seguiti dentro.
La casa era composta da un grande soggiorno coloratissimo e accogliente, su cui affacciava una cucina non elegante e moderna come quella dei Kaulitz ma ordinata e pulitissima; sulla destra si apriva un arco che dava su un corridoio, probabilmente l’accesso alla zona notte.
Proprio da lì, sicuramente attirata dalla confusione causata dall’entrata di Bill, Eve fece il suo ingresso in soggiorno.
“Che succede?” Domandò tranquilla, ma quando alzò gli occhi incrociò quelli infuocati del cantante e quindi aggrottò la fronte.
“Non gli ho dato il permesso di entrare.” Affermò Consuelo.
“Immagino.” Commentò arida Eve, superando Bill, cosa che le scoprì la vista di Michael, fermo ancora vicino alla porta. “Ciao, Michael.” Salutò la ragazza.
“Ciao, Eve.” Rispose tranquillo lui.
“Per un attimo ho temuto che fosse venuto da solo.” Disse allora Eve, mentre andava in cucina a versarsi un bicchiere d’acqua.
“No, tranquilla…” Fece il pittore per rassicurarla, ma Bill fece un lungo passo e fu vicino al bancone che divideva la cucina dal salotto.
“Perché? Pensi che non sarei riuscito a venire qui da solo?!” Sbottò quindi. “E poi, non hai nessun diritto di preoccuparti per me, dopo quello che hai fatto!” Aggiunse con veemenza.
“Si può sapere che diavolo vuoi, Bill?!” Replicò Eve, sbattendo il bicchiere sul piano di legno.
“Voglio delle spiegazioni!” Rispose lui. “Decidi tu che argomento affrontare per primo: il tuo licenziamento senza motivo, l’aver tradito la mia fiducia o l’aver spezzato il cuore a mio fratello, ma sappi che alcuni di questi argomenti potrebbero farmi diventare molto cattivo!” La minacciò poi, alzando la mano in avvertimento.
“Io non ti devo nessuna spiegazione!” Ribatté Eve. “Siamo in America, bello, mi licenzio quando mi pare e piace e non devo spiegarti proprio un cazzo!”
“Ohhh!” Esclamò Bill scandalizzato. “Ti è andata bene, bella, perché se eravamo in Europa ti facevo un culo così!” Aggiunse poi, mimando una considerevole dimensione con le mani.
I due si fronteggiavano con occhi saettanti, quando Consuelo rivolse uno sguardo curioso verso Michael, come se lo vedesse in quel momento.
“E tu, chi saresti?” Gli chiese quindi; il ragazzo le sorrise tirato.
“Sono… il suo ragazzo.” Rispose infine, indicando Bill con un cenno del capo.
“Sei votato al martirio o che?” Soggiunse ironica la padrona di casa.
“Beh, devo ammettere che sto scoprendo un lato della sua personalità che non conoscevo ancora e… mi fa paura.” Ammise tentennante e con un sorriso timido ma divertito.
Bill e Eve, nel frattempo, continuavano a fissarsi con sguardi duri, anche se la ragazza cominciava a dare segni d’irrequietezza. Non era da persone comuni reggere uno sguardo accusatorio di Bill Kaulitz: i suoi occhi potevano bruciarti fino alle ossa, come lava di vulcano.
“Non devo giustificarmi con te, Bill.” Affermò infine Eve, abbassando il capo. “Puoi anche andartene, non m’interessa la liquidazione…”
“Mi chiedo se ti rendi conto di quanto mi hai deluso.” Soggiunse il ragazzo, con tono spento.
Eve alzò gli occhi, pensando di trovarsi ancora sotto il fuoco dello sguardo rabbioso di Bill, ma lui era immobile dall’altra parte del bancone, il capo chino.
“Io mi fidavo di te.” Riprese il cantante. “Ti ho aperto il mio cuore e la mia casa, e così ha fatto Tom. Hai mai pensato a quanto sia difficile per noi mostrare le nostre debolezze, i nostri difetti?” Continuò, con espressione arresa ma velata di rabbia. “Con te lo abbiamo fatto e ci hai ripagato così… Hai spezzato il cuore a Tom, cazzo!”
Eve sussultò appena, prima di bere un sorso d’acqua. Forse solo Consuelo si accorse di qualcosa che tremava nel suo sguardo.
“Lo conosci.” Accusò ancora il ragazzo, fissandola di nuovo. “Mio fratello non è una persona che mette in campo i suoi sentimenti, se non è sicurissimo di quello che sta facendo, se non ha… il culo coperto, e tu lo tratti così?!” Sbottò. “Si è affidato a te e tu lo hai lasciato cadere!”
“Non doveva dire quello che ha detto!” Replicò nervosa Eve.
“Ha detto che ti ama, mi spieghi dov’è il problema?!” Ribatté immediato Bill.
“Ma non lo vuoi capire? Io non posso essere la fidanzatina di Tom, sono la sua cameriera, non è così che va il mondo!” Dichiarò lei urlando.
“Ora non sei più la nostra cameriera.” Fu la risposta di un impettito Bill.
“Non ci arrivi proprio, eh?” Esclamò la ragazza. “Che direbbero le vostre adorate fans? Quelle stesse mi hanno martirizzata solo perché mi sono permessa di portare i vostri cani a cagare?”
“Oh! Ti criticherebbero anche se tu rinascessi Miss America! È il loro hobby principale criticare le donne di Tom.” Soggiunse compito Bill.
“Non vuoi capire…” Ripeté sconsolata Eve, scuotendo il capo.
“Ti credevo mia amica.” Affermò lui, sorprendendola. “Ti credevo una tipa figa, una tosta, invece è bastata la prima difficoltà vera ed hai messo la coda tra gambe scappando.” Continuò, con il respiro improvvisamente più difficoltoso. “Se avessi fatto così sarei ancora la checca di Loitsche.”
Eve contrasse la mascella e chinò il capo, voltandosi leggermente di lato. Bill si staccò dal bancone, dandole le spalle.
Il cantante era abbastanza intelligente da capire quando era meglio rinunciare, tanto niente di quello che avrebbe potuto dire avrebbe convinto Eve, né gli argomenti, né le suppliche, nemmeno uno dei suoi più patetici capricci. Era una battaglia persa e lui odiava perdere.
“Ti ho portato l’ibisco, il vaso è sul portico.” Affermò infine, continuando a darle le spalle. “Spero tu ti renda conto di quello che stai perdendo.” Aggiunse, incamminandosi verso la porta. “Ah… e non ti preoccupare della liquidazione, l’ho già fatta versare sul tuo conto.”
Eve  si girò verso di lui, pronta a replicare in qualche modo, ma Bill aveva già percorso la stanza, recuperato la borsa ed era uscito di casa. Gli occhi della ragazza vagarono confusi, finché non incontrarono lo sguardo rammaricato di Michael.
“Mi dispiace, Eve.” Mormorò il pittore, lei scosse la testa, facendogli chiaramente capire di lasciar stare. Michael, poi, si girò verso Consuelo. “Piacere di averti conosciuto.”
“Piacere mio…” Replicò lei un po’ sorpresa, quindi si strinsero la mano.
Il pittore, dopo un’ultima occhiata ad Eve, uscì dalla casa e raggiunse Bill, che era fermo sulle scale della veranda. Consuelo li osservò per qualche secondo attraverso la zanzariera, quindi chiuse la porta.

Sulla strada del ritorno Bill era piuttosto silenzioso. Sedeva composto sul sedile accanto a Michael, il volto imperscrutabile dietro ai grandi occhiali scuri e a quel perfetto profilo d’avorio.
“Bill, va tutto bene?” Si decise a domandare il pittore, quando ormai erano a metà strada. Lui chinò il capo e sospirò.
“Posso accendermi una sigaretta?” Chiese poi.
“Ci mancherebbe, fai pure.” Rispose Michael. “Però rispondimi…”
Il cantante tergiversò ancora qualche secondo. Cercò le sigarette ed il suo accendino d’argento in borsa, poi se ne accese una con calma. Prese un tiro e soffiò il fumo fuori dal finestrino.
“Non pensavo di convincerla, ma… ci speravo, ecco.” Affermò infine.
“Dovevi provarci.” Commentò l’altro.
“Conosco abbastanza Eve da sapere quanto ha la testa dura, però io… Non sono bravo nelle discussioni, m’incazzo e poi… divento stridulo e odioso e… e…”
“Ok, ok, tesoro!” Lo bloccò Michael, posando una mano sulla sua. “Ho capito… Va di merda.”
Bill si voltò verso Michael e girò la propria mano in modo da stringere la sua. Anche dietro gli occhiali scuri, il suo sguardo appariva supplicante. L’artista aveva un’idea abbastanza precisa di quanto fosse grande l’orgoglio di Bill da capire che se lo guardava così c’era di mezzo qualcosa di piuttosto importante.
“Se Tom dovesse chiedertelo, non dirgli che siamo stati qui oggi.” Lo implorò infatti, stringendo convulsamente le sue dita.
Michael era sorpreso. Aveva parlato sì e no due volte con Tom e sempre per scambiarsi poche parole. Ma, evidentemente, per Bill questa richiesta era fondamentale.
“Stai tranquillo.” Lo rassicurò quindi.
Il cantante, allora, gli lasciò la mano e si rilassò contro il sedile, tornando a guardare la strada.
“Speravo che Eve sarebbe stata più ragionevole.” Mormorò poi, Michael lo ascoltava, guidando con calma. “Pensavo che avessimo un rapporto speciale e invece lei ha tirato su un muro… Io… io…” La voce gli si ruppe appena e lui deviò lo sguardo verso il finestrino. “Era tanto tempo che qualcuno non mi faceva così male, forse nessuno dai tempi… di mio padre, quello vero…”
“Bill…” Esclamò piano Michael, colpito da quello che l’altro aveva detto. Allungò una mano e gli sfiorò i capelli. “Mi dispiace.” Sussurrò con sincerità.
“Lascia stare.” Fece Bill con tono amaro, scuotendo appena il capo. “Bisogna andare avanti, la vita non sta certo ad aspettare.”
Non era la prima volta che Michael si accorgeva del pragmatismo e della concretezza quasi crudele di Bill, evidente retaggio delle sue origini germaniche e di un carattere solido che lo aveva portato a realizzare il proprio sogno. Ma da bravo sognatore americano, la durezza teutonica di Bill un po’ lo sconvolgeva.
“Ad ogni modo, dovevi affrontarla, per provare a capire.” Affermò Michael, mentre imboccava l’autostrada che li avrebbe riportati a Malibu.
“Già.” Annuì lui. “Però mi dispiace non aver fatto niente di concreto per Tom, non abbiamo nemmeno parlato di lui…”
“Non sarebbe stato un discorso costruttivo, lo sai.” Intervenne saggiamente l’artista.
“L’avrei sbranata, purtroppo.” Ammise sconsolato Bill.
“Vedrai che Tom si riprenderà presto, non mi sembra il tipo che si piange addosso.” Tentò di rassicurarlo l’altro.
“Oh, non lo è.” Soggiunse il cantante. “Troverà un modo per sfogarsi…” E quel modo non mi piacerà, perché finirà per fare cazzate che non gli serviranno a buttare via il veleno che ha dentro…
“Andrà bene, Bill, vedrai…” Gli disse Michael, cercando di trasmettergli sicurezza.
Bill lo guardò di nuovo, si tolse gli occhiali e gli sorrise con sincerità. “Grazie per esserci stato.” Mormorò poi, con dolcezza.
“Figurati, l’ho fatto volentieri.” Rispose il pittore, ricambiando il sorriso.
“Andiamo da te.” Suggerì quindi il cantante.
“Se vuoi.” Acconsentì Michael.
“Non ho voglia di tornare a casa.” Confessò Bill. “Ho bisogno di essere coccolato.”
Michael gli sorrise. “Per tua fortuna sono specializzato in coccole.”
Bill lo guardò riconoscente, mentre davanti a loro l’orizzonte azzurro annunciava la calda luce del pomeriggio.

Consuelo entrò nella stanza e si appoggiò allo stipite della porta. Eve era seduta a gambe incrociate sul lenzuolo bianco che copriva il vecchio divano letto marrone. La ragazza latina fissò l’amica con la fronte aggrottata.
“Allora, che mi combini stavolta?” Domandò all’improvviso, già sapendo che Eve, pur guardando fuori dalla finestra, si era accorta del suo arrivo.
“Perché?” Replicò l’altra, dopo essersi sbuffata la frangia dalla fronte.
“Beh, di solito, quando ti lasci con qualcuno, affoghi nel gelato, o ti prendi una sbronza, o finisci per scoparti qualche stronzo…”
“Vaffanculo, Lela!” Sbottò Eve, buttandosi giù e dandole le spalle.
L’amica, però, non si arrese ed andò a sedersi sul bordo del letto, sospirando. Sapeva che sarebbe stata dura far parlare quella testona di Eve, ma doveva provarci.
“Mi hai detto pochissimo di questo tedesco e quando lo fai è perché c’è qualcosa di serio, quando hai paura…” Azzardò Consuelo.
“E di che cosa dovrei avere paura?” La provocò l’altra, mettendosi supina per vederla in faccia.
“D’innamorarti, chica.” Rispose sicura l’amica.
“Oh, ti prego!” Esclamò lei, roteando gli occhi.
“Certo, certo…” Annuì Consuelo con tono retorico. “Insomma, cosa ha di speciale, questo Tom?”
“Non ha niente di speciale.” Ribatté scocciata Eve. “Non è per niente speciale!”
“Scusa, ma non ci credo.” La bloccò l’altra. “Intanto, se è il gemello di quello che è venuto qui, qualcosa di speciale ce l’ha: un gran bel culo!”
“Smettila, non sono dell’umore…” Commentò acida lei, stringendo il cuscino.
“L’ultima volta che ti sei comportata così è stato per Peter. Te lo ricordi Peter, vero?” Soggiunse implacabile Consuelo.
“Come potrei dimenticarmi Peter…” Commentò lugubre Eve; come avrebbe potuto, era stato il suo più grande amore ed uno dei suoi più grandi dolori.
“E allora… Questo Tom?” Insisté quindi Lela.
“Si può sapere che ti devo dire?!” Sbottò l’altro.
“Qualcosa di lui.”
Eve schioccò la lingua esasperata, buttò via il cuscino e si alzò nervosamente dal divano letto, cominciando a fare avanti e indietro nella piccola stanza.
“Ha un sacco di difetti, è supponente, un inflessibile testardo, pieno di manie, scassa palle, montato e… e… Intelligente, ironico, dolcissimo e ha le mani calde e gli occhi più belli del mondo…” La voce di Eve, che era partita alta e decisa, divenne più flebile via via che il discorso continuava, così come invece si allargava il sorriso di Consuelo.
“Che altro vuoi?” Chiese infine Eve, gli occhi un po’ lucidi.
“Che ammetti di essere innamorata di lui.” Rispose sicura l’amica.
“Non sono innamorata di lui!” Dichiarò piccata Eve, ma era veramente poco convincente.
“Sì, e io sono vergine! Ribatté scocciata Lela. “Eve, falla finita, ti conosco troppo bene.” La gelò quindi, improvvisamente seria. “Ammetti i tuoi sentimenti e smettila di nasconderti dietro a scuse idiote che non capisce nessuno.” Eve la fissava con gli occhi sbarrati ed un’espressione tra il sorpreso e l’offeso. “Finiscila di non ritenerti alla sua altezza – perché lo so che lo fai – e di dire che venite da due mondi completamente diversi. Ricordati le parole del Boss: t’incontrerò sul ponte tra questi mondi lontani. Il Boss non sbaglia mai. Let's let love give what it gives. E basta seghe mentali.” Concluse il discorso puntadole contro l’indice.
Consuelo, quindi, si alzò dal bordo del letto e lasciò la stanza. Eve fece uno sbuffo umido, poi si buttò di nuovo sul materasso, stringendosi contro il cuscino. Usare Springsteen era stato un colpo bassissimo da parte di Lela. Che cazzo di situazione! Lasciò che le lacrime scendessero, per la prima volta da quando aveva lasciato casa Kaulitz.

Tom si svegliò nella luce fumosa di un mattino umido. Si sentiva appiccicoso di salsedine e di… birra, forse. Si ricordava vagamente di un locale sulla spiaggia, di un gruppo di ragazze che lo occhieggiavano interessate, di tanto alcool…
Ricordava molto meno quel piccolo appartamento di cui, probabilmente, l’oscurità della notte precedente aveva nascosto lo squallido disordine.
Si alzò, mettendosi a sedere sul bordo del basso letto arruffato, diede un’occhiata alla ragazza bionda pesantemente addormentata che aveva affianco. Non ricordava il suo nome: Mandy, Candy… o un altro stupido nome californiano inutile. Sperò solo di aver usato il guanto; si rassicurò quando vide il preservativo usato gettato in terra, vicino ad un tanga arancione.
Il ragazzo si stropicciò il viso con le mani e masticò a vuoto. Non aveva il solito mal di testa dopo sbronza, solo una vaga nausea ed un senso di vuoto.
Si alzò e si vestì con una certa calma, recuperando tutti i suoi abiti. La ragazza non si mosse minimamente, dovevano proprio essersi presi una bella sbronza. Quando fu vestito, uscì di casa silenziosamente.
Trovò davanti a se una piccola discesa di scale di legno che conduceva alla spiaggia sottostante. Le scese e arrivò su una larga battigia bagnata. L’oceano era placido, grigio, enorme. Tom guardò l’orizzonte. La California non gli era mai sembrata così sporca, vuota e inutile. Si accese una sigaretta e soffiò il fumo verso il cielo lattiginoso.

Where the distant oceans sing and rise to the plain
In this dry and troubled country your beauty remains
Down from the mountain road where the highway rolls to dark
'Neath Allah's blessed rain we remain worlds apart

CONTINUA

Note:
le traduzioni (pessime) delle due canzoni usate in questo capitolo:

Intro:    
Ora non lasciare che il nostro amore scivoli in questa oscurità.
Non lasciarmi tra i cuori infranti
E dimmi che mi ami
Dimmi che hai bisogno di me
Dimmi che mi ami
Dimmi che mi vuoi…

Chiusura:    
Dove i lontani oceani cantano e si sollevano sulla pianura.
La tua bellezza rimane in questa arida e problematica terra.
Giù dai sentieri di montagna dove le autostrade rotolano dell’oscurità
Sotto alla pioggia benedetta da Allah noi restiamo mondi a parte
(Worlds apart – Bruce Springsteen)

Anche i versi citati da Consuelo appartengono a questa canzone.
Let's let love give what it gives : Lascia che l’amore dia quel che da

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Capitolo 7
*** 7 - Something explodes ***


7 - Something explodes
Ce l’ho fatta un’altra volta! So che mi ci vuole tanto, ma purtroppo i miei ritmi sono questi al momento, mi dispiace… Ad ogni modo, ecco un altro capitolo.
Temo che sia un po’ slegato tra la prima e la seconda parte, ma sta a voi lettori darmi un giudizio.
Quindi vi lascio alla lettura, ringraziando di tutto cuore chi continua a seguirmi ^_^
Vi adoro!

A presto!
Sara

7. Something explodes

Sometimes I feel so weak I just want to explode
Explode and tear this whole town apart
Take a knife and cut this pain from my heart
Find somebody itching for something to start
(The promised land – Bruce Springsteen)

La stanza fu illuminata improvvisamente dall’accensione di una lampada azzurra. Le lenzuola frusciarono, ma la figura esile di Bill Kaulitz si accartocciò ulteriormente su se stessa, restando ostinatamente di spalle.
“Andiamo, Bill.” Mormorò con delicatezza la voce di Michael, mentre con una mano gli sfiorava appena il braccio. Lui si scostò dal suo tocco.
“Non fare così.” Insisté il pittore, sempre dolcemente. “Non posso credere che stiamo avendo la nostra prima discussione per una stupidaggine del genere…”
“Non è una stupidaggine!” Reagì a quel punto Bill, restando però voltato. “Tu parti e io devo saperlo all’ultimo momento!”
“Mi dispiace, te l’ho detto! Mi ero dimenticato!” Replicò rammaricato Michael. “Anne ha dovuto chiamarmi stamattina per ricordarmi di fare le valigie…”
“E io ho dovuto vedere le valigie per sapere che partivi!” Protestò ancora il cantante.
“Mi rendo conto di aver sbagliato, ma sono fatto così, dimentico le date, le ricorrenze, le feste e i compleanni… Come posso fare a farmi perdonare da te?”
Trascorse qualche attimo di silenzio. I due ragazzi erano vicini, nel letto, potevano sentire il calore della pelle uno dell’altro.
“Credevo avessimo fatto la pace, poco fa.” Osò Michael, allungando di nuovo la mano sul braccio di Bill e facendola scivolare in una leggera carezza.
“Non pensare di comprarmi col sesso.” Ribatté acido l’altro. “È un brutto periodo per me, ne avevo bisogno.”
“Non è bello sapere di essere solo lo scaccia pensieri di Bill Kaulitz…” Affermò serio l’artista.
A quelle parole, Bill si girò un po’ verso di lui, stendendo appena le spalle. Michael lo fissava tranquillo, non arrabbiato o triste.
“Non… non è così.” Mormorò Bill, serio come Michael non lo aveva mai visto. “Non è una storia di solo sesso, sarebbe già finita… Io provo qualcosa per te, sto bene con te.”
Il pittore sorrise e gli carezzò la fronte “Oh, beh, meno male, perché…” Disse poi, prima di piegarsi a baciargli la spalla. “…potrei seriamente innamorarmi di te.”
Bill arricciò le labbra nel palese tentativo di trattenere un sorriso esultante, quindi nascose di nuovo il viso nel cuscino.
“Sei ancora arrabbiato con me?” Sussurrò allora Michael contro la sua pelle.
“Come faccio, se mi dici certe cose?” Sbuffò Bill.
“Dai, voltati e fammi uno dei tuoi meravigliosi sorrisi.” Gli ordinò quindi l’artista, spronandolo a girarsi con una presa dolce. Bill lo accontentò e si baciarono.
“Però sono ancora un po’ incavolato, perché tu parti e io litigherò con Tom!” Sbottò il cantante, sempre avvinghiato al collo del pittore.
“Non è obbligatorio litigare con tuo fratello.” Ribatté Michael.
“Certo che lo è! Quando mi annoio, litigo sempre con Tom!” Dichiarò risoluto Bill.
“Bill, sto via solo fino a venerdì e possiamo sentirci senza problemi…”
“Non mi piace particolarmente il sesso telefonico.” Lo interruppe lui, alzando gli occhi al cielo.
“Non ho mai parlato di sesso telefonico!” Bill alzò allusivamente il sopracciglio. “Oh, ma sei proprio un porcellino!” Aggiunse Michael ridendo. Risero insieme.
“Sai, a parte tutto… spero che la mostra vada bene, davvero.” Ammise Bill, quando si ritrovarono abbracciati a fissare il soffitto.
“Grazie.” Soffiò il pittore, prima di baciargli la tempia. “Ti prometto che quando torno ci prendiamo qualche giorno solo per noi, il fine settimana, ti porto in un posto dove non ci troverà nessuno e potremo girare tutto il giorno nudi e lascivi.”
“Ohhh…” Commentò Bill con un’espressione più che interessata. “Sei un tesoro, mi mancherai.” Aggiunse con sincerità.
“Usiamo bene il tempo che ci resta…” Ribatté Michael, stringendolo a se e baciandogli il collo. Bill rise e quello era il segnale che il divertimento iniziava.

Michael partì la mattina dopo per San Francisco, lo aspettava una mostra personale molto importante che doveva confermarlo uno dei migliori giovani artisti della costa occidentale.
Ma per Bill significò solo l’inizio di una settimana di purgatorio, perché senza Michael era costretto ad una convivenza forzata con suo fratello e la sua trasformazione in un essere grugnante che viveva di birra e tornava ad ore impensabili.

Era una di quelle serate impossibili. A cena, Tom aveva a malapena spiccicato parola, in più c’era stata la pizza gommosa e la Cola calda. Ora Bill era sprofondato sul divano, con intorno almeno tre cani e decine di cuscini.
Tom scese dal piano di sopra, era ben vestito e fresco di doccia: significava che stava per uscire. Al gemello salì subito il nervoso.
“Esci?” Chiese stizzoso.
“Sì.” Si limitò a rispondere l’altro, mentre cercava qualcosa sul mobile dello stereo.
“Devi proprio? Per una sera potresti anche stare con me, ci vediamo un film, lo sai che sono solo in questi giorni…”
“Non ho voglia di fare il sostituto del tuo artista del culo.” Replicò secco Tom, mettendosi in tasca le chiavi della macchina.
Quelle parole sottolineate, però, fecero balzare la mosca al naso di Bill, che si raddrizzò di scatto sul divano, facendo scappare i cani accucciati accanto a lui.
“Sei una bestia, Tom!” Sbottò, mentre sbatteva la rivista che aveva in grembo sul tavolino. “Non hai rispetto per niente e odio quando hai questi tuoi periodi birra e fica!”
“Senti, sono più che maggiorenne e faccio quello che cazzo mi pare!” Esclamò Tom, avvicinandosi minacciosamente al divano.
“Non credere di farmi paura!” Ribatté Bill, alzandosi in tutta la sua altezza. “Sei uno stronzo, un vigliacco, non ammetti nemmeno di stare male a causa di Eve!”
“Non parlare di lei!” Ringhiò Tom.
“Ne parlo eccome!” Dichiarò l’altro, gesticolando. “Non hai avuto il coraggio di riprovare a parlarle e, quelle rare volte che sei a casa e vagamente sobrio, non fai che ascoltare quelle canzoni tristissime dei cd che lei ha lasciato qui!”
“Non hai nessun diritto di dirmi cosa devo fare!” Gli urlò in faccia il fratello. “Neanche tu, gran guru del cazzo, hai fatto un bel niente per aiutarmi! Ti sei rifugiato nella tua storiella d’amore, a farti consolare da Michael, mentre io stavo male!”
Le ultime parole di Tom scossero Bill. Perse subito l’atteggiamento bellicoso e abbassò le braccia, sospirando. Parlare o tenere tutto per se? Ma sapeva di essere incapace di mentire a Tom.
“Sono stato da lei.” Mormorò, dopo aver abbassato gli occhi. “Ho provato a parlarci, ma…”
“Cosa?” Soffiò rabbioso Tom.
Si ritrovarono a guardarsi negli occhi. Lo sguardo timoroso e quasi colpevole di Bill, in quello feroce e offeso di Tom. Il chitarrista non riusciva a credere che suo fratello avesse fatto una cosa del genere senza dirglielo e senza consultarlo. Era un suo affare personale!
“Vaffanculo.” Sputò infine, prima di girare i tacchi e avviarsi verso l’uscita di casa. Bill sospirò, si morse il labbro inferiore e si lasciò cadere sul divano, mentre la porta sbatteva.

Non passarono nemmeno cinque minuti che il cellulare di Bill si mise a squillare. Sperando che fosse Tom, il ragazzo lo afferrò di scatto, ma visto il nome sul display tornò mogio.
“Ciao, Naty…” Rispose mesto.
“Ciao piccolino!” Replicò la voce allegra di Natalie, ma poi fece una pausa. “Come mai questa voce moscia?” Gli chiese quindi.
“Hm, niente… Ho litigato con Tom…” Mormorò Bill, vago.
“Oh, e per quale motivo?” Domandò tranquilla la truccatrice.
Bill sbuffò, non aveva molta voglia di parlare di quella storia, tenuti in considerazione anche i rapporti di Natalie con Tom, ma soprattutto con Eve. Però parlarne con qualcuno era sempre meglio che starsene zitto a litigare col proprio cervello.
“È una storia lunga, ma… insomma, Eve si è licenziata.” Spiegò infine, molto succinto.
“Ah.” Fu la prima risposta di Natalie.
Seguì un lungo momento di silenzio, in cui Bill fu tentato di urlare nella cornetta per sapere se la sua amica era ancora in linea, ma alla fine Natalie tornò a parlare.
“Non stare lì a tormentarti, non poteva durare, quella ragazza era troppo diversa da voi, con tutte quelle sue idee bislacche, è ovvio che non abbia retto.” Sentenziò la truccatrice.
“Perché ne parli al passato? Guarda che è viva ed è una mia amica.” Replicò Bill con la fronte aggrottata.
“Sì, Bill, perché tu sei così buono e dolce e ti affezioni alle persone, ma i tuoi veri amici sono altri.” Ribatté Natalie, non conscia che il nervoso di Bill stava tornando a livelli di guardia, dopo il litigio con Tom. “Chi ti vuole veramente bene…”
“Smettila!” La interruppe lui, sobbalzando sul divano.
“Stavo solo cercando di dirti…” Tentò lei.
“Di dirmi cosa? Che sei la mia sola vera amica? L’unica che mi vuole davvero bene?” L’argine orami era rotto. “Ma se non vedevi l’ora che Eve si togliesse dai piedi, ti è sempre stata sulle palle e non provare a negarlo! Ora sono di nuovo tutto per te, sei contenta?!”
“Bill, sei fuori di te.” Affermò sostenuta Natalie.  
“Sei lì che gongoli, perché ora puoi dimostrare che posso fidarmi solo di te!” Continuò lui, ignorando le sue parole.
“Certo che è così!” Sbottò la donna. “Io te lo avevo detto e come sempre finisce che ho ragione! Ti sei fidato di qualcuno che non lo meritava… Anzi, vi siete fidati ed ora avete il cuore in pezzi!”
“Non ho voglia di stare ad ascoltare le tue lezioncine…” Commentò acido il ragazzo, mentre si accendeva nervosamente l’ennesima sigaretta.
“No, infatti, non mi sembri dell’umore di ascoltare niente stasera.” Rispose sgarbata Natalie. “Forse è meglio se te ne vai a letto.”
“Faccio quello che mi pare!” Esclamò lui. “Nemmeno mia madre mi ha mai mandato a letto!”
“Forse avrebbe dovuto farlo di più.” Pontificò la truccatrice.
“Vaffanculo, Naty!”
“Buonanotte, Bill!”
Ed entrambi chiusero la chiamata praticamente all’unisono. Bill, quindi, gettò il cellulare sul tavolino davanti a se e si lasciò andare contro la spalliera sospirando. Che serata di merda!

Pochi istanti dopo un basso ringhio nervoso annunciò il balzo di Bill dal divano. Quando attraversò il salotto a passo di carica, i cani si rifugiarono nelle loro cucce, evitando accuratamente d’intralciarlo. Lui, pantaloni del pigiama e piedi nudi, si diresse deciso verso la dispensa.
Entrò nella stanza adiacente alla cucina mentre sopra di lui il neon si accendeva con un riverbero freddo. Davanti al ragazzo scaffali ricolmi di ogni tipo di cibo secco: biscotti, snack, merendine – che Eve odiava – cereali e patatine, ma il suo obiettivo era un altro. Raggiunse il fondo della stanza rettangolare e vide l’oggetto bianco laccato che voleva raggiungere.
Bill si fermò davanti al freezer con gli occhi rilucenti di una brillantezza malvagia. Niente lo avrebbe fermato. Spalancò il coperchio e cominciò sistematicamente a togliere i pacchi di surgelati che lo separavano dall’agognato premio.
“Ah, lo sapevo!” Esclamò infine, trionfante, con ancora una scatola di piselli in mano. “Sapevo che quella stronza me lo aveva nascosto!”
Afferrò vittorioso la grossa vaschetta di gelato sollevandola con entrambe le mani. Intorno a lui un cimitero di verdure e crostacei che cominciavano già ad essere aggrediti dalla temperatura dell’ambiente. Ributtò dentro completamente a caso quel che aveva tolto e tornò in cucina.
Aprì il cassetto degli utensili e prese una grossa spatola da servizio, decidendo che avrebbe mangiato il gelato con quella.
“Alla faccia di tutte le donne stronze di cui sono circondato!” Proclamò marziale, prima di tornarsene sul divano.

Meno di un’ora dopo il gelato era quasi finito e Bill piangeva a dirotto davanti ad un film romantico e triste a livelli diabetici che andava sul megaschermo. Il telefono squillò e lui rispose tirando su col naso, non guardò il display: stava cercando la scatola dei kleenex.
“Pronto.” Mormorò liquido.
“Bill, stai piangendo?” Domandò una nota voce preoccupata.
“Michael!” Esclamò il cantante. “Oddio, quanto mi manchi!” Aggiunse melodrammatico.
“Mi manchi anche tu, dolcezza, ma non c’è bisogno di piangere!” Replicò allegramente l’artista.
“È colpa di questo film di merda!” Sberciò Bill, gettando via la scatola vuota dei fazzoletti. “Ed ho litigato con Tom…” Sussurrò poi.
“Bill…” Soffiò Michael, con tono di rimprovero.
“Lo so! Lo so, ti avevo promesso che non ci avrei litigato!” Squittì l’altro. “Ma è stata colpa sua, mi ha provocato, ha detto cose orrende su me e te e mi ha fatto incazzare tantissimo!”
“Lui sta male, Bill.” Replicò calmo il pittore.
“Anche io!” Ribatté subito lui. “Te l’avevo detto che finiva così.” Aggiunse piagnucolante.
“Sei testone, però.” Lo rimproverò ancora Michael.
“È una serata di merda, ormai! Ho litigato anche con Natalie e con il frigorifero!” Dichiarò arreso Bill, ma sempre con la sua verve.
“Con il frigorifero?” Chiese perplesso Michael, con una certa ilarità nella voce.
“Quella stronza di Eve mi aveva nascosto il gelato, ho dovuto scavare nel freezer!” Rispose il cantante. Il pittore scoppiò a ridere. “Cosa c’è di divertente?” Fece Bill con tono offeso.
“Tu non ti rendi conto di quanto sei buffo!” Esclamò Michael.
“Non c’è proprio niente da ridere, è una tragedia!” Affermò indignato l’altro. “E tu sei a centinaia di chilometri con tua moglie!”
“Non sarai geloso?” Domandò l’artista con maliziosa curiosità.
“Io?!” Ribatté immediato il cantante. “Scommetto che lei non ti ha mai fatto quello che ti faccio io…” Aggiunse sensuale.
“Non puoi saperlo.” Gli ricordò Michael, con tono ilare.
“Non voglio!” Esclamò Bill, facendolo ridere. “Cambiamo argomento…” Propose poi. “Deve sei? Sei solo?” Chiese morbido.
“Sì, sono in camera mia, ho appena fatto la doccia…” Rispose l’altro.
“Ahhh…” Soggiunse interessato Bill. “E cosa hai addosso?”
“L’accappatoio… Perché?”
“Adoro gli accappatoi degli alberghi, sono lascivi.” Affermò il cantante, ignorando la domanda. “Specie se la pelle sotto è ancora umida e calda…”
Il tono con cui pronunciò le ultime parole avrebbe potuto squagliare tutti gli iceberg della Groenlandia. Michael sentì il calore avvampargli il viso e anche parti più basse…
“Vorrei essere lì, salire sopra di te e cominciare ad aprirti piano l’accappatoio…” Continuò Bill, con voce roca e suadente.
“Voglio sperare che tu non abbia addosso niente.” Lo incentivò Michael, cui cominciava a piacere il gioco. Lui ridacchiò pestifero.
“Forse… O forse sono completamente vestito, magari di pelle, per farti soffrire di più.” Infierì il cantante, con lussuriosa cattiveria.
“Sei crudele!” Proclamò il pittore, con una risatina liquida.
“E tu, come sei?” Gli domandò l’altro in un soffio sensuale.
“Eccitato.”
“E’ proprio quello che volevo.” Dichiarò soddisfatto Bill. “Vediamo di finire questa serata meglio di come è cominciata…”

******

Michael era finalmente tornato a Los Angeles. Appena sceso dall’aereo aveva chiamato Bill e meno di un’ora dopo sarebbero stati insieme; nessun ritorno avrebbe potuto essere migliore.
Infilò con la macchina il vialetto che conduceva a casa sua, era già sera ma non ancora buio. Il cancello era aperto ma lui rallentò lo stesso; ricordava che il dispositivo elettrico per l’apertura e la telecamera avrebbero dovuto essere installati mentre lui mancava. Non era stupito di trovare aperto, del resto non ci sarebbe stato modo di avere il telecomando prima di tornare, però era del tutto certo che Anne gli avesse detto che avrebbe trovato la telecamera montata, ma non ne vedeva traccia.
Afferrò il cellulare e richiamò il numero della propria manager, mentre andava a parcheggiare sotto la tettoia. Il lampione ad ombrello era già acceso.
“Dimmi, tesoro!” Rispose allegra Anne.
“Annie, mi sbaglio o dovevano montare la telecamera del cancello ieri?” Le chiese sbrigativo Michael; aveva fretta di andare a prepararsi per Bill.
“Sì, perché, non lo hanno fatto?” Rispose la donna.
“A quanto pare no.” Replicò lui, mentre cercava le chiavi di casa nella sua grande borsa.
“Senti, qui a casa non ho il numero del direttore dei lavori, ma domattina appena arrivo in ufficio lo chiamo subito.” Affermò Anne. “Per stasera stai tranquillo, basta che chiudi il cancello a mano.”
“Beh… Non posso farlo, aspetto Bill.” Ribatté Michael, titubante ma chiaramente felice.
“Ohhh… Allora lascia aperto e divertiti!” Esclamò subito lei.
“Va bene, ma domattina fammi sapere.”
“Ok, chiamo subito e poi t’informo.” Gli assicurò la donna. “Ah… Mi fa piacere che non sei da solo.” Aggiunse dolcemente.
“Sei un tesoro, ti amo.” Le rispose il pittore.
“Ti amo anch’io, a domani!” Lo salutò Anne, dall’altro capo del telefono.
Chiusa la telefonata, Michael era ormai nell’ingresso, davanti alla porta di vetri colorati. Posò il borsone a terra ed aprì. Una volta dentro ripose il cellulare in tasca, accese le luci e si diresse verso la cucina.
Arrivato a metà strada, però, qualcosa attirò la sua attenzione. Deviò il percorso, avvicinandosi al ritratto di Bill. Aveva lavorato al dipinto prima di partire ed era abbastanza avanti col lavoro. Non vedeva l’ora di finirlo e regalarlo al cantante.
La grande tela era posizionata alla sua sinistra. La raggiunse e si fermò davanti, con un’espressione sorpresa e incredula. All’altezza del viso di Bill la tela era rotta e squarciata in più punti ed il tessuto ciondolava sfilacciato.
Michael, con un sospiro triste, allungò la mano e cercò di sollevare il lembo su cui era dipinto uno degli occhi. Dio, ma che diavolo era successo?
“Il tuo piccolo Bill ha avuto una brutta serata.” Affermò una voce alle sue spalle. Michael si girò di scatto, trovandosi davanti un volto ben conosciuto.
“Johnathan… Che diavolo ci fai qui?” Domandò sconvolto.

L’altro fece un paio di passi di lato, mettendosi quasi davanti al pittore, poi si grattò il mento e tornò a fronteggiarlo. Sembrava del tutto tranquillo.
“Negli ultimi quattro giorni ho vissuto qui.” Dichiarò, come se fosse normale, allargando le braccia. “Il tuo letto è sempre molto comodo.” Aggiunse, stavolta fissando Michael negli occhi.
Il pittore sentì il proprio cuore accelerare i battiti ed il respiro farsi più difficoltoso. La freddezza del suo interlocutore lo stava allarmando.
Johnathan, nel frattempo, si era avvicinato al quadro e anche a lui, ma la sua attenzione sembrava rivolta al dipinto. Osservava attento il danno.
“Non credi che stia meglio così?” Domandò quindi, prima di tornare a guardare Michael. “Il suo viso è troppo perfetto…”
“Johnathan, ti… ti sei stabilito qui?” Chiese Michael, dopo aver deglutito.
“Oh, sì.” Annuì l’altro, cominciando a camminare piano, praticamente intorno all’artista. “Del resto, ho praticamente vissuto qui per due anni.”
“Come hai fatto a…”
“Oh, quanto sei ingenuo!” Esclamò il ragazzo, interrompendolo, poi lo trapassò con uno sguardo di ghiaccio. “Ti avevo detto che avrei potuto avere una copia delle chiavi, avresti dovuto cambiare le serrature, Mickey caro.” Michael, sempre più intimorito, fece un passo indietro, urtando il tavolino dei colori. “È stato anche piuttosto facile convincere gli operai che non c’era la tua autorizzazione al montaggio della telecamera e dell’allarme, del resto… so tutto di te.”
“Si può sapere che cosa vuoi da me?” Si decise a chiedere infine l’artista, mentre continuava a fissare attento ogni mossa di Johnathan.
“Non voglio niente da te, Michael.” Rispose tranquillissimo l’altro. “Io voglio te.”
“Pensavo di essere stato chiaro, ma a quanto pare…” Tentò il pittore, sempre controllando la situazione.
“Tu non hai capito niente, Michael!” Sbottò Johnathan. “Io ti amo! Amo te e la tua arte, comprendo la tua anima!” Continuò toccandosi con forza il petto. “Ti ho dedicato due anni della mia vita! Ti ho aiutato, ti sono stato vicino, ti ho servito, ti ho dato letteralmente il culo!” La sua veemenza andava aumentando, poi prese un altro lembo del quadro e lo strappò fin quasi alla base. “Ed è bastato che arrivasse il piccolo Bill, con i suoi occhioni ed il suo sederino sculettante e tu… Tu mi hai buttato via, Michael!”
“Io sono stato sincero fin da subito con te, non ho mai approfittato…”
“Stai zitto!” Gli ordinò lui, puntandogli contro il dito. “Cosa ha lui più di me? È anche tedesco, Michael, e tu sei ebreo.”
“Johnathan, per favore…” Provò ancora una volta il pittore.
Michael era abbastanza intelligente e ne aveva passate abbastanza, da capire che la situazione si stava facendo preoccupante. Farlo ragionare sembrava fuori discussione; forse, se fosse riuscito ad allontanarsi abbastanza, avrebbe potuto chiamare qualcuno.
“No, Michael! Noi siamo fatti per stare insieme.” Riprese Johnathan, con atteggiamento sempre più minaccioso. “Lui non è nessuno, Mickey. Nient’altro che una faccetta carina da mettere sopra un disco, una macchinetta per fare soldi, il pupazzo di una casa discografica, non sa nemmeno cantare… Lui non sa che cosa sia l’arte come la viviamo noi due…”
“Johnathan, ti giuro che hai tutta la mia gratitudine per quello che hai fatto per me.” Michael riuscì finalmente ad intervenire. “Ma non ti ho mai detto che ti amavo, non ti ho mai promesso niente, chiesto niente, non avevo idea che tu potessi reagire in questo modo…”
“E se lo avessi saputo, cosa avresti fatto?” L’interrogò l’altro, con lo sguardo duro di una maestra cattiva, però non aspettò la risposta e tornò a guardare il quadro. “Due anni insieme e non mi hai mai fatto un ritratto, nemmeno uno schizzo, mentre lui si merita questo… Cos’è, gratitudine per un sesso fantastico, ce l’ha così speciale?”
“Bill è… una persona meravigliosa…” Mormorò Michael.
Johnathan si girò verso di lui con uno sguardo glaciale, poi tirò fuori dalla tasca qualcosa che si rivelò essere un coltello a serramanico. Gli occhi di Michael si sgranarono ed il cuore gli esplose in petto. Il pericolo, ora, era reale.
“Risposta sbagliata, Michael.” Sibilò il suo interlocutore.
“Non fare sciocchezze, Johnathan.” Lo supplicò il pittore, con gli occhi sul coltello. “In questo momento non stai bene.” Aggiunse, facendo qualche passo indietro, mentre cercava di prendere il telefono dalla tasca. “Forse è meglio se ne parliamo con calma, domani… Ci vediamo, pranziamo insieme…” Continuò, premendo il tasto di sblocco del cellulare. “Non mi sembri nelle condizioni di ragionarci con lucidità e potresti pentirti…”
“Che stai facendo, Michael?” Chiese però lui, ignorando il suo discorso. “Stai provando a chiamare la polizia? Eh?” Il pittore non abbassò gli occhi sul telefono, ma le mani gli tremavano. “Dammi quel cellulare.”
Michael strinse la presa e decise per l’unica via che gli sembrava giusta: scappare. Diede le spalle a Johnathan e corse verso l’uscita.
Il ragazzo, con un grido, lo inseguì. Michael non fece in tempo ad aprire la porta a vetri: un colpo ce lo spinse contro, spaccando alcuni frammenti colorati. Quella non era più solo una discussione.

Bill non era esattamente di buon umore, mentre percorreva la strada che lo avrebbe portato da Michael. Prima di uscire aveva di nuovo discusso con Tom e quindi non vedeva l’ora di passare la serata con il pittore, senza pensieri.
Parcheggiò la macchina accanto alla sua; il giardino era buio, non fosse stato per il lampione ad ombrello. Bill raggiunse l’entrata quasi saltellando.
Fece per suonare il campanello, ma si accorse che la porta di metallo era leggermente scostata. Sorrise tra se, forse Michael lo aspettava.
Entrò e si accorse subito che oltre la porta a vetri non c’erano luci accese. Non amava particolarmente le sorprese, ma la cosa poteva diventare stimolante. Alzò il sopracciglio maliziosamente e superò il passaggio. Solo il riflesso azzurrino della luna attraverso il lucernario rischiarava il grande spazio di fronte a lui.
Appena entrato calpestò qualcosa che scricchiolò sotto la suola della sua scarpa. Era un pezzo di vetro. Vetro verde caduto dall’intelaiatura della porta. Bill lo fissò perplesso.
“Michael.” Chiamò allora, nessuna risposta. “Andiamo, Michael, non mi piacciono le sorprese!” Insisté, facendo qualche passo dentro lo studio e calpestando altro vetro.
Bill si guardò intorno preoccupato, poi si ricordò che gli interruttori della luce erano sulla parete alla destra della porta. Si avvicinò fiducioso ma quando alzò le alette nessuna luce si accese. Riprovò un paio di volte, ma non successe niente. Sospirò scoraggiato.
“Michael!” Chiamò ancora. “Non mi sto divertendo per niente!” La sua voce suonava stridula.
Si avviò lungo il corridoio tra le grandi tele, accorgendosi ben presto di uno strano disordine, diverso dal solito caos creativo di Michael. Ma fu quando si trovò davanti il suo ritratto strappato che Bill rimase pietrificato. Era chiaro, ormai, che fosse successo qualcosa. Si guardò di nuovo intorno, smarrito. Dov’era Michael?
“Michael, rispondimi! Sto cominciando ad avere paura!” Esclamò con tono tremante.
“Credo che dovresti.” Gli rispose una voce.
Bill si voltò velocemente e spalancò gli occhi. Qualche metro davanti a se vide Johnathan, lo sguardo gelido, la maglietta sporca di… Oddio, sembrava sangue!
“Ciao, Bill.” Mormorò il ragazzo, con espressione impassibile. La sua freddezza, però, nascondeva una minaccia che Bill aveva intuito immediatamente.
Il cantante aveva imparato presto a riconoscere il pericolo, a sfidarlo, a combattere. Non perse la calma, sapeva bene che per sopravvivere bisogna lottare. Senza perdere tempo afferrò con tutta la forza la grande tela che aveva di fianco e la fece cadere addosso a Johnathan, che, colto di sorpresa, crollò a terra travolgendo alcuni cavalletti ed il tavolino coi colori.
Bill corse via. Doveva trovare Michael, chiamare la polizia, scappare…
Si rifugiò in cucina, dove il tavolo e le sedie erano rovesciati; si appoggiò al muro di cubi di vetro, quando sentì movimento nella stanza affianco. Alzò gli occhi, per guardarsi intorno, alla ricerca di Michael, ma non c’era nessuna traccia, tranne l’impronta scura di una mano sul muro bianco che portava alle scale. Dio… Dio… era sangue… era sicuramente sangue…
“Piccolo Bill, dove sei?” Chiamava nel frattempo la voce inquietante di Johnathan. “Ti nascondi da bravo coniglio, vero?”
Bill respirava profondamente, il cuore impazzito di paura e preoccupazione per la sorte di Michael, la testa appoggiata contro il vetro freddo della parete.
“Vieni fuori, Bill, tanto ti trovo…” Minacciò ancora il suo inseguitore, mentre entrava in cucina.
Bill lo vide bene, grazie alla luce proveniente dalla finestra che stava proprio davanti alla porta. Abbassò gli occhi e individuò il bricco di vetro della caffettiera, gli bastava allungare un braccio per prenderlo. Lo fece. Non aspettò che Johnathan si voltasse e lo vedesse: si lanciò contro di lui e lo colpì alla base del collo.
L’avversario, però, non crollò come lui aveva pensato. La scena sarebbe stata comica, senza tutto quel sangue, il coltello e le minacce.
Ci fu un attimo al rallentatore. John alzò gli occhi su di lui, lo fissò freddamente. Bill esitò un secondo, poi si scansò di lato e scattò verso le scale. L’altro gli fu subito dietro.
“Michael!” Chiamò disperatamente il cantante.
“Vieni qui, piccolo bastardo!” Urlò John, acchiappandolo per una gamba; poi gli sferrò un fendente col coltello al fianco sinistro.
Bill gridò e cadde, imprecando in tedesco. Si girò tenendosi la ferita, che bruciava come il fuoco.
“Ti diverti a farmi perdere tempo, eh?” Fece Johnathan, mentre lo sovrastava, in piedi col coltello in mano. “Dì la verità, non è divertente come quando giochi con Mickey all’ufficiale nazista che fotte lo schiavetto ebreo, vero?” Affermò poi, con un sorriso crudele.
Fick dich.” Sibilò Bill fissandolo negli occhi con espressione di sfida.
“Gli piace quando dai ordini in quella tua lingua di merda?” Continuò Johnathan, sempre più minaccioso. “O preferisce quando gli dai il culo?”
“Stronzo.” Sputò il ragazzo, senza abbassare gli occhi. Se fosse morto stanotte, l’avrebbe fatto senza chinare la testa.
“Abbastanza.” Replicò lui con un ghigno crudele. “Quindi adesso penso a te.” Aggiunse, mentre alzava la mano in cui teneva il coltello.
“Bill!” Gridò però una voce, poi qualcosa o qualcuno travolse Johnathan, togliendoglielo di sopra.
Bill si sollevò e seguì con gli occhi Michael e Johnathan che lottavano sulle scale. Il pittore sembrava avere la peggio, probabilmente era ferito.
Il cantante si alzò, nonostante il dolore e, quando fu in piedi, si accorse che non era poi così terribile. E doveva aiutare Michael.
“Lascialo stare!” Esclamò, gettandosi sui due.
Un colpo, però, lo prese alla tempia, gettandolo contro la ringhiera delle scale. Sbatté la testa sul corrimano e crollò di lato. La sua coscienza svanì sotto un velo nero.

CONTINUA

Note:
magari non ve ne frega niente e perdo solo tempo, ma alle canzoni che uso ci tengo e quindi, ecco a voi al solita traduzione:
A volte mi sento così fragile che vorrei solo esplodere
Esplodere e fare a pezzi quest'intera città
Prendere un coltello e tagliare questo dolore dal mio cuore
Trovare qualcuno che abbia voglia di cominciare qualcosa

Naturalmente non me ne viene niente e la canzone appartiene solo al genio di Bruce Springsteen.

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Capitolo 8
*** 8 - In this tonight ***


across
Capitolo lunghissimo, ma calvario infinito… Io mi rendo conto di essere ingiustificabile ad aver lasciato passare tanto tempo, però le vicissitudini sono state tante. Prima un periodo prolungato di mancata ispirazione, poi il mio hard disk esterno ha pensato bene di morire portando con se mezzo capitolo che ho dovuto riscrivere completamente, poi nuovo lavoro…
Insomma, ci son voluti mesi. Giuro che quando ho finito, mi sono commossa. Ora posso solo chiedervi scusa e sperare che non vi faccia troppo schifo. Io non ne sono molto soddisfatta…
Ad ogni modo, è quello che ho potuto fare.
Ci sarà un breve epilogo, che cercherò di scrivere in tempi umani, promesso.

Il titolo del capitolo è volutamente un po’ sgrammaticato, ma secondo me rende bene il concetto e poi… mi piace così, oh!
Le canzoni usate sono di proprietà di Bruce Springsteen. E lui è un profeta e io lo venero infinitamente. Quindi non sono usate con scopo di lucro XD

Vi lascio alla lettura e mi raccomando, anche se vi fa schifissimo, commentate…
Un bacio e grazie per la pazienza!
Sara

8. In this tonight

Your voice comes calling through the mist
I awake from a dream and my heart begins to drift
Tonight we're on our own
Tonight we're all alone
Oh-oh, tonight

Someday we'll be together
And the night will fall around us
(Someday [We'll Be Together] – Bruce Springsteen)

La festa sarebbe riuscita alla perfezione. Doveva riuscire, soprattutto perché lei ed Eve avevano passato buona parte della giornata a cucinare.
Consuelo osservò il proprio giardino, che era stato illuminato da tante file di lampadine colorate. I tavoli erano allegri come piaceva a lei, con le tovaglie di carta, le pile di piatti e bicchieri, i vassoi pieni di cibo, le bottiglie di birra. In un angolo trionfava l’enorme barbecue fumante, su cui Carlos aveva investito buona parte dei suoi ultimi stipendi e la cui inaugurazione era il motivo della festa.
La ragazza era contenta, perché adorava essere circondata da luci, colori, musica e buona birra e dai migliori amici di una vita.  Felice, perché vedeva il suo grande marito allegro e, per una volta, spensierato, girare bistecche e salsicce, ridendo a gran voce.
Ma la più grande soddisfazione gliela stava dando Eve. La stava osservando da un po’ ed aveva un sorrisetto sardonico, mentre la vedeva parlottare e ridere con uno degli ospiti più considerevoli della serata: Esteban, un bel moro dal sorriso dolce che era un vecchio amico di Carlos. Decise di avvicinarsi cautamente.
I due parlavano amabilmente, guardandosi negli occhi, con gesti che facevano capire che c’era un flirt in corso. Consuelo alzò soddisfatta le sopracciglia.
“Sono ottimi questi tacos.” Diceva lui.
“Lo so, li ho fatti io.” Rispondeva Eve, toccandosi i capelli. Era carina, quella sera, con una camicetta messicana gialla a fiori e i jeans al polpaccio.
“Davvero? Sei bravissima!” Continuò il ragazzo.
“Grazie…” Fece lei, sbattendo le ciglia.
“Ti va un’altra birra?” Propose Esteban.
“Sì, volentieri.”
“Vado a prenderla io, mi aspetti qui?”
“Non mi muovo.” E continuarono a guardarsi mentre lui si allontanava.
Sorridendo soddisfatta, Eve tornò a girarsi, ma si trovò di fronte la faccia compiaciuta della sua migliore amica, sobbalzò sorpresa, ma poi sorrise.
“È carino Esteban, vero?” Domandò maliziosa Consuelo.
“Molto.” Rispose evasiva Eve. “È dolce e ha dei begli occhi…”
“Oh, sempre sia lodato!” Esclamò l’altra, alzando le mani e gli occhi al cielo.
“Perché ringrazi Nostro Signore?” L’interrogò perplessa l’amica, fissandola con la fronte aggrottata.
“Perché finalmente pensi a dei begli occhioni che non siano quei begli occhioni.” Spiegò Lela.
Eve roteò gli occhi e guardò da un’altra parte. Voleva veramente smettere di pensare a Tom ed ai suoi occhi commoventi. Chissà se era sulla buona strada…
“Allora…” Riprese Consuelo. “…uscirai con Esteban?”
“Mi piacerebbe, sì.” Affermò tranquilla Eve, occhieggiando al ragazzo al tavolo delle bevande.
“Evie…” Mormorò dolcemente l’altra, prendendole la mano. “…mi fa davvero piacere che stai andando avanti. So che ne hai passate tante e ti meriti qualcosa di bello.”
“Grazie Lela.” Replicò sincera l’amica. “Non so che farei senza di te…”
In quel momento, però, il cellulare di Eve squillò nella sua tasca. La ragazza prese l’apparecchio e guardò il display. Era un numero sconosciuto. Alzò le sopracciglia stupita.
“Scusa, rispondo.” Disse a Consuelo, prima di allontanarsi di qualche passo. “Pronto?”
“La signorina Eve Chandler?” Rispose una voce femminile dal tono formale.
“Sì, chi parla?” Fece lei.
“È il pronto soccorso del Cedar Sinai di Malibu…” A quelle parole il cuore di Eve accelerò: cosa era successo? “La sto chiamando perché il suo numero è nelle chiamate di emergenza del signor Bill Kaulitz…”
“Oddio, Bill!” Esclamò la ragazza, interrompendo la sua interlocutrice. “Che gli è successo?! Come sta?!” Domandò poi, allarmata.
“Stia tranquilla, niente di grave, ha avuto un piccolo… incidente, ma è vigile e presente…”
“Dio mio, ma avete avvertito Tom? Il suo numero dovrebbe essere il primo…” Riprese Eve, bloccando di nuovo l’altra donna.
“Il signor Kaulitz ha chiesto ripetutamente di questo Tom, che presumo sia un parente, ma non siamo riusciti a rintracciarlo, il telefono risulta spento ed al numero di casa non risponde nessuno.”
“Ah…” Commentò Eve. “La ringrazio di avermi chiamato, faccia avvertire Bill che stiamo arrivando, ci vorrà un po’ perché sono fuori zona, ma lo tranquillizzi per favore…”
Chiusa la chiamata, Eve tornò al tavolo dove era Consuelo, proprio mentre vi tornava anche Esteban con le birre.
“Oddio, grazie Esteban!” Fece subito la ragazza, ma con tono concitato. “Però, mi dispiace, ma devo andare via…”
“Come, via?” Intervenne sorpresa Consuelo.
“Bill è in ospedale, non trovano Tom, devo andare subito.” Spiegò lei.
“Un tuo amico?” S’informò garbatamente il ragazzo, Eve annuì. “Mi spiace, spero non sia nulla di grave…”
“Lo spero anche io.” Commentò Eve. “Scusami tanto Esteban, avrei davvero voluto passare un po’ di tempo con te.” Aggiunse rammaricata.
“Carlos ha il mio numero.” Affermò lui, collaborativo.
“Tranquillo, glielo chiederò.”
“Allora, aspetto la tua chiamata.” Si sorrisero, poi si salutarono e le due ragazze si diressero in casa.
“Mi accompagni a Santa Monica, Lela?” Domandò Eve all’amica.
“Prendo le chiavi della macchina.” Rispose lei.
“Ok, mi cambio le scarpe e andiamo!” Soggiunse l’altra, sfilandosi le fini infradito dorate.

Il pikup blu di Consuelo si fermò nel vialetto impeccabile della villa dei Kaulitz a Santa Monica. Le due ragazze ne scesero quasi contemporaneamente, dirigendosi all’entrata.
“Come entri, se non hai più le chiavi?” Chiese perplessa Lela.
“Tranquilla.” La rassicurò Eve, mentre frugava nel vaso di una palma vicino al portone. “Vedono troppi telefilm americani.” Aggiunse, tirando fuori una chiave.
“Dio, non dirmi che sono così fessi…”
“C’è l’allarme da disinserire.” Affermò l’altra, che aveva appena aperto lo sportellino della tastiera.
“E se hanno cambiato il codice?” Ipotizzò l’amica, che l’aveva raggiunta.
“È impossibile.” Dichiarò ferma Eve.
Era assolutamente sicura che i gemelli non avrebbero mai potuto cambiare quella sigla alfanumerica composta dalle iniziali dei propri nomi – e ormai loro marchio registrato – e dalla loro data di nascita. Digitò sicura il codice e la luce divenne verde.
Appena aperta la porta, i cani la stavano già aspettando. Le fecero le feste come non la vedessero da un anno, facendo persino poco caso all’estranea che si era portata dietro. Eve si era inginocchiata in mezzo a loro ed i quattro animali le leccavano il viso uggiolando contenti.
“Oh, i miei piccoli! Mi siete mancati tanto!” Gli diceva la ragazza, carezzando a turno ognuno di loro. “Io vi sono mancata?”
“Eve.” La chiamò Consuelo; lei si girò sorridendo ma con sguardo interrogativo. “Non credevo ti fossero mancati i cani.” Affermò l’amica, con un sorriso dolce.
“Scherzi?” Fece Eve rimettendosi in piedi. “Molto più dei loro padroni!” Aggiunse, dirigendosi all’interno dell’abitazione.
Consuelo fece un sorrisetto amaro, tra se. Sapeva che non era vero, Eve si atteggiava sempre a cinica, ad una che teneva le distanze, ma lei la conosceva troppo bene ed aveva letto il terrore nei suoi occhi, quando aveva saputo di Bill. Eve ci teneva davvero a quei ragazzi tedeschi.
“Sembra che non ci sia nessuno in casa.” Dichiarò quindi Lela, seguendo Eve.
Lei era ferma accanto al grande tavolo di cristallo e guardava verso la cucina; anche l’altra ragazza diede un’occhiata: c’era un gran disordine.
“Già.” Annuiva Eve, nel frattempo, riprendendo a camminare. “Io vado su. Controlli, per favore, che i cani abbiano da mangiare e bere? Fuori dalla porta finestra…”
Eve salì al piano superiore, evitando accuratamente di guardare verso la sua vecchia camera da letto. Voleva prendere qualcosa da portare a Bill, se avesse avuto bisogno di cambiarsi, però… Quando arrivò all’altezza delle due porte opposte, si diresse in quella di sinistra.

“Le ciotole sono piene.” Annunciò Consuelo poco dopo, entrando nella stanza con la porta aperta.
Eve era in mezzo alla camera, vicino alla scrivania, con una mano appoggiata sullo schienale della sedia di pelle. Sembrava assorta in qualche pensiero malinconico, guardava il vuoto.
“Evie…” La chiamò piano l’amica. Lei sussultò appena, voltandosi.
“Oh, sei tu.” Commentò sottovoce.
“I cani sono a posto.” Ripeté Lela, lei annuì. “Però…” Fece poi la ragazza, guardandosi intorno. “…credevo ci fosse più disordine, qui.”
Anche Eve diede un’occhiata in giro. C’era solo una maglietta spiegazzata sulla poltrona e un paio di scarpe, evidentemente levate al volo, sul tappeto.
“È la camera di Tom.” Disse poi, come se spiegasse tutto.
Consuelo aprì la bocca, come sorpresa o per dire qualcosa, ma poi tacque, tornando ad osservare la stanza. Era sobria, ordinata, nell’aria un vago odore di sigarette. Ora vedeva una chitarra acustica appoggiata alla scrivania, accanto ad Eve.
“Lui, a volte, di pomeriggio, si siede qui…” Dicendo questo, Eve sfiorò ancora la sedia girevole di pelle nera dal grande schienale. “…e ascolta le incisioni o qualche disco che gli piace. Io mi mettevo dietro e gli massaggiavo il collo… Gli piace.”
“Non ti fa bene, essere tornata qui ora, Evie.” Affermò preoccupata l’amica.
“Oh, Dio…” Soffiò mesta Eve, poi si riscosse e tornò verso la porta. “Devo prendere la roba per Bill, non posso farlo aspettare tanto… Vieni.” E si diressero insieme alla camera di fronte.
Qui il panorama era decisamente diverso. Letto sfatto, roba ovunque, scarpe, riviste, borse da migliaia di dollari. E Scotty che, con la testolina irsuta, le fissava dal centro del groviglio di coperte.
“Santo cielo!” Esclamò sconvolta Consuelo.  
“Manco da quasi due settimane.” Lo giustificò l’altra, mentre entrava nel guardaroba.
“Non oso immaginare cosa fosse quando sei arrivata…”
“L’inferno!” Commentò Eve ridacchiando.
Quando uscì dall’armadio con in mano la biancheria di Bill, vide Lela accanto alla grande cassettiera con una cornice in mano. Si avvicinò e si accorse che era una foto dei gemelli da bambini.
“Sono loro?” Chiese Lela, Eve annuì. “Erano dei bimbi carini ma non poi più di tanto… Come hanno fatto a diventare così?” Chiese poi, indicando un’altra cornice dove era esposto un autoscatto storto e scemo di Bill e Tom solo pochi anni prima. Ed erano bellissimi.
“Buoni geni, penso.” Rispose Eve, mentre accarezzava con gli occhi quelle immagini. Improvvisamente, le prese il magone e gli occhi si fecero lucidi.
“Evie, che succede?” Le domandò subito l’amica preoccupata, stringendole il braccio.
“Mi hanno detto che sta bene.” Esordì concitata l’altra. “E se non è vero? Se invece gli è successo qualcosa di grave?! Come faccio io con Tom?!”
“Tesoro, calmati.” La rassicurò Consuelo. “Intanto devi trovarlo, poi dovete andare all’ospedale, finché non siete lì non puoi sapere…”
“Sì, ma tu non puoi capire! Loro sono così uniti, Tom si spaventerà a morte e io dovrò mantenere la calma per tutti e due… E se non ci riesco? Voglio bene a Bill, sono in ansia… E come reagirà Tom alla mia presenza, dopo quello che gli ho fatto?”
“Eve, ascoltami.” Fece Consuelo, seria. “Ce la farai, tu sei forte, pensa a tutto quello che hai passato nella vita e non ti sei arresa mai. E poi… gli vuoi ancora bene.” Le disse, fissandola negli occhi, mentre la teneva per le braccia.
“Lui probabilmente mi odia.” Affermò mesta Eve, abbassando il capo.
“Io non ne sarei così sicura, ma…” Riprese Lela, facendo un sorrisetto storto. “…se ti odia, ha ragione.”
“Oh, vaffanculo, Lela!” Esclamò Eve ridendo, poi l’abbracciò forte. “Ti voglio bene.”
“Dai, se hai qualche idea di dove trovare quel figaccione di un crucco, sarà bene che facciamo presto!” Dichiarò quindi Consuelo, l’altra annuì e tornarono di sotto.

Il Blue Lagoon era un locale sulla spiaggia di Santa Monica dove i ragazzi andavano spesso; un paio di volte anche Eve era andata con loro. Inoltre, al bar, lavorava un suo vecchio amico delle superiori, cosa che rallegrò Consuelo quando lo seppe.
“Eccola!” Gridò Eve, poco dopo che si erano messe ad ispezionare le varie auto di lusso parcheggiate sul lungomare.
“Evie, ci saranno migliaia di R8 a Los Angeles, come fai a sapere che è la sua?” L’interrogò perplessa l’amica.
“Tante macchine uguali, ma solo una con la targa tedesca!” Spiegò Eve, dirigendosi di corsa verso il locale. Un SUV rischiò di metterle sotto, meritandosi maledizioni varie in spagnolo.
All’interno c’erano quelle tipiche luci soffuse, opache e colorate che Eve odiava con tutta l’anima. La musica era pessima e troppo alta e la gente in giro aveva vestiti costosi e pessimi profumi.
Le due ragazze si avvicinarono al bancone nero, percorso da un tubo di luce blu. Dietro: scaffali a specchio e lampadari di cristallo a goccia piuttosto pacchiani.
“Eddy… Eddy Gutierrez!” Chiamò Eve, costretta ad un tono di voce piuttosto alto.
Un ragazzo alto e magro, dai capelli scuri, si avvicinò alla loro zona mentre maneggiava uno shaker. Appena le vide sorrise radioso.
“Eve! Che piacere rivederti!” La salutò allegramente, prima di servire il cocktail preparato ad un altro cliente. “Dio mio, ma tu sei Consuelo Barra! Che sorpresa! Adesso vi offro da bere…”
“Eddy, veramente…” Eve attirò la sua attenzione, prendendolo per il polso. “Devo parlare con urgenza con Tom Kaulitz, dimmi che è qui, per favore…” Lo supplicò.
“Sì, è di là nel privé, ma…” Rispose incerto lui. Eve lo lasciò e si diresse verso il luogo indicato. “Il gorilla la fermerà.” Commento scontento Eddy.
“Nessuno ferma Eve.” Rispose Lela. “Come stai Eddy?” E da lì partì una piacevole conversazione.
Eve, nel frattempo, aveva raggiunto il privé a grandi passi, scansando gente che ballava o chiacchierava in mezzo al locale. Davanti alla porta di vetro a specchio c’era un omone di colore vestito di scuro.
“Devo parlare con Tom, mi fai entrare?” Chiese subito Eve, decisa.
“Ti ha invitato lui?” Ribatté l’uomo, dopo averla sommariamente osservata. La camicia messicana e il giubbino di jeans della ragazza non erano certo il tipico abbigliamento per un locale del genere.
“No, ma si tratta di una questione piuttosto urgente.” Fece lei, cercando di aggirarlo. “Vedi che se gli dici che sono qui, mi fa entrare lui.”
“Certo.” Si limitò a dire lui, bloccandole l’entrata.
“Senti, io non mi abbasso a supplicare, ma è veramente una cosa importante, o non gli romperei le scatole, sono una sua amica…”
Non finì la frase, perché in quell’esatto istante, la porta a specchio si aprì e ne comparve Tom, pallido come se avesse visto un fantasma. Evidentemente da dentro, si vedeva l’esterno.
“Eve…” Esalò il ragazzo, fissandola.
“Ciao, Tom…” Rispose lei, abbastanza imbarazzata.
“Cosa… Tu… Che ci fai qui?” Balbettò il chitarrista, senza riuscire ad articolare la frase.
“Devo parlarti un minuto.” Affermò la ragazza, dopo essersi riscossa; lo prese per un braccio e lo tirò dentro la stanza.
Fu inevitabile, per lei, guardarsi intorno. La stanza era scura, illuminata solo da pallide luci blu e rosse; sul fondo c’era un divano di velluto nero – pessimo da pulire, fu il suo pensiero fugace – sovrastato da un tendaggio dello stesso colore che ricadeva in infiniti drappeggi. Sedute lascivamente sul divano, con abiti piuttosto succinti, tre bellissime ragazze. Sul tavolo bottiglie di champagne e di birra. Eve represse uno strano strizzone infastidito allo stomaco.
“Ascolta, Tom…” Esordì ad occhi bassi, ma lui la bloccò stringendole il braccio. Lei alzò lo sguardo e si trovò davanti l’espressione colpevole e disperata di Tom.
“Io… Loro… Stavamo solo bevendo…” Biascicò lui, con il chiaro tono di chi cerca di giustificarsi.
Eve trasecolò. Il suo fastidio doveva essere stato palese nell’espressione, oppure Tom si sentiva davvero in colpa, in ogni caso era una situazione assurda. La ragazza sbatté le palpebre.
“Come…” Tentò, ma poi l’urgenza ebbe il sopravvento, strinse il braccio di Tom con forza, guardandolo negli occhi. “Credi che m’importi quello che stavi facendo con queste troie?” Sbottò, causando repliche offese dalle ragazze, che lei ignorò. “Bill è in ospedale.” Soffiò infine.
Tom, in un istante, perse ogni colore. “Co… cosa?” Domandò confuso.
“Ha avuto un incidente, non è grave, ma è meglio se andiamo.” Rispose Eve, cercando di essere rassicurante.
“Prendo la giacca.” Affermò il chitarrista, facendo per dirigersi al divano, ma quando lasciò il braccio di Eve barcollò pericolosamente.
La ragazza lo seguì con lo sguardo preoccupata: lo shock mischiato all’alcool non era mai una bella condizione. Lui prese la sua felpa e tornò alla porta, ma il suo colorito era peggiorato.
“Cazzo, Tom, sei verde…” Gli disse Eve, sostenendolo istintivamente per il gomito.
“Sto bene, non perdiamo tempo…” Ma non fece in tempo a finire la frase che fu preso da un conato. “Devo vomitare…” Annunciò, come se non fosse stato chiaro.
“Vieni.” Lo invitò lei, spingendolo velocemente verso i bagni.

Consuelo, nel frattempo, stava perdendo la speranza di rivederli, mentre loro erano piegati sulla tazza di un gabinetto di ceramica rossa in un bagno pieno di piastrelle rosse e oro.
“Hey, questo è il bagno degli uomini!” Esclamò un tipo, quando vide Eve infilata a metà in un gabinetto.
“Senti…” Tentò Tom, sollevando il capo dalla tazza.
“Tu stai zitto e vomita!” Gli ordinò Eve, spingendogli di nuovo giù la testa. “E tu: vaffanculo!” Aggiunse, rivolta all’altro avventore.
“E che cazzo!” Fece quello. “Non si può neanche più pisciare in pace!”
Tom si risollevò poco dopo, lo stomaco libero dal poco che aveva mangiato e dal molto che aveva bevuto. Si lavò il viso e la bocca e, quando guardò lo specchio, gli occhi gli si fecero lucidi.
“Ma che gli è successo, Eve?” Domandò alla ragazza, dopo essersi voltato verso di lei, con l’acqua che cadeva a bagnargli la maglietta. Era spaesato e impaurito.
Eve prese due salviette e gli asciugò il viso, come si fa con i bambini. Anche lei aveva paura, ma sapeva che doveva essere forte per entrambi.
“Ma niente, vedrai.” Cercò di rassicurarlo. “Mi hanno detto che è vigile, starà rompendo le scatole a tutti, lo conosci…” Tom le prese le mani.
“Giurami che sta bene.” La implorò, con gli occhi così pieni di emozioni che se Eve avesse ceduto un momento si sarebbe messa a piangere come una cretina.
“Dai, certo che è così!” Sentenziò, fingendosi sicura. “Però ha bisogno di te, quindi andiamo.” Tom, leggermente più tranquillo, annuì e la seguì.
Quando Consuelo li vide arrivare si sentì sollevata, nonostante l’aspetto un po’ sbattuto di tutti e due. Salutarono velocemente Eddy il barista ed uscirono fuori.
Il marciapiede era largo, fortunatamente non troppo affollato e illuminato. L’aria della sera era fresca e umida per colpa di un lieve vento proveniente dal mare.
Tom prese un lungo respiro, sperando che il cambio tra l’aria stantia del locale e quella brezza salina lo facessero sentire meglio. Ma la testa continua a vorticargli e lo stomaco a fargli male.
“Tom.” Si sentì chiamare, mentre scrutava la strada cercando di ricordarsi dove aveva messo la macchina; abbassò gli occhi e vide Eve. “Lei è Consuelo.”
Il ragazzo, confuso, spaziò con gli occhi, finché non vide la bassa ragazza latina accanto ad Eve.
“Oh, ciao.” Salutò distratto. “Piacere di conoscerti.”
“Piacere mio.” Rispose lei con un sorriso.
“Mi spiace, ma ho fretta…” La liquidò velocemente, prima di tornare a guardare l’altra. “Eve, andiamo.” Disse, quasi supplichevole.
“Prendo la borsa.” Dichiarò lei, sporgendosi dentro il finestrino del pickup di Lela; ne uscì con in mano una piccola borsa tipo palestra.
“Cosa hai lì?” L’interrogò il chitarrista.
“Un cambio per Bill, se lo tengono in ospedale…”
Qualcosa in quella frase fece contrarre lo stomaco sia a lei che a Tom; qualcosa che contrastava con la speranza che stesse abbastanza bene da uscire subito.
Tom non le rispose, abbassò il capo, prese le chiavi della macchina dalla tasca e si diresse alla sua auto, parcheggiata qualche metro più in là.
“No, tu in queste condizioni non guidi.” Lo bloccò Eve, acchiappandolo per la felpa. “Dammi le chiavi.” Aggiunse, porgendo la mano.
Tom s’irrigidì, come faceva sempre quando vedeva offesa la sua integrità di maschio. Ma c’era qualcosa di fragile, nel suo cuore in quel momento. Sarebbe bastato pochissimo perché si spezzasse e non se la sentiva proprio di essere virile. Remissivo, mise le chiavi nella mano di Eve, affidandosi così completamente a lei. Che lo capì solo guardandolo negli occhi, e accettò.
“Evie.” La richiamò Consuelo, lei si girò. “Adesso che l’ho conosciuto di persona capisco tante cose.” Le sussurrò, dopo essersi fatta più vicina. “Ed è anche un brutto momento…” Scherzò poi.
“Ti prego…” Replicò Eve con un sorriso stanco.
“Chiamami, ok?” Fece l’altra, mentre le stringeva con dolcezza il polso.
“Tranquilla.” Annuì la ragazza. “Grazie di tutto.” Aggiunse poi, quindi si salutarono baciandosi la guancia ed Eve salì sulla macchina dove Tom l’aspettava.

Eve salì al posto di guida e prese un lungo respiro, prima d’inserire le chiavi. Lanciò un’occhiata a Tom; lui teneva la testa bassa e si sfiorava con le dita il tatuaggio sulla mano destra, quello che lui e Bill si erano fatti uguale, il simbolo indelebile del loro legame.
Eve sospirò di nuovo e spinse l’accensione. Tutto si sarebbe aspettata, tranne la musica che partì.

We'll let blood build a bridge over mountains draped in stars
I'll meet you on the ridge between these worlds apart
We've got this moment now to live then it's all just dust and dark
Let's let love give what it gives

Rimase bloccata con la mano sul cambio e avvertì anche Tom irrigidirsi imbarazzato. Dio, era la canzone che Consuelo aveva usato per spronarla… Lascia che l’amore dia quello che da…
“Ehm… Io…” Biascicò pateticamente Tom.
“No, ma niente…” Replicò Eve senza senso; poi mise la freccia e partì.

Let's let love give what it gives…

“È carina, la tua amica.” Esordì timidamente Tom, quando l’assolo stridente di chitarra che chiudeva il pezzo si spense, lasciando posto ad una canzone meno impegnativa.
“Già.” Annuì Eve, con gli occhi sulla strada. “Se non ci fossero stati lei e suo marito non so cosa avrei fatto, quando è morta mia madre.”
La sua frase, pesante del dolore che lei sempre provava ripensando a quegli anni, si esaurì in uno strano silenzio denso dell’ansia di entrambi.
“Tom, sta bene…” Tentò la ragazza, sapendo a cosa stava pensando lui.
“Giurami che non è morto.” Soffiò lui, dando voce alla sua più grande paura.
“Non dire cazzate!” Esclamò Eve, mentre le si attorcigliava lo stomaco dalla paura.
“Lo sai come sono negli ospedali!” Replicò Tom stizzito, col tono liquido di chi sta per piangere. “Quando ti dicono che uno è grave, probabilmente è già morto!”
“Ma mi hanno detto che sta bene, che è vigile…” Tentò lei.
“Sì, certo…” Sbuffò scettico il ragazzo. “Se ti dicono così, forse lo stanno operando al cervello…”
“La vuoi smettere?!” Sbottò Eve, lanciandogli un’occhiata di rimprovero. “Non fare così, per favore…” Lo implorò poi, posando una mano sulla sua.
Tom tirò su col naso e spostò la testa verso il finestrino, ma girò la mano e strinse quella di Eve.
“Ti prego, se fai così, fai stare male anche me.” Riprese la ragazza supplicante. Sentì Tom prendere un lungo respiro tremolante e seppe che si stava trattenendo dallo scoppiare in un pianto dirotto.
“Dai.” Lo incoraggiò con voce dolce, massaggiandogli il polso. “Tra poco siamo all’ospedale e quando lo vedrai ti passerà tutto lo spavento…”
Tom non le rispose, continuò a guardare fuori dal finestrino e le lasciò la mano, ben sapendo che le serviva per cambiare marcia. Lei lo osservò ancora un attimo, poi tornò a dedicarsi alla strada. Ormai mancava poco, pochi minuti ed avrebbero saputo cosa era successo a Bill.

Eve e Tom arrivarono all’ospedale che l’una era passata da poco. Davanti all’infermiera dell’accettazione – un tipo antipatico con un’evidente ricrescita di capelli – il ragazzo sembrò dimenticare l’inglese e si confuse un paio di volte, ma alla fine riuscirono a sapere che Bill era lì e fu chiamato il medico di turno.
Il dottore era un giovane dalle chiare origini indiane e si avvicinò a loro sorridendo. La sua espressione sembrava rassicurante.
“I parenti del Signor Kaulitz?” Domandò fermandosi davanti ai due.
Tom odiava come gli americani pronunciavano il suo cognome, trasformando il dittongo Au in una O stretta, simile alla ö tedesca.
“Kaulitz.” Corresse subito.
Il medico spostò lo sguardo dal ragazzo ad Eve con espressione interrogativa.
“È tedesco.” Precisò la ragazza.
“Ah…” Fece l’uomo.
“Sono il fru…(*) fratello.” Affermò quindi Tom, inciampando di nuovo nell’inglese. “Lei è la mia ragazza.” Aggiunse indicando Eve.
Lei lo guardò sorpresa, dopo aver avuto un incontrollato tuffo al cuore, ma lui si limitò a stringersi nelle spalle, troppo occupato con il dottore.
“Ci dica cosa è successo a Bill, per favore.” Supplicò infatti il chitarrista. “Ci hanno detto che ha avuto un incidente…”
“Suo fratello è stato vittima di un’aggressione in un’abitazione privata.” Spiegò il medico.
“Un’aggressione?!” Esclamò Tom incredulo; per tutto il viaggio aveva pensato ad un incidente con la macchina ed invece… Che diavolo era successo?
“Oddio…” Mormorò Eve, realizzando all’improvviso cosa poteva essere capitato. “E dove… Da Michael? Michael Heller?” Chiese poi, sempre più consapevole.
Il dottore annuì. “Anche il Signor Heller è stato ferito, ora è in sala operatoria. Mi spiace, ma non posso dirvi di più.”
“Cavolo…” Commentò la ragazza chinando il capo.
“Cosa hanno fatto a mio fratello?” Sentì domandare a Tom; Eve alzò gli occhi e vide il suo sguardo farsi duro, aveva la mascella contratta per la rabbia.
“Il Signor Kaulitz…” S’impegnò a pronunciarlo bene. “…ha sbattuto la testa, tra poco verrà sottoposto ad una Tac, ma sembra che non ci siano conseguenze neurologiche; inoltre ha subito una ferita d’arma da taglio al fianco, non grave, che è già stata suturata.”
“Chi… Hanno preso chi gli ha fatto questo?” Domandò il ragazzo con sguardo furente.
“Non so darle questa informazione, mi spiace.” Ammise rammaricato il dottore.
Eve, a quel punto, toccò la schiena di Tom, attirando la sua attenzione. Lui abbassò gli occhi sulla ragazza, un po’ confuso.
“Andiamo da Bill.” Suggerì lei, con un sorriso incoraggiante. Il chitarrista annuì.
“Da questa parte.” Indicò il medico, invitandoli a precederlo lungo il corridoio asettico del pronto soccorso.

Quando Tom vide Bill attraverso il vetro nella parte superiore della porta, si slanciò in avanti e l’aprì d’impeto con un suono sordo.
Il fratello, che era seduto su un lettino con le gambe penzoloni, sollevò immediatamente la testa. Era pallido, arruffato e con l’espressione smarrita, gli avevano fatto mettere uno di quei camici verdi che evidenziava il suo colorito cereo. Vedendo Tom, i suoi occhi si spalancarono e si fecero lucidi.
“Tomi…” Mormorò.
Il gemello lo raggiunse in un paio di lunghi passi e lo prese per le spalle, mentre lo osservava attentamente con gli occhi per tutto il corpo, ancora preoccupato per quello che gli era successo.
“Billi…” Soffiò, sollevato di poterlo finalmente toccare. “Come stai?”
“Ho avuto tanta paura, Tomi!” Esclamò lui, buttandogli le braccia al collo, si abbracciarono per un lungo momento, sotto gli occhi comprensivi dell’unica infermiera presente.
“Anche lui se l’è fatta addosso, sai?” Fece una voce femminile; Bill sollevò il viso dal petto del fratello e vide Eve vicino alla porta. “Meno male che c’ero io.” Aggiunse sorridendo.
“Evie!” La chiamò Bill, allungando una mano verso di lei, che la ragazza prese dopo essersi avvicinata.
“Che combini, tesoro?” Gli chiese poi dolcemente, accarezzandogli i capelli spettinati.
“Oh, come sono felice di vedervi tutti e due!” Piagnucolò il cantante, stringendosi di nuovo al fratello, senza lasciare la mano di Eve. “Ho avuto così tanta paura!”
Tom, a quelle parole, intensificò istintivamente l’abbraccio; da quando aveva di nuovo accanto Bill, fisicamente vicino, cercava di ignorare lo spaventoso pensiero di essere stato ad un passo dal perderlo. Già così, si sentiva come se gli avessero tagliato un braccio.
“Ci dici cosa è successo, Bill.” La voce di Eve lo riportò nella piccola saletta di medicheria. “Ci hanno detto che siete stati aggrediti, ma…”
“È stato terribile, Eve.” Mormorò il ragazzo, fissandola con gli occhi rossi e lucidi.
“Raccontaci.” Lo spronò Tom, anche se l’idea di sapere gli faceva bruciare lo stomaco.
E Bill raccontò tutto: dalla sua entrata in casa di Michael, alla sua conversazione con Johnathan, passando per l’aggressione e le sue conseguenze, fino a quando era svenuto dopo aver battuto la testa contro la ringhiera.
“Quando mi sono ripreso Johnathan non c’era più, c’era solo Michael sulle scale, coperto di sangue…” Si fermò un istante, rabbrividendo. “Non sapevo cosa fare, così ho chiamato il 911.” Concluse poi.
“Hai fatto la cosa giusta.” Annuì Tom, con una mano posata delicatamente sulla sua nuca.
“Sei stato coraggioso.” Rincarò Eve con un sorriso incoraggiante, poi lo abbracciò piano. Lui le sospirò contro il collo. “Dio, piccolo, sei un ghiacciolo!” Affermò quindi lei, avvertendo il freddo delle sue mani e del viso.
“Fa freddo, qui…” Replicò Bill, stringendosi nelle spalle.
“Infermiera.” Chiamò Tom, rivolgendosi alla donna impegnata a rifornire gli armadietti; lei lo guardò interrogativa. “Posso dare la felpa a mio fratello? Ha freddo.”
“Certamente.” Gli rispose cordiale lei. “Adesso dobbiamo prepararlo per la Tac, ma può lasciargliela.” Aggiunse con un sorriso.
Tom si sfilò la felpa nera e la posò sulle spalle del gemello, strusciandogli piano le braccia per scaldarlo. Eve, però, si era accorta dell’espressione assente del cantante.
“Cosa c’è, Bill?” Gli chiese con dolcezza.
“Se… se Michael…” Dovette fermarsi per deglutire, non riusciva nemmeno a dirlo. “Se Michael fosse morto, me lo diresti, vero Eve?”
“Non dire sciocchezze!” Esclamò lei. “Lo stanno operando, gli hai salvato la vita chiamando l’emergenza…”
“Io l’ho visto!” Protestò lui, interrompendola. “Lo hanno rianimato! Lo hanno intubato davanti a me!”
“Andrà tutto bene, devi calmarti.” Cercò di rassicurarlo la ragazza, tenendogli la mano. “Non possono dirci molto, ma vedrò d’informarmi, ok?”
“Cerca almeno di sapere se hanno avvertito sua moglie.” La supplicò lui con espressione mesta.
“Un attimo…” Intervenne Tom, la fronte corrucciata. “Sua moglie? È sposato?”
Bill sventolò una mano in un gesto incurante. “È una storia lunga… Fai il possibile, ti prego.” Aggiunse, tornando infine a guardare Eve.
“Ci sono parecchie cose che dovrai spiegarmi, signorino…” Borbottò Tom, con tono severamente paterno. Bill lo guardò con aria innocente, poi si rivolse di nuovo a Eve.  
“Evie…” Chiamò sottovoce, facendola avvicinare a se. “Trovami qualcosa per cambiarmi, questo camice mi sbatte da morire e la polizia si è portata via la mia roba.” La ragazza sorrise della vanità di Bill, che non lo abbandonava neanche in quei momenti avversi; poi vide che gli tremavano le labbra. “Hanno tagliato via i miei jeans vintage, erano veri Calvin Klein degli anni 80…” Soffiò sconvolto. Eve sorrise.
“Stai tranquillo, ha pensato a tutto la tua Evie.” Gli disse, quindi gli mostrò la borsa col cambio e gli strizzò l’occhio. Lui sorrise, finalmente radioso.
Pochi minuti dopo arrivò il portantino con la barella per accompagnare Bill in radiologia. Tom ed Eve lo salutarono, quindi si divisero: lui doveva fare delle telefonate, mentre lei doveva sapere di più riguardo le condizioni di Michael.

Tomo chiuse la telefonata e sospirò, appoggiandosi ad un bancone inutilizzato che aveva davanti. Era stata la nottata più lunga della sua vita e ancora non aveva chiamato sua madre per dirle che il suo tesoruccio aveva rischiato seriamente di finire all’altro mondo. Rabbrividì al solo pensiero.
“Com’è andata?” Gli domandò Eve; lui si girò e la vide raggiungerlo con in mano un grosso bicchiere di carta.
“Un casino.” Ammise il ragazzo. “Sono tutti incazzati, ma hanno già allertato l’ufficio legale, siamo ufficialmente in silenzio stampa.” Aggiunse. “Tu?”
“Non possono dirmi niente, non sono un parente.” Ammise sconsolata lei. “Ho solo saputo che l’intervento dura ancora e che la moglie è arrivata da un po’.”
“Perché non mi ha detto questa cosa della moglie…”
“Perché tu eri del’umore sbagliato e poi… non è così importante, Tom.” Spiegò Eve, interrompendolo; lui la guardò sconsolato. “Ne vuoi un po’?” Gli domandò poi, porgendogli il bicchiere.
“No, grazie.” Rispose lui, deviando il capo. “Il caffè mi fa venire la nausea…”
“È the.” Dichiarò lei, con un sorriso paziente. “Al limone, ti fa bene allo stomaco, su…”
Eve gli porgeva il bicchiere con garbo e lui aveva sete, oltre che un cattivissimo sapore in bocca. Lo prese e bevve un sorso, mentre lei lo guardava con un sorriso.
“Non te la sei presa prima, vero?” Fece quindi il ragazzo, Eve aggrottò la fronte con espressione interrogativa. “Quando ho detto che eri la mia ragazza… L’ho fatto per evitare storie.”
“Ah…” Esclamò lei; se ne era quasi dimenticata, ma ripensarci le fece venire un vuoto allo stomaco. “Non fa niente, capisco.” Mormorò quindi.
Si fissarono per qualche istante. Perché Tom aveva gli occhi più belli che Eve avesse mai visto? Avevano sempre un qualcosa di malinconico e struggente che le faceva venire voglia di piangere. Abbassò il capo, arresa.
“Mi dispiace…” Soffiò a voce bassissima.
“Come?” Fece lui, aggrottando la fronte e avvicinandosi per sentire meglio.
“Sono stata una vera stronza con te.” Ammise la ragazza, alzando di nuovo la testa. “Non so cosa stavo pensando, era tutto così confuso, così… grande. Ho avuto paura…”
Tom la fissava serio, l’espressione indecifrabile su quei lineamenti perfetti. Lei esitò ancora, tormentandosi le mani; era dura stare sotto quello sguardo.
“Non guardarmi così.” Lo supplicò.
“Così come?” Chiese lui.
“Con quegli occhi…” Spiegò lei.
“Ho soltanto questi.” Replicò duro il chitarrista.
Eve lo guardò di nuovo in quelle iridi calde e intense. “Già.” Si rassegnò, con un sorriso sconsolato.
“Eve, io davvero non capisco di…” Tom provò ad iniziare un discorso che lo portasse dove voleva arrivare: a chiarire una volta per tutte.
“Lo capisco se non puoi perdonarmi.” Intervenne lei, togliendogli la parola. “Ti ho fatto del male e non te lo meritavi.”
“Ma che cosa stai dicendo?!” Esclamò Tom, il tono quasi furente.
“Sì, sì, lo so che è impossibile!” Continuò lei, senza guardarlo. “Non pretendo che accetti le mie scuse, però…”
“Eve!” Sbottò lui, prendendola per le spalle e costringendola a guardarlo negli occhi. “Ma che cazzo stai dicendo? Io sono innamorato di te!”
Le pupille della ragazza si dilatarono leggermente per la sorpresa e socchiuse appena la bocca.
“Non puoi essere ancora innamorato di me, non dopo quello che ti ho fatto…” Mormorò affranta.
“Io ci ho provato, Eve, a non pensare a te, a dimenticarti.” Le confessò allora lui. “Sono uscito tutte le sere, ho bevuto e scopato, non posso nascondertelo, ma non sono riuscito a toglierti dalla mia testa. Lo vuoi capire?”
La ragazza lo fissava un po’ imbambolata. Questa era una confessione perfino più intensa della prima, che già l’aveva lasciata annichilita. Tom era una persona sincera, uno a cui non piacevano i giri di parole. Se trovava il coraggio di parlare, ti metteva il cuore in mano.
“Ascolti le mie canzoni…” Fu l’unica cosa che Eve riuscì a dire.
“Da qualche parte dovevo cercarti.” Ribatté lui.
“Ho avuto paura.” Ripeté la ragazza, trattenendo le lacrime.
“Credi che non ne abbia avuta anche io? Guarda come è finita la mia ultima storia…” Oh, se lo sapeva, era stata lei ad aiutarlo a raccogliere i cocci. “Ma non possiamo continuare ad avere paura Eve.”
“Oh, Tom…” Esalò lei, abbracciandolo alla vita; lui la strinse a se, carezzandole i capelli.
“Stai con me, Eve, stai con me e non pensare più a nulla.” Le disse dolcemente. “Siamo più forti di tutto…” Sussurrò al suo orecchio.
Eve sussultò appena, con il viso affondato sul petto confortevole e forte di Tom, quindi lui sentì una risatina umida provenire dalla ragazza.
“Cosa c’è?” Le chiese, scostandole i capelli dalla fronte.
“Lo dice anche il Boss.” Affermò lei, alzando gli occhi nei suoi. “Tougher than the rest…
“Beh, allora siamo autorizzati!” Esclamò divertito il chitarrista.
Tom, quindi, le prese il viso tra le mani e la baciò. Eve si lasciò andare contro di lui, circondandogli la schiena con le braccia. Gli era mancato troppo baciare Tom e, da come lo faceva anche lui, si sarebbe detto lo stesso.
“Hey!” Li interruppe una voce, si staccarono di malavoglia, vedendo davanti a se una robusta infermiera di colore che li osservava con benevolo rimprovero. “Questo è un ospedale, non un serial televisivo!” Gli disse scherzosa.
Loro scoppiarono a ridere imbarazzati, tenendosi ancora vicini. Ora sembrava che ci fosse voluto così poco a colmare la lontananza. Ora questa notte poteva davvero finire bene.

Bill era stato spostato in una camera singola del quarto piano, area vip che non poteva mancare in un ospedale californiano. Si sentiva ancora un po’ spaesato, seduto su quel letto, mentre Eve e Tom si muovevano nella stanza, parlandosi a monosillabi.
Li guardò stranito, improvvisamente gli era venuto un dubbio: si comportavano in modo strano.
“Avete fatto la pace?” Domandò, finalmente curioso di qualcosa che non riguardasse quella nottata infame.
Eve si bloccò ai piedi del letto, mentre Tom guardava ovunque, grattandosi la nuca.
“Beh…” Biascicò il chitarrista.
“Abbiamo parlato.” Fece lei.
“Con la lingua o senza?” Li interrogò il cantante, alzando un malizioso sopraciglio.
“Stronzetto!” Esclamò la ragazza, lanciandogli contro la sua maglietta appallottolata, che lo colpì senza forza.
“Hey, io sono ferito!” Protestò petulante Bill. “Non lanciarmi roba addosso, ho un’orrenda ferita che mi lascerà una brutta cicatrice sul mio bellissimo tatuaggio!”
“Allora dovevano spararti al petto, perché quel tatuaggio lì sì che è brutto!” Commentò sarcastica Eve, facendo ridacchiare Tom.
“Stronza!” Sbottò l’altro, fingendosi offeso ma non nascondendo il sorriso; quegli scambi di battute lo rassicuravano, sembrava di essere a casa, di nuovo tutti insieme. “Tom, dovevi proprio innamorarti di lei? Non era meglio una capra?”
Il fratello gli rispose con un sorrisetto poco divertito. “Cambiati, faccia di culo.” Gli disse poi.
Ridacchiarono tutti e tre, mentre Eve toglieva dalla borsa il resto del cambio di Bill. Tom, quindi, si spostò verso il gemello per aiutarlo a vestirsi e la ragazza pensò che fosse il momento giusto per fare una cosa.
“Ragazzi, io vado a prendere qualcosa di caldo.” Propose. “C’è un’ottima caffetteria ventiquattr’ore qui vicino, così voi due potete parlare un po’, farvi le coccole…”
“Eve!” Esclamò Bill, ma il suo sorriso grato la diceva lunga.
“Torno presto.” Soggiunse allora lei, rivolta a Tom, che la fissava serio. Il chitarrista annuì.
Rimasti soli, Bill sorrise a Tom, poi si sfilò il camice e fece per mettersi la maglietta pulita. Il gesto, però, gli strappò un gemito di dolore. Il fratello gli si fece immediatamente accanto con sguardo preoccupato.
“Tutto bene?” Chiese apprensivo.
“Sì.” Rispose Bill con una smorfia. “I punti tirano un po’.” Aggiunse, sfiorandosi il cerotto con la punta delle dita.
“Ma sei sicuro che non è la ferita a farti male, o…”
“Tom, mi hanno accoltellato, è ovvio che mi fa male.” Lo interruppe lui, alzando una mano. “Ma mi hanno dato tanta di quella roba che mi sento stordito come un tossico…”
“Oh, Billi…” Fece l’altro, prima di carezzargli piano il capo.
“Sono più forte di quello che credevo.” Commentò lui, con un breve sorriso.
“Mi devi perdonare.” Affermò allora Tom, apparentemente a sproposito.
Bill alzò gli occhi in quelli del gemello. Erano rammaricati e tristi. E lui odiava vedere Tom triste.
“Per che cosa?” Chiese con ingenuità.
“Per come mi sono comportato con te ultimamente.” Rispose l’altro. “Sono stato orrendo, ti ho trattato male…”
“Tom, non è colpa tua, stavi male.” Lo giustificò il fratello.
“Sì!” Esclamò lui, battendo i piedi. “Ma ti rendi conto di cosa stava per succedere?! Potevo perderti… e l’ultima cosa che ho fatto con te è stata coprirti d’insulti!” Aggiunse poi, stringendo denti e pugni.
“Tom…” Mormorò Bill, col suo tono più dolce. “Guardami, Tomi.” Continuò, prendendo nelle sue le mani strette del gemello.
Tom alzò il viso ed incrociò i begli occhi stanchi di Bill. Era pallido e provato, ma gli sorrise come solo lui sapeva fare. Uno di quei sorrisi speciali solo per il suo fratellone.
“Sono ancora qui.” Gli disse quindi. “Ho la pellaccia dura, lo sai.” Aggiunse ironico.
“Ma Billi, poteva…” Tentò l’altro, ancora rigido.
“Ho avuto paura anche io, ed ho pensato a te, quando credevo di non farcela.” Gli confessò il fratello. “Però ce l’ho fatta, non sei riuscito a liberarti di me nemmeno stavolta.” Scherzò poi.
Tom sbuffò un sorriso, quindi rilassò le mani e strinse quelle fredde del fratello.
“Forse hai rischiato di più cadendo dal melo di nonna.” Gli disse divertito.
“Cazzo, che botta quella!” Ricordò Bill; scoppiarono a ridere del ricordo comune.
“Non farmi mai più spaventare così.” Gli ordinò poco dopo Tom, prima di stringerlo a se. Il gemello gli circondò il torace con le braccia.
“Non ne ho intenzione.” Dichiarò lui deciso.
Tom gli accarezzò i capelli disordinati e gli baciò la testa, mentre Bill strusciava il viso sul suo petto.
“Sono contento, sai.” Mormorò quindi il cantante, sempre comodamente affondato nel suo abbraccio.
“Di essere vivo?” L’interrogò sarcastico il fratello.
“Che tu ed Eve vi siete rimessi insieme.” Rispose lui sornione.
“Beh, proprio rimessi…” Fece vago Tom.
“Vi manca la scopata della pace, ma sostanzialmente…” Dichiarò sostenuto Bill.
“Oh, vaffanculo!” Sbottò Tom, spingendolo sul letto.
“Hey!” Esclamò l’altro, fingendosi indignato. “Ho rischiato la vita, io, trattami bene!”
“Falla finita, coglione!” Ribatté il chitarrista, mimando dei colpi che non gli avrebbe dato davvero.
Perché era troppo bello poter sentire ancora la risata pestifera e scema del suo adorato fratellino.

Quando Eve tornò nella camera, capì subito che i cappuccini sarebbero andati sprecati. La stanza era in penombra, illuminata solo dalla lampada sopra il letto. Tom e Bill erano abbracciati e, molto probabilmente, addormentati.
Lei sorrise e posò il vassoio sul tavolino. Il divano era largo e sembrava comodo, sarebbe andato bene. L’importante era che loro riposassero.
Si avvicinò al letto e li guardò. Tom era quasi supino, teneva una mano tra i capelli del fratello, Bill gli posava il capo sulla spalla e lo abbracciava alla vita, appoggiato sul fianco sano. Erano proprio belli i suoi piccoli stronzetti tedeschi.
Sorrise di nuovo e fece per tornare al divano, ma una mano la prese al polso, costringendola a voltarsi di nuovo verso il letto. Trovò Tom con un sorriso leggero.
“Che fai, non dormi?” Gli chiese la ragazza a bassa voce.
“Sembra magro, ma pesa.” Rispose lui, accennando alla testa del gemello a bloccargli il braccio. “Tu non ti riposi un po’?” Domandò quindi il chitarrista.
“Mi stendo sul divano.” Fece lei, indicando dietro di se.
“Vengo con te.” Affermò lui, facendo per alzarsi.
“No.” Lo fermò Eve, respingendolo contro il cuscino. “Bill ha bisogno di te, stai con lui.”
Tom, allora, sorrise con tutta la dolcezza di cui era capace – tanta da far venire il diabete all’intera California meridionale – e fece scivolare la mano lungo il suo polso, fino a stringere la sua.
“Sai.” Le disse morbido. “Questo è uno dei motivi per cui mi sono innamorato di te.”
“Quale?” Fece lei con un sorriso confuso.
“Il fatto che stai sempre un passo indietro, quando si tratta di Bill.” Le confessò Tom. “Che non mi chiedi di scegliere tra te e lui.” Aggiunse, lanciando un’occhiata al gemello.
“Non potrei mai.” Disse Eve. “So quanto siete importanti uno per l’altro e voglio bene a tutti e due, non sarebbe giusto mettersi in mezzo.”
“Lo so.” Annuì il ragazzo. “Ma lo hanno sempre fatto tutte.”
“Io non sono tutte.” Affermò Eve decisa. “Io ti amo, Tom.”
Il sorriso di Tom fu più bello di quanto già non fosse di solito, poi la tirò più vicino a se e le sussurrò: “Era l’ora che lo dicessi anche tu…”
“Scemo!” Ridacchiò lei piano. Si scambiarono un breve bacio. “Ora riposati, sarà una giornataccia, domani.” Gli ordinò dolcemente, prima di lasciarlo e tornare al divano.
Quella notte, nonostante la scomodità della sistemazione, dormirono tutti e tre come bambini.

Tom guardò ancora una volta la sua faccia nello specchio. Non aveva un bell’aspetto e la poca barba che si era fatto crescere durante l’assenza di Eve gli sembrava proprio come la descriveva lei: rada e brutta. Si massaggiò il mento. Si era svegliato confuso e con un lieve mal di testa e, a peggiorare le cose, ci si era messa la prospettiva di una giornata di discussioni con l’ufficio legale ed il management… Senza contare che, molto probabilmente, Bill sarebbe stato una piaga per il prossimo mese a venire, con quei punti.
Se almeno quei due di là l’avessero fatta finita di bisticciare in modo insopportabile!
“Bill, smettila di fare i capricci!” Urlò Eve, la voce alta che arrivava chiara anche in bagno.
“Mi hanno aggredito, pugnalato, ho subito un trauma psicologico non indifferente, ho il diritto di essere capriccioso!” Ribatté lui con tono squillante.
“Tu sei sempre capriccioso!” Replicò la ragazza.
“Non è vero!” Protestò il cantante.
“Volete farla finita, per favore, ho mal di testa.” Li implorò Tom, uscendo dal bagno con espressione afflitta.
“Ma Tomi! Eve mi ha portato una maglietta orrenda, io non posso uscire dall’ospedale conciato così!” Spiegò immediatamente il gemello.
“Ma che te ne frega?!” Sbottò il chitarrista. “Dobbiamo solo andare a casa e ti metterai la giacca sopra, io non capisco…”
“Ecco, lo sapevo!” Esclamò Bill, in ginocchio sul letto a braccia incrociate. “Adesso vi siete rimessi insieme e tu dai ragione a lei!” Aggiunse indignato.
“Ma che cazzo c’entra questo…”
Nel bel mezzo della replica di Tom, qualcuno bussò alla porta socchiusa, interrompendo la discussione. I tre si voltarono in quella direzione e Eve invitò ad entrare.
Si fece avanti una donna dall’aria stanca. I capelli ricci e biondi erano disordinati e raccolti alla meno peggio sulla nuca, indossava una tuta grigia, era struccata e pallida.
“Buongiorno.” Salutò piano. “È la camera di Bill Kaulitz?” Chiese poi, osservando tutti i presenti.
Il cantante, che era ancora in ginocchio sul letto, si ricompose velocemente e scese, dirigendosi verso di lei, sotto lo sguardo di Eve e Tom.
“Sono io.” Le disse; lei gli fece un breve sorriso.
“Sono Anne Johnson, la moglie di Michael.” Si presentò la donna, stringendogli la mano.
“Oh, Dio…” Esalò Bill, ancora con la mano nella sua. “Oddio, come sta?!” Chiese subito dopo, con urgenza. Anne fece un lungo respiro.
“È stata una lunga notte.” Rispose infine. “Abbiamo rischiato di perderlo, non lo nego, ma ce l’ha fatta.” Aggiunse, con un sorriso forzato.
Bill si posò una mano sul petto, sentendosi mancare le gambe. Aveva sospettato che le condizioni di Michael fossero gravi, ma sentirselo dire così faceva molto più effetto.
“L’ha già potuto vedere?” Domandò Eve, senza trattenersi. Anne la guardò e le sorrise.
“Sì.” Disse quindi, e Bill poté riprendere a respirare. “Si è appena svegliato e… ha chiesto di te.” Aggiunse poi, rivolgendosi al cantante.
Il ragazzo si commosse, gli tremò il mento e gli occhi si fecero lucidi. Anne se ne accorse e gli si avvicinò, carezzandogli piano il viso, poi gli sorrise.
“Stai tranquillo.” Gli disse dolcemente. “Va tutto bene ora, ce l’ha fatta.” Lo rassicurò quindi.
Bill l’abbracciò d’impeto, sorprendendola, ma poco dopo lei sorrise e strinse a se quel ragazzone altissimo ma sottile come un figurino. Anche Tom ed Eve sorrisero: sapevano bene quanto potevano essere improvvisi e sorprendenti gli slanci d’affetto di Bill.
“Ti ringrazio di essere venuta.” Le disse il cantante, una volta allontanatosi. “Ti prego di dire a Michael che andrò a trovarlo appena possibile.”
Lei sorrise e annuì. Già le piaceva, questo Bill. Sembrava una persona spontanea e dolce, tutto il contrario di quello che aveva rischiato di togliere la vita al suo Michael.
“È stato un piacere conoscerti, Bill.” Confessò Anne.
“Oh, anche per me!” Esclamò lui, con un sorriso stupendo. Non era difficile capire come qualcuno potesse innamorarsi di lui.
“Scusa…” S’intromise Eve, facendo voltare verso di se Bill ed Anne. “Posso chiederti… insomma, di Johnathan, se sai qualcosa…”
Bill si era completamente dimenticato di Johnathan, ma le parole di Eve gli avevano fatto riaprire la mente ad immagini di quella notte che avrebbe, in tutta sincerità, preferito non vedere più. I capelli biondi sporchi del sangue di Michael, lo sguardo folle e determinato dell’assalitore, le sue parole volgari e offensive. Gli girò un po’ la testa e dovette appoggiarsi alla sbarra in metallo del letto.
Anne, nel frattempo, abbassò gli occhi con una smorfia amara, poi scosse il capo e tornò a guardare la ragazza.
“È caduto dal tetto lottando con Michael.” Rispose quindi la donna, senza nascondere l’astio che ancora provava per l’aggressore. “Adesso è sotto sorveglianza in ospedale, ma non sanno se ce la farà.”
Bill pensò che avrebbe dovuto sentirsi sollevato da quella notizia. Sapere che anche Johnathan soffriva almeno quando Michael, forse, doveva fargli piacere. Ma si ritrovò soltanto inorridito da tutta la violenza delle ultime dodici ore. Si portò una mano alla bocca, mentre prendeva un respiro profondo. Tom si accorse subito del disagio del gemello.
“Billi.” Lo chiamò, si guardarono intensamente. “Va tutto bene, ora.” Gli assicurò poi, in tedesco. Il cantante annuì, rassicurato dalla voce del fratello e dalla lingua madre.
“Scusate.” Fece quindi Anne. “Io devo andare, ho lasciato la mia compagna con Michael, ma anche lei è piuttosto stanca, così…”
Tom, realizzando che la donna aveva appena detto di avere una compagna femmina, si girò sconvolto verso Eve, che gli prese delicatamente l’avambraccio e gli fece un cenno come a dire: poi ti spiego, tranquillo.
“A presto, Anne.” La salutava nel frattempo Bill, stringendole le mani.
“Ti aspetto da Michael.” Rispose lei, con un sorriso dolce; lui annuì, si baciarono sulle guance e poi la donna se ne andò, salutando con la mano gli altri.
Quando la donna si fu allontanata nel corridoio, Tom crollò seduto sul letto sospirando. Non lo avrebbe mai ammesso, ma la stanchezza, la tensione e la preoccupazione delle ultime ore lo avevano prosciugato. Eve si avvicinò a lui e gli posò una mano sulla spalla, massaggiandogliela piano; lui la guardò e sorrise dolcemente.
Bill andò vicino a loro e passò un braccio intorno alla vita della ragazza, mentre Tom stringeva piano la sua, per non urtare i punti. Eve usò la mano libera per accarezzare i capelli del cantante. Si erano uniti in una specie di cerchio e si scambiarono sguardi solidali.
“Andiamo a casa.” Ordinò Bill e gli altri due annuirono. Perché era l’unico posto dove, in quel momento, volevano stare tutti e tre. La loro casa.
 
CONTINUA



NOTE
- Traduzione dei versi in introduzione del capitolo:
        La tua voce arriva chiamando attraverso la foschia
        Mi sveglio da un sogno e il mio cuore comincia ad andare alla deriva
        Stanotte siamo ognuno per conto suo
        Stanotte siamo da soli
        Oh-oh, stanotte

        Un giorno saremo insieme
        E la notte cadrà intorno a noi
   Bella canzone, un tantino natalizia come arrangiamento, dal doppio album “The promise”.
- Allora, onestamente non ho idea di come siano le distanze in una città enorme come Los Angeles   e, lo confesso, non mi sono nemmeno informata, perché nel calvario di questo capitolo era l’ultima cosa a cui pensavo. So che i gemelli parlano continuamente di ore passate in macchina, quindi fate voi… Non ho messo riferimenti temporali, quindi potete anche pensare che Eve parta alle nove di sera, per fare tutto il giro e arrivare all’ospedale con Tom all’una di notte. Potrebbe essere plausibile.
- Ho usato volutamente la stessa canzone del capitolo 6, come una specie di filo rosso, perché credo si adatti molto a Tom ed Eve, loro sono mondi a parte in molti sensi, ma come dice lo zio Bruce – e lui non sbaglia mai – devono lasciare che l’amore dia quello che da, e li unisca. E poi è una canzone bellissima, da un disco superlativo come “The rising”.
Traduzione:     Lasceremo che il sangue costruisca un ponte sulle montagne ammantate di stelle
                      T’incontrerò sul passaggio tra questi mondi separati
                      Abbiamo questo momento da vivere adesso poi è tutto solo polvere e buio
                      Lascia che l’amore dia quello che da
- (*) questa nota è una specie di gioco verbale, ho immaginato infatti che Tom si confonda tra il tedesco Bruder e l’inglese Brother, in italiano tradotto in Frutello e Fratello… XD Lo so, sono scema.

Mi sembra di aver detto tutto. Se avete altri dubbi, fatemelo sapere nei commenti, vi risponderò! Ci sentiamo sull’epilogo!





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Capitolo 9
*** 9 - Epilogo ***


9 - Epilogo
Non voglio dire niente adesso, lascio tutto alla fine. Questo epilogo è per voi lettori, sperando che vi teniate un minuto per farmi sapere cosa ne pensate, ci tengo davvero molto.

Note e saluti a fondo pagina, un bacio.
Sara

9. Epilogo

I'm riding hard carryin' a catch of roses
And a fresh map that I made
Tonight I'm gonna get birth naked and bury my old soul
And dance on its grave
And dance on its grave

It's been a long time comin', my dear,
It's been a long time comin' but now it's here
(Long time coming – Bruce Springsteen)

Los Angeles – qualche mese dopo

Il glorioso sole californiano sarebbe presto diventato implacabile, ora che l’estate si stava avvicinando. Bill spense la sigaretta nell’apposito posacenere pieno di sabbia ed entrò nel palazzo che ospitava la piscina.
Il cantante si era ripreso bene dalle ferite riportate nell’aggressione. La botta alla testa era passata in fretta, una settimana circa. La ferita al fianco gli aveva dato qualche grattacapo in più, coi punti ed il resto, ma alla fine era guarita piuttosto bene, lasciando una cicatrice meno invadente del previsto sul suo prezioso tatuaggio al fianco.
Entrò nel centro di riabilitazione e oltrepassò il moderno atrio salutando la ragazza in portineria. Era simpatica e non invadente, a volte ci chiacchierava un po’. Conosceva, oramai, la porta che conduceva alle piccole gradinate della piscina; si sedette più vicino possibile alla vasca.
La faccenda per Michael era stata più lunga, le sue ferite più gravi. Quella all’addome, in particolare, che aveva richiesto un lungo recupero, accompagnato per i primi tempi da orrendi drenaggi e tubi vari. Michael aveva camminato male per molto tempo. Adesso sembrava che la fisioterapia in piscina gli facesse davvero bene.
Angie, l’operatrice che si occupava del pittore, lo vide e lo salutò con la mano. Era una donna gentile ma energica, con un marito simpatico e due bei bambini. Stava facendo un lavoro prezioso, con Michael.
La storia dell’aggressione aveva suscitato un certo scalpore, all’inizio. C’erano stati articoli su giornali di gossip, battutine nel talk show e molti avevano sparlato dell’amicizia tra Bill e Michael. Ma tutto si era risolto prima e meglio del previsto.
Johnathan, pur con bacino e anche sbriciolati, era riuscito a salvarsi, ma in tribunale aveva ammesso le sue colpe, dichiarandosi colpevole di duplice tentato omicidio. Il giudice gli aveva dato una condanna esemplare e Bill e Michael si erano risparmiati il dover testimoniare davanti alla giuria.
I pettegolezzi erano andati avanti, qualcuno aveva cercato di intervistare Johnathan, i paparazzi avevano continuato a seguirli, sperando in uno scoop. Michael e Bill non avevano dichiarato niente, né rilasciato interviste, seppure richieste e nessuno era riuscito a strappargli qualcosa su quello che era successo o su quanto c’era tra loro. Certo, li fotografavano insieme sempre più spesso, ma visto che loro non si lasciavano mai cogliere in fallo, la presunta love story restava un grosso punto interrogativo.
Michael uscì dalla piscina usando le scalette. Le sue condizioni non gli permettevano ancora di issarsi sul bordo come dovrebbe fare un vero figo, ma la sua versione da sirenetto gocciolante piaceva comunque molto a Bill. Quando il pittore lo vide, sorrise radioso.
Bill si avvicinò al muretto artificiale che divideva le gradinate dal bordo piscina e Michael fece altrettanto.
“Ciao.” Lo salutò sorridente il cantante.
“Ciao.” Rispose lui dolce.
“Com’è andata oggi?” Gli chiese allora Bill, indicando la piscina.
“Angie mi sta sfiancando!” Rispose allegro Michael.
“Fa benissimo.” Annuì serio l’altro. “Ti verranno degli addominali fantastici…” Aggiunse allusivo.
“Non vedi l’ora, eh?” Scherzò il pittore, Bill gli fece una smorfia maliziosa e scoppiarono a ridere. “Dove andiamo a mangiare, oggi?” Domandò poi Michael.
“A casa.” Disse Bill.
“A casa?” Ripeté stupito l’altro.
“Sì.” Fece lui. “Eve ha cucinato un sacco di roba e pretende che torniamo a pranzo.” Spiegò quindi.
“Sai che non dico mai di no alla cucina di Eve!” Esclamò entusiasta Michael.
“Hm, anche perché ha fatto quei cosi col maiale che ti piacciono tanto…” Accennò quindi Bill, arricciando il naso un po’ schifato.
“Enchiladas di maiale!” Proclamò estasiato il pittore.
“Hn, sì…” Fece lui, ancora col naso storto. “Ma tu non sei ebreo?” Michael roteò gli occhi.
“Quante volte te lo devo dire che non mangio kosher?” L’interrogò ancora.
“Sarà…” Buttò lì il cantante, poco convinto. “Dai, adesso sbrigati, che se continuo a vederti così gocciolante mi viene voglia di sbatterti in una doccia e non farti uscire mai più…” Aggiunse a bassa voce, con tono sensuale.
“Sporcaccione…” Replicò Michael, con un sorriso compiaciuto.
“Lo sai…” Ribatté Bill, con il sopracciglio sensualmente alzato e uno sguardo incandescente.
Michael rise, poi prese l’asciugamano, salutò Angie e si diresse verso gli spogliatoi. Come al solito, Bill avrebbe dovuto aspettare di essere al sicuro a casa, prima di poterlo baciare.

Tom rise, quando Frank si tuffò in piscina con un osso di gomma in bocca, sollevando schizzi. Eve, in piedi vicino alla porta finestra, sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
“Tom, lo sai, la piscina la pulisci tu, dopo che ci hai fatto il bagno coi cani.” Gli ricordò la ragazza.
Lui si girò nella sua direzione e sorrise. “Sì.” Annuì.
“Lo hai promesso.” Insisté lei.
“Sì.” Annuì nuovamente il chitarrista, mentre lanciava di nuovo l’osso di gomma. “Perché non vieni anche tu, si sta benissimo.” Le disse poi.
“No, non con i cani.” Rifiutò immediatamente la ragazza. “E poi devo finire di preparare il pranzo.”
“Molla la cucina e vieni dal tuo uomo!” Le ordinò lui.
“Non posso, tra poco arrivano Bill e Michael.” Rispose indifferente Eve, a braccia incrociate.
Tom si spostò nella parte più bassa della piscina e mise le mani sui fianchi, mentre i cani giocavano ancora dietro di lui, nell’acqua.
“Certo che siete strani, voi due… tu e Michael.” Affermò poi. “Tu lavori per dei vegetariani e ti ostini a cucinare carne e lui è un ebreo che mangia lasagne col maiale…”
“Sono enchiladas.” Spiegò rassegnata la ragazza. “E io non cucino sempre carne.” Aggiunse, prima di girarsi per tornare in cucina.
Tom, però, si trovò a non essere d’accordo con la sua decisione di rientrare in casa. Fece una smorfia pericolosa, poi s’issò sul bordo della piscina, rischiando di sfilarsi il costume appesantito dall’acqua, quindi le corse dietro fino in sala, dove la prese di peso e la trascinò fuori.
“No, Tom!” Gridò lei, quando si vide sollevare da terra. “Stai gocciolando dappertutto, cazzo!”
“Così impari a darmi retta, stronza!” Ribatté lui ridendo.
“Sei gelido, maledettissimo bastardo!” Continuò ad urlare Eve, ma trattenendo chiaramente una risata. “Lasciami!”
“Non ci penso neanche…” Replicò perfido Tom, appena prima di gettarsi in acqua.
Riemersero pochi istanti dopo, uno davanti all’altra. Tom rideva sguaiatamente, mentre Eve si toglieva i capelli dal viso con espressione minacciosa.
“Me la pagherai…” Sibilò la ragazza.
“Oh, sì, vieni a riscuotere belle tettine…” Rispose provocatorio lui, con un sorriso sghembo, fissando la sua maglietta chiara resa trasparente dall’acqua.
“Uhm, magari invece ti ripago proprio così, tenendomi lontano…” Ipotizzò lei, con l’indice sul mento e l’aria pensierosa. “Un paio di giorni in bianco potrebbero farti bene…”
“Oh, non dire cazzate!” Protestò immediatamente lui, aggrottando preoccupato la fronte.
“Paura, eh?” Fece lei, sollevando le sopracciglia.
“Non ce la faresti mai a starmi lontano così tanto.” Affermò sornione Tom, avvicinandosi.
“Non ci giurerei, fossi in te.” Replicò sicura Eve, mentre lui la stringeva contro il bordo della piscina. La ragazza gli circondò il collo con le braccia ed il bacino con le gambe.
“Ah, infatti questa mi sembra la classica posa respingente…” Dichiarò il chitarrista, aderendo al corpo di lei e baciandole il collo.
“Ti concedo un bacio, se poi mi lasci andare a finire di cucinare.” Gli disse lei, con tono languido.
Tom fece un sorriso storto, poi si lanciò sulla sua bocca. Eve si aggrappò saldamente alle sue larghe spalle abbronzate, mentre lui la teneva con forza per le cosce, spingendola con ardore contro il bordo della piscina. Il bacio stava durando più del previsto.
“Oh, scusate… Disturbiamo?” Intervenne una voce furba, con chiaro tono canzonatorio.
“Sei perfido!” Esclamò un’altra voce, divertita.
Tom ed Eve si staccarono di mala voglia e alzarono gli occhi sui nuovi arrivati. Bill e Michael li osservavano dall’alto, sorridendo.
“Siamo sicuri che questo…” Bill indicò i due avvinghiati nella piscina col suo indice tatuato. “…non abbia ritardato i preparativi del pranzo?”
“Io sto per affogarti, sappilo.” Minacciò Tom, mentre reggeva ancora saldamente il sedere di Eve.
“Ci hai già provato quando avevamo dodici anni, ma non ci sei riuscito.” Gli ricordò il fratello con un sorriso soave, prima di dargli le spalle.
“Sono troppo buono!” Sbottò Tom, mentre Eve si divincolava da lui e raggiungeva le scalette.
“È assolutamente vero.” Commentò Michael.
Bill, dopo aver posato la borsa su un lettino, si girò verso di lui con espressione da cucciolo indifeso. “Perché, io non lo sono?” Gli chiese, facendo boccuccia.
“No, amore, non lo sei.” Gli rispose pacato il pittore, sorridendogli dolcemente.
“Rassegnati.” Fece Eve passando accanto al cantante. “Ti conosce troppo bene, ormai.” Aggiunse, mentre si tamponava la faccia con un asciugamano.
“Stronzetta.” Le disse, con un sorriso storto e il sopracciglio alzato.
“Faccia di culo.” Replicò lei con dolcezza.
“Ma è un bellissimo culo!” Si permise di precisare Bill, seguendola con gli occhi mentre entrava in casa. Tutti risero.

Poco dopo erano tutti e quattro seduti al tavolo sotto il gazebo, davanti alla piscina, con i cani che gli scorrazzavano intorno in cerca di bocconcini prelibati.
Eve e Michael si godevano le loro enchiladas da cannibali, mentre Tom e Bill apprezzavano l’infinità di piatti vegetariani con cui la ragazza aveva placato tutte le loro proteste.
“Cosa hai fatto per dolce?” Domandò Bill, seduto davanti ad Eve.
“Torta di mele.” Rispose serafica lei, il ragazzo spalancò gli occhi.
“Ma sei la regina delle streghe!” Protestò immediato lui. Eve, però, gli fece un sorrisino retorico.
“Panna cotta con frutti di bosco.” Rivelò infine, visto che lui non aveva capito lo scherzo.
“Perché devi sempre prendermi in giro?!” Esclamò indispettito Bill, ma si vedeva che nascondeva un sorriso.
“Perché sei divertente quando t’incazzi.” Rispose pronta la ragazza.
“Oh, sei terribile!” Fece lui con un gesto teatrale. “La nostra nuova governante sarà molto più educata!” Aggiunse poi. Tutti fecero silenzio, osservandolo.
“La nostra nuova governante?” Domandò infine Tom, perplesso. “Perché dovremmo aver bisogno di una nuova governante?”
“Beh, ne avete parlato voi, qualche tempo fa.” Spiegò Bill, dopo uno sguardo d’intesa con Michael. “Eve è convinta di non poter essere allo stesso tempo la tua ragazza, Tom, e la nostra cameriera, il che in effetti è giusto: una fidanzata seria non può farti da cameriera.” Continuò il cantante, con espressione compita. “Così, Eve dovrebbe trovarsi un altro lavoro e noi un’altra governante.”
“Non voglio un’altra cameriera!” Protestò Tom, Eve lo guardò male. “Cioè, nel senso… non voglio nemmeno che tu continui a pulire i gabinetti e lavarmi le mutande…” Le continuò a fissarlo poco convinta.
“La sceglierebbe Eve di persona.” Affermò Bill, annuendo. “Sono certo che farebbe un buon lavoro, troverebbe la migliore.”
“Beh, grazie della fiducia, Bill, ma…” Intervenne la ragazza. “…io comunque non saprei che fare dopo e, se non voglio fargli da cameriera, non voglio nemmeno essere la mantenuta di Tom…” Stavolta fu lui a guardarla male.
“È qui che entro in gioco io.” Disse Michael.
“Come?” S’informò Tom.
“Tre anni fa ho acquistato un fondo piuttosto bello nei pressi del lungomare di Venice.” Raccontò il pittore. “Pensavo di farci uno studio-galleria, ma poi comprai la casa e per le esposizioni ci ha sempre pensato Anne, così il fondo è rimasto vuoto.”
Bill si girò verso Eve, alla sua sinistra, e le prese la mano sorridendo fiducioso. “Se hai ancora quel sogno di aprire una tavola calda con piatti biologici, hai appena trovato due soci con un po’ di soldi da buttare e che credono molto nel progetto.”
La ragazza lo fissò incredula per un lungo istante, poi si riprese. Gli strinse la mano e allargò le labbra in un sorriso stupefatto.
“Tu… tu sei…” Balbettò.
“Dillo.” L’invitò lui, gongolante.
“Meraviglioso!” Esclamò Eve, prima di sporgersi sul tavolo e abbracciarlo. “Sì, sì, che è ancora il mio sogno! Oddio, grazie!” E così dicendo si alzò ed andò ad abbracciare anche Michael.
“Ok, non ho contribuito all’idea, ma saresti ancora la mia ragazza…” Si lamentò blandamente Tom, sentendosi escluso.
Eve, nel frattempo, si sedette in grembo al chitarrista ridendo e gli strinse le braccia intorno al collo. “Il mio Patatone si sente abbandonato!” Scherzò, prima di baciarlo.
“Oh, stai tranquillo, fratellone, il tuo contributo sarà bene accolto!” Lo rassicurò Bill.
“Voi tre siete fantastici.” Proclamò Eve, mentre si accomodava meglio sulle ginocchia di Tom, il quale sorrideva, ora molto soddisfatto. “E quindi, credo che dovrò mantenere quella promessa che ti ho fatto tempo fa, Bill.”
“Quale promessa?” L’interrogò perplesso il cantante.
“Lo sai, quale.” Rispose lei, poi gli ammiccò. “Prepara la muta…”

L’oceano non era affatto blu. Il suo colore era più un grigio verde opaco, tumultuoso, simile agli occhi di Eve. E faceva un po’ impressione esserci in mezzo – non lontanissimi dalla riva, ma comunque nell’acqua alta – con il solo sostegno di una tavola leggera.
Tom guardò Bill, anche lui a cavalcioni su un surf, inguainato in un’aderentissima muta nera che Michael aveva definito “la cosa più sexy che ti abbia mai visto addosso”.
Si sorrisero, ancora un po’ incerti su che cosa fare. Beh, i loro due californiani preferiti gli avevano fatto un po’ di lezione teorica, ma ora erano abbandonati a se stessi con le alghe che gli sfioravano i piedi e solo tanta tanta acqua intorno.
Guardarono entrambi un po’ più al largo, dove Eve e Michael surfavano tranquillamente un’onda che, in tutta sincerità, impressionava abbastanza Bill.
“Non sembra così difficile, fatto da loro.” Commentò Tom sollevando le sopracciglia.
“Oh, non dovevo strapparle questa promessa!” Si lamentò Bill piagnucolante. “Non mi sento ancora pronto ad affrontare questo… questo oceano!”
“Beh, dai…” Lo incoraggiò il fratello. “Se riesce a Michael!”
“Lui c’è nato in California, Tom!” Sbottò il cantante. “E, onestamente, preferisco quando cavalca me…” Tom scrollò la testa.
“Questa preferivo non sentirla…” Commentò abbattuto.
In quel momento, gli altri due si avvicinarono a loro, nuotando distesi sopra alle tavole. Quando gli arrivarono accanto si misero a cavallo dei surf e gli sorrisero soddisfatti.
“Allora, ci provate o no?” Domandò Eve, riavviandosi i capelli bagnati.
“Ecco, le onde mi sembrano un po’ troppo alte…” Rispose Bill incerto, con una smorfia. Michael ed Eve si scambiarono un’occhiata perplessa.
“Veramente…” Fece poi lui. “…oggi sono anche più basse del solito.” Bill lo fissò come se avesse appena detto un’eresia.
“Non sono certa che questo sport faccia per te, Bill.” Affermò quindi Eve. “Non sei troppo coordinato e agile…” Il cantante le dedicò un’occhiata indignata.
“Questo non lo accetto!” Protestò poi. “Mettimi alla prova e ti dimostrerò che sono capace!”
“Vabbene.” Accettò la ragazza. “Stenditi e nuota, chico.” Gli ordinò quindi, prima di fare lo stesso, con Bill che la seguiva, un’espressione decisa sul bel viso.
“Oh, Dio, si ammazzerà…” Commentò lugubre Tom, rimasto solo con Michael.
“Stai tranquillo, Eve sa quello che fa.” Tentò di rassicurarlo il pittore.
“Non può mettersi un giubbetto di salvataggio o qualcosa…” Continuò apprensivo il chitarrista.
“È legato alla tavola e quella galleggia sempre.” Spiegò l’altro.
“Ma se il laccio dovesse rompersi, oppure…” Continuò Tom imperterrito, mentre seguiva con gli occhi i movimenti di Eve e Bill. Si sentì afferrare un braccio e alzò gli occhi su Michael.
“Adesso basta, Tom.” S’impose dolcemente il pittore. “Dovresti provarci anche tu, invece di stare qui ad annegare nella paranoia.”
Si scambiarono un lungo sguardo, poi Tom sorrise e abbassò gli occhi, annuendo. A Michael piaceva quel sorriso di Tom, perché era diverso dal modo di sorridere di Bill, una di quelle sottili differenze che li rendevano unici, nel mare di modi di fare uguali che avevano.
“Sei una delle poche persone di buon senso capitate in questa famiglia, Michael.” Disse infine Tom. “Mi domando come hai fatto ad innamorarti di Bill.”
Il pittore gli sorrise. “E lo domandi?” Fece poi, con tono retorico. Risero.
“Andiamo.” Incitò poi Tom, con un cenno del capo in direzione del mare aperto; l’altro acconsentì annuendo. Si stesero sulle tavole e nuotarono verso le onde.

La sera stava rapidamente avvolgendo la spiaggia, mentre un tramonto spettacolare infiammava il cielo all’orizzonte. I quattro ragazzi sedevano intorno al falò che avevano acceso.
Bill tirò su col naso, Eve lo guardò e sorrise. Il cantante era seduto a gambe incrociate, con un’espressione mesta ed un’abrasione scura sullo zigomo sinistro. Per fortuna la ragazza aveva portato un kit di pronto soccorso.
“Amore, mi arrostisci un paio di marshmallows?” Chiese Bill con voce flebile, rivolgendosi a Michael che stava infilzando i dolci in uno spiedino.
“Certo, tesoro, quanti ne vuoi.” Gli rispose il pittore, prima di accarezzargli la testa.
“Bill ha bisogno di dolcezza.” Scherzò Eve.
“Stai zitta, stronza!” Sbottò il cantante adirato. “È solo colpa tua se sono ridotto così! Mi rimarrà il segno!” Aggiunse, sfiorandosi la guancia ferita.
“Non toccarlo!” Esclamò lei, afferrandogli la mano tatuata. “Possibile che devi essere sempre così imbranato, Bill? Guarda Tom, sta benissimo!”
“In realtà…” Si permise di correggerla il chitarrista, alzando una mano. “…credo che piscerò acqua di mare per i prossimi due secoli…”
“E poi non capisco perché ti lamenti.” Riprese Eve, ignorando Tom. “Sei tu che hai insistito tanto per surfare.”
“Ma era quasi due anni fa!” Sostenne Bill. “E avevo i capelli biondi, la barba ed ero… ero in una fase molto stupida della mia vita!”
“Sei stato redento dalla cucina di Eve?” Gli domandò Michael. Tom e la ragazza risero, Bill fece un broncetto che non avrebbe convinto nessuno.
“Non saprei.” Fece il cantante, stringendosi nelle spalle, mentre il pittore gli si sedeva accanto. “Sono successe così tante cose, in pochi mesi.” Aggiunse.
“Già.” Annuì Tom, Eve che sedeva contro il suo fianco.
“Quando abbiamo conosciuto Eve, non pensavamo certo che ci avrebbe cambiato la vita.” Affermò Bill, stringendosi a Michael, che gli avvolse le spalle con un braccio.
“Andiamo, ragazzi…” Fece lei, raddrizzandosi con espressione imbarazzata. “…non credo di avervi cambiato la vita.”
“Hai cambiato noi, il nostro modo di vedere le cose.” Rincarò dolcemente Tom, guardandola negli occhi. “Io ero intrappolato in una relazione che non andava in nessun posto e Bill…”
“Io cercavo di essere diverso da me stesso.” Intervenne lui. “Andavo in giro sperando che in qualche avventura avrei trovato la persona speciale che cercavo.” Poi guardò Michael, che gli strinse la mano e rispose al suo sorriso.
“Mi date più importanza di quella che ho…” Tentò ancora Eve, arrossita.
“Tu non hai idea di quello che hai fatto per noi.” Le disse Tom, mentre le accarezzava con tenerezza la schiena. “E non lo dico perché sono innamorato di te.”
“Nessuno era mai stato così vero e sincero, con noi.” Aggiunse Bill. “Nessuno, da quando eravamo dei ragazzini, e ne avevamo bisogno.” Le fece uno dei suoi meravigliosi sorrisi.
“Mi sto commuovendo…” Mormorò la ragazza. “Michael, digli qualcosa.” Supplicò.
“Potrebbe facilmente distrarmi con profferte sessuali, ma…” Intervenne il cantante.
“Bill, che cazzo…” Commentò il gemello.
“Ma questo è un discorso serio.” Continuò Bill, dedicando solo una smorfia al fratello. “Se siamo delle persone migliori, ora, è anche merito tuo Eve.”
“Esatto.” Confermò Tom annuendo, con un sorriso dolcissimo.
“E dopo tutte queste belle parole…” Soggiunse la ragazza, incrociando le braccia. “…io che cosa dovrei dire, eh, grandissima coppia di paraculi?”
“Dite la verità.” Intervenne finalmente Michael, che aveva osservato tutta la scena sorridendo. “È stato il suo eloquio elegante che vi ha conquistati, vero?”
“Assolutamente sì!” Esclamò Tom, annuendo convinto; Eve lo colpì al braccio e lui rise forte.
“Una vera lady!” Rincarò Bill e tutti scoppiarono a ridere.

Più tardi, mentre Eve e Tom si scambiavano tenerezze vicino al fuoco, Bill e Michael passeggiavano lungo la spiaggia. La sera era tiepida e umida e c’era una musica indefinita ma dolce, che li raggiungeva da un punto vicino al falò.
Michael fermò Bill prendendolo delicatamente per un polso sottile, lui reagì subito, intrecciando le dita con le sue e si girò sorridendo. Il pittore non finiva mai di meravigliarsi di quanto luminoso potesse essere quel ragazzo. Radioso e bello come una notte di luna piena.
“Ti ricordi quando ci siamo conosciuti?” Domandò Michael a Bill; lui annuì continuando a sorridere.
“Sì.” Rispose poi. “Molto bene.” Rincarò, mentre gli stringeva di più la mano.
“Avresti mai pensato di poter avere una storia con me?” Chiese ancora il pittore; ora si stringevano le mani, uno davanti all’altro, quasi appoggiati uno all’altro.
“Una storia non so… qualcosa di più breve sicuramente sì.” Affermò il cantante con espressione furba, alzando il suo malizioso sopracciglio.
“Oh, signor Kaulitz, pensieri sconci al primo incontro…” Lo rimproverò Michael divertito.
“No, quello no!” Sbottò Bill, ridacchiando timidamente e roteando gli occhi. “Ho solo pensato che eri bello e che mi piaceva parlare con te.” Spiegò quindi, prima di tornare a guardarlo negli occhi. “Tu cosa hai pensato?”
“Che eri uno dei ragazzi più belli che avessi mai visto.” Confessò Michael con sincerità e si stupì di vederlo arrossire un po’ e abbassare il capo. “Ma chissà in quanti te l’hanno detto…”
“In molti, sì.” Ammise Bill. “Ma non erano te.” Aggiunse, con un tono dolce che solo lui aveva.
Il pittore alzò di nuovo gli occhi nei suoi. Quei due meravigliosi, caldi, espressivi occhi nocciola. E sul suo naso perfetto. E quell’opera d’arte che erano le sue labbra. Si ritenne molto fortunato. Gli mise le mani sui fianchi e lo strinse a se piano. Bill gli avvolse il collo con le braccia.
“Sai cosa ho anche pensato, quel giorno?” Fece quindi Michael.
“Cosa?” Lo incitò l’altro.
“Che ero uno stupido se ti lasciavo scappare, che volevo già baciarti e sapere tutto di te.” Confessò sorridendo, mentre osservava lo sguardo adorante del suo ragazzo.
“Mi sa che c’è una cosa che ancora non sai…” Mormorò misterioso Bill.
“È la notte giusta per saperla.” Replicò dolcemente Michael, indicando con un cenno della testa il cielo stellato e la grande luna che rischiarava la spiaggia.
“Io ti amo.” Dichiarò Bill, senza esitazioni. Michael sorrise e alzò gli occhi al cielo.
“Pensavo che non me lo avresti mai detto!” Esclamò poi.
Risero e girarono su se stessi, prima che Bill lo stringesse in una presa soffocante e gli chiudesse la bocca con un bacio. Persero l’equilibrio e caddero sulla sabbia umida, ma non gl’importava.

Bill e Tom Kaulitz avevano amato la California fin dal primo giorno in cui ci avevano messo piede, anche se era inquinata, calda e soggetta ai terremoti. La California, però, non gli era mai sembrata bella come in quella notte stellata, su una spiaggia buia, con le persone che li amavano per quello che erano. Quella era davvero la città degli angeli.

FINE


NOTE:
Come d’abitudine, la traduzione dei versi a inizio capitolo.

Sto correndo forte portando un mazzo di rose
Ed una mappa che ho appena fatto
Stanotte sono rinato nudo ed ho sepolto la mia vecchia anima
E ho ballato sulla sua tomba
...
Ce ne ho messo ad arrivare, mia cara
Ce ne ho messo ad arrivare, ma ora sono qui

Questa canzone io l’adoro, è una vera poesia ed in molti punti mi ricorda Bill e Tom, ne consiglio l’ascolto. Grazie allo zio Bruce, è un’ispirazione continua: God bless you.

Ammetto che è stata molto dura finire questa storia, forse sono un po’ a corto d’ispirazione tokiosa. Ho altre idee, ma devo trovare quella giusta per la prossima storia, forse per un po’ non mi vedrete in questo fandom, ma dovete sapere che i Tokio Hotel sono tutt’ora (probabilmente per sempre) una cosa molto preziosa per me e non li amo di meno se scrivo meno su di loro.

Perciò ringrazio per primi loro, i miei quattro ragazzi speciali e in particolare Bill e Tom, perché nonostante sia passato il tempo, loro siano cresciuti e io invecchiata, i cambiamenti che ci sono inevitabilmente stati, nei loro occhi c’è sempre la luce che ho amato il primo giorno. Saranno sempre i miei lovely little bastards, ma fatemi il disco, cazzo!

Un grazie enorme a chi ha letto, commentato – m’inchino ai coraggiosi – messo nelle preferite e nelle seguite questa storia. L’ho amata, anche se è stata dura!

Un grazie specialissimo a chi mi ha messo tra gli autori preferiti. Spero che mi seguiate anche su altri fandom e che vi piacciano anche le altre cose che scrivo.

E un abbraccio grandissimo alle ragazze del Forum delle Adulte Malate di Tokiohotellite, scusate se manco sempre dal gruppo, è colpa del pc. Mi mancate, fonokkie! Che il terzo gemello sia con voi!

Oh, Dio, sono arrivata in fondo! Quasi non ci credo… ho finito un’altra storia ed ora ho un periodo nostalgico/malinconico. Ma tutto inizia e finisce, no? Tiratemi su di morale coi commenti! ^_-

A presto! Baci grandi!
Sara

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