Il testamento

di nefert70
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ferrara ***
Capitolo 2: *** Il viaggio ***
Capitolo 3: *** Giacomo di Savoia ***
Capitolo 4: *** Duchessa di Guisa ***
Capitolo 5: *** Morte di un re ***
Capitolo 6: *** Il regno dei Guisa ***
Capitolo 7: *** Non desidero sposarmi ***
Capitolo 8: *** Duchessa di Nemours ***
Capitolo 9: *** Nuovamente madre ***
Capitolo 10: *** Sempre uniti ***
Capitolo 11: *** Vendetta e pietà ***
Capitolo 12: *** Addio amore mio ***
Capitolo 13: *** Madre della Lega ***
Capitolo 14: *** Le ultime volontà ***



Capitolo 1
*** Ferrara ***


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Parigi, Hotel de Nemours, 18 maggio 1607
 
La giovane Anne Darnassel entrando nella stanza della duchessa fu raggiunta dall’odore della morte poiché il corpo della sua duchessa era stato solo da poco prelevato per essere sottoposto ai trattamenti necessari alla conservazione. La giovane scostò una delle pesanti tende di velluto rosso e aprì la grande finestra.
 
Anne si guardò intorno, da dove cominciare.
Il signore di Neufchalles, Guillaume Le Cirier, sovrintendente dell’Hotel de Nemours l’aveva incaricata di cercare eventuali nuove volontà della duchessa.
Anne era scettica, la mente della duchessa era da anni che non funzionava più bene, pensare che avesse potuto scrivere nuove volontà era una vera assurdità.
Comunque aveva ricevuto un ordine e quindi si mise al lavoro.
Cominciò con l’aprire il grande armadio e per l’ennesima volta si ritrovò ad ammirare gli splendidi abiti che conteneva, per la maggior parte non più usati da tempo, erano anni infatti che la duchessa non faceva vita di corte e viveva reclusa nel suo palazzo di Parigi.
Guardò da per tutto, ma nulla, l’armadio conteneva solo abiti e biancheria.
Passò al piccolo scrittoio. Sul piccolo tavolo di legno scuro finemente intarsiato c’erano solo il libro della spese, il completo per la scrittura in argento e la penna d’oca oltre ad alcuni vecchi libri che la duchessa aveva portato da Ferrara e da cui non si separava mai.
Anne aprì il cassetto e rimase sorpresa, all’interno vide un libro rilegato in pelle azzurra con impressa l’aquile estense.
Lo riconobbe immediatamente come il diario della duchessa. Ma cosa ci faceva lì. Ricordava che  la prima volta che l’aveva visto aveva chiesto alla duchessa come mai un libro così bello fosse relegato in fondo ad un baule, la sua signora le aveva spiegato che era stato un regalo dello zio, il cardinale Ippolito d’Este, in occasione delle sue nozze con il duca di Guisa. Lo zio l’aveva invitata a scriverci la sua vita, ma la duchessa ridendo le aveva detto “Come faccio a scriverla quando non ho neppure il tempo di viverla” e l’aveva nuovamente riposto in fondo al baule.
Ma ora era nel cassetto dello scrittoio, come ci era giunto? Non ricordava che la duchessa le avesse chiesto di prenderlo? Possibile che lo avesse fatto da sola?
Lo aprì.
 

Hòtel di Nemours, Parigi  gennaio 1607
 
Io Anne,  duchessa di Nemours, di Genevois e di Chartres, contessa di Gisors e signora di Montargis, Caen, Byeux et Falaise, consegno il racconto della mia vita a chi avrà la bontà di leggerle.
 

Anne riconobbe immediatamente la calligrafia della sua signora. Incredula scostò la sedia, si sedette e cominciò a leggere.
 

Sono anni che la mente ogni tanto mi abbandona, devo quindi approfittare delle ormai rare occasioni in cui sono lucida per scrivere queste mie memorie.
 
Sento le forze venir meno, credo che presto lascerò questo mondo.
 
La maggior parte dei miei cari e delle persone che ho conosciuto hanno lasciato questo mondo. Solo io sono sopravvissuta.
 
Anna è il mio nome, così sono stata chiamata quando sono venuta al mondo in un freddo pomeriggio del 16 novembre 1531 nel palazzo ducale di Ferrara.
Poi sono stata chiamata in tanti altri modi: duchessa di Aumale, duchessa di Guisa e infine duchessa di Nemours.
 
Mio nonno, Alfonso I d’Este duca di Ferrara, registrò la mia nascita qualche giorno dopo, con la delusione che ancora si respira  guardando quella frase nel grande libro che racchiude la storia della mia famiglia.

 
Mio padre chiese al papa Clemente VII  di essere il mio padrino, e sembra sia stato lui a volermi chiamare Anna in onore di mia nonna materna, la due volte regina di Francia Anna di Bretagna.
In realtà il papa non mi portò al fonte battesimale perché delegò il cardinale Ippolito de Medici che a sua volta inviò Francesco Guicciardini, governatore di Bologna.
Mio padre nonostante l’affronto organizzò una sontuosa cerimonia.
 
Nel 1533 finalmente mio nonno appuntò la nascita del tanto sospirato figlio maschio, mio fratello Alfonso.
Nel 1534 nacque mia sorella Lucrezia, nel 1537 Eleonora ed infine, nel 1538 anche se ormai i rapporti tra i miei genitori si erano definitivamente raffreddati, nacque Luigi.
 
Mio padre, soprattutto grazie all’educazione impartitagli da mia nonna, Lucrezia Borgia, fu un grande amante della musica, della poesia ma anche della caccia e delle feste.
Al contrario mia madre era più dedita alla studio che alle feste, la sua intelligenza era ancora più raffinata di quella di mio padre ma i suoi costumi molto più severi.
La vera ragione però del grande dissenso tra i miei genitori, fu la diversa professione religiosa.
Mia madre in quando principessa di Francia fu si istruita nella religione cattolica ma molti dei suoi precettori furono riformati e lei ne assorbì le idee tanto da, una volta giunta a Ferrara, seguirne le dottrine soprattutto dopo la visita, anche se sotto altro nome, di Giovanni Calvino.
Ricordo ancora il giorno in cui lo incontrai, avevo cinque anni, eravamo riuniti nel piccolo camerino di mia madre con le pareti rivestite di legno scuro.
Il visitatore che cominciò a disquisire di religione era un personaggio davvero singolare, un uomo piccolo, magro e tutto vestito di nero.
Ricordo ancora le sue magre labbra che si muovevano velocemente mettendo in discussione tutti i principali dogmi della nostra religione.
Ricordo che il mio sguardo passava dalla triste figura di Calvino a mia madre che lo guardava completamente assorta, con una luce che non le avevo mai visto.
Io stringevo forte la mano di mia sorella Lucrezia, sia per impedirle di correre per la sala e anche per farmi coraggio, nella stanza regnava un’atmosfera che mi terrorizzava.
Ad un certo punto la grande porta si aprì e mio padre entrò. Tutti fecero silenzio. La luce negli occhi di mia madre si spense. Mio padre fece uscire tutti.
Non so cosa si dissero esattamente i miei genitori quel giorno, ma il tetro Calvino da lì a pochi giorni andò via, anche se so che continuò a scrivere a mia madre e lei a rispondergli. 
 
Alla corte di mio padre oltre all’italiano, studiai il francese, il latino, il greco e l’arte dell’oratoria.
Tra le opere che ebbe la fortuna di studiare c’erano i grandi autori classici: Aristotele, Cicerone, Proclo, Pomponio Mela, Tolomeo, Euclide, Esopo ed Ovidio.
 
I miei insegnanti furono  Francesco Porto per il greco ed il latino e il cantore francese Milleville per la musica e il canto.
Mia madre mi affiancò anche  Killian Senf (Sinapius) per suscitarmi delle simpatie protestanti, ma il tempestivo intervento di mio padre mi fece sempre rimanere cattolica anche se non dimenticai mai quei primi insegnamenti.
L’insegnate a cui però fui più affezionata fu Fulvio Pellegrino Morato, letterato mantovano che giunse alla corte di mio padre nel 1539, con al seguito la figlia Olimpia che mi divenne compagna di studi e fidata amica.
 
Nel aprile 1543 ricevemmo la visita del pontefice Paolo III, la motivazione di una visita così importante fu la richiesta di un prestito di 50000 scudi d’oro e la mia mano per il nipote Orazio Farnese.
Mio padre, che sapeva bene per esperienza personale, quanto queste alleanze con le famiglie papali non siano convenienti, prese tempo con la scusa ero ancora troppo giovane per un matrimonio.
In quella occasione però, i miei fratelli ed io, mostrammo la nostra conoscenza del latino rappresentando la commedia degli Adelfi di Terenzio in lingua originale.
Lucrezia declamò il prologo, io e Alfonso rappresentammo le parti d’innamorati, Leonora di una giovinetta e Luigi di uno schiavo.
 
Qualche anno dopo cominciarono le ricerche per accasarmi.
Mio padre desiderava posare una corona sulla mia testa. Fu così che cominciarono le trattative con la corte tedesca che fallirono immediatamente perché luterana.
Nel 1546 rivolse l’offerta a Sigismondo I di Polonia per darmi in sposa all’erede del trono polacco. Le trattative però andarono per le lunghe soprattutto per la netta opposizione di Francesco I di Francia.  Il re di Francia propose di darmi in sposa ad un principe francese ma mio padre si oppose, ma acconsentì a concedere la mano di mia sorella Lucrezia a Francesco di Lorena duca D’Aumale.
Le trattative con la Polonia però andavano a rilento e neppure l’intervento del re di Francia poterono nulla. Nel frattempo il re Francesco I era morto e il suo successore era mio cugino Enrico II, le nostre madri erano sorelle.
 
All’inizio del 1548, il cardinale di Lorena, Carlo, in viaggio verso la Francia si fermò qualche giorno presso la nostra corte, mio padre adducendo come scusa la giovane età di mia sorella gli propose me per suo fratello il duca.
  
Il 19 agosto 1548 il re di Francia convocò mio padre a Torino e fu in quella occasione che si decise il mio futuro. Venne stabilito che sarei stata io la sposa di Francesco di Lorena e che la mia dote, 150000 lire tornensi sarebbero state versate alla famiglia dello sposo da Enrico II.
L’obbiettivo di mio padre era raggiunto, non avrebbe pagato la dote. 

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Capitolo 2
*** Il viaggio ***


Il 28 settembre 1548 alla presenza del vescovo di Comacchio e di tutta la corte Ferrarese, il fratello di mio marito, Renè di Lorena mi sposò per procura, i festeggiamenti poi proseguirono con una giostra di dodici cavalieri per parte, purtroppo rovinata dalla pioggia e dal vento di bora.
 
Messer Cristoforo da Messisburgo organizzò delle memorabili serate,  con sontuosi banchetti inframezzati da rappresentazioni sceniche e intrattenimenti musicali.
Ricordo ancora le figure di marzapane indorate e rappresentanti le armi di Ferrara e Francia, che concludevano i banchetti.
 
Il giorno dopo, le celebrazioni continuarono con la rappresentazione in casa di Messer Giraldi,  segretario di mio padre,  in Santa Maria de Bocco, della tragedia da lui scritta, l’Antivalomeni.
 
Il 3 ottobre 1548, lasciai per sempre la mia casa.
Fin dal mattino i cavalieri della scorta percossero le strade di Ferrara, secondo l’ordine di marcia.
Quando scesi la grande scala d’onore di marmo bianco vidi i cavalli che soffiavano e scalpitano nella piazza e i carri contenenti abiti, gioielli e la mia corte di donne.
Con le lacrime agli occhi salutai mio padre e salii sulla carrozza dove mia madre e le mie sorelle mi attendevano.
Questo viaggio era come una lama che tagliava tutti i fili della mia italianità, sentivo che segnava la fine di Anna e la nascita di Anne.
 
Quando si nasce in una famiglia regnante, anche se di un piccolo ducato, si cresce con la consapevolezza che molto presto si lascerà tutto ciò che ci è familiare per cominciare una nuova vita come moglie  e madre, ma vi posso assicurare che lasciare la propria famiglia e la propria casa è qualcosa di lacerante.
Il terrore mi attanagliava il cuore in quella fresca mattinata di ottobre,  mi sembrava quasi di non riuscire a respirare.
Sarei giunta in una nazione sconosciuta, in una famiglia estranea con usi e abitudini a me sconosciuti e poi mio marito, maggiore di me di dodici anni.
Chissà come sarei stata accolta? Come sarebbe stato il mio matrimonio?
Tutte queste domande e paure mi tormentavano.
 
Appena la carrozza partì, mi resi conto che il primo filo era stato reciso.
 
La prima tappa fu Mantova, dove i nostri cugini Gonzaga non furono molto contenti di riceverci.
Effettivamente eravamo in molti e dare alloggio e cibo per tutti era alquanto oneroso.
 
Quando ripartimmo da Mantova anche mia madre e le mie sorelle dovettero abbandonarmi e tornare a Ferrara.
 
Il secondo filo fu reciso, e i miei occhi non avevano più lacrime.
 
Michel de l’Hopital, che era stato nominato mio procuratore dalla famiglia di Guisa, cercò di alleviare le mie sofferenze conversando con me di lettere e musica.
 
Il viaggio fu lungo e impervio, i giorni trascorrevano lenti nella carrozza e la consolazione della sera era la riunione con le mie donne.
 
Ogni sera dovevamo trovare un luogo dove fermarci ma non sempre venivamo ben accolti.
 
Molte volte abbiamo dovuto dormire in piccole case che potevano dare rifugio solo a me e a poche delle mie dame, le altre e gli uomini di scorta erano costretti a dormire all’aperto o nelle carrozze.
 
Ricordo che nelle vicinanze di Vercelli abbiamo alloggiato in casa dei Trecchi.
Queste povere persone non erano intenzionate ad ospitarci poi si sono impietosite dopo che mi videro veramente provata e ci cedettero le poche stanze della casa.
Loro furono costretti ad alloggiare tutti nel fienile, però finalmente potemmo di nuovo mangiare un po’ di carne, erano giorni infatti che mangiavamo solo di magro.
 
Il viaggio continuò fino a Susa e qui cominciarono i festeggiamenti per le mie nozze, infatti gli uomini del forte erano agli ordini di mio marito, luogotenente generale del Piemonte.
 
Il 25 ottobre, finalmente giunsi a Grenoble dove mi attendeva il padre di mio marito, il duca di Guisa con la mia nuova famiglia.
Il duca era un uomo alto e robusto. Con capelli e barba bianchi e occhi azzurri molto intelligenti.
Molto affettuoso, appena mi vide mi abbracciò e baciò le guance.
Per fortuna non ripartimmo subito e così mi riposai per qualche giorno.
 
La mia corte di donne e la scorta che mi aveva accompagnato fino a Grenoble dovette ripartire per Ferrara.
 
L’ultimo filo fu tagliato.
 
Madame de Parroy mi fu presentata come la mia nuova governante. Devo dire che mi fu sempre fedele e affezionata ma in quel momento il mio cuore era troppo triste per accorgermi della sua gentilezza.
Della mia Ferrara rimaneva solo mio fratello Alfonso, la sua scorta personale e il cardinale di Ferrara. Tutto il resto era francese.
 
Quando raggiungemmo Fontanbleau incontrai per la prima volta mio cugino il re.
 
L’incontro fu davvero emozionante, mio cugino mi baciò e abbraccio più volte e così fece anche la regina Caterina.
Sin da quella volta si instaurò, con la regina Caterina, un legame che restò indissolubile per il resto della nostra vita, forse a legarci fu anche il fatto che entrambe eravamo italiane e molte volte ci ritrovammo a conversare nella nostra lingua nativa.
 
In quell’occasione incontrai anche l’amante del re e fedele amica della famiglia dei Guisa, Diana di Poitiers.
 
Ormai posso anche ammetterlo, non ho mai provato simpatia per lei. Troppo potente per essere solo l’amante del re. Ma in Francia le amanti contano più delle mogli!
 
L’incontro con il mio sposo avvenne a Saint-Germain-en-Laye, pochi giorni prima della data fissata per le nozze.
 
Era stato trattenuto in Guyenna fino a quel momento a causa di una rivolta.
 
L’incontro fu improvviso e senza cerimoniale. Appena giunto volle incontrarmi non preoccupandosi del suo aspetto infangato dalla lunga cavalcata.
 
La cosa mi fece piacere, perché era segno della sua impazienza. Lo trovai affascinate nonostante gli stivali infangati e l’abito non certo elegante. Francesco era alto e robusto, con grandi spalle e vita sottile, capelli biondi e occhi azzurri.
 
Nei giorni seguenti facemmo lunghe cavalcate e le sue attenzioni verso di me mi fecero intendere che era molto soddisfatto della scelta.
 
Il 16 dicembre 1548 fui unita in matrimonio a Francesco di Lorena.
Ero nelle mie stanze quando uno squillo di tromba mi annunciò l’arrivo del re e del mio sposo, era ora di andare in chiesa.
Il re appena mi vide esclamò “Mia cara cugina siete incantevole, sarete la gemma più bella della mia corte, tutti si innamoreranno di voi”.
 
Scortata dai mie nobili cavalieri procedetti nella galleria che collegava il palazzo alla cappella dove il cardinale di Guisa e il cardinale di Ferrara avrebbero officiato la cerimonia.
Quasi a metà navata Francesco mi  prese la mano e mi condusse per l’ultimo tratto, poi insieme ci inginocchiammo sul freddo marmo.
I cardinali recitarono la formula di rito. Dopo che fummo dichiarati marito e moglie ci alzammo e raggiungemmo il banco per seguire la messa.
 
La grande sala era stata addobbata con nastri e rami di sempreverde. Le tavolate coperte da pesanti drappi di raso rosso, riprendevano il colore delle bacche delle piante appese alle finestre e ai grandi lampadari appesi all’alto soffitto, sopra erano state disposte delle tovaglie di finissimo lino ricamate in oro. I piatti erano d’argento, i bicchieri di finissimo cristallo. Centinaia di candele illuminavano a giorno l’immensa stanza.
 
Al tavolo d’onore il re e la regina, il mio sposo alla destra del re ed io alla sinistra della regina.
Fu un susseguirsi di squilli di trombe che annunciavano l’arrivo delle pietanze, sontuosamente preparate su grandi vassoi d’argento e d’oro che dovevano essere portati da almeno quattro valletti.
Ad intervallare le portate c’erano i balli, ed io ballai con tutti.
Per primo il re, poi mio marito e poi  tutti i gentiluomini di corte che desideravano ballare con la nuova duchessa d’Aumale.
 
Per quanto, da sempre abituata agli omaggi dei cortigiani, mi sembrava che la corte  stesse esagerando a manifestarmi tutte queste attenzioni.
 
Ad un certo punto fui invitata a ritirarmi in camera.
Poco dopo venni raggiunta da Francesco, dal re, dalla regina e da alcuni amici.
Rimanemmo a conversare ancora un’ora davanti al camino, poi il re e la regina si congedarono e così anche gli altri amici.

Appena rimanemmo soli, Francesco mi spogliò del pesante abito di broccato ricoperto di gemme. Poi baciandomi mi condusse a letto. Ero emozionata.  Il mio sposo si spogliò e mi raggiunse.
Fu come mi era stato detto, doloroso ma veloce.

Le feste continuarono per molti giorni e poi cominciarono quelle per il santo Natale e per l’anno nuovo.
 
Pochi giorni dopo l’inizio del nuovo anno il mio sposo dovette partire per il Saintonge per sedare un’altra rivolta.
 
Io rimasi a corte. 

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Capitolo 3
*** Giacomo di Savoia ***


L’assenza del mio sposo era per me motivo di tristezza e preoccupazione. Così per distrarmi oltre a proteggere gli artisti italiani in visita in Francia cominciai ad aiutare mia suocera, Antonia di Guisa, nell’amministrazione delle proprietà di famiglia.
 
Non mi ero mai occupata di questi affari ma la trovai un’occupazione molto piacevole e questo impegno comune ci unì per sempre.
 
Mia suocera, Antonia di Borbone-Vendome duchessa di Guisa, era una donna molto pratica e intelligente.
Se gli uomini della famiglia di Guisa, grazie all’amicizia dei re di Francia avevano ricevuto titoli e terre era stata la sua abilità nell’amministrarle a renderci una famiglia economicamente molto abbiente. Il vivere a corte era molto dispendioso e solo la sua oculatezza permetteva il nostro tenore di vita.
Fu anche la sua influenza a spingere il marito a stringere grandi alleanze matrimoniali. Sua figlia Maria era regina reggente di Scozia, il figlio Claudio marchese di Mayenne e futuro duca d’Aumale era sposato con Louise de Brezè, figlia di Diana di Poitiers l’amante del re.
 
A corte le serate venivano trascorse per la maggior parte del tempo nelle stanze della regina. Sua maestà, per attirare il re, era infatti solita riunire un folto gruppo di dame e cavalieri che al suono dei musici discorrevano di ogni argomento.
 
In una di queste serate la mia attenzione fu attirata da un giovane uomo la cui bellezza non era paragonabile a nessun altro.
I capelli di un castano dorato e gli occhi azzurri sembravano la copia esatta dei miei. Il portamento regale era amplificato dall’abbigliamento sontuoso: il farsetto nero ricamato d’oro, il mantello di raso fissato alla spalla da un’enorme diamante, collane e anelli di squisita fattura.
Non so ancora come accadde ma anche io attirai la sua attenzione.
 
E fu così che conobbi Giacomo di Savoia duca di Nemous.
 
Il duca si presentò con un grande inchino e io feci altrettanto. Non sapeva chi fossi e rimase sorpreso di sapere che ero la moglie del suo caro amico il duca d’Aumale.
Il duca di Nemours era tra i pochi  non presente al nostro matrimonio, perché trattenuto nel suo castello di Annecy dalla malattia della madre, come poi mi spiegò.
 
Il duca era una persona molto colta e amante delle lettere, proprio come me e fu questo forse il motivo della nostra immediata amicizia.
 
L’emozione che mi diede la conoscenza del duca mi fese immediatamente scrivere al mio sposo. Non gli nascosi nulla dell’incontro e neppure delle nostre conversazioni. Infatti non avevo nulla di cui vergognarmi.
 
Il mio sposo mi rispose felice  che il suo caro amico trovava la mia piena approvazione e in quel momento non trovò nulla di male nel fatto che io lo potessi incontrare anche in sua assenza.
 
Capitò così che in molte occasioni rinunciai ai vespri per assistere alle partite di palla corda del duca e molte altre volte il duca mi fece visita, e così passeggiando negli splendidi giardini di Fontanbleau o Saint Germain discorremmo di poesia e prosa.
 
Ancora non mi rendevo conto che così facendo davo adito a pettegolezzi sul mio conto, soprattutto da parte della maggior parte delle dame di corte, tutte innamorate del duca.
Una in particolare, Francesca di Rohan era la più ardita e non faceva mistero del suo interesse.
 
Qualcuno però cercò di avvertirmi, Michel de l’Hopitale.
Una mattina ricevetti una lunga epistola in versi latini nella quale mi raccomandava di continuare a piacere a mio marito, di ritirarmi nelle mie proprietà quando lui non era presente a corte e poter così approfondire i miei studi.
Ma a quel tempo non capii o forse non volli capire.
 
In aprile il mio sposo riprese il suo posto a corte e la mia felicità fu del tutto sincera.
 
In agosto il re decise di assediare Boulogne. Il duca di Nemours ebbe il comando dell’assedio.
 
Finalmente ero  incinta.
Il mio primo figlio nacque il 31 dicembre 1549 e gli fu imposto il nome di Enrico in onore del re.
 
Sempre in dicembre, mio marito fu inviato a Boulogne. Non potette assistere alla nascita di suo figlio, però riuscì a obbligare l’Inghilterra a firmare la pace.
 
Nel giugno del 1550 mio suocero improvvisamente morì ma al suo funerale purtroppo non partecipò la corte perché a Saint Germain nello stesso momento stava nascendo il quarto figlio del re, il futuro Carlo IX. Mia madre ne sarebbe stata la madrina.
 
Ero la nuova duchessa di Guisa. 

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Capitolo 4
*** Duchessa di Guisa ***


Mio marito, non aveva molto tempo per dimostrarsi ne figlio devoto ne marito presente.
Il funerale di mio suocero fu completamente organizzato da mia suocera e da me.
 
Nel luglio del 1551 ebbi la mia seconda figlia Caterina Maria, dai nomi delle sue due madrine, la regina Caterina de Medici e la regina di Scozia Maria Stuart, nipote di mio marito.
 
Finalmente il mio sposo passò un po’ di tempo con me e con i nostri figli nel palazzo di Joinville, ma ad agosto del 1551 il re ne reclamò la presenza a Fontainbleau. La Germania aveva attaccato Mets, Toul e Verdun. Il mio sposo doveva prepararne la difesa. Il duca di Nemours lo raggiuse.
 
Le notizie che ricevevo non erano confortanti. Il mio sposo chiedeva nuova artiglieria ma il re tergiversava. Dovetti inviargli io stessa del denaro per rifornirsi di viveri e munizioni.
Il duca di Guisa dopo l’ennesima vittoria da parte del duca di Nemours gli concesse di ritornare alla corte per riposarsi.
Cosa che mai concesse a se stesso.
Finalmente il 9 gennaio 1553 mio marito annunciò alla corte che l’esercito tedesco si ritirava lasciando alla pietà francese i propri feriti.
 
La corte intanto festeggiava la vittoria acclamando il duca di Nemours che in tante battaglie aveva sconfitto l’esercito imperiale.
 
Il vero vincitore, mio marito, rientrò solo a febbraio ma ormai l’euforia della vittoria era scemata. Sul suo viso invece scorsi nuove rughe, segno evidente delle lunghe notti insonni e delle preoccupazioni.
 
Il suo rientro a corte mi riempì di gioia. Era stato lontano quasi due anni. Per i nostri figli era uno sconosciuto.
 
Al suo rientro mio marito si dimostrò più premuroso nei miei confronti e sempre presente nelle occasioni in cui c’era anche il duca di Nemours. Tutto questo sul momento non destò in me preoccupazione o sospetto. Ma oggi, posso dire che sicuramente i pettegolezzi di corte erano giunti alle sue orecchie e volle appurare di persona se c’era dell’inganno nel mio comportamento.
 
Non lo trovò. Perché non ci fu mai nulla tra me e il duca, tranne che una sincera amicizia anche se era fondata su una comunione molto difficile da trovare e da comprendere.
 
Il comportamento del duca nei miei confronti fu sempre rispettoso, mi rendeva il giusto omaggio ma mai in modo sconveniente. Durante i tornei, indossava sì i miei colori, ma solo perché non lo faceva mio marito, che invece indossò sempre quelli  di M.lle de Piennes.
La cosa mi fece sempre soffrire.
 
La prima volta che mio marito indossò i colori della sua amante in mia presenza per me fu un tale affronto che per giorni non gli rivolsi parola, poi mia suocera mi confidò come lei aveva affrontato i frequenti tradimenti del marito.
Mi raccontò che una volta, scoperta la tresca tra il duca e una contadinella e il luogo in cui si incontravano, chiese al marito di incontrasi nello stesso luogo, una capannina poco fuori i confini di Joinville, il marito rimase al quanto sconcertato ma accettò. Quando giunse al luogo prestabilito lo trovò trasformato in un lussuoso luogo di piaceri, ora all’altezza della sua posizione ducale, secondo mia suocera. Il duca rimase talmente colpito da far costruire sul luogo un piccolo castello.
Purtroppo la fragilità maschile non trova e non ha mai trovato in me una rispondenza pratica come in mia suocera, comunque imparai a sopportare.
 
I contatti con la corte di mio padre rimasero sempre costanti e a seguito di una epistola ricevuta da parte di mia madre proposi a mio marito il matrimonio tra il duca di Nemours e mia sorella Lucrezia.
 
L’incontro nel quale mio marito invitò il duca di Nemours a formulare ufficiale richiesta per la mano di mia sorella Lucrezia, avvenne alla mia presenza.
Quando il duca udì la proposta rimase al quanto sconcertato, nei suoi occhi lessi il terrore, strano in un uomo così valoroso e quando voltandosi incontrò il mio sguardo capii. Il duca di Nemours mi amava.
Probabilmente anche mio marito si accorse dello sguardo e incalzo la proposta con nuovo tono pieno di irritazione.
Il duca di Nemours a quel punto dovette pensare di essere sottoposto ad una prova,  immediatamente si mostrò entusiasto dell’idea e di poter diventare fratello dei suoi più cari amici, Francesco di Lorena e Alfonso d’Este.
 
Il duca invio una lettera a mio padre dove chiese ufficialmente la mano di mia sorella ed io che ormai temevo il sentimento che avevo scorto negli occhi del duca, misi al corrente della richiesta l’intera corte in modo da renderlo moralmente impegnato.
 
Mio padre però non diede risposta.
Il duca di Guisa a questo punto inviò una lettera alla corte di Ferrara che terminava così: “Vi supplico di giungere ad una risposta positiva, perché la cosa mi preme molto.”
Quando lessi queste parole capì che mio marito aveva capito e desiderava scavare un fossato invalicabile tra me e il duca.
Ma nonostante le insistenze, da Ferrara non giungevano notizie.
 
Contemporaneamente a questi fatti nel marzo del 1554, pochi giorni prima della nascita di mio figlio Carlo, futuro duca di Mayenne,  ricevetti una convocazione ufficiale dal re. La cosa mi preoccupò molto in quanto mio cugino non era solito invitarmi alla sua presenza in modo così brusco.
Quando giunsi nel suo gabinetto, dopo l’inchino di rito, il re mi porse senza troppe cerimonie una missiva, la inviava mio padre.
Mio padre si trovava in una delicata situazione politica, il ducato era considerato un covo di eretici.
Il duca di Ferrara chiedeva a re Enrico l'invio di un teologo che potesse convincere mia madre a ritornare alla fede cattolica.
Il re era veramente irritato da questa situazione, mi ci vollero tutta la mia diplomazia per calmarlo e convincerlo a inviare lo stesso inquisitore generale, il priore domenicano Matthieu Ory a Ferrara.
Seppi successivamente che mia madre, nonostante l’invio da parte di Calvino di un uomo di fiducia che la sostenesse nella fede,  per ricongiungersi con le mie sorelle, che nel frattempo erano state inviate in convento per sottrarle alla sua influenza, fece ufficiale abiura della fede riformata e ricominciò a frequentare la messa.
 
Il 24 febbraio 1555, la sorella del duca di Nemours  si univa in matrimonio con il conte di Vaudemont, lontano cugino dei Guisa.
Le celebrazioni furono fastose come si conviene ma io non riuscivo a divertirmi, mio marito controllava ogni mio atteggiamento.
Il duca di Nemours forse per allontanare ogni sospetto si avvicinò sempre più a Mademoiselle de Rohan, che non attendeva altro.
Persino la regina si accorse della loro intimità e la invitò a custodire la sua dignità. Nonostante questo rimprovero M.lle de Rohan andava fiera della sua relazione alla quale, diceva, mancava solo la benedizione della chiesa. Strane parole per una fervente ugonotta.
 
Il 1557 si aprì con nuove tensioni politiche, il papa chiedeva l’aiuto della Francia contro gli spagnoli. Il duca di Guisa fu inviato in suo soccorso. Questa volta il mio sposo mi volle al suo fianco.
 
 
Grazie Diana,è da poco che mi dedico a scrivere e so che pecco in molti punti, ma con i tuoi consigli magari riuscirò a migliorarla.
Sinceramente pensavo di raccontare solo la vita di Anna senza dilungarmi troppo su altri personaggi, ma sicuramente ci sarò qualche piccolo approfondimento su Maria di Scozia.
Continua a leggermi…
Ciao
 
Francesco I di Francia muore il 31 marzo 1547. Ne faccio un breve accenno nel primo capitolo.
Anna non lo ha mai conosciuto, dobbiamo ricordarci che lei arriverà in Francia solo a dicembre del 1548.
Per quanto riguarda Enrico lo sfregiato:  alcune fonti danno come data di nascita il 31 dicembre 1549,  altre il 31 dicembre 1550. Io optato per la prima, non mi piaceva l’idea che trascorressero due anni prima che Anna avesse il primo figlio.
Carlo IX nasce il 27 giugno 1550.
Enrico III nasce il 19 settembre 1551.
Possiamo dire che tutti e tre sono coetanei  sia che facciamo nascere Enrico di Guisa nel 1549 o nel 1550.
I figli della famiglia di Guisa,  quelli del re di Francia e  la piccola regina di Scozia cresceranno insieme. 

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Capitolo 5
*** Morte di un re ***


Accettai con piacere di seguire mio marito in Italia perché speravo di poter rivedere i luoghi che mi avevano dato i natali e anche per allontanarmi dal duca di Nemours,  ma appena giunta in Italia scoprì di essere incinta, mio marito fu costretto a rinviarmi a Parigi.
Mio figlio Antonio nascerà  poco dopo il mio rientro in Francia.
Il duca nel frattempo aveva raggiunto mio marito in Italia. Per fortuna non ci incontrammo. Ormai non volevo più incontrarlo da sola, l’amore che avevo scorto nei suoi occhi mi faceva paura, perché ero una donna sposata e desideravo rimanere fedele a mio marito. Ora vi chiederete perché preoccuparsi dell’amore del duca se la cosa non fosse stata ricambiata? Avete ragione, me lo sono chiesta anche io molte volte e alla fine dovetti ammettere con me stessa che anche io provavo qualcosa per il duca, anche io lo amavo. Senza accorgermi mi ero innamorata di lui ma al contempo amavo mio marito e i miei figli, per nulla al mondo volevo fare qualcosa che avrebbe messo in pericolo la stabilità della mia famiglia.
Al mio rientro in Francia ebbi una sorpresa, Mademoiselle de Rohan era incinta.
Suo figlio, a cui metterà il nome di Enrico nascerà il 24 marzo.
Il duca di Nemours non volle mai riconoscere questo bambino e per tutta la sua vita ne negò la paternità.
Mademoiselle de Rohan, cacciata dalla corte dalla regina Caterina, si rifugiò nel castello di Giovanna di Navarra, sua cugina e fervente ugonotta.
Molto presto, sorretta dal marito di Giovanna, Antonio di Borbone, principe del sangue, intentò una causa contro il duca di Nemours per la paternità del bambino e per una presunta promessa di matrimonio del duca nei suoi confronti mai rispettata.
La regina Caterina, e la corte rimasero sempre sordi alle loro rivendicazioni.
Il mio sposo purtroppo non ottenne i risultati sperati nel sud dell’Italia e dovette ritirarsi. Il ducato di Ferrara, in questa occasione non diede al mio sposo l’aiuto richiesto, e da quel momento i miei rapporti con la corte di mio padre si fecero sempre più sporadici.
Al momento della mia partenza per la Francia, mio padre mi aveva incaricato di mantenere i rapporti tra le due corti ed io mi prodigai sempre per svolgere il mio dovere al meglio, ma nonostante tutto venni tradita proprio dalla mia famiglia d’origine.
Nonostante i miei parenti non avessero offerto il giusto aiuto a mio marito al mio rientro in  Francia io continuai a favorire gli interessi della corte ferrarese.
Infatti, mi interessai per concludere il matrimonio tra mio fratello Alfonso, erede del ducato, e la principessa Elisabetta, figlia di Enrico II e Caterina.
Ma la regina in questa occasione mi fu avversa, preferiva tenersi la figlia come merce di scambio per un  matrimonio più importante e dall’altra parte voleva favorire gli interessi della sua famiglia d’origine, i Medici.
In quella occasione la mia famosa diplomazia, venne meno.
Nonostante i miei pubblici insulti nei confronti delle figlie di Cosimo de Medici e  l’accorata lettera che inviai a mio padre,  il 3 luglio 1558  mio fratello Alfonso  avrebbe sposato per procura a Ferrara Lucrezia de' Medici.
Nonostante tutto il mio impegno era la fine dell’alleanza tra Ferrara e la Francia.
Durante la metà del secolo scorso, la Francia era esposta militarmente su due fronti, il duca di Guisa in Italia a sostegno del Papa e il connestabile di Montmorency in Piccardia contro l’esercito imperiale sostenuto dai Savoia, oltre agli scontri dovuti alla presenza sul territorio francese dell’Inghilterra.
La sconfitta subita dal connestabile di Montmorency  il 10 agosto 1557 a San Quintino ci fece temere il peggio, il nostro esercito era stato distrutto e il connestabile catturato.  Enrico II richiamò  urgentemente mio marito in Francia.
Il duca di Guisa  veniva visto come l’unico possibile salvatore della Francia e quindi il re  lo nominò immediatamente luogotenente generale.
Mio marito approfittò dell’occasione per strappare al re la promessa di far celebrare al più presto il matrimonio tra il delfino e la nipote Maria di Scozia.
A dire il vero, mio cugino era già intenzionato a far sposare i due giovani già dall’anno precedente ma vista la giovane età del delfino fu persuaso a rimandare.
Ottenuta la parola del re il mio sposo ripartì immediatamente per assediare Calais, importantissima piazzaforte tenuta dagli  Inglesi .
Rividi mio marito solo in primavera per il matrimonio di  Maria di Scozia con il delfino Francesco,il 24 aprile1558a Notre Dame de Paris.
Il matrimonio fu un evento di raro splendorecome si conviene a dei futuri sovrani.
La cerimonia fu officiata su un palco adibito proprio di fronte a Notre Dame, in modo da poter offrire lo spettacolo a tutto il popolo.
Il corteo nuziale fu aperto dai principi reali sontuosamente vestiti, poi, cardinali, vescovi, abati; per ultimi il Delfino, scortato dai suoi fratelli minori, la sposa che aveva alla sua destra il re e a sinistra il cardinale di Lorena, poi Caterina de' Medici, le principesse e le dame di corte.
Dopo che gli sposi ebbero pronunciato i voti, gli araldi urlarono «Largesse!» e vennero lanciate manciate di monete d'oro e d'argento alla folla.
Dopo le nozze, vi furono la cena, una parata di navi ed il ballo.
La giovane regina Maria di Scozia era giunta in Francia poco prima del mio matrimonio nel 1548 a seguito degli accordi matrimoniali stabiliti tra la corte scozzese e la corte di Francia.
La piccola aveva appena sei anni e fu allevata principalmente da mia suocera anche se la corte francese si occupò della sua educazione e del suo mantenimento.
Da bambina era graziosa, timida  ma molto cosciente della sua posizione regale e quindi in molte occasione poteva apparire arrogante.
Da fanciulla divenne bella, non nel senso classico del termine, infatti ebbe sempre il naso molto pronunciato, diritto e con una lieve tendenza ad essere aquilino ma nell’insieme il suo viso era grazioso.
Era il suo personale a renderla unica, era più alta di tutte le donne presenti a corte, infatti aveva ereditato l’altezza dalla madre e dagli zii Guisa.
I suoi capelli, biondo-cinerini durante l'infanzia, si scurirono sempre più sino a raggiungere un colore fulvo; i suoi occhi a mandorla erano invece color ambra.
In occasione delle sue nozze volle indossare un abito bianco completamente ricoperto di gemme. Sia sua nonna che io cercammo di scoraggiarla da scegliere questo colore, infatti fino a quel momento era considerato il colore delle vedove, ma era il suo colore preferito e non ci fu modo di convincerla.
Il futuro ci avrebbe dato ragione, ma allora ancora speravamo che non avesse importanza.
Le vittorie inflitte dal mio sposo all’Inghilterra e alla Spagna portarono alla firma di una tregua.
Il 2 e il 3 aprile 1559 a Chàteau-Cambrésis fu firmata la pace tra Francia e Inghilterra e tra Francia e Spagna.
Per rendere più duratura la pace si conclusero anche due matrimoni: uno tra Filippo  II ed Elisabetta di Valois, e l’altro tra il duca  Emanuele Filiberto di Savoia e Margherita di Valois, sorella di Enrico II.
Non dimenticherò mai quei giorni.
Nei giorni che precedettero le nozze, la regina Caterina mi chiamò più volte nelle sue stanze. Quando vi giunsi mi accorsi che eravamo sole, aveva ordinato alle sue dame di lasciarci sole.
La regina mi rivolse la parola in italiano, era agitata, nelle notti precedenti aveva avuto degli incubi in cui vedeva il re ucciso da una lancia.
Mi raccontò che a Firenze il suo astrologo personale le aveva pronosticato la morte del marito all’età di quarant’anni per un colpo di lancia. Enrico aveva compiuto quarant’anni da tre mesi.
Rimasi paralizzata, non sapevo come tranquillizzarla, non potevo tranquillizzarla perché a sentire quelle parole ebbi un brivido freddo sulla schiena. Il re sarebbe morto.
Il 1 luglio la cerimonia nuziale per procura tra Elisabetta e Filippo venne celebrata, poi cominciarono i festeggiamenti e le giostre.
Il caldo era soffocante, la regina appariva pallida sotto il pesante abito da cerimonia, ma io sapevo che non era il caldo a farla soffrire.
La giostra proseguì per l’intero pomeriggio e ogni volta che toccava al re la regina mi stringeva la mano e tratteneva il respiro fino alla fine dello scontro.
Il re aveva vinto tutti gli scontri e ormai era tardi, fu quindi invitato a sospendere il torneo che sarebbe ripreso il giorno successivo, ma Enrico fu irremovibile, volle compiere l’ultimo affondo con il conte Montgomery.
Fu lo scontro decisivo. La lancia di Montgomery si spezzò e infilzò il re al di sotto della visiera dell’elmo, trafiggendogli l’occhio. La regina urlò e poi svenne.
Il silenzio scese sull’ampia piazza. Subito il re venne trasportato all’interno del palazzo e adagiato sul letto.
L’agonia durò dieci giorni, dieci giorni in cui la regina Caterina, i delfini, il duca di Guisa e gli altri membri del consiglio reale non abbandonarono mai la stanza del re.
Poi il 10 luglio 1559 il re Enrico II, mio cugino, morì.
Maria di Scozia era regina di Francia, i Guisa l’avrebbero governata. 

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Capitolo 6
*** Il regno dei Guisa ***


Dopo il funerale del re, il delfino e Maria di Scozia vennero incoronati dal cardinale di Lorena il 21 settembre nella cattedrale di Reims.
La cosa che sorprese la corte ma non me, fu il comportamento della regina Caterina nei confronti di Diana di Poitiers.
Tutti si aspettavano che la umiliasse come era stata umiliata lei per anni.
Invece la regina si mostrò molto clemente.
Pretese solo la restituzione del castello di Chenonceau  e i gioielli della corona ma in cambio le donò il castello di Chaumont.
Così finiva l’era di Diana e cominciava quella dei Guisa.
Cominciò anche l’era dei miei dolori .
Il 5 ottobre morì mio padre. I miei fratelli erano entrambi in Francia e nostra madre inviò immediatamente una missiva a mio fratello Alfonso per invitarlo a tornare al più presto a Ferrara e prendere il suo posto come duca.
Mia madre dopo il funerale decise di abbandonare Ferrara e tornare in Francia. Prima della fine dell’anno si era già stabilita con la sua piccola corte nel castello di Montargis.
Sarà stato il riavvicinamento con mia madre e quindi la sua influenza riformata ma il mio atteggiamento nei confronti dell’intransigenza cattolica di mio marito subì una svolta.
Io detti alla luce il mio sesto figlio,  avrei desiderato chiamarlo come mio padre, Ercole, ma mio marito si oppose, fu chiamato Francesco in onore del nuovo re.
Francesco II nonostante avesse quindici anni compiuti, quindi  l’età appropriata per regnare da solo, in realtà era totalmente impreparato al compito ed era terrorizzato dalle responsabilità che lo aspettavano.
La regina Caterina fu nominata reggente ma in realtà il regno veniva governato da mio marito e da suo fratello il cardinale di Lorena.
Francesco di Guisa si occupava della guerra mentre il cardinale dell’economia e della politica estera.
Il 1560 è un anno che non dimenticherò mai.
Nel febbraio l’intera corte lasciò Blois. Erano giunte numerose informazioni riguardo ad un complotto ma sul momento nessuno volle dargli peso, comunque il duca di Guisa insistette perché ci fermammo tutti ad Amboise, un castello facilmente difendibile.
Dal 22 febbraio al 16 marzo la corte visse nell’angoscia, ci sembrava di vivere assediati da un esercito straniero, infine il 16 marzo dei paggi mandati in avanscoperta ritornarono con la notizia che cinquecento o seicento uomini erano nascosti nella foresta. Fu il panico.
Il duca di Nemours decise di avanzare verso il nemico con i suoi uomini. I cospiratori scapparono ma cinquantasei di loro furono catturati.
I cospiratori erano tutti ugonotti. Per tutto il pomeriggio vennero catturati altri congiurati: interrogati, alcuni ebbero il coraggio di dichiarare che erano venuti ad uccidere il duca di Guisa e il cardinale di Lorena e ad imprigionare il re Francesco e Caterina de' Medici.
Era l’inizio della fine.
Il 17 marzo, all'alba, alcuni battaglioni, comandati da Bertrand de Chaudlieu, ci attaccarono.
Mio marito fu colto di sorpresa ma riuscì comunque a respingere l’attacco e a fare un gran numero di prigionieri.
A quel punto ne le mie suppliche ne la parola data dal duca di Nemours ai primi arrestati impedì a mio marito di cominciare le esecuzioni.
La maggior parte dei congiurati fu impiccata alle balaustre del castello, altri gettati nella Loira ed altri ancora linciati dalla folla.
Per la prima volta mi schierai contro mio marito e contro questo bagno di sangue fratricida.
Forse fu per questo motivo o forse per chè così facendo mi ero schierata dalla parte di Nemours, anche’esso contrario alle esecuzioni ma Francesco mi obbligò ad assistere alle esecuzioni.
Ad un certo punto non resistetti più e scappai via, in lacrime. Corsi tra le braccia della regina Caterina anche essa spaventata.
Ricordo ancora le parole che le dissi “Che tragedia, che spargimento di sangue innocente. Temo  che non passerà molto tempo prima che sulla mia famiglia cada una grande disgrazia”.
Così fu. Il regno era salvo. Il dominio dei Guisa era saldo ma la prima disgrazia si abbatté sulla nostra famiglia.
Mio figlio Antonio, di appena tre anni morì. Era sempre stato un bambino gracile e purtroppo una polmonite lo stappò al mio affetto.
Ero distrutta, accusai Francesco di essere la causa di questa disgrazia, di aver scatenato l’ira  di Dio contro di noi.
L’unico che comprendeva il mio stato d’animo era il duca di Nemours, anche lui temeva il futuro e le conseguenze delle esecuzioni di Amboise.
Il mio vecchio amico Michel de l’Hospital fu nominato cancelliere e nonostante la netta opposizione di mio marito riuscì a convincere il re della necessità di una maggiore tolleranza religiosa.
Ma nonostante tutte le misure adottare dal governo, i conflitti continuarono e in questo clima che venne arrestato il principe di Condè, Luigi di Borbone accusato di essere il mandate della congiura di Amboise.
Il principe venne condannato a morte e l’esecuzione prefissata per il  13 dicembre.
Mio marito pensava di aver vinto, il suo  nemico stava per essere ucciso, ma il destino ci riservava altre sorprese.
A novembre il re si ammalò. Un ascesso dietro l’orecchio. La sua agonia durò quasi un mese. La regina madre Caterina lo vegliava notte e giorno. Quando mi era permesso le facevo compagnia, sapevo cosa stava provando.
Mio marito e suo fratello cercarono di tenere nascosta la notizia della malattia ma il 5 dicembre Francesco II cadde in coma, verso mezzogiorno ricevette l’estrema unzione e verso sera spirò.
Io ero fuori dalla stanza, sentii solo l’urlo disperato della regina Caterina e inginocchiandomi sul freddo pavimento cominciai a piangere.
La regina Maria, indossò il lutto bianco delle regine di Francia. Per quaranta giorni visse isolata nella nostra residenza di Joinville poi fece ritorno a corte.
La regina madre Caterina, ora reggente per il figlio Carlo IX, riteneva che due regine vedove erano troppe a corte e le ordinò di tornare in Scozia.
La regina Caterina era sempre stata contraria allo scontro con le fazioni ugonotte e al clima di terrore imposto dalla mia famiglia e appena ne ebbe la possibilità fece liberare il principe di Condè come segno di pace.
Il regno dei Guisa era durato poco più di un anno.
Francesca di Rohan, approfittando della perdita di potere dei Guisa e il clima di rappacificazione indetto dalla reggente riprese il processo intentato contro il duca di Nemours.
Per un momento il duca temette il peggio, più di una volta mi confidò che temeva di essere obbligato a sposare mademoiselle de Rohan.
Per fortuna non accadde mai nulla del genere. Il processo durò molti anni senza giungere mai alla fine.
Nel frattempo i conflitti tra cattolici e ugonotti continuarono . La Francia e il suo cattolicissimo re avevano bisogno di essere difesi.
Il duca di Nemours fu inviato nel  Dauphiné e in  Languedoc.
Mio marito aveva il suo quartier generale a Rouen ed è li che io lo raggiunsi poco dopo aver dato alla luce il mio settimo figlio, Massimiliano.
Il 10 marzo 1562 mio marito dette il via al massacro di Vassy. Ero nuovamente contraria a questo spargimento di sangue innocente ma potei fare poco, ottenni solo che fossero risparmiate le donne incinte, ma ciò non diminuì l'odio contro i Guisa.
Continuavo ad avere brutti presentimenti, temevo la reazione ugonotta, ma mio marito continuava a ripetermi che  stava compiendo soltanto il proprio dovere.
Purtroppo i miei presentimenti si avverarono, a febbraio del 1563 i Guisa dovettero subire la vendetta avversaria.
Il 18 febbraio mio marito stava preparando l’assalto ad Orleans e passando in rassegna le truppe fu colpito da un colpo di archibugio alla schiena.
Io era a Blois con la corte quando ci giunse la notizia. La regina Caterina mi fu vicina e mi promise vendetta, poi insieme raggiungemmo mio marito.
Per fortuna il colpo non era stato letale e rimanendo al suo capezzale pregavo per la sua guarigione, purtroppo le mie preghiere furono vane.
Sei giorni dopo, Francesco di Lorena duca di Guisa, mio marito morì.
Mi sono giunte all’orecchio molte dicerie su quei giorni e su cosa mio marito mi disse. Solo io posso dirvi la verità.
Appena giungemmo all’accampamento mi indirizzai alla tenda di mio marito, lo trovai disteso sulla branda da campo, il petto nudo fasciato.
Mi inginocchiai accanto a lui sulla nuda terra e presagli la mano gli e la baciai.
Francesco si ridestò dal torpore che lo aveva colto e voltò il viso nella mia direzione.
Mi sorrise e poi cominciò a parlare con fatica.
Io lo imploravo di tacere e riposare ma lui fu irremovibile, mi disse che doveva confessarsi e chiedere perdono a me, a Dio e alla Francia.
Cominciò chiedendomi perdono per i suoi tradimenti, che sapeva mi avevano fatto soffrire.
Mi disse anche che sapeva del sentimento che provavo per il duca. A quel punto io cominciai a negare assicurandogli che tra me e il duca di Nemours non vi era mai stato nulla tranne che una sincera amicizia.
Francesco allungò la mano e accarezzandomi la guancia mi disse “Lo so. Ma ho visto i vostri occhi brillare guardando Nemours, come mai hanno brillato guardando me. Ma non vi accuso di nulla, siete stata una moglie esemplare. So che non mi avete mai tradito. Vi ringrazio per questo. Vi affido i nostri figli. Non fategli mai mancare l’affetto di una madre.”
Mi chiese anche perdono per non aver ascoltato le mie parole di mediazione e di aver scatenato quest’odio che ora temeva sarebbe caduto sui nostri figli.
Prima di morire volle parlare anche con la regina Caterina, le chiese perdono e la  supplicò di ripristinare la pace.
Io che l’avevo supplicato tante volte di porre fine a questo bagno di sangue ora era sorda alle sue preghiere. Il mio cuore era colmo d’odio contro colui che aveva armato la mano di Poltrot de Mere, l’assassino di mio marito. 

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Capitolo 7
*** Non desidero sposarmi ***


Mio marito era morto e la mia disperazione stupì e spaventò l’intera corte.
Solo Nemours sapeva che il mio stato d’animo era sincero, gli altri alle mie spalle ne ridevano, pensando ad una messinscena.
Le parole di Francesco, sul letto di morte mi avevano aperto una nuova visione dell’anima del mio sposo che prima non avevo scorto.
Ora mi rimproveravo di non averlo apprezzato abbastanza.
Mi sentivo quasi in colpa per la sua morte e nonostante le parole consolatorie dei mie cognati e della regina non mi destavo da questo stato di torpore morboso.
Questa volta furono gli altri a preparare il sontuoso funerale di mio marito.
Francesco di Lorena fu seppellito nella cripta di famiglia a Joinville accanto a suo padre.
Il duca di Nemours non fu presente alla cerimonia, sia per i doveri che lo trattenevano nel Dauphinè sia perché sapeva benissimo che la sua presenza sarebbe stata per me motivo ulteriore di dolore. Quanto mi conosceva bene.
I primi mesi furono per me strazianti, mi ero rinchiusa nel mio dolore e non volevo vedere nessuno. Poi mi ricordai delle parole di Francesco, avevo dei figli di cui occuparmi e una vendetta da compiere.
La duchessa di Guisa non poteva piangere il suo sposo come una qualsiasi donnetta.
Ritornai a corte con il preciso impegno di non far dimenticare alla Francia il suo più valoroso condottiero.
Purtroppo la situazione finanziaria che mi aveva lasciato in eredità il mio sposo non era delle migliori.
Per la Francia e per il suo re Francesco aveva sperperato molto del nostro patrimonio e lasciava tanti debiti quanta gloria militare.
Presi in mano la situazione e misi un freno alle spese inutili.
Mio figlio Enrico, nuovo duca di Guisa aveva tredici anni e la regina madre gli concesse il governatorato dello Champagne.
Mandai i più giovani in collegio.
Rividi il duca di Nemours molti mesi dopo, iI miei abiti erano neri, nessun gioiello li ornava, solo pochi anelli alle dita.
Pensavo che non mi avrebbe più ammirata, invece appena i nostri occhi si incontrarono lessi tutto il suo amore.
Fu  come sempre molto rispettoso nei miei confronti ed io cercai di convincerlo e convincermi che orami la mia vita era dedicata solo alla vendetta e ai miei figli.
Il duca per il momento accettò la mia decisione e si dimostrò ancora una volta un amico sincero approvando la mia scelta di intentare un processo contro l’ammiraglio Coligny, che era stato accusato da Merè di essere stato il mandante dell’assassinio del duca di Guisa.
Presentai la mia petizione contro l’ammiraglio ai primi di settembre del 1563.
Il duca di Nemours, pur non essendo un parente mi accompagnò.
Quando fummo ricevuti dal re mi buttai ai sui piedi e implorai giustizia .
Re Carlo IX ci assicurò che sarebbe stato fatto tutto il necessario e il 26 settembre 1563 approvò un decreto che autorizzava l’apertura del processo contro l’ammiraglio, che sarebbe stato giudicato dai pari di Francia.
L’ammiraglio chiese di essere giudicato dal grande consiglio ma io mi opposi nettamente, c’erano troppi ugonotti nel consiglio e per questo la richiesta mi sembrò sospetta.
Il 5 gennaio 1564 re Carlo IX non volendo scontentare ne l’una ne l’altra parte, decise che il giudice supremo sarebbe stato lui ma rinviò il giudizio a tre anni, proibendo ad entrambe le parti qualsiasi atto.
Avrei voluto farmi giustizia da sola ma disobbedire ad un atto del re era impensabile. Mi rassegnai ad aspettare.
Ridussi la mia presenza a corte soprattutto per la presenza costante del duca di Nemours.
In più di una occasione aveva tentato di parlarmi di un nostro eventuale matrimonio, ma io l’avevo sempre zittito. 
Il mio primo pensiero ora era ottenere giustizia per la morte di mio marito.
Nel frattempo il processo intentato da Francesca di Rohan nei confronti del duca di Nemours era diventato una sfida tra cattolici e ugonotti.
Il duca di Nemours nel frattempo era stato investito del governatorato di Lione e aveva chiesto ed ottenuto dalla regina madre che il processo fosse spostato da Parigi a Lione.
Raggiunsi la corte in Lorena per il battesimo  della nipote della regina madre Caterina e poi continuai a seguirla nello spostamento al castello di Roussillon.
Ormai a corte si mormorava di un mio prossimo matrimonio.
La regina madre Caterina mi propose persino il duca di Condè, cosa impensabile in quanto fervente ugonotto e pertanto alleato dell’assassino di mio marito.
Però la cosa sembrava procedere e persino mia madre mi chiese espressamente se avevo intenzione di sposarmi.
Quando mi pose questa domanda rimasi al quanto indignata, e le risposi “Non penso assolutamente al matrimonio. E non voglio che nessuno me ne parli”.
Per fortuna mia madre si convinse e mi lasciò tranquilla.
Non altrettanto fece la regina Caterina.
Il 24 settembre la corte arrivò ad Avignone per soggiornarvi tre settimane.
Un giorno alla presenza del re, della duchessa di Savoia, di mia madre, della regina di Navarra e di altri lì riuniti, senza troppi preamboli la regina Caterina mi chiese “Duchessa, desiderate sposarvi?”
Altrettanto schiettamente risposi “Assolutamente no. Desidero rimanere vedova”
All’età di quindici anni ero stata promessa in sposa a Francesco di Guisa, gli altri avevano deciso il mio futuro, ora ero una donna matura, la duchessa vedova di Guisa, nessuno avrebbe più deciso della mia vita.
Se avessi deciso di risposarmi avrei scelto io il mio sposo! 

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Capitolo 8
*** Duchessa di Nemours ***


Nell’ultimo incontro con Nemours gli avevo detto ”Lasciate che il tempo sistemi le cose”, lui aveva atteso, sempre fedele all’amore che mi aveva dichiarato e dimostrato in più di un’occasione, ora lo rincontrai  a corte e precisamente durante il soggiorno a  Mont-de-Marsan.
Erano dieci mesi che non lo vedevo ma appena i nostri occhi si rincontrarono, capii che la mia speranza di dimenticarlo era stata vana.
Cominciai così ad analizzare la mia vita e i miei desideri.
I miei figli più piccoli erano tutti in collegio così come l’unica femmina, il più grande era ormai duca di Guisa e viveva a corte sotto l’ala protettiva dello zio il cardinale di Lorena.
Mi rimaneva solo la vendetta a tenermi veramente legata alla famiglia di Guisa, ma anche quella era ben alimentata da mio figlio, dai miei cognati e da mia suocera.
Cominciai a pensare che stavo sacrificando molto per un dovere che ormai esisteva solo nella mia mente.
Nulla ormai ci poteva impedire di essere felici insieme, tranne la mia ostinazione.
Nemours da parte sua rispettava la mia volontà ma il suo sguardo era eloquente. Mi amava, mi desiderava, voleva fare di me la sua donna.
Come resistergli? E poi perchè dovevo ancora resistergli?
Eppure analizzando obbiettivamente la situazione mi avvidi che c’erano ancora molti  ostacoli, uno fra tutti, mademoiselle de Rohan.
Il duca aveva fatto trasferire il processo nella sua giurisdizione ma comunque avrebbe potuto essere favorevole alla Rohan.
Decisi di parlare con il duca, di aprirli il mio cuore e di affrontare insieme i problemi che c’erano o si sarebbero posti.
Durante una delle nostre solite passeggiate in giardino all’ennesima dichiarazione da parte del duca questa volta risposi “Si, vi amo anche io. Ma dobbiamo essere obbiettivi, ancora molti impedimenti si pongono di fronte alla nostra unione”  ma la sola felicità che la mia capitolazione gli procurò fece dimenticare per un momento ad entrambi tutti i problemi.
Nemours mi prese fra le braccia e mi baciò, le sue labbra erano infuocate e non passò molto che tutto il mio essere ne assorbì il calore. Quando ci sciogliemmo dall’abbraccio, per non corre il pericolo che qualcuno potesse vederci, il duca mi promise che tutto si sarebbe messo a posto.
Io volli credergli. Ero stanca della lotta interiore che per anni avevo combattuto. Volevo credere nel futuro e soprattutto desideravo amare ed essere amata..
Quei giorni furono i più felici della mia vita.
Non avevo mai avuto un corteggiatore, un innamorato. Quando ero giunta in Francia e avevo conosciuto Francesco il suo corteggiamento era stato breve e solo di pura formalità.
Finalmente conoscevo l’emozione di amare ed essere amata.
Purtroppo durò solo pochi giorni perché mio figlio Enrico decise di raggiungere lo zio, il cardinale di Lorena ed io lo accompagnai.
Giacomo ne approfittò per ritornare a Lione e porre la parola fine al processo.
In ottobre il tribunale di Lione emise la sentenza a favore del duca di Nemours, naturalmente mademoiselle de Rohan non accettò il verdetto e fece riaprire il processo a Parigi.
In un primo momento fui felice per la sentenza, ma il momento dopo  caddi nello sconforto.
Ormai non potevo stare solo a guardare e aspettare gli eventi, decisi di agire e chiesi aiuto alla regina Caterina.
Aprii il mio cuore alla regina che prendendomi le mani fra le sue disse solamente “Tutto si aggiusterà”.
Il 22 dicembre 1565,  infatti, re Carlo IX scrisse una lettera al parlamento dove gli proibiva  di occuparsi del processo.
Intanto la corte era giunta a Mulin.
L’intervento della regina e di suo figlio non furono però senza conseguenze.
I tre anni decisi da re Carlo per l’emissione della sentenza nei confronti di Coligny erano quasi scaduti.
Il 29 gennaio 1566, alla presenza del re, Coligny giurò  di non essere il mandante dell’omicidio del duca di Guisa.
I miei cognati, il cardinale di Lorena e il cardinale di Guisa, mio figlio Enrico ed io fummo “invitati” a credergli . Mio figlio Enrico tacque per tutto il tempo, io e i miei cognati ci sottomettemmo al volere regio.
Il  primo ostacolo alla mia unione con Nemours era superato.
Ora c’era il problema della famiglia di Guisa. Nemours avrebbe dovuto chiedere la mia mano a mio cognato il cardinale di Lorena.
Giacomo inviò una prima lettera che non ebbe risposta, ne inviò un’altra che subì la stessa sorte.
Vedevamo le nostre speranze affievolirsi.
Alla fine Giacomo decise di inviare il suo segreteraio, Messieur Belanton, per enumerare al cardinale tutti i vantaggi della nostra unione,  soprattutto la clausola che sapeva lo avrebbe stuzzicato.
Giacomo infatti  promise che se dal nostro matrimonio non fossero nati figli, tutta la sua fortuna sarebbe stata ereditata dai miei figli Guisa.
A questa proposta il cardinale non potè non rispondere.
Diplomaticamente scaricò tutta la decisione su di me, promettendo al duca che se io avessi accettato lui e la famiglia Guisa non si sarebbero opposti.
Quel pomeriggio era stranamente caldo per essere fine febbraio e io stavo passeggiando nei giardini ancora spogli di Joinville quando vidi arrivare la carrozza del cardinale di Lorena.
Conoscevo il motivo della sua visita, ma feci finta di nulla.
Cominciammo a parlare di molte cose, per lo più futili. Mi chiedevo quando avrebbe posto la domanda fatidica?
Ad un certo punto si interruppe, mi prese la mano e mi disse: “Mia cara sorella, ho ricevuto una proposta di matrimonio per voi. Conosco il vostro dolore per la perdita del mio caro fratello, ma il dovere mi impone di girarvela. Il duca di Nemours chiede la vostra mano, cosa devo rispondergli?”
Lo sorpresi rispondendo “Che sono onorata di accettarla”.
Il cardinale rimase in silenzio per un lungo momento, poi riprese “Sia come voi desiderate. Sarà per noi un nuovo fratello e per i vostri figli il padre perduto.”
Secondo ostacolo superato.
Sapevo che mia madre avrebbe posto il suo veto e quindi chiesi nuovamente l’aiuto della regina Caterina  che decise di occuparsene personalmente.
La regina decise di inviare il connestabile di Montmorency per annunciare a mia madre il mio prossimo matrimonio e sopratutto il favore che questo riscuoteva a corte.
Montmorency non volle mai dirmi come mia madre lo accolse ma la risposta fu quella che mi aspettavo. Non dava la sua approvazione, non le importava del consenso della corona, non le importava dei 100000 scudi che il re ci avrebbe donato, non avrebbe accettato mai per genero l’uomo che era già “sposato” con mademoiselle de Rohan e pertanto che non ci aspettassimo una dote da lei.
Quando la regina mi lesse la lettera io piansi fra le sue braccia, non mi interessava la dote, ma questa volta avrei voluto mia madre presente al mio matrimonio.
La regina si commosse e mi disse che avrebbe fatto lei le veci di mia madre.
Il re, in merito al problema di Mademoiselle de Rohan decise di inviare una lettera al papa e di sottoporgli la questione, Pio IV confermerà la sentenza di Lione.
Il 26 aprile 1566 il re convocò Mademoiselle de Rohan davanti al consiglio privato e le comunicò la conferma del verdetto di Lione.
Il 28 aprile 1566 alla presenza del re, della regina, del duca d’Angiò, del cardinale di Borbone che rappresentava mia suocera, del cardinale di Lorena e del cardinale di Guisa veniva firmato il mio contratto nuziale con Giacomo di Savoia, duca di Nemours.
Il 5 maggio 1566 indossai un abito di seta scarlatta, ricamata in oro e mi avviai alla cappella del castello di Saint-Mor-des-Fossés.
Fui accompagnata all’altare dalla regina Caterina de Medici e il cardinale di Lorena  celebrò la messa e la benedizione nuziale.
Mademoiselle de Rohan non accettò la decisione del re e soprattutto il nostro matrimonio.
Alla cerimonia inviò un ufficiale di giustizia che l’interruppe per leggere la sua protesta. L’ufficiale fu arrestato e la cerimonia poté continuare.
La festa fu data negli appartamenti della regina Caterina e fu decisamente più privata rispetto al mio primo matrimonio.
Dopo la cena ci potemmo ritirare nei nostri appartamenti.
Non ci fu il cerimoniale del mio primo matrimonio, non era necessario e soprattutto non lo desideravamo.
Quando rimanemmo soli fu tutto come doveva essere, finalmente conobbi il vero amore, la vera passione.  

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Capitolo 9
*** Nuovamente madre ***


Pochi giorni dopo la cerimonia nuziale partimmo per l’Italia, Giacomo voleva avermi tutta per se e desiderava vedere i luoghi che mi avevano dato i natali.
La prima tappa fu Roma, dove fummo ricevuti dal Papa, poi fu la volta di Ferrara e Torino.
Il nostro viaggio durò circa due mesi.
Ai primi di luglio cominciammo i preparativi per raggiungere Annecy, lì ci attendevano i miei figli maggiori, Enrico e Caterina, mia suocera la duchessa vedova di Guisa e i miei cognati, i cardinali di Guisa e di Lorena.
Il duca di Savoia oltre a donarci 60000 scudi come regalo di nozze accordò ad Annecy il raro privilegio di esporre il sacro sudario per la venerazione dei fedeli.
Il 17 luglio il nostro corteo entrò in città tra due ali di folla che lanciavano fiori e ghirlande, la prima tappa fu naturalmente la cattedrale, dove era esposto il sacro lino e lì ci inginocchiammo a pregare, poi il corteo riprese la marcia verso il castello.
Al vecchio castello che dominava fieramente Annecy con la sua corona di fenditure e torri quadrate, il mio sposo aveva fatto aggiungere un’elegante costruzione con grandi finestre.
Quando entrammo nell’elegante palazzo, potei ammirare i bei soffitti a cassettoni, le tappezzerie preziose trapuntate d’argento, le alte sedie ricoperte di velluto nero o cuoio rosso, i grandi baldacchini e gli arredi delle camere in damasco grigio, velluto cremisi o tela d’oro, la sala da pranzo aveva il tappeto da tavolo e il baldacchino signorile di velluto nero ricamato in oro e la cappella privata era ornata di velluto rosso così come gli inginocchiatoi e i paramenti per officiare le funzioni.
Alla fine giungemmo nella sala delle feste, dove ci attendevano i vassalli e gli ufficiali di mio marito, li era tutto in velluto cremisi ricamato in oro.
Tra i tanti personaggi illustri lì riuniti la prima che il mio sposo volle presentarmi fu Madame de Sales, moglie del capitano delle guardie di Annecy, che in quel momento era gravida del suo primo figlio, Francesco futuro vescovo di Ginevra e grande predicatore.
Alcuni giorni dopo i Guisa ripartirono e finalmente potei riposarmi nella bella città di cui ero diventata sovrana.
Né Giacomo né io avevamo fretta di ritornare a corte, eravamo così felici, soli e innamorati.
Il matrimonio con Giacomo mi rendeva felice e appagata come non lo ero stata mai, tutti i dolori, le preoccupazioni erano cancellate dal suo amore e dalla sua devozione.
Già da giugno avevo scoperto di essere incinta, devo ammettere che fu una piacevole sorpresa sia per me sia per il mio sposo, vista la mia età nessuno di noi due credevamo che ci sarebbero stati altri figli, invece il nostro amore era così forte che il buon Dio si compiacque subito e prima del compimento del primo anno di matrimonio avrei tenuto fra le braccia il futuro duca di Nemours.
Verso il 15 settembre ricevemmo la visita dei duchi di Savoia.
Nel frattempo a Parigi era giunta notizia del mio stato e i pettegolezzi dilagavano, in molti si auguravano che mio figlio nascesse prima del tempo.
Nonostante il mio stato Giacomo ed io continuammo la visita dei nostri possedimenti e così potei costatare che  Giacomo era già da un paio di anni che organizzava tutto per me,  ogni residenza dove ci fermammo era più elegante e raffinata della precedente. Mai aveva dubitato che alla fine ci saremmo sposati.
Giungemmo anche nei territori di mia madre e qui finalmente ci fu una rappacificazione tra di noi.
Mia madre finalmente costatò il grande animo del mio sposo e soprattutto il grande amore che mi portava e a quel punto ci chiese perdono per l’ingiustizia compiuta al tempo del nostro matrimonio e da questo momento in poi, amò Giacomo come un figlio.
Ormai il tempo per me era giunto e quindi ci stabilimmo Nanteuil, vicino a Senlis, non c’è la facevo più ero stanca e anelavo solo di riposarmi. Giacomo mi rimase sempre accanto.
Il 9 febbraio finalmente nacque il nostro primogenito cui fu imposto il nome di Carlo Emanuele in onore del re di Francia e del duca di Savoia, il re Carlo e la regina madre Caterina vollero esserne i padrini.
Temevo che la nascita di questo bambino avrebbe provocato una rottura nei rapporti con la mia famiglia Guisa invece, con mio grande sollievo, il cardinale di Lorena fu uno fra i primi a rallegrarsi della nascita e a congratularsi con mio marito.
Rispetto a tutte le altre gravidanze quest’ultima, forse per i lunghi spostamenti e anche per l’avanzare degli anni, mi lasciò al quanto spossata e mi ci vollero molti mesi prima di ristabilirmi.
Purtroppo appena mi rimisi, il mio sposo fu colpito da una prima crisi di gotta che lo farà soffrire molto, gli venne anche una febbre quartana che lo debilitò a tal punto da non permettergli di alzarsi dal letto per molti giorni.
Purtroppo la regina Caterina continuava a inviarmi lettere, dove sollecitava un mio rientro a corte e fui costretta ad abbandonare momentaneamente mio marito per accorrere all’ennesimo invito.
A settembre la corte raggiunse Monceaux, vicino a Meaux, per la caccia. Mio marito per fortuna si era ristabilito e poté raggiungerci.
Le lotte tra cattolici e ugonotti purtroppo non si erano mai acquietate e proprio durante quel soggiorno la corte ricevette l’informazione che il principe di Condè e l’ammiraglio di Coligny stavano organizzando di rapire re Carlo IX per sottrarlo all’influenza cattolica.
Il consiglio reale di cui facevano parte mio marito, mio figlio Enrico di Guisa, il connestabile di Montmorency e Michel de l’Hospital decise di spostare l’intera corte a Meaux e di attendere nuove informazioni.
Il 28 settembre il consiglio si riunì nuovamente perché il principe di Condè aveva raggiunto le rive del lago di Lagny con le sue truppe, fu deciso che il connestabile di Montmorency con un drappello di soldati gli si sarebbe lanciato contro  e che il re sarebbe rimasto chiuso a Meaux.
Mio marito purtroppo non partecipò a questo consiglio a causa dell’ennesima ricaduta di febbre quartana che lo costringeva a letto.
Appena però apprese la notizia si alzò, nonostante tutte le mie suppliche per riguardo alla sua salute, e corse dal re consigliandogli di raggiungere al più presto il Louvre.
Il re fu subito d’accordo con Nemours e nonostante la scorta armata fosse al quanto esigua fu subito approntato il corteo.
Il mio sposo fece porre il re nel mezzo e fece schierare gli uomini armati lungo ambo i lati, poi nonostante i dolori, che sapevo lo attanagliavano, salì sorridente a cavallo.
Il corteo cominciò a muoversi ma l’esercito di Condè, che aveva sconfitto Montmorency, ci raggiunse immediatamente.
Il corteo si era fermato, gli uomini di scorta si erano schierati a protezione totale del re, nonostante gli si leggesse negli occhi il terrore,  poiché si resero subito conto della disparità dei loro mezzi rispetto a quelli ugonotti, fu a quel punto che vidi il mio sposo raggiungere i suoi uomini, sollevare il cappello piumato, salutare il re e scendere da cavallo.
Il mio cuore si fermò, avevo capito le sue intenzioni.
Nemours sguainò la spada e si pose davanti alla nostra scorta, che visto il coraggio del loro comandate si infervorarono e si prepararono all’attacco.
Non so se fu per il gesto di mio marito o per quale calcolo politico, ma l’esercito di Condè e Coligny non ci attaccò, anzi fecero ritirare le loro truppe, e ci lasciarono passare seguendoci fino a Parigi.
Rividi il mio sposo solo quando raggiungemmo il Louvre, Giacomo era allo stremo delle forze poiché aveva fatto tutto il lungo cammino a piedi ma ora che i suoi sovrani erano al sicuro, lo costrinsi ad andare a riposarsi.
Riuscii a tenerlo a letto solo per pochi giorni, purtroppo non servirono né i miei pianti né le mie suppliche, Giacomo volle prendere parte alla battaglia di Saint-Denis.
L’esercito cattolico purtroppo fu sconfitto e il connestabile catturato e ucciso.
Tutti a corte si aspettavano che il titolo fosse consegnato a Nemours invece la regina Caterina sorprese tutti sopprimendo la carica di connestabile e dando il titolo di luogotenente generale a suo figlio minore il duca d’Angiò di appena sedici anni.
Naturalmente il giovane principe non aveva esperienza militare e fu affiancato dal mio sposo, insieme inseguirono i nemici e li spinsero a ritirarsi in Champagne e in Lorena.
Fu un periodo terribile, ero in angoscia sia per il mio sposo sia per i miei figli Guisa, entrambi impegnati sul campo di battaglia.
Dal fronte ricevevo lettere amareggiate, mio marito non era ascoltato e non riusciva a ottenere risultati concreti.
Decisi di parlarne con la regina che immediatamente inviò una lettera al figlio invitandolo nuovamente ad ascoltare i consigli del duca di Nemours.
Purtroppo d’Angiò fingeva di sottomettersi ma contrastava sempre i piani di mio marito che alla fine fu obbligato a ritirarsi anche a causa di una nuova manifestazione di gotta.
Lo vidi rientrare ad Annecy demoralizzato e afflitto, a trentasei anni non poteva e voleva rassegnarsi a vivere da vecchio.
Ogni giorno tentavamo un nuovo trattamento ma purtroppo la guarigione era lenta aumentando così la sua disperazione.
Oltre a queste preoccupazioni ai primi di febbraio del 1568 ricevetti una lettera da parte del cardinale di Lorena che mi annunciava la morte di mio figlio Massimiliano, aveva appena cinque anni.
Mi accusavo di averlo abbandonato e vedevo la sua morte come una punizione alla mia felicità con Nemours, solo l’affetto del mio sposo e il nuovo bambino che stringevo fra le braccia mi permisero di non impazzire di dolore.
Il 23 marzo 1568 la regina Caterina firmava la pace di Longjumeau, finalmente ci attendeva un periodo di tranquillità.
Trascorremmo l’estate ad Annecy, dove ci raggiunse il cardinale di Lorena per battezzare il piccolo Carlo Emanuele.
Giacomo per fortuna si era ristabilito e insieme partimmo alla volta di Lione, dove mio marito aveva degli affari urgenti da risolvere.
Anche se non ero più vicina ai miei figli Guisa, li seguivo tramite i miei cognati e ora ero in estrema pena per Enrico e Carlo che sapevo essere ancora sul campo di battaglia.
A novembre mio marito ricevette una lettera del re che ne richiedeva la presenza, il principe d’Orange era entrato in Piccardia e il duca di Deux Ponts era penetrato in Champagne.
Con mia grande pena Nemours obbedì e raggiunse il duca d’Aumale. La salute sempre precaria del mio sposo e i continui alterchi con Aumale fecero in modo che Giacomo subisse una nuova manifestazione di gotta e fu costretto a tornare a casa.
Il duca d’Aumale fu sconfitto e accusò mio marito di esserne la causa facendogli perdere, momentaneamente, il favore del re e della regina.
L’essere sospettato di aver abbandonato il campo di battaglia fu per il mio sposo una vera tortura che acuì il suo precario stato di salute.
Alla fine però sia la regina sia il re gli dimostrarono il loro affetto inviandogli lunghe lettere dove lo invitavano a preoccuparsi solo della sua guarigione.
Durante tutti questi avvenimenti io mi accorsi di essere nuovamente incinta e poco prima del Santo Natale del 1568 detti alla luce mia figlia Margherita. 

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Capitolo 10
*** Sempre uniti ***


La salute del mio sposo era sempre precaria, sembrava che nessuna cura portasse miglioramento.
La gioia che la nascita della nostra bambina ci aveva dato era ora smorzata dalle preoccupazioni per la sua salute.
Appena mi fui rimessa dal parto partimmo per Saint-Mor, sperando che l’aria di campagna potesse portagli giovamento, purtroppo non ottenemmo miglioramenti.
Nello stesso periodo ero in costante contatto epistolare con mio cognato, il cardinale di Lorena, che mi teneva informata riguardo ai preparativi per il matrimonio di mia figlia Caterina Maria.
Il cardinale all’inizio sperava in un mio valido aiuto soprattutto economico, ma quando si avvide che le preoccupazioni per il mio sposo m’impedivano di partecipare attivamente si rassegnò.
Caterina Maria aveva ormai diciotto anni,  era una bella ragazza, alta come tutti i Guisa ma leggermente claudicante come mia madre.
Era stata promessa sposa al duca di Montpensier appena nata e nonostante la notevole diversità di età, lo sposo aveva cinquantasei anni, sembra felice per quest’unione.
Io era abbastanza preoccupata, anch’io ero stata promessa a un uomo molto più vecchio ma il mio futuro genero aveva diciotto anni più di me.
Comunque le preoccupazioni non finivano qui, i miei figli maschi erano entrambi impegnati sul campo di battaglia nella difesa di Poitiers, io temevo per la loro vita.
Pregavo tutti i giorni perché non accadesse nulla di male, temevo che la felicità che avevo cercato così ostinatamente potesse ritorcersi contro i miei figli.
Come se lo avessi profetizzato ecco accadere la disgrazia, ricevetti una lettera dalla regina che m’informava del ferimento del mio figlio maggiore, Enrico era stato colpito al collo.
Avrei voluto correre immediatamente da lui ma la salute di mio marito era peggiorata, come potevo abbandonarlo proprio adesso?
Ero combattuta, avrei voluto poter avere il dono dell’ubiquità, piangevo per mio figlio e pregavo Dio che lo salvasse e nel frattempo curavo e pregavo Dio che guarisse anche il mio sposo.
La regina nel frattempo mi faceva recapitare giornalmente le notizie sulla salute di Enrico.
Per fortuna mio figlio migliorava, invece Giacomo continuava a peggiorare, ero disperata.
La regina Caterina intuendo il mio stato d’animo inviò il suo medico personale che gli prescrisse una nuova cura.
La cura fu lunga ma per la fine dell’anno la salute di mio marito cominciò a migliorare, anche se era ancora debole sulle gambe e non riusciva a rimanere a cavallo come avrebbe voluto.
Ora che la sua salute era migliorata purtroppo la regina richiedeva la mia presenza a corte.
Io per un po’ feci finta di nulla ma anche il cardinale di Guisa m’incoraggiava a riprendere il mio posto a corte e approfittare dell’amicizia della regina per ottenere qualche appannaggio per il mio figlio minore, Carlo duca di Mayenne.
Alla fine dovetti cedere e organizzare la mia partenza, era pericoloso irritare la regina e questo lo capiva anche mio marito, che di fronte all’interesse dei miei figli Guisa mi accordò il suo consenso.
Promisi a Giacomo che sarei tornata presto, separarmi da lui e dai nostri figli fu doloroso ma necessario.
Mi diressi a Bourgueil, non lontano da Angers, alla residenza di mio cognato il cardinale di Guisa.
Qui ritrovai mia figlia e il suo fidanzato, la loro vicinanza, quella dei miei cognati e il rientro a corte mi fecero tornare il sorriso e per un po’ dimenticai tutte le preoccupazioni.
Mio marito mi scriveva rimproverandomi la mia lunga assenza.
Erano già trascorsi diversi mesi dalla mia partenza ed io mi giustificavo, spiegandogli che ero impossibilita a partire prima della celebrazione del matrimonio di mia figlia e del rientro della regina Caterina, ed entrambe le cose ritardavano.
Caterina Maria si sposo il 4 febbraio 1570.
Durante questo periodo a corte notai diverse cose che m’insospettirono.
Mio figlio Enrico aveva vent’anni, era bello e valoroso. Sapevo che mio cognato gli stava cercando una moglie ma la cosa che m’insospettì e che entrambi non mi sembravano così ansiosi di concludere alcuna trattativa. Mi chiedevo il perché?
Poi una sera durante un ballo notai Enrico e la principessa Margherita ballare. A nessuno poteva sfuggire il fuoco dei loro sguardi. Capii immediatamente che tra i due era in corso un idillio.
Il giorno successivo mi confidai con il cardinale di Lorena, gli raccontai i miei sospetti e attesi la sua risposta.
Il cardinale mi guardò fisso negli occhi e poi disse “Cara Anna, vi dispiacerebbe vedere vostro figlio sposato a una principessa reale?”
Io trattenni il fiato, conoscevo molto bene la regina madre e sapevo perfettamente che non lo avrebbe mai permesso, possibile che il cardinale non se ne rendesse conto?
Dopo avergli esposto i miei dubbi, la sua risposta fu molto semplice “Anch’io temo che non se ne farà nulla, ma i giovani sono irruenti e dovesse accadere l’irreparabile, il re sarebbe obbligato ad accettare le nozze… Altrimenti… La principessa Caterina di Cleves, vedova del principe di Porcian, sarebbe un ottimo partito per Enrico”.
Con la mia presenza a corte stavo rischiando, senza accorgermi, il mio matrimonio.
Erano già trascorsi molti mesi da quando avevo lasciato Annecy, mio marito e i miei figli.
I primi tempi le lettere di Giacomo erano molto frequenti, cariche di preghiere e teneri rimproveri, poi divennero sempre più rare.
Non so se era vero o solo un modo per farmi ingelosire ma mi giunsero voci della ripresa della sua vita galante.
Non persi più tempo, ottenni il permesso dalla regina e tornai a casa.
Il ritrovare Giacomo guarito mi rese ancora più felice, il nostro ritrovarci dopo la piccola crisi mi assorbiva totalmente che rimasi sorda ai nuovi inviti della regina.
Mentre mi trovavo ad Annecy, ricevetti una lettera del cardinale di Guisa che m’informava che Enrico era fuggito da Parigi e lo aveva raggiunto nella sua residenza di Bourgueil.
L’irreparabile tra Margherita ed Enrico era accaduto, ma non come sperava il cardinale, il duca d’Angiò fece spiare la sorella e quando fu sicuro che in camera sua ci fosse mio figlio avvisò il re che a sua volta avvisò la regina madre.
A mia conoscenza fu portato solo che la regina convocò d’urgenza Margherita che però avvisata da una dama di corte  aveva fatto fuggire mio figlio dalla finestra.
Non so cosa accadde esattamente tra madre e figli, ma il cardinale dopo l’accaduto affrettò le trattative nuziali con Caterina di Coeve.
Il 16 aprile 1570 però ricevetti l’ennesima lettera dalla regina Caterina che mi “invitava” a raggiungere Parigi.
Questa volta mio marito ed io raggiungemmo la corte insieme.
Giacomo era stato invitato a partecipare ai negoziati di pace tra cattolici e ugonotti, con il suo tatto riuscì ad addolcire le parti e finalmente il 5 agosto 1570 a Saint Germain fu firmata la tanto desiderata pace che prevedeva anche il matrimonio della principessa Margherita con il re Enrico di Navarra.
Rimanemmo a corte fino alla primavera successiva e potemmo così assistere alle nozze di mio figlio Enrico con Caterina che si svolsero il 4 ottobre 1570. Il giorno delle nozze leggevo nei begli occhi azzurri di mio figlio l’infelicità per la perdita dell’amata. Aveva rischiato e aveva perso.
Il 22 ottobre ci fu un altro matrimonio, re Carlo IX sposò Elisabetta d’Asburgo.
Approfittai del lungo periodo trascorso a corte per occuparmi degli interessi di mia madre, avevo trovato nuovi documenti che provavano che mia madre fosse stata lesa a favore di sua sorella Claudia.
Intentai quindi un processo che per gli anni a venire  mi avrebbe costretto a passare molto tempo a Parigi.
Nella primavera del 1571, mio marito mi propose di raggiungere Annecy invece di seguire la corte a Blois, io accettai, ma pochi giorni prima della partenza mi ammalai e dovemmo rinunciare al nostro viaggio.
Rimanemmo a Parigi e li fummo sorpresi da una piacevole visita, mio fratello Luigi cardinale D’Este ci venne a trovare accompagnato dal poeta Torquato Tasso che da sei anni viveva alla corte di Ferrara.
Quei giorni trascorsero nella gioia della conversazione e delle feste ma questo purtroppo causò a mio marito  il sopraggiungere dell’ennesima crisi di gotta.
Avevamo progettato di raggiungere la corte a Blois facendoci accompagnare dal famoso poeta e invece partimmo per Annecy, sperando che il cambiamento d’aria fosse di giovamento.
Annecy non portò alcun miglioramento e su consiglio dei medici raggiungemmo Bourbonne-les-Bains.
I bagni sembrarono operare un certo miglioramento anche se solo momentaneo.
Giacomo non desiderava rientrare a Parigi e quindi decidemmo di trasferirci a Verneuil dove aveva deciso di costruire un nuovo castello.
Qui la vita scorreva serena tra cacce al cervo e feste da ballo, solo io mi accorgevo dei dolori che lo colpivano, per tutti gli altri era il sempre sorridente e gentile duca di Nemours.
Giacomo fu sempre un padre molto tenero e attento, sicuramente un genitore migliore di me.
Amava occuparsi dei bambini e giocare con loro, il piccolo Carlo Emanuele che aveva ora cinque anni cominciò la sua istruzione sotto l’occhio vigile e premuroso del padre.
La piccola Margherita invece ci dava qualche preoccupazione, la bambina era sempre pallida, il viso sottile ma a quasi tre anni era intelligentissima, anche se le sue riflessioni erano troppo serie per una bimba così piccola.
Io trascorrevo il mio tempo tra Verneuil e Parigi e ai primi di febbraio del 1572 mi accorsi di essere nuovamente incinta.
Giacomo non voleva rientrare a corte ed io lo capivo, la situazione che si era creata attorno al re lo preoccupava.
Io che trascorrevo invece molto tempo a corte non ero solo preoccupata ma anche infastidita dall’eccessiva presenza protestante.
Coligny, l’assassino del mio primo marito, governava incontrastato il re, la principessa Margherita avrebbe tra poco sposato il re di Navarra, protestante.
Nelle mie lettere confidavo  tutte queste angosce al mio sposo e lui rispondeva comprendendo e condividendo le mie preoccupazioni. Oltre a preoccuparci però cosa avremmo potuto fare?
Nel frattempo le preoccupazioni arrivavano anche dall’interno della nostra famiglia, la piccola Margherita diventava ogni giorno più magra così decidemmo di trasferirci ad Annecy sperando che la buona aria della Savoia portasse un miglioramento.
Fu l’ultima volta che la vidi. Quante volte poi mi accusai di averla abbandonata, ma come potevo immaginare cosa sarebbe accaduto? Speravo di non dover mai più ricevere un dolore simile.
Durante il viaggio dovetti divedermi da loro a causa di un malore, poi la regina Caterina mi convocò al suo capezzale perché malata, io la raggiunsi e la curai amorevolmente.
Mentre rientravo verso Annecy, mi fermai a Montargis da mia madre e nello scendere dalla carrozza caddi, rischiando anche di perdere il bambino.
Nel frattempo ad Annecy la mia bambina peggiorava, ma io ero tenuta all’oscuro di tutto per non aumentare le mie angosce.
Infatti, da poco avevamo avuto la notizia che la regina Giovanna di Navarra, madre di Enrico futuro sposo della principessa Margherita, era morta il 3 giugno a seguito di una febbre intensa e sconosciuta, tanto da far vociferare un avvelenamento da parte della regina Caterina.
Giovanna di Navarra era due anni maggiore di me e c’eravamo sposate nello stesso anno, la sua morte mi addolorò molto.
La mia bambina morirà il 24 giugno 1572 ma io lo saprò a metà luglio solo quando mio marito mi scrisse la notizia nonostante le proibizioni fattegli da mia madre.
Affrettai il rientro, e corsi a consolare e farmi consolare, dal mio sposo.
  
 

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Capitolo 11
*** Vendetta e pietà ***


Rimasi ad Annecy solo il tempo di piangere sulla lapide della mia bambina, ai primi di agosto ero nuovamente a Parigi convocata dalla regina madre.
Il caldo era opprimente in quell’agosto 1572 le finestre della stanza da letto della regina erano spalancate nella speranza di cogliere un po’ di refrigerio.
La regina era stranamente sola e mi rivolse la parola in italiano, come faceva solo quando trattava argomenti incresciosi.
Questa situazione mi ricordava i giorni antecedenti la morte di re Enrico e mi preoccupai, che stesse per succedere di nuovo qualcosa di terribile?
La regina cominciò a parlarmi della situazione che si era venuta a creare tra re Carlo e Coligny, ormai il re era completamente succube dell’ammiraglio.
Confidai alla regina che anch’io temevo il peggio da questa situazione e fu allora che la regina disse “Avrei dovuto comportarmi diversamente nove anni fa, ma mai avrei pensato che la situazione degenerasse a tal punto. E’ necessario porvi rimedio” poi tacque aspettando la mia reazione.
Io capii immediatamente a cosa si riferiva, la mia famiglia aspettava da nove lunghi anni quelle parole.
Improvvisamente ridiventai la duchessa di Guisa, credevo di aver riposto la sete di vendetta in un angolo nascosto del mio cuore risposandomi, invece alle parole della regina tutto il mio odio verso Coligny era riaffiorato.
Dissi solo “La corona revoca il veto?” La regina mi fissò negli occhi e poi “La corona è all’oscuro di tutto e così dovrà sempre essere ma siate sicura che nessuno pagherà per quell’atto di fedeltà”.
M’inchinai con gli occhi fissi in quelli della regina e uscii dalla stanza.
Andai immediatamente al palazzo di Guisa e feci convocare i miei figli e i loro zii.
Raccontai loro dell’incontro con la regina, Enrico non mi fece neppure finire di parlare che si alzò rovesciando la sedia e battendo le mani sul tavolo e disse “Finalmente mio padre sarà vendicato” .
Poi cominciammo a discutere dell’organizzazione, Enrico avrebbe voluto sfidarlo a duello ma era impensabile provocarlo fino a tal punto.
L’unico era l’attentato, colpirlo magari alle spalle com’era accaduto a Francesco.
Bisognava però trovare l’attentatore, Enrico propose “Madre, voi dovreste essere la mano vendicatrice”. Io risposi di getto “No”, poi vidi lo sguardo truce di mio figlio e capii di essere stata troppo avventata e spiegai “No, figlio mio. Nessuno dei presenti potrà eseguire materialmente l’attentato. Già saremo i primi sospettati. Nel momento in cui Coligny sarà ucciso, dovremo essere tutti a corte, ben visibili” e poi continuai “E poi la mia mano non è abbastanza sicura, non vorrei rischiare di ferirlo solamente”.
Il prescelto fu un certo Maurevert, che già una volta aveva tentato di uccidere Coligny, ma aveva sbagliato bersaglio.
La cosa avrebbe dovuto metterci in allarme, invece non ci ponemmo il problema, eravamo convinti che questa volta non avrebbe sbagliato.
Ingenui, il destino era contro di lui e contro di noi.
Decidemmo di agire subito dopo la fine dei festeggiamenti per il matrimonio della principessa Margherita con Enrico di Navarra.
Le nozze ebbero luogo il 18 agosto in un’assolata Parigi.
Fu una cerimonia davvero originale, in chiesa entrò solo la sposa e i membri della corte cattolica, gli ugonotti aspettarono fuori, sul sagrato.
Enrico di Navarra non udì il sì della sposa, in realtà neppure i presenti in chiesa lo udirono perché Margherita quando le fu posta la fatidica domanda rimase muta e volse lo sguardo verso mio figlio Enrico, temetti il peggio.
Re Carlo, impaziente, le diede un colpo sulla nuca facendole abbassare il capo, quel movimento fu interpretato come un assenso. Margherita era regina di Navarra, io potevo ricominciare a respirare.
Ci furono quattro giorni di feste poi la vita di corte tornò alla normalità.
Fin dal 21 agosto avevamo fatto appostare Maurevert presso il Cloitre de Saint Germain l’Auxerrois, abitazione di un vecchio precettore di mio figlio Enrico.
Questa abitazione, infatti, era posta lungo la strada che l’ammiraglio Coligny percorreva ogni giorno per andare e venire dal Louvre.
Il 22 agosto, fu il primo giorno che il consiglio si riuniva nuovamente, verso le dieci fu sciolta la riunione e l’ammiraglio tornò a casa.
La mia famiglia era a corte e attendeva, apparentemente tranquilla, la notizia della morte dell’ammiraglio.
Mio figlio Enrico stava giocando a pallacorda con il re, io mi intrattenevo con la regina e i miei cognati erano ben visibili.
La notizia che ci giunse non fu quella che ci attendevamo.
Maurevert aveva sparato, Coligny nello stesso istante si era abbassato per allacciarsi una scarpa e così invece di rimanere ucciso, la pallottola lo aveva solo ferito ad un braccio e gli aveva staccato un dito.
Il re corse al capezzale del suo amico seguito dalla regina madre e dal duca d’Angiò.
La mia famiglia doveva decidere il da farsi, in realtà non sapevamo come affrontare la cosa, fosse morto sarebbe stato tutto diverso. I miei cognati ed io consigliammo ad Enrico di lasciare Parigi e così fece.
Parigi traboccava degli spettatori che avevano  assistito alle fastose nozze e, nel contempo, la carestia che affligge le campagne aveva  spinto in città folle di affamati in cerca di cibo e riparo.
Il malcontento era palpabile. I predicatori popolari provvedevano a fomentarlo ulteriormente,   scagliandosi con veemenza contro i protestanti, affluiti in città in gran numero.
Nel frattempo la notizia del ferimento si diffondeva per tutta Parigi ed il   nome dei Guisa era sulla bocca di tutti. I cattolici lo scandivano esultando,   i protestanti lo maledicevano, reclamando vendetta.
La canicola opprimeva ancora di più gli animi, esasperava  l’insofferenza ed infiammava facilmente il sangue dei più facinorosi.
Il giorno successivo a corte e per le strade di Parigi la situazione era insostenibile, ovunque c’erano tafferugli, persino nei corridoi del Louvre gli ugonotti cercavano di attaccar briga con le guardie del re.
Decisi di rinchiudermi nel palazzo di Nemours dove si trovava anche mia madre, giunta per le nozze della principessa Margherita.
Cosa accadde lo seppi solo molti giorni dopo, dopo il sangue e il terrore.
Mio figlio Enrico, che io credevo lontano, rientrò nottetempo a Parigi e si rinchiuse nel palazzo di Guisa in attesa.
L’ordine arrivò, la regina Caterina aveva ottenuto dal re l’autorizzazione ad uccidere tutti i capi ugonotti. Finalmente Coligny sarebbe morto.
La notte tra il 23 e il 24 agosto, la notte di San Bartolomeo, allo scoccare dei  rintocchi del campanile di Saint Germain l’Auxerrois finalmente Coligny fu tratto dal letto e ucciso dal sicario Besmè, poi fu gettato dalla finestra. Il corpo cadde proprio di fronte a mio figlio che scese da cavallo e guardò il volto dell’assassino di suo padre e disse “E’ proprio lui. Finalmente mio padre è vendicato”.
Nel frattempo al Louvre e in tutta Parigi venivano uccisi tutti i capi ugonotti, come da ordine reale.
Furono salvati solo Enrico di Navarra ed Enrico di Condè, in quanto principi del sangue, ma fu imposto loro che si convertissero immediatamente e andassero a seguire la messa, così fecero.
Quello che per ordine reale doveva essere l’esecuzione dei soli venti capi ugonotti diventò una carneficina, a  Parigi la violenza dilagava. Il popolo di Parigi si abbandonò ad una vera e propria caccia all’uomo, dove gli odi e i rancori trovarono sfogo nel sangue.
Scatenati gli istinti più brutali, la popolazione era   ormai divenuta incontrollabile. Il re tentò di fermarla ma inutilmente.
Altrettanto fece mio figlio Enrico al suo rientro. Subito dopo la morte di Coligny si era lanciato nel  vano inseguimento di Montgomery e quando rientrò restò sgomento per le condizioni della città  e tentò tutto il possibile per fermare gli assassini.
Questo bagno di sangue durò più di tre giorni nei quali io rimasi chiusa nel palazzo di Nemours, protetto dagli uomini di mio marito.
Alla mia porta bussarono molto fuggiaschi, come potevo rimanere sorda alle loro preghiere? Ordinai che li lasciassero entrare, tra di loro molti erano vecchi amici e conoscenti, come mademoiselle del’Hospital, figlia del mio vecchio amico Michel.
La ragazza era terrorizzata, non smetteva di piangere per ciò a cui aveva assistito e anche per ciò che immaginava potesse accadere ai suoi genitori e fratelli fuori Parigi.
Io la rassicurai ma quando la situazione si tranquillizzò un po’ non riuscii a trattenerla dal volerli raggiungere.
Non potevo aprirle i cancelli e lasciarla uscire, dovevo aiutarla ma cosa potevo fare?
Decisi di chiedere aiuto a mia madre, l’unico modo per uscire da Parigi era usare la sua carrozza, di fronte allo stemma di Renata di Francia, figlia di un re, zia del re e nonna di Enrico di Guisa non avrebbero avuto il coraggio di attaccare. Così fu.
Il 25 agosto un arbusto di   biancospino nel cimitero degli Innocenti fiorì miracolosamente dopo essere   stato sterile per diversi anni. Molti credettero che la Vergine stessa avesse   voluto quel prodigio.
Il re, la regina madre ed il duca d’Angiò si recarono   sul luogo in processione, ma non riuscirono a valersi neppure di questo evento per far   cessare la strage. Anzi, laici e chierici lessero nella straordinaria   fioritura un segno del favore divino allo sterminio degli ugonotti. La   carneficina quindi riprese con rinnovata foga.
Giacomo non era con me a Parigi in quei giorni, appena saputo della situazione però si mise in viaggio riuscendo a raggiungermi solo il 26 sera quando la furia   omicida aveva cominciato a sopirsi, abbandonando Parigi alla desolazione.  
Nei giorni successivi mia madre ritornò a Montargis protetta dagli uomini di mio marito, tentammo di ottenerle di poter professare la religione riformata, ma dopo il massacro il re era irremovibile, neppure per sua zia avrebbe fatto eccezione, doveva tornare cattolica.
Il 2 novembre detti alla luce il mio ultimo figlio, Enrico.
Durante questa gravidanza ingrassai in modo eccessivo, dieci gravidanze in poco più di vent’anni avevano trasformato il mio corpo, ormai non ero più la leggiadra Anna d’Este che era giunta alla corte di Francia.
Quando mi guardavo allo specchio temevo che il mio sposo non potesse più amarmi, per mia fortuna il suo amore era così profondo che nulla cambiò fino alla fine dei nostri giorni insieme.
A febbraio del 1573, accompagnai mio marito a Torino dove fummo ricevuti con tutti gli onori, il nostro ultimogenito fu investito, in quella occasione, della contea di Saint Sorlin.
Dalla Francia purtroppo giungevano notizie poco rassicuranti e io comincia a temere per l’incolumità di mia madre, che nonostante tutto continuava a professare la religione riformata.
La guerra tra cattolici e protestanti non si era fermata dopo la notte di San Bartolomeo anzi, i protestanti riuniti a La Rochelle  tenettero testa all’assedio compiuto dal duca d’Angiò.
Ritornammo a Parigi dove, nel frattempo, il duca d’Angiò era stato nominato  re di Polonia.
Nel luglio del 1573 fu conclusa la pace di Boulogne.
La regina Caterina era felice per la nomina del suo figlio prediletto alla corona di Polonia, il duca d’Angiò molto meno.
La regina decise di organizzate per l’agosto successivo una cerimonia di incoronazione fastosissima, purtroppo le casse dello stato erano prosciugate dalle lunghe guerre, nuovamente chiese aiuto alla mia famiglia.
In questo caso fu Giacomo a porre rimedio alla situazione, chiese e ottenne per la corona un lauto prestito dai mercanti di Lione, così il 19 agosto 1573 quando la delegazione polacca portò la corona al suo nuovo sovrano trovò un’accoglienza che posso solo definire incredibilmente grandiosa.
Il mio sposo ed io assistemmo all’incoronazione e poi tornammo alla nostra Annecy. 

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Capitolo 12
*** Addio amore mio ***


Dalla partenza del fratello per il suo nuovo regno, la salute del nostro re Carlo peggiorò.  A Natale del 1573 prese a sputare sangue, i medici consigliavano riposo e tranquillità, ma la cosa era resa impossibile dalle continue cospirazioni.
Gli ugonotti cercarono nuovamente di impossessarsi della persona del re e alle due di una fredda mattina di febbraio la corte partì per rifugiarsi al castello di Vincennes, il re venne trasportato in lettiga.
Carlo IX appena raggiunse a Vincennes si mise a letto per non alzarsi più.
Tutte queste notizie mi scriveva la regina madre Caterina nelle sue lettere e mi informava che non si riusciva a fargli abbassare la febbre anche se i medici assicuravano che non ci fosse pericolo di vita.
Tra le righe leggevo l’illusione di una madre che non  vuole rassegnarsi alla morte di un figlio, comprendevo la sua ansia e il suo dolore ma il 30 maggio anche lei dovette arrendersi all’evidenza.
La regina Caterina era alla messa quando venne avvertita del peggioramento del re, lo raggiunse immediatamente e venne investita del titolo di reggente fino al rientro del re di Polonia, poi nel pomeriggio, a soli ventiquattro anni, moriva re Carlo IX.
Raggiunsi la regina Caterina non appena seppi la notizia e le rimasi accanto fino a quando non seppellimmo il re.
La regina subito dopo la morte del figlio fece prelevare il re di Navarra e il duca d’Alencon e li fece condurre a Parigi sotto la più stretta sorveglianza ed inviò immediatamente numerose staffette ad avvertire l’ultimo figlio rimastole, Enrico d’Angiò re di Polonia.
La bara di re Carlo IX fu trasferita da Saint-Antoine des Champs a Notre-Dame e da qui dopo un magnifico funerale, a Saint-Lazare  e poi a Saint-Denis per essere sepolto accanto ai suoi predecessori.
Durante tutto questo tempo, il fratello del re fuggiva dalla Polonia e raggiungeva l’Austria per poi attraversare le terre d’Italia ed infine giungere in Francia.
La regina Caterina andò incontro al figlio e lo incontrò a Bourgoin e da lì insieme raggiunsero Lione.
Io ero rientrata ad Annecy a metà agosto dove avevo ritrovato mio marito e i miei figli.
Giacomo erano anni che non frequentava più la corte, preferiva vivere nei suoi castelli, attorniato dai suoi libri e dai nostri figli, ma c’erano occasioni a cui non si poteva sottrarre e quindi raggiungemmo la corte e il nostro nuovo re  a settembre, per offrirgli il nostro dovuto omaggio.
Durante l’avvento, che Enrico III, come aveva voluto chiamarsi, volle festeggiare ad Avignone, il cardinale di Lorena cadde malato. I miei figli lo accudirono amorevolmente giorno e notte ma il 23 dicembre la regina mi avvertiva che i medici non davano più speranze, mi misi in viaggio e il 26 dicembre il cardinale spirava, ricordo che quel giorno ad Avignone si alzò un vento così forte che mai ne avevo visto uno simile.
La mia famiglia Guisa fu molto afflitta da questa perdita, per i miei figli fu come perdere nuovamente il padre, infatti, dalla morte di Francesco, il cardinale lo aveva sostituito in tutto ed era lui il capo supremo della famiglia, ora toccava all’altro mio cognato prendere le redini, il cardinale di Guisa.
Il 13 febbraio 1575 a Reims avvenne l’incoronazione del re, nei giorni precedenti ci furono un po’ di problemi per l’organizzazione del corteo, infatti, mio figlio Enrico, duca di Guisa non voleva cedere il passo al cognato, duca di Montpensier.
Alla fine mio genero dovette arrendersi anche  e soprattutto per volontà del re e credo che anche questo incidente abbia influenzato le future scelte del duca di Montpensier.
Questo incidente fece riflettere mio marito sulla precedenza tra i miei figli di primo letto ed i nostri.
Giacomo in quanto principe di Savoia aveva sempre avuto la precedenza su Francesco di Guisa ma non aveva mai permesso che il suo amico gli cedesse il passo ed ora i nostri figli avrebbero avuto la precedenza sui miei figli Guisa. Giacomo analizzò la questione e alla fine decise di regolarla per non creare attriti tra i miei figli e ordinò che per primo passasse sempre Enrico di Guisa, seguito da Carlo Emanuele futuro duca di Nemours, a sua volta seguito da Carlo di Mayenne ed infine da Enrico di Saint-Sorlin.
All’interno della bella cattedrale di Reims la corte scintillava di diamanti e abiti sontuosi e i cortigiani parlottavano della prossima cerimonia, il matrimonio del re. Tutti si aspettavano che a poco ci sarebbe stato l’annuncio e molti pronosticavano  la lista delle candidate, ma nessuno poteva aspettarsi quello che accadde.
La regina Caterina nei giorni precedenti mi aveva confidato che il figlio le aveva già annunciato l’intenzione di sposarsi e la cosa l’aveva resa felice fino al momento di conoscere il nome della sposa, Luisa di Lorena-Vaudemont.
La regina era sconvolta e arrabbiata per questa scelta così bassa per un re di Francia, quando me ne parlò cominciò ad alzare la voce arrivando quasi ad urlare “Una Lorena, il re di Francia che sposa una semplice duchessa. Può aspirare alla mano di una principessa delle più grandi faglie reali. Ma lui vuole sposare Luisa di Lorena”.
La bella Luisa era figlia di Nicola di Vaudemont che in seconde nozze aveva sposato la sorella di Giacomo, Giovanna di Savoia che era morta sei anni prima.
Il mio orgoglio prese il sopravvento, Luisa era la figliastra di mia cognata che l’aveva allevata come una figlia e una lontana cugina dei miei figli Guisa, come si permetteva la regina di umiliare così la mia famiglia?
Le risposi solamente “Voi eravate solo la figlia di mercanti fiorentini”, Caterina tacque, gli occhi brucianti di rabbia, poi quando cominciai a temere il peggio, la vidi acquietarsi “Spero solo che lo renda felice” fu la sua risposta e mi congedò.
Due giorni dopo la solenne incoronazione di re Enrico III avvenne il matrimonio. Il corteo era così lungo che arrivò alla cattedrale solo alla sera e mio cognato, il cardinale di Guisa, era in attesa di celebrare la cerimonia fin dal mattino.
Subito dopo le nozze ricevemmo l’ennesima brutta notizia, la figlia della regina, sorella del re, Claudia era morta. La regina madre ne fu naturalmente distrutta e io le fui accanto facendomi in qualche modo perdonare per l’avventatezza della mia risposta.
Ad inizio di giugno ricevetti la notizia che mia madre era molto malata, la raggiunsi immediatamente e le rimasi accanto fino al suo ultimo respiro, il 12 giugno 1575.
Nonostante comprendessi molto bene il  peso di ciò che stavo per compiere non potevo sottrarmi dal rispettare i desideri di mia madre e quindi feci approntare il funerale nel modo riformato, il corpo fu disposto su una semplice tavola di legno senza ceri ai lati, le tende aperte e nessun prete o acqua santa.
Poi comunicai la notizia ai miei fratelli, al re e alla regina Caterina ma grazie alla lentezza dei corrieri potei far seppellire mia madre secondo il suo desiderio, posso solo dire che è sepolta nel castello ma per evitare profanazioni neppure io so dove.
L’inviato di mio fratello giunse troppo tardi e poté solo usare un simulacro per la sontuosa camera funeraria che mio fratello aveva ordinato.
Il re fece celebrare una messa a Parigi il 18 di giugno e mi invio una lettera affettuosa ignorando totalmente il mio affronto alla religione cattolica.
La regina madre invece mi scriveva tutti i giorni e mi fu assai di conforto.
La mia vita era costellata di morti, ad ogni persona che perdevo il mio cuore si spezzava, ero convinta che non avrebbe più retto al dolore e invece ancora molti lutti dovevano colpirmi e far sanguinare il mio cuore.
Re Enrico non era il sovrano di cui la Francia aveva bisogno, questo lo capivo io e soprattutto mio marito Giacomo, anche se era lontano dagli intrighi della corte ne seguiva le vicende e il suo cuore soffriva nel vedere la Francia dilaniata dalle continue guerre fratricide.
L’ultimo complotto in ordine di tempo fu quello del duca d’Alencon, Francesco Ercole ultimo figlio maschio della regina Caterina e del defunto re Enrico II
Francesco Ercole, sia per il suo aspetto, sia per la scarsa intelligenza, era stato sempre tenuto in scarsa considerazione sia dai fratelli e soprattutto dalla madre.
Ciò aveva fatto nascere in lui la gelosia e il desiderio di rivalsa.
La madre, infatti, alla morte di re Carlo IX lo aveva fatto tenere sotto stretta sorveglianza insieme al cognato re di Navarra ma Francesco da parte sua nonostante l’atto di fedeltà proclamato nei confronti di suo fratello Enrico III continuava a complottare contro i suoi familiari.
L’ultimo atto fu quello di mettersi alla testa della rivolta dei malcontenti, nobili sia cattolici sia ugonotti scontenti della politica del nuovo re.
Tra questi era presente anche mio genero il duca di Montpensier, che non aveva perdonato al re l’umiliazione durante l’’incoronazione.
Re Enrico chiese il sostegno di mio marito e gli invio una lettera scritta di sua mano in cui gli chiedeva di sostenerlo nonostante i passati dissapori.
Giacomo confermò la sua fedeltà, il sostegno alla corona e al suo re.
Il suo cuore però lo conoscevo solo io e sapevo che il nuovo re non aveva la sua approvazione, dopotutto come poteva averla un re che si presentava alle feste in abiti da donna, il collo cinto da collane di perle e attorniato da “favoriti”?
Nonostante tutto era l’erede della valorosa casata dei Valois e Giacomo, gli restò fedele come lo era stato ai suoi predecessori.
La regina madre era disperata, mi scriveva “è il più grande dispiacere che abbia avuto dalla morte del re”. La comprendevo, oltre alla lotta tra cattolici e ugonotti ora si combattevano anche i suoi stessi figli.
Per fortuna il 21 novembre 1575 nel castello di Champigny fu conclusa una tregua.
Io continuavo il mio andirivieni tra la corte ed Annecy, Giacomo, quando la salute gli è lo permetteva, mi accompagnava  anche perché re Enrico lo aveva voluto nel suo consiglio privato ed ora, stranamente, ne ascoltava i consigli.
Dalla morte di mia madre era cominciata la disputa con i miei fratelli per la divisione dell’eredità. Renata di Francia aveva lasciato tutti i suoi domini in territorio francese a me e questo aveva scatenato le ire di mio fratello Alfonso poiché i beni erano molti e molto redditizi. Negli otto anni successivi, i tribunali di Francia e Ferrara si alterneranno in sentenze contraddittorie.
Il 24 ottobre 1575 ricevemmo una lettera dalla regina Caterina che ci annunciava la vittoria di mio figlio Enrico di Guisa a Dormans ma anche il suo ferimento: Enrico nella foga della battaglia aveva ricevuto una ferita che dalla bocca gli arrivava all’orecchio ed era stato trasportato immediatamente alla dimora dello zio insieme al fratello marchese di Mayenne.
Immediatamente cominciarono le mie angosce, ma la salute del mio sposo mi impediva nuovamente di correre al capezzale dei miei figli, per fortuna le lettere di mio cognato mi rassicurarono che la ferita stava guarendo bene e anzi questa nuova prova aveva rafforzato ancora di più il suo carattere.
A metà novembre comunque li raggiunsi e trascorsi un po’ di tempo con loro ritrovando l’antica armonia e complicità che negli ultimi anni avevamo perso, trascorremmo molto tempo in lunghe cavalcate e quando il tempo non lo permetteva facevamo musica.
Il tenore di vita dei Guisa era sempre stato molto dispendioso ma ultimamente Enrico stava facendo spese folli che impensierivano me e anche mia suocera Antonietta di Borbone, ricorremmo all’ascendente di Giacomo sul duca di Guisa e per un po’ le cose furono sistemate ma poi purtroppo peggiorarono divenendo la croce della mia vecchiaia.
Il 1576 portò un nuovo matrimonio nella mia famiglia, Carlo marchese di Mayenne il 6 agosto 1576 sposò Enrichetta di Savoia marchesa di Villars, vedova e con sei figli. Mia suocera era contraria a queste nozze ma la cospicua dote di 100.000 livree la misero a tacere.
Prima di fine anno un’altra prova terribile doveva colpirci, il duca di Savoia prese in ostaggio il nostro figlio maggiore Carlo Emanuele e lo portò con se a Torino quale garanzia di fedeltà da parte di Giacomo. Era, infatti, accaduto che la Svizzera aveva restituito dei territori al duca di Savoia su cui Giacomo riteneva avere dei diritti.
Per Giacomo fu un duro colpo la separazione dal suo figlio maggiore ma per me fu ancora peggio, ero già lontana dai miei figli Guisa, non potevo accettare di essere allontana anche dai miei figli minori.
Fino al luglio 1577, quando Carlo Emanuele fu lasciato tornare ad Annecy, io passavo il tempo tra Torino, Parigi ed Annecy affaticando il mio già scosso fisico.
A marzo del 1578 morì anche l’ultimo dei fratelli del mio defunto marito, il cardinale luigi di Guisa.
Per mio marito fu un colpo terribile, moriva anche l’ultimo dei suoi amici di gioventù con cui aveva trascorso molte serate brillanti e con cui aveva condiviso sogni e delusioni. Mio cognato aveva quarantotto anni, mio marito quarantasette e una salute pessima.
Giacomo per consolarsi della perdita, decise di costruire un palazzo sulle rive del lago di Annecy per il nostro figlio minore.
Il 1579 durante un viaggio nel sud della Francia Giacomo ebbe l’ennesima ricaduta di gotta, dovemmo trasportarlo d’urgenza a Verneuil e qui tememmo il peggio, per fortuna la sua volontà e il suo corpo risposero alle cure e si ristabilì.
Negli anni successivi Parigi lo vide poco, Giacomo aveva compreso che l’aria e la vita di corte non si confacevano più alla sua salute, trascorse i suoi ultimi anni tra Torino e Annecy.
Nel frattempo a Torino nell’agosto 1580  il duca di Savoia Emanuele Filiberto era morto e gli era succeduto il figlio, Carlo Emanuele.
Nel 1577 il figlio di Françoise de Rohan era stato catturato da mio figlio  Mayenne. La corte temette il peggio, pensavano che potessi approfittare dell’occasione per far sopprimere questo figlio scomodo, come mi conoscevano poco. Volevo risolvere la situazione, ma  sicuramente non macchiandomi di un delitto.  Agli inizi del 1579 avevo aperto  una trattativa con i Rohan e nel 1580 comprai i diritti degli aspiranti al gran priorato d'Alvernia dei Cavalieri di Malta e li cedetti al giovane ottenendo in cambio la sua rinuncia a portare il nome e le armi di Nemours.  All’inizio il piano sembrava difficilmente realizzabile perché il giovane era protestante ma trovai la soluzione anche a questo, appoggiata da A. Dandini, nunzio apostolico in Francia, riuscii ad ottenere nel 1581 le formule di assoluzione per il ragazzo.
Sperai che avendo risolto la delicata questione di questo figlio “illegittimo” avrei alleviato un po’ le sofferenze del mio sposo ma capii, in più di un’occasione che Giacomo viveva le sue sofferenze fisiche come la punizione alle follie di gioventù e che quel giovane avrebbe sempre avuto una parte importante nei suoi tristi pensieri.
Il 24 settembre 1581 a Parigi si sposò la nipote di mio marito, Margherita di Lorena-Vaudemont, sorellastra della regina. Le feste durarono un mese, fu lo stesso re che condusse la sposa all’altare e volle organizzare il corteo e disegnare gli abiti, proprio come aveva fatto per il suo matrimonio. Il re ordinò anche che tutti i principi dessero a turno una festa e che gli invitati dovessero sempre indossare un abito nuovo. In quei giorni a Parigi le spese furono folli.
Nello stesso periodo ricevetti la notizia che mia sorella Eleonora era morta. Forse per punirmi di aver fatto seppellire nostra madre da ugonotta o forse a causa  dell’eredità di nostra madre ma Eleonora lasciò tutta la sua fortuna a nostro fratello Luigi, cardinale d’Este.  Sul momento non detti peso alla cosa, ma quando, alla morte del cardinale, anche lui mi diseredò, allora intentai un processo contro l’erede, mio fratello Alfonso.
I lutti sembravano succedersi a cadenza annuale, esattamente un anno dopo il 23 settembre 1582 morì mio genero, Luigi di Montpensier.  Il 20 gennaio 1583 morì mia suocera  Antonietta di Guisa, fu un dolore immenso, era morta la mia seconda madre e per la mia famiglia Guisa un’altra perdita incolmabile.
Il 1585 portò un importante matrimonio, il duca di Savoia Carlo-Emanuele si sposò il 18 marzo a Saragozza con l’infanta Caterina Michaela, figlia del re Filippo II di Spagna e della sua terza moglie la principessa Elisabetta di Valois.
Il duca di Savoia nel suo viaggio per la Spagna raggiunse prima Chambery dove trovò ad attenderlo Giacomo e nostro figlio maggiore Enrico e da lì ad Annecy.
Il duca chiese quindi al mio sposo di accompagnarlo per il resto del lungo viaggio e Giacomo fu felicissimo di accettare, purtroppo non aveva fatto i conti con la sua salute che sembrava impedirgli le cose che amava di più.
Poco prima della partenza una ricaduta modificò il programma, Giacomo decise che nostro figlio Enrico lo avrebbe sostituito accanto al re ed io lo avrei accompagnato.
Devo ammettere che nonostante la preoccupazione per la salute del mio sposo fui molto felice di quel viaggio, avevo sempre desiderato vedere la Spagna e un matrimonio reale era sempre una bella occasione.
Quando vidi la sposa per la prima volta mi sembrò di rivedere la principessa Elisabetta, la stessa bellezza bruna e delicata, ma nel suo sguardo notai la stessa determinazione e forza di carattere della nonna, Caterina de Medici.
Finite le feste mio figlio ed io ritornammo ad Annecy.
La regina Caterina mi scriveva chiedendomi notizie sulla nipote e sul matrimonio e mi sollecitava a tornare a Parigi, ma io tergiversavo.
Dalla nostra partenza Giacomo non si era più alzato dal letto, lo ritrovai debole, stanco ma per fortuna con la mente sempre vivace.
I medici purtroppo non ci davano più molte speranze e Giacomo ne era consapevole, nei mesi successivi i miei figli ed io trascorremmo interi pomeriggi seduti accanto al suo letto, ascoltando le sue raccomandazioni.
Un pomeriggio, giugno era giunto e aveva portato il suo sole caldo che ci permetteva di aprire le finestre e far filtrare i suoi raggi fino al letto di Giacomo, il mio sposo ci chiese di sederci tutti e tre sul letto e poi prendendo le mani dei nostri figli cominciò: “Voi e la vostra amatissima madre siete state le gemme più preziose della mia vita. Il lasciare questo mondo mi è triste non per il perdere le cose terrene ma solo per il lasciare voi.
Avrei tanto voluto accompagnare ancora i vostri passi nel mondo, partecipare alle vostre conquiste militari, al vostro matrimonio, conoscere i miei nipoti. Purtroppo il destino ha deciso diversamente. Voi non dovrete piangere, questa è la vita, si nasce e si muore. Prima è toccato ai miei genitori, ora tocca a me e un domani toccherà a voi. Questa è la vita.
Vi raccomando solo di continuare a studiare e servire Dio. Siate sempre obbedienti e devoti a vostra madre, ascoltate i suoi consigli perché so che vi consiglierà sempre per il bene.
Siate sempre consapevoli delle vostre azioni e siate di esempio per gli altri.
Quando sarete in età di sposarvi, mi raccomando, scegliete una brava donna cattolica e siategli sempre fedeli e devoti come io lo sono stato a vostra madre.”.
Già dalle prime parole di Giacomo le lacrime avevano cominciato a scorrere sulle guance di tutti e quattro, quando lui tacque si sentivano solo i singhiozzi dei nostri figli.
“Figli miei ora andate, lasciatemi solo con vostra madre.” Continuò Giacomo dopo un lungo silenzio.
Quando i due fanciulli furono usciti mi prese la mano e se la portò alle labbra, io mi avvicinai ancora di più fino a sdraiarmi accanto a lui posando la testa sulla sua spalla, nella posizione in cui mi ero sempre addormentata negli ultimi diciannove anni insieme.
Giacomo con la voce rotta dalle lacrime cominciò a parlare “Amore della mia vita. Dal primo momento che vi ho vista ho capito che eravamo stati creati per stare insieme. Avrei atteso per l’eternità se fosse stato necessario ma il destino ha voluto che il caro Francesco fosse assassinato vilmente. Ho atteso ancora finché non siete stata pronta a risposarvi. Ed oggi siamo qua, abbiamo due splenditi figli e tra poco tempo anche io vi abbandonerò. E’ il vostro destino, rimanere vedova.
Ho predisposto tutto le carte per la divisione dei beni tra i nostri figli e vi ho nominato tutore di entrambi. Ho fiducia nelle vostre capacità e nella vostra intelligenza e perspicacia.
Vi amo Anna, vi ho sempre amato e vi amerò anche oltre la morte.”.
Io cosa potevo rispondere? Solo due parole uscirono dalle mie labbra “Vi amo” poi baciandolo continuai “Vi amo e vi amerò anche dopo la morte”.
Giacomo era pronto alla morte, era stanco e rassegnato, aveva rassegnato l’anima a Dio e attendeva con placida rassegnazione il suo momento.
Il momento arrivò il 18 giugno 1585. Mio marito, Giacomo di Savoia duca di Nemours e Genevois, si spense dolcemente nel tardo pomeriggio.
Giacomo era pronto, io no. Quando Giacomo smise di respirare mi sembrò che anche il mio respiro si fermasse, ero come svuotata, inebetita. I camerieri si affaccendarono subito per preparare il corpo di mio marito ma io li guardavo assente, quasi non mi rendevo conto di quello che era successo, più che altro non riuscivo ad accettarlo.
Quando Il dolore e la disperazione scoppiarono in tutta la loro vastità erano confusi con una punta di rimorso. Sì, rimorso per i pochi momenti trascorsi insieme negli ultimi tre anni, la corte e l’amministrazione delle mie eredità  mi avevano tenuto lontano da Giacomo ed ora lui era morto non avrei più potuto posare la mia testa sulla sua spalla, raccontagli le mie preoccupazioni, raccogliere i suoi consigli.
Cosa avrei fatto ora nuovamente vedova? Ero distrutta, stanca di lottare contro un destino avverso che mi toglieva tutte le persone a cui volevo bene, eppure avrei dovuto fare ricorso a tutte le mie risorse perché ancora molto doveva accadere nella mia vita e poche erano le cose piacevoli.
Ricevetti le lettere di condoglianze della regina madre, del re e di tutti i membri influenti della corte.
Il funerale fu tenuto in pompa magna e padre Cristin pronunciò una magnifica orazione funebre, poi il corpo del mio amato Giacomo fu rinchiuso in una doppia bara e inumato nella cappella dei Nemours ad Annecy. 

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Capitolo 13
*** Madre della Lega ***


Per molti mesi  dopo la morte di Giacomo rimasi ad Annecy anche se la regina madre mi sollecitava a rientrare a corte non ero ancora pronta, i miei figli più piccoli avevano bisogno della loro madre ed io avevo bisogno di averli vicini per superare questo triste momento.
Già prima della morte di Giacomo la regina madre Caterina aveva proposto la nipote Cristina di Lorena per il nostro figlio maggiore Carlo Emanuele, dopo la morte del mio sposo la regina rinnovò la proposta ma nel contempo iniziò anche una trattativa con il granduca di Toscana a cui alla fine andò la mano della fanciulla.
La delusione per me fu cocente, per Carlo Emanuele decisamente minore in quanto non desiderava sposarsi e aveva fatto di tutto per ritardare le trattative con il risultato ottenuto. Nel medesimo momento avevo cercato di ottenere qualche beneficio ecclesiastico per il mio secondogenito, la regina Caterina si era interessata per fargli ottenere   l’arcidiocesi di Auch o l’abazia di St. Evroue ma invano, altrettanto vana fu la richiesta di un cardinalato.
Come sempre il tempo rasserena gli animi e dopo quasi un anno ero di nuovo pronta a tornare a corte, lo dovevo fare per il bene dei miei figli Guisa e Nemours.
Tornata a Parigi mi sistemai nel palazzo di Nemours vicino a Saint-André des Arts, qui ritrovai l’affetto dei miei figli Guisa e delle mie nuore la duchessa di Guisa e quella di Mayenne ma soprattutto ritrovai la mia unica figlia femmina Caterina Maria anche lei vedova.
Nel febbraio 1587 ricevemmo una triste notizia, nostra nipote la regina di Scozia era stata uccisa dalla regina d’Inghilterra. Fu un momento molto drammatico, ripensai a quando giunta in Francia la trovai bambina, poi il suo matrimonio, la morte del re e la sua partenza. Povera cara non era pronta alla vita che l’attendeva.
Nel 1588 riuscii ad ottenere per Carlo Emanuele il governatorato di Lione.
All’inizio devo ammettere che non condivisi le idee e le azioni della lega cattolica a cui capo c’erano i miei figli Guisa e mi tenni a dovuta distanza fino alla giornata delle barricate, come poi fu chiamato il 12 maggio 1588.
Dopo una tregua di sette anni la crisi rinasce nel 1584, con la morte del duca d'Angiò e la designazione del protestante Enrico di Navarra come successore, Enrico era capo della casa di Borbone e della fazione ugonotta e quindi rivale della famiglia Guisa.
Il popolo francese cominciò a temere di veder salire sul trono un re protestante e quindi  mio figlio Enrico di Guisa divenne a tutti gli effetti il loro candidato cattolico.
Dopo il 1582  il re di Spagna Filippo II apporta il suo sostegno finanziario ai cattolici, e lo conferma con la firma del trattato di Joinville  il 31 dicembre 1584, dove il successore designato al trono era il cardinale Carlo di Borbone-Vendome.
La Lega pubblica la sua proclamazione il 31 marzo 1585  a Péronne, dove si dichiara di voler sottrarre il re ai favoriti, ristabilire la religione unica e obbligare il re a riunire regolarmente gli Stati generali. Le adesioni dei comandanti militari si moltiplicano.
Enrico III viene costretto a cedere davanti le esigenze della Lega e a revocare l’editto di pacificazione e a riprendere la guerra con i protestanti.
Enrico di Guisa vinse i protestanti prima a Vimory il 26 ottobre 1587 e poi il 24 novembre 1587 ad Auneau.
Dopo queste vittorie il popolo di Parigi inneggiò sempre più Enrico di Guisa facendo tremare il sovrano legittimo, re Enrico III.
Re Enrico temendo addirittura per la sua incolumità, così mi informava la regina Caterina, fece entrare in Parigi molti reggimenti della guardia Svizzera violando il privilegio che voleva Parigi mai invasa da truppe straniere. I parigini temendo per la loro incolumità il 12 maggio si sollevano contro il loro re.
Nonostante il divieto di entrare a Parigi impostogli dal re, mio figlio Enrico di Guisa era giunto in città già dal 9 maggio e il 12 era alla testa dei parigini insorti.
La giornata si concluse con numerose perdite su entrambi i fronti ma soprattutto con la fuga di re Enrico  prima a Saint Cloud, poi a Chartres, a Rouan ed infine a Blois.
L’1 luglio il re firmò con mio figlio il patto d’unione con il quale conferiva praticamente tutti i poteri al duca di Guisa, nominandolo luogotenente generale del regno e convocando gli stati generali.
La sera della vittoria, Enrico di Guisa era acclamato ed osannato come un re e, infatti, suo fratello Luigi cardinale di Guisa fece questo brindisi “Bevo alla salute del re di Francia”, brindammo tutti, eravamo tutti orgogliosi e felici e non ci rendevamo ancora conto che due re a Parigi erano troppi.
Gli stati generali erano stati aperti il 2 ottobre 1588 a Blois. Nel discorso di apertura il re rese omaggio a sua madre ma concluse con queste parole “Non sono  più disposto a transigere sull'obbedienza dei sudditi”.
L’intera corte era convenuta a Blois, compresa la regina madre che però il 15 dicembre fu colpita a una congestione polmonale che la costrinse a letto per molti giorni. Il 22 dicembre mi convocò, pensai che volesse parlarmi del lavoro degli stati generali e invece cominciò a parlarmi del re “Mia cara amica, mio figlio è stato costretto a fuggire da Parigi ma il suo cuore è sempre lì perché quella è la sua capitale. Nulla lo distoglierà da riprendersi ciò che è suo. Questo lo capite?”
In realtà non capivo a cosa si riferisse, ero felice per la situazione di forza in cui si era venuta a trovare la mia famiglia e soprattutto mio figlio e quindi non avevo analizzato la realtà dei fatti e allora la regina fu più esplicita “Il re ha convocato gli stati generali qui a Blois per un solo motivo, allontanare vostro figlio da Parigi. Qui è più vulnerabile, non c’è la città a proteggerlo. Questa notte ho fatto uno dei miei sogni e vedevo vostro figlio sciogliersi in un mare di sangue. Per l’amicizia che ci ha sempre legato salvate vostro figlio, non voglio più assistere a spargimenti di sangue. Vi prego amica mia convincetelo a partire, questa notte stessa, il più lontano da Blois”.
Ero pietrificata, la regina mi stava annunciando l‘assassinio di mio figlio per mano del suo, dovevo avvertire Enrico. Non mi inchinai, fuggii via alla ricerca di mio figlio.
Era nelle sue stanze, entrai senza bussare, senza farmi annunciare e lo abbracciai.
“Madre che succede” chiese Enrico liberandosi dal mio abbraccio.
Non usai preamboli, dissi solo “Il re vuole ucciderti, devi fuggire”. Enrico si mise a ridere io no.
“Non sottovalutarlo, è il re e vuole la tua morte” lo implorai.
“State tranquilla madre, saprò guardarmi. Mai io non fuggirò. Non sono come lui che invece è fuggito da Parigi” mi rispose Enrico e le sue parole erano senza replica, non potei far altro che tornare nelle mie stanze e pregare.
Fu quello che feci, mi inginocchiai di fronte al crocefisso e pregai “Dio, salvalo. Fa che la regina si sia sbagliata. Ti imploro non strapparmi quest’altro figlio”, ma in cuor mio sapevo che erano preghiere inutili, il destino era già stato scritto.
Il 23 dicembre 1588, mio figlio venne convocato dal re nella sua camera da letto, Enrico nonostante l’avvertimento andò solo, sicuro che il re non lo avrebbe mai colpito all’interno dei suoi appartamenti e invece, nella camera erano presenti i membri dei “quarantacinque”, la guarda personale del re. Appena entrato fu assalito  e trafitto a morte. Il re osservava compiaciuto. Poi il suo corpo fu bruciato nel camino di una sala del castello e le ceneri gettate nella Loira.
Io ero ancora nelle mie stanze quando sentii una confusione nel corridoio e aprii la porta, avevo intuito che l’avvertimento della regina si era realizzato, ma fui fermata dalle guardie, il re mi teneva agli arresti.
Mentre cercavo di spingere le guardie e ricavarmi un varco vidi le guardie del re trasportare il corpo insanguinato di mio figlio. Fu la fine, il mio dolore, la mia rabbia furono devastanti, comincia ad urlare, a colpire le guardie, a inveire contro il re “Quel tiranno, quell’assassino” urlavo senza sosta, poi svenni.
Mi ritrovai distesa sul mio letto, le mie dame mi circondavano, le vedevo tremanti, impaurite. “Non temete, ho visto e non dimenticherò. Il re si guardi da una madre a cui ha ucciso il figlio” ma capii che non era questo solo quello che temevano, era accaduto dell’altro mentre ero svenuta. “Cos’altro è accaduto?” chiesi. Le donne si guardarono, nessuna osava parlare, dovetti urlare “Parlate”. Ebbi la mia risposta, “Vostro figlio il cardinale Luigi è stato arrestato e condotto nelle segrete. Vostro figlio di Nemours è stato posto agli arresti come voi e vostro nipote il duca di Joinville.”
Ricaddi sul cuscino “E’ un folle, cosa spera di ottenere. Questa è la sua fine. Sarà meglio per lui che uccida anche me”.
Il giorno dopo le guardie mi prelevarono dalle mie stanze e mi condussero nel cortile dove ad attendermi c’era una carrozza, mio nipote, il cardinale di Borbone e il duca di Elbeuf.
Comincia a voltarmi alla ricerca dei miei figli “Dove sono i miei figli. Dov’è il cardinale e il duca di Nemours?” chiesi fra le lacrime temendo il peggio.
Una delle guardie “Il duca è fuggito questa notte” mi rispose subito ripreso dal compagno che lo intimò di tacere.
Chiesi “Il cardinale?”, ma questa volta non ottenni risposta.
Capii da sola. Era stato ucciso come suo fratello e il suo corpo aveva subito la stessa sorte. Il dolore si sommò al dolore, la rabbia alla rabbia e la vendetta cominciò a farsi strada.
Fummo trasferiti a Amboise. Gennaio trascorse nell’attesa, con l’unica notizia che la regina madre Caterina era morta il 5 di gennaio, ne fui sinceramente addolorata, eravamo state sempre molto vicine e nonostante gli ultimi  avvenimenti non avevo nulla da rimproverarle. Febbraio portò la visita del re.
Quando lo vidi giungere alla mia presenza avrei voluto saltargli al collo e strozzarlo con le mie mani, ma invece ascoltai quello che aveva da dirmi.
“Signora, mi rendo conto di aver fatto molti errori e le conseguenze sono tangibili. Il papa mi ha scomunicato. Parigi mi ha chiuso le porte e ora ho contro di me anche gli uomini più potenti e valorosi di Francia. “ cominciò il suo discorso il re.
“Cosa vi aspettavate. Pensavate che uccidendo i miei figli la Francia vi avrebbe applaudito?” risposi con una calma che sorprese persino me stessa.
“Ho compreso che l’unica salvezza è nel trattare con i vostri figli. Solo voi potete convincerli a perdonarmi e a riconoscermi come re. Se mi giurerete fedeltà il popolo di Parigi farà altrettanto. Vi rendo la libertà a condizione che parliate ai vostri figli in favore della pace” concluse il re.
Voleva che parlassi ai miei figli, bene è quello che avrei fatto “Come volete” risposi pregustando la vendetta.
Raggiunsi i miei figli, Mayenne e Nemours, a Parigi e gli comunicai le condizioni del re e alla fine dissi “Avevo promesso di dirvi tutto ciò. Ora a voi decidere il da farsi.” Poi ripresi “Ricordatevi solo chi erano i vostri padri e come hanno vissuto. Io non l’ho dimenticato”
La decisione fu presa rapidamente e fu quella che mi aspettavo, mai la famiglia Guisa avrebbe fatto la pace con l’assassino dei suoi figli.
La lega cattolica era all’interno di Parigi assediata dalle truppe regie e ugonotte che si erano alleate contro la lega cattolica.
Non fui presente alla decisione di uccidere il re ma l’1 agosto 1589 il monaco domenicano Clement fu introdotto nella camera del re e con la motivazione di dovergli fare una confidenza convinse Enrico III ad allontanare tutti i presenti. Appena il re si chinò questi lo pugnalò al basso ventre.
Il re morì alle tre del 2 agosto 1589. Apprendendo la notizia la nostra gioia fu grande che mia figlia baciò il messaggero della lieta notizia e poi insieme scendemmo nelle strade di Parigi ad annunciare la morte del tiranno.
Il nuovo re era Enrico di Navarra ma la lega cattolica non poteva riconoscere un re protestante quindi nominava re il cardinale di Borbone, zio del re di Navarra, ma in realtà il cardinale rinunciò all’incoronazione e  riconobbe la legittimità di suo nipote.
Carlo Emanuele di Nemours fu nominato governatore di Parigi, suo fratello Enrico lo sostituiva nel governatorato di Lione.
Parigi era sempre sotto assedio e morto il cardinale di Borbone nel maggio 1590 la lega era senza un candidato adatto. I possibili candidati furono: il duca di Lorena, il duca di mercuri, mio figlio Mayenne, mio figlio Nemours e per finire mio nipote il giovane duca di Guisa.
Parigi si difese e grazie agli aiuti spagnoli Enrico di Navarra non riuscì a prendere la città.
Gli anni che seguirono furono ancora carichi di sangue e dolore, mio figlio Mayenne nel gennaio 1593 convocò gli stati generai con l’intenzione di eleggere un nuovo re, ma non ebbe fortuna perché gli stati lo tradirono negoziando una tregua con Enrico di Navarra.
Il 25 luglio 1593 accade l’impensabile, Enrico di Navarra abiurava la fede calvinista.
Non c’era più motivo di continuare la guerra, le nostre motivazioni avevano trovato una conclusione, ora sul trono di Francia c’era un re cattolico, ed io ero disposta dimenticare chi erano stati i suoi alleati? Quanto sangue innocente era stato versato? Sì, per il bene della Francia ero disposta a riconoscere re Enrico di Navarra.
Enrico IV veniva consacrato il 27 febbraio 1594 nella cattedrale di Chartres.
Mio figlio di Nemours aveva abbandonato la città già da diversi mesi ed era ritornato nel suo governatorato di Lione, disobbedendo agli ordini di Mayenne.
Dopo l’incoronazione di Enrico IV i lionesi  arrestarono il loro governatore.
Nuove preoccupazioni per il mio cuore di madre. Chiesi a Mayenne di andare a Lione e liberare il fratellastro, promise ma non mantenne.
Il 22 marzo 1594 Enrico IV entrava trionfante a Parigi, una delle prime azioni fu mandare un messaggero a porgerci i suoi saluti e garantirci la sua protezione.
Due giorni dopo ricevemmo la visita del re.
Mia figlia Caterina ed io eravamo in biblioteca a leggere e ricamare quando un servitore ci annunciò la visita del re. Fummo prese alla sprovvista non mi aspettavo di vederlo nella mia casa.
Lo raggiungemmo nella grande sala, dove era stato fatto accomodare, e appena entrammo “Saluto il re di Francia a cui va tutta la mia fedeltà” dissi inchinandomi e altrettanto fece mia figlia.
Il re non ci fece neppure finire la frase che si avvicinò e ci fece rialzare abbracciandoci.
“Care cugine, sono felice di trovarvi in salute. Sono venuto a rendervi il dovuto omaggio. Conosco tutte le sofferenze che il vostro cuore ha dovuto subire e me ne dispiaccio. Per questo vi ringrazio per avermi riconosciuto come re, vi devo molto. Vi devo il mio trono. Ora però ho ancora bisogno del vostro aiuto. Dovete convincere i vostri figli a rendermi omaggio e giurarmi fedeltà, altrimenti la Francia continuerà a essere sconvolta da queste lotte fratricide. E noi questo non lo vogliamo?” questo mi disse seduto sulla poltrona di fronte a me.
“Basta sangue, maestà” gli risposi. “Vi prometto che farò tutto quello che è in mio potere per condurvi i miei figli”.
Mia figlia ed io ai primi di aprile lasciammo Parigi e andammo a Reims, dove c’era mio figlio di Mayenne.
Convincere lui, mio nipote il duca di Guisa e gli altri membri della lega lì riuniti non fu facile ma alla fine riuscimmo.
Gli ricordai anche la promessa di liberare mio figlio di Nemours ma non fu necessario il suo intervento in quanto dopo dieci mesi di prigionia Carlo Emanuele era riuscito a fuggire e ad arrivare nel Dauphine, di cui suo fratello era governatore.
Da qui con una guarnigione di soldati raggiunse Vienne dove venne attaccato da Montmorency che però non riuscì a catturarlo.
Volendo allontanarsi da Vienne la consegnò ad un governatore che purtroppo la consegnò immediatamente alle truppe regie.
Per mio figlio fu un colpo terribile, si sentì scoraggiato e questo minò ulteriormente la sua salute, che la lunga prigionia aveva rese precaria, quindi raggiunse Annecy nella speranza di ristabilirsi.
Venni avvertita della sua malattia ma non mi resi conto della gravità e continuai a rimanere a Parigi per contrattare con il re la resa di Nemours, cercavo vantaggi materiali mentre mio figlio soffriva e probabilmente desiderava solo avermi accanto.
I miei interessi materiali ancora una volta avevano la meglio sugli affetti e come accadde per il padre gli fui lontana.
Per fortuna suo fratello lo raggiunse e quando mi scrisse la gravità della situazione ne rimasi sconvolta, gli scrissi che partivo immediatamente e cosi feci, purtroppo era ormai troppo tardi, quando giunsi ad Annecy trovai solo la sua lapide accanto a quella del padre.
Oltre al dolore dovetti anche affrontare l’ira di Enrico che mi accusò, giustamente, di aver negato a suo fratello l’ultima gioia, quella di rivedermi.
Enrico era talmente arrabbiato che partì senza avvertirmi di dove sarebbe andato.
Ero disperata, mi sentivo una madre inadeguata, quanti figli avevo perso senza poterli vedere per l’ultima volta? Quante creature generate dal mio ventre erano morte? Perché dovevo sopravvivere ai miei figli? Perché?
Ancora oggi me lo chiedo, ma la risposta non l’ho trovata, tranne che ancora molto dovevo fare per la Francia.
Dopo molti mesi riuscii a sapere che Enrico, nuovo duca di Nemours era in Piemonte, io stavo contrattando la sua resa con Enrico IV e lui viveva alla corte di un nemico del re di Francia, possibile che mi odiasse così tanto?
Inviai il mio cappellano Neuchelles a Torino con l’intento di convincere Enrico a rientrare a Parigi. Il cappellano aveva conosciuto Enrico fin da bambino e quando si era parlato di un cappello cardinalizio i loro rapporti erano stati molto più frequenti, speravo nella sua intercessione.
Mio figlio non aveva intenzione di assecondarmi, lasciato il Piemonte si diresse a Ferrara da mio fratello Alfonso.
Dopo numerose lettere in cui gli chiedevo perdono e lo sollecitavo a tornare in Francia e da me, si convinse.
Per l’atto di fedeltà di Enrico avevo ottenuto dal re di Francia che le città di Gisors, Caen e Bayux fossero confermate al duca di Ferrara, per me avevo ottenuto la sovranità di Montargis e per Enrico, la conferma delle proprietà paterne.
Era il 1596 finalmente la pace tra tutti i miei figli e il re di Francia era stata siglata, potevo ritirarmi nelle mie proprietà e godermi la gioia di vedere i miei figli e nipoti onorati alla corte di Francia.
Questo era quello che pensavo e speravo e invece, prima che l’anno finisse un altro lutto mi colpì, Caterina Maria morì.
Quando fui avvertita del suo malessere era già da alcuni giorni che aveva una grande emorragia, questa volta riuscii a giungere in tempo, però il vederla morire fra le mie braccia non fu meno straziante che trovare una lapide su cui piangere.
Due anni dopo, ad ottobre, morì mio fratello Alfonso, duca di Ferrara, senza lasciare eredi diretti, gli successe Don Cesare d’Este, figlio di un figlio illegittimo di mio nonno, però il papa non accettò questa successione e Ferrara, la mia bella Ferrara passò sotto il dominio papale, nessun duca estense avrebbe mai più calpestato i meravigliosi pavimenti del palazzo ducale o passeggiato negli splendidi giardini.
Dopo neppure quattro mesi morì anche mia sorella Lucrezia, ero rimasta l’unica discendente diretta della casa ducale d’Este, l’unica sopravvissuta. 

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Capitolo 14
*** Le ultime volontà ***


Già dal 1591 Enrico IV aveva ripreso i contatti con Margherita di Valois per predisporre l’annullamento del loro matrimonio da cui non erano nati figli. Margherita viste le generose ricompense lo aveva accordato ma prima di accettare fece andare avanti le trattative per sei anni, fino alla morte di Gabrielle d’Estress, amante di re Enrico.
Dopo la morte per parto di Gabrielle il papa Clemente VIII annullò il matrimonio.
Nel contempo i ministri stavano già accordandosi con la casa de Medici per far sposare Enrico con Maria la cui dote avrebbe estinto l’enorme debito che Enrico aveva contratto con i banchieri fiorentini.
I problemi arrivarono dalla nuova amante del re, Henriette d’Entragues che si era fatta firmare una promessa scritta di matrimonio nel caso in cui gli avesse generato un figlio maschio, nacque invece una bimba prematura e già morta nel ventre materno.
Henriette non diventò regina e si dovette accontentare del titolo di marchesa di Verneuil dal nome del castello che mio marito Giacomo aveva costruito e che io avevo venduto al re.
Enrico sposò Maria de Medici per procura e la principessa era attesa in Francia per la fine dell’anno 1600.
Ad inizio di ottobre 1600 venni convocata dal re, ormai non frequentavo molto la corte tranne che per rare e importanti occasioni, indossai uno dei miei nuovi abiti con l’alta gorgiera di pizzo inamidato e mi presentai nel suo studiolo.
Appena introdotta mi inchinai, in realtà feci un inchino appena accennato perché ormai i miei movimenti erano molto impediti. Re Enrico mi venne immediatamente incontro e mi accompagnò alle poltrone poste di fronte al camino acceso.
“Accomodatevi cara cugina, ho da chiedervi un favore” cominciò il re.
“In cosa può esservi utile un’anziana suddita come me?” domandai abbastanza incuriosita.
“Sapete che tra pochi giorni mi sposerò per procura con la principessa Maria de Medici e che la mia sposa è attesa per i primi di dicembre a Lione ma arriverà a Marsiglia già ai primi di novembre, vorrei che foste voi ad accoglierla e farla ambientare agli usi della corte Francese. Chi meglio di voi potrebbe? Voi avete fatto lo stesso percorso molti anni fa’ quindi sicuramente ricorderete le paure che comporta un così radicale cambiamento.” disse il re.
“Maestà per me sarà un onore aiutare la vostra regina in questo delicato momento” risposi inchinando leggermente il capo.
“Veramente devo chiedervi anche un altro favore” incalzò il re.
Ora sì che ero curiosa, cos’altro doveva chiedermi? “Vi ascolto maestà”
Enrico riprese un po’ titubante “Ebbene, vi devo chiedere di parlare alla regina di M.lle D’Entragues e di fargliela accettare”.
Rimasi senza parole come potevo far accettare ad una giovane sposa l’amante del marito? Ricordavo molto bene il dolore provato quando seppi di M.lle de Piennes.
“Maestà non ci sono parole per far accettare ad una sposa l’amante del marito” confessai senza indugi.
“Lo so, ma vi prego fate il possibile” concluse e si alzò dalla poltrona porgendomi la mano, il colloquio era terminato.
Me ne andai con un pensiero fisso, come avrei fatto?
Raggiunsi Marsiglia per la festa di Ogni Santi, la nuova regina giunse il 3 novembre, la città la accolse con archi fioriti e numerosi festeggiamenti, tutti i grandi del regno erano convenuti per riceverla.
Maria de Medici aveva venticinque anni ed era una bella donna, alta con un bel fisico un po’ paffuto, ma la cosa più bella erano gli occhi vivaci e la pelle bianchissima.
Pochi giorni dopo partimmo alla volta di Lione ma lungo il tragitto ci fermammo prima ad Aix, ad Avignone ed infine a Roussillon.
L’arrivo sul suolo francese non fu dei migliori per la nostra nuova regina, quando arrivammo al castello di Tournon il cielo era grigio e il vento soffiava così forte che neppure tutti i camini accesi la poterono scaldare.
Durante il viaggio per farla ambientare le raccontai del mio viaggio e della corte che trovai al mio arrivo. Parlai di re Enrico II, di Caterina de Medici, di Francesco II e Maria Stuart. La regina era molto curiosa e mi faceva mille domande come quando mi chiese come la sua lontana cugina Caterina avesse potuto sopportare Diana de Poitiers.
Eccoci giunti al momento cruciale, come avrei fatto a spiegare alla regina la situazione di Caterina e Diana e la sua e quella di Henriette.
“Maestà, immagino che anche alla corte medicea di Firenze il duca abbia delle amanti, qui in Francia purtroppo hanno un potere maggiore, questo lo riconosco. Ma considerate che sono pur sempre solo delle amanti. La regina è la sola legittima consorte.” Forse dissi e non dissi, ma Maria era intelligente e subito si irrigidì e commentò “Volete farmi capire che mio marito ha un’amante ufficiale?”
Cosa potevo dirle, mentire? No era meglio dirle la verità “Si maestà, come voi immagino sappiate il re è stato legato per molto tempo a Gabrielle d’Estress che gli ha dato diversi figli. Ora è legato a M.lle d’Entragues. So’ che non è facile da accettare ma dovrete esser superiore”.
“Mai” rispose la regina “Mai vorrò incontrare la puttana di mio marito. Sia chiaro duchessa, non me la portate mai davanti”.  Ero appena stata nominata sovrintendente di camera della regina e già perdevo il posto.
Mi ero accorta che fra le sue dame c’è ne era una a cui Maria era particolarmente affezionata, Leonora Galigai, la quale era presente alla nostra conversazione su M.lle d’Entraguess, le chiesi aiuto.
Una sera la incontrai nel corridoio fuori le stanze della regina e la fermai “Mademoiselle Leonora, ho da chiedervi un favore”.
“Ditemi” io mi ero rivolta a lei in francese ma lei mi rispose in italiano, continuai in italiano anche io “Ho notato il forte legame che la regina Maria ha con voi, ho da chiedervi di intercedere affinché accetti l’amante del re. Vi prego, voi sicuramente troverete le parole per farle avere un atteggiamento più morbido. Ve lo chiedo in nome del re”
“Farò tutto il possibile, ve lo prometto” poi ci salutammo ed ognuna riprese la sua strada.
Raggiungemmo Lione il 2 dicembre in una giornata terribilmente nebbiosa.
I lionesi però tripudiarono alla loro regina una così sontuosa e calorosa accoglienza, le strade erano tutte tappezzate di archi fioriti, da far dimenticare la nebbiosa giornata.
Il re era atteso per il 10 dicembre, ci sistemammo e aspettammo.
Era atteso per il giorno dopo ma la sera del 9 dicembre  c’è lo trovammo di fronte all’ora di cena.
Il re trovando la regina a cena con il piccolo duca di Vendome si rivolse a me e disse “Duchessa vi prego di intercedere presso la regina perché mi faccia dormire nel suo letto questa notte”.
Io sgranai gli occhi “Maestà è un po’ inusuale come procedura”.
“Lo so, ma dove volete che dorma questa notte?” concluse il re.
Quando la regina si ritirò nelle sue stanze io mi feci annunciare e gli dissi “Maestà, il re è qui  e poiché non ha portato con se il suo letto chiede se voi potreste ospitarlo nel vostro?” trattenni il respiro ed aspettai la risposta.
Maria si irrigidì e la sua pelle sbiancò ulteriormente, poi dopo un momento di silenzio mi rispose “Sono giunta in Francia per compiacere ed ubbidire al re. Il mio letto sarà il suo”.
Il 17 dicembre giunse il legato del pontefice e le nozze religiose vennero celebrate.
Il re partì alla volta di Parigi il giorno dopo, lasciando che la regina e la sua corte lo raggiungessero con più calma. Ci volle quasi un mese per raggiungere Parigi.
Appena giungemmo a Parigi la regina si accorse di essere incinta.
Il 27 settembre 1601, la regina dette alla luce un figlio maschio.
Ero presente al parto e furono le mie braccia che accolsero il piccolo principe dopo che la levatrice ebbe tagliato il cordone ombelicale.
Ero così felice, finalmente la Francia aveva il suo erede legittimo.
Lo mostrai alla regina orgogliosa e stanca “Maestà è un bellissimo e sanissimo maschio. Finalmente la Francia ha il suo delfino”.
La regina mi sorrise “Mostratelo a suo padre”. Così feci, nonostante non fosse il primo figlio di Enrico IV, lo vidi emozionarsi ed una piccola lacrima scese sulla sua guancia.
“Mio figlio, Luigi” disse il re alzando il bambino e mostrandolo alla corte.
Questo fu il mio ultimo atto a corte.
Dopo la morte di mio fratello Alfonso e di mia sorella Lucrezia contesi i possessi francesi degli estensi al nuovo duca Cesare e agli Aldovrandini.
Il tribunale della sacra rota però mi negò i diritti sulle proprietà italiane ma il parlamento di Parigi mi assegnò le proprietà francesi portate in dote da mia madre, nonché i crediti ancora esigibili dalla corone francese.
Nel gennaio 1603 tramite il nunzio a Parigi feci comunicare le mie proposte: avrei conservato solo il ducato Chartres, già di proprietà di mia madre, e metà dei crediti francesi se Cesare d’Este avesse concesso la figlia Giulia in sposa a mio figlio Enrico di Nemours. Chiedevo come dote 200.000 scudi più 71.000 come risarcimento per i beni a cui avrei rinunciato. Cesare d’Este replicò che non voleva pagare più di 150.000 scudi di dote. Mi dissi disposta a rinunciare al risarcimento ma non alla dote. Nonostante tutta la mia buona volontà a giugno le trattative naufragarono, ormai stavo perdendo la mia risolutezza.
Questi ultimi anni li ho trascorsi ritirata nel mio palazzo de Nemous a Parigi in ansia per la situazione finanziaria dei miei figli e nipoti.
Non credevo che avrei rivisto la primavera e invece è già maggio e dalla mia finestra sento gli uccellini cinguettare e vedo sbocciare i primi fiori.
Purtroppo non posso più camminare nel mio bel giardino ma Anne, la mia cara Anne, tutti i giorni mi porta dei fiori freschi e li appoggia qui sullo scrittoio, oggi sono dei teneri mughetti.
 
__________________________
 
Questa era l’ultima frase scritta dalla duchessa, Anne si asciugò le lacrime e guardò il vaso contenete i mughetti ormai appassiti, richiuse il diario, avrebbe voluto prenderlo ma non poteva, lo sapeva, ma era contenta di averlo letto, poi con il dolore nel cuore lo ripose dove lo aveva trovato.
Anne si alzò e prendendo il vaso con i mughetti uscì dalla stanza.
 

Parigi, Chiesa degli Agostiniani – 18 maggio 1607 ore 22:00

Il duca di Nemours con accanto il duca di Mayenne portava in una lenta processione una teca d’argento contente le viscere di sua madre.
La chiesa era gremita, alla celebrazione aveva partecipato tutta la nobiltà parigina oltre al re e alla regina.
Nemours consegnò lo scrigno al fratello che lo pose all’interno del piccolo nicchia scavata nel muro.
Monsignor Bertrand benedisse ancora una volta la teca e poi la pietra di copertura fu rimessa al suo posto.
Al centro della navata, attorniata dai ceri funebri, c’era la doppia bara, posata sopra una teca in argento contenete il cuore della duchessa.
Come espressamente richiesto dalla duchessa l’indomani mattina la bara avrebbe preso la strada per Annecy dove sarebbe stata tumulata accanto al suo secondo marito Giacomo di Nemours. La teca, invece, avrebbe preso la strada per Joinville dove sarebbe stata deposta accanto al suo primo marito Francesco di Guisa.

 
FINE
 
BIBLIOGRAFIA
- V. Poizat, La véritable princesse de Clèves, Paris 1920
- A. Fraser, Maria Stuart. La tragedia di una regina , Milano 1996
- J. Orieux, Caterina de' Medici. Un'italiana sul trono di Francia , Milano 2007
- C.Coester, Schön wie Venus, mutig wie Mars. Anna d’Este, Herzogin von Guise und von Nemours (1531–1607), Monaco 2007
- M. Sanfilippo,  articolo Este, Anna d’, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. 43, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1993, pp. 315–320.
 
 
_____
Siamo giunti alla fine della mia storia, ringrazio tutte le persone che l’hanno voluta leggere e seguire.
Un particolare ringraziamento a Diana924, Dreaming_Archer e GendarmiaNY che l’hanno recensita.
Nefert70 

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