Redemption di RobTwili (/viewuser.php?uid=84438)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Candy ***
Capitolo 2: *** 100 $ ***
Capitolo 3: *** Thomas ***
Capitolo 4: *** Schiaffo ***
Capitolo 5: *** Robert ***
Capitolo 6: *** Fiducia ***
Capitolo 7: *** Per favore ***
Capitolo 8: *** Verità (Pt. 1) ***
Capitolo 9: *** Verità (Pt. 2) ***
Capitolo 10: *** Salvami ***
Capitolo 11: *** Risveglio ***
Capitolo 12: *** Casino ***
Capitolo 13: *** Scelta ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Candy ***
1
AVVERTENZE:
questa FF ha contenuti forti, non prettamente sessuali ma per lo più riguardanti
droga e situazioni che possono ruotare attorno al lavoro della protagonista
(ballerina di lap dance in un locale per spogliarelliste). C’è una forte
presenza di parolacce.
Tuttavia il rating rimane
arancione perché credo che possa essere letta da tutti.
Nel caso qualcuno si sentisse
offeso o considerasse i contenuti non adatti a questo rating provvederò ad
alzarlo.
La serata che stavo
passando non era di certo tra le dieci migliori della mia vita.
Nemmeno tra le dieci intermedie.
Probabilmente tra le dieci peggiori.
Kellan si era rifiutato di uscire per qualche stupido motivo, Jack in
California per finire il tour con la sua band non l’avevo nemmeno preso in
considerazione.
Alla fine ero uscito con Tom.
Ci eravamo ritrovati in uno stupido bar di Baton Rouge a bere come due
ventunenni alla loro prima birra.
O forse come due tredicenni.
All’uscita dal bar entrambi i nostri corpi probabilmente erano pieni più di
alcol che di sangue; non mi dichiarai completamente ubriaco, in ogni caso.
Fortunatamente per Tom, il suo albergo distava pochi isolati e aveva avuto la
bella idea di incamminarsi a piedi lasciandomi fermo sul ciglio della strada ad
aspettare un taxi.
Aspettai per minuti, forse ore, il tempo da semi-ubriaco non era di certo una
costante per me.
“Possibile che in centro a Baton Rouge
non passino taxi?”
Lo stavo pensando tante, forse troppe volte quella sera. Mi girai incuriosito per
fissare le insegne dietro di me.
Il locale in cui io e Tom ci eravamo rifugiati era accanto a uno strip-club,
uno di quei locali che attiravano lui come il miele per gli orsi e che
allontanavano me come l’insetticida per le zanzare.
Con la fama potevo permettermi tutte le donne, perché pagare per vederne una
nuda?
Perché pagare per vedere un corpo in vendita?
Immerso nei miei pensieri non mi ero reso conto che un taxi era passato davanti
a me senza nemmeno fermarsi.
«Cazzo!». L’esclamazione che mi uscì dalle labbra fu decisamente causata dall’elevato
numero di birre dentro al mio corpo.
Se mi avesse visto Kristen in quello stato si sarebbe arrabbiata.
«Oh, al diavolo Kris! Non è nemmeno la mia ragazza! Non è nemmeno mia mamma!».
Parlare da solo era indice di pazzia, tutti lo sapevano.
Mi girai verso il marciapiede e osservai per la quarta volta nel giro di pochi minuti
quella squallida insegna luminosa su cui c’era scritto ‘Insomnia’.
Quale stupido locale per spogliarelliste avrebbe mai scelto quel nome?
Era un locale che non avrebbe mai vantato il mio nome tra i clienti, quello era
poco ma sicuro.
Il mio cellulare in tasca vibrò. Lo presi, i pensieri in subbuglio, e lessi il messaggio.
Tom era arrivato in albergo.
Controllai l’ora sullo schermo.
Le 3.30.
Decisamente troppo tardi.
Il giorno dopo non avrei avuto riprese ma non era comunque una cosa buona
ubriacarsi di sabato sera.
Un vociare alle mie spalle mi riscosse dai miei pensieri.
Una folla di uomini, ubriachi molto più di me, uscì dal locale per
spogliarelliste.
Prestai poca attenzione a quello che si stavano dicendo.
Li sentii parlare di qualche spogliarellista con gli occhi color ghiaccio e di
una con due tette da paura.
Un uomo ubriaco ha solo istinti primordiali.
Bere, mangiare, scopare e dormire.
Non necessariamente in un preciso ordine.
Guardai di nuovo la strada deserta e imprecai ancora.
A Baton Rouge evidentemente non circolavano davvero taxi.
Erano proibiti in quello sputo di città?
Se entro dieci minuti non ne fosse arrivato uno sarei andato a casa a piedi.
L’avevo deciso.
Poco dopo un nuovo vociare alle mie spalle attirò la mia attenzione.
Cinque donne decisamente poco vestite uscirono dalla porta oscurata
dell’Insomnia.
Tornai a guardare la strada disinteressato totalmente a quella carne in
vendita.
Non era una priorità guardare ragazze che vendevano il loro corpo.
«Sweet, ci vediamo a casa, Tony mi aspetta qui dietro per passarmi della roba».
Non mi voltai per controllare chi avesse ridacchiato quella frase.
Il tono usato mi aveva fatto capire che la ragazza conosceva solo quel tipo di
inflessione vocale.
Quello per sedurre.
Le voci si allontanarono ridendo e io mi accesi una sigaretta.
Guardai l’orologio.
Ancora due minuti e poi mi sarei fatto quel chilometro a piedi.
«Ehi, bellezza. Hai da accendere?» chiese qualcuno alle mie spalle, la stessa
voce che aveva parlato prima, probabilmente.
Mi voltai e mi trovai davanti una ragazza minuta, ad occhio e croce di una
cinquantina di chili, vestita solo con un misero top nero scollato e un paio di
shorts di jeans troppo corti.
Annuii e sostenni la sigaretta con le labbra cercando l’accendino in tasca. Lo
passai alla ragazza.
«Grazie. Ne ho proprio bisogno!» sussurrò e io abbassai lo sguardo sul suo viso.
Quando incontrai i suoi occhi capii le parole degli uomini che erano usciti dal
locale.
Quella ragazza aveva gli occhi di un azzurro chiarissimo, quasi ghiaccio.
Prese il mio accendino e cominciò a scaldare un pezzo di carta stagnola.
«Ehi! Che cazzo fai?». Le presi l’accendino dalle mani e lo rimisi in tasca. Non
potei fare a meno di allontanarmi da lei.
«Che ti prende dolcezza? Non mordo mica sai!». Fece un passo verso di me e
sulle sue labbra si formò un sorriso stanco e tirato.
«Non ti do l’accendino per farti una dose, mi spiace!». Scossi la testa innervosito.
Una sigaretta ci poteva stare, una canna anche, seppure con qualche riserva;
una dose no.
«Calmati. Non importa,
lo chiederò a qualcun’altro!». Sorrise confusa e mi girò le spalle incamminandosi
verso un gruppetto di uomini poco distante da noi.
Sbuffando mi preparai alla lunga camminata verso il mio albergo quando sentii
lo scoppio di una risata fragorosa. Erano risate maschili.
Avanzai di un altro passo ma quando sentii la voce della ragazza urlare non
potei fare a meno di voltarmi.
«Lasciami! Lasciami, cazzo!». La vidi strattonare il polso, circondato dalla
mano di un uomo.
«No, sei solo una puttana! Ti ho dato l’accendino e ora tu fai quello che devi
fare! Muoviti!». La strattonò verso il
basso e la costrinse a inginocchiarsi.
Agii d’impulso, cominciai a camminare veloce verso di loro e sentii risuonare
forte il rumore dello schiaffo che un uomo diede sulla guancia della ragazza.
La camminata diventò corsa, e quando arrivai gli uomini erano già scappati.
Mi inginocchiai davanti alla ragazza per accertarmi del danno, che in qualche
modo era stato causato da me.
Se solo le avessi dato il mio accendino non si sarebbe avvicinata a quegli
uomini, se così si potevano ancora chiamare.
Il labbro era rotto e sanguinante, il polso era arrossato, gonfio e il suo
trucco colato per le lacrime che erano scese.
«Ehi, stai bene?». Non sapevo se
toccarla o rimanere a distanza.
«S…sì». Si alzò di colpo e, tremante, cominciò a zoppicare.
Mi sorpassò e io mi girai appena in
tempo per afferrarla prima che il suo corpo toccasse terra.
«Ehi! Ehi! Mi senti?». La voltai, stringendola con cautela.
Quando mollai lentamente la presa la sua testa ciondolò di lato.
«Cazzo. Cazzo. Cazzo. Svegliati!». La scossi leggermente di più e sentii un
lamento.
Bene, almeno era viva.
Perché era incosciente?
Era dovuto alla dose
di eroina o al bastardo che l’aveva schiaffeggiata?
Le sollevai il braccio
per controllare e notai i piccoli segni lasciati dalla siringa. La luce del
lampione sembrava sottolineare la pelle pallida intorno a quei buchi.
Era ancora visibile il buco fresco di pochi minuti prima.
Portarla in ospedale non mi sembrava l’idea migliore.
Ma non potevo lasciarla in mezzo a una strada svenuta e con un labbro rotto.
Mi inginocchiai a terra e la feci sedere un attimo sul marciapiede.
Mi tolsi il giubbotto leggero e glielo infilai.
Le feci scivolare un braccio dietro la schiena e sotto le ginocchia prendendola
in braccio.
La sua testa si appoggiò sulla mia maglietta che si macchiò del sangue del suo
labbro.
A passo svelto mi diressi all’albergo. Nessuno fece caso a noi; incrociammo
delle persone non si accorsero delle sue condizioni, i capelli per fortuna le
coprivano il viso.
Arrivammo in un quarto d’ora; avevo il fiato corto.
Aprii la porta e la adagiai lentamente sul letto facendo attenzione a non
svegliarla.
La coprii, mi ero accorto che stava tremando e lentamente le scostai i capelli
dal viso.
Il labbro tumefatto le aveva sporcato tutto il mento in una striscia di sangue
rappreso.
Mi diressi verso il bagno e, dopo aver preso un asciugamano e averlo imbevuto
di acqua tiepida, cominciai a tamponarle il viso per pulirla.
Levata gran parte del sangue, mi fermai e i persi a guardare quegli strani
lineamenti.
Non doveva avere più di vent’anni.
Un volto da bambina; il piccolo nasino che sembrava disegnato per quel viso, le
labbra carnose e ricoperte da uno strato abbondante di rossetto che
probabilmente erano state in grado di far sognare milioni di uomini, le
sopracciglia dalla forma arcuata che richiamavano il castano dei capelli.
Era decisamente una bella ragazza.
Si girò di colpo sul letto, si scoprì e dopo un sospiro continuò a dormire.
La ricoprii e mi sedetti su una sedia poco distante dal letto.
Rimasi a guardarla per ore.
Mi alzai da quella sedia solo per prendere una bottiglietta d’acqua che riempii
tre volte prima di vedere i suoi occhi aprirsi.
Si svegliò di soprassalto e si sollevò, mettendosi seduta di scatto.
«Che cazzo ci faccio qui?». Mi guardò e poi controllò che i suoi vestiti ci
fossero ancora.
«Ieri sera ti hanno picchiata e quando mi sono avvicinato per chiederti se
stavi bene sei svenuta tra le mie braccia. Tu non ti svegliavi… Ti ho portato
nel mio albergo per riposare e controllare che fosse tutto ok». Guardai i suoi
occhi pensierosi al mio racconto; poi si alzò in piedi di colpo.
«Ah sì. Ora ricordo». Annuì e si diresse a grandi passi verso la porta.
«Dove stai andando?». Mi alzai di scatto
dalla sedia con le gambe intorpidite: ero rimasto fermo troppo a lungo nella
stessa posizione. «A casa». Si tolse il mio giubbotto e lo lanciò sopra al letto.
«Non puoi andare via così». Scossi la
testa sbigottito dal suo comportamento.
«Mi dispiace, ma non faccio servizietti gratis. Non farò nessun tipo di
servizio perché mi hai raccolto dalla strada. Per quanto mi riguarda avrei
potuto dormire un’altra volta in quella via. Hai sbagliato a capire e se mi hai
portato qui solo perché pensavi che non ti avrei fatto pagare qualcosa mi
dispiace deluderti ma non sono in orario di lavoro ora. Il mio turno comincia
tra quasi tredici ore». Non prese quasi
nessun respiro mi sputò addosso i suoi pensieri decisamente opposti a quello
che pochi secondi prima avevo pensato.
«No, quello che volevo dire io è che devi farti vedere da un medico. Il tuo
labbro è in condizioni pietose, forse serviranno dei punti». Mi avvicinai a lei che si scostò di scatto,
come se avesse paura di un’aggressione da parte mia.
«Mi disinfetterò con un po’ di vodka. Starò meglio». Mi assicurò e si avvicinò
ancora di più alla porta.
«Aspetta, lascia che ti accompagni all’ospedale». Mi accostai a lei che mi guardò spaventata.
«Ospedale? Ospedale? E che cosa potrei mai andare a fare all’ospedale? Vedi le
mie braccia? Secondo te cosa mi dicono all’ospedale? Mi guardano un taglietto
su un labbro o preferiscono fissarsi su queste cose? Credi che io possa
permettermi di andare all’ospedale?». Sporse le braccia e indicò tutti i buchi
concentrati lungo le linee più scure delle vene.
«Posso chiamare un medico che venga qui e ti visiti senza che sia una cosa
ufficiale, senza carte». Mi diressi verso il mio telefono dall’altra parte
delle stanza.
«Ma che cosa stai cercando di fare? Chi sei? Che cosa vuoi da me?». Il suo tono
così brusco mi lasciò esterrefatto.
Sembrava quasi inorridita dall’idea che io volessi aiutarla.
«Io voglio aiutarti, non voglio farti del male». Con il telefono in mano mossi
un passo verso di lei.
«Aiutarmi? Tu vuoi aiutare me? Io non devo essere aiutata! Io sto bene come
sono!». Rise sarcastica infilandosi le scarpe.
«Come ti chiami? Ti posso aiutare, veramente!». Rimasi fermo in attesa di una
sua risposta.
«Non ti interessa come mi chiamo. Hai già fatto abbastanza. Pensi di avere qualche
pretesa su di me perché mi hai fatto dormire per una notte su un letto di
lusso? Be’, ti do una bella notizia, anche i marciapiedi del centro sono ottimi
quando una ha sonno o è strafatta!». La durezza delle sue parole mi impietosì.
Per la seconda volta in meno di dieci minuti aveva rimarcato il concetto di
aver dormito per strada.
«Ce l’hai una casa? Altrimenti posso prenderti una camera qui, puoi fidarti».
In pochi minuti avevo sviluppato un istinto protettivo verso di lei.
Non ne capii il motivo.
Forse il bisogno di proteggerla era nato mentre la osservavo dormire come una
bambina.
«Io non voglio niente da te. So come sono quelli come te, dicono di non volere
nulla e poi pretendono tutto gratis. Mi dispiace, non ho bisogno di nulla e sto
bene così. Se vuoi, solo per questa sera visto che mi hai fatto dormire in un
albergo di lusso posso farti lo sconto del dieci per cento all’Insomnia.
Altrimenti ti puoi arrangiare». Prese la sua borsa e abbassò la maniglia.
«Aspetta, come ti chiami?» chiesi ancora sperando in una risposta; mi dava le
spalle, non potevo vedere la sua espressione.
«Stasera chiedi di Candy, arriverò». Si chiuse la porta alle spalle e io rimasi
imbambolato a guardare il legno chiaro.
Aveva frainteso tutto.
Non ero minimamente interessato allo sconto del dieci per cento su una sua lap
dance o peggio ancora; l’unica cosa a cui ero interessato era il suo stato di
salute.
Quella ragazza doveva essere aiutata.
Qualcuno doveva aiutarla.
Io dovevo aiutarla.
Storia
nuova, decisamente fuori dal mio solito registro, ci saranno toni duri e molte
parolacce… non sono per niente sicura, quindi, se vorrete esprimere il vostro
giudizio attraverso le recensioni sappiate che sono le benvenute! :)
La aggiornerò
di venerdì, al posto di ‘Like a Fairytale…’.
Per
ora non ho altro da dire… un bacione!
|
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Capitolo 2 *** 100 $ ***
1
AVVERTENZE:
questa FF ha contenuti forti, non prettamente sessuali ma per lo più riguardanti
droga e situazioni che possono ruotare attorno al lavoro della protagonista
(ballerina di lap dance in un locale per spogliarelliste). C’è una forte
presenza di parolacce.
Tuttavia il rating rimane
arancione perché credo che possa essere letta da tutti.
Nel caso qualcuno si sentisse
offeso o considerasse i contenuti non adatti a questo rating provvederò ad
alzarlo.
Quando raccontai a Tom
quello che mi era successo quasi svenne per la contentezza.
Non ne capii il motivo ma sembrava che l’idea di avere a che fare con me che
conoscevo una ballerina di lap dance fosse una cosa decisamente da non
sottovalutare.
«Allora Robert, a che ora andiamo questa sera in quel locale? Voglio vederla
anche io questa Candy. Cazzo, se solo avessi preso una camera nel tuo stesso
albergo l’avrei conosciuta anche io!». Si batté una mano sulla fronte,
arrabbiato per la pessima scelta dell’albergo.
«Sturridge, non hai capito. Non ci vieni questa sera. Non so nemmeno se andrò
io. Se vado in ogni caso sarà da solo. Già attiro l’attenzione dei fotografi da
solo se poi ci vieni anche tu non ho proprio nessuna chance di non farmi vedere»
sbuffai accendendomi l’ennesima sigaretta.
«Sì, però tutte le fortune capitano a te. Va bene, verrò un’altra volta». Fece
spallucce e si distese di colpo sul divano della mia suite.
«No, forse non ti è chiara una cosa: questa sarà la prima e ultima volta che io
andrò in quel locale, voglio solo accertarmi che quella ragazza stia bene!».
Buttai fuori una boccata di fumo e guardai con lo sguardo assente la nuvoletta
grigia che avevo creato.
«Sì, ti senti in colpa perché se le avessi dato l’accendino non sarebbe stata
picchiata. Ho capito Rob» sbuffò e si alzò di colpo. «Vado da Kellan e Jackson.
Ciao». Non si girò nemmeno a salutarmi.
Cominciai a prepararmi appena si chiuse la porta alle spalle.
Quello che ad ogni costo volevo evitare era di essere riconosciuto dai
paparazzi; come avrei spiegato la mia presenza in un locale per
spogliarelliste?
Nonostante a Baton Rouge non fosse freddo, anche se era quasi la fine di
novembre, indossai una sciarpa e mi calai un cappellino con il frontino in
testa.
Probabilmente nessuno sarebbe stato in grado di riconoscermi.
Uscii a piedi e in dieci minuti raggiunsi il locale; continuai a controllare
attorno a me che non ci fossero fotografi appostati e al terzo controllo,
quando ormai fui sicuro di essere solo, varcai velocemente la porta del locale.
«Salve. Che cosa desidera? Privè oppure sala? Qualche preferenza?». L’uomo
all’entrata non badò minimamente al mio aspetto, come se non fossi stato il
primo ad arrivare con il volto coperto.
«Devo parlare con Candy» dissi mascherando la mia voce e cancellando totalmente
l’accento inglese.
«Parlare, certo» ridacchiò e scosse la testa. «Privè con Candy quindi. Dovrai
aspettare circa un’oretta perché questa sera Candy è molto richiesta. Mi puoi
dare un nome?». Abbassò lo sguardo sul libro scritto che aveva davanti.
«Ro… Thomas». Se avessi detto Robert ci sarebbe stata più probabilità di essere
scoperti.
«Bene Thomas, mettiti pure comodo per aspettare Candy al privè 4». Indicò con
la mano una porta in fondo al corridoio sulla sinistra e lo ringraziai con un
cenno del capo.
Quando mi richiusi la porta del privè alle spalle sospirai sollevato.
Almeno non ero stato riconosciuto.
Mi sedetti sul divanetto blu e abbassai leggermente la sciarpa per respirare
meglio; inspirai a pieni polmoni e un conato di vomito mi sorse spontaneo.
Quella stanza sapeva di sudore, di sesso e di marijuana.
Portai una mano sul naso e con l’altra estrassi dalla tasca il pacchetto di
Parliament di Kristen.
Cominciai a fumarne una di seguito all’altra per non respirare quel miscuglio
di odori fastidiosi che avevo sentito quando ero entrato.
Passarono circa tre quarti d’ora quando la porta si aprì.
Involontariamente mi tirai su la sciarpa e spensi la sigaretta.
Candy entrò e un leggero brivido di disgusto mi scosse.
Dire che era mezza nuda era decisamente troppo, era praticamente nuda.
«Ciao dolcezza! Cosa ci fai lì tutto coperto? Ora ti scaldo io». Si avvicinò
ancheggiando con fare suadente e non potei fare a meno di essere ipnotizzato da
quegli occhi ghiaccio che risaltavano anche sotto la soffusa luce rossa del
privè.
«Candy, sono io». Mi tolsi il cappello e
la sciarpa, mi sistemai i capelli passandoci la mano in mezzo.
«Oh, tu. Che cosa ti avevo detto? Sei come tutti gli uomini. Fai, dici che non
vuoi nulla ma poi pretendi. Dunque, che cosa vuoi?». Avanzò di un altro passo e
si mise a cavalcioni sopra il mio bacino.
«No, no. Ferma. Voglio solo sapere come stai. Come sta il tuo labbro?». Misi le
mani sui suoi fianchi per fermarli, visto che aveva cominciato a muoverli per
eccitarmi.
«Ah, ok. Pensavo non fossi un uomo da preliminari. Va bene, ma il prezzo
aumenta». Scivolò giù dalle mie gambe e dopo essersi seduta per terra portò le
mani sulla mia cintura per slacciarla.
«No, non hai capito». Poggiai le mani sulle sue e la fermai. «Voglio solo
parlare, come stai?». Presi il suo mento tra il pollice e l’indice per vedere
la ferita sul labbro.
«Parlare! Lo chiami così tu? Ok parliamo visto che hai tanta fretta!». Si alzò
e con un rapido gesto si tolse la corta gonna nera.
Rimase in autoreggenti e con il completino nero e trasparente che indossava.
«Vuoi smetterla di spogliarti? Voglio solo parlare!». Guardai il suo viso per
non essere distratto, nonostante tutto ero un uomo e lei una bellissima
ragazza.
«Sopra o sotto?». Portò il piede a pochi centimetri dalla mia coscia e con le
dita corse al bordo superiore delle autoreggenti. «Vuoi che li tenga? Ti eccita
di più?» sussurrò come se avesse voluto farmi credere che era attratta da me.
«Candy, cazzo! Prova ad ascoltarmi! Non sono venuto qui per una scopata! Voglio
solo sapere come stai!». Provai a
cambiare il mio linguaggio per farle capire che non ero andato in quel posto
per approfittare di lei.
«Devo ballare?». Indicò il palo da lap dance dietro di lei. «Vuoi da bere? Che
cosa devo fare?» chiese, confusa dalla mia reazione.
«Siediti e dimmi come stai». Indicai il divanetto di fianco a me.
«Hai qualche problema? Vuoi che chiami anche un’altra? Devo chiamare un
ragazzo? Mi spiace ma le cose a tre con due ragazzi non le faccio». Scosse la
testa e il suo sguardo schifato si puntò su di me.
«Candy, ascoltami». Presi un respiro profondo e continuai. «Come stai? Ieri
sera ti hanno picchiato e sei svenuta. Non puoi fare finta di nulla». Guardai i
suoi occhi sgranati per la sorpresa.
«Non è la prima volta che mi capita». Alzò le spalle come se le avessi appena
chiesto del tempo.
Non aveva ancora risposto alla mia domanda.
«Mi vuoi dire come stai?». Se fosse stata in stato di shock che cosa avrei
dovuto fare?
«Bene, come dovrei stare? Ora sto male, sto perdendo tempo senza fare nulla e
quindi non sarò pagata. Quindi per favore dimmi che cosa devo farti o che cosa
devo fare». Si avvicinò al mio braccio e tentò di sedurmi con il suo sguardo.
«Quando prendi?». Se era una questione di soldi non era un problema.
«50 $ per mezz’ora». Sorrise divertita dalla mia espressione.
Allungai la mano e sfilai il portafoglio dalla tasca posteriore dei jeans;
tirai fuori 100 $ e glieli porsi.
«Un’ora? Che cosa vuoi fare in tutto questo tempo?». Tentò di guardarmi con gli
occhi languidi ma non mi lasciai imbrogliare.
Ero un attore e nonostante tutto sapevo quando qualcuno recitava.
«Puoi anche andartene via adesso, volevo solo sapere come stavi». Mi alzai
sperando che il nuovo metodo di approccio funzionasse.
Mi accesi una sigaretta senza degnarla di uno sguardo.
Con la coda dell’occhio notai che si era alzata e infilata la gonna; poi si era
diretta verso la porta.
Afferrò la maniglia,
la abbassò; sospirò e si girò verso di me.
«Non è giusto, mi hai dato 100 $ e sono rimasta dieci minuti. Mi sembra di
rubare. Che cosa devo fare?». Tornò a sedersi di fianco a me posò le sue mani
ai lati del mio viso per girarlo verso di lei.
La fissai per qualche secondo e decisi di porle una domanda che dalla sera
prima mi ronzava nella mente.
«Come ti chiami Candy?». Spensi la sigaretta nel portacenere pieno e tornai a
fissarla.
«Candy». Rimase seria e continuò a
fissarmi.
«Come ti chiami Candy? Il tuo vero nome». Riprovai, tenendo sempre gli occhi
inchiodati ai suoi.
«Candy». Di nuovo rimase impassibile e capii che non sarei stato in grado
di cavare un ragno dal buco.
«Quanti anni hai Candy?». Sembrava
così giovane sotto tutti quei chili di trucco scuro.
«Venticinque». Sorrise impercettibilmente.
Era una bugia, non poteva avere venticinque anni, ne dimostrava quasi dieci di
meno.
«Quanti anni hai Candy?». Volevo sapere qualcosa di più su di lei, mi
interessava perché l’avevo presa a cuore già dalla notte prima, quando aveva
dormito sul mio letto.
«Sei un fottutissimo poliziotto, eh?». Si alzò in piedi di colpo e indietreggiò
di qualche passo.
«No Candy, non sono un poliziotto! Sono un attore, non sono un poliziotto!».
Tentai di spiegarglielo mentre lei continuava a mettere sempre più distanza tra
noi.
«Porca puttana, sei un fottuto poliziotto! Tieniti i tuoi fottuti soldi! Non li
voglio!». Tirò fuori dal reggiseno i 100 $ che le avevo dato poco prima e si
chiuse la porta alle spalle dopo averla fatta sbattere.
Sbuffai abbandonando la testa sul divanetto e rimasi in quella posizione per
quasi dieci minuti.
Indossai il cappello e la sciarpa e uscii velocemente dal locale, guardai l’ora
e mi accorsi che erano quasi le due e mezza. La sera prima Candy era uscita dal
locale alle tre e mezza circa.
Subito entrai nel pub accanto all’Insomnia e ordinai una birra.
Dovevo solo far passare un’ora e poi, all’uscita di Candy, le avrei spiegato la
verità.
Tre birre, quattro Parliament e un’ora dopo uscii dal locale e rimasi davanti
alla porta dell’Insomnia con cappello e sciarpa.
Alle quattro, quando ormai avevo perso tutte le speranze, la porta si era
aperta ed erano uscite Candy assieme ad altre due ragazze.
«Candy, posso parlarti?». Mi avvicinai e scostai leggermente la sciarpa per
farle vedere il mio viso.
«Ancora tu?». Si ritrasse leggermente da me e le altre due ragazze mi
guardarono minacciose.
«Si, voglio spiegarti una cosa e voglio darti questi, sono tuoi». Sporsi i 100
$ verso di lei.
Mi guardò con gli occhi sgranati e si girò verso le sue amiche; fece un gesto
con il capo e loro si allontanarono lanciandomi sguardi interrogativi.
«Che cosa vuoi?» chiese quasi arrabbiata estraendo dalla borsa una piccola
quantità di tabacco; si rollò una sigaretta.
«Io volevo dirti che non sono un poliziotto. Come ti ho detto prima sono un
attore e l’unica cosa che volevo era sapere se stavi bene o no». Cercai di
spostarmi quando accese la sigaretta e mi accorsi solo in quel momento che era
una canna.
«Oh sì, un attore. Famoso immagino» ridacchiò aspirando una nuova boccata di
fumo.
«Abbastanza, ma non è questo il punto. Io vorrei aiutarti, ho visto che hai dei
problemi con la droga…». Indicai la sua canna e il mio sguardo cadde sulle sue
braccia nude e piene di lividi neri dovuti ai buchi per l’eroina.
«Ma la smetti cazzo? Io non ho bisogno di essere aiutata! Sto bene, ho una
casa, vivo la mia vita e addirittura ho un lavoro!». Cominciò a camminare
urlandomi addosso i suoi pensieri e io la seguii.
«Forse mi sono espresso male, quello che volevo dire è che vorrei aiutarti per
il tuo problema con la droga». Mi schiarii la voce riflettendo sulle mie parole.
«Non ho nessun problema con la droga, chiaro? Perché mi faccio una dose ogni
tanto non vuol dire che io ne sia dipendente, perché mi faccio una canna per
sfogare i miei problemi non vuol dire che io abbia qualche problema. Forse il
problema ce l’hai tu. Forse il tuo problema è la tua mania di onnipotenza.
Cazzo, chi ti credi di essere? Solo perché hai rifiutato una scopata con me non
è che sei l’onnipotente. Sei solo un frocio che fa finta di essermi amico. Tu
non mi conosci, tu non sai chi sono. Non ti permettere di dire qualcosa su di
me un’altra volta o io ti faccio uccidere, chiaro? Tu non sai nulla della mia
vita e non puoi permetterti di dirmi che cosa devo o non devo fare. Porca
puttana, sarai solo uno fottuto poliziotto di merda che vuole incastrarmi
perché compro eroina da Tony. Fottiti! Fottetevi tutti, d’accordo?». Urlò
talmente forte che le mie orecchie fischiarono.
Rimasi immobile davanti a lei aspettando che il suo respiro tornasse normale e
si tranquillizzasse.
«Hai finito?». La guardai e parlai quasi ferito.
«Di fare cosa?». Puntò i suoi occhi nei miei e vidi che era di nuovo confusa.
Involontariamente mi aveva chiesto di aiutarla sventolandomi tutti i suoi
problemi sotto al naso e sperava che io rimanessi di fronte a lei senza fare
nulla?
Stupido sì, ma masochista no.
«Di dirmi tutte le cazzate che ti passano per la mente?». Meglio essere
schietti e utilizzare il suo linguaggio.
«Che cazzo dici?». Passò le sue mani tra i capelli nervosamente, come se avesse
voluto strapparseli.
«Candy! Ho la roba che mi hai chiesto ieri!». Un ragazzo messicano si avvicinò
e le passò una bustina con della polvere bianca dentro.
Eroina.
«Grazie Tony. Questi sono per te». Tirò fuori dalla borsa una manciata di soldi
e la diede al ragazzo che la ringraziò con una palpata sul sedere.
Guardai la scena esterrefatto, il ragazzo sembrava non essersi accorto di me e
non aveva detto assolutamente nulla di tutte le urla che aveva sentito.
Si allontanò in silenzio, come era arrivato.
«Visto che pensi tutte quelle cose di me tanto vale che mi ridai indietro i
miei soldi, se lavori, se hai una casa e non hai un vizio con la droga non ti
servono, no?». La presi in contropiede.
Lo capii dall’espressione che aveva assunto quando le avevo riversato contro
tutte le stronzate che mi aveva rifilato.
«Io…». Cercava uno stupido appiglio per tenersi i soldi, l’avevo capito.
«Andiamo, sto aspettando». Uno stronzo? Probabile, ma sembrava essere l’unico
modo per tenerle testa.
«Te li ridò domani, dobbiamo pagare un idraulico a casa e i soldi della serata
li ho spesi per darli a Tony» mormorò, dentro di me il mio cuore perse un
battito.
L’avrei rivista anche il giorno dopo?
«Posso fidarmi?». Puntai i miei occhi nei suoi, con le pupille decisamente
troppo dilatate a causa della canna che aveva finito una decina di minuti
prima.
«Sì. Domani sera vieni all’Insomnia come questa sera. Ti ridarò i tuoi soldi».
Annuì convinta.
«Va bene». Finsi che non mi importasse nulla e mi diressi verso il mio albergo.
Almeno avrei avuto la
sicurezza che non le sarebbe successo nulla per altre ventiquattro ore.
Salve ragazze!
Intanto grazie mille per tutte le recensioni che avete
lasciato! Come ho già detto io non sono sicura di questa storia e le vostre
recensioni mi aiutano a capire se esagero o meno!
Spero che non ci sia un calo mostruoso ma che i numeri
si mantengano alti!:)
Le risposte alle recensioni ci sono, le ho messe con
il metodo nuovo offerto da EFP, le trovate sotto alle vostre recensioni!
Aggiornerò questa storia di VENERDI’, al posto di ‘Like a fairy
tale..’ (FF COMICA su attori con Robert Pattinson) che ho terminato venerdì
scorso.
Ringrazio preferiti, seguiti, da ricordare, chi legge
e chi commenta!
Spero possa esservi piaciuto anche questo!
Un bacio!
|
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Capitolo 3 *** Thomas ***
1
AVVERTENZE:
questa FF ha contenuti forti, non prettamente sessuali ma per lo più riguardanti
droga e situazioni che possono ruotare attorno al lavoro della protagonista
(ballerina di lap dance in un locale per spogliarelliste). C’è una forte
presenza di parolacce.
Tuttavia il rating rimane
arancione perché credo che possa essere letta da tutti.
Nel caso qualcuno si sentisse
offeso o considerasse i contenuti non adatti a questo rating provvederò ad
alzarlo.
Quella mattina durante
le riprese feci schifo.
Continuammo a rifare la scena per una ventina di volte perché non riuscii a
concentrarmi a causa del sonno.
Quella notte avevo dormito pochissimo, l’immagine di Candy che riversava su di
me tutti i suoi pensieri era troppo dura per poter essere dimenticata.
Decisi che dovevo aiutare quella ragazza.
A tutti i costi.
Non ne avevo capito il motivo nemmeno dopo la notte insonne.
Lei mi era entrata dentro da subito, si era posizionata lì, sotto la mia pelle
e non sapendone il motivo, non sapevo come farla uscire.
Quando, finite le riprese, Bill ci disse che potevamo tornare in albergo corsi
veloce a salutare Tom che doveva ripartire per Londra quel giorno e poi
cominciai a prepararmi.
Girando di pomeriggio finivamo sempre a notte inoltrata di toglierci gli abiti
di scena, così, per non arrivare tardi allo strip club, decisi di mangiare
presto per poi andare subito lì.
Arrivai davanti all’Insomnia verso le 23, come il giorno prima indossai sciarpa
e cappello per non essere riconoscibile per nessuno.
Velocemente camminai fino al ragazzo che si trovava all’entrata.
«Ciao, cosa desideri? Privè oppure sala? Qualche preferenza?» chiese con lo
stesso tono monotono della sera prima.
«Privè con Candy per favore». Mascherai di nuovo la voce senza far trapelare il
mio accento inglese.
«Certo, però Candy questa sera è un po’ più richiesta delle altre sere, dovrai
aspettare mezz’ora abbondante, va bene lo stesso o vuoi qualcun’altra». Alzò lo
sguardo e puntò gli occhi nei miei, invisibili sotto l’ombra provocata dal
frontino del berretto calato in testa.
«Aspetto lei». Aspettare, avrei aspettato anche due ore se fossi stato sicuro
che lei sarebbe stata bene.
Non ero lì per i soldi, assolutamente no.
I 100 $ del giorno prima non li volevo, e le avrei dato altri 50 $ solo per il
tempo che avrebbe perso con me.
Ero lì solo ed esclusivamente per controllare che stesse bene.
«Ok, allora privè 6 infondo, ultima porta a destra. Mi puoi dare un nome?».
Abbassò lo sguardo sul libro davanti a lui e alzai leggermente la testa per
fargli sentire bene la mia voce.
«Thomas». Tanto valeva dargli il nome del giorno prima.
Alzò lo sguardo e mi fissò con un ghigno sulle labbra.
«Allora ieri sera Candy ti ha soddisfatto, no?». Ignorai la sua domanda e
avanzai verso il privè che mi era stato assegnato.
Mi chiusi la porta alle spalle dopo un sospiro e presi un respiro profondo
prima di abbassare la sciarpa per non sentire lo stesso schifoso odore della
sera prima.
Subito estrassi il pacchetto di sigarette e, tolti sciarpa e cappello, ne
accesi una per aspirare solo l’odore di tabacco bruciato.
Fortunatamente il metodo funzionò e non fui colto dai conati di vomito quando
cominciai a respirare; forse perché sapevo già quello che mi avrebbe aspettato
o forse semplicemente perché avevo cominciato a fumare subito.
Dopo quasi mezz’ora in cui ero rimasto fermo a giocherellare con i bordi della
sciarpa, la porta si aprì di scatto.
«Ciao tesoro!» disse senza nemmeno guardare nella mia direzione; si girò a
chiudere la porta dietro di lei.
«Candy sono io. Ciao». Tolsi il cappello e abbassai la sciarpa per farmi
riconoscere, esattamente come la sera prima.
«Ah, sei ancora tu. Immagino tu sia venuto per i 100 $, no?». Avanzò ancora in
modo sensuale e non poté non farmi tenerezza.
«Sì, sono venuto per i miei 100 $». Se le avessi detto che mi trovavo in quella
maledetta stanza solo per assicurarmi che stesse bene avrebbe reagito
esattamente come il giorno precedente.
Sarebbe scappata.
«Vuoi qualche tipo di ricompensa prima?»bisbigliò e posò la sua piccola mano
sul cavallo dei miei jeans.
«No. Voglio solo i miei soldi». Scostai indietro il bacino come se la sua mano
fosse stata di fuoco.
«Sì, te li do subito. Posso prima andare due minuti in bagno?». Mi indicò una
porta che si notava appena in fondo alla stanza.
Annuii e la vidi dirigersi, quasi stancamente, verso il bagno.
Si chiuse la porta alle spalle e il silenzio calò dentro al privè.
Dopo circa trenta secondi sentii un gemito e un tonfo; poi tornò un silenzio
spettrale.
«Candy?». Mi mossi sul divano irrequieto perché il rumore era provenuto dal
bagno. «Candy va tutto bene?». Mi alzai e mi avvicinai alla porta aspettando
una sua risposta che non arrivò. «Candy? Candy stai bene? Rispondimi altrimenti
entro». Posai la mano sulla maniglia che si abbassò di qualche centimetro come
se avesse voluto dirmi che sarei dovuto entrare.
Tre secondi dopo non resistetti ed entrai.
Candy, distesa per terra, giaceva priva di sensi con una siringa stretta nella
mano destra.
«Cazzo Candy, non riesci proprio a non autodistruggerti per qualche ora?». Mi
avvicinai a lei e le presi il piccolo viso tra le mani.
Era nel pieno dell’effetto della droga, aveva gli occhi semi-aperti e un
sorriso innaturale si era posato sulle sue labbra.
«Candy? Candy mi senti?». Tentai di tirarle due piccoli schiaffi per farla
tornare alla realtà ma l’unica cosa che riuscii a ricevere in risposta fu
solamente un nuovo gemito.
Presi il suo esile polso nella mano e tentai di fare forza fino a quando la
siringa non cadde a terra.
Afferrai una salvietta di carta dal contenitore e la legai nel modo migliore al
suo gomito per fermare le goccioline di sangue che uscivano dal buco che si era
appena fatta.
Passai un braccio sotto alle sue spalle e l’altro all’altezza delle ginocchia
facendo attenzione a non toccare la siringa o quel bagno che sembrava non
essere stato pulito per molto tempo.
Camminai verso i divanetti e la distesi lentamente, poi mi sedetti sulla
moquette davanti a lei e cominciai ad accarezzarle il viso scostandole i
capelli che si erano attaccati a tutto quel rossetto.
Dopo quasi dieci minuti cominciò a respirare di nuovo normalmente e la sua
fronte smise di essere imperlata dal sudore.
«Candy? Candy mi senti?». Mi avvicinai
al suo orecchio e lei aggrottò la fronte, come infastidita.
Ok, si stava riprendendo.
Ma come avrebbe fatto a lavorare?
Mi ero informato e avevo letto che dopo lo stato di eccitazione iniziale si
cominciava a sentire un senso di stanchezza e sonnolenza.
Alcuni minuti dopo cominciò a muoversi.
«Candy? Candy ora riesci a sentirmi?». Le accarezzai una mano che si strinse
sulle mie dita.
Lentamente aprì gli occhi e non potei fare a meno di perdermi in quel mare
ghiacciato decisamente troppo liquido per la dose di droga che si era
iniettata.
«Scusa. Avrei dovuto aspettare la fine del turno ma non ce la facevo più».
Lentamente si alzò a sedere e la sorressi per le spalle.
Sembrava così debole; sarebbe potuta cadere da un momento all’altro.
«Vuoi un po’ d’acqua da bere?». Fissai le sue labbra che si erano fatte secche.
Annuì e le porsi la
mia bottiglietta di acqua; ne bevve quasi metà e poi ripulì la parte che aveva
macchiato con il rossetto.
«Sono pulita se ti interessa. Faccio gli esami del sangue regolarmente e non ho
né AIDS né altro. Le siringhe le uso solo io e di solito sono quelle usa e
getta. Non faccio mai nulla senza preservativo e se faccio qualcosa di bocca
sto attenta. Se ti fa schifo bere da dove ho bevuto io me la tengo». Giocherellò
con la bottiglia senza degnarmi di uno sguardo, quasi come se si sentisse
sporca dopo quella confessione.
«Se vuoi tenerla tu per bere dopo non ci sono problemi, ne ho altre in albergo».
Con noncuranza mi sedetti di fianco a lei.
«Grazie» sussurrò e io non potei fare a meno di sorridere.
Era riuscita a ringraziarmi?
Guardò il suo braccio fasciato e uno strano sorriso aleggiò sulle sue labbra. Alzò
gli occhi verso i miei.
«Di solito non esce molto sangue. Ma tu sei qui per i tuoi 100 $. No?». Frugò
dentro al reggiseno e ne estrasse una piccola mazzetta tutta arrotolata.
«No Candy, davvero. Se hai dovuto pagare l’idraulico puoi tenerli, non volevo
indietro i miei soldi. Anzi, ti pagherò anche i 50 $ di questa sera, stai
perdendo clienti per rimanere con me». Mi resi conto in quel momento che ero
tornato iper-protettivo e non ero riuscito a mantenere la facciata da stronzo
della sera prima.
Sembrava così indifesa però, che non riuscii a fare altro.
«No, non devi. Questa sera non ho fatto nulla. Mi sono chiusa in bagno per una
dose». Scosse la testa e cercò di darmi i 100 $ del giorno prima.
«Candy, tieniti i 100 $ se ti servono per l’idraulico, davvero. E questi sono
per la mezz’ora che ti ho fatto perdere stasera». Tirai fuori dalla tasca dei
jeans 50 $ e glieli chiusi tra le piccole dita.
«Che cosa vuoi da me» chiese confusa, leggermente arrabbiata e stanca.
«Niente. Non voglio niente». Avrei voluto dirle che l’unica cosa che contava
per me era la sua salute, ma sarebbe scappata.
«Non è possibile. Tutti vogliono qualcosa». Scosse la testa di nuovo.
«Tu che cosa vuoi?». Le chiesi a bruciapelo e mi fissò con le labbra aperte per
lo stupore.
«Io… io non lo so». Abbassò lo sguardo e giocherellò di nuovo con il tappo
della bottiglia.
«Non è possibile, tutti vogliono qualcosa, no? L’hai appena detto tu». Feci
spallucce e mi accesi una sigaretta.
«Sì, ma non è sempre così facile». Si sedette meglio sul divano e incrociò
lentamente le gambe.
«E perché dovrei risponderti io? Pensi che io sappia quello che voglio solo
perché sono famoso? Nessuno mi conosce tranne i miei amici e tutti vogliono
avere qualcosa di me. Tutti pretendono qualcosa da me anche se non chiedono mai
quello che voglio io». Confessai senza pensare alle mie parole; sembravano
senza senso.
Un pensiero che avevo sempre avuto ma che non avevo mai detto a nessuno.
Non ne potevo parlare con i miei amici, quelli che mi conoscevano perché
sarebbe stato difficile da capire per loro, non ne potevo parlare con quelli
che ruotavano attorno a me nel lavoro perché, volenti o nolenti, erano nella
mia stessa merda.
In quel cesso di lavoro tutti facevano buon viso a cattivo gioco.
I soldi presi erano tanti, ma molte volte le fregate erano di più.
Le persone ti usavano e immancabilmente non riuscivi più a fidarti di nessuno
perché avevi sempre il fantasma che la persona davanti a te potesse vederti
come una macchina spara soldi.
«Sei tanto famoso?». Mi guardò con un leggero sorriso tra le labbra e poi i
suoi occhi si spostarono famelici sulla mia sigaretta mezza consumata.
««Sì. Ma non me ne frega un cazzo della notorietà, sul serio». Le porsi una
sigaretta e l’accendino.
Li prese e velocemente cominciò a fumare anche lei.
«Come ti chiami?». Socchiuse gli occhi ed espirò una boccata di fumo giocandoci.
«Tu come ti chiami?». Rinfacciare la stessa moneta, questo era il segreto per
scoprire qualcosa di lei, o almeno così sembrava.
«Candy. Tu?». Una nuova boccata di fumo.
«Candy non è il tuo vero nome. Quindi, se tu sei Candy io sono Thomas». Le
diedi lo stesso nome che avevo usato all’entrata.
«Non sei americano, vero?». Non potei mentire.
Si sentiva dalla pronuncia, come si sentiva che Candy era dalla Louisiana.
«No». Spensi la sigaretta e involontariamente guardai l’orologio.
Era già passata mezz’ora.
«Come ti senti Candy?». Mi girai verso di lei per assicurarmi che stesse bene.
«Da schifo» ridacchiò tossendo e si passò una mano tra i capelli castani.
«Ce la fai a tornare a lavorare? Vuoi che ti accompagni a casa?». Rimasi fermo
in attesa di una sua risposta.
«Che ore sono? È solo l’una, dovrò lavorare per altre tre ore, forse quattro. Sì,
ce la faccio». Spense la sigaretta e bevve un nuovo sorso d’acqua.
«Ok, allora io vado». Mi alzai dal divanetto, indossai sciarpa e cappellino e
mi avviai verso la porta senza dire nulla.
Non parlai con l’intenzione di farla reagire in qualche modo; il lato negativo
sarebbe stato non rivederla più, quello positivo rivederla ancora.
Se in quei due giorni avevo capito qualcosa di lei, sicuramente allora mi avrebbe
fermato.
«Thomas, aspetta un attimo!». Fece per alzarsi in piedi ma ricadde sul
divanetto senza forza e sbuffando.
«Che c’è?». Mi girai totalmente verso di lei indeciso se sorreggerla per
aiutarla ad alzarsi o rimanere dov’ero.
«Domani sera, potresti venire che ti ringrazio per la sigaretta. Magari vieni
verso mezzanotte, così ho meno lavoro e posso dedicarmi di più a te e a tutto
quello che vorrai». Sorrise maliziosa, un sorriso che sparì quando notò la mia
imperturbabilità.
«A mezzanotte?» chiesi atono e il sorriso rispuntò sulle sue labbra.
Sarebbe stata salva per altre ventiquattro ore.
«Sì, domani a mezzanotte non ricorderai nemmeno il nome che mi hai dato, Thomas»
bisbigliò e si fermò accanto a me, strusciando la sua mano sulla mia spalla e
scendendo fino all’ombelico in modo sensuale.
“Domani a mezzanotte saprò come ti chiami, Candy”. Pensai dirigendomi verso
l’uscita con il cappello davanti agli occhi.
Salve ragazze!
Grazie mille ancora a tutte voi che avete recensito, davvero!
Ho sempre paura di esagerare e vedere le vostre recensioni mi tranquillizza un
sacco, quindi fino a che vedo numerini alti ‘rimango tranquilla’.
Ditemi subito se esagero, eh!
Comunque, lo so che i
capitoli sono cortini rispetto alla mia media, ma proprio non riesco a
dilungarmi troppo per ora perché veramente mi impegno un sacco per scrivere
queste pagine.
Spero che anche questo
capitolo vi sia piaciuto, visto che si è scoperto che Rob ha qualcosa che non
va, certo, non come Candy.
Per la parte dell’eroina e di
Candy, ripeto che le mie conoscenze sono state acquisite tramite film e
internet, quindi spero che siano abbastanza esatte.
Grazie ancora a chi
recensirà!
Un bacio!
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Capitolo 4 *** Schiaffo ***
1
AVVERTENZE:
questa FF ha contenuti forti, non prettamente sessuali ma per lo più riguardanti
droga e situazioni che possono ruotare attorno al lavoro della protagonista
(ballerina di lap dance in un locale per spogliarelliste). C’è una forte
presenza di parolacce.
Tuttavia il rating rimane
arancione perché credo che possa essere letta da tutti.
Nel caso qualcuno si sentisse
offeso o considerasse i contenuti non adatti a questo rating provvederò ad
alzarlo.
Fu strano lavorare
anche quel giorno.
Nonostante le poche ore di sonno, a cui cominciavo ad abituarmi, il mio
pensiero correva continuamente a Candy.
Correva a pensare al suo stato di salute.
Come l’avrei trovata quella sera?
Non era facile concentrarsi nel lavoro ma ci riuscii grazie a Kris e agli altri
che mi riportarono ogni cinque minuti con la mente al set.
Quando finimmo di girare l’ultima scena della giornata, salutai velocemente e
corsi verso la mia camera d’albergo.
I ragazzi credevano di aver capito qualcosa, in verità si sbagliavano di
grosso.
Avevo sentito dire da Nikki che probabilmente avevo conosciuto una nuova
ragazza, il giocattolino nuovo, secondo lei.
Quanto era distante dalla realtà?
Tanto, troppo.
Noi non eravamo abituati a scontrarci con quella realtà, l’Hollywood dabbene
non sapeva che cos’era la prostituzione, l’assuefazione da droghe e lo
sfruttamento.
L’Hollywood dabbene conosceva queste storie solo grazie a film che distorcevano
la realtà e la facevano sembrare una favola con un finale felice.
Candy conosceva quella realtà.
Candy sapeva come funzionava la prostituzione, la dipendenza dall’eroina, il
lavorare in uno stupido bar per spogliarelliste.
Candy doveva essere aiutata da qualcuno.
Candy doveva essere aiutata da me.
Cenai con calma dopo essermi tolto gli abiti di scena e tutto il trucco.
Alle undici e mezza indossai sciarpa e cappellino e a piedi camminai fino al
centro di Baton Rouge.
Arrivato davanti all’Insomnia controllai che non ci fossero paparazzi nei paraggi
e subito mi diressi svelto verso l’uomo al bancone che mi salutò come le sere
precedenti.
Quando gli dissi che volevo un privè con Candy mi guardò con uno strano
sorrisino che si protrasse anche quando sentì il nome che gli avevo dato.
«Thomas». Stesso tono delle sere precedenti.
«Bene, abbiamo acquisito un cliente fisso nuovo. Privè due. Terza porta a
destra. Buona permanenza». Sogghignò quando lo sorpassai e mi diressi verso il
privè assegnatomi.
Possibile che quell’uomo non avesse mai cercato di aiutare quelle povere
ragazze?
Non si era mai chiesto il motivo che le aveva spinte a lavorare in quello
schifo di locale?
Mi sedetti sul divanetto in attesa di Candy; accesi una sigaretta e mi tolsi il
cappello.
Mezz’ora dopo, la porta si aprì e Candy entrò.
«Ciao» disse con quel suo solito tono suadente senza nemmeno guardarmi. Come
sempre chiuse la porta.
«Ciao Candy». Enfatizzai il suo nome e lei si girò di scatto con uno strano
sorriso sulle labbra.
«Ciao Thomas». Rimase ferma, appoggiata alla porta e mi guardò per qualche
secondo in silenzio. «Allora hai deciso che cosa vorresti sperimentare?».
Cominciò a camminare verso di me lentamente, ancheggiando con un sorriso sulle
labbra.
«Mmm, a dire la verità sì». Stetti al suo gioco per non farla andare via subito
e mi sistemai meglio sul divanetto.
«Bene, vedo che finalmente hai ceduto». Arrivata davanti a me si fermò e puntò
la gamba sinistra sul divanetto di fianco alla mia coscia. «Quindi, che cosa
vuoi fare questa sera, Thomas?». Si abbassò e me lo sussurrò ad un centimetro
dall’orecchio.
Non ebbi nessun dubbio del perché ogni sera ci mettesse così tanto ad arrivare.
Era logico che Candy fosse richiesta, se un uomo era lì per dello stupido sesso
Candy sapeva offrirtelo molto bene.
«Che ne dici di parlare un altro po’? » le bisbigliai all’orecchio e la sentii
sbuffare.
«Incredibile!». Rise sarcastica e si sedette a terra davanti a me.
«Cosa?». Mi sporsi leggermente in avanti per guardarla continuare a ridere e
improvvisamente si mise a piangere tra le risate.
«Che cosa c’è in te che non va, Thomas? Perché continui a venire ogni sera qui?»
chiese tra i singhiozzi e le risate.
«Non lo so». Davvero non sapevo cosa dire. Alzò i suoi occhi per incontrare i
miei.
«Mi stai facendo impazzire, mi sento inutile». Scosse la testa e si asciugò una
lacrima dalla guancia che le aveva sporcato il viso di nero.
«Perché dovresti sentirti inutile Candy?». La presi per le braccia e la feci
sedere sul divanetto accanto a me quando con un respiro profondo smise di
piangere.
«Perché ogni sera sei l’unico di venti uomini che non vuole niente da me. È
frustrante. Io sono qui per questo e tu non mi vuoi». Scosse la testa e tirò
fuori da una piccola borsa una cartina e un filtrino.
«Io non ti trovo inutile, assolutamente». Tirai fuori una sigaretta
accendendola.
«Certo. Come no». Rise sarcastica e cominciò a rollarsi una canna.
«Perché non provi a non fumare le canne e a fumare una sigaretta». Gliene porsi
una e rimase con la canna sospesa a mezz’aria, ancora da chiudere.
«Perché la sigaretta non rilassa allo stesso modo». Finì di rollarla e fece per
prendermi l’accendino.
«No, o fumi una sigaretta o l’accendino non te lo presto». Scostai di colpo la
mano con l’accendino e la vidi sbuffare; si sedette meglio sul divanetto e
incrociò le gambe per stare più comoda.
«Andiamo Thomas, ne ho bisogno». Mi guardò fisso negli occhi per convincermi.
«Puttanate. Non ne hai bisogno e lo sai. Prima di finire il turno ti farai
altre due dosi di eroina e probabilmente fumerai altre quattro canne, perché
dovrei permetterti di fumarne un’altra in mia presenza?». Rimasi a guardarla e
continuai a tenere l’accendino fuori dalla portata delle sue mani.
«Perché sei solo un figlio di puttana che crede di essere qualcuno tanto da
dirmi quello che posso e quello che non posso fare. Quindi o mi dai l’accendino
per questa cazzo di canna oppure alzi immediatamente il culo da questa stanza e
vai via perché mi stai facendo perdere tempo e non posso lavorare». Mi guardò
come se fosse stata una bambina che voleva sfidare la sorte per ottenere il
giocattolo. Forse lo era davvero, una bambina.
Quanti anni poteva avere Candy?
«Mi sembra di averti sempre pagato il tempo che hai trascorso con me, no?
Pagato profumatamente visto che non hai fatto nulla». Forse stavo osando
troppo.
Ma avevo capito che con Candy non c’erano mezze misure.
«Be’, forse perché sei tu che non vuoi fare nulla! Dimmi che cosa devo fare e
la faccio! Sono la più richiesta perché so fare il mio lavoro!». Ottenni
l’effetto sperato.
Lasciò la canna che nascosi velocemente senza che se ne accorgesse perché aveva
cominciato a togliersi la gonna.
«Farai quello che ti dico?». Sorrisi e la vidi sorridere di rimando.
Era così facile imbrogliarla.
«Certo, sono qui per questo. Qualsiasi cosa tu voglia. Come ti ho detto non
faccio cose a tre con due uomini ma per il resto dovremmo essere apposto».
Sorrise quando si sfilò le scarpe. «Vuoi che tenga i tacchi?». Li indicò e io
annuii.
«Si, tieni i tacchi e anche la gonna. Vestiti di nuovo». Presi una nuova
boccata di fumo e un velo di confusione si posò sui suoi occhi.
«Vuoi spogliarmi tu?». Sorrise sarcastica e si mise a cavalcioni sulle mie
gambe.
Posai la sigaretta tra le labbra e portai le mani sui suoi fianchi, feci una
leggera pressione, la alzai e la sedetti di fianco a me sul divanetto.
«Tieni». Parlai con la sigaretta tra le labbra e gliene porsi una, allungandole
anche l’accendino.
«Sei un fottuto bastardo! Dove hai messo la mia roba?». Cominciò a guardare sui
divanetti e per terra ma non trovò nulla. «Dove cazzo hai messo la mia roba?
Dammi subito la mia canna! Muoviti!». Cominciò a urlare e mi tirò un pugno sul
braccio che le fece male alla mano.
«No Candy. Ripeto: o ti accontenti di una sigaretta o niente». Alzai le spalle
indifferente ed espirai il fumo della sigaretta.
«Chiamo la sicurezza! Dammela altrimenti chiamo la sicurezza!». Si alzò di
colpo davanti a me indicando la porta.
«Chiamala». Mi comportai come se non mi importasse nulla. «Che cosa dirai che
ti ho nascosto una canna? La tirerò fuori mentre tu vai a chiamarli». Abbassai
lo sguardo e giocai con l’accendino.
Dovevo essere duro per salvarla.
Era l’unico modo.
Dovevo fare in modo che si fidasse di me.
«Dirò che mi hai picchiato! Dirò che non mi hai pagato!». Sorrise sardonica,
come una bambina che aveva trovato un’ottima scusa.
«E dove ti avrei picchiato?». Alzai leggermente il viso per guardare il suo
corpo.
«Credi che non abbia segni di botte? Potrei sbatterti dentro con questa scusa!».
Rise e si avvicinò di un passo verso di me allontanandosi dalla porta.
«Be’, e che prove avresti per quanto riguarda il fatto che non ti ho pagato?
Non ci sono prove del fatto che noi abbiamo fatto sesso mi pare». La guardai
negli occhi che si fecero più confusi.
«Dirò che mi hai costretto a farlo senza preservativo». Annuì contenta della
soluzione.
«E le prove del DNA che testeranno che io non ti ho mai nemmeno sfiorata?». Sollevai
le sopracciglia interrogativo quando spensi la sigaretta ormai arrivata al
filtro.
«Ti prego, ridammela! Ne ho bisogno!». Cambiò improvvisamente tattica quando capì che
non poteva assolutamente averla vinta.
«O sigaretta o niente!». Non ammisi alcuna replica; mi atteggiai come se quel
tipo di dialogo fosse una cosa quotidiana per me.
«Per favore! Ne ho bisogno!». Il tono della voce si fece aspro e allungò la
mano davanti al mio viso come per minacciarmi.
«Tieni». Le posai una sigaretta sulla mano e la vidi gemere arrabbiata e
sbattere un piede per terra; buttò la sigaretta sul mio petto.
«Cazzo! Dammi quella canna! Devo scaricare i nervi!». Si abbassò e puntò i suoi
occhi nei miei a meno di dieci centimetri di distanza. Era talmente vicina che i nostri nasi si sfiorarono.
Quando inspirai, uno strano sapore mi penetrò nelle narici.
Il respiro affannato di Candy, proveniente dalle sue labbra schiuse, mi colpì
come se fosse stato un pugno sul naso.
Sapeva di caramella, Candy.
«No». Rimasi impassibile fissando quelle due iridi ghiacciate.
«Cazzo». Mi tirò uno schiaffo che mi
fece leggermente girare il viso di lato.
«Dammi una cazzo di
sigaretta allora. Ho bisogno di sfogare i nervi». Scosse le braccia arrabbiata
e dentro di me sorrisi.
Ero riuscito a farla cedere.
«Tieni». Le allungai la sigaretta che prese e accese velocemente.
Si sedette di fianco a me sul divanetto e socchiuse gli occhi alla prima
boccata di fumo.
Mossi leggermente la mandibola sentendo una guancia leggermente calda ma feci
finta di nulla, con la poca forza che aveva il segno sarebbe sparito in poche
ore.
«Per favore potresti ridarmi la canna? Era l’ultima». Parlò alcuni minuti dopo
fissando il soffitto colorato.
«L’ho lanciata da qualche parte e non so più dove. Mi dispiace». Scossi la
testa colpevole e Candy si girò a guardarmi.
«Perché?» domandò inespressiva e non potei non immergermi ancora in quegli
occhi.
«Perché cosa?». Non staccai lo sguardo dal suo e lo stesso fece lei.
«Perché fai così? Vieni ogni sera qui e parli con me, butti via la mia canna e
mi offri una sigaretta?». Aspirò una boccata di fumo e socchiuse gli occhi
leggermente più rilassata.
Non la degnai di una risposta, non sapendo bene cosa dirle e iniziai a fumare
anche io.
Perché voglio salvarti?
Perché in qualche modo mi fai tenerezza e non voglio vederti in questa merda di
lavoro?
Erano scuse troppo idiote, non sapevo nulla di lei, nemmeno il suo nome.
«Grazie per la sigaretta, forse i miei nervi si sono un po’ allentati». Sembrava
stare meglio, la nuca abbandonata sul divanetto.
«Te l’ho detto. Non serve una canna per scaricarsi i nervi. La sigaretta è
meglio. Non dà il senso di spossatezza una volta finito l’effetto». Aspirai così
una boccata della mia sigaretta.
«Però il gusto è migliore» parlottò stanca e socchiuse gli occhi girando leggermente
la sigaretta con il pollice.
«Però i neuroni non si bruciano». La guardai deglutire e rimanere per qualche
secondo seria.
«Come ti chiami?» chiese allora fissando intensamente i tratti del mio viso.
«Tu come ti chiami?». Rimasi serio, convinto che non avrebbe rivelato nemmeno
quella sera il suo nome.
«Candy, tu». L’angolo destro delle sue labbra si alzò leggermente.
«Thomas». Alzai le spalle e la vidi ridacchiare. «Perché ridi?». Spensi la
sigaretta nel posacenere pieno e Candy mi imitò con la sua.
«Non mi dirai mai come ti chiami vero?». Sorrise e tornò a poggiare la testa sul
divanetto.
«Non mi dirai mai come ti chiami vero?». Ripetei la stessa domanda serio e la
vidi aggrottare la fronte.
«Perché ti interessa sapere il mio nome? Che cosa cambierà una volta che saprai
il mio nome?». Puntellò il gomito sul divanetto e abbandonò la tempia sulla
mano rimanendo con la testa sollevata al livello della mia.
«E tu perché vuoi sapere come mi chiamo? Che cosa cambierà quando saprai il mio
nome?». Un gioco divertente, ecco quello che sembrava.
Ripetere le domande di Candy per vedere se poteva esserci una risposta da parte
sua.
Come un interrogatorio di polizia.
«Potrò dire di aver incontrato uno famoso alle altre». Sorrise.
«Fidati, è meglio se non si sa che sono qui o succederebbe un disastro». La
vidi rabbuiarsi.
«Sei così tanto famoso?». Si grattò una tempia e il mio sguardo cadde sul suo
orologio.
«Candy, devo andare». Era passata più di mezz’ora da quando era entrata nella
stanza.
Guardò l’orologio confusa e stupita.
«Oh, certo». Si alzò di colpo dal divano.
«Tieni, questi sono perché ti ho perso una canna e per il tempo che hai perso».
Tesi 20 $ verso la sua mano e lei mi guardò stupita.
«No, non posso accettarli, mi hai offerto una sigaretta, anche ieri sera e
l’altra sera. Non posso, davvero». Si rifiutò ma continuò a guardare famelica i
soldi che le porgevo.
«Tienili Candy. Basta che non li usi per comprarti droga». Annuii, una gran
parte di me sapeva che sarebbero finiti proprio per quello scopo.
«Io… va bene». Prese i soldi e li infilò
veloce dentro al reggiseno.
Mi avviai verso la porta senza dire nulla.
«Domani sera, verrai ancora?» borbottò la sua voce, poco distante da me; mi
bloccai ma senza girarmi per non farle vedere il mio sorriso.
«Vedremo». Aprii la porta e subito dopo
essere uscito la richiusi alle mie spalle calandomi il cappellino in testa.
Superai l’ingresso e mi avvicinai al cestino sulla destra; misi una mano in
tasca ed estrassi la canna dalla giacca prima di buttarla dentro.
Quando cadde nel fondo sorrisi felice.
Mi aveva chiesto davvero di tornare il giorno dopo?
Salve ragazze!
Ecco, questo già è un
capitolo un po’ più lungo.
Non so che cosa ne sia
uscito, davvero!
Rischiavo di non pubblicare
oggi perché ieri mi è arrivato il DVD di Eclipse e mi sono persa a guardare
tutti i contenuti speciali compreso il commento al film e quindi non ho scritto
una singola parola di questo capitolo.
Questa mattina però, a casa
dall’università mi sono sbizzarrita a scrivere tutto quello che avevo in mente.
Dunque, che dire?
Candy ha chiesto a Robert di
tornare, la domanda è: perché?
Chiedo a voi la risposta! :P
In ogni caso ringrazio
preferiti, seguiti, chi legge e soprattutto chi commenta, davvero i vostri
commenti mi fanno piacere e mi aiutano a scrivere i capitoli successivi.
A proposito dei capitoli
successivi, piccolo avviso importante: Causa esami della sessione
invernale per due settimane non aggiornerò questa storia. Riprenderò quindi ad
aggiornare il 24 dicembre con un capitolo che nella mia mente è già scritto
perché importantissimo.
Salvo improvvise fulminazioni
prima, credo veramente che per due settimane ci sarà una pausa.
Ringrazio ancora tutti e
spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto!
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Capitolo 5 *** Robert ***
1
AVVERTENZE:
questa FF ha contenuti forti, non prettamente sessuali ma per lo più riguardanti
droga e situazioni che possono ruotare attorno al lavoro della protagonista
(ballerina di lap dance in un locale per spogliarelliste). C’è una forte
presenza di parolacce.
Tuttavia il rating rimane
arancione perché credo che possa essere letta da tutti.
Nel caso qualcuno si sentisse
offeso o considerasse i contenuti non adatti a questo rating provvederò ad
alzarlo.
La sera prima, dopo
essere tornato in albergo mi feci una doccia di un’ora e mezza per cercare di
allentare i miei nervi.
Incredibile quanto gli incontri con Candy potessero agitarmi.
Non era facile, assolutamente. Bisognava sempre mantenere un controllo non
indifferente per tenerle testa, e sicuramente questo autocontrollo non era da
me.
Però, nonostante mi impegnassi con tutte le forze per riuscire a farla stare
meglio, ne ero felice.
Anche se ogni sera tutte le mie forze venivano risucchiate, sapevo che era per
una causa positiva.
Quando riuscii finalmente ad addormentarmi era quasi mattina; fortunatamente
quel giorno le riprese sarebbero state di pomeriggio quindi riuscii a dormire
qualche ora in più.
Ormai mi ero completamente distaccato dagli altri, non uscivo più con loro di
sera, non scherzavo come il mio solito; rimanevo in camera mia a pensare ai
fatti miei, quando dovevamo girare arrivavo dalle truccatrici, salutavo e poi
entravo in scena.
Così feci anche quel giorno.
Finite le scene da girare salutai velocemente tutti e mi diressi all’albergo
per una doccia veloce; mangiai qualcosa di corsa senza veramente rendermi conto
di cosa fosse, e alle undici e mezza partii a piedi, sempre con sciarpa e
cappello, verso l’Insomnia.
Incredibile come fossero cambiate le cose in pochi giorni.
Cinque giorni prima avevo giurato a me stesso che non sarei mai entrato in quel
locale per spogliarelliste, in quel momento ci stavo andando di mia spontanea
volontà.
Quando Tom mi aveva chiamato per sapere se ci fossero novità, avevo cercato di
sviare l’argomento Candy, ma le sue domande insistenti non me lo avevano
permesso e alla fine ero stato costretto a raccontare tutto a causa delle sue
domande che mai come quel giorno assomigliavano ad un interrogatorio di polizia.
Durante il tragitto a piedi fumai due sigarette per cercare di alleviare la
tensione che il mio corpo aveva accumulato.
Nonostante non fossi concentrato pienamente sul lavoro, prima di ogni scena mi
immergevo completamente nella filosofia di vita di Edward che in Breaking Dawn
era paragonabile ad una costante pugnalata al cuore.
Continuare a pensare che la donna della tua vita stava morendo davanti ai tuoi
occhi e tu ti sentivi impotente non era una cosa facile; però, anni di lavoro
assieme a Kristen e a Taylor erano riusciti a rendermi il lavoro più facile
perché tutti noi sapevamo più o meno quello che volevamo trasmettere.
Davanti all’Insomnia spensi la sigaretta e dopo un respiro profondo mi diressi
verso il ragazzo all’entrata; mi accorsi però, solo in quel momento, che non
era lo stesso delle altre sere.
«Ciao. Privè con Candy». Cappello con frontino calato nel viso, sciarpa a
coprire le labbra, l’unica parte scoperta del mio viso era il naso.
«Candy questa sera è indisposta, ti va bene lo stesso o vuoi cambiare?». Non
capii subito l’affermazione, ma dopo la sua occhiata mi fu più chiaro.
«No, va bene lo stesso». Aspettai che mi desse il numero del privè.
Io con Candy avrei solo parlato, indisposta o non indisposta non sarebbe
cambiato nulla.
«Privè tre allora. Nome?». Decisamente quel ragazzo era molto più scortese
dell’altro.
«Thomas». Mi avviai verso il privè assegnatomi senza nemmeno salutarlo.
Entrai e mi tolsi il cappellino passando la mano tra i capelli in quel mio
maledetto gesto nervoso.
Mi abbassai lentamente la sciarpa, anche se ormai avevo capito che mi ero
abituato a quell’odore nauseabondo e non sarei più rimasto schifato come la
prima volta.
Mi sedetti sul divanetto verde e notai, con mia grande sorpresa, che ogni privè
aveva un colore diverso; in quei giorni avevo visto dei divanetti rossi, blu e
qualche altro colore che in quel momento non riuscvo a ricordare.
Pochi minuti dopo la porta si aprì e Candy entrò richiudendosela subito alle
spalle.
«Ciao Candy». Aspirai una boccata di fumo e la fissai.
«Ciao». Si avvicinò a
me con passo stanco e rimase a guardarmi senza fare nulla, in piedi.
«Che c’è? Perché non ti siedi?». La guardai leggermente confuso e aspirai una
nuova boccata di fumo.
«Non ti hanno detto all’entrata che non posso fare nulla stasera?». Indicò con
la mano la porta e io riuscii a stento a trattenere una risata.
«Non sono qui per del sesso, Candy. Non l’hai ancora capito?». La fissai e la
vidi rimanere impassibile.
«Ne hai una?». Si sedette di fianco a me nel divanetto e indicò la mia
sigaretta.
Annuii riuscendo a trattenere il sorriso solo perché c’era una sigaretta tra le
mie labbra. Tirai fuori il pacchetto dai jeans e glielo allungai; con il viso
disteso e gli occhi quasi lucidi per la felicità mi ringraziò con un cenno del
capo.
«Sai che è da ieri sera che non fumo una canna?». Ammiccò e prese l’accendino
dalle mie mani.
Esultai mentalmente ma non lo diedi a vedere.
«E quante dosi in più ti sei fatta?». Le posi la domanda come se le avessi
chiesto come stava.
«Sei un bastardo. Io ti dico che non ho fumato nessuna canna dopo che mi hai
rotto le palle per una sera intera e tu mi vieni a chiedere quante dosi mi sono
fatta?». Scosse la testa arrabbiata.
La rabbia di Candy era come benzina per il mio motore.
Quando Candy si arrabbiava era perché lottava, non rimaneva indifferente a
quello che le dicevo.
«Sì, perché in qualche modo avrai compensato la mancanza di droga, no? Quindi,
quante dosi ti sei fatta in più rispetto alla tua media giornaliera?». Spensi la sigaretta e la vidi stringere un
pugno per trattenersi dal dire qualcosa.
«Non sono cazzi tuoi. Punto e basta». Voleva dimostrarsi indifferente e rimase
in silenzio.
«Ok, non serve arrabbiarsi». Gesticolai con le mani come se ci fossi rimasto
male.
Se avevo capito qualcosa di Candy, uno dei motivi che la faceva cedere era il
senso di colpa.
Patetico tentativo, ma avrei giocato su quello a vita se fossi riuscito a
tirarla fuori di lì.
Rimanemmo in silenzio per quasi cinque minuti; spense la sua sigaretta e si
girò a guardarmi. Non smisi mai di guardarla negli occhi.
«Che c’è?» chiese scontrosa e non abbassò lo sguardo.
«Nulla. Che cosa ci dovrebbe essere?». Non abbassai nemmeno il mio.
«Non lo so, continui a guardarmi come se aspettassi una risposta da parte mia».
Riuscii a non sorridere per una ragione sconosciuta. «Oh, e va bene. Tre in
più, contento? Ora la smetti di fissarmi? Odio la gente che mi fissa!».
Incrociò le braccia sullo stomaco e continuò a guardarmi.
Almeno ero riuscito a farla cedere di nuovo.
«Non ti piace la gente che ti fissa? E come mai hai scelto questo lavoro? Se
non sbaglio qui tutti vogliono guardare, no?». Sollevai le sopracciglia
interrogativo e nemmeno due secondi dopo Candy mi tirò uno schiaffo.
«Bastardo. Non provarci mai più!». Diventò rossa in viso e digrignò i denti
come se stesse cercando di trattenere le lacrime.
«Non devo provare a dire cosa?». Abbassai di nuovo lo sguardo verso di lei
ignorando il dolore alla mia guancia.
Quello schiaffo che mi aveva tirato era un modo per scaricare i nervi.
«A dire quello che hai detto. Non ci provare mai più altrimenti esco da quella
porta e dico a Jack all’entrata che non ti faccia più venire qui!». Strinse le
sue piccole mani a pugno, ma io non demorsi, decisi di provare il tutto per
tutto.
Estremamente sadico ma avrebbe potuto funzionare, dovevo soltanto trovare il
tasto giusto da toccare, e stavo cercando in tutti modi di scoprire quale fosse.
«Puoi anche andartene tu, no? Voglio dire nessuno ti obbliga a rimanere qui con
me. Sei assolutamente libera di andartene». Mi accesi una sigaretta ignorando
il suo sguardo fisso su di me.
«Sei un bastardo, lo sai? Solo un fottutissimo grande bastardo!» ripeté più
volte, furiosa, ma non notai alcuno spostamento. Rimaneva ferma lì, di fronte a
me, senza dare segni di voler andarsene.
Ormai non facevo nemmeno più caso alle sue parole, Candy era dotata di un
dizionario che avrebbe fatto impallidire anche il peggior camionista.
«Potrei sapere il perché?». Esalai una boccata di fumo e spostai il mio sguardo
in quelle iridi ghiacciate.
«No!». Scosse la testa scioccata come se il solo pensiero di potermelo
confidare la inorridisse.
«Quindi, fammi capire; io sono un bastardo, anzi un ‘fottuttissimo grande
bastardo’ e non posso nemmeno sapere il perché? Non mi sembra molto giusto, no?».
Sollevai le sopracciglia con fare interrogativo e vidi il suo viso perdersi in
un’espressione confusa.
«Smettila di confondermi le idee. Non riesco mai a capire quello che vuoi dire».
Finse un disagio che non provava affatto, recitando la parte della ragazza
ignorante.
Trattenei a stento una risata.
Candy sapeva mentire male, veramente male.
Era chiaro come la luce del sole che non ero io a confonderla ma erano le sue
stesse parole; mi insultava senza motivo e non sapeva che cosa rispondermi
quando le chiedevo il perché.
«Se lo dici tu». Alzai le spalle e continuai a fumare la sigaretta facendo
calare di nuovo il silenzio nella stanza.
Dopo quasi cinque minuti Candy si decise a parlare.
«Thomas?» sussurrò, lo sguardo basso.
«Mhhh?». Mi girai verso di lei e la guardai giocherellare con le sue mani. Era
nervosa.
«Potresti darmi un’altra sigaretta?» mormorò timidamente e, dopo aver stretto
la mia tra le mie labbra, estrassi il pacchetto e gliene porsi un’altra. «Grazie».
Fu un bisbiglio appena udibile che mi scaldò il cuore.
Candy mi aveva appena ringraziato?
«Prego». Annuii facendo finita di non averlo notato e leisi accese la
sigaretta.
«Hai altri incontri dopo questo?». Non sapevo che altro nome dare a quello che
faceva.
«No, mi pare di no. Nessuno vuole rimanere senza una sana scopata, sai? Di
solito mano e bocca lo considerano come preliminare, e se non puoi concedere
loro quello che vogliono nessuno ti cerca. Per questo lo dicono all’entrata,
così uno si regola. Almeno questa sera Sweet avrà un bel po’ di clienti in più».
Sorrise, come fosse stata una battuta che non sarei stato in grado di capire e io
ripensai alla ragazza, Sweet, la stessa che avevo visto per ben due volte
all’uscita del locale assieme a Candy.
«E che farai, tornerai a casa quando io sarò andato via?». Mi voltai a
guardarla giocare con la sigaretta.
«Aspetterò la fine del turno e andrò a casa con Sweet. Non andiamo mai a casa
da sole. In più devo aspettare…». Si fermò di colpo e arrossì.
«Cosa devi aspettare?». La fissai sorpreso, Candy non era mai arrossita,
nemmeno una volta.
Cominciai a pensare ai
motivi che l’avevano fatta arrossire ma non me ne venne in mente nemmeno uno.
Non poteva di certo essere qualcosa legato al sesso, Candy non si vergognava di
parlarne; e non era qualcosa riguardante il suo lavoro, altrimenti avrebbe
abbassato semplicemente lo sguardo.
«Io devo aspettare Tony» farfugliò e compresi il perché.
Se ne vergognava.
Si vergognava di dirmi che doveva aspettare il suo spacciatore per comprare
della droga.
«Ah, logico, no? Se non fumi dovrai in ogni caso sballarti». Feci spallucce,
fingendo noncuranza, ma probabilmente il mio tono era stato esageratamente duro
e sarcastico; i suoi occhi si abbassarono di scatto verso il pavimento e in lei
si spense qualsiasi tipo di emozione.
Mi pentii subito della mia reazione e decisi che per quel giorno avevo fatto
anche troppo.
Forse non sarei più tornato, l’avevo offesa troppo duramente: lei stessa aveva
esitato nel dire che doveva aspettare Tony e io come un cretino l’avevo
insultata.
«Io…». Tentò di dire qualcosa ma si
bloccò; un sospiro triste le uscì dalle labbra, ma non osò dire altro.
Fu come un colpo dentro, al cuore.
L’avevo ferita troppo, probabilmente ero l’unica persona che voleva solo
parlare con lei e l’avevo ferita; le avevo sputtanato in faccia i suoi problemi
prendendola anche in giro.
Ero un emerito coglione, avevo dimostrato la mia vera natura in quel preciso
istante.
«Ok, è meglio che vada visto che è un’ora che sono qui». Mi alzai lentamente dal
divanetto e le lanciai un’occhiata: non mi guardava, il viso rivolto verso
tutt’altra direzione. «Tieni 100 $ per il tempo in cui sei stata con me». Tirai
fuori il portafoglio e le lasciai 100 $ tra le mani.
Non rispose nemmeno, rimase con lo sguardo fisso sulle sue dita e non mi
ringraziò.
Mi avvicinai a grandi passi alla porta e, quando poggiai la mano sulla maniglia
fredda, vidi sgretolarsi davanti ai miei occhi la possibilità di riuscire a salvarla.
Era finita. Accostai la porta, pronto per uscire, ma la sua voce mi fermò.
«Aileen». Un sussurro appena udibile che mi fece rabbrividire.
«Cosa?». Mi girai di scatto sicuro di stare sognando.
«Mi chiamo Aileen». Alzò appena gli occhi ma non osò affrontare il mio sguardo.
«Robert». Le rivolsi un sorriso spontaneo che lei ricambiò. Il suo viso si
illuminò di dolcezza; era uno dei sorrisi più belli che io avessi mai visto.
«Riprenditi i soldi, Robert». Si avvicinò e mi restituì e 100 $ che le avevo
dato.
«No, tienili, servono di più a te. Ma Aileen, promettimi che non li userai per
comprarti della droga». La guardai negli occhi per farle capire che volevo
davvero che lo facesse.
«Io… ci proverò». Annuì timidamente.
Un lato delle mie labbra si alzò leggermente a quel suo tentativo di nascondere
la verità.
«A presto». Mi girai e spalncai la porta quando non sentii nessuna risposta da
parte sua.
Aileen.
Candy si chiamava Aileen.
Candy, Aileen aveva ceduto.
Mi aveva detto come si chiamava.
L’unica cosa da fare era salvarla.
Salve ragazze!
Sono tornata e ho pubblicato
anche un giorno prima del previsto! :)
Allora, Robert e Candy,
scusate volevo dire Aileen, vi sono mancati? :P
Siamo ad un terzo della
storia e quello che ho sempre avuto in mente è porre dei paletti ogni cinque
capitoli, qui si è saputo il nome di Aileen, nel 10 succederà un’altra cosa e
alla fine, nel quindicesimo e ultimo capitolo ne succederà un’altra.
Quello che voglio che sia
chiaro è che non è che perché sappiamo il nome ora sarà tutto rose e fiori, anzi,
posso dirvi che i problemi cominceranno da adesso, ci saranno alcuni capitoli
di ‘calma’ e poi il finale sarà alquanto ‘burrascoso’; ricordiamoci che abbiamo
sempre a che fare con una ragazza che è eroinomane!
Detto questo, spero che il
capitolo vi sia piaciuto, mi farebbe veramente piacere sentire le vostre
opinioni perché sapete che non sono mai sicura di questa storia!
VI AUGURO UN FELICE
E SERENO NATALE!
Ci sentiamo il 30, anticipo
anche per la prossima settimana per non pubblicare il 31!
Buone vacanze!
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Capitolo 6 *** Fiducia ***
1
AVVERTENZE:
questa FF ha contenuti forti, non prettamente sessuali ma per lo più riguardanti
droga e situazioni che possono ruotare attorno al lavoro della protagonista
(ballerina di lap dance in un locale per spogliarelliste). C’è una forte
presenza di parolacce.
Tuttavia il rating rimane
arancione perché credo che possa essere letta da tutti.
Nel caso qualcuno si sentisse
offeso o considerasse i contenuti non adatti a questo rating provvederò ad
alzarlo.
Fiducia.
Ad Aileen serviva solo fiducia.
Lei l’aveva riposta in me e io dovevo farle vedere che mi
fidavo di lei o non sarei mai stato in grado di salvarla tirandola fuori da
quella topaia.
Lei mi aveva detto il suo nome e per scoprire la sua storia
avrei dovuto dimostrarle fiducia.
Riuscii a capirlo quella stessa notte prima di
addormentarmi.
Dovevo provare, solo una piccola, stupida prova per far
vedere ad Aileen che non la reputavo un oggetto ma una persona.
Finimmo le riprese verso le nove e mezza e dopo essermi
fatto una veloce doccia, indossai cappello e sciarpa e mi incamminai verso
l’Insomnia.
Quando arrivai davanti al locale mi guardai attorno più di
qualche volta per vedere se ci fosse qualcuno a seguirmi o a guardarmi; ma, non
notando nessuno, mi diressi velocemente verso il ragazzo all’entrata.
“Ciao”. Mi accorsi subito che si trattava di quello scortese
della sera prima.
“Ciao. Privè con Candy”. Annuii continuando a mascherare la
mia voce.
“Candy è indisposta questa sera, va bene lo stesso o vuoi
cambiare?”. Tenne lo sguardo basso e parlò con voce annoiata.
“Va bene lo stesso”. Feci finta di essere leggermente
irritato quando in verità l’unica cosa che mi irritò fu la sua tranquillità.
Avevo un urgente bisogno di vedere Aileen, di sapere che
stava bene, di assicurarmi che tutto fosse tranquillo.
“Privè sette”. Segnò una porta e lo ringraziai con un gesto
del capo.
Mi incamminai velocemente verso il privè e quando mi chiusi
la porta alle spalle tirai un sospiro di sollievo.
Mi tolsi sciarpa e cappellino e mi sedetti nel divanetto per
aspettare Aileen.
Non ci avrebbe messo tanto secondo i suoi calcoli della sera
precedente; cinque minuti dopo, infatti, la porta si aprì e Aileen entrò.
Come ogni sera non mi degnò di un minimo sguardo e si voltò
per chiudere la porta.
“Ciao Aileen!”. Aspirai una boccata di fumo e si girò di
colpo a guardarmi con un sorriso sulle labbra.
“Ciao Robert”. Si avvicinò camminando verso di me e si
sedette nel divanetto poco distante da me.
“Come va?”. Continuai a fumare e le porsi una sigaretta
perché mi sembrò che ne volesse una.
“Solito”. Alzò le spalle e si accese la sigaretta. Annuii e
rimasi in silenzio a guardarla. “Tu sei quello che deve fare il vampiro?”.
Aspirò una boccata di fumo e mi guardò dritto negli occhi.
Spalancai gli occhi sorpreso e annuii. Era riuscita a capire
chi ero.
“Perché ieri sera ho parlato con Sweet e mi ha detto che
aveva sentito da non so chi che c’è un film importante che stanno girando qui
sui vampiri. Quando le ho detto che ti chiamavi Robert mi ha detto che le
sembrava che anche il protagonista del film si chiamasse così. Quindi sei tanto
famoso?”. Sorrise e mi fissò continuando a fumare.
“Abbastanza, si. Perché?”. La guardai ridere e scosse la
testa.
“Sweet mi ha detto che se fosse capitato a lei ti avrebbe
chiesto 200 $. Dice che hai tanti soldi che potresti comprare tutte noi per
dieci anni”. Sorrise e spense la sigaretta nel portacenere.
“Beh, Sweet ha un po’ esagerato credo”. Annuii e spensi
anche la mia sigaretta.
“Tra quanto te ne andrai?”. Puntò gli occhi nei miei
mantenendo uno sguardo neutro, come se non avesse voluto farmi vedere le sue
emozioni.
“Non lo so ancora. Fino a Natale di sicuro rimarremo a
girare qui, dopo non lo so”. Alzai le spalle e la vidi annuire. “Perché?”.
Quando le feci quella domanda la vidi alzare di scatto il viso e scuotere la
testa energicamente.
“Così, solo per sapere”. Alzò le spalle e tornò a guardarsi
le mani.
“Non hai molti clienti nemmeno stasera?”. Sviai l’argomento
perché capii che Aileen non voleva più parlarne.
“No, sarà così per altri due giorni più o meno. Ma è meglio,
così mi riposo un po’”. Annuì con un sorriso tirato e il mio sguardo cadde
ancora una volta in quelle braccia segnate dai buchi delle siringhe. “Ma tu
lavori tutti i giorni o è come si sente dire che lavorate due ore al giorno?”.
Mi segnò con la mano e un sorriso nacque spontaneo sulle mie labbra.
“No, non è come si sente dire. Ci alziamo tutte le mattine
alle sei, anche per una settimana di fila. Capita che in un giorno vengano
girate anche solo due scene che provi per dieci, dodici volte perché il regista
non ha quello che aveva in mente o peggio perché noi attori non riusciamo a
calarci nel nostro ruolo”. Alzai le spalle come se non avessi descritto una
giornata tipo dell’ultima settimana.
“E ti lamenti perché devi alzarti ogni giorno alle sei? Sai
che c’è gente che lo fa e lavora anche per dodici ore per riuscire a portare a
casa qualche dollaro? Non credi di essere un po’ egoista? Voglio dire, tu ti
sei scelto quella vita perché ti piace diventare qualcun altro, ma c’è gente
che non si sceglie il lavoro”. Alzò le spalle e respirò profondamente per
riprendere fiato.
“Si, ma Aileen, non è come tutti pensano. Fidati, non è che
il mio lavoro è tutto sfilate su tappeti rossi e un giro del mondo in quindici
giorni per promuovere il film. Quella è la parte divertente.”. Annuii pensando
alla tournèe fatta con Kristen e Taylor qualche anno prima.
“E qual è la parte non divertente? Vestire i panni di un
altro? Fare finta di essere un’altra persona? Io pagherei per fare quello che
fai tu”. Annuì e si accese una sigaretta subito dopo di me.
“No. È tutto quello che ci gira attorno. Te l’ho detto anche
l’altra volta. C’è un ambiente di menefreghismo dietro che nessuno immagina.
Chi è dentro non lo dice e chi è fuori non lo sa. Non è tutto oro quello che
luccica”. Alzai le spalle e la vidi fissarmi seria.
“Nel senso che il mondo dello spettacolo è bigiotteria?”. Mi
guardò seria e non riuscii a trattenere una risata.
“No, nel senso che è stressante. Si, mi sono scelto questa
vita e non me ne pento. Ma quando ti alzi alla mattina con le palle girate,
esci di casa per andare a fare colazione e ti trovi con venti fotografi che non
ti lasciano nemmeno camminare ti senti decisamente incazzato e preferiresti andare
nei sobborghi di Londra a costruire case.”. Sbuffai ripensando a Londra, ci
sarei tornato per natale ma mi mancava già.
“Ma non sono i risvolti negativi? Voglio dire tutti i lavori
hanno dei risvolti negativi, no? Tranne i fotografi il tuo lavoro è invidiabile”.
Mi segnò con la mano destra e un po’ di cenere della sigaretta cadde nel
divanetto ma non ci fece nemmeno caso.
“No, Aileen non è così. Quando diventi famoso”. Segnai
l’ultima parola con le virgolette perché non volli darmi troppe arie. “tutti
attorno a te ti vedono come se tu potessi farli diventare ricchi, capisci? Non
posso nemmeno avvicinarmi ad una ragazza che mi piace perché lei non vede
Robert, lei vede solo soldi e notorietà. Lo stesso per gli amici. Credi che ne
abbia tanti? Ho molti conoscenti, ma ho pochi amici. Sono rimasti quelli di
sempre, quelli che c’erano quando non ero famoso. Poi ci sono i colleghi. Loro
sono quelli che sanno come ci si sente. Si, vanno bene per una birra in
compagnia ma non è che siano amici. Pochi si confidano tra di loro. Io sono
stato fortunato, con i film che ho fatto sono riuscito a lavorare per quattro
anni con le stesse persone e quindi bene o male alla fine tendi a diventare
amico quando passi quattro mesi venti ore al giorno assieme”. Mi fermai e aspirai
una boccata dalla sigaretta.
“Io non ci vedo niente di male in tutto quello che hai
detto. Voglio dire, anche se tu non fossi famoso la gente tende sempre ad
approfittare degli altri per raggiungere i proprio scopi. Sono tutti egoisti ed
egocentrici. Non ho mai conosciuto nessuno fino ad ora che si sia anche solo
sacrificato per qualcun altro. Non esiste il concetto di aiuto secondo me”.
Alzò le spalle e la guardai con gli occhi sbarrati.
Quanti anni poteva avere Aileen?
Parlava come se avesse vissuto una vita intera, come se
avesse conosciuto milioni di persone e avesse esattamente capito come
catalogarli.
La sua visione della vita era senza fronzoli, nuda e cruda,
come doveva essere.
Mi sentii una merda.
Anche io ero diventato esattamente come tutti nei minuti
precedenti.
Avevo parlato del mio non fidarmi delle persone con lei che
veniva usata da tutti come uno strumento dedito solo al piacere personale.
Volevo sapere qualcosa di più su di lei ma forse non era
ancora il momento.
“Credo che tu abbia ragione, sai? Ognuno pensa solo a se
stesso. Perché bisognerebbe pensare agli altri? Credo che molti la pensino in
questo modo. Io non ne sono d’accordo però credo che sia in questo modo che
molti campano”. Annuii e la vidi fare lo stesso.
“Si, tutti usano e poi nessuno si accorge di essere usato,
forse è questo il problema”. Annuì e spense la sigaretta. “Ma io rimango
dell’idea che c’è sempre qualcuno pronto a sacrificarsi. Se non c’è io voglio
crederci”. Annuì e giocò con il filtro.
“Beh, sono sicuro che tutti noi abbiamo qualcuno da usare,
ma sono anche sicuro che tutti noi abbiamo qualcuno che ci possa aiutare”.
Prendi me, Aileen, sono qui per aiutarti. “Ad esempio, tra tutti quelli che
conosco sono sicuro di potermi fidare di tre o quattro amici. Credo sia lo stesso
per tutti, no?”. Una domanda patetica che volle solo sentire se Aileen era in
grado di fidarsi di qualcuno.
“Si, voglio dire. Lo stesso vale per Sweet. Io e lei ci
conosciamo da tanto e credo sia l’unica persona di cui mi fido. Anche lei si
fida di me”. Alzò le spalle e sorrise.
“Parli sempre di Sweet, lavora qui, vero?”. Cercai di
portare l’argomento su di lei.
“Si, non hai mai sentito gli animali che vengono qui parlare
di lei?”. Si fermò e le feci segno di no con il capo. “Strano di solito i
commenti per Sweet sono concentrati sulle sue tette. Per tutti Sweet è quella
con le tette grandi”. Ridacchiò triste e non potei non guardarla con un po’ di
tristezza perché mi resi ancora una volta conto che loro erano veramente
utilizzate come oggetti.
“Forse allora si”. Annuii e Aileen mi guardò.
“E’ quella che esce sempre con me. Quella mora un po’ più
alta di me”. Alzò la mano leggermente per farmi vedere quanto più alta di lei
potesse essere.
“Forse ho capito, si”. Annuii e Aileen sorrise.
Un sorriso che poche volte le avevo visto, un sorriso che mi
fece sorridere.
“Posso chiederti una cosa, Robert?”. Mi guardò seria e trattenei
il respiro quando annuii.
Qualcosa dentro di me mi disse che me ne sarei pentito
subito dopo.
“Perché vieni qui? Cioè, è la sesta volta che vieni qui e
chiedi solo di me. Perché?”. Mi guardò seria e si torturò le mani.
“Non lo so. Davvero”. Alzai le spalle e sperai con tutto me
stesso che mi credesse.
Non potevo dirle che ero lì esclusivamente per lei, perché
volevo salvarla.
“Sei strano, comunque”. Annuì e si alzò.
Quando lo fece la borsa che aveva si rovesciò e cadendo a
terra si aprì facendo cadere tutto il contenuto.
Caddero rossetti, trucchi, soldi, cadde una siringa e anche
della droga.
Quando mi chinai per aiutare Aileen a raccogliere il
contenuto e mi accorsi di quello che c’era mi fermai di colpo e vidi Aileen
fissarmi triste.
“Certo, e io che avevo sperato che tu avessi smesso”. Mi
uscì di getto e non me ne accorsi nemmeno.
Vidi Aileen arrossire e mettere velocemente tutto il contenuto
nella borsa.
“Così è per questo no? Io rimango qui, ti parlo per un’ora e
poi tu con i miei soldi vai dal tuo amico lì fuori e ti compri un po’ di droga.
Complimenti!”. Lo dissi con talmente tanta ironia che le feci un applauso.
Non capii perché ma mi sentii deluso.
Una parte di me aveva sperato che Aileen avesse smesso di
drogarsi, non per un piacere personale ma per lei.
Avevo sperato male, evidentemente.
“Robert, io non…”. Cercò di dire qualcosa ma tirai fuori dal
portafoglio venti dollari e glieli buttai sopra la borsa aperta.
“Tieni, questi sono per comprarti altra droga. Spendili
bene, sai? Così almeno mentre ti sballi penserai che è solo merito mio, no? Il
coglione che riesce a darti cento dollari senza nemmeno una scopata!”. Lo urlai
e la vidi raggomitolarsi a terra.
“Robert, aspetta. Per favore!”. Tentò di parlare ma non la
ascoltai nemmeno.
Ero troppo arrabbiato, deluso.
Mi ero confidato con lei, le avevo parlato e poi mi ero
accorto che tutti i suoi discorsi erano solo una facciata.
“Cosa dovrei aspettare? Che tu ti faccia una dose per poi
tentare di svegliarti quando l’effetto dello sballo è finito? Beh, chiedilo a
Tony!”. Annuii e vidi Candy rimanere seria.
Mi avvicinai verso la porta e quando abbassai la maniglia
sentii Aileen muoversi.
“Robert, domani sera verrai?”. Lo chiese con una voce strana
e non mi girai nemmeno.
“Perché dovrei venire? Hai finito i soldi?”. Forse risultai
anche più tagliente del previsto ma mi aveva ferito davvero.
“No, io… io volevo solo… non importa”. La sentii sospirare e
mi pentii subito del mio atteggiamento.
Forse avevo esagerato ma non era stata colpa mia.
Mi ero davvero aperto con lei e una piccola parte di me
aveva sperato che lei avrebbe fatto lo stesso con me.
“Non lo so”. Aprii la porta e uscii senza nemmeno salutarla
o aspettare un saluto.
Mi ero comportato da perfetto imbecille.
Non le avevo dato fiducia, le avevo dato una pugnalata alle
spalle.
Quando arrivai in albergo accesi il computer e cominciai a
cercare informazioni sull’eroina e sulla dipendenza.
Fu come una pugnalata al cuore.
Settimane, mesi per
guarire definitivamente.
Cliniche
specializzate.
Forza di volontà.
Aiuto esterno.
E io che cosa avevo sperato?
Che avesse smesso di farsi da un giorno all’altro?
Certo, le avevo dato proprio fiducia.
Forse sarei dovuto andare il giorno dopo a scusarmi, le
avrei fatto capire che mi ero comportato male perché avevo avuto una giornata
storta, Aileen doveva credermi.
Salve ragazze!
Non so mica che cosa mi sia
uscito, sapete?
Credo che non abbia un senso
logico e ne sono parzialmente cosciente, ho cominciato a scrivere e Robert
quando ha visto la droga si è arrabbiato, non so nemmeno perché.
Credo perché si è sentito
ferito in qualche modo visto che ha raccontato un po’ di sé ad Aileen, però non
ne sono sicura.
Spero che questo capitolo
possa piacervi, vi ringrazio per le recensioni e spero che ritornino ai numeri
che c’erano all’inizio.
Come vi ho già detto questa
storia è difficile da scrivere per me e vedere che vi piace, vi appassiona e vi
coinvolge mi aiuta anche nella stesura.
Intanto vi auguro un BUON ANNO NUOVO,
mi raccomando fate dei buoni propositi! :P
Ci vediamo il 7 di gennaio
con Robert e Aileen!
Un bacio!
|
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Capitolo 7 *** Per favore ***
1
AVVERTENZE:
questa FF ha contenuti forti, non prettamente sessuali ma per lo più riguardanti
droga e situazioni che possono ruotare attorno al lavoro della protagonista
(ballerina di lap dance in un locale per spogliarelliste). C’è una forte
presenza di parolacce.
Tuttavia il rating rimane
arancione perché credo che possa essere letta da tutti.
Nel caso qualcuno si sentisse
offeso o considerasse i contenuti non adatti a questo rating provvederò ad
alzarlo.
Quella notte non
chiusi occhio.
L’idea di averla delusa, in qualche modo offesa, fu talmente opprimente che
prevalse anche sul sonno.
Arrivai alla mattina sul set e le truccatrici fecero qualche commentino
malizioso sulle mie occhiaie, ma feci finta di nulla e si zittirono.
Fui costretto a ripetere per sei volte la stessa scena perché continuavo a
dimenticarmi le battute.
Alla fine il regista rinunciò alla scena e ci mandò a casa nel tardo pomeriggio
dicendo che ci saremmo visti il giorno dopo perché probabilmente non era il
giorno giusto per girare quella scena.
Quando tutti si incamminarono verso i propri camerini per cambiarsi, Bill mi
chiamò per parlarmi.
«Robert, ti vedo distratto. Non lo so, all’inizio non eri così. Le riprese in
Brasile sono andate benissimo, ma è da una settimana che ti vedo assente. C’è
qualcosa che non va? Hai litigato per caso con Kristen e non riuscite più a
fare scene romantiche assieme?». Cercò di sorridere e si sistemò gli occhiali
sul naso.
«No. Non centra nulla Kristen. Non ho passato una bella settimana, ma prometto
che da domani sarà diverso. Mi scuso ancora per il mio comportamento». Mi
passai la mano tra i capelli, nervoso, e lo vidi annuire.
«Tranquillo, capita a tutti un periodo storto. L’importante è che vado tutto
bene». Sorrise e mi lasciò andare a cambiare.
Bill sicuramente si interessava molto ai propri attori, era una sorta di papà
chioccia, metteva a proprio agio e di solito funzionava alla grande, anche in
Brasile aveva funzionato; nonostante le scene romantiche io e Kris non ci
eravamo sentiti in imbarazzo.
Da una settimana però non c’era nessun santo che riuscisse a farmi concentrare
nel mio lavoro, tutto per colpa di una persona.
Aileen.
Possibile che si potesse dipendere da una persona in quel modo?
La conoscevo appena, avevo passato assieme a lei sì e no venti ore eppure le
ero legato da un filo invisibile e indivisibile.
Dovevo, volevo, salvarla.
In più, cosa che aveva peggiorato la situazione quella mattina, il giorno prima
mi ero comportato da perfetto idiota e al posto di darle fiducia le avevo
voltato le spalle.
Tornato dalle riprese mi chiusi in camera e dissi agli altri di non disturbarmi
perché avrei dormito qualche ora.
In verità, dopo essermi fatto una doccia rilassante, cominciai a pensare a
quello che avrei potuto dire ad Aileen per scusarmi del mio comportamento.
Non ero bravo a parlare eppure dovevo trovare il modo per scusarmi con lei.
Senza dubbio sarei dovuto andare anche quella sera in quello squallido locale,
le avrei parlato e avrei sperato con tutto il cuore che mi credesse.
Scesi a mangiare e non parlai praticamente con nessuno.
Forse l’unico che fu in grado di capire qualcosa fu Jack, ma sapevo che il suo
carattere non invasivo non gli avrebbe mai permesso di farmi domande.
Rimasi con i ragazzi fino alle dieci, poi mi alzai e andai in camera a
cambiarmi per uscire; indossai sciarpa e cappello e velocemente mi incamminai
verso il locale.
Dieci minuti dopo, quando arrivai, mi accorsi con mia grande felicità che ad
accogliere i clienti c’era il ragazzo gentile che c’era sempre stato e non
quello scortese delle due sere precedenti.
«Ciao, cosa desideri?». Tenne la testa bassa guardando il libro davanti a lui.
«Privè con Candy, anche se è indisposta». Non lo lasciai nemmeno fare la
domanda, improvvisamente sentivo una certa fretta di rivederla.
E se si fosse ferita
in quel giorno? E se per colpa mia l’avessero cacciata dal posto di lavoro
perché avevano sentito le urla?
«Privè 5. Nome?». Sorrise guardandomi negli occhi invisibili, nascosti dal
frontino del cappello, e io alzai leggermente le labbra dalla sciarpa.
«Thomas. Grazie». Non aspettai nemmeno una sua risposta, mi incamminai veloce
verso la stanza assegnatami e una volta chiusa la porta alle mie spalle,
tenendo la sciarpa davanti alle narici per non sentire quell’odore nauseabondo,
feci due respiri profondi.
Mi avvicinai lentamente al divanetto e mi sedetti pochi secondi prima che la
porta si aprisse facendo entrare Aileen.
«Ciao bellezza. Che cosa vuoi fare questa sera?». Si chiuse la porta alle
spalle senza nemmeno guardarmi in faccia; poi, quando si girò e non diede segno
di avermi riconosciuto, mi ricordai che avevo ancora la sciarpa e il cappello e
non sarebbe stata in grado di riconoscermi.
«Aileen, sono io». Tolsi sciarpa e cappello e la vidi fermarsi di colpo in
mezzo alla stanza, come se fosse stupita di vedermi lì.
«Ciao Robert». Rispose dopo alcuni secondi e lentamente si avvicinò fino a
sedersi nel divanetto ad alcuni metri da me.
Mi sembrò che in quel momento tutti i passi che avevamo fatto nei giorni
precedenti non ci fossero stati.
Vederla seduta a metri di distanza da me, come se avessi potuto farle del male
mi fece rattristare moltissimo.
«Io… Aileen, ti prego. Ascoltami». Mi avvicinai lentamente a lei scivolando sul
divanetto e la vidi spostarsi di qualche centimetro dalla parte opposta. «Merda!».
Mi uscì di colpo e mi passai le dita tra i capelli frustrato. Possibile che non
capisse che volevo aiutarla?
«Perché sei ancora qui? Che cosa vuoi? Mi sembra chiaro che non ho gettato via
l’eroina solo perché me l’hai chiesto tu e perché ieri ti sei arrabbiato». Un
cubetto di ghiaccio sarebbe stato più caldo del tono in cui mi aveva parlato.
«Aileen, lo so. Non ci sono giustificazioni per quello che ho fatto o ho detto
ieri. Ti prego, perdonami. Ho avuto una settimana durissima di lavoro, sono due
giorni che non riesco a entrare nel personaggio e ripetiamo sempre le stesse
scene. Ieri sera ho avuto un crollo di nervi, non lo so nemmeno io perché. Non
avrei dovuto dirti tutte quelle cose, ne sono consapevole e non so nemmeno che
cosa mi sia preso. So che non è così facile smettere di farsi, e sono stato un
idiota». Scossi la testa e mi avvicinai a lei lentamente, questa volta però non
si scostò.
«Chi ti ha detto che io voglio smettere di farmi? Io sto bene così». Si vantò
come una bimba dopo una marachella.
Stava ritornando all’atteggiamento menefreghista dei primi giorni, eravamo
tornati indietro, nessun passo avanti, e tutto perché non avevo tenuto la bocca
chiusa il giorno prima.
«Aileen, per favore, sarai anche arrabbiata con me e hai ragione, ma non dire
queste cose». Mi avvicinai a lei e le sfiorai la mano; quando si accorse che mi
ero avvicinato così tanto si alzò di scatto in piedi come se improvvisamente si
fosse spaventata.
«Io dico quello che mi pare e piace. Non devo mica dire quello che vuoi
sentirti dire!». Rimase a guardarmi con uno sguardo di sfida e io decisi di
tentare il tutto e per tutto.
Più fredda di così non sarebbe potuta essere, se la mia idea avesse funzionato
sarebbe tornata a parlare con me come le sere precedenti.
«Fai così con tutti i clienti? Pensavo tu fossi qui per dire e fare quello che
vogliono». Mi accesi una sigaretta e la sentii camminare nervosamente su e giù
per la piccola stanza.
«Tu non sei un cliente» ammise e io trattenni a stento un moto di gioia.
«Come no? Ti pago e per un servizio che non fai. Sono più cliente degli altri»
ribattei, e lei si fermò davanti al palo della lap-dance, fissandomi perplessa.
«No. Un cliente viene qui per del sesso, per una scopata, per un pompino o un
bocchino. Tu non mi hai mai chiesto niente di tutto questo. Tu ti limiti solo a
parlare e a farmi domande». Scosse le mani come se stesse parlando da sola.
«Perché non lo voglio. Ma se li volessi tu saresti costretta a fare tutto
quello che ti chiedo. Quindi sono un cliente. Ho potere su di te». Aspirai una
nuova boccata di fumo mordendomi la lingua per paura di aver osato troppo con
l’ultima affermazione.
«Hai ragione, sei come tutti gli uomini. Un animale. Potere su di me. Potere su
di noi che siamo qui a lavorare per poter vivere. Io, io, io. Per voi ci siete
solo voi stessi. Nessuno pensa agli altri, in fin dei conti noi siamo solo
oggetti, no? Come possedere una bambola gonfiabile, come se fossimo sette
giorni su sette qui pronte per voi per soddisfare i vostri bisogni. È una cosa
che odio!». Sbuffò e si sedette a pochi centimetri da me.
Accesi una sigaretta e gliela porsi, feci finta di nulla quando mosse il capo
per ringraziarmi.
«Sì, voglio dire. Quanti anni sono che fai questa vita? Due? Tre? E ogni sera
sempre la stessa storia, no?». Se si fosse messa a parlare senza rendersene
conto avrei avuto la mia vittoria.
Più la facevo arrabbiare più raccontava di lei.
«Quattro e mezzo, cazzo. E ogni sera sempre la stessa storia. Non c’è nessuno
di diverso dagli altri. Ho sentito richieste che nemmeno credevo possibile. Un
peggio dell’altro. E da quello che ho sentito a me è anche andata bene perché
non ho il fisico di Sweet. Quando hai due tette come le sue le richieste
cambiano. Ci sono dei maiali in giro che sarebbero da rinchiudere in prigione e
poi gettare la chiave. E sono le persone che di giorno camminano in giacca e
cravatta per strada. Quelle che di notte vengono qui perché hanno le mogli
puritane che non gliela danno». Scosse la testa aspirando una nuova boccata di
fumo.
Se da una parte mi veniva da ridere per il modo in cui Aileen mi raccontava
quelle cose dall’altra mi preoccupavo seriamente.
Quattro anni e mezzo che frequentava quel mondo, da come ne parlava sembrava
che ne avesse sentite di tutti i colori.
«E Sweet? Lavora da tanto qui?». Feci il disinteressato approfittando subito
per farle un’altra domanda. Non volevo far passare troppo tempo, altrimenti si
sarebbe accorta di ciò che stava dicendo.
«Sì. Lei sono sette anni. Povera». Le dispiaceva per la sua amica, si vedeva
dal modo in cui il suo sguardo si era rabbuiato.
Sweet non mi sembrava tanto grande, forse aveva due o tre anni in più di
Aileen, ma non le avrei dato nemmeno venticinque anni, chissà quanti anni
poteva avere Aileen.
Forse però era chiedere troppo.
«Sette anni? Sono tanti! Praticamente quanto, un terzo della sua vita, non hai
detto che ha ventun’anni?». Mi calzava a pennello la parte del poliziotto
impegnato a far confessare un testimone: avrei potuto accettare un ruolo simile
in futuro, perché no.
«No, Sweet non ha ventuno anni! Ne ha ventitré già fatti!». Commentò, stupita
dal mio errore grossolano.
Due anni in più erano sempre troppo pochi.
Se Sweet aveva ventitré anni e lavorava in quel posto da sette, aveva
cominciato a sedici anni.
Scossi la testa quasi schifato.
Chi aveva il coraggio
di far lavorare come spogliarellista una ragazza di sedici anni?
Una persona malata, di sicuro, e il mondo ne era pieno, me lo aveva appena
detto Aileen.
«Ventitré, sembra più giovane. Anche tu sembri più giovane dei tuoi ventidue
però». Provai con una battuta sperando che le scappasse detta la sua età.
«Per forza». Ridacchiò e spense la sigaretta nel posacenere. «Ne ho…». Si bloccò
di colpo per guardarmi. «Perché mi stai facendo tutte queste domande?».
Cazzo.
Mi aveva scoperto.
Meglio fingere, in fin dei conti ero un attore, no?
«Che domande?». Spensi la sigaretta e la guardai facendo la faccia meravigliata.
«Sweet, io, quanti anni abbiamo, perché lavoriamo qui, perché mi fai queste
domande?». Si passò una mano tra i capelli castani e notai un buco sulla piega
del suo gomito, in corrispondenza della vena.
Si era fatta di recente.
«Era per parlare di qualcosa». Nascosi il mio reale interesse dietro un’alzata
di spalle.
«Be’, e perché devi fare tutte queste domande su di me? Perché non possiamo
parlare di te? Se non ti avessi visto in tv continuerei a pensare che sei un
poliziotto. Fai troppe domande per i miei gusti». Mi indicò e si sedette di
nuovo sul divano.
«Va bene, parliamo di me. Basta che non vendi le notizie ai giornalisti». Le
concessi e Aileen cominciò a ridere.
«Sei fissato con questa cosa dei giornalisti. Ma è così interessante la tua
vita che tutti vogliono sapere?». Sghignazzò e io la guardai stupito.
«Per me la mia vita non è interessante, sono gli altri che la vedono
interessante. Tutti credono che la mia vita sia entusiasmante o chissà cosa».
Mi accesi una nuova sigaretta e aspettai che lei mi tempestasse di domande.
«Quindi posso farti tutte le domande che voglio e tu mi risponderai?». Alzò un
sopracciglio con fare interrogativo e io annuii.
«Se non sono troppo private ti risponderò». La rassicurai.
«Hai la ragazza? Ovviamente no, altrimenti non saresti qui ogni sera». Si
rispose da sola.
«Perché questa domanda per prima? E in ogni caso no». L’unico passatempo a
tenermi occupato là dentro era fumare, avevo già fumato tre sigarette una
dietro l’altra.
«Non sapevo da dove cominciare. Quanti film hai fatto? ». Si sedette meglio nel
divanetto e mi guardò curiosa.
«Ne ho fatti 14, ma due devono ancora uscire». Aileen portò la sua mano alle
labbra per fumare e in quel momento mi accorsi dell’ora tarda.
«Allora ha ragione Sweet, potresti veramente comprare tutte noi». Sembrò quasi
divertita e stupita. «Ti sei mai innamorato di qualche attrice che ha lavorato
con te?». Sogghignò. Dannazione, era tardi veramente.
Se mi fossi trattenuto ancora con lei il giorno dopo non sarei stato in grado
di lavorare.
«Io ti risponderò un altro giorno. È tardissimo e devo andare. Mi spiace». Mi
alzai dal divanetto e Aileen guardò l’ora confusa.
«Ok, va bene». Annuì e spense la sigaretta alzandosi a sua volta.
«Tieni, per il tempo perso». Le misi tra le mani trenta dollari e lei mi
guardò, apparentemente sconvolta.
«Robert, non importa, non serve». Cercò di restituirmeli ma io le chiusi le
mani sui soldi.
«Tienili, se ha ragione Sweet questi non mi cambiano la vita, no?». Le sorrisi
e Aileen cominciò a ridere.
«Sì, forse hai ragione. Allora grazie». Sospirò e nascose i soldi nella piccola
borsa.
«Ci vediamo Aileen». Infilai sciarpa e cappello e aprii la porta.
«Ciao Robert». Sentii la sua voce prima di chiudere la porta e abbozzai una
smorfia contenta protetto dalla sciarpa.
Nonostante la sera prima avessi combinato un disastro ero riuscito a
recuperare; certo, quella sera non era cominciata nel migliore dei modi ma ero
riuscito a far capire ad Aileen che non avevo volontariamente alzato la voce
contro di lei.
Poi, cosa importante, ero sicuro che sarei riuscito a scoprire qualcosa in più
su di lei, bastava solo un po’ di arguzia nel porre le domande.
Sì, avrei scoperto quante più cose possibili su Aileen e a breve, ancora prima
di riuscire a tirarla fuori dal giro.
Salve ragazze!
Allora, intanto mi scuso per
le parole che ho usato in questo capitolo, credo di aver esagerato e me ne
scuso.
Poi, ringrazio tutte voi che
state leggendo, mi arrivano recensioni di nuove lettrici che mi dicono che la
storia è stata consigliata da amiche e questo non può che farmi piacere!
Ribadisco per l’ennesima
volta (lo so che state dicendo ‘e che barbaaa’) che non sono sicura di questa
storia ma l’unica sicurezza che ho sono le vostre recensioni.
Poi.
Aileen.
Lei è decisamente un’incognita.
Non so mai come reagisce e mi stupisco sempre quando lo fa.
Robert, credo sia il Rob più
normale di tutte le storie che ho scritto su di lui, forse in qualche modo
anche il più umano, il più vero e il meno romanzato. Spero che apprezziate
questa mancanza di fronzoli.
I prossimi due capitoli
saranno rivelatori e sveleranno un sacco di cose, poi, come alcune di voi sanno
perché l’ho detto nelle risposte alle recensioni, ci saranno i cinque capitoli
finali, i più difficili da scrivere per me.
Spero che ora che avete
cominciato questa avventura riuscirete a resistere fino alla fine per scoprire
come andrà a finire.
Vi ringrazio ancora per
leggere!
|
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Capitolo 8 *** Verità (Pt. 1) ***
1
AVVERTENZE:
questa FF ha contenuti forti, non prettamente sessuali ma per lo più riguardanti
droga e situazioni che possono ruotare attorno al lavoro della protagonista
(ballerina di lap dance in un locale per spogliarelliste). C’è una forte
presenza di parolacce.
Tuttavia il rating rimane
arancione perché credo che possa essere letta da tutti.
Nel caso qualcuno si sentisse
offeso o considerasse i contenuti non adatti a questo rating provvederò ad
alzarlo.
«STOP! Perfetta
ragazzi! Per oggi abbiamo finito! Complimenti a tutti!». Quando Bill pronunciò
quelle parole tirai un sospiro di sollievo.
Le riprese quel giorno erano volate.
Forse perché finalmente la sera prima ero riuscito a parlare con Aileen e a scoprire
qualcosa di più su di lei o forse perché quella notte ero riuscito a dormire un
sonno rilassato, girammo tutte le scene in uno o due ciack e ne terminammo
anche più del previsto.
Mi passai una mano sul viso stanco e mi alzai dal divano per andare a cambiarmi
e togliermi gli strati di fondotinta bianco.
«Robert, buon lavoro. Dico sul serio!». Bill si avvicinò a me e mi sorrise
sistemandosi meglio gli occhiali.
«Grazie. Spero sia uscito qualcosa di decente». Sorrisi stancamente e lo vidi
annuire prima di farmi un cenno di congedo.
Lo salutai e velocemente andai in camerino per cambiarmi.
Tornammo in albergo ma lasciai i ragazzi da soli e mangiai un cheeseburgher in
camera prima di cominciare a prepararmi per andare da Aileen.
Quella sera avrei dovuto scoprire qualcosa di lei, ci avevo pensato a lungo e
dopo innumerevoli riflessioni ero giunto alla conclusione che non sarebbe stato
giusto raccontarle tutto di me.
Un po’ per ciascuno, una domanda io e una domanda lei.
Nessuna bugia.
Nessuna domanda non risposta.
Avrebbe tranquillamente potuto funzionare.
Alle undici e mezza partii dall’albergo e, con sciarpa e cappello, mi diressi
all’Insomnia.
«Ciao, che cosa desideri?». Il ragazzo gentile mi sorrise e risposi ancora una
volta mascherando la voce.
«Privè con Candy». Continuai a fissarlo chiedendomi se avesse capito che ero lo
stesso delle sere precedenti visto che indossavo lo stesso cappello e la stessa
sciarpa da una settimana.
«Privè sette. Ci metterà un po’ per arrivare. Nome?». Domanda di procedura; la
sua mano era corsa a scrivere ‘Thomas’ ancora prima che le mie labbra si fossero
schiuse per cominciare a pronunciarlo.
«Thomas. Grazie». Mi diressi velocemente verso la porta del privè e quando me
la richiusi alle spalle tirai un sospiro di sollievo.
Mi avvicinai ai divanetti e dopo essermi seduto cominciai a fumare.
Un’ora, sette sigarette e quindici giri della stanza dopo, la porta si aprì ed
entrò Aileen.
«Ciao tesoro!». Si chiuse la porta alle spalle senza degnarmi di uno sguardo.
«Ciao Aileen». Aspirai una nuova boccata dalla sigaretta e lei si girò con un
sorriso forzato.
Occhi lucidi, leggermente assonnata, si reggeva in piedi a fatica.
Si era appena fatta una dose.
«Robert. Ancora qui dopo tutti questi giorni?» biascicò e si trascinò accanto a
me, sedendosi stancamente.
«Sì ancora qui. Ieri sera mi stavi facendo domande, no?». Mi mantenni distaccato
e serio, leggermente infastidito per il suo essere ancora sotto l’effetto della
droga.
«Ieri sera avevo tempo di parlare. Oggi no. È una giornata dura, sai? Uno dopo
l’altro. Mi sono presa un quarto d’ora di pausa prima di te perché non ce la
facevo più». Socchiuse gli occhi posando la testa sul divanetto.
«Hai fatto bene. Ora vedo che stai meglio» feci ironico e Aileen cominciò a ridere.
«Se avessi saputo che eri tu facevo a meno di fare pausa. Magari questa sera
era la volta buona che volevi una scopata, no? Se dici che ne vuoi una ce la
faccio, devi solo aspettare cinque minuti e torno più in forma di prima.
Comincia pure a spogliarti se vuoi. Spoglia anche me. Per il resto non
preoccuparti, penso a tutto io». Ridacchiò e si passò una mano sugli occhi.
«No grazie. Magari un’altra volta». Annuii e la sentii ridere.
«Comincio a pensare che tu abbia qualche tipo di disfunzione al tuo soldatino,
sai? Credo che non ti si alzi mai». Strusciò la mano sulla mia coscia e la
guardai serio.
«Non ho nessuna disfunzione, casomai ho rispetto, ed è diverso”» borbottai e i
suoi occhi si assottigliarono.
«Scusa, non volevo offenderti! Ma dovrei farti delle domande, giusto?». Si
passò le mani sul viso come se avesse voluto svegliarsi. «Vado un secondo in
bagno e appena torno sarò come nuova» sussurrò a pochi centimetri dalle mie
labbra e io rimasi immobile, rigido.
Appena si chiuse la porta del bagno alle spalle mi alzai arrabbiato.
«Porca puttana!». Tirai un calcio al divanetto talmente forte che sentii dolore
alle dita.
Chiusi gli occhi respirando profondamente tre volte per calmarmi; quando ci
riuscii mi risedetti, ignorando la sensazione di disagio.
Possibile che proprio quella sera Aileen avesse deciso di sballarsi prima di
venire da me?
Non volevo reagire in alcun modo, ma certo non avevo più voglia di parlare.
Non era nemmeno in grado di fare un discorso serio.
Cinque minuti dopo la porta del bagno si aprì e Aileen uscì con un sorriso
bellissimo.
«Scusami per prima. Ora sono apposto. Scusa anche per l’attesa, oggi sono stata
decisamente impegnata». Si sedette a fianco a me, rinata.
«Non fa niente» mentii e mi accesi un’altra sigaretta per nascondere il
nervosismo.
«Allora, a che domanda eravamo rimasti ieri sera?». Si appoggiò al divanetto e,
voltandosi verso di me, lanciò uno sguardo languido.
«Ti propongo qualcosa di nuovo» mormorai, continuando a fumare tranquillo.
«Mi dispiace, credo di sapere tutte le posizioni e anche le varianti. Vuoi
interrogarmi?». Portò la sua mano sul colletto della mia camicia e scese a
slacciare dall’asola il primo bottone.
«Aileen, per favore. Se questa sera non ti va di parlare dimmelo prima che me
ne vado. Smettila di tentare di sedurmi, hai capito?» sibilai tra i denti
cercando di mantenere la concentrazione.
«Hai ragione, scusami». Sembrava divertita, ma ritirò le mani e si sedette
composta. «Che cosa vuoi propormi?». Ammiccò verso di me per poi tornare subito
dopo seria.
«Non è giusto che tu faccia un sacco di domande a me. Tu ne fai una a me e io
ne faccio una a te». La guardai per avere conferma che avesse capito.
«Vorresti fare il gioco di verità o penitenza? Ti eccita questo?». Fece
scivolare la sua mano dal seno all’ombelico.
«Sai che cosa ti dico Aileen? Che puoi andare a scopare altri ragazzi. Buon
divertimento». Spensi arrabbiato la sigaretta nel posacenere e mi alzai
indossando cappellino e sciarpa.
Mi avvicinai alla porta e feci per spalancarla, quando qualcosa mi toccò il
braccio.
«Aspetta Robert. Scusami». Mortificata strinse la mia camicia più forte, lo
sguardo triste. «È solo che…non sono ancora lucida totalmente e non ce la
faccio a rimanere seria. Non andartene». Scosse la testa e il mio cuore si
infiammò.
Mi aveva appena
chiesto di rimanere.
«D’accordo». Annuii e la seguii avvicinandomi al divanetto.
«Quindi è il gioco di verità o penitenza?». Prese la cosa con più serietà
evitando di fare smorfie maliziose e ammiccanti.
«No, è il gioco di verità e basta. Tu mi fai una domanda e io ti rispondo
sincero e poi il contrario». Accesi l’ennesima sigaretta e gliene porsi una
perché facesse lo stesso.
«E come faccio a sapere che non imbrogli?». Aspirò la prima boccata di fumo,
dubbiosa.
«Io non imbroglio se tu non imbrogli. È più probabile che imbrogli tu» replicai
e la guardai sogghignare.
«Hai ragione. Be’, domande non troppo personali ovviamente». Si difese, ancora
poco propensa a confidarsi.
«Ovviamente. Puoi partire tu». Lasciai a lei la prima domanda per permetterle
di abituarsi alla nuova situazione.
«D’accordo. Vediamo…». Portò un dito sul mento pensierosa. «Oh, ci sono! A
quanti anni hai fatto sesso la prima volta? ». Sorrise, felice di aver trovato
una domanda.
«Non avevi detto niente domande personali?». Aggrottai la fronte interrogativo
e mi guardò meravigliata.
«Non è una domanda personale! È solo una domanda». Aspirò una boccata di fumo.
«Non l’ho mai fatto. Tu, a quanti anni hai fatto sesso?». La vidi trattenere
una risatina.
«Fammi capire, sei vergine?». Cominciò a ridere tenendo la sigaretta distante
dal suo corpo per non sporcarsi con la cenere.
«Stai utilizzando una seconda domanda Aileen!». La ammonii e d’un tratto smise
di ridere.
«No! Ehi! Non vale! Non hai risposto alla mia domanda! Non risponderò alla tua
finché non mi dirai se sei vergine!». Ridacchiò ancora e io sospirai,
esasperato.
Delle volte Aileen non riusciva davvero a capire quello che pensavo.
«Ho risposto alla tua domanda, ti ho detto che non ho mai fatto sesso». Sottolineai
l’ultima parola dandole la risposta ma non sembrò cogliere il senso. «Quindi,
non posso rispondere all’altra domanda perché tu mi hai detto che non era una
domanda. Tocca a te». La indicai e la vidi incrociare le braccia arrabbiata.
«Non vale. Devo sprecare una domanda». Rimase imbronciata per qualche secondo e
poi parlò. «A dodici. Ora dimmi, sei veramente vergine?». Si sistemò meglio sul
divanetto per guardarmi.
Dodici anni.
Aileen era decisamente cresciuta velocemente.
«No, non sono vergine. Ti ho solo detto che non ho mai fatto sesso».
Aspirai una boccata di fumo e la vidi corrugare le sopracciglia confusa. «Cazzo
Aileen. Ho sempre fatto l’amore, ok?». Sbuffai e lei spalancò gli occhi
sorpresa.
«Ma scusa, tu stai imbrogliando! È la stessa cosa. Cazzo se imbrogli così non è
giusto!» gridò furiosa.
«Allora sii più specifica con le domande. Tocca a me». Mi fermai un attimo per
pensarci ma poi ricordai le sue parole. «E in ogni caso sesso e amore non sono
la stessa cosa. Quanti anni hai?» chiesi diretto, sperando che non cominciasse
a lamentarsi.
«No, sono domande personali». Si rifiutò di rispondere.
«L’età in cui ho fatto sesso per la prima volta non è personale ma gli anni sì.
No Aileen, non regge come scusa». Roteò gli occhi inquieta.
«Cambia domanda». Spense la sigaretta, arrabbiata, e capii che non sarei
riuscito a farle dire nulla.
«Solo per questa volta. Ti ho concesso un bonus. Da quanti anni conosci Sweet?».
Almeno sarei stato in grado di capire qualcosa di più su di lei.
«Quattro anni e mezzo». La conosceva da quando aveva cominciato a lavorare nel
locale, quindi. «Quante ragazze ti sei scopato? Oh, scusa! Volevo dire con
quante hai fatto l’amore». Sbatté gli occhi come a volermi prendere in giro.
«Un numero maggiore di due e minore di dieci. Sweet l’hai conosciuta prima o
dopo di cominciare a lavorare qui?». Ormai stava perdendo veramente la calma.
«La smetti di rispondere alle domande vagamente? Non voglio sprecare un’altra
domanda per chiederti il numero esatto! Prima, comunque». Sbottò con un bel
broncio infastidito. «È vero che sai suonare?». Mi guardò curiosa.
«Sì, il piano e la chitarra. È stata Sweet che ti ha costretto a lavorare qui?».
I nostri occhi erano incatenati, nessuno dei due aveva intenzione di abbassare
lo sguardo.
«Costretto? Nessuno mi costringe a fare niente, tranne i clienti. Lei mi ha
detto che c’era un posto libero qui e avevo bisogno di soldi. Tutto qui. Ti
piace di più recitare o suonare?». Rimase seria e si scostò distrattamente una ciocca
di capelli dietro l’orecchio.
«Dipende dall’umore. Di solito suonare, ma capita anche che mi piaccia di più
recitare». Cominciai a scervellarmi per trovare una nuova domanda per scoprire
qualcosa su di lei. «Dove lavoravi prima di lavorare qui?». Sprecare una
domanda per chiederle se avesse lavorato prima in qualche altro posto mi sembrò
inutile.
«Al bar qui di fianco. Facevo la cameriera. Non pagano bene, che tu ci creda o
no». Rise senza nessuna traccia d’ilarità e socchiuse gli occhi pensierosa. «Ti
piacerebbe tornare in Inghilterra». Sembrava interessata a conoscermi, come io
lei. Grazie alla sua domanda mi venne in mente la mia successiva.
«Ogni tanto sì. Mi manca. Ti mancano i tuoi genitori?». Non staccai gli occhi
da lei per vedere la sua reazione.
«Troppo personale. Mi dispiace». Avevo appena toccato un tasto dolente.
«Non hai più bonus, non mi hai detto quanti anni hai e quindi sei obbligata a
rispondere». Timoroso, ma deciso, non le diedi scampo e Aileen digrignò i denti
prima di rispondermi.
«Come fa a mancarti una cosa che non hai mai avuto? Come fa a mancarti una
madre che ti abbandona un mese dopo la tua nascita perché a tredici anni non
crede di essere pronta per diventare mamma? Come fa a mancarti un uomo che
quando arriva a casa ubriaco continua a dirti che sei la donna più bella che
abbia mai visto e vuole scoparti ogni stramaledettissima sera? Come fanno a
mancarti le sue schifose mani che ti toccano le tette quando le senti tutti i
giorni perché ci sono dei maiali che vogliono scoparti solo per un maledetto
orgasmo?». Le nocche della sua mano diventarono bianche per lo sforzo del pugno
chiuso.
Ero riuscito a sbloccarla.
La fissai immobile e sconvolto per quella rivelazione.
Che cosa bisognava dire in questi casi?
«Avanti, forza. Sto aspettando il ‘mi dispiace, non lo sapevo’. Dai, fammi
sentire ancora di più una merda. Non aspetto altro. Forza! Parla!». Cercò di
spingermi via, appoggiandomi le mani sul petto; strinse la mandibola e
trattenne le lacrime.
«Tocca a te. Devi farmi la domanda tu». Non lasciai trasparire alcuna emozione
di fronte a quella rivelazione.
«Non dire cazzate. Avanti, dimmi quello che pensi. Dimmi che ti faccio pena,
dimmi che ti faccio schifo, dimmi quel cazzo che vuoi ma di’ qualcosa». La sua
voce si era fatta stridula e disperata, i suoi occhi altrettanto persi.
«Non ho niente da dire. Avanti, fammi la tua domanda». Stavo recitando
perfettamente la parte del disinteressato.
«Perché ogni sera vieni qui?». Si immobilizzò aspettando una risposta.
Eccola, la domanda che più di tutte temevo era arrivata.
Non potevo mentire e non volevo dirle la verità.
Un casino nel quale mi ero cacciato da solo.
Salve ragazze! :)
Allora, questo capitolo è
stato un po’ difficile da scrivere per me.
Avevo paura di esagerare, di
far dire ad Aileen delle cose di troppo o di farle dire troppo poco.
Ho interrotto la
chiacchierata perché nel prossimo capitolo continuerà; ne ho già scritto quasi
metà del prossimo proprio perché non mi sono fermata qui.
So che vi ho interrotto in
una domanda che magari poteva essere interessante, ma mi serviva la partenza
giusta per il prossimo capitolo.
La storia di Aileen, spero
che non sia ‘troppo’ e che non abbia rovinato la storia.
So che magari dentro ci sono
alcuni cliché, ma in qualche modo ci doveva essere qualcosa di sbagliato
all’inizio per portare Aileen a questa vita.
Nel prossimo capitolo si
continuerà con questo gioco di ‘verità’ e posso assicurarvi che Robert sarà
messo in difficoltà! :)
Spero che il capitolo vi sia
piaciuto! Alla prossima settimana!
Un bacio.
|
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Capitolo 9 *** Verità (Pt. 2) ***
1
AVVERTENZE:
questa FF ha contenuti forti, non prettamente sessuali ma per lo più riguardanti
droga e situazioni che possono ruotare attorno al lavoro della protagonista
(ballerina di lap dance in un locale per spogliarelliste). C’è una forte
presenza di parolacce.
Tuttavia il rating rimane
arancione perché credo che possa essere letta da tutti.
Nel caso qualcuno si sentisse
offeso o considerasse i contenuti non adatti a questo rating provvederò ad
alzarlo.
Sospirai, leggermente
agitato, in cerca di una risposta che non riuscì ad arrivare.
«Io… non lo so sinceramente. Perché mi piace venire qui». Mi passai una mano
tra i capelli confuso.
Difficile dare una spiegazione diversa dalla verità.
Andavo ogni sera lì perché volevo salvarla, non andavo lì perché mi piaceva il
posto.
«Wow, ti piace qui. Hai proprio dei bei gusti, lasciatelo dire» disse ironica e
io lasciai cadere l’argomento.
«A quanti anni sei scappata di casa?». Stavo nascondendo le mie reali emozioni,
ero scosso, ma non volevo darle a vedere quanto tenessi a lei.
«Sei bravo a capire le persone, no? Ti racconto un pezzo di storia e tu capisci
subito che sono scappata di casa. Devo dire la verità, giusto?». Sì, io volevo
solo la verità perciò annuii. «A tredici». Finalmente abbassò lo sguardo e
dentro di me cominciai a contare.
Doveva avere minimo diciassette anni; il giorno prima mi aveva detto che ne
aveva meno di ventidue, quindi avevo un range di cinque anni.
«Tocca di nuovo a te». Le cose non stavano andando male, si stava aprendo.
«Quanti anni hai?» bisbigliò sovrappensiero «Sweet dice che non si ricorda
quanti anni hai».
«Ventiquattro. Ora mi dici quanti anni hai o non è ancora il momento?». Non
volevo forzarla, però la curiosità aveva preso il sopravvento.
«No. Qualsiasi altra domanda ma non chiedermi quanti anni ho». Sembrava avere
paura. «Non voglio risponderti adesso».
«Perché tieni così tanto a Sweet? Che cos’ha lei in più delle altre che
lavorano qui?». Questa domanda mi aveva stuzzicato molto nella settimana
precedente.
Parlava sempre di Sweet e le altre ragazze non venivano quasi mai nominate. Che
differenza c’era tra Sweet e le altre?
«Sweet è Sweet. Kelsey è la mia migliore amica. Senza di lei sarebbe dura. Con
lei mi confido, ci conosciamo da tanto e facendo lo stesso lavoro sappiamo
quello che succede e ci capiamo al volo. Vivo con lei, io. Lei mi ha aiutato
all’inizio, mi ha dato delle dritte e ancora oggi continua a farlo. Non sarei
qui ora se non fosse per Kel». Giocherellò con una piega della gonna e tenne lo
sguardo basso. «Mi scoperesti?» chiese alzando di colpo il viso per guardarmi
dritto negli occhi.
«Utilizzo il mio bonus». Tentai di non battere ciglio.
Non volevo rispondere a quella domanda, non me l’ero mai fatta e non avevo
intenzione di pormela.
Non mi interessava quello che provavo o non provavo per Aileen.
Non volevo saperlo perché io ero lì solo per salvarla.
«Andiamo, se è no non mi arrabbio, se è sì, posso rimediare». Tentò ancora di
sedurmi ma io fui irremovibile.
«Ti ho detto che non rispondo». Mi passai una mano tra i capelli e Aileen
sbuffò, contrariata.
«Ma perché non vuoi rispondere a questa domanda? Non ha niente che non va».
Tamburellò con le dita sul divanetto e mi persi a guardarla muoversi.
«Non voglio rispondere e basta. Tu non vuoi dirmi quanti anni hai e io non
voglio rispondere a questa domanda. Avanti, fammene un’altra». Sembrò accettare
finalmente il mio rifiuto.
«Ok, allora… hai mai fatto sesso con un uomo? Questa sono curiosa di sentirla!».
Ghignò divertita.
«In verità no, in un film sì». La vidi mordicchiarsi le labbra e cercare di
trattenere una risata.
«Wow. Che schifo!». Arricciò il naso schifata e mi fece ridere.
«Da quanti anni ti droghi?». Quando sentì quella domanda sbuffò e si prese una
sigaretta dal mio pacchetto accendendosela.
«Che palle, le tue domande sono monotone! Da quattro anni. Ti piace di più
baciare una donna o un uomo?». Ma che domanda era? Mi faceva intenerire quel
suo lato infantile.
Non riusciva a capire che mi stava dicendo più di quanto volesse dirmi; era
troppo interessata alle domande che voleva fare tanto che nemmeno si accorgeva
di quello che le chiedevo.
«Che domande! Una donna!». Ovvio per me, come poteva pensare il contrario?
«Be’, poteva essere anche il contrario o essere qualcosa di indifferente!». Si
giustificò e io la guardai storto.
«No. Decisamente no. Che cosa volevi dire prima che se non fosse per Kelsey non
saresti qui? ». La guardai confuso e lei sbuffò.
«Quando sono scappata di casa avevo bisogno di soldi. Ho cominciato a lavorare
nel bar qui di fianco ma non mi pagavano a sufficienza per permettermi un
appartamento. Un mese dopo Kel mi ha trovato a dormire fuori di qui e mi ha
svegliata dicendomi che a casa sua c’era un posto libero. Ho cominciato a
vivere con lei e alcuni mesi dopo ho cominciato a lavorare qui». Gesticolò e io
rimasi pietrificato.
Più o meno Aileen aveva diciassette anni e mezzo.
Secondo la legge era ancora minorenne e non avrebbe dovuto né lavorare né bere.
«Visto che non vuoi dirmi se vorresti o no scoparmi, scoperesti con Kel?». Mi
sorrise aspettando una risposta e si girò la sigaretta tra le labbra.
«Partendo dal fatto che ti ho già detto che non amo la parola ‘scopare’, non
l’ho nemmeno mai vista bene. Non lo so, è una cosa mentale più che fisica». Pensai
a un modo che potesse farle capire quello che io chiamavo amore.
«Cioè tu non senti mai il bisogno di scopare? Che discorsi sono? Tutti ne
sentono il bisogno, una scopata ogni tanto è salutare!». Le pareva così assurdo
che io potessi fare l’amore e non sesso.
«Aileen, quando uno è innamorato non pensa solo a scopare, come dici tu. È
tutto legato, è difficile da spiegare per me». Sospirai quasi arrendendomi.
«Quante storie. Non è difficile, andiamo. Trovi una persona che scopa meglio di
altre e decidi che quella può bastarti per tutta la vita, non c’è niente di
romantico in questo. Si tratta solo di abilità o di dimensioni» ghignò e la
guardai serio.
«No, non è così. Forse non lo capisci perché sei troppo giovane, non so…».
Aspirai una boccata di fumo e Aileen mi tirò un pugno sul braccio.
«Ehi! Non sono così giovane, tra pochi mesi compierò diciotto anni!». Quando
finì la frase si portò una mano davanti alla bocca stupita e rossa in viso.
La fissai, sorpreso quanto lei per il fatto che le fosse scappata la sua età.
Non avevo assolutamente detto quella frase per sapere quanti anni avesse, era
solo una constatazione.
«Bene, perfetto direi! Così ora sai anche che sono minorenne. Lucas mi ucciderà
quando saprà che ho detto a un cliente di essere minorenne!». Spense la
sigaretta arrabbiata disintegrando il filtro nel portacenere.
«Non lo dirò a nessuno. Non parlo con nessuno, tranquilla». La rassicurai e
rimasi a guardarla.
«Lo spero, altrimenti sono in guai seri». Era chiaro che da quell’informazione
dipendeva la sua vita. «Non mi ricordo più chi doveva fare la domanda, con
questo discorso della fantomatica differenza tra sesso e amore ho perso il
filo!» commentò nervosa e io provai un moto protettivo nei suoi confronti.
«Vai pure tu con la prossima domanda, sono un cavaliere, prima le donne». Le
concessi, lasciandole la possibilità di rivalsa.
«Allora ci devo pensare bene…vediamo…». Si portò l’indice sotto il mento
pensierosa.
«Candy, ci sono tre che aspettano, dovresti muoverti». Qualcuno parlò dietro la
porta e sussultai spaventato.
«Ok, due minuti e arrivo. Grazie» urlò e si alzò sbuffando.
«Be’ Robert, il lavoro chiama!». Detto questo guardammo l’ora.
Le due e mezza.
Quando era passato tutto quel tempo?
«Io, quanto devo darti? 100 $?». La guardai distrattamente tirando fuori il
portafogli dalla tasca dei pantaloni.
«No, lascia stare, non voglio niente». I suoi occhi caddero sul mio
portafoglio. Forse si chiedeva quanto ci fosse all’interno.
Le avevo fatto perdere clienti, dovevo ripagarla per quello.
Allungai ottanta dollari e insistei per farglieli prendere.
«Grazie. Davvero» ringraziò in modo molto franco e sincero e, dopo essersi
messa i soldi in tasca, uscì di gran fretta richiudendosi la porta alle spalle.
Sospirai strofinandomi il viso e indossai sciarpa e cappello prima di uscire;
all’aria aperta respirai riempiendomi i polmoni.
Due passi dopo qualcosa vibrò nella mia tasca.
Quando guardai chi fosse sullo schermo del cellulare rimasi per qualche secondo
interdetto.
Perché mi stava chiamando?
«Pronto?». Risposi a bassa voce, nonostante non ci fosse praticamente nessuno
in giro preferii essere cauto.
«Ciao Rob! Come va?». Tom, e dal tono di voce sembrava piuttosto divertito.
«Sono le due e mezza passate qui. Perché mi hai chiamato? Sai che c’è il fuso
orario!» borbottai attraversando un incrocio e lo sentii ridere.
«Ma siccome ti conosco ero sicuro di trovarti sveglio. Allora come va con la
spogliarellista?». Tom era così, senza peli sulla lingua.
Caratteristica che spesso non sopportavo, accadde anche in quel momento.
«Smettila» bisbigliai scontroso e lo sentii sbuffare.
«Perché vuoi mentirmi? Lo so che sei andato da lei. Ti conosco, non puoi
mentire a me. Ho capito che vuoi tirarla fuori da lì e vuoi ripulirla ma voglio
sapere il perché. Ti piace?». Si fece insistente.
«Non lo so Tom, è tardi e forse è giunto il momento che io spenga il telefono e
dorma». Attraversai una strada senza guardare e una macchina suonò il clacson
per rimproverare la mia negligenza.
«E naturalmente tu dormi per strada? Non prendermi per il culo». Si innervosì e
io guardai il cielo, chiedendomi perché proprio a me e in quel momento. Dannata
automobile.
«Non lo so se mi piace e non voglio nemmeno saperlo, ok? Perché deve per forza
esserci un secondo fine al mio volerla salvare?». Cominciai a sbraitare fuori
dall’albergo e mi beccai un’occhiataccia da parte del portiere.
«Io non ho bisogno di questa risposta, so perché lo fai, ti conosco e so che se
ti metti in testa qualcosa sei disposto a tutto pur di arrivare alla fine.
Volevo sapere una cosa ma l’ho già capita. Per me puoi anche tornare a dormire
o a fare quello che già stavi facendo. Mi basta solo sapere se tornerai per Natale».
Il suo tono si era fatto distaccato e indifferente, questo perché lo avevo
profondamente urtato col mio modo di fare. Da quando lo conoscevo ogni volta
che discutevamo succedeva questo.
«Sì, torno per Natale e mi fermo anche per capodanno. A capodanno ci sarà anche
Kris». Non sentii bene cosa blaterò dall’altra parte, ma sembrava una protesta
a giudicare dal modo in cui grugniva.
«Perché non porti la spogliarellista? Perché porti Kris?» piagnucolò; se lo
avessi avuto davanti probabilmente gli avrei tirato un pugno.
Sapevo quanto teneva a Kris, la reputava una buona amica, e la stupida
curiosità che aveva manifestato fin dal primo giorno per Aileen mi disturbava,
peggio, mi faceva imbestialire.
«Smettila Tom, dacci un taglio. La situazione non è rose e fiori e sai che Kris
è una mia amica. Sai che tengo a lei e che l’idea di passare l’anno con le
persone a cui tengo di più mi piace». Gli ricordai, camminando su e giù per il
parcheggio dell’hotel.
«Che vuol dire che la situazione non è rose e fiori? È più grave di quel che
sembra?». Tornò serio e socchiusi gli occhi sconvolto al pensiero di Aileen da
sola e costretta agli abusi del padre.
«Sì. Molto più grave». Tentai di fargli capire che non avevo altro da
aggiungere.
«Ok, mi racconterai in un altro momento allora. Ti lascio perché devo andare a
lavorare». Era tutto soddisfatto per essere riuscito a strapparmi quella
confidenza.
«Ok, ci sentiamo presto. Salutami gli altri, mi raccomando!» borbottai facendo
un gesto del capo al portiere ed entrai nella hall deserta dell’albergo.
Entrai in ascensore e, pensieroso, schiacciai il pulsante del mio piano; quando,
alcuni minuti dopo, le porte si aprirono per farmi uscire, fui sorpreso di
sentire una risatina conosciuta poco distante da me.
«Rob? Che ci fai qui?». Ash e Jack erano in corridoio, impegnati ad
abbracciarsi.
«Io… io non riuscivo a dormire e sono andato a fare una camminata, sì». Cercai
di non dare adito a possibili pensieri strani, ma non erano così stupidi da
cadere in un tranello così banale. Le loro espressioni si fecero perplesse.
«Ah, be’ allora buonanotte». Ringraziai mentalmente Jack e il suo modo di fare.
Incredibile quanto Ash e Jack fossero riservati e non chiedessero mai nulla in
più di quello che si diceva.
«Grazie, buonanotte anche a voi». Li salutai con un cenno del capo e mi chiusi
la porta della mia stanza alle spalle.
Mi appoggiai al legno duro e chiusi gli occhi respirando lentamente.
Mi ero decisamente cacciato in un guaio più grande di me.
Aileen era una ragazza minorenne che aveva subito abusi dal padre, era scappata
di casa a tredici anni, aveva lavorato come barista e ora era una
spogliarellista e si drogava.
Era eroinomane e poteva contare solo su una ragazza che aveva una manciata di
anni in più di lei.
Era un guaio grosso e io avevo preteso di poterla salvare senza avere nessun
aiuto esterno.
Quella stessa sera si era presentata sotto l’effetto dell’eroina e aveva
tentato più volte di sedurmi dicendo poi che l’aveva fatto solo perché ancora
drogata.
Ma come potevo anche solo pensare di salvarla se lei non si faceva aiutare?
Salve ragazze!
Ed è finita anche la seconda
parte, chiamiamola così, di questa storia.
Ora ci sarà la terza parte,
quella conclusiva, gli ultimi cinque capitoli che saranno un disastro per me da
scrivere.
Forse questo capitolo è stato
un po’ confusionario, forse non si capisce molto il comportamento di Rob e ne
sono consapevole.
Una sola domanda, il capitolo
scorso vi ha fatto schifo?
Perché le recensioni calano
sempre di più e non so se sia perché non vi piace più la storia o perché vi
siete stancate.
Spero che questo capitolo vi
sia piaciuto.
Alla prossima settimana!
|
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Capitolo 10 *** Salvami ***
1
AVVERTENZE:
questa FF ha contenuti forti, non prettamente sessuali ma per lo più riguardanti
droga e situazioni che possono ruotare attorno al lavoro della protagonista
(ballerina di lap dance in un locale per spogliarelliste). C’è una forte
presenza di parolacce.
Tuttavia il rating rimane
arancione perché credo che possa essere letta da tutti.
Nel caso qualcuno si sentisse
offeso o considerasse i contenuti non adatti a questo rating provvederò ad
alzarlo.
Quella mattina mi
svegliai stanco e assonnato.
Forse perché tutte le informazioni che avevo ricevuto la sera prima da Aileen
mi avevano dato da pensare durante la notte lasciandomi insonne o forse perché
ero tornato a casa troppo tardi e non avevo dormito a sufficienza.
Mi feci una doccia per tentare di rilassarmi e svegliarmi e quando uscii mi
accorsi che tutto il bagno era avvolto nel vapore.
Amavo l’acqua calda, mi faceva pensare e mi schiariva le idee.
Quella volta però nemmeno questo riuscì a farmi giungere a una conclusione.
Che cosa avrei dovuto fare con Aileen?
Lasciarla stare e non andare più al locale era ormai da vigliacchi, ero troppo coinvolto
per tirarmi fuori lasciandola lì da sola.
Cercare di aiutarla senza avere il suo consenso era una missione kamikaze.
L’unica cosa sensata da fare era insistere fino a quando non si fosse decisa a
farsi aiutare.
Purtroppo però sembrava che ci volesse molto tempo.
Non avevo tempo.
Sarei rimasto a Baton Rouge fino a febbraio, altri due mesi, troppo pochi per
far entrare in testa ad Aileen che le serviva aiuto e che la vita non andava
vissuta in quel modo.
Scesi a fare colazione ritrovandomi nella stanza riservata al cast con Jack e
Ash che mi fissavano sorridendomi.
Li salutai con un cenno del capo prima di riempirmi una tazza di caffè e
cominciare a berlo.
In pochi minuti ci raggiunsero anche gli altri e mi ritrovai circondato da
tutte persone che in qualche modo si potevano definire amici.
«Ciao Rob!». Kristen sorrise e la salutai con un cenno del capo coprendomi il
viso con la tazza di caffè.
Di mattina non avevo molta voglia di parlare, quel giorno poi non sarei
riuscito a parlare nemmeno nel tardo pomeriggio, troppo concentrato com’ero a
trovare una soluzione al casino nel quale mi ero cacciato con le mie stesse
mani.
«Va tutto bene? Sono un paio di settimane che ti vedo distaccato» chiese
cercando di instaurare una conversazione civile, ma in quel momento mi fece
arrabbiare ancora di più.
Era una mia amica, le volevo bene, amavo scherzare con lei e amavo le battutine
che ci scambiavamo, ma non mi poteva aiutare.
Meno di tutti poteva aiutarmi lei che aveva praticamente due anni in più di
Aileen.
«Sì, ho solo alcuni problemi personali». Le risposi, cercando comunque di
essere gentile.
«Se vuoi parlare di qualcosa, anche di ragazze sai che sono qui». Avvicinò la
sedia al tavolo come se avessi dovuto farle una confessione da liceo.
«Non c’è nulla da dire Kris, scusami ma non è giornata». Mi alzai in piedi e
cominciai a camminare in giro per la sala sentendo gli sguardi di tutti
addosso.
«Ragazzi abbiamo due notizie, una buona e una cattiva». Bill si avvicinò a noi
sorridendo e io lo fissai seccato.
Che cosa c’era di sbagliato in quel giorno?
Era cominciato male e si prospettava con un finale peggiore.
«Allora, il materiale di ieri è ottimo e come sapete ci siamo portati avanti
nella tabella di marcia». Quella immaginai fosse la notizia bella. Ora mancava
quella brutta. «Forse in verità per voi sono due notizie belle. A causa del
temporale che si abbatterà oggi in città non riusciremo a fare le riprese
all’aperto e quindi per oggi non si lavora. Non possiamo fare le riprese in
studio perché devono arrivare gli ultimi arredi. Siete liberi per oggi».
Sorrise e sentii gli altri cominciare a scherzare e ridere.
Lentamente le sue parole vennero assorbite dalla mia mente che le assimilò come
una notizia bellissima.
Un giorno intero per
dormire.
Un giorno per recuperare il sonno perso e un giorno senza dover fingere di
essere un vampiro preoccupato.
Sorrisi assieme agli altri quando Bill si congedò da noi e dalla felicità
mangiai una ciambella.
Rimasi assieme agli altri il tempo di bere una nuova tazza di caffè e poi mi
scusai e andai in camera.
Non chiusi nemmeno le tende visto che i nuvoloni neri non facevano filtrare il
sole, indossai una maglietta a maniche corte grigia e un paio di pantaloncini
neri, e mi infilai sotto alle coperte per dormire.
Cinque minuti dopo sprofondai in un sonno profondo e ristoratore.
Sentii improvvisamente un rumore e mi girai nel letto.
Non riuscii a capire se fosse stato un rumore reale o se fosse stato frutto
della mia immaginazione e appartenesse al sogno che stavo facendo.
Grugnii e mi girai supino scostando le coperte dal viso quando mi resi conto
che il rumore era reale.
Mi strofinai il viso con la mano destra e guardai il mio cellulare che segnava
le 15.50.
Avevo dormito per più di sei ore.
Mi alzai barcollando e andai verso la fonte di quel baccano che mi aveva
svegliato.
Chi stava bussando insistentemente alla porta della mia camera?
Pensavo di essere stato chiaro con i ragazzi, mi sarei riposato e non volevo
essere disturbato.
«Arrivo!» gracchiai con la voce roca per il sonno e inciampai nelle mie scarpe
di fianco al letto.
Con tre grandi passi raggiunsi la porta e mi sistemai la maglia prima di
aprirla.
Quando focalizzai chi c’era davanti a me rimasi immobile per svariati secondi.
Che cosa ci faceva lei, totalmente fradicia di pioggia e con gli occhi
arrossati, davanti a me?
Che cosa ci faceva lei, con quel borsone mezzo vuoto e grondante
d’acqua, lì?
Che cosa ci faceva lei, con le lacrime che le rigavano il volto, proprio
davanti alla mia camera d’albergo?
«Aileen, che cosa succede?». La guardai preoccupato e mi scostai per farla
entrare ma non si mosse di un millimetro continuando a guardarmi.
«Io, io… io non so dove andare, non ho nessuno. Non ho più una casa, mi hanno
vietato di tornarci e tu sei l’unica persona che conosco e di cui mi fido»
sussurrò abbassando lo sguardo e una lacrima, o una goccia di pioggia, le corse
lungo la guancia.
Frastornato perché non riuscivo a capire quello che mi aveva appena detto
circondai le sue spalle con un mio braccio e la feci entrare richiudendo la
porta dietro di noi.
«Aileen, che cosa succede?». Tremava per il freddo come un pulcino bagnato.
Rimase in silenzio e io cominciai a preoccuparmi seriamente. «Aileen, ti prego,
mi stai facendo preoccupare». Feci un passo verso di lei e dopo averle
sollevato il viso per guardarla negli occhi la vidi distogliere lo sguardo.
«È, è morta». I suoi occhi si riempirono di lacrime e un brivido corse lungo
tutta la mia schiena; intuivo già quello che il mio cervello cercava di non
accettare.
«Chi? Chi è morta Aileen?». Tentai
ancora di incontrare il suo sguardo, aveva gli occhi rossi e gonfi di pianto,
dolore e qualcos’altro.
«Kelsey, Kel è morta. L’hanno violentata gli spacciatori perché era in ritardo
con i pagamenti. Non è riuscita a pagare la sua parte e io non avevo abbastanza
soldi per aiutarla. Loro… loro l’hanno violentata e poi l’hanno uccisa. A casa
nostra. Quelli dell’emergenza hanno attribuito la morte a un’overdose ma non è
così. Lei stava attenta a queste cose, aveva paura. Sono stati loro». Due grosse
lacrime scesero lungo le sue guance e arrivarono al suo mento mentre veniva
scossa da un nuovo brivido di freddo perché era troppo bagnata a causa della
pioggia.
«Oh Aileen, mi dispiace!». La abbracciai di slancio e sentii il suo borsone
cadere a terra.
Sentii le sue dita stringersi alla mia maglia e il suo corpo venne scosso da
continui singhiozzi di pianto.
La lasciai piangere continuando ad accarezzarle la schiena, quando alzò di
scatto il viso e il suo sguardo si perse nel mio.
«Ti prego, aiutami. Ho paura, non voglio morire. Salvami, ti prego. Salvami».
Strinse di più le mani sulla mia maglietta e io sgranai gli occhi per quello
che avevo appena sentito.
Automaticamente mi sentii invadere da un calore che si irradiò lungo tutto il
mio corpo e strinsi Aileen più forte.
Volevo farle capire che c’ero.
Volevo farle capire che non l’avrei abbandonata per nessuna ragione al mondo.
«Ti salverò, te lo prometto». Socchiusi gli occhi stringendola più forte a me e
la sentii tremare di nuovo.
Doveva assolutamente scaldarsi o avrebbe rischiato di stare male.
«Aileen, devi farti un bagno caldo altrimenti ti prenderai l’influenza. Vieni?».
Feci un passo indietro sciogliendomi dall’abbraccio che avevo mantenuto per
minuti e rimase a piangere con il viso basso senza degnarmi di una risposta. «Aileen?».
Tentai di scuoterla, di farle alzare il viso, ma le sue iridi era puntate sul
pavimento e non volevano saperne di guardare altro.
Rimase così, lo sguardo vacuo, assente, e io sospettai che fosse l’effetto
dell’eroina.
Le presi una mano tra le mie e la condussi fino al bagno, riempii la vasca
d’acqua e ci aggiunsi anche del sapone mentre la stanza si riempiva di vapore.
Aileen continuò a non parlarmi e a non muoversi nemmeno quando chiusi l’acqua
perché avevo riempito la vasca.
«Aileen, devi farti un bagno» dissi a bassa voce avvicinandomi a lei che
continuava a guardare la vasca come se non esistessi.
Non smetteva di piangere silenziosamente, senza muoversi, era chiaro che fosse
scioccata.
«Aileen, ce la fai? Devi farti un bagno». Le toccai una spalla e lei sobbalzò,
evidentemente non stava ascoltando ciò che le dicevo, persa nei suoi pensieri.
Ora mi guardava, spaesata, e parve accorgersi della mia presenza.
Socchiusi gli occhi incapace di vederla soffrire in quel modo e feci un respiro
profondo.
«Aileen, ascoltami, non voglio farti del male, ok? Voglio solo aiutarti per
fare il bagno». Era straziante vederla in quelle condizioni, mi faceva male,
volevo aiutarla a ogni costo.
Annuì, lentamente, come se le mie parole fossero arrivate a lei minuti dopo.
Con un passo mi avvicinai e le spostai i capelli bagnati e gocciolanti dietro
la schiena.
La vidi tremare per il freddo e presi coraggio, più aspettavo più aveva
probabilità di ammalarsi.
Sollevai il top nero che indossava e Aileen alzò le braccia per lasciarselo sfilare,
non cercò nemmeno di coprirsi il seno con le braccia quando mi accorsi che era
senza reggiseno; portò le mani lungo i fianchi e continuò a fissare un punto
del bagno piangendo.
Mi abbassai e portai le mani a slacciare l’asola degli short che indossava,
glieli abbassai e Aileen non alzò nemmeno i piedi per permettermi di
toglierglieli totalmente.
Mi alzai ancora e la fissai ma non sembrò accorgersi di nulla, vidi solo i suoi
pugni stringersi e una nuova ondata di lacrime scendere sulle sue guance.
Portai le mie mani sull’elastico del suo perizoma e abbassai anche quello fino
alle caviglie, i piedi di Aileen però rimasero appoggiati al pavimento.
Mi alzai lentamente e non riuscii a non percorrere con lo sguardo quel piccolo
e magro corpo contornato da botte e succhiotti.
Le macchie erano visibili sui seni e sotto l’ombelico.
Quanti l’avevano vista nuda?
Quanti avevano abusato di lei e del suo corpo come se fosse stata un oggetto?
«Aileen?». La chiamai ancora ma non si mosse. Passai un pollice sulla guancia
per toglierle una lacrima ma fu come se non mi fossi mosso. «Non avere paura,
ti metto solo dentro alla vasca». Lentamente passai un braccio dietro alle sue
ginocchia e l’altro sotto le sue braccia e la distesi dentro alla vasca.
Quando sentì il suo corpo immerso nell’acqua calda rabbrividì e si strinse le
braccia al petto ma non spostò lo sguardo perso nel vuoto. Potevo lasciarla da sola?
Non riuscivo a capire perché avesse reagito così solo ora, probabilmente si era
resa conto dell’accaduto dopo averne parlato ad alta voce con me.
Presi il miscelatore e lo aprii lasciando scorrere l’acqua calda sopra la sua
testa e sulla sua schiena per scaldarla.
Improvvisamente però, mi resi conto che oltre al freddo esterno Aileen provava
freddo dentro.
L’unica persona di cui si fosse veramente fidata era stata uccisa e non aveva
nemmeno più una casa dove andare.
Lasciai che Aileen rimanesse sotto al getto continuo d’acqua fino a quando non
la vidi smettere di tremare e poi guardai i suoi vestiti zuppi per terra.
Non poteva indossare quelli.
Mi ricordai del borsone che si era portata dietro e chiusi l’acqua prima di
alzarmi.
Aileen si girò leggermente verso di me e io cercai di sorriderle.
«Torno subito, vado a prenderti qualcosa di asciutto». Le scostai con una
carezza i capelli dal viso e velocemente mi avviai verso il suo borsone in
camera.
Quando lo aprii mi accorsi che c’erano pochi vestiti, tutti bagnati e quasi
tutti erano completi intimi.
C’era solo una maglia, completamente zuppa.
Cominciai a frugare per trovare qualcosa di asciutto e mi imbattei in una
busta.
Quando capii che cos’era la strinsi tra le dita arrabbiato.
Perché non si era liberata della droga?
Era stata lei a dirmi che Kelsey era morta per quello, perché aveva una busta
con dell’eroina con lei?
Presi un perizoma a caso e mi avvicinai all’armadio con le mie magliette per
prenderne una da far indossare ad Aileen.
Le serviva qualcosa di asciutto e di caldo.
Con la mia maglietta e il suo intimo tra le mani tornai in bagno e la trovai
ferma nella stessa posizione.
«Forza, è ora di uscire». Le circondai un gomito con la mano e la spinsi ad
alzarsi, sostenendola; Aileen si lasciò alzare e rimase immobile dentro alla
vasca.
Ormai ero anche io tutto bagnato perché quando mi aveva abbracciato i suoi
vestiti avevano inzuppato i miei.
La sollevai senza sforzo e la posai a terra, sopra il tappeto, fuori dalla
vasca.
Presi un telo per asciugarla e glielo arrotolai attorno alle spalle.
La vidi tremare e sfregai le mie mani più volte lungo le sue braccia e la sua
schiena per asciugarla.
Aspettai qualche minuto e poi tentai di farla muovere.
«Aileen?». La chiamai ma non volle saperne di ascoltarmi, non si muoveva, lo
sguardo sempre basso.
Iniziai a spaventarmi; uno shock poteva essere fatale, avrei forse fatto meglio
a portarla all’ospedale?
«Aileen, devi rivestirti. Andiamo». La voce bassa, tentai di non spaventarla
ulteriormente, ma il viso di Aileen rimase assente, gli occhi fissi nel vuoto.
Presi il perizoma e lentamente le alzai un piede e poi l’altro per farglielo
indossare; mi alzai di nuovo e le strofinai il telo sulla schiena e sulle
braccia e, quando glielo tolsi, la vidi rabbrividire per qualche istante.
Arrotolai la maglia tra le dita e gliela infilai, poi, sempre attento, le feci
passare le braccia dentro le maniche.
Quando finii di sistemarle la maglia mi accorsi che i lunghi capelli castani
erano bagnati e avevano lasciato qualche traccia sulla t-shirt.
Arrotolai l’asciugamano intorno a quella massa castana bagnata e cominciai a
tamponarle con forza i capelli.
In quell’albergo a cinque stelle non c’era nemmeno il phon in tutte le camere e
andare a chiederlo alle ragazze sarebbe stato fuori luogo, non l’avrei chiesto
nemmeno ad Ash.
Appena i capelli si fecero umidi, dopo la mia bella strofinata, mi scostai e
notai le guance di Aileen solcate dalle lacrime.
«Aileen, andiamo. Devi riposare». Le spostai una ciocca di capelli dal viso e
la vidi alzare gli occhi per guardarmi.
Tentai di sorriderle ma dopo pochi secondi quel ghiaccio diventò liquido per le
nuove lacrime che le riempirono gli occhi.
Fece un passo verso di me e si aggrappò alla mia maglia ormai bagnata scoppiando
nuovamente a piangere.
Le accarezzai la nuca e la schiena tentando di calmarla, ci riuscii solo alcuni
minuti dopo.
«Andiamo, devi dormire un po’». Mi abbassai e la presi in braccio senza sentire
resistenza; tornai in camera e con un piede urtai il borsone di Aileen.
Questo mi ricordò che aveva ancora la droga con lei.
La distesi sul letto e le rimboccai le coperte. Quando feci per allontanarmi
mosse una mano e mi circondò il polso.
«Rimani qui per favore». Fu solo un sussurro roco ma mi fece gelare il sangue
nelle vene.
Aileen aveva bisogno di me.
«Arrivo subito, faccio una cosa e arrivo». Le accarezzai la mano prima di
allontanarmi e mi chinai sul suo borsone per prendere la busta di droga.
Andai in bagno e buttai tutta la droga dentro al water tirando poi lo
sciacquone per far sparire tutto.
Gettai le siringhe dentro al cestino e mi lavai le mani per tre volte con il
sapone prima di ritornare in camera e trovare Aileen ancora nella stessa
posizione con gli occhi aperti.
Le sorrisi quando si spostò nel letto affinché la raggiungessi, mi tolsi la
maglia bagnata e mi stesi di fianco a lei sotto alle coperte.
Appena mi sistemai Aileen appoggiò il viso sul mio petto e sentii subito
qualcosa di caldo scorrere dalla sua guancia su di me.
Stava piangendo di nuovo.
«Va tutto bene Aileen». Le sfiorai una guancia e baciai il capo proprio mentre
un altro singhiozzo spaventato la scuoteva.
«Ti prego, non mi lasciare anche tu» sussurrò stringendo la sua mano nella mia
e io socchiusi gli occhi incapace di rispondere.
Alt!
Ferme prima che partano le
fanfare e gli squilli di tromba!
Ricordo che Aileen è una
ragazza che ha dipendenza dalla droga, vorrei quindi far capire che mancano
ancora alcuni capitoli alla fine e questa di certo non è la fine, succederanno
un sacco di cose, anzi, colgo l’occasione per scusarmi anticipatamente di
quello che scriverò nel prossimo capitolo visto che userò un linguaggio molto
più forte di quello che ho usato fino ad ora.
La scena di Aileen che arriva in albergo da Robert l'ho scritta circa due mesi
fa, mi sono commossa quando l'ho scritta e mi sono commossa quando l'ho
riletta, spero di essere riuscita a farvi provare qualcosa!
Inutile dire che mi farebbe
piacere sapere che cosa ne pensate di questo capitolo! :)
Spero vi sia piaciuto! :)
Un bacio!
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Capitolo 11 *** Risveglio ***
1
AVVERTENZE:
questa FF ha contenuti forti, non prettamente sessuali ma per lo più riguardanti
droga e situazioni che possono ruotare attorno al lavoro della protagonista
(ballerina di lap dance in un locale per spogliarelliste). C’è una forte
presenza di parolacce.
Tuttavia il rating rimane
arancione perché credo che possa essere letta da tutti.
Nel caso qualcuno si sentisse
offeso o considerasse i contenuti non adatti a questo rating provvederò ad
alzarlo.
Mi svegliai
all’improvviso con i brividi di freddo.
Capii di essere raggomitolato in posizione fetale su un lato e mi chiesi come
mai.
Di solito non dormivo in quel modo.
Qualcosa si risvegliò nella mia mente di colpo e mi ricordai che Aileen doveva
essere di fianco a me.
Mi girai lentamente e tirai un sospiro di sollievo quando mi accorsi che c’era davvero
qualcuno di fianco a me nel grande letto bianco.
Con lentezza mi tirai a sedere e rimasi a guardare il viso di Aileen mentre
dormiva.
Si vedeva che era piccola, si vedeva che era giovane.
Guardarla dormire, tranquilla e senza nessuna maschera addosso la fece apparire
ancora più piccola.
Ancora più fragile.
Nonostante tutto, non sembrava felice nemmeno nel sonno, ogni tanto aggrottava
la fronte come se qualcosa l’avesse turbata anche lì.
La maglia che le avevo fatto indossare il pomeriggio prima si era arricciata e
le copriva a malapena il seno che non si vedeva perché stava dormendo a pancia
in giù; aveva arrotolato tutte le lenzuola tra i suoi piedi, e il perizoma
copriva lo stretto indispensabile.
Improvvisamente si raggomitolò su se stessa come se un brivido di freddo
l’avesse scossa.
Mi alzai dal letto e la coprii con il lenzuolo dopo averlo sbrogliato
dall’intreccio con le sue gambe; fortunatamente sembrò continuare a dormire
senza pensare di svegliarsi.
Chissà da quanto tempo non si risposava davvero.
Guardai il mio telefono e mi accorsi che erano le nove di mattina.
Aileen dormiva da più di quindici ore.
L’avevo vista prendere sonno tra le lacrime ed ero riuscito ad addormentarmi
solamente qualche ora dopo.
Senza far troppo rumore presi una maglia a caso e me la infilai prima di andare
in bagno per schiarirmi le idee con una doccia.
Dovevo assolutamente far portare una colazione, chissà da quanti giorni Aileen
non mangiava qualcosa di decente, poi dovevo parlarle a proposito della droga.
Doveva disintossicarsi, non c’era altro da fare.
Dopo essere uscito dalla doccia ed essermi asciugato, chiamai il servizio in
camera e ordinai tutto quello che avevano, in fin dei conti non sapevo quello
che poteva piacere ad Aileen.
Attesi il cameriere sulla porta senza farlo bussare per non svegliare Aileen e
gli diedi una lauta mancia che lo fece sorridere di gratitudine; lo liquidai
velocemente e mi richiusi la porta alle spalle.
«Aileen?». Mi sedetti di fianco a lei sul letto e le toccai una spalla
dolcemente per svegliarla.
Si girò di colpo sul letto e si coprì con il lenzuolo. Questo mi fece ridere e
scossi la testa divertito.
Mi rividi in lei anni prima, quando mamma cercava di svegliarmi per andare a
scuola.
«Aileen andiamo. Devi fare colazione» continuai a sussurrarlo teneramente e la
sentii sbuffare.
«Lasciami dormire! Vattene!». La voce, ancora roca per il sonno, aveva un
volume abbastanza alto.
«Aileen, andiamo. Non fare la bambina» dissi punzecchiandola, cercando di
alleggerire l’atmosfera per non farle ricordare quello che era accaduto il
giorno prima.
«Vaffanculo. Lasciami stare!». Si alzò a sedere di scatto strappandosi il
lenzuolo di dosso e cominciò a respirare pesantemente.
«Va bene, non serve arrabbiarsi». Mi
alzai, dandole le spalle, e mi accostai al carrello della colazione.
«Robert, scusami io… pensi che qualcuno mi abbia seguita?». Si alzò anche lei
raggiungendomi e parlò sottovoce.
La guardai stupito e sospirai.
«Io non lo so. Perché?». Le domandai, mentre, angosciata, si grattava un polso.
«Io non so perché, magari qualcuno mi ha seguita e adesso vuole farmi del male,
non lo so». Era nervosa. La sua mano si grattava l’avambraccio, su e giù,
lasciando dei segni rossi sulla pelle.
«Aileen, tranquilla. Ci sono qui io». Mi avvicinai con un sorriso per
tranquillizzarla e mi accorsi che la sua fronte era imperlata di sudore. «Aileen,
ti senti bene?». Le appoggiai una mano sulla spalla e sussultò spaventata prima
di ritrarsi di colpo.
«Io devo andare in bagno». Vagò con lo sguardo per la stanza fino a trovare il
suo borsone, lo prese in mano velocemente e sparì dentro al bagno.
Rimasi immobile e confuso in mezzo alla stanza fino a quando non sentii la
porta del bagno chiudersi.
Forse era entrata in una specie di shock post-traumatico e non si rendeva conto
di quello che faceva.
«Dove cazzo l’hai messa?». La porta del bagno si aprì di colpo con un tonfo
sordo e ne uscì una Aileen furiosa.
«Di che cosa parli?». La guardai stupito non riuscendo a capire le sue parole.
«Non fare l’idiota! Dove cazzo hai messo la mia roba?». Indicò il suo borsone,
ma io assunsi un’espressione innocente e ignara.
«Ho solo preso gli slip che ti ho messo addosso». Allargai le braccia e negai
con la testa.
«DOVE CAZZO HAI MESSO LA MIA DROGA?». Si accostò a me, urlando a pochi
centimetri dal mio viso, scossa.
«Ah». Inutile continuare, se n’era accorta.
Non riuscii ad articolare una risposta coerente quando mi accorsi che aveva la
fronte imperlata di sudore.
«Rispondimi porca puttana. Dove l’hai messa?». Mi spintonò ma riuscì solo a
spostarmi di un passo.
«Io l’ho gettata via» sussurrai e la vidi immobilizzarsi.
«Non dire cazzate». Si strusciò la mano sotto al naso che aveva cominciato a
colare.
«Non ti sto mentendo». Non riuscivo a muovermi a causa della tensione.
«Porca puttana, dimmi dove hai messo la mia roba!». Mi diede uno schiaffo sul
viso e poi si passò la mano sulla fronte per cercare di togliere un po’ di
sudore.
«Aileen, calmati per favore». Mi avvicinai a lei, ignorando il dolore alla
guancia e le presi una mano tra le mie.
«Calmati un cazzo. Dove hai messo la mia roba?». Divincolò velocemente la sua
mano dalla mia e la tristezza mi bruciò nel petto.
«Te l’ho detto. L’ho buttata via. Ho gettato anche le siringhe». Feci un cenno
verso il bagno e lei si girò di scatto prima di correre dentro.
«Vaffanculo!» urlò dal bagno prima di ritornare verso di me con due siringhe
chiuse in una mano. «Non puoi aver gettato tutta quell’eroina! NO!» gridò così
forte che si sentì l’eco nella stanza.
«Aileen, abbassa la voce». Allungai una mano per farla calmare ma indietreggiò
per non farsi toccare.
«Dimmi dove cazzo hai messo la mia roba o ti pianto queste negli occhi». Portò
le siringhe a pochi centimetri dal mio viso e la fissai preoccupato.
«Aileen, per favore». Inghiottii involontariamente un po’ di saliva.
«Per favore un cazzo! Tu non capisci! IO HO BISOGNO DI QUELLA ROBA!» continuava
a urlare, posseduta da un demone invisibile.
«No, tu non hai bisogno di niente. Non ti serve. Me l’hai detto tu ieri sera
che volevi che ti aiutassi. Lo sto facendo». Aggrottai la fronte e la osservai
gettare le siringhe per terra di colpo prima di asciugarsi di nuovo la fronte.
«Aiutarmi un cazzo! Non voglio il tuo aiuto! Voglio la mia droga!». Cominciò a
camminare per la stanza e io tentai ancora di accostarmi a lei. Provai a
sfiorarle un braccio. «LASCIAMI CAZZO! NON MI TOCCARE O TI DENUNCIO!». Si gettò
sul letto raggomitolandosi in un angolo.
«Aileen, hai bisogno di aiuto, me l’hai chiesto tu, ricordi?». Cercai di farla
ragionare ma scosse la testa energicamente.
«NO! Non ricordo un cazzo! Ieri sera sono venuta qui strafatta e non so nemmeno
che cosa ti ho detto. Ho bisogno della mia roba! NON POSSO STARE SENZA!». Si
alzò di scatto e mi raggiunse di nuovo.
«Hai bisogno di aiuto Aileen». Mi avvicinai ma si spostò ancora per riportare
una distanza tra noi due.
«HO BISOGNO DELLA MIA ROBA!» strillò disperata prima di essere attraversata da
un brivido.
«Aileen io non ho droga qui. Dobbiamo portarti in ospedale, lì ti aiuteranno». Sembrava
fuori di sé, ormai senza controllo.
«NON voglio essere aiutata, ok? Non so nemmeno perché sono venuta qui! Da uno
stronzo che vuole scoparmi ma non ci riesce perché non gli si drizza!». Tossì e
io la ascoltai, allibito. «Vaffanculo, ok? Tu e tutti i tuoi fottuti soldi! Mi
hai inculato la droga e te ne sei fottuto di tutto quello che avrei potuto
pensare». Si gettò di nuovo sul letto e strinse a sé il cuscino.
«Smettila di dire che voglio scoparti, ok? Perché ora mi girano i coglioni e ne
ho le palle piene». Alzai leggermente la voce stanco di quel suo ripetere
sempre le stesse cose.
«Non è vero? Non vuoi scoparmi? Andiamo! Dimostralo! Fammi vedere che cosa sai
fare!». Si alzò la maglia e si tolse velocemente il perizoma rimanendo nuda
davanti a me.
«Smettila». Mi avvicinai per prendere la maglia da per terra per ridargliela ma
Aileen mi venne addosso e intrufolò le sue mani sotto alla mia maglia.
«Andiamo! Fammi vedere che non vuoi scoparmi! Fammi vedere che non riesco a
eccitarti nemmeno un po’!» gridò di nuovo desistendo dal togliermi la maglia e
infilando le sue mani dentro all’elastico dei miei pantaloni per tirarmeli giù.
«Smettila» sibilai e le bloccai le mani.
«No! Perché se io non ti eccito non mi ecciti nemmeno tu! Cosa credi? Credi che
io pensi a te mentre scopo gli altri? Pensi che io faccia pompini immaginandomi
che sei tu? Sei fuori strada! Tu e il tuo uccello potete anche andare a fanculo
per quanto mi riguarda!». Tentò di divincolarsi mentre due lacrime solcavano il
suo viso.
«Smettila ok? Smettila di pensare solo ai pompini, a scopare e a lavorare di
mano! Smettila porca puttana tutta la tua vita si basa sul sesso e sulla tua
fica! Cresci Aileen! Capisci che la vita non è solo questo!» urlai esasperato e
lei si bloccò non opponendo resistenza alle mie mani chiuse sui suoi polsi.
«Vaffanculo. Scusami se io faccio questa merda di lavoro per vivere! Scusami se
non ho un sacco di soldi e vivo in un hotel di lusso! Scusami se per vivere
devo usare il mio corpo! VAFFANCULO! Mi hai gettato tutta la roba e ora NON
POSSO FARCELA!». Mi tirò un pugno dritto sulla bocca dello stomaco e gemetti
per il dolore.
«Calmati e non urlare, puoi farcela a stare senza…». Non terminai nemmeno la
frase che la vidi cadere a terra scossa da un brivido, come se avesse avuto
freddo.
«No! Non posso farcela senza. Non voglio andare in crisi. Ho bisogno». Si
rialzò a fatica e fu scossa da un nuovo fremito.
«Andiamo. Ti porto in ospedale». Cercai di afferrarle di nuovo il polso, ma lei
si scostò come se io scottassi.
«Non mi toccare! Ti ho detto NON MI TOCCARE! Non voglio che tu mi tocchi!».
Tornò a raggomitolarsi sul letto coprendosi con il lenzuolo mentre si asciugava
di nuovo il naso che colava e la fronte intrisa di sudore.
«Aileen, andiamo». Cercai di calmarmi dopo la sfuriata che avevamo avuto.
«NO!» strillò circondandosi le ginocchia con le braccia e diventando piccola
piccola.
«Aileen mi dispiace, non sapevo che tu potessi stare così male». Mi scusai e, dopo
un gemito, si portò la mano sullo stomaco socchiudendo gli occhi.
«Io devo…». Non terminò nemmeno la frase che vomitò sopra il letto.
Corsi veloce verso di lei sollevandola di colpo per portarla in bagno quando
con un secondo conato di vomito sporcò tutto il pavimento di fianco al letto.
Arrivai ad appoggiarla di fianco alla tazza del water un attimo prima che un
terzo conato di vomito la stremasse.
Le portai i capelli dietro la schiena e posai una mano sulla sua fronte per
toglierle un po’ di sudore quando un quarto conato non le fece vomitare più
nulla.
«Stai bene?». Quando si voltò verso di me, dopo che ebbi tirato lo sciacquone, guardai
in quelle iridi ghiacciate circondate da occhi rossi.
«No» borbottò quasi senza voce e sentii un nodo in gola.
Era colpa mia, se non le avessi gettato la droga probabilmente sarebbe andato
tutto bene.
Sentii qualcuno bussare alla porta e fissai Aileen.
«Rimani qui, torno subito. Non ti muovere». Camminai veloce verso la porta
della camera e mi accorsi che c’era vomito ovunque e che i miei pantaloni erano
in mezzo alla stanza, non feci a tempo a indossarli perché bussarono di nuovo e
con più insistenza.
«Sì?». Aprii la porta solo per controllare chi fosse, e mi trovai davanti l’ultima
persona che avrei voluto vedere in quel momento.
«Rob va tutto bene? Eri tu che urlavi? Ho sentito delle urla dalla camera di
fianco e non sapevo se andava tutto bene». Cercò di sbirciare dentro alla
stanza ma chiusi di più la porta cercando di non farle vedere che ero in
mutande.
«Certo Kris. Va tutto benissimo. Ora scusami, sono un po’ occupato». Tentai di
sorriderle quando chiusi la porta senza aspettare nemmeno una sua risposta.
Indossai i pantaloni prima di tornare in bagno e spalancai gli occhi sorpreso
lanciandomi su Aileen che era distesa per terra.
«Aileen? Aileen mi senti?». Le presi il viso tra le mani e percepii un gemito
basso. «Aileen, andiamo». La sollevai da terra prendendola in braccio e sentii
un nuovo gemito.
La portai in camera e la abbandonai sopra a una grande poltrona di fianco al
letto; tolsi velocemente le lenzuola sporche e le appallottolai per terra, dopo
aver messo una coperta al posto delle lenzuola spostai Aileen sul letto e la sentii
gemere ancora prima di portarsi le braccia allo stomaco di nuovo.
«Così non va» mormorai passandomi una mano tra i capelli frustrato.
Aveva bisogno di aiuto.
Avevamo bisogno di aiuto.
Da sola non poteva farcela.
Da solo non potevo farcela.
Da soli non potevamo farcela.
Senza nemmeno rendermene conto mi ritrovai davanti a una porta a bussare
insistentemente.
Quando la porta si aprì non salutai nemmeno.
«Ho bisogno di aiuto».
MI SCUSO ANCORA PER LA VOLGARITA' DI QUESTO CAPITOLO.
Ragazze, prima di tutto mi
scuso per il linguaggio che ho usato.
Credo che dovrò alzare il
rating a rosso, ma non ne sono sicura.
Poi, questo capitolo è stato
impegnativo da scrivere per me, non lo nego.
Forse perché mancano
veramente pochi capitoli alla fine (2 al massimo 3, più di quattro di sicuro
no, devo vedere) o forse perché ho cercato di rendere la scena più vera
possibile (ho spulciato più di cinque siti per leggere gli effetti
dell’astinenza e le ore che ci mettevano per cominciare), fatto stà che
veramente è stato un parto.
Ammetto che pensavo di vedere
un aumento di recensioni nello scorso capitolo, forse perché c’era il colpo di
scena… però vorrei veramente sapere che cosa ne pensate di questo capitolo, non
sto scherzando.
Spero di non avervi sconvolte
troppo!
Un bacio!
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Capitolo 12 *** Casino ***
1
AVVERTENZE:
questa FF ha contenuti forti, non prettamente sessuali ma per lo più riguardanti
droga e situazioni che possono ruotare attorno al lavoro della protagonista
(ballerina di lap dance in un locale per spogliarelliste). C’è una forte
presenza di parolacce.
Tuttavia il rating rimane
arancione perché credo che possa essere letta da tutti.
Nel caso qualcuno si sentisse
offeso o considerasse i contenuti non adatti a questo rating provvederò ad
alzarlo.
Due paia di occhi si
posarono su di me e io mi passai le mani tra i capelli nervoso.
«Rob, che succede?». Mi chiese Jack agitato e si spostò dalla porta per farmi
entrare.
«Io ho combinato un casino. Mi sono cacciato in un casino da solo e ora non so
più come uscirne. Ho bisogno di aiuto, capite?». Fissai Jack e Kellan
spalancando le palpebre: stavo piangendo.
«Rob, calmati. Che cosa succede?». Jack cercava di calmarmi e portò la sua mano
sulla mia spalla ancora senza maglia.
«Dovete venire nella mia stanza, ma vi prego, non pensate male fino a che non
vi avrò spiegato tutto, va bene?». Mi schiarii la voce fissandoli e li vidi
annuire entrambi.
Uscimmo di fretta dalla stanza e persino Ashley e Nikki si affacciarono per
sbirciare, ma Kell fece loro segno di rientrare.
Appoggiai la mano sulla maniglia della mia camera e sospirai per prendere
coraggio.
Che cosa avrebbero potuto pensare una volta vista Aileen?
Che cosa avrebbero pensato di lei?
Che cosa avrebbero pensato di me?
Quando aprii la porta e guardai dentro alla mia camera mi accorsi che era molto
peggio di quello che avevo visto prima.
C’era una chiazza di vomito sul pavimento, il letto sfatto e vuoto, le lenzuola
appallottolate sul pavimento e Aileen nuda stesa per terra in bagno.
Sgranai gli occhi e corsi verso di lei di colpo.
«Aileen!». L’avevo lasciata sul letto.
Quando fui abbastanza vicino da riconoscere il suo sguardo mi gelai.
«Robert» bisbigliò con un sospiro estasiato. «Io mi sono ricordata che c’era
dell’altra droga e non ho resistito. Sei arrabbiato?». Mi sorrise socchiudendo
gli occhi e, dopo aver preso un asciugamano, le tolsi la siringa dal braccio.
«Va tutto bene?». Le accarezzai il viso scostandole i capelli sudati dalle
guance.
«Molto meglio. Si sta bene qui, sai? Ma tu sei arrabbiato?». Mi chiese ancora,
rabbrividendo al contatto con il pavimento.
«Un po’». Tentai di utilizzare un tono leggero cercando di non farle vedere che
in verità ero infuriato per quel gesto.
«Ma mi perdonerai, vero? Perché ho solo te e…». Cominciò ad agitarsi e io
tornai ad accarezzarle la guancia.
«Ne parliamo dopo. Riposati ora». Si abbandonò contro di me e chiuse gli occhi
con un sorriso.
«Robert, che succede?». La voce di Jackson parlò dalla porta e alzai di colpo
il viso spaventato perché mi ero dimenticato di loro.
Portai lo sguardo di nuovo su Aileen e mi ricordai che era nuda, dovevo
assolutamente vestirla.
La presi in braccio e la sollevai per riportarla in camera non degnandoli di
una risposta.
La posai sul letto e le infilai il perizoma che aveva lanciato per terra e con
un po’ di fatica anche la maglia.
La sentii sospirare di piacere e la coprii con la coperta che avevo steso
minuti prima; inevitabilmente dovevo affrontarli, li avevo supplicati di non
trarre conclusioni e soprattutto avevo chiesto aiuto.
Avevo ancora bisogno di aiuto.
Avevamo ancora bisogno di aiuto.
Mi girai lentamente con lo sguardo basso e fissai i loro piedi.
«Che conclusioni avete tratto?». Lentamente passai da un volto all’altro.
«Non lo so, non ne ho assolutamente idea». Jack scosse la testa stupito e
preoccupato.
«Nemmeno io». Gli
occhi di Kellan, di solito scherzosi e sempre pronti a prendersi gioco di tutto
e di tutti erano preoccupati, c’era solo una piccola scintilla di curiosità che
ricordava a chi appartenevano.
«Immagino di dovervi una spiegazione prima di chiedervi se siete disposti a
darmi il vostro aiuto, però forse è meglio se ci sediamo». Guardai le tre
poltrone dall’altra parte della camera e, dopo un loro gesto di assenso, ci
avvicinammo per sederci.
«Chi è lei?». Mi chiese Jackson.
«Forse è meglio se parto dall’inizio, magari capite più cose». Mi passai una
mano tra i capelli e mi schiarii la voce per farmi coraggio da solo. «La sera
che c’era Tom vi ricordate che dovevamo uscire tutti per una birra e poi non
siamo più andati perché tu eri in tournèe e tu non volevi venire». Indicai
prima Jackson e poi Kellan e li vidi annuire entrambi. «Ecco, eravamo usciti
solo io e Tom, ricordate?». Annuirono di nuovo senza interrompermi e continuai.
«Tom è andato via a piedi perché il suo albergo era lì vicino, io però volevo
aspettare un taxi. Era tardi e non ne passavano, sono rimasto fuori dal pub per
tanto tempo, talmente tanto che Aileen» le lanciai un’occhiata «e le altre
avevano finito il turno nel locale di fianco. Aileen lavora in uno strip club
in centro, fa anche la prostituta. Mi ha chiesto un accendino ma non le ho dato
peso, ho annuito senza nemmeno guardarla e gliel’ho dato. Quando mi sono
accorto che voleva farsi una dose gliel’ho tolto dalle mani e velocemente si è
diretta verso un gruppo di uomini che le hanno prestato l’accendino ma volevano
abusare di lei. Sono riuscito a farli scappare, ma lei era svenuta sul
marciapiede e non rispondeva, aveva un labbro rotto e le sue amiche erano andate
via. Non potevo lasciarla lì, capite?». Li fissai cercando comprensione, non
volevo che mi reputassero un pazzo.
«E allora che hai fatto?». Kellan mi fissò curioso di sapere come ero giunto a
quel punto.
«L’ho portata in albergo qui, che cosa dovevo fare? L’ho guardata dormire tutta
la notte e quando si è svegliata mi ha aggredito dicendomi che potevo lasciarla
lì, sul marciapiede. Poi mi ha detto che se fossi andato al locale avrei avuto
uno sconto se avessi chiesto di lei. Ci sono andato. Ma non per fare sesso.
Volevo solo sapere come stava, se le facesse male da qualche parte, capite?».
Li guardai di nuovo e li vidi annuire, Jackson era concentrato aspettando il
momento di svolta. «Ci sono andato ogni sera, da quel giorno. Non ho mai voluto
sesso, non ho mai voluto nulla. Mi bastava sapere che stesse bene, abbiamo
cominciato a parlare e si è confidata con me due giorni fa. Ho scoperto che la
mamma l’ha abbandonata quando aveva pochi mesi e che il padre ha abusato di lei».
Mi fermai per schiarirmi la voce e vidi Kellan stringere i pugni.
«Che figlio di puttana». Scosse la testa e mi guardò per farmi continuare.
«Mi ha detto che è scappata di casa a tredici anni e che ha incontrato Kelsey,
una sua amica spogliarellista, pochi mesi dopo. Ha detto che Kelsey l’ha
salvata, se non fosse per lei ora non sarebbe viva». Sorrisi tristemente al
ricordo di Kelsey. «Ieri pomeriggio si è presentata alla mia porta con un
borsone mezzo vuoto e fradicia di pioggia. Degli spacciatori hanno ucciso
Kelsey e l’hanno violentata. Era sconvolta, che cosa dovevo fare?». Allargai le
braccia come se fosse stata una domanda retorica.
«Che cosa hai fatto?». Jackson mi fissò pensieroso e continuai.
«L’ho fatta entrare, mi ha raccontato quello che le è successo e poi non ha più
parlato, continuando a piangere. Le ho fatto un bagno caldo e l’ho messa a
letto per farla riposare. Non ha nessuno, capite? Ha solo me. Quando questa
mattina si è svegliata penso dovesse farsi una dose, si fa di eroina, ma io
ieri sera gliel’ho gettata tutta, almeno così credevo». Spostammo tutti e tre
lo sguardo verso Aileen ancora addormentata.
«È andata in astinenza?» chiese Kellan sconvolto guardando il pavimento sporco
di vomito.
«Io credo di sì, stava male, tanto male. Mi ha urlato contro, poi ha cominciato
a essere scossa da brividi e alla fine ha vomitato. Sono venuto da voi per
chiedervi aiuto perché non sapevo che fare, ma quando siamo tornati aveva
trovato della droga e quindi quando si sveglierà starà bene». Tentai di
rilassarmi, rassegnato, e mi passai la mano tra i capelli.
«Che cosa vuoi fare con lei?». Jackson la osservò e io sospirai.
«Aiutarla, ovvio. Ma come posso farla smettere di drogarsi? Lei non lo vuole». Mi
guardavano entrambi con una certa apprensione negli occhi.
«Robert, se lei non vuole smettere di drogarsi non puoi costringerla tu».
Kellan parlò, cercando di farmi ragionare.
«Ma è stata lei che mi ha chiesto di aiutarla. Lei vuole smettere ma ha paura
di stare male». Non riuscii a non alzare il tono di voce, stavo impazzendo.
«L’hai vista prima rimanere in astinenza, è peggio di quello che hai visto,
quello è solo l’inizio. Continuerà così per quattro giorni, non dormirà, starà
sempre più male e diventerà sempre più scontrosa. Credi davvero di riuscire ad
accettare tutto questo? In più che cosa dovrebbe fermarla dall’uscire da quella
porta una volta che si sarà svegliata e starà bene?». Jackson non usò mezzi
termini e questo mi fece innervosire.
Era la verità, certo, ma io li avevo chiamati per questo, per aiutarmi.
«Lei non lo farà. Sono l’unica persona che ha, l’unica persona che la rispetta.
Ha solo bisogno di sentirsi protetta. Dovrete aiutarmi anche voi». Era l’unica
possibilità di riuscire.
«Robert io posso anche aiutarti ma serve un aiuto esterno, la situazione è
grave da come ne parli. Dovrebbe andare in una clinica per disintossicarsi». Non
aveva tutti i torti, ma io non potevo lasciarla sola.
«No, non posso mandarla in una clinica, lei ha bisogno di me, ha bisogno che le
stia a fianco. In più è anche minorenne». Sospirai spaventato da quello che
avrebbero potuto dire.
«Cosa? È minorenne?» gridò Jackson e io mantenni lo sguardo basso.
«Sì, l’ho scoperto
l’altra sera. Non ha nemmeno diciotto anni». Rimasero entrambi senza parole a
quella scoperta.
«Robert è ancora peggio. Non vali nulla per la legge. Dovrebbe avere un padre,
una madre, se non ci sono loro, dei tutori legali. Finiresti nei casini, ti
rendi conto di chi sei?». Mi fece notare e lo fissai sbalordito.
«Non me ne frega un cazzo di chi sono, devo aiutarla, non lo capite?». Li
fissai arrabbiato e spaventato da un loro possibile rifiuto.
«Io sono disposto ad aiutarti. Potremmo farla ragionare e portarla in una
clinica privata. Pagando di più potrebbero mettere a tacere il fatto che è
minorenne ed eviteremo scandali». Kellan continuava a guardare Aileen con
compassione e sapere che lui era disposto ad aiutarmi mi fece sentire meglio.
«Robert, ti rendi conto del guaio in cui ti stai cacciando?». (vb) Jackson, sempre sincero, andò dritto al punto.
Non aveva ancora risposto.
«Sì, me ne rendo conto e non mi interessa. Devo aiutarla». Non l’avrei
abbandonata per niente al mondo.
«Allora ti aiuterò. Le parleremo e la porteremo in una clinica di
riabilitazione, cercheremo di farle capire che è per il suo bene» disse, e io
mi sentii molto sollevato.
Avevo chiesto aiuto a loro perché erano più grandi di me e da persone esterne
avrebbero avuto più buon senso rispetto a quello che avrei potuto avere io.
«Grazie ragazzi. Dico sul serio». Un piccolo passo avanti era stato fatto.
Rimaneva il secondo, il più grande e il più difficile.
Convincere Aileen ad andare in una clinica di recupero per disintossicarsi.
Doveva capire che la vita era preziosa e che non andava sprecata fottendosi il
cervello con droghe o altro.
«Robert?». Aileen si girò verso di me e lentamente si alzò a sedere. Il sorriso
sulle sue labbra sparì quando notò Jackson e Kellan al mio fianco. «Che cosa
succede?». Si raggomitolò su se stessa e mi alzai per avvicinarmi a lei. «Che
cosa vuoi fare?». La sua voce si spezzò e cominciò a guardare Kellan. «Robert
che cosa vuoi fare?». Cadde dal letto e corsi verso di lei per sostenerla
sentendo i ragazzi alzarsi per aiutarmi.
Si aggrappò a me e mi fissò con gli occhi pieni di lacrime.
«Aileen, calmati. Sono miei amici, non ti faranno del male». Cercai di farle
capire ma lei si divincolò dalla mia stretta prima di correre verso un angolo
del muro.
«Tu…tu…». Indicò
Kellan che la guardò stupito. «Tu mi hai violentata una
volta».
Si portò le braccia a coprirsi il viso e mi voltai verso Kellan
che sgranò gli
occhi confuso e scosse la testa senza dire nulla.
«Aileen, non è stato lui. È mio amico, non ti farebbe del male». Mi avvicinai
lentamente a lei e le chiusi le mani intorno ai polsi per toglierle le braccia
dagli occhi.
«È lui, mi ricordo i capelli neri e gli occhi marroni. È lui» singhiozzò e si
lanciò sul mio petto nudo.
«Aileen, lui si chiama Kellan, e ora ti faccio vedere che non è lui. Vieni,
avvicinati con me». Le passai un braccio intorno alle spalle, stringendole, e
mi voltai a guardare Kellan e Jackson, raggelati e scioccati dalla scena.
«Mi farà del male».
Piantò i piedi per terra e la costrinsi ad alzare il viso per guardarmi.
«Ti proteggo io. Non ti farà nulla, te lo prometto. Voglio solo farti vedere
che non è lui». Le sorrisi e lei annuì.
Aileen si fidava di me, sapeva che non le avrei mai mentito, per questo mi
faceva paura l’idea di dirle che si sarebbe dovuta rinchiudere in una clinica.
Lentamente, assieme, ci avvicinammo a Kellan che rimase immobile davanti a noi.
Quando Aileen si avvicinò tanto da vedere bene Kellan in viso gli corse
incontro e cominciò a piangere.
Sospirai sollevato e fissai Kellan che la abbracciò cercando di calmarla.
«Scusami» disse Aileen asciugandosi le lacrime e sospirando per riprendere
fiato.
«Tranquilla, non è successo nulla». Kellan cercò di sorriderle ma Aileen si
voltò a guardare Jackson e senza dire nulla si incamminò verso il letto per
sedersi prima di soffiarsi il naso con la maglia che indossava.
Quando si soffiò il naso la maglia si alzò tanto che le si vide il seno per
qualche secondo; sentii distintamente i respiri di Kellan e Jackson arrestarsi
sconvolti.
«Aileen, dobbiamo parlarti». La vidi sgranare gli occhi quando ci guardò uno
alla volta.
Salve ragazze,
poche cose da dire.
Allora, ho fatto una scaletta
e mancano praticamente il prossimo capitolo e l’epilogo. Due in tutto, credo
che sia giusto terminare così senza dilungarsi troppo.
Poi, il capitolo scorso non
vi è piaciuto, vero? Le recensioni sono calate di nuovo…mmm, questo mi fa
pensare… :(
Beh, spero che questo
capitolo vi sia piaciuto e ci vediamo la prossima settimana per ‘l’ultimo’
prima dell’epilogo! :)
Un bacio
|
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Capitolo 13 *** Scelta ***
1
AVVERTENZE:
questa FF ha contenuti forti, non prettamente sessuali ma per lo più riguardanti
droga e situazioni che possono ruotare attorno al lavoro della protagonista
(ballerina di lap dance in un locale per spogliarelliste). C’è una forte
presenza di parolacce.
Tuttavia il rating rimane
arancione perché credo che possa essere letta da tutti.
Nel caso qualcuno si sentisse
offeso o considerasse i contenuti non adatti a questo rating provvederò ad
alzarlo.
«Ti ho già detto che non faccio
sesso con due o più persone assieme! Possono guardare se vogliono, ma non tutti
assieme, mi dispiace!». Incrociò le braccia al petto e mise il broncio.
«Aileen» dissi con un tono arrabbiato e stanco.
Ricominciava con la solita storia.
«Oh, scusa!». Si portò una mano davanti alle labbra quasi con fare teatrale. «Non
ruota tutto attorno a quello che ho tra le gambe». Alzò la mano come se avesse
voluto scusarsi e capii che mi stava prendendo in giro.
«Vedo che ti ricordi quello che ti ho detto questa mattina. Mi fa piacere,
sappi che non mi rimangio nulla». La guardai, serio, e lei si sistemò meglio
sul letto incrociando le gambe nude.
«Sì, mi ricordo tutto. E sappi che non mi rimangio nulla nemmeno io!». Mi
sembrò una piccola bambina testarda.
Forse però era meglio coprirla, c’erano anche Jackson e Kellan in quella stanza
e loro non la conoscevano tanto da capire che per Aileen non c’erano problemi a
mostrarsi nuda senza imbarazzo.
«Tieni, mettiti questi». Le lanciai un paio di pantaloncini che indossò dopo
aver sbuffato.
«Dunque, di che cosa mi dovete parlare? Dovete fare un festino? Posso
procurarvi le ragazze. Quante ne volete? Due a testa? Tre? Mi dite anche come,
che così le recluto». Cominciò a parlare e Kellan tossicchiò in imbarazzo.
«Aileen, non si tratta del tuo lavoro. Dobbiamo parlarti di cose serie». Parlai
lentamente osservandomi le mani un po’ in agitazione per poi alzare il viso e
guardarla.
«Non dobbiamo parlare di affari?». Aggrottò le sopracciglia pensierosa e io
scossi la testa.
«No. Vogliamo aiutarti». Indicai anche Jackson e Kellan che annuirono.
«Aiutarmi?». Mi guardò come se avessi sbagliato a parlare.
«Sì, aiutarti. Hai un problema Aileen, uno bello grosso». Mi fermai per vedere
come l’avrebbe presa ma sembrò continuare a non capire.
«Perché non ho più una casa? Andrò da un’altra parte, non ci sono problemi. Non
voglio dormire su un hotel di lusso, non mi interessa». Si lamentò, ma non era
quello che io avevo inteso.
Era difficile per me dirglielo.
Più che altro perché temevo che rifiutasse l’aiuto e scappasse, abbandonando
me, l’unica persona di cui si fidava.
Forse non era stata una buona idea, forse l’avrei solo delusa.
Forse era troppo presto per parlarne, in fin dei conti aveva perso la sua
migliore amica poche ore prima.
«Aileen, il tuo problema è la droga». Mi bloccai di nuovo.
Improvvisamente parlare era diventato difficilissimo.
Non mi rispose e alzai lo sguardo per vedere la sua reazione.
Cominciò a ridere di gusto distendendosi perfino sul letto.
Mi voltai a guardare prima Kellan e poi Jackson che rimasero immobili a
fissarla.
«Aileen?». La chiamai leggermente furioso per il suo modo di reagire.
«Sì, sì scusami». Si alzò togliendosi una lacrima dagli occhi che le era scesa
per il troppo ridere. «Ora dimmi seriamente di che cosa mi vuoi parlare». Mi
guardò e sentii il sospiro di Jackson per la stanza.
«Di questo. Aileen tu sei dipendente dall’eroina. Sei giovane e non puoi
rovinarti la vita con quella merda che ti brucia il cervello». Le mie parole
non sembrarono avere l’effetto voluto.
«Io non vedo che problemi ci siano.
Il cervello è il mio, non il tuo». Ribatté candidamente facendomi sentire
ridicolo.
«Aileen, andiamo. Si può guarire, non ti serve l’eroina per essere felice. La
vita è bella». Conclusi la frase mordendomi la lingua per la stronzata che
avevo detto.
«Certo. La vita è bella per te che
prendi un fottio di soldi solo per ridere e parlare davanti a una telecamera.
La vita fa schifo e sì, trovo un po’ di felicità solo quando sono fatta. Volete
condannarmi per questo?». Ci fissò uno alla volta e io rimasi in silenzio non
sapendo che cosa rispondere alle sue parole.
Aveva ragione.
Aveva dannatamente ragione ma avevo ragione anche io.
Non poteva bruciarsi il cervello con quella merda.
«Aileen, potresti ascoltarmi un attimo soltanto?”». Era stato Jackson a parlare
e Aileen si voltò verso di lui.
«Sentiamo». Sbuffò sistemandosi i capelli dietro la schiena.
«Tralasciando il fatto che la vita è bella». Si girò per guardarmi male e capii
di aver usato le parole sbagliate «quello che noi vogliamo dire è che non è
giusto che tu ti rovini facendo uso di droghe. L’ho visto quello che succede
più si va avanti, credimi che l’ho visto. C’era un mio amico che si faceva di
eroina e l’ho visto peggiorare ogni giorno, vivere solo di quello
dimenticandosi di mangiare. Diceva che non sarebbe mai morto per la droga,
invece è successo. Ha provato tante volte a disintossicarsi ma ha sempre
fallito. So che è difficile, ma credimi, mi piacerebbe che tu ci provassi
davvero. È per il tuo bene, non per il nostro». Sperai che quella confidenza
potesse farle tornare un po’ di buon senso.
«Quanti anni aveva?». Lo fissava, rigida, ma non mostrava segni di cedimento.
«Ventidue, quando è morto». Jackson si schiarì la voce piuttosto emozionato al
ricordo.
«Mi dispiace». Aileen rimase seduta; sembrava essere davvero dispiaciuta per lui.
«Allora, che ne dici?». La guardai quasi speranzoso e Aileen si voltò a incontrare
il mio sguardo.
«Anche se io dicessi di sì, che garanzia mi date voi? Mi tenete la mano sulla
fronte quando vomiterò anche l’anima? Mi legherete al letto quando vorrò con
tutta me stessa farmi una dose? Per quanto rimarrete qui ancora? Un mese e
mezzo? Due? E poi? E chi mi darà i soldi per vivere se non posso più lavorare?
È troppo». Scrollò le spalle.
Non mi sembrava totalmente contraria all’idea però.
Questo spiraglio di luce mi diede ancora più forza.
C’era però la mazzata finale.
Qualcuno doveva dirgli che andava portata in una clinica.
Solo lì potevano aiutarla.
«I soldi non sono un problema. In ogni caso avremmo bisogno di aiuto. Da soli
non possiamo farcela, capisci?». Il suo sguardo si fece confuso.
«Chiamerai la tua mamma?». Mi canzonò. Non mi rimaneva che dirle tutto.
«No, dovresti andare in una clinica di recupero Aileen». Rimasi a fissarla e lei
rise.
«Complimenti!». Batté le mani per sottolineare l’ironia della faccenda. «Diciamole
che la aiutiamo e la rinchiudiamo in una clinica così ci liberiamo di lei.
Piano perfetto! Peccato che io non voglia andarci!». Piegò il capo di lato e si
concentrò su Kellan. «E tu, che cosa devi dire per convincermi, eh?». Lo fissò
ridendo e tutti gli occhi si spostarono su di lui.
«Qualsiasi cosa io dica non servirà a nulla, no? Tanto sei tu a decidere, la
vita è la tua. Se per te va bene fotterti in questo modo, be’, allora non so
che dire». Rimasi a guardarlo colpito dalla durezza delle sue parole.
«Be’, forse questo ha funzionato più degli altri. Il senso di colpa». Ammise.
«Aileen, che discorsi stai facendo? È solo per il tuo bene, forse non riesci a
capirlo, ma lo sto facendo solo perché mi interessa di te». Ridacchiò alle mie
parole e io trattenni un moto di rabbia.
«No. Di me non ti importa un cazzo, questa è la verità. Tu vuoi rinchiudermi in
una cella imbottita dove non mi sentiranno urlare per chiedere della roba solo
perché così non ti sentirai in colpa, di’ la verità, andiamo!». Rimasi quasi
ferito dalle sue parole.
«Sai qual è la verità? Che sono deluso da te, dal fatto che tu non ti fidi di
me anche se io mi sono fidato di te e te l’ho dimostrato più volte. Questa è la
verità!». Rigido, in piedi, mi ero sporto in avanti per fronteggiarla, stavo
urlando la mia rabbia.
«Va bene! D’accordo! Andrò in questa cazzo di clinica e vi farò contenti tutti!
Ne uscirò pulita, dopo di che, tre mesi dopo ricomincerò a bucarmi!». Si alzò
di scatto anche lei e cercò di sfidare la mia furia anche se non mi arrivava
nemmeno al mento.
«Perché? Perché devi sempre pensare in negativo? Perché porca puttana?» gridai
e mi venne voglia di scuoterla.
«Perché la mia vita è sempre stata una merda. Non ho mai avuto nulla e non mi è
mai capitato niente di bello, forse me la merito una vita di merda, non ci hai
mai pensato?». La vidi stringere i pugni e mi arrabbiai ancora di più, ma
cercai di mantenere il tono della voce normale.
«Be’, nel caso tu non te ne sia accorta, questa è la tua possibilità, una cosa
bella che ti è capitata nella vita! Prova a cogliere l’occasione!». Non
abbassai lo sguardo, ancora nel suo; Aileen respirava affannosamente.
«Chi cazzo credi di essere? Pensi che io possa redimere tutta la mia vita solo
perché andrò a disintossicarmi in una clinica? O pensi che questa sia una sorta
di tua redenzione? L’eroe senza macchia che salva la puttanella?». Mi spinse,
cercando di farmi cadere e io reagii malamente, scostandole le braccia in malo
modo.
«Hai ragione, sai? Chi cazzo sono io per impuntarmi? Chi sono io per darti
ordini? Puoi prendere le tue cose e andartene a questo punto. Se vuoi rimanere
qui allora sappi che andrai in clinica, se non accetti queste condizioni,
quella è la porta e puoi andartene. Non cercarmi più però, da me non avrai più
nemmeno un dollaro. Ti ricordo che sono l’unica persona che ti è rimasta, visto
che la tua migliore amica è stata assassinata dagli spacciatori che ti danno
l’eroina». La fissai, sibilando la frase, e la vidi spalancare gli occhi
spaventata.
«Va bene. Andrò in questa cazzo di clinica così la smetterete di rompermi i
coglioni. Posso andare a fare una pisciata ora, o non mi è permesso?». Si
rivolse verso il bagno, e io sospirai stancamente, esasperato ed esausto, come
se avessi recitato per più di dodici ore di fila.
Si diresse verso la porta, con il cipiglio fiero, e sbatté i piedi per terra
per protesta.
Quando arrivò davanti al borsone di fronte alla porta del bagno, per ribadire
il concetto del suo umore, lo calciò dentro.
Non le dissi nulla, scossi solamente la testa e quando si chiuse la porta del
bagno alle spalle mi girai verso i ragazzi per guardarli.
«Wow. Ma voi parlate sempre in questi toni?». Kellan era sconvolto dal nostro
modo di ‘discutere’.
«E non hai sentito nulla. Quando è arrabbiata seriamente è molto peggio di
così. Sono rose e fiori ora». Lo informai e lui sghignazzò, impressionato.
«Che cosa secondo te l’ha fatta cedere così facilmente?». Jackson era stupito,
ma se aspettava una risposta chiara, non l’avrebbe avuta. Non ne avevo la più
pallida idea.
«Non lo so. Forse perché ha capito che voglio farlo per il suo bene» azzardai e
sentii la porta del bagno aprirsi.
Aileen cominciò a correre verso la porta della camera e l’aprì.
Quando mi resi conto che stava scappando iniziai a correre per seguirla,
incurante di essere ancora a petto nudo.
«Aileen!» gridai, ma si voltò appena, solo per capire la distanza tra noi.
«Non mi servi tu! Ce l’ho fatta da sola fino ad adesso!» urlò urtando una
signora per le scale senza chiedere nemmeno scusa.
«Rob! Rob fermati!». Jackson mi raggiunse, e tentò di fermarmi prima che
prendessi la decisione di scendere le scale.
«No! Devo raggiungerla! Ha solo me, non può andarsene!». Feci per scendere ma
la sua stretta sulla spalla si fece più forte.
«Robert, prova a pensarci. Forse è meglio così. Forse è giusto che lei faccia
come meglio crede». La sua mano era come un macigno che non mi permetteva di
muovermi.
Sarebbe bastato poco per scrollarmi Jack di dosso e raggiungere Aileen, ma Jack
aveva ragione.
Senza dire una parola mi voltai e cominciai a camminare verso la mia stanza;
dietro di me Jackson non parlava, ma sentivo la sua presenza costante.
Arrivai in camera arrabbiato per tutto, mi accorsi però che entrando avevo
peggiorato il mio stato d’animo.
Il pavimento ancora macchiato del vomito di Aileen, il letto sfatto, la porta
del bagno aperta con il suo borsone svuotato dentro.
Mi aveva preso in giro, l’aveva fatto apposta.
Aveva calibrato tutto affinché, da stupido, la lasciassi andare in bagno per
poi scappare.
Probabilmente si era presa i suoi soldi e aveva lasciato lì tutti i vestiti.
Aveva fatto come credeva meglio per lei, no?
Tirai un pugno alla porta del bagno che si chiuse di colpo e fece sussultare
Jackson e Kellan che continuavano a rimanere in silenzio urtando ancora di più
i miei nervi già troppo tesi.
«Dite qualcosa, cazzo!» sbraitai verso di loro, arrabbiato con me stesso e con
tutti.
«Rob, lo so che sei arrabbiato con noi perché pensi che sia colpa nostra, ma
devi capire che forse è meglio così, non credi? Forse non voleva veramente
guarire, altrimenti avrebbe accettato l’aiuto che le abbiamo offerto». Kellan cercava
solo di calmarmi, ma non poteva capire, non poteva lontanamente comprendere il
motivo per cui ero furioso.
Ma io sì.
«No. Lei si fidava di me e io ho tradito la sua fiducia. Ho sbagliato ed è
stata tutta colpa mia». Aprii il balcone per far ossigenare la stanza.
«Smettila di fare il martire e di addossarti tutte le colpe, perché non è vero.
Non è colpa tua se lei non ha avuto una vita facile e non è colpa tua se lei
non ha accettato l’aiuto. Tu ci hai provato, tu hai la coscienza pulita. Devi
dimenticarla». Jackson parlava con un tono calmo e duro che riuscì a gelarmi
dentro.
Ero pronto a dimenticarla?
Che cosa mi aveva fatto Aileen?
Perché qualcosa dentro di me mi faceva capire che non sarei riuscito a
dimenticarla?
Non era amore, era qualcosa di diverso.
Preoccupazione.
Il volerla salvare a tutti i costi.
Il volerle dare una seconda possibilità.
Sì, forse c’era anche una piccola scintilla d’amore che però continuava a
essere superata dall’istinto di proteggerla.
Tolsi le lenzuola dal pavimento e disfeci il letto aiutato da Jackson e da
Kellan.
Lavai la chiazza di vomito sul pavimento e gettai la siringa dentro al cestino
in bagno.
Riposi di nuovo tutti quei suoi perizomi dentro al borsone che aveva svuotato in
fretta in cerca dei soldi.
«Questo lo butto?». Kellan indicò il borsone, ma io non volli.
L’avrei buttato via il giorno dopo.
O il giorno dopo ancora.
C’era tempo.
Una parte di me continuava a dirmi che quel borsone non l’avrei mai gettato,
per ricordarmi di lei, ricordarmi che era esistita e che da qualche parte,
probabilmente sotto a qualche ponte o in qualche strip-club, esisteva ancora.
Candy.
Aileen.
Lei.
I ragazzi abbandonarono la stanza in silenzio mentre mi stavo rifacendo il
letto.
Quella giornata era volata, non mi ero nemmeno reso conto che il tempo era
passato troppo velocemente.
Mi distesi a letto senza nemmeno farmi una doccia.
Ero troppo stanco per lavarmi.
Ero troppo stanco per mangiare.
Ero troppo stanco anche per dormire.
Rimasi a fissare il soffitto per ore, probabilmente nemmeno riuscii a prendere
sonno.
Pensai ad Aileen e a come se n’era andata senza nemmeno dirmi grazie.
Forse aveva fatto bene.
Forse Jackson aveva ragione e non si meritava il mio, il nostro, aiuto.
Cercai di dormire convincendomi che di Aileen non mi importava assolutamente
nulla.
Quando mi alzai dal letto il mattino dopo continuai a convincermi che avevo
fatto la scelta giusta, che Aileen aveva decretato di non salvarsi e toccava a
lei decidere la sua sorte.
Andai velocemente a farmi una doccia pronto per un nuovo stressante giorno di
lavoro.
Dovevo concentrarmi su quello.
Una miriade di fan aspettava con ansia gli ultimi capitoli della saga, in più
le vacanze di Natale sarebbero arrivate tre giorni dopo.
Dovevo resistere per tre giorni, poi sarebbe stato tutto più facile, avrei
cambiato aria, sarei tornato a Londra tra Tom e agli altri e dopo due birre non
mi sarei ricordato più nulla, nemmeno il suo nome.
Quando sentii bussare alla porta un sorriso mi spuntò sulle labbra.
Dovevo fingere per Jackson e Kellan, mi avevano aiutato quando avevo chiesto il
loro aiuto e di sicuro in quel momento erano preoccupati per me.
In fin dei conti ero un attore, no?
Un sorriso finto e tutto sarebbe finito.
«Arrivo Jack!» gridai infilandomi una maglia a caso e corsi verso la porta.
La aprii di scatto ma il mio sorriso finto vacillò.
«Va bene. Accetto».
Salve ragazze! :)
Bwuahah, sadica al massimo lo
so…
Questo era l’ultimo capitolo
e il prossimo sarà l’epilogo, però non vi dirò se ci saranno salti temporali o
altro, sarà tutta una sorpresa.
Allora, che dire? Forse in
questo capitolo ci son andata giù pesante con le parole di entrambi, il fatto
che si sono urlati dietro e forse Robert, quello che ho sempre tenuto nascosto
perché era lui che parlava è uscito per mezzo di Jackson e Kellan.
Il Rob martire che vuole a
tutti i costi sacrificarsi pur di fare felici gli altri, forse non è la verità
ma mi piace pensarla così.
Spero che questo capitolo vi
sia piaciuto, come sempre un commentino non mi dispiacerebbe! :)
Alla prossima settimana con
l’epilogo! :)
Un bacio!
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Capitolo 14 *** Epilogo ***
1
AVVERTENZE:
questa FF ha contenuti forti, non prettamente sessuali ma per lo più riguardanti
droga e situazioni che possono ruotare attorno al lavoro della protagonista
(ballerina di lap dance in un locale per spogliarelliste). C’è una forte
presenza di parolacce.
Tuttavia il rating rimane
arancione perché credo che possa essere letta da tutti.
Nel caso qualcuno si sentisse
offeso o considerasse i contenuti non adatti a questo rating provvederò ad
alzarlo.
Una volta sono sicuro,
l'ho sentito dire.
Da quando l'ho sentito dire, mi è sempre rimasto impresso, forse perché ci
trovo un fondo di verità.
“A volte, se ascolti con attenzione, puoi sentire l'esatto momento in cui la
tua vita cambierà”.
Era qualcosa del genere.
Io credo di averlo sentito quel momento.
Forse non me ne sono accorto subito ma con il passare del tempo l'ho capito.
Forse quel momento non ha cambiato solo la mia vita.
Forse ha cambiato anche la sua.
Quella di Aileen, che a quel tempo mi aveva detto di chiamarsi Candy.
Vorrei poter dire che l'ho vista ogni giorno, da quel pomeriggio in cui, con il
labbro rotto a causa di un pugno, ha bussato alla mia porta per accettare
l'aiuto.
Vorrei poter dire che qualche volta le ho parlato.
Vorrei poter dire che si è rinchiusa in clinica e ci è rimasta fino a quando è
guarita totalmente, un mese dopo.
Vorrei poterlo dire.
La vita, però, non è una favola e ho imparato che non tutto va come ci si
aspetta.
Sono passati quasi sei mesi da quando Aileen si è rinchiusa dentro alla clinica
per disintossicarsi, non è stato un percorso facile.
È scappata due volte ma poi non ha avuto il coraggio di continuare da sola ed è
ritornata qui.
Le visite che le ho fatto sono state poche, causa il mio poco tempo per le
riprese e soprattutto il fatto che potessero insospettirsi trovandomi in una
clinica di disintossicazione.
L’ho sentita però, quasi ogni giorno.
Telefonate che duravano pochi minuti, ricolme di silenzi e di frasi mai finite,
ricolme di tristezza nel sentirla sola e distrutta durante la sua lotta contro
l’eroina, ricolme di rabbia da parte mia per non esserle affianco.
Scesi dalla macchina accendendomi una sigaretta e guardai l’ora.
Mancavano meno di due minuti.
Chissà come sarebbe stata Aileen completamente sobria.
Il grande cancello si aprì e una piccola figura cominciò ad avanzare diventando
sempre più grande; il mio sorriso si allargò a dismisura quando fui in grado di
vederla in viso.
Alzò lo sguardo di colpo e nonostante ci fossero diversi metri a separarci vidi
subito i suoi occhi color ghiaccio sorridere; lasciò la valigia che le avevo
comprato per terra e cominciò a correre verso di me.
Istintivamente feci qualche passo in avanti e la abbracciai quando mi strinse
tra le sue braccia.
Socchiusi gli occhi e sentii di nuovo quel profumo, da caramella, lo stesso che
avevo sentito per la prima volta all’Insomnia, quando ero andato a vedere come
stava.
Rimanemmo in quella posizione per minuti, la sua stretta non accennava a
diminuire e lo stesso fece la mia.
Alzò il viso di scatto e posò velocemente le labbra sulle mie.
Non sembrava nemmeno un tentativo di bacio, era solo il contatto tra due
labbra.
«Scusami, era…». Sorrise abbassando lo sguardo e bofonchiò qualche parola,
confusa.
Rimasi per alcuni istanti immobile non sapendo che cosa dire o fare.
Mollò la presa sulla mia maglia lentamente e si sistemò i lunghi capelli
castani, quasi imbarazzata.
«Io…vado a prendere la mia valigia». Si schiarì la voce e cominciò a camminare
per recuperare il bagaglio.
La guardai camminare e mi accorsi che sembrava diversa, quasi più sicura di se
stessa, più matura, anche nel modo di camminare.
Non ancheggiava cercando di attirare sguardi, non indossava un paio di miseri
pantaloncini o un top minuscolo, aveva un paio di jeans e una maglietta, come
una normalissima ragazza di diciotto anni.
Un minuto dopo Aileen ritornò con lo stesso bellissimo sorriso sul volto e si
avvicinò a me.
Mi accorsi che non era nemmeno truccata, sembrava quasi più giovane, quasi più
bella.
«Come va?» chiesi con il sorriso chiudendo il bagagliaio della macchina dopo
aver messo dentro la sua valigia.
«Bene, sono finalmente libera». Mi sorrise, un sorriso sincero.
«Che cosa ti andrebbe di fare». Era difficile non gioire nel vedere una persona
così felice.
Scrollò le spalle e scosse la testa. «Non lo so, davvero». Rise agganciandosi
la cintura di sicurezza.
Credo sia la fine più strana
che abbia mai dato ad una storia, ma credo sia quello che andava fatto.
Non volevo mettere un punto a
questa storia, volevo che la vostra immaginazione scrivesse la fine,
indipendentemente da quello che io ho pensato.
Per questo, chiedo a tutte
voi, che abbiate sempre recensito, che abbiate recensito un capitolo solo o
nessuno, di scrivermi come vorreste che finisse, mi piacerebbe sapere la
versione della storia.
Vorrei ringraziare tutte voi
che avete seguito e commentato, chi ha messo tra i preferiti, i seguiti e
quelle da ricordare.
Non mi dilungo molto perché
sarei solo ripetitiva, vi ringrazio dal profondo del cuore per ogni singola
parola che avete speso e anche solo per il tempo che avete perso leggendo.
Se volete potete aggiungermi
in FB QUI, è il mio
profilo EFP dove metto spoiler delle storie e altro.
MY LIFEGUARD è una
storia nuova che ho cominciato ieri con Tom Sturridge, comica, decisamente. Se
volete farci un salto siete più che ben accette.
Una piccola chicca che non ho
messo perché non volevo rovinarvi la sorpresa, questa qui doveva essere la
copertina del capitolo! :)
Un bacio e grazie per tutto!
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