Same Blood, Same Fate.

di Isyde
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Foto di Famiglia. ***
Capitolo 2: *** Oltre l'apparenza c'è la realtà. ***
Capitolo 3: *** Due Silenzi e Due Misure ***
Capitolo 4: *** Impulsivo Risveglio ***



Capitolo 1
*** Foto di Famiglia. ***


Prologo - Foto di famiglia.
 
 


Nonostante fosse una calda mattina di fine giugno, la signora Granger indossava un maglioncino grigio e un cappello scuro.
Stava portando a spasso Nelly, il suo adorato cane, che sua figlia Hermione e suo marito le avevano regalato qualche anno fa.
Il piccolo Beagle era cresciuto decisamente, tant'è che rischiava l'obesità visto la voracità con cui mangiava i suoi pasti.
Quel cane aveva l'unica caratteristica che nessun Granger possedeva: la pigrizia.
Se lei e suo marito Wilfred erano costantemente a lavoro, sua figlia Hermione riempiva i pochi giorni passati a Oxford leggendo e in giro per musei oppure dedicandosi a qualche studio in particolare.
Probabilmente l'unica che potesse avere una tendenza di quel genere era Cleta.
Fin da piccola nessuno riusciva a schiodarla dal divano o dalla telivisione.
Era fin da sempre innamorata di quella scatola e a lungo, lei e suo marito, avevano parlato di quel problemi. L'avevano iscritta a un corso di teatro, nella speranza di vederla entusiasta per qualcosa di intellettuale.
Oxford offriva centinaia di piccole rappresentazione e doveva ammettere che più di una volta, sognò per sua figlia una carriera come star hollywoodiana. Ma persino quella frivolezza venne distrutto dalla realtà.
Gli unici interessi di Cleta erano i videogiochi violenti che suo cugino John gli passava, correre lungo la campagna inscenando inseguimenti spericolati e leggere le biografia dei grandi militari della storia.
La sua pigrizia scolastica le costò qualche castigo, la sua indisciplina qualche sospensione e convocazione dal preside, ma in cuor suo sapeva benissimo a cosa era destinata sua figlia.
E conosceva anche il colpevole di tale scempio.
Suo suocero, Patrick Granger, era solito raccontare alle sue bambine gli anni della Seconda Guerra Mondiale.
Narrava delle incredibili avventure del suo aereo, un vecchio caccia, appena diciottenne. Dei compagni che aveva visto morire, della sua città natale completamente rasa al suolo, dell'incredibile sensazione che provava quando era in combattimento.
Se Hermione lo interrompeva facendogli domande, Cleta ascoltava tutto in silenzio, completamente affascinata da quelle parole e da quell'epoca.
Così esattamente qualche ora dopo aver compiuto diciotto anni ed aver preso un diploma di scuola superiore, Cleta Anne Granger si era infilata una giacca, aveva riempito il borsone scuro di vestiti ed era andata via.
Era uscita dalla porta di casa, come se stesse andando a passare una divertente serata a casa di un'amica.
Senza dire nulla, se non un ciao appena sussurrato.
Non scrisse nemmeno a sua sorella che si trovava lontano, chiusa in quella bizzarra scuola, che sempre di più stava diventando pericolosa. Ricevette qualche giorno dopo una lettera, che cercava di rassicurarla e diceva solamente che stava bene.
Per ben quarantaquattro settimane non seppero nulla.
Lei e suo marito erano volato fino in Scozia con la speranza di ritrovarla nella vecchia casa di suo suocero.
Effettivamente c'erano segni del suo passaggio e lei scoprì nuovi lati di sua figlia.
Avevano trovato qualche suo vestito, dei libri, biografie di Napoleone o di spie della Grande Guerra, quaderni che usava per disegnare e un pacchetto di sigarette accortocciato sul comodino del letto sfatto in cui aveva dormito.
Nella spazzatura videro una decina di bottiglie vuote, da semplici lattine di coca-cola ad alcoolici.
Qualcosa si era  spezzato nel suo cuore. Era nata la consapevolezza che sua avrebbe rischiato la vita in ogni momento. Quello che negli anni sembrava un capriccio femminista, tipico di quelle adolescenti fiere ed orgogliose, si era trasfromato in una specie di vocazione.

Ricordava perfettamente il modo in cui sorrideva quando, due estati fa, ricevette la comunicazione della sua imminente partenza per il fronte iracheno. Vi lesse calore e sfida.
Era seduta sulle scale che portavano al secondo piano e stringeva fra le mani la lettera, non restò un minuto di più con loro.
Lasciò sul tavolo un regalo per il quindicesimo compleanno di Hermione e schizzò via.
Sapeva che aveva posato dei fiori sulla tomba di Patrick, probabilmente gli aveva parlato con orgoglio della sua partenza, di come i giornali avessero parlato della prima donna pilota Sas. Anche se c'erano state altre ragazze prima di lei, nessuno aveva strappato dalle mani dalle mani degli uomini.
E di questo, Elisabeth e Wilfred erano fieri. Ma avrebbero preferito di gran lunga che diventasse un'austronauta. O ancora meglio, come attrice o meccanico. Insomma qualcuno che non dovesse lanciarsi dagli aerei, che non dovesse imbracciare un fucile o cose simili.
Non ora che Hermione e il suo mondo stavano per crollare.
Ogni estate passava da loro qualche giorno, giusto il tempo per parlare e fare qualche gita fuori e poi rientrava a casa di quel giovannotto dai capelli rossi. Se all'inizio credeva che fosse spinta dalla curiosità e dal bisogno di staccarsi dal mondo "normale", ora era convinta che vi fosse l'esigenza di salvare qualcuno.
Salvare loro stessi.
Non rallegrava più le loro serate con risate e racconti, sul suo viso era sempre più corrucciato, sempre più triste.
Nelly la risvegliò dai suoi pensieri e iniziò a correre verso il piccolo parco dietro casa.
Elisabeth Granger lasciò andare il cane nell'apposito spazio e si sedette su una panchina.
Osservò serena il piccolo e alquante pesante cane, gironzolare fra le piccole buche.
Cercò di distrarsi e ci riuscì solamente all'arrivo di una sua vicina di casa, la signora Blades.
 
 _
 
Esattamente qualche chilometro più in là, Cleta Anne Granger sospirò e voltò la testa per vedere la foschia inglese.
-Siamo arrivati, Tenente. Siamo a casa.- mormorò il suo copilota.
Non disse nulla, ma si tolse le cinture di sicurezza e le cuffie della radio.
Di solito era una persona socievole con i suoi compagni, ma quella mattina non aveva voglia di parlare. Dopo aver controllato ogni spia e spento i motori del pesante veivolo, uscì dall'abitacolo. S'irritò quando notò che il suo borsone era stato preso e portato in caserma da qualche cadetto ambizioso e pronto a leccarle i piedi per ottenere visibilità.
Scese dall'aereo con quei pochi che erano ancora sull'aereo e guardò a lungo la massa informe e marrone che si confondeva con quella colorata dei parenti ed amici venuti a salutarli.
Avevano passato un anno in terra irachena e molti di loro, già al primo mese avevano i primi segni di insofferenza alla guerra.
E come se non bastasse, la cosa che angosciava Cleta era l'impressionante numero di morti militari e civili.
Dei quasi 322 militari Sas partiti, quel giorno erano tornati con lei, vivi e vegeti, solo 285.
Gli altri o giacevano sotto tre metri di terra o in un letto d'ospedale.
Una pacca sulle spalle la riscosse dai suoi pensieri e si voltò verso l'unico vero amico che avesse a lavoro, Clarence Hallowes.
-Non potevamo tornare tutti a casa, Cleta.-
La donna annuì e si avviò verso il Generale Keran che aspettava un lungo rapporto su alcuni fatti bizzarri accaduti nel bel mezzo di alcune operazioni complesse.
Si fermò a qualche passo dalle porta dell'ufficio del sovrintendente disciplinare.
-Tenente Granger, che ha?- gli domandò il Generale Keran.
-Io so come andrà a finire il colloquio con il Ministero. Mi chiedo solamente se sappiano cosa abbiamo vissuto negli ultimi due anni.-
Il Generale le rivolse uno strano sguardo. -Non credo che sappiano quanto sia difficile fare una guerra.-
-Non è una scusa per mandarci al massacro senza un minimo di organizzazione.- sputò Cleta, sistemando il colletto della divisa. -Il mio reparto è sempre rimasto indietro. Mandavano avanti quelli del Genio, ragazzini che fino a l'anno scorso non avevano mai visto le loro mani sporche di sangue...E noi, sempre indietro a pulire i loro casini.-
Keran si tolse il cappello e posò una mano sulla sua spalla. -Mi dispiace per la morte del Caporale Telson.-
La mascella di Cleta s'irrigidì così come il resto del corpo. Ignorò le parole dell'uomo ed avanzò entrando senza bussare.
Dietro all'imponente scrivania c'erano un funzionario del governo, impeccabile nel suo completo scuro, e un militare dipendente del Ministero della Difesa.
-Tenente Granger, era da tanto che volevamo parlarle.- disse il funzionario sorridendo.
 
 _
 
L'interrogatorio, perchè altro non era, durò qualche ora.
Cleta parò di terribili coincidenze e sfortune che si erano susseguite e che avevano causato la morte di due paracadutisti.
Ignorò le domande sulle "frecce luminose che uccidevano" di cui alcuni feriti avevano parlato e rimase a lungo in silenzio, sorridendo ironicamente a quelle facce rosse e accaldate.
-Lei sta dicendo che tutte quelle segnalazioni sono false?Quelle cose che uccidevano non esistono?- gridò quasi il funzionario.
Cleta scrollò le spalle. -Non ho mai negato la loro esistenza, è solo che personalmente, non le ho mai viste.-
-Lei no, ma quasi dodici militari sì.-
-Sì, di cui due morti e dieci feriti in modo grave. Signore, non ho idea di cosa abbiano visto, so solo che la guerra riesce a far impazzire chiunque.-
-Quindi sarebbero tutti ...- non finì la frase perchè l'altra persona,il militare spedito dai piani alti gli fece cenno di smettere.
Ottenuto il silenzio, si volse verso il Tenente Granger e la scrutò attentamente.
Prima di precipitarsi nella base londinese dei SAS, aveva letto con attenzione la cartella del Tenente, cercando qualche anomalia, come qualche noto disciplinari o segni di malattia mentale.
Eppure nonostante i quasi tre anni passati initterottamente in fronte, non aveva mai dato segni di squilibrio. Con lucidità e freddezza aveva portato a termine le sue missioni e aveva coordinato il gruppo esploratori fra le impervie montagne dell'Asia.

Bella e brava, gli venne da pensare mentre raccoglieva le mani in due ferrei pugni posati sul tavolo. Fin troppo bella, per i canoni dei reparti speciali. Teneva i capelli leggermente ondulati, legati in un'apparente e complesso chignon. Le labbra era strette in una smorfia e gli occhi chiari lo fissavano scettica. Fin troppo brava per cadere nella trappola della burocrazia militare, troppo furba per i pesciolini di cui si nutrivono.

-Non ha mai sospettato che queste luci, questi fasci illuminati, fossero una qualche arma chimica o comunque segreta in mano ai guerriglieri iracheni?- domandò.

Cleta spalancò gli occhi.

Sapeva benissimo cosa fossero quelle "cose".

Incantesimi, così li chiamava sua sorella.

Ma per lei rimanevano solamente delle diavolerie dell'altro mondo. Nonostante i suoi genitori avessero imparato a vivere a contatto con quel mondo, adirittura andandoci spesso per compere e parlare con il gentile propietario della più grande libreria, che li aveva introdotti anni fa, aiutandoli a capire cosa fosse la magia, Cleta si era sempre rifiutata. Per lei i maghi, altro non erano che alieni, da dimenticare. Il mondo era dei normali e nessuno doveva rovesciare gli equilibri. Eppure durante quegli anni in Iraq, loro, spuntavano dappertutto, bruciando ed uccidendo. Non ricordava più quante volte aveva cercato di proteggersi da quei fasci di luce, e quando riuscì ad ucciderne uno, un ragazzo appena ventenne, non esitò a prendergli la bacchetta. Nascose il corpo e di notte, prese dell'attrezzatura e trascinò per qualche chilometro il cadavere. Oltre le linee nemiche, protetta solamente da un vecchio casco.

Sparse sul corpo del carburante e con la bacchetta, tracciò una scritta a terra e lasciò un paio di ordigni intorno ad essa. Accese una sigaretta che fumò appena e prima di voltarsi la lanciò nella pozza di carburante che s'incendiò pochi secondi dopo. Sentì dietro di lei dei rumori e vide due maghi uscire fuori, con le bacchette tese. Tirò fuori la pistola e si mise a correre, per evitare l'onda d'urto degli ordigni che esplodevano uno dopo l'altro. I maghi caddero oltre il piccolo crepaccio e questo permise a Cleta di scappare e ritornare al campo. Riprese posto nella sua piccola torre di guardia, dove nessuno si accorse della sua scomparsa.

Si morse la lingua, rivivendo quei ricordi, ed incrociò le braccia al petto.

-Potrebbe anche essere, signore. Le possibilità ci sono, è per questo che abbiamo bombardato la città di Ikhlas.-

-E perché?-

-Perchè sospettavamo che ci fossero dei bunker o dei laboratori. Per sicurezza il SaS e l'aerenautica americana abbiamo raso al suolo la zona. Abbiamo solo fatto uscire i bambini.-

Il militare aggrottò la fronte. -E le donne?-

-Non ci vuole la forza bruta per preparare un composto chimico.-

I due uomini si guardarono e scrissero nei rispettivi fascicoli il loro breve resoconto.

-Bene, può andare Tenente.- la congedarono indicandole la porta. -

-Grazie e buon lavoro.- rispose meccanicamente, stava per aprire la porta quando il funzionario la richiamò.

-Avevamo scordato di dirle che, a seguito di quello che è successo negli ultimi mesi, è obbligata a stare in licenza per tre settimane.-

Cleta aggrottò la fronte. -Ho del lavoro da fare e uomini da addestrare...-

-E' in corso un'indagine approfondita su tutti i militari SaS. La consideri una vacanza.-

Annuì e chiuse la porta violentemente.

Strinse la mani fino a farle male e camminò fino all'uscita.  Aveva un bisogno urgente di tornare a casa, o meglio nella casa di suo nonno, dormire qualche giorno e poi ripartire per salutare sua sorella e chiederle spiegazioni. Non le importava delle sue lunghe delucidazioni logiche, doveva trovare un modo per infilarsi in quella realtà parallela e scoprire come si potesse distruggere una comunità magica.  Sapeva che tutto era racchiuso in quel pezzo di legno che aveva sotratto al ragazzo, ma non conosceva il suo funzionamento.

Non avendo visto altre armi, collegò l'uso di quella bacchetta come fucile. Tirò fuori il pacchetto di sigarette e ne sfilò una, incastrandola fra i denti un po' grandi e irregolari. Ad accenderla fu l'accendino di metallo di Clarence.

-Ho sentito le news da quel pettegolo di Jackson.- disse solamente.

-Jackson doveva nascere donna.- ironizzò Cleta.

-E tu uomo.- ridacchiò.

-Cos'è questo, uno squallido invito a cena?- chiese lei sorridendo, per la prima volta dopo mesi.

Clarence la cinse con un braccio a sè. -E' per queste stronzate, che senza di te sarei perso. Che cosa farai in questi giorni?-

-Tornerò a casa. Devo...Sistemare una faccenda con mia sorella.-

Clarence annuì lentamente, sapeva dei difficili rapporti fra Cleta e la sua famiglia d'origine. Non che ne parlasse, ma se lui tornava a casa, appena poteva, anche solo per cenare o guardare una partita. Lei se ne stava in quella casa isolata nel bel mezzo della campagna scozzese, con la sola compagnia di un buon whisky e di un film. Poi, c'era quel rapporto complesso con la sorella, che da quel che sapeva era una specie di genio, venerata dai suoi, e fin da piccole in continua competizione. Il che logorò ogni barlume di amicizia e complicità.

Quattro estranei.

Ecco cosa ai suoi occhi sembravano i Granger.

Quattro perfetti sconosciuti.

Una foto di famiglia sbiadita dal tempo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

____

 

L'angolo di I.

 

Allur, non so da dove sia uscita sta' roba.

Sto ancora cercando di capire.

Faccio alcune precisazioni.

Sebbene la storia di HP sia ambientata negli anni 90' del secolo scorso, ho preferito girare le lancette ed ambientarla fra il 2003/2004.

Il SAS è la sigla Brittanica per Special air Force, un reparto speciale dell'esercito inglese, selezionatissimo e specializzato nell'esplorazione di territori geologicamente e meteorologicamente (esiste questa parola?) difficili.

Possono essere piloti, paracadutisti, espoloratori, cecchini, "tecnici", esperti in lingue, artificieri, medici/infermieri.

Subiscono un addestramento lungo di 18 settimane. 

Eccovi un link, quello di wikipedia in cui potete leggere, se volete, i diversi tipi di addestramento

-http://it.wikipedia.org/wiki/Special_Air_Service

In Inglese per chi è poliglotta  -http://en.wikipedia.org/wiki/Special_Air_Service

 

Tutte le info militari sono strappate dai parenti, internet o quotidiani.

Quindi potrebbero esserci imprecisioni o notizie errate.

 

Per farvi un'idea baasta un nome.
Bear Grylls.

 

Tutte le info militari sono strappate dai parenti, internet o quotidiani.

Quindi potrebbero esserci imprecisioni o notizie errate


Spero seguirete questa storia.

Saluti,

Isyde.
 
 




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Capitolo 2
*** Oltre l'apparenza c'è la realtà. ***


Lasciò il finestrino aperto e respirò la fresca brezza che disegnava riccioli fra i suoi capelli. Aveva appoggiato il capello dell'uniforme sul cruscotto e si era dedicata solamente alla guida.
C'era qualcosa di rassicurante nel guidare in una normale strada di città. Fermarsi al rosso o in prossimità di sbiadite strisce bianche.
Nessun colpo di mortaio la obbligava a chinarsi.
Nessuna buca nel terreno nascondeva una mina pronta ad esplodere.
Nessun civile che passeggiava per il marciapiede era da considerare un possibile obiettivo.
Nessun fucile puntato sulla schiena di qualcuno.
Doveva solo preoccuparsi di mettere la prima, alzare leggermente il piede dalla frizione e spingere sull'acceleratore, rispettare il codice stradale e i suoi limiti.
All'inizio della sua carriera come soldato, mai avrebbe pensato a dove sarebbe arrivata.
Si era ritrovata Tenente senza nemmeno capire come.
Il primo giorno di addestramento vomitò poco dopo il sesto chilometro di marcia con un peso di venticinque chili.
Fu sgridata e il suo addestratore le diede due opzioni.
Tornare alla base e preparare le valigie. Oppure resistere e finire i venti chilometri previsti.
Optò per la seconda, ingoiò terribili conati di vomito, ignorò il dolore acuto alle spalle e alla schiena e marciò.
Arrivò alla meta qualche ora dopo, sporca di fango e sudore, con la grande voglia di prendere a calci suo nonno e il mondo intero per averle fatto credere che fosse facile.
Ma facile non fu.
Cominciò dal taglio dei capelli, che aveva sempre portati lunghi, raccolti in una disordinata treccia laterale o liberi di arricciarsi sulle sue spalle.
Li tagliò in bagno quella sera stessa, prese un paio di forbici dalla cucina della caserma e se li tagliò con la sola compagnia di un piccolo pezzo di vetro che fungeva da spiecchieto retrovisore e la radio che cantava una vecchia canzone di amore e di passione.
Dopo i capelli, trasformò il suo corpo, da magrolino ed insignificante, divenne un perfetto esempio di muscolatura femminile, scolpito dagli estenuanti esercizi fisici a cui si sottoponeva ogni giorno., con
Se non saltava la corda o giocava a biliardo in sala, studiava grossi libri di meccanica e tecniche di sopravvivenza con il grande desiderio di essere ammessa a far parte di quel corpo speciale.
Ed ora era un Tenete.
Un pilota di aerei caccia e un'esperta survivor a servizio della Corona britannica.
Avrebbe voluto ricevere, però, dalla sua famiglia almeno un ringraziamento o una parola d'orgoglio, ma sembravano troppo presi dal mondo non normale per accorgersi di lei.
E Cleta era abituata da anni.

Se prima si arrabbiava e cercava di attirare la loro attenzione, da qualche tempo ormai preferiva allontanarsi il più possibile. I pochi giorni di congedo li passava a fare spedizioni per la televisione. Assieme a un gruppo di temerari soldati in congedo, mostravano al grande pubblico come sopravvivere in una giungla con solo un paio di scarpe e un coltello. Anche se la televisione e i suoi meccanismi non le piacevano, si rendeva conto di quanto quei consigli potessero essere utili. Chiunque poteva trovarsi in pericolo ed è per questo che aveva scelto di indossare quella divisa, per aiutare gli altri a sopravvivere, a tornare a casa con le loro gambe.
Quando era al fronte, riceveva le lettere di alcuni bambini delle scuole elementari che cercavano di esprimersi ma che molto spesso liquidavano con un grazie colorato. Non sapevano quanto fosse importante per lei e per tutti gli altri soldati.
L'essere rinchiusi in un buco con le dite costantemente in attesa di premere un grilletto e l'aria frustata di chi non si fida più di nessuno, rendeva pazzi.
Anche il quel momento Cleta non riusciva a lasciarsi le abitudini alle spalle, per questo parcheggiò qualche porta più in là e scendendo dall'auto caricò la pistola d'ordinanza e la infilò nei pantaloni, coprendoli con la giacca dell'uniforme.
Si issò sulle spalle la pesante borsa che racchiudeva tre anni di missione all'estero, di abiti stracciate, di piccoli talismani fatti con pezzi di legno, lamiere e funi e di diari riempiti di parole e disegni.
Intravide fin da subito casa sua.
E qualcosa la fece tremare.
Forse era la consapevolezza che lì, niente sembrava cambiato.
Il cancello arrugginito, l'erba tagliata con cura, le pareti esterne chiare, le tende color pesca e quella bici posta accanto alla porta.
Ma qualcosa non quadrava.
Ad una prima occhiata sembrava quasi addormentata, abbandonata da poco e in fretta. Lo capì da quella finestra lasciata aperta.
Sua madre era meticolosa e precisa, ci voleva qualcosa di spaventosamente importante per farle scordare una cosa del genere.
Per un attimo pensò ad Hermione.
Che fosse accaduto qualcosa a sua sorella?
Che il suo mondo fosse veramente in pericolo e che lei potesse essere rimasta coinvolta da quel Potter?
Scosse la testa e cercò di allontanare quell'insana idea.
Hermione era una ragazza razionale e mai si sarebbe messa nei guai.

Non era nemmeno spericolata o impavida, s'impauriva facilmente e non era in grado di sostenere lo stress di una guerra.
Almeno così l'aveva sempre considerata.
Entrò in quella casa in cui non si era mai sentita a sua agio, superò il cancello arrugginito e camminò lungo il piccolo sentiero di pietra. Da quella posizione potè notare il garage parzialmente aperto e che mostrava solamente il lungo tavolo cosparso di arnesi.
Dov'erano le macchine dei suoi genitori?
Dov'era l'adorata Golf di suo padre?E la macchina francese di sua madre?
Un brivido le percorse la schiena e s'incamminò di nuovo verso la porta marrone che non vedeva da anni.

Provò ad aprirla, ma era chiusa.

Tentò di forzarla, spingendo con la spalla e solo al quinto colpo i cardini della porta si spezzarono e quasi fecero cadere a terra il soldato.

Cleta si raddrizzò e fissò sconvolta il soggiorno coperto da teli bianchi.

Quei teli avevano un solo significato.

I suoi genitori se n'erano andati.

I signori Granger si erano trasferiti.

Recuperò la borsa e la lasciò ai piedi delle scale e s'incamminò circospetta per la casa.

I mobili erano quelli di sempre, l'unico nuovo acquisto era un vaso posto sul tavolino basso e che conteneva i resti di rinsecchiti girasoli. Avevano persino tolto le centinaia di cornici disseminate in giro per la villa. In cucina non trovò i disegni di Hermione e le sue foto scattate durante i suoi match di karate. Persino le adorate coppe di golf di suo padre erano state tolte.

Cleta respirò a fondo quando i suoi occhi incotrarono un pezzo di carta.

Era piegato in due e lasciato accanto al microonde, probabilmente dimenticato da entrambi i suoi meticolosi genitori.

Lo rigirò fra le sue mani e si sedette sul tavolo.

Sperò con tutto il cuore che qualcuno di loro avesse lasciato delle indicazioni, anche solo una lettera in cui li avvertivano che stavano bene e avevano deciso di fare quel viaggio di cui aveva sentito parlare anni fa per gli Stati Uniti.

Ma quello che lesse non erano altro che parole confuse.

"Attenzione al fuoco! Oltre le verdi colline troverai la parola segreta. Oltre l'apparenza c'è la realtà"

Accartocciò il foglio e prese l'accendino.

Qualunque cosa fosse, un messaggio cifrato o una poesia bizzarra, doveva essere distrutta.

Non si sentiva al sicuro, le sembrava di essere in pericolo, l'aria di quelle stanze era carica di tensione.

Degluitì e decise di dare fuoco alla lettera.

Rimase a lungo a pensare, fissando le lingue del fuoco.

Da piccola era solita addormentarsi davanti al piccolo camino, alcune volte con Hermione che le leggeva i suoi libri, mentre lei immaginava i fuochi di un'antica battaglia.

Poi udì un rumore che le tolse il respiro.

Crack.

Lo stesso rumore del crepitiò del legno mangiato da un debole fuoco. Rimbombò nella sua testa ed irrigidì ogni suo muscolo.

Si alzò e si spostò accanto ad un armadio. Tirò fuori la pistola e la impugnò.

Si ricordò solo allora di non avere un caricatore di riserva, poteva solo contare su una dozzina di proiettili, nulla di più.

Un secondo rumore, identico al primo, le fece sgranare gli occhi.

Trattenne il respiro e tentò di udire ciò che due voci sommesse si dicevano.

-Questa è casa della Sanguesporco...- disse uno.

-Un porcile ecco cos'è!- esclamò l'altro.

-Inoltre c'è puzza di fumo.- aggiunse. Cleta sgranò gli occhi verso il sottile fumo che si levava dalle ceneri della lettera.

Raccolse tutto il coraggio e cominciò a camminare lateralmente verso la porta. Dal vetro della finestra potè vedere l'immagine sbiadita di due mantelli che camminavano intorno al tavolino alla ricerca di qualcosa.

La sua prima idea fu quella di saltare in mezzo alla stanza e fare fuoco, ma non aveva abbastanza armi e nemmeno un diversivo come un gas lacrimogeno.

Ma qualunque opzione le sembrava assurda, loro avevano quelle cose in mano. Pezzi di legno lavorato che potevano uccidere chiunque in pochi secondi.

Si pentì subito della sua idea e decise di attendere.

Intanto uno dei due prese il vaso in mano e lo fece cadere a terra, rompendolo in mille pezzi.

-Non capisco come mai il Signore Oscuro ci abbia obbligato a fare un salto in questa bettola Babbana. Non c'è nulla di interessante, Lucius.- disse.

-Se la pensi così, pensaci tu a marchiarla, riferirò immediatamente l'inutilità di questa missione al Signore Oscuro, Piccardy.-

-Va bene. Mi divertirò un po'. Bombarda!- gridò l'uomo. Cleta chiuse gli occhi quando sentì l'esplosione che frantumò qualche mobile della casa.

Un terzo crack l'avvertì della partenza di qualcuno.

Ora c'è n'era solo uno.

Iniziò a scivolare fino a ritrovarsi accanto alla porta proprio nel momento in cui l'intruso camminò verso la cucina.

Alzò il braccio e si appiattì contro il muro.

Appena mise il piede in cucina, Cleta lo colpì violentemente con il calcio della pistola.

Si avventò su di lui con una ginocchiata verso il petto e mentre lo spingeva contro il muro tentò in tutti i modi di prendere la bacchetta.

L'uomo sbraitò qualcosa e una frusta rossa la colpì al fianco, ustionandola ma non mollò la presa e premette il grilletto sul collo.

Lui reagì spingendola contro il tavolo che si spezzò.

Solo allora notò di avere sia la bacchetta che la pistola in mano.

Un senso di sollievo si profuse nel suo corpo ed ignorando la ferita che pulsava si alzò in piedi.

L'uomo rantolava a terra, le mani premute sul collo e l'aria di chi sta per morire.

-Dov'è Hermione Granger?- domandò.

Lui non rispose e continuò a gridare. Cleta alzò la pistola e la puntò contro il viso dell'uomo.

-Dov'è mia sorella?- chiese nuovamente.

Non ottenne nessuna risposta se non un tentativo di colpirla, ma Cleta si allontanò in fretta e ripuntò entrambe le armi contro l'uomo.

-Se non mi dici cosa sta succedendo entro tre secondi. Io ti ammazzo. Uno...- dichiarò.

L'uomo sembrò tentennare. Aprì la bocca ma non parlò.

-Due...-continuò Cleta, si avvicinò a lui.

-Il Signore Oscuro vince...- non fece in tempo a finire la frase che un colpo di pistola gli frantumò il cranio.

L'alta uniforme di Cleta, già insanguinata dalla ferita, fu imbrattata di sangue.

Si passò lentamente una mano sugli occhi scostandosi gli schizzi e tremante tentò di sedersi.

Aveva pochi minuti prima che qualcuno chiamasse la polizia.

Doveva assolutamente andarsene. Si tolse la giacca e strappò la camicia.

La ferita era profonda e completamente aperta, si estendeva per buona parte del fianco e il sangue fuoriusciva lentamente ma con costanza.

Proprio mentre cercava di tamponare la ferita, la sua mente la fulminò con una illuminazione.

Attenzione al fuoco, altro non poteva essere che il camino di casa sua. Si ricordava che anni fa, Hermione le aveva parlato dei sistemi di trasporti dei maghi ed uno di questi era la polvere o qualcosa del genere.

Oltre le colline verdi...

S'incamminò con passo incerto fino al secondo piano della casa e si ritrovò faccia a faccia con il poster delle colline irlandesi che aveva visitato poco prima dei suoi diciotto anni con la famiglia.

L'ultima vacanza con la sua famiglia.

Oltre l'apparenza c'è la realtà...

Staccò con una certa difficoltà il poster e lo girò.

Lesse con attenzione quella calligrafia ordinata e precisa che tanto la irritava.

La Tana, Ottery St Catchpole , Devon.

Sotto di essa, era stata applicata una busta con della polvere verde.

La strappò e se la mise in tasca, mentre scendeva sentì le sirene spiegate delle auto della polizia.

Come aveva previsto qualche buon vicino, terrorrizzato da quei colpi di pistola aveva chiamato la polizia.

Tentò di trascinare il corpo dell'uomo finò alla porta d'ingresso, lasciando una lunga scia di sangue laddove un tempo vi era una testa umana e zoppiccò fino al camino semi-distrutto.

Chiuse gli occhi e cercò di ricordarsi le parole di Hermione quando le raccontava di come usavano quella polvere.

-E' molto più semplice di quanto tu possa pensare. Basta prendere una manciata di polvere e buttarla nel camino.- le disse

-E poi che succede? Ti teletrasporti come in Star Trek?- rispose Cleta scettica.

-Non esattamente. Una volta seduta sul fuoco devi scandire perfattemente il luogo prescelto, chiudere gli occhi ed attendere il risucchio...-

Ad interrompere il flusso dei suoi ricordi fu la radio gracchiante della polizia.

-Siamo la polizia di Stato, sei circondato...-

Cleta prese la polvere e la buttò nel camino che improvvisamente si animò.

Si sedette in mezzo a quelle fiamme colorate temendo di morire ustionate, ma scoprì con stupore che in realtà erano fredde fruste verdi e blu.

-La Tana, Ottery St Catchpole , Devon.- gridò al nulla e chiuse gli occhi spaventata da quella terribile sensazione di vuoto.

Fece in tempo a vedere le divise scure dei poliziotti entrare in soggiorno e tutto si fece nero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

____

 

Spero vi sia piaciuto questo capitolo.

Un bacio,

Isy.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 


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Capitolo 3
*** Due Silenzi e Due Misure ***


 Due Silenzi e Due Misure

 

 

 

 

 

 

 

 
Per Molly Weasley era impensabile sedersi in cucina, da sola ed immersa in un surreale silenzio.
Dopo vent'anni passati a crescere una famiglia numerosa e chiassosa non era certo abituata al silenzio e all'immobilità.
Se solo quell'opportunità l'avesse avuta qualche mese prima, sarebbe rimasta in soggiorno a sferruzzare i suoi famosi maglioni e a leggere Witchzine, un giornaletto pieno di pettegolezzi e storielle scritte senza grande impegno.
D'altronde fin da piccola aveva sempre covato una passione per la lettura e la scrittura, ma con sette figli da crescere, una casa che richiedeva costanti cure e un marito spesso distratto, non aveva mai avuto tempo.
Ed ora di tempo ne aveva anche troppo.
Spostò di nuovo lo sguardo all'orologio, unica eredità dei Prewett che aveva tenuto con sè gelosamente, squadrò le piccole lancette che portavano i volti dei suoi figli concentrandosi sui gemelli e su Bill puntati su "Pericolo Mortale".
Un'altra missione, sconsiderata e improvvisata missione, aveva richiesto la presenza di tre due suoi figli.
Contando poi che Charlie stava collaborando dall'estero raccogliendo più informazioni possibili e pronto per un rientro in Inghilterra che aveva definito chiaramente "temporaneo", abbassando terribilmente il suo entusiasmo.
Percy non aveva ancora fatto ritorno a casa, anzi, stando agli ultimi racconti di Kingsley, era uno dei pochi Alti Funzionari che tentavano di riportare veramente l'ordine al Ministero.
Ed infine i suoi piccoli Ron e Ginny, che spinti da un'irremovibile Hermione, si erano recati con Fleur a Diagon Alley per prendere il materiale scolastico della sua unica figlia.
Persino lei si era scordata di quell'appuntamento irrinunciabile e una fitta al cuore la fece sospirare.
Sebbene fossero solo le cinque del pomeriggio decise che era venuto il tempo di riempire il silenzio con i rumori rassicuranti di padelle e coltelli, ma qualcosa la distrasse.
Un bagliore appena accennato, catturato dallo specchio riflettente di una cornice che ritraeva Bill e Charlie alla piattaforma nove e tre quarti.
Si avvicinò al soggiorno e lanciò uno sguardo al camino.
Nulla sembrava animarsi e un leggero senso di sollievo la convinse a voltarsi e dirigersi alla cucina.
Fece appena pochi passi, quando sentì una specie di singhiozzo.
-Ma cosa...?-si precipitò in soggiorno con la bacchetta in mano, temendo che quel brusio appena accennato non fosse altro che il presagio di un nuovo attacco.
Dal camino si levò una nube nera e le fiamme di solito verdi della metropolvere divennero blu.
Sgranò gli occhi quando vide un piede penzolare, coperto da fulliggine e lingue azzurre.
-Chi sei?- gridò di nuovo, ma non ottenne risposta. Chiunque fosse sembrava in grossa difficoltà, che si fosse incastrato fra i diversi condotti della Metropolvere. Riunì tutto il suo coraggio e tentò di afferrare il piede.
Una volta preso, lo strattonò a terra, riuscendo a far comparire l'altro. Purtroppo il fumo e la cenere rendevano difficile riconsocere i contorni della persona.
-Engorgio!- Molly puntò la bacchetta contro la parte più stretta del camino che s'ingrandì e mollò il corpo incastrato che cadde sollevando una nube di polvere nera.
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Molly ci aveva pensato per quasi dieci minuti prima di far comparire delle corde che legassero un braccio intorno alle gambe dello sgangherato tavolo. L'aveva lasciata riversa a terra, pulendo il viso e sperando di riconoscerlo subito.
Per un solo attimo pensò che fosse Ninfadora, ma il naso e la bocca avevano una forma completamente diversi, i capelli erano castano scuro e corti. Inoltre gli abiti sembravano...Babbani.
O meglio, quello che aveva visto indosso a degli strani omoni che se ne stavano in piedi davanti a certi monumenti.
Buttando un'occhiata verso la donna svenuto vide la ferita che ormai aveva imbrattato parte della camicia di rosso.
Lo squarcio nella stoffa leggera permetteva di vedere la profondità della ferita che raggiungeva qualche centimetro.
Che fosse anche lei dell'Ordine o comunque dalla loro parte?
Non poteva certo lasciarla morire sul pavimento di casa sua.
Presa dalla frenesia, impugnò la bacchetta e con una certa urgenza tagliò quasi completamente la camicia e si mise al lavoro.
Ma quando recitò l'incantesimo che serviva a bloccare il flusso di sangue verso l'esterno, magia che aveva utilizzato spesso a causa di quelle violente partite di Quidditch che i suoi figli disputevano d'estate, qualcosa andò storto.
Ripetè l'incantesimo lentamente ed aspetto qualche secondo.
Terrorizzata prese uno stracciò e lo posò contro la ferita, cercando di premere il più possibile.
Che fosse una...Babbana?
Perchè solo loro non potevano essere curati dalla magia, erano immuni a qualsiasi incantesimo medico.
Scosse la testa, nessun Babbano poteva viaggiare per i camini usando la metropolvere e arrivare vivo, si disse.
Eppure...
I suoi pensieri furono interrotti dall'arrivo con il solito trambusto dei gemelli e di Bill che stavano entrando in casa, ridacchiando.
-Mamma?- la chiamò Bill con voce allegra. -Non sai cosa abbiamo...- ma s'interruppe non appena la vide a terra, china sul corpo di una sconosciuta.
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-E secondo te, chi può essere?- domandò Bill qualche minuto dopo. Avevano spostato la ragazza su uno dei divani del soggiorno e a turno portavano bende e ricoprivano la ferita. Molly aveva applicato del Dittamo con una certa precisione e sperava con tutto il suo cuore che quella ragazza, Mangiamorte o no, si svegliasse e chiarisse il tutto.
Se dovevano abbandonare la casa, dovevano farlo in questo momento.
-Se non lo sai tu Bill che conosci la maggior parte delle identità di quelli dell'Ordine...- mormorò Molly sconsolata.
Fred si avvicinò, esaminando attentamente il volto della ragazza.
-Non mi sembra di averla vista ad Hogwarts.-
-Nemmeno io me la ricordo a scuola...Ma ha qualcosa di famigliare...- disse George arricciando, c'era qualcosa nel naso e nelle guance che l'aveva messo all'erta.
-Una parente di qualcuno?- ipotizzò Bill.
Ma mentre i tre figli parlottavano fra loro, Molly si coprì la bocca con la mano.
Ecco a che cosa era dovuta quella sensazione bizzarra che aveva provato guardandola, come se l'avesse vista di sfuggita da qualche parte, molti anni prima.
-Hermione...- sussurrò.
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-Certo che fare finta di essere un Babbano qualunque...è noioso.-borbottò Ronald Weasley fissando la sua irriconoscibile immagine in una vetrina. -Sembro...Zacharias Smith!- esclamò rivolgendosi alla ragazza dai capelli biondi che lo fissava accigliato.
-Dovresti smetterla di lamentarti e muoverti, non abbiamo molto tempo.- sibilò, guardando l'orologio da polso.
Incrociò nuovamente le braccia, cercando di nascondere quel prosperoso seno che non le appartaneva.
Più volte aveva colpito Ron per aver indugiato troppe volte su quella massa di carne e quant'altro che la imbarazzava.
Di certo non poteva andare in giro con il suo corpo e la sua faccia.
Anche perchè, per quanto il Ministero e la Gazzetta cercassero di calmare i cittadini, nemmeno Diagon Alley era sicura.
La maggior parte dei negozi tenevano le serrande abbassate, i pochi passanti camminavano di fretta con la testa abbassata e le dita strette intorno alla bacchetta, pronti a fuggire in caso di necessità. D'altronde agli angoli delle strade più buie, mantelli neri attendevano solo un piccolo segnale per scatenarsi in scorribande ed omicidi per futili motivi.
Una ragazzina piccola dai capelli castani si avvicinò a loro due con in braccio un paio di libri e qualche sacchetto stracolmo di oggetti.
-Non capisco cosa ci sia di tanto utile nel sprecare decine di galeoni per cose che quest'anno non mi serviranno.- sibilò la ragazzina.
Hermione alzò gli occhi al cielo. Nonostante la pozione polisucco che le aveva dato l'aspetto di una tenera dodicenne, Ginny era inconfindibile.
-Sei sicura di aver preso tutto?- domandò Hermione voltandosi per osservare la strada e il piccolo negozio di Olivander.
-Sì.- rispose inviperita Ginny cominciando a camminare lungo il viale.
-Bene, allora che ne dite di andarcene, non mi sento al sicuro qui...- mormorò Ron, indicando una figura posta nell'ombra che li stava fissando.
-Già meglio sbrigarci.- mormorò poco convinta Ginny agguantando il braccio di Hermione.
Quest'ultima rimase incerta per qualche secondo e poi si avvicinò, posando la sua mano sull'avambraccio di Ronald, che nonostante non fosse fisicamente lui, cominciò ad arrossire violentemente.
Nel giro di qualche nauseante instante si ritrovarono nel bel mezzo del giardino della Tana ed Hermione respirò a fondo la brezza pungente di quella parte dell'Inghilterra.

Sorrise e rientrò in casa, seguita da un Ron che stava ritornardo alle sembianze naturali mentre Ginny commentava malignamente ogni espressione accigliata del fratello.

Ma entrando nella piccola e confusa villetta, l'attenzione della migliore studentessa del suo tempo notò i volti cupi di Mollyy e Billy.

La prima a parlare fu Ginny con il cuore che cominciava a gridare dalla disperazione.

-Harry...-riuscì solo a mormorare, ma gli occhi di sua madre non erano posati su di lei, ma bensì sulla sua amica.

-Hermione...-cominciò Molly con voce incerta. -Cara, hai forse omesso o dimenticato...- non riuscì a dire nient'altro, premendosi la mano sulla bocca.

Ad intervenire furono Fred e George.

-Aspettavamo da tantissimo tempo di vendicarci dei tuoi rimproveri da Prefetto, ma stavolta c'è l'hai servita su un piatto d'argento.- disse Fred canzonatorio.

-Insomma, nasconderci di avere dei parenti Babbani! Non si fa Hermione!- gracchiò George con un leggero sorriso sulle labbra. In altre occasioni avrebbero affrontato tale rivelazione con qualcosa di più spettacolare e divertente.

Hermione rimase in silenzio e spostò lo sguardo verso quel corpo scomposto sul divano.

Riconobbe il naso dritto, le labbra sottili e tese in una smorfia, le dita lunghe da musicista, i capelli castani scuri e la linea dura e precisa della mascella.

-Cleta...-

-Per le mutande bucate di strega Morgana! Dovevi dircelo che potevamo avere qualcuno da rifilare a papà durante i suoi deliri Babbani!-esclamò Fred.

Ma Hermione non rispose, sgranò gli occhi alla vista di tutto quel sangue e il terrore la pietrificò.

Come faceva ad essere lì, lei?

Lei che doveva essere dall'altra parte del mondo, impegnata in una guerra diversa e che lei considerava meno importante.

L'ultima volta che la vide risaliva a quasi due anni prima, quando rientrò per un congedo lampo.

Eppure eccola lì.

Sua sorella giaceva sul divano informe dei Weasley, dell'altra sua famiglia, col volto pallido e l'aria moribonda.

E in quel momento, Hermione, desiderò che quel surreale silenzio venisse rotto dalle battute acide di sua sorella.

Ma non fu così.

Attonita e sconvolta si avvicinò a lei e s'inginocchiò.

-Cleta...Perchè?- domandò.

Una delle prime domande senza nessuna risposta.

O forse con troppe risposte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Questo capitolo...Non mi piace, l'ho scritto mille volte e continua a non piacermi. Mi picchierei solo per questo, ma una volta riletto mi è sembrata la versione più decente.

Spero di non ricevere degli insulti, XD

un bacione,

Isy
 
 

 


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Capitolo 4
*** Impulsivo Risveglio ***


 
Impulsivo Risveglio



Se chiudeva gli occhi, il dolore, le sembrava sopportabile.
La fitta al fianco diventava una specie di scia di gonfiore e basta.
Eppure c'era qualcosa che l'aveva sconfitta.
Cleta Granger se ne stava da circa un giorno sdraiata sul letto di una sconosciuta dai capelli rossi, ad osservare due poster che si muovevano.
Si muovevano e già quello gli era costato una crisi respiratoria.
Si alzò sui gomiti e fissò le bende che coprivano la ferita, lentamente con un dito aprì le garze e fissò lo squarcio di carne e sangue.
Non era niente che un ago bollente e un po' di filo non potessero sistemare.
Ma proprio mentre stava cercando di alzarsi, la porta si aprì.
-Che fai? Fuggi?- domandò un ragazzo e solo allora Cleta alzò lo sguardo.
Aveva i capelli rossi e la cosa non la stupì, leggermente più lunghi dietro, una fronte ampia, un sorriso cordiale e degli occhi scuri.
Quel ragazzo aveva il classico aspetto di un adolescente che non vuole crescere e che preferisce il divertimento alla serietà, dati gli abiti sportivi e sporchi di terra.
-Probabile.- rispose solamente alzandosi dal letto e trattenendo un lamento per aver sforzato la ferita.
-Allora dovresti come minimo vestirti, si sa che andare in giro in reggiseno non è proprio il modo più semplice per passare inosservati.- disse ridacchiando.
Cleta scrollò le spalle. -Non ho problemi ad andare in giro in reggiseno.- si voltò ed agguantò una maglietta verde che trovò, la indossò con qualche difficoltà. -Forse sei tu ad avere problemi, no?-
Lui ridacchio ed indicò con un cenno la porta.
-Mia madre mi obbligherebbe a sposarti se ci vedesse ora.-
-Allora fuggo volentieri.- rispose Cleta sorridendo per la prima volta, anche se gli costava uno sforzo.
Scesero le scale ripide e bizzarre della casa, senza parlarsi finchè a metà del percorso, Cleta non si fermò.
C'era un pensiero che la stava torturando e minacciava di farla impazzire.
-Posso chiederti una cosa...- lasciò in sospesa la frase perchè si accorse che non conosceva il suo nome.
-George, George il Bello al suo servizio.- rispose lui inscenando un inchino.
Cleta portò la mano destra alla tempia. -Tenente Granger Cleta, al vostro servizio.- ricambiò lei abbassando la mano per stringerla velocemente.
-Cosa volevi chiedermi, Tenente Granger Cleta?- domandò George.
Cleta rimase in silenzio un attimo perchè i suoi occhi avevano incrociato quelli sollevati di sua sorella che stava salendo con una bacinella.
-Niente, George il Bello.- mormorò al ragazzo.
Hermione li fissò senza capire, ma sorridente fece scomparire la bacinella con un colpo di bacchetta.
-Stai...Bene, ora?- chiesa indicando la ferita.
-Benissimo, direi che dovrò lavorarci sopra un paio di giorni ma tornerò normale.-  stava quasi per abbracciarla, ma la ferita bloccò il suo braccio e la fece tremare dal dolore. -Hai...Dovete darmi delle spiegazioni, sapete?-
-Lo sappiamo.- rispose Hermione infilando le mani in testa. -Lo so.- aggiunse sussurando.
 
 
 
 
 
Se c'era una cosa che odiava era non avere il controllo, completo o parziale, degli eventi e degli oggetti intorno a lei.
Non riusciva a distogliere gli occhi dal coltello che sbucciava, da solo, una patata.
Le persone intorno a lei la stavano osservando perplessi, ma a Cleta non importava.
Era come se stesse seduta nel suo piccolo appartamento con Clarence, a guardare David Copperfield che faceva scomparire gli oggetti e cercavano in tutti i modi di capire come ci riusciva.
Ma quello che stava vedendo era fin troppo realistico.
Abbassò gli sguardi ai tre piatti di roba che la signora gli aveva appena preparato e si sentì male.
Una pila di fette biscottate, uova, carne, torte, biscotti, latte.
Tutte cose che aveva smesso di mangiare anni fa, era un miracolo se al Campo gli servivano del thè caldo e qualche brioche.
Era veramente un miracolo.
E lei si era abituata a sopravvivere con noccioline, barrette energetiche e acqua frizzante.
Ormai, dopo quasi tre anni, non consceva altri sapori.
-Grazie...Ma non ho fame.- disse alla signora Weasley che la fissò un po' sbigottita.
-Cara, hai perso molto sangue, credo che ti serva un po' di energia.-
Cleta scosse la testa. -Ci sono state occasioni dove ho perso molto più sangue, signora. E poi devo andare, ho delle faccende da sbrigare.- disse scattando in piedi ed osservando Hermione.
Lei si alzò e le indicò la porta che dava sul giardino.
Fu Cleta a chiudera la porta bruscamente e camminare verso una specie di capanno.
-Non hai freddo?- chiese Hermione.
Quel mattino di fine agosto tirava un forte vento e le previsioni parlavano di pioggia e temporali in tutta l'Inghilterra del sud.
-Nah, ho patito temperature peggiori.- rispose Cleta.
Solo allora le due sorelle si guardarono negli occhi.
Come fecero tre anni fa, in quella pista per gli aerei militari, quando Cleta partì per le terre mediorientali.
-E quindi, ti hanno fatto tornare a casa.- sussurrò Hermione.
-Diciamo che per ora non sono utile alla causa.- rispose Cleta sorridendole.
-Ti starai domandando...-
-Cosa sia successo ai nostri genitori e in generale nel tuo pazzo mondo?-concluse Cleta. -Sì me lo sto chiedendo da un bel po'.-
Hermione prese fiato e cominciò a parlare velocemente, soffermandosi su quanto fosse difficile la situazione del Mondo Magico e sulla sua, terribile e angosciosa decisione.
Attese una qualunque risposta, ma Cleta sclese di risponderle con un silenzio incredulo.



-Dimmi che ho capito male, Hermione.- disse sommessamente Cleta. -Ti prego dimmi che è solo...Solo fantasia.-
Hermione tirò su il naso e scosse la testa. -Io...No, è tutto vero.-
-Io non ci riesco ancora a credere.- rispose solamente Cleta sedendosi a terra.
Se lo sgomento iniziale e l'incrudelità l'aveva quasi paralizzata, ora era a dir poco sconvolta.
Non avrebbe mai pensato a sua sorella come una capace di prendere decisioni del genere.
Si considerava la pecora nera, la pazza, l'unica in grado di fare quel tipo di scelte e ne andava fiera.
Ed ora alla sola idea di convididere quel podio con sua sorella minore, quella sorellina che non riteneva in grado di fare nulla se non studiare e impuntarsi su certi ideali retrò, le sconvolgeva la giornata dicendole che aveva cancellato ogni ricordo dalla testa dei suoi, loro, genitori.
All'improvviso, Cleta scoppiò a ridere.
Una risata incontrollabile e fresca che la fece piegare e poi piangere per le fitte al fianco.
-Non sei arrabbiata?- domandò confusa la Grifondoro.
-No, ma a cosa pensi? E solo che non me l'aspettavo.- rispose Cleta ridacchiando. -Semplicemente non ti credevo capace di fare scelte del genere. Ma se l'hai fatto per la loro sicurezza, ti comprendo.-
La sorella si aprì in un sorriso e si sedette accanto a lei.
-E' strano sai? Non avrei mai pensato che ci saremmo trovate sedute per terra a casa di Ron insieme.- disse Hermione.
-Non ho ben chiaro chi sia Ron, si assomigliano tutti, ma concordo con te.-
-Lo sai che non sei costretta a rimanere, ma fuori nulla, nessuno è al sicuro.-
Cleta ridacchiò. -Basta melodrammi dell'ultimo minuto, Herm. Sai benissimo che io vivo nella costante insicurezza, non noto nessun cambiamento.-
-E con questo cosa vorresti dire?-
-Che forse c'è bisogno di un buon soldato addestrato e un ottimo cecchino, non pensi?-
Cleta chiuse gli occhi a causa delle prime gocce di pioggia che cominciavano a scendere violentemente.
Impulsiva, ecco cos'era. Difficilmente pensava razionalmente a cosa dire o fare, lei si buttava a capofitto e stava a vedere.
Così decise di punto in bianco che avrebbe aiutato Hermion.

E avrebbe scoperto quel'è il modo per sconfiggerli, questi maghi.







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Non aggiorno da un bel po' e mi dispiace, l'ispirazione va e viene e ultimamente mi sta facendo incazzare nel vero e proprio senso della parola. Mi girano i marons, ma almeno stasera sono riuscita ad avere la lucidità necessaria per sistemare il capitolo e servendolo freddo.
C'è qualcosa che però mi piace in questo capitolo, è l'incontro fugace fra George e Cleta, ed anche il quasi scontro fra Hermione e Cleta.
Ricordatevi che non si "volevano" bene, o meglio, non si sono mai preoccupate di farlo sapere all'altra ed ognuna ha condotto la propria vita in modo separato e distinto.
Ed infatti hanno due obiettivi differenti.
Un bacione,
Isyde
 
 
 


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