Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Claire
de lune, suona questa mattina mentre il cielo scuro gonfio della pioggia
notturna fa ancora fatica ad animarsi. Ma il protagonista di questa storia ama alzarsi
presto, cullando l’intero vicinato in un risveglio placidamente accompagnato da
una colonna sonora pressoché sempre triste se non in rare occasioni allegra e/o
meno deprimente. Fuma la sua Marlboro rossa senza alle spalle né caffè, né
alcuna colazione, e la nuvola di fumo serpeggia un po’ per tutto il salotto
mentre lo sguardo si posa sulla finestra di fronte a se.Sui palazzi che s’animano e piano prendono a
brulicare di tutti i lavoratori. Sulle panchine fredde toccate dalla rugiada
del mattino, che riesce a farsi strada pure in una metropoli grande come
quella.
“Sanzo..?” La voce assonnata ed impastata del suo
coinquilino lo risveglia dal torpore che spesso lo coglie la sonata mattutina.
E si volta sbattendo un paio di volte le palpebre ma senza interrompere Claire
de lune. Le dita lunghe ed affusolate conoscono quella melodia a menadito,
saprebbero continuarla all’infinito senza stancarsi mai.
“E’ presto, torna a letto..” Lo comanda col tono di voce inflessibile ma
fiaccamente dolce. La sigaretta rimane penzoloni tra le labbra sottili e appena
arrossate dal freddo. Aspira con veemenza e poi rigetta via il fumo dalle
narici, come fosse un drago. O un vulcano pronto per l’eruzione.
“… No, ho un esame sta mattina.. faccio il caffè, ne vuoi..?” Domanda il
coinquilino grattandosi distratto la fronte mentre con l’altra mano rovista un
po’ tra le carte sparse sul tavolo cercando qualche elastico per legare i
capelli rossi e lunghi. Sanzo annuisce chiudendo gli
occhi e tornando a fissare il paesaggio urbano. Soffermandosi su qualche
spazzino sonnacchioso. Rimirando le pozzanghere tra le buche dell’asfalto. Un
cane orina contro la ruota di una macchina. La notte è stata tempestosa ma la
giornata si prospetta serena. E mentre distende il mignolo per acchiappare una
delle ultime note, aspira ancora una volta, sollevando la mano sinistra che ha
concluso gli accordi, e con essa regge la sigaretta mollemente. Sbuffa via il
fumo dalle labbra e la destra conclude diligentemente la melodia. Le orecchie
ascoltano i rumori della casa. Gojyo che si premura
di preparare il caffè. Ed al che, il nostro protagonista s’alza dallo sgabello
davanti il pianoforte. La mano ora libera, si muove portando indietro i capelli
biondi ed i piedi nudi accedono sulla moquette raggiungendo la cucina. Un
occhiata sciatta al lavandino ancora mezzo pieno delle stoviglie sporche della
sera prima.
“Che esame hai?” Domanda il biondo appoggiando il posteriore sul bordo del
tavolo ed armeggiando con la sigaretta che sembra sulla via della morte ormai.
“Diritto tributario.” Risponde l’altro arricciando
il naso. “.. La professoressa è uno schianto da paura.. ed ha un debole per i
giovani intriganti come me, mi ha promesso un ingente voto per una bottarella
da due soldi..” Ridacchia premendo il tastino della macchinetta che prende a
riversare il caffè Americano dentro la caraffa di vetro.
“Ha un debole per gli idioti come te?” Inarca un sopracciglio Sanzo, accennando pure un sorrisetto sghembo sul volto
pallido e smunto. Una peluria ispida si mostra sul mento e sulla mascella. Il
rosso si volta sventolando una mano all’aria come per scacciare via le battute
mattiniere dell’amico.
“Tutta invidia..” Si fa vanto gonfiando il petto, l’altro. “.. Tu hai lavoro
pure oggi?” Domanda poggiando una mano su di un fianco e scrutando il volto del
biondo.
“Già” Risponde conciso spegnendo la sigaretta nel primo posacenere beccato lì a
vagare sul tavolo.
“.. ma oggi non è la tua settimana di riposo?” Domanda ancora Gojyo ed il pianista afferra due tazze dalla credenza
avvicinandosi subito dopo alla macchinetta, bramoso di bere il suo meritato
caffè.
“Si, ma abbiamo avuto alcuni problemi amministrativi, per cui abbiamo collegio
dei docenti un giorno si, e l’altro pure..” Spiega versando il liquido nero ed
amaro, da zuccherare per il rosso, dentro le due tazze di porcellana color
panna. Il tempo dell’azione, prima di scappare verso l’uscita della cucina. Ma
è la voce impensierita del commercialista che lo ferma sulla soglia. “Sanzo..” Pronuncia. “.. tutto bene?” Ma non sembra essere
esattamente una domanda. Sembra quasi che la sua sia un affermazione, timorosa
d’avere una risposta negativa.
Il coinquilino più grande si ferma e si volta. Accenna un sorriso fintamente
mefistofelico ed annuisce. “È solo la pioggia. Sto bene..” Si congeda così, con
un alzata di spalle prima di ritirarsi nella propria stanza, lasciando la porta
aperta.
07.05
La mano gira tra i canali dell’auto radio, prima di posarsi sul cambio
inserendo la seconda, ancora imbottigliato nel traffico. E dire che nemmeno
mezzora prima la città sembrava dormire per sempre. <Scorpione.> L’oroscopo fa capolino tra le varie voci gracchianti
della radio, e Sanzo aggrotta le sopracciglia
piacevolmente divertito.
<Un’intensa attività e
compiti che richiedono la massima precisione sembrano sopraffarvi, ma devi
resistere. Sono infatti necessari a mantenere il tuo stile di vita e ad
assicurarti il successo futuro. La Luna ti illumina con la voglia di spazi e di
nuove esperienze. Perché non organizzi per il fine settimana un viaggio alla
scoperta di una città d’arte? Potrebbe venirne fuori un’esperienza
interessante.>
“Certo..” Esclama scuotendo la testa, puntando gli occhi contro lo specchietto
retrovisore. “.. e a lavoro ci vai tu, al posto mio?” Domanda alla trasmissione
radiofonica tornando a mettere la prima arrivato al semaforo. È rosso.E l’occhio torna a guardare il mondo. A
partire della donna che sta nella macchina accanto la sua, che ingoia un
tubetto di Yogurt al volo. Indossa un tailleur nero con gonna corta. Un cappotto
pesante, ed una sciarpa intorno al collo che le stringe i capelli biondo
cenere.La donna si volta a guardarlo, e
convinta che il suo interesse per lei sia di tipo sessuale, prima arrossisce e
poi toglie di mezzo il tubetto di Yogurt. Il pianista sbuffa e guarda altrove
mentre cerca nel sedile accanto la tasca della sua ventiquattrore per
raccattare il suo pacchetto di sigarette. Ne sfila una, bianca e morbida che
porta alle labbra sottili. Il semaforo è verde. Accelera e subito dopo
inserisce la seconda, ma la mano si stacca dal cambio, per afferrare lo zippo
nascosto nella tasca accanto a quella delle sigarette. Uno scatto e la fiamma
brucia e corrode la punta del tabacco lasciando volare vie corde di fumo.
Aspira. Lascia che il catrame entri dentro i suoi polmoni beandosi
dell’ossigeno che li corrode. Poi lo rigetta via da uno spiraglio della bocca
tesa. Abbassa il finestrino e la cenere cade per strada. La mano si fionda un
attimo sul cambio ad aggiungere la terza e la macchina vola tra le altre
scivolando sull’asfalto pulito proprio da quegli spazzini assonnati visti al
mattino. Svolta a sinistra, corre ancora per una via lunga e larga, circa due
corsie per senso. Poi la freccia lampeggia per un ennesima svolta verso
sinistra, e la macchina con distinzione prenda la via. Raggiunge scuola in
circa venti minuti tutte le mattine. Presentandosi sempre puntuale e composto.
Indossando il suo pezzo con giacca e cravatta. Parcheggia in una strada
parallela e finalmente scende dall’auto che lo accompagna ogni giorno. Supera
il cancello d’ingresso ed esamina un gruppo di ragazzi arrivato presto quanto
lui. Voci vaghe e volti che non ricorda lo salutano gentilmente, ma lui non
ascolta per davvero. La sigaretta scivola sul terreno, e la punta della scarpa
lucida la pesta uccidendola. Schiacciandola. Un attimo e si è spenta per sempre
mentre le labbra s’umettano per assaporare il sapore del tabacco dolce.
07.02
Osservo Sanzo andare via dalla finestrella del bagno,
mentre continuo a sciabordare lo spazzolino tra i denti. Mi sono espresso male.
Non è che lui stia uscendo dalla finestra del bagno. Sono che io che guardo
attraverso il vetro e seguo, sin dove posso, la Maserati quattro porte
sfrecciare nel traffico. Come faccia un professore Liceale avere una macchina
simile ancora me lo chiedo. Vero è che forse quella è stata la sua più grande
spesa. Per il resto dividiamo l’affitto, la spesa, a poco il cesso se non ci
fossero due bagni. Sputo il dentifricio in eccesso ed esco di lì per
raggiungere la mia stanza. Apro l’anta del mio armadio e deglutisco. Ecco,
forse avrei dovuto chiedere al mio coinquilino un consiglio su cosa diavolo
mettermi. Non so mai come presentarmi durante un esame. Certo è che, se sia ha
studiato, poco conta. Ma in questo caso, appunto, io non ho studiato un fico
secco. La professoressa ed io abbiamo avuto una veloce scappatella in cui ha
promesso, tra un gemito e l’altro, d’interrogarmi soltanto su due argomenti ben
definiti e delineati tra una spinta e l’altra. Soltanto che, se vado troppo scialbo,
sembrerà che non me ne freghi nulla, ma pure se vado compito sembrerà che
voglio farle una dichiarazione d’amore. Sospiro. Me tapino. Vediamo di unire le
due cose. Un jeans, scarpe sportive ma non da tennis, una camicia ed un
maglioncino a righe sopra. Si dai, sono un gran figo.
Mi guardo allo specchio e vedo appeso alla maniglia della porta il mio elastico
nero, che prendo ed utilizzo per legarmi i capelli in una coda.
Prendo le chiavi di casa, la borsa a tracolla, la
giacca e la sciarpa caduta dietro il divanetto all’ingresso. Esco di casa che
sono circa le sette e venti, ma l’università è qui dietro ed io giro con il mio
mezzo di trasporto. Non è esattamente una Maserati, che tra l’altro Sanzo non mi ha mai - e sottolineo mai - lasciato guidare, ma
una vespa di cui vado fiero. Comprata su Ebay poco
tempo fa, e spedita direttamente dall’Italia da un ragazzo che l’ha
praticamente svenduta. Io la tratto come fosse nuova. Anche perché in effetti è
arrivata in condizioni impeccabili. Qualche problema, quando c’è troppo freddo,
nell’accensione. Ma questo è niente, per il resto si presenta blu scuro lucido
e fiammante. Specchietti metallizzati splendenti. E una tenuta su strada da
fare invidia a quella Maserati. Alzo la saracinesca del garage ed osservo Autunno
dormire sul sedile della mia Vespa. Arriccio il naso ma sorrido divertito.
“Ciao,
Autunno.. ” Saluto il gattone tigrato, marrone, che ricambia il mio buongiorno
con un miagolio rauco ed addormentato. Mentre tolgo la catena dalla ruota il micione sbadiglia, s’alza sulle zampe ed incurva tutta la
schiena. Le orecchiette tirate e continua i suoi esercizi mattutini per
svegliarsi mentre adocchio in angolo che accanto il posto macchina del mio
coinquilino, sta un piattino con del cibo per gatti. Rido di gusto da solo,
come uno scemo. Quel biondino tanto scontroso a volte sa essere molto più buono
e magnanimo di quel che si creda. E dire che dovrebbe essere allergico ai
gatti. Poco male.
“Su, Autunno, vai a giocare con la tua padroncina.. ti prometto che se l’esame
va bene ti porto qualcosa di buono da mangiare!” Annuncio al gatto, il quale
sembra aver capito, perché miagola in risposta e scende dalla mia vettura.
Questo essere tanto grasso quanto coccolone, vive qui da sempre, che io sappia.
E’ il gatto della figlia del portiere. I suoi genitori sono entrambi allergici,
così lei lo tiene lì ed il felino non sembra protestare. In fondo ha tanto
spazio per se, quando vuole può uscire, ma è tanto pigro che gli basta avere la
sua cuccetta colorata ed un buon pasto mattina e pomeriggio. Sono già le sette
e mezza quando guido il mio veicolo nel freddo del mattino. Snodo le ruote
sull’asfalto, punto il clacson contro una signora che vuole praticamente
uccidermi ed in meno di dieci minuti sono all’università.
Parcheggio il mio veicolo insieme a tanti altri prima di andare a leggere la
lista. Sono il decimo del secondo turno. Speriamo si faccia in fretta. Oggi è
pure il mio turno di spesa.
09.24
Siamo qui dalle sette e mezza del mattino, ed i colleghi non fanno altro che
discutere, mentre il mio mal di testa comincia a diventare di dimensioni
gigantesche. Quanto vorrei essere in un altro posto. In un altro mondo.
Preferire essere in guerra in Iraq piuttosto che qui, tra queste quattro mura
ad ascoltare i discorsi stupidi e prevalentemente idioti dei miei colleghi. E
non mi azzardo nemmeno a dire la mia. Se aprissi bocca, probabile ch arriverei
a dire cose tanto brutte e velenose da ucciderli. Per cui me ne rimango in un
angolo del tavolo a scrivere il verbale. Ecco perché mi offro sempre io per
scriverlo. Per non dovere davvero ascoltarli, ma trascrivere i discorsi.
Al tavolo, oggi, ci sono proprio tutti.
La preside della scuola. KanzeonBosatsu. Una donna formosa e succinta, nel modo di
vestire, quanto nel modo di parlare. Ogni volta che apre bocca sembra volerti
stuprare. Come una sirena, invita le sue prede nell’ufficio privato all’ultimo
piano, e poi le divora o le annega lentamente, con dolcezza. Mostrando il suo
reggiseno blu di pizzo, con abbinato il tanga vertiginoso. Non che lo sappia,
perché abbia mai fatto chissà che con questa donna, lo so perché indossa certe
gonne o certe camice, che sono una presa un giro. Basta qualsiasi movimento per
mostrare al mondo i suoi infiniti completi dai più svariati colori e dalle
molteplici forme.
Accanto a lei, il professore di matematica con cui mi
trovo meglio e con cui si può parlare senza che il discorso finisca su partite
di calcio o chissà che. ChoHakkai.
Un uomo umile e gentile. A dire il vero ho sempre avuto la sensazione che fosse
una specie di maschera la sua. Non si scompone mai. Ha sempre un comportamento
impeccabile, e alle riunioni come queste, è l’unico forse che dice qualcosa di
sensato, anche se, sappiamo entrambi, le rigira sempre in modo tale da fare
contento i suoi colleghi. Sorrido beffardo tra me, quando lui mi osserva,
notando come il mio sguardo oggi sia più calmo rispetto agli altri giorni,
sebbene però la mia voglia di ucciderli tutti rimanga la stessa.
Frugo nella mia ventiquattrore raccattando il flaconcino di antidepressivi
prescritti dal mio medico. Un uomo vecchio e simpatico. Forse ormai con qualche
rotella fuori posto, ma non importa, basta che mi passi le caramelle giuste.
Ingollo una pillola senza nemmeno acqua, con movimenti riservati, ma loro sono
tanto presi dal parlare che potrei anche mettermi a ballare nudo sulla sedia e
non se ne accorgerebbero.
La
riunione si conclude circa mezzora dopo, quando ormai è troppo tardi per andare
a pagare alle poste, e troppo presto persino per tornare a casa.
“Sanzo.” La voce quieta di Hakkai
mi ferma sulla soia dell’aula. Usciamo per ultimi, lui addosso il cappotto ed
io, il mio, lo tengo su di un braccio.
“Non era la tua settimana di riposo questa?” Mi domanda aggrottando appena le
sopracciglia ma sorridendo gentile. Ma perché tutti sembrano interessarsi alla
mia settimana di riposo? Da un occhiata all’orologio da polso e poi accenna al
corridoio, come invitandomi ad uscire dalla classe.
“Si ma, per il collegio dei docenti vogliono tutti..” Faccio spallucce
inarcando un sopracciglio mentre la campanella suona ed i ragazzi cominciano a
serpeggiare per le classi.Io scanso un
ragazzino che corre inseguito da un compagno. “Ehi, vedete di non combinare
casino..!” Gli urlo dietro e loro ridono e si scusano. Poi spariscono dietro un
angolo.
“Hai da fare adesso?” Mi domanda il collega il di matematica, avanzando.
“No, perché?” Intanto io cerco le sigarette, che sembrano sparite nelle
molteplici carte da lavoro.
“Ti va di bere un caffè? C’è un posto qui vicino dove lo fanno discretamente
buono …” Lo osservo per una manciata di secondi e poi annuisco. “Si, mi va.”
Raggiungiamo
la piccola tavola calda dietro scuola dove vanno alcuni studenti a volte,
quando dimenticano il pranzo. E un posto discretamente tranquillo. Nessuno che
rompe le scatole. Difficilmente trovi la tipica mamma con insieme il bambino
che non smette di piangere, sarà per questo che ad Hakkai
rilassa tanto. Hanno pure un piccolo mangia dischi che alternano con musiche
degli ELP o dei Pink Floyd. Ci sediamo in un tavolo in fondo alla saletta e
ordiniamo due caffè. Lui con latte, io amaro nero.
“Sono passato l’altro ieri da casa tua, per lasciarti alcune pratiche, Gojyo mi ha detto che stavi poco bene..” Gojyo è un impiccione. Su questo non ci piove. E
s’impiccia anche male degli affari miei, visto che non stavo affatto male. Ma
taglio corto. Non mi va nemmeno di pensarci a cosa rispondere.
“Si, mi ha fatto avere le pratiche.. grazie per averle portate, anzi scusa il
disturbo..” Hakkai rimane un tantino interdetto ma sorride di
rimando ed annuisce appena mentre con un dito delinea sul tavolo forme
inesistenti. Non abbiamo ancora tanta confidenza. Anche perché lui è stato
trasferito nella scuola da poco, ma sa per certo, come lo so io, che tra
qualche tempo forse riusciremo ad avere una conversazione decente senza troppi
silenzi nel tentativo di trovare qualcosa da dire. Essere colleghi è difficile.
“E Goku come sta?” Domando di punto in bianco. “Sta seguendo le lezioni più o
meno facilmente?” Goku è suo fratello minore. Segue il terzo anno di Liceo, ma
trovatosi in difficoltà Hakkai è venuto a chiedermi
di dargli qualche lezione privata di Italiano e Storia. Non è un ragazzo
stupido, è soltanto molto pigro.
“Ti ringrazia per averlo aiutato, anzi si scusa del disturbo..” Mi prende in
giro lui con un sorrisetto divertito sul volto ed io sbuffo, schioccando la
lingua.
“Stronzo..” Mormoro scorbutico, ma di rimando il mio collega continua a
ridacchiare sommessamente. E basta quel poco a sciogliere un po’ il ghiaccio.
“Goku sta bene, anzi … voleva chiamarti per decidere la prossima lezione, visto
il tuo periodo di malattia..” Mi spiega mentre la cameriera porta da noi le
ordinazioni. Ad ognuno il proprio e torna dietro il bancone.
“Digli che può venire quando vuole.. li conosce i miei orari..”
12.00
Non ci credo ancora che ho finito. Una mattina ad aspettare per un
interrogazione che sapevo sarebbe finita bene. Sbuffo calciando via una lattina
di acqua frizzante mentre delle ragazze mi salutano come fossero in calore.
Guardo l’orologio, ho solo un oretta per fare la spesa ma dovrebbe bastarmi.
Salgo sulla sella della mia vespa ed esco dal casolare dell’università
abbastanza velocemente. Casa nostra è ben piazzata. L’università e la scuola in
cui insegna Sanzo sono vicine, abbiamo un minimarket
davanti il palazzo, un o due negozi di vestiario, una piccolo centro per
noleggiare film, una tavola calda accanto il minimarket, una cartoleria.
Insomma c’è tutto a portata di pochi passi. Per cui poso il veicolo dentro il
garage, dove adesso Autunno dorme beato sulla Maserati del mio coinquilino.
Strano che sia già tornato, ma poco male. Attraverso la strada ed entro nel
market con la mia lista “di sempre”. In pratica ho segnato in un agendina tutto
quello che teniamo in casa come viveri. Così ogni volta non ho bisogno di
scrivere quello che manca. Anche perché non siamo esattamente due tipi voraci.
Anzi, Sanzo mangia a malapena a tutti i pasti. Io
qualcuno lo salto a causa dell’università o della palestra. Ah si, c’è pure quella
dietro casa.
Per cui prendo con me una scorta di tutto, non si sa mai che non arrivi Goku.
Quella cosina così bassa riesce a divorare davvero di tutto. Fa paura di quanto
mangia.
Per cui varie merendine per la colazione, caffè. Uova, pasta, quale cibo
precotto. Qualche patatina per le mie strane voglie che mi prendono alla
sprovvista. Ed esco dal minimarket vittorioso, e senza che me ne accorge è
quasi l’una. Giusto in tempo per il pranzo. Salgo le scale, tanto viviamo al
primo piano. Apro la porta di casa e la risata tranquilla di Hakkai m’investe. Inarco le sopracciglia mentre chiudo la
porta dietro di me e seguo la voce sino a raggiungere il salotto. Sanzo ed il suo collega conversano tranquillamente. Quale
miracolo?
“Oh, ciao Gojyo!” Mi saluta allegro il docente di
matematica, con tra le mani un bicchiere di Rum. E’ un po’ presto per bere ma i
‘grandi’ sono loro, no? Per cui che li si lasci fare. Il biondino qui si gira a
guardare e mi lancia un cenno del capo a mò di
saluto. Da uomo a uomo.
“Ciao, oggi avete marinato la scuola?” Li prendo in giro ed il moro, ridacchia
tranquillo facendo spallucce.
“Più o meno.”
Il pianista sbuffa una risata soffocata. Non sia mai che qualcuno lo veda
ridere eh?
“Vuoi rimanere a pranzo? Ho fatto la spesa giusto adesso..” Lo invito educato e
noto Hakkai lanciare uno sguardo al collega, come a
chiedere la sua approvazione. Sanzo fa spallucce, si
alza in piedi e cerca le sigaretta nel cassetto del mobile che sorregge il
televisore.
“Goku esce da scuola tra poco no? Chiamalo e digli di venire qui.. così vediamo
se ha studiato o meno..” Si finge duro ed io ed Hakkai
ci guardiamo placidamente orgogliosi del morale alto del biondo. Per cui
ridendo io mi rifugio in cucina.
“Pure quella scimmia?! Significa che questo pomeriggio dovrò rifare la spesa!”
Urlo, ma continuo a ridere di gusto. Era una settimana che mangiavo da solo, ad
ascoltare quello stramaledetto piano suonare a causa della pioggia. Per una
volta ascolterò le urla di una scimmia.
Continua
…
Diciamo che se mi ero sempre buttata su fanfic di FMA ora tento con quelle di saiyuki,
perché ascoltando proprio questa canzone mi è venuta in mente una storiella,
che spero gradirete. Diciamo che tutta è incentrata su Sanzo,
perché leggendo qua e là mi sono resa conto che viene sempre dipinto, si
scorbutico, ma esageratamente. Io me lo immagino più come un timidone, ed uno molto lunatico, tutto qui.
Per cui spero la storia vi piaccia. :)
Un bacio ed alla prossima.
Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.
Lunedì 02/02/09 08.45 Sono
in ritardo. Ancora una volta. Il
mio vero problema non è tanto, l’alzarmi dal
letto, il non fare colazione e tutte le stronzate che ti passano sul
primo canale alla televisione, quanto lo scegliere il vestiario adatto
per ogni tipo d’insegnante. Per cui metti il pantalone
più scuro, camicia e gilè se hai a che fare con
la professoressa d'un certo livello sociale e - fondamentalmente -
acida. Una copia di Sanzo, pure se non ho mai avuto occasione di
seguire una sua lezione a scuola. Il jeans strappato e la
felpa, se becchi la zitella che ama il giovane dal capello ribelle.
Naturalmente c’è da scegliersi anche la
capigliatura giusta. Legati in una coda, stretti nella crocchia bassa e
sciolti. Com’è difficile essere un sex simbol. E
non scherzo. Tutte si aspettano qualcosa da te. Che le fai raggiungere
6 orgasmi nel giro di dieci minuti e che allo stesso tempo le tratti
bene. Perché nessuno vuole ammettere che per raggiungere 6,
e dico 6, orgasmi in così poco tempo devono,
necessariamente, essere sbattute peggio delle battone? “Miao..”
Ah, ecco autunno, solo tu mi apprezzi per quello che sono. In
realtà apprezzi il sellino della mia vespa. Cerco distratto
nella borsa a tracolla le chiavi della moto mentre osservo il gatto
oggi dormiente sulla Maserati del pianista che abita con me. Diamine
quant’è bella quest’auto. Giuro su Dio
che prima o poi riuscirò ad averla. Farò tanti di
quei soldi che farò invidia persino al biondino.
Lamborghini. Mi viene la pelle d’oca persino ad immaginare il
mio bel culetto sodo sopra una macchina come quella. Fisso
l’orologio al mio polso. Non credevo d’essere sceso
così presto. Solitamente Sanzo è già
andato via da un pezzo quando m’incammino per
l’università. Ma la porta di camera sua era semi
aperta, non abbastanza da guardarci dentro, ma è il suo
segnale per farmi capire che se voglio posso fare pure un po’
di casino senza preoccuparmi di svegliarlo o dargli fastidio.
Quell’uomo ha il sonno troppo leggero. Poco
male, adesso è troppo tardi per pensare a lui. E’
grande e vaccinato ed io sono in ritardo da fare schifo, se solo
trovassi quelle maledette chiavi. Ma
che diamine!
08.50 Vuoi
che non mi toccasse risalire a prendere le chiavi? Mi sa che ormai, il
tempo che le trovo e riscendo si sono fatte le nove. Per oggi
marinerò l’università. Non si direbbe
ma sono un allievo modello, io. Per cui se salto un giorno di lezioni
non sarà la fine del mondo, passerò la giornata a
studiare ed a pulire quel manicomio della mia stanza. Apro la porta di
casa, nessun rumore. Forse il prof questa mattina è sceso a
piedi. Giusto per tenersi in forma. Lo so cosa vi state chiedendo,
perché un uomo adulto vive con un poppante? Io
e lui ci conosciamo da quasi dieci anni ormai, Amici di amici. Io avevo
quattordici anni e lui 18. Era il grande del gruppo. Era entrato a far
parte della combriccola a causa del gruppo rock che avevamo messo su.
Il piano può sembrare uno strumento inutile in una rock
band, ma si sbaglia chi lo pensa. Comunque.
Sempre stato tipo strano, fatto sta che abbiamo fatto amicizia. Sono
stato l’unico con cui s’è trovato bene,
e se devo essere sincero la cosa è stata reciproca. Non so
perché. Per quanto parli pochissimo, sia sempre scorbutico e
faccia davvero poca compagnia, quando ho avuto bisogno di aiuto
è stato lì a differenza di quelli che dovevano
essere i veri amici. L’unico
suo problema, rivelatomi da lui stesso, è che soffre di
depressione. Per cui la spiegazione per cui vive con un ragazzetto
quattro anni più piccolo di lui è che cerca di
prevenire se stesso. Immaginate d’essere una persona che da
un giorno all’altro si chiude in casa, senza mangiare, senza
sentire nessuno e senza muoversi dal letto. Nessuno saprebbe quello che
vi sta succedendo. Morireste, senza davvero volerlo, intrappolati nella
vostra depressione. Per questo quando mi ha proposto di vivere con lui
ho accettato. Io faccio la mia vita, sia chiaro, soltanto che, quando
penso al mio mangiare ed al mio quieto vivere, penso anche al suo. Non
mi pesa e non mi è mai pesato. Per cui se per qualche
secondo penso che non dovrebbe importarmene, poi ci ripenso e mi sento
in colpa soltanto d’averlo pensato. Sanzo
mi è stato accanto quando è morta mia madre.
Possono sembrare le parole di un Gay, è vero, ma se volere
bene ad un amico significa essere gay, allora lo sono. “Ehi,
occhi suadenti, sei a casa?!” Poso giacca e borsa
all’ingresso mentre lancio le chiavi di casa sul mobiletto
nero comprato all’ikea per meno di 30dollari. Nessuna
risposta, soltanto indizi. Ma le sue chiavi di casa non ci sono e
nemmeno la valigetta del lavoro che lascia sempre vicino la porta.
Faccio spallucce e mi dirigo al bagno senza passare dal corridoio
centrare. Piscio. Cavolo avevo la vescica gonfia! Evidentemente era
destino che questa mattina proprio non ci andassi a lezione eh?
Mhà, speriamo che il cielo abbia in serbo qualcosa di
divertente per oggi. Tiro l’acqua e tiro su la cerniera
mentre il maglioncino leggero vola via dentro la vasca da bagno.
Sbadiglio fissandomi allo specchio sopra il lavello prima di aprire le
ante cercando qualche elastico o forcina. Tutto sembra stranamente
troppo in ordine e.. vuoto. Si vuoto è il termine adatto. Mi
spiego meglio, non c’è nulla di mancante, a
sinistra stanno i medicinali del mio coinquilino. Per la stragrande
antidepressivi, ansiolitici e sonniferi. E a destra le mie cose tra cui
medicinali per l’influenza, per la diarrea, per tenermi in
forma. Si bhè, per fortuna non si tiene conto della
profondità di una persona dal suo armadietto. Tornando alle
scatoline cilindriche, non riesco a focalizzare
cos’è che stona. Scruto le confezioncine
trasparenti, posso guardarci attraverso di quando sono
pulite. La fila centrale, quella degli antidepressivi, ha
solo contenitori vuoti. "MA
PORC...!" Non
penso troppo. Esco dal bagno percorrendo la casa a grandi falcate. “Sanzo?!”
Chiamo a voce alta raggiungendo la porta della sua camera. Lo spiraglio
è di circa cinque centimetri e quando vado per aprire la
soglia la sento bloccata. “Maledizione,
apri questa porta!” Urlo ancora. Faccio la voce grossa. Non
è mia intenzione ‘spaventarlo’ anche
perché se davvero volessi, lui si metterebbe a ridere,
voglio solo capire che sta combinando. Ecco il mio compito. Fermarlo in
caso tenti il suicidio. Cerco di guardare dentro la stanza. Ci vedo a
malapena il letto. Le lenzuola sono scombinate sul materasso e quello
che ci vedo sopra, voltato di spalle e sdraiato, sembra essere lui. “Sanzo?!
Sanzo, ehi, mi senti?!” Non
si muove. Le braccia scomposte sui lati. Non riesco a vedergli la
faccia. Non riesco a vedere niente, maledizione! Con la mano cerco di
capire cosa blocca l’ingresso: il tavolo in legno. Mi
faccio indietro. Punto i piedi per terra e con le braccia spingo. Mi
bastano venti centimetri in più per passare. Giro
intorno il letto, a terra, sotto il suo braccio lasciato penzoloni
stanno un paio di pillole, quelle che non è riuscito a
ficcarsi in gola direi. Il
suo volto è pallido ed agonizzante. Le labbra viola ed una
buona quantità di schiuma e sangue agli angoli.
Sapete perché sono, per certi versi, così lucido
e critico? Perché non è la prima volta che
succede.
18.45 Quando
mi risveglio, sono già morto da un secolo. Ed il suono
fastidioso della Nintendo DS di Gojyo mi fracassa le orecchie. “Vuoi
spegnere quell’affare?” Mugolo, persino il suono
della mia voce risulta molesto per il mio cervello che ha la sensazione
d’essere sballottato da una parte all’altra del
cranio. “Oh,
chi me lo sta chiedendo?” Domanda con quell’ironia
da due soldi che si porta dietro da quando era un ragazzino.
“Ah, si, quell’imbecille di Sanzo, quello che mi
deve la vita? O quello che sta mattina ho trovato in overdose? Ah! Ora
ricordo! Tu sei quello che hanno dato per deceduto per una manciata di
secondi! Ma si, certo che sei tu, ma se sei davvero tu
perché dovrei ascoltare le parole di un morto?”
Sono tentato se aprire gli occhi e fulminarlo con lo sguardo o
semplicemente acchiappare la prima cosa che sta sul comodino. “Se
fossi morto, starei in obitorio..” Puntualizzo sforzandomi
d’aprire le mie fosche pupille. Temevo di peggio. Sono ancora
in camera mia, ed il mio coinquilino sta seduto su una sedia accanto al
letto. Accanto a lui una flebo che deduco conduca sino al mio braccio. “Che
illuminazione, prof..” Lo vedo scuotere la testa arrabbiato
mentre spegne finalmente quella scatola demoniaca. Provo
a mettermi a sedere e la nausea mi sale sino alla gola. Ma deglutisco
cacciando giù quel conato. “Ti
viene da vomitare?” Il suo tono immediatamente cambia. Quanto
è stupida e banale la coscienza degli uomini. “I
ragazzoni del policlinico hanno detto che è normale dopo una
lavanda gastrica.. Ringraziami d’averli convinti a riportarti
qui, volevano tenerti sotto osservazione …” Lo
guardo frastornato, troppe informazioni tutte insieme.
“… dello psicologo,
s’intende.” Annuisco, chi se ne frega dove volevano
tenermi. E chi se ne frega se gli devo un favore, anche
perché se sono vivo, evidentemente non mi ha fatto il favore
di lasciarmi morire. “I
ragazzoni del policlinico ti hanno detto che dovresti stare zitto? Sono
un suicida, vuoi trasformarmi in omicida?” “Se
ammazzi qualcuno ti fai qualche anno di galera, ma almeno rimani vivo
…” Fa il sarcastico lui. “Sai
che in galera c’è il più alto tasso di
suicidi?” “La
vuoi smettere di parlare di suicidio?” Si è alzato
in piedi, arrabbiato. Ma che diavolo vuole? Si faccia i cazzi suoi. “Parlo
di suicidio quanto mi pare e piace.. e se non ti sta bene, quella
è la porta, togliti dalle palle..” “No,
che non mi tolgo, ok?! Ma che cazzo hai nel cervello? E soprattutto,
cosa cazzo c’è nella tua fottuta vita che non ti
va bene?! Hai uno stipendio rispettabile, un tetto sopra la testa ed un
piatto caldo sempre sulla tavola!” “Oh
scusami se nel mia fottuta testa, come dici tu, non ci sono soltanto
beni materiali del cazzo come questi!” Mi siedo
adesso,perché giuro che se lo sento ancora parlare lo
ammazzo, lo ammazzo sul serio. Strappo via la flebo sotto il suo
sguardo sconvolto. O si, piccolo Sha, mi sto alzando e sto andando al
cesso. “Ehi,
no aspetta, non puoi alzarti, hanno detto che.. “ Non
riesco nemmeno a mettere entrambi i piedi nudi sulla moquette che gli
crollo praticamente addosso. Lui non si tira indietro nel non farmi
cadere. E’ questo che mi ha sempre fatto incazzare di lui. Ti
sorregge pure quando vorrebbe spaccarti la faccia. Non gli importa se
fino a due minuti prima vi stavate scazzottando. Diamine, che abbia le
palle di rimanere sulle sue idee e guardarmi
dall’alto. Gli vomito addirittura addosso, mentre
la nausea mi attanaglia le viscere, e quando davvero voglio solo
crollare per terra, lui mi segue, rimanendo ricurvo su di me. Non sta
mai alzato. Che si fotta il suo buonismo che mi fa sentire
così debole. Odio questa sensazione. E odio ammettere
d’avere bisogno di lui.
Giovedì 12/02/09
“Smettila
d’ingozzarti così, finirai per sentirti
male..” Sanzo mi rimprovera, come mi rimprovera tutte le
volte che non sto dritto sulla sedia. O non comprendo bene cosa
è successo tra il 1492 ed il 1520. Cose che, dopo una serie
di scappellotti sulla testa, mi entra naturalmente nel cervello. Gojyo
ha un'aria soddisfatta mentre inforca i suoi spaghetti al pomodoro.
Hakkai beve la sua birra con una discreta dolcezza negli occhi. Ed il
pianista mi guarda truce. Ma sorrido di rimando seppure subito dopo
finga l'aria seccata ed offesa. "Ma
non c'è gusto a mangiare se non ci s'ingozza!" Sbotto io
intrattenendo gli altri tre, che se la ridono bellamente. Gojyo manda
giù il boccone prima d'incalzare come a dare man forte al
suo coinquilino. "Chissà
perchè, immaginavo avresti risposto così.. da
vera scimmia!" Se la ride di gusto lui. Mi scappa ancora da ridere
mentre Sanzo scuote il capo come arresosi all'evidenza che sono e
rimango una stupida scimmia e continua a sbocconcellare il piatto che
ha davanti. Non che abbia mangiato in grandi quantità. Per
non parlare poi del fatto che, già di suo, non ama la pasta.
Da quel che ho capito, a parte nelle rare volte, come questa, in cui ci
ritroviamo a mangiare, si nutre per lo più di uva e frutta
secca. Formaggi freschi e Crackers. Accompagnando sempre con un
bicchiere di vino o del Whisky. Non so davvero come faccia. Il suo
colesterolo deve essere così basso, da fare invidia persino
ad un ragazzino del quarto mondo. Orgoglioso comunque, finisco il
piatto. Tamburellandomi la pancia piena. Hakkai conversa con Sanzo
adesso, il quale a tratti guarda lui ed a tratti guarda me. Non so
perchè quest'essere antipatico, dalle dita ingiallite per le
troppe sigarette e lo sguardo truce e malinconico mi attragga tanto.
Non a livello fisico o sessuale. Semplicemente è come se lo
conoscessi da sempre. Come anche Gojyo. Naturalmente con lui
è diverso. Per quanto abbia già un fratello
maggiore, con lui è come averne due. Hakkai è il
buono e saggio. Quello che ti sprona se qualcosa non va. Che sta
lì a farti ragionare nel vano tentativo di dirti che,
essenzialmente, hai sbagliato, ma si può sempre rimediare. E
poi rimane comunque fratello di sangue. Gojyo invece è il
fratellone che sfotte. Magari ti mette anche in ridicolo davanti agli
amici, ma poi viene a rompergli il culo, se s'azzardano loro a
prenderti in giro. Sanzo immagino sia... Non credo di conoscere la
risposta. E' fratello. E' un padre. E' lo zio ed il prof. Sanzo
è tutto. E forse gli dispiace sapere d'averlo visto al
vertice della tristezza. In parte mi sento anche in colpa per quello
che è successo. Forse ci sentiamo tutti un pò
così. Perchè, per quanto lo si possa odiare. Gli
si possa urlare contro. Abbiamo il tedioso ed irragionevole istinto di
salvarlo. Da tutto e da tutti. Di proteggerlo da se stesso. Da quel
baratro che lo imprigiona spesso e di cui davvero nessuno conosce la
spiegazione logica. Da
quel che so non ha perso nessun parente caro. I suoi genitori sono
ancora vivi e vegeti ed ogni tanto lo chiamano nel tentativo
d'invitarlo a fare loro visita, cosa che non è mai successa
da quel che so. Gojyo dice che è sempre stato
così. Da quando lo conosce è sempre stato dallo
psichiatra, ha sempre preso antidepressivi ed ha sempre fumato circa un
pacchetto e mezzo al giorno. Dice che una volta è riuscito a
fumarsi 80 sigarette in 24 ore. E' stato sveglio fingendo di studiare
in caso ci fosse stato bisogno di chiamare i paramedici. Sanzo ha
suonato per tutta la notte. Ma nessuno è venuto a
lamentarsi. Come se "qualcosa" l'avesse estraniato tanto da
ciò che lo circonda, da risultare inudibile. Non sappiamo
perchè se cominciamo una conversazione incentrata su dei
videogiochi, poi finiamo col parlare di lui. Hakkai ha detto, due notti
dopo il "fatto", che spesso veniamo attratti da ciò che non
capiamo. E noi tre, come falene alla fiamma, lasciamo scottarci,
soltanto per essere sicuri che quella fiamma splendente sia sempre
accesa. E non si spenga mai. "Baka,
stai pensando alla risposta o stai fingendo d'ascoltarmi?" Mi domanda
innervosito il pianista scrutandomi col suo occhio indagatore. Una scia
di fumo emerge dalle labbra socchiuse mentre attende che io apra bocca. "Nono...
stavo.. stavo pensando alla risposta!" Mento spudoratamente. Che cosa
mi ha chiesto? Diamine non stavo ascoltando! Lo fisso, deglutendo
sonoramente mentre cerco sul tavolo la pagina del libro, per avere una
vaga idea di cosa sto studiando. Ma lui sorride, sardonico, chiudendo
il libro con un tonfo. La mano poi scivola morbidamente alla sigaretta
lasciata nel posacenere. La porta alle labbra. Aspira. E sbuffa via
dalle narici. Seduto di fianco a me, permane quel sorrisetto,
palesemente cattivo, di chi ha beccato l'alunno che dorme sul banco.
Allora cerco altrove. Hakkai a tratti ride ed a tratti quasi gli
dispiace che non possa aiutarmi mentre Gojyo tenta l'arte del mimo...
che diavolo mi sta mimando? E' un... un cane? Un gatto? Un gatto! Ha
delle.. delle macchie... una coda.. coda molto lunga e... "Leopardi!"
Esordisco entusiasta d'avere capito i preziosi suggerimenti del rosso
il quale, per qualche strano motivo sghignazza. Hakkai lo rimprovera
tacitamente, seppure anche lui trattenga a stento delle risate. Sanzo,
invece, chiude gli occhi. Si toglie gli occhialetti rotondi dal naso e
mi fissa con sufficienza. "Goku...
ti ho appena chiesto in cosa consiste il Congresso di Vienna, nel
1815?!" Sbotta mollandomi una sonora sberla dietro la nuca. "Aaaaah!
Sanzo, non picchiarmi! Lo sai che non ci capisco niente di storia!
Sempre a parlare di stipulati! Governi! Date!" "Se
ti sforzassi di capirla, piuttosto che leggerla come numeri a caso,
riusciresti anche ad aprezzarla! E tu..." Si volta verso Gojyo il
quale, aria da santarellino, guarda altrove. ".. Non suggerirgli cose
sbagliate, o finirà davvero per rispondere 'Leopardi' domani
in classe..." Si
alza dalla sedia, spegne la cicca e si ferma per qualche secondo
davanti la finestra a fissare il paesaggio. Ed è
lì che lo prendo in contropiede. Scatto sul libro, lo apro,
lo cerco, nemmeno il tempo di trovare la pagina che il prof mi chiude
il libro per la seconda volta, proprio sulla mia mano. Gemo di dolore.
Piagnucolando.
Lunedì
02/02/09 19.45 Sono
in ritardo! Sanzo mi ammazza! Dovevo essere lì alle sette e
mezza, ma l'allenatore mi ha fatto fare palleggi in più
visto che domani c'è la finale di Basket tra le scuole del
quartiere. Corro come il vento. Zaino in spalla, la canottiera della
squadra ancora sudata, non ho voluto nemmeno fare la doccia. Scanso una
vecchina. Salto al volo una panchina e prendo la scorciatoia
arrampicandomi per una ringhiera alta circa due metri. Sto sudando come
un cane, prenderò probabilmente un malanno, ma Sanzo fa
molta più paura di qualsiasi altra malattia! Potrei essere
investito da una macchina, non mi preoccuperei. Ma lo sguardo truce, ed
il pugno destro del prof privato, fanno molta, molta... davvero MOLTA
più paura di qualsiasi catastrofe ambientale e non! Attraverso
la strada col rosso, una ragazza in motore mi manda a quel paese e in
meno di tre minuti raggiungo il palazzo. Il portone è ancora
aperto, saluto il portiere, salgo le scale e sono già al
primo piano. Ma è quando sto per suonare il campanello che
un senso di vuoto m'attanaglia lo stomaco. Tentenno.
Qualcosa mi dice di girare i tacchi e andarmene, ma l'immaginaria voce
di Sanzo che mi rimprovera per il ritardo mi scuote. E do il mio solito
tocco personale alla suonata. Ancora col fiatone. Passa qualche secondo
prima che Gojyo mi apra la porta. "Goku...
che ci fai qui?" Il suo volto è sinceramente spaesato.
Strano che non si ricordi della mia venuta. Solitamente mi fa sempre
trovare qualcosa mangiare. Si, lo so, ho un rapporto d'affetto col cibo. Io,
rispondo a scatti per via del fiato. "Oggi
è Lunedì!" Spiego. "Ho la lezione con Sanzo!"
Sorrido, come fargli capire che sono in ritardo mostruoso ed aspettare
lì, in piedi, davanti la porta, non è proprio la
migliore delle idee. Lui però mi guarda, si passa una mano
tra i capelli e sembra non trovare le parole. "Goku,
va a casa... oggi... Sanzo non c'è..." Conclude
così cercando richiudere la porta ma lo fermo, poggiando una
mano su di essa. "Come
non c'è? Perchè non mi ha avvertito? Mi avvisa
sempre quando c'è da rimandare le lezioni!" Esclamo...
arrabbiato. Si è il termine giusto. Non mi piacciono le
risposte vaghe. Non hanno senso, e non danno il giusto valore alle
parole. Lui mi guarda. Indeciso. Se dirmi "qualcosa" che
però non riesco a comprendere. "Goku..."
Tentenna ancora una volta. Scruto i suoi occhi. Stanchi. Non
fisicamente, ma quasi moralmente. E poi sospira spostandosi
dall'entrata, acconsentendo tacitamente alla mia venuta. Io di rimando
scruto il salottino. Ora, improvvisamente, vorrei andare via. Ma entro
lo stesso, facendo scivolare lo zaino per terra, vicino il tavolo
accanto la finestra. Mi guardo intorno. E poi cerco gli occhi di Gojyo
il quale si chiude la porta alle spalle. "...
okkei.. non è vero che Sanzo non c'è... diciamo
che.. oggi, non ha la testa per farti la lezione..." Mi
mordo il labbro inferiore. "Ma..
sta bene?"Chiedo preoccupato grattandomi distratto la fronte. "Si
si.. sta bene.. " Annuisce. "Dai scimmia.. non fare quella faccia...
per me non è facile per cui... vai a casa... ti faccio
chiamare direttamente da lui al più presto..." "Posso
vederlo?" "Scimmia...
" Sospira. "... non credo sia il caso.. davvero... se vuoi chiamo
Hakkai e gli dico di venirti a prendere, manco per farti rifare la
strada a piedi ma... è meglio se... se ti siedi e soltanto
aspet..." Ad interromperlo è un suono gutturale e rauco.
Grottesco. "Stai..
stai qui.."Mi ordina sparendo nel corridoio. Non so perchè
decido di non ascoltarlo. Lo seguo con uno scatto. Lui non si accorge
di me. Quando
raggiungiamo insieme il bagno in fondo al corridoio rimango...
estterrefatto. Non tanto per la scena in se quanto per gli occhi di
Sanzo. Che mi guardano. Con rabbia. Con odio per stare conoscendo la
parte più bassa e penosa di se. "Che
ci fa lui?" Domanda tossendo. Seduto per terra, accanto al Water. "Aveva
la lezione Sanzo, non è colpa sua.." Pronuncia Gojyo per
difendermi. "Va
via!" Mi urla Sanzo. "Fuori di qui!" La voce esplode dalla sua gola, si
raschia per lo sforzo. Ed io non ci penso due volte. Corro via. Lascio
lì lo zaino. Non m'importa se domani mi mancherà
il cambio per la partita di Basket. Soltanto corro. Per dimenticare
quello sguardo. Quel volto che non riconosco. Non voglio riconoscere.
Mercoledì 18/02/09 19.45 E'
compiaciuto. Lo vedo da come ogni tanto controlla cosa sto facendo e
come lo sto guardando. A dire il vero non sto fingendo. Non ho una
passione per le armi, ma non ne avevo mai vista una dal vivo. E per
quanto possa sembrare stupido, vedere una pistola a meno di venti
centimetri dalle mie mani mi mette quasi una sensazione addosso strana.
"E'
scarica..." Pronuncia Sanzo inarcando debolmente il sopracciglio
destro. La sigaretta muore silenziosa nel posacenere mentre lui si
diletta nella pulizia della S&W. Un
rumore di chiavi. Alziamo entrambi il capo in direzione della porta,
alla nostra destra. Fruscio di sacchetti della spesa. Un gemito di
stizza per la pesantezza e poi la chiave s'infila nella toppa. Un giro
e Gojyo si palesa sulla porta. "Ciao
Goku!" Esclama dando un calcio all'uscio, il quale si richiude con un
tonfo forse troppo forte e non calcolato. Lo saluto di rimando mentre
lui si ferma per riprendere fiato, posare la giacca, le chiavi, le
sigarette, il portafoglio e finalmente riprendere i sacchetti. Fa un
passo, e poi si ferma con un ghigno. "Ma
no, vi prego, non aiutatemi" Si lamenta. Io rido. Sanzo sbuffa un
debole, debolissimo sorriso prima di concludere la pulizia ed alzarsi.
Casa di Sanzo e Gojyo non è grandissima, ma è
accogliente. Non tanto per i mobili o il colore delle pareti, quanto
per la conformazione di per se delle stanze. Appena entri trovi il
salottino. Con due divani, la televisione, ed il tavolo utilizzato per
le ripetizioni. Una piccola parete attrezzata con una
quantità spropositata di libri, ed il pianoforte divide
l'angolo Tv dall'angolo studio. Il corridoio porta a tutte le altre
stanze. Subito sulla sinistra la cucina. Nulla di che, angolo cottura,
un balconcino per l'estate ed il tavolo al centro. In fondo al
corridoio sta il bagno e sulla destra due stanze da letto. Quella di
Sanzo la prima, quella di Gojyo la seconda. Mentre accanto al bagno, in
una piccola rientranza c'è il camerino. Anche lì,
libri. Infiniti. Qualche gioco da tavola comprato per lo più
dal rosso. Mazzi di carte per il Poker e cianfrusaglie quali piastra
per fare i panini, frullatore ed una Ciclette rotta. "Ti
va bene il pollo, per cena, scimmia?" Mi chiede il professore riponendo
dei cereali sullo scaffale destro, in alto. "Non
sono una scimmia" Esordisco prima di ridere. "... si comunque! Ah!
Dimenticavo! Hakkai vi ringrazia per l'ospitalità, si scusa,
e promette che al più presto ricambierà."
Continuo leggendo il messaggio arrivatomi circa due ore fa. Gojyo
fa spallucce. "Digli di non preoccuparsi... al massimo ci ripaga di
tutto quello che mangi!" Sfotte come sempre il rosso. Il biondo invece
va al frigo, tirando fuori il pollo da fare in padella, alcuni
pomodori, tonno, lattuga e mozzarella. "Oddio,
Sanzo, ancora l'insalata?" Domanda Gojyo fingendosi disperato. "... Non
ti verrano mai i peli sotto le ascelle, se non mangi un pò
di sostanza!" Io me la rido, perchè davvero non si
può fare altro quando se ne esce con frasi come queste.
Sanzo lo fissa truce prima di ghignare malefico, lanciandogli un
pomodoro. L'altro lo prende al volo e poi se la ride anche lui. Non so
perchè mi piaccia tanto stare qui. E' un pò come
riavere la famiglia che io ed Hakkai non abbiamo mai avuto. Mia
madre morì circa sei o sette anni dopo la mia nascita.
Mentre mio padre era già andato via molto tempo prima.
Ricordo che col passare del tempo, mi disperavo di dimenticare pian
piano il volto di mia madre. Il primo anno ricordavo tutto di lei. Il
secondo, dimenticai la sua voce. Il terzo ed il quarto riuscivo ad
immaginarla con qualsiasi colore di capelli. Dal sesto in poi, rimasero
impressi soltanto i due pesciolini sopra gli occhi che lei definiva
sopracciglia. Ma se ne toglieva così tante da non risultare
nemmeno quelle. Sanzo
una volta mi ha detto. "Dimenticare
non è la fine del mondo... soprattutto quando non ti sforzi
di farlo.. significa semplicemente che è arrivato il momento
di crescere e lasciare il passato alle spalle.." Mi piaceva quella
frase. Dopo
cena, Sanzo suona il piano, come sempre. La sigaretta stretta tra le
labbra. Gli occhi non guardano i tasti, ma il paesaggio fuori la
finestra. Gojyo fa i piatti, è il suo turno, ed io fingo di
non ascoltare la melodia che proviene dal salotto. Fingiamo entrambi di
non ascoltarla, seppure questa sera ci accompagni una musica allegra
come La Stangata.