Tellin e il regno

di orual
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


 Benvenuti!
Alcune premesse essenziali:
1. questa sarà una storia assai lunga. Molte delle sue parti sono già scritte, ma non ordinatamente, quindi dovrò lavorare di volta in volta per le pubblicazioni. Di conseguenza, gli aggiornamenti saranno il più possibile regolari, ma non molto veloci.
2. E’ una storia a cui tengo tanto, ma l’ho scritta e la scrivo per divertimento. Le critiche ed i consigli, purché educati (e possibilmente compassionevoli, visto il mio amore per i personaggi;) sono più che bene accette.
 
Riguardo a questo capitolo, lo troverete probabilmente assai concitato. Vi avverto solo che ha la funzione di prologo a tutta la storia.
Vi lascio alla lettura, con una certa trepidazione. Buon divertimento!

 
1
Non sembrava possibile che la primavera tornasse, quell’anno, ma così era stato. Nel Giardino Interno della Casa, tutto era in fiore, e Tellin aveva provato un moto di stupore misto a rabbia al vedere che le piante della sua terra non erano abbastanza fedeli da non fiorire quando essa veniva invasa.
Naturalmente, la parola che si doveva usare, secondo lo zio Beir, era “amichevolmente sostenuta”, e Tellin si corresse mentalmente mentre camminava con passo rapido lungo il portico della lussureggiante corte interna. Secondo suo zio, sia lei che Tyal dimenticavano un po’ troppo spesso di utilizzare i termini appropriati, quando si trattava di parlare dei Tumani. Anche i Tumani erano della stessa opinione.
Quando entrò nelle stanze che divideva con le sorelle, Em stava pazientemente infilando ad Ilina, che si divincolava, un’elegante vestina bianca, ricamata di verde, e le scoccò uno sguardo esasperato.
-Dove sei stata? La cerimonia comincia fra poco! Vestiti, per piacere.
Allin era quasi alla fine della sua toeletta, poco distante, e stava scegliendo i fiori da infilare nei capelli.
-Scusami, il Reggente voleva parlare a me e Tyal della processione. Anzi, voleva che stessimo ad ascoltare mentre sua Schifezza ci parlava.
Ancora aveva nelle narici l’odore di grasso e scarsa pulizia che emanavano le sontuose vesti di Lord Naro. L’insolenza delle sue parole l’aveva umiliata più delle volte precedenti, e se Tyal, vicino a lei, non fosse stato così calmo e composto, così superiore alle provocazioni, non avrebbe accettato di restare a sentirlo tanto a lungo.
Il vestito che Em aveva preparato per lei era adagiato su una sedia. Di stoffa verde pesantissima, era molto più elaborato delle vesti bianche e verdi di Allin ed Ilina, di fattura quasi uguale nonostante fra le due ci fosse una notevole differenza di età. Era appartenuto a sua madre, perchè fino a che Tyal non si fosse sposato, Tellin era il membro femminile più importante della Famiglia, e tutte le parti cerimoniali toccavano a lei. E con i ruoli nel cerimoniale, venivano le vesti cerimoniali, che Em doveva ancora aggiustare per adattarle alla sua statura. Tellin non le amava affatto, perchè l’effetto che le faceva vedersele addosso, sotto il suo viso pallido, era estremamente deludente se confrontato con i ricordi che aveva della bellezza di sua madre quando le indossava.
Em venne a stringerle il corpetto sulla schiena, dopo che Ilina si fu seduta composta ed ebbe promesso di non muoversi. I lacci stringevano a tal punto che Tellin ebbe ragione di temere che sarebbe stramazzata al suolo a metà della processione. Le abili mani di Em passarono poi ad acconciarle i capelli, tirando impietose le ciocche per avvolgerle in un complesso gioco di nodi e perle legate a fili sottili.
-Si può entrare?
-Sei già dentro- osservò aspra Em, innervosita da un ricciolo di Tellin che non voleva saperne di stare al suo posto.
-Quand’è che ti sposi e mi liberi da questa tortura?- gemette invece Tellin, senza poter girare la testa per guardare il fratello, che le venne davanti e la scrutò con attenzione, tenendo Putch per mano.
-Non c’è dubbio: sei veramente bella- sentenziò poi, galante.
Anche lui era paludato in abiti da cerimonia, ma si trattava solo di una uniforme della Guardia più sontuosa del solito: le vesti ufficiali del Re erano passate tutte al Reggente, fino a che Tyal non avesse raggiunto la maggiore età.
-Non riesco a respirare. Non riuscirò ad arrivare in cima alla collina!
-Ci sei riuscita anche l’anno scorso.
-La veste era un’altra!
-Solo perchè questa era ancora troppo grande.
Tellin e Tyal erano gemelli. Si somigliavano nel lungo viso ovale e nel rosso scuro dei capelli, ma Tyal era più alto di Tellin ormai di quasi tutta la testa, e non era solo questo dettaglio a far sì che Tellin lo considerasse il più grande. Da circa un anno aveva cominciato a prendere parte alle riunioni di gabinetto del Governo di Reggenza, cosa  che a lei non sarebbe mai venuta in mente. Alle sue obiezioni perplesse, Tyal le aveva fatto un lungo discorso a voce bassa che, del tutto improvvisamente, le aveva aperto gli occhi su molte cose che succedevano nella Casa e fuori, da quando, l’anno precedente, il re era morto e lo zio Beir esercitava la reggenza in attesa della maggiore età di Tyal. Da quando Tyal le aveva parlato, Tellin aveva deciso di affiancarlo nelle noiosissime sedute del Gabinetto. Si era resa improvvisamente conto che la nursery non era più adatta a contenere le sue giornate, anche se sarebbe stato tanto facile lasciar decidere allo zio.
Lei non sarebbe stata Regina, dopotutto. Quando Tyal si fosse sposato, avrebbe abbandonato ogni ruolo istituzionale assunto in rappresentanza di sua madre, morta tre anni prima per dare alla luce Ilina. Fino ad allora aveva avuto sempre idee molto nebulose sul suo futuro, ma era piuttosto certa del fatto che sarebbe stata data in sposa a qualche nobile di alto rango di Colois, o forse addirittura ad un sovrano confinante, col quale si sarebbe sottoscritta un’alleanza. Sperava che sarebbe stato un brav’uomo, ma l’assoluta mancanza di possibilità di decidere autonomamente le aveva fatto assumere un atteggiamento fatalista nei confronti di questa possibilità. Non sarebbe stata neanche la Perla del Regno, come già la gente chiamava Allin che aveva solo nove anni, ma solo un membro della Famiglia reale senza nessuna caratteristica peculiare e presto dimenticato. Tellin aveva grandi occhi grigi, la fronte un po’ troppo alta per essere graziosa in una ragazza e la pelle, chiarissima come quella di tutti i suoi fratelli, pallida piuttosto che nivea. In Tyal gli stessi tratti somatici, combinati con i lineamenti maschili, non facevano un così modesto effetto. Sia Allin che Putch avevano invece ereditato i capelli scuri della madre, che era stata una delle donne più belle del suo tempo. Allin era stata una bambina splendida, e si avviava a diventare una fanciulla dalla bellezza sfolgorante. Erano già arrivate proposte di matrimonio per lei.  Anche Putch era un bel bambino, con ricci neri ed occhi grigio scuro, che durante i suoi attacchi si rovesciavano mostrando il bianco. Ilina aveva una floscia capigliatura color carota, ancora piuttosto rada, che Em si ingegnava invano a cercare di arricciare, e tra loro era la più somigliante al defunto Re, con la faccina costellata di lentiggini e gli occhi molto chiari.
Tyal aveva dovuto insistere perchè anche Tellin potesse partecipare al Gabinetto: la cosa non era contemplata da alcuna prassi, perchè Tellin non aveva incarichi istituzionali e non era l’erede al trono. Voleva che Tellin ascoltasse e vedesse perchè poi potessero comunicarsi le impressioni e verificare il loro giudizio. Non erano altro che quattordicenni ingenui, dopotutto, nonostante tutte le lezioni di storia e politica che avevano ricevuto dai precettori. Fortunatamente non era necessaria una sterminata cultura di diplomatica estera per rendersi conto che Colois era un piccolo regno che basava la sua economia sui commerci, e che l’impero Tumano era un regno grande e potente che lo circondava da ogni parte. Né era necessaria una fine sottigliezza politica per capire che la presenza di uno spropositato numero di Tumani nel consiglio del Governo di Reggenza non era giustificabile con il fatto che Tuma fosse in molti casi l’unico acquirente dei prodotti colois.
 Quando per loro due erano cominciate le sessioni settimanali, già oltre la metà del Consiglio era composta da rappresentanti del governo tumano, che aveva fortemente sostenuto Colois durante la carestia dei due anni passati, impedendo che il commercio del piccolo stato fosse definitivamente affossato. Era cominciato con la presenza dei due rappresentanti della Società dei Dazi, e lentamente sempre più Tumani avevano avuto accesso al consiglio, in un modo o nell’altro. Il reggente, lord Beir, era sempre stato il sostenitore dei più stretti ed amichevoli contatti con Tuma, rappresentando il partito filotumano anche quando era vivo e regnante suo fratello. La morte di costui aveva potuto assecondare le sue simpatie, fino a che l’influenza che esse esercitavano non gli era sfuggita completamente di mano.
Partecipare alle sessioni di governo era una fatica improba, così come passare un numero enorme di serate a discutere delle cose che non riuscivano a capire con il consigliere Occo. Ma più si informavano, più la situazione sembrava loro grave, e l’allarme suscitato impediva di smettere di occuparsi di quelle faccende anche a Tellin, che non si sentiva poi così investita di responsabilità come Tyal.
Tuma era passata dal dire la propria sui commerci e l’economia all’interessarsi della politica estera di Colois. Lord Naro, l’Ambasciatore tumano, un uomo corpulento e dalle folte sopracciglia scure, esercitava una profondissima influenza sul Reggente, che era stato strappato, alla morte del fratello, da una tranquilla vita fatta di cerimonie di rappresentanza, nella quale la politica rappresentava più o meno uno sport, dal momento che delle sue idee non doveva rispondere al momento in cui si traducevano in fatti. La reggenza lo aveva gettato nell’orribile mondo della responsabilità, dove le cose andavano proprio come si era ritenuto che dovessero andare, ed i risultati non erano eclatanti. L’essere filotumano era divertente quando si era il figlio cadetto e si biasimava il fratello perchè si intestardiva a mantenere contatti commerciali con paesi anche lontanissimi, quando c’era Tuma, vicina e disponibile ad acquistare ogni anno l’intera produzione di grano e frutta ad un prezzo molto vantaggioso. Lord Naro era suo amico personale, una persona davvero squisita.
Ma quando era diventato Reggente, lord Naro era diventato il suo incubo, naturalmente. Le pressioni si erano fatte gradualmente così esplicite che persino lui le aveva notate. La delegazione tumana era cresciuta a dismisura, e non era cortese chiedere a Naro di spedire nuovamente a casa i suoi connazionali. Aver concesso a Tuma l’acquisto della totalità dei prodotti d’esportazione Colois, ed averle garantito il monopolio di quelli che Colois doveva importare, si era presto rivelata l’arma con la quale Naro lo metteva sempre con le spalle al muro. Anche quando pretendeva che interi reggimenti dell’esercito tumano varcassero la frontiera per la “comune sicurezza dei due stati”. Anche quando violava le più basilari regole dell’etichetta di corte Colois.
Tellin e Tyal avevano capito da tempo che il regno sfuggiva dalle mani del Reggente come acqua tra le dita.
 
Quando furono pronti tutti e cinque, uscirono dalla Casa, presentandosi nel grande cortile del palazzo, dove i cerimonieri si stavano dando un gran daffare per comporre il corteo. Anche l’etichetta delle cerimonie tradizionali era stata sconvolta dalle pretese tumane, e tutti i Colois presenti avevano espressioni che andavano dallo scontento allo sconcertato. Nessuno, del resto, più dello zio Beir, che si stava chiaramente lamentando sottovoce con lord Naro per le disposizioni. Il suo tono strascicato colpì le orecchie di Tellin anche in mezzo al brusio, che peraltro tacque quando i cinque principi fecero il loro ingresso. Il corteo si compose in un serpente variopinto. Il colore prevalente, notò Tellin amara, era lo scarlatto delle uniformi dei soldati Tumani, che avevano completamente sostituito la Milizia Colois, sciolta pochi mesi prima per la sua “proverbiale inefficienza”. Di essa restavano solo i giovani membri dell’Accademia Reale, che Tyal e Tellin, con sforzi congiunti ed appelli ovunque erano riusciti a non far chiudere, in quanto fondata dal loro padre. Si trattava di ragazzi giovani, che avevano avuto il compito di Guardia personale della Famiglia. Nelle loro uniformi bianche, i cinque che Tyal era riuscito a pretendere per quel giorno si avvicinarono a loro, attorniandoli. I nobili Tumani vestivano tutti di nero, come era loro costume e nonostante fosse considerato poco educato in occasione della Festa di Primavera. Tellin si stupì a vedere quanti erano, presenti tutti a palazzo in quel momento.
-Tellin, ce ne sono almeno una decina che non ho mai visto prima- le mormorò Tyal, sconcertato a sua volta. I nobili Colois, nelle variopinte vesti azzurre e verdi, spiccavano stranamente sparuti tra la folla. L’anziano consigliere Occo, in sgargianti abiti turchesi, era sorretto dalla nipote, lady Linine, che aveva la stessa età di Tellin ed era la cosa più simile ad un’amica che lei avesse mai avuto, anche se erano mesi che non aveva occasione di parlarle. Si sorrisero da lontano.
Le trombe squillarono, ed il corteo uscì dal portone del palazzo, attraversando la piazza dove due ali di folla erano trattenute dai soldati tumani, e prendendo la Via del Costone, che conduceva in cima alla collina che sovrastava la città. Tutte le donne presenti portavano turiboli di incenso che profumavano l’aria. Quello di Tellin era il turibolo un tempo della regina, pesantissimo, d’argento smaltato, e la sua principale occupazione durante la salita fu evitare di sbatterselo violentemente contro le gambe. Era in testa al corteo, al fianco dello zio: subito dietro di loro camminava Tyal. Seguivano Allin, Putch ed Ilina portata in braccio da una Em in vesti ufficiali che la rendevano un’impressionante, maestosa matrona, e che veniva aiutata nella salita da Grimm Dol, suo figlio, ufficiale in seconda del drappello della Guardia che li circondava. Il capitano, un giovane riccioluto e molto alto, di circa tre anni più vecchio di lei e Tyal, camminava alla destra di Tellin, voltandosi in continuazione per verificare che tutto fosse a posto con un movimento nervoso del capo che strappò un sorrisetto a Tellin. Haru si prendeva molto sul serio, e naturalmente era un bene, ma per quanto si agitasse, avrebbe potuto al massimo collaborare a farli arrivare in cima senza che Putch prendesse a urlare o che Ilina proclamasse che le scappava la pipì.
Quando era piccola ed i costumi erano meno rigidi, aveva giocato con gli altri giovani del palazzo, e Haru, allevato là perchè orfano di una domestica, era stato il suo grande nemico, principalmente perchè Tyal lo aveva invece sempre molto apprezzato, scatenando così la gelosia di Tellin quando li vedeva andarsene insieme. Haru era stato poi ammesso all’Accademia e si era dimostrato brillante e molto abile con la spada, il che era quasi ironico, perchè da quando era stata sciolta la Milizia,  i giovani dell’Accademia erano stati privati della spada, e dotati di una daga cerimoniale molto bella e meno tagliente delle forbici che Em usava per tagliare i capelli a Putch.
Nel punto più irto della salita, Haru le porse il braccio, visto che lo zio sembrava già in difficoltà a sorreggere se stesso, e Tellin si appoggiò riconoscente. Presto però dovette rinunciare, perchè tenere il turibolo con una mano sola era quasi impossibile. Dietro di lei, un altro giovane della Guardia aveva preso in braccio Putch, che cominciava a dare segni di irrequietezza, portando Tellin e Tyal a voltarsi più volte, in apprensione, esattamente come faceva Haru per controllare i suoi uomini. Non era il caso che Putch avesse una crisi durante la cerimonia, e davanti a tutti quei nobili Tumani: non era propriamente un segreto che il piccolo principe soffrisse di attacchi gravi di mal caduco, che negli anni gli avevano offuscato la mente, ma si preferiva che tutto avvenisse nella sicura intimità della Casa. Accanto a Tellin, lo zio Beir ansimava come un vecchio, nonostante avesse poco più di quarant’anni. Somigliava al defunto fratello: aveva i suoi stessi capelli rossi, e la faccia lentigginosa, come Ilina, ma gli occhi erano acquosi e sempre tormentati dalla congiuntivite.
Finalmente avvistarono la radura, dove il corteo si affollò. Davanti allo spiazzo si apriva il panorama della valle, e la città, poco sotto di loro, non era che una distesa di tetti visti in lontananza. La piazza prospiciente il palazzo era gremita di gente che osservava da lontano lo spettacolo.
I canti di primavera vennero intonati con inconsueta gravità. Pochi li conoscevano, e tutti i Tumani si rifiutarono non solo di cantare, ma persino di osservare il silenzio: erano continui i brusii che Tellin sentiva dietro le sue spalle.
Quando erano vivi i suoi genitori, le cerimonie erano state molto diverse. Ricordava la radura invasa dalle vesti variopinte delle dame, il bianco paludamento degli uomini della vecchia Milizia. Tutti cantavano, ed i canti sembravano belli ed affascinanti... non come adesso, quando lo sforzo di sostenere la melodia con la sua sola voce (o così le pareva) glieli faceva sembrare striduli e le affaticava la gola. L’incenso, allora, saliva a spirali sottili verso il cielo dai magnifici turiboli, anche dal suo, che al tempo era piccolo e grazioso, adatto ad una principessina. Ora, nemmeno l’incenso si alzava come avrebbe dovuto. Il vento lieve le sbatteva in viso il fumo, tanto che gli occhi lacrimavano, e cominciavano a dolerle le braccia.
Finirono le melodie. Tutti si volsero verso il Reggente, che avrebbe dovuto pronunciare il discorso, rivolto verso la città. I cittadini radunati sulla piazza, naturalmente, non avrebbero sentito una sola parola, avrebbero solo visto che il discorso veniva pronunciato. Sarebbe stato annotato dagli scrivani presenti, e riferito al popolo nei giorni successivi, durante i festeggiamenti di Primavera, che duravano tre giorni.
Lord Beir, però, il viso corrucciato e lo sguardo lamentoso, non si fece avanti. Guardava fisso verso lord Naro, e Tellin si rese conto in un attimo di sgomento che sarebbe stato il tumano a parlare. Ecco di cosa si lamentava lo zio nell’atrio. Possibile che avesse ceduto anche su questo?
Si girò freneticamente ed incrociò lo sguardo di Tyal, che recava impresso il suo stesso sgomento. Aveva guardato lungamente la scena per cercare di comprendere cosa fare, ed aveva già preso una decisione nel tempo che Tellin aveva impiegato ad accorgersi di quello che stava succedendo.
-Oggi...- cominciò con voce tonante Naro. I sussurri indignati dei Colois presenti fecero appena in tempo a sorgere, che la voce leggermente roca di Tyal si fece sentire, e tutti trasalirono.
-Oggi festeggiamo la nascita della stagione nuova- disse Tyal portandosi accanto a lord Naro, presso il parapetto dello spiazzo. Tellin pensò che la sua uniforme bianca doveva risultare ben visibile alle persone radunate sulla piazza.
-E questa stagione benedirà la nostra terra, come tutti noi speriamo, se saremo responsabili abbastanza da portarne il peso. Che parli dunque il signore di queste terre, il Reggente di Colois, come io, erede del trono, chiedo, e come il popolo desidera.
Lo zio Beir sembrava tormentato dall’incertezza, ansioso, arrabbiato. Tyal gli aveva fatto un vero dispiacere a metterlo direttamente in contrasto col volere di lord Naro. Borbottando fra sé scuse e rimbrotti, si avvicinò alla ringhiera prospiciente la vallata.
Ci fu qualche istante di silenzio nervoso.
-Zio!- implorò a mezza voce Tellin. Tyal era ancora al suo fianco, presso la balconata, ma non lo guardava. Lo sguardo fisso davanti a sé, restava impettito contro l’orizzonte, in attesa che facesse il suo dovere.
Poi lord Naro pose le mani sulla balconata, e si fece largo tra lo zio ed il nipote.
I Colois rabbrividirono d’indignazione, e Tellin fece un passo avanti, furibonda.
-I nostri popoli, la bella Colois e la potente Tuma, sono sempre stati ottimi alleati. Tuttavia...
-Lord Naro- Tyal l’aveva interrotto, ed i due si fissarono. Col sole negli occhi, Tellin doveva farsi ombra con la mano per scorgerli, ma non riusciva a sostenere il pesante turibolo, se ne alzava una. Le due figure si stagliavano contro il cielo azzurrissimo: accanto a loro, lo zio Beir somigliava ad un elemento decorativo poco azzeccato, come una statua messa per sbaglio in una sala arredata secondo un’altro stile.
-Voi non avete il diritto di parlare, durante questa cerimonia, lord Naro. Non vogliate offendere ulteriormente le nostre tradizioni.
-Che dunque la parola mi sia accordata da chi ne ha il diritto, e non negata da un principe che è ancora troppo giovane per valutare.
Si volse verso lord Beir, che ancora borbottava, nel più pieno imbarazzo. Qualche istante di silenzio, e lo zio Beir chinò il capo.
-Zio!- sbottò Tellin esasperata.
Ma Naro stava già parlando.
-...nonostante l’amicizia strettissima fra noi, non possiamo ignorare che un regno piccolo e debole come Colois non può garantire da solo la sua incolumità. E’ dunque evidente la necessità, per il benessere di tutti, di rafforzare ulteriormente i legami fra i nostri due popoli, le nostre due nazioni sorelle, che tanto si amano da richiedere a gran voce una più stretta connessione, un più stretto legame fra le terre benedette.
Si chinò a prendere un pugno di terra e lo brandì verso l’alto.
-Che dunque l’unione si compia, come auspica anche il nostro beneamato imperatore, e che Colois diventi una ricca, felice e protetta provincia dell’impero, che già del resto le ha accordato protezione ed aiuti come se lo fosse da lungo tempo.
Il turibolo cadde di schianto ai piedi di Tellin, che ristette incredula. La folla esplose in una ridda di voci concitate. I nobili Colois, disorientati, si cercavano l’un l’altro, come sorpresi di scoprirsi minoranza, una volta di più. Le guardie tumane alzarono le alabarde, avvicinandosi per isolare le tre figure  lungo la balaustra dal resto dei presenti. Sicuramente obbedivano a precise istruzioni.
Tellin, disorientata, cercò lo sguardo di Tyal, che però fronteggiava Naro, parlando ad alta voce: i due erano vicinissimi. Non riusciva a sentire cosa dicevano, tanto il clamore si era fatto possente. Si volse indietro, per controllare che Em ed i suoi fratelli minori fossero al sicuro, prima di raggiungere il fratello e sostenerlo mentre affrontava Naro.
Fece un cenno verso Em, affiancata da Allin che teneva Putch per mano, e con in braccio Ilina, ed in quel preciso istante la vide trasfigurarsi d’orrore per qualcosa che era accaduto alle spalle di Tellin, mentre piombava un silenzio innaturale sul disordinato frastuono. Il cuore le mancò di un battito, e si voltò. Aveva il sole in faccia, e non riusciva a vedere cosa succedeva... cosa fosse successo presso il parapetto. Si levò un urlo, poi un altro. Di colpo, tutti i Colois presenti stavano gridando. Dov’era Tyal? Non riusciva a farsi strada per raggiungerlo, ed il cuore le batteva disordinatamente nel petto.
Qualcuno l’afferrò per le spalle. Era Haru.
-Damigella Tellin...- esordì con vece strana ed urgente. Era pallido.
-Lasciami, Haru, devo raggiungere Tyal, non capisco cosa...
-Dovete venir via, damigella Tellin.
-Dov’è Tyal? Cos’è successo?
Haru non rispose, e Tellin, il cuore che le sfondava il petto, gli sfuggì. Giunse presso la balaustra, e vide lo zio come piegato in due dal terrore, tremante, incapace di muoversi. Vide lord Naro immobile, l’espressione indecifrabile, circondato dalle sue guardie. Tyal non c’era.
-Cosa... cosa...
Ecco di nuovo Haru, che l’aveva inseguita.
-E’ stato un tradimento, damigella... venite subito via da qui... dobbiamo riportare voi ed i vostri fratelli a palazzo, è in atto un colpo di stato, non lo capite?
-Cos’è successo a Tyal?- urlò Tellin furibonda.
E lo sguardo vuoto di Haru le rispose, terribile.
-...mandate qualcuno a recuperare il corpo, più tardi... non può rimanere là, potrebbe diventare oggetto di venerazione se i Colois lo....
La voce di Naro suonava al suo orecchio come una lingua sconosciuta. Si precipitò al basso parapetto, gli occhi inondati di lacrime di paura.
-NO!
-Tellin, venite via...
Sul fondo del dirupo, come una chiazza di neve tardiva... ma la primavera era arrivata, la neve si era già sciolta...
-TYAL!
-Tellin...- Haru, adesso, la teneva ferma contro di sé, trattenendole le spalle. La nota acutissima del pianto di Ilina le perforava le orecchie.
-COME HAI OSATO?- sputò in direzione di Lord Naro, che nemmeno sembrò vederla.
Tyal era caduto... Naro l’aveva spinto... bisognava...
-Haru- ansimò –Manda dei lettighieri a prenderlo, sarà gravemente ferito, manda...
-Tellin...
-FA’ COME TI DICO!
 Non aveva importanza, in quel momento, che né lei né Haru né chiunque di loro avesse alcun potere di fare qualcosa.
Tyal... Tyal... Tyal...
-Ilina... Ilina sta piangendo...
-Vostro fratello Putch ha avuto un attacco, Tellin... fatevi condurre via, dobbiamo tornare a palazzo.
Tutto vorticava insensato, e Tellin sentì che le si oscurava la vista. E cadde, cadde come era caduto Tyal.
 
 
Fu il pianto di Ilina che la svegliò, e si rese conto di essere stata messa a letto, probabilmente da Em. Ricordare fu istantaneo, e si alzò di scatto, presa da tremendi conati di vomito. Liberò lo stomaco nel catino dove solo quella mattina aveva finito di lavarsi. Debolissima, si accasciò poi accanto al lavabo. Respirare le pareva doloroso, pensare impossibile. Em, che aveva sentito i rumori, venne con Ilina ancora urlante in braccio: la sua faccia stravolta dalle lacrime confermò, se ce ne fosse stato bisogno, che non si era trattato di un incubo.
-Tellin!- si precipitò a sollevarla da terra, posando Ilina sul letto.
-Forse...- balbettò Tellin –Forse non è... non è... avete mandato degli uomini a scalare la parete? Potrebbe essere ferito...
Il viso di Em la guardava con muta compassione mentre le lacrime le scorrevano copiose sulle guance. Tellin sentì che la voce le si spezzava, ma continuò piangendo:
-...potrebbe essere ferito... potrebbe...
-Tellin, mio figlio è andato a recuperare il... lo sapremo presto. Devi metterti a letto.
-No, no!- esclamò lei, dando uno strattone alla mano di Em che cercava di stringerla -Dove... dove sono Putch e Allin?
-Putch ha avuto un attacco ed ora sta dormendo, grazie a Dio! Allin è di là.
La bambina arrivò di corsa a sentire il suo nome. Piangeva sconvolta, gli occhi spalancati dall’orrore, e si aggrappò a Em.
Tutto sembrava irreale, come se avvenisse in sogno. L’odore del suo stesso vomito rendeva l’aria acida, e la testa le girava al punto da non consentirle di stare in piedi.
Dalla porta chiusa giunsero delle voci, e Tellin distinse confusamente quella di Haru:
-Vi ho già detto che non è permesso entrare. Andatevene immediatamente!
Guardò Em con aria interrogativa, ma lei era affaccendata a mettere a letto Allin, che continuava a singhiozzare. Ilina, abbandonata a se stessa sul letto di Tellin, urlava. Meccanicamente se la prese in braccio, cercando di calmarla. Cominciò a cantarle una nenia di Em, che si udiva quasi tutti i giorni in quelle stanze, ma dovette smettere perchè non riusciva a controllare la voce.
Cosa succedeva fuori dalla porta? Dove era lo zio? Dov’era lord Naro, era lui che cercava di entrare? Il popolo era stato avvertito? La festa sospesa? Cosa era successo? L’istinto di chiamare Tyal e consultarsi con lui era così forte che non riusciva a reprimerlo. Si morse le labbra, piangendo ancora.
La mente era oppressa dal pensiero insopportabile della morte di Tyal. Ecco, l’aveva pensato. Per la prima volta la parola era stata pronunciata nella sua testa. La morte di Tyal. Possibile che Tyal fosse davvero...
Non era possibile. Il dolore le impediva di pensare. Ilina piangeva, Allin piangeva, e piangeva Em cullandosela tra le braccia, e continuavano i colpi e il fragore alla porta e gli ordini impetuosi di Haru, e si udiva rumoreggiare fuori dalla finestra, e la stanza girava e girava, e Tyal era morto, morto... morto!
 
Una recensione vi attirerà tutte le benedizioni di Colois! ;)
 
 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Chi mi segue sa che ho in ballo una long nel fandom di Harry Potter... ferma da oltre un mese! Sto riemergendo solo ora da un terrificante blocco, e presto posterò anche lì, ma ne ho approfittato per riprendere in mano questa storia, solo cominciata e ferma da mesi e mesi... giusto per cambiare un po’ aria! Spero sia il primo segnale di una maggiore regolarità nell’aggiornamento anche su questo fronte da me così negletto...;)
Nel frattempo, buona lettura! (Le opinioni sono sempre ben accette).

 
2
 
Fiorivano le acacie nel giardino interno della Casa, ed Allin se ne era infilati alcuni profumatissimi grappoli nei capelli: Tellin ne sentì la scia odorosa quando la sorella le passò davanti per entrare nella stanza dove Em la chiamava. Allin non avrebbe avuto bisogno di fiori, pensò Tellin: la grazia infantile, invece di trasformarsi nel goffo corpo ancora indeciso dell’adolescenza, in lei era rimasta, e maturava gradualmente in una sfolgorante bellezza. I lineamenti perfetti erano cambiati solo quel che bastava perchè si cominciasse ad intravedere che la bambina sarebbe diventata una donna incredibilmente bella.
Aveva dodici anni, ormai, e Tellin diciassette. Putch era cresciuto: si era fatto alto e robusto. I capelli erano stati tagliati corti, perchè aveva superato gli otto anni, e non aveva più i bei riccioli scuri, ma gli occhi grandi ed espressivi sembravano più liberi senza la massa dei boccoli cadenti. Ilina aveva sei anni, ed era un piccola signorina impudente, che non stava ferma un solo attimo. Le riunivano i fini capelli rossicci in due codini, che le spiovevano intorno al viso come fili di rame.
Solo Tellin non era cambiata. Almeno, non le pareva. Quasi non si era alzata in altezza, in quei tre anni, ed il suo viso era sempre uguale. Forse era diventato più impenetrabile, per il quotidiano allenamento che le era imposto dai colloqui con il Governatore.
Storse la bocca pensandoci. Anche lei si era abituata a chiamarlo così, come tutti. Si era abituata a tante cose, perchè non aveva potuto decidere su quasi niente. Non che fosse mai stata un campione di autorevolezza, nemmeno prima. Figurarsi nel periodo caotico che aveva seguito la morte di Tyal.
Quando, molto raramente, si concedeva di ritornare col pensiero a quel periodo, non riusciva a ricordare quasi niente, eppure sapeva di aver preso decisioni su decisioni, immersa nell’ovatta del dolore e dello stordimento. Ancora si chiedeva come diavolo avesse fatto. Ma, in ogni caso, si era trattato di decisioni del tutto marginali. Sulle questioni di stato, non aveva neanche potuto aprire bocca.
Il mondo si era chiuso intorno alle pareti della Casa, e già le sembrava di compiere un viaggio quando ne usciva ed attraversava le altre ali del Palazzo. Non conosceva quasi nessuno, anche se naturalmente tutti sapevano chi era lei. Linine, come praticamente tutti i cortigiani Colois, era partita da tempo, con suo nonno. Tellin non aveva potuto biasimarli, viste le intimidazioni a cui erano sottoposti ogni giorno a Palazzo e l’umiliazione di dover vedere tradizioni ed usanze calpestate. Era rimasto solo il vecchio Cancelliere, il più fedele amico e consigliere di suo padre, Lord Parsif, e pochi segretari di basso grado. Chi invece avrebbe resistito sempre erano stati i domestici, ma Tellin non aveva potuto impedire che la gran parte venisse allontanata. Il Palazzo risuonava di suoni sconosciuti, di passi di gente mai vista, che si sentiva a casa propria certo più di lei, la principessa.
Principessa, già. Anche questo titolo, in realtà, poneva un sacco di problemi. Colois era adesso una provincia dell’impero di Tuma, anche se tale cambiamento non era mai stato riconosciuto da Colois. Non per merito di qualcuno di loro, certo: Tellin non dubitava che lo zio Beir, durante i tremendi giorni del colpo di stato, successivi alla Festa di Primavera, avrebbe sottoscritto tremebondo qualsiasi resa e qualsiasi sottomissione. Ma le leggi di Colois, semplicemente, gli impedivano di farlo.
Per i corridoi si parlava tumano, e sempre più spesso questo avveniva anche nelle riunioni di gabinetto, alle quali Tellin si era costretta a ritornare dopo pochi mesi dalla morte di Tyal. In quei casi lei si rifiutava costantemente di rispondere o dar a vedere di aver compreso, nonostante fosse risaputo che padroneggiava perfettamente il tumano.
Era una delle poche soddisfazioni che potesse ancora permettersi di prendere nei confronti del Governatore e di tutta la sua corte, che aveva completamente sostituito quella che un tempo era stata la corte della Famiglia reale. Erano ospiti nella loro stessa casa, ridotti a chiedere il permesso per tutto. Per questo si erano sempre più asserragliati nella Casa, dove nessuno dava loro fastidio... non ancora, almeno. Tellin avrebbe voluto che i fratelli stessero sempre lì. Ma lei doveva uscire ed affrontare le umiliazioni quotidiane, se non voleva perdere completamente il controllo di quello che accadeva a Palazzo e al suo popolo. Così, aveva continuato. Era strano come tutto diventasse un’abitudine. Persino che il Reggente cedesse il passo al Governatore in tutte le cerimonie ufficiali, persino che si dovesse usare il tumano nei corridoi, per parlare con una semplice cameriera sconosciuta, persino che le ricorrenze colois non venissero più festeggiate e alla popolazione fosse imposto il calendario tumano, che contava i giorni in decadi e non in settimane (“per questo Colois è sempre stata così poco produttiva. Siete dei veri scansafatiche... per non parlare della scarsa precisione del calendario, con quei giorni eccedenti alla fine di ogni anno” aveva ripetuto più volte Naro alle riunioni di Gabinetto). La gente sbuffava, si lamentava, rumoreggiava. Nel contado, dove le riforme non erano ancora arrivate, nessuno si sognava di cambiare il calendario. Ma a Città di Colois tutti i negozianti ed i mercanti avevano dovuto adeguarsi, ed era triste, per chi ancora contava mentalmente il tempo alla vecchia maniera, vedere tutti affaccendati, nelle domeniche che un tempo erano state piene di canti e di gente che chiacchierava per le strade.
A tutto si faceva l’abitudine.
Persino all’assenza di Tyal. Anzi, Tellin da molto tempo a quella parte non pensava mai a Tyal: era troppo grande il pericolo di cadere nella tristezza, e lei non poteva permetterselo. C’erano troppe cose da fare e da pensare.
Per vivere si impara a dimenticare, qualche volta. Però, la stanza buia della sua memoria, quella da aprire il meno possibile, cominciava ad essere un po’ troppo piena, e qualcosa dei ricordi che era meglio cancellare, finiva per saltar fuori a caso, in momenti che sembravano tranquilli.
Come il ricordo del giorno in cui aveva sciolto il corpo della Guardia, dopo l’episodio dell’attentato al Reggente.
Molti, veramente, della ventina che erano in origine, se ne erano già andati per conto loro. Ma altri erano rimasti: fu a loro che Tellin aveva chiesto di andarsene.
Ricordava il congedo di Haru nel lungo corridoio buio e vuoto, appena fuori del vestibolo della Casa. Non lo aveva mai visto così arrabbiato e deluso. Negli ultimi due anni aveva fronteggiato la progressiva invasione tumana con calma e compostezza. Sciolta la Milizia, era diventato, nonostante la giovane età, come per una specie di beffa, la più alta autorità militare di Colois. Naturalmente questa altisonante realtà corrispondeva ad un potere pressoché nullo, parallelamente con il potere che rivestiva il Reggente o la Principessa Tellin stessa. I suoi giovani avevano difeso la Famiglia e salvaguardato la poca dignità rimanente, oberati dal troppo lavoro. Era stato lui a suggerire a Tellin di smettere di mangiare i pasti provenienti dalle cucine del Palazzo e di rimettere in funzione la cucina della Casa che i suoi genitori, anni addietro avevano chiuso, proprio per mandare al popolo il segnale che la Famiglia mangiava ciò che veniva cucinato per tutte le persone presenti nel palazzo. Così, Em, con l’aiuto di una ragazza Colois, aveva cominciato ad occuparsi anche dei pasti di Tellin e dei suoi fratelli. Haru aveva ragione di temere che Lord Naro meditasse seriamente di liberarsi di Tellin, così come aveva fatto con Tyal? Non era mai stato troppo esplicito su quel punto, ma Tellin si era fidata, ed aveva seguito il suo consiglio.
 La questione della successione era incerta, ammesso che si potesse parlare ancora di questioni dinastiche. Il Reggente era ancora chiamato tale, ma non era facile capire a chi reggesse il trono. Il regno si trasmetteva dinasticamente per via maschile da generazioni, ma l’unico erede maschio, dopo la morte di Tyal, era Putch, che oltre ad avere solo nove anni, non sembrava, man mano che cresceva, normalizzarsi nella sua malattia. Tellin sapeva, in cuor suo, che Putch non sarebbe mai potuto diventare re. C’erano notizie di periodi del regno in cui aveva regnato una regina, ma si trattava per lo più di madri vedove che avevano esercitato la reggenza per i figli maschi. L’unico parente maschio in vita oltre a Putch era Beir, il reggente, che non aveva figli. Haru aveva compreso che Tellin sarebbe stata il prossimo bersaglio.
Il  giorno in cui un uomo vestito di stracci, durante un’Udienza del Reggente (ancora venivano chiamate così, nonostante fosse risaputo che il pover’uomo non decideva nulla) era riuscito ad arrivare alla pedana del trono e quasi ad accoltellare Lord Beir, Haru, che si tratteneva come di consueto accanto a Tellin, seduta all’estremità sinistra della sala, lo aveva fermato lanciando un coltello che lo aveva trafitto alla schiena.
Era stato tutto così veloce che Tellin non era neanche riuscita ad accorgersene. L’uomo era morto poco dopo, e Lord Naro aveva biasimato il fatto increscioso verificatosi. E Tellin aveva ritenuto inutile chiedere come fosse possibile che un attentatore fosse riuscito ad arrivare al Reggente sfuggendo i ferrei controlli esercitati dalle guardie tumane su chiunque entrava ed usciva dal palazzo. Il giorno dopo, tremante di rabbia e compassione, aveva ascoltato lo Zio Beir, più abbattuto che mai, rimproverare Haru e sospenderlo dal servizio perchè aveva osato portare su di sé ed utilizzare in presenza del Reggente un’arma non regolamentare.
Era stata quella sera che Tellin aveva ordinato ad Haru di andarsene. Sciogliere la Guardia non era in suo potere, naturalmente, ma ingiunse semplicemente ai cinque uomini rimasti di lasciare il servizio. Gli altri, sebbene riluttanti avevano accettato. Haru, invece, furente in volto, era venuto alla Casa ed aveva preteso di parlarle.
-Non vi aspetterete davvero che vi lasciamo sola, non è così?- aveva sbottato, dall’alto della sua stazza imponente. Tellin, che era rimasta piuttosto bassa, doveva rovesciare indietro la testa, per guardarlo in faccia. Si era sforzata di portare pazienza e di rispondere in maniera ragionevole ai suoi modi bruschi. Anche Haru la trattava come una bambina, ma almeno non aveva cattive intenzioni verso lei ed i suoi fratelli.
-Haru, se resterete, troveranno il modo di farvi andare loro. Quello che è successo oggi non ti ha insegnato nulla?
-Tellin, se restate soli, uccideranno anche voi. O potrebbe succedere di peggio.
-Non vedo cosa possa esserci di peggio- si era sforzata di ridere Tellin.
-Si parla di farvi sposare Lord Naro.
Il silenzio era sceso per un momento, mentre il cuore di Tellin mancava di un battito.
-Anche se fosse- proseguì, con uno sforzo eroico –anche se fosse, tu non potresti fare nulla.
-State commettendo un errore, Tellin. E inoltre io ho giurato fedeltà alla Famiglia.
-Obbedire a un mio ordine non è venir meno alla fedeltà.
-Questo dipende dall’ordine, Tellin.
-Oh, questa è proprio filosofia da quattro soldi, Haru. Pensavo che alla scuola dell’Accademia tu fossi tra i migliori. Da quando in qua la fedeltà consiste nel vagliare gli ordini e scegliere quelli che più ci aggradano?
-Damigella, siete troppo colta e intelligente per non sapere che la fedeltà vera non corrisponde alla semplice esecuzione degli ordini. Se voi in preda alla follia mi ordinaste di uccidere voi stessa o uno dei vostri fratelli, sarebbe lealtà la mia obbedienza?
-Stai insinuando che sono pazza?
-Sto solo cercando di dimostrarvi che non sempre l’obbedienza è lealtà, perchè non mettiate più in dubbio la mia formazione filosofica, damigella.
-Non la metterò più in dubbio. Ma ti ordino di andare, e ti ordino di obbedire a quest’ordine.
-Tellin...
-Haru, basta giocare! L’ordine di lasciare il palazzo non ti scioglie dal giuramento.  Io, la principessa, nonché probabile erede al trono di Colois, ritengo che tu potrai essere più utile a Colois ed alla Famiglia fuori di qui. Quale servizio fedele potrai prestarmi quando sarai morto, o finirai agli arresti, proprio non lo so.
-E quale servizio potrò prestarvi quando sarete morta voi?
-La tua fedeltà non è a me ma alla Famiglia. Vattene stanotte stessa.
Haru l’aveva guardata con lo sguardo duro, di antipatia, che le riservava durante i loro screzi di tanti anni prima. Ma un’ansia nuova colorava quello sguardo.
-State dicendo davvero?
-Perché lo metti in dubbio?
-Se è così... se è così...- esitava, fissandola come se si aspettasse che Tellin finisse per rimangiarsi tutto se avesse atteso abbastanza a lungo.
Tellin sbuffò, esasperata. Voleva concludere quel colloquio il prima possibile, prima che le ginocchia le cedessero e la lingua si seccasse, e lei fosse costretta a scoppiare a piangere e implorare effettivamente Haru di rimanere, perchè non le era rimasto più nessuno.
-E’ così. Vai... non ti do neanche istruzioni, mi fido di te. Fai quello che puoi per... per Colois- buttò là vagamente, in tono che sperava sarebbe suonato definitivo.
Un lungo, lunghissimo sguardo degli occhi castani di Haru. Poi lui aveva chinato il capo, e molto lentamente si era inginocchiato.
-Se davvero lo volete... io... andrò. Beneditemi.
Tellin gli posò una mano sulla testa, cercando di trattenere il tremito che la scuoteva. Mormorò una benedizione.
Lui si rialzò. Chinò il capo rispettosamente, poi la fissò un’altra volta prima di voltarle le spalle.
Un attimo dopo, il buio del corridoio ne aveva inghiottito la figura. Era stata l’ultima volta che Tellin l’aveva visto.
 
Così erano rimasti soli, in giornate sempre uguali a se stesse. L’estate stava tornando un’altra volta, e quel settembre sarebbe stato il suo diciottesimo compleanno. Tellin appoggiò la testa ad una delle colonne del portico, godendosi il sole, presa da mille pensieri. Le piaceva quella posizione nel portico interno. Dalle ampie vetrate poteva sorvegliare le stanze che si affacciavano sul chiostro della Casa, e sorvegliare soprappensiero le attività dei fratelli. Si rendeva conto che negli anni era diventata ossessiva nei loro confronti, ma l’esigenza di tenere unito il piccolo gruppo familiare rimasto era una necessità primaria, che non assecondata le provocava un’ansia che non riusciva a controllare. Probabilmente era già diventata vecchia: si sorprendeva a parlare loro come avrebbe fatto Em, con gli accenti di una vecchia chioccia. Contava e ricontava tutti come un piccolo gregge: Aline (che stava studiando Istituzioni Politiche come Tellin le aveva ordinato, ma senza molta voglia, a giudicare da quanto spesso i suoi occhi correvano fuori dalla vetrata attraverso cui la sorella la osservava da lontano), Putch ed Ilina intenti in qualche gioco, sorvegliati a vista da Em che rammendava sulla sedia a dondolo nella stanza dei Giochi. La voce acuta di Ilina le giungeva a sprazzi, quella di Putch era troppo bassa perchè potesse farsi sentire. E del resto Putch parlava molto poco. Poi, dall’altra parte del chiostro, Eloise, che stava impastando il pane nella Cucina Interna. Eccola, la loro piccola truppa, contata e ricontata ogni giorno. Eloise era fidanzata con un giovane commerciante che non vedeva mai perchè entrare ed uscire dal palazzo era sempre un’odissea. Avrebbe voluto sposarsi: era venuta a parlargliene il giorno precedente, le lacrime agli occhi, preoccupata di darle un dispiacere. Aveva dovuto incoraggiarla e rassicurarla: era diventata bravissima in questo tipo di cose. Ma intanto pensava che presto avrebbero dovuto trovare qualcun altro che venisse ad occuparsi della cucina, e che considerata la reclusione forzata non si trattava di un posto ambito. Si chiese se non avrebbe dovuto per caso rimboccarsi le maniche e pensarci lei, ma a parte il fatto che Em glielo avrebbe impedito, non ne avrebbe probabilmente avuto il tempo.
Con un sospiro si alzò, considerando terminata la pausa che si era presa, ed entrò nella stanza dove Em sorvegliava i due piccoli.
-Eloise si vuole sposare- esordì. Em era ancora il suo punto di riferimento per tutte le cose più pratiche.
Lei sollevò la testa appena.
-Me l’immaginavo- aveva le labbra strette, e disapprovava totalmente, era evidente. Em aveva una fedeltà canina, indistruttibile, e pensava che tutti fossero come lei. Forse pensava che Eloise avrebbe dovuto restare a cucinare per loro tutta la vita.
-Mi sembra legittimo, no? Perchè fai quella faccia?- disse Tellin, sedendosi accanto alla balia e guardandola lavorare con perizia sulla fodera interna di uno dei suoi vestiti cerimoniali.
Em sbuffò, scontrosa, poi la guardò dritta in faccia:
-Quando Eloise andrà via non ne troveremo mai un’altra, Tellin.
-Sei ottimista, oggi.
-Tellin, non essere ridicola. Questo è il palazzo dei Tumani, adesso. La gente andrebbe in miniera piuttosto che venire a lavorare qui, e lo sai che qualcuno è stato costretto.
-Non si tratterebbe di lavorare per i Tumani, ma per la Famiglia!- obiettò Tellin, un po’ risentita.
Em sospirò, le diede un’occhiata in tralice e poi tenne dritto davanti a sé l’abito che aveva approntato.
-Devi provartelo, ti serve per dopo. Andiamo nella tua stanza.
Tellin la seguì docile, con uno sguardo ai fratelli che giocavano, consapevole che Em voleva parlarle da sola. Quando furono sole, Em chiuse la porta, e cominciò a parlare mentre la svestiva con gesti bruschi ed esperti, come se Tellin avesse avuto l’età di Ilina. Lei non cercò neanche di schermirsi.
-Tellin, sono secoli che la gente non vi vede. Intendo te ed i tuoi fratelli. La Balaustra è chiusa da...
-Da due anni. Em, hanno murato le finestre, cosa posso farci se...
Dalla parte opposta alle stanze private, il chiostro interno della Casa si apriva su due vaste sale di rappresentanza, affacciate ad un’ampia terrazza dalla balaustra marmorea che dava sulla Piazza della città, alta soltanto un paio di metri. In tempi più felici, i loro genitori l’avevano usata regolarmente, quasi ogni giorno, come una sorta di contatto informale della Famiglia con il popolo. Per le richieste e le lamentele dirette al Re, c’erano le udienze, che si tenevano nel Palazzo, ma la Balaustra della Casa era usata spesso per richieste minori, regali, a volte semplicemente brevi scambi di battute tra i sovrani ed i più audaci e meno timidi tra i cittadini. Naro aveva fatto murare le finestre d’accesso alla balaustra un anno dopo la morte di Tyal, all’incirca. Per ragioni di sicurezza, naturalmente.
-Lasciami parlare, bambina!
Em le gettò sulla testa la veste, grande e pesante come una tenda, e Tellin riemerse circondata da scoscese vallate di stoffa azzurrina, che Em prese ad aggiustarle lisciando le pieghe.
-La Famiglia non è più benvoluta come un tempo.
-Credi che non lo sappia? Le vedo le facce di quelli che vengono alle udienze dello zio.
-Non è solo vostro zio. Naturalmente lo detestano tutti per la sua debolezza.
-Non ce l’avranno con noi?- insorse Tellin, la voce che le si faceva stridula per l’esasperazione. Em prese a stringere il corsetto, quasi soffocandola:
-Non è colpa vostra, Tellin, ma la gente è fatta così.
-Così come? Io faccio il possibile per...
-La Famiglia è invisibile per il popolo da oltre due anni, e lo sapete. Sono governati dagli stranieri, e la Famiglia non fa nulla. E quel che è peggio, è che non si fa vedere.
Tellin rimase in silenzio mentre Em finiva di aggiustarle il vestito, per poi osservarla scettica nello specchio ovale che le rifletteva entrambe:
-Non credo che ti permetteranno a lungo di indossarlo, è di una stoffa troppo chiara per gli usi tumani- osservò, critica.
-Beh, che me lo sequestrino, allora. Che vuoi che me ne importi degli usi tumani?- sbottò Tellin, per poi aggiungere, ancora tutta presa dalle parole di poco prima:
-Cosa possiamo fare? Siamo murati qui dentro. Non è che posso mettermi a picconare i mattoni messi alle finestre. Con che cosa, poi? Con un candelabro? Mi vedono alle udienze, che posso fare di più?
-Bambina, non devi certo giustificarti con me.
Dall’altra stanza, Ilina chiamava con insistenza, ed Em finì di tirarle l’ultimo laccio e la lasciò davanti allo specchio, a contemplare la sua immagine pallida.
Era tipico, tipico di Em farle presente un problema di cui non si era accorta, o che aveva considerato solo vagamente, e poi lasciare che lo risolvesse. Non che Em fosse insensibile nei suoi confronti, ma era del tutto incapace di moderare i suoi atteggiamenti bruschi. Soprattutto su cose del genere. Avrebbe lasciato che si macerasse per qualche giorno, e poi avrebbe buttato là qualcosa che la facesse muovere in una qualche direzione.
Sedette lentamente sulla scranna, mentre la seta pesante che la avvolgeva come un bozzolo frusciava, ripiegandosi su se stessa. Tyal avrebbe saputo cosa fare. Tyal piaceva a tutti.
 
Il Reggente occupava degli appartamenti situati all’estremità opposta del palazzo, rispetto alla Casa, e Tellin si sentiva spesso in colpa per il sollievo che ne provava. La verità era che, se non avesse esercitato una vigilanza costante sul suo cuore, avrebbe finito per odiare lo zio con ferocia quasi maggiore dell’odio che riservava a Naro. Ma Tyal aveva sempre detto che si doveva portare pazienza con lo zio, perchè non tutti nascono coraggiosi, e le continue umiliazioni a cui era sottoposto gli rendevano già la vita un inferno. Al tempo Tellin aveva discusso vivacemente questa tesi. Ma Tyal era morto, e lei faceva il possibile per comportarsi come pensava che avrebbe fatto lui. La sua vita navigava alla cieca, e la cosa la avrebbe spaventata forse meno se non avesse sentito il peso dei fratelli minori aggrappati alle sue gonne, e l’unica cosa che le sembrava sensata era cercare di pensare come Tyal. Il che naturalmente era frustrante, perchè lei era irrimediabilmente Tellin.
Le stanze del Reggente erano assurdamente piene di guardie Tumane, lì per la sua sicurezza, naturalmente. Tellin sospettava che lo sorvegliassero persino sul trono di legno che sovrastava il vaso da notte. Dovette farsi largo tra un viavai di gente che affollava l’anticamera e lo studio, poi discutere con un energumeno in divisa scarlatta che piantonava la porta, prima di raggiungerlo, avvolto in una veste da camera e seduto su una poltrona. Si stava riprendendo da un attacco di stomaco che lo aveva debilitato per due giorni, uno dei tanti: la sua salute si era fatta particolarmente incerta dopo la morte di Tyal. Discuteva lamentoso con un inserviente che aveva spalancato le finestre mentre puliva la stanza, che lo ignorava in modo così arrogante che Tellin lo trovò surreale.
Andò lei personalmente a chiudere le finestre, e poi spedì via il domestico, che la guardò ostile, ma non osò replicare ed uscì.
-Basta un po’ di polso, zio!- fece Tellin quando furono soli, voltandosi verso il convalescente, per mordersi la bocca subito dopo. Trattando lei stessa lo zio con poca deferenza, non poteva sperare che riuscisse mai a farsi rispettare da gente che non aveva il minimo motivo per farlo.
-Non mi sento bene- mugugnò lui in risposta. Aveva un aspetto assolutamente poco sano: Tellin si meravigliò di quanto fosse pallido ed emaciato. Erano svariate settimane che non aveva l’occasione di vederlo da vicino, per di più senza il paludamento delle vesti ufficiali.
-Lo vedo. Me ne dispiace. Ancora lo stomaco?
-Non mi dà pace. Il Medico Galo dice che forse gli umori sono squilibrati, e la bile...
Tellin si morse le labbra. Galo era il medico personale di lord Naro. Era ridicolo sentirselo citare come la bocca della verità. Insisteva con quelle teorie mediche antiquate, che un medico Colois avrebbe liquidato con un sorriso sprezzante. Umori, elementi, salassi... eccola qua la grande medicina di Galo. Buon per lui che Lord Naro fosse un uomo di robusta costituzione. Suo zio evidentemente non lo era.
-Zio, perchè non provi a farti visitare da... da uno dei nostri medici, insomma? Mastro Temest non è più a palazzo- era stato lo stesso Beir a mandarlo via, dopo che si era occupato della Famiglia per decenni –ma in città ci sono dei bravi medici, e forse se ne facessi convocare uno...
-No, no...- lo zio si agitò subito, diventando rosso e sudato. Sbatteva gli occhi ciliosi spessissimo, e la guardava spaventato: -Lord Naro la interpreterebbe come una grave scortesia, e...
Del tutto inutile ribattere ad un argomento del genere. Tellin aveva imparato a non sprecare il suo tempo esplorando l’animo dello zio per rintracciare qualche resto del rispetto di sé, ma forse si poteva tentare per un’altra via:
-Putch ha bisogno di essere visitato, comunque. Ha avuto un attacco, di recente, e...
-Un altro?
Non capiva perchè la notizia sembrasse sconfortarlo tanto, visto che non si era mai interessato di Putch. Comunque proseguì imperterrita:
-...se facessi chiamare Mastro Temest, come l’anno scorso, per Putch, non potrebbe visitarti senza dare troppo nell’occhio?
-Io... forse, in effetti... Galo sostiene che dovrei salassarmi ancora, ma...
Tellin lo guardò immergersi in una tormentosa meditazione. Sicuramente valutava le possibilità. A questo erano ridotti. Una gastrite-ragion di stato. Attese pazientemente, ma lo zio sembrò aver accantonato momentaneamente la questione, perchè quando rialzò il capo cambiò argomento:
-E Putch, dicevi che è stato di nuovo male?
-Sì, zio. Un attacco breve, per fortuna. Ha dormito solo per qualche ora, dopo.
-Ha almeno imparato a leggere?
-Lui... ha i suoi tempi. Sta migliorando.
-Non sa ancora leggere?
-Sa leggere. Scrive con qualche difficoltà.
-E la storia politica? La retorica? La filosofia?
Attenta a non far filtrare l’impazienza nella voce, Tellin replicò calmissima:
-Ti ricordo che non abbiamo più precettori, zio. Ad Allin e Putch faccio lezione io.
-Naro ha detto che...
-Se Lord Naro mi procurerà precettori Colois per insegnare a principi Colois, sarà tutto sistemato. Ma per quanto riguarda Putch, zio, io non credo che si possa... pretendere...
Sentì le lacrime montare, e strinse i pugni. Come si permetteva, come si permetteva di fare osservazioni su Putch e quanto fosse inadatto, o poco portato per gli studi, dopo anni in cui non aveva avuto la forza di lottare per nessuno dei loro interessi, per non parlare degli interessi di Colois?
Lo zio si raddrizzò, corrucciato, tormentandosi le mani:
-Putch non potrà salire al trono, vero?
Tellin sgranò gli occhi, incredula:
-Quale trono?- chiese, quasi violenta nel sarcasmo.
-Lord Naro mi ha parlato della successione.
-Non sono affari suoi, ma tuoi. Sei il Reggente, zio, e forse è anche ora che tu diventi Re.
Non una bella prospettiva, per il paese. Ma cos’altro poteva fare? Forse, dando allo zio un po’ più di autorità sulla carta, si poteva sperare che la rivendicasse anche nella realtà.
-Re? Io! Bambina, cosa stai dicendo?
-Beh, a chi stai reggendo il trono?
-Dopo la disgrazia di Tyal...
-Non è stata una disgrazia!
Il Reggente impallidì, voltandosi a guardare la porta con gli occhi sgranati. Tellin era fuori di sé per la rabbia.
Io ci ho provato, ad avere pazienza, Tyal, ma questo no, questo poi no...
-Sei impazzita? Abbassa la voce! Dopo la morte di Tyal il successore sarebbe Putch, ma...
-Mi sembra evidente che Putch non può regnare. Il successore sei tu.
-Tellin, io non ho figli! E comunque non... un ruolo così perico... così oneroso, io non posso, e...
-E vorresti designare Putch? E’ Naro che ti ha detto questa sciocchezza? Beh, ha sbagliato bersaglio. Se crede che gli lascerò mettere Putch su un piedistallo con su scritto “Erede” perchè i suoi lancieri possano prendere la mira meglio quando cercheranno di... di farlo fuori...
Non avrebbe voluto piangere, ma le lacrime avevano rotto gli argini. Lacrime di rabbia stizzosa.
-Naro non ne ha alcuna intenzione. E se Putch non ha le capacità non posso proprio contraddirlo.
-Beh, allora proprio... proprio non capisco di cosa stiamo parlando.
-Tu diventerai maggiorenne ad ottobre, Tellin.
Lei lo guardò senza capire. Le stava offrendo il trono?
-Sono una donna.
-Naro mi ha chiesto la tua mano.
 
Era strano quanto poco si sentisse colpita da quella notizia. Haru l’aveva avvertita prima di andarsene. Quanto tempo prima era stato, due anni?
E lei non era così ingenua da non averci mai pensato veramente. Mentre tornava verso la Casa, sfiorando senza vederli i funzionari, i domestici, le mille persone sconosciute che affollavano il Palazzo, si rese conto che non aveva fatto che rimandare il momento di rifletterci seriamente, sperando che non dovesse arrivare mai.
Ma quello che l’aveva colpita con la sua evidenza, nel momento in cui lo zio le aveva comunicato la notizia, era un altro fatto: e cioè che secondo quel nuovo progetto del governatore, il Reggente era un personaggio d’intralcio. E negli ultimi tre mesi lo zio era stato continuamente indisposto. Una bella combinazione per Naro.
Ripensò al viso emaciato, al colorito verdastro, al vomito che, a quanto riferivano i domestici, era incessante quando lo zio aveva uno dei suoi attacchi.
Lo stanno avvelenando.
Una morte meno eclatante di quella di Tyal.
Si fermò barcollando, appoggiandosi ad una colonna del lunghissimo corridoio. Sentiva il pavimento oscillare sotto di sé.
Quello vuole ucciderci tutti.
“Tellin, se restate soli, uccideranno anche voi. O potrebbe succedere di peggio.”
O forse no.
Se lo sposassi proteggerei i piccoli...
Probabilmente era un’insensibile a non dedicare più di qualche istante al pensiero che suo zio forse veniva avvelenato, ma doveva pensare ai suoi fratelli, e...
-Vi sentite male?
Chi l’aveva apostrofata era una giovane cameriera tumana, occhi e capelli di un castano caldo e scuro. L’accento strano fu sufficiente a far ritrarre Tellin, che riprese a camminare senza rispondere, anche se nel tono della ragazza non c’era altro che premura sincera. Stava diventando paranoica? Credeva che esistessero solo buoni e cattivi al mondo? E allora lo zio Beir da che parte stava? Era giusto lasciarlo al suo destino?
I pensieri le rimbalzavano in testa frenetici. Aveva voglia di urlare.
 
Mastro Temest lasciò il polso di Putch, che si era fatto visitare docilmente, e gli disse che poteva rivestirsi.
-Mi sembra che stia benone. La cicatrice che gli ho visto sulla fronte, come se l’è procurata?
-Ha sbattuto contro un mobile durante il penultimo attacco, quasi sei mesi fa.
-Ha cicatrizzato bene.
-Sì. Mastro Temest...
-Damigella?
-Ho bisogno di consultarvi in merito ad una questione molto grave.
L’anziano medico fissò corrucciato Tellin, e sedette sulla scranna che lei gli indicava. Non era per niente contento di trovarsi nel palazzo: sua moglie non avrebbe voluto che andasse, quella mattina. Arrivare fino alla Casa era stato un’interminabile odissea di controlli da superare e umiliazioni da subire. Nel palazzo si entrava con difficoltà, e qualche volta non si usciva proprio: solo il fatto che la Principessa lo avesse caldamente pregato nella sua missiva lo aveva convinto a venire.
-Immaginavo che non fosse una questione riguardante vostro fratello, damigella.
-Mio zio soffre da mesi di acuti dolori al ventre.
-So che Sua Altezza è seguito dal medico personale di Lord Naro- replicò Temest impassibile. Era un uomo di scienza, o almeno cercava di esserlo, e la bassa stima che aveva dei praticanti tumani non era così forte da fargli rischiare di compromettersi dicendo cose poco prudenti, persino in un ambiente, almeno apparentemente, sicuro, come era la Casa, e con una interlocutrice che non faceva mistero dei suoi sentimenti antitumani.
-Non credo che Messer Galo sia in grado di risolvere il problema di mio zio, mastro Temest. Se voi foste disponibile a visitarlo...
Temest guardò la fanciulla con compassione. Proprio viveva fuori dal mondo.
-Damigella, io vivo del mio lavoro. Se gli uomini del Governatore mi ritirassero la licenza, o...
Lei sembrò mortificata, ma non si lasciò smontare.
-Capisco. Allora forse vorrete darmi un parere sui sintomi che io posso descrivervi?
Temest annuì controvoglia. Almeno questo... almeno questo poteva farlo.
 
Aggiornamento più veloce la prossima volta! Promesso!

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Capitolo 3
*** 3 ***


Ecco, stavolta ci ho messo di meno!
Continuo imperterrita, sperando in una recensione... ;)
E ringrazio chi l’ha messa tra le preferite, chi la segue e chi la legge!

 
3.
 
Il Reggente morì a un mese dal diciottesimo compleanno di Tellin. Non ebbe il dono di una morte facile: la sua agonia durò due giorni. Tellin aveva suggerito più volte allo zio di condividere i pasti con quelli che faceva preparare per sé ed i suoi fratelli, ma lui non aveva voluto, o forse non aveva avuto neanche il coraggio di salvarsi la vita. La sua salute era peggiorata in continuazione. Soffriva di atroci dolori di stomaco.
L’estate era arrivata e passata, il caldo aveva finito per portare i primi violenti temporali, che avevano infranto le grandi onde del mare contro Resthaven, il porto di Colois. Dalla città, nelle giornate limpide dell’inizio di autunno si riusciva a scorgere il porto ed il mare, ma le finestre della Casa (almeno quelle non murate) davano tutte a nord, e Tellin guardava poco volentieri alla Collina ed al costone, dalla morte di Tyal.
Eloise era ancora con loro, Allin aveva cominciato a studiare seriamente il Tumano e Tellin detestava insegnarglielo, Putch non aveva avuto attacchi per il periodo più lungo che Tellin riuscisse a ricordare. Ilina leggeva e scriveva spedita, pretendeva che le facessero i boccoli e piagnucolava quando i suoi capelli troppo lisci non tenevano la piega fatta da Em.
E zio Beir peggiorava di giorno in giorno, senza che Tellin sapesse come fare. Preferiva non pensare a quello che avrebbe potuto succedere.
 
Dalla città filtravano poche notizie, tutte portate da Eloise le poche volte che riuscivano a farla uscire per andare a trovare la sua famiglia ed il suo fidanzato. Grimm Dol, il figlio di Em che un tempo aveva fatto parte della Guardia, non dava sue notizie da quasi un anno, ed Em se ne crucciava meno di quanto a Tellin sarebbe parso logico, visto quanto era ossessiva nei loro confronti.
Tellin sentì parlare della Compagnia la prima volta per caso: Eloise lo stava raccontando ad Em nella cucina ariosa, un caldissimo giorno dell’inizio di agosto.
-Un’altra volta, ti dico, e proprio sotto il naso di quei soldati che...
 Sembrava eccitata e divertita (Em aveva il suo immutabile sguardo scettico, ma ascoltava con interesse). Eloise si azzittì di botto quando vide che Tellin era entrata a cercare un frutto.
-Beh?- chiese sconcertata.
Nel piccolo microcosmo quasi interamente femminile che era venuto a formarsi nella Casa non c’erano mai stati segreti. Eloise arrossì subito, e guardò Em, un po’ smarrita. Lei le rispose:
-Perché non dovrebbe saperlo, ragazza?
-Damigella, raccontavo ad Em dell’ultima beffa dei... degli uomini della Compagnia.
-Uomini della Compagnia? E chi sarebbero?- chiese Tellin perplessa, sedendosi ed allungando una mano verso la fruttiera colma.
Eloise, affrettandosi automaticamente a scegliere per lei il pomo più bello, procurarle un piatto ed un coltello e sistemarle tutto davanti, riprese:
-Sono... in città se ne parla da un po’ di tempo. Sono degli... ecco, veramente coraggiosi...
-Sono degli scervellati che pensano di essere spiritosi rubando le bandiere tumane dalle piazze, e facendo altre cretinate del genere- interruppe Em.
-Oh, la gente li ammira moltissimo. Tengono alto il morale, non so come facciano ad essere così bravi- fece Eloise, voltandosi un po’ accigliata verso Em. Era chiaro che anche lei li considerava dei beniamini.
-Non credo di aver capito... questa gente fa... scherzi ai soldati tumani?
Tellin si trovò concorde con lo scetticismo di Em, visto che nella sua esperienza, con i Tumani c’era poco da scherzare.
-Oh, damigella, non sono solo scherzi! Due mesi fa hanno completamente saccheggiato il magazzino delle loro derrate alimentari. Poi scrivono sui muri, strappano i proclami... insomma, non hanno mai fatto nulla di davvero serio, ma la gente si ricorda un po’ di più che non dovrebbe stare a testa china con quelli là, visto che la Famiglia...-
Eloise si interruppe e arrossì, e Tellin capì la sua esitazione di prima e l’ostilità di Em.
-Non sono un granché benevoli con la Famiglia, eh?
-Damigella, non hanno nulla contro di voi, ma sapete, vostro zio...
Quella manfrina l’aveva già sentita da Mastro Temest, ed era meglio risparmiarsela una seconda volta, per cui scosse la mano come per scacciarla. Poteva immaginarselo, quello che dicevano di loro.
-Si fanno chiamare la Compagnia di Colois- aggiunse Eloise, timidamente.
-Beh, se qualcuno dà noia a Lord Naro, non sarò io a protestare- tagliò corto Tellin.
-Sono gente che non ha tanto cervello da riempirci un portauovo. Figurarsi, rubare le bandiere. Naro perderà la pazienza ed alzerà le tasse- brontolò Em.
Ma Tellin ignorando la mela che Eloise le aveva posto sul piatto, si era persa in una fantasticheria.
Sarebbe stato bello potersi opporre ai Tumani così, in modo eroico e mascalzone, ammirati da tutti e lontani e liberi, invece di estenuarsi ore nelle sedute di gabinetto con gente arrogante che non la trattava col rispetto che le era dovuto per far abbassare i dazi commerciali alla sua gente, che in compenso credeva che lei fosse in combutta con gli invasori e le malignava dietro.
Di colpo fu piena di rancore. Em aveva ragione, forse. Non erano che dei buffoni.
 
-Tellin, tu e Tyal eravate gemelli?
La domanda di Ilina la riscosse dai pensieri nei quali si era persa osservando il pulviscolo irraggiato dal sole vicino alla finestra, qualche settimana più tardi. Pensieri poco importanti, come al solito: un miscuglio di ansie così quotidiano da non farci più caso, come sostituire Eloise, Em che aveva fastidi ad una gamba, la nuova tassa imposta sul commercio e la macinazione del grano all’ultimo consiglio di gabinetto, le gravi condizioni dello zio, nelle sue stanze dalla parte opposta del palazzo.
-Come dici?
-Eravate gemelli, tu e Tyal?
Ilina era salita su una sedia, allontanandosi dal libro che Tellin cercava di farle leggere perchè non si scalmanasse troppo nel cortile dopo il pranzo, magari coinvolgendo Putch che doveva dormire. Scrutava pensosa il ritratto di Tyal appeso sopra il grande camino, che Tellin non si soffermò a guardare troppo. Conosceva l’espressione mite e risoluta del fratello come le sue stesse mani, perchè aveva guardato quel ritratto ossessivamente per giorni, dopo la sua morte. Era stata Em a toglierglielo dalla stanza ed appenderlo nella Sala da Studio, dove poi era rimasto.
-Sì. Come mai me lo chiedi? Lo sai benissimo.
-Anche il babbo e lo zio Beir erano gemelli?
-No. Non tutti i fratelli sono gemelli, guarda me, te, Allin e Putch.
-Cwal e Cerses, nella storia, erano gemelli pure loro- fece Ilina, scendendo lentamente dalla sedia ed avvicinandosi al tavolo dove La Ballata dei due Fratelli stava spalancata ed abbandonata. Non era un testo facile, ma Ilina leggeva bene per la sua età, ed era bene che venisse a contatto con qualche classico della letteratura Colois prima che Naro si svegliasse un giorno e decidesse che per la loro sicurezza era meglio bruciare tutti i libri di un certo tipo, o usarli per incartare il pesce giù al mercato di Resthaven.
-Proprio così. Due fratelli che hanno la stessa età.
Ilina guardò ancora il ritratto di Tyal:
-Siete uguali.
-Spesso i gemelli si assomigliano molto.- replicò Tellin. Non riusciva a capire dove volesse arrivare Ilina con quei discorsi.
-Se il babbo e lo zio Beir non erano gemelli vuol dire che non si assomigliavano?
-A dire il vero, Ilina, il babbo e lo zio Beir si assomigliavano abbastanza, anche se non erano gemelli. Per esempio si assomigliavano più di te e Putch.
-Ma io dico di carattere. Il babbo era come lo zio Beir?
Tellin sgranò gli occhi:
-No! Era una persona molto diversa. Era... ti guardava sempre negli occhi, per esempio. E’ raro che lo zio Beir lo faccia.
-Em dice che quando non guardi negli occhi qualcun altro è perchè dici molte bugie.
-Penso che abbia ragione. Ma forse è anche perchè ti vergogni tanto.
Ilina la fissò, come faceva sempre, gli occhi chiarissimi seri e lo sguardo limpido come tutti i suoi:
-Io guardo sempre negli occhi tutti. Mi piace vedere il colore.
Tellin rise:
-Ora guarda il libro, per favore. Eravamo rimaste al secondo paragrafo.
La porta si aprì in quel momento, ed Em la chiamò con un cenno.
Tellin si affrettò ad uscire raccomandando ad Ilina di continuare, ed appena si fu richiusa la porta alle spalle Em, con una strana faccia, mormorò:
-Hanno mandato a dire che il Reggente è peggiorato ancora.
-Quanto peggiorato?
-Sta morendo, bambina.
Tellin annuì lentamente. E così, erano riusciti davvero ad avvelenarlo lentamente. Stava morendo. Sapeva da mesi che sarebbe successo, ma si rese conto di non essere affatto preparata.
-Devo andare da lui?- chiese, un po’ smarrita, senza riuscire ad immaginarsi cosa le era richiesto in una circostanza simile. In realtà non voleva vedere lo zio. Era arrabbiata, esasperata, priva di compassione, e questo la spaventava.
-Dovete andare tutti- fece Em.
-Cosa? Non se ne parla, non voglio che Ilina e Putch si impressionino, e...
-Credo che debbano andare a salutarlo. Nessuno di voi ha avuto la benedizione di vostro padre, quando è morto, e dovrebbe benedirvi almeno vostro zio- insistette Em, caparbia.
-Em, che valore vuoi che abbia la benedizione di zio Beir? E’ un vigliacco, un povero incapace che...
Si meravigliava della facilità con cui l’astio le sgorgava dal cuore proprio in un momento in cui la compassione avrebbe dovuto essere spontanea.
-Le benedizioni sono importanti.
Em aveva le mani sui fianchi e la fissava con il suo sguardo duro e premuroso ad un tempo. Em li amava tutti come se fossero stati figli suoi, e certo non le avrebbe suggerito nulla che ritenesse sbagliato. Tellin non era proprio sicura che le benedizioni fossero importanti, soprattutto se si trattava delle benedizioni dello zio Beir, ma se Em insisteva era abbastanza disposta a cedere.
-Sta morendo davvero?
Em sbuffò, girandosi per appoggiare la cesta di roba che teneva in mano (Em non era mai a mani vuote):
-Certo che sta morendo. Non fare infinocchiare come lui da quella gente che si ritrova intorno, che continua a mentirgli... perchè poi, proprio non lo so. Forse perchè neanche abbia la dignità di morire sapendo cosa sta succedendo.
Le avevano insegnato che non si deve mai mentire ad un malato o un moribondo sul suo stato di salute, a meno che non si tratti di un bambino, perchè ognuno possa prepararsi alla sua morte con dignità, riappacificarsi, liberarsi la coscienza se lo desidera. Erano sempre stati molto schietti con ciascuno di loro, fin da quando erano bambini, sui piccoli malanni che avevano avuto, e lei stessa aveva preso da parte Putch per parlare con lui del suo male, circa un anno e mezzo prima, quando aveva ritenuto che fosse abbastanza grande per capire.
Perciò Tellin chiamò i fratelli, con l’aiuto di Em ed Eloise li vestì con i semplici panni bianchi dell’uso privato e se li portò dietro. Mentre percorrevano il palazzo, si rese conto che i due piccoli non uscivano dalla Casa praticamente da mesi: era stata lei a segregarli il più possibile dal mondo esterno, e adesso si aggrappavano incerti alle sue gonne, guardandosi intorno con gli occhi spalancati. Anche Allin non era del tutto a suo agio, o forse la imbarazzavano gli sguardi straniti che ricevevano da chiunque incontrassero sulla loro strada: i quattro principi insieme e senza nessuno, senza abiti da cerimonia, che si dirigevano spediti attraverso il traffico perenne di servitori, funzionari, dignitari e visitatori della corte tumana, come dei fantasmi in quella che un tempo era stata la loro casa. Tutti cedettero loro il passo, forse per l’espressione determinata di Tellin, o forse per una sorta di antico riflesso, o magari perchè le notizie sulle condizioni del Reggente si erano già diffuse, come sembrava di cogliere nel brusio che li avvolgeva come ovatta, ed i Tumani avevano paura della malattia e della morte.
Nell’Anticamera c’era una gran confusione: almeno una decina di persone tra cameriere, assistenti del medico Galo e dignitari di Naro parlavano a voce troppo alta e trafficavano. Tellin strinse saldamente la mano di Putch e spinse davanti a sé Allin ed Ilina, non fermandosi a parlare con nessuno, anche se tutti si erano bloccati al loro ingresso senza preavviso.
Nella stanza da letto l’aria era così greve da risultare irrespirabile. Il Reggente si girava nel letto, gemendo ed ansimando, mentre nessuno lo assisteva. Tellin fece avvicinare al suo letto i bambini riluttanti e spaventati, che fissarono con occhi sbarrati il viso gonfio ed irriconoscibile dello zio. Lui ricambiò lo sguardo incerto, poi disse piano:
-Tellin...
-Sono qui, zio. Sono qui con i bambini.
-Mi duole... mi duole lo stomaco- sibilò lui, strizzando gli occhi e contraendo il corpo in uno spasimo sotto le coperte. Ilina, veramente spaventata, nascose la faccia contro le gonne di Tellin, che strinse i denti e cercò di continuare
-Sappiamo che stai molto male. Siamo...- esitò, perchè sospettava che lo zio non avrebbe preso bene la richiesta, timoroso com’era della propria morte che si avvicinava –Siamo venuti a chiederti la Benedizione.
Lui rimase in un silenzio attonito per qualche istante, poi ansò, pallido:
-Non sto morendo!
Tellin strinse i pugni. Sentiva Putch inquieto al suo fianco e la tentazione di portarli tutti via fu fortissima.
-Non abbiamo ricevuto la Benedizione da nostro padre, è giusto averla da te che sei nostro zio.
-Nessuno... nessuno si occupa... dove sono tutti?- chiese Beir, cercando di sollevarsi, rabbioso e stravolto. Tellin lo aiutò, chinandosi su di lui e venendo colpita dall’odore di sudore e malattia che il corpo dello zio essudava. Lo sollevò contro i cuscini, e fu presa da una pena che le ferì il cuore, a vedere quanto fosse solo quell’uomo che pure non amava affatto.
-Mi occuperò io di te, zio- disse, senza ben riflettere, istintivamente –Adesso benedici me ed i bambini e lascia che li riaccompagni nella Casa, e poi tornerò ad assisterti.
-Non vengono quando li chiamo!
Certo, si era affidato alle persone sbagliate, ed era così che lo ripagavano per essersi piegato tutta la vita. Lasciandolo morire come un cane, un altro bello spregio alla sua famiglia. No, Tellin pensò che non lo avrebbe permesso.
-Benedicici, zio! Non so se morirai, ma sei in pericolo di vita, e...-
Gli aveva mentito, sapeva che sarebbe morto. Mastro Temest era stato chiaro, quando l’aveva chiamato a consulto all’inizio dell’estate. Secondo la sua opinione, il Reggente veniva lentamente avvelenato, con dosi sempre maggiori di qualche sostanza tossica inserite nel cibo, che probabilmente gli avevano procurato col tempo vaste ulcere nello stomaco. Il tracollo degli ultimi giorni doveva essere causato dal fatto che avevano finito per infettarsi: Mastro Temest aveva previsto che presto quello sarebbe stato il risultato.
Aveva provato a dissuaderlo dal continuare a consumare i pasti serviti dai domestici che Naro gli aveva affibbiato, e aveva persino cercato di convincerlo a trasferirsi nella Casa, per quanto l’idea di averlo sempre tra i piedi non le fosse affatto grata. Ma era stata presa prima a bersaglio con farneticanti ragionamenti, e poi a male parole, ed aveva lasciato perdere, sentendosi impotente.
Adesso le dispiaceva di non aver insistito. Non lo amava abbastanza, quello zio che pure era l’ultimo adulto della sua famiglia che restava. Anzi, non lo amava affatto. Ma adesso aveva compassione di lui.
Avvicinò i bambini a lui, che alla fine, piagnucolando, alzò la mano e la posò sulle loro fronti, mentre loro quasi si ritraevano. Fu poi il turno di Allin, che si inginocchiò perchè lui potesse benedirla facilmente, e poi di Tellin, che sentì il tocco umido e tremulo dello zio sulla testa e si chiese se era valsa la pena di far vedere ai suoi fratelli un tale spettacolo di devastazione umana per quel fiacco gesto beneaugurante che più che mai puzzava di morte. Ma vivevano in un mondo difficile, che non era quello in cui era cresciuta lei, e forse era un bene che si abituassero a guardare tutto con fermezza, come avevano fatto suo padre e Tyal.
Si rialzò, si chinò verso lo zio, che aveva ricominciato a lagnarsi piegato in due sul ventre.
-Torno subito- aveva detto, comprendendo dallo sguardo vitreo e rancoroso che le aveva lanciato che non le credeva. Trascinò via gli altri dalla stanza, attraversando l’Anticamera affollata e ora silenziosa (certo tutti avevano cercato di origliare la conversazione) quasi di corsa. Ilina aveva cominciato a piangere, le lacrime come goccioloni che le colavano silenziosamente sulla faccia.
-Lo zio soffre molto, dobbiamo aver compassione di lui- mormorò tenendoseli appresso mentre riattraversavano il palazzo, diretti verso la Casa.
Emma li aspettava nell’Atrio, offesa perchè Tellin aveva voluto andare senza di lei. Le strappò Ilina piangente dalle braccia e se la portò via per consolarla.
-Lo zio guarirà?- chiese Putch con gli occhi ombrosi, la voce bassa e roca di sempre, mentre si sedeva accanto ad Allin sui sedili di marmo intarsiati di legno dell’atrio.
Tutto era quieto, luminoso e pulito nella Casa.
-No, Putch. Sta morendo, forse morirà domani o dopodomani. E’ per questo che siamo andati a salutarlo ed a farci benedire.
Chiese ad Eloise, che li fissava con occhi sbarrati sull’uscio del corridoio che portava alla Cucina Interna, di dar loro qualcosa da mangiare, e poi andò a cercare Emma, che si cullava Ilina nel giardino, cantandole canzoni di mare a bassa voce.
-Io torno da lui. Vado ad assisterlo.
La balia annuì.
-Se devi proprio. Non toccare nulla di quello che ti danno.
-Non sono stupida. Fammi mandare i pasti da Eloise, se resto a lungo. Sta morendo e neanche lo sollevano perchè respiri meglio.
Em non sorrise. Aveva insistito perchè andassero a farsi benedire, non certo per affetto al Reggente. Era chiaro che per lei non sarebbe stata una tragedia se Beir fosse morto come un cane, ma non si oppose, e Tellin lasciò di nuovo l’oasi della Casa e tornò a far visita alla morte in attesa.
 
Passarono lenti come anni quel pomeriggio, la notte ed il giorno successivo. L’ultima notte, Tellin lo vegliò da sola. Era chiaro che sarebbe morto: il medico era stato categorico, improvvisamente brutale dopo mesi di vaghe spiegazioni, e del resto Tellin non aveva bisogno di conferme: era evidente che erano arrivati alla fine.
Aveva ordinato che i fratelli minori non tornassero: un’agonia non era qualcosa di bello da vedere neanche per lei. Ed eccola nella stanza buia, con una vaga eco dei respiri pesanti delle guardie tumane che, come in un ultimo spregio, il Governatore aveva piazzato fin nell’Anticamera della stanza da letto dello Zio per “la sua sicurezza” e che l’ora tarda faceva quasi assopire, in piedi contro la parete. Nella stanza che aveva l’aria greve di morte, dove il silenzio era rotto solo dai gemiti dello Zio, sempre più prossimi ai rantoli.
La sua lotta con la morte era così esemplare, così palese, che a Tellin sembrava di assistere tutti i suoi morti, mentre gli tergeva la fronte: a tutto ciò che era morto nella sua vita. Nello zio poco amato moriva suo padre, coraggioso anche nella morte, moriva sua madre abbattuta e spossata dalla gravidanza e dal lutto per il marito prima ancora che dai dolori del parto, moriva Tyal l’amatissimo, nella sua lunga caduta senza un grido: cadeva e cadeva e cadeva ancora, lungo un dirupo senza fondo, un metro per ogni respiro dello zio Beir. Moriva l’amicizia con Linine, morivano il calore e la sicurezza e la libertà, morivano le primavere di Colois, e l’ultima conversazione che avevano avuto lei ed Haru sembrava il congedo di un morente, e chi moriva era lei, e non lui che se ne andava, e forse era già morta davvero, sepolta nella Casa diventata prigione.
Lo zio moriva lento, e le ore della notte passavano fuori dalla finestra, invisibili perchè tutte le tende erano tirate, tutte le imposte chiuse.
Poi arrivò Allin, contro il suo permesso, e Tellin ricordò improvvisamente che era viva abbastanza da amare i suoi fratelli ed aver impedito loro di venire. Ma Allin la guardò con aria di sfida e proclamò che sarebbe rimasta. La giovinezza fioriva in lei come la primavera di Colois, che forse non era morta, e Tellin era così sollevata al vedere qualcosa di sano e caro e amato che non la mandò indietro. Così, quando l’alba non era lontana e lo zio spalancò gli occhi nella lucidità estrema, Allin la aiutò a sostenerlo perchè potesse bere e parlare.
-Non sforzarti, zio- mormorò Tellin, tra i suoi attacchi di tosse rantolante.
-Devo... devo morire?- sputacchiò lui, gli occhi spalancati. Allin non represse un singhiozzo. Alla luce opprimente della lucerna, sembrava la vita stessa che piangeva sulla morte.
-Sì, zio- rispose Tellin, la voce ferma quanto più era possibile. Non voleva essere crudele, ma lo zio aveva già fatto molte volte quella domanda, nel delirio della febbre, e lei aveva potuto allenarsi alla giusta risposta. Era bene che sapesse, che si preparasse, che uscisse dalla rete di illusioni nella quale viveva da anni, almeno nell’attimo estremo.
-Io... mi hanno imbrogliato.
Era vero, naturalmente.
-Ho bisogno... acqua.
Allin gli portò la tazza alla bocca,  ma lui non riuscì a bere. Sputò e tossì ancora. Guardò Tellin con gli occhi così spalancati da sembrar fuoriuscire dal viso.
-Attenta a... Naro.
Voleva sghignazzare, voleva ridere istericamente per quello stupido suggerimento tardivo, ed invece sentì il cuore gonfio ed annuì.
-Scusa... Tyal... colpa mia, solo mia.
Ecco, questo non avrebbe dovuto dirlo. Dentro di sé, un’altra Tellin urlava e urlava, e lo colpiva, e lo lasciava morire come un cane, e puniva la stupidità come una colpa. Ma la Tellin che era sorella di Allin fece un sorriso triste alla fanciulla che piangeva, e rimase in silenzio.
-Perdonami.
No, mai. Mai avrebbe potuto.
-Cercherò.
-Per... perd...
-Sì, zio, ti perdono.
-Io... io...- lui si contrasse orribilmente negli spasimi dell’estrema sofferenza, e Allin, con voce forte e chiara disse improvvisamente:
-E’ finito tutto, zio. E’ finito tutto, stai tranquillo.
Tellin la guardò affascinata mentre carezzava il volto di lui, vecchio anzitempo e stravolto.
E il reggente morì, senz’altro segno o suono che rovesciando gli occhi. Il peso nelle braccia di Tellin crebbe improvvisamente, finché il corpo non le sfuggì dalle mani, riadagiandosi senza rumore tra i guanciali. La morte fu un sollievo dopo l’agonia.
Per qualche momento rimasero in silenzio. Allin piangeva, le lacrime come perle rotonde sul suo viso, senza un singhiozzo o un rumore, le labbra increspate appena. A Tellin, invece, sembrava di non avere lacrime da versare. Si alzò e si diresse alla finestra, tirando con forza le tende e spalancando le imposte. Una violenta folata d’aria fredda entrò di prepotenza nella camera soffocante. Il cielo, ad est, era striato dalle prime luci dell’alba, che screziavano le nuvole basse. La nebbia umida si sarebbe sollevata presto, spinta dal vento che faceva ondeggiare le cortine e rabbrividire le due ragazze, nelle leggere vesti bianche dell’abbigliamento privato. Tellin si voltò a guardare il letto sfatto occupato dal morto: sua sorella, sempre ferma dov’era, sembrava un soprammobile, lì accanto. La bacinella con l’acqua e l’aceto usati per le pezzuole, la conchettina dove aveva aiutato lo zio a sputare il catarro ed il vomito sanguinolento, i panni di lana che inutilmente erano stati posti sul suo ventre per cercare di calmare i dolori, erano inerti sul pavimento e sul tavolinetto presso il letto, così come li aveva appoggiati con gesto frettoloso dopo l’ultimo uso, quando lo zio era ancora vivo, secoli prima, pareva.
Tornò lentamente verso di lui, e vide che Allin gli aveva chiuso gli occhi, senza alcuna repulsione. Gli prese la mano inerte e gli sfilò l’anello del Regno, che portava alla mano sinistra perchè non era il re, l’anello che avrebbe dovuto essere di Tyal e che certo non sarebbe finito in mano a Naro, se solo poteva impedirlo.
-Dobbiamo comporlo?- chiese Allin. Tellin annuì. Erano entrambe esauste, ma andava fatto prima di prendere altre decisioni.
-Va’ a chiamare Em- disse.
Voleva disperatamente piangere, voleva essere addolorata, ma non riusciva a far altro che a pensare agli stupidi dettagli pratici cui avrebbe dovuto porre mano da lì a poco. Forse, senza il viso di Allin che la guardava fisso, sarebbe riuscita a pensare...
Era morto lo zio, l’ultimo adulto della sua famiglia, e adesso tra i suoi fratelli ed il mondo esterno non restava che lei, ed era sola e senza Tyal, ed il cuore le si era così rinsecchito in quegli anni che nemmeno riusciva a dispiacersi semplicemente perchè era morto il fratello di suo padre. Strinse il pugno che conteneva l’anello del Regno, lo aprì per guardarlo e se lo infilò lentamente al dito, attorno al quale ballò, largo e pesante nella sua mano magra. Non era suo e non voleva doverlo portare, ma quale era l’alternativa, lasciarlo in mano a Naro?
Naro che voleva sposarla, lo zio l’aveva avvertita, e prima di lui Haru, in un passato così remoto che sembrava sfocato, e fra un mese avrebbe compiuto diciotto anni.
Chissà se sposandolo avrebbe tutelato le sorelle e Putch? E forse tutta Colois? Certo, se adesso non avevano a benvolere la Famiglia, poi l’avrebbero decisamente odiata tutti. La moglie di Naro... avrebbero detto che si era venduta.
E cosa doveva... cosa doveva fare, allora?
Aspettare che Naro li uccidesse tutti? Perchè ora che si era liberato dello zio, non avrebbe tollerato a lungo quella specie di santuario intoccabile che era la Casa, oh, no. Se ne sarebbe occupato di persona, di loro. Di lei.
Sentiva fitte di disgusto che le perforavano lo stomaco, e non era solo l’odore della morte nella stanza, che l’alba portava via con le sue raffiche fredde.
Dalla finestra si vedeva il mare: erano anni che non lo poteva ammirare la mattina, da quando avevano murato le finestre della Balaustra.
Giù a Resthaven ondeggiavano dolcemente le vele bianche delle navi, e sarebbe stato bello fuggire a bordo di una di esse, e non tornare  a quel suo presente che si stagliava come un muro innanzi a lei, senza darle alcuna via d’uscita.
 
 

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