Il cacciatore di eroi

di macchese
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Punto Zero ***
Capitolo 2: *** Timeo danaos et dona ferentes ***
Capitolo 3: *** Sufficit diei malitia sua ***
Capitolo 4: *** Una legge degli eroi e... ***
Capitolo 5: *** ...una legge degli uomini ***
Capitolo 6: *** Giudizi e colpe ***
Capitolo 7: *** Il piano A ***
Capitolo 8: *** Il quarto giorno ***
Capitolo 9: *** Che il gioco cominci ***
Capitolo 10: *** Il solito piano B ***
Capitolo 11: *** L'ottavo giorno ***



Capitolo 1
*** Il Punto Zero ***


Il cacciatore di eroi
    Prologo - In un mondo dove gli eroi esistono, essi sono usciti allo scoperto. E le persone cosiddette "normali" lo hanno accettato. In parte approvando, in parte rassegnandosi. Il surreale ed il sovrannaturale erano fin allora decisamente sopravvalutati. Gli eroi non sono solo relegati al bidimensionale ruolo commerciale tanto caro ai venditori di leggende cartacee. Essi vivono. Camminano tra le altre persone ed altri eroi. Perennemente in bilico su di un cuneo, questa circostanza vive un periodo di stallo. I comuni hanno accettato i sovrannaturali. Accontentandosi di non essere eroi. Di non poter esser più eroi. Di dover guardare gli eroi. Io odio gli eroi -



 Il punto Zero

Un bambino sta giocando felice sul tappeto di fronte alla televisione accesa. Guarda i cartoni. E' mattina. Quel giorno non è andato a scuola. Qualche linea di febbre ha convinto la madre a tenerlo a casa, a prestargli le sue amorevoli cure. A coccolarlo, accudirlo. Lei ora gli prepara un'abbondante colazione in cucina. Si sente chiamare dalla sala, sente il suo bambino attirare la sua attenzione. Calmo, arriva. E lei arriva, con un vassoio imbandito di molteplici pietanze. In sala, scopre che alla televisione non ci sono più i cartoni. No. Ma un uomo ne ha preso il posto. Un uomo, scuro in volto, un anchorman. Un'uomo che parla allo schermo e a chi c'è davanti. Quella è un'edizione straordinaria del telegiornale. L'anchorman è piuttosto cupo. Cupo in volto.

    "Telespettatori del mondo intero... devo informarvi di una notizia terribile. Forse la più terribile della storia dell'umanità. Il corpo di Clark Kent è stato ritrovato senza vita all'interno del fienile sito nella sua proprietà. A trovare il corpo è stata la compagna, di rientro dal lavoro. Le cause sono ancora sconosciute. Ripeto. Il corpo di Clark Kent è stato ritrovato senza vita. Abitanti del mondo intero; Superman... è morto."

Il silenzio viene rotto dal rumore del vassoio che cade, rovesciandosi e ridistribuendosi in svariati pezzi per tutta la stanza. Questo sarà successo in molti luoghi. Un'immediato senso di stupore e milioni di oggetti che vanno in frantumi. Adesso il mondo avrà di cosa parlare.
Ma le cause non sono sconosciute. Lo dicono, ma non lo sono. Come lo so? Sono stato io.

Il mondo ha bisogno di eroi. E gli eroi hanno bisogno del mondo. Non lo dicono, ma lo vogliono. Gli eroi sono belli, sono forti. Sono bravi ragazzi. Non dicono parolacce. Sorridono sempre. Non bevono mentre guidano. O mentre volano. O mentre corrono alla velocità di quella cazzo di luce. Cazzo, scommetto che non scaricano nemmeno musica da internet! Però, c'è una cosa di cui l'eroe non può fare a meno. Un dettaglio che lo classifica appunto come eroe: una nemesi. Il perdente. Di quello che non scrive la storia. Gli eroi lo sono per il fine e non per i mezzi. E' lapalissiano che un cattivo sia cattivo, ne converrete. Ma se c'è una cosa che i cattivi, i nemici, o perdenti che dir si voglia sanno, non è la storia, è la verità. E io vi dico che le cause, non sono sconosciute.

    "Signore e signori di tutto il mondo, si presume che le cause della dipartita siano di natura natural... Scusate. Comprenderete il mio stato di shock. Ehm. Si sospetta che la dipartita possa essere avvenuta per cause naturali. Naturali, in una natura che putroppo noi, non possiamo comprendere."

No no. Non ci siamo. Ma è ovvio che non sbandiereranno mai la verità. Qualcuno ha ucciso l'uomo più forte del mondo. Qualcuno ha ucciso Superman. Quali sarebbero le conseguenze di una tale notizia? Posso dirvi che le mie azioni sono salite parecchio dopo questo avvenimento. E' chiaro che io non sono quotato in borsa, ma potete aver inteso il senso. Perciò, vi dirò io come sono andate le cose. Sarò io a dirvi la verità.


Non è stato facile. Non è stato breve. E non è stato privo di dolore. Ma è stato. E' stato quando io ho deciso che doveva essere. Due mesi. Per due mesi ho controllato la casa, gli amici, la fidanzata giornalista, nella ricerca di una ruotine, di comportamenti abituali. E c'era solo una cosa che si ripeteva: quel fienile. Dove lui forse si rilassava, guardava le stelle, lavorava. Mi chiedo perchè lo facesse. Ehi! Sei un eroe! Sei Superman! Cosa diavolo lavori a fare? Fai l'eroe, prendi i cattivi, dormi. Poi fotti. Poi rassicura il popolo, prendi ancora un po' di cattivi. Fotti un altro po'. Assicurati che la tua parte di mondo sia in ordine. Ovviamente prima e dopo aver fottuto.
Quel fienile, dove forse trovava anche un po' di pace. E dove io gli avrei dato la pace eterna.
Superman lo ha un punto debole, si sa. Quella roccia verde, quel fottuto meteorite chiamato kryptonite che i suoi genitori hanno responsabilmente deciso di spedire sul mio pianeta insieme al loro figlio. Dieci punti ai genitori. Ottima idea. Il fatto fu che dopo il suo "outing" di eroe, i governi del mondo decisero di bandire, eliminare e sostanzialmente annichilire ogni pezzo di "oro verde" dalla faccia della terra. Poichè sarebbe stato ovvio garantire la sicurezza del paladino della pace nonchè deterrente nucleare.
Quello che non fu, non è, e penso che non sarà mai ovvio, è che il genere umano è popolato, e qui vi stupirò nel dirlo, da esseri umani. Pessimi e fallibili esseri umani. Corruttibili ed insignificanti scarafaggi che badano solo ai propri interessi. Ed agli interessi di chi bada ai loro interessi. Ed agli interessi, degli interessi di chi bada ai loro interessi. E così via. Ed allora, l'impossibile aveva assunto tinte d'opportunità. Perché non era vero che quel prezioso elemento verdastro si era estinto, no. Qualcuno aveva ben pensato che data la scarsità dell'offerta, la domanda sarebbe salita e salita. E dopo una pausa, sarebbe salita. Facendo salire anche il prezzo al kg. O al pezzo. O qualunque unità di misura vi aggrada. Qualcuno che ora riposa orizzontale, in un sacco di plastica, non molti metri sotto la crosta terrestre. Non sono stato io se ve lo stavate chiedendo. Però era inevitabile che, ritenuto il prezzo eccessivo, la domanda avrebbe trovato metodi alternativi per entrare in possesso dell'offerta. Alternativi e meno costosi. Costringendo l'offerente nelle condizioni sopracitate. Io riuscii infine a mettere le mani su quel prezioso elemento tanto allergico al supereroe blu e rosso senza pochi problemi. Mi costò, e vero, ma anche questo era inevitabile. A questo punto però, sorsero delle difficoltà.

Avevo un amico che faceva al caso mio. Anzi, a dire il vero ne avevo due. Il primo si chiamava 47, ed era il migliore in quello che faceva. L'altro si chiamava Stryker, nome di battesimo William, ed era il migliore in quello che faceva. Quindi avevo con me quel materiale, ma non la possibilità di lavorarlo. 47 mi portò da William. Lui era in grado di lavorare un metallo che nessun altro era in grado di manipolare. L'adamantio. Pensai che magari poteva lavorare anche altre cose. Portai il mio elemento da lui. Dopo averlo analizzato mi disse che si, poteva lavorarlo, ma in cambio ne voleva una parte. La cosa si poteva fare.
Dopo svariati fallimenti riuscimmo a plasmare un tipo di proiettile particolare, dato dalla miscela di roccia verde ed adamantio. Un proiettile leggero ma incredibilemente compatto, più devastante di qualsiasi altro che mente umana avesse mai partorito. Praticamente indistruttibile e teoricamente riutilizzabile. Gliene commissionai sette. Mi chiese cosa volessi fare con il materiale rimanente e, dopo averci pensato un po', gli chiesi se potesse forgiarmi una spada. Perché una spada? Perché ne ho sempre desiderata una. E fu una scelta azzeccata, perché ne risultò un'arma eccezionale. Sul modello di una katana, dalla fusione risultò avere una lama d'adamantio nera sul quale risaltavano le verdi venature di quel meteorite a me caro. Un attrezzo letale nelle mani di chiunque. Ed era nelle mie.
Ora rimaneva una sola cosa da fare.

Con me avevo la katana comodamente adagiata sulla mia schiena, i proiettili, ed un fucile che 47 mi aveva gentilmente procurato. Un fucile che definirei "multi-tasking". Creato sulla base della fusione tra un LM308MWS ed un AK-47, era sommariamente un fucile d'assalto convertibile in uno da cecchino. Un progetto di 47, quindi creato, ma mai creato. Se mi capite. Difficilmente se ne sarebbe trovata copia all'ufficio brevetti. Lui lo chiamava ALWK-47, non perché fosse stato costruito nel 47, ma da 47. Io lo chiamavo il "mio fucile". Non sono mai stato un tipo originale.
L'altra particolarità del mio fucile è che non necessita di cartucce per esplodere i colpi. Bensì i colpi vengono sparati dall'anima grazie ad una piccola esplosione derivata in un alloggiamento posteriore alla canna. Perciò il percussore non agisce direttamente sul proiettile, che per questo motivo non possiamo chiamare cartuccia. Immaginatelo come un "fucile a benzina", o "fucile a due tempi". La spinta necessaria generata dai gas avviene grazie ad un meccanismo separato e ricaricabile. Possiamo dire che il cane è all'interno del fucile. E come ultima cosa, non faceva rumore. Per il resto era simile a quei fucili che vanno di moda nella serie Call of Duty.

Avevo la katana ed il fucile. Ed ero posizionato a circa duecento metri dal mio obiettivo. Distanza che avrei percorso in poco più di venti secondi. Clark era solo. Incredibilmente ed insolitamente solo. Lo guardavo dal mirino telescopico del fucile passare avanti e indietro dall'enorme finestra del fienile in attesa di piantargli un proiettile in corpo. Avevo i sette proiettili già comodamente sdraiati nel caricatore, ma sapevo che uno sarebbe stato sufficiente. Avrebbe dovuto esserlo. Anche perché se avessi mancato il bersaglio, mi sarebbe piombato addosso ancora prima di staccare l'occhio dal mirino. Clark aveva la vista di fuoco, l'orecchio fino, sapeva volare e gli profumava anche l'alito. Tra le altre cose. Perciò avrei dovuto creare un po' di trambusto. Il giorno prima, approfittando di un suo momentaneo periodo di assenza, ero riuscito ad infiltrarmi nel fienile ed a piazzare un paio di diversivi. Avevo posto una mini carica esplosiva su una trave che sorreggeva un mucchio di balle di fieno. Poi avevo occultato dietro alle pareti e sotto la copertura delle trombette da stadio. Avete presente quelle con il tubo rosso? Quelle. Sapevo che non sarebbe servito ad un cazzo, però speravo, come già detto in precedenza, di fare un po' di casino. Abbastanza da fargli esclamare qualche espressione di sorpresa. Sapevo anche che non gli avrebbe impedito di evitare il proiettile, dato il fatto che normalmente non ne avrebbe avuto nemmeno bisogno. Ma questo mi poteva tornare utile. In caso contrario, avevo la katana.
Dunque, mi bastava schiacciare un tasto del mio cronografo per mandare il segnale ed attivare i diversivi al grido di -GO!- e quindi fare tanto rumore a soli duecento metri.

GO! Bang.... 


    "Bene bene... allora anche il sangue di Superman è rosso." dissi. Clark era sdraiato a terra, con la schiena appoggiata alla parete del fienile scrutandosi la ferita. Spaesato e ancora non consapevole di cosa fosse successo. In quei trenta secondi che avevo impiegato a raggiungerlo, aveva strisciato di un paio di metri. Lo si poteva dedurre dalla scia di sangue sul pavimento. Lo avevo colpito al pettorale destro. E non fu un errore. Non volevo ucciderlo, non subito. Il proiettile gli era rimasto in corpo, privandolo così della sua forza e di qualsiasi iniziativa. Per sicurezza però, avevo conficcato la mia katana nero-verde nel ligneo pavimento molto vicino a lui.

    "Che ingiustizia" continuai "un potere così grande, annullato da un oggetto così piccolo. E' proprio un'ingiustizia." Clark soffriva. Molto. Però non gridava, non si dimenava. Deve essere il codice dell'eroe. Onore nella sconfitta. Semplicemente, mi parlava.


    "Chi sei?" chiese a fatica.

    "Mi son sempre chiesto come mai un potere così grande è stato creato vicino ad un veleno più potente."

    "Aah... che vuoi da me, chi sei?" insisteva. Cercò di muovere il braccio destro, ma questo lo fece soffrire di più.

    "Fermo, fermo. Se sei anatomicamente come noi normali esseri di questo pianeta... ed ammettiamolo, un po' lo sei, quel proiettile ti ha attraversato il grande pettorale e lacerato l'articolazione. Allora? Cosa si prova? Fa male, vero? Eh? Lo sai come si chiama?"

    "Cosa..."
   
    "Dolore. E si, non è piacevole. Beh, non l'avrebbero chiamato così altrimenti! Allora che mi dici... Ti piace il dolore?"

    "Chi sei e cosa vuoi da me?"
   
    "Ve l'hanno mai detto che voi supereroi siete ripetitivi?". Clark cercò ancora di muoversi. Presi la spada e gliela puntai alla gola. Il solo contatto lacerò la pelle. Ora i nostri sguardi erano a pochi centimetri.

    "Ho capito" disse "sei un fanatico. Una vittima. Il mondo è sbagliato, il mondo è cattivo solo con te. Bella mossa." mi mostrava i denti.

    "Chi sei tu per parlarmi del mondo? Non farlo..."
   
    "Questo mondo è mio quanto tuo."
   
    "Sbagli amico supereroe."
   
    "Ho capito. Vuoi farmela pagare per via delle mie capacità." Clark stava diventando sarcastico.

    "L'orgoglio, è una prerogativa degli esseri umani."

    "Allora cosa cerchi di insegnarmi? E' una lezione questa? Credi che io non provi dolore? Guardami... sanguino... come te."

    "No. Sanguini, ma molto meno. E le tue ferite guariscono più in fretta. Non cercare paragoni, non serve a niente."

    "Arriva al punto." Clark ostentava una sicurezza che non mi aspettavo. "Sei qui per i miei poteri. Cerchi un modo per rubarli? Non esiste un modo per trasferirli, non me li puoi prendere. E non ti piacerebbe, credimi. La cosa è sopravvalutata. Ed io non voglio sentire di come tu li useresti meglio. Perciò vattene, ed io mi dimenticherò di te." ora era addirittura calmo.

    "Non posso crederci." risi. "Io non voglio i tuoi poteri, non voglio insegnarti un cazzo. E tu pensi di convincermi? Sai, ammiro la faccia tosta di voi eroi sempre sicuri di quello che dite. Vattene, e mi dimenticherò di te?" risi ancora. "Ma almeno tu ci credi nelle stronzate che dici? Voi eroi. Sempre calmi e sicuri. Forse sei sotto schock e non ragioni bene. Non ti è molto chiaro quello che succederà oggi?"

    "Me lo dirai tu cosa succederà?" mi guardava fisso negli occhi con una sicurezza a dir poco fastidiosa. 

    "Tu morirai."

Potevo alzarmi infine. Conciso e diretto. Intelligibile. Ci furono parecchi secondi di silenzio. Seguiti da altri secondi, parecchi. Non mi guardava più in faccia. Ora guardava a terra. O nel vuoto. Probabilmente ripensava ad un sacco di cose. Avevano cercato di picchiarlo, di rubargli i poteri, avevano attentato ai suoi cari per colpire lui. Lo avevano pugnalato. Ma non avevano mai tentato di ucciderlo. Così, premeditato e spietato. Diretto.

    "La mia paura aspettava questo giorno." era improvvisamente diventato poco loquace.


    "Sicchè anche gli eroi tremano. Prima però c'è una cosa che volevo dirti. A dire il vero, in un lontano passato, ti guardavo come si guardano gli eroi. Però le cose cambiano. Cambiano quando..."

Gli dissi quello che dovevo dire. Lui ascoltava. Non mi guardava, ma in silenzio assorbiva ogni frase. Forse perché sentiva la fine incalzare, parola dopo parola. Arrivai alla conclusione. Stette qualche secondo in silenzio, ingoiò il "rospo" ed infine parlò.

    "Per quanto possa correre veloce, arriva sempre il momento di fare i conti. Non si scappa." guardai bene. Dal suo occhio sinistro, una lacrima scendeva sulla guancia.

    "Nessuno può."

Presi la katana, caricai il colpo. Lui mi guardava negli occhi. Percepiva lo scorrere dei secondi, cercando di pensare a tutto e non pensando a niente. Mormorò qualcosa di soffocato. Vidi le sue labbra dare vita ad un pensiero. Prima che la mia lama discese nel suo petto.

        "Dicono che il male trionfa perchè i buoni non fanno nulla." mi accovacciai davanti al suo corpo, recuperai il proiettile. "La verità è che il male trionfa comunque." Abbassai le sue palpebre. Sentivo il cuore bussare forte nel mio petto. Era finita.

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Capitolo 2
*** Timeo danaos et dona ferentes ***


Timeo danaos et dona ferentes
- Le prime pagine dei giornali non parlavano d'altro. Così come le televisioni e le radio. La sua morte stava monopolizzando i media. E mi rendo conto di quanto sia triste. Faceva più notizia da morto di quanto ne avesse fatta da vivo. Ormai la gente si era abituata.-


Timeo danaos et dona ferentes



Stavo cercando di sbronzarmi, devo dire con discreto successo, nella prima bettola trovata sulla mia strada. Un posto abbastanza squallido. Buio, triste, forse sapientemente arredato per chi cercasse quel tipo di sensazioni. Un posto in cui non devi guardare in faccia chi ti parla, se mai si avesse avuta la fortuna di parlare con qualcuno. O la sfortuna. La luce è davvero bassa. Forse un'altra geniale trovata diventata alternativa alla pulizia delle superfici, giacchè entrando, per un attimo ho temuto che le suole delle mie scarpe si potessero staccare dai miei piedi, ormai incollatesi al pavimento. La televisione gracchia del supereroe mentre io ordino un altro superalcolico. Come si vede di solito nei film, chiedo al barman di lasciare la bottiglia, ma lui mi manda affanculo. Non come nei film. Un posto davvero ospitale. Un ritrovo per famiglie. Chiedo allora di poter cambiare canale. Altro fallimento. Dunque prometto un pagamento extra al prossimo giro. Pago il giro "doppio" e lui cambia canale. Tutti i canali parlano della stessa cosa. Mi aveva inculato. Mi rassegno e mi faccio portare qualcosa da sgranocchiare. Rimango così per una mezz'ora buona. Sono triste, e ciò che ho intorno non aiuta. E' passata quasi una settimana. E' tutto così assurdo che quasi non credo che possa essere successo veramente. Penso alle sue ultime parole soffocate. Al movimento della sua bocca. ......pace? Rapace? Capace? Il movimento è finito assondando qualcosa di simile.

Mi rendo conto di stare ancora pensando, quando sento entrare delle persone. Me ne accorgo perché quelli già dentro, sembrano abbandonare i propri tavoli quasi fuggendo fuori. Sono in tre. Volevo ordinare ancora ma il barman era sparito. Però c'era la bottiglia. Uno si avvicina e prende posto al bancone, alla mia sinistra. Mi guarda, io no. Alle mie sinapsi gira la testa.

    "Io,so,chi,sei. Io...So,chi,sei..." dice il tizio, buttando giù un bicchiere del mio presiozo antidepressivo liquido. Io non lo guardo. Lui continua. "Mmm, sei stato più bravo degli altri. Ok. Devo dire che mi hai fatto... un favore. Un bel fa...vo...re." Il tipo continua. "Sai chi sono io?". Ahimè, l'avevo riconosciuto. Chi altro poteva andare in giro truccato così? E poi, quelle cicatrici erano inconfondibili.

    "Certo. Tu sei la carta del mazzo...". Joker. Un elemento infimo tra quelli pessimi.

    "Ah,eeh,oh,ah... aaaaa. Hai indovinato. Sono,la,carta,del,mazzo. A-haa. Non sei curioso di sapere perché stai parlando con me?"

    "Non mi sembra di stare parlando con te. Anzi, il contrario. E comunque, non so di che parli."

    "O-ooooh.... no." Joker mi sottopone la prima pagina di un giornale. "Ferire l'intelligenza è segno di stupidità. Volevo solo conoscere di persona l'autore di questo spettacolo. Un grazie... è dovuto." Brutto bastardo. In quel mondo le voci girano più veloci dei proiettili. E ne girano di proiettili. Inutile cercare una scappatoia. Troppo il rischio e troppa l'ubriachezza. Ora non sono in grado di combattere contro gente così pericolosa.

    "E tu che ne sai? Ci conosciamo forse? Non credo... Sono solo l'ennesimo estraneo che passerà sulla nostra strada e finirà dimenticato..."

    "Ho, una proposta... per te."

    "No grazie! E' stato un piacere." rispondo immediatamente. Comincio a sentire la mancanza di un'arma da fuoco.

    "Mmm. Non dire così. No-o. Io posso esserti utile. In un momento così." Joker batte l'indice sul giornale. "Io, conosco un sacco diii... persone. Tante persone. Ascolta quello che ho da dirti. Ritengo di poterti essere... utile. U-ti-le. Se tu sarai utile a me."

    "Ah si? Ma tu non sai un cazzo. Vieni qui, come se fossimo vecchi amici, con una proposta per me addirittura. Pensi davvero che sia uno sprovveduto? Credi davvero che mi fiderò di un... pagliaccio?" Ok. Forse stavo esagerando. Uno dei due tizi si avvicina a me. Dietro la mia spalla destra. Ma lui prosegue.

    "Joker... prego. Conosco le persone come te. E le persone come te, hanno bisogno delle persone come me. Sei appena entrato nel mondo dei cattivi! Aah..."

    "Allora come sai che non ti piazzerò un coltello nella schiena? Sai, ne sono quasi tentato." A queste parole, il tizio di destra mi afferra la spalla e mi urla:

    "Ah si? E come farai dopo che io..."

BANG!..

    "Ops! Uh-ha-ha-aaa!". Spaventoso. Velocissimo. Joker aveva tirato fuori un revolver da chissà dove ed aveva centrato al collo il tizio che mi minacciava violenza.
    "Nessuno fa mai quello che gli viene chiesto!" prosegue. Ops?! Ora il tizio stava morendo a meno di un metro da me ed io non capivo un cazzo. E cosa voleva dire ops? Mi ero pisciato addosso. Non troppo. Giusto una goccia. "Tornando a noi... ti vorrei parlare di questa piccola... co-sa."


    "Hai intenzione di convincermi con quella?" non ho più saliva.

    "Oh-hooo, noo." Joker da la pistola all'altro e gli ordina di portare via il cadavere. Poi continua: "Ascolta. Ora facciamo un giro. Ti dico quello che ho da dire, tu ascolti, mi dici cosa ne pensi e... ci dormi su. Poi mi dirai cosa hai deciso. Se non ti va bene, te ne vai."

    "Si? Come se niente fosse? E magari con la promessa che mi lascierai in pace?"

    "Posso darti la mia parola. Tanto io non mantengo le promesse. Se non c'èèèè... convenien-za."

    "Tu credi davvero di conoscermi..."

    "Io so chi sei... Maggiore Brutal."

Direi che sono abbastanza fottuto. Uno dei criminali più pericolosi del pianeta vuole parlarmi. Ha ammazzato un suo subordinato di fronte a me solo per dimostrare chi comanda. Tuttavia è tutt'altro che insistente. La saggezza mi suggerirebbe di accettare la sua proposta ed io mi sento molto saggio al momento.

Lo seguo in macchina fino ad un edificio abbastanza isolato dal resto della vita. Approposito; Joker ha indovinato. Io sono il Maggiore Brutal. Maggiore, per la mia lunga carriera militare, terminata appunto col grado di "Maggiore". Congedato con onore. Inevitabilmente. Questo spiega la mia abilità non hobbystica con le armi. Brutal è invece frutto di una semplice assonanza con il mio cognome, che comunque non vi dirò. Joker aveva fatto i compiti su di me.

Entriamo e subito il suo sottoposto rimanente sparisce in una scala che porta nel sotterraneo. Joker si siede ed inzia a parlare. Io mi siedo il più vicino possibile alla porta.

    "Allora. Come tu ben sai, questo mondo è popolato di persone che vivono per rendere la vita difficile... ad altre persone. Grazie a te, ne abbiamo una di meno. Queste persone... si sono elette come tutori della legge senza che nessuno si potesse... opporre. Tuttavia, la felicità di qualcuno è l'infelicità di un'altro. Parecchio tempo fa, quella che chiameremo simpaticamente come "lega della giustizia" ha deciso per un'azione drastica. Quello che non sai è che prima che questo succedesse, esisteva un uomo molto famoso nel nostro... "mondo". Noto come il "Presidente". Un vero esempio per noi onesti criminali. Ed anche un amico. L'azione drastica di cui ti parlavo fu quella di farlo sparire dalla scena. Toglierlo... di mezzo. Brutto affare. Molti di noi credevano che l'avessero eliminato. Ma io no. Io... no. Quegli stupidi supereroi sono tanto forti quanto prevedibili. Perché vedi, il Presidente è una mente davvero... geniale. E non volevano che la sua genialità andasse sprecata. Molti credevano che le sue creazioni erano malvage. Ma questo è un punto di vista. Una pistola in un cassetto, non fa male a nessuno. Ora; mentre tutti si erano rassegnati, io l'ho cercato. Ed infine, l'ho trovato. Mi segui?"

    "Quindi? Non vedo come possa esserti d'aiuto. Se è davvero pericoloso come dici, sarà sotto stretta sorveglianza in un caveau, dentro ad un caveau situato nel posto più sperduto della terra."

    "Ci hai preso per metà. Anche io lo pensavo. Poi mi sono accorto di pensare come un banale criminale. E questo poteva scoraggiare anche il più testardo dei  malviventi."

    "La mia domanda rimane..."

    "Vedi, non è così nascosto come volevano farci credere."

    "A cosa ti servo io allora?"

    "Uno con la tua esperienza può essermi utile. Immagino che... dopo il polverone che hai alzato, anche i tuoi -amici- superpotenti saranno in stato di allerta. Ed uno come me ti potrebbe servire. Oppure non riuscirai a finire il tuo capolavoro."

    "Ah si? Quindi tu pensi davvero di conoscermi? E cosa credi che voglia fare?"

    "Amico... A-mi-co. Non mentire a te stesso più di quanto stai facendo a me. Io lo so cosa vuoi. Una persona normale non rischierebbe tanto se non avesse in mente  un'idea precisa. Vuoi ucciderli tutti..." Non rispondo. Lui continua.
    "Aa-ha... ci ho preso."

    "Credi che abbia bisogno di te?"

    "Vedi, qui... non c'è molto rispetto per la vita... umana. E circondarti di persone come 47... no no. Credimi se ti dico che potresti trovarti una bomba in macchina o un proiettile nel cranio molto presto, a dare le spalle a certi individui. Stanne certo."

    "Credi di essere diverso?"

    "Io sono un signore. E finché avrò bisogno di te e tu di me e non farai niente di stupido, non avrai problemi. Consideralo come... un segno di riconoscenza per quanto sei riuscito a fare fin qui. Mi hai levato un bel problema. Ora scusami, ma ho... un impegno." Joker si alza.
    "Dimenticavo. Di sotto c'è... un piccolo regalo per te. Fanne quello che vuoi. Consideralo... un incentivo alla nostra collaborazione...." Poi mi invita a seguirlo. Mi dirigo verso il sotterraneo. L'alcool in me è stato metabolizzato e questo mi permette di procedere con più attenzione. Terminate le scale metto mano sulla maniglia e apro. Appena la serratura scatta sento un urlo. Dentro c'è il sottoposto di Joker in piedi di fronte ad una sagoma femminile. Ha le mani legate dietro la schiena ed è sdraiata su un fianco. Spogliata di tutti i vestiti tranne che per un paio di mutandine. Deve aver subito ore di maltrattamenti fisici e morali. Ma questo non mi impedisce di riconoscerla. E' Lois, la compagna dell'ex uomo d'acciaio. Joker ferma il tirapiedi e fa ricomporre Lois su una sedia. Lei si dimena, lui la blocca. Cerca di nascondersi dietro le nude braccia, diventando piccolissima.

    "Ecco... la moglie dell'uomo che hai ucciso! E' tutta tua." mi dice. Lois urla:

    "Lasciami andare mostro!"

    "Mostro?" Joker all'improvviso tira fuori un coltello a farfalla e glielo infila in bocca, premendo su una guancia. "Vuoi sapere come mi sono fatto queste cicatrici? Mio fratello, era, davvero... un bastardo. Un giorno, quando eravamo piccoli, stavamo giocando insieme. Io gli facevo delle smorfie e lui si arrabbiava. Sempre... di... più. Io continuavo. Ad un certo punto disse: -Basta!-. Io continuavo. -Smettila di fare le boccacce, altrimenti così ci resti!-. -Non è vero!- ed io continua-vo. Allora disse: -Vuoi vedere?!-. Prese il coltello del pane, me lo infilò in bocca e... Zac! -Vuoi vedere?!- ripeteva, dilaniandomi la faccia."

    "Ora basta." dico. Lui mi guarda e la scaraventa a terra.

    "E' tutta tua. Hai preso la vita del suo uomo? Ora prendi anche la sua." mi risponde. Fa per andarsene ma lo blocco.

    "Io non voglio averci a che fare... dovresti lasciarla andare."
   
    "Fa come vuoi. Ti ha visto in faccia. E comunque... o ci pensi tu, o ci pensa lui." e indicando il suo tirapiedi, sparisce.

Il tirapiedi la picchia ancora un po'. Lo fermo. Nella collutazione lei sbatte la testa violentemente a terra, svenendo. Il tirapiedi mi guarda:

    "Scopiamocela!". Sta per slacciarsi i pantaloni, ma lo spingo via. Lui ride: "Ok ok... è tutta tua. Goditi questa puttana. Sei una stupida puttana vero?"

    "Fai il duro con una donna? Una donna svenuta?!" mi sto incazzando.

    "Ti sei prostituita con un supereroe eh? Troppo facile..." sferra un calcio che le avrebbe centrato l'addome, se non lo avessi fermato. Lo atterro. Gli metto il piede sulla gola. Lui si dimena, urla, prova a colpirmi con un calcio, ma io sono troppo incazzato per permetterglielo. Spingo il piede sulla sua gola con forza, finché non smette di muoversi. Poi lo tengo premuto ancora un po'. Non so se è ancora in vita, non mi importa. Di certo non chiamerò aiuto. Aiuterò lei.
La sollevo da terra, la porto al piano superiore. La avvolgo con una coperta e mi dirigo in macchina.

    "Adesso vieni via con me. Poi si vedrà..."




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Capitolo 3
*** Sufficit diei malitia sua ***


Sufficit diei malitia sua Quella volta avevo ricevuto della posta. Della posta assurda.



Sufficit diei malitia sua

Ho portato Lois nell'attrezzatissimo appartamento di Stryker. Sdraiata su di un letto ora riposa, attaccata ad una flebo di soluzione salina dentro una stanza che ho comunque chiuso dall'esterno. Per la sicurezza di entrambi. Non eravamo a casa mia per due motivi: il secondo, perchè il "covo" di Stryker era un posto sicuro, relativamente fuori dai radar e ben fornito di beni di qualsivoglia necessità. Era il secondo motivo perché lo avevo scoperto solo dopo esserci entrato. Il primo motivo, era perché avevo ricevuto della posta. Quel tipo di posta che non credevo possibile. Che avevano molto invadentemente lasciato su di un tavolo del soggiorno di casa mia, costringendomi ad una lunghissima e minuziosa perlustrazione degli interni seguita da una fuga improvvisata. Ed immotivata. Il messaggio era di Stryker, che mi invitava senza mezzi termini al suo appartamento. E che mi aveva condotto ad altra posta... quella assurda.
Non pensavo mi potesse succedere. In generale, che potesse succedere veramente. Però le prime righe erano tanto chiare quanto improbabili. Eppure vere. E pesanti. E ridicole. E tante altre cose. E facevano così:

    -Quando leggerai questa lettera, probabilmente sarò morto.-

E ci sono un sacco di cose che non hanno senso. Perché, vi confesso, non l'ho mai capito.
Quando qualcuno si prende la briga di lasciare un messaggio del genere mi lascia sempre basito. Perché si aspetta quanto scrive. Ma allora perché non fa qualcosa? Qualsiasi cosa? Scappare, nascondersi. Aspettare in una stanza senza finestre e con una sola porta, seduto dentro un carro armato pronto a fare fuoco al minimo presagio di pericolo. Perché no? Eppure quando sento una cosa del genere, mi aspetto sempre che non menta. Il mittente sa che quando il destinatario leggerà, la profezia si sarà avverata. Eppure, niente colpevole, niente movente. Che so: è stato il Reverendo Green, in biblioteca con la spranga di ferro. No. Solo un -probabilmente- che suona come un garbato eufemismo di -certo-.
Invece no. Una lettera. Tutto qui. Che parla più di me che d'altro. Già. Perchè il fu William Striker mi aveva lasciato qualcosa.

    -Ultimamente mi sono dedicato ad un lavoro. Un lavoro di cui nessuno sa niente. Nella cassaforte al primo livello interrato ho lasciato una cosa per te. La combinazione è "l'anno più bello della vostra vita". Scusa se mi sono permesso, ma è della massima importanza. Dentro troverai una cosa che sono certo ti aiuterà. Segui alla lettera le istruzioni. E forse ne uscirà qualcosa di buono in tutto questo.-

    Ne dubito vecchio amico. Non è nei piani di nessuno.

Lois dorme ancora. La stanza è chiusa. Il perimetro sotto controllo, il frigorifero pieno e l'allarme inserito. Ora cerchiamo la cassaforte. Cosa potrà avermi lasciato? Una rendita immobiliare? Titoli al portatore? Lingotti d'oro? Che cosa? Un'altra arma tecnologicamente avanzata? Dovevo crederci se diceva che poteva essermi d'aiuto. La domanda era: in che modo? A fare cosa?
Sono davanti alla cassaforte. Digito i quattro numeri sul tastierino numerico che spicca sulla cassaforte e subito qualcosa al suo interno si da da fare. Dei meccanismi lavorano, qualcosa gira su se stesso ed infine, la pesante anta di metallo si apre.
Al suo interno, una cartelletta delle dimensioni di un A4 riposa sopra ad uno strano contenitore metallico. La cartelletta contiene un solo foglio. Lo leggo. Breve, ma conciso. Fa così:

Ti troverai di fronte ad un contenitore di metallo nero, diviso in tre alloggiamenti. Si tratta di un farmaco sperimentale dell'esercito, studiato per aumentare le prestazioni dei soldati sul campo. E' un esperimento portato avanti con la massima segretezza. Il farmaco si trova dentro tre recipienti chiusi ermeticamente in un liquido refrigerante e così dovrà rimanere fino al suo utilizzo. Segui le mie istruzioni alla lettera, qualora tu voglia usufruirne. E' molto importante, al fine di non compromettere la tua salute fisica. Tuttavia, il procedimento è relativamente semplice.
I coperchi sono contrassegnati da numeri romani indicanti l'ordine da seguire nella somministrazione. Il farmaco si trova stipato in fiale dentro siringhe a pistola, immerse in un liquido che ne conserva le proprietà.
Importante: Procedi all'estrazione SOLO nel momento immediatamente precedente alla somministrazione. Una volta aperti i vani, hai solo un minuto per l'iniezione, trascorso il quale il siero perderà la sua efficacia. I benefici superano di gran lunga gli svantaggi e credo ti potrà servire ad affrontare il percorso che hai davanti.

Siero 96X402 "Essere umano 2.0. -Homo Bellator-"
-Istruzioni per l'uso- Somministrare in ambiente controllato.
_Fase 1:
Aprire il primo coperchio (numero romano I). Estrarre la siringa ed iniettare il farmaco nel braccio all'altezza di un tricipite (intramuscolare). Accertarsi che la fiala sia completamente vuota. La fase 1 agisce sul sistema muscolo-scheletrico, incrementando la massa muscolare tramite sollecitazione dei tessuti ed irrobustendo la compatezza ossea del soggetto. Durata trattamento: 96 ore (quattro giorni). Trascorsi i quattro giorni è obbligatorio passare alla fase 2.
_Fase 2:
Aprire il secondo coperchio (numero romano II). 
Estrarre la siringa ed iniettare il farmaco nel braccio all'altezza di un tricipite (intramuscolare). Accertarsi che la fiala sia completamente vuota. La fase 2 implementa la fase 1 agendo sul sistema nervoso centrale e periferico, aumentando la velocità della conduzione nervosa e la risposta agli stimoli. Significativo intervento sul sistema immunitario. Durata trattamento: minimo 96 ore (quattro giorni). Trascorsi i quattro giorni è necessario passare alla fase 3
_Fase 3:
Aprire il terzo coperchio (numero romano III).
Estrarre la siringa ed iniettare il farmaco nel braccio all'altezza di un tricipite (intramuscolare). Accertarsi che la fiala sia completamente vuota. La fase 3 equilibra i sintomi manifestatisi in seguito alle somministrazioni precedenti. Conclusione trattamento. La fase 3 determina l'assoluta cessazione degli effetti collaterali senza compromettere in alcun modo gli effetti benefici finali del trattamento.
_Benefici ed effetti collaterali:
n.b: i seguenti effetti collaterali sono da intendersi come soggettivi.
Fase 1: aumento della forza fisica, incremento agilità, resistenza allo sforzo. Migliorata capacità di recupero e resistenza agli urti.
Fase 2: Incremento delle capacità cognitive, riflessi, percezione dello spazio. Rigenerazione dei tessuti migliorata. Immunità dalle malattie conosciute.



Bene bene, ecco svelato il mistero. Qualunque cosa sia, credo possa essermi d'aiuto. E se è come descritto, non credo che avrò problemi a seguire il procedimento. Nel complesso, non dovrebbe portarmi via più di otto giorni. Perciò è meglio iniziare subito. Ci ho pensato, mi fidavo di Stryker. E poi, questa è "roba" destinata all'esercito, ed io ero nell'esercito. Potrei avere a che fare con gente discutibile e, tutto sommato, i benefici elencati mi torneranno utili.
Numero romano I, apro il coperchio. Subito esce del fumo, prodotto dal liquido refrigerante. Immersa c'è una piccola fiala inserita in una siringa. Inserisco l'ago nel mio braccio sinistro, all'altezza del tricipite, come da istruzioni. Premo l'equivalente dello stantuffo e la fiala si svuota velocemente. Fase 1, completata.


E passata un'ora e per il momento nulla è cambiato. Nessun sintomo, nessun effetto, desiderato o meno. Sono esattamente come un'ora fa. Ma Lois si è svegliata. Si è strappata la flebo ed ha iniziato a picchiare contro la porta, cercando invano di aprirla. Non ho pensato di legarla, quindi dovrò farlo adesso. Non appena apro la porta lei cerca di scappare. L'afferro. Lei scalcia, si dimena, urla. Non la sentirà nessuno, siamo sottoterra in un ambiente pressochè insonorizzato. Riesco finalmente a rimetterla sul letto senza farle più male del dovuto e per evitare altre complicazioni, le ammanetto il polso sinistro alla testiera. Il letto è imbullonato al pavimento. Forse qualcuno lo aveva già usato per scopi uguali o simili. Le dico che le dovrei rimettere la flebo, ma lei risponde in modo poco cortese. Allora le spiego che le sarebbe d'aiuto e lei mi risponde di nuovo a tono, dicendomi di infilarmela dove di solito è uso chiedere a coloro che non ci stanno troppo simpatici. In effetti, l'ultima cosa che mi renderebbe credibile dopo averla ammanettata, e preoccuparmi di porgerle aiuto. Avvicino un tavolino al suo letto per poterci appoggiare qualcosa da mangiare, in modo che lei possa arrivarci con il braccio libero.

    -Dovresti mangiare qualcosa, devi recuperare energie.- Lei non risponde, non fa niente e non mi guarda. Provo ad insistere. -E' meglio se mangi qualcosa, ti rimetterai più in fretta.- Niente. Altro fallimento. Non demordo. -Senti, mangia pure. Non pensare di dovermi qualcosa, approfittane e basta. Puoi mangiare davanti a me anche senza parlare... i miei lo facevano sempre.-
Lois finalmente addenta un boccone. E' affamata e stremata. Beve un bicchiere e poi mi guarda.

    -Mi rimetterò più in fretta dici?! E per andare dove?! So benissimo che non andrò più da nessuna parte.-

    -Io non c'entro niente con quello che ti è successo.-

    -Come no. Pensi che io ti creda?!-

    -Si. Io sono quello che ti ha portato via da quell'inferno...-

    -Immagino per finire l'opera.-

    -Tu non eri prevista. E mi dispiace che sia andata diversamente. Ma ripeto: non è stata una mia decisione. E non ho intenzione di finire nessun opera. Non sei mia prigionera.-

    -E queste manette? Come le spieghi?-

    -Per la tua incolumità. Sapevo che avresti reagito male e non volevo complicazioni. Sei libera di andare. Ti consiglio di aspettare qualche giorno, quando ti sarai ripresa. Hai bisogno di essere in forze, ti servirà.-

    -Mi servirà?-
   
    -Per scappare. Lontano. E senza voltarti indietro. Non sei più al sicuro qui.-

    -Adesso mi dai anche consigli?-

    -Io non voglio farti del male...-

Lois improvvisamente si blocca. Appoggia il gomito destro sul tavolo e prima di prendersi la fronte mi dice: -Troppo tardi.-

Già. Troppo tardi. Se lo ricorda. Lo ha capito. Glielo hanno detto. Sono responsabile, e parecchio. Clark. Eppure non so, non piange. Cioè, si, piange. Ma non come ci si aspetterebbe da colei che ha appena perso ciò che aveva di più importante nella vita. Non urla, non maledice il mio nome. Non ha aperto i rubinetti in un pianto fragoroso, no. E' più che altro un singhiozzo.

    -Hai ragione,- dico -te ne ho già fatto. Non ho intenzione di fartene dell'altro. Non fisico almeno. Mi dispiace che tu soffra, ma non per tuo marito.-

Lois si asciuga le lacrime e con voce ancora temolante: -Non era mio marito.- Ora addenta un nuovo boccone. -Perchè l'hai fatto...-

    -E' complicato. Ma andava fatto.-

    -Immagino cosa ci possa essere di complicato nella follia...-

    -Mi chiedo da cosa scaturisca questa deduzione.-

    -Ma dico, scherziamo? La cosa non è in discussione...-

    -Ah si? E cos'è la follia?-

    -La follia è quando un pazzo decide di togliere la vita alla persona più amata di questo mondo.-

   -Quello è omicidio. No... te lo dico io cos'è la follia. La follia è ripetere sempre la stessa azione ed aspettarsi un risultato diverso. E questo, è il motivo per cui ci troviamo in questa situazione.-

    -Immagino che il mondo ti ringrazierà.-

    -Il mondo fa schifo. E scommetto che lo sapeva anche lui. E la gente non può sempre contare sugli altri per risolvere i propri problemi. Non funziona così il "mondo" che tanto vi va a genio. Pensando che le cose si sistemeranno, da sole... forse, prima o poi. Se non fai parte della soluzione, fai parte del problema.-

    -E tu giudicavi Clark, un problema?-

    -Non lui. La sua immagine. La sua e quella di tutti i suoi "amici". Ora dormi. Non mi va più di parlarne.- 

    -No no aspetta- continua lei -Cosa sarebbe questa? Invidia, gelosia?-

    -Non ci siamo capiti. La guardi dal punto sbagliato. Ora dormi.-

    -Sei patetico. Tutto perchè ti sei svegliato ed hai capito di non essere alla sua altezza.-

Questa donna è ostinata e non sente ragione. Provo di nuovo a farglielo capire.

    -Cosa si prova ad essere la fidanzata di Superman?-

Lei ammutolisce. Finalmente. Smette di mangiare, di parlare... di fare qualsiasi cosa. L'ha capita. Mi avvicino, le ripeto di dormire. Le levo le manette e lei rimane sul letto. Sembra stordita. Me ne vado, chiudendo la porta a chiave dietro di me.

Immagino che sia difficile condividere una relazione con il resto del mondo. Ma a differenza di ogni relazione, lui era di tutti, non solo di lei. All'inizio potrà sembrare uno spasso, poteva farla camminare fiera. "Ehi, quella si porta a letto Superman!" Ma a me non sembra divertente. Sei a cena e c'è un incendio? Lui deve correre a salvare il mondo. E' il vostro anniversario è c'è una rapina? Lui deve correre a salvare il mondo. Cazzo ma pompieri e polizia?!
State facendo sesso e un aereo viene dirottato? Non so se il mondo se lo meriti davvero. Non si può amare con tutta questa incostanza. La cosa che aveva maggior bisogno di essere salvata era proprio sotto ai suoi occhi.


Sono nel letto, ma non riesco a dormire. L'orologio mi dice che sono quasi due ore che ci provo. La cosa mi sta facendo incazzare, così mi alzo. Viaggio per il piano, ispeziono l'appartamento. Sembra un bunker addolcito ad abitazione, anche se per certi versi ne conservava l'aspetto. Come una stanza adibita a prigione per la detenzione di ospiti, ed una sala ben fornita di armi. Dove riposano il mio fucile e la mia spada. Vago ancora un po', finendo per passare davanti alla "stanza" di Lois. Sento uno strano rumore provenire dall'interno. Un verso. Apro la feritoia per sbiriciare cosa stesse succedendo. E ne ho la conferma: quel verso era un conato di vomito. Lois sta rigettando dentro la tazza di metallo in un angolo della cella. Decido di entrare per farle una domanda del cazzo.

    -Stai bene?-

    -Secondo te?- mi risponde.

    -So che è una domanda inutile, ma intendevo se hai qualche dolore.-

    -Sto bene...- sibila, prima di voltarsi e prodursi in un'altra "gettata"

    -Lo vedo.-  mi avvicino. Prendo un fazzoletto e glielo porgo. Lei lo accetta come se non gli importasse molto da chi venisse. -Hai bisogno di qualche medicina in particolare?- continuo.

    -No. Ti è tornata la voglia di parlare? Non avevi sonno?-

    -Non riesco a dormire.-

    -I sensi di colpa fanno quest'effetto. Ormai devi conviverci.-

    -Fanno anche vomitare, a volte...-

Lei d'un tratto si rannichia su se stessa, per terra, nell'angolo della stanza. E' seduta con le ginocchia vicino al petto, chiudendo le braccia davanti e facendo affondare la testa nel ventre, coperta dalla folta chioma castana. Dentro a quell'angusto spazio che si è creata come unica difesa da me, piano, comincia a piangere. Singhiozza piano, come se non volesse farsi sentire da me, o come se non volesse attribuire verità a tutto quello che le era successo, e che le stava ancora succedendo. Provo a stabilre una conversazione, ma non c'è verso. Non risponde e non parla più di niente. Rimane solo lì, ferma, nel suo guscio. Non posso fare niente. Me ne vado.
Ritorno nel letto, cerco di rimettere la testa sul cuscino ma qualcosa inizia a squillare. Arriva dal mio cappotto. Sembra un cellulare, ma devo dire che è assurdo, perchè io non ho un cellulare. Me ne sono sbarazzato da tempo. Eppure, il mio cappotto squilla. Mi avvicino e dalla sua tasca sinistra, con sommo stupore, ne estraggo un cellulare. Un piccolo smart-phone che si illumina e che sullo schermo riflette l'immagine di un Jolly, tipico del mazzo di carte.


    -Sei un esaltato del cazzo.- dico rispondendo prima dell'interlocutore.

    -Teatrale, ami-co...-

Quell'esaltato di Joker mi aveva piazzato addosso un cellulare chissà come, ed ora mi chiamava.

    -Hai pensato alla mia, offerta?-

    -A dire il vero, avrei bisogno di pìù dettagli.-

    -Tra mezz'ora, al segnale.- e conclude la comunicazione.

Quale cazzo di segnale, sto pensando, quando sul cellulare si attiva una sorta di navigatore che mi indica le coordinare da seguire. Ho solo una parola: Esaltato.

Vado dove mi porta il segnale. Ovviamente, non disarmato. Con me ho una pistola, una M9 nascosta in una fondina sotto il cappotto e la mia spada, non nascosta, in un fodero cucito nel cappotto che poggia sulla mia schiena. Sapete com'è: fidarsi è bene, non fidarsi, può farti tornare a casa. Il posto non è nè vicino nè lontano, decido di andarci in moto. Anche se più pericolosa, può rendere anche più veloce
un'eventuale fuga.
In un attimo percorro la distanza che mi separa dal luogo di ritrovo, in cui trovo ad attendermi, tra altra gente, Joker.

   
-Giusto in tempo...- mi accoglie -ma, e quella?- chiede, indicando la mia schiena.

    -Teatrale, ami-co...- cerco di ricordargli.

    -Oooh... Non siamo qui per combattere. Non ancora-

    -Casomai a qualcuno venissero strane idee...-

    -Stasera non ce le facciamo venire strane idee. Ma, proprio, no.-

    -Allora? Che ci faccio qui?-
Joker mi spiega. Mi spiega che tra otto giorni ci sarà il funerale pubblico di Clark. E che questo attirerà, ed in gran numero, tutta la forza che la legge ha dalla sua parte.

   
-Quindi? Li vuoi colpire tutti insieme quel giorno? Ti vuoi suicidare per caso?- chiedo.
Joker, dopo avermi guardato storto, (o forse è il suo sguardo naturale, non saprei) mi confida invece che quello è il giorno perfetto per agire su un altro fronte. Il fronte "Presidente". Tutta l'attenzione rivolta alle ventuno salve di saluto in memoria di Clark, permetteva di agire con maggiore discrezione.
Ubicazione? Sorveglianza? Dettagli dell'edificio? Joker stava rispondendo a tutte le domande che gli ponevo. Sembrava aver studiato il tutto con molta attenzione. Sapeva dove. Sapeva che la sorveglianza sarebbe stata affidata a normali esseri umani, coadiuvati però, da un paio di droni delle Stark Industries. E questo non era bene. Per quanto riguardava la conformazione dell'edificio mi aveva detto che avrebbe aspettato più tempo possibile. Alla mia richiesta di spiegazioni, risponde:

   
-Se non vuoi attirare pesci più grossi, non agitare le acque.-

    -E come farai ad ottenere quel tipo d'informazioni?-

A questa domanda, Joker fa segno ad una persona di venirci incontro.

   
-Vedi, so chi è una delle guardie. E le ho messo una persona... alle, costole. Se così possiamo chiamarle. Una persona che non definirei... ordinaria.-
Dal fitto buio di quello scorcio d'isolato esce una ragazza. E subito capisco cosa intendeva con "non ordinaria".

   
-Wow...- dico. Perchè i miei occhi si posano sopra qualcosa di straordinariamente attraente. Qualche decina di metri fuori dal comune. Facciamo anche qualche centinaia. Se mi chiedessero di descriverla in poche parole, non ce la farei. Ci proverò. Carnagione olivastra, lunghi capelli scuri, occhi di ghiaccio, un metro e settantacinque molto ben proporzionato, lineamenti docili, ma sguardo deciso, tanto
da chiedermi se non dovessi salvarla dall'essere abietto che le sta accanto, oppure viceversa. Lei invece mi sorride, nonostante Joker, facendomi capire in che modo avrebbe persuaso la guardia a farsi dare delle informazioni. Lei forse poteva anche badare alle sue costole, ma di certo lui si sarebbe concentrato altrove.

   
-Terrorismo... del futuro. Colpiamo dove l'uomo è più... vulnerabile. Permettimi di presentarti... Katrin.-

Katrin. In buona fede, pochi le avrebbero resistito.
Ed infine, la preda si sarebbe convinta che quella che si stava mettendo al collo, era solamente una cravatta.
Come diavoli... vestiti da angeli.

  



 
   

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Capitolo 4
*** Una legge degli eroi e... ***


Quarto
Credo che il tempo sia utile solo a farci capire quanto siamo arrivati tardi.


Una legge degli Eroi e...




    Terrorismo del futuro. Colpiamo l'uomo dove è più vulnerabile.
Joker... Che figlio di madre nubile. In un'altra circostanza, l'avrei anche potuto definire un genio. Ma non c'è un'altra circostanza. Quindi...
Sono appena tornato nell'appartamento di Stryker, che per comodità da ora chiamerò "casa mia". Penso a quel gran pezzo d'arte umana di Katrin, e di come mi sono incazzato quando, in seconda media, quella stronza della mia "fidanzatina" mi ha mentito, lasciandomi per un amico. Ora che ci penso, ci sono menzogne peggiori. La cosa mi da da pensare: Fiducia non è altro che il nome che diamo all'illusione che ci sta rendendo felici.
Lois è ancora nella sua "cella". Ha appena finito di mangiare ed io, sto facendo un po' di zapping giornalistico. In tv, la solita litania, come su internet. Il mondo ha preso un revolver e se lo è messo in bocca. Prima o poi, uscirà il numero giusto sulla "roulette".
E' tempo di fare piani. Bisogna pensare ad un sacco di cose. Ma prima, devo aspettare che Joker si faccia sentire con qualche informazione che possa definirsi decente. Prenderò parte alla liberazione di questo "Presidente" perché la cosa ormai, mi ha incuriosito. Se è veramente così bravo, non vedo l'ora di sapere cosa sa fare.
Passeggio per la casa, pulisco qualche arma. Ho intenzione di fare un po' di pratica nel piccolo poligono presente un piano più sotto. Sto pulendo un grosso revolver, quando vengo interrotto da uno strano rumore. Lo seguo. Arrivo davanti alla cella di Lois, proviene dal suo interno. Non mi è nuovo. L'avevo già sentito in precedenza. Guardo dentro. Cazzo. Lois sta vomitando. Ancora. Entro nella cella per mettere un po' d'ordine e vedere come sta.

    -Tu non stai bene.-

    -Che spirito d'osservazione...- risponde seccata.

    -E non credo che non sia niente. Che ti succede?-

    -Vattene.- Cerco di tirarla in piedi e accomodarla sul letto ma lei mi urla addosso -Non toccarmi! Vattene!-
Si accascia a terra e sfocia in un altro pianto, stavolta più forte... più rabbioso. Ma che succede? Faccio due calcoli, e realizzo.

    -Mio Dio... non può essere...-
Lei piange, ed io sono uno stronzo. Siamo in due in questa stanza, ed io sono quello che ci è arrivato per secondo. Ed ora, lei vede i miei meccanismi mentali mettersi in moto come un vecchio trattore. Due indizi. Ne voglio un terzo. Mi avvicino e le metto una mano sulla fronte, poi sulla guancia. In quel momento, lei mi fissa negli occhi. E' molto calda, più del normale. E capisce che ho capito. Ma quando? Quando è stato? La risposta è ovvia, ed io ho paura che sia proprio quella. Ma lo devo fare. Lo devo chiedere. Ed il suo silenzio, pesa ogni secondo di più. Figli di puttana.

    -Devi andartene da qui. Appena ti sentirai un po' meglio, ti porterò via.- le dico, facendola sedere sul letto.

    -E per andare dove?- Le note della sua voce suonano ancora di lacrime.

    -A casa tua, da un amica. Dove vuoi. Ovunque, ma non qui. Non puoi più stare, non ti ci voglio.- Lei fissa il fazzoletto che tiene tra le mani.
    -Mi hai sentito?!-


    -Sai benissimo che non ce la farò la fuori.-

    -Non ce la farai?! E perché? La gente ti conosce, troverai chi può darti una mano.-

    -Non può.-
   
    -Non può? Non capisco. E le tue amicizie?- dico, enfatizzando l'ultima parola.

    -Chi può aiutarmi, non sarà abbastanza. E chi lo sarebbe, non può farlo. E' così.-

    -E così? Cosa?-

    -Fa parte della loro legge.-

    -Legge?!-  ora sono confuso.

    -La chiamano legge dello "Scacco Matto"-

Legge dello Scacco Matto. O legge di Banner, da cui ha origine. Cazzo, questi hanno anche uno statuto adesso? Un eroe non può intervenire nelle questioni personali di un altro eroe. Questo per mantenere un profilo oggettivo, evitando falle nel sistema. Non sia mai che qualcuno possa sentirsi eticamente impugnabile...
Detta anche legge di Banner, per via di Bruce Banner. Il primo ad aver evidenziato, suo malgrado, il rischio delle relazioni personali, quali familiari e, soprattutto, fidanzate. Lois, rassettatasi il necessario, inizia a raccontare.


    -Anni fa, la ragazza di Bruce, Betty, venne rapita. Lo scopo era quello di usarla come polizza nella buona riuscita di una rapina in una banca, da parte di un gruppo di ladri principianti. Dato il "noto" caratteraccio di Bruce, fu deciso, di comune accordo, che ad intervenire dovesse essere una squadra speciale supervisionata da Tony Stark, che mise a disposizione due delle sue armature speciali. La prima, l'avrebbe pilota lui stesso, che sarebbe intervenuto direttamente nello scambio mentre l'altra, un membro della sua squadra, Mike. Doveva essere una passeggiata. Inutile dire che le cose non andarono come previsto. Nel momento in cui si sarebbe dovuto fare lo scambio denaro/Betty, uno dei criminali...- Lois si ferma. Probabilmente le stanno tornando in mente delle immagini, e questo la fa titubare. Si porta una mano alla bocca, chiude per qualche istante gli occhi e poi prosegue - uno dei criminali decise che Mike si era avvicinato troppo. Vedendolo, imbracciò un lanciarazzi e fece fuoco. Il proiettile centrò in pieno l'armatura, che venne scaraventata violentemente...- altra pausa, deglutisce -violentemente verso Betty. Venne centrata in pieno, finendo schiacciata contro un muro. Per un momento, il mondo si era fermato. Mike, quando fu in grado di rialzarsi, capì subito la gravità della situazione. Ma era tropppo tardi. Perché nel frattempo, Bruce, che si era sistemato all'esterno del cordone, era già diventato verde. Fu un disastro. Se la prese con tutto e tutti. Sbriciolò completamente l'atrio, sotterrando due dei criminali. Si avvicinò a Betty, esanime. Con un dito, cercò di smuoverla. Cercò un segno di vita. Tutto con una dolcezza... innaturale. Ma non c'era più niente da fare, ed era solo questione di tempo. Poi comprese. Comprese il fatto e si girò nella direzione di Mike, a sua volta fermo, impotente. Si guardavano. Bruce, o quello che ne rimaneva sepolto sotto rabbia e muscoli, allungò un braccio e...- Lois stringe un pugno - lo schiacciò. Come una lattina. Ne rimase un grumo di metallo e sangue, in un silenzio surreale. Poi ci fu un urlo terrificante. Ira. Pura. Il terzo criminale fu investito da un calcinaccio. Penso che non se ne accorse nemmeno. Infine venne la volta di Tony. Appena capì che era il prossimo, si levò in volo, allontanando Bruce da vittime collaterali. Ritrovarono Bruce molti giorni dopo, su un'isola molte miglia al largo della costa, disidratato, in fin di vita. Ci era andato a morire.-

Ora il silenzio surreale è nella cella. Detto in parole povere, è la legge "sono cazzi tuoi". A volerlo trovare, un senso lo aveva. Ma era una vera porcata. Se la regina era sotto scacco, solo il suo re poteva mettersi in mezzo. La legge dello Scacco Matto.
Passano parecchi secondi di silenzio. Oppure mesi. Non so. Forse era veramente fottuta. Anche se non è certo che dovessero andare a cercarla, era comunque un bel sassolino nella scarpa.

    -Ti servono cure mediche, un letto decente e anche cibo decente. Per la prima non posso fare molto, ma posso fornirti le altre due.-
La sollevo dal letto e la porto fuori dal quel tugurio. Lei mi guarda. In un'altro frangente avrei detto che fosse stupore, ma poteva essere qualsiasi cosa. La faccio accomodare in una stanza degna di tale nome, con un bagno che non sia solo un eufemismo di "buco nel pavimento". Comincia a farmi pena. Non si merita questo. Nessuno si merita questo. E la cosa mi fa incazzare. Poi mi ricordo che anche io sono parte del suo dolore, almeno, fino ad adesso. Perciò, coinvolgimento ridotto al minimo indispensabile.
La lascio nella sua nuova camera, da sola. Siamo sotto terra, non ci sono finestre ed ogni accesso all'esterno è subordinato a tastierini elettronici, sicché nessuna serratura può muoversi di un millimetro senza una combinazione numerica. E poi, non sembra aver molta voglia di scappare. Non so se è per educazione o abitudine, ma le è scappato anche un grazie. Ridicolo. Forse vuole solo fottermi il cervello.

Il tempo passa. I minuti diventano ore, il sole ha ormai completato la sua discesa, intenzionato ad atterrare dietro l'orizzonte. Mi sono fatto una doccia e riflessi nello specchio, non ho visto grossi cambiamenti nella mia struttura fisica. Nessun effetto collaterale, buono o cattivo che sia. A parte la stanchezza, dovuta in gran parte da una giornata al quanto pesante. Mi sdraio nel grande letto a due piazze, sperando che il sonno possa prendersi un po' cura di me.

Proiettili, proiettili ovunque. Piove metallo, in tutte le direzioni. L'elicottero sopra di me sta pisciando bossoli sulle nostre teste. "Andiamo" urlo. La mia squadra si infila nel riparo offerto da un alto edificio vicino. "Tenente, due uomini. Ripulite il piano".  Il tenente sale le scale. I soldati si sporgono dal riparo offerto dall'angolo. Seguono spari. "Libero, maggiore". Prendiamo il controllo del piano. "Voi qui. Supporto. Johnson, Barry, con me." I soldati mi seguono al piano superiore. Pulito. Sto per ordinare di ricongiursi al resto della squadra ma un soffitto crolla. Di colpo mi ritrovo solo. Un tizio mi corre incontro, brandendo una spranga di ferro come arma impropria. Cerca di colpirmi. Mi difendo. Evito i fendenti, mi riparo con una sedia che va in pezzi. Il tizio sferra un calcio. Barcollo. Mi appende al muro con quel ferro, cerca di strozzarmi. Lo sento, sotto il collo, mi da fastidio. E'... è freddo. Cerco di levarlo, ma cos'è? Cerco di toccarmi la gola, poi sento una voce:

    -Fermo.-
Sussulto, non poco. Ma vengo bloccato. C'è la canna di una 357 sotto il mio mento, che prosegue nel calcio, stretto forte in una mano delicata. Il mio sguardo segue il braccio fino ad arrivare ad un volto. Lois. Mi sembrava già tutto assurdo, ma ora capisco di non stare più sognando. La sensazione è reale, il metallo, freddo. E' sdraiata accanto a me, sul fianco sinistro e con la mano destra tiene saldamente la pistola sotto il mio mento. Il suo dito è solamente appoggiato, al grilletto. Per ora.

    -Cosa si prova?- mi sussurra.

    -Cosa vuoi fare?- le chiedo, come se servisse chiedere le intenzioni a qualcuno che ti ha spianato una pistola sotto il mento.
 
    -Voglio liberare il mondo dall'erba cattiva. Come fai tu.-

    -Molto nobile. Ma sei sicura che quella pistola sia carica?-

    -Credi che non sappia usare una pistola?-

    -Non è così facile come sembra. Non basta vederlo fare...-

    -Allora pensi sia una messa in scena...-

    -Beh, potrebbe ess...-
Lois esplode un colpo. A farne le spese, il cuscino sotto la mia testa. E' decisamente carica.

    -Cazzo...- piano piano, il silenzio torna a sostituirsi all'unico fischio che mi aveva trapanato l'orecchio per qualche secondo. Lei riporta la canna sulla mia gola, ustionandomi la pelle. Ed io sono pazzo. Al mio fianco c'è una donna che ha tutte le ragioni per odiarmi. Ed ha una pistola. Da quella distanza potrebbe tranquillamente trasformare la mia faccia in un Picasso. Ed io penso a tutto, tranne che a quello che mi potrebbe succedere. C'è una donna al mio fianco. Non un soldato, nemmeno un sicario. Una donna. Una bella donna, ammettiamolo. Una bella donna che non dovrebbe pensare quello a cui sta pensando. Non dovrebbe fare quello che sta facendo. Una bella donna, a cui il caso ha fatto un bello sgambetto. E' incredibile vedere fino a dove ci si può spingere, quando si è costretti in un angolo.

    -Ora mi credi?-

    -Hai vinto. Allora... Facciamola finita.-

    -Come?-

    -Premi il grilletto. La pistola farà il resto.-

    -Vuoi farmi credere di non aver paura di morire?- Lois spinge ancora un po' contro la mia trachea. La sua voce vibra di rabbia.

   -Tutti hanno paura di morire. Per quanto possano fare i duri, dentro saranno sempre come bambini sperduti nella notte. Differentemente, io non ti faccio perdere tempo. Mi sono già guadagnato un posto all'inferno. Andiamo. Non è facile come uccidere un sacchetto di piume, ma la vendetta è l'unico movente che sappiamo perdonarci.-

    -Prima voglio sapere come hai fatto.- il mio sguardo chiede cosa -Come lo hai ucciso.- 

    -Ma come, non lo hai visto?-

    -Sarei così sadica? Non mi hanno fatto avvicinare. L'ho guardato solo mentre lo portavano via, da dietro una transenna...-

    -Ma... credev...-

    -Dimmelo!- urla. Dal suo occhio sinistro scende una lacrima. -Dimmelo...- ora quasi sottovoce.

    -Gli ho sparato. Un proiettile fatto di roccia verde. Nella spalla. Poi...- lei mi guarda. Vuole il resto. -...poi, una spada, nel petto.- La lacrima le solca lo zigomo, giù per la guancia, cadendo sul mio collo.

    -Perché lo hai fatto.-

    -Perché dovevo.-

    -Non è un motivo.-

    -Lo è. E' la mia guerra.- Lois mi guarda ancora. Con il pollice alza il cane. Sembra volermi dare un'altra possibiltà per rispondere. Poi stringe con forza la pistola. Appoggia l'indice sul grilletto. E si... lo preme. 






  
   



 

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Capitolo 5
*** ...una legge degli uomini ***


una legge degli uomini
Dicono che quando stai per morire, all'improvviso ti passa tutta la vita davanti. Ma non credo sia vero. O meglio, potrebbe essere, ma io penso che sia più o meno simile allo svegliarsi da un sogno. Ti passano davanti una serie di fatti allucinanti, sensa senso, casuali. Momenti, che finirai per dimenticare molto presto. Per quanto ci provi. Ed allora, forse, non te ne accorgi nemmeno.


...una legge degli uomini.


C'è una pistola sotto al mio mento. Sotto la testa, sotto rabbia, sotto cause ed effetti. Sotto tante cose. E c'è un dito sopra ad un grilletto, che si fa sempre più pesante. Un dito sopra la vita. Sopra ad un proiettile che sa di vendetta, che ha tutta l'intenzione di incontrarsi con l'aria aperta appena fuori dalla canna, e magari oltre. Magari sotto al mio mento.
Il grilletto cede sotto la pressione di un indice impalpabile, ed un clac sinistro spacca quel silenzio lasciato in eredità da una serie di circostanze che vede due persone unite solo dalle estremità opposte di una pistola.
Torna il silenzio, le immagini restano. E' l'inferno questo? Forse il diavolo mi vuole costringere a rivivere l'istante della mia morte in un'eterna tortura senza fiamme. O forse, la pistola non ha sparato.
Le immagini tornano a scorrere. Un braccio si ritrae ed il revolver sparisce. Lois si lascia cadere distesa sulla schiena, al mio fianco.

    -Volevo farti capire cosa si prova.-

Mi sollevo su un lato. Mi allungo abbastanza da raggiungere la pistola e levargliela di mano. Non oppone resistenza. Apro il tamburo e osservo: non ci sono proiettili. C'è solo il bossolo di quel colpo esploso intenzionalmente oltre le mie orecchie, ruotato ad est nord/est rispetto all'orizzonte del mirino. Ma nient'altro. Chiudo e riprendo posto nel letto. Con un leggero sospiro di sollievo ed una valanga di dubbi.  

    -Cos'era questo?- siamo sdraiati uno a fianco dell'altra, guardando l'ossigeno di fronte a noi.

    -Volevo solo farti capire...- lasciando sfumare il concetto

    -Cosa? Cosa si prova quando uno pensa di morire? Io sono un soldato...-

    -
Capire cosa si prova quando qualcuno sta per portarti via tutto quello che hai.-
Rifletto un attimo. Forse vuole farmela pagare, forse ha voluto solo spaventarmi. Forse nella speranza che io possa redimermi. Ma c'è sempre questo grosso "forse" davanti.

    -Dovevi andare fino in fondo...-

    -Ancora con questa retorica dell'uomo senza paura?-
   
    -No. Ma solo in quel modo avresti cambiato le cose.-

    -Te l'ho detto. Volevo solo che vedessi la cosa dal mio punto di vista.-

    -Credimi, io lo so bene. E non quando provano a farlo...- la guardo, aspetto di avere la sua attenzione -ma quando qualcuno lo fa e basta.- 

Vola qualche attimo di silenzio in una stanza pressochè buia. C'è una specie di lampadario rettangolare sul soffitto. Brilla di una fosforescenza sbiadita, dando alla stanza un'illuminazione soffusa che permette appena di distinguere sagome e contorni. Siamo sempre sdraiati nello stesso letto, in una situazione abbastanza surreale. Prima ha cercato di uccidermi, poi di spaventarmi ed ora, sta lì. Come se non gliene importasse niente.

    -Parli di quando hai perso il tuo migliore amico in battaglia? O la tua squadra?- è un tono che punisce banalità, quello che sento.

Rifletto per pochi secondi, che sanno di ore nella mia mente. Non erano migliori amici, ma erano amici. Qualcuno se ne è andato, qualcuno non così in fretta come per chi gli stringeva la mano sepolto sotto fango e sangue. E' la guerra. Non c'è gioia. Ma Lois sottointende che sia un fanatico. Uno schizzoide da manuale del piccolo psichiatra, che leso da qualche violenza cerca di "farsi suicidare". Io non sono questo. Ed allora le dico di cosa parlo.

    -No. Parlo di quando ti viene portata via la persona che hai giurato di amare per tutta la vita di fronte a Dio.-
Voglio alzarmi, ma lei mi blocca. Mi afferra per un braccio

    -Mi vuoi dire che eri sposato?- nella sua voce ora, incredulità.

    -Oh... molto di più.- sottolineo.

    -Dovrei crederti?-

Lois passa dall'indifferenza all'interesse. A quanto pare però, non vuole credermi. Allora, metto una mano dentro il collo della mia maglietta, scorro lungo la catenina che porto al collo e afferro una cosa. Quella cosa che dopo anni, mi fa ancora battere forte il cuore di un vicino dolore e di una gioia lontana. Dunque, esco dalla maglietta e gliela mostro.

    -Quella è...- dice Lois, scrutando il palmo della mia mano -una fede?-  la sfiora con un dito.

    -Già. Vedi, io so bene cosa vuol dire. Più di molta gente.- il ricordo dentro di me ritorna nitido.
Non so dirvi perché, o in che modo, ma Lois cambia. Parla.

    -Quanto è passato?-

    -Non abbastanza.-

    -Cosa è successo?- Lois vuole sapere.

    -Hai già capito cosa è successo.-

    -Mi stai solo raccontando balle...-

    -E' la verita!- urlo. Lei si spaventa. Dopo un istante di agitazione mi calmo. Riprendo posizione nel letto, mi sdraio, con lei accanto, in questo panorama davvero surreale.  

    -Mia moglie, Laura, era una donna fantastica. Era tutto ciò che potessi desiderare. Vedi, amava la vita. Sorrideva sempre. Era una persona buona, dolcissima, ben voluta da tutti. Insegnava in una scuola materna, adorava i bambini. Ma soprattutto, non c'era cosa che amava più del suo bambino... del nostro bambino.- Lois intuisce a cosa mi riferivo con quel "molto di più". -Martin. Ed era la madre migliore al mondo. L'ho sempre saputo. Mi aveva detto subito che non poteva vedere il suo futuro realizzarsi senza un figlio. Per lei c'era solo questo. E vedi, il suo entusiasmo, questa sua voglia di vivere, aveva convertito anche a me, uno che non è mai stato fortunato in questo. Tanto che non avevo più paura di dirlo: ero felice. Ed è stato magnifico. Il nostro bambino cresceva, forte. E come tutti, era innamorato di questi supereroi, che guardava con occhi pieni di ammirazione. Uno in particolare... ti lascio indovinare chi era.- Lois capisce -E che anche io guardavo, così. Uno come me, che sapeva quanto fosse doloroso quel mondo, era stato abbagliato dalla luce di questi esseri sovraumani. Aveva nove anni.- faccio una pausa. Dal mio sguardo Lois capisce che il discorso sta cambiando. -In quel periodo ero d'istanza in una base militare, col compito di istruire delle reclute. Io, una persona qualunque. Uno che non ha mai chiesto più di quanto avesse già. Poi arriva una telefonata. "Un'elicottero sta venendo a prenderti". E' uno scherzo questo? Ma l'elicottero arriva veramente, mi carica. Nessuno parla. Un tizio mi dice "Tuo figlio, ha avuto un incidente". Non ricordo nemmeno che faccia avesse. Mi lasciano davanti ad un ospedale, mi fanno correre verso una stanza. Davanti trovo mia moglie avvolta in una statua di sale. Un altro tizio esce dalla sala, si leva la cuffia. Abbassa la testa. Mi dicono che mio figlio non ce l'ha fatta. 
Ehi, che cosa non ha fatto? Poi mi trascinano davanti ad un tavolo, come un burattino. Mia moglie versa abbastanza lacrime per quattro vite su un corpo che non appartiene più a mio figlio. Vivere, ecco cosa non ha fatto. La testa comincia ad andarsene dove vuole. Vomito. Questa è la realtà: prendere o cazzi tuoi. Un momento. Mi guadagno da vivere facendomi il culo per il mio paese, ho sempre rispettato i limiti. Cos'è questa storia che mi ammazzano il figlio? Conducono mia moglie fuori. Non parla. La guardo, ma il suo sguardo è vuoto. E' basso, distrutto, sfregato. Mi ritrovo a casa, in una casa che parla solo di dolore. Una moglie fatta di pietra. L'abbraccio, ma è come abbracciare un manichino senza vita. Dice una parola, "perché". Poi, sconfitta dalla realtà, piange. Piange sul mio petto. La mia mano sulla sua testa le dice che ci sono. Ma dice anche che quello che ci hanno tolto non ritornerà. Va nella stanza di Martin, sul suo letto, si sdraia. E lì rimane.-

Il ricordo mi ha sconfitto. Ha vinto. Ma non è stato uno scontro leale. Nessuno scontro è leale. I ricordi vincono sempre. La voce di Lois defibrilla la mia mente, riportandomi nel presente.

    -Come?- chiedo

    -Non è tutto, vero?-

    -Cosa intendi...-

    -Tua moglie...- quasi mangiandosi le parole.

    -Diceva sempre "Lo sai, vero?". Mi guardava e ripeteva. "Lo sai?". Non c'era bisogno di dirlo. Mi amava, lo sapevo. Ma alla fine non ce l'ha fatta.-

    -Mio Dio... non dirai che...- Lois forse capisce.

    -Si è suicidata.-

Lois aveva capito. Il dolore era troppo forte. Ed a mio avviso, il suicidio non è voglia di morire, ma impossibilità di vivere.
Il silenzio è di piombo ora. Ed ha colori scuri, come la sagoma di lei che mi è accanto, in una sorta di stallo emotivo, in una malriposta sindrome di Stoccolma.
Non mi piace. Da quando era successo, non ne avevo mai parlato. E forse non dovevo. Ma è quanto. Il mio dolore ha scacciato il suo dolore.

    -Non ne ho mai sentito parlare. E' strano.- 

    -Si che ne hai sentito parlare. Molto di più.-

    -Come?- Lois si mette seduta.

    -Non solo ne hai sentito parlare. Ne hai parlato.-

    -Non capisco.-

    -Il tuo articolo. "Quattro ruote, una follia".-

Lois ci pensa un po'. Rimugina, fino all'episodio giusto. E' abbastanza incredula, ma ricorda.

    -L'attentato a Superman? Vuoi dire che quel bambino... era tuo figlio?- Lois torna cerebralmente a quei giorni. Ricostruisce i fatti.

    -Già. Era.-

    -Un momento, ora ricordo. Ne hanno parlato, eccome. Eran... tre anni fa? E' stata una tragedia ma...-
   
    -Ma...?- Ma, cosa.

    -Ci sono state delle indagini. Si, ora ricordo. Il figlio, poi la madre. Terribile. Un momento.- Lois pensa ad alta voce -Suicidio. Una ferita compatibile. C'era l'arma. Ma, c'era anche qualcosa di anomalo. Residui di polvere? Impronte?- Lois scatta in piedi -Un sospettato... Il coniuge...- Ora mi guarda -Tu?-

    -Io?- Io, cosa.

    -Tu... L'hai uccisa tu...-
    

   


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Capitolo 6
*** Giudizi e colpe ***


Giustizia Una volta che la giustizia ha deciso, a nessuno importa veramente più se sei colpevole o innocente.

Giudizi e colpe

    -Tu...-

    -Io?-

    -Tu... l'hai uccisa tu...-

Ha paura Lois. Paura, di me. Mi avvicino a lei. Inciampa nel letto e cade. Come in un film dell'orrore, indietreggia strisciando sul fondoschiena, aiutandosi goffamente con palmi e talloni. Maglietta e pantaloni eccessivamente fuori misura la fanno sembrare ancora più piccola. Io mi avvicino, di più, con calma. Con quella pistola in mano. Finchè lei sbatte contro la cassettiera di una scrivania, finendo la sua corsa.

    -Io? L'ho uccisa io?-

    -Io... io so chi sei...-

    -Chiariamo subito un punto. Tu non sai un cazzo.-

    -Mi ricordo di te. E di cosa è successo.-

    -Ah si? Tu c'eri? Eri presente?-

    -Ti cerca mezzo mondo... lo sai questo? Ti dichiari ancora innocente?-

    -Questo dovrebbe significare qualcosa?-

    -La giustizia si è pronunciata.-

    -Giustizia...- mi fermo. Questa parola mi dà da pensare. Suona così ridicola, tanto più ci penso. -Giustizia?- ripeto.
   
    -Si, giustizia.- Per giustizia intende l'insieme delle forze dell'ordine sovraumane e non, che disciplinano questo mondo.

    -Ti dico una cosa sulla giustizia. Non esiste. E' ciò che vi sbattono sotto gli occhi per farvi dormire sonni tranqulli.-

    -Tu sei pazzo...-

    -E' proprio questo il punto. Sono io il pazzo. Ma alla giustizia che tanto stimi, non frega un cazzo di niente. Basta puntare un dito e poi? Non importa più a nessuno. Pazzo...-

    -Ci sono delle prove!-

    -Tu non eri presente! Come fai a dire questo? Hai scritto un articolo su un giornale... e poi?-

    -Ti hanno dichiarato colpevole.-

    -Ah si? E chi?-

Lois ha paura di ripeterlo. Ma vede che attendo solo quello.

    -Giust...-

All'improvviso mi fiondo vicino a lei. Faccia a faccia.

    -E per mio figlio? E' stata giustizia?- Lois gira la testa, spaventata. Con sguardo basso e voce terrorizzata.

    -Tuo figlio... è... un eroe...-

    -Eroe?! Aveva nove anni! Nove!-

    -Ha salvato la vita a Clark quel giorno. Se non si fosse messo in mezzo...-

    -Non si è messo in mezzo. E' stato messo in mezzo. Anzi, messo sotto. Da quel pazzo- sottolineo -che puntava a Clark.-

    -Tanto cosa importa. Hai finito il lavoro.- Lois non riesce ancora a guardarmi. Ha gli occhi socchiusi dal terrore. Decido di allontarmi. Rimango seduto a mezz'aria, con gli avambracci appoggiati sulle ginocchia, poco meno di un metro davanti a lei. Che ritrova il coraggio di guardarmi.

    -Che doveva essere il contrario, nessuno lo dice però. Doveva essere lui a salvare mio figlio, non viceversa.-

    -Credi che non ci abbia provato?-

    -Già. Ma non ci è riuscito.-  

Un attimo di silenzio. C'è una pausa che fa riflettere sul dolore di entrambi.

    -Quella era come un'autobomba... un'autobomba carica di roccia verde.-

    -Come se non avesse avuto le capacità per intervenire. Sai, mi hanno sempre detto che era in grado di correre abbastanza veloce.-

    -Credi che non abbia sofferto per questo?-

    -E come credi che mi sia sentito io?- 

    -Come mi sento io!- mi urla. -Solo che non mi sento autorizzata a vendicarmi su qualcuno che non ha colpe.-

    -Tutti abbiamo delle colpe.-

Lois mi guarda. Vuole dire qualcosa, forse no. Infine, parla.

    -Come tu con tua moglie...-

Ok. La cosa mi ha irritato. Prendo saldamente in mano la pistola, la punto genericamente nella sua direzione.

    -Cosa vorresti fare?- dice -sappiamo entrambi che è scarica.-

    -Non c'è bisogno di uccidere una persona, per porre fine alla sua vita.-

Afferro la pistola con l'altra mano e l'appoggio sul tavolo dietro alla sua testa. E' sollevata nel constatare che non ho cattive intenzioni ma, non si sente ancora fuori pericolo. Provo a chiarire un concetto.

    -Tu... non vedi le cose, o forse non vuoi vederle. Mi parli di giustizia come se fosse un antiveleno da somministrare a richiesta. Ma guarda questo mondo. Ascolta le sue lacrime. La gente che soffre vive di illusioni.- le metto una mano sul ventre. Lei non si muove. -Non mi interessa che tu sia in grado di capire. Ma cerca di farti una idea. Ed ora, non scambiare la mia pietà per debolezza. Sei in una brutta situazione. Ti ho detto che non hai motivo di temermi, ed è vero. Ma, un consiglio: stai attenta a quello che dici. Tirarti fuori da quello scantinato è stato solo... un caso.-

Mi rialzo sulle gambe. Rialzo anche lei. Con lo sguardo, le chiedo se è tutto chiaro. Lei tira su col naso ed annuisce con la testa.

    -Ora va a dormire. Il tuo soggiorno qui è quasi scaduto.-

Riordino il letto, riordino la camera, riordino le idee. Forse ho dato una spallata sufficentemente decisa all'indole di Lois da tenerla calma quanto basta.
Mi cerca mezzo mondo. Ne dubito, ma che qualcuno mi stia cercando, beh... non lo posso escludere. E non per darmi belle notizie. No. Per chiudermi in una stanza fatta di sbarre e sentirsi contento. Goderne. Tornare a casa convinto che il mondo sia un posto migliore. Come se gliene importasse veramente qualcosa di migliorarlo. Non mi troveranno. Come tutti in questo mondo, non sanno cosa stanno cercando.
Sono ormai al terzo giorno del "trattamento". Dovrei iniziare a vedere qualche effetto. Mi rimetto sdraiato nel tentativo di riposare ma... il mio telefono. Eccolo, squillare. Sul led lampeggia un giullare. Devo ricordarmi di cancellare quest'obrobrio.
Parlo con Joker. M'invita in quel cacatoio di bar dove ci siamo incontrati la prima volta. Non che sia un giorno da cerchiare di rosso sul calendario. Non proprio. Il motivo? Ahimé dovrò scoprirlo una volta arrivato lì. Suppongo per discutere del nostro prossimo futuro . Anche se, con gente del genere, è sempre pericoloso supporre. Quando una verità è supposta, qualcuno finirà per prendersela nel culo.
Ecco perché, il mio equipaggiamento è sempre devoto alla prudenza, ed a una violenza preventiva. Un paio di pistole e la mia spada. Nel caso finissi le munizioni.
Cavalco la mia F4, facendo urlare gli scarichi un paio di volte prima di sparire in una nuvola di polvere e ghiaia. Perchè una moto? Mi piacciono le moto. Procedo a gran velocità sulla diroccata strada che separa ruderi da altri ruderi. Luci spente. Non è consigliato farsi notare troppo in queste zone. C'è molto pericolo nascosto fra queste rovine. Come suono, sono difficilmente intercettabile con precisone. Come faccio a vedere allora? Il mio casco è stato modificato in modo tale da rendere la visiera un visore notturno. Ne avrò per poco comunque. La luce del sole comincia ad affacciarsi timidamente dall'orizzonte, fondendosi con l'oscurità di una notte che si sta gradualmente colorando di vita.
Mi fermo a destinazione. Mi levo il casco. Guardo in cielo, sopra di me. Sole da una parte, buio dall'altra. In mezzo, le stelle combattono per l'ultimo bagliore. In mezzo, io.
Entro nel bar vuoto. Non è un bar, non lo è mai stato per Joker. Non lo sarà più per me. Lui c'è, insieme ad altri due più la ragazza. Ed uno, l'ho già visto. Anche lui mi ha già visto. Ma dove? Non a scuola... non al battesimo di mio nipote... Lo scantinato, Lois. Il bastardo. L'amico del figlio di puttana che ho steso su quel pavimento.
Mi ha riconosciuto. Ne sono sicuro. Ha già scavalcato una transenna fatta di tavoli, ha decisamente cattive intenzioni. Posso dirlo con chiarezza. Quello che stringe nella mano destra, e che sta correndo verso la mia faccia, è proprio un bel coltello.


 

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Capitolo 7
*** Il piano A ***


Il piano A2 E' l'attimo. L'istante. La velocità della decisone.



  Il piano A



Un coltello corre  verso di me, minacciandomi di violenza. Ovviamente non è il coltello, ma la persona che c'è attaccata, quella che lo fa correre, ad essere il problema. Il coltello. è un bel coltello. Ma riposto nel suo fodero, non è pericoloso. Non è questo il caso. Da qui non vedo il manico, ma la lama sembra saper fare il suo dovere. Venti, venticinque centimetri di solido ed affilato metallo, molto cattiva con decisi attacchi in affondo. Affilata su entrambi i fili, noto avere una punta più perforante di quanto preferirei non voler scoprire. Più si avvicina e più mi rendo conto che chiamarlo coltello è forse riduttivo. E' un pugnale.
Il tizio sarà ormai a meno di tre metri da me. Ed io voglio dire un paio di cose su questo mondo. 
E' giusto che sappiate cosa pensare, prima di immaginarmi sopra queste terre chiedendovi se c'è qualcosa che sta bruciando e che nessuno ha intenzione di spegnere. Il mondo, questo mondo, vive di strane connotazioni. Per metà temuto, e per metà dimenticato. Immaginatelo come un moderno impero romano. Al centro, Roma. Grande architettura, grandi palazzi, grandi idee. Grandi possibilità di poter dimenticare aperta la porta di casa e di ritrovare tutto com'era al nostro ritorno. Dove vive chi fa la legge, con muscoli forti e altrettanto senso civico. Dove chi si è tolto la maschera può stare tranquillo. Roma, l'epicentro. Allontandosi, le cose cambiano. La qualità difetta. L'efficenza scema ed il pericolo si fa più reale. Le provincie. Un'area che lambisce costante i confini dell'impero, dove la legge c'è, ma con sentimento riluttante e fallibile. Quella zona che io chiamo linea di Scrimmage. Ovviamente, non si chiama così, ma se avete minima dimestichezza col football, può rendere l'idea. Dove sto io, dove c'è il mio "bunker". Geograficamente al limite, ancora più lontano. E poi? Oltre? Cosa c'è? Nessuno può dirlo con certezza. Se parliamo di legge beh, la sua amministrazione è perennemente soggettiva. Il potere cambia da zona a zona e senza una decorrenza specifica. Potrebbe essere già cambiata un paio di volte in questo momento. Quello che si sa, quello che dovrebbe essere chiaro, è che va evitata. E' dove vivono i cattivi più noti. Ed anche quelli meno noti, ma non per questo meno cattivi. Un impero al contrario. Altri luoghi, altri paesaggi. Diverse zone intervallate da chilometri di niente. Vi parlerei della mia in particolare, ma dovrete aspettare. C'è un coltello davanti ai miei occhi.

Il tizio, il bastardo per intenderci, mi corre incontro brandendo quel bel pugnale nella mano destra. Come diversivo mi lancia contro una urlante Katrin, che finisce innocua tra le mie braccia. Quando riesco a rimetterla in piedi, mi accorgo di essere a tiro. Mentre lei scappa, lui disegna un paio di traiettorie che evito indietreggiando. Faccio un altro passo indietro, ma finisco per mettere il piede nell'angolo tra pavimento e muro. E' finito lo spazio. Se proprio dovete combattere, ricordate di farlo liberi di muovervi. Potrei estrarre una pistola, ma non mi va di rischiare di essere affettato prima di portare a compimento l'azione, perciò calma. Lui sorride e ansima, come se avesse segnato un grande punto a suo favore. Allora decide di fendere un altro colpo, frontalmente. Con un balzo, evito l'affondo portandomi all'esterno, oltre la sua spalla. Questo mi permette di afferrargli polso e gomito. Con violenza gli assesto un paio di ginocchiate nello spazio tra le mie mani, fino a disarmarlo. Gli ruoto il polso e faccio leva sul suo gomito con la mia sinistra. Questo provoca un sacco di dolore, ma soprattutto, gli fa assecondare il movimento. Così, riesco a sbatterlo contro il muro, ribaltando il pronostico. Ora sorrido io. Con la destra gli tengo ruotato il polso e per non farlo muovere, lo schiaccio contro il muro premendogli il mio braccio sinistro poco sotto la nuca.

    -Bel coltello...- gli confesso -non ti dispiace se me lo tengo, vero?-
Lui impreca e mi insulta in differenti modi che ritengo piuttosto banali e abusati. Riguardo al lavoro di mia madre, cosa le farebbe col pugnale, cosa farebbe a me. Robetta standard. Nella collutazione però, quell'utilissima arma bianca è finita troppo lontano. Sto pensando a come coprire l'abbondante distanza che mi separa, quando una sensazione spiacevole mi colpisce. Per la seconda volta in poche ore, mi sento premere contro la testa un'arma da fuoco. Penso a Joker, ma voltandomi dietro la mia destra, trovo l'altro scagnozzo. Calca un po', per poi allontanarsi di un paio di spanne. Mi toglie l'arma di dosso, tendendomela puntata dietro l'orecchio.

  -Io lo lascerei, se fossi in te.- mi intima. E la cosa mi fa ridere. Tutta queste persone che vorrebbero essere in me per dirmi cosa fare. Potrebbero risparmiarsi tanto imbarazzo e dispiacere.

    -Se fossi in me...?-

Con tutta la velocità che mi è concessa dalla situazione, tolgo la testa dalla traiettoria e afferro con forza la pistola per la canna. Parte un colpo. Con efficacia lancio il piede destro verso l'alto, centrando alla bocca dello stomaco lo scagnozzo che allenta la presa sull'arma, afflosciandosi a terra. Mi giro. Il proiettile ha ferito di striscio il tizio al collo, che ora si tiene la ferita sanguinante. Gli afferro il braccio che prima gli volevo rompere, facendo ruotare tutta la figura verso di me. Una gradita smorfia di dolore accompagna il movimento. Appena il suo volto è a tiro, gli scaravento il calcio della pistola in mezzo agli occhi. Due a zero.

E' successo tutto abbastanza in fretta, devo dire. Due persone mi muovevano violenza. Ora, uno ansima a terra col fiato spezzato e l'altro, sanguina copiosamente. La ragazza invece mi guarda, percepisce la mia sete di violenza. E quando mi vede procedere armato di pugnale nella direzione dei due, mi afferra per un braccio, stringendolo. Sempre guardandomi scuote la testa, come a voler dire "ti prego... no".

    -Abbiamo finito?- sento alle mie spalle. Joker si è deciso ad intervenire. -C'è del lavoro da fare.- Ma non ce l'ha con me. Nel parlare, guarda gli altri due. -Fatevi un giro...- ordina.
I due si rialzano, barcollando. Infilo il pugnale nei pantaloni. Estraggo il caricatore dalla pistola e solo dopo, la restituisco. Il caricatore lo tengo io, per il momento. Tutto questo sotto gli occhi di due persone desiderose di riscattare la figuraccia. Buoni belli. Con una pesante coda tra le gambe, escono. Il bastardo mi guarda fisso per tutto il tragitto. Come a volermi dire che questa era solo una battaglia, la guerra vera deve ancora venire. Non vedo l'ora.
Mi dirigo verso Joker. Sopra un tavolo ci sono dei fogli. Disegni. Progetti dettagliati dell'edificio dove è rinchiuso il gran genio del male. Presidente. Mi spiega il suo piano. Il piano A. Mi dice cosa va fatto, quando va fatto, ed il modo in cui farlo. Non ammette modifiche. Non vuole ritardi, nè deviazioni dal programma. Ha le idee molto chiare se non altro, e se fosse un metodo per salvare il gattino intrappolato sull'albero nella situazione 7 dell'addestramento dei pompieri, mi sentirei anche sollevato. Ma putroppo, non è questo il caso. E quest'approccio non molto lontano dall'entriamo-arraffiamo-usciamo, lascia adito a qualche dubbio. Ma per quanto sia pazzo, Joker avrà qualche asso. Tutto sommato.

Dunque, me ne posso andare. Ho già picchiato e intimidito e incassato abbastanza per oggi, ed è da poco comparso il sole. Quelli dentro mi seguono fuori. Lascio cadere quel caricatore ai miei piedi e salgo sulla moto. Parto, senza troppe preoccupazioni, lanciando terra e sassi dalla ruota posteriore che tenta di guadagnare aderenza. Lo scagnozzo di Joker, quello che non sanguina, punta l'arma verso di me mentre mi allontano.

    -Potrei finirlo adesso.- dice -non avrei problemi.-

    -Io... non lo farei.- risponde Joker. Ma il mirino rimane fisso sulle mie spalle.

    -I proiettili? Ce n'è uno in canna...-
Joker non parla. Rimane fisso, scrutando il foglio che tiene tra le mani. Lo scagnozzo lo guarda, aspetta, in attesa di un veto che non arriva. Riallinea lo sguardo sul mirino, facendolo combaciare con la mia figura. Click, bang.
Joker scuote la testa, rassegnato.

    -Principiante.- sbuffa.

   -Ma che cazzo è successo?- urla il bastardo, accorrendo e chinandosi. Un magnifico paio di occhi cerulei sono quelli che Katrin serra con sconcerto. Lo scagnozzo è a terra, disteso, soffocante. Ha Il carrello della pistola conficcato dove una volta aveva l'occhio destro, ed un pezzo di metallo gli ha lacerato la gola. Sdraiato sulla schiena, affoga nei suoi stessi liquidi.

    -Che cazzo è successo!- ripete, tamponando le ferite dello scagnozzo. Cosa che poteva anche essere utile, fino a quando Joker si china ed estrae i pezzi di metallo dalla sua faccia. -Ma che fai...- Lo scagnozzo esala i suoi ultimi respiri annegati, gorgogliando negli ultimi versi di dolore.
Joker ricompone come può la pistola. Poi, con improvvisa violenza, afferra per i capelli quello sopravvissuto. Il bastardo, sempre per intenderci.

    -Guarda!- gli urla. E lui guarda. Rigira la visuale. La canna della pistola è deformata, come se fosse stata schiacciata. -Vedi?-

    -Ma... ma quella è... dita... l'impronta di una mano?-

    -Ohooo... dovete imparare a guardare. Non potete sparare... alla cieca! Ah... haaaaa...-

    -Il proiettile ha fatto...- è incredulo -...da tappo? Ed il carrello...-

    -Già. Bene bene. Il nostro Brutal ha... delle qualità.-

Ecco. Ora, posso parlarvi della mia zona.



 

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Capitolo 8
*** Il quarto giorno ***


Il quarto giorno Basta una scintilla.


Il quarto giorno


Cenere, desolazione e resti di qualcosa che aveva un nome, si materializzano davanti al mio sguardo, sulla strada, calvacata a velocità costante. Il sole alle mie spalle proietta raggi ed ombre sull'asfalto sconnesso. Il cielo azzurro contrasta una magnificenza avvilita attraverso un paesaggio distrutto dall'incontrastato fine ultimo dell'umanità: la guerra. L'annientamento reciproco. L'estinzione. Tutto intorno è polvere combusta. I pochi edifici sopravvissuti sono diroccati, guasti, disossati in modo innaturale. Privati delle parti importanti, sembrano volersi lasciare andare da un momento all'altro, crollando inesorabilmente in un mucchio informe di calcinacci. Il sole illumina ancora di più il cemento cupo. Tutto qui è stato annerito e consumato dalle fiamme. Alte, roventi fiamme del più grande incendio che la storia ricordi. E tutto brucia.
Sono rimasti solo precari resti carbonizzati di abitazioni infestate da cumuli di sciacalli. Un bel posto dove nascondersi, ma bello per nient'altro. La città fantasma. Così la chiamano coloro che lambiscono la zona, e chi ha paura vedendo di aver sbagliato strada, mentre inserisce la retromarcia e cerca di aggirare il problema. Il pericolo è dietro ogni angolo, vero, ma il pericolo si nasconde sempre dietro gli angoli. E quello maggiore sono i "fantasmi". Piccoli gruppi di predatori nascosti tra le rovine, pronti a tutto. Rari da incontrare, ma nemici terribili una volta trovati sulla strada.
Ed ai confini di tutta quest'aria che sa ancora di fuoco e lamento, casa mia. Bunker di Stryker, ricavato dalle fondamenta di un villino superstite, sotto la superficie, inosservato. Davanti ad un complesso di edifici aggrappati fra loro, devastati e sostenuti dal loro stesso crollo, in attesa del colpo di grazia che ponga fine alla loro sofferenza. Accedo tramite un capiente montacarichi nascosto in un fabbricato accanto, finendo con l'imboccare un breve corridoio che mi porta all'ingresso di un ascensore. Appartemento, poligono/laboratorio, ed un terzo livello. Numero uno, appartamento. Mi svesto, depongo spada, pistole, pugnale. Una rinfrescata è tutto quello che desidero. Mi getto sotto la doccia, lavando via sudore e violenza, rilassando muscoli e pensiero. Mi guardo allo specchio. Nella testa rimbalzano folli ragionamenti, treni impazziti senza una destinazione, senza una stazione in cui riposare. Una barba spessa comincia a coprire il mio viso. Un rasoio elettrico mi permette di livellarla, una volta legati i capelli sopra la testa. Guardo in un paio di occhi stanchi, imploranti riposo. Sotto il mio mento brilla ancora la bruciatura provocata da Lois. La trovo fuori dal mio bagno. Sta in silenzio, mi osserva. Addosso ho solo un paio di pantaloni e quando mi giro, nota il tatuaggio sulla mia schiena.

    -Quelle sono...- chiede -...ali?- Mi sposto. Una lampada illumina la mia schiena. -Ali... strappate?-

    -Più o meno...- le rispondo. Lei si avvicina. -Non vorrai aggredirmi vero?-

    -Cosa significano?-

    -Tante cose. Ognuno finisce col vederci quello che vuole.-
La sua attenzione si sposta su un modesto assortimento di cicatrici che si azzuffano sul resto della mia schiena. Proiettili, scheggie, e quant'altro.

    -E questa?- chiede, riferendosi ad una piuttosto marcata sul mio fianco, a metà strada tra spalla e vita.

    -Una scheggia di metallo mi ha trapassato da parte a parte, durante un'esplosione. Grazioso ricordo di un inverno di tanti anni fa.- Lei ci passa sopra le dita, facendomi scorrere un brivido sul fianco. -Ah... ma, che fai?-

    -Scusa.- Ritorna nella realtà. Mi guarda un'ultima volta e scappa via. Non capisco questa donna. Ho solo voglia di dormire.



Quando mi sveglio è il quarto giorno. Ho dormito parecchio ed è quasi mattina, di nuovo. E' ora di prendere il mio drink al gusto "homo bellator". Quattro giorni sono passati, quattro ne restano. Al prossimo e conclusivo cocktail ed all'operazione "piano A". Tra quattro giorni celebreranno anche la dipartita di Clark Kent, ed è forse il caso di parlarne a Lois. Se non altro, è un buon motivo per levarsela di torno. Mi toccherà anche trovare un modo per non farle ritrovare la strada di casa, in questo caso la mia. Magari accompagnata ad un esercito. Non sarà difficile, questa città è un labirinto fatto di cenere. Ammesso che voglia tornare. Non ci si tuffa in piscina il giorno dopo essere quasi affogati.
La cerco nella sua prigione di legno e tessuto. Apro la porta e lei sobbalza, avvolta in un lenzuolo bianco che, lo ammetto, sta molto meglio a lei di quanto stesse al materasso. Devo parlarle, ma alla domanda di un po' di privacy per ricomporsi, mi fa cenno di entrare.

    -Devi sapere...- esordisco, seduto all'estremità del letto -che tra quattro giorni ci sarà il funerale... di Clark.- E mi accorgo di quanto suoni improbabile parlare del funerale di un uomo che ho spedito personalmente nella bara.

    -Ah...- dice. Solo questo. 

    -Ah... Dici. Solo questo?- Questa donna è un vero casino.

    -Cosa dovrei dire? Piuttosto, perché me lo dici?-

    -Perché è giusto che tu lo sappia.-

    -Detto da uno che non sa la differenza tra giusto e sbagliato...-

    -Ecco. Di nuovo. Come al solito, dimostri di non aver capito.- Lei sussulta, come offesa.

    -Io?-

    -Tipico. Qualcuno pensa che una cosa è sbagliata solo perché non coincide con la propria opinione. Facile.-

    -Tu giustifichi... un omicidio?-

    -Visto che ti piace rispondere alle domande con un'altra domanda, dimmi: quanta gente hai visto morire?-

    -Io...-

    -Quanta?!-
Lei sta in silenzio, con lo sguado basso, abbracciandosi avvolta in quel lenzuolo.

    -Già...- proseguo -Un sacco di gente rischia la vita e la maggior parte non ce la fa. Nessuno piange per loro.-

    -E questo cosa vuol dire?-

    -Nessuno merita di morire. Quasi nessuno.- mi correggo -Ma a nessuno importa.-

    -Non si può piangerli  tutti...- risponde. Ora mi segue. Poi, continua -Ma allora perché non mi hai ancora ucciso?-

    -Non voglio farti del male. Non mi hai dato motivi. Non ancora.- puntualizzo. Si volta, cambia radicalmente discorso.

    -Come sta il mento?-

    -Bene.- si avvicina per controllarmi la ferita.

    -Quello era un buon motivo. Eppure, niente.- si chiede.

    -E' solo un graffio...-

    -Si...?- ancora scrutando la ferita.
E qui, mi accorgo di quanto fosse sbagliata la mia concezione del termine "folle". In un istante. Con la mano mi spinge sul letto, sdraiandomi sulla schiena. Si libera del lenzuolo, facendolo scomparire dietro le spalle mentre si siede a cavalcioni su di me. Nuda. Completamente nuda, mi offre la sua prospettiva migliore. Mi appoggia le mani sui pettorali e si avvicina a me. Le sue dita scorrono fin sopra i miei addominali. Arriva a pochi centimetri dalle mie labbra. Che cazzo succede? 
Sento il suo respiro sulla faccia, e questo mi risveglia dall'assurdo. La afferro per le spalle e la ribalto sul letto. In un istante, si ricopre nuovamente sotto il lenzuolo. Folle.

    -Ma che stai facendo?!-

    -Perché sono ancora viva?!- 




 


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Capitolo 9
*** Che il gioco cominci ***


Che il gioco cominci La menzogna è un peccato recidivo.



Che il gioco cominci


    "Buonasera a tutti. Questa è l'edizione delle diciannove.
Poteva finire in tragedia oggi, durante l'ultimo saluto al nostro caro estinto Clark Kent, quando un pazzo con una maschera da clown, ha sfondato il cordone di sicurezza posto attorno alla bara. Il folle è riuscito ad avvicinarsi al feretro, forse con l'intenzione di danneggiare le esequie del povero Clark. Tempestivamente, le più alte cariche del Governo e della Giustizia, alcune impegnate a trasportare la bara, sono intervenute impedendo qualsiasi gesto sconsiderato avesse in mente lo squilibrato, arrestato e subito portato in prigione.

Nemmeno la morte ti ha dato la pace che meriti. Addio uomo d'acciaio. Che tu possa riposare lontano dal dolore.
Ora, le altre notizie. Oggi, un'esplosione ha devastato un edificio nella periferia della zona Giardini. Per gli aggiornamenti, siamo collegati con il nostro inviato, Mike. Mike? Mi senti? A te la linea.
---
Si, grazie Walter. Come avete avuto modo di sapere dal mio collega, un edificio è crollato nella periferia, non molto lontano dal distretto Giardini. Fortunatamente non ci sono vittime. L'edificio, vuoto nel momento del crollo, è stato sventrato da un'esplosione. Le cause possono ricondursi ad una fuga di gas. Per il momento è tutto. Walter, a te la linea."

Illudere, è un diritto degli uomini. Illudersi, è stupidità. Ancora una volta, qualcuno ha mentito. E' vero, un edificio è crollato. E' sparito dalla geografia del posto, dalle carte, da qualche tavola catastale, se mai vi fosse stato registrato prima. Probabilmente ci è stato sbattuto sopra dopo, per far credere al mondo che è veramente crollato uno stabile qualsiasi, vuoto. Perché quello che ho visto, quello che ho sentito uscire dalle bocche di quel Walter e del suo inviato, è solo una menzogna lucidata al punto da sembrare vera. Perché quell'edificio non è crollato a caso. E' stato abbattuto, di proposito. Da chi, fallito il suo compito, ha terminato il lavoro. Cancellato. Me l'aspettavo.
Spenta la televisione, ora mi sto ricucendo la carne. Fa parecchio male. Comincia a duolermi tutto il corpo. E' il siero. Ma la mia attenzione ora va al mio braccio sinistro. Una bella ferita. Quel genere di ferita che, in una gara di ferite, ti garantirebbe un piazzamento sul podio. La fa da protagonista, poco sotto il gomito, per circa quindici centimetri in direzione del polso. E questo dimostra una cosa: è stato un disastro. L'obiettivo è stato raggiunto, ma quel piano, il piano A, è andato. In ogni sua più rosea speranza.


5 ore prima...


Sulla mia moto, mi dirigo all'appuntamento con Joker. Niente fiori, solo armi. Sfreccio a velocità sostenuta, cercando di seminare un pensiero che è sempre davanti ai miei occhi. Lois. La sua ultima follia. Sono passati quattro giorni, finalmente me ne sono liberato eppure, lei è lì. Quel gesto disperato, quella domanda assurda e sì, il suo corpo nudo che mi sovrasta. E' tutto condensato qui, due dita sopra i miei occhi, in un attraente misto di disperazione e coraggio. L'ho lasciata andare, portandola più al sicuro che potessi, assicurandomi che non possa ritrovare la strada verso il mio bunker. Consigliandole di stare attenta ai limiti, di smettere di cercare risposte, di nascondersi, il più a lungo che la solitudine avrebbe permesso. Spiegandole per l'ultima volta come stavano le cose.
Concentriamoci.
Joker mi aspetta poco fuori da quella zona che chiamano distretto Giardini. Non aspettatevi di trovare piante o campi curati, o qualcosa di verde che non sia il bagliore di un semaforo che ti autorizza ad andare. Il distretto Giardini è un agglomerato urbano, fatto di calcestruzzo e metallo. Si chiama così perché è stato costruito da zero, cresciuto nel tempo e nell'ordine. Un posto tanto ordinario da sembrare sospetto. Trovo Joker ad attendermi, con una sacca sulle spalle e oltre, altri due suoi "schiavi", mai visti prima. Non so come faccia a disporre di tutta questa manovalanza a basso costo. Oggi sarà comunque un affare a due.
Siamo finalmente di fronte all'obiettivo. Un edificio con un ampio e solo ingresso, poche finestre, struttura solida. Pianta rettangolare. L'entrata è sul lato corto, molto ben controllabile. Potrebbe anche sembrare quello che è: un edificio comune, finché un particolare non ne tradisce l'uso. Un dettaglio. Anzi due. Un paio di droni dall'aspetto cattivo sorvegliano l'ingresso, costantemente. Mi è difficile credere che sia una scuola. La zona è stranamente deserta. In pieno giorno. C'è il funerale di Clark, ma non è solo questo.

    -Immagino tu abbia un modo per passare senza finire in un sacco di plastica.- Non mi piace la plastica. Più che una richiesta, la mia è una speranza.

    -Abbiamo un modo per eludere la sicurezza all'ingresso.- dice, portando la mia attenzione su della strumentazione in mano allo schiavo numero uno -Lui si occuperà di individuare il segnale che li controlla e di inserirsi in remoto. Questa è la buona notizia.-

    -La buona? Ce n'è già una cattiva?-

    -Questo ci dà una finestra di venti minuti.-

    -E per il resto?-

    -Abbiamo i tesserini elettronici procurati da Katrin, te la ricordi?-

    -Come no.-

    -Quelli dovrebbero aprirci tutte le porte che ci servono. Altrimenti, c'è il piano B.-

    -Il piano B? Sarebbe?-

    -Ogni cosa al suo tempo. Abbiamo venti minuti. Lui ci avviserà nel caso di imprevisti.- indicando l'altro schiavo, il palo.

    -E la sicurezza interna?-

    -Ogni, cosa, al, suo, tempo... Siamo pronti?- Lo schiavo "hacker" conferma con un cenno della testa -Bene. Allora pronti... partenza... via...-

Lo schiavo hacker neutralizza i droni mentre lo schiavo palo ci dà l'ok.

20:00... 19:59... 19:58...

Ci avviciniamo all'ingresso. Passo vicino a quelle bestie di metallo e circuiti sperando che siano spente veramente. Poco più di due metri per qualche quintale di ferro che dorme ibernato in un sonno informatico. La differenza non è poi così lampante. Joker fa slittare un tesserino nell'apposita fessura, sbloccando le porte davanti a noi. Entriamo. E' tutto bianco e saturo di luce. Un corridoio interrotto da una decina di porte, si conclude ai piedi di un ascensore. Una specie di gabbiotto precede il tutto, riempiendo l'atrio. Due persone all'interno, ci osservano avvicinarci. Infine, un metal detector. Carichi di metallo come siamo, la vedo dura. Sarà difficile far passare per un phon carico di pile una M9 pronta a fare fuoco. Ma Joker procede. Entra, facendo strillare la sirena. Una guardia esce, con uno sguardo carico di sospetti ed una mitraglietta carica e basta.

    -Prego, svuoti le tasche di tutti gli oggetti di met...- ma non finisce la frase. Non ha potuto. Joker ha estratto da dentro la manica un rasoio e lo ha sgozzato all'istante. Oggetti di metallo... in fondo, glielo ha chiesto lui. L'altro tizio accorre svelto, spianandogli il mitra alle spalle.

    -Fermo!- urla. La sua voce riecheggia, rimbalzando sulle pareti. -Fermo! Non ti muovere o...- ma il colpo che esplode dalla mia pistola riecheggia più forte, attraversando il vetro del gabbiotto e centrandolo ad una spalla. Tocca a me. Il detector strilla ancora. Joker recupera un mazzo di chiavi dal corpo del primo, dissanguato, mentre io mi avvio verso l'ascensore. La seconda guardia, da terra, mi afferra per una gamba.

    -Chi siete...- non rispondo. Lui rantola a fatica e sofferente, continua -Quel vetro era antiproiettile. Come...-

Mi abbasso, avvicinandomi alla sua figura tremolante e sottovoce, confesso: -I miei proiettili sono antivetro.-

Passo oltre, seguito da Joker che si ferma anche lui sulla guardia. Lo guarda perplesso.

    -O...?- dice, prima di abbassarsi e terminare il lavoro con la sua lama.

Mi raggiunge all'ascensore, attivando il comando con una chiave rubata alle guardie. Guardandomi, strizza un occhio.

14:33... 14:32... 14:31

Saliamo al secondo piano, dove Joker sistema un altro paio di guardie senza il mio aiuto. Il resto è deserto. Tante stanze chiuse da porte spesse, bianche, con un rettangolo di vetro dal quale guardare all'interno. Una prigione o forse, un manicomio. Lo sapevo che non era una scuola. Joker passa in rassegna tutte le stanze, fino a trovare quello che cerca.

    -Ci siamo.-

Afferra di nuovo il mazzo di chiavi ed apre. All'interno, un uomo è disteso su una lettiga, attaccato a dei macchinari, sedato pesantemente. Allora è questo, il Presidente.

    -Dovrebbe cominciare a riprendersi.- sostiene.

Stiamo pensando a come trascinarlo fuori, quando un trasmettitore si fa vivo.

    -Capo... abbiamo un grosso problema.-

    -Che succede?-

    -I droni... si sono riattivati! Qualcuno ci ha scavalcato.-

    -Merda...-

    -E non è tutto. Sta arrivando qualcosa... Qualcosa di grosso.-

    -Qualcosa cosa? Stark?-

    -No capo. E' diverso. E' un ve...-

    -Cosa?! Pronto! Ma che sta...- ma niente. Joker non ottiene più risposta. Allora si dirige verso una delle poche finestre e guarda fuori. -Uh,uh... arriva la cavalleria...-

    -Cavalleria? E quei venti minuti del cazzo?- chiedo, fiondandomi alla finestra. C'è qualcosa di grosso fuori. Un veicolo e delle persone intorno.

    -Non è così.- mi dice, come se avesse appena scoperto di aver sbagliato l'orario di un treno. -Andiamo. Uno di quei droni starà già salendo. E non sarà solo.-

Joker si sposta verso l'ascesore, trascinandosi un cesto della spazzatura dietro. Arrivato davanti, mi mette in mano un pezzo di metallo rettangolare. Sul suo dorso, in stampatello svetta la scritta "Front Towards Enemy".

    -Le mine sono da codardi.- gli dico.

    -Ed i droni per chi ce l'ha piccolo.- Poi riprende la mina, nascondendola nel cestino. Dall'innesco tira un filo di nylon, o di qualsiasi altro materiale. Ma che ha il medesimo ed unico scopo: non essere immediatamente visibile. Percorre la larghezza di tutta la porta e lo blocca all'altra estremità. Oggi, qualcuno inciamperà per l'ultima volta.

    -Non male- dico -Ma se non sbaglio quella era l'unica uscita.-

    -Ah... amico. Quello... era il piano A.-

    -Piano B?-
Joker appoggia a terra la sua borsa, estraendone un Rpg. Caricato, lo punta verso il muro perimetrale.

    -Ecco, il piano B!-

Fuoco. Un missile detona, ed è una cosa orribilmente rumorosa da questa distanza. Joker ammortizza il rinculo indietreggiando, mentre il missile percorre la lunghezza del corridoio. Impatto. Ancora peggio. Il muro si sbriciola, sparando frammenti di pietra ovunque, lasciando uno squarcio d'aria fresca. Sento la pressione dell'aria sbattermi contro l'avambraccio usato come riparo. Poi, il mondo smette di tremare.
Mi avvicino al muro demolito. La polvere comincia a diradarsi, permettendomi di guardarvi oltre. E' un bel salto da qui. L'esplosione ha lasciato una fessura spettacolare, portandosi via buona parte dell'ultima stanza. Ed è stato un caso. Un evento. Altrimenti, non avrei deciso di guardare dentro, trovandomi ancora un po' più sorpreso. L'ospite, il paziente, il malato. Joker si avvicina. Insieme, osserviamo stupefatti.

    -Ma... ma quello è...?- 

    -Incredibile... vero?-
 


          



   
 



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Capitolo 10
*** Il solito piano B ***


Il piano B   
Il solito piano B


-Ma... ma quello è...?- 

-Incredibile... vero?-

Joker ha aperto un'altra finestra nel muro davanti a noi, portandosi via buona parte della struttura. Non che l'avesse calcolato, nemmeno pensato lontanamente, ma è successo. Nell'esplosione è crollata anche la parete dell'ultima stanza, in un cumulo di detriti. Mi abbasso per evitare i calcinacci, parti di muro malamente appese tra loro. Entro nella stanza, controllo meglio, mi avvicino. Il paziente, il malato, l'ospite. L'inquilino. L' incredibile.

-Bruce...?-
Banner. Di tutte le persone in questo mondo, lui? E perché? Poi ripenso a Lois. A quello che aveva raccontato. Betty e la rabbia. A quello psuedo esaurimento nervoso e distruttivo. Che sia possibile? Nasconderlo qui e poi? Dimenticarlo? 

-Oh,hooo... ma,guarda,chi,c'è,qui...- Joker non poteva essere più contento.

Lo libera. Lo "scollega" dalle macchine, una delle quali sicuramente lo stava tenendo in quel sonno precauzionale. Lo trasciniamo fuori, appoggiandolo contro la parete di fronte, nel corridoio. E qui, inizia a piovere. Ma non è acqua. E' metallo. Piccoli e affusolati cilindri di metallo entrano con violenza, dal basso verso l'alto, dalla nuova finestra senza vetri. Poco fuori, poco in basso, era partito l'attacco. Ed ora, ci sparano addosso.
Joker inizia a scuotere Bruce, strattonandolo con violenza ed imbarazzo.

-Forza...-

Io mi riparo dietro lo squarcio e con molta attenzione, mi sporgo. Guardo in basso. Il drone numero Uno sta facendo fuoco contro di noi con molto impegno, carteggiando ad arte la facciata. Spara in direzione dell'apertura, senza preoccuparsi di mirare troppo. Drone Uno del cazzo. Con le sue armi e la sua indolente anima di metallo. Un momento, ragioniamo. Dov'è il drone numero Due? Torno immediatamente da Joker.

-Sveglialo!-

-Ci sto provando!-
ma Bruce rimane schiavo del suo torpore. E non è tempo per nessuno di dormire.


-Prendilo a schiaffi!- gli consiglio.

-Cosa?! Io non prendo a schiaffi Banner!-

-Muoviti...- poi mi abbasso di fronte a Bruce, tirandogli uno schiaffo. Ed in effetti, qualcuno potrebbe avere da ridire sulla sicurezza di questo gesto.

-Poi sono io... il pazzo...- sbuffa Joker.


-Non abbiamo tempo! Non senti? Ci sparano addosso!-


-Ci mancano...-

-E non ti sembra strano? Un robot spara e ci manca? Non ci sta nemmeno provando. Non vuole colpirci. Vuole tenerci qui.-

-Oh... - Joker intuisce qualcosa -...merda. Merda!-

Continuo a schiaffeggiare Bruce, sperando e rischiando di svegliarlo. Finché la mia previsione si avvera. Tra il frastuono dei proiettili, riusciamo a sentire le porte dell'ascensore aprirsi. E poi, sentiamo la mina. Enorme, sorda. Volano altri pezzi di muro, ed un corpo umano atterra tra le macerie. Mi fischiano le orecchie, mentre cerco di capire che succede. Ma trema tutto. Infine, il fischio si estingue, permettendomi di sentire qualcosa di strano. Qualcosa di meccanico che tenta di rialzarsi. Drone numero Due. Mi accorgo che Joker sta stringendo un paio di granate nelle mani, alle quali leva l'innesco. Sorride.

-Benvenuti nella casa dei pazzi!-
Le lancia. Verso l'ascensore, verso chi o cosa c'è davanti. E di nuovo il pavimento trema sotto ai miei piedi. Non distinguo le due esplosioni, ma l'effetto è quello descritto nelle istruzioni. Il caos. Joker ride ed urla. Io sono ancora alle prese con Bruce. Lì, sentiamo una voce.

-Ma... che cazzo succede?- E' lui. Il Presidente. Si è svegliato nel peggior momento possibile. Svarionato, ancora annebbiato dalla sedazione.
Joker lo recupera, sorreggendolo. Quando ancora quel rumore sinistro si fa vivo. Quel rumore meccanico, che si è rialzato. C'è una fitta nebbia di polvere di fronte all'ascensore. Ma quella cosa non sembra muoversi. Guardiamo tutti e tre, cercando di carpire qualcosa attraverso la nube di pietra. Siamo bloccati a metà corridoio.
Ne esce qualcosa, infine. Non cammina, ma è veloce. Qualcosa di piccolo, scuro, che si conficca nel soffitto sopra di noi. Qualcosa tipo...

-Un... razzo?!-

Joker si tuffa nella stanza di fronte a sè, tirandosi dietro il Presidente. Io mi appendo ad una di quelle massiccie porte, improvvisando un riparo. Dunque aspetto. Aspetto il botto. Aspetto di essere scaraventato qualche metro più lontano, insieme alla porta, che si strappa dalle cerniere.  

Ora sono a terra, ma sembra di essere sott'acqua. Per qualche momento tutto si muove a rallentatore. Riesco a rimettermi sulle gambe. Torna anche l'audio. La mia prontezza di riflessi e quella porta, mi hanno evitato conseguenze peggiori. Peggiori dell'enorme scheggia di vetro che mi trovo nel braccio sinistro, poco sotto il gomito. Andando contro ogni manuale di sopravvivenza, la estraggo. Non si dovrebbe fare, ma sarà solo d'impiccio. Un po' di sangue cola fino al palmo della mia mano. Non va bene. Per niente. Da una parte, il drone numero Uno sta ristrutturando la più comoda delle vie di fuga dall'edificio, dall'altra, il secondo ci sbarra la strada. Ed ora sembra volersi avvicinare. Joker ritorna in corridoio. Siamo in tre, fermi a guardarci, ad aspettare che qualcuno decida per noi.

-Non hai un altro razzo in quella sacca?- chiedo.

Joker si getta a recuperarla, ma c'è un problema. Non si trova. Ed il drone due si avvicina. Si cerca invano, si sollevano i resti delle pareti, ma niente. Estraggo la pistola. Sarà come lanciare sassi contro un treno in corsa, ma potrei ritardare l'esecuzione. O dare abbastanza tempo a Joker per trovare l'arma. Oppure farlo solo arrabbiare di più. Svuoto il caricatore nella nebbia, verso quel rumore che procede verso di me. Ma la ferraglia avanza. Mi volto indietro, Joker non è ancora riuscito a trovare niente. Non ho scelta. Sfodero la spada. Attendo. Acuisco l'udito, cerco di misurare la distanza. Provo a scorgere qualche ombra. Niente. Infine, Joker si fa sentire.

-Il mio bambino!-

Trovato. Ora bisogna stendere la minaccia di metallo. Ed in fretta. Poi penseremo al resto. Sto rinfoderando la spada, quando lo sento. Ancora quel rumore, terribilmente fuori luogo, meccanico e vicino. Troppo vicino. Mi volto. E' qui, davanti a me. In un modo dannatamente sbagliato. E mi trovo preso in un dilemma etico-bellico. Se Joker spara, sono fottuto. Se non spara, sono fottuto. Anzi, siamo fottuti. Per questo motivo, sono portato a pensare che farà fuoco. Aspetto la mia esecuzione. Quando lo sento.
Succede qualcosa. Qualcosa che spaventa. Un urlo. Forte, esagerato. Mi scuote, riesce quasi a sollevarci da terra. Ma non è paura, non è dolore. E' rabbia. Un urlo di rabbia, forte, esagerato. Incredibile.
La porta che mi ha appena salvato la vita vola davanti ai miei occhi. Ad una velocità assurda abbatte il drone Due, scaraventandolo lontano da me. Poi, una chiazza verde la segue, atterrandole addosso. Bruce. Si è svegliato. E non è di buon umore. Uomo verde... la nostra speranza. Ora a volare è il drone Due, giù per il corridoio ed infine fuori, dalla ex via di fuga. Bruce spicca un balzo e sparisce, portandosi via buona parte del tetto. Il pavimento torna a tremare. L'edificio ormai è irrimediabilmente compromesso, ed ha tutta l'intenzione di voler crollare. Non c'è tempo per pensare, dobbiamo fuggire. E l'unica via è la tromba dell'ascensore. Un altro metodo fortemente sconsigliato, ma estremamente necessario.
Non ci sono opzioni da vagliare, perciò agiamo. Si tratta di calarsi giù nel pozzo, entrare nella carcassa dell'ascensore e tentare la fuga. Le operazioni vanno a buon fine. Percorriamo il corridoio mentre il soffito comincia a sfaldarsi. Tutta la struttura si lamenta, guaisce. Il Presidente recupera una mitraglietta dalle guardie e si dirige verso l'uscita. Quando lo raggiungo, si volta verso di me.

-Victor...-

Come ci fa notare Joker, non c'è tempo da perdere. Banner starà boxando con i droni, lasciandoci in un non intenzionale stato di vantaggio, ma non ci vorrà molto prima che altra gente con cattive intenzioni ci si sbarri davanti. Victor apre una delle ante dell'ingresso, piano, creandosi uno spiraglio per controllare la visuale. Una, due volte. Infine battezza libera la zona. Joker apre completamente, mentre Victor mi copre. Siamo pronti.
Sembra tutto tranquillo, stiamo per muoverci, ma qualcosa cade, rimbalza e sbatte contro la porta. Rotolando infine ai nostri piedi. Un cilindretto grigio, metallizzato, lampeggiante. Davanti a noi, è appena atterrata una granata.   


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Capitolo 11
*** L'ottavo giorno ***


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L'OTTAVO GIORNO


Sono a terra.
Mi tengo la testa, le mani sulle orecchie. Sono volato a qualche metro da quella che una volta era la porta, da quella che è stata l'esplosione. Era una specie di granata stordente, e devo dire che il suo lavoro l'ha fatto. Stordirmi. Stordirci. Uno stordente spostamento d'aria.
Ora, stanno entrando delle persone, uomini. Uno mi punta addosso un fucile automatico, mentre l'altro mi solleva. Urlano qualcosa, ma è tutto troppo ovattato per capire. Sono me stesso in terza persona. Posso solo sentire i detriti sotto di me, ed una spiacevole sensazione d'impotenza temporanea. Stessa sorte tocca a Joker e Victor. Ci trascinano fuori, e nessuno è in grado di opporre resistenza. Sono i buoni. I cattivi per noi cattivi.
Tornano udito e vista.
C'è un grosso elicottero fuori. Le pale spaccano l'aria, facendo rimbombare il suono dentro alle mie orecchie. Il buono che mi trasporta, mi trascina senza troppe cerimonie, indietreggiando tendendomi una mano stretta sul bavero del cappotto e l'altra sotto la mia ascella sinistra. La posizione della mia spada non gli sta offrendo la presa migliore, facendolo accontentare di questa. Non sembra un problema.
Tornano gambe e braccia.

Sollevo il braccio sinistro e gli stringo quella mano sul mio bavero. Non deve mollare la presa. Punto i piedi e lancio all'indietro il gomito destro, dal basso verso l'alto. Centro. Il buono cade a terra. Mi rimetto in piedi e cerco di capire la situazione. L'elicottero di fronte a me è acceso e pronto al decollo. Joker e Victor procedono in quella direzione, accompagnati da alcune persone, soldati, a giudicare dall'equipaggiamento. Lo stesso di quello che ho steso. Victor sembra quello messo peggio. Il buono di fronte a me si tiene il naso.
Sto per voltarmi. Qualcosa mi colpisce sulla nuca, facendomi crollare a terra. Eccolo. Il calcio del fucile dell'altro buono. Ora si porta di fronte a me, tenendomi sotto tiro. Lo fisso. Mi portano vicino agli altri. Ci mettono in ginocchio, uno fianco all'altro, non lontano dal velivolo.

-Ce ne sono altri?!-
Urla il buono di fronte a Joker. Lui ride. Il buono lo colpisce con un pugno. Lui sputa via del sangue e ride ancora. Adesso tocca a quello davanti a me. Stessa domanda. Stesso risultato, stesso pugno. Sono di nuovo a terra. Si allontana per un attimo, spazientito. Poi torna verso di me.
Lo vedo avvicinarsi, piano. Io sono a gattoni, e lui sta puntando alla mia spada. Un rivolo di sangue corre sulla mia guancia. C'è tanto rumore intorno a me e tante altre cose sbagliate. Il buono col mitra è tornato da me, ed allunga una mano. Ma l'altro, quello a cui ho rotto il naso, lo afferra per il braccio.

-No!-

Succede qualcosa d'inaspettato. Un rumore. L'elicottero. I rotori sembrano perdere di potenza. Ed il pilota non sembra avere idea del perché. Nessuno sembra averne idea. Nessuno tranne Joker.

-Ci siamo...-

Il pilota armeggia furiosamente con la strumentazione, ma le pale rallentano inesorabilmente. Il capo di quei buoni, che sembra proprio esser quello a cui ho rotto il naso, ordina agli altri tre soldati di badare a noi. Si guarda intorno. Fende l'aria col mirino della sua arma in cerca di un bersaglio, di una causa che non sembra esserci. Le pale si fermano. Poi si ode uno strano lamento. Un gemito che proviene dall'elicottero. Il telaio comincia a guaire, trema. La struttura vibra. Il capo urla al pilota di scendere, ma la cabina è bloccata. Sbatte violentemente contro il vetro, si dimena. Il capo corre incontro, nel tentativo di liberarlo, ma è un istante. Un attimo. Il metallo torna a stridere, a piegarsi, ed all'improvviso l'intero velivolo si accartoccia su se stesso in un rottame informe. Uno spettacolare scultura di ferro compresso.
Nella confusione, chi doveva tenerci sotto controllo si distrae, voltandosi verso il velivolo. Nel mentre, ne approfitto per spezzare il collo ad uno dei tre. Un altro se ne accorge, ma prima di poter reagire si ritrova il coltello di Joker sotto al mento. Sotto e poi dentro. Stessa fine tocca al terzo. Ora teniamo il capo sotto tiro con le loro armi. Sta ancora rovistando tra i rottami, nel tentativo di salvare l'amico pilota, ma non c'è niente da fare. Mi avvicino. Lo sollevo e lo sbatto contro l'ammasso di fronte a lui. Cade, appoggiandosi con la schiena contro ciò che rimane dell'elicottero. Victor lo tiene sotto tiro. Lui volta la testa, cercando ancora l'amico.

-Fermo...- dico -...lascia perdere. Non ce la faresti nemmeno con la spugna.- 
L'occhio cade su una pozza rossa che si espande sotto il blocco di metallo. Joker si avvicina al capo buono. Lo guarda, guarda la pozza.

-Carne in scatola...- dice.
Lo guarda di nuovo e poi scoppia in una risata quasi isterica. Il buono si discosta schifato e consapevole. Non c'è più niente da fare. Scarica e depone l'arma che aveva a tracolla, lanciandola via.

-Chi, sei...- continua Joker, con calma.

-Cosa avete fatto all'elicottero...- risponde lui.

-Ehm... non ci siamo capiti. Allora... adesso sono io quello che fa le domande. Questa cosa non è mai chiara come vorresti!-
alla fine, rivolgendosi a me. Accenno una risata. Il buono non risponde stavolta. Rimane fermo, in attesa della nostra prossima mossa. Quella che vede Joker colpirlo al volto, e porre nuovamente la stessa domanda.

-No... non parla.- mi dice Joker.

-Non abbiamo tempo per queste cose.-
   
-Ma se non parla, lo devo togliere di mezzo...- indicandolo col coltello.

-Lascialo a me. Ora andiamo, prima che altri si accorgano di noi.-
Lo convinco. Joker sbuffa, ma si rialza. Approfittando di questa manovra però, il buono estrae una piccola pistola da una fondina alla caviglia. La punta verso Victor e fa fuoco. Click, bang, veloce.
Ci guardiamo. Increduli. La pallottola galleggia ferma nell'aria, sotto lo sguardo esterrefatto del buono. Prova a premere nuovamente il grilletto, ma non ci riesce. Joker si avvicina alla pallottola che ancora fluttua nell'aria, bloccandone la rotazione tra pollice ed indice della sua mano. 
   
-Pensavi davvero che sarei venuto fin qui senza una... assicurazione?-
Sentiamo dei passi. Ed una persona appare da dietro il cumulo di rottami. Il buono lo guarda, cerca di identificarlo. Chi può aver fatto tutto questo? Poi capisce.

-Tu... sei...-

-Buongiorno Eric...- saluta Victor.

-Magneto...-

-Indovinato...- conclude Joker, colpendolo abbastanza forte da fargli perdere i sensi. 

-Abbiamo un mezzo?- chiedo.
Eric ci fa segno di seguirlo. C'è un altro velivolo, integro e funzionante, che ci aspetta non lontano, insieme ad un ragazzino che da fuoco a tutto quello che abbiamo intorno poco prima del nostro decollo. Assicurazione.

Mi faccio scaricare in un punto della città fantasma, non lontano e non vicino a "casa" mia. Giusto per stare tranquilli. Mi carico sulla spalla il buono svenuto ed aspetto il decollo del mezzo. Lo guardo allontanarsi, dunque mi metto in marcia verso casa. Giusto per stare ancora più tranquilli. Sta diventando sera, ma c'è ancora un sole abbastanza forte da non farmi rischiare spiacevoli agguati. Gli sciacalli sono più attivi la notte. Cammino. La ferità sul mio braccio fa discretamente male, ma non sanguina poi così tanto. Meno di quanto mi aspettassi. Meno di quanto abbiano sanguinato altre ferite simili. Forse è una di quelle migliorie del siero, che mi inietterò una volta arrivato. E' l'ottavo giorno, ed è il momento di concludere il trattamento. Per cominciare a riflettere.
Non mi piace come è andata oggi. Per niente. C'è stata un'importante mancanza di provvedimenti questo pomeriggio. Sono ancora vivo, nonostante tutte le occasioni. Siamo sopravvisuti. Tutti. E non mi riferisco al pianificato e tempestivo ingresso del signor Leshner, ma di quanto è accaduto prima. Ci sono leciti dubbi sospesi a mezz'aria. Ma fortunatamente, ho un buono sulle spalle che suo malgrado dovrà dare delle risposte.
Arrivo al bunker. Entro e subito sbatto il buono nella cella che fu di Lois. Lo assicuro saldamente alla branda, così che non possa liberarsi. Poi mi disarmo, e mi concentro quanto basta su di me. Diagnosi: graffi superficiali su viso e mani, qualche livido, un taglio interessante sul braccio, ma nessun osso rotto. I miei organi interni sono nel medesimo ordine di quando sono uscito. Ora, la ferita. Completo le normali procedure e mi accingo alla sua medicazione. Stryker era fornito di un gran numero di beni atti all'auto soccorso. Un comodo kit, putroppo sfornito di un sedativo abbastanza potente da calmare il dolore. Stringendo i denti, mi medico. Il dolore è chiaro, ogni volta che l'ago buca la carne è uno sfavillante momento di auto analisi e consapevolezza. Il dolore ha sempre avuto il merito di mantenermi vigile nella realtà. Ogni spillata è un'emozione che pulsa e si attenua fino a quella successiva. Che mi ricorda quello che ho passato.
Fine. Una garza bianca copre un'altra probabile futura cicatrice. Rimetto tutto in ordine, compreso me stesso. Giunge l'ora del mio cocktail personale. Il terzo ed ultimo pezzo del puzzle. Mi dirigo verso il contenitore ermetico, sollevo la manica. Sblocco il coperchio e lo apro. Guardo dentro. Faccio scorrere le mie mani all'interno, perlustro tutta la superficie con le dita. Infine, devo fermarmi.
E' vuoto. 

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