Nova

di Atlantislux
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Coincidenze ***
Capitolo 2: *** Pace ***
Capitolo 3: *** Nexus ***
Capitolo 4: *** Sospetto ***
Capitolo 5: *** Confronto ***
Capitolo 6: *** Blitzkrieg ***
Capitolo 7: *** Rivendicazione ***
Capitolo 8: *** Offensiva ***
Capitolo 9: *** Protezione ***
Capitolo 10: *** Discrepanze ***
Capitolo 11: *** Offerta ***
Capitolo 12: *** Caccia ***
Capitolo 13: *** Diva ***
Capitolo 14: *** Duello ***
Capitolo 15: *** Emeth ***
Capitolo 16: *** Assetto ***
Capitolo 17: *** Divide et impera ***
Capitolo 18: *** Meth ***
Capitolo 19: *** Prezzo ***
Capitolo 20: *** Vittime ***



Capitolo 1
*** Coincidenze ***


Note

Ed ecco qua il seguito della mia precedente fanfiction “Irreparabile”. Un po’ come è stata “Earth” per “Versus” potete considerare quella storia come il prologo di questa, nella quale i nostri amati personaggi di Gundam SEED faranno un gradito ritorno e vivranno una nuova avventura. Purtroppo, per capire esattamente come certi personaggi saltino fuori qui, la lettura di “Irreparabile” è necessaria.

Ringrazio Shainareth per il betaggio, e Silvia per le chiacchiere che hanno generato questo mostro. ;)

Buona lettura!



___________________________



Coincidenze



Orb, 16 marzo, C.E. 82


Se qualcuno a sedici anni le avesse detto che si sarebbe ridotta così, Cagalli Yula Athha non ci avrebbe creduto e lo avrebbe preso a schiaffi. Adesso, undici anni, un marito e due splendide bambine dopo, Cagalli sentiva che il destino le aveva tolto ma anche concesso tantissimo, una vita e una famiglia di cui lei non poteva che essere felice, anche se, a volte…

“Ci vogliamo sbrigare? Siamo in ritardassimo!” ululò al marito, sparito dalla circolazione da qualche minuto, mentre lei stava finendo di vestirsi.

“Arrivo, arrivo…” le rispose lui dalla stanza accanto, e il suo tono noncurante fece alzare gli occhi della Delegata verso Myrna, la sua ex-nutrice diventata la governante della loro ampia magione.

La pratica donna sibilò un lapidario ‘uomini…’, mentre le allungava le scarpe.

A volte, Cagalli non riusciva a non darle ragione.

Si sbirciò allo specchio mentre gli sfilava velocemente davanti, annuendo alla scelta di abiti che aveva selezionato per l’occasione. La gravidanza non le aveva rovinato la figura longilinea, e il semplice tailleur grigio scuro nascondeva efficacemente quei pochi chili in più che ancora doveva smaltire. Athrun l’avrebbe invece accompagnata in uniforme. Cagalli gli invidiava la fortuna di non dover mai combattere contro il guardaroba.

Si affacciò alla porta e, come aveva previsto, lo trovò accoccolato sul tappeto, intento a giocare con le figlie.

“Athrun, faremo tardi” gli ripeté. “Guarda che non spariscono se le lasci per un paio d’ore.”

Lui nemmeno si voltò a guardarla, troppo intento a sventolare in faccia a una delle due gemelle il suo sonaglino preferito.

“Eh, tu non capisci come mi sento. Stanno sempre con te, mentre io sono perennemente all’estero, quante settimane della loro vita mi sono già perso?”

A Cagalli venne da ridere. Quante volte aveva già sentito quelle lamentele? Scambiò un’occhiata sconsolata con Miko, l’inappuntabile nutrice giapponese delle bambine, che le rispose con una leggera alzata di spalle. Cagalli fu certa che se avesse aperto bocca avrebbe detto la stessa cosa di Myrna.
“Guarda che sei tu che hai insistito perché ti dessimo quel compito, visto che volevi renderti utile a tutti i costi e vedere la Terra” disse al marito che, finalmente, si alzò e la raggiunse.

“Lo so. È che mi si spezza il cuore tutte le volte che le lascio…”

“Melodrammatico!” lo rimproverò Cagalli, ridendo mentre gli passava accanto. La giovane, dopo aver salutato le figlie con un bacio, diede qualche veloce ordine alla loro governante, per poi tornare verso di lui e prenderlo sottobraccio.

“Andiamo, dai. Siete tutti uguali. Prontissimi a giocare con i figli ma guai a voi se vi si chiede di cambiare un pannolino.”

Athrun arrossì. “E perché dovrei, c’è Miko per quello, no?”

La moglie sogghignò; non si era aspettata una risposta diversa.



Una volta in auto Cagalli aprì la cartelletta che la sua segretaria personale le aveva allungato prima di salire.

Diede una scorsa al documento lì contenuto, poi appoggiò un dito sul pulsante che azionava il separé tra i sedili posteriori della limousine e l’autista. Era un uomo discreto, al servizio della sua famiglia da anni, ma Cagalli preferiva che nemmeno lui sentisse quello che doveva dire al marito. Che, seduto rigidamente accanto a lei, aveva abbandonato l’aria felice che aveva in casa per assumere un’espressione di preoccupata aspettativa.

Cagalli si massaggiò una tempia.

“Sei proprio sicuro di non volerglielo dire?”

Lui scosse la testa. “No. Non posso, l’ho giurato a Nicol. Lo farà lui, se lo riterrà opportuno. L’ho avvertito della cosa l’ultima volta che l’ho sentito al telefono, un quindici giorni fa, ma sembrava che lo sapesse di già.”

“Non me ne stupisco, quei bastardi di Serpent Tail hanno un’intelligence degna di una superpotenza.” Athrun le scoccò un’occhiata severa che lei fece finta di non notare. La Delegata di Orb non cambiava idea su quelli che lei considerava pericolosi avvoltoi solo perché il marito era affezionato a uno dei loro affiliati.
“E i genitori di lui, da quanto tempo non li vedi?” gli chiese invece, con un sospiro. Aveva l’impressione che quella storia gli si sarebbe ritorta contro, in un modo o nell’altro ma, d’altronde, e su quello Athrun aveva ragione, non erano nemmeno fatti loro.

“Cinque anni. Dopo la guerra, tutte le volte che tornavo su PLANT non mancavo di fargli visita. Ma poi, per tutta una serie di motivi, non ce l’ho più fatta.”

Athrun si girò a guardare fuori dal finestrino. “E l’ultima volta ho avuto… altro da fare.”

Lei allungò una mano per stringergli la sua. Era fredda.

Le aveva raccontato tutto una volta tornato ad Orb e, sulle prime, Cagalli non c’aveva creduto. Poi anche Erica Simmons aveva confermato la storia di quei poveri Coordinator trasformati in cyborg da battaglia, e lei non era riuscita a non provare per loro una grandissima pena.

Athrun dall’incontro con il suo vecchio amico, creduto morto per tanti anni, era tornato sconvolto ma anche sollevato. Cagalli sapeva bene in che misura quella perdita l’avesse colpito, e che Athrun non era mai riuscito del tutto a perdonarsi, e ringraziava quindi Kanaloa ogni notte per la grazia che aveva elargito al marito. Anche se Nicol Amalfi era cambiato molto, come le rammentava sempre Athrun.

Cagalli abbassò gli occhi sull’anello nuziale che le cingeva l’anulare sinistro, sorridendo mestamente.

È quando sentiva storie come quella che lei si stupiva di essere ancora viva, e di essere circondata dall’amore di una famiglia così bella. Come quella che avevano le persone che stava andando ad incontrare, si ricordò, prima che la guerra sconvolgesse le loro vite.

***

Erica Simmons, Direttrice di Morgenroete, si alzò per salutare Cecilia Sterling, l’ultima nuova assunta della prestigiosa azienda di Orb. La donna, altrettanto compitamente, le rispose accompagnando le sue parole con un leggero cenno del capo. Erica fece per sedersi di nuovo al suo posto, dietro l’imponente scrivania in vetro e acciaio ma, notando un deciso nervosismo nello sguardo della scienziata davanti a lei, cambiò radicalmente idea. Non voleva che quel colloquio assomigliasse troppo ad una seduta della Santa Inquisizione.

“Veni pure, collega, accomodiamoci sul divano” fece alla donna con un sorriso, mettendo particolare enfasi sulla parola ‘collega’.

Lo sguardo diffidente di Cecilia si placò, anche se manteneva ancora un’aria combattiva, ed Erica dovette sopprimere un’occhiata ironica. Certo che i suoi collaboratori erano davvero tutti strani. Perché quella donna sembrava essersi preparata per il litigio del secolo?

La Direttrice di Morgenroete afferrò il fascicolo con il curriculum della scienziata e decise di darle il buon esempio. Lo posò sul basso tavolino di fronte al divano, approssimandosi poi alla macchinetta del caffè.

“Posso offrirtene una tazza?” chiese. “La miscela arriva dalle Hawaii. Puro Kona, il migliore. E ti assicuro che il caffè che preparo io è molto più buono di quello di San Diego” aggiunse facendo l’occhiolino, gesto che sembrò finalmente tranquillizzare Cecilia. “Bene, prendo quel sorriso per un sì. Siediti pure, intanto.”

La osservò prendere posto, ancora lievemente guardinga, poi le diede le spalle, tornando seria mentre preparava le due tazze di caffè e ripassava silenziosamente quello che sapeva sulla nuova assunta.
‘Cecilia Sterling, finlandese naturalizzata americana, trentun anni. Le indagini che ha compiuto su di lei il nostro ufficio personale confermano tutto quello che ci ha dichiarato: che ha conseguito una laurea e il dottorato in biorobotica al MIT cinque anni fa, che ha lavorato poi per svariate industrie di componentistica in tutto il mondo, tornando infine al CalTech ad insegnare computazione biomolecolare. È stata selezionata tra duecento candidati per lavorare sui sistemi operativi delle nuove linee di Mobile Suit e, anche se ufficialmente ricopre solo una posizione di ricercatrice junior nel nostro laboratorio, il suo responsabile me l’ha già segnalata tre volte. Non male, visto che è qui da solo una settimana.’

Con le tazze in mano ritornò verso il divano, notando che la scienziata bruna non la perdeva di vista un attimo.

È molto più brava di quello che ha dichiarato, Jones me l’ha confermato. E lui dubita che sia solo per umiltà. In effetti, mi dice che Cecilia Sterling non è affatto un modello di modestia.’
Erica sapeva bene che la gente faceva carte false per tentare di farsi assumere a Morgenroete. Letteralmente parlando. Ricevevano tonnellate di candidature da tutto il mondo e molte credenziali fornite erano, palesemente o meno, dei falsi. Però non le era mai capitato qualcuno che, al contrario, sminuisse la sua preparazione, e aveva deciso di vederci chiaro parlando direttamente con la nuova assunta.

Posò la tazza davanti a lei, osservandola passarsi una mano nei capelli. L’aveva già fatto numerose volte da quando era lì.
“Allora, Cecilia, ti piace Orb?”

“Molto. Il vostro paese è piccolo, ma la città è davvero bella. Questa è una nazione molto ricca.”

Erica annuì, abbassando gli occhi sul curriculum della donna. “Sì, sono felice che la mia famiglia non abbia mai deciso di trasferirsi su PLANT. Io sono nata qui, e ho viaggiato molto, ma mi sento fortunata a vivere su questa meravigliosa isola, dove Coordinator e Natural vivono in pace. Leggo che anche tu sei stata ovunque, vero?”

“È il mio lavoro che l’ha richiesto, ma non mi è pesato. Sono stata sempre in bei posti.”

“Hai ragione. Seattle, Rio de Janeiro, Port-au-Prince, Sydney, ... anche se non credo che tu abbia avuto molto tempo di ammirare il panorama, non è vero? Ci hanno detto di te che sei una lavoratrice indefessa.”
Cecilia arrossì. “Certo. Io adoro il mio lavoro.”

“Lo vedo. E anche Jones, il tuo responsabile, pensa lo stesso. Anzi, sostiene che sei davvero la più dotata tra i suoi collaboratori.” Lo sguardo di Erica Simmons si fece tagliente. “Tu non sei una Coordinator, vero, Cecilia?”

La scienziata scosse la testa con vigore. “Affatto. Lo so che qui non è richiesto presentare il proprio profilo genico, ma se volete ve lo posso fornire e…”
“Non mi serve, ti credo sulla parola” le disse Erica prendendo un sorso di caffè. “Si vede che fisicamente non sei una di noi, anche se il tuo QI è di certo molto più elevato di quello dei Natural.”

Lo sguardo di Cecilia si indurì. “Dimmi la verità, sono qui perché qualcuno si è lamentato di me?” sbottò Cecilia all’improvviso, sorprendendo la Direttrice di Morgenroete per l’astio che quelle parole celavano.

“No di certo. Anzi. Jones è talmente soddisfatto del tuo rendimento che ti vuole mettere a lavorare su progetti più complessi, a soli pochi giorni dal tuo arrivo. Cecilia, ti rendi conto che qui nessuno invidierà i tuoi risultati, nemmeno se tu fossi una Coordinator?” Erica le fece, addolcendo considerevolmente la voce. Aveva appena capito qualcosa di importante sull’americana, e non riusciva a non biasimarla. Anche lei aveva sofferto dell’invidia dei Natural, e poteva solo immaginare come dovesse essere stato difficile per uno di loro, essere scambiato per un Coordinator pur non essendolo.
Cecilia scosse le spalle, prendendo anche lei un sorso di caffè. “Avevo immaginato che qui non avrei avuto problemi in tal senso, visto che è un paese dove gli uni e gli altri convivono pacificamente. Ma l’invidia dei colleghi a volte non ha proprio niente a che fare con la genetica. D’altronde, io non ci posso proprio fare un bel niente se sono meglio di loro” dichiarò serafica, strappando un sorriso ad Erica. Non solo la donna non era modesta, ma non faceva nemmeno nessun tentativo di nasconderlo.

“È proprio questo il punto, tu sei troppo brava per quello che dichiari nel tuo curriculum.” La Direttrice picchettò un dito sui fogli. “Qui appare che da quando hai conseguito il dottorato tu non abbia fatto niente più che il tecnico di laboratorio, prima di finire come assistente di un docente universitario. Ma Jones afferma che parli come se avessi un’esperienza molto maggiore, e ogni tanto citi lavori che avresti fatto ancora prima di laurearti che non compaiono nel tuo curriculum e che si riferiscono a progetti francamente…”

“Irrealizzabili? Fantasiosi?”
“Al di là delle possibilità tecniche di chiunque” concluse Erica, fissando la scienziata bruna, il cui sguardo si era acceso di una strana luce.

Cecilia le lanciò un’occhiata in tralice, le labbra piegate nel fantasma di un sorriso.

“E così è per questo che sono qui? Bene. Avevo scommesso con un’amica ma ho perso. Pensavo che qualcuno di quelli che avevo trattato male nei giorni scorsi si fossero lamentati.” L’americana scosse le spalle, mettendosi apertamente a ridere. “Comunque, mi avevano detto che non avrei dovuto negare se mi avessi chiesto direttamente, solo che francamente non credevo che sarebbe successo così presto. Ma mi fa piacere che tu in persona ti sia scomodata a chiedermi cosa non quadrava nel mio curriculum. Non vedevo l’ora di parlare di nuovo con te.”

“Ci siamo già incontrate?” chiese Erica sbattendo le palpebre, momentaneamente confusa.
“Sì. Nel settembre del settanta, mentre infuriava la guerra tra PLANT e la Terra. Anche se non ci siamo mai viste, abbiamo solo avuto una conversazione telefonica.”

Erica scandagliò la sua memoria cercando di ricordare in che occasione avesse potuto conoscere la donna, anche se immaginava fosse per motivi personali. Cecilia Sterling aveva diciannove anni ai tempi, non era possibile che la sua fosse stata una telefonata di lavoro. Ma, dopo qualche secondo di imbarazzato silenzio, fu Cecilia stessa che la smentì.
“C’eravamo sentite in merito al progetto STORM, te lo ricordi? Io lavoravo nel centro di ricerca dell’Alleanza Atlantica incaricato dello sviluppo del programma. Tu fosti molto gentile, me lo ricordo. Sarebbe stato un piacere poter lavorare con te.”
Erica Simmons si irrigidì istantaneamente, lasciando quasi cadere la tazza di caffè che stava reggendo. Se qualche mese prima Athrun non le avesse rinverdito la memoria con il racconto delle persone che aveva incontrato ad Aprilius City probabilmente ci avrebbe messo più tempo a collegare il nome ‘storm’ a qualcosa, ma realizzò invece istantaneamente a cosa la donna si stesse riferendo.

Per aiutare Athrun, Erica aveva dovuto rileggere parecchi documenti e rapporti sulla collaborazione abortita con l’Alleanza e, nel tentativo di ricostruire tutta la faccenda, aveva anche riesumato dei file audio con le registrazioni delle comunicazioni intercorse tra Morgenroete e gli scienziati dell’Alleanza. Di quelle telefonate una in particolare l’aveva colpita: quella con la prima assistente del capo progetto. E le ritornò alla memoria prepotentemente.

Cautamente, posò la tazza sul tavolino.
“Certo... la scienziata con la quale avevo parlato mi aveva detto solo il nome. Cecilia. La sua voce suonava giovanissima pur essendo molto competente, quasi... no, decisamente arrogante.”
La donna davanti a lei annuì. “Ero io quella ragazza. Cecilia Jesek è il mio vero nome. Posso provarlo.”

“Ma ai tempi dovevi avere...”
“Diciannove anni. Il dottorato l’ho conseguito sì al MIT, ma quando avevo quindici anni.” Le labbra di Cecilia si piegarono in un sorriso quasi gelido. “Capisci perché so bene cosa significa l’invidia tra colleghi?”
“Che prove puoi fornire a riguardo?” Erica le chiese, la voce tesa per nascondere quanto fosse colpita. Che Athrun fosse incappato in quei tizi, e che una del team che aveva lavorato sul progetto fosse adesso davanti a lei, era una circostanza troppo singolare per essere fortuita.
Osservò Cecilia portarsi come sovrappensiero la mano destra all’avambraccio sinistro.

“Parecchie” la scienziata le rispose facendo un cenno verso il telefono posato sulla sua scrivania. “Ma credo che una mia amica sia molto più adatta di me. Ti dispiace se faccio una chiamata interna? Era venuta ad accertarsi di avere vinto la scommessa, e mi sta aspettando alla reception. Ci mette un attimo a salire.”
“Chi è?”
“Qualcuno che ha lavorato con me al progetto STORM.”
Erica soppesò la donna seduta, adesso molto più a suo agio, davanti a lei. Non aveva motivo di temere nulla da Cecilia, non in uno dei luoghi più sorvegliati del pianeta, ma il fatto che fosse riuscita a farsi assumere con l’inganno, raggirando i severissimi investigatori dell’ufficio personale, non deponeva certo a suo favore. La Direttrice di Morgenroete non riusciva a capire perché l’avesse fatto. Di certo non le avrebbe negato un colloquio, se si fosse presentata con il suo vero nome o cognome.

O no? Questa donna lavorava per l’Alleanza Atlantica e, se quello che è successo ad Athrun qualche mese fa non è una coincidenza, potrebbe essere anche lei affiliata di Serpent Tail. Forse non sarebbe riuscita ad arrivare fino a me così facilmente.’

Erica si alzò. “Se non ti dispiace, preferisco incontrare la tua amica di sotto.”

Dopotutto, la prudenza non era mai troppa.



Non fecero molta conversazione in ascensore e, quando giunsero di fronte alle vetrate che separavano l’ingresso vero e proprio di Morgenroete dalla zona di accoglienza visitatori, Cecilia indicò qualcuno con un cenno della testa.

“È lei.”

La ragazza in questione, una rossa dall’aria sbarazzina e dall’apparente età di vent’anni, si alzò e andò verso di loro.

Gli uffici non erano nella zona interdetta al pubblico, ma c’era un cordone di sicurezza che non permetteva a nessuno senza autorizzazione o invito di passare, per cui Erica aspettò pazientemente e in silenzio, mentre la ragazza superava i tornelli e passava sotto ai sensibilissimi metal detector di Morgenroete. Che non registrarono nulla di anormale.

Per qualche ragione la Direttrice si era aspettata il contrario. Fece un segno ad una delle guardie che passò un ulteriore scanner lungo il corpo e gli arti della sconosciuta. Che, per tutto il tempo, subì il controllo senza la minima soggezione. E senza fare scattare nessuno degli allarmi. Liquidato l’agente, si fece avanti fino a fermarsi davanti a loro.
La ragazza fissò Cecilia con una smorfia divertita.

“Sapevo che avrei vinto la scommessa! Mi devi un centone” disse all’amica con una voce bassa e leggermente roca, che Erica giudicò perfettamente adatta alla personalità che da quel corpo sembrava emanare. Non era altissima, sfiorava appena il metro e sessantacinque, ma era perfettamente proporzionata, con gambe tornite e braccia i cui muscoli definiti non la rendevano meno femminile.

Piantò quindi in faccia alla Direttrice di Morgenroete gli occhi verdi, sprezzanti, e accompagnò il gesto con un sorriso altrettanto altezzoso. In qualche modo, e non solo perché giovanissima, Erica faceva fatica a credere che quella ragazza avesse potuto lavorare insieme a Cecilia. Addirittura, si sarebbe stupita se le avesse detto di essere una scienziata; era così bella che avrebbe potuto benissimo essere una modella, anche se la falcata decisa e il fisico atletico suggerivano qualcosa di diverso e di meno mondano; era una ginnasta forse o un soldato, Erica speculò.
Poi si allontanò da lei leggermente mentre un’altra ipotesi, molto più suggestiva, cominciava a farsi strada nella sua mente.

Squadrò di nuovo la ragazza dai capelli rossi, bloccata in una posizione di attesa così assoluta che nessun movimento, nemmeno quelli fisiologicamente necessari come sbattere le palpebre o spostare il peso da un piede all’altro, ne sfigurava la posa.

“E tu cosa sei?” azzardò.

Il sorriso della ragazza non vacillò, anzi, si fece più pronunciato.

“Mi chiamo Lorran Escobar. Sono l’unità STORM con codice S07NX.”
Erica Simmons annuì. Non aveva paura, non c’era motivo perché Lorran l’attaccasse. Ma adesso capiva cos’era: una compatta macchina da guerra.

Avrebbe dovuto riconsiderare l’efficienza dei sistemi di sicurezza di Morgenroete.

***

“Nina, vuoi sederti dritta? Sono dieci minuti che stai appiccicata al finestrino, ti verrà il torcicollo.”

“Ancora un attimo, mamma. Tra un po’ dovrebbe spuntare l’arcipelago di Orb, giusto?”

“Tra qualche secondo a dire la verità.”

La ragazzina torse ancora di più il collo sottile, determinata a scorgere le isole che formavano l’Emirato, e Romina Amalfi sorrise, cercando di quietare il sottile disagio che provava in quel momento.

Gettò un’occhiata al marito, che stava anche lui guardando fuori dal finestrino, ma con un’espressione vacua che contrastava paurosamente con quella entusiasta della figlia adottiva. Improvvisamente la donna si chiese, e non per la prima volta, se davvero avevano fatto bene ad accettare il prestigioso incarico che li stava portando ad Orb.
Il marito, dopo la guerra del Bloody Valentine, aveva lasciato la politica per tornare unicamente a lavorare come ingegnere meccanico nell’industria bellica di ZAFT ma, disgustato dalla guerra scoppiata solo qualche anno dopo, Yuri Amalfi si era gettato anima e corpo in una nuova carriera nel corpo diplomatico, culminata, qualche settimana prima, con la sua nomina a nuovo Ambasciatore di PLANT presso l’Emirato di Orb.

Romina lo guardò stringere i braccioli dello shuttle privato. La legazione dell’Emirato era considerata l’apice della carriera, che chiunque sarebbe stato felice di accettare, ma Yuri Amalfi aveva dovuto pensarci bene. Su un triste scoglio appena fuori dai confini dell’Emirato il loro unico figlio Nicol era morto in battaglia undici anni prima e, quando apparve la prima isola, Romina dovette distogliere gli occhi dal panorama, cercando di non far percepire alla figlia quanto fosse turbata.

Il suo sguardo incrociò invece quello del Comandante Dearka Elthman, nominato nuovo attaché militare dell’ambasciata. Il giovane le fece un cenno con la testa e Romina fu felice che ci sarebbe stato anche lui con loro. Era riuscito a conquistare l’attenzione della diffidente Nina in pochi minuti, e la sua presenza e quella di Athrun Zala in qualche modo rassicuravano Romina che un pezzo di PLANT sarebbe stato sempre con lei. Loro poi le ricordavano Nicol, la cui scomparsa non era mai riuscita ad accettare.

C’aveva provato, ma né i medicinali né la psicoterapia erano riusciti a sanare del tutto la ferita. Romina poteva tragicamente smentire tutti quelli che le dicevano che il tempo guarisce ogni dolore; perché ci sono sofferenze che non sono fatte per essere dimenticate.
Da anni non piangeva più per ore, grazie soprattutto all’amore che portava alla figlia adottiva, che si era impegnata a rendere felice, ma non riusciva sempre a bloccare gli spasmi di sofferenza che talvolta l’assalivano mozzandole il respiro. Aveva perso troppo, in una maniera troppo veloce e brutale, perché potesse davvero tornare ad essere la donna spensierata che era stata prima.

D’impulso afferrò la mano del marito, che le sorrise debolmente. No, non ci doveva pensare. Stavano per cominciare una nuova vita in un posto meraviglioso, un vero Eden in terra. Tutto sarebbe sicuramente andato per il meglio.

***

Miguel Ayman adorava i centri commerciali. Si divertiva come una ragazzina ad entrare nei negozi e provare ogni genere di vestiario, sotto gli occhi compiaciuti dei commessi. Vanitoso e fiero del proprio aspetto, gli piaceva catturare gli sguardi delle ragazze; che lo fissavano, attratte dal fisico imponente e un po’ intimorite per la maschera che gli copriva metà del volto.
Soprattutto, all’ex-soldato di ZAFT piaceva da matti fare acquisti con Nicol Amalfi, che attirava gli sguardi delle donne – e di tanti ragazzi - tanto quanto lui, e che, soprattutto, era perfetto per portargli tutti i pacchi.
“Ahh, assolutamente favoloso” dichiarò Miguel alzando una giacca sportiva color ruggine, che giudicò perfetta per abbinarsi con il suo colore di capelli. “Che ne pensi?” chiese all’amico girandosi verso di lui. Un secondo dopo il sorriso trionfante si trasformò in una smorfia annoiata.
“Ma perché devi sempre fare questo stupido errore?” mormorò sottovoce all’indirizzo di Nicol.

Il giovane era esattamente dove l’aveva lasciato dieci minuti prima: appena dentro la porta del negozio, imbambolato a guardare uno schermo incastonato in uno degli angoli del soffitto.

I Coordinator che avevano subito gli stessi interventi di Nicol erano praticamente indistinguibili dagli esseri umani, salvo per un piccolissimo particolare: le articolazioni bioniche e i loro muscoli artificiali gli permettevano di rimanere assolutamente immobili, per lunghi periodi, in posizioni che avrebbero procurato ad una persona normale crampi nel giro di minuti. Come quella che il suo giovane accompagnatore stava mantenendo da chissà quanto, con il collo piegato ad un angolo quasi innaturale, e le braccia flesse e cariche di pacchetti.

Miguel appoggiò la giacca, decidendo che era ora di intervenire.

“Cazzo, oramai non mi dovrei nemmeno chiedermi come fa a non accorgersi” si disse, dandosi dello stupido da solo. Forse per i primi mesi della loro nuova vita era stato diverso, ma adesso erano completamente adattati a quegli innesti artificiali e, ragionò Miguel, forse nemmeno si ricordavano come si comportavano quando non li possedevano.

“Che ne dici di andare a farci un giro” gli chiese, avvicinandosi e tentando di non suonare troppo irritato. “Prima che la commessa cominci a spolverarti credendoti uno dei loro manichini?”

Non era nemmeno colpa loro se erano così, rifletté con un’alzata di spalle.

Nicol voltò verso di lui gli occhi azzurro ghiaccio. Da qualche giorno gli piaceva quella tonalità.

“Sono arrivati” gli disse nervosamente, indicando la televisione.

Miguel non poté fare a meno di sorridere, rendendosi conto di cosa stava così turbando il suo amico. Alle news stava passando un servizio dedicato al nuovo Ambasciatore di PLANT ad Orb.
“Ottimo. Vedo che il viaggio è andato bene. Hanno proprio una bella bambina.”

Fece finta di non accorgersi che Nicol era impallidito. Lo prese per un gomito e lo trascinò quasi di peso fuori dal negozio, verso un vicino bar semivuoto.

“Io e te dobbiamo fare un discorsetto” gli intimò.



Ordinò una Coca Cola per Nicol e una birra per sé, poi si appoggiò pesantemente al tavolino fissando il compagno. In sottofondo, una radio stava trasmettendo la cronaca dell’arrivo dei coniugi Amalfi ad Orb.

“Ascolta, capisco quanto tu possa sentirti a disagio, ma purtroppo non avevamo la minima avvisaglia che potesse succedere una cosa di questo genere. Quando ne siamo venuti a conoscenza, pochi giorni prima che Athrun ti telefonasse per avvertirti, era oramai troppo tardi per cambiare i nostri progetti.”

Nicol non gli rispose, sembrando più interessato al contenuto del suo bicchiere che a Miguel. Il quale poteva capire benissimo cosa l’amico stesse provando.
Tutti i suoi compagni, Miguel incluso, avevano ormai da tempo detto addio alla loro vita precedente, e se ne erano rifatti una nuova sulla Terra. Ricchi, grazie a quello che guadagnavano lavorando per Serpent Tail, avevano amici ed, alcuni, avevano anche formato delle famiglie sposando donne Natural o Coordinator dell’organizzazione mercenaria. Dopo dieci anni, ed una vita condotta nella più totale libertà, Miguel era certo che nessuno di loro avesse più il desiderio di ritornare su PLANT.
Come lui, molti pagavano un prezzo ai propri ricordi, e un tributo alla patria che ancora amavano, inviando sotto anonimato consistenti somme alle persone care che risiedevano nello colonie in orbita. Ma non Nicol, che si era sempre rifiutato di contattare in qualunque modo le persone che gli erano state vicine nella sua vecchia vita, fino a quando non erano state loro a cercare lui.
Miguel non lo biasimava per aver rivelato la sua identità ad Athrun e Yzak, non avrebbe potuto fare altrimenti senza ucciderli, ed era certo che Nicol non l’avrebbe mai fatto, ma reputava paradossale che, a quel punto, gli unici all’oscuro della sua sorte fossero proprio i suoi genitori, le persone alle quali il giovane dai capelli verdi teneva di più.

Miguel maledisse la circostanza che aveva portato gli Amalfi ad Orb anche se, dal punto di vista dei piani dell’organizzazione per il futuro, forse non era totalmente un male. Era solo una buona carta che il destino gli aveva messo in mano; da ottimo giocatore di poker, e sapendo quello che c’era sul piatto, Miguel fece la sua puntata.
“Senti…” gli disse addolcendo lo sguardo. “Oramai troppa gente conosce la tua identità. E, anche se tu non gli hai ancora detto niente, Athrun tra un po’ saprà per forza che anche tu sei ad Orb. Credo sarà impossibile mantenere il segreto ancora per molto.” Miguel si sporse verso Nicol, abbassando la voce. “Forza. Vai a salutarli, cucciolo, ti do il permesso io” gli fece in tono da cospiratore.
“Miguel, non trattarmi come un bambino” gli rispose Nicol, la voce ferma che contrastava con l’espressione sconsolata che aveva.
Il mercenario dai capelli dorati ne fu intenerito. Malgrado quello in cui l’aveva trasformato Nicol era molto più deciso ma non meno sensibile di quando aveva quindici anni, soprattutto nei confronti delle persone alle quali voleva bene. Particolarmente da quando era tornato da PLANT, e aveva finalmente deciso di rivelare a Cecilia chi era stato.

“È quello che mi sembri quando guardi la faccia di tua madre in televisione. Credi che non sappia quanto esattamente tu voglia riabbracciarla?”

Nicol socchiuse gli occhi, e Miguel realizzò che forse si era spinto un po’ troppo oltre. Il giovane davanti a lui era di certo amabile ma non era uno stupido. E all’occorrenza sapeva anche essere spietato.
“Che hai in mente?” gli chiese. “Prima il mio incontro con Athrun. Poi Cecilia assunta a Morgenroete. Adesso questo. Le circostanze fortuite cominciano a essere un po’ troppe.”
Miguel alzò entrambe le mani. “Ti sono grato che tu pensi che i tuoi datori di lavoro siano l’eminenza grigia che controlla il mondo, ma purtroppo non è così. Noi approfittiamo solo delle favorevoli congiunture che la Dea della Fortuna ci offre per condurre in porto qualche ottimo affare, ma non le creiamo, sarebbe troppo uno sbattimento.”

Nicol colse immediatamente il senso del discorso. “Perfetto. Allora qual è l’opportunità che siamo qui a cogliere?”

Miguel avvicinò la sua sedia a quella dell’amico, mettendogli un braccio sulle spalle e avvicinandosi a lui fin quasi a sfiorargli la delicata pelle del lobo dell’orecchio. Non che pensasse che qualcuno nel locale li potesse sentire, con la radio che sparava a volume altissimo notizie sulla guerra diplomatica in corso tra due paesi africani.
“Non posso, è troppo presto. Potrebbe anche risolversi in niente, e sai che il Direttorio non vuole gli operativi troppo coinvolti nelle questioni strategiche. Ma ti assicuro che se il bubbone scoppierà sarà davvero una cosa grossa, e noi saremo nel posto giusto per sfruttare l’occasione.”
“Dimmi solo una cosa. È per questo che Cecilia è a Morgenroete?”

“Ovviamente. Serpent Tail ha già un’ottima reputazione, e il nostro gruppo ancora di più, ma per assicurarci quel lavoro la raccomandazione della Direttrice non sarà male e, in ogni caso, poi avremo bisogno del loro supporto tecnico. Senza contare che quando Erica Simmons scoprirà cosa siete, vedrai che offrirà un contratto miliardario alla tua donna per non lasciarsi scappare i suoi servigi.” Miguel lanciò a Nicol un’occhiata allusiva. “Dai, non sei stanco che quella geniale poveretta si debba accontentare di lavori sottopagati? Con lei là dentro avremo accesso ad un network di contatti ed informazioni molto più ragguardevole di quello che abbiamo ora.”
“Come se credessi davvero che la Simmons riveli i segreti di Morgenroete a noi…”

“E non fare il disfattista!” Miguel rise. “Intanto meglio che Cecilia stia là piuttosto che insegnare, no? Lo sai anche tu quanto la gente normale la irriti. E comunque vedrai che lei e la Simmons andranno d’accordo. Tra geni si intenderanno.”

Nicol non gli sembrava per niente convito. Anzi, aveva in faccia il consueto broncio che si portava dietro dall’adolescenza; quello che inalberava quando i compagni lo prendeva in giro.
Il suo ex-tutor, per risolvere la situazione, gli scompigliò i capelli, cosa che fece acuire la stizza dell’altro.
“Dio, sei proprio irresistibile quando fai quell’espressione” gli disse a voce abbastanza alta perché molti degli avventori che li circondavano si girassero verso di loro. Un gruppo di ragazze sui vent’anni si mise a ridacchiare, e Miguel si volse verso di loro scoccandogli un sorriso smagliante. Adorava le giovanissime. E, soprattutto, adorava quelle che non avrebbero disdegnato un rapporto a tre. Se solo Nicol non fosse stato così maledettamente monogamo…
L’amico, realizzata la situazione imbarazzante, arrossì furiosamente e, alzatosi in piedi, fuggì praticamente dal locale costringendo Miguel a rincorrerlo.
“Scusatelo, il mio amico è talmente sensibile” sussurrò alle ragazze passando accanto al loro tavolo e gettandogli un depliant dove aveva scritto il suo indirizzo email. “Scrivetemi. Mi sono appena trasferito e avrei bisogno di una guida turistica” disse loro, inseguito da ulteriori risolini e dai saluti dalle più sfrontate.


Raggiunse Nicol al parcheggio, dove era posteggiato l’imponente SUV arancio che aveva comprato una volta arrivato ad Orb. Era vistoso, ma Miguel non avrebbe ammesso di farsi vedere in giro su mezzi di altro colore.

“Quando la smetterai di farmi fare queste figuracce?” gli sibilò Nicol, gettando i suoi acquisti in auto. Il suo broncio si era dissolto in un’espressione imbarazzata.
“Colpa tua che fai la pudica verginella. Avrei voluto vedere se Athrun fosse stato tra loro.”
L’amico si girò di scatto verso di lui, visibilmente scandalizzato. “La vuoi piantare con quella storia?”

“Va bene. Ma fammi un favore. Anzi, fallo a te stesso. Prendi il cellulare e riferisci al tuo ex-fidanzato dove ti trovi. Non è il caso di aspettare oltre. Anzi, non capisco perché tu non l’abbia ancora fatto. Immagino che sarai impaziente di incontrarlo, no?”

Il rossore sul volto di Nicol si intensificò, ma il giovane non aspettò oltre per frugarsi in tasca ed estrarre il telefono. “Sì, ma non per la ragione che credi tu.”

“E quando mai l’ho pensato veramente? Intanto io cerco di trovare un modo per farti incontrare i tuoi genitori” gli rispose soavemente Miguel, tentando di non stuzzicarlo oltre. La prima e unica volta che aveva davvero fatto arrabbiare Nicol si era ritrovato appeso a testa in giù da un palazzo di venti piani, e non ci teneva a ripetere l’esperienza.
Lo osservò comporre il numero realizzando, improvvisamente, che anche lui avrebbe dovuto trovare il modo e le parole adatte per rivelarsi al figlio di Patrick Zala.
‘Chi l’avrebbe mai detto? Io, Nicol, Athrun e Dearka. Manca giusto Yzak qui. Ma chissà che quel lavoro non ci faccia davvero combattere di nuovo tutti insieme.’

Non vedeva l’ora, malgrado prendesse spesso in giro Nicol per l’affetto che provava per i suoi vecchi commilitoni. Perché pur dissimulando, quei ragazzi Miguel li portava ancora tutti nel cuore, e rivederli era una delle sue più grandi speranze.

***

Nonostante viaggiasse su una corsia preferenziale la limousine senza contrassegni del Capo di Stato di Orb procedeva lenta, imbottigliata insieme alle auto della scorta nel pesante traffico della capitale dell’Emirato.
“Non è pericoloso?” chiese Yuri Amalfi, indicando con una mano la situazione fuori dai finestrini oscurati.

Cagalli gli rispose facendo spallucce. “No, non si preoccupi, questo è un paese pacifico e i nostri servizi di sicurezza monitorano costantemente il territorio e la popolazione.”
“Certo che avremmo almeno potuto prendere un flyer, a quest’ora saremmo già arrivati” gli fece eco il marito, strappandole una smorfia scocciata.
“Volevo solo mostrare al nostro nuovo Ambasciatore la nostra bella città, purtroppo il corteo in città è molto più consistente del previsto, e per permettere alle auto di aggirarlo la polizia le ha dovute deviare sulla tangenziale. Me ne scuso.”
“Non si preoccupi, Principessa” le rispose compitamente Romina Amalfi, seduta accanto al marito con accanto la figlia. “Di certo procedendo così lentamente la vedremo bene” disse strappando consensi a tutti i presenti.
Athrun seduto esattamente di fronte a lei, annuì alle sue parole pacate.
Quando l’aveva vista la prima volta, tredici anni prima, aveva invidiato al suo amico Nicol una madre così giovane e bella; Romina era la quintessenza dell’alta società di PLANT, e anche se dopo anni così difficili il suo volto mostrava i segni del tempo, e del dolore che l’aveva segnata, non era meno amabile né meno di buone maniere di come se la ricordava.
Athrun sorrise alla bionda dodicenne che sedeva a fianco di Romina, attribuendo a lei il fatto che la povera donna fosse riuscita in qualche modo a superare la perdita di Nicol.
La ragazzina, dal canto suo, aggrottò le sopracciglia chiare, stingendosi alla madre.
“Scusala, Nina è molto timida” gli disse Romina, appoggiando una mano sulla nuca della piccola. “Non le piacciono gli estranei, ma non potevamo certo lasciarla da sola su PLANT.”

“No, certo che no” rispose lui, capendo perfettamente la donna. Dopo quello che gli era successo con l’altro figlio, probabilmente non avrebbero mai acconsentito a perdere di vista questa.
Il desiderio di protezione di Romina lo intenerì, e lo portò a chiedersi se le loro figlie da grandi sarebbero potute diventare amiche. Romina probabilmente dovette realizzare la stessa cosa, e forse qualche altro pensiero le sovvenne, perché abbassò la testa passandosi una mano sugli occhi, come per nascondere un momento di commozione.
Athrun fece finta di niente, riportando la sua attenzione su Cagalli e l’Ambasciatore. Capiva quanto la situazione dovesse essere a tratti spiacevoli per la donna, ma aveva la ferma intenzione di non dare adito a domande alle quali avrebbe dovuto rispondere con pietose bugie. Sperò, anzi, che prima o poi Nicol trovasse il coraggio di rivelarsi a loro.
“Un corteo? La situazione si è aggravata così tanto anche qui?” stava chiedendo Yuri Amalfi a Cagalli.
La Delegata annuì. “Come saprà la recessione economica non ha colpito così duro da noi come in Sudamerica e in Eurasia, ma ieri una delle aziende più grandi, di proprietà proprio di un gruppo Eurasiatico, è entrata in amministrazione controllata, e le centinaia di persone che hanno ricevuto una lettera di licenziamento sono scese in piazza a protestare.”
Cagalli guardò mestamente fuori dal finestrino. “Le richieste di aiuto al governo fioccano, ma anche se siamo uno stato ricco non potremo mai accontentare tutti. Comunque, tra un paio di settimane mi attendono alla riunione delle Nazioni Unite a Ginevra, per discutere insieme il da farsi. Purtroppo questa crisi non è qualcosa che un singolo paese possa sperare di risolvere da solo.”
Il marito provò pena per lei. Ultimamente la vedeva tornare sempre tardi e molto tesa dalle sedute del governo; l’apprensione per il paese che amava tanto, insieme al gravoso carico di essere una madre, la rendeva nervosa e suscettibile, e lui si sentì colpevole perché il suo ruolo di coordinatore delle forze armate di Orb, con quelle del resto del mondo, lo portava spesso all’estero.

Mi devo dare un po’ più da fare a casa. Almeno per sostituirla degnamente durante la sua assenza. Sono certo che Miko e Myrna mi daranno una mano con le bambine… beh, almeno spero!’ pensò trepidante.
Adorava le sue figlie, ma a volte l’assaliva il panico quando piangevano insieme e lui non aveva la minima idea di come farle smettere.
Improvvisamente, il suo telefono che vibrava lo distolse da tali, preoccupanti pensieri.

Diede uno sguardo allo schermo riconoscendo subito il numero di Nicol. Aveva preferito non associarlo a nessun nome, ma se l’era ben impresso nella memoria. Per un istante pensò di non rispondere, poi decise altrimenti.

“Sì?” mormorò voltandosi verso il finestrino, il più lontano possibile dai suoi ospiti.

La voce dell’amico gli suonò un po’ agitata mentre lo salutava. Ma Athrun fu certo che dei due fu lui quello più in difficoltà quando, senza preamboli, Nicol Amalfi gli disse dove si trovava.
Se l’Ammiraglio di Orb non lasciò cadere il telefono fu solo per salvare le apparenze. Si sentì in ogni caso assalire da una strana sensazione, in parte euforica in parte turbata.
Ma, preso da tutt’altre preoccupazioni, nemmeno per un istante Athrun Zala pensò che la coincidenza fosse davvero insolita.

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Capitolo 2
*** Pace ***


Pace



Orb, 17 marzo, C.E. 82


Nel palazzo che ospitava l’Ambasciata di PLANT ferveva l’attività. Mentre da una parte Yuri Amalfi si dedicava a stringere i primi contatti con le legazioni degli altri paesi, nella zona riservata agli appartamenti privati il suo staff e la sua famiglia stavano prendendo possesso dei rispettivi spazi.

Dopo aver vagato un po’ per gli ampi saloni, Dearka e la sua fidanzata Miriallia trovarono la ragazzina che stavano cercando accoccolata in libreria, tra gli scatoloni, intenta a sfogliare senza troppa convinzione un volume.

“Nina! Che ci fai qui nascosta?” le chiese il biondo ex-pilota di ZAFT.

La bambina alzò le spalle. “Studio. La mamma è impegnata a disfare le valigie con la segretaria del babbo. C’è un casino nelle camere, qui invece è più tranquillo.”

“E tu non hai nulla di sistemare?”

“Naaa... ho già fatto tutto. Gli adulti invece sono un vero disastro.”

Dearka sogghignò, pensando all’appartamento che gli avevano assegnato, nel quale riusciva ad entrare solo scavalcando cumuli di bagagli. Miriallia gli aveva proposto di andare a vivere con lei ma lui era riuscito, ancora una volta, elegantemente a declinare, adducendo come scusa il fatto che avrebbe dovuto essere a disposizione dell’Ambasciatore in ogni momento; amava la bruna fotografa, ma l’idea di convivere francamente lo terrorizzava più di una battaglia.

“Sì, siamo davvero tutti strani. Ma, ora, che ne dici di andare a fare un giro in città? Tua madre ha dato il permesso a me e a Miri di portarti a prendere un gelato” disse alla ragazzina.

Nina sollevò gli occhi dal libro. “Davvero? Fuori di qui?”

“Certo. Ci sono io. Si fida di me.”

Il giovane, colpito nelle costole da una gomitata della fidanzata, soffocò un’imprecazione.

“E ancora di più di me” puntualizzò Miriallia.

La bambina, seppure divertita dalla scena, sembrò a Dearka ancora poco convinta, e lui le fece un sorriso tendendole una mano. “Dai…”

Stava già perdendo le speranze, quando un fragile sorriso illuminò il volto di Nina, che allungò le dita esili posandole nel suo palmo, largo ed abbronzato.

“Bravissima” le fece per incoraggiarla, e la bambina abbandonò il suo libro senza ulteriori esitazioni.



Romina Amalfi venne comunque a salutarli prima che uscissero, facendo mille raccomandazioni a Dearka. Lui cercò di suonare il più responsabile possibile. Non che lo fosse davvero, ma capiva che se voleva strappare un po’ la povera Nina dall’ossessivo controllo della madre, una delle donne più apprensive che lui avesse mai conosciuto, doveva risultare il più convincente possibile.
Non era però riuscito a persuadere il padre di lei a non farli seguire da una scorta armata. Yuri Amalfi si era detto preoccupato per l’incolumità del suo attaché militare, ma Dearka era ben conscio che altre erano le paure che si agitavano nell’animo dell’uomo.

Partirono dal garage sotterraneo dell’ambasciata, con l’auto della scorta che li seguiva a debita distanza.

Dearka si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo non appena si furono lasciati alle spalle i cancelli della legazione, e pigiò il pedale dell’acceleratore, cercando di mettere la più ampia distanza possibile tra la sua vettura e quella dei tre gorilla che li pedinavano. Accese la radio, facendo un rapido giro delle stazioni, ma la spense subito. Tutto quello che trasmettevano era musica pop, che lui odiava, e notiziari nei quali si alternavano comunicati sulla crisi economica ed altri sulle schermaglie diplomatiche in corso tra due paesi africani.

Sbadigliò profondamente, annoiato dai penosi network terrestri.

“Ragazza mia, compatisco il tuo futuro fidanzato. Faranno il terzo grado a chiunque si avvicini, ne sono certo, convinti che sia un assassino” disse ad alta voce, cercando di vivacizzare l’atmosfera in macchina.

Nina, seduta sul sedile posteriore, non gli diede però corda. “Bene. Sono certa che loro sceglieranno il meglio per me.”

Dearka aggrottò le sopracciglia lanciando, dallo specchietto retrovisore, un’occhiata sconcertata alla bambina, ma la battuta che stava per pronunciare fu bloccata sul nascere da Miriallia, che si girò verso Nina dopo aver colpito ulteriormente il povero ragazzo.
“Sei veramente obbediente. Sai, Dearka non era affatto come te alla tua età.”
“Lo so. Mio padre ne parlava con mamma l’altra sera a cena. Dicevano che Dearka era la pecora nera della sua famiglia. Meno male che io non sono così” espose compitamente la bambina, con un tono tra il condiscendente e il saputello che fece alzare al biondo gli occhi al cielo. Adesso capiva perché Nina gli era simpatica; da piccolo Yzak era stato simile a lei, anche se molto più arrogante. Miriallia soffocò una risatina, e anche lui non riuscì a non fare lo stesso.
“Sì, l’hanno detto anche a me che il mio ragazzo era uno scapestrato. Tu invece sei proprio una ragazzina giudiziosa.”
Miriallia si riaccomodò meglio sul sedile, e tra loro ci fu qualche secondo di silenzio, rotto infine da parole che nessuno dei due giovani si aspettava.

“Me lo dicono tutti. Alcuni sembrano sorpresi, e io non capisco perché. Io non farei mai nulla per far stare in pensiero i miei genitori” disse Nina, il più quietamente possibile, e quasi sottovoce.
Dearka scambiò un’occhiata con la sua fidanzata. Ma, prima che potesse aprire bocca, fu Nina stessa che decise di precisare quello che intendeva.
“Io non farò come quello là. Non farò mai piangere la mamma.”
I due giovani non ebbero dubbi sull’identità della persona alla quale la bambina si stava riferendo. D’altronde, erano stati avvertiti dai suoi genitori che loro non avevano mai nascosto a Nina né di essere stata adottata, né che il loro vero figlio era morto in guerra.

A Dearka, che stava affannosamente cercando una qualunque cosa da dire, venne fortunosamente in aiuto la fidanzata.
“Hai... hai ragione, sai. Fai la brava e vedrai che tutto andrà bene, e soprattutto non crescerai irresponsabile come questo qui” disse Miriallia nel modo più neutrale possibile, dando un buffetto a Dearka su una spalla e esplodendo in una risata nervosa.
Il giovane vide Nina incrociare le braccia, e guardare fuori dal finestrino sollevando il mento e assumendo un’aria volitiva.
“Spero di no. Dieci anni di fidanzamento e ancora non ti ha chiesto la mano. Ma sei sicura che sia la persona giusta per te?” chiese la bambina senza la minima remora, con la sfacciataggine tipica di quell’età.

Mentre Miriallia soffocava lacrime causate da un eccesso di ilarità, Dearka cominciò a chiedersi se davvero era stata una buona idea portare quella piccola strega, travestita da docile pecorella, in giro con lui. Il pomeriggio non era ancora finito, e chissà quali altre cattiverie sarebbero uscite dalla bocca della biondina. 

***

Athrun non aveva dormito benissimo la notte precedente. Dopo ore passate ad ascoltare il pesante respiro della moglie, profondamente addormentata, aveva deciso di recarsi nella stanza accanto, a vedere se le sue figlie stessero bene. Le forme raggomitolate l’avevano rassicurato, ed era rimasto un po’ a vegliarle, perso nei suoi pensieri.
Non sapeva come giudicare il fatto che Nicol fosse ad Orb; cercava di rallegrarsene convincendosi che era solo una visita privata, mentre tentava disperatamente di non pensare alla circostanza che l’amico fosse invece lì per lavoro.

Per questo, fu con un misto di felicità e inquietudine che si recò all’appuntamento con lui. Da quando si erano rivisti su Aprilius One non si erano più incontrati.



Il posto lo conoscevano entrambi. Era un locale vicino a Morgenroete, dove si erano fermati a bere qualcosa tanti anni prima, durante la missione di ricognizione che li aveva portati ad infiltrarsi ad Orb. Athrun ci era passato davanti molte volte da quando abitava nell’Emirato, ma curiosamente non era mai più entrato.
Il parcheggio era semivuoto quando arrivò e, dopo aver posteggiato la sua macchina vicino ad una fuoriserie nera, si diresse senza esitazioni all’ingresso, calcandosi in testa il berretto che aveva indossato per non svelare la propria identità. Era un personaggio conosciuto al grande pubblico tanto quanto Cagalli, che aveva bisogno di camuffarsi anche solo per uscire a mangiare una pizza in santa pace, e non voleva correre il rischio di incappare in inutili seccatori.
Nicol lo stava aspettando e, quando lo vide, Athrun fu improvvisamente catapultato indietro di undici anni.
Rispetto al loro ultimo, tempestoso incontro, il giovane aveva i capelli leggermente più lunghi, e le lenti a contatto che portava questa volta erano ambrate, praticamente identiche al colore di occhi che Nicol possedeva prima dell’incidente. Athrun dovette riconoscere che così la somiglianza con il ragazzo che dimorava nei suoi ricordi era quasi perfetta. Sarebbe potuto passare per un parente molto stretto di Nicol, se non proprio per il fratello maggiore. Soprattutto, fu il sorriso con cui lo accolse che rassicurò l’Ammiraglio Zala; non era più offuscato dalla glaciale indifferenza che gli aveva visto esibire ad Aprilius City. Stavolta, Nicol gli sembrò semplicemente raggiante.

“Ehi, ciao!” lo salutò Athrun, felice allo stesso modo, le inquietudini della notte precedente volatilizzate.
Si accomodò al suo tavolo, chiedendo un caffè alla cameriera, che non diede segno di averlo riconosciuto.
Dopo essersi scambiati pochi convenevoli, il giovane Ammiraglio chiese immediatamente a Nicol quello che più gli premeva sapere, curioso di scoprire cosa aveva portato l’amico ad Orb. La risposta che ricevette lo sconvolse.

“La mia ragazza ha ricevuto una proposta di lavoro da Morgenroete, ci siamo trasferiti qui per quello.”

“Tu vivrai qui? E… hai una ragazza?” ripeté Athrun, dissimulando un sorriso.
Si ricordava Nicol come un ragazzino timido che arrossiva impacciato ed imbarazzato quando Miguel organizzava visioni comunitarie di film pornografici, e l’aveva invece ritrovato come un giovane uomo attraente e sicuro di sé; realizzò che non si sarebbe stupito così tanto della cosa, se non avesse saputo quello che Nicol aveva passato negli ultimi undici anni. Un’ombra di inquietudine offuscò la felicità di Athrun, che si chiese chi mai potesse essere la donna che aveva deciso di stargli accanto.

L’amico, intanto, stava annuendo convinto. “Sì, lei è stata molto contenta di accettare quel lavoro. E io di venire qui con lei.”
“Non mi hai detto nulla quando ci siamo sentiti, poco tempo fa.”

“Non eravamo ancora sicuri. Non volevo darti una notizia infondata.”

Athrun cercò capire dal suo tono di voce se Nicol gli stesse mentendo, senza riuscirci. A lui però la faccenda sembrò molto strana, e si ripromise di indagare oltre. Immaginava che l’amico avesse segreti che non gli potesse rivelare, ma che per la sicurezza nazionale lui dovesse conoscere. Sperò, pregò che davvero Nicol non gli stesse nascondendo nulla.

Il giovane dovette percepire il suo disagio, perché il suo sorriso si attenuò sensibilmente.
“Non mi credi?” gli chiese.
“Certo che sì, è che…” Athrun scosse la testa. “Io lo so per chi lavori. E vorrei che mi dicessi chiaro e tondo, ora, se sei qui per loro.”

“No. Ora non lo sono. Anche se…” Nicol distolse lo sguardo da lui. “Nemmeno io so come stanno davvero le cose. Ma puoi chiederlo a qualcun altro.”

“A chi?”
“Al responsabile del mio gruppo. È qui anche lui. E ti vorrebbe incontrare.”

Non un campanello d’allarme, ma vera e propria sirena cominciò a strillare nella testa di Athrun. Come poteva non stare per succedere qualcosa, se addirittura uno dei capisezione di Serpent Tail era lì sull’isola? Il giovane si guardò in giro, allarmato.

“Dov’è?”

“Non è qui. È rimasto a casa. Ti ci posso portare. Beh, sempre che tu lo voglia.”
Era parte del suo lavoro accertarsi che nessuna minaccia compromettesse la tranquillità di Orb e, pur conscio che in un caso del genere avrebbe semmai dovuto contattare la polizia, la tentazione di andare a controllare con i suoi occhi assalì Athrun. L’Ammiraglio Zala si chiese in che razza di guaio si stava andando a cacciare, sapendo cos’era Nicol e avendo visto cos’era riuscito a fare su Aprilius One.

Ma lo sguardo franco dell’amico lo rassicurò.

“Non ti devi preoccupare” dichiarò Nicol. “Non farei mai nulla che ti possa mettere in pericolo.”

E la rassicurazione, pronunciata da quello che aveva quasi sacrificato la sua vita per salvarlo, sembrò ad Athrun ragione sufficiente per alzarsi e seguirlo fuori dal locale.



Le parole di Nicol gli vennero tragicamente in mente una mezz’ora dopo quando il Coordinator dai capelli verdi, al volante dell’auto sportiva che aveva visto parcheggiata accanto alla sua, imboccò la strada costiera percorrendo le strette curve ad una velocità di quasi duecentocinquanta chilometri all’ora.

Athrun si assicurò per la decima volta di avere la cintura allacciata, gesto che non sfuggì all’amico.

“Vado troppo forte?”

“Di esattamente centosessanta chilometri all’ora sopra il limite” replicò Athrun esibendo un sorriso tirato. Non aveva dubbi che, per come guidava sicuro, Nicol sapesse perfettamente controllare quel bolide, ma lui avrebbe di certo preferito godersi il viaggio a ben altra velocità.

“Oh, pazienza, tanto da queste parti non passa mai nessuna pattuglia.”
“E tu come lo sai?”

“Posso intercettare le loro reti. E questa macchina è in ogni caso molto più potente di tutte le loro” gli rispose Nicol facendogli l’occhiolino.

Athrun se ne fece una ragione. Era indecoroso per un pilota di Mobile Suit lamentarsi della velocità di una mera automobile, per cui se ne stette stoicamente seduto al suo posto per il resto del breve viaggio, chiedendosi chi mai aveva insegnato al suo amico a guidare in quel modo.



Il posto dove Nicol aveva detto di essersi trasferito era una villa in stile moderno, abbarbicata su una scogliera a picco sul mare. Non era visibile dalla strada principale, ma vi si accedeva tramite uno stretto vialetto, la cui entrata era nascosta tra bassi palmizi. Davanti alla villa Athrun vide parcheggiata una seconda macchina, un SUV color arancio che gli fece torcere il naso dal disgusto; in cuor suo sperò che non fosse la misteriosa fidanzata dell’amico che avesse così poco buon gusto da andare in giro con un mostro simile.

Si tenne la curiosità perché Nicol, che aveva intanto posteggiato, scese dall’auto e gli chiese di seguirlo; insieme, oltrepassarono il cancello d’ingresso.

Una volta dentro, Athrun sorrise alle scelte di chi aveva arredato e costruito quel posto. La villa era un gioiello architettonico, la cui parte centrale era scavata direttamente nella roccia della scogliera, mentre il fronte era abbellito da numerose terrazze sospese sul mare e sorrette da contrafforti sottili, bianchi come ali di gabbiano. Una delle terrazze ospitava una piscina, e fu là che Nicol lo condusse.

“Ma dov’è andato a finire?” Athrun sentì l’amico chiedere a nessuno in particolare.

Dall’alto, una voce però gli rispose. “Ehi! Eccovi! Certo che sei incorreggibile, Nicol! Ti spedisco a fare un giro e torni con un ragazzo? Non potevi portarmi una bella fighetta?”

La voce gli suonò familiare, pensò Athrun mentre si girava verso il proprietario. Che si trovava sul belvedere sopra il loro, in controluce.

“Scendo subito!” urlò sparendo alla vista.

“Scusa. Invecchiando è peggiorato” gli fece Nicol, imbarazzato.
L’aveva detto come se Athrun dovesse conoscerlo, ma non riusciva a capire come. Glielo stava per domandare quando lo sconosciuto riapparve, sbucando da una porta a vetri e andando deciso verso di loro.

La tenuta casual, bermuda kaki ed infradito, fu la prima cosa Athrun notò, insieme alla camicia hawaiana, gialla decorata con dalie color panna. Poi i capelli color oro, corti sulla nuca e scalati sul davanti, con una pesante frangia che gli ricadeva sugli occhi. Anzi, sui grossi occhiali da sole. La parte superiore del volto dell’uomo era sfigurata da una brutta cicatrice, ma non era così rovinata che Athrun Zala non riuscisse a non riconoscerlo.

Il giovane sentì come se tutto il sangue avesse abbandonato il suo corpo, mentre l’altro si fermava a pochi passi da lui, allungandogli un bicchiere dove cubetti di ghiaccio navigavano in un liquido ambrato.
“Tieni. Rhum cubano, invecchiato venticinque anni. Ho pensato ne avessi bisogno.”

Athrun annuì debolmente, afferrando il bicchiere e scolandoselo tutto in un unico sorso. Come aveva preventivato, era così sconvolto che nemmeno l’alcool gli fece effetto.

“Miguel Ayman” balbettò. “E tu che diavolo ci fai qui?”

Il suo ex-tutor, l’uomo che aveva creduto morto ad Heliopolis, torse le labbra in un ghigno. “Mi godo lo stupendo clima di questa isola, cos’altro?”
Athrun non riuscì ad ascoltarlo oltre. Si dovette sedere, prendendosi la testa tra le mani sotto lo sguardo preoccupato di Nicol.

“Athrun! Stai bene?” gli chiese l’amico.
Il giovane Ammiraglio sentì Miguel rispondere per lui.

“Sì sì, stai tranquillo! Vai a prendergli un altro bicchiere di rhum. Dobbiamo festeggiare il nostro incontro.”

Più di tutto, più ancora della sua stessa presenza fisica, fu quel tono diabolicamente allegro e astuto che confermò ad Athrun che chi aveva davanti era davvero Miguel Ayman.

Lo guardò sconvolto. Adesso, le coincidenze cominciavano ad essere decisamente troppe.

***

 Una divisione di Morgenroete era dedicata alla preparazione fisica dei piloti di Mobile Suit. Erica Simmons aveva prenotato il laboratorio di prova per l’intero pomeriggio, sbattuto fuori tutto il personale, e si era rinchiusa dentro con Cecilia Jesek e la sua amica Lorran. Che da circa un’ora stava correndo sul tapis roulant, ad una velocità costante di quaranta chilometri all’ora, senza nemmeno avere il fiatone. Anzi, ogni tanto canticchiava pure.

“È stonata” fece notare Erica a Cecilia, che scosse le spalle.

“Purtroppo c’era un limite a quello che potevamo fare. E poi non ci serviva una cantante pop.”

“Peccato, perché la tua amica ha proprio il look giusto per far impazzire schiere di ragazzini.”

Cecilia si mise a ridere, ed Erica la imitò.

Dopo un primo, cauto approccio, la Direttrice di Morgenroete stava scoprendo gradevole la compagnia della scienziata americana, anche se trovava la donna anche parecchio eccentrica. Ma scientificamente era preparatissima, ed era quello che a lei interessava di più.
“Che intendi dire con quel ‘serviva’, Cecilia?” le chiese, tornando seria, e dopo aver lanciato un’occhiata ai parametri vitali di Lorran, tutti assolutamente nella norma pur sotto sforzo.
Cecilia si portò la mano stretta a pugno sotto il mento. “Il fine del progetto STORM era di trasformare i prigionieri in armi perfette. All’Alleanza non servivano dei burattini senz’anima, ma ricevemmo comunque l’ordine di sostituire arti e organi interni danneggiati solo nella misura in cui gli sarebbero stati necessari per combattere.”
“Non credo di capire” le disse onestamente Erica, corrugando le sopracciglia. Guardò Lorran, la quale, almeno esteriormente, non sembrava diversa da una normale ventenne.
“Prendi i suoi occhi. Avremmo potuto impiantarle dei normali bulbi oculari, ma ci fecero sviluppare dei prototipi con il preciso scopo di essere utilizzati in battaglia.”
“Sì, quella è la cosa più palese. Eppure, per il resto, mi sembra sia tutto regolare.”
“A prima vista” le spiegò Cecilia. “Perché sono stati progettati per confondersi con gli esseri umani, non avrebbe avuto senso farli diversi. Come hai notato ieri al check-point, tutti gli impianti cibernetici di Lorran sono costituiti di materiali biocompatibili rilevabili unicamente tramite termografia computerizzata, e non dai normali strumenti diagnostici. Abbiamo fatto le cose per bene, camuffando i circuiti e le aree di interfaccia all’interno delle articolazioni, utilizzando chip in grafite, i più piccoli al mondo; mentre i muscoli e gli organi interni artificiali non hanno un aspetto o una funzione diversa dal normale. Sono solo estremamente più efficienti.”

“E le ossa?”

“Rimpiazzate da un endoscheletro in superlega di titanio.”

Erica indicò Lorran.

“Quindi, quanto di quella ragazza non è sintetico?”

“Molto poco” rispose Cecilia, fissando Erica con uno sguardo che lei non riuscì a decifrare. La scienziata sembrava più compiaciuta che impietosita per l’amica, come la Direttrice di Morgenroete avrebbe forse ritenuto normale.

“Lei era una di quelli messi peggio. Non era un pilota, faceva parte del personale di qualche nave abbattuta. La trovarono in uno shuttle precipitato a terra, tra i corpi dilaniati dei suoi compagni. Aveva ustioni tra il secondo e il terzo grado sul novanta percento del corpo, e nell’impatto aveva riportato lo sfondamento del massiccio facciale e lo schiacciamento di tutti gli arti, che le furono subito amputati.”

Erica si irrigidì, fissando Lorran che correva lieta ammirandosi le lunghe unghie laccate di rosso. Anche Cecilia seguì il suo sguardo, anticipandone la domanda.
“Però respirava ancora, e cervello e midollo spinale non avevano riportato danni. Operammo una ricostruzione del suo corpo al settantacinque percento, una delle percentuali più alte. Ma quando si fu ripresa pretese ulteriori modifiche che la commissione militare fu felice di concederle. E altre migliorie gliele ho apportate personalmente nel corso degli anni.”
“Perché?” chiese Erica, che non riusciva in nessun modo a capire perché una persona avrebbe desiderato di sua volontà di essere trasformata in una bambola meccanica.
“Non ho la minima idea di come fosse prima, ma ci chiese di renderla bellissima e letale. I militari non aspettavano altro.”

Erica aggrottò le sopracciglia, incuriosita sempre di più da quello che l’americana le stava svelando. “In che senso?”
“Tutti i ragazzi Coordinator che ci arrivarono erano considerati niente più che cavie. Ai meno gravi però, furono solo impiantati nuovi arti, mentre gli organi interni gli furono trapiantati invece che sostituiti con i corrispettivi sintetici.” Cecilia si interruppe per un momento, ed Erica vide un curioso spasmo contrarle l’angolo della bocca. “Ma su quelli in condizioni peggiori i vertici dell’Alleanza ci ordinarono di eseguire esperimenti ben più arditi; tanto nessuno aveva nulla da perdere, né noi né quei poveretti. Nei progetti dei militari, se i nostri tentativi fossero andati a buon fine, tutti i soggetti avrebbero poi dovuto subire un upgrade verso gli stessi estremi rimpiazzi.”

Erica era una donna che aveva assistito nella sua vita a molte atrocità ma si sentì comunque sbiancare. “Volenti o nolenti?”

Dopo un attimo di esitazione, Cecilia annuì. “Sì. Anche se i militari erano convinti che sarebbero stati gli stessi pazienti a volerli, un po’ come successe a Lorran.”
La Direttrice di Morgenroete continuava a non capire come avrebbe potuto essere possibile, ma poi si ricordò che non si stava parlando di civili ma di soldati impegnati a combattere una guerra. Forse era vero che, nel tentativo di essere più performanti in battaglia, alcuni di loro avrebbero anche potuto desiderare per se stessi una cosa così mostruosa.
Cecilia la fissò. “Ti vedo sconvolta. Ma non dovresti esserlo. Voi Coordinator non siete comunque nati tutti tramite manipolazione genetica? Quello che gli abbiamo fatto è solo un’ulteriore modificazione.”
“Non è quello il punto, Cecilia. Rimane il fatto che nessuno, all’inizio, gli ha chiesto il permesso di essere trasformati in cyborg.”
“E allora? Se è per questo nemmeno nessuno di noi ha avuto il privilegio di scegliere se essere Natural o Coordinator.”
“Non c’entra nulla. I Coordinator nascono dal sogno dell’uomo di eliminare gli errori genetici, in modo da non trasmettere alla propria discendenza malattie mortali ed invalidanti, ed avere figli più forti, sani ed intelligenti. Mentre il fine del vostro progetto era di creare soldati perfetti, l’hai detto tu stessa prima. E poi, i vostri… ‘pazienti’ erano cavie, no? Anche questo l’hai affermato personalmente.”

Dallo sguardo che le lanciò Cecilia, Erica si rese subito conto di aver esagerato. Stava per scusarsi, ma l’americana la anticipò.
“Sì” le rispose, sorprendendola. “E io sono l’artefice materiale di tutto quello che gli stato fatto. Ma credi forse che se li avessimo messi in condizione di scegliere qualcuno avrebbe rifiutato? Ricordati che oggi sarebbero morti senza quegli impianti.”

Cecilia le diede le spalle, e appoggiò una mano alla vetrata che divideva la stanza che occupavano dal laboratorio vero e proprio.
“Il mio sogno non era di creare armi, ma di dare una speranza e una seconda vita proprio alle vittime dei conflitti di voi adulti. Sono nata e cresciuta in un mondo nel quale gli esseri umani erano pezzi di carne mandati al macello, e ridati in brandelli ai loro genitori, e non mi sento colpevole per aver studiato un modo di alleviare le sofferenze di quei poveretti. Come le ricerche sull’ingegneria genetica furono utilizzare da gente senza scrupoli per produrre dei mostri, così io non mi ritengo eticamente responsabile per il modo in cui l’Alleanza decise di sfruttare i miei lavori.”

Erica la vide scuotere la testa di capelli ricci, e abbassare sensibilmente la voce. “Io non mi rimprovero nulla. Perché gli ho salvato la vita, e li ho messi in condizione di rispondere ad ogni minaccia esterna. Nel corso degli anni, ho aiutato a migliorarsi chi me l’ha chiesto. Avrei solo voluto che fin dall’inizio avessero potuto scegliere da che parte stare, e decidere in libertà se continuare a combattere o tornarsene a casa, ma non gli è stata data nessuna possibilità. Non pretendo che tu capisca, ma sappi che questi ragazzi significano tutto per me. Non sono solo il mio lavoro e il mio esperimento più riuscito, ma i miei unici amici. E la mia famiglia.”
Finalmente, nel tono leggermente presuntuoso della donna più giovane, Erica avvertì una vena di dolore che la sbalordì. L’attaccamento di Cecilia a quel progetto, e ai suoi pazienti, le sembrò che andasse decisamente oltre quanto solitamente succedeva nella comunità scientifica, dove era la norma che gli scienziati si affezionassero ai propri lavori. E poi, trovava curioso che parlasse sempre del progetto come suo.

Si schiarì la voce, per spezzare la tensione. “Va bene, ma che mi dici degli altri tuoi colleghi che lavoravano a STORM? Che fine hanno fatto?”

Cecilia alzò le spalle. “Il gruppo originario fu sciolto dai Logos poco prima che il centro ricerca venisse attaccato da Serpent Tail. Negli anni ho rintracciato pochissimi altri, grazie a pubblicazioni su riviste specializzate in biorobotica; credo che la maggior parte viva sotto falso nome, un po’ come me. Ci minacciarono di morte se avessimo divulgato gli esiti delle nostre ricerche e, anche se Logos e Blue Cosmos sono stati oramai da tempo debellati, probabilmente nessuno degli altri è stato abbastanza coraggioso da esporsi.”
L’americana riportò la sua attenzione su di lei, stirando le labbra in un lieve sorriso. “Direttrice, al momento i risultati di quelle ricerche sono in mano mia, e di Serpent Tail. Prima di portarci via da Nassau si assicurarono di non lasciare nulla ai Logos, nemmeno i loro scienziati che vennero rapiti. Non so che fine abbiano poi fatto. Oltretutto, molti dei progetti più avanzati non erano ancora stati brevettati, per cui puoi capire come, al momento, i mercenari ne abbiano la totale esclusiva. E, visto che quei risultati erano stati conseguiti grazie quasi unicamente al mio lavoro, ti posso assicurare che non c’è nessuno al mondo in grado di replicarli. Eccetto la sottoscritta.”
“Ne sei certa?”
“Sì. Qualcosa di simile ai miei impianti è apparso sul mercato, negli anni, ma non a quei livelli di sofisticazione.”

Erica Simmons annuì, studiando gravemente Cecilia. Se le cose stavano davvero così, poteva capire perché la donna parlasse così appassionatamente del progetto STORM.

Rispetto a quello che si erano dette prima, le responsabilità morali dell’americana verso i Coordinator utilizzati come cavie erano gigantesche e, malgrado le sue parole orgogliose, Erica intuiva che Cecilia dovesse soffrirne parecchio, ma non le interessava rinfacciargliele. I dilemmi di coscienza di Cecilia erano solo suoi, mentre rimaneva una brillante scienziata, che loro di Morgenroete dovevano avere a tutti i costi. Il problema era unicamente il gruppo mercenario per il quale Cecilia lavorava.
Erica decise di parlarne con Athrun Zala. Lui aveva conosciuto le ‘creature’ di Cecilia, e lui era l’unico che potesse convincere Cagalli Yula Athha che, per una volta, collaborare con Serpent Tail era questione di sicurezza nazionale.

***

Athrun era da molto che non beveva. Nessuno dei suoi amici lo faceva, e l’ultima volta che aveva ecceduto era stato alla festa che gli avevano organizzato per la nascita delle figlie. Ma, tutto preso dal racconto di come Miguel era sopravvissuto a Heliopolis, non si era per niente reso conto di aver buttato giù qualche bicchiere di troppo. Fino a quando non provò ad alzarsi.
Perse l’equilibrio e si ritrovò sul divano, sotto gli occhi di uno sghignazzante Miguel.

“Athrun, ti perdo di vista per qualche anno e ti ritrovo ridotto ad una casalinga? Senza di me vi siete proprio rammolliti.”
“Piantala” biascicò il giovane, al settimo cielo. Un po’ per l’effetto dell’alcool, un po’ per l’adrenalina in circolo, gli sembrava che il luogo dov’era fosse una sorta di realtà alternativa, un Paradiso al di fuori del tempo e dello spazio dove tutti i suoi sogni più irrealizzabili erano divenuti realtà. Non la finiva di meravigliarsi di essere davvero nella stessa stanza con Miguel Ayman e Nicol Amalfi, gli amici che più gli erano mancati, intenti a lanciare comandi vocali al televisore.

“FX.”

“Network 5.”

“Channel 6” gridò Miguel, e la voce acuta di una cantante pop asiatica riempì il salone.

“Basta!” rise Nicol. “Come fa a piacerti questa musica? È insopportabile.”

“Senti, non fare l’intellettuale. Tu eri tra quelli che adoravano le lagne di Lacus Clyne, me lo ricordo bene” ritorse Miguel, facendo l’occhiolino ad Athrun.

Nicol guardò invece lo schermo che, senza che avesse aperto bocca, improvvisamente si sintonizzò su un canale di news.
Il giovane fece il segno della vittoria. “E l’ho anche bloccato.”

“Che brutto bastardo” gemette Miguel, lanciandogli un cuscino. “Ti odio quando usi questo sistema per fregarmi. Spero che prima o poi ti si frigga il cervello.”
“Non contarci.”
Ridacchiando Nicol si allontanò, portandosi dietro la bottiglia di rhum quasi interamente scolata. “E basta bere. Se Athrun sta male mentre lo riporto a casa quando rientro facciamo i conti.”

“Sei proprio una mogliettina affettuosa, bada piuttosto a come guidi” gli urlò dietro Miguel, mentre Athrun arrossiva, stranamente compiaciuto. Dopo tanti anni davvero non era cambiato niente tra loro, o così era a prima vista. Eccetto che per una cosa. Indicò il televisore.

“Come ha fatto?”

Miguel scosse la testa, indicandosi la tempia. “Tramite quel nanocomputer che ha in testa può agganciarsi a tutte le reti wireless aperte. E anche a quelle criptate, se riesce a scoprire la password. È piuttosto… comodo. Per molte situazioni. Non che io vorrei mai una cosa del genere impiantata nel cervello, sia chiaro.”

Athrun annuì, soffocando un brivido. Qualunque menzione a ciò che avevano fatto a Nicol lo metteva profondamente a disagio. Scherzandoci insieme era facile far finta che tutto fosse normale, anche se doveva cercare di non pensare a quello che il giovane dai capelli verdi aveva sotto la pelle.

“Come sta?” chiese a Miguel, che gli sorrise malinconicamente, mentre finiva di bere il suo drink.
“Fisicamente meglio di me e di te messi insieme. Psicologicamente…” l’ex-tutor di Athrun posò cautamente il bicchiere di cristallo su un basso tavolino. “Questi anni sono stati davvero molto difficili per lui, soprattutto i primi, quando era costretto a lavorare per i Logos. Questo, dopo essere stato separato dalla sua vecchia vita così brutalmente. Il trauma fu immenso; sai che riusciva addirittura a negare che lui e il figlio di Yuri e Romina Amalfi fossero la stessa persona? Ma da quando vi ha rivisti è in qualche modo venuto a patti con il suo passato, e adesso sta davvero molto meglio.” Miguel fece cenno ad Athrun di avvicinarsi, poi abbassò la voce in un sussurro. “Anche se, ovviamente, come tutti quelli come lui è un po’ fuori di testa. Ma sai, non gli si può rimproverare nulla, poveretto. Tu come ti sentiresti se ti svegliassi un mattino scoprendo di essere l’anello mancante tra un essere umano e un robot da cucina multifunzione?”

“Piantala di dire sciocchezze, Miguel!” gli fece eco la voce sdegnata di Nicol, dalla cucina dove era sparito.

Il biondo si passò una mano nei capelli, roteando gli occhi verso il soffitto. “Cazzo! Non posso neanche parlargli dietro che quello mi sente dappertutto. Ehi, smettila di origliare e fammi un cocktail dai, ho sete.”

Athrun non riuscì a non mettersi a ridere davanti alla gustosa scenetta famigliare tra i due, profondamente sollevato. Riusciva a percepire come Nicol fosse molto meno cupo e riservato rispetto al giovane che l’aveva minacciato su Aprilius One, ma averne la conferma da qualcuno che gli era stato accanto negli ultimi anni lo riempiva di gioia.

“E tu” chiese a Miguel. “Tu come stai?”

Il biondo si mise a ridere. “Io? Benissimo. Ma io sono sempre stato un dannato bastardo, fin da prima di arruolarmi in ZAFT. Non confondermi con voi pivelli; l’ho capito fin dal nostro primo incontro che voi, figli di papà, eravate i primi a scuola ma che nessuno del vostro gruppo, nemmeno Yzak e Dearka, nonostante tutta la loro arroganza, era psicologicamente preparato ad affrontare le conseguenze di una vera guerra. Nemmeno quel poveraccio di Rusty, che non era un raccomandato come voi, ma che aveva pure lui la testa piena di quelle cazzate eroiche e patriottiche sentite in televisione.”
Athrun, consapevole della verità celata in quelle parole, arrossì profondamente.
“Lo so… eravamo a modo nostro degli idealisti, arruolati sulla scia di quello che era successo a Junius Seven, ma ancora oggi dubito che avessimo davvero la vocazione di diventare dei soldati.”
“No. Vi avevano educati per vivere in un mondo pacifico, non per ammazzare della gente. Non vi siete mai chiesti cosa avreste fatto nel caso in cui la guerra non fosse scoppiata?”

“Certo” un sorriso melanconico affiorò sulle labbra di Athrun, al ricordo dei primi tempi passati sulla Vesalius, insieme ai suoi compagni di squadra. “Più che altro pianificavamo quello che avremmo fatto una volta finite le ostilità, nelle quali oramai c’eravamo dentro fino al collo. Io sognavo di continuare gli studi e di diventare un ingegnere, per costruire cose utili alla gente. Nicol sarebbe diventato un pianista famoso, ovviamente, anche se pure lui voleva laurearsi. Yzak era determinato a seguire le orme della madre, e farsi eleggere nel Consiglio. Dearka non aveva molto le idee chiare, ma ogni tanto affermava che gli sarebbe piaciuto diventare un popolare pilota di Formula Uno, ammirato e pieno di donne. Rusty si limitava ad ascoltarci e ridere. Ci stuzzicava dicendo che eravamo proprio fortunati ad avere progetti da ricchi, noi principini dei piani alti.” Athrun scosse la testa. “Quanti sogni che avevamo. E pensare che l’unico che è andato vicino a realizzarli davvero è proprio Yzak. Anche se ha lasciato il Consiglio un paio di mesi fa per rientrare nell’esercito a tempo pieno. Diceva che la politica lo annoiava.”

“Ci posso credere. Lì non può abbattere i suoi nemici a colpi di cannone” esplose Miguel, ridendo sonoramente. “Ai tempi tutto l’esercito parlava di voi. I figli dei Consiglieri in prima linea; giovanissimi, incoscienti e sognatori. Eppure avete svolto bene il vostro compito. Non l’avrei mai detto che sareste sopravvissuti, ma in qualche modo eccovi qui. Quasi tutti” soggiunse lanciando uno sguardo ad una foto incorniciata conservata accanto al televisione. Athrun la conosceva bene. Era stata scattata il giorno del loro diploma, e anche lui la conservava come un cimelio prezioso. C’erano tutti là sopra. Anche Rusty.
Miguel riprese dopo aver esalato un profondo sospiro. “Dicevo… eccovi qui: il più giovane Ammiraglio di Orb, un Comandante di flotta, il responsabile militare di un’importante ambasciata, e un mercenario di Serpent Tail. Ne avete fatta di strada da allora” disse indicando la foto. “Ma adesso? Che ti riserverà il futuro, Athrun Zala?” gli chiese Miguel, fissandolo.

Lui scosse la testa, posando gli occhi sul bicchiere vuoto che ancora reggeva. “La pace. È tutto quello che voglio, per me e per la mia famiglia.”
“E tu ci credi davvero?”
“Fermamente. Molto lavoro è stato fatto in questi anni. Le Nazioni Unite sono state ricostruite e, intensificando gli scambi e le collaborazioni tra i PLANT e la Terra, anche con esercitazioni militari congiunte, sono state eliminate le cause delle guerra precedenti. Io e Cagalli siamo la prova vivente che un futuro insieme non è solo auspicabile, ma possibile. D’altronde, né la Terra né i PLANT possono fare a meno gli uni dell’altra, e viceversa.”
Miguel si mise a ridere, come se Athrun avesse detto una barzelletta. “Sembra di sentire parlare Lacus Clyne. Ma non ti dimenticare che esistono ancora gruppi, da tutte e due le parti, che faranno di tutto perché questo vostro sogno non si realizzi.”
“Non è un sogno” puntualizzò il giovane dai capelli blu. “Viviamo già in un mondo pacifico.”
Miguel gli lanciò un’occhiata, e nemmeno la sbornia poté nascondere ad Athrun quanto fosse indulgente. Ma lui non se ne curò, sapendo quanto il biondo fosse cinico e disilluso. Non gli importava. Per Athrun il sogno di un futuro di pace era già la realtà. Lo viveva tutti i giorni.

Con un repentino cambio di umore, Miguel ritornò improvvisamente allegro. Estrasse da dietro uno dei cuscini del divano un’ennesima bottiglia di rhum ancora sigillata, la aprì e gliene versò una generosa dose.

“Hai ragione, hai ragione. Non dare peso alle parole di un vecchio soldato indurito da mille battaglie” tuonò. “Brindiamo al tuo mondo in armonia, allora!”



Appoggiato allo stipite della cucina, Nicol guardò Miguel che terminava di far ubriacare Athrun, il quale si era chiaramente dimenticato il perché era lì. Era quello su cui contava il biondo fin dall’inizio, e Nicol gli doveva dare atto di essere un vero asso nel raggirare il prossimo. Lui incluso.
In contrasto con le risate dei suoi amici, alla televisione stavano passando immagini di imponenti manifestazioni in corso in ogni capitale terrestre, e scene di quello che sembrava un litigio furibondo nel parlamento di una città che il giovane riconobbe come Nairobi. Memore di quello che gli aveva detto un paio di giorni prima Miguel, Nicol selezionò di nuovo il canale di musica pop. Qualcosa di grosso stava arrivando di certo ma decise, afferrando un cartone di succo di frutta e andando a raggiungere i suoi amici, che si sarebbe goduto la vacanza fino a quel momento.



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Intanto grazie a tutti per i commenti assolutamente positivi, non me li aspettavo, davvero, e mi hanno fatto molto piacere :)
In primis ringrazio (di nuovo), Shainareth per il betaggio e le chiacchiere, e Hanako_chan per le recensioni sempre bellissime!
Gufo_Tave Grazie per la fiducia, e per averla già messa tra i preferiti! XD Yeah, nei primi capitoli mi dedicherò un attimo ad amalgamare il cast e parlare di cose frivole, anche se… beh, qualche avvisaglia della tempesta che sta per scoppiare l’ho già seminata qua e là. In futuro chissà che non vedremo qualche bel Mobile Suit che sono mancati nell’altra storia ;)
MaxT Grazie per il consiglio sulle descrizioni. Sì, è un po’ il mio punto debole, lo riconosco. Il mio problema è che alla fine descrivo solo quello che trovo interessante, e nel novanta percento delle volte i luoghi dove si trovano i miei personaggi non lo sono per niente. Rimedierò trovando location più adatte! ;)
Kourin Ti confesserò che anche i miei occhi sbriluccicano per l’emozione! I ragazzi tutti riuniti è un sogno che dovevo realizzare, dannazione! XD Gli Amalfi... se penso a loro, a tutti loro, mi commuovo ancora, sono contenta che ti siano piaciuti. Beh, Nicol riesco ad immaginarmelo davvero un po’ naif anche da grande (se fosse cresciuto), sempre un po’ ragazzino, solare e positivo. Okkei, il mio Nicol sta tentando di esserlo, dopo quello che gli è capitato ;)

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Capitolo 3
*** Nexus ***


Nexus



Orb, 19 marzo 82 C.E.


Faceva caldo in quell’inizio di primavera, anche per un paese tropicale come Orb, e quella sera Cagalli e Athrun avevano deciso di cenare con i propri ospiti nel gazebo posto al centro del giardino della loro villa, tra palme, piante di buganvillea, e stagni da cui crescevano carnose orchidee e altri fiori tropicali, lasciati prosperare in armonico disordine dai capaci giardinieri del Delegato di Orb.

Athrun prese una cucchiaiata di dolce, guardando di soppiatto Miriallia che litigava a Dearka la più grossa fragola della torta.

“Ma sei incorreggibile!” si lamentò lui, al quale la preda era appena sfuggita, infilzata sulla forchetta della fidanzata.

“Non fare il bambino! E da quando in qua ai ragazzi piace la frutta? Accontentati di tutta la panna e del resto. La tua fetta è il doppio della mia.”
Cagalli rise alla scena. “Dearka, guarda che di fragole ce ne sono quante ne vuoi.”
“Appunto. Non ti lamentare, sei peggio di Nina” lo canzonò Miriallia e, al solo sentire il nome della figlia degli Amalfi, il biondo militare esibì una smorfia di panico che non sfuggì ad Athrun.

Che si mise a ridere sommessamente. “Perché quella faccia? La piccola non ti era così simpatica?”
“Adesso che l’ho conosciuta meglio ho scoperto che è gradevole come una pigna in c…” cominciò lui interrotto, prima che dicesse una volgarità, da una gomitata della fidanzata.

“Smettila. È una ragazzina molto simpatica, sveglia ed intelligente. E si vede che è innamorata di te, ti cerca sempre. Anche oggi voleva uscire con noi.”

“Figurati se mi rovino il pomeriggio libero andando in giro con quella seccatrice” ritorse lui, tra le risate generali, che si intensificarono quando gli amici lo costrinsero a confessare la causa della sua repentina antipatia per la piccola Amalfi.

Rosso in viso, Dearka affondò lo sguardo nel suo dolce. “Due giorni fa l’abbiamo portata a prendere un gelato e la commessa si è complimentata per la nostra bella figlia. Quella pestifera creatura mi ha chiamato ‘papino’ per il resto del pomeriggio.”
“È perché ti vuole bene, scemo! E non è colpa sua se un poco ti somiglia davvero” sogghignò Miriallia, il cui sguardo adorante non sfuggì ad Athrun. Che si chiese se grazie a quel trasferimento finalmente il sogno della giovane di mettere l’anello al dito al bel Dearka sarebbe divenuto realtà.

Accanto a lui, Cagalli si alzò. “Bene, vi lascio alle vostre chiacchiere e mi assento una mezz’oretta. Voglio dare personalmente l’ultimo biberon alle bimbe e metterle a letto.”

La giovane li salutò dopo essersi servita una seconda porzione di dolce, e sgattaiolò via portandosi appresso il piatto, seguita da Miriallia.

“Ti faccio compagnia.”
Le due amiche si allontanarono parlottando lungo il vialetto, illuminato dalla luce soffusa di faretti strategicamente piazzati a terra, mentre i loro compagni le guardarono andarsene, per poi fissarsi. Un’ombra di sollievo passò sul volto abbronzato di Dearka. “Meno male, credevo non ci mollassero più. Stavo morendo di curiosità. Dai, racconta. Quello è davvero Miguel?” chiese all’amico, finendo l’ultimo boccone di torta.

L’Ammiraglio Zala fece lo stesso, portandosi anche alle labbra un sorso di vino. Aveva accennato a Dearka che Miguel e Nicol erano ad Orb la sera prima al telefono, avvertendolo di non dire nulla a Miriallia, ma non avevano avuto ancora l’occasione di parlarne a quattr’occhi.

“Proprio lui in carne, ossa, e battute al vetriolo” rispose a Dearka. “Mi ha raccontato la storia incredibile di come è sopravvissuto, e l’avrei detta una palla clamorosa, se non l’avessi avuto davanti.”

“Quindi non è come Nicol?”

Athrun scosse la testa. “No. Miguel è umano al cento per cento. Ma anche lui è affiliato a Serpent Tail. Anzi, è uno dei loro capisezione.”
“Merda. E cosa ci fa qui?”

Athrun arrossì. Lui non ne aveva la minima idea. Era andato per scoprirlo ma si era ritrovato ubriaco fradicio e con un pugno di mosche in mano. Però doveva riconoscere di aver passato uno dei pomeriggi più felici di quegli ultimi anni. Dovette limitarsi a confessare il poco che Miguel gli aveva detto.

“Pare che sia qui a causa di Nicol, il quale, a sua volta, si è trasferito perché la fidanzata è stata assunta a Morgenroete.”

Dearka, che aveva aggrottato le sopracciglia alla parola ‘fidanzata’, esplose in una risata fragorosa.

“Scusa ma mi sembra proprio una cazzata. Intanto vorrei conoscerla la donna che fa fare qualcosa a Miguel se, come mi hai detto, non è affatto cambiato rispetto al nostro vecchio tutor.”
“Lo so” gli rispose Athrun pensosamente, rimestando con la forchetta gli avanzi di crema rimasti nel piatto. “E poi, forse come scusa reggerebbe anche, considerato che questo posto è uno dei più belli al mondo, se entrambe le persone di cui stiamo parlando non facessero parte di Serpent Tail.”
Lanciò un’occhiata a Dearka. “Tu sai come funziona la loro organizzazione?”
“Me ne sono interessato un po’ solo dopo quell’attentato su Aprilius One. Ma fammi un riassunto. So che sono divisi in squadre separate, giusto?”

“Sì. Il nome ‘Serpent Tail’ in realtà raggruppa un’intera galassia di piccoli gruppi mercenari, sparsi su tutta la Terra, e con l’unico obbiettivo di fare soldi. Non gli interessa il potere o il controllo sulle nazioni, solo guadagnare abbastanza dalle disgrazie altrui. I diversi gruppi agiscono separatamente, badando solo a non pestarsi i piedi a vicenda, mentre si dividono un gigantesco network di spie ed infiltrati ad ogni livello. La loro forza militare è notevole, possiedono falangi di Mobile Suits ed esperti strateghi, e non escludo che siano rimasti coinvolti in qualche colpo di stato attorno al mondo. Ma, come ti ho detto, governare è l’ultima delle loro preoccupazioni, essendo unicamente votati al profitto immediato.”
Dearka sogghignò. “Un vero franchising di esperti della guerra in ogni sua forma.”

“Sì, e a disposizione del miglior offerente.”

Dearka si accarezzò la mandibola, impensierito. “Athrun, credi che se fossero qui per quello, per rovesciare il governo di Orb, Nicol te l’avrebbe detto?”

“Certo” rispose Athrun, vigorosamente. “Non mi avrebbe mai taciuto una cosa del genere.”

Lo sguardo che Dearka gli lanciò fu di compatita rassegnazione. “Davvero? Dopo quello che ha combinato ad Aprilius City?”

Athrun annuì lentamente, per far capire a Dearka che su quel punto lui era assolutamente sicuro. “Sì. Lassù ha solo compiuto la missione che gli era stata assegnata, ma gli dobbiamo dare credito che se l’attentatore fosse stato un altro avrebbe causato una strage. E poi tu non l’hai visto e non gli hai parlato. Per tante cose è diverso da come era prima, ma la sua indole è rimasta la stessa. Nicol è una brava persona, onesta e leale.”

Dearka rispose con un ghigno alla sua requisitoria. “Athrun, tu non sei affatto lucido quando parli di Nicol, te ne rendi conto? Yzak me l'ha descritto in termini un po’ diversi, ma forse ancora ce l’aveva per non essere riuscito a pestarlo come voleva. Lasciamo perdere. E Miguel, invece? Lui è sempre stato di tutt’altra pasta, lo sai anche tu, e dubito sia cambiato in meglio. Potrebbe anche non avere detto nulla al tuo amichetto, sapendo che te l’avrebbe spifferato in quattro e quattr’otto.”

Facendo finta di non notare le pesanti frecciatine di Dearka, Athrun scosse il capo. “Non so. Rimane il fatto che è strano che abbia esposto il suo gruppo se davvero avevano in mente un obiettivo così smaccato. Doveva immaginare che la cosa mi avrebbe messo in allarme. E Orb non è uno staterello africano che possono rovesciare in una notte. Avrebbero bisogno di una forza di invasione, e ti ricordo che questo paese ha già resistito per due volte, e contro l’Alleanza Terrestre che disponeva di mezzi ben più consistenti che un gruppo di mercenari.”
“Potrebbero non avere in mente una cosa così eclatante. Sai anche tu che un governo non cade con la sola forza militare. Sei certo che nessuno qui, dei rivali politici di Cagalli, possa aver organizzato il suo assassinio? Lei che ne pensa?”

“Non le ho ancora detto nulla, ha già fin troppo a cui pensare in questi giorni. E riguardo a quella cosa… lo escludo fermamente. È molto amata, pur avendo anche lei i suoi grattacapi. Ma io li conosco tutti i suoi oppositori, e nessuno di loro si abbasserebbe mai ad una cosa del genere. Sarebbe difficile da tenere nascosto, e chi li seguirebbe se venisse fuori? Poi te l’assicuro, posso mettere la mano sul fuoco che come Nicol non farebbe mai del male a me, lo stesso si può dire della mia famiglia.”

Lo sguardo che Dearka gli lanciò fu di divertita sopportazione. “E sempre lì torniamo. È impossibile farti ragionare. Ma bada bene che stai parlando di lui come parlavi di Kira Yamato, e ricordati cosa ti ha fatto, pur non volendolo. Non fare il cretino e pensaci, per favore.”
Athrun lo sapeva. E non era così sicuro di Nicol come voleva farlo sembrare a Dearka. Ancora meno lo era di Miguel. Che per forza gli aveva nascosto qualcosa, ma era convito che nemmeno se ci avesse provato sarebbe riuscito a fare cantare quello che nell’esercito era bravissimo a tenere segrete le proprie scappatelle. Aveva avuto undici anni per affinare la sua tecnica, e ad Athrun non era sfuggito come fosse stato tanto sottilmente quanto efficacemente manipolato.
Allungò l’indice sfiorando il bordo del bicchiere, producendo un suono cristallino ma sgradevole, che riecheggiò attorno a loro. Aveva già deciso come agire.

“Indagherò, non temere. Tanto so dove abitano, manderò qualcuno a tenerli discretamente d’occhio. Ho anche dato ordine di rafforzare la sicurezza intorno a Cagalli.” Athrun appoggiò i gomiti sul tavolo, intrecciando le dita e posandoci il mento sopra. “Convincerò Nicol a dirmi qualcosa di più, tanto nei prossimi giorni lo devo vedere dato che gli sto organizzando un incontro con i suoi genitori.”

“Non mi avevi detto che non voleva avere nulla a che fare con loro?”

“Ha cambiato idea, adesso che vivono nello stesso posto.”

“Beh, sono contento per lui. E sarei proprio curioso di vederlo alle prese con Nina.”

Dearka sghignazzò, ed Athrun con lui, abbandonando l’aria grave che aveva tenuto fino a quel momento.

“Anch’io, da quello che mi hai detto di lei. Anzi, spererei che ci potessimo frequentare più spesso.”

“Non vedo l’ora” assentì Dearka, sventolandogli la forchetta sotto il naso. “Ricordati che quei due erano anche amici miei. Vedi di invitarmi, al prossimo incontro.”

“Lo farò.”
Athrun si passò sovrappensiero una mano nei capelli. “Accidenti. I prossimi giorni saranno davvero impegnativi. Domani ho un incontro a Morgenroete con la Simmons, è da ieri che mi cerca e, con Cagalli in partenza per Ginevra, mi devo attrezzare per non abbandonare le piccole alle sole cure di Miko.”

“Come? Se ne va di già? Ma l’Assemblea Generale è la settimana prossima.”

“Già. Ma i rappresentanti di PLANT e della Federazione Atlantica le hanno fissato una serie di colloqui preparatori con loro. Devono discutere dei rispettivi interessi in Africa.”
Dearka sollevò le spalle. “Eh, lavora troppo. Ma d’altronde la posizione di Orb, e di Cagalli stessa, come mediatore internazionale è unica.”
“Sì, per essere coinvolti ogni volta nelle beghe di questi maledetti litiganti” esalò infastidito Athrun interpretando i desideri della moglie che, in un momento come quello, con la crisi che colpiva duramente anche l’economia dell’Emirato, sarebbe rimasta volentieri a casa inviando solo un rappresentante a Ginevra.
Si alzò, seguito da Dearka, ed insieme si accinsero a rientrare. Il biondo gli diede una pacca sulle spalle, facendogli l’occhiolino.

“Che ci vuoi fare? È la dura vita di chi ha scelto di convolare a nozze, dividendo con l’amata gioie e dolori!”
“E tu ti guarderai bene dal fare una cosa del genere, vero?” gli chiese Athrun, sogghignando. La risposta non fu diversa da quella che si era aspettato.

“Ovviamente!”

Tutti e due gli amici scoppiarono a ridere.

***

Per quanto il clima di Orb fosse caldo, a quell’ora la temperatura lungo le coste era mitigata da una leggera brezza, e Miguel poteva vedere, da come Cecilia si stringeva al collo la sciarpa di seta, che forse faceva addirittura quasi freddo per stare all’aperto. Però era troppo bello mangiare su una terrazza sospesa sul mare, con sulla testa uno splendido tetto di stelle, per cui Miguel allungò la sua felpa alla scienziata, riprendendo a fare onore all’arrosto cucinato dal loro cuoco italiano, dopo aver lanciato un’occhiata al resto dei commensali. Che quella sera non erano il massimo della compagnia.

Lorran era da dieci minuti intenta a piluccare un grappolo d’uva, mentre Nicol sbocconcellava piuttosto di malavoglia qualche patatina fritta. Quel poco che avevano di umano non necessitava di grandissimo nutrimento, ma di solito mangiavano più di così, notò Miguel sospirando silenziosamente di rassegnazione, e chiedendosi quale infimo problema psicologico stesse turbando i due giovani.

Intercettò un’occhiata tra Lorran e Cecilia, e decise che forse era il caso di lasciare le due a parlottare tra loro. Finì il suo pasto in fretta, alzandosi e facendo un cenno a Nicol.

“Gelato?”

Il giovane non se lo fece ripetere due volte. Lo seguì in casa, e Miguel non fu per niente sorpreso di sentire che le loro compagne si erano lanciate in una fitta conversazione non appena si erano allontanati.

“Donne…” esalò placidamente, ficcandosi le mani nelle tasche dei morbidi pantaloni cargo. Lui non le avrebbe mai capite.



Una volta in cucina, spalancò la porta del frigorifero e vi estrasse una confezione di gelato alla vaniglia, il suo preferito, posandolo su un ripiano senza aprirlo. Prima di goderselo in santa pace si impose di stare a sentire cosa affliggeva Nicol.
Si girò verso il giovane, immobile a braccia conserte a pochi passi da lui, con in faccia un’espressione che a Miguel non piacque per niente. L’ultima volta che gliel’aveva vista si era ritrovato poco dopo a maledirsi per non aver fatto testamento.

“Ti do cinque minuti per raccontarmi cosa ti tormenta. Non di più perché quella è l’ultima vaschetta di vaniglia che c’era in freezer. Non esiste che lo mangi sciolto” gli disse in tono leggero, per sdrammatizzare, senza sortire il minimo effetto su Nicol.

Miguel si allontanò leggermente da lui, domandandosi quando le sue parole avessero varcato quell’impercettibile linea che rendeva Nicol pericoloso.

Oramai lo conosceva da molti anni, e aveva capito una cosa dell’ex-pilota di ZAFT: quando combatteva per quello che aveva a cuore lo faceva davvero, e senza nemmeno più le remore che gli erano costate tanti insulti all’Accademia e sul campo di battaglia prima, e quasi la vita della sua donna poi.

“Miguel, te lo chiedo per l’ultima volta. Che cosa siamo venuti a fare qui? Hai raggirato per bene Athrun, mandandolo via senza avergli rivelato nulla, ma ti avverto: se è qualcosa che ha a che fare con lui, scordati che io ti segua.”

Miguel annuì, sogghignando. Avrebbe dovuto immaginarlo. Normalmente se la sarebbe cavata con una battuta salace, ma si trattenne, temendo di finire in ospedale.

“No, te l’assicuro. Credi che ti avrei voluto con me se il fine della nostra missione fosse stato di fare del male a Zala o alla sua famiglia?” si indicò. “Suvvia, mi credi così bastardo da accettare io stesso un lavoro del genere? Tu gli sei affezionato, ma non sei l’unico, ricordati.”

“Ti credo, ma allora perché non dirmi niente? Non mi piace essere implicato in progetti di questo genere e, ancora meno, non mi piace quando ne è coinvolta Cecilia.”

E due’ si disse Miguel, che poteva capire perché Nicol avesse quella faccia. ‘È da sempre fin troppo protettivo nei confronti di quella donna, e adesso ci si mette pure Athrun.’

“Non essere così nervoso” gli disse per appianare la situazione. “Hai la mia parola che il lavoro che forse ci affideranno non ha nulla a che vedere con la salute del tuo amichetto e di Cecilia, anzi, probabilmente potremmo anche ritrovarci a salvare la vita a Zala.”
“Quindi vuol dire che un pericolo per lui esiste veramente?”

Miguel dovette resistere alla tentazione di alzare gli occhi al cielo. “E chi lo sa? Quello che è certo è che il sottobosco dei movimenti antigovernativi è in subbuglio da un po’ di mesi. Ma non dobbiamo stupircene, vista la situazione internazionale. Orb è un paese pacifico, per ora, ma là fuori i nervi sono alquanto tesi” concesse al giovane, sorridendo di sbieco. “Non c’è niente di sicuro, come ti ho detto e ripetuto. Ma, se la cosa ti può far stare meglio, rimani pure appiccicato ad Athrun. Immagino che non ti dispiaccia, no?”

Dal rossore che colorò le guance di Nicol, Miguel capì che il peggio era passato, e si permise di rilassarsi. Allungò una mano e afferrò la confezione di gelato, lanciandola al compagno.

“Tieni, che non hai mangiato nulla stasera. E rilassati. Non dicevi che ti volevi godere la vacanza?”
“Ci sto provando…”

“E allora fallo! È una serata splendida, porta la tua ragazza a fare un giro su quella bella auto che ti sei comprato, e non continuare a pensare ad Athrun, o la farai ingelosire.”
“Quando la pianterai con quella storia?” si lamentò Nicol, voltandosi finalmente per uscire.

“Quando tu la smetterai di fare la moglie apprensiva di Zala” gli rispose Miguel, sogghignando. “E stai attento a dire il nome giusto, in certe circostanze, o la prossima volta che uscirai dalla sala operatoria ti troverai con qualche pezzo in meno.”

Nicol non gli rispose ma, dal boato che fece la porta a scrigno chiudendosi dietro di lui, Miguel fu certo che non si sarebbe riaperta mai più.

“Merda. Oggi questa, ieri il rubinetto della doccia estirpato da Lorran, due giorni fa il televisore rotto da entrambi mentre giocavano a cambiare i canali… dovrò mettere tutto sul conto spese del gruppo, questi ragazzi sono ingestibili. E non hanno nemmeno un interruttore per spegnerli.”
Si grattò la nuca, riaprendo il frigorifero per prendersi almeno della vodka ghiacciata. Non aveva mai bevuto tanto come in quel periodo.
“Prima che questa storia finisca i miei tre squilibrati conviventi mi faranno diventare alcolizzato” constatò stoicamente.



Orb, 20 marzo 82 C.E.


Athrun Zala parcheggiò la macchina all’interno del complesso di Morgenroete, dopo aver superato i rigorosissimi controlli, e salì con l’ascensore interno al piano dove la Direttrice gli aveva dato appuntamento.

Come sempre, trovarsi lì era per lui sinonimo di serena malinconia. I corridoi artificialmente illuminati, e il tenue odore di materiali plastici che pervadeva l’aria, gli ricordavano la sua patria, e i tanti mesi che aveva passato chiuso a bordo di navi spaziali, durante le due guerre che aveva combattuto.

Sorrise lievemente, mentre calpestava la moquette ecru diretto verso l’ufficio di Erica Simmons. Erano quei piccoli dettagli che gli dicevano che sarebbe rimasto per sempre il cittadino inquieto di due mondi; così come su PLANT sentiva nostalgia della natura di Orb, così sulla Terra, a volte, avvertiva la cocente mancanza degli spazi chiusi, asettici ma confortevoli nei quali era cresciuto.
Arrivò davanti all’ufficio della Direttrice e, mentre la sua segretaria andava ad annunciarlo, il sorriso di Athrun si intensificò.

Era un piacere per lui andare a trovare Erica Simmons. Era una donna dall’intelligenza vispa e dalla battuta pronta e, a cinquant’anni, aveva l’età che avrebbe avuto sua madre se fosse stata ancora viva. Il motivo della sua chiamata però non gli era chiarissimo. Al telefono la scienziata gli aveva detto solo che doveva presentargli una persona, ed Athrun era curioso di sapere chi potesse essere.

La segretaria riapparve aprendogli la porta, ed il giovane entrò sbattendo le palpebre. Dopo l’illuminazione artificiale dei corridoi, la luce del tardo mattino che entrava dalla vetrata che decorava una parete dell’ampio studio era quasi abbagliante.

La Direttrice di Morgenroete era appoggiata alla sua scrivania, in attesa, e c’era una donna davanti a lei, che si girò non appena Athrun fu entrato.

Lui fece cortesemente un cenno della testa ad entrambe.

“Benarrivato, Athrun. Vieni. Ti presento Cecilia Jesek” esclamò Erica.

Il nome non gli disse assolutamente nulla, ma notò la presa lievemente esitante della donna quando le strinse la mano.

“Athrun Zala” disse lui, sentendo l’altra irrigidirsi.

Chiunque fosse quella Cecilia, Athrun provò un’istantanea diffidenza verso di lei. Aveva un viso ordinario, incorniciato da una massa di capelli ricci che, insieme agli occhi nocciola e alla labbra carnose, suggerivano un’origine mediorientale. Semitica, forse. Non era propriamente brutta, ma nemmeno una bellezza, e Athrun realizzò che il suo volto sarebbe risultato decisamente più gradevole se quelle labbra non fossero state serrate in una smorfia di palese sospetto. Non aveva ancora aperto bocca, né per presentarsi, né per fare almeno un cenno di saluto.

In difficoltà, Athrun si volse verso Erica, che li stava fissando, come se in attesa di qualcosa.

“È lei la persona che dovevo incontrare?” chiese, imbarazzato.

“Sì. Cecilia è stata assunta dieci giorni fa. Sai quel progetto dell’Alleanza di cui mi parlasti lo scorso dicembre? STORM? Beh, lei ne è stata praticamente l’artefice.”

Athrun aggrottò le sopracciglia, mentre la sua attenzione ritornava sulla donna. ‘Questa tizia era coinvolta in quel progetto?’

Adesso, Cecilia Jesek lo fissava con uno sguardo nel quale si mischiavano divertimento e cautela.

“Piacere di conoscerti. Io e te abbiamo una conoscenza in comune” finalmente gli disse lei. Ed Athrun si sentì improvvisamente impallidire.

Secondo suo padre, e tutti quelli che l’avevano conosciuto, lui avrebbe dovuto fare il politico per come era fin troppo cauto e accorto, a volte, nell’esporre i suoi pensieri. Ciò non gli impediva però di esplodere, in un modo che anche Yzak Joule approvava, quando i suoi interlocutori toccavano certi nervi scoperti. Per questo, non ci fu nulla di diplomatico nel modo in cui, subissato da un’improvvisa vampata di odio feroce, aggredì la donna davanti a lui.

“Tu sei quella che ha ridotto Nicol in quel modo?” le sibilò, senza nemmeno tentare di controllarsi.

Cecilia Jesek si mise a ridere. Un riso nervoso, sgraziato.

“Qualcosa mi diceva che non mi saresti stato riconoscente per averti ridato il tuo amico. Anzi, immaginavo che mi avresti odiata. Me ne farò una ragione, tanto sei in buona compagnia.”

Il tono della donna, supponente e arrogante, lo fece irritare ancora di più.

“E di cosa ti dovrei ringraziare? Di averlo reso un… un’arma per quei bastardi dei Logos? Di averlo torturato per i vostri esperimenti?”
Lei scosse le spalle, palesemente poco impressionata. “Ma come? Non sei nemmeno un pochino contento che sia vivo?”

“Certo che sì. Ma il pensiero di tutto quello che ha sofferto nelle tue mani mi fa accapponare la pelle.”

Erica lo fissò, allarmata stavolta, ma Cecilia gli lanciò solo un’occhiata scaltra.

“Ti capisco, sai, gli abbiamo fatto cose terribili, umanamente parlando, ma pensi forse che ci sarebbe potuto essere un altro modo? Che senza quegli impianti avrebbe avuto qualche possibilità di sopravvivere?”

“Non ne ho idea” rispose Athrun, sinceramente. “Siamo Coordinator, ma quello che gli è successo è stato così… estremo.”

L’espressione della donna si fece grave, mentre metteva una mano nella tasca del camice ed estraeva un palmare di ultima generazione. Selezionò qualcosa, poi allungò l’oggetto verso Athrun.
“Quando mi viene qualche dubbio, do un’occhiata qui. Così era ridotto Nicol, quando ce lo portarono” gli disse.

Il giovane esitò solo un attimo, poi socchiuse gli occhi ed afferrò il palmare. Durante le due guerre, sotto ai suoi occhi erano sfilati molti cadaveri, e corpi di amici in letti di ospedale o tavoli d’obitorio, per cui pensò di essere preparato, ma dopo la prima occhiata dovette comunque ricacciare in gola l’acre sapore di bile. Certe cose, aveva sperato di non vederle mai più.

Fissò, quasi studiò la prima foto, poi si morse il labbro inferiore, continuando a scorrere le altre. Gli facevano male, ma in qualche modo sentì che era giusto che le guardasse.

Quando ridiede il palmare alla donna, si accorse che il suo sdegno era svanito, tramutato in qualcos’altro: un freddo rancore.

“Questo non cambia le tue colpe, se è vero che tu eri l’ideatrice di quel progetto. Abbiamo approfondito le ricerche, e scoperto che erano i Logos a finanziarlo. Tu lavoravi per loro. Anche se Nicol si è salvato, sei comunque responsabile di tutto il male che gli è stato inflitto, e di quello che è stato costretto a fare successivamente. Lui è ovviamente felice di essere vivo, chi non lo sarebbe? Ma, ne sono certo, non avrebbe mai e poi mai voluto uccidere per i Logos.”

Non riuscì dirsi soddisfatto quando, finalmente, Cecilia lasciò cadere la maschera di sfrontata indifferenza che aveva mostrato fino a quel momento, sembrando per un attimo smarrita. Ma fu solo per un istante. In quello successivo negli occhi della scienziata passò qualcosa di molto simile ad un malcelato rispetto.

“Me l’aveva detto Nicol, che tu sei un uomo di saldi principi e che non teme di parlare chiaro. Lo apprezzo e spero che per te sia lo stesso, e che non ti offenderai quindi se ti dico che anche tu, come me, dovresti sentirti un poco colpevole. Perché lui è stato ridotto così a causa tua. Se non si fosse sacrificato per te, non sarebbe mai caduto nelle mani dei Logos.”

“Ragazzi, basta” si intromise Erica Simmons, mettendo una mano sulla spalla della collega più giovane. “Sono discorsi che non portano a nulla, questi. Quello che è fatto è fatto, e ognuno di noi, me compresa, ha compiuto cose di cui vergognarsi durante quegli anni crudeli. Ma non è continuando a rinfacciarceli che rimedieremo ai nostri errori, non è vero?”

La donna si volse poi verso Cecilia. “È arrivato il tuo amico. Vuoi andare a prenderlo tu al check-point?”

Athrun vide la scienziata annuire, come se sovrappensiero, e uscire dallo studio senza più guardarlo né aggiungere altro.

Erica, invece, lo prese per un braccio. “Andiamo al distributore, ti offro una bibita.”
Lui annuì, ancora sottosopra. Erano bastate poche parole di quella donna per tirare a galla sensi di colpa mai sopiti e mai perdonati. Anche se Erica aveva ragione e lui, con la storia famigliare che aveva alle spalle, era la persona che meno avrebbe potuto accusare gli altri delle atrocità compiute in guerra. E poi c’era qualcosa nel modo in cui Cecilia parlava che gli impediva di trovarla completamente odiosa. Qualcosa… come pronunciava il nome di Nicol.

Athrun si bloccò in mezzo al corridoio, sotto lo sguardo incuriosito di Erica, mentre un dettaglio fondamentale gli tornava in mente.
È stata assunta dieci giorni fa. Nicol mi ha detto che la sua ragazza aveva appena trovato un lavoro qui. Però non mi ha detto come si chiamava.’

“Dottoressa Simmons, chi è arrivato? Chi stava aspettando quella donna?”

Lei gli sorrise stancamente. “Il suo compagno. La persona di cui stavate parlando prima.”

“Fantastico… che disastro” esalò lui, appoggiandosi al muro e coprendosi gli occhi con la mano.

Sentì la Direttrice di Morgenroete ridere sommessamente. “Ah, ragazzo mio, passi troppo tempo con la nostra amata Principessa. Hai contratto per osmosi il suo brutto carattere.”

Athrun non poté che darle ragione.



Aveva riconquistato un minimo di lucidità quando Erica gli allungò la bibita fresca, appena sputata dal distributore. Doveva farsi una ragione dell’esistenza di Cecilia Jesek, e del fatto che fosse lei la persona che Nicol amava, ma non ci stava riuscendo.

Da adolescente pensava fermamente che il suo mite e gentile amico avrebbe avuto da grande una promessa sposa un po’ come Lacus, dolce e bene educata; sicuramente, una ragazza dai modi irreprensibili. Era piuttosto straniante per Athrun sovrapporre a quell’immagine bianca e rosa quella sarcastica e insolente della scienziata. La donna che era stata l’artefice di STORM.

Ma gli ha salvato la vita’ tentò di convincersi, senza del tutto riuscirci.

“E pensare che erano due giorni che stavo cercando di non intavolare con lei proprio quel discorso” gli disse la Simmons, strappandolo dai suoi pensieri.

“Non so che farci, mi scusi, ma sono mesi che inorridisco tutte le volte che penso a quello che hanno fatto a Nicol. L’idea che lei è stata uno dei suoi torturatori è aberrante. E come fa ad essere così dannatamente soddisfatta di se stessa?”

Chiuse gli occhi, sentendo il morbido metallo della lattina che si piegava sotto la sua stretta.

“Sai, da un certo punto di vista la capisco” replicò Erica, sorprendendolo. “Scientificamente parlando, ha compiuto un vero miracolo. È un genio, Athrun, fiera delle sue creazioni, e ha difficoltà a riconoscere davanti al resto del mondo le sue responsabilità per l’utilizzo che i Logos hanno fatto delle sue meraviglie. Succede spesso tra gli scienziati, cosa credi? Anche più grandi e maturi di lei.”

Athrun aggrottò le sopracciglia. “Non è una ragazzina.”
“No, e non è per offrirle giustificazioni, ma aveva vent’anni quando la misero a lavorare su quel progetto, che lei aveva perfezionato per tutta l’adolescenza e la giovinezza. Capisci come mai ne è ancora così orgogliosa?”

“Non cambia niente. Rimane comunque responsabile.”
“Questo è indubbio. Ma, anche se non l’ammetterà mai, non credere che lei non lo sappia e non ne soffra, anche se a noi sembra così presuntuosa. Non è così insensibile come vuole apparire.”

“Io… non ne sono certo.”

“Perché non l’hai vista con quei ragazzi. Con loro è totalmente diversa. Premurosa e disponibile. Sono il suo sogno realizzato, e lei è così incredibilmente attaccata a loro.” Erica scosse la testa, bevendo un sorso della sua bibita. “Cecilia non lavorava per i Logos, come non lavora per Serpent Tail. Lei lavora solo per STORM. Quel progetto, quei Coordinator, sono tutta la sua vita. In particolar modo il tuo amico, che ho conosciuto ieri.”

“È un ragazzo adorabile” replicò Athrun. “Mi fa così male pensarlo insieme al suo aguzzino.” L’Ammiraglio Zala strinse i denti, sapendo di stare facendo la parte del testardo irragionevole, ma era arduo accettare quello che Erica gli stava dicendo.

“Sì, ma la stai giudicando senza considerare tutti i lati del problema. Pensa anche a lei. Rifletti su come deve essere difficile, per una donna così giovane, legarsi per la vita a qualcuno come lui.”

“Beh, di certo ho difficoltà a pensare che una persona… normale lo farebbe. Ma per quella non deve essere chissà che peso. Dopotutto, è stata lei a ridurlo così. È stata lei a volerlo così.”
Erica lo fissò, come se incerta se dirgli qualcosa o meno, poi si girò verso una lavagnetta elettronica appesa al muro, dove venivano lasciati messaggi o avvisi.

“Non interamente. Lascia che ti chiarisca un dettaglio. Non dovrei forse essere io a dirtelo, ma credo che tu non abbia ben chiaro cos’è veramente il tuo amico e quelli come lui.”

La donna scrisse sulla lavagnetta tre serie alfanumeriche. Poi le indicò in successione.

“S05. Nel progetto STORM, questo è il codice dell’uomo che era stato catturato su Aprilius One, Lamex Malek. Me l’ha dato Cecilia stessa. S07NX. Il codice di Lorran Escobar, la ragazza giunta qui con Cecilia, sulla quale ci ha concesso di eseguire dei test. S21NX. Questo è il codice di Nicol Amalfi. Vedi qualche differenza tra questi due e il primo?”

“Quel suffisso NX…”

“Esatto. È l’identificativo della loro serie: Nexus. Tra i ragazzi inseriti nel progetto STORM i Nexus sono i cyborg più completi ed avanzati, e stanno ai loro compagni come i loro compagni stanno ad un normale Coordinator. Hanno subito una ricostruzione del corpo tra il sessantacinque e il settantotto percento, possiedono impianti ottici, uditivi, pelle interamente sintetica e ciò che non stato rimpiazzato è rinforzato con placche al cromo-cobalto e titanio.” Lo sguardo di Erica si fece pensoso, mentre alzava una mano per cancellare la lavagna. “Come i loro compagni meno evoluti, si possono perfettamente confondere tra noi. I loro corpi hanno funzioni fisiologiche assolutamente ordinarie, e possono avere normali rapporti sessuali ma, ovviamente, sono sterili.”

Athrun, preso in contropiede, sbatté le palpebre. “Ovviamente…” ripeté, conscio che fino a quel momento non era stato invece per niente chiaro, anche se avrebbe dovuto arrivarci. Improvvisante, il discorso che faceva precedentemente Erica Simmons riguardo a Cecilia acquistò un amaro senso. Pensò alle sue bellissime figlie, e le labbra gli si piegarono in una smorfia addolorata.

“Esatto” gli disse Erica che, anche lei madre, aveva capito quello a cui stava pensando senza che lui avesse aperto bocca. “Per tutte le unità STORM la sterilità è stata voluta dai vertici militari dell’Alleanza Terrestre. Ma mentre per altri la situazione è reversibile, per i Nexus al contrario è strutturale. Cecilia l’ha sempre saputo, ma non è stata lei a desiderare questo. L’ha dovuto accettare.”
“E come fa a saperlo?”
“Dimentichi che anche Morgenroete era stata coinvolta in quel progetto, ancora in fase preliminare. Che gli STORM fossero messi nell’impossibilità di procreare era sempre stato un prerequisito fondamentale. Perché dovevano essere armi, e non genitori. Puoi immaginare quanto ancora più indispensabile divenne questo assunto quando cominciarono a sperimentare su dei Coordinator. Non gli deve essere parso vero.”

Lui scosse le spalle, pur se impressionato. “Va bene, ma non le viene in mente che magari a Cecilia non ha mai importato nulla?”

“Possibile, visto che era molto giovane quando si è innamorata di lui, e ancora lo è. Ma pensa che anche se diventasse un problema in futuro, anche se scoprisse di volere una famiglia normale, lei non ci potrebbe fare assolutamente nulla. E nemmeno lui. E nemmeno tutti quelli come loro. Dà da pensare, non credi? Non toglie nulla alle responsabilità di Cecilia, ma concedile almeno l’attenuante di essersi scelta un futuro davvero triste, per dividere la sua vita con le sue creature più avanzate ma più sfortunate.”

Pur se leggermente controvoglia, Athrun annuì. “Certo. Ma forse giudica quella vita con un metro diverso dal nostro.”

Sorprendentemente, Erica Simmons si mise a ridere. “Questo è certo. Come tutti i geni, è decisamente una persona particolare.”
Ad Athrun quella definizione fece sollevare un sopracciglio, ma soprassedette. Aveva già saputo abbastanza su quel progetto maledetto, e non vedeva l’ora di cambiare discorso.

Per questo gettò la lattina oramai vuota nei rifiuti, fissando la scienziata.

“E quindi, dopo aver saputo tutto questo, perché quella donna è qui, Dottoressa Simmons?”

“Perché voglio che Cecilia lavori per Morgenroete” lei gli rispose, senza mezzi termini. “La nostra sezione di microingegneria e biorobotica ha bisogno di nuovo responsabile, e lei è la persona giusta.”

Athrun non fu sorpreso della richiesta, e cercò di suonare il più obiettivo possibile. “Pensa davvero che sia auspicabile? Dopo tutto quello che mi ha detto? Il suo curriculum sarà anche ineccepibile, professionalmente parlando, ma personalmente ha detto anche lei che Cecilia Jesek è un po’… come dire…”

“Strana? Certo. Ma non ingestibile. Non è la scienziata pazza di un film di fantascienza, Athrun. Questa volta non ci saranno i Logos ma io stessa, e il nostro comitato etico, a supervisionare i suoi lavori. Ti assicuro che nessuna aberrazione come i Nexus verrà mai prodotta qui dentro, ma pensa solo alle applicazioni civili di quegli impianti, e a tutti quelli che potranno curare. Il fine originario del progetto era questo, dopotutto. E io sono certa che Cecilia vuole lo stesso.”

Lui aveva qualche ragionevole dubbio, ma non insistette. Non poteva basare il suo giudizio su una persona dopo averla vista per soli dieci minuti.

“Va bene” concedette alla Direttrice di Morgenroete. “Ma i suoi legami con Serpent Tail potrebbero essere un problema, glielo dico francamente. Tanto per cominciare, vorrei sapere perché ce l’hanno mandata.”

“Sto facendo alcune ricerche in proposito, anche per me è necessario conoscere cosa c’è dietro. Comunque, devo presentare una relazione in Consiglio d’Amministrazione in proposito, ma vorrei che anticipassi la cosa a Cagalli. Come sai un delegato del Governo siede nel Consiglio e, visto che la maggioranza delle nostre azioni sono detenute dall’Emirato di Orb, il suo voto ha un peso decisivo.”
“La vuole così fortemente? Si fida davvero di quella?” non riuscì a non chiedere Athrun.

Erica Simmons sorrise, finendo la sua bibita. “È brusca ma onesta, nel suo rude modo di fare. Si vede che è più abituata a trattare con le macchine che non con gli umani. E ho capito che non le interessa la politica; tutto quello che vuole è essere lasciata in pace a giocare con le sue creazioni.”

Lui annuì, da una parte sollevato, e dall’altra messo molto più a disagio da quella frase che da tutti i discorsi che l’avevano preceduta.



Stava uscendo quando intravide Cecilia e Nicol fermi davanti ad un altro distributore automatico. Gli davano le spalle, ed Athrun si bloccò a fissarli.

Lei gli aveva appoggiato la testa sulla spalla, e con il braccio sinistro gli circondava la vita, aggrappandosi con la mano alla camicia del giovane. C’era fin troppa tensione in quella presa, che sembrava più quella di un naufrago stretto al suo soccorritore che quella di un’innamorata.

Allo stesso modo, Nicol le teneva una mano sulla nuca, in un atteggiamento che gli sembrò decisamente troppo protettivo visto il luogo e le circostanze.

O forse no? Magari gli ha raccontato del nostro litigio. Ho sempre avuto ottimi rapporti con le donne dei miei amici, ma temo che questa sia l’eccezione. Spero che Nicol non se la sia presa troppo, d’altronde, deve sapere anche lui che brutto carattere ha questa Cecilia.’

L’Ammiraglio Zala prese la decisione di andarsene, infilandosi in ascensore; non era certo che non avrebbe discusso ancora con lei, e non voleva farlo di fronte a Nicol. Dubitava che gli sarebbe mai stata simpatica e, di certo, avrebbe preferito qualcun altro accanto al suo amico; ma in nome dell’amicizia che lo legava al giovane, Athrun era disposto a darle una possibilità.

Cecilia Jesek. Gli ricordava qualcuno che aveva visto in un film di fantascienza(1) anni prima, il remake di un successo dell’era pre-colonie spaziali. Gli aveva messo i brividi quel personaggio, un moderno Pigmalione, uomo solo e stravagante innamorato dei suoi androidi. Le sue bambole bellissime e perfette, e buone sole per combattere.
Athrun chiuse gli occhi, desiderando solo di tornare a casa in fretta, e riabbracciare la sua famiglia.



___________________________



Note


(1)Il film di fantascienza in questione è Blade Runner di Ridley Scott. Athrun si riferisce al personaggio di J. F. Sebastian, al quale Cecilia è ispirata. Allo stesso modo, le unità Nexus di questa storia devono tantissimo agli androidi Nexus-6 del film.



Come sempre, grazie a tutti quelli che leggono e che mi lasciano un commento, pubblico o privato :)

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Capitolo 4
*** Sospetto ***


Sospetto



Orb, 22 marzo 82 C.E.


Dearka Elthman si era recato all’appuntamento con Miguel decisamente inquieto. Ricordava bene il loro tutor nell’esercito come un giovane affascinante e superbo, con due unici punti deboli: l’attaccamento alla sua famiglia e il sottovalutare costantemente i suoi avversari. Cosa che gli era poi quasi costata la vita ad Heliopolis. Dearka non aveva idea di cosa aspettarsi da lui, anche se Athrun l’aveva avvertito che non era sostanzialmente cambiato dai mesi trascorsi insieme.
Per parlare tranquillamente Miguel aveva invitato lui ed Athrun nella sua villa e, da quando gli aveva posato gli occhi addosso, ed era quasi stato soffocato nella sua poderosa stretta, Dearka si era convinto che, in effetti, il biondo non era mutato di una virgola. A prima vista.

Sogghignando si guardò attorno, alzando il bicchiere di birra che aveva scelto tra i superalcolici che Miguel gli aveva offerto. Di certo, non era lì per ubriacarsi.

“Non si può dire che ve la passiate male” commentò ad alta voce.

Il suo sguardo abbracciò l’ampia piscina a strapiombo sul mare, le bianche strutture della costruzione che risaltavano contro il cielo terso del pomeriggio di Orb, e i padroni di casa, che per quanto fossero vestiti semplicemente, al suo occhio attento non erano certo vestiti poveramente. Miriallia, essendo una fotografa, riceveva spesso campioni di riviste, e quando andava a casa di lei Dearka scartava accuratamente quelle di politica internazionale che lo annoiavano a non finire, per sfogliare unicamente quelle di moda, dove almeno aveva la possibilità di ammirare qualche bellezza Natural. Quindi, era certo di aver visto addosso a qualche modello sia la maglietta e i pantaloni kaki che indossava Nicol, sia il completo da mare di Miguel.

Che ridacchiò, accarezzandosi languidamente l’accappatoio color crema che vestiva sopra il costume da bagno. Li aveva accolti così, scusandosi perché non era riuscito a rinunciare alla sua nuotata giornaliera.

“Eh, sai, dopotutto il nostro è un lavoro duro. Non ne varrebbe davvero la pena, se non fossimo pagati così tanto.”

“Certo, certo…” gli rispose Dearka, sorseggiando la sua birra, e scoccando al biondo un’occhiata scaltra. Non voleva assolutamente dargli l’idea di essere un povero ingenuo come Athrun, e riteneva di stare riuscendoci piuttosto bene. Non che Miguel avesse ancora scucito qualche informazione in più sul motivo della sua presenza ad Orb, ma almeno sembrava aver rinunciato all’idea di farli ubriacare.

Sospirando di rassegnazione Dearka si girò verso il figlio di Patrick Zala che, come aveva immaginato, non aveva occhi che per Nicol. Il quale, come invece aveva temuto, era un po’ diverso dalle descrizioni di Athrun.

Lui aveva visto il giovane dai capelli verdi solo nelle foto segnaletiche e, per quanto Dearka trovasse che dal vivo assomigliava abbastanza al suo vecchio commilitone, era indubitabile che alcuni suoi comportamenti fossero radicalmente differenti. Sfoggiava un’aria perennemente guardinga e i suoi occhi, nonostante le lenti a contatto ambrate, non riuscivano a riflettere la stessa indole amichevole e gentile che il pilota Nicol Amalfi aveva posseduto undici anni prima.

Alla faccia di quello che pensa Athrun. È talmente felice di averlo ritrovato vivo che non si accorge che questa non è esattamente la stessa persona che gli trotterellava dietro all’Accademia.’

Dearka prese un altro sorso, osservando criticamente Nicol che, forse per la decima volta da quando erano lì, si guardò discretamente attorno, inclinando la testa come se stesse ascoltando cose che solo lui poteva udire.

Per un periodo della sua carriera militare Dearka aveva servito nelle forze speciali a difesa del Consiglio Supremo di PLANT, e sapeva bene quello che Nicol stava facendo, avendo visto la stessa cosa tra quegli uomini.

Sta tenendo d’occhio i dintorni. E ovviamente riesce a farlo senza tutta l’attrezzatura che quelli usavano. Athrun avrà anche spedito i suoi uomini a sorvegliare questi due, ma spero non si illuda che riescano a fermali o a fare altro, se veramente avessero l’intenzione di combinare qualcosa.’
Dearka fu felice di aver accompagnato Athrun, e di non avere mai avuto troppo in simpatia il piccolo Nicol, riuscendo quindi ad essere sostanzialmente obiettivo, adesso, nei suoi confronti. ‘Certo che l’avrei preferito di gran lunga se avesse mantenuto il suo temperamento estroverso e po’ infantile. Almeno’ rifletté. ‘Ai tempi potevo prenderlo tranquillamente in giro senza il pericolo di ritrovarmi con il collo spezzato.’

Gli sorrise, tanto per rompere il ghiaccio, visto che Nicol si stava dimostrando di gran lunga meno affettuoso con lui che con Athrun, ma il suo gesto fu accolto da un’espressione assolutamente impassibile. Come per fargli un favore, Nicol piegò solo leggermente all’insù le labbra pallide.
‘Se quello è un sorriso il SUV di Miguel è un’utilitaria per casalinghe. Beh, ma almeno in questo non è cambiato. Anche quando eravamo all’Accademia i sorrisi più caldi e sinceri di Nicol erano riservati ad Athrun; a noialtri secondo me ci sopportava a malapena, anche se era bravo a fare la parte del carino con tutti.’

“Allora l’appuntamento è tra un paio di giorni. Sei sicuro di sentirtela?” gli stava dicendo il figlio di Patrick Zala.

“Me l’hai già chiesto cinque volte, Athrun, va tutto bene” rispose Nicol scuotendo la testa.

“Perfetto. Hai un computer da qualche parte? Ho alcuni filmati da farti visionare, tanto per mostrarti come ti dovresti comportare.”
“Ce n’era uno appoggiato accanto alla televisione.”

“Andiamo, allora.”

Nicol si alzò seguito da Athrun, e i due si allontanarono chiacchierando, sotto lo sguardo di Dearka che non li abbandonò fino a quando non furono entrati in casa.

Tutta quella situazione non gli piaceva affatto, e dovette fare una smorfia abbastanza eloquente di quello che stava pensando, perché Miguel scoppiò improvvisamente a ridere.

“Che c’è? Non sei felice anche tu che Nicol si sia ricongiunto con il suo amichetto? Non sei elettrizzato al pensiero di accompagnare il qui presente redivivo in giro per i night club di Onogoro?”

Dearka appoggiò con cautela il bicchiere a terra, fissando con un sogghigno Miguel. “È ovvio, anche se adesso che la tua sirena si è allontanata con la sua preda te lo posso dire chiaro e tondo. Non pensare che io sia un povero allocco come Athrun, il quale è troppo buono e così felice che Nicol sia ancora vivo che non si è pienamente reso conto che voi due lo state infinocchiando alla grande.”

Miguel, in tutta risposta, rise di gusto. “Ehi, non esagerare nell’attribuire al mancato pianista la sacra virtù della manipolazione del prossimo. Nicol è tonto come il suo amico Zala, se proprio te lo devo dire. Sarà per quello che sono andati sempre così d’accordo.”

“Ok, va bene, sollevo lui da tutte le responsabilità. Ma quindi tu ammetti che c’è qualcosa sotto, non è vero?” gli chiese Dearka, aprendosi un’altra lattina di birra. Non erano esposti al sole diretto ma la temperatura era parecchio alta a quell’ora.

Miguel lo guardò sorridendo, prendendo un sorso del suo cocktail e facendosi svogliatamente aria con un ventaglio.

“Perché tutti mi tormentate chiedendomi ciò che non so?” rispose senza ritegno. “Sai come funziona la nostra organizzazione, vero? Siamo gruppi separati, e il primo che arriva si becca il lavoro, tutto qui. E quale posto migliore per accaparrarsi qualcosa di uno dove conosciamo di persona chi comanda? Da che Serpent Tail è stata creata i nostri migliori committenti sono stati senza eccezione i governi ufficiali. Va bene, sono un po’ lenti a saldare le fatture ma pagano sempre tutto senza fare storie. Sanno che li potremmo sputtanare quando vogliamo.”

“Appunto. Anche per questo perché dovrebbero avvalersi dei vostri servizi, quando hanno strutture create apposta per…”

“Perché sono democrazie, Dearka” gli fece Miguel interrompendolo, e puntando verso di lui il ventaglio chiuso. “C’è sempre qualcosa che i politici eletti non possono giustificare davanti ai propri votanti, ricordati. Noi agiamo fuori dalla legge, ma velocemente e discretamente, risolvendo i loro problemi, e il Primo Ministro, Capo dello Stato o Presidente, che dir si voglia, deve solo firmare un impegno di spesa a nome di una certa agenzia di lavoro interinale. Poi, a qualche alto papavero nel governo arriverà a lavoro eseguito una bella fattura, e in questo mondo corrotto finora nessuno si è mai chiesto come mai l’organizzazione di una festa sia costata come la costruzione di una piccola portaerei.”

Il discorso di Miguel non faceva una piega, tuttavia Dearka si chiese se il suo ex-tutor avesse già in mente un lavoro specifico.

“Affascinante” ammise. “Ma dubito che quelli di Orb vi commissioneranno mai qualcosa. La Principessa è piuttosto ferma nel considerarvi niente più che un gruppo di avvoltoi.”
Il sorriso che gli fece Miguel fu serafico. “Lo so. Ma grazie al cielo ci sono altre teste pensanti nel suo governo, che sono certo potrebbero essere interessate alla vasta gamma di servizi che offriamo.”

“Cazzo, parli come un venditore porta a porta” sghignazzò Dearka che, malgrado la situazione, non riusciva a non essere conquistato dal fare noncurante di Miguel. Prima che potesse aggiungere altro, una voce squillante risuonò dalla terrazza sotto la loro.

“Il mio uomo mascherato ha ospiti?”

Miguel alzò gli occhi al cielo. “Sì Lorran, vieni su in piscina, ti devo presentare qualcuno.”

Dearka guardò interrogativamente l’ex-tutor ma non fece in tempo a chiedergli nulla che, in cima alla scala che univa il belvedere dove si trovavano con quello sottostante, apparve all’improvviso una dea.

Era fidanzato da tanti anni, ma alla bellezza femminile non riusciva proprio a resistere, e dovette ammettere che era da tempo che non ne vedeva dal vivo una così prorompente.

“Ho fatto bene allora a cambiarmi per l’occasione” disse la ragazza, andando verso di loro ancheggiando leggermente.

Dearka si sentì seccare la gola. Il bikini che aveva addosso la dea rivelava un corpo perfetto, e il viso era quello di una splendida bambola, alabastro sotto capelli sfrangiati, rosso fuoco.

La ragazza si fermò dietro a Miguel, appoggiandosi a lui e accarezzandogli la testa con una mano dalla manicure impeccabile.

Miguel si scostò leggermente, con una smorfia che non sfuggì a Dearka, e fu con una leggera, curiosa esitazione che gliela presentò.

“Lorran Escobar, ti presento Dearka Elthman, un mio vecchio commilitone.”

Cavallerescamente, Dearka si alzò in piedi sotto lo sguardo di Lorran. La ragazza non cercò minimamente di mitigare l’aria predatoria con la quale lo squadrò da capo a piedi.

“Elthman? Tu nel ‘71 eri nel Team La Kleuze, vero? A bordo della Vesalius.”

“Esatto” rispose orgogliosamente lui.

“Era un mio subordinato” fece notare Miguel.

Lorran scoccò a Dearka un sorriso smagliante. “Ed è durato più di te. È in gamba il tuo amico!”

A quel punto Miguel, palesemente infastidito, tentò di scostarsi, ma la ragazza lo anticipò scivolando a sedere direttamente sul bracciolo della sua sdraio, e continuando a passargli languidamente la mano sinistra tra i capelli. Dearka si riaccomodò al suo posto, fissando intrigato la scena.

Dalla familiarità che c’era tra loro avrebbe potuto pensare che Lorran fosse l’amante di Miguel, ma nell’espressione dell’uomo, e nelle occhiate che lanciava alla rossa, sembrava emergere ben altro. Per quanto trovasse la cosa inverosimile, Dearka avrebbe potuto giurare che Miguel ne fosse quasi intimorito.

“Anche tu eri nell’esercito?” le chiese, cercando di indagare oltre. Lorran lo incuriosiva; con quel fisico era di certo una Coordinator, e se stava con il suo ex-tutor probabilmente era anche lei affiliata a Serpent Tail.

Lei annuì alla domanda. “Sì, anche se io non ero una Red Coat famosa. Anzi, non ero nemmeno un pilota.” Scrollò le spalle, passandosi una mano lungo una coscia. Dearka costrinse i suoi occhi a non seguire quel movimento. “Non ero nessuno io, solo una segretaria. Redigevo rapporti per lo Stato Maggiore e portavo il caffè. Ero una lavativa.”

La ragazza rise, e Dearka la imitò. Aveva una risata contagiosa, e sembrava proprio il tipo di donna che a lui piaceva da morire.

“E su che navi servivi?”

“La Cartesio.”

Dearka aggrottò le sopracciglia. L’aveva già sentita nominare. “Non era una di quelle che parteciparono a varie imboscate contro le navi dell’Alleanza durante l’operazione Uroboros?”

“Esattamente. Per essere precisi, fu una delle poche ad essere abbattute, una decina di giorni prima dell’attacco a JOSH-A.”

La ragazza fece spallucce e Dearka si trovò a fissare Miguel, che aveva assistito a tutta la conversazione in silenzio, con solo un sorrisetto allusivo sulle labbra. C’era qualcosa che non andava. Per quello che si ricordava lui, quella nave si era disintegrata tentando il rientro attraverso l’atmosfera terrestre e l’intero equipaggio era perito.

“Tu sei sopravvissuta a quel disastro?” le chiese direttamente, mentre un agghiacciante dubbio cominciava a farsi strada nella sua mente. Athrun gli aveva anticipato che c’era un’altra di quelli sull’isola, ma lui non aveva prestato attenzione al nome.

“Sì. L’unica che io sappia. Anche se ho avuto bisogno di qualche aiuto di natura… come dire, artificiale.”

“Capisco” esalò lentamente Dearka, appoggiandosi con la schiena alla sdraio e fissandola con un’attenzione che andava al di là del suo bell’aspetto. Così, finalmente si accorse di come la pelle di Lorran fosse come quella di Nicol, troppo chiara per una persona che da giorni soggiornava in un paese tropicale; notò il modo in cui la ragazza lo fissava negli occhi, come se gli stesse facendo una scansione – e forse era proprio così -; e osservò i suoi movimenti: precisi, senza la minima esitazione, gesto casuale o tic.

Sbatté le palpebre, sorpreso. Perché la mano sinistra di Lorran esibiva ora dei lunghi artigli, di un materiale che riluceva come platino. Sembravano estremamente affilati.

“Mi annoiavo da morire su quella nave, sai, ma non sapendo pilotare mi avevano rifilato solo i compiti più stupidi. E nessuno mi prestava attenzione” ribadì lei, mentre si rimirava le unghie. “Ma adesso sono proprio figa, non lo pensi anche tu?”

Dearka annuì, non osando contraddirla, e ipnotizzato da quella mano che Miguel allontanò precipitosamente da sé, prendendola per il polso.

“Va bene. Adesso che avete fatto conoscenza perché non vai a farti un bel bagno, ok?”

“Ahhh, mi rovini sempre il divertimento, uomo mascherato!” pigolò Lorran, che si alzò sventolando verso Dearka i suoi artigli.

“Bene, vado a fare una nuotata. Lasciami il tuo numero dai, che qualche sera potremmo anche uscire insieme. Sono nuova qui, e non conosco nessuno. La vita su questa isola è una palla” si lamentò, girandosi e ancheggiando verso la piscina, dove si immerse con un tuffo impeccabile.

Vista da dietro faceva un’ottima figura, ma gli occhi di Dearka erano stati più che altro attratti dal codice che la ragazza aveva tatuato nella parte inferiore della schiena.

“S07NX” ripeté a voce alta.

“Il suo identificativo come unità STORM. Alcuni se lo sono fatto togliere, ma non lei. Dice che ne è orgogliosa” spiegò Miguel, che si stava asciugando il sudore con la manica dell’accappatoio. “Fa paura, vero?”

Dearka annuì, avendo preferito di gran lunga rimanere nell’ignoranza. Immaginò che fosse uno dei ‘prodotti’ meglio riusciti, se era in grado di farsi passare così egregiamente per una normale Coordinator.

“Come diavolo fai a dormirci insieme?” chiese.

“Che cazzo dici? La mia camera è ben lontana dalla sua” specificò Miguel, in un tono frivolo seppure leggermente ansioso. “E comunque non è così male, dopo un po’ si tende a dimenticare cosa sono e cosa possono fare. Anche se l’unica che riesce a vivere con i Nexus come se fossero normali esseri umani è la loro creatrice, Cecilia Jesek, la donna di Nicol. Ma lei è un caso a parte, essendo pazza come loro.”

“Sì, ecco… è bellissima, però è anche…” Dearka si morse le labbra, non osando dire altro. I Coordinator erano stati definiti mostri innaturali dagli esseri umani, e adesso lui non poteva dire lo stesso di quelli come Lorran e Nicol. Che, alla fin fine, erano solo povere vittime di guerra.

Miguel seguì il suo sguardo, inchiodato alla piscina da dove Lorran non era ancora riemersa.

“I suoi polmoni possono immagazzinare molto più ossigeno rispetto ai nostri” spiegò. “È proprio una vera sirena, non ti pare, Elthman?”

Lui annuì, completamente ipnotizzato, mentre Miguel veniva scosso da una risata poderosa. Gli mise in mano un’altra birra, e Dearka nemmeno se ne accorse, troppo impegnato a pensare che Lorran Escobar era sembrata dannatamente fiera del suo nuovo corpo. Che lui non avrebbe voluto nemmeno se l’alternativa fosse stata la morte.

***

Alla fine avevano dovuto girare tutta la casa per cercare un portatile, con Nicol a lamentarsi del disordine dei coinquilini, nonostante lui stesso avesse ammesso ad Athrun di non sapere dove fosse finito il suo palmare. Stanco di far fare all’amico il giro turistico, alla fine Nicol l’aveva portato nello studio di Cecilia, dove aveva recuperato un sottile laptop posato con noncuranza a terra.

Athrun si appoggiò cautamente ad una delle scrivanie, tentando di non far cadere i libri e le schede di memoria sommariamente impilate che lì sopra erano conservate. La stanza era ampia, ma ingombra di scatoloni e materiale elettronico che, malgrado la sua preparazione ingegneristica, a malapena riuscì a riconoscere.

Afferrò qualcosa che doveva essere un hard disk esterno, sebbene sventrato, e lo studiò tenendo d’occhio Nicol. Il giovane si era accomodato su una poltroncina, davanti a lui, e stava cercando di avviare il computer.

“Ti prego ti prego, fa che non abbia trafficato anche con questo...” lo sentì mormorare, e ad Athrun scappò un sorriso.

L’amico gli sembrava di ottimo umore e, anche se avrebbe voluto fortissimamente parlargli di Cecilia, stava impiegando tutto il suo autocontrollo per trattenersi. Dal suo litigio con la donna troppe domande e dubbi senza risposta gli stavano affollando la mente, e desiderava confrontarsi con Nicol, ma non aveva idea di come introdurre l’argomento senza risultare terribilmente indiscreto.

“Questa stanza riflette la personalità di chi la occupa” disse sorridendo, decidendo di affrontare la questione con circospezione.

Nicol non alzò nemmeno gli occhi dal portatile “Nel senso che Cecilia è incasinata come questo posto?”

“Ma no. È che... beh, si vede che è una lavoratrice accanita.”

Non aveva percepito nessuno particolare accento animoso nelle parole dell’amico, ma Athrun si sentì lo stesso arrossire, quasi come se l’avesse insultata. E, in tutta risposta, Nicol si mise a ridacchiare.

“Athrun, lascia perdere. Lo so che non la sopporti, ma non ti preoccupare, fa sempre una pessima prima impressione.”

Il giovane Ammiraglio prese il coraggio a due mani, confortato dal tono leggero di Nicol. “Ma tu le vuoi molto bene, vero?”

La risposta avrebbe dovuto aspettarsela, visto che Nicol era sempre stato conciliante ma piuttosto diretto nel dire le cose in faccia alla gente, ma lo spiazzò comunque.

“Lei è tutto per me” gli disse il giovane dai capelli verdi, continuando a prestare più attenzione al portatile che a lui.

“So che gli sei grato per averti salvato la vita ma...”

“No, Athrun” lo bloccò Nicol, suonando allo stesso tempo gentile ed inflessibile. I suoi occhi lasciarono finalmente lo schermo per posarsi sull’amico.

“Ti prego non continuare, so cosa stai per dire, l’ho già sentito milioni di volte.”

Terribilmente in colpa, Athrun tossì imbarazzato. “Scusa. Non mi devi giustificazioni, sono stato un idiota a chiedertelo.”

“Sei solo curioso, come tutti. Nessuno riesce a capire, ma d’altronde nessuno potrebbe capire. Voi non eravate là.”

Il giovane scosse la testa, facendo ondeggiare i morbidi ricci, e abbassò lo sguardo sul computer, ma Athrun immaginò che non lo stesse realmente vedendo.

“Non è la fredda stronza che pensa la gente. Cecilia è una donna straordinaria, a cui devo non solo la vita, ma anche il fatto di essere ancora sano di mente. Lei mi è stata vicino negli anni peggiori della mia vita, e per questo ha pagato con la sua carriera diventando come me una schiava dei Logos. È stata separata da un uomo che considerava come un padre e, come se non bastasse, un mio errore l’ha quasi uccisa.”

“L’ha fatto perché sei un ragazzo speciale” gli disse Athrun. L’aveva sempre pensato, e aveva rimpianto per anni di non avergli mai detto quanto la sua amicizia fosse stata importante per lui. Tanto quanto si era maledetto per essersi addormentato al suo ultimo recital su PLANT.

Adesso, era quasi commosso da parole che non si era aspettato. Perché mai avrebbe detto che la scostante scienziata potesse essere così coinvolta in quella relazione. Ma Nicol aveva assolutamente ragione. Lui non aveva nessun diritto di giudicare.

Le gote pallide di Nicol si colorarono lievemente, e il Coordinator piegò le labbra in una smorfia che tentò a tutti i costi di essere un sorriso.
“Sì... ecco... io sono il suo sogno, Athrun” mormorò.

Il giovane Zala sospirò. Intuiva che l’essere il sogno di Cecilia dovesse declinarsi in molti modi, alcuni non certo definibili all’interno di una normale relazione sentimentale, ma riusciva a capire dalle parole dell’amico come lui fosse profondamente legato alla scienziata. Ricambiato, se aveva ben interpretato il livore con cui Cecilia l’aveva accusato di essere la causa ultima della sorte di Nicol. Per cui decise di lasciare perdere.

Gli andò accanto e gli posò una mano sulla spalla, stringendogliela leggermente.

“Io credo di doverle delle scuse” disse sinceramente, ma Nicol gli scoccò un’occhiata divertita. “Fallo e davvero ti odierà per sempre. Cecilia non sopporta le persone arrendevoli, chi non ha il coraggio di sostenere ciò in cui crede e cambia idea dopo poche ore. ”

“Mi ricorda qualcuno...” sbottò Athrun, scoppiando a ridere divertito.

***

Cagalli Yula Athha si era lasciata come ultimo impegno della giornata l’incontro con Erica Simmons. Tra una riunione e l’altra era riuscita a leggersi il rapporto che la donna le aveva spedito per posta elettronica quella mattina, e ne aveva già parlato con Athrun, che aveva voluto all’incontro. Non era risentita con lui per averle nascosto che il suo amico era ad Orb, sapeva che l’aveva fatto per non sovraccaricarla di lavoro, ma intendeva chiarire subito la questione con entrambi. Per quello li aveva convocati nel suo ufficio al Palazzo del Governo, e fatti sedere dall’altra parte della sua scrivania; una era una sua cara amica e l’altro suo marito, ma c’era di mezzo il benessere della sua Nazione, e lei non intendeva farsi influenzare da ragioni personali.

Sfogliò di nuovo la relazione che si era stampata, fissando poi lo sguardo sulla Direttrice di Morgenroete.

“Ovviamente di tutto questo dovrò parlarne agli Emiri. La nomina di un nuovo responsabile per una delle vostre sezioni sarebbe una faccenda amministrativa interna, ma devi capire che il profilo della candidata è alquanto particolare. Ha lavorato per i Logos ed è affiliata a Serpent Tail e, te lo dico chiaramente, non credo sia la persona giusta per ricoprire quella posizione, nonostante la sua preparazione professionale sia incontestabile.”

Con la coda dell’occhio vide Athrun stringere le labbra, ma fece finta di niente. Aveva capito parlandogli che lui che l’aveva incontrata reputava insopportabile quella Cecilia Jesek, ma essendoci di mezzo il suo amico, il marito non poteva fare altro che sperare che la richiesta della Simmons fosse accolta.

“Ne sono consapevole, e anche la dottoressa Jesek; che ovviamente è assolutamente disponibile ad un colloquio con gli Emiri” rispose Erica.

Cagalli annuì, abbassando la testa e massaggiandosi lievemente le tempie con la punta delle dita.

“Lo so cosa potrebbe significare l’acquisto di questa persona per Morgenroete, e quanto tu stia pregando perché non faccia emettere un decreto di espulsione seduta stante per quella gente” disse rivolta ad Athrun, sorridendo lievemente. “Ma i legami della dottoressa con alcuni membri di Serpent Tail sono un grosso problema, spero ve ne rendiate conto. E, se posso azzardare, lavorando per noi avrebbe accesso a ricerche nuove, mentre continuerebbe a lavorare sulle sue. Dal punto di vista di Serpent Tail è una situazione ideale, mentre noi non possiamo permettere che il nome di Morgenroete, e quindi di Orb, venga associato a quei mercenari.”

Erica Simmons si sporse verso di lei. “Non credo accadrà mai che il nostro nome salti fuori. Quelli si sono costruiti una reputazione non divulgando mai i nomi dei committenti delle loro operazioni. Perché dovrebbero farlo ora? E poi, a cosa gli servirebbe?” chiese.
“Beh, in tutto il mondo Morgenroete è conosciuta come un’azienda all’avanguardia nelle tecnologie robotiche” ritorse Cagalli. “Sarebbe una garanzia per loro se spacciassero in giro che quegli impianti sono stati sviluppati qui dentro.”

“Non potrebbero, sanno tutti che la nostra sezione di biorobotica ha aperto solo due anni fa, mentre quegli affari sono in giro da almeno dieci. E, in ogni caso, ogni singolo componente installato su quei ragazzi è riconducibile alla fabbrica da cui sono usciti.”

“Chi?” chiese Athrun.

Il volto di Erica Simmons mostrò tutto il suo disappunto. “Anaheim Electronics(1)” pronunciò sconsolata.

“Ma non sono i vostri principali concorrenti?”

Erica e Cagalli si scambiarono un’occhiata, poi la Delegata di Orb si volse nuovamente verso Athrun.

“Sì. Era un’industria bellica controllata dai Logos, e i materiali necessari ad assemblare gli impianti concepiti dalla dottoressa Jesek furono prodotti lì dentro. Dopo la guerra l’azienda si riconvertì all’uso civile, e oggi dai suoi stabilimenti esce un po’ di tutto, dall’elettronica di consumo agli apparecchi medicali. Quello che ai ragazzi è stato installato in questi ultimi anni arriva ancora da lì, c’è scritto nel rapporto. Serpent Tail gli fa produrre piccole quantità di componenti in modo che non capiscano a cosa servano e da dove vengano.”

“E dove le fanno queste... operazioni?” chiese Athrun, che era stato in silenzio fino a quel momento.

“Cecilia non mi ha detto dove. Afferma che a questa domanda non può assolutamente rispondere” gli fece Erica, scuotendo le spalle. “Ma pare che abbiano attrezzature ed un team medico dedicato.”

Cagalli annuì, alzando il fascicolo tra le mani. “Beh, di certo non sono all’altezza, se la dottoressa Jesek è venuta a chiedere il nostro aiuto. In questo consiste il bandolo della matassa. In cambio dell’assistenza a quei ragazzi, lei dividerà con noi i risultati delle sue passate ricerche e quanto di nuovo, su quella base, verrà sviluppato.”

La Direttrice di Morgenroete indicò il plico. “Quei ragazzi hanno bisogno di lei costantemente. Da questo punto di vista la Jesek è stata molto sincera, non nascondendoci nulla. Gli impianti installati su quei Coordinator sono estremamente sofisticati, e hanno bisogno di una manutenzione continua. Anche perché hanno incidenti abbastanza ricorrenti” terminò Erica con una smorfia.

“Appunto!” urlò quasi Cagalli alzando entrambe le mani al cielo. “E sappiamo tutti a causa di cosa. Come posso permettere che la nostra reputazione di neutralità venga macchiata per aver badato solo al profitto?”

“E alla ricerca scientifica” puntualizzò Erica, alzando l’indice verso il soffitto.

La bionda Principessa incrociò le braccia sotto il seno, sporgendo leggermente le labbra in fuori. “Non mi hai convinta. Scusa se te lo dico, ma questo affare mi sembra molto più favorevole a quei bastardi mercenari che a noi, non so se mi sono spiegata abbastanza chiaramente. Non voglio che riveli il nostro lavoro a quelli, e non voglio che ci mettano in relazione.”

“Beh, sulla prima cosa, se lavorasse qui dentro sarebbe tenuta al segreto professionale” le disse Athrun. Era impallidito, e Cagalli sapeva bene il perché. “E niente potrebbe mai ricondurre quei ragazzi a noi. Sono stati progettati e… assemblati in laboratori dell’Alleanza Terrestre, con componenti di un’azienda della Federazione Atlantica. Anche se li smontassero non troverebbero il marchio di Morgenroete sopra quei pezzi, ma quello di altri.”

Il giovane abbassò la testa e il tono di voce. “E poi lo sapete. Tutti gli STORM hanno nanocapsule di acido in circolo. In caso di incidenti sono realizzati per non cadere nelle mani del nemico. I Logos tenevano molto ai loro segreti.”

Cagalli vide il marito deglutire, e lei congiunse le mani, non riuscendo a non sentirsi profondamente colpita.

Non ci sarà mai fine? Come riusciremo a voltare pagina, fino a quando ci saranno in giro le vittime degli errori dei nostri padri?’

“Scusatemi” mormorò lui. “Non riesco a pensarlo solo come un problema scientifico o di affari. Non ce la faccio proprio.”

Erica gli mise una mano sulla spalla. “Sappiamo del tuo amico...”

“No” reagì il giovane Ammiraglio. “Non è solo per lui, ma anche per tutti gli altri. Sono Coordinator, come me. Hanno tutti più o meno la mia età, e sono stati ridotti così nel corso di una guerra che mio padre ha voluto.”
Cagalli scattò in piedi. “Tu non hai nessuna colpa.”

“Ma io avrei potuto benissimo essere tra di loro” obiettò il marito, fissandola negli occhi. “Capisco i problemi, ma non li reputo insuperabili. E non stiamo solo discutendo di un contratto. Ci sono persone coinvolte, ti chiedo solo di tenerne conto.”

Lentamente, Cagalli si sedette al suo posto, senza smettere di fissare il marito. Athrun le aveva appena ricordato il punto più importante di tutta la questione, ma anche lei doveva rammentare qualcosa a lui.

“Athrun, io non so cosa ti abbia detto il tuo amico, e mi scuso per non averti fatto leggere questo rapporto prima della riunione, ma qui dentro c’è scritto qualcosa di cui non possiamo non tenere conto.”

“Che cosa?” chiese lui, allarmato.

Cagalli serrò le labbra, e appoggiò la mano aperta su plico. “Hai idea del perché Serpent Tail non abbia proposto questo affare direttamente alla Anaheim Electronics, nonostante lavorino già con loro?”

“Immagino che quei Coordinator non vogliano avere rapporti con un’azienda che è appartenuta ai Logos, se non per lo stretto necessario. Soprattutto con quella implicata nel progetto originario.”

“Immagini bene” gli rispose lei, socchiudendo gli occhi. Sentiva le dita formicolare, e all’improvviso si pentì di averlo invitato alla riunione. Era emotivamente troppo coinvolto in quella faccenda, poteva rendersene conto solo guardandolo in faccia. “Erica ha posto la stessa domanda a Cecilia, e sai cosa le ha risposto? Sai perché il progetto STORM è rimasto un segreto fino ad ora? Perché poco prima della fine della guerra del 73 C.E. tutti i membri del Consiglio di Amministrazione della Anaheim furono uccisi, compreso il Responsabile dell’Ufficio Brevetti, il Direttore della sezione Ricerca e Sviluppo e i suoi più stretti collaboratori. I server della sede centrale vennero saccheggiati da hacker e migliaia di dati sparirono nel nulla.”

Erica annuì. “Ai tempi si pensò ad un caso di spionaggio industriale, o ad una vendetta contro un’azienda fornitrice di armi all’Alleanza Terrestre. Ma ti ricorderai che erano anni caotici, nei quali episodi del genere erano all’ordine del giorno.”

“E invece adesso sappiamo la risposta” infierì Cagalli. “Hai capito, Athrun? Hanno ammazzato tutti quelli che avevano avuto che fare con il progetto STORM.”

Athrun non distolse gli occhi dai suoi. La guardò senza avere nessun tentennamento, anche se lei poteva vedere chiaramente lo shock nei suoi occhi. “Te ne stupisci, dopo quello che gli hanno fatto?”

Lei scosse lentamente la testa. “No di certo, ma sono pericolosi, e non solo un’opportunità.”

“Se si sono rivolti a noi, Cagalli, è perché si fidano. Altrimenti non ci avrebbero rivelato tutte quelle cose.”

“Lo so, ma secondo te come faccio a dimenticare che stiamo avendo a che fare con dei soldati addestrati ad uccidere? Io devo pensare anche alla Nazione che mio padre mi ha lasciato.”

Profondamente incerta, la Principessa congiunse le mani, e vi appoggiò sopra la fronte. Riuscì a rialzare la testa solo dopo qualche secondo di grave silenzio tra loro, che sembrò un’eternità. “Erica” esalò con voce che cercò di mantenere il più ferma possibile. “Secondo te quei ragazzi hanno davvero bisogno di noi?”

La Direttrice di Morgenroete sottolineò la sua risposta con un lieve sorriso. “Cecilia ha negato con tutte le forze. È troppo orgogliosa per ammetterlo, ma dai pochi esami che ho compiuto su Lorran e Nicol io credo di sì. Anche se quegli impianti non presentano un grado di senescenza tecnologica paragonabile a quella di regolari apparecchiature militari, la loro necessaria manutenzione esige un ambiente sterile, e un supporto medico che deve essere l’eccellenza in molti campi. Tutto ciò è decisamente costoso, e lo diventerà ancora di più nei prossimi anni, quando probabilmente bisognerà operare delle sostituzioni.”

“E, con il nostro supporto, quelli di Serpent Tail risolverebbero il problema a costo zero” terminò Cagalli, che finalmente aveva chiaro l’intero quadro.

Sospirò profondamente, appoggiandosi all’alto schienale della poltrona. “Va bene. Ne parlerò agli Emiri al mio ritorno da Ginevra. Nel frattempo, Erica, agisci secondo tua coscienza. Che la dottoressa Jesek lavori pure con te, ma per nessuna ragione deve usare le conoscenze di Morgenroete per quelli di Serpent Tail. E nemmeno voglio niente da loro! Sono quei bastardi gli unici che posseggono i progetti originali di quelle diavolerie. Quindi ti concedo il mio appoggio tra gli Emiri solo se mi confermi che potrete lavorare anche senza” terminò quasi ringhiando.

Erica Simmons annuì. “Assolutamente sì. Abbiamo Cecilia, e con un processo di reverse engineering analizzeremo quegli impianti di derivazione militare e ne concepiremo dei prototipi per un uso civile, adatto anche ai Natural. Lorran e Nicol sono disponibili ad aiutarci nei nostri studi. Però” aggiunse la donna scoccandole un’occhiata obliqua. “Sei quindi d’accordo che la manutenzione degli STORM può avvenire a Morgenroete? D’altronde forniamo già servizi ai privati, questo non è oggettivamente diverso.”

Era il problema più grosso, ma un solo sguardo ad Athrun le confermò che quella risposta avrebbe forse deciso il futuro del suo matrimonio. Era così nervosa che accartocciò la relazione di Erica.

“Non prendiamoci in giro, Erica” brontolò di malumore. “Settare un gruppo ottico che permette ad una persona di sparare al prossimo da duemila metri di distanza non è come costruire un flyer per un uomo d’affari, ma soprassediamo. Comunque è sì, ma accertati che anche quelli non vadano in giro a parlare a vanvera.”

La Principessa si girò poi verso il marito, puntandogli l’indice contro. “Sono tutti sotto la tua responsabilità, ricordatelo!”

Messe le cose in chiaro, Cagalli Yula Athha abbassò gli occhi sul rapporto rovinato, facendo finta di non notare il sorriso orgoglioso che si stava spandendo sul volto di Athrun.

***

Non era ancora l’alba quando la limousine del Delegato di Orb si mise in viaggio verso l’aeroporto. Le stelle stavano lentamente svanendo, inghiottite da un cielo che incominciava a colorarsi di rosa ad oriente, annuncio di un’altra giornata perfetta.

Cagalli, appoggiata alla spalla di Athrun, che aveva deciso di accompagnarla, scorreva svogliatamente i messaggi di posta elettronica ricevuti durante la notte. Avrebbe avuto tutto il tempo per farlo durante il viaggio, ma oramai era sveglia, e meglio quell’attività che soccombere alla tentazione di ragguagliare per l’ennesima volta Athrun su come impugnare un biberon. Non era la prima volta che lasciava le gemelle sole con marito e governante ma, come sempre, avvertiva in ogni caso una serpeggiante inquietudine in fondo allo stomaco.

“Il Segretario Generale delle Nazioni Unite mi scrive che la situazione in Africa è molto grave” disse ad Athrun leggendo un’email. “Al mio arrivo mi hanno già fissato un paio di appuntamenti con i rappresentati a Ginevra di PLANT e della Federazione Atlantica. Che disdetta non aver potuto mandare anche noi un delegato.”

Lui sorrise. “E chi meglio di te può ricondurli alla ragione?”

“Guarda, riuscirei a farlo solo se li prendessi a testate” rispose la giovane.

“Sei davvero convincete quando vuoi, sai?”

Nelle parole di Athrun, Cagalli constatò un leggero sarcasmo, che le fece lanciare al marito un’occhiata corrucciata.

“Senti chi parla!”

“Sei già pentita di quello che hai concesso ad Erica ieri?”

“No, scemo, ma spero davvero che vada tutto bene.”

In tutta risposta, lui le diede un bacio sulla testa. “Non avresti potuto prendere decisione migliore. Te l’assicuro.”

“Chissà se gli Emiri saranno ugualmente d’accordo. Non ti nascondo di avere un po’ paura della loro reazione. Avrebbero tutte le ragioni di volere la mia testa per avere autorizzato una cosa del genere.”

“Non dire sciocchezze. Quando realizzeranno quanto guadagnerà Morgenroete, e quindi lo Stato di Orb, con la fornitura di quegli impianti agli ospedali di tutto il mondo, stenderanno un tappeto rosso alla Jesek.”

Cagalli chiuse gli occhi, decisa a godersi qualche momento di pace prima del volo. “Probabilmente. Non staranno nella pelle al pensiero di battere la Anaheim Electronics sul loro stesso terreno. Anche se...”

“Sì?”

Le labbra della giovane si strinsero in una smorfia preoccupata. “Speriamo solo di non finire come quei poveracci, Athrun, speriamolo davvero.”



___________________________



Note


(1) L'occasione era troppo ghiotta per non coglierla ^^ La Anaheim Electronics non me la sono inventata io ma è una citazione da Gundam Z http://en.wikipedia.org/wiki/Anaheim_Electronics



Intanto grazie tantissime a Shainareth per il betaggio, e a tutti quelli che passano di qui, leggono e che mi lasciano scritto qualcosa, soprattutto la mia cara Hanako-chan ^^

SnowDra1609 Grazie per il tuo commento! Per i zero errori e ripetizioni devo anche ringraziare la mia beta, se non ci fosse lei! XD Dunque, non è necessario conoscere SEED Astray per seguire questa storia, comunque sì, i mercenari di Serpent Tail li ho presi da lì, anche se non sto considerando gli eventi di quei manga nella linea temporale. Purtroppo ne so troppo poco.

MaxT Sono molto felice che tu abbia deciso di seguire questa storia! ^^ Quanto a Cecilia... è matta, quindi non bisogna stupirsi troppo di quello che combina. Un po’ come nel romanzo ‘Io sono Leggenda’, di Richard Matheson, agli occhi di Cecilia siamo noi i mostri repellenti, non le sue bambole che percepisce simili a lei, perché come lei paria e diversi dal resto del genere umano.

Gufo_Tave LOL! Davvero anche tu hai pensato a Dearka come pilota di F1? Dai, sarebbe il lavoro perfetto per lui: bello, biondo, abbronzato e circondato da belle donne ;)

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Capitolo 5
*** Confronto ***


Confronto



Ginevra, 23 marzo 82 C.E.


L’aereo di Cagalli atterrò all’aeroporto di Ginevra in perfetto orario, dopo solo qualche ora di volo suborbitale che il Capo di Stato di Orb aveva trascorso a leggersi tutto quello che le sarebbe servito nelle riunioni dei giorni successivi. Se qualche giorno prima erano i rapporti sullo stato dell’economia mondiale ad occupare più spazio nell’hard disk del suo computer, ora erano invece le relazioni sulla difficile situazione politica in Africa Orientale

Per quel motivo Cagalli scese dall’aereo già preoccupata, stringendosi addosso il cappotto. Ginevra in marzo era decisamente più fredda di Onogoro.

C’era una macchina ad aspettarla, e Vlas Temaru, il rappresentante di Orb alle Nazioni Unite, che le aprì personalmente lo sportello del mezzo.
“Benvenuta a Ginevra, Delegato Athha.” 

La giovane si accomodò all’interno insieme alla segretaria, lieta di essere sfuggita alla gelida brezza che soffiava giù dalle Alpi.

“Odio questi voli così brevi” mormorò la giovane, soffocando uno stranuto. “Tutte le volte lo sbalzo di temperatura è micidiale.”

“Mi spiace” le disse Temaru con fare contrito. “E pensare che fino a ieri era una giornata stupenda.”

“Forse anche il tempo si è adeguato all’umore dei politici che si presenteranno qui. Com’è la situazione?”

“Pessima. I rappresentati all’Assemblea della Comunità Africana e dell’Unione Sudafricana si evitano accuratamente, mentre quelli di Somalia, Eritrea e Kenia, gli stati direttamente coinvolti, si insultano apertamente.”

“Sono esasperanti!” sibilò Cagalli frustrata. Poi scosse la testa, rilassando il cipiglio che rischiava di farle venire un tremendo mal di testa, e si prese qualche minuto per ammirare il panorama.
La vettura stava sfilando veloce tra gli immacolati viali della bella città della Federazione Euroasiatica che, qualche anno prima, si era fortunosamente salvata dalla guerra che aveva devastato il continente una volta chiamato Europa. Sia per quello, sia come omaggio alla città che aveva ospitato la prima organizzazione intergovernativa per il mantenimento della pace(1), nel 74 C.E. era stato deciso di eleggerla a sede delle rifondate Nazioni Unite. A Cagalli non era sembrata una buona idea, proprio perché l’illustre precedente non aveva avuto chissà che fortuna, ma tutti gli altri Capi di Stato erano stati irremovibili.

La bionda Principessa sorrise mestamente. E sperò che nei giorni successivi i suoi esimi colleghi fossero un po’ più malleabili.

 

L’autista portò Cagalli direttamente alla sede delle Nazioni Unite, dove le era stato programmato il primo incontro della lunga giornata: quello con il rappresentante della Federazione Atlantica.

Scese dal mezzo ed entrò nel palazzo con un po’ di apprensione. Durante il volo la giovane aveva avuto la sorprendente notizia che, sconvolgendo tutta la sua agenda, il Segretario di Stato in persona sarebbe intervenuta, e Cagalli non riusciva a trovare la cosa completamente rassicurante. Perché la situazione doveva essere più grave di quello che le era sembrato leggendo i rapporti se Diana Raphael in persona si era scomodata a lasciare Washington per discuterne.

Cagalli aveva insistito per incontrarla da sola, senza il consueto codazzo di segretari e funzionari, per cui la sala che era stata riservata per la riunione era piccola, arredata con gusto e fornita di computer ma anche di qualche leggero rinfresco posato sul tavolo centrale. Quando Cagalli entrò, Diana Raphael, che era già là, si alzò compitamente a salutarla, chiudendo uno spesso fascicolo che stava sfogliando.

Le due donne si scambiarono una ferma stretta di mano. Non era la prima volta che si incontravano, e Cagalli rispettava molto la donna di mezza età, dalla pelle scura e dai franchi occhi neri, che come navigato politico aveva superato indenne due guerre e molte crisi interne della sua nazione e del suo partito. La considerava molto più in gamba del Presidente della Federazione Atlantica in persona, che Cagalli riteneva niente altro che un burattino nelle mani della potentissima lobby degli armamenti.

“Sei già informata di tutto?” le chiese Diana Raphael, parlandole nel consueto stile informale dei nordamericani.

Cagalli annuì prendendo posto attorno al tavolo. “Sì. Ci sono stati ulteriori sviluppi?”

“No di certo, quelle teste di cazzo della Comunità Africana rifiutano di sentire ragioni, e sostengono apertamente la posizione intransigente della Somalia e dell’Eritrea, senza curarsi del fatto che entrambi quei paesi sono in torto marcio” sentenziò la donna, facendo sollevare un sopracciglio a Cagalli. Certo che come inizio era davvero poco promettente.

“Perfetto. Allora, per cominciare mi vorresti fare un piccolo riassunto? Gradirei sentire il tuo punto di vista.”

L’americana annuì, sembrava non stesse aspettando altro.

Pigiò un tasto sul suo computer, e una mappa olografica del Corno d’Africa apparve tra le due donne. 

“Come sai gli sconfinamenti di truppe della Comunità nei territori dell’Unione Sudafricana sono continuati ben oltre la fine della guerra nel ’73. Gli stati nostri partner hanno sempre cercato di tamponare la situazione tenendo alta la guardia lungo i confini, e militarizzando pesantemente le zone più a rischio. Un mese fa, però, diatribe mai sopite tra Somalia, Eritrea e Kenia, sono esplose in una gravissima crisi diplomatica sfociata nella richiesta dei primi due stati di supporto militare a PLANT con cui la Comunità Africana, di cui fanno parte, ha ancora un trattato di alleanza.” Diana Raphael la guardò di sottecchi. “A questo punto noi non potevamo stare a guardare lasciando solo il Kenia e tutta l’Unione Sudafricana, uno dei nostri principali partner commerciali.”

Cagalli riunì le mani a pugno sotto il mento. La donna davanti a lei stava raccontando la storia dal suo punto di vista, tralasciando un paio di punti che la Principessa non si trattenne dal farle notare.

“Ovviamente capisco i riguardi nei confronti del vostro partner” disse, notando come il Segretario di Stato avesse volutamente evitato di dire la parola ‘alleato’. “Ma non dobbiamo dimenticare il fattore scatenante di tutto questo pasticcio.”

La giovane puntò un dito sulla mappa, a qualche centinaia di chilometri dal Lago Vittoria, esattamente sul confine tra l’Unione e la Comunità Africana.

“Somalia ed Eritrea si trovano nella poco invidiabile posizione di avere gran parte dei territori aridi ed inospitali, e dipendono dalle forniture d’acqua dei vicini kenioti. Che, senza preavviso, hanno sospeso l’erogazione, costringendo i governi dei due paesi ad un costosissimo ponte aereo dal Mar Rosso per assicurare ai propri cittadini l’acqua potabile e quella necessaria a tutte le attività civili e commerciali. Comprenderai anche tu che la decisione del Kenia è stata, come minimo, veramente intollerante.”

“Certo, ma ne sono stati costretti, dopo che per anni né le autorità somale né quelle eritree hanno mai fatto nulla contro i furti d’acqua dalle condutture. Senza contare i ritardi nei pagamenti.”

“Avanti” esalò Cagalli conciliante. “Sai benissimo che quei due stati sono tra i più poveri della Comunità Africana. In un certo senso, non è nemmeno colpa loro se non hanno più sorgenti d’acqua dolce.”

Diana Raphael si mise a ridere. “No, infatti. Non ti nascondo che quando penso a questa situazione non posso fare a meno di trovarla estremamente ironica. Le fonti che avevano sono state distrutte dieci anni fa dalla caduta di Junius Seven, provocata dai loro stessi alleati di PLANT.”

“Diana, sai benissimo che è stato un attacco causato da...”

“... da un piccolo gruppo di terroristi con l’altarino di Patrick Zala in casa, certo certo!”  esclamò Diana sventolando una mano davanti a sé. “Lo so, stavo scherzando. Ma rimane il fatto che le Nazioni Unite devono imporre alla Comunità Africana di saldare i debiti dei suoi due membri, se loro non ne sono in grado. O che lo faccia PLANT, visto che a loro gli alleati si sono appellati.”

“È quello che chiederai all’Assemblea Generale?”

“Ovviamente, sono qui in persona proprio per quello. Per bloccare sul nascere un conflitto potenzialmente esplosivo.”

Il Segretario di Stato abbassò la voce, come timorosa di farsi sentire, anche se nella stanza non c’era nessuno oltre a loro.

“Due giorni fa abbiamo ricevuto un rapporto confidenziale dai servizi segreti. Hanno individuato movimenti di truppe eritree ai confini con il Kenia. Capirai quanto questo può essere pericoloso, considerata la situazione già incandescente.”

Cagalli fissò negli occhi la donna più anziana. Tutta la questione stava prendendo una piega decisamente preoccupante, e non si stupiva più che Diana Raphael fosse lì davanti a lei. “Esattamente quanto pericoloso? Ho bisogno che tu me lo dica chiaramente.”

“Ti basti sapere che difficilmente noi potremmo stare a guardare se quelli sconfinassero” gli rispose Diana, brutalmente. “Ti ricordo che il lago Vittoria ospita un mass driver che è fondamentale per l’economia della zona, e anche per la nostra. Quell’infrastruttura è necessaria per la Federazione Atlantica, e noi non possiamo permettere che cambi proprietario. Soprattutto se si tratta di alleati di PLANT.”

Cagalli avrebbe voluto urlare, frustrata fino all’inverosimile da tutto quel discorso. Come faceva quella gente a non capire? Come faceva dopo dieci anni, e due guerre devastanti, ancora a contrapporsi, fissi nei medesimi schieramenti e posizioni intransigenti che li avevano già portati a scannarsi anni prima? Il genere umano davvero non avrebbe mai imparato nulla?

Si prese la testa tra le mani, distogliendo lo sguardo dal Segretario di Stato. La risposta l’aveva chiara in testa. Giusto il giorno prima con Athrun non aveva affrontato il medesimo discorso di colpe e responsabilità?

‘Ci siamo ancora dentro. Fino a quando non rimedieremo a tutti gli sbagli commessi da chi ci ha preceduti.’

E adesso toccava a quelli come lei, alla nuova generazione di governanti, far sì che un problema circoscritto non deflagrasse in qualcosa che avrebbe potenzialmente potuto incenerire il mondo una terza volta.



Orb, 24 marzo 82 C.E. 

 
L’aeroporto militare di Onogoro era una struttura moderna, ricostruita due volte nel corso degli ultimi undici anni e, malgrado l’Emirato di Orb fosse una nazione neutrale e pacifica, mantenuta in perfetto stato. I moli di attracco delle potenti navi da guerra del Paese si spingevano profondamente nel mare, e dall’alto sembravano lunghi nastri grigi, appoggiati sul blu di seta dell’oceano.

Erano le quattro di pomeriggio, e faceva decisamente caldo. Il sole era a picco, e si rifrangeva crudelmente sul cemento della pista di decollo dei jet di Orb, quasi accecando gli ospiti dell’Ammiraglio Zala.

Romina Amalfi strinse il parasole, tentando disperatamente di non soccombere alla tentazione di infilarsi gli occhiali scuri. Le avevano insegnato che farsi vedere in pubblico con il volto coperto come una star del cinema era disdicevole per una vera signora, e lei aveva tutte le intenzioni di resistere. Però pregava che partissero il più presto possibile, per quella e per altre ragioni molto più importanti.

“Ammiraglio Zala, capisco il bisogno di assicurarci la massima protezione, ma pensa davvero che questo sia necessario?” sentì suo marito chiedere al figlio di Patrick Zala, venuto ad accompagnarli al flyer che gli avevano assegnato insieme a tre militari.

Il giovane indicò gli uomini dietro di lui. “Ambasciatore, sa che la sua sicurezza una volta fuori dalla legazione è affidata ai miei uomini, e io purtroppo devo fare di tutto per garantirvela. Vi state recando fuori dai nostri confini, in un luogo deserto dove non abbiamo nessun presidio militare. Sarebbe fin troppo facile organizzare un attentato e, anche se il vostro viaggio è un segreto, io non posso farvi correre nessun rischio. Vi prego di capire. Dopotutto, lo faccio per la vostra sicurezza” terminò, suonando cortese ma sufficientemente irremovibile.

Per quello che ne sapeva lei Athrun Zala non aveva tutti i torti; capiva le sue preoccupazioni e realizzò che si sarebbe sentita davvero più tranquilla ad avere con loro una scorta a così alto livello. Il marito dovette pensarla allo stesso modo, perché le lanciò un sorriso prima di annuire ad Athrun.

“Sì, ha perfettamente ragione, Ammiraglio. È solo che volevamo un po’ di privacy, come comprenderà.”

“Non si preoccupi, i miei uomini sono molto discreti.”

Athrun Zala fece un gesto verso quello che a lei sembrava il più alto in grado; l’uomo di mezza età, dai lineamenti austeri, fece un passo avanti e si esibì in un impettito saluto militare.

“Colonnello Yan Oakley, SOF(2) della Marina. Questi sono i miei uomini, il Capitano Erik Zech, e il Tenente Nikki Almark.”

Yuri Amalfi gli ritornò il saluto. “Addirittura i famosi Navy Seal di Orb?”

“Solo il meglio per la sua gentile Signora, Ambasciatore” rispose il militare, inchinandosi cavallerescamente verso di lei.

Romina inclinò la testa, grata delle attenzioni che Athrun Zala stava tributando a lei e a suo marito. Avere addirittura personale delle forze speciali le sembrava piuttosto sovradimensionata come scorta, ma evidentemente l’Ammiraglio non voleva fargli correre nessun rischio.

Guardò i tre uomini, vestiti di tutto punto con mimetiche in toni sabbia, giubbotti antiproiettile, elmetti e visiere protettive dalle lenti scure. Tutti e tre portavano a tracolla mitra dal calcio ripiegato e questo particolare, unito al loro atteggiamento attento ma rilassato, la rassicurò. Il Colonnello e uno dei suoi uomini tenevano gli occhi su di lei e il marito, mentre quello che le sembrava il più giovane del gruppo, da quel poco che riusciva a vedere del suo volto, fissava invece il loro mezzo.

Romina Amalfi sorrise, spostando cautamente il parasole e sfiorandosi una guancia.
‘Quel ragazzo ha la pelle molto chiara per essere un soldato che passa chissà quante ore ad addestrarsi sotto al sole’ notò in modo frivolo e con una punta di invidia, per poi sospirare profondamente.  

Per quanto cercasse di allontanare il problema pensando ad altro, si rese conto di non riuscire più a tenere a bada l’inquietudine. Malgrado fosse stata lei a volere fortemente quel viaggio, in quel momento sentiva che il coraggio le stava sfuggendo, evaporando sotto il sole impietoso di Orb come evanescente rugiada.

“Possiamo andare, allora” stava dicendo il Colonnello. “Prego, Signora”.

Lei annuì, facendo un cenno di saluto ad Athrun Zala e seguendo il marito sul flyer. Si accomodò accanto al finestrino, costringendosi a fissare il panorama, nonostante il crudo riverbero. Voleva goderselo perché si ricordava quanto Nicol le aveva scritto, nella sua ultima email, di amare l’oceano terrestre. E le onde, che martellavano le vulcaniche scogliere di Orb, erano probabilmente l’ultima cosa che tanti anni prima aveva allietato lo sguardo del suo bambino prima di essere ucciso.

 

***

 

Fu quando sentì il flyer staccarsi da terra che Nicol Amalfi decise che intrufolarsi non invitato nel breve viaggio dei suoi genitori era stata una pessima idea. Non ricordava più che parole avevano usato Miguel e Athrun per convincerlo, ma in quel momento si maledì per avergli dato ascolto.

Dopo tutto quello che aveva passato in quegli anni aveva immaginato di essere psicologicamente pronto, ma stava scoprendo che, come su Aprilius One, non era affatto facile riagguantare un pezzo così importante e tragico del suo passato. E, ovviamente, l’ambiente non l’aiutava di certo. A cominciare dal panorama che si godeva dal flyer: quello del cielo dove era stato abbattuto. La sensazione che provava a guardare fuori era decisamente sgradevole.

Per l’ennesima volta verificò che gli occhiali non si fossero spostati, anche se dubitava che i suoi genitori si fossero accorti della sua somiglianza con il figlio perso da tanto tempo.

Quando la madre l’aveva fissato, prima di decollare, era quasi scappato, e l’aveva trattenuto al suo posto solo lo sguardo carico di aspettativa di Athrun.

Nicol si ripeté silenziosamente che sarebbe andato tutto bene anche se la paura che, vedendolo, avrebbero potuto odiarlo, era insopprimibile. Poteva provare la propria identità, ma non avrebbe potuto farci proprio niente se, dopo tutti quegli anni, e scoprendo cos’era diventato, l’avessero respinto.    
‘Potrebbe succedere. Loro sono sempre i miei genitori, ma io non sono più il loro bambino. È tutto così macabro…’

Perché se vederli dal vivo era stato uno shock per lui che era preparato all’evento, poteva solo immaginare cosa sarebbe stato per loro di lì a poco.
Di Yuri e Romina Amalfi aveva avuto foto e filmati, ma solo quando se li era trovati davanti si era reso conto di quanto suo padre non fosse più il gigante d’uomo che si ricordava, e di come sua madre fosse diventata piccola ed esile, rispetto alla donna che riusciva a soffocarlo nei suoi abbracci tanti anni prima.

Doveva essere normale, si disse, dopotutto lui era cresciuto molto da quando aveva quindici anni e, pur non essendo altissimo, non era nemmeno più lo scricciolo di ragazzo le cui maniche dell’uniforme di ZAFT andavano sempre troppo lunghe.

Chiuse gli occhi, grato che la visiera e l’alto colletto del giubbotto antiproiettile nascondessero il suo volto e quanto fosse commosso. Lo feriva vedere la madre sfiorita a soli quarantasette anni, un’età nella quale i Coordinator, che avevano una vita media più lunga dei Natural, erano considerati ancora piuttosto giovani, e sperò di riuscire almeno a ridarle la serenità, se non proprio a farle dimenticare tutto quello che aveva sofferto in quei lunghi anni.  

 

Sull’isolotto inospitale, teatro del suo ultimo duello con Kira Yamato, il flyer atterrò dopo una ventina minuti di volo; lo scoglio, arido e apparentemente disabitato, spuntava appena dal mare tropicale, un poco al di fuori delle acque territoriali di Orb.

Il Colonnello aiutò la madre a scendere, per poi fare un cenno a Yuri Amalfi.

“Noi ispezioneremo i dintorni, mentre il Tenente vi accompagnerà alla spiaggia, che è giusto dietro quel crinale. Metteteci tutto il tempo che volete, se ci dovessero essere dei problemi comunicherò le istruzioni al mio uomo.”

Nicol si irrigidì quando il padre gli scoccò un’occhiata di sbieco. “Immagino sia indispensabile che lui ci accompagni, vero?”

Serio come se stesse ordinando un bombardamento a tappeto, il Colonnello fu irremovibile. “Assolutamente sì.”

Si avviarono, e l’ex-pilota di ZAFT con loro, osservando la madre che appoggiava cautamente la mano sul braccio del marito, bilanciando con l’altra il parasole, dritta e dignitosa nonostante il caldo e la situazione spiacevole. Quei dettagli fecero capire a Nicol che era rimasta la signorile ed elegante donna che tutta l’alta società di PLANT invidiava, e fu felice di notare che almeno in quello non era cambiata.      

L’auricolare integrato nell’elmetto crepitò, e il giovane sorrise lievemente aspettandosi, come infatti avvenne, la risata fragorosa del Colonnello Oakley.

“Ehi, ragazzo? Non sono male come attore, vero? Ti lascio con loro, come d’accordo. In bocca al lupo, e fai un fischio se hai bisogno di aiuto.”

“Ricevuto” mormorò contro il microfono. “Passo e chiudo.”

Ovviamente sull’isola non c’era nessun pericolo, ma Athrun aveva escogitato quel sistema geniale per far sì che riuscisse ad accompagnarli e a stare un po’ da solo con loro, lasciandogli comunque la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo secondo, senza rivelare la propria identità. E, nonostante Nicol lo desiderasse, paradossalmente la voglia di scappare si faceva più forte man mano che si avvicinavano alla spiaggia dove la sua unità e quella di Kira Yamato si erano scontrate.

Riconosceva il posto. Non lontano da lì era atterrato, e aveva deciso di afferrare uno dei dardi fortunosamente finito accanto al Blitz, dopo che la sua unità era stata privata del braccio destro dove erano montate tutte le armi di cui disponeva.  

Si ricordava del momento esatto in cui aveva compiuto la scelta di attaccare lo Strike. Anche da solo. Anche disarmato. Perché Athrun era in pericolo. E lui era l’unico che poteva aiutarlo.

Nicol sbatté le palpebre, conscio di aver indugiato troppo nel suo incubo ad occhi aperti. I suoi genitori erano fermi sul bordo della scogliera, che in quel punto si apriva in una sorta di emiciclo; guardavano sotto di loro la riva rocciosa distante qualche metro, stretti l’uno all’altra. Mordendosi il labbro inferiore anche lui si avvicinò, mantenendo comunque una rispettosa distanza dalla coppia. 

Sul posto non erano rimasti rottami, che Nicol immaginò fossero stati portati via da quelli che avevano trovato anche il suo corpo, ma si notava che le rocce dal lato opposto della scogliera, rispetto al punto dove si trovavano loro, erano leggermente scurite.

Dell’incidente aveva conservato memorie fin troppo vivide del colpo fortuito dello Strike, e di quello che era riuscito, nonostante il dolore, a sussurrare ad Athrun prima che la sua unità si disintegrasse; da quel momento però, e fino a quando non si era risvegliato settimane dopo a Nassau, non ricordava nulla. Era come se la realtà si fosse annullata, eccetto che per un particolare: la sabbia attorno ai resti del Blitz, colorata del rosso vermiglio del suo sangue.

Nicol tremò da capo a piedi. Ed indietreggiò desiderando di essere ovunque nel mondo fuorché lì. Era stata decisamente una pessima idea.

Con la coda dell’occhio vide il padre lanciare di sotto il mazzo di fiori che si era portato appresso. Che si aprì a mezz’aria, spargendo gerbere bianche ed arancio in un coreografico arco di caduta che Nicol non riuscì ad apprezzare. Voleva solo andarsene. Fu la voce dalla madre a fermarlo prima che si mettesse a correre.

“Quanti anni ha, Tenente?” gli chiese lei, senza riuscire a nascondere l’incertezza nel tono desolato di quella semplice domanda.

Il giovane fissò ipnotizzato il profilo della madre, la cui attenzione era ancora rivolta alla spiaggia.

“Ventisei” rispose, senza cercare di camuffare il timbro.

Romina Amalfi ci mise un po’ a reagire. Secondi di silenzio riempiti solo dal sibilare del vento incanalato negli anfratti della scogliera.

“Mio figlio Nicol avrebbe la sua stessa età se fosse ancora vivo. Ma lui è morto qui, proprio in quel punto. Credo” disse alzando un dito verso le rocce annerite. “Abbiamo posato tanti fiori, in tanti posti diversi. Sulla lapide con il suo nome nel cimitero di PLANT, e ai piedi del monumento ai caduti ad Aprilius One; e poi in tutte le commemorazioni per i soldati morti in guerra. Ma nemmeno la luce di una candela rallegra il luogo in cui davvero riposa il nostro povero bambino.” La donna si interruppe, chiudendo gli occhi. “Nessuno è mai riuscito a recuperare il suo corpo, nonostante tutte le ricerche. Nessuno ce l’ha mai potuto ridare. Eppure io ho pregato così tanto perché succedesse. Chissà...che magari non ne sia proprio rimasto niente?”

La voce le si spezzò, e Romina Amalfi appoggiò il volto alla spalla del marito.

“Ti prego, dammi il permesso di piangere un’ultima volta. Poi non lo farò più, lo giuro” mormorò.

Nicol, sconvolto, invidiò profondamente la compostezza con la quale i suoi genitori stavano affrontando il momento, e si pentì amaramente di non avergli mai detto nulla. Era stato solo un egoista e un vigliacco, e li aveva fatti soffrire inutilmente per troppi anni. Quindi, se voleva palesarsi quello era il momento giusto. Non avrebbe mai più avuto il coraggio di guardare in faccia quella donna se non le avesse detto la verità in quel preciso istante.

“No, non puoi” articolò, a voce abbastanza alta e cercando di tenerla sufficientemente ferma, nonostante si sentisse morire. “Non puoi farlo. Tu non hai nessun motivo di piangere.”

La donna non rialzò la testa, forse non l’aveva nemmeno sentito. Fu invece il padre che lo fissò in tralice.

“Cos’hai detto?” gli chiese, frastornato. 

“Non piangere più, per favore...” 

Nicol raccolse tutto il suo coraggio. Si sganciò l’elmetto, togliendoselo insieme alla visiera, e buttando entrambi a terra.

“Mamma, smettila, per favore” le ripeté.

L’attenzione dei coniugi Amalfi si focalizzò su di lui e Nicol, che si era aspettato incredulità, rabbia e commozione da parte loro, ebbe tutte quelle cose.

Il padre aveva il volto fossilizzato in un’espressione di raggelata sorpresa. “E tu chi saresti?”

La madre, invece, sembrava intontita, come una persona appena ridestata da un lungo sonno. Lo guardò come si scruta un estraneo, che però assomiglia a un amico perduto da tanto tempo; era come se la donna stesse cercando di abbinare un nome a quei lineamenti sconosciuti ma familiari allo stesso tempo.

“Come ti chiami?” gli ripeté l’Ambasciatore, adesso apertamente adirato.

Nicol abbassò lo sguardo. “Lo sai benissimo come mi chiamo. Vi prego, non mi odiate...”

“Ma cosa stai dicendo?” ruggì Yuri Amalfi. Lasciò la moglie, e in quattro falcate fu accanto al giovane, che afferrò per il colletto della mimetica.

L’uomo lo fissò negli occhi. Occhi sintetici, che quel giorno era nascosti dietro lenti a contatto chiare che, da così vicino, non potevano mascherarne completamente l’aspetto inumano. Infatti, come si era aspettato, Nicol vide il padre spalancare i suoi, e impallidire repentinamente.

La sorpresa, sul volto dell’uomo, fece definitivamente crollare l’ex-pilota di ZAFT. Che alzò le mani e afferrò i polsi del padre, costringendolo a lasciare la presa. Aveva usato solo la forza necessaria ma non dubitava che Yuri Amalfi, essendo un ingegnere, riuscisse comunque a capire che c’era qualcosa di anormale in quella stretta.

“Non avere paura di me... per favore” balbettò Nicol, incapace di aggiungere altro.

Non ce ne fu bisogno.

Il padre rimase per secondi bloccato in un esterrefatto silenzio, senza riuscire fare altro che fissarlo e massaggiarsi i polsi. Poi, esitante, gli toccò il volto, sfiorandogli gli zigomi. Il gesto si trasformò naturalmente in una carezza, come quelle che era solito fargli quando era piccolo, e rammentò a Nicol momenti talmente belli che il giovane non riuscì più a trattenere le lacrime. Avrebbe voluto abbracciarlo, e correre a consolare sua madre, ma non osava muoversi.

Yuri Amalfi gli prese le mani, indugiando prima sui polsi, e poi sulle articolazioni delle sue dita bioniche. Nicol sentì il padre tremare, mentre il viso dell’uomo era una maschera di incredulità e sofferenza.

“Tu… cosa ti hanno fatto?” l’Ambasciatore sussurrò.  
“Era l’unico modo, papà… l’unico modo…”

Il padre non lo lasciò finire. Finalmente, una gioia smisurata ma in qualche modo trattenuta gli sbocciò in volto. Annuì, per poi scostarsi così che Nicol potesse vedere la madre, ferma dove il marito l’aveva lasciata, impietrita nella medesima posa ed espressione. Era una figura quasi surreale, immobile in mezzo alle nude rocce con il suo parasole, e l’orlo del vestito color glicine che si muoveva piano nella brezza rovente.

Una luce di consapevolezza sembrò illuminare la donna; poi l’incanto si spezzò e lei scivolò a terra, come se le gambe non potessero più reggerne il peso.

“Vai da lei” gli disse il padre, adesso anche lui palesemente commosso.

Nicol non se lo fece ripetere due volte.

***

Athrun aveva percorso una delle sale ufficiali in lungo ed in largo in attesa della chiamata, come una belva in trappola. Aveva bevuto un paio di caffè molto zuccherati e, infine, si era risolto ad aiutare un gruppo di meccanici che stava riparando un flyer. Tutto pur di tenere la mente occupata. Era al lavoro da una decina di minuti, sotto lo sguardo esterrefatto del personale, quando il suo palmare gli annunciò un messaggio in arrivo.

Si pulì velocemente le dita unte di grasso e lo visionò trepidante; il contenuto non avrebbe potuto rallegrarlo di più.

Al colmo della gioia, strinse la mano a tutti, prima di afferrare la giacca ed uscire sulla pista di atterraggio.

Il suo ottimo umore ebbe però un lieve tracollo quando si accorse che qualcun altro era già in attesa che il flyer dei coniugi Amalfi atterrasse.

Cecilia Jesek era arrivata con Nicol, e Athrun non aveva fatto in tempo a chiedergli perché se la fosse portata dietro. Aveva cercato di evitarla in ogni modo in quell’ora e mezza, ma adesso sembrava che fosse destino che si dovessero parlare.

Si avvicinò, allacciandosi la divisa e ravvivandosi i capelli scuri. Dal canto suo, lei lo degnò solo di una rapida occhiata, per poi tornare a scrutare il cielo.

Quel pomeriggio la scienziata indossava un abito color zafferano, con le maniche lunghe, e aveva in mano un portatile. Tutto nella sua posa, dalla schiena rigida alla stretta convulsa attorno al computer, lasciava trapelare un grande nervosismo.

Athrun le si mise accanto, desolato di dover sicuramente essere quello costretto a fare il primo passo. E così fu.

Dopo quasi cinque minuti, e convintosi ormai che se non avesse aperto lui bocca quella detestabile donna sarebbe rimasta muta per sempre, il giovane si schiarì la voce.

“E così pare che sia andato tutto bene” le disse, cercando di suonare il più neutrale possibile.

Lei non mutò espressione, e nemmeno si girò verso di lui.

“Sì, e non avevo ragione di pensare altrimenti. Anche se affermava il contrario, Nicol desiderava rivederli da tempo.”

“Lo capisco. E…”

“E ti stai chiedendo cosa io ci stia facendo qui” lo anticipò lei.

Athrun si azzardò a risponderle con un’ovvietà. “Sei la persona più importante per lui, immagino ci tenga a presentarti ai suoi genitori.”

“No. Io sono qui per il mio ruolo nel progetto STORM, non perché ho una relazione con lui.”

Prima che Athrun potesse replicare, la scienziata si strinse al petto il portatile, girando la testa e lanciandogli un’occhiata arida. “Gli racconterò la verità. Qui dentro ci sono tutte le specifiche. Nicol non vuole che i suoi genitori si abituino al fatto che esteriormente potrebbe sembrare una persona normale, ma non è giusto che sia lui a farlo. Perché Nicol non c’entra niente. Tocca a me dire a quelle persone cosa gli ho fatto.”

Athrun la fissò, senza fiato. Di certo a quella donna non mancava il coraggio. Se lui l’aveva aggredita, pur non essendo un famigliare, poteva solo immaginare cosa i coniugi Amalfi avrebbero potuto pensare di lei. Soprattutto se gli avesse rivelato la cosa negli stessi termini con i quali l’aveva raccontata a lui.

“È ammirevole che tu ti voglia esporre così verso gente che, con tutta probabilità, ti odierà a morte.”

Sorprendentemente, Cecilia gli sorrise. “Non mi importa. E questo spero che serva a dissipare tutte le obiezioni che mi hai fatto sul non accettare le mie responsabilità.”

In realtà Athrun non credeva l’avrebbe mai perdonata, e aveva la ragionevole certezza che per i genitori di Nicol sarebbe stato lo stesso, ma decise che non c’era nessuna ragione perché non dovessero almeno parlare civilmente. Il suo amico era vivo, la amava, e quello che Cecilia aveva fatto non era niente di peggio di ciò che molti altri soldati avevano commesso in guerra. Lei, oltretutto, aveva anche salvato delle vite. A modo suo ma l’aveva fatto, lui non poteva fare finta di niente.

“Di certo, Cecilia, ti concedo che almeno nei confronti di Nicol tu ti sia accollata tutte le conseguenze delle tue azioni. Gli vuoi davvero molto bene, non è vero?” le chiese. E, comunque, era talmente felice quel giorno che si sentiva anche estremamente benevolo.

“Lui è tutto per me” fu la risposta della scienziata, che sorprese Athrun non tanto per essere la stessa che Nicol gli aveva dato, alla medesima domanda, quanto per il fervore con cui Cecilia aveva pronunciato quelle parole.

Sospirò, tendendo la mano alla donna. “Va bene. Permettimi di scusarmi per le mie parole affrettate dell’altro giorno. In realtà, io non ho proprio ragioni di odiarti.”

Cecilia guardò la mano, poi guardò lui, senza accennare a fare un gesto. Strinse invece gli occhi, in un’espressione di pesante riprovazione.

“Athrun Zala… tutto questo è molto curioso, sai. Perché io invece ti ho odiato per anni.”

Stupefatto, Athrun sbarrò gli occhi. “Cosa?”

La donna riportò la sua attenzione sul cielo, come se sperasse finalmente di vedere apparire il flyer che avrebbe posto fine a quella conversazione.

“Io conoscevo il tuo nome, ancora prima di sapere il suo” scandì chiara, lo sguardo duro come la pietra. “Dopo i primi mesi di trattamenti intensivi, e il completamento di tutti gli impianti, fummo costretti dall’Alleanza a ridurre progressivamente ai ragazzi le dosi di antidolorifici e ansiolitici. Li volevano lucidi, e non dipendenti dagli psicofarmaci come gli Extended. Ma se potevano sopportare il dolore, altrettanto bene non riuscivano a combattere gli incubi che li assalivano, soprattutto di notte.”

Cecilia ritornò a guardarlo, con una smorfia tormentata dipinta in volto. “Ho visto ragazzi grandi e grossi piangere come gattini abbandonati, mentre ci imploravano di dargli qualcosa che gli facesse dimenticare quello che gli era successo.”

La scienziata scosse la testa. “Nicol non diceva una parola durante il giorno, ma si svegliava tutte le notti urlando sempre la stessa cosa ‘Athrun, scappa’. Non ha mai voluto dirmi cosa fosse successo, o chi era questo Athrun che sembrava legato a qualcosa di così tragico, ma ci arrivai lo stesso.”

L’Ammiraglio sentì il sangue abbandonargli il volto. Distolse gli occhi, incapace di sopportare lo sguardo di condanna negli occhi di Cecilia.    

“Se ti può consolare, per anni ho avuto anch’io lo stesso incubo” le confessò, non sperando in nessuna assoluzione, che dubitava sarebbe venuta da una donna così severa.

E, infatti, la voce di Cecilia suonò seccata quando gli rispose. “Posso immaginare perché, adesso che so tutta la storia. Accetto le tue scuse, ma non starò qui a farti le mie, visto che non sono minimamente pentita di quello che ti ho detto. Non puoi capire quanto fossi felice l’altro giorno di poter finalmente insultare il misterioso Athrun.”
L’Ammiraglio la fissò, pentendosi di essere stato così condiscendete con lei. Quella donna era impossibile.

“Nicol non vorrebbe che io e te fossimo così maldisposti l’uno verso l’altra. Io e lui ci siamo già chiariti su quella faccenda” le fece notare, incrociando le braccia al petto.

“Non mi importa, questo è un problema tra me e te. Solo lo scorso dicembre ho capito chi eri, quando finalmente Nicol mi ha raccontato tutto della sua vita su PLANT e, da allora, sento il tuo nome costantemente. Pensa come mi infastidisce vederlo così felice pensando alla persona che è la causa di tutti i suoi guai.”

Per un momento Athrun ebbe paura che la Jesek gli avrebbe lanciato contro il computer. Sembrava davvero furibonda con lui.

“Scusa?” le fece. “Quindi ce l’hai con me perché Nicol…”

“Perché quando mi racconta dei vostri giorni in Accademia o sulla Vesalius è semplicemente raggiante” sibilò la scienziata. “Non prendermi per stupida, Athrun Zala. Non sono così scema da non capire che si è fatto ammazzare per salvare la persona che… che…”

Cecilia si interruppe, visibilmente imbarazzata. Girò la testa e i capelli folti le nascosero il volto. “E al diavolo Miguel e Lacus Clyne!” borbottò.

Athrun, improvvisamente realizzando dove Cecilia stesse andando a parare, si trovò ad arrossire fino alla punta dei capelli.

Non capiva bene cosa c’entrasse Lacus Clyne ma, conoscendo Miguel, era certo che le battute che lanciava a Nicol riguardo il suo presunto innamoramento verso di lui, le faceva sicuramente anche davanti a Cecilia.

‘È gelosa’ si ritrovò a pensare. ‘È semplicemente gelosa di me.’

“Ti assicuro” le disse più sinceramente che poté. “Che era solo ammirazione. Era il più giovane nel nostro gruppo, e io ero l’unico che gli dava retta e lo prendeva sul serio, quando gli altri lo consideravano solo un bambino, e niente più che la mascotte della squadra. Credo mi considerasse il suo fratello maggiore.”

Fece un sorrisetto, non credendo per primo a quelle parole. Anche allora aveva avuto il dubbio che i sentimenti di Nicol stessero virando verso qualcosa di fondamentalmente diverso dall’amicizia, ma non sarebbe andato certo a confessarlo a quella pazza.

Che scosse la testa. “Vedi, Athrun, è questa la cosa che fa più male. Che Nicol sia quasi morto per uno che non si era accorto di nulla. Che non avrebbe comunque mai potuto ricambiarlo. E che quel giorno maledetto sperava si salvasse qualcun altro. Quanto avrei voluto cancellare il tuo ricordo, per non sentirlo più piangere invocando il tuo nome.”

Cecilia si passò la manica sugli occhi, anche se non stava piangendo. Sembrava invece sul punto di crollare esausta a terra dopo quella filippica. Athrun, dal canto suo, si chiese quando la scienziata avrebbe finito di sorprenderlo.

Aveva percepito astio infantile e gelosia in quelle parole, ma anche amarezza e una passione palpabile. Si odiavano l’un l’altra per aver fatto soffrire Nicol, ma Athrun sentì che tra i due era sicuramente lui quello più in difetto. Cecilia gli aveva appena ricordato perché. Ora, non poteva fare altro che ammettere la propria sconfitta di fronte a quella inusuale ma incontestabile dichiarazione d’amore.

 “Cecilia” mormorò, stancamente. “Credimi se ti dico che mi sono maledetto mille volte per non essere stato almeno l’amico che lui avrebbe desiderato. E per essere stato debole con Kira Yamato. Per aver esitato troppe volte, perdendo prima Nicol, e poi anche Kira, e quasi me stesso. Se le cose fossero andate diversamente, per colpa mia saremmo potuti essere tutti morti. Mentre tu... Nicol mi ha raccontato di te e dei Logos, di come hai affrontato Djibril, di quello che hai sacrificato per stare con lui. Si merita di avere accanto una persona così devota.”

Quelle parole gli costarono, ma si rese conto che davvero la donna se le era guadagnate. Che Cecilia amasse Nicol come essere umano o come la sua creazione più perfetta, Athrun finalmente realizzò che non faceva nessuna differenza.

La scienziata lo guardò, e un sorriso più rilassato le sbocciò sulle labbra, poi alzò gli occhi al cielo, dove un puntino nero era appena apparso. Erano tornati giusto in tempo, fu il pensiero di Athrun.

 

Il Colonnello Oakley fu il primo a sbarcare, e aiutò l’Ambasciatore a scendere mentre Nicol faceva lo stesso con la madre. Poi il giovane corse verso Athrun e Cecilia, fermandosi ad un paio di metri da loro. Si era rimesso gli occhiali, e l’Ammiraglio lo vide ondeggiare la testa da lui a Cecilia e viceversa.  

Athrun pregò che Nicol facesse la scelta giusta.

Finalmente, l’ex-pilota di ZAFT esibì una curiosa smorfia divertita, e si risolse ad abbracciarli entrambi.

“Vi voglio bene” disse suonando al settimo cielo, e l’Ammiraglio, nonostante stesse rischiando di soffocare, non poté non emettere un silenzioso sospiro di sollievo. Anche se aveva alzato bandiera bianca in maniera più che lampante, non era certo che si sarebbe salvato dall’ira di Cecilia se Nicol avesse deciso di gettare le braccia al collo solo a lui.



Ginevra, 25 marzo 82 C.E.


Cagalli si rigirò nell’ampio letto della suite che le avevano messo a disposizione, posta all’interno del bel palazzo dell’Ambasciata di Orb presso le Nazioni Unite.

Era esausta, reduce da quarantotto ore di colloqui che non avevano portato a nulla se non a sentire le stesse recriminazione a parti alterne, ma non riusciva a prendere sonno. Troppi pensieri le si affastellavano nella mente, e la consumava il dubbio atroce che non sarebbe riuscita a gestire la più pericolosa crisi dal dopoguerra. L’unica consolazione era l’aver sentito il marito quel pomeriggio. Ad Orb la situazione era tranquilla, e le sue figlie erano in perfetta forma; solo quella era stata la bella notizia in una giornata densa di preoccupazioni.

Socchiuse gli occhi, perché le sembrò di aver sentito bussare. Un suono concitato di voci esplose improvvisamente nella stanza a fianco, spingendola a mettersi a sedere sul letto. Per esperienza sapeva che non era mai una buona cosa ricevere visite all’una di notte, per cui si infilò una felpa e si precipitò alla porta. La spalancò entrando nello studio accanto alla camera da letto, dove trovò la sua segretaria, in camicia da notte, e Vlas Temaru, che era invece riuscito ad indossare una tuta da ginnastica.

L’uomo aveva un’espressione cupa in volto.

“Delegato Athha” la apostrofò, e Cagalli sentì il cuore perdere un battito mentre i suoi pensieri correvano alla sua famiglia.

“Che succede?” gli chiese frenetica.

L’uomo spalancò le braccia. “Ho appena ricevuto la notizia dal Segretario Generale delle Nazioni Unite. Truppe keniote e somale sono appena venute in contatto ad una ventina di chilometri dal confine, sul territorio del Kenia. Colonne di mezzi corazzati e mobile suit eritrei stanno convergendo verso lago Vittoria. Il Kenia ha richiesto il supporto della Tanzania e, soprattutto, della Federazione Atlantica.”

Cagalli ci mise un secondo a processare tutte le informazioni. Il suo primo pensiero fu che le notizie non erano poi così cattive visto che non riguardavano direttamente la sua famiglia, per poi realizzare colpevolmente l’entità del suo sbaglio.

Si appoggiò pesantemente ad un vicino tavolino, mettendosi la mano sulla bocca.

“E PLANT non starà a guardare.”

“Ne dubito fortemente” fu l’agghiacciante risposta di Vlas Temaru, che concretizzò tutte le sue paure più recondite.

Che stesse davvero per ricominciare tutto, nonostante gli sforzi fatti in quegli ultimi anni?



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Note


(1)La Società delle Nazioni, fondata nel 1919, dopo la I Guerra Mondiale, e formalmente sciolta nel 1946.
(2)Special Operation Forces.



Come di consueto, un bacione a Shainareth per il betaggio e alla "mamma" di ZoccoLacus Hanako_chan per le risate e... l'ispirazione. XD

Gufo_Tave Mah, Dearka l'ho scelto perché, secondo me, ha le potenzialità per essere in effetti molto più obiettivo nei suoi giudizi di Athrun. Nel caso specifico, ma anche in generale :) Vedrai che succede tra un po'...

MaxT Sì, Lorran è davvero soddisfatta del suo corpo, ma anche gli altri suoi compagni, chi più e chi meno, a dire il vero, solo che lo esternano con meno arroganza perché sono consapevoli di fare paura alle persone "normali", mentre a lei proprio non gliene frega niente. Anzi. Forse è un po' più matta degli altri ;)

Kourin Ma grazie a te per avermi lasciato un commento ^^ Sì sì, lo ammetto, io parlerei SEMPRE dei loro tempi all'Accademia. E aspetta che arrivi anche il quarto brutto ceffo ^^

SnowDra1609 Staremo a vedere se quelli di Serpent Tail sono buoni o cattivi, di certo loro non si reputano nessuna delle due cose... professionisti, semmai XD Un beta è una persona che dà una seconda lettura a quello che scrivi, che corregge eventuali errori e ripetizioni, e che magari ti dà anche qualche dritta su come fila la trama e sui personaggi. Ti consiglio veramente di braccare qualche tuo amico e di convincerlo a questo divertente lavoretto. :) Per quanto uno possa rileggere la sua roba, c'è sempre qualcosa che scappa, ed avere un'ultima revisione da un altro paio d'occhi è assolutamente utile. :)

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Capitolo 6
*** Blitzkrieg ***


Blitzkrieg



Ginevra, Palazzo delle Nazioni Unite, 28 marzo 82 C.E.


Lo strepito provocato dalle accese discussioni che stavano avendo luogo nell’ampio anfiteatro che ospitava l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite era quasi assordante, mentre nella sala dove era invece riunito il Consiglio di Sicurezza regnava un arido silenzio; gli occhi di tutti i delegati erano puntati sullo schermo che trasmetteva le immagini degli scontri nel Corno d’Africa.

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite era l’icona della disperazione, mentre sia i delegati di PLANT che della Federazione Atlantica si lanciavano sinistre occhiate, come pronti a saltare alla gola al primo che avesse aperto bocca. Cagalli, da parte sua, era determinata a fare di tutto perché non succedesse. Sapeva che la cosa fondamentale era arrivare al più presto possibile ad una tregua, anche se le parti in causa non sembravano voler sentire ragioni, e gli amici delle parti in causa parevano avere tutte le intenzioni di addossare la colpa di quella situazione ai propri avversari politici.

Un colpo di tosse frantumò improvvisamente il silenzio, strappando gli astanti dalla contemplazione della battaglia, e facendo girare tutte le teste verso l’attaché militare della Federazione Atlantica presso le Nazioni Unite, che aveva accompagnato Diana Raphael alla riunione. Il Generale Deimos Mickey corrugò le labbra in una smorfia infastidita, indicando i mezzi eritrei che stavano impegnando in battaglia quelli kenioti.

“Gradirei che quelli di PLANT mi smentissero, ma credo di andare piuttosto sul sicuro affermando che quelli sono vecchi modelli di GINN, ridipinti con le insegne dell’Eritrea.”

Dall’altra parte del tavolo i tre componenti della delegazione tirata in causa sorrisero all’insinuazione. Il loro portavoce, un uomo dai capelli azzurro cielo che Cagalli non aveva mai visto, ma che aveva scritto Axis Tremaine sul segnaposto, scosse addirittura le spalle.

“Potrebbe anche essere. Di certo quella versione risale ai tempi della guerra del ’73.”

“E sbaglio o tutti noi ci eravamo impegnati a smantellare gli arsenali costruiti ai tempi sul territorio dei nostri alleati, obbligandoli anche ad eliminare ciò che gli avevamo fornito?” gli rispose il generale Mickey, alzando leggermente la voce.

“Certo ma, come si ricorderà, negli anni caotici dopo la guerra gli sforzi maggiori furono soprattutto rivolti alla ricostruzione delle città terrestri che voi avevate distrutto; nessuno aveva risorse disponibili per assicurare che davvero gli alleati rispettassero la risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Né le varie commissioni incaricate del problema riuscirono a controllare più del cinquanta percento dei casi dubbi monitorati.” Il Coordinator alzò una mano, prevenendo la seccata risposta del militare della Federazione. “Mi corregga lei se sto prendendo un abbaglio, ma ricordo ai presenti che gli ispettori inviati dalla Nazioni Unite furono buttati fuori da tutti e tre gli stati coinvolti nel conflitto odierno. Noi di PLANT ci siamo di certo resi responsabili di non averli imposti ai nostri alleati, ma la stessa cosa si può dire di voi.” Tremaine indicò i mezzi corazzati kenioti. “Colori a parte, quelli sono carri armati multiruolo prodotti dalla Anaheim Electronics nel suo stabilimento di Augusta. E non mi dica che è una coincidenza.”

Cagalli fece per interrompere quello che per lei era un insopportabile scambio di accuse, ma Diana Raphael la anticipò, mettendosi a ridacchiare.

“Ottimo, ottimo” esclamò. “Ora che abbiamo stabilito che quei pazzi se le stanno dando di santa ragione su residuati bellici che noi stessi gli abbiamo fornito un paio di lustri fa, possiamo cercare di farli smettere o dobbiamo restare a guardare fino a quando dagli arsenali uscirà un qualcosa di più moderno?”

La domanda era stata posta in un leggero tono minaccioso che non sfuggì a Cagalli, e nemmeno al portavoce della rappresentanza di PLANT, come la bionda Principessa ebbe modo di notare immediatamente. 

Axis Tremaine passò una mano di piatto sul tavolo, come a voler spazzare via un leggero strato di polvere. “Ma certo. Propongo che ognuno faccia tutte le pressioni opportune sui governi amici per fare cessare questo... deplorevole stato di cose. Chiaramente, la tregua dovrà essere immediatamente seguita dal ripristino delle forniture d’acqua ai nostri alleati.”

L’atmosfera nella sala, già tesa, si fece glaciale.

“Altrimenti?” domandò con imperturbabile calma il Segretario di Stato della Federazione.

“Non posso garantire che davvero un qualcosa di più moderno, come l’ha chiamato lei, non debba fare la sua comparsa sul campo di battaglia.”

Alla risposta di Tremaine, Cagalli dovette resistere alla fortissima tentazione di abbaiargli un insulto. Fu invece la poltroncina dove era seduta che pagò il prezzo del nervosismo della giovane. Il Delegato di Orb vi affondò le unghie, prendendo un bel respiro prima di aprire bocca.

“Onorevoli rappresentanti” esalò con tutta la calma che riuscì a raccogliere. “Io dubito fortemente che qualcuno di noi voglia davvero che questo incidente diventi il casus belli di qualcosa che, in questo momento storico, potrebbe portare i nostri Stati a confrontarsi ancora l’un contro l’altro con le armi. Noi abbiamo il dovere, in nome di tutte le perdite che abbiamo sofferto, e di tutti quelli che in questo momento stanno morendo in Africa, di porre fine a questa incresciosa situazione.”

Cagalli aveva scelto accuratamente i termini, cercando di non gettare benzina sul fuoco, anche se in cuor suo riteneva estremamente riduttivo parlare di quello che stava passando sullo schermo come di ‘incresciosa situazione’. La giovane strinse fortemente le mani tra di loro, tentando di mettere a tacere il suo istinto. Dieci anni prima li avrebbe assaliti entrambi a male parole, ma la lunga esperienza di mediatore internazionale le aveva insegnato ad essere cauta e diplomatica anche se, di fronte a certe scene, a volte rimpiangeva la sé stessa più schietta e impulsiva. Soprattutto in casi come quello, dove le sue parole sembravano totalmente cadute nel vuoto.

I due gruppi si stavano scrutando non meno freddamente di prima, senza che nessuno desse adito ad aprire bocca.

Era troppo presto per dichiararsi sconfitta, ma Cagalli capì di avere di fronte gente disposta a tutto pur di difendere la propria posizione. Guardò in faccia tutti i presenti; alcuni, come Diana Raphael, li conosceva da anni e sapeva che non erano estremisti né razzisti. Il Delegato di Orb frequentava i circoli dell’alta politica internazionale da abbastanza tempo per sapere che il motivo per il quale i suoi colleghi si stavano confrontando era ben diverso rispetto a dieci anni prima, ma non era meno foriero di gravissime conseguenze.

‘È tutto un pretesto’ considerò, torturata dall’ansia. ‘A loro non importa chi ha ragione o torto in questa situazione. E men che meno hanno a cuore gli interessi dei propri alleati, altrimenti non ci avrebbero messo tre giorni dall’inizio del conflitto per decidere finalmente di riunirsi. Ma in un momento come questo, di gravi difficoltà economiche per tutti, PLANT compresi, una guerra a bassa intensità contro i nemici di sempre è di certo una valida scusa per distrarre l’attenzione dei propri elettori dai veri problemi che i nostri governi stanno affrontando. Chissà quanto ci metterà la gente nelle strade a cominciare ad imprecare contro la Terra e PLANT invece che contro i loro stessi politici.’

Era una strategia che da governante capiva, anche se la ripugnava profondamente, ma Cagalli era convinta che fossero ancora troppo fresche le ferite inferte dalle guerre precedenti, nell’animo e nei corpi di Natural e Coordinator, per poter davvero credere che il conflitto sarebbe rimasto localizzato ai confini delle rispettive aree di influenza. Come gli eventi accaduti a casa sua solo pochi giorni prima le avevano appieno dimostrato.

‘Questi irresponsabili stanno giocando sul fatto che per la gente sia ancora troppo presto per  dimenticare l’odio verso gli avversari di dieci anni fa. Hanno ragione. È troppo presto per perdonare e cancellare i lutti e le sofferenze. Ma per cosa abbiamo lavorato duro in questi anni se alle prime difficoltà interne ancora fomentiamo la paura verso gli altri come scusa per giustificare le nostre mancanze?’

Tenendo a bada l’irritazione Cagalli si alzò in piedi, determinata a far valere le ragioni sue e di tutti gli innocenti che sarebbero stati sacrificati per i freddi calcoli politici di una minoranza.



Fascia di Clarke, 35.786 chilometri sulla verticale del Kenya


Ad Odessa non importava assolutamente nulla della bellezza della Terra, splendida da quella altitudine. Al contrario, se fosse dipeso da lei quel globo bianco-azzurro sarebbe scomparso nel nulla. A chi glielo chiedeva, Odessa esternava tranquillamente il suo disgusto per il pianeta e per chi lo popolava, fornendo come spiegazione solo un’alzata di spalle e un sorriso. Perché Odessa sorrideva sempre. Era una ragazza divertente e piacevole, e rispondeva con una battuta a chi si stupiva che con il suo passato tragico lei fosse così solare. Dopotutto, per quale ragione quello che aveva sofferto da bambina doveva condizionare il suo futuro? Vagamente rammentava di avere pianto quando la sua famiglia era stata uccisa nel corso di uno scontro tra mezzi dell’Alleanza e di ZAFT, ma era talmente piccola quando era successo che quasi non si ricordava più i loro volti. Invece le fredde mura, e i soprusi patiti nell’orfanotrofio dove l’avevano accolta erano ancora scolpiti nella sua mente; era finita lì perché i suoi genitori non c’erano più. Ma Odessa si era ripetuta spesso che non era colpa loro se l’avevano lasciata sola, a crescere in un mondo sbagliato. Era colpa degli altri. Che adesso avrebbero pagato.
Odessa aveva ritrovato il sorriso quando le avevano affidato la missione, e non era più riuscita a smettere di gioire. 

Attraverso i monitor della sua unità osservò la situazione sul campo di battaglia distante decine di chilometri sotto di lei e, quando il segnale venne, attivò i propulsori.
‘Andate a fare in culo’ pensò. ‘Voi, i vostri eserciti e le vostre fabbriche di morte. Vi ammazzo tutti.’     

“Odessa. GATX-Astraea. Inizio la discesa. Contatto con i bersagli tra venti minuti” scandì con voce ferma, ridendo apertamente.   



Orb, residenza dell’Ambasciatore Amalfi


Erano le otto di sera passate ad Orb. Una tiepida brezza profumata spirava dai molti giardini che decoravano la città e, dalle finestre lasciate aperte, si insinuava nei saloni del palazzo dell’Ambasciata di PLANT ad Orb. La temperatura era così gradevole che l’impianto di condizionamento era stato spento, consentendo a quelli del personale che non avevano mai messo piede sulla Terra di godersi la bellezza di una serata non rinfrescata artificialmente.

Complice quindi il clima di Orb nella sala, piccola e riservata, dove Romina Amalfi aveva deciso di organizzare una prima cena con entrambi i suoi figli, l’atmosfera era molto rilassata e cordiale.

Cecilia addentò un’ennesima patata arrosto, sotto lo sguardo deliziato della madre di Nicol, che sembrava apprezzare il fatto che lei stesse facendo onore alla sua cucina.

‘Cotoletta e patate. Era il piatto preferito di Nicol quando era piccolo, e questa sera ho cacciato il cuoco per prepararlo con le mie mani. Spero ti piaccia’ le aveva detto la gentile padrona di casa servendole la sua porzione, lasciando la scienziata senza parole.

Cecilia quasi non si capacitava del fatto che i genitori di Nicol non l’odiassero, anzi all’aeroporto, dopo essersi ascoltati in attonito silenzio tutti i dettagli, l’avevano abbracciata piangendo e ringraziandola di avergli ridato il loro bambino. Abituata a sentirsi insultata per via del suo lavoro, era stato il suo turno di ammutolire imbarazzata, sorpresa da tanto calore. La  reazione degli Amalfi le aveva confermato una cosa che immaginava da tanto tempo: che i famigliari dei ragazzi sarebbero stati tutti ben felici di riabbracciarli, in qualunque forma glieli avessero restituiti, purché vivi.

Di questo Cecilia non aveva alcuno dubbio, le bastava guardare quella sera in faccia Romina, che nemmeno toccava cibo, troppo intenta a rimirarsi il suo Nicol. La scienziata bevve un sorso d’acqua e sorrise alla donna, intimorita dalla sua aria distinta ed elegante. Cecilia aveva capito che Nicol aveva ricevuto un’ottima educazione dalla prima volta che aveva aperto bocca, ma mai si sarebbe aspettata che provenisse da una delle famiglie più in vista di PLANT.

Quel pomeriggio, stranamente ansiosa di fare bella figura, c’aveva messo un’ora per decidere cosa mettersi, lei che normalmente sbrigava la faccenda in un paio di minuti, e aveva addirittura chiesto aiuto a Lorran per truccarsi e pettinarsi in modo da presentarsi a casa degli Amalfi meno trasandata del solito. Il tutto condito dalle battute di Miguel che ironizzava sul suo farsi bella per i suoceri.
Il ricordo strappò un sorrisetto a Cecilia. Non era totalmente falso ma, anche se solitamente non le importava nulla né del suo aspetto né dell’impressione che poteva fare sugli altri, ci teneva a fare bella figura di fronte a due persone che avevano solo avuto parole di stima per lei quando si era aspettata tutt’altro, specialmente dopo la scenata di Athrun Zala. Gli Amalfi le piacevano molto, e il rispetto che avevano per il suo lavoro aveva consentito ai due di vincere l’istintiva diffidenza che Cecilia provava verso gli esseri umani; la scienziata adesso capiva da chi Nicol avesse preso il suo bel carattere, ed era dispiaciuta che quella sera suo padre se ne fosse dovuto andare praticamente subito, richiamato in ufficio per tenere d’occhio la difficile situazione internazionale. Dalle domande che le aveva posto, molto accurate ed interessate sulle sue ricerche, Cecilia aveva scoperto che Yuri Amalfi era uno scienziato anche lui, prima che un politico, e salutandola le aveva promesso una chiacchierata a quattr’occhi non appena tutti i suoi impegni istituzionali l’avrebbero permesso.

Cecilia lanciò un’occhiata a Romina che, sovrappensiero, stava accarezzando la testa della figlia adottiva. L’americana sospirò. Era davvero una serata perfetta, con l’eccezione di un piccolo particolare che non smetteva di farla sorridere.

Nei giorni precedenti aveva ascoltato l’estenuante sfilza di raccomandazioni che Miguel aveva fatto a Nicol sul prestare attenzione a non far sentire la sorellastra come la figlia di troppo, e Cecilia avrebbe voluto che il biondo mascherato fosse lì in quel momento per constatare quello che invece stava succedendo.

“Beh, certo che quando andavi a scuola tu la matematica era trattata molto più semplicemente. Noi in seconda abbiamo già affrontato gli integrali” sentì declamare dalla bionda Nina.

“E scommetto che anche in quella materia tu sei la prima della classe, vero?” le chiese Nicol, sottolineando la parola ‘anche’.

“Bravissimo! Come ci sei arrivato?”

Cecilia mascherò faticosamente una risata all’ennesimo scambio di battute tra i due fratellastri, osservando il suo amante che sorrideva freddamente, e faceva roteare un coltello tra le dita mentre guardava la bambina come se glielo volesse lanciare contro.

La scienziata era certa che non l’avrebbe mai fatto, ma era anche vero che ogni tanto Nicol aveva reazioni che la sorprendevano, nonostante vivessero insieme da tanto tempo: per cui, per prevenire ogni stranezza da parte sua, Cecilia si affrettò a correre ai ripari.

“Ma che sorellina colta ed intelligente che ti sei ritrovato” gli disse con un sorriso smagliante, allungandosi verso di lui per rubargli una patata dal piatto. Per buona misura, e lasciando cadere ogni pretesa di passare per una signora, gli stampò anche un bacio sulla guancia che sperò lo imbarazzasse abbastanza da distrarlo da ogni intento omicida. Come fortunatamente successe, Nicol arrossì e la madre esplose in una risata leggera, elegante come ogni suo gesto.

“Siete davvero una bella coppia” le disse, mentre la figlia adottiva sollevava invece ironicamente un sopracciglio.

La risposta alla sua bravata arrivò a Cecilia mezzo secondo dopo direttamente sul palmare, che vibrò deciso. Mentre Nina ricominciava a decantare le sue tante doti, e i suoi voti scolastici, indubitabilmente più alti di quanto erano stati quelli di Nicol, la scienziata diede una veloce occhiata allo schermo.

-         Dearka aveva ragione. Questa ragazzina è insopportabile.

Stavolta per Cecilia fu durissimo cercare di mascherare l’ilarità. Non potendo comunicare con il palmare del suo compagno tramite wireless si risolse a sussurrare qualcosa nel tovagliolo, certa che lui l’avrebbe comunque sentita.

“Non fare il bambino anche tu. È solo il suo modo di reagire alla situazione.”

-         Cazzate. É una intrigante rompicoglioni.

La scienziata rischiò seriamente di morire, scossa da risate che le avevano fatto andare di traverso il cibo.

Nicol doveva essere davvero furibondo per esprimersi in quel modo, ma non poteva essere diversamente. Si erano presentati immaginando di trovare una ragazzina complessata e intimidita dal fatto che il vero figlio di Romina e Yuri Amalfi fosse tornato, e invece avevano scoperto che la piccola si era preparata a difendere con le unghie e con i denti il suo ruolo di figlia prediletta.

Per tutta la durata della cena Nina non aveva fatto altro che sottolineare in quanti e quali modi lei fosse più brillante di Nicol alla sua età e, nonostante Cecilia lo capisse e un po’ lo compatisse, non essendole mai piaciuto chi si piangeva addosso trovava interessante e quasi divertente l’atteggiamento agguerrito della bambina.

“Ovviamente andrò all’università” Cecilia la sentì rispondere a Nicol che le aveva stentatamente chiesto cosa le sarebbe piaciuto fare da grande. “Studierò ingegneria, come papà. Le arti non mi interessano, e nemmeno la carriera militare. Sai com’è” considerò leziosamente la biondina infilandosi in bocca un pezzo di bistecca “ne basta uno in famiglia di pazzo a cui piace farsi sparare addosso.”

Per la prima volta, la scienziata vide la composta Romina lanciare un’occhiata stupita verso la figlia, la cui doppia frecciata era stata palese come un colpo di cannone.

Cecilia, terrorizzata, si girò verso Nicol, certa che Nina non avrebbe visto il giorno del suo prossimo compleanno.

Ma, fortunatamente, lo squillo del cellulare del giovane salvò la sorellastra dall’essere come minimo sculacciata. 

Nicol lo estrasse dalla tasca e, togliendo la suoneria, controllò chi lo stava chiamando.

“Scusate” disse alzandosi. “È un problema di lavoro.”

“Torni subito?” gli chiese la madre, apparendo preoccupata.

“Beh… sì.”

Visibilmente imbarazzato Nicol uscì dalla stanza, e Cecilia silenziosamente sospirò. Avevano raccontato ai suoi genitori anche di Serpent Tail, e lei non poteva certo biasimare la povera Romina di essere così angosciata.

Sovrappensiero prese un sorso d’acqua, accorgendosi che Nina la stava fissando. Tolto di mezzo il suo rivale, la piccola aveva assunto un’aria molto meno provocatoria.

“E così, tu sei una scienziata?” le chiese, guardinga.

Cecilia annuì. “Sì.”

“E costruisci robot come un tempo faceva papà?”

La donna non riuscì a non sorridere al tono rispettoso di Nina. Evidentemente che qualcuno facesse lo stesso lavoro del padre che lei tanto ammirava era ragione di indiscutibile apprezzamento. La stessa domanda era ingenua ma carica si aspettativa e, considerato che alla ragazzina non era stato detto nulla delle condizioni del fratellastro, Cecilia si prese qualche secondo per elaborare la risposta più generica e diplomatica possibile.  

“Qualcosa del genere” replicò infine, lanciando un’impercettibile occhiata verso Romina. “Solo molto, molto più piccoli.”



Punto Lagrange 1, nave spaziale Einstein


Il livello di allerta sulla nave ammiraglia della Flotta Lunare di ZAFT era massimo. Tutto il personale era al suo posto, pronto a scattare nel caso il comando di intervenire nel conflitto in corso nel Corno d’Africa fosse stato lanciato. Pochi erano i reduci delle due guerre precedenti, gli unici a sperare davvero che l’ordine non arrivasse mai, e tra loro vi era il Comandante in capo della flotta, che da ore teneva d’occhio la situazione sulla Terra.

Yzak Joule, impettito nella sua uniforme immacolata, sentì il suo fragile autocontrollo svanire all’ennesimo sfarfallio dei video. L’immagine dei caccia eritrei e kenioti che si scontravano sopra il confine dei due stati si sfuocò e infine si dissolse totalmente in una nuvola di puntini grigi.

Il giovane picchiò con forza la mano sul bracciolo della poltroncina.

“Che diavolo state combinando?”

“Comandante, non riusciamo a stabilizzare la trasmissione. Ci sono troppe interferenze.”

Yzak socchiuse gli occhi, maledicendo il Sole e la sfortuna che aveva fatto scatenare proprio in quei giorni la peggiore tempesta solare degli ultimi anni.

“Contattate le altre navi della flotta, ci muoviamo verso la Terra. E comunicate la cosa a quegli idioti della base terrestre sulla Luna. Non vorrei mai che pensassero che ci stiamo spostando su un’orbita più bassa per lanciare un attacco.”

“Agli ordini” gli rispose l’ufficiale addetto alle comunicazioni, con uno sguardo carico di un significato che non sfuggì ad Yzak.

L’albino si appoggiò la guancia sulla mano chiusa a pugno, cercando di non apparire troppo infastidito da una situazione che non riusciva pienamente a gestire.

Il problema delle comunicazioni lo irritava a non finire, così come il trovarsi troppo lontano dal campo di battaglia per poter intervenire velocemente nel caso che la situazione fosse precipitata.

“Maledizione. Se solo l’ordine di mobilitazione ci fosse arrivato un paio di giorni fa…” borbottò.

Ma se come militare la tardiva mossa del Presidente di PLANT gli sembrava stupida e un’inutile perdita di tempo, dall’altra, come reduce e ex-politico, non poteva che apprezzare la cautela con la quale Amada Yamamoto aveva messo in preallarme la flotta. Ad Yzak era chiaro che nessuno voleva far precipitare le cose, né allarmare l’opinione pubblica che, alle prese con la crisi economica, per ora non stava prestando attenzione al conflitto in atto. Dal canto suo, e consapevole del baratro che si sarebbe aperto sotto di loro una volta che l’ordine di attacco fosse stato emanato, era ben felice che il Presidente avesse esercitato un minimo di prudenza, anche se mai l’avrebbe ammesso davanti ai sottoposti. Dopotutto, Yzak Joule aveva una reputazione di spietatezza da rispettare.     

Ci sarebbero volute ore prima di riuscire a superare la fascia dei detriti che ruotava attorno alla Terra e Yzak era certo che, al di là, i disturbi che solitamente affliggevano le comunicazioni si sarebbero sommati agli effetti del vento solare, rendendo le trasmissioni con la Luna quasi impossibili. Si alzò quindi dalla sua postazione, intenzionato a mandare un rapporto alla base lunare di ZAFT prima che fosse troppo tardi. Non aveva comunque bisogno di ulteriori ordini: nel caso che le truppe della Federazione Atlantica si fossero unite agli alleati kenioti la flotta che lui comandava aveva la consegna di intervenire, esercitando il dovere di difendere gli alleati, come prescritto dal trattato che, anni prima, era stato firmato con la Comunità Africana. Tirarsi indietro avrebbe violato la più basilare regola del diritto internazionale (1) e Yzak pensò cinicamente che, oltretutto, parecchi politici di PLANT, molto meno cauti di Yamamoto, non aspettassero altro che mettere le mani sul mass driver del lago Vittoria. Sarebbe stata una piccola conquista per lo schieramento che sosteneva le colonie di Coordinator, ma avrebbe sprofondato ancora di più nella recessione sia l’Unione Sudafricana che i nordamericani.

“Mi sposto sul ponte inferiore. Tentate di ripristinare il collegamento e comunicatemi immediatamente eventuali variazioni della situazione sulla Terra” ordinò ai suoi subordinati, voltandosi per uscire. Ma la voce di uno degli ufficiali lo bloccò.

“Signore, scusi…” lo chiamò l’uomo, stranamente incerto. “Abbiamo captato un segnale di disturbo inviato dai nostri satelliti geostazionari.”

“Che succede?”

“C’è qualcosa di molto veloce che sta scendendo attraverso la stratosfera. E non è uno dei nostri.”

“Definisci quel qualcosa.”

“Il segnale è molto sporco, stiamo tentando di individuare l’oggetto. Quello che è certo è che la sua traiettoria lo porterà tra dieci minuti sulla verticale del campo di battaglia.”

Yzak aggrottò le sopracciglia chiare. Che la Federazione si stesse già muovendo?

Nello spazio di un istante dimenticò il suo rapporto.

“Propulsori al massimo. Date ordine alle navi in orbita terrestre di tenere sotto stretto controllo la situazione. Mobile suit in stand-by sulle catapulte” abbaiò.

L’ufficiale, pallido in volto, si girò verso di lui. “Non so se lo stato dei canali di comunicazione ci consentirà di…”

“Me ne frego!” gli urlò Yzak in volto. “Fate tutto quello che è in vostro potere e anche l’impossibile. Non mi importa del modo. Comunicazioni sub spaziali, fotoniche, email o un maledetto piccione viaggiatore. Ma fate arrivare i miei ordini!”

L’effetto della sua sfuriata fu un’esplosione di attività sul ponte.

Irritato come non mai Yzak Joule si riaccomodò alla sua postazione, chiedendosi quanto fegato dovevano avere quelli della Federazione per contrattaccare in quel modo. Forse speravano che PLANT non avrebbe reagito. Forse. In ogni modo, considerò, se davvero lo pensavano erano affetti da una curiosa forma di stupidità congenita.  



Orb, residenza dell’Ambasciatore Amalfi


Nicol entrò quasi con cautela nel salone dove un pianoforte a coda faceva bella mostra di sé in un angolo. Ci appoggiò sopra una mano, accarezzando la lucida superficie scura. Non aveva avuto il coraggio di farlo prima, davanti a tutti, quando si era quasi commosso scoprendo che quello era proprio lo strumento che aveva così tanto amato nella sua adolescenza. I suoi genitori avevano avuto la costanza e il rispetto di conservarlo per tutti quegli anni, e di portarselo addirittura dietro sulla Terra. Erano mesi che il giovane si stava pentendo di non avere mai più osato suonare o comporre ma, sedendosi davanti alla tastiera, realizzò che, dopotutto, ricominciare non avrebbe dovuto essere molto difficile. Doveva solo fare un po’ di esercizio, rifletté guardando il palmare e cercando di pensare più al messaggio inviato da Miguel che al suo pianoforte e alla sua insopportabile sorellastra.

Come gli aveva rammentato Cecilia, la bambina stava solo reagendo a suo modo ad una situazione per lei molto spiacevole. Lo capiva, ma Nicol non poteva fare a meno di trovarla comunque incredibilmente irritante. E, pur sapendo quanto sarebbe stata infantile come ripicca, si doveva imporre di ricominciare a suonare, visto che la musica era l’unico campo nel quale lui poteva superarla. Escludendo gli omicidi mirati.

“Che insopportabile saputella…” borbottò imbronciato, mettendosi a leggere ad alta voce il messaggio di Miguel. “Lascia tutto quello che stai facendo e guarda le news sull’Africa. Il nostro lavoro sta arrivando.”

Selezionò sul palmare un canale di news, chiedendosi cosa il biondo Coordinator avesse voluto dire.

Le immagini arrivarono chiare seppure traballanti, trasmesse da un troupe televisiva presente sul campo di battaglia. Nicol immaginò dall’angolo di ripresa che il cameraman fosse nascosto dentro una trincea, e silenziosamente pensò che dovevano avere un gran fegato per andare ad infilarsi in mezzo ad uno scontro tra mezzi corazzati e mobile suit. Lui aveva sempre invidiato tantissimo il coraggio dei corrispondenti di guerra. L’audio era confuso, però, e le parole del giornalista sovrastate dal fragore della battaglia, per cui appoggiò il palmare sul pianoforte, sollevò il copritasti e assaporò la sensazione di avere di nuovo sotto le dita, dopo anni, il levigato avorio della tastiera. Già che c’era poteva anche fare un po’ di pratica, tanto sullo schermo non stava passando, fino a quel momento, nulla di davvero interessante.

Provò con qualcosa di semplice, uno dei primi esercizi che il suo maestro di tanti anni prima gli aveva insegnato come riscaldamento, e scoprì di non avere quasi perso il suo tocco. Si lanciò quindi in qualcosa di un po’ più veloce, abbinato alle immagini che passavano sullo schermo. Quelli che si stavano dando battaglia erano vecchi modelli di mobile suit, residuati bellici che sembravano cadere più per effetto di cedimenti strutturali interni che per i colpi degli avversari. I tank erano leggermente più in forma ma, da quello che Nicol poteva vedere, nessuna delle due parti stava sostanzialmente prevalendo sull’altra.

“Poveracci, sarà una battaglia di logoramento…” mormorò annoiato, e aveva quasi deciso di spegnere il palmare e dedicarsi completamente al suo pianoforte quando, improvvisamente, diversi mobile suit esplosero colpiti da un’arma a raggi. Fasci laser percorsero il campo di battaglia annichilendo anche i tank, mentre il giornalista urlava qualcosa di incomprensibile. L’azione, rapida e fulminea, ebbe tutta l’attenzione del giovane Amalfi. Fino a quel momento nello scontro erano stati usati armi ed esplosivi convenzionali, quindi si chiese chi aveva sparato quei colpi che sembravano provenire da almeno due posizioni diverse, entrambe totalmente eccentriche rispetto ai contendenti.  

Come per rispondergli, d’un tratto dei mobile suit dall’aspetto decisamente più moderno fecero la propria comparsa sul campo di battaglia.

Il pianoforte completamente dimenticato, Nicol osservò per un paio di minuti i nuovi arrivati e chi stavano colpendo. Poi inviò una chiamata dal palmare, senza interrompere la trasmissione. Dall’altra parte della linea sentì Miguel che rideva come un pazzo.

“Hai visto che roba?” gli urlò il biondo.

Nicol non riusciva a condividere tutto quell’entusiasmo. In casa sua gli avevano insegnato a parlare con la massima proprietà di linguaggio, ma a volte certi termini erano davvero necessari, come aveva imparato da Yzak Joule. Ciononostante, prima di aprire bocca controllò che la porta fosse chiusa. Non voleva che la madre lo sentisse e pensasse che avesse completamente dimenticato le buone maniere.

“Miguel… porca puttana, cosa cazzo sta succedendo?” abbaiò all’amico.



Ginevra, Palazzo delle Nazioni Unite


Quando quasi tutti i cellulari dei militari presenti si misero a squillare Cagalli capì che qualcosa di grosso era in atto sul campo di battaglia. Un addetto proiettò sugli schermi individuali posati davanti a ciascun delegato le immagini provenienti dal Corno d’Africa e, sulle prime, la Principessa non riuscì a capire cosa stesse accadendo.

Il caos più totale regnava tra i contendenti, divisi da fasci di energia che abbattevano i compagni sui mobile suit e disintegravano i tank e qualunque cosa volasse o avesse una minima capacità offensiva.

Per un attimo Cagalli cercò di stabilire chi stesse attaccando chi, e immaginò che, nonostante i propri rappresentanti stessero ancora discutendo, uno dei potenti alleati delle due parti in causa avesse deciso un colpo di mano. Era già pronta a maledire chi aveva osato tanto, quando si accorse degli sguardi confusi che stavano correndo tra la delegazione di PLANT e quella della Federazione Atlantica.

Diana Raphael fu la prima ad aprire bocca. “Non capisco, ma che diavolo stanno combinando?” esclamò come se presa in contropiede da qualcosa che non si aspettava. Dall’altro lato del grosso tavolo, Axis Tremaine inalberava la stessa espressione smarrita, mentre i rispettivi attaché militari avevano gli occhi fissi sugli schermi e l’orecchio attaccato ai cellulari.

A sua volta sorpresa dal loro atteggiamento Cagalli si risolse a guardare con più attenzione la battaglia. E finalmente se ne accorse. Quelli che stavano saltando in aria erano i mezzi di entrambi gli schieramenti, attaccati da un terzo contendente che non sembrava fare distinzioni di sorta.

La Principessa aggrottò le sopracciglia, confusa. Cinque mobile suit sconosciuti, senza nessun contrassegno, apparvero finalmente sul campo di battaglia, che oramai era solo un cimitero di resti fumanti. Con precisione chirurgica i nuovi arrivati si dedicarono ad abbattere ciò che ancora cercava di attaccarli e, notò Cagalli, senza nemmeno aver riportato un graffio sulla vernice a causa del combattimento.

“Da dove arrivano quelli?” urlò il Generale Mickey, ma Tremaine alzò le spalle.

“Di certo non sono nostri, e nemmeno vostri, a quanto pare.”

“Assolutamente no.”

Tremaine si girò verso uno dei componenti della sua delegazione, in uniforme viola. “Dal tipo di unità possiamo risalire a chi li manda?”

L’altro gli rispose con un cenno della testa, intento a pestare i tasti del proprio portatile. “Credo proprio di sì. Sto già inviando le immagini al nostro database.”

Lo schermo stava intanto mostrando i cinque nuovi arrivati ripartire dal disastro che avevano causato, schizzando veloci verso il cielo. La telecamera, che non aveva mai smesso di riprendere la loro azione, rimase puntata su di loro fino a quando non scomparvero nel pesante strato di nubi che aveva avvolto la zona.

Cagalli vide che Diana Raphael stava intimando qualcosa al Generale Mickey, e lo stesso stava facendo Tremaine con i suoi.

Dietro di lei, Vlas Temaru, che l’aveva accompagnata alla riunione, si sporse verso la giovane.

“Se non è nessuno di loro, e non credo che lo sia, abbiamo un bel problema.”

La Principessa annuì gravemente. “Sì, quel modello di mobile suit mi è sconosciuto, ma è di certo qualcosa di nuovo e potente. E, a parte PLANT e i nordamericani, solo noi di Orb e gli euroasiatici disponiamo di tecnologia tale per costruire cose del genere.”

Gli occhi di Cagalli saettarono verso la delegazione della Federazione Euroasiatica ma, anche loro, sembravano all’oscuro dell’accaduto e confusi come tutti i presenti nella sala. 

“Ma che motivo avrebbero per scatenare un attacco del genere?” si chiese il Delegato di Orb, sentendo montare dentro l’ansia e la rabbia. Anche lei era un militare, e riusciva a capire che chi aveva organizzato quella vera e propria imboscata aveva mezzi e possibilità tecniche, e una eccezionale capacità tattica e strategica.

Scosse la testa guardando il video, dove scorrevano di nuovo le immagini della battaglia appena finita. La voce del giornalista stava dicendo che anche le colonne di mezzi eritrei in movimento verso il lago Vittoria erano state distrutte da un attacco sconosciuto, così come le divisioni keniote che si erano mosse per intercettarle.

Cagalli digrignò i denti. “Chi può infilarsi non visto tra la rete delle nostre difese aeree e i nostri satelliti di sorveglianza? Erano tutti puntati su quel luogo, e hanno di certo captato qualcosa” urlò, e sia la Raphael che Tremaine si girarono verso di lei.    

“Sì, controlleremo i tracciati, anche se hanno violato lo spazio aereo in maniera troppo fulminea per poter essere intercettati” le rispose l’americana.

“E chi l’ha fatto è stato abbattuto” concluse l’inviato di PLANT, volgendosi poi verso il Segretario di Stato della Federazione. “Temo che abbiamo un terzo attore in scena.”

Lei scosse le spalle. “Così pare...”

In mezzo a quel disastro Cagalli trovò surreale lo scambio tra i due diplomatici che, fino a qualche momento prima, sembravano pronti a scannarsi. Ma così era la politica, considerò con un silenzioso sospiro, il territorio delle mutevoli alleanze, anche se non riusciva a capire chi poteva avere l’interesse a pestare i piedi alle due superpotenze.

Come se consapevoli di essere i sospettati, i membri della delegazione euroasiatica si stavano guardando smarriti, e parlottavano tra loro probabilmente in cerca di una disperata spiegazione.

Cagalli appoggiò la testa sulle mani. Non ci stava capendo più niente, e poco la consolava che tutti i presenti sembravano condividere la sua incertezza.

“Maledizione” esalò allungando una mano verso il video per cambiare canale, ma l’immagine mutò prima che avesse avuto la possibilità di sfiorare lo schermo.    

Sulle prime, la Principessa non capì su cosa il televisore si fosse autonomamente sintonizzato. Girò la testa per sbirciare il video del vicino, e scoprì che era bloccato sullo stesso canale, così come tutti gli altri, immaginò scrutando i volti perplessi dei delegati presenti, i cui occhi erano fissi sui monitor. Che mostravano qualcuno ripreso in controluce, contro uno sfondo bianco sul quale non era riportato niente, né un simbolo, né una scritta.

La figura in sé non aveva nulla di riconoscibile. Sembrava un uomo, ma il volto e il corpo erano in ombra. Non era niente altro che una silhouette nera proiettata sul nulla.

“Abitanti della Terra e di PLANT, della Luna e di tutte le colonie non allineate” scandì la voce, di una persona giovane dall’accento indefinito. “Abbiamo l’onore e il piacere di presentarci a voi. Noi siamo Nova.”



___________________________



Note


(1) Pacta sunt servanda locuzione latina per 'I patti vanno rispettati', è uno dei principi fondamentali del diritto internazionale.



Grazie come sempre a Shainareth per il betaggio, alla mia compagna di cosplay Hanako_chan per le chiacchiere sempre foriere di... strani sviluppi tra i nostri amati personaggi.

Ringrazio poi tutti quelli che mi hanno lasciato un commento per il capitolo precedente, li ho appezzati davvero tanto visto che c'erano parecchi punti sui quali ero molto incerta: la scena sull'isola, la caratterizzazione della signora Amalfi, e la situazione politica internazionale. Meglio così se è piaciuto tutto ^^

SnowDra1609 Come hai letto qui quei ms eritrei erano giusto residuati bellici concessi dagli alleati nelle guerre precedenti ma, a parte quello, immagino che in quegli anni tutte le nazioni della Terra ne siano dotate. Come carri armati e jet, ormai i mobile suit sono diventati armamenti ordinari ^^

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Capitolo 7
*** Rivendicazione ***


Rivendicazione



Ginevra, Palazzo delle Nazioni Unite, 28 marzo 82 C.E.


“Abitanti della Terra e di PLANT, della Luna e di tutte le colonie non allineate. Abbiamo l’onore e il piacere di presentarci a voi. Noi siamo Nova. Noi siamo la voce della gente comune, di quelli stanchi della guerra, dei bambini rimasti orfani, delle vedove, dei mutilati, dei genitori che hanno perso i propri figli. Smettetela, voi che continuate a causare solo lutti e tormenti. Per i vostri biechi calcoli già in passato noi abbiamo sofferto. Non permetteremo che succeda di nuovo. Pacificate il mondo, dateci una nuova speranza. Forgiate le vostre spade in vomeri, le vostre lance in falci, riconvertite le vostre fabbriche di morte. Non esercitatevi più nell’arte della guerra. Il nostro è un messaggio di pace ma, come avete visto, siamo pronti a combattere per ottenerla. Non costringeteci a scatenare la nostra forza. Noi siamo tra voi. Noi siamo voi. Non ci potete fermare.”



L’immagine scomparve dal monitor, che riprese a trasmettere dal Corno d’Africa, mentre sul Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite calava un attonito silenzio.

Fu uno dei commessi in sala il primo ad esprimere la propria opinione, premendosi la mano sulla bocca scosso da irrefrenabili singulti.

Cagalli si girò verso l’uomo, attratta dal curioso rumore gorgogliante che riverberava nella totale assenza di rumori. Stupita lo fissò, ed era lì lì per urlargli cosa avesse quando realizzò che stava sghignazzando. Altri imitarono l’uomo. Con molta meno compostezza sia l’attaché militare di PLANT che della Federazione esplosero in fragorose risate, seguiti da quasi tutti i presenti. Anche Diana Raphael esibì un ghigno divertito, mentre Axis Tremaine si era preso la testa fra le mani e la scuoteva sconsolato.

Cagalli, a quel punto, si volse verso Temaru, le cui labbra erano stirate in un sorriso indulgente.

“Ma sono idioti?” sibilò, divisa tra una comprensibile preoccupazione e l’irritazione verso i colleghi che trovavano così divertente un atto di guerra.
In un crescendo di confusione alcuni delegati presero a parlare ai rispettivi telefoni cellulari, mentre i militari di tutti gli schieramenti commentavano ad alta voce con i propri vicini l’attacco dei misteriosi mobile suit.

Il Presidente delle Nazioni Unite fu costretto a riportare la calma in aula tuonando nel microfono.

“Onorevole rappresentanti, vi prego di contenervi. Vi ricordo che abbiamo appena assistito ad un attacco in piena regola. Ora è urgente organizzare una forza di pace-keeping e soccorrere le vittime.”

Diana Raphael, che mentre il Presidente parlava aveva controllato qualcosa sul suo palmare, si alzò in piedi guardando i colleghi riuniti intorno al tavolo.

“Questo è sensato, ma propongo che venga istituita una commissione separata che prepari una missione di pace e che discuta sui termini delle forniture d’acqua. Noi credo che faremmo meglio a scoprire chi ha trasmesso quella messe di assurdità.” La donna sfiorò il monitor. “Mi hanno appena avvertita. La trasmissione è passata in mondovisione su quasi tutti i canali pubblici e privati. E la rete sta ora rilanciando il messaggio.”

Axis Tremaine annuì, sventolando melodrammaticamente il proprio cellulare davanti a sé. “Confermo le parole del Segretario di Stato. Sono stato avvisato anch’io. La rivendicazione di questi Nova è stata diffusa anche su PLANT. I notiziari non parlano d’altro.”
E, infatti, come poté osservare Cagalli dando uno sguardo al monitor, le immagini della battaglia in Africa erano state sostituite da una ripresa in un normale studio televisivo, dove un giornalista commentava qualcosa mentre alle sue spalle ripassava il video dei fantomatici Nova.

“Oh, avanti” esordì però il rappresentante della Federazione Euroasiatica. “Quanto credito dobbiamo dare a dei folli che blaterano di pace nel mondo sputando estratti biblici? Non posso credere che le due cose siano collegate.”

La Delegata di Orb, a quel punto, decise di non poterne più delle vane chiacchiere dei suoi colleghi. Si levò a sua volta, fissando l’uomo che aveva parlato.

“Direi tutto il credito dovuto a gente che è riuscita ad infilare un messaggio nella programmazione televisiva di tutte le nazioni terrestri e di PLANT. E perché non dovremmo credere che siano i mandanti dell’attacco in Africa? Se non lo sono la coincidenza è quantomeno sconcertante.”

“Ben detto, Cagalli” le fece eco la voce bassa e tesa di Diana Raphael, attirando l’attenzione della Principessa. “Non credo che possiamo permetterci il lusso di liquidarli solo come dei pazzi, a dispetto della loro ridicola rivendicazione. Hanno avuto la capacità di condurre un attacco totalmente a sorpresa, arrivando e andandosene senza essere quasi tracciati o, almeno, questo è ciò che risulta dai primissimi dati a nostra disposizione. E le parole di Nova celano una minaccia che, alla luce di quello che è successo in Africa, non possiamo sottovalutare.”

“Minaccia?” le chiese il delegato euroasiatico.
“Che sono pronti a combattere per ottenere quello che vogliono.”

L’uomo le fece un sorrisetto di scherno. “E sarebbe?”

“Mi sembra sia piuttosto palese” fu la risposta della Raphael. “O ha dei dubbi su quello che possono significare le parole ‘forgiate le vostre spade in vomeri, le vostre lance in falci, riconvertite le vostre fabbriche di morte’? Questa gente ci chiede di smobilitare i nostri eserciti.”

L’euroasiatico scoppiò a ridere nuovamente. “Bene, quale novità, visto che sono undici anni che, ad ogni piè sospinto, qualcuno salta fuori con questa storia del disarmo globale. Ma, a questo punto, immagino che non ci sarà difficile trovare i veri ideatori del messaggio.” Il delegato lanciò un’occhiata allusiva a Cagalli, che nel frattempo era ritornata a sedersi. “C’è una sola nazione che, per tutti questi anni, ci ha ammorbato con le sue prediche pacifiste. E, guarda caso, è anche capace di produrre mobile suit come quelli visti in azione.”

Cagalli si sentì improvvisamente scaraventata al centro dell’attenzione, e fu solo esercitando un notevole autocontrollo che non scattò in piedi ululando oltraggiata.

“Onorevole Shakasvili, ci sta accusando senza nessuna prova” sibilò invece, simulando un’indifferenza che non provava, e scoccando all’uomo uno sguardo di fuoco allenato da dieci anni di confronti con politici molto più esperti di lei. La sua giovane età era stata spesso presa a pretesto per velati insulti e commenti indulgenti, ma sperava che avessero oramai capito che non era una sprovveduta e che non potevano prendersi gioco del paese che lei governava. Il commento dell’euroasiatico le dimostrava invece tutto il contrario, per cui aprì bocca decisa a bloccare sul nascere quelle insinuazioni.
“Abbiamo mai tentato di imporre con la forza le nostre idee? Di costringervi a smantellare i vostri arsenali? No” dichiarò con voce salda. “Eppure dopo la guerra del ’73 avremmo potuto, quando le nazioni terrestri erano piegate dal conflitto e le uniche navi spaziali ancora in volo erano le nostre. Abbiamo invece sempre perseguito la via della diplomazia che il precedente Capo di Stato di Orb ci ha insegnato. E, in ogni caso, ricordo a tutti che noi non attacchiamo senza essere attaccati e difendiamo solo il nostro territorio. Per cui le sue illazioni, Onorevole Shakasvili, non hanno nessun valore.”

“Il Delegato Athha ha ragione, Boris, non lanciamoci in inutili supposizioni senza aver bene chiara la situazione.”

Cagalli annuì ad Axis Tremaine, ringraziandolo silenziosamente per il supporto, e osservando lo sguardo di silenzioso rimprovero che il rappresentante di PLANT lanciava a quello della Federazione Euroasiatica. Le due nazioni erano politicamente molto vicine, ma lei non poteva dire che gli stessi buoni rapporti corressero tra Orb e la nazione-continente che si estendeva dal Mediterraneo fino all’Oceano Pacifico. Gli euroasiatici non avevano mai perdonato ad Orb di essersi schierata con la Federazione Atlantica nel corso della precedente guerra.

“E comunque” Tremaine continuò rivolto direttamente a Cagalli. “La minaccia di Nova si estende anche ad Orb, sul cui territorio ha sede la più sviluppata industria di armamenti del mondo. E che dispone di falangi di mobile suit di tutto rispetto.” L’attenzione del Coordinator si allargò quindi ai colleghi. “Siamo tutti coinvolti, e faremmo meglio a sguinzagliare immediatamente i nostri servizi di intelligence prima che questi fantomatici Nova colpiscano ancora. Per quanto mi piacerebbe considerarli solo degli squilibrati, l’expoloit in Africa dimostra tutto il contrario.”

Cagalli non poté che dar ragione al rappresentante di PLANT. Osservò gli astanti cadere in un profondo e teso silenzio, ognuno probabilmente intento a studiare le contromisure contro la prossima mossa di Nova. Nell’incertezza generale erano obbligati a prenderli sul serio, e questo Cagalli temeva fosse già una piccola vittoria per Nova, ma non potevano fare altrimenti.

Fece avvicinare a lei Vlas Temaru con un cenno.
“Contatta il Delegato alla Sicurezza Territoriale” gli sussurrò a bassa voce. “Che intensifichino i controlli, specialmente intorno alle aree più sensibili, Morgenroete e il mass driver in primis. E organizzami tra un’ora una videoconferenza con il responsabile dell’intelligence. Non è possibile che questi tizi siano sbucati dal nulla, dobbiamo al più presto sapere chi sono e se davvero quello che hanno dichiarato corrisponde ai loro reali fini.”

L’uomo annuì. “E per quanto riguarda la popolazione? Avranno di certo tutti assistito allo show.”

“Preparerò un messaggio per tranquillizzarli, anche se per ora non c’è molto che io possa dire, se non esortarli a continuare con le attività di tutti i giorni senza essere inutilmente presi dal panico.”

Cagalli appoggiò i gomiti sul tavolo e si massaggiò le tempie con le mani, chiudendo per un attimo gli occhi affaticati. Quella mattina si era recata alla riunione immaginando di uscirne irritata e frustrata, ma mai avrebbe potuto pensare che sarebbe andata a finire in quel modo.

Un’ora prima stavano cercando di risolvere un problema locale che incombeva sulla pace mondiale, ora invece si erano ritrovati tra capo e collo una provocazione globale che minacciava direttamente gli abitanti della Terra e di PLANT.



Orb, 31 marzo 82 C.E.


Dearka era sfinito. Reduce da due giorni di superlavoro e complice la gravità terrestre, alla quale si stava ancora abituando, quella sera l’avrebbe volentieri passata a letto a dormire, invece che seduto al tavolino di un bar nel parco di divertimenti più famoso di Orb. Maledisse silenziosamente Nova, il cui portavoce non si era più fatto sentire ma le cui parole avevano mobilitato tutti gli avamposti di PLANT sulla Terra, la piccola Nina, alla quale non era riuscito a dire di no quando lei l’aveva invitato – supplicandolo quasi – alla serata che la madre le aveva imposto di passare con il fratellastro, e soprattutto imprecò contro se stesso e la funesta curiosità di vedere come Nicol se la sarebbe cavata con la pestifera biondina.

E lo faceva ridere sotto i baffi il pensiero che, da quando si erano incontrati un paio d’ore prima, Nina sembrava avere deciso di prendere di mira il fratellastro molto più di lui, per ragioni che Dearka capiva benissimo.

“Non dirmi che non ti piace il gelato!”

“Ho mangiato abbastanza, non ho voglia di gelato.”

“Chiami ‘abbastanza’ una macedonia? Sei troppo magro, così farai preoccupare la mamma.”

“La mamma semmai si preoccuperebbe se ti vedesse mangiare in quel modo.”
“Perché non ti fai gli affari tuoi?”

Dearka sorrise all’ennesimo scambio di battute tra i due Amalfi e, mentre la ragazzina si alzava con l’aria più scocciata del mondo per gettare nella spazzatura il contenitore del gelato oramai vuoto, si ritrovò ad allungare a Nicol una pacca su una spalla, impietosito dalla sua espressione scoraggiata.

“I ragazzi a quell’età sono tremendi” gli fece, e l’amico scosse la testa.

“Non so proprio come fare. La mamma vorrebbe che andassimo d’accordo” disse Nicol indicando con un cenno della testa la sorellastra. “Ma lei è di tutt’altro avviso.”

“Beh, non potete pretendere che ti accetti subito. Chissà quanto bene le avranno parlato di te negli anni, deve essere stato uno shock per Nina sapere che eri ancora vivo. Soprattutto considerando che lei è stata adottata da tuoi.”

Dearka guardò con gratitudine Miriallia, che aveva parlato, felice che anche lei avesse deciso di unirsi al gruppo. Non ce l’avrebbe mai fatta a gestire da solo quei due e, soprattutto, era certo che non avrebbe mai saputo trovare le parole giuste per quella situazione.

Anche Nicol volse gli occhi ambrati su di lei, e sembrò leggermente sollevato.

“Lo so, me l’hanno detto tutti. Che ci vorrà tempo... è che... è così strano vederla con…”

Come se improvvisamente si fosse reso conto dell’enormità che gli stava sfuggendo, il giovane arrossì lievemente e riportò la sua attenzione su Nina, mascherando l’infelice uscita con un leggero colpo di tosse.

Dearka non ebbe nessuna difficoltà a completare quello che l’ex-pilota del Blitz avrebbe voluto dire.

Chiaramente, come lei era gelosa di lui, per Nicol doveva essere lo stesso. Ed evidentemente soffriva più di quanto lo desse a vedere per la strana situazione di aver ritrovato una sostituta al suo posto. Un rimpiazzo che Romina e Yuri Amalfi parevano amare tanto quanto avevano adorato lui.

Anche Miriallia sembrò capirlo, e spostò elegantemente il discorso scoccando a Nicol un sorriso di incoraggiamento. “Sono certa che prima o poi si sistemerà ogni cosa. L’importante è che vi siate ritrovati.”

“Sì. È bello essere a casa” mormorò il giovane piegando leggermente le labbra, senza spostare gli occhi dalla sorellastra. “Scusatemi” disse poi, alzandosi e andando verso Nina, che lo stava chiamando sventolando una mano.

Miriallia rimase assorta per qualche secondo, sorbendo il suo frappé in silenzio. Appariva colpita da qualcosa, e Dearka ebbe paura di dove i suoi pensieri l’avevano portata.

“Il tuo amico, è un ragazzo davvero curioso” gli disse lentamente e, per Dearka, fin troppo prevedibilmente. Si mise in bocca una cucchiaiata di gelato, sperando di non essere costretto a commentare, mentre la sua ragazza combatteva con la parole.

“Come dire… ha un sorriso di una dolcezza infinita” continuò lei. “Ed è molto ben educato e gentile, eppure quel suo sorriso non si estende mai agli occhi, che quando parla incrociano raramente quelli di chi gli sta davanti, hai notato? Ma forse è meglio così. Le poche volte che lo fa, il suo sguardo è davvero un po’... inquietante.”

Miriallia si mise a ridacchiare nervosamente, giocando con la cannuccia. “Mi prenderai per pazza, ma mi fa lo stesso effetto di essere davanti ad una telecamera di sorveglianza.”

A Dearka andò di traverso il gelato. Tossì rumorosamente, conscio che quella era la stessa cosa che aveva provato lui di fronte a Nicol e a Lorran. Per questo non riusciva a capire come Athrun potesse trovarsi così bene con il suo vecchio amico.

Dearka era felice che fosse vivo, e quella sera gli faceva tenerezza vederlo impacciato nei confronti della scaltra sorellastra come se avesse ancora quindici anni, ma in sua compagnia si sentiva costantemente sotto controllo, e non poteva dire che fosse una bella sensazione.

Fu strappato dai suoi pensieri da Nina che ritornò correndo da loro, e gli si aggrappò al braccio.

“Andiamo” gli urlò nelle orecchie. “Voglio un pupazzo.”

Dietro di lei Nicol fece spallucce, come se rassegnato per quella sera ad accontentare in tutto e per tutto la biondina. E Dearka si chiese per l’ennesima volta chi gliel’avesse fatto fare di essere lì con loro.



Il parco giochi era ampio, ricco di luci, colori, ma quella sera di metà settimana i visitatori non erano molti. Per quello, probabilmente, il gestore dell’attrazione che Nina aveva scelto per conquistare il suo premio si illuminò quando i quattro entrarono.

La ragazzina tirò per la manica Dearka verso il bancone, e il giovane si mise silenziosamente a ridere. Nina aveva scelto un tirassegno olografico.

“Ecco, voglio quello!” urlò indicando il più gigantesco pupazzo del mucchio.
“Quanti punti per quello?” chiese Dearka al gestore.

L’uomo rispose ridendo. “Ventimila. Ma praticamente è lì solo per esposizione, visto che nessuno è mai riuscito a superare nemmeno la metà del punteggio necessario.” Con una mano accarezzò il bancone. “I bersagli sono generati in mondo casuale da un computer che si adatta al livello del giocatore. Esiste una soglia massima, ovviamente, ma almeno qui non è stata mai raggiunta.”

Nina incrociò le braccia al petto, chiaramente infastidita. “Il mio amico è in ZAFT. Ed è un Coordinator, ovviamente. Ce la farà.”

“Non esagerare…” bofonchiò Dearka, adesso impensierito. La ragazzina l’avrebbe preso in giro per anni se non fosse riuscito a conquistarle il pupazzo. E lui era certo che non ce l’avrebbe fatta. Era decisamente fuori forma, e comunque se l’era sempre cavata meglio con il cannone di un mobile suit che non con la pistola.

Si guardò in giro in cerca di supporto morale, ma Miriallia lo stava osservando sorridendo lievemente, e Dearka capì che era anche lei in attesa della figuraccia, mentre Nicol se ne stava impalato in un angolo, con le mani in tasca, sembrando assolutamente disinteressato a tutto quello che stava succedendo.

Dearka vide improvvisamente la sua salvezza. Si portò accanto all’amico, e gli mise le mani sulle spalle.

“Ehi, Nicol, tocca a te!”

“Cosa?” rispose l’altro, sorpreso.

Dearka abbassò la voce. “È la tua occasione per impressionare favorevolmente Nina.”

“Sei matto? Non con una cosa del genere.”

Il giovane dai capelli verdi scosse la testa, ma Dearka non lo lasciò andare. Aveva deciso che lui quella figuraccia davanti alla piccola peste non l’avrebbe fatta.

“Perché no? E poi dubito che tu possa riuscire in altro modo a fare colpo su di lei.”

Nicol arrossì fino alla punta dei capelli. “Non è vero. Io… io ho ricominciato a suonare.”

Gemendo silenziosamente, Dearka improvvisamente si ricordò come mai all’Accademia non gli era mai stato molto simpatico. La sua innata ingenuità lo indisponeva quasi tutte le volte che apriva bocca.

“Amalfi, vuoi farla addormentare come succedeva tutte le volte che Athrun ti ascoltava strimpellare? Ha dodici anni, cazzo, cosa vuoi che gliene freghi della musica classica? E vai!” gli urlò quasi, strattonandolo verso il bancone.

Nina accolse la novità con una smorfia insoddisfatta. “Ma no, perché lui?”

“Perché è molto più bravo di me.”

“Impossibile” esclamò la ragazzina incrociando le braccia al petto, esibendo un broncio monumentale.

Nicol, dal canto suo, guardò prima lei, poi Dearka, poi il gestore. Infine sembrò decidersi.

“Uhm… va bene. Ci provo. Cosa devo fare?”

L’uomo gli mise in mano una grossa pistola giocattolo. “Ecco, quella là in mezzo è la pedana di gioco, bada a non mettere un piede fuori o ti becchi una penalità.”

Con un cicalio elettronico, dei globi rossi e azzurri si materializzarono intorno alla pedana. “Vedi quelli?” riprese il gestore. “Sono i tuoi bersagli. Rossi i nemici, blu i tuoi compagni. Attento a non fare confusione, ragazzo. Ha già sparato in vita tua?”

“Sì, anch’io ero in ZAFT” rispose Nicol, che sembrava prestare più attenzione all’arma che alla spiegazione.

“Ah, non l’avrei mai detto. Va bene, allora visto che sei un Coordinator imposto il livello al minimo per quelli come voi, in ogni caso il computer si adatterà alle tue capacità.”

Nicol annuì, poi indicò una seconda pistola giocattolo sul bancone. “Posso prendere anche quella?”

Il gestore aggrottò le sopracciglia. “Sei ambidestro? Va bene, fai quello che vuoi. Ma allora ti devo mettere qualche difficoltà in più.”

“Non c’è problema.”

A Dearka, che aveva assistito a tutta la scena, improvvisamente non sembrò più una buona idea quella che aveva avuto. Si avvicinò a Nicol sorridendo.

“Ehi, che te ne fai di due?”

L’altro alzò le spalle. “Non è diverso dal suonare un pianoforte; farlo con due mani è decisamente meglio.”

“Ma non mi dire…” mormorò Dearka, adesso certo di avere fatto una stupidaggine.

“Non avrò mai il mio pupazzo” gemette Nina accanto a lui, ma Nicol le fece l’occhiolino.
“Piantala. E guai a te se racconti alla mamma che ti ho portata qui.”

Il giovane salì sulla pedana, sembrando assolutamente rilassato e, quando i primi globi apparvero, alzò su di loro entrambe le pistole con la familiarità di qualcuno che non ha mai fatto niente altro nella vita.



Dieci minuti dopo uscirono dal locale accompagnando una Nina raggiante le cui braccia erano occupate dal pupazzo che tanto aveva bramato. La piccola aveva affianco il fratellastro che reggeva un altro peluche, più piccolo, regalo del gestore per avere frantumato qualunque record.

Dearka li osservò sorridendo. Nina era stata talmente felice che si era persino spinta a dare un bacio sulla guancia ad un deliziato Nicol, gesto che aveva stupito il biondo ex-pilota. Di certo i loro problemi non si sarebbero risolti quella notte, ma forse avevano finalmente trovato la strada giusta per tentare almeno di capirsi.

Dearka si girò verso la fidanzata, che invece era sprofondata in un silenzio tombale.

Miriallia teneva gli occhi puntati su Nicol, le labbra strette in una smorfia preoccupata.

“Che hai?” le chiese il giovane, passandole un braccio intorno alle spalle e attirandola contro di sé.

“Niente” sussurrò lei. “Ho avuto solo uno strano deja vu.”

“Un cosa?”

La ragazza si passò il dorso di una mano sugli occhi, rallentando il passo. “Ti ricordi quel servizio che feci in Nicaragua tre anni fa?”

“Quello sull’attentato al candidato presidenziale?”

“Sì. Non c’avevo più pensato fino ad oggi.”

“Beh, è normale che tu abbia tentato di dimenticare, sei viva per miracolo.”

Miriallia annuì, persa nelle sue memorie. “Sì. Ero riuscita ad infilarmi nel seguito del candidato dato per vincente, e con gli altri lo stavamo accompagnando ad un comizio quando il convoglio fu bloccato ad un posto di blocco dell’esercito. Era una trappola, come scoprimmo subito. I soldati si misero a sparare sulle auto del corteo, metodicamente, come se sapessero esattamente chi colpire anche attraverso i vetri oscurati. L’auto del candidato fu crivellata di proiettili.”

Dearka sentì la fidanzata rabbrividire nel suo abbraccio. Non era la prima volta che ascoltava quel racconto, ma la incoraggiò a continuare, incuriosito; si chiese se forse dovesse essere visto sotto ben altra luce, quello che era stato frettolosamente archiviato come un attentato orchestrato dai potenti cartelli della droga centroamericani.

“Fu una strage, vero?”
Miriallia annuì, socchiudendo gli occhi. “Sì. Fecero scendere dalle auto quelli ancora vivi, e ci costrinsero ad inginocchiarci. Poi uno dei soldati passò tra di noi, fissandoci negli occhi. Sembrava che ci stesse facendo una scansione della retina, per quanto assurdo possa essere. Solo io, una guardia del corpo e gli autisti passammo lo strano esame, gli altri furono tutti giustiziati.”

“E perché questa brutta storia ti è ritornata in mente proprio ora?” le chiese Dearka, esitante.

Lei indicò Nicol con un cenno del capo. “I soldati avevano compiuto la strage facendo fuoco ognuno con due mitragliatrici, una cosa che prima di quel momento io avevo visto solo nei film. E quello che ci aveva esaminato aveva sparato poi in testa alle sue vittime con lo stesso sguardo del tuo amico mentre colpiva quei globi: totalmente spassionato.”

Dearka la studiò di sottecchi, indeciso su cosa rispondere. Adesso aveva pochi dubbi sul fatto che i membri del commando fossero compagni di Nicol, ma non poteva lasciare trapelare nulla. Athrun su quello era stato fermissimo; si trattava di segreti militari e non era il caso che una giornalista li venisse a sapere. Anche se era la sua fidanzata.
Si erano fermati, e Dearka le mise le mani ai lati del viso.
“Miri, non esagerare, era solo un gioco quello. E adesso non dirmi che gli somigliava pure” cercò di scherzare.

“No di certo. Il capo di quei killer era più alto, e avevi i capelli biondi. Anche se la sua pelle era diafana...” Miriallia alzò la testa verso di lui, mordendosi un labbro. “Esattamente come quella di Nicol.”

Dearka stavolta non fece in tempo a ribattere, perché si ritrovarono affianco proprio la persona che avevano nominato.

“Scusate se vi interrompo ma volevo salutarvi” gli fece Nicol indicando dietro di sé Nina che, dimentica di tutto, era persa nella contemplazione del suo nuovo amico di peluche. “La devo riaccompagnare a casa che è tardissimo. Ecco, volevo darti questo.”

Il giovane, con un sorriso, spinse tra le mani di Miriallia il pupazzo che gli era stato regalato. Lei lo guardò, confusa. “Ma è tuo…”

“Non so che farmene. A Cecilia non piacciono queste cose, e la mia amica Lorran credo che me lo farebbe mangiare. Tienilo tu, come ricordo di questa bella serata.”

Allungò una mano, che la ragazza strinse con solo un attimo di esitazione.

“È stato davvero un piacere conoscerti” Nicol le disse. “Sei davvero in gamba per avere fatto capitolare questo disgraziato.”

Le labbra di Dearka si corrugarono in un ghigno divertito, mitigato da un’ombra di inquietudine.

Poteva vedere benissimo che, nonostante stesse sorridendo, il suo vecchio commilitone teneva gli occhi bassi. Ad un osservatore casuale poteva apparire come sintomo di timidezza, ma il biondo militare sapeva che non era così e non riuscì a non fissare, deglutendo, la mano di Nicol che stringeva quella di Miriallia.

Mascherò il suo disagio facendo un cenno della testa al giovane, cercando di rendere il gesto il più rassicurante possibile. Era stato un idiota a far raccontare alla sua ragazza quella storia quando c’era in giro chi la poteva sentire, e che aveva probabilmente l’ordine di impedire che le notizie trapelassero. Nicol avrebbe potuto farle del male? Dearka non riusciva a capirlo. Anni prima avrebbe riso in faccia a chi gli avesse esternato un simile dubbio, ma in quell’esatto momento si sentiva come qualcuno che sta camminando su una sottile lastra di ghiaccio, pronta a frantumarsi in ogni istante.

Nonostante le sue paure, però, Nicol lasciò senza fare nulla di strano la mano di Miriallia, agitando la sua in segno di saluto, e sorridendo calorosamente ai due.

“Grazie per la compagnia, ci si vede presto.”

Dearka attese prima di parlare che i figli degli Amalfi fossero scomparsi nella folla.
“Vedi? Che idee strane ti sono venute. Anche quando combattevamo insieme, Nicol era quello che faceva in modo di non uccidere mai nessuno se non era proprio necessario, non è il tipo da fare certe cose.”

Il giovane scompigliò i capelli della fidanzata, sperando che la bugia non gli si leggesse in faccia. Non era mai stato molto bravo a nasconderle. Fortunatamente, Miriallia sembrò voler lasciar cadere la cosa.

La ragazza giocherellò con le orecchie del coniglio di peluche, scuotendo lievemente la testa.

“Già. Non so cosa mi sia preso, mi spiace. E comunque hai ragione. Nicol è davvero amabile, non so come ho fatto a pensare di poterlo associare a certa gente.”

A Dearka non rimase altro da fare che esalare un profondo sospiro di sollievo, passandosi una mano nei capelli dorati.
La situazione era decisamente bizzarra e, in un certo modo, non riusciva a non trovarla anche profondamente ironica: Nicol Amalfi aveva passato la sua breve carriera in ZAFT a convincere i compagni che era davvero un guerriero e non il pacifico pianista che sembrava a tutti. Adesso pareva a Dearka che il giovane si stesse sforzando di apparire inoffensivo, quando invece era tutto il contrario.



Orb, 4 aprile 82 C.E.


Erano le dieci passate di sera, e la residenza del Capo di Stato di Orb era quieta, i suoi abitanti quasi tutti già sprofondati nel sonno.

Athrun Zala si era dedicato per una ventina di minuti all’arduo compito di far addormentare le figlie per poi, sconfitto, lasciare il campo a Miko che l’aveva cacciato via sostenendo che, fino a quando lui gli avesse sventolato in faccia un sonaglino, le piccole non si sarebbero mai acquietate.

Aprì la porta dell’ampio studio della moglie e si riaccomodò davanti al computer. Cagalli era dove l’aveva lasciata, dall’altra parte dello schermo e del mondo rispetto a lui.

Stava leggendo dei documenti, mangiando un panino, e sollevò la testa immediatamente al lieve colpo di tosse del marito.

“Ce ne hai messo di tempo!” lo redarguì lei, ridendo.

“Le hai viste, erano eccitate per averti potuta salutare. Miko dice che adesso ci vorrà un’ora per tranquillizzarle.”

Cagalli inarcò ironicamente un sopracciglio. “Colpa mia o del babbo che non perde occasione di farle giocare?”

In segno di resa, Athrun alzò entrambe le mani. “Va bene, va bene, lo ammetto. Ma è troppo bello averle tutte per me.”

“Goditele finché dura! Ho intenzione di ritornare a casa il prima possibile.”

Erano le parole che l’Ammiraglio desiderava sentire da quando quella sera si erano finalmente parlati per bene, dopo giorni di telefonate telegrafiche.

Athrun sorrise. “Avete raggiunto qualche conclusione, allora? Io ho sentito Yzak nei giorni scorsi. Sua moglie quindi è coinvolta nelle indagini.”

“Sì. Siamo riusciti a mettere insieme in tempi umani, considerata la gravità del problema, una task force indipendente composta dai migliori analisti strategici e profiler. Grazie, anzi, dell’aiuto che la tua squadra ci ha prestato sul campo.”
“Mi sembrava il minimo. Ho lavorato anni per creare una brigata composta da Natural di tutti gli schieramenti e Coordinator, ed è stato finalmente un piacere utilizzarla per qualcosa che non fossero addestramenti in assenza di gravità. Comunque, avete già scoperto qualcosa?”

“Non quanto avremmo voluto” gli rispose lei appoggiando il volto alla mano stretta a pugno, e sfogliando con l’altra il documento che aveva davanti. “Ovviamente è stato un attacco premeditato. Malgrado qualche paese l’avesse sperato, non siamo riusciti a risalire a nessun mandante particolare, né alla fabbrica che ha prodotto quei mobile suit.”

Athrun annuì a quelle parole, ricordando il rapporto che il comandante della brigata internazionale gli aveva mandato dopo il sopralluogo in Kenya.

“Apparentemente sono prototipi sperimentali concepiti da ZAFT sulla base dei cinque modelli originali di GAT, ma mai completati.”

“Esatto” gli fece eco Cagalli. “Dopo avere esaminato il video, i tecnici della Federazione Atlantica e di PLANT hanno stabilito che non dovrebbero essere unità particolarmente potenti, ma hanno potuto contare sull’effetto sorpresa e sul fatto che, in quel momento, una tempesta solare rendeva difficoltose le comunicazioni.”

“Hanno colpito nel momento migliore per loro…”

“Sì. E chissà da quanto attendevano. Perché è indubitabile che la sortita sia stata ottimamente pianificata. Sono arrivati, hanno fatto quello che dovevano e se ne sono andati sparendo nel nulla e coprendo bene le tracce, forse utilizzando sistemi stealth.”

Athrun si irrigidì, temendo il peggio. Il Trattato di Junius Seven aveva messo al bando la tecnologia del Mirage Colloid, ma non sarebbe stata la prima volta che qualcuno la utilizzava in barba alle leggi.

Si portò le dita alla fronte, massaggiandosela pensosamente. “Sono di certo dei professionisti, ma quello che mi turba è proprio il fatto che siano intervenuti in concomitanza della crisi africana. È davvero solo una coincidenza?”

Cagalli sorrise alle insinuazioni del marito. “Ti stai chiedendo se abbiano potuto provocarla solo per avere la scusa di intervenire? No, abbiamo appurato che non è così. O, almeno, questa cosa avrebbe significato una capacità straordinaria di manipolazione dei politici di almeno tre nazioni che avrebbe del fantascientifico. Ma noi non siamo in una fiction, e Nova non è la Spectre.”
“Qualcuno potrebbe tuttavia avere l’interesse a mettere zizzania tra le nazioni terrestri.”

“E chi, Athrun?” Cagalli gli rispose distogliendo lo sguardo. “L’attacco ha invece avuto l’effetto opposto, di ricomporre incredibilmente la frattura che si stava di nuovo creando. Non ti nascondo che prima che i Nova intervenissero siamo stati ad un passo da una nuova guerra tra PLANT e la Federazione.”

“Quindi, in questo caso, se fosse l’opposto? Se la fine di Nova fosse quello di… beh…”

Athrun si interruppe, consapevole di dove i suoi pensieri l’avessero portato. Scosse la testa alla sua stessa ingenuità. “Scusa” disse poi alla moglie. “Sto vaneggiando.”

Lei si mise a ridere, e l’Ammiraglio Zala ne fu compiaciuto. Erano giorni che non sentiva più quel suono gioioso.

“Un po’, ma non credere che anche questa cosa non sia saltata fuori. Gli analisti hanno vagliato tutte le ipotesi, comprese le più fantasiose, anche, appunto, la possibilità che il fine ultimo di Nova sia davvero quello di scongiurare nuove guerre fornendo a tutta la razza umana un nemico da combattere: se stessi.”

“Sarebbero dei folli” rispose scettico Athrun.
“Sì, e poi, anche nel caso che così fosse, non dobbiamo sottovalutare l’elemento di vendetta chiarissimo nelle parole del loro portavoce, visto che ha esordito dicendo che loro sono la voce delle vittime delle nostre guerre.”

“Che faccia tosta… e ora avete stabilito che fare?”

“Stiamo continuando ad investigare tra i movimenti antigovernativi clandestini, che sono spuntati come funghi canalizzando la frustrazione della gente per l’andamento dell’economia. Perché non è possibile che questi Nova siano apparsi dal nulla. Da qualche parte devono aver ricevuto aiuto tecnologico e logistico per la costruzione di quei mobile suit, anche se personalmente non sono quelle unità che mi preoccupano di più.”

Il marito non poté fare a meno di sogghignare. “A proposito ti dovrò raccontare l’urlata che mi ha fatto Yzak, intimandomi di coordinare le forze armate di Orb con la sua flotta. Berciava che avrebbe sistemato lui i mezzi di Nova con un paio di GINN se avessero osato riapparire. E io gli credo.”

“Anch’io. Infatti è l’ultima parte del discorso del portavoce quella che trovo davvero inquietante; dove afferma che sono tra noi.”

“Potrebbe essere un modo di dire.”

Cagalli annuì, lentamente. “Così hanno stabilito gli analisti. Spera che sia vero e che non dobbiamo intendere la cosa letteralmente. Perché altrimenti saremmo in un mare di guai.”

E Athrun Zala capiva perfettamente perché.



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Grazie come di consueto a Shainareth per il betaggio, e tutti quelli che hanno letto e commentato il capitolo precedente ^^

Per quanto riguarda la faccenda dei Celestial Being, rassicuro tutti; non vi nascondo che l'idea nasce da là, ma il collettivo Nova è un po' diverso dalla creazione di Aeolia Schenberg. Assomiglia più che altro a... non ve lo posso ancora dire! XD
Ah, Nina e Nicol, adorabili come due gattini randagi che si prendono a zampate, vero? Non fosse che io odio scrivere di ragazzini così piccoli, uno spin off su questi due ci starebbe davvero. ;)

Gufo_Tave Ti rassicuro anche sull'Astrea. XD Sì, beh, il nome l'ho preso dallo 00F, ma giusto quello. Sinceramente i mecha dell'Anno Domini li trovo proprio brutti, e quelli che appariranno qui sono strettamente della C.E. L'Astrea, in particolare, è un'unità sviluppata sul progetto originario dello Strike. Il suo parente più stretto è lo Strike Noir: http://www.mahq.net/mecha/gundam/seed-stargazer/gat-x105e+aqme-x09s.htm

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Capitolo 8
*** Offensiva ***


Offensiva



Orb, 10 aprile 82 C.E.


Lorran Escobar aveva sempre avuto problemi di sonno nella sua vita. Non riusciva a dormire molto la notte e, a causa di quello, le prime ore dopo il risveglio erano un incubo per la giovane. Era svogliata, stanca, e di cattivo umore, situazione che quando prestava servizio in ZAFT le aveva fatto guadagnare l'appellativo di fannullona. Il problema non si era risolto dopo l'incidente, e peggiorava decisamente quando Lorran doveva viaggiare per lavoro attraverso molti fusi orari. Il jet lag era uno dei suoi incubi peggiori, e ci metteva sempre dei giorni ad abituarsi ai nuovi ritmi. Per cui, nonostante si fosse trasferita ad Orb dalla California da circa un mese, Lorran ancora era afflitta da una insopportabile forma di risveglio precoce che la costringeva in piedi molto prima dell'alba.

Quella mattina, dopo aver fatto una doccia veloce e vagato per un po' nella casa ancora silenziosa, si era decisa a recarsi a Morgenroete. Il pass che le avevano dato le consentiva ora di accedere anche da sola ad alcune aree e, già che era sveglia, poteva distrarsi un po' con un videogioco molto divertente che le avevano dato per testare alcune sue capacità. Almeno avrebbe impiegato il tempo in maniera proficua.

Entrando nel palazzo aveva salutato le guardie, che oramai la conoscevano, e percorrendo i corridoi non aveva incontrato nessuno, eccetto del personale dell'impresa di pulizie e un addetto che stava ricaricando il distributore automatico di bevande. Non erano nemmeno le sei di mattina e, a quell'ora, gli scienziati che di solito gremivano quell'ala del palazzo non erano ancora arrivati o se n'erano andati da poco.

Lorran sbadigliò sonoramente accendendo il computer che gestiva il complicato software del videogioco, decidendo che una bella bibita fresca l'avrebbe aiutata a scrollarsi di dosso la stanchezza. E poi stava già morendo di caldo nonostante l'ora e l'aria condizionata, un'aranciata di certo non le avrebbe fatto male.

Sospirando uscì dal laboratorio, infilandosi nell'ascensore e non riuscendo a non fissarsi nel grande specchio che decorava una parete. Sorrise alla meraviglia che era il suo corpo, lieta che i segni delle notti in bianco non le si vedessero in faccia, come invece succedeva quando era un'adolescente. Adesso nemmeno aveva bisogno di trucco.

Il suo umore era così migliorato quando raggiunse il piano dove si trovava il distributore, che lanciò un sorriso seducente all'addetto al rifornimento della macchina che si stava allontanando con il suo carrellino vuoto. Era un ragazzo sui vent'anni, dall'aria insulsa, che abbassò gli occhi imbarazzato non appena incrociò il suo sguardo. Lorran alzò i suoi al cielo. Chiaramente, meditò, concedere gentilezze a certa gente era come gettare perle ai porci.

Dimenticato l'addetto si avvicinò al distributore, avvicinando la carta di pagamento all'apposito scanner e selezionando la sua marca preferita di aranciata. Con grande scorno della giovane il marchingegno non le erogò il prodotto.

"Cazzo. Come fa ad essere già guasto se l'hanno appena ricaricato?" si chiese, risolvendosi a scegliere un altro prodotto, senza successo.
"Ehi tu!" urlò all'addetto che era già arrivato in fondo al corridoio. "Questo coso non funziona!"

"È fuori servizio" le rispose lui, senza nemmeno smettere di camminare o voltarsi verso di lei.

"E non puoi aprirmelo tu e darmi una lattina?"

"No. Ho rotto la chiave nella serratura. Cercati un'altra macchinetta."

"Che idiota..." sibilò Lorran a bassa voce. Come poteva certa gente non riuscire a compiere neppure lavori così semplici?

Dimenticato l'addetto, preferì concentrarsi sull'ottenere in altro modo l'aranciata che tanto bramava. Per i Nexus, che potevano fare origami con una lastra di acciaio inossidabile, un distributore non era di certo un avversario all'altezza.

Fischiettando Lorran afferrò per l'intelaiatura metallica il lato dell'anta di vetro sul quale si trovava la serratura. Esercitò una leggera pressione – per i suoi standard -, e il blocco di chiusura si arrese subito cedendo con uno schiocco. La giovane aveva già allungato una mano per afferrare una delle lattine, ora allo scoperto, quando l'addetto si mise improvvisamente a strillare.

"Che diavolo fai? Molla subito quella roba e chiudi l'anta!"

Lorran si mise a ridere, senza guardarlo. "Neanche morta. Scusa se te l'ho rotta, ma peggio per te che avevi incastrato la chiave" gli rispose prendendo il prodotto. Se lo sarebbe proprio goduto, visto che tutto quel movimento le aveva messo sete.

Gli strepiti del ragazzo, furibondo, crebbero però di intensità.

"Ti ho detto di metterla giù, non farmelo ripetere un'altra volta" latrò lui, con una distinta tensione nella voce.
Lorran, finalmente, si degnò a girarsi verso chi le stava rovinando la mattinata.

"Non farla tanto lunga. Guarda che te la pago. E se hai paura che ti riprendano per questo affare fai finta di non aver visto nulla."

"Rimettila al suo posto" le ripeté l'addetto, come se non l'avesse sentita. Erano distanti circa dieci metri, un nulla per la sua vista bionica, e Lorran poteva vedere chiaramente il ragazzo tremare dalla tensione. Doveva essere nuovo per fare tante storie, ma lei non era dell'umore giusto per accontentarlo.

Gli rivolse invece una smorfia infastidita. "No. A meno che tu non voglia venire qui di persona e provare a togliermela dalle mani."

Fu soddisfatta di vedere il ragazzo dall'altra parte del corridoio arrossire dall'ira per poi, incredibilmente, estrarre una pistola dal giubbetto che indossava.

"Non sarà necessario" bofonchiò lui.

Alla vista dell'arma, la Nexus sollevò solo un sopracciglio dalla sorpresa. "Wow, proprio dedicato al tuo lavoro, vedo."

"Fai quello che ti ho detto" esplose l'addetto per l'ennesima volta. A Lorran cominciava a sembrare un disco rotto, e non riusciva a spiegarsi il perché di tanta insistenza. Nemmeno della pistola, a quel punto. Non che la preoccupasse tanto. Bilanciò la lattina tra le dita.

"Perché, altrimenti che succede?" gli chiese, maliziosa.

Lo sparo riverberò per il corridoio deserto, mentre il proiettile le passava vicino al braccio sinistro, ma la Nexus non si mosse. E nemmeno smise di sorridere. Quel tipo aveva una buona mira, ma ancora più voglia di prenderle, giudicò lei.
La giovane lasciò che certe subroutine di autodifesa si innescassero prendendo il controllo del suo corpo e, così veloce che il movimento sarebbe stato quasi invisibile ad occhio umano, Lorran lanciò la lattina che aveva in mano verso il ragazzo, colpendolo alla spalla del braccio che reggeva la pistola. Lui guaì dal dolore lasciando cadere l'arma e, contemporaneamente, si gettò lungo un corridoio laterale.

"Fossi matta se ti lascio scappare, stronzo" reagì Lorran, riaprendo l'anta e afferrando un barattolo a caso. Le piacevano come proiettili.

Poi corse dietro al fuggitivo, pigiando mentre gli passava accanto l'allarme che richiamava le guardie. Non credeva nemmeno per un attimo che il tipo fosse armato solo per impedire che la gente rubasse dai distributori. Quando girò l'angolo scoprì che il ragazzo era quasi arrivato all'ascensore. Doveva per forza essere un Coordinator; non che contro di lei facesse molta differenza.

Sogghignando, Lorran si fermò e scagliò la sua arma impropria colpendo con precisione il fuggitivo dietro al ginocchio sinistro, con abbastanza forza da causargli un severo trauma, ma non da trapassargli la gamba, come aveva per un attimo pensato di fare. Non voleva dare extra lavoro alla donna delle pulizie assegnata a quel piano.

Stavolta, l'urlo del ragazzo fu straziante. Finì a terra ma, piuttosto velocemente, considerate le ferite, rotolò di lato sparendo alla vista di Lorran. La giovane si ricordò che in quel punto scendeva la scala.

"Vediamo quanti gradini riesci a fare strisciando..."

Con tutta calma la Nexus si affacciò in cima alla rampa e, come si era aspettata, trovò il fuggiasco bloccato sul primo pianerottolo. Il ragazzo era seduto, schiena contro il muro, con la gamba sinistra rigida davanti a lui e il braccio destro abbandonato lungo il fianco. Abbastanza incredibilmente stava tracannando a lunghi sorsi qualcosa da una fiaschetta, gli occhi serrati.

"Che cazzo..." sibilò Lorran, togliendosi i sandali con i tacchi e saltando agilmente fino al mezzanino, accanto al ragazzo. Quella situazione si stava facendo sempre più strana.

"Che fai?" abbaiò al ferito dopo avergli strappato il contenitore di mano. Ma lui non rispose, troppo impegnato a soffocare conati di vomito.

Sospettosa, Lorran avvicinò il naso al collo della fiaschetta. Dall'apertura proveniva un odore dolciastro, che però non doveva appartenere ad una bevanda molto gradevole se il suo assalitore sembrava avere difficoltà a tenerla nello stomaco. La giovane si chiese se fosse un qualche tipo di medicina o veleno.

Il cicalio dell'ascensore che raggiungeva il piano, subito seguito dallo scalpiccio di pesanti anfibi militari, la distrasse per un istante. Qualche secondo dopo la giovane si trovò sotto il tiro dei fucili e delle pistole di un gruppo di sorveglianti.

"Cosa sta succedendo qui?" chiese qualcuno.

Lorran rispose con nonchalance, facendo spallucce e sorridendo alle guardie. "Il signore è caduto dalle scale...".
Conosceva chi li guidava, Weiss Zhang, un ex-Capitano di polizia; era irreprensibile nel suo lavoro, ma la giovane avrebbe preferito qualcun altro. Quell'uomo era troppo ligio alle regole, non sarebbe mai riuscita a far cantare il prigioniero con lui attorno.

Proprio Zhang con un collega scesero fino al pianerottolo, senza smettere di tenere sotto tiro sia lei che il ragazzo a terra. Adesso completamente silenzioso.
"Mi ha sparato addosso" spiegò Lorran, esibendo la sua aria più innocente e allungando la fiaschetta a Zhang che la prese tra due dita, diffidente. Poi la Nexus appoggiò un piede nudo sul polso sinistro del ferito.

"Cosa sei venuto a fare, e chi ti manda?" gli chiese Lorran, esercitando una lieve pressione sull'articolazione, che fece strillare e contorcersi il ferito.

Zhang la fissò, aggrottando le sopracciglia. "Spostati, Escobar. E tu, rispondi" ordinò puntando la pistola contro il ragazzo.
Lorran guardò con aria condiscendente l'arma. L'esperienza in Serpent Tail le aveva insegnato che difficilmente la sola minaccia di una pistola faceva parlare la gente. La tortura, invece...

Incrociò le braccia, aumentando ancora un po' la pressione e sentendo qualcosa rompersi sotto il suo tallone. Le urla del ferito diventarono singhiozzi.

"Aveva una pistola, Zhang" lo informò Lorran, ignorando i gemiti.
"Sì? Eri qui per assassinare qualcuno? E tu te ne vuoi andare?"

La giovane sentì la mano del collega di Zhang chiudersi attorno al suo avambraccio. "Si allontani, signorina."

Lorran fece per protestare ma, in quel momento, il ferito aprì la bocca.

"Siete tutti morti, stronzi" declamò con voce roca.
Quelle parole Lorran le aveva sentite troppe volte nei suoi ultimi dieci anni di vita per prenderle solo come una battuta. Aveva imparato che quando una persona arrivava a pronunciarle era perché aveva in serbo qualche sorpresa.

Incurante della presenza delle guardie, e del fatto che anche lei era tecnicamente sotto tiro, Lorran sgusciò senza particolare fatica dalla presa dell'uomo che la stava trattenendo, per poi alzare il ferito afferrandolo per il colletto del giubbetto.

"Che cazzo hai fatto? Chi ti manda?"

"Crepa, puttana fabbricante d'armi."

Lorran arricciò il naso dal disgusto. L'alito del ferito aveva l'odore tremendamente sgradevole dell'ammoniaca. Che, improvvisamente, le ricordò un attentato che uno degli STORM esperto di esplosivi aveva organizzato anni prima.
Brutalmente lasciò cadere l'uomo, girandosi verso Zhang, che doveva aver avuto la sua stessa idea, perché stava fissando corrucciato la fiaschetta che ancora reggeva. L'uomo fulminò il ferito con lo sguardo e gli piantò la pistola in testa.

"Esplosivo liquido? E hai già inghiottito anche il reagente?"

Malgrado le ferite il ragazzo ebbe la prontezza di spirito di sputare verso militare, che lo colpì con un calcio in un fianco.

"Buttiamolo fuori" esordì Lorran.

Il collega di Zhang le diede precipitosamente ragione. "Sì. Le pareti e le vetrate sono rinforzate con fibre ai nanotubi di carbonio, resisteranno."

Ma Zhang scosse la testa. "E se c'ha preso in giro? Non possiamo ammazzare un uomo."
"Preferisci saltare in aria in caso contrario?" gli rispose Lorran, pronta ad andarsene. Lei di certo non sarebbe rimasta lì ad esplodere con quegli idioti. Stava già per imboccare la scala quando il suo udito potenziato udì un sonoro 'pop', e il suono come di decine di bottiglie stappate la raggiunse.

"Il distributore automatico..." esalò la giovane, dandosi della stupida per non aver connesso le due cose.

Zhang dovette leggerle in viso la sorpresa, ma diede prova di notevole self-control legando velocemente tra loro i polsi dell'attentatore e caricandoselo in spalla. Poi spinse Lorran verso la scala.
"Escobar, prendi l'ascensore e scappa il più lontano possibile da quest'area. Voi, controllate quella maledetta macchina" sbraitò invece ai suoi uomini.

Ma la Nexus adesso non aveva nessuna intenzione di fuggire. Se aveva capito cos'era quel composto scappare non sarebbe comunque servito a niente, perché ce n'era abbastanza per fare saltare l'intera ala del palazzo.

In due balzi fu in cima alla scala e, superate tutte le guardie, giunse per prima davanti al distributore.

Le lattine dentro erano misteriosamente esplose e i liquidi contenuti, incolori, si stavano mischiando tra loro.

"Cazzo... cazzo..." sibilò la giovane.
Criticamente, valutò il peso del distributore. Non era troppo pesante per lei, ma troppo grosso per poterselo mettere in spalla. Avrebbe dovuto spingerlo fino alla più vicina finestra, poco distante per fortuna, ma cercando di non farlo cadere. La reazione era innescata e, da quello che si ricordava sulle proprietà di quel tipo di esplosivi, Lorran giudicò che il composto ci avrebbe messo cinque minuti buoni a deflagrare. Ma forse era meglio non agitarlo ulteriormente.

Venti metri sotto la finestra c'era un giardino, perennemente deserto; la bomba cadendo non avrebbe fatto troppi danni, ammesso che la valutazione della guardia riguardo alla robustezza delle pareti fosse giusta. Non avevano comunque altre possibilità.

Lorran si mise dietro al distributore e cominciò a muoverlo, ringraziando il cielo che i corridoi della sezione ricerca fossero pavimentati con plastica ceramizzata invece che con la moquette, come negli uffici.

"Datele una mano" urlò Zhang, che era intanto arrivato, rivolto ai suoi. "Attenti a non scuoterlo troppo."

Lei gli avrebbe voluto dire che poteva benissimo farcela da sola, ma d'altronde quegli uomini dovevano pure guadagnarsi la paga, e lei aveva l'ordine di non esibire troppo le sue capacità.

Notò però che il loro capo trasportava ancora il ragazzo ferito.

"Mollalo. È la vita dei tuoi uomini che stai rischiando" gli fece, lasciando che le guardie di Morgenroete si occupassero del distributore. Lei fronteggiò invece Zhang, irremovibile nella sua posizione.

"No, ci serve come testimone."

"Tra meno di due minuti diventerà marmellata."

"Potresti esserti sbagliata. Che ne sa una ragazzina come te di esplosivi?"

Lorran non poteva credere che Zhang fosse così ottuso ma immaginò che lo scrupoloso ex-poliziotto non avesse mai dovuto affrontare una situazione del genere. Non doveva capitare tutti i giorni in un posto pacifico come Orb che la gente si trasformasse in bombe umane.

La Nexus scosse la testa, scoccando un'occhiata al terrorista che la stava guardando con gli occhi sbarrati. Adesso gli si leggeva in faccia la paura.

Per una piccola frazione di secondo Lorran ebbe pietà per il ragazzo, sentimento che venne seppellito istantaneamente dalla considerazione che dopotutto aveva deciso lui di morire in quel modo.

Mentre lei non aveva scelto di diventare quello che era.

"Zhang, non giudicare mai una persona dalle apparenze" la giovane sibilò, colpendo il capo della sicurezza con un pugno allo stomaco che fece piegare in due il muscoloso agente.

Velocemente, la Nexus si issò poi il terrorista in spalla come se fosse stato un sacco di patate. E fece appena in tempo.
Subito il ragazzo si mise ad urlare ed agitarsi, in un modo che suggerì a Lorran che non doveva essere solo per la paura. Più per farlo stare zitto che per altro, con una decisa pressione della mano sinistra gli spezzò le vertebre cervicali. Poi corse verso la finestra, da dove gli uomini di Zhang erano riusciti a far cadere il distributore. Lorran sorrise innocentemente passando in mezzo al gruppo, che si divise come le acque del Mar Rosso davanti a Mosè vedendo cosa la giovane trasportava.

"Fuori dalle palle" sibilò lei scaraventando il corpo del terrorista giù dal palazzo e chiudendo la vetrata. Le guardie si erano già allontanate tutte e, per parecchi secondi, non successe nulla.

Poi un rombo scosse l'edificio, che sussultò come se sotto l'effetto di una potente scossa di terremoto. Gli stabilizzatori di Lorran la tennero in piedi compensando le oscillazioni, ma il resto del personale della sicurezza di Morgenroete finì inesorabilmente a terra.
La giovane attese che la struttura si assestasse, quindi, si lisciò il leggero vestito estivo, avvicinandosi a Zhang e tendendogli la mano, come per aiutarlo ad alzarsi. L'uomo le scoccò un'occhiata di puro odio che lei ignorò.

"Bel lavoro di squadra. Adesso mi accompagnate ad un altro distributore? Se non è una bomba pure quella io ho davvero necessità di bermi un'aranciata."

***


Quando Athrun riuscì ad atterrare con un flyer dell'esercito di fronte al palazzo che ospitava Morgenroete, il largo spiazzo usato come parcheggio era ingombro di ambulanze, mezzi della polizia, dei vigili del fuoco e dei servizi di sicurezza. Circondato da un cordone di guardie del corpo l'Ammiraglio si fece largo sino al punto da dove Erica Simmons stava coordinando le operazioni.

La trovò intenta a dare precisi ordini a drappelli di lavoratori della compagnia; nonostante fosse così impegnata la donna si volse precipitosamente verso di lui quando si accorse della sua presenza.

"Athrun... finalmente sei arrivato."
Lui scosse la testa. "Ho fatto il più presto possibile. Purtroppo il porto militare e la base di Onogoro non sono state altrettanto fortunate."
Erica soppresse una smorfia. "L'ho saputo dal comandante dei pompieri. Ci sono vittime?"
"Cinque finora, ma entrambe le strutture hanno subito pesanti danni. E c'è andata bene che le bombe non siano esplose quando i palazzi erano nel pieno dell'attività. Sarebbe stata una strage."
"Il mass driver di Kaguya è salvo, quindi?"

"Sì. Anche lì, quasi per caso, sono riusciti a trovare l'ordigno e a farlo brillare prima che fosse troppo tardi." Athrun lanciò un'occhiata di sottecchi alla Simmons. "Ma l'attentatore è morto."
"La modalità è la stessa, quindi?"
"Sì, ad una prima analisi. Hanno usato esplosivi liquidi nascosti in prodotti per le pulizie o, come qui, in normali distributori di bevande. Ingegnoso."

"E assolutamente impossibile da intercettare a meno di non avere una soffiata prima. Il nostro sistema di sicurezza è solido, ma se dovessimo metterci ad esaminare tutto quello che viene introdotto nel palazzo, un oggetto o sostanza alla volta, non lavoreremmo più" gli rispose Erica, il cui sguardo era teso e preoccupato. "Anche se, visto che avevamo ricevuto delle minacce, avremmo dovuto stare più in guardia."
"Hai fatto tutto il possibile" la rassicurò Athrun, pur consapevole che, anche lì, se non era successo nulla era stato per pura fortuna.
"No davvero" insistette Erica. "Il responsabile della sicurezza ha appena rassegnato le sue dimissioni e, non mi importa se non sei d'accordo, ho appena affidato il lavoro a Lorran Escobar. La sua esperienza in Serpent Tail, oltre al fatto di essere quello che è, la rende più che qualificata per il ruolo."

"Dubito che Cagalli ne sarà contenta ma, d'altronde, come Direttrice puoi assumere chi vuoi in quella posizione" le rispose Athrun con un mezzo sorriso. "E poi, chi meglio di una terrorista può sapere cosa altri hanno in mente?" aggiunse il giovane, preparandosi però mentalmente ad un altro litigio monumentale quando Cagalli fosse tornata.
Come se gli avesse letto nel pensiero, Erica gli sorrise. "Esatto. A proposito, la Principessa è stata avvertita?"
"Ovviamente. Ma rimarrà ancora bloccata per un paio di giorni a Ginevra. Essendoci così tanti Capi di Stato riuniti là, dopo gli avvenimenti di stamattina il Governo svizzero ha deciso di chiudere le frontiere. Nessun aereo potrà atterrare o partire nelle prossime quarantotto ore."

Lo sguardo confuso negli occhi della Direttrice di Morgenroete fece capire ad Athrun che probabilmente lei non sapeva nulla di quello che era successo nel mondo.

La informò scrutandola gravemente. "Non siamo gli unici ad essere stati attaccati, Erica. Bombe sono esplose in centri di ricerca, installazioni militari, fabbriche di armi e dipartimenti della difesa in tutto il mondo. E anche su PLANT."

"Con che modalità?"
"Non ne ho idea" rispose lui, scuotendo la testa. "Le informazioni sono ancora molto frammentarie, ma pare che le esplosioni siano state quasi contemporanee. Ho ricevuto una chiamata da Yzak Joule mentre venivo qui. Anche la base lunare di ZAFT è tra i bersagli colpiti."

Erica si passò una mano sulla fronte e, all'improvviso, ad Athrun sembrò invecchiata di molti anni. "Non ci vorrei credere. Noi siamo un'azienda, non un bunker. Come ti ho detto prima è virtualmente impossibile avere il completo controllo su tutto quello che entra ed esce. Ma per una base militare è diverso... dovrebbe esserlo."

L'Ammiraglio annuì e, presa la donna per un braccio, la allontanò dal capannello di gente che si era stretto attorno a loro.

"Lo so. Eppure è successo. Yzak mi parlava di un attacco kamikaze. Erica, la situazione è gravissima."
"Ho già fatto controllare il palazzo da cima a fondo, per escludere la presenza di altre bombe" gli disse la Direttrice, abbassando la voce. "E nessuno potrà entrare se non espressamente autorizzato da me. Stiamo riesaminando i curriculum di tutti i dipendenti, ma per ora non è emerso niente di strano. L'intelligence e la polizia mi hanno chiesto una lista di tutti i nostri fornitori, faranno dei controlli a tappeto."
"Collabora con loro, ti prego. È essenziale coordinare tutti i nostri servizi di sicurezza e scoprire al più presto possibile chi erano quei terroristi. È un peccato non essere riusciti a bloccarne nemmeno uno."

Erica rialzò la testa, fissando con aria perplessa il lato del palazzo contro il quale la bomba era esplosa. Athrun seguì il suo sguardo.
Le vetrate che coprivano la sede di Morgenroete erano annerite, e alla base coperte da un reticolo di fratture, ma avevano resistito. Il segno più evidente dell'esplosione era il cratere che decorava il prato ai piedi della struttura. Nell'aria aleggiava un lezzo acre, come di solventi industriali. Athrun aveva sperato di non vedere e sentire mai più cose del genere, soprattutto ad Orb. Era come essere catapultati indietro in un incubo.
"Chi può essere stato?" mormorò la Simmons, e il giovane Ammiraglio scosse la testa con decisione.
"Non lo so e ho quasi paura a risponderti. Perché ora come ora mi viene in mente solo un nome, ma senza una rivendicazione non vorrei spingermi a fare strane ipotesi."

In quel momento Erica venne chiamata da un suo assistente e, scusandosi con Athrun, lo lasciò solo a meditare davanti alla più concreta evidenza che Cagalli aveva sempre avuto ragione quando affermava di aver paura delle parole di Nova.
Athrun non riusciva a capire cosa davvero volessero, e come fossero riusciti a causare quel disastro, ma sapeva che non li avrebbe mai perdonati per avere trasformato nuovamente il suo paradiso in un campo di battaglia.



Base lunare Dedalus, 10 aprile 82 C.E.


Non erano riusciti a bloccarlo. Facendosi esplodere l'uomo aveva ucciso se stesso e tre altri militari, e causato il collasso di un hangar danneggiando una decina di nuovi modelli di mobile suit; ma la vera onta, per il Comandante Yzak Joule, era il non essersi nemmeno accorti che tra i loro ranghi si nascondeva un terrorista.

Ispezionando i danni accanto a Valerié Riker, la responsabile della principale base lunare di ZAFT, l'albino ascoltava il rapporto e le conclusioni della scientifica, sprofondando con il passare dei minuti in un risentito silenzio.

Si guardò in giro, ancora sconcertato che davvero quelle rovine contorte fossero recenti e non invece vestigia delle passate guerre, poi alzò gli occhi verso il cielo artificiale di Dedalus che, sincronizzato con quello della capitale di PLANT, era illuminato dal brillante sole virtuale delle tre del pomeriggio. Yzak Joule avrebbe preferito che piovesse.
"Come diavolo è potuto succedere?" si chiese a bassa voce, forse per la decima volta.

"Non lo so, te lo ripeto, solo indagando potremo scoprire qualcosa" gli rispose Riker.

Furente, l'albino si volse verso il Comandante di Dedalus.
"Non mi hai capito. Il come e il perché sono importanti, ma ti rendi conto che questa cosa non sarebbe neppure dovuta accadere?"

"Ovviamente" replicò la sua interlocutrice, irrigidendosi vistosamente. "Stiamo rivedendo tutti i nostri protocolli di sicurezza, ma saprai anche tu che non abbiamo molte difese se uno dei nostri uomini impazzisce e comincia a sparare sul prossimo."

Yzak scosse la testa. "Che cazzata. Credevo che oramai avessimo assodato che quello non era un folle. Hai sentito le novità dalla Terra e da Armory One, no? Gli attacchi sono stati simultanei."
"Non saltare alle conclusioni visto che non ne abbiamo ancora la certezza."
"E cosa ci serve per averla? Che un altro kamikaze faccia esplodere le nostre stesse navi sotto al nostro culo?"

In preda all'ira, Yzak abbandonò il gruppo. Ignorando il divieto di avvicinarsi alle rovine l'albino si spinse fino al moncone di uno dei pilastri crollati; in altri tempi l'avrebbe preso a calci fino a ferirsi, ma ora si limitò a fissare, turbato, le macchie di un qualche tipo di liquido rossastro che decoravano la struttura. Sovrappensiero, rammentò che avrebbe dovuto scrivere due righe ai congiunti di uno dei caduti che era stato sotto il suo diretto comando.
"Yzak. Stiamo facendo tutto il possibile."
La voce di Riker, che l'aveva seguito, lo distrasse dai suoi pensieri. Come ringraziamento, l'albino lanciò alla donna uno sguardo in tralice.
"Lo spero. Non mi piace per niente tutta questa situazione."
Aveva passato giorni dopo la rivendicazione dei misteriosi Nova a chiedersi chi fossero e quale sarebbe stata la loro mossa successiva. Qualche ora prima aveva ricevuto la risposta che cercava; non aveva nessun dubbio che fossero stati loro.
"Guarda questo, me l'ha passato la polizia militare. Stanno esaminando gli effetti personali e il computer del terrorista, ma questo l'hanno trovato subito, era appoggiato in bella vista sulla scrivania."

Riker gli spinse in mano una sottile cartellina di plastica, sigillata.

Conteneva un foglio bianco, recante un'unica frase vergata a mano. Yzak vi posò gli occhi cerulei.

"Vado a vendicarvi. Aspettatemi" lesse ad alta voce, e una smorfia infastidita gli corrugò le labbra alla vista della firma. "Boaz, che significa? Non mi hai forse detto che la recluta si chiamava Dante Skotos? Perché diavolo si è firmato in questo modo?"
"Lo scopriremo. Per ora sappiamo solo che Skotos aveva diciannove anni, e si era arruolato un anno fa. Era nato su Maius Eight."
"Aveva famiglia?"

Riker fece un cenno di diniego. "Solo una nonna. Aveva perso entrambi i genitori durante le due ultime guerre."

"In che modo?"
"Il padre nella battaglia di Jachin Due, era un pilota di mobile suit. La madre durante la battaglia di Berlino, nel '73."
"Era un pilota anche lei?"
"No, un medico."
Yzak a quel punto, palesemente esasperato, si mise a sogghignare nervosamente, appoggiando una mano alla colonna distrutta.
"Cazzo. Per un attimo ho pensato che quell'idiota si fosse fatto saltare in aria per vendicare in qualche astruso modo i suoi genitori. Che però erano nostri soldati, quindi la sua mossa non ha per niente senso... oppure sì?"
A Valerié Riker non rimase altro da fare che guardarlo pensosamente. "Non ne ho idea, Yzak. Il suo profilo psicologico all'atto dell'arruolamento era impeccabile, non credo che abbiamo davvero a che fare con un pazzo. Ma, in ogni modo, ho imposto il massimo segreto sulle indagini fino a quando non avrò informato il Presidente di tutto." La donna si avvicinò di un passo ad Yzak, abbassando la voce fin quasi a ridurla ad un mormorio. "Ce ne potrebbero essere altri come lui."
"Non è del tutto inverosimile" commentò l'albino, la cui attenzione fu di nuovo, inesorabilmente, attratta dalle gocce scarlatte spalmate sul pilastro.

Si spinse a pensare che ci voleva una grande motivazione per colpire in quel modo i compagni e la patria, che Yzak riusciva a giustificare solo con un odio davvero cocente. Ma verso chi o cosa, lui non avrebbe davvero saputo dirlo.



Orb, 10 aprile 82 C.E.


Miguel Ayman odiava quei momenti. Sapeva che erano il contrappasso per il suo importantissimo ruolo, all'interno di Serpent Tail, di coordinatore del gruppo di STORM, ma detestava comunque essere completamente in balia dei capricci di qualcuno. Perché prima o poi, nonostante tutte le sue cautele, si ritrovava sempre nella stessa identica situazione: quella dov'era minacciato o, se gli andava male, malmenato, da quegli energumeni cibernetici che aveva il compito di guidare e controllare.
Ascoltando quella mattina la notizia dell'attentato a Morgenroete aveva immaginato quello che sarebbe successo; e, infatti, ne avuto subito un assaggio da Nicol, ma fu quando Lorran tornò a casa che, ancora una volta, Miguel si ricordò troppo tardi di non aver fatto testamento.



"Mi chiedo mi chiedo, lo sai cosa mi chiedo? Chissà quante ossa ti dovrò spezzare prima che tu mi racconti tutto quello che sai su questa storia del cazzo" cantilenò Lorran, amabile quanto una tigre dai denti a sciabola, mentre gli sventolava davanti agli occhi gli artigli e lo teneva fermamente bloccato a terra, bocconi sul freddo pavimento di marmo.

Miguel non aveva mai provato la sensazione di ritrovarsi un arto schiacciato sotto ad una pressa industriale, ma meditò che non dovesse poi essere tanto diversa dal dolore che gli stava tormentando i polsi, incrociati crudelmente dietro la schiena da Lorran.

La giovane gli stava praticamente seduta addosso, impedendo a Miguel di muoversi.

"Ehi, l'ho già detto al tuo amico l'altro giorno, e gliel'ho ripetuto stamattina. I capi mi avevano solo ordinato di portarvi qui, avvertendomi che presto del lavoro sarebbe arrivato. Solo prima dell'attacco nel Corno d'Africa mi dissero che avremmo avuto a che fare con quelli di Nova. Ti giuro che è tutto" guaì Miguel, nel vano tentativo di farle pena.

L'eloquente risposta di Lorran fu di piantare gli artigli a qualche centimetro dal suo naso; l'arma penetrò nel marmo come un coltello caldo nel burro.

"Alla prossima cazzata mi rifaccio le unghie sulla tua schiena, uomo mascherato."

Miguel deglutì. Era quasi certo che lei non gli avrebbe fatto davvero del male, ma non voleva nemmeno rischiare. Non si fidava così tanto di Lorran e della sua indole vendicativa e selvaggia.

"Qual è il problema, ragazzina?" sibilò a quel punto, tentando un approccio diverso.

La rossa si abbassò fin quasi a sfiorargli l'orecchio con le labbra. "Che questa mattina quel tizio poteva ammazzarmi. E visto che questo, quello che è successo in Africa, e l'exploit di quei poveri idioti di Nova sono eventi di certo correlati, mi farebbe piacere sapere quali sono i termini del nostro ingaggio e cosa ci troviamo ad affrontare."

"Per ora non c'è nessun contratto, Lorran, anche se siamo qui per questo. Hai ragione, gli attacchi sono orchestrati dalla stessa mente, i capi di Serpent Tail ne sono certi, come sono convinti che non saranno gli ultimi." Miguel socchiuse gli occhi, leccandosi le labbra. "Continueranno perché la strategia di quei pazzi mira ad ottenere quello che vogliono tramite attacchi terroristici. Ma i potenti del mondo non si piegheranno, anche se i loro paesi non hanno difese contro questo tipo di tattiche."
"Ne sei certo? Le nazioni terrestri e PLANT sono sopravvissute a guerre devastanti, non più di undici anni fa."

"Non è la stessa cosa, Lorran. Qui non si tratta di scontrarsi in campo aperto. Li hai visti i mobile suit che Nova ha spedito in Africa, no? Niente che una sola squadriglia di veterani non possa abbattere. Credi che i capi di Nova non lo sappiano? E, puntualmente, oggi hanno mostrato una tattica nuova, facendo molti più danni e mettendo a nudo la vulnerabilità di questo mondo proprio nei luoghi che si penserebbero più protetti."

Miguel continuò, incoraggiato dal silenzio della Nexus. "Se sono riusciti ad infiltrare bombe e kamikaze in basi militari e centri di ricerca dell'esercito, pensa a come gli sarà facile fare una strage in metropolitana, dove chiunque può salire indisturbato, portando una bomba nella borsa della spesa. O credi forse che sia possibile controllare tutte le borse della spesa di tutti quelli che salgono su tutte le metropolitane del mondo?"
"No, va bene, ho capito" reagì Lorran. "Ma, se anche fosse, cosa c'entriamo noi di Serpent Tail, e cosa possiamo farci?"

Miguel soppesò per un attimo la risposta. Da quella, immaginò, lui si stava giocando molti centimetri di epidermide.

"Noi possiamo offrire al mondo la localizzazione di Nova su un piatto d'argento."

Per un attimo l'ex-pilota di ZAFT avvertì la pressione sulle braccia diminuire. Ma poi si ritrovò girato brutalmente sulla schiena, con Lorran che incombeva su di lui trattenendogli entrambi i polsi a terra. Ad un certo punto la Nexus doveva essersi tolta le lenti a contatto e Miguel realizzò intimidito che quegli occhi da predatore dovevano essere stati l'ultima cosa che molta gente aveva visto, da quella prospettiva, prima di morire.
L'uomo trattenne il fiato. Non era così stupido da non avere paura di lei.

"E cosa stiamo aspettando?" scandì Lorran, quasi soffiando come un grosso gatto cremisi.

"Di conoscere esattamente la loro posizione. Ma sono mesi che teniamo d'occhio i loro movimenti, e in questo siamo molto più avanti del resto del mondo. E i nostri metodi di indagine sono migliori, come sai. Abbi pazienza, presto potrai vendicarti di quello che è successo oggi. Intanto raccontami quello che hai scoperto sul terrorista. Immagino che con i tuoi begli occhi sarai riuscita a fargli una scansione, giusto?"

Lorran annuì, ma non si spostò di un millimetro da lui, e nemmeno ritirò gli artigli.

"Johan Nero. Nato e vissuto ad Orb. Vent'anni. Lavorava da due per un'azienda di distributori automatici di bevande. La sua fedina penale è immacolata."

"E la sua famiglia?"
"Il padre divorziò dalla madre quando lui aveva quattro anni. Non si sono mai più rivisti. Lei è morta nel '71, durante la prima invasione di Orb. Il ragazzo è stato cresciuto dagli zii."

"Ottimo. Vi invidio la capacità di frugare nei database della polizia. E queste cose non le sarai andata a dire a nessuno, vero?"

"Mi prendi per stupida? Sono una professionista, io."

Finalmente, Lorran gli lasciò i polsi e si raddrizzò, ma senza permettergli di alzarsi. Si frugò in tasca, e gli gettò un biglietto addosso. "Ho fatto un giro a casa del tipo, prima che arrivassero gli sbirri. Spiegami questo."

Miguel raccolse il pezzo stropicciato di carta tra due dita.

"È l'originale?"

"Chiaramente. Ma ho lasciato una copia davvero ben fatta per la polizia."

Il biondo sogghignò. L'avevano davvero addestrata bene, la gattina.

"Vado a vendicarvi. Aspettatemi" lesse quindi sul foglio, corrugando le sopracciglia chiare. "Si è firmato Srebrenica. Curioso."

"E che sarebbe?"

"Una città terrestre, della Federazione Euroasiatica."
Miguel frugò un momento nelle sue memorie tentando di ricordare a cosa quel nome era associato, ma non ne ricavò nulla. Avrebbe dovuto indagare quando Lorran si fosse decisa a togliersi di mezzo. Sapere di più sulle loro bombe umane gli avrebbe di certo fornito l'ultimo tassello del puzzle per arrivare a Nova.
Miguel indugiò con lo sguardo sulle cosce levigate di Lorran, messe abbondantemente in mostra dalla corta gonna. Casualmente, ci appoggiò le mani sopra, facendo scivolare le dita verso l'orlo dell'indumento. "Che ne dici? Andiamo insieme a scoprire qualcosa su quel tipo?"
La Nexus ci provava costantemente con lui, ma in quel momento pareva aver deciso di continuare a fare la parte dell'offesa.

Infatti, gelò il sorriso seducente di Miguel con uno sguardo carico di felina indifferenza.

"Dopo. Prima spiegami cosa facciamo mentre i capi localizzano Nova. Rimaniamo qui alla mercé di quegli psicopatici senza sapere quale sarà la loro prossima mossa?"

"Non possiamo fare altro. Il nostro lavoro ora è di renderci necessari per il governo di questo posto. Si devono fidare di noi. Devono capire che siamo gli unici che possono aiutarli a distruggere chi li sta attaccando. Quando sapremo dove sono."
"Mi sembra... accettabile" gli rispose Lorran, dopo secondi di pesante silenzio. A Miguel non sembrava placata, ma solo sottilmente più misurata.
La giovane gli passò gli artigli sul polso della mano destra, facendolo sussultare.

"Ma che bel livido, non mi pare che ieri sera l'avessi, dici che te l'ho fatto io adesso?" gli chiese, facendo serpeggiare un certo tono divertito tra le parole falsamente innocenti.

L'ex-pilota di ZAFT si fissò la parte dolorante, decorata da una vistosa tumefazione bluastra. Il trattamento a cui Lorran aveva sottoposto i suoi polsi non ne aveva certo migliorato lo stato, ma era vero che l'aveva anche prima che lei l'aggredisse.

"Non è niente di che, ho sbattuto contro una porta."

Stavolta Lorran rise, rovesciando indietro la testa. "Ma non mi dire. Ed aveva i capelli verdi?" La Nexus gli sventolò davanti al naso una delle lame, costringendolo a girare la testa per non farsi tagliare la sua preziosa frangia.

"Stai giocando con il fuoco, Miguel Ayman. Ricordati che se dovesse succedere qualcosa a Cecilia o a quell'Athrun Zala, Nicol ti staccherebbe la testa dal collo."

Nervosamente, anche Miguel si mise a ridere. "Mi ha promesso qualcosa del genere, in effetti... non che io gli creda."

La giovane, invece di rispondergli, si sollevò con un unico, fluido movimento, contemporaneamente afferrandolo per la cintura e costringendolo a rialzarsi con lei.

Lorran scosse le spalle, alzando poi melodrammaticamente le mani in aria. "E fai male. Lo sapevo che ti saresti fatto ammazzare prima di essere riuscita a conquistarti. Adesso andiamo che ti medico, uomo mascherato."

Senza aggiungere altro si voltò e lo lasciò in mezzo al soggiorno, a guardarla andarsene ancheggiando, insicuro se seguirla o se fuggire dalla parte opposta.
Miguel alla fine decise di non sfidare oltre la sua fortuna, e si preparò psicologicamente per affidarsi alle doti di infermiera improvvisata di Lorran; giudicò che fosse meno pericolosa con unguenti e bende che all'inseguimento del suo SUV. Erano solo le tre di pomeriggio ed era già sopravvissuto a due semi tentativi di omicidio. Non poteva andargli sempre bene.



Località sconosciuta, 10 aprile 82 C.E.


Quando aveva deciso di unirsi a Nova, Kassel non aveva idea di come sarebbe stato utile alla comunità. Non era un guerriero, come Odessa, non era un brillante ingegnere, come Kiel, non era nemmeno bravo a cantare, come Rabka. Ma si sarebbe accontentato anche di lavare i piatti purché l'avessero accolto. Alla fine era successo e, dimenticando il suo nome e prendendone uno datogli dalla comunità, aveva messo la sua vita al servizio di Nova. Alla fin fine, c'era davvero un dono che poteva condividere con gli altri.



Per lunghi minuti Kassel osservò le agili dita del creatore di Nova pizzicare le corde della chitarra, traendone un suono coinvolgente; non osava disturbarlo con dettagli mondani. Fissò i lineamenti giovanili, nascosti da una folta barba bionda che rendeva impossibile stabilire quanti anni avesse. Non dovevano essere però molti, come quasi tutti gli altri compagni; a quarantacinque anni Kassel era uno dei membri più vecchi di Nova.

Alla fine, spezzando l'incanto della musica, Requiem stesso si interruppe, volgendo gli occhi celesti sull'uomo.

"Novità?" gli chiese, dolce e pacato come sempre.
Kassel scosse la testa. "No. Hanno solo rafforzato le difese attorno alle fabbriche, ai palazzi governativi e ai centri di ricerca."

"Cosa ne pensa l'opinione pubblica?"
"Tace. Anche se i talk show ci stanno dando addosso. Ci sono stati dei morti."

Un remoto sorriso apparve sulle labbra di Requiem, condiscendente e distaccato. "È un gran peccato, ma l'avevamo previsto, no? È tutto così triste, ma ricordati che anche loro erano colpevoli. "

Non c'era nessun rapporto vero di gerarchia in Nova, ma Kassel si sentiva sempre molto deferente verso Requiem. Abbassò la testa inchinandosi alle sagge parole del leader della comunità, accettando il velato rimprovero.

"Lo so. La mia fede non sta vacillando."

"Non ho mai avuto nessun dubbio. Cosa pensi di fare, adesso?"

Kassel sorrise. L'opinione pubblica e i governi stava reagendo esattamente come lui aveva previsto; d'altronde, non sarebbe nemmeno stato per tanti anni direttore della comunicazione di un grande gruppo industriale se non avesse saputo quello che la gente davvero voleva.

"Continuiamo con il programma originario. La nostra versione dei fatti è già filtrata nei canali di controinformazione e nei gruppi di social network, e i nostri attivisti stanno catalizzando attorno a loro tutti gli oppositori governativi. E sono tanti in questo periodo."

"Sì, aspettare il momento giusto non è stato invano" commentò Requiem alzandosi. Il giovane abbandonò la chitarra. "Sei qui anche per ricordarmi il video, vero?"

"Sì. Meglio registrarlo subito. La nostra finestra si aprirà tra mezz'ora."

"Allora andiamo."



Giunsero in fretta nello studio e, come ogni volta, oltre ai tecnici si era radunata lì una folla, venuta ad ascoltare le parole di Requiem. Per loro, era come un piccolo rito.

Kassel osservò il leader prendere posto davanti al telo bianco, illuminato in modo che solo la silhouette di Requiem risaltasse. Poi scrutò i volti dei presenti, una piccola delegazione della Corte dei Miracoli che era Nova. Su alcuni campeggiava la commozione, altri, invece, erano chiaramente consumati dalla sete di vendetta. Kassel non sapeva bene cosa trasparisse nella sua espressione. Forse i più giovani compagni vedevano in lui solo uno stanco uomo adulto, provato e deluso dalla vita. Che non era poi tanto lontano dal vero, ma Kassel aveva deciso di prendersi una rivincita su tutti, prima di raggiungere i suoi cari all'altro mondo.

Le sue labbra si incurvarono leggermente nella parodia di un sorriso, mentre ascoltava il leader di Nova cominciare il suo discorso.



"Governi della Terra e di PLANT, delle colonie lunari, e di tutte quelle non allineate" scandì Requiem. "Avete dubitato della nostra potenza e determinazione, e noi ve ne abbiamo dato una ulteriore dimostrazione. Il fuoco dovrà consumare le vostre arroganti regge, prima che voi vi convinciate ad abbandonare la strada della violenza? Perché non ascoltate invece i vostri popoli che soffrono e che non hanno pane da dare ai propri figli? I loro tormenti sono solo colpa vostra, insolenti politicanti più preoccupati per i vostri eserciti che per le vostre genti. Le vostre mani sono lorde del sangue di chi è morto oggi, e in passato. Per questo, se continuerete a percorrere la strada della violenza noi vi puniremo. Deponete le armi. Non potete fermarci. Non noi saremo più le vostre vittime, e voi non sarete mai più al sicuro."

Come tutti, Kassel sentì gli occhi inumidirsi di lacrime. Gli agnelli sacrificali erano diventati leoni, e il mondo se ne sarebbe accorto.



___________________________



Per prima cosa ringraziamenti di rito a Shainareth per il betaggio, e a tutti quelli che hanno letto e mi hanno lasciato due righe al capitolo precedente <3. Mi scuso per non aver risposto di persona ai commenti ma in questo periodo sono veramente oberata di lavoro :( *piange e si dispera* Faccio piccola ammenda qui!

SnowDra1609 Miguel non è il biondo di cui parlava Miri, lui non è un'unità STORM, anche se il personaggio in questione entrerà in azione tra qualche capitolo ^^

Gufo_Tave ^^ No, nessun Innovade, anche se all'inizio mi era venuta voglia di buttare in questa storia qualche altro accenno allo 00, ma ho preferito soprassedere visto che c'era già troppa carne al fuoco. In questo capitolo spero che la distanza tra i Nova e i CB sia ancora più marcata. Insomma, i secondi sono un'organizzazione di tutto rispetto, con un piano, mezzi e determinazione per raggiungere l'ambizioso obbiettivo che hanno dichiarato al mondo, mentre i Nova... beh, nel prossimo capitolo chiarisco definitivamente chi sono e cosa vogliono. ^^

MaxT Quanto al cinismo dei Capi di Stato di questo mondo ti rispondo che è tragicamente così. Per questo hanno accolto ridendo la rivendicazione di Nova, e non hanno aspettato nemmeno cinque minuti per saltare alla gola del rappresentante della nazione più piccola e debole tra di loro. D'altronde, quelli erano le stesse persone che dieci anni prima avevano portato il mondo sull'orlo della reciproca annichilazione, e io non credo che così pochi anni siano bastati a cambiare le persone, o la società, malgrado tutti abbiano vissuto nell'illusione della pace.
Non avendo visto la serie non lo puoi sapere, ma anche se i prototipi sono di ZAFT, il progetto originario era stato sviluppato congiuntamente da Morgenroete e dall'Alleanza Terrestre, quindi non è possibile risalire in quel modo al produttore. :)

Solitaire Hai colto perfettamente il dettaglio sulle pistole ^^ Nessun essere umano, nemmeno per gioco, potrebbe sparare in quel modo e colpire bersagli opposti con tale totale precisione. Chiaramente, o si guarda da una parte o dall'altra, cosa che molti registi di film d'azione tendono a dimenticare. Mentre i Nexus riescono a mappare i nemici grazie ai loro sensibilissimi impianti uditivi (yes, un po' come i pipistrelli XD) In teoria, non avrebbero nemmeno bisogno della vista.
Dal vero poi, l'unico modo di fare centro è tenere un'unica arma... saldamente con due mani. Che è poi fondamentalmente la prima cosa che ti dicono al poligono, insieme alla raccomandazione di non provare mosse da film per non rischiare che il rinculo ti faccia arrivare la pistola in faccia. XD Sparare con due armi, fossero anche mere pistole, è decisamente roba inumana (altrimenti Dearka non si sarebbe preoccupato tanto dell'esibizione XD)

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Capitolo 9
*** Protezione ***


Protezione



Ginevra, 11 aprile 82 C.E.


"A dire la verità... questa situazione mi sta facendo impazzire."
Il Maggiore di ZAFT Shiho Hahnenfuss sorrise alle parole di Cagalli, prendendo un sorso di caffè e un biscotto.
La bionda leader di Orb era lieta che Shiho avesse deciso di raggiungerla per colazione. Un po' perché la sua compagnia l'avrebbe distratta dall'ansia che l'attanagliava in quelle ore e che le aveva tolto il sonno, e un po' per ascoltare in anteprima i risultati del lavoro della commissione di indagine su Nova, che aveva proprio la moglie di Yzak Joule come Presidente.

"Però lo nascondi bene" fece Shiho, con un leggero sorriso di incoraggiamento che portò Cagalli a scuotere la testa.

"Non posso che rimanere, almeno esteriormente, il più calma possibile. A causa della nuova rivendicazione il Governo svizzero ha prolungato il blocco dei voli di altre ventiquattro ore. Non puoi capire come vorrei essere a casa, in questo momento."

Il sorriso di Shiho si intensificò. "Cagalli, non essere così apprensiva. Ricordati che non reggi l'intero paese sulle tue spalle. Il tuo vice e il resto degli Emiri sanno come agire in momenti nei quali la sicurezza nazionale è messa a repentaglio, non è nemmeno la prima volta nella storia recente di Orb."

"Lo so, ma non è solo per questo che desidererei aver già lasciato Ginevra."

Cagalli distolse gli occhi, posando rumorosamente la tazza di caffè sul tavolo. In passato aveva spesso temuto per la vita delle persone che le erano care; era una sensazione sconvolgente che aveva sperato di non provare mai più. Ora, invece, non riusciva a fare altro che a pensare alle proprie inermi figliolette, minacciate da un nemico che aveva il volto evanescente e spietato del terrorismo.
La moglie di Yzak dovette capirlo, perché allungò una mano prendendole la sua, senza dirle nulla se non offrirle il suo silenzioso sostegno. Dopo qualche secondo, che Cagalli usò per ricomporsi, il Delegato indicò con un cenno della testa il portatile che Shiho aveva accanto a sé sul divano.
"Avete raccolto abbastanza materiale per la discussione davanti all'Assemblea Generale?"
"Sì, e non c'è da stare allegri."

Cagalli tornò ad irrigidirsi, portandosi alla bocca un frollino che prese a mordicchiare nervosamente. Sapeva quanto competenti fossero gli esperti che avevano messo insieme, e lo sguardo di Shiho, che si era fatto preoccupato, sembrava confermare le sue peggiori paure.

"Quindi?" chiese alla Coordinator cercando di mascherare la palese vena di angoscia nella voce.
"Stiamo ancora indagando, ma temiamo che questo gruppo terroristico non abbia nessun legame con qualche governo ufficiale. Come schegge impazzite, si sono invece scagliati contro le strutture militari di ogni paese, nessuno escluso, usando sia bombe che kamikaze. Hanno cercato di non causare molte vittime, che tuttavia ci sono state, e sono la prova che i Nova non hanno certo problemi a spargere sangue." Shiho si bloccò, versandosi altro caffè fumante. "E neppure ne hanno a reclutare membri per il loro gruppo" sentenziò mentre gettava una zolletta di zucchero di canna nel liquido scuro.

Cagalli la imitò, ipnotizzandosi un secondo ad osservare il dolcificante che si squagliava nella bevanda.
"Avete scoperto qualcosa sui kamikaze?" chiese.
"Sì. Gente dalla fedina penale pulita. Per la stragrande maggioranza minori di vent'anni, che non avevano dato segni di squilibrio precedentemente. Li accomuna il fatto che tutti loro avevano subito delle perdite nelle guerre di dieci anni fa."

Una cupa risatina scosse Cagalli. "E chi non ne ha avute?"
"Appunto, anche per quello è un'impresa circoscriverli. I nostri esperti stanno setacciando le loro vite, cercando di capire come e quando sono stati reclutati, e chi gli ha insegnato a costruire quegli ordigni, ma è difficile. Avevano esistenze regolari, amicizie normali, studiavano e lavoravano, e prima di partire per la loro missione hanno ripulito i propri computer e telefoni cellulari."
"Devono aver per forza lasciato una traccia."
"Da qualche parte qualcosa uscirà, ma non ti nascondo che questo è il tipo più elusivo di terrorista da rintracciare. Ma dobbiamo riuscirci anche perché se, come pare, la strategia di Nova è quella di piegarci con le bombe, non possiamo escludere che ci siano in giro altre cellule dormienti pronte a riattivarsi."
Una smorfia torse le labbra di Cagalli, che si morse una nocca pensosamente. "Ma perché?"
Alla domanda Shiho tolse un foglio da una cartelletta appoggiata sotto il computer, e lo porse al Delegato. Era fitto di nomi. Cagalli li scorse in silenzio, per poi fissare gli occhi ambrati sulla moglie di Yzak.

"Questi sono gli alias dei terroristi?"
"Sì. Tutti loro hanno lasciato a casa il medesimo messaggio, firmato con il nome di una località. Sono tutte città martiri delle scorse guerre. Da questo, dal passato di quella gente, e dalle parole del portavoce di Nova si evince una sola cosa, Cagalli."
La bionda annuì, sentendo la punta delle dita formicolare della tensione. "Ce l'hanno detto chiaramente chi sono. 'Noi siamo la voce della gente comune, di quelli stanchi della guerra, dei bambini rimasti orfani, delle vedove, dei mutilati, dei genitori che hanno perso i propri figli'" mormorò Cagalli, ricordando le parole del portavoce di Nova. "Ha detto anche che loro non sarebbero mai più state le nostre vittime. È questo che sono quindi, o che si sentono?"

"Ne siamo assolutamente certi."
Le mani di Cagalli le corsero alle tempie, e lei si appoggiò allo schienale della sedia, esalando un profondo sospiro. "Sono pazzi… credono di essere gli unici che hanno sofferto? Che hanno detto addio alle persone care?"
"È evidente" esclamò Shiho, finendo il suo caffè. "Ti ricordi quegli incidenti avvenuti subito prima della guerra del '73? Quando dei bambini Coordinator che avevano perso i genitori in battaglia si vendicarono attaccando le città terrestri a bordo di ZAKU rubati? Ecco, questa gente non agisce in un modo sostanzialmente diverso, anche se sono ovviamente più organizzati."(1)
"Rimangono sempre dei pazzi, per me."
"Non posso darti torto. In Commissione abbiamo esaminato i profili psicologici di un campione di kamikaze. Erano personalità fragili e manipolabili, mentre chiunque guidi Nova è sicuramente un qualcuno di seducente e carismatico, in grado di avere facile controllo sulle menti più deboli. Da questo, dal tono dei loro proclami, e da quelli che fino ad ora siamo riusciti ad individuare come membri del gruppo, si deduce che la struttura di Nova è assimilabile a quella di una setta, più che non a un gruppo con finalità politiche come erano i Blue Cosmos."

Sotto gli occhi di Cagalli la giovane donna appoggiò, come casualmente, delle zollette di zucchero in fila sul tavolo. "Ma non sono meno pericolosi. Perché hanno motivazioni e opportunità, e in più sono dei cani sciolti, con propositi talmente utopici che una qualunque trattativa sarebbe impossibile. Noi di PLANT, di certo, non potremmo mai disarmarci solo per fare contenti questi scellerati."
"E anche il resto del mondo la pensa come voi" ammise Cagalli, che da tempo si era resa conto che nemmeno Orb poteva intraprendere da solo, in un mondo come quello, la via del pacifismo totale.

"Attenta Cagalli" la ammonì Shiho. "Il resto dei governi la pensa come noi, ma non possiamo escludere la presa che le parole di Nova potrebbe avere sulla gente comune in un momento come questo."

"Che vuoi dire?"
"I servizi segreti di PLANT e della Federazione Atlantica stanno monitorando strettamente la rete, e sai che hanno scoperto? Che i sostenitori di Nova stanno crescendo esponenzialmente, di ora in ora."

Stupefatta, la Delegata di Orb scosse la testa. "Ma com'è possibile? Sono assassini!"

"Hanno ucciso per una buona causa, o così stanno raccontando in giro. Perché costretti, per non essere più le vittime dei nostri errori. Perché nessuna guerra debba mai più scoppiare in futuro. Perché quelli che governano e i militari paghino per quello che hanno fatto alla società civile dieci anni fa" le rispose Shiho, lanciandole un'occhiata.

"Ma che vuol dire? È vero che alcuni politici e membri dell'esercito sono rimasti ai loro posti o hanno fatto carriera, ma è demenziale pensare che tutti i governi e gli apparati di difesa siano responsabili per qualcosa successa quando nessuno di noi era al comando."

"Lo so, lo sanno tutti. Razionalmente è inaccettabile, ma ricordati che le masse non sono sempre spinte da impulsi logici. Le rovine di Junius Seven e i cimiteri pieni dei morti delle passate guerre sono lì a ricordarcelo."

La donna dai lunghi capelli castani appoggiò un'ultima zolletta in testa alla fila che serpeggiava attorno alle tazze e alla caffettiera. "Senza contare che, civili o militari, con il nostro supporto alle varie parti in causa, siamo stati anche noi corresponsabili dei vari massacri. In guerre globali come sono state quelle, gli obblighi e le colpe non possono essere addossate ad una fazione in particolare. Ma alle masse in cerca di un capro espiatorio, Cagalli, questo non interessa. Quello che sta filtrando tra la gente comune è che i Nova sono quelli oppressi da scelte sulle quali non avevano controllo, tornati per punirci."

Cagalli, profondamente a disagio, osservò la lunga teoria di minuscoli parallelepipedi cristallini. E le ritornò alla mentre la discussione che prima di partire per Ginevra aveva avuto con Athrun. Era proprio vero che non sarebbero mai riusciti a voltare pagina, fino quando ci fossero state in giro le vittime degli errori passati? E quale era allora la sostanziale differenza tra gli STORM e i Nova? Non avevano forse deciso tutti e due, ad un certo punto, di passare dalla parte dei martiri a quella di giustizieri?
"Ma allora, seguendo questo ragionamento, non ci sarebbe da stupirsi di quello che stanno combinando. È una vendetta, dopo quello che i nostri padri gli hanno fatto" mormorò, rievocando sovrappensiero la risposta che Athrun le aveva dato al medesimo ragionamento.

"Certo. Ma non stiamo a perderci in problemi filosofici. Il motivo dietro le loro azioni è importante, tuttavia dovremmo preoccupiamoci più del fatto che si sono mossi nel momento giusto. Stante la difficile congiuntura economica, quando già nelle strade si protesta contro i governi accusati di non fare abbastanza, le parole del portavoce di Nova sono come benzina sul fuoco delle proteste."
Shiho sfiorò la prima delle zollette che aveva impilato, abbattendola ed innescando un domino che portò tutte le altre a cadere. "Dobbiamo muoverci in fretta, questo è quello che dirò davanti all'Assemblea Generale, Cagalli. Perché se il consenso per Nova crescerà ancora, qualunque cosa faremo si ritorcerà contro di noi, e ci porterà all'anarchia."

"Sono d'accordo. Ora è importante identificare la loro prossima mossa" sentenziò la Delegata di Orb, accantonando il dilemma che sapeva sarebbe tornato ad attanagliarla. Magari altri potevano fare finta di niente, ma non Cagalli, figlia di uno dei protagonisti dei precedenti conflitti.
"Ci abbiamo già pensato. Vedi, gruppi del genere solitamente usano moduli di comunicazione fissi. Nella prima rivendicazione hanno lasciato una chiara indicazione dei loro bersagli, e nella seconda dovrebbero avere fatto lo stesso." Shiho guardò la giovane donna bionda di sottecchi, interrompendosi un istante come se timorosa di quello che stava per dire.

"Quindi?"
"La frase 'il fuoco dovrà consumare le vostre arroganti regge' non credo lasci adito a dubbi."

Cagalli apprezzò immensamente la brutalità delle parole di Shiho. Finì in un sorso il caffè, per poi alzarsi afferrando il cellulare. Era da quando aveva saputo quello che era successo a Morgenroete che un'idea le si era formata in testa. Aveva cercato di scacciare quella tentazione, ma ora si rendeva conto che non poteva mettere a repentaglio la sicurezza della sua famiglia per una stupida questione di orgoglio. Se fosse successo qualcosa ad Athrun e alle sue figlie non se lo sarebbe mai perdonato.
"Scusami" fece alla moglie di Yzak. "La riunione al palazzo delle Nazioni Unite comincerà tra mezz'ora. Tu comincia ad andare, non voglio farti tardare. Io prima di uscire devo fare assolutamente una telefonata."

Shiho mascherò un sorriso mentre abbandonava a sua volta il divano portando con sé il computer. "Non ti preoccupare, e non credere che non capisca le tue preoccupazioni."
"Lo so. Yzak è sulla Luna, vero? La base di Dedalus è stata una dei bersagli."
"Già, ma fosse anche a casa, io non sarei di certo più tranquilla. Ricordati che Nova potrebbe colpire ovunque. D'altronde, anche questo ce l'hanno promesso, no? Che noi non saremmo mai più stati al sicuro. E anche se mi secca ammetterlo, io è proprio così che mi sento."

Cagalli annuì, il cuore di nuovo colmo di angoscia. Poi, dimentica di tutto quello che la circondava, digitò il numero del marito.



Orb, 12 aprile 82 C.E.


"Come si vede che siete cresciuti figli unici" esclamò Miguel all'indirizzo di Dearka ed Athrun, che cercavano faticosamente ed inutilmente di far smettere di piangere una delle figlie del giovane Ammiraglio.

"Dici?" gli rispose Athrun, sempre più in difficoltà ma che mai avrebbe ceduto alla tentazione di chiamare Miko per aiutarlo. Era un'autorità ad Orb, un pilota di Mobile Suit, un eroe di guerra, non era possibile che non riuscisse in una cosa così semplice come zittire un infante. Ma più se la rigirava tra le braccia più gli strilli di Aurore crescevano di intensità. Che Miguel avesse ragione?

"Dammela, Zala, o tra un po' la vostra governante farà irruzione pensando che stiamo molestando le figlie di Cagalli."

Miguel tese le braccia, serio in volto, e ad Athrun non restò altro da fare che capitolare e consegnare l'urlante fagottino, sotto lo sguardo divertito di Dearka.

"E tu non ridere, che non mi hai per niente aiutato" sibilò all'indirizzo dell'abbronzato compagno.

Da un paio di stanze di distanza le note di un pianoforte si alzarono nell'aria, e la combinazione tra quel dolce suono e le coccole di Miguel ridussero finalmente al silenzio la neonata.

Athrun, sconfitto, rimase lì a guardare l'ex-tutor covando una profonda invidia.

"Non fare quella faccia, ci sono abituato" lo canzonò Miguel. "Ti sei scordato che ho un fratellino piccolo? Toccava sempre a me badare a lui quando la mamma era al lavoro. Sai, noi eravamo una famiglia normale, mica ricca sfondata come te e gli altri. Non potevamo certo permetterci una baby-sitter."

"Me lo ricordo, me lo avrai detto migliaia di volte" rise Athrun intenerito, nonostante tutto, dall'immagine del biondo commilitone con in braccio sua figlia. Era qualcosa che fino a qualche mese prima non avrebbe mai creduto possibile, e ancora a volte faticava a credere che davvero i suoi amici non fossero morti.

Sospirò, appoggiandosi all'indietro sul tappeto cosparso di giochi, e godendosi l'attimo di pace.

Aurore si era acquietata, e produceva ora curiosi gorgoglii stuzzicata sotto il mento dalle dita di Miguel. L'uomo aveva la fronte rovinata avvolta in una bandana che accentuava il suo look da rockstar, e la neonata pareva divertirsi immensamente a cercare di afferrare le ciocche dorate che sfuggivano dal bordo.

Gli occhi di Athrun cercarono Elenore, l'altra figlia chiamata così in onore della madre perita su Junius Seven, e la trovarono addormentata in mezzo ai suoi peluche preferiti, all'altro capo dell'ampio tappeto sul quale tutti avevano trovato posto.

Il giovane avrebbe voluto che quel momento si prolungasse in eterno, accompagnato dalle note del pianoforte. Nicol si era stancato subito di cercare di zittire Aurore, e aveva preferito dedicarsi al vecchio piano del padre di Cagalli, mai più usato da quando l'uomo era morto, durante la guerra del '71.

Athrun era felice in cuor suo di sapere che dopotutto l'amore per la musica non era completamente svanito nel figlio degli Amalfi. Di tutto quello che gli aveva rivelato degli ultimi dieci anni della sua vita, che non fosse più riuscito a suonare era la cosa che stranamente aveva più colpito il giovane Ammiraglio. Si rendeva conto che era solo uno dettaglio, ma l'idea che Nicol non sopportasse più di toccare un pianoforte, lui che all'Accademia non vedeva l'ora di tornare a casa per esercitarsi, l'aveva intristito oltre ogni dire. Ora invece l'amico sembrava ad Athrun, se possibile, anche più bravo di prima.

Sorridendo si rivolse a Miguel. "Che pezzo è quello che sta suonando?"
Lui non voleva nemmeno tirare ad indovinare. Era sempre stato un disastro in quel campo.

"Mi pare si chiami 'Namida'" rispose il biondo sollevando leggermente le spalle. "È un pezzo suo. Spaventosamente emo come tutto quello che riusciva a comporre. Che noia…"

Athrun non era per niente d'accordo con Miguel, e trovava quelle note molto toccanti. "Dici? Io penso invece che Nicol abbia un talento davvero incredibile, anche se non ha più suonato per anni. Non puoi immaginare come sia felice che sia tornato quello di un tempo."

"Uhm, sì, all'incirca" fu la laconica risposta di Miguel, tutto preso a viziare Aurore.

Athrun si rialzò, seguito dallo sguardo di Dearka.

"Dove vai?"
"A prendere i biberon, è quasi l'ora del pasto. Tanto qui mi sembra che sia tutto sotto controllo."

***

Dearka vide il padrone di casa andarsene felice, e alzò criticamente un sopracciglio. Athrun non aveva per niente colto l'imbeccata di Miguel, ma lui sì.

Si allungò fino a sdraiarsi sul tappeto, osservando l'ex-tutor nella inusuale veste di balia. Doveva ammettere che era piuttosto bravo.
"Di cosa stavi parlando?" chiese a Miguel.

L'altro esibì un curioso sorrisetto, senza rivolgere gli occhi su di lui. Però abbassò sensibilmente la voce.

"Ascolta una registrazione di un suo vecchio recital, e poi dimmi se ti sembra che suoni nello stesso modo."

"Lo sai che non saprei mai dirti la differenza…"

"Già, dimenticavo che sei come Athrun, che pur avendo un amico musicista e una fidanzata cantante era una mezza sega in materia."

Dearka soffocò una risata, attento a non svegliare Aurore che sembrava essersi addormentata e, prima che potesse replicare, Miguel si alzò e andò a sedersi accanto a lui, con la neonata in braccio. Era così calma che Dearka pensò che Athrun dovesse assumere l'amico a tempo pieno come baby-sitter.

Miguel gli fece l'occhiolino. "Tecnicamente è ineccepibile. Ma non ti sembra che manchi qualcosa?"

"Qualcosa?" ripeté Dearka, totalmente perso.

"Dai, non trovi anche tu che questi suoni siano un po'… come dire… meccanici?"

Miguel adesso aveva le labbra incurvate in una smorfia divertita, come se volesse suggerirgli qualcosa, o stesse verificando se Dearka fosse finalmente giunto alla realizzazione di qualche ermetica verità.

Il giovane militare scosse la testa. "Non ti seguo."
Come combattuto se rivelargli un segreto o meno, un'espressione incerta danzò negli occhi nocciola di Miguel.

"Non so spiegarti chiaramente nemmeno io, è solo un dilemma sul quale sto meditando da anni, in realtà" gli disse continuando ad accarezzare la piccola nelle sue braccia. "A volte mi chiedo che cosa quegli scienziati abbiano riportato indietro. Vale per Nicol, per Lorran, e per tutti gli STORM."

Dearka si irrigidì, ma riuscì comunque a ridacchiare. "Ma che stai dicendo, Miguel?"
Non gli piaceva quel discorso. Anche secondo lui c'era qualcosa in quei ragazzi che non andava, e capiva Athrun e i genitori di Nicol che sembravano non volerci fare caso. Dal canto suo non intendeva per nessuna ragione indagare il perché e il cosa, e lo turbava vedere Miguel così meditabondo; soprattutto considerato che, qualche giorno prima, Miri non gli aveva detto cose poi tanto diverse.

"Avanti, Dearka" continuò l'amico. "Tutti loro, per un infinitesimale momento, sono stati davvero morti, nel senso più totale che puoi dare a questa parola. E se anche ne hanno ricostruito corpi, io a volte mi chiedo che ne è stato della loro…"
Miguel si interruppe, e il resto della frase rimase tra di loro, greve di significati non detti. Fu Dearka che dopo qualche secondo di raggelato silenzio aprì la bocca.

"È per questo che non ti piace quella sventola rossa che ti ritrovi a casa?"

Aveva cercato di scherzare, ma si era subito reso conto che la battuta gli era uscita con un tono fittizio che non gli era proprio. A Miguel, infatti, sfuggì una smorfia tormentata.
"Porca puttana sì, mi fa una paura fottuta, solo a te lo posso raccontare."

Dearka non poteva dargli torto ma, come erano soliti fare in ZAFT dopo un rimprovero particolarmente feroce di Le Kleuze, i due si fissarono e stemperarono immediatamente la tensione con una sonora risata.

Miguel scosse la zazzera bionda. "Ma che ti sto dicendo?"

"Appunto. Cazzo, Ayman, non ti facevo così superstizioso" esplose l'altro, proprio nel momento in cui Athrun rientrava nella stanza, con due biberon in mano.

I due amici si zittirono brutalmente, e il figlio di Patrick Zala li fissò incuriosito; per un istante Dearka si sentì a disagio, come un ragazzino beccato dalla madre con in mano un giornaletto sconcio. Si chiese se in fondo in fondo anche Athrun condividesse con lui e Miguel gli stessi pensieri su Nicol, pur sembrando fin troppo felice di avere di nuovo l'altro alle calcagna.
Dopo un momento di incertezza, però, Athrun si limitò a sollevare i biberon. "Ve li lascio, io devo andare ad un riunione in Parlamento."

Dearka scambiò con Miguel un'occhiata, il breve imbarazzo dimenticato.
"Devi proprio? La tua presenza non è necessaria, vero? E Cagalli ti ha fatto chiamare apposta Miguel e Nicol perché sorvegliassero la casa e le bambine."
"Appunto. Ci sono loro qui, e ci sei anche tu. Le mie figlie solo al sicuro."
Dearka si alzò, prendendo i biberon dalle mani di Athrun.
"Io sono passato solo a consegnarti quei documenti, ma tra un po' me ne devo andare. Tu sei certo di volere davvero partecipare a quella riunione?"

"Ovviamente. Mi fiderò dei servizi di sicurezza di Orb. Checché ne pensiate voi di PLANT, sono parecchio efficienti."

Le orecchie di Dearka registrarono che la musica si era interrotta e, qualche secondo dopo, Nicol apparve accanto alla porta che dava nelle altre stanze.

"Vengo con te" esclamò, rivolto ad Athrun.

"Lascia perdere, preferisco che tu rimanga qui con Aurore e Elenore."

A Dearka non sembrò che il giovane dai capelli verdi fosse molto convinto. Nicol incrociò le braccia al petto e si appoggiò contro lo stipite. "Questa casa è un bunker, e Miguel rimarrà comunque qui. Per la tua posizione ad Orb sei tu quello che rischia di più, e non dimenticarti che anche il palazzo del Parlamento è un bersaglio."

"Lo so, ma non voglio farmi condizionare la vita dalle minacce di quei pazzi. E assicuro tutti che io mi so difendere."

Le sue parole caddero nel silenzio e, dal sorrisetto indulgente che inalberava Miguel, Dearka capì che, come Nicol, anche il suo ex-tutor dubitava alquanto della cosa. Ma immaginò che non ci fosse modo di far cambiare idea ad Athrun. Che salutò tutti con un cenno del capo per poi, prima di andarsene, puntare un dito proprio verso il coordinatore di Serpent Tail.

"Dai da mangiare alle piccole e poi mettile a nanna, e guai a te se importuni Miko."

Una volta soli, Dearka allungò uno dei biberon che ancora reggeva a Miguel, rassegnandosi all'idea che avrebbe dovuto cercare di sfamare lui l'altra neonata. Non fu affatto sorpreso quando Nicol aprì bocca.

"Io vado con lui."

"Non ci provare" lo ammonì Miguel, mentre cercava di nutrire la bimba.

"Ti fidi di lui? Lo sai che Athrun ha la capacità di cacciarsi sempre in un sacco di guai."

Dearka si mise a ridere. "Questo è certo, ma la gente che cerca di aiutarlo, e che non si chiama Kira Yamato o Cagalli Yula Athha finisce sempre per farsi male."

"Ha ragione" gli fece eco Miguel. "Ricordati che ti è capitato l'ultima volta che gli hai salvato il culo."

"La pianti di rivangare il passato?" si lamentò Nicol.

Miguel scosse la testa, facendo contemporaneamente una boccaccia ad Aurore. "No. Perché temo che tu ti sia messo in testa di fare la balia ad Athrun, e ciò è male."

"Non è colpa mia se quello non sa badare a se stesso. E poi mi annoio qui. Tu invece sei bravissimo con i bambini. Pensavo lo fossi solo con le mamme…"

Miguel accolse la battuta con un ghigno. "Almeno io combino qualcosa. Mica come te. Ma il primo amore non si scorda mai!"

Dearka vide Nicol girarsi di scatto, ma riuscì comunque a notare un delizioso rossore spandersi sulle guance del giovane. La scena lo fece ridacchiare. Quindi era proprio vero, come avevano malignato lui e Yzak ai tempi, che il pianista fosse cotto di Athrun. E dall'espressione imbarazzata ancora lo sembrava, in qualche modo.

Dearka non resistette. "Certe cose non cambiano mai, vero Amalfi?" esclamò sogghignando.

"Siete due idioti. Torno di là."

E con quella replica offesa Nicol marciò via, e Dearka si decise a fare la sua parte dando da mangiare alla piccola Elenore, operazione che gli riuscì meglio di quanto sperasse.

Minuti di profondo silenzio passarono, rotti solo dai borbottii delle due bimbe che gustavano la propria cena.

Alla fine, il biondo militare riportò la sua attenzione su Miguel.

"Ehi, ma come mai quello non ha ricominciato a suonare?"

"Perché è corso appresso al suo ex-fidanzatino."

Dearka sollevo criticamente un dopracciglio. "Non riesci proprio a farti ascoltare?"
"Eh no, sono passati i tempi quando potevo minacciarlo con una bella punizione corporale" rispose laconicamente il suo interlocutore, come se dopotutto non gli interessasse molto.
"Ci credo. Beh, spero che non faccia una cazzata. Povero Nicol, dopotutto ci sono affezionato anch'io."

Aurore aveva finito il suo biberon, e Miguel le asciugò la boccuccia, alzandola sopra la testa e strappando alla neonata un risolino di gioia.

"Povero chi?" obiettò a Dearka, sorridendo amabilmente alla bambina. "Nonostante quello che ti ho detto prima anche tu continui a scordarlo. Il vero disgraziato sarà il terrorista se Nicol riuscirà ad acciuffarlo. Spero solo che me lo riporti in un solo pezzo, e non in due buste della spesa com'è successo l'ultima volta con Lorran. Che scazzo questi ragazzi..."

Il sorriso di Dearka gli rimase cristallizzato in viso. Sbattendo le palpebre, preferì dimenticare quello che aveva appena sentito e occuparsi esclusivamente di Elenore, che non sembrava gradire come la gemella il cibo.

Certe cose non cambiavano mai, certe altre invece l'avevano fatto radicalmente, e lui non era sicuro che fosse stato per il meglio.

***

Una volta passato senza subire nessun controllo nel palazzo che ospitava il Parlamento di Orb, Athrun Zala meditò che anche quelle procedure erano totalmente inadeguate come a Morgenroete.

Quel giorno le visite turistiche erano vietate, ma c'era comunque parecchia gente in fila per entrare. Le macchine che stavano impiegando per gli accertamenti erano nuove fiammanti; un paio le stavano ancora installando e, per facilitare l'accesso della folla di impazienti politici, accompagnatori ed impiegati statali, molte persone venivano esaminate molto sommariamente. Nessuno poteva introdurre liquidi dall'esterno, e tutti i distributori erano stati controllati, ma quelle misure non sembravano sufficienti ad Athrun.

"E questo posto è il paradiso di un terrorista" commentò a bassa voce il Coordinator, guardandosi in giro e notando per la prima volta, con gli occhi di chi sta cercando falle nella sicurezza statica, le passerelle sospese sulle teste della gente, agganciate a sottili tiranti, e le ampie vetrate che sostituivano la parete esterna. L'atrio del Parlamento era stato arredato da qualcuno patito per le superfici riflettenti, perché non c'era scrivania, totem per le informazioni o panchina che non fosse di vetro o acciaio satinato. Al centro troneggiava la stilizzata scultura di una colomba con le ali spiegate, costruita, tanto per adeguarsi cromaticamente al resto, con fasci tubolari argentati. L'effetto complessivo era di spazio e luminosità, quello che voleva ottenere il progettista, ma Athrun non riuscì a trattenere una smorfia al pensiero dei danni che avrebbe potuto provocare una bomba in un posto come quello.

La sala nella quale si sarebbe tenuta la riunione era ad un paio di piani sopra la hall, ma il giovane scartò criticamente gli ascensori e decise di salire con le scale. Nonostante quello che aveva detto agli amici sul non farsi condizionare la vita aveva la spiacevole sensazione di essere vulnerabile in quel posto, e sulle facce della gente che incontrava poteva leggere chiaramente l'angoscia. Non gli piaceva per niente.

Un'ora dopo, la riunione con il Responsabile della Sicurezza Nazionale e una manciata di suoi collaboratori si trascinava talmente stancamente che Athrun stava cominciando a pentirsi di non essere rimasto a casa. I politici riuscivano a perdersi in chiacchiere in una maniera esasperante, ed ogni volta ammirava Cagalli ed il suo sangue freddo che la faceva resistere ore ed ore in Parlamento senza dare in escandescenze. E meno male che lui si reputava una persona fondamentalmente calma.

"Signori" l'Ammiraglio esalò ad un certo punto, stanco dell'ennesima, inutile obiezione sollevata da un burocrate. "La questione non è se chiudere o meno i confini, perché mi pare chiaro che quei terroristi siano già fra noi, dobbiamo più che altro implementare misure tali da proteggere almeno i luoghi più delicati: ospedali, scuole, e stazioni di polizia."

Il Responsabile lo fissò scoraggiato, mentre la corte di politici attorno a lui scuoteva la testa. "E dove troveremo i soldi, Ammiraglio Zala? Il debito pubblico è già alle stelle a causa di tutte le richieste di sussidi di disoccupazione e di aiuti alle imprese in difficoltà, e le lascio immaginare i costi che dovremo sostenere per riparare i danni occorsi a Morgenroete, che le ricordo è un'azienda a partecipazione statale. I sistemi per mettere in sicurezza le strutture che ci chiede ci costerebbero milioni che non abbiamo, e c'è dell'altro."

Sullo schermo posto davanti ad Athrun scorsero varie pagine di giornali e blog privati. Il giovane ci diede una veloce occhiata, socchiudendo le palpebre.
"Ho capito bene? Si stanno alzando ovunque critiche al Governo?" chiese stupefatto.

"Sì. In qualche modo il costo delle apparecchiature di screening che stiamo installando nella hall è filtrato presso il grande pubblico. Adesso da più parti ci accusano di proteggere prima la classe politica che non la gente comune."

Prima che Athrun potesse aprire bocca il suo giovane attendente lo anticipò. "Beh, non hanno tutti i torti."
"Da qualche parte dovevamo pur cominciare. D'altronde è stato per diretto ordine del Delegato Athha che ieri ci siamo affrettati ad ordinarli. Allo stesso modo la sicurezza intorno alla sua residenza privata e dell'Ammiraglio Zala è stata intensificata, abbiamo forse fatto male?" rispose qualcun altro, in tono decisamente polemico.

Nel tentativo di far calare i toni, Athrun stesso alzò le mani. "No, certo che no, ma dobbiamo far capire alla gente che erano necessari, visto che siamo noi i diretti interessati da quella minaccia."

Il Responsabile della Sicurezza lo guardò in tralice. "Difficile dirlo solo da parole contenute in una rivendicazione che potrebbero significare tutt'altro. E, in ogni caso, lasci perdere i giornali ufficiali e legga bene su quei blog. Mentre la maggior parte deplora gli attacchi di Nova e le loro deliranti dichiarazioni, non sono pochi quelli che affermano che dopotutto ce le meritiamo per tutti i morti che non abbiamo saputo impedire anni fa."

Il pensiero teneva sveglio Athrun la notte da quando aveva ascoltato l'ultima rivendicazione di Nova. Appoggiò i gomiti sul tavolo e intrecciò le dita sotto il mento, pensando che lui aveva fatto di tutto, giungendo quasi a sacrificare la propria vita, per far cessare la guerra, ma evidentemente non importava a chi aveva perso tutto. Loro, nemmeno sapevano chi fosse. Passato il momento di rabbia per chi aveva vigliaccamente cercato di far saltare in aria Morgenroete, Athrun si era ritrovato a pensare a cosa avrebbe fatto lui se la sua famiglia gli fosse stata strappata da un bombardamento. Avrebbe forse atteso come i misteriosi Nova il momento propizio per vendicarsi?

Guardando in faccia gli sconsolati presenti alla riunione gli ritornò in mente l'aggressivo Shinn Asuka che si era addirittura arruolato in ZAFT, e che aveva attaccato la flotta di Orb durante la guerra del '73, per far pagare agli Athha la morte dei propri cari. Assurdamente si trovò a pensare ai componenti di Nova come ad un esercito di migliaia di persone senza nome e senza volto, che condividevano tutti lo sguardo rabbioso del giovane Asuka.

Athrun sospirò, alzandosi in piedi.

"Signori" cominciò, ma non riuscì a finire.

Il pavimento vibrò sotto i suoi piedi, e un potente boato scosse le finestre della sala facendo cadere calcinacci dal soffitto. Tutte le bottiglie sul tavolo finirono a terra, come i due commessi in piedi ai lati della porta.

Aggrappato al bordo del tavolo, Athrun fissò l'attendente che aveva il voto sbiancato. Le labbra del ragazzo si aprirono per pronunciare una sola parola: "Attentato" urlò.

Senza attendere oltre Athrun scattò. Accertatosi che non filtrasse del fumo e che la maniglia non fosse calda spalancò la porta. Altre si stavano aprendo lasciando uscire gruppi di uomini e donne. Sembravano tutti abbastanza calmi, ma quando un secondo boato fece sensibilmente tremare il palazzo si scatenò un fuggi fuggi generale.

Athrun venne spinto da parte dagli occupanti della sala che aveva lasciato, ansiosi di andarsene, mentre intorno a loro strillavano gli allarmi. Adesso il giovane Ammiraglio poteva anche sentire odore di fumo. Non riusciva a capire dove fossero avvenute le esplosioni, ma non era il caso di indugiare nel corridoio che si stava riempiendo di gente.

Tenendosi presso il muro, per non essere travolto dalla calca, Athrun si avviò all'uscita più vicina. Sentiva delle grida, ma anche delle sirene, e ciò lo rassicurò sul fatto che le forze di polizia stessero già accorrendo sul posto.

Arrivato davanti agli ascensori li scoprì bloccati, ma fortunatamente le scale per scendere nella hall erano ampie e lasciavano defluire agevolmente la folla.

Però, una volta in cima ad una delle rampe, sotto di lui scoprì l'ampio atrio traboccante di persone che si accalcavano nel tentativo di raggiungere l'esterno al più presto possibile, occludendo i varchi e finendo a terra cercando di scavalcare i tornelli. Athrun aggrottò le sopracciglia e gli occhi gli corsero alle uscite di sicurezza che nessuno sembrava usare. Capì come mai quando vide alcuni agenti di polizia cercare di sfondarne una con i manganelli. Come era possibile che fossero tutte bloccate?

Una brutta, bruttissima sensazione di gelo gli attanagliò lo stomaco e, senza curarsi di chi urtava, Athrun si fece largo fino alla base della scala.

Corse verso la vetrata schivando la gente che continuava ad affluire nell'atrio. Percosse la superficie trasparente con un pugno, e gli sembrò di colpire una lastra di acciaio.

"Maledizione" urlò irritato. Si ricordava che il materiale era rinforzato ed impossibile da sfondare a mani nude o con un oggetto, come i vani sforzi degli agenti dimostravano. Avrebbero dovuto usare una macchina, ma non potevano certo farlo con tutta quella gente che oramai riempiva la hall. Angosciato cercò di spalancare dalla sua parte una delle uscite di sicurezza, ma il maniglione era inamovibile, come se i vari pezzi fossero saldati tra loro.

Athrun alzò gli occhi. Nel piazzale antistante il palazzo si stavano radunando mezzi della polizia, ambulanze che cominciavano a soccorrere i feriti e vigili del fuoco. Tutti i presenti guardavano in alto, per cui Athrun capì che l'ordigno doveva essere esploso ai piani superiori. Lì c'erano solo uffici e sale di rappresentanza che sperò fossero vuote, ma l'edificio doveva essere comunque evacuato il più presto possibile, visto che le esplosioni potevano averne minato l'integrità strutturale.

Combattendo la preoccupazione e la paura, e non volendo contribuire al caos generale, rimase un po' defilato, pronto ad assistere chiunque fosse rimasto indietro; ritenne, essendo un Coordinator e più giovane della media delle persone che vedeva sfilargli davanti, di dover aiutare quelli più in difficoltà di lui. Contemporaneamente, però, una sorda rabbia lo scosse al pensiero che gli addetti alla sicurezza del palazzo, invece che rimanere a gestire il deflusso della folla, sembravano essersi volatilizzati.

Come per rispondere alla sua silenziosa maledizione, proprio uno di quelli gli apparve davanti.

Era un uomo sulla trentina, in divisa blu, e camminava nella fiumana di gente dirigendosi con gli altri verso l'unica uscita disponibile, chiaramente dimentico del proprio ruolo.

Athrun non ci pensò due volte a scattare.

Si fece largo nella ressa fino all'agente, che afferrò per il braccio per farlo voltare verso di lui. L'uomo urlò, sfuggendo alla sua presa come se Athrun fosse stato un marito geloso in cerca di vendetta. Girò però su di lui due occhi sbarrati dalla paura che non fecero nessun effetto sul giovane Coordinator.

"Che diavolo fai?" gli urlò Athrun. "Chiama i tuoi colleghi e vieni ad aiutarmi. La gente si ammazzerà per uscire prima che il fumo arrivi fin qui."

Sorprendentemente, il suo interlocutore scosse la testa. "Fatti gli affari tuoi" gli rispose sgarbatamente. "Io non rimarrò qui un minuto di più."

La risposta fece inferocire il figlio di Patrick Zala. Quella gente era addestrata per risolvere quelle situazioni, come faceva quel tipo a fregarsene?

"Non te ne puoi andare!" gli urlò, riafferrandolo per un braccio. L'uomo in tutta risposta gli sferrò un pugno nello stomaco che lo fece piegare in due.

Non se l'era aspettato, ma la sua ottima forma fisica limitò il danno ad una momentanea sorpresa. Quando rialzò gli occhi, scoprì l'agente a qualche metro da lui, apparentemente intento a scomparire nella calca. Athrun ne aveva avuto abbastanza; che se ne andasse pure, pensò, se era tanto ansioso di uscire.

Con la coda dell'occhio intercettò però vicino al primo un altro agente. Si mosse per provare a bloccare almeno quello, quando notò qualcosa di strano tra i due.

Quello con cui Athrun aveva avuto il diverbio vestiva una divisa leggermente più chiara del secondo e, nonostante il caldo soffocante nella hall, indossava sopra un giubbetto imbottito. Particolare strano, portava un orologio sopra la manica, se ne accorgeva solo in quel momento. Colto da un curioso presentimento il giovane Coordinator si avvicinò di nuovo all'agente, abbastanza per arrivare a riacchiapparlo.
L'uomo farfugliò un'imprecazione ma questa volta non riuscì a liberarsi, mentre Athrun notava chiaramente, con il sangue che si tramutava in ghiaccio, il display digitale dell'orologio, girato verso l'interno del polso, che mostrava un numero che stava rapidamente raggiungendo lo zero.

Stavolta doveva avere lui l'espressione stravolta quando fissò l'agente.

"Ma che stai facendo?" gli chiese.
La smorfia sul volto dell'altro fu uno strano misto di terrore e rabbia. Si divincolò nella stretta di Athrun e i due combatterono per qualche momento poi, senza preavviso, l'agente rinunciò alla lotta e avvicinò il viso a quello dell'Ammiraglio.

"Non importa. Sarai allora il primo a morire" sibilò ad Athrun.

Al Coordinator non sembrava che l'altro avesse qualcosa sotto il giubbetto, capì quindi che era proprio l'indumento, e forse tutto quello che l'uomo indossava, ad essere fatto di un qualche tipo di tessuto esplosivo. Impossibile da identificare per il tipo di scanner che avevano installato.

Abbassò gli occhi dal volto disperato dell'uomo al suo polso. L'orologio evidentemente era il detonatore – o almeno sperò che lo fosse - ma si chiese se strapparglielo di dosso sarebbe stato sufficiente per impedire la deflagrazione. Cercò anche di non pensare a cosa sarebbe successo se il terrorista ne avesse avuti altri, travolto dalla consapevolezza che la bomba esplodendo avrebbe disintegrato tutti i supporti in vetro e alluminio della sala, trasformandone i frammenti in micidiali schegge per tutti quelli non coinvolti direttamente nell'esplosione.

"Perché?" chiese Athrun. Non si capacitava che qualcuno potesse fare una cosa così vile e mostruosa.

"Perché nessun bambino debba più morire com'è morta mia figlia."

La stolta ipocrisia della riposta era lampante, e tuttavia zittì Athrun per il fervore religioso con cui fu pronunciata. Il giovane realizzò in quel momento che nulla avrebbe convinto il terrorista di non essere nel giusto. Quindi, poteva solo tentare di fermarlo, in ogni modo.

Gli era già capitato durante battaglie particolarmente cruente che, sull'orlo della sconfitta, sentisse tutti i suoi sensi improvvisamente focalizzarsi sull'obiettivo. Non aveva mai capito perché, ma successe anche quella volta.

Athrun scattò in avanti, atterrando il terrorista con una potente presa alla quale l'uomo non riuscì a sottrarsi per quanto si dimenasse. Velocemente gli strappò il detonatore dal polso gettandolo verso la vetrata. Athrun udì il terrorista urlare e agitarsi ancora per qualche secondo, per poi serrare le mascelle e perdere le forze tutto ad un tratto.

Il Coordinator ritornò in sé in tempo per vedere gli occhi dell'agente rovesciarsi nelle orbite. La bocca si spalancò e la testa cadde di lato, come se i muscoli e la colonna vertebrale fossero improvvisamente divenuti di gelatina. Athrun perse qualche secondo per perquisirlo e accertarsi che non avesse addosso altri detonatori, sapendo di avere tra le mani un cadavere.

Poi, la sua attenzione tornò inesorabilmente al volto dell'uomo. Solo pochi secondi prima era stato vivo. Un padre che aveva perduto la sua bambina. Qualcuno che cercava vendetta.

"Perché?" mormorò, sentendosi sconfitto nonostante avesse scongiurato un attentato. Questa volta, nessuno gli rispose.

***

La prima cosa che Numberg avvertì riacquistando conoscenza fu un sordo dolore alla mandibola e una sensazione di generale indolenzimento che sembrava irradiarsi da un punto lungo la colonna vertebrale. Gli formicolavano anche le mani, e sul momento cercò di abbassarle per far tornare il sangue a circolare. Scoprendo di non potere, e avvertendo qualcosa che gli bloccava i polsi, sorrise leggermente, chiedendosi perché tra tutte le donne al mondo si sceglieva sempre quelle patite di bondage.

Dopo qualche secondo Numberg si sentì soffocare, mentre frammenti di memorie si ricomponevano dietro le sue palpebre ancora serrate.

La sua ultima fidanzata l'aveva lasciato due mesi prima, e adesso si ricordava benissimo di avere interpretato la cosa come un segno divino. Si rammentò anche che quella mattina, prima di uscire, non aveva messo la sua solita divisa ma quella speciale consegnatagli da Mostar. Ripercorse mentalmente tutto quello che aveva fatto successivamente, dall'andare al lavoro al Parlamento, come al solito, all'accertarsi che le cariche esplosive affogate nei pilastri del tetto del palazzo, abilmente sistemate lì durante la costruzione dello stesso, si attivassero. Era andato tutto bene, ma nel momento in cui dovevano davvero passare all'azione aveva visto il suo compagno Mostar atterrato da un giovane in uniforme bianca, che aveva riconosciuto come Athrun Zala, il deprecabile marito della odiata Principessa.

Finalmente Numberg socchiuse gli occhi. Davanti a quella scena aveva capito che doveva farsi esplodere immediatamente, ma quella era l'ultima cosa che ricordava prima di sentire una puntura dietro il collo. Adesso intuiva anche cos'era il dolore che avvertiva in bocca.

"Cerchi questa?" chiese una melodiosa voce femminile, come per fargli eco.

L'uomo guardò davanti a sé, scuotendo leggermente la testa per snebbiarsi la vista. La padrona della voce era davanti a lui, appoggiata casualmente ad un tavolo. Era bellissima e vestiva una gonna indecentemente corta, ma lui la notò appena, impegnato piuttosto a fissare un piccolo oggetto biancastro, ed insanguinato, tra le dita della ragazza.

"Una capsula di veleno in un molare" cinguettò la sconosciuta. "Certo che amate proprio i vecchi sistemi" lo canzonò schiacciando poi il dente tra pollice ed indice.

Confusamente Numberg pensò a quel punto di avere visto male, che qualunque cosa gli avevano dato per narcotizzarlo, e impedirgli di farsi saltare in aria, lo stava facendo vaneggiare. Perché non era semplicemente possibile che quella ragazzina avesse stritolato un molare con la semplice pressione di due dita.

Si mise addirittura a ridacchiare, scoprendosi con un po' di ritardo nudo e con le mani legate sopra la testa.

"Cazzo, mi avete beccato. Sei stata tu?" biascicò. Non aveva idea di come avessero fatto, ma era successo, e adesso era nei guai. Però non si sentiva molto preoccupato, solo deliziosamente confuso.

"Un mio amico. Poi ti ha lasciato a me, lui non è bravo con le torture."
La risposta fu accompagnata da un sorriso birichino che lo divertì quando invece avrebbe dovuto terrorizzarlo.

"Sei forte bambolina!" concesse alla ragazza, che lo ignorò sbadigliando. Fu invece una nuova voce che parlò.

"Perché volevi fare una cosa del genere?"

Numberg girò la testa e scoprì che apparteneva ad un uomo dai capelli biondi, che aveva le labbra piegate in una smorfia ironica.

"Il mio fratellino è morto a Berlino, nel '73" rispose, senza capire perché veramente lo stesse facendo. Si rendeva conto che avrebbe dovuto tacere, ma non riusciva a fermarsi. "Siamo stati separati quando le sirene hanno cominciato a suonare. L'ho ritrovato due giorni dopo, e non è che fosse rimasto molto di lui."

"E quindi?"

"La mamma morendo mi aveva scongiurato di proteggerlo, e io non ce l'ho fatta. Tu non puoi capire cosa ho sofferto. Era solo un bambino!"

"Non lo eravamo tutti?" fu lo strano commento della ragazza, che Numberg non si preoccupò di interpretare, troppo occupato a piangere.

L'uomo davanti a lui però, nonostante le sue lacrime, non sembrò molto impressionato dal suo racconto. "Furono quelli dell'Alleanza a distruggere Berlino. Cosa c'entra la gente che volevi uccidere oggi?"

"Sono tutti colpevoli. Non hanno fatto niente per impedirlo. Io ero così piccolo... non potevo farci niente. Ma adesso..."

Numberg sentì la voce deragliare, ma aveva comunque una gran voglia di raccontare. Tutto. Della sua vita. Dei suoi sogni. Della bruciante sete di vendetta che non lo faceva dormire.

Osservò la ragazza raggiungere il compagno, e appoggiargli casualmente un braccio sulla spalla. I due si guardarono, e Numberg si chiese se fossero amanti. Anche se sembravano più colleghi. Non sapeva perché ma avevano qualcosa che li accumunava.

Tornarono a fissare lui. E il prigioniero finalmente notò come gli occhi della ragazza avessero qualcosa di veramente strano. Riflettevano bizzarramente la violenta luce artificiale della stanza, algidi e inespressivi come se la loro proprietaria non fosse niente altro che un manichino.

Le parole gli uscirono senza che riuscisse a fermale. "Oh, ma allora sei veramente una bambola. Dov'è andata la tua anima? O non l'hai mai avuta?"

Lei non mostrò nessuna sorpresa a quelle parole, ignorandolo di nuovo.
"Ma adesso vorresti uccidere innocenti per vendicare i tuoi morti? Che cosa inutile" gli disse invece, sembrando più annoiata che oltraggiata.

"Non sono innocenti. Sono vampiri, che si nutrono delle miserie della gente. Loro meritano di morire" sentenziò, sicuro di sé. Al contrario di Mostar, lui non aveva mai avuto dubbi sulla loro missione.

Come se avesse fatto una battuta, la bambola rise del suo credo. Non c'era nessuna gioia in quel suono argentino, solo la raggelante allegria di un killer, e la promessa di una condanna a morte.

"Mi ucciderete?" chiese, stupendosi perché ancora non stava provando un grammo di paura.

La creatura costruita ad immagine e somiglianza di una ragazza si passò una mano nei capelli, fissandosi poi le unghie, mentre il suo compagno scuoteva le spalle.

"Mettiamola così" gli disse lo sconosciuto. "Con le droghe che ti abbiamo dato adesso ci dirai tutto di Nova. E poi ti manderò ad incontrare il tuo fratellino e la mamma, non sei contento?"
Numberg era sicuro che se fosse stato in sé si sarebbe messo ad urlare. Invece una strana sensazione di pace si impadronì di lui. Confortato dal pensiero che presto avrebbe rivisto i suoi cari, cominciò a raccontare di quello strano ragazzo barbuto dai lunghi capelli biondi che, una notte, gli aveva dato il nome di una città che non esisteva più.



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Note


(1) Episodio accaduto nell'OAV Gundam SEED C.E. 73: Stargazer.



Edit 13/04/10: aggiunta la nota che avevo colpevolmente dimenticato e corrette un paio di ripetizioni.

Come sempre grazie a Shainareth per il betaggio, a tutti quelli che leggono, e a quelli che lasciano un commento <3 A questo proposito...

SnowDra1609 Sì sì, combattimenti tra MS ce ne saranno. Dopotutto Nova ne possiede, e stai certo che i terrestri e quelli di PLANT non staranno lì a guardarli!

MaxT Come hai letto qui, è esatto, gli alias scelti dai terroristi sono tutti di località distrutte dalle due guerre combattute nel '71 e nel '73 CE. A parte Berlino di certo incenerita, da nessuna parte esiste una lista delle altre, ma visto che molte cruente battaglie sono state combattute nell'Europa centrale ho tirato ad indovinare. Un solo nome è un omaggio alla Guerra di un Anno raccontata nel primo Mobile Suit Gundam, vediamo chi indovina :)

Gufo_Tave Esatto, la mia idea era proprio quella. Più precisamente un bel mix tra al-Qaeda e la setta dei Davidiani di David Koresh, quelli massacrati a Waco in Texas. Natural e Coordinator hanno una bella gatta da pelare...

Solitaire Come detto sopra, sì, una setta di pazzi idealisti, armati fino ai denti (anche di armi improprie), e con motivazioni per le quali gli adepti sono disposti ad immolarsi è molto più pericolosa di un esercito schierato sul campo di battaglia. Da che mondo è mondo gli insorti hanno sempre dato filo da torcere agli eserciti regolari, e quanto sia difficile estirpare la pianta velenosa del terrorismo lo vediamo tutti i giorni al telegiornale.

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Capitolo 10
*** Discrepanze ***


Discrepanze



Ginevra, 12 aprile 82 C.E.


Con già le valigie pronte in auto, Cagalli si era accomodata al suo posto nel Consiglio di Sicurezza ansiosa di finire presto l'ultima riunione e fuggire all'aeroporto. Avrebbe preferito partire immediatamente quella mattina, ma sapeva che non poteva esimersi dall'incontrare i delegati degli altri paesi dopo gli attentati del giorno prima.

Ad Orb erano stati fortunati, continuava a ripeterselo, ma ad altri era andata decisamente peggio. Addirittura il Presidente in persona della Federazione Atlantica aveva rischiato di morire, quando un uomo della sua scorta si era fatto saltare in aria, ed era solo stato grazie al caso che si era salvato. Cagalli poteva dire lo stesso dei membri del Parlamento di Orb.

La giovane appoggiò i gomiti sul tavolo, protendendosi ad ascoltare la relazione del Segretario Generale delle Nazioni Unite, gran parte della quale era solo un lungo elenco di vittime.

Non appena finì, fu l'emissario della Federazione Euroasiatica che per primo prese la parola.

"È inammissibile che non siamo riusciti a fermali" sentenziò Boris Shakasvili, la voce tesa dall'indignazione.

"Non c'è niente da fare" gli fece eco il Segretario di Stato della Federazione Atlantica. "Abbiamo controllato e ricontrollato il nostro personale, eppure ci sono passati sotto il naso. L'uomo che ha attentato alla vita del nostro Presidente era un trentacinquenne in servizio da dieci anni, mentre quella che è riuscita a demolire un'ala del Campidoglio era la segretaria personale di uno dei senatori. Una persona di fiducia."

Shakasvili alzò un sopracciglio. "Ma..."

"Lui aveva perso entrambi i genitori nella presa di Panama, e lei un figlio sedicenne a JOSH-A." Diana Raphael allargò le mani quasi in segno di resa. "Non solo sono infiltrati ai massimi livelli, ma persone di ogni età, sesso od estrazione sociale. Ed abbiamo già appurato che l'unica cosa che li unisce è l'essere i congiunti di qualche caduto in guerra. Cosa che si può dire di quasi tutti noi" terminò mestamente la donna, lanciando un'occhiata a Cagalli.

La Principessa di Orb accennò un sorriso. Se ricordava bene, anche il marito della Raphael era morto a Panama.

"Prima di partire per la loro 'missione' hanno accuratamente fatto sparire tutte le tracce che avrebbero potuto ricondurci a Nova" continuò il Segretario di Stato, "Stiamo indagando, ma nel frattempo non possiamo restare con le mani in mano. Nell'attesa di individuare la base dei terroristi dobbiamo elaborare una strategia."

"Voglio che siano spazzati via" la interruppe urlando il delegato eurasiatico, picchiando un pugno sul tavolo. "Quei bastardi hanno colpito quattro delle nostre capitali, e mentre stiamo qui a raccontarcela, nelle piazze si piangono i nostri morti. Quelle bombe sono la loro dichiarazione di guerra, alla quale noi abbiamo l'obbligo di rispondere."

A Cagalli non piaceva per niente il fervore battagliero dell'uomo. In un momento come quello sapeva che dovevano mantenere i nervi più che saldi, pur immaginando che, essendo la più giovane di loro, fosse probabilmente lei la più ansiosa.

"Onorevole collega" scandì. "Cerchiamo almeno noi di calmarci. Che i Nova debbano essere fermati lo sappiamo tutti, ma dobbiamo pianificare con cura le nostre mosse."

Il volto dell'euroasiatico arrossì dall'ira trattenuta ma, prima che potesse esplodere e prendere Cagalli a male parole, la voce di Axis Tremaine, l'emissario di PLANT, calò tra i due.

"Boris, calmati, il Delegato Athha ha ragione" proferì. "Questi maledetti sono un problema che non attiene solo alle bombe. E non fare quella faccia offesa, lo sappiamo tutti che le piazze che hai nominato prima oggi non stanno affatto piangendo i politici saltati in aria."

L'uomo indicò il grande schermo posto dietro il podio del Segretario Generale, dove svariate finestre video erano aperte sui principali canali di news attorno al mondo. Tutti mostravano le stesse folle oceaniche che da settimane protestavano per la crisi economica; adesso si levavano anche molti cartelli e slogan che inneggiavano a Nova.

"La gente era esasperata, e i terroristi hanno scelto il momento giusto per guadagnarsene il favore. C'è chi condanna la violenza, è ovvio, ma gli umori del popolino sono diversi. Capirete tutti che questa situazione ci sta legando le mani. Dobbiamo agire con la massima cautela o rischiamo una rivoluzione in piena regola. E su PLANT è lo stesso. Gli attentati di ieri hanno causato danni contenuti, ma la reazione delle folle è stata la medesima." Il politico sorrise di sbieco. "Suppongo sia la definitiva sanzione al fatto che Natural e Coordinator non sono poi così diversi."

Cagalli la pensava allo stesso modo e trovava paradossale che, solo perché minacciate, tutte le nazioni terrestri e i PLANT avessero finalmente deciso di fare fronte comune. Dall'ultima guerra le relazioni tra gli ex-nemici avevano avuto degli alti e bassi, ma solo in quei giorni lei finalmente vedeva una fattiva collaborazione. Si chiese, a quel punto, fin dove però la volessero spingere.

Fu Diana Raphael che, dopo qualche secondo, le diede la risposta che cercava.

"Bene. Assodato quindi che i Nova sono un bel dilemma per tutti, come dicevo prima è vitale organizzare una adeguata risposta." La donna dalla pelle scura volse la mano, con il palmo verso l'altro, verso il delegato eurasiatico. "L'onorevole Shakasvili sostiene che i terroristi debbano essere annichiliti, e io non posso che dargli ragione. Ma la nostra reazione non può e non deve essere quella di un gigante rabbioso, visto che non abbiamo il favore del popolo e non possiamo pensare di combattere quella gente nel modo tradizionale."

"Quindi?" chiese Tremaine, sporgendosi verso la collega.

La donna esibì un sorriso astuto. "Prima di tutto, il livello di segretezza deve essere massimo, visto che i Nova ci hanno dimostrato di saper infiltrare i loro accoliti ovunque. Poi, la controffensiva deve essere comune, dal momento che siamo stati tutti allo stesso modo minacciati e attaccati. Anche se scontrarci con loro in campo aperto è una strategia non praticabile, più che altro perché dubito che si lasceranno mai trascinare in una battaglia dove sanno di essere perdenti in partenza. Quello che dobbiamo fare è rimuovere questo cancro che contamina il nostro mondo chirurgicamente, con un'operazione veloce, letale e, soprattutto, lontano dagli occhi della gente."

Cagalli rabbrividì a quelle parole. Cosa intendeva l'americana con quel tono e quelle proposte?

Stava per aprire bocca, quando Shakasvili la anticipò.
"E come pensa di fare?" chiese l'euroasiatico.

"A questo risponderanno i militari."

Diana Raphael fece un cenno verso il collega di PLANT, che prese la parola.

"Il Consiglio Supremo sta designando la persona che dovrà gestire l'operazione da parte nostra. Lo stesso sta facendo lo Stato Maggiore della Federazione Atlantica, e vorrei che anche il tuo paese cooperasse, Boris. L'idea è di creare una task force internazionale che si occupi del nostro… problema."

Boris Shakasvili socchiuse gli occhi dalle pesanti palpebre, e Cagalli sentì su di sé lo sguardo dell'uomo.

"E perché dovremmo perdere tempo a mettere insieme dal nulla qualcosa che già esiste?" insinuò l'uomo, e Cagalli si irrigidì. Aveva sperato che nessuno sollevasse quella questione. Ma Shakasvili la indicò direttamente. "Quelli di Orb non sono anni che coordinano proprio una brigata internazionale? Il mio paese ha speso fior di rubli per spedire gente alle esercitazioni congiunte, e adesso mi state dicendo che dobbiamo ricominciare tutto daccapo?"

La Principessa di Orb maledisse silenziosamente il pasciuto euroasiatico, mentre tutti gli altri politici intorno al tavolo annuivano.

"No di certo, non avevo dimenticato gli uomini comandati dall'Ammiraglio Zala" continuò la Raphael. "Infatti quello che chiedo alla nostra Principessa è proprio il supporto di suo marito nelle operazioni, lui che ha già esperienza in materia di cooperazione militare sopranazionale."

Cagalli si sentì accerchiata. Prese un bel respiro raccogliendo le mani in grembo, e si sgranchì le dita cercando di nascondere il gesto poco signorile. In quel momento si sentiva non molto incline alle sottigliezze della politica.

"Aspettate un attimo" esalò facendo scorrere lo sguardo sui colleghi più anziani. Aveva la sensazione che si fossero segretamente accordati per costringerla ad allinearsi con la loro decisione, lei che era quella più giovane e con meno esperienza ma, anche se così non fosse stato, di certo non le era mai piaciuto essere messa di fronte al fatto compiuto.

"Per prima cosa, questo parlare di 'togliere di mezzo', 'cancro che contamina il mondo' e 'operazione chirurgica' non mi piace per niente. Saranno anche terroristi senza scrupoli, ma rimangono persone. Esseri umani che hanno sofferto. Come me, come la maggior parte di noi" sibilò fissando Diana Raphael. La donna sostenne il suo sguardo con il più leggero dei sorrisi a incurvarle le labbra. "Se anche i loro metodi sono sbagliati, non lo sono le loro motivazioni, e il dolore di quelli che sono morti pensando di essere nel giusto. Non lo erano, ma..."

"Delegato Athha, la prego" mormorò Axis Tremaine interrompendo la sua veemente requisitoria. Lei l'avrebbe ignorato se non fosse stato per lo sguardo compassato che mostrava l'uomo. Avendolo frequentato parecchio nei giorni precedenti si era fatta l'idea che fosse decisamente scaltro, e quell'aria quasi mesta non gli si addiceva.
"Nessuno mette in dubbio che le ragioni dei Nova, per quanto contorte, esistano" cominciò lui. "Ma rimane il fatto che, come ha appena detto anche lei, stanno sbagliando. Anch'io conoscevo gente morta in guerra, anche molto vicina a me. Miei congiunti. E proprio lei che ha sposato uno di noi dovrebbe capire cosa significa perdere un figlio per un Coordinator." Tremaine si mise la mano aperta sul petto, al livello del cuore. "Ma non per questo posso pensare di incolpare la società tutta per il male che mi ha causato."

"Ma anche loro sono vittime" insistette Cagalli.

La voce dell'uomo si fece tesa. "Lo so. Ma si ricordi che con il loro modo di fare stanno rovinando quella pace raggiunta proprio con il sacrificio di così tanti soldati e civili. E se mio figlio caduto a Boaz fosse vivo non vorrebbe che, in suo nome, dei kamikaze provocassero altri inutili lutti."

Nonostante le dure parole la Principessa di Orb non distolse gli occhi da quelli del Coordinator.

"Nemmeno mio padre" scandì. "Se fosse qui al mio posto sono certa che condannerebbe le azioni di Nova al vostro stesso modo ma da uomo giusto e retto non vorrebbe mai che venissero braccati come cani rabbiosi, e soppressi di nascosto."

"Quindi cosa ci chiedi, Cagalli Yula Athha?" le domandò il Segretario di Stato nordamericano.

"Sono criminali, su questo siamo tutti d'accordo. Ma come tali hanno diritto ad un giusto processo, e ad essere condannati per i reati che hanno commesso."

Shakasvili le scoppiò a ridere in faccia. "E vuoi che gli sia anche concesso un avvocato d'ufficio"

"Sì, hanno diritto pure a quello" replicò Cagalli, senza nessun timore. "Che l'operazione debba essere condotta nella massima segretezza lo capisco, ma in tutta coscienza non potrò appoggiarvi se tutto quello che volete fare è spiccare un mandato di esecuzione."
"E sei consapevole che catturare quegli uomini vivi sarà doppiamente pericoloso per i nostri soldati? E che il processo farà da cassa di risonanza alle loro farneticanti dichiarazioni?"

Cagalli fissò duramente l'euroasiatico. "Sì. Per questo offro il mio paese come sede del tribunale che dovrà giudicarli."

Nel silenzio generale che seguì quelle parole, si udì dopo qualche secondo la soffice risata di Diana Raphael.

"Oh, Cagalli, sei proprio una furente sognatrice com'era tuo padre da giovane" commentò la donna, scuotendo la testa. La Principessa di Orb non percepì astio in quelle parole, al massimo un paternalistico rimprovero, che l'americana mitigò immediatamente con le sue successive parole.

"Va bene. D'altronde non possiamo nemmeno abbassarci al loro livello. Quanto al resto cosa ne pensi? L'Ammiraglio Zala può fare da coordinatore per l'operazione in questa prima fase?"

Cagalli soppesò velocemente la questione. Dal punto di vista etico anche Orb era stato attaccato, quindi a stretto rigore partecipare a quell'intervento non andava contro i loro principi; e comunque realizzò che era l'unico modo per far sì che i loro alleati non si spingessero troppo oltre.

"Va bene" rispose quindi la Principessa. "Propongo che, anzi, i vostri militari designati si incontrino quanto prima ad Orb per definire i dettagli."

"Perfetto. E nell'Emirato si sposterà anche la Commissione investigativa. Così potranno supportare meglio la pianificazione strategica."

Cagalli finalmente sorrise alla prima bella notizia della giornata. Apprezzava la compagnia di Shiho, ed era lieta che si sarebbero potute frequentare ancora per i giorni a venire, soprattutto in vista del gravoso compito che attendeva entrambe.

"Oh bene" esclamò all'improvviso Axis Tremaine, che aveva recuperato il consueto tono cinico. "Sarà di certo una bella notizia per la persona appena designata dal Consiglio Supremo di PLANT. Me ne hanno dato notizia pochi secondi fa."

Incuriosita, Cagalli si sporse verso di lui. "Chi?"

Il nome che Tremaine pronunciò le fece sollevare un sopracciglio alla curiosa coincidenza.

"Il Comandante Yzak Joule. Shiho Hahnenfuss non è forse sua moglie?"

"Sì" rispose lei, senza specificare quello a cui invece stava pensando. Che l'albino era anche uno degli amici di più vecchia data di suo marito, nonché l'unico uomo che aveva il potere di fare davvero esasperare Athrun.

***

In tutto il palazzo delle Nazioni Unite vigeva un rigorosissimo divieto di fumo, per cui Diana Raphael si era dovuta rifugiare sul tetto per essere finalmente libera di godersi in pace una sigaretta. Non fu una sorpresa quando, dopo qualche minuto, fu raggiunta dal rappresentante di PLANT in persona. Axis Tremaine si appoggiò al parapetto, fissando la città sotto di loro.

"Non solo voi Natural avete dei fisici poco resistenti, ma li avvelenate pure con quelle porcherie" disse alla donna, sorridendo lievemente.

Lei scosse le spalle. "Piantala, Coordinator, che se c'è una cosa buona del mio lavoro è che mi permette di viaggiare in paesi dove posso farmi un tiro per strada. Cosa che non succede certo qui o in quel covo di salutisti che sono diventati gli Stati Uniti."

"Dovresti comunque riguardarti, visto che sono poche le persone perspicaci come te, con le quali noi di PLANT possiamo avere a che fare, come ho avuto modo di notare oggi."

Diana si mise a ridere. "Stai alludendo alla Principessa di Orb? Non la conoscevi prima di fama? Le sue idee sono fiere come il suo temperamento. Ma è solo un cucciolo di leone, che non ha ancora imparato la dura legge della giungla della politica. Anche se, maturando, sono certa che diventerà un politico accorto come lo era suo padre."

"Sempre che le sue cazzate utopistiche non la uccidano prima" commentò Tremaine.

Diana Raphael annuì silenziosa, fissando sovrappensiero la sigaretta che si stava lentamente consumando.

"Immagino che tu sia qui per una ragione precisa, non è vero?" chiese quindi al Coordinator.

"Ovviamente. E lo sai anche tu perché."

"Già."

I due si guardarono, ma fu la Raphael la prima a dire chiaramente quello che entrambi pensavano.

"Non possiamo permettere che le trovate di quella ragazzina ci mettano ancora più in difficoltà nei confronti dell'opinione pubblica."

"Lo so. Già quei bastardi di Nova sono i favoriti tra le folle. Se gli elettori scoprissero che li abbiamo catturati grazie ad un'operazione segreta i nostri governi cadrebbero ad uno ad uno. E non sarebbe una cosa silenziosa."

"No di certo" fu l'ulteriore commento dell'americana. "Senza contare le difficoltà logistiche. Non abbiamo nemmeno idea di dove siano. Prenderli vivi potrebbe costarci moltissimo in termini di vite umane."

"Sì, in questo senso entrambi i nostri popoli hanno già pagato troppo in passato, io e te lo sappiamo fin troppo bene" le disse Tremaine, e la donna sorrise di sbieco, consapevole ora che anche lui condivideva il dolore di avere perso un famigliare in guerra. Anche se avevano combattuto su fronti opposti.

"Purtroppo sì" sentenziò infine schiacciando il mozzicone di sigaretta in un portacenere. "Non abbiamo il lusso di istituire tribunali speciali per quella gente. L'opinione pubblica non deve saperne nulla."

"Ne parlerò al Presidente del Consiglio Supremo, sono certo che sarà d'accordo con noi. E poi dovremo solo lasciare fare al Comandante Joule. Non è un sognatore e non sacrificherà mai i suoi uomini per capricci di un politico."

"Come farebbe qualunque militare, e stai sicuro che la persona designata da noi agirà di concerto."

"Bene, sapevo che saresti stata d'accordo con me" commentò Tremaine e, lanciata un'ultima occhiata di sbieco alla delegata americana, spostò nuovamente la sua attenzione sull'orizzonte. "In fin dei conti però Cagalli non ha tutti i torti" aggiunse il Coordinator. "I Nova sono davvero le vittime che, ironicamente, sono riusciti oltretutto nell'improba impresa di farci lavorare insieme dopo tutto quello che c'è stato tra i nostri popoli."

Diana Raphael lo guardò, poi estrasse dal pacchetto un'altra sigaretta, accendendosela e aspirando profondamente. "Il nemico del mio nemico è mio amico, non si dice così? Quanto ai loro discutibili meriti… la storia immagino che gliene renderà atto. Dopo che saranno stati sterminati."
In realtà, con se stessa lei non aveva problemi ad ammettere che i Nova avessero scongiurato probabilmente un'altra guerra, e riconosceva che dopotutto erano solo dei disperati, plagiati da una specie di santone. Ma avevano anche riportato a galla dolori mai leniti, e riaperto ferite mai guarite del tutto. Per questo, non si sarebbe data pace fino a quando non fossero spariti dalla faccia della Terra.



Orb, 16 aprile 82 C.E.


All'aeroporto militare di Onogoro era metà mattina quando lo shuttle del Comandante Yzak Joule atterrò. Terminate le operazioni di aggancio al terminal, l'albino si affrettò con la sua squadra per incontrare l'Ammiraglio Athrun Zala che, come da accordi, sarebbe venuto a prenderlo.

Lo vide da lontano; il vecchio compagno di squadra lo attendeva proprio all'uscita della passerella che univa il velivolo al corpo principale dell'aeroporto. La bianca uniforme di Orb spiccava tra le divise scure dei militari che lo circondavano.

Yzak atteggiò, seppure con estrema difficoltà, il suo bel viso nell'espressione più neutrale che aveva. Non era vendicativo, ma non riusciva a dimenticare i torti subiti. Pur capendo perché l'aveva fatto, non aveva mai comunque perdonato ad Athrun Zala l'aver deciso di abbandonare la sua casa per vestire la divisa di uno stato straniero. Poi si abituava, ma non riusciva a non provare, tutte le volte che lo incontrava, l'insano desiderio di strappargliela di dosso.

Andò comunque verso di lui, deciso come sempre. E gli tese la mano ancora prima che Athrun avesse alzato la sua. Già ad una prima occhiata il giovane Ammiraglio gli sembrò preoccupato per qualcosa, e non gli piacque per niente.

"Yzak, sono contento che tu sia qui" gli disse Athrun.

L'albino sollevò un sopracciglio. "Lo puoi ben dire. Vediamo di metterci subito al lavoro. Dobbiamo mettere insieme tutte le informazioni che abbiamo e decidere il da farsi il prima possibile."

L'espressione di Athrun si alleggerì, e il giovane dissimulò un sorriso. "Efficiente come al solito. Ti accompagno intanto agli alloggi tuoi e dei tuoi uomini. Shiho è arrivata ieri da Ginevra, la troverai già là."

"Va bene, ma facciamo in fretta e riduciamo al minimo i convenevoli. Non abbiamo molto tempo."

"Tranquillizzati, non possiamo cominciare un bel niente fino a quando le persone designate dai terrestri non saranno qui."

Yzak soffocò un grugnito di sopportazione. "E quando?"

"Domani. Oggi ti puoi dedicare allo shopping con tua moglie. E questa sera sarai mio ospite a cena."

"Non sono qui in vacanza" esclamò l'albino, vagamente scandalizzato dal tono noncurante dell'amico.

"Lo so. Ma ti assicuro che non crollerà il mondo se per un giorno il solerte Comandante Joule non penserà al lavoro."

Impossibilitato ad avere ragione di Athrun, e consapevole di stare perdendo tempo a discutere di cose sulle quali non aveva nessun controllo, Yzak distolse lo sguardo accigliato e fece segno al figlio di Patrick Zala di accompagnarlo all'uscita.

"Va bene, prenderei a calci i vertici terrestri per averci messo così tanto a mettere insieme due nomi, ma capisco che evidentemente non si può essere Natural ed efficienti allo stesso tempo."

Fece finta di non vedere il sorrisetto ironico di Athrun e, camminanando spedito, notò piuttosto il gruppo di militari di Orb che li scortava. Li indicò all'amico.

"I tuoi guardaspalle?"

"No, i vostri. Sono delle forze speciali, e hanno l'ordine di seguirvi ovunque."

"Non ho bisogno di balie."

"E noi che qualcuno ti faccia saltare in aria. Ricordati che siamo tutti bersagli di Nova, non dobbiamo correre rischi."

Yzak scosse le spalle, non impressionato dal discorso di Athrun. "Non vedo perché dovrebbero prendere di mira me, un insignificante soldatino di ZAFT. Tu sei semmai una preda ben più ambita per loro. Soprattutto dal momento che sei già sfuggito ad un attentato."

"Lo so, infatti Cagalli in persona mi ha assegnato una guardia del corpo."

"Solo una?"

Erano intanto usciti dal terminal, fuori dal quale li aspettava un corteo di SUV dai finestrini oscurati. Athrun indicò qualcuno fermo accanto ad una delle vetture. E Yzak sospirò in rassegnazione, perché quella persona non era nessun altro che Nicol Amalfi.
In realtà sapeva benissimo che l'ex-compagno di squadra era ad Orb, ma mai avrebbe creduto di dover vedere anche lui con addosso la divisa dell'Emirato, seppure quella blu notte dei Navy Seal della Marina. Nicol si toccò con la mano destra la visiera del berretto, come a voler blandamente imitare il saluto militare di ZAFT.

"Ciao, Yzak."

"Nicol, che piacere" esalò lui, arcuando criticamente le sopracciglia chiare e aprendosi personalmente la porta della vettura. "Capisco la mossa di Cagalli. In effetti, da quello che ho imparato su di voi ragazzi, dubito che in giro Athrun avrebbe potuto trovare una guardia del corpo più efficiente. O più interessata al suo benessere."

Senza nemmeno mascherare l'irritazione salì in macchina seguito da Athrun e, abbastanza prevedibilmente, proprio da Nicol.

L'albino non riusciva a decidere se la presenza di Serpent Tail sull'isola, proprio in concomitanza con gli attentati di Nova, fosse davvero un bene o un male, ma c'era qualcosa in tutta quella storia che di certo non quadrava, e lui aveva tutte le intenzioni di scoprire cosa, prima di ogni altra mossa.

***

"Usare il fucile è patetico, Athrun! In situazioni del genere un uomo usa la spada!"(1) tuonò Miguel, affondando il coltello e infilzando una mela.

Gli amici seduti intorno al tavolo scoppiarono a ridere, mentre ad Yzak non rimase altro da fare che scoccare a Miguel un'occhiata indignata, seppure impressionato dalla perfetta imitazione che il biondo aveva fatto di lui stesso.

Miguel volse verso di lui il frutto impalato, sogghignando davanti al suo cipiglio. "Te lo ricordi, Joule? Era una delle prime simulazioni e già avevo capito che carattere di merda avevi. Ti incazzavi tutte le volte."

"Vorrei vedere te, ad esercitarti con quella primadonna di Zala che voleva fare sempre tutto di testa sua" esplose Yzak, incrociando le braccia davanti a sé e sorridendo.

Alla fine aveva accettato l'invito a cena di benvenuto di Athrun, sapendo che Dearka e Nicol sarebbero stati presenti, ma non si era affatto aspettato anche Miguel, l'altro commilitone il cui ritorno da morti aveva dell'inverosimile. Messa così era praticamente una riunione dei vecchi compagni di corso, condita con torridi racconti dei loro peggiori momenti in Accademia e sulla Vesalius. E Yzak, di certo il meno incline di tutti a scherzare, era quello che durante la cena era finito quasi sempre sbeffeggiato dagli altri.

Non riusciva a lamentarsene, tuttavia; il giorno dopo avrebbero dovuto mettersi al lavoro ma stava scoprendo, suo malgrado, che per una sera era bello tornare ai giorni in cui erano tutti più giovani, inesperti, e non avevano la minima idea delle terribili prove che la vita li avrebbe chiamati ad affrontare.

Prese un sorso di vino, osservando di soppiatto gli altri commensali. Tra Athrun che aveva perso anche padre, dopo che la madre era morta su Junius Seven, Dearka che aveva subito l'onta della prigionia, e Miguel che era vivo per miracolo, Yzak Joule si sentiva ancora il più fortunato. Per non parlare di Nicol. E di Rusty, caduto ad Heliopolis.

L'albino rise sovrappensiero all'ennesima battuta dell'ex-tutor, approfittandone per incrociare lo sguardo di Dearka. L'amico gli fece l'occhiolino, a suo agio come al solito in ogni situazione.

Come era successo già tante volte durante quella cena, i suoi occhi sfiorarono poi discretamente Nicol, e lo scoprirono intento a fissare sorridendo Athrun.

Yzak soffocò una smorfia innervosita. Lo sguardo del figlio degli Amalfi non aveva più l'accattivante innocenza che lo rendeva così popolare in Accademia; gli sembrava invece che stesse in tutto e per tutto tenendo d'occhio l'amico, nonché, perennemente in ascolto di qualcosa. Yzak si chiese come facesse Athrun a sopportarlo.

L'albino aveva estorto proprio ad Athrun un certo numero di informazioni su Nicol e sugli altri come lui e, con i dati raccolti durante il raid di Serpent Tail su Aprilius One, si era fatto una discreta idea di quello che era diventato il pianista dai capelli verdi. Il pensiero a volte gli toglieva il sonno.

Trovava oltremodo ironico e crudele che quella sorte terribile fosse toccata proprio a quello che nel loro gruppo aveva più speranza nel futuro, al ragazzino che sembrava il meno portato di tutti a combattere. Perché Yzak era sempre stato convinto che Nicol era nato per essere un artista, non un guerriero, e che non avrebbe mai dovuto arruolarsi. Anche se…

Come se gli avesse letto nel pensiero, intercettò un'occhiata del giovane Amalfi proprio rivolta a lui. Si irrigidì istantaneamente.

Non riusciva a dimenticare che l'ultima volta che l'aveva visto gli aveva puntato una pistola alla testa. E non poteva perdonare le cose che Nicol aveva detto a lui ed a Athrun. Perché anche se aveva poi chiesto scusa ad entrambi, Yzak ancora si chiedeva quanto potessero essere sincere le parole contrite di uno che aveva presumibilmente passato gli ultimi dieci anni a maledire il loro nome.

Anche per quello era felice di essere stato designato a seguire la faccenda ad Orb. Athrun poteva sembrare al settimo cielo per aver riavuto indietro il suo amichetto, mentre Dearka, da quello che gli aveva detto, ad Yzak pareva più che altro molto perplesso. Lui invece si sentiva incuriosito e innervosito allo stesso tempo. E per sciogliere tutti i suoi dubbi aveva per prima cosa necessità di parlare a quatt'occhi, e da solo, proprio con Nicol.

Attese impaziente chiedendosi come avrebbe potuto liberarsi degli altri quando, dopo qualche minuto, Dearka si alzò, stiracchiando le lunghe membra.

"Ho mangiato abbastanza. Che dite? Ci facciamo una birra sul bel terrazzo di casa Zala?"

"Zala? Yula Athha vorrai dire" puntualizzò Miguel, sghignazzando e gettando un braccio attorno alle spalle di Athrun. "Non ti dimenticare che il nostro amico qui ha impalmato un'ereditiera."

Il giovane dai capelli nero-blu arrossì, scrollandosi il braccio di dosso. "Stai dicendo che l'ho sposata per soldi?"

"No, scemo. Lo sappiamo tutti perché sei stato così attratto da lei" esclamò Miguel, disegnando piuttosto eloquentemente con le mani due prosperosi seni femminili.

Nonostante tutto, Athrun scoppiò sonoramente a ridere insieme a Derka. "Non ti rispondo nemmeno! Andiamo a berci quella birra allora, anche se secondo me siete già ubriachi."

Essendo assolutamente astemio ad Yzak l'idea non piaceva per nulla, ma in quel mentre Nicol aprì bocca.

"Scusatemi, io non posso bere. Va bene se vi fornisco invece l'accompagnamento musicale?"

L'albino spiò, senza sorprese, le facce degli altri. Mentre Athrun e addirittura Dearka sembravano inteneriti, Miguel inclinò le labbra in una smorfia divertita.

"Ma certo! Ti ho già detto che puoi usare quando vuoi il piano del padre di Cagalli" esclamò Athrun.

Il loro biondo ex-tutor, invece, scrollò le spalle. "Sì ma, cazzo, non ammorbarci con una delle tue solite lagne."

Nicol non rispose, limitandosi a sorridere a Miguel con quasi il medesimo ghigno ironico. Poi si girò per andarsene, e Yzak decise che non avrebbe potuto avere occasione migliore.

"Vengo con te. Anch'io non bevo."

Sentì su di sé gli sguardi sorpresi di Athrun e Dearka, ma decise di ignorarli. Miguel invece non aggiunse nulla, prendendo semplicemente gli atri due sotto braccio e trascinandoli via con sé.

"Va bene, lasciamo i signorini patiti di musica classica ad annoiarsi davanti ad un piano. A noi ci aspettano discorsi da uomini."

***

Yzak doveva ammetterlo, la residenza degli Athha era davvero splendida. Cresciuto in un ambiente molto classico, apprezzava gli ampi saloni della villa, e la collezione di quadri di famosi pittori terrestri esposta. Athrun gli aveva raccontato che era stato un miracolo che quella porzione di isola non fosse stata devastata dalle due invasioni precedenti e Yzak, osservando attentamente gli antichi dipinti, pensò che sarebbe stata una perdita se quei capolavori fossero andati distrutti.

Pur ritenendo i Coordinator una specie superiore, lui sapeva che anche tra i Natural vi erano stati dei veri geni, che avevano contribuito al progresso del genere umano. Che ora il testimone fosse passato nelle mani dei suoi simili, per Yzak suonava del tutto naturale. Dopotutto, il futuro dell'umanità era nella conquista dello spazio, e chi meglio di esseri creati appositamente per quello poteva raggiungere le stelle anche per quelli ancora legati alla vecchia Terra?

Come accompagnamento ai suoi pensieri, Yzak stava trovando molto gradevoli le note del pianoforte che si riverberavano nella sala. Pur non essendo certo al livello di Nicol anche lui sapeva suonare, era parte dell'educazione di quelli del suo ceto, e riconosceva pertanto l'abilità dell'ex-commilitone. Identificò anche la musica; Nicol la eseguiva spesso ai recital dell'Accademia, e Yzak si trovò ancora, come altre volte nel corso di quella serata, a pensare al periodo dei loro studi nel prestigioso ateneo di ZAFT.

Sui banchi dell'Accademia, Nicol era uno dei più bravi. Eccezionale addirittura in alcune materie, come il maneggio degli esplosivi, e per tutto il resto era solo un gradino sotto lui ed Athrun. Ma era la sua spensieratezza e l'ingiustificato ottimismo che infastidivano Yzak, oltre che la smisurata ammirazione che il ragazzino provava per il figlio di Zala.

Sul campo di battaglia, poi, Yzak lo trovava di un'ingenuità disarmante; anche se quando Nicol combatteva seriamente l'albino doveva ammettere che non era meno abile di Dearka, e di certo più motivato di Athrun.

Yzak si avvicinò al piano, curvando le labbra in un leggero sorriso.

Si ricordò della volta che si era addirittura lamentato con Le Kleuze della natura fin troppo sentimentale e indulgente di Nicol, non riuscendo a afferrare il perché l'avessero selezionato per il migliore team di ZAFT. E la risposta del biondo Comandante mascherato non l'aveva mai dimenticata, anche se solo dopo l'attentato a Borodin gli era stata davvero chiara.

Yzak appoggiò una mano sullo strumento, senza staccare gli occhi da Nicol, che alzò invece i suoi su di lui.

C'era sempre una ragione per la quale Le Kleuze sceglieva i suoi uomini. E tutti loro cadetti non erano stati chiamati a bordo della Vesalius solo perché i migliori all'Accademia o per via delle loro belle facce. Ma perché ognuno di loro aveva qualcosa che in guerra era fondamentale.

"Sei pensieroso, Yzak…" gli fece Nicol.

Lui annuì. "Questa musica mi ha ricordato di quando eravamo ragazzi. Lo sai cosa diceva Le Kleuze di te?" gli chiese senza preamboli, guardandolo scuotere leggermente i ricci verde pallido.

L'albino spostò l'attenzione sul quadro che aveva davanti. Era un'opera famosa, ma non riusciva a ricordarsi il titolo. Raffigurava una piccola isola che racchiudeva tra alte pareti rocciose degli scuri cipressi. Dal mare un'imbarcazione si avvicinava alla riva, recando una figura avvolta in un manto bianco.

Yzak fissò quasi incantato il dipinto. "Quando gli chiesi perché ti aveva voluto nella sua squadra mi rispose di non farmi ingannare dal tuo hobby, dal tuo entusiasmo da ragazzino o dai tuoi occhioni da cerbiatto" disse, socchiudendo appena le labbra pallide. "Mi sottolineò che eri troppo giovane per essere spietato, ma che la guerra ti avrebbe di certo insegnato a diventarlo. E infine mi fece notare che quando tornavi dalle battaglie invece che isolarti come Athrun, a rimuginare su quello che aveva fatto, o passare il tempo a rivedere i dettagli dell'azione, come me, tu ti mettevi a comporre tutto tranquillo le tue musiche, o ti divertivi con i meccanici a migliorare il Blitz, come se fosse stato il tuo giocattolo preferito. E lo era, vero?"

Con difficoltà, gli occhi di Yzak lasciarono la bianca figura che l'aveva ipnotizzato, per spostarsi su Nicol. Che lo stava ascoltando, ma non riuscì a capire se quel vago sorrisetto che il giovane aveva in faccia significava che dopotutto sapesse già quello che gli stava per dire.

"Raww Le Kleuze" continuò l'albino. "Sosteneva che tu provavi una romantica e decadente compassione per i nostri nemici morti in battaglia ma, allo stesso tempo, non avevi dopotutto il minimo rimorso per le tue azioni, e che questo ti rendeva un potenziale ottimo soldato."

"Stai dicendo che voi pensavate che per me la guerra non era che un gigantesco videogioco?"

"Qualcosa del genere. Di certo il tuo atteggiamento noncurante lo suggeriva. E, per quanto potessi sembrare sensibile, in realtà quello che a te interessava era solo tornare sano e salvo alla base, nel modo meno cruento e pulito possibile."

Nicol socchiuse leggermente gli occhi ambrati, e il sorriso che esibiva evaporò. "Mi stai forse ancora dando del codardo? Ti sei dimenticato chi si è offerto volontario ad Artemis? E chi è stato l'unico a fare qualcosa per salvare Athrun? Quanto al resto, mi ero arruolato per difendere PLANT, e sapevo benissimo che i militari terrestri erano i nostri avversari, quelli che ci avevano attaccato per primi, e che minacciavano la vita della mia famiglia e dei miei amici. Facevo solo il mio lavoro, ma non significa che dovessi sparare addosso ad alzo zero a tutto quello che si muoveva, come Dearka. Nemmeno la mia unità era costruita per quello. E se per non avere rimorsi intendi dire che ti sembra strano che non passassi il tempo tra una battaglia e l'altra a menarmela sui miei errori, beh, ti informo che una volta terminato il lavoro, io non ho mai avuto niente da rimproverami. A differenza di te."

A Yzak, il tono del giovane suonò terribilmente seccato. "Quindi in fin dei conti Le Kleuze aveva ragione" rispose con un ghigno. "Sai, il fatto è che io non gli avevo creduto. Mi sembravi così svenevole… Ti ammirai per aver salvato Athrun, adesso non ho più vergogna ad ammetterlo, ma ho continuato a pensare per anni che tu non fossi affatto tagliato per fare il soldato, pur sapendo quanto era bravo il Comandante a scrutare nel cuore delle persone. È solo quando ci siamo incontrati in quel parcheggio che ho cominciato a riconsiderare tutte le mie certezze su di te."

Osservò Nicol lanciargli uno sguardo che, pur nell'inespressività di quelle iridi sintetiche, poté solo definire come affilato.

"E dopo tanto rimuginare cosa ha elaborato il tuo cervello?"

Yzak percepì una lieve intonazione canzonatoria in quella domanda, e non se ne stupì. Come non fu una sorpresa l'occhiata di avvertimento. Si erano detestati a vicenda, non era un mistero per nessuno dei due, ma Yzak doveva dare credito a quello che chiamava 'vigliacco', che Nicol non aveva mai abbassato la testa di fronte ai suoi insulti, nemmeno ai più cattivi. E non era cambiato.

"Io penso che tu sei pericoloso" gli rispose. "E quello che mi hai appena detto conferma che probabilmente sei sempre stato un piccolo egoista, al quale interessava solo di se stesso, del suo amichetto Zala e della sua famiglia felice, ma quando combattevamo insieme eri troppo giovane, e anche se avevi motivazione ti mancava il sangue freddo e il cinismo di fare certe cose. Ma questi dieci anni hanno cambiato tutto. E credo che Athrun sia un pazzo a trattarti come un dolce coniglietto ammaestrato. Lui non vuole vedere che specie di insensibile bastardo sei diventato, anche se sorridi a tutti. Adesso come allora."

La risposta di Nicol fu gelida. "È una cazzata. E stai esagerando."

L'albino sogghignò. "Dici? Non lo so. La gente a volte mi ha reputato crudele ma, pensa, avrei anch'io delle remore a sparare addosso ad una mia amica solo per far fuori il mio bersaglio. Però, anche quello è stato un lavoro per il quale, suppongo, tu non abbia nulla di cui rimproverarti."

Nicol stava continuando a suonare, ma Yzak percepì la musica cambiare di intensità.

"Di chi parli?"

"Di Lacus Clyne. Voi vi conoscevate, no? Eppure non hai avuto nessun problema a ferirla per ammazzare Borodin."

Con una nota più acuta di tutte le altre il giovane Amalfi staccò le mani dalla tastiera, poi si alzò e, senza dire una parola, raggiunse Yzak, fermandosi davanti a lui.

L'albino ringraziò il cielo che Nicol fosse rimasto più basso di lui, e che non avesse certo un fisico imponente, perché già il solo modo con il quale lo fissava lo metteva a disagio.

"Lei non sarebbe mai morta, te l'ho detto. E per noi era importante togliere di mezzo quel tipo. La sua presenza su PLANT stava mettendo in pericolo le relazioni con la Federazione Atlantica. Non riesci ad arrivarci, Yzak? Come fai a darmi dell'egoista, dopo che per tutti questi anni ho ucciso per il benessere di una nazione alla quale non potevo più tornare?"

L'albino annuì, combattendo l'istintiva tentazione di spostarsi.

Le specifiche tecniche che il Comandante Kappler gli aveva passato, da quel poco che avevano capito esaminando su Aprilius One il corpo del compagno di Nicol, erano impressionanti. E Athrun gli aveva fatto capire che il loro ex-commilitone aveva subito interventi ancora più radicali. Yzak non stentava a crederlo. La cosa che più l'aveva colpito, esaminando i filmati delle telecamere all'interno del museo, era che non solo Nicol era molto veloce, ma alcuni movimenti sembravano addirittura automatici, come se impostati da subroutine di difesa che nel suo cervello integravano l'umano istinto di sopravvivenza.

Yzak fissò il giovane, i suoi lineamenti ricostruiti, e la pelle pallida e senza un'imperfezione. Da vicino Nicol sembrava esattamente quello che Dearka aveva detto una volta di lui: un'inquietante bambola sintetica.

"Certo che capisco perché l'hai fatto" gli rispose con fermezza. Sì, quella creatura era solo in parte il suo amico, e in parte un'arma che non avrebbe mai desiderato combattere un'altra volta. Non era tanto sventato da non sapere di essere vivo per miracolo. "Ma anche questo mi conferma quello che Le Kleuze aveva detto di te tanto tempo fa. Che ancora oggi tu sia fedele a PLANT ti fa molto onore, ma è anche vero che tu non hai nessuna pietà per quelli che minacciano le persone alle quali vuoi bene, ho ragione?" gli chiese.

Nicol distolse finalmente lo sguardo da lui. "L'avevo. Ma ho imparato negli anni a farne a meno. Su quello il Comandante non aveva torto. Chiariamoci, Yzak. Anche ora, fare certe cose non mi diverte di certo, se è questo che ti stai chiedendo, ma non c'è niente che non farei per proteggere la mia famiglia."

"E Athrun è tra loro?"

"Ovviamente."

Yzak si mise a sghignazzare, improvvisamente. Trovava l'intera situazione surreale. A pensarci bene era inconcepibile che fosse lì a parlare con qualcuno che aveva creduto morto per anni. Qualcuno tornato dall'aldilà molto più spietato di quanto, forse, Nicol stesso avesse mai desiderato diventare.

Il pianista lo guardò di sbieco, e le sue labbra si piegarono in un sorrisetto indulgente.

"Quindi, Yzak, qual è il significato di tutta questa assurda conversazione?"

"Volevo solo capire quanto fossi cambiato, e se potevo fidarmi di te. Se PLANT poteva fidarsi di te."

Se la frase aveva sorpreso Nicol, il giovane non lo diede a vedere, e si limitò ad annuire. "Ovviamente. E tutti siamo diversi da dieci anni fa. Anche tu sei un cagnetto meno ringhioso di quanto ti ricordavo."

In altri tempi avrebbe preso quella frase come un insulto, ma quella sera si sentiva stranamente di buon umore.

"È la vecchiaia che avanza, Amalfi" si limitò a commentare scrollando le spalle. "Bene. Ritorno dagli altri. Io e te ci vedremo spesso nei prossimi giorni, devi chiarirmi un paio di cose su Serpent Tail."

"Sai dove trovarmi, Joule."

Yzak non aggiunse altro, e rimase a guardare Nicol che tornava dietro la tastiera. Di certo l'avrebbe contattato. Il Presidente di PLANT aveva esposto all'albino un problema tattico, qualcosa che, dopo la conversazione di quella sera, forse proprio il pianista poteva risolvere.

Si avviò verso la porta, indicando con un gesto della mano il quadro che l'aveva così tanto incuriosito.

"Ti ricordi chi l'ha dipinto?" chiese.

Nicol, che aveva ricominciato a suonare, lanciò un'occhiata all'opera.

"Un certo Arnold Böcklin. Il titolo è 'L'isola dei Morti'."(2)

"Ah, adesso ricordo. Uno dei dipinti preferiti di Adolf Hitler. Certo che è inquietante quella figura in bianco che procede verso l'isola."

Il pianista scrollò le spalle, e la sua attenzione tornò alla tastiera. "Un po', anche se mi piace pensare che se ne stia piuttosto allontanando" disse con un tono di voce decisamente più leggero, quasi scherzoso.

Yzak sbatté le palpebre e, sorpreso, guardò con più attenzione il quadro.

In effetti, lui non avrebbe saputo dire esattamente da che parte la barca stesse andando, però, a suo giudizio era naturale che l'imbarcazione che portava una bara ed un qualcuno avvolto in un sudario stesse procedendo verso un'isola punteggiata di sepolcri. Che Nicol trovasse gradevole l'opposto era solo un'altra cosa che gli confermava che il cervello del suo ex-commilitone non era uscito del tutto indenne dall'incidente.

***

Miguel era decisamente alticcio. Si era divertito quella sera; riavere insieme i ragazzi del team Le Kleuze era un sogno che si realizzava, e gli aveva fatto estremamente piacere. Come prendere in giro Yzak, che con gli anni si era ammorbidito ma non era meno permaloso, quindi divertente da stuzzicare.

Sbadigliò, sistemandosi la cintura di sicurezza e girandosi verso Nicol al quale aveva concesso di guidare il suo Hummer arancio, con la raccomandazione di adottare una guida meno sportiva della sua solita. Nonostante quello, il giovane prese una curva tentando di mandare il SUV in controsterzo e Miguel avvertì distintamente il contenuto del suo stomaco avviarsi verso l'esofago.

"Cazzo, Amalfi! Questi giochetti falli con la tua macchina. Ti faccio ripulire i sedili a mani nude se mi tocca vomitarci sopra."

Nicol si limitò a sbuffare, diminuendo leggermente la velocità.

"Sei troppo prudente stasera."
"No, scemo, sono ubriaco. Tu invece mi sembri strano. Che diavolo ti ha fatto Joule?"
"Mi ha detto qualcosa che non mi aspettavo da lui. Non me lo ricordavo come uno che meditasse così tanto su quelli che lo circondano." Nicol scosse la testa, sembrando perplesso. "Almeno pare che mi trovi molto più affidabile, dopo tutti questi anni."

"Beh, forse sei più vicino al suo gusto."

"Eh?"

"Avanti, lo sai com'è fatto. Lo mandava fuori di testa l'idea che ai tempi tu lasciassi scappare metà dei terrestri che ti capitavano davanti. Adesso sa che non faresti mai più una cosa del genere, quindi gli piace di più il tuo approccio al problema."

Vide Nicol assumere un'espressione offesa, piegando le labbra in una smorfia infastidita.

"Non voglio che la gente mi apprezzi per quella cosa lì…"

Miguel ridacchiò. "Perché no? Sei bravo. E anche Yzak deve finalmente avere capito che sono gli omicidi mirati la tua specialità, non i massacri indiscriminati."

Che avesse detto qualcosa che non andava, Miguel lo capì subito. Perché Nicol prese a mordicchiarsi nervosamente un'unghia, apparendo estremamente a disagio.

"Tu credi che io sia diventato negli anni davvero così insensibile? O forse ha ragione lui e lo sono sempre stato…" gli chiese.

"Questo è quello che ti ha detto Joule?"

Nicol non rispose, ma rimise la mano sul volante tornando ad accelerare. Sembrava ansioso di voler tornare a casa. E Miguel sapeva come mai. Dopo quelle serate, il pianista non vedeva l'ora di confidarsi con la sua Cecilia. Come facessero ad essere ancora così legati, dopo tanti anni che stavano insieme, per un dongiovanni come lui era un vero mistero.

Miguel sospirò rumorosamente, a quel punto sperando di arrivare in fretta.

"Nicol, cosa ti aspettavi che ti dicesse uno che hai minacciato di morte solo qualche mese fa? Sei solo cresciuto, troppo in fretta, e probabilmente Yzak non riesce più a ritrovare in te il ragazzino naif che si ricordava. E che gli manca, nonostante quello che dice. Ma è perché non ha ancora visto come sei tutto tenero con il tuo Athrun o quando sei a casa dei tuoi" disse ridendo, tentando di risollevare il morale del suo amico.

Con sua grande sorpresa però, questa volta Nicol non si imbarazzò per la battuta, limitandosi a scrollare le spalle. "Non lo so. Non è del tutto sbagliato quello che Yzak dice, non sono così cieco da non riconoscerlo. Per questo, a volte vorrei non avere mai rivisto nessuno di loro. È insopportabile come mi guardano. Non voglio che pensino a me solo come ad un'arma. Almeno loro."

Miguel sorrise, come tutte le volte conquistato, e un po' intenerito, da quello strano miscuglio di emozioni che si agitava nel compagno. Mentre Lorran faceva sfoggio delle sue qualità, giocando a fare la letale playmate, Nicol non amava esibirle, e a Miguel sembrava perennemente intento a conciliare il suo essere naturalmente amabile con le capacità del killer che l'avevano addestrato a diventare. Lui trovava che ci riuscisse anche parecchio bene, ma l'essere a contatto con Athrun e i suoi genitori, che lo trattavano ancora come il bambino che avevano perso, stava presumibilmente facendo affiorare tutti i dubbi di Nicol sulla sua natura. O almeno così Miguel supponeva; non era stato mai veramente in grado di capire cosa avessero in testa i Nexus.

"Ehi, cucciolo, piantala di menartela per queste stronzate. Il solo fatto che tu ti stia ponendo il problema significa che non sei proprio senza cuore, no?"
"No, però…"

"E farai piangere Cecilia se continuerai con questa lagna che ti fa schifo quello che sei diventato" insistette Miguel, sperando di avere detto le parole magiche.

Un attimo dopo Nicol frenò all'improvviso, accostando il mezzo a lato della strada talmente bruscamente che Miguel fece appena in tempo ad aggrapparsi al sedile prima di sfracellarsi la testa contro al finestrino.

L'amico si girò verso di lui, ed era da un pezzo che il biondo pilota non lo vedeva così irritato.

"Non ho detto quello" gli fece notare Nicol.

"Ah no? L'ho dedotto da tutte le cazzate che hai sparato fino ad ora. E poi, lo sappiamo tutti e due che se ti fosse offerta la possibilità di tornare quello che eri la coglieresti al volo."

Nicol scosse la testa. "È naturale, no? Ma non c'entra niente. Da un pezzo ho accettato quello che sono, ed è anche divertente poter fare tutte quelle cose. Ma è anche molto duro sapere che tutti quelli che mi circondano hanno paura di me, prima di qualunque altra cosa."

E, a quello, Miguel non seppe cosa rispondere. Anche lui aveva provato il medesimo sentimento la prima volta che l'aveva rivisto, e ancora dopo anni era molto cauto quando aveva a che fare con lui e i suoi compagni, sebbene cercasse di essere il più amichevole possibile. Guardò Nicol, e realizzò che almeno lui aveva la consolazione di essere amato da Cecilia, e di aver ritrovato i suoi cari ed i suoi amici; curiosamente, Miguel si chiese cosa ne pensasse Lorran di tutta quella faccenda, lei che invece era sola al mondo.

"Non ci puoi fare niente" gli disse alla fine, più dolcemente che poté. "Ma ti assicuro che quelli che non si fermano alle apparenze ti trovano un ragazzo adorabile, nonostante tutto il titanio che hai addosso. Però… davvero dici che è divertente?"

Nicol inclinò la testa e, lentamente, annuì, piegando le labbra nello stesso sorrisetto soddisfatto che esibiva quando tornava da una missione riuscita sul Blitz.

"Uh uh, sarei un ipocrita se ti dicessi di no."

A Miguel venne da ridere, ma si trattenne. Anche se era di certo vero che Nicol odiava che gli altri avessero paura di lui, non si rendeva conto che a volte non faceva proprio nulla per evitarlo. E, dopo aver perso il conto delle minacce di strappargli qualche arto che gli erano giunte nel corso degli anni, Miguel lo sapeva benissimo.

"Sei matto, sai? Ma è impossibile non volerti bene" esplose l'ex-tutor, allungando una mano per scompigliare all'altro i capelli. "Ora, a parte tutte queste sciocchezze, Joule ha detto qualcosa di interessante?" gli chiese il biondo, tornando a pensare agli affari.

Nicol annuì. "Sì. Mi contatterà nei prossimi giorni. Dice di volere qualche informazione in più su Serpent Tail, anche se credo che abbia in mente altro."

"Ho pensato lo stesso a cena. Non riusciva a staccarti gli occhi di dosso. Credo che tu abbia fatto colpo."

Miguel non intendeva affatto in senso romantico, e l'amico colse immediatamente i sottintesi di quella frase.

"Sì, credo proprio di sì."

Miguel Ayman sogghignò di rimando. "Bene. E non ti preoccupare per quello che pensa di te. Lasciamogli credere quello che vuole, è perfetto per i nostri piani." Poi incrociò le braccia dietro il poggiatesta, stiracchiandosi e sbadigliando. "D'altronde Joule è sempre stato un cane a giudicare il carattere delle persone, e accusarti di essere un bastardo insensibile era probabilmente il suo solo modo di insultarti per essere di nuovo il fedelissimo amichetto del suo grande rivale."

"Hai ragione, credo…" ammise Nicol, tornando a sorridere e rimettendo in moto il SUV.

In realtà, Miguel era convinto che Yzak non fosse andato troppo lontano dal vero, ma non l'avrebbe mai ammesso con il pianista.

Lo scrutò di sottecchi, osservandolo mentre guidava fischiettando una delle sue melodie; gli sembrò completamente dimentico di quello che l'aveva angustiato qualche minuto prima.

Complimentandosi per le proprie capacità di psicologo, Miguel si rilassò contro il sedile, chiudendo gli occhi. Tutto stava andando come da programma.



___________________________



Note


(1) Dal Gundam SEED Suit Drama n. 4
(2) http://digilander.libero.it/initlabor/jmp-initlabor2003-presentazione/annessi-al-curriculum/boeklin/isola-dei-morti.html




Innanzitutto, questa volta non solo ringrazio la mia valente betareader Shainareth per il lavoraccio che tutte le volte si deve sobbarcare, ma anche per la bellissima recensione e il voto che ha dato ad "Irreparabile" nel concorso di EFP che premia le storie con i migliori personaggi originali. Non pensavo che la mia rognosa e antipatica scienziata potesse riscuotere consensi, ne sono felice! ^^

SnowDra1609 Sono contenta che apprezzi Miguel, lui è proprio un mito, in ogni situazione XD Aww, mi spiace che la prima parte non sia di tuo gradimento. In questi capitoli, in effetti, non succede un bel niente, ma per me è una deformazione professionale far parlare i politici ;)

MaxT Carissimo Max, grazie come sempre del tuo commento. Il palazzo non l'ho detto ma è dell'anno prima, e comunque sì, la vendetta di Nova si sta preparando da molti anni, stavano solo aspettando il momento giusto per colpire.

Kourin E finalmente arrivò! E il mio sogno di riunire il team Zala si è avverato ;) Confesso che quando parlo di lui sono sempre un po' incerta, fammi sapere che ne pensi.

Solitaire A te il premio per avere indovinato Odessa, ridente località sul Mar Nero teatro della disfatta delle truppe di Zeon durante la Guerra di un Anno. E vabbé... onore ai caduti :) Quanto al resto, leggendo il tuo commento mi è venuto in mente che, in effetti, sti morti redivivi mi ricordano altre nostre conoscenze, ho ragione? XD

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Capitolo 11
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Washington, 17 aprile, 82 CE


I cittadini della Federazione Atlantica vivevano in uno stato a democrazia presidenziale; ultimamente odiavano i propri politici, ma ancora si alzavano in piedi se il Capo dello Stato appariva in televisione, e ancora festeggiavano il quattro luglio all'aperto, con pic-nic e fuochi d'artificio. L'opinione comune era che nessuno aveva più potere del Presidente eletto, il Comandante in capo dell'Esercito, ma non era esattamente vero. Nei corridoi dei palazzi di Washington tutti sapevano che in realtà l'indirizzo politico alla nazione veniva dato dalle potenti lobby economiche che sostenevano i vari deputati, e che la persona le cui decisioni influivano direttamente sulla vita degli americani era il Direttore della National Security Agency, l'organizzazione governativa che aveva inglobato la CIA alla vigilia della prima guerra con PLANT.

Ad una sua disposizione aeroporti venivano chiusi e città intere erano evacuate, e si rumoreggiava che durante la guerra del '73 erano state compiute dall'NSA svariate operazioni di pulizia etnica contro le enclave di Coordinator attorno al mondo, anche sul territorio di altre nazioni.

L'influenza dell'agenzia era tale che disponeva di fondi quasi illimitati, e di una rete informativa impressionante, seconda solo a quella di Serpent Tail; i rapporti con l'organizzazione mercenaria erano ottimi, tanto che i loro operativi erano stati spesso impiegati come contractor in operazioni per le quali neppure l'NSA poteva, o voleva, risultare coinvolta.

Allo stesso modo, a volte Serpent Tail offriva sottobanco all'Agenzia informazioni sui nemici della Federazione per i quali un pubblico processo sarebbe stato inutile; nominativi che, senza eccezione, appartenevano a morti che camminavano dal momento in cui finivano sotto gli occhi del Direttore.

L'agenzia era in prima linea nella guerra scatenata da Nova, contro la quale aveva impiegato le tecniche antiterrorismo più efficaci, ma il nemico era quanto mai elusivo; per questo il Direttore Nathan Walkers aveva ricevuto con una certa sorpresa il suo contatto in Serpent Tail che sosteneva di conoscere dove si nascondesse l'attuale nemico pubblico numero uno della nazione.



L'americano si appoggiò pesantemente contro lo schienale della poltrona in pelle, fissando lo sguardo sul mercenario accomodato in tranquilla attesa dall'altra parte dell'imponente scrivania. Mazarine Clemenceau aveva l'aspetto e i modi di un impeccabile uomo d'affari, e un lieve accento mitteleuropeo che tradiva le sue origini. Anche se Serpent Tail era divisa in centinaia di sezioni, era lui da anni l'unico interlocutore dei mercenari presso l'NSA, ed ogni sua visita era seguita da un cospicuo esborso di dollari verso conti cifrati da una parte, e dall'emissione di un mandato di esecuzione dall'altra.

Che sembrasse un imprenditore per Walkers non era sorprendente: dopotutto, lui sapeva benissimo che Serpent Tail fatturava come una multinazionale di quelle al top dei listini di Wall Street.

"Questa informazione… come l'avete ottenuta, Mazarine?"

Il francese scosse le spalle, lasciando emergere un sorrisetto astuto. "Un colpo di fortuna, come succede in questi casi. Abbiamo poi incrociato i dati ottenuti con altri già in nostro possesso, ricavati da indagini presso gruppi di controinformazione. I risultati che vedi non sono ovviamente completi ma, come al solito, vi forniremo il resto al saldo del settanta percento del compenso."

"Ancora non ci posso credere che abbiate fottuto Echelon sul filo di lana" sbuffò Walkers, facendo un cenno della mano verso lo schermo olografico del computer.

"Quando mai ti abbiamo venduto delle fregature? E lo sai benissimo che quel sistema è superato. Ne volete uno migliore?"

Il Direttore rise, senza staccare gli occhi dal computer. "Siete delle sanguisughe, sai?"
Sullo schermo del portatile appariva la presunta localizzazione di Nova, che l'inviato di Serpent Tail gli aveva offerto dietro un lauto pagamento, e l'unica cosa che davvero sorprendeva Walkers era la velocità con la quale avevano scovato il quartier generale dei terroristi, a nemmeno un mese dall'inizio degli attacchi. Sapeva che i mercenari erano avvantaggiati dal fatto di lavorare con metodi ancora più spietati dei loro, e in contatto quotidiano con gruppi criminali di varia natura dai quali potevano ottenere facilmente informazioni, ma per una volta aveva sperato che fossero i suoi uomini ad arrivare prima. Anche perché quella scoperta sarebbe costata davvero cara alle casse della Federazione, e lui avrebbe avuto un po' di difficoltà a far digerire la spesa a chi stava sopra di lui.

In quell'ottica, soppesò di nuovo l'uomo di Serpent Tail, osservandolo mentre si aggiustava i polsini della camicia, chiusi da discreti ma di certo costosi gemelli in platino.

"Lasciami un paio di giorni per verificare la cosa, dovrò coinvolgere il Pentagono ma non credo ci saranno problemi. E poi, informerò il Presidente. Come sai, l'autorizzazione formale la deve dare lui, anche se è puramente un fatto stilistico."

Mazarine Clemenceau scoppiò a ridere. "Già, solo per suggellare qualcosa già deciso da te, Nathan. Ma capisco che in una democrazia come la vostra ci siano procedure da rispettare."

L'uomo scosse le spalle. "Ma tanto noi non abbiamo fretta, il problema è tutto vostro. Prima sistemerai le vostre rogne burocratiche prima smetteranno a scoppiare bombe. Ieri è saltata in aria la macchina di un altro senatore, vero? Tagliare la testa al drago è la vostra unica speranza."

"Sempre che non sia un'idra…"

E Walkers quello non lo poteva escludere. Dalle indagini sembrava emergere che Nova fosse una setta quasi religiosa, e in quel caso togliere di mezzo il leader spirituale poteva bastare ad annientarli. Avrebbero dovuto comunque prevedere la possibilità che altri prendessero il suo posto ma, in quel momento, era prioritario debellare la cellula principale.

Gli occhi del Direttore scandagliarono le informazioni sullo schermo del computer. Se era davvero quella scritta là sopra la posizione del quartier generale di Nova, non sarebbe stata di certo un'operazione facile. Si passò sovrappensiero il dorso delle dita lungo la mandibola, soppesando la situazione. Lui aveva un passato nei corpi speciali dell'esercito, e la sua esperienza gli faceva giudicare quella missione, anche solo ad una prima occhiata, come potenzialmente suicida.

"Un'ultima cosa, Mazarine, nel caso ci servisse una… consulenza esterna per risolvere questo problema, voi sareste disponibili?"

L'inviato di Serpent Tail non mosse un muscolo del volto, ma l'occhiata ironica che gli sfuggì fece capire all'americano cosa ne pensasse di quella domanda. Perché, in realtà, tutti e due sapevano bene quanto fosse puramente retorica. L'organizzazione mercenaria non aveva mai rifiutato un lavoro, a patto di pagare a sufficienza. E, infatti, Mazarine allungò una sottile chiave di memoria sul tavolo.

"Ovviamente. E abbiamo già preparato un prospetto dei costi e dei dettagli dell'operazione."

"Sempre efficientissimi…"

"Non saremmo i migliori sulla piazza se così non fosse" commentò il francese, mentre Walkers controllava i dati sulla chiave.

Era a capo dell'NSA da cinque anni, e aveva lavorato spesso con Serpent Tail; conosceva quindi più o meno il listino prezzi delle loro prestazioni, ma sollevò comunque un sopracciglio davanti alla somma apparsa sullo schermo.

"Avrei detto che l'individuazione di Nova ci sarebbe costata di più di farli fuori, ma mi sbagliavo."
"Sai anche tu che sarà un'operazione difficile. Dovremo impiegare la nostra squadra d'elite."

"Sei sicuro che tra di loro non ci siano infiltrati di quei Nova?"

Il diniego del francese fu nettissimo. "No. Nel modo più assoluto."
"Bene. E quello che vedo qui sopra è quello che dovremmo sborsare in totale?"

"A testa. E ve ne servono almeno otto" rispose Clemenceau senza battere ciglio.

Il Direttore accolse la notizia con una smorfia quasi di dolore. "Questi ragazzi costano quasi come fabbricare un mobile suit. Mi dai almeno la garanzia che sono i migliori sulla piazza? Lo sai benissimo che quando verranno a sapere di questo lavoro quelli della Blackwater(1) faranno un'offerta concorrenziale."

"Te l'assicuro, Nathan, rispetto ai ragazzi che ti forniremo quelli di Moyock sono solo dei dilettanti. Ti farò avere i loro curriculum, se la cosa ti può fare stare meglio."

"Fallo, li allegherò al dossier per il Presidente. E se sono così bravi puoi anche chiamarne un paio in più, voglio che la missione sia un successo, anche se stavolta dovrò faticare un po' di più con il nostro Comandante in capo."
Con quello, Walkers si alzò in piedi, suggerendo così che il colloquio era finito.

Accompagnò il mercenario alla porta, stringendogli la mano prima di accomiatarsi.

"Ti farò avere la risposta appena possibile, e il versamento della prima tranche sul solito conto."

"Ottimo" rispose l'altro con un sorrisetto. "E noi, ottempereremo alla nostra parte di contratto fornendoti i dati definitivi. È sempre un piacere fare affari con la Federazione Atlantica, Nathan."



Riaccomodandosi al suo posto Nathan Walkers spese qualche minuto a fare un paio di calcoli. Coinvolgere Serpent Tail o qualche altra agenzia di contractor in quella operazione avrebbe garantito che, anche in caso di fallimento, l'immagine della Federazione non sarebbe stata compromessa agli occhi dell'opinione pubblica, e i loro soldati non avrebbero dovuto rimetterci la pelle.

Ma, soprattutto, quello che al Direttore interessava era la considerevole tangente che i mercenari gli avrebbero pagato per accaparrarsi quel lavoro, più o meno il cinque percento di quello che la Federazione Atlantica avrebbe speso. Una somma sufficiente per garantirgli una rendita a vita. Per lui, i suoi figli e gli eventuali nipoti.

L'uomo guardò le cifre e sogghignò, nascondendo il gesto dietro le mani intrecciate. Avrebbe davvero dovuto impegnarsi per convincere il Presidente a firmare, ma ne sarebbe valsa la pena.



Orb, 19 aprile, 82 CE


"È troppo pericoloso, praticamente una follia."

"E comunque non ti ascolteranno mai. Rinuncia."

Dall'altra parte dello schermo che collegava l'ufficio di Cagalli a quello di Lacus Clyne su PLANT, la giovane donna dai capelli rosa sorrise quietamente alle rimostranze del Capo di Stato di Orb e di suo marito Athrun, scrollando le spalle con fare distensivo.

"Ne sono consapevole, ma non posso rimanere qui senza fare nulla. Nell'ultima seduta del Consiglio Supremo erano tutti d'accordo con il Presidente Yamamoto che i terroristi vanno sconfitti, ma prima di passare alle armi io chiedo solo di fare un tentativo."

Athrun Zala guardò Lacus, e la leggera distorsione dell'immagine dovuta alle perduranti perturbazioni solari non riuscì a mascherare l'espressione decisa della giovane: lui sapeva benissimo che quando la sua ex-fidanzata aveva quello sguardo c'era ben poco che lui potesse fare per convincerla. Nel passato però non ce n'era nemmeno stato bisogno: Lacus Clyne era sempre, misteriosamente stata nel giusto, come se riuscisse a discernere subito la retta via ma, questa volta, Athurn sentiva che si stava amaramente sbagliando.

"Ascolta..." cominciò, ma l'ex-idol lo bloccò alzando una mano.
"So quello che mi stai per dire" pronunciò sommessamente, in quel suo particolare modo allo stesso tempo mite ed irremovibile.
"Espormi potrebbe voler dire scatenare la ritorsione degli adepti di Nova su di me, anche se, a stretto rigor di logica, io sono una di quelli che dovrebbero più di tutti ringraziare per aver messo fine alle guerre."

"Esatto" replicò Athrun. "Ma non sappiamo quello che quei pazzi hanno in testa. Guarda quello che è successo a me. Non sono forse stato anch'io tra quelli che hanno combattuto per la pace? E Cagalli? Eppure i terroristi hanno cercato di uccidermi, e hanno preso di mira Orb. Sono schegge impazzite, non ci possiamo fidare di loro."

"Lo so, te lo ripeto, ma è necessario che faccia almeno un tentativo."

L'Ammiraglio Zala studiò la giovane, esalando un profondo sospiro, e i suoi occhi si spostarono quindi da lei al suo migliore amico, incrociando lo sguardo franco di Kira Yamato.

"E tu cosa ne pensi?" gli chiese, anche se sapeva già la risposta.

E, infatti, come si era aspettato, il gemello di Cagalli piegò le labbra in un docile sorrisetto.

"Sono d'accordo con voi che è estremamente pericoloso, ma rinunciare a raggiungere una soluzione negoziale mi sembra un vero delitto. Nessuno l'ha presa in considerazione, quando avrebbe dovuto essere la prima strada da percorrere."

In quelle parole, Athrun percepì un velato rimprovero a Cagalli, che vide, distintamente, irrigidirsi.

"Kira" esplose infatti la giovane donna, prima che Athrun avesse avuto il tempo di dire qualcosa. "Credi forse che non abbia tentato di far ragionare i componenti delle altre delegazioni? Ma, purtroppo, in tutta coscienza riesco a capire chi vuole passare subito al contrattacco. Sono morte molte persone innocenti, e per che cosa? E dove ci stanno portando questi terroristi se non all'anarchia, che reclamerà altre vittime?"

Il sorriso di Lacus si offuscò impercettibilmente. "Anche loro lo sono, Cagalli."

Stavolta fu Athurn che, anticipando la moglie, scosse furiosamente la testa. "Lo sappiamo tutti benissimo, Lacus. Io me ne sono trovato uno davanti, e ho visto che faccia aveva, ho sentito cosa diceva. C'erano odio e disperazione nelle sue parole. Ma era completamente consumato dal suo furore estremista e vendicativo."

Athrun strinse i pugni, ricordando il corpo esamine di suo padre e il suo ultimo, delirante ordine.

"Quelli come loro, non hanno orecchie per ascoltare" mormorò, scoprendo di non riuscire a continuare. Abbassò lo sguardo, sentendo su di sé quelli degli amici, mentre Cagalli gli afferrava la mano.

"Dalla Federazione hanno tentato di contattarli, ma senza esito" sentì dire alla moglie. "Chiaramente non hanno nessun interesse a parlare con noi. Saranno anche le vittime, ma ci ritengono tutti colpevoli. E tu potresti essere inclusa."

L'attenzione del figlio di Patrick Zala ritornò allo schermo, in tempo per vedere Lacus Clyne annuire gravemente.
"Lo so, ma la mia posizione, e quello in cui credo, non mi possono esimere dal provare lo stesso a comunicare con loro."

"La richiesta di Lacus verrà lanciata nello stesso modo in cui loro diffondono i loro proclami" continuò Kira facendo un passo avanti. "A reti unificate, di PLANT e del resto della Terra. E su internet."

"E voi vi fidereste ad organizzare un incontro con loro?" chiese Cagalli, la cui voce vibrava di malcelata incredulità. E di irritazione. Athrun si chiese se anche Lacus e il suo compagno riuscissero a capirlo attraverso l'audio disturbato.

Fu proprio Kira che annuì. "L'attenzione sarà massima. Non ti preoccupare, non lascerò che le capiti qualcosa."

"Se è per quello, ricordati che non c'erano brecce nemmeno nella sicurezza di tutti i politici assassinati" ribadì Cagalli. "Per non parlare dei kamikaze che si sono infiltrati in basi militari super protette."

Athrun stava quasi per ricordare ai due la pallottola non destinata a Lacus che qualche mese prima l'aveva quasi uccisa, nonostante fosse scortata e in un ambiente protetto, ma si trattenne alla vista dello sguardo sereno, e deciso, che inalberavano sia la giovane dai capelli rosa che Kira. Capì che, come tanti anni prima avevano deciso che Gilbert Durandal era l'uomo da combattere, così ora si erano messi in testa di negoziare con i Nova, e il giovane Ammiraglio sapeva che niente gli avrebbe fatto cambiare idea.

Sospirò quindi rassegnato, appoggiando una mano sulla spalla di Cagalli.

"Non sono d'accordo con voi, ma capisco il vostro punto di vista. Kira, mi prometti di fare tutto il possibile per proteggere Lacus?"

L'amico annuì convinto. "Non devi nemmeno dirlo."

Cagalli si voltò sconcertata verso il marito, ma l'occhiata rassegnata che lui le lanciò fu sufficiente stavolta a farla desistere. La giovane si limitò a scuotere la testa, senza aggiungere altro, salutando i due amici con un laconico 'fate attenzione, imprudenti che non siete altro', che fece ridere Lacus e Kira.

Athrun riuscì appena in tempo a scambiare un ultimo cenno con loro prima che l'immagine si oscurasse.

Poi si voltò verso Cagalli, immobile al suo fianco e con gli occhi ancora puntati sullo schermo.

"Ti rendi conto che nel Consiglio di Sicurezza hanno dato a me della sognatrice? Chissà che diranno di lei."
Lui non seppe che rispondere. In qualche strano modo Lacus era sempre riuscita a far andare le cose per il verso giusto, anche se tutto il mondo le congiurava contro, e sperò che anche in quel caso sarebbe stato lo stesso. Nonostante il bruttissimo presentimento che lo attanagliava.



Orb, 21 aprile, 82 CE


Anche con il condizionatore al massimo faceva caldo nella sala dove Yzak Joule e gli altri militari terrestri si incontravano. Per non correre rischi tutte le riunioni non solo si tenevano nella principale base di Onogoro, ma anche in un bunker sotterraneo, cosa che ad Yzak non dispiaceva particolarmente, essendo abituato agli spazi chiusi delle navi spaziali di ZAFT. Giusto l'aria pesante lo innervosiva, ma sarebbe morto disidratato piuttosto che slacciarsi anche un solo bottone dell'alto colletto della sua uniforme e, imprecando silenziosamente contro gli abitanti di Orb che dovevano amare dappertutto il clima tropicale, prese un sorso del caffè freddo che si era fatto portare, sperando di attenuare un po' l'arsura.

Come tutti i giorni stavano attendendo l'emissario degli euroasiatici, una bionda valchiria dalla mentalità ottusa che non cessava di innervosirlo ogni volta che apriva bocca, e l'albino decise di ingannare il tempo visionando svogliatamente, per l'ennesima volta, il curriculum dei militari stranieri che componevano il gruppo incaricato di debellare Nova.

Aprì il file che gli interessava, e i suoi occhi scorsero velocemente quello di Matilda Ninoritch, senza trovarvi nulla di interessante. La sera prima aveva malignato con Dearka che doveva essere arrivata fin lì per aver dispensato favori personali al suo altrettanto insopportabile Presidente; Yzak non riusciva a spiegarsi la sua presenza in altro modo. Saltò la parte che riguardava Athrun, che conosceva a memoria, ed esaminò invece con più attenzione quella del quarantenne dalla lunga e brillante carriera che era stato mandato dalla Repubblica dell'Est Asia.
Yzak scrutò al di sopra del bordo del portatile l'uomo dai lineamenti orientali che gli sedeva di fronte in composto silenzio. Il suo arrivo era stato una sorpresa per tutti considerato che la terza potenza, che durante le guerre con PLANT aveva fatto parte dell'Alleanza Terrestre, aveva vissuto i dieci anni successivi in uno splendido isolamento; ma Chen Shueisha si era presentato affermando che, sul loro onore di popolo valoroso, non potevano lasciare agli altri l'onere di risolvere da soli il problema.

Le dita pallide di Yzak sfiorarono la tastiera, e sullo schermo passò il curriculum dell'ultima persona presente quel giorno.

Lui sapeva perfettamente di avere un pessimo carattere, gliel'avevano detto tutti fin dalla prima infanzia, ma si reputava un buon giudice di quelli che aveva davanti, soprattutto se doveva lavorarci insieme. In battaglia avere dei compagni affidabili faceva la differenza tra la vita e la morte e Yzak, dal momento in cui l'inviato della Federazione Atlantica era sbarcato ad Orb, aveva deciso che niente al mondo l'avrebbe convinto a dare fiducia al Colonnello Sven Cal Payang, che lo irritava in una maniera molto diversa dall'euroasiatica.

L'albino rilesse i dati che lo riguardavano(2). Ventotto anni, e dei record militari di tutto rispetto, il Natural aveva servito in Phantom Pain durante la guerra del '73, unità dalla quale aveva disertato dopo il fallito raid alla stazione spaziale DSSD; alla caduta del governo sostenuto dai LOGOS era stato reintegrato con tutti gli onori nell'esercito della Federazione, e il fatto che avesse combattuto a fianco di una Coordinator, che aveva poi sposato dopo la guerra, aveva probabilmente fatto di lui il candidato ideale per partecipare a quella task force.
Yzak chiuse il computer con un gesto secco, fissando in tralice il giovane militare. Nutriva una istintiva diffidenza verso gli ex-membri di Phantom Pain, l'unità dove erano stati inquadrati gli Extended, e i Natural sottoposti a rieducazione forzata, addestrati per diventare spietate macchine da guerra. Da nessuna parte era specificato in quale delle due categorie Cal Payang ricadesse, anche se Yzak Joule era piuttosto certo che fosse la seconda. Da quello che sapeva lui, tutti gli Extended creati con successo erano morti in battaglia.

Il Natural sostenne il suo sguardo senza nessun tentennamento, socchiudendo solo leggermente gli occhi azzurri, dall'espressione stoica. A Yzak venne da ridere. Lui e quell'uomo condividevano lo stesso colore di capelli e lo stesso anno di nascita. Ma a quanto pareva gli anni che avevano ammorbidito lui non sembrano aver sortito effetti sul carattere dell'altro.

Stava quasi per aprire bocca e chiedergli perché mai era rientrato nei ranghi dell'esercito federale dopo quello che gli avevano fatto, quando il contemporaneo arrivo di Matilda Ninoritch e lo squillare del suo palmare lo distrassero.

Non sprecò nemmeno un cenno per salutare la donna, quando invece tutta la sua attenzione fu dedicata alla telefonata di sua moglie Shiho.

Ascoltò quello che la donna gli stava dicendo con un minaccioso cipiglio che mano a mano si fece più accentuato, ed era oramai diventato il complemento di uno sguardo irato e tempestoso quando terminò la chiamata.

"Tutto bene, Yzak?" gli chiese Athrun.

Lui appoggiò il palmare sul tavolo, ritornando a fissare Sven Cal Payang.

"Era mia moglie, che come sapete presiede il gruppo investigativo incaricato di rintracciare il quartier generale di Nova. Mi ha detto che l'informazione è appena stata passata dall'NSA. Tu ne sapevi nulla?" chiese sgarbatamente al federale.

"Avrei dovuto?"

La laconica risposta fece infuriare ancora di più Yzak, che dimostrò di essere ancora veloce ad esplodere come un vulcano rimasto quiescente per troppo a lungo.

Afferrò il palmare che scricchiolò sinistramente nella sua mano, e dovette resistere all'impulso di lanciarlo contro il Natural.

"Mi vuoi far credere di essere arrivato qui senza sapere che il tuo governo investigava separatamente su Nova?"

L'americano scosse le spalle, senza che dal suo sguardo trapelasse la minima irritazione. Yzak trovava un po' snervante il suo essere apparentemente spassionato.

"È così. Ma non lo trovo un avvenimento sconvolgente. O tu pensi che il Consiglio Supremo di PLANT se ne è restato con le mani in mano ad aspettare i risultati degli investigatori internazionali?"

"Ehi, vediamo di darci una calmata" esclamò a quel punto la Ninoritch. La donna posò i gomiti sul tavolo, appoggiando il mento sulle mani intrecciate. Guardò Yzak sorridendo ironicamente. "Coordinator, sei forse geloso che la Federazione Atlantica sia arrivata prima del tuo governo?"

Il ruggito oltraggiato dell'albino fu bloccato sul nascere dalla voce di Athrun.

L'amico balzò in piedi, calando entrambi i palmi sul piano del tavolo. "Smettetela" esordì calmo, ma con una distinta tensione nella voce che non sfuggì ad Yzak. "Lasciamo perdere le recriminazioni, non è una gara dove è in gioco l'onore nazionale. E trovo perfettamente normale che Sven sia all'oscuro di tutto. Conosciamo bene la passione dell'NSA per le operazioni condotte segretamente, giusto?"

L'albino rammentò immediatamente le spedizioni punitive contro i campi profughi del Coordinator, pianificate non ufficialmente proprio dall'agenzia federale, per cui l'ironia dell'uscita non gli sfuggì, contribuendo a rabbonirlo in qualche modo. Sfogò tutta la restante rabbia lanciando all'americano un'occhiata trionfale, incassata senza battere ciglio. Per l'ennesima volta Yzak ebbe la conferma che non c'era gusto a prendersela con quella specie di cadavere ambulante.

"Se avete finito di battibeccare possiamo sapere quali informazioni ci ha fornito l'NSA?" esordì Chen Shueisha, fissando proprio Yzak. Che riaprì il portatile.

"Controllate il vostro computer, il Maggiore Hahnenfuss ha condiviso con noi i documenti."

Gli occhi di tutti corsero ai rispettivi schermi. Dopo qualche minuto di silenzio, fu l'euroasiatica a lanciare il primo, lapidario commento.

"Cazzo. Questa è veramente una rogna. Guarda questi brutti bastardi dove sono andati a nascondersi."

Per una volta, Yzak non poté che essere d'accordo con lei. Senza aspettare le reazioni degli altri contattò di nuovo la moglie per avere qualche dettaglio in più; pensando oltretutto che il Consiglio Supremo di PLANT era stato in fin dei conti molto previdente quando gli aveva ordinato di contattare quelli di Serpent Tail.



Orb, 22 aprile, 82 CE


In ZAFT Yzak Joule non aveva svolto solo compiti militari, ma aveva anche impiegato la sua squadra in operazioni di polizia e spionaggio. Era il lavoro che gli piaceva di meno, ma doveva ammettere che i corsi che aveva seguito, e quello che aveva imparato, a volte gli tornavano utilissimi. Come il suggerimento che gli avevano dato riguardo all'incontrare degli informatori: a differenza di quello che si poteva pensare, la folla garantiva più sicurezza e anonimato di una stanza d'albergo.

Quello che si dovevano dire lui e Nicol Amalfi era però decisamente riservato, per cui Yzak aveva scelto un tavolino un po' appartato e, dopo il primo giro di bevande, aveva scacciato con un'occhiata glaciale la cameriera che sperava di ricevere altre ordinazioni.

"Un fottuto satellite minerario, a zonzo per la fascia di detriti, ti rendi conto?" esplose con voce bassa, ancora carica di tutta la stizza che l'aveva colto quando Shiho aveva confermato i dati dell'NSA. Era stato molto acuto da parte dei terroristi, ma loro avrebbero dovuto penare per identificare esattamente la rotta e triangolarne la posizione.

Nicol rispose alzando le spalle, quasi sovrappensiero. "Beh, ma tutti i satelliti generano un codice identificativo univoco, e un segnale di posizionamento. Non dovrebbe essere così difficile rintracciarlo, no?

"Se non sono degli idioti avranno spento il transponder. Ci vuole solo un minino di conoscenze tecniche, e quelli hanno dimostrato di averne se si sono infiltrati nei nostri sistemi di comunicazione."

"E quindi?"

"Grazie alle informazioni passate dall'NSA abbiamo quanto meno circoscritto una zona all'interno della quale il satellite dovrebbe transitare nelle prossime quarantotto ore. Boe radar di segnalazione sono state sparse dappertutto, per cui, se riusciamo a beccarlo, dopo dovremo solo accertarci di non perderlo, mentre approntiamo la trappola nella quale farli cadere."

"Sembra un buon piano, considerato che non abbiamo molto tempo."

Nicol spostò gli occhi sul televisore, e Yzak seguì il suo sguardo. Anche quel giorno c'erano stati degli assassini, e tentativi sempre più palesi di rivolta. Ovunque. L'ordine sociale stava pericolosamente scricchiolando, e lui era certo che il patetico tentativo di Lacus Clyne di comunicare con i terroristi sarebbe andato a vuoto. Però, gli avrebbe garantito un po' di tempo.

"Non so se è buono, ma è l'unico che abbiamo. Se fossi stato capace di pregare l'avrei fatto per non avere la base di quei maledetti in orbita, nell'ambiente che, in una operazione di questa natura, ci è più ostile."

"Perché? Dovrebbe bastare qualche mobile suit per buttarli giù. No?" gli chiese Nicol, mentre si metteva l'ennesima pillola in bocca.

Da che l'aveva incontrato, più o meno un'ora prima, era la terza che il giovane ingoiava, e Yzak era certo che non fossero caramelle. Che specie di composti chimici dovesse avere in circolo Nicol per riuscire a sopportare quegli impianti, lui non riusciva ad immaginarlo.

Senza volerlo, gli occhi azzurri di Yzak indugiarono sulla mano del pianista, in quel momento impegnata a tormentare il cursore della zip che gli chiudeva fino al collo la giacca sportiva. Era solo un gioco di luci o vedeva una curiosa linea a zigzag sottopelle che si perdeva sotto il bordo del colletto, scendendo dalla mandibola?
Inquieto, Yzak realizzò che Nicol lo stava fissando, con uno sguardo che non gli sembrò poi tanto diverso da quello del Colonnello Sven. Strinse le labbra sottili, scuotendosi dalla contemplazione di qualcosa che sapeva benissimo non fare parte della normale fisiologia umana.

"L'incidente ti ha dato alla testa?" esplose, vergognandosi del momento di turbamento. "No, se bastasse mandargli contro qualche ZAKU non starei qui a parlane con te."

Nicol non fece nemmeno finta di sembrare offeso. Si limitò a socchiudere gli occhi che quella sera aveva azzurro ghiaccio, praticamente identici ai suoi. Yzak si chiese se l'avesse fatto apposta.

"Quindi, cos'hai in mente?"
"Te lo spiego subito."

Yzak estrasse il palmare e lo appoggiò tra di loro, selezionando un programma. Sullo schermo presero a scorrere lunghe liste di nomi.

"Questi" disse Yzak picchettando l'indice sul lato dell'apparecchio, "sono i nomi dei kamikaze finora impiegati. Ce ne sono per forza altri, saltano fuori ogni giorno. Abbiamo un bel problema: recuperare i nominativi di tutti i terroristi nascosti tra la popolazione, che solo nella loro base possono essere conservati."

Nicol smise di giocare con la cerniera per versarsi due dita di succo di frutta. "E perché? Ogni cellula attiva sulla Terra e su PLANT potrebbe avere la propria lista separata di nomi, e non condividerla con nessuno."
"Potrebbero, però ricordati che non sono un'organizzazione terroristica standard, ma una fottuta setta. Sono certo che il loro santone si legge quei nomi tutte le sere prima di addormentarsi. Lo fa sentire importante, e amato, è un tratto psicologico caratteristico di quella gente."
"E da quando in qua ti interessi di psicologia?" gli rispose Nicol, portandosi il bicchiere alle labbra e piegandole in un ironico sorrisetto.
Yzak registrò il sarcasmo nella domanda ma decise di soprassedere; non gli dispiaceva battibeccare come se fossero ancora all'Accademia ma purtroppo non aveva molto tempo da perdere in chiacchiere.

"Da quando mi serve per mettere le mani su quei tipi" rispose, duro. "Comunque, se i file con questi nomi sono nella loro base principale è necessario recuperarli, potrebbe essere l'unica nostra possibilità di identificare tutti i terroristi."

"Quindi il tuo problema è di… trovare qualcuno abbastanza fuori di testa da infiltrarsi in territorio nemico, senza informazioni sulla natura di quello che troverà là dentro?"

"Direi che hai espresso perfettamente il concetto. Un'irruzione va in ogni caso organizzata per forza, vista la stupida ossessione della moglie di Athrun di voler catturare viva quella gente." Yzak fissò Nicol. "Ma, chiaramente, questo non deve succedere. Chi manderemo lì recupererà i dati e si accerterà che il santone e i suoi adepti vadano ad incontrare il loro Dio, se ne hanno uno."

"PLANT vuole quindi ordinare un omicidio su commissione? Il governo di Orb non ne sarà contento."

"Non ne devono sapere nulla. E nemmeno Athrun. Ovviamente. Ci arrivi, vero?"

Yzak nutriva l'impressione, da quel poco che aveva avuto a che fare con lui, che Nicol fosse decisamente meno naif di quando aveva quindici anni e, infatti, il giovane pianista confermò le sue supposizioni producendosi in una smorfia sconsolata.

"Cagalli è un'idealista, ma il suo piano è una vera idiozia. Certo che Athrun e sua moglie a volte hanno proprio bisogno di qualcuno che li salvi da loro stessi" aggiunse finendo il succo di frutta.

Yzak, conoscendo la storia del figlio di Patrick Zala, e della donna di Orb che aveva sposato, non poté che dare ragione a Nicol.

Il quale soppesò il bicchiere che aveva ancora in mano, lanciando all'albino lo sguardo di una persona che si aspetta da un momento all'altro di venire coinvolta nel peggiore dei lavori.

"Immagino che tu abbia già un'idea di chi dovrebbero essere quelli che rischieranno la pelle per i vostri preziosi nomi" gli disse, nel tono di chi sa già la risposta.
Yzak incrociò le braccia al petto, mostrando in volto tutta la sua contrarietà. "A questo punto lo sai benissimo, Amalfi. E, tanto per mettere le cose in chiaro, sappi che io non ero per niente d'accordo. Mi sfugge perché si debba coinvolgere un'agenzia esterna per un lavoro per il quale le nostre truppe speciali sarebbero più che adeguate."

"Forse perché i vertici di ZAFT non vogliono sprecare le vite di Coordinator per un successo… ipotetico. Là sopra potrebbe anche non esserci quello che cercate."

"In ogni caso loro sono addestrati per quelle missioni."

"Noi di più."

"E poi non capisco come facciamo a fidarci di mercenari."

"Come fa tutto il resto del mondo da anni, suppongo" Nicol abbassò gli occhi. "Mi stai ponendo le stesse obiezioni che hai fatto al Consiglio? Ma tanto hanno già deciso no? Altrimenti tu non saresti qui a parlare con me. Ma un po' li capisco sai, noi siamo spendibili, non come i vostri preziosi soldati. Pagaci e vi porteremo le teste di tutti quelli che volete."

C'era qualcosa nel tono di Nicol che colpì Yzak come uno schiaffo. Dopotutto non doveva essere molto piacevole per l'amico essere considerato, per la sua stessa patria, solo uno strumento da usare in segreto. Ma, d'altronde, era lui stesso che non aveva mai voluto tornare a casa.

"Appunto, a proposito di pagamento" esclamò Yzak abbassando la voce, e lasciando cadere nel vuoto le inutili recriminazioni di Nicol. "Il Consiglio mi ha dato carta bianca. Quanto volete tu e i tuoi amici per partecipare a questa operazione?"

"Amici?"

"Quelli come te. Chiaramente non vogliamo Natural. E non fare quella faccia, l'indagine è stata insabbiata, ma non credere che si siano dimenticati di voi."

Nicol sembrò meditare su qualcosa, poi scosse le spalle e sorrise come se stesse per fargli uno scherzo.

Girò il palmare di Yzak, vi digitò qualcosa e poi lo mostrò all'albino.

"Sei disposto ad impegnarti perché il tuo governo paghi questo?"

Se Yzak non fosse stato particolarmente pallido, sarebbe sbiancato. La cifra che leggeva era molto di più di quello che si era immaginato.

"Stai scherzando?" sibilò.

"No, ehi, non fare quella faccia, siamo professionisti noi. Le nostre missioni hanno sempre avuto successo."

"Cazzo, Amalfi, ho carta bianca ma non fino a questo punto. Ne dovrò parlare al Presidente."

Non aveva idea di come sarebbe riuscito a far passare quella cosa. La cifra che vedeva era l'equivalente di una manovra finanziaria, e lui non era certo che l'economia di PLANT, in un momento come quello, potesse permettersela. Ma il Consiglio gli aveva raccomandato di ottenere l'appoggio di Serpent Tail in qualunque modo e, nonostante il suo disaccordo, Yzak si disse che doveva per forza farcela.

Innervosito, prese a tamburellare le dita sul tavolo aggrottando le sopracciglia. Poi, odiando all'inverosimile quello che stava per dire, provò a mercanteggiare.

"Questa cifra è… trattabile?"

Nicol non aveva mai smesso di guardarlo seraficamente. Dopo qualche secondo di imbarazzato silenzio la sua risata, argentina come era stata anni prima, fece quasi sussultare Yzak.

"Scusami, ti ho messo in difficoltà. E immaginavo che per PLANT fosse impossibile sborsare così tanto. Va bene, parlerò con Miguel, per cui tienitelo per te, ora, ma secondo me da voi come pagamento ci potremmo accontentare di una cosa sola."

"E cosa?"
Yzak ascoltò quello che Nicol gli chiese. Alla fine, il suo primo impulso fu di mandarlo al diavolo per avere avuto un'idea tanto balorda. Ma poi ci ripensò, e si chiese se al posto di quei ragazzi anche lui avrebbe preteso una cosa del genere, come compenso per rischiare la propria vita per PLANT. E la risposta fu positiva.

Per cui sospirò pesantemente, incrociando le braccia al petto. "Anch'io devo riferire ai miei superiori, ma mi sembra una richiesta accettabile. Fin troppo a buon mercato per quello che dovrete fare."

Indicò il palmare abbandonato sul tavolo. "E quello cos'era, uno scherzo?"

"No, affatto" esclamò Nicol. "Ma d'altronde noi non siamo così avidi da farci pagare due volte per lo stesso lavoro, Joule."

Sul momento, Yzak pensò di avere capito male, ma un secondo sguardo al volto sorridente del pianista gli confermò che il suo udito non l'aveva ancora tradito.

"Chi?"

La risposta non riuscì a sorprenderlo.

"La Federazione Atlantica."
Il primo pensiero dell'albino fu che quelli di Serpent Tail fossero impegnati in qualche pericoloso doppiogioco, ma scartò immediatamente l'idea. Innanzitutto perché non gli sembrava possibile che Nicol e gli altri Coordinator potessero fare qualcosa che andava a vantaggio dei federali, e poi perché per un'organizzazione interessata solo ai soldi non avrebbe avuto senso; forse, era proprio come sembrava: i mercenari avevano cercato chi poteva offrire di più. E non erano loro.
Apprezzò anche l'ironia della mossa; la Federazione Atlantica avrebbe profumatamente pagato le stesse persone che aveva ridotto in quel modo atroce, per fare un lavoro che anni prima avrebbero ottenuto gratis. Immaginò che a Washington non conoscessero affatto l'identità dei singoli mercenari.

"L'inviato della Federazione non mi ha detto nulla" fece comunque notare a Nicol.

"Ve ne parlerà domani. Il contratto è stato firmato dal loro Presidente un paio di ore fa."

Yzak annuì, da una parte sollevato all'idea di non dovere mendicare fondi al Consiglio e di non abbassarsi a tirare sul prezzo come un mercante di tappeti, dall'altra, però, irritato per il fatto che tutta la precedente conversazione con Nicol era stata una solenne presa in giro.

"Perché non me l'hai detto subito, Amalfi?" ruggì, abbassando pericolosamente la voce.

Il sorriso del giovane davanti a lui si intensificò, e Nicol tentò di nasconderlo mettendosi una mano davanti alla bocca, in un gesto curiosamente lezioso.

"Perché mi divertiva l'idea di prenderti per una volta in giro, Joule. Avevo scommesso con Miguel che prima della fine di questa conversazione avresti tentato di picchiarmi."

Stupefatto, Yzak a quel punto speculò che una delle tante pillole che Nicol aveva preso dovesse essere anfetamina.
Esausto per l'interminabile giornata, avvertì ad un tratto tutte le energie abbandonarlo. Appoggiò un gomito sul tavolo posando il mento sulla mano chiusa a pugno. Non aveva nemmeno voglia di arrabbiarsi per lo scherzo infantile e, di certo, non avrebbe messo le mani addosso all'ex-commilitone.

Lo osservò versarsi dell'altra bibita, e in parte si rammaricò che il pianista fosse coinvolto in quella storia, proprio nei giorni in cui aveva ritrovato la sua famiglia e si stava godendo una vita finalmente normale. Gli sembrava decisamente più sereno rispetto al loro incontro su Aprilius One, e si chiese se a Nicol, a conti fatti, non dispiacesse di essere stato ingaggiato per quel lavoro che si preannunciava spaventoso. Nonostante quello che sapeva di lui, quello che l'aveva visto fare e quello che l'aveva ascoltato dire, e anche a dispetto di quello che lui stesso gli aveva rinfacciato qualche sera prima, Yzak sapeva che non sarebbe mai riuscito a scrollarsi del tutto di dosso la prima impressione che aveva avuto di Nicol: quella di una persona amabile, e con troppa fiducia nel prossimo e nel futuro. E da come appariva di nuovo spensierato in compagnia dei suoi ex-compagni di squadra, il figlio di Ezalia Joule immaginò che, da qualche parte sotto quell'epidermide sintetica, il ragazzino che ricordava entusiasta di vedere gli oceani terrestri esistesse ancora.

"Davvero non sei nemmeno un po' incazzato con me?" lo sentì chiedere.

Il ghigno che Yzak sentì sorgergli sulle labbra fu di rassegnata sopportazione, più che di stizza. Nicol aveva aggiornato il suo lessico ma alcune sue uscite erano terribilmente bambinesche. "Guarda che non mi sono rammollito fino a quel punto, idiota. Ma lo so che, purtroppo, a prenderti a pugni mi farei solo male. Comunque, anche tu parteciperai a questa operazione?" gli chiese, studiando il sorriso del pianista che impercettibilmente si offuscò.

"Devo."

"Perché? Miguel non può incaricare altri dei vostri?"

"Sì ma… ci voglio essere, e non è solo perché io sono uno dei migliori."

Nicol lanciò un'altra occhiata al televisore, dove scorrevano ancora immagini degli attentati causati da Nova. La gente nel locale non sembrava tuttavia prestare troppa attenzione, impegnata a bere e a scherzare in piccoli gruppi come se fuori da lì fosse tutto normale.

"Tu ci sarai, no? E anche Athrun. È giusto che siamo noi a mettere la parola fine a questa storia, Yzak. A questo disastro voluto dai nostri padri."

Assorto, l'albino annuì, scoprendo in quelle parole quello che anche lui provava.

Dieci anni prima avevano cercato di rimediare agli errori dei loro genitori, e ora avrebbero dovuto fare di nuovo la propria parte per restaurare la pace così faticosamente raggiunta; Yzak lo trovava assolutamente appropriato. Umanamente capiva Cagalli, e la sua ritrosia a non voler sterminare quelli che in fin dei conti erano solo povere vittime di quelle guerre disgraziate, ma lui, da politico e militare, sapeva che non avevano altra scelta. Le vite dei Nova erano il prezzo da pagare, l'agnello 'non così innocente' da sacrificare, e lui non poteva permettersi di avere di loro alcuna pietà.



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Note


(1)Blackwater: la più famosa e potente agenzia americana di mercenari http://en.wikipedia.org/wiki/Blackwater_Worldwide
(2)La storia di Sven Cal Payang è narrata nell'OAV Mobile Suit Gundam SEED C.E. 73: Stargazer.


Comincio ringraziando come di consueto la mia santa beta Shainareth, che non solo mi corregge gli errori ma mi rassicura quando un capitolo mi sembra indecentemente noioso, come questo ;)

SnowDra1609 Mah, io veramente comincio a sentire la mancanza di qualcosa che brucia visto che è da un po' che non ammazzo nessuno. Vediamo se nel prossimo capitolo posso rimediare ;) Comunque sono contenta che la cosa sembri contorta anche se, giuro, tutto HA un senso ;)
Hanako_chan (detta anche, invereconda fan di Yzak ^^) Come vedi anche qui ne parlo tantissimo. Tra un po' Asuran sarà geloso. Ahah, ma niente piccioncini in calore in questo capitolo, mi spiace, a meno di non definire tali... ^___^
Gufo_Tave Ohh, Tom Clancy! Almeno! Scrittore che adoro, grazie per il paragone :) Comunque no, quel gran figlio di Zala lo stavo solo descrivendo con gli occhi del suo "amicone", che penso davvero che sotto sotto lo adori, anche se sotto sotto sotto non gli ha mai perdonato di aver cambiato schieramento e divisa. Ma Yzak si sa, lo si ama anche perché vede il mondo in bianco e nero ;)
Kourin L'Yzak di questa storia è tutto dedicato a te, rognosissimo ma anche fiero e pochissimo disposto a compromessi. Già qui l'ho messo un po' in difficoltà, ma era uno scherzo, il boccone amaro glielo riservo per il capitolo successivo.
MaxT Caro Max, come ti avevo scritto in privato, in realtà in processo di ricerca di Nova avviene molto dietro le quinte, e grazie soprattutto a quei grandiosi bastardi di Serpent Tail. Lo so, sarebbe stata interessante, ma personalmente trovo più divertente da scrivere quello che Yzak sta sognando: cioè trovare quei bastardi e fargli un c... tanto ;)

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Capitolo 12
*** Caccia ***


Caccia



Orb, 23 aprile, 82 CE


Miguel aveva avuto il dubbio che lasciare andare da solo Nicol all'appuntamento con Yzak sarebbe stata una pessima idea ma, ora che tutti i suoi peggiori presentimenti si erano concretizzati, limitarsi a fare finta di niente prendendosela solo con se stesso non era certo nel suo carattere. Doveva sfogarsi, e strigliare i sottoposti di prima mattina era un esercizio che l'aveva sempre messo di buon umore.

"Che diavolo hai nel cervello?" sbraitò contro Nicol. "È mai possibile che tu non riesca a far funzionare insieme quei due neuroni che madre natura ti ha fornito? Hai fatto una cazzata colossale."

Sì, svegliare i ragazzi con una sana ripassata era uno dei suoi passatempi preferiti all'Accademia di ZAFT. Peccato che a differenza di allora, quando il figlio degli Amalfi aveva la decenza di arrossire e tentare di scomparire dietro all'amico Athrun Zala, Nicol non fece nemmeno una piega. Si limitò a cambiare leggermente posizione, comodamente seduto sul divano del soggiorno della loro villa, scoccandogli oltretutto un'occhiata quasi oltraggiata.
"Non ho capito cosa intendi. Che dovrei dire invece di te?"

Ritto in piedi davanti a lui, Miguel si mise le mani sui fianchi, sporgendosi leggermente in avanti.
"Non cambiare discorso. Con la tua trovata di ieri sera hai allegramente mandato a puttane l'operazione alla quale il Direttorio stava lavorando da mesi."

Nicol scosse le spalle, come se dopotutto le parole di Miguel non lo interessassero, mentre Lorran, appollaiata sullo schienale del divano, esplose in una soffice risata.
"Quale operazione? Quella di farci pagare due volte, anzi tre, magari anche da Orb, vista l'insistenza con la quale ci hai voluti qui e a contatto con quelli che contano?"

"No, sciocca. Pretendere un doppio pagamento sarebbe stata una stupidaggine, visto che prima o poi si sarebbero parlati comunque" ululò Miguel, adirato di fronte all'incomprensibile noncuranza dei due giovani. "E avremmo dovuto offrire i nostri servigi al governo di Orb solo se nessuno si fosse fatto avanti a chiedere il nostro aiuto per questa operazione, ma i vertici erano comunque convinti che la Federazione Atlantica avrebbe gettato sul piatto l'offerta migliore, e prima di tutti gli altri."

Lo sguardo confuso di Lorran gli fece capire che una spiegazione supplementare era necessaria. Cercò di calmarsi, in modo da instillare in quei ragazzi un po' di sale in zucca. "Avevano calcolato bene l'avidità del loro contatto nell'NSA, che ha convinto il Presidente della Federazione a firmare un contratto con noi dietro pagamento di una tangente milionaria a suo favore, e sapevano che Washington non si sarebbe fatta sfuggire l'occasione di emergere come potenza risolutiva nel conflitto, visto che, secondo i termini dell'accordo, noi agli occhi del mondo dovremo presentarci come militari delle forze speciali della Federazione."

"Astuto da parte loro" commentò Lorran. "Se il blitz andrà a buon fine se ne prenderanno tutto il merito."
"Ovviamente. Altrimenti perché credi che si sarebbero accollati da soli il costo mostruoso del nostro ingaggio?"

"Però… aspetta, non hai detto che l'operazione sarà segreta?"

All'uscita, Miguel esibì una smorfia spazientita. Lorran era un'ottima combattente, ma a certe sottigliezze strategiche non ci arrivava proprio.

Prima che potesse rispondere, fu Nicol che si girò verso di lei.

"Ora è così, visto che il consenso dei Nova presso l'opinione pubblica è al massimo" le spiegò il giovane. "Ma immagino che, tra qualche mese, e dopo qualche opportuna manovra di manipolazione dell'informazione, il loro appeal svanirà, e allora i federali potranno rivelare al mondo che sono stati loro a fermarli."

Lorran annuì convinta, intrecciando le braccia sotto i seni. "Ho capito. Mentre se il blitz fallisse ci scaricherebbero, tanto siamo solo contractor. Sai che ti dico, Miguel? È proprio un accordo di merda."

"Cosa ci vuoi fare?" rispose lui. "Caso mai non l'aveste ancora capito noi siamo mercenari. Combattiamo dietro un compenso. La gloria non ci importa, abbiamo comunque molto credito presso i governi. E che Washington si tenga pure l'onore della vittoria, questa operazione è perfetta per farci guadagnare un sacco di soldi spennando quei bastardi. Il problema è che questo idiota del tuo amico ha preso accordi con Yzak senza consultarmi. Nonostante gli avessi detto di non promettergli nulla, prima di aver parlato con me. Chiamalo e dirgli che hai cambiato idea" sentenziò rivolto a Nicol.

"Sei matto se pensi che parteciperò a questa operazione con addosso la divisa della Federazione."

"Beh, perché? Non sarebbe certo la prima volta."

"Non con Athrun e i miei amici a guardarmi."

Miguel soffocò un grugnito di sopportazione. Quando ci si metteva Nicol era testardo come un mulo.

"Ma lo sai che il tuo attaccamento a Zala comincia ad essere davvero malsano? E la pianti di fare l'amichetto amorevole di quelli che odiavi solo qualche mese fa? Preferisci davvero così tanto passare per uno di ZAFT? Un militare di una patria che non hai mai voluto riabbracciare. Quel posto non conta più niente per te."

"Lo dici tu" gli rispose Nicol, la cui espressione si stava facendo via via più risentita.

"Cos'è questo improvviso attacco di patriottismo? Ti sei forse dimenticato cosa gli scienziati di PLANT hanno fatto al tuo amico Lex?"

"Lo so. Ma non c'entra niente, ora."
"Davvero? Beh, guarda che avrebbero fatto lo stesso con te, non te lo scordare."

Stavolta, Nicol incrociò le braccia voltando la testa, e Miguel fu sicuro di avere toccato un nervo scoperto. Lanciò un'occhiata verso l'altro capo del divano. Seduta in un angolo, Cecilia faceva colazione con una macedonia, e aveva in faccia l'espressione di chi sta assistendo allo spettacolo più divertente del mondo.

"Mi sono persa un passaggio" disse la donna, tra una fragola e l'altra. "Cosa ha combinato Nicol?"

Miguel sventolò drammaticamente una mano verso il giovane dai capelli verdi. "Questo cretino è andato a chiedere a Joule di essere reintegrati in ZAFT durante l'operazione!"

"Dai, Miguel, è il caso di incazzarsi così per un'inezia… stilistica?" gli chiese Lorran in tono conciliante.
"Inezia? I federali sono capaci di stracciare il contratto quando verranno a saperlo. La squadra pagata da loro che si fa passare per personale degli odiati ex-nemici quando l'accordo prevede tutto il contrario?"

"È ridicolo, Miguel" fu il lapidario commento di Cecilia, impegnata a cercare di acchiappare un'ultima fragola nascosta tra il resto della frutta. "Tanto agli occhi del mondo loro sarebbero della Federazione, no? Cosa ti interessa come sono vestiti?"

Sull'orlo della disperazione, il biondo alzò sconsolato gli occhi al cielo. Potava accettare sia che Lorran non afferrasse il concetto, visto che la sua intelligenza era decisamente inferiore alla sua bellezza, sia che Nicol facesse finta di non capire. Ma che Cecilia appoggiasse i due per partito preso era davvero troppo.

"A me niente!" ululò scoraggiato. "Ma forse interessa a chi ci paga."

A quel punto, ridacchiando, Lorran si sporse verso l'altro Nexus mettendogli una mano sulla spalla. "Hai fatto bene, Nicol. E gli altri saranno d'accordo con me. Te lo scordi che noi ci facciamo vedere in giro conciati come quei bastardi" disse poi rivolta a Miguel, abbassando la voce. "Anche se mi disgusta nel profondo, va bene, che dicano quello che vogliono nelle loro conferenze stampa, ma almeno nei confronti dei Coordinator che parteciperanno all'operazione non esiste che ci facciamo passare per federali. E questo è tutto. Non farmi venire il dubbio che, pur sapendo come la pensiamo su questo argomento, ci avete venduti al miglior offerente."

In quel momento Miguel si trovò a combattere due sentimenti contrapposti: allontanarsi da lei o andare a schiaffeggiarla. Era perfettamente a conoscenza, così come i vertici di Serpent Tail, che il gruppo degli STORM non avrebbe affatto preso bene quell'accordo, ma aveva sperato che avrebbero cambiato idea se messi davanti al fatto compiuto e a tutto quello che ne avrebbero guadagnato. Non era affatto così e, pur essendo da parte loro uno stupido capriccio, si rendeva conto che sarebbero stati irremovibili su quel punto. Non gli rimaneva altro da fare che mediare.

Sollevò entrambe le mani davanti a sé. "Ragazzi, ne parlerò ai nostri capi. Credo che potremo arrivare ad una soluzione."

"Magari anche stralciare quella parte di contratto…" borbottò Nicol.

"Vedremo. Forse potremmo addurre qualche problema tecnico. Anzi, farò presente la cosa a Joule, immagino che abbia già la soluzione in tasca" sospirò Miguel, girandosi verso la porta e non resistendo a lanciare a Nicol un'ultima critica. "Lui è uno preciso che pensa sempre a tutto, mica come qualcuno che parla prima di connettere il cervello."
"Aspetta un attimo."

La voce di Lorran lo fermò sui suoi passi, e lui si preparò mentalmente a combattere qualunque altra rimostranza, già stanco alle otto di mattina.

"Che c'è ancora?" le chiese, fronteggiandola di nuovo.

Scoprì che la giovane aveva scavalcato il divano, ed era scivolata a sedere accanto a Nicol. Entrambi lo fissavano e, almeno lei, sembrava divertita in un modo che lo preoccupò sottilmente. Nicol aveva invece in faccia il suo tipico broncio offeso.

"C'è che ci siamo stancati delle tue cazzate, Ayman" gli rispose Lorran, sorridendo. "Ci hai portato qui raccontandoci un mucchio di sciocchezze sapendo benissimo che questi Nova avrebbero prima o poi attaccato. E hai giocato sul fatto che Athrun Zala è amico di Nicol per avvicinarlo e avere sempre qualcuno accanto ai governanti di questo paese." La giovane indicò se stessa, e Cecilia. "Nonché a Morgenroete."

"Sì, e allora? Sta bene anche a voi, mi pare."

"Ma avresti dovuto renderci partecipi fin dall'inizio. Scusa se ci sentiamo un attimo trattati come dei burattini."

Lorran stava facendo un discorso che non gli piaceva affatto, e cominciava a trovare inquietante come i due lo guardavano. Cecilia invece sembrava indifferente a tutto, e continuava a mangiarsi in silenzio la sua frutta.

"Sono tuo amico, avresti dovuto raccontarmi tutto subito" gli disse Nicol, in tono molto più stizzito di quello di Lorran.

"Sai bene che agli operativi viene detto ben poco" si difese l'ex-pilota.

"Come se fossimo personale regolare di Serpent Tail."

"Ok, va bene. Siete delusi e un po' incazzati con me. E allora? Oramai il dado è tratto."

Lorran fece spallucce. "Lo sappiamo. Ma io e Nicol abbiamo pensato ad un modo perché tu faccia ammenda."

"E cioè?"

"Gioca con noi alla caccia alla volpe" esclamò la giovane ad un tratto, battendo i palmi tra loro come una bambina, mentre anche Nicol nascondeva un sorrisetto dietro alla mano.
Miguel conosceva Lorran da quasi dieci anni, e Nicol da un po' di più ma, solo in quel momento, ebbe la definitiva conferma del fatto che i due fossero squilibrati.
Lui conosceva bene quel gioco: all'Accademia lo usavano per addestrare le reclute, scegliendo uno dei cadetti come la 'volpe' che gli altri avrebbero dovuto catturare nel minor tempo possibile. Non riusciva a credere che l'avessero proposto a lui in quel momento, e non aveva dubbi su chi, tra loro tre, avrebbe dovuto essere l'oggetto della caccia.

"Non scherzate" esclamò sorpreso, facendo nondimeno un passo verso la porta.

"Perché no? È da tanto che non lo facciamo. Prendilo come un'esercitazione."

"Non avete bisogno di addestrarvi su questa cosa, siete già bravissimi."

Miguel arretrò ancora, lanciando un'altra occhiata a Cecilia. Non riuscì a capire se quel sorriso astuto che le piegava le labbra significasse che sapeva già tutto. Interpretò il gesto come qualcosa di cui essere ancora più preoccupato.

"Lo sappiamo" gli disse Nicol, "ma è divertente comunque."

"Per voi forse…"

Miguel deglutì, calcolando che ci avrebbe messo forse due secondi a raggiungere la porta. Ma dopo non avrebbe saputo che fare. Era veloce, tanto quando un Coordinator poteva esserlo, ma non reggeva il paragone con i Nexus. Li guardò entrambi, improvvisamente realizzando che tutti e due indossavano pantaloni e maglie dalle maniche lunghe nei toni del verde. Non ricordava nemmeno più l'ultima volta che aveva visto Lorran così coperta. I capelli di Nicol si mimetizzavano perfettamente con l'ambiente, ma la ragazza si era nascosta i suoi con una bandana beige. Miguel imprecò silenziosamente, facendosi la nota mentale che avrebbe dovuto, da quel momento, osservarla più attentamente.

"Visto che ci sentiamo buoni, ti concediamo cinque minuti di vantaggio" gli disse lei, tutta felice. "Facciamo che se non ti troviamo entro i successivi venti minuti faremo quello che ci chiedi riguardo a quel contratto. Ma non pensare di fuggire con una delle auto. Stanotte abbiamo svuotato tutti i serbatoi."

"Cazzo, vi siete davvero preparati…"

Lorran non rispose, ma alzò invece il polso indicando il quadrante del suo orologio. "Il tempo fugge, Ayman."

"Che bastardi" non gli restò altro da fare che sibilare, correndo verso la porta che superò come se avesse alle calcagna il fantasma iracondo del comandante La Klueze. Non aveva altro posto in cui fuggire che il fitto bosco ai lati della villa, e lì si gettò, sperando che i due si limitassero a stanarlo rincorrendolo a piedi, senza tirare fuori il napalm.

Dopo qualche secondo stava già rotolando giù dal pendio in mezzo ai cespugli di buganvillea. Evitò per un pelo di schiantarsi contro un basso palmizio e riprese a correre in direzione del mare, imprecando silenziosamente. Si chiese se buttandosi in acqua li avrebbe seminati, ma decise di non sfidare la fortuna. La scogliera era alta e poteva giurare, dalla faccia che aveva fatto Cecilia, che la donna non vedesse l'ora che si facesse davvero male per testare anche su di lui qualcuno dei suo marchingegni. Per l'ennesima volta Miguel maledisse tutti i suoi compagni di avventura e la malaugurata sorte che glieli aveva fatti incontrare.



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Le rimostranze di Yzak Joule erano state così rumorose che finalmente qualcuno si era degnato di risolvere il problema dell'aria condizionata nel bunker che ospitava il gruppo di militari internazionali. Non che la cosa avesse comunque messo di buon umore il giovane dai capelli argentati.

Prima di iniziare la solita riunione era stato informato di quello che sapeva già, cioè che la Federazione Atlantica aveva ingaggiato quelli di Serpent Tail per abbordare il quartier generale di Nova, ma anche di un altro particolare che ignorava.

Si sporse in avanti, distogliendo lo sguardo dalla contemplazione degli spogli muri della sala per fissarlo sul suo corrispettivo americano.

Sven Cal Payang stava riferendo agli altri dell'accordo con la solita voce apatica, parlando in un inglese contaminato dal pesante accento strascicato dei federali. Yzak trovava quella parlata una delle cose più volgari che avesse mai udito.

Quando terminò, chi aprì immediatamente bocca fu l'euroasiatica.

"E a voi cosa ne viene in tasca?"

Yzak non aveva idea di quali potessero essere le sue istruzioni, ma Cal Payang non mentì.

"Quella squadra opererà sotto le insegne della Federazione Atlantica."

Athrun cercò con lo sguardo quello di Yzak, sembrando decisamente a disagio.

"E voi arrischiereste a farvi passare davanti all'opinione pubblica come quelli che li hanno catturati?" chiese Matilda Ninoritch, divertita.

Yzak, invece, non riuscì a non alzare gli occhi al soffitto. Quella donna era davvero una povera idiota.

"Certo che sì" sibilò girandosi di scatto verso di lei. "Non credere che i Nova rimarranno i favoriti delle folle per più di qualche mese. L'umore del pubblico è mutevole e, quando verranno divulgati i dati di quello che sono costati ai bilanci delle nazioni gli attacchi terroristici, quelli che ora li osannano gli si rivolteranno contro."

"Allora non è il caso di aspettare? Perderanno comunque presa sulla gente comune."

Yzak si impose di calmarsi. "Aspettare cosa? Che intanto mandino gambe all'aria i nostri governi? No. Nova deve essere smantellata al più presto e i suoi accoliti… assicurati alla giustizia" asserì deciso, scoccando un'occhiata all'americano. Solo loro due sapevano quali erano in realtà gli ordini che sarebbero stati ai mercenari e, per quanto la cosa non gli piacesse, nemmeno Athrun doveva esserne messo al corrente.

Il Comandante di ZAFT si rivolse a Cal Payang. "Lo so dove mirate. Quando il clamore si sarà dissolto, vi farete avanti prendendovi il merito di averli fermati. È così chiaro che anche un bambino lo capirebbe. E immagino che l'ingaggio di Serpent Tail graverà considerevolmente sul bilancio della vostra nazione, non è vero?"

L'americano non rispose, ma la tensione che gli serrò le labbra suggerì a Yzak che aveva ragione. Il giovane non dissimulò un ghigno. "Non so se incazzarmi per questa trovata o ringraziarvi per esservi dopotutto presi in carico una bella patata bollente. In ogni caso oramai sono fatti vostri: che la missione dei mercenari fallisca o meno le conseguenze, positive o negative, ricadranno solamente sul tuo governo. A me sta bene. Ma te lo puoi scordare che quella gente salga a bordo delle mie navi spaziali facendosi passare per federali."
Yzak ringraziò in quel momento la concitata telefonata mattutina di Miguel che l'aveva informato dei dettagli dell'accordo tra Serpent Tail e la Federazione e, a quel punto, benedisse anche l'innocente scherzo di Nicol che gli avrebbe garantito di prendersi una piccola rivincita nei confronti degli americani.

Già lo sguardo irritato del loro inviato lo riempiva di gioia.

"In che senso?"

"Che noi abbiamo il dominio dello spazio. E sai benissimo che l'operazione, come tutte le esercitazioni congiunte che si sono svolte da dieci anni a questa parte, dovrà essere condotta grazie al supporto della mia flotta. Per cui, te lo ripeto, quei tizi non ci metteranno piede paludati come vostri soldati."

"Il tuo governo…"

"Credo proprio che sarà d'accordo con me."

Yzak ne era certo. Il fatto che avessero un nemico comune non significava che si sarebbero lasciati mettere i piedi in testa dai federali.

"Stai ingigantendo il problema" si difese Cal Payang.

"Affatto. È una questione di principio" esalò solennemente Yzak, incrociando le braccia al petto e alzando il mento orgogliosamente. Da un certo punto di vista l'americano aveva anche ragione ma, per quanto di dettaglio, almeno quello alla Federazione Atlantica non gliel'avrebbe fatto passare.

Alla fine, fu Cal Payang il primo a distogliere lo sguardo. "E va bene, se la metti così, e se questa è la posizione di PLANT, non credo ci sia modo di farvi cambiare idea."
"No, infatti" disse Yzak, pregustando le parole che stava per pronunciare. "I mercenari sono i benvenuti sulle nostre navi. Gli daremo noi un passaggio fino al satellite. Ma, ovviamente, anche con il nostro personale la segretezza dovrà essere mantenuta. E non ti nascondo che è anche per quello che preferisco che non se ne vadano in giro con le vostre uniformi, qualcuno potrebbe chiedersi cosa ci fa a bordo un gruppo così corposo di soldati di fanteria" esclamò, sorprendendosi di quanto fosse bravo a mentire. "Li faremo passare per militari di ZAFT, e tutto sembrerà perfettamente normale."

Yzak studiò per un attimo i presenti; Pal Cayang sembrava perplesso, l'euroasiatica sghignazzava apertamente, il militare dell'Est Asia, Chen Shueisha, aveva steso le labbra in un sorrisetto ironico, mentre Athrun lo fissava con riprovazione. Tra tutte, la reazione dell'amico era quella che capiva di meno, ma gliene avrebbe chiesto una spiegazione dopo.

"Non so se potremo accettare una cosa del genere" esordì l'americano, ma Yzak bloccò sul nascere la sua protesta.

Scosse il capo in un cenno di diniego, facendo oscillare i capelli fini. "O si fa come dico io o i vostri preziosi mercenari rimangono a terra" disse cercando di non mostrarsi troppo soddisfatto. Ma non resistette a tirare un'ultima, pesante frecciata. "Non so come funziona in questi casi, noi di ZAFT non abbiamo mai avuto necessità di rivolgerci ad un'agenzia di sicurezza privata, ma immagino che anche se non portano a termine il lavoro questi contratti abbiano penali piuttosto salate da pagare, giusto?"

In realtà lo sapeva benissimo quello che Serpent Tail avrebbe chiesto alla Federazione in caso di rescissione unilaterale, ed era certo che la cifra era tale da dissuadere ogni tentazione in tal senso.

Godendosi ogni momento della conversazione, si sporse verso l'americano appoggiando i gomiti sul tavolo e atteggiando il volto ad un sorriso quasi benevolo.

"Ma non è il caso di impuntarsi, Sven. Facciamo come ti ho detto. È per il buon fine della missione, dopotutto."

Lo sguardo apatico del suo interlocutore ebbe un guizzo di stizza, per poi spegnersi immediatamente nella solita aria indifferente.

"Faccio finta di crederci, ma sappiamo tutti e due che non è così. Farò presente la cosa ai miei superiori, anche se so che la vostra posizione non cambierà, nemmeno se non dovessero essere d'accordo. Ho ragione?"

"Certo" gli rispose Yzak. "Quello è territorio di PLANT, sono io che comando e imbarco chi cazzo ne ho voglia. E, ora, possiamo passare ad altro?"



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C'era stato qualcosa in quella conversazione che era sfuggito ad Athrun. Al di là della sorpresa riguardo l'annuncio di Cal Payang, e alla prevedibile opposizione di Yzak, quello che davvero l'aveva stupito era che la controproposta dell'amico Comandante di ZAFT, ironica e precisa, era stata gettata sul tavolo fin troppo velocemente. Come se se la fosse preparata. Come se sapesse già tutto.

Athrun scrutò il volto soddisfatto di Yzak, uguale in tutto e per tutto a quello che gli aveva visto esibire qualche sera prima a casa sua, dopo che aveva incontrato da solo Nicol. Se al momento gli era sembrato strano che Yzak avesse deciso di passare una mezz'oretta con uno che non aveva mai fatto mistero di detestare, adesso la mossa gli era più chiara. E si ripromise di riparlarne con Yzak una volta terminata la riunione. Alla quale si sforzò di prestare attenzione.

L'albino Comandante si era alzato, e stava indicando qualcosa su una mappa olografica che mostrava la porzione di spazio dove presumibilmente avrebbero intercettato il satellite dei Nova.

"Che siano mercenari o truppe regolari di qualcuno dei nostri paesi a noi non cambia nulla. In ogni caso dovremo offrire supporto e fornire un credibile specchietto per le allodole."

"Di cosa parli?" lo interruppe subito l'euroasiatica.
"Dei mobile suit di Nova. Mentre la squadra di Serpent Tail fa irruzione nel satellite noi li terremo impegnati a distanza, facendogli credere che quello è l'attacco principale."

"E perché dovrebbe cascarci?"
Fu Sven che rispose. "Anche ammesso che si aspettino di essere localizzati così presto, non credo che pensino anche che qualcuno possa essere così folle da tentare un abbordaggio spaziale. È molto più facile che si attendano un attacco diretto con mobile suit."
"Sinceramente, è quello che avevo pensato anch'io."

"Ma chiaramente non ci sei arrivata che dobbiamo frugare nei loro database per avere le liste dei kamikaze" la interruppe Yzak. "Senza contare che ci tocca catturare quella feccia viva" aggiunse poi con un distinto tono disgustato.

Athrun corrugò le sopracciglia. Sì, per assicurarli alla giustizia l'abbordaggio era necessario, anche se la missione era potenzialmente suicida. Però, il modo in cui Yzak aveva pronunciato quella frase e, soprattutto, l'occhiata che aveva lanciato al collega americano, gli suggeriva che forse entrambi si stavano preparando a qualcos'altro. Raddrizzandosi sulla sedia, la bocca dello stomaco chiusa da una morsa, Athrun improvvisamente sentì che tutti i pezzi del puzzle andavano a posto. I più forti oppositori della proposta di Cagalli erano stati proprio PLANT e la Federazione Atlantica, doveva quindi stupirsi se avrebbero colto l'occasione per regolare i conti con Nova quando nessuno poteva vedere, se non professionisti pagati per liquidare i problemi altrui?

"E siamo sicuri che questi contractor siano qualificati per il lavoro?" stava chiedendo l'inviato dell'Est Asia.
Sven annuì. "Hanno selezionato i migliori per l'operazione. La squadra d'elite, come li chiamano loro. Ex-militari, e tutti Coordinator."

Athrun strinse i pugni e abbassò la testa, cercando di intercettare, senza riuscirci, lo sguardo di Yzak. Non aveva dubbi su chi sarebbero stati i mercenari incaricati.

Ma l'albino aveva già cambiato discorso.

"Bene. Torniamo al nostro problema principale. I Nova posseggono almeno cinque mobile suit. Non abbiamo dati precisi sulla loro potenza di fuoco, ma assumiamola per eccesso pari alle nostre unità di punta. Come sapete non possiamo lanciare un attacco su larga scala, visto che non abbiamo idea di chi tra le nostre fila possa essere un infiltrato dei terroristi. Dobbiamo quindi, purtroppo, nominare i componenti della divisione uno per uno tra persone di estrema fiducia. La maggior parte sarà comunque formata da membri della brigata internazionale, che ha già dato prova di fedeltà e che è già addestrata a lavorare insieme."

"Avremo bisogno di navi appoggio" chiese Chen. "Come giustificheremo la cosa agli equipaggi?"
"Con una delle solite esercitazioni congiunte."

"E non si insospettiranno a vedere tante facce così famose nel gruppo?" chiese l'orientale, facendo un cenno verso Athrun. Che si sentì immediatamente gli occhi di tutti addosso.

Scosse le spalle, tentando di mimetizzare il nervosismo. "Sarò discreto, lo prometto."

Un secondo dopo, il giovane Ammiraglio avvertì lo sguardo di Yzak perforargli la nuca come un laser chirurgico. "Cosa significa? Tu seguirai le operazioni da Orb."

"Non credo proprio. Non hai appena detto che la brigata internazionale farà parte dell'operazione? Quelli sono i miei uomini, è mio dovere guidarli."

Yzak socchiuse gli occhi in un gesto di irritazione poco contenuta.

"Manchi dai campi di battaglia da troppo tempo, Ammiraglio Zala."

"L'attacco non sarà comunque domani, ho tutto il tempo per rinfrescare la mia... preparazione." Athrun fissò duramente l'amico, come non succedeva da molto tempo. "Io sarò con voi, Comandante Joule. Non c'è nulla che tu possa dire per farmi cambiare idea. E sicuramente non puoi ordinarmelo."

L'occhiata che gli lanciò l'albino sarebbe stata sicuramente sufficiente a far gelare la superficie del Sole. Athrun fu certo che gli avrebbe fatto pagare quell'uscita, e così fu. Dovette solo aspettare che tutti lasciassero la sala riunioni.



L'impatto contro il muro gli mozzò il respiro. E Athrun fu catapultato indietro ad un certo periodo della loro turbolenta giovinezza, quando Yzak era solito trattarlo in quel modo al culmine dei loro litigi.

"Smettila, ti stai comportando come un ragazzino" mormorò con difficoltà, il colletto della giacca stretto convulsamente tra i pugni dell'albino. Gli afferrò i polsi nel vano tentativo di allentare la morsa, mentre Yzak gli urlava contro furibondo.
"Io? E cosa dovrei dire di te? Cosa ti è saltato in testa, ma sei idiota?"
"Non puoi impedirmi di guidare i miei uomini."
Yzak avvicinò pericolosamente il volto al suo, digrignando i denti dalla rabbia. Da quanto tempo non lo vedeva così? Eppure per un po' si era quasi convinto che Yzak avesse mitigato il suo pessimo carattere.

"Puoi farlo benissimo da qui."

"Dopo che i mobile suit saranno stati lanciati le comunicazioni verranno interrotte, non l'hai detto tu? Te lo ripeto, Yzak Joule, io non rimarrò a casa ad aspettare il vostro ritorno come una casalinga attende il marito partito per la guerra" gli disse Atrhun, alzando sensibilmente il tono di voce. Sapeva che per calmare l'albino mantenere un certo grado di freddezza era necessario, ma la sua compostezza si stava pericolosamente incrinando.

"E che altro credi di essere?" fu la sorprendente risposta dell'amico che, per buona misura, lo sbatté di nuovo contro il muro. "Hai una famiglia, porca puttana. Non sappiamo quello che ci aspetta lassù, sei fuori di testa se pensi che io voglia tornare da tua moglie a darle la notizia che è rimasta vedova."

Combattendo il dolore, Athrun fissò l'amico, lasciando cadere le mani che gli stringevano i polsi e rinunciando completamente a difendersi.

"Non capisco se ti stai preoccupando più per me o per Cagalli. O per te, forse? Immagino che la sua prima reazione sarebbe quella di prenderti a pugni. O forse pensi che la mia presenza possa minare la tua autorità?"

Yzak lo mollò subitaneamente, senza però spostarsi.

"Non dire cazzate, Zala" gli sibilò. "È stato già stabilito che, essendo il più alto in grado, sarò io a guidare l'assalto. La tua presenza o meno non cambia le cose. Ma tu non ti rendi conto di quello che affronteremo. Non sappiamo quanti sono, di cosa sono capaci né se davvero si lasceranno incastrare in quella trappola. E questi sono solo alcuni dei punti critici dell'operazione. Ma tu lo sai benissimo."

"Per questo ci voglio essere. Tu manderesti i tuoi in una battaglia dagli esiti così incerti guidati da comandanti che non conoscono?"

Yzak si raddrizzò in tutta la sua altezza, quasi torreggiando su Athrun. Era sempre stato più alto di lui e lo era rimasto, e se ne approfittava con soddisfazione quando ne aveva bisogno.

"Sì, se l'alternativa fosse di mettergli a capo qualcuno emotivamente instabile."

La risposta lasciò Athrun quasi senza parole. "Che stai dicendo?" borbottò, cercando di non lasciar trasparire quanto quell'uscita l'avesse turbato.

Ma Yzak aveva sempre avuto la strana capacità di accorgersi di quello che nemmeno lui osava confessare a se stesso, colpendolo dove gli faceva più male.

"Che me ne sono accorto non appena ho messo piede qui che gli attacchi di Nova avevano stuzzicato il tuo solito senso di colpa. Datti una svegliata, Zala. Le guerre di tanti anni fa non sono solo causa delle scelte sbagliate di tuo padre. E le conseguenze non ricadono solo sulle tue spalle. Quanto meno, siamo tutti coinvolti."

"Appunto. Anche tu stai prendendo la questione molto sul personale" gli rinfacciò Athrun.

"Quei bastardi hanno ucciso i miei uomini, ti pare che li possa perdonare?"

"Se è per quello hanno fatto lo stesso con i miei concittadini. E sono una minaccia diretta alla mia famiglia. No, Yzak, non posso tirarmi indietro. Ma perché te ne lamenti? Finalmente mi avrai ai tuoi ordini, non ne sei felice?"

Nei secondi di silenzio che seguirono Athrun osservò l'espressione di Yzak farsi ancora più cupa, segno che aveva definitivamente perso le speranze di convincerlo. Non seppe se rallegrarsene o meno; sarebbe stato sotto il suo diretto comando per abbastanza a lungo da consentire all'albino di farlo pentire di quel colpo di testa.

"Stronzate. E credi che me ne freghi davvero di te? Tutto quello che mi interessa è che tu non sia di intralcio a questa missione. Come ci siamo detti, l'attacco è previsto tra venti giorni. Hai due settimane di tempo per prepararti, poi verificherò personalmente le tue capacità. Se fallirai il test potrai piangere quanto vuoi, ma stai sicuro che ti rispedirò a pedate da tua moglie."

Finalmente un sogghigno soddisfatto rischiarò in parte l'espressione burrascosa di Yzak. Che, avendo messo le cose in chiaro, si girò per andarsene. Athrun lo bloccò per un polso.

"Aspetta un attimo. Spiegami la faccenda di Serpent Tail. Perché li hai coinvolti?"
"Io? Guarda che sono stati quelli della Federazione ad ingaggiarli."

"Ma non mi venire a dire che tu non lo sapevi. Non ci sarebbe stato altro motivo per avvicinare Nicol l'altra sera. Non credo ti interessasse davvero chiacchierare con lui. Cosa volete fare? Trasgredire gli ordini del Consiglio di Sicurezza di catturare i terroristi vivi?"

Yzak lo guardò, liberandosi con un gesto blando il polso. Spese qualche secondo a sistemarsi l'uniforme prima di rispondere.

"Non mi piace mentire ai miei amici, Athrun. E so che nemmeno tu vorresti farlo con Cagalli. Quindi entrambi faremo finta che tu non mi abbia mai chiesto niente. Quanto a Nicol, sì, ammetto di avergli proposto la stessa cosa della Federazione, ma loro sono arrivati prima."

D'istinto, Athrun colpì il muro, mentre lo sconforto e una evanescente traccia di paura si facevano strada in lui. Condivideva l'idea di Cagalli. La riteneva giusta, anche se non poteva esimersi dal trovarla anche imprudente. E lo straziava il pensiero che vi fosse implicata la persona che mai più avrebbe voluto sapere in pericolo.

"È una follia. Un suicidio."
"Lo sarebbe ulteriormente se gli chiedessimo di riportarceli vivi."

"Non è questo il punto" proferì precipitosamente e sentì, come prima, lo sguardo di Yzak scandagliarli l'animo.

"E allora qual è, Athrun? È un problema di coscienza? Come a Cagalli ti ripugna ammazzare quei bastardi? Beh, fattelo passare, lei è un politico e si può permettere di dire certe cose. Anzi, è anche suo dovere imporre dei limiti morali. Mentre tu sei un militare. Lo sai benissimo cosa è necessario fare perché questa follia finisca, non è vero?"

Le parole di Yzak, logiche e spassionate, lo inchiodarono al suo posto, mettendo a nudo, ancora una volta, tutti i suoi dubbi.

"Sì. Ovviamente" rispose con sincerità. Poi distolse gli occhi, incapace di confessare davvero tutto quello che lo attanagliava. Ma Yzak ci arrivò lo stesso.

L'albino scosse la testa, allontanandosi da lui per spegnere il suo laptop e riporlo nella sottile custodia. Se lo mise sotto braccio, squadrando le spalle e lanciandogli un'ultima occhiata. Non era più adirata. Stavolta, anche il fiero Comandante Joule sembrava avere qualcosa che lo angustiava.

"E se invece ti turba che Nicol parteciperà al blitz, beh, credo proprio che tu non abbia niente di cui preoccuparti. Tra di noi, è quello che ha più probabilità di tornare a casa tutto intero. Quanto meno, lui ha pezzi che possono essere sostituiti."

Era vero. Ma che succedesse qualcosa ora all'amico pianista era un pensiero intollerabile per Athrun. Il loro rapporto era cambiato, il ragazzino spensierato che lui ricordava era cambiato, ma gli pareva che la loro amicizia, pur svanita quell'adorazione che Nicol aveva provato per lui a quindici anni, stesse diventando davvero salda. Lui non poteva perderlo adesso. Non quando sentiva di avere ancora troppo da farsi perdonare.

Yzak, che non aveva mai smesso di fissarlo, finalmente si avviò verso la porta. "Altro che di lui, di me dovresti essere preoccupato, brutto bastardo che non sei altro. Dovesse capitarti qualcosa, Amalfi mi strapperebbe gli arti per non averlo saputo impedire. Scommetto che non aspetta altro, quell'infida troietta. Quindi vedi di impegnarti in questi giorni. Anche se" aggiunse con un sogghigno e un'ultima occhiata ironica sopra la spalla, "dubito fortemente che ce la farai. È una sfida, va bene?"

Marciando fuori, Yzak Joule chiuse con un tonfo la porta della sala riunioni dietro di sé, lasciando solo Athrun. Che crollò pesantemente su una poltroncina, cominciando mentalmente a pianificare la sua preparazione. La sua motivazione a partecipare all'operazione aveva ricevuto un nuovo impulso; non avrebbe mai lasciato vincere Yzak, anche a costo di esercitarsi giorno e notte.



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"Ahi! Fa male!" ululò Miguel, sottraendosi alle cure di Nicol. Che lo guardò, l'aria più innocente del mondo dipinta in faccia, mentre con una mano sollevava delle forbici e con l'altra del disinfettante spray.

"Lo so che brucia, ma la ferita va sterilizzata prima di applicargli la garza. Fidati, studio medicina."

"'Fanculo, so che lo stai facendo apposta a torturarmi. Dai qua e fila via, mi inquieti con quell'attrezzo in mano."

Gli prese le forbici e Nicol, l'aria vagamente offesa, si alzò dalla sedia a sdraio trasformata provvisoriamente in tavolo operatorio.
"Andiamo anche noi" gli disse Cecilia, che era rimasta ad osservare tutta l'operazione estremamente interessata, insieme a Lorran. "Tanto mi pare che il dottore non abbia più bisogno delle infermiere, vero? Tu fa' le cose per bene, Miguel, e attento a non farti andare il braccio in cancrena."

"Ti piacerebbe, eh?" mormorò lui all'indirizzo della donna, per poi adocchiare con sospetto la ferita sull'avambraccio che Nicol gli aveva ricomposto con della colla per suture. In un paio di giorni sarebbe guarita, ma non era certo che non gli sarebbe rimasta la cicatrice.

"Ma quanto sei simpatico…" gli rispose Cecilia, andandosene e trascinando via con sé anche Lorran, che gli fece un bambinesco gesto di saluto con la mano. A Miguel sembrò una presa in giro.

Al termine del loro pericoloso gioco la ragazza l'aveva agguantato giusto in tempo perché non rotolasse giù dalla scogliera, ma nel frattempo era già caduto un paio di volte sulle rocce scabre facendosi quella e un'altra ferita meno severa. Si sentiva a pezzi. Decisamente era troppo fuori forma per fare cose del genere.

"Che due stronze…"
Il biondo mercenario tagliò con cura la garza adesiva, però era difficile applicarla con un braccio solo; dopo qualche momento Nicol decise di aiutarlo.

Miguel lo osservò adagiare con cura la medicazione sopra la ferita.

"Ce l'avete ancora con me?" gli chiese a bruciapelo.

Il giovane rispose senza alzare la testa, prestando invece la massima attenzione a quello che stava facendo.

"No, figurati. Lo so che ho sbagliato io."

Miguel gli guardò le mani, affascinato dai gesti precisi che riuscivano a fare. Quanti anni c'erano voluti a Cecilia e agli altri scienziati per sviluppare dei software che replicassero in maniera identica tutte le possibili varianti dei movimenti umani, costruendo supporti hardware che fossero l'esatta replica di normali arti? Era stupefacente che fossero stati progettati da Natural; e sì che quando era giovane pensava che fossero tutti delle rozze scimmie.

Si accorse che Nicol lo stava fissando, gli impianti oculari mascherati da lenti color ambra che da un po' portava quasi sempre.

"Mi stai per dire che ti dispiace del casino che hai combinato?" gli chiese Miguel, ma l'ex-pilota scosse le spalle.

"No, avete sbagliato anche voi. Quindi siamo pari."

A Miguel venne da ridere ma si trattenne. Nicol aveva sempre avuto un certo caratterino al di là dei suoi modi amabili, che con il tempo era diventato ancora più saldo. D'altronde, lui sapeva benissimo che se il giovane Amalfi non avesse avuto anche una forza d'animo incrollabile oltre ai dolci sorrisi, non sarebbe mai uscito sano di mente da quello che gli avevano fatto i Logos. Né La Kleuze l'avrebbe mai voluto nella sua squadra. Miguel aveva immaginato che non gli avrebbe fatto passare liscio quell'accordo con i federali, e adesso forse gli sarebbe rimasta una bella cicatrice a ricordarglielo per sempre.

Il biondo annuì, abbandonando la sdraio e spingendosi fin sul bordo della piscina. Il sole quasi al meriggio si specchiava sulla superficie rotta da onde leggere, disegnando morbidi cerchi di ombre sul fondo.

"Va bene, è comunque andata. Yzak ha risolto tutto, e ha avuto i suoi cinque minuti di gloria a prendere per il culo i federali. Ma adesso pensiamo alla missione."

Miguel avvertì la presenza di Nicol accanto a sé, e si voltò a guardarlo.

"Non sapendo il codice non abbiamo idea di quali erano i precedenti proprietari di quell'affare, e non conosciamo le planimetrie. Quindi sarà un'operazione fondamentalmente alla cieca."

"Possiamo avere mappe di qualcosa di simile?"

"Sì, le stanno raccogliendo e mi arriveranno nel pomeriggio via email. Satelliti simili esistono in tre o quattro varianti, non è poi così male."

"No, anche se potrebbero averci fatto delle modifiche. Ma non dovrebbe essere un problema."
Miguel annuì. Se c'era una cosa che apprezzava di Nicol era il suo essere propositivo e fondamentalmente ottimista sulla riuscita delle operazioni.

Il giovane incrociò le braccia al petto, inclinando la testa da un lato. "Da chi sarà composta la squadra?"

Miguel prese un bel respiro prima di rispondere, preparandosi a delle nuove proteste. Come coordinatore spettava a lui selezionare gli STORM che avrebbero partecipato al raid, ma era sempre stato disponibile a consultarsi con il capo missione; quella volta non avrebbe costituito un'eccezione, eccetto che per la presenza di una persona sulla quale non voleva sentire storie.

"Sarete in nove, compresa Lorran. A te il comando. Adesso sto morendo di fame, lasciami mettere qualcosa sotto i denti e poi ci possiamo vedere per discuterne. L'unico che esigo che sia nel team è Alpha."

All'udire il nome Nicol non manifestò nessuna sorpresa, e suoi occhi rimasero fissi su Miguel che, da un momento all'altro, si aspettò di essere scaraventato in piscina.

"Perché?" gli chiese il giovane.

"Non sappiamo quello che vi aspetta là sopra, e sai benissimo che le capacità di Alpha completano le tue e quelle di Lorran. Vi sarà utile."

"È un macellaio" gli rispose Nicol immediatamente. E in quella parola giaceva tutto il disgusto che il pianista provava per il compagno STORM.
Miguel non riusciva del tutto a dargli torto, sapendo chi era il Coordinator: un uomo dai modi bruschi, che del suo passato aveva rivelato solo che si era arruolato in ZAFT perché disprezzava profondamente i Natural e voleva ucciderne il più possibile. Niente di più, e niente di meno. Alpha era uno di quelli che aveva richiesto di essere trasformato in un Nexus, e i militari dell'Alleanza che gliel'aveva concesso ne erano stati compiaciuti fino a quando non aveva strappato loro il cuore a mani nude.

Ricordando tutto quello che riguardava il pericoloso individuo, Miguel distolse lo sguardo da Nicol.

"Lo so, ma potresti avere bisogno di uno come lui" insistette.

"Pensi che mi mancherà il coraggio, una volta lassù?"

"No. So che ci si può fidare di te, ma nemmeno tu sai quello che vi aspetta. Consideralo un'assicurazione... nel caso non te la sentissi di fare del lavoro particolarmente sporco." Un lieve sorriso toccò le labbra del biondo mercenario, che decise di essere totalmente sincero con il giovane, sperando che anche lui lo fosse altrettanto. "Nicol. L'hai sentita anche tu la confessione di quel tipo. Credi che non mi sia accorto di come lo guardavi mentre piangeva raccontando del suo passato? Questa volta c'è una differenza rispetto ai lavori che avete fatto in passato."

L'amico sembrò elaborare il concetto, mentre abbassava gli occhi e si metteva le mani in tasca. "Lo so" disse. "Ma ti stai dimenticando che, tra tutti quei lavori, c'è n'è stato anche qualcuno che non sono propriamente orgoglioso di aver portato a termine. Quando eravamo con i Logos non ci hanno mai dato nessun scelta."

Miguel non si lasciò convincere. "Lo so. Ma stavolta una scelta ce l'avrai, capisci perché mi preoccupo?"

"Non devi. Io farò la cosa giusta, te l'assicuro" pronunciò Nicol con decisione. Poi tornò a guardarlo, con un'occhiata di sbieco assolutamente asettica. "No, anzi. Farò quello che bisogna fare."

"Lo so, altrimenti non ti vorrei a capo della squadra. Non ci possiamo permettere di fallire."

Sorridendo, Miguel mise cameratescamente un braccio attorno alle spalle di Nicol, avvicinando il volto al suo.

"E tu" gli disse a voce bassa, da cospiratore. "Immagino che non vorrai fare brutta figura davanti a Yzak e al tuo amichetto Athrun, non è vero?"

Che l'avesse punto sul vivo, Miguel lo capì dal modo in cui Nicol corrugò le sopracciglia. Anche se erano passati anni, il giovane era ancora piuttosto suscettibile quando gli venivano ricordate tutte le volte in cui Yzak l'aveva preso in giro, e Miguel era certo che il pianista non vedesse l'ora di mostrare all'odiato Joule, e al suo idolo di allora, quanto era diventato bravo a fare certe cose. Nonostante proclamasse il contrario.
Stringendo le labbra, Nicol si sfilò elegantemente dal suo abbraccio, allontanandosi di un passo.

"Come se volessi farmi bello davanti a loro con una cosa del genere" gli disse, abbastanza prevedibilmente per Miguel.

"Lo so, mi hai già detto come la pensi un migliaio di volte. Però, sai, si può dire lo stesso di Alpha, non credi?"
"Cosa intendi?"

"Che mi fa ridere vedervi insieme. Battibeccate in un modo che mi ricorda molto quello che succedeva tra te e Yzak. Anche ad Alpha hai qualcosa di dimostrare, non è vero?"
Stavolta, Nicol sbatté le palpebre confuso, e Miguel poté quasi vedere le sue sinapsi che compivano tutti i collegamenti necessari.

Un istante dopo, il giovane ritornò ad incrociare le braccia, indispettito. "Cazzate. Yzak Joule non ha niente di quel mostro. Quando mi dava del vigliacco in realtà… voleva solo inculcarmi un po' di sale in zucca!"

Miguel sollevò un sopracciglio e assunse un'aria talmente beffarda davanti a quella precipitosa uscita che Nicol preferì guardare altrove, il lieve rossore sulle guance chiaro indicatore dell'imbarazzo suscitato per essere stato indotto a difendere Yzak.

"Va bene, fai quello che vuoi" concluse con tono ostinato. "Ma ricordati che se quello fa qualche stupidaggine Lorran lo spara fuori dalla prima chiusa d'aria che trova. Lo sopporta meno di me."

"Va bene, ne prendo atto. Ma tu saresti d'accordo?"

Nicol non ci pensò nemmeno un istante. "Stai certo che le darò una mano."

Stavolta, il biondo Miguel rise sonoramente. Per lui un po' di competizione era estremamente sana nel gruppo; e finalmente non ebbe più alcun dubbio che i suoi ragazzi avrebbero fatto un ottimo lavoro.



___________________________



Stavolta il grazie a Shainareth è un po' particolare, visto che non la devo solo santificare per il suo lavoro di betaggio ma anche per il conforto prestato in una certa occazione. Erhmm... sì, non scendo in particolari ma, a volte, la democrazia non paga per i grandi uomini :(

SnowDra1609 Comincio da te e intanto ti faccio i miei più sentiti complimenti per la promozione! Goditi le vacanze ^^ Quanto al tuo commento... uhm... non so perché ma immaginavo ti sarebbe piaciuta la prima parte :) Grazie comunque, che suonasse un po' come un affaraccio di mafia era proprio lì dove volevo andare a parare. LOL! Un fan di Lacus? E adesso che faccio? Il sondaggio visto che c'è anche qualcuno che la vuole morta?
Gufo_Tave XD povero Yzak-Paperone! Anche se io me lo vedo un po' di più come Scrooge. Che ne dici? Secondo me invecchiando... ;)
MaxT Ed ecco qua la spiegazione sul perché i federali non hanno diviso costi e onori. La prima cosa l'avrebbero fatta volentieri, ma avrebbe poi anche dovuto dividere gli allori. E ovviamente ha giocato anche l'avidità del contatto nel Governo americano. Meno pagava la sua Amministrazione meno soldi lui si intascava. Davanti a certe cifre, secondo me gli uomini possono diventare molto convincenti :)
Kourin Grazie come sempre del graditissimo commento! Mettere Yzak e Nicol nella stessa stanza senza che si accapigliassero troppo è stata un'impresa sovrumana, sono contenta che sia stata interessante. Lacus Clyne ha sempre ragione... temo di sì. E mi fa paura!
Hanako_chan Ovviamente Matilda è l'Haruka della CE! XD Le assomiglia anche, nella mia mente bacata. Anche se il nome e il cognome li ho presi da due personaggi delle serie ambientate nella Gundam UC. Ho già scritto che non so inventarmi niente? ;)

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Capitolo 13
*** Diva ***


Diva



Orb, 25 aprile, 82 CE


C'aveva messo due giorni a decidersi in che modo affrontare Cagalli ma, alla fine, Athrun aveva realizzato che non ci sarebbe stato modo di indorarle la pillola, e stava oltretutto perdendo tempo prezioso che avrebbe dovuto utilizzare per prepararsi adeguatamente allo scontro con Yzak, visto che non poteva certo uscire di casa di nascosto come un tredicenne o nascondere i manuali tecnici sotto il letto.
Aveva quindi stabilito di dare all'annuncio tutta l'ufficialità del caso, prendendo un appuntamento formale tramite la segretaria di sua moglie.

Seduto in trepida attesa sull'orlo di uno dei divani della sala d'aspetto, si godette le sbirciate inquisitorie della donna, che lo scrutava divertita tutte le volte che gli passava davanti.

Nel tentativo di eludere il suo sguardo, perché sapeva che prima o poi gli avrebbe chiesto il perché di quella sceneggiata, Athrun spostò gli occhi sul dipinto che campeggiava al centro della parete dinanzi a lui e che ritraeva il padre di Cagalli, il precedente sovrano dell'Emirato.

Uzumi Nara Attha sembrò fissarlo, severo e retto come era stato in vita, e Athrun si vergognò per l'esitazione che lo stava tormentando. Tante volte si era chiesto se il Leone di Orb avrebbe approvato l'unione tra lui e l'adorata figlia, e non sempre si era dato una risposta positiva; quella volta, però, era sicuro che se Uzumi fosse stato in vita avrebbe capito il suo desiderio di scendere di persona sul campo di battaglia. Proprio lui aveva spinto Cagalli a rendersi conto di prima mano di cosa voleva dire mettere a repentaglio la propria vita per quello in cui si credeva, e di avere il coraggio di sporcarsi le mani e di prendersi la responsabilità delle proprie azioni. Ed era proprio quello che voleva fare Athrun mettendosi di nuovo ai comandi di un mobile suit.

Quindi, sicuro di accingersi a quell'impresa con la benedizione del Leone di Orb, quando la segretaria lo chiamò Athrun Zala fece un impercettibile cenno con il capo verso il dipinto, prima di alzarsi e di dirigersi verso l'ufficio di Cagalli.



-------------

In realtà, Cagalli sapeva, da quando Athrun aveva richiesto l'appuntamento, che desiderava discutere di qualcosa ma, visto che sembrava una cosa ufficiale, aveva accuratamente evitato di parlarne con il marito a casa. Però, non aveva potuto far a meno di notare quanto fosse cupo e teso in quegli ultimi giorni.

Si meravigliò quindi che l'espressione del Coordinator sembrasse come rischiarata, quando lo vide entrare e camminare deciso verso la sedia posta dall'altra parte della scrivania. Cagalli si rese conto che Athrun aveva intenzione di rispettare le regole fino in fondo quando si portò la mano tesa alla fronte, attendendo il suo permesso prima di sedersi.

"Delegato Attha" pronunciò impeccabile.

Sospirando silenziosamente la giovane si alzò, dandogli il benvenuto a sua volta con un perfetto saluto militare.

"Ammiraglio Zala, prego, si accomodi" lo invitò a fare, scrutando il suo volto e il leggero sorriso che ingentiliva le labbra del marito.

Ma, una volta seduta al suo posto, Cagalli non riuscì a mantenere ancora quel distacco formale. C'era qualcosa che Athrun le stava nascondendo, e doveva essere piuttosto grave se il marito aveva deciso di affrontarla a quel modo.
"Athrun" gli chiese, afferrando il coraggio a due mani e imponendosi di non lasciarsi subito prendere dall'ansia e dall'ira. "Che sei venuto a chiedermi?"

Il sorriso di lui scomparve istantaneamente, sostituto da un'espressione alquanto decisa.
"La tua autorizzazione ufficiale a partecipare all'operazione Shooting Star."
Sperandolo, Cagalli cercò negli occhi di Athrun il minimo segnale di incertezza, sapendo che poteva fare leva su quello per scalzare quell'idea assurda dalla testa del giovane, ma la sua ricerca diede esito negativo. Anzi. Era da quando era cominciata quella brutta storia che non vedeva Athrun così deciso. Tutte le sue paure cominciarono a concretizzarsi.

"Perché? La tua presenza non è assolutamente necessaria" esplose, cercando di chiudere da subito la porta ad ogni rimostranza.

"E' stato richiesto l'ingaggio della brigata internazionale. Cagalli, non ho nessuna intenzione di lasciar andare i miei uomini soli sul campo di battaglia."
"Kyrie Petrescu ti sostituirà egregiamente" ritorse la moglie, riferendosi al secondo in comando dell'Ammiraglio.

Ma Athrun scosse la testa. "Il Colonello Petrescu è un ottimo ufficiale, ma per nessuna ragione le posso lasciare il comando. Non quando gli altri componenti della task force guideranno personalmente i propri uomini."

"Che stai dicendo, Athrun? Ne stai facendo una questione di immagine?"

Era certa che non fosse così; anzi, se la ragione fosse stata così mondana avrebbe addirittura avuto la certezza di riuscire a convincerlo. Ma sospettava che non le sarebbe andata così bene.

Lui le confermò la cosa con un netto diniego.
"Assolutamente no. Ma sarebbe un pessimo segnale di sfiducia verso i ragazzi, e la riuscita dell'operazione, se li abbandonassi al loro destino standomene al sicuro nella stanza dei bottoni."

"E non è quello che hai fatto negli anni scorsi? Athrun Zala, è da tempo che ti occupi solo di incarichi amministrativi e di pianificazione strategica. Non mi ricordo nemmeno più da quanto tempo non entri in un simulatore."
"Ma manovrare un mobile suit è un po' come nuotare, una volta che hai imparato non lo dimentichi più" le rispose lui, condendo la frase con un sorriso innocente.

Cagalli ne ebbe abbastanza.

"Non dire sciocchezze" urlò, scattando in piedi e facendo quasi rovesciare la sua poltrona. Si portò dall'altra parte dell'ampio tavolo e afferrò il polso del marito.
"Usciamo di qui."

Lui scoppiò a ridere. "E io che avevo preso un appuntamento serio."

"Lascia perdere, ho bisogno di aria."

Lo costrinse ad alzarsi e a seguirlo fuori, marciando tutta compunta davanti alla segretaria, che la gratificò con un sorriso di incoraggiamento. Oramai, meditò Cagalli, la povera donna doveva avere perso il conto di tutte le volte che aveva visto i due bisticciare.



Il giardino della palazzo presidenziale di Orb non era ampio, ed era tenuto il più possibile al naturale, come piaceva alla Principessa, curato quel tanto che bastava per permettere agli eventuali ospiti di passeggiare comodamente tra i cespugli di salvia argentata e di ginestra, ma senza fargli assumere un aspetto troppo ingegnerizzato. Un alto muro celato dietro a delle siepi lo nascondeva alla vista degli esterni.

Cagalli amava passeggiarvi quando era nervosa, come aveva fatto suo padre prima di lei; anche se, rispetto a quando il Leone di Orb era ancora vivo, il giardino era molto più piccolo, assediato dai palazzi di ministeri che, durante la ricostruzione e negli anni successivi, erano stati innalzati sempre più vicini all'edificio che ospitava il Governo di Orb.

Anche quella volta, la giovane sentì l'irritazione sbollire mano a mano che si inoltrava tra i freschi vialetti, bordati di pietre muschiate. Il marito la seguiva da vicino, senza fiatare. Lo condusse nel posto che al momento era il suo preferito sull'isola, una colonna che anni prima un audace glicine aveva eretto a sua dimora, e ricoperto di tralci. In quei giorni era in fiore, e a Cagalli bastava un'occhiata ai suoi grappoli violacei per rasserenarsi.

Era quindi tornata sostanzialmente tranquilla quando si volse ad affrontare di nuovo Athrun.

"Perché mi vuoi dare questa preoccupazione?" gli chiese senza mezzi termini, affondando gli occhi ambrati nei suoi.

"Te l'ho detto. Non posso abbandonare i miei uomini, è una responsabilità che mi sono preso, quella di addestrarli. E ora è mio compito guidarli fino alla fine."

Lei scosse la testa. "Oh, avanti. Nessuno di loro si stupirebbe se lasciassi l'incarico operativo alla Petrescu, non l'hai selezionata per quello? Dimmi la verità, Athrun, è per non fare brutta figura nei confronti di Yzak? Quello scemo ti ha forse accusato di essere un codardo se non ti getterai a capofitto in questa stronzata?"

Conoscendo come la pensava il Comandante Joule su quel punto, Cagalli ne era quasi sicura. Contrasse i pugni, come se si volesse preparare a picchiare l'albino. E gli avrebbe certo tirato un cazzotto se in quel momento l'avesse avuto davanti.

Ma Athrun smentì le sue supposizioni scuotendo la testa.

"No, Cagalli. Non lo faccio per lui o per nessun altro, e di certo non per stupidi sentimenti di orgoglio o di vendetta."

"E allora?"

"Se tu fossi al mio posto te ne rimarresti nelle retrovie? Dov'è la donna che undici anni fa lasciò la sua casa per andare a combattere con i miliziani?"

"Ero una ragazzina, Athrun, senza alcuna responsabilità. Non fare paragoni inesistenti. Tu sei un padre di famiglia, una colonna del nostro stato, cosa farei senza di te?"
Cagalli si mise la mano davanti alla bocca. "Se ti capitasse qualcosa con che coraggio guarderei in faccia le nostre figlie?"

"Incredibile, siete tutti preoccupati di come altri potrebbero reagire alla mia dipartita" le rispose Athrun.
"Cosa?"

"Anche Yzak ha insistito perché io non partecipi. Mi ha quasi picchiato, sostenendo che non se la sentirebbe di affrontarti semmai... beh..."

"E non ha tutti i torti" gli sibilò la giovane, constatando con piacere che Yzak, in quel frangente, non si stava dimostrando il solito stolto impetuoso.

Osservò Arthun scuotere di nuovo la testa, come se rassegnato. "Ha detto che vuole verificare di persona la mia preparazione. E stai certa che non me ne andrò di qui se non ne sarà soddisfatto."

"Ne parli come se ti avessi già dato il permesso."

"Sai bene che, avendo ieri il Governo promulgato lo stato di guerra, non ne ho formalmente bisogno."

"E allora perché questa sceneggiata?"
"Perché a me serve la tua benedizione. Non come ufficiale di Orb, ma come persona della quale ti fidi. Voglio andare, Cagalli. Lo sappiamo tutti e due il perché quella gente è stata spinta sulla strada di questa folle vendetta; non mi sento di lasciare totalmente ad altri l'osceno compito di..."

Il giovane si interruppe, serrando le labbra, ma Cagalli non ebbe difficoltà a completare quello che gli stava sfuggendo.

Fissò lo sguardo nei suoi occhi e, come aveva previsto, vi lesse solo una gran pena. Fu quello che finalmente la convinse. Il figlio di Patrick Zala non aveva mai lasciato ad altri l'onore di correggere gli errori della sua gente e del suo stesso padre, e lei non poteva sperare che quella volta sarebbe stato diverso. Cagalli si poteva solo augurare che fosse l'ultima.

"Hai ragione" gli disse. "Tu non hai nessun bisogno del mio permesso come Delegato, ma giurami che farai di tutto perché la risoluzione del Consiglio di Sicurezza che io ho voluto venga rispettata. Questo me lo dovete, tutti voi. Anche se nessuno è d'accordo."

Cagalli ne era ben consapevole. Athrun gliel'aveva fatto presente subito che era militarmente un azzardo catturare vivi i terroristi, e aveva cercato di convincerla, ma almeno su quello lei non poteva accontentarlo. Non senza rinnegare le sue più profonde convinzioni.
Qualcosa passò sul volto del marito, che si rabbuiò e, per un attimo, Athrun distolse lo sguardo da lei. Ma non cercò di nuovo di convincerla, e lei gliene fu grata.

Poi il giovane squadrò le spalle, assumendo un'aria decisamente più solenne.

"Me ne accollerò tutte le responsabilità, se l'operazione non dovesse avere il fine voluto dal Consiglio di Sicurezza."

"Ti prendo in parola, Ammiraglio Zala" gli rispose lei, altrettanto formalmente.

La tensione fu spezzata da un sorriso che sbocciò sulle labbra di Athrun. Che le si avvicinò, mettendole le mani sulle spalle e abbassandosi per sfiorarle la fronte con un bacio.

"Andrà tutto bene, non hai nulla di cui preoccuparti."

Senza resistere Cagalli si lasciò abbracciare, passandogli le mani attorno alla vita e aspirando profondamente l'aria profumata dai fiori del glicine.

"Questo non lo so. Comunque sia chiaro, hai la mia benedizione, ma scordati di dividere il letto con me fino al rientro dalla missione."

"Ma come?" le fece Athrun, contrariato.

Lei si mise a ridacchiare, sciogliendosi dall'abbraccio. "Non hai detto che ti devi preparare? Quindi non voglio rappresentare nessuna distrazione. E nemmeno le bambine. Scordati di giocare con loro e pensa a studiare."

Non restò ad ascoltare la sua prevedibile protesta, ma lo lasciò sotto il glicine a meditare. "E adesso vado, sto facendo aspettare l'Ambasciatore dell'Eurasia."

Cagalli marciò via, con il cuore greve nonostante l'aria sbarazzina che si era imposta di mostrare ad Athrun e al mondo. La cosa peggiore è che avrebbe dovuto fingere una tranquillità che non provava ancora per troppe settimane.



-------------

Era andato tutto fin troppo bene. Quasi, Athrun non poteva crederci di essersela cavata con così poco.

Sovrappensiero, alzò la mano per sfiorare un grappolo di fiori.

Orb era un'isola stupenda in ogni stagione, ma soprattutto in quella. E mentre l'anno prima, in quello stesso periodo, lui aveva passato le serate a cenare con Cagalli circondati dal dolce profumo dei fiori, litigando sui nomi da dare alle figlie che stavano per arrivare, da quel giorno avrebbe dovuto dedicarsi a ben altre attività.

Poi se lo ricordò. A parte tutto, lui aveva una sfida con Yzak Joule da vincere.

Sorrise sicuro di sé, come non si sentiva da tempo, afferrando il telefono per prenotare uno dei simulatori di volo della base militare. Non poteva assolutamente fare brutta figura.



Orb, 28 aprile, 82 CE


Erica Simmons osservò con distacco il grosso aereo da trasporto rollare sulla pista dell'aeroporto militare di Orb. Il velivolo, che trasportava il gruppo di Coordinator di Serpent Tail ingaggiati per la missione contro Nova, era atterrato da pochi minuti e si stava lentamente avvicinando all'hangar dove lei, Cecilia, e gli altri tre componenti dell'organizzazione mercenaria già sull'isola, erano in attesa.

Yzak Joule aveva preteso di conoscerli prima della missione, e Erica non poteva dargli torto. Neppure lei riponeva la massima fiducia in gente la cui lealtà cambiava a seconda della cifra offerta, ma si rendeva conto che i mercenari su quell'aereo rappresentavano una certa eccezione.

Erano tutti reduci del progetto STORM, e uno addirittura un Nexus. Un compunto Miguel Ayman, che finalmente Erica aveva avuto il piacere di conoscere, le aveva spiegato che per quella missione non potevano impegnare niente di meno.

La donna scrutò i volti dei presenti, tentando di indovinarne i pensieri. Con Nicol e Lorran era quasi impossibile, anche se il modo in cui tutti e due fissavano in modo poco amichevole l'aereo in avvicinamento forse significava che non erano del tutto felici di incontrare i propri compagni. Miguel sembrava divertito, mentre l'unica palesemente impaziente era Cecilia.

Erica l'aveva vista così eccitata solo quando chiacchierava di qualche nuova scoperta.

La scienziata muoveva la testa in su e in giù, e sembrava addirittura canticchiare qualcosa.

"Non vedi l'ora che quello sportello si apra, vero?" le disse a bassa voce e, Cecilia, nel lanciarle un sorriso smagliante, le fece un profondo segno di assenso con la testa.

"Sì, è da molto che non incontro qualcuno di quei ragazzi. Ci teniamo in contatto ma, oramai, se non hanno problemi particolari la loro manutenzione ordinaria è affidata allo staff di Serpent Tail e io non li vedo quasi più."

Erica sorrise. Avrebbe ritenuto quasi inquietante la passione con la quale la giovane parlava degli STORM, se non avesse oramai capito che Cecilia Jesek era una donna alquanto particolare.

"Cambierà tutto in futuro" la rassicurò. "Il Governo di Orb ha deliberato che possiamo proseguire la nostra collaborazione e, nei prossimi giorni, il Consiglio di Amministrazione ratificherà la tua assunzione. Ovviamente non ci sarà nessun contratto formale tra noi e Serpent Tail, ma i tuoi ragazzi potranno contare sulle nostre strutture per la loro... manutenzione."

Erica esitava ancora ad usare quel termine per riferirsi a degli esseri umani, ma Cecilia non sembrava avere nessun problema in tal senso.

"Ne saranno felici. I mercenari ci hanno messo negli anni a disposizione tutto quello che ci serviva, ma è diverso lavorare con dei veri professionisti e in un centro attrezzato."

"Stai certa che avremo molta cura dei tuoi amici" rispose Erica, incuriosita dal fatto che la scienziata sembrava riferirsi a se stessa e agli STORM come ad un gruppo totalmente separato e autonomo rispetto a Serpent Tail. "Tu li conosci tutti benissimo, vero?" le chiese, cercando di scoprire di più.

"Ovviamente. Ho lavorato su tutti loro, anche se è Alpha quello che ha subito le modifiche più radicali."

"Modifiche? Non ricostruzioni?" indagò, sapendo quanto Cecilia fosse precisa nell'uso dei termini.

"No. Vedi, Alpha non ne aveva bisogno. Aveva perso le gambe a seguito di uno scontro in volo tra il GINN che pilotava e un caccia dell'Alleanza, ma quando ci arrivò non era nemmeno in pericolo di vita. Lo volevano usare come cavia esclusivamente per il suo fisico resistente, ma in realtà lui non era stato selezionato per il sub-progetto Nexus."

"E quindi?"

"Ci chiese di diventarlo, e la Commissione diede parere positivo."

Erica corrugò le sopracciglia, momentaneamente confusa. Sapeva che Lorran e altri avevano chiesto dei miglioramenti, ma non sapeva che qualcuno di quelli si fosse consapevolmente fatto espiantare organi e arti sani per sostituirli con corrispettivi sintetici.

"Ti vedo perplessa" continuò Cecilia. "Ma non te l'avevo forse detto che i militari se l'erano aspettato? Lui voleva semplicemente essere il più forte di tutti. Per questo si chiama Alpha. Perché è stato il primo a voler consapevolmente diventare un Nexus. Il mio primogenito."

La spiegazione lasciò Erica a disagio. Fissò Cecilia, che sorrideva compiaciuta e chiaramente al settimo cielo.

"E ce ne sono stati altri?"
"No, chissà perché l'idea non piaceva al resto degli STORM."

La scienziata dai capelli ricci scosse le spalle, tornando a guardare l'aereo.

"Già, chissà come mai?" commentò Erica a voce a malapena udibile, sospirando in rassegnazione al pensiero che Cecilia non si rendesse davvero conto del perché un essere umano dovesse trovare quella cosa intollerabile.

La Direttrice di Morgenroete cercava di essere, per quanto l'altra le permettesse di farlo, un'amica per lei, perché l'incapacità di Cecilia di relazionarsi in modo normale con il prossimo faceva ad Erica quasi tenerezza; ancora di più se pensava che gli unici con i quali la scienziata aveva un rapporto non viziato dalla diffidenza erano Nicol e Lorran, due diversi in un senso talmente completo da poter quasi essere definiti una specie a parte.

Per questo, Erica si chiedeva come fosse Cecilia alle prese con il resto del gruppo degli STORM, con i quali non aveva un rapporto così privilegiato, e cosa loro pensassero di lei. Che, a conti fatti, era dopotutto quella che li aveva resi quello che erano.

L'aereo si era intanto fermato quasi di fronte a loro. La scaletta fu agganciata al portellone anteriore che, non appena i fermi furono sbloccati, si aprì di schianto andando a incunearsi contro la parete del velivolo.

"Hanno sbagliato le dosi di tranquillante anche questa volta..." commentò Cecilia, guadagnandosi l'occhiata stupita di Erica. Che non fece in tempo a chiedere nulla perché un gigante d'uomo ruggì uscendo dal velivolo, la voce che rimbombava sotto l'hangar.

"Brutti coglioni, quante volte vi ho detto di non farmi questo scherzo del cazzo?"

Lo sguardo di Erica cercò di nuovo la collega.

"Ti presento Alpha" spiegò Cecilia, serafica come se per lei quella scena fosse assolutamente ordinaria. "Lo shock dell'abbattimento gli ha lasciato la paura perenne del volo atmosferico. Lo devono sedare quando affronta viaggi in aereo, e odia svegliarsi all'interno dei velivoli."

L'attenzione di Erica tornò sull'energumeno, provando un attimo di pietà per il medico e i colleghi incaricati di controllarlo durante il volo. Considerato come aveva conciato il portellone, non doveva essere piacevole averci a che fare direttamente e in uno spazio ristretto.

Lo osservò scendere i gradini a due a due.
Dimostrava più o meno l'età di Miguel, quindi qualche anno in più di Nicol e Lorran e, a differenza loro, non era per nulla longilineo, né androgino come l'amante di Cecilia. Era invece una montagna di muscoli distribuiti su quasi due metri di altezza, e la mascella squadrata dava l'idea di una personalità inflessibile.
Erica aveva sentito spesso Cecilia riferirsi agli STORM come a perfette 'bambole da guerra', ma niente in Alpha ricordava l'aggraziata spietatezza che quel nome evocava; se in quel momento qualcuno avesse chiesto alla Direttrice di Morgenroete cosa ne pensava guardandolo, lei avrebbe risposto che un bulldozer costituiva un paragone alquanto azzeccato.

Messi finalmente i piedi a terra, Alpha marciò verso Cecilia, senza neppure degnare di uno sguardo i suoi tre compagni di Serpent Tail lì accanto. Non sapendo cosa aspettarsi, Erica si spostò impercettibilmente.

Visto da vicino sembrava ancora più imponente, e lo sguardo truce non contribuiva a dissipare l'impressione di trovarsi di fronte ad un rinoceronte inferocito. Però, e la cosa stupì non poco Erica, Cecilia stava sorridendo apertamente.

Alpha si fermò davanti a lei, la guardò, spalancò le braccia, aprì la bocca, e disse la cosa che meno Erica si sarebbe aspettata.

"Mamma!" tuonò il colosso.

Poi procedette a prendere l'esile scienziata Natural tra le braccia, sollevandola sulla testa tra i gorgheggi di felicità dell'altra.

"Mettimi giù, sciocchino!"

Esterrefatta, Erica cercò lo sguardo di Miguel, che scosse le spalle come a suggerirle di non far caso a quella follia. E, in effetti, lei non sapeva proprio cosa pensarne.

Posandosi Cecilia sulla spalla come se fosse una bambina, Alpha si mosse finalmente verso il resto di quelli che l'attendevano.

Liquidò Lorran con un laconico 'ciao, troietta', per poi salutare Nicol calandogli una manata sulla spalla che avrebbe fracassato l'articolazione di qualcuno che non fosse uno STORM.

Il giovane dai capelli verdi si limitò a spostare il peso da un piede all'altro, e a scoccare ad Alpha un'occhiata infastidita. Che non lo sopportasse, Erica l'aveva già saputo da Cecilia, ma scoprì quando il gigante aprì bocca che la cosa era reciproca.

"Ti trovo bene, piccolo. Mi raccomando, continua a trattare bene la mamma, o ti strappo gli occhi e me li faccio innestare dietro la testa. Mi servirebbero."

Nemmeno per un istante il tono lapidario di Alpha suggerì ad Erica che stesse scherzando. Il Coordinator posò poi con una delicatezza sorprendente per la sua mole Cecilia tra le braccia di Nicol, e procedette a salutare Miguel.

"Come andiamo, Ayman? Mi hanno riferito che Joule ha sistemato tutto con quelli della Federazione. Rallegratene, perché quell'accordo del cazzo a me non piaceva per niente."

Un sorriso tirato incurvò le labbra di Miguel.

"Lo so. Ma adesso è tutto a posto. Non dovete preoccuparvi di questi dettagli, pensate solo a prepararvi per il raid. Piuttosto, dimmi del carico."

"È là dietro. Puoi darci un'occhiata anche subito."

Erica notò come l'espressione di Miguel si rasserenasse improvvisamente. Lui le fece cenno di avvicinarsi, e lei obbedì cercando di passare il più lontano possibile da Alpha, che non l'aveva comunque per niente notata.

Allontanandosi con Miguel verso l'aereo, la Direttrice di Morgenroete si girò di sbieco ad osservare il resto del gruppo degli STORM che, sbarcati, si stringeva intorno ad una Cecilia raggiante. Su tutti, spiccava la testa ornata di una cresta di capelli celesti di Alpha.

Miguel anticipò qualunque sua domanda.

"Una famiglia piuttosto disfunzionale, non credi?"

"Da quello che ho potuto vedere..." rispose lei. "E non mi pare che tra loro vadano poi così d'accordo."

"Non ti far ingannare, Erica. Quello che hanno passato ne ha forgiato il carattere fino a renderli poco disponibili ad ogni compromesso. È normale che sorgano antipatie tra loro. Ma ti assicuro che si volatilizzano, una volta scesi sul campo di battaglia."
"Lo spero davvero. Il successo di questa operazione dipende soprattutto da loro. Ma tu che farai? Non puoi certo accompagnarli."

"No, infatti, per questo ti devo mostrare una cosa."

Camminando erano arrivati vicino al portellone posteriore del velivolo, spalancato su un carico voluminoso che riposava ancora dentro l'aereo. Era un mobile suit, coricato in orizzontale.

Erica seguì Miguel sopra lo scivolo, e le bastò un'occhiata alle linee aerodinamiche del mezzo per riconoscere il modello.

"È una variante del GAT-X207 Blitz" disse indicandolo con un dito.

Non poteva sbagliarsi. Lo scudo con integrato il cannone laser e il lancia-dardi montato sul braccio destro era peculiare di quella serie, anche se la Direttrice di Morgenroete non ricordava ne fosse mai stato prodotto un esemplare di colore rosso acceso come quello che aveva sotto agli occhi.

"Sì, questo è il Nebula Blitz(1). Gentile omaggio che qualche anno fa mi fecero quelli della Junk Guild come ricompensa per un certo lavoro."

Miguel incrociò le braccia al petto, sogghignando felice. "Sinceramente, al tempo avevo pensato che potesse pilotarlo Nicol, ma lui non ne vuole più sapere di rimanere chiuso nell'abitacolo di un mobile suit. Piuttosto capibile, non credi? L'ho quindi tenuto per me."
Erica appoggiò una mano sulla corazza del mezzo, mentre i suoi occhi esperti notavano tutte le dentellature nel metallo rovinato dalle battaglie nelle quali il Nebula Blitz era stato impiegato.

"Il nome mi ricorda qualcosa" ammise socchiudendo gli occhi. "Me ne aveva parlato Rondo Mina Sahaku anni fa. Era meno potente del suo Gold Frame Amatu, ma comunque in grado di sfoggiare qualche giochetto interessante."

"Esattamente" esclamò Miguel, incrociando le braccia ed annuendo vigorosamente. "Avrebbe bisogno di qualche aggiustatina, ma sono certo che a Morgenroete farete un ottimo lavoro. Ma soprattutto, potete riverniciarlo?"

"Lo vuoi nero? In effetti questo colore è un po' inusuale per un mezzo stealth."

L'interno dell'aereo rimbombò della risata di Miguel. "Oh no, fammelo arancio. Devo tenere fede al mio soprannome in battaglia."

Erica lo fissò in tralice, notando lo sguardo quasi amorevole con il quale il biondo pilota accarezzava il potente mezzo. Lei, che aveva saputo da Athrun della sfuriata di Yzak Joule, non riuscì a non chiedersi che faccia avrebbe mai fatto l'albino al sapere che anche Miguel Ayman avrebbe fatto parte del suo gruppo.

Perché lei lo conosceva da poco ma, da quello che aveva saputo di lui, non gli sembrava affatto uno disposto a mettere da parte il suo orgoglio per accontentare l'inflessibile Comandante Joule. E fiero abbastanza delle proprie capacità da gettarsi a capofitto in una battaglia dagli esiti più che incerti. In sostanza, la quintessenza di un asso di ZAFT.

Sospirando, Erica riprese ad esaminare sommariamente il mobile suit che le era stato affidato. E si ripromise di fare un ottimo lavoro. Se non altro, doveva cercare di far sì che Miguel Ayman avesse un mezzo capace di stargli dietro.



Fascia dei Detriti, 30 aprile, 82 CE


Tutto il popolo di Nova si era radunato, come Requiem aveva chiesto, per osservare lo spettacolo imbastito per loro da Lacus Clyne.
Non che la odiassero; tra tutti, lei era quella che aveva cercato più intensamente di mettere fine alle guerre tra Coordinator e Natural, ma accettare il suo invito ad arrestare la loro vendetta non sarebbe servito a niente in quel momento. Oramai, nessuno poteva più tirarsi indietro.

Era stato allestito, per l'incontro che la Principessa dai capelli rosa aveva fortemente voluto, un palco degno di una diva: sulla Luna, un territorio sostanzialmente neutrale. La flotta di ZAFT era stata fatta allontanare, e solo un mobile suit era sceso sulla superficie del cratere scelto per l'occasione.

Tutti in Nova avevano riconosciuto la sua silhouette. Era lo Strike Freedom o, molto presumibilmente, la versione aggiornata del mezzo che aveva compiuto vari atti di eroismo durante l'ultimo conflitto. Era il mobile suit pilotato dal Comandante Kira Yamato; eroe di guerra, guardia personale, nonché compagno di vita di Lacus Clyne.

Requiem ne indicò la forma torreggiante dietro al palco ad una ragazza bionda che gli sedeva accanto.

"Lo vedi quello, Odessa? Credo che presto ti troverai ad affrontarlo."

Lei fece spallucce. "È potente, molto più del mio Astrea, ma io ho studiato tutte le mosse tipiche del pilota. Non è imprevedibile, e già Shinn Asuka nel '73 lo sconfisse. Posso farcela anch'io."

"Devi farcela, Odessa, se ci dovessero attaccare saresti la nostra unica speranza."

Odessa girò gli occhi azzurri su di lui. "Quando, Requiem?"

Il leader di Nova le sorrise, sistemandosi più comodamente sul cuscino. Come convenuti per uno spettacolo pop erano tutti seduti per terra, in attesa che Lacus Clyne parlasse. O imprecasse. O addirittura supplicasse. Al momento, sembrava giusto pregare.

"Presto. La Principessa Rosa è sincera, ma sono certo che i militari la stanno usando per guadagnare tempo e prepararsi. Nell'ultimo mese hanno adottato solo misure ulteriori per proteggere le loro installazioni, ma è impossibile che non stiano anche organizzando una vera offensiva."

"Dici che hanno già scoperto dove ci troviamo?"
Senza smettere di sorridere, Requiem scosse leggermente la testa. "Non la nostra posizione esatta, ma forse sanno già che ci troviamo in orbita e non sulla Terra. Né su PLANT. Le proiezioni di Munich riportavano all'ottanta percento la possibilità di essere intercettati a due mesi dall'inizio degli attacchi. Per questo la tua squadra deve essere pronta in ogni momento."

La ragazza si guardò attorno, facendo un cenno con il capo verso le persone che, numerose, si erano radunate nella capiente sala comune del satellite minerario.

"E loro?" chiese abbassando la voce. "Non tutti sono necessari. Non dovremmo farli sbarcare?"

"Dimentichi che sono qui di loro spontanea volontà. Hanno accettato i rischi, il progetto è condiviso da tutti. Costringerli ad andarsene significherebbe cacciarli da casa. Non possiamo fargli una cosa del genere."

E Requiem ci credeva davvero, anche se vide un lampo di perplessità negli occhi cerulei di Odessa.

"Non so. Dubito che tutti sappiano davvero quello che ci troveremo a combattere. Ma va bene così" disse la ragazza in un sussurro. "Potrebbero servirci. Magari chi ci manderanno contro non avrà il coraggio di affrontare dei civili. Va bene, me ne vado."

Odessa si alzò agilmente, seguita dallo sguardo di Requiem. "Non posso perdere tempo a guardare questa fare la bella statuina. Torno dal mio Astrea" pronunciò stavolta a voce abbastanza alta perché tutti quelli attorno la fissassero. Senza aspettare la risposta di Requiem, la ragazza si dileguò scavalcando gli astanti e sparendo da una porta laterale.

Gli occhi del leader di Nova, dopo un po', ritornarono a fissare Lacus Clyne.

Odessa era un problema. Del credo di Nova, lei condivideva solo la parte della vendetta e tutto quello che le importava era farsi giustizia degli orrori ai quali aveva assistito da bambina nella propria città natale. Ma era anche il loro pilota migliore e, per cinica che fosse, Requiem aveva deciso tanto tempo prima che lei era essenziale per il loro progetto.

La figura della Principessa Rosa di PLANT campeggiava sullo schermo del canale che avevano scelto, e anche su tutti gli altri. Lacus Clyne, che non poteva essere più diversa da Odessa.

Requiem la percepiva addirittura come molto vicina a lui, ed era un peccato, a volte si era detto, che non ci fosse mai stato modo di far conoscere alla giovane quello in cui credevano.

Ne studiò la figura longilinea, solitaria all'interno di una cupola fatta per accomodare lei e ospiti che non avrebbero mai accettato il suo invito a presentarsi. Requiem non ci aveva pensato neppure per un secondo. Oramai non c'era nulla che si potessero dire.

Da quanto tempo la giovane era lì? Forse una decina di minuti. E chissà per quanto ancora ci sarebbe rimasta, sola davanti agli occhi di tutto il mondo che si aspettava il solito miracolo. Che quella volta non ci sarebbe stato. Avrebbero scoperto che Lacus Clyne poteva fallire.

Requiem si chiese se magari avrebbe pianto o cantato, come faceva una volta, per far dimenticare la figuraccia. Di certo, nel primo caso sarebbe stato uno spettacolo che la feroce Odessa avrebbe gradito.

L'attenzione del leader di Nova venne improvvisamente attirata da Kessel, che si faceva largo tra le persone sedute in attesa che qualcosa succedesse fino a scivolare al suo fianco, prendendo il posto che aveva occupato il pilota dell'Astrea. L'uomo aveva un sottile tablet in mano che mise sotto il naso di Requiem.

"Guarda" gli disse. "Il governo dell'Unione Sudafricana è caduto, e uno dei partiti in lizza ha dichiarato il suo sostegno ai nostri ideali."

"La notizia non poteva arrivare in un momento migliore" rispose Requiem, lanciando un'occhiata alla figura solitaria di Lacus Clyne. L'inutilità del suo gesto gli faceva pena, chissà se per gli altri era lo stesso? "Prepara una trasmissione. Dobbiamo annunciare al mondo che cesseremo le ostilità con i governi che si schiereranno con noi."
"Mentre lei è ancora in onda?" chiese Kassel indicando Lacus.

"Ci sovrapporremo al suo segnale. Dopotutto, questo spettacolo è davvero atroce. Nessuno avrebbe desiderato vedere l'infallibile Principessa di PLANT sola come una sposa abbandonata dal marito sull'altare. Magari, le faremo anche un favore."

Non c'era nessuna ironia della sua voce, e Kassel annuì soddisfatto. Lui era completamente diverso da Odessa, avendo abbracciato in pieno quello che Requiem proponeva.

"Tra dieci minuti saremo pronti" esclamò l'uomo abbandonando la sua postazione.

Ancora, gli occhi del leader di Nova si posarono su Lacus Clyne.

Quelli intorno a lui parlavano di diva al tramonto, ma Requiem non era d'accordo. Era solo il mondo che era cambiato e che, dimenticate velocemente le promesse di pace scambiate dopo la guerra, si era fatto di nuovo cinico e diffidente. Da un certo punto di vista ammirava la giovane donna che credeva ancora nello stucchevole pacifismo che nessuno rispettava, ma la riteneva un po' ipocrita. Dopotutto, anche lei era ricorsa alla forza delle armi per ottenere la pace che voleva.

E lui stava facendo esattamente lo stesso.



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Note


(1)Il Nebula Blitz appare nel romanzo Mobile Suit Gundam SEED VS Astray. Eccolo in tutta l'inquietante bellezza degli... apribottiglia che ha sulla schiena http://gundam.wikia.com/wiki/LN-GAT-X207_Nebula_Blitz_Gundam


Per cominciare un sentitissimo grazie, come sempre, alla mia beta Shainareth, che sbaciucchio e alla quale dedico questo capitolo. Ahah, chissà come mai? XD

MaxT Grazie del commento! Sì, è un mondo cinico e disilluso quello che sto raccontando qui, e la cosa diventerà ancora più chiara proprio durante l'attacco a Nova.

SnowDra1609 Grazie come sempre anche a te ^^ Sì, era un capitolo di preparazione, e dopo questo che hai letto ce n'è sarà un altro. Poi forse sarebbe ora di... uhmm... cominciare a spaccare un po' di ossa? :P (Su dai, hai visto? Non ho fatto male a Lacus-sama XD)

Gufo_Tave Mah, in realtà è che Athrun è assolutamente d'accordo con Yzak sulla... diciamo finalità della missione, ma di certo non può dirlo in faccia a Cagalli. E' in un bel dilemma ma, d'altronde, lui è un militare e, come ho detto nell'altro capitolo, solo lei che è un politico si può permettere di avere limiti morali. Alpha come hai visto è arrivato ;) Non è proprio psicopatico, solo un po'... irruento XD

Kourin La tua sfida l'avrai nel prossimo capitolo, promesso! E mi fa piacere che tu abbia apprezzato l'interazione tra i due ex compagni di squadra. Come tu ti sei divertita a leggere, io mi sono divertita un mondo a scriverla ^^

Solitaire Mia cara amica assetata di sangue, prometto che presto avrai i tuoi morti, Lacus è Kira però... qui le ho fatto fare una figuraccia mondiale. Troppo poco, dici? ^^ Ahah, Yzak cagnaccio rognoso piace a tutti, anche se, come giustamente commenti, si è un po' ammorbidito con gli anni, come i suoi amici Dearka, Nicol e Athrun che sono diventati, a turno, più sobri, più disillusi e cinici, più decisi.
Quanto a Orb, beh, la sua neutralità è stata violata due volte in due guerre diverse, evidentemente non posseggono le stesse capacità diplomatiche della Svizzera ;)
Mazarine non sto nemmeno a far finta che non sia il rip-off del famoso cardinale franco-italiano :)

Hanako_chan Hai scritto che adori Cecilia. Si vede che fa un caldo africano ben sopra la media del periodo!! ^^ Grazie del divertentissimo commento, che non è nemmeno troppo una elegia verso Yzak ^^

Shainareth Athrun sul divano e Lacus a nascondersi dalla vergogna, ho fatto bene i compiti, maestra? ^^

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Capitolo 14
*** Duello ***


Duello



Orb, 10 maggio, 82 CE


Athrun si agganciò la tuta di volo con un sospiro, lanciando un veloce sguardo dietro di sé. Anche Yzak stava finendo di prepararsi, l'espressione del volto decisa e determinata. Il Comandante di ZAFT gli aveva intimato di presentarsi sul campo di addestramento all'alba, come si conveniva per un vero duello, e l'aveva salutato con una ferma stretta di mano quando Athrun era sbarcato dal flyer. Chiaramente, l'albino era riuscito ad arrivare prima di lui.

"Vedi di sbrigati" lo sentì grugnire. "Non posso starmene qui tutto il giorno a farti compagnia, ho del lavoro da fare con Miguel."
"Ci sono" rispose Athrun, afferrando il casco e raggiungendo Yzak sulla porta dello spogliatoio. Uscirono entrambi in corridoio, e lì il giovane Ammiraglio intercettò lo sguardo estasiato di una delle addette della base che, a prima vista, sembrava essersi appostata in attesa che uscisse. Rallentò il tempo necessario per portarsi la mano tesa alla fronte e salutare la ragazza, raccogliendo con un sorriso il suo 'in bocca al lupo', allungando poi il passo per raggiungere Yzak. Come si era aspettato, l'albino gli scoccò uno sguardo carico di glaciale sopportazione.

"Hai intenzione di attardarti a porgere i tuoi omaggi a tutte le tue fangirl?"

"No, ma siamo sempre in una base militare di Orb, non posso non salutare chi incrocio."

"Questo lo capisco, l'augurio un po' meno. Cos'è questa storia?"

Imbarazzato, Athrun girò gli occhi sul brutto corridoio che stavano percorrendo, sentendosi comunque vivisezionato dallo sguardo di Yzak

"Mi sono allenato nel simulatore della base di Onogoro, con l'istruttore capo al quale ho raccontato a sommi capi cosa ci facevo lì e perché avevo programmato questa esercitazione. Si sarà sparsa la voce…"

Dissimulò faticosamente una smorfia, pregando che Yzak non gli chiedesse di più e non si mettesse ad indagare a fondo. Perché sapeva bene che la cosa era letteralmente sfuggita al suo controllo, e non aveva capito nemmeno bene quanto fino a che non aveva casualmente scoperto un giro di scommesse clandestine sull'esito dello scontro.

Lanciò una cauta occhiata al compagno che gli camminava a fianco scoprendolo, con sua somma sorpresa, con un ghigno in volto.

"Ho cominciato a sospettarlo un paio di giorni fa, quando quella povera idiota della Ninoritch è venuta a minacciarmi che se non vinco mi fa spezzare le gambe da certi suoi amici di Volgograd."

"E la cosa ti fa ridere?"

Il ghigno di Yzak si amplificò. "Sì, sapendo che ha scommesso una bella cifra su di me. E lo stesso ha fatto Shueisha. Quindi immagino di avere anche la mafia cinese alle calcagna. Ma capisci, Athrun? Loro sono convinti che sarò io a vincere."

L'Ammiraglio di Orb squadrò le spalle, gratificato dal saluto nervoso e dall'occhiata di fervore che gli aveva dedicato un altro militare di passaggio. "Ti devo ricordare chi è sempre uscito sconfitto negli scontri simulati tra noi?"

"È stato tanto tempo fa. Non succederà oggi. E tanto meglio se ci saranno i tuoi fan in tribuna, sarà un piacere farti fare una figuraccia davanti a loro."

"Staremo a vedere!" esclamò Athrun. Era arrivato sull'isola teatro del duello non particolarmente esaltato della cosa, ma quella conversazione gli era servita per ricordare che razza di arrogante presuntuoso fosse Yzak Joule quando tentava di primeggiare su di lui all'Accademia. E, come allora, si ripromise di cancellargli dalla faccia quel sorriso di sfida.



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Dearka socchiuse gli occhi, infastidito dal riverbero del sole contro le brulle rocce del campo di volo. La tribuna da dove gli spettatori potevano assistere alle simulazioni era chiusa da vetrate e dotata di aria condizionata ma, nonostante fosse ancora piuttosto presto, la luce era già fin troppa per uno abituato alla soffice illuminazione delle navi stellari. Si voltò verso Nicol, lanciando uno sguardo di desiderio agli occhiali scuri che il giovane indossava, sperando di non essere costretto a rimanere in quel posto per troppo a lungo. Sospirando, spese un paio di minuti ad osservare i vicini.

Il palco era pieno di gente, militari di ogni grado, meccanici in tuta da lavoro, e qualcuno in abiti civili. Un gruppo di alti ufficiali era seduto in prima fila, in un silenzio più composto rispetto al resto della truppa che sembrava essere convenuta lì per assistere ad uno spettacolo rock.

"Mah, non ti pare che tutto questo sia un po' strano, e anche pericoloso?" si decise a chiedere a Nicol, abbassando la voce. La presenza del famoso Comandante Joule sull'isola non era un mistero, e Dearka non riusciva a smettere di chiedersi se quell'esibizione poteva attirare l'attenzione dei loro nemici.

Nicol, però, scosse le spalle. "Forse. Ma d'altronde sarebbe difficile mettere in relazione le due cose, visto che in questi giorni incontri tra i militari di PLANT e della Terra stanno avvenendo un po' dappertutto."

"Ma quelli hanno occhi ovunque" sussurrò Dearka, non fidandosi a fare nessun nome.

"Ti stai preoccupando troppo. Per questi qua" gli rispose Nicol indicando blandamente la gente intorno a loro, "non sono che due vecchi compagni che si sfidano come facevano ai tempi dell'Accademia. Non è che sei forse nervoso per il tuo amico?"

La frase era stata pronunciata senza la minima ironia, ma gli angoli della bocca piegati all'insù del giovane Amalfi smentivano clamorosamente il tono. Era quel sorriso saputello che Dearka odiava più di ogni altra cosa di lui quando studiavano insieme.
Il Coordinator dalla pelle bruna si girò di tre quarti verso l'amico, posando il gomito sullo schienale della poltroncina. "Pensi forse che Athrun abbia qualche speranza?" gli chiese, pesantemente beffardo.

Nicol si limitò ad abbassare gli occhiali scuri sul naso, lanciandogli un'occhiata tanto innocente quanto le sue strane iridi gli consentivano. Per qualche ragione quel giorno non portava lenti a contatto. "Non mi dire, sei proprio convinto che Yzak non si spaccherà il suo bel nasino francese per una seconda volta?"

Dearka ci mise un secondo a ricordare l'episodio che Nicol nominava. Erano entrati da due settimane all'Accademia quando Yzak aveva sfidato Athrun per la prima volta ad un incontro clandestino di karate. Pensava di avere gioco facile contro quell'introverso e quieto ragazzino e, invece, sotto gli occhi di tutti i compagni accorsi per passaparola, il collerico figlio di Ezalia Joule era sceso dal tatami con il naso sanguinante. Yzak non aveva mai perdonato ad Athrun quell'affronto.

Dearka sogghignò, rammentando che era stato proprio lui ad accompagnare un inviperito Yzak in infermeria, mentre Nicol era rimasto a vezzeggiare Athrun, e Rusty raccoglieva i soldi guadagnati con le scommesse. Dearka aveva capito subito, e forse tutti loro, quali sarebbero stati gli schieramenti a venire.

"Staremo a vedere, Amalfi" rispose remissivamente, pensando che dopotutto anche lui non vedeva l'ora di godersi lo spettacolo come quelli che lo circondavano. Era l'attesa che cominciasse lo scontro che lo rendeva nervoso. Incerto su come continuare la conversazione, il suo sguardo cadde sulle braccia di Nicol, che spuntavano dalle maniche della divisa scura rimboccate fino ai gomiti.

"Ma tu non ti abbronzi proprio mai?"

"Non posso, questa epidermide sintetica non contiene melanina." Il giovane dai capelli verdi si guardò una mano. "Ci hanno impiantato quella con la tonalità più vicina alla pelle che avevamo, ma così com'è ce la dobbiamo tenere sempre."

Dearka annuì. Per quanto provasse a dimenticarlo, c'era sempre qualcosa che gli ricordava quello che era diventato Nicol. Quel giorno non si era aspettato che ci fosse, ed era rimasto stupito di vederlo scendere dal flyer insieme ad Athrun, abbigliato, come sempre da quando accompagnava l'Ammiraglio in giro, nella divisa blu notte dei Navy Seal di Orb. Dearka gli diede un'altra occhiata di sbieco. Il pianista si era rimesso a posto gli occhiali, e sembrava molto interessato alla fitta conversazione tra due militari distanti un paio di file da loro. Improvvisamente, gli venne in mente una possibile ragione per la quale Nicol non indossava lenti a contatto. Adesso che sapeva che lui e Miguel erano completamente dalla loro parte, la curiosità su quello che Nicol e i suoi simili potevano fare aveva preso il posto dell'inquietudine, e a Dearka non sarebbe dispiaciuto assistere ad una dimostrazione dal vivo.

Molto poco signorilmente, incrociò le braccia dietro la testa, sistemandosi più comodamente sulla poltroncina; chissà, magari quel giorno avrebbe assistito ad un doppio spettacolo.



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Come ogni volta che si accomodava nell'abitacolo di un mobile suit, Athrun sentì il nervosismo volatilizzarsi gradualmente con il compiere di tutti i gesti così consueti per un pilota; e che, per lui, erano ancora molto più normali del sedersi ad una scrivania e controllare rapporti. Allacciò le cinture e avviò il mezzo verificando che sul quadro comandi tutto fosse in ordine; con i propulsori al minimo, il Windam che gli era stato assegnato si staccò elegantemente dall'alloggiamento, ed Athrun badò di seguire quello di Yzak a debita distanza. Date le premesse, non voleva scatenare ancora di più l'ira competitiva –non riusciva a chiamarla in nessun altro modo- dell'amico. Lo tenne d'occhio, per l'ennesima volta controllando lo stato dell'armamento del mobile suit.

Era equipaggiato come se dovesse sostenere una vera battaglia, ma la spada laser era a basso potenziale, al massimo poteva lasciare una bruciatura sulla corazza, così come il fucile a raggi. I cannoncini Vulcan erano invece dotati di proiettili a tracciamento magnetico. Se avessero colpito il mezzo nemico vi si sarebbero attaccati segnalando ai due piloti, e alla sala di controllo, il punto messo a segno. Athrun sorrise al pensiero di tutti gli accorgimenti che, negli anni, erano stati introdotti per far sì che durante quel genere di test le reclute non si ammazzassero tra loro. Quando era toccato a lui, oramai più di dieci anni prima, ricordava che aveva affrontato l'istruttore con un spada vera –non laser, ma vera-, e che aveva prevalso decapitando la testa dello ZAKU antagonista, praticamente accecandolo. Cercò di rammentarsi come si era invece comportato Yzak, non riuscendoci. Nei giorni precedenti si era studiato lo schema di combattimento dell'amico, scoprendo che, con il tempo, Yzak si era fatto meno avventato ma non meno deciso. Sarebbe stata dura, lo sapeva ma doveva farcela in ogni modo.

Arrivato davanti alla tribuna degli ospiti, gremita, come poteva vedere, Athrun fronteggiò il mobile suit dell'amico. Era identico al suo, solo blu anziché rosso, e ugualmente montava un backpack adatto a brevi voli. Il video di comunicazione interno si accese, mostrando il volto di un'operatrice.

"Bene, signori, cominciate pure quando volete, le regole le conoscete ma per regolamento ve le devo ripetere. Se colpiti il sistema disabiliterà automaticamente le funzioni della parte danneggiata, fino a bloccare totalmente l'unità. Tutti i colpi sono ammessi. Potete utilizzare l'intera isola come teatro di combattimento." Un sorriso apparve sul volto, fino a quel momento severo, della donna. "E… buona fortuna, Ammiraglio."

Terminò la comunicazione facendo un cenno con la testa che Athrun seppe rivolto a lui solo. E non riuscì a non chiedersi se la cosa avrebbe fatto innervosire ancora di più Yzak.

La risposta gli arrivò qualche istante dopo, quando sul monitor gli apparve il volto dell'albino. La visiera del casco lasciava intravedere la sua espressione tempestosa.

"Adesso che abbiamo finito con le spiritosaggini di tutte le tue corteggiatrici ti spacco il culo, Zala! Vieni con me" gli abbaiò contro.

Il Windam blu schizzò verso il cielo, cabrando immediatamente e dirigendosi verso i resti di una città che si intravedevano in lontananza.

Yzak aveva evidentemente deciso che sarebbe stato un combattimento urbano, e il giovane Ammiraglio sapeva il perché: si sarebbero trovati a combattere nella Fascia dei Detriti, e un'accozzaglia di palazzi in rovina era la cosa che, sulla Terra, più gli somigliava.

Le labbra strette in una sottile linea nervosa, Athun diede potenza ai propulsori e seguì il Comandante di ZAFT.



-------------

Non l'avrebbe mai ammesso con nessuno, ma in cuor suo Yzak non era sicuro che ne sarebbe uscito vittorioso. Si ricorda bene come all'Accademia, nonostante quanti sforzi facesse, il figlio di Patrick Zala riuscisse sempre a superarlo. E sul campo di battaglia, quando non era preda delle sue esitazioni, o di strani momenti di compassione che rivaleggiavano con quelli di Nicol, Athrun era di certo un pilota migliore di lui.

Nascosto dietro un palazzo, le mani che impugnavano saldamente i comandi e gli occhi fissi sul radar, in attesa che il suo avversario si rivelasse, Yzak dovette ricordare a se stesso che se era lì quel giorno non era per vincere una sfida come quando erano entrambi più giovani e stupidi, ma per evitare che il suo amico si facesse ammazzare solo per aver dato un'altra volta ascolto ai suoi atavici sensi di colpa.

Yzak digrignò i denti, mandando al diavolo le sue incertezze e scolpendosi nella mente che Athrun Zala era stato un asso di ZAFT, ma dieci anni prima. Mentre lui aveva, al presente, più ore di volo e di combattimento alle spalle, che avrebbero per forza fatto la differenza.

Improvvisamente il radar gli segnalò l'arrivo dell'Ammiraglio di Orb. Athrun stava avanzando a piedi proprio dietro il palazzo dietro cui Yzak si stava riparando. Come prima mossa, tentò qualcosa di elementare.

Si sporse quel tanto che bastava per permettere ai Vulcan posizionati ai lati della testa di fare fuoco. I segnalatori lampeggiarono quando i proiettili magnetici impattarono contro la superficie del palazzo di fronte, a solo un paio di metri sopra la testa del mobile suit di Athrun. Un pilota meno esperto si sarebbe istintivamente alzato in volo, ma il figlio di Patrick Zala non si lasciò sorprendere. Dopotutto, anche lui aveva individuato il nemico sul radar. Con una mossa da manuale, Athrun si sottrasse al fuoco accendendo i venier. Indietreggiò improvvisamente in volo quasi orizzontale rispetto al terreno, alzando il fucile verso il punto dove Yzak era nascosto.

Il Comandante di ZAFT replicò la mossa di Athrun, che riuscì però a prevederla. Il suo colpo centrò il mobile suit di Yzak nel momento esatto in cui sbucava dal lato opposto del palazzo, lasciandogli una striscia nerastra sulla corazza.

"Operatività del braccio sinistro al 70 percento, in diminuzione" cinguettò il segnalatore, mentre sul quadro comandi si accendeva una spia che indicò ad Yzak la perdita del giunto del gomito.

"Bastardo fortunato" grugnì lui, alzandosi in volo verticale e facendo fuoco sul mobile suit rosso che, invece di nascondersi, lo stava caricando.

Athrun riuscì elegantemente a schivare i primi colpi del fucile, ma non i successivi che impattarono sul braccio sinistro; non dotato di scudo, il Windam rosso l'aveva utilizzato per ripararsi il torso. Quando Yzak giudicò di avergli compromesso abbastanza l'arto, gli lanciò quindi contro il suo stesso fucile oramai quasi scarico. Stavolta preso alla sprovvista, Athrun alzò il suo a mo' di scudo. Il colpo fu tanto forte da deformare l'arma, che l'Ammiraglio gettò via perché oramai inservibile. Attivò quindi la spada laser, così come pochi istanti prima aveva fatto Yzak, e i due mezzi si scontrarono in aria.

Oramai carico di adrenalina, l'albino sentì una risata esplodergli dentro, soprattutto di fronte al volto serio di Athrun che era apparso sullo schermo.

"Sei rimasto il solito pazzo!" gli stava sibilando Zala, nel suo tono più controllato. "Anche in una battaglia vera avresti sacrificato una delle tue armi principali?"

"Se servisse a portare il mio nemico dove lo voglio io, assolutamente sì" gli rispose Yzak, trionfante.

Con un calcio si allontanò da lui quel tanto che bastava per esplodere dei colpi di Vulcan contro la spalla sinistra del mobile suit rosso.

"Adesso siamo pari" non resistette ad urlare, alla vista del segnale che gli confermava di aver colpito il bersaglio. "Restano ad entrambi un braccio e una spada. Che farai, Ammiraglio?" chiese Yzak beffardo.

La risposta di Athrun non si fece attendere. Caricò di nuovo, ma l'albino era pronto. Qualche istante prima del contatto tra le due unità spense i propulsori, e il suo mobile suit cadde a piombo sottraendosi all'ingaggio. Quando li riattivò era nella posizione ideale per fare di nuovo fuoco con i Vulcan e disabilitare la gamba destra del mezzo di Athrun, adesso sopra di lui.

A Yzak venne da ridere, e si complimentò con se stesso per aver deciso di testare la preparazione dell'amico. Che stava inanellando una serie incredibile di errori da principiante. No, non sarebbe stata affatto una buona idea averlo in squadra.

Come se stupefatto di quello che era accaduto, Athrun era rimasto bloccato al suo posto, e solo dopo qualche lunghissimo, e molto pericoloso secondo, si lanciò contro Yzak.

I due mezzi si agganciarono in aria, e precipitarono entrambi al suolo. L'albino spense di nuovo i venier, e approfittò dell'energia inerziale per far scivolare il mobile suit di Athrun sotto al suo appena prima dell'impatto con il terreno, che fu fortissimo.
Nonostante gli smorzatori dell'abitacolo e le cinture di sicurezza, Yzak sentì i muscoli delle braccia tremare, e poté solo immaginare come doveva essere stato per Athrun, che aveva preso il colpo in pieno. Allontanandosi da lui, per un secondo pregò di avergli fatto abbastanza male perché non si rialzasse. Dopotutto, il testardo Ammiraglio a quel punto doveva aver capito di non avere speranze.

Ma il desiderio di Yzak si infranse quando vide il mobile suit rosso alzarsi, seppure a fatica, sganciando il backpack inservibile.

Aprì il canale di comunicazione. "Hai un braccio ed una gamba danneggiati, sei appiedato e hai perso i venier. In una battaglia vera saresti praticamente spacciato. Arrenditi" gli intimò.

In tutta risposta, dall'altra parte dello schermo Athrun scosse la testa. "No. Se questo fosse un vero scontro non credo avrei la possibilità di arrendermi, giusto? Non mi darei per vinto fino all'esaurimento dell'energia, ed è quello che intendo fare. Fatti sotto, Yzak Joule" lo esortò con una strana luce negli occhi, e l'espressione calma e composta di quello che sa di avere la battaglia in pugno.

"Idiota" sibilò l'albino tra i denti.

Se quello che voleva Athrun era essere umiliato davanti a tutti lui non si sarebbe certo tirato indietro. Accese i propulsori e si lanciò, spada in pugno, contro l'amico.



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Athrun era conscio che ad Yzak mancava pochissimo per uscirne vittorioso ma, proprio nel momento in cui si era sentito stretto in un angolo, la sua mente si era schiarita, mentre la paura, e anche l'eccitazione, erano scomparse per lasciare il posto ad una strana compostezza.

Lo guardò arrivare e seppe, come per una curiosa precognizione, quale manovra avrebbe dovuto compiere.

Attese che gli fosse quasi addosso, che fosse quasi troppo tardi, poi usò contro di lui lo stesso trucco che Yzak aveva utilizzato per farlo precipitare.

Si abbassò schivando la lama laser, agganciando il mobile suit blu e approfittando della spinta del Windam per ribaltarlo sopra la sua testa. L'unità del Comandante di ZAFT atterrò di schiena dietro ad Athrun, in un clangore di metallo torturato.

Senza dargli il tempo di reagire Athrun si girò repentinamente, calando la spada laser sul petto dell'altro mezzo e bloccandola ad un paio di metri dall'abitacolo.

Il suo stato di trance si dissolse solo quando sentì la voce dell'operatrice della sala di controllo che, a malapena trattenendo l'eccitazione, comunicava il vincitore dello scontro.

"Ad entrambi i contendenti, prego interrompere lo scontro. L'Ammiraglio Zala è il vincitore per uccisione del pilota avversario."

Athrun respirò a fondo, togliendosi il casco e gettandolo da parte. Sentiva i capelli appiccicati alla fronte e il sudore che gli colava lungo la schiena. Anche se la battaglia era durata sostanzialmente poco era spossato, non vedeva l'ora di farsi una doccia e contarsi le escoriazioni che di certo si era procurato nonostante la tuta. Allungò una mano per accendere il comunicatore interno che, sicuramente, gli avrebbe mostrato un Yzak furibondo.

L'albino era seduto al suo posto e, sulle prime, gli sembrò sostanzialmente calmo. Teneva le mani ancora strette alle leve di comando, con in viso un'espressione quasi incredula.

"Yzak…" cominciò Athrun, subito interrotto dalla brusca replica dell'altro.

"Chiudi il becco, Zala."

Si era sbagliato, non era affatto sotto shock. Yzak Joule stava probabilmente solo meditando in quanti e quali modi insultarlo.

Lo vide stringere gli occhi, e allungare una mano per azionare i propulsori. Il mobile suit blu si alzò, faticosamente ma senza che evidentemente avesse subito danni letali al backpack.

"Che fai, te la prendi così tanto per avere perso che non mi dai nemmeno un passaggio?" provò a scherzare Athurn, immediatamente gelato dalla risposta dell'amico.

"Puoi sempre tornare a piedi se ti pesa di aspettare la squadra di recupero. Bastardo."

Con quello, il mobile suit di Yzak si levò in volo e si allontanò verso la base, lasciando Athrun ad assaporare la vittoria nell'abitacolo del suo mezzo che si stava facendo sempre più caldo. Tra tutto, anche il sistema di aria condizionata doveva essere saltato. Il giovane sospirò, maledicendo il brutto carattere di Yzak ma sentendo l'euforia farsi strada dentro di lui. Era una bella sensazione, che nemmeno l'implacabile sole di Orb avrebbe potuto dissipare.



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"Cazzo, ce l'ha fatta anche stavolta" sospirò Dearka, finendo la bibita oramai calda con una smorfia.

"Avevi dei dubbi?" gli fece Nicol.

Il tono vagamente provocatorio del giovane fece girare Dearka verso di lui.

"Se devo essere sincero, speravo davvero che stavolta finisse lui con il culo per terra, ma Athrun sembra avere la magica predisposizione a vincere gli scontri all'ultimo secondo utile. Hai notato? Ha usato contro Yzak la stessa mossa che tanti anni fa l'aveva atterrato in quell'incontro che ricordavamo prima. Sarà furibondo…"

Dearka sospirò, accartocciando il bicchiere e lanciandolo in un cestino poco distante, centrandolo perfettamente. Gli spettatori se ne stavano andando, vociando allegri su come il loro Ammiraglio aveva atterrato l'arrogante Comandante di ZAFT.

"Yzak avrebbe dovuto pensarci prima di sfidare Athrun a duello, come se ne avesse mai vinto uno" gli rispose Nicol, che non sembrava tuttavia prestargli particolare attenzione; come se incerto su cosa fare, guardava alternativamente la coppia di militari sui quali prima aveva posato gli occhi e uno degli schermi davanti a loro, sul quale campeggiava il Windman rosso di Athurn. Non era in belle condizioni, e se avesse ricevuto gli stessi danni nello spazio probabilmente il figlio di Zala non ne sarebbe uscito vivo.

Dearka scrutò di sottecchi Nicol, per poi mettergli una mano sulla spalla che fece immediatamente girare il Nexus verso di lui. Il giovane sembrò sorpreso dal gesto.

"Non hai capito" gli disse il biondo. "Il motivo per cui Yzak non avrebbe mai voluto perdere oggi è per avere la scusa di lasciare Athrun a casa. Lo sai anche tu che non è affatto preparato per questa battaglia; oggi ha vinto per un puro colpo di fortuna, e contro un avversario solo. Lassù sarà diverso. E Yzak lo sa benissimo."

Nicol gli sorrise di sbieco, come se si fosse sforzato di produrre quel gesto. Il risultato dello scontro sembrava averlo innervosito, seppure sembrasse compiaciuto che il suo idolo di un tempo avesse, ancora una volta, primeggiato su Yzak. "Credi forse che io voglia davvero che Athrun partecipi?" gli chiese. "Sarei stato ben felice di veder vincere Joule, stavolta. Però, dici che anche lui è così preoccupato per Athrun?"

La domanda gli suonò strana, e Dearka scosse il capo. "Certo. Guarda che non è la stessa persona che conoscevi dieci anni fa" gli fece, condiscendente. "E ti assicuro che tiene alla salute di Athrun almeno quando te. Ha un brutto carattere ma ha imparato sulla sua pelle, come tutti noi, che non c'è cosa peggiore che perdere i propri compagni in battaglia, Amalfi. "

Forse non avrebbe dovuto mettere giù la questione in quel modo e, per un attimo, notò distintamente Nicol irrigidirsi. Poi, inaspettatamente, il sorriso sulle labbra pallide del giovane pianista mutò in una smorfia malinconica. "Guarda che lo so che ci vuole bene, Dearka. A tutti noi. Anche a me. Non sono mica stupido."

Colpito dalla curiosa e ingenua risposta, e dall'espressione da bambino apparsa sul volto di Nicol, il biondo aprì la bocca per replicare ma, prima che potesse dire qualcosa, i due che stavano tenendo d'occhio lasciarono i propri posti avviandosi all'uscita.

"Continuiamo il discorso dopo. Vieni anche tu?" tagliò corto il compagno dai capelli verdi, alzandosi a sua volta.

Dearka annuì silenzioso, dentro di sé incuriosito di quello che stava per succedere.



Alla fine, con suo sommo dispiacere, non successe proprio niente. Anzi.

Incrociarono i due militari in corridoio Nicol limitò a fissarli bene in faccia, per poi passare oltre senza nemmeno rallentare.

Presa quindi la strada verso lo spogliatoio, Dearka occhieggiò il compagno, che non sembrava intenzionato a spiegargli proprio niente.

"Ma non ti sembravano sospetti?" gli chiese.

"Facevano discorsi strani, ma sono dei servizi segreti di Orb. Sono qui sotto copertura, per individuare affiliati o simpatizzanti di Nova."

Stupito, Dearka aggrottò le sopracciglia. "E tu come lo sai?"

"È un segreto…"

"Ehi!" esclamò il biondo, afferrando Nicol per un braccio e facendolo voltare verso di sé. "Senti, non pretendo di conoscere tutto su di te. Mi rendo conto che ci sono cose che non voglio nemmeno sapere. Ma non posso essere all'oscuro di cose necessarie in questa guerra."

Vide il pianista mordersi le labbra, incerto. Poi, Nicol si tolse gli occhiali, fissandolo. Dearka dovette farsi forza per non distogliere lo sguardo, come sempre colpito dall'agghiacciante sensazione di alterità che quelle protesi, o come le chiamavano, gli comunicavano.

"Ho ritracciato i loro ID nel database dell'intelligence di Orb, al quale mi posso collegare tramite il nanocomputer che controlla questi impianti oculari" gli spiegò Nicol. "Athrun mi ha fornito di tutti i codici di accesso."

"E come sapevi chi erano?"

"Gli ho fatto una scansione della retina."

Dearka, che aveva ancora la mano stretta attorno all'avambraccio dell'amico, la lasciò cadere. Nonostante l'assenza di emotività che quegli strani occhi emanavano, il giovane davanti a lui sembrava volergli urlare di non indagare oltre. E Dearka realizzò che non ci sarebbe mai riuscito ad accettarlo in quel modo; era molto meglio fare finta di niente.

"E riesci a farlo con tutti?" gli chiese glissando sui dettagli, e ricominciando a camminare.

"Non con gli abitanti di PLANT. Non ho accesso ai vostri database."

Dearka tirò un silenzioso sospiro di sollievo –non gli piaceva l'idea di quelli di Serpent Tail che curiosavano nei suoi dati personali- indicando poi dietro di sé tentando di sdrammatizzare. "Allora che ne dici se poi torniamo e mi fornisci indirizzo e numero di telefono di quella bionda da schianto che abbiamo incrociato prima?".

"Ma non sei fidanzato?"

"Mica ho detto che è per me!"

"Scordatelo. Già è imbarazzante quando Miguel ha di queste idee, non mettertici anche tu."

Dearka sghignazzò. Era proprio da Ayman fare quelle cose. Di tutti sembrava il meno cambiato dal tempo e dagli eventi, almeno a prima vista.

Erano nel frattempo giunti allo spogliatoio. Il biondo ne spalancò la porta, e la scena dall'altra parte trasformò il suo sorriso in una smorfia annoiata.

Yzak, impeccabilmente rivestito, e con i capelli perfettamente in ordine, teneva bloccato Athrun contro uno degli armadietti. Il giovane indossava ancora la tuta di volo, che era solo riuscito ad aprire sul davanti; Yzak doveva averlo aggredito non appena aveva messo piede nel locale.

"Athrun!" strillò Nicol.

"Che avete ancora voialtri?" gli fece eco Dearka rivolgendosi agli amici, che nemmeno lo degnarono di uno sguardo.

Si fissavano truci; come da copione consolidato, Yzak teneva Athrun per il colletto della maglietta, mentre l'Ammiraglio gli afferrava i polsi.

"Rassegnati, Yzak. Ho vinto" urlò con voce soffocata Athrun.

"Idiota!" sbraitò l'albino. "Non sei così alle prime armi da non capire che è stata solo fortuna. Questa era una simulazione, ma lassù saremo nel vuoto, probabilmente in mezzo alla Fascia di Detriti, e davanti non avrai me ma nemici che ti vorranno a tutti i costi fare la pelle. Rinuncia, Zala."

Un sorriso increspò le labbra di Athrun. "Vuoi dire che mi hai agevolato?"

A quel punto, con una smorfia offesa in viso, Yzak lo lasciò come se improvvisamente la maglia che stava stringendo fosse divenuta incandescente; gli occhi però, tradivano qualcos'altro.

"Fai quello che vuoi, allora. Guida la tua squadra, io non voglio nessuna responsabilità. Solo, non fottere questa missione."

Si girò per andarsene, con Athrun che distoglieva lo sguardo chiaramente turbato.

Quando Yzak passò accanto a Nicol, però, quest'ultimo lo afferrò per un braccio.

"Aspetta" gli disse giovane pianista, con un tono che Dearka non gli aveva mai sentito, quasi come se glielo stesse ordinando; e senza avere mai avere smesso di fissare Athrun. Poi Nicol prese un profondo respiro, togliendosi gli occhiali e mettendoseli in una delle tasche della divisa.

"Yzak ha ragione, Athrun" fece quindi al figlio di Zala, sorprendendo Dearka. Yzak, invece, si limitò a socchiudere gli occhi. "Sei stato bravo" Nicol continuò, "ma non sarà la stessa cosa, lo sai benissimo. Lascia che questa volta vada qualcun altro."

Ridacchiando, Athrun si passò una mano nei capelli madidi di sudore. "Ti sei coalizzato con loro, Nicol? Le cose non sono proprio più come una volta, vedo."

Dearka, che si stava godendo la propria posizione privilegiata di spettatore, vide Nicol sbattere le palpebre, come se colpito dalla replica dell'amico.

"Sì, sono molto cambiate" lo sentì rispondere. Il pianista fece quindi un passo indietro, chiudendo a chiave la porta dello spogliatoio dietro di sé. Poi si sfilò la giacca della divisa, che finì a terra. Aveva solo una maglietta sotto. Alzò un braccio e, con totale sorpresa di Dearka, e sotto gli occhi sconvolti di Athrun, si lacerò la pelle, che cedette con un curioso rumore viscidamente gommoso, dal gomito fino al polso.

"Merda" si fece sfuggire Dearka.

L'aveva letto sui rapporti dei servizi di sicurezza di Aprilius City, e l'aveva sentito raccontare da Athrun, ma era un po' diverso trovarsi quella cosa davanti, e sapere che Nicol doveva conviverci tutti i giorni. Si impose di guardare, anche se la tentazione di girare la testa da un'altra parte era fortissima.

Sotto l'epidermide artificiale, dai cui lembi strappati colava un liquido rossastro che assomigliava a sangue ma che non poteva esserlo, giaceva una superficie grigia e opaca, che gli dava l'impressione di essere allo stesso tempo elastica e terribilmente resistente. Come un'armatura. Era divisa in lunghe placche, unite da linee di giuntura rossastre che correvano per tutta la lunghezza dell'arto, all'incirca disegnando quelli che sarebbero stati i contorni dei muscoli; Dearka immaginò che quella sovrastruttura fosse disegnata per proteggere i circuiti sottostanti. Con estrema difficoltà, il biondo spostò gli occhi su Yzak che, accortosi di essere fissato, si passò con forza il dorso della mano sul viso; avrebbe potuto giurare di averlo sorpreso con gli occhi lucidi.

"Ecco, come sono cambiate le cose" disse Nicol ad Athrun, o forse a tutti loro, con voce estremamente ferma. Quasi fin troppo dura. "Ecco come mi sono ridotto per un singolo, maledetto momento di eroismo. Sono morto, Athrun, e non voglio che ti accada la stessa cosa. Nessuno di noi lo vuole" aggiunse, dopo aver sfiorato con lo sguardo Yzak.

Dopo qualche secondo, una risatina sconsolata scosse l'Ammiraglio di Orb. "Ho sbagliato, vi siete tutti coalizzati per farmi sentire in colpa."

Il silenzio calò raggelando i presenti. Dearka spiò l'espressione di Nicol, ma lo trovò imperturbabile come sempre, anche se avrebbe potuto giurare che la piega che avevano le sue labbra fosse di estrema delusione. Prima che anche Yzak girasse il coltello nella piaga, il biondo decise di fare qualcosa. Dopotutto non era lui nel gruppo quello che sdrammatizzava sempre? Si passò una mano nei capelli, alzando gli occhi al soffitto. "Non dire cazzate, Athrun. Siamo amici da anni e sappiamo benissimo quello che ti passa nella testa e perché vuoi fare questa stupidaggine. Ma ci tocca anche cercare di farti ragionare" Dearka inclinò la testa da un lato, esibendo una smorfia sprezzante. "Anche se non vedo più come, se nemmeno Cagalli c'è riuscita prendendoti sicuramente a calci."

"No, quello no, ma ha fatto di peggio" rispose Athrun, mettendosi una mano davanti alla faccia.

"Ti prego… divano per una settimana?"

"Fino alla partenza" gli confessò il figlio di Zala, facendolo sogghignare. Era proprio da Cagalli vendicarsi in un modo del genere.

L'atmosfera sembrò essersi leggermente sollevata, e l'ennesimo sospiro che Athrun esalò suonò come di rassegnazione. Il giovane si staccò dagli armadietti, andò verso Nicol e, afferrata la giacca abbandonata sul pavimento, gliela porse.

"Capisco fin troppo bene come ti senti, e non lo vorrei" gli confessò Athrun, la voce spezzata da qualcosa che sembrò a Dearka rimorso. "Ma non posso fare a meno di andare. Ragazzi, vi chiedo solo di capirmi…"

Il pianista guardò la giacca ma, prima che potesse prenderla, fu Yzak che la strappò dalle mani di Athrun e, con un gesto che colpì Dearka, la mise sulle spalle di Nicol.

"Capisco solo che hai la testa dura come il marmo, idiota! Come ti ho detto, fai quello che vuoi, ma torna. Lo devi soprattutto a lui" sibilo quindi l'albino ad Athrun, indicando con un cenno della testa il pianista. "Ma anche a tutti noi che ci facciamo un culo così tutti i giorni ad essere tuoi amici. Sapessi quando è difficile! Qui abbiamo finito. Andiamo, Dearka" gli ordinò Yzak, come se fosse ancora un suo sottoposto. Girò quindi sui tacchi, aprendo la porta e spalancandola di scatto. Sparì nel corridoio senza aspettare che Athrun trovasse le parole per rispondere.

Paziente, Dearka scosse la testa. "Beh, io vado con lui allora. Ci vediamo al flyer. E sbrigati, è talmente di cattivo umore che il pilota rischia di prenderle al posto tuo se ritardi."

Congedato da Athrun con un sorriso stanco, il biondo si chiuse la porta alla spalle, affrettandosi dietro ad Yzak. Non si era aspettato la scenata di Nicol, e dedusse che era meglio lasciare lui e Athrun da soli a chiarirsi. Non escludeva nemmeno di veder arrivare il figlio di Zala con un braccio ingessato; Dearka poteva giurare che il Nicol che aveva conosciuto all'Accademia non sarebbe arrivato a tanto per impedire ad Athrun di fare qualcosa di pericoloso, ma non si arrischiava a dire lo stesso della persona che era tornata dalla morte.



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Per cominciare auguro a tutti un buon inizio di settembre e un buon "bentornati" se siete stati in vacanza :) E, come di consueto, ringrazio -con inchino- la mia solerte beta che mi ha beccato duecento errori a questo giro. Grazie carissima Shainareth.
Ringrazio poi tutti i lettori e SnowDra1609, MaxT, Gufo_Tave, Shainareth e Hanako_chan per i graditissimi commenti ^^
Gufo_Tave Nono, nessuna offesa anzi, il paragone con Aldebaran torna tantissimo, non ci avevo neppure pensato :) Il Fratellino non me lo ricordo, devo rispolverarmi quei libri che ho letto secoli fa (bellissimi, comunque!).

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Capitolo 15
*** Emeth ***


Emeth



Orb, 13 maggio, 82 CE


I giorni stavano passando in fretta, carichi degli ultimi preparativi prima della partenza della spedizione. C'erano contatti da prendere, tattiche da mettere a punto, un piano di comunicazione da stendere. Soprattutto, per Athrun, c'era da mettere pace nella sua famiglia.

Come si era aspettato, Cagalli aveva atteso a casa l'esito del duello, seduta dietro la sua scrivania a dare ordini alla nazione che guidava ma pronta a scattare in piedi non appena Athrun aveva varcato la porta dello studio. Lui le era andato incontro, fermandosi a pochi passi, e facendole un saluto militare.
'Ammiraglio Zala, capomissione per Orb, ai suoi comandi' aveva declamato, e l'aveva vista incrociare le braccia sotto al petto, l'espressione corrucciata smentita da un sorrisetto orgoglioso. Dopo un paio di secondi Athrun aveva sentito le braccia di Cagalli intorno alla vita. La moglie gli aveva appoggiato il capo alla spalla, sussurrandogli che l'aveva sempre saputo che ce l'avrebbe fatta, anche se era uno zuccone orgoglioso che non voleva sentire ragioni.



Athrun sorrise al ricordo, come gli capitava spesso in quei giorni. Nemmeno per un momento aveva pensato che la moglie non l'avrebbe capito e, nel modo fiero tipico della figlia di Uzumi Athha, perdonato. Dopotutto, lui e lei erano uguali: capaci di sacrificare se stessi per quello in cui credevano come gli esempi paterni, nel bene e nel male, gli avevano insegnato.

Per Athrun però adesso veniva la parte più difficile dei preparativi, cioè convincere anche i propri amici che non aveva deciso di mettersi a capo della sua squadra perché disposto a morire nello spazio. E doveva cominciare dal più difficile da persuadere.

Girò il capo leggermente per lanciare un'occhiata a Nicol, che stava guidando. A parte brevi convenevoli, non si erano più parlati decentemente dopo la scenata che due giorni prima il pianista gli aveva fatto, e Athrun aveva tutte le intenzioni di farlo prima di giungere al locale dove, quella sera, avrebbe festeggiato con il resto dell'ex-Zala Team la partenza. Sarebbe stata l'occasione per riconciliarsi anche con Yzak e, al solo pensiero, ad Athrun tremarono quasi i polsi dall'irritazione. Conoscendosi ormai da più di dieci anni, perché l'albino fosse ogni tanto così indisponente con lui non cessava di esasperarlo.

Nicol era tutta un'altra questione, invece. Athrun sapeva di non essere particolarmente sveglio nel capire le persone, ma sospettava che Nicol fosse un mistero un po' per tutti. Miguel non gli aveva forse confessato di non riuscire anche lui, a volte, a indovinare cosa gli passasse per la testa? Solo di tanto in tanto Athrun ritrovava il suo amabile amico in quel giovane disincantato con un passato da killer per i Logos e, incredibilmente, proprio il gesto dell'altro giorno gliel'aveva ricordato più distintamente. Una scenata così emotiva e sopra le righe era proprio degna del sentimentale figlio degli Amalfi.

Athrun sorrise, chiedendosi se Nicol sarebbe rimasto stupito se in quel momento avesse alzato la mano e gli avesse scompigliato i capelli ondulati, come si sentiva tremendamente di fare.

Si voltò verso di lui, aprendo invece la bocca per chiedergli qualcosa di abbastanza neutrale, tanto per andare sul discorso. "Ti ha fatto molto male?"

Nicol capì subito dove volesse andare a parare. "No. Quando disabilito i sensori non ho nessuna sensibilità."

"E l'altro giorno non l'hai fatto, vero?"

"Non sarebbe stato leale nei tuoi confronti. Ti stavo dicendo qualcosa di molto duro. Non era giusto che tu fossi l'unico a soffrirne."

Athrun riportò gli occhi sulla strada. Decisamente, Nicol era molto cambiato da quando gli trotterellava dietro in Accademia, ma quella risposta gli dimostrava che quello che gli sedeva a fianco non era totalmente la copia cinica e inflessibile di quel bimbo allegro e solare. Nicol possedeva una dolcezza innata che tutto quello che aveva passato aveva ammorbidito ma non cancellato. "L'ho capito dalla smorfia che hai fatto" ammise l'Ammiraglio, sospirando. "Non era necessario arrivare a tanto, sai?"

"Lo puoi ben dire, visto che non è servito a niente!"

"Affatto. Mi ha dimostrato, un'altra volta ancora, quanto tu tenga a me. Solo un vero amico l'avrebbe fatto" gli rispose Athrun, girandosi verso di lui. "Solo un vero amico mi avrebbe detto in faccia quelle cose. Vale per te, e vale per Yzak." Il giovane strinse le labbra, esprimendo il dubbio che non aveva mai smesso di tormentarlo: "Nicol, tu mi odi ancora per quello che ti è successo?"

Lo vide sbattere le palpebre una volta di troppo, e stringere il volante. Erano arrivati alla loro destinazione, e il pianista parcheggiò un po' troppo bruscamente, per poi slacciarsi la cintura di sicurezza, volgendo la testa per guardarlo. Athrun rimase tranquillamente impalato al suo posto, sicuro che Nicol non avrebbe seguito le orme di Yzak incollandolo al finestrino.

Il giovane dai capelli verdi, infatti, scosse lievemente la testa rimanendo a distanza. "Se fosse vero me ne sarei stato zitto. Avrei lasciato che andassi a farti ammazzare per i tuoi principi senza aprire bocca. Sei impossibile, Athrun!" esplose ad un tratto, guardandolo severo. "L'ultima volta che ci siamo visti, undici anni fa, eri un ragazzino troppo duro con te stesso, introverso e pieno di dubbi su quello che stavamo facendo. E ti ritrovo che sei diventato come Yzak, uno che quando prende una decisione è irremovibile contro ogni più logico buon senso." Nicol inalberò un'espressione esasperata, spingendo leggermente in fuori il labbro inferiore, in una smorfia infantile. "Athrun, io non ti riconosco più."

Per un secondo, l'Ammiraglio non disse nulla, limitandosi a scrutare il volto da bambola dell'amico nell'impossibile tentativo di percepire se lo stesse prendendo in giro. Poi si appoggiò pesantemente alla portiera, esplodendo in una risata.

"E io cosa dovrei dire di te?" gli fece, con tutto l'affetto e la sincerità che possedeva. Si passò una mano sugli occhi. "Guidi come un pazzo, sei più bravo a sparare che a suonare il pianoforte e ti allei con Yzak contro di me."

"È successo solo una volta! E solo perché aveva ragione da vendere" ritorse Nicol, che era intanto arrossito come una ragazzina. "Solo uno stupido o un mulo ostinato l'avrebbe contraddetto!" Il giovane girò di scatto la testa verso il volante, apparentemente offeso. "Non mi è diventato improvvisamente simpatico, se è questo che ti stai chiedendo, Athrun. Per me rimane sempre un arrogante coglione."

L'Ammiraglio decise che era ora di scendere dalla macchina, se non voleva soffocare dalle risate. "Dei del Cielo, Nicol, che direbbe la povera Romina se ti sentisse esprimerti in questo modo?"

Nicol rimase un secondo in silenzio, per poi piegare un braccio sopra il volante e appoggiarci sopra la fronte. "Quello che mi ha detto ieri" rispose con una voce che sembrava in procinto di spezzarsi da un momento all'altro. "Che non capisce che compagnie ho frequentato negli ultimi dieci anni per dimenticarmi di tutte le buone maniere che mi aveva insegnato. Ti rendi conto di cosa mi tocca sentirmi dire? Con quella stronzetta di Nina che mi fa le boccacce dietro le spalle della mamma. Non cominciare anche tu, ok?"

Nicol si mise a sghignazzare, e Athrun lo seguì, l'animo alleggerito da quella risata risolutoria. Poi, sicuramente più sereno di quando era salito in macchina, aprì la portiera. Aveva già un piede fuori quando sentì la voce di Nicol chiamarlo. Si girò, scoprendo il pianista ancora nella stessa posizione, ma con il volto parzialmente voltato verso di lui. Stava sorridendo, e gli occhi dalle lenti a contatto ambrate gli sembrarono quasi lucidi.

"Athrun, io ho sacrificato tantissimo per te. Tu mi devi la tua vita. Promettimi che non farai nulla di avventato, e che tornerai sano e salvo dalla tua famiglia. E da tutti i tuoi amici."

Solennemente, Athrun annuì, allungandosi dentro l'abitacolo per toccare con il pugno il palmo della mano che Nicol aveva aperto. Il segno con il quale erano soliti salutarsi, tanti anni prima.

"Lo farò. Ma lo stesso vale per te. Non voglio perderti un'altra volta."

"Non succederà. Questa volta darò quel maledetto concerto. E tu dovrai essere in prima fila" gli assicurò Nicol in tono di assoluta certezza, facendo capire ad Athrun che il giovane avrebbe fatto di tutto per completare quella missione e tornare a casa. E lui poteva affermare lo stesso, in virtù della cosa che più divideva entrambi dai ragazzi che tanti anni prima erano saliti con balda incoscienza sui prototipi di GAT: oramai, avevano troppo da perdere per permettersi di giocare a fare gli eroi.



-------------

I suoni della festa giungevano attenuati sulla terrazza dove Miguel aveva deciso di ritirarsi, per non essere coinvolto nell'ennesimo giochino stupido e, per lui, pericoloso del gruppo degli STORM. Sapeva che sarebbe finita così quando aveva visto due dei ragazzi tornare quel pomeriggio con buste piene di succhi di frutta, patatine e cioccolato. Il fatto che non potessero ubriacarsi non rendeva le loro feste meno movimentate, anzi. Impossibilitati a sfogarsi nel bere, i Coordinator si divertivano a sfidarsi in assurde prove di forza, durante le quali, solitamente, tutte le suppellettili della casa che li ospitava finivano in pezzi.

Miguel sospirò, sentendo il tonfo dell'ennesimo arredo che veniva sfondato, e si chiese chi dei ragazzi fosse stato scaraventato dalla parte opposta della stanza da Alpha. Quando c'era lui era consuetudine per gli altri sfidarlo a braccio di ferro, gara che amplificava il livello di distruzione. Miguel era praticamente fuggito dall'ampio soggiorno raccomandando a tutti di cercare di non farsi del male, ma sapeva che non l'avrebbero ascoltato. D'altronde, nessuno di loro si procurava mai miracolosamente nemmeno un graffietto.

Ad un certo punto una risata acuta di donna superò tutte le altre, e Miguel si passò una mano nei capelli dorati, sospirando mestamente. Nicol era uscito, invitato da Athurn a bere qualcosa con Yzak e Dearka, e si era raccomandato di non fare assolutamente bere Cecilia. A differenza delle sue creazioni lei l'alcool lo poteva toccare eccome, ma bastava un bicchiere per ridurre la severa scienziata come una mentecatta ridanciana.

Il biondo Coordinator esalò un altro anelito di sopportazione, chiedendosi di nuovo cosa aveva fatto di male nella sua vita precedente per sopportare la strana forma di supplizio che era la continua convivenza con quei pazzi.

"Fuggito prima che Alpha sfidi anche te?"

La voce vellutata di Lorran lo distrasse dai suoi pensieri, quasi sorprendendolo. La ragazza aveva la capacità di muoversi in un silenzio completo, come un ninja. Ma ultimamente aveva preso a stargli addosso un po' troppo, e a Miguel non piaceva sentirsi braccato come un succulento coniglio, anche se la cacciatrice era un'affascinante bomba sexy come Lorran.

Si girò verso di lei, non facendo nemmeno finta di nascondere il malumore.

"Sai com'è, non è che mi piaccia esattamente l'idea di essere considerato il vostro giocattolo."

Lorran rise. "Oh, Miguel. Metti il broncio perché prima Rox ti ha detto che ti vede invecchiato? Lo sai che stava deridendo solo la tua fottuta vanità. E non fare quella faccia, tu non hai la minima idea di quello che significa essere considerato davvero niente più che una marionetta senz'anima."

Il sorriso di Lorran non vacillò, mentre superava Miguel e si appoggiava lievemente alla balaustra, fissando il buio oceano che circondava da quel lato la villa sulla scogliera. Gli occhi di Miguel si bloccarono sulle sue spalle nude. La brezza era fredda quella notte, ma alla giovane non sembrava dare nessun fastidio. Appariva tranquilla e rilassata, e Miguel decise in quel momento di soddisfare una curiosità che da tempo lo stava tormentando. Sarebbe partiti due giorni dopo, e chissà per quanto non avrebbe avuto occasione di parlare a quattrocchi con Lorran.

"È veramente così brutto essere chiamati in quel modo?" le chiese, sapendo di stare rischiando un'unghiata isterica.

Quando avevano catturato il terrorista di Nova, il bastardo l'aveva insultata così, sotto l'effetto delle droghe, e Miguel aveva temuto che lei lo uccidesse sul posto prima di avergli estorto qualunque informazione. C'erano poche cose che facevano perdere a Lorran le staffe, e insinuare che fosse solo una bambola di plastica, era una di quelle. Nonostante fosse fisiologicamente e sostanzialmente piuttosto vero.

La giovane scosse le spalle, senza degnarsi di guardarlo. "Mi ricorda i vecchi tempi, tutto qui" gli rispose blandamente, ma Miguel rimase in silenzio, aspettandosi altro.

Dopo qualche secondo, infatti, Lorran riprese a parlare. "Tu sai che Cecilia è di origine ebraica, vero?"

"Uhm, veramente no" ammise lui. Non era mai stato così interessato nella persona della scienziata per aver la curiosità di scoprire più del necessario su di lei.

"Ovviamente è atea" riprese Lorran, "ma quando lo staff dell'Alleanza lo scoprì, a Nassau, presero a chiamarla 'Rabbi Loew'. Lo facevano davanti a noi, come se non fossimo niente altro che oggetti."

"Che significa?" A lui quel nome non diceva proprio niente.

Lorran piegò la testa, e i capelli di media lunghezza oscillarono di lato nella brezza, sottili ma brillanti come strali infuocati.

"Era un vecchio studioso del Talmud, vissuto nel 1500 nella città Euroasiatica una volta conosciuta come Praga. La leggenda dice che avesse creato dall'argilla degli esseri chiamati 'golem', infondendogli un'anima tramite l'imposizione sulla fronte della parola 'verità'. Puoi immaginare come quegli idioti chiamassero noi."

Miguel deglutì, incerto su cosa dire. Non riusciva nemmeno ad immaginare cosa avessero sofferto quei ragazzi in quei mesi, torturati per i grotteschi esperimenti dell'Alleanza, e trattati -Lorran gliel'aveva appena ricordato un'altra volta- come manichini. Forse, era proprio come speravano che i loro prigionieri diventassero. Decise di minimizzare, più bravo a scherzare che a consolare il prossimo.

"Erano dei criminali, lo sai benissimo. Ma alla fine l'hanno pagata cara. Però la storiella è interessante, non ti facevo così colta" le disse, lasciando trapelare un accenno di divertimento nelle parole.

Lorran, però, era mortalmente seria quando, finalmente, si girò verso di lui.

"Per niente. Me la raccontò Nicol quando gli chiesi cosa fosse un 'rabbi', lui sì che è uno che ha studiato, non è mica un ignorante come te e me."

Il sorriso appena abbozzato di Miguel si intensificò. "Lo so benissimo, ma non ci posso fare niente, sono sempre stato più interessato a fare e disfare motori che a studiare storia. In ogni caso, quella è una cazzata. Non sono nemmeno sicuro che esista qualcosa chiamata anima in primo luogo, figurati se può essere imposta a comando. E anche tu lo devi sapere bene. Viaggiamo in giro per il cosmo, non puoi credere a quelle fandonie medievali!"

Lorran fece un gesto stizzito con la mano, strofinandosi poi gli occhi. "Ovviamente. Ma ce lo ripetevano in continuazione, e qualcuno di noi penso che abbia anche finito per crederci. Non era difficile, considerato quello che eravamo diventati."

"E Cecilia che diceva di tutto questo?"

"Li strapazzava quando sentiva che deridevano noi, ma di se stessa non si è mai preoccupata troppo. Diceva di essere superiore a quelle cazzate." Gli occhi di Lorran corsero alle sue perfette unghie. "La odiavo così tanto."

"Me lo ricordo, ma non ho mai capito perché."

"Perché era così miope a tutto quello che la circondava che non fosse il suo lavoro! Noi ammiravamo la sua intelligenza, lei era un genio, e nonostante quello non faceva nulla per farsi rispettare da quei Natural trogloditi."

Miguel sorrise di sbieco, aspettandosi altre lamentele dal broncio indispettito che aveva piegato le labbra di Lorran. E, infatti…

"E poi non mi badava proprio. Lei aveva occhi solo per Nicol!" sentenziò la rossa, incrociando le braccia al petto e spingendo in fuori il mento.

Miguel avrebbe voluto ridere, ma si trattenne. Come Nicol, a volte Lorran aveva atteggiamenti incredibilmente infantili, che gli facevano quasi tenerezza.

"A quanto mi risulta lei voleva bene a tutti voi" osò dire, e la risposta di Lorran fu un gelido sguardo irritato.

"Beh, sì. Ma io ero l'unica ragazza del gruppo. E Cecilia la sola dello staff abbastanza giovane per essere mia amica. Eppure mi aveva preferito Nicol. Non lo capivo. Cioè, c'ero arrivata subito che quei due sciocchi avevano una storia, ma perché non poteva comunque prendersi cura di me? Io desideravo la compagnia di Cecilia, e lei passava ogni momento libero con lui. Non era assolutamente giusto."

Se c'era una cosa che Miguel aveva capito di Lorran, era il suo morboso desiderio di attenzioni. Alla luce di quello, il comportamento apertamente astioso della ragazza verso Cecilia, quando entrambe vivevano all'istituto, acquistava senso. Lorran voleva la scienziata tutta per sé, ma Cecilia aveva scelto qualcun altro da accudire.

"Eri gelosa di Nicol?" le chiese, abbassando la voce.

Lorran reagì alle sue insinuazioni come si era aspettato. Il suo volto perse ogni espressione, e la giovane si avvicinò, battendogli sul petto con uno dei suoi artigli. Miguel non si era accorto che li aveva sguainati.

"E te ne stupisci anche? Non hai idea di cosa ho passato io mentre quella perdeva tempo a fare gli occhi dolci a Nicol. Sotto le telecamere, tra l'altro. La odiai ancora di più quando mi resi conto che era assolutamente incauta, e che si stava davvero innamorando di lui. Sapevo che prima o poi l'avrebbero beccata, e infatti successe. Se fosse stata mia amica, non sarebbe mai accaduto."

Miguel vide le labbra di Lorran riprendere la solita piega ironica, da gatta annoiata, e fu certo che nascondesse qualcosa. La guardò, non riuscendo a non ammirarne il contegno sbarazzino. Era pazza, ne aveva una paura folle, a volte, eppure trovava divertente il modo che aveva Lorran di non nascondere affatto come volesse vivere la sua vita, come se tutti gli altri dovessero essere a sua completa disposizione.

"Le avresti dato qualche buon consiglio?" chiese Miguel, piegandosi leggermente verso di lei.

Lorran gli fece l'occhiolino. "Ovviamente. Là dentro ho sempre fatto quello che volevo, ma innamorarsi era da stupidi. Per quello si prese una bella strigliata dal suo capo. Non perché fosse andata a letto con uno dei giocattoli dell'Alleanza, non era certo l'unica, ma perché l'aveva difeso davanti ai Logos." La giovane agitò un artiglio davanti agli occhi di Miguel. "Non doveva farlo!"

"Non ti ho capita. Che significa che facevi quello che volevi?" le chiese lui, aggrottando le sopracciglia.

"Che una bella ragazza come me di certo non passava inosservata, e loro erano ansiosi di testare che davvero tutto fosse stato ricostruito a dovere." Lorran scosse le spalle. "Anche se nessuno perse mai la testa per me. Meglio così, però, anch'io ci sarei andata di mezzo, come Nicol con Cecilia."

Miguel si passò una mano tra i capelli, indeciso sul significato da dare alle parole di Lorran. Aveva capito male o lei gli aveva appena rivelato che quelli dell'Alleanza l'avevano violentata? Però la leggerezza con la quale aveva parlato lasciava supporre che avesse ceduto consapevolmente. Dal tono sereno della giovane non traspariva niente che avrebbe potuto aiutarlo. Miguel le fece una smorfia, incerto se ridere o inorridire.

"Vuoi dire che ti sei ripassata tutto il personale dell'istituto senza problemi?" azzardò.

"Certo. È stato divertente. Era la prima volta che qualcuno si accorgeva di me" gli rispose lei, appoggiando le mani sui fianchi. "E poi, per me non significava nulla. Dopotutto, questo non è che sia proprio il mio corpo, giusto?"

Lorran distolse lo sguardo per un momento, e in quell'istante Miguel vide il suo labbro inferiore tremare. Fu solo per attimo, niente più che un battito di ciglia; il biondo Coordinator se lo sarebbe perso se non avesse avuto gli occhi fissi sul bel volto della ragazza.

Scoperta una vulnerabilità in Lorran, per quanto infinitesimale, la vera natura di maschio alfa di Miguel si scatenò ed ebbe il sopravvento sull'istinto di autoconservazione che lo portava a starle lontano. Gli sembrò che il suo corpo si muovesse senza che lui l'avesse davvero voluto. Fece un passo avanti, mise le braccia attorno alla vita della rossa e la trasse a sé. Prima ancora di rendersene conto la stava baciando, e le labbra di lei non erano per niente diverse da quelle di tutte le donne che lui aveva avuto. Nemmeno il suo corpo aveva una consistenza diversa; come i capelli, che gli solleticavano sensualmente le braccia nude.

Quando finalmente si staccò, scoprì sul volto di Lorran la stessa sorpresa che era abituato a vedere in faccia alle donne normali. Miguel non riusciva a percepire nessun differenza fondamentale, eccetto la siderale bellezza della Nexus.

Che si leccò le labbra. "Che succede ora?" gli chiese Lorran, in un tono cauto che non le era proprio. Sembrava come se fosse preoccupata di non mandare in pezzi una preziosa scultura.

Miguel, invece, sogghignò, sollevato dall'avere fatto finalmente il primo passo, e deciso a non lasciarsi scappare l'occasione di avere tutte per sé le attenzioni della donna che pretendeva che il mondo le girasse sempre attorno.

La prese in braccio, trovandola meno pesante di quello che si era aspettato, e infilò la via per la sua camera.

"Succede che guadagniamo la mia stanza, prima che qualcuno me la distrugga!" le rispose lui, correndo quasi verso la sua meta con in braccio il proprio sghignazzante fardello.



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Alla fine Yzak era stato più comprensivo di quello che Athrun si era aspettato. Come prima cosa, entrando nel locale ed incontrandolo, il giovane Ammiraglio gli aveva teso la mano, che Yzak si era ben guardato dallo stringere. Era invece partito in quarta ad inveire contro Athrun e il suo perverso senso di responsabilità verso il passato, e rifiutandosi di sedersi attorno ad un tavolo con gli altri fino a quando Athrun non ebbe ammesso che sarebbe stato prudente, assicurando che mai e poi mai avrebbe pregiudicato la riuscita della missione per qualche stupido colpo di testa. Ottenuta la giusta soddisfazione, seppure a parole, Yzak si tranquillizzò e la serata prese la piega che Athrun voleva.



"Mi vuoi spiegare perché devo essere sempre io ad andare a prendervi da bere?" si lamentò Nicol.

"Perché sei l'unico che può portare tutte le bottiglie e i bicchieri senza farne cadere nemmeno uno" gli rispose Dearka, serafico.

"Ma toccava a me anche quando eravamo sulla Vesalius, me lo ricordo ancora."

Senza smettere di sorridere Dearka appoggiò cameratescamente una mano sulla spalla del compagno più basso. "Là era perché eri il più carino e il più femminile di noi, non potevamo perdere l'occasione di essere serviti da una cameriera tanto graziosa."

Nicol fulminò il biondo con un'occhiataccia, per poi alzarsi scrollandosi la mano di dosso con sufficienza. "Certo, eravate un branco di stronzi, sai…" commentò freddamente, anche se le labbra gli si stavano comunque piegando in un sorriso.

Athrun aspettò che si fosse allontanato verso il bancone prima di rivolgersi ad Yzak.

"Se gli devi parlare dietro ti consiglio di farlo in un altro momento, qui ti può sentire comunque."

"Fossi matto" gli rispose l'altro, strofinandosi gli occhi. "Quello non ha tutte le rotelle a posto, ne sono sempre più convinto, e io voglio arrivare integro all'appuntamento con quei bastardi di Nova."

"Va tutto bene?" gli chiese Athrun.

Alla domanda, Yzak annuì. "Sì. Come concordato, il nostro shuttle partirà da qui tra tre giorni per ricongiungersi direttamente con la Einstein, dove si stanno già imbarcando le altre squadre. Miguel e i suoi, invece, faranno tappa ad una stazione intermedia. Gli abbiamo messo a disposizione una piccola fregata di classe Maya, attraccheranno con quella alla Einstein, al cui equipaggio è stata diffusa la notizia che quella nave arriva da Carpentaria. Sai, per proseguire il nostro innocente raggiro ai danni di quelli della Federazione che pagano tutte le spese."

Yzak sogghignò, lanciando un'occhiata d'intesa a Dearka.

"Hai ricevuto dai nostri alleati la lista dei piloti che parteciperanno all'operazione?" chiese quest'ultimo.

"Sì, con i relativi curriculum. Saremo venti. Tutti veterani, con i più avanzati modelli di mobile suit. Vedrai, li schiacceremo come zanzare fastidiose. Anche se questa, dopotutto, è la parte più facile della missione."

"Ahh, sono quasi geloso di non poter partecipare!"

"Non dire cazzate, Dearka! Me ne basta uno di dilettante a cui badare" sibilò Yzak, facendo un cenno della testa verso Athrun, prima di puntare un dito accusatore contro il suo biondo amico. "Ti sei trasformato in questi mesi in un burocrate perfetto, e anche prima era da troppo tempo che saltavi tutte le esercitazioni. Non ti lamentare se ti lasciamo a casa, colpa tua che hai deciso di fare carriera tra le scartoffie, invece di rimanere al mio fianco."

Il destinatario di quella filippica scoccò una divertita occhiata di sopportazione ad Athrun, che sorrise, appoggiando il gomito sul tavolo. Si ricordava bene la scenata che Yzak aveva fatto a Dearka il giorno in cui, cinque mesi prima, il compagno di mille battaglie aveva annunciato al figlio di Ezalia Joule che non l'avrebbe seguito sulla Einstein come suo secondo perché aveva fatto domanda di trasferimento al Dipartimento degli Esteri. In realtà, sapevano tutti che Dearka aveva lasciato il servizio attivo per cogliere l'occasione di essere trasferito ad Orb e stare più vicino a Miriallia, ma Yzak, nonostante fosse quello che più di una volta aveva insistito perché l'amico mettesse la testa a posto, aveva reso la separazione drammatica come un divorzio tra coniugi sposati da trent'anni.

"Consolati, almeno tu non hai dovuto dividere il divano con i gatti per due settimane" disse Athrun a Dearka, facendolo scoppiare a ridere. E, a dispetto del cipiglio severo, anche sul volto di Yzak apparve un ghigno soddisfatto. Poi, il giovane Comandante di ZAFT prese un profondo respiro, gli occhi cerulei affondati in quelli di Athrun.

"Basta cazzate. Dobbiamo parlare di una cosa seria. Nella lista dei nomi dei piloti di ZAFT che ho ricevuto stamattina c'è anche quello di Kira Yamato. Tu lo sapevi?"

Athrun scosse la testa, arricciando il naso di fronte all'enormità della notizia. "No, ha cercato di contattarmi ieri sera ma con queste continue tempeste solari non c'è stato verso. Probabilmente voleva annunciarmelo di persona."

"Sì. Forse non vuole fare passare liscia a quelli di Nova l'affronto che hanno fatto a Lacus" aggiunse Yzak, suscitando l'ilarità di Dearka.

"Ma guarda" commentò il biondo, sghignazzando. "Un vero cavaliere che, lancia in resta, vendica l'onore della sua bella."

"Lo sai che non è così…" protestò Athrun, interrotto subito da Yzak.

"Non me ne frega niente dei suoi motivi" abbaiò l'albino. "Lo sappiamo tutti che è il pilota più capace che abbiamo, quindi tatticamente la sua presenza è importante. Ma non vorrei che avessimo problemi su altri fronti." Indicò Nicol dietro di sé, che stava tornando reggendo un vassoio carico di bicchieri e bottiglie. Era impossibile che non avesse sentito, Athrun lo sapeva bene, ma l'espressione del pianista era imperturbabile come al solito quando raggiunse il loro tavolo appoggiandovi il vassoio con, però, un po' troppa violenza. Il carico vibrò pericolosamente, e le bottiglie urtandosi sparsero attorno un tintinnio gradevole, che si spense in strano silenzio carico di attesa.

Nicol si sedette al suo posto, senza guardare nessuno di loro. Fu Yzak che, come al solito, ruppe gli indugi con il suo fare impetuoso. Afferrò un cartone di succo di frutta, riempì un bicchiere fino all'orlo e lo mise davanti al giovane dai capelli verdi, che lo guardò di sottecchi.

"Te lo dico una volta sola, Amalfi" gli intimò Yzak. "Quando questa storia sarà finita, potrai fare di Kira Yamato tutto quello che vorrai. Ma vedi di controllarti quando lo incontrerai sulla Einstein. È prezioso per questa missione, se me lo rovini giuro che ti rispedisco a Morgenroete in un contenitore per rifiuti riciclabili."

Dearka e Athrun non riuscirono a non mettersi a ridere, mentre Nicol fissava stranito Yzak.

"Le tue minacce sono sempre così… pittoresche?" gli chiese, perplesso.

"Sì. E prendila seriamente. Ci sono già troppe cose che possono andare male, non mettetevi anche a regolare conti privati."

"Lo capisco. E non ti devi preoccupare, io non ho proprio niente da dire a Kira Yamato" gli assicurò Nicol remissivamente, prendendo un sorso di succo di frutta.

Athrun sapeva benissimo che non era così. Lo capiva da come Nicol teneva lo sguardo abbassato, come se non avesse il coraggio di guardarlo in faccia. La tensione con la quale stringeva il bicchiere era però palese, tanto che Athrun si stupì che non l'avesse ancora frantumato. Il giovane Ammiraglio sospirò silenziosamente. I suoi due amici si sarebbero incrociati per forza, e non aveva la minima idea di come il pianista avrebbe potuto reagire; anche se l'aveva fatto solo per difendersi, era Kira che aveva brandito la spada che aveva 'ucciso' Nicol, nessuno poteva dimenticarlo.

"Beh, brindiamo? Io ho la gola secca."

L'esortazione di Dearka lo strappò dai suoi pensieri, e Athrun decise di non prestare a quella faccenda più attenzione del dovuto. Dopotutto, sia Kira che Nicol erano persone adulte e responsabili, e se il pianista aveva perdonato lui, che era la diretta causa di tutti i suoi problemi, Athrun sperò che lo stesso sarebbe stato per Kira. Si assomigliavano, e magari si sarebbero anche trovati simpatici. E, notando un lieve sorriso piegare le labbra di Nicol, non poté che desiderarlo con tutto il cuore.

Alzò il bicchiere insieme agli amici, provando, a dispetto della situazione che li aveva riuniti, una gioia quasi incontenibile. Ci fosse stato anche Kira, avrebbe avuto attorno a quel tavolo i ragazzi a cui più teneva, i compagni che gli avevano salvato la vita in più di una occasione, i suoi amici più cari, nonostante i problemi e gli screzi.

Athrun strinse le labbra. "Brindiamo al futuro. Vi voglio rivedere ancora qui quando questa storia sarà finita" pronunciò poi con fervore, guardandoli tutti in faccia.

"E brindiamo al Comandante Joule" concluse Dearka con un sogghigno. "Che il suo Team sia meno sfigato di quanto è stato il tuo, Zala."

Mentre Nicol si metteva a ridere, Yzak si portò il bicchiere alle labbra con un ghigno di sfida. "Ci puoi contare, Elthmann."

Athrun invece si limitò a scuotere le spalle, realizzando finalmente quel piccolo particolare che da giorni gli sfuggiva quando pensava alla missione: Yzak avrebbe finalmente coronato il suo sogno di gloria di essere suo superiore. Dall'espressione soddisfatta che campeggiava sul volto dell'albino Athrun capì che doveva esserci arrivato anche lui, e che la cosa gli piaceva molto. A quel punto, al figlio di Patrick Zala non restò altro da fare che svuotare il bicchiere in un sorso e versarsi altro gin. Forse, era il caso di non pensarci e di berci copiosamente sopra.



Fascia dei Detriti, 14 maggio, 82 CE


Kassel era preoccupato. Nonostante sulla Terra le cose stessero andando come pianificato e, tra attentati e minacce, sempre più l'opinione pubblica passava sotto il loro controllo, nel satellite che ospitava la comune di Nova si respirava una strana aria di attesa, come se qualcosa dovesse succedere da un momento all'altro. Lui aveva perso il sonno, come molti altri, memore che quella sensazione che gli mozzava il respiro era simile a quella che aveva provato anni prima, nella sua città, alla vigilia dell'attacco delle forze dell'Alleanza. Faceva fatica a tenere a bada quella vocina che gli suggeriva di scappare il più lontano possibile da quel posto. Non l'aveva fatto, la volta precedente, e la sua famiglia ne aveva pagato il prezzo, ma adesso non c'era proprio posto dove fuggire o mezzo con cui farlo; Requiem era stato molto chiaro con tutti quando erano saliti a bordo: avrebbero formato una comunità, una famiglia, ma non avrebbero avuto la possibilità di andarsene. Lui meno di tutti, che era praticamente diventato il braccio destro di Requiem. Fino a quel momento, d'altronde, a nessuno era mai venuto in mente di lasciare Nova.

'Qualcuno fermi il mondo, voglio scendere' si ritrovò a pensare Kassel, percorrendo i corridoi e incrociando lo sguardo degli altri accoliti. Anche se impegnati nelle attività quotidiane erano tesi, lo vedeva bene, e aspettavano come la manna dal cielo il momento in cui, come tutti i giorni, il loro Maestro li avrebbe riuniti nell'ampia sala comune per guardare insieme le news che arrivavano dal mondo e commentarle. Requiem non faceva mistero di quello che stava succedendo sul pianeta azzurro sotto di loro, e le folle che osannavano il nome di Nova rassicuravano tutti i presenti, fino al momento in cui si spegnevano le luci e l'asteroide entrava nella fascia notturna. Soli nelle proprie cuccette, Kassel sapeva bene cosa tormentava il popolo di Nova.

Un suono di voci concitate attrasse la sua attenzione, e l'uomo svoltò velocemente un angolo per accertarsi di quello che stava succedendo. In mezzo al corridoio, Odessa e un altro dei piloti discutevano con una giovane donna, mentre una piccola folla si stava formando attorno a loro.

"Oh, avanti, che differenza può fare una persona in più?" stava chiedendo la donna.

"Lo sai che non ci posso fare niente" le rispose Odessa, gli occhi azzurri stretti un'espressione combattuta.

Il secondo di Requiem decise di intervenire prima che fosse tardi; c'era già fin troppo nervosismo in giro senza aggiungervi una scenata con i fiocchi tra i membri di Nova.

Velocemente raggiunse il gruppo e afferrò la donna che fronteggiava Odessa per un braccio. Lei si girò veloce come un serpente, ma le parole le morirono sulle labbra quando si accorse di chi le era a fianco.

"Andiamo, Mlada, dobbiamo parlare" le intimò lui, facendo un cenno verso i due piloti. "Anche voi, venite."

Kassel guidò il gruppo in una stanza vicina, vuota, chiudendo la porta dietro di sé. Poteva sentire la giovane Mlada tremare di tensione nella sua stretta, e non fu una sorpresa scoprire un lampo di accusa nei suoi occhi quando la lasciò.

"Ma che avete tutti? Ho solo chiesto di essere trasferita alla stazione dei mobile suit. Ero un'operatrice radar prima di venire qui, e di certo le mie competenze sono più utili là che non in cucina a scaldare pasti al microonde."

Con la coda dell'occhio, Kassel vide l'altro pilota avvicinarsi alla donna.

"Beh, dopotutto ha ragione, no? Non ha senso che rimanga qui, stavamo cercando di spiegarlo ad Odessa" disse il giovane senza scomporsi, aprendo le braccia e scrollando le spalle.

Kassel ci mise solo un attimo a dare un nome al pilota. Loro non si vedevano spesso sul satellite minerario, solo Odessa era l'unica che lo frequentava abitualmente, ma Kassel si ricordava che quel giovane dagli strani capelli viola era abbastanza di casa lì, avendo una relazione proprio con Mlada. Lui era un Coordinator, lei una Natural della Federazione Euroasiatica, arrivati insieme su Nova un anno prima; ad un tratto Kassel capì il perché di quella scena. Entrambi avevano servito negli eserciti dei rispettivi paesi, e di certo sapevano quello che stava per succedere, nonostante tutte le rassicurazioni di Requiem.

Kassel incrociò le braccia al petto, appoggiandosi al muro. Il pilota, Essen, sembrava abbastanza tranquillo, mentre lei sull'orlo di una crisi di nervi. Il secondo di Requiem decise di rivolgersi alla donna, mentre Odessa li guardava imperscrutabile.

"Mlada, te ne vuoi andare perché pensi che su Terminal saresti più sicura? O perché volete entrambi lasciare Nova nello stesso modo in cui avete disertato?"

La giovane inclinò la testa, ma lo sguardo di sfida rimase inalterato. "Scappare? E dove? I nostri ID sono registrati ovunque. Pensi che sarebbe facile per noi assumere un'altra identità? E poi, come se non bastasse, siamo una coppia mista. Nessuno ci aiuterebbe, né su PLANT né sulla Terra, e Laxus non potrebbe mai passare per un essere umano 'normale', nemmeno se si tingesse i capelli."

Kassel si lasciò sfuggire una smorfia, colpito dal fatto che Mlada aveva usato il vero nome del suo amante. Erano proibiti, dovevano dimenticarseli. Lei lo sapeva benissimo, ma evidentemente non l'aveva fatto.

"E quindi?" le chiese.

"Non prendiamoci in giro, Kassel" gli sibilò la giovane. "Vedo che ti ricordi che siamo ex-militari. Requiem è un genio della strategia e della manipolazione delle masse, tu un esperto di marketing e comunicazione, ma noi che arriviamo dall'esercito sappiamo bene come quelli ragionano, forse più di voi. Ci attaccheranno, è solo questione di tempo, e io voglio essere in un posto dove posso dare una mano, tutto qui."

'Tutto qui?' si chiese l'uomo, notando lo sguardo che si erano lanciati i due amanti. In realtà, lui sospettava che volesse solo rimanere con Essen e, in tutta coscienza, non riusciva a biasimarla. Da quello che si ricordava erano l'unica coppia di razza mista presente a bordo, e gli unici due separati dalle circostanze; il discorso che la giovane gli aveva fatto, poi, non era interamente sbagliato.

Ci pensò un attimo su, sotto gli occhi di Mlada che diventava sempre più nervosa, e di Odessa, dietro di lei, che spostava il peso da un piede all'altro. Kassel si domandò cosa la leader del gruppo di piloti ne pensasse. Era difficile capirla, perché se da un lato Odessa non nascondeva la propria anima impietosa, Kassel sapeva che era genuinamente preoccupata per i civili di Nova. Forse più di Requiem.

Alla fine annuì, lo sguardo che abbracciava tutti i presenti. "Odessa, fai un controllo di tutto il personale militare che abbiamo a bordo. Entro stasera voglio che quelli non necessari vengano trasferiti su Terminal. Ma prima incontriamoci in sala controllo, dobbiamo predisporre un piano di difesa, nel caso che i vostri mobile suit non riuscissero a fermarli." Inspirando profondamente, Kassel si rivolse poi a Mlada. "Non te ne puoi andare. Da quello che mi ricordo tu sei quella con più esperienza, voglio affidarti la difesa di questo posto."

La giovane spalancò gli occhi, per poi mettersi a ridere, seccamente. "Grazie della fiducia, ma ero solo un'operatrice radar, non c'è molto che io possa fare, non con quello che abbiamo a disposizione."

"Dovremo farcelo bastare."

Lo sguardo di Mlada vagò per un secondo verso il pavimento, per poi sfiorare il suo amante e tornare imperiosamente su Kassel. Arricciò le labbra, come se avesse mangiato un limone.

"Te lo dico ora, e lo puoi riferire anche a Requiem, nel caso riuscissero a sfondare la nostra linea di mobile suit, non vedo cosa gli impedirebbe di buttarci giù dal cielo."

"Sono un esercito regolare, Mlada, agiranno sicuramente su mandato delle Nazioni Unite, che sono certo li spedirà qui per un'operazione di polizia internazionale. Vorranno arrestarci tutti, e noi dobbiamo impedirglielo."

"Hai molte certezze, Kassel, che io non ti posso confermare, e nemmeno lo potranno fare gli altri ex-militari che sono a bordo, se glielo chiederai. Noi lo sappiamo benissimo come sono i vertici della Federazione Euroasiatica e di ZAFT, ma io non voglio diffondere il panico tra i civili quindi me ne starò ben zitta. Perché io sono sicura di un'unica cosa, e te la dirò ora." La giovane gli si avvicinò di un passo, l'espressione estremamente seria. "Se ci abbordassero, qui abbiamo ben poco con cui poter contrastare dei commando addestrati, sia come armi che come personale. A quel punto, non ci rimarrebbe che sperare davvero che ci vogliano solo arrestare."

"Non vedo cos'altro potrebbero fare a dei civili inermi" rispose lui, non credendo per primo a quello che stava dicendo. Aveva visto come dei soldati regolari avevano ridotto i suoi cari, e sapeva che dopo dieci anni non era cambiato nulla. Ma non era forse perché ben consapevole di quello che politici disonesti e militari senza scrupoli potevano fare che si era unito a Nova?
Senza aggiungere altro uscì dalla stanza. Doveva parlarne con Requiem. Non potevano rimanere ad aspettare di essere massacrati.



Orb, 15 maggio, 82 CE


"Dai, cos'è quella faccia? Non sarà mica la prima volta che lo fai, vero?"

Nicol fissò Lorran esitante. "Veramente sì. Perché ti stupisci tanto? Nessuno mi ha mai chiesto certe prestazioni, prima d'ora."

"Oh, beh, c'è sempre una prima volta per tutto, no?"

"Ne farei a meno, ad essere sincero…"

"Se non ti conoscessi direi che hai paura" gli fece Lorran maliziosa, togliendosi la giacca leggera che indossava.

"E conoscendoti dire che ci stai provando" sospirò Nicol, che stava cercando nella sua mente una possibile scusa per andarsene, senza trovarla.

"Ma cosa dici mai? Ho la faccia di una che usa queste basse tattiche di seduzione per convincere il prossimo ad aiutarla?" Lorran si esibì in un ampio sorriso, allungandosi verso Nicol. "Avanti su, proprio qui, in mezzo al torace" gli disse lei, abbassandosi il bordo del top.

Il giovane fissò la parte incriminata, alzando senza troppa convinzione la macchinetta per tatuaggi che Lorran aveva acquistato il giorno prima.

"Non dovresti rivolgerti ad un professionista?"

"Sei matto? Scommetto che scoprirebbe subito che la mia pelle ha qualcosa di strano."

Gli occhi di Nicol vagarono dall'attaccatura dei seni della compagna, alla fotocopia della serie di simboli che la ragazza voleva assolutamente tatuarsi addosso. L'aveva buttato giù dal letto all'alba per quello, e lui non vedeva l'ora che la smettesse di tormentarlo per tornarsene a dormire. Il giorno dopo sarebbero partiti per la missione più difficile della loro carriera, e lui aveva la ferma intenzione di rilassarsi il più possibile.

"Ma che c'è scritto?" le chiese. Quei simboli gli ricordavano qualcosa, forse una decorazione che aveva visto da qualche parte.

"Verità."

"E in che lingua?"

Lorran esitò, affondando i denti nel labbro inferiore. "In ebraico. Si legge 'emeth'."

"Ah, e perché una cosa del genere?"

Nicol non si avvide del silenzioso sospiro di sollievo che emise la giovane accanto a lui. Anche se adesso che lei gliel'aveva detto quella parola gli suonava famigliare, come il fatto che fosse in ebraico, ma il motivo per cui le due cose fossero connesse gli sfuggiva.

Lorran scosse le spalle, fingendo indifferenza. "Mi piace com'è scritto, tutto lì."

Ancora assonnato, Nicol decise di non fare più caso alle stranezze della rossa, che quel mattino sembrava allegramente più pazza del solito. E al settimo cielo, come era stata per tutto il giorno precedente. Prima finiva quel lavoro, prima sarebbe tornato a fare compagnia a Cecilia, meditò Nicol, appoggiando la punta dell'ago sulla pelle immacolata di Lorran e cominciando a tracciare la prima lettera.

"Aleph…" pronunciarono entrambi i Nexus.



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Ed eccoci qui, finalmente alla partenza! Giuro, giuro che nel prossimo capitolo combineranno finalmente qualcosa e non si limiteranno solo a parlare ;)
Anyway, grazie Shainareth per il prezioso lavoro di betaggio, che farei senza di te!?!?
Ora, messaggio bassamente promozionale a favore della mia amica Ila, artista provetta, che mi ha fatto questo delizioso ritratto di Cecilia e Nicol. Qualcuno ha affermato che lui assomiglia tutto al suo babbo, giudicate voi ^^ http://img440.imageshack.us/img440/6493/scansione0168.jpg

Ringrazio, come di consueto, lettori e passanti, in particolare: SnowDra1609, Hanako_chan, Gufo_Tave, MaxT. Due parole agli altri...
Kourin Ma sai che non avevo affatto pensato di richiamare la scena famosa degli armadietti con quell'ultima parte? E' bello quando i lettori ti fanno notare qualcosa tu hai dato assolutamente per scontato :P E spero ti sia goduta il chiarimento NicoxAsu XD (... e il brindisi successivo. Lo ammetto spudoratamente, tutta sta Enciclopedia Britannica di storia è nata con il preciso intento di fare accomodare lo Zala Team, nella sua interezza, attorno al tavolo di un bar. Ah, sono talmente una fangirl!)
Shainareth Nessuno riesce come te a prendere le difese di Athrun, ne sei consapevole? ^^ Ma hai fatto bene, perché, lo sappiamo tutti, Athrun Zala non sarebbe Athrun Zala se non si buttasse a testa bassa nelle imprese più disperate, guidato solo dai suoi principi e a costo di prenderle. Tale padre tale figlio? ;)

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Capitolo 16
*** Assetto ***


Assetto



Nave spaziale Einstein, 20 maggio


Yzak Joule si sentiva completamente a suo agio. Non solo era tornato nello spazio, nell'ambiente che gli era più congeniale, ma era sulla sua nave e, dimenticate le stupide schermaglie diplomatiche che l'avevano afflitto sulla Terra, si poteva dedicare a quello che gli piaceva di più: ovvero, pianificare l'annichilazione dei nemici di PLANT.
Per fare quello aveva riunito tutti i partecipanti alla missione in una delle sale riunioni della Einstein, per un briefing dai contenuti confidenziali per chiunque non fosse direttamente coinvolto nell'operazione Shooting Star.

Yzak sorrise soddisfatto, guardandosi attorno dalla sua postazione privilegiata sul podio. Alla sua destra, i piloti volontari avevano tutti in faccia un'espressione di assoluta determinazione che gli piaceva immensamente, e i colori eterogenei delle loro divise erano la dimostrazione effettiva della volontà di tutte le Nazioni di liberarsi della minaccia terroristica. Addirittura, i militari di ZAFT e della Federazione Atlantica sedevano fianco a fianco pronti, stavolta, a difendersi le spalle a vicenda invece che uccidersi; Yzak era stato un fiero nemico dei nordatlantici, e non era nel suo carattere perdonare facilmente, ma quella situazione non gli era per niente sgradita.
Sven Cal Payang, il rappresentate dei federali, era in prima fila, seduto accanto a Kira Yamato e ad Athrun. Yzak doveva ammetterlo; nonostante fosse un uomo di poche parole, l'americano dai capelli argentati ci sapeva fare ai comandi di un mobile suit, come Matilda Ninoritch, l'insopportabile euroasiatica accomodata più indietro insieme ai suoi compagni. Fortunatamente, si era rivelata un pilota molto più in gamba di quanto lui prevedesse. Kira era invece la loro punta di diamante, Yzak lo sapeva bene; il compagno di Lacus Clyne aveva capacità nettamente superiori a tutti quelli che lui aveva incontrato nella sua carriera, e l'albino aveva da molto tempo accettato –a denti stretti ma l'aveva fatto- che fosse inquadrato in ZAFT. Meglio con loro che contro di loro, ricordava a se stesso tutte le volte che gli veniva in mente che, tanto tempo prima, aveva giurato di ucciderlo.

Yzak esalò un leggero sospiro, abbassando gli occhi sul laptop che aveva davanti per poi rialzarli per lanciare una sfuggente occhiata alla sua sinistra, lì dove sedeva il gruppo di Coordinator di Serpent Tail. Li aveva già incontrati sulla Terra, quando Miguel glieli aveva presentati, ma averli davanti abbigliati nelle uniformi di ZAFT, con tutto quello che lui sapeva di loro, era una visione un po' straniante e surreale. Soprattutto, perché quasi tutti non gli avevano tolto gli occhi di dosso dal momento in cui era salito sul podio, fissandolo con sguardi vagamente vitrei e senza lasciarsi andare a nessun movimento inutile.

L'albino distolse la sua attenzione dalla truppa, vestita in verde, per squadrare i due mercenari seduti in prima fila, che avevano invece addosso la divisa rossa degli assi di ZAFT. Una era l'unica ragazza del gruppo, l'altro un gigante al quale tiravano tutte le cuciture, e che di tanto in tanto scrocchiava le nocche producendo uno sconcertante rumore metallico. Yzak decise di fare finta di niente, anche se i piloti Natural dall'altra parte non la smettevano di occhieggiare lo strano gruppo, composto da gente bizzarra anche su una nave piena di Coordinator.

Yzak, seccato oltre ogni dire, scoccò un'occhiata di gelida riprovazione a Miguel, seduto comodamente accanto alla ragazza. E non era solo perché non aveva insegnato ai suoi uomini come comportarsi, che l'albino aveva una gran voglia di lanciargli contro il portatile.

L'ex-tutor del Team La Kleuze sfoggiava innocentemente l'uniforme candida dei Comandanti e, per Yzak, una cosa era che il resto dei mercenari vestisse le uniformi dell'esercito di PLANT, come si conveniva ad un Coordinator, un'altra era che qualcuno di esterno si fosse attribuito surrettiziamente il grado maggiore. Il suo grado. Senza contare che, così agghindato, i capelli biondi e la maschera in volto facevano pericolosamente assomigliare Miguel a qualcuno che Yzak avrebbe volentieri scordato.

L'albino espirò rumorosamente, per poi riportare il suo sguardo critico sulla giovane dai capelli rossi che gli avevano presentato come Lorran Escobar. Accortasi di avere l'attenzione di Yzak tutta per lei, la mercenaria incrociò le gambe, messe in bella mostra dalla gonna che sembrava all'albino ancora più corta di quella regolamentare, già di per sé talmente imbarazzante che lui ne aveva vietato l'uso su tutte le navi sotto il suo comando.

Infastidito da quell'esibizionista, che aveva pure avuto il coraggio di scoccargli una provocante occhiata, Yzak finalmente terminò la sua ispezione con Nicol. Il pianista vestiva la divisa nera, come l'aveva già visto mesi prima ad Aprilius One, e teneva in grembo diligentemente un portatile, l'unico tra i Coordinator di quel gruppo.
Yzak sospirò di sollievo al pensiero che almeno uno di quei buzzurri cibernetici fosse relativamente interessato a quello che stava per dire, per poi concentrarsi sul contenuto del briefing. Sfiorò lo schermo del laptop e, dietro di lui, sulla mappa olografica di quel quadrante di spazio si accesero vari punti.

"Terminal" esclamò indicandone uno con un cursore. "Un satellite di proprietà di una azienda euroasiatica, usato per il rifornimento delle navi spaziali. È dismesso da anni, e le nostre indagini ci hanno permesso di scoprire che è utilizzato da Nova come piattaforma di partenza dei loro mobile suit." Yzak fece apparire una foto; ritraeva un razzo a più stadi, dall'aria antiquata, ritto su una piattaforma. "Cosmodromo di Bajkonur, nel paese una volta chiamato Kazakistan. Ecco come hanno fatto rientrare in orbita i loro mezzi, dopo l'attacco in Tanzania. Come sapete, cinque anni fa la deregulation ha permesso che venissero riaperte le vecchie basi di lancio, per poter garantire l'accesso allo spazio anche a chi non aveva le disponibilità economiche per poter spedire mezzi ed attrezzature con i costosi mass driver. Sono soprattutto compagnie private che utilizzano questo sistema, adatto a piccoli carichi: satelliti, pezzi di ricambio per stazioni spaziali o, appunto, mobile suit."

"Quanti ne hanno?" chiese uno dei piloti.

"Ne hanno fatti rientrare sette. Ma non sappiamo quanti ne tengano su Terminal, anche se dalla quantità di materiale spedito in orbita, pezzi di ricambio e carburante, abbiamo stimato che non dovrebbero essere più di dieci. Uno è stato spostato ieri sul satellite minerario."

"Sono pazzi ad aver diviso le loro forze" commentò ad alta voce qualcuno tra i piloti, ma Yzak scosse la testa.

"Affatto. I contatti tra Terminal e il satellite minerario – che d'ora in poi chiameremo Bandit -, dove vive la comunità principale, sono sporadici e difficilmente individuabili, mentre non è così per quelli tra Terminal e la Terra. Immagino pensassero che una volta scoperta la piattaforma di lancio avremmo fermato lì l'indagine, scambiandola per la loro base. È un ragionamento che fila ma, sfortuna loro, noi abbiamo prima rintracciato Bandit e poi, a ritroso, scoperto tutta la loro catena di approvvigionamenti, fino ad arrivare a chi sulla Terra li sostiene."

"Li abbiamo davvero scovati?" indagò ancora lo stesso pilota di prima.

Yzak annuì. "Sì. È una ONLUS euroasiatica, attiva nell'assistenza delle vittime di guerra" all'albino sfuggì una smorfia disgustata; era proprio vero che non ci si poteva fidare di nessuno. "Vi abbiamo infiltrato discretamente i nostri agenti…" Il sopracciglio sollevato di Matilda gli fece correggere immediatamente la frase. "Voglio dire, agenti di Mosca" precisò. "Quei bastardi spediscono regolarmente derrate alimentari in orbita, che poi vengono trasferite su Bandit tramite shuttle. Ma, la cosa interessante, è come i terroristi si procurano quello di cui hanno bisogno, per ridurre al minimo il traffico tra loro e la Terra."

Yzak selezionò un'immagine della base principale dei Nova, presa dalla telecamera di uno dei satelliti posizionati per sorvegliare il bersaglio.

"Ecco, procedono da est verso ovest, paralleli all'Equatore, in una zona della fascia di detriti piuttosto sgombra, dove la possibilità di incontrare scorie voluminose è remota. Di tanto in tanto si avvicinano ai resti delle navi spaziali, ed ecco che fanno."

Il Comandante di ZAFT fece partire un filmato, nel quale si vedevano chiaramente piccole navicelle che lasciavano Bandit e si posavano sul relitto. Un mormorio di disapprovazione si sollevò dai convenuti al briefing.

"Quegli stronzi saccheggiano le tombe dei nostri morti?" esclamò un militare della Federazione Atlantica per tutti, sollevando un coro di contenute proteste contro Nova.

Yzak rispose annuendo gravemente. "Sì. Oltretutto, nonostante abbiano dei propulsori adatti a minimi spostamenti, a volte si lasciano direttamente investire dai relitti per non avere nemmeno la scomodità di far uscire i pod. Depredano quello di cui hanno bisogno e lasciano andare alla deriva il resto. Ingegnoso da parte loro, ma sarà così che li fotteremo" commentò l'albino con un sogghigno, selezionando una nuova immagine. Sullo schermo apparve l'interno di un hangar nel quale era ospitato uno shuttle pesantemente danneggiato, che riportava i contrassegni della Croce Rossa internazionale. "Ecco qua la nostra esca: uno dei nostri flyer d'assalto, camuffato da una di quelle navette utilizzate per il trasporto di medicinali. Ce n'erano pochissimi tra i carichi spediti da Bajkonur, quindi possiamo ipotizzare che i terroristi non si lasceranno scappare una simile occasione. Così, mentre la squadra di mobile suit impegnerà le unità di Nova ben lontano da Bandit, per distrarre la loro attenzione, i commando faranno irruzione trasportati su questo shuttle e prenderanno il controllo del meteorite."

Yzak annuì tra sé e sé, lanciando un'occhiata di sbieco a Miguel. Solo lui e i suoi uomini, Yzak stesso e Cal Payang conoscevano la vera natura della missione dei mercenari di Serpent Tail. E, anche se tutti gli altri probabilmente l'immaginavano –Athrun in particolare- non era nelle intenzioni del Comandante Joule rivelarlo chiaramente. Doveva almeno salvare le apparenze.

"Yzak, però quello non è uno degli hangar della Einstein" commentò Kira dalla prima fila, facendo scuotere il capo all'albino.

"No. Stiamo usando questa nave e il suo gruppo da battaglia solo come appoggio per rifornirci, ma per l'attacco effettivo sarà l'Eternal Eclipse che ci fornirà supporto logistico e copertura. L'Eternal, oltre che essere il fiore all'occhiello della flotta di ZAFT, ha un equipaggio ridotto rispetto a questa nave, e formato da elementi fedeli al cento per cento."

La spiegazione di Yzak fu interrotta a quel punto dall'insopportabile voce di Matilda."Non ho capito allora perché ci siamo riuniti qui invece di andare direttamente lì" chiese la donna in tono querulo. L'albino dovette trattenersi dall'alzare gli occhi al soffitto. Perché quella doveva sempre uscire con domande idiote?

"Perché, come ho spiegato in quelle riunioni preparatorie dove anche tu hai partecipato, l'Eternal, a differenza della Einstein, non è abbastanza grande per accomodare venti mobile suit" le rispose, l'irritazione piuttosto palese nella voce. "Mentre per la segretezza che deve ammantare l'ultima parte della missione il suo impiego ha un'importanza capitale: non possiamo certo andare all'attacco con l'intera flotta lunare."

Accortasi di avere fatto una pessima figura, Matilda incrociò le braccia e sprofondò in un silenzio risentito, mentre Yzak riprendeva a parlare.

"Dunque, stavo spiegando che una volta fuori di qui l'Eternal lancerà booster supplementari per tutti, che ci condurranno sul posto. L'azione sarà condotta in totale silenzio radio con la flotta principale, ovviamente; l'equipaggio qui è convinto che il teatro dell'esercitazione sia la vecchia stazione spaziale DSSD Troya, lasciamoglielo credere."

"Signore" chiamò qualcuno, stavolta dal gruppo di Coordinator di Serpent Tail. "I Nova hanno dimostrato di riuscire ad inserirsi su tutti i nostri mezzi di comunicazione di massa. Quando abborderemo Bandit, cosa gli impedirà di mandare in onda l'attacco?"

Ecco, finalmente qualcuno che faceva una domanda intelligente, meditò Yzak, che spense lo schermo dietro di lui. La stanza piombò nella penombra.

"È essenziale che l'opinione pubblica e, ancora di più, i loro accoliti sulla Terra, vengano a sapere solo quello che vogliamo noi. Nessuno vuole rischiare che i terroristi, mischiati tra la popolazione civile, compiano azioni sconsiderate. Ma, se ve lo siete chiesto, no, non bloccheremo le loro edificanti trasmissioni."

Un mormorio sconcertato si diffuse nella sala, davanti al quale Yzak alzò una mano, piuttosto solennemente. "I Nova lanciano il segnale direttamente da Bandit, usando i satelliti per le telecomunicazioni per diffonderlo; noi li anticiperemo, deviandolo sulla nostra rete militare, e lo spediremo verso la Terra con un ritardo di qualche minuto, il tempo di elaborarlo. Quando si accorgeranno di cosa le televisioni stanno trasmettendo, sarà troppo tardi."

Un lampo di feroce determinazione accese lo sguardo di Yzak, che picchiò violentemente il pugno sul leggio. "Non li voglio solo catturare, cazzo, li voglio umiliare, per tutto quello che c'hanno fatto. Siete d'accordo con me, giusto?"

Un fragoroso applauso accolse le sue parole.



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Nicol scattò in piedi non appena Yzak terminò il briefing, stringendo il portatile sul quale aveva preso qualche appunto. Seguì Miguel e Lorran fuori dalla sala, stando accuratamente attento a non voltarsi mai verso il gruppo misto di piloti. Si sentiva un vigliacco. Anzi, sapeva di esserlo, ma niente al mondo l'avrebbe trattenuto lì, nemmeno le occhiate di Athrun che aveva sentito addosso per tutta la durata della riunione. Nicol era riuscito ad evitare incontri imbarazzanti fino a quel momento e, con la partenza programmata un'ora e mezza dopo, era ragionevolmente certo che con un po' di cautela sarebbe riuscito ad scongiurare di dover per forza presentarsi a Kira Yamato.

"Avresti dovuto ascoltare bene quello che diceva, invece di fargli gli occhi dolci!"

La voce di Miguel scosse Nicol dalle sue elucubrazioni e, se non l'avesse conosciuto bene, avrebbe potuto giurare che il biondo fosse stranamente seccato.

Lorran si voltò verso il coordinatore di Serpent Tail, con un sorriso birichino che le campeggiava sul volto. "Qualcosa ho sentito, e comunque Nicol qui dietro ha preso nota di tutto. Poi mi farò spiegare da lui, che è sempre stato uno studente modello."

Davanti al tono scanzonato della giovane Miguel scosse la testa, quasi melodrammaticamente. "Sciocca. Questa è una missione importante. Non mi dirai che ti vuoi far ammazzare proprio adesso che hai raggiunto il tuo obiettivo, no?"

Nicol aggrottò le sopracciglia. Di cosa stava parlando Miguel?

Il suo discorso non sembrò fare effetto sulla rossa, il cui sorriso si amplificò. "Oh no. E poi, qualcuno non ha detto che la conquista più bella è sempre la prossima? O qualcosa del genere. Ci vediamo dopo."

Miguel rimase impalato a guardarla andarsene. Il suo sguardo era nascosto dalla maschera, ma Nicol vide distintamente la bocca dell'uomo piegarsi in una smorfia mortificata. Prima che potesse avvicinarlo e chiedergli cosa stava succedendo –anche se cominciava a farsene un'idea- l'urlo stridulo di Yzak gli perforò i timpani bionici.

"Ehi, tu in divisa bianca" il Comandante apostrofò duramente Miguel. Nicol si voltò per scoprire l'albino che si avvicinava con ampie falcate a loro, fendendo la folla, e non gli piacque per nulla l'espressione tempestosa che aveva in volto. Anche in quel caso, immaginava cosa stesse andando ad urlare al suo amico, e decise di scansarsi. Ai tempi aveva difeso Athrun dalle sfuriate di Yzak, ma ritenne che Miguel potesse benissimo farlo da solo.

'E poi,' Nicol considerò con una punta di cinismo, 'un po' se lo merita di essere strapazzato per la pessima idea che ha avuto di arrivare conciato come il Comandante La Kleuze.'

Si tolse quindi elegantemente di mezzo, raggiungendo l'ascensore dall'altra parte del corridoio. Evidentemente la cabina era già al piano, perché la porta si aprì quasi immediatamente. Stava per varcarla quando la voce di Athrun lo bloccò. "Aspetta, veniamo anche noi."

Pregando con tutto il cuore che quel 'noi' non comprendesse chi temeva lui, Nicol si volse verso l'amico, scoprendo accanto ad Athrun, purtroppo, proprio Kira Yamato. Non aveva altra scelta che salire con loro. Annuì di sfuggita, entrando nell'ascensore per primo, selezionando il piano che desiderava, e rimanendo a fissare insistentemente la parete mentre le porte si chiudevano. Un'opprimente atmosfera di imbarazzante aspettativa calò tra i tre giovani.

"Uhm... la presentazione di Yzak è stata molto accurata" pronunciò Athrun dopo qualche secondo, tossendo leggermente.

"Come sempre. È il migliore quando si tratta di andare diretti al punto" commentò a sua volta Kira.

Dal canto suo, Nicol si limitò ad abbassare la testa passando, dopo la parete, ad esaminare il pavimento dell'ascensore. Se quei due speravano di coinvolgerlo in una conversazione si sbagliavano di grosso.

Un cicalio segnalò l'arrivo ad uno dei piani desiderati, e Nicol esalò un silenzioso sospiro di sollievo al vedere Athrun uscire. Che si tramutò però in una smorfia di incredulità quando si accorse che Kira non stava seguendo il suo amico d'infanzia. Lo stupore lo tenne inchiodato al suo posto, a fissare le porte che si chiudevano e Athrun dall'altra parte che gli faceva un solenne cenno con la testa. Nicol sbatté le palpebre. L'aveva davvero abbandonato là dentro con Kira Yamato?
L'ascensore riprese a salire fin troppo lentamente, con il giovane pianista che ripeteva a se stesso, sempre più nervoso, che mai e poi mai avrebbe parlato a quello; fu quindi con inenarrabile sollievo che Nicol vide finalmente apparire sul display il numero del suo piano. Le porte, però, non si aprirono. Il giovane dai capelli verdi si girò verso Kira, scoprendo accanto a lui una seconda pulsantiera, e la mano del compagno di Lacus calata sul tasto che bloccava la porta. La bocca di Kira si aprì dopo un attimo per pronunciare un fin troppo prevedibile e cinematografico: "Io e te dobbiamo parlare."

"Di cosa?" gli chiese Nicol brutalmente, costringendosi a guardarlo in faccia. Lì vide qualcosa che non gli piacque. Due occhi grandi colmi di ottusa onestà; gli occhi di una persona terribilmente desiderosa di chiudere con il passato. Lui avrebbe preferito uno sguardo carico d'odio, perché instaurare un qualunque tipo di rapporto con Kira Yamato era l'ultima cosa che voleva. Men che meno sarebbe potuto diventare suo amico, come Athrun sembrava desiderare.

Il giovane dai capelli scuri piegò le labbra in un accenno di sorriso. "Sono contento che tu sia qui. Sono felice di conoscerti e, finalmente, di poterti ringraziare."

"E perché dovresti?" gli chiese Nicol, corrugando le sopracciglia. Al massimo si era aspettato scuse, mica della gratitudine.
"Per aver salvato, tanti anni fa, la vita di Athrun. E la mia, di conseguenza." declamò quasi Kira, tenendo ben fisso lo sguardo su di lui. "Se tu non ti fossi messo in mezzo, quel giorno avrei finito per ammazzarlo, lo so bene. E anche se fossi sopravvissuto alla vostra vendetta, e alla guerra, avrei vissuto la mia vita nel rimorso." Davanti al silenzio stupito di Nicol, Kira si mise una mano sul petto. "Per questo ti ringrazio. Per aver sacrificato la tua vita per aver salvato la nostra. Questa uniforme bianca che indosso dovrebbe essere tua, lo so."

Nicol scosse la testa. "Beh, non l'hai fatto quel giorno ma c'hai provato subito dopo ad ucciderlo, no?" sbottò, cercando di non dare a quella domanda un tono troppo acido. Malgrado tutto, le parole del Comandante Yamato l'avevano colpito.

"Sì" gli rispose Kira sinceramente. "Quando tornai sull'Archangel, dopo aver distrutto il Blitz, mi sentii morire. Avevo già ucciso in battaglia, ma era la prima volta che toglievo la vita a qualcuno che immaginavano avesse un legame con Athrun. Ed era la prima volta" il giovane ripeté, "che ero andato tanto vicino ad ammazzarlo. Mi sentii come se tutte le remore che avevo avuto fino a quel momento si fossero volatilizzate, e ne ebbi una paura folle. Io lo seppi che la battaglia successiva sarebbe stata l'ultima tra di noi, che uno dei due avrebbe massacrato l'altro. Sebbene dentro di noi non lo volessimo. Come non volevo la tua di morte. Io nemmeno sapevo chi eri, ma in guerra..."

A quel punto, e ritenendo tutto il resto della conversazione inutile, Nicol alzò una mano. "In guerra è quello che ci è richiesto di fare. Di uccidere il nemico. Lo sapevo quando mi arruolai, ma so anche che tu non hai avuto esattamente il lusso di scegliere."

"Quindi accetti le mie scuse?"

"E di cosa dovresti scusarti? Di esserti difeso? Se non avessi fatto quello che hai fatto, saresti morto tu al mio posto" ammise Nicol, spostando gli occhi sulla pulsantiera dell'ascensore. Doveva andarsene. Stava dicendo troppo. Concedendo veramente l'impensabile. Dichiarazioni che sentiva essere solo frasi fatte, ma come avrebbe potuto provare del rancore verso quel tizio che aveva fermato ben due guerre, che era considerato un eroe? Che era, soprattutto, il miglior amico di Athrun. Cosa doveva rimproverare a Kira? Di essersi salvato la vita? Per un attimo Nicol immaginò cosa sarebbe successo se quel giorno le cose fossero andate diversamente, e se fosse stato lui ad ucciderlo. Nello spazio di un respiro, fantasticò su come sarebbe stato il mondo senza Kira; senza qualcuno a fermare la follia dei Blue Cosmos e di Patrick Zala. E quel mondo non gli piacque.

Nicol strinse i denti e, finalmente, riuscì a trovare il pulsante che apriva la porta. Ci mise un dito sopra, senza premerlo. No. A Kira Yamato non era successo proprio niente. E anche Athrun si era salvato, per fortuna. E il mondo intero. L'unico ad averci rimesso era stato lui.

'Per fortuna?' si chiese. Alzò la testa, e il lucido alluminio della parete gli restituì il riflesso di qualcuno che dieci anni prima non esisteva. Qualcuno che era stato creato dai resti di un pilota deceduto.
Nicol rimase impalato in quella posizione, con la testa inclinata da una parte e troppi pensieri che, improvvisamente, lo assalirono. Reminiscenze di tutto quello che aveva sofferto nelle mani dei Logos, dell'espressione orripilata di Athrun, la prima volta che l'aveva guardato in faccia, senza nemmeno riconoscerlo; dei volti dei suoi genitori, invecchiati dal dolore; del fatto che c'era ancora una tomba con il suo nome sopra nel cimitero di Aprilius One. Soprattutto, si ricordò che stava vivendo una vita che non aveva voluto, che non avrebbe mai desiderato.

Nicol accarezzò la superficie liscia del pulsante. La persona virtualmente sepolta in quella tomba l'avrebbe pigiato, se ne sarebbe andata e avrebbe perdonato. E dimenticato. Ma lui, anche grazie a Kira Yamato, non era più così. Se ne rammaricava, a volte, ma non poteva farci niente. Non poteva cambiare il fatto di essere diventato un egoista schizofrenico.

Lentamente, si voltò verso il giovane in divisa bianca, e gli si avvicinò fino ad arrivargli a non più di qualche palmo. Kira era alto tanto quanto lui; lo fissò quindi negli occhi, rammaricandosi di indossare le lenti a contatto. Avrebbero fatto molto più effetto le sue pupille feline. L'amante di Lacus rimase impalato al suo posto, senza muoversi di un millimetro.

"Hai ragione, sai" gli disse Nicol, lentamente, perché afferrasse bene il concetto. "Ho salvato la vita ad Athrun. Adesso tocca a te."

Kira lo guardò perplesso. "In che senso?"

"Lui non è affatto pronto per questa missione, lo sai anche tu. E io, stavolta, non potrò guardargli le spalle. Quindi, tu dovrai essere pronto a morire per lui."

"Credi che non lo sia?" ritorse Kira.

"Lo spero per te. Perché te lo prometto, se gli dovesse succedere qualcosa, io ti ucciderò."

I lavori per conto dei Logos avevano insegnato a Nicol anche a minacciare efficacemente le persone e, dalla faccia che fece il suo interlocutore, il pianista giudicò di essere stato sufficientemente convincente.
Solo allora, infatti, Kira abbassò gli occhi, socchiudendoli, per poi allungare una mano verso di lui. "Va bene… capisco cosa provi. Anch'io ho perso amici in battaglia, e non è una bella sensazione. Stai certo che proteggerò Athrun."

Nicol guardò la mano, e gliela strinse senza esitazioni.

"Ma dimmi un'ultima cosa" proferì Kira, lanciandogli uno sguardo di sbieco; un'occhiata che Nicol interpretò come un sottile, incredibile avvertimento. "Se tornassi indietro, non faresti più per lui quello che hai fatto?"

All'assurda domanda il giovane dai capelli verdi si mise a ridere, sinceramente divertito. Lasciò la mano di Kira, e si girò per aprire finalmente le porte dell'ascensore. Ne aveva abbastanza di stare chiuso lì con quel tipo che trovava inquietantemente simile a lui.

"No di certo" gli rispose prima di uscire, senza nemmeno guardarlo. "Ero un bambino, con poca esperienza e in preda al panico. Farei più attenzione a distruggere lo Strike, che non a mettermi come un idiota tra di voi."

"Come farei io al tuo posto" gli rispose Kira, suonando sottilmente divertito.

Nicol si rimise a ridere e, dopo aver fatto un blando cenno di saluto, si avviò lungo il corridoio verso il bar di prora. Non aveva niente da aggiungere, e si sentiva anche molto sollevato; adesso era tutto veramente a posto tra loro. E forse, tornando, se Kira avesse davvero fatto il suo dovere, magari avrebbe anche considerato l'idea di essere più amichevole con lui.



I medici dell'Alleanza, al termine di operazioni particolarmente dolorose, servivano sempre agli STORM una certa marca di succhi di frutta. Le molecole del dolcificante contenuto, combinandosi con gli altri composti chimici che i Coordinator avevano in circolo, gli provocavano un leggero effetto euforico, piacevole come una blanda ubriacatura ma non così forte da ottundere i sensi; negli anni era rimasto l'unico modo per gli STORM di farsi sembrare la vita un po' più divertente di quella che era.

Per questo, dopo un bicchiere di succo all'albicocca, Nicol si sentiva talmente bene che aveva declassato l'incontro con Kira ad un intrigante scambio di opinioni; mentre la minaccia, che aveva fatto al giovane dai capelli bruni, si era trasformata nell'assicurazione che qualcuno avrebbe senza alcun dubbio pensato a riportare a casa quella testa dura di Athrun.

Il pianista spese l'ora che mancava alla partenza seduto ad un tavolino del bar, a rileggersi sul portatile i dettagli della missione, guardandosi ogni tanto in giro. Cosa che migliorava ancora di più il suo umore. Era davvero esaltante trovarsi dopo tanti anni su una nave di ZAFT, circondato dai suoi simili. Perché Nicol adorava vivere sulla Terra, ma le occhiate che a volte i Natural gli lanciavano per strada lo infastidivano e imbarazzavano. Per vivere in certi paesi a volte era stato costretto a tingersi i capelli, ma qualcosa nel suo aspetto lo rendeva comunque diverso da loro, e lui sapeva che non poteva dare totalmente la colpa alla ricostruzione cibernetica.

'Sì, è proprio bello essere a casa' pensò, alzandosi perché si approssimava il momento della partenza. Sulla porta del bar due militari in divisa rossa lo salutarono, e Nicol fece lo stesso, ricordandosi che la tenuta nera che indossava lo rendeva loro superiore; gli sorrise con una punta di malinconia. Erano davvero molto giovani, probabilmente quanto lui e i suoi amici quando vestivano quella stessa uniforme.

Percorse velocemente i corridoi e, quando entrò nello spogliatoio che era stato assegnato al suo gruppo, trovò quasi tutti già là, intenti ad indossare le tute che avrebbero usato per la missione. Erano identiche a quelle utilizzate dai commando di ZAFT: nere, con leggere protezioni nei punti strategici e corredate da un casco collegato ad un respiratore portatile. Non che lui, Lorran e Alpha avessero in realtà bisogno di giubbotti antiproiettile; l'armatura, in fibra di nanotubi di carbonio, elastica, traspirante ma resistente centinaia di volte più del kevlar, loro l'avevano innestata tra i muscoli e la pelle sintetica.

Al pensiero di Lorran, Nicol si girò di sbieco mentre si svestiva per vedere cosa la ragazza stesse combinando. Aveva l'armadietto vicino al suo, e in quel momento era a metà dell'opera. La parte superiore della tuta le pendeva mollemente dai fianchi, ed era impegnata a legarsi i capelli sulla sommità del capo, fischiettando un motivetto. La zip del sottotuta che indossava era aperta fino all'ombelico, e Nicol non riuscì a non fissarle il tatuaggio che aveva sul petto. Perché mai quella pazza si era stampata la parola 'verità' addosso?

"Sei felice?" le chiese, sistemando l'uniforme da ufficiale di ZAFT nell'armadietto e cominciando a vestirsi per la missione.

"Sì. Decisamente" rispose Lorran, senza girarsi a guardarlo. La sua immagine nello specchio aveva la massima attenzione della Nexus. "Siamo a casa. Ho potuto finalmente pavoneggiarmi con la divisa rossa che ho sempre desiderato indossare e alcuni bei ragazzi mi hanno chiesto di uscire. La mia vita non è mai stata tanto soddisfacente."

Nicol sorrise alla sua ultima affermazione. "Non ti turba nemmeno il pensiero della missione?"

Lei scosse le spalle. "Sinceramente, non vedevo l'ora di essere impiegata per un lavoro del genere. Questo sì che è serio, non come squarciare la gola di vecchi satrapi" rispose leccandosi le labbra, come se stesse pregustando un bel piatto succulento. Il pianista girò la testa per guardare Alpha che, dietro di loro e già completamente vestito, stava controllando l'equipaggiamento appoggiato su un tavolo. Lo vide alzare, con una smorfia soddisfatta in faccia, una coppia di lanciagranate pesanti ognuno qualche decina di chili. Nicol esalò a quello spettacolo un sospiro di sopportazione. Avrebbe avuto il suo bel daffare per impedire ai suoi compagni di sfasciare tutto prima di aver recuperato i dati che tanto interessavano a Yzak.

"Hai ringraziato Miguel per averti portata, allora?" chiese a Lorran per distrarsi, infilandosi contemporaneamente la tuta.

Il sorriso della giovane fu estatico. "Oh sì. E come dico io, finalmente!"

Nicol non riuscì a non scuotere la testa. Come da copione, quello che voleva, la rossa lo otteneva sempre.

"Ne sono contento" commentò blandamente mentre si allacciava gli stivali.

Lei invece infilò le braccia nella tuta, tirandosela sulle spalle. "Ah sì, c'è voluto un po' ma finalmente ha ceduto" continuò a commentare, evidentemente ansiosa di raccontargli la sua più grande conquista. "Mi rimaneva solo una carta da giocare, quella della damsel in distress. Ma immaginavo avrebbe funzionato. Quando tutto fallisce, quella fa sempre colpo. Voi uomini, sempre così prevedibili…" terminò Lorran lanciandogli un'occhiata che, non indossando più le lenti a contatto, fu parecchio significativa.

In risposta, Nicol piegò gli angoli della bocca in un sorrisetto indulgente; chissà perché non si stupiva di quelle parole. "Vuoi dire che gli hai mentito per farci sesso?"

Lorran annuì sovrappensiero, terminando di agganciarsi il colletto rigido della tuta. "Ovviamente. Nicol, negli ultimi dieci anni della mia vita mi sono specializzata a sedurre i più grandi e scafati stronzi della Terra, per arrivargli abbastanza vicino da carpire i loro segreti e liquidarli; vuoi che non riuscissi a portarmi a letto un bastardo dal cuore d'oro come Miguel?"

"Finora non ce l'avevi fatta."
"Solo perché non c'avevo mai seriamente provato, scemo. Ma non avevo dubbi che sarebbe capitolato" finì lei, sorridendogli con condiscendenza. Poi la giovane gli si avvicinò di un passo e, afferrata la zip della tuta, gliela chiuse fino al collo con studiata lentezza. "Sai come si dice, no? La carne è debole, anche tu dovresti saperlo."

Nicol aveva da sempre il dubbio che a Lorran fossero state modificate in qualche modo le corde vocali, come al loro compagno Rox, perché quel tono che aveva appena usato con lui aveva il potere di farlo rabbrividire in ogni cellula del suo corpo. Si guardò attorno, scoprendo che chi dei suoi compagni era ancora nella stanza era fermamente voltato verso il rispettivo armadietto, come a voler evitare di essere tirato in causa; avevano sentito per forza tutta la conversazione. L'unico colto mentre si stava mettendo il mitra a tracolla teneva lo sguardo abbassato sul resto dell'arsenale, e sembrava star trovando particolarmente interessante l'affilatura di un pugnale. Alpha invece, intento ad armarsi fino ai denti, pareva disinteressato di tutto.

Forse perché, pensò Nicol sospirando silenziosamente e cercando un modo per smarcarsi da Lorran, era anche l'unico lì dentro che non era andato a letto con lei.

Il pianista riportò la sua attenzione sulla compagna, per scoprire che lo sguardo felino di Lorran era scattato al di sopra della sua spalla, per fissare qualcuno entrato in quel momento nello spogliatoio.

"Yzak!" squittì felice Lorran.

"Comandante Joule per te, Escobar. E tu vieni qui, Nicol" fu la seccata risposta di Yzak, che riportò il sorriso sulle labbra del giovane dai capelli verdi. La salvezza era arrivata nella forma più strana che si fosse immaginato.

Nicol scoccò un imbarazzato sorriso a Lorran, sul cui viso campeggiava un'espressione malandrina –lui non ci poteva credere che quella pazza avesse davvero puntato Yzak-, poi si girò e si avvicinò al suo ex-compagno di squadra, che indossava già la tuta di volo, candida come la sua uniforme da comandante.

"Tra quindici minuti pronti nell'hangar" gli intimò lui.

"Ci siamo quasi."

"Perfetto. Adesso mostrami il giocattolo che avete ideato per liberarci per sempre di quei bastardi."

Nicol annuì. "Vieni."

Accompagnò l'albino verso il tavolo, e prelevò dal bordo dove era allineato insieme ad altri suoi compagni un piccolo cilindro color antracite. Lo diede ad Yzak, che se lo rigirò tra le dita aggrottando le sopracciglia chiare.

"Tutto qui?"

"Questo è solo il contenitore. È permeabile all'aria, e alla base ha un touch screen dove viene composta la password che innesca una micro carica. L'esplosione fa implodere il cilindro schiacciandovi la capsula contenuta."

Nicol prese un altro dei piccoli contenitori e lo svitò con attenzione, mostrando ad Yzak il contenuto: una singola gemma verde, traslucida, del tutto simile ad una pasticca di un qualche tipo di medicinale.

"Cos'è quello, esplosivo? Volete farli saltare in aria?" chiese l'albino, cercando a sua volta, senza successo, di aprire il contenitore.

"Qualcosa del genere. Non c'hai ordinato tu di non lasciare tracce né testimoni?" Nicol rimise a posto il suo cilindro, osservando divertito gli inutili sforzi di Yzak. "Il loro asteroide è quattro chilometri di diametro. Avremmo potuto settare i propulsori direzionali per spedirlo su un'orbita più bassa, dove sarebbe stato catturato dall'attrazione gravitazionale terrestre, ma la sua massa è troppo grande per essere interamente consumata dall'attrito con l'atmosfera. In alternativa ci servirebbe un'esplosione nucleare da 64 megatoni per frantumarlo completamente, ma dopotutto a noi non interessa il satellite in sé, giusto? Quindi mi è venuto in mente questo che era uno dei tanti progetti ideati dai Logos e mai sviluppati, fortunatamente per PLANT. È perfetto per questo lavoro."

L'espressione di Yzak si fece sospettosa, mentre desisteva dal tentativo di controllare a sua volta il contenuto del cilindro. "Sei sicuro?"

"Sì. In Accademia non ero il migliore del corso di esplosivi?" gli rispose Nicol, ammiccando. "Ho studiato l'ambiente che troveremo, e questo è il 'prodotto' che fa al caso nostro. Come sai, sui satelliti minerari di quel tipo per facilitare gli scavi si vive e si lavora in regime di microgravità, mentre unicamente nelle unità abitative la concentrazione di ossigeno è tenuta al ventidue percento, per ridurre lo stress fisico; non è un tasso pericoloso per le normali attività, ma sufficiente per quello che abbiamo in mente. E questi sono parametri vitali immodificabili, imposti dal sistema di controllo dell'habitat." Il pianista indicò il cilindro che Yzak ancora stringeva tra le dita. "La capsula qui dentro contiene un composto chimico altamente instabile, sviluppato nel vuoto perché, quando viene rilasciato, a contatto con l'ossigeno si ossida esplodendo violentemente."

Yzak sollevò un sopracciglio fissando Nicol. "Bassa gravità ed alta ossigenazione. Non riusciranno mai a contenere l'incendio che seguirà la deflagrazione."

"No, soprattutto se posizioneremo il nostro innesco accanto a qualcosa di abbastanza infiammabile." Con nonchalance, il pianista sollevò uno dei caricatori.

"Brillante…" commentò l'albino che, probabilmente soddisfatto, rimise in mano a Nicol il contenitore. Le sopracciglia chiare si erano distese, ma adesso era la sua bocca piegata in una strana smorfia, quasi disgustata. "Riprenditelo. Tra dieci minuti voglio questa roba maledetta fuori dalla mia nave."

Poi si girò camminando spedito verso la porta, mentre Nicol si sistemava il cilindro in una tasca interna della tuta. Sapeva perché Yzak aveva fatto quella faccia; esplosivi come quello creato dai Logos erano l'incubo di chi doveva vivere un ambiente ad atmosfera controllata. Il giovane guardò la fila di contenitori allineati. Ognuno dei suoi compagni ne avrebbe avuto uno con sé, anche se bastava una sola dose di 'prodotto' per cancellare ogni segno di vita su Bandit. E non sarebbe stata una morte piacevole.



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Le voci sommesse dei suoi colleghi che si incrociavano sul canale di comunicazione interno, l'oscurità relativa dell'abitacolo illuminato dalle luci di tutte le spie del quadro comandi e, soprattutto, le stelle che brillavano senza più essere offuscate dall'atmosfera terrestre; erano in viaggio da quasi sessanta minuti, ogni mobile suit spinto dai potenti booster supplementari, e per il tutto il tempo Athrun aveva continuato a chiedersi come avesse potuto fare a meno per anni di quei momenti. Ultimamente aveva solo operato su mobile suit in volo atmosferico, ma la sensazione di libertà non era per nulla paragonabile allo sfrecciare tra i campi stellati, nel vuoto cosmico, senza nessun fastidioso attrito a rallentare la sua unità e, soprattutto, senza che la superficie terrestre, da un lato, delimitasse il suo orizzonte.

Athrun sorrise, estatico, e proprio in quel momento Kira si connesse.
"Ti disturbo in un bel momento?" gli chiese l'amico.

"No, stavo solo pensando a quanto sono belle le stelle quassù" rise Athrun, sentendosi un quindicenne.

"Sei da troppo tempo sulla Terra. Dovresti venire a trovarmi più spesso."

Athrun annuì. "È vero. Ma adesso che le bambine sono abbastanza grandi farò in modo di visitare PLANT più frequentemente. Anzi, tra qualche mese le porterò con me." Il sorriso del giovane Ammiraglio si attenuò sensibilmente. "Vorrei che vedessero dove vivevo, e che visitassero le tombe dei loro nonni."

"È un pensiero molto bello" mormorò Kira. "A parte quello, come sta andando il viaggio?" gli chiese riprendendo un tono colloquiale.

L'Ammiraglio di Orb lanciò un sguardo al monitor principale, prima di rispondere. "Tutto ok. Questo modello di Windam equipaggiato per gli scontri in orbita sta rispondendo perfettamente ai comandi."

"Non mi dire che ti usano come tester?"

"No, anche se è vero che personalmente è la prima volta che ne piloto uno. Il modello di base è lo stesso dell'unità che di solito mi è assegnata, anche se questo ha delle funzionalità studiate per il combattimento nello spazio extraterrestre." Athrun ammiccò all'amico. "Non ti preoccupare, l'Unlimited Justice non sarà da meno del tuo Enduring Freedom. Anche se non è costruito nei cantieri di ZAFT."

Il figlio di Patrick Zala vide Kira alzare un sopracciglio e piegare l'angolo della bocca in un sorriso trattenuto, come se dopotutto non ci credesse, per poi inalberare un'espressione comprensiva.

"A proposito, sono riuscito a parlarci un po' con il tuo amico."

"E?"

"È un tipo… interessante. Ma non è esattamente come me l'avevi descritto."

Athrun si mise a ridere sommessamente. "Avrei giurato che l'avresti detto. Tutti mi accusano di avere una visione troppo indulgente di Nicol, ma non ci posso fare niente."

"Lo so, non potresti fare diversamente dopo quello che è successo." Kira scosse le spalle. "È andato tutto bene comunque, credo che riuscirà ad incontrarmi una seconda volta senza cercare di staccarmi la testa dalle spalle."

Davanti all'espressione scioccata di Athrun, Kira ammiccò. "Sto scherzando, ovviamente. E, mi ha chiesto di fare una cosa per te. Beh, forse 'chiesto' non è la parola giusta."

Athrun non riuscì a soddisfare la sua curiosità perché, in quel momento, gli venne segnalato un messaggio in arrivo dall'Eternal Eclipse che aveva precedenza su qualunque altra trasmissione. L'immagine del suo amico d'infanzia venne quindi sostituita da quella del Comandante della nave appoggio, Martin DaCosta, una vecchia conoscenza dei tempi della guerra del San Valentino di Sangue.

"Signore e Signori, vi comunico che siamo a venti minuti dal punto in cui entreremo nel campo delle boe radar di Terminal. A partire da quel momento, le loro unità ci intercetteranno in un tempo non superiore ai dieci minuti. I satelliti di sorveglianza ci hanno avvertito che, per ora, nella zona è tutto tranquillo, quindi il piano sta funzionando."

Da un lato del video si aprì una finestra, che mostrò il volto di Yzak.

"Benissimo, Martin. Procediamo alla velocità di crociera stabilita e, non dimenticatelo, dal momento dell'ingaggio saremo soli, perché l'Eternal procederà diretta su Terminal."

Athrun annuì. Era una buona tattica. Mentre loro tenevano impegnati i mobile suit di Nova, la loro nave avrebbe cercato di sfondarne subito le linee per attaccare la stazione di lancio. Anche se l'assalto principale a Nova sarebbe stato sferrato molto lontano da lì.

Al pensiero, l'Ammiraglio proferì una veloce preghiera raccomandando Nicol e tutti i Coordinator suoi compagni ad Haumea, perché tornassero sani e salvi da quella missione. Si toccò una tasca della tuta dove aveva chiuso la caramella all'anice che il suo amico pianista gli aveva dato prima di partire, facendolo quasi commuovere. Nemmeno per un momento aveva interpretato il gesto come un cattivo presagio, nemmeno quando Nicol gli aveva assicurato che gli avrebbe dato quelle alla ciliegia dopo la missione. Tanti anni prima non era riuscito a farlo, ma quella volta Athrun era sicuro che se le sarebbe gustate insieme ai suoi amici: perché loro sarebbero tornati tutti a casa.



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Nel silenzio dello spazio assoluto, Miguel Ayman attendeva di intercettare il satellite che fungeva da base per i Nova. Lo vedeva arrivare, grazie ai radar dei satelliti di sorveglianza che ne seguivano il percorso, e oramai era a dieci minuti dal punto dove si era appostato, dietro al relitto di una nave dell'Alleanza Terrestre. Niente comunque avrebbe potuto rilevare la sua unità con il sistema di Mirage Colloid attivato.

A disagio, Miguel si guardò attorno. Odiava quel posto, quella specie di Mare dei Sargassi cosmico dove i detriti delle passate esplorazioni spaziali e i resti di antiche battaglie se ne stavano uno accanto all'altro, in attesa che l'attrazione gravitazionale della Terra li attirasse a sé e li consumasse. A quell'altitudine, però, era estremamente improbabile, e quei relitti sarebbero probabilmente rimasti a galleggiare nel cosmo per l'eternità, a imperitura memoria della stupidità umana.

Il Coordinator sospirò, guardando sullo schermo lo shuttle dei suoi compagni posato più o meno sulla traiettoria di Bandit. Yzak Joule aveva storto il naso quando gli aveva annunciato che anche lui avrebbe partecipato alla missione, e gli erano quasi usciti gli occhi dalle orbite dall'irritazione al vedere il mobile suit che Miguel avrebbe pilotato: per l'iracondo Comandante, il Mirage Colloid era un'arma proibita da usare, come era stato decretato da accordi internazionali dopo la guerra del San Valentino di Sangue. Si era rabbonito in qualche modo solo quando Miguel gli aveva spiegato l'uso che intendeva fare del Nebula Blitz, che rimaneva comunque un'unità per codardi, come gli aveva fatto notare Yzak.
"Pensa tutto quello che vuoi, caro il mio Joule, ma certe tecnologie fanno la differenza in missioni come questa" proferì Miguel ad alta voce, tanto per sentire un suono diverso dai beep degli strumenti.
Scoccò un'occhiata al monitor, da dove teneva d'occhio il satellite in avvicinamento, e vide lampeggiare il segnale di prossimità. Era a sette minuti dal contatto visivo, ma ancora fuori dal raggio del radar di Bandit. Lentamente, mosse il Nebula Blitz verso lo shuttle.

Quando gli fu accanto alzò di nuovo la testa verso il monitor dove stavano scorrendo immagini del satellite dei Nova, e fischiò in approvazione per il magnifico rifugio che si erano trovati: negli anni aveva imparato ad apprezzare l'intelligenza dei suoi nemici. La superficie dell'oblungo corpo celeste, butterata da vecchi impatti, voragini, e teste di antiche torri di estrazione, assomigliava a quella di una patata lasciata troppo a lungo sottoterra.
Rapidamente, il computer del Blitz analizzò le immagini ed individuò su un lato del satellite la baia di carico che interessava a Miguel. Il Coordinator spostò lo shuttle in modo da riuscire a farlo impattare accanto, così che risultasse abbastanza naturale per chi dei Nova stesse tenendo d'occhio quel succulento relitto. Si mosse velocemente, perché una volta che la navetta fosse apparsa sul radar di Bandit lui non avrebbe avuto più spazio d'azione; quello che stava trasportando era a tutti gli effetti un detrito inerte, e doveva quindi rimanere immobile. Per lo stesso motivo, a bordo non potevano accendere i razzi, nel caso in cui i Nova disponessero di uno scanner termico.

Miguel si mise nella posizione migliore, e passò quindi a calcolare la velocità che doveva tenere il Blitz rispetto a quella di Bandit. Non doveva commettere errori, o si sarebbe schiantato anche lui contro la superficie del satellite compromettendo l'intera missione.

Era a solo tre minuti dal contatto con il satellite quando il computer avvertì Miguel che, rispetto all'ultima misurazione, il meteoroide aveva rallentato la velocità, ma era anche ruotato sul suo asse.

Il Coordinator imprecò furiosamente, passando a ricalcolare la sua posizione rispetto a quella del punto dove voleva far atterrare lo shuttle.

"Brutti bastardi" esalò sottovoce. "Hanno visto il relitto e gli interessa, ma vogliono farlo impattare accanto alla baia di carico principale. Troppo pericoloso, ci sarà un fottio di gente da quelle parti. No, è assolutamente necessario che i miei ragazzi usino l'entrata secondaria."

Oltretutto, si accorse che con quella traiettoria lo shuttle si sarebbe schiantato in modo da comprometterne probabilmente l'integrità strutturale, e quello non doveva assolutamente accadere, o i mercenari non avrebbero avuto modo di fuggire da Bandit.

Miguel attese fino a quando non fu quasi troppo tardi. Dubitava che quel satellite disponesse di un radar di superficie, quindi doveva spostarsi all'ultimo momento, nel punto cieco del rilevatore principale. Vide la superficie del satellite avvicinarsi pericolosamente, e solo all'ultimo momento accese i propulsori del Nebula Blitz.

Il capace pilota sfiorò il punto dove i Nova volevano far abbattere il suo prezioso shuttle, e procedette verso la sua destinazione rasente il suolo. Nel percorso abbatté qualche torre di trivellazione ancora in piedi –ad uso e consumo delle telecamere esterne -, avvitò su se stesso il Blitz e fece finalmente atterrare la navetta dove desiderava lui. Prima di andarsene passò lo scanner per verificare che lo shuttle non avesse riportato danni e, dopo aver avuto un riscontro positivo, lo abbandonò al suo destino.

Miguel si allontanò fino ad arrivare a una distanza di sicurezza da Bandit, che avrebbe seguito per risolvere eventuali problemi, ma fu solo quando vide uscire dalla baia di carico il tunnel di aggancio flessibile che il Coordinator si permise di rilassarsi. La missione era iniziata nel migliore dei modi.



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Ehrm, e invece no, anche stavolta non si è combinato niente. Ma la prossima volta sarà quella buona, lo so XD
Passando ai saluti e ai ringraziamenti, come al solito baci ed abbracci alla mia preziosissima beta Shainareth, alla quale erigerò una statua di oro zecchino più grande di quella di Lacus Clyne. La ringrazio anche per il commento :)

Poi, grazie a tutti quelli che passano di qui a leggere, in particolare: SnowDra1609 Davvero, ti mando un cookie virtuale per essere sempre il più veloce a leggere e a commentare ^^ Ed ecco qui il nostro Kira, se non per chiarire almeno con Nicol c'ha parlato... ed è pure sopravvissuto! Non male, eh? ;)
Hanako_chan Che dire, sei una fangirl senza speranza XDDD Vero che in questo capitolo non ti ho rovinato l'immagine idilliaca di Lorran mogliettina affettuosa? :P
MaxT Eh, e invece la nostra Lorran per ora si è rivelata proprio una brutta stronza, ma chissà che non abbia altro da svelare! :)
Gufo_Tave Lacus e Kira hanno un ruolo molto marginale perché, sinceramente, non avevo molta voglia di raccontare anche gli eventi dal loro punto di vista, considerato che dopotutto il focus della storia è ambientato ad Orb. Però devo ammettere che non mi è dispiaciuto scrivere di Kira. Visto che ho in programma un'altra cosetta dopo questa, per lui ci sarà sicuramente spazio :)
Kourin Grazie, i tuoi commenti sono sempre commoventi :) Adoro anch'io scrivere di Yzak, ci credi? E sono contenta che la mia interpretazione ti piaccia. Ah, quella scena al bar, anch'io me ne appenderei il poster in camera, è il mio sogno realizzato XD

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Capitolo 17
*** Divide et impera ***


Divide et impera



DSS Terminal, 20 maggio


Vedeva i suoi nemici precipitarsi contro di loro, ma Yzak non aveva paura. I mobile suit di Nova erano più di quelli che si era aspettato, venticinque in tutto; li superavano quindi di cinque unità, ma il giovane Comandante di ZAFT sapeva che i terroristi non avrebbero avuto scampo. Lo vedeva da come volavano, in ordine sparso, senza nessuna formazione. Lui aveva studiato quel modo di combattere sui libri di strategia militare che tanto amava e sapeva che, per quanto singolarmente al loro livello, quelle unità non sarebbero state un problema per il suo gruppo, formato da soldati addestrati, pragmatici e professionali.

"Dilettanti" mormorò tra sé e sé mentre sottoponeva a scansione i mezzi nemici. "Avete mezzi potenti, ma siete accecati dalla foga della battaglia."

Yzak accese il comunicatore su una frequenza criptata per lanciare un segnale a tutti i suoi compagni.

"Abbiamo superato il loro perimetro difensivo. Contatto tra quaranta secondi" abbaiò. "Vi invio le coordinate dei bersagli. Penetrate nella loro linea e disperdeteli, li affronteremo a uno a uno. Athrun, Hilda, rimanete di supporto."

L'albino sorrise ferale. Era volontà di Cagalli e Lacus che i terroristi fossero catturati vivi, e sapeva che Kira avrebbe cercato di farlo. Per quanto lo concerneva, invece, lui non aveva nessuna intenzione di rischiare la vita sua e dei suoi uomini per tentare di disabilitare i nemici.

"Abbatteteli tutti" ordinò quindi.



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Dall'altra parte dell'immaginaria barricata, Odessa osservò sul suo monitor i mobile suit nemici accelerare contro di loro. Li aveva identificati tutti, e i nomi che le scorrevano sotto gli occhi le fecero torcere le labbra in un ghigno pericoloso.

"Hanno messo insieme proprio una bella squadra di 'all star'" fece al suo secondo in comando, attraverso il comunicatore interno.

"Yamato, Cruise, Wellington, Payang… c'è anche Zala, incredibile!" risuonò la voce dell'uomo, stupita ma non intimorita dalla parata di assi che stavano per affrontare. "Saranno un problema. Le nostre spie a bordo della flotta di PLANT ci hanno riferito delle cazzate. Quei mobile suit che hanno lasciato la Einstein cinque ore fa non si stavano affatto dirigendo verso la DSS Troya."

"No, il servizio di controspionaggio di PLANT ci ha fottuti alla grande. Quelli erano per noi. Comunque, adesso ricordati gli ordini. Dobbiamo resistere il più possibile, noi siamo l'ultima linea di difesa." Odessa digrignò i denti. "Devono essere convinti di aver raggiunto il loro bersaglio."

La ragazza sperò con tutto il cuore che, mentre loro guadagnavano minuti preziosi, Requiem cambiasse idea ed evacuasse il satellite principale, anche se lo riteneva improbabile. Molto più facilmente, il loro amato maestro avrebbe fatto pentire i governi terrestri di aver avuto l'ardire di attaccarli. Ma loro sarebbero stati già morti. Non che la cosa in fin dei conti le importasse.

"Impegnateli il più possibile" ordinò a tutta la sua squadra. "Ci abbatteranno uno a uno ma, prima che avvenga, vedete di portarne con voi il più possibile."

Con quella determinazione scolpita in testa a fuoco vivo, Odessa si lanciò con i compagni contro le forze terrestri e di PLANT.



Nova, 20 maggio


Negli ultimi giorni il nervosismo a bordo del satellite occupato dalla comunità di Nova era aumentato a dismisura; i compagni erano confusi e angosciati, e Prishtina non faceva eccezione. Per quello aveva accolto con un sospiro di sollievo l'ordine di andare ad occuparsi con Lublin del relitto appena schiantatosi sul meteorite. Almeno avrebbe avuto qualcos'altro a cui pensare.
Si rilassò davanti ai monitor, dove lampeggiava il segnale che il tunnel flessibile si era agganciato correttamente ad uno dei portelloni dello shuttle.

"Ehi, puoi uscire" fece al compagno, che aveva già indossato una tuta pressurizzata ed era nella camera stagna; in risposta, ebbe un grugnito soffocato.

"Perché tocca sempre a me la parte merdosa del lavoro? Sa il cielo cosa troverò là dentro…"

Prishtina sogghignò, passando uno scanner di rilevamento ambientale sullo shuttle.

"Probabilmente solo scatoloni rovesciati. Il modello era quello usato qualche anno fa dalla Croce Rossa per il trasporto di materiale, quindi dovrebbero esserci a bordo scorte di medicinali. Con un po' di fortuna ce n'è sarà qualche partita non ancora scaduta."

"Giuro, se trovo cadaveri come la volta scorsa quando torno ti tiro un pugno."

"Figurati, lo so che non faresti mai del male ad una donna" rispose la compagna, dando un'occhiata ai risultati della scansione. "Torniamo seri. Non c'è ossigeno a bordo, e nemmeno forme di vita. Lo scanner evidenzia la presenza di tre sagome umanoidi. Probabilmente i piloti. Puoi procedere."

"Cazzo, che ti avevo detto?" si lamentò Lublin attraverso il comunicatore e, dopo qualche secondo, la donna udì il sibilo del portello della camera stagna che veniva aperto.

Il compagno continuò a lamentarsi della sua cattiva sorte mentre attraversava il tunnel e forzava una delle aperture del relitto. Nel frattempo Prishtina, per non annoiarsi, rivedeva il filmato delle telecamere che avevano ripreso l'impatto dello shuttle.

"Che casino" mormorò a bassa voce tra sé e sé. "È rotolato via tranciando un paio di antenne di trasmissione. Quante volte ho detto a Requiem che recuperare i rottami così è troppo pericoloso? Prima o poi qualcuno ci esploderà in faccia." Afferrò il microfono quasi con astio. "Lublin, che diavolo stai combinando là dentro? Lo sai che devi costantemente informarmi della situazione!" Prima di unirsi a Nova, Prishtina aveva lavorato per una società di recupero di relitti spaziali, e non finiva di esasperarla il modo dilettantesco con cui i suoi nuovi compagni conducevano le operazioni.

La voce del collega la raggiunse dopo qualche secondo di silenzio riempito solo dai respiri pesanti dell'uomo.

"Tutto bene, cazzo, non urlarmi nelle orecchie. L'interno non è danneggiato, anzi. Sembra tutto in perfetto ordine. È pieno di casse lunghe e strette, fissate alle pareti."

'Lunghe e strette?' si chiese Prishtina aggrottando le sopracciglia. "Controlla il contenuto" ordinò al collega, "mi è venuto un dubbio atroce."

"Cosa credi che stia facendo? Ma non riesco ad aprirle, e non c'è nessuna serratura visibile."

La donna sbuffò. "Che palle, speriamo non siano un carico di bare. Vedi altro di interessante?"

"Uhm, no, ci sono tre corpi fissati ai sedili dei posti di comando. Probabilmente i due piloti e… boh? Forse un passeggero. Vado a dare un'occhiata."

Prishtina si passò le mani nei capelli. Se quella navetta non avesse trasportato medicinali di nessun genere sarebbero stati nei guai. Requiem aveva imposto per il momento l'interruzione dei trasporti tra la Terra, Terminal e Nova, e stavano esaurendo le scorte.

"Però!" fece la voce di Lublin, strappandola dalle sue considerazioni. "Il quadro comandi è intatto, e anche parecchio moderno e complicato per una navetta di questo tipo."

La donna ridacchiò. "Ma non eri un dj, tu? Che ne vuoi sapere di shuttle?"

"Hai ragione. Infatti qui c'è qualcosa di molto più interessante per me."

"Spara" lo esortò lei, preparandosi a sentire qualche sciocchezza. E, infatti…

"Il passeggero è… era una figa da paura. Guarda un po' che corpicino rivela questa tuta attillata, adesso le tolgo il casco e vedo un po' che faccia ha. Tanto sottozero si sarà conservata benissimo. Certo che ha proprio due belle tette."

Un flebile campanello d'allarme suonò nella testa di Prishtina. "Come hai detto? Indossa una tuta e un casco?"

'Perché avrebbe dovuto?' si chiese. 'Da quando in qua i passeggeri di uno shuttle si abbigliano in quel modo?

"Anche i piloti?" domandò al collega, ma la sua domanda non ebbe risposta se non un curioso suono gorgogliante. "Lublin?" chiamò, senza successo.

La mano della donna scattò verso l'allarme ma, prima che potesse premere il pulsante, il compagno finalmente la tranquillizzò.

"Tutto ok. Questa è morta defunta. Forse era l'infermiera di bordo."

Prishtina avvicinò la bocca al microfono, senza allontanare la mano dall'allarme.

"Ti sento strano" disse con un po' di tensione nella voce. Improvvisamente il tono di Lublin le suonava un po' più basso di quanto era stato qualche secondo prima.

"Vedere i morti così da vicino mi fa impressione, soprattutto se sono così sexy."

La donna sbuffò, picchiando una mano sulla consolle. "Ma sei proprio un idiota. Smettila di giocare e rientra subito. Ti preparo l'attrezzatura per forzare quei contenitori."

"Arrivo" gli assicurò Lublin, e Prishtina si dimenticò del perché, per un momento, le era sembrato che ci fosse qualcosa di strano in quella storia.



Stava sistemando il cutter laser, dando le spalle all'apertura interna della camera stagna, quando la sentì aprirsi. Prishtina si voltò per accogliere il compagno, e rimproverarlo a dovere per essere sempre così incauto durante le missioni di recupero, ma la scena che le si presentò davanti agli occhi la stranì. Nello spazio di un secondo si chiese quando mai Lublin avesse avuto il tempo di sostituire la sua tuta bianca con una nera, poi non pensò più niente, perché il suo cervello si spappolò contro parete dietro di lei.



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Nicol abbassò la pistola e sprecò un secondo per slacciarsi il colletto della tuta, poi si diresse verso il computer che controllava la baia di carico, senza degnare di un ulteriore sguardo il corpo della donna a terra, il secondo morto tra i Nova. Fino a quel momento stava andando tutto benissimo, se escludeva Alpha e Lorran che non avevano smesso di bisticciare da quando il corpulento Coordinator era stato estratto dal suo 'contenitore'.

I due, insieme al resto dei compagni, entrarono nella piccola sala dietro Nicol.

"Sei una stronza. Dovevi aspettare che Rox fosse pronto prima di sbudellare quel tipo" grugnì Alpha, mentre si sistemava il lanciagranate contro l'incavo del gomito.

Lorran gli rispose scuotendo le spalle. "Lo sai che non sopporto quando mi toccano le tette."

"Tanto sono di plastica…" rise qualcun altro, guadagnandosi un gestaccio da parte della rossa.

"E poi Rox è stato comunque bravissimo" ribadì lei. "Si è inserito nella conversazione e ha modificato il suo timbro vocale giusto in tempo."

"Lo sai che sono un gentiluomo, mica potevo stare lì a guardare quel maiale che ti palpava" le rispose il compagno chiamato in causa, dissimulando un sorriso.

"Ok, se avete finito di fare casino ho novità."

Tutte le teste si girarono verso Nicol, in piedi davanti al computer. L'ex pilota di ZAFT aveva in mano il proprio palmare.

"Ho trovato le mappe di questo posto con la localizzazione delle telecamere di sorveglianza, che vi invio; come da briefing, cercate di evitarle a meno che non dobbiate farvi vedere. Le informazioni che cerchiamo invece non ci sono. Potrebbero essere su un server differente, ma per quello dobbiamo inserirci su una presa di rete diversa; ho la mappatura, e a questo ci penso io. Procediamo quindi con il piano originario: mentre io, Colin e Zechs rintracciamo i dati per Yzak, Alpha e i suoi avanzano verso il centro di comando. A Lorran, Rox e Dominic tocca la parte di controinformazione."

L'unica donna del gruppo si portò la mano tesa al casco. "Agli ordini Comandante Amalfi. Andiamo ragazzi, ci divertiremo un po' a farli impazzire."

"Stai attenta, e non esagerare" si raccomandò Nicol, guardandola uscire. Nelle stesso momento gli allarmi cominciarono a suonare, e tutti i Coordinator si guardarono sorridenti, perché sapevano che non erano per loro. Yzak aveva attaccato le forze di Nova con un tempismo perfetto.



Solamente prima di lasciare la stanza Nicol girò gli occhi verso il cadavere a terra; era una donna sulla trentina, con i capelli biondi legati in una coda di cavallo dietro la testa. Su quello che era rimasto del suo viso non c'era stupore; non aveva avuto tempo nemmeno di capire quello che le stava per succedere. Il Coordinator fece una smorfia, infilando la pistola nella fondina e sostituendola con il mitra d'assalto. Come aveva detto Miguel, quello sarebbe stato un lavoro orribile, e lui non era così stupido o esaltato da giustificarsi dicendo che gli accoliti di Nova erano tutti bastardi terroristi. No, che fossero civili plagiati da un pazzo gli era chiarissimo.

'Peccato che stavolta non possiamo fare nessuna eccezione. Vi siete scavati la fossa da soli' pensò a malincuore mentre si chiudeva la porta alle spalle. 'È proprio un lavoro di merda.'



DSS Terminal


Era una sofferenza per Athrun guardare la battaglia senza poter intervenire. Il rapporto tra le forze in campo era a favore dei Nova, e oltretutto i loro piloti si battevano ferocemente, sapendo di non avere un domani. Già uno dei mobile suit della coalizione era stato abbattuto da un attacco kamikaze, e l'unica consolazione era che, con lui, anche uno dei nemici se ne era andato.

L'Ammiraglio di Orb strinse i denti, e le dita attorno ai comandi, tenendo particolarmente d'occhio i duelli nei quali Kira e Yzak erano impegnati.

L'avversario di Kira sembrava il meno pericoloso dei due, e il compagno di Lacus Clyne sfuggiva abbastanza facilmente agli affondi, mentre ogni volta che attaccava lui andava a segno; Yzak, invece, pareva proprio aver trovato pane per i suoi denti.

Il mobile suit che lo stava impegnando era fornito di funnell, e il suo pilota era estremamente scaltro nell'usarli. Non lasciava avvicinare l'albino, disintegrando sistematicamente ogni cosa che Yzak riusciva a lanciargli contro. Ma non si era ancora lasciato ingaggiare in uno scontro corpo a corpo.

Athrun poteva quasi vedere il volto del Comandante di ZAFT imporporato dalla rabbia.

'Queste sono proprio il genere di tattiche che riescono a farlo andare fuori di testa. Non capisco se quel tipo di Nova lo stia facendo consapevolmente, ma di questo passo Yzak si lascerà prendere dalla foga di vincere a tutti i costi contro chi lo sta prendendo in giro e farà qualche stupidaggine.'

Sospirò, manovrando i propulsori per spostarsi verso l'amico. Che gli aveva detto di rimanere di supporto, ma non che avrebbe avuto bisogno di un ulteriore ordine per intervenire. E Athrun non sarebbe certo rimasto a guardare se l'avesse visto in difficoltà.

Sul monitor lampeggiò in quel momento il segnale di uno dei mobile suit di Nova; si era sganciato dai suoi assalitori, ed era schizzato velocemente verso l'Eternal che, in quel momento, stava superando lo schieramento per lanciarsi sulla DSS Terminal.

'È molto veloce, ha già distanziato l'intero gruppo, la raggiungerà' constatò Athrun e, anche sapendo che la nave appoggio aveva i mezzi per difendersi, decise di agire. Non era il caso di correre inutili rischi.

Spinse quindi i venier al massimo, armando contemporaneamente tutti i sistemi offensivi.



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"Tu non mi batterai!" urlò Yzak nel buio dell'abitacolo, gli occhi – e le telecamere del suo mezzo - fissi sul suo opponente, lasciando che fosse il computer di bordo a calcolare la traiettoria del colpi sparati dai funnell del nemico, spostando di conseguenza i quattro scudi fissati attorno al suo ZAKU Tempest. Lui odiava quei mezzi codardi, manovrati da un software tattico, quindi non trovava niente di sbagliato nell'affidare ad un'intelligenza altrettanto impersonale il compito di neutralizzarli. E l'AI della sua unità, il modello più avanzato di quella serie, appena uscito dai cantieri di Armory One, stava facendo egregiamente il suo dovere.

Yzak digrignò i denti, tentando di superare lo sbarramento laser con una raffica della mitragliatrice Gatling, ma una paio di precisi colpi dell'avversario lo bloccarono e, a quel punto, il Comandante decise di lasciare perdere i giochetti.

Perché stava sprecando tempo prezioso, mentre si accorgeva che i suoi compagni non stavano affatto guadagnando terreno sui piloti di Nova. I quali combattevano con molta più motivazione.

'Disperazione' si corresse Yzak, riconoscendo che, non avendo luogo dove fuggire, i loro nemici stavano dando il tutto per tutto. 'Finiamola.'
"Basta così!" urlò nel comunicatore a tutti i componenti della squadra. "Sembrate nobildonne in gita di piacere. Muovete il culo" imprecò ad alta voce, ignorando volutamente il fatto che, dall'altra parte del microfono, non c'erano reclute ma i migliori veterani di tutte le forze armate terrestri e di ZAFT.

"E tu, togliti dalle palle" ringhiò di nuovo, all'indirizzo del suo avversario, stavolta.
Innestò i retrorazzi, allontanandosi dalla mortale rete laser dei funnell che continuavano a danzare intorno al suo ZAKU. Fu un attimo. Con una prontezza di riflessi che solo un Coordinator possedeva, Yzak approfittò dell'infinitesimale momento nel quale le micidiali armi erano ancora puntate verso il punto dove era scomparso, per abbatterne una gran parte con la Gatling. Poi si gettò sul nemico.

"L'ho sempre detto. Usare il fucile è patetico! In situazioni del genere un uomo usa la spada!" ululò sguainando la propria arma e impugnando nell'altra il tomahawk.
Il suo avversario non rimase ad aspettarlo. Si spostò verso il basso ma Yzak riuscì ad indovinare l'eccentrica traiettoria. Lanciò la scure che si conficcò profondamente nel torso del mobile suit di Nova. Il pilota, in un'ultima disperata mossa, puntò sul Comandante di ZAFT tutto quello che aveva, laser e missili convenzionali. Yzak, gli scudi dello ZAKU ripiegati a difenderne il corpo, superò lo sbarramento come una meteora infuocata. La sua spada, qualche istante dopo, mise la parola fine al duello.

L'albino non si permise nemmeno un attimo di respiro. Sguainò il tomahawk che gli rimaneva e verificò la posizione dei suoi compagni. Intorno a lui il cosmo era acceso dalle esplosioni e dalle scie dei laser, che fornivano un agghiacciante spettacolo pirotecnico. Tutti erano impegnati, compreso Athrun, che Yzak osservò in quel momento intercettare un veloce mobile suit che si era lanciato contro l'Eternal.

Il Comandante imprecò di nuovo. Uno dei mezzi della Federazione Atlantica era in difficoltà, e Cal Payang impossibilitato a dargli supporto. Yzak non ci pensò nemmeno un istante. Si precipitò ad aiutare il Natural, relegando Athrun e la sua avventatezza ad un retro pensiero. Per il momento non poteva fare altro per lui.



Nova


Le immagini che arrivavano da Terminal erano spaventose, ma non mancavano di una certa inquietante bellezza. Kassel aveva assistito a battaglie tra mobile suit solo a distanza, attraverso uno schermo, ma sapere che quella volta l'esito avrebbe deciso la sua vita o la sua morte era un pensiero sconvolgente.

"Perderemo comunque" esalò Mlada accanto a lui, a voce bassa perché gli altri presenti nella sala non la sentissero. Il personale era in stato di massima allerta, tutti i Nova incollati agli schemi con il fiato sospeso, e i vertici del gruppo riuniti nella sala controllo da dove tenevano d'occhio la situazione. Lo spettacolo che stava andando in scena su quasi tutti i monitor non era però molto rassicurante. Un paio mostravano invece, a rotazione, la programmazione dei network terrestri, dove non stava passando nulla di relativo all'attacco.

Rifiutandosi di commentare le parole disfattiste della donna, Kassel si rivolse invece verso Requiem, indicando gli schermi.

"Cominciamo a preparare qualcosa, evidentemente è un attacco condotto segretamente. Dobbiamo smascherare subito le loro azioni vigliacche."

Requiem annuì. "Sono d'accordo. Lo mandiamo in onda il prima possibile." Lo sguardo dell'uomo perse per un attimo la consueta aria serafica. "L'opinione pubblica è con noi, li costringeremo ad interrompere l'assalto."

"Scusate" fece in quel momento la voce di uno degli addetti ai monitor. Si era girato verso i vertici di Nova con un'espressione confusa in volto, la mano destra premuta sull'auricolare. "Sto ricevendo uno strano messaggio dalla sezione nove. Dicono che sono nel mezzo di una sparatoria."

Nella sala calò brutalmente il silenzio. Kassel fissò stranito il ragazzo, chiedendosi se il nervosismo che serpeggiava in quei giorni non fosse sfociato in qualcosa di incontrollabile mentre, accanto a lui, Mlada reagì in modo ben diverso.

"Mettilo in vivavoce. C'è una telecamera di sorveglianza in quella sezione, giusto? Collegati subito" abbaiò senza riuscire a nascondere il nervosismo.

Fu dalle prime, concitate parole che esplosero tra i presenti, che Kassel capì che si era amaramente sbagliato.

"Ci stanno sparando addosso. Il corridoio è pieno di cadaveri. Ci serve assistenza" urlò qualcuno, un accorato appello che si interruppe in un urlo agghiacciante.

Le immagini apparvero sullo schermo, e Kassel desiderò che avesse continuato a mostrare l'innocuo gioco a premi di poco prima.

Come aveva riferito la persona all'interfono, sagome scomposte giacevano a terra, tra pozzanghere di sangue che si allargavano sotto di loro. Alcune ancora reggevano le armi con cui avevano cercato, senza fortuna, di difendersi.

Tra di loro si muovevano senza particolare cautela tre figure, completamente vestite di nero e con caschi dalla visiera polarizzata che rendeva impossibile riconoscerne le fattezze. Una, però, era sicuramente una donna. Lei reggeva una pistola in mano, mentre gli altri armi automatiche.

Come al rallentatore, Kassel la vide avanzare verso chi aveva fatto la chiamata. L'uomo, colpito ma ancora vivo, si stava allontanando strisciando dall'interfono, lasciando una scia insanguinata dietro di lui. Il numero due di Nova scoprì che gli era impossibile distogliere gli occhi.

La donna, ripresa di spalle dalla telecamera, raggiunse facilmente il ferito. Gli mise un piede sulla schiena e, per un attimo, lo guardò dimenarsi disperato sotto di lei. Kassel realizzò raccapricciato che gli sembrava un grosso batrace, e forse chi lo stava tormentando dovette pensare lo stesso, perché si tolse il casco e gettò indietro la testa ridendo compiaciuta.

Era davvero una donna, con i capelli del rosso troppo brillante e innaturale dei Coordinator, legati sopra la testa in un elaborato chignon. Sempre ridendo, sollevò la pistola e piantò un proiettile in testa al ferito.

Qualcuno nella sala di controllo urlò, ma gli altri rimasero in silenzio. Kassel non aveva idea che il peggio stava per arrivare.

Vide la donna rinfoderare la pistola, abbassarsi sul cadavere e sollevarlo per i capelli. Lo tenne alzato davanti a sé, senza nessuna fatica, nonostante non fosse né particolarmente alta né corpulenta. Poi mosse di scatto il braccio sinistro. Il corpo ricadde a terra. Solo quello.

"Dei del Cielo…" bofonchiò Mlada, mentre Kassel scoprì di non avere parole per commentare quello che stava vedendo.

L'assalitrice si era voltata verso la telecamera, il bellissimo viso illuminato da un'espressione altera e soddisfatta. Reggeva davanti a sé la testa dell'uomo che aveva ucciso, il cui collo era stato reciso in modo talmente netto che sembrava quasi tagliato con un cutter laser. Un istante dopo l'immagine svanì sostituita da uno schermo nero.

"Hanno colpito la telecamera" bofonchiò qualcuno, il tono impastato di chi è sotto l'effetto di stupefacenti. E quello fu il commento più tranquillo che Kassel sentì. Tra le urla che improvvisamente si alzarono nella sala, e i concitati ordini che impartì Mlada, furono più che altro le parole sommesse di Requiem a sconvolgerlo di più.

"L'attacco a Terminal era solo un diversivo. Hai visto? Questa non è un'operazione di polizia internazionale. È un'esecuzione."



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Lorran gettò via la testa, sorridendo ai propri compagni. Poteva indovinare la loro espressione perplessa anche dietro le visiere.

"Nicol ti aveva detto di non esagerare" le ricordò Dominic, ma la ragazza sollevò le spalle, indolente.
"Non ho fatto niente del genere. Visto che dobbiamo fare più casino possibile per distogliere l'attenzione dai gruppi di Nicol e Alpha, scommetto che li ho terrorizzati abbastanza perché si precipitino qui in massa."

Il compagno guardò la testa, rotolata in un angolo. "Di questo puoi stare certa. Ma adesso che fai, non ti rimetti il casco?"

"No, mi rovina la capigliatura. Dai, non perdiamo tempo. Rox, cominciamo le riprese."

L'interpellato si tolse a sua volta il casco, sospirando infastidito. "Devo proprio? Perché non possono fare questa cosa in studio?"

"Ne abbiamo già parlato! È più realistico sovrapporre l'immagine della giornalista alla tua che non ricreare completamente l'ambiente in computer grafica." Lorran fece un sorrisetto. "Non prendertela, non è colpa di nessuno se l'unico reporter di rilievo al quale i Nova hanno ammazzato dei congiunti è una donna."

"E piantala di prendermi in giro" si lamentò per l'ultima volta il Coordinator, prima di posare a terra il casco e l'arma che portava. Poi si sistemò davanti a Lorran, che reggeva un palmare.

"Perfetto" gli disse lei. "Si vedono bene i cadaveri. Facciamo una sola ripresa, non importa come viene. Poi la spedisco subito a Miguel. Ricordati bene le parole, devi dire esattamente quelle, è importante."

Rox annuì, poi si schiarì la voce. Quando riprese a parlare, il suo tono baritonale era mutato in quello di un contralto, professionale e con una vaga sfumatura drammatica.

"Qui Anna Li, Fox News. Trasmettiamo dalla base principale del gruppo estremistico che si fa chiamare Nova. La nostra troupe è penetrata sul satellite illegalmente occupato dai terroristi, al seguito dei soldati della coalizione…"

Per tutta la durata della breve ripresa Lorran non smise di sorridere, profondamente divertita.



DSS Terminal


Odessa ruggì infastidita quando vide il laser che aveva sparato contro la nave nemica deflesso da un altro raggio.

"Maledizione, l'avevo quasi raggiunta!"

Invece la vide allontanarsi, mentre la strada le veniva sbarrata da un mobile suit dipinto di rosso. Un'ulteriore imprecazione venne bloccata dal cicalio del comunicatore. Il pilota dell'altro mezzo stava cercando di contattarla. Ci pensò un istante, poi decise di aprire il canale.

"Togliti di mezzo" gli sibilò.

"Non ci penso nemmeno. Arrenditi, non hai nessuna possibilità di scamparla."

Quella voce. Odessa l'aveva riconosciuta al volo. Quante volte l'aveva sentita alla televisione, solo leggermente meno stucchevole di quella di Lacus Clyne, mentre si scusava a nome del padre defunto.

"Non dire cazzate, Athrun Zala. Dovrei abbassare le armi perché tu mi possa uccidere più facilmente?"

"No di certo. Chiunque si arrende verrà trattato secondo le regole del diritto internazionale. Noi non ammazziamo i prigionieri."

La ragazza rise al tono convinto del Coordinator. Le sembrava assurdo ma lui pareva davvero crederci.

"Mi prendi in giro? Noi non siamo neppure soldati regolari. E comunque non me ne frega niente, perché io non ho nessuna intenzione di arrendermi."

Dimenticandosi di chiudere il comunicatore, Odessa lanciò il l'Astraea contro l'unità di Zala.



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Non che si fosse aspettato una blanda resistenza, ma Kira Yamato doveva ammettere che raramente aveva incontrato un avversario così tenace.

L'unità di Nova gli si era precipitata addosso insieme a due gregari, e mentre era stato quasi un gioco da ragazzi disabilitare loro, non gli stava andando così bene con il principale avversario.

Kira fece una smorfia quasi infastidita, settando i funnel dell'Enduring Freedom perché intercettassero tutti i colpi sparati da quelli del nemico. L'armamento offensivo e difensivo suo e quello dell'unità di Nova –che gli pareva una variante del vecchio YMF-X000A Dreadnought- più o meno si equivalevano, e stava facendo appello a tutte le sue capacità di pilota per schivare gli affondi e quello che gli veniva scagliato contro.
Quasi troppo tardi vide un fascio laser superare la sua guardia, e l'unico modo per evitarlo fu di allontanarsi repentinamente dal mezzo di Nova. Impresse al Freedom una veloce accelerazione verso il basso seguita da una capriola. Uscito dal loop, Kira si trovò faccia a faccia con il nemico che aveva indovinato la sua mossa. Le loro spade si incrociarono mentre gli abitacoli quasi si sfioravano.

In quel concitato istante il segnale del comunicatore si accese, e il giovane compagno di Lacus aprì il canale senza pensarci due volte.

"Non avrei mai pensato che nella mia vita avrei avuto la possibilità di combattere contro il famoso Kira Yamato" fece la voce di un uomo, dal vago accento asiatico. Era tesa per la battaglia, e Kira giudicò dovesse appartenere a qualcuno sulla cinquantina.

"Sei un avversario in gamba" gli riconobbe. "Ma adesso, per favore, deponi le armi. Io non voglio la tua vita."
"Sì, ho visto come hai solo disarmato i miei compagni. Ma sul mio onore non mi posso arrendere. Ho deciso per chi combattere, e lo farò fino alla morte."

"Quello che stai dicendo è assurdo!" urlò Kira. "State buttando via le vostre vite in una battaglia senza senso."

"E chi lo decide il senso? La tua bella principessa dai capelli rosa? O i politicanti terrestri, che c'hanno trascinato in una guerra dopo l'altra, e che non hanno fatto nulla per evitare che Junius Seven cadesse sulla Terra? E poi, anche tu in passato non hai fatto lo stesso? Non hai combattuto con tutte le tue forze per quello in cui credevi giusto? Per difendere i tuoi amici?" urlò il pilota di Nova, approfittando della vicinanza per estrarre una seconda spada il cui fascio, fortunatamente, fu bloccato in tempo da Kira grazie allo scudo a particelle che l'Enduring Freedom montava sull'avambraccio sinistro.
Grugnendo, Kira respinse l'avversario. Non era facile rompere la concentrazione e l'aplomb dell'amante di Lacus, ma qualcosa nelle parole del suo avversario l'aveva punto sul vivo.

"Facciamola finita" mormorò, sentendo tutti i suoi sensi focalizzarsi sull'obiettivo, come gli era già capitato in passato in simili occasioni. In preda non alla rabbia, ma ad una calma altrettanto mortale, agganciò contemporaneamente tutti i funnel del nemico con i propri DRAGOON, disintegrandoli, poi puntò i cannoni al plasma dell'Enduring Freedom sul mezzo di Nova, individuando e disabilitando le sue armi.

Nello spazio di pochi istanti, il pilota nemico si trovò completamente disarmato. Kira sospirò, ritrovando il controllo di sé stesso.

"Sì" disse, gli occhi sempre fissi sull'obiettivo. "L'ho fatto, ma non a costo di uccidere degli innocenti."

Dall'altra parte della linea ci fu un lungo silenzio, interrotto infine da una risata desolata. "A volte, ragazzo, puoi non avere proprio nessuna scelta."

Qualche anno prima avrebbe replicato con qualche frase fatta, ma in quel momento Kira sentì che gli era impossibile. Non gli piaceva essere lì e non gli piaceva quello che stava facendo. Era ancora convinto che non era stato fatto tutto il possibile per evitare quella battaglia, e che quelli che aveva davanti non erano i mortali nemici del genere umano, come tutti raccontavano, ma solo poveri disperati. Per cui si limitò ad annuire, anche se l'altro non poteva vederlo.
"Arrenditi" gli ripeté. "Ti sarà garantito un processo equo."

Ci fu un altro momento di silenzio, poi l'unità di Nova, pesantemente danneggiata, si mosse verso l'Enduring Freedom.

"Giustizia… sì… quella che non ho ottenuto per i miei figli… E tu me la garantirai, Kira Yamato?"

"Sì."

"Grazie. È stato un onore combattere contro di te."

"Alza gli scudi" urlò improvvisamente una terza voce, dal nulla. Kira, per reazione, fece proprio quello che gli era stato ordinato. Un istante dopo il mobile suit davanti a lui, che l'aveva oramai quasi raggiunto, si vaporizzò in una sfera di materiali incandescenti e plasma.

L'amante di Lacus sbatté le palpebre, sopraffatto dalla sorpresa. Solo dopo qualche istante realizzò che uno del mezzi della coalizione si era materializzato accanto all'Enduring Freedom, in mano il bazooka al plasma ancora puntato dove il mezzo di Nova era scomparso. Kira riconobbe l'unità come quella di Chen Shueisha, il militare della Repubblica dell'Est Asia.

"Che hai fatto?" lo attaccò Kira. "Si stava arrendendo."

"Nessuno dei nostri l'avrebbe mai fatto. Soprattutto lui" ribatté l'asiatico, il tono di voce tetro.

"Lo conoscevi?"

"Quella voce non l'avrei mai scordata. Era il comandante della mia divisione durante la guerra del San Valentino di Sangue. Un uomo retto e coraggioso. Si congedò dall'esercito, e sparì, dopo che tutta la sua famiglia rimase uccisa nella caduta di Junius Seven."

"E quindi? Perché l'hai colpito?" ribadì Kira, ostinato.

"La tua buona fede nel prossimo ti fa onore, ma mi stupisco che la tua ingenuità non ti abbia ancora ucciso. Il Colonnello Zhang si stava preparando ad un attacco kamikaze. È così che muoiono i soldati della Repubblica dell'Est Asia, Comandante Yamato. Ricordatelo se ne incontrerai altri."

E, con quello, Chen si staccò da lui ritornando nel caos della battaglia, lasciando Kira a chiedersi se fosse riuscito a non fare ammazzare tutti i Nova. Cominciava a dubitarne.



Nova


La sua parte di lavoro si era rivelata addirittura facile, meditò Nicol mentre scaricava i dati dal server crackato di Nova. Avevano trovato solo una blanda resistenza lungo i corridoi deserti e, alla fine, in una sala di controllo secondaria, una presa di rete gli aveva dato l'accesso al server sul quale erano ospitati i dati che Yzak così tanto bramava. Nicol aveva semplicemente collegato il palmare per fare da ponte, e mandato immediatamente i file a Miguel, che li avrebbe a sua volta inviati al comando della coalizione.

Si stava addirittura quasi annoiando quando ricevette, tramite il nanocomputer che governava i suoi impianti ottici, un messaggio da Alpha.

- Qui è un casino, e anche Lorran è bloccata. Fai qualcosa per farci guadagnare tempo.

- Mostrami.

Una scena di concitata battaglia gli si materializzò davanti agli occhi. Era quasi come essere lì.

I Nova avevano ammassato materiali lungo l'ampio corridoio, dietro i quali stavano dando filo da torcere ad Alpha e i suoi. Si intravedevano tra i difensori anche sagome più grandi, spigolose, che non appartenevano di certo ad un essere umano.

- Caterpillar P-6000 Powerloader(1) – commentò Alpha - Quei bastardi stanno usando elevatori meccanici per buttarci addosso di tutto.

- Non puoi usare il lanciagranate?

- Ehi, Bambi, non prendermi per scemo. Ho già fatto crollare due merdosi corridoi così, senza contare le porte tagliafuoco chiuse che ho dovuto sfondare, mi sono un po' rotto di cercare vie alternative. Me li devi togliere dalle palle.

Alpha interruppe bruscamente il contatto, come faceva sempre, e Nicol sospirò di frustrazione. Era tipico di quel bestione combinare qualche guaio e poi pretendere che lui glieli risolvesse. "C'è qualche problema?" chiese, dietro le spalle di Nicol, uno dei Coordinator suoi compagni.

Il pianista scosse la testa. "Sì. Alpha si è fatto scoprire troppo presto, e adesso ovviamente è bloccato. Devo trovargli un diversivo."

Nicol si tolse il casco e si sedette davanti ad uno dei monitor, spostando con cautela il cadavere della persona che c'era seduta davanti nel momento in cui avevano fatto irruzione nella sala. A volte si stupiva di avere ancora rispetto per i morti.

Controllò velocemente quello che le telecamere in giro per il satellite stavano mostrando, cercando il modo di attirare i suoi difensori da un'altra parte. E dopo qualche minuto lo trovò. E non era una cosa che gli piaceva, ma sapeva che sarebbe stata inevitabile.

Nicol si strofinò le palpebre con le dita, maledicendo in cuor suo quel lavoro che stava diventando di momento in momento più infame.

I suoi compagni sbirciarono entrambi il video.

"Ma quelle…" commentò uno.

"Lascia perdere" lo interruppe Nicol, brusco. Poi si concentrò sulla rete di gestione ordinaria del satellite. Per quella, che aveva accessi wireless, non aveva bisogno di crackare nessuna presa web. Agganciò quindi il segnale e, dopo pochi secondi, trovò quello che cercava.

Anni prima avrebbe avuto delle remore alla sola menzione di compiere un atto del genere, ma adesso non si pose nemmeno il problema. Perché era necessario, se voleva completare la missione, aiutare i suoi compagni e, soprattutto, tornare a casa vivo dalla sua famiglia.



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"È inutile, non riusciamo a respingerli" commentò a bassa voce Mlada, mordicchiandosi un'unghia.

Kassel, a quella vista, pestò il piede con forza a terra. In sala controllo erano rimasti soli con il personale; Requiem era sparito nel suo alloggio a preparare la contromossa di comunicazione.
"Non ci posso credere, sono solo in sei" replicò il numero due di Nova.

"Ma sono commando addestrati! I nostri sono solo civili ai quali qualche giorno fa abbiamo distribuito delle armi." La donna girò di sbieco il volto verso di lui, scoccandogli un'occhiata irata. "Non te l'avevo forse detto che non avremmo avuto speranze? Senza contare che questa gente ha qualcosa di strano."

Mlada riprese a fissare i monitor, sopprimendo un brivido che Kassel si sentì di condividere. Era vero, non era solo un problema di forze in campo. Aveva visto i soldati in nero schivare le pallottole, o incassarle senza battere ciglio. E fare altre cose impossibili per un essere umano.

"Che siano droni da battaglia?" azzardò.

"No, si muovono con troppo scioltezza. E poi l'abbiamo vista la tipa con i capelli rossi, non è un androide." Mlada sospirò. "Ma d'altronde noi che cazzo ne sappiamo dei progetti dei militari? Quegli incubi potrebbero essere usciti da qualche laboratorio di ZAFT o della Federazione Atlantica, ed esseri ibridi di chissà cosa, non me ne stupirei."

E Kassel non poteva non darle ragione. Era certo che se non fosse morto quel giorno la ragazza che guidava uno dei due gruppi di assalitori avrebbe perseguitato i suoi sogni per molte notti, con i suoi occhi felini, gli artigli e, soprattutto, l'ampio e folle sorriso in volto. Come una persona che si sta divertendo da morire. Forse era proprio così.

"Kassel!" La voce tesa di Mlada lo strappò dal suo incubo ad occhi aperti. Si avvide che si era avvicinata ad uno dei monitor, e la raggiunse.

"Che succede?"

"Abbiamo perso il contatto con la sala controllo della sezione dodici."

"Cosa?"

Fu l'addetto a quella postazione video che si voltò verso di lui. "Ogni cinque minuti facciamo un controllo di routine, e all'ultimo non ci hanno risposto."

"Cosa mostra la telecamera?"

"Niente, è fuori servizio."

Mlada imprecò. "C'è un altro team? Cosa combinano i gruppi a difesa di quel settore? Chiamali a rapporto."
"L'ho già fatto" rispose il ragazzo, impallidendo. "Senza nessun riscontro."

Kassel sentì la fredda morsa del panico chiudergli la bocca dello stomaco. "Mandate qualcuno, subito."

"Potrebbe essere un trucco per distogliere la nostra attenzione dal vero attacco" ribatté Mlada, alla quale il dubbio si poteva leggere in faccia.

"Scusatemi, uno dei gruppi ha risposto. Hanno uno strano problema" fece in quel momento l'addetto.

La speranza di uscirne vivi che Kassel ancora nutriva subì un altro colpo. "Che succede ancora?" chiese.

"Sono Linz e i suoi, quelli a guardia della sezione quindici."

"Le unità abitative?"
"Sì. Riferiscono che le porte si sono bloccate."

Kassel e Mlada si scambiarono un'occhiata.

"In che senso?" inquisì la donna.

"Dicono che si sono chiuse improvvisamente, e che è impossibile aprirle, sia da dentro che da fuori."

Le mani di Mlada corsero ad una consolle. "Tu vai avanti a contattare tutti, ci penso io qui, potrebbe essere solo un problema al software dell'impianto."

Kassel la guardò mentre pigiava i tasti con forza, controllando stringhe di caratteri sullo schermo. E la vide diventare sempre più pallida.

"No… no…" la sentì mormorare.

"Che c'è?" la implorò quasi, mettendole una mano sulla spalla.

"Non solo le porte si sono chiuse, ma il sistema di ventilazione sta operando al contrario, aspirando l'aria fuori dagli alloggi."

Kassel sbatté le palpebre, sicuro di aver sentito male. "Ma che stai dicendo?"
"Qualcuno si è inserito nel nostro sistema informatico e ha modificato da lì le impostazioni base dell'impianto."

Come una furia, il numero due di Nova si rivolse all'addetto accanto a lui. "Di' a Linz di sfondare le porte con dell'esplosivo."

"No!" urlò Mlada. "In quell'ambiente ad alta ossigenazione causerebbe un disastro, e comunque sono porte tagliafuoco, non è così facile buttarle giù."

"Vuoi che rimaniamo qui a guardare i nostri compagni morire soffocati? Tutti i Nova non impegnati nella difesa del meteorite sono lì, donne e bambini."

Mlada sbatté con forza un pugno sulla consolle. "E credi che io non lo sappia?"

"Signore…" lo richiamò per l'ennesima volta l'operatore, la voce sempre più affranta.

Kassel si limitò a fargli un cenno, sull'orlo della disperazione. Cosa poteva andare peggio di così?

"I gruppi nei corridoi dal cinque all'undici stanno abbandonando le proprie posizioni e convergendo verso le unità abitative."

Fu Mlada che rispose, perché Kassel non aveva oramai più forza. "Non dirmi che quell'idiota di Linz gli ha raccontato tutto? Non si devono occupare di quel problema, ci pensiamo noi" abbaiò la donna.

"No, lui no. I capigruppo mi hanno detto di aver ricevuto un messaggio sul pager in dotazione."

Kassel sospirò, definitivamente scoraggiato. "Ma certo, dopo aver così facilmente crackato la nostra rete gestionale, contattare tutti i nostri uomini attraverso gli strumenti di cui li avevamo dotati non gli deve essere stato difficile."

"È uno sbaglio, gli ordino di ritornare al loro posto."

"Non ti ascolteranno mai, Mlada, e proprio tu dovresti saperlo bene" le sussurrò Kassell, le mani sugli occhi. "Prigioniere là dentro ci sono le loro famiglie e le persone che amano. Al momento gli importa solo di liberarle prima che muoiano di una morte orrenda."

La strategia di chi li aveva assaliti era semplice, così elementare che a Kassel quasi veniva da ridere. Divide et impera. Funzionava da centinaia di anni, e stava funzionando anche con loro. Non avevano nessuna via di scampo.

"No, cazzo no!" sibilò Mlada, inferocita. "Non ci possiamo arrendere così. C'è un unico modo con il quale sono potuti penetrare qui: con quello shuttle che è precipitato un'ora fa. Nemmeno Prishtina e Lublin hanno più risposto agli appelli. Adesso mando fuori Essen con il mobile suit che ci siamo tenuti di scorta. Almeno gli tagliamo l'unica via di fuga che hanno."

Kassel si limitò ad annuire, chiedendosi dopotutto a cosa sarebbe servito. Per un secondo pensò che si sarebbero potuti davvero arrendere, ma scartò subito l'opzione. Da quello che aveva visto, i loro assalitori non prendevano prigionieri, e ammazzavano sistematicamente anche i feriti indifesi. E azzerare le loro possibilità di lasciare il satellite significava una cosa sola.

'Nemmeno noi possiamo andarcene da qui, se è per quello. Qualche tempo fa pensavo che ci fossimo trasformati da agnelli in leoni, ed era vero, ma mi ero dimenticato che nemmeno quei felini sono al vertice della catena alimentare.'
Un riso isterico gli salì alle labbra, ma lo trattenne per non spaventare e demoralizzare oltre il personale. 'Non quando sono chiusi in un recinto con un gruppo di bracconieri dotati di armi da guerra. E nessuna guardia forestale che ha intenzione di salvarli.'

La trasmissione di Requiem era la loro ultima possibilità di salvarsi, Kassel lo sapeva benissimo, per quello, dopo tanto tempo, si mise a pregare.



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Note


(1)Ve li ricordate questi? Li abbiamo visti nel film Aliens. Qui ho usato un modello più corazzato ;)



Stavolta devo contrarre le note e i ringraziamenti causa un certo qual problema tecnico (leggi: scadenza della promozione adsl), quindi sarò brevissima! Grazie alla mia fedele beta Shainareth, la quale scrive bellissimi capitoli d'azione, anche se lei non ci crede ;)
E un grazie anche a tutti i lettori e, in particolare, a chi mi ha lasciato un commento al precedente capitolo: Shainareth, SnowDra1609, Hanako_chan, MaxT, Gufo_Tave, Kourin.

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Capitolo 18
*** Meth ***


Meth



Nova


Mlada era una donna alta e forte, per cui, quando prese Kassel per il colletto della giacca e lo sbatté contro il muro, lui sentì le costole scricchiolare.

"Te l'avevo detto" gli sibilò lei forse per la decima volta da quanto era cominciato l'attacco, "questo posto non è un fortino. Non c'è modo di fermare quelle cose. Sono stufa di vedere morire i miei amici."

"Cosa suggerisci, allora? L'hai detto tu che le porte tagliafuoco sono bloccate, e quello sarebbe l'unico modo per poterli fermare."

Mlada scosse la testa. "Ritardare, semmai. Abbiamo un maledetto problema informatico, ma i ragazzi ci stanno lavorando. Risolto quello potremo chiudere le porte ed evacuare i civili intanto che quei mostri perdono tempo a sfondarle. La baia di carico principale è ancora nelle nostre mani, possiamo riuscirci" La donna gli lasciò il colletto e picchiò un pugno contro la parete, accanto alla testa di Kassel. "Essen è pronto sulla catapulta, facciamolo uscire e che distrugga lo shuttle. Una volta bloccati qui dentro faremo esplodere il satellite."

Era un buon piano ma, prima che il numero due di Nova potesse parlare, una voce bassa, impostata per essere melodiosa, si frappose fra lui e Mlada.

"Non possiamo andare da nessuna parte, quante volte vi ho ripetuto che non c'è più posto per noi sulla Terra? E comunque non abbiamo abbastanza shuttle, come sceglierai chi se ne deve andare?"

Sia Kassel che Mlada si voltarono verso Requiem, finalmente riapparso in sala controllo.

La donna socchiuse gli occhi, rossa in volto, e quando gli parlò il suo tono fu tagliente. La deferenza che tutti i Nova tributavano al loro leader sembrava essere scomparsa da Mlada. "E quindi? Dobbiamo rimanere qui tutti a farci massacrare?"

"Cosa ti succede? Dubiti della nostra missione? Della promessa che hai fatto quando ti sei unita alla nostra comunità?"

Lei scosse la testa. "No. Ma quello che stiamo facendo non ha senso. Ti ho dato la mia parola che sarei stata fedele alla causa, ma tu ci avevi garantito che avremmo avuto giustizia."

Un sorriso illuminò l'espressione di Requiem che, nonostante tutto, sembrava perfettamente rilassato. "Ed è quello che succederà. Torna al tuo lavoro, e cerca di ritardare i commando il più possibile. Lascia a me tutto il resto."

Il leader di Nova fece un cenno verso Kassel. "Andiamo, sono pronto a parlare al mondo. Gli faremo pentire di averci attaccato."



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Miguel si stava annoiando in una maniera indicibile, e si era pentito mille volte di aver accompagnato i suoi ragazzi all'attacco su Bandit, quando avrebbe potuto essere a fianco di Yzak e Athrun. Fino a quel momento non aveva fatto nulla se non monitorare la situazione sul satellite, inviando al comando principale della coalizione le informazioni in arrivo, spedite dal gruppo di STORM.

Aveva riso leggendo la lista dei collaboratori di Nova, sicuro che quella gente sarebbe stata messa in condizioni di non nuocere non appena i nominativi fossero giunti nelle mani di Shiho Hahnenfuss, che con il suo team stava coordinando le operazioni di polizia internazionale. Cellule dei servizi segreti di tutti gli stati coinvolti erano pronte ad arrestare i terroristi, e Miguel era certo che l'operazione fosse già scattata.
Per buona misura aveva fatto una copia per sé di tutti i dati. Erano stati pagati profumatamente per quel lavoro, ma sarebbe stato da stupidi non ricavarci un bonus gratuito che poteva venire utile a Serpent Tail in futuro.

Il biondo pilota si stiracchiò, lanciando un'occhiata ai monitor quieti da un bel po'. Come per rispondere ad una sua silenziosa preghiera, il radar gli segnalò un oggetto in partenza da Bandit.

"Oh oh, e tu cosa sei?" si chiese il biondo mercenario ad alta voce. Una rapida scansione lo rivelò come un modello di mobile suit della stessa serie del GAT-X105 Strike.

"GAT-X610 Strike Black" lesse Miguel, controllando i sistemi offensivi dell'avversario. Era armato più pesantemente del suo Nebula Blitz e, soprattutto, reggeva tra le mani uno spadone preoccupante.

Miguel, però, si mise a ridere sonoramente. "Per tutti gli dei, vuoi affettare il mio piccolo shuttle con quell'affare? Come voler recidere un fiorellino con una mannaia. Sei proprio esagerato! Non te lo posso proprio lasciar fare, sai. E, anche se avrei voglia di divertirmi un po' con te, vediamo di non fare lo stesso errore di quel cretinetto di Amalfi."

Il mercenario sogghignò pericolosamente, attivando i propulsori del Blitz e armando i dardi esplosivi. Poi si mosse per intercettare il nemico, senza uscire dall'occultamento.



DSS Terminal


La frusta del mezzo di Nova si abbatté come un colpo di maglio sul suo scudo, e Athrun sentì tremare distintamente le leve di comando tra le sue mani, nonostante tutti gli smorzatori d'impatto. Attento a non farsi strappare il fucile a raggi l'Ammiraglio di Orb aprì il fuoco contro il torso del mobile suit nemico, distraendo il pilota a sufficienza per permettergli di disimpegnarlo.

Guadagnato un relativo spazio vitale, Athrun controllò velocemente lo stato dei suoi armamenti. Le batterie al deuterio gli garantivano efficienza illimitata per le armi laser e al plasma, ma nello scontro aveva danneggiato lo scudo, e perso una delle spade. Soprattutto, aveva la netta sensazione che la sua resistenza sarebbe durata molto meno dell'energia del suo Unlimited Justice.

Disdegnando le armi a distanza, il pilota di Nova l'aveva impegnato subito in un corpo a corpo estenuante, colpendo duramente e senza esclusione di colpi come se, per qualche oscura ragione, ce l'avesse personalmente con lui.

Elegantemente Athrun evitò un altro affondo, prendendo tempo e fiato e facendo finta di non sentire gli insulti della ragazza che lo stava chiamando codardo.

"Diciamo piuttosto che sono fuori forma" si disse a bassa voce, odiando ogni secondo che passava e la consapevolezza che avrebbe dovuto dare ragione ad Yzak, una volta uscito da quel pasticcio. "Sono proprio un generale da salotto" sospirò, studiando il suo avversario a distanza.

Oltre alla stanchezza fisica, se c'era una cosa che psicologicamente lo stava esaurendo era l'assoluta impossibilità di far ragionare il suo avversario. Non era come il terrorista che aveva affrontato ad Orb; il pilota del mobile suit nemico aveva la voce giovane di una ragazza forse non più che ventenne, e doveva essere anche parecchio intelligente per riuscire a manovrare un mezzo di quella complessità tenendogli testa, ma aveva anche tutta la cocciutaggine di qualcuno che è certo di essere nel giusto.

"Non puoi vincere" le ripeté, quasi stancamente. "Controlla sul radar. I tuoi compagni sono stati quasi tutti abbattuti, e ormai l'Eclipse avrà raggiunto Terminal. Non hai più nessun luogo dove fuggire né niente da difendere. Arrenditi."

Esitò a dirle dell'attacco principale a Bandit. C'era sempre la possibilità che facesse qualche stupidaggine, sapendo che avevano individuato la loro base principale. Gli sembrava proprio il tipo capace di farsi saltare in aria dopo aver finto al resa, come altri Nova. D'altronde, se fosse riuscito ad impegnarla abbastanza a lungo, magari nella foga avrebbe commesso un errore. Athrun strinse le labbra, nella ferma intenzione di avere ragione della ragazza senza ucciderla. "Smettila!" gli urlò lei. "Non hai ancora capito che non me ne importa niente di quelli? Mi hanno solo dato i mezzi per vendicarmi dei bastardi che mi avevano rovinato la vita, ma io non ho nessuna lealtà verso quei pazzi."

Athrun corrugò le sopracciglia. Questo era qualcosa che non si era aspettato. "E allora perché combatti? Di chi ti vuoi vendicare?"

"Di quelli come te. Che pontificate chiusi nei vostri parlamenti mentre i poveracci come me vengono uccisi in guerra."

Un colpo di laser sottolineò le parole della ragazza, che Athrun parò facilmente, seguito però da una salva di granate che esplosero contro l'Unlimited Justice senza che l'Ammiraglio riuscisse a bloccarle. Non avevano causato danni, ma le scariche elettromagnetiche accecarono gli strumenti di Athrun un istante di troppo perché il pilota di Nova trovasse un varco nella sua difesa.

Il beep del radar lo avvertì del contatto imminente e Athrun seppe che solo un miracolo l'avrebbe salvato ma, proprio in quell'istante, lo strano senso di compiutezza che ogni tanto lo assaliva durante le più concitate battaglie si manifestò.

Non cedette all'istintivo gesto di alzare lo scudo perché l'avversario, che stava calando contro il suo lato sinistro una falce laser, l'avrebbe facilmente trapassato tagliandolo in due. Di tutte le mosse che poteva fare, Athrun scelse la meno prevedibile.

Si lanciò in basso nel momento in cui l'avversario chiudeva su di lui, evitandone abilmente la lama, poi innestò i venier dando all'Unlimited Justice una traiettoria di quarantacinque gradi verso l'alto, in rotta di collisione con il mezzo di Nova. L'ampia parabola aveva reso la falce inutilizzabile per il pilota che, preso di sorpresa, non poté reagire quando la spada di Athrun tagliò entrambe le braccia del suo mobile suit.

Quei gesti l'Ammiraglio di Orb li aveva fatti nello spazio di pochi secondi, automaticamente, e riguadagnò piena coscienza di sé solo per accorgersi con orrore del pugnale che la sua unità reggeva nel pugno sinistro; l'arma stava calando impietosa contro l'abitacolo della pilota di Nova.



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Stancamente, Kira si guardò attorno. Le unità di Nova erano state quasi completamente spazzate via, anche se la lotta aveva richiesto un alto tributo di sangue da parte delle forze della coalizione. Come promesso, i piloti nemici non se ne erano andati senza combattere, giocandosi il tutto per tutto. A volte con successo.

D'altra parte Kira poteva contare sulla punta di una mano i Nova che erano riusciti a scampare, che sarebbero stati consegnati alle forze di polizia militare e, su tutta quella storia, cominciava a sorgergli qualche legittimo sospetto.

Controllò che Yzak non fosse impegnato in uno scontro, poi gli inviò una richiesta di collegamento, immediatamente accettata.

Il volto del Comandante di ZAFT, segnato dalla fatica, apparve sul monitor.

"Yzak, chiariscimi una cosa" gli chiese Kira senza preamboli. "Quali sono le regole di ingaggio della squadra che avete mandato su Bandit?"

"Le sai benissimo. Sottrarre i database ai terroristi e metterli in condizioni di non nuocere."

"La qual cosa lascia agli incursori un ampio spettro di azione."

Yzak sollevò le spalle, tanto quanto gli permettevano le cinture di sicurezza. "Sono professionisti. Dubito che si facciano sparare addosso senza reagire, se è questo che ti preoccupa. E comunque lo so cosa ti tormenta ma, non temere, faranno il possibile per ottemperare agli ordini del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite."

Bruscamente, l'albino chiuse il collegamento e si lanciò a dare man forte ad uno dei suoi uomini, lasciano Kira a chiedersi se, dal momento che lì la situazione era quasi stabilizzata, non avesse dovuto agganciare i booster al suo Enduring Freedom e andare ad accertarsi che su Bandit tutto stesse andando come legalmente previsto.

Il giovane lasciò emergere sul volto solitamente compassato una smorfia annoiata. Yzak probabilmente gli avrebbe sparato addosso per prevenire una cosa del genere. Già mal tollerava la presenza di uno che gli era gerarchicamente uguale, figuriamoci se Kira si fosse preso una libertà del genere... pensiero che rafforzò solo la sua determinazione.

Insignito del FAITH, rispondeva solo al Presidente di PLANT e poteva lasciare il campo di battaglia quando voleva, ma non l'avrebbe fatto se solo uno dei suoi compagni fosse stato in difficoltà.
Il giovane fece una scansione del quadrante, controllando le forze in campo e la loro dislocazione. "Athrun…" mormorò, vedendo lampeggiare sul monitor il segnale del mobile suit dell'amico. Da quanto tempo era impegnato in combattimento? Kira non avrebbe potuto stabilirlo ma era da un bel po' che l'aveva perso di vista. Un brivido lo colse, e decise che le sue preoccupazioni sull'esito della missione dovevano essere accantonate.

Innestò i venier e si precipitò verso l'amico d'infanzia.



Nova


Il mobile suit di Nova avrebbe dovuto affrontare solo pochi minuti di volo dall'uscita dell'hangar fino al punto dove era atterrato lo shuttle dei loro nemici, ma Mlada ne seguì il lancio dal satellite con profonda apprensione. Non solo perché era il suo amante che lo pilotava, ma anche perché le sembrava impossibile che quelli che li stavano attaccando avessero davvero lasciato indifeso l'unico mezzo con cui potevano andarsene.

Mlada si avvolse una ciocca di capelli corvini attorno all'indice e la tirò forte, soffocando una smorfia. Prima che quella storia fosse finita sarebbe diventata calva, sempre se non fosse morta prima.

Con la coda dell'occhio spostò la sua attenzione ai monitor dai quali si poteva controllare la situazione nei corridoi. Non andava per niente bene, e l'unica notizia positiva era che erano riusciti a riattivare l'impianto di condizionamento degli alloggi dei civili prima che morissero soffocati; anche se oramai il danno di esasperare e spaventare i difensori era fatto.

Per il resto, non riuscivano a chiudere le porte stagne a causa di un virus informatico impossibile da sradicare, mentre i commando di ZAFT continuavano ad avanzare facendo strage di compagni.

Per qualche ragione Mlada si era convinta che quelli non potessero in nessun caso essere Natural; un solo sguardo alla ragazza dai capelli rossi, l'unica che combatteva senza casco, diceva alla donna che quella era una Coordinator, anche se la sua bellezza era ancora più singolare di quanto fosse normalmente per gli abitanti di PLANT.

'Innaturale' si ripeté Mlada, impossibilitata a scacciare l'opprimente sensazione di orrore che le serrava lo stomaco. C'era qualcosa di strano in quei soldati, che solo la loro origine genetica non avrebbe potuto spiegare. Raramente sbagliavano mira, erano impossibili da abbattere, e procedevano sicuri come se tutto quello che si trovavano davanti fosse solo una seccatura.

Lei non sapeva che pensare, e si ritrovò a fissare su uno dei monitor l'avanzata del terzo gruppo che avevano scoperto. Come gli altri due, stava convergendo verso la loro sala comando, di cui dovevano conoscere la localizzazione se avevano crackato il mainframe come sembrava.
Mlada corrugò le sopracciglia e si strofinò le palpebre. Possibile che non ci fosse proprio nulla che li potesse fermare?

'Ragiona, ragiona' si impose. Avevano tenuto d'occhio gli altri due gruppi fin da subito, e non avevano fatto altro che combattere. Quindi, se qualcuno si era divertito con i loro sistemi informatici doveva per forza essere tra quei tre.

La donna di Nova puntò il dito verso il monitor. "Di' a Zagreb e Linz di concentrare il contrattacco su quelli" ordinò ad uno degli operatori. "Che portino un elevatore. Devono farli fuori prima che si ricongiungano con i loro amici."

Pregando di avere fatto la cosa giusta, e non aver diviso le loro forze inutilmente, Mlada tornò a fissare lo schermo principale che mostrava lo Strike Black in volo radente. Aveva quasi raggiunto il suo bersaglio, e lei era già pronta ad esultare, quando il grido le morì in gola.

Sbucato dal nulla, quasi come se si fosse materializzato dalle tenebre cosmiche, un dardo si conficcò nel back pack del mobile suit, esplodendo e spedendo lo Strike fuori controllo a schiantarsi contro la superficie del satellite.

Mlada si premette le mani sulla bocca, agghiacciata, mentre attorno a lei calava il silenzio degli uomini e le donne di Nova costretti ad assistere al terrificante spettacolo.

La loro unità si raddrizzò immediatamente, sganciò il back pack inservibile alzando davanti a sé la spada di cui era dotata. Peccato che, quando l'avversario finalmente si manifestò, fu alle spalle dello Strike.

Nessuno riuscì a capire come c'era arrivato, ma era là. Minaccioso nonostante l'incongrua vernice arancio che lo ricopriva. Mlada, che aveva fatto parte del personale militare della Federazione Euroasiatica, riconobbe il modello a prima vista e, soprattutto, il curioso back pack che montava, con ali ripiegate simili a due gigantesche chele di granchio.

"È una serie GAT-X200" urlò all'indirizzo di Essen. "Togliti di lì."

Troppo tardi, perché il pilota nemico non perse un secondo. Le chele agganciarono il mezzo di Nova che, nel giro di qualche istante, fu completamente drenato della propria energia. Poi la lama laser affondò nella schiena dello Strike trapassandone il generatore, e fu con indicibile orrore che Mlada la vide spuntare sul davanti, all'altezza dell'abitacolo. Lo Stike cadde in avanti, oramai inservibile rottame, mentre l'altra unità si alzava in volo dal satellite e scompariva nel nulla, come estremo sfregio ai Nova.

Il cervello di Mlada aveva registrato tutto, vedendo ma senza davvero rendersi conto di quello che stava succedendo fino a quando la donna non sentì le ginocchia cedere sotto di lei. Poi chiuse gli occhi, accasciandosi sul pavimento della sala controllo.



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Come sempre, ascoltare i proclami di Requiem era un toccasana per il morale di Kassel. Purtroppo quella volta solo lui e pochi tecnici avevano potuto sentirli, per non distogliere l'attenzione dei difensori del satellite, ma l'uomo era certo che, dal momento in cui fosse arrivata alle orecchie giuste, i loro problemi sarebbero stati risolti.

Aprì la porta della sala controllo sapendo che i loro agenti dormienti sulla Terra si stavano recando nelle principali borse d'affari, negli aeroporti, e nelle sedi delle maggiori industrie di PLANT e della Terra, dove esplosioni mirate ne avrebbero messo in ginocchio la già traballante economia. Era un passo in avanti rispetto alla loro strategia originaria, che avrebbe causato molte vittime civili, ma era necessario, e l'opinione pubblica avrebbe perdonato sapendo che erano loro, i Nova, le vittime attaccate da veri mostri.

Per far svanire il relativo buon umore di Kassel bastò un'occhiata alle facce degli operatori.

"Che è successo? Dov'è Mlada?"

Due dei ragazzi si scambiarono un'occhiata, poi uno di loro sembrò prendere coraggio e si alzò stancamente dalla sua postazione.

"È di là" gli rispose facendo un gesto verso una stanza laterale. "Uno dei medici è arrivato e la sta aiutando a riprendersi."

In due passi Kassel fu davanti all'operatore. "Che stai dicendo, perché non sono stato avvertito?"

"È appena successo. È svenuta dopo aver visto lo Strike Black distrutto."

Il ragazzo gli indicò uno dei monitor, dove la perdita del loro unico mobile suit era ritrasmessa in tutto il suo orrore. Kassel avvertì la presenza di Requiem accanto a lui, ma il leader sembrò poco impressionato davanti a quella disfatta, che gli fece giusto scuotere la testa.
Il numero due di Nova invece sentì distintamente un tuffo al cuore. Come potevano andarsene con quell'affare invisibile che gli ronzava attorno? Avrebbe abbattuto ogni shuttle in partenza, sebbene un'evacuazione paresse la cosa più lontana dai pensieri di Requiem.

"Che sta succedendo lì?" chiese infatti, puntando il dito verso un altro schermo.

"I nostri stanno eseguendo l'ultimo ordine di Mlada" rispose uno degli operatori. "I team di Linz e Zagreb dovevano cercare di fermare l'ultimo gruppo di commando che abbiamo scoperto."

"Dovevano" ripeté Requiem sottovoce. "Non mi pare ci siano riusciti."

Kassel avrebbe voluto distogliere lo sguardo ma l'insana curiosità ebbe la meglio sull'orrore.

Era la ripetizione di quello già visto in precedenza; i loro uomini erano a terra, fagotti caduti in pose scomposte e sanguinanti, mentre i tre attaccanti non sembravano aver nemmeno un graffio. Si guardavano però attorno stranamente guardinghi, reggendo davanti a sé fucili mitragliatori.

Era come se sapessero che la battaglia non era ancora finita e, infatti, il muro alla loro destra cedette improvvisamente, rivelando un elevatore che si fece rumorosamente strada nel corridoio. Non aveva armi, ma la potenza dei suoi bracci meccanici era sufficiente per uccidere un uomo, ed era riuscito ad irrompere sufficientemente vicino ai tre commando. Indifferente alle raffiche di mitra, spazzò via quello alla sua sinistra, schiacciando quello che invece si trovava a destra contro il muro. L'impatto devastante deformò la parete dietro l'uomo. Kassel deglutì. Non importa se Natural o Coordinator, quel colpo doveva avergli spappolato gli organi interni e frantumato la colonna vertebrale.

Invece, vide il soldato alzare con tutta calma il mitra con una mano sola, e sparare un singolo colpo verso l'unico punto dell'elevatore in cui l'operatore era vulnerabile: il visore frontale. Immediatamente il mezzo si bloccò e il soldato –anche se Kassel adesso era positivamente certo che non lo fosse per niente- scivolò a terra e alzò la testa verso la telecamera. Che prontamente si oscurò, come tutte le altre.

Praticamente ciechi a quello che stava succedendo nella loro stessa casa, urla di orrore si alzarono nella sala, e anche Kassel avrebbe fatto lo stesso, se uno dei ragazzi non l'avesse afferrato brutalmente per un polso.

"Abbiamo ripreso il controllo delle porte tagliafuoco" gridò l'operatore per superare il caos.

Fu Requiem stesso a dare l'ordine. "Calatele tutte e chiudiamoci dentro."



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Nell'istante passato tra il momento in cui aveva realizzato la parabola del colpo, e quello successivo, quando si era ritrovato schiacciato contro la soffice paratia di alluminio, Nicol pensò che era veramente stanco di fare sempre il solito errore.

'Dovrò chiedere a mio padre se mi hanno fatto geneticamente incapace di indovinare certe traiettorie' meditò quasi divertito. Forse era per quello che le lezioni di scherma all'Accademia di ZAFT erano un tormento per lui: veniva regolarmente battuto da tutti.

D'altra parte, da così vicino l'elevatore non era più un problema. Nicol alzò il fucile e bastò un solo proiettile attraverso la testa del mezzo –e quella dell'operatore- per arrestare la macchina.

Dopo averne spostato leggermente il braccio che lo bloccava contro il muro, il Coordinator si lasciò scivolare a terra. Alzò la testa verso la telecamera, sperando che lo show fosse piaciuto a chiunque ci stesse dietro.

"Avete visto abbastanza" mormorò, immettendo in rete il comando che bloccava tutto l'impianto video del satellite.

Poi si alzò agevolmente, tastandosi lo stomaco per controllare che tutto fosse a posto: le munizioni e il suo prezioso palmare. Sapeva di non avere niente altro di rotto, non per così poco, anche se la sintopelle avrebbe reagito facendogli comunque venire un bel livido.

Con un pensiero passeggero rivolto alla sua Cecilia, e a quanto la donna si era raccomandata di tornare tutto intero, Nicol si riunì con i suoi due compagni. Anche loro non sembravano feriti.

"Sono stati fortunati, stavolta" commentò Colin, che si stava massaggiando il collo. Nicol l'aveva visto colpire il muro tanto duramente quanto lui.

L'altro Coordinator alzò le spalle. "Non capiterà più. Da qui in avanti i corridoi si fanno troppo stretti, non riusciranno più ad usare gli elevatori."

Nicol si limitò ad annuire, mentre ricaricava il mitra e abbassava la testa per accedere alla rete di Nova e verificare se le condizioni del campo di battaglia fossero cambiate.

Fu con una smorfia di stizza che si accorse che, mentre era distratto, i terroristi erano riusciti a riprendere il controllo delle porte stagne; adesso risultavano sigillate.

"Abbiamo un problema" fece agli altri due, segnalandogli di ricominciare a camminare.



Ci misero solo qualche minuto ad arrivare davanti alla prima porta tagliafuoco. E Nicol capì che, nell'impossibilità di usare così presto gli esplosivi, come aveva fatto Alpha avrebbero dovuto scardinarla.

Mentre esaminava la porta il computer multifunzione integrato nel casco avvertì il giovane di una chiamata in arrivo. Era Dominic, uno di quelli della squadra di Lorran. Nicol ascoltò la comunicazione con le labbra pallide che poco a poco si torsero in una smorfia. Alla fine, si girò verso i suoi compagni, lieto che la visiera polarizzata nascondesse la sua espressione sconcertata.

"Abbiamo un problema più grande di questo" li informò. "Lorran si è infilata sotto una delle porte non appena si è accorta che si stavano chiudendo."

Solo un secondo di silenzio passò dalla notizia alla prevedibile reazione.

Zechs pestò il piede a terra. "Quella cretina! E come cazzo pensa di riuscire ad uscire da lì?"

Nicol non ne aveva la minima idea.



DSS Terminal


Kira aveva assistito da troppo lontano per poter intervenire all'ultima parte dello scontro tra l'Unlimited Justice e l'unità di Nova, e non riuscì a non esalare un sospiro di sollievo quando vide i due mezzi separarsi.

Il mobile suit di Athrun non sembrava aver riportato danni strutturali ingenti, mentre l'altro aveva perso entrambi gli arti superiori, e il pugnale laser del Justice era finito conficcato nel suo torso, pericolosamente vicino all'abitacolo, che aveva mancato per un soffio.

Precipitosamente, Kira aprì la comunicazione con Athrun.

"Stai bene?" gli chiese urlando. Dalla scansione a cui aveva sottoposto il suo mobile suit risultava che i parametri vitali dell'amico sembravano normali, a parte il polso esageratamente accelerato.

Athurn gli rispose ansimando. "In qualche modo sì. Maledizione, l'ho quasi ammazzata."

Un lieve sorriso incurvò le labbra di Kira. Di certo l'Ammiraglio di Orb non condivideva l'obiettivo di Yzak per quella missione.

Rassicurato sulle condizioni di Athrun, rivolse la sua attenzione all'unità di Nova.

"Esci da lì e arrenditi. Il tuo mezzo è troppo danneggiato per continuare la battaglia."

Un lungo silenzio accolse le sue parole, seguito da una risatina secca e sgradevole. "Sono ancora viva, non finirà fino a quando non mi avrete disintegrata."

"Sono stanco di sentirvi dire le stesse cose! Quel santone vi ha fatto il lavaggio del cervello?" urlò Kira, infine esasperato dalla cocciutaggine di quei piloti.

"Non riuscirai a farle cambiare idea. Si rifiuta di ascoltare. Lascia perdere" gli fece eco Athrun, suonando stanco come raramente l'aveva sentito.

Kira disdegnò il consiglio. Nonostante l'aria mite, aveva una reputazione di fermezza da difendere e, soprattutto, aveva vissuto troppo a lungo con Lacus Clyne per non sapere quali esatte parole lei usava per convincere gli irremovibili a darle ragione. Riuscendoci tutte le volte.

Il Coordinator dai capelli bruni prese un bel respiro, DRAGOON sempre puntati sul mezzo di Nova. Questa volta non voleva correre rischi.

"E cosa pensi di risolvere con la tua morte? O con la mia? Credi che il mondo cambierà grazie al tuo sacrificio? Perché combatti, ragazzina? Qual è il significato di tutto questo massacro?"

"Che dovete sparire!" gli urlò lei, interrompendolo. "È per colpa di voi soldati, di quello che avete fatto otto anni fa, che il mondo è quello che è! E nessuno ha pagato. Io voglio giustizia!"

La voce di Kira si fece squillante. "Mi spiace se hai sofferto, ma così è stato anche per noi. O credi che non abbiamo perso amici e famigliari in quel conflitto, e in quello precedente? Ma uccidere chi ha ucciso qualcuno che ti era caro non è mai la risposta. O pensi che scomparso io, o Athrun Zala, i tuoi morti torneranno in vita? E, comunque, gli attentati che i tuoi compagni hanno perpetrato hanno coinvolto persone che non c'entravano nulla, né militari né politici, ma semplici passanti. Mamme che accompagnavano a scuola i figli, padri che andavano al lavoro, bambini che giocavano. È questa la tua giustizia? E pensi di conquistarla morendo?" terminò il Coordinator, cercando di non suonare particolarmente accusatorio.

Dall'altra parte ci fu un lungo silenzio, interrotto da un leggero ticchettio che, sul momento, Kira non riuscì a interpretare. Fu solo quando lo scanner gli segnalò che una reazione nucleare si era innescata nel mezzo di Nova, che il giovane realizzò.

Innestò i venier dell'Enduring Freedom al massimo, alzando gli scudi ed agganciando l'Unlimited Justice nella manovra di allontanamento. Erano oramai a distanza di sicurezza quando l'esplosione disintegrò l'unità di Nova.

Il volto di Athrun gli apparve sullo schermo. "Non sei stato molto persuasivo, Kira…"

L'amico sorrideva di sbieco, le parole dette a mezza bocca, quasi sussurrate. Tutta quella storia era una sconfitta anche per loro.

Kira scosse la testa, compiendo un'ultima scansione del quadrante prima di allontanarsi. E le sue ricerche diedero esito positivo. Inviò ad Athrun il risultato.

"Vedi quel puntino lampeggiante?" gli disse trionfante. "Il pilota di Nova ha eiettato l'abitacolo."

"L'hai convinta!"

Kira sorrise senza sottolineare all'amico che, presumibilmente, più che credere alle sue parole alla ragazza fosse mancato il coraggio di farsi saltare in aria. Come ad Athrun tanto tempo prima.



Nova


Nicol era rimasto un minuto buono a fissare la porta tagliafuoco, cercando con i suoi occhi bionici una qualunque fessura, una infima crepa o segno di cedimento. Senza trovarli. Poi l'aveva riempita di proiettili, insulti, l'aveva presa a calci e, non potendo usare l'esplosivo come gli sarebbe piaciuto, aveva ordinato ad Alpha di raggiungerlo. Ed era stato talmente convincente che il gigante aveva ottemperato all'istante, apparendo con il suo gruppo cinque minuti esatti dopo essere stato contattato. Nove minuti dopo che Lorran era sparita dietro una di quelle paratie.

"È inutile" gli fece Alpha scrollando le spalle, notando la sua aria stravolta. Nicol si era anche levato il casco, sentendosi soffocare. "Quelle due che siamo riusciti a forzare non si erano chiuse del tutto, e non è questo il caso. Vuoi forse controllarle tutte per vedere se ne è rimasta qualcuna aperta?"

La domanda era stata quasi neutrale, ma aveva comunque un'intonazione sarcastica che non piacque per niente a Nicol. Nonostante la voglia che improvvisamente lo colse di raggiungere Alpha e tirargli un calcio nello stomaco si trattenne. Se si fosse avvicinato avrebbe dovuto alzare la testa per guardarlo, e non era proprio il caso di sembrare più inadeguato di quello che già era.

Il giovane pianista cercò di calmarsi, e indicò la porta dietro di lui. "Dobbiamo passare. Lorran a parte, l'esplosivo che portiamo non funzionerà se fatto detonare da questa parte."

L'espressione imperturbabile di Alpha si fece truce. "Non fare finta di non saperlo, Bambi, sarà Lorran a farli saltare in aria, altrimenti perché si sarebbe infilata là sotto? Dopotutto non hai detto anche tu che una dose di esplosivo basta e avanza?"

Nicol finse di non sentire l'odioso vezzeggiativo con cui il compagno l'aveva apostrofato, reliquia dei primi mesi a Nassau, quando tutto lo chiamavano così visto che si era rifiutato di rivelare il suo nome.

"E secondo te come farà ad andarsene una volta che avrà innescato il timer? Noi non possiamo entrare, ma lei non può uscire" sibilò ad Alpha, in un tono che stentò a riconoscere come proprio. Furioso con se stesso per non aver capito cosa Lorran avesse in mente, e per non aver saputo impedire quel disastro, Nicol non aveva nessun altro se non Alpha su cui scaricare la propria frustrazione.

Il gigante dai capelli azzurri indicò la porta. "Lo so benissimo. E immagino lo sappia anche lei. E tu? Fai anche finta di non capire che l'ha fatto apposta? O ci tieni così tanto a Lorran da volerla riportare a casa a tutti i costi, mettendoci in pericolo tutti?" Alpha sogghignò divertito. "Commovente attaccamento. Chissà cosa direbbe la mamma."

In quell'istante Nicol seppe che l'avrebbe ucciso. E dovettero pensarlo anche i suoi compagni, perché si affrettarono a togliersi di mezzo, allineandosi contro il muro. Ma, prima che potesse fare un passo, gli arrivò una richiesta di connessione. Era Lorran.

La sua immagine gli apparve davanti agli occhi in trasparenza, lasciandolo per un secondo disorientato prima di capire che la ragazza stava guardando in uno specchio. Non sembrava ferita, né particolarmente turbata dagli sviluppi della loro missione.

Nicol si girò verso il muro, e contro la sua superficie neutra l'immagine si fece più nitida.

- Esci immediatamente di lì! - le ordinò, ma Lorran scosse la testa, e un sorriso le apparve in volto.

- Assolutamente no. Voi ve ne potete pure andare, non ho più bisogno di voi. -

Nicol si dovette appoggiare alla porta alla sua destra, esterrefatto. - Cosa stai dicendo? Io non posso lasciarti qui! -

- Non dire cazzate. Prendi i ragazzi e vattene. – Sebbene non sentisse la sua voce, il pianista poteva immaginare il tono sprezzante e un po' arrogante di Lorran. - Non preoccuparti Nicol, hai fatto un buon lavoro e non è colpa tua se io sono finita qui. Vedi, l'ho voluto io. L'ho desiderato fin dall'inizio, e aspettavo solo l'occasione di sganciarmi da voi. -

Quello che Lorran stava scrivendo non aveva assolutamente senso per lui, e Nicol glielo sottolineò. - Sei impazzita? La vuoi piantare con i tuoi stupidi scherzi? -

La Nexus si sciolse i capelli, che le caddero serici sulle spalle. – Non è uno scherzo. Io sono pronta. Aspettavo da mesi un'occasione come questa, per fare la differenza in questo schifoso mondo. - L'espressione sul suo viso si indurì, e lo sguardo si fece crudele. - Credi che voglia morire prima o poi per una pallottola vagante, così fortunata da trapassare il mio cranio ad alta tecnologia? O spegnermi tra qualche anno per un tumore al cervello, molto probabile con tutte le schifezze che abbiamo in circolo? - Lorran scosse la testa. - No, Nicol. Io ho fatto la mia scelta e ho preparato tutto, non c'è niente che tu possa dire o fare che mi possa far cambiare idea. È tempo che questo Golem perda l'anima che hanno così tenacemente legato a questo corpo meccanico. -

Nicol sbatté le palpebre e, tra tutte le sciocchezze che Lorran aveva scritto, lui pensò che quell'ultima non era affatto una frase da lei, troppo melodrammatica. Confusamente si chiese cosa significasse, fino a quando la ragazza non si aprì la tuta, e non gli mostrò il petto. Il tatuaggio che lui stesso le aveva fatto era là, sopra i suoi seni. 'Emeth', Verità. Ma con le unghie Lorran aveva cancellato la prima lettera, l'aleph, cambiando radicalmente il significato della parola.

"Meth" lesse ad alta voce Nicol, improvvisamente ricordando la leggenda che lui stesso, tanti anni prima, le aveva raccontato.

Lorran annuì, molto più seria di quanto lo fosse mai stata da quando lui la conosceva. - Sì. Morte. Cancellata l'aleph dalla fronte i Golem del Rabbi Loew ritornavano semplice argilla. E così voglio fare io. Va tutto bene, sono pronta, ti ripeto. Non insistere. -

Sconfitto, e consapevole che non solo non l'avrebbe mai convinta ma che, a quel punto, la missione era davvero completamente nelle mani della ragazza, Nicol si arrese appoggiandosi pesantemente contro la porta che così crudelmente divideva lui e tutti gli altri da lei.

- Come farò a dirlo a Cecilia e Miguel? – fu l'unica cosa che riuscì a scriverle.

Lorran scosse le spalle, riacquistando il sorriso. - Lei ne soffrirà, ma finché sarai tu a tornare, Cecilia si riprenderà sempre. Quanto a Miguel, capirà da solo che non potevo fare sul serio con lui mentre pianificavo la mia eroica dipartita. - In qualche modo, il sorriso eternamente beffardo della rossa si addolcì. - Siete stati buoni amici per me, e mi siete molto più cari della famiglia che ho lasciato su PLANT, tutti voi, ma adesso vattene. Mi sono barricata in un bagno ma qui fuori bussano per entrare, è meglio che non li faccia aspettare o se la faranno addosso. - Il tono del messaggio era leggero, e Lorran lo sottolineò facendogli l'occhiolino. - Vi voglio fuori di qui. Dammi venti minuti, mi farò portare al cospetto del santone e mi accerterò che sia il primo a morire. E non fare quella faccia, Bambi. Sei un bravo ragazzo e un ottimo soldato, anche se a letto sei davvero noioso! –

Con quello, Lorran chiuse la comunicazione, lasciando Nicol a fissare il muro. I suoi compagni, pur non avendo visto nulla, dovevano aver capito abbastanza per circondarlo ammutoliti. Lorran aveva però condiviso la trasmissione con Alpha, che Nicol non osava guardare in faccia. Sentì però benissimo la sua voce profonda.

"Andiamocene, non abbiamo più niente da fare qui. Tu vieni o ti devo caricare in spalla?"

Certo che l'avrebbe fatto, Nicol annuì. "Non ci provare, non sei tu che comandi" gli rispose freddamente. Poi raccolse casco e fucile e guidò gli STORM allo shuttle, mordendosi il labbro inferiore nella titanica impresa di non mettersi a piangere davanti a loro.



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Dopo aver interrotto il collegamento, Lorran fissò per qualche istante ancora il suo riflesso allo specchio. Sovrappensiero, si sistemò i capelli, e inumidì una salvietta di carta per rinfrescarsi la faccia. Non che pensasse di riuscire a salvaguardare la propria immagine dopo aver affrontato tutti i terroristi là fuori –perché, per rendere la cosa credibile, non poteva arrendersi senza lottare- ma era così abituata ad apparire al meglio che non poteva esimersi dal farlo un'ultima volta.

Lorran sospirò, stringendo con le mani il bordo del lavabo. Non era così sbruffona come aveva cercato di apparire con Nicol. L'aveva fatto solo per farlo sentire meglio, ma la realtà era che, ora che il momento stava arrivando, stava morendo di paura.

"Forza, ce la puoi fare…" sussurrò, forzando la schiena a raddrizzarsi.

Lorran si accarezzò una guancia, stupefatta come la prima volta che aveva visto il suo nuovo viso. Aveva sempre saputo che non sarebbe vissuta a lungo: c'era un limite al quantitativo di sostanze chimiche che la sua parte umana poteva sopportare, e la cosa era ancora più vera per quelli come lei, Nexus, che avevano la maggior parte del corpo sintetica. Cecilia era positivamente convinta di riuscire a risolvere anche quel problema, ma era comunque una possibilità non remota che Lorran non voleva affrontare. Non avrebbe permesso alla malattia di rovinare quel capolavoro che era il suo corpo, nemmeno, come aveva così baldanzosamente dichiarato a Nicol, sarebbe morta come un'anonima sconosciuta in qualche lavoro di poco conto.

"Voglio essere davvero la star dello spettacolo del decennio?" si chiese sussurrando, umettandosi le labbra e cercando di nuovo dentro di sé il coraggio che l'aveva fatta rotolare sotto il bordo della porta tagliafuoco.

Da una tasca estrasse il cilindro con l'esplosivo. Se ne poteva ancora andare. Poteva posarlo lì dov'era, farsi strada fino alla baia di carico principale e rubare uno shuttle. Lorran fece una smorfia. Se però non avesse funzionato avrebbe perso la sua grande occasione, perché lei era piuttosto certa che non l'avrebbero mai più coinvolta in un lavoro del genere.

"Morirò comunque prima o poi, solo che non sarò io a scegliere il quando, il dove e il come." Per la sua personalità egocentrica, il pensiero era intollerabile.

Con in volto un'espressione finalmente determinata, Lorran trangugiò tutta la scorta di antidolorifici che possedeva, poi svitò il coperchio del contenitore ed estrasse la capsula di esplosivo. Doveva trovargli un nascondiglio migliore.



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In qualche modo, Kassel era felice che avessero perso le telecamere interne. Voleva dire che nessuno al di qua delle barriere poteva vedere gli inutili sforzi per buttarle giù di quelli che erano rimasti dall'altra parte. Non c'aveva pensato al momento, fino a quando in sala controllo non si erano udite le urla e le imprecazioni dei gruppi di difensori che non erano stati abbastanza lesti –o fortunati- da accorgersi che le porte si stavano chiudendo. Requiem in persona aveva chiuso le comunicazioni con loro, sostenendo che, una volta che i commando avessero accertato l'impossibilità di arrivare fino a lui se ne sarebbero andati senza causare ulteriori stragi. Gli altri non erano un bersaglio e, anche se su quella cosa Kassel aveva qualche dubbio, non proferì verbo.

Se ne stava seduto sul bordo di una poltroncina, osservando i ragazzi che cercavano di ripristinare l'impianto video, lanciando ogni tanto un'occhiata al monitor che trasmetteva invece immagini dell'esterno del satellite. Quelle telecamere funzionavano ancora.
Kassel fissò lo shuttle degli invasori che stava in quel momento decollando ma, sapendo che solo quello non poteva salvarli, contemporaneamente implorava un Dio che aveva ricominciato a pregare da qualche ora perché arrivassero notizie dalla Terra.
Il comunicato di Requiem era andato in onda da un po', ma nessuna rete televisiva aveva riportato fino a quel momento le prevedibili reazioni dell'opinione pubblica. La programmazione era ripresa normalmente e, né nelle news né in internet, erano comparse notizie a riguardo. Nemmeno era possibile contattare i propri sostenitori, le cui radio e cellulari risultavano sconnessi, e i server di posta irraggiungibili.

"Eppure la rete funziona" stava dicendo accanto a lui il loro esperto hacker. "Così come sono aperti i canali di comunicazione. Però è come se fossimo in una bolla di vetro specchiato. Possiamo guardare fuori e sbracciarci a lanciare messaggi, ma dall'altra parte non ci vedono."
Non essendo un tecnico, Kassel non aveva la minima idea di come ciò potesse essere possibile. L'unica cosa che sapeva è che non aveva idea di come uscire da quel pasticcio, e dubitava che chiunque l'avesse. Mlada era l'unica che era sembrata avere il controllo della situazione, ma adesso se ne stava seduta sul pavimento, con la testa nascosta tra le braccia conserte e nessuna voglia di parlare; nemmeno di raggiungere la sala comune, dove Requiem aveva radunato i compagni di Nova rimasta da questa parte delle porte.

Per qualche ragione nemmeno Kassel ci voleva andare. Non aveva voglia di vedere gli sguardi e i volti della gente che avevano condannato a morte. Perché dentro di lui lo sapeva, anche se non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce.

L'uomo si prese la testa tra le mani. Avrebbero dovuto evacuare i civili subito, come aveva blandamente suggerito Odessa e qualche altro, troppo deboli però per opporsi al volere del loro leader. Forse lui, come numero due di Nova avrebbe avuto maggiore influenza, ma era stato zitto. Ignominiosamente, colpevolmente zitto.

Sospirando, alla fine Kassel si alzò, trascinandosi fuori dalla sala controllo e lungo il corridoio, fino a raggiungere il salone gremito di gente; l'ultimo rifugio per la loro comunità.

Una parete sullo sfondo era decorata con dei monitor che, forse, nell'idea di Requiem avrebbero dovuto trasmettere le immagini delle folle che prendevano d'assalto i palazzi del potere per difenderli; invece, mandavano in onda il solito collage di telefilm, reality, e innocui giochi a premi.

Imperturbabile a tutto quello, il leader di Nova passeggiava tranquillamente tra la folla, rassicurando i suoi adepti e accarezzando le teste dei bambini.

Kassel sospirò. Perché, nonostante tutto, riusciva a trovarla una scena di incredibile dolcezza? Lui sapeva di non aver sbagliato, sapeva di essere nel giusto e che la sua fede in Requiem era ben riposta. Perché il mondo si ostinava a non capire?

D'un tratto la folla attorno ad una delle porte laterali rumoreggiò, e tutte le teste si girarono da quella parte. Kassel fece lo stesso.

Vide un gruppo di uomini entrare. Erano uno dei gruppi di difesa, e alcuni di loro portavano ancora i mitra a tracolla. Molti sembravano feriti, e altri parevano trascinare qualcosa. Dopo un primo momento di caos nella sala era sceso un silenzio irreale, con la folla che si fendeva precipitosamente al passaggio del gruppo. Si stavano muovendo verso Requiem, e Kassel fece lo stesso.

Scansò senza troppi complimenti i compagni, mettendosi accanto al suo leader mentre i valorosi difensori del satellite gli giungevano davanti e si aprivano in due ali, mostrando quello che avevano portato.

"Abbiamo trovato questo ratto che si nascondeva in uno dei bagni" disse orgoglioso uno degli uomini, che portava un cencio inzuppato di sangue attorno alla testa. "Ci è costata la vita di molti dei nostri catturarla, ma ce l'abbiamo fatta senza ucciderla."

Kassel trattenne il respiro. Quella che giaceva a terra in mezzo al gruppo non era altri che la ragazza dai capelli rossi che aveva così spudoratamente dileggiato i loro morti.

Le avevano bloccato le braccia facendo passare attorno al torso giri e giri di ogni fibra o materiale simile a corda che erano riusciti a trovare, dai cavi elettrici alle catene, testimonianza di quanto smoderatamente avessero voluto metterla in condizioni di non nuocere. Aveva anche legate le caviglie tra di loro, e la tuta che indossava era decorata da fori di proiettile. La cosa doveva significare che era ferita, ma non una goccia di sangue stillava da quegli squarci. Quando lei si mosse, mettendosi in ginocchio, la schiena dritta come un'improbabile geisha, nei suoi imperturbabili occhi felini Kassel non lesse traccia di dolore o altro. Solo una inquietante, sconvolgente mancanza di umanità. Il suo volto era intatto, spietatamente bello.

"E tu che cosa sei?" sussurrò l'uomo, più sconvolto da quell'occhiata che da tutte le atrocità a cui aveva assistito in quelle ultime ore.

Lei sorrise enigmatica, come una Monna Lisa postmoderna. "S07NX" rispose altrettanto misteriosamente, come se quella sigla spiegasse tutto. Forse era così, ma loro non avevano modo di saperlo, e tutti gli occhi del popolo di Nova si fissarono su di lei, perplessi e spaventati.

Consapevole di essere al centro dell'attenzione, la creatura –perché Kassel non riusciva a definirla diversamente- spinse fuori il labbro inferiore, quasi smorfiosa, spostando la sua attenzione da lui a Requiem. Lo squadrò.

"E così, tu sei il santone che ha portato tutta questa gente quassù a morire. Complimenti. Capello lungo e biondo, barba. La perfetta iconografia del profeta. Ti manca giusto il saio bianco. Ma non è comodo a gravità zero, non è vero?" La sua voce fece scendere un brivido lungo la schiena di Kassel; era roca, incongruamente sensuale nonostante la situazione.

Requiem la ignorò. "I tuoi compagni se ne sono andati, perché ti hanno lasciata qui?" le chiese invece.

"Sono rimasta consapevolmente. Volevo vedere la tua faccia prima di ucciderti."

"Non può, è inoffensiva" la contraddisse il capo di quelli che l'aveva portata lì. "L'abbiamo perquisita e non ha armi nascoste, da nessuna parte. Se solo si azzarda ad alzarsi in piedi la riempiamo di piombo."

Requiem scosse la testa, comprensivo anche davanti a quella cosa. "Come vedi non puoi farmi niente. La vostra missione è fallita, nemmeno tutte le vostre armi possono niente contro l'influenza che esercitiamo sulla vostra opinione pubblica."

Lei si mise a ridere. "Credi che ci abbiano richiamati perché il tuo penoso ultimo messaggio è arrivato a destinazione? Non capisci che le vostre trasmissioni sono controllate? Tutto quello che entra ed esce è instradato sulla rete militare di ZAFT, e quello che vedi su quei monitor sono solo registrazioni di passate trasmissioni, mandate in onda per non farvi insospettire. Ma visto che siete così curiosi, sintonizzerò per voi i canali sulle frequenze giuste."

Qualunque cosa avesse voluto dire, rimase per un attimo con lo sguardo fisso nel vuoto e, immediatamente, i monitor dietro le spalle di Requiem si oscurarono, per poi riempirsi di immagini ben diverse rispetto a quelle di qualche secondo prima.

"Oh che bello" commentò lei, diabolicamente allegra. "È l'ora del telegiornale!"

I programmi frivoli di poco prima si erano dissolti. Con leggere varianti, tutti i canali trasmettevano ora delle news, i cui servizi mostravano i corridoi del loro stesso satellite, bloccati dalle barricate che avevano eretto i difensori; ma lì finivano le similitudini con la realtà. Perché in quei video non erano i soldati che sparavano in testa ai feriti disarmati, ma succedeva l'esatto contrario.

Il numero due di Nova sentì il cuore accelerare i battiti, e si concentrò su quello che stava andando in onda su uno degli schermi: una donna dai lineamenti asiatici, che lui riconobbe come una famosa giornalista, si nascondeva dietro ad un gruppo di commando, molto più numerosi che nella realtà. Teneva un microfono appoggiato alla bocca e, dietro di lei, i difensori di Nova stavano adesso usando i feriti come scudi umani.

"Qui Anna Li per Fox News. La battaglia si sta facendo estremamente cruenta. Come potete vedere i terroristi non esitano a sacrificare i propri compagni per difendersi." La donna fece una pausa, socchiudendo gli occhi e premendo con la sinistra l'auricolare che le adornava un orecchio. "Abbiamo altre immagini, inconcepibili nella loro efferatezza. Scene che ci ricordano le atrocità commesse durante la guerra in Europa del '73. Scene che mai avremmo voluto rivedere" terminò quasi solenne, con le raffiche di mitra che facevano da inquietante accompagnamento alle sue parole.

La trasmissione continuò mostrando un'altra porzione di corridoio. Dietro le barricate, questa volta, i terroristi –come li aveva chiamati la giornalista- si riparavano dietro bambini e ragazzi che a loro volta imbracciavano dei fucili, ed erano tragicamente i primi a cadere.

Per Kassel fu troppo. Sentì l'indignazione ribollirgli nelle vene come acido. Si guardò in giro. Il popolo di Nova assisteva ammutolito, mentre Requiem fissava gli schermi addolorato. Come se tutto il mondo l'avesse deluso.

"Non è vero!" urlò disperato. "Quelle immagini sono solo una volgare montatura, non c'era nessuna giornalista con voi."

La prigioniera sorrise serafica, mostruosa nella sua indifferenza. "Lo so. Ma credevate di essere gli unici in grado di manipolare l'opinione pubblica? In un primo momento i vertici avevano deciso di liquidarvi in segreto, ma hanno cambiato idea in corso d'opera. Era molto meglio screditarvi di fronte ai vostri sostenitori."

Come una furia, uno degli uomini che la circondavano le si avvicinò e le tirò un manrovescio con tutta la forza di cui disponeva. Era imponente, e avrebbe seriamente ferito chiunque altro, ma fu Kassel che invece sentì le dita dell'uomo spezzarsi con un distinto schiocco. Guaendo dal dolore si accartocciò su se stesso, mentre la creatura girò la testa verso il numero due di Nova con solo uno zigomo arrossato, imperturbabile, e Kassel non poté evitare lo sguardo di quei disumani occhi felini.

"Quanto al vostro patetico appello" continuò lei come se non fosse mai stata interrotta, "eravate così impegnati a difendere questa topaia che non vi siete nemmeno resi conto che vi abbiamo fregato i nominativi dei vostri agenti? Ancora prima che andaste in onda, le forze di polizia ed i servizi segreti di PLANT, e delle superpotenze terrestri, li hanno arrestati. Quindi rassegnatevi, nessuna azienda o aeroporto è saltato in aria. Ma, opportunamente modificato, il vostro comunicato è stato trasmesso comunque, come prova che, per difendervi, non avreste esitato a fare incalcolabili vittime civili." La creatura sospirò, sbattendo leziosamente le palpebre e rivolgendosi direttamente al leader di Nova. "Dopo così tanti bei proclami, alla fine questo siete, niente di diverso rispetto a quelli che così tanto dicevate di volere punire."

A quell'affronto, finalmente Requiem rispose, allargando le braccia come a voler abbracciare tutta la comunità. "Non cambia niente. L'ordine mondiale che avevate costruito è in pezzi. I popoli non avranno mai più fiducia in voi militari, che non avete saputo fermare gli attentati, e nei vostri incapaci politici, che hanno permesso a noi di emergere. L'imperfetto mondo che era uscito dalle macerie di due guerre aveva bisogno di qualcuno da prendere ad esempio; qualcuno di diverso da Lacus Clyne, che avete spogliato di ogni potere. E quello sarò io, l'agnello sacrificato. La mia morte era in conto, e non ha mai significato nulla. Ho vinto comunque, patetica marionetta."

Kassel sentiva brividi in tutto il corpo, sicuro che non fossero di freddo. Orgoglioso del suo leader, la sua attenzione ritornò sul simulacro di essere umano, che sempre impassibile fissava Requiem.

La creatura fece un sospiro, e aggrottò le sopracciglia. "Tu parli troppo difficile per me" fu la sua lapidaria replica. "Non ho capito niente di quello che hai detto, solo che sapevi di morire. Mi chiedo allora se i tuoi seguaci fossero d'accordo sul seguirti sulla via del martirio." Lo sguardo della bambola si fece malizioso mentre fissava una ragazza in prima fila, con il ventre gonfio dalla gravidanza. "Ehi tu, sei pronta a morire per il tuo santone?"

Lei impallidì repentinamente, aprendo le labbra senza rispondere e afferrando il braccio dell'uomo che le stava a fianco.
Sgomento, Kassel vide espressioni dubbiose e spaventate passare sui volti dei civili, mentre anche il gruppo che così valorosamente aveva difeso il satellite si scambiava occhiate incredule. Lui strinse i pugni, e potendo si sarebbe forato i timpani per non sentire più quell'oscena vocetta. Non era vero. Rifiutava con tutte le sue forze l'dea che Requiem avesse voluto consapevolmente la loro morte.

"Adesso basta. Buttatela fuori." La voce del leader calò come una punizione divina su di loro, profonda e non più disposta a perdonare. "Che rimanga a vagare nello spazio insieme agli altri detriti."

Lei fece segno di no con la testa. "Non ho ancora finito. Quanto al resto, a me non frega un cazzo dei politici, e vedi di non accomunarmi a nessun gruppo. Io sono qui per mia libera scelta, e non rappresento nessuno." Lo guardò di sottecchi, sorridendo. "Io e te in fondo in fondo siamo uguali. Sai, ho avuto anch'io un'idea simile alla tua. Ma mentre la tua storia finisce qui, santone, e sarai ricordato come un criminale, io verrò celebrata come l'eroina che ti ha fermato."

"Stai vaneggiando, non hai nessuna arma con te" riuscì a proferire Kassel. Lei, stavolta, non si degnò di guardarlo, i suoi occhi erano tutti per Requiem.

"Idiota" rispose. "Non hai capito che il mio stesso corpo è un'arma? E le capsule di cianuro dei vostri mancati kamikaze mi hanno dato un'idea davvero esplosiva."

Kassel capì di cosa lei stesse parlando troppo tardi, quando la vide serrare le mascelle con forza e sentì il rumore di qualcosa che si frantumava. Poi, l'ultima immagine che gli si fissò sulla retina prima che venisse vaporizzato dall'esplosione fu quella della creatura che brillava come una nova. Bellissima, doveva ammetterlo, come gli angeli del Dio che così inutilmente aveva pregato.



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Un grazie innanzitutto alla mia cara Shainareth, beta e amica preziosa che anche stavolta ha fatto un ottimo lavoro!
Ringraziamenti vanno anche a tutti i lettori e ai fedeli commentatori ^^
Soprattutto, faccio tanti complimenti a MaxT che mi ha fatto dono di questi due splendidi disegni che raffigurano Lorran e il Nicol di questa fanfiction. Non sono meravigliosi? :)
http://img252.imageshack.us/img252/6471/amalfi2.jpg
http://img684.imageshack.us/img684/932/lorran.jpg

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Capitolo 19
*** Prezzo ***


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"Cazzo, non ci posso proprio credere che quella svitata abbia fatto una cosa del genere."

L'abitacolo dello shuttle era completamente silenzioso, se si escludeva il chiacchiericcio di Alpha. Adducendo inesistenti problemi nella comunicazione Nicol aveva riferito solo lo stretto necessario a Miguel, temendo il momento nel quale se lo sarebbe trovato davanti. Già quella pazza di Lorran mancava a lui; non aveva il coraggio di pensare come sarebbe stato per Cecilia e il supervisore di Serpent Tail.

Ad eccezione di Alpha nemmeno Rox e Zechs, ai comandi, avevano voglia di parlare. Tenevano tutti gli occhi fissi sul visore principale dove ancora compariva il satellite che avevano da poco abbandonato, e che stava piano piano rimpicciolendo dietro lo shuttle. Nicol controllò il cronografo. Oramai, Lorran doveva aver compiuto la sua missione. Il giovane ebbe appena il tempo di alzare gli occhi sul video per assistere allo spettacolo del loro bersaglio che si trasformava in una piccola sfera di luce accecante, disintegrandosi nella vacuità del cosmo.

Lui sbatté le palpebre, sorpreso, mentre le teste dei compagni si giravano verso di lui.

"Ehi, che è successo? Non avevi detto che serviva un'arma nucleare per frantumare quell'affare?" lo aggredì Alpha, senza tuttavia nascondere un certo sanguigno apprezzamento nella voce.

Nicol aggrottò le sopracciglia, considerando la domanda. Non che gli interessasse molto la risposta, ma finché lo teneva occupato dal pensare ad altro la curiosità del corpulento Coordinator era la benvenuta.

"Ci siamo liberati delle restanti dosi di esplosivo prima di salire a bordo. Probabilmente quello, unito al fatto che le porte stagne fossero chiuse, ha fatto salire pressione e calore interni fino a disgregare la crosta." Nicol scosse le spalle. "O l'esplosione potrebbe aver coinvolto i generatori del satellite, o dei restanti depositi di C4 usato nelle prospezioni minerarie."

Alpha incrociò le possenti braccia, le labbra corrugate in una smorfia contrariata. "Mi prendi in giro, Bambi? Il C4 non salta in aria a contatto con il fuoco."

"Non ho appena parlato di pressione un attimo fa? Dimmi dove non ti è chiara la spiegazione che ti faccio un disegnetto" reagì Nicol, nervoso e rattristato, e per nulla disposto a subire la stupidità di Alpha.

Il quale sollevò le sopracciglia color azzurro cielo, stendendo la bocca in un sorrisetto. "Oh, ma che bravo, sei proprio il primo della classe in materia. Proprio come era scritto in quel giornale."

Il giovane pianista, che aveva deciso di rivolgere la sua attenzione al pannello di controllo, si voltò di nuovo verso il compagno, colpito da quella strana insinuazione.

"Giornale?"

"Sì. Quando Lorran ti ha chiamato Amalfi, sul satellite, sulle prime non avevo capito a chi si riferisse, ma il nome mi diceva qualcosa." Il sorriso di Alpha si allargò, e divenne apertamente beffardo. "Mi sono ricordato tutto. Nicol Amalfi, Athrun Zala, Yzak Joule e Dearka Elthman. I quattro figli dei Consiglieri che durante la guerra del San Valentino di Sangue si erano arruolati in ZAFT. Le vostre belle facce da principini dei quartieri alti erano in prima pagina sul giornaletto di ZAFT. Quanto ho riso con i compagni, giù a Carpentaria. Sembravate proprio quattro fighette."

La risata roboante di Alpha riempì l'abitacolo, e Nicol lanciò uno sguardo di avvertimento agli altri due suoi compagni che, seduti ai posti di comando, non si erano ancora voltati verso di loro ma che di certo ascoltavano ammutoliti.

Lui non poteva credere alla sua sfortuna. Aveva protetto la sua identità con cura durante tutti quegli anni, e quella stupida di Lorran l'aveva rivelata per leggerezza, forse senza nemmeno rendersi conto di quello che stava dicendo. Sul momento Nicol non aveva pensato che qualcuno l'avesse notato invece, tra tutti, proprio Alpha si era ricordato di quel cognome decisamente troppo famoso dieci anni prima.

'Anche da morta continua a fare danni' pensò Nicol, trafitto da una comprensibile fitta di sofferenza per la sua mancanza, e il gigante rise di fronte alla sua espressione infastidita, forse scambiandola per vergogna di fronte alla rivelazione.

"Avevamo anche scommesso su chi sarebbe crepato prima, e io ho perso di brutto perché avevo puntato su Joule. Invece eri tu. Non l'avrei mai detto, avevi la faccia di uno abituato a nascondersi dietro agli amici per farsi difendere da loro."

Nicol spostò di nuovo la sua attenzione sulla strumentazione di bordo, tentando di concentrarsi sulle varie lucette per far finta di non sentire gli insulti di Alpha. Dalle missioni che avevano portato a termine insieme aveva capito che era il modo con cui quel buzzurro si sfogava se qualcosa non andava per il verso giusto, ma quella volta Nicol non ci stava a fargli da parafulmine.

"Piantala, Alpha" lo avvertì, e fu come se avesse parlato al vento.

"Nemmeno avevamo capito se eri un maschietto o una femminuccia dalla foto" continuò imperterrito il compagno, furiosamente loquace.

"Chiudi la bocca."

Però, almeno una cosa buona l'ha fatta quella testa vuota di Lorran" chiosò ancora Alpha, accompagnando le parola con una curiosa risatina.

In qualche modo, Nicol seppe dove stava andando a parare. "Piantala. O, te lo giuro, ti spezzo il collo" grugnì, cercando di imitare Yzak quando minacciava qualcuno dei suoi sottoposti. Inutilmente.

"Cazzo. Sei bello come una modella, ricco sfondato con una famiglia che ti adora e, come se non bastasse, ti scopi una delle donne più intelligenti del mondo ma…" Alpha fece una pausa ben calcolata, e Nicol riuscì ad immaginarsi il ghigno ferale che tornava a torcere le labbra del compagno, "a letto sei una noia."

Alpha era seduto alla sua destra. Il giovane dai capelli verdi si sganciò con un movimento fluido la cintura di sicurezza e, aiutato dall'assenza di gravità, si allungò colpendo con il taglio della mano il Nexus dai capelli azzurri appena sotto la mandibola. Un soddisfacente schiocco accompagnò il gesto e Nicol si riaccomodò al suo posto appagato dal silenzio che finalmente era stato ristabilito.

Rox si girò a guardarlo, senza commentare. Poi spostò gli occhi su Alpha.

"Credo che tu gli abbia fracassato il giunto del collo."

"Non è la prima volta che gli succede. Cecilia lo sistemerà" rispose Nicol, assolutamente non impressionato.
Le parole di Rox fecero però riaffiorare il suo problema principale. Nicol si abbassò la testa tra le mani, chiuse le palpebre, cercando le parole con le quali avrebbe raccontato alla sua compagna la morte dell'amica. Come ovattata gli giunse la voce di Zechs.

"Avvio procedura di rientro atmosferico. Scudi termici supplementari abbassati. Anche il Nebula Blitz sta attraversando l'atmosfera senza problemi. Mettetevi comodi, raggiungeremo la base di Manila in tre ore."

Nicol riaprì gli occhi, ricordando improvvisamente una cosa per lui di importanza capitale. A Manila avrebbero atteso l'arrivo del resto del contingente internazionale per il debriefing, e tra loro ci sarebbero stati anche Athrun e Yzak, che Miguel gli aveva assicurato essere sani e salvi.

Il giovane si tastò le tasche della tuta, estraendo la caramella all'anice che conservava dall'inizio della missione. Era una po' schiacciata, ma si era salvata. Scartandola con attenzione, per non farsela sfuggire nella bassa gravità, Nicol se la mise in bocca, trovandola disgustosa. Deglutì, non vedendo l'ora di essere a terra e di riabbracciare i suoi genitori, Cecilia ed Athrun. Non avrebbe pianto fino ad allora, lo doveva alla memoria di Lorran, che di certo l'avrebbe preso in giro se si fosse lasciato andare ad un gesto così infantile.

"Ehi, Rox" chiese però al compagno, tentando di mantenere ferma la voce, "secondo te al bar della base di Manila avranno caramelle alla ciliegia?"



-------------

Il rientro da una qualunque missione era sempre stancante, e Athrun ringraziò la bassa gravità mantenuta a bordo dell'Eternal Eclipse; se fosse uscito della sua unità in altre condizioni probabilmente gli si sarebbero piegate le ginocchia. Così si limitò invece a volteggiare elegantemente fuori, aggrappandosi al corrimano della passerella sistemata alla stessa altezza dell'abitacolo. Da lì si guardò in giro, avvistando Kira ed Yzak che si stavano avviando fuori dall'hangar. Kira gli fece un gesto, e lui si affrettò a seguirli, il cuore stretto da una morsa di preoccupazione.

Non aveva idea del perché l'amico l'avesse convocato a bordo, mentre il resto dei loro compagni procedeva verso la flotta orbitale di ZAFT sui propri mezzi, esattamente come se ne erano venuti, ma c'era qualcosa sul volto di Kira che lo disturbava. Un'ombra scura, incongrua dato il successo della missione.

 

Entrò dopo i suoi compagni in una piccola sala che era stata riservata al gruppo, dove la gravità era mantenuta ai livelli terrestri. Sentì immediatamente la differenza, ma cercò di dissimulare il disagio, preoccupato soprattutto per le espressioni dei compagni.

Gli unici arredi erano un proiettore olografico appeso al muro e, nel mezzo della stanza, un tavolo circondato da qualche sedia. Yzak si era seduto coi gomiti appoggiati al piano e le mani incrociate sotto al mento mentre Kira, invece, era in piedi davanti a lui, dalla parte opposta del tavolo.
Ad Athrun l'intera scena ricordò curiosamente un'udienza davanti ad un tribunale, ma non avrebbe saputo dire chi delle due parti formasse l'accusa e chi l'accusato. Il tutto gli fu chiaro non appena Kira aprì bocca e puntò, come un angelo castigatore, l'indice contro Yzak.

"Ho ricevuto poco fa un messaggio criptato da Cagalli. È stata per tutto il tempo insieme agli stati maggiori delle potenze della coalizione nella sala dove venivano seguite le fasi dell'attacco. Mi ha riferito cose sorprendenti, che già sospettavo."

Ad Athrun una spiacevole sensazione di ansia cancellò completamente la stanchezza. Aveva idea di che tipo di spettacolo fosse stato offerto a Cagalli, sapendo benissimo che lei non l'avrebbe mai potuto approvare.

Yzak sollevò un angolo della bocca, e un sopracciglio, in un sorrisetto ironico. "Oh, e così ha pensato bene di chiamare il suo fratellino per sfogarsi."

"Sì. Dopo aver causato vari incidenti diplomatici con quasi totalità dei rappresentanti degli altri stati."

"E io cosa c'entro in tutto questo?"

Kira si appoggiò al tavolo, fissando Yzak quasi truce. "Cagalli ha già minacciato un'interrogazione formale in seno al Consiglio di Sicurezza, ma tanto sappiamo già che i rappresentati della Federazione Atlantica e di PLANT negheranno tutto, e lei non riuscirà mai a trovare le prove. Io però voglio sapere la verità da te, perché immagino che tu fossi informato della cosa."

L'albino scosse le spalle, imperturbabile in volto. "Non posso dirti la verità se non ho la minima idea di quello di cui stai parlando, e del perché sei così sicuro che io sia coinvolto."

Per una frazione di secondo gli occhi di Kira si posarono su Athrun, il quale temeva il momento in cui sarebbe stato chiamato in causa. Nessuno gli aveva detto niente, ma lui sapeva. Non poteva fare finta di niente e lasciare che i suoi amici si scannassero.

Kira si raddrizzò, squadrando le spalle e assumendo un'aria grave. "Il gruppo che i vertici della coalizione hanno inviato su Bandit per arrestare i Nova ha compiuto una vera e propria esecuzione di massa" declamò con una certa enfasi, per dare più forza alle sue parole. Poi sul suo volto apparve una smorfia sprezzante. Athrun non ricordava di avergliela mai vista prima. "Non prendermi in giro con quella balla che andrete raccontando al mondo. Quelli erano tutti Coordinator, e dello stesso 'tipo' del vostro amico Nicol. Mercenari pagati per liquidare un problema. Non erano questi gli ordini del Consiglio di Sicurezza che tu, i tuoi uomini, e questi altri avete volutamente ignorato!"

"Kira…" cominciò Athrun, prontamente bloccato da Yzak.

"Quali ordini?" sibilò l'albino, glaciale come i lampi che lanciava dagli occhi. "Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza non vincolano i comandanti sul campo. La raccomandazione era di catturare quanti più terroristi possibili, ma come hai visto non è stato possibile. O ti è sfuggito quanti di loro si sono suicidati pur di sottrarsi alla giustizia? Immagino che per quelli sul satellite sarà stato lo stesso."

"Non è quello che Cagalli mi ha raccontato di aver visto. Tutte le immagini mandate in onda e diffuse in rete sono state manipolate. La verità è che quelli hanno sparato su civili indifesi, e fatto poi saltare in aria il satellite per nascondere le prove" Kira calò entrambe le mani a pugno sul tavolo. "Come giustifichi questo inutile massacro, Comandante?"

Disturbato da quello che aveva sentito, senza farsi troppo notare Athrun afferrò lo schienale della sedia che aveva accanto e lo stinse fino a sentire male ai polpastrelli. Non si era fatto illusioni. Vigliaccamente non aveva chiesto a Nicol i dettagli della sua missione, ma se li era immaginati comunque. Dentro di sé, sapeva che chi aveva ordinato lo sterminio dei Nova non era del tutto in errore, ma lo sguardo oltraggiato e ferito di Kira gli fece ricordare volti e parole del passato, che violentemente gli si riaffacciarono alla memoria.
All'immagine del terrorista che lui stesso aveva bloccato nel palazzo del Parlamento di Orb si sovrappose quella di Cagalli che, tanto tempo prima, gli aveva urlato, quasi insultandolo, che senso avesse vendicarsi uccidendo chi aveva ucciso, intrappolati in un'inutile spirale di violenza. Come erano diverse quelle parole da quelle di suo padre, che anche in punto di morte gli aveva ordinato di difendere il suo popolo sterminando i Natural.

Yzak scosse la testa. "Inutile? È stato il prezzo da pagare, Kira. O pensi che la pace di cui oggi gode il mondo sia gratis? Beh, non lo è." Il giovane si alzò in piedi, gli occhi carichi di disprezzo che in qualche modo Athrun seppe non rivolto a nessuno nella stanza, ma alla difficile situazione nella quale si erano trovati impantanati. "Io, tu, Lacus e il tuo amico Athrun, Nicol e tutti gli altri Coordinator e Natural. Quanto abbiamo sofferto perché i conflitti tra la Terra e PLANT cessassero? Pensi che avremmo davvero lasciato liberi quegli idioti di rovinare tutto in nome di una stupida vendetta?" Yzak fissò a quel punto Athrun. "Visto che ha voluto qui anche te, cosa ne pensi di tutto questo?"

Chiamato in causa, l'Ammiraglio strinse le labbra, e si prese un attimo di tempo prima di rispondere. Fissò entrambi gli amici, per poi concentrare la sua attenzione su Kira. Gli costava quello che stava per dire, ma non poteva tacere. E, comunque, l'amicizia tra lui e il compagno di Lacus aveva superato prove ben peggiori.

"Questa volta Yzak ha ragione" proferì, facendo finta di non notare l'ombra di disappunto che passò sul volto di Kira. "Abbiamo fatto la cosa giusta, per salvaguardare ciò che avevamo conquistato con così grandi perdite."

Come prevedibile, l'amico scosse la testa. L'aveva deluso, glielo leggeva in faccia, ma non poteva permettersi di essere un idealista quando aveva un paese intero da difendere.

"Quindi non farai niente per rimediare?"

Athrun aprì le braccia. "E cosa avresti in mente? Denunciare i vertici della Federazione e di PLANT per... cosa? Omicidio? Ricordati del supporto di cui godono i Nova presso l'opinione pubblica, una cosa del genere farebbe rivoltare masse di persone contro i loro stessi governi." L'Ammiraglio addolcì la voce, notando l'espressione turbata di Kira. Il compagno di Lacus non era stupido e sapeva anche lui quello che rischiavano, ma andare contro i suoi principi morali era evidentemente una cosa che lo ripugnava. Athrun, che lo conosceva dall'infanzia, ne era perfettamente consapevole.

"E comunque anch'io sono responsabile" riprese, "perché sapevo e non ho detto nulla. Non sfuggirò alle mie colpe, e appena tornerò ad Orb rassegnerò a Cagalli le mie dimissioni." Le labbra di Athrun si piegarono in un sorrisetto sghembo. "Mi ritirerò a vita privata per dedicarmi alle mie figlie."

Malgrado la situazione anche Kira sorrise leggermente, alleggerendo l'atmosfera tesa della sala. "Vorrei essere presente alla scena, ma qualcosa mi dice che non te la caverai così facilmente. Mia sorella ti troverà di certo qualche infame incarico da portare a termine. E tu, invece?" chiese il bruno Coordinator ad Yzak, accompagnando la domanda con un cenno della testa.

Una fredda risatina accolse le sue parole. L'albino incrociò le braccia al petto e riuscì a liquidare sia Athrun che Kira con un unico sguardo di disprezzo. "Io? Di certo non rinnego la decisione del Presidente del Consiglio Supremo di PLANT. Né provo pietà per quei bastardi. Mi dispiace solo di esserci affidati ad una società esterna per risolvere la questione" scandì orgogliosamente.

"Anche se non te ne frega niente anche tu hai delle responsabilità in quello che è successo" gli fece notare Kira.

Yzak rispose con l'ennesima alzata di spalle. "Ne risponderò a chi di dovere. E, adesso, se abbiamo finito con questa sceneggiata tornerei al mio mezzo. Siamo quasi giunti al punto di rendez-vous con il resto della flotta, e non voglio arrivare a bordo dell'Eternal come una principessa in portantina."

Detto quello si girò, e marciò in direzione della porta. Che si aprì senza preavviso, facendo quasi scontare Yzak con Martin DaCosta, il Comandante della nave. L'uomo fece irruzione nella sala fermandosi a pochi passi dall'albino.

"Ho ricevuto una comunicazione criptata dal Consigliere alla Difesa. Abbiamo un problema."

DaCosta volse gli occhi al proiettore olografico e lo accese con un comando vocale. Il canale selezionato era una delle principali reti televisive di PLANT, e stava trasmettendo un notiziario. Gli occhi dei presenti si fissarono sulle immagini, le stesse che dovevano avere così indignato Cagalli. Dopo qualche secondo, Athrun ebbe la tentazione di volgere gli occhi altrove. Erano un palese stravolgimento della realtà e, tuttavia, svolgevano bene la loro funzione di far passare i Nova come niente altro che spietati criminali. L'illusione era perfetta. Qualcuno probabilmente si sarebbe fatto delle domande, ma i più avrebbero creduto a quello che vedevano; lui era certo che sarebbe andata così. Quindi, dov'era il problema?

Un'annunciatrice si sovrappose alle immagini, l'aria composta e seria che contrastava con il massacro che ancora andava in onda alle sue spalle. Athrun si concentrò su di lei.

"C'è un aggiornamento sull'assalto delle forze della coalizione al satellite occupato dagli estremisti del gruppo chiamato Nova. Non abbiamo notizie sul numero dei caduti tra i soldati, né su quanti terroristi siano stati uccisi o catturati, sappiamo solo che l'attacco ha avuto esito positivo." La donna si interruppe un attimo, facendo saettare gli occhi da parte, come a voler controllare qualcosa su uno schermo laterale. Poi ritornò a fissare il pubblico. "Da notizie appena diramate, che il Dipartimento della Difesa non ha ancora smentito, il successo della missione si deve soprattutto al coraggio del Comandate del plotone d'assalto, per l'ora l'unico caduto confermato, che si è sacrificato per permettere ai suoi uomini di lasciare il satellite." Lo sguardo della donna da grave diventò solenne. "Lorran Martinez si era arruolata in ZAFT alla tenera età di sedici anni. Un anno dopo, seppur giovanissima, aveva assunto il comando di una delle unità di incursori dell'esercito, rinunciando alla propria identità per non mettere in pericolo la sua famiglia. La vediamo qui in una foto di repertorio, scattata il giorno della consegna dei diplomi all'Accademia di ZAFT."

La ragazza che apparve sullo schermo, rotondetta e abbigliata con la divisa verde dei diplomati generici, condivideva con la Lorran che Athrun conosceva giusto il nome e il colore di capelli. Per il resto niente accomunava l'intrigante bellezza della Nexus a quella giovane dai lineamenti del viso grossolani, l'aspetto insignificante che poteva risultare interessante per qualcuno solo perché aveva la freschezza dell'adolescenza. Non sembrava neppure una Coordinator. Se in Nicol si poteva vedere la somiglianza con il ragazzo che era stato, Lorran era completamente diversa, anche se le labbra piegate in una smorfia sbarazzina, sprecata su quel viso, lasciavano presagire cosa sarebbe diventata.

Athrun si accorse di avere la gola secca. Deglutì con difficoltà, spostando la sua attenzione su Yzak. L'amico era ancora più pallido del solito, la bocca serrata e le mani strette a pugno abbandonate lungo i fianchi.

"Brutta stronza" esalò infine, sorprendendo Athrun per l'indolenza con cui aveva pronunciato quelle parole.

"Qual è il problema?" chiese Kira, aggrottando le sopracciglia.

Yzak gli rispose senza nemmeno guardarlo, gli occhi ancora fissi sullo schermo. "Che gli accordi con quella della Federazione Atlantica stabilivano che quelli avrebbero dovuto essere i loro soldati."

"Continuo a non capire."

"Ma sei idiota o cosa?" abbaiò stavolta Yzak, attraversando la stanza e portandosi davanti a Kira. Athrun si mosse appena in tempo per mettersi tra di loro.

"Calmati" intimò all'albino, che gli si avvicinò minaccioso, spostando il bersaglio della sua ira da Kira a lui.

"Ma non ci arrivate?" gli sibilò. "Attribuendosi il merito della missione quella troia ha lasciato trapelare che noi siamo coinvolti, mentre in questo momento era opportuno che fossero i federali ad accollarsi la responsabilità di aver eliminato i Nova. Non siamo certi di avere il favore dell'opinione pubblica, per cui non era affatto il caso di esporsi. Fino a qualche giorno fa volevamo addirittura tenere l'intera operazione segreta." Yzak mosse convulsamente un braccio verso lo schermo. "E quella ha rovinato tutto!" ululò, quasi assordando Athrun.

DaCosta fece un passo verso di loro, chiaramente imbarazzato. "Il Consigliere non sa come la notizia sia arrivata ai media, ma oramai si sta diffondendo ovunque, anche sulla Terra." L'uomo allungò verso Yzak un auricolare, che l'albino fissò come se fosse una granata. "Ti vuole parlare per conto del Presidente, pretende spiegazioni."

Senza aggiungere altro Yzak afferrò l'apparecchio, grugnendo distintamente e marciando fuori dalla stanza. Athrun era certo che non sarebbe stata una conversazione piacevole.

Sospirò profondamente e, avvertita la mano di Kira su una spalla, si girò a fronteggiarlo. L'amico stava stranamente sorridendo. "Vedi" gli disse, "ognuno deve prendersi la responsabilità delle proprie azioni. Non aveva detto lui stesso che ne avrebbe risposto a chi di dovere?"

Athrun annuì, non potendo che essere d'accordo, e cominciando a pensare a quello che avrebbe dovuto raccontare a Cagalli. Guardò con desiderio la porta dietro alla quale Yzak era scomparso e, per quanto probabilmente il Consigliere alla Difesa stesse pretendendo la sua testa, mai come in quel momento desiderò essere al suo posto.



Orb, residenza dell'Ambasciatore Amalfi, 28 giugno


Era usanza di Orb che all'insediamento di un nuovo rappresentante diplomatico questo desse una festa, invitando gli altri colleghi Ambasciatori, le più alte cariche civili e militari del governo dell'Emirato, insieme a personaggi di spicco della società. A causa degli attacchi di Nova il cocktail di benvenuto dell'Ambasciatore di PLANT era stato rinviato ma, una volta cessata la minaccia, il ritrovarsi a festeggiare aveva preso anche ben altro significato.

Athrun, vestito nella sua divisa di gala e con Cagalli appesa al braccio, vagava per i saloni salutando blandamente i conoscenti, ogni tanto intrattenendosi a scambiare quattro chiacchiere, quasi sempre su questioni politiche e che vertevano sull'apertura ad Orb, oramai prossima, del tribunale internazionale per crimini contro l'umanità, creato in tempo record dall'Assemblea delle Nazioni Unite per giudicare i Nova.
Cagalli aveva mantenuto fede alle sue parole, e offerto il suo paese come sede della corte. La giuria si sarebbe riunita la settimana successiva, mentre su una delle isole dell'arcipelago erano già stati riuniti tutti i mancati kamikaze, e assortiti membri di Nova, catturati dalle forze di sicurezza mondiali. I rispettivi paesi erano stati ben contenti di estradarli e consegnarli alla polizia di Orb che, quasi da un giorno all'altro, si era trovata a gestire l'accoglienza e la detenzione di qualche centinaio di persone.

Athrun, pur non avendo avuto lui stesso un momento di riposo nelle passate settimane, ringraziava in qualche modo la situazione che aveva impegnato duramente Cagalli, e che le aveva impedito di trascinare a lungo la collera per quello che era successo sul satellite. Una volta tornato l'aveva assalito e si era sfogata con lui per non essere riuscita a capire quello che politici più navigati avevano architettato alle sue spalle; e Athrun non aveva potuto fare altro che fornire il suo appoggio morale e offrirle le sue dimissioni, ovviamente respinte.

Sospirando, e ascoltando l'ennesimo funzionario che raccomandava alla giovane governante di essere cauta nei suoi rapporti con la Federazione Atlantica, Athrun sognò che invece Cagalli le avesse accettate, così non avrebbe avuto nessun ruolo ufficiale e sarebbe potuto rimanere a casa con le figlie. Si sentiva esausto, e quello che avevano passato aveva fatto riaffiorare ricordi mai cancellati e riaperto ferite mai completamente rimarginate, tanto che attendeva con fervore il momento in cui i lavori della corte si sarebbero chiusi, per poter finalmente concedersi una lunga vacanza con la famiglia. Cagalli ne aveva bisogno quanto lui, glielo ripeteva ogni sera.

Stava morendo di sete, per cui approfittò di una pausa nella conversazione per sfilarsi discretamente il braccio della moglie, salutare il noioso funzionario, e allontanarsi verso la sala dove era stato allestito il rinfresco.

Schivò politici, militari e rispettivi accompagnatori e dame riuscendo a non essere fermato da nessuno, e si fermò solo davanti all'angolo delle bevande. I camerieri erano già impegnati a servire altre persone, quindi si mise in composta attesa, scrutando la donna davanti a sé. Era alta poco meno di lui e indossava un vestito lungo, rosso fuoco, dal particolare taglio asimmetrico che copriva il braccio sinistro fino al polso lasciando scoperto l'altro. L'abito era splendido, e rendeva aggraziato il corpo androgino di chi lo indossava. Athrun, che sapeva di non capirci nulla di bellezza femminile, guardò però indulgente le spalle larghe e magre della donna e i fianchi stretti, tipici di qualcuno che non era mai propriamente uscito dall'adolescenza.

Si preparò un sorriso e quando lei si girò, con due bicchieri dal lungo stelo in mano, la salutò con sufficiente calore. "Cecilia."
Era truccata alla perfezione e i capelli, per una volta lisci, le cadevano morbidi attorno al viso, rendendolo meno severo. Athrun doveva ammettere che vestita e acconciata a dovere non faceva una brutta figura. Però per una qualche ragione si sentì fiero della sua Cagalli, splendida anche in tuta da lavoro.

Cecilia si avvicinò, cercando vanamente, con la mano che non reggeva i bicchieri, di tenere chiuso lo spacco che le lasciava scoperta quasi tutta la gamba destra; che non fosse abituata a vestirsi in quel modo era palese.

"Scusa se prima non vi ho salutati a dovere" le disse Athrun in tono leggero, per metterla a suo agio. Ultimamente l'aveva vista spesso, e i rapporti tra loro erano migliorati, anche se lei rimaneva ancora piuttosto fredda nei suoi confronti. "Io e Cagalli siamo stati assaliti subito dai cortigiani di palazzo."

"Non ti preoccupare, anche Nicol è stato sequestrato dalla madre e da Nina non appena arrivato." Cecilia fece un vago cenno della testa verso la parete. "Hanno insistito perché suonasse qualcosa."

Athrun aveva notato le note di un pianoforte che facevano da discreto sottofondo alle conversazioni, ma non avrebbe mai pensato che ci fosse proprio Nicol dietro la tastiera.

"Sono felice che abbia ritrovato la voglia di esibirsi in pubblico" commentò, sinceramente emozionato.

"Sì, è un altro piccolo passo verso la normalità. Mi ha confessato che vorrebbe dare un concerto per voi tra un po', quando sarà migliorato."

Athrun aggrottò le sopracciglia. "A me sembra un'esecuzione perfetta!"
"È quello che gli hanno detto tutti, ma sai che è un perfezionista, e vuole fare bella figura davanti ai suoi amici."

Cecilia abbassò gli occhi, e non fu una sorpresa per Athrun notare un leggero rossore che le colorava le guance. Da quel punto di vista le faceva tenerezza; nonostante l'età e il suo ruolo sembrava una ragazzina alla sua prima cotta. Giorni prima l'aveva vista piangere senza ritegno alla commemorazione in onore della sua amica Lorran, e aveva avuto la conferma che era fin troppo protettiva nei confronti delle sue 'creature', non il mostro insensibile che lui si era immaginato prima di conoscerla davvero.

"Era così anche all'Accademia" le disse. "Dearka lo prendeva sempre in giro perché era il primo a consegnare i test e a rispondere alle domande dei docenti. Senza contare la sua porzione di stanza, dove regnava un ordine assoluto."

Cecilia si mise a ridere, facendo ondeggiare pericolosamente il contenuto dei bicchieri. "Un vero secchione! Lo immaginavo."

"Lo puoi giurare, era il più giovane del gruppo ma si faceva valere in classe." Athrun le scoccò un sorriso sincero. "Avrei dovuto dirtelo prima ma… grazie per avercelo ridato."

Cecilia scosse le spalle e, incredibilmente, si esibì in un'occhiata maliziosa. Lui non l'avrebbe mai reputata in grado di farlo.

"Il piacere è mio, direi. Adesso vado a portargli il suo succo di frutta, starà morendo di sete."

Detto quello Cecilia si allontanò, goffa nel suo abito troppo impegnativo per lei ma con in viso un'espressione estatica che la ingentiliva molto. E Athrun sentì, incredibilmente, una fitta di invidia per quel rapporto insolito ma saldissimo.

"Che fai? Spii le fidanzate dei tuoi amici?"

Athrun sospirò distogliendo gli occhi da Cecilia per fissarli su Miguel, che si era materializzato al suo fianco. Non l'aveva notato prima; forse si stava servendo al tavolo delle bevande a giudicare dai due bicchieri colmi a metà di un liquido ambrato e ghiaccio. Il biondo spinse uno dei due in mano all'amico, e indicò con il pollice una porta-finestra che dava sulla terrazza.

"Usciamo, ti devo parlare."

L'Ammiraglio lo seguì senza fiatare.



Miguel aveva deciso che avrebbero dovuto bere whiskey invecchiato, come Athrun scoprì al primo sorso. Storse il naso al sapore acre, e stabilì che non sarebbe mai riuscito ad apprezzare quel liquore. Miguel invece ne bevve quasi metà, prima di appoggiarsi indolentemente alla balaustra della terrazza. Condividevano l'ampio spazio con una coppia che chiacchierava a bassa voce, sufficientemente lontani da loro. Dalle porte-finestre aperte filtravano i suoni della festa, amalgama indistinta di frammenti di conversazioni, posate e calici tintinnanti, e la musica del pianoforte.

Miguel era impeccabile nel suo vestito nero, al quale la maschera che indossava si adattava stranamente bene, come se fosse parte dell'abbigliamento. Nel suo comportamento non c'era niente di diverso dal solito, scanzonato Miguel; solo le labbra erano piegate in un sorrisetto remoto, che non gli apparteneva. Erano così da un po' di settimane.

Visto che non accennava a parlare, Athrun decise di cominciare lui con qualcosa che gli stava particolarmente a cuore.

"Ho ricevuto oggi il nuovo supervisore di Serpent Tail, che si occuperà della sicurezza dei giurati del tribunale internazionale. È un tipo in gamba."

Miguel confermò con un cenno della testa. "Sì. È una palla che mi abbiano sollevato temporaneamente dall'incarico, anche se li capisco. La responsabilità è stata mia. Ci è andata bene, ma poteva essere un disastro."

"Lo so. E, se ti può consolare, sappi che Cagalli ha fatto il diavolo a quattro quando ha saputo di questo accordo; come puoi immaginare, conoscendo il vostro ruolo nell'attacco non voleva più avere a che fare con voi, ma il Ministro dell'Interno le ha fatto cambiare idea minacciandola di spedire le forze di polizia in ferie forzate per due mesi." Una risatina nervosa salì alle labbra di Athrun. "Gli Emiri sono spaventati a morte all'idea di dover accudire centinaia di terroristi, non volevano anche prendersi la responsabilità di difendere i giurati. E, visto che la metà di loro sono nordamericani…"

"Il tuo governo ha accettato volentieri l'offerta della Federazione Atlantica di pagare di tasca propria un servizio di protezione privato" terminò Miguel per lui, sorseggiando quello che restava del suo drink. "Per questo ti dicevo che è andato tutto bene."

"Già. Ne devo dedurre che i federali siano rimasti dopotutto soddisfatti del vostro lavoro durante l'attacco?"

"Ci puoi giurare. Dopo lo shock iniziale si sono resi conto che tutto stava andando come pianificato. Loro hanno nominalmente fornito gli uomini, e osannati per quello, PLANT ha messo a capo del gruppo una… beh… una veterana che ci ha rimesso le penne e per quello sarà ricordata come un'eroina. Quindi, tutte e due le parti sono state accontentate, il nostro contratto onorato e nuovi accordi firmati. È stata una missione ben riuscita…"

Miguel lasciò la frase in sospeso, e sollevò il bicchiere come a voler mimare un brindisi. Poi se lo portò alle labbra scolandolo in un sorso.

"Completamente?" chiese Athrun, con tutto il tatto di cui era dotato. Intuiva che Miguel si volesse togliere un peso dalle spalle, e sapeva anche quale.

"No cazzo, no! Io sono rimasto l'unico inculato di questa storia. Quello che è stato sospeso e che non riceverà che metà della paga pattuita" esplose il biondo, mascherando il tono seccato con un ghigno che pretendeva di essere divertito. "E tutto per colpa di quella troietta."

Athrun si avvicinò alla balaustra, appoggiandovi il bicchiere. Sapeva da Nicol che lei e Miguel avevano una storia, ma non si sentiva così intimo del suo ex-tutor per andare a chiedergli lumi proprio su quello. Preferì spostare il discorso su altro.

"Hai capito cos'è successo?" gli domandò. Come fossero filtrare le notizie era ancora un mistero per tutti.

Miguel annuì. "Sì. Qualche giorno fa sono stato contattato dal suo studio legale. Mi hanno spiegato tutto." Il biondo sogghignò, appoggiando il bicchiere vuoto e afferrando quello di Athrun. "Era meno stupida di quello che tutti pensavano. D'altronde, rimaneva sempre una Coordinator. E questo lo bevo io, visto che a te chiaramente fa schifo."

L'Ammiraglio lo guardò prendere un sorso, per poi girarsi verso il parco, gli occhi coperti dalla maschera fissi sulle punte degli alberi. Non fece commenti. Non ce n'era ancora bisogno.

"Doveva aver pianificato tutto da molti mesi, aspettando solo il momento giusto. Si è fatta preparare da qualcuno un comunicato stampa e un finto profilo che, al termine della missione, il suo legale ha fatto avere ai principali media terrestri e di PLANT, e diffuso in rete."

Athrun aggrottò le sopracciglia. "Ma chi l'ha ricevuto non ha controllato con il Dipartimento della Difesa di PLANT?"

Miguel scosse le spalle. "Era una notizia troppo ghiotta per non essere mandata in onda immediatamente. E ricordati che era stata inviata a diversi media in contemporanea. Tutti avranno pensato che se avessero chiesto una conferma sarebbe arrivata troppo tardi, e avrebbero perso lo scoop. In seguito, constatato che la presunta comandante era diventata l'idolo delle folle, evidentemente il Dipartimento non ha più ritenuto necessario negare qualcosa che andava a vantaggio di PLANT."

"Ma perché ha fatto una cosa del genere?" fu l'unica domanda che venne in mente ad Athrun. Che i compagni di Miguel fossero strani non era una novità, ma Lorran con quella mossa li aveva battuti tutti.

"Non chiederlo a me. Si considerava una star, e pretendeva ammirazione e adorazione. Ma non avrei mai pensato che aspirasse a diventare un… simbolo." Miguel fu scosso da una secca risatina. "L'avvocato mi ha convocato per la lettura del testamento, dove era specificato che avrei dovuto essere messo a conoscenza di tutto. Lui è tenuto al segreto d'ufficio e non ha fatto trapelare nulla. Noi due, Cecilia e Nicol siamo gli unici a conoscere l'intera storia."

Athrun si pentì di essersi fatto fregare il bicchiere da Miguel. Aveva improvvisamente voglia di bere. "È stato un piano ben congegnato" riuscì solo a commentare, stupito da quella giovane che lui conosceva solo di sfuggita, e che non gli era certo sembrata una brillante stratega. Evidentemente si era sbagliato, e doveva riconoscere che Lorran, per se stessa, era stata in grado di forgiarsi un ricordo forse imperituro nella memoria del mondo.

"Sì. E non è finita. Quella pazza ha lasciato tutti i suoi averi a me e a Cecilia, e non è che fosse ricca sfondata. Guadagnava molto ma spendeva altrettanto. Il problema è che ho dovuto fare una cosa per poter incassare."

"Cosa intendi?"

Con un sospiro, e sempre senza guardarlo, Miguel si sciolse la cravatta, si slacciò i primi bottoni della camicia e ne scostò il colletto. Alla base del collo aveva tatuato un cuore, con inscritti due nomi: il suo e quello di Lorran.

Athrun boccheggiò tentando disperatamente di non mettersi a ridere.

"L'ultima trovata di Lorran. E me lo dovrò tenere per anni o la mia parte andrà in beneficienza."

"Beh, ma non hai detto che non era molto? Potevi rifiutare se era un così gravoso sacrificio."

Athrun l'aveva detto il più seriamente possibile, ma il volto di Miguel aveva una smorfia divertita quando finalmente si girò verso di lui.

"Athrun. Chiudi il becco e torna da tua moglie. Vedo bene che ancora dopo anni sei proprio lento a capire certe cose."

L'Ammiraglio aggrottò le sopracciglia, chiedendosi dove avesse perso qualche passaggio. Miguel era tornato serio, e sembrava aver dimenticato la sua presenza mentre riprendeva a bere.

"Mi dispiace, comunque" gli fece Athrun, mentre si girava per andarsene.

"Non devi, anche Cecilia se n'è fatta una ragione. Lorran è vissuta e morta come ha voluto, al momento e nel posto che aveva deciso. Con il lavoro che faccio, spero anch'io di avere la stessa fortuna."

Miguel gli dava le spalle, e Athrun non riuscì a capire, dal suo tono sobrio, se credesse davvero in quelle parole o se fossero solo un tentativo di risollevarsi il morale. Ma giudicò che fosse meglio andarsene e, come gli aveva suggerito l'amico, cercare Cagalli. Aveva un'improvvisa voglia di vederla.



Ci mise un po' a ritrovare la moglie. Si era rifugiata nello studio dell'Ambasciatore, la porta chiusa e protetta da una guardia del corpo. Athrun venne fatto passare senza problemi, e la scoprì accoccolata sul divano, scalza, l'ampio abito sistemato in qualche modo attorno a lei. Era madre di due bambine, ma in quel momento gli sembrò una ragazzina.

Si sedette accanto a lei e Cagalli, senza una parola, si spostò appoggiando il capo sulla sua spalla.

"Sei stanca?" le chiese Athrun.

"Esausta."

"Vuoi tornare a casa?"

"No, ho ancora persone da vedere. Ma non sopporto più tutte queste facce soddisfatte, liete dello scampato pericolo." Cagalli affondò i denti nel labbro inferiore, strofinandosi i palmi delle mani contro le palpebre. "Come se ci fosse qualcosa da festeggiare! Come in tutte le guerre che abbiamo combattuto insieme, anche qui non ci sono stati vincitori o vinti, ma solo vittime."

Athrun, reduce dal colloquio con Miguel, sorrise stancamente, scostandole una ciocca dalla fronte. "Tutti noi che abbiamo combattuto direttamente con i Nova lo sappiamo."

In realtà lui dubitava molto che Yzak, Cal Payang o gli altri militari avessero qualche rimorso, ma non era il caso di puntualizzarlo.

Sovrappensiero, Cagalli si lisciò la gonna. "Il tuo amico Nicol, prima, mi ha porto le sue scuse, visto che era lui che guidava il gruppo d'assalto." La giovane ridacchiò. "Scuse formali, del resto. Perché ha tenuto a sottolineare che i Nova erano un pericolo che andava rimosso per il bene dei cittadini del mondo; mi ha confessato che gli avevano fatto pena, ma che la vita della sua famiglia e dei suoi amici era più importante." Cagalli lanciò una veloce occhiata ad Athrun. "Ha usato proprio queste parole. Scusa, da come me ne parlavi sempre non mi pareva un tipo con così… rigidi principi."

"Nicol è cambiato molto. Anche se pure a quindici anni aveva le idee molto chiare su quello per cui valeva la pena combattere. Molto più di me."

Cagalli si limitò a sospirare. "Come vorrei avere io le sue granitiche certezze, invece di questi dubbi. Mi chiedo se ne sarà valsa a pena di ospitare qui il tribunale. Se mio padre avrebbe fatto lo stesso. Se saremo in grado di gestire la situazione. Soprattutto, se è stato giusto esporre così il mio paese."

Athrun annuì. Anche lui si era fatto le stesse domande. "La tua popolarità è in crescita, non dovresti preoccuparti."

"Per quello che mi interessa!" La giovane ebbe un moto di stizza. "Quello che pensano di me i miei concittadini è l'ultimo dei miei problemi. Non mi importa di essere odiata come persona, voglio solo il bene di Orb."

Lui non seppe cosa risponderle. Avevano già affrontato tante volte quell'argomento, e sapeva che i dubbi di Cagalli avevano radici profonde ma che, di solito, era capace di superarli con la sua proverbiale testardaggine. Infatti…

Di scatto la moglie si alzò, rassettandosi il vestito e sbuffando. "E dovrò ficcarlo bene in testa a quegli zucconi di Ministri nel consiglio di domani, che pensano che io sia troppo volubile e infantile per guidare il paese." Si girò imperiosa verso Athrun. "Andiamo su, devo ancora salutare una cinquantina di persone prima di poter tornare a casa."

Poi si avviò a larghe falcate verso la porta, lasciando Athrun a sospirare sconsolato sul divano. Era convinto che Cagalli sarebbe diventata un ottimo capo di stato, ma non avrebbe certo osato discutere con lei su quanto fosse volubile; era una battaglia persa in partenza. Quanto all'accusa di infantilismo, l'Ammiraglio guardò per terra e si passò una mano tra i capelli, divertito.

"Hai dimenticato le scarpe" le urlò, abbassandosi per prenderle e correndole dietro. Da quel punto di vista forse non sarebbe mai cambiata, ma lui l'amava anche per quello.



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Scusandomi per il ritardo, ecco qui il sospirato penultimo capitolo! Spero vi sia piaciuto e, tra qualche giorno, arriverà l'epilogo che concluderà, spero degnamente, questa lunga storia.
Ringrazio qui Shainareth per il betaggio e le gustose note che mi lascia a margine, e tutti voi lettori e commentatori.
Un ringraziamento speciale va a MaxT che mi ha dato il permesso di mostrarvi le sue elaborazioni su Athrun e Yzak. Fangirl scatenatevi! ;)
http://img20.imageshack.us/i/athrun.jpg/
http://img715.imageshack.us/i/yzak.jpg/

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Capitolo 20
*** Vittime ***


Vittime



And the battle's just begun
There's many lost, but tell me who has won
The trench is dug within our hearts
And mothers, children, brothers, sisters
Torn apart

U2 - Sunday Bloody Sunday



Nave spaziale Einstein, 4 luglio


Yzak aveva rinunciato a capire Nicol. Quando combattevano insieme in ZAFT lo compativa, ritenendolo un debole codardo; dieci anni dopo lo rispettava per essere riuscito a sopravvivere e per essere stato, negli anni, in qualche modo sempre fedele alla causa dei Coordinator. Ma tutto quello che aveva saputo in quegli ultimi mesi su di lui, sentito dalla sua bocca, e visto fare, aveva convinto il fiero Comandante Joule che il giovane dai capelli verdi fosse una mina vagante.
Impossibile prevedere quello che gli saltava in testa. Impossibile anticipare quando tutti i punti critici della sua personalità —secondo Yzak disturbata— sarebbero andati in corto circuito, deflagrando come quegli esplosivi che a Nicol piaceva così tanto maneggiare.

Yzak sospirò, riesaminando il suo giudizio sull'ex-commilitone e trovandolo corretto. Soprattutto alla luce di quello che era successo un'ora prima.

Il giorno precedente Yzak aveva chiesto una scorta per accompagnare ad Orb la prigioniera di Nova che trattenevano a bordo, ma non si era certo aspettato di vedere scendere Nicol dallo shuttle. Abbigliato, chissà perché, nella nera divisa di ZAFT che vestiva l'ultima volta che era stato sulla Einstein. Alle sue domande il giovane aveva risposto il più evasivamente possibile, affermando solo che era stata un'idea sua, dopo che aveva sentito Athrun raccontare a Cagalli la storia della prigioniera.

E adesso Nicol camminava al suo fianco, l'aria apparentemente rilassata.

"Quindi è confermato, è proprio una Coordinator?" gli chiese, e Yzak annuì.

"Sì. Lei non ce l'aveva detto, ma è bastato sottoporla ad un esame del DNA per scoprirlo, e identificarla. I suoi dati, come quelli di tutti i cittadini di PLANT, erano conservati nei nostri database." Yzak premette il pulsante dell'ascensore, voltandosi verso Nicol. "La madre era uno degli ufficiali della divisione di stanza ad Odessa, il padre un pilota di mobile suit. Entrambi deceduti nel corso dei combattimenti che portarono alla caduta della città, nell'autunno del '73. Fu un vera disfatta per le nostre forze, e per quelle della Federazione Euroasiatica." La cabina era intanto arrivata, ed entrambi i giovani entrarono. Dopo avere selezionato il piano, Yzak riprese il suo racconto. "Dopo l'attacco la confusione regnò per mesi ad Odessa, ed evidentemente nessuno dei soccorritori riuscì a capire che la bambina, sopravvissuta in modo fortuito all'attacco, non era una Natural. Lei non ricorda nulla di quel periodo, solo che ha sempre vissuto in un orfanotrofio, nascondendo a tutti la sua vera natura. Probabilmente le avevano inculcato di non far sapere a nessuno di essere una Coordinator."

Nicol piegò le labbra in una smorfia. "Questo lo capisco, ma è davvero possibile che nessuno si sia mai accorto di nulla?"

"Evidentemente sì" rispose Yzak. "Ha un aspetto molto ordinario, che non ha destato sospetti tra i Natural. E qualcosa mi dice che è sempre stata una bambina molto chiusa, disinteressata allo studio e a socializzare con il prossimo. D'altronde, i suoi risultati parlano chiaro. Ci ha raccontato, questo sì con orgoglio, di aver imparato a pilotare quel mobile suit in poche settimane. E che era la migliore dei piloti."

"Quanti anni ha?"

"Quindici appena compiuti."

Nicol sorrise, questa volta apertamente. "Mi ricorda qualcuno."

Anche Yzak fece lo stesso. "Chi? Te stesso? Athrun? Kira forse? Può essere. Una ragazza sprezzante ed orgogliosa. Sicura delle sue abilità e incazzata con il mondo."

L'ascensore era arrivato al piano e Nicol uscì per primo, lanciando ad Yzak un'occhiata divertita, nonostante l'insita freddezza dei suoi occhi sintetici. "Hai fatto il tuo ritratto, Yzak."

L'albino scrollò le spalle ad un'accusa che tempo prima l'avrebbe oltraggiato, soprattutto se sentita sulle labbra di Nicol. "Lo so" dichiarò sinceramente. "Per questo ti dico che difficilmente riuscirai a farle cambiare idea. Lei non ci rivelerà mai le informazioni di cui ancora abbiamo bisogno per chiudere questa storia definitivamente. Io non lo farei mai. Avremmo dovuto usare subito le droghe per farla cantare." Yzak alzò un sopracciglio. "Se solo quei guastafeste degli ispettori di Orb non fossero immediatamente calati qui per controllare…"
Avviandosi lungo il corridoio, Nicol scosse la testa. "Non ti preoccupare, non ci sarà bisogno né di droghe né di torture. Vedi, lei non è come te. Tu non avresti esitato a farti saltare in aria per sconfiggere i tuoi nemici."

"No, ma questo cosa ti suggerisce?"

"Che la ragazza ha ancora speranza. E questo è qualcosa che solo io posso capire benissimo."

Ammutolito, Yzak realizzò che Nicol, forse, una ragione per essere lì l'aveva davvero.


La prigioniera era stata portata in una stanza piuttosto ampia, confortevole, usata come sala riunioni per gli ufficiali della nave, come testimoniava un lungo tavolo ovale attorno al quale erano sistemate numerose poltroncine. Dietro al tavolo uno schermo olografico riproduceva l'interno di uno dei PLANT: October Five. Yzak lo osservò velocemente, spostando poi subito lo sguardo dai grattacieli virtuali alla prigioniera.

Per niente interessata a quello che la circondava, la ragazza sedeva scomposta su una delle poltroncine, gli occhi puntati verso il pavimento. Non c'erano manette ai suoi polsi, ma una guardia era sistemata in piedi dietro di lei. Yzak gli fece un cenno della testa, e l'uomo uscì dopo averlo salutato. Il Comandante albino non voleva nessun estraneo a quel colloquio e, in ogni caso, non c'era niente che la ragazza potesse fare contro di loro.

Nicol si accomodò davanti a lei, Yzak preferì invece rimanere in piedi, scrutandola con sospetto. Non aveva ancora alzato gli occhi.

Niente la distingueva da un Natural. Aveva capelli di un normale colore biondo cenere, e iridi azzurre, di qualche tono più scuro delle sue. Era solo molto alta per la sua età, e slanciata, con un'espressione dura sul viso dai lineamenti regolari ma già adulti. Dimostrava qualche anno in più. Yzak stesso le aveva dato vent'anni prima di vedere i test.

Finalmente li guardò.

"Cos'è? Giochiamo a poliziotto buono e poliziotto cattivo?" chiese, sprezzante.

Nicol le rispose in un modo fin troppo accomodante, per i gusti di Yzak. "No, il Comandante Joule è qui solo per ascoltare, Odessa."

Lei strinse gli occhi. "Ma non mi dire. Finalmente uno che mi chiama con il mio nome."

"Mi hanno avvertito che odiavi Marida Adill."

La ragazza scrollò le spalle. "Non lo odio, ma quella sfigata non sono io."

"Già. Tu sei diversa, vero? Più forte, più temeraria…"

Yzak non riusciva a capire dove stesse andando a parare Nicol, che si guadagnò l'occhiata disgustata di Odessa.

"Che cosa ne vuoi sapere tu? Cosa saresti, un fottuto psicologo?"

"No. Io vorrei solo sapere perché ti sei unita a Nova, e perché hai combattuto per loro."

"Sono cazzi miei. Che non voglio raccontare agli strizzacervelli di PLANT."

La ragazza volse la testa da un lato, ed incrociò le braccia al petto in un chiaro segnale di disapprovazione.

Yzak ebbe voglia di andare a schiaffeggiarla, Nicol, invece, rimase al suo posto, apparentemente tranquillo.

"Te l'ho detto, non lo sono. In realtà, io sono uno di quelli che ha ammazzato i tuoi compagni sul satellite."

Le gote di Odessa, come le piaceva farsi chiamare, si imporporarono.

"È una cazzata" sibilò, riportando la sua attenzione su Nicol. "Non hai la faccia di uno che può fare certe cose."

Su quello Yzak doveva darle ragione, ma il filmato dell'attacco smentiva clamorosamente quell'affermazione. Certe cose, doveva ammettere, erano terribilmente cambiate in quei dieci anni nei quali aveva perso di vista Nicol. Il quale appoggiò senza scomporsi il gomito sul bracciolo della poltroncina e posò il mento sulla mano.

"Perché? Che faccia dovrei avere? Quella della guardia che era qui prima? Se è per questo anche tu non sembri una terrorista. Ma te lo posso assicurare. Anzi, ti posso raccontare di tutti quelli che ho ucciso, gente che di certo conosci. Tuoi… amici."

"Non lo erano. Mi servivano e basta."

"Allora non ti interesserà se ti parlo un po' di loro." Nicol si sporse leggermente verso di lei. "C'era anche uno dei vostri piloti sul satellite. Immagino che tu sappia chi era, no? Non ha avuto nemmeno il tempo di capire quello che stava succedendo. Il mio compagno l'ha sconfitto in due minuti. Credo non abbia nemmeno sofferto. La stessa cosa non si può dire degli altri. Morire bruciati è… terribile."

Yzak vide Odessa scattare dal suo posto, ma non ebbe bisogno di intervenire. Un secondo dopo Nicol era in piedi dietro a lei, e le teneva il busto piegato contro il piano del tavolo, bloccandole entrambe le braccia dietro la schiena. Yzak sbatté le palpebre. Non l'aveva quasi visto alzarsi.

La presa non sembrava molto stretta, ma la ragazza aveva il viso distorto dalla rabbia.

"Mollami!" sibilò, la voce che tentava comunque di mantenere un certo autocontrollo. "Potete torturarmi come volete, non tradirò mai Nova."

"Nova non esiste più. I tuoi amici sono morti, insieme a quello che li guidava. Non hai più niente per cui combattere, ammesso che tu l'abbia mai avuto."

Nicol non tradiva nessuna particolare emozione, e Yzak si chiese dove stesse andando a parare.

Odessa cercò di dibattersi, ma senza nessun risultato. Spalancò gli occhi. "Non capisci un cazzo" urlò stavolta. "Volevo vendetta, va bene? Era mia di diritto! E non venirmi a dire che non era un buon motivo per far saltare in aria quei porci."

Nicol sorrise. "Lo stesso potrei dire io nei vostri confronti. Anche se non ti starò a raccontare palle sul mantenimento della pace. Dei miei amici sono quasi morti per colpa di uno dei vostri kamikaze, e la mia famiglia ha già sofferto troppo dieci anni fa per permettere a voi di mandare tutto all'aria."

"E quindi? Non me ne frega un cazzo di te. Che ne sai tu di quello che ho dovuto patire io per colpa di quelli come voi?"

"Chi intendi con quel voi?"

Le labbra di Odessa si torsero in una smorfia cattiva. "I militari. Quelli che hanno fatto scoppiare le guerre negli anni Settanta. Siete tutti dei porci."

Yzak si passò una mano nei capelli, e scambiò con Nicol un sorrisetto indulgente. Le avevano davvero fatto il lavaggio del cervello, e lui non aveva idea di che cosa potesse dire Nicol per farla ragionare.

"Avevo quindici anni durante la guerra del San Valentino di Sangue, e mi ero arruolato solo per difendere i miei simili. E lo stesso immagino si possa dire dei tuoi genitori. Siamo tutti porci per te? Probabile, ma non fa niente. Rimane il fatto che la tua vendetta, come la chiami tu, è la cosa più stupida che io abbia mai sentito."

Stavolta, gli occhi della ragazza si inumidirono. "Di' quello che vuoi, stronzo. Ma tanto qualcosa l'abbiamo ottenuta. Sono morti molti politici e militari. Spero che all'inferno verranno torturati dalle loro vittime per l'eternità."

Yzak dovette trattenersi dal mettersi a ridere. Se fosse stato al posto di Nicol l'avrebbe già sculacciata per tutte le stupidaggini che diceva, ma il musicista sembrava abbastanza tranquillo. E divertito come lui. Il colloquio si stava rivelando più spassoso del previsto.

"Questo forse è vero" le rispose Nicol. "Ma sono morti anche tanti innocenti, gente che non c'entrava nulla. E poi, cosa ti fa pensare che quelli che avete ammazzato fossero davvero i responsabili di ciò che è successo dieci anni fa? Niente. L'amara realtà è che voi siete stati plagiati da quel Requiem a fare un sacco di casino senza senso. La tua vendetta non ha portato a niente. È semplicemente ridicola."

Ed era quello che anche Yzak credeva. Stupida, insensata e, sì, ridicola. Ma evidentemente Odessa non doveva pensarla così, perché si agitò per liberarsi, urlando insulti, e Nicol, improvvisamente, la lasciò andare. La ragazza si raddrizzò come un cobra, fronteggiandolo, ma non riuscì nemmeno ad alzare una mano. Nicol le diede uno schiaffo, non particolarmente forte ma, forse, talmente sorprendente per lei che Odessa si bloccò, toccandosi stupita una guancia. Probabilmente si era aspettata bel altro.

"Piantala di comportarti come una bambina isterica" le fece Nicol, nello stesso tono di un fratello maggiore che rimprovera la sorella più piccola. La afferrò per un polso e la costrinse a tornare a sedersi, senza nessuna resistenza da parte di Odessa. Poi, appoggiò le mani sui braccioli della poltroncina della ragazza, e si sporse verso di lei. "Vuoi sapere cos'è una vendetta seria? Durante la guerra del San Valentino di Sangue io e altri Coordinator fummo catturati dalla Federazione Atlantica, e sottoposti a terribili esperimenti. Quando riuscimmo a scappare, rintracciammo tutti quelli che ci avevano fatto del male, e li sgozzammo ad uno ad uno."

Yzak ebbe un sussulto. Quella parte non gliel'aveva raccontata nessuno, e si fece mente locale di investigare.

Nicol si raddrizzò, si portò le dita agli occhi togliendosi velocemente le lenti a contatto, poi torno a fissare la Odessa. La ragazza impallidì.

"Vedi, io non ho la minima idea di come sia stata la tua infanzia sfortunata, in un orfanotrofio Natural ma, ti assicuro, che quello che hanno fatto a me è stato molto peggio."

"Non ci credo" balbettò lei.

"Non sei nemmeno un po' curiosa?"

Odessa abbassò il capo, senza rispondere, mentre Nicol le sorrideva.

"Ti racconterò la mia storia se tu farai lo stesso con la tua."

La ragazza piegò le labbra in una smorfia offesa, ma anche una persona poco empatica come era Yzak aveva capito come Nicol fosse riuscito a stabilire un minimo collegamento tra loro, a trovare qualcosa che avevano in comune e che, forse, le interessava ascoltare. Soprattutto in quel momento, in cui era totalmente sola al mondo, e non aveva più nessuno di cui fidarsi, semmai l'avesse avuto. Yzak fissò Nicol. La ragazza poteva anche avere il suo brutto carattere ma, in effetti, aveva una storia molto simile a quella dell'amico pianista.

Nicol sospirò, girandosi verso Yzak. "Puoi uscire, per favore? Io e Odessa dobbiamo parlare."

Il Comandante albino lo guardò, chiedendosi se davvero Nicol avrebbe raccontato i suoi segreti a quella ragazzina sconosciuta, una loro nemica.
Ma poi, guardandola, imbronciata e con in viso l'espressione di chi sta disperatamente combattendo contro le lacrime, Yzak si chiese se fosse davvero tale o se non si dovesse invece definirla con un altro aggettivo. Come Nicol, del resto. Senza aggiungere altro, Yzak si girò e uscì dalla stanza.


Percorse in silenzio i corridoi della nave, salutando blandamente il personale che incontrava. Fece per dirigersi in plancia, poi cambiò idea e mutò il suo percorso. I suoi passi lo portarono al bar di prora. Era in servizio ma decise che, per quella volta, avrebbe fatto uno strappo alla regola.
Raggiunto il bancone Yzak chiese ad un perplesso barista un dito di gin, senza ghiaccio, poi, con il bicchiere stretto in mano, si avvicinò alla lunga vetrata. Le luci nel bar erano sempre fioche, in modo da non impedire eccessivamente la vista all'esterno. Davanti agli occhi del Comandante si stagliò il campo stellato. Quanti suoi compagni là fuori erano morti? Insieme ai civili di Junius Seven, ai terrestri vittime degli scontri al suolo, e ai militari dei vari schieramenti.
Yzak aggrottò le sopracciglia. Anni prima non gli sarebbe mai venuta in mente una cosa del genere, e diede la colpa del suo attuale stato d'animo alla stanchezza. Ma forse stava maturando. O invecchiando, come lo punzecchiava sempre Shiho quando lo coglieva a fare riflessioni estemporanee sulla vita e sulla morte.
"Sì, forse ha ragione lei" sussurrò sottovoce, per non farsi sentire dai pochi militari presenti nella sala. "Sto proprio diventando vecchio e saggio" aggiunse, alzando il bicchiere in un silenzioso brindisi che dedicò a tutte le vittime delle guerre che avevano flagellato il mondo negli ultimi anni. Facendo quasi violenza a sé stesso Yzak si impose di includere i Nova; sperando che fossero stati l'ultimo ostacolo ad una pace durevole, il prezzo che l'umanità intera aveva dovuto pagare agli Dei della Guerra.
Abbassò il bicchiere per portarlo alla labbra e, in quel momento, il pianeta Terra fece capolino da un lato della vetrata. Fissando quella falce azzurra, brillante contro il velluto nero del cielo, un pensiero sovvenne al Comandante.
"Certo che avete lasciato proprio un bel casino anarchico. Brindo alla vostra memoria, brutti bastardi!" mormorò Yzak, scolando il suo gin fino all'ultima goccia.


Fine


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This is the end, beautiful friend, this is the end… erhm… dicevo, ed eccoci arrivati alla conclusione! Spero vi sia piaciuta questa avventura ambientata in un futuro alternativo rispetto a quello delineato alla fine di Gundam Seed Destiny. Non è un finale tutto rosa e fiori, e gli attentati di Nova hanno lasciato ferite difficili da sanare, ma se non altro giustizia è fatta… almeno per il Comandante Joule! ;)
Molto soddisfatta di questo mondo non sono ancora pronta ad abbandonarlo, per cui ho in programma di pubblicare ogni tanto una one-shot in una raccolta di storie ambientate durante e dopo gli eventi di "Irreparabile" e "Nova". Sarà l'occasione per sviluppare qualche personaggio secondario, parlare di avvenimenti non fondamentali ai fini della trama principale, e chiarire qualche punto oscuro. Per cui, se avete qualche curiosità da soddisfare fatemelo sapere, io potrei avere l'ispirazione per scrivere proprio quella storia!

Ringraziamenti vari:
A Shainareth, mia cara amica e paziente beta, che ha seguito tutta questa avventura correggendo anche le virgole!
A Tynuccia, altra cara amica e fangirl numero uno del personaggio di Cecilia Jesek. Aspetto online le tue storie su di lei!
A Sippu, per l'ispirazione, i commenti in privato e per avermi fatto scoprire Star Driver! Che non c'entra niente ma andava detto comunque. Kiraboshi! XD
A MaxT per i disegni, le recensioni, e le email di incoraggiamento.
A Gufo_Tave, Kourin, SnowDra1609, Solitaire per i tanti commenti
A Blackcybuster, che ha inserito questa storia tra le sue seguite, e grazie a tutti quelli che sono passati di qui a leggere.
Ultima cosa, grazie ai creatori della serie Mai HiME e a Ridley Scott, il regista di Blade Runner, opere che hanno ispirato il personaggio di Lorran Martinez/Escobar, che è un po' Nao Yuuki e un po' la replicante Pris.

See ya!

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