Couples

di ivi87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** London ***
Capitolo 2: *** The Case ***
Capitolo 3: *** The Call ***
Capitolo 4: *** The first meeting ***
Capitolo 5: *** Booth&Bones ***
Capitolo 6: *** Confidences ***
Capitolo 7: *** Instinct ***
Capitolo 8: *** The Roommate ***
Capitolo 9: *** Revelations ***
Capitolo 10: *** Messages ***
Capitolo 11: *** The resolution of the case ***
Capitolo 12: *** Surprise ***



Capitolo 1
*** London ***


Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. I personaggi non mi appartengono.


COUPLES

 

# PROLOGO - London

Londra si vede proprio bene dal mio ufficio. La skyline mi lascia sempre senza fiato.

Peccato che non riesca proprio a godermela questa città. Sono passati otto mesi ormai, ma non c’è verso che io mi ambienti. I ricordi mi affliggono, la malinconia mi assale. Se almeno ci fosse Bud qui con me, riuscirebbe a strapparmi un sorriso.

Se almeno ci fosse lei…

Il tenente Stevens sta bussando da qualche minuto allo stipite della porta. Me ne accorgo solo ora. Le dico di entrare e lei per prima cosa mi chiede se mi sento bene; come fa ogni giorno da quando sono arrivato qui. Del resto io non mi sforzo minimamente di risultare meno… apatico? Si, è l’unico termine che mi viene in mente.

No che non sto bene, per niente. Ma a lei rispondo che è tutto a posto. Mi lascia diversi file sulla scrivania, spiegandomi sommariamente di cosa si tratta, ma ahimè non sento nulla se non le risate dei figli di Bud che risuonano nella mia testa. Soprattutto quella di Aj. Il primogenito dei Roberts è quello a cui sono più legato, sarei dovuto essere uno zio più presente… se potessi tornare indietro cambierei molte cose, anche le più piccole, le farei diversamente. Avrei potuto portarlo al parco di tanto in tanto per esempio. Come padrino ho fatto decisamente pena.

Un’immagine di Harriett con il piccolo in braccio mi torna in mente “Lui adora lo zio Harm…lo zio Harm e la zia Mac sono i suoi zietti preferiti” mi disse una volta.

Già la zia Mac, come non adorarla? No, dai Rabb riprenditi. Non posso pensare a lei adesso. Solo pensando ai miei amici non ho notato che sono di nuovo in ufficio da solo, figuriamoci se penso a lei! No, apri questi file e dai loro una bella occhiata, mi dico, senza troppo successo però. Dopo neanche qualche minuto sento un brusio provenire dal corridoio. So benissimo di cosa si tratta. E so anche che è solo colpa mia. Ma non riesco svegliarmi da questo mio torpore, Washington mi manca troppo, il Jag mi manca troppo. Ora dirigo uno staff tutto mio ma non ho nessuno amico, nessuno con qui chiacchierare, bere un caffè. Qualcuno dell’ufficio ha provato a invitarmi a prendere un aperitivo una volta, ma gli ho risposto così male che da allora nessuno mi rivolge più la parola se non per lavoro. Senza contare le volte che mi beccano a fissare il vuoto o a sospirare sconsolato. E dire che un ruolo come il mio lo sognerebbe qualunque ufficiale con un po’ di cervello. Così da un po’ di tempo ho notato sguardi complici tra il personale, risolini e, come adesso, un leggero brusio fuori dal mio ufficio. Spettegolano su di me e direi che fanno bene. Chi lo vorrebbe un capo così?

Immagino che dovrei uscire a rimproverarli, a rimetterli in riga, ma non lo faccio.

Mac li bacchetterebbe a dovere! Penso divertito. Ma forse lei non ne avrebbe bisogno, sicuramente è riuscita a creare un clima favorevole per un buon rapporto lavorativo. Lei sarà sicuramente andata avanti per la sua strada e io sto qui bloccato in questo limbo! Mi dispiace, ma non è ancora tempo per me di andare avanti. Forse un giorno  sarò pronto e quel giorno farò una lavata di capo a tutti i miei sottoposti. Ma non ora. Proseguo la lettura dei file sperando di finire al più presto. Ho bisogno di andare in palestra, è l’unico modo per scaricarmi un po’!

Dopo circa un’ora decido che è tempo di andarmene da qui. In fondo sono il capo adesso, e non ho un orario di lavoro fisso. Per ora l’unico lato positivo di questo incarico è che posso andare e venire quando voglio. Di norma resto fino a tardi, per impedirmi di pensare e per non restare a casa da solo, quasi mi devono sbattere fuori a calci! Ma questa settimana è cominciata proprio male. Sono giorni ormai che nemmeno il lavoro cancella il ricordo dei miei amici dai miei pensieri. E ogni volta che penso a loro inevitabilmente penso a lei. Il guaio è che penso a lei anche guardando una cabina telefonica, ormai!

Perciò ho deciso, oggi esco prima e mi rintano in palestra. Alla Stevens verrà un colpo. Raduno le mie cose, ficco tutto malamente nella mia cartella e esco dal mio ufficio a mò di razzo. Non resisto un attimo di più, ho l’impressione che le pareti mi si accartoccino addosso. Fuori dalla porta trovo il tenente Stevens che mi fissa a bocca aperta. Sta per dire qualcosa ma io glielo impedisco precedendola. Le auguro un buon lavoro e una buona serata e sparisco dalla sua vista. Entro in ascensore e dopo neanche dieci secondi lo percepisco nuovamente. Un leggero brusio mi arriva da dietro le porte e non posso impedirmi si sogghignare.

NOTE DELL'AUTRICE: spero proprio che questa ff vi piaccia perchè mi sta davvero a cuore! 

Amo alla follia Harm e Mac ma ho pensato di scrivere qualcosa solo dal punto di vista del ns bel capitano... e perchè non affiancargli Booth e Bones!! mi fanno morire dal ridere insieme.. Buona lettura a tutti!! XD 

p.s. ah, per dovere di cronaca...non è che odio gli inglesi eh, mi serviva solo un pò di antipatia ai fini narrativi.. XD

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Capitolo 2
*** The Case ***


# 1 – The Case

Apro la porta e getto la sacca a terra. Nell’avanzare inciampo in uno scatolone, oggi non è proprio giornata. Lo sposto con un calcio e mi dirigo in camera gettandomi sul letto. Credo che non mi alzerò fino a domani mattina. Mi faccio pena da solo, ma voglio solo cancellare il ricordo di questa giornata.

Nemmeno la palestra mi ha aiutato. Non riuscivo a concentrarmi e a momenti mi casca il bilanciere addosso. Non infilo un pensiero coerente da settimane, ormai e la cosa mi irrita da morire. Ma oggi è andato tutto male dall’ufficio alla palestra, e di solito qui invece me la cavo ancora bene per non avere più vent’anni! Mi sembrava di sentire ancore le risate dei miei ufficiali e avevo l’impressione che tutti mi stessero a guardare. “Le serve una mano, signore?” mi ha chiesto uno sbarbatello quando ho perso per un secondo la presa del bilanciere. A me? Sono un Capitano di Vascello degli Stati uniti d’America, sono stato in Vietnam a cercare mio padre, ho combattuto la guerra del golfo, santo cielo… ma non credo che al ragazzo interessi particolarmente. Mi guardava come se fossi un vecchietto arteriosclerotico!

Non ho nemmeno fame, spengo la luce sul comodino. O meglio, ci provo. Non ho ancora perso le abitudini di Washington, nel mio loft avevo un’abat-jour; qui è tanto se ho attaccato il frigorifero e fatto mettere l’elettricità. Spengo la luce principale e mi addormento esausto.

Sono agitato. Mi divincolo nel letto ma non riesco a svegliarmi del tutto. Sento un suono lontano, un telefono. È lei, lo so. È lei che mi chiama, ma non riesco a prendere l’apparecchio. Il telefono si allontana sempre di più e io mi allungo più che posso, ma è tutto inutile. “Non riattaccare, aspettami” mi sento gridare, rivolto verso il telefono, sempre più lontano. E mentre diventa un puntino piccolissimo mi sveglio di soprassalto con il trillo del telefono che mi perfora un timpano.

“Pronto..” credo di aver detto, ma la voce dall’altro capo del telefono continua a chiedere se c’è qualcuno in linea. Allora stavolta lo dico più forte, uscendo definitivamente dall’ennesimo incubo.

“Pronto” accendo la luce nel medesimo istante in cui sollevo il ricevitore.

“Mi scuso per l’ora, Capitano Rabb, sono il Comandante Burke, della Polizia Metropolitana” mi dice con un accento inglese spiccatissimo.

Scotland Yard? Alle cinque di mattina? Penso gettando un occhio all’orologio al mio polso. Cosa vuole da me?

Glielo chiedo. Vorrei risultare seccato per il disturbo recatomi, da perfetto inglesino quale non sono, ma temo di sembrare piuttosto un arrogante americano che sbraita al telefono al capo del Met.

Mi spiega, impeccabile, l’accaduto; un cadavere ritrovato, un ufficiale di marina sospettato. Non so perché, ma non mi suona affatto nuovo, penso sarcastico.

Vuole vedermi nel mio ufficio tra un’ora. Rispondo affermativamente riacquistando il mio tono militaresco. Riattacco, mi alzo e mi dirigo in doccia.

 

Sono le sei. Il parcheggio del Jag è vuoto e ci sono pochissime persone in strada. La guardia di vigilanza fuori dal portone mi riconosce e mi fa il saluto militare. Ricambio e mostro il tesserino come vuole la prassi. In ascensore penso al mio sogno, devo chiamarla, lo so che devo farlo. Sognare telefoni in continuazione deve voler dire questo. Oppure che ho una segreta passione per loro e dovrei cominciare a collezionarli!

Entro nel mio ufficio e mi distendo un attimo sulla mia sedia e ogni volta che lo faccio mi rammento di non cadere, come gia una volta mi capitò. Questa volta non potrei avere visioni su Mac.

Dall’interfono la voce della guardia mi avvisa che il Comandante Burke è arrivato.

“Lo autorizzi a salire e gli spieghi a che piano arrivare” dico premendo il pulsante di risposta. Mi alzo e vado ad attenderlo all’ascensore per fargli strada.

Siamo nel mio ufficio ora. Mi spiega nei dettagli la vicenda e mi porge il fascicolo della vittima. Un corpo non ancora identificato, o meglio uno scheletro con pochi brandelli di carne addosso, a giudicare dalle foto, è stato ritrovato in un parco. Leggo meglio la scheda. Non un parco qualsiasi però, ma il più famoso di Londra.

“Hyde Park è indubbiamente sotto la nostra giurisdizione Capitano.” Mi dice senza scomporsi di un millimetro “ovviamente non ostacoleremo le vostre indagini legali nell’accusa di colpevolezza del vostro marinaio”

“Presunta colpevolezza” replico calmo guardandolo negli occhi. Antipatico di un automobilista che guida dalla parte sbagliata della strada e dal lato sbagliato della macchina, già lo hai dichiarato colpevole?

Mi guarda torvo per averlo contraddetto. Con chi credi di avere a che fare? Mi è stato spiegato da subito che è necessario mantenere dei buoni rapporti con la Polizia Londinese, ma darvela vinta così facilmente, non rientra proprio nel mio carattere e nei miei principi soprattutto! Cavoli mi sento meglio. Mi sento, in parte, di nuovo me stesso. Forse mi serviva solo una bella sfida, per riacquistare un po’ di fiducia e di grinta. Mi dispiace solo che una persona ci abbia rimesso la pelle per questo.

NOTE DELL'AUTRICE: Eccoci qua con il secondo capitolo!!! A presto e buona lettura!!

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Capitolo 3
*** The Call ***


# 2 – The Call

Chiedo alla Stevens di convocare Benton e Johns non appena saranno arrivati. Sono i miei due migliori avvocati per quel poco che li ho potuti conoscere. Sono bravi in aula, un po’ meno a trattare con i clienti. 

Sono proprio inglesi nel sangue, da generazioni probabilmente, e parlano esattamente come Burke. Purtroppo per loro a volte capita che l’assistito sia italiano, piuttosto che francese o americano. La marina manda i suoi uomini in tutto il mondo e, quando si è accusati di omicidio, come in questo caso, un po’ di tatto e una parola di conforto permettono alla persona di rasserenarsi almeno un poco. Di calmarsi per lo meno, diventando molto più gestibile in aula. Se un avvocato non ha il controllo del proprio cliente questi potrebbe pure darsi la zappa sui piedi inavvertitamente. E finire in prigione per un cavillo o per aver dato una brutta impressione alla giuria.

Benton e Johns sono ancora acerbi in questo senso, non sanno stabilire un contatto con il proprio assistito. Il mio compito sarebbe quello di correggere questa lacuna, ma, mi odiano pure loro. O meglio non mi sopportano, e miei bei discorsi tanto efficaci a Washington qui si disperdono nell’aria. Spero che cambino presto atteggiamento o dovrò prendere seri provvedimenti. Ma dubito che in questo modo, susciterò in loro simpatia.

Sono arrivati, la Stevens mi comunica che li ha fatti chiamare.

Entrano e si piazzano davanti alla mia scrivania, ritti come pennoni. Io sono preso dall’incartamento e per qualche attimo li ignoro.

“E’ stato ritrovato un corpo, questa mattina, in Hyde Park” esordisco alla fine della mia lettura

“Un ufficiale di marina o un marine, Signore?” chiede il tenente Johns

“E’ un civile, per quello che ne sappiamo. Niente documenti e niente piastrine” rispondo passandogli i fogli.

“Perciò qual è il nostro incarico?” mi domanda Benton senza attendere che io glielo spieghi.

“Il principale indiziato è il tenente della marina Robert Pierce. Un’agente di Scotland Yard l’ha arrestato mentre scappava dalla scena del crimine”

Mentre rispondo Johns passa i fogli anche a Benton così che li possa leggere anche lui. Vedo una smorfia sul suo volto dopo non molto che ha cominciato a scorrerli. Dev’essere arrivato alla parte in cui si cita la nazionalità del tenente Pierce.

“Il tenente Pierce è di New York, una volta entrato in marina venne inviato alla base di Guantanamo, a Cuba, e successivamente qui da noi a Londra” spiego attirando la loro attenzione

Americano” dice Benton guardando Johns con un tono non proprio professionale. Ne educato visto che non sono da soli, ma davanti a me, che sono il loro diretto superiore e oltretutto fiero di essere americano!

“Problemi a difendere un americano tenente?” tuono alzandomi in piedi cercando di assomigliare il più possibile all’Ammiraglio Cheggwidden.

Johns e Benton scattano sull’attenti. Paonazzi. Forse credevano che non gli avessi sentiti, forse l’hanno fatto apposta, non lo so e non mi importa.

“Voi difenderete il tenente Robert Pierce nel migliore dei modi, sono stato chiaro?” dico camminando attorno alla mia scrivania e posizionandomi davanti a loro.

“Si, signore” rispondono all’unisono come durante una marcia dei marines.

“E sapete perché? Non perché è americano, inglese, italiano o arabo. Ma perché è un ufficiale della marina militare, perché fino a prova contraria è un uomo innocente, e perché è il vostro dannato lavoro!” urlo infine gongolando per averli sgonfiati come palloncini bucati.

“Signorsì, signore!”

Li informo che il tenente Pierce è in stato di fermo nella prigione di Warmwood Scrubs e li sbatto letteralmente fuori.

Ho bisogno di un paio di minuti per riprendermi. Non sono incline ad arrabbiarmi così tanto. Poggio i gomiti sulla scrivania e con le mani mi sorreggo la testa. E’ pesantissima. Avrei bisogno di un altro paio di mani. Penso già a quelle di Mac, che mi coccolano dolcemente la testa. Il telefono suona e mi riprendo immediatamente. Capisco che non è con loro che dovrei prendermela ma con me stesso. Potevo impedirle di andare a San Diego e invece non l’ho fatto. Potevo andare con lei e invece non l’ho fatto. Potrei rispondere al telefono, così la smetterebbe di suonare… si, questo posso farlo.

E’ il comandante Burke. A quanto pare ci sono delle novità, non sul caso però.

“Sono appena stato informato che l’agente speciale dell’FBI Seeley Booth si è appena liberato dagli impegni che lo hanno portato qui a Londra e ho deciso di affidargli il caso” ha detto al telefono

FBI? Ho chiesto io. Mi è stato spiegato che l’agente Booth ha tenuto un seminario su come i metodi d’analisi di un caso e il susseguente svolgersi dell’indagine, differiscono tra il Bureau e lo Yard.

“Questo non spiega come mai non ve ne occupiate voi” ribadisco io. Ho come il sentore che il capitano Burke voglia liberarsi di questo caso.

“La partner dell’agente Booth è la Dottoressa Temperance Brennan, del Jeffersonian Institute di Washington. E’ la migliore nel suo campo; ho pensato che sarebbe stata estremamente utile nell’identificare il corpo in Hyde Park” esclama Burke tronfio.

Allora mi sbaglio. Non vuole liquidare il caso, ma usufruire dei suoi uomini migliori. Più o meno come ho fatto io incaricando Benton e Johns della difesa del tenente Pierce.

“Comandante le assicuro che Booth e la Brennan sono una coppia eccezionale. Le confesso che, un altro motivo che mi ha indotto ad affidare a loro il caso è che mi ricordano molto lei e MacKenzie” mi sento rispondere. “Sempre che le voci su di voi siano vere..”

Con la cornetta ancora in mano mi guardo all’altezza del petto. Ho un enorme coltello conficcato dritto nel cuore.

“Questo per dimostrarle che lo Yard e la marina possono andare benissimo d’accordo. Converrà con me che un’agente dell’FBI, oltretutto americano come lei, e un’antropologa forense di fama mondiale, sono il meglio che possa offrirle.”

Sono assolutamente d’accordo, ma una curiosità mi assale.

“Voci?” Chiedo, controllando lo stato della mia ferita.

“Non mi dirà che non sa di essere famoso Capitano? Le gesta sue e del Colonnello MacKenzie sono arrivate sin qui e le posso assicurare che sono difficili da scordare. Gli avvocati-pistoleri del Jag” ci canzona ridendo “si dice che la vostra intesa professionale superasse ogni immaginazione” il coltello nel mio petto comincia a rigirarsi, avanti e indietro, scavandomi un buco nello sterno.

“Già..” rispondo senza fiato “Li mandi pure da Pierce allora, così conosceranno il tenente Benton e il tenente Johns”

Riattacco sollevato. Il coltello non c’è più, ma il dolore al petto è lancinante.



ANGOLO DELL'AUTRICE:

eccomi con il terzo capitolo, scusate ma vedevo che non la leggeva nessuno perciò avevo lasciato perdere.. ma vedo che almeno un lettore c'è.. grazie mille!!!

spero che continuerà a piacerti capitolo dopo capitolo!!

baci baci


Ivi87

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Capitolo 4
*** The first meeting ***


# 3 – The first meeting

Dopo un’estenuante riunione di due ore con Benton e Johns, ora finalmente respiro un po’ di aria fresca. 
Sono all’entrata del Metropolitan Police Service, in piedi sugli scalini, che riesamino i fascicoli. Mi viene da ridere. 
Non so ancora come, ma sono stato assegnato al caso. Io, in prima persona, come una volta, come a Washington! 
Sarò il difensore ufficiale di Pierce e finalmente entrerò di nuovo in un’aula di tribunale. Non ho capito bene come è successo ma, a quanto pare, i miei ufficiali hanno avuto dei problemi a collaborare con l’agente Booth e la dottoressa Brennan.
Hanno
definito il loro metodo anticonvenzionale e poco professionale. Il SecNav in persona poi, ha fatto irruzione nel mio ufficio. Poco incline a trattare, ha affermato che la marina non può permettersi di non andare d’accordo con lo Yard e l’FBI, che gli equilibri sono precari e che è necessaria la massima collaborazione. E non so come, mi sono sentito di difenderli.

“Da ambo le parti, ovviamente, signore” preciso io.

Il SecNav mi fulmina con lo sguardo. Mi fissa, ci pensa un po’ su e poi esclama:

“Da Washington mi sono state dette meraviglie su di lei, Capitano. Me ne dia una prova!” esclama con aria di sfida camminando verso di me.

Sono perplesso, ho capito bene?

“Si occupi lei, di Pierce! Quale miglior difesa del capo del Jag, no?”

Si, ho capito proprio bene, porca miseria. Cioè, da un lato non sto nella pelle di tornare alle mie amate indagini sul campo e alle battaglie in tribunale. 
Ma dall’altro.. guardo Benton e Johns con la coda dell’occhio. Ho appena soffiato il caso a due miei ufficiali? Tecnicamente mi è stato affidato, ma non credo che loro la vedranno così.

“Signore, non ne vedo il motivo, sono sicuro che i miei uomini riusciranno a trovare il modo di collab…” ma niente, non mi ascolta proprio.

“Ormai ho deciso!” dice fermo “Andare d’accordo con gli sbirri, americani o inglesi che siano, è fondamentale. E di sicuro lei ha più esperienza in questo!” si pulisce gli occhiali con un fazzoletto di tela. “Comunichi il cambiamento al Comandante Burke e mi tenga aggiornato!” inforca gli occhiali e se ne va sbattendo la porta, impedendomi così di replicare nuovamente.

Guardo i miei ufficiali, sono visibilmente sorpresi. Credo che sia la prima volta che accade una cosa del genere qui da loro. A Washington capitava di continuo.

“Mi dispiace molto, so che stavate facendo un ottimo lavoro” dico, sentendo il bisogno di scusarmi per il modo in cui sono appena stati trattati.

Johns mi sorprende. Li credevo quantomeno seccati e invece sorridono.

Il mio sguardo si fa interrogativo.

“Sono anni che il SecNav ci tratta come burattini” mi spiega, Benton interviene “Il comandante che l’ha preceduta non ha mai osato contraddirlo, lei è il primo in tanti anni!” dice sollevato. Che fosse ora che qualcuno gliele cantasse?

Dalle facce stupite che avevano, di sicuro, non si aspettavano che fossi proprio io a farlo, visto che non metto in riga neppure il mio stuff, quando mi parla alle spalle.

Sorrido anche io e ribadisco “Comunque mi dispiace davvero, se non sbaglio però potete tornare al caso Thorp, a cui stavate lavorando prima di Pierce” esclamo tornando nel mio ruolo di Capitano.

“Potete andare” dico mentre mi accingo a cercare il bigliettino da visita di Burke.

Johns esce, sulla porta Benton invece si volta e mi dice “Signore…” gli faccio segno di parlare “Volevo solo avvertirla di una cosa” si interrompe un attimo, poi prosegue “La dottoressa Brennan è un po’…strana” Ma questa poi. Che vuol dire strana?

“Capirà, Signore” e poi esce.

 

E così mi ritrovo fuori dal Met ad attendere l’agente Booth e la dottoressa Brennan. Al telefono, Burke è rimasto un po’ sorpreso, ma ha accettato la cosa, dicendo che forse era meglio così. Cos’avranno mai di strano questi due? Io e Mac non eravamo certamente strani. Non so ancora come siano ma sicuramente sono in ritardo. Mi è stato detto di aspettarli qui fuori alle 14:00. E’ passato un quarto d’ora e di loro ancora nessuna traccia.

Della gente passeggia serena, è una bella giornata nonostante l’aria molto fresca. Una coppia cammina nella mia direzione. Lui ha un completo nero con una camicia bianca e una cravatta con dei disegnini buffi, che ancora non distinguo; sta disperatamente cercando di attirare l’attenzione della donna accanto a lui. Ma lei è al telefono e non lo tiene minimamente in considerazione. Anzi con una mano cerca di evitare che le strappi il cellulare dall’orecchio.

“Dille che non è stata colpa mia” lo sento gridare alla donna, mentre cammina spazientito con le mani appoggiate ai fianchi

Si fermano a pochi passi da me e la donna risponde “Angela, Booth vuole che tu sappia che non è stato lui a far scappare i due ufficiali del Jag”

“Esatto e dille anche..naa dammi qua” prendendole il telefono di mano

“Per prima cosa, in questo paese non posso muovermi liberamente, secondo è la prima volta che lavoro con il Jag…” camminando avanti e in dietro, tiene la mano libera aggrappata per il pollice al passante dei suoi pantaloni. C’è scritto Cocky su quella cintura? ora che ci penso ho sentito bene? La donna l’ha chiamato Booth…

Lei, neanche mi leggesse nella mente si volta verso di me e mi fissa. Guarda la divisa. Si volta di scatto verso il partner e con l’indice comincia a tamburellargli la spalla per chiamarlo.

“…e terzo, quei due sono stati molto maleducati! Ehi che fai…” lei si riprende il telefono, sussurra qualcosa a bassa voce all’interlocutore di là dell’apparecchio e se lo mette in tasca.

“Mille grazie Bones, stavo parlando!” le dice allargando le braccia. Lei distoglie gli occhi da lui per guardare me, un paio di scalini più su.

L’uomo segue il suo sguardo e si volta dalla mia parte.

Non appena mi vede e capisce chi sono, si irrigidisce. Si guardano un’altra volta e poi mi raggiungono.

Angolo dell'autrice: 

ebbene sì, pubblico anche questo capitolo..mi sono detta che è meglio accelerare un pò la cosa!!! XD
buona lettura a tutti, recensite se vi va, mi farebbe molto piacere!!
grazie mille,
baci

Ivi87

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Capitolo 5
*** Booth&Bones ***


# 4 – Booth&Bones

Ci stringiamo le mani, imbarazzati. Loro soprattutto, io sono divertito. E con un’occhiata capisco che due così difficilmente sarebbero mai potuti andare d’accordo con i miei ufficiali ghiaccioli.

Lui sembra volermi dire qualcosa. Poi ci ripensa e comincia a scendere gli scalini, seguito a ruota dalla dottoressa Brennan. In strada però si volta.

“Mi dispiace per prima, Capitano, non volevamo mancare di rispetto ai suoi uomini” dice sostenendo il mio sguardo. E non so perché ma già mi piace. Sento che è una persona di cui ci si può fidare.

“Non si preoccupi, anche loro anno avuto a che ridire su di voi” mi limito a dire. Capisco che anche loro avranno ricevuto parecchie pressioni per far sì che questa collaborazione produca i suoi frutti.

Camminiamo per qualche metro dirigendoci alla vettura dell’agente Booth e nel frattempo mi spiegano il motivo del loro ritardo. La dottoressa Brennan ha tenuto, in una libreria, la presentazione del suo ultimo libro e la cosa si è protratta più del dovuto. Una lampadina mi si accende in testa. Come ho fatto a non ricordarmene?

“Ma certo, ne ho letto uno, sa? La ragazzina che avevo in tutela a Washington me l’ha praticamente imposto!” L’agente Booth intanto apre la macchina e io salgo dietro.

La dottoressa Brennan dal posto accanto al guidatore si volta indietro e mi chiede se mi è piaciuto. Ecco, speravo non me lo chiedesse. Potevo starmene zitto…

“Ehm.. veramente non l’ho mai finito..” ammetto. Lo sguardo di lei si aggrotta appena. Ora anche l’agente Booth mi fissa. Cavoli…

“Ma solo perché sono dovuto partire per un’indagine e nella fretta ho dimenticato di portarlo con me. Quando sono tornato Mattie se l’era già ripreso” mi affretto a dire giustificandomi. Loro si guardano un attimo e sembrano accettare la mia spiegazione.

Io intanto, tiro un sospiro di sollievo. Come dire a un cuoco che ti fa schifo la sua cucina. Bravo Rabb! E’ così che si mantengono buoni i rapporti!

Lentamente usciamo dal parcheggio e ci immettiamo in strada. Vedo la dottoressa aggrapparsi saldamente all’auto. Lui le getta uno sguardo di…rimprovero? Ma che succede? Perché si tiene come se stesse per volare fuori dall’auto?

Una frenata brusca mi fa piombare praticamente davanti con loro…

“Mi dispiace Capitano, ci sto ancora prendendo la mano..” dice Booth ripartendo cautamente.

“Da quanto lavora qui capitano?” mi chiede lei. Non capisco il nesso, ma le rispondo ugualmente “Otto mesi, circa”

“Non ti sembra il caso di far guidare lui?” dice a bassa voce al suo collega.

“No, Bones, me la cavo benissimo!” replica lui sussurrando come lei.

Come possono credere che io non li senta?

“Si, ho visto, quasi ci ammazziamo!”

“Non è vero! E poi ci vuole solo un po’ di pratica”

“Non a mie spese però..”

Tossisco attirando l’attenzione. Credo sia meglio chiarire subito la questione.

Fermi ad un semaforo rosso, i due si voltano verso di me, proprio come poco fa.

“L’unica volta che ho guidato a destra ero in Australia e ho preso una rotonda al contrario, causando non pochi danni” Booth guarda la dottoressa sorridendo. Della serie ‘c’è chi è messo peggio di me’. Lei alza gli occhi al cielo e si rintana nel sedile.

Mentre ci dirigiamo a Warmwood Scrubs non posso non pensare a Benton e che forse in realtà non è del tutto privo di tatto.

Strani? Strani è dire poco.

 

Siamo appena usciti dalla prigione. Il nostro colloquio con Pierce non ha portato a niente. Booth e la Brennan lo avevano già incontrato, con Benton e Johns, e mi hanno confermato che si comportò così anche allora.

Quello che ho visto mi ha spiazzato. Un uomo totalmente terrorizzato che non riusciva a guardarmi nemmeno negli occhi. Ha tenuto lo sguardo basso, fisso sul tavolo, tutto il tempo. Booth ha tenuto una linea morbida. Gli ha fatto presente che tacere non ci aiuterà nelle indagini e che se vuole tornarsene a casa è necessaria la sua massima collaborazione. Ma Pierce si teneva le mani strette contro la testa come a proteggersi e continuava a dondolarsi avanti e indietro, rannicchiato, sulla sedia.

Non abbiamo ritenuto il caso di mostrargli le foto della vittima. Ma presto dovremmo farlo, anche solo per smuoverlo. Sono rimasto da solo con lui per cercare di tranquillizzarlo e impostare una linea di difesa. Spero proprio di non essere costretto a usare l’infermità mentale.

Risaliamo in macchina e questa volta mi aggrappo anche io. Ma sembra andare un pochino meglio, frenate brusche a parte. Torniamo al Metropolitan perché la dottoressa possa esaminare nuovamente il corpo. A quanto ho capito le hanno prestato una sala e delle apparecchiature.

In prigione ho visto l’agente Booth interrogare una guardia e gliene chiedo il motivo.

“Mi chiedevo se avesse fatto così per tutto il tempo, la guardia ha confermato che non dorme da quando è arrivato e non fa che tremare” mi risponde lui serio e concentrato sulla strada.

Registro l’informazione e, purtroppo, non riesco ad impedirmi di formulare un pensiero poco edificante per Pierce.

“Commettere un omicidio può averlo ridotto in quello stato..” ipotizza Booth, praticamente parlando al mio posto.

“Pensavo la stessa cosa. Non sono un medico, ma ho già sentito di casi del genere” rispondo. Booth volge il suo sguardo verso la dottoressa “Bones?”

Bones? Mi sono perso qualcosa?

Poi ricordo che gliel’ho sentito dire già un paio di volte ma senza darci troppo peso. Parlavano tra loro, ma adesso l’ha chiamata così di fronte a me. Dovrei forse chiedere spiegazioni?

“Un soggetto posto in condizione di stress improvviso e/o intenso può subire una grave alterazione delle proprie facoltà mentali ma questo non..”

“Uccidere una persona causa indubbiamente una condizione di stress intensa” ne deduce Booth

“Si, ma..” tenta di replicare lei

“ Il tenente Pierce potrebbe avere aggredito la vittima in preda ad un litigio e, una volta accortosi di quello che stava facendo, è entrato in stato di shock…” ipotizza Booth

“Ci risiamo..” sbuffa la Brennan

“E’ un’ipotesi realistica, purtroppo” affermo io “ma non conclusiva, agente Booth. Non lo dico solo in rappresentanza del mio cliente, mi creda. Non ci sono prove contro Pierce oltre al fatto che è stato beccato sulla scena del crimine”

Lei si volta versa di me, con il viso illuminato.

Che avrò mai detto di tanto speciale?

“Hai sentito? Le prove, Booth, I fatti, è solo questo che conta!” gli dice con enfasi.

Mi da l’impressione di essere un tema ricorrente tra loro.

Lui la guarda in tralice “Lo so Bones, non tralasceremo niente, la verità sarà rivelata, come piace a te, ma io devo fare ipotesi e usare..”

“non dire…”

“l’istinto!” dicono insieme mentre io dietro, non posso che sorridere.

“Odio quando lo dici, anche se hai ragione” dice lei, addolcendo il tono.

Ah, Mac, in quanto a battibecchi ci assomigliano di sicuro!

 

“Come fa a dire che si tratta di una donna?”

Siamo nel laboratorio del Metropolitan Police Service. A quanto pare Scotland Yard si è data parecchio da fare per esaudire le richieste della dottoressa Brennan. Due enormi display sono posti di fronte al tavolo dove è stata sistemata la vittima. Beh quello che ne rimane… avevo già visto dei cadaveri, un paio pure in un obitorio, ma mai una cosa del genere. Brandelli di carne penzolano ancora dalle ossa, è agghiacciante per me.

La dottoressa invece mi sembra completamente a suo agio. Immagino sia abituata, forse anche a scenari peggiori di questo. Maneggia con cura e delicatezza le ossa e mi spiega quello che è riuscita a scoprire ieri, quando ha eseguito un primo esame delle ossa, in presenza di Benton e Johns.

“Dalle dimensioni dell’osso pelvico, Capitano. E’ più piccolo rispetto alle dimensioni che avrebbe se la vittima fosse un uomo.”

Me ne sto in disparte. La dottoressa gira continuamente in torno al tavolo citando valori mai sentiti in vita mia. Mi consola il fatto che nemmeno il suo partner ci capisce niente di quei paroloni, ma non la disturba. Interagisce con un ragazzo, nel display, che traduce ogni parola della dottoressa rendendola comprensibile anche a noi due.

Mi avvicino a Booth cercando di guardare il meno possibile il tavolo.

La dottoressa non sembra contenta e lui se ne accorge “Lo so che non è bravo come Zack ma dovrai pur scegliere un altro assistente” le dice piano.

Mi volto a guardare lo schermo e il ragazzo non c’è più. Al suo posto c’è un uomo con i capelli corti e rossicci dall’aria simpatica che tenta di richiamare la nostra attenzione.

“Cos’hai trovato Jack?” chiede la Brennan

“Dai campioni che mi avete inviato ho trovato un’enorme quantità di peli” dice mostrandoci un piccolo vasetto.

“Peli umani?” chiedo, ipotizzando uno stupro

“Peli di razza canina, dalla quantità e dai diversi tipi di follicoli, direi che erano tre Dobermann veramente inferociti”

Decisamente non si tratta di stupro.

“Dobermann? Sei sicuro?” chiede la dottoressa

“Ti stupisci? Ne bastava uno per ridurla in quello stato, figuriamoci tre” le risponde Booth

“I dobermann sono cani assolutamente pacifici e socievoli. Molto affettuosi, attenti e coraggiosi” gli dice continuando a sistemare le ossa.

Già, spesso è l’uomo ad incattivirli e aizzarli contro le persone.

Un’ipotesi da tenere in considerazione…

Riflettendo non mi accorgo di stare fissando il tavolo da lavoro e stranamente, non mi sento male. Ho lo stomaco più forte di quel che credevo..

Non sono un esperto ma manca di sicuro qualcosa a questo scheletro.

“Dov’è finita la testa?” chiedo sorpreso. Ricordo perfettamente che nelle foto scattate sulla scena del crimine, la testa c’era, eccome!

“Ho spedito il teschio al mio laboratorio a Washington. In questo modo potremmo avere una ricostruzione molto fedele del volto. Jack, chiamami Angela, e fammi sapere se trovi insetti o spore”

Guardo molto sorpreso l’agente Booth.

Che ce ne facciamo di insetti e spore?

“Jack adora infilare le mani nella terra e sezionare larve” dice scherzando verso di me

“Amico, la mia è un’arte che non puoi capire” gli risponde l’uomo dallo schermo

La dottoressa li riporta alla serietà.

“Il dottor. Hodgins è il migliore entomologo forense esperto in spore, minerali e particolati. Grazie alla presenza di insetti e larve, sui resti umani, sarà in grado di stimare l’ora del decesso della nostra vittima” mi spiega paziente

“Esatto, baby!” dice il dottor. Hodgins alla Brennan. Lei gli regala un’occhiataccia e subito lui si ricompone “ehm..si, vado a chiamare Angela..” sparendo dalla nostra visuale.

Wow credevo fosse solo roba da film e invece si può fare davvero!

Fermi un attimo, ricapitoliamo.

Noi siamo a Londra con il corpo.

La testa è a Washington con il team della dottoressa.

Sono un tantino sconcertato. Le parti di questo corpo, già abbastanza dilaniato direi, sono addirittura in due continenti diversi?

Lo credo bene che Benton e Johns avessero avuto a che ridire. Non ho mai sentito una cosa del genere.

I miei due colleghi però, si comportano come se per loro la cosa fosse normale. Come se gli fosse capitato già altre volte. Beh, a me no però.

“E’ una cosa che fate spesso?” la dottoressa nemmeno si volta, impegnata nell’osservare lo scheletro.

“Cosa, Capitano?” mi chiede curioso Booth

“Separare il teschio, dal resto del corpo. Spedirlo per posta in un altro continente..” chiedo sicuro di me. Sicurezza che svanisce non appena lei si volta e mi trapassa da parte a parte con i suoi occhi di ghiaccio.

“Non volevo assolutamente offenderla dottoressa, so che lei è la migliore nel suo campo.  

N- Non intendevo giudicare la sua competenza..” mi affretto a scusarmi balbettando

“Bones, lascia, ci penso io” le dice Booth mettendole una mano sulla spalla “Non si preoccupi Capitano, le assicuro che è una procedura che usiamo di frequente e che non danneggia in nessun modo il teschio” ridacchia “Bones non lo permetterebbe mai! Inoltre abbiamo avuto l’autorizzazione dallo Yard..”

Capisco che sanno quello che fanno! Ok, mi fido.

Si, sento che posso stare tranquillo. Anche perché non posso fare altrimenti…

Mai fare arrabbiare la dottoressa Brennan. Devo appuntarmelo da qualche parte..

“Le mie scuse dottoressa Brennan” dico avvicinandomi a lei “Non sono solito a definirmi un novellino, ma direi che in questo campo lo sono!” sfodero il mio sorriso migliore. Mac cedeva sempre, quando litigavamo.

Mi fissa un attimo, poi abbozza anche lei un sorriso “Scuse accettate” mi dice.

“Wow, mi avete commossa!” dice una donna dai lunghi capelli neri, nel display.

“Angela…” dice la Brennan voltandosi

“Ehy, hai sentito Booth come ti ha difesa!” le dice gongolando

Booth sorride lusingato “Nessuno può offendere Bones in mia presenza!” esclama inforcando gli occhiali da sole in perfetto stile agente segreto.

La stanno prendendo in giro?

“Possiamo smetterla e concentrarci sul caso?” li riprende, appunto, lei.

“L’Angelator ha un volto per noi?” chiede Booth

Ok, passo. Non chiedo niente stavolta, non voglio nemmeno sapere che cosa diavolo è un’Angelator

“Utilizzando i marker che il tuo forse nuovo assistente mi ha fornito, e considerando l’altezza, il peso, la razza e un margine di errore del 10%, si può dire che ho un volto per voi” dice fiera girando la sua cartellina verso di noi.

La dottoressa fissa l’immagine nello schermo e poi le ossa.

“Una donna bianca, bionda, sul metro e settanta e di circa venticinque anni”

Continuo a restare sbalordito. Mai pensato che si potessero capire così tante cose dalle nostre ossa. E nemmeno ricrearne il volto..

Booth le dice di cercare il volto in questione nel database dell’FBI per un controllo.

“Mandaci la foto via fax e noi controlleremo in quello di Scotland Yard” le dice.

La dottoressa spegne lo schermo e si mette accanto al telefono in attesa della foto.

Angolo dell'autrice:

eccomi nuovamente, Bones da subito bella mostra delle sue capacità ed Harm si deve adeguare al loro metodo di lavoro.. arriveranno anche le mitiche battute fuori luogo di Bones, tranquille!! XD

buona lettura!!

Ivi87

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Capitolo 6
*** Confidences ***


# 5 - Confidences



Siamo in un locale poco lontano dal Met, il Boom Boom Café. Io e l’agente Booth sediamo l’uno di fronte all’altro ad un tavolo. La dottoressa Brennan è rimasta in laboratorio per degli altri test.

“Sarebbe stato più pratico discuterne nel mio appartamento, ma è ancora un campo di battaglia! Ho scatoloni sparsi ovunque!”.

Mi sorride lui, dicendo che non è un problema.

Guardo il posto, ha un che di famigliare. Il bancone, la vetrata, i colori…

“Tutto bene Capitano?”

“Eh? Si mi scusi. Questo posto mi ricorda un locale che frequentavo con i miei colleghi a Washington, il McMurphy.” Dico con un tono più malinconico di quello che vorrei

“Si, lo conosco, ci andiamo anche noi quando il Diner è chiuso” dice tranquillo sorseggiando la sua bevanda.

Mi viene da ridere. Non credo che Burke avesse veramente idea di quanto questa coppia ci somigli, in realtà.

Mi guarda accigliato.

“Noi andavamo al Diner quando era chiuso il McMurphy”

Distende il volto e mi sorride.

Viva le coincidenze della vita.

“Posso farle una domanda personale, Capitano?” chiede cauto

“Solo se leviamo di mezzo i gradi e il ‘lei’. Mi fa sentire vecchio!” rispondo sereno.

Continuo ad avere la netta sensazione che di lui mi posso fidare. Ed ora, wow una domanda personale… che vorrà mai sapere? Forse anche io gli ispiro fiducia.

“Ok. Solo Booth, allora”

“Solo Rabb! Avanti spara..” non sarà poi il domandone finale di Chi vuol essere milionario, no?

“Come mai sei qui da otto mesi e non hai ancora sistemato il tuo appartamento?” mi fissa e poi sorridendo prosegue “per la guida a destra ti capisco, a me non basterebbe un anno intero per imparare!”

Cavoli! Altro che domandone finale! Il mio spara era in senso figurativo, non letterale!

“Non sei uno che va per il sottile, eh?” bevo un sorsone d’acqua

“Mi dispiace, non volevo essere inopportuno” si scusa “E’ che si nota che c’è qualcosa che non va..”

Sospiro forte. Butto fuori aria. Sono stanco di tenermi tutto dentro.

“Il trasferimento è stato inaspettato e non sono riuscito a sistemare come avrei voluto certe questioni, prima di partire. Non mi sento a casa qui, perciò non ho ancora avuto la forza di ufficializzare la cosa, disfando i bagagli” resto sul vago, sento già una fitta la petto solo a pensarci. Solo con Mac mi sento a casa, ma questo amico, non te lo posso di certo dire.

“E’ per la tua partner? Immagino che un distacco del genere sia destabilizzante dopo anni di lavoro in coppia” tenta lui, non sapendo di aver centrato in pieno il bersaglio.

Cos’è un mago?

Ce l’ho scritto in fronte?

Non ho minimamente accennato a Mac, come ha fatto capire?

Un dubbio mi sfiora. Non è che niente niente… lui e –come l’ha chiamata?- Bones ci assomigliano anche in questo? E’ per questo che mia ha capito al volo, forse anche lui ha pensato alla possibilità di perdere, in qualche modo, la sua partner?

“Ma come fai a sapere che avevo una partner?” chiedo curioso; siamo davvero così famosi?

“Ho sentito parlare di voi al Bureau. Il mio capo Cullen, conosceva il vostro ammiraglio Cheggwidden…” mi spiega evasivo

Diciamo che la storiella degli avvocati pistoleri si è sparsa in lungo e in largo.

Allora che fai Rabb, vuoti il sacco?

Un pochino..

“Si può dire che in dieci anni, la nostra partnership si è evoluta e da colleghi siamo diventati amici. Molto amici, fino a non capire se, alla fine, eravamo solo quello” vai così, una risposta diplomatica e non troppo specifica. Normale amministrazione per le persone che si frequentano per un decennio.

Ma lui mi guarda come uno che la sa lunga e…si, direi che non l’ha bevuta.

“Non ti roderesti il fegato così tanto se non sapessi con esattezza quello che provi per lei. Insomma, se una cosa non la sai, non la sai e non ci puoi fare niente! Ma quando la sai…ti rode il fegato! Soprattutto se non va come vorresti!” mi dice come se fosse una teoria elementare

In effetti… sembrava straparlare ma, dopotutto, ha un senso.

Ok, qui rischio grosso, è meglio riprendere il coltello dalla parte del manico. SUBITO!

“E Bones?” perplesso Booth blocca il bicchiere a mezz’aria.

Ah-ah! Beccato!

Non ti aspettavi che rilanciassi eh? So sparare anch’io, bello…

“Bones cosa?” fingendo di non capire

“Innanzi tutto perché quella poveretta ha un soprannome del genere? Che t’ha fatto di male?” chiedo ridendo. L’ho proprio messo in imbarazzo.

“Cosa? Niente, non mi ha fatto proprio niente. Che ha che non va? Studia le ossa no? Mi sembra un collegamento semplice!”

“I suoi colleghi nel display pero non la chiamavano così…” dico tagliente

“Beh, è una cosa solo mia, immagino risponde fissando il bicchiere.

Chissà se si è accorto del modo in cui ha detto ‘mia’. Sussurrandolo appena.

 

Si sta facendo tardi. Sento i morsi della fame. Spero che la dottoressa si sbrighi con quei test. Ma eccola che entra con dei fogli in mano.

Si siede accanto a Booth e ci mostra la foto della ragazza realizzata grazie a quell’apparecchio che hanno nominato prima.

“E i tuoi test?” chiede lui sbirciando le sue carte

“Ho ripulito le ossa come potevo, non avendo le strutture adeguate, ma i segni dei morsi sulle ossa sono evidenti. E’ stata letteralmente sbranata!”

Ci guardiamo un attimo tutti e tre. Che storia raccapricciante!

Ci dice inoltre che il database non ha fornito ancora alcun risultato, perciò, per adesso, accantoniamo il lavoro e ordiniamo la cena.

Un’insalatina insipida va più che bene. Questo caso mi farebbe diventare vegetariano al volo, se già non lo fossi.

Ordiniamo e in poco tempo la cameriera ci porta le pietanze.

Sono così stanco. Sento improvvisamente il peso delle ore insonni e sbuffo senza accorgermene. Mi guardano accigliati.

“Scusate, sono a pezzi. Non dormo da una vita” confesso lasciando stare l’insalata.

“Il nuovo incarico sarà stressante” dice Booth con un sorrisino sghembo. Ovviamente non si sta riferendo veramente all’incarico, “ti serve solo una vacanza..”

“Non è il momento migliore, no?” dico riferendomi al nostro caso. Ma lui continua a fissarmi. Nonostante cerchi di cambiare argomento continua a fare allusioni su me e Mac.

Cosa sei, un segugio?

“Ha provato con il sesso?”

La mia mascella si schianta sul tavolo. E pure quella di Booth, che ora fissa la dottoressa allucinato.

“Perché mi guardate così? Con l’atto sessuale si genera un consistente rilascio di endorfine che provocano rilassatezza e sonnolenza. E’ un dato scientifico!” dice alzando gli occhi al cielo

“Perché tutti si imbarazzano a parlare di sesso?” si chiede, riprendendo a mangiare

“Bones, il tatto!! Non puoi fare una domanda del genere una persona che conosci da mezza giornata. Anche questo è un dato scientifico!” la incalza Booth

“Non è vero…” protesta lei ma Booth la interrompe e si rivolge a me questa volta

“Ti chiedo scusa, lei parla sempre così..” scuoto la testa e sto per dire che non c’è problema, quando questa volta è lei ad interrompere me.

“Credevo di essere migliorata! Avevi detto che ero migliorata Booth!” fissandolo preoccupata

“Infatti sei migliorata!” ammise lui.

“Davvero?” chiese la dottoressa rincuorata

“Certo! Tre anni fa gli avresti chiesto SE aveva qualcuno con cui fare sesso per rilassarsi, non semplicemente di fare sesso…e anzi, avresti anche infierito sull’importanza di avere un partner con cui praticare questo bisogno fisiologico e antropologico e via dicendo…” Concluse Booth gesticolando in aria.

Sto assistendo alle comiche…

“In effetti avrei potuto chiederglielo..” dice la Brennan guardandomi

Non pensi nemmeno per un secondo, di chiedermi se ho qualcuno con cui fare sesso!

La risposta è no. E quasi non mi ricordo come si fa…

Ma ti assicuro che, quando penso a te, Mac, mi torna tutto in mente!

“Visto, sei migliorata!” conclude lui riprendendo a mangiare.

Torno anche io sulla mia insalata e mi dico che se la finisco alla svelta, poi me ne potrò tornare a casa fra i miei scatoloni, lontano dalle domande troppo dirette.


ANGOLO DELL'AUTRICE :

eccoci nuovamente alle prese con questo caso spinoso!! Harm e Booth diventeranno amici?? A voi scoprirlo!!! 

Spero che Bones sia descritta bene, ora è decisamente migliorata ma quando ho scritto questa ff stava passando ancora la quarta serie...

un bacione a tutti e lasciate anche un microscopico commento se vi va ;-)

Ivi87

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Capitolo 7
*** Instinct ***


# 6 – Instinct

 

Riattacco il telefono soddisfatto. Mi piacciono proprio quei due!

Booth mi ha appena informato che dal database dello Yard è saltato fuori un nome.

Stanno venendo qui al Jag con i risultati. Finalmente avrò qualcosa da dire a Benton e Johns, infatti, anche se non seguono più il caso, sono molto interessati al suo sviluppo. Li ho proprio giudicati male! Ma non ci stavo con la testa e nemmeno adesso sto granché meglio, ma almeno questa notte sono riuscito a dormire abbastanza tranquillamente. Il pensiero di Booth e la Brennan che bisticciavano mi ha davvero rallegrato e, per una volta, non mi ha fatto pensare a me e Mac con tristezza, ma con una dolce malinconia che mi ha accompagnato dal dormiveglia al sonno profondo.

La Stevens bussa alla porta entrando con una tazza di caffè in mano.

Me la porge e mi riferisce delle telefonate di ieri pomeriggio, quando ero fuori per l’indagine.

Mi sorride gentile e se ne torna alla sua scrivania.

Ok. Time out. E’ vero che ho finalmente riposato, ma siamo sicuri che non sto ancora sognando?

Questa è la prima volta che mi porta il caffè senza che io glielo chieda espressamente! Non mi ha nemmeno guardato di sottecchi con il tipico sguardo odio il mio capo e, ora che presto più attenzione, non sento nemmeno le consuete risatine a cui ormai mi stavo abituando. Allora è vero, sto proprio sognando.

Mi alzo e faccio un giro degli uffici. Chiedo informazioni ad un ufficiale, mi informi sugli sviluppi dei casi più importanti…chiedo pure al sottufficiale Taylor come va la gravidanza, e di solito non lo faccio perché mi ricorda Harriet e i bambini.

Ognuno di loro è stato gentile e rispettoso. E soprattutto sorridevano calorosamente, come quando ringrazi di cuore qualcuno.

La cosa diventa ancora più strana ma mi fa piacere, almeno finchè dura questa tregua. Torno verso il mio ufficio e vedo Benton e Johns che si preparano per dibattere il caso Thorp in aula. Mi fanno il saluto per rispetto al mio grado e si avviano all’ascensore. Io rimango lì a guardarli andare via e comincio a capire. Devono avere detto a tutto l’ufficio della pessima figura che ho fatto fare al Segretario. E a quanto pare ne sono tutti contenti. Allora non è tutta colpa mia. Il clima freddo e ostile si era già creato in precedenza a causa del loro ex superiore, che lasciava i suoi uomini in mano al SecNav. Entro nel mio ufficio sorridendo, pensando a quante volte l’Ammiraglio Cheggwidden si scontrava con il SecNav prendendo sempre le nostre difese. Sant’uomo!

Mi siedo e la foto che troneggia sulla mia scrivania mi fissa. E’ lei, o meglio, siamo noi.

La stessa foto che avevo fatto ingrandire per regalargliela a Natale di due anni fa. Eravamo in Afghanistan e, nonostante le pessime circostanze in cui ci trovavamo, eravamo sereni e soprattutto amici.

Teoricamente lo siamo ancora. Amici, intendo. Sereni direi proprio di no, almeno io.

Per il primo mese di lontananza ci siamo sentiti quasi giornalmente, telefonate, mail… E poi pian piano è come se per un tacito accordo avessimo smesso. Faceva troppo male. Ma adesso? Non fa forse male?

Lo sai che lo devi fare! ALZA – QUELLA – CORNETTA ! ! !

Sii uomo, per la miseria! Mi dice la mia odiosissima vocina interiore.

Ma come faccio? E cosa le dico dopo sette mesi? Ehi, Mac. Come ti va?

No. Impossibile. Ma la mia mano è sul telefono e sta componendo il numero…

Oddio ma che sto facendo? Il mio cuore sembra allenarsi alla maratona di New York..

Primo squillo.

Ciao Mac, come stai, avevo voglia di sentirti. Ecco, posso cominciare così.

Secondo squillo.

Ma che ore sono a San Diego? Non ho fatto il calcolo…

“Signore, L’agente Booth e la Dottoressa Brennan sono arrivati” mi dice il tenente Stevens, sulla porta.

Riattacco bruscamente.

Non mi ero nemmeno accorto che avesse bussato. Mi sfrego il viso e mi do dello stupido imbecille. Perché no, anche cretino ci sta bene.

“Li faccia accomodare” rispondo cercando di riacquistare un po’ di lucidità.

 

“Il suo nome era Tina Forrest” esclama Booth una volta seduto.

Mi passano i fogli con tutti i suoi dati, e c’è anche una foto. Impressionante, è quasi identica al viso ricreato olograficamente dal team della dottoressa.

“L’ impronta dentale ci ha permesso l’identificazione del corpo” mi spiega lei.

“Perciò abbiamo una ragazza bianca, di ventiquattro anni studentessa di Oxford.”

Chissà se lei e Pierce si conoscevano? O se lui si è imbattuto nel suo corpo per caso, passeggiando al parco..

“Posso tenerlo? Vorrei andare a parlare ancora con Pierce” chiedo indicando i fogli.

Bisogna che capisca se e quanto centra il tenente in questa storia. Altrimenti come lo difendo?

“Ma certo, e noi andremo a fare una visitina alla famiglia della ragazza”

Ci alziamo tutti e tre. Ci diamo appuntamento per pranzo nello stesso posto di ieri sera, per i ragguagli.

 

 

Cammino in direzione del Boom Boom Cafè. Ho chiesto al tassista di lasciarmi un po’ più indietro. Mi va di camminare.

Devo schiarire le idee, l’incontro con Pierce mi ha segnato non poco.

L’ho trovato in uno stato pietoso, molto peggio di ieri. Tremava e piangeva.

Ho cercato di essere il più gentile possibile spiegando la situazione in cui si trovava.

Rannicchiato sulla sedia, nella stanza dei colloqui, il tenente mi fissava.

I suoi occhi non erano vuoti però. Capiva quello che gli dicevo, ne sono sicuro.

Occhi spaventati. Occhi atterriti. Occhi che sapevano.

E’ stato in quel momento che ho capito.

Quegli occhi avevano visto tutto. Quelli erano gli occhi di un uomo che aveva visto un omicidio, non quelli di chi l’aveva commesso.

Come spiegarlo a Booth e alla Brennan però? Il mio istinto mi dice che l’uomo che ho davanti è una vittima tanto quanto la povera Forrest. Ma come provarlo?

“Perché si trovava accanto al corpo, tenente?” ho provato a chiedere senza ottenere risposta. “Robert?” riprovo, mettendo da parte gradi e formalismi.

Lui continua a fissarmi come a voler farmi leggere tutto attraverso i suoi occhi. Ma il velo delle lacrime mi impedisce di leggervi alcunché. Se non che è innocente.

“Conoscevi Tina Forrest?” chiedo mostrando la foto che correda il fascicolo che mi ha lasciato Booth.

La sua reazione a quel nome però mi spiazza. Piange e grida forte, i singulti lo fanno tremare e cadere dalla sedia. Chiamo subito le guardie che lo riportano nella sua cella. Una di esse prima gli somministra un tranquillante.

Si, conosceva Tina Forrest.

 

Sono arrivato, entro nel locale e li cerco con lo sguardo.

Sono seduti l’uno di fronte all’altra, impegnati in una conversazione.

Mi fermo un attimo a guardarli. Stanno bene insieme. Esteticamente parlando. Sono armoniosi. Davvero una bella coppia.

Per il resto… mah, credo di avere colto qualcosa di più di una semplice partnership lavorativa nel loro comportamento. Ma non saprei affermarlo con certezza. La dottoressa Brennan dev’essere una donna abbastanza complicata e credo che Booth – se veramente interessato, ma mi pare proprio di si – dovrà sudare le famose sette camice per cavarci fuori qualcosa…

Ma è meglio che io stia zitto. In fin dei conti una soluzione per noi, Mac, la si poteva anche trovare e invece ho mandato tutto all’aria!

Booth alza lo sguardo e mi vede. Mi fa cenno di raggiungerli.

Mi siedo accanto alla dottoressa e ordiniamo.

Nell’attesa chiedo com’è andata con la famiglia della ragazza.

“Non la vedevano dal giorno prima del delitto, ma non avevano ancora denunciato la scomparsa, poiché viveva da sola e studiava medicina..” comincia Booth

“Orari massacranti, a volte nemmeno tornava a casa e rimaneva in biblioteca a studiare, perciò hanno considerato normale non trovarla a casa” prosegue lei

“E immagino che durante lo studio tenesse il cellulare spento” concludo io.

I due annuiscono e Booth torna a parlare “Non sapevano molto delle sue amicizie, tutti studenti come lei, ma non conoscevano nessuno in particolare”

“Però lei aveva appena cominciato una relazione con un ufficiale di marina e secondo i genitori lei era molto coinvolta, un certo Robert” dice la dottoressa.

“Il tenente Pierce. Quando gli ho detto il nome della ragazza ha dato di matto, perciò ho intuito che non si è trovato accanto al corpo per caso, ma che si conoscevano”

“Ha detto altro?” mi chiede Booth.

Si, i suoi occhi mi hanno detto tantissimo.

“No. Nient’altro…” dico invece

Lui mi guarda, mi scruta. Non mi molla un secondo.

“Non mi credi?” gli chiedo sorpreso

Non risponde. Seguita a fissarmi con lo sguardo tipico di chi sa che non gli stai dicendo tutto.

“Booth ci sa fare con le persone, le capisce al volo” mi spiega la Brennan sorridendo

“Si, me ne sono accorto!” le restituisco un sorriso, riferendomi soprattutto sulla conversazione della sera precedente

Lei mi guarda perplessa, lui invece capisce e mi accenna un sorriso.

“Tecnicamente non ha detto altro ma… i suoi occhi… quell’uomo non è un assassino!”

Lei sbuffa “E così capitano anche lei è dotato di un istinto spiccato!” dice arrendendosi all’evidenza.

Sempre avuto! E ne vado molto fiero!

“Dai Bones, ce l’hai anche tu” la rassicura Booth prendendole una mano “Da qualche parte…” lasciandola prontamente, non’appena vede che me ne sono accorto.

“Io mi baso solo sui fatti e sulle prove empiriche, lo sai. Per l’istinto… mi fido del tuo! E a quanto pare anche del suo, Capitano, visto che concordano” risponde guardandoci entrambi.

“Ah, si?” chiedo in modo vagamente sarcastico. Ormai credo sia chiaro a tutti e tre che io e Booth siamo molto in sintonia.

“Siamo stati nell’alloggio della Forrest, al campus di Oxford” mi spiega lui.

La dottoressa da voce alle sue parole mostrandomi il contenuto della busta sul tavolo, accanto a lei.

“Ho trovato vari capelli sul copriletto, insieme a tracce di dna” mostrandomi dei contenitori, quelli tipici della scientifica. “Appena li avrò fatti analizzare vi saprò dire se solo il tenente Pierce frequentava l’alloggio”

“E c’erano queste…” mi dice Booth mostrandomi delle fotografie imbustate nella plastica. Foto dei due ragazzi, la Torres e Pierce. Anzi no, Tina e Robert.

Ci sono loro in queste foto e… beh, si. Sembrano davvero coinvolti. Innamorati.

Chiunque guardando queste foto capirebbe che Pierce non la sfiorerebbe se non con un fiore.

E non perché sono belli e sorridenti. Spesso dietro una persona apparentemente felice e sorridente si cela uno spietato assassino. Troppe volte mi è capitato. Solo una persona che sa cos’è l’amore, che l’ha provato, può capire. Solo una persona che ama può riconoscere l’amore negli occhi di questi ragazzi. Ecco cosa c’era negli occhi di Pierce. Ecco cosa c’è negli occhi di Booth. E da come mi guarda credo che lui veda la stessa cosa nei miei.

Angolo dell'autrice:

ciao a tutti jag/bones fan!!! ecco il sesto capitoloooo!! che dite riuscirà Harm a chiamare Mac??

alla prossima, manca poco alla fine!!! XD

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Capitolo 8
*** The Roommate ***


# 7 – The Roommate

 

Siamo nei corridoi del Metropolitan Police Service. Abbiamo appena fatto rapporto al Comandante Burke e sembra soddisfatto del nostro lavoro.

Il suo sorrisino mi fa intuire che è contento di averci affidato quest’indagine.

“Ho delle novità” esordisce infine “il tenente Malcolm Crane si è precipitato nel mio ufficio questa mattina in preda alla disperazione”

“L’ha aggredita, signore?” chiede Booth

“No, no, era solo sconvolto…” si passa una mano fra i capelli “vedete, il tenente Crane è tornato stamattina da una missione in Afghanistan, apprendendo solo ora dell’accusa di omicidio di Pierce…” spiegò Burke.

“Si conoscevano bene?” chiede la dottoressa

“Molto bene, direi, se ha reagito così…” ne deduco, io.

Burke ci scruta uno a uno “Sono compagni di stanza…e migliori amici…”

Ci guardiamo tutti, comprensivi.

Torni da una missione in cui corri il rischio di perdere la vita e scopri che il tuo migliore amico, l’unico che ti capisce veramente, è accusato di omicidio.

Farebbe saltare i nervi a chiunque!

“Vi avverto che non sarà un interrogatorio facile, il tenente ha un diavolo per capello!”

Appunto.

 

Il tenente Crane è nella stanza degli interrogatori da ormai tre ore. È nervoso e vuole delle risposte. Noi siamo dietro il vetro ad osservarlo.

Si mette le mani nei capelli, tamburella con le dita, si alza e si siede continuamente.

E’ chiaramente provato e spaventato. Impossibile non vederlo.

Controllo i miei due colleghi. Booth la pensa come me, ne sono certo.

La dottoressa…beh, con lei è tutto più difficile.

Non gli toglie gli occhi di dosso e pare che stia eseguendo una radiografia completa solo con lo sguardo.

“Sei pronto?” mi chiede Booth

“Sono pronto”. La dottoressa ci guarda uscire, poi torna a fissare il tenente da dietro il vetro.

 

Entriamo nella stanza, nemmeno il tempo di chiudere la porta che il ragazzo ci inveisce contro.

“Come diavolo potete pensare che Robert abbia potuto fare una cosa del genere!!”

“Tenente si sieda immediatamente o sarò costretto ad ammanettarla!” gli intima Booth

Il tenente si siede, ma non cambia atteggiamento.

“Sono il capitano Rabb” intervengo “e sono qui per fare il possibile per scagionare il tenete Pierce” ottengo l’effetto di calmarlo un poco.

“Tenente, vogliamo la verità, come lei, per questo ci deve aiutare” esclama Booth.

Fargli credere che siamo dalla parte di Pierce e che non lo riteniamo colpevole è la strada giusta, il tenente si ammorbidisce domanda dopo domanda.

“Conosceva la signorina Tina Forrest?”

“Si, era la ragazza di Robert, del tenente Pierce…me l’ha presentata circa due mesi fa. Era simpatica…” fissando il tavolo “come è…”

“Tina è stata…divorata da dei Doberman” dice piano Booth guardandolo negli occhi.

E lo guardo anche io. Quegli occhi si velano subito di lacrime e di disgusto.

“Com’ era il loro rapporto? Andavano d’accordo?” chiedo cercando di spostare l’attenzione del tenente.

“Si amavano, capitano”

“Mai nessun litigio? Qualche bisticcio?” prova Booth

“Tina studiava quasi ventiquattr’ore al giorno e Robert era spesso in missione. Le assicuro che quando riuscivano a vedersi non pensavano certo a litigare…”

Sicuramente si dedicavano ad altre attività, logico.

“Va bene, Malcolm, pensaci bene: Robert non si è mai lamentato di questa situazione? Non ha mai preteso di più di qualche incontro fugace?”

“Robert diceva sempre che erano giovani e che per adesso andava bene così. Era fiero degli studi di Tina, la aiutava…”

“A studiare?” chiedo. Il tenente mi guarda perplesso.

“Cosa? No, no, Robert non ci capiva niente di tutte quelle formule mediche” ridendo al pensiero, poi ritorna serio “la aiutava economicamente, la facoltà di medicina è molta cara”

Io e Booth ci guardiamo. I soldi sono sempre un buon movente per… beh, per tutto.

 

Entriamo a passo di carica nell’ufficio assegnato a Booth. Lui si getta sul telefono. La dottoressa si siede di fronte alla scrivania e afferra il cellulare.

Mentre parlano io comincio a tirare un po’ le somme. Pierce sosteneva economicamente la sua ragazza. Non avrà potuto fare granché, ma vivendo nella base non doveva preoccuparsi di vitto e alloggio, perciò qualcosa sicuramente riusciva a racimolare.

E la famiglia di Tina? Non l’aiutava? Il tenente Pierce potrebbe essersi indebitato con gente poco raccomandabile?

“Il dna, e i capelli trovati nell’alloggio di Tina Forrest appartengono solo al tenente Pierce” dice la dottoressa riponendo il cellulare in tasca.

Niente di nuovo. Ma almeno possiamo escludere il delitto passionale.

Con uno sguardo ci intendiamo e aspettiamo che anche Booth riattacchi.

“Tina Forrest ha saltato l’ultima retta dell’università” dice unendo le mani sulla scrivania “a breve avremo i resoconti dei suoi movimenti bancari”

“A quanto pare l’aiuto di Pierce non era sufficiente” ne deduce la dottoressa

“Già, non è molto alta la paga di un tenente della marina, pur vivendo nella base e quindi non avendo un appartamento da mantenere, non poteva darle molto..” spiego annuendo.

“In tutto questo mi chiedo: come mai, questa mattina, la famiglia di Tina non ci ha parlato dei problemi economici della figlia?” chiede allusivo Booth.

“Torniamo a parlare con loro e lo sapremo” conclude la Brennan.

Un cellulare squilla. È il mio turno di rispondere al telefono.

Riattacco e finalmente ho delle buone notizie.

“Era la prigione, pare che Pierce si sia calmato e abbia cominciato a ragionare”  esclamo con enfasi.

“Grande. Domani noi torneremo dalla famiglia Forrest e lei dal tenente Pierce e speriamo di trovare qualcosa di utile!” dice un po’ seccato.

“Nemmeno io vado pazzo per queste situazioni di stallo…”

“Mentre aspettiamo di esaminare i resoconti bancari cosa facciamo?” chiede lei impaziente.

Il viso di Booth si apre in un sorriso… “Beh, Bones…”

Lo sguardo consapevole di lei mi fa intuire che ha già capito dove vuole arrivare.

“…si deve pur mangiare…” dice infine alzandosi.

“Lo immaginavo!” risponde la dottoressa.

Si alza a sua volta e lo segue. Io mi accodo in silenzio.

“Perché lo hai chiesto allora?”

“Speravo che per una volta mettessi il tuo stomaco da parte” superandolo indispettita

“Lavoro meglio a stomaco pieno…Bones…aspettaci!”

 

Il battibecco è durato lungo tutti i corridoi del Met, l’ascensore e la hall del palazzo. Poi in strada si sono accorti di me. Booth accenna un sorriso di scuse mentre la dottoressa è già alla macchina.

Mentre Booth fa scattare le portiere io tolgo il volantino infilato sotto i nostri tergicristalli.

“Ehi guardate, hanno aperto un karaoke bar, potremmo farci un panino qui?”  e indico il foglio giallo.

“NO!!” rispondono entrambi, all’unisono.

Ok che non tutti amano la musica ma una reazione del genere non me l’aspettavo!-

“Non…non si deve per forza cantare…” certa gente è proprio stonata o si imbarazza a cantare in pubblico, lo posso capire… e comunque era solo un posto come un altro per mangiare velocemente e tornare in ufficio.

La dottoressa non mi risponde, sale in macchina pallidissima, sbattendo la portiera. L’agente Booth fissa per un secondo la portiera poi torna a rivolgermi lo sguardo “Scusaci… è meglio lasciare stare… mangeremo nel nostro albergo…va bene se ti riporto al Jag?”

Fermi un attimo. Si stanno sbarazzando di me? La cosa mi puzza, lui l’ha capito ma non vuole domande. Ce l’ha scritto in faccia.

“Certo, va benissimo” tanto il segretario vorrà un rapporto dettagliato sull’indagine.

Vorrà dire che il panino me lo mangerò in ufficio. 

 

 

Angolo dell’autrice:

eccoci col settimo capitolo!!! ne mancano solo due!!!!

ho introdotto il karaoke per ricollegare la sparatoria a Booth alla fine della terza serie, spero sia uscito un bel capitolo!!

bacioni a tutte e mille grazie a chi lascia un commento!!! XD

Ivi87

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Capitolo 9
*** Revelations ***


# 8 – Revelations

 

Tra pochi minuti una guardia mi porterà il tenente Pierce per un nuovo colloquio. Sono ottimista: hanno detto che ha cominciato a parlare, mi sembra già un ottimo passo avanti.

Forse l’unico se dai Forrest Booth e la Brennan non trovassero niente.

Ieri sera, mentre chattavo con Mattie, sono arrivati i resoconti sui movimenti bancari di Tina e Booth mi ha subito informato. Io invece ho inoltrato al segretario della marina la stessa richiesta, ma per il conto di Pierce e poter così eseguire una verifica incrociata dei due conti.

Sento la cella aprirsi. La guardia lo tiene per un braccio e lo scorta fino alla sedia di fronte a me. Poi l’agente esce e si piazza dietro la porta.

Lo sguardo di Pierce è totalmente differente dall’ultimo nostro incontro.

Non c’è più niente in quegli occhi. Sono rassegnati.

“Tenente, si ricorda di me? Sono il Capitano Rabb” chiedo gentile

Pierce annuisce senza guardarmi.

“E’ necessario che lei mi dica come sono andate le cose”

Alza lo sguardo e lo punta nel mio. Gli occhi sono pieni di lacrime.

“Non tiri mai più fuori quelle foto” mi dice con un soffio di voce scoppiando a piangere.

Ora mi sento in colpa, ma dovevo farlo! So che dovevo.

“Mi dispiace per la sua perdita, tenente”

“Non l’ho persa, resterà qui per sempre” gettandosi con forza una mano sul petto.

Io ti capisco, ti capisco davvero, sono anche stato al tuo posto, ma tu mi devi parlare!

“Certamente…” lo assecondo “sappiamo che la aiutavi a pagarsi l’università, un gesto molto galante. Non tutti lo farebbero” attacco infine.

Ma non sortisco nessun effetto.

“I genitori di Tina non l’aiutavano?”

Una smorfia di disprezzo segna il suo volto per pochi secondi.

“No? Tenente?” lo sprono

“Quelli non si sarebbero accorti della situazione economica di Tina nemmeno se fosse andata in giro vestita di stracci. Vivevano nell’illusione di avere una figlia chirurgo che li rendesse orgogliosi, non si disturbavano a chiedere se le servisse una mano” dice pacatamente, dandomi l’impressione di essere assente. Spento.

“Tina non chiedeva niente?”

“Era troppo orgogliosa, voleva fare da sola e non pesare su di loro”

“Però da te ha accettato dei soldi…”

Mi interrompe subito però, con una smorfia “L’ho dovuta costringere…”

Booth ieri sera mi ha detto che le ultime due rate della retta risultano pagate in ritardo perciò è qui che interviene Pierce e risana il debito.

“Le sarà costato molto…” estraggo un foglio dalla mia cartellina “ha fatto molti spostamenti…” mostrandogli i suoi movimenti bancari.

“Non era un peso per me, vivo alla base…vivevo…” intristendosi, se possibile, ancora di più

“E bastavano i tuoi risparmi?” alza gli occhi spaventato come se avessi toccato un nervo scoperto.

Colpito.

“Tenente? Ha dovuto cercare i soldi da qualche altra parte?”

Inutile. Non risponde più a nessuna domanda. È chiaramente terrorizzato da qualcosa.

O da qualcuno.

“Ha chiesto soldi a qualcuno? Tenente lo faccia per Tina!”

E affondato.

Booth è bravo con le persone? Beh se fosse qui concorderebbe con me solo guardando lo sguardo che ha assunto ora. Non sono più occhi vuoti. Sono pieni di terrore, ora.

Un tipo di terrore molto comune, purtroppo.

Il terrore delle persone che finiscono in mano agli strozzini.

 

Mi siedo al nostro tavolo, al Boom Boom Cafè. Il mio tentativo di variare locale è stato snobbato, ieri sera, ma non mi do per vinto.

Non si era nemmeno ancora seduto che già aveva attaccato a parlare di lavoro.

Non crederai che me ne sia dimenticato vero?

E per tutto il pasto Booth ha sviato il mio sguardo.

Sorseggia un po’ d’acqua e poi riparte con la descrizione della loro mattinata.

“Dicevo? Ah si, perciò capisci? Non solo non avevano la minima idea di che guai passasse la figlia, ma non si sono neppure insospettiti quando un uomo, uno sconosciuto, ha bussato alla loro porta chiedendo di Tina”

“Abbastanza ingenui direi..”

“e stando a quello che ti ha detto- o meglio non detto- Pierce, era sicuramente lo strozzino” prosegue nervosamente.

“Ha lasciato un avvertimento a Tina: paga o ci va di mezzo la tua famiglia!”

“E la loro auto…” risponde distrattamente.

“Come?” che c’entra l’auto?

“Il mese scorso i genitori di Tina hanno dovuto comprare un auto nuova perché quella che avevano è stata distrutta a colpi di mazza da Baseball!” mi informa Booth

“E non hanno sospettato niente?” chiedo basito

“No, credono sia opera di qualche vandalo del quartiere…”

Entrambi scuotiamo la testa.

“Grazie al cielo una cosa, però, l’hanno notata” mi guarda trionfante “il nostro uomo è claudicante!”

Però, niente male… quanti mai saranno gli strozzini che zoppicano a Londra?

Booth mi vede pensieroso “è un disturbo della deambulazione che porta a zoppicare” sottolinea

Rido “Avevo capito, stavo solo pensando che non ci saranno molti strozzini claudicanti a Londra”

Ora è imbarazzato “Oh, scusa, io… è che Bones l’aveva puntualizzato, allora…”

“A proposito, dov’è la dottoressa?” chiedo incuriosito.

“Sta controllando con gli squints i registri di ospedali e farmacie. Dice che una persona claudicante ha bisogno di molti controlli e di dosi massicce di Vicodin..”

Annuisco “Certo, chiaro. Che è successo ieri sera?” domando tutto d’un fiato sperando di coglierlo di sorpresa.

Ecco che fa lo sguardo da ebete. Mio caro, sono anni che nego i miei sentimenti, sono un esperto ormai…

“Cosa? Non capisco…” tergiversa lui

Ok… “Ieri sera, tu che volevi cenare, io che propongo il karaoke, voi che date di matto…” così hai capito?

“Noi.. no, noi non abbiamo dato di matto, non ci andava e basta…” risponde sempre più nervoso.

“A me siete sembrati parecchio agitati” aspetto inutilmente altre risposte “Booth?”

Lui prende un grosso respiro. Il suo volto ora è serio “Mi hanno sparato in un karaoke bar, l’hanno scorso, ho dovuto fingere la mia morte per motivi di sicurezza nazionale e Bones non l’ha presa affatto bene… diciamo che non è un posto che amiamo troppo…”

È ufficiale: mi sento in colpa.

“Io…mi dispiace, non dovevo insistere…”

Per un po’ non parliamo, così ho il tempo di riflettere sulle sue parole.

Si è dovuto fingere morto. Però, credevo succedesse solo da noi al Jag…

Immagino non sarà stata una passeggiata per la sua collega; non voglio nemmeno pensare a cosa farei io, se ti credessi morta, Mac.

Un brivido mi percorre la schiena e scuoto la testa per cancellarne il pensiero.

Mi manchi. Da morire. Ma almeno so che stai bene. Mattie mi ha raccontato che prendi anche qualche lezione di surf… mi piacerebbe tanto vederti!

“Hai detto che tu e la tua collega siete stati partners per dieci anni giusto?” mi chiede interrompendo l’immagine di te in muta aderente su una tavola, fra le onde.

“Già, circa…” lo osservo attento.

“Immagino che sarete diventati amici…”

“Beh, si. Mac è senza dubbio la mia migliore amica”   

“Una persona con cui riesci a confidarti e a dire cose che ad altri non riusciresti mai a dire?”

Credo di avere capito il punto…

“Se c’è qualcosa che vuoi sapere, chiedi e basta” dico sorridendo.

Abbozza anche lui un sorriso “Voi due siete… si , insomma…” alludendo con gli occhi.

“Si e no, direi” più onesto di così non potrei essere

“Di solito è o si o no” puntualizza lui

“Se rivolgessi la stessa domanda a te, in tutta onestà, non risponderesti la stessa cosa?” mi guarda come se l’avessi colto in fallo.

“Si vede che anche voi… beh per lo meno tu, confesso che la dottoressa mi risulta difficile da decifrare..” ammetto ridendo

“Non sei riuscito a risolvere la vostra situazione vero? È per questo che non sei felice?”

“Platonicamente, è stata la miglior relazione che abbia mai avuto. In realtà… un completo disastro” scuoto la testa desolato “Ed è quasi tutta colpa mia…”

“Devi chiamarla, Harm” mi dice usando il mio nome per la prima volta “sono sicuro che non aspetta altro”

Fisso il tavolo sconsolato. Come se non lo sapessi…

“Probabilmente lei ora sta nella tua stessa situazione. Sta male come te. È questo che vuoi?”

“No, certo che no. Voglio che sia felice!” rispondo senza nemmeno pensarci.

“Allora chiamala e non farla stare male” dice come se fosse la cosa più facile del mondo

Il solo pensiero mi rende nervoso: MA COME CAVOLO SIAMO FINITI A PARLARE DI ME?

“Per voi c’è una soluzione, ti devi solo fare coraggio” rigirando il bicchiere tra le mani “per noi… beh, è ancora troppo presto…” poi, con un ghigno divertito “ma non ho intenzione di aspettare dieci anni…”

Mi viene da ridere. Felice di esserti da esempio, amico.

La dottoressa sopraggiunge all’improvviso. Nemmeno l’avevo vista entrare!

Resta in piedi, poggia i palmi delle mani sul tavolo e ci guarda raggiante. Volta la testa da un capo all’altro del tavolo, sorridendo vistosamente. Mi accorgo solo ora di quanto sia bella.

Guardo Booth. Spero davvero che a te vada meglio…

“Allora Bones? Ci spieghi?” scatta Booth al quarto sorriso della collega. Forse anche un po’ innervosito per la nostra conversazione. Se la dottoressa fosse arrivata qualche secondo prima…

“Risultano solo una ventina di persone claudicanti a Londra” esordisce soddisfatta

Io lo sono un po’ meno, speravo in soli due o tre casi.

Booth la guarda di sottecchi come se si aspettasse dell’altro, infatti la dottoressa coglie la sua occhiata e prosegue “otto di queste sono in prigione, cinque lavorano all’estero, sei sono anziani residenti in case si riposo”

Booth ora le sorride radioso “Ne resta uno, Bones. Ce l’hai fatta, l’hai trovato!”

Si alza e le da il cinque, poi si ricordano di me e si risiedono, imbarazzati. 

 

 

ANGOLO DELL’AUTRICE:

Allora ragazze mie, rettifico, mancano 2 capitoli più l’epilogo alla fine!!! Scusate l’errore..XD

Che mi dite di questo capitoletto??? Spero che vi piaccia come gli altri!!!

Alla prossima!!!! XD

Buona lettura,

Ivi87

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Capitolo 10
*** Messages ***


#9 – Messages

 

“Avete mai rischiato la vita? Intendo insieme…” domando dopo aver letto la cartella clinica trovata dalla Brennan

“Si” risponde subito, poi ci pensa su un attimo “A dire il vero da quando lavoriamo insieme la percentuale è decisamente aumentata”, poi con un sorriso aggiunge “e tieni conto che ero un ranger…”

“Anche io e Mac finivamo sempre nei guai…” dico vagamente. Chissà perché ho cominciato questo discorso?

“Questo vi avrà uniti..” mi guarda cercando una conferma

“Assolutamente”

“Esatto, è normale nella nostra situazione”

Lo guardo intensamente. Me la sono raccontata anche io tantissime volte questa storiella, ma lavoro o non lavoro, pericolo o non pericolo siamo irrimediabilmente innamorati cotti.

Si appoggia alla porta a vetri del laboratorio. Si volta appena per vederla lavorare al tavolo, mentre predispone le ossa per la sepoltura. 

“Lo sai, Mac una volta mi ha seguito fino in Russia per aiutarmi a trovare mio padre, e mi ha trovato quando ero disperso nell’oceano nonostante tutti mi dessero per morto e le ricerche erano state abbandonate. Ha corso un sacco di pericoli per me” mi guarda attento, si scosta dalla porta, fa un passo verso di me, cercando ci capire dove voglio arrivare “Un’altra ancora, invece, io ho mollato una festa a casa dell’ammiraglio per salvarla da un maniaco e mi sono dimesso dal Jag per poterla andare a salvare in Paraguay da morte certa.” Faccio una pausa, non sono ricordi piacevoli “Posso citarti altre venti situazioni come questa ma non cambia il fatto che noi lo sappiamo bene perché abbiamo agito così. Non centrano ne il lavoro, ne l’amicizia e non è stato nemmeno il pericolo o le difficoltà ad unirci…”

Ora annuisce. Ha capito il punto.

“E’ stato l’amore” dice Booth in un soffio, con un mezzo sorriso.

“E’ stato l’amore a fare cosa?” chiede la dottoressa spuntando, dalla porta a vetri, alle sue spalle.

Io rimango di sasso e sono sicuro di essere leggermente arrossito per l’imbarazzo.

Booth invece è verde dallo spavento. Proprio quella sfumatura di verde che ti colora il viso quando parli di una persona e quella come per magia ti spunta alle spalle e tu temi che abbia sentito tutto.

“Gesù, Bones!” esclama infine

La dottoressa sembra tranquilla, forse solo un po’ incuriosita dal nostro parlottare.

“Allora? È stato l’amore a fare cosa?” Domanda fissando Booth con fare indagatorio.

Oddio, e adesso che gli risponde?

Mi guarda per un secondo e poi spara la balla…

“Pierce giusto? Pagava l’università… a Tina… no? Si, insomma per amore.. dicevamo questo..”

allentandosi la cravatta.

“Questo punto l’avevamo già chiarito, mi sembra..” ci guarda perplessa.

“Infatti siamo d’accordo tutti quanti, tu che mi dici Bones?” le dice tutto d’un fiato spingendola verso la macchinetta del caffè.

Esita un attimo sicura di essersi persa qualcosa “Quelle ossa non possono dirci altro, sono pronte per la cerimonia funebre”

“Sbrighiamoci allora ad acciuffare…” riapro la cartellina “…questo Nathan Hawkins allora, così potremo celebrare il funerale e Tina avrà un po’ di pace”

Booth è d’accordo “Noi andiamo con i rinforzi a casa sua, tu che fai vieni con noi?”

“Torno al Jag, cercherò di ottenere un mandato per far assistere Pierce all’interrogatorio” può essere l’unico modo per scoprire la verità. Deve solo confermare che Hawkins è lo strozzino.

La dottoressa mi squadra “Ottima idea…” e lo dice come se fosse stupita della mia intelligenza.

Booth non mi lascia rispondere e la trascina letteralmente verso l’uscita del laboratorio.

“L’hai detto come se fino ad ora lo avessi ritenuto uno stupido, te l’ho detto un milione di volte che non sei l’unica persona intelligente al mondo…” le sussurra, ma non così a bassa voce da non essere sentito.

“Ma sono sicuramente la più intelligente…” ribatte lei.

Lo vedo allargare le braccia esasperato e sparire con lei dietro l’angolo.

Ah Mac, li adoreresti.

 

La testa mi fa male da morire. Sono cinque dannati minuti che aspetto la Stevens con la mia aspirina. Ma dove diavolo si è cacciata?

Sono di umore pessimo. Le cose si stanno dilungando parecchio.

Credevamo di essere a una svolta, ma come al solito le cose si sono complicate.

Ore fa ero nero di rabbia.

“Capitano, non so come siete abituati voi in America, ma qui da noi ai carcerati non è permesso fare delle scampagnate…” ha risposto il segretario alla mia richiesta di far assistere Pierce all’interrogatorio di Nathan Hawkins.

Credevo avesse capito che non è il caso di continuare con questo atteggiamento.

Molto garbatamente ho fatto presente che sarebbe stato sempre sotto la mia custodia e con due guardie della prigione come scorta. E oltretutto diciamocelo: dove mai potrebbe scappare Pierce, visto che lo portiamo alla sede di Scotland Yard? Circondato da un centinaio di agenti, un agente dell’FBI e un’antropologa forense che, a sentire Booth, sa benissimo difendersi da sola.

“…oltretutto, Signore, dimostreremo che noi della marina ci fidiamo dello Yard, che mettiamo un nostro uomo nelle loro mani… l’ha detto lei che dobbiamo essere collaborativi…” finisco così la mia arringa. Meglio che in tribunale! Lo sento da come respira al telefono che vorrebbe trucidarmi. Quello che importa è che abbia acconsentito.

Purtroppo però non ho fatto in tempo a rallegrarmi.

Mentre ingurgitavo l’aspirina, che a quanto pare era difficilissima da trovare, Booth mi ha chiamato al cellulare: nessuna traccia dello strozzino nella sua abitazione. Probabilmente si è sentito scoperto e se l’è data a gambe levate.

Lo yard con Booth e la Brennan sono partiti alla ricerca di Hawkins da ore ormai.

Controllo il fax. Ore fa ero nero? Ora sono incazzato nero!

Hawkins non si trova e il mandato per Pierce non è ancora arrivato. Che schifo.

Non che mi serva a tanto il mandato. Non posso di certo far assistere Pierce all’interrogatorio di Hawkins se quest’ultimo è irreperibile, ma so che lo troveranno presto. Booth non è uno che molla. E per allora vorrei essere pronto e fiondarmi alla prigione per prelevare il tenente con quel maledetto pezzo di carta in mano! Ma quanto mai ci vorrà per produrre un documento??

Hawkins ha vita breve: nel giardino posteriore della sua casa c’era una recinzione apposita per cani con tre cucce e tre ciotole. Tu guarda le coincidenze. Il dottor Hodgins dovrà solo confermare che i peli di cane prelevati dalla dottoressa - e già spediti – combacino con quelli trovati su Tina Forrest. Pierce dovrà solo indicare che lui è lo strozzino a cui deve i soldi e il gioco è fatto!

La testa mi fa ancora male. Troppi pensieri e preoccupazioni.

L’occhio mi cade nuovamente sulla nostra foto in Afghanistan. Sorrido guardandoti.

Dio se sei bella. Mi sento invadere da un’ondata di tenerezza e serenità. E le parole di Booth mi tornano alla mente.

Al diavolo tutto!

Alzo la cornetta e compongo il suo numero di casa, sapendo bene che Mac è ancora in ufficio. Faccio un compromesso con me stesso. Non sono pronto a parlarle. Ma posso sempre lasciare un messaggio in segreteria no?

Respiro a fondo un paio di volte. Questa volta non riattaccherò. Sono sufficientemente maturo per poter parlare ad una segreteria telefonica!

“Ciao…sono Harm…” deglutisco a forza. Sufficientemente maturo, come no… “… io…ecco… volevo sapere come stai… non ci sentiamo da tanto…” e poi inaspettatamente “…mi manchi…”.   

 

Ok, posso ritenermi fiero di me stesso. Non è come se le avessi parlato veramente, ma…

Insomma, già così ho rischiato l’infarto!

All’inizio mi sembravo uno scemo e pure balbuziente. Poi mi sono tranquillizzato. Tutt’al più cancella i messaggi e non mi richiama.

Dio spero di no.

“L’avrai annoiata a morte” mi dico “certo che non ti richiama!”.

In effetti il terrore iniziale poi è svanito e ho cominciato a sparare parole a mitraglietta raccontandole a grandi linee della nuova indagine e dei miei due nuovo colleghi.

Le sembrerò sicuramente uno stupido. Uno stupido che lascia quattro messaggi di fila.

Il bip continuava ad interrompere il mio sproloquio!

Le ho pure detto che il Boom Boom Cafè mi ricorda il McMurphy, patetico.

Quando rientrerà dal lavoro si scompiscerà dalle risate…diventerò un buffone ai suoi occhi.

Il trillo del fax mi riscuote, grazie al cielo.

Non mi piace la piega che hanno preso i miei pensieri. Devo essere più ottimista!

L’ha detto anche Booth che dovevo chiamarla, in fondo.

Mi dirigo verso il mobile attendendo il pezzo di carta.

Perfetto, il mandato è regolare ed effettivo da subito.

Guardo l’orologio: le 21:30. Ciò vuol dire che a San Diego sono le 12:30.

Orrore. E se stesse per tornare a casa per il pranzo e sentisse subito i messaggi? So che abita vicino alla sede del Jag perciò può darsi che a volte torni a casa a mangiare.

Oddio. Credevo di avere più tempo per metabolizzare la cosa…

Perché non ci ho pensato prima? Diamine e se adesso richiama subito? No, troppo presto, starà ancora ridendo di me…

Lo squillo del telefono mi fa girare di scatto.

Non ci posso credere…

Sudo da morire, e mi si è chiusa la gola. Che faccio?

La Stevens bussa leggermente e si affaccia sulla porta: “Il comandante Burke, signore. Sulla linea due”. Riesco solo ad annuire.

Il tenente esce e io mi allargo a forza colletto e cravatta per paura di svenire.

 

 

Note dell’autrice:

una ola per Harm che è riuscito a parlare ad una segreteria telefonicaaaa!!!! XD

e che dire di Bones? Delicata come sempre!! XD

il caso è quasi risolto, alla prossima ragazze!! XD

bacioni

Ivi87

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Capitolo 11
*** The resolution of the case ***


# 10 – The resolution of the case

 

Sto per condurre il tenente Pierce al Metropolitan Police Service. Mezz’ora fa Booth e gli agenti dello Yard a lui assegnati hanno beccato Hawkins all’aeroporto, in procinto di svignarsela alle Barbados.

Al tenente ho raccontato che lo stiamo trasferendo per motivi di sovraffollamento. È banale ma non mi è venuto in mente altro. Tanto non credo che ci abbia fatto caso. Probabilmente il dolore che sente non passerà mai. Mi sento così in pena per lui.

E’ quasi mezzanotte quando arriviamo fuori dalla sede del MET.

“Cosa? Perché siamo qui?” mi chiede spaventato

“Solo burocrazia..per il trasferimento da una prigione all’altra…” adduco poco convinto, lo ammetto.

Odio mentirgli. Non ad un uomo ridotto così.

Ma se sapesse la verità non aprirebbe più bocca. Ho bisogno di vedere la sua reazione nel momento esatto in cui vedrà Hawkins al di là del vetro.

I due sottufficiali lo tengono per le braccia e lo scortano all’interno.

Io li seguo e nel frattempo prendo il cellulare e comunico a Booth che siamo arrivati.

Entriamo nella stanzetta dietro il vetro. La dottoressa è già li che ci aspetta.

Pierce la guarda appena e poi riabbassa velocemente lo sguardo.

“Questo non è un trasferimento, vero?” dice esausto “Perché non mi lasciate in pace? Tina è morta ormai, non c’è più niente che posso fare!”

“Può mandare in galera il suo assassino!” dico deciso

“Questo non me la riporterà indietro”

“Però può impedire che muoia la donna di qualcun altro” la dottoressa si avvicina a Pierce sostenendo il suo sguardo.

La porta della sala interrogatori si apre e Booth spinge dentro un Hawkins molto contrariato.

Pierce sbarra gli occhi terrorizzato. “Lo vede quell’uomo?” prosegue la dottoressa “Quello che ha fatto a Tina, lo rifarà ancora e ancora. E ancora.”

Non è poi così male con le persone, in fin dei conti.

Pierce solleva le mani ammanettate per coprirsi il volto.

“Ci aiuti a sbatterlo dentro. Cosicché non possa mai più fare del male a nessuno”

Il tenente abbassa le mani e mi guarda “Me lo promette?”

Lo so, lo so, non si dovrebbero mai fare questo tipo di promesse ma… “Lo prometto, Robert”

Volge un ultimo sguardo al vetro. Hawkins sbraita che vuole un avvocato e che non abbiamo il diritto di trattenerlo. Pierce lo guarda come se volesse bucare il vetro con lo sguardo e saltargli addosso. So che lo farebbe. E, personalmente, credo che lo lascerei fare.

“E’ cominciato tutto due mesi fa. Tina non ce la faceva più a pagare l’università così le ho dato una mano. Avrei fatto qualsiasi cosa per lei…”

“Ma nemmeno con il suo contributo economico riuscivate a coprire le spese, giusto?” chiede la Brennan

Il tenente scuote la testa “una persona che credevo amica mi ha confidato di avere avuto in prestito dei soldi da Hawkins e che non pretendeva di riaverli subito e senza interessi..”

Io e la dottoressa ci lanciamo uno sguardo eloquente.

“E’ stato stupido crederci, lo so, ma non potevo permetterle di lasciare gli studi; questa persona bazzicava l’università di Tina, diceva di essere un fuori corso, in realtà era uno scagnozzo di Hawkins che ci aveva puntati!”

“Puntati?” domanda perplessa.

Il tenente ha le lacrime agli occhi e non riesce a risponderle.

“Cercava potenziali vittime bisognose di un prestito e si è guadagnato la loro fiducia” intervengo.

“Invece dopo una settimana Hawkins ha preteso il triplo dei soldi che ci aveva prestato” esclama asciugandosi le lacrime.

“E quando non avete potuto pagare ha minacciato i genitori di Tina sfasciandogli l’automobile” conclude la dottoressa.

“Si, quello è stato il primo avvertimento, poi…” scoppia in singhiozzi.

È chiaro che non c’è stato un secondo avvertimento.

“Lo so che è dura, ma deve andare avanti” lo sprono.

“Avevamo appuntamento al parco. Eravamo riusciti a racimolare qualcosa e volevamo dimostrargli la nostra buona volontà..ma lui si è presentato con i suoi scagnozzi e i con i suoi tre doberman. Quando ha visto che non avevamo tutto il denaro…”

“Ve li ha aizzati contro. Ma lei come ha fatto a rimanere illeso?” chiedo perplesso

Il tenente scuote nuovamente la testa, restando in silenzio.

“Come è andata?” domanda la Brennan in un soffio

“Loro mi tenevano fermo, volevano che guardassi…” non riuscì a dire altro. Si accasciò a terra tremando.

Mi volto verso la dottoressa: ha gli occhi lucidi e una mano sulla bocca. Fissa al vetro Booth e Hawkins nell’altra stanza. Vorrei dirle qualcosa per confortarla, ma non sono molto bravo in queste cose. Poi me ne accorgo. Sta fissando solo Booth, solo lui. E credo che il filo dei suoi pensieri sia simile ai miei…

Dio Mac se ti accadesse una cosa del genere…

Poco dopo si riscuote, mi indica l’altra stanza e io annuisco. Capisco che vuole avvertire Booth. Faccio un cenno alle guardie che rimettono in piedi Pierce. Basta per questa notte.

Usciamo dall’edificio e lo riporto in cella, in attesa del processo.

 

Dopo una notte popolata unicamente da incubi sto per varcare la soglia del Jag. Voglio avere assolutamente notizie da Booth.

Svolto l’angolo a passo di carica e attraverso il parcheggio. Alzo lo sguardo verso l’ingresso e sorrido. Sono già qui ad aspettarmi. Probabilmente non sono andati a dormire.

“Non sei contento di vederci Rabb?” mi chiede Booth sorridendo

“Dipende se Hawkins ha confessato..”

“Ha confessato” conferma lui “Intorno alle quattro di mattina..” dice con fare meno divertito.

“Andate a riposare allora, a me aspetta un processo da preparare”

Sorridiamo alla mia battuta. Probabilmente la nostra collaborazione finisce qui.

Un po’ mi dispiace.

“E’ stato un piacere, agente Booth” dico tendendo la mano.

Aspetto che lui la afferri e poi mi rivolgo alla sua destra “Dottoressa Brennan”

Lei mi regala un sorriso caldo “speriamo di averle riportato un pezzetto di Washington” esclama infine.

Sono sorpreso. Che ne sa lei che mi manca Washington? Avevo accennato la cosa solo a Booth. Lo guardo di sbieco e la sua faccia da schiaffi mi sorride imbarazzato.

Va bene ho capito. Anche io e Mac in fondo ci dicevamo sempre tutto.

“Si… è stato bello” lascio la presa e mi avvio all’entrata.

Mi volto un attimo per guardarli un’ultima volta. Sono di spalle. Quelle della dottoressa si avvicinano di più “Era un segreto? Perché non me l’hai detto Booth?” la sento domandare

“Credevo non ce ne fosse bisogno…”

Ah, questa volta sono io che alzo gli occhi al cielo, entrando nell’edificio.

Angolo dell'autrice:

eccoci quasi alla fine di questa storia. il prossimo sarà l'epilogo e poi mi toccherà spuntare la casella 'completa'.

spero che vi abbia tenuto compagnia come l'ha tenuta a me scriverla!

Al prossimo ultimo ns appuntamento!!

Ivi87

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Capitolo 12
*** Surprise ***


# EPILOGO – Surprise

 

Sorseggio una birra al nostro tavolo. Anzi, d’ora in poi sarà solo il mio tavolo.

Sono proprio una bella coppia. Mi stavo abituando ad averli intorno. Era bello parlare con qualcuno che non mi odiasse, come il mio staff.

Per fortuna le cose al Jag sono migliorate. Forse proprio grazie a quei due. Mi hanno portato una ventata d’aria fresca. Aria fresca da Washington. Proprio non riesco a non pensarci.

Oggi è sabato. Il locale si riempie velocemente.

Lei non ha ancora richiamato. D'altronde sono trascorsi solo due giorni dai miei orribili messaggi.

Può darsi che si sia presa del tempo per riflettere… infondo io ho impiegato mesi per telefonare, sarebbe legittimo che lei ci mettesse mesi a rispondere.

Sbuffo sconsolato. Sono di nuovo solo.

Occorre cominciare ad ammettere la verità. Quello che è successo a Pierce mi ha lasciato un segno indelebile. Non posso sprecare altro tempo!

Ti voglio Mac, ho bisogno di te. Con me.

Non posso più starti lontano.

Ho deciso: se non mi richiamerai, verrò io da te!

“Pensieri?” una voce mi fa tornare sulla terra.

Una voce che conosco troppo bene ormai e che mi fa sorridere.

“Non dovresti essere in volo per l’America?” domando facendo cenno di accomodarsi

“Bones aveva ancora una libreria in cui presentare il suo libro, così ho pensato di farmi un ultimo giro per Londra” risponde stiracchiandosi sulla sedia “partiamo questa sera”

“Posso offrirti il pranzo?” chiedo sorprendendolo.

“Il cibo non si rifiuta mai. Posso chiedere il perché?”

“Mi sento in debito…” ammetto

“Nei miei confronti? E perchè mai?”

Perché sei stato il primo amico che ho avuto da otto mesi a questa parte…

“Diciamo che d’ora in poi, sai quella vocina che ti sussurra all’orecchio…” cerco di spiegarmi

“Quella della tua coscienza?” mi domanda perplesso

“Si, esatto, d’ora in poi credo che avrà il suono della tua voce. Sarai il mio grillo parlante!”

Booth ride “Ecco, questo non me l’avevano mai detto!”

“Grazie, Booth” dico sinceramente

“Davvero, non so di cosa mi devi ringraziare, comunque sia…prego!”

La cameriera ci raggiunge e finalmente ordiniamo.

“A proposito, sono io che mi devo  scusare. Per ieri mattina…” dice con aria colpevole.

Non capisco. Cerco di ricordare.

“Per aver detto a Bones… non stavamo spettegolando, giuro. Voleva sapere perché eri strano…”    

Ah ero io quello strano, dei tre?

“E le hai detto che mi mancava Washington? Mi facevi fare una figura più bella se le dicevi che è una donna a mancarmi e non una città, no?”

“Non credere, non è una che si lascia impressionare con poco…”

Dai? Non l’avrei mai detto..

Le pietanze arrivano e cominciamo a mangiare. In silenzio. Assorti.

“Lascio Londra” esordisco infine, lasciandolo con la forchetta a mezz’aria “Vado da lei” e non posso credere di dirlo ad alta voce. Mi sento così bene nel momento stesso in cui le parole mi escono dalla bocca.

“Davvero? L’hai chiamata?” mi domanda curioso

“Si. Cioè, le ho lasciato diversi messaggi in segreteria”

“Diversi?” chiede preoccupato

“Quattro. Di fila.” Mi ride praticamente in faccia “Lo so, sono patetico”

“No, no, amico. Sei riuscito a dirle quello che volevi, almeno?”

“Le ho detto che mi mancava, poi mi è preso il panico e ho parlato a vanvera per il resto del tempo” ammetto sconsolato “le ho pure fatto una descrizione completa e dettagliata di questo posto, del nostro tavolo…”

“Ho capito, sei andato nel pallone…” interrompendo il mio delirio. Grazie al cielo!

“Ti ha richiamato?” chiede poi circospetto

“Non ancora, ma sono passati solo due giorni..”

“Ti chiamerà!” mi assicura

“Potrebbe anche non farlo…potrebbe essere andata avanti con la sua vita…”

“Ti chiamerà, vedrai!”

“Come puoi esserne sicuro?!”

Ci pensa su un attimo poi mi risponde “Sono o non sono il tuo grillo parlante?”

Rido istintivamente. Mai incontrato un personaggio del genere. E di gente ne ho conosciuta tanta!

“Dai…” mi guarda tutto contento “quello che conta è che ti sei fatto coraggio, hai fatto il primo passo e l’hai chiamata. Dai, dai qua..” e alza il pugno complice, verso di me.

Oddio, quanti anni saranno che non lo faccio? Ricambio il gesto, come al liceo.

Ci rimettiamo a mangiare. Ora è lui che ha qualcosa da dire.

“Sai, questo caso… ci ha avvicinati ancora di più…” mi dice fissando il suo piatto.

Poi alza lo sguardo per vedere se ho capito.

Annuisco. Certo che ho capito. “Forse non se n’è ancora accorta ma…quello che senti per lei, lo sente anche lei per te. Questa è la mia impressione” e continuo tranquillamente a mangiare. Te lo dovevo.

“Grazie” mi sento dire.

Con uno sguardo ci accordiamo sul cambiare argomento. Basta piagnistei, ci vuole qualcosa di più virile!

“Hai sentito cos’hanno combinato i Red Socks??!!”

 

Dopo essermi fatto raccontare da Booth i trascorsi delle squadre Americane che qui a Londra  fatico a seguire, ora siamo al bancone, in attesa di pagare.

Prendo il portafogli, dato che offro io e nell’estrarre i soldi mi fermo a guardare la foto di Mac, Jen e Mattie, che ho ricevuto per e-mail il mese scorso. La campanella alla porta del locale suona avvisando l’entrata di un cliente e sento come una forza che mi spinge a voltarmi.

Un profumo inconfondibile mi sfiora i sensi.

Non riesco a vedere. C’è della gente alla porta che mi blocca la visuale.

Eppure il mio cuore batte all’impazzata. Se lo sente che qualcosa sta per cambiare.

Finalmente un paio di persone escono. Altre entrano e si accomodano. Ora l’entrata è libera.

Solo una donna resta in piedi accanto alla porta, guardandosi introno.

Credo di essere uno stoccafisso in mezzo al locale ma non me ne importa niente.

Il mio cuore lo sapeva! Ma come ha fatto a trovarmi?

Poi ricordo: due minuti di messaggio sprecato nella descrizione del Boom Boom Cafè.

Grazie al cielo, aggiungerei!

Mac cerca tra i tavoli con lo sguardo e poi mi vede al bancone. Impalato a fissarla con occhi sgranati e bocca aperta. Non mi stupirei se avessi anche un po’ di bava alla bocca.

È una visione celestiale. Cristo! Più il tempo passa più diventa bella!

Abbronzata e con i capelli più lunghi e mossi. Le foto non le rendono assolutamente giustizia.

Mi sorride un po’ imbarazzata, toccandosi i capelli nervosamente.

Non posso credere che sia qui!!

Sento qualcuno scuotermi “EHI? HARM?” Booth mi passa una mano davanti agli occhi, ma non riesco a distoglierli da lei “Che ti prende?” poi si volta seguendo il mio sguardo e la vede.

“Wow! Chi è?” domanda colpito.

Ora è riuscito a catturare la mia attenzione? Chi è? Quanto tempo ho per rispondere?

Come posso farti capire chi è per me. Cos’è lei per me, senza cadere nel melenso e nel banale.

Come posso fartelo veramente capire.

Lo fisso intensamente per un secondo. Poi mi avvio verso di lei con la gioia sul volto.

Passandogli accanto sussurro: “…Lei è la mia Bones…”

 

FINE 

 

Angolo dell’autrice:

E con immenso dispiacere che spunto la casella “completa” nell’aggiungere questo ultimo capitolo di Couples! La coppia Harm e Mac l’abbiamo amata per dieci lunghe serie, la coppia Bones e Booth è ancora work in progress, chissà cosa ci rivelerà la settima serie!

Un bacione a tutti coloro che mi hanno seguita in questa avventura! Spero vi sia piaciuto il viaggio! XD

Se voleste leggere anche di un’altra coppia favolosa, vi aspetto anche nella sezione “Castle – detective tra le righe” ;-)

 

Con affetto,

Ivi87

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