Come a Ward-Golfe avvengano incontri assurdi...

di May90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

 

L’inquietante cigolio del finto portoncino da saloon si udì in tutta la sua vibrante lunghezza nel lieve chiacchiericcio del locale. Come sempre accadeva, tutti gli astanti, altrettanto abitualmente un numero esiguo di clienti, si distrassero dalle loro attività. Le carte si appoggiarono, esclusivamente coperte, sui tavoli un po’ unti dai resti di vivande. Gli sguardi si incrociarono per millesimi di secondo, dubbiosi, per poi puntarsi incuriositi sull’uscio, in attesa che quel suono desse seguito ad un’apparizione nell’ambiente fumoso.

Il ticchettio dei tacchi sulla scala che portava a quella tavernetta adibita a pub se possibile alzò ancora di più il margine di attenzione. Solo i più affezionati frequentatori riuscirono subito a capire cosa li aspettava. Un’unica donna frequentava di solito quel luogo e non era mai una buona cosa.

Quando, con gli stivaletti inzaccherati dalla terra bagnata e in una mano l’ombrello grondante di pioggia, scese l’ultimo gradino e giunse nel lieve bagliore arancione delle lanterne, emise un sospiro soave, raffinato e enfatico. Lasciò andare l’orlo fradicio e macchiato del fine abito panna e si ravvivò i capelli rossi, lunghi fino alla vita, purtroppo resi crespi dall’umidità.

- Oh, che tempo! – esclamò, con un falsetto delizioso, rivolgendo sorrisi di cortesia a tutti i presenti, per poi posare l’ombrello fradicio nel gruppo all’ingresso – Buonasera! -

- Buonasera, Principessa! –

La voce divertita del padrone del locale rimbombò dal retrobottega in tutta la sala, strappando sorrisetti a molti.

Un lampo inquietante passò sul volto pallido della giovane. Eppure la sua espressione tornò forzatamente affabile in un istante. Con passo leggero, liberandosi dalla stola chiara, si sedette al bancone, accavallando le gambe con eleganza sull’alto sgabello.

- Ah, Johnny! Vorresti per caso prendere la mia ordinazione, carissimo…? – chiese. Una patina quasi tangibile di lucente educazione rese ancora più vibrante quell’ultimo appellativo.

Il locandiere uscì dallo stanzino con quattro larghi boccali di vetro appena lavati e asciugati, che appoggiò con cura su un ampio ripiano posto subito sotto i due scaffali ricoperti di bottiglie di alcolici. Si asciugò con calma le mani sul grembiule scuro, molto stretto sulla sua vita sottile di ragazzo poco più che venticinquenne.

- Mi dica pure… - la esortò, lisciandosi i baffetti da moschettiere che più di tutto rappresentavano il suo vezzo.

- Va benissimo il solito, molte grazie! – rispose lei, ignorando l’ironia neanche troppo velata delle sue parole.

Per tutta risposta, quello alzò gli occhi al cielo e le sorrise con malizia.

- Di grazia…? – domandò lei, con un lampo infastidito negli occhi neri come la pece.

- Mi chiedo perché non la smetti con questa storia. – commentò quello, scuotendo la testa.

- Se non mi servi me ne vado. – rispose pronta, a voce bassa e minacciosa.

Johnny scrutò da vicino la curva pericolosa che avevano assunto le sopraciglia di fuoco della cliente e sospirò, senza però smettere di stuzzicarla.

- Come vuoi, Principessa. -

Per un istante solo, breve come un battito di ciglia, le mani curate della ragazza si strinsero minacciose per poi tornare aperte per lisciare con noncuranza l’ampia gonna dell’abito panna.

- Fingerò ancora una volta di non aver sentito… - sentenziò, rivolgendo un sorriso pieno di civetteria ai due marinai seduti a pochi sgabelli di distanza.

- Proprio non ti capisco. Dovresti ormai averci fatto l’abitudine. – riprese il giovane locandiere, che si era già voltato a trafficare con dei bicchieri.

- Ciò non toglie che non mantieni mai il favore che ti ho chiesto, caro. Per questo mi… altero lievemente… e potresti concedermi che non ho neanche torto. – protestò con tono leggiadro, ponendo un breve gesto della mano ad ogni intervallo delle sue parole, quasi fossero una melodia.

- Ti rendi conto, spero, che è una… - cominciò, voltandosi per un istante a rintracciare l’espressione di avvertimento della ragazza - …sciocchezza… - si corresse preventivamente.

- No, è un piacere. – minimizzò, estraendo dalla borsa uno specchietto, con il quale si controllò lo stato dei capelli mossi.

Poi però si voltò quanto bastava di lato per poter vedere riflessi nel piccolo oggetto anche i due ufficiali seduti al bancone, giusto a qualche sedile di distanza. Confabulavano a bassa voce, ogni tanto si rivolgevano sorrisetti e gomitate. Si, due perfetti soggetti da osteria, molto interessati a qualunque donna respirasse. Nessuno dei due piacente, per nulla, ma non si poteva pretendere molto in quel buco di isola. La ragazza sorrise al suo stesso riflesso. Aveva imparato molte cose importanti per una donna, cose che potevano aiutarla nella sua piccola impresa di eleganza e formalità. Una però risultava sempre più importante delle altre, ai suoi occhi: farsi desiderare, sempre, il più possibile, ad ogni costo, perché la civetteria era la cosa più femminile che esistesse.

Ed era certa che la via per essere una ragazza fine, gradevole e desiderabile passasse proprio per quella sottile arte che doveva migliorare ad ogni costo.

Ecco anche perché aveva ordinato “il solito”…

- A voi, Mademoiselle… - la richiamò Johnny, appoggiandole davanti un alto calice pieno di liquido ambrato, nel quale navigava, placida, un’oliva.

Con la coda dell’occhio, la ragazza si godette gli sguardi stupiti e ammirati dei due uomini, che quasi non credevano a quello che vedevano. Dall’altro capo della stanza udì, quasi nello stesso tempo, un paio di affezionati del locale tossicchiare per celare le risatine, ma cercò di non farci caso, preferendo sollevare la sua ordinazione tra le due dita per poi concedere un gesto simile ad un brindisi ai militari.

Non fece in tempo a portarsi alle labbra il bordo del bicchiere prima di udire l’evidente risata del locandiere.

- Johnny… - lo ammonì lentamente, appoggiando con cautela il lungo calice. Solo la prospettiva di ciò che stava per dire le faceva sentire particolarmente stretto il sottile collarino di seta bianca che si era legata al collo…

- Non fatevi ingannare, vi prego! – esclamò quello rispondendo alle sue peggiori aspettative – E’ semplice birra! –

Un boato generale di risate si sollevò in un’eco clamorosa nell’intero locale. I due marinai, dopo un istante di stupore, si unirono al divertimento generale.

- Bene, ora ce l’hai fatta… -

Nel fragore quella breve frase, più simile ad un sibilo che ad un tono umano, non si sarebbe dovuta percepire. Invece, fu come uno scoppio che ridusse tutti al silenzio.

- Sei un bastardo. -

A chiunque fosse capitato in quel luogo per la prima volta, quella voce sarebbe sembrata sconosciuta almeno quanto oscura e diabolica. Nessuno con un tono tanto cupo e violento aveva ancora pronunciato anche una sola parola quella sera. Molti, i due militari compresi, cominciarono a guardarsi intorno alla ricerca della persona che aveva indirizzato quell’insulto come una sentenza di morte, senza riuscire a trovarla. Alcuni, i più saggi, cominciarono a spostare cautamente le sedie e ad avvicinarsi all’ingresso, pronti ad andarsene. L’unico davvero tranquillo era il barista, che sorrise affabile e disse semplicemente:

- E tu sei davvero falsa quando fai la signorina beneducata, Principessa! –

Fu a quella frase che i passi verso l’uscita si fecero più concitati. Johnny salutò con la mano gli avventori diretti alla via di casa e questi risposero con un altrettanto garbato cenno di saluto, ormai abituati a quel bizzarro gioco al massacro. Perché scatenare quella ragazza era qualcosa di molto simile ad un probabile massacro. Sentirla abbandonare il suo ridicolo falsetto per quella voce certo ancora femminile ma incrinata dalla rabbia, era un segnale d’allarme anche per i più inebriati dall’alcol.

Il silenzio era ancora palpabile quando finalmente nessuno poté negare che la persona che stava per scatenare l’inferno era seduta in mezzo a loro. La minaccia era scritta nell’espressione della giovane, dagli occhi neri come abissi stretti dalla rabbia, alle labbra rosse tirate per scoprire denti bianchi, digrignati come sciabole. La curva delle sopraciglia aveva raggiunto vertici inimmaginabili, corrugando la fronte quanto mai sarebbe dovuto avvenire per una calma giovane di buona famiglia. Nessuno si sarebbe stupito se da un istante all’altro i lunghi capelli color fiamma fossero diventati davvero di fuoco.

- DEVI PIANTARLA DI CHIAMARMI “PRINCIPESSA”! – gridò, afferrando per il bavero il disgraziato locandiere, che in realtà continuava a sghignazzare.

- Non ti sembra di stare molto meglio ora che sei te stessa, Principessa? –

- SMETTILA DI RIDERE, DANNATO STRONZO! VAI AL DIAVOLO, VAI AL DIAVOLO! – continuava a urlare, scuotendolo come uno shaker.

La coppia di militari rimase immobile, pietrificata dal cambiamento repentino che era avvenuto in quella giovane prima leggiadra e fine, ora rude e violenta. Non sapevano neanche come reagire, fino a che lei puntò lo sguardo assetato di sangue verso di loro.

Lasciò il colletto del locandiere e sferrò un pugno al bancone prima di risollevare il palmo chiuso verso di loro, come per un gesto di sfida:

- Non avete mai visto una donna arrabbiata!? Allora!? Credete di essere i soli ad avere il diritto di urlare e sbraitare come ossessi!? Maschilisti figli di… -

- No, fai la brava! – esclamò Johnny, nascondendo il vero insulto dietro quell’ammonimento.

- Ma crepa un po’ anche tu! – gli rispose lei, con un cenno di stizza che avrebbe voluto essere una sberla, se avesse avuto interesse a rivolgergli di nuovo lo sguardo, puntato invece sui due malcapitati – Voi eravate gasati! Esaltati all’idea di essere maschioni attraenti, pronti a sedurmi! Ho solo fatto il vostro gioco! Dovrei essere io a ridere di due come voi! –

Si scambiarono uno sguardo di intesa per poi scuotere la testa vigorosamente.

Inutile dire che ciò non cambiò di molto l’umore tempestoso della cliente. Continuò a sfoggiare, minacciosa, il pugno chiuso, sempre più vicino ai suoi avversari improvvisati:

- Ora non vi divertite più, eh!? Solo perché avete quella divisa vi credete tanto superiori! Se le prendeste da me, immagino che figura fareste con i vostri superiori! Avanti, sfidatemi, se ne avete il coraggio! –

- Su, adesso stai esagerando! – la mise in guardia il locandiere, cercando di afferrarle quella mano ancora sospesa e prontamente si rivolse agli altri – Scusatemi, ma credo sarebbe meglio… -

- Vecchio prete, lasciami andare! Questi due montati li abbatto in un secondo! –

- Signorina, vi prego… - tentò il più giovane dei due uomini di mare, tentando di muovere un paio di passi verso di lei.

- Ti sembro una “signorina”!? Dove la vedi la “signorina”, ora!? – esclamò lei, pronta a balzargli addosso.

Johnny fu abbastanza veloce da afferrarle il braccio per fermarla.

- Vi prego, signori, credo sia il caso che ve ne andiate, seriamente… - interloquì ancora il padrone, indicando la scala per l’uscita con il capo.

- Non se ne parla! Questi due balordi pieni di sé diventeranno pasticci per la cena! – strillava la ragazza, ancora determinata a sfogarsi.

I due si strinsero nelle spalle, lasciarono i soldi sul tavolo e si allontanarono verso l’uscita. Gli occhi scuri della ragazza li seguirono per tutto il tragitto, finché afferrarono l’ombrello e presero le scale. Allora tornò a sedersi di malagrazia sullo sgabello e buttò giù in un solo veloce sorso il suo bicchierino:

- E adesso dimmi cosa ti aspettavi di ottenere difendendo quei due montati in divisa. Sei proprio un sempliciotto, Johnny! –

L’altro sorrise, posando nel lavello i due boccali appena svuotati dagli sfortunati avventori: - Io veramente pensavo di difendere te da un’accusa di aggressione a pubblico ufficiale… -

La ragazza lo fermò a metà di quella frase con un cenno brusco della mano e nello stesso movimento gli indicò la via per l’ingresso. Si sentivano, attutite dallo scrosciare della pioggia e dalla distanza, quelle che sembravano grida.

- Attento a dove vai! -

- Chiedo scusa… - rispose, a malapena udibile, una voce quieta.

- Anche questa ora! –

- Siamo ufficiali, dannazione! Attento a mancarci di rispetto! –

Ma non ottennero alcuna risposta e l’episodio sembrò chiudersi lì.

Nella tavernetta entrambi erano rimasti con il fiato sospeso ad ascoltare quello scambio di battute: un incontro sbagliato davanti ad un locale poteva essere l’inizio di una sequela di guai, per il malcapitato ma anche per gestore e clienti. Quando però tornò il silenzio, turbato solo da un cigolio delle ante da saloon  e da passi in discesa lungo il passaggio, Johnny fu il primo a sciogliersi da addosso la tensione: - Visto quanto poco ci vuole…? –

- E credi che quei due idioti avrebbero avuto il coraggio di accusare una come me di lesa maestà!? Per favore! -

Mentre ancora parlava si stava tuttavia accomodando in modo più composto e sistemando i capelli, pronta all’arrivo del nuovo avventore.

- Principessa… - la ammonì il locandiere, guardandola riprendere la sua sembianza elegante.

- Se mi fai di nuovo fare una figura simile, è la volta che ti uccido con le mie mani. – sentenziò per risposta, sottovoce, ma con un’occhiata crudele abbastanza eloquente.

I passi terminarono sul parquet modanato del locale, dopo il fuggi-fuggi generale di poco prima, quasi vuoto.

- Buonasera. – salutò una voce molto giovane.

Attirata da quella novità, la giovane si voltò quasi contemporaneamente al padrone del locale, curiosa di scoprire l’identità del nuovo venuto.

Una figura alta, all’apparenza slanciata, si stagliava scura nel bagliore arancione delle lampade all’ingresso. Non faceva cenno di volersi togliere il pesantissimo mantello nero, che indossava coprendo anche la testa con il cappuccio, nonostante fosse evidentemente grondante d’acqua. Anzi, avanzò qualche passo nella tenue luce della sala, guardandosi intorno. 

- Buonasera! – esclamò conciliante Johnny – Cosa posso servirti? –

Evidentemente voltò il capo verso il locandiere e dopo un istante di esitazione si avvicinò al bancone:

- Un boccale di bionda. Grazie. -

Si sedette su uno sgabello poco lontano da quello della giovane e appoggiò comodamente i gomiti sul piano di legno. Tuttavia dopo pochi secondi nei quali era rimasto fermo in quella posizione, il mantello prese a gocciolare con molta più intensità, creando una pozza d’acqua intorno a lui.

- Che disastro… - osservò quella persona misteriosa, abbassando il capo a scrutare il lago che si formava ai suoi piedi.

- Non ti preoccupare, non c’è problema. – lo rassicurò Johnny avvicinando il contenitore di vetro al rubinetto della botte più vicina – Asciugherò più tardi. –

- Chiedo scusa per il disturbo. – rispose, con voce sinceramente dispiaciuta.

- Temo di dover essere io a chiederti scusa. Quei due marinai che hai incontrato mentre risalivano da qui sarebbero stati probabilmente molto meno scortesi se non… li avessimo aizzati un po’. – osservò, per poi rivolgere un cenno del capo alla ragazza – Giusto? –

- Non dire assurdità. La maleducazione è insita in gente come quella. – rispose lei, riprendendo a modellare la sua voce su quel fine falsetto.

Per tutto quel tempo, comunque, non aveva ancora tolto gli occhi da addosso a quello strano cliente. Decisamente saggia l’idea di usare un mantello come quello, evidentemente impermeabile, per coprirsi dalla pioggia. Ma che senso aveva arrivare a non toglierselo neanche al chiuso?

- Scusate, qualche problema? -

La figura si era accorta solo ora che aveva parlato della sua presenza e aveva diretto il viso verso di lei. La luce sfiorava solo il mento non molto pronunciato e la bocca sottile, lasciando ogni altro tratto nell’ombra del cappuccio grondante.

Ecco, adesso erano passate a tre le cose che infastidivano la ragazza: dopo quel mantello che non le permetteva di valutare la persona che vi era nascosta sotto; dopo il fatto che quel tipo, chiunque fosse, aveva dato prova di essersi accorto della sua esistenza solo sentendola rispondere al locandiere; si aggiungeva a quel punto anche l’uso del “voi”. Una cosa era sentirselo dare con cortesia da un ammiratore o da un negoziante o da un bambino piccolo, ma a giudicare dalla voce e dal poco che riusciva ad intuire dei tratti del volto, quello poteva essere un suo coetaneo. Nonostante ogni sua pretesa di ammirazione e devozione, sentirsi trattare con quella riverenza, come una vecchia, da un ragazzo della sua stessa età le suonava come un insulto.

Sarebbe bastato questo a mandarla su di giri in qualunque altro momento, ma questa volta aveva intenzione di non perdere la faccia come poco prima.

- No, assolutamente. – rispose, dandosi un contegno fin troppo sostenuto.

Quello le rivolse un lieve cenno del capo, rassicurato, per poi voltarsi.

Tornò come a fissare qualcosa di fronte a sé, ma quasi subito, con un tonfo sonoro… crollò sul bancone.

- Johnny! – esclamò lei, saltando giù dalla sedia e accostandosi all’avventore mascherato.

L’interessato si voltò di colpo e rischiò quasi di rovesciare il boccale ormai colmo: - Principessa, il tuo brutto vizio di picchiare la gente per inezie! –

- Ma se non l’ho neanche toccato! E’ andato giù da solo come un sacco di patate! – protestò lei, gesticolando irritata.

Johnny pulì con uno strofinaccio la schiuma che scendeva dal bordo del grosso bicchiere, poi lanciò un’occhiata sbieca all’avventore svenuto. La ragazza notò che quello sguardo si concentrò per un istante sul braccio, dove il mantello si era scostato abbastanza da mostrare il tatuaggio di una “E” maiuscola.

- Ah! – commentò allora il locandiere con un sorriso – Allora so chi é! -

- Mi fa piacere… - rispose ironica lei, con una smorfia.

- E comunque non sta male, devi solo lasciarlo tranquillo. –

- Come sarebbe a dire!? – sbuffò l’altra, guardando con sempre più malumore il saccente disinteresse del padrone.

- Tranquilla e fidati. – minimizzò, appoggiando il boccale di fronte al tipo misterioso.

La ragazza sbuffò sonoramente e, conscia che insistere non sarebbe stato né educato né produttivo, per qualche momento cercò di distrarre la sua attenzione. Dopo essersi riavviata i capelli color fiamma dietro le spalle, chiese vagamente se servissero delle provviste al locale, perché le avrebbe fornite volentieri e senza alcun disturbo. Questa fu l’occasione per battibeccare ancora qualche minuto con Johnny, il quale fu ben lieto di ricordarle quante volte gli avesse fatto penare la semplice fornitura di spezie comuni. La cosa fu subito allontanata dalle responsabilità dell’interessata, che rinviò le colpe alla feroce burocrazia delle compagnie mercantili. Al che il padrone scosse la testa e andò a chiedere le ordinazioni di due nuovi clienti, che non si erano lasciati spaventare dalla sala quasi deserta.

- Devo ricordare a quel rimbambito in emporio le dannate spezie… - commentò tra sé, pensando se fosse necessario segnarselo. Eppure vantava una memoria abbastanza buona, per quanto ne dicesse quell’ingrato, e non si sentì di offendere la sua stessa ricordanza con una stupida annotazione.

Adesso però non aveva più nulla con cui tenere la mente impegnata.

I suoi occhi tornarono subito, indagatori, su quell’individuo, a giudicare dalla respirazione regolare e rilassata, ora poteva affermarlo, solo addormentato sul duro ripiano di legno. Quella lettera tatuata in grande dimensione su quel braccio massiccio e forte doveva comporre una frase o una parola. Nient’altro si poteva vedere di quel ragazzo - perché era innegabile si trattasse di un giovane, non riusciva a trovare discriminanti: il fisico e il timbro della voce non mentivano quasi mai. Possibile che da quei pochi dettagli un facilone come Johnny avesse compreso l’identità segreta tanto ben nascosta? C’era di certo qualcosa che le sfuggiva.

- Sei ancora qui a fare il terzo grado al “bello addormentato”? – chiese quest’ultimo, tornando a riempire due boccali, appena inseriti tra le ordinazioni.

 - Odio quella tua aria da saccente. – sbuffò lei, aggrottando in quel modo tanto pericoloso le sopraciglia – Mi viene una voglia di pestarti a sangue... –

- Insomma, è evidente! – rispose quello, preferendo aiutarla a capire, piuttosto che doversi difendere da un suo repentino attacco – Soffre di narcolessia. Non ti dice nulla, ora? –

- Dovrebbe…? -

Johnny la guardò incredulo per qualche momento per poi scuotere la testa e accennare ad allontanarsi con i due boccali in mano:

- Se è così, non so cosa farci. -

- Fai prima a dirmi come si chiama, no!? – esclamò, indispettita da quell’atteggiamento indisponente.

- Quando una persona agisce per non far capire la propria identità, chi sono io per sbandierarla ai quattro venti? –

- A me! Dovresti dirla a me! E basta! – rispose lei, indicandosi insistentemente con i due indici.

- Chiedi a Clayton. – sentenziò l’altro, questa volta allontanandosi per davvero.

- Cosa c’entra quello adesso!? – chiese lei, offesa.

- Sono stato in quel negozio, poco fa. –

La rossa si immobilizzò appena udì di nuovo la voce dello sconosciuto con il mantello. Si era appena sollevato dalla precedente posizione di riposo e stava afferrando con la grande mano il manico del boccale.

Ma dato che si era messo a sorseggiare la bevanda senza aggiungere nulla a quella semplice affermazione, cominciò a temere.

- A fare cosa…? – chiese, suo malgrado con quel falsetto leggermente tremante.

Lo sconosciuto si voltò nella sua direzione e questa volta il cappuccio lasciò intravedere anche la punta del naso, ma poco altro. Sembrò inclinare la testa, in un gesto di vago sconcerto.

- A comprare. Cos’altro? – chiese a sua volta, incredulo.

Resasi conto di aver rivelato un po’ troppo con quella sola esitazione, si ricompose: - Già, certo. E’ chiaro. –

- Eppure mi sembravate preoccupata. –

Lei arricciò le labbra, infastidita: - Quel negozio è frequentato da gente di ogni genere. Spesso più interessata a rubare che a comprare. Quindi, ogni dubbio è di rigore. -

-  Vi assicuro di non rientrare in quella categoria. – rispose, con un sorriso gentile visibile nella penombra dell’ampio cappuccio.

Con dispetto, ma cercando di mantenere la sua immagine vagamente snob, contestò, scettica: - Dovresti allora concedere agli altri di giudicare. Invece di nasconderti sotto quella palandrana.-

Quando si sentiva piccata, non sapeva fare a meno di essere così diretta e offensiva. Incrociò le braccia al petto e distolse lo sguardo, aspettandosi che anche l’altro si sentisse oltraggiato e rispondesse a tono.

- Non ci posso fare nulla, temo. - riprese, al contrario placido e tranquillo – Mi è stato chiesto di evitare di dare spettacolo, nonostante dovessi fare questo giro in città, quindi ho accettato questo mantello. – e sospirò sonoramente – Anche se tiene un caldo insopportabile. -

Sorpresa dalla novità, ovvero dall’atteggiamento conciliante del tipo, tornò a guardarlo, per quel poco che riusciva a distinguere. Non avrebbe saputo dire se quel modo di fare, per nulla indisposto alle critiche, le piacesse o meno, se lo considerasse saggio o indulgente alla sottomissione. Era strano che qualcuno non si arrabbiasse per le arie da superiore che assumeva e intensificava con commenti aspri. Per un istante, in una parte crudele mai completamente celata della sua personalità, si chiese come si potesse fare a ferire una persona così stranamente garbata. Tutti avevano un punto debole che scatenava quell’istintivo bisogno di vendetta. Stuzzicare una persona tanto paziente poteva essere un passatempo un po’ infruttuoso ma piuttosto gratificante se portava all’indignazione del soggetto.

Essere una donna beneducata necessitava però di una certa eleganza, che non si conciliava per nulla con una serie di ripicche senza ragione, benché molto gradite al diavoletto sulla sua spalla sinistra.

Allora, imponendosi un comportamento decoroso, si limitò a chiedere, spiando attentamente se si potesse intuire qualcosa di nuovo su quell’ombra oscura approfittando di un suo movimento:

- Quindi non avresti problemi a mostrarti. -

- No, per quel che mi riguarda, per nulla. Solo che non posso farlo. – rispose, sicuro.

- Umh… - commentò lei, delusa.

- Ti sta disturbando? –  chiese Johnny, che era appena tornato dietro il bancone.

- No, affatto! – esclamò subito la ragazza, aggiustandosi con cura un ciuffo rosso dietro l’orecchio.

- Non avevo dubbi. – osservò il ragazzo, ironico – Infatti stavo chiedendo a lui! –

La figura nascosta fece un cenno di improvviso diniego con la mano e tentò di parlare. Tuttavia non fece in tempo a farsi le sue ragioni…

- Johnny, - il tono era tanto forzatamente pacato da suonare stridente – cosa stai dicendo…? -

- Dico che non l’hai ancora lasciato in pace a bersi un po’ della sua birra. Cosa molto maleducata, se mi permetti. –

Forse, ma solo forse, avrebbe acconsentito a questa osservazione, se il locandiere non l’avesse esplicitata insieme ad un sguardo divertito e un sorriso che era tutto una presa in giro.

- Stavamo svolgendo una normale discussione… Se permetti, sei tu ad essere… - tentò ancora lei, anche se le friggevano le mani.

- Oh, mi sembrava piuttosto che lo stessi tormentando con domande alle quali non vuole rispondere. Quanta maleducata insistenza! - le fece il verso lui, portandosi due mani alla bocca in un accentuato cenno di femminile sconcerto.

- Ma brutto…! – scattò in piedi lei, con fine indignazione ma gli occhi già iniettati di sangue – Non ti permettere di fare una così orribile imitazione! –

- Non ci siamo, Principessa! Non ci siamo proprio! – rise quello, di gusto – Ancora con questa finezza e graziosità! –

- Io ti spacco le gambe e vediamo alla fine dove ti metto la “graziosità”! – sbottò allora, in un urlo rabbioso che fece sobbalzare i poveracci delle ultime due birre.

- Ecco! Così va meglio! – osservò raggiante il ragazzo, schivando poi agilmente un cartone che avrebbe rischiato di frantumargli il naso.

- Vediamo se andrà meglio quando ti metterò le mani addosso! – scattò quella, pronta a cominciare una rissa.

- Quindi sareste una nobile. –

Il silenzio piombò nell’intera sala come una pietra per qualche secondo, momenti nei quali anche gli stessi combattenti improvvisati si guardarono con uno strano sgomento. La ragazza calò seduta sullo sgabello sul quale si era appollaiata per cercare di raggiungere il suo istigatore dietro il bancone.

- Prego? – chiese, rivolta, con uno sguardo allucinato, sulla misteriosa figura che aveva appena tratto tale conclusione, ai suoi occhi del tutto insensata.

Johnny fu invece più svelto a capire cosa intendeva quel tipo. Interpretò un vasto sorriso che gli scoprì tutta la dentatura avorio, portando poi una mano a lisciare i baffetti biondi:

- Oh, ma “Principessa” è il suo nome proprio! – rispose, senza celare la soddisfazione che gli procurava.





§ § § § § § § § § § § § § 

Buonasera! Sono alla fine giunta a buttarmi nella mischia di questa sezione! XD 

Dopo molto sclero, molto delirio su questa storia (ops,  serie, perché sappiate fin da ora che punta a diventarlo) sono riuscita a scrivere abbastanza da osare la pubblicazione. Credo che questo "first step" sarà sui cinque capitoli,  ma spero vogliate poi leggerne anche il seguito...  ^_^ Devo solo preannunciare che, ahimé, sono arrivata per ora solo al terzo capitolo, ma sta cominciando l'ingrato tempo degli esami, che mi rallenterà parecchio. Quindi vi diluirò parecchio gli aggiornamenti per non lasciar passare poi tempi eterni. 

Tre saranno i personaggi originali ad avere un ruolo importantissimo nella saga e una l'avete appena conosciuta. Non esattamente una "principessa Disney", non esattamente una buona compagnia, non esattamente la coerenza in persona. Tuttavia, spero con il tempo la adorerete quanto io non la cambierei con nessuna al mondo! Poi, iInsomma, non suggerirò chi c'é sotto il mantello, ma suvvia! ^_^

Sui comprimari non mi sbilancio, anche perché non tutti saranno specialissimi come il nostro Johnny, temo... Ma farò del mio meglio...

Grazie in anticipo a tutti coloro che leggeranno questa mia follia e avranno la gentilezza di lasciare un commento! ^_^

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

- TU SEI UN UOMO MORTO! – sbraitò la ragazza, arrossendo fino alla fronte.

Non che comunque l’imbarazzo potesse spingerla ad abbandonare l’istinto omicida con il quale si stava slanciando contro il locandiere, incurante ormai anche del vasto piano di legno scuro che da quello la divideva. Johnny si ritrovò nuovamente delle mani davvero poco cortesi al collo, questa volta neanche lontanamente interessate a trattenerlo per il bavero, ma artigliate alla pelle.

- Ma… - cercò di dire il cliente misterioso, facendo il gesto di allungare le braccia, forse per allontanare l’aggressore.

- Tranquillo… - lo rassicurò il gestore, con un cenno placido della mano – Sopravvivo ogni giorno ad almeno un assalto così… -

Principessa, per tutta risposta, digrignò i denti come una tigre e strinse più forte.

- Però se fai così, crepo davvero… - la avvisò, rauco per la presa questa volta davvero soffocante.

La ragazza fissò con scetticismo il suo volto diventare cianotico e si decise a mollarlo.

- Se ti ammazzo finisco anche braccata dalla Marina. Come se non fosse abbastanza vivere in questo postaccio. - sentenziò, tornando a sedersi con un tonfo brusco.

- Quindi è questa la vostra vera voce? –

Principessa, persa ogni voglia di interpretare la donna per bene, rivolse al cliente ignoto un’occhiata minacciosa e una smorfia terribile:

- E allora…? -

Aveva ancora un certo rossore sulle gote, ma ormai non le importava più che quel suo orrendo nome fosse stato scoperto. Ora che al rispetto che avrebbe voluto suscitare si sarebbero certo sostituite risatine e battute, non aveva più importanza la sua patina di indorata perfezione, se mai la decisione e la rudezza del suo vero carattere. Che poi lo straniero pensasse quello che voleva, ma non osasse prendersi gioco di lei o se ne sarebbe pentito amaramente.

- Maleducata… - osservò Johnny, che aveva appena ripreso un colorito salutare, scuotendo l’indice in segno di ammonimento.

- Sarei lieta di dirti cosa sei tu! Crepa, maledizione! – esclamò, vicina all’isterismo.

Le rivolse un sorrisetto, come se fosse deliziato dalle sue espressioni di odio, e si limitò ad indicarla con un gesto plateale delle braccia.

- Sono lieto di presentarti, nel suo massimo splendore, McFerson Principessa, la strega di Ward-Golfe! – esclamò il locandiere, rivolto all’avventore misterioso.

- “STREGA” UN EMERITO… - iniziò per tutta risposta lei, pronta a sfogare tutta la frustrazione in quella semplice imprecazione.

- Non si dice! – le parlò sopra il locandiere, ancora con atteggiamento da maestro elementare.

- No, infatti! Non si dice che cosa rischi chi mi chiama “strega”! – minacciò, alzando un battagliero pugno verso tutti e nessuno.

- Vedi perché ti chiamo “Principessa”… ? – osservò sarcastico.

- E io ti ho detto di chiamarmi “Prin”! E’ un diminutivo! E’ civile! E’ gradevole! Tu invece devi sempre farmi inca… -

- Non ho deciso io quel soprannome offensivo, è inutile che te la prendi con me. Io tifo perché ti si chiami “Principessa”! – rispose, conciliante.

- Non mi stai a sentire! – spostando il pugno pericolosamente vicino al suo naso – PRIN! DEVI CHIAMARMI PRIN! –

- Ma non vuol dire nulla. – intervenne la voce pacata del ragazzo mantellato, che i due litiganti avevano preso ad ignorare, troppo assorbiti da quello scambio di battute.

- Visto? – sottolineò subito il locandiere, con un’occhiata di ringraziamento allo sconosciuto.

- E “Principessa” cosa vorrebbe dire!? – esclamò lei, indignata dall’intromissione, oltretutto contro di lei, del nuovo arrivato.

- Significa che una persona importante per voi vi ha dato quel nome. – rispose, calmo.

Quella frase la lasciò per un istante senza parole. Se c’era una cosa che non si aspettava, era che lo straniero sfoggiasse anche questo fastidioso istinto alla sentenza melodrammatica. Sentiva un bisogno istintivo di rispondergli male, per il gusto di imporre tutto il suo disprezzo verso quelle facili affermazioni che sembravano citazioni di poesie di altri tempi.

Ma non fece in tempo a preparare un’osservazione ostile prima che l’altro riprendesse a parlare:

- Se ritenete che un nome simile sia un po’ troppo strano, stupido o inadatto, la vostra opinione è ciò che conta. Con questo, potevate risolvere facilmente il problema. -

- Che cosa ne sai…!? – protestò lei, stizzita.

- I nomi si possono cambiare. Molti lo fanno. – osservò, quieto – Se non ci avete mai pensato, forse è perché inconsciamente ci siete affezionata. Allora, tanto vale che lo disprezziate.–

- Non è vero! Lo odio! – esclamò lei.

- Però piaceva ad una persona che vi è cara, per questo lo tenete stretto. –

Lei non rispose, improvvisamente incupita.

Il tono del ragazzo era serio, chiaro, non severo ma sicuro, proprio di chi sa di cosa parla. Principessa fissava l’ombra scura del cappuccio dove era certa ci fossero i suoi occhi e avrebbe voluto ordinargli di scoprirsi e guardarla davvero mentre pontificava a quel modo. Eppure era certa che il suo sguardo fosse pienamente ricambiato e poteva immaginare un volto sereno e gentile, anche se i tratti nascosti erano davvero troppi.

- Per quanto vi impegniate, quel nome è scritto sulla vostra pelle. – e lo sconosciuto sospirò amaramente – Fin troppe cose funzionano così e prendersela non serve a nulla. -

- Ho sempre desiderato cambiare identità. – confessò istintivamente e lei stessa sobbalzò di stupore quando si accorse di essere arrivata ad una tale confidenza dal nulla.

- Anch’io. – affermò da parte sua l’avventore misterioso, mettendola subito a suo agio, dopo quell’affermazione tanto intima – Cancellare un’eredità che mi disgustava e non avevo mai desiderato. L’ho fatto a modo mio e per ora funziona. –

- Quindi si può fare…? – domandò la ragazza, in sospeso. Non si era neanche resa conto di aver smesso di sbraitare.

- Non posso dirvi che ci si riesce completamente, ma abbastanza per tornare in pace con se stessi, quanto basta. –

Principessa inclinò la testa, pensierosa, ma di nuovo quieta.

L’ignoto con mantello aspettò un istante prima di ricominciare a parlare: - Ma, anche nel caso in cui vi liberaste dalla vostra identità, riuscireste ad abbandonare il vostro nome? –

Era pronta ad affermarlo, senza rimpianti. Sognava da un’eternità di non sentire più, alternati nella bocca dei concittadini, il soprannome pieno di disprezzo e quel nome usato come facile scherzo. Se avesse potuto ricominciare da capo con una nuova vita, in nessun caso avrebbe sopportato di portarsi dietro un bagaglio tanto pesante di facili ironie. Era l’unica cosa sensata da farsi…

Sapeva fin troppo bene, però, a chi doveva quel nome. Sua madre aveva avuto quella brillante idea e per molto tempo, da bambina, aveva creduto si trattasse di un contrappasso, ai suoi danni, compiuto su chi a sua volta aveva scelto “Carmen” per la sua genitrice. Poi le aveva chiesto il perché e la verità l’aveva stupita: sua madre sognava un futuro incredibile per lei, un avvenire speciale, fin troppo per chi aveva ereditato un umile mestiere su un’isola sperduta nell’oceano… Da molto tempo aveva deposto le fantasie e preso a canzonare l’assurda speranza di Carmen. Eppure, quando ci pensava, proprio come in quel momento, realizzava che davvero ciò era quanto le rimaneva della donna che l’aveva messa al mondo. Non poteva voltarle le spalle a quel modo, senza ragione alcuna.

Lo straniero aveva ragione e l’aveva avuta fin dall’inizio, da quella sentenza inizialmente considerata facile e sdolcinata. Non le piaceva ammettere che qualcuno avesse nettamente ragione perché inevitabilmente le sembrava di sottintendere il suo torto.

Un solo monosillabo non sarebbe stato faticoso, forse…

- Probabilmente… No. – rispose, con una smorfia.

La risata argentina e sincera del suo interlocutore le sembrò stranamente gradevole, anche in quella situazione.

- Vi capisco. - affermò, cortese – Neanch’io sarei mai riuscito a rinunciarvi. -

 

Non appena quello scambio di battute, svoltosi in un’atmosfera di strana empatia, terminò in qualche momento di silenzio, Principessa tentò di nuovo l’assalto:

- Non è che già che ci sei potresti dirmelo, il tuo nome…? –

Lo sconosciuto rise di nuovo in quel modo sincero e contagioso. Ormai aveva girato lo sgabello verso la ragazza ed evidentemente la guardava attentamente attraverso la penombra e l’anonimato di quel mantello. Indossava dei calzoni corti, cosa strana in quella stagione, e delle scarpe da combattimento. Non poteva riconoscere nulla di nuovo oltre a questo.

- Siete testarda. - osservò, divertito.

- Sai, com’é. – insistette con il “tu”, sostenuta – Non so che faccia hai, non so chi sei, mentre tu hai chiaramente la possibilità di scoprire tutto quello che vuoi su di me. –

- So solo il vostro nome e che aspetto avete… - osservò, vagamente in difficoltà.

- Appunto. – decretò lei, secca.

Si portò una mano alla testa, o meglio al cappuccio, e per un attimo la giovane sperò che avesse finalmente deciso almeno di scoprirsi il capo. Rimase piuttosto delusa quando capì che si trattava solo di un gesto imbarazzato.

- Non ne avrei l’intenzione, ve lo assicuro… -

- L’intenzione di restare nascosto o di sapere qualcosa di me…? – buttò lì, con una smorfia.

L’altro rimase immobilizzato per un istante. Lei poteva immaginarlo sgomento, occhi spalancati, bocca semi-aperta.

- Io… Cioè… - cominciò a farfugliare – Di avere questo mantello! Che domanda…! –

Poi prese fiato e sbuffò. Infine incrociò le mani sul ventre, in una posa paziente: - Vi divertite molto a fare queste domande assurde per mettere in difficoltà il prossimo, direi. – osservò, tranquillo.

- Non sono assurde. Per quel che ne so, potresti anche preferire tagliare la corda al restare ancora cinque minuti seduto qui a parlare con me… - commentò, sventolando una mano davanti al viso in un gesto stizzito.

- Una cosa simile sarebbe assurda. Non mi avete fatto nulla di male. – rispose, quanto più possibile onesto.

- Io riformulerei questa osservazione… - insinuò Johnny, appena tornato al banco dopo aver servito al tavolo.

- Perché? – chiesero entrambi, uno stupito, l’altra minacciosa.

- Perché sei troppo cortese e per nulla onesto: ti ha tartassato di domande, non ti ha ancora lasciato il tempo di finire di bere e fa di tutto per indispettirti. In più, se continui così, potrebbe anche decidere di fare sul serio e sarebbe capace di rovinarti davvero la vita. -  spiegò, un sorriso sgargiante di malizia su entrambi.

- Magnifico, con questo ti sei guadagnato un altro biglietto sola andata PER L’INFERNO! – lo minacciò Principessa.

- La signorina non mi sta dando problemi, sono sincero. – commentò l’altro, come se il suo tono sereno non fosse abbastanza chiaro sulla sua onestà.

-  E tu invece me ne stai dando, e parecchi! – urlò di nuovo lei, un dito puntato come una lama sullo straniero.

- Perché…? Sono indiscreto se…? – fece per domandare, lui stesso incerto su quale fosse la cosa giusta da dire di fronte a quell’ingiustificato scatto d’ira.

- No! Sei dannatamente discreto! Sei dannatamente cortese! Sei dannatamente saggio! – rispose, battendo insistentemente l’indice sul petto, o meglio sul mantello, dell’interlocutore – Ma darmi del “voi”…! Ma ti sembra possibile darmi insistentemente del “voi”! –

- Ad una giovane donna appena conosciuta… - cercò di spiegare, riportando probabilmente qualche nota regola di buone maniere.

- Se hai la mia età e mi dai del “voi”, mi fai sentire vecchia, dannazione! Me ne frego del galateo se mi fai pensare di apparirti una megera sessantenne! – lo interruppe ancora Principessa, le labbra rosse tirate in una espressione disgustata.

- Non credevo. – affermò, portandosi una mano al mento, probabilmente.

- Ti sembro una vecchia!? – lo provocò ancora, nefasta.

- Proprio no! Però credevo fosse buona norma… Così mi hanno insegnato!– esclamò anche lui e, vedendola pronta a rispondere malamente, fece per fermarla con un gesto della mano – E poi, insomma, credevo fosse giusto vedendo quanto sono importanti le formalità nel tuo comportamento. Avevo capito così. Ma se non vuoi, va bene… -

- Non è questione! Hai la mia età o no? – insistette lei.

L’avventore misterioso sembrò scrutarla dalla testa ai piedi per qualche momento.

- Più o meno, direi. – constatò.

- Appunto! Non ci si può dare del lei tra coetanei! – poi scosse la testa tra se e precisò - O meglio si può, ma ci vogliono certe circostanze precise… Altrimenti è troppo formale e dà fastidio! – 

- Va bene. – ammise, molto tranquillo.

- Certo che sei una bella ipocrita, Principessa. – Johnny sghignazzò.

- Ecco, sentiamo la vaccata che devi sparare ora… - commentò la ragazza, ormai abbastanza esaurita da non avere la forza di urlargli qualche insulto. Infatti si limitò ad appoggiare il braccio al bancone e a rivolgergli una delle sue peggiori espressioni di fastidio.

- Sono assolutamente certo che se ti avesse dato del “tu” da subito ti saresti offesa! – poi si rivolse al ragazzo ammantato per dargli una gomitata amichevole – Sei un ottimo osservatore, questa è davvero presissima con le sue apparenze da “principessa”… -

- Neanche vivessi nella mia testa, rompiballe! – lo rimproverò lei con tali parole colorite, alzando gli occhi al cielo.

- L’importante è che ci siamo capiti, ora. – minimizzò lo straniero, sicuramente con un sorriso conciliante nascosto dalla penombra sul viso.

La giovane, per tutta risposta, sospirò sonoramente.

- Certo che sei un tipo ben strano, tu… - osservò, fingendo un’indifferenza sempre meno reale. Quel personaggio oscuro la incuriosiva in modo quasi incontrollabile, ormai.

- Non credo, ma se lo dici tu… – rispose, tornando infine a sollevare il suo boccale, ancora mezzo pieno.

- Non te l’ha mai detto nessuno? - domandò l’altra.

- No. – ammise, tra un sorso e l’altro.

- Immagino che tu non conosca neanche una persona normale… Siamo a posto… - sentenziò la ragazza, ironica.

- Oh, perché tu ti giudichi normale? Sul serio? – intervenne, divertito, il proprietario del locale.

Ma appena Principessa cercò di contraddirlo, o forse aggredirlo, la precedette: - Va bene, certo, andrò all’Inferno, mi riduci in briciole, finirò i miei giorni in un vasetto di conserva… Però è ora che tu vada a casa. – e le indicò con un gesto pigro l’orologio appeso alla parete.

- Uff… Ed è pure tardi, maledizione… - si lamentò quella, alzandosi prontamente dallo sgabello.

- Quel poveraccio ti aspetterà per cenare e tu come al solito sei in giro a divertirti. – la sgridò ancora il locandiere.

- Come se tu non ne avessi guadagno! – osservò con una smorfia e appoggiando quanto gli doveva sul bancone.

- Ne avrei di più se non mi facessi sempre scappare tutti i clienti… - sbuffò e scrollò le spalle.

- Se tu mi lasciassi in pace… - ma si interruppe e sbuffò ravvivandosi la lunga chioma rossa – Oh, ma a che serve… Dannato psicopatico! –

- Che sarai tu… - la insolentì, imitando un bambino dell’asilo.

- Buona serata, straniero. – salutò lei, con un sorriso vagamente sardonico.

- Buonasera anche a te, Principessa. – le rispose quello, posando il boccale ormai vuoto con un tonfo sul bancone e rivolgendole un cenno di saluto con la mano.

Mentre si allontanava, dopo aver afferrato l’ombrello all’entrata, la sentirono bofonchiare, con una smorfia:

- Ci mancava un altro che mi chiamasse in quel modo… -

Quando i tacchi smisero di ticchettare sui gradini, il cigolio lontano del cancelletto da saloon avvisò i presenti che se n’era andata.

 

Un sospiro di vago sollievo si diffuse nella sala, accompagnato da qualche sussurro e risatina.

Johnny scosse la testa per quella reazione dei clienti, ma non disse nulla.

- Non è molto amata. – osservò mestamente il giovane mantellato.

- Si vede, eh…? – confermò quello, afferrando il boccale per lavarlo subito sotto l’acqua corrente – Gli abitanti in genere la schivano. E questa è la reazione abituale degli estranei.-

Quello non commentò, ma lanciò ugualmente un’occhiata intorno nella penombra. Personaggi più o meno loschi si erano seduti nell’ombra dei tavolini più lontani. Erano ben pochi, ma non sembravano davvero semplici cittadini, ma gente di mare. Della peggior risma, in realtà.

- Hai sempre questo genere di clienti…? – domandò.

Il padrone scrollò le spalle: - Be’, se facessi servizio solo alla comunità dell’isola, non farei affari. Ci sono sempre meno marinai che pirati da queste parti e devo pure campare. Questo, come certo sai, è una specie di porto franco, caro sia ai pirati che alla Marina. Tra l’altro per la stessa ragione… -

Fece un cenno allo straniero, che rispose facilmente al suo posto: - La Fratellanza dei Mercanti.-

- Esatto. – sospirò – Come se ci fossero dei vantaggi a trattare direttamente con quegli usurai… Lo fa ormai solo la Marina e riesce a guadagnarci esclusivamente quando presenta un simpatico mandato governativo. Allora si sente Lucas F. Tyner bestemmiare per tutta la città due giorni buoni… -

- Gente pericolosa? – buttò lì lo sconosciuto, con un tono repentinamente mutato, da quieto a cupo.

Johnny alzò un sopraciglio: - I Lucas F. sono decisamente i peggiori rappresentanti della Fratellanza, sia per la loro tendenza alla truffa sia per l’esercito di malintenzionati che usano come guardie del corpo. La difesa della loro lobby è l’unica cosa per la quale siano disposti a spendere soldi, per il resto pensano solo a spillarne agli altri. – poi gli rivolse un sorriso sghembo – Non mi stupisce che anche “voi” preferiate fare riferimento ad un intermediario per le provviste… -

- Se qualcuno dovesse rimetterli al loro posto… - prese a dire, con un atteggiamento che avrebbe forse voluto essere colloquiale, ma nascondeva un evidente interesse alla realizzazione di quell’ipotesi.

- Non pensarci neanche! – esclamò il proprietario, notando subito il pericolo reale celato in quelle parole fintamente casuali – Non sono pirati, che a nessuno importa ci siano o no! E’ un’associazione garantita dal governo! Non ti fai idea dei guai che ti tireresti sulla testa! –

Per quanto sentisse quasi un fastidioso bruciore fisico all’idea di lasciar passare comportamenti così evidentemente ingiusti, si ricordò che aveva promesso di non farsi riconoscere e non provocare disastri sull’isola. Forse sfidare un’organizzazione governativa, per quanto decisamente losca, rientrava nelle cose che aveva giurato di evitare…

- E’ sempre così che funziona, il potere… - commentò, quietandosi forzatamente.

Ma digrignò per un istante i denti, ricordandosi che avrebbe dovuto chiedere, quanto prima e certo prima di ripartire, se potevano fare qualcosa per mettere in quadro quella compagnia di usurai. Era tutto da dimostrare che fossero pericolosi, più di lui no di certo. Tuttavia, non spettava a lui scegliere cosa fare, se la responsabilità cadeva poi su tutta la ciurma.

- Certo che si. – osservò l’altro in risposta, pettinandosi all’indietro i capelli chiari con le dita – Finché non combini qualcosa contro i potenti, ai poveracci puoi fare quello che vuoi e senza che nessuno venga a protestare. E a tutte le cose buone risparmiate dai Lucas F. pensano i pirati. Anche se hanno smesso di trattare con la Fratellanza, trovano ancora molto conveniente arrivare su quest’isola per derubare i poveri intermediari, che tirano solo a campare tra usura e tasse doganali… -

- Ecco perché si è preoccupata quando mi ha sentito dire che ero andato a quella bottega. – osservò il giovane mantellato, pensieroso.

- In genere un pirata ci va per rubare, non per trattare civilmente la merce. – ma allora sogghignò e rivolse un occhiolino al viso nascosto dal cappuccio – Mi scuserai se generalizzo sulla tua categoria… -

- Figurati. L’assalto al negozio è una scena molto comune. Io stesso ne ho visti tanti da quando vado per mare. – rispose, tranquillo, ma vagamente mesto.

- E scommetto che sei il tipo da non sopportare queste cose… -

- … diciamo che se metto le mani addosso a quei ladri, non hanno più modo di vantarsene… - concluse, di nuovo con quel tono piuttosto pericoloso.

- Si, Principessa, ha ragione: sei davvero un personaggio particolare. – osservò il locandiere, sorridendo sotto i baffetti biondi – Anche se già da quello che si dice in giro si poteva intuire. Una carriera interessante, sempre in salita, e stranamente pulita per un fuorilegge. –

- Umh, quindi hai capito chi sono… - disse, quasi preoccupato all’idea di essere stato riconosciuto nonostante le precauzioni.

- Quando ti sei addormentato, ci sono arrivato. Ma come ho già detto a quella folle impicciona, so tenere i segreti. –

- Bene. – rispose, molto rassicurato e con un cenno di ringraziamento del capo coperto.

- D’altra parte, mi chiedo come abbia fatto lei a non capire subito…! E dire che dovrebbe sapere quasi tutto su di “voi”… - si chiese Johnny, a bassa voce, arricciando le labbra, sovrappensiero.

Comunque, lo straniero non gli stava più prestando attenzione.

Aveva appena notato un coprispalle color panna appoggiato sul bancone.

 

- Che dannato freddo! – esclamò tra sé Principessa, mentre si affrettava verso casa.

Durante la sua permanenza nel locale, aveva almeno smesso di piovere, cosa che le permetteva di portare l’ombrello bianco attaccato per il manico ricurvo al braccio piegato. Sapeva bene che si trattava dell’unico modo per evitare di batterlo, anche solo involontariamente, sulla strada di terra nuda, resa fangosa dai lunghi giorni di pioggia. Afferrò ancora un lembo del lungo abito, ma sbuffò all’idea delle macchie di terra che avevano sporcato ugualmente il tessuto panna e gli stivaletti in tinta, che avrebbe impiegato tutta la sera per lucidare.

Mentre svoltava a destra, per passare dietro la drogheria con il suo passo veloce, una folata di vento freddo sgusciò tra gli edifici per sferzarle il viso e scompigliare i capelli fiamma. La pelle d’oca la attraversò dalla testa ai piedi, concentrandosi in realtà sulle braccia lasciate scoperte. Dopo un verso di disappunto, si fermò bruscamente sul posto.

- Ho dimenticato il copri-spalle! – esclamò a tutti e a nessuno nel bel mezzo della strada – Porco cane! – imprecò poi, battendosi una mano sulla fronte.

Non poteva tornare indietro, era davvero molto tardi e non aveva intenzione di essere obbligata dalle circostanze a giustificarsi con nessuno. Per una dimenticanza, poi.

Insomma, capitava a tutti, no?

Certo, ad alta voce non l’avrebbe mai ammesso, ma poteva pensarlo, con fastidio: a lei succedeva abbastanza spesso. Se si pensa che, nonostante il temporale di quel pomeriggio, aveva rischiato di uscire senza ombrello… Si, questa smemoratezza stava cominciando ad essere un problema.

Però si ricordava sempre delle cose importanti, quindi non poteva dirsi così grave.

E certo non era importante quella cosa che Johnny si ostinava tanto a ricordarle… Si, quella… La solita… Ne aveva sempre una fissa, di menata… Ecco, “quella”…

Al diavolo, le sarebbe tornato in mente il giorno dopo, andando a recuperare la stupida giacchetta!

 

- Ehi, vecchio diavolo, sono tornata! – esclamò entrando in casa dalla porta sul retro.

Posò con un tonfo il parapioggia nel vaso adibito a portaombrelli e fece vagare lo sguardo per la sala da pranzo silenziosa. Si persuase che c’era qualcuno in casa quando vide la tavola perfettamente preparata per due.

- Meno male, è pronta la cena! – le rispose una voce maschile dal cucinino, da dove, se ne accorse in quel momento, proveniva un buon profumo di arrosto.

- Allora sono in orario, fai meno il sofisticato, Clay… - borbottò lei, buttandosi scompostamente sulla sedia posta dal suo lato abituale.

Un ragazzo di pochi anni più giovane della ragazza emerse dalla stanzetta laterale adibita a piccola cucina, portando una pentola piena con un enorme guanto imbottito.

La pelle chiarissima, lisciata sulle guance da una perfetta rasatura, e gli occhi grandi e color nocciola gli davano un’aria gentile e amichevole. I capelli biondo cenere, mossi e lunghi fino alle spalle, gli scorrevano ai due lati del volto e del collo sottile. Di statura poteva essere considerato piuttosto alto per la sua età, ma la corporatura esile tradiva la sua attitudine ad attività sedentarie.

Sorrise appoggiando il contenitore sul tavolo e levandosi il guantone da cucina: - Giusto in tempo, ho solo detto. Anche se saresti potuta tornare prima per mettere avanti l’arrosto, dato che avevo ancora clienti. – precisò.

- Non lo sapevo, ma tanto ce l’hai fatta lo stesso. – minimizzò, afferrando il coltellaccio per affettare il grande pezzo di carne dorata.

- Potresti aiutarmi, una volta ogni tanto… - osservò lui, sedendosi educatamente dal lato opposto e accostando la sedia al piano della tovaglia.

- E’ meglio che stia lontana dall’emporio, prima che la mia presenza allontani i clienti. – disse, fissando ostinatamente l’azione dell’affilato strumento, che stringeva con particolare forza in quel momento.

- Prin, sai che è una tua convinzione, vero? – le domandò, osservando quella stretta convulsa e il modo in cui tentava di uccidere di nuovo quel povero pezzo di carne – E’ il negozio di nostra madre, tutti sanno a chi appartiene, quindi non cambia nulla chi di noi due sia dietro il bancone. Ogni tanto mi farebbe piacere avere di fianco mia sorella. –

Principessa strinse le labbra.

Suo fratello era sempre terribilmente sentimentale in queste cose.

Non si lamentava mai di essere lasciato praticamente solo a gestire quell’emporio, semmai del fatto che lei non volesse entrarci appositamente, a causa di quella cattiva nomea che le spirava intorno. Fortunatamente lui non subiva lo stesso trattamento che era riservato alla “Strega”. Certo, neanche il più giovane McFerson veniva visto così benignamente, ma la gente aveva imparato a conoscerlo per chi era e per questo continuava a comprare presso il loro piccolo negozio. Se ci fosse stata lei al suo posto le cose sarebbero state molto diverse: non solo perché il suo carattere non le avrebbe permesso la necessaria cortesia nei confronti dei clienti, ma perché la sua presenza stessa avrebbe dissuaso i più. Ne era certa.

Clayton era sempre stato migliore di lei in questo campo, nelle relazioni con il pubblico, soprattutto perché era spontaneamente buono e generoso.

Al resto però aveva sempre pensato lei. Teneva i conti in modo inflessibile, gli ricordava di riscuotere i debiti alla prima occasione e gli impediva di dare credito per troppo tempo, sorda ad ogni sollecitazione alla misericordia. E gli aveva imposto di disfarsi di abitudini stravaganti e fin troppo spontanee, trasformandolo nel comune negoziante tipo. Non l’aveva fatto volentieri e sapeva che il fratellino ne aveva all’inizio sofferto, ma del resto si trattava dello stesso tipo di violenza che faceva a se stessa ogni giorno, volontariamente, per apparire il più possibile educata e gradevole.

La ricerca della normalità era sempre complicata.

Alzò lo sguardo sugli occhi espressivi di Clay cercando di trasmettere totale impassibilità: - Ne abbiamo già parlato. Tu te la cavi benissimo e non voglio rovinarti la piazza dalla quale entrambi otteniamo di che vivere. Fine della questione. –

Quando arrivava a quel genere di sentenza, tutti sapevano che dire altro era assolutamente inutile.

Il ragazzo sospirò e le portò via il coltello: - Meglio che lo tagli io. –

Solo allora si accorse dei brandelli informi che aveva prodotto e arricciò il naso: - Pignolo. –

 

Mentre stavano ormai spreparando la tavola, Clayton era arrivato quasi alla fine del suo racconto della giornata lavorativa:

- … Insomma, sai come va a finire quando chiedono quel genere di liquore: è un manicomio! Poi l’avevamo finito. -

- Non è possibile! – esclamò lei, alzando lo sguardo repentinamente dal ripiano di legno sul quale stava passando lo strofinaccio – Con la fornitura del mese scorso ce ne eravamo fatti mandare quattro barili! –

- Insomma, non so cosa dirti… Domani andrò a parlare dai Lucas F. … Tanto devo richiedere una serie di cose, quindi non mi costa niente trattare anche per un rifornimento di liquore. – osservò, pratico.

- Eh no, io sono certa ce ne fosse ancora! Quindi deve saltare fuori!– insistette lei.

- Ne sei così sicura perché l’hai usato ancora “per addormentarti”? – le domandò improvvisamente, con uno sguardo che avrebbe voluto essere severo, ma appariva soprattutto preoccupato.

Lei preferì ignorare la vaga apprensione che vi traspariva e rispose, aspra:

- Fatti gli affari tuoi e non permetterti di sgridarmi con quell’aria da “fratello maggiore”, sai che non lo sopporto! -

- Se diventa un vizio… - cominciò, senza lasciarsi abbattere da quell’atteggiamento di sfida.

- Non è un vizio! – gridò, arrabbiata, scrollando con stizza il telo bagnato – Ogni tanto mi tira su! Smettila di insistere! –

- Sono solo preoccupato. –

- Allora fattelo passare! – rispose, ma non riuscì a sostenere gli occhi nocciola del fratello – Domani cerco quel barile e stai certo che lo trovo! –

Un momento di silenzio seguì quell’ultima frase quasi urlata. Clay finì di passare la scopa e si sciolse il grembiule da cucina. Principessa si era riseduta al tavolo e guardava ostinatamente altrove, le labbra tirate.

Il fratello non riuscì a non pensare che in fondo la colpa era sua, dal momento che aveva tirato fuori lui quell’argomento. Era inutile, lo preoccupava troppo il fatto che da qualche tempo la sorella, l’unico affetto che avesse, si dilettasse a bere. Non che si ubriacasse, ma una volta si limitava al boccale di birra da Johnny o a qualche sorso di vino ai pasti, ora attingeva alla loro riserva d’emporio più che ogni tanto e alle ore più disparate. Una sera, quando l’aveva beccata a riempirsi un bel bicchiere di un extra - alcolico, dopo averlo mandato malamente al diavolo per averla spaventata, aveva sentenziato che le serviva “per addormentarsi”. Una spiegazione che sarebbe suonata bene solo alle orecchie di un bambino e forse era così che lo considerava.

Ogni tanto, come in quella occasione, tentava di imporsi, di farla ragionare. Ma la verità era che non sapeva neanche per cosa lei cercasse una soluzione… Di un sacco di cose si rifiutava di parlare e lui, da parte sua, aveva ben pochi ricordi della sua infanzia prima che la loro madre morisse. Poi i suoi tentativi diventavano doppiamente inutili, perché proprio non ce la faceva ad andare fino in fondo con quelle critiche. Non solo perché era comunque più piccolo di lei: la morte della loro genitrice aveva fatto di una ragazzina di soli cinque anni più grande quel tipo di “adulto” a cui bisogna obbedire, questo era evidente. Che fosse la verità o un’idea che si era fatto lui in passato e aveva fatto radici, trovava che ciò non fosse per nulla cambiato nel corso degli anni. Il fattore vero, però, per il quale non sarebbe mai riuscito a risultare autorevole quanto desiderava era la reazione che aveva Principessa ogni volta: strillava, si infuriava, finiva per insultarlo o aggredirlo ordinandogli di “tornare al suo posto”, come per ogni altra cosa in realtà – con quel caratteraccio che sfoggiava in tutte le occasioni, anche le più stupide - , ma infine si chiudeva in se stessa come un riccio, fingendo un atteggiamento offeso e sostenuto che, solo in quel caso, rappresentava una semplice autodifesa.

E di fronte a quel comportamento Clayton provava sempre, era più forte di lui, una stretta al cuore, che lo spingeva a tentare di rimediare, nell’unico modo possibile…

- Allora lo cerchiamo domani. Altrimenti non importa: un cliente mi ha chiesto cinque “Forniture di Carmen”, quindi devo comunque andare dai Lucas F.. – affermò, con tono malfermo.

Lei alzò gli occhi mesti a rivolgergli un’occhiata.

Quel suo stupido fratellino, tenero e sensibile com’era, aveva di nuovo gli occhi lucidi e quell’aria da cane bastonato. Quando sarebbe cresciuto? Quando sarebbe riuscito a tirare fuori un po’ di carattere? Quando avrebbe smesso di preoccuparsi, come se fosse lei stessa sotto la sua responsabilità e non il contrario?

- Chi diavolo ti ha richiesto le “Forniture di Carmen”? Fin troppa gente ultimamente comincia ad approfittarsene. – osservò, ancora aggressiva ma intenzionata a ricominciare a parlare per rinfrancarlo.

- No, questo tipo non sembrava il solito approfittatore che sceglie il pacchetto più conveniente del nostro elenco di “kit-dispensa”. – rispose, con un sollievo evidente che gli permise anche di appoggiarsi con finta nonchalance ad una piattaia – Sapeva esattamente cos’era venuto ad ordinare. Tanto più che mi ha chiesto, testualmente, di “togliere dalle spezie i semi di papavero, che non piacciono a nessuno” e ha riportato i ringraziamenti del loro cuoco “per gli ottimi tagli di vitello che ci avete procurato”. –

Principessa rimase per un istante pensierosa e l’immagine dello straniero incontrato da Johnny le riaffiorò subito nella mente.

- Stai pensando fosse uno di “loro”…? – domandò il fratello, mettendo molta enfasi su quell’ultima parola e studiando le reazioni della consanguinea.

- E’ molto probabile. Sono gli unici abitudinari di quel genere di pacchetto preimpostato di provviste. L’aveva studiato nostra madre apposta per “loro”... – poi aggiunse, incerta – Solo che normalmente si presentano senza problemi quando vengono a comprare da noi… -

- Niente da fare, aveva addosso un mantellaccio e si è limitato a queste ordinazioni e osservazioni… Molto educato, comunque. – osservò lui e fece una smorfia ricordando quante volte invece si era trovato di fronte a prepotenti della peggior risma.

- Mah, non capisco. – si arrese allora lei.

- Però, Prin, non abbiamo più riserve sufficienti per ricreare addirittura cinque “Forniture di Carmen”, quindi devo per forza contrattare con la Fratellanza… -

- E contando quanto siano a buon mercato quelle forniture, come al solito il guadagno sarà solo di quei bastardi dei mercanti. – sbuffò e si alzò.

- Abbiamo proprio scelto il mestiere sbagliato, vero? – scherzò lui.

Principessa sorrise con quell’espressione dolce che riservava al fratello minore e raramente anche a lui. Eppure a lui piaceva vederle quel volto rilassato che gli portava subito alla mente uno dei suoi pochi ricordi della madre, a lei tanto simile.

- Assolutamente. –

In un istante, però, i tratti del viso divennero cupi, anche se la sentenza suonò vagamente ironica: - Se avessimo comprato una nave mercantile e questa fosse affondata, ci saremmo arricchiti di più. Ed è tutto dire… -

Ed era già sulle scale per salire alla sua camera e prepararsi per la notte.


§ § § § § § § § § § § § §

Buongiorno!!!

Davvero un bel giorno perché torno dal primo esame di questa sessione con un voto più che buono e ho voglia di festeggiare! Nonostante i mille e uno problemi che mi si affollano nella mente in questo periodaccio (e mentre tento di mettere giù il capitolo 4) giungo infine ad aggiornare! 

Ecco come finisce la discussione tra "mantellato" (e cosa ve lo dico a fare XD) e Principessa e il corredo del piccolo dialogo che presenta infine i Lucas F. Non bella gente, decisamente pesante e indisponente, ma ancora più di quanto avete letto (perché Johnny é uomo diplomatico XD). 

Molto più essenziale la comparsa del fratellino Clayton: affettuoso, giovane, ingenuo (ma non tanto come sembra), pacifico, tranquillo, ma parecchio eccentrico (e si vedrà). Quindi siamo a due personaggi essenziali della vicenda che si vanno a scoprire... Per il terzo bisogna aspettare. XD

Grazie a tutti coloro che sono passati di qui ma hanno letto! Grazie a chi ha messo la storia tra preferiti/seguiti! Grazie in anticipo a chi lascerà una recensione: risponderò direttamente al più presto e mi farete felice! ^_^

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

- Prin! Il bagno è libero! – esclamò Clayton dalle scale, con la speranza di indurla ad alzarsi.

La ragazza si rotolò nel letto sbadigliando sonoramente. Niente da fare, la sveglia del mattino era il momento peggiore della giornata…

- Fammi scorrere l’acqua nella vasca…! Arrivo…! – gli urlò, scostando le coperte in malo modo.

- Va bene! Ma sbrigati prima che si allaghi la casa! – le rispose a sua volta.

Suo fratello aveva ormai capito che l’unico modo per convincerla a svegliarsi ad un’ora più o meno decente era lasciarle libera la vasca per un bel bagno tonificante. Era una conciliante abitudine che avevano sviluppato entrambi, ma lui aveva imparato a concedersi quell’incentivo mattiniero con una sveglia anticipata. Così, una volta vestito, andava a preparare la colazione per entrambi e lasciava spazio a Principessa. Gli orari coincidevano perfettamente perché una volta che lei era entrata nell’acqua nulla poteva strapparla a quell’idillio a parte il profumo di una buona colazione. In questo modo, e solo in questo, riuscivano a mangiare insieme in tempo perché lui andasse al lavoro, cioè ad un’ora alla quale altrimenti la pigra rossa sarebbe rimasta a rigirarsi mollemente nel letto.

Con molta fatica, si mise seduta e si stiracchiò. Infine raccolse le ciabatte rosse e andò a cercare qualcosa di presentabile da mettersi dopo il consueto relax. Scelse una gonna verde alla caviglia e una camicia bianca da indossare sotto la giacchetta del completo. Valutò l’insieme con poca soddisfazione, ma constatò che nonostante tutto poteva apparire gradevole e decoroso e tanto bastava. Afferrò la pinza per i capelli, ma guardandosi allo specchio posto dentro l’armadio notò che i suoi capelli avevano subito seriamente gli effetti devastanti della pioggia della sera precedente e ormai, per farli tornare lucidi e lisci, doveva per forza lavarli.

- Prin! -

- Sto arrivando! – gli urlò, con un tono già piuttosto ostile per l’insieme delle circostanze e la fretta che le veniva richiesta.

Si stava ancora studiando allo specchio e non poté che accorgersene, ancora una volta, con quel vago disgusto che ciò accompagnava. Quando sul volto si materializzava quell’espressione di fastidio, anche se per pochi istanti, qualcosa della sua identità tendeva a sparire, per lasciare posto al volto duro e crudele di “quella persona”. La fronte che si aggrottava profondamente, gli occhi neri e cupi assottigliati e stretti quanto minacciosi, la bocca storta in un grugno rabbioso. Non poteva essere lei ad avere quel volto, quello sguardo, quella bruttura. Non riusciva a sopportare l’idea di dovere davvero qualcosa ad una persona che odiava. E come se non fosse sufficiente quella macchia sui suoi tratti fisici, si aggiungeva, ulteriore smacco, il terrore che quella che era la sua natura più primitiva, violenta e ardente, nascosta e coltivata alla stesso tempo, fosse anche essa stessa una scomoda eredità di quell’individuo…

Chiuse prontamente l’anta, nascondendo quel riflesso traditore.

 

- E’ pronto! – esclamò ancora Clay, temendo fosse ancora nella vasca, persa nel suo mondo.

- Ho capito! Hai proprio voglia di urlare stamattina… - commentò Principessa, avvicinandosi alla tavola preparata, già asciutta e vestita da un po’.

Non le diede nessuna soddisfazione. Era seduto in una posizione piuttosto scomoda sullo sgabello di legno, portava già gli abiti da lavoro, la naturale camicia bianca e i pantaloni scuri ancora da corredare con il grembiule immacolato, e i capelli di quel biondo incredibilmente chiaro legati in un corto codino. Con una mano mescolava il tè e con l’altra reggeva un fascio di fogli fitti di numeri e percentuali, con aria scontenta.

- Cosa stai facendo? – chiese lei, cercando di evitare un altro scoppio di irritazione, almeno per un po’. Quella brutta immagine di poco prima, oltre a sembrarle un pessimo presagio, stava temporaneamente frenando la sua indisponenza.

Piuttosto afferrò un pezzo di pane imburrato, attenta a non rovesciare la teiera.

- Controllo le tariffe di quest’anno… - le rispose, mesto.

Lei sospirò con sufficienza, distribuendo la marmellata sulla fetta: - Ti stai solo facendo del male. Tanto se dobbiamo rifornirci possiamo farlo solo presso i Lucas F. e dovremo pagare quello che ci chiedono. Comprese le spese doganali governative. Non c’è scampo. –

- Uhm… - bofonchiò – Lo so, ma voglio comunque farmi un’idea di come ci spenneranno questa volta, tra tutti. – poi aggiunse, alzando repentinamente gli occhi nocciola sulla sorella – In più, oltre alla carne per le “Forniture di Carmen”, serve altro? -

Principessa appoggiò la testa al dorso della mano, pensierosa, addentando il pane.

- Ah… Forse si… C’era una cosa… - cominciò a dire, incerta.

- Importante? – insisté Clay, fissandola con insistenza.

- No, altrimenti me ne ricorderei! – puntualizzò, stizzita.

Il biondo alzò gli occhi al cielo. Quella era la proverbiale tendenza di sua sorella a fare appello ad una memoria usurata dal disuso. L’aveva spronata infinite volte a segnarsi quello che le veniva chiesto, soprattutto se lo riteneva prevalentemente inutile. Era ormai chiaro che riusciva a ricordarsi sempre e solo ciò che le interessava direttamente e completamente, mentre il resto nel suo complesso passava perennemente in secondo piano.

L’unica cosa buona era che non si trattava del sintomo di una natura davvero egoistica. Per quanto potesse sembrare qualcosa di molto simile, Principessa era solo molto, davvero molto, smemorata per tutto ciò che non era una pura questione di vita o di morte. In fondo non era arida di cure e attenzioni per ciò che riguardava le persone care. Anche se da qualche tempo le erano rimasti vicini solo lui e…

- Non è che è stato Johnny a chiederti qualcosa…? – domandò, improvvisamente comunque certo della risposta.

- Chiaramente! – rispose, pronta – Chi altri si rivolgerebbe a me!? –

- Insomma, non ti arrabbiare con me…! – esclamò, risentito – Sto cercando di aiutarti…! –

Lei sbuffò, continuando a spremersi le meningi. Non era qualcosa di essenziale, ma una di quelle questioni che si protraevano da un po’. Quel negoziante sfaccendato era sempre preso a ricordarle “quella cosa”…

- Comunque a questo punto sono abbastanza sicuro si tratti delle spezie. – puntualizzò lui, ancora offeso dalla mancanza delle scuse e da quell’aggressione gratuita.

- Le spezie! Certo! Guarda che ci potevo arrivare! – protestò, ostile perché interrotta a pochi secondi dalla risposta..

- Non credo proprio… - osservò.

La ripicca di Principessa arrivò subito, brutale, con un calcio sullo stinco sotto il tavolo.

- Ahi! – protestò, sfoderando un vano broncio.

 

- Comunque in sostanza ci chiederanno il settanta percento più dell’anno scorso. -

Clay aveva ormai finito sia la colazione sia i suoi approssimativi conti sul tariffario delle spese commerciali nell’anno corrente.

- Non voglio sentire… - sussurrò Principessa, una mano portata alla tempia.

- Un rialzo del dieci delle tasse doganali, cosa abbastanza onesta da parte del Governo con i tempi che corrono. E’ il sessanta dei conti della sola Fratellanza che lascia basiti! – continuò imperterrito il ragazzo, ormai assorbito da quell’analisi impietosa.

- Di che ti stupisci!? Sono solo infami strozzini! – esclamò lei battendo una mano sul tavolo, frustrata.

Per un istante il ragazzo non parlò, evidentemente preoccupato.

- Al diavolo anche il Governo! – imprecò lei, sempre più rabbiosa – Avrà anche limitato gli aumenti doganali, ma se non controlla cosa combina la Fratellanza, va in malora tutto! -

- Prin, non ce la faremo mai. –

La sentenza improvvisa di Clay, pronunciata con un realismo inquietante, le tappò la bocca e le fece strabuzzare gli occhi.

- Cosa vuol dire…? – chiese poi, deglutendo il panico come una pastiglia amara.

La carnagione già lattea del ragazzo era diventata cadaverica, mentre si appoggiava le mani sul capo e abbassava la testa, provato.

- Per comprare tutto ciò che ci serve, finiremo per chiudere bottega. Non abbiamo abbastanza soldi per campare avanti e continuare a lavorare allo stesso tempo. -

- Dimmi che è uno scherzo! Non è divertente, Clay! – esclamò, scattando in piedi.

- Ti dico che è così. Tutta quella carne, le spezie per Johnny, il liquore, qualcosa per la nostra dispensa, che da un po’ di tempo non è in grado neanche di far fronte alle le piccole ordinazioni… Andiamo in rosso. E non riusciremo mai a recuperare lo speso, con i nostri prezzi moderati. –

- Alziamoli! – lo incitò lei, ormai altrettanto pallida e allarmata, ma ancora abbastanza in sé da gridare quelle inutili risoluzioni.

- Andiamo, Prin! Vengono da noi solo per questo, sai!? Perché siamo gli unici onesti dell’isola! Se ci giochiamo anche questi clienti è finita! – le urlò per contro lui, scuotendo la testa rivolto al tavolo.

- Non c’è altro modo! Dannazione, Clay! Non sopporto questo tuo atteggiamento disfattista!–

- Sai già quale sarebbe l’unica soluzione… - le disse improvvisamente, alzando lo sguardo contrito su di lei.

Non aspettò neanche un attimo prima di tornare a battere il palmo con foga sul piano di legno:

- No, no, e poi no! Mi rifiuto! -

- Quelle cinque “Forniture di Carmen”… -

- Neanche una parola di più! –

- Non capisci…!? Smettila di… -

- No, sei tu che devi smetterla! –

- Capiranno! Insomma se erano tanto amici della mamma, allora… –

- Un dovere è un dovere! –

Clayton scosse la testa, mesto, ma Principessa approfittò del suo silenzio per tornare ad inveire, irremovibile:

- Non sai, quindi è normale che tu non capisca! Ma te lo dirò una volta sola: la mamma ha giurato di provvedere ad ogni “loro” necessità e io non sarò una figlia degenere che permette la violazione di un preciso impegno! -

- Per una sciocca ragione di orgoglio… - tentò il fratello, a bassa voce.

- Alza i prezzi! Ma quelle forniture non si toccano! – insisté lei, furente, gli occhi ridotti a fessure.

 

Un lieve bussare alla porta di casa interruppe per un momento il battibecco.

La ragazza si affrettò con passo pesante alla porta e la aprì come una furia. Lo sguardo le cadde sul giovane postino dell’isola, un ammasso di capelli castani e poco altro. L’atteggiamento pedante che quest’ultimo sfoggiava spesso, come un’aria di importanza apposta al suo mestiere che risultava agli occhi di tutti più un lavoretto part-time a causa della sua giovane età, sembrava svanito nel nulla. Che fosse stato il fatto di dover, stranamente, consegnare una lettera a quel malfamato indirizzo o che fossero state le urla della discussione di poco prima, probabilmente udibili anche all’esterno, a fargli abbassare da principio la cresta, a quel punto lo sguardo ancora molto poco cordiale della padrona di casa aveva fatto il resto.

- La signorina… McFerson Principessa…? – domandò, intimidito, con gli occhi lucidi che sembravano implorare di non ucciderlo.

La risposta alla muta richiesta fu formulata dall’espressione dell’interessata al sentirsi chiamare con il suo nome completo. Lo spasmo di nervoso che ebbero le sue labbra scarlatte di rossetto preannunciava le brutte torture che avrebbero preceduto quell’omicidio.

- Chi credi che abiti a questo indirizzo, volpe!? – gli rispose, già cercando di trattenere un appellativo meno cordiale.

Il bimbetto deglutì sonoramente e porse una lettera, che lei afferrò senza curarsi neanche di guardare. Rivolse un brevissimo cenno del capo al micro-postino, per poi chiudersi sonoramente la porta alle spalle.

 

- Proprio un furbone! – esclamò, infastidita.

- Perché adesso te la prendi con il postino…? – protestò Clayton, esasperato.

Con un gesto stizzito sbatté malamente la lettera sul tavolo, con uno schiocco sordo.

- Un viziato bambinetto delle elementari! – commentò, spostandosi il ciuffo che le era scivolato sulla guancia.

- Si dà il caso che i suoi siano sempre in disagio economico e che lui faccia quello che può… - rispose, mesto – Andrebbe lodato… -

- Solo se non facesse tanto il gasato con tutti! Tutti hanno problemi economici! E non c’è da vantarsi quando si è sfruttati per far funzionare gli affari di famiglia! – continuò lei, afferrando le loro tazze e voltandosi per andare a sciacquarle al lavandino.

- Perché deve essere sempre così difficile parlarti e farti ragionare…? Se andassi tu al suo posto funzionerebbe meglio!? – la stuzzicò, insofferente.

- Io ho l’età per lavorare. Non credere che non lo farei per un degno compenso e per tirare avanti la baracca! –

- Bene… Allora chiederò all’ufficio postale se hanno qualche mansione per te… - concluse.

L’acqua scrosciante fu per qualche momento l’unica risposta.

- Prin…? – la chiamò, piuttosto sbalordito dal suo silenzio.

- E credi che mi vorrebbero? –

Clay sbuffò, scontento: - Vedi che tu sei solo bloccata dalla prospettiva di non essere accettata? –

Lei si voltò a guardarlo, compunta: - E’ semplice realismo. –

- Non mi costa nulla chiedere. – affermò, convinto.

- Figurati. – rispose, ironica.

 

In quell’istante, mentre cercava qualche parola per abbandonare il terreno accidentato del lavoro e rientrare in quello ancora più impervio ma impellente del denaro, gli occhi del ragazzo caddero sulla busta affrancata abbandonata sul tavolo.

Fece in quel momento vaga mente locale sullo strano fenomeno che rappresentava una missiva diretta a sua sorella. Bizzarro, ma non troppo raro. Succedeva quasi una volta al mese: Principessa riceveva di persona una lettera, la apriva con un vago senso di ribrezzo, ne leggeva frettolosamente il contenuto e buttava il tutto con uno scatto furioso nel fuoco o nel cestino. Imprecava a lungo a fior di labbra, poi restava cupa e nervosa, più del solito insomma, per il resto della giornata. Inutile dire che non ne aveva mai fatto parola con lui, neanche di fronte ad una richiesta diretta.

Fu quindi prima di tutto per curiosità che Clay prese in mano quel piccolo fascio di carte. L’indirizzo era scritto con una grafia evidentemente femminile, tutta svolazzi, alla quale all’inizio non fece caso. Piuttosto girò subito la busta per guardare il mittente. Rimase sbalordito.

Sotto il simbolo stilizzato di un gabbiano, si leggeva a chiare lettere:

“Marina Militare - Ufficio Distribuzione Benefici Famigliari – Direttrice in capo Dr. essa Laclar Raine”

Solo allora andò a leggere meglio il destinatario.

“Per la Signorina Sakazuki McFerson Principessa”

Una nuova onda di stupore gli fece sbattere gli occhi e rileggere. No, non c’erano errori, eppure…

Prima che potesse capirne di più, gli venne strappata di mano.

- NON IMPICCIARTI DEI FATTI MIEI! – gli urlò contro la sorella, ponendosi a distanza di sicurezza dalla sua curiosità.

- Cosa dici!? Se è nostro padre a… - cercò di dire.

- VEDI IL TUO NOME SCRITTO DA QUALCHE PARTE!? NO! ALLORA NON TI RIGUARDA! – scattò con una cattiveria della quale si pentì subito.

- Prin… -

Ignorò tuttavia anche questa volta l’intervento del fratello e strappò velocemente la busta. Non si stupì di trovare al suo interno i soliti due fogli di carta. E come tutte le altre volte, per prima cosa estrasse la lettera vera e propria. Ormai conosceva a memoria quella scrittura tutta fronzoli e quell’insieme di formule prive di valore.

“ …  In quanto giovane donna non sposata, priva di reddito effettivo, se non prodotto in seguito ad una attività di intermediario commerciale ad un livello amatoriale, priva di madre e abitante in un’isola posta sulla Grand Line, il contributo sarà espresso, secondo la Legge, dal calcolo del  40% dell’attuale stipendio del genitore in vita...

… Stimato lo stipendio mensile del padre riconosciuto dalla Legge, On. Ammiraglio della Marina Sakazuki Sachio, intorno ai 50.000 berry lordi al mese …

… Le ricordiamo che la somma, quivi inviata con l’allegato assegno bollato, Le viene assegnata in seguito alla rilevata aggravante della condizione riconosciutaLe di figlia unica… “

- Stronzo. Un dannato stronzo. – sussurrò debolmente, come ogni volta prima di tutto sfiduciata e prostrata da quelle parole.

- Cosa succede…? – chiese Clay, preoccupato.

Trasalì quando la vide afferrare i lembi del foglio e strapparlo con furia, una, due, tre volte.

- QUEL FOTTUTO VERME SCHIFOSO! COME SI PERMETTE!? COME!? – urlò come un’ossessa, tanto forte da far quasi vibrare le pareti.

Ancora avvicinò i frammenti e riprese a frantumarli con maggiore slancio: - BASTARDO DI UN MARINAIO! CI FOSSERO UOMINI COME “LUI”, INVECE DI SIMILI FIGLI DI… -

- Prin, cosa…? – tentò di interromperla, quasi spaventato da quello sfogo tanto violento.

- CI STA PRENDENDO IN GIRO! – gridò, improvvisamente rivolta al fratello – LO FA SCRIVERE OGNI VOLTA, ALLA FINE DI OGNI LETTERA! COME SE DOVESSE RICORDARLO A TUTTI QUANTI!-

- Avevo ragione, c’entra nostro padre…? – chiese ancora, impacciato.

Gli era difficile riferirsi a quella persona che neanche ricordava di aver mai visto, soprattutto dal momento che sua sorella sembrava odiarlo sopra ogni cosa, ancora una volta per un motivo a lui sconosciuto. Eppure si chiedeva come potesse essere tanto male un uomo così importante all’interno di una gerarchia impietosa come quella della Marina, per quanto fosse evidentemente molto disinteressato alla sua famiglia. Si sforzava di chiamarlo con quell’appellativo per ricordare il legame di sangue che inevitabilmente univa tutti e tre, ma questo sembrava sempre infastidirla anche più della sola esistenza del consanguineo.

Non contenta di aver ridotto il documento in coriandoli, in mancanza d’altro, li buttò nel lavandino e fece scorrere l’acqua per farne perdere le tracce nello scarico.

- NON HA RISPETTO PER NIENTE E NESSUNO! NON PROVA NESSUN SENTIMENTO UMANO! E’ SOLO UN DEMONIO! – prese fiato, affannosamente – NON VOGLIO LA SUA ELEMOSINA, DOVESSI MORIRE! -

Quella parola ebbe l’effetto di un fulmine su Clay, che balzò in piedi, sconcerto: -“Elemosina”!?–

Allora la vide estrarre dalla busta spiegazzata un foglietto azzurrino, che non tardò un istante a riconoscere come un assegno.

- NON ABBIAMO BISOGNO DI UN SOLDO DA QUELL’ANIMALE! – riprese lei, un bagliore nefasto e quasi folle nello sguardo, mentre lo teneva tra le mani con l’evidente scopo di condurlo alla stessa fine della lettera intestata.

- Non fare follie! – le gridò, scattando per sottrarglielo.

Nonostante fosse più alto di lei di qualche centimetro, non ci riuscì al primo tentativo. Principessa si buttò indietro per sfuggirgli molto più velocemente, ma non colse l’attimo per strappare il biglietto, riprendendo piuttosto ad inveire.

- NON VOGLIO NEANCHE VEDERE DA LONTANO QUESTI SOLDI! NON SONO NEANCHE SUOI! SE LI TIENE BEN STRETTI! -

- Allora che roba é…? – chiese, fingendosi interessato a quelle polemiche al solo fine di distrarla. Nel frattempo, faceva qualche passo in avanti, con finta noncuranza, studiando un modo per portarle via il prezioso credito. Sfortunatamente per lei, era molto bravo nell’inventare stratagemmi. Non riusciva mai a vincere a scacchi, quello no, e neanche suggeriva istintiva fiducia in quell’ambito, ma non era tanto sprovveduto quanto sapeva di apparire.

- ALLA FINE NON E’ ALTRO CHE UN CONTRIBUTO GOVERNATIVO, DOVUTO AGLI ORFANI DI MADRE! CHE SI CALCOLI SUL SUO STIPENDIO E’ ACCESSORIO! AI MIEI OCCHI E’ COME UNA MERCE DI SCAMBIO E NON LA VOGLIO! –

- Se ci è dovuta, non vedo perché devi rifiutarla! La fa mandare lui dalla Marina perché hanno un ufficio apposito e una chiara idea del suo profitto! Ma, appunto, non sono soldi suoi… Non vedo perché dobbiamo rinunciarci! –

- NON CAPISCI! – gridò ancora, per la prima volta con una nota di disperazione.

- No, perché non me ne hai mai parlato. – concluse, amareggiato – Non sembro neanche tuo fratello per tutte le cose che mi tieni nascoste… -

- NON DIRLO NEANCHE PER SCHERZO! – protestò, indignata e allarmata da quelle parole, che si avvicinavano tanto al motivo del suo rancore.

- Qual è il problema…? – chiese ancora, con un ulteriore passo nella direzione della ragazza.

- CI DOVREBBERO PIU’ SOLDI! – sbottò infine – GIOCA SU FORMALITA’ E LEGGE E ANCHE SE NON CI RIMETTEREBBE NULLA! PER PRINCIPIO CI NEGA CIO’ CHE CI E’ DOVUTO! IL MINIMO INDISPENSABILE PER IL SUO ONORE, COME UN’ELEMOSINA! –

– Continuo a non capire… – disse, finendo per apparire spaesato più che risoluto.

Principessa si rasserenò lievemente di fronte a quella consueta incoscienza e il suo tono si ingentilì quanto bastava a non far più rimbombare le sue parole.

- Devi credermi, Clay. –

E voleva dirgli la verità: il suo nome non esisteva su quel foglio. Come se suo fratello non fosse la sua unica e vera famiglia; come se quello schifoso neanche sapesse della sua esistenza – ma lo sapeva eccome; come non meritasse neanche un posto al mondo. Era questo il punto: i soldi erano solo la punta di un iceberg che al centro aveva il riconoscimento di quella persona a lei tanto cara, che era al suo fianco in quanto fratello e per questo non aveva bisogno di una marca giuridica.

- Tuttavia… - riprese lui, incupendosi – Quei soldi ci servono, Prin... -

- Li distruggo, Clay! Come se neanche fossero esistiti! - esclamò, esaltata.

- Come hai fatto tutte le altre volte!? Dio! Non voglio pensare a quanto abbiamo perso finora… - affermò, sconsolato.

Poi con un guizzo repentino le afferrò il polso della mano che reggeva l’assegno.

- Lascialo andare, per favore… - le chiese, molto meno autorevole di quanto avrebbe voluto, ma al contrario molto vicino alla supplica. Non voleva farle male e non l’avrebbe mai fatto, ma la situazione era grave  e non potevano rinunciare ad un singolo berry.

- Non voglio! Hai capito!? Non voglio! – gli rispose, cercando di spingerlo via con il braccio libero.

- Sai che faccio sempre a modo tuo. – disse, dolcemente - Ma questa volta ne và della vita di questo negozio e della nostra. Per favore. – le chiese ancora, sempre molto più tenero del necessario, ma proprio per questo più persuasivo.

Principessa distolse lo sguardo, soprattutto delusa dal non potersi sottrarre alla triste verità e alla richiesta fattale. Le due dita rilasciarono l’assegno che sventagliò un istante verso il suolo, prima che il ragazzo lo afferrasse a piena mano spiegazzandolo un po’, con la sola idea di non lasciare che cadesse o tornasse in mano alla sorella. Allora tolse la presa dal polso di lei e fece un paio di passi indietro, per scrutare l’espressione che aveva assunto.

Con un ringhio, affermò solo: - Fai che io non veda un soldo, non voglio sapere quanti sono, non voglio averne notizia. Ritirali alla banca, almeno senza farti fregare. –

- Prin… - iniziò lui, impacciato.

- Lo stesso con i Lucas F., non farti mettere i piedi in testa e presentati già con i conti fatti. –

- E tu dove vai…? – chiese, vedendo che stava già prendendo la porta.

- A farmi un giro. A stasera. – rispose, perentoria e senza aspettare risposta.

 

Ward-Golfe era la cittadina più triste che si potesse immaginare, anche in un fresco giorno di primavera come quello. Per un momento Principessa si illuse che fosse solo per il suo umore decisamente mesto, ma era inutile cercare una giustificante per una osservazione tanto oggettiva.

Strade sterrate, scure e umide in autunno e primavera, dure in inverno, polverose e crepate in estate. Casupole sparpagliate, piccole e sparute, poche mantenevano quel minimo di dignità solo per essere state dipinte di fresco, altre sembravano un mucchio di legna accatastata. Insegne impolverate o mezze sciolte dalle piogge degli ultimi giorni mostravano i nomi delle poche famiglie artigiane e intermediarie che si ostinavano a rimanere in quel luogo dimenticato dalla fortuna. Altri cartelli giacevano a terra, davanti ad edifici scricchiolanti, sprangati con violenza, abbandonati per altri lidi, più spesso per bancarotta.

Per un momento, notando le grandi assi di legno che chiudevano ermeticamente l’ingresso del macellaio, che fino alla settimana prima aveva ancora visto dietro al bancone, rabbrividì. Se avessero chiuso l’emporio, lei e suo fratello si sarebbero ritrovati per strada, definitivamente. La sola prospettiva le lasciava un senso di profonda ansia e, per un millesimo di secondo o poco più, fu sollevata all’idea di aver permesso a Clay di incassare il dannato assegno.

Eppure erano quei mercanti corporati, quegli strozzini autorizzati, la vera rovina del paese. I Lucas F. erano tornati in quella sede da pochi giorni, ma gli effetti dell’evento erano più che evidenti. L’amministratore dei loro affari era stato affogato senza molte remore appena erano state provate le concessioni che aveva fatto a molti negozianti dell’isola. Oltre al macellaio avevano chiuso anche il fiorista e la sarta: produttori di merce di qualità, a partire dalla materia prima, stoffe preziose e fiori freschi, entrambe di importazione, quindi suscettibili alle violente tassazioni della Fratellanza. Da lontano, spaventosamente vasto e sfarzoso, si riusciva a vedere il grande tendone che facevano montare ogni volta che tornavano sull’isola, scempio e smacco per la povera gente che veniva derubata dai bastardi.

Solo una cosa non cambiava mai. O meglio due.

La prima era l’aria ebete e falsamente soddisfatta della quantità di gente che passeggiava in ogni stagione per quelle strade meste e cupe. L’atteggiamento di chi accetta ogni cosa piova dall’alto semplicemente piegando la testa, con quel sorriso ottimista che nasconde tanto bene le peggio cose da apparire rassicurante. Ipocrita, idiota, codardo, ma ottimo per la propaganda di Lucas F. Lemes, sindaco emerito dell’isola.

L’altra cosa che si ripresentava ogni singola volta, sempre con quel retrogusto aspro quanto inquieto, era il disprezzo dei concittadini per lei, per la Strega…

Occhiate storte da un paio di comari pettegole ad un angolo della via sulla quale passava, quasi battendo i piedi dalla rabbia. Sussurri timorosi di una coppia che faceva di tutto per tenersi lontana dalla traiettoria del suo passo spedito. Gli scongiuri vigorosi e neanche lontanamente celati di una anziana raggrinzita con gli occhi pieni di puro terrore sulla soglia di casa.

Una famigliola sbucò da una via laterale, poco lontano sulla linea retta che la ragazza stava percorrendo senza esitazione, gli occhi più cupi e crudeli che mai per la rabbia della discussione appena conclusa. Principessa si era finora estraniata da ogni cosa, ma a quella visione rallentò istintivamente e guardò la bambina che la madre teneva per mano. Aveva più o meno tre anni, due occhi grandi pieni di stupore e innocenza, un abitino chiaro pulito e lucido sul corpicino paffuto e tutto da coccolare. Chissà se una volta anche lei era stata così carina… O aveva sempre avuto gli occhi rabbiosi e inflessibili dell’Ammiraglio… Sicuramente, non aveva mai passeggiato così con i suoi genitori. Lei stessa si stupì del sorriso malinconico che si generò sul suo volto, mentre continuava a guardarla teneramente. Meno gentili erano però le espressioni sgomente dei due adulti, spaventati dal fatto che quella persona così tremenda stesse guardando fisso la loro figlia.

Allora fu la piccola a voltarsi e guardare la ragazza. La boccuccia si articolò in una grande “o” di stupore e la indicò con la mano libera dalla stretta protettiva della madre: - Tata…! – disse, sventolando la bambola di pezza che stringeva, che inevitabilmente le sfuggì, cadendo a terra.

La ragazza reagì in modo del tutto spontaneo: si fermò e si piegò per raccoglierle il giocattolo. Tuttavia, non appena porse l’oggetto alla bambina, la madre strattonò via la figlia, che aveva già allungato la piccola mano. Il padre prese in braccio la piccola, che ancora agitava le mani per recuperare la sua bambola, e rivolse uno sguardo cupo e sospettoso a quella sconosciuta. Solo allora la donna, gli occhi spalancati e pieni di terrore, osò parlare:

- Adesso che l’hai toccato, non osare darlo alla mia bambina, Strega! -

Principessa si rimise in piedi e guardò un istante la bambola, dimostrando la più assoluta impassibilità. Era un peccato: era ben cucita, aveva un bel vestito sgargiante e due bottoncini azzurri come occhi. Forse anche quella gente prima o poi non avrebbe avuto abbastanza denaro per dare un simile giocattolo a quel loro piccolo tesoro e ora volevano sottrarsi da un oggetto così ben fatto per una stupida diceria. Solo perché lei l’aveva toccato, solo perché poteva averci impresso un maleficio contro una creatura innocente, solo perché poteva generalmente portare malocchio dopo che l’aveva sfiorato. Che gentaglia.

Alzò il volto sui due apprensivi genitori, immobili come statue di sale a fissarla, senza trovare neanche l’istinto per fuggire. Avrebbe voluto ridere di loro teatralmente, ma era una pessima giornata e non ne aveva la forza. Li guardò con aria di sfida mentre rilasciava semplicemente la stretta della mano intorno alla bambolina – come aveva fatto poco prima con quell’assegno – e lasciava che cadesse a terra con un tonfo. Poi riprese a camminare senza una parola passando in mezzo a loro, che aprirono frettolosamente un passaggio per vederla allontanarsi il prima possibile dal loro angioletto.

 

Johnny fischiettava allegro alla bella giornata primaverile, mentre puliva con un moccio il fango raggrumatosi la precedente notte di pioggia sull’uscio del suo locale. La cittadinanza, notò con sincero piacere, era allegra nonostante la nuova infestazione della Fratellanza. Forse perché si sentivano rincuorati dall’ormai prossima “Convention Generale della Marina d’Assalto”, che per almeno cinque giorni avrebbe tenuto lontani dall’isola almeno i pirati, tenendo occupati d’altra parte i Lucas F. per rifornire i galeoni riuniti in quel porto. Anche per lui tale prospettiva sembrava molto rassicurante: era uno dei pochi ad essere riuscito a mantenere un locale e gli si preannunciavano tre giorni di pienone e di conti immediatamente saldati, senza minacce o disguidi. Ofay sarebbe presto stata la sposa di un ricco padrone di locanda, se lo diceva ogni volta che prevedeva buoni affari. La cosa non si avverava mai pienamente e avrebbero dovuto chiedere un prestito per organizzare una bella cerimonia, ma augurarselo tra sé suonava sempre molto rassicurante e alimentava le speranze e la buona volontà.

Mentre si godeva il sole tiepido e l’atmosfera gradevole, non poté che udirli da lontano.

- Oh, è un bel bocconcino! -

- Davvero! Viene proprio voglia di portarsela in un vicolo buio! –

- Ehi, bella! Non ti fermi un po’ con noi!? –

Chissà perché era certo di chi fosse a portare quei tre pirati da due soldi a fare quelle osservazioni a voce tanto alta. Li aveva visti già poco prima quando erano passati davanti al locale e sembravano più stupidi che pericolosi. Molto stupidi se avevano deciso di fare quei commenti a Principessa. Si voltò con una mano sulla fronte per coprirsi dal sole e ne ebbe la conferma. Era impossibile non vederla: il completo verde smeraldo e il fluenti capelli di fuoco erano i colori più vivaci e brillanti nel raggio di chilometri. Ecco, ora bisognava solo aspettare lo scoppio d’ira che avrebbe mandato i tre balordi all’ospedale, o meglio allo studio dell’unico medico disponibile. Perché - Principessa lo diceva sempre anche a lui - una cosa erano i complimenti cortesi e un’altra erano le osservazioni volgari e la punizione per le seconde avrebbe dovuto rientrare per legge nelle facoltà delle offese. Lei sapeva far valere molto bene questa regola…

Johnny riprese a spazzare, ma non avvenne nulla.

Alzò lo sguardo ed la trovò già davanti al locale, a qualche metro da lui, intenta a fissarlo incerta. Lontano sulla strada i disgraziati se ne stavano andando sulle loro gambe, ma ancora vociando scomposti.

- Be’, non li ammazzi…? – domandò lui, cercando di fare dello spirito.

Lei scosse la testa: - Hanno detto fatto le prime buone osservazioni su di me della giornata… Oscene, s’intende, ma almeno buone… - commentò con un ghigno che mostrava più rabbia che divertimento.

Il locandiere scosse la testa. Era di nuovo una di quelle giornate.

Appoggiò lo scopettone alla parete dell’edificio e le fece cenno di avvicinarsi con una mano: - Avanti, Principessa, vieni dentro… -

Per la prima volta da quando la conosceva sembrava stranamente spaurita, ferma con le braccia conserte dal lato opposto della strada scassata e crepata da quel primo sole. Guardò il lungo manico dell’oggetto che aveva appena appoggiato al muro con un atteggiamento che voleva essere altezzoso:

- Se stai facendo le pulizie, ti lascio volentieri finire. Tanto sarebbe meglio nessuno mi vedesse entrare da te o ti potrei rovinare l’attività. -

- E allora cosa saresti venuta a fare fino qui…? – domandò, non riuscendo ad apparire spiritoso. Ora era anzi piuttosto preoccupato per lo stato dell’amica.

- Una passeggiata. Ne avevo bisogno. – minimizzò. Il suo sguardo era stato attirato da due donne che si stavano avvicinando su quella strada e osservavano già malignamente i due intenti a parlare.

Johnny si ritrovò a guardare a sua volta in quella direzione e sbuffò. Attraversò la strada per andarla a prendere per un braccio, con aria sicura.

- Non fare follie. Una cosa è quando mi presento la sera tardi, con i clienti occasionali, ma… - lo avvertì lei, davvero preoccupata.

- Me ne frego. – le rispose con fermezza – Adesso, vieni dentro o devo trascinarti? –

- Ofay non ti sposerà mai se continui a frequentarmi. – sentenziò, risentita.

- Potrei dirti che neanche questo mi interessa, ma sarebbe una balla. – si sforzò di sorridere – Spero solo che non sia tanto sciocca da credere a ciò che si racconta su di te. Sei una mia amica, dovrà abituarcisi. –

- Sei proprio pazzo. – osservò seria, lasciandosi guidare dalla sua stretta gentile dentro il locale.




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Eccomi qui!

Finalmente ho terminato 'sti cavolo di esami e sono pronta a rimettermi a scrivere...! XD L'unico problema é appunto che sono in alto mare con il capitolo 4, quindi temo vi toccherà aspettare un attimo che riesca a rimettermi per bene al lavoro...

Ebbene, scommetto che questa non ve l'aspettavate! Capito chi é il padre di Principessa? Sono davvero brutti momenti... u_u Sono sadica, lo so...

Questa é anche la mia prima descrizione di Ward-Golfe: spero di aver reso l'idea dell'ambiente e degli abitanti. Potremmo considerarlo un capitolo intermedio quasi, dal momento che l'azione vera verrà nel prossimo, ma spero non vi sia dispiaciuto comunque!

Una piccola noticina. In questi giorni ho ragionato molto sulla questione dei nomi e dei cognomi nella serie originale,  alla quale voglio attenermi il più possibile. Mi sembra di aver capito che la tendenza generale sia quella di mettere prima il cognome poi il nome in tutte le indicazioni. Ho ragionato sui casi più significativi, tipo quello di Robin e sua madre: entrambe si chiamano "Nico" che credo possa considerarsi un cognome, a quel punto, ma che si pone prima del nome proprio. Così per le grandi famiglie della saga tipo i Monkey D. ... Poi ho pensato a personaggi più nuovi come Law e Kidd: credo che la regola sia la stessa (meno male, anche perché l'idea che il loro nome proprio sia "Trafalgar" e "Eustass" mi suonava strano).  Così ho deciso di uniformare anche Prin e Clay (e "Akainu")  a questa regola del cognome-nome... Spero non vi sembri troppo campata in aria come teoria, ma io ci credo abbastanza... XD

Grazie a chi ha letto e recensito (e mi ha fatto tanto piacere anche rispondervi)! Grazie a chi sta seguendo la storia dal primo capitolo (o dal secondo, é lo stesso) e spero non smetterà di farlo! Grazie a chi ha appena aperto la pagina e avrà piacere di leggere e commentare! ^^

A presto!!! XD

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

 

Johnny accese un paio di lampade nei pressi del bancone, sempre necessarie nell’ambiente seminterrato, mentre Principessa si afflosciava su uno sgabello, infelice.

- Se ti offrissi un bicchiere d’acqua? – propose lui, tastando il terreno sul sarcasmo della ragazza, il segno più rassicurante della sua buona salute.

- Te lo verso per terra. Così fai prima a lavare il pavimento. – sentenziò, cupa e senza alcuna ironia.

- Lo immaginavo. E’ una di “quelle” giornate. – osservò guardingo, provando ancora disperatamente a farla reagire come al solito.

- Non parlare tra le righe del mio umore come se fosse sempre colpa del ciclo, idiota. – ripose, seria e incapacitata a scomporsi – Piuttosto, la bottiglia di cherry. – ordinò con un cenno frettoloso della mano.

- Ti scordi che ti metta in mano una bottiglia di alcol quando sei in questo stato. -  disse, sicuro, andando piuttosto a prendere un bicchierino da vodka per moderarle le dosi.

La ragazza gemette e si afflosciò sul bancone, appoggiando la testa al braccio.

- Neanche inscenando la morte mi convincerai. – tentò ancora di ironizzare il locandiere.

Lei neanche rispose. La testa le scoppiava, si sentiva follemente stanca anche se era sveglia solo da poche ore ed era certa che il peggio dovesse ancora venire. Come se ci potesse essere qualcosa di peggiore rispetto a quell’isola nel suo complesso, quell’insieme di malaugurati misfatti e quegli oscuri presagi di sventura finanziaria.

- Tu andrai in rovina. – sentenziò improvvisamente contro il locandiere, che si era appena avvicinato per versarle un mezzo bicchiere.

Johnny alzò gli occhi al cielo, convinto che fosse finalmente la sua solita cattiveria gratuita:

- Potresti anche non fare la menagrama -

- Non dovresti farmi entrare qui. Dovresti cacciarmi via, Johnny. Io sono una menagrama.–

Solo allora il locandiere si accorse che Principessa lo guardava fisso da quella posizione di riposo, le labbra rosse strette e gli occhi, lucidi come mai li aveva visti, che non sapevano se trasmettergli rimprovero o gratitudine. Forse entrambi.

- Adesso ti lasci anche convincere dalle chiacchiere di questa gente…? Tu non porti sfortuna, non fai malefici, non sei cattiva. - cercò di rassicurarla, appoggiandosi al piano di legno poco lontano da lei – Non fallirò certo perché ti presenti al mio locale. Non fallirò perché siamo sempre stati amici di infanzia. Non fallirò perché due cretine ti hanno vista entrare qui. E ti dirò di più: non fallirei neanche se tu e Clay vi decideste ad alzare i prezzi e mettere insieme un listino concorrenziale. -

Si accorse di aver toccato un tasto dolente quando la ragazza sgranò gli occhi e afferrò in fretta e furia il bicchiere per buttarne giù il contenuto tutto di un fiato. Poi, come se quello scatto le avesse bruciato tutte le energie, tornò nella posizione di prima, con un tonfo di abbandono.

- Guarda che lo cherry non ha il potere di salvare i conti dei negozi. – la ammonì, in risposta al cenno brusco con il quale aveva di nuovo chiesto di allungarle la bottiglia.

- Lo salviamo ‘sto dannato negozio! Come se non contasse nient’altro nella nostra vita! Non ne posso più! Non ce la faccio più! –

Si aspettava sarebbe scoppiata, ma non così. Johnny la guardava con apprensione, mentre neanche alzava la testa nell’esclamare quelle frasi convulse, anzi la immerse completamente tra le braccia conserte e lui dovette avvicinarsi un po’ per sentire. Si limitò ad appoggiarle una mano sulla spalla, accarezzandola piano come sostegno.

- Clay è così buono, Johnny… Tanto buono che ti tira proprio fuori il cuore dal petto… Vorrei dargli tutto il meglio, come avrebbe fatto la mamma se fosse stata ancora qui… E non ci riesco. Non ci posso riuscire. -

- Non sta a te. Clayton è grande, lo sai. – osservò dolcemente.

- Magari non ci riesco perché sono cattiva dentro, come quel verme di mio padre… Non sai quante volte ci penso. Oppure è la mia presenza a far andare tutto male, per questo non riesco a dare la giusta serenità al mio fratellino. Se sparissi e cancellassi l’ombra di male che aleggia anche su di lui… -

- Te l’ho già detto e ripetuto ogni volta che arrivi a delirare in questo modo. – intervenne, stringendole piano la spalla, quasi solo per farle sentire che era lì – Clay ha davvero bisogno di te, perché è troppo ingenuo e credulone: crescerà in questo senso, almeno lo spero, ma per ora non può cavarsela da solo. Poi non hai nessuna ombra di male, Principessa, e tanto meno puoi assomigliare in qualche modo a quell’ammiraglio dei nostri stivali. –

- Lui mi considera ancora sua figlia… E ha ragione, perché ho questo maledetto carattere e questi dannati occhi malvagi… Ma non é vero e non è giusto! Perché se pretende che io lo sia, dovrebbe esserlo anche Clay! O tutti o nessuno! Invece lui, dall’alto di quel titolo e dalla distanza che lo separa da quest’isola da anni, può pontificare e dire la sua verità, quella che ha potere di mettere per iscritto… -

- Sono di nuovo arrivati quei soldi. – concluse Johnny, con un sospiro di pena.

- Clay questa volta ha visto l’assegno. Li vuole ritirare. Per mantenere quel dannato emporio, per non morire di fame, per non litigare con la Fratellanza! – prese un respiro affranto, fregando la fronte e il viso contro le braccia conserte - … Io mi sento come se stessi vendendo la mia anima, ma non ci posso fare niente. E la gente di questo buco di isola mi tratta sempre come se non avessi mai avuto neanche quella… -

- Lo so. Sono stupidi, Principessa. – rispose, impacciato.

Ecco, ora cosa poteva dirle?

– Ne vuoi ancora…? – domandò, rendendosi lui stesso conto di apparire piuttosto ridicolo.

Le stava offrendo da bere, cosa sbagliata a priori. Tutto perché non trovava nulla di sensato per consolarla. Ciò che lei viveva perennemente era un circolo vizioso di cose sbagliate, a partire dal rapporto tra i suoi genitori, che il locandiere da parte sua non aveva mai capito, nonostante da piccolo li avesse conosciuti entrambi. Molto probabilmente c’entrava il fatto che l’emporio della moglie di un illustre marinaio fosse sempre frequentato da pirati, in particolare da “uno”. Oppure la congiunzione astrale che aveva portato quel rigido di Sakazuki a diventare niente meno che ammiraglio. Ma alla fine non importava poi molto il perché: la sostanza é che entrambi l’avevano lasciata orfana su un’isola sperduta, con un fratello di poco più giovane ma praticamente a carico, un lavoro privo di alcuna sicurezza duratura e una cittadinanza di superstiziosi che la trattava come un demonio. Solo perché era figlia di Carmen, solo perché la madre aveva fatto la ballerina e aveva quei tatuaggi di serpenti sulle braccia, solo perché aveva quei capelli rossi, solo perché la famiglia McFerson veniva da lontano - dal Nuovo Mondo - e a nessuno piaceva quella gente.

- Si. Versa, Johnny. – gli rispose, da quel nascondiglio tra le braccia.

Era tanto in imbarazzo per la sua inutilità che non esitò a riempire il bicchiere quasi all’orlo. Di nuovo lei alzò la testa e si scolò quell’alcolico d’un fiato.

- Principessa… - la interpellò ancora lui, con voce debole.

- Cosa c’è? – chiese per contro, evitando di nascondersi ancora.

Nonostante il viso fosse ancora umido e gli occhi arrossati, sembrava almeno quieta. Del resto, era stata la sua ferma decisione fin da principio: era una donna sola, ma non una principessa smarrita; una cacciatrice, mai una preda; una roccia infrangibile, non una fragile porta. Non voleva essere consolata, da nessuno. Anche se Johnny le voleva bene. Anzi, proprio per questo.

- Mi dispiace. – le disse solo, serio, senza smettere di guardarla fisso.

Era un pensiero cupo, per nulla rassicurante, quasi la sentenza della disgrazia inevitabile. Eppure era un’espressione sincera, preoccupata dal profondo del cuore e gentile. Poi tutto il resto fu automatico, solo la realizzazione in gesto di quel pensiero. Le rivolse una carezza tra la guancia umida di lacrime e i capelli rossi, dolce e delicata.

Ci voleva davvero poco per lasciarsi andare a quel dolce gesto e perdercisi. Accettare anche un abbraccio e volerlo mentre le braccia aperte cominciavano a venirle incontro. Tuttavia, dopo quella volta, entrambi avevano deciso di evitarlo. Non bisognava ad alcun costo ripetere quell’errore, quella debolezza, quell’istinto. Allora erano ragazzini e il gesto affettuoso era diventato subito qualcosa di molto intimo, effetto di quel contatto fino ad allora estraneo ad entrambi. Quei tempi erano finiti, completamente.

- Grazie, Johnny. – disse solo, ma gli sorrise, questo si, per ringraziarlo fino in fondo per le sue premure. Perché le voleva ancora bene, dopo quell’incidente, dopo il fidanzamento di lui, dopo gli scatti d’ira di lei. Solo perché anche lei provava molto affetto per quel folle locandiere, gli allontanò la mano, con delicatezza.

E Johnny capì, anche troppo bene, ma le sorrise, da amico probabilmente.

- Ancora uno. – chiese allora la ragazza, senza esitazioni.

Lui sospirò e versò. Questa volta bevve con più calma ed esclamò: - Sai quale sarebbe il modo migliore per farmi stare meglio? –

- Quale? – le domandò, scettico.

- Sposarti con la tua Ofay e farti una bella famiglia alla faccia della Strega. - rispose, fissandolo negli occhi senza esitazione.

- Farò del mio meglio… - le rispose, distogliendo però lo sguardo.

 

- Johnny…? – lo richiamò dopo poco, con voce improvvisamente strascicata.

- Cosa? –  domandò, abbassando lo spolverino con il quale stava pulendo alcune mensole.

- Ho un sacco di sonno… - si lamentò, con una smorfia.

L’altro rise: - E’ sempre così quando bevi troppo! –

- Se mi butto sulla panca là in fondo ti do fastidio? – chiese, alzandosi dallo sgabello.

- No… Tanto fai sempre come se fossi a casa tua… - commentò, ironico.

Principessa preferì ignorarlo e avviarsi al suo giaciglio di fortuna.

- Se passa Clay… - iniziò prima di appoggiare la testa al cuscino copri-sedile.

- Gli dico che sei qui e ti lascio dormicchiare. Ti sveglio solo se si fa tardi. – la precedette, con un sorrisetto – Buonanotte, eh… -

 

Fu un leggero rumore di passi nella sua direzione a svegliarla.

Strano soprattutto perché l’aveva udito così distintamente, mentre si accorse che il vociare dei clienti quella sera doveva essere molto più forte del solito, ma al contrario non le aveva impedito il sonno. Finse di non aver percepito tale suono e di non aver ripreso quel minimo di contatto con l’esterno, tenendo gli occhi chiusi e il respiro regolare. Aveva ancora molta voglia di riposare e non intendeva alzarsi o anche solo cambiare posizione rischiando di spezzarsi il rilassamento che aveva raggiunto.

- Principessa… - la chiamò una voce che non conosceva.

Si limitò a mugugnare qualcosa. Chi era il rompiscatole che aveva deciso di svegliarla? Non sembrava Johnny, ma neanche Clay. Una mano si appoggiò sul suo braccio, con delicatezza. Bizzarro, anche quel tocco sembrava diverso.

- Credo tu ti debba alzare… Principessa… - la chiamò ancora, a bassa voce.

Con uno sbuffo si costrinse ad aprire gli occhi.

- … Tu…? – farfugliò, ancora assonnata e con uno sguardo vagamente vacuo.

Piegato sulle ginocchia per avvicinarsi al piano su cui era sdraiata, stava lo straniero della sera precedente, ancora coperto dal suo matellaccio scuro.

Si fregò subito gli occhi addormentati per non perdere la ghiotta opportunità. Complice una lampada dai riflessi gialli posta proprio sopra di lei, l’ombra aveva lasciato alcuni sprazzi di luce. Anche se continuava a coprire gli occhi, rivelava finalmente un po’ di quel volto: il mento e le guance lisce – aveva intravisto delle lentiggini? -, il naso un po’ a punta e le labbra sottili, atteggiate ad un sorriso divertito. Si intravedeva anche il collo forte e le spalle larghe, ma interveniva a quel punto il bottone scuro a congiungere i due lembi di tessuto e impedire la vista di altro.

Principessa continuava a pensare, più forte di lei, che fosse un peccato non poter vedere tutto.

- Mi ha mandato a svegliarti. – commentò, con un cenno al locandiere, che fissava la scena dal bancone con l’aria di divertirsi un mondo.

La giovane rivolse un gestaccio al padrone, che per contro scoppiò a ridere entusiasta. Poi tornò a rivolgersi allo straniero: - Hai ancora ‘sta roba addosso!? – sbuffò, approfittando della vicinanza per afferrare un pezzo del cappuccio, con il chiaro intento di allontanare quel disturbo alla sua curiosità.

- Già. – rispose, tranquillo, staccandole gentilmente la mano. Aveva la pelle bollente al tatto, ma magari solo per il caldo che doveva tenere quella palandrana.

- E’ incredibile come tu sembri un angioletto quando dormi, Principessa! …Giusto!? – commentò Johnny, cercando poi la conferma dello straniero.

Quest’ultimo allargò il sorriso, rivolgendosi alla ragazza ancora semisdraiata: - Si… - rispose, sincero e divertito.

Lei si alzò quasi di scatto a sedere e stava per protestare, quando Johnny aggiunse, scherzoso: - Ecco perché ho pensato che per svegliare la “principessa addormentata nel bosco” ci volesse il “bello addormentato”! –

- E ti credi anche spiritoso!? – sbraitò allora in risposta, rossa in viso, lanciando un’occhiata allo straniero ancora accovacciato di fronte a lei, tranquillo e anzi evidentemente a suo agio.

- Insomma, rompiscatole tutti e due! – inveì ingiustamente contro entrambi – Si può sapere perché mi avete svegliata!? –

- Ma hai idea di che ore siano!? – domandò il locandiere, con un cenno all’orologio.

- Che sarà mai! Tanto passa Clay a prendermi! Fa sempre così quando discutiamo!– affermò, sicura.

Johnny sbatté le palpebre, stranito: - Già… Strano che non l’abbia ancora fatto in effetti… -

Principessa sbiancò improvvisamente, lo sguardo allucinato.

- Oh, santo Dio, no… - bisbigliò, fissando un punto indistinto tra il pavimento e il bancone – Quegli stronzi… -

L’altro non aveva sentito quelle parole, ma aveva notato chiaramente il pallore inquietante che aveva improvvisamente cancellato l’imbarazzo di poco prima e uscì da dietro il bancone, avvicinandosi all’amica. Lo straniero passava lo sguardo dall’uno all’altra, evidentemente senza capire molto della situazione.

- Johnny! – esclamò lei, vedendolo avvicinarsi – Sei sicuro di non averlo visto!? Neanche di sfuggita, che so, mentre eri fuori a pulire!? –

- Principessa, si può sapere perché ti stai agitando in questo modo…? –

- Doveva andare dai Lucas F. oggi! – gli rispose, concitata.

A quelle parole un improvviso silenzio si materializzò in alcuni tavoli e qualche sguardo si spostò nella direzione dei tre, subito poco benevolo al sentir nominare quella famiglia di malaffare. Il locandiere comprese allora tutti i sottintesi a quella rivelazione e sgranò gli occhi alla prospettiva, ma si impose di non lasciarsi andare al velato allarmismo, soprattutto per non gettare benzina sul fuoco. La vedeva già assaltare il tendone e affrontare quei poco di buono anche solo per il dubbio che avessero trattenuto, o peggio, il prezioso fratello. Lui stesso, tuttavia, stava cominciando a considerare l’ipotesi e sentiva crescere la preoccupazione.  Non sarebbe stata una sorpresa sapere che la Fratellanza fosse passata dalle minacce ai fatti senza alcuna necessità reale. Clayton era un tipo pacifico, ma, se avesse portato cattive notizie, come immaginava, a quella banda di malfattori, non poteva essere certo che l’avessero fatto tornare a casa sulle sue gambe.

Quando Principessa balzò in piedi come una furia, le tagliò la strada e tentò di farla ragionare: - Non essere sciocca! Perché avrebbero dovuto toccare tuo fratello!? Andava a portare loro quei soldi, no!? –

Ma lei lo ignorò, troppo assorbita da quella visione nefasta. Non lo guardava neanche, continuando a ripetere sottovoce: - Li ammazzo. Quelli non vedono l’alba di domani. Sono finiti. Non sanno cosa li aspetta. –

- Principessa! – la richiamò, invano, mentre la ragazza gli sfilava accanto – Sono pericolosi! Non fare follie! -

- Io sono “la Strega”! Sono molto più pericolosa! E se hanno toccato con un dito Clayton, scopriranno che cosa vuol dire! – gli rispose infine, la voce che rimbombava ormai dalla scalinata dell’uscita.

 

Il locandiere guardò lo straniero, appena rimessosi in piedi. Questo sembrò rivolgergli uno sguardo altrettanto serio dall’ombra che era tornata a celarne l’identità.

- So cosa stai per chiedermi. – affermò.

- … In effetti, non ero sicuro di riuscire a chiedertelo… - bofonchiò Johnny, scuotendo la testa tra sé, il capo a quel punto già rivolto al pavimento – Ieri sono stato io a dirti di non avere a che fare con la Fratellanza dei Mercanti, e ora… -

E ora non poteva fare a meno di riporre fiducia in qualcuno che a malapena sapeva identificare e che non era neanche sicuro avesse interesse a compiere quell’impresa. Lui era un semplice locandiere, umile e pacifista: non aveva fatto a pugni neanche da ragazzino, figurarsi pensare di sfidare gli sgherri dei Lucas F.. Non era solo paura – perché in realtà neppure poteva vantare un cuore da leone - , ma vero e proprio senso di debolezza, perché aveva ben chiaro che non sarebbe mai riuscito ad ottenere qualcosa con le sue sole forze. Affidarsi a quel pirata era l’unico modo in cui potesse pensare di agire in quella situazione di emergenza.

- Tieni molto a lei. – ancora una volta fu un’affermazione, non una domanda.

- Si. – ammise, con serenità ma anche un malcelato imbarazzo – Non voglio le capiti qualcosa. –

- Allora siamo in due. –

Johnny rialzò gli occhi e vide un sorrisetto nella penombra. Non poté che sorridergli a sua volta, riconoscente.

 

Il tendone a strisce arancioni e gialle svettava per vari metri sulle case circostanti e occupava quasi l’intero molo est dell’isola. Sulla cima di quella struttura, dove il palo centrale saliva fino a sbucare dal telone, sventolava una bandiera governativa, con la classica croce nera ma su fondo giallo: il simbolo della Fratellanza dei Mercanti, composta da quasi venti clan favoriti e protetti dai pezzi grossi mondiali. Sotto quella struttura così ironicamente simile ad un luogo di divertimento come il circo, la famiglia che deteneva il controllo su Ward-Golfe e le trenta isole circostanti svolgeva la maggior parte delle sue faccende: dall’accoglienza dei clienti alla punizione dei creditori, dagli incontri di piacere alle riunioni con rappresentanti del Governo. Da qualche tempo era diventata anche abitazione itinerante dei tre fratelli Tyner, Koyu e Pexe, i quali detenevano il pieno controllo sulla rotta mercantile e tendevano a spostarsi periodicamente da un lido all’altro del territorio d’affari, lasciando a nipoti e cugini il risiedere stabilmente nei diversi centri cardine, dove facilmente ottenevano cariche importanti e favorevoli agli affari di famiglia.

Principessa non era tanto sciocca da entrare in piena proprietà nemica battendo i piedi e minacciando quelli che a rigore considerava i peggiori rappresentanti del genere umano – escluso l’odiato genitore. Benché fosse arrabbiata quanto preoccupata e ciò rappresentasse il peggior livello della sua intrattabilità, si impose di mantenere un minimo di formale autocontrollo, che equivaleva a sfoggiare quell’artefatto bon ton della sua versione elegante ma sdegnata. Non era sicura di riuscire a mantenere quella patina esteriore, ma doveva provarci: poteva essere molto pericoloso scontrarsi con quei poco di buono e prima di tutto doveva assicurarsi che Clay stesse bene.

Con passo spedito entrò attraverso il lato della struttura che sapeva essere sempre aperto, scostando un lato della tenda già abbassata. L’ambiente era cupo, anche se da un’apertura rivolta ad ovest entrava un po’ della luce arancione del tramonto. Lo scrivano ufficiale, un ragazzino nuovo che la ragazza non aveva mai visto in precedenza, sedeva al tavolino d’ingresso nonostante non fosse più orario d’ufficio, intento forse a compilare il registro delle contrattazioni del giorno. Alzò prontamente lo sguardo quando sentì scostarsi il tessuto e allungò un braccio oltre il suo piano di lavoro per farle cenno di fermarsi:

- Non è più orario d’attività. – sentenziò, bieco.

- Lo so. Cerco mio fratello. – rispose lei, netta, continuando per ripicca ad avanzare nonostante il muto invito.

- Non c’è nessuno qui. – disse, se possibile ancora più secco.

- McFerson Clayton. Deve essere stato qui. –

Principessa guardava dall’alto al basso il segretario, abbassando solo gli occhi, compatta e sdegnosa, le labbra tirate. Quando si fermò davanti al bancone di legno, si riavviò i capelli sulla schiena e incrociò strette le braccia per impedirsi anche fisicamente gesti inconsulti.

L’addetto non fece neanche finta di sbirciare l’elenco delle operazioni prima di soggiungere: - Nessuno con quel nome. Vi sbagliate. –

- Sentite… Doveva venire qui per un’ordinazione. Ne sono certissima. – insisté lei, puntandolo con il sempre maggiore disprezzo espresso dagli occhi neri assottigliati.

- E io vi ripeto che non so neanche chi sia. Quella è l’uscita. – ripeté, per nulla intimorito, accennando a che tornasse da dove era venuta.

- Vedete di rimangiarvi in fretta questa tracotanza, o non riuscirete a mantenerla a lungo. -

Cominciava a fare molta fatica a non arrivare alla prepotenza e alla violenza, soprattutto per l’aria strafottente del segretario, comodamente seduto e affatto preoccupato. Sentiva di riuscire a mantenere il controllo solo imponendosi il “voi”, abbastanza formale da sollecitarle la compostezza da sempre simulata. Tuttavia quella minaccia le era venuta spontanea, tanto che non sentiva neanche il bisogno di pentirsene a vantaggio di una più sana cautela.

- Non mi fate per nulla paura, signorina. – rispose, con un sorriso che ironizzava su quella frase minatoria.

- E fai malissimo. Non c’è da scherzare con questa ragazza. –

La voce era giunta da dietro una tenda di raso alle spalle del funzionario, dietro la quale si aprivano gli spazi privati del tendone. Si scostò a rivelare un uomo panciuto, quasi del tutto calvo, ad eccezione di qualche ciuffo grigio sulla nuca, col naso aquilino a reggere occhialini in miniatura. Rivolse una pacca quasi d’avvertimento sulla spalla del segretario e si posizionò nel migliore cono di luce per far rispendere le finiture d’oro della divisa da sindaco, con un sorriso sardonico diretto all’ospite.

- Lemes. – lo salutò piana e inespressiva la ragazza, accennando solo con il mento e senza deporre per nulla l’ostilità compatta.

- McFerson… - rispose quello, molto più mellifluo, ma cauto.

Forse avrebbe voluto ricambiarle la scortesia di essersi rivolta a lui con tanta disinvoltura e informalità, ma l’indisposizione del suo naso tendeva a ricordargli piuttosto bene cosa significasse chiamare quella matta con il nome di battesimo.

- Dov’è mio fratello, Sindaco? – domandò ancora lei, senza negarsi una nota di fastidio a quell’appellativo onorifico.

- Sono appena arrivato. Non saprei. – esitò, sospettoso – Che ne dici se ti chiamo Tyner? –

La proposta era evidentemente una garanzia per il vecchio: sapeva bene di non essere in grado di trattenere la Strega con le sue sole forze, se questa si fosse scatenata nella sua forma migliore. L’ultima volta ci aveva rimesso il naso – e solo per averla chiamata amichevolmente con il suo nome- , la prossima rischiava qualcos’altro di peggio. Magari la reputazione se si faceva malmenare da una donna nella sede della sua famiglia. Meglio cercare da subito rinforzi…

Principessa, da parte sua, trovava disgustosa l’idea stessa di vedere anche esclusivamente da lontano Lucas F. Tyner, il Tiranno, come lo chiamavano anche i suoi stessi parenti. Parlarci poteva poi essere qualcosa di molto sgradevole, anche se meno di trovarselo genericamente davanti, con i suoi duecento chili di peso per due metri e venti di altezza, e a portata di fiato, dato che sembrava curare più la foggia del guardaroba su misura che la sua igiene personale. Tuttavia non aveva molta scelta e si limitò a scrollare la spalle, senza smettere di squadrare alternativamente, con sufficienza, i due uomini presenti.

Lucas F. Lemes scomparve dietro il tendone per qualche istante e ne riemerse affiancato da un omone inquietante. Ingioiellato più di una donna e acconciato quasi meglio, i capelli castani laccati in impossibili onde sulle spalle, si rivelava ugualmente una figura di potere virile per via della statura immensa e del fisico massiccio per nulla appesantito. Lo sguardo acuto e critico, che da un uomo tutto muscoli ci si sarebbe aspettati invece tonto e inespressivo, segnalava un’evidente vitalità intellettuale, un pericoloso guizzo di ingegno che non per niente l’aveva posto a capo alla più ricca delle dinastie della Fratellanza.

- Cosa fai qui, McFerson? – chiese, per nulla amichevole o tantomeno diplomatico.

- Dov’è Clayton? – gli rispose, a tono.

- Non ho visto quella ragazzetta da nessuna parte. – rispose, mettendo su quello strano vezzeggiativo ogni genere di volgarità e disgusto.

- Stai attento alle allusioni fuori luogo. – lo ammonì, stringendosi ancora di più nelle braccia per imporsi il controllo.

- Perché? Non negherai di essere tu a “portare i pantaloni” in famiglia! – sopraggiunse Lemes, divertito, ma quasi facendosi scudo con il giovane cugino.

- Da qui a dare a mio fratello della ragazzina ce ne passa. – insisté lei, le sopraciglia sempre più pericolosamente acute.

- Vorresti convincermi a scusarmi? – insinuò Tyner, guardandola dall’alto al basso dopo aver fatto un passo in avanti.

- Eccome. – rispose, raddrizzando se possibile ancora di più la schiena per recuperare qualche strategico centimetro nel cono d’ombra del mercante – Ma ora come ora è più importante che scopra dove avete nascosto Clayton. –

- Nessuno ha nascosto nulla. Non lo vedo dall’ultima volta che sono stato a Ward-Golfe. – confermò ancora il dinasta, serio.

- Doveva venire qui… - tentò di dire, ma questa volta proprio non la lasciarono finire.

- Mi ricorderei se fosse venuto a versare quello che ci dovete. –

Quella frase fu un’improvvisa doccia gelata. Principessa non rispose subito, cercando invece di razionalizzare quella affermazione piovuta in modo del tutto inaspettato. Dovevano qualcosa ai Lucas F.? Impossibile!

- Giusto! – confermò Lemes, assestandosi gli occhialini con vana dovizia – Anzi, se per caso voleva recarci il saldo del debito, rimandacelo pure quando lo troverai, eh! -

- Non abbiamo nessun debito. – affermò la ragazza, storcendo le labbra.

- Oh, cara, la tua poca memoria… - iniziò, fingendo filiale affezione, ma interruppe il teatrino prontamente all’occhiata crudele che ricevette in risposta, e fu tentato di nascondersi dietro il parente più possente – Confermalo tu, Pexe! –

Il giovane segretario, evidentemente fratello minore del Tiranno e da poco inserito nel “triunvirato” al potere, storse il naso a quella richiesta e, piuttosto disgustato, voltò all’indietro una ottantina di pagine del registro che aveva davanti, scorrendo poi i nomi con le dita ingioiellate. Arrivato a ciò che cercava, si scostò i capelli impomatati dalla guancia e la appoggiò pigramente alla mano, per poi leggere, con molta poca enfasi: - “McFerson Clayton e Principessa – per cinquanta chili di carne, due etti di spezie varie, quindici fiaschi di vino, trenta barili di birra…” –

- Vai al dunque! – tuonò il fratello, senza smettere di svettare con lo sguardo sulla ragazza.

Quello finì di leggere ininterrottamente anche sotto la lamentela dell’altro, annoiato: - “… quattro stoffe colorate e sessanta litri di whisky – per un totale di 800.000 di berry arrotondati per eccesso.” –

Principessa non ricordava alcun debito, eppure a quelle parole qualcosa si risvegliò nella sua memoria. L’ultima volta che i Lucas F. erano tornati sull’isola, quasi un anno prima, lei e Clay avevano fatto grandi provviste, spendendo davvero un sacco di soldi. Le tornò in mente che in quell’occasione aveva appunto aggiunto qualche buona stoffa per far fare un vestito da festa per entrambi, conscia che tanto il conto sarebbe stato ugualmente astronomico. Così era stato: non avevano potuto pagare subito, ma erano stati in bolletta per vari mesi al fine di raccogliere i soldi e…

- Quella roba è stata pagata quasi sei mesi fa. – affermò, sicura, passando lo sguardo sui tre mercanti per ammonirli sull’impossibilità di replicare alla sua affermazione.

- Non risulta. – rispose, scettico, Lucas F. Pexe dalla sua comoda scrivania.

- Controlla! – esclamò lei per risposta, puntando un dito sul registro con uno scatto aggressivo.

- Principessa, non c’è nulla da controllare… - osservò mellifluo Lemes – Ce lo ricordiamo tutti… -

“Ce lo ricorderemo tutti, tranquillo!” aveva detto il Sindaco, sempre con quel tono fintamente dolce a suo fratello, quando questo aveva chiesto debolmente una fattura.

- C’eri! Tu eri qui quando siamo venuti a versare quei soldi! – e spostò repentinamente quel dito, questa volta accusatorio, sull’anziano mercante.

- Non mi ricordo assolutamente… Quando sarebbe successo…? –

Ora ricordava, chiaro che ricordava.

- Sei mesi fa, Lemes! I tuoi cugini non c’erano, ma sei venuto tu a fare da testimone! Hai fatto registrare tutto a quel segretario che c’era prima, quel tale… - esitò cercando di portarsi alla mente il nome del malaugurato ex-segretario.

- Ufle? Quel falsario di Ufle? – tuonò Tyner, scoccando un’occhiataccia al cugino nonché sindaco.

- E’ morto. – affermò allora, con artefatta afflizione e un cenno di rispetto, il più anziano.

- Pazienza! – esclamò lei, per nulla propensa ad esprimere una compassione che non provava – Resta il fatto che aveva scritto tutto! –

Pexe rivolse un’occhiata eloquente al fratello maggiore, il quale si strinse nelle spalle: - Porta la ricevuta, allora. –

Ma Principessa ricordava anche questo, fin troppo bene.

Suo fratello l’aveva guardata interrogativo dopo quella rassicurazione del Sindaco. Lei aveva sbuffato: “Non starò qui a discutere con te un minuto di più, Lemes. L’idea mi disgusta. Se il tuo segretario sta segnando tutto, non ho ragione di lamentarmi!– aveva detto, per nulla preoccupata.

Era stata lei l’incauta stupida. E adesso?

- Non ce l’ho. – fu costretta a rispondere, con un’occhiata di sfida al ragazzo alla scrivania – Ma ho visto scrivere la transizione su quel… -

- Non è quello di cui parli. – rispose il segretario, muovendo lievemente il capo in cenno di diniego, ma senza spostarlo dalla posizione di riposo.

- Abbiamo scoperto che Ufle aveva falsificato il suo registro e Pexe si è premurato di ricopiarlo, eliminando le note contraffatte. Questa è una copia riveduta e corretta sulla base del denaro ritrovato nella cassaforte. Se non hai una ricevuta e quel denaro non c’è, per me tu e tuo fratello siete ancora in debito. – affermò Tyner, scettico.

- Lemes! Tu eri presente! – tentò ancora, gli occhi strabuzzati che stranamente, nonostante la rabbia che sentiva salirle alle labbra, sembravano supplicare il vecchio alla conferma.

- Assolutamente no! – si affrettò a negare, soprattutto avendo incrociato per un istante l’occhiata sospettosa del gigantesco cugino.

 

A quel punto, Principessa capì che non avrebbe risposto delle sue azioni.

Strinse i denti ancora per un istante, ma non riuscì ad evitarsi di cominciare battendo un pugno sulla scrivania di legno pregiato, lieta di aver così scosso il più giovane della famiglia dalla sua posizione tranquilla. Si ritrovò a respirare profondamente per la foga che sentiva crescerle dentro e forzare tutti i suoi argini di cautela. Un istante a malapena percepito e fu su Lemes. Lo scagliò per terra incurante della sua età e da lì lo afferrò per il colletto inamidato, sollevandolo quanto bastava per continuare a guardarlo negli occhi mentre gli urlava il suo disprezzo a pochi centimetri dal viso:

- Brutto stronzo bastardo! Dì la verità! Ladro e truffatore! Schifoso! -

- Ehi, fermati! – gridò Tyner, afferrandola per la vita dall’alto, tentando poi di strapparle la presa dal cugino.

Per tutta risposta lei puntò le ginocchia al suolo per non farsi portare via e scaricò un nuovo pugno ben assestato al naso già martoriato di Lemes. Conclusa quella vendetta personale e non contenta di prendersela solo con lui anche se chiaramente più responsabile degli altri, impresse anche una gomitata ben assestata al volto del suo assalitore, che tuttavia, forte della sua mole, non arretrò di un millimetro e la strattonò anzi con più forza fino ad allontanarla dal parente. Principessa quasi ringhiò e approfittò ancora della vicinanza dell’altro per dargli una testata all’indietro. Questo colpo fu molto più doloroso e, dopo la naturale esclamazione di dolore, il malcapitato si rivolse a Pexe, in cerca di aiuto:

- Questa è una pazza scatenata! Dammi una mano! -

Il fratello guardò stupito come la mole del consanguineo non fosse sufficiente a far fronte alla furia della rossa e aprì un cassetto della scrivania estraendone un tagliacarte dal manico dorato. Principessa lanciò una rapida occhiata all’oggetto e al segretario che si avvicinava cauto ma brandendo la lama con fermezza, tuttavia non smise di dimenarsi.

- Stai ferma. – le intimò il più giovane, avvicinandosi più con la lama che con il corpo, aumentando il pericolo di ferirli entrambi nella concitazione.

 

Quando ormai Principessa stava, suo malgrado, considerando l’idea di calmarsi di fronte alla minaccia di quell’arma appuntita in continuo avvicinamento al suo spazio vitale…

Un urto vigoroso e inaspettato dalla sinistra buttò per terra lei e l’enorme mercante che tentava di tenerla ferma, il quale, per la sorpresa, finì per lasciarla andare. La ragazza batté con le braccia a terra, senza farsi troppo male nonostante il lastricato marmoreo del molo, ma alzò subito la testa, per capire cosa fosse successo.

Tuttavia non si stupì più di tanto vedendo una grande figura mantellata, che abbassava il capo verso di lei ancora a terra, per controllare che stesse bene…

 

§ § § § § § § § § § § § § §

Buongiorno! ^^ So di essere un po' in ritardo, ma la ripresa dei corsi ha modificato per l'ennesima volta i miei ritmi, quindi ho finito questo capitolo una volta per tutte solo ora.

Ebbene, questi sono (alcuni) dei Lucas F.. Abbastanza rompiscatole e inquietanti per voi? XD Spero siate riusciti ad intuire la verità che sta sotto la sparizione di questi benedetti soldi (se no, no problem, ne sentirete una spiegazione esplicita molto presto). Inutile dire che ci mancava questa a peggiorare la situazione già precaria dell'emporio McFerson... Sono cavoli amari.

Ma quando c'é un cavaliere senza macchia come il "mantellato"... *_*  (Non sopportate più di sentirlo chiamare così...? Rimedierò anche a questo! XD)

Per quanto rigurarda il rapporto tra Johnny e Principessa... Ci ho pensato parecchio, devo dire, prima di inserire questo accenno. Ci sarà modo di chiarire come andarono le cose, ma quello che avete letto é tutto vero (dal punto di vista di Principessa, ma chissà...).  Ne sentirete ancora parlare, comunque.

Chiedo poi scusa per aver interrotto così bruscamente la scena, ma stavo superando il limite civile delle 10 pagine di Word e ho pensato fosse ora di darci un taglio... XD

Grazie a tutti coloro che passano a leggiucchiare! Grazie a tutti coloro che dopo aver letto lasceranno un commentino! Grazie a chi segue/preferisce questa storia! Grazie ai commentatori che saranno tanto gentili da volermi lasciare un commento anche questa volta! Xd      Buona Pasqua!!!!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

 

- Principessa! Tutto bene? – chiese il mantellato, premuroso e concitato, offrendole subito una mano per rialzarsi.

- Che diavolo fai anche qui, tu…? – sbuffò la ragazza per tutta risposta. Anche se in quel momento si trattava di un’apparizione provvidenziale e ne ringraziò la tempestività in cuor suo, cosa che non le permise di apparire scocciata quanto avrebbe voluto.

Accettò quel sostegno per rimettersi in piedi, mentre Tyner faceva lo stesso con le sue sole forze. Il Tiranno si ritrovava solo un po’ indolenzito per la caduta improvvisa, ma non aveva fretta di agire, piuttosto un salutare bisogno di studiare la situazione: la ragazza era ancora a portata di mano, ma non era più interessato a quella leonessa, quanto a capire chi fosse il personaggio accorso in suo soccorso e se potesse considerarsi a buon diritto un pericolo sul loro territorio o una comparsa di poco valore. Pexe, da parte sua, restava immobile, il tagliacarte in mano. Tuttavia in quei pochi momenti molto era cambiato nel suo atteggiamento: del tutto diverso dall’aiutante svogliato e incerto di poco prima, ora guardava il nuovo arrivato con fermezza  e sicurezza, mentre altrettanto vigorosa era diventata la stretta su quell’arma di fortuna. Lemes rantolava ancora a terra, tamponandosi alla meglio il naso sanguinante, nuovamente frantumato, con la manica del prezioso abito. Del resto ai lamenti cominciavano ad alternarsi le bestemmie e gli insulti, sintomo che anche per lui lo sbalordimento e la paura stavano lasciando il posto all’indignazione e alla rivincita.

- Signori, non vedo la necessità di alzare le mani su una ragazza preoccupata per il fratello. – affermò lo straniero, con calma, ma scrocchiandosi gradevolmente le dita – Non vorrei ripeterlo o dover agire di conseguenza. -

Principessa, tenuta alle spalle dalla figura misteriosa in un galante intento protettivo, alzò le sopraciglia, incredula. Minacce ora? Contro i Lucas F.? Anche se si parlava di uno di “loro”, quindi certamente non una mezza calzetta, possibile non avesse proprio il minimo ritegno ad attaccare briga, dopo tutta la cautela di quel mantellaccio?

- D-ridicolo! – esclamò Lemes, gli occhialini storti, puntandogli addosso la mano non occupata da quell’opera di pronto soccorso – D-u d-ubirai le con-d-eguenze! –

Poi, gli occhi fuori dalle orbite, incitò con decisione: - Pec-se! -

A quel richiamo, ignaro dell’identità dei presenti, lo straniero sbagliò soggetto di attenzione. Preoccupandosi più della ragazza e della prossima presenza di un Tyner in realtà tranquillo ed estraneo all’azione, afferrò di scatto il braccio di Principessa trascinandola lontano dal gigante e preparandosi a voltarsi e affrontarlo. Invece, trovò il mercante voltato a sua volta alla sua sinistra, intento ad un cenno di ammonimento al fratello minore: - No, Pexe! –

Quando il mantellato rivolse di nuovo lo sguardo al ragazzino armato, questo si era già scagliato contro di lui, infilandogli la punta acuminata nel petto.

Principessa sbiancò. Tyner imprecò a fior di labbra. Lemes farfugliò un commento trionfale quanto demente sulla vittoria della dinastia. Pexe, all’apparenza slanciatosi per solo istinto sul nemico, non riuscì a nascondere un sorrisetto mentre estraeva con un gesto fluido e di puro spregio il tagliacarte. Anzi, nel farlo, preda della curiosità morbosa di vedere gli effetti del suo gesto sul corpo dell’avversario, intercettò la sottile asola del bottone che tratteneva l’indumento tanto coprente e la tagliò di netto.

Si accorse subito, però, che qualcosa non andava: la lama era immacolata. Non solo, ma si poteva dire arrossata solo perché anche visivamente incandescente.

Alzò lo sguardo da quello strano fenomeno, nell’intento di scoprirne la causa, solo per farlo ricadere sulla mano che gli aveva improvvisamente stretto l’avambraccio. Era calda sulla sua pelle nuda, o meglio sempre più calda, fino a che si incendiò letteralmente sotto i suoi occhi. A quella visione stupefacente si sovrappose allora la sensazione di un dolore insopportabile e si ritrovò a  gridare e dimenarsi senza potersi sottrarre a quella stretta, che anzi lo obbligò a lasciar cadere la lama.

- Al diavolo la copertura, allora. – sbuffò lo straniero, quieto come se non fosse appena stato pugnalato a tradimento, scostando infine il mantello ormai inservibile.

Per qualche momento dopo che quell’indumento tanto fastidioso era scivolato silenziosamente a terra, ciò che dominò l’alta figura furono fiamme rosse, vivide e brillanti. Principessa aveva impiegato qualche istante per capire che cosa stava succedendo e proprio quando stava riuscendo a rimettere in ordine le idee abbastanza da soccorrere il “ferito”, si era ritrovata quella stoffa tanto fastidiosa ai piedi e quell’immagine sconvolgente davanti agli occhi. Il fuoco brucia e fa male, non c’erano dubbi, e il più giovane dei mercanti ne stava giusto facendo una tremenda esperienza. Eppure doveva fare un forte sforzo per non immergere le dita in quel vibrante percorso di lingue ardenti, troppo attraente come qualcosa di azzardato, troppo rassicurante come qualcosa di controllato e amico.

Aveva sentito nominare un solo uomo con un potere simile: un nuovo pirata di buone speranze, un ragazzino già considerato una minaccia da prevenire, che per questo la Marina cercava di ingraziarsi con l’altisonante quanto vuoto titolo di “membro della Flotta dei Sette”. Non era la sola ad esserne al corrente, a giudicare dall’espressione aspra assunta da Tyner, mentre Pexe quasi ringhiava per il disprezzo, oltre che il dolore del braccio bruciato. Eppure, le cose non le tornavano, né la sua presenza su quell’isola perduta, né il fatto che si fosse recato proprio da Clay a fare quella specifica ordinazione.

Le risposta le fu subito data.

Le lingue di fuoco presero ad attirarsi a vicenda, ad accorparsi e quasi a sparire sotto la pelle di un ragazzo che sembrava tornare a prendere forma dal nulla. Lentamente, sempre dalla posizione difesa in cui la stava tenendo, vide ricomparire una pelle stranamente chiara, spalle larghe e una schiena ampia e ben tornita. E su quest’ultima, nuda appunto, un enorme tatuaggio, ad occuparne gran parte: un simbolo tanto noto e rinomato, quanto a lei familiare e caro. Ossa incrociate e un teschio per nulla realistico con ampi e virgolati baffoni bianchi. 

Emerso ormai completamente dalla sua forma precedente, il giovane si voltò solo parzialmente alle sue spalle, rivolto alla ragazza che era venuto ad aiutare. I capelli neri disordinati a sfiorare il volto ben fatto, la pelle chiara solcata da poche lentiggini sulle gote, gli occhi scuri inquieti e sottili, le labbra tirate e serrate per la tensione.

Principessa ricambiò l’occhiata con attenzione nuova per quella persona che, anche semplicemente svelandosi così all’improvviso, si era fatta conoscere infine anche a lei con un nome e un ruolo ben preciso in quel folle mondo che circondava la sua famiglia.

Soprattutto, però, tutta quella scena le aveva fatto scoprire un inquietante imprevisto ed era questo ora, più di tutto il resto, a spaventarla. Di fronte a lei si trovava un dejà-vu direttamente da un suo sogno, un momento già vissuto nel mondo onirico, ma non un‘esperienza anomala per lei: le capitava molto spesso, in realtà. Eppure aveva imparato a conoscere la monotonia e la ripetitività delle immagini che animavano il suo riposo, banali come la vita di tutti i giorni. Fino a quel momento. La novità, l’inquietante ignoto, stava arrivando a squassare la normalità, a partire da quel sogno e dal suo protagonista…

E anche l’idillio causato da quella visione, vittima di tale ragionamento, durò pochissimo, lasciando il posto ad un sottile disappunto, causato dalla netta sensazione che la sorte stesse cambiando di fronte a lei e non fosse per nulla in grado di trovarvi riparo.

- Ma dannazione… - imprecò senza remore, lo sguardo assottigliato dalla disapprovazione. Poi posò con forza una mano sulla spalla del ragazzo - piuttosto stupito da quella reazione di sufficienza ma abbastanza saggio da lasciarla fare - per spingerlo indietro, fino a mollare Pexe e allontanarsi dal cospetto dei tre mercanti, senza tuttavia azzardarsi a voltare loro la schiena.

- Principessa… - tentò di dire, prima di tornare a studiare le reazioni dei padroni di casa.

Lo stesso fece lei, continuando a trascinare il suo salvatore all’indietro fino all’uscita.

- Lemes, il tuo naso faceva già schifo prima, tanto quanto la tua persona nel suo complesso comunque. Sindaco o no, ti impedirò ad ogni costo qualunque ritorsione. – minacciò.

- C-d-epa, M-c Fe-d-son! – le rispose quello, un pugno alzato ad enfatizzare l’auguro di una morte prossima e dolorosa.  

- Pexe, il qui presente pirata non è alla tua altezza e lo sai bene. Fatti medicare quel braccio e impara a tenere un registro come si deve. Lascia le ripicche ad altri, giovanotto. – intimò ancora.

- Al diavolo! – rispose l’interessato, alzando gli occhi acquosi per il dolore ai due ospiti indesiderati.

- Tyner, te lo chiedo ancora una volta: mio fratello è trattenuto sotto questo tendone? –

- No. – rispose, brusco.

- Allora non ho altro da dire. So che ti rendi bene conto della situazione. La mia clientela ti serve. Non puoi permetterti, per ora, di veder perire un’altra compagnia di intermediari con i tempi che corrono. Quindi conto che dimenticherai tutti gli avvenimenti di oggi a solo giovamento dei tuoi affari. –

Il Tiranno affermò, perentorio: - Ma tu pagherai tutto il dovuto. Neanche un berry di meno. –

Principessa non riuscì a rispondere a voce, tanto quella sentenza le fece sentire la gola secca, e si limitò ad annuire e sperare nella buona sorte.

- Così sia, allora. – concluse l’uomo d’affari, sotto le occhiate incredule dei due parenti feriti.

 

Non si sa come né perché, ma appena fuori dal tendone e alla luce degli ultimi raggi di sole che stavano svanendo nell’orizzonte, Principessa spostò la mano all’avambraccio del suo salvatore e lo trascinò via di corsa per le strade fortunatamente quasi deserte della cittadina. Non c’era pericolo che i Lucas F. a quel punto li inseguissero, quindi la fuga non era certo necessaria, ma dettata solo dalla concitazione. Molto più logica fu invece la ricerca di uno stretto vicoletto lontano da occhi indiscreti per fermarsi almeno a prendere fiato e fare il punto della situazione.

Allora la ragazza rilasciò il compagno e lanciò ancora una sbirciata di sicurezza alla strada dalla quale erano venuti, oltre che compiere un controllo su tutti i restanti passaggi per evitare ogni possibile passante molesto. Infine, abbandonandosi con uno sbuffo di sollievo al muro del fornaio:

- Portuguese D. Ace, anche noto come Ace “Pugno di Fuoco”. – sentenziò, rivolgendosi bruscamente a colui che fino a pochi minuti prima avrebbe quasi preferito chiamare “straniero”.

Quest’ultimo aveva seguito il suo esempio e si era appoggiato con la schiena alla parete opposta dello stretto passaggio - quella del falegname - anche se in una posa decisamente più rilassata: braccia attorcigliate dietro la testa e piede appoggiato comodamente ai mattoni a vista, abbastanza in alto da fare da appoggio nonostante il ginocchio piegato. Sorrise allegro, forse fin troppo, al sentirsi chiamare per cognome, nome e soprannome ad una prima occhiata e le rispose con un divertito: - Presente! –

- C’è poco da ridere! Senza quel mantello sei una mina vagante! – lo rimproverò, pronta.

- Parla quella che voleva me lo togliessi… - commentò, con un ghigno – Dovresti essere soddisfatta… -

E Principessa lo era, non poteva che ammetterlo tra sé. Quel matto di un pirata aveva davvero un fisico pauroso, che non esitava ad ostentare con quell’evidente disinteresse ad ogni indumento che potesse coprirlo dalla cintola in su. Il suo istinto da cacciatrice aveva detto bene: quel mantello era un danno di immagine colossale per quel ragazzo, ricercato o no. Ora guadagnava un numero inevitabilmente alto di punti, aiutato anche da un viso tutt’altro che sgradevole. Ebbene, poteva dirsi molto lieta della fine che aveva fatto la malaugurata palandrana.

Tuttavia, proprio ora che vedeva e sapeva, capiva anche l’importanza di quella dannata copertura e stava cominciando a maledirsi tra sé per non aver avuto i riflessi abbastanza pronti da raccoglierla, prima di trascinarlo lontano da quei tre babbei…

- Il vecchio Edward aveva previsto saggiamente quasi tutto e ora sei nei guai. – concluse a voce alta.

- Temo non me la farà passare liscia, si… – fece sul subito, ma a quel punto mise insieme tutta la frase appena ascoltata e soggiunse, stupito – Ma di chi stai parlando!? –

Principessa sbuffò: - Che domande fai!? Del tuo capitano, no!? –

- Come fai a… -

- Hai un tatuaggio grande come te sulla schiena..! – spiegò, allibita dal poco intuito del ragazzo e mimando con le braccia un’iperbolica ampiezza del simbolo in questione, e riprese – Non ti sei unito da tanto alla ciurma, dato che ancora nessuno ne è al corrente. Ecco perché portavi quel mantello! Non dovevi essere riconosciuto, mentre dal tatuaggio avrebbero capito tutti che sei diventato un “figlio” di Barbabianca! –

- Ma l’oste… - cercò di inserirsi, sollevando un dito verso di lei, in parte quasi per chiedere la parola, in parte per tentare di obiettare.

- Johnny ha i suoi informatori! O comunque ha intuito le cose da sé: quello è tremendo! Non mi stupirei se scoprissi che legge giornaletti per signore! – minimizzò la ragazza, imprecando mentalmente anche contro il locandiere che era stato tanto ostinato nel negarle qualunque informazione preliminare.

- E’ comunque strano che tu chiami per nome nostro padre. Nessuno l’ha mai fatto. – osservò ancora Ace, sollevando le sopraciglia con atteggiamento vagamente incredulo.

Principessa esitò un istante e sbatté le palpebre, quasi indecisa.

- Era molto amico di mia madre. – concluse infine.

Il pirata attese che aggiungesse qualcosa, come il tono sospeso e la frase lapidaria lasciavano intendere, ma non avvenne nulla. Anzi, la ragazza, dopo aver affrontato intrepidamente lo sguardo dell’interlocutore per quella sentenza, si chiuse in suoi ragionamenti, abbassando anche il capo a terra.

- Io devo trovare Clay. – disse infine, riuscendo a ritrovare il filo delle sue necessità.

Il ragazzo annuì: - E’ chiaro. Ti aiuterò. –

- Non mi sembra il caso. – ribatté lei, sicura – Con quell’aspetto che urla “ricercato” ai quattro venti mi sei d’intralcio. Sarebbe meglio tornassi alla tua nave. -

Ace si sporse nel piccolo spazio del viottolo per dare uno sguardo alle strade circostanti e tornò a rivolgersi alla ragazza, con un sorriso che appariva quasi colpevole.

- E’ piuttosto difficile… -

- Oh, andiamo! Non ho intenzione di farmi vedere in giro con un pirata stranoto, contando che ufficialmente non dovresti essere qui (tanto meno con quel tatuaggio) e che i più pericolosi bastardi di quest’isola ci hanno già visti insieme e crederanno che siamo in qualche modo alleati! – esclamò lei, irritata notando come le sue prese di posizioni fossero del tutto ignorate.

- Se sei così amica del babbo, alla fine siamo alleati. – rispose il pirata, senza perdere l’atteggiamento placido e conciliante.

- Ma… - cercò di controbattere per un istante, poi si arrese all’evidenza - Che diavolo… Parlo di fatti, non di saggezza spiccia e concetti sottintesi! Devono proprio saperlo tutti che conosco i Pirati di Barbabianca!? – si limitò a protestare.

- In quanto “alleato” ti faccio una proposta: - iniziò lui, ignorando del tutto la polemica, ma sorridendo pacifico – perché non aspetti tuo fratello a casa? –

- Cosa… - cercò di interromperlo, scandalizzata.

- Se non è preso in ostaggio dai cattivi, probabilmente è a casa o sta pensando di tornarci. Potrebbe essere inutile vagare per la città senza meta con il buio, riuscendo solo a preoccuparti di più, probabilmente per nulla, e senza riuscire a vedere niente e nessuno. Ti accompagno fino là per evitare brutti incontri e aspetto di vederlo arrivare. Se poi davvero non se ne trova traccia, vado a cercarlo io. Ok? – propose.

Principessa valutò in un istante i pro, tra i quali quello di evitarsi un lungo vagabondaggio con quello che minacciava voler diventare la sua ombra a forma uomo, e i contro, come il fatto che l’attesa di notizie poteva considerarsi a priori straziante. Tuttavia si accorse presto che non sapeva dove cercare Clayton dopo aver fatto un buco nell’acqua presso i Lucas F., quindi avrebbe davvero finito per girare a vuoto.

- Ecco di nuovo la tua saggezza da straniero. Un vero fenomeno sovrannaturale. – osservò  con evidente ironia e fece strada senza aspettare una risposta. Del resto Ace aveva solo scrollato le spalle con un sorrisetto sardonico prima di prendere a seguirla, proprio come un’ombra.

 

- Pexe! Che diavolo ti è saltato in mente!? –

Le urla del Tiranno fecero trattenere il respiro a Lemes, che finalmente si era procurato un fazzoletto per tamponarsi il naso e attendeva la fine della sfuriata per contattare il medico della Fratellanza, probabilmente immerso in bagordi in città. Non gelarono invece il sangue del fratello minore, che anzi prese a protestare, le mani sui fianchi e voce a tono del consanguineo:

- Quel tipo ci stava minacciando! Cosa ne sapevo che fosse un pirata!? – esclamò, lo sguardo ardito a sfidare il despota.

- Attaccare uno straniero! Uno sconosciuto al quale non si è ancora neanche chiesta l’identità! Una follia che poteva costarci caro, se l’avessi ucciso! – ribatté il più anziano, con le onde dei capelli irrigiditi dalla lacca che vibravano per l’irritazione.

- E chi dovremmo temere!? Se fosse successo… -

- Se fosse successo, ne avresti pagato tu le conseguenze! Ringrazia i riflessi del ragazzino, che ha perso consistenza in fuoco per evitare il colpo! O l’avresti pagata sulla tua pelle! – e per evidenziare l’intolleranza a quella insubordinazione del parigrado ma pur sempre fratello minore, gli rifilò un vigoroso manrovescio. Pexe subì, stringendo i denti per trattenere l’istinto a reagire, e si limitò a strofinarsi la guancia offesa.

- Lemes! - riprese Tyner, cambiando interlocutore – Voglio sperare che quelli fossero solo deliri di una ragazzetta nevrotica! –

- Tyner, non capisco come puoi… - tentò di dire quello, ostentando la sua indignazione a quell’accusa indiretta.

- Posso! – tuonò il mercante, insofferente ad udire ulteriori lamentele – Facciamo parte di una dannata organizzazione governativa! Se usciamo anche da questa apparenza di legalità, perdiamo tutto! Non posso sopportare che si rubi sotto questo tendone! E soprattutto non posso accettare che TU rubi, quando tutto quello che hai te l’ho dato io, Lemes! Esigo fedeltà da te, Sindaco! –

- Ti sono fedele, cugino! Quella è solo una pazza! – gli rispose, frettoloso.

- Pexe…? Mi sei fedele!? – domandò allora, rivolto a colui che aveva revisionato il famoso registro e solo poteva testimoniare contro l’affermazione del vecchio.

- Certo. Ho verificato tutto. – rispose, atono e sicuro.

Il Tiranno li guardò entrambi con sufficienza. Quei due non lo facevano sentire sicuro, ma non poteva che accettare quelle parole. Del resto, non erano mai andati d’accordo tra loro, a che si ricordasse, e di certo non avevano ragione per fare comunella a sue spese. Che poi si parlava del danno dell’intera famiglia, nel caso una denuncia simile fosse giunta alle orecchie giuste.

Quindi voltò loro le spalle e fece per allontanarsi dietro la tenda divisoria.

- Abbiamo rischiato di accoppare un “figlio” di quel diavolo di un pirata… Un sacco di guai inutili… - commentò tra sé, scuotendo la testa alla sola idea, poi soggiunse più forte, rivolto agli altri due -  Cercatemi Koyu! La prospettiva dei danni che può fare quell’esagitato di mio fratello lasciato in libertà mi toglie anche la fame! -

Quando Tyner fu ormai lontano, Lemes lanciò un’occhiata preoccupata a Pexe, il quale stese le labbra in un ghigno crudele:

- Chiudi gli occhi quando te lo dico io, Sindaco… E stai tranquillo che il tuo debito sarà saldato… - gli annunciò, serafico, prima di fare ciò che gli era stato detto ed avviarsi all’uscita del tendone.

 

- Quindi, ti hanno incastrata. – concluse Ace, evidentemente indignato.

Principessa aveva interrotto un momento il racconto del dialogo appena avvenuto con i mercanti, svoltosi già durante la strada a bassa voce, solo per fare gli onori di casa all’ospite e accompagnarlo al secondo piano. Di fianco alla camera che condivideva con il fratello minore, si aprivano due stanze collegate destinate agli ospiti: un’anticamera piuttosto ampia e il vano da letto vero e proprio. Giunti al primo di quegli spazi e chiusa la porta alle loro spalle, si sedette su un comodo cuscino posto di fronte ad un basso tavolino all’orientale e fece cenno al pirata di fare lo stesso. Assestatasi in quella posizione di riposo e al riparo da indiscreti di qualunque genere, si sentiva finalmente libera di esternare il proprio disgusto.

- Più che altro, Lemes è riuscito a rubare i soldi che avevo versato! – esclamò, lo sguardo assottigliato – Li ho consegnati in sua presenza! -

- Ma riguardando il registro non hanno trovato la somma nella cassaforte. – soggiunse il ragazzo, quasi per verificare di aver capito bene – E sospettando gli “errori” dell’altro contabile, hanno dedotto non avessi mai pagato? -

- Esatto! Se poi Lemes dice di non ricordarsi neanche che l’abbia fatto è perché ne sa qualcosa! Quei soldi sono stati portati via dal fondo dei Lucas F., approfittando del fatto che in ogni caso non mi ero fatta fare la ricevuta! – digrignò i denti per la rabbia – Sono stata una cretina… - soggiunse a voce più bassa.

- E quel tipo addetto al registro? Non può aver giocato con il sindaco? –

- Quello che voleva ammazzarti…? – domandò per contro Principessa, con un’occhiata al petto lindo del pirata – Seriamente, Pexe è furbo, ma odia Lemes almeno quanto il genere umano nel suo complesso. Immaginarli fare comunella mi è quasi impossibile. –

- E se fosse successo…? – insisté Ace, sollevando enfaticamente un sopraciglio.

Principessa storse le labbra, lasciando una pausa evidente, come se ci stesse pensando davvero, e non mancò di ricambiare completamente lo sguardo dell’altro.

- Devo ammettere che sarebbero guai seri. – sentenziò, cupa.

- Cosa pensi di fare ora? – chiese il ragazzo appoggiando entrambi i gomiti sul tavolino, serio.

- Tirare a campare. – rispose, con tutta la frustrazione che quell’idea le provocava – Mio fratello, a patto che stia bene, ha un assegno in mano da incassare, non so di quanto. Ad ogni modo, dovremo spenderlo in parte per provviste in parte per pagare una quota di questo “debito”. Questo significa, però… -

- … che non ci farete rifornimento. – concluse per lei il pirata.

La ragazza sospirò: - Per favore, riferisci a Edward che mi dispiace... La mamma glielo aveva promesso, ma non posso accrescere questo debito con tutte quelle vostre ordinazioni... –

Ace osservò vero rammarico mostrarsi in quel volto sempre infastidito o forzatamente composto e si chiese quanto dovesse essere profondo l’attaccamento che quella ragazza volitiva provava per la madre e la promessa fattale e per il suo anziano ma vigoroso capitano.

- Stai tranquilla. Scommetto che il babbo preferirà sapere che potete continuare a mantenervi, piuttosto che preoccuparsi della dispensa. – le rispose con un lieve sorriso, che voleva consolarla e che risultava debole solo perché nell’anima l’ingiustizia continuava a farlo fremere di rivincita.

- Temo anch’io che la penserà in questo modo. – rispose.

E questa volta furono malinconia a dolcezza a risultare palpabili a quelle semplici parole, anche queste due emozioni tanto intense da figurare strane in chi dimostrava di solito solo la forza prepotente di furia e aggressività. Il ragazzo pensò che quella era davvero una persona complicata.

 

Era passata un’ora buona da quando si erano ritirati in casa della ragazza e il clima si era stemperato, anche se l’attesa degli eventi aleggiava pesantemente su entrambi.

- Sbaglio o il tuo stomaco brontola come se non mangiassi da giorni!? – esclamò, allibita, all’improvviso.

Ace rise con un’allegria contagiosa: - Eh si, avrei un po’ di fame… -

- Non ho molto da offrire, però. – ci pensò un secondo – Un piatto di pasta? -

- …e basta…? – chiese, innocente.

- Be’, io non sono molto brava in cucina, non saprei farti altro, neanche volendo. –

Quella frase le stava riportando alla mente la scomparsa dell’unico davvero abile ai fornelli... Non poteva evitarsi di stare in ansia di fronte alla sua assenza così prolungata, ma aveva deciso di non farsi prendere dal panico. Nascose quindi subito la tensione con uno scatto nervoso, il dito accusatore sollevato: – Comunque, che modo di fare è!? Sarai anche un ospite, ma queste pretese! Accetta ciò che ti viene offerto, no!? –

- E’ che un piatto di pasta non mi sfama per nulla… - protestò educatamente, incrociando le braccia e appoggiandole sul basso tavolo di fronte a lui.

- E che dieta segui? – domandò lei, corrucciando le sopraciglia.

- Dieta…? – sembrava caduto dalle nuvole.

- Chi deve mantenere un certo fisico segue una dieta, no? – chiese, aspettando una risposta affermativa. Evidentemente non arrivò e, dopo aver studiato l’aria spaesata del ragazzo, concluse, con impazienza: - Questa sconosciuta, quindi! Chi fatica tutta la vita tra dieta ed esercizio fisico ti odierebbe di sicuro! –

- Perché? Tu sei a dieta? – domandò, incuriosito, reclinando la testa.

- IO!? Ne avrei bisogno!? – esclamò, punta sul vivo – Dillo se credi che sia grassa! –

- No, non intendevo questo. – rispose, scuotendo il capo, ma decisamente tranquillo. Stava cominciando ad imparare che preoccuparsi quando lei mal interpretava le sue parole era inutile: la maggior parte delle volte si trattava di un semplice riflesso della sua permalosità.

- Diciamo che mi trattengo nel mangiare. – rispose infine, non trovando nella quietanza dell’interlocutore alcun appiglio alla sua protesta – Una ragazza fine non deve mangiare molto o rischia di apparire volgare. –

- E non ti stufi mai di fingerti quello che non sei? –

Principessa lo fissò per un istante con scetticismo, come se non volesse credere di poter sentire una frase tanto scontata. Eppure come sempre il pirata non mostrò alcuna esitazione, come se sapesse perfettamente che quella domanda aveva colto nel segno. Allora non le rimase che sospirare e, dato che quel gesto fu molto simile ad una dolorosa ammissione, si abbandonò sui cuscini che circondavano il tavolo alla sua destra, sdraiandosi praticamente a terra. Da quella comoda posizione, girò poi il capo verso il ragazzo, seduto proprio da quel lato: - Se ti dicessi di “si”, avresti raggiunto infine il pieno dei tuoi “punti-Saggezza” di oggi? – domandò, sarcastica.

Ace tese le labbra, divertito, e si piegò un po’ verso il basso, verso di lei, distesa proprio a pochi centimetri dalla sue gambe incrociate: - Non so cosa siano… Ma immaginavo che non ti divertisse così tanto questa continua recita. Malriuscita poi, se posso dirlo. -

- Adesso non ti allargare con questo “malriuscita”! Me la cavo discretamente bene! – protestò, corrucciandosi, ma senza minimamente volersi spostare da quella posizione.

- Se lo dici tu… -

 

E a quel punto un rumore sordo fece quasi tremare le pareti.

L’espressione divertita sul loro volto sfumò in un certo sgomento, mentre quel suono finiva di rimbombare sostituito da un pesante quanto veloce ritmo di nuovi colpi, sempre più forti, in avvicinamento. Prima che potessero realizzare di cosa – logicamente – si trattasse, la porta si spalancò rumorosamente.

- Prin! Dimmi che sei qui! – gridò Clayton, accaldato e con il fiatone, i capelli scarmigliati che sfuggivano dall’elastico che doveva trattenerli.

Ciò che si trovò davanti non lo aiutò più di tanto a ritrovare il controllo, comunque. Certo, sua sorella era lì, ma non era sola. Era sdraiata a terra tra i cuscini, come faceva sempre volentieri, ma c’era un ragazzo sconosciuto seduto troppo vicino. A suo modo di vedere poi, non c’era cosa più minacciosa di come lo sconosciuto fosse piegato con la testa e le spalle verso il viso della consanguinea. Prima che il cervello potesse compiere le interconnessioni necessarie, il respiro veloce si fermò del tutto per un istante appena percepibile e uscì, corto e rauco, in un momento altrettanto breve: - COSA CREDI DI FARE A MIA SORELLA, TU!? – gridò, le mani immediatamente sporte in avanti e strette a pugno.

E Principessa, che per cinque secondi aveva fatto in tempo a gioire in cuor suo della vista del suo giovane fratello e stava quasi accarezzando l’idea di sorridergli rassicurata e andargli incontro sulla soglia, si pentì immediatamente di quei ragionamenti sentimentali.

- Non sta facendo nulla, scemo! – lo rimbeccò, insofferente, strofinando mollemente il capo contro il cuscino per impedirsi gesti inconsulti quali alzarsi e prenderlo a testate, nell’ordine per averla fatta preoccupare, spaventare e infine infurire alla prima riapparizione.

- Chi è, Prin!? – domandò allora, guardingo e incapace di sciogliere la tensione accumulata.

- Lo straniero dell’altro giorno, senza mantello. E’ della ciurma di Edward. – gli rispose, piana e sintetica.

Ace annuì con il capo, cordiale: - Ci siamo visti l’altro giorno. Molto piacere. –

Clay lo squadrò ancora incerto, fino a riconoscere in quel volto quieto, a lui ancora ignoto a causa di un certo indumento malamente smarrito, l’assenza di ogni minaccia. Quindi riprese finalmente fiato a pieni polmoni: - Grazie al cielo… -

- Tu, piuttosto!? Ti sembra l’ora di rientrare!? Non mi sei neanche venuto a prendere da Johnny! Non sei andato dai Lucas F.! Dunque, Clayton!? – scattò la sorella, rimettendosi prontamente in piedi, pronta alla ramanzina con tanto di mani sui fianchi.

Il fratello si rabbuiò e, dopo aver stretto cordialmente la mano al pirata, sospirò:

- Forse è meglio se torni seduta, Prin… -

 

Il ragazzo si sciolse la coda ormai sfatta quasi al solo fine di sfogare il nervosismo: prese infatti a tormentare i capelli biondi tra le dita, a lisciarli e a scompigliarli alternativamente.

- Ebbene? – chiese brusca Principessa, rivolgendo un cenno enfatico al fratello perché si decidesse a fornire la sua spiegazione.

- Sono andato in banca a ritirare l’assegno. – iniziò, cercando disperatamente le parole giuste.

- Quindi!? – insisté lei, anche se quella premessa le faceva dubitare di voler davvero sentire il seguito.

- Poi ho incontrato Koyu, Prin. –

- Oh, ma dannazione! – esclamò la ragazza, esasperata.

- Chi sarebbe? – si inserì il pirata, sbattendo gli occhi, incerto.

- Lucas F. Koyu, fratello minore di Tyner, l’omone fru-fru, e fratello maggiore di Pexe, il ragazzetto con il tagliacarte. Si occupa delle trattative con i pirati e degli affari loschi della Fratellanza. Attaccabrighe patentato. – spiegò Principessa frettolosamente, per poi aggiungere, concitata – Cosa ha combinato!? –

- Era ubriaco e stava già litigando con un cliente della birreria in fondo al viale. Credevo di poter passare silenziosamente, senza dare nell’occhio. Ma Koyu mi ha afferrato e ha cercato di mettermi in mezzo. Ha detto qualcosa di strano… ha parlato di un debito che avrebbe estinto se gli avessi dato manforte… So che non abbiamo debiti con i Lucas F., ma anche il suo avversario si era scaldato parecchio e ormai mi puntava: credo fosse ciucco altrettanto. Insomma, sono finito in mezzo alla rissa. –

- Clayton! Maledizione! – esclamò la sorella, battendo un pugno sul basso tavolino. Lo aveva chiamato di nuovo con il nome completo: decisamente un brutto segno.

- Non sapevo che fare! Sai che non l’avrei mai fatto di proposito! Anzi, ho cercato di scansarmi appena ho potuto, ma nel frattempo altra gente era uscita dal locale e si era unita alla baruffa! Non sono più riuscito a trovare scampo! –

Poi scostò i capelli dal capo e le indicò un cerotto seminascosto dalla lunga chioma: - Credo mi abbiano colpito con qualcosa di appuntito. Ho perso i sensi. Non so quanto tempo dopo mi sono svegliato. –

Principessa lo guardò con apprensione: - Ma stai bene ora? – domandò, infondo pentita delle proprie urla di poco prima.

- Si, si! Mi ha medicato Kibo, il postino: io non mi ero neanche accorto di sanguinare, anche se lì per lì la testa mi faceva un po’ male. Ora va meglio. – la rassicurò.

- Potevi anche andare da un vero medico! – osservò lei, con aria di rimprovero.

Clay sospirò: - …se Wasper non si fosse dimostrato il più ardito sostenitore della zuffa… -

Principessa alzò gli occhi al soffitto: - Sapevo già che fosse un dottore del tutto inaffidabile, ma questo supera davvero le mie aspettative… Quell’idiota si mette a menar le mani, adesso! –

Ma l’affermazione non riuscì a divertire Clay, che, un po’ più pallido di prima, disse, tutto d’un fiato:

– Quando mi sono svegliato, i soldi erano spariti. –

La ragazza chiuse gli occhi e batté forte la testa sul tavolo. Avrebbe voluto urlare e imprecare, ma per la verità le veniva quasi da ridere di fronte alla follia del declino e della sfortuna che li stava colpendo. Chiaramente, si trattava comunque di un “ridere per non piangere”.

- Ecco. – riuscì solo a dire, la fronte ancora poggiata al mobiletto.

- Prin, sono disperato! Ho cercato la mazzetta tutto il giorno! Non mi capacito di come abbia fatto a perderla! – esclamò il fratello, mortificato.

- Non ti è passato per la testa che magari abbiano approfittato del tuo svenimento per rubartela? – domandò, devastata se possibile ancora di più dalla sprovvedutezza del ragazzo.

- Oh cavolo… - commentò allora, con una smorfia.

- Appunto. Sono persi, Clay. Era anche inutile perdere tempo a cercarli. – e aggiunse, furiosa alla sola idea – Se fosse stato Koyu, oggi la Fratellanza potrebbe dire di aver fatto poker sulle nostre spalle! –

- Perché!? Cos’altro è successo!? – domandò Clay, preoccupato – Quando alla fine mi sono reso conto che non potevo continuare a girare a vuoto, sono andato da Johnny a cercarti, ma non c’eri più! Mi sono spaventato, ma lui mi ha detto che probabilmente eri già rientrata a casa e di non preoccuparmi. –

Ace rivolse uno sguardo d’intesa a Principessa, la quale accennò ad un sorrisetto. Il locandiere aveva fatto bene a non condurre anche il più giovane nella tana del leone. D’altra parte, questa risposta dimostrava anche la fiducia cieca che aveva riposto nell’uomo mandato a vegliare sulla sua amica: questo gesto di stima colpì molto lo stesso pirata.

- Infatti non c’era nulla di cui preoccuparsi. – osservò allora Ace, rassicurante.

- No, assolutamente! – esclamò Principessa, con lieve ironia – Tanto i veri danni ce li avevano già fatti e alle spalle! –

- Non capisco nulla! – protestò Clay, passando velocemente gli occhi marroni dall’uno all’altra in cerca di spiegazioni.

- Ne parliamo dopo da soli, Clay. – concluse Principessa, sbrigativa.

Ace tentò di protestare, ma la ragazza lo fermò con un cenno brusco: - Niente da fare! Hai già fatto fin troppo e non ha senso che tu si esponga più di così! Noi ce la caveremo! – e soggiunse poi – Immagino tu debba anche tornare alla tua nave, tra l’altro. Si staranno chiedendo dove sei finito… -

Il ragazzo sorrise: - Nessun problema. Mi starà venendo a prendere. –

I fratelli si guardarono di sottecchi, straniti.

- Cosa vuol dire? – chiese Principessa, con aria decisamente interdetta.

 

E subito bussarono. Più precisamente, batterono con forza e impazienza la porta che proprio da quella stanza dava sul balcone sul retro.

- Ma che diavolo… - iniziò la padrona di casa, decisamente irritata dallo strano fenomeno quanto dal vigore dei colpi. Non stupita, non più dopo gli strani eventi di quel giorno che andava a terminare.

- Vado ad aprire, Prin! O chiunque sia ci butta giù la porta! – osservò saggiamente Clayton, anche lui ormai entrato nella fase di pura accettazione degli eventi.

Fece in tempo a girare la chiave, poi il passaggio si spalancò, rischiando di buttarlo per terra. Un individuo avanzò con passo spedito e nessuna esitazione presso il tavolino e posò pesantemente una mano sulla spalla del pirata.

- Muoviti. – sentenziò, atono.

- Ciao! Ti aspettavo, Regy! – rispose Ace, per nulla stupito.

La stretta si fece più forte, ma lo sconosciuto non ritenne di dover ripetere quella sorta di ordine.

- Dai, siediti! La notte è ancora giovane! – insisté l’altro, per nulla smosso da quel gesto, anzi battendo una mano sul cuscino a fianco a lui.

- Ehi! Tu chi saresti!? – proruppe Pricipessa. Non perché fosse davvero curiosa di saperlo. Piuttosto intendeva far notare al tipo quanto fosse maleducato piombare in casa altrui senza presentarsi o degnare i padroni di quel minimo di attenzione previsto.

Quello alzò la testa per rivolgere la prima occhiata alla ragazza che si trovava di fronte. Aveva un viso attraente, dai tratti ben rifiniti, la mascella morbida e gli zigomi non troppo rilevati. Gli occhi erano di un azzurro spaventoso, tanto brillanti da sembrare finti. Eppure la perfezione era solo toccata, non raggiunta appieno. Al contrario di quanto ci si sarebbe aspettati, i capelli erano castani, lunghi e lucidi, legati in una coda e lievemente schiariti a tratti dal sole. Una cicatrice attraversava un sopraciglio e scendeva obliqua sulla tempia, senza sfiorare l’iride ma togliendole un po’ di idealizzazione.

Poi stupiva molto l’assenza di espressività di occhi e bocca. Se da una parte enfatizzava ancora una volta l’ideale ultraterreno suscitato da quell’individuo che qualcuno avrebbe definito “angelico”, dall’altra l’atteggiamento appariva troppo fiero e superbo, come una patina di disinteresse per ogni contatto con l’esterno, che evidentemente doveva colpirlo solo interiormente. A patto che qualcosa potesse farlo.

- Chi sei? – domandò quello da parte sua, senza molta intonazione interrogativa.

- Te l’ho chiesto prima io! – esclamò la ragazza, indignata.

- Ha ragione però. – osservò Ace, girando il capo all’indietro per intercettare il volto del compagno.

- Comyol Regynald Thadeus – rispose con tono piano, sfidandola con lo sguardo.

- Non era difficile. – affermò Ace, ancora conciliante.

Questa volta fu l’altro ad insistere, limitandosi ad un minimo cenno del mento all’interlocutrice.

- McFerson Principessa… - rispose di malavoglia – Mio fratello Clayton… - aggiunse, indicando il biondo, che si teneva con cautela il più lontano possibile dall’occhio del ciclone.

Un guizzo attraverso per la prima volta gli occhi del pirata, andando a corrugare quanto bastava le sopraciglia. Fu decisamente ostile quell’espressione, ma ciò non stupì la ragazza, che continuò incurante quella sfida di sguardi.

Finché Ace si alzò in piedi, scrollandosi da addosso la mano dell’amico: - Be’, non state facendo amicizia, mi sembra. Quindi meglio che andiamo. – affermò, per nulla preoccupato.

Si stava ancora stiracchiando plasticamente, quando Regynald gli voltò le spalle e prese a tornare da dove era venuto, senza una parola. L’altro, abituato, scosse la testa tra sé:

- E’ fatto così. Scusate. Buonanotte. – saluto, un po’ frettolosamente per non perdere di vista il compagno.

- Buonanotte. – rispose lei, imbronciata.

Clayton, benché sbalordito, non osò fermarli quando uscirono sul balcone e si calarono tranquillamente dal cornicione. Si limitò a guardarli allontanarsi, notando così, però, un elemento prima passato inosservato. Sulla camicia bianca che il tale Regynald indossava, come un vezzo, sopra una magliettina azzurra, seminascosto dalla lunga coda che gli scorreva lungo la schiena, era stampato il gabbiano della Marina.

 

- Chi era quello? – domandò Clayton, sicuro per l’espressione cupa che aveva assunto la sorella che ne sapesse più di quanto era sembrato.

- Un pirata della ciurma di Barbabianca, immagino. – rispose, sul subito evasiva.

- E…? –

- Un ricercato per tradimento della Marina. –

 

 

 

 

 

 

 

§ § § § § § § § § § § § § § § § § 

Buonanotte! ^^

Mi scuso notevolmente per il grave ritardo, ma ho dovuto rivedere il mio programma in corso d'opera. Ho scoperto che questo non poteva essere in nessun caso l'ultimo capitolo (ehnnò) di questo primo frammento di storia: ci vorrà almeno un altro capitolo se non due, ma lo saprò appena mi rimetterò a scrivere il prossimo (tipo domani, spero).

Altra cosa che non ha aiutato la puntualità: chiaramente il contenuto che avete letto. Dovevo dire mille e una cosa in poco tempo, quindi é facile che abbia fatto più danni che altro. Per la serie, sono molto lieta di come ho reso l'entrata in scena ufficiale di Ace, molto poco di come ho finito per introdurre Regy. Dato che si tratta del mio terzo personaggio originale di primo piano volevo fare le cose in grande, ma da una parte lo spazio scarseggiava (quasi 12 pagine di Word é un campanello di allarme), dall'altra é uomo talmente spiccio e di poche puntuali parole che non sapevo in che altro modo renderlo "spettacolare" (ed entra dal balcone! XD).

E poi... La sensazionale spontaneità di Ace, il panico "del fratello minore" di Clay, la drammatica perdita di speranza di Principessa, l'inquietante mistero del passato di Regy... E i Lucas F. nella loro interezza, che ogni tanto mi chiedo da dove siano saltati fuori... XD

Spero sia stato un capitolo spettacolare (e assurdo) quanto era nelle mie aspettative! E almeno un po' di avervi incuriositi! ^^

Grazie a chi commenta, a chi legge e potrebbe lasciare un commentino (lo faccia, please), a chi ha inserito questa storia tra preferite/seguite/segnalate e infine a chi segue il delirio qui ben rappresentato e lo capisce! XD

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

 

Il sole era sorto da un po’. Si infiltrava ai lati della tenda che copriva alla meglio il tondo oblò della nave, ma non riusciva a baciare il giovane comandante, ancora placidamente addormentato.

Del resto era tornato alla Moby Dick ad un’ora piuttosto tarda. Poi aveva dovuto raccontare tutto al Capitano, anche se il suo stomaco non sembrava in grado di sopportare il prolungato digiuno. Il Vecchio si era divertito moltissimo ascoltando i riferimenti alle stranezze di Principessa, anche se la sua evidente accondiscendenza dimostrava come fosse ben al corrente del carattere della ragazza, ma lo trovasse originale quanto perfettamente appropriato. Molto meno aveva gradito la spiegazione della condizione dell’emporio e della truffa dei Lucas F.: il suo sguardo si era fatto molto duro, ma nei fatti si era limitato a dire che il suo Secondo Comandante aveva agito nel modo migliore difendendo la giovane ed evitando di farle compiere colpi di testa. Nient’altro. Ace aveva dovuto riconoscere con se stesso di non conoscere ancora abbastanza bene suo “padre”, ma gli era sembrato assurdo che avesse deciso di non fare nulla, neanche spaventare un po’ quei mercanti da strapazzo con l’altisonante nome della loro ciurma.

Allora si era ripromesso di parlarne con Marco dopo cena, ma non l’aveva trovato. A forza di chiedere in giro, aveva scoperto che era impegnato a parlare proprio con il babbo. Inoltre, tornando alla cabina aveva incrociato Regy e l’aveva trovato ancora più cupo e compassato del solito.

Insomma, si era risolto di andare a dormire - dato che il sonno non gli mancava mai - e aspettare gli eventi. Per quanto di norma preferisse l’azione, gli capitava sovente che la semplice attesa di risvolti riservasse sorprese ancora più interessanti.

Anche quella volta fu così.

Aprì un occhio alla prima luce che era arrivata a sfiorarlo e si concesse un lungo sbadiglio, mentre riportava alla mente i ricordi del giorno precedente. Stiracchiandosi e mettendosi seduto si stava preparando a chiarire la situazione e puntualizzare la sua posizione: bisognava dare una sonora lezione alla Fratellanza, anche al fine di difendere i due fratelli appena conosciuti e fare finalmente giustizia. Sorrise tra sé e stirò plasticamente le braccia verso l’alto pensando a cosa avrebbero detto i suoi “fratelli”: l’ennesima questione di principio di un ragazzino testardo. Ma non si sarebbero tirati indietro e anche il babbo alla fine avrebbe annuito e li avrebbe lasciati fare, ne era certo.

Poi aprì gli occhi e lo vide.

Un bell’indumento lucido color panna appeso ad un attaccapanni posto sulla porta della cabina, ora chiusa. Aggrottò le sopraciglia corvine per un breve momento e fissò quell’elemento estraneo al normale contenuto della camera con sguardo ancora addormentato.

Infine si batté una mano sulla fronte…

 #  #  #  #  #  #

Clayton si abbandonò sulla sedia, davanti alla tavola imbandita per la colazione.

Non aveva fame, non aveva energie. Erano andati a dormire piuttosto tardi la notte precedente, ma soprattutto lui non era poi riuscito a chiudere occhio. Aveva ascoltato Principessa raccontare, contratta e oltraggiata, tutto ciò che era successo sotto il tendone della Fratellanza e lui non era stato in grado di parlare, neanche quando avrebbe potuto lamentarsi dell’eccessiva sicurezza con la quale quel giorno tanto lontano la sorella aveva messo a tacere le sue osservazioni riguardo alla ricevuta. Non perché, data la situazione, quel foglio avrebbe potuto cambiare le cose, ma perché la mancanza di cautela era la cosa peggiore quando si trattava con simili istituzioni truffaldine e una sorella maggiore doveva essere più saggia del fratello minore o qualcosa non andava. Ecco, avrebbe dovuto dire qualcosa del genere e urlare e lamentarsi, per una volta in vita sua. Eppure aveva taciuto. Non solo perché anche lui era riuscito a peggiorare la situazione perdendo il denaro in quella rissa che l’aveva visto partecipante non volontario.

Lucas F. Ufle, precedente notaio della Fratellanza locale, era un uomo molto civile ed era stato malamente affogato. Non che una brava persona avesse possibilità di sopravvivere in quella banda di briganti autorizzati, ma Clay aveva sperato che continuasse ad essere il loro punto di riferimento nell’infausta famiglia al potere. Non gli era stato concesso. Anzi, qualcuno dei suoi stessi famigliari aveva pensato bene di infangarne lo stesso ricordo, parlando di truffe quando era proprio lui l’unico a non perpetrarne. No, Ufle non era mai stato suo amico, ma un omicidio così violento l’aveva comunque demotivato ad ogni affermazione e presa di posizione. Così sarebbero finiti anche loro se avessero tentato di alzare la testa. Quindi ora, senza un soldo e con un debito inimmaginabile da pagare, avrebbero semplicemente dovuto tacere e farsi da parte, ritenendo ormai solo di salvare la pelle. Principessa fremeva per la rabbia e la frenesia, ma quando lo guardava aveva solo paura, e solo per lui. Perché lei se la sarebbe cavata in ogni caso, era facile ammetterlo: non era fatta per fare la commessa, lo sapevano entrambi da sempre, e se fosse stata sola avrebbe lasciato molto presto l’emporio al suo destino e quell’isola alla stessa sorte. Clayton sapeva di essere una fonte di timori e preoccupazione per lei, un limite ai suoi desideri, qualunque fossero e neanche li conosceva davvero. Eppure per lui era importante avere quel mestiere, quel punto di riferimento, quella vita abitudinaria e semplice e, a chi gli chiedeva come facesse ad accontentarsi, rispondeva che si trattava dell’esistenza per la quale aveva imparato ad adattarsi. Aveva smesso presto di domandarsi come avesse “imparato” e come sarebbe andata se la sua strada non si fosse indirizzata su quel binario: non era bene ragionare sulle ipotesi. La persona che era diventato aveva bisogno di quell’appiglio sicuro.

E ora non c’era più nulla di certo.

Non aveva formulato verbo, era andato in camera, si era cambiato e infilato a letto. Solo per fissare in silenzio il soffitto, ore e ore, fino alla sveglia. Aveva preparato la colazione come sempre, anche se sentiva lo stomaco serrato.

Appena finite le attività che potevano tenerlo occupato, era stato come aprire un rubinetto: la sua mente aveva ricominciato dall’inizio a far scorrere tutti gli interrogativi e i ragionamenti della notte, di nuovo, con maggiore intensità. Sapeva di avere occhiaie spaventose, le aveva intraviste nello specchio del bagno, ma non sentiva neanche la stanchezza naturale tanto i suoi pensieri erano fluidi, tesi, fitti. Si stropicciò gli occhi, incapace anche solo di immaginare cosa avrebbe detto alla sorella. Perché avrebbe dovuto dire qualcosa, almeno quella mattina…

- Clay. – lo chiamò Principessa comparendo sulla soglia.

Neanche lei sembrava molto riposata, i capelli rossi malamente fermati in una pinza, addosso l’abito rame che metteva solo quando l’umore era pessimo, i piedi calzati da scarpe con il tacco che strisciavano un po’ sul pavimento ad ogni passo. Non era in forma, anche se il trucco copriva molto bene i segni della stanchezza dal viso.

Si sedette sulla sedia dall’altro capo del tavolo e riprese, nonostante la mancata risposta: - Dobbiamo decidere cosa fare. –

Si, era evidente. La bancarotta inevitabile doveva portarli a capire se avesse senso continuare con la storia dei sue bravi bottegai o cominciare subito chiudendo quell’emporio, una volta per tutte. Clayton si sentì un groppo in gola e guardò spaurito la sorella.

- Anche questo negozio è un ricordo di nostra madre. Abbandonarlo senza combattere mi sembra orribile nei suoi confronti. Eppure lottiamo con qualcosa di più grande di noi… Non ne vedo la via di uscita, Clay. –

Sapeva di essere pallido, sapeva di avere gli occhi dilatati dal timore, sapeva di apparire patetico. Deglutì a vuoto.

Cosa ci poteva essere di così terribile nell’andarsene? Lontano da quell’isola ci sarebbero state possibilità, svolte, speranze. Molti suoi clienti gli avevano narrato le grandi cose che avvenivano sui mari, in luoghi tanto distanti da non essere concepibili dalla sua sola immaginazione. Quei racconti risvegliavano qualcosa che non conosceva, quasi un’identità diversa dal comodo negoziante che era: si sentiva attraversato da un’energia speciale, capace di fargli compiere ogni avventatezza, annullando ogni altra cosa se non la curiosità e la ricerca. Ma in un istante, appena la porta del negozio si chiudeva alle spalle dei coraggiosi, era di nuovo Clayton e anche solo aver pensato quelle cose gli causava un brivido. Era un debole, ne era perfettamente consapevole, e non solo perché non era mai stato in grado di difendersi da solo, ma prima ancora perché neanche sapeva cosa andare a cercare.

Gli uomini sono tali finché sono attraversati dalla tensione verso un obiettivo a loro estraneo, non necessariamente eroico, anche piccolo e comune. Ma lui non ne aveva e, peggio, non ne voleva avere. Muoversi nel mondo esterno era attuare l’inseguimento di qualcosa, altrimenti era solo un perdersi nel nulla.

Non voleva partire per quell’ignoto senza fine. Non voleva lasciare le cose che aveva. Non voleva correre rischi che non poteva affrontare perché troppo debole.

Così lo disse.

- Chiederò per quel lavoro di postina. -

Il suo fu poco più che un sussurro, ma Principessa lo udì perfettamente. Lui, da parte sua, vide nettamente la scarica di rifiuto che la attraversò, facendole ritrarre le mani e distogliere lo sguardo, raddrizzare la schiena con un guizzo, storcere le labbra imbellettate per un secondo. Tuttavia tornò subito a guardarlo e, anche se neppure prima sembrava molto positiva e ottimista, gli sembrò che sua sorella avesse visto spegnersi l’ultimo bagliore di luce.

- Si, d’accordo. – disse solo e si versò il the.

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- Devo andare! -

Ace proruppe sul ponte come una furia, facendo sobbalzare tutti i compagni.

- Dio, che spavento! – esclamò Izo, contrariato, soprattutto per il brutto sbaffo di rossetto che si era procurato.

- Ma bravo! Buon viaggio! – commentò invece un divertito Satch, rivolgendo anche un cenno della mano al compagno.

- Scemo. – lo rimproverò per contro Haruta, rifilandogli un colpetto sulla nuca. Al che entrambi scoppiarono a ridere.

- Dove stai andando, eh? – lo fermò invece Marco, con un’occhiata sbieca.

- Devo riportarle questo! L’avevo dimenticato qui! – rispose frettolosamente, porgendo alla vista del collega uno spiegazzato indumento color panna, che questo poté solo constatare essere di seta.

- Una donna, fratellino!? – esclamò, improvvisamente interessato, l’uomo dal ciuffo ribelle – Una bella donna, per aver tenuto un suo ricordo, direi! -

- Satch, taci una volta… - lo riprese il Primo compagno, con un cenno insofferente più che arrabbiato, e continuò – Ace, cos’è e di chi sarebbe? -

-  E’ un… golfino, credo… - rispose sbrigativo, con la prima parola che gli era venuta in mente – L’aveva dimenticato in quel locale, dovevo lasciarlo al padrone, ma ho pensato che tanto dovevo rivedere o lei o il fratello all’emporio… -

Lo sguardo solo apparentemente offuscato del compagno tornò a concentrarsi su quel pezzo di stoffa, come se improvvisamente vi vedesse molto più di poco prima: - Principessa…? – sussurrò, stupito, rischiando di perdersi in un mare di ricordi a quel solo nome.

L’altro tuttavia non vi fece caso, troppo preso a cercare di spiegare il più velocemente possibile, gesticolando anche animatamente: - Potevo lasciarlo là! Chissà che cavolo mi è preso! Solo che poi l’ho appeso qui e… Devo riportarglielo prima che partiamo, Marco! – concluse di un fiato.

Al sentirsi interpellare, tornò al presente in un attimo e scosse la testa: - Non è il momento. Partiremo tra poche ore, dato che la Marina progetta per domani l’arrivo in massa. –

- E cosa ne dovrei fare di questo!? – protestò, scuotendo con foga il copri spalle di fronte al collega – Magari per anni non torneremo qui! Cosa ne faccio!? - e prima che l’altro potesse fermarlo, scattò a prendere la passerella ancora montata per la terraferma – Vado e torno, Marco! Di sicuro! -

E quello neanche gli rispose: capita l’antifona, si era diretto placidamente al passaggio per la stiva.

- Regy! Devi fare di nuovo la babysitter! –

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- Andiamo. - aveva solo detto Principessa, una volta finito di lavare i piatti.

Il fratello non aveva più osato fare uscire una sola parola dalla bocca, sicuro che ogni altra ritrattazione e accondiscendenza avrebbe solo causato ulteriori danni. Quindi si limitò a seguirla fuori dalla porta, che chiusero a chiave alle loro spalle.

Anche se la posta era poco lontana e il tragitto davvero breve, si accorsero al primo incrocio sul loro percorso che qualcosa non andava.

Un crocchio rumoreggiava e discuteva animatamente nel bel mezzo della via, senza alcun interresse dei passanti.

- Be’…? – fu la sola osservazione di Principessa, le mani appoggiate ai fianchi.

Clayton invece si avvicinò al gruppo per cercare di capire il motivo di tanta concitazione.

- … E’ una buona notizia! – aveva appena esclamato una donna tarchiata con in braccio un neonato.

- Ma come!? Alla fine siamo noi a rischiare grosso. Se si scontrano sull’isola… - protestò allora un padre di famiglia vestito di un grembiule da lavoro.

- Non si è mai visto! Non c’è più rispetto per la povera gente! Anche noi abbiamo i nostri diritti! – sbraitò sopra le altre voci un vecchio che armeggiava con un bastone di legno.

- Infatti vengono a tutelare noi, allontanando per un po’ la feccia che si riunisce in questo posto! – lo contestò il donnone, facendo ballonzolare il povero bimbo.

- Non fare l’ingenua! Verranno solo per farsi due parole tra ufficiali e trattare con la Fratellanza, come al solito! Poi, come un lampo, se ne andranno fregandosene di noi…! – scosse la testa il falegname, la roncola al fianco, appena unitosi alla discussione.

- Ma il problema non è questo! – si inserì a voce ancora più alta un ragazzetto con la cresta, mettendo a tacere tutti gli altri bruscamente – E’ troppo presto! Si metteranno a combattere, ci sarà un sacco di casino! Metteranno a ferro e fuoco l’isola! –

Clayton aggrottò le sopraciglia e batté timidamente un dito sulla spalla del falegname vicino a lui: - Scusate, ma… Cosa sta succedendo? – domandò.

Stilton lo guardò stralunato per un istante: - Ma, Clayton, in che mondo vivete!? La Marina! Sta arrivando! –

- Si, certo… Domani comincia la Convention…! – si ricordò, annuendo tra sé.

- Ma no, ragazzo mio! – lo riprese paternamente l’anziano artigiano – Sulla torre di guardia hanno già avvistato le navi a qualche miglio marino! Saranno qui tra un’ora al massimo! –

- E’ troppo presto! – stava ancora urlando il giovane crestato in mezzo alla folla, che ora annuiva a quelle parole, preoccupata – I pirati sono ancora tutti sull’isola! Si faranno a pezzi qui e noi saremo in mezzo! –

Clayton si voltò prontamente ad intercettare l’occhiata allarmata della  sorella. Ora erano davvero guai.

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 - Ma sono convinto! -

- Non direi. –

Regynald indicò con enfasi la strada alla sua sinistra, mentre Ace continuava a fissare, interrogativo, quella di destra.

- Seriamente, Regy. So che sei molto bravo in queste cose, ma… Era di là. – cercò ancora il ragazzo.

- No. – concluse, secco.

Si fissarono un istante: sguardo indeciso ma conciliante degli occhi neri di Ace, occhiata rigida e implacabile degli occhi azzurri dell’ex-marinaio.

- Immagino di no. – affermò infine anche l’altro, seguendo la via opposta al suo parere.

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- Non lo sapranno senz’altro! -

Principessa arrancava sulla via piena di gente, nella direzione opposta alla maggior parte della calca, seguita da un fratello molto meno atletico e decisamente meno inserito nella foga del momento.

- Magari siamo malpensanti… Magari… - tentò Clayton, con il fiato corto.

- Ah! Come no!? – riprese lei, rabbiosa. Si fermò suo malgrado ad aspettarlo e, solo dopo aver imprecato sonoramente, riprese: - Se non ci fosse stato quel gruppetto di esagitati poco lontano da casa, non lo sapremmo neanche noi che ci abitiamo, qui! –

- Va bene, ma non sai neanche dove hanno attraccato! Nel senso, nel porto no di certo: quella nave enorme dà nell’occhio! Quindi dove stiamo andando!? – protestò ancora il più giovane, la voce spezzata dalla fatica.

- Da uno che di certo ne sa più di noi…! – gli rispose, sbrigativa.

Clayton sbuffò, tenendosi la milza: - E anche Johnny, con il suo bar interno - costa… -

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- Fratelli! -

Il richiamo del compagno arrampicato dell’albero maestro sferzò l’aria e giunse ai pirati a prua.

- Cosa…? – domandò Jozu, scoccando uno sguardo alla parte più alta della nave, da dove proveniva quella voce.

- Guardate all’orizzonte! –

Tutti si assembrarono sulla sponda sinistra della Moby Dick, con aria interrogativa. Per ora si vedevano dei puntini, nient’altro, ma erano numerosissimi, da ogni lato del mare che si apriva di fronte a loro.

- Che cosa sono!? – gli gridò per contro Satch, con una smorfia.

- Marina! – si limitò a urlare la vedetta.

I Comandanti si rivolsero subito un’occhiata perplessa tra di loro.

- Di già…? – osservò Haruta, cercando conferma nello sguardo mesto di Marco.

- Diavolo, quei due stanno ancora girando per l’isola! – esclamò Vista, battendosi una mano sulla fronte.

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- Locandiere senza speranza! -

- Principessa, non è cortese… - si limitò a rispondere quello, senza neanche voltarsi verso l’ingresso trionfale dell’amica.

- Johnny! – lo chiamò invece Clayton, tra un respiro affannoso e l’altro.

- Oh, ci sei anche tu, Clay!? – disse allora, molto più accondiscendente, sorridendo placido – Visto che tua sorella è in splendida forma!? –

- No, ascolta… - fece, a fatica.

- Hai visto il “mantellato”? – intervenne lei, sbrigativa, ma attenta ad evitare l’interessamento degli astanti.

- No… Ma credo sia un bene… Avete sentito, giusto? – domandò, con un’occhiata complice, confermando la sua nomea di ottima fonte di informazioni.

- Ok, ma diciamo che noi volessimo esserne sicuri… Dove dovremmo andare…? – chiese Principessa, criptica ma impaziente.

Johnny fece allora cenno al ragazzo, ripresosi dal fiato corto, di avvicinarsi. Poi gli sussurrò all’orecchio:

- Se volessi trovare una bella balenottera a bordo spiaggia, andrei verso la scogliera a sud… -

- Una che…? – protestò Clay, interdetto.

Ma Principessa gli afferrò una manica della camicia e lo trascinò verso la scala.

- Ci vediamo, psicotico! – e il locandiere sorrise, la mano alzata in segno di saluto.

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Lo sguardo di Regynald Comyol esprimeva da alcuni minuti un disappunto palpabile. E ancora non aveva smesso di fissare con astio la porta chiusa dell’abitazione dei due fratelli.

- Credo sia un problema, Regy. Sono d’accordo con te. – osservò Ace, accondiscendente – Ma non è continuando a fissare con odio quella porta che lo risolverai. -

- Torniamo. – fu l’unica parola che il ragazzo, tra l’istinto omicida e la più cupa insofferenza, riuscì a pronunciare.

- Si, certo. –

L’altro, tuttavia, si voltò, pronto alla prossima smentita. Era certo che quella non fosse una resa alla razionalità a tutti gli effetti e nascondesse anzi un nuovo proposito.

Non sbagliava.

- Però voglio prima provare alla locanda. – rispose, infatti, Ace, risoluto, con il copri spalle ormai spiegazzato ancora in mano.

Regynald aveva già smesso di contare le volte che aveva perso le staffe al seguito di quel pirata privo di senso dell’orientamento e di quel minimo di ragionevolezza che si richiedeva ad un uomo d’avventura. Quindi essere sul punto di perderle anche in quel momento non gli sembrò altro che la conferma di un fatto ormai assodato: aveva bisogno di più meditazione zen per sopravvivere su quella nave e al seguito di quegli scavezzacollo.

- Strano, però… Cosa ci fa tutta questa gente agitata in giro…? – osservò l’altro, estraneo a quel ragionamento e quasi accorgendosi in quel momento della quantità di gente che scorreva disordinata per le strade intorno a loro – E guarda quelli come corrono! Ma non è la ciurma del… -

- Non c’è tempo. – tagliò corto l’altro, spingendolo alle spalle verso la via alla loro destra, in direzione del locale.

Non ci voleva un genio per capire che stava per succedere qualcosa e in questi casi il tempo non era mai sufficiente…

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- Il Capitano si è appena addormentato. - dissero le infermiere, frenando l’orda che si stava precipitando nella cabina di Barbabianca, da qualche tempo non troppo in forma.

- Cavolo… - osservò Satch, sempre con più lingua degli altri – Tocca a te, quindi… -

Marco detto “la Fenice”, Primo Comandante della ciurma, si ritrovò prima di tutto a sospirare e a fare strada ai compagni per tornare sul ponte sferzato dal vento. La camicia viola sbottonata cominciò subito a sventagliare, insieme al ciuffo di capelli biondi, mentre osservava la distesa marina.

Diede uno sguardo ai profili di quelle che ormai alla vista di tutti erano navi della Marina, almeno un centinaio, tanto vicine all’isola che ancora per poco il tragitto di una nave grande quanto la Moby Dick sarebbe passato inosservato. Probabilmente l’avrebbero davvero notata, ma sarebbero passati oltre, consci che inseguirli ed attaccarli, benché in simile vantaggio numerico, avrebbe creato notevoli conseguenze. L’importante per la loro nave era non essere lì, attraccata in un porto franco nel pieno delle celebrazioni per la “Convention Generale della Marina d’Assalto”. Che poi si trattava della solita stupida autocelebrazione dei potenti, a suo parere, soprattutto quando di così potente non avevano nulla tranne il nome.

Pensò per un momento a quella scalmanato di Ace. Se fosse stato da solo, in giro senza meta anche perché senza senso di orientamento, ci sarebbe stato da preoccuparsi seriamente: un migliaio di marinai in libertà, un solo pirata senza punti di riferimento ma una testa molto dura… Invece c’era Regy con lui: non solo la persona più imperscrutabile e irritante della ciurma – perché a volte batteva anche Satch, il che era clamoroso -, ma anche l’unico abbastanza irremovibile da trattenere per un po’ quella testa calda e, non ultimo, una bussola umana assolutamente perfetta. Non per niente era il maggiore conoscitore delle rotte del Nuovo Mondo di tutta la dannata Marina, prima che se lo giocassero in quel modo clamoroso… Per loro, invece, era stata una grande fortuna.

- E’ un problema, ma mi fido di Regy. – concluse Marco, tra sé e a vantaggio dei compagni circostanti – E poi, insomma, sono solo quattro giorni… - ma quest’ultima frase con molta meno sicurezza: sarebbe bastato molto meno per fare grandi danni.

– Salpiamo! – proclamò ad alta voce, tra la sorpresa dei più.

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Poi girarono un angolo e…

- Ahi! – esclamò Clayton, quando un piede gli schiacciò malamente l’alluce.

- Cosa diavolo…!? – fu invece il commento della ragazza, che si ritrovò letteralmente addosso ad un armadio umano. Ma prima che potesse lamentarsi e spintonare quel tipo che andava in giro a petto nudo e senza guardare cosa faceva…

- Principessa! –

Lei dovette solo alzare lo sguardo per accertarsi della situazione.

- Ace!? – esclamò, celando la sorpresa con l’irritazione – Allora avevo ragione! Cosa fate ancora in giro!? –

Fu lui a fare un passo indietro, e lo stesso fece Regynald al solo fine di togliere il piede dalle dita del ragazzo di fronte a lui.

- Ti dovevo riportare questo! – le rispose, mettendole davanti il copri spalle color panna, ormai immettibile.

Per un momento fu talmente sconvolta da non sapere cosa dire. Anche suo fratello si chiese come fosse possibile e non poté fare a meno di restare a guardare la scena. Aveva spalancato gli occhi tanto da sembrare spiritata.

Infine sbottò: - Perché mi hai portato via il copri spalle, tu!? –

- Non te l’ho portato via! – protestò lui – L’avevi dimenticato…! –

- Per nulla! Io non dimentico niente! –

- Era alla locanda! –

- E potevi lasciarlo lì! O sei una qualche specie di psicopatico…!? –

- Perché volevo riportartelo!? –

- Perché te lo sei tenuto, ecco perché! E ora hai i rimorsi di coscienza! –

- Ma che stai dicendo!? –

- No, cosa state dicendo tutti e due! – esclamò Clay, decisamente sconvolto.

Il silenzio calò improvvisamente ed entrambi si voltarono verso di lui.

- Ma vi sembra il momento!? Prin, ricordi qual è la situazione!? Sono in guai seri! – continuò il ragazzo, facendo poi scorrere lo sguardo fino all’altro pirata di fronte a lui.

- Sta arrivando la Marina! – gridò improvvisamente lei, riprendendo il necessario contatto con l’immediata realtà.

- Solo domani. – disse l’ex-marinaio, con un tono che non voleva ammettere repliche.

- No, oggi! – lo contraddissero i fratelli, perfettamente in coro.

 #  #  #  #  #  #

La scogliera scura di Ward-Golfe alle spalle, leggermente lucida per gli schizzi d’acqua che la lambivano, si allontanava, mentre in realtà era l’enorme mole della nave pirata a scorrere sulla piana superficie del mare. Pericolosamente vicini, i galeoni della Marina aprivano la formazione per scorrere intorno all’isola, in direzione del porto a nord, molto più ampio e ben fornito. Inutile dire allora che la via meridionale appariva perfetta per l’allontanamento – non la “fuga”, che sia chiaro - della grande imbarcazione fuorilegge.

- Ma avremo fatto bene? – domandò Jozu al Primo compagno, le grosse braccia incrociate e lo sguardo di fronte a loro.

Satch produsse solo un mugugno e un’occhiata a Marco di fianco a lui.

- Anche se si trovassero nei guai, ci sono sempre i fratelli McFerson. Anche il babbo sarà d’accordo. – osservò quest’ultimo, un sorriso sbieco sulle labbra.

- Dì piuttosto che lo speri, carissimo..! – esclamò Satch, mentre immaginava i guai che avrebbero combinato quei quattro, insieme ad un migliaio di marinai…

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Buonanotte!!! ^^

Chiedo scusa per il tempo lasciato passare: la sessione estiva é stata più delirante del solito e mi ha procurato un serio vuoto d'ispirazione... u_u

Ebbene, con questo capitolo si chiude questo "primo episodio" della saga! Ve lo aspettavate!? Spero di no! XD

Quindi, come da ragionamento del buon Satch: Ace, Regy, Clay e Prin... con un migliaio di marinai!!! Dai, vi ho incuriositi un po'? Avrete la pazienza di seguire un nuovo racconto di questa serie? Presto sui nostri schermi (spero)! XD

P.S.: Mi scuso per gli "a capo" dopo gli asterischi di stacco... Non so perché NVU a volte non me li vuole mettere... ù_ù

Grazie a tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggere! Grazie a chi ha inserito la storia nei suoi elenchi! Mille grazie in più a chi ha avuto la suprema gentilezza di commentare, magari anche tutti i capitoli! ^^

E (perché no?) ringrazio tutti coloro che vorranno leggere il seguito!!!! XD  Ma sappiate che il seguito ci sarà nonostante tutto!

Baci baci!!!!!

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