Come a Ward-Golfe avvengano incontri assurdi... di May90 (/viewuser.php?uid=52043)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Capitolo
1
L’inquietante
cigolio del finto portoncino da saloon si udì in tutta la
sua vibrante lunghezza nel lieve chiacchiericcio del locale. Come
sempre
accadeva, tutti gli astanti, altrettanto abitualmente un numero esiguo
di
clienti, si distrassero dalle loro attività. Le carte si
appoggiarono,
esclusivamente coperte, sui tavoli un po’ unti dai resti di
vivande. Gli
sguardi si incrociarono per millesimi di secondo, dubbiosi, per poi
puntarsi
incuriositi sull’uscio, in attesa che quel suono desse
seguito ad un’apparizione
nell’ambiente fumoso.
Il
ticchettio dei tacchi sulla scala che portava a quella tavernetta
adibita a pub se possibile alzò ancora di più il
margine di attenzione. Solo i
più affezionati frequentatori riuscirono subito a capire
cosa li aspettava.
Un’unica donna frequentava di solito quel luogo e non era mai
una buona cosa.
Quando,
con gli stivaletti inzaccherati dalla terra bagnata e in una
mano l’ombrello grondante di pioggia, scese
l’ultimo gradino e giunse nel lieve
bagliore arancione delle lanterne, emise un sospiro soave, raffinato e
enfatico. Lasciò andare l’orlo fradicio e
macchiato del fine abito panna e si
ravvivò i capelli rossi, lunghi fino alla vita, purtroppo
resi crespi dall’umidità.
-
Oh, che tempo! – esclamò, con un falsetto
delizioso, rivolgendo sorrisi di cortesia a tutti i
presenti, per poi posare l’ombrello fradicio nel gruppo
all’ingresso –
Buonasera! -
-
Buonasera, Principessa! –
La
voce
divertita del padrone del locale rimbombò dal retrobottega
in tutta la sala,
strappando sorrisetti a molti.
Un
lampo
inquietante passò sul volto pallido della giovane. Eppure la
sua espressione
tornò forzatamente affabile in un istante. Con passo
leggero, liberandosi dalla
stola chiara, si sedette al bancone, accavallando le gambe con eleganza
sull’alto sgabello.
-
Ah,
Johnny! Vorresti per caso prendere la mia ordinazione,
carissimo…? – chiese. Una
patina quasi tangibile di lucente educazione rese ancora più
vibrante
quell’ultimo appellativo.
Il
locandiere uscì dallo stanzino con quattro larghi boccali di
vetro appena
lavati e asciugati, che appoggiò con cura su un ampio
ripiano posto subito
sotto i due scaffali ricoperti di bottiglie di alcolici. Si
asciugò con calma
le mani sul grembiule scuro, molto stretto sulla sua vita sottile di
ragazzo
poco più che venticinquenne.
-
Mi dica
pure… - la esortò, lisciandosi i baffetti da
moschettiere che più di tutto
rappresentavano il suo vezzo.
-
Va
benissimo il solito, molte grazie! – rispose lei, ignorando
l’ironia neanche
troppo velata delle sue parole.
Per
tutta
risposta, quello alzò gli occhi al cielo e le sorrise con
malizia.
-
Di
grazia…? – domandò lei, con un lampo
infastidito negli occhi neri come la pece.
-
Mi chiedo
perché non la smetti con questa storia. –
commentò quello, scuotendo la testa.
-
Se non mi
servi me ne vado. – rispose pronta, a voce bassa e
minacciosa.
Johnny
scrutò da vicino la curva pericolosa che avevano assunto le
sopraciglia di
fuoco della cliente e sospirò, senza però
smettere di stuzzicarla.
-
Come
vuoi, Principessa. -
Per
un
istante solo, breve come un battito di ciglia, le mani curate della
ragazza si
strinsero minacciose per poi tornare aperte per lisciare con noncuranza
l’ampia
gonna dell’abito panna.
-
Fingerò
ancora una volta di non aver sentito… -
sentenziò, rivolgendo un sorriso pieno
di civetteria ai due marinai seduti a pochi sgabelli di distanza.
-
Proprio
non ti capisco. Dovresti ormai averci fatto l’abitudine.
– riprese il giovane
locandiere, che si era già voltato a trafficare con dei
bicchieri.
-
Ciò non
toglie che non mantieni mai il favore che ti ho chiesto, caro. Per
questo mi…
altero lievemente… e potresti concedermi che non ho neanche
torto. – protestò
con tono leggiadro, ponendo un breve gesto della mano ad ogni
intervallo delle
sue parole, quasi fossero una melodia.
-
Ti rendi
conto, spero, che è una… - cominciò,
voltandosi per un istante a rintracciare
l’espressione di avvertimento della ragazza -
…sciocchezza… - si corresse
preventivamente.
-
No, è un
piacere. – minimizzò, estraendo dalla borsa uno
specchietto, con il quale si
controllò lo stato dei capelli mossi.
Poi
però si
voltò quanto bastava di lato per poter vedere riflessi nel
piccolo oggetto
anche i due ufficiali seduti al bancone, giusto a qualche sedile di
distanza.
Confabulavano a bassa voce, ogni tanto si rivolgevano sorrisetti e
gomitate.
Si, due perfetti soggetti da osteria, molto interessati a qualunque
donna
respirasse. Nessuno dei due piacente, per nulla, ma non si poteva
pretendere
molto in quel buco di isola. La ragazza sorrise al suo stesso riflesso.
Aveva
imparato molte cose importanti per una donna, cose che potevano
aiutarla nella
sua piccola impresa di eleganza e formalità. Una
però risultava sempre più
importante delle altre, ai suoi occhi: farsi desiderare, sempre, il
più
possibile, ad ogni costo, perché la civetteria era la cosa
più femminile che
esistesse.
Ed
era
certa che la via per essere una ragazza fine, gradevole e desiderabile
passasse
proprio per quella sottile arte che doveva migliorare ad ogni costo.
Ecco
anche
perché aveva ordinato “il
solito”…
-
A voi,
Mademoiselle… - la richiamò Johnny, appoggiandole
davanti un alto calice pieno
di liquido ambrato, nel quale navigava, placida, un’oliva.
Con
la coda
dell’occhio, la ragazza si godette gli sguardi stupiti e
ammirati dei due
uomini, che quasi non credevano a quello che vedevano.
Dall’altro capo della
stanza udì, quasi nello stesso tempo, un paio di affezionati
del locale
tossicchiare per celare le risatine, ma cercò di non farci
caso, preferendo
sollevare la sua ordinazione tra le due dita per poi concedere un gesto
simile
ad un brindisi ai militari.
Non
fece in
tempo a portarsi alle labbra il bordo del bicchiere prima di udire
l’evidente
risata del locandiere.
-
Johnny… -
lo ammonì lentamente, appoggiando con cautela il lungo
calice. Solo la
prospettiva di ciò che stava per dire le faceva sentire
particolarmente stretto
il sottile collarino di seta bianca che si era legata al
collo…
-
Non
fatevi ingannare, vi prego! – esclamò quello
rispondendo alle sue peggiori
aspettative – E’ semplice birra! –
Un
boato
generale di risate si sollevò in un’eco clamorosa
nell’intero locale. I due
marinai, dopo un istante di stupore, si unirono al divertimento
generale.
-
Bene, ora
ce l’hai fatta… -
Nel
fragore
quella breve frase, più simile ad un sibilo che ad un tono
umano, non si
sarebbe dovuta percepire. Invece, fu come uno scoppio che ridusse tutti
al
silenzio.
-
Sei un
bastardo. -
A
chiunque
fosse capitato in quel luogo per la prima volta, quella voce sarebbe
sembrata
sconosciuta almeno quanto oscura e diabolica. Nessuno con un tono tanto
cupo e
violento aveva ancora pronunciato anche una sola parola quella sera.
Molti, i
due militari compresi, cominciarono a guardarsi intorno alla ricerca
della
persona che aveva indirizzato quell’insulto come una sentenza
di morte, senza
riuscire a trovarla. Alcuni, i più saggi, cominciarono a
spostare cautamente le
sedie e ad avvicinarsi all’ingresso, pronti ad andarsene.
L’unico davvero tranquillo
era il barista, che sorrise affabile e disse semplicemente:
-
E tu sei
davvero falsa quando fai la signorina beneducata, Principessa!
–
Fu
a quella
frase che i passi verso l’uscita si fecero più
concitati. Johnny salutò con la
mano gli avventori diretti alla via di casa e questi risposero con un
altrettanto garbato cenno di saluto, ormai abituati a quel bizzarro
gioco al
massacro. Perché scatenare quella ragazza era qualcosa di
molto simile ad un
probabile massacro. Sentirla abbandonare il suo ridicolo falsetto per
quella
voce certo ancora femminile ma incrinata dalla rabbia, era un segnale
d’allarme
anche per i più inebriati dall’alcol.
Il
silenzio
era ancora palpabile quando finalmente nessuno poté negare
che la persona che
stava per scatenare l’inferno era seduta in mezzo a loro. La
minaccia era
scritta nell’espressione della giovane, dagli occhi neri come
abissi stretti
dalla rabbia, alle labbra rosse tirate per scoprire denti bianchi,
digrignati
come sciabole. La curva delle sopraciglia aveva raggiunto vertici
inimmaginabili, corrugando la fronte quanto mai sarebbe dovuto avvenire
per una
calma giovane di buona famiglia. Nessuno si sarebbe stupito se da un
istante
all’altro i lunghi capelli color fiamma fossero diventati
davvero di fuoco.
-
DEVI PIANTARLA
DI CHIAMARMI “PRINCIPESSA”! –
gridò, afferrando per il bavero il disgraziato
locandiere, che in realtà continuava a sghignazzare.
-
Non ti
sembra di stare molto meglio ora che sei te stessa, Principessa?
–
-
SMETTILA
DI RIDERE, DANNATO STRONZO! VAI AL DIAVOLO, VAI AL DIAVOLO! –
continuava a
urlare, scuotendolo come uno shaker.
La
coppia
di militari rimase immobile, pietrificata dal cambiamento repentino che
era
avvenuto in quella giovane prima leggiadra e fine, ora rude e violenta.
Non
sapevano neanche come reagire, fino a che lei puntò lo
sguardo assetato di
sangue verso di loro.
Lasciò
il
colletto del locandiere e sferrò un pugno al bancone prima
di risollevare il
palmo chiuso verso di loro, come per un gesto di sfida:
-
Non avete
mai visto una donna arrabbiata!? Allora!? Credete di essere i soli ad
avere il
diritto di urlare e sbraitare come ossessi!? Maschilisti figli
di… -
-
No, fai
la brava! – esclamò Johnny, nascondendo il vero
insulto dietro
quell’ammonimento.
-
Ma crepa
un po’ anche tu! – gli rispose lei, con un cenno di
stizza che avrebbe voluto
essere una sberla, se avesse avuto interesse a rivolgergli di nuovo lo
sguardo,
puntato invece sui due malcapitati – Voi eravate gasati!
Esaltati all’idea di
essere maschioni attraenti, pronti a sedurmi! Ho solo fatto il vostro
gioco! Dovrei
essere io a ridere di due come voi! –
Si
scambiarono uno sguardo di intesa per poi scuotere la testa
vigorosamente.
Inutile
dire che ciò non cambiò di molto
l’umore tempestoso della cliente. Continuò a
sfoggiare,
minacciosa, il pugno chiuso, sempre più vicino ai suoi
avversari improvvisati:
-
Ora non
vi divertite più, eh!? Solo perché avete quella
divisa vi credete tanto
superiori! Se le prendeste da me, immagino che figura fareste con i
vostri
superiori! Avanti, sfidatemi, se ne avete il coraggio! –
-
Su,
adesso stai esagerando! – la mise in guardia il locandiere,
cercando di afferrarle
quella mano ancora sospesa e prontamente si rivolse agli altri
– Scusatemi, ma
credo sarebbe meglio… -
-
Vecchio
prete, lasciami andare! Questi due montati li abbatto in un secondo!
–
-
Signorina, vi prego… - tentò il più
giovane dei due uomini di mare, tentando di
muovere un paio di passi verso di lei.
-
Ti sembro
una “signorina”!? Dove la vedi la
“signorina”, ora!? – esclamò
lei, pronta a
balzargli addosso.
Johnny
fu
abbastanza veloce da afferrarle il braccio per fermarla.
-
Vi prego,
signori, credo sia il caso che ve ne andiate, seriamente… -
interloquì ancora
il padrone, indicando la scala per l’uscita con il capo.
-
Non se ne
parla! Questi due balordi pieni di sé diventeranno pasticci
per la cena! – strillava
la ragazza, ancora determinata a sfogarsi.
I
due si
strinsero nelle spalle, lasciarono i soldi sul tavolo e si
allontanarono verso
l’uscita. Gli occhi scuri della ragazza li seguirono per
tutto il tragitto,
finché afferrarono l’ombrello e presero le scale.
Allora tornò a sedersi di
malagrazia sullo sgabello e buttò giù in un solo
veloce sorso il suo
bicchierino:
-
E adesso
dimmi cosa ti aspettavi di ottenere difendendo quei due montati in
divisa. Sei
proprio un sempliciotto, Johnny! –
L’altro
sorrise, posando nel lavello i due boccali appena svuotati dagli
sfortunati
avventori: - Io veramente pensavo di difendere te da
un’accusa di aggressione a
pubblico ufficiale… -
La
ragazza
lo fermò a metà di quella frase con un cenno
brusco della mano e nello stesso
movimento gli indicò la via per l’ingresso. Si
sentivano, attutite dallo
scrosciare della pioggia e dalla distanza, quelle che sembravano grida.
-
Attento a
dove vai! -
-
Chiedo
scusa… - rispose, a malapena udibile, una voce quieta.
-
Anche
questa ora! –
-
Siamo
ufficiali, dannazione! Attento a mancarci di rispetto! –
Ma
non
ottennero alcuna risposta e l’episodio sembrò
chiudersi lì.
Nella
tavernetta entrambi erano rimasti con il fiato sospeso ad ascoltare
quello
scambio di battute: un incontro sbagliato davanti ad un locale poteva
essere
l’inizio di una sequela di guai, per il malcapitato ma anche
per gestore e
clienti. Quando però tornò il silenzio, turbato
solo da un cigolio delle ante
da saloon e da
passi in discesa lungo il
passaggio, Johnny fu il primo a sciogliersi da addosso la tensione: -
Visto
quanto poco ci vuole…? –
-
E credi
che quei due idioti avrebbero avuto il coraggio di accusare una come me
di lesa
maestà!? Per favore! -
Mentre
ancora parlava si stava tuttavia accomodando in modo più
composto e sistemando
i capelli, pronta all’arrivo del nuovo avventore.
-
Principessa… - la ammonì il locandiere,
guardandola riprendere la sua sembianza
elegante.
-
Se mi fai
di nuovo fare una figura simile, è la volta che ti uccido
con le mie mani. –
sentenziò per risposta, sottovoce, ma con
un’occhiata crudele abbastanza
eloquente.
I
passi
terminarono sul parquet modanato del locale, dopo il fuggi-fuggi
generale di
poco prima, quasi vuoto.
-
Buonasera. – salutò una voce molto giovane.
Attirata
da
quella novità, la giovane si voltò quasi
contemporaneamente al padrone del
locale, curiosa di scoprire l’identità del nuovo
venuto.
Una
figura
alta, all’apparenza slanciata, si stagliava scura nel
bagliore arancione delle lampade
all’ingresso. Non faceva cenno di volersi togliere il
pesantissimo mantello
nero, che indossava coprendo anche la testa con il cappuccio,
nonostante fosse
evidentemente grondante d’acqua. Anzi, avanzò
qualche passo nella tenue luce
della sala, guardandosi intorno.
-
Buonasera! – esclamò conciliante Johnny
– Cosa posso servirti? –
Evidentemente
voltò il capo verso il locandiere e dopo un istante di
esitazione si avvicinò
al bancone:
-
Un
boccale di bionda. Grazie. -
Si
sedette
su uno sgabello poco lontano da quello della giovane e
appoggiò comodamente i
gomiti sul piano di legno. Tuttavia dopo pochi secondi nei quali era
rimasto
fermo in quella posizione, il mantello prese a gocciolare con molta
più
intensità, creando una pozza d’acqua intorno a lui.
-
Che
disastro… - osservò quella persona misteriosa,
abbassando il capo a scrutare il
lago che si formava ai suoi piedi.
-
Non ti
preoccupare, non c’è problema. – lo
rassicurò Johnny avvicinando il contenitore
di vetro al rubinetto della botte più vicina –
Asciugherò più tardi. –
-
Chiedo
scusa per il disturbo. – rispose, con voce sinceramente
dispiaciuta.
-
Temo di
dover essere io a chiederti scusa. Quei due marinai che hai incontrato
mentre
risalivano da qui sarebbero stati probabilmente molto meno scortesi se
non… li
avessimo aizzati un po’. – osservò, per
poi rivolgere un cenno del capo alla
ragazza – Giusto? –
-
Non dire
assurdità. La maleducazione è insita in gente
come quella. – rispose lei,
riprendendo a modellare la sua voce su quel fine falsetto.
Per
tutto
quel tempo, comunque, non aveva ancora tolto gli occhi da addosso a
quello
strano cliente. Decisamente saggia l’idea di usare un
mantello come quello,
evidentemente impermeabile, per coprirsi dalla pioggia. Ma che senso
aveva
arrivare a non toglierselo neanche al chiuso?
-
Scusate,
qualche problema? -
La
figura
si era accorta solo ora che aveva parlato della sua presenza e aveva
diretto il
viso verso di lei. La luce sfiorava solo il mento non molto pronunciato
e la
bocca sottile, lasciando ogni altro tratto nell’ombra del
cappuccio grondante.
Ecco,
adesso erano passate a tre le cose che infastidivano la ragazza: dopo
quel
mantello che non le permetteva di valutare la persona che vi era
nascosta
sotto; dopo il fatto che quel tipo, chiunque fosse, aveva dato prova di
essersi
accorto della sua esistenza solo sentendola rispondere al locandiere;
si
aggiungeva a quel punto anche l’uso del
“voi”. Una cosa era sentirselo dare con
cortesia da un ammiratore o da un negoziante o da un bambino piccolo,
ma a
giudicare dalla voce e dal poco che riusciva ad intuire dei tratti del
volto,
quello poteva essere un suo coetaneo. Nonostante ogni sua pretesa di
ammirazione e devozione, sentirsi trattare con quella riverenza, come
una
vecchia, da un ragazzo della sua stessa età le suonava come
un insulto.
Sarebbe
bastato questo a mandarla su di giri in qualunque altro momento, ma
questa
volta aveva intenzione di non perdere la faccia come poco prima.
-
No,
assolutamente. – rispose, dandosi un contegno fin troppo
sostenuto.
Quello
le
rivolse un lieve cenno del capo, rassicurato, per poi voltarsi.
Tornò
come
a fissare qualcosa di fronte a sé, ma quasi subito, con un
tonfo sonoro… crollò
sul bancone.
-
Johnny! –
esclamò lei, saltando giù dalla sedia e
accostandosi all’avventore mascherato.
L’interessato
si voltò di colpo e rischiò quasi di rovesciare
il boccale ormai colmo: -
Principessa, il tuo brutto vizio di picchiare la gente per inezie!
–
-
Ma se non
l’ho neanche toccato! E’ andato giù da
solo come un sacco di patate! – protestò
lei, gesticolando irritata.
Johnny
pulì
con uno strofinaccio la schiuma che scendeva dal bordo del grosso
bicchiere,
poi lanciò un’occhiata sbieca
all’avventore svenuto. La ragazza notò che quello
sguardo si concentrò per un istante sul braccio, dove il
mantello si era
scostato abbastanza da mostrare il tatuaggio di una
“E” maiuscola.
-
Ah! –
commentò allora il locandiere con un sorriso –
Allora so chi é! -
-
Mi fa
piacere… - rispose ironica lei, con una smorfia.
-
E
comunque non sta male, devi solo lasciarlo tranquillo. –
-
Come
sarebbe a dire!? – sbuffò l’altra,
guardando con sempre più malumore il
saccente disinteresse del padrone.
-
Tranquilla e fidati. – minimizzò, appoggiando il
boccale di fronte al tipo misterioso.
La
ragazza
sbuffò sonoramente e, conscia che insistere non sarebbe
stato né educato né
produttivo, per qualche momento cercò di distrarre la sua
attenzione. Dopo
essersi riavviata i capelli color fiamma dietro le spalle, chiese
vagamente se
servissero delle provviste al locale, perché le avrebbe
fornite volentieri e
senza alcun disturbo. Questa fu l’occasione per battibeccare
ancora qualche
minuto con Johnny, il quale fu ben lieto di ricordarle quante volte gli
avesse
fatto penare la semplice fornitura di spezie comuni. La cosa fu subito
allontanata dalle responsabilità dell’interessata,
che rinviò le colpe alla
feroce burocrazia delle compagnie mercantili. Al che il padrone scosse
la testa
e andò a chiedere le ordinazioni di due nuovi clienti, che
non si erano
lasciati spaventare dalla sala quasi deserta.
-
Devo
ricordare a quel rimbambito in emporio le dannate spezie… -
commentò tra sé,
pensando se fosse necessario segnarselo. Eppure vantava una memoria
abbastanza
buona, per quanto ne dicesse quell’ingrato, e non si
sentì di offendere la sua
stessa ricordanza con una stupida annotazione.
Adesso
però
non aveva più nulla con cui tenere la mente impegnata.
I
suoi
occhi tornarono subito, indagatori, su quell’individuo, a
giudicare dalla
respirazione regolare e rilassata, ora poteva affermarlo, solo
addormentato sul
duro ripiano di legno. Quella lettera tatuata in grande dimensione su
quel
braccio massiccio e forte doveva comporre una frase o una parola.
Nient’altro
si poteva vedere di quel ragazzo - perché era innegabile si
trattasse di un
giovane, non riusciva a trovare discriminanti: il fisico e il timbro
della voce
non mentivano quasi mai. Possibile che da quei pochi dettagli un
facilone come
Johnny avesse compreso l’identità segreta tanto
ben nascosta? C’era di certo
qualcosa che le sfuggiva.
-
Sei ancora
qui a fare il terzo grado al “bello addormentato”?
– chiese quest’ultimo,
tornando a riempire due boccali, appena inseriti tra le ordinazioni.
- Odio quella tua aria da
saccente. – sbuffò
lei, aggrottando in quel modo tanto pericoloso le sopraciglia
– Mi viene una
voglia di pestarti a sangue... –
-
Insomma,
è evidente! – rispose quello, preferendo aiutarla
a capire, piuttosto che
doversi difendere da un suo repentino attacco – Soffre di
narcolessia. Non ti
dice nulla, ora? –
-
Dovrebbe…? -
Johnny
la
guardò incredulo per qualche momento per poi scuotere la
testa e accennare ad allontanarsi
con i due boccali in mano:
-
Se è
così, non so cosa farci. -
-
Fai prima
a dirmi come si chiama, no!? – esclamò,
indispettita da quell’atteggiamento
indisponente.
-
Quando
una persona agisce per non far capire la propria identità,
chi sono io per
sbandierarla ai quattro venti? –
-
A me!
Dovresti dirla a me! E basta! – rispose lei, indicandosi
insistentemente con i
due indici.
-
Chiedi a
Clayton. – sentenziò l’altro, questa
volta allontanandosi per davvero.
-
Cosa
c’entra quello adesso!? – chiese lei, offesa.
-
Sono
stato in quel negozio, poco fa. –
La
rossa si
immobilizzò appena udì di nuovo la voce dello
sconosciuto con il mantello. Si
era appena sollevato dalla precedente posizione di riposo e stava
afferrando
con la grande mano il manico del boccale.
Ma
dato che
si era messo a sorseggiare la bevanda senza aggiungere nulla a quella
semplice
affermazione, cominciò a temere.
-
A fare
cosa…? – chiese, suo malgrado con quel falsetto
leggermente tremante.
Lo
sconosciuto si voltò nella sua direzione e questa volta il
cappuccio lasciò
intravedere anche la punta del naso, ma poco altro. Sembrò
inclinare la testa,
in un gesto di vago sconcerto.
-
A
comprare. Cos’altro? – chiese a sua volta,
incredulo.
Resasi
conto di aver rivelato un po’ troppo con quella sola
esitazione, si ricompose:
- Già, certo. E’ chiaro. –
-
Eppure mi
sembravate preoccupata. –
Lei
arricciò le labbra, infastidita: - Quel negozio è
frequentato da gente di ogni
genere. Spesso più interessata a rubare che a comprare.
Quindi, ogni dubbio è
di rigore. -
- Vi assicuro di non
rientrare in quella
categoria. – rispose, con un sorriso gentile visibile nella
penombra dell’ampio
cappuccio.
Con
dispetto, ma cercando di mantenere la sua immagine vagamente snob,
contestò,
scettica: - Dovresti allora concedere agli altri di giudicare. Invece
di
nasconderti sotto quella palandrana.-
Quando
si
sentiva piccata, non sapeva fare a meno di essere così
diretta e offensiva.
Incrociò le braccia al petto e distolse lo sguardo,
aspettandosi che anche
l’altro si sentisse oltraggiato e rispondesse a tono.
-
Non ci
posso fare nulla, temo. - riprese, al contrario placido e tranquillo
– Mi è
stato chiesto di evitare di dare spettacolo, nonostante dovessi fare
questo
giro in città, quindi ho accettato questo mantello.
– e sospirò sonoramente –
Anche se tiene un caldo insopportabile. -
Sorpresa
dalla novità, ovvero dall’atteggiamento
conciliante del tipo, tornò a
guardarlo, per quel poco che riusciva a distinguere. Non avrebbe saputo
dire se
quel modo di fare, per nulla indisposto alle critiche, le piacesse o
meno, se
lo considerasse saggio o indulgente alla sottomissione. Era strano che
qualcuno
non si arrabbiasse per le arie da superiore che assumeva e
intensificava con
commenti aspri. Per un istante, in una parte crudele mai completamente
celata
della sua personalità, si chiese come si potesse fare a
ferire una persona così
stranamente garbata. Tutti avevano un punto debole che scatenava
quell’istintivo bisogno di vendetta. Stuzzicare una persona
tanto paziente
poteva essere un passatempo un po’ infruttuoso ma piuttosto
gratificante se
portava all’indignazione del soggetto.
Essere
una
donna beneducata necessitava però di una certa eleganza, che
non si conciliava
per nulla con una serie di ripicche senza ragione, benché
molto gradite al
diavoletto sulla sua spalla sinistra.
Allora,
imponendosi un comportamento decoroso, si limitò a chiedere,
spiando attentamente
se si potesse intuire qualcosa di nuovo su quell’ombra oscura
approfittando di
un suo movimento:
-
Quindi
non avresti problemi a mostrarti. -
-
No, per
quel che mi riguarda, per nulla. Solo che non posso farlo. –
rispose, sicuro.
-
Umh… -
commentò lei, delusa.
-
Ti sta
disturbando? – chiese
Johnny, che era
appena tornato dietro il bancone.
-
No,
affatto! – esclamò subito la ragazza,
aggiustandosi con cura un ciuffo rosso
dietro l’orecchio.
-
Non avevo
dubbi. – osservò il ragazzo, ironico –
Infatti stavo chiedendo a lui! –
La
figura
nascosta fece un cenno di improvviso diniego con la mano e
tentò di parlare.
Tuttavia non fece in tempo a farsi le sue ragioni…
-
Johnny, -
il tono era tanto forzatamente pacato da suonare stridente –
cosa stai
dicendo…? -
-
Dico che
non l’hai ancora lasciato in pace a bersi un po’
della sua birra. Cosa molto
maleducata, se mi permetti. –
Forse,
ma
solo forse, avrebbe acconsentito a questa osservazione, se il
locandiere non
l’avesse esplicitata insieme ad un sguardo divertito e un
sorriso che era tutto
una presa in giro.
-
Stavamo
svolgendo una normale discussione… Se permetti, sei tu ad
essere… - tentò
ancora lei, anche se le friggevano le mani.
-
Oh, mi
sembrava piuttosto che lo stessi tormentando con domande alle quali non
vuole
rispondere. Quanta maleducata insistenza! - le fece il verso lui,
portandosi
due mani alla bocca in un accentuato cenno di femminile sconcerto.
-
Ma
brutto…! – scattò in piedi lei, con
fine indignazione ma gli occhi già
iniettati di sangue – Non ti permettere di fare una
così orribile imitazione! –
-
Non ci
siamo, Principessa! Non ci siamo proprio! – rise quello, di
gusto – Ancora con
questa finezza e graziosità! –
-
Io ti
spacco le gambe e vediamo alla fine dove ti metto la
“graziosità”! –
sbottò
allora, in un urlo rabbioso che fece sobbalzare i poveracci delle
ultime due
birre.
-
Ecco!
Così va meglio! – osservò raggiante il
ragazzo, schivando poi agilmente un
cartone che avrebbe rischiato di frantumargli il naso.
-
Vediamo
se andrà meglio quando ti metterò le mani
addosso! – scattò quella, pronta a
cominciare una rissa.
-
Quindi
sareste una nobile. –
Il
silenzio
piombò nell’intera sala come una pietra per
qualche secondo, momenti nei quali
anche gli stessi combattenti improvvisati si guardarono con uno strano
sgomento. La ragazza calò seduta sullo sgabello sul quale si
era appollaiata
per cercare di raggiungere il suo istigatore dietro il bancone.
-
Prego? –
chiese, rivolta, con uno sguardo allucinato, sulla misteriosa figura
che aveva
appena tratto tale conclusione, ai suoi occhi del tutto insensata.
Johnny
fu
invece più svelto a capire cosa intendeva quel tipo.
Interpretò un vasto
sorriso che gli scoprì tutta la dentatura avorio, portando
poi una mano a
lisciare i baffetti biondi:
-
Oh, ma
“Principessa” è il suo nome proprio!
– rispose, senza celare la soddisfazione
che gli procurava.
§ §
§ § § § § §
§ § § § §
Buonasera! Sono alla
fine giunta a buttarmi nella mischia di questa sezione! XD
Dopo molto sclero,
molto delirio su questa storia (ops, serie, perché
sappiate fin da ora che punta a diventarlo) sono riuscita a scrivere
abbastanza da osare la pubblicazione. Credo che questo "first step"
sarà sui cinque capitoli, ma spero vogliate poi
leggerne anche il seguito... ^_^ Devo solo preannunciare che,
ahimé, sono arrivata per ora solo al terzo capitolo, ma sta
cominciando l'ingrato tempo degli esami, che mi rallenterà
parecchio. Quindi vi diluirò parecchio gli aggiornamenti per
non lasciar passare poi tempi eterni.
Tre saranno i
personaggi originali ad avere un ruolo importantissimo nella saga e una
l'avete appena conosciuta. Non esattamente una "principessa Disney",
non esattamente una buona compagnia, non esattamente la coerenza in
persona. Tuttavia, spero con il tempo la adorerete quanto io non la
cambierei con nessuna al mondo! Poi, iInsomma, non suggerirò
chi c'é sotto il mantello, ma suvvia! ^_^
Sui comprimari non
mi sbilancio, anche perché non tutti saranno specialissimi
come il nostro Johnny, temo... Ma farò del mio meglio...
Grazie in anticipo a
tutti coloro che leggeranno questa mia follia e avranno la gentilezza
di lasciare un commento! ^_^
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Capitolo
2
-
TU SEI UN
UOMO MORTO! – sbraitò la ragazza, arrossendo fino
alla fronte.
Non
che
comunque l’imbarazzo potesse spingerla ad abbandonare
l’istinto omicida con il
quale si stava slanciando contro il locandiere, incurante ormai anche
del vasto
piano di legno scuro che da quello la divideva. Johnny si
ritrovò nuovamente
delle mani davvero poco cortesi al collo, questa volta neanche
lontanamente interessate
a trattenerlo per il bavero, ma artigliate alla pelle.
-
Ma… -
cercò di dire il cliente misterioso, facendo il gesto di
allungare le braccia,
forse per allontanare l’aggressore.
-
Tranquillo…
- lo rassicurò il gestore, con un cenno placido della mano
– Sopravvivo ogni
giorno ad almeno un assalto così… -
Principessa,
per tutta risposta, digrignò i denti come una tigre e
strinse più forte.
-
Però se
fai così, crepo davvero… - la avvisò,
rauco per la presa questa volta davvero
soffocante.
La
ragazza
fissò con scetticismo il suo volto diventare cianotico e si
decise a mollarlo.
-
Se ti
ammazzo finisco anche braccata dalla Marina. Come se non fosse
abbastanza
vivere in questo postaccio. - sentenziò, tornando a sedersi
con un tonfo
brusco.
-
Quindi è
questa la vostra vera voce? –
Principessa,
persa ogni voglia di interpretare la donna per bene, rivolse al cliente
ignoto
un’occhiata minacciosa e una smorfia terribile:
-
E
allora…? -
Aveva
ancora un certo rossore sulle gote, ma ormai non le importava
più che quel suo
orrendo nome fosse stato scoperto. Ora che al rispetto che avrebbe
voluto
suscitare si sarebbero certo sostituite risatine e battute, non aveva
più
importanza la sua patina di indorata perfezione, se mai la decisione e
la
rudezza del suo vero carattere. Che poi lo straniero pensasse quello
che
voleva, ma non osasse prendersi gioco di lei o se ne sarebbe pentito
amaramente.
-
Maleducata… - osservò Johnny, che aveva appena
ripreso un colorito salutare,
scuotendo l’indice in segno di ammonimento.
-
Sarei
lieta di dirti cosa sei tu! Crepa, maledizione! –
esclamò, vicina
all’isterismo.
Le
rivolse
un sorrisetto, come se fosse deliziato dalle sue espressioni di odio, e
si
limitò ad indicarla con un gesto plateale delle braccia.
-
Sono
lieto di presentarti, nel suo massimo splendore, McFerson Principessa,
la
strega di Ward-Golfe! – esclamò il locandiere,
rivolto all’avventore
misterioso.
-
“STREGA”
UN EMERITO… - iniziò per tutta risposta lei,
pronta a sfogare tutta la
frustrazione in quella semplice imprecazione.
-
Non si
dice! – le parlò sopra il locandiere, ancora con
atteggiamento da maestro
elementare.
-
No, infatti!
Non si dice che cosa rischi chi mi chiama “strega”!
– minacciò, alzando un
battagliero pugno verso tutti e nessuno.
-
Vedi
perché ti chiamo
“Principessa”… ? –
osservò sarcastico.
-
E io ti
ho detto di chiamarmi “Prin”! E’ un
diminutivo! E’ civile! E’ gradevole! Tu
invece devi sempre farmi inca… -
-
Non ho
deciso io quel soprannome offensivo, è inutile che te la
prendi con me. Io tifo
perché ti si chiami “Principessa”!
– rispose, conciliante.
-
Non mi
stai a sentire! – spostando il pugno pericolosamente vicino
al suo naso – PRIN!
DEVI CHIAMARMI PRIN! –
-
Ma non
vuol dire nulla. – intervenne la voce pacata del ragazzo
mantellato, che i due
litiganti avevano preso ad ignorare, troppo assorbiti da quello scambio
di
battute.
-
Visto? –
sottolineò subito il locandiere, con un’occhiata
di ringraziamento allo
sconosciuto.
-
E
“Principessa” cosa vorrebbe dire!? –
esclamò lei, indignata dall’intromissione,
oltretutto contro di lei, del nuovo arrivato.
-
Significa
che una persona importante per voi vi ha dato quel nome. –
rispose, calmo.
Quella
frase la lasciò per un istante senza parole. Se
c’era una cosa che non si
aspettava, era che lo straniero sfoggiasse anche questo fastidioso
istinto alla
sentenza melodrammatica. Sentiva un bisogno istintivo di rispondergli
male, per
il gusto di imporre tutto il suo disprezzo verso quelle facili
affermazioni che
sembravano citazioni di poesie di altri tempi.
Ma
non fece
in tempo a preparare un’osservazione ostile prima che
l’altro riprendesse a
parlare:
-
Se
ritenete che un nome simile sia un po’ troppo strano, stupido
o inadatto, la
vostra opinione è ciò che conta. Con questo,
potevate risolvere facilmente il
problema. -
-
Che cosa
ne sai…!? – protestò lei, stizzita.
-
I nomi si
possono cambiare. Molti lo fanno. – osservò,
quieto – Se non ci avete mai
pensato, forse è perché inconsciamente ci siete
affezionata. Allora, tanto vale
che lo disprezziate.–
-
Non è
vero! Lo odio! – esclamò lei.
-
Però
piaceva ad una persona che vi è cara, per questo lo tenete
stretto. –
Lei
non
rispose, improvvisamente incupita.
Il
tono del
ragazzo era serio, chiaro, non severo ma sicuro, proprio di chi sa di
cosa
parla. Principessa fissava l’ombra scura del cappuccio dove
era certa ci
fossero i suoi occhi e avrebbe voluto ordinargli di scoprirsi e
guardarla
davvero mentre pontificava a quel modo. Eppure era certa che il suo
sguardo
fosse pienamente ricambiato e poteva immaginare un volto sereno e
gentile,
anche se i tratti nascosti erano davvero troppi.
-
Per
quanto vi impegniate, quel nome è scritto sulla vostra
pelle. – e lo
sconosciuto sospirò amaramente – Fin troppe cose
funzionano così e prendersela
non serve a nulla. -
-
Ho sempre
desiderato cambiare identità. –
confessò istintivamente e lei stessa sobbalzò
di stupore quando si accorse di essere arrivata ad una tale confidenza
dal
nulla.
-
Anch’io.
– affermò da parte sua l’avventore
misterioso, mettendola subito a suo agio,
dopo quell’affermazione tanto intima – Cancellare
un’eredità che mi disgustava
e non avevo mai desiderato. L’ho fatto a modo mio e per ora
funziona. –
-
Quindi si
può fare…? – domandò la
ragazza, in sospeso. Non si era neanche resa conto di
aver smesso di sbraitare.
-
Non posso
dirvi che ci si riesce completamente, ma abbastanza per tornare in pace
con se
stessi, quanto basta. –
Principessa
inclinò la testa, pensierosa, ma di nuovo quieta.
L’ignoto
con mantello aspettò un istante prima di ricominciare a
parlare: - Ma, anche
nel caso in cui vi liberaste dalla vostra identità,
riuscireste ad abbandonare
il vostro nome? –
Era
pronta
ad affermarlo, senza rimpianti. Sognava da
un’eternità di non sentire più,
alternati nella bocca dei concittadini, il soprannome pieno di
disprezzo e quel
nome usato come facile scherzo. Se avesse potuto ricominciare da capo
con una
nuova vita, in nessun caso avrebbe sopportato di portarsi dietro un
bagaglio
tanto pesante di facili ironie. Era l’unica cosa sensata da
farsi…
Sapeva
fin
troppo bene, però, a chi doveva quel nome. Sua madre aveva
avuto quella
brillante idea e per molto tempo, da bambina, aveva creduto si
trattasse di un
contrappasso, ai suoi danni, compiuto su chi a sua volta aveva scelto
“Carmen” per
la sua genitrice. Poi le aveva chiesto il perché e la
verità l’aveva stupita:
sua madre sognava un futuro incredibile per lei, un avvenire speciale,
fin
troppo per chi aveva ereditato un umile mestiere su un’isola
sperduta
nell’oceano… Da molto tempo aveva deposto le
fantasie e preso a canzonare
l’assurda speranza di Carmen. Eppure, quando ci pensava,
proprio come in quel
momento, realizzava che davvero ciò era quanto le rimaneva
della donna che
l’aveva messa al mondo. Non poteva voltarle le spalle a quel
modo, senza
ragione alcuna.
Lo
straniero aveva ragione e l’aveva avuta fin
dall’inizio, da quella sentenza
inizialmente considerata facile e sdolcinata. Non le piaceva ammettere
che
qualcuno avesse nettamente ragione perché inevitabilmente le
sembrava di sottintendere
il suo torto.
Un
solo
monosillabo non sarebbe stato faticoso, forse…
-
Probabilmente… No. – rispose, con una smorfia.
La
risata
argentina e sincera del suo interlocutore le sembrò
stranamente gradevole,
anche in quella situazione.
-
Vi
capisco. - affermò, cortese – Neanch’io
sarei mai riuscito a rinunciarvi. -
Non
appena
quello scambio di battute, svoltosi in un’atmosfera di strana
empatia, terminò
in qualche momento di silenzio, Principessa tentò di nuovo
l’assalto:
-
Non è che
già che ci sei potresti dirmelo, il tuo nome…?
–
Lo
sconosciuto rise di nuovo in quel modo sincero e contagioso. Ormai
aveva girato
lo sgabello verso la ragazza ed evidentemente la guardava attentamente
attraverso la penombra e l’anonimato di quel mantello.
Indossava dei calzoni
corti, cosa strana in quella stagione, e delle scarpe da combattimento.
Non poteva
riconoscere nulla di nuovo oltre a questo.
-
Siete
testarda. - osservò, divertito.
-
Sai,
com’é. – insistette con il
“tu”, sostenuta – Non so che faccia hai,
non so chi
sei, mentre tu hai chiaramente la possibilità di scoprire
tutto quello che vuoi
su di me. –
-
So solo
il vostro nome e che aspetto avete… - osservò,
vagamente in difficoltà.
-
Appunto.
– decretò lei, secca.
Si
portò
una mano alla testa, o meglio al cappuccio, e per un attimo la giovane
sperò
che avesse finalmente deciso almeno di scoprirsi il capo. Rimase
piuttosto
delusa quando capì che si trattava solo di un gesto
imbarazzato.
-
Non ne
avrei l’intenzione, ve lo assicuro… -
-
L’intenzione di restare nascosto o di sapere qualcosa di
me…? – buttò lì, con
una smorfia.
L’altro
rimase immobilizzato per un istante. Lei poteva immaginarlo sgomento,
occhi
spalancati, bocca semi-aperta.
-
Io… Cioè…
- cominciò a farfugliare – Di avere questo
mantello! Che domanda…! –
Poi
prese
fiato e sbuffò. Infine incrociò le mani sul
ventre, in una posa paziente: - Vi
divertite molto a fare queste domande assurde per mettere in
difficoltà il
prossimo, direi. – osservò, tranquillo.
-
Non sono
assurde. Per quel che ne so, potresti anche preferire tagliare la corda
al
restare ancora cinque minuti seduto qui a parlare con me… -
commentò,
sventolando una mano davanti al viso in un gesto stizzito.
-
Una cosa
simile sarebbe assurda. Non mi avete fatto nulla di male. –
rispose, quanto più
possibile onesto.
-
Io
riformulerei questa osservazione… - insinuò
Johnny, appena tornato al banco
dopo aver servito al tavolo.
-
Perché? –
chiesero entrambi, uno stupito, l’altra minacciosa.
-
Perché
sei troppo cortese e per nulla onesto: ti ha tartassato di domande, non
ti ha
ancora lasciato il tempo di finire di bere e fa di tutto per
indispettirti. In
più, se continui così, potrebbe anche decidere di
fare sul serio e sarebbe
capace di rovinarti davvero la vita. - spiegò,
un sorriso sgargiante di malizia su
entrambi.
-
Magnifico, con questo ti sei guadagnato un altro biglietto sola andata
PER
L’INFERNO! – lo minacciò Principessa.
-
La
signorina non mi sta dando problemi, sono sincero. –
commentò l’altro, come se
il suo tono sereno non fosse abbastanza chiaro sulla sua
onestà.
- E tu invece me ne stai
dando, e parecchi! –
urlò di nuovo lei, un dito puntato come una lama sullo
straniero.
-
Perché…? Sono
indiscreto se…? – fece per domandare, lui stesso
incerto su quale fosse la cosa
giusta da dire di fronte a quell’ingiustificato scatto
d’ira.
-
No! Sei
dannatamente discreto! Sei dannatamente cortese! Sei dannatamente
saggio! – rispose,
battendo insistentemente l’indice sul petto, o meglio sul
mantello,
dell’interlocutore – Ma darmi del
“voi”…! Ma ti sembra possibile darmi
insistentemente del “voi”! –
-
Ad una
giovane donna appena conosciuta… - cercò di
spiegare, riportando probabilmente
qualche nota regola di buone maniere.
-
Se hai la
mia età e mi dai del “voi”, mi fai
sentire vecchia, dannazione! Me ne frego del
galateo se mi fai pensare di apparirti una megera sessantenne!
– lo interruppe
ancora Principessa, le labbra rosse tirate in una espressione
disgustata.
-
Non
credevo. – affermò, portandosi una mano al mento,
probabilmente.
-
Ti sembro
una vecchia!? – lo provocò ancora, nefasta.
-
Proprio
no! Però credevo fosse buona norma…
Così mi hanno insegnato!– esclamò anche
lui
e, vedendola pronta a rispondere malamente, fece per fermarla con un
gesto
della mano – E poi, insomma, credevo fosse giusto vedendo
quanto sono
importanti le formalità nel tuo comportamento. Avevo capito
così. Ma se non
vuoi, va bene… -
-
Non è
questione! Hai la mia età o no? – insistette lei.
L’avventore
misterioso sembrò scrutarla dalla testa ai piedi per qualche
momento.
-
Più o
meno, direi. – constatò.
-
Appunto!
Non ci si può dare del lei tra coetanei! – poi
scosse la testa tra se e precisò
- O meglio si può, ma ci vogliono certe circostanze
precise… Altrimenti è
troppo formale e dà fastidio! –
-
Va bene.
– ammise, molto tranquillo.
-
Certo che
sei una bella ipocrita, Principessa. – Johnny
sghignazzò.
-
Ecco,
sentiamo la vaccata che devi sparare ora… -
commentò la ragazza, ormai
abbastanza esaurita da non avere la forza di urlargli qualche insulto.
Infatti
si limitò ad appoggiare il braccio al bancone e a
rivolgergli una delle sue
peggiori espressioni di fastidio.
-
Sono
assolutamente certo che se ti avesse dato del “tu”
da subito ti saresti offesa!
– poi si rivolse al ragazzo ammantato per dargli una gomitata
amichevole – Sei un
ottimo osservatore, questa è davvero presissima con le sue
apparenze da
“principessa”… -
-
Neanche
vivessi nella mia testa, rompiballe! – lo
rimproverò lei con tali parole
colorite, alzando gli occhi al cielo.
-
L’importante è che ci siamo capiti, ora.
– minimizzò lo straniero, sicuramente
con un sorriso conciliante nascosto dalla penombra sul viso.
La
giovane,
per tutta risposta, sospirò sonoramente.
-
Certo che
sei un tipo ben strano, tu… - osservò, fingendo
un’indifferenza sempre meno
reale. Quel personaggio oscuro la incuriosiva in modo quasi
incontrollabile,
ormai.
-
Non
credo, ma se lo dici tu… – rispose, tornando
infine a sollevare il suo boccale,
ancora mezzo pieno.
-
Non te
l’ha mai detto nessuno? - domandò
l’altra.
-
No. –
ammise, tra un sorso e l’altro.
-
Immagino
che tu non conosca neanche una persona normale… Siamo a
posto… - sentenziò la
ragazza, ironica.
-
Oh,
perché tu ti giudichi normale? Sul serio? –
intervenne, divertito, il
proprietario del locale.
Ma
appena
Principessa cercò di contraddirlo, o forse aggredirlo, la
precedette: - Va
bene, certo, andrò all’Inferno, mi riduci in
briciole, finirò i miei giorni in
un vasetto di conserva… Però è ora che
tu vada a casa. – e le indicò con un
gesto pigro l’orologio appeso alla parete.
-
Uff… Ed è
pure tardi, maledizione… - si lamentò quella,
alzandosi prontamente dallo
sgabello.
-
Quel
poveraccio ti aspetterà per cenare e tu come al solito sei
in giro a
divertirti. – la sgridò ancora il locandiere.
-
Come se
tu non ne avessi guadagno! – osservò con una
smorfia e appoggiando quanto gli
doveva sul bancone.
-
Ne avrei
di più se non mi facessi sempre scappare tutti i
clienti… - sbuffò e scrollò le
spalle.
-
Se tu mi
lasciassi in pace… - ma si interruppe e sbuffò
ravvivandosi la lunga chioma
rossa – Oh, ma a che serve… Dannato psicopatico!
–
-
Che sarai
tu… - la insolentì, imitando un bambino
dell’asilo.
-
Buona
serata, straniero. – salutò lei, con un sorriso
vagamente sardonico.
-
Buonasera
anche a te, Principessa. – le rispose quello, posando il
boccale ormai vuoto
con un tonfo sul bancone e rivolgendole un cenno di saluto con la mano.
Mentre
si
allontanava, dopo aver afferrato l’ombrello
all’entrata, la sentirono
bofonchiare, con una smorfia:
-
Ci
mancava un altro che mi chiamasse in quel modo… -
Quando
i
tacchi smisero di ticchettare sui gradini, il cigolio lontano del
cancelletto
da saloon avvisò i presenti che se n’era andata.
Un
sospiro
di vago sollievo si diffuse nella sala, accompagnato da qualche
sussurro e
risatina.
Johnny
scosse la testa per quella reazione dei clienti, ma non disse nulla.
-
Non è
molto amata. – osservò mestamente il giovane
mantellato.
-
Si vede,
eh…? – confermò quello, afferrando il
boccale per lavarlo subito sotto l’acqua
corrente – Gli abitanti in genere la schivano. E questa
è la reazione abituale
degli estranei.-
Quello
non
commentò, ma lanciò ugualmente
un’occhiata intorno nella penombra. Personaggi
più o meno loschi si erano seduti nell’ombra dei
tavolini più lontani. Erano
ben pochi, ma non sembravano davvero semplici cittadini, ma gente di
mare.
Della peggior risma, in realtà.
-
Hai
sempre questo genere di clienti…? –
domandò.
Il
padrone
scrollò le spalle: - Be’, se facessi servizio solo
alla comunità dell’isola,
non farei affari. Ci sono sempre meno marinai che pirati da queste
parti e devo
pure campare. Questo, come certo sai, è una specie di porto
franco, caro sia ai
pirati che alla Marina. Tra l’altro per la stessa
ragione… -
Fece
un
cenno allo straniero, che rispose facilmente al suo posto: - La
Fratellanza dei
Mercanti.-
-
Esatto. –
sospirò – Come se ci fossero dei vantaggi a
trattare direttamente con quegli
usurai… Lo fa ormai solo la Marina e riesce a guadagnarci
esclusivamente quando
presenta un simpatico mandato governativo. Allora si sente Lucas F.
Tyner bestemmiare
per tutta la città due giorni buoni… -
-
Gente
pericolosa? – buttò lì lo sconosciuto,
con un tono repentinamente mutato, da
quieto a cupo.
Johnny
alzò
un sopraciglio: - I Lucas F. sono decisamente i peggiori rappresentanti
della
Fratellanza, sia per la loro tendenza alla truffa sia per
l’esercito di
malintenzionati che usano come guardie del corpo. La difesa della loro
lobby è
l’unica cosa per la quale siano disposti a spendere soldi,
per il resto pensano
solo a spillarne agli altri. – poi gli rivolse un sorriso
sghembo – Non mi
stupisce che anche “voi” preferiate fare
riferimento ad un intermediario per le
provviste… -
-
Se
qualcuno dovesse rimetterli al loro posto… - prese a dire,
con un atteggiamento
che avrebbe forse voluto essere colloquiale, ma nascondeva un evidente
interesse alla realizzazione di quell’ipotesi.
-
Non
pensarci neanche! – esclamò il proprietario,
notando subito il pericolo reale
celato in quelle parole fintamente casuali – Non sono pirati,
che a nessuno
importa ci siano o no! E’ un’associazione garantita
dal governo! Non ti fai
idea dei guai che ti tireresti sulla testa! –
Per
quanto
sentisse quasi un fastidioso bruciore fisico all’idea di
lasciar passare
comportamenti così evidentemente ingiusti, si
ricordò che aveva promesso di non
farsi riconoscere e non provocare disastri sull’isola. Forse
sfidare
un’organizzazione governativa, per quanto decisamente losca,
rientrava nelle
cose che aveva giurato di evitare…
-
E’ sempre
così che funziona, il potere… -
commentò, quietandosi forzatamente.
Ma
digrignò
per un istante i denti, ricordandosi che avrebbe dovuto chiedere,
quanto prima
e certo prima di ripartire, se potevano fare qualcosa per mettere in
quadro
quella compagnia di usurai. Era tutto da dimostrare che fossero
pericolosi, più
di lui no di certo. Tuttavia, non spettava a lui scegliere cosa fare,
se la
responsabilità cadeva poi su tutta la ciurma.
-
Certo che
si. – osservò l’altro in risposta,
pettinandosi all’indietro i capelli chiari
con le dita – Finché non combini qualcosa contro i
potenti, ai poveracci puoi
fare quello che vuoi e senza che nessuno venga a protestare. E a tutte
le cose
buone risparmiate dai Lucas F. pensano i pirati. Anche se hanno smesso
di
trattare con la Fratellanza, trovano ancora molto conveniente arrivare
su
quest’isola per derubare i poveri intermediari, che tirano
solo a campare tra
usura e tasse doganali… -
-
Ecco
perché si è preoccupata quando mi ha sentito dire
che ero andato a quella
bottega. – osservò il giovane mantellato,
pensieroso.
-
In genere
un pirata ci va per rubare, non per trattare civilmente la merce.
– ma allora
sogghignò e rivolse un occhiolino al viso nascosto dal
cappuccio – Mi scuserai
se generalizzo sulla tua categoria… -
-
Figurati.
L’assalto al negozio è una scena molto comune. Io
stesso ne ho visti tanti da
quando vado per mare. – rispose, tranquillo, ma vagamente
mesto.
-
E
scommetto che sei il tipo da non sopportare queste cose… -
-
… diciamo
che se metto le mani addosso a quei ladri, non hanno più
modo di vantarsene… -
concluse, di nuovo con quel tono piuttosto pericoloso.
-
Si,
Principessa, ha ragione: sei davvero un personaggio particolare.
– osservò il
locandiere, sorridendo sotto i baffetti biondi – Anche se
già da quello che si
dice in giro si poteva intuire. Una carriera interessante, sempre in
salita, e
stranamente pulita per un fuorilegge. –
-
Umh,
quindi hai capito chi sono… - disse, quasi preoccupato
all’idea di essere stato
riconosciuto nonostante le precauzioni.
-
Quando ti
sei addormentato, ci sono arrivato. Ma come ho già detto a
quella folle
impicciona, so tenere i segreti. –
-
Bene. –
rispose, molto rassicurato e con un cenno di ringraziamento del capo
coperto.
-
D’altra
parte, mi chiedo come abbia fatto lei a non capire subito…!
E dire che dovrebbe
sapere quasi tutto su di “voi”… - si
chiese Johnny, a bassa voce, arricciando
le labbra, sovrappensiero.
Comunque,
lo
straniero non gli stava più prestando attenzione.
Aveva
appena notato un coprispalle color panna appoggiato sul bancone.
-
Che
dannato freddo! – esclamò tra sé
Principessa, mentre si affrettava verso casa.
Durante
la
sua permanenza nel locale, aveva almeno smesso di piovere, cosa che le
permetteva di portare l’ombrello bianco attaccato per il
manico ricurvo al
braccio piegato. Sapeva bene che si trattava dell’unico modo
per evitare di
batterlo, anche solo involontariamente, sulla strada di terra nuda,
resa
fangosa dai lunghi giorni di pioggia. Afferrò ancora un
lembo del lungo abito,
ma sbuffò all’idea delle macchie di terra che
avevano sporcato ugualmente il
tessuto panna e gli stivaletti in tinta, che avrebbe impiegato tutta la
sera
per lucidare.
Mentre
svoltava a destra, per passare dietro la drogheria con il suo passo
veloce, una
folata di vento freddo sgusciò tra gli edifici per sferzarle
il viso e
scompigliare i capelli fiamma. La pelle d’oca la
attraversò dalla testa ai
piedi, concentrandosi in realtà sulle braccia lasciate
scoperte. Dopo un verso
di disappunto, si fermò bruscamente sul posto.
-
Ho
dimenticato il copri-spalle! – esclamò a tutti e a
nessuno nel bel mezzo della
strada – Porco cane! – imprecò poi,
battendosi una mano sulla fronte.
Non
poteva
tornare indietro, era davvero molto tardi e non aveva intenzione di
essere
obbligata dalle circostanze a giustificarsi con nessuno. Per una
dimenticanza,
poi.
Insomma,
capitava a tutti, no?
Certo,
ad
alta voce non l’avrebbe mai ammesso, ma poteva pensarlo, con
fastidio: a lei
succedeva abbastanza spesso. Se si pensa che, nonostante il temporale
di quel
pomeriggio, aveva rischiato di uscire senza ombrello… Si,
questa smemoratezza
stava cominciando ad essere un problema.
Però
si
ricordava sempre delle cose importanti, quindi non poteva dirsi
così grave.
E
certo non
era importante quella cosa che Johnny si ostinava tanto a
ricordarle… Si,
quella… La solita… Ne aveva sempre una fissa, di
menata… Ecco, “quella”…
Al
diavolo,
le sarebbe tornato in mente il giorno dopo, andando a recuperare la
stupida
giacchetta!
-
Ehi,
vecchio diavolo, sono tornata! – esclamò entrando
in casa dalla porta sul
retro.
Posò
con un
tonfo il parapioggia nel vaso adibito a portaombrelli e fece vagare lo
sguardo
per la sala da pranzo silenziosa. Si persuase che c’era
qualcuno in casa quando
vide la tavola perfettamente preparata per due.
-
Meno
male, è pronta la cena! – le rispose una voce
maschile dal cucinino, da dove,
se ne accorse in quel momento, proveniva un buon profumo di arrosto.
-
Allora
sono in orario, fai meno il sofisticato, Clay… -
borbottò lei, buttandosi scompostamente
sulla sedia posta dal suo lato abituale.
Un
ragazzo
di pochi anni più giovane della ragazza emerse dalla
stanzetta laterale adibita
a piccola cucina, portando una pentola piena con un enorme guanto
imbottito.
La
pelle
chiarissima, lisciata sulle guance da una perfetta rasatura, e gli
occhi grandi
e color nocciola gli davano un’aria gentile e amichevole. I
capelli biondo
cenere, mossi e lunghi fino alle spalle, gli scorrevano ai due lati del
volto e
del collo sottile. Di statura poteva essere considerato piuttosto alto
per la
sua età, ma la corporatura esile tradiva la sua attitudine
ad attività
sedentarie.
Sorrise
appoggiando il contenitore sul tavolo e levandosi il guantone da
cucina: -
Giusto in tempo, ho solo detto. Anche se saresti potuta tornare prima
per
mettere avanti l’arrosto, dato che avevo ancora clienti.
– precisò.
-
Non lo
sapevo, ma tanto ce l’hai fatta lo stesso. –
minimizzò, afferrando il
coltellaccio per affettare il grande pezzo di carne dorata.
-
Potresti
aiutarmi, una volta ogni tanto… - osservò lui,
sedendosi educatamente dal lato
opposto e accostando la sedia al piano della tovaglia.
-
E’ meglio
che stia lontana dall’emporio, prima che la mia presenza
allontani i clienti. –
disse, fissando ostinatamente l’azione
dell’affilato strumento, che stringeva
con particolare forza in quel momento.
-
Prin, sai
che è una tua convinzione, vero? – le
domandò, osservando quella stretta
convulsa e il modo in cui tentava di uccidere di nuovo quel povero
pezzo di
carne – E’ il negozio di nostra madre, tutti sanno
a chi appartiene, quindi non
cambia nulla chi di noi due sia dietro il bancone. Ogni tanto mi
farebbe
piacere avere di fianco mia sorella. –
Principessa
strinse le labbra.
Suo
fratello era sempre terribilmente sentimentale in queste cose.
Non
si
lamentava mai di essere lasciato praticamente solo a gestire
quell’emporio,
semmai del fatto che lei non volesse entrarci appositamente, a causa di
quella
cattiva nomea che le spirava intorno. Fortunatamente lui non subiva lo
stesso
trattamento che era riservato alla “Strega”. Certo,
neanche il più giovane
McFerson veniva visto così benignamente, ma la gente aveva
imparato a
conoscerlo per chi era e per questo continuava a comprare presso il
loro
piccolo negozio. Se ci fosse stata lei al suo posto le cose sarebbero
state
molto diverse: non solo perché il suo carattere non le
avrebbe permesso la
necessaria cortesia nei confronti dei clienti, ma perché la
sua presenza stessa
avrebbe dissuaso i più. Ne era certa.
Clayton
era
sempre stato migliore di lei in questo campo, nelle relazioni con il
pubblico,
soprattutto perché era spontaneamente buono e generoso.
Al
resto
però aveva sempre pensato lei. Teneva i conti in modo
inflessibile, gli
ricordava di riscuotere i debiti alla prima occasione e gli impediva di
dare
credito per troppo tempo, sorda ad ogni sollecitazione alla
misericordia. E gli
aveva imposto di disfarsi di abitudini stravaganti e fin troppo
spontanee,
trasformandolo nel comune negoziante tipo. Non l’aveva fatto
volentieri e
sapeva che il fratellino ne aveva all’inizio sofferto, ma del
resto si trattava
dello stesso tipo di violenza che faceva a se stessa ogni giorno,
volontariamente, per apparire il più possibile educata e
gradevole.
La
ricerca
della normalità era sempre complicata.
Alzò
lo
sguardo sugli occhi espressivi di Clay cercando di trasmettere totale
impassibilità: - Ne abbiamo già parlato. Tu te la
cavi benissimo e non voglio
rovinarti la piazza dalla quale entrambi otteniamo di che vivere. Fine
della
questione. –
Quando
arrivava a quel genere di sentenza, tutti sapevano che dire altro era
assolutamente inutile.
Il
ragazzo
sospirò e le portò via il coltello: - Meglio che
lo tagli io. –
Solo
allora
si accorse dei brandelli informi che aveva prodotto e
arricciò il naso: -
Pignolo. –
Mentre
stavano ormai spreparando la tavola, Clayton era arrivato quasi alla
fine del
suo racconto della giornata lavorativa:
-
… Insomma,
sai come va a finire quando chiedono quel genere di liquore:
è un manicomio!
Poi l’avevamo finito. -
-
Non è
possibile! – esclamò lei, alzando lo sguardo
repentinamente dal ripiano di
legno sul quale stava passando lo strofinaccio – Con la
fornitura del mese
scorso ce ne eravamo fatti mandare quattro barili! –
-
Insomma,
non so cosa dirti… Domani andrò a parlare dai
Lucas F. … Tanto devo richiedere una
serie di cose, quindi non mi costa niente trattare anche per un
rifornimento di
liquore. – osservò, pratico.
-
Eh no, io
sono certa ce ne fosse ancora! Quindi deve saltare fuori!–
insistette lei.
-
Ne sei
così sicura perché l’hai usato ancora
“per addormentarti”? – le
domandò improvvisamente,
con uno sguardo che avrebbe voluto essere severo, ma appariva
soprattutto
preoccupato.
Lei
preferì
ignorare la vaga apprensione che vi traspariva e rispose, aspra:
-
Fatti gli
affari tuoi e non permetterti di sgridarmi con quell’aria da
“fratello
maggiore”, sai che non lo sopporto! -
-
Se
diventa un vizio… - cominciò, senza lasciarsi
abbattere da quell’atteggiamento
di sfida.
-
Non è un
vizio! – gridò, arrabbiata, scrollando con stizza
il telo bagnato – Ogni tanto
mi tira su! Smettila di insistere! –
-
Sono solo
preoccupato. –
-
Allora
fattelo passare! – rispose, ma non riuscì a
sostenere gli occhi nocciola del
fratello – Domani cerco quel barile e stai certo che lo
trovo! –
Un
momento
di silenzio seguì quell’ultima frase quasi urlata.
Clay finì di passare la
scopa e si sciolse il grembiule da cucina. Principessa si era riseduta
al
tavolo e guardava ostinatamente altrove, le labbra tirate.
Il
fratello
non riuscì a non pensare che in fondo la colpa era sua, dal
momento che aveva
tirato fuori lui quell’argomento. Era inutile, lo preoccupava
troppo il fatto
che da qualche tempo la sorella, l’unico affetto che avesse,
si dilettasse a
bere. Non che si ubriacasse, ma una volta si limitava al boccale di
birra da
Johnny o a qualche sorso di vino ai pasti, ora attingeva alla loro
riserva
d’emporio più che ogni tanto e alle ore
più disparate. Una sera, quando l’aveva
beccata a riempirsi un bel bicchiere di un extra - alcolico, dopo
averlo
mandato malamente al diavolo per averla spaventata, aveva sentenziato
che le
serviva “per addormentarsi”. Una spiegazione che
sarebbe suonata bene solo alle
orecchie di un bambino e forse era così che lo considerava.
Ogni
tanto,
come in quella occasione, tentava di imporsi, di farla ragionare. Ma la
verità era che non sapeva
neanche per cosa lei cercasse una soluzione… Di un sacco di
cose si rifiutava di
parlare e lui, da parte sua, aveva ben pochi ricordi della sua infanzia
prima
che la loro madre morisse. Poi i suoi tentativi diventavano doppiamente
inutili,
perché proprio non ce la faceva ad andare fino in fondo con
quelle critiche. Non
solo perché era comunque più piccolo di lei: la
morte della loro genitrice
aveva fatto di una ragazzina di soli cinque anni più grande
quel tipo di
“adulto” a cui bisogna obbedire, questo era
evidente. Che fosse la verità o
un’idea che si era fatto lui in passato e aveva fatto radici,
trovava che ciò
non fosse per nulla cambiato nel corso degli anni. Il fattore vero,
però, per
il quale non sarebbe mai riuscito a risultare autorevole quanto
desiderava era
la reazione che aveva Principessa ogni volta: strillava, si infuriava,
finiva
per insultarlo o aggredirlo ordinandogli di “tornare al suo
posto”, come per
ogni altra cosa in realtà – con quel caratteraccio
che sfoggiava in tutte le
occasioni, anche le più stupide - , ma infine si chiudeva in
se stessa come un
riccio, fingendo un atteggiamento offeso e sostenuto che, solo in quel
caso,
rappresentava una semplice autodifesa.
E
di fronte
a quel comportamento Clayton provava sempre, era più forte
di lui, una stretta
al cuore, che lo spingeva a tentare di rimediare, nell’unico
modo possibile…
-
Allora lo
cerchiamo domani. Altrimenti non importa: un cliente mi ha chiesto
cinque
“Forniture di Carmen”, quindi devo comunque andare
dai Lucas F.. – affermò, con
tono malfermo.
Lei
alzò
gli occhi mesti a rivolgergli un’occhiata.
Quel
suo
stupido fratellino, tenero e sensibile com’era, aveva di
nuovo gli occhi lucidi
e quell’aria da cane bastonato. Quando sarebbe cresciuto?
Quando sarebbe
riuscito a tirare fuori un po’ di carattere? Quando avrebbe
smesso di
preoccuparsi, come se fosse lei stessa sotto la sua
responsabilità e non il
contrario?
-
Chi
diavolo ti ha richiesto le “Forniture di Carmen”?
Fin troppa gente ultimamente
comincia ad approfittarsene. – osservò, ancora
aggressiva ma intenzionata a
ricominciare a parlare per rinfrancarlo.
-
No,
questo tipo non sembrava il solito approfittatore che sceglie il
pacchetto più
conveniente del nostro elenco di “kit-dispensa”.
– rispose, con un sollievo
evidente che gli permise anche di appoggiarsi con finta nonchalance ad
una
piattaia – Sapeva esattamente cos’era venuto ad
ordinare. Tanto più che mi ha
chiesto, testualmente, di “togliere dalle spezie i semi di
papavero, che non
piacciono a nessuno” e ha riportato i ringraziamenti del loro
cuoco “per gli
ottimi tagli di vitello che ci avete procurato”. –
Principessa
rimase per un istante pensierosa e l’immagine dello straniero
incontrato da
Johnny le riaffiorò subito nella mente.
-
Stai
pensando fosse uno di “loro”…?
– domandò il fratello, mettendo molta enfasi su
quell’ultima parola e studiando le reazioni della
consanguinea.
-
E’ molto
probabile. Sono gli unici abitudinari di quel genere di pacchetto
preimpostato di
provviste. L’aveva studiato nostra madre apposta per
“loro”... – poi aggiunse,
incerta – Solo che normalmente si presentano senza problemi
quando vengono a
comprare da noi… -
-
Niente da
fare, aveva addosso un mantellaccio e si è limitato a queste
ordinazioni e
osservazioni… Molto educato, comunque. –
osservò lui e fece una smorfia
ricordando quante volte invece si era trovato di fronte a prepotenti
della
peggior risma.
-
Mah, non
capisco. – si arrese allora lei.
-
Però,
Prin, non abbiamo più riserve sufficienti per ricreare
addirittura cinque
“Forniture di Carmen”, quindi devo per forza
contrattare con la Fratellanza… -
-
E
contando quanto siano a buon mercato quelle forniture, come al solito
il
guadagno sarà solo di quei bastardi dei mercanti.
– sbuffò e si alzò.
-
Abbiamo
proprio scelto il mestiere sbagliato, vero? –
scherzò lui.
Principessa
sorrise con quell’espressione dolce che riservava al fratello
minore e raramente
anche a lui. Eppure a lui piaceva vederle quel volto rilassato che gli
portava subito
alla mente uno dei suoi pochi ricordi della madre, a lei tanto simile.
-
Assolutamente.
–
In
un
istante, però, i tratti del viso divennero cupi, anche se la
sentenza suonò vagamente
ironica: - Se avessimo comprato una nave mercantile e questa fosse
affondata,
ci saremmo arricchiti di più. Ed è tutto
dire… -
Ed
era già
sulle scale per salire alla sua camera e prepararsi per la notte.
§ §
§ § § § § §
§ § § § §
Buongiorno!!!
Davvero un bel giorno
perché torno dal primo esame di questa sessione con un voto
più che buono e ho voglia di festeggiare! Nonostante
i mille e uno problemi che mi si affollano nella mente in questo
periodaccio (e mentre tento di mettere giù il capitolo 4)
giungo infine ad aggiornare!
Ecco come finisce la
discussione tra "mantellato" (e cosa ve lo dico a fare XD) e
Principessa e il corredo del piccolo dialogo che presenta infine i
Lucas F. Non bella gente, decisamente pesante e indisponente, ma ancora
più di quanto avete letto (perché Johnny
é uomo diplomatico XD).
Molto più essenziale
la comparsa del fratellino Clayton: affettuoso, giovane, ingenuo (ma
non tanto come sembra), pacifico, tranquillo, ma parecchio eccentrico
(e si vedrà). Quindi siamo a due personaggi essenziali della
vicenda che si vanno a scoprire... Per il terzo bisogna aspettare. XD
Grazie a tutti coloro che sono
passati di qui ma hanno letto! Grazie a chi ha messo la storia tra
preferiti/seguiti! Grazie in anticipo a chi lascerà una
recensione: risponderò direttamente al più presto
e mi farete felice! ^_^
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo
3
-
Prin! Il
bagno è libero! – esclamò Clayton dalle
scale, con la speranza di indurla ad
alzarsi.
La
ragazza
si rotolò nel letto sbadigliando sonoramente. Niente da
fare, la sveglia del
mattino era il momento peggiore della giornata…
-
Fammi
scorrere l’acqua nella vasca…! Arrivo…!
– gli urlò, scostando le coperte in
malo modo.
-
Va bene!
Ma sbrigati prima che si allaghi la casa! – le rispose a sua
volta.
Suo
fratello aveva ormai capito che l’unico modo per convincerla
a svegliarsi ad
un’ora più o meno decente era lasciarle libera la
vasca per un bel bagno
tonificante. Era una conciliante abitudine che avevano sviluppato
entrambi, ma
lui aveva imparato a concedersi quell’incentivo mattiniero
con una sveglia
anticipata. Così, una volta vestito, andava a preparare la
colazione per
entrambi e lasciava spazio a Principessa. Gli orari coincidevano
perfettamente
perché una volta che lei era entrata nell’acqua
nulla poteva strapparla a
quell’idillio a parte il profumo di una buona colazione. In
questo modo, e solo
in questo, riuscivano a mangiare insieme in tempo perché lui
andasse al lavoro,
cioè ad un’ora alla quale altrimenti la pigra
rossa sarebbe rimasta a rigirarsi
mollemente nel letto.
Con
molta
fatica, si mise seduta e si stiracchiò. Infine raccolse le
ciabatte rosse e
andò a cercare qualcosa di presentabile da mettersi dopo il
consueto relax.
Scelse una gonna verde alla caviglia e una camicia bianca da indossare
sotto la
giacchetta del completo. Valutò l’insieme con poca
soddisfazione, ma constatò
che nonostante tutto poteva apparire gradevole e decoroso e tanto
bastava.
Afferrò la pinza per i capelli, ma guardandosi allo specchio
posto dentro
l’armadio notò che i suoi capelli avevano subito
seriamente gli effetti
devastanti della pioggia della sera precedente e ormai, per farli
tornare
lucidi e lisci, doveva per forza lavarli.
-
Prin! -
-
Sto
arrivando! – gli urlò, con un tono già
piuttosto ostile per l’insieme delle
circostanze e la fretta che le veniva richiesta.
Si
stava
ancora studiando allo specchio e non poté che accorgersene,
ancora una volta,
con quel vago disgusto che ciò accompagnava. Quando sul
volto si materializzava
quell’espressione di fastidio, anche se per pochi istanti,
qualcosa della sua
identità tendeva a sparire, per lasciare posto al volto duro
e crudele di
“quella persona”. La fronte che si aggrottava
profondamente, gli occhi neri e
cupi assottigliati e stretti quanto minacciosi, la bocca storta in un
grugno
rabbioso. Non poteva essere lei ad avere quel volto, quello sguardo,
quella
bruttura. Non riusciva a sopportare l’idea di dovere davvero
qualcosa ad una
persona che odiava. E come se non fosse sufficiente quella macchia sui
suoi
tratti fisici, si aggiungeva, ulteriore smacco, il terrore che quella
che era
la sua natura più primitiva, violenta e ardente, nascosta e
coltivata alla
stesso tempo, fosse anche essa stessa una scomoda eredità di
quell’individuo…
Chiuse
prontamente l’anta, nascondendo quel riflesso traditore.
-
E’
pronto! – esclamò ancora Clay, temendo fosse
ancora nella vasca, persa nel suo
mondo.
-
Ho
capito! Hai proprio voglia di urlare stamattina… -
commentò Principessa,
avvicinandosi alla tavola preparata, già asciutta e vestita
da un po’.
Non
le
diede nessuna soddisfazione. Era seduto in una posizione piuttosto
scomoda
sullo sgabello di legno, portava già gli abiti da lavoro, la
naturale camicia
bianca e i pantaloni scuri ancora da corredare con il grembiule
immacolato, e i
capelli di quel biondo incredibilmente chiaro legati in un corto
codino. Con
una mano mescolava il tè e con l’altra reggeva un
fascio di fogli fitti di
numeri e percentuali, con aria scontenta.
-
Cosa stai
facendo? – chiese lei, cercando di evitare un altro scoppio
di irritazione,
almeno per un po’. Quella brutta immagine di poco prima,
oltre a sembrarle un pessimo
presagio, stava temporaneamente frenando la sua indisponenza.
Piuttosto
afferrò un pezzo di pane imburrato, attenta a non rovesciare
la teiera.
-
Controllo
le tariffe di quest’anno… - le rispose, mesto.
Lei
sospirò
con sufficienza, distribuendo la marmellata sulla fetta: - Ti stai solo
facendo
del male. Tanto se dobbiamo rifornirci possiamo farlo solo presso i
Lucas F. e
dovremo pagare quello che ci chiedono. Comprese le spese doganali
governative.
Non c’è scampo. –
-
Uhm… -
bofonchiò – Lo so, ma voglio comunque farmi
un’idea di come ci spenneranno
questa volta, tra tutti. – poi aggiunse, alzando
repentinamente gli occhi
nocciola sulla sorella – In più, oltre alla carne
per le “Forniture di Carmen”,
serve altro? -
Principessa
appoggiò la testa al dorso della mano, pensierosa,
addentando il pane.
-
Ah… Forse
si… C’era una cosa… -
cominciò a dire, incerta.
-
Importante? – insisté Clay, fissandola con
insistenza.
-
No,
altrimenti me ne ricorderei! – puntualizzò,
stizzita.
Il
biondo alzò
gli occhi al cielo. Quella era la proverbiale tendenza di sua sorella a
fare
appello ad una memoria usurata dal disuso. L’aveva spronata
infinite volte a
segnarsi quello che le veniva chiesto, soprattutto se lo riteneva
prevalentemente inutile. Era ormai chiaro che riusciva a ricordarsi
sempre e
solo ciò che le interessava direttamente e completamente,
mentre il resto nel
suo complesso passava perennemente in secondo piano.
L’unica
cosa buona era che non si trattava del sintomo di una natura davvero
egoistica.
Per quanto potesse sembrare qualcosa di molto simile, Principessa era
solo
molto, davvero molto, smemorata per tutto ciò che non era
una pura questione di
vita o di morte. In fondo non era arida di cure e attenzioni per
ciò che
riguardava le persone care. Anche se da qualche tempo le erano rimasti
vicini
solo lui e…
-
Non è che
è stato Johnny a chiederti qualcosa…? –
domandò, improvvisamente comunque certo
della risposta.
-
Chiaramente! – rispose, pronta – Chi altri si
rivolgerebbe a me!? –
-
Insomma,
non ti arrabbiare con me…! – esclamò,
risentito – Sto cercando di aiutarti…! –
Lei
sbuffò,
continuando a spremersi le meningi. Non era qualcosa di essenziale, ma
una di
quelle questioni che si protraevano da un po’. Quel
negoziante sfaccendato era
sempre preso a ricordarle “quella cosa”…
-
Comunque
a questo punto sono abbastanza sicuro si tratti delle spezie.
– puntualizzò lui,
ancora offeso dalla mancanza delle scuse e da
quell’aggressione gratuita.
-
Le
spezie! Certo! Guarda che ci potevo arrivare! –
protestò, ostile perché
interrotta a pochi secondi dalla risposta..
-
Non credo
proprio… - osservò.
La
ripicca
di Principessa arrivò subito, brutale, con un calcio sullo
stinco sotto il
tavolo.
-
Ahi! –
protestò, sfoderando un vano broncio.
-
Comunque
in sostanza ci chiederanno il settanta percento più
dell’anno scorso. -
Clay
aveva ormai
finito sia la colazione sia i suoi approssimativi conti sul tariffario
delle
spese commerciali nell’anno corrente.
-
Non
voglio sentire… - sussurrò Principessa, una mano
portata alla tempia.
-
Un rialzo
del dieci delle tasse doganali, cosa abbastanza onesta da parte del
Governo con
i tempi che corrono. E’ il sessanta dei conti della sola
Fratellanza che lascia
basiti! – continuò imperterrito il ragazzo, ormai
assorbito da quell’analisi
impietosa.
-
Di che ti
stupisci!? Sono solo infami strozzini! – esclamò
lei battendo una mano sul tavolo,
frustrata.
Per
un
istante il ragazzo non parlò, evidentemente preoccupato.
-
Al
diavolo anche il Governo! – imprecò lei, sempre
più rabbiosa – Avrà anche
limitato gli aumenti doganali, ma se non controlla cosa combina la
Fratellanza,
va in malora tutto! -
-
Prin, non
ce la faremo mai. –
La
sentenza
improvvisa di Clay, pronunciata con un realismo inquietante, le
tappò la bocca
e le fece strabuzzare gli occhi.
-
Cosa vuol
dire…? – chiese poi, deglutendo il panico come una
pastiglia amara.
La
carnagione già lattea del ragazzo era diventata cadaverica,
mentre si
appoggiava le mani sul capo e abbassava la testa, provato.
-
Per
comprare tutto ciò che ci serve, finiremo per chiudere
bottega. Non abbiamo
abbastanza soldi per campare avanti e continuare a lavorare allo stesso
tempo.
-
-
Dimmi che
è uno scherzo! Non è divertente, Clay!
– esclamò, scattando in piedi.
-
Ti dico
che è così. Tutta quella carne, le spezie per
Johnny, il liquore, qualcosa per
la nostra dispensa, che da un po’ di tempo non è
in grado neanche di far fronte
alle le piccole ordinazioni… Andiamo in rosso. E non
riusciremo mai a
recuperare lo speso, con i nostri prezzi moderati. –
-
Alziamoli! – lo incitò lei, ormai altrettanto
pallida e allarmata, ma ancora
abbastanza in sé da gridare quelle inutili risoluzioni.
-
Andiamo,
Prin! Vengono da noi solo per questo, sai!? Perché siamo gli
unici onesti
dell’isola! Se ci giochiamo anche questi clienti è
finita! – le urlò per contro
lui, scuotendo la testa rivolto al tavolo.
-
Non c’è
altro modo! Dannazione, Clay! Non sopporto questo tuo atteggiamento
disfattista!–
-
Sai già
quale sarebbe l’unica soluzione… - le disse
improvvisamente, alzando lo sguardo
contrito su di lei.
Non
aspettò
neanche un attimo prima di tornare a battere il palmo con foga sul
piano di
legno:
-
No, no, e
poi no! Mi rifiuto! -
-
Quelle
cinque “Forniture di Carmen”… -
-
Neanche
una parola di più! –
-
Non
capisci…!? Smettila di… -
-
No, sei
tu che devi smetterla! –
-
Capiranno! Insomma se erano tanto amici della mamma, allora…
–
-
Un dovere
è un dovere! –
Clayton
scosse la testa, mesto, ma Principessa approfittò del suo
silenzio per tornare
ad inveire, irremovibile:
-
Non sai,
quindi è normale che tu non capisca! Ma te lo
dirò una volta sola: la mamma ha
giurato di provvedere ad ogni “loro”
necessità e io non sarò una figlia degenere
che permette la violazione di un preciso impegno! -
-
Per una
sciocca ragione di orgoglio… - tentò il fratello,
a bassa voce.
-
Alza i
prezzi! Ma quelle forniture non si toccano! –
insisté lei, furente, gli occhi
ridotti a fessure.
Un
lieve
bussare alla porta di casa interruppe per un momento il battibecco.
La
ragazza
si affrettò con passo pesante alla porta e la
aprì come una furia. Lo sguardo
le cadde sul giovane postino dell’isola, un ammasso di
capelli castani e poco
altro. L’atteggiamento pedante che quest’ultimo
sfoggiava spesso, come un’aria
di importanza apposta al suo mestiere che risultava agli occhi di tutti
più un
lavoretto part-time a causa della sua giovane età, sembrava
svanito nel nulla.
Che fosse stato il fatto di dover, stranamente, consegnare una lettera
a quel
malfamato indirizzo o che fossero state le urla della discussione di
poco
prima, probabilmente udibili anche all’esterno, a fargli
abbassare da principio
la cresta, a quel punto lo sguardo ancora molto poco cordiale della
padrona di
casa aveva fatto il resto.
-
La
signorina… McFerson Principessa…? –
domandò, intimidito, con gli occhi lucidi
che sembravano implorare di non ucciderlo.
La
risposta
alla muta richiesta fu formulata dall’espressione
dell’interessata al sentirsi
chiamare con il suo nome completo. Lo spasmo di nervoso che ebbero le
sue
labbra scarlatte di rossetto preannunciava le brutte torture che
avrebbero
preceduto quell’omicidio.
-
Chi credi
che abiti a questo indirizzo, volpe!? – gli rispose,
già cercando di trattenere
un appellativo meno cordiale.
Il
bimbetto
deglutì sonoramente e porse una lettera, che lei
afferrò senza curarsi neanche
di guardare. Rivolse un brevissimo cenno del capo al micro-postino, per
poi
chiudersi sonoramente la porta alle spalle.
-
Proprio
un furbone! – esclamò, infastidita.
-
Perché
adesso te la prendi con il postino…? –
protestò Clayton, esasperato.
Con
un
gesto stizzito sbatté malamente la lettera sul tavolo, con
uno schiocco sordo.
-
Un
viziato bambinetto delle elementari! – commentò,
spostandosi il ciuffo che le
era scivolato sulla guancia.
-
Si dà il
caso che i suoi siano sempre in disagio economico e che lui faccia
quello che
può… - rispose, mesto – Andrebbe
lodato… -
-
Solo se
non facesse tanto il gasato con tutti! Tutti hanno problemi economici!
E non
c’è da vantarsi quando si è sfruttati
per far funzionare gli affari di
famiglia! – continuò lei, afferrando le loro tazze
e voltandosi per andare a
sciacquarle al lavandino.
-
Perché
deve essere sempre così difficile parlarti e farti
ragionare…? Se andassi tu al
suo posto funzionerebbe meglio!? – la stuzzicò,
insofferente.
-
Io ho
l’età per lavorare. Non credere che non lo farei
per un degno compenso e per
tirare avanti la baracca! –
-
Bene…
Allora chiederò all’ufficio postale se hanno
qualche mansione per te… -
concluse.
L’acqua
scrosciante fu per qualche momento l’unica risposta.
-
Prin…? –
la chiamò, piuttosto sbalordito dal suo silenzio.
-
E credi
che mi vorrebbero? –
Clay
sbuffò, scontento: - Vedi che tu sei solo bloccata dalla
prospettiva di non
essere accettata? –
Lei
si voltò
a guardarlo, compunta: - E’ semplice realismo. –
-
Non mi
costa nulla chiedere. – affermò, convinto.
-
Figurati.
– rispose, ironica.
In
quell’istante, mentre cercava qualche parola per abbandonare
il terreno
accidentato del lavoro e rientrare in quello ancora più
impervio ma impellente
del denaro, gli occhi del ragazzo caddero sulla busta affrancata
abbandonata
sul tavolo.
Fece
in
quel momento vaga mente locale sullo strano fenomeno che rappresentava
una
missiva diretta a sua sorella. Bizzarro, ma non troppo raro. Succedeva
quasi
una volta al mese: Principessa riceveva di persona una lettera, la
apriva con
un vago senso di ribrezzo, ne leggeva frettolosamente il contenuto e
buttava il
tutto con uno scatto furioso nel fuoco o nel cestino. Imprecava a lungo
a fior
di labbra, poi restava cupa e nervosa, più del solito
insomma, per il resto
della giornata. Inutile dire che non ne aveva mai fatto parola con lui,
neanche
di fronte ad una richiesta diretta.
Fu
quindi
prima di tutto per curiosità che Clay prese in mano quel
piccolo fascio di
carte. L’indirizzo era scritto con una grafia evidentemente
femminile, tutta
svolazzi, alla quale all’inizio non fece caso. Piuttosto
girò subito la busta
per guardare il mittente. Rimase sbalordito.
Sotto
il
simbolo stilizzato di un gabbiano, si leggeva a chiare lettere:
“Marina Militare - Ufficio
Distribuzione Benefici Famigliari – Direttrice in capo Dr.
essa Laclar Raine”
Solo
allora
andò a leggere meglio il destinatario.
“Per la Signorina
Sakazuki McFerson Principessa”
Una
nuova
onda di stupore gli fece sbattere gli occhi e rileggere. No, non
c’erano
errori, eppure…
Prima
che
potesse capirne di più, gli venne strappata di mano.
-
NON
IMPICCIARTI DEI FATTI MIEI! – gli urlò contro la
sorella, ponendosi a distanza
di sicurezza dalla sua curiosità.
-
Cosa
dici!? Se è nostro padre a… - cercò di
dire.
-
VEDI IL
TUO NOME SCRITTO DA QUALCHE PARTE!? NO! ALLORA NON TI RIGUARDA!
– scattò con
una cattiveria della quale si pentì subito.
-
Prin… -
Ignorò
tuttavia
anche questa volta l’intervento del fratello e
strappò velocemente la busta.
Non si stupì di trovare al suo interno i soliti due fogli di
carta. E come
tutte le altre volte, per prima cosa estrasse la lettera vera e
propria. Ormai
conosceva a memoria quella scrittura tutta fronzoli e
quell’insieme di formule
prive di valore.
“ … In
quanto giovane donna non sposata, priva di
reddito effettivo, se non prodotto in seguito ad una
attività di intermediario
commerciale ad un livello amatoriale, priva di madre e abitante in
un’isola
posta sulla Grand Line, il contributo sarà espresso, secondo
la Legge, dal
calcolo del 40%
dell’attuale stipendio
del genitore in vita...
… Stimato lo stipendio mensile del
padre riconosciuto dalla Legge, On. Ammiraglio della
Marina Sakazuki Sachio,
intorno ai 50.000 berry lordi al mese …
… Le ricordiamo che la somma, quivi
inviata con l’allegato assegno bollato, Le viene assegnata in
seguito alla
rilevata aggravante della condizione riconosciutaLe di figlia
unica… “
-
Stronzo.
Un dannato stronzo. – sussurrò debolmente, come
ogni volta prima di tutto
sfiduciata e prostrata da quelle parole.
-
Cosa
succede…? – chiese Clay, preoccupato.
Trasalì
quando la vide afferrare i lembi del foglio e strapparlo con furia,
una, due,
tre volte.
-
QUEL FOTTUTO
VERME SCHIFOSO! COME SI PERMETTE!? COME!? – urlò
come un’ossessa, tanto forte
da far quasi vibrare le pareti.
Ancora
avvicinò i frammenti e riprese a frantumarli con maggiore
slancio: - BASTARDO
DI UN MARINAIO! CI FOSSERO UOMINI COME “LUI”,
INVECE DI SIMILI FIGLI DI… -
-
Prin,
cosa…? – tentò di interromperla, quasi
spaventato da quello sfogo tanto
violento.
-
CI STA
PRENDENDO IN GIRO! – gridò, improvvisamente
rivolta al fratello – LO FA
SCRIVERE OGNI VOLTA, ALLA FINE DI OGNI LETTERA! COME SE DOVESSE
RICORDARLO A
TUTTI QUANTI!-
-
Avevo
ragione, c’entra nostro padre…? – chiese
ancora, impacciato.
Gli
era
difficile riferirsi a quella persona che neanche ricordava di aver mai
visto,
soprattutto dal momento che sua sorella sembrava odiarlo sopra ogni
cosa,
ancora una volta per un motivo a lui sconosciuto. Eppure si chiedeva
come
potesse essere tanto male un uomo così importante
all’interno di una gerarchia
impietosa come quella della Marina, per quanto fosse evidentemente
molto disinteressato
alla sua famiglia. Si sforzava di chiamarlo con
quell’appellativo per ricordare
il legame di sangue che inevitabilmente univa tutti e tre, ma questo
sembrava
sempre infastidirla anche più della sola esistenza del
consanguineo.
Non
contenta di aver ridotto il documento in coriandoli, in mancanza
d’altro, li
buttò nel lavandino e fece scorrere l’acqua per
farne perdere le tracce nello
scarico.
-
NON HA
RISPETTO PER NIENTE E NESSUNO! NON PROVA NESSUN SENTIMENTO UMANO!
E’ SOLO UN
DEMONIO! – prese fiato, affannosamente – NON VOGLIO
LA SUA ELEMOSINA, DOVESSI
MORIRE! -
Quella
parola ebbe l’effetto di un fulmine su Clay, che
balzò in piedi, sconcerto:
-“Elemosina”!?–
Allora
la
vide estrarre dalla busta spiegazzata un foglietto azzurrino, che non
tardò un
istante a riconoscere come un assegno.
-
NON
ABBIAMO BISOGNO DI UN SOLDO DA QUELL’ANIMALE! –
riprese lei, un bagliore
nefasto e quasi folle nello sguardo, mentre lo teneva tra le mani con
l’evidente scopo di condurlo alla stessa fine della lettera
intestata.
-
Non fare
follie! – le gridò, scattando per sottrarglielo.
Nonostante
fosse più alto di lei di qualche centimetro, non ci
riuscì al primo tentativo. Principessa
si buttò indietro per sfuggirgli molto più
velocemente, ma non colse l’attimo
per strappare il biglietto, riprendendo piuttosto ad inveire.
-
NON
VOGLIO NEANCHE VEDERE DA LONTANO QUESTI SOLDI! NON SONO NEANCHE SUOI!
SE LI
TIENE BEN STRETTI! -
-
Allora
che roba é…? – chiese, fingendosi
interessato a quelle polemiche al solo fine
di distrarla. Nel frattempo, faceva qualche passo in avanti, con finta
noncuranza, studiando un modo per portarle via il prezioso credito.
Sfortunatamente per lei, era molto bravo nell’inventare
stratagemmi. Non
riusciva mai a vincere a scacchi, quello no, e neanche suggeriva
istintiva
fiducia in quell’ambito, ma non era tanto sprovveduto quanto
sapeva di
apparire.
-
ALLA FINE
NON E’ ALTRO CHE UN CONTRIBUTO GOVERNATIVO, DOVUTO AGLI
ORFANI DI MADRE! CHE SI
CALCOLI SUL SUO STIPENDIO E’ ACCESSORIO! AI MIEI OCCHI
E’ COME UNA MERCE DI
SCAMBIO E NON LA VOGLIO! –
-
Se ci è
dovuta, non vedo perché devi rifiutarla! La fa mandare lui
dalla Marina perché
hanno un ufficio apposito e una chiara idea del suo profitto! Ma,
appunto, non
sono soldi suoi… Non vedo perché dobbiamo
rinunciarci! –
-
NON
CAPISCI! – gridò ancora, per la prima volta con
una nota di disperazione.
-
No,
perché non me ne hai mai parlato. – concluse,
amareggiato – Non sembro neanche
tuo fratello per tutte le cose che mi tieni nascoste… -
-
NON DIRLO
NEANCHE PER SCHERZO! – protestò, indignata e
allarmata da quelle parole, che si
avvicinavano tanto al motivo del suo rancore.
-
Qual è il
problema…? – chiese ancora, con un ulteriore passo
nella direzione della
ragazza.
-
CI
DOVREBBERO PIU’ SOLDI! – sbottò infine
– GIOCA SU FORMALITA’ E LEGGE E ANCHE SE
NON CI RIMETTEREBBE NULLA! PER PRINCIPIO CI NEGA CIO’ CHE CI
E’ DOVUTO! IL
MINIMO INDISPENSABILE PER IL SUO ONORE, COME UN’ELEMOSINA!
–
–
Continuo
a non capire… – disse, finendo per apparire
spaesato più che risoluto.
Principessa
si rasserenò lievemente di fronte a quella consueta
incoscienza e il suo tono
si ingentilì quanto bastava a non far più
rimbombare le sue parole.
-
Devi credermi,
Clay. –
E
voleva
dirgli la verità: il suo nome non esisteva su quel foglio.
Come se suo fratello
non fosse la sua unica e vera famiglia; come se quello schifoso neanche
sapesse
della sua esistenza – ma lo sapeva eccome; come non meritasse
neanche un posto
al mondo. Era questo il punto: i soldi erano solo la punta di un
iceberg che al
centro aveva il riconoscimento di quella persona a lei tanto cara, che
era al
suo fianco in quanto fratello e per questo non aveva bisogno di una
marca
giuridica.
-
Tuttavia…
- riprese lui, incupendosi – Quei soldi ci servono, Prin... -
-
Li
distruggo, Clay! Come se neanche fossero esistiti! -
esclamò, esaltata.
-
Come hai
fatto tutte le altre volte!? Dio! Non voglio pensare a quanto abbiamo
perso
finora… - affermò, sconsolato.
Poi
con un
guizzo repentino le afferrò il polso della mano che reggeva
l’assegno.
-
Lascialo
andare, per favore… - le chiese, molto meno autorevole di
quanto avrebbe
voluto, ma al contrario molto vicino alla supplica. Non voleva farle
male e non
l’avrebbe mai fatto, ma la situazione era grave
e non potevano rinunciare ad un singolo berry.
-
Non
voglio! Hai capito!? Non voglio! – gli rispose, cercando di
spingerlo via con
il braccio libero.
-
Sai che
faccio sempre a modo tuo. – disse, dolcemente - Ma questa
volta ne và della
vita di questo negozio e della nostra. Per favore. – le
chiese ancora, sempre
molto più tenero del necessario, ma proprio per questo
più persuasivo.
Principessa
distolse lo sguardo, soprattutto delusa dal non potersi sottrarre alla
triste
verità e alla richiesta fattale. Le due dita rilasciarono
l’assegno che
sventagliò un istante verso il suolo, prima che il ragazzo
lo afferrasse a
piena mano spiegazzandolo un po’, con la sola idea di non
lasciare che cadesse
o tornasse in mano alla sorella. Allora tolse la presa dal polso di lei
e fece
un paio di passi indietro, per scrutare l’espressione che
aveva assunto.
Con
un
ringhio, affermò solo: - Fai che io non veda un soldo, non
voglio sapere quanti
sono, non voglio averne notizia. Ritirali alla banca, almeno senza
farti
fregare. –
-
Prin… -
iniziò lui, impacciato.
-
Lo stesso
con i Lucas F., non farti mettere i piedi in testa e presentati
già con i conti
fatti. –
-
E tu dove
vai…? – chiese, vedendo che stava già
prendendo la porta.
-
A farmi
un giro. A stasera. – rispose, perentoria e senza aspettare
risposta.
Ward-Golfe
era la cittadina più triste che si potesse immaginare, anche
in un fresco giorno
di primavera come quello. Per un momento Principessa si illuse che
fosse solo
per il suo umore decisamente mesto, ma era inutile cercare una
giustificante
per una osservazione tanto oggettiva.
Strade
sterrate, scure e umide in autunno e primavera, dure in inverno,
polverose e
crepate in estate. Casupole sparpagliate, piccole e sparute, poche
mantenevano
quel minimo di dignità solo per essere state dipinte di
fresco, altre
sembravano un mucchio di legna accatastata. Insegne impolverate o mezze
sciolte
dalle piogge degli ultimi giorni mostravano i nomi delle poche famiglie
artigiane e intermediarie che si ostinavano a rimanere in quel luogo
dimenticato dalla fortuna. Altri cartelli giacevano a terra, davanti ad
edifici
scricchiolanti, sprangati con violenza, abbandonati per altri lidi,
più spesso
per bancarotta.
Per
un
momento, notando le grandi assi di legno che chiudevano ermeticamente
l’ingresso del macellaio, che fino alla settimana prima aveva
ancora visto
dietro al bancone, rabbrividì. Se avessero chiuso
l’emporio, lei e suo fratello
si sarebbero ritrovati per strada, definitivamente. La sola prospettiva
le
lasciava un senso di profonda ansia e, per un millesimo di secondo o
poco più,
fu sollevata all’idea di aver permesso a Clay di incassare il
dannato assegno.
Eppure
erano
quei mercanti corporati, quegli strozzini autorizzati, la vera rovina
del
paese. I Lucas F. erano tornati in quella sede da pochi giorni, ma gli
effetti dell’evento
erano più che evidenti. L’amministratore dei loro
affari era stato affogato
senza molte remore appena erano state provate le concessioni che aveva
fatto a
molti negozianti dell’isola. Oltre al macellaio avevano
chiuso anche il
fiorista e la sarta: produttori di merce di qualità, a
partire dalla materia
prima, stoffe preziose e fiori freschi, entrambe di importazione,
quindi
suscettibili alle violente tassazioni della Fratellanza. Da lontano,
spaventosamente vasto e sfarzoso, si riusciva a vedere il grande
tendone che
facevano montare ogni volta che tornavano sull’isola, scempio
e smacco per la
povera gente che veniva derubata dai bastardi.
Solo
una
cosa non cambiava mai. O meglio due.
La
prima
era l’aria ebete e falsamente soddisfatta della
quantità di gente che
passeggiava in ogni stagione per quelle strade meste e cupe.
L’atteggiamento di
chi accetta ogni cosa piova dall’alto semplicemente piegando
la testa, con quel
sorriso ottimista che nasconde tanto bene le peggio cose da apparire
rassicurante. Ipocrita, idiota, codardo, ma ottimo per la propaganda di
Lucas
F. Lemes, sindaco emerito dell’isola.
L’altra
cosa che si ripresentava ogni singola volta, sempre con quel retrogusto
aspro
quanto inquieto, era il disprezzo dei concittadini per lei, per la
Strega…
Occhiate
storte da un paio di comari pettegole ad un angolo della via sulla
quale
passava, quasi battendo i piedi dalla rabbia. Sussurri timorosi di una
coppia
che faceva di tutto per tenersi lontana dalla traiettoria del suo passo
spedito. Gli scongiuri vigorosi e neanche lontanamente celati di una
anziana
raggrinzita con gli occhi pieni di puro terrore sulla soglia di casa.
Una
famigliola sbucò da una via laterale, poco lontano sulla
linea retta che la
ragazza stava percorrendo senza esitazione, gli occhi più
cupi e crudeli che
mai per la rabbia della discussione appena conclusa. Principessa si era
finora
estraniata da ogni cosa, ma a quella visione rallentò
istintivamente e guardò
la bambina che la madre teneva per mano. Aveva più o meno
tre anni, due occhi
grandi pieni di stupore e innocenza, un abitino chiaro pulito e lucido
sul
corpicino paffuto e tutto da coccolare. Chissà se una volta
anche lei era stata
così carina… O aveva sempre avuto gli occhi
rabbiosi e inflessibili
dell’Ammiraglio… Sicuramente, non aveva mai
passeggiato così con i suoi genitori.
Lei stessa si stupì del sorriso malinconico che si
generò sul suo volto, mentre
continuava a guardarla teneramente. Meno gentili erano però
le espressioni
sgomente dei due adulti, spaventati dal fatto che quella persona
così tremenda
stesse guardando fisso la loro figlia.
Allora
fu la
piccola a voltarsi e guardare la ragazza. La boccuccia si
articolò in una
grande “o” di stupore e la indicò con la
mano libera dalla stretta protettiva
della madre: - Tata…! – disse, sventolando la
bambola di pezza che stringeva,
che inevitabilmente le sfuggì, cadendo a terra.
La
ragazza
reagì in modo del tutto spontaneo: si fermò e si
piegò per raccoglierle il
giocattolo. Tuttavia, non appena porse l’oggetto alla
bambina, la madre
strattonò via la figlia, che aveva già allungato
la piccola mano. Il padre
prese in braccio la piccola, che ancora agitava le mani per recuperare
la sua
bambola, e rivolse uno sguardo cupo e sospettoso a quella sconosciuta.
Solo
allora la donna, gli occhi spalancati e pieni di terrore,
osò parlare:
-
Adesso
che l’hai toccato, non osare darlo alla mia bambina, Strega!
-
Principessa
si rimise in piedi e guardò un istante la bambola,
dimostrando la più assoluta
impassibilità. Era un peccato: era ben cucita, aveva un bel
vestito sgargiante
e due bottoncini azzurri come occhi. Forse anche quella gente prima o
poi non
avrebbe avuto abbastanza denaro per dare un simile giocattolo a quel
loro
piccolo tesoro e ora volevano sottrarsi da un oggetto così
ben fatto per una
stupida diceria. Solo perché lei l’aveva toccato,
solo perché poteva averci
impresso un maleficio contro una creatura innocente, solo
perché poteva
generalmente portare malocchio dopo che l’aveva sfiorato. Che
gentaglia.
Alzò
il
volto sui due apprensivi genitori, immobili come statue di sale a
fissarla,
senza trovare neanche l’istinto per fuggire. Avrebbe voluto
ridere di loro
teatralmente, ma era una pessima giornata e non ne aveva la forza. Li
guardò
con aria di sfida mentre rilasciava semplicemente la stretta della mano
intorno
alla bambolina – come aveva fatto poco prima con
quell’assegno – e lasciava che
cadesse a terra con un tonfo. Poi riprese a camminare senza una parola
passando
in mezzo a loro, che aprirono frettolosamente un passaggio per vederla
allontanarsi il prima possibile dal loro angioletto.
Johnny
fischiettava allegro alla bella giornata primaverile, mentre puliva con
un moccio
il fango raggrumatosi la precedente notte di pioggia
sull’uscio del suo locale.
La cittadinanza, notò con sincero piacere, era allegra
nonostante la nuova
infestazione della Fratellanza. Forse perché si sentivano
rincuorati dall’ormai
prossima “Convention Generale della Marina
d’Assalto”, che per almeno cinque
giorni avrebbe tenuto lontani dall’isola almeno i pirati,
tenendo occupati
d’altra parte i Lucas F. per rifornire i galeoni riuniti in
quel porto. Anche
per lui tale prospettiva sembrava molto rassicurante: era uno dei pochi
ad
essere riuscito a mantenere un locale e gli si preannunciavano tre
giorni di
pienone e di conti immediatamente saldati, senza minacce o disguidi.
Ofay
sarebbe presto stata la sposa di un ricco padrone di locanda, se lo
diceva ogni
volta che prevedeva buoni affari. La cosa non si avverava mai
pienamente e
avrebbero dovuto chiedere un prestito per organizzare una bella
cerimonia, ma
augurarselo tra sé suonava sempre molto rassicurante e
alimentava le speranze e
la buona volontà.
Mentre
si
godeva il sole tiepido e l’atmosfera gradevole, non
poté che udirli da lontano.
-
Oh, è un
bel bocconcino! -
-
Davvero!
Viene proprio voglia di portarsela in un vicolo buio! –
-
Ehi,
bella! Non ti fermi un po’ con noi!? –
Chissà
perché era certo di chi fosse a portare quei tre pirati da
due soldi a fare
quelle osservazioni a voce tanto alta. Li aveva visti già
poco prima quando
erano passati davanti al locale e sembravano più stupidi che
pericolosi. Molto
stupidi se avevano deciso di fare quei commenti a Principessa. Si
voltò con una
mano sulla fronte per coprirsi dal sole e ne ebbe la conferma. Era
impossibile
non vederla: il completo verde smeraldo e il fluenti capelli di fuoco
erano i
colori più vivaci e brillanti nel raggio di chilometri.
Ecco, ora bisognava
solo aspettare lo scoppio d’ira che avrebbe mandato i tre
balordi all’ospedale,
o meglio allo studio dell’unico medico disponibile.
Perché - Principessa lo
diceva sempre anche a lui - una cosa erano i complimenti cortesi e
un’altra erano
le osservazioni volgari e la punizione per le seconde avrebbe dovuto
rientrare per
legge nelle facoltà delle offese. Lei sapeva far valere
molto bene questa regola…
Johnny
riprese a spazzare, ma non avvenne nulla.
Alzò
lo
sguardo ed la trovò già davanti al locale, a
qualche metro da lui, intenta a
fissarlo incerta. Lontano sulla strada i disgraziati se ne stavano
andando
sulle loro gambe, ma ancora vociando scomposti.
-
Be’, non
li ammazzi…? – domandò lui, cercando di
fare dello spirito.
Lei
scosse
la testa: - Hanno detto fatto le prime buone osservazioni su di me
della
giornata… Oscene, s’intende, ma almeno
buone… - commentò con un ghigno che
mostrava più rabbia che divertimento.
Il
locandiere scosse la testa. Era di nuovo una di quelle giornate.
Appoggiò
lo
scopettone alla parete dell’edificio e le fece cenno di
avvicinarsi con una
mano: - Avanti, Principessa, vieni dentro… -
Per
la
prima volta da quando la conosceva sembrava stranamente spaurita, ferma
con le
braccia conserte dal lato opposto della strada scassata e crepata da
quel primo
sole. Guardò il lungo manico dell’oggetto che
aveva appena appoggiato al muro
con un atteggiamento che voleva essere altezzoso:
-
Se stai
facendo le pulizie, ti lascio volentieri finire. Tanto sarebbe meglio
nessuno mi
vedesse entrare da te o ti potrei rovinare
l’attività. -
-
E allora
cosa saresti venuta a fare fino qui…? –
domandò, non riuscendo ad apparire
spiritoso. Ora era anzi piuttosto preoccupato per lo stato
dell’amica.
-
Una
passeggiata. Ne avevo bisogno. – minimizzò. Il suo
sguardo era stato attirato
da due donne che si stavano avvicinando su quella strada e osservavano
già
malignamente i due intenti a parlare.
Johnny
si
ritrovò a guardare a sua volta in quella direzione e
sbuffò. Attraversò la
strada per andarla a prendere per un braccio, con aria sicura.
-
Non fare
follie. Una cosa è quando mi presento la sera tardi, con i
clienti occasionali,
ma… - lo avvertì lei, davvero preoccupata.
-
Me ne
frego. – le rispose con fermezza – Adesso, vieni
dentro o devo trascinarti? –
-
Ofay non
ti sposerà mai se continui a frequentarmi. –
sentenziò, risentita.
-
Potrei
dirti che neanche questo mi interessa, ma sarebbe una balla.
– si sforzò di
sorridere – Spero solo che non sia tanto sciocca da credere a
ciò che si racconta
su di te. Sei una mia amica, dovrà abituarcisi. –
-
Sei
proprio pazzo. – osservò seria, lasciandosi
guidare dalla sua stretta gentile
dentro il locale.
§ §
§ § § § § §
§ § § § §
Eccomi
qui!
Finalmente
ho terminato 'sti cavolo di esami e sono pronta a rimettermi a
scrivere...! XD L'unico problema é appunto che sono in alto
mare con il capitolo 4, quindi temo vi toccherà aspettare un
attimo che riesca a rimettermi per bene al lavoro...
Ebbene,
scommetto che questa non ve l'aspettavate! Capito chi é il
padre di Principessa? Sono davvero brutti momenti... u_u Sono sadica,
lo so...
Questa
é anche la mia prima descrizione di Ward-Golfe: spero di
aver reso l'idea dell'ambiente e degli abitanti. Potremmo considerarlo
un capitolo intermedio quasi, dal momento che l'azione vera
verrà nel prossimo, ma spero non vi sia dispiaciuto comunque!
Una
piccola noticina. In questi giorni ho ragionato molto sulla questione
dei nomi e dei cognomi nella serie originale, alla quale
voglio attenermi il più possibile. Mi sembra di aver capito
che la tendenza generale sia quella di mettere prima il cognome poi il
nome in tutte le indicazioni. Ho ragionato sui casi più
significativi, tipo quello di Robin e sua madre: entrambe si chiamano
"Nico" che credo possa considerarsi un cognome, a quel punto, ma che si
pone prima del nome proprio. Così per le grandi famiglie
della saga tipo i Monkey D. ... Poi ho pensato a personaggi
più nuovi come Law e Kidd: credo che la regola sia la stessa
(meno male, anche perché l'idea che il loro nome proprio sia
"Trafalgar" e "Eustass" mi suonava strano). Così
ho deciso di uniformare anche Prin e Clay (e "Akainu") a
questa regola del cognome-nome... Spero non vi sembri troppo campata in
aria come teoria, ma io ci credo abbastanza... XD
Grazie a chi ha letto e
recensito (e mi ha fatto tanto piacere anche rispondervi)! Grazie a chi
sta seguendo la storia dal primo capitolo (o dal secondo, é
lo stesso) e spero non smetterà di farlo! Grazie a chi ha
appena aperto la pagina e avrà piacere di leggere e
commentare! ^^
A
presto!!! XD
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo
4
Johnny
accese un
paio di lampade nei pressi del bancone, sempre necessarie
nell’ambiente
seminterrato, mentre Principessa si afflosciava su uno sgabello,
infelice.
-
Se ti offrissi un
bicchiere d’acqua? – propose lui, tastando il
terreno sul sarcasmo della
ragazza, il segno più rassicurante della sua buona salute.
-
Te lo verso per
terra. Così fai prima a lavare il pavimento. –
sentenziò, cupa e senza alcuna
ironia.
-
Lo immaginavo. E’
una di “quelle” giornate. –
osservò guardingo, provando ancora disperatamente a
farla reagire come al solito.
-
Non parlare tra
le righe del mio umore come se fosse sempre colpa del ciclo, idiota.
– ripose,
seria e incapacitata a scomporsi – Piuttosto, la bottiglia di
cherry. – ordinò
con un cenno frettoloso della mano.
-
Ti scordi che ti
metta in mano una bottiglia di alcol quando sei in questo stato. - disse, sicuro, andando
piuttosto a prendere
un bicchierino da vodka per moderarle le dosi.
La
ragazza gemette
e si afflosciò sul bancone, appoggiando la testa al braccio.
-
Neanche
inscenando la morte mi convincerai. – tentò ancora
di ironizzare il locandiere.
Lei
neanche
rispose. La testa le scoppiava, si sentiva follemente stanca anche se
era
sveglia solo da poche ore ed era certa che il peggio dovesse ancora
venire.
Come se ci potesse essere qualcosa di peggiore rispetto a
quell’isola nel suo
complesso, quell’insieme di malaugurati misfatti e quegli
oscuri presagi di
sventura finanziaria.
-
Tu andrai in
rovina. – sentenziò improvvisamente contro il
locandiere, che si era appena
avvicinato per versarle un mezzo bicchiere.
Johnny
alzò gli
occhi al cielo, convinto che fosse finalmente la sua solita cattiveria
gratuita:
-
Potresti anche
non fare la menagrama -
-
Non dovresti
farmi entrare qui. Dovresti cacciarmi via, Johnny. Io sono una
menagrama.–
Solo
allora il locandiere
si accorse che Principessa lo guardava fisso da quella posizione di
riposo, le
labbra rosse strette e gli occhi, lucidi come mai li aveva visti, che
non
sapevano se trasmettergli rimprovero o gratitudine. Forse entrambi.
-
Adesso ti lasci
anche convincere dalle chiacchiere di questa gente…? Tu non
porti sfortuna, non
fai malefici, non sei cattiva. - cercò di rassicurarla,
appoggiandosi al piano
di legno poco lontano da lei – Non fallirò certo
perché ti presenti al mio
locale. Non fallirò perché siamo sempre stati
amici di infanzia. Non fallirò
perché due cretine ti hanno vista entrare qui. E ti
dirò di più: non fallirei
neanche se tu e Clay vi decideste ad alzare i prezzi e mettere insieme
un
listino concorrenziale. -
Si
accorse di aver
toccato un tasto dolente quando la ragazza sgranò gli occhi
e afferrò in fretta
e furia il bicchiere per buttarne giù il contenuto tutto di
un fiato. Poi, come
se quello scatto le avesse bruciato tutte le energie, tornò
nella posizione di
prima, con un tonfo di abbandono.
-
Guarda che lo
cherry non ha il potere di salvare i conti dei negozi. – la
ammonì, in risposta
al cenno brusco con il quale aveva di nuovo chiesto di allungarle la
bottiglia.
-
Lo salviamo ‘sto
dannato negozio! Come se non contasse nient’altro nella
nostra vita! Non ne
posso più! Non ce la faccio più! –
Si
aspettava
sarebbe scoppiata, ma non così. Johnny la guardava con
apprensione, mentre
neanche alzava la testa nell’esclamare quelle frasi convulse,
anzi la immerse completamente
tra le braccia conserte e lui dovette avvicinarsi un po’ per
sentire. Si limitò
ad appoggiarle una mano sulla spalla, accarezzandola piano come
sostegno.
-
Clay è così
buono, Johnny… Tanto buono che ti tira proprio fuori il
cuore dal petto… Vorrei
dargli tutto il meglio, come avrebbe fatto la mamma se fosse stata
ancora qui…
E non ci riesco. Non ci posso riuscire. -
-
Non sta a te. Clayton
è grande, lo sai. – osservò dolcemente.
-
Magari non ci
riesco perché sono cattiva dentro, come quel verme di mio
padre… Non sai quante
volte ci penso. Oppure è la mia presenza a far andare tutto
male, per questo
non riesco a dare la giusta serenità al mio fratellino. Se
sparissi e
cancellassi l’ombra di male che aleggia anche su di
lui… -
-
Te l’ho già detto
e ripetuto ogni volta che arrivi a delirare in questo modo. –
intervenne,
stringendole piano la spalla, quasi solo per farle sentire che era
lì – Clay ha
davvero bisogno di te, perché è troppo ingenuo e
credulone: crescerà in questo
senso, almeno lo spero, ma per ora non può cavarsela da
solo. Poi non hai
nessuna ombra di male, Principessa, e tanto meno puoi assomigliare in
qualche
modo a quell’ammiraglio dei nostri stivali. –
-
Lui mi considera
ancora sua figlia… E ha ragione, perché ho questo
maledetto carattere e questi
dannati occhi malvagi… Ma non é vero e non
è giusto! Perché se pretende che io
lo sia, dovrebbe esserlo anche Clay! O tutti o nessuno! Invece lui,
dall’alto
di quel titolo e dalla distanza che lo separa da quest’isola
da anni, può
pontificare e dire la sua verità, quella che ha potere di
mettere per iscritto…
-
-
Sono di nuovo
arrivati quei soldi. – concluse Johnny, con un sospiro di
pena.
-
Clay questa volta
ha visto l’assegno. Li vuole ritirare. Per mantenere quel
dannato emporio, per
non morire di fame, per non litigare con la Fratellanza! –
prese un respiro
affranto, fregando la fronte e il viso contro le braccia conserte -
… Io mi
sento come se stessi vendendo la mia anima, ma non ci posso fare
niente. E la
gente di questo buco di isola mi tratta sempre come se non avessi mai
avuto
neanche quella… -
-
Lo so. Sono
stupidi, Principessa. – rispose, impacciato.
Ecco,
ora cosa
poteva dirle?
–
Ne vuoi ancora…?
– domandò, rendendosi lui stesso conto di apparire
piuttosto ridicolo.
Le
stava offrendo
da bere, cosa sbagliata a priori. Tutto perché non trovava
nulla di sensato per
consolarla. Ciò che lei viveva perennemente era un circolo
vizioso di cose
sbagliate, a partire dal rapporto tra i suoi genitori, che il
locandiere da
parte sua non aveva mai capito, nonostante da piccolo li avesse
conosciuti
entrambi. Molto probabilmente c’entrava il fatto che
l’emporio della moglie di
un illustre marinaio fosse sempre frequentato da pirati, in particolare
da
“uno”. Oppure la congiunzione astrale che aveva
portato quel rigido di Sakazuki
a diventare niente meno che ammiraglio. Ma alla fine non importava poi
molto il
perché: la sostanza é che entrambi
l’avevano lasciata orfana su un’isola
sperduta, con un fratello di poco più giovane ma
praticamente a carico, un
lavoro privo di alcuna sicurezza duratura e una cittadinanza di
superstiziosi
che la trattava come un demonio. Solo perché era figlia di
Carmen, solo perché
la madre aveva fatto la ballerina e aveva quei tatuaggi di serpenti
sulle
braccia, solo perché aveva quei capelli rossi, solo
perché la famiglia McFerson
veniva da lontano - dal Nuovo Mondo - e a nessuno piaceva quella gente.
-
Si. Versa,
Johnny. – gli rispose, da quel nascondiglio tra le braccia.
Era
tanto in
imbarazzo per la sua inutilità che non esitò a
riempire il bicchiere quasi all’orlo.
Di nuovo lei alzò la testa e si scolò
quell’alcolico d’un fiato.
-
Principessa… - la
interpellò ancora lui, con voce debole.
-
Cosa c’è? – chiese
per contro, evitando di nascondersi ancora.
Nonostante
il viso
fosse ancora umido e gli occhi arrossati, sembrava almeno quieta. Del
resto,
era stata la sua ferma decisione fin da principio: era una donna sola,
ma non
una principessa smarrita; una cacciatrice, mai una preda; una roccia
infrangibile, non una fragile porta. Non voleva essere consolata, da
nessuno.
Anche se Johnny le voleva bene. Anzi, proprio per questo.
-
Mi dispiace. – le
disse solo, serio, senza smettere di guardarla fisso.
Era
un pensiero
cupo, per nulla rassicurante, quasi la sentenza della disgrazia
inevitabile.
Eppure era un’espressione sincera, preoccupata dal profondo
del cuore e
gentile. Poi tutto il resto fu automatico, solo la realizzazione in
gesto di
quel pensiero. Le rivolse una carezza tra la guancia umida di lacrime e
i
capelli rossi, dolce e delicata.
Ci
voleva davvero poco
per lasciarsi andare a quel dolce gesto e perdercisi. Accettare anche
un
abbraccio e volerlo mentre le braccia aperte cominciavano a venirle
incontro.
Tuttavia, dopo quella volta, entrambi avevano deciso di evitarlo. Non
bisognava
ad alcun costo ripetere quell’errore, quella debolezza,
quell’istinto. Allora
erano ragazzini e il gesto affettuoso era diventato subito qualcosa di
molto
intimo, effetto di quel contatto fino ad allora estraneo ad entrambi.
Quei
tempi erano finiti, completamente.
-
Grazie, Johnny. –
disse solo, ma gli sorrise, questo si, per ringraziarlo fino in fondo
per le
sue premure. Perché le voleva ancora bene, dopo
quell’incidente, dopo il
fidanzamento di lui, dopo gli scatti d’ira di lei. Solo
perché anche lei provava
molto affetto per quel folle locandiere, gli allontanò la
mano, con
delicatezza.
E
Johnny capì,
anche troppo bene, ma le sorrise, da amico probabilmente.
-
Ancora uno. –
chiese allora la ragazza, senza esitazioni.
Lui
sospirò e
versò. Questa volta bevve con più calma ed
esclamò: - Sai quale sarebbe il modo
migliore per farmi stare meglio? –
-
Quale? – le
domandò, scettico.
-
Sposarti con la
tua Ofay e farti una bella famiglia alla faccia della Strega. -
rispose,
fissandolo negli occhi senza esitazione.
-
Farò del mio meglio…
- le rispose, distogliendo però lo sguardo.
-
Johnny…? – lo
richiamò dopo poco, con voce improvvisamente strascicata.
-
Cosa? – domandò,
abbassando lo spolverino con il quale
stava pulendo alcune mensole.
-
Ho un sacco di
sonno… - si lamentò, con una smorfia.
L’altro
rise: - E’
sempre così quando bevi troppo! –
-
Se mi butto sulla
panca là in fondo ti do fastidio? – chiese,
alzandosi dallo sgabello.
-
No… Tanto fai
sempre come se fossi a casa tua… - commentò,
ironico.
Principessa
preferì
ignorarlo e avviarsi al suo giaciglio di fortuna.
-
Se passa Clay… -
iniziò prima di appoggiare la testa al cuscino copri-sedile.
-
Gli dico che sei
qui e ti lascio dormicchiare. Ti sveglio solo se si fa tardi.
– la precedette,
con un sorrisetto – Buonanotte, eh… -
Fu
un leggero
rumore di passi nella sua direzione a svegliarla.
Strano
soprattutto
perché l’aveva udito così
distintamente, mentre si accorse che il vociare dei
clienti quella sera doveva essere molto più forte del
solito, ma al contrario
non le aveva impedito il sonno. Finse di non aver percepito tale suono
e di non
aver ripreso quel minimo di contatto con l’esterno, tenendo
gli occhi chiusi e
il respiro regolare. Aveva ancora molta voglia di riposare e non
intendeva alzarsi
o anche solo cambiare posizione rischiando di spezzarsi il rilassamento
che
aveva raggiunto.
-
Principessa… - la
chiamò una voce che non conosceva.
Si
limitò a
mugugnare qualcosa. Chi era il rompiscatole che aveva deciso di
svegliarla? Non
sembrava Johnny, ma neanche Clay. Una mano si appoggiò sul
suo braccio, con
delicatezza. Bizzarro, anche quel tocco sembrava diverso.
-
Credo tu ti debba
alzare… Principessa… - la chiamò
ancora, a bassa voce.
Con
uno sbuffo si
costrinse ad aprire gli occhi.
-
… Tu…? –
farfugliò, ancora assonnata e con uno sguardo vagamente
vacuo.
Piegato
sulle
ginocchia per avvicinarsi al piano su cui era sdraiata, stava lo
straniero
della sera precedente, ancora coperto dal suo matellaccio scuro.
Si
fregò subito gli
occhi addormentati per non perdere la ghiotta opportunità.
Complice una lampada
dai riflessi gialli posta proprio sopra di lei, l’ombra aveva
lasciato alcuni
sprazzi di luce. Anche se continuava a coprire gli occhi, rivelava
finalmente
un po’ di quel volto: il mento e le guance lisce –
aveva intravisto delle
lentiggini? -, il naso un po’ a punta e le labbra sottili,
atteggiate ad un
sorriso divertito. Si intravedeva anche il collo forte e le spalle
larghe, ma
interveniva a quel punto il bottone scuro a congiungere i due lembi di
tessuto e
impedire la vista di altro.
Principessa
continuava a pensare, più forte di lei, che fosse un peccato
non poter vedere
tutto.
-
Mi ha mandato a
svegliarti. – commentò, con un cenno al
locandiere, che fissava la scena dal
bancone con l’aria di divertirsi un mondo.
La
giovane rivolse
un gestaccio al padrone, che per contro scoppiò a ridere
entusiasta. Poi tornò
a rivolgersi allo straniero: - Hai ancora ‘sta roba addosso!?
– sbuffò,
approfittando della vicinanza per afferrare un pezzo del cappuccio, con
il
chiaro intento di allontanare quel disturbo alla sua
curiosità.
-
Già. – rispose,
tranquillo, staccandole gentilmente la mano. Aveva la pelle bollente al
tatto,
ma magari solo per il caldo che doveva tenere quella palandrana.
-
E’ incredibile
come tu sembri un angioletto quando dormi, Principessa!
…Giusto!? – commentò
Johnny, cercando poi la conferma dello straniero.
Quest’ultimo
allargò il sorriso, rivolgendosi alla ragazza ancora
semisdraiata: - Si… -
rispose, sincero e divertito.
Lei
si alzò quasi
di scatto a sedere e stava per protestare, quando Johnny aggiunse,
scherzoso: -
Ecco perché ho pensato che per svegliare la
“principessa addormentata nel
bosco” ci volesse il “bello
addormentato”! –
-
E ti credi anche
spiritoso!? – sbraitò allora in risposta, rossa in
viso, lanciando un’occhiata
allo straniero ancora accovacciato di fronte a lei, tranquillo e anzi
evidentemente a suo agio.
-
Insomma,
rompiscatole tutti e due! – inveì ingiustamente
contro entrambi – Si può sapere
perché mi avete svegliata!? –
-
Ma hai idea di
che ore siano!? – domandò il locandiere, con un
cenno all’orologio.
-
Che sarà mai!
Tanto passa Clay a prendermi! Fa sempre così quando
discutiamo!– affermò,
sicura.
Johnny
sbatté le
palpebre, stranito: - Già… Strano che non
l’abbia ancora fatto in effetti… -
Principessa
sbiancò
improvvisamente, lo sguardo allucinato.
-
Oh, santo Dio,
no… - bisbigliò, fissando un punto indistinto tra
il pavimento e il bancone –
Quegli stronzi… -
L’altro
non aveva
sentito quelle parole, ma aveva notato chiaramente il pallore
inquietante che
aveva improvvisamente cancellato l’imbarazzo di poco prima e
uscì da dietro il
bancone, avvicinandosi all’amica. Lo straniero passava lo
sguardo dall’uno
all’altra, evidentemente senza capire molto della situazione.
-
Johnny! – esclamò
lei, vedendolo avvicinarsi – Sei sicuro di non averlo visto!?
Neanche di
sfuggita, che so, mentre eri fuori a pulire!? –
-
Principessa, si
può sapere perché ti stai agitando in questo
modo…? –
-
Doveva andare dai
Lucas F. oggi! – gli rispose, concitata.
A
quelle parole un
improvviso silenzio si materializzò in alcuni tavoli e
qualche sguardo si
spostò nella direzione dei tre, subito poco benevolo al
sentir nominare quella
famiglia di malaffare. Il locandiere comprese allora tutti i sottintesi
a
quella rivelazione e sgranò gli occhi alla prospettiva, ma
si impose di non
lasciarsi andare al velato allarmismo, soprattutto per non gettare
benzina sul
fuoco. La vedeva già assaltare il tendone e affrontare quei
poco di buono anche
solo per il dubbio che avessero trattenuto, o peggio, il prezioso
fratello. Lui
stesso, tuttavia, stava cominciando a considerare l’ipotesi e
sentiva crescere
la preoccupazione. Non
sarebbe stata una
sorpresa sapere che la Fratellanza fosse passata dalle minacce ai fatti
senza
alcuna necessità reale. Clayton era un tipo pacifico, ma, se
avesse portato
cattive notizie, come immaginava, a quella banda di malfattori, non
poteva
essere certo che l’avessero fatto tornare a casa sulle sue
gambe.
Quando
Principessa
balzò in piedi come una furia, le tagliò la
strada e tentò di farla ragionare:
- Non essere sciocca! Perché avrebbero dovuto toccare tuo
fratello!? Andava a
portare loro quei soldi, no!? –
Ma
lei lo ignorò,
troppo assorbita da quella visione nefasta. Non lo guardava neanche,
continuando a ripetere sottovoce: - Li ammazzo. Quelli non vedono
l’alba di
domani. Sono finiti. Non sanno cosa li aspetta. –
-
Principessa! – la
richiamò, invano, mentre la ragazza gli sfilava accanto
– Sono pericolosi! Non
fare follie! -
-
Io sono “la
Strega”! Sono molto più pericolosa! E se hanno
toccato con un dito Clayton,
scopriranno che cosa vuol dire! – gli rispose infine, la voce
che rimbombava
ormai dalla scalinata dell’uscita.
Il
locandiere
guardò lo straniero, appena rimessosi in piedi. Questo
sembrò rivolgergli uno
sguardo altrettanto serio dall’ombra che era tornata a
celarne l’identità.
-
So cosa stai per
chiedermi. – affermò.
-
… In effetti, non
ero sicuro di riuscire a chiedertelo… - bofonchiò
Johnny, scuotendo la testa
tra sé, il capo a quel punto già rivolto al
pavimento – Ieri sono stato io a
dirti di non avere a che fare con la Fratellanza dei Mercanti, e
ora… -
E
ora non poteva
fare a meno di riporre fiducia in qualcuno che a malapena sapeva
identificare e
che non era neanche sicuro avesse interesse a compiere
quell’impresa. Lui era
un semplice locandiere, umile e pacifista: non aveva fatto a pugni
neanche da
ragazzino, figurarsi pensare di sfidare gli sgherri dei Lucas F.. Non
era solo
paura – perché in realtà neppure poteva
vantare un cuore da leone - , ma vero e
proprio senso di debolezza, perché aveva ben chiaro che non
sarebbe mai
riuscito ad ottenere qualcosa con le sue sole forze. Affidarsi a quel
pirata
era l’unico modo in cui potesse pensare di agire in quella
situazione di
emergenza.
-
Tieni molto a
lei. – ancora una volta fu un’affermazione, non una
domanda.
-
Si. – ammise, con
serenità ma anche un malcelato imbarazzo – Non
voglio le capiti qualcosa. –
-
Allora siamo in
due. –
Johnny
rialzò gli
occhi e vide un sorrisetto nella penombra. Non poté che
sorridergli a sua
volta, riconoscente.
Il
tendone a
strisce arancioni e gialle svettava per vari metri sulle case
circostanti e
occupava quasi l’intero molo est dell’isola. Sulla
cima di quella struttura, dove
il palo centrale saliva fino a sbucare dal telone, sventolava una
bandiera
governativa, con la classica croce nera ma su fondo giallo: il simbolo
della
Fratellanza dei Mercanti, composta da quasi venti clan favoriti e
protetti dai
pezzi grossi mondiali. Sotto quella struttura così
ironicamente simile ad un
luogo di divertimento come il circo, la famiglia che deteneva il
controllo su
Ward-Golfe e le trenta isole circostanti svolgeva la maggior parte
delle sue faccende:
dall’accoglienza dei clienti alla punizione dei creditori,
dagli incontri di
piacere alle riunioni con rappresentanti del Governo. Da qualche tempo
era
diventata anche abitazione itinerante dei tre fratelli Tyner, Koyu e
Pexe, i
quali detenevano il pieno controllo sulla rotta mercantile e tendevano
a
spostarsi periodicamente da un lido all’altro del territorio
d’affari,
lasciando a nipoti e cugini il risiedere stabilmente nei diversi centri
cardine,
dove facilmente ottenevano cariche importanti e favorevoli agli affari
di
famiglia.
Principessa
non era
tanto sciocca da entrare in piena proprietà nemica battendo
i piedi e
minacciando quelli che a rigore considerava i peggiori rappresentanti
del
genere umano – escluso l’odiato genitore.
Benché fosse arrabbiata quanto
preoccupata e ciò rappresentasse il peggior livello della
sua intrattabilità,
si impose di mantenere un minimo di formale autocontrollo, che
equivaleva a
sfoggiare quell’artefatto bon ton
della sua versione elegante ma sdegnata. Non era sicura di riuscire a
mantenere
quella patina esteriore, ma doveva provarci: poteva essere molto
pericoloso
scontrarsi con quei poco di buono e prima di tutto doveva assicurarsi
che Clay
stesse bene.
Con
passo spedito
entrò attraverso il lato della struttura che sapeva essere
sempre aperto,
scostando un lato della tenda già abbassata.
L’ambiente era cupo, anche se da
un’apertura rivolta ad ovest entrava un po’ della
luce arancione del tramonto. Lo
scrivano ufficiale, un ragazzino nuovo che la ragazza non aveva mai
visto in
precedenza, sedeva al tavolino d’ingresso nonostante non
fosse più orario
d’ufficio, intento forse a compilare il registro delle
contrattazioni del
giorno. Alzò prontamente lo sguardo quando sentì
scostarsi il tessuto e allungò
un braccio oltre il suo piano di lavoro per farle cenno di fermarsi:
-
Non è più orario
d’attività. – sentenziò,
bieco.
-
Lo so. Cerco mio
fratello. – rispose lei, netta, continuando per ripicca ad
avanzare nonostante
il muto invito.
-
Non c’è nessuno
qui. – disse, se possibile ancora più secco.
-
McFerson Clayton.
Deve essere stato qui. –
Principessa
guardava dall’alto al basso il segretario, abbassando solo
gli occhi, compatta
e sdegnosa, le labbra tirate. Quando si fermò davanti al
bancone di legno, si
riavviò i capelli sulla schiena e incrociò
strette le braccia per impedirsi
anche fisicamente gesti inconsulti.
L’addetto
non fece
neanche finta di sbirciare l’elenco delle operazioni prima di
soggiungere: -
Nessuno con quel nome. Vi sbagliate. –
-
Sentite… Doveva
venire qui per un’ordinazione. Ne sono certissima.
– insisté lei, puntandolo
con il sempre maggiore disprezzo espresso dagli occhi neri
assottigliati.
-
E io vi ripeto
che non so neanche chi sia. Quella è l’uscita.
– ripeté, per nulla intimorito,
accennando a che tornasse da dove era venuta.
-
Vedete di rimangiarvi
in fretta questa tracotanza, o non riuscirete a mantenerla a lungo. -
Cominciava
a fare
molta fatica a non arrivare alla prepotenza e alla violenza,
soprattutto per
l’aria strafottente del segretario, comodamente seduto e
affatto preoccupato.
Sentiva di riuscire a mantenere il controllo solo imponendosi il
“voi”,
abbastanza formale da sollecitarle la compostezza da sempre simulata.
Tuttavia
quella minaccia le era venuta spontanea, tanto che non sentiva neanche
il
bisogno di pentirsene a vantaggio di una più sana cautela.
-
Non mi fate per
nulla paura, signorina. – rispose, con un sorriso che
ironizzava su quella
frase minatoria.
-
E fai malissimo.
Non c’è da scherzare con questa ragazza.
–
La
voce era giunta
da dietro una tenda di raso alle spalle del funzionario, dietro la
quale si
aprivano gli spazi privati del tendone. Si scostò a rivelare
un uomo panciuto,
quasi del tutto calvo, ad eccezione di qualche ciuffo grigio sulla
nuca, col
naso aquilino a reggere occhialini in miniatura. Rivolse una pacca
quasi
d’avvertimento sulla spalla del segretario e si
posizionò nel migliore cono di
luce per far rispendere le finiture d’oro della divisa da
sindaco, con un
sorriso sardonico diretto all’ospite.
-
Lemes. – lo
salutò piana e inespressiva la ragazza, accennando solo con
il mento e senza
deporre per nulla l’ostilità compatta.
-
McFerson… -
rispose quello, molto più mellifluo, ma cauto.
Forse
avrebbe
voluto ricambiarle la scortesia di essersi rivolta a lui con tanta
disinvoltura
e informalità, ma l’indisposizione del suo naso
tendeva a ricordargli piuttosto
bene cosa significasse chiamare quella matta con il nome di battesimo.
-
Dov’è mio
fratello, Sindaco? – domandò ancora lei, senza
negarsi una nota di fastidio a
quell’appellativo onorifico.
-
Sono appena
arrivato. Non saprei. – esitò, sospettoso
– Che ne dici se ti chiamo Tyner? –
La
proposta era
evidentemente una garanzia per il vecchio: sapeva bene di non essere in
grado
di trattenere la Strega con le sue sole forze, se questa si fosse
scatenata
nella sua forma migliore. L’ultima volta ci aveva rimesso il
naso – e solo per
averla chiamata amichevolmente con il suo nome- , la prossima rischiava
qualcos’altro
di peggio. Magari la reputazione se si faceva malmenare da una donna
nella sede
della sua famiglia. Meglio cercare da subito rinforzi…
Principessa,
da
parte sua, trovava disgustosa l’idea stessa di vedere anche
esclusivamente da
lontano Lucas F. Tyner, il Tiranno, come lo chiamavano anche i suoi
stessi
parenti. Parlarci poteva poi essere qualcosa di molto sgradevole, anche
se meno
di trovarselo genericamente davanti, con i suoi duecento chili di peso
per due
metri e venti di altezza, e a portata di fiato, dato che sembrava
curare più la
foggia del guardaroba su misura che la sua igiene personale. Tuttavia
non aveva
molta scelta e si limitò a scrollare la spalle, senza
smettere di squadrare alternativamente,
con sufficienza, i due uomini presenti.
Lucas
F. Lemes
scomparve dietro il tendone per qualche istante e ne riemerse
affiancato da un
omone inquietante. Ingioiellato più di una donna e
acconciato quasi meglio, i
capelli castani laccati in impossibili onde sulle spalle, si rivelava
ugualmente una figura di potere virile per via della statura immensa e
del
fisico massiccio per nulla appesantito. Lo sguardo acuto e critico, che
da un
uomo tutto muscoli ci si sarebbe aspettati invece tonto e inespressivo,
segnalava un’evidente vitalità intellettuale, un
pericoloso guizzo di ingegno
che non per niente l’aveva posto a capo alla più
ricca delle dinastie della
Fratellanza.
-
Cosa fai qui,
McFerson? – chiese, per nulla amichevole o tantomeno
diplomatico.
-
Dov’è Clayton? –
gli rispose, a tono.
-
Non ho visto quella
ragazzetta da nessuna parte. – rispose, mettendo su quello
strano vezzeggiativo
ogni genere di volgarità e disgusto.
-
Stai attento alle
allusioni fuori luogo. – lo ammonì, stringendosi
ancora di più nelle braccia
per imporsi il controllo.
-
Perché? Non
negherai di essere tu a “portare i pantaloni” in
famiglia! – sopraggiunse
Lemes, divertito, ma quasi facendosi scudo con il giovane cugino.
-
Da qui a dare a
mio fratello della ragazzina ce ne passa. –
insisté lei, le sopraciglia sempre
più pericolosamente acute.
-
Vorresti
convincermi a scusarmi? – insinuò Tyner,
guardandola dall’alto al basso dopo
aver fatto un passo in avanti.
-
Eccome. – rispose,
raddrizzando se possibile ancora di più la schiena per
recuperare qualche
strategico centimetro nel cono d’ombra del mercante
– Ma ora come ora è più
importante che scopra dove avete nascosto Clayton. –
-
Nessuno ha
nascosto nulla. Non lo vedo dall’ultima volta che sono stato
a Ward-Golfe. –
confermò ancora il dinasta, serio.
-
Doveva venire
qui… - tentò di dire, ma questa volta proprio non
la lasciarono finire.
-
Mi ricorderei se
fosse venuto a versare quello che ci dovete. –
Quella
frase fu un’improvvisa
doccia gelata. Principessa non rispose subito, cercando invece di
razionalizzare quella affermazione piovuta in modo del tutto
inaspettato. Dovevano
qualcosa ai Lucas F.? Impossibile!
-
Giusto! –
confermò Lemes, assestandosi gli occhialini con vana dovizia
– Anzi, se per
caso voleva recarci il saldo del debito, rimandacelo pure quando lo
troverai,
eh! -
-
Non abbiamo
nessun debito. – affermò la ragazza, storcendo le
labbra.
-
Oh, cara, la tua
poca memoria… - iniziò, fingendo filiale
affezione, ma interruppe il teatrino
prontamente all’occhiata crudele che ricevette in risposta, e
fu tentato di
nascondersi dietro il parente più possente –
Confermalo tu, Pexe! –
Il
giovane
segretario, evidentemente fratello minore del Tiranno e da poco
inserito nel
“triunvirato” al potere, storse il naso a quella
richiesta e, piuttosto
disgustato, voltò all’indietro una ottantina di
pagine del registro che aveva
davanti, scorrendo poi i nomi con le dita ingioiellate. Arrivato a
ciò che
cercava, si scostò i capelli impomatati dalla guancia e la
appoggiò pigramente
alla mano, per poi leggere, con molta poca enfasi: -
“McFerson Clayton e
Principessa – per cinquanta chili di carne, due etti di
spezie varie, quindici
fiaschi di vino, trenta barili di birra…”
–
-
Vai al dunque! –
tuonò il fratello, senza smettere di svettare con lo sguardo
sulla ragazza.
Quello
finì di
leggere ininterrottamente anche sotto la lamentela
dell’altro, annoiato: - “…
quattro stoffe colorate e sessanta litri di whisky – per un
totale di 800.000
di berry arrotondati per eccesso.” –
Principessa
non
ricordava alcun debito, eppure a quelle parole qualcosa si
risvegliò nella sua
memoria. L’ultima volta che i Lucas F. erano tornati
sull’isola, quasi un anno
prima, lei e Clay avevano fatto grandi provviste, spendendo davvero un
sacco di
soldi. Le tornò in mente che in quell’occasione
aveva appunto aggiunto qualche
buona stoffa per far fare un vestito da festa per entrambi, conscia che
tanto
il conto sarebbe stato ugualmente astronomico. Così era
stato: non avevano
potuto pagare subito, ma erano stati in bolletta per vari mesi al fine
di
raccogliere i soldi e…
-
Quella roba è
stata pagata quasi sei mesi fa. – affermò, sicura,
passando lo sguardo sui tre
mercanti per ammonirli sull’impossibilità di
replicare alla sua affermazione.
-
Non risulta. –
rispose, scettico, Lucas F. Pexe dalla sua comoda scrivania.
-
Controlla! –
esclamò lei per risposta, puntando un dito sul registro con
uno scatto
aggressivo.
-
Principessa, non
c’è nulla da controllare… -
osservò mellifluo Lemes – Ce lo ricordiamo
tutti… -
“Ce lo ricorderemo tutti,
tranquillo!” aveva
detto il Sindaco, sempre con quel tono fintamente dolce a suo fratello,
quando
questo aveva chiesto debolmente una fattura.
-
C’eri! Tu eri qui
quando siamo venuti a versare quei soldi! – e
spostò repentinamente quel dito,
questa volta accusatorio, sull’anziano mercante.
-
Non mi ricordo
assolutamente… Quando sarebbe successo…?
–
Ora
ricordava,
chiaro che ricordava.
-
Sei mesi fa,
Lemes! I tuoi cugini non c’erano, ma sei venuto tu a fare da
testimone! Hai
fatto registrare tutto a quel segretario che c’era prima,
quel tale… - esitò
cercando di portarsi alla mente il nome del malaugurato ex-segretario.
-
Ufle? Quel
falsario di Ufle? – tuonò Tyner, scoccando
un’occhiataccia al cugino nonché
sindaco.
-
E’ morto. –
affermò allora, con artefatta afflizione e un cenno di
rispetto, il più
anziano.
-
Pazienza! –
esclamò lei, per nulla propensa ad esprimere una compassione
che non provava –
Resta il fatto che aveva scritto tutto! –
Pexe
rivolse
un’occhiata eloquente al fratello maggiore, il quale si
strinse nelle spalle: -
Porta la ricevuta, allora. –
Ma
Principessa
ricordava anche questo, fin troppo bene.
Suo fratello l’aveva guardata
interrogativo
dopo quella rassicurazione del Sindaco. Lei aveva sbuffato:
“Non starò qui a
discutere con te un minuto di più, Lemes. L’idea
mi disgusta. Se il tuo
segretario sta segnando tutto, non ho ragione di lamentarmi!–
aveva detto, per
nulla preoccupata.
Era
stata lei
l’incauta stupida. E adesso?
-
Non ce l’ho. – fu
costretta a rispondere, con un’occhiata di sfida al ragazzo
alla scrivania – Ma
ho visto scrivere la transizione su quel… -
-
Non è quello di
cui parli. – rispose il segretario, muovendo lievemente il
capo in cenno di
diniego, ma senza spostarlo dalla posizione di riposo.
-
Abbiamo scoperto
che Ufle aveva falsificato il suo registro e Pexe si è
premurato di ricopiarlo,
eliminando le note contraffatte. Questa è una copia riveduta
e corretta sulla
base del denaro ritrovato nella cassaforte. Se non hai una ricevuta e
quel
denaro non c’è, per me tu e tuo fratello siete
ancora in debito. – affermò
Tyner, scettico.
-
Lemes! Tu eri
presente! – tentò ancora, gli occhi strabuzzati
che stranamente, nonostante la
rabbia che sentiva salirle alle labbra, sembravano supplicare il
vecchio alla
conferma.
-
Assolutamente no!
– si affrettò a negare, soprattutto avendo
incrociato per un istante l’occhiata
sospettosa del gigantesco cugino.
A
quel punto,
Principessa capì che non avrebbe risposto delle sue azioni.
Strinse
i denti
ancora per un istante, ma non riuscì ad evitarsi di
cominciare battendo un
pugno sulla scrivania di legno pregiato, lieta di aver così
scosso il più
giovane della famiglia dalla sua posizione tranquilla. Si
ritrovò a respirare profondamente
per la foga che sentiva crescerle dentro e forzare tutti i suoi argini
di
cautela. Un istante a malapena percepito e fu su Lemes. Lo
scagliò per terra
incurante della sua età e da lì lo
afferrò per il colletto inamidato,
sollevandolo quanto bastava per continuare a guardarlo negli occhi
mentre gli
urlava il suo disprezzo a pochi centimetri dal viso:
-
Brutto stronzo
bastardo! Dì la verità! Ladro e truffatore!
Schifoso! -
-
Ehi, fermati! –
gridò Tyner, afferrandola per la vita dall’alto,
tentando poi di strapparle la
presa dal cugino.
Per
tutta risposta
lei puntò le ginocchia al suolo per non farsi portare via e
scaricò un nuovo
pugno ben assestato al naso già martoriato di Lemes.
Conclusa quella vendetta
personale e non contenta di prendersela solo con lui anche se
chiaramente più
responsabile degli altri, impresse anche una gomitata ben assestata al
volto
del suo assalitore, che tuttavia, forte della sua mole, non
arretrò di un
millimetro e la strattonò anzi con più forza fino
ad allontanarla dal parente.
Principessa quasi ringhiò e approfittò ancora
della vicinanza dell’altro per
dargli una testata all’indietro. Questo colpo fu molto
più doloroso e, dopo la
naturale esclamazione di dolore, il malcapitato si rivolse a Pexe, in
cerca di
aiuto:
-
Questa è una
pazza scatenata! Dammi una mano! -
Il
fratello guardò
stupito come la mole del consanguineo non fosse sufficiente a far
fronte alla
furia della rossa e aprì un cassetto della scrivania
estraendone un tagliacarte
dal manico dorato. Principessa lanciò una rapida occhiata
all’oggetto e al
segretario che si avvicinava cauto ma brandendo la lama con fermezza,
tuttavia
non smise di dimenarsi.
-
Stai ferma. – le
intimò il più giovane, avvicinandosi
più con la lama che con il corpo,
aumentando il pericolo di ferirli entrambi nella concitazione.
Quando
ormai
Principessa stava, suo malgrado, considerando l’idea di
calmarsi di fronte alla
minaccia di quell’arma appuntita in continuo avvicinamento al
suo spazio
vitale…
Un
urto vigoroso e
inaspettato dalla sinistra buttò per terra lei e
l’enorme mercante che tentava
di tenerla ferma, il quale, per la sorpresa, finì per
lasciarla andare. La
ragazza batté con le braccia a terra, senza farsi troppo
male nonostante il
lastricato marmoreo del molo, ma alzò subito la testa, per
capire cosa fosse
successo.
Tuttavia
non si
stupì più di tanto vedendo una grande figura
mantellata, che abbassava il capo
verso di lei ancora a terra, per controllare che stesse
bene…
§ §
§ § § § § §
§ § § § § §
Buongiorno! ^^ So di essere un
po' in ritardo, ma la ripresa dei corsi ha modificato per l'ennesima
volta i miei ritmi, quindi ho finito questo capitolo una volta
per tutte solo ora.
Ebbene, questi sono (alcuni)
dei Lucas F.. Abbastanza rompiscatole e inquietanti per voi? XD Spero
siate riusciti ad intuire la verità che sta sotto la
sparizione di questi benedetti soldi (se no, no problem, ne sentirete
una spiegazione esplicita molto presto). Inutile dire che ci mancava
questa a peggiorare la situazione già precaria dell'emporio
McFerson... Sono cavoli amari.
Ma quando c'é un
cavaliere senza macchia come il "mantellato"... *_* (Non
sopportate più di sentirlo chiamare così...?
Rimedierò anche a questo! XD)
Per quanto rigurarda il
rapporto tra Johnny e Principessa... Ci ho pensato parecchio, devo
dire, prima di inserire questo accenno. Ci sarà modo di
chiarire come andarono le cose, ma quello che avete letto é
tutto vero (dal punto di vista di Principessa, ma
chissà...). Ne sentirete ancora parlare, comunque.
Chiedo poi scusa per aver
interrotto così bruscamente la scena, ma stavo superando il
limite civile delle 10 pagine di Word e ho pensato fosse ora di darci
un taglio... XD
Grazie a tutti coloro
che passano a leggiucchiare! Grazie a tutti coloro che dopo aver letto
lasceranno un commentino! Grazie a chi segue/preferisce questa storia!
Grazie ai commentatori che saranno tanto gentili da volermi lasciare un
commento anche questa volta! Xd Buona Pasqua!!!!
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Capitolo
5
-
Principessa!
Tutto bene? – chiese il mantellato, premuroso e concitato,
offrendole subito
una mano per rialzarsi.
-
Che diavolo fai
anche qui, tu…? – sbuffò la ragazza per
tutta risposta. Anche se in quel
momento si trattava di un’apparizione provvidenziale e ne
ringraziò la tempestività
in cuor suo, cosa che non le permise di apparire scocciata quanto
avrebbe
voluto.
Accettò
quel
sostegno per rimettersi in piedi, mentre Tyner faceva lo stesso con le
sue sole
forze. Il Tiranno si ritrovava solo un po’ indolenzito per la
caduta improvvisa,
ma non aveva fretta di agire, piuttosto un salutare bisogno di studiare
la
situazione: la ragazza era ancora a portata di mano, ma non era
più interessato
a quella leonessa, quanto a capire chi fosse il personaggio accorso in
suo
soccorso e se potesse considerarsi a buon diritto un pericolo sul loro
territorio o una comparsa di poco valore. Pexe, da parte sua, restava
immobile,
il tagliacarte in mano. Tuttavia in quei pochi momenti molto era
cambiato nel
suo atteggiamento: del tutto diverso dall’aiutante svogliato
e incerto di poco
prima, ora guardava il nuovo arrivato con fermezza
e sicurezza, mentre altrettanto vigorosa era
diventata la stretta su quell’arma di fortuna. Lemes
rantolava ancora a terra,
tamponandosi alla meglio il naso sanguinante, nuovamente frantumato,
con la
manica del prezioso abito. Del resto ai lamenti cominciavano ad
alternarsi le
bestemmie e gli insulti, sintomo che anche per lui lo sbalordimento e
la paura
stavano lasciando il posto all’indignazione e alla rivincita.
-
Signori, non vedo
la necessità di alzare le mani su una ragazza preoccupata
per il fratello. –
affermò lo straniero, con calma, ma scrocchiandosi
gradevolmente le dita – Non
vorrei ripeterlo o dover agire di conseguenza. -
Principessa,
tenuta
alle spalle dalla figura misteriosa in un galante intento protettivo,
alzò le
sopraciglia, incredula. Minacce ora? Contro i Lucas F.? Anche se si
parlava di
uno di “loro”, quindi certamente non una mezza
calzetta, possibile non avesse
proprio il minimo ritegno ad attaccare briga, dopo tutta la cautela di
quel
mantellaccio?
-
D-ridicolo! –
esclamò Lemes, gli occhialini storti, puntandogli addosso la
mano non occupata
da quell’opera di pronto soccorso – D-u d-ubirai le
con-d-eguenze! –
Poi,
gli occhi
fuori dalle orbite, incitò con decisione: - Pec-se! -
A
quel richiamo,
ignaro dell’identità dei presenti, lo straniero
sbagliò soggetto di attenzione.
Preoccupandosi più della ragazza e della prossima presenza
di un Tyner in
realtà tranquillo ed estraneo all’azione,
afferrò di scatto il braccio di
Principessa trascinandola lontano dal gigante e preparandosi a voltarsi
e affrontarlo.
Invece, trovò il mercante voltato a sua volta alla sua
sinistra, intento ad un
cenno di ammonimento al fratello minore: - No, Pexe! –
Quando
il mantellato
rivolse di nuovo lo sguardo al ragazzino armato, questo si era
già scagliato
contro di lui, infilandogli la punta acuminata nel petto.
Principessa
sbiancò. Tyner imprecò a fior di labbra. Lemes
farfugliò un commento trionfale quanto
demente sulla vittoria della dinastia. Pexe, all’apparenza
slanciatosi per solo
istinto sul nemico, non riuscì a nascondere un sorrisetto
mentre estraeva con
un gesto fluido e di puro spregio il tagliacarte. Anzi, nel farlo,
preda della
curiosità morbosa di vedere gli effetti del suo gesto sul
corpo
dell’avversario, intercettò la sottile asola del
bottone che tratteneva
l’indumento tanto coprente e la tagliò di netto.
Si
accorse subito,
però, che qualcosa non andava: la lama era immacolata. Non
solo, ma si poteva
dire arrossata solo perché anche visivamente incandescente.
Alzò
lo sguardo da
quello strano fenomeno, nell’intento di scoprirne la causa,
solo per farlo
ricadere sulla mano che gli aveva improvvisamente stretto
l’avambraccio. Era
calda sulla sua pelle nuda, o meglio sempre più calda, fino
a che si incendiò
letteralmente sotto i suoi occhi. A quella visione stupefacente si
sovrappose allora
la sensazione di un dolore insopportabile e si ritrovò a gridare e dimenarsi senza
potersi sottrarre a
quella stretta, che anzi lo obbligò a lasciar cadere la lama.
-
Al diavolo la
copertura, allora. – sbuffò lo straniero, quieto
come se non fosse appena stato
pugnalato a tradimento, scostando infine il mantello ormai inservibile.
Per
qualche momento
dopo che quell’indumento tanto fastidioso era scivolato
silenziosamente a terra,
ciò che dominò l’alta figura furono
fiamme rosse, vivide e brillanti. Principessa
aveva impiegato qualche istante per capire che cosa stava succedendo e
proprio
quando stava riuscendo a rimettere in ordine le idee abbastanza da
soccorrere
il “ferito”, si era ritrovata quella stoffa tanto
fastidiosa ai piedi e
quell’immagine sconvolgente davanti agli occhi. Il fuoco
brucia e fa male, non
c’erano dubbi, e il più giovane dei mercanti ne
stava giusto facendo una
tremenda esperienza. Eppure doveva fare un forte sforzo per non
immergere le
dita in quel vibrante percorso di lingue ardenti, troppo attraente come
qualcosa di azzardato, troppo rassicurante come qualcosa di controllato
e
amico.
Aveva
sentito
nominare un solo uomo con un potere simile: un nuovo pirata di buone
speranze,
un ragazzino già considerato una minaccia da prevenire, che
per questo la
Marina cercava di ingraziarsi con l’altisonante quanto vuoto
titolo di “membro
della Flotta dei Sette”. Non era la sola ad esserne al
corrente, a giudicare
dall’espressione aspra assunta da Tyner, mentre Pexe quasi
ringhiava per il
disprezzo, oltre che il dolore del braccio bruciato. Eppure, le cose
non le
tornavano, né la sua presenza su quell’isola
perduta, né il fatto che si fosse
recato proprio da Clay a fare quella specifica ordinazione.
Le
risposta le fu
subito data.
Le
lingue di fuoco
presero ad attirarsi a vicenda, ad accorparsi e quasi a sparire sotto
la pelle
di un ragazzo che sembrava tornare a prendere forma dal nulla.
Lentamente,
sempre dalla posizione difesa in cui la stava tenendo, vide ricomparire
una
pelle stranamente chiara, spalle larghe e una schiena ampia e ben
tornita. E su
quest’ultima, nuda appunto, un enorme tatuaggio, ad occuparne
gran parte: un
simbolo tanto noto e rinomato, quanto a lei familiare e caro. Ossa
incrociate e
un teschio per nulla realistico con ampi e virgolati baffoni bianchi.
Emerso
ormai
completamente dalla sua forma precedente, il giovane si
voltò solo parzialmente
alle sue spalle, rivolto alla ragazza che era venuto ad aiutare. I
capelli neri
disordinati a sfiorare il volto ben fatto, la pelle chiara solcata da
poche
lentiggini sulle gote, gli occhi scuri inquieti e sottili, le labbra
tirate e
serrate per la tensione.
Principessa
ricambiò l’occhiata con attenzione nuova per
quella persona che, anche
semplicemente svelandosi così all’improvviso, si
era fatta conoscere infine
anche a lei con un nome e un ruolo ben preciso in quel folle mondo che
circondava la sua famiglia.
Soprattutto,
però,
tutta quella scena le aveva fatto scoprire un inquietante imprevisto ed
era
questo ora, più di tutto il resto, a spaventarla. Di fronte
a lei si trovava un
dejà-vu direttamente da un suo sogno, un momento
già vissuto nel mondo onirico,
ma non un‘esperienza anomala per lei: le capitava molto
spesso, in realtà. Eppure
aveva imparato a conoscere la monotonia e la ripetitività
delle immagini che
animavano il suo riposo, banali come la vita di tutti i giorni. Fino a
quel
momento. La novità, l’inquietante ignoto, stava
arrivando a squassare la
normalità, a partire da quel sogno e dal suo
protagonista…
E
anche l’idillio causato
da quella visione, vittima di tale ragionamento, durò
pochissimo, lasciando il
posto ad un sottile disappunto, causato dalla netta sensazione che la
sorte
stesse cambiando di fronte a lei e non fosse per nulla in grado di
trovarvi
riparo.
-
Ma dannazione… -
imprecò senza remore, lo sguardo assottigliato dalla
disapprovazione. Poi posò
con forza una mano sulla spalla del ragazzo - piuttosto stupito da
quella
reazione di sufficienza ma abbastanza saggio da lasciarla fare - per
spingerlo
indietro, fino a mollare Pexe e allontanarsi dal cospetto dei tre
mercanti,
senza tuttavia azzardarsi a voltare loro la schiena.
-
Principessa… -
tentò di dire, prima di tornare a studiare le reazioni dei
padroni di casa.
Lo
stesso fece lei,
continuando a trascinare il suo salvatore all’indietro fino
all’uscita.
-
Lemes, il tuo
naso faceva già schifo prima, tanto quanto la tua persona
nel suo complesso
comunque. Sindaco o no, ti impedirò ad ogni costo qualunque
ritorsione. –
minacciò.
-
C-d-epa, M-c
Fe-d-son! – le rispose quello, un pugno alzato ad enfatizzare
l’auguro di una
morte prossima e dolorosa.
-
Pexe, il qui
presente pirata non è alla tua altezza e lo sai bene. Fatti
medicare quel
braccio e impara a tenere un registro come si deve. Lascia le ripicche
ad
altri, giovanotto. – intimò ancora.
-
Al diavolo! –
rispose l’interessato, alzando gli occhi acquosi per il
dolore ai due ospiti
indesiderati.
-
Tyner, te lo
chiedo ancora una volta: mio fratello è trattenuto sotto
questo tendone? –
-
No. – rispose,
brusco.
-
Allora non ho
altro da dire. So che ti rendi bene conto della situazione. La mia
clientela ti
serve. Non puoi permetterti, per ora, di veder perire
un’altra compagnia di
intermediari con i tempi che corrono. Quindi conto che dimenticherai
tutti gli
avvenimenti di oggi a solo giovamento dei tuoi affari. –
Il
Tiranno affermò,
perentorio: - Ma tu pagherai tutto il dovuto. Neanche un berry di meno.
–
Principessa
non
riuscì a rispondere a voce, tanto quella sentenza le fece
sentire la gola secca,
e si limitò ad annuire e sperare nella buona sorte.
-
Così sia, allora.
– concluse l’uomo d’affari, sotto le
occhiate incredule dei due parenti feriti.
Non
si sa come né
perché, ma appena fuori dal tendone e alla luce degli ultimi
raggi di sole che
stavano svanendo nell’orizzonte, Principessa
spostò la mano all’avambraccio del
suo salvatore e lo trascinò via di corsa per le strade
fortunatamente quasi
deserte della cittadina. Non c’era pericolo che i Lucas F. a
quel punto li
inseguissero, quindi la fuga non era certo necessaria, ma dettata solo
dalla
concitazione. Molto più logica fu invece la ricerca di uno
stretto vicoletto
lontano da occhi indiscreti per fermarsi almeno a prendere fiato e fare
il
punto della situazione.
Allora
la ragazza
rilasciò il compagno e lanciò ancora una
sbirciata di sicurezza alla strada
dalla quale erano venuti, oltre che compiere un controllo su tutti i
restanti
passaggi per evitare ogni possibile passante molesto. Infine,
abbandonandosi
con uno sbuffo di sollievo al muro del fornaio:
-
Portuguese D.
Ace, anche noto come Ace “Pugno di Fuoco”.
– sentenziò, rivolgendosi
bruscamente a colui che fino a pochi minuti prima avrebbe quasi
preferito
chiamare “straniero”.
Quest’ultimo
aveva
seguito il suo esempio e si era appoggiato con la schiena alla parete
opposta
dello stretto passaggio - quella del falegname - anche se in una posa
decisamente più rilassata: braccia attorcigliate dietro la
testa e piede
appoggiato comodamente ai mattoni a vista, abbastanza in alto da fare
da
appoggio nonostante il ginocchio piegato. Sorrise allegro, forse fin
troppo, al
sentirsi chiamare per cognome, nome e soprannome ad una prima occhiata
e le rispose
con un divertito: - Presente! –
-
C’è poco da
ridere! Senza quel mantello sei una mina vagante! – lo
rimproverò, pronta.
-
Parla quella che
voleva me lo togliessi… - commentò, con un ghigno
– Dovresti essere
soddisfatta… -
E
Principessa lo
era, non poteva che ammetterlo tra sé. Quel matto di un
pirata aveva davvero un
fisico pauroso, che non esitava ad ostentare con
quell’evidente disinteresse ad
ogni indumento che potesse coprirlo dalla cintola in su. Il suo istinto
da
cacciatrice aveva detto bene: quel mantello era un danno di immagine
colossale
per quel ragazzo, ricercato o no. Ora guadagnava un numero
inevitabilmente alto
di punti, aiutato anche da un viso tutt’altro che sgradevole.
Ebbene, poteva
dirsi molto lieta della fine che aveva fatto la malaugurata palandrana.
Tuttavia,
proprio
ora che vedeva e sapeva, capiva anche l’importanza di quella
dannata copertura
e stava cominciando a maledirsi tra sé per non aver avuto i
riflessi abbastanza
pronti da raccoglierla, prima di trascinarlo lontano da quei tre
babbei…
-
Il vecchio Edward
aveva previsto saggiamente quasi tutto e ora sei nei guai. –
concluse a voce
alta.
-
Temo non me la
farà passare liscia, si… – fece sul
subito, ma a quel punto mise insieme tutta
la frase appena ascoltata e soggiunse, stupito – Ma di chi
stai parlando!? –
Principessa
sbuffò:
- Che domande fai!? Del tuo capitano, no!? –
-
Come fai a… -
-
Hai un tatuaggio
grande come te sulla schiena..! – spiegò, allibita
dal poco intuito del ragazzo
e mimando con le braccia un’iperbolica ampiezza del simbolo
in questione, e
riprese – Non ti sei unito da tanto alla ciurma, dato che
ancora nessuno ne è
al corrente. Ecco perché portavi quel mantello! Non dovevi
essere riconosciuto,
mentre dal tatuaggio avrebbero capito tutti che sei diventato un
“figlio” di
Barbabianca! –
-
Ma l’oste… -
cercò di inserirsi, sollevando un dito verso di lei, in
parte quasi per
chiedere la parola, in parte per tentare di obiettare.
-
Johnny ha i suoi
informatori! O comunque ha intuito le cose da sé: quello
è tremendo! Non mi
stupirei se scoprissi che legge giornaletti per signore! –
minimizzò la ragazza,
imprecando mentalmente anche contro il locandiere che era stato tanto
ostinato
nel negarle qualunque informazione preliminare.
-
E’ comunque
strano che tu chiami per nome nostro padre. Nessuno l’ha mai
fatto. – osservò ancora
Ace, sollevando le sopraciglia con atteggiamento vagamente incredulo.
Principessa
esitò
un istante e sbatté le palpebre, quasi indecisa.
-
Era molto amico
di mia madre. – concluse infine.
Il
pirata attese
che aggiungesse qualcosa, come il tono sospeso e la frase lapidaria
lasciavano
intendere, ma non avvenne nulla. Anzi, la ragazza, dopo aver affrontato
intrepidamente lo sguardo dell’interlocutore per quella
sentenza, si chiuse in
suoi ragionamenti, abbassando anche il capo a terra.
-
Io devo trovare
Clay. – disse infine, riuscendo a ritrovare il filo delle sue
necessità.
Il
ragazzo annuì: -
E’ chiaro. Ti aiuterò. –
-
Non mi sembra il
caso. – ribatté lei, sicura – Con
quell’aspetto che urla “ricercato” ai
quattro
venti mi sei d’intralcio. Sarebbe meglio tornassi alla tua
nave. -
Ace
si sporse nel
piccolo spazio del viottolo per dare uno sguardo alle strade
circostanti e
tornò a rivolgersi alla ragazza, con un sorriso che appariva
quasi colpevole.
-
E’ piuttosto
difficile… -
-
Oh, andiamo! Non
ho intenzione di farmi vedere in giro con un pirata stranoto, contando
che
ufficialmente non dovresti essere qui (tanto meno con quel tatuaggio) e
che i
più pericolosi bastardi di quest’isola ci hanno
già visti insieme e crederanno
che siamo in qualche modo alleati! – esclamò lei,
irritata notando come le sue
prese di posizioni fossero del tutto ignorate.
-
Se sei così amica
del babbo, alla fine siamo alleati. – rispose il pirata,
senza perdere
l’atteggiamento placido e conciliante.
-
Ma… - cercò di
controbattere per un istante, poi si arrese all’evidenza -
Che diavolo… Parlo
di fatti, non di saggezza spiccia e concetti sottintesi! Devono proprio
saperlo
tutti che conosco i Pirati di Barbabianca!? – si
limitò a protestare.
-
In quanto “alleato”
ti faccio una proposta: - iniziò lui, ignorando del tutto la
polemica, ma
sorridendo pacifico – perché non aspetti tuo
fratello a casa? –
-
Cosa… - cercò di
interromperlo, scandalizzata.
-
Se non è preso in
ostaggio dai cattivi, probabilmente è a casa o sta pensando
di tornarci.
Potrebbe essere inutile vagare per la città senza meta con
il buio, riuscendo
solo a preoccuparti di più, probabilmente per nulla, e senza
riuscire a vedere
niente e nessuno. Ti accompagno fino là per evitare brutti
incontri e aspetto
di vederlo arrivare. Se poi davvero non se ne trova traccia, vado a
cercarlo
io. Ok? – propose.
Principessa
valutò
in un istante i pro, tra i quali quello di evitarsi un lungo
vagabondaggio con
quello che minacciava voler diventare la sua ombra a forma uomo, e i
contro,
come il fatto che l’attesa di notizie poteva considerarsi a
priori straziante.
Tuttavia si accorse presto che non sapeva dove cercare Clayton dopo
aver fatto
un buco nell’acqua presso i Lucas F., quindi avrebbe davvero
finito per girare
a vuoto.
-
Ecco di nuovo la
tua saggezza da straniero. Un vero fenomeno sovrannaturale. –
osservò con
evidente ironia e fece strada senza
aspettare una risposta. Del resto Ace aveva solo scrollato le spalle
con un sorrisetto
sardonico prima di prendere a seguirla, proprio come un’ombra.
-
Pexe! Che diavolo
ti è saltato in mente!? –
Le
urla del Tiranno
fecero trattenere il respiro a Lemes, che finalmente si era procurato
un
fazzoletto per tamponarsi il naso e attendeva la fine della sfuriata
per
contattare il medico della Fratellanza, probabilmente immerso in
bagordi in
città. Non gelarono invece il sangue del fratello minore,
che anzi prese a
protestare, le mani sui fianchi e voce a tono del consanguineo:
-
Quel tipo ci
stava minacciando! Cosa ne sapevo che fosse un pirata!? –
esclamò, lo sguardo
ardito a sfidare il despota.
-
Attaccare uno
straniero! Uno sconosciuto al quale non si è ancora neanche
chiesta l’identità!
Una follia che poteva costarci caro, se l’avessi ucciso!
– ribatté il più
anziano, con le onde dei capelli irrigiditi dalla lacca che vibravano
per
l’irritazione.
-
E chi dovremmo
temere!? Se fosse successo… -
-
Se fosse
successo, ne avresti pagato tu le conseguenze! Ringrazia i riflessi del
ragazzino, che ha perso consistenza in fuoco per evitare il colpo! O
l’avresti
pagata sulla tua pelle! – e per evidenziare
l’intolleranza a quella
insubordinazione del parigrado ma pur sempre fratello minore, gli
rifilò un
vigoroso manrovescio. Pexe subì, stringendo i denti per
trattenere l’istinto a
reagire, e si limitò a strofinarsi la guancia offesa.
-
Lemes! - riprese
Tyner, cambiando interlocutore – Voglio sperare che quelli
fossero solo deliri
di una ragazzetta nevrotica! –
-
Tyner, non
capisco come puoi… - tentò di dire quello,
ostentando la sua indignazione a
quell’accusa indiretta.
-
Posso! – tuonò il
mercante, insofferente ad udire ulteriori lamentele –
Facciamo parte di una
dannata organizzazione governativa! Se usciamo anche da questa
apparenza di
legalità, perdiamo tutto! Non posso sopportare che si rubi
sotto questo
tendone! E soprattutto non posso accettare che TU rubi, quando tutto
quello che
hai te l’ho dato io, Lemes! Esigo fedeltà da te,
Sindaco! –
-
Ti sono fedele,
cugino! Quella è solo una pazza! – gli rispose,
frettoloso.
-
Pexe…? Mi sei
fedele!? – domandò allora, rivolto a colui che
aveva revisionato il famoso
registro e solo poteva testimoniare contro l’affermazione del
vecchio.
-
Certo. Ho
verificato tutto. – rispose, atono e sicuro.
Il
Tiranno li guardò
entrambi con sufficienza. Quei due non lo facevano sentire sicuro, ma
non
poteva che accettare quelle parole. Del resto, non erano mai andati
d’accordo tra
loro, a che si ricordasse, e di certo non avevano ragione per fare
comunella a
sue spese. Che poi si parlava del danno dell’intera famiglia,
nel caso una
denuncia simile fosse giunta alle orecchie giuste.
Quindi
voltò loro
le spalle e fece per allontanarsi dietro la tenda divisoria.
-
Abbiamo rischiato
di accoppare un “figlio” di quel diavolo di un
pirata… Un sacco di guai
inutili… - commentò tra sé, scuotendo
la testa alla sola idea, poi soggiunse
più forte, rivolto agli altri due -
Cercatemi Koyu! La prospettiva dei danni che
può fare quell’esagitato di
mio fratello lasciato in libertà mi toglie anche la fame! -
Quando
Tyner fu
ormai lontano, Lemes lanciò un’occhiata
preoccupata a Pexe, il quale stese le
labbra in un ghigno crudele:
-
Chiudi gli occhi
quando te lo dico io, Sindaco… E stai tranquillo che il tuo
debito sarà
saldato… - gli annunciò, serafico, prima di fare
ciò che gli era stato detto ed
avviarsi all’uscita del tendone.
-
Quindi, ti hanno
incastrata. – concluse Ace, evidentemente indignato.
Principessa
aveva
interrotto un momento il racconto del dialogo appena avvenuto con i
mercanti,
svoltosi già durante la strada a bassa voce, solo per fare
gli onori di casa
all’ospite e accompagnarlo al secondo piano. Di fianco alla
camera che
condivideva con il fratello minore, si aprivano due stanze collegate
destinate
agli ospiti: un’anticamera piuttosto ampia e il vano da letto
vero e proprio.
Giunti al primo di quegli spazi e chiusa la porta alle loro spalle, si
sedette su
un comodo cuscino posto di fronte ad un basso tavolino
all’orientale e fece
cenno al pirata di fare lo stesso. Assestatasi in quella posizione di
riposo e
al riparo da indiscreti di qualunque genere, si sentiva finalmente
libera di
esternare il proprio disgusto.
-
Più che altro,
Lemes è riuscito a rubare i soldi che avevo versato!
– esclamò, lo sguardo
assottigliato – Li ho consegnati in sua presenza! -
-
Ma riguardando il
registro non hanno trovato la somma nella cassaforte. –
soggiunse il ragazzo,
quasi per verificare di aver capito bene – E sospettando gli
“errori”
dell’altro contabile, hanno dedotto non avessi mai pagato? -
-
Esatto! Se poi
Lemes dice di non ricordarsi neanche che l’abbia fatto
è perché ne sa qualcosa!
Quei soldi sono stati portati via dal fondo dei Lucas F., approfittando
del
fatto che in ogni caso non mi ero fatta fare la ricevuta! –
digrignò i denti
per la rabbia – Sono stata una cretina… -
soggiunse a voce più bassa.
-
E quel tipo
addetto al registro? Non può aver giocato con il sindaco?
–
-
Quello che voleva
ammazzarti…? – domandò per contro
Principessa, con un’occhiata al petto lindo
del pirata – Seriamente, Pexe è furbo, ma odia
Lemes almeno quanto il genere
umano nel suo complesso. Immaginarli fare comunella mi è
quasi impossibile. –
-
E se fosse
successo…? – insisté Ace, sollevando
enfaticamente un sopraciglio.
Principessa
storse
le labbra, lasciando una pausa evidente, come se ci stesse pensando
davvero, e
non mancò di ricambiare completamente lo sguardo
dell’altro.
-
Devo ammettere
che sarebbero guai seri. – sentenziò, cupa.
-
Cosa pensi di
fare ora? – chiese il ragazzo appoggiando entrambi i gomiti
sul tavolino,
serio.
-
Tirare a campare.
– rispose, con tutta la frustrazione che quell’idea
le provocava – Mio
fratello, a patto che stia bene, ha un assegno in mano da incassare,
non so di
quanto. Ad ogni modo, dovremo spenderlo in parte per provviste in parte
per
pagare una quota di questo “debito”. Questo
significa, però… -
-
… che non ci
farete rifornimento. – concluse per lei il pirata.
La
ragazza sospirò:
- Per favore, riferisci a Edward che mi dispiace... La mamma glielo
aveva
promesso, ma non posso accrescere questo debito con tutte quelle vostre
ordinazioni... –
Ace
osservò vero
rammarico mostrarsi in quel volto sempre infastidito o forzatamente
composto e
si chiese quanto dovesse essere profondo l’attaccamento che
quella ragazza
volitiva provava per la madre e la promessa fattale e per il suo
anziano ma
vigoroso capitano.
-
Stai tranquilla.
Scommetto che il babbo preferirà sapere che potete
continuare a mantenervi,
piuttosto che preoccuparsi della dispensa. – le rispose con
un lieve sorriso,
che voleva consolarla e che risultava debole solo perché
nell’anima
l’ingiustizia continuava a farlo fremere di rivincita.
-
Temo anch’io che
la penserà in questo modo. – rispose.
E
questa volta
furono malinconia a dolcezza a risultare palpabili a quelle semplici
parole,
anche queste due emozioni tanto intense da figurare strane in chi
dimostrava di
solito solo la forza prepotente di furia e aggressività. Il
ragazzo pensò che
quella era davvero una persona complicata.
Era
passata un’ora
buona da quando si erano ritirati in casa della ragazza e il clima si
era
stemperato, anche se l’attesa degli eventi aleggiava
pesantemente su entrambi.
-
Sbaglio o il tuo
stomaco brontola come se non mangiassi da giorni!? –
esclamò, allibita, all’improvviso.
Ace
rise con
un’allegria contagiosa: - Eh si, avrei un po’ di
fame… -
-
Non ho molto da
offrire, però. – ci pensò un secondo
– Un piatto di pasta? -
-
…e basta…? –
chiese, innocente.
-
Be’, io non sono
molto brava in cucina, non saprei farti altro, neanche volendo.
–
Quella
frase le
stava riportando alla mente la scomparsa dell’unico davvero
abile ai fornelli...
Non poteva evitarsi di stare in ansia di fronte alla sua assenza
così
prolungata, ma aveva deciso di non farsi prendere dal panico. Nascose
quindi
subito la tensione con uno scatto nervoso, il dito accusatore
sollevato: –
Comunque, che modo di fare è!? Sarai anche un ospite, ma
queste pretese!
Accetta ciò che ti viene offerto, no!? –
-
E’ che un piatto
di pasta non mi sfama per nulla… - protestò
educatamente, incrociando le
braccia e appoggiandole sul basso tavolo di fronte a lui.
-
E che dieta
segui? – domandò lei, corrucciando le sopraciglia.
-
Dieta…? –
sembrava caduto dalle nuvole.
-
Chi deve
mantenere un certo fisico segue una dieta, no? – chiese,
aspettando una risposta
affermativa. Evidentemente non arrivò e, dopo aver studiato
l’aria spaesata del
ragazzo, concluse, con impazienza: - Questa sconosciuta, quindi! Chi
fatica tutta
la vita tra dieta ed esercizio fisico ti odierebbe di sicuro!
–
-
Perché? Tu sei a
dieta? – domandò, incuriosito, reclinando la testa.
-
IO!? Ne avrei
bisogno!? – esclamò, punta sul vivo –
Dillo se credi che sia grassa! –
-
No, non intendevo
questo. – rispose, scuotendo il capo, ma decisamente
tranquillo. Stava
cominciando ad imparare che preoccuparsi quando lei mal interpretava le
sue
parole era inutile: la maggior parte delle volte si trattava di un
semplice riflesso
della sua permalosità.
-
Diciamo che mi
trattengo nel mangiare. – rispose infine, non trovando nella
quietanza dell’interlocutore
alcun appiglio alla sua protesta – Una ragazza fine non deve
mangiare molto o
rischia di apparire volgare. –
-
E non ti stufi
mai di fingerti quello che non sei? –
Principessa
lo
fissò per un istante con scetticismo, come se non volesse
credere di poter sentire
una frase tanto scontata. Eppure come sempre il pirata non
mostrò alcuna
esitazione, come se sapesse perfettamente che quella domanda aveva
colto nel
segno. Allora non le rimase che sospirare e, dato che quel gesto fu
molto
simile ad una dolorosa ammissione, si abbandonò sui cuscini
che circondavano il
tavolo alla sua destra, sdraiandosi praticamente a terra. Da quella
comoda
posizione, girò poi il capo verso il ragazzo, seduto proprio
da quel lato: - Se
ti dicessi di “si”, avresti raggiunto infine il
pieno dei tuoi “punti-Saggezza”
di oggi? – domandò, sarcastica.
Ace
tese le labbra,
divertito, e si piegò un po’ verso il basso, verso
di lei, distesa proprio a
pochi centimetri dalla sue gambe incrociate: - Non so cosa
siano… Ma immaginavo
che non ti divertisse così tanto questa continua recita.
Malriuscita poi, se
posso dirlo. -
-
Adesso non ti
allargare con questo “malriuscita”! Me la cavo
discretamente bene! – protestò,
corrucciandosi, ma senza minimamente volersi spostare da quella
posizione.
-
Se lo dici tu… -
E
a quel punto un
rumore sordo fece quasi tremare le pareti.
L’espressione
divertita sul loro volto sfumò in un certo sgomento, mentre
quel suono finiva
di rimbombare sostituito da un pesante quanto veloce ritmo di nuovi
colpi,
sempre più forti, in avvicinamento. Prima che potessero
realizzare di cosa –
logicamente – si trattasse, la porta si spalancò
rumorosamente.
-
Prin! Dimmi che
sei qui! – gridò Clayton, accaldato e con il
fiatone, i capelli scarmigliati
che sfuggivano dall’elastico che doveva trattenerli.
Ciò
che si trovò
davanti non lo aiutò più di tanto a ritrovare il
controllo, comunque. Certo,
sua sorella era lì, ma non era sola. Era sdraiata a terra
tra i cuscini, come
faceva sempre volentieri, ma c’era un ragazzo sconosciuto
seduto troppo vicino.
A suo modo di vedere poi, non c’era cosa più
minacciosa di come lo sconosciuto
fosse piegato con la testa e le spalle verso il viso della
consanguinea. Prima
che il cervello potesse compiere le interconnessioni necessarie, il
respiro veloce
si fermò del tutto per un istante appena percepibile e
uscì, corto e rauco, in
un momento altrettanto breve: - COSA CREDI DI FARE A MIA SORELLA, TU!?
– gridò,
le mani immediatamente sporte in avanti e strette a pugno.
E
Principessa, che
per cinque secondi aveva fatto in tempo a gioire in cuor suo della
vista del
suo giovane fratello e stava quasi accarezzando l’idea di
sorridergli
rassicurata e andargli incontro sulla soglia, si pentì
immediatamente di quei
ragionamenti sentimentali.
-
Non sta facendo
nulla, scemo! – lo rimbeccò, insofferente,
strofinando mollemente il capo
contro il cuscino per impedirsi gesti inconsulti quali alzarsi e
prenderlo a
testate, nell’ordine per averla fatta preoccupare, spaventare
e infine infurire
alla prima riapparizione.
-
Chi è, Prin!? –
domandò allora, guardingo e incapace di sciogliere la
tensione accumulata.
-
Lo straniero
dell’altro giorno, senza mantello. E’ della ciurma
di Edward. – gli rispose,
piana e sintetica.
Ace
annuì con il
capo, cordiale: - Ci siamo visti l’altro giorno. Molto
piacere. –
Clay
lo squadrò
ancora incerto, fino a riconoscere in quel volto quieto, a lui ancora
ignoto a
causa di un certo indumento malamente smarrito, l’assenza di
ogni minaccia.
Quindi riprese finalmente fiato a pieni polmoni: - Grazie al
cielo… -
-
Tu, piuttosto!?
Ti sembra l’ora di rientrare!? Non mi sei neanche venuto a
prendere da Johnny!
Non sei andato dai Lucas F.! Dunque, Clayton!? –
scattò la sorella,
rimettendosi prontamente in piedi, pronta alla ramanzina con tanto di
mani sui
fianchi.
Il
fratello si
rabbuiò e, dopo aver stretto cordialmente la mano al pirata,
sospirò:
-
Forse è meglio se
torni seduta, Prin… -
Il
ragazzo si
sciolse la coda ormai sfatta quasi al solo fine di sfogare il
nervosismo: prese
infatti a tormentare i capelli biondi tra le dita, a lisciarli e a
scompigliarli alternativamente.
-
Ebbene? – chiese brusca
Principessa, rivolgendo un cenno enfatico al fratello perché
si decidesse a
fornire la sua spiegazione.
-
Sono andato in
banca a ritirare l’assegno. – iniziò,
cercando disperatamente le parole giuste.
-
Quindi!? –
insisté lei, anche se quella premessa le faceva dubitare di
voler davvero
sentire il seguito.
-
Poi ho incontrato
Koyu, Prin. –
-
Oh, ma
dannazione! – esclamò la ragazza, esasperata.
-
Chi sarebbe? – si
inserì il pirata, sbattendo gli occhi, incerto.
-
Lucas F. Koyu,
fratello minore di Tyner, l’omone fru-fru,
e fratello maggiore di Pexe, il ragazzetto con il tagliacarte. Si
occupa delle
trattative con i pirati e degli affari loschi della Fratellanza.
Attaccabrighe
patentato. – spiegò Principessa frettolosamente,
per poi aggiungere, concitata
– Cosa ha combinato!? –
-
Era ubriaco e
stava già litigando con un cliente della birreria in fondo
al viale. Credevo di
poter passare silenziosamente, senza dare nell’occhio. Ma
Koyu mi ha afferrato
e ha cercato di mettermi in mezzo. Ha detto qualcosa di
strano… ha parlato di
un debito che avrebbe estinto se gli avessi dato manforte…
So che non abbiamo
debiti con i Lucas F., ma anche il suo avversario si era scaldato
parecchio e
ormai mi puntava: credo fosse ciucco altrettanto. Insomma, sono finito
in mezzo
alla rissa. –
-
Clayton!
Maledizione! – esclamò la sorella, battendo un
pugno sul basso tavolino. Lo
aveva chiamato di nuovo con il nome completo: decisamente un brutto
segno.
-
Non sapevo che
fare! Sai che non l’avrei mai fatto di proposito! Anzi, ho
cercato di scansarmi
appena ho potuto, ma nel frattempo altra gente era uscita dal locale e
si era
unita alla baruffa! Non sono più riuscito a trovare scampo!
–
Poi
scostò i
capelli dal capo e le indicò un cerotto seminascosto dalla
lunga chioma: -
Credo mi abbiano colpito con qualcosa di appuntito. Ho perso i sensi.
Non so
quanto tempo dopo mi sono svegliato. –
Principessa
lo
guardò con apprensione: - Ma stai bene ora? –
domandò, infondo pentita delle
proprie urla di poco prima.
-
Si, si! Mi ha
medicato Kibo, il postino: io non mi ero neanche accorto di sanguinare,
anche
se lì per lì la testa mi faceva un po’
male. Ora va meglio. – la rassicurò.
-
Potevi anche
andare da un vero medico! – osservò lei, con aria
di rimprovero.
Clay
sospirò: - …se
Wasper non si fosse dimostrato il più ardito sostenitore
della zuffa… -
Principessa
alzò
gli occhi al soffitto: - Sapevo già che fosse un dottore del
tutto
inaffidabile, ma questo supera davvero le mie aspettative…
Quell’idiota si
mette a menar le mani, adesso! –
Ma
l’affermazione
non riuscì a divertire Clay, che, un po’
più pallido di prima, disse, tutto
d’un fiato:
–
Quando mi sono svegliato,
i soldi erano spariti. –
La
ragazza chiuse
gli occhi e batté forte la testa sul tavolo. Avrebbe voluto
urlare e imprecare,
ma per la verità le veniva quasi da ridere di fronte alla
follia del declino e
della sfortuna che li stava colpendo. Chiaramente, si trattava comunque
di un “ridere
per non piangere”.
-
Ecco. – riuscì
solo a dire, la fronte ancora poggiata al mobiletto.
-
Prin, sono
disperato! Ho cercato la mazzetta tutto il giorno! Non mi capacito di
come
abbia fatto a perderla! – esclamò il fratello,
mortificato.
-
Non ti è passato
per la testa che magari abbiano approfittato del tuo svenimento per
rubartela?
– domandò, devastata se possibile ancora di
più dalla sprovvedutezza del
ragazzo.
-
Oh cavolo… -
commentò allora, con una smorfia.
-
Appunto. Sono
persi, Clay. Era anche inutile perdere tempo a cercarli. – e
aggiunse, furiosa
alla sola idea – Se fosse stato Koyu, oggi la Fratellanza
potrebbe dire di aver
fatto poker sulle nostre spalle! –
-
Perché!?
Cos’altro è successo!? –
domandò Clay, preoccupato – Quando alla fine mi
sono
reso conto che non potevo continuare a girare a vuoto, sono andato da
Johnny a
cercarti, ma non c’eri più! Mi sono spaventato, ma
lui mi ha detto che
probabilmente eri già rientrata a casa e di non
preoccuparmi. –
Ace
rivolse uno
sguardo d’intesa a Principessa, la quale accennò
ad un sorrisetto. Il
locandiere aveva fatto bene a non condurre anche il più
giovane nella tana del
leone. D’altra parte, questa risposta dimostrava anche la
fiducia cieca che
aveva riposto nell’uomo mandato a vegliare sulla sua amica:
questo gesto di
stima colpì molto lo stesso pirata.
-
Infatti non c’era
nulla di cui preoccuparsi. – osservò allora Ace,
rassicurante.
-
No,
assolutamente! – esclamò Principessa, con lieve
ironia – Tanto i veri danni ce
li avevano già fatti e alle spalle! –
-
Non capisco
nulla! – protestò Clay, passando velocemente gli
occhi marroni dall’uno
all’altra in cerca di spiegazioni.
-
Ne parliamo dopo
da soli, Clay. – concluse Principessa, sbrigativa.
Ace
tentò di
protestare, ma la ragazza lo fermò con un cenno brusco: -
Niente da fare! Hai
già fatto fin troppo e non ha senso che tu si esponga
più di così! Noi ce la
caveremo! – e soggiunse poi – Immagino tu debba
anche tornare alla tua nave,
tra l’altro. Si staranno chiedendo dove sei
finito… -
Il
ragazzo sorrise:
- Nessun problema. Mi starà venendo a prendere. –
I
fratelli si
guardarono di sottecchi, straniti.
-
Cosa vuol dire? –
chiese Principessa, con aria decisamente interdetta.
E
subito bussarono.
Più precisamente, batterono con forza e impazienza la porta
che proprio da
quella stanza dava sul balcone sul retro.
-
Ma che diavolo… -
iniziò la padrona di casa, decisamente irritata dallo strano
fenomeno quanto
dal vigore dei colpi. Non stupita, non più dopo gli strani
eventi di quel
giorno che andava a terminare.
-
Vado ad aprire, Prin!
O chiunque sia ci butta giù la porta! –
osservò saggiamente Clayton, anche lui
ormai entrato nella fase di pura accettazione degli eventi.
Fece
in tempo a
girare la chiave, poi il passaggio si spalancò, rischiando
di buttarlo per
terra. Un individuo avanzò con passo spedito e nessuna
esitazione presso il
tavolino e posò pesantemente una mano sulla spalla del
pirata.
-
Muoviti. –
sentenziò, atono.
-
Ciao! Ti
aspettavo, Regy! – rispose Ace, per nulla stupito.
La
stretta si fece
più forte, ma lo sconosciuto non ritenne di dover ripetere
quella sorta di
ordine.
-
Dai, siediti! La
notte è ancora giovane! – insisté
l’altro, per nulla smosso da quel gesto, anzi
battendo una mano sul cuscino a fianco a lui.
-
Ehi! Tu chi
saresti!? – proruppe Pricipessa. Non perché fosse
davvero curiosa di saperlo. Piuttosto
intendeva far notare al tipo quanto fosse maleducato piombare in casa
altrui
senza presentarsi o degnare i padroni di quel minimo di attenzione
previsto.
Quello
alzò la
testa per rivolgere la prima occhiata alla ragazza che si trovava di
fronte.
Aveva un viso attraente, dai tratti ben rifiniti, la mascella morbida e
gli
zigomi non troppo rilevati. Gli occhi erano di un azzurro spaventoso,
tanto
brillanti da sembrare finti. Eppure la perfezione era solo toccata, non
raggiunta appieno. Al contrario di quanto ci si sarebbe aspettati, i
capelli
erano castani, lunghi e lucidi, legati in una coda e lievemente
schiariti a
tratti dal sole. Una cicatrice attraversava un sopraciglio e scendeva
obliqua
sulla tempia, senza sfiorare l’iride ma togliendole un
po’ di idealizzazione.
Poi
stupiva molto
l’assenza di espressività di occhi e bocca. Se da
una parte enfatizzava ancora
una volta l’ideale ultraterreno suscitato da
quell’individuo che qualcuno
avrebbe definito “angelico”, dall’altra
l’atteggiamento appariva troppo fiero e
superbo, come una patina di disinteresse per ogni contatto con
l’esterno, che
evidentemente doveva colpirlo solo interiormente. A patto che qualcosa
potesse
farlo.
-
Chi sei? –
domandò quello da parte sua, senza molta intonazione
interrogativa.
-
Te l’ho chiesto
prima io! – esclamò la ragazza, indignata.
-
Ha ragione però.
– osservò Ace, girando il capo
all’indietro per intercettare il volto del
compagno.
-
Comyol Regynald Thadeus
– rispose con tono piano, sfidandola con lo sguardo.
-
Non era
difficile. – affermò Ace, ancora conciliante.
Questa
volta fu
l’altro ad insistere, limitandosi ad un minimo cenno del
mento
all’interlocutrice.
-
McFerson
Principessa… - rispose di malavoglia – Mio
fratello Clayton… - aggiunse,
indicando il biondo, che si teneva con cautela il più
lontano possibile
dall’occhio del ciclone.
Un
guizzo
attraverso per la prima volta gli occhi del pirata, andando a corrugare
quanto
bastava le sopraciglia. Fu decisamente ostile
quell’espressione, ma ciò non
stupì la ragazza, che continuò incurante quella
sfida di sguardi.
Finché
Ace si alzò
in piedi, scrollandosi da addosso la mano dell’amico: -
Be’, non state facendo
amicizia, mi sembra. Quindi meglio che andiamo. –
affermò, per nulla
preoccupato.
Si
stava ancora
stiracchiando plasticamente, quando Regynald gli voltò le
spalle e prese a
tornare da dove era venuto, senza una parola. L’altro,
abituato, scosse la
testa tra sé:
-
E’ fatto così.
Scusate. Buonanotte. – saluto, un po’
frettolosamente per non perdere di vista
il compagno.
-
Buonanotte. –
rispose lei, imbronciata.
Clayton,
benché
sbalordito, non osò fermarli quando uscirono sul balcone e
si calarono
tranquillamente dal cornicione. Si limitò a guardarli
allontanarsi, notando così,
però, un elemento prima passato inosservato. Sulla camicia
bianca che il tale Regynald
indossava, come un vezzo, sopra una magliettina azzurra, seminascosto
dalla
lunga coda che gli scorreva lungo la schiena, era stampato il gabbiano
della
Marina.
-
Chi era quello? –
domandò Clayton, sicuro per l’espressione cupa che
aveva assunto la sorella che
ne sapesse più di quanto era sembrato.
-
Un pirata della
ciurma di Barbabianca, immagino. – rispose, sul subito
evasiva.
-
E…? –
-
Un ricercato per
tradimento della Marina. –
§ §
§ § § § § §
§ § § § § §
§ § §
Buonanotte! ^^
Mi scuso
notevolmente per il grave ritardo, ma ho dovuto rivedere il mio
programma in corso d'opera. Ho scoperto che questo non poteva essere in
nessun caso l'ultimo capitolo (ehnnò) di questo primo
frammento di storia: ci vorrà almeno un altro capitolo se
non due, ma lo saprò appena mi rimetterò a
scrivere il prossimo (tipo domani, spero).
Altra cosa che non
ha aiutato la puntualità: chiaramente il contenuto che avete
letto. Dovevo dire mille e una cosa in poco tempo, quindi é
facile che abbia fatto più danni che altro. Per la serie,
sono molto lieta di come ho reso l'entrata in scena ufficiale di Ace,
molto poco di come ho finito per introdurre Regy. Dato che si tratta
del mio terzo personaggio originale di primo piano volevo fare le cose
in grande, ma da una parte lo spazio scarseggiava (quasi 12 pagine di
Word é un campanello di allarme), dall'altra é
uomo talmente spiccio e di poche puntuali parole che non sapevo in che
altro modo renderlo "spettacolare" (ed entra dal balcone! XD).
E poi... La
sensazionale spontaneità di Ace, il panico "del fratello
minore" di Clay, la drammatica perdita di speranza di Principessa,
l'inquietante mistero del passato di Regy... E i Lucas F. nella loro
interezza, che ogni tanto mi chiedo da dove siano saltati fuori... XD
Spero sia stato un
capitolo spettacolare (e assurdo) quanto era nelle mie aspettative! E
almeno un po' di avervi incuriositi! ^^
Grazie a chi commenta, a
chi legge e potrebbe lasciare un commentino (lo faccia, please), a chi
ha inserito questa storia tra preferite/seguite/segnalate e infine a
chi segue il delirio qui ben rappresentato e lo capisce! XD
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Capitolo
6
Il
sole era sorto
da un po’. Si infiltrava ai lati della tenda che copriva alla
meglio il tondo
oblò della nave, ma non riusciva a baciare il giovane
comandante, ancora
placidamente addormentato.
Del
resto era
tornato alla Moby Dick ad un’ora piuttosto tarda. Poi aveva
dovuto raccontare
tutto al Capitano, anche se il suo stomaco non sembrava in grado di
sopportare il
prolungato digiuno. Il Vecchio si era divertito moltissimo ascoltando i
riferimenti alle stranezze di Principessa, anche se la sua evidente
accondiscendenza
dimostrava come fosse ben al corrente del carattere della ragazza, ma
lo
trovasse originale quanto perfettamente appropriato. Molto meno aveva
gradito
la spiegazione della condizione dell’emporio e della truffa
dei Lucas F.: il
suo sguardo si era fatto molto duro, ma nei fatti si era limitato a
dire che il
suo Secondo Comandante aveva agito nel modo migliore difendendo la
giovane ed
evitando di farle compiere colpi di testa. Nient’altro. Ace
aveva dovuto
riconoscere con se stesso di non conoscere ancora abbastanza bene suo
“padre”,
ma gli era sembrato assurdo che avesse deciso di non fare nulla,
neanche
spaventare un po’ quei mercanti da strapazzo con
l’altisonante nome della loro
ciurma.
Allora
si era
ripromesso di parlarne con Marco dopo cena, ma non l’aveva
trovato. A forza di
chiedere in giro, aveva scoperto che era impegnato a parlare proprio
con il
babbo. Inoltre, tornando alla cabina aveva incrociato Regy e
l’aveva trovato
ancora più cupo e compassato del solito.
Insomma,
si era
risolto di andare a dormire - dato che il sonno non gli mancava mai - e
aspettare gli eventi. Per quanto di norma preferisse
l’azione, gli capitava
sovente che la semplice attesa di risvolti riservasse sorprese ancora
più
interessanti.
Anche
quella volta
fu così.
Aprì
un occhio alla
prima luce che era arrivata a sfiorarlo e si concesse un lungo
sbadiglio,
mentre riportava alla mente i ricordi del giorno precedente.
Stiracchiandosi e
mettendosi seduto si stava preparando a chiarire la situazione e
puntualizzare
la sua posizione: bisognava dare una sonora lezione alla Fratellanza,
anche al
fine di difendere i due fratelli appena conosciuti e fare finalmente
giustizia.
Sorrise tra sé e stirò plasticamente le braccia
verso l’alto pensando a cosa
avrebbero detto i suoi “fratelli”:
l’ennesima questione di principio di un
ragazzino testardo. Ma non si sarebbero tirati indietro e anche il
babbo alla
fine avrebbe annuito e li avrebbe lasciati fare, ne era certo.
Poi
aprì gli occhi
e lo vide.
Un
bell’indumento
lucido color panna appeso ad un attaccapanni posto sulla porta della
cabina,
ora chiusa. Aggrottò le sopraciglia corvine per un breve
momento e fissò
quell’elemento estraneo al normale contenuto della camera con
sguardo ancora
addormentato.
Infine
si batté una
mano sulla fronte…
#
# # # # #
Clayton
si
abbandonò sulla sedia, davanti alla tavola imbandita per la
colazione.
Non
aveva fame, non
aveva energie. Erano andati a dormire piuttosto tardi la notte
precedente, ma
soprattutto lui non era poi riuscito a chiudere occhio. Aveva ascoltato
Principessa raccontare, contratta e oltraggiata, tutto ciò
che era successo
sotto il tendone della Fratellanza e lui non era stato in grado di
parlare,
neanche quando avrebbe potuto lamentarsi dell’eccessiva
sicurezza con la quale
quel giorno tanto lontano la sorella aveva messo a tacere le sue
osservazioni
riguardo alla ricevuta. Non perché, data la situazione, quel
foglio avrebbe
potuto cambiare le cose, ma perché la mancanza di cautela
era la cosa peggiore
quando si trattava con simili istituzioni truffaldine e una sorella
maggiore
doveva essere più saggia del fratello minore o qualcosa non
andava. Ecco,
avrebbe dovuto dire qualcosa del genere e urlare e lamentarsi, per una
volta in
vita sua. Eppure aveva taciuto. Non solo perché anche lui
era riuscito a
peggiorare la situazione perdendo il denaro in quella rissa che
l’aveva visto
partecipante non volontario.
Lucas
F. Ufle,
precedente notaio della Fratellanza locale, era un uomo molto civile ed
era
stato malamente affogato. Non che una brava persona avesse
possibilità di
sopravvivere in quella banda di briganti autorizzati, ma Clay aveva
sperato che
continuasse ad essere il loro punto di riferimento
nell’infausta famiglia al potere.
Non gli era stato concesso. Anzi, qualcuno dei suoi stessi famigliari
aveva
pensato bene di infangarne lo stesso ricordo, parlando di truffe quando
era
proprio lui l’unico a non perpetrarne. No, Ufle non era mai
stato suo amico, ma
un omicidio così violento l’aveva comunque
demotivato ad ogni affermazione e
presa di posizione. Così sarebbero finiti anche loro se
avessero tentato di
alzare la testa. Quindi ora, senza un soldo e con un debito
inimmaginabile da
pagare, avrebbero semplicemente dovuto tacere e farsi da parte,
ritenendo ormai
solo di salvare la pelle. Principessa fremeva per la rabbia e la
frenesia, ma
quando lo guardava aveva solo paura, e solo per lui. Perché
lei se la sarebbe
cavata in ogni caso, era facile ammetterlo: non era fatta per fare la
commessa,
lo sapevano entrambi da sempre, e se fosse stata sola avrebbe lasciato
molto
presto l’emporio al suo destino e quell’isola alla
stessa sorte. Clayton sapeva
di essere una fonte di timori e preoccupazione per lei, un limite ai
suoi desideri,
qualunque fossero e neanche li conosceva davvero. Eppure per lui era
importante
avere quel mestiere, quel punto di riferimento, quella vita
abitudinaria e
semplice e, a chi gli chiedeva come facesse ad accontentarsi,
rispondeva che si
trattava dell’esistenza per la quale aveva imparato ad
adattarsi. Aveva smesso
presto di domandarsi come avesse “imparato” e come
sarebbe andata se la sua
strada non si fosse indirizzata su quel binario: non era bene ragionare
sulle
ipotesi. La persona che era diventato aveva bisogno di
quell’appiglio sicuro.
E
ora non c’era più
nulla di certo.
Non
aveva formulato
verbo, era andato in camera, si era cambiato e infilato a letto. Solo
per
fissare in silenzio il soffitto, ore e ore, fino alla sveglia. Aveva
preparato
la colazione come sempre, anche se sentiva lo stomaco serrato.
Appena
finite le
attività che potevano tenerlo occupato, era stato come
aprire un rubinetto: la
sua mente aveva ricominciato dall’inizio a far scorrere tutti
gli interrogativi
e i ragionamenti della notte, di nuovo, con maggiore
intensità. Sapeva di avere
occhiaie spaventose, le aveva intraviste nello specchio del bagno, ma
non
sentiva neanche la stanchezza naturale tanto i suoi pensieri erano
fluidi,
tesi, fitti. Si stropicciò gli occhi, incapace anche solo di
immaginare cosa
avrebbe detto alla sorella. Perché avrebbe dovuto dire
qualcosa, almeno quella
mattina…
-
Clay. – lo chiamò
Principessa comparendo sulla soglia.
Neanche
lei
sembrava molto riposata, i capelli rossi malamente fermati in una
pinza, addosso
l’abito rame che metteva solo quando l’umore era
pessimo, i piedi calzati da
scarpe con il tacco che strisciavano un po’ sul pavimento ad
ogni passo. Non
era in forma, anche se il trucco copriva molto bene i segni della
stanchezza
dal viso.
Si
sedette sulla
sedia dall’altro capo del tavolo e riprese, nonostante la
mancata risposta: -
Dobbiamo decidere cosa fare. –
Si,
era evidente.
La bancarotta inevitabile doveva portarli a capire se avesse senso
continuare
con la storia dei sue bravi bottegai o cominciare subito chiudendo
quell’emporio, una volta per tutte. Clayton si
sentì un groppo in gola e guardò
spaurito la sorella.
-
Anche questo
negozio è un ricordo di nostra madre. Abbandonarlo senza
combattere mi sembra
orribile nei suoi confronti. Eppure lottiamo con qualcosa di
più grande di noi…
Non ne vedo la via di uscita, Clay. –
Sapeva
di essere
pallido, sapeva di avere gli occhi dilatati dal timore, sapeva di
apparire
patetico. Deglutì a vuoto.
Cosa
ci poteva
essere di così terribile nell’andarsene? Lontano
da quell’isola ci sarebbero
state possibilità, svolte, speranze. Molti suoi clienti gli
avevano narrato le
grandi cose che avvenivano sui mari, in luoghi tanto distanti da non
essere
concepibili dalla sua sola immaginazione. Quei racconti risvegliavano
qualcosa
che non conosceva, quasi un’identità diversa dal
comodo negoziante che era: si
sentiva attraversato da un’energia speciale, capace di fargli
compiere ogni
avventatezza, annullando ogni altra cosa se non la curiosità
e la ricerca. Ma
in un istante, appena la porta del negozio si chiudeva alle spalle dei
coraggiosi, era di nuovo Clayton e anche solo aver pensato quelle cose
gli
causava un brivido. Era un debole, ne era perfettamente consapevole, e
non solo
perché non era mai stato in grado di difendersi da solo, ma
prima ancora perché
neanche sapeva cosa andare a cercare.
Gli
uomini sono
tali finché sono attraversati dalla tensione verso un
obiettivo a loro
estraneo, non necessariamente eroico, anche piccolo e comune. Ma lui
non ne
aveva e, peggio, non ne voleva avere. Muoversi nel mondo esterno era
attuare
l’inseguimento di qualcosa, altrimenti era solo un perdersi
nel nulla.
Non
voleva partire
per quell’ignoto senza fine. Non voleva lasciare le cose che
aveva. Non voleva
correre rischi che non poteva affrontare perché troppo
debole.
Così
lo disse.
-
Chiederò per quel
lavoro di postina. -
Il
suo fu poco più
che un sussurro, ma Principessa lo udì perfettamente. Lui,
da parte sua, vide
nettamente la scarica di rifiuto che la attraversò,
facendole ritrarre le mani
e distogliere lo sguardo, raddrizzare la schiena con un guizzo,
storcere le
labbra imbellettate per un secondo. Tuttavia tornò subito a
guardarlo e, anche
se neppure prima sembrava molto positiva e ottimista, gli
sembrò che sua sorella
avesse visto spegnersi l’ultimo bagliore di luce.
-
Si, d’accordo. –
disse solo e si versò il the.
#
# # # # #
-
Devo andare! -
Ace
proruppe sul
ponte come una furia, facendo sobbalzare tutti i compagni.
-
Dio, che
spavento! – esclamò Izo, contrariato, soprattutto
per il brutto sbaffo di
rossetto che si era procurato.
-
Ma bravo! Buon
viaggio! – commentò invece un divertito Satch,
rivolgendo anche un cenno della
mano al compagno.
-
Scemo. – lo
rimproverò per contro Haruta, rifilandogli un colpetto sulla
nuca. Al che
entrambi scoppiarono a ridere.
-
Dove stai
andando, eh? – lo fermò invece Marco, con
un’occhiata sbieca.
-
Devo riportarle
questo! L’avevo dimenticato qui! – rispose
frettolosamente, porgendo alla vista
del collega uno spiegazzato indumento color panna, che questo
poté solo
constatare essere di seta.
-
Una donna,
fratellino!? – esclamò, improvvisamente
interessato, l’uomo dal ciuffo ribelle
– Una bella donna, per aver tenuto un suo ricordo, direi! -
-
Satch, taci una
volta… - lo riprese il Primo compagno, con un cenno
insofferente più che
arrabbiato, e continuò – Ace,
cos’è e di chi sarebbe? -
-
E’
un… golfino, credo… - rispose sbrigativo,
con la prima parola che gli era venuta in mente –
L’aveva dimenticato in quel
locale, dovevo lasciarlo al padrone, ma ho pensato che tanto dovevo
rivedere o
lei o il fratello all’emporio… -
Lo
sguardo solo
apparentemente offuscato del compagno tornò a concentrarsi
su quel pezzo di
stoffa, come se improvvisamente vi vedesse molto più di poco
prima: -
Principessa…? – sussurrò, stupito,
rischiando di perdersi in un mare di ricordi
a quel solo nome.
L’altro
tuttavia
non vi fece caso, troppo preso a cercare di spiegare il più
velocemente
possibile, gesticolando anche animatamente: - Potevo lasciarlo
là! Chissà che
cavolo mi è preso! Solo che poi l’ho appeso qui
e… Devo riportarglielo prima
che partiamo, Marco! – concluse di un fiato.
Al
sentirsi
interpellare, tornò al presente in un attimo e scosse la
testa: - Non è il
momento. Partiremo tra poche ore, dato che la Marina progetta per
domani
l’arrivo in massa. –
-
E cosa ne dovrei
fare di questo!? – protestò, scuotendo con foga il
copri spalle di fronte al
collega – Magari per anni non torneremo qui! Cosa ne faccio!?
- e prima che
l’altro potesse fermarlo, scattò a prendere la
passerella ancora montata per la
terraferma – Vado e torno, Marco! Di sicuro! -
E
quello neanche
gli rispose: capita l’antifona, si era diretto placidamente
al passaggio per la
stiva.
-
Regy! Devi fare
di nuovo la babysitter! –
#
# # # # #
-
Andiamo. - aveva
solo detto Principessa, una volta finito di lavare i piatti.
Il
fratello non
aveva più osato fare uscire una sola parola dalla bocca,
sicuro che ogni altra
ritrattazione e accondiscendenza avrebbe solo causato ulteriori danni.
Quindi
si limitò a seguirla fuori dalla porta, che chiusero a
chiave alle loro spalle.
Anche
se la posta
era poco lontana e il tragitto davvero breve, si accorsero al primo
incrocio
sul loro percorso che qualcosa non andava.
Un
crocchio
rumoreggiava e discuteva animatamente nel bel mezzo della via, senza
alcun
interresse dei passanti.
-
Be’…? – fu la
sola osservazione di Principessa, le mani appoggiate ai fianchi.
Clayton
invece si
avvicinò al gruppo per cercare di capire il motivo di tanta
concitazione.
-
… E’ una buona
notizia! – aveva appena esclamato una donna tarchiata con in
braccio un
neonato.
-
Ma come!? Alla
fine siamo noi a rischiare grosso. Se si scontrano
sull’isola… - protestò
allora un padre di famiglia vestito di un grembiule da lavoro.
-
Non si è mai
visto! Non c’è più rispetto per la
povera gente! Anche noi abbiamo i nostri
diritti! – sbraitò sopra le altre voci un vecchio
che armeggiava con un bastone
di legno.
-
Infatti vengono a
tutelare noi, allontanando per un po’ la feccia che si
riunisce in questo
posto! – lo contestò il donnone, facendo
ballonzolare il povero bimbo.
-
Non fare
l’ingenua! Verranno solo per farsi due parole tra ufficiali e
trattare con la
Fratellanza, come al solito! Poi, come un lampo, se ne andranno
fregandosene di
noi…! – scosse la testa il falegname, la roncola
al fianco, appena unitosi alla
discussione.
-
Ma il problema
non è questo! – si inserì a voce ancora
più alta un ragazzetto con la cresta,
mettendo a tacere tutti gli altri bruscamente – E’
troppo presto! Si metteranno
a combattere, ci sarà un sacco di casino! Metteranno a ferro
e fuoco l’isola! –
Clayton
aggrottò le
sopraciglia e batté timidamente un dito sulla spalla del
falegname vicino a
lui: - Scusate, ma… Cosa sta succedendo? –
domandò.
Stilton
lo guardò
stralunato per un istante: - Ma, Clayton, in che mondo vivete!? La
Marina! Sta
arrivando! –
-
Si, certo… Domani
comincia la Convention…! – si ricordò,
annuendo tra sé.
-
Ma no, ragazzo
mio! – lo riprese paternamente l’anziano artigiano
– Sulla torre di guardia
hanno già avvistato le navi a qualche miglio marino! Saranno
qui tra un’ora al
massimo! –
-
E’ troppo presto!
– stava ancora urlando il giovane crestato in mezzo alla
folla, che ora annuiva
a quelle parole, preoccupata – I pirati sono ancora tutti
sull’isola! Si
faranno a pezzi qui e noi saremo in mezzo! –
Clayton
si voltò
prontamente ad intercettare l’occhiata allarmata della sorella. Ora erano davvero
guai.
#
# # # # #
- Ma sono convinto! -
-
Non direi. –
Regynald
indicò con
enfasi la strada alla sua sinistra, mentre Ace continuava a fissare,
interrogativo, quella di destra.
-
Seriamente, Regy.
So che sei molto bravo in queste cose, ma… Era di
là. – cercò ancora il ragazzo.
-
No. – concluse,
secco.
Si
fissarono un
istante: sguardo indeciso ma conciliante degli occhi neri di Ace,
occhiata
rigida e implacabile degli occhi azzurri dell’ex-marinaio.
-
Immagino di no. –
affermò infine anche l’altro, seguendo la via
opposta al suo parere.
#
# # # # #
-
Non lo sapranno
senz’altro! -
Principessa
arrancava sulla via piena di gente, nella direzione opposta alla
maggior parte
della calca, seguita da un fratello molto meno atletico e decisamente
meno
inserito nella foga del momento.
-
Magari siamo
malpensanti… Magari… - tentò Clayton,
con il fiato corto.
-
Ah! Come no!? –
riprese lei, rabbiosa. Si fermò suo malgrado ad aspettarlo
e, solo dopo aver
imprecato sonoramente, riprese: - Se non ci fosse stato quel gruppetto
di
esagitati poco lontano da casa, non lo sapremmo neanche noi che ci
abitiamo,
qui! –
-
Va bene, ma non
sai neanche dove hanno attraccato! Nel senso, nel porto no di certo:
quella
nave enorme dà nell’occhio! Quindi dove stiamo
andando!? – protestò ancora il
più giovane, la voce spezzata dalla fatica.
-
Da uno che di
certo ne sa più di noi…! – gli rispose,
sbrigativa.
Clayton
sbuffò, tenendosi
la milza: - E anche Johnny, con il suo bar interno - costa… -
#
# # # # #
-
Fratelli! -
Il
richiamo del
compagno arrampicato dell’albero maestro sferzò
l’aria e giunse ai pirati a
prua.
-
Cosa…? – domandò
Jozu, scoccando uno sguardo alla parte più alta della nave,
da dove proveniva
quella voce.
-
Guardate
all’orizzonte! –
Tutti
si
assembrarono sulla sponda sinistra della Moby Dick, con aria
interrogativa. Per
ora si vedevano dei puntini, nient’altro, ma erano
numerosissimi, da ogni lato
del mare che si apriva di fronte a loro.
-
Che cosa sono!? –
gli gridò per contro Satch, con una smorfia.
-
Marina! – si
limitò a urlare la vedetta.
I
Comandanti si
rivolsero subito un’occhiata perplessa tra di loro.
-
Di già…? –
osservò Haruta, cercando conferma nello sguardo mesto di
Marco.
-
Diavolo, quei due
stanno ancora girando per l’isola! –
esclamò Vista, battendosi una mano sulla
fronte.
#
# # # # #
-
Locandiere senza
speranza! -
-
Principessa, non
è cortese… - si limitò a rispondere
quello, senza neanche voltarsi verso
l’ingresso trionfale dell’amica.
-
Johnny! – lo
chiamò invece Clayton, tra un respiro affannoso e
l’altro.
-
Oh, ci sei anche
tu, Clay!? – disse allora, molto più
accondiscendente, sorridendo placido –
Visto che tua sorella è in splendida forma!? –
-
No, ascolta… -
fece, a fatica.
-
Hai visto il
“mantellato”? – intervenne lei,
sbrigativa, ma attenta ad evitare
l’interessamento degli astanti.
-
No… Ma credo sia
un bene… Avete sentito, giusto? –
domandò, con un’occhiata complice,
confermando la sua nomea di ottima fonte di informazioni.
-
Ok, ma diciamo
che noi volessimo esserne sicuri… Dove dovremmo
andare…? – chiese Principessa,
criptica ma impaziente.
Johnny
fece allora
cenno al ragazzo, ripresosi dal fiato corto, di avvicinarsi. Poi gli
sussurrò
all’orecchio:
-
Se volessi trovare
una bella balenottera a bordo spiaggia, andrei verso la scogliera a
sud… -
-
Una che…? –
protestò Clay, interdetto.
Ma
Principessa gli
afferrò una manica della camicia e lo trascinò
verso la scala.
-
Ci vediamo,
psicotico! – e il locandiere sorrise, la mano alzata in segno
di saluto.
#
# # # # #
Lo
sguardo di
Regynald Comyol esprimeva da alcuni minuti un disappunto palpabile. E
ancora
non aveva smesso di fissare con astio la porta chiusa
dell’abitazione dei due
fratelli.
-
Credo sia un
problema, Regy. Sono d’accordo con te. –
osservò Ace, accondiscendente – Ma non
è continuando a fissare con odio quella porta che lo
risolverai. -
-
Torniamo. – fu
l’unica parola che il ragazzo, tra l’istinto
omicida e la più cupa
insofferenza, riuscì a pronunciare.
-
Si, certo. –
L’altro,
tuttavia,
si voltò, pronto alla prossima smentita. Era certo che
quella non fosse una
resa alla razionalità a tutti gli effetti e nascondesse anzi
un nuovo
proposito.
Non
sbagliava.
-
Però voglio prima
provare alla locanda. – rispose, infatti, Ace, risoluto, con
il copri spalle
ormai spiegazzato ancora in mano.
Regynald
aveva già
smesso di contare le volte che aveva perso le staffe al seguito di quel
pirata
privo di senso dell’orientamento e di quel minimo di
ragionevolezza che si
richiedeva ad un uomo d’avventura. Quindi essere sul punto di
perderle anche in
quel momento non gli sembrò altro che la conferma di un
fatto ormai assodato:
aveva bisogno di più meditazione zen per sopravvivere su
quella nave e al
seguito di quegli scavezzacollo.
-
Strano, però… Cosa
ci fa tutta questa gente agitata in giro…? –
osservò l’altro, estraneo a quel
ragionamento e quasi accorgendosi in quel momento della
quantità di gente che scorreva
disordinata per le strade intorno a loro – E guarda quelli
come corrono! Ma non
è la ciurma del… -
-
Non c’è tempo. –
tagliò corto l’altro, spingendolo alle spalle
verso la via alla loro destra, in
direzione del locale.
Non
ci voleva un
genio per capire che stava per succedere qualcosa e in questi casi il
tempo non
era mai sufficiente…
#
# # # # #
-
Il Capitano si è
appena addormentato. - dissero le infermiere, frenando l’orda
che si stava
precipitando nella cabina di Barbabianca, da qualche tempo non troppo
in forma.
-
Cavolo… - osservò
Satch, sempre con più lingua degli altri – Tocca a
te, quindi… -
Marco
detto “la
Fenice”, Primo Comandante della ciurma, si ritrovò
prima di tutto a sospirare e
a fare strada ai compagni per tornare sul ponte sferzato dal vento. La
camicia
viola sbottonata cominciò subito a sventagliare, insieme al
ciuffo di capelli
biondi, mentre osservava la distesa marina.
Diede
uno sguardo
ai profili di quelle che ormai alla vista di tutti erano navi della
Marina, almeno
un centinaio, tanto vicine all’isola che ancora per poco il
tragitto di una
nave grande quanto la Moby Dick sarebbe passato inosservato.
Probabilmente l’avrebbero
davvero notata, ma sarebbero passati oltre, consci che inseguirli ed
attaccarli, benché in simile vantaggio numerico, avrebbe
creato notevoli
conseguenze. L’importante per la loro nave era non essere
lì, attraccata in un
porto franco nel pieno delle celebrazioni per la “Convention
Generale della
Marina d’Assalto”. Che poi si trattava della solita
stupida autocelebrazione
dei potenti, a suo parere, soprattutto quando di così
potente non avevano nulla
tranne il nome.
Pensò
per un
momento a quella scalmanato di Ace. Se fosse stato da solo, in giro
senza meta
anche perché senza senso di orientamento, ci sarebbe stato
da preoccuparsi
seriamente: un migliaio di marinai in libertà, un solo
pirata senza punti di riferimento
ma una testa molto dura… Invece c’era Regy con
lui: non solo la persona più
imperscrutabile e irritante della ciurma – perché
a volte batteva anche Satch,
il che era clamoroso -, ma anche l’unico abbastanza
irremovibile da trattenere per
un po’ quella testa calda e, non ultimo, una bussola umana
assolutamente
perfetta. Non per niente era il maggiore conoscitore delle rotte del
Nuovo
Mondo di tutta la dannata Marina, prima che se lo giocassero in quel
modo
clamoroso… Per loro, invece, era stata una grande fortuna.
-
E’ un problema,
ma mi fido di Regy. – concluse Marco, tra sé e a
vantaggio dei compagni
circostanti – E poi, insomma, sono solo quattro
giorni… - ma quest’ultima frase
con molta meno sicurezza: sarebbe bastato molto meno per fare grandi
danni.
–
Salpiamo! –
proclamò ad alta voce, tra la sorpresa dei più.
#
# # # # #
Poi
girarono un
angolo e…
-
Ahi! – esclamò
Clayton, quando un piede gli schiacciò malamente
l’alluce.
-
Cosa diavolo…!? –
fu invece il commento della ragazza, che si ritrovò
letteralmente addosso ad un
armadio umano. Ma prima che potesse lamentarsi e spintonare quel tipo
che
andava in giro a petto nudo e senza guardare cosa faceva…
-
Principessa! –
Lei
dovette solo
alzare lo sguardo per accertarsi della situazione.
-
Ace!? – esclamò,
celando la sorpresa con l’irritazione – Allora
avevo ragione! Cosa fate ancora
in giro!? –
Fu
lui a fare un
passo indietro, e lo stesso fece Regynald al solo fine di togliere il
piede
dalle dita del ragazzo di fronte a lui.
-
Ti dovevo
riportare questo! – le rispose, mettendole davanti il copri
spalle color panna,
ormai immettibile.
Per
un momento fu
talmente sconvolta da non sapere cosa dire. Anche suo fratello si
chiese come
fosse possibile e non poté fare a meno di restare a guardare
la scena. Aveva
spalancato gli occhi tanto da sembrare spiritata.
Infine
sbottò: -
Perché mi hai portato via il copri spalle, tu!? –
-
Non te l’ho
portato via! – protestò lui –
L’avevi dimenticato…! –
-
Per nulla! Io non
dimentico niente! –
-
Era alla locanda!
–
-
E potevi
lasciarlo lì! O sei una qualche specie di
psicopatico…!? –
-
Perché volevo
riportartelo!? –
-
Perché te lo sei
tenuto, ecco perché! E ora hai i rimorsi di coscienza!
–
-
Ma che stai
dicendo!? –
-
No, cosa state
dicendo tutti e due! – esclamò Clay, decisamente
sconvolto.
Il
silenzio calò
improvvisamente ed entrambi si voltarono verso di lui.
-
Ma vi sembra il
momento!? Prin, ricordi qual è la situazione!? Sono in guai
seri! – continuò il
ragazzo, facendo poi scorrere lo sguardo fino all’altro
pirata di fronte a lui.
-
Sta arrivando la
Marina! – gridò improvvisamente lei, riprendendo
il necessario contatto con
l’immediata realtà.
-
Solo domani. –
disse l’ex-marinaio, con un tono che non voleva ammettere
repliche.
-
No, oggi! – lo
contraddissero i fratelli, perfettamente in coro.
#
# # # # #
La
scogliera scura
di Ward-Golfe alle spalle, leggermente lucida per gli schizzi
d’acqua che la
lambivano, si allontanava, mentre in realtà era
l’enorme mole della nave pirata
a scorrere sulla piana superficie del mare. Pericolosamente vicini, i
galeoni
della Marina aprivano la formazione per scorrere intorno
all’isola, in
direzione del porto a nord, molto più ampio e ben fornito.
Inutile dire allora
che la via meridionale appariva perfetta per l’allontanamento
– non la “fuga”, che
sia chiaro - della grande imbarcazione fuorilegge.
-
Ma avremo fatto
bene? – domandò Jozu al Primo compagno, le grosse
braccia incrociate e lo
sguardo di fronte a loro.
Satch
produsse solo
un mugugno e un’occhiata a Marco di fianco a lui.
-
Anche se si
trovassero nei guai, ci sono sempre i fratelli McFerson. Anche il babbo
sarà
d’accordo. – osservò
quest’ultimo, un sorriso sbieco sulle labbra.
-
Dì piuttosto che
lo speri, carissimo..! – esclamò Satch, mentre
immaginava i guai che avrebbero
combinato quei quattro, insieme ad un migliaio di marinai…
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Buonanotte!!! ^^
Chiedo scusa per
il tempo lasciato passare: la sessione estiva é stata
più delirante del solito e mi ha procurato un serio vuoto
d'ispirazione... u_u
Ebbene, con questo
capitolo si chiude questo "primo episodio" della saga! Ve lo
aspettavate!? Spero di no! XD
Quindi, come da
ragionamento del buon Satch: Ace, Regy, Clay e Prin... con un migliaio
di marinai!!! Dai, vi ho incuriositi un po'? Avrete la pazienza di
seguire un nuovo racconto di questa serie? Presto sui nostri schermi
(spero)! XD
P.S.: Mi scuso per
gli "a capo" dopo gli asterischi di stacco... Non so perché
NVU a volte non me li vuole mettere... ù_ù
Grazie a tutti coloro
che hanno avuto la pazienza di leggere! Grazie a chi ha inserito la
storia nei suoi elenchi! Mille grazie in più a chi ha avuto
la suprema gentilezza di commentare, magari anche tutti i capitoli! ^^
E (perché
no?) ringrazio tutti coloro che vorranno leggere il seguito!!!! XD Ma
sappiate che il seguito ci sarà nonostante tutto!
Baci baci!!!!!
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