Was it a dream?

di RikkuEchelon94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Prologo ***
Capitolo 2: *** 2. Pancake, Cannella e Rabbia ***
Capitolo 3: *** 3. Un sogno che mi era sembrato realtà ***
Capitolo 4: *** 4. Was It a Dream? ***
Capitolo 5: *** 5. Shannon ***
Capitolo 6: *** 6. Sangue e Lacrime ***
Capitolo 7: *** 7. Segreti ***
Capitolo 8: *** 8. I Love You ***
Capitolo 9: *** 9. La dura verità ***
Capitolo 10: *** 10. Dolore ***
Capitolo 11: *** 11. Dura Scelta ***
Capitolo 12: *** 12. Goodbye London ***
Capitolo 13: *** 13. Errori e Decisioni ***
Capitolo 14: *** 14. Mai più come prima ***
Capitolo 15: *** 15. No Happy Ending ***



Capitolo 1
*** 1. Prologo ***



Was it a dream?

1. Prologo



Salve a tutti lettori! Ho deciso di provare a scrivere questa storia da un momento all’altro, mi sono messa davanti al computer a pensare e mi sono detta: “Beh, se poi vedo che non riesco ad andare avanti nel racconto perché non ho idee non la pubblico neanche”. Ed adesso siete qui, davanti al Prologo, ciò vi dovrebbe far capire che sono riuscita ad andare avanti.. ;)
Spero davvero che vi piaccia!

RikkuEchelon94


 

Mi svegliai. Il sole faceva capolino tra le nuvole, illuminando il fondo del letto. Sentii la sua mano accarezzare i miei fianchi e scorrere fino a sfiorarmi dolcemente il collo, facendomi venire i brividi lungo la schiena. Riuscivo a percepire il suo respiro dietro di me, la sua mano iniziò a scendere di nuovo sui fianchi e a giocare con l’elastico del mio pigiama. Sapevo che mi stava guardando, ma non volevo voltarmi. Una mano iniziò ad accarezzarmi i capelli, massaggiandomi la nuca mentre l’altra era passata ad accarezzarmi il ventre con un tocco leggero. Si mise a giocare con il mio piercing, creando intorno ad esso dei disegni di cui solo lui conosceva il significato. Le sue labbra si poggiarono con incredibile dolcezza sulla mia spalla, baciandola lentamente. Quel tocco caldo mi tolse il respiro e mi fece trasalire. Mi girai, i miei occhi si persero totalmente nei suoi, catturandomi.
“Buongiorno…” la sua voce era calma e un piccolo sorriso si disegnò sul suo volto, continuai a guardarlo, era così maledettamente bello e i capelli neri gli donavano moltissimo.
Mi limitai a sorridergli e poggiai le mie mani sul suo petto nudo seguendo la linea dei suoi muscoli. Iniziai a chiedermi come un uomo così potesse anche solo pensare di stare con una ragazza come me. Si avvicinò a me spostando le lenzuola e iniziò a sfiorarmi la guancia con la mano, i suoi occhi sorridevano e mi davano una sensazione di speranza, la speranza che tutto questo non sarebbe mai finito. Mi baciò di nuovo la spalla e iniziò a salire baciandomi il collo e il mento. Finalmente posò le sue labbra sulle mie, sfiorandole appena. Le nostre bocche iniziarono a muoversi insieme, con una smania quasi animalesca, sentii il desiderio di averlo, subito. Le sue mani iniziarono ad accarezzarmi con prudenza. Sentivo solo i nostri respiri sempre più affannosi e le lenzuola che si adattavano ai nostri movimenti. Jared mi prese per i fianchi e mi trascinò fino a portarmi sopra di lui. Sentivo la sua pelle calda sotto la mia, le sue mani mi accarezzavano la schiena, le sue labbra soffocavano le mie, il suo respiro affannoso… Le mani scesero e mi tolsero i pantaloni del pigiama, mi staccai dalle sue labbra e mi sfilai la maglietta, la distanza seppur minima dalle sue labbra mi fece morire. Le sue mani cercarono di slacciare il reggiseno mentre mi tuffavo di nuovo verso quella bocca così perfetta. Il debole rumore del reggiseno che si apriva gli fece scappare un ghigno. Sentii il suo tocco, le sue mani sul mio dorso, che scendevano fino ad arrivare sull’elastico degli slip, ci giocò con malizia fino a quando la mia schiena s’inarcò per la frenesia. Lo baciai e lo portai a ribaltare le posizioni. Mentre provvedevo a togliermi quei dannati slip lui si adagiava su di me, facendo forza sui muscoli delle braccia per non schiacciarmi con il suo peso. Lo baciai ancora e sentii la sua mano che accarezzava il mio ventre scendendo sempre più.
Una musica interruppe quell’atmosfera. Jared si fermò e si alzò dirigendosi verso il comodino.
Sbuffai, “Quel maledetto Blackberry deve rovinare sempre tutto!” Jared mi guardò sorridendo e rispose al telefono.

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Capitolo 2
*** 2. Pancake, Cannella e Rabbia ***



Was it a dream?



2. Pancake, Cannella e Rabbia



Vi ringrazio per le recensioni positive che mi hanno spronato ancor di più a continuare a scrivere questa storia e, spero, che anche tutte le persone che hanno letto il Prologo anche senza lasciare un commento siano rimasti soddisfatti e continuino a leggere… :)
Grazie Ancora :D

RikkuEchelon94



 

Camminai scalza diretta verso la cucina indossando una delle sue canottiere. La annusai, sentire il suo profumo mi fece girare la testa. I miei passi producevano un lieve rumore che fu presto coperto dalla voce di Jared. Stava ancora parlando al telefono, quello stramaledetto Blackberry. Mi appoggiai all’isola della cucina e mi misi ad osservarlo affascinata mentre mi stava preparando la colazione e allo stesso tempo litigava al cellulare. Non so con chi stesse discutendo, ma dalla rabbia con cui Jared rompeva le uova per fare i pancake, mi preoccupai seriamente della buona riuscita del pasto. Ma che importava, mi stava preparando la colazione! Caddi in brodo di giuggiole e continuai a seguirlo con lo sguardo, era così dannatamente sexy. Ad un certo punto Jared si accorse della mia presenza, alzò lo sguardo e mi sorrise. Quel sorriso, quanto lo amavo. Seppur stesse litigando con qualcuno, riusciva sempre a sorridermi, come se non volesse che io mi preoccupassi per lui. Spostò di nuovo lo sguardo continuando a tenere d’occhio la padella, aggiungendo sempre più spesso un “No!” secco alla discussione. Improvvisamente appoggiò la mano alla padella calda. La ritrasse subito, ma non riuscì a contenere del tutto un urlo strozzato di dolore. Scattai in piedi e mi avvicinai a lui preoccupata. Presi la sua mano tra le mie girandola per vedere il danno e la misi sotto il getto dell’acqua fredda. Jared fece un sospiro sofferente, ma riuscì a chiudere la discussione con tono dolce “Shan ti richiamo dopo… E’ tutto ok, non ti preoccupare.” e riattaccò.
Mi allungai un po’ per spegnere il fuoco del fornello per poi tornare a guardare la mano di Jared. “Va meglio, non ti preoccupare. Adesso è tutto ok!” mi sorrise.
Lo guardai adirata, “No! Tu non riuscirai a liberarti di me tanto facilmente, con una frase fatta. Io sono qui davanti a te, non dall’altra parte di una cornetta.”.
Lui mi guardò e mi sorrise di nuovo “Sei davvero carina quando ti preoccupi” mi baciò e si avvolse la mano con un panno bagnato. Lo guardai, non riuscivo ad essere arrabbiata con lui e quando mi baciava e mi guardava in quel modo… Mi dimenticai perfino cosa era successo. Si legò con un nodo improvvisato la fasciatura della mano e lanciò via il panno umido.
“Ok, la colazione è da buttare via…” si avvicinò a me con uno sguardo malizioso e mi cinse i fianchi con le braccia “Che ne dici di riprendere da dove siamo stati interrotti?”. Risi e lo baciai allungandomi sulle punte dei piedi. Mi prese di peso e ricominciando a baciarmi mi adagiò sul tavolo della cucina. Sentii la sua mano sotto la canottiera, sui miei seni, aveva un tocco gentile. Mi sedetti e iniziai a sciogliere la cordicella del suo pigiama. Fremetti quando mi morse il lobo dell’orecchio e baciai le sue spalle mentre continuavo a cercare di togliergli i pantaloni. Un rumore assordante ci bloccò, DLIN DLON!
Sbuffai e mi lasciai cadere sul tavolo, Jared mi guardò, e ridacchiando si avviò verso la porta. Lo sentii aprire, poi dei passi pesanti nell’ingresso. Mi alzai e andai in camera a mettermi qualcosa di più coprente, ascoltando la conversazione.
La voce di Shannon era allegra, curiosa e inconfondibile “Fratellino! Buongiorno, io e Tomo eravamo preoccupati e così abbiamo..”
“Hai…” intervenne subito Mofo per puntualizzare.
Shannon riprese con tono offeso “…così HO insistito, per venire a vedere se era tutto apposto da queste parti”.
Jared chiuse la porta sbuffando “Venite, andiamo di là…”.
Si spostarono in cucina ed io li raggiunsi poco dopo, indossando un paio di shorts e una maglia, presa a caso per la furia dal cassetto tra le tante.
Shannon si girò e, venendomi incontro allegramente, si allungò e mi baciò velocemente a stampo sulle labbra. Cominciammo a ridere, ma l’avventatezza del fratello provocò in Jared un forte schiarimento di voce. Tomo mi si avvicinò e mi abbracciò stringendomi forte, quell’uomo era così dolce, anche se non sembrava. Sorrisi, “Buongiorno!”.
Shan annusò l’aria “Cos’è questo buon odore?”
Tomo lo imitò e azzardò in tono beffardo “Cannella?”. Ridemmo tutti insieme, ma lessi un po’ di preoccupazione negli occhi azzurro ghiaccio di Jared. Si accorse che lo stavo guardando così alzò lo sguardo incrociando il mio e mi sorrise per tranquillizzarmi. Mi avvicinai a lui e lo baciai, poi girandomi verso gli altri due membri del gruppo inventai sul momento una scusa plausibile per lasciarli soli, “Bene ragazzi, io vado a fare un po’ di shopping. Così voi potrete parlare delle vostre questioni da uomini” sorrisi e loro m’imitarono, Jared cercò di farlo, ma era notevolmente poco convincente.
Andai in camera e chiusi la porta per cambiarmi. Rimasi ferma qualche secondo, poi mi lasciai scivolare lungo lo specchio, sedendomi a terra. Appoggiai la testa sulle ginocchia e le cinsi con le braccia, iniziando a pensare. Vedere Jared che stava così mi stava logorando, ma non avevo idea di cosa stesse succedendo, e lui non me ne avrebbe sicuramente parlato. Trovai la forza di alzarmi e vestirmi, avrei parlato con lui da sola, al mio ritorno. Mi misi le scarpe, presi la borsa e le chiavi di macchina. Uscii chiudendomi la porta alle spalle e con essa anche le forti grida di rabbia che provenivano dalla sala, ignorandole con difficoltà.

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Capitolo 3
*** 3. Un sogno che mi era sembrato realtà ***



Was it a dream?



3. Un sogno che mi era sembrato realtà



Innanzitutto vi vorrei chiedere scusa per lo shock che questo capitolo vi potrebbe causare... Non vi preoccupate perché tutto si sistemerà ;) Poi, ancora una volta vi ringrazio per il vostro sostegno e ancora una volta spero che la storia vi piaccia e che continuiate a leggerla. Inizialmente, devo ammettere, che scrivevo questa storia solo per me, una sorta di fantasia, ma adesso è leggermente diverso. Da quando ho pubblicato il Prologo inizio a sentire che la storia non è soltanto mia e mi sento in dovere di continuarla per tutti quelli che la stanno vivendo con e come me…
Grazie, di nuovo del vostro sostegno e delle vostre recensioni, che mi hanno spinta a continuare a scrivere. :)

RikkuEchelon94



 

Salii in macchina velocemente. Le gocce di pioggia tamburellavano sul parabrezza della macchina. Lanciai la borsa e tutti i sacchetti sul sedile del passeggero e appoggiai la testa allo sterzo per riprendere fiato. Pensai che forse non era stata una buona idea andare fino a Long Beach, per fare shopping quando il meteo aveva predetto un peggioramento verso l’ora di pranzo e forti precipitazioni. Alzai la testa e inserii le chiavi.
Un debole squillo mi distrasse, presi il telefono e guardai il messaggio che mi era appena arrivato: ‘Se ne sono andati… Dai su, torna a casa. Ho bisogno di te…’ la dolcezza, la vulnerabilità e la debolezza di Jay in quel momento mi fece sciogliere il cuore.
Misi in moto la macchina e accesi la radio. Cercai di calmarmi, non riuscivo proprio a capire perché fossi così agitata. In mezz’ora sarei tornata a casa e avrei potuto passare il pomeriggio con Jared a riparo dalla pioggia e dal freddo. Mi allacciai la cintura e, accesi i tergicristalli, partii. La pioggia si faceva sempre più fitta e riuscivo malapena a vedere la strada, ma decisi di non fermarmi. Non avevo voglia di starmene ferma, in macchina, sul ciglio della strada ad aspettare che la pioggia si placasse.
Improvvisamente qualcosa attraversò la carreggiata, passando pochi metri davanti alla mia macchina. La prima cosa che mi venne d’istinto di fare fu di premere il freno velocemente e girare lo sterzo a destra. La macchina scivolò sull’asfalto bagnato e finì la sua corsa impattando frontalmente contro un albero sul margine della strada. Picchiai la testa contro il volante così violentemente da perdere i sensi. La strada era buia e neanche una macchina passava di lì, nessuno poteva aiutarmi.


*****************************************************************

 

Cercai di aprire gli occhi, ma la luce era troppo accecante. Sentii una mano calda posarsi sulla mia fronte e poi toccarmi il braccio.
“Jared…” riuscii a dire debolmente.
“Virginia, ancora con questa storia?! Devi smetterla di andare a letto tardi solo per vedere quell’energumeno saltellare sullo schermo del tuo computer urlando a squarciagola. Adesso alzati! O farai tardi a scuola!”.
Sentii un tuffo al cuore. Era la voce di mia madre. Riuscii finalmente ad aprire gli occhi e a mettere a fuoco ciò che avevo davanti a me. Non ci potevo credere. Mia madre era seduta sul mio letto a fissarmi con il suo sguardo severo e intorno a me potevo vedere la mia camera, come me la ricordavo. Mi alzai. Le tende alle finestre erano di un bianco candido e profumavano, come se fossero state appena lavate. La scrivania era piena di scritte, frasi e disegni fatti con il pennarello indelebile ed era coperta dai libri di scuola e qualche cd. Toccai le pareti, il muro era azzurro chiaro, ricoperto in gran parte da ampi poster. Mia madre uscì, chiudendo la porta e farfugliando qualcosa contro di me. Continuai a guardarmi intorno come se fossi atterrata in un pianeta a me sconosciuto. Riconoscevo quella stanza come la mia, ma non riuscivo a capire perché ero lì. Accarezzai scorrendo con le dita l’armadio blu scuro, poi la poltrona fino a trovarmi di fronte al grande specchio che mi aveva regalato mio padre prima di morire, quando avevo circa 14 anni. Guardai meglio la figura riflessa nello specchio. Una ragazza di media altezza, magra, forse fin troppo. I capelli mori le scendevano mossi sulle spalle terminando con grandi boccoli. La bocca aveva una forma delicata, non troppo carnosa. Gli occhi erano piccoli, color nocciola. Aveva l’aspetto di un’atleta. Non era una ragazza bellissima, era semplice, sembrava trasandata e sportiva, niente di speciale. La guardai meglio. Indossava un pigiama con pantaloncini corti bianchi e una canotta rossa, la alzai, sotto trovai il piercing. Esaminai dietro la spalla, ed ecco che vidi apparire un tatuaggio. Era semplice: quattro piccoli simboli, ma che per me significavano tutta la mia vita, i loro simboli.

₪ ø lll ·o.


Ero io la ragazza riflessa, su questo non c’erano dubbi.
Mi diressi verso la porta, ma qualcosa mi bloccò. Il petto mi faceva male, non riuscivo a respirare e le lacrime mi facevano bruciare gli occhi. Davanti a me, attaccato alla porta chiusa, un poster.
“Jared…” sussurrai. I suoi occhi erano azzurro ghiaccio proprio come me li ricordavo, o mi ero immaginata. Non riuscivo a capire. Ero confusa, sentivo il cuore dentro di me che batteva all’impazzata. Non potevo essermi immaginata tutto! I suoi baci, le sue carezze, il suo sorriso. Eppure mi erano sembrati così reali. La vista mi si appannò e sentii le lacrime che scendevano veloci sulle mie guance per poi cadere a terra.
“No…”, piangevo come una bambina. Non riuscivo a gridare. Non potevo far altro che piangere. Pensai che tutto quello che avevo vissuto con lui mi era sempre sembrato un sogno, ma non poteva esserlo realmente. Che gioco di parole: sogno, realmente.
Mi asciugai il viso con il dorso della mano e decisi di non arrendermi, non potevo essermi immaginata tutto quanto. Cercai disperata il mio cellulare, ma non lo trovai da nessuna parte. Cercando tra i fogli sulla scrivania trovai una chiave. Provai a infilarla nella fessura del cassetto, era perfetta. Aprii, dentro c’erano solo due biglietti, lessi: Concerto 30 Seconds To Mars. Mi sentii svenire. Controllai il calendario, il concerto ci sarebbe stato il giorno dopo. Non era possibile! Eppure mi ricordavo benissimo di aver conosciuto Jared fortuitamente in centro, tre giorni prima del concerto.
Mi sentii persa, forse era davvero stato tutto un sogno… Ma un sogno può essere veramente così realistico? Sì, può esserlo mi dissi.
Caddi a terra continuando a piangere. Non avevo la forza di alzarmi, non in quel momento.


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Capitolo 4
*** 4. Was It a Dream? ***



Was it a dream?



4. Was It a Dream?



Vorrei iniziare chiedendovi scusa se ho aspettato così tanto a pubblicare questo capitolo, ma ho avuto una settimana un po’ dura a scuola e non lo volevo mettere prima di averlo ricontrollato ed essermi assicurata che fosse perfetto!
Oh mamma mia… Vi giuro che sto cercando con tutta me stessa di non scrivere i soliti stupidi ringraziamenti, ma non ce la faccio! u.u
La verità è che devo molto a voi lettori e devo ammettere che, inizialmente, avevo deciso di cancellare la storia nel caso in cui poche persone avessero letto il Prologo e nessuno avesse lasciato una recensione contenta! Quindi non vi potete immaginare la mia gioia nell’accorgermi di essere arrivata a pubblicare il quarto capitolo! :D
So che l’ho detto almeno una volta per ogni capitolo, ma non so resistere e preparatevi a vedere queste due parole ancora nei prossimi capitoli… xD
Grazie Ancora!

RikkuEchelon94



 

Trovai finalmente la forza di rialzarmi. Provai a darmi un pizzicotto per risvegliarmi, ma non successe niente. Ero sveglia, maledettamente sveglia. Mi arresi all’idea che forse era stato veramente un sogno, un bellissimo e unico sogno. Mi resi conto che forse avevo esagerato, piangere in quel modo, come una bambina alla quale hanno tolto un giocattolo meraviglioso.
Ma io ero grande, non potevo permettermi di farmi demolire così dalla realtà. Avevo imparato che spesso si deve rinunciare a qualcosa e che non sempre si ha tutto ciò che si vuole: in questo caso io avevo immaginato di avere per me un uomo speciale come Jared, ma tutto ciò non si sarebbe potuto avverare se non nei miei stupidi sogni di bambina. Vagai per la casa senza una meta. Mia madre era andata a lavoro, lasciandomi un biglietto in cucina ‘Io sono a lavoro, per oggi ti faccio rimanere a casa, ma fai che non risucceda più!’.
Cercai di arrendermi definitivamente, ma non ci riuscivo. Sentivo dentro di me qualcosa di cui non conoscevo la natura, che mi impediva di farlo. Così provai a smettere semplicemente di pensare a lui come il ragazzo che mi baciava per darmi il buongiorno, che mi sorrideva per tranquillizzarmi e che vedevo per primo ogni mattina e ricominciare a pensarci come un idolo, il soggetto del mio fottutissimo amore platonico che lui, ovviamente, non ricambiava. Provai a cancellare in qualche modo i miei ricordi con lui o, quantomeno, a classificarli come immagini create dalla mia fantasia e dalla mia stima per il cantante del mio gruppo preferito. Non ero sicura di fare la cosa giusta, ma non avevo altra scelta. Mi ero illusa, avevo sognato, mi ero goduta quel sogno e adesso era finita, fine. Punto.
Mi misi un paio di pantaloncini e una canottiera, la delusione di non poter sentire il suo profumo sugli indumenti mi fece impazzire, ma mi ero promessa di non pensarci. Ancora punto.
Presi le chiavi di casa e uscii. Indossai le cuffiette dell’iPod e iniziai a correre. Di solito correre per un’oretta o due mi aveva sempre aiutato a non pensare.
Alzai la musica fino a farmi quasi sanguinare le orecchie sperando, invano, che le parole delle canzoni avrebbero potuto coprire i miei pensieri. Corsi, per non so quanto. Non avevo più fiato, ma continuai a correre ignorando il bisogno irrefrenabile di fermarmi e bere un sorso d’acqua. Non m’importava, potevo anche morire. Ma perché diavolo non riuscivo a smettere di pensare a lui? A quello che era successo?
Mi fermai a bere a una fontanella e misi la testa sotto lo scorrere freddo dell’acqua, per rinfrescarmi. Camminai e mi lasciai cadere su una panchina nel parco e mi tolsi rabbiosamente le cuffie. Ormai sentivo solo il mio respiro affannoso e il mio cuore che piano piano rallentava.
Chiusi gli occhi per qualche secondo e piegai la testa all’indietro. Quando li riaprii fui sopraffatta dal cielo così azzurro e dalle nuvole.
Mi alzai. Era l’ora di ritornare a casa, o mia madre si sarebbe preoccupata della mia assenza. Mi misi le cuffie dell’iPod e ricominciai a correre attraverso i sentieri di ghiaia del parco.
Il destino e la riproduzione casuale si presero gioco di me e della mia debolezza. I battiti iniziali di ‘Vox Populi’ m’inondarono la testa e mi fecero venire i brividi lungo la schiena. Rallentai la mia corsa sfrenata. Per qualche secondo mi sembrò che i miei battiti cardiaci seguissero il ritmo della canzone. La cambiai, ancora non riuscivo a resistere e a fare finta di niente.
Ripartii e più volte rischiai, per la distrazione, di scontrarmi con qualche povero passante che camminava tranquillo. Un semaforo divenne rosso davanti ai miei occhi, ma non riuscii a fermarmi, attraversai con una corsetta sostenuta ignorando i clacson delle auto che per poco non mi avevano messo sotto.
Il vialetto di casa mia si disegnò davanti a me, mi fermai. Spensi e misi via l’iPod. Mentre cercavo sotto lo zerbino le chiavi sentii una voce dietro di me,
“Virginia! Virginia, finalmente! Pensavo che tu fossi morta… Non rispondi alle mie chiamate, oggi non sei venuta a scuola e sono svariati giorni che non ti fai sentire!”.
Davanti a me si trovava una ragazza dai capelli corvini e gli occhi di un verde splendido. Marta. La mia migliore amica.
“Marta, scusami. Non sto passando un bel momento. Ti chiamo quando posso.”, mi avviai verso la porta con le chiavi in mano.
“Virginia! Non puoi dirmi che mi chiamerai quando puoi. Ti ricordo che dopodomani avremo un concerto. Un concerto molto speciale… I 30 Seconds To Mars ci aspettano!!” era entusiasta.
Una fitta mi fece quasi piegare in due.
“Marta, davvero scusami, ma non posso venire domani al concerto. Non me la sento.”, la guardai. Il suo sguardo era sorpreso e shockato. Mi girai ed entrai in casa chiudendo dietro di me la porta.
Il telefono segnalava dei messaggi in segreteria. Mia madre mi aveva chiamato più volte.
Salii in camera e chiusi dietro di me la porta con le lacrime che scendevano.
Accesi lo stereo, avevo voglia di ascoltare un po’ di musica.
Iniziai a togliere i poster dal muro, strappandoli.
Improvvisamente una canzone attrasse la mia attenzione, alzai il volume e piansi come una bambina ascoltandola.


Was it a dream?
Was it a dream?
Is this the only evidence that proves it
A photograph of you and I

 

Un’immagine mi riempì la testa.
“Una foto di me e di te…” sussurrai. Sorrisi. Aprii la porta e mi precipitai giù per le scale. Iniziai a cercare il mio borsello, ansiosa. Dovevo trovarlo. Era l’unica prova che avevo. L’unica certezza che mi avrebbe dimostrato che non era stato tutto solo un sogno.
Trovai la borsa, ma era vuota, la lanciai per terra. Corsi in salotto. Lo zaino, buttato vicino al divano, attirò la mia attenzione. Cercai nelle tasche freneticamente.
Lo trovai. Sentii la pelle liscia sotto tra le mie mani, le lacrime di gioia cadevano a terra silenziose.
Lo aprii e sentii un tuffo al cuore. Piansi senza riuscire a muovermi. Ero felice.
La foto, quella foto. La nostra foto!
Jared aveva la lingua fuori e rideva felice mentre gli mordevo il lobo dell’orecchio.
Mi lasciai cadere, continuando a piangere.

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Capitolo 5
*** 5. Shannon ***



Was it a dream?



5. Shannon



Innanzitutto vi chiedo scusa per il ritardo di questo “aggiornamento”, ma la scuola non mi sta aiutando molto… Ho un sacco da fare e, anche se avevo già scritto il continuo della mia storia, non sono riuscita a pubblicarlo prima. u.u
Oooooooh! Non vi immaginate quanto sono eccitata nel pubblicarlo questo stramaledetto capitolo numero 5! Mi piace perché è così positivo e dolce e, spero, mi farà perdonare per il colpo che vi ho fatto prendere nei capitoli precedenti… Non voglio aggiungere altro per non rovinarvelo!
Grazie a tutti :)

RikkuEchelon94



 

Chiusi gli occhi. Le lacrime continuavano a scendermi dal viso. Quella foto significava tutto per me, da quel momento soprattutto. Significava che non avevo sognato niente, che Jared era stato vicino a me, che c’eravamo baciati, coccolati, che avevamo dormito assieme.
Li riaprii e la guardai sorridendo. Le lacrime mi rendevano difficile la vista facendomi avere una visione un po’ sfocata della stanza e della foto.
O almeno pensavo fosse così… Improvvisamente la stanza si riempì di una luce bianchissima e i miei occhi non videro più la foto. Intorno a me solo bianco. Non capivo cosa stava succedendo.
Mi lasciai andare nonostante le fitte fortissime alla testa e a un braccio. Cosa mi stava succedendo? Non volevo che tutto ciò sparisse, non adesso che avevo ritrovato quella foto.
Cercai di ribellarmi, ma i miei occhi non vedevano nient’altro che bianco.
Poi improvvisamente, tutto fu nero.


*****************************************************************

 

Aprii gli occhi. La testa mi faceva malissimo. La sentivo pulsare, me la toccai delicatamente con la mano. Sentivo il sangue caldo scendere tra le mie dita. Cercai di riacquistare un po’ della mia vista per capire dov’ero. Sembrava che tutto mi girasse intorno, come su una giostra, e la voglia di vomitare mi fece richiudere gli occhi.
Racimolai tutto il coraggio e la tenacia che avevo, e tornai a guardarmi attorno. Abbassai l’airbag ormai sgonfio per aumentare la visuale. Davanti a me vidi un albero e il fumo che usciva dalla macchina. Richiusi gli occhi. Riprovai e, questa volta riuscii a mettere a fuoco la sagoma del mio cellulare per terra, davanti al sedile del passeggero.
Cercai di slacciarmi la cintura. Il braccio mi faceva malissimo e pulsava come la testa. Il dolore mi fece richiudere gli occhi, come per istinto. Riuscivo malapena a muovere le dita. Ma ce la dovevo fare. Nonostante le fitte riuscivo a sentire, dentro di me, la gioia. Non era stato tutto un sogno, stavo soffrendo, ma avevo la certezza di non essermi immaginata tutto. Tenni gli occhi chiusi. Improvvisamente vidi apparire il viso di Jared davanti a me, questo me lo stavo immaginando ormai avevo imparato a riconoscere la differenza tra sogno e realtà.
Quella visione mi spronò. Aprii di nuovo gli occhi e slacciai la cintura facendo forza con il braccio. Urlai dal dolore, gridai così forte da spaccarmi i timpani, ma quel debole ‘Tock’ che sentii a malapena sotto i miei urli mi sembrò il rumore più bello del mondo, dopo la voce di Jay. Le fitte al braccio aumentarono aggiungendosi al pulsare della mia testa. Ma non era finita, ancora pochi ultimi sforzi.
Mi piegai di lato cercando di prendere il cellulare. Un altro grido uscì dalla mia bocca. Avevo dovuto allungare e raddrizzare il braccio, sicuramente era rotto. A questo si aggiungeva un dolore fortissimo alle costole, a una gamba e l’immancabile mal di testa il quale era aggravato per via della circolazione. Mi morsi il labbro per smettere di urlare. E mi sforzai ancora di più.
Le dita doloranti riuscirono a toccare lo schermo freddo del cellulare. Lo afferrai, stringendolo sul palmo della mano, con tutta la forza che avevo ignorando il dolore allucinante.
Cercai di tirarmi su seppur il dolore mi facesse girare la testa. Feci forza sui muscoli della schiena e riuscii ad alzarmi leggermente. Un nuovo dolore alla schiena e al collo mi fece ricadere, quasi inerme, in avanti facendomi ricascare contro il sedile. Tutto ciò fece aumentare a dismisura il dolore al braccio, schiacciato dal resto del corpo, e alla testa, per il terribile contraccolpo.
Tutto ciò non mi fece mollare la presa sul cellulare. Chiusi gli occhi, urlai a denti stretti e riuscii a tirarmi su. Tornata a sedere appoggiai la testa al sedile, per riprendere fiato. Chiusi gli occhi. Cercai di controllare il mio respiro e calmare il battito cardiaco.
Riuscii a riaprirli. Le lacrime che mi solcavano le guance mi facevano frizzare le ferite sul volto.
Aprii il cellulare e composi un numero. Squillava. Una voce allegra dall’altra parte della cornetta mi fece avere una nuova fitta alla testa, “Pronto! Virginia, bellissima, luce dei miei occhi! Guarda che puoi tornare a casa, Jared è da solo e noi siamo…”.
“Shannon!” lo interruppi. Il mio stesso grido mi fece paura per l’aggressività, un’altra fitta, altro dolore. Chiusi gli occhi e respirando lentamente ripresi “Shannon, devi aiutarmi. Ti prego, vieni a prendermi.”.
Sentivo la sua voce dolce, soave. Cercava di mantenere la calma, di mettere insieme le idee e venire a prendermi. Sapevo che avrebbe fatto qualsiasi cosa per Jared, sapevo che teneva a lui più di qualunque altra persona. Per un momento sorrisi, sapevo di aver chiamato la persona giusta. Mi fidavo di lui e sapevo che non avrebbe detto niente a suo fratello, per proteggerlo.
Riuscivo a percepire dei rumori deboli: stava cercando le chiavi freneticamente o forse si stava vestendo. Ci fu un attimo di silenzio e poi un rombo di motore, il rumore della sua moto.
La sua voce mi riempì la testa. Lo sentivo ripetere che dovevo stare sveglia, che non mi dovevo lasciare andare.
“…Lo devi fare per Jared! Rimani qui, per lui…” mi disse. Aveva ragione, lo dovevo fare soprattutto per lui.
“Ok? Senti il rumore della mia moto in sottofondo?” riprese “Senti il rumore della mia piccolina? Adesso ti veniamo a prendere e chiamiamo l’ambulanza. Rimani sveglia…”.
Riattaccai. Dopo pochi minuti non mi ricordavo già più di averlo chiamato e se ero riuscita a dargli le informazioni sufficienti a venire a prendermi, portarmi in salvo, da Jared.
Non ce la facevo più a resistere. Le lacrime, il dolore, la stanchezza. Svenni.
Svenni con la speranza che Shannon mi avrebbe trovato...


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Capitolo 6
*** 6. Sangue e Lacrime ***



Was it a dream?



6. Sangue e Lacrime



Innanzitutto vi chiedo enormemente scusa per il ritardo di questo capitolo, ma non ho avuto molto tempo di scrivere con la scuola.
Devo ammettere che questo è un capitolo che mi piace veramente tanto. Forse perché con queste parole messe così tutte assieme, sono riuscita a far tornare tutto apposto, per quanto la situazione possa permettermelo.
Non voglio aggiungere altro, spero soltanto che vi piaccia.
Grazie ancora per il vostro sostegno e i commenti.

RikkuEchelon94



 

Ero svenuta, ma nel mio stato di incoscienza riuscii a sentire il rombo di un motore avvicinarsi. Era Shannon. Cercai con tutta la forza che avevo di aprire gli occhi, ma ero troppo stanca.
Riuscii ad aprirli e a guardarmi intorno.
Vidi Shannon scendere dalla moto e lasciarla cadere a terra. La sua moto era sacra e vederla cadere così rovinosamente a terra per me mi commosse.
Si tolse il casco e lo lanciò sul ciglio della strada, facendo poco caso al rumore che produsse sbattendo sull’asfalto.
Corse verso la macchina.
Chiusi gli occhi e le lacrime mi bagnarono di nuovo le guance.
“Virginia! Oh santo Dio, come stai?” per la prima volta mi accorsi che la sua voce tremava.
Lo sentii aprire la portiera della macchina. Si chinò vicino al mio sedile, le sue mani calde iniziarono ad accarezzarmi delicatamente il volto, asciugandomi le lacrime con i pollici.
“Oh Shannon…” riaprii gli occhi e lo guardai “Cosa ho combinato!”. Non riuscii a trattenermi da un pianto soffocato, seppur mi facesse male tutto il corpo.
“Shhhhh… Non dirlo neanche per scherzo Virginia. Non è colpa tua. Tranquilla. Sistemeremo tutto!”.
Sentii le sue mani scorrere sotto le mie gambe e dietro la mia schiena. Trattenni il respiro per qualche secondo a causa del dolore, ma sapevo che lo faceva per me. Mi prese in braccio e mi portò fuori dalla macchina. L’aria gelida e umida mi punse le ferite. Shannon mi adagiò con delicatezza, vicino alla sua moto.
L’erba fresca mi accarezzò le gambe seminude, coperte solo da un paio di miseri shorts. La pioggia cadeva leggera sul mio viso, pulendomi la faccia dal sangue.
Shannon si accucciò vicino a me ed iniziò ad accarezzarmi dolcemente i capelli, per confortarmi. Udivo la sua voce intonare debolmente una canzone di cui non conoscevo le parole. Aveva una voce favolosa, non l’avevo mai sentito cantare.
“Andrà tutto bene…” cercò di rassicurarmi, ma le sue mani tremavano e i suoi occhi divennero lucidi. Ebbi la sensazione che per lo più cercasse di rassicurare se stesso.
Si tolse la giacca di pelle e la mise sopra di me per tenermi al caldo.
Mi avvolse il collo con le braccia, tirandomi appena su il busto. Il dolore alle costole era insopportabile. Shannon mi cullava teneramente, e in quel movimento mi sembrò di trovare un po’ di pace dal dolore. Mi addormentai, o svenni di nuovo, ma sapevo di essere al sicuro tra quelle braccia così forti che sapevo avrebbero fatto di tutto per portarmi in salvo da quell’incubo.


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Ripresi conoscenza. Non sapevo quanto tempo era passato da quella sera. Forse un giorno, una settimana, un mese o addirittura un anno, ma sentivo che le fitte di dolore continuavano ad essere presenti dappertutto sul mio corpo. Aprii gli occhi, nonostante le fitte alla testa. Una luce bianca mi travolse, avvolgendomi.
Temetti di essere tornata di nuovo nel sogno, o di essermi di nuovo svegliata.
Poi riuscii a mettere a fuoco ciò che avevo davanti a me. Le pareti della stanza erano bianchissime e le tapparelle alle finestre chiuse. Un tavolino bianco era coperto da mazzi di fiori e composizioni colorate. Una sedia grigia si trovava ai piedi del letto e una poltrona nera riposta nell’angolo della stanza.
Un rumore regolare accompagnava i miei respiri. Il mio battito cardiaco. La macchina vicino a me lo riproduceva in modo preciso.
Ero in ospedale.
Notai che la porta della stanza era semichiusa. Ero da sola.
Improvvisamente iniziai a sentire qualcosa di simile ad una discussione nel corridoio, un litigio.
“Cazzo Shannon, tu lo sapevi! Tu sapevi dov’era, cosa le era successo e non me l’hai detto?!”.
La sua voce. Quella splendida, sexy, adorabile voce. Jared.
“Calma Jay, l’ha fatto solo per il tuo bene, e tu lo sai! L’importante è che lei adesso stia bene…”. Tomo era intervenuto con la voce tranquilla, per calmare i due fratelli, come era solito fare. Era sempre lui quello pacifico e neutrale, che interrompeva i due durante una lite e li aiutava a risolvere il problema e fare pace.
“Già…” la voce di Jared era più bassa, ma non del tutto calma ancora, “Ma rimane il fatto che mi sento tradito! Non dovrei sentirmi tradito da mio fratello, una delle persone di cui mi dovrei fidare più al mondo! Poteva dirmelo, avvertirmi prima. Ha deciso di non farlo, senza pensare che molto probabilmente sarei stato peggio!” ,fece una pausa per riprendere fiato, “Credete davvero che io sia stato meglio senza sapere niente?! Ho chiamato Virginia al cellulare, non l’ho vista tornare, ho pensato al peggio! E tu mi vieni a dire che, in quanto fratello maggiore, ti sei sentito in dovere di proteggermi?!”.
Riuscivo a percepire il suo respiro affannoso, il suo tentativo di calmarsi, ricominciò “E tu Tomo non lo difendere, non questa volta… Potete andare, non c’è più bisogno di voi qui.”.
Mi sentii terribilmente in colpa. Se non avessi fatto l’incidente Jared non si sarebbe arrabbiato così tanto. Era veramente rarissimo che litigasse con Tomo, c’erano state varie discussioni, ma mai grave come questa. Non volevo che il magnifico rapporto che avevano fosse rovinato a causa mia. Non volevo.
Sentii Jared che si allontanava e i passi svelti di Tomo che cercava di raggiungerlo, dicendo qualcosa che non riuscivo a capire.
Shannon sospirò ed entrò nella stanza. Si avviò verso la sedia senza accorgersi che ero sveglia, e prese la giacca. Si girò verso di me.
I suoi occhi incrociarono i miei. Gli feci un largo sorriso, contenta di vederlo. Lui mi sorrise triste. Notai i suoi occhi bagnati, lucidi. Shannon stava piangendo. Il mio sorriso piano piano sparì. Non l’avevo mai visto piangere.
Si avvicinò e mi baciò la fronte.
“Andrà tutto bene...” sussurrò. Per poi andarsene, lasciandomi solo il tiepido scivolare delle sue lacrime sul mio viso.
“Mi dispiace” risposi piano, ma lui se n’era già andato.


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Capitolo 7
*** 7. Segreti ***



Was it a dream?



7. Segreti



Ed eccoci qua con un altro capitolo… Decisamente pieno di colpi di scena.
Un po’ corto, chiedo perdono, ma cercherò di aggiornarla il prima possibile…
Grazie a tutte/i per il sostegno, ancora una volta :)

RikkuEchelon94



 

Non sapevo da quanto Shannon se n’era andato. Poteva essere da un’ora come da una settimana. Avevo perso totalmente il senso del tempo.
Stavo ferma, a pensare, in silenzio. Non poteva essere vero.
Una fitta di dolore lancinante mi ricordò che era la realtà, non era un incubo. Strinsi i denti. Sapevo come funzionava negli ospedali quando ti rompevi più ossa del normale, bastava tenere premuto un piccolo pulsante e la macchina aumentava la morfina. Mi rifiutai di premerlo.
Il dolore era insopportabile, sentivo di essere vicino al limite, ma se lo avessi premuto non sarei stata più così tanto lucida. Volevo essere sveglia e capire tutto. Volevo essere pronta per quando Jared avrebbe superato quella dannata porta.
Chiusi gli occhi per trattenere le lacrime.
Sentii una mano sfiorarmi una gamba. Eccolo, pensai. Jared era lì, per me.
Le sue labbra calde si poggiarono sulla mia fronte delicatamente, baciandola.
Aprii gli occhi e mi persi nei suoi, così azzurri, color ghiaccio.
“Buongiorno” sussurrai. Una lacrima scese piano, bagnandomi di nuovo la guancia.
“Virginia, non lo fare” mi guardò.
“Cosa?”, non riuscivo a trattenere le lacrime che adesso scendevano copiose.
“Non lo fare. Non lo fare mai più. Non lasciarmi. Non piangere” gli occhi azzurri divennero lucidi “Non piangere perché altrimenti non sono sicuro di potermi trattenere. Non lo farò. Se piangi piangerò con te… Perciò non lo fare. Non, piangere!”.
Rimasi in silenzio. E tirai su con il naso.
“Grazie” gli sorrisi.
Mi baciò e si sedette sulla sedia vicino al letto. Con la mano iniziò a sfiorarmi i capelli dolcemente.
“Quanto sono stata incosciente?” chiesi. Volevo sapere.
“Due giorni e qualche ora.” rispose secco.
“Shannon…” iniziai,
Jared si alzò e mi interruppe “Shannon ti ha accompagnato fino a qui. E adesso è a casa.”
Mi preoccupai, “Hey, calmati. E’ tutto ok…” gli presi la mano e l’accarezzai con le dita.
Si girò e fece un sorriso falso, per tranquillizzarmi, ma ebbe l’effetto contrario.
“Ti ha parlato?” chiese.
“Cosa?” ero confusa, era diventato strano.
“E’ venuto a parlarti? Ti ha detto qualcosa?!” mi preoccupò.
“No, non mi ha detto niente… Cosa succede? Mi stai spaventando…”
“Hai ragione” “E’ tutto a posto…” mi sorrise e mi baciò di nuovo la fronte. “Adesso riposati, devi riprendere le forze. Ancora un giorno e poi torneremo a casa.”
Gli sorrisi. Sapevo che mi stava nascondendo qualcosa, ma non me ne preoccupai. Aveva un segreto, me lo sentivo. Sperai solamente che non fosse qualcosa di grave.
Mi addormentai con la sua voce, che canticchiava. Lo amavo. Tanto, forse fin troppo.


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Jared mi aiutò ad alzarmi dal letto. Il dottore era appena uscito dopo avermi detto che potevo tornare a casa. Casa mia, casa NOSTRA. Mia e di Jared.
Mi sentii sollevata quando vidi che l’unico gesso che portavo era quello ad un braccio. I miei dolori mi ingannavano.
Sembrava stupido, ma avevo pensato molto quella notte, mentre Jared dormiva appoggiato a me, come sarebbe stato quando avessi potuto tornare a casa. Credevo di rimanere in ospedale molto di più, i dolori erano sempre presenti e le fitte mi facevano pensare di essermi rotta ogni singolo osso e strappata i legamenti. Sarei dovuta tornare dopo 10 giorni per togliermi quei maledetti trenta punti sparsi un po’ dappertutto sul mio corpo. Trenta, che cosa buffa. Mi ricordava la mia band preferita di qualche anno fa, lo era sempre, ma con la differenza che adesso vivevo con il cantante e ci dormivo insieme quasi tutte le notti.
Iniziai a rivestirmi lentamente. Mi bloccai. Guardavo le ferite, i tagli, i lividi, le bruciature sul mio corpo. Per un momento rividi la scena dell’incidente. Un brivido mi percorse la schiena.
Mi accorsi di aver chiuso gli occhi. Li riaprii. Jared metteva con furia i miei vestiti nella borsa. Mi fermai ad osservarlo. Era così bello, così fottutamente sexy. Mi sembrava troppo tempo che non dormivo con lui, finalmente tornavo a casa.
Aveva una maglietta attillata nera, un fisico stupendo.
Si accorse che lo guardavo. Alzò gli occhi e mi sorrise caldo.
“Pronta? Possiamo andare…”
“Sì.” risposi entusiasta.
In macchina rimanemmo in silenzio. C’era qualcosa che non andava, ma non capivo cosa. Gli sfiorai una gamba mentre guidava. Mi guardò e mi prese la mano. Era così dolce.
Per un attimo pensai che tutto fosse tornato come prima, tutto al suo posto. Poi il Blackberry squillò, sul display apparve un nome. Shannon.


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Capitolo 8
*** 8. I Love You ***



Was it a dream?



8. I Love You



Oh, questo capitolo lo dedico alle mie Perverts perché mi hanno spinto a scriverlo in fretta.
Perciò grazie a voi che leggete e a loro <3

RikkuEchelon94



 

Sentii le sue mani scorrere sulla mia schiena. Aprii gli occhi. Erano passate quattro settimane dal terribile incidente, ma gli incubi continuavano a prendere il posto dei bei sogni.
Sebbene mi fossi tolta il gesso e i punti, gli immancabili dolori accompagnavano sempre gli incubi.
Ero stanca di svegliarmi tutte le notti, sudata e con le lacrime agli occhi.
Da quando ero tornata a casa dall’ospedale, non riuscivo più a dormire un granché e, a causa mia, neanche Jared.
Parlavamo pochissimo, eravamo stanchi ed irritabili.
“Un altro brutto sogno?” interruppe i miei pensieri con voce profonda, ma allo stesso tempo dolcissima.
Mi girai sull’altro fianco, guardandolo mentre disteso supino fissava il soffitto.
“Sì…” risposi sbuffando, “Mi dispiace… Ho notato che ultimamente non riesci ad addormentarti e, quelle poche volte che ci riesci io ti sveglio urlando… Scusami.”
Anche lui si mise su un fianco, mi persi per l’ennesima volta nei suoi occhi.
“Non ti preoccupare.. E poi io dormo benissimo, non è vero che non riesco ad addormentarmi! Puoi stare tranquilla” mi sorrise.
“Jared, ti sento la notte che ti giri e ti rigiri nel letto. Non hai pace. NON è vero che riesci ad addormentarti!” lo guardai dritto negli occhi per non farlo mentire.
“Ok, ma se vuoi c’è un modo per farti perdonare…” sorrise malizioso.
Risi. Era sempre il solito.
Mi baciò, con passione. Sentii la sua lingua giocare con la mia. Mi morse delicatamente il labbro superiore, facendomi sobbalzare. Gli sorrisi e lo baciai di nuovo.
Le sue mani mi accarezzarono i fianchi e mi tolsero i pantaloncini, scaraventandoli ai piedi del letto.
Mi misi sopra di lui. Lo baciai e, in un attimo, la sua maglietta scivolò via, come se si muovesse da sola.
Accarezzai i suoi pettorali e i suoi addominali. Era così perfetto.
Mi chinai e iniziai a mordicchiare e a baciare il suo collo, mentre le sue mani vagavano sotto la mia canottiera.
Sentii le sue dita accarezzarmi i seni, prima con dolcezza poi con avidità, palpandoli. Gemetti.
Strinsi i suoi capelli nel palmo della mia mano e li tirai, costringendolo a portare la testa all’indietro. Gli sorrisi, questa volta ero io quella maliziosa.
Iniziai a leccare il suo corpo caldo, seguendo le linee dei suoi muscoli. Lungo i pettorali, le spalle, il collo, gli addominali.
Mi tolse la canottiera. Gli sciolsi la cordicella dei pantaloni, spingendoli giù per le gambe.
Mi sdraiai di fianco a lui, mi baciò e mi tolse gli slip. Il bacio era passionale, smanioso come non mai.
Si adagiò lentamente su di me. Ci baciammo.
Lo graffiai sulla schiena mentre entrò. Caddi in uno stato di trance, in un mondo parallelo.
Adesso eravamo solo io e lui. Uniti da un legame corporale.
Iniziai a seguire il suo ritmo inarcando la schiena ad ogni spinta e trattenendo a stento i gemiti.
Ricominciammo a baciarci, le nostre lingue giocarono.
Il tempo sembrava essersi fermato, per noi. Per farci vivere al meglio quel momento, speciale, che non vivevamo dal giorno dell’incidente.
C’era una sorta di stupida simbologia in quella scena. Jared dentro di me, il nostro legame carnale e poi le nostre lingue come a significare le nostre anime che si univano ai nostri corpi, in un momento di puro amore e piacere.
Quegli attimi meravigliosi furono interrotti da un grido. Aprii gli occhi. Jared si era fermato e mi guardava. Mi accorsi che quel grido era uscito dalle mie labbra.
Non era un grido di piacere, ma di dolore.
Tornai lucida e mi accorsi dell’enorme dolore alle costole. Non avevano retto la pressione del corpo di Jared ed erano tornate a farmi avere delle fitte insopportabili.
Sentii due piccole lacrime rigarmi la guancia, incontrollabili.
Jared uscì e si mise a sedere in fondo al letto, dandomi la schiena.
Si prese la testa fra le mani,
“Mi dispiace, sono un disastro…” sussurrò.
“No!” urlai e cercai di mettermi a sedere di scatto. Lui si girò verso di me guardandomi.
Il dolore alle costole mi impedì di tirarmi su, facendomi ricadere, distesa.
Mi guardò con gli occhi quasi lucidi, così profondi.
“Vado a farmi una doccia…” sussurrò. Si alzò e camminò verso il bagno, chiudendosi la porta alle spalle.
Sbuffai, ero così dispiaciuta. Non era colpa sua. Adesso alla stanchezza si sarebbe aggiunta anche la frustrazione… Non gli avrebbe fatto bene.
Mi alzai dal letto, seppur con difficoltà e mi diressi svelta verso la porta del bagno.
Sentivo l’acqua scorrere, aprii lentamente. Fui travolta da una nuvola di vapore.
Jared era dentro, appoggiato al muro, sotto l’acqua con gli occhi chiusi.
In quel momento presi la mia decisione. La dovevo prendere, lo amavo.
Aprii la porta satinata della doccia ed entrai.
Jared si girò verso di me e mi guardò confuso.
Lo baciai con passione. Appoggiai la mia schiena contro le mattonelle fredde e lo strinsi a me. Feci aderire i nostri corpi completamente.
“Virginia…” mi guardò negli occhi preoccupato.
“Shhh…” lo interruppi, appoggiando un dito sulle sue labbra, “Zitto e riprendi da dove ci siamo interrotti…”.
Lo vidi esitare.
Lo baciai per incitarlo, con passione, con frenesia.
Finalmente cedette ed entrò di nuovo dentro di me.
Il dolore che provavo era indescrivibile, smisi di baciarlo per stringere i denti. Appoggiai la testa sulla sua spalla, abbracciandolo, così che i suoi occhi così azzurri non potessero vedere le lacrime che scendevano dai miei o leggerci il dolore che provavo in quel momento.
Ci amammo. Che cosa stupida dire così, ma esprimerlo diversamente sarebbe quasi equivalente ad una bugia. Ci amammo.
L’acqua calda portò via le lacrime dal mio volto.
Guardai Jared e gli sorrisi. Mi baciò dolcemente e mi sorrise.
“Ti Amo” sussurrò.
Lo guardai, non me l’aveva mai detto. Sentii le lacrime tornare a scorrere sulle mie guance, questa volta non era il dolore a farmi piangere, ma l’amore. Un’altra stupida frase fatta, ma era così.
“Anche io Ti Amo, Jared Joseph Leto”.


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Capitolo 9
*** 9. La dura verità ***



Was it a dream?



9. La dura verità



Vi avverto subito che questo è un capitolo strano e molto forte.
La maggior parte di voi non si aspettava niente del genere, ne sono consapevole.
Buona lettura, spero vi piaccia :)

RikkuEchelon94



 

Jared mi abbracciò da dietro, stringendomi tra le sue forti braccia.
Mi baciò l’orecchio e il collo.
Sorrisi.
Non mi ricordavo neanche come eravamo finiti nel letto, tra le lenzuola fresche, dopo quella doccia calda. Calda in tutti i sensi.
Gli presi una mano tra le mie e la baciai con delicatezza.
Mi girai verso di lui e lo baciai. Ci abbracciammo.
Sentivo il suo petto caldo sotto la mia guancia, la pelle liscia. Le sue mani mi accarezzavano dolcemente la schiena.
Con un dito seguii la linea scura del suo ultimo tatuaggio sulla sua spalla, quel segno indelebile sulla sua pelle.
Provehito in Altum.
Gli baciai i pettorali.
“Posso farti una domanda?” chiesi improvvisamente.
“Certo… Tutto quello che vuoi.” sorrise e mi baciò.
“Che cosa succede con Shannon?”.
Lo sentii irrigidirsi, tra le mie braccia. Si liberò dal mio abbraccio e si distese guardando il soffitto.
“Jared…” iniziai.
“Ultimamente ci sono state delle decisioni da prendere, opinioni diverse… Dei disaccordi.” rispose, interrompendomi.
“Di che genere?” azzardai.
Non rispose.
“Jared, so che non ti piace parlare dei tuoi sentimenti, di quello che provi. Ma cerca di farlo... Con me. Parla con me. Fammi capire…” si mosse, si stava per alzare, lo afferrai per un braccio per trattenerlo “Parla con me Jared, ti prego. Ti amo.”
Si girò verso di me e mi baciò la fronte.
“Anche io ti amo Virginia, te l’ho già detto. Tanto, forse più della mia stessa vita.”
“Non parlavo di questi sentimenti Jared. Cosa sta succedendo tra te e Shan?” risposi dura.
Si morse il labbro.
Quel minuto di silenzio sembrò durare una vita. Sentivo nell’aria la tensione della conversazione.
“Hai ragione. Ultimamente stiamo avendo molti problemi. Problemi con il produttore, la casa discografica. Non riusciamo più a lavorare insieme per il nervosismo. Siamo molto indietro con il nuovo cd, non riusciamo a scrivere. Non riusciamo ad organizzare il nuovo tour. Un periodo difficile. Siamo tutti e tre molto stanchi. Tutto qua. Dopo il tuo incidente ho discusso con Shannon. E in quella discussione abbiamo riversato tutto quello che non eravamo riusciti a smaltire: la paura per te, la tensione, lo stress, la stanchezza. E…” distolse lo sguardo.
“E?” chiesi.
“E, Shannon e Tomo vogliono aspettare ancora un po’ a fare un nuovo Tour, ma questa è la mia vita, il mio lavoro. Con te sto benissimo, ma ho bisogno della mia musica. Voglio andare in Tour e loro non sono d’accordo…” rispose guardandosi le mani.
“Sono sicura che hanno un buon motivo per voler aspettare, hai qualche idea?” guardai il suo profilo, era bellissimo, come sempre.
“Non lo so. Sinceramente” disse piano, quasi sussurrando.
“Ok” presi il suo viso tra le mani “Jared, grazie.” lo baciai.
“Ok” rispose sorridendo.
Si alzò e si diresse verso la cucina.
Io mi girai e iniziai a guardare il soffitto.
Mi aveva detto delle sue preoccupazioni. S’era aperto con me. Eppure ancora dubitavo della sua spiegazione. Continuai a pensare.
Invece forse era proprio così, era probabile. Avevano lavorato molto duramente ed erano stanchi, era normale.
Mi impegnai per smettere di pensarci, ma non ci riuscivo. Non mi convinceva.
Presi una decisione, avrei parlato con Shannon.
Mi alzai e mi diressi anche io verso la cucina.
“Hai progetti per stasera?” chiesi.
“No, preparo qualcosa per cena e poi ci potremmo mettere a guardare un bel film… Che ne dici?”
“Ti dispiace se stasera esco? Da sola intendo…” Jared si girò e mi guardò accigliato.
Dopo la conversazione di prima temetti che avesse intuito qualcosa, che avesse capito delle mie intenzioni.
Poi improvvisamente sfoggiò uno dei suoi sorrisi magnifici, uno dei più grandi “Certo, esci pure. Finalmente rivedi le tue amiche, eh? Sono felice… Hai bisogno di un passaggio con la macchina da qualche parte?”.
Ero sollevata, aveva pensato che uscissi con le mie amiche. “Sì, andiamo a fare un giro. Non ti preoccupare comunque, prenderò un bus” risposi e gli sorrisi “Jared, ancora grazie. Per tutto.”
Mi avvicinai e lo baciai.
Mi sorrise di nuovo e mi fece l’occhiolino. “Adesso muoviti” mi disse “O farai aspettare tutte le tue belle amiche!” la sua mano mi diede una pacca sul culo.
Gli feci la linguaccia e corsi a cambiarmi, fingendo di essere emozionata per una semplice uscita con delle compagne di avventure, ma non era così.
Era giunto il momento della verità.


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Era buio, ma riuscivo a riconoscere il profilo della villetta di Shannon. La luce della cucina era accesa. Era in casa.
Sospirai e mi feci coraggio.
Volevo sapere cosa stava succedendo. Quella storia non mi piaceva per niente.
Mi avvicinai al campanello e suonai.
“Chi è?” era Shannon, sembrava scocciato.
Una voce femminile urlò qualcosa in sottofondo. Non era solo.
“Shan. Sono Virginia, ma sento che sei in compagnia… Torno un altro giorno, non ti preoccupare!” risposi subito.
Mi girai e stavo per andarmene, ma la sua voce m’interruppe “Virginia! Vieni forza!” e il cancello della villa si aprì.
Camminai per il vialetto.
Arrivata alla porta incrociai una ragazza bionda bellissima e altissima. Mi fulminò con lo sguardo e aumentò il passo seppur portasse dei tacchi altissimi.
Entrai.
L’ingresso era enorme e i mobili erano in stile minimal, bianchi e neri. Senza dubbio Shannon aveva buon gusto.
Lo vidi arrivare dalle scale, sorridente.
Il suo sorriso sembrava illuminare la stanza.
Ci abbracciammo stretti, mi era mancato.
“Vir quanto tempo! Sono felice di vederti…” disse con lo sguardo dolce. Odiavo quando mi chiamava Vir, ma in quel momento gli avrei perdonato qualsiasi cosa.
“Shan, anche io sono felicissima di vederti, ma ti devo parlare…” risposi subito “Di Jared.”.
Lo vidi irrigidirsi un po’, ma non si scompose.
“Vieni, andiamo in salotto.”.
Ci dirigemmo in una stanza adiacente all’ingresso. Anche il salotto era perfettamente arredato. La tv era enorme e sembrava un quadro, appesa al muro. I mobili erano tutti scuri, ma il divano rosso ad angolo creava un contrasto magnifico.
Ci sedemmo.
“Cosa vuoi sapere?” iniziò.
“Voglio sapere cosa sta succedendo tra di voi, a lui… Dimmi tutto ciò che sai.” risposi.
“Ci sono stati dei problemi tra noi. Qualcosa ci impedisce di iniziare il nuovo Tour, ma Jay insiste per partire lo stesso. Io non voglio, non è una cosa che riesco a fare. Mi spiace, ma non ti posso dire niente di più. C’è qualcosa che non va e deve essere Jared a dirti tutto.”
Mi preoccupai. Cosa stava succedendo?
“Shan, ti prego. Dimmi qualcosa.” chiesi trattenendo a stento le lacrime.
“Virginia” sussurrò “Mi dispiace. Sai che ti voglio bene, ti considero come una sorella. Però non posso aiutarti in questo caso, devi parlare con lui… Ti consiglio solo di guardare più ai particolari. Sei una ragazza sveglia, sono sicuro che hai notato qualcosa di strano, ma a cui non hai dato abbastanza importanza. Adesso vai, è tardi e fuori è freddo…”.
“Grazie” continuavo ad essere preoccupata.
Shannon mi accompagnò alla porta e mi baciò la fronte “Buonanotte”.
Aspettò che arrivassi al cancello e chiuse la porta, alle mie spalle.
Pensai molto mentre tornavo a casa, cercai di ricordarmi se avevo visto qualcosa che potevo aver notato. Qualcosa che avrebbe potuto spingere Shannon e Tomo a rifiutarsi di partire per il Tour, qualcosa che li preoccupava molto.
Molti flash e ricordi balenarono nella mia testa.
Improvvisamente una di queste immagini divenne più nitida delle altre, attirò la mia attenzione.
Avevo notato delle cicatrici e delle ferite sulle braccia di Jared. Dei fori, come se si fosse bucato con una siringa. Il mondo sembrò crollarmi addosso. Le lacrime iniziarono a scendere. Ci pensai, ero stata così stupida a non accorgermene prima… Gli sbalzi di umore, i segreti, il rifiuto di Shan e Tomo di partire per il tour…
Jared si drogava...


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Capitolo 10
*** 10. Dolore ***



Was it a dream?



10. Dolore



So che questo capitolo vi lascerà ancora una volta a bocca aperta.
Nessuno si aspettava una cosa del genere e continuo a stupirvi, lo so, e ne vado fiera. :D
Spero vi piaccia ancora, scusate per il ritardo dell’aggiornamento e vi ringrazio (come in ogni capitolo) per il sostegno che mi date.

RikkuEchelon94



 

Scesi dal bus in anticipo. Camminai per molti isolati a piedi.
Il vento freddo mi pungeva la pelle, facendomi rabbrividire.
Avevo bisogno di pensare.
Ancora non riuscivo a capacitarmi della scoperta che avevo fatto. Non riuscivo a farmene una ragione. Non poteva. Non Jared. Non lo credevo possibile. Rovinarsi la vita così. Non era da lui, o almeno così avevo pensato fino a quel momento.
Le lacrime iniziarono a scendere sulle guance e quasi si congelarono per il freddo.
Mi sedetti con calma su una panchina, per riprendermi. Le gambe strette al petto.
I passanti mi giravano alla larga, spaventati, sbirciando dalle sciarpe per badare a cosa stavo facendo. Un barbone si sedette vicino a me, puzzava, mi disse qualcosa che non compresi e non volevo comprendere, lo ignorai continuando a guardare nel vuoto e pensare.
Ero stata una stupida. Non ero riuscita a leggere i segnali e lui adesso era in quelle condizioni.
Ma non c’era tempo di piangersi addosso, dovevo reagire. Dovevo aiutarlo. Aiutare l’uomo che amavo a disintossicarsi, a ricominciare a vivere.
Mi alzai di scatto, facendo sobbalzare l’uomo dal fetore nauseabondo che mi faceva compagnia in silenzio, e ripresi a camminare.
Le strade si erano fatte vuote, silenziose. Non mi ero accorta di essere stata per così tanto tempo seduta, mi sembravano passati solo pochi secondi.
Ci impiegai una ventina di minuti per arrivare di fronte al bellissimo palazzo a vetri. Era una struttura che mi aveva sempre affascinato per il suo stile moderno. Ogni piano era diviso in due appartamenti e ogni appartamento era ricoperto di larghe vetrate su tutti i lati, eccetto quello di Jared che prendeva l’intero piano e il tetto del grattacielo.
Guardai in alto, verso l’attico, per vedere se le luci erano accese.
Bene. Jared era sveglio. Avrei potuto affrontarlo subito.
Durante il tragitto avevo pensato a come sarebbe potuta essere la nostra conversazione, e mi ero preparata un discorso veloce ma convincente.
Presi coraggio ed entrai.
Mi diressi con passo spedito verso l’ascensore, ignorando il portinaio vestito elegante che mi salutava con un cenno aristocratico della mano.
Un uomo vestito completamente di rosso mi chiese il piano e premette il pulsante.
Sentii il suono odioso dell’ascensore che mi avvertiva che ero arrivata. Uscii veloce e presi a salire l’ultima rampa di scale, che mi avrebbe portato all’attico.
Suonai il campanello e attesi.
Sentii la maniglia che ruotava e presi un grande respiro, cercando di mantenere la calma.
Jared mi sorrise “Finalmente sei tornata! Ti stavo dando per scomparsa…” ridacchiò.
Mi sforzai di sorridere ed entrai, chiudendomi la porta alle spalle.
Si avvicinò per baciarmi, ma io girai la testa di scatto, facendo finire le sue labbra calde e morbide sulla mia guancia.
“Che cos’hai?” chiese “Ti vedo strana…”.
Lo guardai nei suoi occhi così azzurri e non riuscii a sostenere il suo sguardo. Era così confuso. Come lo ero io del resto.
“Jared dobbiamo parlare… Di cose serie.” dissi piano, quasi sperando che non mi avesse sentito. Forse non ero pronta per parlarne. Non ancora, ma dovevo.
Jared annuì, e si diresse verso il salotto.
Ci sedemmo sul divano nero e ci guardammo negli occhi, in silenzio, per alcuni attimi.
Cercai di trattenere le lacrime, inutilmente. Qualche piccola goccia scese lentamente, facendomi colare il trucco.
Jared mi asciugò con la mano, preoccupato.
“Hey” sussurrò “Cosa succede?”
“Sono andata da Shannon e…” iniziai singhiozzando.
“Non dovevi.” mi interruppe. La risposta fu secca e la sua voce era dura, adirata. Si sentiva tradito, e lo capivo.
Si alzò dal divano e prese a camminare avanti e indietro.
“Cosa ti ha detto?” chiese bruscamente.
Non attese neanche la risposta, ricominciò a parlare. “Non dovevi. Era una cosa che non dovevi sapere. Cosa ti ha detto?! Non aveva il diritto di scavalcarmi così... Sarei dovuto essere io a dirtelo!”
“Niente, non mi ha detto niente!” risposi “Mi ha soltanto fatto notare dei particolari… E io ne ho tratto le mie conclusioni…”
Tirai su con il naso e ricominciai “Gli ho chiesto cosa avevi… Perché litigavate così spesso, perché non vogliono permetterti di fare il nuovo Tour… Poi ho pensato ai tuoi sbalzi di umore, ai tuoi momenti di debolezza improvvisa, ai fori sulle tue braccia… Ed ho capito…” iniziai a piangere sommessamente.
Jared chiuse gli occhi per qualche attimo “Non dovevi scoprirlo così, mi dispiace”. Li riaprì e guardò il soffitto, lasciando scendere qualche lacrima.
“Ma questo non cambia niente.” riprese “E’ una mia scelta, voglio andare avanti così, lasciarmi andare… Ho solo bisogno del tuo sostegno.” mi guardò con sguardo stanco.
“Tu hai bisogno di aiuto” gli dissi “Non di lasciarti andare…”
Mi alzai e lo baciai.
“Io ti sosterrò sempre, ma hai bisogno di aiuto...” gli sussurrai.
Jared sorrise triste. “Sono stanco Virginia. Voglio solo fare un ultimo Tour, stare vicino ai miei Echelon, salutarli. La musica è l’unica cosa che mi tiene ancora qua… Con te sto benissimo, mi sento completato, ma ho bisogno di tornare un’ultima volta su quel fottutissimo palco e cantare. Cantare fino a non sentire più la gola.”. Altre lacrime scesero sugli zigomi, lente.
Ero confusa. “Jay, io ti starò vicino e ti aiuterò… Posso aiutarti a smettere, poi sarai libero di cantare quanto vuoi, ma adesso non te lo permetterò, non in queste condizioni…”.
Jared mi guardò accigliato.
“Smettere? Non si può ‘smettere’…” mi baciò la fronte.
“Jared, ti stai distruggendo la vita. Ti stai rovinando! Devi smettere assolutamente, la droga…”
“Droga?!” mi interruppe prendendomi il viso tra le mani.
Rise piano e si tranquillizzò.
“Oh Virginia” sussurrò con gli occhi lucidi “Scusa, mi dispiace…”.
“Ti dispiace per cosa? Io sto bene…” risposi, perdendomi nei suoi occhi.
“Cazzo” disse “Io non ho problemi con la droga…”.
“Ma allora…” risposi confusa, cercando di capire.
“Virginia, mi dispiace io non mi drogo…” disse piano, guardando il pavimento.
“Ti dispiace?! E’ una notiz…”
Non riuscii a finire la mia frase, Jared mi interruppe. Il mondo mi crollo addosso di nuovo, e sembrò più pesante di prima.
La testa prese a girarmi. Le lacrime iniziarono a scendere. Il cuore a battere più forte. Non ci potevo credere. Non poteva succedere a lui. Non ad una persona così speciale. Il fiato mi mancò, lo guardai negli occhi azzurri.
Jared mi sorrise malinconico e lasciò cadere alcune lacrime, ripetendo.
“Sì… Virginia, ho il cancro…”


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Capitolo 11
*** 11. Dura Scelta ***



Was it a dream?



11. Dura Scelta



Continuo a stupirvi, lo so.
Vi chiedo scusa per il capitolo corto, ma ho dovuto dividerlo da quello successivo per fare più effetto xD
Giuro che a scrivere questo capitolo, ho pianto! Spero vi piaccia, come al solito e che continuiate a leggerlo e recensirlo.
Grazie <3

RikkuEchelon94



 

Non so quanto tempo era passato.
Eravamo seduti sul divano, abbracciati. Io che piangevo sulla sua spalla e lui che mi accarezzava dolcemente la schiena per consolarmi.
Tirai su con il naso, ero esausta anche per piangere.
Mi liberai dal suo caldo abbraccio e mi strinsi le ginocchia al petto.
Jared mi guardava, con i suoi bellissimi occhi.
Solo il pensiero che avrei potuto non rivederli mai più mi fece girare la testa.
“Stai bene?” chiese toccandomi i capelli.
“No…” risposi.
“Va tutto bene, davvero… Io sto bene…” mi sussurrò. Mi baciò la guancia e poi la fronte.
Mi alzai incapace di credere a quelle parole.
Iniziai a camminare avanti e indietro davanti al divano.
“Ok. Tu hai il cancro. La persona che amo. E’ tutto ok…” iniziai a farneticare “Tu farai il Tour per salutare gli Echelon, poche tappe però… Voglio che tu sia in perfetta forma quando torni! Così potremo iniziare con il ciclo di chemioterapia, poi vedremo se è operabile… Ci sono molti casi in cui la chemioterapia ha indebolito il tumore e, dopo una breve operazione, il paziente ha vissuto con tranquillità e salute tutta la sua vita. Andrà tutto bene.”.
Jared si alzò e mi prese le spalle per guardarmi negli occhi.
“Virginia, io non farò la chemioterapia… Non voglio farla…”.
La sua sincerità mi colpì, come un macigno.
Le lacrime ricominciarono a scendere, più copiose di prima.
Iniziai a sentire in me la consapevolezza che per lui non c’erano speranze. Per lui, per noi, niente futuro.
Avrei visto quell’uomo scivolare via, piano piano. Non avrei potuto fare niente, se non guardarlo mentre se ne andava e piangere.
“Non puoi farmi questo Jay…” lo implorai in lacrime.
Ma cosa stavo facendo? Era libero di fare la sua scelta, ed io non ero nessuno per criticarla.
Presi un respiro profondo e mi asciugai la guancia con il dorso della mano.
Jared continuava a guardarmi. Il dolore nei suoi occhi era per me.
“Ah, bello” sussurrai “Perciò devo sedermi e starti a guardare mentre muori?!” urlai in lacrime, colpendolo sul petto.
Mi fermò, stringendomi i polsi.
“No, devi solo lasciarmi andare… Farò il Tour, e quando tornerò tu te ne sarai già andata. Lascerai questa casa e tornerai alla tua vita di prima…” la freddezza con cui mi parlò mi fece venire i brividi “Non voglio che tu mi veda morire. Ti amo, ma tu non soffrirai a causa mia! Perciò devi solo aiutarmi a convincere Tomo e Shan e lasciarmi partire per il Tour, poi uscirò dalla tua vita…”.
Una piccola lacrima prese a scendere lungo la sua guancia.
Mi lasciò le mani e mi guardò negli occhi, implorandomi in un doloroso silenzio.
Non poteva chiedermi questo. Non poteva chiedermi di andarmene.
Mi lasciai cadere in ginocchio, tra le lacrime.
Il mio cuore era diviso in due. Da una parte volevo che Jared potesse essere felice, vivere la sua vita per quanto breve fosse, e riuscisse a esaudire il desiderio di fare il Tour. Dall’altra il dolore, la consapevolezza che se ne sarebbe andato e che non mi voleva accanto a se, anche se per me.
Da una parte l’amore che provavo per lui, dall’altra il dolore.
Sapevo di dover prendere una decisione ma qualunque essa fosse Jared aveva già deciso di non fare la chemioterapia.
Volevo aiutarlo, ma se per farlo avrei dovuto guardarlo morire, non sarei riuscita a farlo.
Dovevo decidere tra egoismo ed amore. Vederlo morire o andarmene ed aspettare che un giorno uno stupido telegiornale annunciasse che era morto.
Ad un tratto tutto mi fu estremamente chiaro.
Mi alzai e mi avvicinai a Jared, asciugandomi le lacrime.
Lo baciai.
“Chiamerò Shannon e Tomo. Ci metteremo a un tavolo e ne parleremo. Tu farai quel fottutissimo Tour. Deciderai tu quanto durerà e le tappe che farete. Hai carta bianca.”
“Virginia, gra…” iniziò sussurrando.
“No” lo interruppi “Ci sono delle condizioni che devi rispettare. Io starò con te, fino alla fine. Verrò con voi in Tour e starò dietro le quinte ad OGNI concerto o manifestazione a cui parteciperete. Sarò la tua ombra. Ed esigo che ci sia un’ambulanza pronta per ogni evenienza, o un dottore con me dietro le quinte. Su questo non si discute. Se vuoi fare il Tour, devi prendere tutto il pacchetto.”.
Ero decisa. La mia voce era secca. Guardai Jared negli occhi, così che capisse bene che non stavo scherzando. Mi sorrise. Quel sorriso, mi sembrava di non vederlo da mesi.
Gli sorrisi. Allontanai la consapevolezza di perderlo e aumentò quella di amarlo infinitamente.
Facevo tutto per lui, per noi.
Sarei stata con lui, fino alla fine.


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Capitolo 12
*** 12. Goodbye London ***



Was it a dream?



12. Goodbye London



E qua, già dal titolo di questo dodicesimo capitolo si comincia a sentire aria di fine…
Mi dispiace davvero molto concluderla essendo la prima Fan Fiction che pubblico, ma prima o poi le cose finiscono, giusto?
Spero che continui a piacervi e vi consiglio di godervi questi ultimi capitoli…
Grazie di tutto.

RikkuEchelon94



 

Non riuscivo a dormire.
Continuavo a chiedermi se avevo fatto la scelta sbagliata, se avessi dovuto insistere e far fare la chemioterapia a Jared, se sarei dovuta essere più egoista.
Mi guardai intorno, dormivano tutti.
L’aereo non era grande, ma era sicuramente più comodo e lussuoso del nostro appartamento a Los Angeles.
Guardai Shannon, dormiva appoggiato al finestrino con gli occhiali da sole. Era così tranquillo, sembrava un bambino. Tomo e Vicky dormivano abbracciati, erano così dolci e romantici.
Braxton era raggomitolato infondo all’aereo con un cappellino calato sugli occhi.
Jared dormiva di fronte a me, era così bello. Non riuscivo a pensare alla mia vita senza di lui. Dormiva tranquillo, ma intorno a lui era come se gravasse un’ombra di morte.
Gli baciai la fronte e lo coprii con la coperta.
Erano passati due mesi da quando mi aveva detto di avere il cancro. Avevamo chiamato Tomo e Shannon e, seduti intorno al tavolo, avevamo discusso, urlato, sbattuto pugni sul tavolo, sussurrato, pianto.
Avevamo deciso di tentare con il Tour. Poco più di quattro mesi, 100 date, un suicidio, ma cos’avevamo da perdere?
Volevamo solo che Jared fosse felice.
In un mese avevamo fatto 15 date, negli Stati Uniti e in America del Sud.
Jared si era creato una tabella di marcia, la cui meta finale era in Francia, a Parigi. Due date. Era lì che voleva chiudere il suo Tour, la sua città preferita. L’avrebbe vista, forse per l’ultima volta.
Adesso eravamo diretti in Europa, prima data: Londra.
Mi sentii toccare una spalla, sobbalzai.
Shannon mi guardava, accovacciato vicino a me. Mi sorrideva, come suo solito.
Mi porse un cuscino.
“Vir, prova a dormire un po’… Hai ancora quattro ore a tua disposizione.”
“Grazie” risposi sorridendo.
Presi il cuscino e mi sistemai comoda, cercando di dormire. Shan mi accarezzò la testa e si diresse verso il suo posto.
Chiusi gli occhi, sperando che Morfeo mi abbracciasse per smettere di pensare.
Riuscii ad addormentarmi, ma i miei sogni sembrarono aver perso la strada quel giorno. In quelle quattro ore per me ci furono solo incubi.


*****************************************************************

 

Una mano calda sul viso riuscì a strapparmi da quell’incubo.
Sobbalzai.
Aprii gli occhi.
Jared mi guardava preoccupato, e mi asciugò il sudore dalla fronte con una salvietta.
“Tutto ok?” mi chiese.
“Sì…” sospirai “Siamo arrivati?”.
Mi baciò delicatamente “Sì. Appena arrivati, benvenuta a Londra”.
Guardai fuori. Il cielo era grigio, tipico dei primi giorni di Dicembre. Eravamo arrivati al mese di Natale, il compleanno di Jared, Capodanno, mi chiesi cosa avremmo fatto. Saremmo stati insieme, questa era la cosa importante infondo.
Scendemmo dall’aereo, l’aria era fredda, mi pungeva la pelle.
“Perfetto. Il concerto è domani” puntualizzò Tomo “Cosa vogliamo fare oggi?”.
Vicky lo guardò e sbadigliò “Io pensavo di andare in Hotel a riposarci, magari possiamo uscire a cena tutti insieme stasera…”.
“Ottima idea” la prese per i fianchi e la baciò, poi si rivolse a noi “Voi cosa fate?”.
Braxton alzò le spalle “Esco con alcuni amici londinesi, una riunione tra amici di vecchia data.”.
Shannon alzò lo sguardo dal suo cellulare “Io mi vedo con Antoine, è qui a Londra per un Festival. È molto tempo che non lo vedo” sorrise “Noi ci vediamo più tardi davanti all’Hotel per andare a cena!”.
Jared mi baciò la fronte.
“Noi andiamo a fare un giro per Londra” mi sorrise.
Gli sorrisi e lo baciai.
Probabilmente avremmo incontrato qualche paparazzo, ma che ci importava. La prima foto sui giornali europei, la prima notizia che confermava che Jared Leto aveva una fidanzata.
Arrivati in Hotel ci cambiammo per uscire.
Presi dalla valigia un golf comodo e lo indossai sopra un paio di jeans.
Jared indossava un paio di pantaloni neri, stretti e una delle sue maglie larghissime.
Ci prendemmo per mano e uscimmo.
Mano nella mano per le strade di Londra.
I passanti per strada ci guardavano, ci sorridevano, chiamavano Jared.
Improvvisamente un gruppo di Echelon ci travolse, erano entusiasti, piangendo e gridando, chiedendo foto e autografi.
Li guardai sorridere, erano felici. Sorrisi triste, per loro, presto i pochi minuti prima della fine del concerto gli avrebbero cambiato la vita. Mi chiesi come sarebbe stato sapere, poco prima di intonare Kings and Queens, che quello sarebbe stato l’ultimo concerto, in assoluto. Un duro colpo.
Ripensai ai concerti di New York, Los Angeles, Rio de Janeiro e gli altri. Il momento di Kings and Queens era stato spaventoso, gli Echelon avevano cantato a squarciagola con le lacrime che solcavano le loro guance, disperati.
Almeno loro non sapevano il vero motivo della fine dei Mars.
Quanto avrei dato per non sapere niente, non sapere del cancro di Jared, della morte che si avvicinava.
Mi ignorarono, passandomi oltre per raggiungere Jared.
Li sentii bloccarsi, quando ripartiti per la nostra strada, Jared mi prese per mano e mi baciò teneramente. Incapaci anche solo di scattarci una foto.
Dopo aver camminato a lungo arrivammo di fronte al London Eye, era meravigliosa, la ruota panoramica più grande che avessi mai visto.
“Facciamoci una foto” mi sussurrò “Ho sempre amato l’Europa… Una foto in ogni capitale europea.”.
Mi sorrise, come un bambino.
Quell’espressione, così spensierata, allegra, quegli occhi così azzurri. Non riuscii a far altro che sorridere e annuire.
Ci mettemmo in posa, vicini, stretti l’uno all’altro e sorridemmo.
Il flash.
Chiusi gli occhi.
Li riaprii, sembravano passati pochi secondi, ma la luce sul palco mi riportò alla realtà.
Sentii le prime urla per l’ingresso di Tomo e Shannon.
Ed è così che inizia l’ultimo concerto di Londra, sulle note di Escape.


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Capitolo 13
*** 13. Errori e Decisioni ***



Was it a dream?



13. Errori e Decisioni



*Voglio dedicare questo capitolo agli Echelon che sono morti in Belgio, anche se non li conoscevo, erano parte della nostra Famiglia*
Ok, vi chiedo di non uccidermi.
So che non è una bella cosa leggere un capitolo del genere con la consapevolezza che sta per finire la Fan Fiction, ma tranquilli è tutto sotto controllo…
Come al solito spero che i miei colpi di scena vi abbiano lasciato senza parole :)
Grazie del vostro sostegno, come sempre.

RikkuEchelon94



 

La sua lingua calda passò lentamente sul mio ventre, giocando con il mio piercing.
Le sue mani mi accarezzavano i fianchi e la schiena con frenesia.
Mi guardò, sorridendomi con malizia.
Mi spinse, facendomi finire sul letto dell’Hotel.
Iniziò a baciarmi il collo.
Mi morse il lobo dell’orecchio.
Un brivido di piacere mi risalì la schiena.
Mi morsi le labbra per non gemere di piacere.
Il suo viso si avvicinò al mio e ci baciammo. La sua lingua si muoveva aggressiva, sovrastando la mia.
Una mano scese lungo il mio corpo, e iniziò ad accarezzarmi la coscia, poi l’inguine.
Mi tolse le mutande, lanciandole via.
Sentii un dito entrare in me.
Inarcai la schiena e mi lasciai scappare un singulto.
Allungai le braccia e strinsi le lenzuola fresche, come se stessi per scivolare via, facendo cadere sulla moquette il vassoio con i due bicchieri e la bottiglia di vino ormai vuota.
La sua lingua riprese a scivolare sul mio collo, mentre due dita continuavano a entrare ed uscire dal mio corpo.
Finalmente entrò in me, sussultai.
Ricominciammo a baciarci.
Il mio bacino iniziò a seguire il suo, ad ogni spinta.
Le sue mani vagavano sul mio corpo alla ricerca di qualcosa, le mie lasciarono le lenzuola per graffiare la sua schiena.
Mi tirai su aggrappandomi alle sue spalle muscolose, e feci aderire alla perfezione i nostri corpi.
Riuscivo a sentire i muscoli della sua schiena in tensione per lo sforzo.
Strinsi le gambe intorno al suo busto.
Non ci volle molto, mi morsi le labbra e gemetti.
Una sensazione di calore e piacere ci pervase.
Chiusi gli occhi.
Il sesso migliore del mondo.
Sentivo il suo respiro che tornava normale, il calore del suo corpo disteso accanto al mio.
Rimasi distesa ancora qualche minuto, ad occhi chiusi.
Cercai di alzarmi lentamente, la testa mi girava.
Presi il lenzuolo per coprirmi e mi avviai verso il bagno.
Accarezzai il suo petto, sfiorandolo con le dita mentre superavo il letto.
La sua mano strinse per un attimo la mia, e le sue labbra delicatamente si posarono sul dorso, baciandola.
Arrivai in bagno e mi appoggiai al lavandino.
La testa continuava a girarmi.
Aprii il rubinetto del lavandino e mi sciacquai la faccia con l’acqua gelida.
Mi guardai allo specchio.
Delle immagini iniziarono a balenarmi nella mente. La serata in discoteca con Shannon, la musica altissima, i cocktail.
Iniziai a rendermi conto di quello che avevo fatto.
La testa iniziò a girarmi ancora più velocemente.
Guardai nell’altra stanza.
Mi soffermai sulle spalle possenti di Shannon, disteso sul letto. Il suo petto saliva e scendeva calmo, seguendo il suo respiro.
Mi guardai allo specchio.
La ragazza riflessa non ero io. Era un mostro.


*****************************************************************

 

“Ho deciso. Glielo chiederò, a Roma.” dissi, rompendo il silenzio.
Tomo abbassò il giornale e si girò a guardarmi sorpreso.
Le strade di Berna erano vuote.
Mi strinsi nel golf e misi le mani in tasca per tenerle al caldo.
“Perché?” chiese curioso.
“E’ stato proprio a Roma che ci siamo incontrati la prima volta…” risposi, ripensando a quel giorno.
“Tu, Jared Joseph Leto mi sorprendi sempre più ogni giorno!” sorrise.
Lo guardai dritto negli occhi e sorrisi, imbarazzato “Beh, con lei sono cambiato. Sento che potrebbe essere quella giusta…”.
Ci abbracciamo forte, come due fratelli.
I nostri respiri creavano delle nuvolette di calore che svanivano velocemente nell’aria fredda della Svizzera.
Chiusi gli occhi e ripensai al nostro primo incontro.
“Lo sapevi che Virginia ha lavorato in un Night Club?” chiese secco, distogliendomi dai miei pensieri.
Mi girai e lo guardai confuso.
“Ah, ed è uscita con un certo Stefano Accorsi e con Tom Felton mentre tu eri in Germania in Tour. Quando già vi vedevate da qualche settimana.”.
Mi strinsi ancora di più nel golf.
“Per non parlare della sua totale incapacità di vestirsi!” aggiunse sorridendo.
Lo guardai e ridacchiai.
“I giornali di gossip danno sempre il meglio di loro…” disse buttando il giornale nella spazzatura.
Iniziò a ridere.
La sua risata sembrò produrre calore, in quella giornata fredda.
“Che ne dici se ce ne andiamo a letto?” chiese sbadigliando “È da questa mattina molto presto che mi trascini in giro, al freddo! Ancora non era neanche tornato Shannon dalla serata in discoteca… Che ore erano? Le quattro?!”.
“Le quattro e mezzo” risposi ridendo.
“Tu sei pazzo!” mi urlò e si avviò con passo veloce verso l’Hotel.
Sorrisi e iniziai a seguirlo.
I pensieri mi affollarono la mente.
Era la cosa giusta?
Mi domandai se era giusto chiedere a Virginia di sposarmi quando sapevo che l’avrei fatta soffrire, che l’avrei lasciata da sola.
Scacciai quei pensieri dalla mente.
Avevo preso la mia decisione, e non volevo tornare indietro.


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Capitolo 14
*** 14. Mai più come prima ***



Was it a dream?



14. Mai più come prima



Ecco qua, ci siamo.
Questo è il penultimo capitolo di questa storia, cari lettori.
Eh sì, siamo proprio arrivati al “Finale di Stagione”.
Voglio ringraziarvi veramente tanto per avermi accompagnato e avermi permesso di arrivare fin qui, al quattordicesimo capitolo.
Spero che, nonostante tutto (trama, avvenimenti, opinioni personali), siate soddisfatti di questa FanFiction, che vi sia piaciuta veramente, che vi abbia coinvolto e che vi abbia trasmesso le emozioni che volevo far trapelare dal testo.
Adesso la smetto, altrimenti inizio a piangere e vi annoio, rovinandovi la lettura.
Godetevi questo capitolo, spero di non deludervi.
Vi saluterò e vi ringrazierò come si deve nel prossimo, ultimo, capitolo.
Grazie.

RikkuEchelon94



 

Camminavo svelta per i corridoi dell’Hotel.
La moquette era calda e soffice sotto i miei piedi scalzi.
Il vestito nero mi sembrava cortissimo alla luce del giorno.
Ero scappata così velocemente da quella stanza che non ero riuscita a chiudere del tutto la cerniera laterale.
I tacchi in mano, per essere più rapida. Le dita mi dolevano per la forza con cui li stringevo a causa del nervosismo.
Ero completamente tesa. Come una corda di violino.
Aumentai il passo. Dovevo ancora arrivare all’ascensore e salire al piano superiore per essere ‘al sicuro’.
Cercai di rimanere lucida, nonostante le immagini di sesso che mi balenavano nella testa.
Persi un attimo l’equilibrio e cercai di tenermi in piedi afferrandomi al muro, lasciando cadere le scarpe sul pavimento.
Iniziai a singhiozzare in silenzio.
Mi sentivo terribilmente in colpa per quello che avevo fatto. Un imperdonabile, orribile errore.
Chiusi gli occhi per pochi attimi e mi asciugai le lacrime con il dorso della mano.
Presi fiato. Il profumo di Shannon sulla mia pelle mi riempì le narici.
Iniziai a respirare affannosamente, ero sull’orlo di una crisi di panico.
Appoggiai la fronte contro la carta da parati, era ruvida al contatto con la mia pelle.
Chiusi gli occhi e iniziai a colpire la parete con i pugni. Avevo rovinato tutto. Da sola. Avevo buttato tutto nel cesso.
Il solo pensiero di far soffrire Jared mi stava uccidendo.
Le mani iniziavano a pulsarmi e a farmi male.
Mi fermai e cercai di calmarmi.
Il respiro cominciò a tornare regolare.
Mi abbassai e presi i tacchi.
Ripresi a camminare, a passo deciso.
Girai in fretta l’angolo.
L’impatto fu improvviso, cogliendomi alla sprovvista.
In un attimo mi ritrovai ad appoggiarmi completamente a Tomo, per non cadere a terra.
Le scarpe caddero di nuovo a terra, producendo un tonfo sordo.
Mi ci volle qualche secondo per rendermi conto della situazione.
Jared lo considerava come un fratello di sangue, qualcuno di cui fidarsi e per il quale avrebbe dato la vita. Ed io mi ci stavo attaccando per non cadere nell’oblio, dopo averlo tradito, dopo aver scopato con l’altro fratello.
Quell’uomo era così alto, così stabile.
Il suo torace era ancora freddo. Erano appena tornati.
Mi feci forza e mi staccai da lui, seppur con difficoltà.
“Virginia!” esclamò, infilando le mani nelle tasche della lunga giacca.
Era stanco, ma nonostante questo il suo sguardo era forte, mi trafiggeva, come una lama.
Indagava, mi guardava dalla testa ai piedi.
Era come se lui sapesse tutto e aspettasse solo che io confessassi il mio terribile peccato.
“Tomo” dissi piano, impaurita. Avevo paura che scoprisse qualcosa.
“Tutto ok?” chiese.
Mi guardò negli occhi. Un semplice sguardo, due occhi che fissavano i miei.
Cercai di parlare, ma dalla mia bocca uscirono solo piagnucolii.
Distolsi lo sguardo per trattenere le lacrime.
Mi umidificai le labbra con la lingua e riprovai a rispondere a quella semplice domanda, fallendo di nuovo.
Non era tutto ok.
Stavo esplodendo.
Sperai che Tomo se ne andasse improvvisamente, senza un motivo prima del mio crollo.
Ma non successe.
Era sempre lì, che mi fissava.
Improvvisamente cedetti, scoppiai a piangere appoggiandomi al suo petto.
Mi lasciai andare, sfogando tutto il dolore che avevo dentro e che mi attanagliava il cuore e lo stomaco.
Le sue mani lasciarono le tasche e iniziarono ad accarezzare la mia schiena, per calmarmi.
“Tranquilla… Qualsiasi cosa sia successa si sistemerà tutto.”
No, Tomo. Non questa volta.
Iniziai a temere che non sarebbe mai tornato tutto come prima


*****************************************************************

 

La porta della camera fece uno scatto, aprendosi al passaggio della chiave elettronica davanti al sensore.
La spinsi con la mano ed entrai.
L’aria calda nella stanza accarezzò il mio volto. Sembrava che centinaia di aghi mi stessero pungendo la pelle, ormai abituata al freddo del mattino della Svizzera.
Mi tolsi il cellulare e i soldi dalle tasche e li appoggiai sul tavolino.
Guardai in camera da letto.
Era tutto in ordine, il letto era rifatto.
Mi affacciai in bagno.
Virginia non c’era. Strano.
Forse ancora non erano tornati, si erano fermati a fare colazione da qualche parte.
Sospirai. Ero solo.
Aprii l’armadio e rimasi per qualche attimo a fissare la cassaforte satinata in basso.
Mi chinai e digitai il codice.
Sei due sette sette, 6277. Sorrisi.
Banale, molto banale per chi mi conosceva bene. Ma quando lo scelsi non credevo di doverci nascondere niente di così prezioso.
Non pensavo di dover nascondere un anello.
Aprii lo sportello.
Le mie mani tastarono le pareti rinforzate della cassaforte, erano gelate.
Cercai sul fondo, improvvisamente le mie dita toccarono la piccola scatolina in velluto rosso.
La presi e la tirai fuori, con molta attenzione.
La mano prese a tremare.
Il contatto con la mia pelle produceva un piacevole suono. Quella scatolina sul mio palmo… Sembrava così piccola, superflua.
In realtà stava per diventare il passo più importante della mia vita.
Un così piccolo oggetto con un peso tanto grande.
Cercai di fare forza con il polso, per placare il tremolio della mano.
La aprii.
L’interno nero della scatola faceva risaltare l’anello, illuminandolo.
Era semplice ma al tempo stesso meraviglioso. Proprio come lei.
L’argento satinato risplendeva, incorniciando il diamante. Un solo, unico diamante.
La luce che lo sfiorava creava riflessi colorati ovunque.
Sospirai.
Stavo facendo la scelta giusta.
Non avevo preso in considerazione un rifiuto. Non sapevo cosa avrei fatto in quel caso.
Ero sicuro di quello che stavo facendo.
La amavo e le avrei chiesto di passare il resto della mia vita con me


*****************************************************************

 

Sentivo lo sguardo severo di Tomo su di me.
Non riuscivo ad alzare gli occhi.
Non avevo resistito.
Gli avevo raccontato tutto.
O almeno, in parte.
Non ero riuscita a coinvolgere Shannon. Non ero riuscita a confessare di aver tradito l’uomo della mia vita con suo fratello.
Lui era rimasto a guardarmi, seduto sull’altro lato del letto, in silenzio.
Non una parola.
Non un’imprecazione.
Niente.
Potevo sentire il suo respiro, pesante.
Il dolore mi lacerava.
Le lacrime si erano asciugate, lasciandomi il viso sporco di trucco.
Le mie mani si stringevano l’una nell’altra con nervosismo e rabbia.
I miei respiri erano brevi e irregolari.
I miei polmoni si riempivano ogni volta di aria mista a colpa.
Ogni cosa mi ricordava quello che avevo fatto.
Stavo morendo dentro.
Presi coraggio.
“Tomo, ti prego.” le lacrime che ricominciavano a scivolare via dai miei occhi “Aiutami. Dimmi cosa devo fare. Dimmi come rimediare a questo terribile errore. Credimi, ci sto male. Veramente male, non ho mai voluto far soffrire Jay. Non voglio ferirlo. Ne morirei!”.
Il mio pianto era ormai diventato una richiesta d’aiuto. Un’implorazione.
Silenzio.
Ancora quel silenzio, mi mancava l’aria.
Era come se inalassi sensi di colpa ed espellessi tutta la fiducia che avevo nel mio amore per Jared.
Forse non ero abbastanza innamorata di lui.
Forse ero solo una stronza.
Forse non lo meritavo.
Forse me ne dovevo andare.
Non sapevo più cosa fare.
La mia testa era piena di pensieri, di domande.
Avevo bisogno che Tomo mi parlasse.
Avevo bisogno che mi tirasse uno schiaffo, mi urlasse in faccia che avevo fatto la più grande cazzata del mondo.
Avevo bisogno che mi dicesse che me ne dovevo andare, per sempre, che dovevo lasciare che Jared vivesse la sua vita senza ulteriori sofferenze.
Avevo bisogno che qualcuno mi cacciasse, perché ero sicura che altrimenti non sarei riuscita ad andarmene e lasciarmi il nostro amore alle spalle.
Stavo impazzendo.
Tomo continuava a guardarmi. In silenzio.
Mi strinsi il viso tra le mani.
Parla.
Ti prego Tomo, parla.
Iniziai a pregare.
“Io non ti perdonerò mai.” ruppe il silenzio con voce dura, minacciosa. “Sappi che non ti perdonerò, mai, per quello che hai fatto. Non lo meriti, non meriti il suo amore. Lo hai tradito! Lui ha un fottutissimo cancro e tu l’hai tradito! Sei una bambina. Stupida.”
Tolsi le mani dal viso.
Aveva ragione.
Me lo meritavo.
Rimasi in silenzio.
Stavo ancora aspettando lo schiaffone.
Aspettavo che mi cacciasse per sempre dalla vita di Jared.
Lo guardai negli occhi, potevo vedere la rabbia dilatargli le pupille.
“In questo momento ti odio” riprese “Ma Jared ti ama moltissimo. Sta soffrendo ed ha bisogno del tuo più completo sostegno. Non voglio dirti di andartene, ma devi assumerti le tue responsabilità. Ti consiglio di essere sincera con lui, dirgli tutto. Sarà lui a decidere.”.
Non aggiunse altro.
Il pensiero mi spaventava a morte.
Aveva ragione, ancora una volta.
Dovevo farlo.
Iniziai a raccogliere tutto il coraggio che avevo in corpo.
Come potevo farlo?
Come potevo spezzare il cuore a quel meraviglioso uomo?
Non potevo, ma l’avrei fatto.
Mi chiesi perché.
Risposta ovvia, perché l’amavo troppo.


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Capitolo 15
*** 15. No Happy Ending ***



Was it a dream?



15. No Happy Ending



Eccoci qua. Siamo giunti all’ultimo capitolo…
Devo scusarmi, come al solito, per il ritardo. Ho aspettato a pubblicarlo di mia volontà; in realtà il capitolo era già qui, già pronto per essere messo online. Mi mancava il coraggio.
Grazie a tutti. Grazie di tutto.
Sono estremamente grata delle persone che hanno letto la FF e quelle che l’hanno commentata, spingendomi a non fermarmi, ad andare avanti.
Vi devo confessare che sono molto insicura, e quando pubblicavo un capitolo andavo di corsa a controllare i commenti e il numero di letture ogni ora, per paura che non piacesse…
Adesso basta però.
A malincuore ecco qua l’ultimo capitolo della mia storia.
Spero vi piaccia, come sempre.
Vi amo <3

RikkuEchelon94



 

Sentivo il torace stringersi, soffocandomi i polmoni, come in una dolorosa trappola.
La sua voce svanì nell’aria.
Lo guardai negli occhi.
Avevo sentito, ma non riuscivo a reagire. Le mani non si muovevano, le gambe sembravano incollate a terra.
La bocca era chiusa, come suturata.
“Vattene” ripeté.
Quella parola ripetuta una seconda volta sempre con la stessa freddezza disumana, sibilò nell’aria come un dardo avvelenato scoccato nel silenzio della notte.
Mi raggiunse facendomi male, tanto male.
Come un calcio in bocca.
Lasciandomi muta, vuota, morta.
Aveva preso la sua decisione. Adesso dovevo andarmene.
Mi limitai ad annuire, contrastando le lacrime amare che cercavano di sfuggire al mio rigido controllo.
Lo superai, avviandomi verso l’armadio.
Iniziai a gettare velocemente i miei vestiti nella valigia, senza curarmene minimamente.
Dovevo andarmene, prima di scoppiare a piangere.
Mi fermai un attimo e lo guardai. Era immobile, davanti alla finestra, guardava nel vuoto. Era ferito.
Tutta colpa mia.
Ero riuscita a buttare giù, distruggere, mandare in frantumi il muro che si era creato intorno. Il muro che gli permetteva di nascondersi, di celare le sue emozioni. Senza che niente trapelasse.
“Penso che sia inutile dirti che mi dispiace e che ti amo da morire perché lo sai già… Sai già che ti amo tanto da essere completamente sincera, anche se questo provoca dolore ad entrambi.” trattenni a stento le lacrime “Ho fatto un’orribile cazzata e me ne rendo conto. Non ti meritavi questo, non in questo momento. Non te lo meritavi!”.
Si girò verso di me.
I suoi occhi mi penetrarono.
I miei denti si serrarono, iniziai a tremare.
“Non voglio la tua cazzo di compassione.” ringhiò, facendomi venire i brividi lungo la schiena.
Guardai giù, lasciando sgorgare le lacrime.
“Ok, scusa.” sussurrai.
Presi le ultime maglie e le gettai dentro, chiudendo velocemente la cerniera.
Mi guardai il braccio e iniziai a slacciare il braccialetto di diamanti che mi aveva regalato.
“Tienitelo” disse a denti stretti, aprendo la porta della camera.
Era arrivato il momento.
Il momento di lasciarmi alle spalle la storia più bella della mia vita.
La fine di tutto.
Uscii dalla porta. Dalla sua vita.
Senza guardarmi indietro.
Avrei lasciato a lui il mio cuore, sperando che se ne prendesse cura.


*****************************************************************

 

I pantaloni di pelle nera aderivano alle mie gambe, soffocandole.
La maglia si attaccava alla mia pelle, leggermente bagnata.
Gocce di sudore scendevano dalla fronte.
Sentivo caldo, tremendamente caldo.
“Jared” una voce mi chiamò fuori dalla stanza “Fra 20 minuti partiamo. Saremo lì in 10 minuti, riscaldamento vocale, ultime prove, si esibiranno i gruppi emergenti e poi andate in scena!”.
Sospirai. Ero nervoso.
Ancora tre date e il Tour sarebbe finito.
Era arrivato il momento di dire addio anche a Roma.
Ma quell’addio era più duro del solito.
Avrei salutato per sempre anche Virginia.
Guardai fuori dalla finestra.
Roma era bellissima, proprio come lei. Il sole illuminava le vie, giocando con i colori.
Appoggiai la mano al vetro, quasi come per toccare il suo viso, un’ultima volta.
Sospirai e mi avviai verso il bagno.
Mi guardai allo specchio. Rifletteva crudele la mia immagine. Ero a pezzi, uno straccio.
Le occhiaie erano visibilmente aumentate. Gli occhi erano rossi a causa delle scarse ore di sonno.
Mi toccai la testa, leggermente.
I capelli caddero a ciuffi sulle spalle. Rimanendo attaccati al sudore delle mie mani.
Presi il bicchiere sulla mensola e lo lanciai verso la porta chiusa.
Il rumore del vetro che si frantumava riempì il silenzio per pochi secondi. Le schegge brillavano sotto la luce, come piccoli fiocchi di neve.
Buttai tutto a terra con un movimento deciso del braccio.
Urlai con tutto il fiato che avevo.
Calciai tutto ciò che era a terra, singhiozzando.
Piansi, gridai, latrai.
Cercai di respirare.
Appoggiando le mani al lavandino freddo cercai di calmarmi.
Come se il marmo freddo potesse attenuare il calore che ribolliva dentro di me frenetico.
Chiusi gli occhi per qualche secondo.
Presi una decisione improvvisa, forse avventata. Ormai non avevo più niente da perdere.
Allungai la mano e presi il rasoio dalla borsa.
Lo accesi e iniziai a rasarmi lentamente.
I capelli cadevano a terra, morti. Come le foglie d’autunno.
Tutto stava volgendo alla fine.


*****************************************************************

 

Ero stanca, non avevo dormito per niente.
Guardai la fila davanti a me.
Venti, forse trenta persone.
Tutte sorelle e fratelli. La mia famiglia.
Alcuni piangevano, altri ridevano felici di quel momento.
Scrivevano a terra con pennarelli indelebili le parole di quelle canzoni che tanto amavano, glyphics e triad diventati ormai simboli delle loro vite.
Avevamo in comune l’amore per loro. Con la differenza, che il mio era molto diverso.
Sentivo le loro voci, rotte dall’emozione, che incitavano a unirsi al loro coro. Vox Populi.
Sembrava una preghiera, un barlume di speranza.
Avevo i brividi. I capelli sulla nuca si rizzarono.
Centinaia di voci, unita in un’unica, forte e determinata.
Erano consapevoli della fine, ma quel momento sarebbe rimasto nei loro cuori, per sempre.
Mi guardai le mani.
Erano fredde, sudate. Avvolte l’una nell’altra, come per cercare un conforto e una sicurezza che non avevo.
Forse stavo facendo l’ennesima cazzata.
Il biglietto nella tasca del giacchetto di pelle mi sembrava così pesante, un macigno.
Mancava poco, davvero poco. Ancora qualche ora e avrebbero aperto quei fottutissimi cancelli.
E a quel punto avrei corso. Veloce, più che potevo.
Dovevo essere sotto il palco. Quella era la mia ultima possibilità.
Avevo un piano, o forse no.
Non sapevo cosa fare.
Oramai ero lì, ero in ballo.
Ero pronta per ballare.


*****************************************************************

 

Shannon guardava nel vuoto, disteso sul lettino.
La massaggiatrice scioglieva la tensione sulle sue spalle possenti.
Tomo si sventolava il viso con un giornale.
I suoi capelli svolazzavano madidi intorno al viso grondante. Stringevo la bottiglia di acqua come unica fonte di un po’ di respiro nella stanza calda.
“Accendete un ventilatore, l’aria condizionata. Qualcosa cazzo! Si muore di caldo! Che razza di banda di incompet…”.
In un attimo mi resi conto di aver esagerato e mi fermai.
Due occhi gialli, cangianti, si fissarono su di me, preoccupati.
“Sto bene, sto bene…”.
Bevvi un po’ d’acqua e finii di vestirmi.
Il nuovo taglio li aveva sconvolti un po’, anzi molto.
Quel cambiamento che qualche anno prima sarebbe sembrato un semplice capriccio dei miei, questa volta era come una sentenza di morte.
Era il simbolo della fine che stava incombendo più velocemente di quanto pensassimo.
I loro occhi su di me iniziarono ad infastidirmi.
Non volevo neanche la loro compassione.
Mi chiesi se sapevano qualcosa di quello che era successo, tra me e Virginia. Se sapevano con chi Virginia mi aveva tradito. In realtà poco m’importava con chi avesse scopato, era che non l’avesse fatto con me che mi aveva ferito.
Indossai il cappuccio per nascondere il capo e abbassai lo sguardo.
Sentii le gocce di sudore ricominciare a cadere dalla mia fronte. Di nuovo.
Odiavo quella maledetta malattia.
Stava rovinando tutto.
L’aveva già fatto.
Sentii bussare alla porta della stanza.
Shannon mandò via la giovane massaggiatrice, con un enorme sorriso di ringraziamento, e indossò la maglia.
Mancava sempre meno. Una, forse due ore.
Sentivo la band emergente cantare.
Non erano niente male, ma ero troppo occupato con i miei pensieri per ascoltarli.
Il mio corpo fremeva.
Avevo bisogno di cantare, per non pensare.
Improvvisamente il silenzio.
Un altro colpo veloce sulla porta. Ecco il segnale.
Era giunto il momento.
Shannon e Tomo scivolarono velocemente fuori, come pioggia sulla pelle.
Mi schiarii la voce, ero pronto.
Mi avviai verso il palco lentamente.
Presi il tempo che ci voleva.
Il tempo di sentire Shannon mettere il cuore in ogni colpo sulla sua batteria.
Il tempo di sentire le dita di Tomo creare quella melodia meravigliosa, impressa per sempre nella mia mente.
Mi tolsi la felpa e la lanciai via.
L’aria fresca della sera mi punse la pelle.
Trattenni il fiato.
Ed entrai.
I miei piedi toccarono la superficie del palco. Sentivo l’adrenalina salire, alimentando il battito del mio cuore.
Ogni volta era come la prima.
Respirai.


Time to escape
The clutches of a name
No this is not a game
...It’s just a new beginning...



I don’t believe in fate
But the bottom line
It’s time to pay
You know you’ve got it coming
This is war!

 

Eccomi Jared.
Ho chiuso gli occhi ed ho ricordato: ogni singola parola, ogni singolo bacio, ogni singola carezza.
Ho ricordato il nostro inizio e la nostra inesorabile fine. Ho finito di ricordare la nostra lunga storia.
Ho chiuso gli occhi solo per qualche attimo. Un attimo che mi è sembrato infinito.
Ma non mi sono voluta arrendere. Non mi voglio arrendere.
Sono qui, per te.
Il mio ventre schiacciato contro le transenne.
Sono qui, sotto di te.
Sono qui, davanti a te.
Forse tu non mi vedi.
Come una volta, sono tornata ad essere una di tante.
Una piccola e insignificante ragazza nella moltitudine.
Guardami.
Guardami, ti prego.
Ho bisogno di te.
Ho bisogno che tu torni da me.
Ho bisogno dei tuoi occhi.
Mi isolo.
Non voglio sentire la tua voce. Quella voce così profonda, virile, sensuale, meravigliosa. Mi ricorda troppe cose, troppi momenti nostri.
Sento le lacrime lottare con le palpebre, cercando di sfuggire al mio controllo.
Non voglio piangere.
Voglio essere lucida.
Goderti, per l’ultima volta.
Vedo passare le immagini di A Beautiful Lie, ma non riesco a cantare.
Non riesco a sentire.
Sento solo il mio cuore battere, sempre più lentamente.
Sento la mia anima morire, piano piano.
Smetto di pensare.
Improvvisamente le note di This Is War mi colpiscono forti.
Le orecchie quasi mi sanguinano.
Stringo le dita intorno alla transenna per il dolore.
Un attimo di lucidità.
Mi sento morire. La tua voce.
Mi è sembrato che la tua voce ti morisse dentro.
Alzo gli occhi e incrocio i tuoi.
Mi stai guardando.
Stai piangendo.
Di nuovo, mi sento morire.
Ricominci a cantare.
E ancora, la tua voce non è la stessa.
Ti fermi.
Mi manca il fiato, il mio cuore si ferma.
Riesco solo ad urlare solo un forte “No!”.
No. No. No. No.
Non poteva succedere.
Non poteva essere vero.
Vedo le tue gambe cedere.
Il tuo petto smettere di alzarsi e abbassarsi.
Ti accasci.
Salto velocemente la transenna e corro verso il palco, più veloce che posso, evitando le braccia che cercano di fermarmi.
Non riesco a pensare.
Le lacrime scendono inesorabili.
Mi estraneo dal resto del mondo. Shannon e Tomo diventano solo delle forme sfocate vicino a te.
In ginocchio, piangono con me. Chiamano aiuto, urlando. Le mie braccia ti toccano, ti accarezzano.
I tuoi occhi incrociano di nuovo i miei.
Ti bacio.
“Ti prego rimani con me… Io ti amo.”.
Ti supplico.
Non può finire così.
Mi sorridi triste.
Le mie lacrime cadono sul tuo viso.
Le tue mani sfiorano il mio.
Le nostre labbra si toccano, forse per l’ultima volta.


Caro Jared, ciao.
Caro Jared, ti prego.
Ti prego, se te ne vai, portami con te…


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