Cards

di Alessia Heartilly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Carte Scoperte ***
Capitolo 2: *** Interludio: Kiros ***
Capitolo 3: *** II. Plus ***



Capitolo 1
*** I. Carte Scoperte ***


Disclaimer: Final Fantasy VIII e i suoi personaggi sono un marchio registrato Squaresoft, e vengono qui utilizzati senza scopo di lucro. Nessuna violazione del copyright è pertanto da ritenersi intesa.

Nota dell'autrice: sono riuscita a mettere da parte questo plot bunny per tutta l'estate. Solo che adesso non ci riesco più! Lo butto fuori, nella speranza che poi mi lasci in pace e mi permetta di continuare sugli altri miei progetti.
Tutte le informazioni utilizzate per ricostruire la storia di Laguna, Julia, Kiros, Ward, Ellione e Raine sono state tratte dalla Final Fantasy Wiki, versione inglese, alle voci relative ai personaggi. Ho preso informazioni anche per i personaggi principali, dove serviva. Considerate questa nota come valida per la storia intera; magari mi limiterò a dire cosa ho inventato io, per maggior chiarezza. Non starò a ripetere i link alla Wikia ogni volta, dato che saranno fondamentalmente sempre quelli. Utilizzate anche alcune traduzioni dall'Ultimania che potete trovare qui.
Il rating è riferito all'intera storia, ed è suscettibile di cambiamenti (sì, come al solito non so dove andrò a parare XD). La struttura della storia penso possiate capirla anche solo guardando i titoli di capitolo... spero solo di non dilungarmi troppo. Buona lettura e grazie in anticipo!

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I. Carte Scoperte

Il faro di Balamb gettava fasci di luce nel buio, una conca sul mare che sembrava più azzurro.

Una per una, le luci della città di Balamb si accesero ad illuminare la notte, costellando il cielo blu scuro di punti luminosi che sostituivano le stelle.

Era una piovosa serata di fine settembre. In lontananza, sul fondo del mare, qualche tuono squarciava il cielo; era un momento di luce improvvisa e sinistra che lo lasciava sempre incantato e pieno di adrenalina. Come se il tuono gli desse energia. La pioggia cadeva fitta e fredda, una tipica pioggia d'autunno che lui amava molto. Era così intensa che dalla strada, sulla piana laggiù, sembrava quasi levarsi una nebbia.

Sul promontorio in cui era scavata la Caverna di Fuoco, Squall osservava il temporale che spazzava l'isola, il mare in burrasca che arrivava schiumante di rabbia ad abbattersi sulla spiaggia, il faro sferzato dalla pioggia. Erano quelle le serate che amava di più; quando il tempo era piovoso, quando c'era burrasca, e quando anche dal promontorio si poteva guardare il mare e non vedere altro che mare.

Nelle giornate terse e serene, invece, l'occhio si spingeva lontano, fino a lambire le terre di Dollet, e sembrava che il mare che separava Balamb dal continente di Galbadia fosse uno spazio piccolo, quasi umano. Si poteva vedere il ponte ferroviario che sovrastava il mare e passava per Fisherman's Horizon, e sembrava che l'uomo avesse dominato la massa d'acqua che ora, invece, era così furiosa da arrivare a bagnare anche le rotaie. In giorni come quello, i collegamenti venivano interrotti. E bastava voltarsi, nelle giornate terse, per vedere un accenno del continente di Esthar.

Ma Squall non ci teneva a vederlo, e rimase a fissare il mare in burrasca, il buio che gli celava alla vista Galbadia, e si vedeva solo il ponte, che sembrava pronto a cedere a momenti. Era la potenza della natura che gli piaceva.

Quei momenti in cui la natura era così selvaggia nelle sue manifestazioni da far sentire piccoli e insignificanti, e a lui piaceva perché sentirsi piccolo e insignificante gli faceva ridimensionare i suoi problemi. Davanti al mare che sembrava volersi mangiare l'isola, che cosa potevano mai contare le preoccupazioni di Squall?

Alzò il gunblade e ammazzò un Lesmathor che si era arrischiato ad uscire per trovare un po' di cibo.

Sul promontorio c'era solo il rumore della pioggia; Squall era ormai fradicio, e non tremava di freddo solo per non mostrare debolezza.

Piantò il gunblade nel terreno e chiuse gli occhi, alzando il viso perché il temporale potesse sferzarglielo. Rimase immobile, ascoltando i rumori che provenivano dall'esterno per poter mettere a tacere il tumulto all'interno; non era facile, ma oramai erano anni che ci provava. In quelle occasioni, di solito, arrivava Seifer a strappargli un duello. In un'occasione come questa si era guadagnato la cicatrice sulla fronte.

Sentì avvicinarsi dei passi, ma non si mosse; li aveva riconosciuti. Il modo in cui facevano rumore nell'acqua gli parlava di una persona sola – che cercava insieme di fare in fretta e di non bagnarsi troppo. Poi sentì dei fruscii, un grosso sospiro, e finalmente la persona parlò. "Ti ho cercato dappertutto."

Squall abbassò lentamente la testa e aprì gli occhi. Rinoa gocciolava da qualunque parte del corpo, nonostante avesse cercato di proteggersi con un ombrello; notò che si era alzato il vento. Lei parve rinunciare a coprirsi e lo chiuse, avvicinandosi a lui.

"Sapevi che ero qui," disse lui, con la voce arrochita dal freddo e dal silenzio.

"Non perché me lo hai detto tu," rispose lei, e si avvicinò fino a quando ci furono pochi centimetri tra loro. "Ho cercato di darti un po' di tempo da solo, ma..."

"Sei preoccupata," terminò lui, ma era come se stesse parlando di un'estranea.

Lei sospirò, e si passò una mano tra i capelli per strizzare via un po' d'acqua.

"Ascolta... dirò agli altri che vuoi essere lasciato in pace. Davvero, chiederò a tutti di non parlarti di questa cosa fino a quando non lo deciderai tu. Ma per favore, torna a casa... non mi piace saperti fuori con questo tempo."

Squall annuì, allungando una mano per accarezzarle il viso. Rinoa aveva sempre rispettato il suo spazio; il promontorio era un luogo che lui le aveva mostrato, per il suo compleanno di quasi un mese prima, come un gesto di fiducia che sapesse farla sentire parte dei suoi segreti. Se non sai dove trovarmi, sarò qui, le aveva detto allora, mostrandole la città di Balamb illuminata dal sole e che diventava via via sempre più chiara, al calar della sera, mostrandole le luci che la riempivano come piccole stelle in ogni casa, mostrandole il faro che illuminava il ponte, e Dollet, laggiù in fondo, ed Esthar e il ponte su cui l'aveva portata in braccio. Lei aveva capito e non era mai andata a cercarlo lì, perché quello era il suo luogo, il posto dove rifugiarsi, e lei non voleva metterci piede se non dietro invito.

Solo che stavolta era preoccupata, e tanto, e lui pensava che fosse meglio davvero tornare indietro con lei. Lasciare che lei gestisse la cosa al posto suo. Lasciare che fosse lei a coprire le sue carte oramai scoperte.

"Va bene," sussurrò lui, afferrando l'impugnatura del gunblade.

"Sono venuta in macchina," aggiunse lei, come fosse un pensiero secondario e inutile, stringendosi un po' di più addosso l'impermeabile che non la proteggeva dall'acqua.

"Guido io. Dal garage andrò in camera mia. Raggiungimi lì, per favore," disse lui, prendendola per mano mentre iniziavano la discesa. Si chiese come avesse fatto, Rinoa, a salire lì sopra con un ombrello; era difficoltoso salire e scendere con le mani libere per aggrapparsi ora a una roccia ora a una radice, ma con una mano occupata... immaginò che fosse davvero parecchio preoccupata, per rischiare di farsi male ad ogni passo a quel modo.

Giunti nella piana, Squall lanciò un ultimo sguardo alle luci di Balamb. Salì in macchina, grato del riscaldamento acceso, e partì ancora prima che Rinoa avesse chiuso la portiera. C'era qualcosa che lo tormentava, notò lei, e decise di non dire nulla fino a quando non fosse stato lui a decidere di aprirsi. Arrivarono al Garden in un totale silenzio, interrotto solo dalla ventola del riscaldamento spinta al massimo, per non tremare di freddo nei vestiti fradici.

Al Garage lui spense l'auto, senza far cenno di voler scendere. Rinoa lo assecondò, perché oramai, anche se stavano insieme da pochi mesi, aveva capito com'era fatto: c'erano i lunghi silenzi e gli sfoghi precisi, dritti al punto, senza consumare una parola di troppo. Li custodiva nel suo cuore, cercando di essere rispettosa dei suoi tempi, dei suoi spazi, rinunciando ogni volta al pezzo di uomo ideale che avrebbe voluto avere accanto. Bisognava crescere, nella vita, si diceva allora.

"Lo sapevo," disse lui infine, sottovoce, come se stesse parlando tra sé e sé e non a lei. "Prima di Artemisia, sulla Lagunarock... lo avevo capito. Insomma, più o meno. Kiros e Ward mi dissero che somigliavo a mia madre, e che era una buona cosa non somigliare a mio padre. In quel momento, Laguna ha fatto un movimento che non avrei capito se... se Ellione non me lo avesse fatto vivere sulla pelle."

Silenzio. Fu Squall ad allungare la mano per prendere quella di Rinoa, gelo che stringeva il gelo. Avevano bisogno di una doccia calda.

"Un crampo. Quando Kiros e Ward hanno parlato di mia madre e mio padre, Laguna ha avuto un crampo. Un crampo che ha solo in certi momenti della sua vita."

Rinoa si voltò a guardarlo, e lo vide passarsi una mano tra i capelli, il luccicore del suo orecchino che compariva momentaneamente, e poi il viso di nuovo coperto.

"Non avrei voluto saperlo davvero," terminò Squall, senza spiegare, senza elaborare. Rinoa capì qualcosa – capì che erano poche le scelte che Squall aveva potuto fare nella sua vita, e ancora meno quelle che aveva potuto fare nella missione contro la Strega. Ma non chiedere a Laguna se era vero, fingere di non aver visto e sentito, continuare a essere l'orfano che sentiva dentro di sé era una scelta, e di questo era stato defraudato.

Durante una stupida partita a carte con Laguna.

"Dormi da me?" disse poi lui, togliendo le chiavi dal cruscotto e aprendo la portiera per scendere.

"Sì," rispose semplicemente Rinoa. Scesero insieme dalla macchina, e lei lo raggiunse. Cercò di resistere senza riuscirci alla tentazione di prendergli la mano, e se la portò alla labbra, stupendosi quando lui la attirò a sé e la strinse forte al petto. Alzò esitante le braccia per accarezzargli la schiena, mentre il pelo fradicio della sua giacca di pelle si appiccicava alla sua guancia. "Prenderò qualche vestito asciutto e sarò da te. Vuoi... vuoi che parli anche con gli altri, prima?"

"Vieni da me e basta," sussurrò lui, sfregando il naso contro la sua guancia, fino a lasciarle un bacio sulla tempia. La lasciò andare con una tale lentezza che Rinoa pensò che non volesse realmente farlo.

"Ok. A dopo," rispose baciandolo veloce sulle labbra.

Lui non si mosse fino a quando lei non fu sparita nel corridoio principale.

*~*~*~*~*

Laguna arrivò a Balamb accompagnato da Ellione e dai suoi inseparabili amici con la scusa del torneo di Triple Triad.

Per festeggiare la vittoria sulla strega, la cittadina aveva organizzato un torneo di carte, nella speranza di risollevare un po' il turismo che aveva sofferto del periodo di occupazione e guerra. Balamb si riempì di festoni, di luci colorate, di bancarelle ricche di ogni tipo di oggetto, di cartomanti e prestigiatori, che intrattenevano il pubblico tra una partita e l'altra. Il torneo si svolgeva sul molo, al riparo di strutture in legno create appositamente.

Squall e Quistis avevano deciso di partecipare più per essere stati ufficialmente invitati a farlo che per reale interesse all'evento. I loro amici li accompagnavano, e fu Selphie a notare Laguna per prima. Gli corse incontro gridando "Signor Laguna!" e il Presidente di Esthar non riuscì più a separarsi dal gruppo.

Fu Squall a vincere il torneo. Consegnò la targa commemorativa a Rinoa con una faccia che diceva 'io non so che farmene', e lei ridacchiò, accettando il dono mentre lui sistemava di nuovo le sue carte. Fu in quel momento che Laguna invitò tutti a cena, e Squall lo maledisse tra sé e sé – non vedeva l'ora di tornare a casa e stare un po' da solo. Con Rinoa.

Dopo cena, Selphie propose a Squall e Laguna di fare una partita a carte – perché erano stati davvero bravi quel giorno, e magari il signor Laguna voleva una rivincita?

Squall si limitò a scrollare le spalle, e quando Laguna propose di mettere in gioco la sua targa, accettò senza pensarci due volte – tutto pur di disfarsi di quella roba che aveva rifilato a Rinoa, e che lei aveva probabilmente accettato per gentilezza. Tirò fuori dalla borsa di Rinoa la tavola del Triple Triad, la sistemò sul tavolino e chiese a Laguna con quali regole volesse giocare; era lui l'ospite, e quindi stava a lui stabilire le regole di gioco e di scambio.

"Che regole vigono, qui?" chiese il presidente.

"Carte scoperte e scambio differenza," gli rispose Squall. In occasione del torneo, tutte le regole diffuse erano state azzerate.

"Allora va bene così. Giochiamo a carte scoperte."

In quel momento, Squall non si rese conto del senso nascosto in quella frase, pronunciata con una certa malinconia. Toccava a lui iniziare, e posò la sua prima carta sulla tavola da gioco, premendo poi il tasto per accendere l'indicatore di appartenenza della carta. Aveva scelto il blu.

Laguna giocò quasi distrattamente. Abituato com'era a dover ragionare sul gioco, per via delle regole di Esthar, in grado di lasciarti senza niente se solo perdervi la concentrazione, trovava la sfida poco interessante. Squall vinse senza alcuna difficoltà.

"Proviamo con Mano a Caso?" propose Laguna. Squall scrollò le spalle e iniziò a mischiare il mazzo per la nuova partita. "Hai un modo particolare di giocare," osservò poi Laguna, mischiando distrattamente le sue carte, con lo sguardo fisso su Squall.

"Ah sì?" rispose lui, estraendo cinque carte dal mazzo, senza guardarlo. Laguna lo imitò. Fece ruotare la freccina per stabilire a chi toccasse iniziare, e toccò nuovamente a Squall.

Lo osservò mentre guardava le proprie carte e le sue per stabilire quale potesse essere la migliore mossa di apertura. Squall tendeva a giocare in maniera difensiva. Controllava tutti i valori delle carte, calcolava tutti i possibili risvolti di gioco, e poi, se toccava a lui aprire, posizionava la carta più debole nel punto della tavola in cui era più difesa – possibilmente, dove non poteva passare in nessun modo all'avversario. Era difficile che giocasse in maniera più offensiva – anche se a volte tendeva a posizionare carte che era semplice per l'avversario girare, lo faceva solo se sapeva di poter poi rigirarla a suo favore.

Diceva qualcosa su suo figlio, questo modo di giocare?

"Sì," disse Laguna, posando una carta in difesa, per vedere se riusciva a giocare come suo figlio. "Giochi in difesa. Non ti esponi. Non rischi. Se non ci fosse Mano a caso, sceglieresti carte molto forti, vero?"

Squall stava osservando le carte per la mossa successiva, ma riuscì comunque a rispondere. "È solo un'abitudine. Durante la guerra perdere una carta voleva dire perdere oggetti e quindi magie preziose. Sto semplicemente attento a perdere poco e guadagnare molto," disse, facendo la sua mossa. Era in vantaggio.

"Anche..." Laguna si interruppe, deglutì; il crampo saliva lungo la gamba, concentrandosi nel polpaccio e diffondendosi fino alla coscia, uno spasmo doloroso che lo attraversò come un brivido. Non trattenne una smorfia di dolore. Squall la vide, ma finse di non vederla. Non avrebbe voluto vederla. Era il momento che aveva scelto di non vivere – e che avrebbe dovuto vivere comunque, perché le sue scelte alla vita sembravano importare poco.

"Anche... tua madre... giocava così."

Calò un silenzio irreale nella stanza, in cui l'unico rumore erano le carte che Squall posava sull'area di gioco, e poi quello del pulsante che decretava di chi era la carta. La tavola era piena delle luci azzurre di Squall. Laguna lo assecondò, giocando per perdere, giocando per osservare suo figlio che avanzava verso la vittoria, come aveva sempre fatto, incastrandolo nel ragionamento delle possibilità e dei numeri, perso in un mondo dove tutto era preciso ed era azzurro o rosa, senza sfumature strane nel mezzo.

La partita terminò a favore di Squall. Non avevano stabilito di prendersi le carte del vincitore, quindi spense la sua tavola da gioco, radunò le sue carte, rimise il mazzo nella sua scatola e allungò il tutto a Rinoa, perché lo riponesse nella sua borsa. Lei lo prese con le mani tremanti; c'era una rivelazione nell'aria che Squall non intendeva riconoscere, ma che era lì, sospesa sulle loro vite, in attesa della sua sentenza di condanna o di assoluzione.

"Sei mio padre," disse freddamente Squall, alzandosi. Laguna rimase seduto, inchiodato nell'immobilità dal suo crampo. Annuì soltanto.

"Non..." Squall scosse la testa, come incredulo. Si allungò a prendere la mano di Rinoa e la strattonò per portarla via con sé, facendola quasi inciampare addosso a Quistis. Si fermò quasi sulla porta, senza voltarsi. "Non volevo saperlo. Non so cosa ti faccia pensare che volessi saperlo. Non mi interessa. Per quanto mi riguarda sei morto diciassette anni fa."

Gli amici di Squall offrirono delle scuse veloci, si dissero dispiaciuti per lui, e si affrettarono a raggiungere il Garden. Kiros ordinò una porzione doppia di gelato alla vaniglia, per tirare su il morale di Laguna. Ward lo guardò in un modo che non gli riuscì di decifrare.

Quando i ragazzi uscirono dall'albergo, Squall e Rinoa erano già spariti. Avevano noleggiato una macchina ed erano tornati al Garden; Squall non aveva voglia di parlare con nessuno, e aveva cercato di evitare i suoi amici: sapeva benissimo che non avrebbero esitato a dare la loro opinione. Quando arrivarono, Rinoa aveva le dita intorpidite a furia di tenersi aggrappata al sedile; la velocità non le piaceva. Era ciò che aveva ucciso sua madre.

Squall quasi la trascinò in camera sua, e lei non disse una parola per paura di irritarlo ancora di più. Si ritrovò premuta contro la porta chiusa, baciata con una passione che la lasciò senza fiato e con la testa che girava. Lo sentì ansimare ed era più come se la rabbia non gli lasciasse respiro che non per il piacere. Decise che era meglio non dire nulla, e lo lasciò fare anche quando la spogliò, quasi strappandole i vestiti, e la sollevò per portarla a letto. Cercò di rispondere a baci e carezze con la stessa intensità indotta in lui dalla rabbia, per quanto fosse inesperta e avessero fatto l'amore solo poche volte, prima. Voleva quantomeno lenire il suo dolore, chiuso nel fondo del petto, incapace di esprimersi a gesti che non fossero dedicati a lei, come se dare piacere a lei potesse riscattarlo di ciò che stava soffrendo.

Alla fine, quando finalmente la sua furia si spense e lui tornò a baciarla e accarezzarla con la solita dolcezza, Rinoa ricambiò, soddisfatta ed esausta, e avrebbe giurato che lui stesse piangendo, quando le nascose il viso tra i capelli, sparsi sul cuscino. Non ne era sicura, però, perché il movimento delle spalle poteva anche essere dovuto solo al respiro laborioso. Quando lui rotolò via da lei, aveva il viso asciutto. Non gli disse nulla, e lui non cercò di confidarsi. Allungò un braccio per stringerla a sé, e lei gli posò una mano sul petto.

La mattina si svegliarono al suono di qualcuno che bussava alla porta. Squall le chiese se poteva aprire lei, e annuendo Rinoa si infilò la sua maglia, si accertò che la coprisse abbastanza e uscì dalla stanza da letto per andare a vedere chi fosse.

Era Quistis, ed era molto stupita di vedersi aprire da Rinoa, con la maglia di Squall e le gambe nude, che arrossiva sotto il suo sguardo inquisitore. Si fece da parte e la fece entrare nel piccolo ingresso in cui Squall aveva messo un divanetto; Quistis cercò di non mostrare troppo il suo stupore, e chiese solo, "lui c'è?"

"Sì, ci sono," rispose Squall, avvicinandosi alla porta, vestito di tutto punto. Fece cenno a Rinoa di andare pure, e lei si allontanò, grata di potersi sottrarre agli occhi di Quistis, che parevano giudicarla.

"Cosa c'è?" chiese Squall, ben sapendo che si trattava di Laguna, ma ancora con l'assurda speranza che in realtà lei dovesse portargli un ordine di Cid.

Quistis allargò le braccia, scuotendo la testa, e attaccò a parlargli di Laguna, di come lo avesse fatto soffrire il giorno prima, trattandolo a quel modo, e di come avrebbe fatto meglio a sentire almeno cosa avesse da dirgli, e tutta una serie di cose che Squall smise di ascoltare immediatamente. Quistis allora sbottò, dicendogli che doveva almeno provare ad ascoltarlo per tutti loro, che ancora non sapevano di chi erano figli.

"Quistis," sibilò Squall  quando sentì che la misura era colma. "L'unica persona che ha il diritto di dirmi qualcosa su questa faccenda è di là che si riveste. Stai parlando senza sapere di cosa stai parlando. Quindi se non hai altro da dire, piantala e vattene."

Gli occhi di Quistis fiammeggiarono di un miscuglio di rabbia e dolore, ma lei non cedette. "Siamo tuoi amici, e-"

"Gli altri saranno miei amici, ma tu stai dimostrando di non capire cosa ti dico e cosa provo. Cos'è, vuoi dimostrare che non sei un'insegnante fallita? Hai sbagliato persona," sbottò infine Squall. Se lei veniva in quella che lui considerava casa sua a dirgli cosa fare e cosa dire, ferendolo di fatto come nemmeno riusciva a immaginare, perché lui non poteva difendersi con le stesse armi? Afferrò il suo gunblade e uscì sbattendo la porta.

Rinoa uscì lentamente  dalla camera da letto. Si era già vestita e aveva cercato di dare a Squall e Quistis lo spazio per parlare senza intromettersi; ma il rumore della porta sbattuta con tanta violenza la indusse ad entrare. Quistis era immobile e rigida, in piedi dove lei l'aveva lasciata. "...Squall?" sussurrò appena, come se avesse paura di disturbarla.

Quistis parve riscuotersi. "Se n'è andato. Era molto arrabbiato e..."

"Non è ancora pronto per parlare di Laguna," sospirò Rinoa, passandosi le dita tra i capelli. "È ancora un po' troppo scosso, e ferito-"

"Ferito?" Il tono con cui Quistis ripeté quella parola sembrava di  per sé una ferita. "Ha ritrovato un padre, cosa che tutti noi speriamo di fare ogni giorno. Dovrebbe gioirne."

Rinoa la osservò, e si chiese cosa fosse realmente a muovere Quistis. L'invidia? La gelosia? La sua convinzione di essere davvero nel giusto? Scosse la testa, e provò a spiegarsi di nuovo. "Squall non è voi. Gli serve il tempo di digerire la notizia. Non puoi aspettarti che salti al collo di Laguna, lui... lui non riesce nemmeno a parlarne, ancora."

"Non sembra che tu ci abbia provato molto," disse Quistis tra i denti. Non capiva nemmeno lei perché doveva sempre sfogarsi su Rinoa – lo faceva e basta, come Squall si sfogava su di lei.

Rinoa si raddrizzò, con gli occhi stretti e i pugni chiusi lungo i fianchi. "Adesso stai esagerando. Quello che facciamo io e Squall riguarda me e lui e basta. Tu non hai il diritto di giudicare né me né tanto meno lui. Stai parlando di cose che non sai. Ti basi su quello che pensi che proveresti al posto suo, e non ti rendi conto che in questo modo tralasci quello che lui sta provando adesso per davvero."

"Beh, se tu lo sai quello che sta provando, aiutalo ad accettare la cosa. È la cosa migliore..." cercò di rimediare Quistis. Non voleva davvero offendere Rinoa, era solo che il suo carattere dolce la rendeva più incline a prendersela con lei. Rinoa sapeva essere estremamente combattiva, ma non lo era praticamente mai stata con Quistis; era sempre stato con Squall che aveva fatto le sue memorabili battaglie verbali.

"Quistis, il punto è un altro. Sta a Squall decidere cosa vuole fare. Io posso aiutarlo a gestire la cosa, ma accettarla o no deve essere una scelta sua..."

"Ma non credi anche tu che sarebbe meglio, per lui, avere un padre che sia presente?" domandò Quistis, allargando le braccia, come se davvero non riuscisse a capacitarsi di come né Rinoa né Squall capissero.

"Quistis, io... io non so cosa sta provando Squall. Se provo a pensare che domani potrei vedere mia madre, dopo che l'ho creduta morta tutti questi anni... non riesco a immaginare cosa proverei. Lo desidero, è ovvio, se potessi rivederla sarebbe la cosa più bella del mondo. Ma forse mi sentirei anche tradita, abbandonata, rifiutata... e penso che sia questo che Squall sta provando, quello che ha sempre provato. Magari un giorno accetterà Laguna, ma adesso ha solo bisogno di vivere questa cosa come meglio crede. Ha sempre affrontato le cose a modo suo. Sono sicura che farà la scelta giusta."

"E se così non fosse?" le chiese Quistis, del tutto non convinta.

"Se così non fosse," rispose Rinoa, prendendo le sue cose e facendo cenno a Quistis che avrebbero dovuto lasciare la stanza, "Squall è il mio uomo e io darò a lui il mio sostegno. Starò dalla sua parte, anche se non sarò d'accordo con le sue scelte."

Erano già in corridoio, e Rinoa aveva già chiuso la porta dietro di loro, quando Quistis, convinta che l'amica volesse andare a cercare Squall, le disse quasi compiaciuta di sé, "sarà sicuramente al Centro Addestramento, se vuoi parlargli."

"No, non credo," rispose Rinoa dopo averci pensato un po'. "Squall ha bisogno di spazio e non lo andrò a cercare. E non penso sia al Centro Addestramento, sarebbe troppo facile trovarlo, e lui in questo momento vuole stare solo con i suoi pensieri."

"E tu lo lasci fare?" Quistis non riuscì ad evitare il tono incredulo della sua voce – lei ci sarebbe andata dritta filata a cercare Squall, fosse stata nei panni di Rinoa. Sarebbe andata a cercarlo e l'avrebbe spinto a parlarle e l'avrebbe indirizzato verso la scelta migliore. E Rinoa, dopo tutto quello che aveva fatto perché Squall si aprisse un po' di più, lo lasciava in pace così?

Fu fuggevole il pensiero – lei non era nei panni di Rinoa. E forse era proprio perché lei sarebbe andata a cercarlo che nei panni di Rinoa non ci sarebbe stata mai.

"Sì, perché in questo momento gli devo soprattutto rispetto." Sospirò profondamente, e poi si voltò a guardare Quistis. "Tu non... non hai visto in che stato è. La rabbia, il dolore, la delusione, il rifiuto... in questo momento è davvero tutto troppo grande per esprimerlo solo a parole. So dov'è e non mi preoccupo. Quando inizierò a preoccuparmi, so dove andare a cercarlo." Non le disse che in realtà, sperava di sapere dove fosse Squall, non ne era del tutto sicura. "Quistis, davvero... so che lo fai a fin di bene, ma credo che ora come ora rischiamo solo di peggiorare le cose. La notizia è stata più che sconvolgente, per Squall. Lasciamogli il tempo di assorbirla a modo suo – non è ancora così cambiato da buttarsi a fare discorsi lunghissimi su quello che prova."

Quistis tacque, riflettendo sulle parole di Rinoa. Non era ancora convinta che l'atteggiamento di Rinoa fosse il migliore, in un caso come quello, ma la sua amica aveva passato un'intera notte con Squall... qualcosa doveva pur aver percepito. Scacciò il pensiero che si parò davanti alla sua mente – non era ancora pronta a immaginare Squall tra le braccia di Rinoa, né a ignorare il doppio senso che aveva creato da sola – e sospirò. Tanto valeva concederle il beneficio del dubbio.

"Forse hai ragione," disse. Intanto, però, pensava che forse, il giorno dopo, Squall sarebbe stato più incline ad ascoltarla.

*~*~*~*~*

La pioggia continuava a cadere fitta fuori dalla finestra, e di tanto in tanto un lampo improvviso illuminava la stanza e la nudità di Squall.

Rinoa doveva ammettere che essere lì con lui, al caldo e all'asciutto, dopo il freddo che aveva preso andando a cercarlo, era confortante. E poi lui sembrava quasi più tranquillo, ed era bello stare così vicina a lui, con le mani intrecciate e la sensazione strana che le lasciava sempre tra le gambe. Stava coricata su un fianco, dando le spalle alla finestra, e rispondeva ridacchiando ai baci che Squall non sembrava voler smettere di darle.

Era così, decise, che adorava stare nelle serate di pioggia: nuda nel letto di Squall, abbracciata a lui e ancora calda del sesso, a scambiarsi baci e carezze sotto le coperte pesanti, a godersi il pensiero che fuori faceva freddo, e si alzava il vento, e la pioggia era sferzante, ma lì dentro, in quello che considerava il suo nido, si sentiva una dea venerata e adorata, che si divertiva a scoprire la sua sessualità e amava l'effetto che aveva su di lui.

"Sei più tranquillo?" riuscì a dire Rinoa dopo svariati minuti di baci che le avevano impedito di parlare. Sembrava quasi che lui volesse allontanare il più possibile quel momento. Era strano, ridacchiò Rinoa, che decidesse di farlo con i gesti d'affetto che aveva disprezzato solo poche settimane prima.

Squall smise di baciarla. Fu un passaggio lento, pigro, quasi impercettibile, come se smettere di baciarla fosse previsto fin dall'inizio. Senza lasciarle andare la mano, si stese sulla schiena e la attirò contro il petto. "No, non tranquillo," rispose infine quando ormai Rinoa pensava che non avrebbe risposto più. "Rassegnato, direi."

Lei tacque un momento, come riflettendo su come dire le cose con le parole giuste. "C'è... c'è un motivo per cui mi hai voluta qui anche stanotte? A parte questo, dico," gli chiese infine, accarezzandogli il petto, senza avere il coraggio di guardarlo in faccia.

Lo sentì sospirare, mentre il cuore gli rimbombava in petto e il rumore sembrava possederla e riempirla per farla sentire sicura. "Non volevo saperlo," lo sentì dire poi.

Rinoa attese in silenzio che lui continuasse; capiva che in qualche modo voleva riprendere il filo della conversazione di poche ore prima. Lo sentì girarsi di nuovo sul fianco per potersi confidare guardandola. "È difficile da spiegare," iniziò lui poi.

"Lo capisco," cercò di rassicurarlo.

"Io... lo avevo capito. Osservo le persone e... e lo avevo capito. Ma finché non me l'ha detto poteva anche essere soltanto una mia supposizione. Finché era una supposizione..."

"...Potevi metterla da parte?" gli chiese Rinoa quando lo vide in difficoltà.

"Sì."

"E che cosa ti spaventa del non poterla più mettere da parte?" Una domanda del genere era un azzardo, ma in quel momento Squall era aperto, era vulnerabile, aveva bisogno di lei ma soprattutto aveva bisogno di capire. In quel momento Squall era accogliente e non importava quanto faceva male. Era un dolore che sapeva accogliere.

"Non lo so," disse lui infine, dopo averci pensato su. "Se ci penso, adesso, mi fa solo rabbia... perché mi ha sempre lasciato lì, se poteva venire a prendermi? Per Ellione ha smosso mari e monti. Perché per me non l'ha fatto?"

Rinoa si allungò a baciarlo, perché la domanda sottintesa di Squall in realtà era io non valevo abbastanza? Gemette di sorpresa quando lui la strinse più forte e allargò le gambe quando lui le salì sopra baciandola con una passione che le ricordava tanto quella della sera prima.

Riuscì a fermarlo quanto bastava per dirgli, "forse... forse dovresti solo provare ad ascoltarlo, quando ti sentirai pronto a farlo." Squall la guardò, riflettendo sulle sue parole, e lei colse l'occasione per continuare, "lo so che adesso sei arrabbiato e deluso e ferito, e credimi, è perfettamente normale. Gli altri pensano che sia una cosa bellissima ritrovare tuo padre, ma..." Lo baciò furtivamente quando vide il suo viso contorcersi in una smorfia alla parola 'padre'. "Io penso che non si possano capire certe cose se non le si vive. Per cui... magari ti serve solo tempo. E quando penserai che sia il momento, se vorrai farlo, potrai parlare con Laguna. Non pensare a cosa è meglio per lui – pensa solo a te. Io sono sempre dalla tua parte," terminò.

"Qualunque cosa decido di fare?" le chiese lui. Nel buio, la sua espressione le rimaneva celata, e lei non seppe interpretare il tono della sua voce. Sembrava quasi arreso.

"Certo," rispose immediatamente. Si guadagnò un altro lungo bacio appassionato, e ricambiò con tutto l'amore che provava, perché lui sentisse di valere qualcosa, sentisse che per lei era prezioso e importante e insostituibile e lei avrebbe smosso i mari e i monti di questo mondo e di tutti gli altri mondi dell'universo, per lui. Si ritrovò a muoversi addosso a lui quasi senza averne realmente avuto l'intenzione, e gli tenne fermo il viso con le mani per guardarlo negli occhi mentre il piacere lo trasfigurava, e trattenne il respiro quando lui mosse le mani per stringerle i fianchi e poi i seni, abbandonandosi all'orgasmo subito dopo.

"Rinoa," sussurrò lui, quando avevano a malapena ripreso fiato.

"Mmh?" fece lei, sollevando la testa dal suo petto per guardarlo.

"Gli altri me lo dicono continuamente cosa pensano. Io adesso... voglio sapere cosa pensi tu."

"Oh." Rinoa prese tempo per scegliere le parole, separandosi da lui e stendendosi al suo fianco, accoccolata contro il suo petto. Tirò le coperte sulle loro spalle e poi iniziò, "io credo che tu adesso abbia bisogno di tempo.  Per metabolizzare la cosa con calma e decidere che cosa fare dopo. Io non ho nemmeno la più vaga idea di cosa tu abbia passato in orfanotrofio e di cosa stia passando adesso. Solo tu lo sai, e per questo ti dico che... hai bisogno di tempo. Un giorno riuscirai a pensare a Laguna senza provare rabbia, o rancore, o dolore... allora potrai decidere se vuoi vederlo e parlargli oppure no. Lui capirà. Lui si è preso diciassette anni prima di dirti chi è... tu puoi prenderti il tempo che ti serve. Non sentirti in colpa per questo."

Squall non disse nulla, si limitò a stringerla per ringraziarla in silenzio. Lei ricambiò la stretta, e lui si ritrovò a baciarla di nuovo come poco prima, come se dalle sue labbra dipendesse la sua vita. Era anche per questo che l'aveva voluta lì, quella notte. Era perché aveva bisogno di lei, perché il pensiero che lei andasse a parlare con i loro amici prima di andare da lui gli era sembrato insopportabile, al Garage, e perché la sua presenza, i suoi baci, le sue carezze, i suoi abbracci, il sesso, lo rendevano tranquillo, e si sentiva protetto, e amato, e desiderato – tutte cose che Laguna aveva sbriciolato come un biscotto stantio, e lui voleva solo risentirsi come prima.

Lì nel letto, nudo abbracciato a Rinoa, con la pioggia che slavava la terra, fuori dalla finestra, si sentiva in un modo ovattato dove la sua ragazza lo venerava come fosse il suo dio, un mondo caldo dove lui era al centro dell'universo, e in quei giorni avrebbe voluto non separarsi mai da lei, dai suoi baci e abbracci, e avrebbe voluto continuare a possederla per sentirsi preso da lei – perché era strano, se ci pensava, che nel sesso si dicesse che l'uomo prendeva la donna quando in realtà era il contrario. E sentirsi così preso, così affondato, così completamente circondato da lei gli apriva qualcosa nella pancia che era una sensazione sconosciuta, elettrizzante e serena, capace di cancellare qualsiasi altra cosa.

"Rinoa," sussurrò con la voce roca e il respiro affrettato.

Lei si ritrasse lentamente, appoggiando la fronte contro quella di Squall e sospirando soddisfatta. "Mh?" mugolò in risposta.

"Ti ho voluta qui perché..." Si interruppe perché quell'ammissione era così profonda, così travolgente, così folgorante che lui non sapeva nemmeno se dirlo con quelle parole fosse giusto.

Rinoa aprì gli occhi, gli scostò i capelli dal viso, sfiorando con le dita il suo orecchino e spostandosi per strofinargli il naso contro la guancia. Era in attesa, e Squall intuì che l'avrebbe aspettato anche tutta la notte, se tanto gli fosse servito.

La voce gli si spezzò. "Ho bisogno di te," ammise con la voce così bassa che Rinoa avrebbe potuto tranquillamente pensare di averlo immaginato. Ma lui la strinse a sé così forte, affondando il viso contro la sua spalla, che Rinoa non poté fare a meno di pensare che quel gesto dicesse molto di più della frase che aveva appena pronunciato.

Si stese sulla schiena, tenendolo stretto, e poi sentì le sue lacrime bagnarle la pelle.

"Sono qui, sono con te sempre," sussurrò per cercare di rassicurarlo. Poi tacque, limitandosi ad accarezzargli la schiena nuda. Squall continuò a piangere in silenzio, senza sollevare la testa, senza che ci fosse una minima indicazione nel suo respiro che stesse davvero piangendo.

Rinoa continuò a cullarlo fino a quando entrambi si addormentarono.

*~*~*~*~*

La mattina dopo, Squall sembrava più tranquillo.

Si era svegliato presto, ancora abbracciato a Rinoa, anche se durante la notte avevano cambiato posizione. Si era alzato lasciandola dormire ancora, scivolando fuori dalle sue braccia e dal letto, e lei si era voltata su un fianco, stringendosi al cuscino. Lui le aveva tirato meglio le coperte sulle spalle ed era andato a farsi una doccia.

Quando era tornato in camera, lei era già sveglia e si stava stropicciando gli occhi, seduta nel letto con le coperte tirate sul seno. Lo aveva salutato con un sorriso e gli aveva chiesto se poteva farsi una doccia anche lei, e poi lo aveva lasciato solo, andandosene in bagno avvolta da un lenzuolo, come da luogo comune. Squall aveva notato che Rinoa aveva una sua sensualità naturale, ma che a volte cercava di accentuarla ispirandosi probabilmente a qualche scena da film d'amore. Sorrise: in quei momenti era tenera e buffa, anche se l'unico risultato che voleva ottenere era essere sexy. Gli sarebbe piaciuto farle capire che per lui lo era comunque.

Aprì il cassetto del comodino per prendere un paio di calze, e stava finendo di vestirsi quando Rinoa rientrò, avvolta ancora da una maglia di Squall, buttò il lenzuolo sul letto e gli si avvicinò. "Vuoi fare colazione?"

L'espressione di Squall si incupì appena. "No, non ho voglia di vedere gli altri adesso. E poi... in questi giorni ho lavorato poco. Devo recuperare. Penso che non scenderò nemmeno per pranzo."

"Vuoi che parli con loro?" Rinoa si chinò, per avere il viso allo stesso livello di quello di Squall. Lui la guardò e sospirò profondamente, passandosi una mano tra i capelli ancora umidi.

"Se ci riesci... mi faresti davvero un favore," le rispose dopo una breve riflessione.

"Va bene," disse lei, e gli si avvicinò, allargando le gambe per potersi sedere in braccio a lui, a cavalcioni. Squall lasciò andare lo stivale che si stava infilando, e che cadde rimbombando nel silenzio della stanza. Lentamente, Rinoa gli circondò il collo con le braccia e si allungò, inarcando la schiena, per baciarlo.

Ecco, erano quelli i momenti in cui Rinoa, ai suoi occhi, era sensuale. Si era mossa con naturalezza, come se gli si fosse seduta addosso così da sempre, e il bacio era dolce ma c'era qualcosa che sembrava tirarlo a lei, qualcosa che gli si muoveva dentro e gli faceva venire voglia di tirarla nel letto, spogliarla e uscire solo quando Laguna sarebbe stato un lontano ricordo.

"Grazie," gli stava sussurrando lei, intanto, a fior di labbra. "Ho passato una notte davvero... splendida."

Squall mosse pigramente la mano lungo la sua schiena, sentendo la sua pelle calda della doccia sotto alla stoffa sottile della maglietta. Arrivò alla coscia, lasciata nuda, e risalì lentamente, camminandole scherzosamente con le dita sulla gamba, intrufolandosi sotto alla maglia per salire sempre più fino ad arrivare a sfiorarle il sesso. Era nuda, sotto.

"Anche io ho passato una notte splendida," riuscì a dire, muovendo distrattamente le dita sotto alla maglia. Rinoa non si mosse, non fece nulla né per fermarlo né per incoraggiarlo. Lui continuò a giocare sulla sua pelle, lasciando scivolare ogni tanto un dito tra le gambe della sua ragazza, che si chinò a baciarlo di nuovo. Era diverso, così. Il sesso era sempre stato qualcosa di esplosivo, qualcosa di veloce che aveva saputo essere tanto doloroso quanto piacevole. E Squall era sempre stato particolare, in quei momenti – era stato come la differenza tra le magie donate loro dai GF e la magia pura e primitiva che le scorreva dentro da qualche mese. Squall diventava così, puro e primitivo, ed era acceso e potente nel letto tanto quanto sapeva essere distaccato e freddo fuori. Era come selvaggio, ma selvaggio non era la parola giusta, pensò Rinoa, scivolando sulle sue gambe fino a spingere il bacino contro quello di Squall. Lui reagì spostando le mani dai fianchi al seno, con un movimento lento che la fece gemere a lungo. Sentì le sue dita sfiorarle i capezzoli e poi le sue labbra divorarle il collo. Squall era come selvaggio, nel sesso, preciso e definito, dritto al punto, come quando giocava a Triple Triad passando all'attacco di un avversario che aveva perso in partenza.

Ed era innocente, ed era questa la cosa più bella. Squall la toccava per il piacere di farlo, senza stare a pensare se fosse giusto o sbagliato. Era la cosa che l'aveva stupita di più, quella notte sul promontorio, sotto le stelle, dopo che lui le aveva mostrato il suo luogo segreto. Squall diventava aperto, si permetteva di essere vulnerabile, si permetteva di sussurrarle che aveva bisogno che lei lo toccasse, e a volte sembrava così indifeso, tra le sue braccia, che Rinoa si chiedeva se non gli avesse fatto del male, e subito dopo voleva che quel contatto così intimo potesse inglobarlo completamente, per proteggerlo da tutto ciò che poteva ferirlo – inclusa lei stessa.

"Vuoi farmi iniziare bene la giornata?" sospirò quando lui iniziò a baciarla più delicatamente, e spostò le mani sul suo corpo per sollevarle la maglia.

"Sì," rispose soltanto lui. Preciso, definito e determinato mentre aggiustava la posizione di Rinoa per penetrarla. Preciso, definito e determinato mentre si muoveva lentamente, le baciava il collo, il seno, i capezzoli.

Lui era completamente vestito, riuscì a pensare Rinoa, e lei completamente nuda, e in quel momento erano esposti e fragili, ma tutto quello che contava era uscire da quella stanza con la scia di un orgasmo addosso. Rinoa avrebbe voluto che lui si stendesse, avrebbe voluto muoversi su di lui a suo piacimento, ma Squall era ancora seduto, muoveva appena i fianchi contro di lei, apriva la bocca per succhiarle un seno e lei riusciva soltanto a infilargli le mani nei capelli e fargli capire che lo voleva più vicino, più dentro, più insieme, più tutto.

Il sesso così non era un'esplosione, era come un'arrampicata verso qualcosa che non sembrava arrivare mai, e Rinoa si avvicinava ansimando, con la voce bassa e calda di Squall che gemeva, ogni tanto, riempiendole il corpo di brividi che crepitavano ovunque, come allontanandosi da un centro, e poi andavano a finire tutti in mezzo alle sue gambe, dove c'era lui – anche se in quel momento lui sembrava essere ovunque, dentro e fuori. Il sesso così era una tensione infinita, lacerante e meravigliosa, che non conosceva dolore – ne aveva sempre sentito un po', prima – ma soltanto piacere e anche quel piacere era diverso, come più pieno, come più irraggiungibile, come più a portata di mano.

Si lasciò andare contro di lui, lasciandogli fare quello che voleva, perché tanto era comunque ridotta a una creatura impotente, in balia dei suoi desideri. Quando finalmente lui si lasciò andare e caddero sul letto, lei riaprì gli occhi annebbiati dall'orgasmo e lo guardò sorridere.

"Puoi dormire ancora un po', se vuoi," le sussurrò lui baciandole la fronte.

Rinoa ridacchiò. "Sì, magari sto qui un po' per riprendermi," gli sussurrò a sua volta, adorando immediatamente il sorriso di Squall e il rossore leggero del viso. "Stai con me?"

"Solo poco, però, devo andare," le rispose lui, avvicinando il suo corpo nudo al proprio, cercando di capire come dovesse sentirsi lei a essere senza vestiti mentre a lui mancava solo uno stivale. Ridacchiò leggermente al pensiero.

"Che c'è?" disse lei, sollevandosi a guardarlo.

"Niente," rispose in fretta lui. Passarono alcuni minuti di silenzio prima che lui si liberasse dall'abbraccio e si rimettesse a sedere sul letto per tornare a infilarsi lo stivale che aveva lasciato cadere prima.

"Parlerò con gli altri," disse solo Rinoa, allungando una mano ad accarezzargli la schiena.

"Rinoa..."

Aveva iniziato a parlare senza aver realmente pensato a come dirglielo. Non voleva offenderla, farle pensare proprio quello che non voleva che pensasse, però voleva anche che fosse chiaro, che lei non avesse alcun dubbio.

"Mh?" disse solo lei, dopo alcuni minuti.

Lui parlò senza voltarsi a guardarla. "Questo era... non serviva a farti iniziare bene la giornata," iniziò riallacciandosi alla battuta di lei. "Non... non voglio che pensi che ti ho usato."

La sentì circondargli la vita con le braccia, strofinare la guancia contro la sua schiena. Avrebbe voluto non avere addosso la giacca, per poterla sentire di più. Allungò le mani a sfiorare quelle di lei.

"Non lo penso. So perché mi hai chiesto di restare. Lo capisco. Non mi hai usato. Non lo penserei mai, sciocco." Lo baciò leggermente sul collo, e poi lo lasciò andare. "Fila a lavoro, adesso," ridacchiò.

Lui le trattenne una mano, se la portò alla bocca e le sfiorò sul dorso, "vieni a pranzo nel mio ufficio? Non avrò molto tempo, ma almeno..."

"Sarò lì all'una, quando finirà la mia lezione. Va bene?"

"Perfetto."

Non era poi così difficile ammettere di aver bisogno di lei, pensò uscendo dalla camera da letto, rubando uno sguardo fugace di Rinoa che si infilava la sua maglia per rifare il letto. Anzi.

Era quasi liberatorio, e non si rese conto del suo sorriso fino a quando non si specchiò nei vetri dell'ascensore.

*~*~*~*~*

Rinoa guardava l'orologio ogni due minuti da almeno mezz'ora.

Quando finalmente la lezione finì, radunò i suoi libri in fretta, li infilò a casaccio nella borsa, si fiondò fuori dalla classe e giù dalle scale, troppo impaziente per aspettare l'ascensore. Arrivò alla mensa trafelata, prese il cestino che aveva chiesto le preparassero fin dalla mattina e volò di nuovo verso l'ascensore, per poter riprendere fiato prima di arrivare all'ufficio di Squall.

Era serena, felice – la giornata era iniziata bene, pensò ridacchiando, e anche a colazione chiedere agli altri di lasciare in pace Squall, per un po', era stato meno difficile del previsto. Erano stati tutti piuttosto comprensivi; Zell era stato il primo a dirsi d'accordo – ricordava benissimo come si era sentito quando aveva scoperto che i suoi genitori non erano i Dincht. Selphie era dispiaciuta per il signor Laguna, ma comunque comprendeva che Squall era fatto così. Il suo ottimismo naturale le faceva credere fermamente nel lieto fine in cui Squall avrebbe chiamato Laguna 'papà' e tutti vissero felici e contenti. Irvine l'aveva buttata sul ridere, sottolineando che d'altra parte anche per convincerlo a stare con lei avevano dovuto persino inventarsi musicisti. Potevano sempre dare il bis per ricongiungerlo a Laguna, se serviva.

Era Quistis che la preoccupava un po'. Alla sua richiesta aveva solo annuito, presa dalla sua tazza di caffè e dall'orario delle lezioni mattutine; sembrava che non ascoltasse, ma Rinoa sapeva che in realtà ascoltava cercando di non darlo a vedere. Come se la cosa non le interessasse. Aveva paura che sarebbe tornata alla carica con Squall – era convinta di avere ragione, Quistis, e soprattutto riteneva di sapere da sempre cosa era meglio per Squall. Non si era ancora resa conto che Squall era fuori a metà dal suo guscio, ma la metà che era già fuori era perfettamente indipendente, formata, in grado di decidere e difendersi. Quistis avrebbe preferito lo studente taciturno e scontroso di cui sapeva prevedere i comportamenti. Ma davanti aveva il leader che, anche se non proprio totalmente sicuro di sé, sapeva scegliere e sapeva scegliere bene. Stava diventando un uomo, e anche se i tratti spigolosi del suo carattere si erano ammorbiditi, quando si arrabbiava era perché le persone andavano a toccarlo sul personale, e quando succedeva lui diventava davvero un leone, che spalancava le fauci per difendersi.

Scosse la testa per accantonare quei pensieri: voleva dare a Squall almeno un'ora di svago, di serenità, di sollievo dal lavoro. Uscì dall'ascensore, sistemandosi il cestino e la borsa dei libri su un braccio, quando sentì una porta chiudersi con forza in corridoio. Alzò lo sguardo.

Quistis.

Usciva dall'ufficio di Squall con un'espressione furiosa sul volto. Si dirigeva a grandi passi verso l'ascensore, venendole incontro come senza vederla, e Rinoa capì immediatamente cosa era successo.

Era andata da Squall a parlargli di Laguna.

Avrebbe volentieri gettato a terra libri e pranzo, ma cercò di trattenersi. Quistis la salutò a denti stretti passandole accanto, ma lei l'afferrò per un braccio costringendola a fermarsi. "Voglio sperare di sbagliarmi," sibilò, senza alzare lo sguardo a guardarla. "Ma ti giuro che se sei andata a incasinare Squall un'altra volta te la dovrai vedere con me."

La lasciò andare prima che Quistis potesse aprire bocca per risponderle. Sospirò profondamente per calmarsi prima di entrare da Squall, e poi si avviò senza dire altro verso l'ufficio.

Ancora prima che entrasse, Quistis era sparita dentro l'ascensore.

*~*~*~*~*

Rinoa uscì dall'ufficio lisciandosi i vestiti.

Squall era stato irrequieto, e non appena aveva alzato lo sguardo, quando era entrata, per assicurarsi che non fosse ancora Quistis, le aveva chiesto di chiudere a chiave. Rinoa aveva posato il cesto e i libri per terra, aveva chiuso la porta e si era praticamente fiondata su di lui. Gli si era seduta in braccio, e lui aveva affondato il viso contro il suo seno, respirando profondamente mentre lei gli accarezzava lentamente la nuca.

Cosa era saltato in mente a Quistis? Aveva distrutto in dieci minuti quello che avevano ottenuto in due giorni. Rinoa aveva continuato a consolare Squall fino a quando il suo respiro era tornato normale, e quando lui aveva alzato lo sguardo era stata così materna, accarezzandogli i capelli e il viso, che lui le aveva chiesto se voleva mangiare con la voce spezzata da un singhiozzo.

Rinoa amava Squall – e non aveva paura di usare una parola così importante e profonda e abusata dopo pochi mesi – proprio perché lui sapeva farla sentire in decine di modi diversi. Riusciva a farla sentire bellissima e sensuale quando le mostrava di desiderarla, riusciva a farla sentire importante e preziosa quando le rivelava i luoghi nascosti della sua anima, riflessi nei promontori di Balamb, riusciva a farla sentire materna quando si aggrappava a lei così, come se lei fosse l'ultimo baluardo, riusciva a farla sentire sbarazzina quando la prendeva in giro, e riusciva in generale a farla sentire una regina.

Per questo, decise scendendo le scale, lo avrebbe difeso con le unghie e con i denti, e si sarebbe anche scarnificata le mani nel difenderlo.

Non era più furiosa, adesso, era solo triste, e delusa, e stanca, e irritata. Ma man mano che si avvicinava alla stanza di Quistis, la rabbia e la determinazione crebbero, e si trovò a bussare con più forza di quanto avesse inteso.

Quistis aprì la porta, e quando vide chi era si limitò a dire sbrigativa, "scusami Rinoa, ma sono davvero impegnata-"

Rinoa la interruppe spingendola dentro la stanza e chiudendosi la porta alle spalle.

Fu in quel momento che Quistis ebbe quasi paura – perché c'era una determinazione sul volto di Rinoa, e i suoi occhi erano così scuri e stretti che temette volesse colpirla.

Quando parlò, sembrava quasi che ringhiasse. "Che sia chiaro una volta per tutte, Quistis."

Si avvicinò a lei e si scostò i capelli del viso. Nella stanza in penombra sembrava anche più minacciosa. "Quando stamattina vi ho chiesto di lasciare in pace Squall sulla storia di Laguna l'ho fatto perché volevo essere ascoltata. Non so cosa ti ha fatto pensare che se ci avessi parlato tu lo avresti illuminato, ma non è stato così."

Quistis fece per dire qualcosa, ma Rinoa alzò una mano per bloccarla. "Non mi interessa se ti ha detto qualcosa che ti ha ferito – francamente tu hai ferito lui come nemmeno riesci a immaginare. Il concetto è molto chiaro, Quistis: capisco che per qualche ragione tu credi che Squall dovrebbe accettare suo padre dimenticandosi di aver passato anni in un orfanotrofio, ma ti ribadisco che ti ostini a non vedere cosa lui sta provando davvero. Te l'ho detto anche ieri e a quanto pare non mi hai ascoltato. Te lo ripeto oggi. Fagli del male a quel modo un'altra volta e giuro che non mi limiterò a fartelo capire con le buone."

In quel momento Rinoa era come trasfigurata. Quistis la osservava, presa in mezzo tra il temerla e l'ammirarla, e si rese conto che non la stava minacciando. In realtà era una persona fragile che difendeva una persona fragile. E quando queste cose venivano fatte per amore, evidentemente, le persone guadagnavano una forza che altrimenti non avrebbero avuto. Rinoa era sempre stata dolce e arrendevole, con lei, ma adesso era diventata ancora più combattiva di quando aveva litigato con Squall, quei primi mesi di amicizia forzata.

"Smettila di parlare di Laguna con Squall. Lo farà lui quando sarà pronto. Sono stata chiara, Quistis?" sibilò infine Rinoa.

"Sì," rispose Quistis, cercando di non dare a vedere quanto fosse impressionata. "Pensavo solo-"

"Sì, lo so cosa pensavi. Di sapere cosa fosse meglio per Squall." Rinoa allargò le braccia, scuotendo la testa. "Squall è un uomo ormai, e non ha bisogno che tu gli dica cosa fare. Per favore, Quistis... se continui a distruggere i pochi passi avanti che riusciamo a fare, non verrà mai il giorno in cui Squall non proverà rancore o rabbia. Lascia che affronti la cosa con i suoi tempi. L'ho chiesto a tutti a nome suo. Fallo perché altrimenti lo perderai anche come amico."

Rinoa non le lasciò il tempo di rispondere. Si voltò, aprì la porta e se ne andò.

Quistis rimase a pensare che aveva appena avuto di fronte una leonessa, ed era l'unica leonessa di Squall. Aveva ragione, Rinoa? In fin dei conti lei davvero non sapeva cosa stesse provando Squall. Forse nemmeno lui stesso lo sapeva, però c'erano tante cose di quella situazione che dovevano essere messe al loro posto: sapere come mai Laguna non era tornato, capire se, alla partenza, sapeva che Squall stava per nascere, capire come era morta Raine, capire il ruolo di Ellione... immaginava che, al posto di Squall, lei quelle cose avrebbe voluto saperle. Ma non era forse quello, il punto? Lei non era al posto di Squall. Lui aveva una specie di famiglia, lei invece aveva come unico riferimento due genitori adottivi con cui non era mai andata d'accordo.

Capiva la reazione di Rinoa, ma allo stesso tempo pensava che, comunque, qualcosa di giusto ci fosse anche in quello che pensava lei. Squall era ancora, in parte, quel ragazzo chiuso e taciturno che lei sperava di capire un po' di più, prima che tutto venisse buttato loro addosso. Lo Squall che conosceva lei non avrebbe mai più nominato Laguna nemmeno per sbaglio, e avrebbe aggirato il problema, lasciandoselo alle spalle senza averlo risolto.

Però, vedere Rinoa, rivivere il momento in cui l'aveva spinta nella camera...

Rinoa proteggeva Squall. Aveva intuito qualcosa, vedeva qualcosa di diverso da lei, si metteva nella prospettiva di Squall e andava da tutti loro a chiedere che non gli parlassero di Laguna per un po', perché lo avrebbe fatto lui, quando fosse stato pronto.

E il fatto che Rinoa avesse una certezza adamantina che lui sarebbe stato pronto, un giorno, rimetteva le cose in prospettiva, anche per Quistis. E le permetteva di capire una cosa.

Lei non sarebbe mai riuscita a capirlo così. A difenderlo così. Ad accettarlo così.

Ad amarlo così.

Tornò ai suoi test da correggere con un macigno sul cuore.

*****
Nota dell'autrice: ed eccoci insomma.
Questa storia nasce da un'idea che mi venne riflettendo su Seifer per scrivere Hallelujah. La cosa è particolarmente buffa, se pensate che la storia è su Squall e Laguna, e Seifer non ci comparirà mai nemmeno per sbaglio, ma vabbè XD
Comunque. A partire dal Triple Triad si sviluppa la relazione tra Squall e Laguna, con inserimento di momenti passati. Speriamo non venga malissimo. Questo è il concetto fondamentale.
Come al solito grazie a Little_Rinoa che oltre a betarla si sorbisce i miei sproloqui in chat sulle storie che scrivo o penso di scrivere, e come sempre, il post in cui risponderò a domande, dubbi, critiche, commenti eccetera eccetera. Alla prossima! – Alessia Heartilly

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Capitolo 2
*** Interludio: Kiros ***


CARDS
Interludio: Kiros

Vent'anni prima
Il giorno in cui Laguna Loire rimase completamente solo al mondo pioveva a dirotto.

Aveva appena sepolto sua madre, e il cimitero antico di Deling City, con le sue statue bianche e le croci grigie sulle tombe a terra, aveva un'aria sinistra che gli fece capire ancora di più come sarebbe cambiata la sua vita da quel giorno in poi. Non aveva più nessuno al mondo: i suoi genitori erano figli unici, e suo padre era stato travolto da un'auto quando lui aveva solo quattro anni. Era cresciuto solo con sua madre, che non aveva mai voluto risposarsi, e che se n'era andata due giorni prima, ripetendo continuamente di voler essere sepolta accanto al marito che aveva adorato e venerato in quei ventuno anni di vedovanza.

Almeno quello era riuscito a farlo, si trovò a pensare, ma davvero non sapeva come pagare la lapide e le spese funerarie. Doveva trovare un lavoro in fretta, e dire addio ai suoi sogni di giornalista che scriveva su posti esotici e sulle meraviglie del mondo là fuori, verso l'orizzonte, oltre i limiti di Deling, di Galbadia...

Scosse la testa e cercò di concentrarsi su cosa fare. Per prima cosa, credeva, doveva portare gli articoli di prova alla redazione di Timber Maniacs; aveva pensato di andarci di persona, quando li aveva scritti pieno di entusiasmo, ma adesso il pensiero di uscire per strada, in mezzo alla gente, con il cuore gonfio e pesante di dolore, gli dava quasi la nausea. Sarebbe stato meglio andarci di persona, certo, ma con che soldi avrebbe pagato il biglietto del treno? Poteva spedirli, avrebbe speso meno... e poteva sperare che andasse bene comunque.

Incurante della pioggia che gli incollava i capelli al viso, Laguna percorse la via principale di Deling, quell'enorme strada affiancata da alberi che tagliava in due la città. In quei giorni, quando la pioggia era fitta, pesante e sembrava quasi pizzicare la pelle, Deling City diventava diversa, aveva un'aria quasi mattutina. Era stato scrivendo uno degli articoli di prova che aveva scoperto che a Deling City non esistevano giornate terse. Sulla città, probabilmente per via del Pianto Lunare di ottant'anni prima e del riassestamento della terra in seguito a quell'evento, c'erano sempre ammassi di nuvole grigi e densi, che agli occhi degli umani facevano sembrare che fosse sempre notte. Non ricordava un raggio di sole a Deling - per lui il sole era stata una scoperta infantile e morbida, come far scivolare la penna sul foglio e sapere che cosa stava scrivendo - saperlo sulla pelle, negli occhi. Saperlo davvero.

A Deling City è sempre notte, aveva scritto in quegli articoli. Ma quando piove, e sembra che le nuvole si slavino, man mano, che si schiariscano, quasi, allora la città diventa diversa, e sembra di osservarla attraverso una nebbia, un velo di acqua che ricorda quelli delle spose. E allora si ha l'impressione che possa esistere anche qui una specie di luce - filtrata, e sempre ombrosa, ma comunque una luce, ed è un po' come potersi alzare e pensare che sta albeggiando.

Gli piaceva scrivere.

Era un peccato pensare che non avrebbe potuto farlo più.

Svoltando a destra per immettersi nel viale commerciale, vide un enorme cartellone pubblicitario con la faccia di Vinzer Deling atteggiata ad un sorriso condiscendente, che richiamava i cittadini maschi alle armi per poter stabilire il giusto dominio di Galbadia sul continente e sul mondo. Il viso di quell'uomo era in grado di dargli sempre i brividi, e l'idea di diventare un soldato non gli piaceva poi molto... ma che cosa gli rimaneva da fare? Era solo. Doveva badare a se stesso, e l'unica cosa che sapeva fare bene era scrivere, più o meno, ma non riusciva a farne un lavoro. E allora che cosa c'era di meglio di quello? Il dominio sul mondo. I viaggi, le missioni, le scoperte... e poi avrebbe scritto del suo vagabondare per il mondo.

D'altra parte non c'era nulla che lo trattenesse a Deling City.

Seguendo le indicazioni sul cartellone - e sugli svariati altri annunci sparsi lungo il viale - arrivò ad un incrocio. Si guardò intorno, grattandosi la nuca per cercare di capire dove andare; lui aveva uno scarsissimo senso dell'orientamento, e si era perso più di una volta nella sua stessa città. Alla sua destra vide una fila di uomini in attesa, e si avvicinò.

"Ci si arruola qui?" chiese all'ultimo della fila.

Quello grugnì un assenso e incrociò le braccia. Laguna capì immediatamente che non era un tipo socievole. Si dispose ad attendere, appoggiandosi contro il muro, per allontanarsi subito dopo quando lo sentì umido e freddo. Non c'era nulla, quel giorno, che sapesse un po' di calore. Non gli serviva molto - gli sarebbe bastato un fuoco, una minestra fumante, magari nel brodo di pollo che sua madre sapeva fare così bene.

Da dentro la stanza, una voce gridava "il prossimo!" a intervalli brevi e regolari. Laguna pensò che quasi sembrava che nemmeno li esaminassero, i candidati all'arruolamento - li guardavano e così stabilivano che andava bene. Dritto di fronte alla stanza in cui avveniva il frettoloso reclutamento, c'era una locanda dall'aspetto alla mano. C'erano tendine a quadretti bianchi e rossi alle finestre, e dalla strada principale si riversavano frotte di lavoratori che avevano chiuso i negozi del centro commerciale per la pausa pranzo.

"Il prossimo!"

In un vicolo umido e buio di Deling City è possibile trovare un posto che sa di passato, quasi di casa. Quando si apre la porta di questo locale esce un sapore di caldo e di buono, consolante per chi si trova in strada, sotto la cappa nuvolosa di pioggia che opprime ogni giorno la città.

In posti come questo-

"Il prossimo!"

In posti come questo la città si riversa, quando i negozi si chiudono. I turisti preferiscono i posti più eleganti, più importanti, quelli da cui si ammira la via commerciale, o magari il grande Arco di Trionfo. Ma noi cittadini preferiamo questi posti, dove possiamo trovare un po' del sole che gli altri sentono sempre sulla pelle ogni giorno, e che noi invece aspettiamo per mesi, a volte anche per anni.

Aspettiamo la pioggerellina, e quando capita, e camminiamo lungo le strade della nostra città verso la nostra locanda accogliente, e calda, allora per noi è come essere sotto al sole.

"Hey, ti dai una mossa?"

Sbatté le ciglia; toccava a lui. Borbottò una scusa e si fiondò nella stanzetta.

"Nome?" chiese l'ufficiale dietro la scrivania. Accanto a lui, un ragazzetto di sedici anni forse scribacchiava in fretta su dei moduli.

"Laguna."

"Cognome?"

"Loire."

"Età?"

"Venticinque."

"Altezza?"

"Un metro e ottantuno."

"Peso?"

"Ottanta chili."

"Gruppo sanguigno?"

"B."

"Arma?"

"Machine Gun."

"Di là c'è la tua divisa. Il prossimo!"

Laguna se ne andò con la sensazione di essere una semplice inutile pedina sacrificabile.

Entrò nella stanza che gli era stata indicata, e un uomo dall'aspetto burbero lo squadrò e gli mise in mano una divisa che, a colpo d'occhio, riteneva fosse della taglia giusta. Poi lo spinse avanti - dietro di lui c'era già il candidato successivo che doveva ritirare la divisa - e un altro soldato, in una stanzetta piccola e umida che odorava di muffa, gli cacciò in mano una cartellina e gli abbaiò l'ordine di compilarla tutta e in fretta. Laguna scribacchiò quello che gli veniva chiesto - recapiti, uno solo, in un palazzone grigio di periferia da cui si vede l'Arco di Trionfo da una parte e il Cimitero Monumentale dall'altro, parenti prossimi - nessuno che l'avrebbe pianto, nessuno che avrebbe sentito la sua mancanza, chi contattare in caso di bisogno - nessuno.

Eccola lì, su un foglio a righe verosimilmente strappato da un quaderno, la sua più completa solitudine.

L'uomo ritirò la cartellina che Laguna a malapena aveva finito di firmare, e infatti la penna sembrò sbavare, e fece un gesto da imbranato totale per trattenerla. Persino lui se ne accorse. Il soldato sbuffò grugnendo e gli ficcò in mano una busta.

"I tuoi ordini," abbaiò. "Tra quattro ore presentati qui. Il prossimo!"

*~*~*~*~*

Quattro ore dopo e innumerevoli giri in tondo per ritrovare quella caspita di via, Laguna si presentò con addosso la sua divisa e la busta degli ordini in mano.

Sembrava che dovesse fare una semplice missione di ricognizione; lui e altri tre compagni avrebbero dovuto dirigersi verso Timber, e scandagliare parte delle fitte foreste che la circondavano per individuare punti d'accesso per l'esercito. Aveva sbarrato gli occhi quando aveva visto la paga extra che avrebbero avuto per eseguire gli ordini: gli sarebbe bastato per il funerale, la lapide e se voleva anche per risistemare un po' la sua casa, che aveva bisogno di un po' di manutenzione.

Si affrettò ad accodarsi alla fila, grattandosi il braccio cercando di non darlo a vedere; la prima spesa che avrebbe fatto con il suo nuovo stipendio sarebbe stata far lavare quella dannata divisa, che gli prudeva in posti che nemmeno aveva saputo di avere, quattro ore prima.

I nomi venivano strillati dallo stesso stanzino dove si erano sottoposti a quella sommaria verifica, la mattina, e si affrettò a presentarsi quando udì il suo. Imitò il saluto militare che vide fare ad altri soldati che erano lì con lui - nessuno glielo aveva insegnato - e si dispose ad ascoltare i comandi sbirciando i suoi compagni.

C'erano due ragazzi anonimi, poco più giovani di lui, con i capelli neri tagliati a spazzola. Indossavano anche loro una divisa blu come la sua, tenevano il casco sotto braccio e sembravano usare dei fucili. Era l'altro però a colpirlo particolarmente, fin dal suo aspetto. Era un uomo imponente, che lo sovrastava di quasi dieci centimetri; valutò che sfiorasse i due metri. Aveva la pelle scurissima, segno che proveniva da una delle tribù nomadi del deserto di Centra; portava i capelli corti, ma aveva una serie di treccine fermate da perle colorate. Due ciocche ribelli gli sfuggivano a incorniciargli il viso, e ogni movimento era sottolineato dal tintinnare dell'orecchino lungo che portava. Aveva una cintura intorno alla vita a cui aveva appeso due pugnali; la sua arma di combattimento?

L'ufficiale disse loro di dirigersi immediatamente a Timber. Uno dei due ragazzi anonimi ebbe il comando della missione, e dopo un altro saluto militare frettoloso e un po' imbranato, i quattro si spostarono in strada. Il caposquadra disse che avrebbero preso una macchina e lanciò le chiavi all'uomo scuro perché guidasse lui.

Il viaggio si svolse praticamente in silenzio, salvo qualche inutile tentativo di Laguna di fare conversazione. Era particolarmente interessato a quel ragazzo enorme e misterioso; sembrava di poche parole, guidava con cautela, ma anche abbastanza velocemente. Raggiunsero Timber che oramai stava calando la sera, ma ai suoi occhi di nativo di Deling City sembrava che fosse ancora giorno.

A Timber, le giornate sono verdi. La città si trova proprio in mezzo alle foreste, e queste sono così folte e lussureggianti che gli edifici bianchi sembrano luccicare come foglie rivolte al sole.

Passare da Deling City a Timber è come addormentarsi la sera, con il buio e l'inverno, e svegliarsi poi la mattina alla luce chiara della primavera.

E anche solo cercare Timber è una scoperta. Bisogna inoltrarsi nella foresta, dove vivono tutte le speci possibili di animali e mostri, attraversare ruscelli, lasciarsi guidare dal rumore dell'acqua, e all'improvviso i cancelli appaiono come dal nulla, come una città di favola che si presenta al viaggiatore, e si lascia visitare come premio per l'ardua ricerca.

"Bene," disse il caposquadra quando scesero dalla macchina. "Noi due," disse indicando se stesso e l'altro ragazzo anonimo, "andremo ad est e perlustreremo quella zona. Voi prendete la parte di ovest. Dobbiamo fare un giro completo, quindi ci incontreremo dall'altra parte."

Laguna si grattò la testa. "Se ci fosse bisogno di contattarsi?"

L'altro scollò le spalle. "Fischiamo, dovremmo riuscire a sentirci."

Stavano già per andarsene quando Laguna intervenne di nuovo. "Ma se ci fossero problemi, non dovremmo almeno sapere i nostri nomi? Io sono Laguna..."

"Wedge," disse uno dei due ragazzi.

"Biggs," disse l'altro.

L'ultimo incrociò le braccia. La sua voce era profonda e un po' arrochita dal silenzio quando finalmente parlò. "Kiros."

Gli altri due oramai se ne erano già andati. Laguna si grattò la testa, poi picchiò il pugno contro il palmo dell'altra mano e disse con fare convinto, "va beh, non ha importanza. Chi fa da sé fa per sé!"

Kiros lo guardò piegando la testa, con gli occhi vagamente sbarrati. "Vorrai dire 'fa per tre'." Dall'espressione che gli rivolse Laguna, capì che era meglio spiegarsi. "Il proverbio dice 'fa per tre'. Non 'fa per sé'. Cosa vorrebbe dire altrimenti?"

Laguna si grattò nuovamente la testa. "Ehm... a volte confondo i proverbi..."

Kiros scosse la testa allargando le braccia. "Muoviamoci, o non finiremo più."

*~*~*~*~*

La macchina li sballottava da una parte all'altra.

Wedge non sapeva guidare bene quanto Kiros; andava veloce e cambiava le marce con troppo scatto, facendoli sobbalzare ogni volta. Biggs russava con forza dal sedile accanto a lui, e rimanevano solo lui e Kiros, a cui era stato concesso di fare il viaggio sul retro della macchina, dove si stava più comodi.

Kiros aveva gli occhi chiusi, e un braccio piegato a coprirli, ma il suo respiro rivelava che non dormiva; Laguna non vedeva l'ora di arrivare a casa e levarsi quella divisa che gli dava prurito in anche più posti, ora che la missione lo aveva fatto sudare da maledetti. C'era anche un'altra cosa; aveva insistito perché Kiros lo seguisse quando si era detto convinto che 'da quella parte c'era la strada giusta', ma dopo aver girato in tondo un'ora Kiros gli aveva chiesto se adesso aveva finalmente capito che aveva un senso dell'orientamento a dir poco scarso, e che quindi era meglio ascoltare lui, che tra i due era di sicuro quello che capiva dove dovevano andare. Laguna aveva incrociato le braccia annunciando, fiero, "meglio sano ma lontano!" ma Kiros lo aveva corretto un'altra volta. Sembrava che oltre ad aver poco senso dell'orientamento avesse anche una pessima memoria per i proverbi.

Il che era una cosa piuttosto ridicola, se si pensava che i proverbi erano fatti così proprio per essere ricordati.

"Kiros?" disse esitante, a voce bassa come per non disturbarlo.

L'altro si tolse il braccio dagli occhi e si voltò lentamente a guardarlo.

"Mi dispiace di averti fatto perdere un'ora."

Kiros scrollò le spalle, e poi si sollevò su un braccio e si voltò a guardarlo. "Hai un pessimo senso dell'orientamento, spero che tu lo abbia capito."

Laguna ridacchiò imbarazzato, grattandosi la nuca. "Sì, beh..."

Ci fu un momento di silenzio, fino a quando Kiros, piegando la testa in un gesto che, come aveva capito Laguna, significava curiosità, gli chiese, "che ci fa uno come te nell'esercito?"

Il sorriso scomparve. In quel momento, la dolorosa consapevolezza che sua madre aveva lasciato per sempre quella terra lo punse da dentro, e una smorfia gli contrasse il viso. Inghiottì un groppo che gli serrò d'improvviso la gola, e schiarendosi la voce iniziò a cercare di rispondere. Solo che poi si trovò a non avere le parole per farlo.

Kiros lo guardò un momento, come perplesso, e poi decise di rispondere lui per primo. "Io vengo da Centra," iniziò, confermando i sospetti di Laguna. "Sono in pochi a saperlo, ma ci sono alcune tribù che vivono nel deserto. Io faccio parte di una di queste. Un mese fa..."

La voce si spezzò anche a lui. Laguna pensò che, evidentemente, avevano tutti i due spinte dolorose nel petto, ricordi che avevan fatto venire loro la voglia di andare lontano, in un posto dove si potesse dimenticare il dolore.

Ma esisteva, un posto del genere?

"Un mese fa," riprese Kiros, coricandosi di nuovo sui sedili, facendo tintinnare l'orecchino e le perline che portava nei capelli, "la mia tribù è stata attaccata. Siamo gente pacifica, ma non tutte le tribù del deserto lo sono. Abbiamo cercato tutti di difenderci il più possibile, ma..."

Silenzio.

"Non è servito?" chiese a bassa voce Laguna.

Kiros scosse semplicemente la testa. Ci fu un altro lungo silenzio, e poi si schiarì la voce per terminare, "mia moglie è stata uccisa nell'attacco. Questo," continuò toccandosi l'orecchino, "era il regalo di nozze. Lo porto con me per ricordarmi sempre di quanto non sono stato capace di difenderla. Sono entrato nell'esercito per questo. Ogni persona che riuscirò a difendere, così... sarà un omaggio per lei."

Laguna annuì.

"Ho sepolto mia madre questa mattina," iniziò a raccontare. "Mio padre è morto più di vent'anni fa. Lei era l'unica persona che avevo al mondo, non ha mai voluto risposarsi e io ero l'unico figlio." Si fermò, come vergognandosi delle sue motivazioni puramente economiche, di fronte a quelle morali di Kiros. "Vorrei fare il giornalista," scelse di dire infine. "Vorrei viaggiare per il mondo, descrivere quello che vedo, per le persone che passeranno da quei posti dopo di me, e per quelle che invece per vari motivi non potranno passarci. Ma non è semplice e..."

Kiros non diede a vedere di voler intervenire.

Laguna estrasse la sua medaglia militare, su cui sua madre aveva fatto incidere il suo nome e la sua data di nascita, e una dedica sul retro in occasione del suo diciottesimo compleanno. "Questa," disse sollevandola perché l'altro la vedesse, "è stato un suo regalo. Mi ha scritto una dedica dietro, a nome suo e di mio padre. Quando l'ha fatto, lui era morto da quasi quindici anni." Accarezzò con il pollice l'incisione, rivivendo l'emozione di due genitori che gli parlavano come una coppia che va oltre la morte, che va oltre le barriere fisiche per spaziare in quelle dell'infinito. "Le mie motivazioni sono... economiche. Mia madre aveva praticamente un unico desiderio, essere sepolta accanto a mio padre. E voglio realizzarlo, per loro. Mi vergogno di dire che lo faccio per i soldi, ma..."

"Non lo fai per i soldi," lo interruppe Kiros. "Lo fai perché lo spirito di tua madre possa riposare accanto a quello di tuo padre."

"Tu pensi?" chiese Laguna, poco convinto, infilando di nuovo la sua medaglia nella maglia della divisa.

"Lo vedo nei tuoi occhi," rispose Kiros, e lo sguardo che gli rivolse parve arrivargli fin dentro l'anima. Forse era vero quello che si diceva delle tribù del deserto, forse era vero che sapevano leggere le motivazioni più profonde delle persone, interpretare i silenzi, parlare con gli sguardi.

"Mi piacerebbe essere tuo amico," disse Laguna.

"Piacerebbe molto anche a me, credo."

*~*~*~*~*

Carissimi lettori di viaggio,
in verità, io non ho sempre fatto il giornalista. Una volta, prima di iniziare a raccontarvi dei posti che ho visitato e delle genti che ho conosciuto, sono stato un soldato dell'esercito.
La mia prima missione partiva da Deling City, in una giornata buia, fredda e piovosa, una giornata in cui la mia vita era piuttosto triste, di quelle giornate su cui il destino piazza un segno e fa in modo che su di noi rimanga una bella cicatrice, per ricordare quella data, quel dolore. Entrai nell'esercito perché non potevo fare il giornalista, ma volevo comunque vedere il mondo. Era un passo sulla strada del mio sogno, ma allora mi sembrò un triste ripiego per un ragazzo triste.
Andammo a Timber. A quei tempi Timber non era nuda come lo è adesso: a quei tempi Timber non andava solo visitata, andava cercata. Se adesso vi avvicinate a Timber, potete ancora vedere una parte delle foreste che la circondavano quando io ero un giovane soldato alle prime armi: quelle foreste una volta si estendevano su quasi tutto il continente, e da una parte si arrivava al Lago Ober, che era già abitato dall'ombra, e dall'altra si aprivano i cancelli della città di Timber. Si diceva che quando si andava lì, non si conosceva la data del proprio ritorno, perché la foresta inglobava viaggiatori a suo piacimento, e con i suoi rami guidava alcuni al Lago, e altri alla città, che appariva magica, eterea, onirica. Era pietra bianca e azzurra in mezzo al verde, e quando si arrivava era difficile distinguerla dal cielo e dalle nuvole. Alcuni dicevano che la foresta inghiottiva gli impuri, ma consegnava la città ai puri di cuore.
Per altri, invece, era solo un capriccio del destino.
Ma Timber era comunque un'apparizione a chi vagava nella foresta, e questo ha sicuramente nutrito tutte le leggende sul suo conto.
Timber conserva ancora, nella sua architettura, le tracce della sua storia di città magica della foresta, con i suoi edifici e negozi fatti di pietra, e quella di città occupata da Galbadia, più moderna ma così meno leggendaria, più prosaica. Non ci sono più foreste, a Timber, ed entrare con il treno non è come vederla avvolta nel fresco degli alberi e nella nebbiolina che saliva dalle decine di ruscelli. Ma chi l'ha vista a quei tempi serba un ricordo indelebile di quell'impressione, dell'istante in cui la città si è aperta per accoglierlo.
Io la vidi la prima volta in quell'occasione. Ero un giovane soldato, un po' imbranato, alla sua primissima missione, e fu grazie a quella giornata dal destino che conobbi insieme il dolore e l'amicizia. Ebbi la fortuna di passare la mia giornata con un uomo dallo spirito indomito, forgiato dal deserto. Proveniva da una tribù del deserto di Centra, e nella mia mente l'immagine di Timber che sorge dalla foresta si mescola al tintinnare delle perline che aveva nella pettinatura tribale e dell'orecchino lungo, ricordo di una persona che ha lasciato questa terra troppo presto. Sono due apparizioni ugualmente magiche nella mia vita, la città e quell'amicizia inaspettata, trovata senza cercarla in una missione che faceva da preludio a una guerra.
Quel viaggio mi permise di essere testimone, oggi, di un'immagine che non esiste più, e che noi possiamo solo tramandare con parole inadatte, e sempre troppo deboli. Ma forse, la città che mi si consegnò nella sua bellezza mi svelò anche il suo segreto: che i puri di cuore non hanno bisogno di parlare per essere capiti. Basta guardarli per saperli accogliere, come faceva la città con i suoi edifici scintillanti nella luce che filtrava dalle foglie, una luce verdastra che sapeva di acqua.
Che strano, adesso che ci penso: a Deling City è sempre notte, e si fa chiaro solo quando piove, e l'acqua riesce a farsi strada tra gli ammassi di nuvole spinti sulla città dal vecchio pianto lunare. Anche lì, allora, la luce sa di acqua, ma di acqua scura, quelle delle profondità marine. A Timber invece la luce era trasparente come un ruscello.
Quel viaggio mi rese testimone di svariati miracoli, che solo oggi, a vent'anni e più di distanza, so riconoscere.
Il miracolo della luce del sole, che un cittadino di Deling City non dà mai per scontato.
Il miracolo della natura, con la sua foresta fitta, fresca e viva.
E il miracolo dell'amicizia, che è tanto più bella quanto più è inaspettata.
RJ

*****
Nota dell'autrice: ed eccoci con la seconda parte. Forse da qui capite già come sarà strutturata la storia, ma in ogni caso ve lo dico; ci saranno capitoli ambientanti nel "presente", con le regole delle carte a far di titolo ai capitoli, alternati a interludi nel "passato", che di fatto rappresentano la storia di Laguna.
Ho consultato la pagina di Laguna e quella di Kiros sulla Final Fantasy Wikia, ma qualsiasi cosa che non sia reperibile lì è frutto della mia invenzione (in pratica, tutto XD).
Spero che l'idea vi piaccia... e sappiate che il prossimo capitolo è per tre quarti pronto :)
Come al solito, vi lascio il link al post in cui risponderò ai commenti (anche se, dove possibile, risponderò direttamente sui siti) e vi saluto con la promessa di un prossimo aggiornamento rapido :D – Alessia Heartilly

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Capitolo 3
*** II. Plus ***


CARDS
II. Plus

Un anno e mezzo dopo
Se qualcuno avesse detto a Rinoa, solo due anni prima, che quel giorno avrebbe oltrepassato la soglia dell'appartamento che avrebbe condiviso con Squall Leonhart, probabilmente sarebbe scoppiata a ridere fino alle lacrime.

Due anni prima, Rinoa aveva appena conosciuto Squall, e viveva quelle ore sospese tra il fascino dello sconosciuto misterioso e bellissimo con cui aveva ballato alla festa, e per cui aveva quasi preso una cotta, e la consapevolezza che quello sconosciuto era sì misterioso e bellissimo, ma era anche un insensibile - un cattivo, avrebbe detto - che avrebbe volentieri preso a sberle fino a farsi dolere le mani.

E invece, come spesso succede nella vita, si trovava a pensare che ovviamente due anni prima non sapeva e non capiva nulla di se stessa.

Posò il pesante scatolone di libri sul tavolo del soggiorno, si asciugò la fronte e controllò l'ora; Squall sarebbe stato a casa - che strano, pensare che lui sarebbe tornato a casa, e che casa era lei, ad aspettarlo, in mezzo alla confusione del trasloco - entro poche ore, e lei voleva avere il tempo almeno di sistemare le cose più urgenti, e poi prepararsi per una serata tranquilla in cui festeggiare quell'ennesima svolta della loro relazione.

Decise di iniziare dagli abiti; avrebbe portato i libri in camera da letto, dove c'era più spazio, e si sarebbe dedicata al resto.

Che strano pensare davvero di essere lì. Non poteva dire di non averci sperato, ma il suo ragazzo era Squall Leonhart, si diceva sempre, era già tanto che lui riuscisse a chiederle tranquillamente di dormire insieme. Alla fine era come convivere nei fatti, ma non ufficialmente; ognuno aveva le sue cose nella propria stanza, e qualche oggetto utile nella stanza dell'altro, ma anche quando passavano la notte insieme, e succedeva spesso, arrivava sempre l'ora in cui ognuno doveva tornare nella sua stanza a cambiarsi per la giornata. Rinoa avrebbe voluto anche tutto il resto - tutte quelle piccole cose che si imparano dell'altro quando si vive insieme; le piccole abitudini, le idiosincrasie, persino le cose che non si sopportano dell'altro, ma su cui si sorvola per amore. E prendersi cura di Squall, e viziarlo, e lasciarsi viziare a sua volta.

Solo sei mesi prima non avrebbe mai pensato di poter vivere quel giorno. Era stato sorprendente, eccitante e bellissimo scoprire che era da tempo che Squall aveva quel progetto - stava solo aspettando di poterla portare non in un dormitorio, per quanto allargato e adattato al suo rango, ma in un posto che potesse sembrare una casa.

Rinoa prese la borsa dove aveva infilato tutte le sue cose da bagno, e si diresse nella stanza accanto per iniziare a sistemarle; dopo tutto, se voleva prepararsi, era esattamente quello che le sarebbe servito di più. Accese la luce, sorrise vedendo la vasca da bagno, si fece l'appunto mentale di infilare un bagno caldo nella sua festicciola di inizio convivenza, e aprì la cerniera della borsa per svuotarla.

La prima cosa che le saltò all'occhio furono i test di gravidanza.

Sorrise scuotendo la testa; lei non ne aveva mai avuto bisogno, ma non saltava un mese senza che Selphie andasse da lei in lacrime perché aveva paura di essere rimasta incinta - o meglio, ne aveva l'assoluta convinzione. Poco importava che ogni mese la sua amica fosse fortunata; Rinoa era sempre il punto di riferimento di Selphie, in quelle circostanze, perché non le faceva prediche sull'uso delle precauzioni. O almeno, non come quelle di Quistis, che le prime volte le aveva dato memorabili lavate di capo, che purtroppo non avevano avuto molto effetto. Rinoa sembrava aver capito che la ramanzina aveva poco effetto persino quando Selphie era terrorizzata dagli effetti della sua sbadataggine; per cui ci aveva rinunciato, dopo alcuni mesi, limitandosi a stare vicino all'amica mentre aspettavano i risultati del test. Capitava così spesso che Rinoa li comprava praticamente in anticipo. Non capiva perché Selphie accettasse il rischio ogni volta che Irvine glielo chiedeva; trovava abbastanza insensato non usare precauzioni per poi disperarsi così tanto. Era meglio essere chiare con il proprio uomo e non dover sbattere la testa al muro ogni mese.

Sotto al test di gravidanza, pronto in attesa di Selphie, aveva messo le sue pillole anticoncezionali. Aprì la scatola quasi di riflesso, senza avere realmente l'intenzione di controllare di averle sempre prese; ma notò di averne saltate alcune proprio all'inizio, quando il trasloco era in pieno svolgimento. Non riusciva a ricordare di aver avuto rapporti con Squall in quei giorni, però; erano stati massacranti ed erano crollati addormentati quasi ogni sera. Più per gioco che per reale convinzione del rischio, decise di fare anche lei il test, pensando, con una risatina, che sarebbe probabilmente stata l'unica volta che l'avrebbe fatto in vita sua; Squall poteva aver concepito l'idea di vivere insieme a lei, magari di sposarla, in un futuro lontano e imprecisato, ma era sicura che l'idea di avere un figlio lo avrebbe fatto fuggire lontano, lontanissimo.

Senza bisogno di leggere le istruzioni, grazie all'esperienza con Selphie, fece tutto il necessario, posò il test accanto al lavandino e continuò a svuotare la sua borsa, quasi dimenticandosene.

Fu solo mezz'ora dopo che notò le due linee, ben chiare.

Pensò di averne comprato uno diverso dai soliti, e che forse le due linee significavano test negativo; lesse le istruzioni solo per scoprire che non era così. Aprì nuovamente la scatola delle pillole, contò, ricontò e ricontò ancora... e si rese conto di prenderle saltuariamente da quasi due mesi. La stanchezza, lo stress, la sua sbadataggine... prendeva le pillole senza badarci troppo, abituata com'era, ma forse proprio quella sicurezza l'aveva messa in quel pasticcio. Cercò di calcolare quando aveva avuto l'ultimo ciclo, ma il risultato la lasciò talmente perplessa che decise che sicuramente ricordava male. Frugò nella borsa e fece un altro test.

E poi un altro.

E poi, per buona misura, si scapicollò per arrivare alla farmacia di Balamb e comprarne un altro.

Fu solo quando ebbe davanti otto inequivocabili linee che non poté fare altro che arrendersi alla realtà.

*~*~*~*~*

Quando Squall arrivò finalmente a casa, fu accolto dalla vista di Rinoa che singhiozzava in maniera straziante.

Era seduta al tavolo del salotto, con un foglio ben spiegato davanti; aveva incrociato le braccia e ci aveva nascosto la testa, e piangeva a dirotto. Lui aveva quasi paura ad avvicinarsi.

"Rinoa?" disse a voce abbastanza alta da farsi sentire ma da non spaventarla, ma l'unico effetto che ottenne fu di farla piangere ancora di più. Deglutì, senza sapere cosa stava succedendo, e si avvicinò lentamente a lei, posandole una mano tra le spalle mentre le si sedeva accanto. La accarezzò con dolcezza, cercando di farla calmare, e poi provò a chiamarla di nuovo. "Rinoa, che succede?"

Lei non reagì.

Allora lui abbassò lo sguardo sul foglio che era sul tavolo, e lo lesse velocemente solo per scoprire che era un test di gravidanza.

Sapeva bene delle abitudini di Selphie - non tanto perché glielo aveva raccontato Rinoa, ma perché Irvine parlava troppo per i suoi gusti, e lui non poteva certo dirgli di chiudere il becco ogni dieci secondi. Ma non era tanto ingenuo da credere che Rinoa fosse così sconvolta per la loro amica. C'era evidentemente qualcosa che non andava in lei.

La prese per le braccia e la sollevò di forza, costringendola a togliere il viso da dove l'aveva nascosto e guardarlo. "Rinoa," ribadì, questa volta con un tono più fermo che la portò a diminuire il pianto e respirare più regolarmente. Lui fece un brevissimo cenno con la testa al foglio di istruzioni del test. "Sta succedendo quello che... penso?"

Rinoa era letteralmente terrorizzata dalla reazione di Squall. Sapeva benissimo cosa pensava dell'avere bambini; avevano deciso insieme di usare precauzioni anche se, secondo la dottoressa Kadowaki ed Edea, il potere di Strega la rendeva sterile. Non volevano correre rischi, però, perché non c'era una certezza totale dell'infertilità di Rinoa; per cui avevano iniziato con la pillola anticoncezionale e Rinoa era sempre stata estremamente coscienziosa nel prenderla. Ma quella volta... non sapeva spiegare come era successo. Ricordava solo che erano stati mesi pesanti, in cui doveva sistemare l'appartamento, con tutto quello che comportava, e poi organizzare lo spostamento delle loro cose, e alla fine quando la sera prendeva la pillola lo faceva sempre con così tanti pensieri che non vedeva quelle precedenti o successive, solo quella che stava prendendo. Era stata talmente convinta di essere a posto che non aveva dubitato affatto che potesse capitarle.

Squall poteva pensare qualsiasi cosa, però: che l'avesse fatto apposta, che avesse scoperto di poter avere figli, che avesse deciso di incastrarlo... tutte cose non vere, ma nell'ansia di quella scoperta, nell'incredulità e nella paura che ne conseguiva, allora era assai probabile che lui lo pensasse. E lei aveva solo le sue parole a difenderla.

Annuì a malapena. "Non l'ho fatto apposta, te lo giuro, te lo giuro!" Continuò a ribadirlo scoppiando di nuovo a piangere, gettandosi contro il suo petto, quasi aspettandosi che lui l'avrebbe respinta; ma invece lui la abbracciò e le accarezzò la schiena, sussurrandole di calmarsi.

"Lo so che non l'hai fatto apposta," le disse, posandole qualche bacio sulla testa. Lei smise di singhiozzare solo quanto bastava per cercare di giustificarsi ancora. "Basta piangere adesso," le sussurrò, allontanandola da sé e asciugandole le lacrime. "Fai solo male al bambino, così."

Rinoa lo guardò piegando la testa da un lato. "Non sei arrabbiato?" gli chiese, confusa e stupita.

"Sono scioccato e sconvolto," rispose lui, continuando a guardarla. "Ma c'ero anche io quando sei rimasta incinta. Il test è attendibile?"

"...Ne ho fatti quattro," ammise lei. "Sempre lo stesso risultato."

"...Ok." Cercò di non darlo a vedere, ma la speranza che fosse semplicemente un falso positivo volò fuori dalla finestra. Un falso positivo era possibile, ma quattro... "Hai già parlato con la dottoressa Kadowaki?"

Rinoa lasciò andare un gemito, si passò una mano sul viso e poi scosse la testa con un cenno di diniego.

"Ok. Allora adesso vai a darti una sistemata. Io chiamo la dottoressa e le chiedo se può visitarti subito. E quando sapremo se è vero, decideremo insieme cosa fare. Basta piangere però, ok?"

"Fa male al bambino," cercò di dire lei, con un sorriso stentato.

"Esatto."

*~*~*~*~*

Quando rientrarono nella loro nuova casa, circa un'ora dopo, era già calata la sera.

Rinoa teneva Squall per una mano, e lui aveva nell'altra il guinzaglio di Angelo, che avevano recuperato da Selphie tornando dall'infermeria; ci aveva pensato lui, perché lei sembrava ancora troppo sconvolta.

Rinoa andò a sedersi sul divano, dove faceva angolo, continuando a tenere Squall per mano. Lui tolse il guinzaglio ad Angelo e la lasciò libera di andare dove voleva; la cagnetta decise di arrotolarsi a dormire in fondo al tappeto. Si mise seduto dietro a Rinoa, e le fece cenno di stendersi e abbracciarlo. Lei ubbidì in silenzio.

Stringendola a sé, accarezzandole la schiena per darle il tempo di metabolizzare la notizia, Squall si lasciò andare alle riflessioni. La dottoressa Kadowaki era stata ben disponibile a visitare Rinoa non appena Squall l'aveva chiamata; l'aveva ascoltata con attenzione, aveva preso i campioni necessari per gli esami e l'aveva visitata, e alla fine le aveva confermato che sì, era in effetti incinta di circa quattro settimane. Squall aveva preso in mano la situazione, ed era stato lui a chiedere come mai non se ne erano minimamente accorti; la dottoressa si limitò ad esporre alcuni dei sintomi, e Rinoa annuì, dicendo di averli avuti, ma di averli attribuiti alla stanchezza e allo stress. Vedendo le espressioni sconvolte dei due ragazzi, la Kadowaki aveva detto che era disposta a rispondere a qualsiasi domanda sulle diverse opzioni; ma Rinoa aveva semplicemente chiesto se l'aver continuato a prendere la pillola aveva danneggiato il bambino, e come doveva comportarsi per la magia. Rassicurata su entrambi i fronti, si era chiusa nel silenzio ed era stato Squall a chiedere alla dottoressa di dar loro una lista delle cose che Rinoa poteva e non poteva fare nel suo stato; ci avrebbero pensato meglio a casa.

Ed eccoli lì.

Ripensandoci, Squall non poteva immaginare una fine diversa per quell'anno e mezzo passato insieme. Era iniziato con delle piccole aperture. Il giorno del suo compleanno, poco dopo la fine della guerra, quando stava insieme a Rinoa solo da un paio di mesi, Squall aveva deciso di mostrarle quello che provava davvero. Era stata una scelta che gli era sembrata quasi naturale: era difficile per lui esprimersi a parole, dopo aver passato anni a dire agli altri di farsi fondamentalmente gli affaracci loro, per cui aveva pensato per giorni al gesto giusto. Era giunto alla conclusione una sera, di ritorno da Balamb dopo una cena con lei, e aveva sterzato così bruscamente che lei aveva lanciato un gridolino. Erano arrivati al suo promontorio, e da lì le aveva mostrato la luce dell'estate morente sulla città, sulla piana, sull'isola. Aveva cercato di spiegarle cos'era quel posto, per lui, ma lei sembrava averlo capito ancora prima che lui parlasse. Gli era bastato dire che aveva avuto lì la cicatrice in fronte. Lei lo aveva lasciato parlare fino a quando lui se l'era sentita, e poi si erano baciati sotto la luna, e solo allora si era reso conto che erano passate ore, e che quel gesto d'amore era perfetto nel luogo dei suoi tormenti.

Fare l'amore sulla terra nuda era stato scomodo, ma non l'avrebbe cambiato per nulla al mondo.

Da quel momento la loro storia era stata una serie di rivelazioni. Lui aveva notato che era sempre lei a cercare di adattarsi ai suoi tempi, e mai il contrario. Si era sentito così avvolto dal rispetto e dall'amore di lei che piano piano aveva smesso di dover riflettere sui suoi gesti rivelatori, gli venivano spontanei. Aveva preso l'abitudine di confidarsi, dopo aver fatto l'amore. Non aveva più avuto paura di dormire nella stanza di lei, dopo qualche tempo, e dopo qualche mese il pensiero di vivere insieme, e di non doversi separare la mattina presto per andare ognuno a cambiarsi prima del lavoro, gli era sembrato sempre più allettante.

E ora erano lì, a rimuginare su come affrontare quella gravidanza inaspettata.

C'era anche un altro pensiero che gli premeva alla base della mente, ma lo mise da parte per il bene di Rinoa. Si chinò a baciarle la testa, stringendola un pochino più forte, e disse a voce bassa, "tutto a posto?"

"Ho paura."

Squall le posò due dita sotto il mento per costringerla a guardarlo, e le posò un bacio sulle labbra. "Anch'io," ammise, e la vide sgranare gli occhi per la completa sincerità di quella confessione. "Ma possiamo farcela, insieme."

Due lacrime le scivolarono sulle guance, e lui spostò le mani per poterle asciugare con una carezza dei pollici. Lei sembrò dubbiosa, ma più per incredulità alla calma di lui che per altro. "Intendi... vuoi tenerlo?"

Squall le sorrise appena. "Non ho mai pensato il contrario."

Rinoa scoppiò a ridere e piangere insieme, e per alcuni minuti continuò in quella confusione di emozioni, inframezzata dai baci che non smettevano di darsi. Anche Squall a un certo punto si trovò a ridere insieme a lei, stringendosi la sua ragazza al petto, pensando che dentro di lei c'era qualcosa che cresceva e l'avevano fatto loro insieme.

Quando finalmente Rinoa si calmò, dopo l'ultimo lungo bacio, lui le attirò la testa contro il petto. "Allora, che avevi in mente per stasera?"

Lei si accoccolò contro di lui e chiuse gli occhi. "Una cena, un bagno... le solite cose."

"E allora che ne dici di iniziare, visto che abbiamo una cosa da festeggiare in più?"

*~*~*~*~*

Faceva scorrere pigramente le dita sulla sua schiena da così tanto tempo che oramai era diventato automatico.

Rinoa alla fine aveva avuto la serata di festeggiamenti che aveva previsto, anche se era stata un po' diversa da come l'aveva immaginata. Si erano messi a letto prestissimo, insieme distrutti e in fibrillazione per la notizia che avevano ricevuto; il sesso era stato strano, insieme più delicato e più appassionato del solito. L'aveva tenuta sul petto a lungo, accarezzandole la schiena, riuscendo a pensare solo a come le loro vite fossero sull'orlo del più sconvolgente cambiamento che si poteva vivere. Poi lei aveva smesso di accarezzargli il petto, si era sollevata a guardarlo, aveva sorriso e si era allungata a baciarlo. Lo aveva ringraziato ancora una volta di averle creduto, e lui aveva alzato gli occhi al cielo, guadagnandosi una risatina. Poi l'aveva lasciata dormire. Presumeva che avesse bisogno di riposare - era stanca per tutto: il trasloco, la notizia, la tensione che se ne andava... pochi minuti dopo quel bacio, Rinoa era scivolata in un sonno profondo, e il suo respiro regolare gli accarezzava il petto.

Anche lui era completamente esausto, ma non riusciva a prendere sonno.

Il pensiero che aveva respinto ore prima, quello che gli premeva alla base del cervello da quando aveva scoperto che in effetti nel ventre di Rinoa c'era il suo bambino, era riemerso con prepotenza tale da impedirgli di ignorarlo ancora. Era riassumibile in modo molto semplice: Laguna.

Già mentre la sua ragazza si preparava per la visita, l'aveva tormentato l'idea di suo padre che stava per diventare nonno. Non sapeva davvero spiegare perché, ma era una cosa che, semplicemente, stava succedendo: lui si trovava a vivere cose che Laguna, in un modo o nell'altro, non aveva mai vissuto. Ma la cosa più stupefacente era che credeva che quell'idea gli avrebbe fatto rabbia, ma non riusciva a costringersi a provarla; pensava anzi che fosse una cosa piuttosto triste. L'ansia dell'attesa, lo shock, l'incredulità, la scoperta, l'idea di una creaturina che sarebbe venuta al mondo solo grazie a lui e Rinoa... tutte queste cose suo padre non le conosceva. E non importava se non le conosceva per sua scelta o per capriccio del destino; non le conosceva e basta, e quella consapevolezza gli stringeva il petto in una morsa malinconica che adombrava la gioia che stava provando.

Non aveva fatto parola a Rinoa di quei pensieri. Dopo che aveva parlato con i loro amici, più di anno prima, e soprattutto dopo che aveva parlato anche con Quistis, Rinoa aveva sempre avuto un sacro rispetto di quell'argomento. Certo, lui non era così ingenuo da non notare gli sguardi che gli rivolgeva quando, per un motivo o per l'altro, saltava fuori il nome di Laguna; ma aveva scelto di ignorarli, e lei non lo aveva mai pressato. Aveva accolto le sue confidenze quando lui si era sentito di farle, gli era stata accanto quando, in quelle occasioni in cui saltava fuori il nome di Laguna, Quistis si spingeva un po' oltre, e gli aveva detto con sincerità quello che pensava quando lui le aveva espressamente chiesto la sua opinione. Ma per il resto aveva sempre rispettato i suoi tempi, in quella faccenda come nel resto della loro relazione: era stata coerente con quello che gli aveva detto in quella notte dopo la scoperta dell'identità di Laguna. Gli sarebbe stata accanto qualsiasi fosse la sua scelta.

E adesso lui si trovava a doverla fare, quella scelta.

In quell'anno e mezzo, Squall aveva pensato a Laguna. Poco a poco si era accorto che in effetti Rinoa aveva avuto ragione: un giorno non aveva più trovato rabbia in se stesso, solo una sensazione indefinita. Avrebbe potuto parlare con lui, allora, ma il non capire davvero quello che sentiva lo metteva a disagio, e aveva preferito stare ancora sulle sue e decifrare la sensazione che gli era rimasta prima di avventurarsi in qualcosa che gli faceva un po' paura.

Doveva ammettere che nemmeno Laguna lo aveva pressato. Questo gli faceva onore.

Ma tutto tornava, come un cerchio che si chiudeva, a quella sera: tra i pensieri immediati che aveva avuto, vedendo le istruzioni del test di gravidanza sul tavolo, quello di Laguna era di poco distante da quelli più pressanti. Segno che una qualche importanza quell'uomo per lui ce l'aveva, per quanto avesse cercato di negarlo.

Nel sonno, Rinoa si voltò su un fianco, girandogli le spalle, rimanendogli comunque vicina. Lui stese il braccio con cui le aveva accarezzato la schiena e si portò l'altro sotto la testa, fissando il soffitto e continuando a riflettere.

Che fare?

Il bambino orfano e sofferente dentro di lui gli gridava di lasciare stare, che se quell'uomo l'aveva abbandonato allora andasse fino in fondo con la sua scelta. A che pro tornare dopo diciassette anni, a che pro andare a cercarlo a quasi vent'anni? Solo per dirgli, 'sto per avere un figlio, ma grazie all'esempio schifoso che mi hai dato tu forse sarò un padre migliore'? Era cresciuto senza un padre, tanto valeva continuare a vivere fingendo che non esistesse. Non era forse stato bene senza di lui per tutto quel tempo?

Ma l'uomo che stava diventando grazie a Rinoa e ai suoi amici parlava con una voce più calma, e gli diceva che in fin dei conti tutti meritano una seconda possibilità. Aveva avuto diritto alla rabbia e al rancore, un anno prima, ma adesso doveva pensare razionalmente, che era la cosa che gli riusciva meglio. Non era più il bambino orfano e solo. Era un uomo, con una relazione stabile e un figlio in arrivo, e per amore di quel figlio avrebbe dovuto quantomeno cercare di capire le motivazioni di suo padre. E poi avrebbe deciso se permettergli di essere parte della sua vita, della sua famiglia. La rabbia e il rancore se n'erano andati. E il bambino orfano aveva bisogno di risposte.

Rimuginò a lungo, fissando il riflesso della luna sul soffitto, i giochi di luce che si creavano attraverso i ricami delle tende. Poi, come aveva fatto altre volte nel corso di quell'anno e mezzo di relazione, si voltò a guardare Rinoa e le scosse leggermente una spalla.

Era difficile svegliarla. Ci voleva più di uno scossone.

Si voltò del tutto sul fianco e la scosse più forte. "Rinoa," chiamò a voce abbastanza alta da svegliarla.

Ma lei continuò a dormire, mugolando qualcosa di incomprensibile.

Lui a quel punto la scosse più forte e più a lungo. "Rinoa, dai, svegliati!"

I mugolii si fecero più distinti e più forti, e lui continuò a scuoterla. "Rinoa, ho bisogno di parlarti..."

Finalmente lei aprì vagamente gli occhi all'ennesimo scossone, e guardò la radiosveglia. "Squall, sono le tre di mattina..." E si accoccolò di nuovo contro il cuscino, cercando di addormentarsi di nuovo, ma lui le scoprì le spalle e le diede un altro scossone. Esasperata, lei aprì di nuovo gli occhi e lo fissò duramente. "Che c'è?"

"Devo parlarti..."

"Non possiamo farlo domattina? Sono distrutta..." piagnucolò lei.

Un leggero senso di colpa lo avvolse - in effetti sapeva che lei era stanchissima, e aveva bisogno di dormire, ma... "No, davvero non posso aspettare."

Lei si strofinò il viso con le mani, e poi si tirò su a sedere, sconfitta. "Ok, ma possiamo farlo in cucina? Non vorrei addormentarmi di nuovo..."

Dieci minuti dopo, con due tazze di latte fumanti davanti, Squall si grattò la nuca, cercando di trovare le parole giuste per iniziare sotto allo sguardo esausto di Rinoa, che conteneva, nonostante la stanchezza, il minaccioso messaggio alla 'spero che tu mi abbia svegliata per un buon motivo'. "Ho pensato," esordì allora.

Rinoa sorseggiò il suo latte, in attesa che lui continuasse.

"Ho pensato a noi, al bambino, e..."

Rinoa posò la tazza guardandolo a occhi sgranati. "Hai... cambiato idea...?"

"No!" si affrettò a rassicurarla lui. "No, assolutamente," continuò con più fermezza. "Ma cambieranno tante cose." Guardò la sua ragazza spingere via la tazza di latte e allungò una mano per prendere quella di lei. "Voglio dire... non solo per noi."

Rinoa tacque e lo guardò con la testa piegata; probabilmente era l'ora tarda, ma non riusciva proprio a capire dove lui volesse andare a parare.

"Credo... ho pensato che... lui ha il diritto di saperlo."

Lei aprì la bocca in un cenno di sorpresa. "Lui... lui?" chiese, più per esserne totalmente sicura che altro.

"Sì. Laguna."

"Oh." Per quanto si sforzasse di essergli accanto anche in quella scelta, era talmente inaspettata e sorprendente che non riuscì ad aggiungere altro.

"Tutto quello che è successo oggi è stato..." Fece una pausa, come alla ricerca della parola giusta, e poi scosse la testa. "Non so descriverlo. Ma sto pensando a così tante cose, per me, per te, per noi, e per il bambino che arriverà... non penso di poter escludere Laguna, stavolta. Voglio... almeno sapere cosa è successo."

"Gli vuoi dire che aspettiamo un bambino?"

"Sì, ha diritto di saperlo, qualsiasi cosa decida io."

"Allora sono molto orgogliosa di te," gli sorrise lei, girando la mano che lui le stava stringendo per intrecciare le loro dita. "Ero sicura che prima o poi sarebbe arrivato questo momento. Sono tanto felice per te," continuò, sollevando la mano per baciarla. "E so che adesso hai sicuramente paura, ma vedrai che andrà tutto bene. Hai superato tante cose... supererai anche questo. E io ti sarò sempre vicino, se mi vorrai."

"Certo." Squall le lasciò la mano, si alzò e girò intorno al tavolo per sedersi accanto a lei. "Voglio andare ad Esthar," le disse posandole le mani sui fianchi. "Sono sicuro che Cid mi lascerà il tempo che mi serve, quando gli dirò perché voglio andarci... ma vorrei che tu venissi con me. Quando te la sentirai," aggiunse in fretta, come temendo che lei rifiutasse. "Possiamo aspettare per vedere se va tutto bene, e magari partire tra una settimana o due. Mi piacerebbe..."

Si interruppe, allungando una mano ad accarezzarle la pancia, e lei sorrise.

"Mi piacerebbe tenercelo per noi, per un po'. Dovremo dirlo agli altri prima di partire, ma fino ad allora..."

"Lo vorrei anche io," intervenne Rinoa, vedendo che Squall era come in difficoltà, come se fosse un'altra cosa quella che voleva dirle. "C'è dell'altro però, vero?"

Squall scosse la testa, levando le mani dal corpo di lei per passarsele sul viso. "Lo scorso anno sono stato molto... crudele."

"Sì, direi di sì."

La sua sincerità gli fece fare una smorfia, ma si costrinse a continuare. "Potrebbe anche non -"

"No." Rinoa lo interruppe con decisione, gli sollevò il mento con le dita e poi gli prese le mani, chinandosi in avanti come sottolineare le sue parole. "Ascoltami bene. Laguna lo scorso anno ti ha detto di essere tuo padre dopo un periodo molto difficile per te, da tutti i punti di vista. Avevi appena ricominciato ad avere i tuoi ricordi. La sua rivelazione ti ha... spaventato. Eri arrabbiato e avevi tutti i diritti di esserlo. Ti sei sentito abbandonato un'altra volta. Forse Laguna non sa nessuna di queste cose, ma se non ti avesse voluto nella sua vita, avrebbe semplicemente taciuto. Per lui sarebbe stato molto più facile." Sollevò una mano a scostargli i capelli dalla fronte. "Laguna è una brava persona, e tu lo sai meglio di me, perché lo hai visto in quei sogni. E sono sicura che accetterà al volo di ascoltarti, quando glielo chiederai. Squall, è normale che tu abbia paura... ma hai pensato che forse ne ha un po' anche lui?"

Squall tacque, abbassò solo la testa, e i capelli gli caddero davanti al viso. Rinoa li scostò di nuovo, spostando poi la mano per accarezzargli la guancia.

"Diglielo e basta. Digli che l'anno scorso sei stato crudele, ma che adesso ti senti pronto ad ascoltarlo. Digli che avremo un bambino, prima che lo sappia chiunque altro, e digli che lui è tra i primi a saperlo. Non ti rifiuterà. Non può... sei suo figlio."

"Tu credi?" sussurrò lui dopo un lungo silenzio.

"Di più, ne sono assolutamente sicura."

"E se non fosse così, invece?" Sollevò lo sguardo, e lei si sentì trapassata da quegli occhi così tremendamente giovani e spaventati.

"Sarò vicino a te, e lo supereremo insieme."

"Tutti e tre...?"

"Già," sorrise lei, allungandosi a baciarlo. "Ora torniamo a letto. Hai bisogno di dormire."

*~*~*~*~*

Squall e Rinoa mantennero il segreto per altre due settimane.

La dottoressa Kadowaki sottopose Rinoa ad altri esami, giungendo alla conclusione che poteva tranquillamente partire per Esthar, e che era anzi una buona cosa che cogliesse l'occasione di richiedere un consulto anche al dottor Odine. Non si era a conoscenza di streghe che avevano avuto figli, per cui lei non voleva fare ipotesi azzardate, ma Odine di sicuro poteva tranquillizzarla anche da quel punto di vista. A Squall l'idea non piaceva affatto, ma poi Rinoa lo convinse con la promessa che si sarebbe fatta accompagnare da Ellione, Ward e una ginecologa. Sarebbe stata al sicuro da qualsiasi tentativo folle del dottore.

Due sere prima, prima di uscire dall'ufficio, sotto allo sguardo affettuoso di Rinoa che era andata a prenderlo, Squall aveva chiesto di essere messo in collegamento con l'ufficio del Presidente di Esthar. Dopo pochi minuti, tra il fruscio delle comunicazioni oltreoceano, Laguna aveva risposto con voce stupita a quella chiamata. Squall era stato diretto e conciso, esattamente come lo conosceva lei: aveva detto a Laguna, senza troppi preamboli e giri di parole, che aveva bisogno di parlargli, possibilmente ad Esthar. Non intendeva certo abusare della sua ospitalità, ma non aveva nemmeno finito di dire quelle parole che Laguna lo aveva interrotto: il Palazzo Presidenziale era casa sua. Poteva andarci quando voleva. Solo quando Laguna si era avventurato nel chiedere a cosa fosse dovuta la visita, Squall aveva risposto, "io e Rinoa aspettiamo un bambino."

Silenzio.

"Sei il primo a saperlo... ancora prima di Cid, ancora prima di Caraway."

Squall avrebbe potuto giurare di aver sentito un rumore, come un brusco risucchio d'aria per la sorpresa, come il respiro affannato di chi singhiozza. Ma non aveva indagato oltre, nemmeno quando la voce commossa di Laguna gli aveva risposto che era felice per loro.

"Quando possiamo venire?" aveva chiesto allora Squall, sviando il discorso per non avventurarsi in qualcosa che non era pronto ad affrontare.

"La settimana prossima saranno terminati gli incontri con i rappresentati di FH... avrò tutto il tempo per voi."

Aveva calcato sul voi, ma Squall aveva capito subito che in realtà era un te.

"Non ci fermeremo molto, solo il tempo di..." Aveva deglutito. "Una settimana, forse."

"Tutto il tempo che volete." Il fruscio aveva coperto un tremore della voce.

"Ti richiamo, allora. Per farti sapere quando arriviamo." Squall aveva chiuso la comunicazione bruscamente, a disagio per quello che percepiva nella comunicazione, e per la sua incapacità di capirlo, di dargli un nome, di classificarlo e metterlo via nelle rigide categorie mentali di cui si serviva.

Rinoa gli aveva sorriso, e gli aveva sussurrato quanto era orgogliosa di lui mentre scendevano al primo piano per cenare con gli altri.

E adesso, dopo che anche Caraway era stato informato del nipotino in arrivo, e dopo che Cid era stato avvertito sia della gravidanza che della necessità di Squall di avere una settimana libera, rimaneva solo da comunicarlo al gruppo.

Ed era quello che si apprestavano a fare, preparandosi per la colazione. Uscendo dal bagno, Squall osservò Rinoa china a rifare il letto; sorridendo, le si avvicinò e la abbracciò da dietro. "Va meglio, oggi?"

"Sì, solo un po' di nausea prima, ma è già passata," rispose lei, lisciando le coperte e poi girandosi tra le sue braccia. "Tu sei pronto?"

Squall seppe subito cosa intendeva dire - fosse stato per lui, il segreto l'avrebbero mantenuto fino a quando sarebbe stato evidente che Rinoa era incinta. Ma non potevano aspettare ancora; lui sapeva di doverlo ai suoi amici, se non altro per il rispetto che avevano avuto nei suoi confronti per quanto riguardava Laguna. Annuì, chinandosi a baciarla. "Andiamo."

Alla mensa, Selphie agitò la mano per richiamare la loro attenzione, e Squall sussurrò a Rinoa di andare pure, avrebbe pensato lui alla loro colazione. Lei ridacchiò senza farsi vedere e si avvicinò al tavolo dei loro amici. "Buongiorno a tutti!" cinguettò. Era eccitatissima all'idea di dare la grande notizia - dopotutto considerava tutti quasi come suoi fratelli, ed era sicurissima che suo figlio sarebbe stato viziato ancora prima di nascere.

"Squall è di buon umore oggi, ti porta lui la colazione?" chiese Irvine, con un occhiolino che faceva chiaramente capire qual era, secondo lui, la ragione del buonumore di Squall.

Rinoa arrossì e fece per rispondere, ma Selphie la precedette. "O forse è solo più galante di te!"

Pochi minuti dopo, Squall posò il vassoio sul tavolo; niente caffè, peggiorava le nausee di Rinoa, ma aveva fatto in modo che la sua ragazza potesse comunque scegliere quello che voleva. Rinoa si chiese se alla fine della gravidanza sarebbe stata più viziata lei del bambino, e fece un sorriso misterioso che attirò l'attenzione di Zell.

"Voi due nascondete qualcosa!" disse deciso. Questo scatenò Selphie, che voleva sapere se era vero e soprattutto che cosa stavano nascondendo, lanciandosi in una serie di ipotesi.

Rinoa fece per tranquillizzarla, chiedendo di poter semplicemente fare colazione in pace, e poi glielo avrebbero detto, ma tutti i suoi tentativi furono vani. Alla fine Squall allungò una mano sotto il tavolo ad accarezzarle una coscia, e lei capì che sarebbe stato lui a gestire la cosa. Gli sorrise mentre lui si schiariva la voce.

"In effetti abbiamo qualcosa da dirvi," iniziò. Anche Irvine e Quistis, che non avevano partecipato all'entusiasmo di Zell e Selphie nel fare domande e supposizioni, alzarono gli occhi. "Io e Rinoa... domani mattina ci prepareremo per partire-"

"Lo sapevo!" sbottò trionfante Irvine, che aveva preso in quell'anno l'abitudine di fare scommesse con Zell su qualsiasi cosa. "Te l'avevo detto che prima o poi Squall avrebbe lasciato il Garden per lei! Paga, am-"

"Non lascio il Garden," disse Squall, guardando prima Irvine e poi Zell con due occhi che dicevano, 'non azzardatevi a scommettere ancora su di me', ma con un sorriso che vanificava la minaccia. Quei due erano irrecuperabili. "Staremo via solo qualche giorno, forse una settimana."

"Una vacanza?" chiese Quistis.

"Più o meno, sì," rispose Rinoa intingendo un biscotto nel latte.

"E dove andrete di bello? E perché non ci avete detto niente? Potevamo venire anche -"

Selphie venne interrotta da Irvine. "Tesoro, forse vogliono restare soli..."

Rinoa ridacchiò quando lui fece un altro occhiolino e Selphie lo liquidò con una gomitata.

"Andremo ad Esthar."

L'annuncio di Squall lasciò tutti di sasso. Non si udì nemmeno volare una mosca.

"Sul serio?" domandò Quistis, facendosi portavoce del gruppo.

"Sul serio," rispose lui annuendo. "Ho già parlato con Cid e non ci saranno problemi. Sarete tu e Shu a dividervi i miei compiti, e ho già dato la mia disponibilità a sostituirvi in futuro per cose simili."

"Sì, ma non intendevo questo..."

"Lo so," rispose lui. "Sì, so che ve lo state chiedendo. Voglio andare a trovare Laguna. Abbiamo alcune... cose di cui parlare."

Fu Selphie la prima a riprendersi dallo shock, e si alzò rumorosamente dalla sedia per abbracciare meglio che poteva Squall, dall'altro lato del tavolo. "Lo sapevo che prima o poi ce l'avresti fatta!! Sono contenta!" Anche gli altri espressero la loro gioia, anche se meno platealmente di Selphie.

"Sì, grazie," fece lui imbarazzato, con qualche pacca sulla spalla che voleva essere un po' l'accettazione dell'abbraccio e un po' la voglia di essere lasciato andare. "Ma c'è dell'altro," disse quando Selphie si rimise a sedere.

Il gruppo tacque di nuovo. Rinoa portò una mano su quella che lui le teneva sulla coscia, e la strinse come per dargli forza.

"Il motivo per cui andiamo ad Esthar è che..." Guardò Rinoa, stringendole con forza la mano, e infine ammise con un sospiro, "è che abbiamo scoperto che avremo un bambino."

Stavolta toccò a Rinoa essere abbracciata da Selphie, che ci provò strillando di gioia attraverso il tavolo, e poi decise di alzarsi e andare direttamente dall'altra parte. "Sono così contenta! Ma come è successo?"

"Beh, Selphie -" iniziò Irvine, ma lei lo interruppe subito, senza nemmeno ascoltarlo.

"Lascia perdere, non è importante! Oh Hyne! Non riesco a credere che con tutti i test che abbiamo fatto..."

"Selphie, lasciami respirare però," ridacchiò Rinoa, e la sua amica la lasciò andare solo per fiondarsi su Squall.

"Non riesco a crederci! Diventerò zia!"

"Ok Selphie, adesso calmati però," disse Squall, e la ragazza lo lasciò andare per tornare al suo posto, continuando però a guardarli con gli occhi luccicanti e felici, subissandoli di domande, a cui Rinoa cercò di rispondere come poteva. Lo sapevano da poco tempo, dopo tutto, per cui non sapeva come rispondere a tre quarti delle domande che le rivolse l'amica; ad alcune non aveva ancora nemmeno pensato lei stessa, tipo il colore del corredino, anche perché riteneva sinceramente che fosse un po' troppo presto.

"Wow, amico," disse finalmente Zell. "Tra tutti noi, non pensavo proprio che tu saresti stato il primo ad avere figli..."

"Non l'abbiamo cercato," disse allora Rinoa. "Ci è capitato."

"Ma ha già portato qualche cambiamento, non è così?" domandò Quistis, più a se stessa che a Rinoa. Era persa nel suo mondo di riflessioni, e non si rese conto della risposta fino a quando Squall non le si rivolse direttamente.

"Ha sicuramente messo le cose in prospettiva," rispose infatti. "Ma è una cosa che maturava da tempo... e vi ringrazio perché mi avete sempre rispettato, quest'anno."

Annuirono tutti, sapendo che forse Squall gestiva le cose a modo suo, ma alla fine arrivava sempre ad affrontarle, non importava quanto tempo ci volesse. Avrebbero voluto stargli più vicini, certo... ma gli volevano abbastanza bene da capire che a volte era meglio lasciarlo fare, e stargli accanto in silenzio, girando intorno al problema.

Quistis si sentì particolarmente punta sul vivo da quell'affermazione; lei non era stata realmente molto rispettosa di lui - aveva taciuto come le aveva chiesto Rinoa, ma quando le era capitata l'occasione di parlarne, per quanto casuale fosse, aveva detto la sua, anche velatamente. Quel ringraziamento era rivolto anche a lei, ma lei sentiva di non meritarlo.

Il resto della colazione passò tra gli scherzi, le risate, le domande di Selphie e le risposte di Rinoa, colta alla sprovvista, mentre i ragazzi continuavano a prendere in giro Squall, che era, secondo loro, il paradosso vivente del SeeD che diventa Comandante del Garden e nel frattempo mette incinta la Strega di cui è Cavaliere. Rinoa notò con sollievo che il suo ragazzo sembrava prendere gli scherzi alla leggera, però.

Una decina di minuti dopo, il suono che annunciava la comunicazione interna si diffuse nel Garden, e la voce di Nida richiese la presenza di Squall, Quistis e Shu nell'ufficio del Preside.

"Sarà per definire i vostri compiti," disse Squall, allungando una mano per sistemare il vassoio suo e di Rinoa, ma lei gli fece cenno di lasciare stare, ci avrebbe pensato lei. Allora lui alzò lo sguardo e fece cenno a Quistis di seguirlo. Lei si affrettò a raccogliere le sue cose, salutò tutti in fretta, si congratulò ancora una volta con Rinoa e lo seguì fuori dalla Mensa.

"Allora," disse Selphie, tutta felice, rivolta a Rinoa. "Che ne dici di andare a casa tua e iniziare a pensare a come sistemare la camera del bambino?"

Rinoa sospirò, sistemando gli scarti della colazione sul vassoio e alzandosi per accontentare la sua energica amica.

La aspettavano otto lunghi mesi...

*~*~*~*~*

Selphie aveva lasciato Rinoa da circa due ore quando qualcuno bussò alla porta del loro appartamento.

Rinoa lasciò la valigia che stava preparando aperta sul letto, e andò ad aprire incuriosita; dovevano essere tutti al lavoro, ormai. Ci sarebbe stata anche lei, se la classe di cui si occupava non fosse partita per Trabia il mese prima.

"Quistis?"

Non riuscì a nascondere il tono stupito della sua voce - di tutte le visite che si aspettava di ricevere, quella di Quistis era la meno probabile.

Le due ragazze non avevano legato molto; erano amiche, si poteva dire, ma non intime. Il loro rapporto era stato difficile fin dall'inizio; Quistis l'aveva considerata fin da subito una ragazzina poco esperta e un po' egocentrica, giudicando un gioco la sua ribellione, a Timber, il tutto per attirare l'attenzione di suo padre. Non si era mai fermata a capire le reali intenzioni di quella scelta; non ce n'era stato il tempo, durante la guerra, e poi l'attrazione sempre più evidente che Squall e Rinoa provavano l'uno per l'altra aveva un po' tagliato fuori la possibilità di un'amicizia. Quello che Quistis provava per Squall era ancora acerbo e indefinito, certo, e poi era svanito in una bolla di sapone... ma non aveva potuto evitare di sentirsi un po' defraudata, all'inizio, di una possibilità che le spettava quasi di diritto. Certo, Quistis non era sicuramente il tipo da fare pensieri infantili tipo 'l'ho visto prima io', ma era stato più semplice pensare che qualcosa le era stato tolto, piuttosto che chiedersi per quale motivo Squall avesse preferito Rinoa.

E Rinoa aveva percepito che qualcosa non andava, che c'era qualcosa di diverso tra lei e Quistis rispetto a quello che invece aveva con Selphie; qualcosa di taciuto e innominabile, che pesava come un macigno tra le due. Il problema di Laguna, poi, e la convinzione di Quistis di sapere cosa Squall avrebbe dovuto fare, senza alcun dubbio sul fatto che fosse la cosa giusta, aveva ulteriormente deteriorato i possibili rapporti. Poi Quistis aveva provato qualcosa di strano all'idea di avvicinarsi a Rinoa - quella era la ragazza con cui Squall si confidava, a cui diceva cose che nessun altro sapeva... e questo la feriva, perché lei ci aveva provato per anni. Pensare di essere sua amica le riportava alla mente le parole rabbiose di Squall: voleva forse dimostrare di non essere un'insegnante fallita? Forse era vero, ma Rinoa, con il semplice fatto di essere la ragazza che Squall aveva scelto, vanificava quei tentativi. E la faceva sentire ancora più una fallita.

Ma quella mattina, quando Squall aveva annunciato che sarebbero andati ad Esthar, qualcosa in lei si era smosso. Qualcosa le aveva sussurrato che forse anche lei avrebbe ottenuto che Squall accettasse di ascoltare Laguna, ma sarebbe stato troppo presto, troppo rancoroso, troppo doloroso. A quei tempi non l'aveva capito, ma quella mattina aveva visto la sua espressione quando aveva fatto il suo annuncio: era sereno. E quando aveva annunciato che sarebbe diventato padre, poi...

"Ciao, Rinoa," disse cercando di sforzarsi a sorridere. "Posso entrare?"

"Certo!" rispose l'altra, facendosi da parte per farla passare. "Siediti pure. Scusa il disordine, stavo preparando la valigia..."

"Non c'è problema." Quistis osservò Rinoa mentre cercava di raccogliere il più delle cose che aveva tirato fuori e lasciato sul divano, e le portava in camera da letto. Forse avrebbe dovuto offrirsi di aiutarla? Dopo tutto era incinta...

"Eccomi!" disse Rinoa con allegria forzata rientrando in salotto. "Posso offrirti qualcosa?"

"No, non disturbarti. Volevo solo parlarti."

"Oh. Vieni, sediamoci qui sul divano. Di cosa volevi parlare?"

Quistis si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, abbassando lo sguardo sul punto del tappeto su cui Angelo dormiva pacifica. "Credo di dovermi scusare con te."

Rinoa piegò la testa, un po' confusa. "Non hai niente di cui scusarti."

"Sì, invece... per lo scorso anno." Quistis non la guardò, e Rinoa rimase anche più confusa di prima. "Avevi ragione."

Rinoa cercò di capire di cosa stesse parlando Quistis; sembrava che la ragazza fosse già in difficoltà così, non voleva peggiorare le cose costringendola a dire chiaramente di cosa si trattava. Ripercorse le loro poche conversazioni dell'anno prima... e giunse alla conclusione che forse parlava di Squall e Laguna, ma non ne era sicura.

"Intendi su Squall...?" azzardò allora.

"Sì."

"Oh." Ci un momento di silenzio. "Non devi scusarti comunque. Sono stata parecchio dura anch'io, per cui siamo a posto."

"No." Stavolta Quistis alzò gli occhi e incontrò lo sguardo di Rinoa. "Non avevo alcun diritto di dire e fare..."

"Non lo hai fatto con cattive intenzioni, sei solo stata un po' testarda..."

"Ma avevi ragione, non stavo pensando a cosa provava Squall. Ero così... presa dall'idea che era meraviglioso avere un genitore che non ho pensato a quanto potesse essere sconvolgente per una persona come Squall. Ed ero così convinta che tu non capissi che non pensavo minimamente di sbagliarmi io. Tutto perché non volevo ammettere che c'era una persona nella vita di Squall che lo conosceva meglio di me." Scosse la testa. "Mi dispiace, Rinoa. Non so davvero perché ho sempre avuto la tendenza a considerarmi superiore, ma mi dispiace di averlo fatto. Adesso vedo che avevi ragione... bastava guardare Squall stamattina, per capirlo."

"Sì, ma io ti ho aggredito. Sono stata davvero dura quella volta, con te."

"Perché eri arrabbiata, e ne avevi il diritto."

"Non di trattarti a quel modo, però." Rinoa sospirò. "Per cui non c'è bisogno che ti scusi, visto quello che ho fatto."

"Non l'ho fatto solo perché pensavo di essere... migliore di te, quando si trattava di Squall. Era anche perché lui quella mattina..." Si interruppe.

"Cosa?" domandò allora Rinoa. "Dimmelo, se può aiutarti."

E se non aiutasse te? "Quando sono venuta quella mattina, e mi hai aperto tu... è stato un duro colpo. Insomma, non me l'aspettavo... non fraintendermi, è solo che non credevo che Squall si lasciasse andare così facilmente. Capii di non conoscerlo, in quel senso. Credo che una parte di questo sia... credo di essere stata molto più dura con lui di quanto avrei voluto, perché vederti da lui con addosso i suoi vestiti mi ha fatto male."

"Capisco," disse Rinoa con voce triste. Ma di questo non si sarebbe sicuramente scusata.

"Poi, mentre parlavamo, Squall è sbottato. Penso che tu lo sappia..."

Quistis rimase stupita però nel vedere Rinoa che scuoteva la testa. "No, mi ero chiusa nel bagno per rivestirmi. Non ho sentito una parola di quello che vi siete detti, ho solo immaginato che tu fossi lì per via di Laguna."

"Squall mi chiese se per caso lo stavo usando per dimostrare di non essere un'insegnante fallita."

"Oh." Rinoa si portò la mano alla bocca, senza nemmeno cercare di nascondere il suo stupore. "Io non... non pensavo che..."

"Lo so, adesso lo so," lo rassicurò Quistis.

"Se l'avessi saputo l'avrei almeno fatto ragionare," disse ancora Rinoa, scuotendo la testa.

"Non lo avevi sentito, e comunque... mi ha fatto riflettere. Pensavo che tu fossi d'accordo con lui, dato che non avevi detto nulla, e quindi..."

"No, Quistis, non l'ho mai pensato!" Rinoa la interruppe bruscamente e si sedette più avanti sul bordo del divano. "La prima classe difficile che ti è capitata aveva come alunni sia Squall che Seifer. Per il resto sei sempre stata una brava insegnante. Ma loro due erano difficili da gestire per tutti..."

"Te lo ha detto Squall?" chiese Quistis, allargando gli occhi.

"Mi ha raccontato qualcosa, per cui sì. Quistis, posso dirti che non pensava davvero quello che ha detto. Ogni volta che ha parlato di te e di quell'anno che ti ha avuto come insegnante, non ha usato altro che parole di elogio. Forse quella mattina era solo arrabbiato..."

"E aveva tutte le ragioni di esserlo," rispose Quistis annuendo. "Ma mi ha fatto riflettere, e capire tante cose, comunque. Ad esempio che in effetti considero Seifer e Squall i miei più grandi fallimenti. Ed è vero, se potessi rimedierei. Ma allora non lo capivo, mi ha solo fatto male... credo sia solo per questo che sono tornata a parlargli, poi."

"Mi dispiace, Quistis."

"Dispiace molto anche a me."

Le due ragazze rimasero in silenzio per un po'. Poi Quistis disse ancora, "sono davvero felice per voi, Rinoa."

Rinoa annuì, ma Quistis aveva gli occhi bassi e non lo vide.

"So che potrebbe sembrarti strano, detto da me," continuò allora l'insegnante, con una risatina nervosa e forzata. "Però sono davvero felice. Non solo per Laguna, ma anche voi. Per questo," terminò indicando con una mano l'appartamento. E poi, come se ci avesse pensato solo dopo, aggiunse, "e per il bambino."

Questo allargò immediatamente un sorriso sul viso di Rinoa. "Lui è stato proprio inaspettato. Non avrei mai pensato che io e Squall avremmo avuto dei figli..."

"Sì, ma non avresti mai pensato nemmeno che avreste vissuto insieme," disse Quistis.

"Vero anche questo."

Ci un fu un altro lungo momento di silenzio, ma non più imbarazzato e freddo come era stato in quell'anno e mezzo.

"Sarà meglio che vada, adesso," disse infine Quistis alzandosi. "Tra poco inizia la mia lezione."

Rinoa annuì e la accompagnò alla porta. "Grazie della chiacchierata, mi ha fatto davvero piacere parlare con te."

"Potremmo essere amiche," disse Quistis. "Se lo vuoi, quando tornerete da Esthar..."

"Certo!" rispose Rinoa sorridendo.

Quando Quistis se ne fu andata, Rinoa si appoggiò alla sua porta chiusa, accarezzandosi lentamente il ventre.

"Sì," mormorò poi al suo bambino. "Sei ancora piccolo ma hai già fatto un sacco di cambiamenti, sai?"

*****
Nota dell’autrice: devo dire la verità. Devo ringraziare Shu, che con il suo commento mi ha fatto riflettere un po’ sulla parte finale del primissimo capitolo. Mi sono resa conto, rileggendo più volte, che non sono stata chiara come pensavo; nella mia testa, la stanza non è quella che si deve nel gioco, e nella mia testa Rinoa non sentiva quello che si dicevano Quistis e Squall. Da questo la parte finale, che in effetti avevo esagerato un po’. Ma non voglio toccarla – penso che le persone, quando si arrabbiano molto, dicono anche cose che non pensano, e che le persone, quando sono orgogliose, poi fanno fatica a chiedere scusa. Ma la parte finale di questo capitolo è stata elaborata soprattutto grazie a quel commento (prima era MOLTO diversa, ve lo assicuro... ma anche più inverosimile). Per cui... grazie Shu! Sono sempre i commenti che ti sottolineano i problemi quelli che aiutano di più, e spero di riceverne altri simili :D
Per il resto... dove possibile, risponderò a eventuali commenti sui siti, ma comunque prima o poi li ricopierò anche sui blog. Solito post, insomma^^
Alla prossima! – Alessia Heartilly

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