Alla ricerca dei cavalieri di Camelot di Nicknothing (/viewuser.php?uid=125759)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Un altro inizio ***
Capitolo 2: *** 2. L'inizio dei problemi ***
Capitolo 3: *** 3. Morte ***
Capitolo 4: *** 4. Pensieri ***
Capitolo 5: *** 5. L'erba cattiva non muore mai ***
Capitolo 6: *** 6. Svolte ***
Capitolo 7: *** 7. Condanna e giudizio ***
Capitolo 8: *** 8. Pace ***
Capitolo 9: *** 9. Il piano ***
Capitolo 1 *** 1. Un altro inizio ***
I
personaggi di questa storia ovviamente non mi appartengono
Ero qui a leggere e mi sono detto... perchè non aggiungere
qualcosa di mio?
Sono nuovo e spero che gradiate quello che voglio raccontare,
chissà che chi legga la prima parte non voglia leggere anche
un seguito :)
intanto per il momento vi
auguro Buona lettura e buon divertimento
Nick
Alla ricerca dei
cavalieri di camelot
Prima parte
Camelot ne era uscita
devastata. Il tradimento di Morgana,
per molti inspiegabile, aveva lasciato ferite indelebili nei cuori dei
regnanti.
Erano in pochi a conoscere le vere ragioni che avevano portato la
figliastra
del re ad allearsi con Cenred per
destituire
Uther, ma, quei pochi che sapevano, tremavano all’idea che
l’ira della strega scomparsa
potesse ritornare troppo presto.
Ovviamente Artù, figlio del re, era tra questi. In sua
compagnia c’era Merlino,
unico ormai in grado di contenere gli attacchi di ira del principe,
diventato
sempre più instabile e bisognoso di controllo.
La battaglia contro Morgause aveva distrutto le speranze e i
sogni di tutti
a Camelot, l’esercito immortale aveva mietuto più
vittime di quante il
regno non potesse permettersene, e,
nonostante fossero stati sconfitti, la paura dilagava per le strade
della
città.
L’ordine dei
cavalieri ne era uscito sconquassato,
pochissimi erano sopravvissuti, e ancora di meno si erano mostrati
leali fino
alla fine. Sir Leon
capeggiava ormai gli
ultimi sopravvissuti, Eliah, fratello
di
Ginevra, era una delle nuove reclute assieme a Lancillotto e Gwain.
Le condizioni erano critiche, e non ci voleva uno stratega per dirlo. Il regno non aveva mai
affrontato una crisi
come quella, una crisi che aveva distrutto non solo le basi fisiche
della
fortezza, ma anche i principi morali e psicologici dei suoi pilastri.
Immaginate che vostra figlia vi si rivolti contro usurpandovi di tutto
e
mostrandovi un odio sconfinato. Immaginate inoltre di essere voi stessi
la
causa di tutte quelle morti e di quel disprezzo, e che quindi il sangue
versato
cada direttamente sulle vostre mani. Sommandosi a quello di vostra
moglie e
della gente il cui ricordo vi perseguita a causa della grande
epurazione. Così
si sentiva Uther, e alcuni dall’ombra dei loro rifugi fatti
di finzione e
spirito di sopravvivenza non potevano che comprendere e compiacersene.
Il piano di Morgause non era
stato completato, ma sebbene
non nel modo che aveva previsto, le sue malvagità avevano
creato qualcosa di
più grande, qualcosa di non previsto.
Con Uther ridotto a un ameba e
Morgana lontana dal regno, l’unico
a poter prendere le redini di Camelot era di diritto Artù,
la consapevolezza
della malvagità della magia però aveva portato il
principe ereditario a farsi
delle domande.
Già dai tempi di
Nimueh il ragazzo meditava sulla veridicità
e sulla giustizia delle leggi contro la magia, una sorta di incidente
di percorso,
il tradimento di Merlino a quelli del suo genere, aveva però
reso quelli
sviluppi vani facendo credere al principe che Morgause e tutti coloro
che
praticavano l’antica arte magica fossero malvagi e bugiardi.
In realtà probabilmente, il giorno in cui la strega aveva
rivelato al principe
la verità sul suo concepimento era stato il giorno
più “onesto” del ragazzo.
Ora però i problemi erano altri, nonostante il regno posasse
sulle sue spalle
Artù doveva partire per riunire dalle contee vicine quanti
più nobili cavalieri
possibile, Camelot aveva bisogno di ristabilirsi e questo compito non
poteva
essere delegato.
In realtà alla ricerca di questi uomini sarebbe dovuto
andare lo stesso Uther,
uomo al quale le famiglie più nobili di Albion dovevano la
loro fedeltà, ma, a
causa delle condizioni in cui versava il re questo non era possibile.
Riflettendo su questo e
riordinando le mappe della grande
isola, Artù stava nelle sue stanze, in silenzio.
La porta venne aperta all’improvviso. Era Merlino, era carico
di oggetti lucidi
che dovevano essere i pezzi dell’armatura del suo signore.
"Quante volte ti ho detto di
bussare prima di entrare
nelle mie stanze? Chi ti dice che non mi stia intrattenendo con qualche
dama o
roba simile?" proferì con tono indecifrabile il principe
"più o meno tante volte quante vi siete rivelato essere
nient’altro che una
testa di fagiolo… e cmq spero che il giorno in cui vi
intratterrete con una
dama siate più rumoroso di così, ho creduto e
sperato foste morto"
Le risposte di Merlino non
cessavano mai di stupire il
giovane principe, prima di lui solo Morgana era in grado di tenergli
testa
senza temerlo… già, Morgana….e ora
quell’idiota, nient’altro che un servitore
non faceva altro che sfidarlo ogni giorno.
Nonostante se ne dicesse infastidito però, Artù
era arrivato al punto di non
poter fare a meno di Merlino… era diventato
l’unico aggancio che gli era
rimasto con la realtà… neanche Ginevra poteva
competere con il rapporto che si
era instaurato.
"Merlino.." rispose allora
Artù con quel suo tono
amichevolmente minaccioso.
"Si lo so… sto
zitto" terminò allora per lui il mago. E
se ne andò sorridendo dopo aver lasciato
l’armatura sul grande tavolo di legno.
Quando fu ad un passo dalla
porta Artù richiamò il suo
servitore e con tono imperativo gli comunicò la sua
decisione.
"Domani mattina partiamo,
voglio che i cavalli siano
pronti già da stasera… saremo solo noi due, non
posso permettermi di privare Camelot
di anche un solo cavaliere in più."
"Certo mio signore" rispose con voce seria il ragazzo prima di uscire
definitivamente dalla stanza.
Il pomeriggio era passato in
fretta, Merlino aveva lucidato
l’armatura del principe e pulito le stalle, nonostante
fossero appena usciti da
un assedi, i
compiti faticosi che era
abituato a svolgere non
lo avevano
lasciato neanche per un giorno. Merlino non se ne lamentava, tutto quel
lavoro
lo aiutava a non pensare. O almeno ci provava…
Il drago aveva sempre detto che il suo destino era far diventare
Artù re, prima
di potersi rivelare come mago e di poter riportare la magia nel regno.
Eppure
lui non faceva altro che ritardare quel momento. Non faceva che
continuare a
salvare la pelle di quel re così chiuso e maligno da non
riuscire a farsi amare
dalla sua stessa figlia.
Merlino in un certo senso lo compativa, la sua non doveva essere stata
una vita
felice, eppure una cosa buona l’aveva fatta… anche
se a costo della vita di sua
moglie aveva reso possibile la nascita di Artù…
però aveva reso possibile con
questo, la morte di migliaia di persone.
Al servizio di Artù il mago era combattuto tra un sentimento
dolce che andava
ben oltre l’amicizia e un sentimento molto più
simile ad un odio profondo per
quello che il principe stesso rappresentava.
Decise di smettere di
angustiarsi e si tuffò nel lavoro
convinto un giorno di trovare la risposta.
L’indomani
arrivò in fretta. Ginevra, il re e i cavalieri
erano tutti disposti dinanzi al grande cancello della cittadella per
salutare
il principe.
Questi rivolse alcune parole a tutti i cavalieri, probabili incitamenti
ricchi
di valori e ispiratori di speranza, e si avvicinò al padre
per salutarlo come l’etichetta
richiedeva cogliendo l’occasione per dirgli alcune parole.
"so quanto tutto questo sia
difficile padre, ma non
perdete di vista quali sono le priorità"
C’era accusa nel
consiglio del figlio, ma Uther non lo
sentì. Il ragazzo sapeva che se non si fosse concentrato sul
bene reale del
regno, il re avrebbe potuto dare inizio a una seconda purga solo per
sentirsi
più in pace con se stesso.
Così, con Merlino al
seguito e i cavalieri alla spalle, Il
principe attraversò il cancello al trotto fino a che non fu
fuori dalle mura,
dove si permise di spronare il cavallo ad un andatura più
veloce. Aveva bisogno
di aria.
Merlino rivolse un ultima
occhiata alle scalinate e al suo
mentore e si lanciò all’inseguimento del suo
principe, già, perché Artù era
suo…
questa era l’unica certezza che gli era rimasta.
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Capitolo 2 *** 2. L'inizio dei problemi ***
I
personaggi di questa storia ovviamente non mi appartengono
Allora... siccome avevo del tempo oggi ho completato anche la
seconda
parte... e nella mia testa inizia a delinearsi anche la terza.
Colgo l'occasione per ringraziare Roku ed Elfin Emrys che hanno avuto
la
pazienza di leggere, seppure con qualche problema legato al codice,
quanto
avevo scritto.
In
particolare voglio ringraziare Elfin Emrys per la sua critica che mi ha
davvero fatto felice... diciamo che sono uno di quelli che ha sovente
bisogno
di approvazione in quel che fa xD
Vorrei chiarire che questa è ancora una sorta di
introduzione. Purtroppo avendo
a che fare con una serie che lascia immaginare ma che non dice molto,
bisogna
ricostruire i pezzi per poter ottenere qualcosa di vagamente
credibile.... e
così per ora mi limito a far crescere un pò i
personaggi... ma presto ho
intenzione di inserire un pizzico in più di romanticismo :D
Nick
Spero
possa essere una buona lettura :)
Alla
ricerca dei cavalieri di
camelot
seconda
parte
Il
viaggio verso il primo dei cavalieri si era rivelato più
arduo del
previsto. Avrebbero
dovuto superare il lago di
avalon, oppure scalare
le montagne che lo circondavano,
e, una volta giunti sull’altra riva proseguire per almeno
altri due giorni di
viaggio.
Già fino al lago erano due
giorni di viaggio, il guado avrebbe richiesto sicuramente
più tempo,
come minimo Artù aveva previsto che ci sarebbe voluta una
settimana per
arrivare, un’altra per il ritorno, e il solo pensiero aveva
riempito i due
viaggiatori di un’angoscia tale da farli quasi desistere.
A
chi importava infondo? I cavalieri sarebbero giunti a Camelot,
così come
era sempre stato. Queste erano state le deboli proteste di Merlino. Non
aveva
tutti i torti, ma il principe sapeva che da chi andavano non erano
benvenuti, e
che quel giuramento fatto anni prima avrebbero dovuto reclamarlo,
probabilmente
pagandolo caramente.
Il principe però aveva altri pensieri per la testa, e
così si limitò a zittire
malamente il servo e a proseguire sulla loro tratta. Studiava un piano,
perché
purtroppo era più che consapevole che per giungere dove
erano diretti avrebbero
dovuto attraversare anche il regno di Cenred.
Il
loro re era morto, e da qualche giorno era giunta notizia a Camelot di
numerose lotte intestine. I cavalieri di quel regno sapevano che quello
era il
momento adatto per aggiudicarsi il potere, ma temevano anche il ritorno
di
Morgause e poco sapevano degli avvenimenti di Camelot. Inoltre
l’intero
esercito era stato spazzato via dalla loro stessa stoltezza e ora
briganti e
predoni avevano invaso quelle terre, soprattutto sul loro limitare ad
un ritmo
impressionante.
Scioccamente nella testa del principe andava formandosi
l’idea di andare alla
capitale e di reclamare il trono per sè, ma sapeva che non
avrebbero potuto
reggere un altro confronto armato. Quello di Cenred non era
l’unico regno
stremato.
E tutto questo per colpa della magia. Non aveva smesso di pensarci
neanche per
un attimo, la magia era la causa di tutto quel male, la magia aveva
corrotto
Morgana. Forse la sua sorellastra era persa per sempre e tutto questo a
causa
di una strega e della magia che aveva impiantato in quella che ormai
era detta
da tutti “la fata”.
Artù non avrebbe più dimenticato la notte dopo la
fuga di Morgana, Ginevra gli
si era buttata tra le braccia e lui non era stato in grado di
consolarla. Per
quanto fosse una donna forte, Gwen aveva sopportato tutto quel dolore,
tutta
quella delusione e quella paura solo sperando in lui, il suo re. Ma il
suo re
era un uomo come tutti gli altri, aveva alti e bassi e, per quanto la
nobiltà
non lo prevedesse, gli ultimi avvenimenti lo avevano distrutto dentro.
Ginevra allora si era fatta da parte, incapace di comprendere le
insicurezze di
Artù, e questo aveva creato una rottura che, neanche gli
anni, avrebbero più risanato.
Chi invece si era avvicinato ulteriormente in quei momenti bui era
stato Merlino.
Fin da sempre, o meglio, fin da quando lo aveva conosciuto, Merlino si
era
mostrato fedele e benevolo verso di lui, certo forse un po’
lingua lunga, e
sicuramente nascondeva qualcosa, ma questo non gli aveva mai impedito
di essere
vicino al suo signore. Soprattutto quando questi era molto vulnerabile.
Dopo lo scontro con Morgana né il re né il
principe volevano vedere nessuno, ma
Merlino era riuscito con insistenza a farsi strada nelle stanze del
biondo
erede, a tirarlo fuori dal suo mutismo e a riportarlo alla vita.
Artù aveva quindi iniziato a guardare al suo servitore con
un altro tipo di
interesse, forse per la prima volta in vita sua voleva conoscerlo per
davvero.
Il principe cavalcava davanti a lui seguendo quello che doveva essere
un
percorso ben impresso nella sua memoria perché non sembrava
rifarsi a nessuna
mappa o altro. Però era taciturno. Le ultime parole erano
state dette a poche
miglia da Camelot e da allora nessuno aveva più parlato.
Merlino non era preoccupato, lo conosceva bene il suo pollo e sapeva
che aveva
bisogno del suo tempo. Sapeva anche che il pericolo maggiore, che
Artù
diventasse come Uther, era scampato, e questo, si inorgogliva a
pensarlo, era
merito suo. Era riuscito a tirarlo fuori dalle tenebre del rimorso
appena in
tempo. Così lasciò che il primo giorno di viaggio
passasse ineluttabile mentre
i due cavalli si facevano strada nel bosco.
Non si erano fermati neanche per mangiare, avevano preso qualcosa dalle
bisacce
e l’avevano consumata in groppa ai loro destrieri, si erano
fermati solo una
ventina di minuti per raccogliere dell’acqua da un rivo e far
riposare i
cavalli verso mezzogiorno, poi avevano ripreso. Merlino
iniziava ad essere stanco di quell’atmosfera silenziosa,
così
decise di avvicinarsi al principe per punzecchiarlo un poco.
Non aveva neanche aperto bocca che si accorse che qualcosa non andava,
e
probabilmente anche il principe se ne era accorto. Tutto attorno a loro
non si muoveva
una foglia, ma sia Artù che Merlino riuscivano a sentirli,
il respiro di 20,
forse trenta uomini, nascosti nel folto della foresta che li
osservavano.
-Finalmente
te ne sei accorto Merlino- sussurrò il principe in direzione
del servitore –Fai come se niente fosse- proseguì
il biondo che continuava a
cavalcare con la stessa identica andatura con cui si era addentrato
nella
foresta.
Artù
non sapeva che, sebbene più distratto, gli occhi di Merlino
erano di
gran lunga migliori dei suoi, per questo non capì subito
quello che accadde in
quelle frazioni di secondo.
Il principe gli aveva detto di stare fermo per ritrovarsi il servo che
al volo
gli si gettava sopra disarcionandolo.
-Non
fare la donnetta spaventa…- gridò Artù stizzito
ma poi capì. Pochi metri alla loro destra si era appena
piantata con un sibilo sordo una lunga lancia che aveva sorvolato il
cavallo
del principe lasciandolo fortunatamente illeso.
La
lancia era ovviamente diretta a lui, ma l’aveva mancato e
tutto questo
grazie a Merlino, questa volta l’avrebbe ringraziato, se lo
ripromise. Tutto
sommato però era la prima volta che Artù si
accorgeva dell’intervento del mago,
e questa volta non aveva neanche usato la magia.
Rapidamente
il principe si rialzò e sfoderò la spada dal
fodero sul fianco del
cavallo. Questi per tutto il movimento improvviso si era vagamente
innervosito
e aveva iniziato a scalpitare sollevando un gran numero di foglie
secche del
sottobosco.
I
predoni approfittarono di quel momento di confusione per scendere e
attaccare.
La strada che i due viaggiatori stavano percorrendo era il vecchio
corso di un
fiume deviato ed era costeggiato da pareti di roccia alte qualche metro
e
interamente ricoperte di alberi, radici e foglie.
I ladri scesero proprio da lì.
Anche
Merlino aveva sfoderato la spada e si apprestava a difendere il suo
signore con quella e con altri mezzi, e poi…. Non aveva
ancora avuto occasione
di prendere in giro il principe per quanto era successo.
Ma
gli uomini erano troppi. Sebbene 5-6 cadaveri si accatastassero loro
intorno uno dopo l’altro non ce l’avrebbero mai
fatta a sconfiggerli tutti.
Artù
fece un tentativo disperato con un braccio solo rimontò in
groppa e
con l’altro tese la mano a Merlino che
l’afferrò e montò subito dietro di lui
arrossendo vagamente.
Fortunatamente questo Il principe non lo vide si ritrovò a
pensare il mago
improvvisamente dimentico di quello che stava accadendo loro attorno.
Non
avevano fatto neanche qualche metro che il cavallo cadde a terra morto,
schiacciando un paio di ladri e tirando giù con
sè signore e servitore. Il
principe era disorientato, poi capì. Magia, uno
dei ladri doveva averla usata ed ora erano in pericolo.
Brandendo
la spada come un forsennato Merlino che
intanto si era rialzato, era riuscito a liberare un piccolo spiazzo di
terra tutto attorno a lui pur non ferendo nessuno.
Gli uomini iniziarono a girare intorno ai due che si erano stretti
spalla a
spalla contro il corpo della povera bestia morta.
-Ed
è solo il primo giorno di viaggio..- Disse con ironia il
principe
-oh
non ti preoccupare, è quasi finito…. Il giorno
intendevo- rispose il
mago affrettandosi a correggere l’ambiguità della
sua frase.
Non
sapeva cosa fare, sebbene scherzasse aveva paura per la vita di Merlino
e per la sua, stava per parlare e chiedere chi fosse il capo per poter
trattare
qualcosa quando
a un certo punto due di quelli
uomini piombarono dall’alto atterrandolo insieme
all’amico.
Mentre i due prigionieri si divincolavano e venivano tenuti fermi al
suolo da
quelli che ora erano tre uomini ciascuno, una figura incappucciata si
fece più
vicina. Ne Artù né Merlino l’avevano
vista prima. A pochi passi da loro si
fermò.
-Legateli
e portateli al campo, veloci!- aveva
una voce
strana, un misto tra l’autoritario e
l’annoiato… sembrava come se non fosse
possibile disubbidire a un richiamo come quello.
Ora
i due erano davvero spaventati, Merlino non disse nulla, si
limitò a
sgranare gli occhi terrorizzati…aveva letteralmente le mani
legate e non poteva
fare niente senza compromettere il suo rapporto con il principe,
tradotto erano
impantanati entrambi in una situazione piuttosto scomoda.
Dopo che gli uomini ebbero finito di smanettare con le corde dietro la
schiena
dei loro prigionieri tirarono fuori due sacchi di iuta e li calarono
sulle
teste del principe e del mago.
Il primo strattonò un po’ ma alla fine si arrese.
Il secondo frugò
freneticamente nella sua testa alla ricerca di una soluzione che gli
permettesse di salvarsi il didietro senza farsi beccare dal
principe… non
voleva rovinare tutto proprio ora.
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Capitolo 3 *** 3. Morte ***
I
personaggi di questa storia ovviamente non mi appartengono
questa
deve essere stata una giornata fortunata visto quanto ho scritto...
diciamo che finalmente l'introduzione è finita e dai
prossimi capitoli inizia la parte più originale.
Spero gradiate e spero possa essere una buona lettura:) grazie della
pazienza
Nick
Alla ricerca dei
cavalieri di camelot
terza parte
La situazione era sfuggita ad
entrambi i viaggiatori,
entrambi erano convinti di dover proteggere l’altro, e
nessuno dei due sapeva
neanche come salvare se stesso.
Furono condotti malamente attraverso la foresta in un luogo non ben
identificato. L’esperienza di Artù lo
portò a credere che li stessero facendo
girare in tondo per disorientarli, ed era vero. Merlino non emetteva
suoni
perso com’era nei suoi pensieri. Il non poter vedere nulla e,
soprattutto, il
non sentire il blaterare del suo compagno non
fece altro che aumentare l’ansia del
principe che invece si dimenava in continuazione.
Incredibile quanto ci tenesse a quell’idiota, non se ne era
mai reso veramente
conto.
Dopo una mezz’ora di
camminata giunsero probabilmente a
destinazione ed entrambi vennero costretti a sedere su un tronco caduto
al
quale le corde che tenevano legate le loro mani furono fissate.
Attorno a loro i due potevano sentire chiaramente bisbigli e voci, poi
una, più
forte delle altre parlò.
-portatemi quello con l’armatura- disse con lo stesso tono
che aveva usato non
troppo tempo prima.
Artù fu sollevato di
peso e trascinato al centro di un
cerchio formato dagli uomini che lo avevano catturato, lasciato cadere
ai piedi
dell’uomo incappucciato.
Lo stregone, tolse il sacco di iuta dalla testa del principe che
già lo
guardava in cagnesco e prese ad interrogarlo con lo stesso tono di voce
che
aveva usato fin da quando lo avevano sentito parlare.
-Chi sei?- chiese questi con
calma
-non parlo con gli stregoni-
rispose prontamente Artù
continuando a guardare l’uomo di sottecchi.
-ho detto, chi sei?- questa
volta il tono di voce dell’uomo
sembrava carico di un ineluttabilità inspiegabile, ogni
singola parola vibrava
di potere. Merlino fu percorso da un brivido a quel suono
così innaturale.
Artù invece come
ipnotizzato spalancò gli occhi e rispose
più diligentemente di una marionetta.
- Artù Pendragon- e
nel dirlo la sua voce era perfettamente piatta.
-Oh..abbiamo un reale fra noi-
risposero allora alcuni degli
uomini attorno allo stregone.
Merlino si morse il labbro,
sapeva che in quelle terre
essere il figlio del re era più un problema che un
privilegio.
-Bene quale piacere avere una
così nobile testa tra noi, siamo
davvero felici… dunque il verdetto è
…la morte, così come il verdetto è
stato
la morte a dir di vostro padre per quelli come me.- e qui sorrise
mostrando una
chiostra bianca e perfetta -ma prima ditemi, mio nobile principe, chi
è il
vostro compagno?- Lo stregone parlò per la prima volta con
quella che sembrava
una voce umana prima di rifare una domanda utilizzando la magia.
Artù che poco
prima aveva un espressione sconvolta fu come percorso da una scarica
che lo
riportò nuovamente al suo stato di marionetta.
-Un servitore …e mio
caro amico- rispose allora il principe.
Le labbra dello stregone si dipanarono in un ghigno. Merlino che era
stato
attento a tutta la conversazione non potè fare a meno di
sentirsi deluso e
felice. Deluso perché a quella domanda le risposte non
potevano che essere
sincere, ed essere
solo un caro amico
non era proprio quello che si aspettava(o meglio non era quello che
desiderava).
Ma fu anche felice perché essere considerato un caro amico
dal suo Artù era
comunque tanto.
-Ben, allora
lui
morirà per primo, spero non ti dispiaccia se lo sgozziamo
davanti ai tuoi occhi
vero?-
il giovane mago deglutì di colpo, Artù ancora
sotto l’effetto dell’ipnosi non
rispose e rimase imbambolato.
Ecco, la situazione era precipitata, Artù era fuori gioco e
la sua vita era
appesa ad un filo. Rivoli di sudore freddo gli scesero dalla fronte e
sulla
schiena, doveva trovare una soluzione e trovarla in fretta.
La logica gli avrebbe imposto di usare la magia, ma Artù era
proprio davanti a
lui, se lo avesse fatto sarebbe stato scoperto, e il suo sogno di
rimanergli
accanto più a lungo possibile non si sarebbe mai avverato.
Merlino sapeva che quello non era il momento giusto, ma del resto il
suo
destino non poteva neanche essere quello di morire lì, in
quel momento, aveva
ancora tante cose da fare…. Non aveva ancora posato le sue
labbra sulle sue.
Diciamo che ormai il nostro mago era entrato nel panico.
Artù invece si stava pian piano riprendendo da quello stato
ipnotico in cui lo
stregone lo aveva relegato.
Ma non sarebbe servito a nulla. Posto in ginocchio davanti a Merlino,
pronto ad
assistere alla sua esecuzione, portava ancora le mani legate dietro la
schiena,
mentre due uomini non troppo gentili
lo
tenevano giù premendogli sulle spalle.
Il sacco di iuta venne tirato
via dalla testa di merlino in
pochi istanti che sembravano ore. Il mago guardò il suo boia
sfilargli davanti
prima di porsi alla sua destra. Lo avevano spostato dal tronco sul
quale era
seduto e gli avevano fatto poggiare la testa sul tronco
stesso.
Era sicuro di aver già assistito ad una scena simile, ma in
quel momento
proprio non ricordava né come né quando. La
disperazione se ne era impossessato
completamente.
Successe tutto in un attimo.
Tre fatti distinti e separati
avvennero all’unisono, innescati dal veloce calare della
spada del suo
assassino.
Artù che si era
quasi del tutto ripreso lanciò un “no”
disperato e improvviso che riecheggiò per miglia e miglia
nella foresta.
La lama della spada del boia che era diventata incandescente a pochi
centimetri
dal collo del giovane Merlin venne sbalzata via insieme al suo
proprietario e
quei quattro uomini che lo circondavano.
Gli occhi del giovane mago si accesero di un rosso-oro intenso e si
riempirono di
lacrime consapevoli di quello che sarebbe accaduto di lì a
poco.
Non era morto, ma aveva ucciso
il rapporto che con tanta
fatica si era costruito tra lui e il principe.
Merlinò piangeva
mentre senza rendersene conto si liberava
dalle corde che lo tenevano fermo.
Artù invece lo guardava attonito boccheggiando, con lo
sguardo di chi ha capito
ma non vuole capire. Con gli occhi carichi di una cocente negazione.
Anche le
sue corde erano sparite.
Non stava accadendo, non era
possibile.
Le lacrime ormai rigavano il
volto scarno del mago che si
era messo in piedi.
Tutto attorno a lui il rumore
degli uomini che correvano
nella sua direzione e dello stregone che gridava ordini. Ma merlino non
li udì.
Era come se tutto fosse ovattato, come se si trovasse dietro una
campana di
vetro e i suoni e le immagini gli arrivassero in ritardo.
Non dovette impegnarsi, fu la disperazione a guidare il suo corpo.
Alcune
parole dell’antica lingua proruppero dalla sua bocca e tutto
attorno a lui fu
luce. I corpi degli uomini caddero a terra con un tonfo, le armature
vuote. E
l’unica cosa che distinse
chiaramente prima della luce abbagliante furono le perle che traslucide
colavano dagli occhi del suo principe.
Non era rimasto nessuno se non lo stregone.
-Chi…chi sei tu?-
per la prima volta nel tono di quell’uomo
era presente una nota di paura, la sua domanda non esigeva
onestà, o forse
questo non aveva effetto sul mago.
Merlino ci pensò un po’ prima di rispondere, poi
alzò lo sguardo e tentando
così di rassicurare il suo principe rispose alla domanda
dello stregone con fermezza.
-Il suo servitore e suo
più caro amico-
Il mago si pulì
istintivamente il viso con la manica della
tunica logora che portava sempre, le lacrime gli avevano appannato la
vista e
lui non voleva vedere più nulla di tutto quello che lo
circondava.
Lo stregone colse
l’occasione al volo, in un lampo gli fu
sopra menando un fendente con quella che sembrava una lama fatta
d’acqua.
Merlino non ebbe il tempo neanche di sgranare gli occhi, il colpo fu
più veloce
del previsto.
Con un tonfo il mago fu a terra, trafitto mortalmente dalla lama che
gli era
stata lanciata contro.
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Capitolo 4 *** 4. Pensieri ***
I
personaggi di questa storia ovviamente non mi appartengono
Stavolta il commento lo inserisco alla fine della storia per
motivi pratici … spero non vi dispiaccia xD
Alla
ricerca dei cavalieri di camelot
quarta parte
Una
pozza di sangue scuro iniziò ad allargarsi sotto di lui.
Merlino un po’ scosso ma riconoscente guardava in direzione
di chi aveva
lanciato l’arma. Artù.
Sembrava che quel combattimento
avesse affaticato più il
principe del mago. Aveva il fiatone, era comeuna preda braccata mentre
semichino sulle sue ginocchia riprendeva fiato.
Fu chiaro conciso ma
soprattutto freddo.
-prendi quello che puoi
recuperare e andiamocene da qui-
Se per un istante, le lacrime,
avevano smesso di sgorgare
dal suo volto, convinto che non fosse tutto perduto e ancora di
più che forse
tutto quanto poteva risolversi, dopo quelle parole indomabili,
ripresero a
scorrere silenziose lungo li zigomi sporgenti fino alle labbra.
Il sapore delle lacrime era amaro, Merlino piangeva immobile, in
silenzio, come
se quella realtà non gli appartenesse, come se in fondo
tutto quello che gli
era appena successo intorno non stesse realmente accadendo.
Artù l’aveva guardato solo per un istante, un
istante per comunicargli quella
che suonava troppo come un ordine e poco come una sbrigativa
affermazione. Il
suo volto era asciutto.
Non sapeva perché, ma desiderava che, così come
il suo cuore era spezzato, lo
fosse anche quello del suo principe.
Ma
evidentemente non era così.
E allora cosa era successo? Perché prima che eliminasse con
la magia quella
marea di uomini aveva visto il volto del ragazzo brillare?
Era sicuro, ne era certo, il principe aveva pianto, aveva versato forse
due
lacrime, ma non era possibile che fosse rimasto così freddo
e impassibile. Perchè
l’aveva fatto?
Quello che doveva
essere solo un viaggio
alla ricerca di un paio di uomini si era in breve trasformato in un
incubo.
Perso nelle sue riflessioni, mentre ancora le lacrime sgorgavano a
litri dai
suoi occhi, Merlino quasi non si accorse che Artù si era
voltato e si
avvicinava ai cavalli degli uomini per potersene andare.
Gli corse dietro.
Un po’ imbarazzato si asciugò gli occhi, ma
continuava a non capire. Non voleva
farsi vedere in quello stato, Non era giorno quello perché
altri segreti
venissero rivelati, però non poteva fare a meno di
avvicinarsi al suo principe,
non poteva fare a meno di tentare.
-Artù…-
Pronunciò quel nome con tono incerto, non sapeva
quale potesse essere la reazione del biondo, ed era sicuro che uno
scatto d’ira
non fosse auspicabile.
-Ti prego di seguirmi in silenzio, stiamo ritornando a Camelot- La
risposta
venne prima ancora che Merlino avesse terminato di pronunciare il suo
nome. La
voce era fredda, come se quelle informazioni, così
fondamentali non le avrebbe
mai tirate fuori spontaneamente, come se volesse limitare al minimo il
contatto
con il mago.
Merlino finì di
asciugarsi il volto e sperando per il meglio
corse a prendere due spade dall’accampamento.
Solo in quel momento si accorse di quello che aveva fatto.
Tutto intorno al punto in cui era stato quasi decapitato era terra
bruciata, i
tronchi degli alberi erano carbonizzati in quella direzione, e a intervalli irregolari le
armature dei
soldati stavano come gusci vuoti tra le foglie ridotte in cenere.
Tutto ciò lo
spaventava, e probabilmente aveva spaventato
anche Artù. Aveva sempre saputo di avere un grande
potenziale, ma la verità era
che non ne aveva libero accesso. Era
come se in quel momento, la paura, la disperazione e il dolore fossero
usciti
sotto forma di fiammata dal suo corpo investendo tutto quello che
c’era
attorno.
L’unico cadavere per così dire integro era quello
dello Stregone.
La veste un tempo giallo pallido si era colorata del suo sangue. Sul
volto l’eterna
espressione di un uomo terrorizzato. Le pupille ancora dilatate
sembravano
avere in loro impressa la luce abbagliante scaturita dal corpo del
giovane
mago.
Un brivido corse lungo la
schiena di Merlino.
Artù era già in sella, e si stava lentamente
allontanando. I cavalli
miracolosamente illesi, proprio come lui, sembravano capirlo nel suo
disappunto
e strisciavano i passi in quella che sembrava la sfilata di un
condannato a
morte verso il patibolo.
Merlino corse a raccogliere un
paio di provviste appese a
delle strutture in legno vicino a quelle che dovevano essere le tende e
salì
con qualche difficoltà sul cavallo, pronto a seguire in
silenzio il suo
principe e a lasciarsi alle spalle quella carneficina.
Come era possibile?
Artù aveva la gola secca, le uniche
parole che aveva pronunciato dopo aver lanciato il più
disperato grido della
sua vita le aveva dette a quel mago, quel traditore, ma ancora, come
era
possibile?
Chi diavolo era Merlino?
Artù aveva sempre saputo che qualcosa non andava in lui,
aveva sempre percepito
una sorta di mezza verità.
Ma non
avrebbe mai pensato una cosa simile.
La magia, era cresciuto detestandola, aveva imparato a temerla ad
odiarla ed
era convinto anche a combatterla.
Sebbene in cuor suo non fosse tipo da condannare a morte una persona
solo perché
seguace di un altro credo, le idee di suo padre, le idee di Uther erano
salde
in lui.
Spesso aveva riflettuto sul
perché di quella guerra mossa
con tanta veemenza contro chi non sempre poteva difendersi, ma
saltuariamente
incontrava gente che della magia aveva fatto il proprio cammino verso
il male.
Allora tutti i buoni propositi cadevano. La magia era
il male.
Eppure Merlino, forse in
maniera anche eccessiva gli era
sempre stato vicino… aveva sempre fatto tutto quello che in
qualità o di
principe o di amico gli aveva chiesto. Si era sempre mostrato leale, un
po’ chiacchierone
forse, folle…eppure a tratti era in grado di tirare fuori
una saggezza fuori
dal comune.
Quante volte lo aveva preso in giro per questo.
I due erano a cavallo. Artù davanti a far da guida e Merlino
con aria mesta lo
seguiva in silenzio qualche metro dietro. Il principe pianse, una
lacrima, una
sola.
Sarebbero tornati a Camelot e
lì avrebbe consegnato Merlino
a suo padre, Uther. La sentenza era stata emessa.
Eppure come era possibile che in quei 2 anni passati insieme non se ne
fosse
mai accorto ? possibile che quella fosse la prima volta che la
usava…? No, era
stata troppo potente, troppo maestosa per essere il frutto di un mago
inesperto.
Avevano covato la serpe in seno senza saperne nulla.
La consapevolezza arrivò in un lampo, un fulmine a ciel
sereno, potente e
terribile che quasi cadde dal cavallo.
Come un film episodi e pezzi di vita, della sua vita iniziarono a
passargli
insistentemente davanti, morti scampate in maniere inspiegabili,
salvataggi
mirabili, miracoli avvenuti in camelot e fuori. E ogni volta Merlino
era lì.
Sempre con lì, accanto a lui con quell’aria
falsamente innocente.
Lance volanti, grifoni uccisi,
bestie erranti sconfitte,
ogni pezzo del puzzle ritornava al suo posto. Merlino era quella
presenza che
aveva percepito ma che mai aveva compreso … Merlino era
quello che doveva
ringraziare se era sopravvissuto fino ad allora.
Però anche Morgana era una strega, anche di lei ci si fidava
… e tutto questo
aveva portato alla disfatta di Camelot.
La testa di Artù sarebbe scoppiata di lì a poco.
Senza pensare
all’idea che potesse dare al suo servitore, e
ora prigioniero, si portò una mano alla tempia che gli
doleva per lo sforzo
fatto cercando una
spiegazione
plausibile, una soluzione.
Merlino lo vide, ma preso come era dai suoi di pensieri non comprese il
gesto.
Un'altra domanda
sorgeva spontanea: perché aveva gridato? La morte del suo
servitore avrebbe
potuto garantirgli un diversivo, permettergli di mettersi in
salvo… ma forse
questo non era da lui. Però quanti uomini aveva visto morire
in battaglia,
quanti erano morti sotto i suoi occhi senza che nessuno potesse fare
nulla, men
che meno lui ?
Per nessuno di loro si era mai sentito straziare dentro come quando
aveva visto
la lama calare sul collo del giovane moro. Non era successo,
è vero, ma si sa’,
quando si teme per qualcuno si hanno sempre le visioni più
terribili, anche per
i pericoli più banali.
Merlino era un amico la soluzione doveva essere quella. Ma quanti
cavalieri non
potevano dire lo stesso? Merlino doveva essere qualcosa di
più… una sorta di
fratello…e ora lo avrebbe condannato a morte lui stesso.
Ma del resto che poteva fare? Era un mago! Erano stati banditi dal
regno,
perseguitati e uccisi fino all’ultimo, dove era la giustizia
in questo?
Artù continuò per qualche miglio in questo modo,
poi, a causa del tramonto fu
costretto a fermarsi.
La prima giornata di viaggio
era finita. Nata nel silenzio
della tristezza, e finita in quello dell’odio.
Merlino dietro di lui lo seguiva come un cagnolino fedele, troppo
spaventato
per parlare troppo abbattuto anche solo per pensare.
Si sarebbero accampati
lì, una piccola radura circondata da
alberi. Le foglie avrebbero costituito un giaciglio morbido, e forse
entrambi
sarebbero riusciti a fuggire ai loro pensieri.
Artù non disse nulla, non fece nulla, semplicemente scese da
cavallo lo legò ad
un albero, distese il mantello per terra e vi si stese su un fianco
rivolto
verso il folto della foresta.
Merlino che l’aveva osservato in sella al suo cavallo
aspettò alcuni minuti
prima di fare titubante lo stesso.
In quel momento avrebbe voluto stringere il principe, sfiorarlo, anche
solo
poterlo carezzare. Fargli capire che lui era lì, che era
sempre lui… ma poi si
rese conto che anche prima che la sua magia venisse rivelata non aveva
certo
quel tipo di libertà.
Il pensiero di ciò lo rattristò, non sapeva come
comportarsi. Non voleva
credere che tutto quel disprezzo e quella freddezza che riusciva a
leggere nei
comportamenti del principe fossero solo per la magia. Ma non voleva
neanche
pensare che si trattasse di una sorta di tradimento per lui.
Così, ancora
più titubante, si distese tra le foglie
raggomitolandosi portando le ginocchia al petto, lui non aveva coperte
o
mantelli, le loro provviste e i loro averi erano andati perduti insieme
ai
cavalli e per il momento la situazione era un arrangiamento di fortuna.
Lo stomaco di merlino emise un brontolio profondo. Aveva anche fame, ma
non
osava mangiare. Tutto attorno a lui lo metteva a disagio. Quella
sarebbe stata
una lunga notte.
Girò il capo verso l’alto e vide la sfera celeste
che iniziava ad arricchirsi
di punti luminosi ricamati con una precisione casuale nelle sue volte.
Il sonno
lo raggiunse in fretta mentre pacificamente pensava al respiro di
Artù che si
faceva sempre più ritmico.
Il suo petto si alzava e si abbassava, e con quell’immagine
in testa si
addormentò.
Salve
a tutti… ovvero salve a quelle quattro persone che con
tanta bontà mi leggono, ecco un'altra parte della storia
più intricata e
contorta di Albion :)
L’inizio
di questa parte l’ho scritto mentre scrivevo il pezzo
precedente, perché
in un certo senso volevo dare un po’ di fluidità e
lasciare spazio al dubbio.
Chi
è il mago che è stato colpito?
Perché
non Merlino? A questo punto avrei potuto scrivere due storie
alternative… ma
meglio evitare di sobbarcarsi ulteriormente di lavoro xD
Cmq spero che questo capitolo piuttosto introspettivo non vi abbia
annoiato, diciamo che dopo l'azione caotica di quello precedente questo
era necessario :)
Sperando
di non avervi angustiato e che sia stata una buona lettura, grazie a
chi mi segue e buona nottata :)
Colgo
l'occasione per ringraziare Chiby Rie_chan per i suoi complimenti
davvero molto graditi :)
Lasciate un commento ogni tanto perchè mi fa
piacere leggere cosa ne pensate :) e poi posso
cogliere l'occasione per migliorare ù_ù
P.s. Fortunatamente l'estro per la scrittura di storie tipo quella di
Twilight e Van Helsing mi è passato xD
Nick
|
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Capitolo 5 *** 5. L'erba cattiva non muore mai ***
I
personaggi
di questa storia ovviamente non mi appartengono
Salve a tutti!
E dopo l’assenza di un giorno oggi mi appresto a proseguire
la mia storiella.
Voglio essere onesto oggi non sono particolarmente ispirato
… anche perché
diciamo che avendo già in testa la storia questa parte non
mi piace troppo. Ma
va scritta, e spero non vi annoi troppo
Colgo l’occasione per Ringraziare le mie quattro appassionate
Lettrici (ok
quanta libertà che mi sono preso xD) che con tanto
masochismo continuano in
questa impresa.
Grazie dei vostri commenti e del vostro supporto… spero di
non deludervi :)
E con questa speranza vi lascio alla lettura… buon
divertimento.
Nick
p.s.
mi sono
accorto di aver fatto un casino con il codice sia in questo capitolo
che nel
secondo, se qualche anima pia sapesse darmi indicazioni in merito gli
sarei
veramente molto grato…
Alla ricerca
dei cavalieri di camelot
Quinta
parte
Era il
crepuscolo quando tra le foglie secche e bruciacchiate una sagoma,
ridotta a
niente altro che un ombra, lanciò un sibilo acuto, come di
un uomo tenuto
troppo a lungo sott’acqua. La figura nella sua tunica
iniziò a muoversi
convulsamente prima che le braccia, una e poi l’altra,
iniziassero a frugarsi
freneticamente adosso. La mano destra stretta sul petto dove, oltre la
veste si
intravedeva un grosso squarcio. La sinistra arrancava nella terra in
cerca di
qualcosa.
Finalmente
sembrava averla trovata. Ansante si portò quelle che
sembravano foglie secche e
terra al petto, esattamente sopra lo squarcio. Con uno sforzo enorme e
con un
evidente espressione sofferente in volto premette
quell’inspiegabile rimedio
dentro la ferita.
Senza fiato iniziò a ripetere sempre più
velocemente alcune parole non molto
chiare, finché la ferita non prese a brillare di una luce
rossastra.
Finalmente riprese a respirare.
-…sono morti- furono le uniche parole che disse. Erano
cariche di astio e non
si era ancora rimesso in piedi mentre le pronunciava.
Si tirò su e cercando di ritrovare per se stesso quel poco
di dignità che gli
rimaneva si stirò la veste con cura. Poi la sua vendetta
ebbe inizio.
Strappò uno dei bastoni di legno che reggeva una specie di
staccionata
costruita per l’accampamento.
Si spostò all’incirca al centro delle bruciature
che nel giro di alcune ore
avevano consumato i giovani alberi facendoli cadere definitivamente
creando un
ampio spazio. La piccola radura era abbastanza larga per quello che gli
serviva, pensò.
Tracciò un cerchio tra le foglie utilizzando il bastone,
poi, utilizzando il
pugnale che gli pendeva dalla cintola raccolse alcune gocce del suo
stesso
sangue dalla tunica e le fece cadere al centro del cerchio. Ne
uscì fuori
mentre con aria soddisfatta ammirava il suo lavoro.
Sollevate entrambe le mani al cielo iniziò a intonare una
cantilena. Non erano
suoni umani, ma non parevano appartenere neanche alla lingua antica.
Era come
se la sua magia personale comprendesse il comando, il comando che
riusciva a
impartire alla sua stessa voce.
Al centro del cerchio di foglie una piccola spirale iniziò a
sollevare i
detriti e la cenere, mentre le gocce di sangue si sollevarono attratte
da un
invisibile campo di forza che le faceva rotare vorticosamente insieme
al resto.
Terra e rami, foglie e cenere iniziarono a girare tra loro mischiandosi
e
avvicinandosi sempre più. A un certo punto tutto fu chiaro.
Una figura maestosa
imponente e spaventosa venne fuori dalle ceneri della magia di Merlino.
Era una
sorta di cavalcatura. Più simile ad un leone che ad un
cavallo.
Lo stregone sorrise soddisfatto prima di piegarsi in due per una fitta
di
dolore all’altezza del petto.
Sputò. Sputò a terra ed era sangue. Con gli occhi
iniettati di odio e
l’espressione contrita volse lo sguardo alla creatura, pronto
a cavalcarla.
La foresta
stava svanendo. O forse erano gli occhi del mago che si chiudevano
sempre di
più.
Voleva concludere quella giornata, voleva chiudere per sempre e non
ripensarci
mai più, forse era stato tutto un sogno. Forse quello in cui
stava cadendo
adesso, l’oblio, non era altro che la sveglia. Si lo sapeva,
si sarebbe
svegliato nel suo letto a Camelot e si sarebbe reso conto che niente di
tutto
ciò era accaduto.
E invece no, sentiva il freddo della foresta nelle ossa, il vento tra i
rami lo
spaventava. Non era un fifone, no, però in quel momento
tutte le sue certezze
erano venute meno, la sua ragione di vita lo odiava. Il destino che gli
era
stato promesso era rovinato per sempre.
E per cosa ? lo avevano solo preso in giro. Gli era stato detto che
avrebbe condiviso
il fato con Artù, ma, se non si fosse salvato la testa quel
pomeriggio sarebbe
morto, lì, e che destino avrebbe avuto? E ora che aveva
usato la magia però
Artù probabilmente lo odiava e tutti i suoi progetti e i
suoi sogni erano
svaniti in uno sbuffo di fumo...
Un soffio di vento freddo lo raggiunse all’improvviso
facendogli correre
brividi lungo la schiena.
In quel momento si accorse che i rami non erano l’unica cosa
che poteva
sentire. Riusciva quasi a vedere Artù che non trovava pace
nel suo mantello,
quell’immagine lo fece sorridere. Forse era odiato, forse
no… però avrebbe
rifatto tutto quanto anche mille volte per avere
quell’intimità, anche se
limitata, con il suo principe che, grazie a Dio, almeno stava bene.
Correva in
una grotta buia, non ricordava esattamente di esserci entrato, ma
sapeva di
essere in cerca di qualcosa. La spada al suo fianco cozzava tintinnando
con
l’armatura, e questo lo infastidiva. Si fermò per
guardarsi meglio intorno. Non
capiva, era sicuro di essere entrato in quella caverna alla luce del
sole,
eppure ora era tutto buio nonostante in alcuni punti la grotta avesse
delle
aperture che davano su quella che doveva essere una volta stellata.
Accanto a
lui c’era una donna.
Era bellissima, gli occhi di un blu intenso sembravano mandare riflessi
di
cielo anche in quel luogo tetro. Il corpo, perfetto, era fasciato in un
vestito
lungo, rossastro che ne sottolineava le forme perfette e contrastava
piacevolmente con il suo pallore.
A completare il tutto vi erano lunghe ciocche di capelli neri che
incorniciavano un volto troppo perfetto per essere umano.
La dea si avvicinò a lui con un sorriso malizioso stampato
in volto e, senza
proferir parola, gli indicò sulla parete rocciosa oltre il
dirupo una piccola
pianta dai fiori di un arancio così vivo che sembravano
emanare luce propria.
Si girò a
guardare la dama per capire quale fosse il suo compito. Comunicavano
con lo
sguardo, lui capì. Ma la terra sotto i suoi piedi
iniziò a tremare. Tutto
tremava. Il piccolo istmo di roccia sul quale sostava cedette
lasciandolo
cadere nel vuoto.
I suoi riflessi e il corpo allenato gli permisero quello che non tutti
sarebbero stati in grado di fare. Riuscì a saltare proprio
all’ultimo,
arrivando così sull’altra parete di roccia.
in quel momento percepiva la sofferenza di qualcuno ma non sapeva
identificarla. La donna intanto sempre sorridendo si era voltata e si
era
addentrata nelle grotte lasciandolo lì, solo.
Ebbe paura, era tutto buio ma alla luce delle stelle
individuò alcune creature,
degli enormi ragni che correvano sulla parete. Sapeva che sarebbero
arrivati.
Doveva prendere il fiore, ne aveva bisogno. E doveva fuggire di
lì.
All’improvviso una sfera di luce si materializzò
dal nulla. Per alcuni istanti
Artù la guardò. Era bella, calda, la sua luce
aveva una dolcezza che non sapeva
spiegare. Non la percepiva coi sensi ma, buffo dirlo, con il cuore.
Più la
guardava e più sapeva che in quel momento doveva ricordare
qualcuno, ma non
capiva chi, era troppo confuso.
Il globo di luce iniziò a levitare si stava allontanando. Il
principe voleva
raggiungerlo e come rinvigorito iniziò a scalare la parete
rocciosa mentre lo
zampettare dei ragni si faceva sempre più vicino.
La luce sembrava non volersi allontanare da lui, Artù
capì, era una specie di
guida. Lo portò dalla pianta e il ragazzo di istinto ne
raccolse un fiore con
alcune foglie, poi come per magia trovò una strada che
stretta si inerpicava
sul muro fino a quella che doveva essere un’apertura.
La luce sembrava riempirlo di nuove forze, quel calore e quella
speranza…
avrebbe detto amore, lo guidavano e lo sorreggevano come mai nessuno
aveva
realmente fatto.
Finalmente riemerse dalle profondità della terra, era salvo.
Così come era uscito dalla grotta, era anche uscito dal
sonno ridestandosi di
soprassalto. Seduto sul mantello si guardò attorno un attimo
sperduto. Si
guardò le mani cercando il fiore come per darsi una
spiegazione, ma non trovò
nulla.
Poi ricordò. Ricordò il giorno in cui Merlino era
stato avvelenato, e pianse.
La luce non poteva che essere lui.
Era davvero sicuro di essere stato tradito? Era la magia tutto questo
male? Non
riusciva a trovare una risposta. Forse sarebbe stato lui a tradire
l’altro.
L’avrebbe consegnato a suo padre, non poteva fare altrimenti,
erano rimaste
poche ore di viaggio e non c’era altra via, il senso del
dovere lo divorava.
Con una piaga nel cuore per quello che stava per fare si stese
nuovamente
coprendosi con il mantello. Questa volta si mise dall’altro
lato, diede le
spalle alla foresta e volse lo sguardo al giovane mago che dormiva
qualche
metro più in là.
Divorato dai sensi di colpa e trovando pace solo nella tenerezza
dell’immagine
di Merlino, si riaddormentò.
Entrambi
furono svegliati di colpo. Un grido disumano e un terribile senso di
angoscia
investirono i due viaggiatori all’improvviso.
Abbattendo alcuni alberi come se fossero fuscelli, una bestia enorme e
nera,
che sembrava fatta della stessa sostanza dei boschi ma ben
più letale, emerse
dalla foresta.
Sul suo
dorso stava, stravolto dall’odio e scomposto dalla gioia del
poter vedere la
propria vendetta compiersi, lo stregone; lo stesso stregone che
Artù aveva
ucciso scagliandogli contro la spada.
- E ora voi…morirete- c’era qualcosa di
tremendamente sbagliato, di insano
nelle parole di quell’uomo, sembrava la sua mente fosse stata
completamente
avvelenata dalla follia.
Merlino e Artù si alzarono in fretta arretrando di qualche
metro. Gli occhi
spalancati fissi sulla creatura e sul suo creatore. Involontariamente
si
urtarono e per un attimo distolsero l’attenzione dal mostro.
Quello non sembrava aver fretta. Con un balzo lunghissimo il mago fu a
terra.
Non dovette parlare, gli bastò sfiorare la sua bestia per
comunicargli le sue
intenzioni. Gli occhi gli si illuminarono di rosso e un sorriso
terribile gli
comparve sul volto, prima che il mostro si avventasse su
Artù.
Il principe scattò immediatamente sulla destra mentre
inconsciamente
controllava con la coda dell’occhio che Merlino non corresse
alcun pericolo.
Lo stregone si avvicinò allora con passo lento al
mago. Il principe e la
sua creatura si davano battaglia alla loro destra e loro due si
preparavano a
uccidersi sulla sinistra.
Merlino
indietreggiò di alcuni passi mentre il pazzo guadagnava
terreno.
Ebbe la sfortuna di incontrare un albero sul suo cammino e fu
letteralmente con
le spalle al muro.
Guardò prima a destra e poi a sinistra; non sapeva cosa
fare. Si accorse che il
principe, ripresosi dalla notte forse non troppo tranquilla stava
riuscendo ad
evitare la maggior parte degli attacchi del mostro. Ma non riusciva ad
attaccare a sua volta, e questo non era un bene, affatto.
-E me che devi guardare!- gli gridò contro lo stregone
mentre una palla di
fuoco gli mancava di qualche millimetro l’orecchio.
Merlino si rese conto di non avere altra scelta. Odiava uccidere,
specialmente
la gente del suo stesso genere, ma non poteva fare altrimenti.
Guardò fisso
avanti a se e capì di avere più di qualche chance.
Approfittando dell’apertura offerta dall’attacco
precedente si affretto a
richiamare il più semplice dei suoi incantesimi. Poche
parole e lo stregone fu
sbalzato svariati metri più indietro.
Una risata malata sovrastò i rumori della foresta. Persino
la bestia tacque per
qualche secondo.
-TUTTO QUI?- Lo provocò allora lo stregone.
Merlino aveva un espressione triste, la follia aveva divorato
l’anima di
quell’uomo, forse la morte era davvero l’unica
soluzione, anche se questo
voleva dire ergersi a giudice.
Un'altra apertura, lo stesso incantesimo di prima e l’uomo
venne sbalzato
violentemente indietro di qualche metro, stavolta però ad
accoglierlo non ci
furono le foglie.
Il combattimento lo aveva spinto fino al limitare della radura
portandolo a
frapporsi fra Merlino e il tronco di un albero.
Un grosso ramo spezzato poi aveva coronato il tutto. E ora
l’uomo pendeva lì,
morente, infilzato a morte da un tronco che sicuramente non aveva
neanche
considerato.
Merlino si avvicinò in tempo per sentirlo sussurrare gli
ultimi spergiuri.
In fondo la
pazzia lo aveva reso solo un avversario più inquietante,
certamente non più
sveglio, ma apparentemente non era finita lì.
La bestia non si era dissolta così come aveva sperato
Merlino, anzi, continuava
fiera a dar battaglia al principe.
Come colto da una secchiata d’acqua fredda in testa il mago
corse in direzione
del suo signore visibilmente preoccupato.
non appena fu a portata di sguardi però, il ragazzo gli
lanciò un occhiata
eloquente.
-Artù…- iniziò il mago. Sperando di
poterlo avvicinare senza scatenarne le ire.
-NON TI
PERMETTERE DI USARE LA MAGIA- lo zittì il principe che
tentava di proteggersi
da una zampata del mostro.
Ma aveva
fatto male i conti, altri due assalti e il principe fu con le spalle al
muro.
Merlino ormai non poteva farci niente.
Il suo segreto era stato svelato, aveva ucciso un mago e
chissà quanti uomini
in una sola giornata, avrebbe potuto disobbedire a un ordine senza
tanti
problemi. Era per il suo bene…
Certo di questo fece la prima cosa che gli venne in mente.
Tutti gli attacchi del principe erano stati vani, ricordò
che una cosa simile era
accaduta con un grifone qualche tempo prima e decise di provare lo
stesso
incantesimo.
La sua voce risuonò per tutta la radura mentre evocava la
magia sulla spada di
Artù.
La faccia
del principe si riempì di disgusto mentre stupito sferrava
una stoccata alla
creatura esattamente nel petto. Dalla ferita fuoriuscirono fango terra
e melme
indicibili. Ma la spada aveva qualcosa che non andava, era come avvolta
da
fiamme multicolor pur non bruciando. Colto alla sprovvista
lasciò cadere l’arma
stranito, mentre questa portava con se anche la bestia ormai sconfitta.
Lanciò
un occhiataccia a Merlino e si preparò ad affrontarlo.
-Ti avevo detto di non usare la magia- gli urlò contro.
Il mago stava per difendersi ma Artù non glielo permise.
-non voglio sentire altre storie prendi la tua roba e andiamo a
Camelot, hai
tradito il tuo regno e hai disobbedito a un ordine, ora…-
La voce del principe venne meno, Merlino avrebbe voluto chiedere cosa
sarebbe
successo ora, ma se Artù non l’aveva detto forse
non era il caso di provocarlo
ulteriormente.
Inconsapevole
di quello che lo aspettava a Camelot, Merlino decise di seguire il
principe
senza piantare troppe grane, sperando ancora di poter riconquistare la
sua
fiducia.
Si
accorse che il principe era ferito in più punti, ma appena
accennò a qualche
cura quegli gli gridò contro di sbrigarsi.
|
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Capitolo 6 *** 6. Svolte ***
Bien,
buona domenica appassionati lettori di
pezzi poco proponibili!
Sono qui a
scrivere e a chiedere in realtà venia per quel che ho detto
ieri ma che non ho
fatto… scrivere il capitolo xD
Purtroppo sono stato chiamato da alcuni… imprevisti e alla
fine il programma
della giornata è saltato …. Mi sento molto
Merlino che è costretto ad andar
sempre e comunque quando Artù chiama xD
Bene non voglio annoiarvi oltre. Questo capitolo dovrebbe essere
abbastanza
interessante per la storia, come ho deciso di intitolarlo, infatti,
contiene
una sorta di … svolta.
Per ovvie ragioni che scoprirete più avanti ci
sarà un ritorno di personaggi e
forse non dedicherò il giusto spazio a tutti quanti, ma i
protagonisti in fondo
li conoscete ù_ù
E
diciamo che voglio anche approfittarne per prendermi qualche
soddisfazione…
Bene, io scrivo e voi leggete (spero xP) e ci sentiamo
presto…. Buon divertimento!
Nick.
Alla
ricerca dei
cavalieri di Camelot
sesta
parte
Il viaggio di
ritorno fu davvero snervante. Non
erano molto lontani da Camelot, eppure ci misero almeno due ore in
più del
dovuto per raggiungerla. Artù, che guidava la fila in
silenzio, sembrava aver
deciso di non parlare più.
Prima di allontanarsi dal loro semplice accampamento, divenuto poi
campo di
battaglia tra maghi e cavalieri, il principe si era avvicinato alla
bestia per
assicurarsi che fosse definitivamente morta.
Lo era. Con timore poi aveva raccolto la spada ancora avvolta da fiamme
azzurrine. Non era calda, o meglio, non bruciava, ma emanava un tepore
piacevole. Se ne sentiva attratto in una maniera incredibile, e se mai
avesse
dovuto provare a descrivere quella sensazione, l’unica parola
che gli sarebbe
venuta in mente sarebbe stata “benefica”. Quella
fiamma era fatta di sentimenti
dolci e
bontà allo stato puro.
Ma era anche la magia. Il male.
Senza rendersene conto rinfoderò l’arma e si
allontanò dal mostro. Ad attrarlo
era stato il corpo dello stregone che penzoloni stava appeso a un
tronco di
pino, infilzato a morte da uno dei grossi rami bassi spezzato da
chissà quale
animale.
Aveva visto numerosi morti in battaglia. Le ferite più
macabre le aveva addirittura
dovute medicare alla meno peggio, eppure niente era comparabile al
disgusto e
al terrore che stava provando in quel momento.
Chi era Merlino?
Era davvero così potente?
Per un attimo
l’idea di quel potere al suo servizio lo distrasse, poi,
più inorridito di prima
si ritrasse e, distogliendo lo sguardo dal cadavere, andò
verso i cavalli e
montò in groppa, assicurandosi, con la coda
dell’occhio, che il mago lo
seguisse.
Uther lo avrebbe giudicato.
Artù era sconvolto e spaventato, Merlino non poteva fare a
meno di pensarlo.
Fosse stato un viaggio normale, in momenti come quelli, il mago avrebbe
provato
a tirargli su il morale, avrebbe detto qualcosa; lo avrebbe
punzecchiato. Ma
aveva la gola secca come chi non ha parlato per troppo tempo e non
riusciva a
sbloccarsi, per alcuni momenti boccheggiava con un espressione vaga e
poi,
abbassando lo sguardo, semplicemente taceva.
Era più che consapevole che in casi come quello avrebbe
potuto finire per
peggiorare solo la situazione.
Ma perché stavano tornando a Camelot? Non potevano
semplicemente proseguire il
viaggio?
In fondo per un motivo o per un altro, da quando erano partiti, il
principe
aveva aperto bocca si e no cinque volte, cosa era successo?
…
A risvegliarlo dai suoi pensieri furono le torri di Camelot. Bianche e
imponenti svettavano contro il cielo luminoso a tratti abbagliante
Aveva alzato gli occhi solo per un attimo, eppure fu certo in quel
momento di
aver incontrato lo sguardo del futuro re di Camelot. Ma non vi aveva
letto
preoccupazione… interrogativi, no. Semmai vi aveva visto del
sospetto.
Merlino non capiva, ma un presentimento strano gli faceva attorcigliare
le
budella.
Finalmente arrivarono sotto le mura. Le guardie riconosciuto il
principe e il
suo servitore cedettero il passo dischiudendo le alabarde. Tutto
intorno a loro
la vita prese forma sotto il vario aspetto di voci grida e risate.
Erano
tornati.
Percorsero la città bassa in silenzio, sembrava che sui due
gravasse una sorta
di cappa nera e impenetrabile. Anzi forse è più
corretto dire che su Artù
quella nuvola di male si era posata con prepotenza, e che questa
infettava
tutto ciò che gli stava attorno.
Arrivati alla base della grande scalinata della cittadella i due
scesero da
cavallo. Merlino stava raccogliendo la sua roba prima che le bestie
venissero
portate nella stalla, doveva allontanarsi dal principe per il suo
stesso bene.
Così il ragazzo si avvicinò esitante al biondo.
-Artù…- iniziò -Io
devo andare…a vedere
Gaius, è importante…- Finalmente era riuscito a
parlare. Il nome del principe
era come miele nella sua bocca. Detto quello tutte le altre parole
vennero giù
senza troppa esitazione.
Artù a quella richiesta rimase per qualche secondo
interdetto, alla fine
acconsentì con un cenno del capo non troppo accomodante.
In realtà non aveva niente da dire a Gaius, ne aveva
intenzione di raccontargli
cosa era successo in quei due giorni di viaggio.
Voleva solo andare nella sua camera e buttarsi sul letto per pensare,
ne aveva
bisogno.
Così, mentre si dirigeva verso lo studio del medico, il mago
non poté che chiedersi
con amarezza quanto il silenzio ostinato del principe sarebbe durato.
Appena
aprì la porta il vecchio alzò gli occhi e lo
guardò con stupore. –E tu che ci fai qui?-
andò per chiedere. Merlino in tono
sbrigativo rispose che il viaggio aveva incontrato degli intoppi e che
avevano
avuto la necessità di ritornare a Camelot per
degli… accertamenti.
L’uomo non era convinto ma decise di non indagare
ulteriormente, così Merlino
convinto di averla fatta franca corse
nella sua stanza dove letteralmente si buttò sul letto.
Si voltò a guardare il soffitto, il bianco
dell’intonaco gli faceva girare la
testa, ma in quel momento era il perfetto riassunto della sua vita.
Aveva passato ben due Anni a tentare di costruire quello che alcuni
avevano
detto essere il suo destino; in
corso d’opera
si era anche ritrovato a fronteggiare ciò che non poteva
fare a meno di
chiamare “amore”, e l’ignaro destinatario
di tutto ciò era il Principe, il suo
principe.
Eppure non riusciva a spiegarsi come una cosa del genere fosse
possibile, in
soli due giorni, tutto era crollato. Le sue incredibili acrobazie per
raggiungere il cuore dell’uomo che credeva di amare non erano
servite a nulla.
La sua unica vera caratteristica, la Magia, gli aveva fatto perdere
tutto. Ma
non riusciva ad incolpare di questo la religione antica.
La colpa di tutto ciò era di una persona sola, Uther.
Come era possibile, in una vita sola, inimicarsi così tanta
gente?
Il re era stato
in grado di distruggere quello
straccio di rapporto che aveva con la figlia, di farsi temere da un
figlio che
forse lo amava più di quel che meritava, e di crearsi
moventi perché la gente
desiderasse di assassinarlo in ogni parte del paese.
Aveva inculcato
l’odio per le arti magiche nelle
menti dei suoi figli, e del suo popolo e i frutti di questo erano stati
evidenti.
La grande epurazione, alla fine, non era altro che uno degli sbocchi di
quella
campagna contro chi peccava solo nell’essere diverso.
Il tradimento di Morgana infatti, non era che un’altra
manifestazione dello stesso odio.
La stregoneria
aveva portato più male in quei vent’anni
che non in secoli di esistenza, e
quel male
lo aveva portato solo a chi la praticava.
Al pensiero di avergli salvato la vita innumerevoli volte, Merlino ebbe
un moto
di disgusto. Ora come ora, lo avrebbe volentieri ucciso, certo che
questo
avrebbe posto fine all’era di Uther per dare
iniziò a quella di Re Artù, ma
sapeva di non poterlo fare. Semmai una cosa del genere fosse accaduta
l’odio
sopito che Artù portava alla magia e chi la praticava
sarebbe stato suggellato
per sempre condannando chissà quanti poveri innocenti a
morte certa.
Ormai lo sapeva. L’unica ragione valida che il re avesse per
detestare tanto le
antiche arti era stata la morte di Igraine, sua moglie, per mano di
Nimueh,
giudice e bilancia dell’antica religione.
Ma lui sapeva che per avere una vita bisognava pagarne un'altra, ogni
cosa ha un
prezzo e Artù gli era costato la vita della sua donna. A quel
pensiero il volto
contratto di Merlino si lasciò andare in un espressione
più dolce. Sapeva di
chi era quella vita, solo Artù ormai, figlio stesso della
magia, non lo
sapeva.
C’erano stati tempi in cui quel re barbaro non era stato poi
così malvagio. Il
suo popolo lo amava e lo acclamava, e dalle terre che aveva conquistato
lo
rispettavano senza troppo rancore, ma ora…
Un rumore
improvviso lo distolse dal flusso dei suoi
pensieri. Sembravano vetri infranti. Si tirò su di scatto
chiedendosi cosa
fosse accaduto. Gaius non c’era, era uscito per consegnare
delle medicine, lo
aveva sentito aprire la porta. La piccola stanza fu aperta di colpo, e
con gli
occhi bassi entro un Artù che il mago non aveva mai visto.
Forse
finalmente si era deciso a parlare, ma probabilmente era troppo
orgoglioso per farlo si disse il mago.
Merlino
si alzò dal letto, punto nel vivo. Non voleva che il
principe pensasse
fosse un pigrone, cosa che gli veniva detta spesso da un po’
tutti.
-Principe…vi
serve qualcosa?- fece Merlino un po’ incerto non riuscendo a
decifrare lo sguardo del suo signore.
-Merlino…io…-
rispose l’altro pur non rispondendo affatto alla domanda che
gli
era stata posta.Era tutto così strano, il principe si era
avvicinato al mago standogli dritto davanti. Alla fine
alzò
gli occhi.
I
due sguardi si incrociarono. Quello indecifrabile del principe e quello
ansioso di Merlino.
Il
mago non l’aveva mai visto così. Sembrava come se
qualcosa fosse franata
nella sua testa, come se oltre i suoi occhi ci fosse una sorta di vuoto
incolmabile.
Un
moto di tenerezza come non aveva mai provato prima lo
investì in pieno.
Quello scambio di occhiate non aveva fatto altro che favorirlo. Si
mosse
rapido, inconsapevole, se fosse stato un
altro momento probabilmente non l’avrebbe mai fatto. Ma il
suo principe era lì.
Triste per chissà quale motivo e lui, dall’alto
della sua magia non era
riuscito a pensare a niente altro che questo.
Lo
baciò. Le loro labbra si toccarono per alcuni istanti che a
Merlino
sembrarono ore. Poi la realtà lo colpì,
fredda come un secchio d’acqua tenuto all’esterno
in una notte di inverno.
Il
principe per lo meno aveva cambiato espressione. Una sorta di grande
punto
interrogativo gli si era dipinto in volto mentre teneva le mani sulle
spalle
del giovane per allontanarlo.
Gli
occhi di Merlino si gonfiarono. Si era appena reso conto di quello che
aveva fatto, e aveva più paura di quando aveva dovuto usare
la magia di fronte
al principe.
La
sua condanna venne posticipata dai rapidi rumori di cotte di maglia e
spade
che si facevano con prepotenza sempre più vicini. La voce di
uno dei cavalieri,
merlino non seppe dire quale, ruppe il silenzio che si era creato tra i
due.
-Qui
dentro! Forza!- gridò l’uomo. Merlino chiuse e
aprì gli occhi alcune
volte, stava accadendo tutto troppo in fretta e non riusciva a capire
cosa
aspettarsi. Artù ancora sorpreso boccheggiava incredulo con
un evidente
sfumatura colpevole in quell’espressione interrogativa.
Le
guardie entrarono con violenza e si buttarono su Merlino
immobilizzandolo e
trascinandolo fuori dalla stanza. Il mago non oppose resistenza.
Avrebbe
potuto ucciderli tutti, così come era avvenuto nella
foresta, sapeva di
poterlo fare, ma di alcuni di loro conosceva madri e figli, sapeva che
avevano
una vita e non l’avrebbe mai distrutta deliberatamente.
Tutto
attorno a lui si muoveva a rallentatore mentre con forza lo
allontanavano
dal suo principe.
Artù
rimase immobile mentre portavano via il Mago, ancora incredulo, ancora
sconvolto.
Eppure
con prepotenza una parola gli venne fuori, uno
“scusami” così sussurrato
che il principe si chiese se l’avesse detto per davvero, ma
il mago era già
troppo lontano per sentirlo.
Bene,
credo che per il momento basti così, ma sono
ispirato e forse scriverò il seguito oggi stesso.
Spero il momento del bacio vi sia piaciuto. Ho cercato di riproporre
una cosa
successami ieri ma non andata a buon fine xD Merlino forse è
stato più
fortunato
Recensite e fatemi sapere che ve ne pare.
|
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Capitolo 7 *** 7. Condanna e giudizio ***
E
come ho detto neanche 10 minuti fa,
l’ispirazione mi ha preso e sono nuovamente qui a scrivere xD.
Colgo l’occasione per fare quello che nel capito precedente
ho dimenticato di
fare, e cioè ringraziare voi lettori che commentate e che
leggete e soprattutto
ringraziare un paio di amici che si sono sobbarcati
nell’impresa di leggere
questa lungaaaaaaa
e pallosa storia
sconclusionata.
Per quanto tutto ciò mi metta in imbarazzo, grazie.
Vorrei concludere questa nota con una domanda, un po’ stupida
a dire il vero
xD. Studiando il sito ho scoperto che è possibile quante
visite (e quindi
presumibili letture) ha ricevuto ogni singolo capitolo pubblicato,
ecco, mi
chiedevo… come mai il quarto capitolo ha più
letture dei precedenti capitoli 2
e 3 ? xD
E’ troppo lungo e quindi la lettura viene divisa in parti?
Oppure semplicemente
il secondo e il terzo non piacciono >_<
Fatemi sapere, è importante se voglio migliorare.
Ora vi saluto, buona lettura :)
Nick
p.s.
wow, non avrei mai pensato di arrivare a scrivere sette capitoli O_o
Alla
ricerca dei
cavalieri di Camelot
Settima
parte
Mentre
veniva scortato dalle guardie verso un destino in quel momento
sconosciuto, Merlino vedeva il mondo, il suo mondo, crollargli intorno.
Gli
sguardi della servitù sbucavano da ogni anfratto del
castello. Ogni paio d’occhi
lo scrutava con un’espressione differente. C’era
chi sembrava sorpreso e chi
aveva un cipiglio giudice, chi mostrava una pietà
indesiderata e chi invece
spaventato si limitava a non capire.
La
testa gli scoppiava. Arthur Lo aveva
fatto arrestare e non poteva essere per il bacio, ovvio. Che fosse per
la
magia? Lo aveva tradito? Merlino sapeva che il principe non
l’avrebbe mai
digerita ma non si aspettava potesse reagire così.
Gli
occhi gli si riempirono di lacrime al solo pensiero delle ultime ore
passate
a nascondersi nei pensieri più bui. Le ginocchia gli
cedettero e senza un
briciolo di gentilezza gli uomini del re lo trascinarono
così com’era
attraverso i corridoi del castello.
Sembrava
che ogni volontà, ogni forza di vivere lo avesse
abbandonato. La testa
ripiegata in avanti sul petto ciondolava inerme, il suo corpo era
terribilmente
morto.
-Merlino!-
udì chiamare con voce di donna sulla sua destra.
Era Ginevra, il suo tono era preoccupato
come mai lo aveva sentito prima di
allora. Si sentiva gli occhi di tutti addosso e quelli della ragazza
bruciavano
su di lui più di tutti.
Aveva
provato a baciare l’uomo che amava e solo in quel momento
iniziò a
realizzare quanto realmente si sentisse in colpa.
I passi di Gwen
vennero frenati bruscamente da una
guardia, Che avesse provato a seguirli?
-Il re vuole vedere il ragazzo, solo- aveva asserito la guardia con un
tono che
non ammetteva repliche.
E così… sarebbe andato dal re, sarebbe andato da
Uther. Per un momento aveva
sperato che lo sbattessero nelle prigioni, non voleva vedere
più nulla, voleva
solo sotterrarsi sotto la paglia e lasciarsi morire ora che tutte le
sue
certezze erano venute meno uno dietro l’altra.
Davanti a loro, mentre procedevano verso la sala del trono, Merlino
udì passi affrettati,
non sapeva chi fosse. A giudicare dal rumore pareva che la figura
avesse
assistito allo spettacolo ma che non volesse stare al suo posto.
-Cosa fate? Lasciatelo!- disse Gaius con un tono troppo imperioso alla
guardia
e questo probabilmente all’uomo non piacque. Un istante dopo
un tonfo, il corpo
del medico che veniva sbattuto a terra.
-ti ho detto di levarti davanti!- disse il colpevole come a volersi
giustificare.
Ormai tutto era perduto, Merlino, sdegnato dalla mancanza di rispetto
mostrata
al suo mentore alzò
di colpo a la testa.
L’uomo che aveva osato tanto venne sbalzato via con forza e
cozzò contro uno
dei muri destando lo stupore di tutti.
Bisbigli si levarono tutto attorno, un sospiro del medico del castello
e Merlino
capì che aveva capito cosa stava succedendo. Tutto era
perduto, non c’era nulla
che nessuno dei due potesse fare.
Dopo quel
piccolo incidente le guardie decisero di
stringere la presa sulle spalle del mago mentre con una mano gli
tenevano la
testa giù terrorizzati dal suo sguardo.
Con il dolore nel cuore Merlino si preparava a fare quello che poteva
significare la fine di tutti i mali.
Sebbene ci fossero voluti non più di dieci minuti per
arrivare dinanzi al
grande portone di legno, Merlino li percepì come secoli.
Tutto gli scorreva addosso con una lentezza esasperante
mentre dentro di lui cresceva un odio senza
pari.
Finalmente, non senza qualche cigolio, la porta venne aperta. Nella
grande
stanza rettangolare decorata da colonne si trovavano il re, il principe
e un
paio di strani ceppi con delle catene esattamente davanti al trono, ma
ovviamente ad alcuni metri di distanza.
Le guardie
ubbidendo ad ordini inudibili portarono
Merlino sopra i ceppi e lo incatenarono, poi spaventati si
allontanarono. Uther
si preparava a giudicare l’ennesimo degli utilizzatori di
ciò che era proibito.
-E così abbiamo covato la serpe in seno per tutto questo
tempo- esordì il re
con tono di sfida.
Accanto a lui Artù fremeva.
Merlino non
riusciva a capire come fosse arrivato lì prima di lui, poi
comprese. Era usanza
all’epoca far sfilare i prigionieri davanti a quanta
più gente come esempio,
come monito. Quell’umiliazione non poteva che essere un idea
di Uther.
-Artù mi ha detto che sei uno stregone… che ti
ha visto usare la magia..-
-Per salvarmi la vita padre!- intervenne senza riuscire a trattenersi
il
principe a quelle parole così ingiuste.
-QUESTO.NON.LO.GIUSTIFICA.- Gridò il re scandendo ogni
singola parola con
violenza.
-Tu- il re fece una lunga pausa come a voler ritrovare la calma
–tu sai che la
magia è malvagia, vero Merlino? Pensavo fossi un bravo
ragazzo, forse un po’ stupido,
ma non avrei mai pensato potessi essere uno sporco stregone.- Qui il re
tentò
di lanciare un occhiata penetrante al ragazzo che continuava a tenere
la testa
china. Vagamente offeso continuò -Perché hai
usato la magia, Potevi anche non
usarla e continuare a vivere non trovi?- Il tono del re era diventato
stranamente melenso, Merlino aveva dovuto assistere a svariati
processi, ma mai
lo aveva sentito così. Cera qualcosa di venefico in quelle
parole.
-Sei stato tu a
corrompere Morgana, vero mago?- ed
ecco la spiegazione, la prima accusa venne fuori così, come
se niente fosse, ma
nel petto di Merlino si trasformò in un macigno. Il re
iniziò a giocherellare
con un pugnale, se Merlino avesse alzato lo sguardo lo avrebbe
riconosciuto.
Era il pugnale che Artù aveva regalato alla sorellastra il
giorno del suo
compleanno svariati mesi prima.
-rispondi! Hai corrotto tu la mia pupilla, vero mago?- Le accuse del re
diventavano sempre più forti, e crescevano di
gravità così come lui le
innalzava di tono.
-Chi tace
acconsente- giudicò il re prima di
riprendere,-Soddisfatto di questo, mentre ridevi del nostro dolore alle
spalle
avresti corrotto.. no… che dico! Ti saresti sbarazzato
di Artù, per
ottenere Camelot, non era forse questo il tuo piano?- Concluse il re
con
innocenza come a voler sfoggiare un notevole spirito investigativo.
Se possibile
quest’ultima fece
ancora più male al giovane mago, in fin
dei conti… come poteva ? come avrebbe potuto fare una cosa
del genere ad Artù,
dopo tutto quello che aveva dovuto patire per lui, dopo tutte le
sofferenze che
aveva comportato l’amarlo.
In silenzio Merlino iniziò piangere. Era stato tradito
dall’uomo che amava, ma
in una maniera molto più triste e drammatica, eppure
Artù non sembrava
convinto.
Merlino lo sentiva fremere sul suo posto. Era come se tutto quello che
stava
accadendo non fosse stata neanche una sua idea.
Uther era
stravolto dal dolore della perdita di Morgana,
e questo era comprensibile, ma perché il re volesse
addossargli le colpe, Merlino,
non lo capiva.
Infondo era abbastanza semplice: Morgana era una strega, aveva
conosciuto la
sorella e si era definitivamente allontanata dalla retta via. E la
colpa era di
Uther solo.
-Non hai niente
da dire a tua discolpa?- Incalzò il
re che sembrava essere stanco del mutismo del servitore.
Silenzio, poi il
clangore delle catene, finalmente
Merlino parve intenzionato a controbattere.
Con uno sforzo immane e con una lentezza che sembrava riempire un
eternità,
sollevò il capo e mosse le braccia facendo tintinnare nuovamente le catene.
I suoi grandi enormi azzurri si piantarono in quelli del re come
spilli. Aveva
deciso di abbandonare ogni riverenza, ogni rispetto. Uther era il re,
ma Uther
non meritava nulla di quello che esigeva, e Merlino, giunto al limite,
non si
sarebbe piegato.
Con una calma
terrificante Merlino iniziò a parlare
quella che non era una difesa o un’accusa ma solo la
verità -Certo, io ho
corrotto la tua
figlia illegittima, e
magari IO le ho dato anche i poteri che ha usato per sovvertirti vero?-
Le
parole del mago erano un affronto, lo
sapeva Merlino e lo sapeva Uther. Il re colto dall’ira stava
per rispondergli,
ma il Mago riprese incurante.
La bocca del vecchio si chiuse di colpo senza che questi lo volesse e
il mago
continuò.
-E’
giunto il momento che il tuo regno passi ad
altri Uther Pendragon, siete solo uno stolto. Potevate avere
l’amore del vostro
popolo e avete scelto di castigarli, potevate avere l’amore
di vostro figlio e
gli avete mentito, potevate avere l’amore di vostra
figlia… e non l’avete
riconosciuta…- fece una pausa.
Più la forza nelle parole cresceva più sembrava
che crescesse la forza nelle
sue stanche membra. Si stava rialzando, e mentre lo faceva sembrava
come
risorgere da quelle che erano le spoglie della sua vecchia vita, la
vita in cui
aveva amato chi in fondo amava anche ora.
Era quasi totalmente in piedi, ma le pesanti catene lo tiravano
giù
costringendolo a piegare le spalle. Il mago tirò un paio di
volte. Poi come l’acqua
che rompe l’argine la sua pazienza venne meno, lacrime
iniziarono a sgorgare
dal suo volto e le parole più cariche di astio che avesse
mai pronunciato
vennero fuori con una potenza inaudita.
-SE NON POSSO
USARE LA MAGIA… COSA MI RESTA?? SE NON
AVESSI LA MAGIA PER VOI NON SAREI CHE UNA NULLITA’ MA SICCOME
CE L’HO CREDI DI
DOVERMI ELIMINARE…
E SE A ELIMINARTI FOSSI IO UTHER PENDRAGON?-
Quelle affermazioni lo avevano spaventato, specialmente
perché era incredibile
come quella frase avesse ugualmente significato per lui sostituendo
alla parola
magia il nome di Artù. Merlino aveva superato il limite, ora
più che mai sapeva
che non sarebbe più potuto tornare indietro.
Sembrava però quello scatto d’ira non avesse
coinvolto solo lui.
Non se ne era reso conto finché non fu a una spanna da lui.
Con una scarica di
odio il re gli aveva scagliato contro quel pugnale che per lui pareva
significare tanto. Merlino fu pronto e l’arma si
conficcò nel vuoto a un centimetro
dal suo naso.
Non un incantesimo, non un gesto, solo allora Uther si rese conto di
quello che
aveva fatto e di cosa l’aspettava.
Merlino sembrava
aver ritrovato la calma
-Hai idea
di quante volte ti ho salvato la vita
vecchio pazzo? Quest’arma…questo pugnale, ho
impedito che vi trafiggesse a
morte non molte lune fa e voi mi ripagate così?-
Non
aveva ancora finito di parlare che già si era scagliato in
direzione del
trono con gli occhi dilatati da un insana pazzia. I pesantissimi ceppi
di legno
si erano sollevati insieme alle catene come se fossero fatti di carta,
Le innumerevoli
spade appese alle pareti si erano staccate tintinnando sinistramente
per
lanciarsi all’inseguimento del mago, o meglio per unirsi alla
sua corsa.
Quando
fu a un passo dal trono Uther era impietrito, immobilizzato contro lo
schienale dalla paura e dalla magia del giovane, Artù non
aveva fatto in tempo
neanche a sfoderare la spada mentre una
ventina di lame stavano sospese sulla testa di suo padre. Tra tutte
quelle
brillava il piccolo pugnale di Morgana.
-evidentemente
era il destino di questo dono finire nel vostro cuore, mio re-
Disse Merlino con sarcasmo prima che il pugnale partisse inesorabile
verso il
petto di Uther.
|
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Capitolo 8 *** 8. Pace ***
Salve
a
tutti!
Questo
capitolo è uscito molto tardi rispetto ai miei soliti tempi.
Purtroppo
sono stato molto impegnato con la scuola e tutto il resto e quindi non
ho
potuto scriverlo prima.
In
realtà l’avevo iniziato già la sera
stessa in cui avevo pubblicato quello
precedente, ma dopo averlo continuato la mattina del lunedì
l’ho lasciato a
macerare fino a stasera. Spero in ogni caso che gli stacchi non si
notino
eccessivamente.
Intanto
approfitto come sempre per ringraziare tutti coloro che stanno leggendo
e commentando, mi fa sempre tanto piacere leggere le vostre opinioni.
Un
saluto e a presto! Spero di non annoiarvi e spero che questo capitolo
vi
piaccia come apparentemente vi sono piaciuti gli altri :D
Nick
Alla
ricerca dei
cavalieri di Camelot
ottava
parte
-MERLINO,
NOOO!- gridò con quanto fiato aveva in corpo Artù non appena riuscì a
mettere a fuoco l’immagine. Non era un ordine, non era in suo potere ordinare qualcosa a Merlino dopo tutto quello che gli aveva fatto; era una supplica, e non era certo che fosse per la vita del padre.
Era sorprendente, Il mago aveva parlato e si era mosso a una
velocità
impressionante, come se avesse fermato il tempo per arrivare
dov’era nel giro
di un istante.
Come una
gazzella si era letteralmente armato, ed era pronto ad attaccare in
qualsiasi
istante. A dirla tutta forse il paragone più corretto
è “come un leone”, perché
in quella rabbia, in quella violenza e in quelle lame non
c’era nulla di una
pacifica gazzella. Merlino era letale, Artù ne ebbe la vera
consapevolezza per
la prima volta.
Eppure era successo qualcosa.
Tutte le lame delle spade erano puntate contro suo padre che inerme
stava sulla
sedia. Il piccolo pugnale lavorato che aveva regalato a Morgana era
addirittura
piombato in un lampo verso il petto dell’uomo. Ma al suo
grido si era fermato.
Tutto era immobile, Merlino aveva il capo chino e così
com’era non riusciva a
vederlo in volto.
All’improvviso iniziò a tremare, come se piccole
scariche lo stessero
percorrendo ad con il volto rigato di lacrime, gli occhi gonfi e rossi
e i
singhiozzi che lo scuotevano con insistenza un ritmo irregolare.
Si voltò quindi a guardare quello che aveva provato tanto
piacere nel chiamare
suo principe.
Le
spade, le asce e tutto ciò che si era staccato dalle pareti
al comando mentale
del mago, caddero a terra con un grande clangore metallico.
I ceppi e le catene fecero lo stesso tirando giù le braccia
del giovane che ora
giaceva prostrato dinanzi al trono del re.
Artù non capiva cosa lo avesse fermato, e perché.
Sapeva solo che in quell’istante, in cui il ragazzo si era
voltato e l’aveva
guardato negli occhi, si era sentito come svuotare dentro.
Finì in ginocchio anche lui. La sua spada, ormai estratta e
pronta all’uso,
cadde pesantemente vicino le sue gambe, e lì lui la
lasciò.
Merlino
si era calmato, le lacrime parevano continuare inesorabili, ma i
tremiti e i
singhiozzi erano cessati.
Artù tentò di rialzarsi ma non ci
riuscì. La paura e lo sconvolgimento di
quegli ultimi eventi lo aveva spiazzato, paralizzato.
Intanto il re, incredulo, boccheggiava sul suo scranno di legno.
Per
alcuni istanti non si udì alcun rumore, e quegli istanti che
sembravano ore erano
riempiti dai pensieri di ognuno dei presenti in quella sala.
Uther non capiva come potesse essere ancora vivo e cosa avesse placato
l’ira di
quel mostro. Artù non capiva perché desiderasse
urlare e struggersi la carne
così come sentiva la sua anima fatta a pezzi.
Aveva creato lui quel mostro. Ora lo sapeva, era stato il suo
tradimento, il
suo silenzio. Forse quella reazione era stata esagerata, ma quale cane
braccato
non reagirebbe a quel modo?
I suoi occhi azzurri fissavano il pavimento bianco mentre con un gesto
meccanico posava la mano sull’elsa della spada. Non se
l’aspettava, ma l’arma
era tiepida. In quel momento ricordò la fiamma azzurra che
l’aveva avvolta
tempo prima . Molto più tenue di quando l’aveva
raccolta quel pomeriggio nella
foresta, la fiamma bruciava ancora.
In quel momento ricordò tutto il bene che il giovane mago
aveva fatto e i sensi
di colpa iniziarono a divorarlo mentre una lacrima, una delle poche che
gli
erano rimaste scendeva dall’angolo destro del suo occhio
sinistro rotolando
inesorabile sul suo viso per andare a infrangersi sui mattoni con un
lieve
suono cristallino.
Solo in quel momento si accorse dei passi che si udivano oltre la
grande porta
di legno.
Le guardie udite le urla si erano catapultate dentro e ora osservavano
senza
capire la scena che si erano trovati davanti. Il mago svariati metri
più avanti
da dove l’avevano lasciato, e, a circondare lui e il trono
dove sedeva il re,
una quantità di armi stava immobile.
Uther alzò lo sguardo verso di loro, le rughe del suo volto
apparvero più
pesanti che mai, sembrava stanco dentro, ancora più stanco e
stirato di quando
aveva dovuto affrontare il tradimento di Morgana poco tempo prima.
-Portatelo nelle segrete, sarà arso vivo al tramonto.-
riuscì alla fine a dire
il re ancora più scosso di quel che appariva.
Gli uomini di Uther lo sollevarono di peso liberandolo dalle catene. Se
non l’avessero
visto muoversi pochi minuti prima nel tentativo di uccidere il re,
avrebbero
pensato di star trasportando un cadavere tanto era
l’abbandono in cui si era
lasciato il mago.
Le lacrime continuavano a colargli dagli occhi, ma nessuno in quella
stanza era
in grado di dire perché. A scortarlo fuori non furono solo
le guardie; gli
occhi del principe erano puntati su di lui, pieni di rammarico e senso
di
colpa. Buffo come avesse ottenuto l’attenzione che desiderava
dal principe
giusto alcune ore prima della sua morte. E purtroppo ne era anche
ignaro.
Le guardie non furono affatto gentili quando lo gettarono in una delle
celle
più basse e buie delle segrete. Erano terrorizzate, avevano
visto solo per un
istante il potere di Merlino e temevano che questi si ribellasse:
così prima se
ne sarebbero liberate e più al sicuro si sarebbero sentite.
Nelle
sue stanze stava il principe steso sul suo letto.
Gli occhi rossi e l’espressione stanca. Una persona normale
avrebbe pianto, ma
anni e anni di imposizione, di apparenza, gli avevano in qualche modo
fatto
perdere la spontaneità di quel gesto.
In quella stanza ogni singola cosa era stata toccata pulita e
maneggiata dal
suo servitore. Se avesse voluto uccidere uno qualsiasi dei membri della
famiglia reale avrebbe potuto farlo in ogni momento, lo sapeva.
Perché avrebbe dovuto aspettare ? Sarebbero bastate poche
gocce di un qualsiasi
veleno recuperato dallo studio del medico e si sarebbe sbarazzato di
principi
re e regine. Se non l’aveva fatto era perché,
secondo Uther, dovevano esserci
piani più grandi dietro.
L’unico piano più grande che Artù
riusciva a vedere però, era l’affetto che
volente o nolente si era riuscito a conquistare, l’affetto
del principe.
Se ne era quasi dimenticato, il susseguirsi frenetico di tutti quelli
avvenimenti lo aveva distolto dall’insolita azione che aveva
compiuto il mago
prima di farsi arrestare.
Lo aveva baciato. Un bacio casto tra due labbra, eppure non appena
c’era stato
il contatto, scariche di adrenalina lo aveva percorso da capo a pieni.
Un
insistente formicolio alle mani, che, ripensandoci, era tornato anche
in quel
momento.
Eppure si sentiva il sangue gelare, per quanto fosse finito a volergli
bene … Merlino
era un uomo, certe cose erano inconsiderabili, soprattutto con un
“membro”
della famiglia reale.
Eppure non poteva dire che gli dispiacesse, anzi, un lieve sorriso si
dipinse
sul suo volto al pensiero di quello che Merlino aveva avuto il coraggio
di fare.
Strano, il buonsenso imponeva che lo prendesse a pugni se non
peggio…
La parte peggiore però era che in quel momento, aveva
desiderato fare di più.
Lo aveva sentito chiaro nella testa. Voleva baciarlo, e voleva andare
oltre,
non un casto contatto tra due bocche, ma perlomeno qualcosa di
più profondo.
Questo pensiero lo fece raggelare.
Intanto sapeva che non sarebbe mai successo e del resto come avrebbe
potuto? Lo
aveva tradito e ora sarebbe morto. Ma poi tutto ciò era
così insolito, così
inaudito. E tutti gli anni passati a importunare le donzelle allora
erano stati
una mera finzione?
Non si era mai sentito così come allora e aveva paura ad
ammettere che quella
era l’unica risposta che riusciva a trovare.
Alcuni rumori da fuori spezzarono il flusso dei suoi pensieri.
Incuriosito andò
alla finestra di vetro per controllare che non ci fossero problemi.
Quello che vide gli fermò il sangue nelle vene. Non poteva
saperlo ma la sua
pelle, già chiara per natura, era ulteriormente sbiancata:
nel mezzo della
piazza era iniziata la costruzione della pira.
Alcuni uomini, controllati dalle guardie di suo padre, stavano ora
portando
fascine di legno per poter mantenere il fuoco vivo, mentre come un
flash il
principe vedeva già le fiamme ardere e consumare il corpo
del suo amico.
Tirò la tenda
della finestra, quella visione lo disturbava atterrendolo, e si chiese
perché solo
allora avesse considerato Merlino un suo amico. Era cresciuto abituato
a trattare
le persone come oggetti. In quei due anni in cui aveva avuto a che fare
con il
mago però, tutto era cambiato. E oltre qualsiasi prospettiva
possibile nessuno
avrebbe potuto dire che quello era stato un peggioramento,
tutt’altro!
Aveva imparato a farsi volere bene e apprezzare dal suo popolo. Aveva
capito
ciò che era giusto e ciò
che era
sbagliato, e lo doveva solo a Merlino.
Chi sarebbe stato, chi sarebbe diventato se Merlino non fosse entrato
nella sua
vita?
Finalmente qualcosa parve sbloccarsi nel suo corpo, alcune lacrime con
una
lentezza inesorabile iniziarono a scorrere, rotolavano giù
dagli zigomi
spigolosi buttandosi lungo le guancie fino a toccare le labbra per
bagnarle.
Con passo incerto Artù si accostò a letto e vi si
accasciò sopra pressato dall’enorme
peso della consapevolezza di ciò che aveva fatto.
Il sonno
lo prese di sorpresa. Forse era una sorta di meccanismo di autodifesa,
dormire
per non pensare, dormire per evitare il dolore, dormire
perché, per quanto
fosse migliorato, era pur sempre un egoista.
Tutto agghindato
nella sua
armatura da allenamento, lanciava pugnali a un grosso bersaglio di
legno che
pareva muoversi di sua spontanea volontà. Il ragazzo che
stava dietro, era
terrorizzato all’idea che il principe sbagliasse centro, e si
faceva quanto più
piccolo possibile dietro quello scudo improvvisato.
Il principe con arroganza godeva della paura del suo servitore. Sapeva
che non
avrebbe mancato il bersaglio neanche volendo, ma l’idea di
poter punzecchiare
qualcuno lo allettava troppo.
Qualcosa andò storto e il ragazzo cadde, lasciando rotolare
il disco di legno
ai piedi di un giovane sconosciuto.
-hei, avanti basta così- Gli disse questo con tono scherzoso.
Il principe inarcò visibilmente un sopracciglio: si
conoscevano? Come si
permetteva di rivolgersi a lui in quel modo?
La risposta più naturale che gli venne fu un cosa con un
tono che sembrava più
una minaccia che non una vera domanda.
Con il tono di chi non ha recepito l’antifona
l’altro rispose semplicemente:
-ti sei divertito amico mio-
Questo evidentemente non sapeva con chi aveva a che fare.
-Ti conosco?- Gli chiese
con sarcasmo.
-Ah, sono Merli…- Stava rispondendo l’altro che
pareva non aver letto l’ironia
nel commento del principe.
-Quindi non ti conosco- concluse il biondo prima ancora che
l’altro ebbe finito
di presentarsi.
-no- rispose
l’altro in fretta.
-ma mi hai chiamato amico mio-
-è stato un mio errore-
-lo penso anche io- concluse il principe soddisfatto della sua verve.
-già- e fece una piccola pausa per godersela al meglio, -Non
ho mai avuto un
amico così asino-.
-Neanche io uno così stupido- rispose allora il principe
colto in contropiede.
-Dimmi, Merlino- continuò il principe –Sai
camminare sulle ginocchia?-
-no- rispose prontamente il mago aspettandosi qualche colpo basso da
parte
dello sconosciuto.
-Vuoi che ti aiuti?- lo provocò Artù.
-non lo farei se fossi in te.-
Quello era un ricordo, ora lo sapeva, ma era come corrotto. A quel
punto lo
aveva semplicemente umiliato davanti a tutti, invece no.
L’immagine di Merlino
prese a crescere, come a volerlo sommergere. Oscurò il sole
e tutto si fece
buio mentre con un piede sembrava volerlo calpestare.
Il principe si
svegliò di soprassalto. L’immagine di Merlino che
con un ghigno lo calpestava
ancora davanti agli occhi, mentre rivoli di sudore scendevano freddi
dalla sua
fronte.
Si alzò
dal letto rendendosi conto solo allora di essersi addormentato. Con
passo
incerto si avvicinò al tavolo dove in genere stava una
brocca con dell’acqua,
voleva bere e lavarsi la faccia.
Non c’era.
-Già, questo sarebbe compito di Merlino- Disse
più a se stesso che non ad un
vero interlocutore.
Eppure Merlino poteva distruggerlo, lo aveva detto egli stesso quel
giorno in cui
si erano incontrati. Ma non l’aveva mai fatto.
E se quel giorno a salvarlo poteva essere stata la legge, ora cosa gli
aveva
permesso di vivere? Cosa gli aveva permesso di trattare merlino come un
normale
servitore?
La risposta era una sola, Merlino era buono. La sua magia non ne faceva
un
servitore meno devoto. Solo
perché poteva
recitare un incantesimo questo non lo rendeva diverso dagli altri. E lo
rispettava. Come infondo anche il principe rispettava lui.
Non poteva permettere che morisse. Non dopo tutte le volte che gli
aveva
salvato la vita, ormai lo sapeva.
Si
affacciò alla finestra, la pira era ormai pronta e due
guardie stavano lì a
controllare. Mancava poco e non aveva ancora un piano. Si
passò una mano tra i
capelli iniziò a fare nervoso avanti e indietro per la
stanza, misurandola a
passi lunghi e frettolosi.
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Capitolo 9 *** 9. Il piano ***
I
personaggi di questa storia ovviamente non mi appartengono
Salve a tutti!
Inizio con il dire che l’ispirazione mi ha abbandonato,
aimè! xD
Purtroppo questo capitolo dovevo scriverlo e l’ho scritto, ma
non me ne sento
pienamente soddisfatto, per niente.
Temo che i capitoli mi piacciano solo quando molto introspettivi, o
quando
molto attivi … questo che è una via di mezzo mi
delude e non so spiegare perché
esattamente.
Spero in un vostro parere per aiutarmi a risolvere questo dilemma e vi
lascio a
questa strana lettura.
Grazie
a tutti, buon divertimento e a presto!
Nick
Alla
ricerca dei cavalieri di Camelot
Nona parte
La
notizia dell’arresto di uno stregone aveva varcato le mura
del castello
in lungo e largo, il suo nome però era ignoto ai
più.
Gaius con qualche stratagemma “medico” era riuscito
ad allontanare quanta più
gente possibile dalla sala del trono: se la notizia si fosse diffusa
anche in
quel senso non ci sarebbe stata più speranza per Merlino.
Gaius lo sapeva, il
ragazzo sarebbe uscito di lì, il ragazzo sarebbe
sopravvissuto e lui aveva
tutte le intenzioni di salvarlo.
Cercando una soluzione a quella situazione drammatica, seguì
le guardie che
scortavano il mago giù nelle segrete.
Era più complicato del previsto, per accedere a quella
sezione delle prigioni
bisognava superare tre ronde, quando ne ebbe la certezza si
allontanò senza
farsi vedere.
Cercando una soluzione nella scienza, come sempre, il medico si diresse
nel suo
studio. Magari qualche erba avrebbe fatto il loro gioco.
Le sale dei cavalieri erano varie e sparse in giro per il castello, ma
ce n’era
una in particolare che era sempre frequentata: quella
dell’allenamento.
Lì, negli anni passati, Artù si era divertito a
umiliare giovani e vecchi,
soldati e civili. Al pensiero di tanta e inutile superbia si
sentì male: tutto
ciò sarebbe costata la vita a un ragazzo,
all’unico che potesse definire
realmente un amico.
Aveva deciso di agire in fretta, tempo non ne aveva più. Le
riflessioni e i
ripensamenti lo avevano portato in prossimità del tramonto.
Così, uscito di
corsa dalla sua stanza si era diretto alla ricerca di Ginevra.
Nonostante la
partenza di Morgana, la ragazza era ancora nel castello, in fondo
quello
era il suo unico lavoro.
La incontrò vicino le cucine, tirandola in un angolo le
spiegò la situazione
guardandosi attorno con circospezione. Fu conciso e sbrigato, non si
erano
detti molto, e la serva era un po’ delusa, ma appoggiava
pienamente l’idea di Artù,
bisognava liberare Merlino prima che fosse troppo tardi.
Sotto la sua richiesta, quindi, Ginevra era andata a chiamare alcuni
tra i più
fidati cavalieri di Camelot: Lancillotto, Gwaine, Elyan e Parsifal.
Lui li aspettava tutti in quella sala, seduto tra gli scudi cerimoniali
e le
spade da combattimento. E loro arrivarono tutti, uno dopo
l’altro,mentre la
sua pazienza scalpitava.
-Sapete cosa è successo, sapete cosa sta
per succedere e non ho
intenzione che questo accada.-
Esordì Artù passando i volti di ognuno di loro
sperando di potersi fidare.
Ginevra, aveva informato gli uomini, ma non aveva detto loro per quale
motivo
erano stati convocati. Certo avevano sentito dello stregone, ma non
sapevano
chi fosse e non sapevano che in quel momento Artù si
riferisse a lui.
I quattro infatti lo guardarono con aria interrogativa.
Artù sempre più spazientito spiegò
loro cosa era successo e che per questo Merlino
era stato condannato a morte. Evitò loro di dire che a
tradirlo era stato lui,
non voleva dover dare ulteriori spiegazioni.
Per qualche minuto nessuno disse nulla. Il silenzio stava per far
esplodere la
collera di Artù che in quel momento ce l’aveva con
se stesso, ma non vedeva
l’ora di poter riversare sul mondo quell’amaro
risentimento.
Lancillotto,
semplicemente, abbassò gli occhi come investito da una
consapevolezza troppo pesante per essere sopportata così
all’improvviso. Poi
prese parola per tutti.
-Io sapevo, è da quando sono venuto la prima volta a Camelot
che lo so. Se non
fosse stato per lui, e la sua magia, sarei morto nel tentativo di
salvarvi, Artù.
Quel ragazzo è buono, vi vuole bene e non posso permettere
che venga ucciso. Mi
ha aiutato quando ne avevo bisogno, si è esposto per me, io
sono con voi e ho
intenzione di fare lo stesso per lui- Il suo discorso aveva
probabilmente
attirato l’attenzione di Parsifal.
Il cavaliere non era di molte parole ma il suo cuore era puro, e questo
lo
narreranno le leggende che ancora si possono sentire dopo millenni.
Come c’era
da aspettarsi appoggiò la causa senza fare una
piega.
La risposta di Gwaine era ovvia, non aveva nulla contro la magia, ma
aveva
tanto da dare a Merlino, forse troppo perché potesse dirlo
così davanti a
tutti. Quel ragazzo era stato come un fratello, e l’idea che
dovesse morire per
come era nato era inconcepibile ai suoi orecchi.
Alla fine erano tutti d’accordo, anche Elyan aveva accettato
a unirsi alla
brigata conscio delle innumerevoli volte in cui lo stregone aveva
aiutato la
sorella.
Artù tirò un sospiro di sollievo e
sollevò la mano dal pomello della spada
finalmente rilassandosi.
-Se non aveste accettato avrei dovuto uccidervi- disse con tutta la
naturalezza
di questo mondo mentre i cavalieri si guardavano l’un
l’altro con aria incerta.
Gli uomini c’erano, il problema ora era trovare il modo di
far evadere il mago.
L’unica cosa certa era che doveva lasciare
Camelot… farlo realmente era un
altro discorso.
Ginevra e Gaius arrivarono correndo proprio in quel momento.
La sala, solo 10 minuti prima deserta, ora conteneva più di
una mezza dozzina
di persone.
-Ho pensato che…- Esordì la ragazza mentre
giustificava la presenza del medico
di corte lì in quella stanza.
-Gwen sei sicura che…insomma non vogliamo coinvolgerti
Gaius, è troppo
rischioso- la interruppe Artù in bilico tra il potersi
fidare e il dover
diffidare. Il medico gli lanciò un occhiata che se fosse
stato possibile lo
avrebbe incenerito.
-Mio principe, ti sbagli di grosso se credi che io non voglia salvare
il mio
unico figlio!-, lo disse con un ardore e una prontezza tali che per un
attimo
il principe rimase stordito, quei due non erano mica imparentati.
Lo stesso Gaius si sentì in imbarazzo nel chiamare Merlino
così, in
pubblico. Ma era vero, in quegli anni, non aveva
fatto che
conquistarsi l’affetto e la fiducia di molti, non potevano
abbandonarlo.
Alla fine tutti insieme progettarono la fuga del ragazzo.
Il piano era semplice, Ginevra sarebbe scesa nelle
segrete per
portare alle guardie del primo livello qualcosa da mangiare, Gaius li
avrebbe
quindi drogati con delle erbe di modo che dormissero senza dare alcun
fastidio.
Lo stesso sarebbe avvenuto per gli altri due livelli.
Il piccolo manipolo formato da Artù, Elyan, Lancillotto e
Parsifal, invece,
avrebbe proseguito per le strettole delle segrete in cerca della cella
del
mago. Lì si sarebbero divisi, Artù sarebbe andato
con Merlino verso le grate,
mentre gli altri sarebbero tornati indietro. Alle grate, le stesse
attraverso
le quali tempo prima Mordred era fuggito,
Gwaine avrebbe aiutato Merlino
a scappare con due cavalli, accompagnandolo lontano da Camelot.
Il piano era semplice, dovevano solo metterlo in atto subito.
Seguendo le indicazioni, Gwen si avvicinò con un vassoio
pieno di pollo fumante
e un sorriso disarmante alle guardie. Li guardò entrambi
fingendosi in
imbarazzo, era particolarmente brava quando si trattava di conquistare
un uomo.
Visto che i due erano ormai in balia della naturale
e spontanea
femminilità della ragazza, lei si decise a parlare per una
sorta di colpo di
grazia.
-Dalle cucine vi mandano questi, miei soldati. Spero gradiate- fece lei
con un
tono amabile.
Artù, che da dietro il colonnato osservava la scena,
notò una spaventosa
somiglianza tra Gwen e la sua padrona; queste femmine sapevano essere
letali,
si disse.
La risposta inaspettata di una delle guardie però ruppe
l’idillio.
-Gradiremmo ancor di più che tu ti fermassi a banchettare
con noi, sai, qui non
viene mai nessuno- Concluse l’uomo con tono lascivo.
Quello era un imprevisto, non potevano intervenire senza insospettire
le
guardie, e Ginevra non poteva rifiutarsi se voleva che quelli
mangiassero.
Il tempo scorreva e la mano di Artù sbiancava sempre di
più mentre stringeva
con forza il pomello della sua spada.
Cercando
di salvare il salvabile, Ginevra si sedette alla destra di quello
che aveva parlato, l’altro sembrava più tonto,
aveva una sorta di sorriso vuoto
che la spaventava più delle avances dell’altra
guardia.
I due iniziarono a mangiare, il pollo profumava veramente tanto.
Ginevra si era
occupata del “furto” ; le cucine conservavano
sempre gli avanzi degli
abbondanti pasti del re. Lei però non aveva avuto
l’occasione di mangiare
quella sera, e questo la tradì.
Fu solo un lieve brontolio del suo stomaco, la
guardia la guardò
male.
-Ma voi dovete avere fame!- , nonostante avesse la bocca piena e nel
parlare
sputacchiasse un po’ ovunque, l’uomo
esordì tentando di apparire quanto più
galante possibile
-No,
davvero, non c’è bisogno che..- Intervenne lei
pronta prima che
l’altro la interrompesse nuovamente.
-esigo che ne mangiate anche voi!-, convinto così di
acquistare la fiducia
della serva, il soldato concluse quella discussione, non permettendo
alla donna
nessuna possibile risposta.
Gwen lanciò un occhiata di sbieco dove sapeva trovarsi il
principe. C’era una
sorta di supplica in quello sguardo. Il principe annuì
consapevole e abbassò lo
sguardo, Ginevra non poteva rifiutarsi.
Avevano già perso troppo
tempo,fortunatamente in 5 minuti i tre
finirono a russare chini sul loro tavolino in compagnia della dama di
corte.
I quattro cavalieri passarono loro accanto per accertarsi che stessero
dormendo. Elyan, lanciò un occhiata esasperata verso la
sorella e passò da
parte a parte i due uomini che le dormivano accanto con uno sguardo.
Si rivolse ad Artù, atteggiando la sua, per quanto
possibile, a una richiesta
nobile: -e se dovessero svegliarsi prima loro…?-. non ebbe
il tempo di
terminare Artù annuì rapidamente concedendogli di
restare a controllare la
sorella, -accertati anche che non scenda nessuno-.
Il rumore dei loro passi rimbombava per tutto il corridoio. La pietra
li
rimandava raddoppiandoli, e, per quanto si sforzassero di muoversi
silenziosamente, sembrava ugualmente che per quelle
strade stesse
scendendo un esercito.
Avevano perso le pietanze drogate, Gwen era fuori gioco e non sapevano
come
fare a proseguire.
Lancillotto e Parsifal si guardarono incerti, c’erano altri
due livelli di
guardie da superare, e nessuno di loro tre aveva un idea valida.
Decisero di improvvisare. Dopo alcune comprensibili esitazioni,
Lancillotto e
Parsifal uscirono dall’ombra del corridoio, entrando
così nel disco di luce
della zona dove stavano le guardie. La copertura stava per saltare,
ormai ne
erano certi.
Salutarono gli uomini lì seduti con un cenno del capo.
-Siamo stati mandati qui per darvi il cambio- Esordì
Lancillotto rivolgendosi
loro, mentre cercava di nascondere il nervosismo della sua voce.
I due si guardarono senza capire, il loro turno sarebbe dovuto durare
almeno
altre 2 ore, non bisognava essere troppo intelligenti per capire che
qualcosa
non quadrava.
Parsifal indietreggiò di un passo; Artù
dall’ombra del corridoio osservava
nervoso la scena, in quel momento avrebbe desiderato che le guardie di
Camelot
fossero più deficienti e meno efficienti.
All’improvviso un rumore di passi dietro di lui distolse la
sua attenzione dai
quattro soldati che aveva davanti.
I capelli bianchi di Gaius sembravano brillare persino in
quell’ombra scura.
Il principe lo guardò con sguardo interrogativo mentre
lasciava andare la presa
sulla spada; Era un fascio di nervi.
Il medico si limitò a rimandargli una delle sue occhiate
furbe incorniciate dal
solito sopracciglio. Si chinò, lasciò cadere
quella che sembrava una pallina a
terra e aspettò che questa rotolasse in direzione del
gruppetto di guardie
prima di rialzarsi.
Dalla sfera iniziarono a levarsi alcuni vapori biancastri, e, nel giro
di
trenta secondi, furono tutti a terra. Lancillotto, Parsifal e le due
guardie
erano già nel mondo dei sogni quando il principe e il medico
con un fazzoletto
davanti al naso si introdussero nel piccolo spazio.
-Cosa diavolo…?- fece il principe
irritato ma pur sempre grato.
-Non me la sono sentita di lasciare voi ragazzini a fare un lavoro del
genere.
Ero sceso per seguirvi e ho visto cosa era accaduto a Ginevra.- rispose
il
vecchio con tono grave.
Il sopracciglio sempre alzato incorniciava quei due occhi chiari che
intanto
scrutavano il principe e la situazione con dovizia.
Ripulendosi le mani sulla veste si chinò per sentire i
battiti dei due
cavalieri che erano cadute vittime del gas soporifero.
-Allora, vostra altezza, qui ho un'altra dose di quella mistura alle
erbe.
Basterà inserirle in questa gabbia metallica- e nel dirlo la
raccolse da terra
svuotandola del suo contenuto, -accenderle, e farle rotolare sotto il
naso
delle guardie che controllano il livello inferiore. Dormiranno per
qualche ora
e al risveglio non si renderanno conto di nulla.
-Io rimarrò qui per Risvegliare questi due- e con un piede
indicò Lancillotto e
il suo compagno. –La loro entrata era già
abbastanza sospetta a
quell’ora, le guardie penseranno di averli
sognati. Non se li
trovano qui davanti però…Voi andate e salvate
Merlino, vi prego! Tra mezz’ora
probabilmente scenderanno a prenderlo...-
Gaius li aveva tirati fuori da un bel guaio, Artù ormai
aveva tutto quello che
gli serviva, un diversivo, e un piano semi perfetto.
Doveva solo
raggiungere la cella del mago.
-Vi ringrazio tantissimo Gaius, non vi
deluderò- rispose il principe
alle preghiere del medico che, intanto, si stupiva
dell’umiltà che il principe
aveva mostrato nel rivolgersi a lui.
Il principe si immerse nell’oscurità del
corridoio, mentre il medico lo seguiva
con lo sguardo finché quello non si perse completamente in
nell’ombra. Poi tirò
fuori dalla veste alcune boccette e iniziò a lavorare
rimestandole e
mescolandole più volte con una serie di
movimenti sempre più
complessi.
Artù proseguì lungo la galleria, ormai
l’unica lucea guidarlo era quella che si
era lasciato alle spalle da quasi dieci minuti.
Il silenzio lì sotto lo infastidiva, era interrotto solo dal
ritmico clangore
della sua spada contro l’armatura. Non lo vedeva ma percepiva
l’infossarsi
sempre più ripido di quella strada. Sapeva che nelle segrete
più basse del
castello un tempo si trovava il drago, e per qualche istante temette
potesse
essere ancora lì.
Anche se era stato pochissime volte in quell’area del palazzo
sapeva bene dove
dirigersi. Le celle dei prigionieri più temuti da suo padre
erano quelle più
basse; si trattava di un inutile precauzione contro un mago, ma Uther
era duro
di comprendonio.
Per questo motivo saltò le numerose porticine di legno
rinforzato che
costeggiavano la strada e arrivò finalmente davanti a uno
spiazzo aperto.
Una torcia al centro della stanzetta rotonda disegnava un cerchio di
luce tutto
attorno a due guardie intente a bere e a giocare a carte: Non lo
avevano ancora
sentito, per fortuna.
Artù prese il sacchetto con le erbe e la gabietta metallica
ancora vagamente
calda, poi, all’improvviso, si rese conto di un problema ben
più complesso: non
aveva modo di accendere la miscela soporifera.
Ma Gaius come aveva fatto? Non aveva sentito rumore di acciarini,
nessuna
miccia, nessuna esca…le torce erano troppo lontane,
però già! Le torce!
Era un azzardo, ma era anche a corto di tempo, il medico aveva parlato
di
mezz’ora, e il principe era certo di averlo lasciato da quasi
un quarto d’ora,
così fece l’unica cosa che gli venne in mente:
Sperando funzionasse ugualmente, Artù, lanciò la
piccola sfera metallica verso
la torcia accesa al centro della stanza. Le guardie, troppo brille per
rendersi
conto di cosa stesse accadendo, non videro la sua ombra, nè
sentirono il rumore
del ferro che cozzava contro la piccola ringhiera che proteggeva le
fiamme .
La palla prese fuoco e i vapori iniziarono a fuoriuscire lentamente
dalle
fessure della gabbia. Salirono prima verso l’alto, poi,
ricaddero pesantemente
verso il suolo, mandando i due soldati nel mondo dei sogni.
Il principe si lasciò sfuggire un lieve grido compiaciuto
mentre stringeva il
pugno soddisfatto in segno di vittoria, poi, deciso a non perdere
ulteriore
tempo, si lanciò verso le celle, dove, pochi metri
più avanti, si trovava Merlino.
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