Alla ricerca dei cavalieri di Camelot

di Nicknothing
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Un altro inizio ***
Capitolo 2: *** 2. L'inizio dei problemi ***
Capitolo 3: *** 3. Morte ***
Capitolo 4: *** 4. Pensieri ***
Capitolo 5: *** 5. L'erba cattiva non muore mai ***
Capitolo 6: *** 6. Svolte ***
Capitolo 7: *** 7. Condanna e giudizio ***
Capitolo 8: *** 8. Pace ***
Capitolo 9: *** 9. Il piano ***



Capitolo 1
*** 1. Un altro inizio ***


I personaggi di questa storia ovviamente non mi appartengono
Ero qui a leggere e mi sono detto... perchè non aggiungere qualcosa di mio?
Sono nuovo e spero che gradiate quello che voglio raccontare, chissà che chi legga la prima parte non voglia leggere anche un seguito :)

intanto per il momento vi auguro Buona lettura e buon divertimento
Nick

Alla ricerca dei cavalieri di camelot 

Prima parte

Camelot ne era uscita devastata. Il tradimento di Morgana, per molti inspiegabile, aveva lasciato ferite indelebili nei cuori dei regnanti.
Erano in pochi a conoscere le vere ragioni che avevano portato la figliastra del re ad allearsi con Cenred  per destituire Uther, ma, quei pochi che sapevano, tremavano all’idea che l’ira della strega scomparsa potesse ritornare troppo presto.
Ovviamente Artù, figlio del re, era tra questi. In sua compagnia c’era Merlino, unico ormai in grado di contenere gli attacchi di ira del principe, diventato sempre più instabile e bisognoso di controllo.
La battaglia contro Morgause aveva distrutto le speranze e i sogni di tutti a Camelot, l’esercito immortale aveva mietuto più vittime di quante  il regno non potesse permettersene, e, nonostante fossero stati sconfitti, la paura dilagava per le strade della città.

L’ordine dei cavalieri ne era uscito sconquassato, pochissimi erano sopravvissuti, e ancora di meno si erano mostrati leali fino alla fine.  Sir Leon capeggiava ormai gli ultimi sopravvissuti, Eliah,  fratello di Ginevra, era una delle nuove reclute assieme a Lancillotto e Gwain.

Le condizioni erano critiche, e non ci voleva uno stratega per dirlo.  Il regno non aveva mai affrontato una crisi come quella, una crisi che aveva distrutto non solo le basi fisiche della fortezza, ma anche i principi morali e psicologici dei suoi pilastri.

Immaginate che vostra figlia vi si rivolti contro usurpandovi di tutto e mostrandovi un odio sconfinato. Immaginate inoltre di essere voi stessi la causa di tutte quelle morti e di quel disprezzo, e che quindi il sangue versato cada direttamente sulle vostre mani. Sommandosi a quello di vostra moglie e della gente il cui ricordo vi perseguita a causa della grande epurazione. Così si sentiva Uther, e alcuni dall’ombra dei loro rifugi fatti di finzione e spirito di sopravvivenza non potevano che comprendere e compiacersene.

Il piano di Morgause non era stato completato, ma sebbene non nel modo che aveva previsto, le sue malvagità avevano creato qualcosa di più grande, qualcosa di non previsto.

Con Uther ridotto a un ameba e Morgana lontana dal regno, l’unico a poter prendere le redini di Camelot era di diritto Artù, la consapevolezza della malvagità della magia però aveva portato il principe ereditario a farsi delle domande.

Già dai tempi di Nimueh il ragazzo meditava sulla veridicità e sulla giustizia delle leggi contro la magia, una sorta di incidente di percorso, il tradimento di Merlino a quelli del suo genere, aveva però reso quelli sviluppi vani facendo credere al principe che Morgause e tutti coloro che praticavano l’antica arte magica fossero malvagi e bugiardi.
In realtà probabilmente, il giorno in cui la strega aveva rivelato al principe la verità sul suo concepimento era stato il giorno più “onesto” del ragazzo.

Ora però i problemi erano altri, nonostante il regno posasse sulle sue spalle Artù doveva partire per riunire dalle contee vicine quanti più nobili cavalieri possibile, Camelot aveva bisogno di ristabilirsi e questo compito non poteva essere delegato.
In realtà alla ricerca di questi uomini sarebbe dovuto andare lo stesso Uther, uomo al quale le famiglie più nobili di Albion dovevano la loro fedeltà, ma, a causa delle condizioni in cui versava il re questo non era possibile.

Riflettendo su questo e riordinando le mappe della grande isola, Artù stava nelle sue stanze, in silenzio.
La porta venne aperta all’improvviso. Era Merlino, era carico di oggetti lucidi che dovevano essere i pezzi dell’armatura del suo signore.

"Quante volte ti ho detto di bussare prima di entrare nelle mie stanze? Chi ti dice che non mi stia intrattenendo con qualche dama o roba simile?" proferì con tono indecifrabile il principe
"più o meno tante volte quante vi siete rivelato essere nient’altro che una testa di fagiolo… e cmq spero che il giorno in cui vi intratterrete con una dama siate più rumoroso di così, ho creduto e sperato foste morto"

Le risposte di Merlino non cessavano mai di stupire il giovane principe, prima di lui solo Morgana era in grado di tenergli testa senza temerlo… già, Morgana….e ora quell’idiota, nient’altro che un servitore non faceva altro che sfidarlo ogni giorno.
Nonostante se ne dicesse infastidito però, Artù era arrivato al punto di non poter fare a meno di Merlino… era diventato l’unico aggancio che gli era rimasto con la realtà… neanche Ginevra poteva competere con il rapporto che si era instaurato.

"Merlino.." rispose allora Artù con quel suo tono amichevolmente minaccioso.

"Si lo so… sto zitto" terminò allora per lui il mago. E se ne andò sorridendo dopo aver lasciato l’armatura sul grande tavolo di legno.

Quando fu ad un passo dalla porta Artù richiamò il suo servitore e con tono imperativo gli comunicò la sua decisione.

"Domani mattina partiamo, voglio che i cavalli siano pronti già da stasera… saremo solo noi due, non posso permettermi di privare Camelot di anche un solo cavaliere in più."
"Certo mio signore" rispose con voce seria il ragazzo prima di uscire definitivamente dalla stanza.

Il pomeriggio era passato in fretta, Merlino aveva lucidato l’armatura del principe e pulito le stalle, nonostante fossero appena usciti da un assedi,  i compiti faticosi che era abituato a svolgere  non lo avevano lasciato neanche per un giorno. Merlino non se ne lamentava, tutto quel lavoro lo aiutava a non pensare. O almeno ci provava…
Il drago aveva sempre detto che il suo destino era far diventare Artù re, prima di potersi rivelare come mago e di poter riportare la magia nel regno. Eppure lui non faceva altro che ritardare quel momento. Non faceva che continuare a salvare la pelle di quel re così chiuso e maligno da non riuscire a farsi amare dalla sua stessa figlia.
Merlino in un certo senso lo compativa, la sua non doveva essere stata una vita felice, eppure una cosa buona l’aveva fatta… anche se a costo della vita di sua moglie aveva reso possibile la nascita di Artù… però aveva reso possibile con questo, la morte di migliaia di persone.
Al servizio di Artù il mago era combattuto tra un sentimento dolce che andava ben oltre l’amicizia e un sentimento molto più simile ad un odio profondo per quello che il principe stesso rappresentava.

Decise di smettere di angustiarsi e si tuffò nel lavoro convinto un giorno di trovare la risposta.

L’indomani arrivò in fretta. Ginevra, il re e i cavalieri erano tutti disposti dinanzi al grande cancello della cittadella per salutare il principe.
Questi rivolse alcune parole a tutti i cavalieri, probabili incitamenti ricchi di valori e ispiratori di speranza, e si avvicinò al padre per salutarlo come l’etichetta richiedeva cogliendo l’occasione per dirgli alcune parole.

"so quanto tutto questo sia difficile padre, ma non perdete di vista quali sono le priorità"

C’era accusa nel consiglio del figlio, ma Uther non lo sentì. Il ragazzo sapeva che se non si fosse concentrato sul bene reale del regno, il re avrebbe potuto dare inizio a una seconda purga solo per sentirsi più in pace con se stesso.

Così, con Merlino al seguito e i cavalieri alla spalle, Il principe attraversò il cancello al trotto fino a che non fu fuori dalle mura, dove si permise di spronare il cavallo ad un andatura più veloce. Aveva bisogno di aria.

Merlino rivolse un ultima occhiata alle scalinate e al suo mentore e si lanciò all’inseguimento del suo principe, già, perché Artù era suo… questa era l’unica certezza che gli era rimasta.

 

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Capitolo 2
*** 2. L'inizio dei problemi ***


I personaggi di questa storia ovviamente non mi appartengono
Allora... siccome avevo del tempo oggi ho completato anche la seconda parte... e nella mia testa inizia a delinearsi anche la terza.
Colgo l'occasione per ringraziare Roku ed Elfin Emrys che hanno avuto la pazienza di leggere, seppure con qualche problema legato al codice, quanto avevo scritto.

In particolare voglio ringraziare Elfin Emrys per la sua critica che mi ha davvero fatto felice... diciamo che sono uno di quelli che ha sovente bisogno di approvazione in quel che fa xD
Vorrei chiarire che questa è ancora una sorta di introduzione. Purtroppo avendo a che fare con una serie che lascia immaginare ma che non dice molto, bisogna ricostruire i pezzi per poter ottenere qualcosa di vagamente credibile.... e così per ora mi limito a far crescere un pò i personaggi... ma presto ho intenzione di inserire un pizzico in più di romanticismo :D
Nick

Spero possa essere una buona lettura :)

Alla ricerca dei cavalieri di camelot 

seconda parte

Il viaggio verso il primo dei cavalieri si era rivelato più arduo del previsto.  Avrebbero dovuto superare il lago di avalon, oppure  scalare le montagne che lo circondavano, e, una volta giunti sull’altra riva proseguire per almeno altri due giorni di viaggio.
Già fino al lago
 erano due giorni di viaggio, il guado avrebbe richiesto sicuramente più tempo, come minimo Artù aveva previsto che ci sarebbe voluta una settimana per arrivare, un’altra per il ritorno, e il solo pensiero aveva riempito i due viaggiatori di un’angoscia tale da farli quasi desistere.

A chi importava infondo? I cavalieri sarebbero giunti a Camelot, così come era sempre stato. Queste erano state le deboli proteste di Merlino. Non aveva tutti i torti, ma il principe sapeva che da chi andavano non erano benvenuti, e che quel giuramento fatto anni prima avrebbero dovuto reclamarlo, probabilmente pagandolo caramente.
Il principe però aveva altri pensieri per la testa, e così si limitò a zittire malamente il servo e a proseguire sulla loro tratta. Studiava un piano, perché purtroppo era più che consapevole che per giungere dove erano diretti avrebbero dovuto attraversare anche il regno di Cenred. 

Il loro re era morto, e da qualche giorno era giunta notizia a Camelot di numerose lotte intestine. I cavalieri di quel regno sapevano che quello era il momento adatto per aggiudicarsi il potere, ma temevano anche il ritorno di Morgause e poco sapevano degli avvenimenti di Camelot. Inoltre l’intero esercito era stato spazzato via dalla loro stessa stoltezza e ora briganti e predoni avevano invaso quelle terre, soprattutto sul loro limitare ad un ritmo impressionante.
Scioccamente nella testa del principe andava formandosi l’idea di andare alla capitale e di reclamare il trono per sè, ma sapeva che non avrebbero potuto reggere un altro confronto armato. Quello di Cenred non era l’unico regno stremato.
 
E tutto questo per colpa della magia. Non aveva smesso di pensarci neanche per un attimo, la magia era la causa di tutto quel male, la magia aveva corrotto Morgana. Forse la sua sorellastra era persa per sempre e tutto questo a causa di una strega e della magia che aveva impiantato in quella che ormai era detta da tutti “la fata”.
Artù non avrebbe più dimenticato la notte dopo la fuga di Morgana, Ginevra gli si era buttata tra le braccia e lui non era stato in grado di consolarla. Per quanto fosse una donna forte, Gwen aveva sopportato tutto quel dolore, tutta quella delusione e quella paura solo sperando in lui, il suo re. Ma il suo re era un uomo come tutti gli altri, aveva alti e bassi e, per quanto la nobiltà non lo prevedesse, gli ultimi avvenimenti lo avevano distrutto dentro.
Ginevra allora si era fatta da parte, incapace di comprendere le insicurezze di Artù, e questo aveva creato una rottura che, neanche gli anni, avrebbero più risanato.
Chi invece si era avvicinato ulteriormente in quei momenti bui era stato Merlino. Fin da sempre, o meglio, fin da quando lo aveva conosciuto, Merlino si era mostrato fedele e benevolo verso di lui, certo forse un po’ lingua lunga, e sicuramente nascondeva qualcosa, ma questo non gli aveva mai impedito di essere vicino al suo signore. Soprattutto quando questi era molto vulnerabile.
Dopo lo scontro con Morgana né il re né il principe volevano vedere nessuno, ma Merlino era riuscito con insistenza a farsi strada nelle stanze del biondo erede, a tirarlo fuori dal suo mutismo e a riportarlo alla vita.
Artù aveva quindi iniziato a guardare al suo servitore con un altro tipo di interesse, forse per la prima volta in vita sua voleva conoscerlo per davvero.

Il principe cavalcava davanti a lui seguendo quello che doveva essere un percorso ben impresso nella sua memoria perché non sembrava rifarsi a nessuna mappa o altro. Però era taciturno. Le ultime parole erano state dette a poche miglia da Camelot e da allora nessuno aveva più parlato.
Merlino non era preoccupato, lo conosceva bene il suo pollo e sapeva che aveva bisogno del suo tempo. Sapeva anche che il pericolo maggiore, che Artù diventasse come Uther, era scampato, e questo, si inorgogliva a pensarlo, era merito suo. Era riuscito a tirarlo fuori dalle tenebre del rimorso appena in tempo. Così lasciò che il primo giorno di viaggio passasse ineluttabile mentre i due cavalli si facevano strada nel bosco.

Non si erano fermati neanche per mangiare, avevano preso qualcosa dalle bisacce e l’avevano consumata in groppa ai loro destrieri, si erano fermati solo una ventina di minuti per raccogliere dell’acqua da un rivo e far riposare i cavalli verso mezzogiorno, poi avevano ripreso. 
 Merlino iniziava ad essere stanco di quell’atmosfera silenziosa, così decise di avvicinarsi al principe per punzecchiarlo un poco. 
Non aveva neanche aperto bocca che si accorse che qualcosa non andava, e probabilmente anche il principe se ne era accorto. Tutto attorno a loro non si muoveva una foglia, ma sia Artù che Merlino riuscivano a sentirli, il respiro di 20, forse trenta uomini, nascosti nel folto della foresta che li osservavano.

-Finalmente te ne sei accorto Merlino- sussurrò il principe in direzione del servitore –Fai come se niente fosse- proseguì il biondo che continuava a cavalcare con la stessa identica andatura con cui si era addentrato nella foresta.

Artù non sapeva che, sebbene più distratto, gli occhi di Merlino erano di gran lunga migliori dei suoi, per questo non capì subito quello che accadde in quelle frazioni di secondo.
Il principe gli aveva detto di stare fermo per ritrovarsi il servo che al volo gli si gettava sopra disarcionandolo.

-Non fare la donnetta spaventa…- gridò  Artù  stizzito ma poi capì. Pochi metri alla loro destra si era appena piantata con un sibilo sordo una lunga lancia che aveva sorvolato il cavallo del principe lasciandolo fortunatamente illeso.

La lancia era ovviamente diretta a lui, ma l’aveva mancato e tutto questo grazie a Merlino, questa volta l’avrebbe ringraziato, se lo ripromise. Tutto sommato però era la prima volta che Artù si accorgeva dell’intervento del mago, e questa volta non aveva neanche usato la magia.

Rapidamente il principe si rialzò e sfoderò la spada dal fodero sul fianco del cavallo. Questi per tutto il movimento improvviso si era vagamente innervosito e aveva iniziato a scalpitare sollevando un gran numero di foglie secche del sottobosco.

I predoni approfittarono di quel momento di confusione per scendere e attaccare.


La strada che i due viaggiatori stavano percorrendo era il vecchio corso di un fiume deviato ed era costeggiato da pareti di roccia alte qualche metro e interamente ricoperte di alberi, radici e foglie.
 
I ladri scesero proprio da lì.

Anche Merlino aveva sfoderato la spada e si apprestava a difendere il suo signore con quella e con altri mezzi, e poi…. Non aveva ancora avuto occasione di prendere in giro il principe per quanto era successo.

Ma gli uomini erano troppi. Sebbene 5-6 cadaveri si accatastassero loro intorno uno dopo l’altro non ce l’avrebbero mai fatta a sconfiggerli  tutti.

Artù fece un tentativo disperato con un braccio solo rimontò in groppa e con l’altro tese la mano a Merlino che l’afferrò e montò subito dietro di lui arrossendo vagamente. 
Fortunatamente questo Il principe non lo vide si ritrovò a pensare il mago improvvisamente dimentico di quello che stava accadendo loro
  attorno.

Non avevano fatto neanche qualche metro che il cavallo cadde a terra morto, schiacciando un paio di ladri e tirando giù con sè signore e servitore. Il principe era disorientato, poi capì. Magia,  uno dei ladri doveva averla usata ed ora erano in pericolo.

Brandendo la spada come un forsennato Merlino  che intanto si era rialzato, era riuscito a liberare un piccolo spiazzo di terra tutto attorno a lui pur non ferendo nessuno. 
Gli uomini iniziarono a girare intorno ai due che si erano stretti spalla a spalla contro il corpo della povera bestia morta.

-Ed è solo il primo giorno di viaggio..- Disse con ironia il principe

-oh non ti preoccupare, è quasi finito…. Il giorno intendevo- rispose il mago affrettandosi a correggere l’ambiguità della sua frase.

Non sapeva cosa fare, sebbene scherzasse aveva paura per la vita di Merlino e per la sua, stava per parlare e chiedere chi fosse il capo per poter trattare qualcosa  quando a un certo punto due di quelli uomini piombarono dall’alto atterrandolo insieme all’amico. 
Mentre i due prigionieri si divincolavano e venivano tenuti fermi al suolo da quelli che ora erano tre uomini ciascuno, una figura incappucciata si fece più vicina. Ne Artù né Merlino l’avevano vista prima. A pochi passi da loro si fermò.

-Legateli e portateli al campo, veloci!-  aveva una voce strana, un misto tra l’autoritario e l’annoiato… sembrava come se non fosse possibile disubbidire a un richiamo come quello.

Ora i due erano davvero spaventati, Merlino non disse nulla, si limitò a sgranare gli occhi terrorizzati…aveva letteralmente le mani legate e non poteva fare niente senza compromettere il suo rapporto con il principe, tradotto erano impantanati entrambi in una situazione piuttosto scomoda.
Dopo che gli uomini ebbero finito di smanettare con le corde dietro la schiena dei loro prigionieri tirarono fuori due sacchi di iuta e li calarono sulle teste del principe e del mago.
 
Il primo strattonò un po’ ma alla fine si arrese. Il secondo frugò freneticamente nella sua testa alla ricerca di una soluzione che gli permettesse di salvarsi il didietro senza farsi beccare dal principe… non voleva rovinare tutto proprio ora.

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Capitolo 3
*** 3. Morte ***


I personaggi di questa storia ovviamente non mi appartengono

questa deve essere stata una giornata fortunata visto quanto ho scritto... diciamo che finalmente l'introduzione è finita e dai prossimi capitoli inizia la parte più originale.
Spero gradiate e spero possa essere una buona lettura:) grazie della pazienza
Nick

Alla ricerca dei cavalieri di camelot 

terza parte

La situazione era sfuggita ad entrambi i viaggiatori, entrambi erano convinti di dover proteggere l’altro, e nessuno dei due sapeva neanche come salvare se stesso.
Furono condotti malamente attraverso la foresta in un luogo non ben identificato. L’esperienza di Artù lo portò a credere che li stessero facendo girare in tondo per disorientarli, ed era vero. Merlino non emetteva suoni perso com’era nei suoi pensieri. Il non poter vedere nulla e, soprattutto, il non sentire il blaterare del suo compagno  non fece altro che aumentare l’ansia del principe che invece si dimenava in continuazione.
Incredibile quanto ci tenesse a quell’idiota, non se ne era mai reso veramente conto.

Dopo una mezz’ora di camminata giunsero probabilmente a destinazione ed entrambi vennero costretti a sedere su un tronco caduto al quale le corde che tenevano legate le loro mani furono fissate.
Attorno a loro i due potevano sentire chiaramente bisbigli e voci, poi una, più forte delle altre parlò.
-portatemi quello con l’armatura- disse con lo stesso tono che aveva usato non troppo tempo prima.

Artù fu sollevato di peso e trascinato al centro di un cerchio formato dagli uomini che lo avevano catturato, lasciato cadere ai piedi dell’uomo incappucciato.
Lo stregone, tolse il sacco di iuta dalla testa del principe che già lo guardava in cagnesco e prese ad interrogarlo con lo stesso tono di voce che aveva usato fin da quando lo avevano sentito parlare.

-Chi sei?- chiese questi con calma

-non parlo con gli stregoni- rispose prontamente Artù continuando a guardare l’uomo di sottecchi.

-ho detto, chi sei?- questa volta il tono di voce dell’uomo sembrava carico di un ineluttabilità inspiegabile, ogni singola parola vibrava di potere. Merlino fu percorso da un brivido a quel suono così innaturale.

Artù invece come ipnotizzato spalancò gli occhi e rispose più diligentemente di una marionetta.

- Artù Pendragon-  e nel dirlo la sua voce era perfettamente piatta.

-Oh..abbiamo un reale fra noi- risposero allora alcuni degli uomini attorno allo stregone.

Merlino si morse il labbro, sapeva che in quelle terre essere il figlio del re era più un problema che un privilegio.

-Bene quale piacere avere una così nobile testa tra noi, siamo davvero felici… dunque il verdetto è …la morte, così come il verdetto è stato la morte a dir di vostro padre per quelli come me.- e qui sorrise mostrando una chiostra bianca e perfetta -ma prima ditemi, mio nobile principe, chi è il vostro compagno?- Lo stregone parlò per la prima volta con quella che sembrava una voce umana prima di rifare una domanda utilizzando la magia. Artù che poco prima aveva un espressione sconvolta fu come percorso da una scarica che lo riportò nuovamente al suo stato di marionetta.

-Un servitore …e mio caro amico- rispose allora il principe.
Le labbra dello stregone si dipanarono in un ghigno. Merlino che era stato attento a tutta la conversazione non potè fare a meno di sentirsi deluso e felice. Deluso perché a quella domanda le risposte non potevano che essere sincere,  ed essere solo un caro amico non era proprio quello che si aspettava(o meglio non era quello che desiderava). Ma fu anche felice perché essere considerato un caro amico dal suo Artù era comunque tanto.

-Ben,  allora lui morirà per primo, spero non ti dispiaccia se lo sgozziamo davanti ai tuoi occhi vero?-
il giovane mago deglutì di colpo, Artù ancora sotto l’effetto dell’ipnosi non rispose e rimase imbambolato.

Ecco, la situazione era precipitata, Artù era fuori gioco e la sua vita era appesa ad un filo. Rivoli di sudore freddo gli scesero dalla fronte e sulla schiena, doveva trovare una soluzione e trovarla in fretta.
La logica gli avrebbe imposto di usare la magia, ma Artù era proprio davanti a lui, se lo avesse fatto sarebbe stato scoperto, e il suo sogno di rimanergli accanto più a lungo possibile non si sarebbe mai avverato.
Merlino sapeva che quello non era il momento giusto, ma del resto il suo destino non poteva neanche essere quello di morire lì, in quel momento, aveva ancora tante cose da fare…. Non aveva ancora posato le sue labbra sulle sue.
Diciamo che ormai il nostro mago era entrato nel panico.
Artù invece si stava pian piano riprendendo da quello stato ipnotico in cui lo stregone lo aveva relegato.
Ma non sarebbe servito a nulla. Posto in ginocchio davanti a Merlino, pronto ad assistere alla sua esecuzione, portava ancora le mani legate dietro la schiena, mentre due uomini non troppo gentili  lo tenevano giù premendogli sulle spalle.

Il sacco di iuta venne tirato via dalla testa di merlino in pochi istanti che sembravano ore. Il mago guardò il suo boia sfilargli davanti prima di porsi alla sua destra. Lo avevano spostato dal tronco sul quale era seduto e gli avevano fatto poggiare la testa sul tronco  stesso.
Era sicuro di aver già assistito ad una scena simile, ma in quel momento proprio non ricordava né come né quando. La disperazione se ne era impossessato completamente.

Successe tutto in un attimo. Tre fatti distinti e separati avvennero all’unisono, innescati dal veloce calare della spada del suo assassino.

Artù che si era quasi del tutto ripreso lanciò un “no” disperato e improvviso che riecheggiò per miglia e miglia nella foresta.
La lama della spada del boia che era diventata incandescente a pochi centimetri dal collo del giovane Merlin venne sbalzata via insieme al suo proprietario e quei quattro uomini che lo circondavano.
Gli occhi del giovane mago si accesero di un rosso-oro intenso e si riempirono di lacrime consapevoli di quello che sarebbe accaduto di lì a poco.

Non era morto, ma aveva ucciso il rapporto che con tanta fatica si era costruito tra lui e il principe.

Merlinò piangeva mentre senza rendersene conto si liberava dalle corde che lo tenevano fermo.
Artù invece lo guardava attonito boccheggiando, con lo sguardo di chi ha capito ma non vuole capire. Con gli occhi carichi di una cocente negazione. Anche le sue corde erano sparite.

Non stava accadendo, non era possibile.

Le lacrime ormai rigavano il volto scarno del mago che si era messo in piedi.

Tutto attorno a lui il rumore degli uomini che correvano nella sua direzione e dello stregone che gridava ordini. Ma merlino non li udì.
Era come se tutto fosse ovattato, come se si trovasse dietro una campana di vetro e i suoni e le immagini gli arrivassero in ritardo.
Non dovette impegnarsi, fu la disperazione a guidare il suo corpo. Alcune parole dell’antica lingua proruppero dalla sua bocca e tutto attorno a lui fu luce. I corpi degli uomini caddero a terra con un tonfo, le armature vuote.  E l’unica cosa che distinse chiaramente prima della luce abbagliante furono le perle che traslucide colavano dagli occhi del suo principe.
Non era rimasto nessuno se non lo stregone.

-Chi…chi sei tu?- per la prima volta nel tono di quell’uomo era presente una nota di paura, la sua domanda non esigeva onestà, o forse questo non aveva effetto sul mago.
Merlino ci pensò un po’ prima di rispondere, poi alzò lo sguardo e tentando così di rassicurare il suo principe rispose alla domanda dello stregone con fermezza.

-Il suo servitore e suo più caro amico-

Il mago si pulì istintivamente il viso con la manica della tunica logora che portava sempre, le lacrime gli avevano appannato la vista e lui non voleva vedere più nulla di tutto quello che lo circondava.

Lo stregone colse l’occasione al volo, in un lampo gli fu sopra menando un fendente con quella che sembrava una lama fatta d’acqua.
Merlino non ebbe il tempo neanche di sgranare gli occhi, il colpo fu più veloce del previsto.
Con un tonfo il mago fu a terra, trafitto mortalmente dalla lama che gli era stata lanciata contro.

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Capitolo 4
*** 4. Pensieri ***


I personaggi di questa storia ovviamente non mi appartengono


Stavolta il commento lo inserisco alla fine della storia per motivi pratici … spero non vi dispiaccia xD

Alla ricerca dei cavalieri di camelot 

quarta parte


Una pozza di sangue scuro iniziò ad allargarsi sotto di lui.
Merlino un po’ scosso ma riconoscente guardava in direzione di chi aveva lanciato l’arma. Artù.

Sembrava che quel combattimento avesse affaticato più il principe del mago. Aveva il fiatone, era comeuna preda braccata mentre semichino sulle sue ginocchia riprendeva fiato.

Fu chiaro conciso ma soprattutto freddo.

-prendi quello che puoi recuperare e andiamocene da qui-

Se per un istante, le lacrime, avevano smesso di sgorgare dal suo volto, convinto che non fosse tutto perduto e ancora di più che forse tutto quanto poteva risolversi, dopo quelle parole indomabili, ripresero a scorrere silenziose lungo li zigomi sporgenti fino alle labbra.
Il sapore delle lacrime era amaro, Merlino piangeva immobile, in silenzio, come se quella realtà non gli appartenesse, come se in fondo tutto quello che gli era appena successo intorno non stesse realmente accadendo.
Artù l’aveva guardato solo per un istante, un istante per comunicargli quella che suonava troppo come un ordine e poco come una sbrigativa affermazione. Il suo volto era asciutto.

Non sapeva perché, ma desiderava che, così come il suo cuore era spezzato, lo fosse anche quello del suo principe.  Ma evidentemente non era così.
E allora cosa era successo? Perché prima che eliminasse con la magia quella marea di uomini aveva visto il volto del ragazzo brillare?
Era sicuro, ne era certo, il principe aveva pianto, aveva versato forse due lacrime, ma non era possibile che fosse rimasto così freddo e impassibile. Perchè l’aveva fatto?
 Quello che doveva essere solo un viaggio alla ricerca di un paio di uomini si era in breve trasformato in un incubo.

Perso nelle sue riflessioni, mentre ancora le lacrime sgorgavano a litri dai suoi occhi, Merlino quasi non si accorse che Artù si era voltato e si avvicinava ai cavalli degli uomini per potersene andare.
Gli corse dietro.
Un po’ imbarazzato si asciugò gli occhi, ma continuava a non capire. Non voleva farsi vedere in quello stato, Non era giorno quello perché altri segreti venissero rivelati, però non poteva fare a meno di avvicinarsi al suo principe, non poteva fare a meno di tentare.

-Artù…- Pronunciò quel nome con tono incerto, non sapeva quale potesse essere la reazione del biondo, ed era sicuro che uno scatto d’ira non fosse auspicabile.
-Ti prego di seguirmi in silenzio, stiamo ritornando a Camelot- La risposta venne prima ancora che Merlino avesse terminato di pronunciare il suo nome. La voce era fredda, come se quelle informazioni, così fondamentali non le avrebbe mai tirate fuori spontaneamente, come se volesse limitare al minimo il contatto con il mago.

Merlino finì di asciugarsi il volto e sperando per il meglio corse a prendere due spade dall’accampamento.
Solo in quel momento si accorse di quello che aveva fatto.
Tutto intorno al punto in cui era stato quasi decapitato era terra bruciata, i tronchi degli alberi erano carbonizzati in quella direzione, e  a intervalli irregolari le armature dei soldati stavano come gusci vuoti tra le foglie ridotte in cenere.

Tutto ciò lo spaventava, e probabilmente aveva spaventato anche Artù. Aveva sempre saputo di avere un grande potenziale, ma la verità era che non ne aveva libero accesso.  Era come se in quel momento, la paura, la disperazione e il dolore fossero usciti sotto forma di fiammata dal suo corpo investendo tutto quello che c’era attorno.
L’unico cadavere per così dire integro era quello dello Stregone.
La veste un tempo giallo pallido si era colorata del suo sangue. Sul volto l’eterna espressione di un uomo terrorizzato. Le pupille ancora dilatate sembravano avere in loro impressa la luce abbagliante scaturita dal corpo del giovane mago.

Un brivido corse lungo la schiena di Merlino.
Artù era già in sella, e si stava lentamente allontanando. I cavalli miracolosamente illesi, proprio come lui, sembravano capirlo nel suo disappunto e strisciavano i passi in quella che sembrava la sfilata di un condannato a morte verso il patibolo.

Merlino corse a raccogliere un paio di provviste appese a delle strutture in legno vicino a quelle che dovevano essere le tende e salì con qualche difficoltà sul cavallo, pronto a seguire in silenzio il suo principe e a lasciarsi alle spalle quella carneficina.

Come era possibile? Artù aveva la gola secca, le uniche parole che aveva pronunciato dopo aver lanciato il più disperato grido della sua vita le aveva dette a quel mago, quel traditore, ma ancora, come era possibile?
Chi diavolo era Merlino?
Artù aveva sempre saputo che qualcosa non andava in lui, aveva sempre percepito una sorta di mezza verità.  Ma non avrebbe mai pensato una cosa simile.
La magia, era cresciuto detestandola, aveva imparato a temerla ad odiarla ed era convinto anche a combatterla.
Sebbene in cuor suo non fosse tipo da condannare a morte una persona solo perché seguace di un altro credo, le idee di suo padre, le idee di Uther erano salde in lui.

Spesso aveva riflettuto sul perché di quella guerra mossa con tanta veemenza contro chi non sempre poteva difendersi, ma saltuariamente incontrava gente che della magia aveva fatto il proprio cammino verso il male. Allora tutti i buoni propositi cadevano. La magia era il male.

Eppure Merlino, forse in maniera anche eccessiva gli era sempre stato vicino… aveva sempre fatto tutto quello che in qualità o di principe o di amico gli aveva chiesto. Si era sempre mostrato leale, un po’ chiacchierone forse, folle…eppure a tratti era in grado di tirare fuori una saggezza fuori dal comune.
Quante volte lo aveva preso in giro per questo.

I due erano a cavallo. Artù davanti a far da guida e Merlino con aria mesta lo seguiva in silenzio qualche metro dietro. Il principe pianse, una lacrima, una sola.

Sarebbero tornati a Camelot e lì avrebbe consegnato Merlino a suo padre, Uther. La sentenza era stata emessa.

Eppure come era possibile che in quei 2 anni passati insieme non se ne fosse mai accorto ? possibile che quella fosse la prima volta che la usava…? No, era stata troppo potente, troppo maestosa per essere il frutto di un mago inesperto.
Avevano covato la serpe in seno senza saperne nulla.
La consapevolezza arrivò in un lampo, un fulmine a ciel sereno, potente e terribile che quasi cadde dal cavallo.
Come un film episodi e pezzi di vita, della sua vita iniziarono a passargli insistentemente davanti, morti scampate in maniere inspiegabili, salvataggi mirabili, miracoli avvenuti in camelot e fuori. E ogni volta Merlino era lì.
Sempre con lì, accanto a lui con quell’aria falsamente innocente.

Lance volanti, grifoni uccisi, bestie erranti sconfitte, ogni pezzo del puzzle ritornava al suo posto. Merlino era quella presenza che aveva percepito ma che mai aveva compreso … Merlino era quello che doveva ringraziare se era sopravvissuto fino ad allora.

Però anche Morgana era una strega, anche di lei ci si fidava … e tutto questo aveva portato alla disfatta di Camelot.
La testa di Artù sarebbe scoppiata di lì a poco.

Senza pensare all’idea che potesse dare al suo servitore, e ora prigioniero, si portò una mano alla tempia che gli doleva per lo sforzo fatto cercando  una spiegazione plausibile, una soluzione.
Merlino lo vide, ma preso come era dai suoi di pensieri non comprese il gesto.

Un'altra  domanda sorgeva spontanea: perché aveva gridato? La morte del suo servitore avrebbe potuto garantirgli un diversivo, permettergli di mettersi in salvo… ma forse questo non era da lui. Però quanti uomini aveva visto morire in battaglia, quanti erano morti sotto i suoi occhi senza che nessuno potesse fare nulla, men che meno lui ?
Per nessuno di loro si era mai sentito straziare dentro come quando aveva visto la lama calare sul collo del giovane moro. Non era successo, è vero, ma si sa’, quando si teme per qualcuno si hanno sempre le visioni più terribili, anche per i pericoli più banali.
Merlino era un amico la soluzione doveva essere quella. Ma quanti cavalieri non potevano dire lo stesso? Merlino doveva essere qualcosa di più… una sorta di fratello…e ora lo avrebbe condannato a morte lui stesso.
Ma del resto che poteva fare? Era un mago! Erano stati banditi dal regno, perseguitati e uccisi fino all’ultimo, dove era la giustizia in questo?
Artù continuò per qualche miglio in questo modo, poi, a causa del tramonto fu costretto a fermarsi.

La prima giornata di viaggio era finita. Nata nel silenzio della tristezza, e finita in quello dell’odio.

Merlino dietro di lui lo seguiva come un cagnolino fedele, troppo spaventato per parlare troppo abbattuto anche solo per pensare.

Si sarebbero accampati lì, una piccola radura circondata da alberi. Le foglie avrebbero costituito un giaciglio morbido, e forse entrambi sarebbero riusciti a fuggire ai loro pensieri.
Artù non disse nulla, non fece nulla, semplicemente scese da cavallo lo legò ad un albero, distese il mantello per terra e vi si stese su un fianco rivolto verso il folto della foresta.
Merlino che l’aveva osservato in sella al suo cavallo aspettò alcuni minuti prima di fare titubante lo stesso.
In quel momento avrebbe voluto stringere il principe, sfiorarlo, anche solo poterlo carezzare. Fargli capire che lui era lì, che era sempre lui… ma poi si rese conto che anche prima che la sua magia venisse rivelata non aveva certo quel tipo di libertà.
Il pensiero di ciò lo rattristò, non sapeva come comportarsi. Non voleva credere che tutto quel disprezzo e quella freddezza che riusciva a leggere nei comportamenti del principe fossero solo per la magia. Ma non voleva neanche pensare che si trattasse di una sorta di tradimento per lui.

Così, ancora più titubante, si distese tra le foglie raggomitolandosi portando le ginocchia al petto, lui non aveva coperte o mantelli, le loro provviste e i loro averi erano andati perduti insieme ai cavalli e per il momento la situazione era un arrangiamento di fortuna.
Lo stomaco di merlino emise un brontolio profondo. Aveva anche fame, ma non osava mangiare. Tutto attorno a lui lo metteva a disagio. Quella sarebbe stata una lunga notte.

Girò il capo verso l’alto e vide la sfera celeste che iniziava ad arricchirsi di punti luminosi ricamati con una precisione casuale nelle sue volte. Il sonno lo raggiunse in fretta mentre pacificamente pensava al respiro di Artù che si faceva sempre più ritmico.
Il suo petto si alzava e si abbassava, e con quell’immagine in testa si addormentò.

 

 

Salve a tutti… ovvero salve a quelle quattro persone che con tanta bontà mi leggono, ecco un'altra parte della storia più intricata e contorta di Albion :)
L’inizio di questa parte l’ho scritto mentre scrivevo il pezzo precedente, perché in un certo senso volevo dare un po’ di fluidità e lasciare spazio al dubbio.
Chi è il mago che è stato colpito?
Perché non Merlino? A questo punto avrei potuto scrivere due storie alternative… ma meglio evitare di sobbarcarsi ulteriormente di lavoro xD
Cmq spero che questo capitolo piuttosto introspettivo non vi abbia annoiato, diciamo che dopo l'azione caotica di quello precedente questo era necessario :)

Sperando di non avervi angustiato e che sia stata una buona lettura, grazie a chi mi segue e buona nottata :)

Colgo l'occasione per ringraziare Chiby Rie_chan per i suoi complimenti davvero  molto graditi :)
Lasciate un commento ogni tanto perchè mi fa  piacere leggere cosa ne pensate :) e  poi posso cogliere l'occasione per migliorare ù_ù

P.s. Fortunatamente l'estro per la scrittura di storie tipo quella di Twilight e Van Helsing mi è passato xD


Nick

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Capitolo 5
*** 5. L'erba cattiva non muore mai ***


I personaggi di questa storia ovviamente non mi appartengono
 
Salve a tutti!
E dopo l’assenza di un giorno oggi mi appresto a proseguire la mia storiella.
Voglio essere onesto oggi non sono particolarmente ispirato … anche perché diciamo che avendo già in testa la storia questa parte non mi piace troppo. Ma va scritta, e spero non vi annoi troppo

Colgo l’occasione per Ringraziare le mie quattro appassionate Lettrici (ok quanta libertà che mi sono preso xD) che con tanto masochismo continuano in questa impresa.
Grazie dei vostri commenti e del vostro supporto… spero di non deludervi :)
E con questa speranza vi lascio alla lettura… buon divertimento.
Nick

p.s. mi sono accorto di aver fatto un casino con il codice sia in questo capitolo che nel secondo, se qualche anima pia sapesse darmi indicazioni in merito gli sarei veramente molto grato…

Alla ricerca dei cavalieri di camelot

Quinta parte

 

Era il crepuscolo quando tra le foglie secche e bruciacchiate una sagoma, ridotta a niente altro che un ombra, lanciò un sibilo acuto, come di un uomo tenuto troppo a lungo sott’acqua. La figura nella sua tunica iniziò a muoversi convulsamente prima che le braccia, una e poi l’altra, iniziassero a frugarsi freneticamente adosso. La mano destra stretta sul petto dove, oltre la veste si intravedeva un grosso squarcio. La sinistra arrancava nella terra in cerca di qualcosa.

Finalmente sembrava averla trovata. Ansante si portò quelle che sembravano foglie secche e terra al petto, esattamente sopra lo squarcio. Con uno sforzo enorme e con un evidente espressione sofferente in volto premette quell’inspiegabile rimedio dentro la ferita.
Senza fiato iniziò a ripetere sempre più velocemente alcune parole non molto chiare, finché la ferita non prese a brillare di una luce rossastra. Finalmente riprese a respirare.
-…sono morti- furono le uniche parole che disse. Erano cariche di astio e non si era ancora rimesso in piedi mentre le pronunciava.
Si tirò su e cercando di ritrovare per se stesso quel poco di dignità che gli rimaneva si stirò la veste con cura. Poi la sua vendetta ebbe inizio.
Strappò uno dei bastoni di legno che reggeva una specie di staccionata costruita per l’accampamento.
Si spostò all’incirca al centro delle bruciature che nel giro di alcune ore avevano consumato i giovani alberi facendoli cadere definitivamente creando un ampio spazio. La piccola radura era abbastanza larga per quello che gli serviva, pensò.
Tracciò un cerchio tra le foglie utilizzando il bastone, poi, utilizzando il pugnale che gli pendeva dalla cintola raccolse alcune gocce del suo stesso sangue dalla tunica e le fece cadere al centro del cerchio. Ne uscì fuori mentre con aria soddisfatta ammirava il suo lavoro.
Sollevate entrambe le mani al cielo iniziò a intonare una cantilena. Non erano suoni umani, ma non parevano appartenere neanche alla lingua antica. Era come se la sua magia personale comprendesse il comando, il comando che riusciva a impartire alla sua stessa voce.
Al centro del cerchio di foglie una piccola spirale iniziò a sollevare i detriti e la cenere, mentre le gocce di sangue si sollevarono attratte da un invisibile campo di forza che le faceva rotare vorticosamente insieme al resto.
Terra e rami, foglie e cenere iniziarono a girare tra loro mischiandosi e avvicinandosi sempre più. A un certo punto tutto fu chiaro. Una figura maestosa imponente e spaventosa venne fuori dalle ceneri della magia di Merlino. Era una sorta di cavalcatura. Più simile ad un leone che ad un cavallo.
Lo stregone sorrise soddisfatto prima di piegarsi in due per una fitta di dolore all’altezza del petto.
Sputò. Sputò a terra ed era sangue. Con gli occhi iniettati di odio e l’espressione contrita volse lo sguardo alla creatura, pronto a cavalcarla.

La foresta stava svanendo. O forse erano gli occhi del mago che si chiudevano sempre di più.
Voleva concludere quella giornata, voleva chiudere per sempre e non ripensarci mai più, forse era stato tutto un sogno. Forse quello in cui stava cadendo adesso, l’oblio, non era altro che la sveglia. Si lo sapeva, si sarebbe svegliato nel suo letto a Camelot e si sarebbe reso conto che niente di tutto ciò era accaduto.
E invece no, sentiva il freddo della foresta nelle ossa, il vento tra i rami lo spaventava. Non era un fifone, no, però in quel momento tutte le sue certezze erano venute meno, la sua ragione di vita lo odiava. Il destino che gli era stato promesso era rovinato per sempre.
E per cosa ? lo avevano solo preso in giro. Gli era stato detto che avrebbe condiviso il fato con Artù, ma, se non si fosse salvato la testa quel pomeriggio sarebbe morto, lì, e che destino avrebbe avuto? E ora che aveva usato la magia però Artù probabilmente lo odiava e tutti i suoi progetti e i suoi sogni erano svaniti in uno sbuffo di fumo...
Un soffio di vento freddo lo raggiunse all’improvviso facendogli correre brividi  lungo la schiena.
In quel momento si accorse che i rami non erano l’unica cosa che poteva sentire. Riusciva quasi a vedere Artù che non trovava pace nel suo mantello, quell’immagine lo fece sorridere. Forse era odiato, forse no… però avrebbe rifatto tutto quanto anche mille volte per avere quell’intimità, anche se limitata, con il suo principe che, grazie a Dio, almeno stava bene.

Correva in una grotta buia, non ricordava esattamente di esserci entrato, ma sapeva di essere in cerca di qualcosa. La spada al suo fianco cozzava tintinnando con l’armatura, e questo lo infastidiva. Si fermò per guardarsi meglio intorno. Non capiva, era sicuro di essere entrato in quella caverna alla luce del sole, eppure ora era tutto buio nonostante in alcuni punti la grotta avesse delle aperture che davano su quella che doveva essere una volta stellata. Accanto a lui c’era una donna.
Era bellissima, gli occhi di un blu intenso sembravano mandare riflessi di cielo anche in quel luogo tetro. Il corpo, perfetto, era fasciato in un vestito lungo, rossastro che ne sottolineava le forme perfette e contrastava piacevolmente con il suo pallore.
A completare il tutto vi erano lunghe ciocche di capelli neri che incorniciavano un volto troppo perfetto per essere umano.
La dea si avvicinò a lui con un sorriso malizioso stampato in volto e, senza proferir parola, gli indicò sulla parete rocciosa oltre il dirupo una piccola pianta dai fiori di un arancio così vivo che sembravano emanare luce propria.

Si girò a guardare la dama per capire quale fosse il suo compito. Comunicavano con lo sguardo, lui capì. Ma la terra sotto i suoi piedi iniziò a tremare. Tutto tremava. Il piccolo istmo di roccia sul quale sostava cedette lasciandolo cadere nel vuoto.
I suoi riflessi e il corpo allenato gli permisero quello che non tutti sarebbero stati in grado di fare. Riuscì a saltare proprio all’ultimo,  arrivando così sull’altra parete di roccia.
in quel momento percepiva la sofferenza di qualcuno ma non sapeva identificarla. La donna intanto sempre sorridendo si era voltata e si era addentrata nelle grotte lasciandolo lì, solo.
Ebbe paura, era tutto buio ma alla luce delle stelle individuò alcune creature, degli enormi ragni che correvano sulla parete. Sapeva che sarebbero arrivati.
Doveva prendere il fiore, ne aveva bisogno. E doveva fuggire di lì.
All’improvviso una sfera di luce si materializzò dal nulla. Per alcuni istanti Artù la guardò. Era bella, calda, la sua luce aveva una dolcezza che non sapeva spiegare. Non la percepiva coi sensi ma, buffo dirlo, con il cuore. Più la guardava e più sapeva che in quel momento doveva ricordare qualcuno, ma non capiva chi, era troppo confuso.
Il globo di luce iniziò a levitare si stava allontanando. Il principe voleva raggiungerlo e come rinvigorito iniziò a scalare la parete rocciosa mentre lo zampettare dei ragni si faceva sempre più vicino.
La luce sembrava non volersi allontanare da lui, Artù capì, era una specie di guida. Lo portò dalla pianta e il ragazzo di istinto ne raccolse un fiore con alcune foglie, poi come per magia trovò una strada che stretta si inerpicava sul muro fino a quella che doveva essere un’apertura.
La luce sembrava riempirlo di nuove forze, quel calore e quella speranza… avrebbe detto amore, lo guidavano e lo sorreggevano come mai nessuno aveva realmente fatto.
Finalmente riemerse dalle profondità della terra, era salvo.

Così come era uscito dalla grotta, era anche uscito dal sonno ridestandosi di soprassalto. Seduto sul mantello si guardò attorno un attimo sperduto. Si guardò le mani cercando il fiore come per darsi una spiegazione, ma non trovò nulla.
Poi ricordò. Ricordò il giorno in cui Merlino era stato avvelenato, e pianse. La luce non poteva che essere lui.
Era davvero sicuro di essere stato tradito? Era la magia tutto questo male? Non riusciva a trovare una risposta. Forse sarebbe stato lui a tradire l’altro. L’avrebbe consegnato a suo padre, non poteva fare altrimenti, erano rimaste poche ore di viaggio e non c’era altra via, il senso del dovere lo divorava.
Con una piaga nel cuore per quello che stava per fare si stese nuovamente coprendosi con il mantello. Questa volta si mise dall’altro lato, diede le spalle alla foresta e volse lo sguardo al giovane mago che dormiva qualche metro più in là.
Divorato dai sensi di colpa e trovando pace solo nella tenerezza dell’immagine di Merlino, si riaddormentò.

Entrambi furono svegliati di colpo. Un grido disumano e un terribile senso di angoscia investirono i due viaggiatori all’improvviso.
Abbattendo alcuni alberi come se fossero fuscelli, una bestia enorme e nera, che sembrava fatta della stessa sostanza dei boschi ma ben più letale, emerse dalla foresta.

Sul suo dorso stava, stravolto dall’odio e scomposto dalla gioia del poter vedere la propria vendetta compiersi, lo stregone; lo stesso stregone che Artù aveva ucciso scagliandogli contro la spada.
- E ora voi…morirete- c’era qualcosa di tremendamente sbagliato, di insano nelle parole di quell’uomo, sembrava la sua mente fosse stata completamente avvelenata dalla follia.
Merlino e Artù si alzarono in fretta arretrando di qualche metro. Gli occhi spalancati fissi sulla creatura e sul suo creatore. Involontariamente si urtarono e per un attimo distolsero l’attenzione dal mostro.
Quello non sembrava aver fretta. Con un balzo lunghissimo il mago fu a terra.
Non dovette parlare, gli bastò sfiorare la sua bestia per comunicargli le sue intenzioni. Gli occhi gli si illuminarono di rosso e un sorriso terribile gli comparve sul volto, prima che il mostro si avventasse su Artù.
Il principe scattò immediatamente sulla destra mentre inconsciamente controllava con la coda dell’occhio che Merlino non corresse alcun pericolo.
Lo stregone si avvicinò allora con passo lento al mago. Il principe e la sua creatura si davano battaglia alla loro destra e loro due si preparavano a uccidersi sulla sinistra.

Merlino indietreggiò di alcuni passi mentre il pazzo guadagnava terreno.
Ebbe la sfortuna di incontrare un albero sul suo cammino e fu letteralmente con le spalle al muro.
Guardò prima a destra e poi a sinistra; non sapeva cosa fare. Si accorse che il principe, ripresosi dalla notte forse non troppo tranquilla stava riuscendo ad evitare la maggior parte degli attacchi del mostro. Ma non riusciva ad attaccare a sua volta, e questo non era un bene, affatto.
-E me che devi guardare!- gli gridò contro lo stregone mentre una palla di fuoco gli mancava di qualche millimetro l’orecchio.
Merlino si rese conto di non avere altra scelta. Odiava uccidere, specialmente la gente del suo stesso genere, ma non poteva fare altrimenti. Guardò fisso avanti a se e capì di avere più di qualche chance.
Approfittando dell’apertura offerta dall’attacco precedente si affretto a richiamare il più semplice dei suoi incantesimi. Poche parole e lo stregone fu sbalzato svariati metri più indietro.
Una risata malata sovrastò i rumori della foresta. Persino la bestia tacque per qualche secondo.
-TUTTO QUI?- Lo provocò allora lo stregone.
Merlino aveva un espressione triste, la follia aveva divorato l’anima di quell’uomo, forse la morte era davvero l’unica soluzione, anche se questo voleva dire ergersi a giudice.
Un'altra apertura, lo stesso incantesimo di prima e l’uomo venne sbalzato violentemente indietro di qualche metro, stavolta però ad accoglierlo non ci furono le foglie.
Il combattimento lo aveva spinto fino al limitare della radura portandolo a frapporsi fra Merlino e il tronco di un albero.
Un grosso ramo spezzato poi aveva coronato il tutto. E ora l’uomo pendeva lì, morente, infilzato a morte da un tronco che sicuramente non aveva neanche considerato.
Merlino si avvicinò in tempo per sentirlo sussurrare gli ultimi spergiuri.

In fondo la pazzia lo aveva reso solo un avversario più inquietante, certamente non più sveglio, ma apparentemente non era finita lì.
La bestia non si era dissolta così come aveva sperato Merlino, anzi, continuava fiera a dar battaglia al principe.
Come colto da una secchiata d’acqua fredda in testa il mago corse in direzione del suo signore visibilmente preoccupato.
non appena fu a portata di sguardi però, il ragazzo gli lanciò un occhiata eloquente.
-Artù…- iniziò il mago. Sperando di poterlo avvicinare senza scatenarne le ire.

-NON TI PERMETTERE DI USARE LA MAGIA- lo zittì il principe che tentava di proteggersi da una zampata del mostro.

Ma aveva fatto male i conti, altri due assalti e il principe fu con le spalle al muro. Merlino ormai non poteva farci niente.
Il suo segreto era stato svelato, aveva ucciso un mago e chissà quanti uomini in una sola giornata, avrebbe potuto disobbedire a un ordine senza tanti problemi. Era per il suo bene…
Certo di questo fece la prima cosa che gli venne in mente.
Tutti gli attacchi del principe erano stati vani, ricordò che una cosa simile era accaduta con un grifone qualche tempo prima e decise di provare lo stesso incantesimo.
La sua voce risuonò per tutta la radura mentre evocava la magia sulla spada di Artù.

La faccia del principe si riempì di disgusto mentre stupito sferrava una stoccata alla creatura esattamente nel petto. Dalla ferita fuoriuscirono fango terra e melme indicibili. Ma la spada aveva qualcosa che non andava, era come avvolta da fiamme multicolor pur non bruciando. Colto alla sprovvista lasciò cadere l’arma stranito, mentre questa portava con se anche la bestia ormai sconfitta. Lanciò un occhiataccia a Merlino e si preparò ad affrontarlo.
-Ti avevo detto di non usare la magia- gli urlò contro.
Il mago stava per difendersi ma Artù non glielo permise.
-non voglio sentire altre storie prendi la tua roba e andiamo a Camelot, hai tradito il tuo regno e hai disobbedito a un ordine, ora…-
La voce del principe venne meno, Merlino avrebbe voluto chiedere cosa sarebbe successo ora, ma se Artù non l’aveva detto forse non era il caso di provocarlo ulteriormente.

Inconsapevole di quello che lo aspettava a Camelot, Merlino decise di seguire il principe senza piantare troppe grane, sperando ancora di poter riconquistare la sua fiducia.
Si accorse che il principe era ferito in più punti, ma appena accennò a qualche cura quegli gli gridò contro di sbrigarsi.

 

 

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Capitolo 6
*** 6. Svolte ***


Bien, buona domenica appassionati lettori di pezzi poco proponibili!

 Sono qui a scrivere e a chiedere in realtà venia per quel che ho detto ieri ma che non ho fatto… scrivere il capitolo xD
Purtroppo sono stato chiamato da alcuni… imprevisti e alla fine il programma della giornata è saltato …. Mi sento molto Merlino che è costretto ad andar sempre e comunque quando Artù chiama xD
Bene non voglio annoiarvi oltre. Questo capitolo dovrebbe essere abbastanza interessante per la storia, come ho deciso di intitolarlo, infatti, contiene una sorta di … svolta.
Per ovvie ragioni che scoprirete più avanti ci sarà un ritorno di personaggi e forse non dedicherò il giusto spazio a tutti quanti, ma i protagonisti in fondo li conoscete ù_ù
E diciamo che voglio anche approfittarne per prendermi qualche soddisfazione…
Bene, io scrivo e voi leggete (spero xP) e ci sentiamo presto…. Buon divertimento!

Nick.

Alla ricerca dei cavalieri di Camelot
sesta parte

Il viaggio di ritorno fu davvero snervante. Non erano molto lontani da Camelot, eppure ci misero almeno due ore in più del dovuto per raggiungerla. Artù, che guidava la fila in silenzio, sembrava aver deciso di non parlare più.
Prima di allontanarsi dal loro semplice accampamento, divenuto poi campo di battaglia tra maghi e cavalieri, il principe si era avvicinato alla bestia per assicurarsi che fosse definitivamente morta.
Lo era. Con timore poi aveva raccolto la spada ancora avvolta da fiamme azzurrine. Non era calda, o meglio, non bruciava, ma emanava un tepore piacevole. Se ne sentiva attratto in una maniera incredibile, e se mai avesse dovuto provare a descrivere quella sensazione, l’unica parola che gli sarebbe venuta in mente sarebbe stata “benefica”. Quella fiamma era fatta di  sentimenti dolci  e bontà allo stato puro.
Ma era anche la magia. Il male.
Senza rendersene conto rinfoderò l’arma e si allontanò dal mostro. Ad attrarlo era stato il corpo dello stregone che penzoloni stava appeso a un tronco di pino, infilzato a morte da uno dei grossi rami bassi spezzato da chissà quale animale.
Aveva visto numerosi morti in battaglia. Le ferite più macabre le aveva addirittura dovute medicare alla meno peggio, eppure niente era comparabile al disgusto e al terrore che stava provando in quel momento.
Chi era Merlino?
Era davvero così potente?  Per un attimo l’idea di quel potere al suo servizio lo distrasse, poi, più inorridito di prima si ritrasse e, distogliendo lo sguardo dal cadavere, andò verso i cavalli e montò in groppa, assicurandosi, con la coda dell’occhio, che il mago lo seguisse.
Uther lo avrebbe giudicato.
Artù era sconvolto e spaventato, Merlino non poteva fare a meno di pensarlo. Fosse stato un viaggio normale, in momenti come quelli, il mago avrebbe provato a tirargli su il morale, avrebbe detto qualcosa; lo avrebbe punzecchiato. Ma aveva la gola secca come chi non ha parlato per troppo tempo e non riusciva a sbloccarsi, per alcuni momenti boccheggiava con un espressione vaga e poi, abbassando lo sguardo, semplicemente taceva.
Era più che consapevole che in casi come quello avrebbe potuto finire per peggiorare solo la situazione.
Ma perché stavano tornando a Camelot? Non potevano semplicemente proseguire il viaggio?
In fondo per un motivo o per un altro, da quando erano partiti, il principe aveva aperto bocca si e no cinque volte, cosa era successo?


A risvegliarlo dai suoi pensieri furono le torri di Camelot. Bianche e imponenti svettavano contro il cielo luminoso a tratti abbagliante
Aveva alzato gli occhi solo per un attimo, eppure fu certo in quel momento di aver incontrato lo sguardo del futuro re di Camelot. Ma non vi aveva letto preoccupazione… interrogativi, no. Semmai vi aveva visto del sospetto.
Merlino non capiva, ma un presentimento strano gli faceva attorcigliare le budella.
Finalmente arrivarono sotto le mura. Le guardie riconosciuto il principe e il suo servitore cedettero il passo dischiudendo le alabarde. Tutto intorno a loro la vita prese forma sotto il vario aspetto di voci grida e risate. Erano tornati.
Percorsero la città bassa in silenzio, sembrava che sui due gravasse una sorta di cappa nera e impenetrabile. Anzi forse è più corretto dire che su Artù quella nuvola di male si era posata con prepotenza, e che questa infettava tutto ciò che gli stava attorno.
Arrivati alla base della grande scalinata della cittadella i due scesero da cavallo. Merlino stava raccogliendo la sua roba prima che le bestie venissero portate nella stalla, doveva allontanarsi dal principe per il suo stesso bene.
Così il ragazzo si avvicinò esitante al biondo.
-Artù…- iniziò  -Io devo andare…a vedere Gaius, è importante…- Finalmente era riuscito a parlare. Il nome del principe era come miele nella sua bocca. Detto quello tutte le altre parole vennero giù senza troppa esitazione.
Artù a quella richiesta rimase per qualche secondo interdetto, alla fine acconsentì con un cenno del capo non troppo accomodante.


In realtà non aveva niente da dire a Gaius, ne aveva intenzione di raccontargli cosa era successo in quei due giorni di viaggio.
Voleva solo andare nella sua camera e buttarsi sul letto per pensare, ne aveva bisogno.

Così, mentre si dirigeva verso lo studio del medico, il mago non poté che chiedersi con amarezza quanto il silenzio ostinato del principe sarebbe durato.

Appena aprì la porta il vecchio alzò gli occhi e lo guardò con stupore. –E tu che ci fai qui?- andò per chiedere. Merlino in tono sbrigativo rispose che il viaggio aveva incontrato degli intoppi e che avevano avuto la necessità di ritornare a Camelot per degli… accertamenti.
L’uomo non era convinto ma decise di non indagare ulteriormente, così  Merlino convinto di averla fatta franca corse nella sua stanza dove letteralmente si buttò sul letto.


Si voltò a guardare il soffitto, il bianco dell’intonaco gli faceva girare la testa, ma in quel momento era il perfetto riassunto della sua vita.
Aveva passato ben due Anni a tentare di costruire quello che alcuni avevano detto essere il suo destino;  in corso d’opera si era anche ritrovato a fronteggiare ciò che non poteva fare a meno di chiamare “amore”, e l’ignaro destinatario di tutto ciò era il Principe, il suo principe.
Eppure non riusciva a spiegarsi come una cosa del genere fosse possibile, in soli due giorni, tutto era crollato. Le sue incredibili acrobazie per raggiungere il cuore dell’uomo che credeva di amare non erano servite a nulla.
La sua unica vera caratteristica, la Magia, gli aveva fatto perdere tutto. Ma non riusciva ad incolpare di questo la religione antica.
La colpa di tutto ciò era di una persona sola, Uther.
Come era possibile, in una vita sola, inimicarsi così tanta gente?

Il re era stato in grado di distruggere quello straccio di rapporto che aveva con la figlia, di farsi temere da un figlio che forse lo amava più di quel che meritava, e di crearsi moventi perché la gente desiderasse di assassinarlo in ogni parte del paese.

Aveva inculcato l’odio per le arti magiche nelle menti dei suoi figli, e del suo popolo e i frutti di questo erano stati evidenti.
La grande epurazione, alla fine, non era altro che uno degli sbocchi di quella campagna contro chi peccava solo nell’essere diverso. Il tradimento di Morgana infatti, non era che un’altra manifestazione dello stesso odio.

La stregoneria aveva portato più male in quei vent’anni che non in secoli di esistenza,  e quel male lo aveva portato solo a chi la praticava.
Al pensiero di avergli salvato la vita innumerevoli volte, Merlino ebbe un moto di disgusto. Ora come ora, lo avrebbe volentieri ucciso, certo che questo avrebbe posto fine all’era di Uther per dare iniziò a quella di Re Artù, ma sapeva di non poterlo fare. Semmai una cosa del genere fosse accaduta l’odio sopito che Artù portava alla magia e chi la praticava sarebbe stato suggellato per sempre condannando chissà quanti poveri innocenti a morte certa.
Ormai lo sapeva. L’unica ragione valida che il re avesse per detestare tanto le antiche arti era stata la morte di Igraine, sua moglie, per mano di Nimueh, giudice e bilancia dell’antica religione.
Ma lui sapeva che per avere una vita bisognava pagarne un'altra, ogni cosa ha un prezzo e Artù gli era costato la vita della sua donna. A quel pensiero il volto contratto di Merlino si lasciò andare in un espressione più dolce. Sapeva di chi era quella vita, solo Artù ormai, figlio stesso della magia,  non lo sapeva.
C’erano stati tempi in cui quel re barbaro non era stato poi così malvagio. Il suo popolo lo amava e lo acclamava, e dalle terre che aveva conquistato lo rispettavano senza troppo rancore, ma ora…

Un rumore improvviso lo distolse dal flusso dei suoi pensieri. Sembravano vetri infranti. Si tirò su di scatto chiedendosi cosa fosse accaduto. Gaius non c’era, era uscito per consegnare delle medicine, lo aveva sentito aprire la porta. La piccola stanza fu aperta di colpo, e con gli occhi bassi entro un Artù che il mago non aveva mai visto.
Forse finalmente si era deciso a parlare, ma probabilmente era troppo orgoglioso per farlo si disse il mago.
Merlino si alzò dal letto, punto nel vivo. Non voleva che il principe pensasse fosse un pigrone, cosa che gli veniva detta spesso da un po’ tutti.
-Principe…vi serve qualcosa?- fece Merlino un po’ incerto non riuscendo a decifrare lo sguardo del suo signore.
-Merlino…io…- rispose l’altro pur non rispondendo affatto alla domanda che gli era stata posta.Era tutto così strano, il principe si era avvicinato al  mago standogli dritto davanti. Alla fine alzò gli occhi.
I due sguardi si incrociarono. Quello indecifrabile del principe e quello ansioso di Merlino.
Il mago non l’aveva mai visto così. Sembrava come se qualcosa fosse franata nella sua testa, come se oltre i suoi occhi ci fosse una sorta di vuoto incolmabile.
Un moto di tenerezza come non aveva mai provato prima lo investì in pieno. Quello scambio di occhiate non aveva fatto altro che favorirlo. Si mosse rapido, inconsapevole, se fosse stato  un altro momento probabilmente non l’avrebbe mai fatto. Ma il suo principe era lì. Triste per chissà quale motivo e lui, dall’alto della sua magia non era riuscito a pensare a niente altro che questo.
Lo baciò. Le loro labbra si toccarono per alcuni istanti che a Merlino sembrarono ore.  Poi la realtà lo colpì, fredda come un secchio d’acqua tenuto all’esterno in una notte di inverno.
Il principe per lo meno aveva cambiato espressione. Una sorta di grande punto interrogativo gli si era dipinto in volto mentre teneva le mani sulle spalle del giovane per allontanarlo.
Gli occhi di Merlino si gonfiarono. Si era appena reso conto di quello che aveva fatto, e aveva più paura di quando aveva dovuto usare la magia di fronte al principe.
La sua condanna venne posticipata dai rapidi rumori di cotte di maglia e spade che si facevano con prepotenza sempre più vicini. La voce di uno dei cavalieri, merlino non seppe dire quale, ruppe il silenzio che si era creato tra i due.
-Qui dentro! Forza!- gridò l’uomo. Merlino chiuse e aprì gli occhi alcune volte, stava accadendo tutto troppo in fretta e non riusciva a capire cosa aspettarsi. Artù ancora sorpreso boccheggiava incredulo con un evidente sfumatura colpevole in quell’espressione interrogativa.
Le guardie entrarono con violenza e si buttarono su Merlino immobilizzandolo e trascinandolo fuori dalla stanza. Il mago non oppose resistenza.
Avrebbe potuto ucciderli tutti, così come era avvenuto nella foresta, sapeva di poterlo fare, ma di alcuni di loro conosceva madri e figli, sapeva che avevano una vita e non l’avrebbe mai distrutta deliberatamente.
Tutto attorno a lui si muoveva a rallentatore mentre con forza lo allontanavano dal suo principe.

Artù rimase immobile mentre portavano via il Mago, ancora incredulo, ancora sconvolto.
Eppure con prepotenza una parola gli venne fuori, uno “scusami” così sussurrato che il principe si chiese se l’avesse detto per davvero, ma il mago era già troppo lontano per sentirlo.

 

 

Bene, credo che per il momento basti così, ma sono ispirato e forse scriverò il seguito oggi stesso.
Spero il momento del bacio vi sia piaciuto. Ho cercato di riproporre una cosa successami ieri ma non andata a buon fine xD Merlino forse è stato più fortunato
Recensite e fatemi sapere che ve ne pare.

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Capitolo 7
*** 7. Condanna e giudizio ***


E come ho detto neanche 10 minuti fa, l’ispirazione mi ha preso e sono nuovamente qui a scrivere xD.
Colgo l’occasione per fare quello che nel capito precedente ho dimenticato di fare, e cioè ringraziare voi lettori che commentate e che leggete e soprattutto ringraziare un paio di amici che si sono sobbarcati nell’impresa di leggere questa  lungaaaaaaa e pallosa storia sconclusionata.
Per quanto tutto ciò mi metta in imbarazzo, grazie.
Vorrei concludere questa nota con una domanda, un po’ stupida a dire il vero xD. Studiando il sito ho scoperto che è possibile quante visite (e quindi presumibili letture) ha ricevuto ogni singolo capitolo pubblicato, ecco, mi chiedevo… come mai il quarto capitolo ha più letture dei precedenti capitoli 2 e 3 ? xD
E’ troppo lungo e quindi la lettura viene divisa in parti? Oppure semplicemente il secondo e il terzo non piacciono >_<
Fatemi sapere, è importante se voglio migliorare.
Ora vi saluto, buona lettura :)

Nick
p.s. wow, non avrei mai pensato di arrivare a scrivere sette capitoli O_o

Alla ricerca dei cavalieri di Camelot

Settima parte

Mentre veniva scortato dalle guardie verso un destino in quel momento sconosciuto, Merlino vedeva il mondo, il suo mondo, crollargli intorno.
Gli sguardi della servitù sbucavano da ogni anfratto del castello. Ogni paio d’occhi lo scrutava con un’espressione differente. C’era chi sembrava sorpreso e chi aveva un cipiglio giudice, chi mostrava una pietà indesiderata e chi invece spaventato si limitava a non capire.
La testa gli scoppiava. Arthur  Lo aveva fatto arrestare e non poteva essere per il bacio, ovvio. Che fosse per la magia? Lo aveva tradito? Merlino sapeva che il principe non l’avrebbe mai digerita ma non si aspettava potesse reagire così.
Gli occhi gli si riempirono di lacrime al solo pensiero delle ultime ore passate a nascondersi nei pensieri più bui. Le ginocchia gli cedettero e senza un briciolo di gentilezza gli uomini del re lo trascinarono così com’era attraverso i corridoi del castello.
Sembrava che ogni volontà, ogni forza di vivere lo avesse abbandonato. La testa ripiegata in avanti sul petto ciondolava inerme, il suo corpo era terribilmente morto.
-Merlino!- udì chiamare con voce di donna sulla sua destra.  Era Ginevra, il suo tono era preoccupato come  mai lo aveva sentito prima di allora. Si sentiva gli occhi di tutti addosso e quelli della ragazza bruciavano su di lui più di tutti.
Aveva provato a baciare l’uomo che amava e solo in quel momento iniziò a realizzare quanto realmente si sentisse in colpa.

I passi di Gwen vennero frenati bruscamente da una guardia, Che avesse provato a seguirli?
-Il re vuole vedere il ragazzo, solo- aveva asserito la guardia con un tono che non ammetteva repliche.
E così… sarebbe andato dal re, sarebbe andato da Uther. Per un momento aveva sperato che lo sbattessero nelle prigioni, non voleva vedere più nulla, voleva solo sotterrarsi sotto la paglia e lasciarsi morire ora che tutte le sue certezze erano venute meno uno dietro l’altra.
Davanti a loro, mentre procedevano verso la sala del trono, Merlino udì passi affrettati, non sapeva chi fosse. A giudicare dal rumore pareva che la figura avesse assistito allo spettacolo ma che non volesse stare al suo posto.
-Cosa fate? Lasciatelo!- disse Gaius con un tono troppo imperioso alla guardia e questo probabilmente all’uomo non piacque. Un istante dopo un tonfo, il corpo del medico che veniva sbattuto a terra.
-ti ho detto di levarti davanti!- disse il colpevole come a volersi giustificare.
Ormai tutto era perduto, Merlino, sdegnato dalla mancanza di rispetto mostrata al suo mentore  alzò di colpo a la testa. L’uomo che aveva osato tanto venne sbalzato via con forza e cozzò contro uno dei muri destando lo stupore di tutti.
Bisbigli si levarono tutto attorno, un sospiro del medico del castello e Merlino capì che aveva capito cosa stava succedendo. Tutto era perduto, non c’era nulla che nessuno dei due potesse fare.

Dopo quel piccolo incidente le guardie decisero di stringere la presa sulle spalle del mago mentre con una mano gli tenevano la testa giù terrorizzati dal suo sguardo.
Con il dolore nel cuore Merlino si preparava a fare quello che poteva significare la fine di tutti i mali.
Sebbene ci fossero voluti non più di dieci minuti per arrivare dinanzi al grande portone di legno, Merlino li percepì come secoli.
Tutto gli scorreva addosso con una lentezza esasperante  mentre dentro di lui cresceva un odio senza pari.


Finalmente, non senza qualche cigolio, la porta venne aperta. Nella grande stanza rettangolare decorata da colonne si trovavano il re, il principe e un paio di strani ceppi con delle catene esattamente davanti al trono, ma ovviamente ad alcuni metri di distanza.

Le guardie ubbidendo ad ordini inudibili portarono Merlino sopra i ceppi e lo incatenarono, poi spaventati si allontanarono. Uther si preparava a giudicare l’ennesimo degli utilizzatori di ciò che era proibito.
-E così abbiamo covato la serpe in seno per tutto questo tempo- esordì il re con tono di sfida.
Accanto a lui Artù fremeva.  Merlino non riusciva a capire come fosse arrivato lì prima di lui, poi comprese. Era usanza all’epoca far sfilare i prigionieri davanti a quanta più gente come esempio, come monito. Quell’umiliazione non poteva che essere un idea di Uther.
-Artù mi ha detto che sei uno stregone… che ti ha visto usare la magia..-
-Per salvarmi la vita padre!- intervenne senza riuscire a trattenersi il principe a quelle parole così ingiuste.
-QUESTO.NON.LO.GIUSTIFICA.- Gridò il re scandendo ogni singola parola con violenza.
-Tu- il re fece una lunga pausa come a voler ritrovare la calma –tu sai che la magia è malvagia, vero Merlino? Pensavo fossi un bravo ragazzo, forse un po’ stupido, ma non avrei mai pensato potessi essere uno sporco stregone.- Qui il re tentò di lanciare un occhiata penetrante al ragazzo che continuava a tenere la testa china. Vagamente offeso continuò -Perché hai usato la magia, Potevi anche non usarla e continuare a vivere non trovi?- Il tono del re era diventato stranamente melenso, Merlino aveva dovuto assistere a svariati processi, ma mai lo aveva sentito così. Cera qualcosa di venefico in quelle parole.

-Sei stato tu a corrompere Morgana, vero mago?- ed ecco la spiegazione, la prima accusa venne fuori così, come se niente fosse, ma nel petto di Merlino si trasformò in un macigno. Il re iniziò a giocherellare con un pugnale, se Merlino avesse alzato lo sguardo lo avrebbe riconosciuto. Era il pugnale che Artù aveva regalato alla sorellastra il giorno del suo compleanno svariati mesi prima.
-rispondi! Hai corrotto tu la mia pupilla, vero mago?- Le accuse del re diventavano sempre più forti, e crescevano di gravità così come lui le innalzava di tono.

-Chi tace acconsente- giudicò il re prima di riprendere,-Soddisfatto di questo, mentre ridevi del nostro dolore alle spalle avresti corrotto.. no… che dico! Ti saresti sbarazzato di Artù, per ottenere Camelot, non era forse questo il tuo piano?- Concluse il re con innocenza come a voler sfoggiare un notevole spirito investigativo.

Se possibile quest’ultima  fece ancora più male al giovane mago, in fin dei conti… come poteva ? come avrebbe potuto fare una cosa del genere ad Artù, dopo tutto quello che aveva dovuto patire per lui, dopo tutte le sofferenze che aveva comportato l’amarlo.
In silenzio Merlino iniziò piangere. Era stato tradito dall’uomo che amava, ma in una maniera molto più triste e drammatica, eppure Artù non sembrava convinto.
Merlino lo sentiva fremere sul suo posto. Era come se tutto quello che stava accadendo non fosse stata neanche una sua idea.

Uther era stravolto dal dolore della perdita di Morgana, e questo era comprensibile, ma perché il re volesse addossargli le colpe, Merlino, non lo capiva.
Infondo era abbastanza semplice: Morgana era una strega, aveva conosciuto la sorella e si era definitivamente allontanata dalla retta via. E la colpa era di Uther solo.

-Non hai niente da dire a tua discolpa?- Incalzò il re che sembrava essere stanco del mutismo del servitore.

Silenzio, poi il clangore delle catene, finalmente Merlino parve intenzionato a controbattere.
Con uno sforzo immane e con una lentezza che sembrava riempire un eternità, sollevò il capo e mosse le braccia facendo tintinnare  nuovamente le catene.
I suoi grandi enormi azzurri si piantarono in quelli del re come spilli. Aveva deciso di abbandonare ogni riverenza, ogni rispetto. Uther era il re, ma Uther non meritava nulla di quello che esigeva, e Merlino, giunto al limite, non si sarebbe piegato.

Con una calma terrificante Merlino iniziò a parlare quella che non era una difesa o un’accusa ma solo la verità -Certo, io ho corrotto la  tua figlia illegittima, e magari IO le ho dato anche i poteri che ha usato per sovvertirti vero?- Le parole del mago erano un affronto,  lo sapeva Merlino e lo sapeva Uther. Il re colto dall’ira stava per rispondergli, ma il Mago riprese incurante.
La bocca del vecchio si chiuse di colpo senza che questi lo volesse e il mago continuò.

-E’ giunto il momento che il tuo regno passi ad altri Uther Pendragon, siete solo uno stolto. Potevate avere l’amore del vostro popolo e avete scelto di castigarli, potevate avere l’amore di vostro figlio e gli avete mentito, potevate avere l’amore di vostra figlia… e non l’avete riconosciuta…- fece una pausa.
Più la forza nelle parole cresceva più sembrava che crescesse la forza nelle sue stanche membra. Si stava rialzando, e mentre lo faceva sembrava come risorgere da quelle che erano le spoglie della sua vecchia vita, la vita in cui aveva amato chi in fondo amava anche ora.
Era quasi totalmente in piedi, ma le pesanti catene lo tiravano giù costringendolo a piegare le spalle. Il mago tirò un paio di volte. Poi come l’acqua che rompe l’argine la sua pazienza venne meno, lacrime iniziarono a sgorgare dal suo volto e le parole più cariche di astio che avesse mai pronunciato vennero fuori con una potenza inaudita.

-SE NON POSSO USARE LA MAGIA… COSA MI RESTA?? SE NON AVESSI LA MAGIA PER VOI NON SAREI CHE UNA NULLITA’ MA SICCOME CE L’HO CREDI DI DOVERMI ELIMINARE…
E SE A ELIMINARTI FOSSI IO UTHER PENDRAGON?-
Quelle affermazioni lo avevano spaventato, specialmente perché era incredibile come quella frase avesse ugualmente significato per lui sostituendo alla parola magia il nome di Artù. Merlino aveva superato il limite, ora più che mai sapeva che non sarebbe più potuto tornare indietro.
Sembrava però quello scatto d’ira non avesse coinvolto solo lui.
Non se ne era reso conto finché non fu a una spanna da lui. Con una scarica di odio il re gli aveva scagliato contro quel pugnale che per lui pareva significare tanto. Merlino fu pronto e l’arma si conficcò nel vuoto a un centimetro dal suo naso.
Non un incantesimo, non un gesto, solo allora Uther si rese conto di quello che aveva fatto e di cosa l’aspettava.

Merlino sembrava aver ritrovato la calma

-Hai idea di quante volte ti ho salvato la vita vecchio pazzo? Quest’arma…questo pugnale, ho impedito che vi trafiggesse a morte non molte lune fa e voi mi ripagate così?-
Non aveva ancora finito di parlare che già si era scagliato in direzione del trono con gli occhi dilatati da un insana pazzia. I pesantissimi ceppi di legno si erano sollevati insieme alle catene come se fossero fatti di carta, Le innumerevoli spade appese alle pareti si erano staccate tintinnando sinistramente per lanciarsi all’inseguimento del mago, o meglio per unirsi alla sua corsa.
Quando fu a un passo dal trono Uther era impietrito, immobilizzato contro lo schienale dalla paura e dalla magia del giovane, Artù non aveva fatto in tempo neanche a sfoderare la spada  mentre una ventina di lame stavano sospese sulla testa di suo padre. Tra tutte quelle brillava il piccolo pugnale di Morgana.
-evidentemente era il destino di questo dono finire nel vostro cuore, mio re- Disse Merlino con sarcasmo prima che il pugnale partisse inesorabile verso il petto di Uther.

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Capitolo 8
*** 8. Pace ***


Salve a tutti!
Questo capitolo è uscito molto tardi rispetto ai miei soliti tempi. Purtroppo sono stato molto impegnato con la scuola e tutto il resto e quindi non ho potuto scriverlo prima.
In realtà l’avevo iniziato già la sera stessa in cui avevo pubblicato quello precedente, ma dopo averlo continuato la mattina del lunedì l’ho lasciato a macerare fino a stasera. Spero in ogni caso che gli stacchi non si notino eccessivamente.
Intanto approfitto come sempre per ringraziare tutti coloro che stanno leggendo e commentando, mi fa sempre tanto piacere leggere le vostre opinioni.
Un saluto e a presto! Spero di non annoiarvi e spero che questo capitolo vi piaccia come apparentemente vi sono piaciuti gli altri :D
Nick

 

Alla ricerca dei cavalieri di Camelot

ottava parte

-MERLINO, NOOO!- gridò con quanto fiato aveva in corpo Artù non appena riuscì a mettere a fuoco l’immagine. Non era un ordine, non era in suo potere ordinare qualcosa a Merlino dopo tutto quello che gli aveva fatto; era una supplica, e non era certo che fosse per la vita del padre.
Era sorprendente, Il mago aveva parlato e si era mosso a una velocità impressionante, come se avesse fermato il tempo per arrivare dov’era nel giro di un istante.

Come una gazzella si era letteralmente armato, ed era pronto ad attaccare in qualsiasi istante. A dirla tutta forse il paragone più corretto è “come un leone”, perché in quella rabbia, in quella violenza e in quelle lame non c’era nulla di una pacifica gazzella. Merlino era letale, Artù ne ebbe la vera consapevolezza per la prima volta.
Eppure era successo qualcosa.
Tutte le lame delle spade erano puntate contro suo padre che inerme stava sulla sedia. Il piccolo pugnale lavorato che aveva regalato a Morgana era addirittura piombato in un lampo verso il petto dell’uomo. Ma al suo grido si era fermato. Tutto era immobile, Merlino aveva il capo chino e così com’era non riusciva a vederlo in volto.
All’improvviso iniziò a tremare, come se piccole scariche lo stessero percorrendo ad con il volto rigato di lacrime, gli occhi gonfi e rossi e i singhiozzi che lo scuotevano con insistenza un ritmo irregolare.
Si voltò quindi a guardare quello che aveva provato tanto piacere nel chiamare suo principe.

Le spade, le asce e tutto ciò che si era staccato dalle pareti al comando mentale del mago, caddero a terra con un grande clangore metallico.
I ceppi e le catene fecero lo stesso tirando giù le braccia del giovane che ora giaceva prostrato dinanzi al trono del re.
Artù non capiva cosa lo avesse fermato, e perché.
Sapeva solo che in quell’istante, in cui il ragazzo si era voltato e l’aveva guardato negli occhi, si era sentito come svuotare dentro.
Finì in ginocchio anche lui. La sua spada, ormai estratta e pronta all’uso, cadde pesantemente vicino le sue gambe, e lì lui la lasciò.

Merlino si era calmato, le lacrime parevano continuare inesorabili, ma i tremiti e i singhiozzi erano cessati.
Artù tentò di rialzarsi ma non ci riuscì. La paura e lo sconvolgimento di quegli ultimi eventi lo aveva spiazzato, paralizzato.
Intanto il re, incredulo, boccheggiava sul suo scranno di legno.

Per alcuni istanti non si udì alcun rumore, e quegli istanti che sembravano ore erano riempiti dai pensieri di ognuno dei presenti in quella sala.
Uther non capiva come potesse essere ancora vivo e cosa avesse placato l’ira di quel mostro. Artù non capiva perché desiderasse urlare e struggersi la carne così come sentiva la sua anima fatta a pezzi.
Aveva creato lui quel mostro. Ora lo sapeva, era stato il suo tradimento, il suo silenzio. Forse quella reazione era stata esagerata, ma quale cane braccato non reagirebbe a quel modo?
I suoi occhi azzurri fissavano il pavimento bianco mentre con un gesto meccanico posava la mano sull’elsa della spada. Non se l’aspettava, ma l’arma era tiepida. In quel momento ricordò la fiamma azzurra che l’aveva avvolta tempo prima . Molto più tenue di quando l’aveva raccolta quel pomeriggio nella foresta, la fiamma bruciava ancora.
In quel momento ricordò tutto il bene che il giovane mago aveva fatto e i sensi di colpa iniziarono a divorarlo mentre una lacrima, una delle poche che gli erano rimaste scendeva dall’angolo destro del suo occhio sinistro rotolando inesorabile sul suo viso per andare a infrangersi sui mattoni con un lieve suono cristallino.
Solo in quel momento si accorse dei passi che si udivano oltre la grande porta di legno.
Le guardie udite le urla si erano catapultate dentro e ora osservavano senza capire la scena che si erano trovati davanti. Il mago svariati metri più avanti da dove l’avevano lasciato, e, a circondare lui e il trono dove sedeva il re, una quantità di armi stava immobile.
Uther alzò lo sguardo verso di loro, le rughe del suo volto apparvero più pesanti che mai, sembrava stanco dentro, ancora più stanco e stirato di quando aveva dovuto affrontare il tradimento di Morgana poco tempo prima.
-Portatelo nelle segrete, sarà arso vivo al tramonto.- riuscì alla fine a dire il re ancora più scosso di quel che appariva.
Gli uomini di Uther lo sollevarono di peso liberandolo dalle catene. Se non l’avessero visto muoversi pochi minuti prima nel tentativo di uccidere il re, avrebbero pensato di star trasportando un cadavere tanto era l’abbandono in cui si era lasciato il mago.
Le lacrime continuavano a colargli dagli occhi, ma nessuno in quella stanza era in grado di dire perché. A scortarlo fuori non furono solo le guardie; gli occhi del principe erano puntati su di lui, pieni di rammarico e senso di colpa. Buffo come avesse ottenuto l’attenzione che desiderava dal principe giusto alcune ore prima della sua morte. E purtroppo ne era anche ignaro.
Le guardie non furono affatto gentili quando lo gettarono in una delle celle più basse e buie delle segrete. Erano terrorizzate, avevano visto solo per un istante il potere di Merlino e temevano che questi si ribellasse: così prima se ne sarebbero liberate e più al sicuro si sarebbero sentite.

Nelle sue stanze stava il principe steso sul suo letto.
Gli occhi rossi e l’espressione stanca. Una persona normale avrebbe pianto, ma anni e anni di imposizione, di apparenza, gli avevano in qualche modo fatto perdere la spontaneità di quel gesto.
In quella stanza ogni singola cosa era stata toccata pulita e maneggiata dal suo servitore. Se avesse voluto uccidere uno qualsiasi dei membri della famiglia reale avrebbe potuto farlo in ogni momento, lo sapeva.
Perché avrebbe dovuto aspettare ? Sarebbero bastate poche gocce di un qualsiasi veleno recuperato dallo studio del medico e si sarebbe sbarazzato di principi re e regine. Se non l’aveva fatto era perché, secondo Uther, dovevano esserci piani più grandi dietro.
L’unico piano più grande che Artù riusciva a vedere però, era l’affetto che volente o nolente si era riuscito a conquistare, l’affetto del principe.
Se ne era quasi dimenticato, il susseguirsi frenetico di tutti quelli avvenimenti lo aveva distolto dall’insolita azione che aveva compiuto il mago prima di farsi arrestare.
Lo aveva baciato. Un bacio casto tra due labbra, eppure non appena c’era stato il contatto, scariche di adrenalina lo aveva percorso da capo a pieni. Un insistente formicolio alle mani, che, ripensandoci, era tornato anche in quel momento.
Eppure si sentiva il sangue gelare, per quanto fosse finito a volergli bene … Merlino era un uomo, certe cose erano inconsiderabili, soprattutto con un “membro” della famiglia reale.
Eppure non poteva dire che gli dispiacesse, anzi, un lieve sorriso si dipinse sul suo volto al pensiero di quello che Merlino aveva avuto il coraggio di fare. Strano, il buonsenso imponeva che lo prendesse a pugni se non peggio…
La parte peggiore però era che in quel momento, aveva desiderato fare di più. Lo aveva sentito chiaro nella testa. Voleva baciarlo, e voleva andare oltre, non un casto contatto tra due bocche, ma perlomeno qualcosa di più profondo. Questo pensiero lo fece raggelare.


Intanto sapeva che non sarebbe mai successo e del resto come avrebbe potuto? Lo aveva tradito e ora sarebbe morto. Ma poi tutto ciò era così insolito, così inaudito. E tutti gli anni passati a importunare le donzelle allora erano stati una mera finzione?
Non si era mai sentito così come allora e aveva paura ad ammettere che quella era l’unica risposta che riusciva a trovare.
Alcuni rumori da fuori spezzarono il flusso dei suoi pensieri. Incuriosito andò alla finestra di vetro per controllare che non ci fossero problemi.
Quello che vide gli fermò il sangue nelle vene. Non poteva saperlo ma la sua pelle, già chiara per natura, era ulteriormente sbiancata: nel mezzo della piazza era iniziata la costruzione della pira.
Alcuni uomini, controllati dalle guardie di suo padre, stavano ora portando fascine di legno per poter mantenere il fuoco vivo, mentre come un flash il principe vedeva già le fiamme ardere e consumare il corpo del suo amico.

Tirò la tenda della finestra, quella visione lo disturbava atterrendolo, e si chiese perché solo allora avesse considerato Merlino un suo amico. Era cresciuto abituato a trattare le persone come oggetti. In quei due anni in cui aveva avuto a che fare con il mago però, tutto era cambiato. E oltre qualsiasi prospettiva possibile nessuno avrebbe potuto dire che quello era stato un peggioramento, tutt’altro!
Aveva imparato a farsi volere bene e apprezzare dal suo popolo. Aveva capito ciò che era giusto e  ciò che era sbagliato, e lo doveva solo a Merlino.
Chi sarebbe stato, chi sarebbe diventato se Merlino non fosse entrato nella sua vita?

Finalmente qualcosa parve sbloccarsi nel suo corpo, alcune lacrime con una lentezza inesorabile iniziarono a scorrere, rotolavano giù dagli zigomi spigolosi buttandosi lungo le guancie fino a toccare le labbra per bagnarle.
Con passo incerto Artù si accostò a letto e vi si accasciò sopra pressato dall’enorme peso della consapevolezza di ciò che aveva fatto.

Il sonno lo prese di sorpresa. Forse era una sorta di meccanismo di autodifesa, dormire per non pensare, dormire per evitare il dolore, dormire perché, per quanto fosse migliorato, era pur sempre un egoista.

Tutto agghindato nella sua armatura da allenamento, lanciava pugnali a un grosso bersaglio di legno che pareva muoversi di sua spontanea volontà. Il ragazzo che stava dietro, era terrorizzato all’idea che il principe sbagliasse centro, e si faceva quanto più piccolo possibile dietro quello scudo improvvisato.
Il principe con arroganza godeva della paura del suo servitore. Sapeva che non avrebbe mancato il bersaglio neanche volendo, ma l’idea di poter punzecchiare qualcuno lo allettava troppo.
Qualcosa andò storto e il ragazzo cadde, lasciando rotolare il disco di legno ai piedi di un giovane sconosciuto.
-hei, avanti basta così- Gli disse questo con tono scherzoso.
Il principe inarcò visibilmente un sopracciglio: si conoscevano? Come si permetteva di rivolgersi a lui in quel modo?
La risposta più naturale che gli venne fu un cosa con un tono che sembrava più una minaccia che non una vera domanda.
Con il tono di chi non ha recepito l’antifona l’altro rispose semplicemente: -ti sei divertito amico mio-
Questo evidentemente non sapeva con chi aveva a che fare.
-Ti conosco?- Gli  chiese con sarcasmo.
-Ah, sono Merli…- Stava rispondendo l’altro che pareva non aver letto l’ironia nel commento del principe.
-Quindi non ti conosco- concluse il biondo prima ancora che l’altro ebbe finito di presentarsi.

-no- rispose l’altro in fretta.
-ma mi hai chiamato amico mio-
-è stato un mio errore-
-lo penso anche io- concluse il principe soddisfatto della sua verve.
-già- e fece una piccola pausa per godersela al meglio, -Non ho mai avuto un amico così asino-.
-Neanche io uno così stupido- rispose allora il principe colto in contropiede.
-Dimmi, Merlino- continuò il principe –Sai camminare sulle ginocchia?-
-no- rispose prontamente il mago aspettandosi qualche colpo basso da parte dello sconosciuto.
-Vuoi che ti aiuti?- lo provocò Artù.
-non lo farei se fossi in te.-
Quello era un ricordo, ora lo sapeva, ma era come corrotto. A quel punto lo aveva semplicemente umiliato davanti a tutti, invece no. L’immagine di Merlino prese a crescere, come a volerlo sommergere. Oscurò il sole e tutto si fece buio mentre con un piede sembrava volerlo calpestare.

Il principe si svegliò di soprassalto. L’immagine di Merlino che con un ghigno lo calpestava ancora davanti agli occhi, mentre rivoli di sudore scendevano freddi dalla sua fronte.

Si alzò dal letto rendendosi conto solo allora di essersi addormentato. Con passo incerto si avvicinò al tavolo dove in genere stava una brocca con dell’acqua, voleva bere e lavarsi la faccia.
 Non c’era.
-Già, questo sarebbe compito di Merlino- Disse più a se stesso che non ad un vero interlocutore.
Eppure Merlino poteva distruggerlo, lo aveva detto egli stesso quel giorno in cui si erano incontrati. Ma non l’aveva mai fatto.
E se quel giorno a salvarlo poteva essere stata la legge, ora cosa gli aveva permesso di vivere? Cosa gli aveva permesso di trattare merlino come un normale servitore?
La risposta era una sola, Merlino era buono. La sua magia non ne faceva un servitore meno devoto.  Solo perché poteva recitare un incantesimo questo non lo rendeva diverso dagli altri. E lo rispettava. Come infondo anche il principe rispettava lui.
Non poteva permettere che morisse. Non dopo tutte le volte che gli aveva salvato la vita, ormai lo sapeva.

Si affacciò alla finestra, la pira era ormai pronta e due guardie stavano lì a controllare. Mancava poco e non aveva ancora un piano. Si passò una mano tra i capelli iniziò a fare nervoso avanti e indietro per la stanza, misurandola a passi lunghi e frettolosi.

 




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Capitolo 9
*** 9. Il piano ***


I personaggi di questa storia ovviamente non mi appartengono
Salve a tutti!
Inizio con il dire che l’ispirazione mi ha abbandonato, aimè! xD
Purtroppo questo capitolo dovevo scriverlo e l’ho scritto, ma non me ne sento pienamente soddisfatto, per niente.
Temo che i capitoli mi piacciano solo quando molto introspettivi, o quando molto attivi … questo che è una via di mezzo mi delude e non so spiegare perché esattamente.
Spero in un vostro parere per aiutarmi a risolvere questo dilemma e vi lascio a questa strana lettura.

Grazie a tutti, buon divertimento e a presto!

Nick

Alla ricerca dei cavalieri di Camelot 

Nona parte


La notizia dell’arresto di uno stregone aveva varcato le mura del castello in lungo e largo, il suo nome però era ignoto ai più.
Gaius con qualche stratagemma “medico” era riuscito ad allontanare quanta più gente possibile dalla sala del trono: se la notizia si fosse diffusa anche in quel senso non ci sarebbe stata più speranza per Merlino. Gaius lo sapeva, il ragazzo sarebbe uscito di lì, il ragazzo sarebbe sopravvissuto e lui aveva tutte le intenzioni di salvarlo.
Cercando una soluzione a quella situazione drammatica, seguì le guardie che scortavano il mago giù nelle segrete. 
Era più complicato del previsto, per accedere a quella sezione delle prigioni bisognava superare tre ronde, quando ne ebbe la certezza si allontanò senza farsi vedere.
Cercando una soluzione nella scienza, come sempre, il medico si diresse nel suo studio. Magari qualche erba avrebbe fatto il loro gioco.

Le sale dei cavalieri erano varie e sparse in giro per il castello, ma ce n’era una in particolare che era sempre frequentata: quella dell’allenamento.
Lì, negli anni passati, Artù si era divertito a umiliare giovani e vecchi, soldati e civili. Al pensiero di tanta e inutile superbia si sentì male: tutto ciò sarebbe costata la vita a un ragazzo, all’unico che potesse definire realmente un amico.
Aveva deciso di agire in fretta, tempo non ne aveva più. Le riflessioni e i ripensamenti lo avevano portato in prossimità del tramonto. Così, uscito di corsa dalla sua stanza si era diretto alla ricerca di Ginevra. Nonostante la partenza di Morgana, la ragazza era ancora nel castello, in fondo  quello era il suo unico lavoro.
La incontrò vicino le cucine, tirandola in un angolo le spiegò la situazione guardandosi attorno con circospezione. Fu conciso e sbrigato, non si erano detti molto, e la serva era un po’ delusa, ma appoggiava pienamente l’idea di Artù, bisognava liberare Merlino prima che fosse troppo tardi.
Sotto la sua richiesta, quindi, Ginevra era andata a chiamare alcuni tra i più fidati cavalieri di Camelot: Lancillotto, Gwaine, Elyan e Parsifal.
Lui li aspettava tutti in quella sala, seduto tra gli scudi cerimoniali e le spade da combattimento. ­E loro arrivarono tutti, uno dopo l’altro,mentre la sua pazienza scalpitava.


-Sapete cosa è successo,  sapete cosa sta per succedere e non ho intenzione che questo accada.-
Esordì Artù passando i volti di ognuno di loro sperando di potersi fidare.
Ginevra, aveva informato gli uomini, ma non aveva detto loro per quale motivo erano stati convocati. Certo avevano sentito dello stregone, ma non sapevano chi fosse e non sapevano che in quel momento Artù si riferisse a lui.
I quattro infatti lo guardarono con aria interrogativa.
Artù sempre più spazientito spiegò loro cosa era successo e che per questo Merlino era stato condannato a morte. Evitò loro di dire che a tradirlo era stato lui, non voleva dover dare ulteriori spiegazioni.
Per qualche minuto nessuno disse nulla. Il silenzio stava per far esplodere la collera di Artù che in quel momento ce l’aveva con se stesso, ma non vedeva l’ora di poter riversare sul mondo quell’amaro risentimento.

Lancillotto, semplicemente, abbassò gli occhi come investito da una consapevolezza troppo pesante per essere sopportata così all’improvviso. Poi prese parola per tutti.
-Io sapevo, è da quando sono venuto la prima volta a Camelot che lo so. Se non fosse stato per lui, e la sua magia, sarei morto nel tentativo di salvarvi, Artù. Quel ragazzo è buono, vi vuole bene e non posso permettere che venga ucciso. Mi ha aiutato quando ne avevo bisogno, si è esposto per me, io sono con voi e ho intenzione di fare lo stesso per lui- Il suo discorso aveva probabilmente attirato l’attenzione di Parsifal. 
Il cavaliere non era di molte parole ma il suo cuore era puro, e questo lo narreranno le leggende che ancora si possono sentire dopo millenni. Come c’era da aspettarsi appoggiò la causa senza fare una piega. 
La risposta di Gwaine era ovvia, non aveva nulla contro la magia, ma aveva tanto da dare a Merlino, forse troppo perché potesse dirlo così davanti a tutti. Quel ragazzo era stato come un fratello, e l’idea che dovesse morire per come era nato era inconcepibile ai suoi orecchi.
Alla fine erano tutti d’accordo, anche Elyan aveva accettato a unirsi alla brigata conscio delle innumerevoli volte in cui lo stregone aveva aiutato la sorella.
Artù tirò un sospiro di sollievo e sollevò la mano dal pomello della spada finalmente rilassandosi.
-Se non aveste accettato avrei dovuto uccidervi- disse con tutta la naturalezza di questo mondo mentre i cavalieri si guardavano l’un l’altro con aria incerta.
Gli uomini c’erano, il problema ora era trovare il modo di far evadere il mago. L’unica cosa certa era che doveva lasciare Camelot… farlo realmente era un altro discorso.
Ginevra e Gaius arrivarono correndo proprio in quel momento.
La sala, solo 10 minuti prima deserta, ora conteneva più di una mezza dozzina di persone. 
-Ho pensato che…- Esordì la ragazza mentre giustificava la presenza del medico di corte lì in quella stanza.
-Gwen sei sicura che…insomma non vogliamo coinvolgerti Gaius, è troppo rischioso- la interruppe Artù in bilico tra il potersi fidare e il dover diffidare. Il medico gli lanciò un occhiata che se fosse stato possibile lo avrebbe incenerito.
-Mio principe, ti sbagli di grosso se credi che io non voglia salvare il mio unico figlio!-, lo disse con un ardore e una prontezza tali che per un attimo il principe rimase stordito, quei due non erano mica imparentati.
Lo stesso Gaius si sentì in imbarazzo nel chiamare Merlino così, in pubblico.  Ma era vero, in quegli anni, non aveva fatto che conquistarsi l’affetto e la fiducia di molti, non potevano abbandonarlo.
Alla fine tutti insieme progettarono la fuga del ragazzo.


Il piano era semplice,  Ginevra sarebbe scesa nelle segrete per portare alle guardie del primo livello qualcosa da mangiare, Gaius li avrebbe quindi drogati con delle erbe di modo che dormissero senza dare alcun fastidio.
Lo stesso sarebbe avvenuto per gli altri due livelli.
Il piccolo manipolo formato da Artù, Elyan, Lancillotto e Parsifal, invece, avrebbe proseguito per le strettole delle segrete in cerca della cella del mago. Lì si sarebbero divisi, Artù sarebbe andato con Merlino verso le grate, mentre gli altri sarebbero tornati indietro. Alle grate, le stesse attraverso le quali tempo prima Mordred era fuggito, Gwaine  avrebbe aiutato Merlino a scappare con due cavalli, accompagnandolo lontano da Camelot.
Il piano era semplice, dovevano solo metterlo in atto subito.
Seguendo le indicazioni, Gwen si avvicinò con un vassoio pieno di pollo fumante e un sorriso disarmante alle guardie. Li guardò entrambi fingendosi in imbarazzo, era particolarmente brava quando si trattava di conquistare un uomo.
Visto  che i due erano ormai in balia della naturale e spontanea femminilità della ragazza, lei si decise a parlare per una sorta di colpo di grazia.
-Dalle cucine vi mandano questi, miei soldati. Spero gradiate- fece lei con un tono amabile.
Artù, che da dietro il colonnato osservava la scena, notò una spaventosa somiglianza tra Gwen e la sua padrona; queste femmine sapevano essere letali, si disse.
La risposta inaspettata di una delle guardie però ruppe l’idillio.
-Gradiremmo ancor di più che tu ti fermassi a banchettare con noi, sai, qui non viene mai nessuno- Concluse l’uomo con tono lascivo.
Quello era un imprevisto, non potevano intervenire senza insospettire le guardie, e Ginevra non poteva rifiutarsi se voleva che quelli mangiassero.
Il tempo scorreva e la mano di Artù sbiancava sempre di più mentre stringeva con forza il pomello della sua spada.

Cercando di salvare il salvabile, Ginevra si sedette alla destra di quello che aveva parlato, l’altro sembrava più tonto, aveva una sorta di sorriso vuoto che la spaventava più delle avances dell’altra guardia.
I due iniziarono a mangiare, il pollo profumava veramente tanto. Ginevra si era occupata del “furto” ; le cucine conservavano sempre gli avanzi degli abbondanti pasti del re. Lei però non aveva avuto l’occasione di mangiare quella sera, e questo la tradì. 
Fu solo un lieve brontolio del suo stomaco,  la guardia la guardò male.
-Ma voi dovete avere fame!- , nonostante avesse la bocca piena e nel parlare sputacchiasse un po’ ovunque, l’uomo esordì tentando di apparire quanto più galante possibile

-No, davvero, non c’è bisogno che..- Intervenne lei pronta prima che l’altro la interrompesse nuovamente.
-esigo che ne mangiate anche voi!-, convinto così di acquistare la fiducia della serva, il soldato concluse quella discussione, non permettendo alla donna nessuna possibile risposta.
Gwen lanciò un occhiata di sbieco dove sapeva trovarsi il principe. C’era una sorta di supplica in quello sguardo. Il principe annuì consapevole e abbassò lo sguardo, Ginevra non poteva rifiutarsi.
Avevano già perso troppo tempo,fortunatamente  in 5 minuti i tre finirono a russare chini sul loro tavolino in compagnia della dama di corte. 
I quattro cavalieri passarono loro accanto per accertarsi che stessero dormendo. Elyan, lanciò un occhiata esasperata verso la sorella e passò da parte a parte i due uomini che le dormivano accanto con uno sguardo.
Si rivolse ad Artù, atteggiando la sua, per quanto possibile, a una richiesta nobile: -e se dovessero svegliarsi prima loro…?-. non ebbe il tempo di terminare Artù annuì rapidamente concedendogli di restare a controllare la sorella, -accertati anche che non scenda nessuno-.

Il rumore dei loro passi rimbombava per tutto il corridoio. La pietra li rimandava raddoppiandoli, e, per quanto si sforzassero di muoversi silenziosamente,  sembrava ugualmente che per quelle strade stesse scendendo un esercito.
Avevano perso le pietanze drogate, Gwen era fuori gioco e non sapevano come fare a proseguire.
Lancillotto e Parsifal si guardarono incerti, c’erano altri due livelli di guardie da superare, e nessuno di loro tre aveva un idea valida.
Decisero di improvvisare. Dopo alcune comprensibili esitazioni, Lancillotto e Parsifal uscirono dall’ombra del corridoio, entrando così nel disco di luce della zona dove stavano le guardie. La copertura stava per saltare, ormai ne erano certi.
Salutarono gli uomini lì seduti con un cenno del capo.
-Siamo stati mandati qui per darvi il cambio- Esordì Lancillotto rivolgendosi loro, mentre cercava di nascondere il nervosismo della sua voce.
I due si guardarono senza capire, il loro turno sarebbe dovuto durare almeno altre 2 ore, non bisognava essere troppo intelligenti per capire che qualcosa non quadrava.
Parsifal indietreggiò di un passo; Artù dall’ombra del corridoio osservava nervoso la scena, in quel momento avrebbe desiderato che le guardie di Camelot fossero più deficienti e meno efficienti. 
All’improvviso un rumore di passi dietro di lui distolse la sua attenzione dai quattro soldati che aveva davanti.
I capelli bianchi di Gaius sembravano brillare persino in quell’ombra scura.
Il principe lo guardò con sguardo interrogativo mentre lasciava andare la presa sulla spada; Era un fascio di nervi.
Il medico si limitò a rimandargli una delle sue occhiate furbe incorniciate dal solito sopracciglio. Si chinò, lasciò cadere quella che sembrava una pallina a terra e aspettò che questa rotolasse in direzione del gruppetto di guardie prima di rialzarsi.
Dalla sfera iniziarono a levarsi alcuni vapori biancastri, e, nel giro di trenta secondi, furono tutti a terra. Lancillotto, Parsifal e le due guardie erano già nel mondo dei sogni quando il principe e il medico con un fazzoletto davanti al naso si introdussero nel piccolo spazio.
-Cosa diavolo…?-  fece il principe irritato ma pur sempre grato.
-Non me la sono sentita di lasciare voi ragazzini a fare un lavoro del genere. Ero sceso per seguirvi e ho visto cosa era accaduto a Ginevra.- rispose il vecchio con tono grave.
Il sopracciglio sempre alzato incorniciava quei due occhi chiari che intanto scrutavano il principe e la situazione con dovizia.
Ripulendosi le mani sulla veste si chinò per sentire i battiti dei due cavalieri che erano cadute vittime del gas soporifero.
-Allora, vostra altezza, qui ho un'altra dose di quella mistura alle erbe. Basterà inserirle in questa gabbia metallica- e nel dirlo la raccolse da terra svuotandola del suo contenuto, -accenderle, e farle rotolare sotto il naso delle guardie che controllano il livello inferiore. Dormiranno per qualche ora e al risveglio non si renderanno conto di nulla.
-Io rimarrò qui per Risvegliare questi due- e con un piede indicò Lancillotto e il suo compagno. –La loro entrata era già abbastanza sospetta a quell’ora,  le guardie penseranno di averli sognati. Non se li trovano qui davanti però…Voi andate e salvate Merlino, vi prego! Tra mezz’ora probabilmente scenderanno a prenderlo...-
Gaius li aveva tirati fuori da un bel guaio, Artù ormai aveva tutto quello che gli serviva,  un diversivo, e un piano semi perfetto. Doveva solo raggiungere la cella del mago.
-Vi ringrazio tantissimo Gaius, non vi deluderò-  rispose il principe alle preghiere del medico che, intanto, si stupiva dell’umiltà che il principe aveva mostrato nel rivolgersi a lui.
Il principe si immerse nell’oscurità del corridoio, mentre il medico lo seguiva con lo sguardo finché quello non si perse completamente in nell’ombra. Poi tirò fuori dalla veste alcune boccette e iniziò a lavorare rimestandole e mescolandole più volte con una serie di movimenti  sempre più complessi.

Artù proseguì lungo la galleria, ormai l’unica lucea guidarlo era quella che si era lasciato alle spalle da quasi dieci minuti.
Il silenzio lì sotto lo infastidiva, era interrotto solo dal ritmico clangore della sua spada contro l’armatura. Non lo vedeva ma percepiva l’infossarsi sempre più ripido di quella strada. Sapeva che nelle segrete più basse del castello un tempo si trovava il drago, e per qualche istante temette potesse essere ancora lì.
Anche se era stato pochissime volte in quell’area del palazzo sapeva bene dove dirigersi. Le celle dei prigionieri più temuti da suo padre erano quelle più basse; si trattava di un inutile precauzione contro un mago, ma Uther era duro di comprendonio. 
Per questo motivo saltò le numerose porticine di legno rinforzato che costeggiavano la strada e arrivò finalmente davanti a uno spiazzo aperto.
Una torcia al centro della stanzetta rotonda disegnava un cerchio di luce tutto attorno a due guardie intente a bere e a giocare a carte: Non lo avevano ancora sentito, per fortuna.
Artù prese il sacchetto con le erbe e la gabietta metallica ancora vagamente calda, poi, all’improvviso, si rese conto di un problema ben più complesso: non aveva modo di accendere la miscela soporifera.
Ma Gaius come aveva fatto? Non aveva sentito rumore di acciarini, nessuna miccia, nessuna esca…le torce erano troppo lontane, però già! Le torce!
Era un azzardo, ma era anche a corto di tempo, il medico aveva parlato di mezz’ora, e il principe era certo di averlo lasciato da quasi un quarto d’ora, così fece l’unica cosa che gli venne in mente:
Sperando funzionasse ugualmente, Artù, lanciò la piccola sfera metallica verso la torcia accesa al centro della stanza. Le guardie, troppo brille per rendersi conto di cosa stesse accadendo, non videro la sua ombra, nè sentirono il rumore del ferro che cozzava contro la piccola ringhiera che proteggeva le fiamme .
La palla prese fuoco e i vapori iniziarono a fuoriuscire lentamente dalle fessure della gabbia. Salirono prima verso l’alto, poi, ricaddero pesantemente verso il suolo, mandando i due soldati nel mondo dei sogni.
Il principe si lasciò sfuggire un lieve grido compiaciuto mentre stringeva il pugno soddisfatto in segno di vittoria, poi, deciso a non perdere ulteriore tempo, si lanciò verso le celle, dove, pochi metri più avanti, si trovava Merlino.



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