Strawberry Fields Forever

di Astrasi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ticket To Ride ***
Capitolo 2: *** Taxman ***
Capitolo 3: *** There's a place. ***
Capitolo 4: *** You can work it out. ***



Capitolo 1
*** Ticket To Ride ***



Capitolo 1.  A Ticket To Ride.
 



Pioveva, dannazione. Anzi no, diluviava. E io ero a piedi, da sola e senza ombrello. Lontano da casa mia.
Non mi era mai piaciuta la pioggia, a me piaceva il caldo, l’asciutto. Detestavo tutto ciò che era freddo e bagnato. Brrr…Brividi.
Dovevo tornare a casa, in qualche modo. Volevo tornare a casa. Ma ero in piedi, fradicia, davanti al negozio nel quale lavoravo, e che avevo appena chiuso. La tentazione di entrarci per stare al caldo era forte, ma resistetti (non so come, sinceramente). Dovevo tornare a casa, dovevo dare da mangiare a Penny, la mia piccola cagnolina rompiscatole. Si, Penny come Penny Lane.
Finalmente mi decisi a incamminarmi verso casa, ci sarei arrivata a piedi. Così iniziai a cantare.
 
- In Penny Lane there is a barber showing photograph…
 
E andai avanti, cantando tutto il testo a memoria. Finita la canzone, mi sentivo un po meglio, ma casa era ancora lontanissima.
In quel momento mi sfrecciò in parte un autobus, facendomi la doccia. Imprecai, ma mi imposi di mantenere la calma. Adesso ero decisamente BAGNATA. Strinsi la catenina che tenevo al collo, come per cercare conforto. Era una chiave di violino, regalatami dai miei genitori quando avevo più o meno 14 anni. Già allora la Musica era un’ossessione per me. Vivevo in Italia, sul lago di Garda.
Da qualche anno invece, mi ero trasferita con una mia amica in quel di Liverpool, la città che sentivo più vicina in assoluto. Studiavo. Studiavo letteratura inglese all’università, non so bene per quale motivo, dopo aver fatto il liceo classico. Ma avevo già il tanto sudato diploma in pianoforte, e l’università era solo una scusa per volare via da casa. Così avevo trascinato con me Lisa, compagna di scuola del liceo e insieme avevamo preso in affitto un piccolo appartamentino, proprio in piazza Penny Lane. Era un luogo magico ai miei occhi. Ero riuscita a recuperare in super sconto un vecchio signor pianoforte, che avevo fatto accordare, ma che comunque aveva un suono stridente. Ma poco importava, mi bastava che suonasse. Mi dividevo, così, tra studio lavoro e musica, accompagnata da Penny, il piccolo Cocker mio e di Lisa, Lisa, la chitarra Jo, e il vecchio Mac (il pianoforte).
Sempre stringendo il piccolo ciondolo d’oro bianco, ricominciai a camminare. Pensavo al fatto che, da brava sognatrice ad occhi aperti, decisamente troppo persa e svanita, avevo dimenticato a casa il portafoglio. Non avevo, quindi, nessuna possibilità di prendere un mezzo di trasporto per arrivare a casa. Niente pullman o taxi per fare più in fretta. Ero condannata a farmi tre quarti d’ora di strada a piedi sotto il diluvio universale. Disgrazia.
 
- She’s got a ticket to ride…
 
Canticchiai. Mi venne istintivamente alle labbra una risata ironica. Lei aveva un biglietto, io no. Uffa.
Mi misi a canticchiare anche questa canzone, con estrema rassegnazione. Amavo “Help!”, l’album in cui c’era “Ticket to ride”. Il mio primo album dei Beatles, che me li aveva fatti conoscere, dopo l’omonimo film che avevo visto almeno un migliaio di volte. Questo pensiero mi spronò ad andare avanti a passo più spedito. A casa avrei potuto ascoltarlo, e perché no, magari anche suonare un po’. Ne avevo proprio voglia.
 
- …She’s got a ticket to ride, but she don’t care. My baby don’t care…My baby don’t care…My baby don’t care.
 
Conclusi. Diochebella.
Avevo in testa ancora la canzone e quasi non sentivo più la pioggia, quando sentii cadere per terra davanti a me qualcosa che dal rumore sembrava una monetina. Non poteva essere mia, dato che non avevo con me un centesimo, però mi fermai lo stesso e mi chinai per raccoglierla.
Era una piccola monetina, in effetti, con un foro in cima. Evidentemente era un ciondolo. Sembrava piuttosto vecchio, e tutt’attorno aveva una scritta che diceva “Ticket to ride”. Al centro c’erano quattro piccoli uomini che facevano con le braccia un segnale d’aiuto.
Mi misi a ridere, inizialmente. Non potevo credere alla coincidenza.
Stavo proprio pensando a “Help!” e a “Ticket to ride” ed ecco che mi cade davanti un ciondolo a forma di moneta che porta scritto il titolo della canzone e il bassorilievo della copertina dell’album.
Oltretutto io avevo bisogno d’aiuto, e soprattutto di un biglietto per tornare a casa.
Dopo un po’ però, mi resi conto di quanto tutto questo fosse strano. Da dove era saltato fuori quel ciondolo? Da me no di certo. Mi guardai intorno, ma la strada era deserta, a parte me. Alzai lo sguardo, ma non c’era nessuna finestra dalla quale sarebbe potuta cadere.
Guardai di nuovo quella strana monetina, incapace di darmi una risposta.
A meno che…
 
- Ma piantala, da quando le monete piovono dal cielo, maledetta sognatrice che non sei altro?
 
Mi dissi. Eppure, più la guardavo, più mi sembrava l’unica spiegazione plausibile.
La rigirai tra le mani un po’ di volte, riflettendo sulla sua origine. All’improvviso veni avvolta da una nebbia bianca, mi spaventai un po. Cos’era successo? Ma la nebbia si dileguò subito dopo, riportandomi nel vicolo dove mi trovavo. Tirai un sospiro di sollievo, forse un po troppo presto, perché solo dopo mi accorsi che c’era il sole. Com’era possibile? Fino ad un momento fa diluviava…E adesso il marciapiede non era neanche bagnato. Non feci in tempo a cercare di darmi una risposta che sentii una voce che proveniva dalla mia destra.
 
- Tutto bene, signorina? Ha bisogno di un passaggio? Io credo di si, in effetti.
 
Mi girai, e rimasi sconvolta. C’era un taxi nero, il tipico taxi inglese, e un uomo che parlava dal finestrino aperto del posto del guidatore, mi chiedeva se volevo un passaggio. Tutto normale, fin qui. Il problema è che il signor taxista non era esattamente una persona che mi sarei aspettata di vedere alla guida di un taxi nel 2010.
 
- BB…B…Brian Epstain?

- In persona, cara. Adesso però avrei un po di fretta, le dispiace salire? Se non ha bisogno di un passaggio giuro che appena li vedo li uccido…No, forse non li uccido, ma solo perché non posso!
 
- Ehm…Veramente io…
 
- Sali, daii!
 
- Ma non ho soldi per pagarla!
 
- Ma davvero ti sembro un VERO taxista?
 
- In effetti…
 
- Sali?
 
Salii sul taxi, e presi posto in parte a Brian, non so bene per quale motivo.
 
- E su con la vita, mia cara! Hai la faccia di una che ha appena visto un fantasma!
 
…Non è divertente. No, decisamente non è divertente.



My Little Nowhere Corner.

Ed eccomi qui con una nuova storia. L'ispirazione mi è venuta stamattina, mentre facevo la doccia. Quindi, uscita dal bagno, al posto di fare greco come una brava studentessa ch vuole recuperare il suo bel 4 nella versione, mi sono messa a scrivere.
Spero che l'idea vi piaccia.
Un Bacio :*  Little Darling.

  

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Capitolo 2
*** Taxman ***


Capitolo 2. Taxman.
 
- Piazza Penny Lane, numero 4…
Balbettai…Devo ammettere che quell’uomo mi metteva un po’ in soggezione. Era evidente che fosse educato e gentile, contegnoso e galante…solo che aveva il piccolo difetto di essere…come dire…morto qualcosa come trent’anni prima. Oltretutto, era apparso dal nulla (ne sono sicura) e contromano! Non era possibile…Nonono. Persino la mia mente pazza non riusciva a crederci…Uffiii…Non ci capivo più un cavolo di niente!
Brian si girò verso di me, con sguardo interrogativo.
- Come scusa?
- Piazza Penny Lane, numero 4…è…è lì che abito.
Mi guardò come per dire “E allora?”. Infatti disse:
- E allora?
- Beh…è dove stavo andando…
- Va bene cara, ma davvero, non riesco proprio a capire come questo possa interessarmi.
Come non gli interessava??? E dove voleva darmelo il passaggio??? La faccenda iniziava a preoccuparmi.
- …Ma…Io credevo…Un passaggio…Cioè…Credevo volesse darmi un passaggio!
No. Dove mi stava portando, se non a casa? Ero stata rapita da un fantasma?? Ah, bella questa. Non ci avrebbe creduto nessuno. E cosa fanno i fantasmi quando rapiscono la gente? Cosa mi avrebbe fatto?? Ommioddio…Ci ero cascata in pieno, nella trappola! Ma no…Brian era il manager dei Beatles, un tale sant’uomo non poteva essere malvagio. Nono, mi rifiutavo di crederlo.
- Oh, si. Beh, vedi cara, credo di doverti delle spiegazioni…Comunque tranquilla…Credo che presto ti lasceranno tornare a casa.
Disse, e poi borbottò qualcosa come “O almeno, lo spero per te.”
Nonononononononono. Come “Credo che presto ti lasceranno tornare a casa.”?? Nono, non  mi andava bene per niente questa cosa, anche se era il manager dei Beatles. Cioè, alla fine, ero anche un po’ lusingata di essere stata rapita da lui…E anche un po’ contenta, forse. Alla fine, era sempre il mio manager preferito, no?
Però…io DOVEVO tornare a casa. C’era Penny da sfamare, le pulizie da fare, dovevo studiare…E naturalmente, Lisa non era a casa. Proprio domani doveva sposarsi suo fratello???
E comunque…Più ci pensavo e meno ci capivo di quella situazione.
- Oh…
Ecco, mi ricordai della cosa che stavo stringendo nella mano destra. La aprii, e stetti ferma immobile a guardare la medaglietta che aveva lasciato un segno sulla pelle, come se fosse la risposta ad ogni mia domanda. “Ticket to Ride” …No…era troppo strano. “Impossibile” dissi a me stessa. Però…
Presa da questi pensieri udì uno scossone che i fece finire con la faccia spiaccicata sul cruscotto.
- Adesso ho capito a cosa servono le cinture di sicurezza.
Borbottai, mentre mi staccavo la faccia dal cruscotto massaggiandomi la faccia dolorante.
Ma appena mi girai verso il finestrino per vedere quello che era successo, feci un salto sul sedile con tanto di accompagnamento sonoro, e andai a sbattere la testa contro il tettuccio della macchina. Ma non dissi “Ahia!”. Ero a dir poco sconvolta da quello che avevo appena visto guardando fuori dal finestrino.
- Dio mio!
Urlai, massaggiandomi la testa.
- Ommioddio! Eeeee no! Mr. Epstein! Non ci sto! Voglio sapere cosa sta succedendo! Cioè. Stiamo VOLANDO!! Lei non può credere che io sopporti di non sapere niente, mentre lei, tranquillo, guida una stramaledettissima macchina volante!
Ero fuori di me. Stavamo VOLANDO, e lui non mi voleva dare spiegazioni?
- Calmati, per la carità divina! Non mi avevano detto che eri isterica!
- Isterica? Iooooo?
Iniziavo a non vederci più. Come poteva pretendere che io stessi calma? Cioè stavo VOLANDO su una macchina guidata dal manager MORTO del mio gruppo preferito, scioltosi da qualche decennio…e lui voleva che stessi CALMA? Ma guarda te…Mi sentivo come Harry sulla Ford Anglia del papà di Ron, e non era esattamente tranquillizzante la cosa.
Vedevo le case grigie di Liverpool sotto di me illuminate dal sole, cosa per me inusuale quanto strana ai miei occhi. Certo, quando mi ero trasferita a Liverpool ero talmente esaltata all’idea di andare ad abitare nella patria dei Beatles, che nemmeno avevo preso in considerazione le condizioni meteo della città. Si, perché dovete sapere che Liverpool è costantemente sotto la pioggia, o la nebbia, o la neve, o la grandine, o nuvoloni scuri scuri scuri che ti fanno dimenticare cosa sia il sole.  E io odio tutto ciò. Io amo il sole, il caldo, l’asciutto…Ma ci avevo fatto l’abitudine, quasi (quando mi ricordavo l’ombrello  il portafoglio). Vivere a Liverpool era stato il sogno di tutta una vita e adesso che lo stavo vivendo potevo anche accettare la pioggia (ripeto, quando mi ricordavo ombrello e portafoglio).
Comunque, la vista di Liverpool sotto il sole e dall’alto era uno spettacolo bellissimo. Una massa di case piccolissime, qualche prato, e poi intravidi casa mia. Iniziava a girarmi la testa…
Probabilmente Brian se ne accorse, perché mi chiese se stavo bene, e probabilmente il mio silenzio e la mia faccia che sembrava più bianca delle lenzuola lavate con Vanish Crystal Bianco gli fecero intuire che forse non stavo esattamente bene.
- No, ti prego! Non svenire!
Mollò il volante e iniziò a scuotermi nel tentativo di rianimarmi. Immediatamente mi risvegliai, ma non per i suoi scossoni.
- Ussignur! PRENDA SUBITO IL VOLANTE IN MANO!!!!
Urlai. Al che, lui obbedì subito, visibilmente tranquillizzato dal fatto che mi ero ripresa. Cercai di recuperare un po’ di calma con molti, ma mooolti respiri profondi e dissi:
- Per l’ennesima volta…Mi farebbe il cortese favore di dirmi quello che sta succedendo e dove diavolo mi sta portando?
- Oooh bene, vedo che ti sei calmata, cara.
- Vuole rispondermi?
- Oh, guarda. Siamo quasi arrivati!
- Ma perché diamine non mi risponde???
Giuro, se avesse deviato la domanda un’altra volta, non so cosa gli avrei fatto.
- Uff, ok. Me vedi, se te lo dicessi io, ora…Non mi crederesti mai, o peggio, sveniresti sul colpo…Quindi lascio che tu capisca tutto da sola, o con il loro aiuto.
Stavo per ribattere, quando mi resi conto che eravamo atterrati.
Era tutto bianco. TUTTO.
- Scendi pure, cara.
Mi aveva aperto la portiera per invitarmi a scendere. Appena appoggiai i piedi in terra mi accorsi che era morbido, il “pavimento”. Anzi, mi accorsi che era tutto morbido. Morbido e bianco. Sembrava di essere su una nuvola, come nei cartoni animati.
Dio mio! No…Anche questa no. Ero su una nuvola? Ommioddiosantissimo.
- Seguimi, cara.
Sotto shock, seguii Brian, dato che ormai era l’unica cosa che potessi fare.
Sul muro davanti a noi, fatto di cotton fiock anche quello, era apparsa una porta. Bianca (ma va?). Brian l’aprì, ed entrando, mi ritrovai in un prato verde pieno di piante. Mi ricordava qualche posto, ma mi sfuggiva quale.
Non feci in tempo a darmi una risposta che un lampo grigio mi sfrecciò davanti.
- Evvivaaaaa! Eppy è tornato, Eppy è tornatooo! Yuuuhuu!
Canticchiò una voce famigliare. Poi una seconda:
- John! Stai per caso cercando di uccidere Brian?
Dio mioooo…mi sentii mancare. Quella voce, così terribilmente e piacevolissimamente nasale era inconfondibile…oddio.
Attorno a me vedevo soltanto figure sfuocate. Una che correva tutto intorno, poi Brian in parte a me, e un’altra figura che si avvicinava da lontano. La figura dalla voce nasale…
E poi fu tutto bianco (si, più di prima). E poi basta.

My Little Nowhere Corner.

Ed eccomi qui di nuovo con questo marroncino cacchinaaaa! Boh, il capitolo è quello che è...Ma spero di essere riuscita a rendere l'idea.
Grazie a TUUUUTTI per le recensioni, e anche a quelli che hanno letto e basta :)
Al prosimo capitolo! Buona ispirazione a TUTTIIII :D
 
 
 
 
 
  

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Capitolo 3
*** There's a place. ***


Capitolo 3. There’s a place.
 
- Oddio, non sarà mica morta, vero?
- Beh, se è così è nel posto giusto!
- John!
- Che c’è? E’ vero!
- Si, ma…Evita!
- Va bene, mamma Eppy.
Tirai un sospiro esasperato.
- Bravo, ma cosa facciamo? Ora è svenuta sul serio.
- Perché? E’ già….?
- Non fa niente, lascia stare Lennon. Dov’è finito George adesso? Era qui fino ad un momento fa!
- Adesso lo chiamo. “Georginaaa! Amore, vieni”
Aspettammo una risposta, che arrivò quasi subito da un punto vicino.
- Mi cercavate?
Un giovane e tranquillissimo George Harrison comparve, si direbbe dal nulla, con un enorme pacchetto di biscotti in mano.
- Ma ti sembra il momento di mangiare?
Chiesi.
- Perché, che momento è? Aaah giusto! La povera vittima. Dì un po’, Eppy, l’hai pestata per caso? Guarda in che condizioni è! Sembra morta.
- Harrison, non scherzare. Dobbiamo svegliarla.
- CI PENSO IO!
Lennon si avvicinò alla vittim…scusate, alla ragazza con il suo solito sorriso da furbetto. Sapevo perfettamente cosa aveva intenzione di fare, e la cosa non mi stupiva per nulla. La cosa strana era che avevo la netta impressione che l’idea di John avrebbe potuto funzionare, quindi non dissi niente.
Le labbra di John si stavano per posare su quelle di…un momento, com’è che si chiama? Vabbè, comunque, le labbra di John si stavano per posare su quelle della ragazza quando…
- Fermo tu!
Harrison comparve alle spalle di Lennon con in mano un……Fucile???
Lo puntò alla schiena di John, che di tutta risposta sentendo la pressione della canna del fucile sul corpo, estrasse una pistola dalla tasca dei pantaloni e la puntò contro il suo aggressore.
- E adesso come la mettiamo, Harrison?
- Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto (cit.), Lennon.
John rimase interdetto per qualche secondo, riflettendo su quello che aveva appena sentito. Poi, con sguardo risoluto disse:
- Si, ma io sono comunque già morto.
George non si scompose, anzi, si diresse verso la ragazza-senza-nome dicendo impaziente:
- Ooo, poco importa Johnny. Sta di fatto che non la puoi baciare tu, perché rischierebbe di non svegliarsi.
- E tu come lo sai, suino?
- Beh, io ho degli occhi.
- Anch’io ho degli occhi!
- Si, ma io li uso. Tu no. Guarda qui.
Indicò il polso della ragazza, attorno al quale si intravedeva un braccialetto d’argento.
- Vedi, c’è attaccata una “G”, come George. Non una “J”, come John. Questo vuol dire che la devo baciare io.
John fece una linguaccia a George, mentre quest’ultimo si apprestava a dare il bacio. Appoggiò delicatamente le labbra su quelle di lei, che al tocco si ridestò. Si mise a sedere, senza naturalmente staccare le labbra da quelle di Geo che continuava a baciarla tranquillamente.
- Ehm ehm… (tipo Umbrige)
- Mmm…
- Ehm ehm…
- Ooo, che palle John!
I due finalmente si staccarono e la ragazza si guardò intorno, decisamente spaesata. Appena si rese conto di chi l’aveva baciata, sbiancò di colpo.
- No! NON – SVENIRE – ANCORA.
Dissi, tenendole la schiena per farla rimanere seduta.
- Te l’avevo detto, che dovevo farlo io. Tu non baci abbastanza bene, Harrison.
- H…H…Harrison?
- In persona.
- Ommioddio.
Si sedette a gambe incrociate e si tolse il cappotto, rimanendo con un maglione morbido blu scuro su un paio di jeans a sigaretta. Quando si passò la mano destra tra i lunghi capelli marroni, scoprì il braccialetto secondo il quale Geo si era autoproclamato salvatore, o baciatore, come preferite. Comunque, attaccata al braccialetto non c’era solo la lettera “G”, ma anche la “J”, la “P” e la “R”.
John se ne accorse, e inveì subito contro Harrison.
- Brutto suino del cavolo, potevo baciarla anch’io!
- Si, ma io non lo sapevo.
Rispose Geo tranquillissimo. Dopodichè iniziarono a litigare come due bambini, come sempre:
- Poteva baciarla anche il nasone! E anche quella femminuccia del Macca…
Mi sentii in dovere di riportare l’ordine. Chiedendomi, come sempre, perché mi toccava fare loro da manager anche da morto. Iniziavo a credere che non mi sarebbe mai stata concessa la tanto ambita “pace eterna”.
Ma l’ordine arrivò da solo.
- A proposito di Macca…
Se ne uscì John.
- Che ha Paul, Lennon?
Chiesi io.
- Accendi lo schermo sul 1984456322.
- Ohoooo…
Disse Geo, che stranamente aveva già capito tutto.
- Mi volete spie…
- Tu accendi, poi capisci.
Mio malgrado, feci comparire il telecomando e accesi lo schermo sul 1984456322, sotto lo sguardo stupito della ragazza, che tralaltro,  non parlava.
La televisione (molto grande) comparve svolazzando e si appoggiò delicatamente al terreno. Adesso, la ragazza era MOLTO stupita. E continuava a non fiatare.
Tivvì (si, qui anche la tele ha un nome. E gliel’ha dato John…figuriamoci!) si accese sul canale sopraindicato, e il prato attorno a noi divenne una buia sala cinematografica.
- Ehi! Qui le poltrone sono scomode!
- Si, e i Pop-Corn fanno schifo.
Incontentabili. Ma ormai dovrei saperlo.
La sala si tramutò allora in un comodo e caldo salotto, con biscotti a volontà.
- Oooh, adesso si che si ragiona!
Esclamarono insieme.
Alleluia. Deo gratias. Evviva. Ce l’abbiamo fatta.
- Schiaccia play, Eppy. Non vorrai mica che ci perdiamo tutto, vero? Sei sempre il solito lentone, che non si accontenta mai di niente!
Fai un respiro, Brian. Un lungo respiro.
Lo feci, e poi premetti play.
Sullo schermo di Tivvì comparve un Paul McCartney che tranquillo, contava le rose di un mazzo. Rose ROSSE. Ventiquattro rose rosse. Ora capivo anch’io.
Eravamo tutti attentissimi, anche Senza Nome, che guardava incantata Tivvì. Senza dire nulla, naturalmente. In realtà, avevo la vaga impressione che avesse scaricato la batteria in macchina con me.
Comunque, quando Paul si alzò dalla sua sedia, George si mise qualcosa come 10 biscotti in bocca e iniziò a stritolare la mano di Lennon, che invece guardava Tivvì con aria estremamente divertita.
- Mi chiedo cosa succederà questa volta.
- SHHHHH!
Gli intimammo tutti, girandoci verso di lui e fulminandolo con sguardi decisamente assassini. Credo che Harrison gli abbia anche sputato qualche biscotto in faccia. Bleach. Inorridii.
Ma torniamo al nostro Paul. Era in una stanza molto, ma molto lussuosa. Sembrava un salottino. Le pareti erano di legno  pregiato, e la sedia dove fino ad un momento prima era seduto era rivestita di velluto rosso. McCartney entrò in una porta con le rose dietro alla schiena, ma chiudendola i fiori rimasero schiacciati. Sotto la risata sguaiata di Lennon, e i gemiti d’ansia di Harrison, riuscì a sentire Paul imprecare. Una voce femminile uscì dalla stanza:
- Tutto a posto, tesoro?
La ragazza senza nome mi guardò con sguardo interrogativo e indicò lo schermo.
- Si, è la fidanzata di Paul. Nancy.
Dissi, in modo spregiativo. In modo decisamente spregiativo.
Ritornò a fissare Tivvì. Appena in tempo per riuscire a vedere lo spettacolo (secondo John) di Paul imbarazzatissimo ed estremamente nervoso che si salva in calcio d’angolo gettando i fiori (ormai distrutti) nel cestino dietro di lui. Senza che Nancy lo veda, naturalmente. Se non fossi stato il suo manager per quasi 10 anni, probabilmente sarei rimasto a bocca aperta, nel vedere Paul McCartney così nervoso davanti ad una donna. E probabilmente avrei pagato per vederlo. A giudicare dalla faccia di Senza Nome, anche lei era rimasta piuttosto divertita. E scioccata, anche.
La scena che si presentò dopo fu quasi disgustosa. Lei, uscita dalla stanza, si avvinghiò a lui come un polipo (“Ehi, Geo! Sembra il polipo del giardino di Rings!” questo era John.) e iniziò a baciarlo. Bleach. Orripilante e vomitevole.
Afferrai il telecomando e spensi Tivvì, che scomparve con un “pop” sonoro.
- Ma dai! Perché hai spento?
- Che schifo John!
- Ma era la parte più bella! Uffa, sempre il solito.
- John, ricordati che abbiamo un’ospite.
- E chissen…
- John!
- Pff… Comunque fa troppo ridere il vecchio Macca che cerca di fare una proposta di matrimonio. Haha.
- PROPOSTA DI MATRIMONIO????
Disse la ragazza, che aveva ascoltato tutto con attenzione quasi maniacale.
- Si, piccola. Il nostro caro Paul vuole sposare QUELLA. Ma tanto, non ci riesce mai.
Senza Nome, che già prima stava per svenire (di nuovo) per la notizia delle intenzioni di McCartney, dopo la frase di John ebbe un piccolo mancamento (ma credo sia perché Lennon l’ha chiamata piccola).  Comunque, grazie al cielo, si riprese subito.
- Ma…Ma…Ma ha la faccia da cavallo!
Esplose, e si mise subito a spanciarsi dalle risate. E naturalmente John e George la seguirono a ruota, aggiungendo i loro “ragli” alla risata della ragazza.
- Muahahahahaha, hai ragione…Hahaha!
- Hahaha, ti stimo piccola!
- Hahahahahaha!
Aspettai che finissero (Aspettai tanto, decisamente troppo, ma ormai la mia pazienza non aveva più limiti. Infinita, ecco com’era. Mi chiedo ancora perché non abbiano deciso di farmi santo), quindi il salotto ritornò ad essere prato, e sia John che George caddero a terra. Con estremo disappunto, direi.
La ragazza, invece era rimasta sempre seduta per terra, e non si fece nulla.
- Ahia!
Si lamentò Lennon.
- Ahia! Mi hai fatto sbriciolare tutti i biscotti!
Si lamentò Harrison.
- Uff…Sempre a lamentarvi voi!
Iniziarono a urlare qualcosa si decisamente indefinito contro di me, ma non diedi loro ascolto. Anni di esperienza alle spalle… Ad un certo punto la dolce e isterica ragazza senza nome disse qualcosa.
- P---------------?
Ma nessuno la sentì, con tutto il casino che c’era. Io però, dato che sono un uomo attento, avevo visto che aveva effettivamente detto qualcosa.
- ZITTII! PER GIOVE (una cosa tipo Doc, in ritorno al futuro), ZITTI!
- Hai detto qualcosa, Eppy caro?
- Uuuhf.
Sospirai. Finalmente c’era silenzio.
- Si, John. Ti ho detto di chiudere la bocca. E anche a te, George!
- Ma…Ma poi come faccio a mangiare???
- Oh signore, aiutami tu… Harrison, è un modo di dire! Per mangiare la puoi aprire la bocca.
- Ah, per fortuna.
E facendo un sorriso a duemila denti, si dedicò amorevolmente ai suoi adorati biscotti.
- Comunque, cara – ripresi io – Hai cercato di dire qualcosa?
- Io…veramente avrei una domanda.
- Dimmi, piccola.
John, esasperante come sempre, le si piazzò davanti con il suo sorriso…insomma, quello che dedicava alle fan più carine. Si, dai…a quelle che (quando era in vita) voleva portarsi a letto. Un sorriso, che fece quasi svenire (per l’ennesima volta) la ragazza.
- Ehm…si…ecco…veramente…
- John! La stai facendo andare in crisi!
- E’ un piacere…Sai, piccola, hai proprio dei bei occhi.
Senza Nome, miracolosamente non svenne. Ma, in compenso diventò di un colore tendente al viola-bordeaux. E sembrava le avessero tolto la capacità di parlore.
- John!
- Non è colpa mia se sono così dannatamente bello!
- Ma non riesce a parlare!
- Quel colorito le dona, anche se la preferisco normale, devo ammettere.
- Ecco, allora piantala di fare il pavone Lennon, e lasciala parlare!
- Uff…Come vuoi Eppy.
Finalmente si allontanò, ma continuò a fissare Senza Nome. “Incorreggibile…” pensai.
- Chiedi pure, cara.
- Ecco…io volevo solo fare una domanda…
Ora era lei che ci girava intorno, però! Poi, scoppiò.
- Dove siamo? Siamo in paradiso? Perché sono qui? Sono morta? Daiii…Ditemi qualcosa! E cosa c’entra Paul? Perché prima LUI mi ha baciata? Cosa ci faccio qui? E perché è comparsa una TV dal nulla? Come ha fatto? E che canale è quello dove si è accesa? Perché non mi dite niente?
- Eppy…sei sicuro che non abbia sbattuto la testa prima?
- In effetti…si. Ma era così anche prima.
- Oh. Wow!
John, che prima la guardava spaventato, ora la fissava MOLTO interessato.
Intanto, la ragazza stava riprendendo fiato. Decisi di fare un po’ di ordine.
- Ok, cara. Perché non ci dici prima come ti chiami?
- Ma non è necessario! A me e Geo va bene chiamarla piccola.
Al che, Senza Nome ebbe un lieve mancamento. Ma non svenì. Evidentemente, ci stava facendo l’abitudine anche lei.
- Non mi sembra il caso…Allora, come ti chiami?
- O..O..Olivia. Si, Olivia. Ma chiamatemi Liv.
Harrison drizzò le orecchie…e divenne subito serio.
- Olivia…Liv…
- George?
Disse Liv, che stava prendendo coraggio. PER FORTUNA!
- Si?
- Mi dispiace…E anche per te, John.
Sia lo sguardo di John, che quello di George si addolcirono, ed entrambi le rivolsero un mega sorriso. Lei ricambiò, e una lacrima le scese dall’occhio destro.
John lanciò il proprio fazzoletto (pulito) a Harrison, che lo prese al volo e lasciando i suoi biscotti si avvicino ad Olivia per asciugarle la lacrima.
- Tranquilla…
Sussurrò George.
- Ehm…adesso…mi spiegate tutto, per favore?
Disse, imbarazzata.
- Subito!
I due le si piazzarono davanti e si sedettero per terra, esattamente come lei. John iniziò a parlare.
- Allora…Intanto faresti meglio a mettere al sicuro quella monetina, se la perdi, non ne abbiamo altre.
E indicò la mano destra di Olivia, che continuava a stringere il ciondolo.
- Oh…Questa?
- Esatto.
Lei cercò un posto dove metterla, ma non ne trovò alcuno, dato che non aveva tasche ne nel maglione, ne nei jeans. Allora George, che era in un momento decisamente ispirato, fece comparire una sottile catenina d’argento, dello stesso colore del ciondolo, e la porse a Olivia. Lei infilò il ciondolo nella catenina, e John si fiondò a mettergliela al collo. Diventando rossa, di nuovo, la ragazza mormorò un grazie rivolto a tutti e due.
- Cos’è?
- C’è scritto sopra, no? E’ un biglietto, il tuo personale biglietto per venire qui.
Olivia lo fissò, poi chiese:
- E come ho fatto a trovarlo?
- Beh, piccola, te l’abbiamo fatto trovare noi. Diciamo che…ci servi.
- Per una missione.
Aggiunse John con un’aria decisamente soddisfatta.
- Che missione?
- Te lo spiegheremo dopo, con più calma…Prima pensiamo a cose più importanti.
Dissi io.
- Dove ti sembra di essere?
- Beh…se TU sei Brian Epstein, TU sei John Lennon, TU sei George Harrison e…e siete tutti…
- Morti, si.
Concluse John per lei.
- Beh, allora credo di essere…
- IN PARADISO!!! Brava la mia Liv, ottimo intuito!
Scoppiò John.
- E perché non è tutto bianco, come fuori dalla porta? Si, dalla porta che adesso è scomparsa, ma prima vi giuro che c’era.
Disse, guardandosi attorno, disorientata.
- Beh, questo ci piace di più della nuvola. Questo era il nostro posto preferito quando eravamo ragazzi. E lo è anche adesso. Lo riconosci?
Tra tutti gli alberi, la ragazza intravide il celebre cancello rosso, ed un vecchio edificio in lontananza…
- STRAWBERRY FIELDS!
- Sei un genio…
- John!
- Beh, ha indovinato subito!
- Non era difficile…
- Eppy, sei sempre il solito. Sempre e comunque.
- Scusatemi…ma ci siete solo voi, qui?
- No, vedi…C’è un posto, non so esattamente dove, nel quale vivono tutti i morti della terra. Come vedi, nella loro forma più smagliante.
E indicò se stesso, con aria di adorazione personale e un sorriso da ebete sulle labbra.
- Ma io non vedo nessuno!
- E’ immenso, questo posto! E ognuno sta nel luogo che preferisce, creandoselo da solo. Non è difficile. Quando sono arrivato qui per la prima volta, ho incontrato Eppy che chiacchierava con Stu…Stuart Stutcliff, non so se hai capito. L’ho praticamente rapito, e siamo venuti qui, a Strawberry Fields. Stu non è voluto venire, dice che avrebbe aspettato Astrid ai cancelli d’ingresso…La ama ancora tanto.
- E quindi…
- Si, qui ci sono tutti.
- Tutti tutti?
- Tutti tutti. Se per caso vuoi farti una suonata con la cara Janis, basta che vai a trovarla a casa sua. Se vuoi prendere il thè con Einstein, di solito lo trovi al bar dell’università di Berlino. Se vuoi…
- Ok, basta. Ho capito.
- L’avevo detto che eri sveglia, ragazza mia.
Olivia non lo ascoltò nemmeno, e chiese subito:
- Ma…Perché avete scelto proprio me?
- Perché l’abbiamo scelta? Hai sentito Geo? Diglielo tu.
- Vedi, Olivia, perché semplicemente tu ci sembravi la ragazza giusta per noi.
Disse George, pensando seriamente che fosse una spiegazione soddisfacente. Ma non infierii. Sarebbe stato inutile e pericoloso, soprattutto.
- E quindi hanno mandato me, non appena mi hai chiamato, si, con la monetina, a prenderti e portarti qui.
Aggiunsi.
- E come avete fatto, a sapere dov’ero?
- Hai visto prima con il Macca? La stessa cosa. Con Tivvì…
- Tivvì???
- Si, John ha dato il nome allo schermo che hai visto prima.
Precisai io.
- E’ un nome bellissimo. Comunque, con Tivvì possiamo vedere tutto quello che succede sulla terra. E il Macca è uno degli show più divertenti :)
- E quindi avete cercato una ragazza che vi andasse bene?
- Esatto.
- E avete scelto me.
- Solo dopo averti osservato a lungo.
- Co..?
- Ti hanno lasciato la tua privacy, li ho controllati.
Olivia trasse un sospiro di sollievo.
- E cosa dovrei fare?
- Rilassati! Non c’è fretta! Te lo diremo dopo che ti sarai riposata.
- Ma…!
- Si, lo so. Il cane, Lisa che non c’è…L’ho già sentita.
Dissi io.
- E’ vero!
- Lisa è tornata e crede che tu sia in vacanza. Non chiedermi altro.
- Ma…
- Non chiedere altro.
- Ok…Uff.
- Suuuu con la vitaaa! Sei qui con noi, e puoi fare tutto quello che vuoi!
- In effetti…
E si fiondò ad abbracciare sia John che George con un impeto che avrebbe fatto invidia alla più agguerrita massa di fan.
- Grazie…
- E per cosa, piccola..?
- Per tuttoooo…
- You’re welcome, baby.
Disse John, senza capire perché Olivia lo avesse ringraziato.
Per la prima volta, pensai che quei due geni pazzi furiosi fossero teneri. E iniziavo ad adorare quella ragazza, che li teneva occupati. Ma, naturalmente, la bella scena non durò a lungo.
- Cavolo, ho finito i biscotti!!
-.-"

My Little Nowhere Coner.
 

Eccoci qui! Il nuovo capitolo in SUPER RITARDO (mi scuso umilmente, non insultatemi, vi prego). Probabilmente è una schifezza, ma non avevo molta ispirazione in questo periodo…Comunque, spero che sia di vostro gradimento :)
Un bacione grande grande :*
 
  







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Capitolo 4
*** You can work it out. ***


Capitolo 4. You can work it out.

- Ommioddio…ditemi che state scherzando.
- Ti sembra la faccia di uno che scherza, piccola ?
 
Disse John, indicandosi il viso con un dito. Fece un sorriso enorme, mozzafiato…ok, Olivia Janis Astrid: devi superare questa cosa di John Lennon. Non-devi-svenire-più. Semplice, no? E invece è difficilissimo, per la barba di Merlino. Ossignore, Liv ti prego dì qualcosa!
 
- Ehm…in realtà…no, ecco…
- No, non stiamo scherzando, Olivia.
 
Mi rassicurò George. Era un sogno, non scherzo. Avevo sempre amato George Harrison anche per il suo aspetto esteriore, ma vederlo dal vivo…beh, era tutta un’altra cosa. Era più bello di quanto l’avessi mai immaginato, o visto in fotografia, ma la bellezza non c’entrava. Erano gli occhi, a disarmarmi completamente. Mi fissava e io vedevo nel suo sguardo tutta l’arte, tutta la vita che c’erano in quell’uomo. Mi resi conto che se gli occhi sono lo specchio dell’anima, allora lui doveva avere davvero un’anima meravigliosa. E, stranamente, dopo le prime ore mi sentivo decisamente a mio agio, a parlare con loro. Si, ok. Sorrisi di John Lennon a parte.
 
- Wow…Cioè, voi mi state dicendo che…
- Puoi tornare quando vuoi, si.
- …
- Tutto bene?
 
Oh, si…Andava tutto a meraviglia.
 
- Wow…
- Wow…
- Wow…
- No, ma anche se non le fate il coretto non fa niente, sapete?
- Che palle Epps.
 
Povero Brian.
 
- Beh, allora…
 
Tutti si girarono a fissarmi. Sensazione sgradevole, ma continuai.
 
- Perché non mi dite qual è la mia missione?
- Già, perché non le diciamo qual è la sua missione, Harrison?
- Già, perché non le diciamo qual è la sua missione, Brian?
- Non guardate me!
 
Cos’è adesso questa storia che nessuno me lo vuole dire? Continuavano a bisticciare tra di loro, e ormai avevo capito che era una cosa normale, ma…
 
- Mi spiegate questa cavolo di missione, o no?!?
 
Ops. Avevo un tantino alzato la voce, ma almeno avevo ottenuto lo scopo. No, a chi la racconto? Avevo ottenuto soltanto tre paia di occhi puntati addosso, di nuovo.
 
- Scusate…
- Volevi qualcosa, piccola ?
- Beh…Ecco…
 
Uffa…mi trovavo bene con loro e tutto, ma…era possibile che non mi fossi ancora abituata a quel sorriso? E che dire del “piccola” ?
 
- John, tu la mandi nel panico, non c’è storia. Lascia stare, faccio io.
- Ma tu l’hai già baciata!
- Si, e…
- E non lo farà di nuovo!
 
Concluse Brian per lui. Uffa, la prima volta non me ne stavo quasi nemmeno rendendo conto!! Avrebbe potuto lasciarmi un’altra possibilità, non credete?
 
- Uffa Eppy!
- Che palle, Epps!
- …
- Non se ne parla!
- Sei sempre il solito, rompipalle del cavolo.
- Già, sempre il solito!
- Non ricopiarmi, Harrison! Non rubare la mia arte!
- La tua arte ? E chi la vorrebbe???
- Circa un milione di persone, Harrison.
- Mi dispiace per loro, Lennon.
 
Decisi che sarebbe passato molto tempo prima che quei due si stancassero, e anche Brian, rosso di rabbia, sembrava essere d’accordo con me. Così, lui fece apparire un divano, dei pop-corn, un film, e poi ci sedemmo tranquilli a guardare “Ritorno al futuro”. Decisi che si viveva decisamente bene in Paradiso, o in qualunque posto io mi trovassi. Quando alla fine si decisero a fare pace, il film era terminato da poco ed io e Brian stavamo discutendo su quale fase dei Beatles secondo noi fosse migliore. Io sostenevo fermamente che il periodo di Help fosse stato fantastico, ma lui continuava a difendere Please Please Me e i primi anni. Non ce ne saremmo mai più venuti fuori, quindi decidemmo di sprecare le nostre risorse con i due geniacci della musica in questione.
 
- Ecco, ragazzi, non vorrei rovinarvi il bel momento, ma non è che cortesemente, mi spieghereste la mia missione?
- E cosa aspettavi a chiederlo, piccola?
 
Stavo per ribattere impacciatamente, ma il mio sguardo fu catturato da Brian che mi fece segno di lasciar perdere. Continuai:
 
- Allora?
- Okay, okay. Allora…da dove possiamo incominciare Harrison?
- Dall’inizio direi, Lennon.
- Perfetto. Bene, sai che noi siamo qui da molto tempo…anche se io sono mortamente parlando il più vecchio…no, ok a parte Brian, ma comunque più o meno siamo tutti assenti dal mondo in cui vivi da tanti anni.
- E ci manca, dobbiamo ammetterlo. Manca a tutti noi…le persone, gli amici, i nostri cari…vorremmo in qualche modo metterci in contatto con loro, per far sapere a tutti coloro a cui abbiamo voluto bene che vegliamo su di loro da quassù.
- Ecco, qui entri in gioco tu, piccola.
- Io cosa?
- Tu ci aiuterai…sempre che tu sia d’accordo.
- E cosa dovrei fare…esattamente?
- Dire loro tutto questo.
 
Lennon, oh, Lennon…come potrei dire di no al tuo sorriso?
 
- No.
 
Ops, in effetti, l’avevo appena fatto.
 
- Come nooo???
 
Chiese una scatola di biscotti con la voce dell’ex chitarrista dei Beatles.
 
- Non ce la potrei mai fare, non sarei capace, nonnono…insomma…IO?
- Ma cara, ti abbiamo scelta solo perché non ci sarebbe nessun altro più adatto di te.
- No, no, no e poi no. Mi vergogno troppo…e manderei tutto il vostro piano a quel paese, ve deluderei troppo.
- Ma…piccola – Ok, da quando anche Harrison mi chiamava così? – Se io decidessi di darti un altro piccolo bacetto?
- Quando inizia la missione???
 
Odio la gente che mi corrompe con l’inganno.
 
- Anche subito!
 
Come non detto..
 
- Ditemi tutto…
 
Sospirai sconfitta.
 
- Allora, piccola, comincerai da…
- Già, da chi?
- Non lo so, Harrison, hai qualche idea?
- Forse…
- Per farle venire più voglia di aiutarci…
- Lennon, sei un tesoro.
- Preferirei genio, Harrison.
- Poco importa, Liv, tesoro caro, abbiamo deciso.
- Inizierai con…
- Mio figlio!!
 
No…vi prego…ditemi che ho sentito male…
Dhani Harrison, QUEL Dhani Harrison…stavo per sentirmi male.
 
- Tutto ok, cara?
- Ehm…si, certo!
 
Se, BOOM. Una balla più grossa non potevi tirarla fuori, vero?
(“Io ci avevo creduto davvero…”
“Si, era quello il mio scopo, Brian.”)
 
- Perfetto! Si parte allora!
- Ehi, un momento!
 
Lennon mi stava già trascinando verso un punto a me sconosciuto ed invisibile.
 
- Cosa?
- Ma come faccio??
- Usa la testa, Liv. Ce la puoi fare.
- Già, YOU CAN WORK IT OUT, cara!
 
Ululò Harrison da lontano. Uffa, mi avevano fregata.
 
- E ricordati di non perdere la medaglietta! E torna ogni vota che vuoi.
- Contaci, John.
- NON VEDO L’ORA!
 
Ancora George che urlava dal prato, mentre io venivo condotta fuori da Strawberry Fields. Uscita dalla porta improvvisamente comparsa dal nulla, mi ritrovai sotto il diluvio universale, a kilometri da casa mia.
Che teneri, mi avevano lasciato dove ero stata rapita.
Ma in quel momento, avevo un problema più grosso a cui pensare: DHANI HARRISON.
Non solo dovevo trovarlo, ma anche riuscire in qualche modo a parlargli. E come se non bastasse, dovevo anche fare in modo che non mi prendesse per una pazza che lo vuole prendere per il culo. Niente di più semplice, non trovate?
Forse non è un caso, quello che vidi appeso al muro di fronte a me. Forse invece è soltanto destino, o pura fortuna. Sta di fatto che in quel momento, con i vestiti fradici, senza ombrello né portafoglio, senza biglietti per il pullman e senza idee per la missione, fu come se fosse uscito il sole sopra di me per illuminarmi. Avevo trovato una soluzione.
 
Martedì 4 novembre, ore 21.30.
The Cavern Club, Liverpool
Fistul of Mercy in concerto.
 
 
Grazie ragazzi,  sapevo che non mi avreste lasciato sola. 


 My Little Nowhere Corner.
 
Finalmente, ce l’ho fatta! Eccovi di nuovo Liv alle prese con la richiesta d’aiuto dei nostri amati ex-beatles. Spero che il capitolo non vi abbia deluso.
Con tanto affetto coccoloso, un bacione a tutti.
  


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