AAA Cercasi: Arsenico & Cioccolato

di Araiha
(/viewuser.php?uid=52273)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** un dolce risveglio ***
Capitolo 2: *** Telefonata imprevista ***
Capitolo 3: *** Ricordo ***
Capitolo 4: *** l'appartamento degli orrori ***
Capitolo 5: *** Quella camicia maledetta ***
Capitolo 6: *** Sempre e solo lui... ***
Capitolo 7: *** Stupida pioggia! ***
Capitolo 8: *** Sorpresa! ***
Capitolo 9: *** Irritare è un'arte. ***
Capitolo 10: *** Visite tediose ***
Capitolo 11: *** Serata ad alto contenuto alcolico. ***



Capitolo 1
*** un dolce risveglio ***


Avete presente quella sensazione di beato appagamento, che la mattina appena svegli nel letto pervade il corpo dalla punta dei piedi fino all'apice delle orecchie ancora sprofondate nel cuscino? Ecco, questo sentiva Galatea. Le gambe intrecciate nelle lenzuola verde acido, le braccia che ricadevano scomposte sui cuscini di macramè, e le labbra leggermente dischiuse. Una luce appena diffusa penetrava dalle leggere tende lavanda e l'unico rumore era il respirare lento e cadenzato, era tutto calmo e sospeso, sembrava che anche i granelli di polvere nell'aria si fossero bloccati. Un quadro di pura armonia.

Fin quando il rumore stridulo di una sveglia squarciò il silenzio. La povera ragazza presa alla sprovvista, cadde senza alcuna grazia dal letto sbattendo con il sedere sul pavimento. “ per le mutande di pizzo di Giacomo Leopardi, che sempre sia lodato” sbraitò, lanciando con violenza quell'aggeggio infernale contro il muro. Il rumore cessò di colpo. Ovviamente l'idea di resettare la sveglia premendo l'apposito pulsante, non le aveva neanche sfiorato la mente.

Si passò più volte le mani sul viso e tra i capelli, per riprendersi da quello shock, e si accinse ad alzarsi. Prese i vestiti dalla spalliera del letto, li annusò per vedere se erano ancora indossabili, e dopo una non molto accurata ispezione decise che potevano ancora andare. Poi si diresse verso il bagno, non prima però di aver assestato un calcio alla sveglia che sbattè di nuovo contro il muro.

Continuando a borbottare tra se, giunse davanti alla porta del bagno. Ma appena arrivò a toccare la maniglia, il campanello squillò in tutto il suo demoniaco splendore. La sua testa iniziava a risentire di tutto quel trambusto di prima mattina. Lasciò cadere i vestiti a terra, e con passo mogio grattandosi lo stomaco attraverso la sottile canottiera, giunse alla porta di ingresso, da dove l'orribile suono, continuava a pugnalale le orecchie.

Aprì di scatto la serratura rivelando così un ragazzo di non più di 20 anni. I capelli biondi accuratamente stirati gli ricadevano su viso pallido, sul quale si stendeva un sorriso smagliante. Lo sguardo del giovane percorse in pochi secondi la figura di fronte a se, poi ancora sorridendo cinguettò: “Buongiorno, amore mio, e scusa se te lo dico, ma il look da donna tentatrice e fascinosa non di dona proprio” . Poi con grazia occhieggiò i piedi della ragazza, di cui uno solo era infilato malamente in un calzino, e i boxer da uomo a righe che indossava. In tutta risposta, lei si esibì in un grugnito. Ma prima che potesse continuare il biondo proruppe:” non fare così, luce dei miei occhi, ho portato cappuccino e cornetti”e le sventolò sotto gli occhi una busta di carta bianca, e poi senza chiedere il permesso si infilò nell'appartamento. “ ti sei salvato” gli urlò lei, poi corse verso il bagno.

Velocemente si lavò e si vestì, poi corse in cucina già pregustando il dolce sapore del meritato cornetto mattutino. “come fai ad essere così pimpante già di prima mattina" gli disse lei dopo un piccolo sbadiglio. “Gala, piccolo amore mio, è perchè io, a differenza tua, sono sessualmente attivo” e ridacchió addentato un cornetto alla crema. “ tu sei deficientemente attivo, ecco cosa sei, e non provare a contraddirmi o ti verso il caffè nelle orecchie” rispose lei acida. Non se la sentiva proprio, di ascoltarlo ciarlare già così presto. Riccardo era il suo migliore amico, ovviamente gay, e con una certa tendenza a infilare il naso nei fatti altrui. Era però una persona molto ottimista, di quelle che ti chiamano alle 2 di notte per parlare, credendo di non essere mandati a quel paese, e come ogni gay che si rispetti era un fanatico della moda. Quel giorno indossava jeans chiari, camicia rosa, e gilet indaco, abilmente coordinato con un cappello dello stesso colore. “ no, tesoro seriamente, sei un caso clinico, trovati un uomo, una storia da una notte e via, un barbone, qualsiasi cosa, ma ti prego fallo, sei un caso umano...” continuò così per un po'.

Gala aveva staccato il cervello e stava litigando con la macchinetta del caffè,aveva disperato bisogno di caffè allo stato puro, o non sarebbe arrivata viva a lezione. Riccardo esponeva una serie di voli pindarici di natura sessuale, quando il campanello suonò di nuovo. Questa volta un solo trillo schizzò in aria, e lei ringraziò il cielo, che almeno uno dei suoi due amici era sano di mente. Lara entrò di gran carriera in cucina, dopo che Riccardo le aveva aperto la porta, naturalmente senza degnare di uno sguardo la padrona di casa. Ma indubbiamente lei era ancora intenta a svitare la macchinetta, quindi nessun problema.

Poco dopo la voce di Lara e l'ondeggiare dei suoi biondi capelli in cucina, la fecero desistere dal suo compito e lanciò la caffettiera nel lavandino, già stra colmo di piatti sporchi. Si lanciò tra le braccia dell'amica, e con fare melodrammatico la pregò” ti supplico, levamelo di torno, fallo evaporare, prima che lo lanci fuori al balcone” poi si lasciò scivolare a terra, tra le risate dei suoi amici. “ senti, quella che dovrebbe essere uccisa sei tu” intervenne Riccardo, con voce falsamente indignata. Ne seguì un scambio di commenti non poco carini, fin quando la povera Lara esasperata li bloccò “ finitela di urlare come corvi in calore, un po' di contegno, diavolo” . Il silenzio calò sulla stanza, poi contemporaneamente esplosero in una risata sguaiata.

Dopo che si furono sfogati si sedettero in torno al tavolo, o meglio, Gala si stravaccò poggiando i piedi sul tavolo, Lara si sedette direttamente sulla superficie di legno, e Riccardo girò la sedia e ci si sedette a cavalcioni. “Allora, oggi che lezione abbiamo?” domandò il ragazzo sorseggiando dal suo bicchiere di carta.” letteratura medioevale, due ore, con quella pazza in menopausa della D'Angelo” sbuffo Lara, annoiata e improvvisamente pigra. “ quella deficiente isterica, mi odia, ve lo dico io, mi fissa con uno sguardo strano” Gala era famosa per le sue teorie sconclusionate riguardanti le professoresse, quindi nessuno fece caso al suo commento, come non fecero caso al fatto che la sua casa sembrasse un accampamento di barbari imbizzarriti.

A Galatea non piaceva pulire, e naturalmente non le importava l'aspetto del suo appartamento. Era come se vivesse su un altro pianeta. I capelli corti di uno sfolgorante rosso ramato, e gli enormi occhi blu, sempre persi, erano riconoscibili anche da lontano. Era una persona abbastanza stravagante. “Gala hai risolto poi la questione del fitto? Mi avevi detto di aver problemi...” Lara aveva appena finito di sorseggiare la bevanda bollente e stava poggiando il contenitore sul piano appiccicaticcio.” sto cercando un coinquilino, ho messo un annuncio sulla bacheca della facoltà, così almeno potrò ridurre della metà l'affitto e tutto il resto delle spese” la rossa fissava quieta il suo cornetto alla crema. “ e se ti capita un manico, e durante la notte cerca di accoltellarti con il tostapane?” gli occhi delle due ragazze si puntarono immediatamente sulla faccia spaventata di Riccardo. “ non ti chiederemo su che basi si fondi la tua teoria secondo cui, è possibile essere accoltellati con un tostapane, perchè ormai sei senza speranze” gli occhi di Lara si alzarono al cielo e giunse le mani in segno di preghiera, mentre lo sbuffo del biondino, si unì ad una risatina cantilenante. “ e comunque” proseguì “ sembra strano, ma lo sciroccato qui ha ragione, e se ti capita un assassino?” “ siete troppo ansiosi, vi sembro una sprovveduta?” gli sguardi eloquenti dei due amici furono la risposta “ cercherò di fare una selezione, solo persone di una certa classe” e il piccolo nasino di Gala svettò verso l'alto, tra le risate di tutti. “ oh certo, solo una persona di classe potrebbe venire a vivere in un appartamento dove ci sono vestiti appesi ai lampadari” Riccardo a sento riusciva a trattenere le risate, visto anche la faccia indignata che gli offrì la proprietaria della suddetta casa “quel top stava lì ad asciugare, ti ho già risposto ieri, se non l'ho spostato è perchè se no si sgualcisce”.

ma che ore sono? “ chiese poi improvvisamente. Tutti e tre si girarono verso l'orologio sulla parete di fronte. Le lunghe lancette rosse segnavano le 8:00. si alzarono di scatto contemporaneamente, consci dell'orribile ritardo. Gala imprecò: “ per i calzini a quadri di Giacomo Leopardi” e gli altri due risposero in coro “ sempre sia lodato”. Lasciarono tutta la spazzatura e gli avanzi sul tavolo, già prima non in bellissime condizioni, e si fiondarono fuori di casa.

Lara e Riccardo la venivano a prendere tutte le mattine da due anni, o meglio, Lara, unica ad avere la macchina, scorrazzava per tutta Roma, per prenderli, e per poter poi andare in facoltà insieme. Ma ogni volta facevano tardi, non erano mai arrivati puntuali, nemmeno un giorno, niente. Quei tre pazzi isterici si erano incontrati il primo giorno all'università, di lettere e filosofia per essere precisi, Gala era inciampata ed era caduta davanti all'intera aula. si era alzata tranquillamente, come se niente fosse, e mentre tutti gli altri studenti ancora ridevano, si era seduta sorridente tra una Lara sconcertata, e un Riccardo pieno di ammirazione, per la sua faccia tosta. Da allora erano inseparabili, una vera storia d'amore formato famiglia, in effetti. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Telefonata imprevista ***


Salve a tutti, allora questa è la mia prima ff, quindi sono ancora alle prime armi, il secondo capitolo come vedete l'ho scritto molto in fretta e spero che anche i prossimi aggiornamenti siano così rapidi. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate e se sono un totale disastro XD. Spero che questo piccolo racconto vi piaccia.

Baci Araiha.

 

Dopo che furono usciti dal condominio, come delle furie salirono sulla 500 verde acqua. Galatea si stese sul sedile posteriore con i piedi appoggiati al finestrino. Fissava stancamente le punte sporche delle sue all stars sbrindellate. Adorava quelle scarpe, erano state un ottimo compagno di viaggio. Fissò la fantasia a stelle e strisce, e i lacci sfilacciati in più punti, e la investì un moto di tenerezza.

Sul sedile anteriore, nel frattempo, i due amici urlavano a squarciagola una canzone dei Nirvana, sembravano due ubriachi. Le venne da ridere.

Abbassò di poco lo sguardo e incontro una piccola macchia di cappuccino sulla maglietta bianca che indossava, sbuffò, ma poco male l'avrebbe coperta con la giacca.

Scivolò ancora di più sul sedile, piegando le ginocchia e osservò il tettuccio nero. Ultimamente si sentiva strana, più del solito, forse era solo paranoia. Persa com'era nei suoi pensieri, non si accorse che erano giunti a destinazione.

Avanti infatti, era in corso una furiosa lite su dove avrebbero dovuto parcheggiare. Riccardo indicava a destra e Lara girava a sinistra. Il più delle volte per dispetto. Continuarono così per circa 15 minuti fino a quando parcheggiarono, relativamente vicino all'istituto.

La rossa scese e si calò sugli occhi i rayban gialli. A passo di marcia riuscirono ad giungere in aula, con un banalissimo ritardo di 10 minuti. Si sedettero svelti nei posti in fondo e cercarono di prendere il filo del discorso. Le piccole mani pallide di Gala si infilarono nella tracolla, ed estrassero un quadernino a fiori, e una bic dal tappo mangiucchiato. Iniziò velocemente a prendere appunti con una calligrafia minuscola e ordinata. Non si sarebbe detto, ma era molto studiosa. la sua media era molto alta, non era stata mai rimandata e i suoi voti non scendevano mai al disotto del 28.

la testa china sul quaderno, lo sguardo concentrato e fisso, e le labbra arricciate. Quindi non si accorse immediatamente che qualcosa le aveva colpito la testa, poi però vide una pallina di carta fucsia spiccare sul tavolo, e si decise a posare la penna. Aprì con cautela il foglietto e lesse una sola riga scritta con una calligrafia frivola e svolazzante:

 

Quell'idiota slavato dietro di te ti sta fissando da più di un'ora!

 

Si giro di scatto verso il biondino due posti più in là che alzo le spalle con noncuranza e continò ad arricciarsi una ciocca di capelli attorno al dito. Poi lentamente rivolse i suoi occhi blu alle sue spalle, dove notò l'idiota slavato in questione. Era Lorenzo , un loro compagno di corso, da sempre innamorato di Galatea che probabilmente non sapeva neanche dell'esistenza di altri esseri umani sulla Terra. Appena vide che la ragazza di cui si era invaghito le aveva rivolto uno sguardo, perplesso, ma pur sempre uno sguardo. Si esibì in un largo sorriso. Lei presa alla sprovvista rispose con un sorriso di circostanza, forse un po' troppo ampio, visto che si delineo sulla sua guancia sinistra la sua solita fossetta. Poi con lentezza ritornò a fissare difronte a se.

Ma un'altra pallina di carta le colpì la tempia, e non riuscì a trattenere uno sbuffo, che incuriosì la ragazza asiatica che le era capitata di fianco. Prese il nuovo foglietto e lesse:

 

Non dargli corda, oppure si farà strane idee,

e non te lo staccherai più di dosso.

Dammi retta, io me ne intendo!

 

Si girò di nuovo verso Riccardo, che le fece l'occhiolino. Non cercò neanche più di seguire la lezione, ormai l'intera analisi della poetica cortese era andata a farsi friggere, preferì quindi poggiare la testa sul banco e aspettare la fine dell'ora.

Dopo la fine delle lezioni, si erano catapultati fuori dalla facoltà, e con lo stomaco che brontolava, lei e Riccardo, aspettavano che Lara si congedasse dall'ennesimo ammiratore. Era molto ambita tra gli studenti, era alta bionda e formosa, di famiglia ricca e sempre issata su spropositati tacchi a spillo. Possedeva tutto ciò che si poteva desiderare in una donna: bellezza, eleganza, intelligenza, e un portafogli coi fiocchi. Proprio per questo Galatea ancora non si capacitava come un ragazzo avrebbe potuto interessarsi a lei., quando era sempre stata oscurata dall'ondeggiare voluttuoso della sua amica. Certo non era da buttare, era magra e piccolina, anche il suo viso non era male, i suoi due occhioni blu erano incastonati su un visino pallido e levigato, che comprendeva un nasino alla francese e un bocca piccola e curvilinea. Era una bambola di porcellana, ma nulla che si potesse definire sensuale e provocante. Aveva avuto alcuni pretendenti, anche al liceo, ma non si era mai fidanzata, le erano sempre stati stretti i legami, proprio per questo era andata vivere da sola. Ora nella sua testa si aggiravano una serie di pensieri nuovi e agitati, ma erano attenuati dal morbido calore delle braccia di Riccardo intorno alla sua vita, e il respiro lento che le solleticava il collo. “ se non si sbrigano a finire di tubare, vado li e metto in scena una dimostrazione pratica su come sia possibile accoltellare qualcuno con un tostapane” sbuffò velocemente lui, mentre la rossa rideva tra i baffi. “ ho fameee” si lamentò di nuovo, come un bambino. Ma prima che potesse iniziare la ricerca del tostapane, Lara corse verso di loro.

lo amo” cominciò la biondina, con aria sognante, mentre stavano raggiungendo la pizzeria dove mangiavano sempre.

dici sempre così, poi vedrai che tra un mese già ti sarai stancata” la corresse l'amico. Lara aprì la bocca per replicare, ma fu interrotta “ questa volta è diverso” le fece un imitazione impareggiabile. “risparmiati tesoro, la storia la sappiamo già” poi con grazia entrò nel locale, seguito dalle due amiche che ancora ridevano per la superba imitazione.

Un'oretta dopo erano tutti e tre seduti attorno ad un tavolino di legno scuro ad ingozzarsi di pizza e patatine fritte. Andavano sempre lì a mangiare ogni settimana, sia perché facevano una pizza strepitosa e anche a dicembre faceva un bel calduccio, ma anche perché ormai erano diventati amici del proprietario che gli faceva sempre un po di sconto. Erano ancora intenti a ingurgitare patatine e a chiacchierare circa il nuovo spasimante dell'amica, quando “raise your glass” di Pink perforò l'aria.

Velocemente Galatea prese il suo cellulare dalla tracolla e rispose, stoppando la canzone all'inizio. “ Pronto” “ salve, chiamo per l'annuncio che era esposto in bacheca, sarei interessata” la voce melodiosa e femminile dall'altro lato della cornetta la blocco un secondo, poi sempre cordialmente rispose “ certo, quando vuole può venire a vedere l'appartamento, sono sempre disponibile” i due ragazzi di fronte a lei continuavano a sghignazzare e a fare smorfie, tentando di farla scoppiare a ridere, ma lei mantenne con successo un certo contegno. “ allora, sarebbe possibile venire oggi pomeriggio verso le 4?” la ragazza parlò di nuovo. “ oh, certo nessun problema” rispose fissando il bicchiere sporco di birra che le si parava davanti, “ allora perfetto ci vediamo, questo pomeriggio, grazie e arrivederci” “ arrivederci” riuscì solo a dire prima che la chiamata si interrompesse. era una persona molto concisa ed arrivava subito al sodo, non le era sembrata molto simpatica, a dire il vero, ma non si sa mai.

dovresti mettere in ordine quel mercato Peruviano che chiami casa, se vuoi che qualcun altro ci venga ad abitare” Lara la distrasse dalle sue elucubrazioni mentali. “ oh, no di certo, se vuole venire, deve adattarsi. E comunque sono sicura che la casa le piacerà così com'è”, ed addentò l'ultima patatina. Gli sguardi dubbiosi dei due amici furono l'eloquente risposta.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ricordo ***


Ecco il terzo capitolo, spero vi piaccia. Nel prossimo ci saranno maggiori sviluppi...
Baci Araiha


Ritornata finalmente al suo appartamento, Galatea lanciò la tracolla sul pavimento, e chiuse con un calcio la porta dietro di se.

Controllò velocemente la posta appena arrivata, solo pubblicità e una bolletta, poi decise che avrebbe fatto un doccia. Si sentiva spossata, forse il traumatico risveglio di quella mattina l'aveva segnata più del previsto. Si spogliò, lanciando i vestiti sporchi davanti alla lavatrice, in biancheria entrò in bagno e aprì l'acqua della doccia.

Mentre l'acqua si riscaldava fissò il suo riflesso nello specchio, forse avrebbe potuto anche dare un occasione a quel Lorenzo. In effetti non aveva avuto mai nessuno che si curasse di lei, neanche da piccola. Un fidanzato premuroso e innamorato era tutto ciò che una ragazza poteva desiderare, eppure lei sapeva che non avrebbe retto a quel legame.

Si ricordava ancora con chiarezza il giuramento che aveva fatto diversi anni prima.

Guardò di nuovo il suo viso nello specchio, il blu degli occhi era diventato più chiaro.

Piegò il viso verso il basso e osservò le sue mani a contatto con la ceramica del lavandino, come quella volta...

 

Era una giornata di vento, gli alberi si piegavano tutti da una lato sotto la pressione imposta dalla natura, sopra di loro il sole era una sfera di una giallo emaciato che sfumava nel verde sui bordi. Eppure lei era felice. Era appena uscita da quell'aula calda e luminosa dove si svolgeva il suo corso di pittura, il cappotto rosso stretto attorno al busto e le mani ancora macchiate di colore. Aspettava con il sorriso sul viso che suo padre la venisse a prendere. I talloni battevano tra di loro, le manine venivano sfregate per avere un po' di calore, come sempre aveva dimenticato i guanti, e una nuvoletta di vapore ogni tanto saliva in aria. Faceva freddo, davvero freddo, ma era felice. Quel giorno era stata brava, molti le avevano fatto i complimenti per quel quadro che ora stringeva tra le dita. Una tela piccola e quadrata, dove i colori si fondevano a formare il volto di suo padre. Voleva farglielo vedere, voleva fargli una sorpresa, e per la prima volta attirare la sua attenzione. Per questo aspettava paziente lungo la strada, la tela dietro la schiena. Il sorriso che aveva stampato sulle labbra si allargò quando riconobbe la macchiano grigio scuro che stava svoltando l'angolo.

Salì velocemente nel veicolo e fissò l'uomo alla guida. Il suo punto di riferimento, il suo eroe, il suo papà. La macchina partì di colpo. L'uomo ancora non parlava, teneva il viso fisso sulla strada. La guida era brusca, più volte rischiarono un tamponamento.

La ragazzina cercò anche di chiamarlo con un sottile “papà”, ma ottenne in risposta una serie di bestemmie strette tra i denti.

La nausea l'assalì seguita dalla consapevolezza: i suoi avevano di nuovo litigato, lo sapeva era così ogni volta.

Le bestemmie e le imprecazioni si fecero più forti, mentre lei sussultava presa dalla paura. Lui accusava sua madre di essere una puttana, mentre frenava bruscamente l'ennesima volta. Gala di fianco cercava di non piangere aveva più volte vissuto quella scena, eppure ogni volta era come una stilettata al cuore, perchè dopo nasceva sempre quella flebile ma insistente speranza che tutto sarebbe tornato come prima. Ed era proprio quella speranza ad ucciderla ogni volt. Sapeva che se si fosse arresa, forse il colpo successivo non sarebbe stato così doloroso, eppure era più forte di lei. Strinse i denti all'ennesimo urlo e piegò il viso verso il basso.

Le mani che teneva in grembo erano ancora macchiate da diversi colori. Pensò che forse sarebbe stato meglio fuggire.

Un'altra bestemmia. Sarebbe andata via il prima possibile.

Un altro urlo strozzato. Si sarebbe fatta aiutare da sua nonna.

Questa volta si udì una rantolo soffocato. Doveva solo aspettare di diventare maggiorenne, solo tre anni ancora.

Un urlo più forte degli altri seguito da una frenata nervosa. Non avrebbe più sofferto per nessuno. Fissò la tela ai suoi piedi e le sfuggì una lacrima, che si tuffo sul colletto rosso del suo cappotto. Decise che quelle sarebbe stata l'ultima.

Lo sguardo si spostò di nuovo sulle sue dita intrecciate. Sulla pelle bianca spiccava l'oro, il colore dei capelli di suo padre, il blu, quello dei suoi occhi, il nero, lo stesso colore del suo odio, e il rosso:

il colore di quella decisione,

il colore di quel giorno,

il calore del suo capotto.

 

Permise finalmente che l'aria ritornasse nei polmoni. Aveva smesso di respirare così com'era immersa nei suoi dolorosi ricordi. Fissò le dita intrecciate tra loro. Non aveva più dipinto da allora. Guardò il suo riflesso nello specchio, odiava i suoi occhi, perchè erano gli stessi di suo padre.

Il vapore ormai aveva invaso tutta la stanza, appannando gli specchi e le mattonelle lucide.

Si infilò sotto il getto bollente e decise di dimenticare ancora una volta, fare finta di niente e andare avanti. Era andato tutto bene fino ad allora, no?

Si spalmò sul corpo il bagnoschiuma al cioccolato e aspettò che l'odore familiare la rincuorasse.

Dopo essere uscita incolume dal bagno, si infilò un paio di shorts di jeans e una maglietta sformata rosa pallido. Lasciò i capelli ancora bagnati e si diresse in cucina.

Arrivata però in soggiorno il suo sguardo cadde sull'orologio che segnava le quattro in modo inquietante. In quello stesso istante squillò il campanello. Ancora scalza e con i capelli bagnati si diresse correndo ad aprire. Ma una volta che il portone giallo si schiuse del tutto, quello che vide la lasciò a bocca aperta. Sbiancò di colpo, ma appena il suo cervello fu di nuovo in grado di ricordarsi in che stato il suo corpo si trovava, arrossì di colpo, bruciante di imbarazzo...

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** l'appartamento degli orrori ***


 

Salve, ecco qui il quarto capito. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate.
Baci Araiha.



Se fosse stato possibile avrebbe tranquillamente sbattuto la porta e infilato la testa sotto il getto gelato della doccia. Si trovava con i capelli fradici, senza trucco e vestita come una tredicenne deficiente davanti al ragazzo più bello che probabilmente, avesse mai visto. I capelli neri gli cadevano a ciocche morbide sul viso liscio, il naso perfettamente delineato, e le labbra morbide e piene piegate in una piccola smorfia di disappunto.

 

Ma quello che era spettacolare, quello che era assurdo erano i suoi occhi verdi. Un verde inteso e matto, con delle leggere sfumature più scure intorno all'iride.

Erano talmente belli che si sentì male.

Avete presente la sindrome di Stendhal? Ecco provò la stessa identica sensazione che si avverte guardando Van Gogh o Caravaggio.

Si sentiva adorante, meravigliata, allibita, ma più di tutto si sentì uno cicca schiacciata sul marciapiede paragonata a lui.

Visto che la ragazza che gli stava di fronte continuava a fissarlo senza spiccicare parola, allungò una mano e si presentò: “ piacere, sono Emanuele Salviati, sono qui per l'appartamento, qualcuno ha chiamato per me ieri” la voce era tranquilla e misurata, ma le suonò fin troppo distaccata.

Gala chiuse di scatto la bocca, fino ad allora rimasta spalancata e sorrise stringendogli la mano “certo, piacere di conoscerti, io mi chiamo Galatea Ricciardi, ma puoi chiamarmi come tutti Gala...” lo sguardo di lui rimase neutro, mentre lei continuava imperterrita “... si certo mi piace di più Gala perchè era il nome della musa di Dalì, Salvator Dalì il pittore, non so se lo conosci, è il mio pittore preferito. Vidi alcuni suoi quadri a Milano molto tempo fa e credo che l'esperienza mi abbia segnata...” il ragazzo di fronte a lei, che ormai nella testa di Gala aveva assunto il nome di Emanuele-Dio-sulla-Terra-Salviati, arcuò un sopracciglio e strinse leggermente le labbra.

Probabilmente si stava chiedendo se fosse meglio fuggire il più lontano possibile, o chiamare la NEURO per il bene dell'umanità.

...e credo anche che la cosa non ti interessi” concluse lei con una risatina isterica. Si sentiva in soggezione, non le era mai successo in vita sua.

Era agitata perciò era diventata logorroica, le succedeva sempre quando era nervosa. Eppure era stata la protagonista di figuracce epiche, che ancora si tramandano sui libri di storia, senza batter ciglio. Perchè lui doveva avere il super potere di ridurle il cervello in pappa?

Sentì l'impellente bisogno di sbattere la testa contro lo spigolo della porta fino al collasso.

Mentre lei osservava in modo inquietante il suddetto spigolo, Emanuele riprese la parola “forse dovresti farmi entrare, non credi?” cercò di essere il più delicato possibile, ma il tono risultò comunque sgradevole. Lei annuì velocemente con la testa, e si fede da parte per farlo entrare.

Alla sua vista si presentò una scena disastrata. Il parquet scuro era ricoperto di vestiti stropicciati e scarpe, i divani di pelle bianca del soggiorno erano anch'essi ricoperti di cartacce, fogli di appunti libri aperti a metà, alcuni di questi avevano addirittura degli involucri di merendine come segnalibri. La libreria laccata di fronte era vuota se non per una serie di bottiglie di plastica vuote. Il primato però era stato raggiunto dal lampadario di vetro rosso che pendeva dal soffitto, infatti su di esso vi erano un top e un jeans, appesi come decorazioni su un albero di natale. Emanuele lasciò vagare lo sguardo per un po' nella stanza, poi guardò la ragazza al suo fianco. Gala intanto cercava di captare ogni variazione espressiva, ma tutto ciò che riuscì a individuare fu un palese sguardo stralunato. Quindi sbuffò e si giustificò “ sono un po' disordinata” poi incrociò le braccia e distolse lo sguardo.

Se possibile la cucina era ancora peggio. Le ampie finestre illuminavano un paesaggio post nucleare. Sembrava che nessuno pulisse niente da anni, e non cucinasse nemmeno, visto che ovunque erano disseminate buste e confezioni di fast food.

Il ragazzo fissava una tazza scheggiata e macchiata di rossetto sul ripiano di fronte a se. Chiunque avrebbe affermato che vivere sotto un ponte era più accattivante.

Gala invece si sentiva sempre peggio, era arrivata persino a pensare che avrebbe potuto almeno un po' sistemare quel casino, fortunatamente si riprese subito e decise che a costo di legarsi le mani ad una sedia, non avrebbe lavato un cucchiaino da caffè.

Si spostarono nel corridoio e poi lei si fermò davanti ad una porta di legno chiaro. “ questa è la camera da letto”annunciò. Poi aprì la porta e lo lasciò entrare prima di se.

Ora che lui si trovava davanti a lei, Galatea poteva osservarlo attentamente dalla testa ai piedi. Così com'era affascinata dai suoi meravigliosi occhi, non si era accorta come era vestito. In effetti non era niente di particolare:una camicia bianca ed un jeans scuro. Niente di eccentrico, niente che avesse qualcosa a che fare con il vestiario accecante di Riccardo, a cui lei si era abituata. Ma chissà come addosso a lui quella camicia bianca, sembrava la quinta essenza dell'eleganza.

La camera era semplice, pareti chiare, un letto e un armadio a due ante. Lì “l'uragano Gala” non era ancora arrivato. Ma tutta quella semplicità sembrava accentuare ogni suo movimento composto e raffinato. Se da una parte la rossa era affascinata, dall'altra lo odiava, lei non aveva metà di quella grazia, che lui sfoggiava con tanta noncuranza!

Si fece ancora più rossa in viso, e sfregò i piedi nudi tra di loro.

il prezzo è quello dell'annuncio giusto?” riprese lui, “ si certo, più le altre spese”. “ allora credo che mi dovrò accontentare di questo posto, per il momento non posso pretendere niente di meglio” la ragazza si sentì leggermente piccata, ma come, un appartamento quasi al centro di Roma a quel prezzo e lui lo schifava in questo modo? Inoltre davanti a lei così esplicitamente? Strinse le labbra in una linea severa e cercò di non attaccarlo come una iena affamata.

le brave bambine non sono aggressive” le diceva la sua maestra all'asilo, quando lei cercava di mordere il medico che doveva farle la vaccinazione.

Pensò che era uno stupido, spocchioso e viziato, stringendo i pugni.

domani pomeriggio porto le mie cose, spero tu abbia avvertito la proprietaria” “ovviamente” giocava a fare la dura, ma quel faccino non avrebbe spaventato neanche una bambino.

allora ci vediamo domani, grazie e arrivederci” “ arrivederci” rispose lei prima di sbattergli la porta dietro.

Scivolò lungo la porta fino a sbattere con il sedere per terra, e cercò di togliersi alcune idee contorte dal cervello...

Stupito, spocchioso e viziato, ma così dannatamente sexy!!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Quella camicia maledetta ***


 

 

Ecco il quinto capito, questo è poco più lungo dei precedenti, spero vi piaccia. Volevo inoltre ringraziare chi legge e chi commenta, grazie.

Baci Araiha.



Ti odio” disse per l'ennesima volta Riccardo, “ stai diventando ripetitivo” Lara si era stancata del suo lamento perpetuo. “ ma ti rendi conto che culo che ha avuto?” sbraitò indicando Gala che masticava la sua fetta di pizza a testa bassa. Metà delle persone presenti nel locale si girarono verso “l'urlatore indemoniato”.

oh ma andiamo, dovrà convivere con un figo senza paragoni. Mette un annuncio e come per magia il ragazzo più affascinante del pianeta le si catapulta davanti alla porta. Questa è un ingiustizia. Se lo avessi scritto io quell'annuncio mi avrebbe risposto un procione”. Mise il broncio ed incrociò le braccia come un bambino. La bionda lo guardava con rassegnazione, mentre la piccola Galatea sprofondava sempre di più con la faccia nel piatto.

non è colpa mia” rispose lei con un borbottio rosicato “ e poi non è neanche il mio tipo”. “ oh certo, come no, perchè ricordiamo che il tuo tipo è uno scorfano, cafone, maleducato, e aspetta, qual'è il contrario di gran bel pezzo di manzo? Al momento non mi sovviene” si poggiò l'indice sul mento con un espressione pensierosa. “ ho capito il concetto, non sforzare quel tuo ultimo neurone. E comunque mi chiedo perchè ce l'hai con me? Mi spieghi che ho fatto?” la ragazza aveva lanciato la sua fetta di pizza nel piatto e guardava l'amico di fronte a se con sguardo torvo. “ Ti lamenti ecco cosa hai fatto” rispose lui laconico. “ la smetto va bene? Ma tu non tenermi il broncio”odiava quando Riccardo faceva l'offeso, era peggio di una ragazzina con il primo ciclo. “ Ti perdono solo se mi fai una promessa...” sfoggiò un espressione seria e decisa”...promettimi che te lo porti a letto”. Galatea spalancò occhi e bocca contemporaneamente, mentre Lara esplodeva in una squillante risata.

 

era un pazzo, ecco cos'è, io non ci penso nemmeno a fare qualcosa con quel maleducato lì” pensò lei entrando nell'ascensore decrepito del suo palazzo. La sua coscienza però le fece subito presente che ci aveva pensato eccome, più volte inoltre, e aveva anche fantasticato sui particolari.

Scivolò lungo la parete di legno e si sedette a terra. Non era possibile che si sentisse attratta da quel ragazzo, era impossibile. Si auto convinse di ciò e annuì convinta. Nello stesso istante però entrò nell'ascensore la signora Della Conte, sua vicina di casa, che la guardò in malo modo, visto che era seduta a terra con l'aria stralunata.

La signora Della Conte era una vecchietta burbera, che abitava sul suo stesso piano. Aveva corti capelli bianchi, e due indagatori occhietti neri, infossati in un viso tutto raggrinzito e appeso. La vedeva spesso quando usciva a fare la spesa o almeno pensava che uscisse per quello, dato che era sempre munita di un carrellino rosso ciliegia.

Conosceva il suo nome perchè l'anno prima, con i suoi amici, le aveva fatto uno scherzo con il citofono, uno scherzo stupido in effetti, ma da allora l'anziana le riservava sempre un occhiataccia. Purtroppo quella sera erano ubriachi, quindi la cosa non era stata studiata nei particolari, se avesse saputo che a causa di quella stupidaggine tutte le mattine un gattaccio peloso sarebbe stato inviato a farle i bisogni davanti alla porta d' ingresso non lo avrebbe mai fatto. Esatto proprio così, la strega ogni mattina permetteva al suo orribile gatto “ Rodulphus” di fare i suoi comodi davanti alla porta della ragazza. Più volte Gala aveva calpestato uno dei suoi ricordini.

Aspettò con trepidazione di arrivare al suo piano poi, veloce come un fulmine, si catapultò verso il suo appartamento. Non voleva stare un minuto di più con quella donna in uno spazio così ristretto.

Chiuse come sempre, la porta dietro di sé con un calcio e lanciò lo zaino sul divano. Doveva riflettere, quel pomeriggio sarebbe iniziata quella dolorosa convivenza, ovviamente dolorosa solo per lei. Si sedette sul piano della cucina e cercò di fare il punto della situazione. Quindici minuti dopo la situazione non era cambiata, tranne per il fatto che ora stava mangiando una barretta ai cereali trovata in un cassetto. Decise finalmente che sarebbe stato meglio distrarsi, magari avrebbe ripassato la lezione di quella mattina e riscritto gli appunti presi. Prima però si sarebbe dovuta cambiare la maglietta, perchè era inguardabile.

Si diresse in camera sua velocemente e riuscì a pescare dall'armadio una camicetta bianca. La indossò e si specchiò in una delle ante del mobile. Storse la bocca, sembrava una bomboniera. La camicia infatti presentava alcune vaporose ruches e un fiocco ingombrante sotto il seno. Ma era l'unica cosa pulita disponibile, quindi si accontentò di quello che era stato un regalo di cattivo gusto. Sbuffò e prese dal letto alcuni libri a caso.

Si sedette poi sul divano del soggiorno, e sulle gambe incrociate poggiò la tracolla per cercare meglio ciò che le serviva. Ne estrasse velocemente un quadernino ad anelli verde chiaro, un agenda di pelle, lisa in alcuni punti, un lucidalabbra al cioccolato quasi finito ed una penna ad inchiostro dorato, inutile perchè quel colore sul foglio bianco non si distingueva. Rassegnata all'idea di dover studiare per poter tenere la mente occupata aprì il primo libro che vide e cercò di concentrarsi.

Mentre era immersa in alcune rime baciate risalenti al 1300, il suo cellulare squillò. Chiese di colpo il libro e rispose automaticamente “ Pronto” “ vedo vibrazioni positive, qualcosa sta per accadere...” il tono mistico dall'altro capo non la stupì. “ ciao nonna, come stai?” era sempre felice quando parlava con sua nonna, le voleva troppo bene “ io sto bene cara, non ti crucciare. Ma tu non tanto a quanto vedo, la tua aura è azzurra, ma vi è una sfumatura grigia. Dimmi sei pensierosa?”Gala sbuffò e si lasciò cadere sul divano, rischiando che una matita le si conficcasse in una coscia. “ sto bene, sto bene. Sono solo stanca, sai lo studio...”ma la sua bugia non convinse la donna. Era assurda, riusciva ad indovinare qualsiasi cosa. Galatea sapeva che la nonna non era davvero una veggente, come voleva far credere, ma a volte la stupiva davvero. “ non preoccuparti, qualcosa sta per succedere, qualcosa di bello” concluse con un tono vago. “Oh, certo non aspetto altro. Comunque lì come va? Novità?” riuscì egregiamente a cambiare discorso, “ tutto normale, piatto e monotono come sempre. Ora però devo andare la signora che abita di fronte mi sta spiando attraverso la finestra. Ci sentiamo il prima possibile. Riguardati cara.” “ ciao nonna” poi la chiamata si chiuse.

Amava sua nonna dal profondo del cuore, l'aveva aiutata ad intraprendere la sua strada e di questo le era grata. Era un vecchietta adorabile e strana. Molto probabilmente era da lei che Galatea aveva ereditato quel certo non so che, che la faceva apparire così fuori dalle righe. La signora Ardesia Ricciardi a prima vista appariva una donna molto curata ed eccentrica, aveva due dolci occhi castani e una cascati di lunghi e morbidi capelli bianchi, indossava sempre abiti colorati, ma non volgari e sul naso aquilino pendevano un paio di occhiali da vista rossi. Era rimasta vedova molto giovane e da sola aveva cresciuto il suo unico figlio. Una volta che questo si fu sposato e ebbe lasciato la sua casa, la donna si dedicò allo studio e alle “arti magiche”. Sapeva leggere la mano e i fondi di caffè, inoltre sosteneva di saper leggere l'aura delle persone. Non era certamente un ignorante, anzi aveva passato la maggior parte della sua vita a leggere e studiare, però credeva nell'occulto ed era più che convinta dei suoi poteri.

Mentre pensava a sua nonna le si dipinse sul viso un meraviglioso sorriso di gratitudine.

Il campanello però squillò all'improvviso distogliendola dai suoi pensieri. Andò ad aprire velocemente e sulla soglia le apparve in tutto il suo divino splendore Emanuele. Il pensiero di sua nonna le aveva quasi fatto dimenticare che sarebbe dovuto arrivare a momenti. Portava tra le braccia una scatola di medie dimensioni, si fece da parte per farlo entrare e lo osservò mentre arrivava in soggiorno e poggiava il peso sul pavimento. Non potè fare a meno anche di notare il suo didietro mentre si piegava, un dono del Signore fasciato dai jeans. Si morse il labbro inferiore e rivolse gli occhi al cielo in una muta preghiera.

Era ancora in contemplazione mistica quando udì una voce giungerle dal pianerottolo. “ Emanuele, la prossima volta che mi chiedi un favore ti sputo in faccia” oltre la porta notò una figura che si muova traballante a causa di una pila di cartoni che gli copriva il viso. Emanuele corse subito in suo soccorso sbuffando e rimuovendo così il pesante ingombro.

La suddetta figura era un ragazzo più o meno della sua età, aveva dei gonfi capelli ricci e un naso leggermente pronunciato, ma le sembrava simpatico, dato che le rivolse subito un bel sorriso.

lui è il mio amico Giulio, mi ha aiutato con il trasloco. Giulio, lei Galatea la mia coinquilina” il ragazzo li presentò svogliatamente poi si diresse verso quella che sarebbe stata la sua stanza. “Molto piacere di conoscerti Galatea” Giulio le porse la mano e lei la strinse velocemente “ piacere mio” rispose gentile. “ Scusa posso farti una domanda?” le chiese poi mentre la rossa lo invitava ad entrare, “certo” disse lei sempre sorridendo. “ ma davvero sei maggiorenne?” e occhieggiò la sua camicetta in stile “Anna dai capelli rossi”, e rise sotto i baffi. Il sorriso di lei si spese immediatamente, dopotutto non era così simpatico come le era sembrato.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sempre e solo lui... ***


Rieccomi ancora. Vi ringrazio per i commenti, e cercherò di stare più attenta. Questa è la mia prima ff , sto cercando ancora di orientarmi, quindi mi fa piacere ricevere i vostri consigli. Non mi dilungo troppo, e vi lascio al capitolo.

Baci Araiha

 

 

Dopo la triste osservazione Giulio si limitò ad una piccola smorfia, prima di girarsi ed andarsi a sedere sul divano. Era indiscutibilmente offesa, ma certo che era maggiorenne i suoi 21 anni se li era ampiamente guadagnati. Accese con stizza il televisore, sperando di calmarsi e di ignorarli il più possibile. Erano in programma solo alcuni cartoni, quindi cercò di concentrarsi sulle figure animate, ma la sua attenzione fu di nuovo attirata dai due ragazzi. Andavano avanti e indietro trasportando una serie di scatoloni, Emanuele era così bello con quella maglietta a maniche corte blu e la fronte leggermente sudata a causa dello sforzo. Oh Santo Cielo, ma a che cavolo pensava?, si riscosse subito, chiuse di colpo la bocca, prima in modalità sbavo automatico. Stava portando delle scatole, non debellando di certo la peste bubbonica. Eppure avrebbe giurato di aver visto un'aura luminosa avvolgerlo, tipo film d'amore di serie B.

un gran numero di scatole, due borse e una valigia dopo, Emanuele e Giulio stavano tranquillamente in cucina a bere una birra, offerta da una riluttante Gala . “ Ehi bambolina sei molto graziosa, sai? Anche se ancora non hai risposto alla mia domanda” ecco qui come si libera una iena affamata dalla gabbia, “ certo che sono maggiorenne, idiota. E se non la finisci con questa storia, ti dimostro che sono anche in grado di infilarti quella bottiglia di birra lì dove non batte il sole, d'accordo?” puntò il dito prima verso la bottiglia che il ragazzo teneva in mano, e poi davanti al suo viso. “ Aggressiva la bambolina, non credo sarà così facile portartela a letto, amico.” e lasciò una pacca sulla spalla a Emanuele che lo guardava perplesso. Galatea aveva già aperto la bocca pronta a replicare, mostrando  l'ampia gamma di epiteti poco carini che riusciva a ricordare, quando la voce di Emanuele la anticipò “ smettila di fare il cretino e lasciala stare” . Poche parole che le fecero battere il cuore, la ragazza si girò verso di lui con uno sguardo carico di gratitudine, ma lui continuò “ non vorrai farla mettere a piangere? Odio sentire le ragazze frignare”. Perfetto le bastava una padella, l'avrebbe dolcemente schiantata in testa a quei due deficienti e avrebbe occultato i cadaveri nelle aiuole del palazzo. Sarebbe stato certamente, un grande spreco sotterrare quel corpo da sogno, ma era per il bene del suo orgoglio.

Io non piango e tanto meno frigno, inoltre sono in grado di difendermi da sola, grazie” urlò come se fosse posseduta poi, complice la sua rabbia, sbattè la porta della sua stanza così forte dietro sé, che sembrò si stesse per scardinare. Subito dopo udì una risata provenire dall'ingresso e ringhiò ancora una volta. Si strappò letteralmente di dosso la camicetta e la scaraventò in un angolo. “Brutti idioti!” pensò prima di stendersi sul letto, e cercare di riprendere il controllo.

Un'ora dopo era ancora nella stessa identica posizione, le braccia dietro la testa iniziavano ad intorpidirsi e le gambe era appoggiate su un groviglio di carte e lenzuola arrotolate. Ma almeno aveva ritrovato la calma.

Decise che era il momento di uscire da quella stanza. Indossò una maglietta sforma, al centro del petto una enorme scritta recitava: “Off with her head!”. Indubbiamente la maglietta era adatta al suo umore. Scalza si incamminò lungo il corridoio, cercando di fare il meno rumore possibile.

Fortunatamente il coinquilino non era nei paraggi, probabilmente si era rintanato nella sua stanza. Decise che avrebbe visto un DVD, non aveva nessuna voglia di studiare. “Pretty Woman”, il suo film preferito iniziò, mentre con poca grazia buttava a terra tutto ciò che vi era sul divano per farsi spazio.

Era alla scena dove Vivian ritornava in albergo dopo la giornata di shopping, quando il sonno colse Galatea. Prima di chiudere gli occhi pensò a quanto sarebbe stato bello avere un uomo come Edward.

Il mattino seguente un forte mal di testa le diede il buon giorno. Si era addormentata sul divano e li aveva passato tutta la notte, in una posizione alquanto scomoda. Si alzò a sedere, portandosi le mani nei capelli. Qualcosa però le cadde dalle spalle. Osservò con attenzione il tessuto morbido della coperta panna che fino a pochi secondi prima le era poggiata sulle spalle. Galatea non si ricordava di essersi coperta, anzi ricordava con certezza che la coperta in questione la sera prima si trovasse sulla poltrona alla sua destra. Ma allora....

Si sbattè una mano sul viso, e si lasciò andare sul divano. Sicuramente Emanuele l'aveva vista in quelle condizioni, e mosso da pietà l'aveva coperta. Aveva fatto la figura della vecchietta che si addormenta davanti alla televisione, magari anche con un rivolo di bava e un leggero russare a completare il quadro idilliaco. Merda!!!

Si alzò di colpo, il mal di testa aumentò, e corse in bagno. Lavatasi in tempo record indossò velocemente jeans e un maglione bianco minimo tre taglie più grandi della sua.

Aveva infilato una scarpa sola, quando il campanello squillò. Così con una scarpa in mano andò ad aprire. Lara e si presentò in tutto il suo dorato splendore, dietro di lei Riccardo reggeva la solita busta con la colazione, con un sorriso smagliante.

Non le diedero neanche il tempo di salutarli, che subito si catapultarono dentro. Riccardo si fermò improvvisamente al centro del soggiorno e iniziò a scrutare attentamente ogni angolo come se fosse in cerca di qualcosa. Galatea intuendo le sue intenzioni, lo anticipò, e con fare annoiato disse:”è in camera sua, non esce da ieri pomeriggio, quindi finiscila” lui sbuffò deluso “ voleva vedere se è davvero così affascinate come dici tu” si lasciò cadere di fianco a Lara, sul divano. La bionda si stava legando i capelli in una coda alta, ed il fatto che non aveva fatto nessun commento sul loro piccolo battibecco, incuriosì Galatea. “Lara, cosa c'è?” odiava immischiarsi nei fatti degli altri, ma un buon amico chiede sempre, anche se in realtà non vorrebbe sentire la risposta. “Quell'idiota continua a chiamarmi, anche se io gli ho detto di lasciarmi in pace” ecco appunto, avrebbe preferito ficcare la testa nel water, piuttosto che sentirla mentre era in fase “lamento acuto” . Era una grande amica certo, ma quel teatrino si ripeteva ogni mese, e ormai era stufa.

Dove è andato il grande amore idilliaco, e quel “ questa volta è diverso” di cui tanto andavi fiera ?” chiese Riccardo, con mezzo cornetto in bocca. Lara non rispose, se non con un occhiataccia, e si mise a sorseggiare il suo cappuccino.

Aveva quasi finito di fare colazione e Gala stava raccattando le sue cose per poi infilarle nella tracolla, quando il suo incubo in tecnicolor fece il suo ingresso in soggiorno. Aveva ancora il pigiama addosso, e i capelli disordinati, ma le sembrò comunque una visione. Salutò velocemente i due amici della ragazza con un mezzo sorriso di circostanza poi si allontanò verso la cucina.

A Galatea sembrò stano, che non avesse battuto ciglio davanti a quella babie umana che era Lara, nessuno si era mai comportato così. Le aveva semplicemente stretto la mano e poi aveva distolto lo sguardo. Forse era semplicemente troppo assonnato, pensò.

Era ancora intenta a cercare una giustificazione plausibile, quando vide il biondino alzarsi di scatto. Entrò in cucina seguito dalle due amiche, curiose come scimmie, e si posizionò di fronte ad un confuso Emanuele. “ Ti prego, dimmi la verità...” gli punto un affusolato dito contro, mentre con l'altra mano si torturava il piercing sotto il labbro. Aveva uno sguardo spaventosamente serio. “ … ti prego dimmi che non sei etero, sarebbe uno spreco colossale”. Emanuele spalancò la bocca sorpreso, ma non ebbe il tempo di rispondere perchè Galatea e Lara trascinarono Riccardo fuori dall'appartamento. 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Stupida pioggia! ***


Eccomi di nuovo, ringrazio chi ha aggiunto la storia tra le seguite e chi l'ha aggiunta nelle preferite, ma soprattutto rivolgo un grazie speciale a chi commenta. Spero che questo capitolo non vi deluda.

Baci Araiha

 



La pioggia batteva a ritmo frenetico contro le ampie vetrate della biblioteca. Subito dopo che erano usciti, si era scatenato un violento temporale, sembrava che qualcuno volesse annegare tutta Roma. Quindi dopo la fine delle lezioni si erano rintanati nella biblioteca alla ricerca di un po' di pace.

Un rivolo di fumo si innalzava pigro da una sigaretta rosa, costretta tra le dita pallide e affusolate di un annoiato Riccardo. Aveva, infatti, la strana abitudine di fumare solo quando pioveva, ed unicamente sigarette “pink elephant”, le sue preferite. I pacchetti se li faceva arrivare direttamente dalla Spagna.

Lo sai, che qui non si può fumare?” una ragazza, probabilmente una matricola, si era affacciata oltre l'ultimo scaffale, ai piedi del quale i tre si erano seduti. Dagli spessi occhiali rivolgeva al biondino un sguardo di rimprovero.

Ascolta, luce dei miei occhi...” iniziò il ragazzo, con voce falsamente gentile, giocando con la pallina nera al disotto del labbro. “ ...oggi sono stressato, piove, l'uomo della mia vita è etero, e probabilmente nei prossimi venti secondi mi verrà il ciclo, quindi sloggia.” la ragazza sconvolta ed irritata girò i tacchi e se ne andò senza spiccicare parola. Gala rise sottovoce per quella scenetta e si stese sul pavimento, poggiando la testa sulle gambe del biondo. “ Gala, ti prego, non è igienico, alzati” squittì Lara, seduta elegantemente su una sedia poco più in là. “Io non sono igienica, altro che il pavimento” rispose lei chiudendo gli occhi. Avvertì una risatina scuotere il petto dell'amico, poi solo il rumore assordante della pioggia e il forte odore di vaniglia misto a fumo.

Credo che mi piaccia davvero” proruppe poi rompendo il silenzio. Riccardo le accarezzò una ciocca di capelli, attorcigliandosela intorno ad un dito. Mentre Lara la fissava da sotto le lunghe ciglia ricoperte di mascara. “E' una cosa bella, sai?” le disse l'amica sorridendo, il suo viso sembrava ancora più bello e luminoso, nonostante la malaticcia luce che emanavano i lampadari della sala. “Lo so che è presto, che non esiste l'amore a prima vista, e tutte quelle cazzate da telenovella spagnola, però... è strano. Lo odio, ma nel contempo, mi si spappola il cervello in sua presenza. Credete sia normale?” Galatea si fissava confusa gli strappi del suo jeans sulle ginocchia. Si sentiva strana, come se fosse malata, ecco una febbre a 40 provocherebbe le stesse sensazioni. Non riusciva a costruire un vero pensiero coerente, nel cervello le vorticavano immagini, supposizioni, fantasie e soprattutto insulti. Si perchè solo dopo due giorni, una persona non poteva entrarle in testa così tanto da ridurla ad un budino tremolante. Ma più di tutto, si sentiva un idiota a rivelare queste cose ai suoi amici. Cazzo, un po' di orgoglio!

Che emozione, la mia bambina è cresciuta”: disse Riccardo, asciugandosi con fare teatrale un'inesistente lacrima. “Sta zitto” gli disse lei, colpendolo scherzosamente in testa. “Mi sembrava strano che non ti piacesse nessuno, finalmente anche tu sei scesa tra noi umili mortali” sospirò rilassata Lara, poggiando i piedi su uno scaffale. “Si stava meglio sull'Olimpo” sbuffò lei, alzandosi a sedere. I capelli si erano leggermente scompigliati e corte ciocche rosse erano sparate in tutte le direzioni. “ Io la soluzione te l'ho già data, e dopo questa mattina, credo che sia ancora più ragionevole come consiglio”: le disse arcuando le sopracciglia il biondo. Si accese poi un' altra sigaretta, e l'aroma di vaniglia iniziò a diffondersi di nuovo. Lara sorrideva silenziosamente, mentre fissava fuori dalla finestra, intanto Galatea sbattè la testa contro la parete di fronte in preda alla disperazione.

Credo sia meglio andare, si è fatto tardi” Lara si alzò e velocemente raccolse la borsa da terra. Gli altri due la seguirono in silenzio. Stavano quasi per varcare la soglia ed immergersi nel freddo caos della città, quando una voce trafelata urlò il nome di Gala. Era Lorenzo che correva per raggiungerla. Una volta che le fu davanti le regalò uno dei suoi abbondanti sorrisi. La rossa presa alla sprovvista si girò verso i suoi amici, che nel frattempo si erano dileguati. Promise a se stessa che si sarebbe vendicata nel modo più crudele possibile. Ritornò a posare gli occhi sul ragazzo di fronte a se. “Ciao” disse lei sperando di rompere il silenzio. “Ciao” rispose lui felice, poi continuò “Senti Galatea, ti andrebbe un caffè con me, un giorno di questi?... sai per parlare un po” le guance del ragazzo si tinsero di un rosso tenue, mentre con una mano si scompigliava i capelli. Davanti a quegli occhi carichi di speranza, tipo cucciolo abbandonato sull'autostrada, non poté fare altro che sorridere, ed annuire. Gli occhi castani di Lorenzo si dilatarono e brillarono di pura gioia. “Wow, allora che ne dici di domani?” le chiese lui, incoraggiato dalla risposta della ragazza. “Non saprei, domani vediamo... ora devo andare, ciao” si voltò, e senza attendere alcuna risposta, corse dai suoi amici.

Perfetto! Adesso aveva anche un appuntamento!

Corse sotto la pioggia fino alla 500 azzurra, e vi si lanciò dentro. “Siete delle merde!” sbuffò mentre si scrollava dai capelli la pioggia. “Non mi dire, ti ha chiesto di uscire?” Riccardo si era girato sul sedile per poterla guardare in viso. “Un caffè” precisò Galatea, intanto Lara aveva messo in moto e si era immessa nel traffico bagnato e nebuloso. “Tu che gli hai risposto?” il biondino era sempre più interessato alla questione, “gli ho detto di si, aveva una faccia... lo sai io in queste cose non sono brava”. Galatea si tolse con nervosismo la giacca grigia, e puntò lo sguardo sulla sua maglietta bianca dove era impresso il logo dei Queen.

Prima o poi ti faranno santa. Si, suona bene, Santa Galatea vergine e martire” i tre scoppiarono a ridere in contemporanea.

Dopo diversi minuti giunsero davanti al palazzo di Galatea, la pioggia si era fatta sempre più fitta e snervante. Scese dalla vettura dopo aver salutato i suoi amici ed entrò nel portone principale. Si mise la borsa a tracolla pronta ad attraversare di corsa il cortile. Ma a metà del suo percorso, le piastrelle del pavimento rese viscide dalla pioggia, la fecero scivolare. Con un tonfo sordo sbattè con la schiena a terra. Il dolore le attraversò velocemente la spina dorsale fino al cervello, prima che se ne rendesse conto. “Per le mutande a fiori di quel gran poeta di Leopardi” strepitò annebbiata dal dolore.

Restò diversi secondi in quella posizione, con la pioggia che le batteva sul viso come ad infierire. Quando qualcosa si frappose tra lei e il cielo plumbeo. Guardò con attenzione prima l'ombrello scuro, poi chi lo reggeva. Si morse con violenza il labbro inferiore sperando di non imprecare per il dolore, non sarebbe stato educato, e l'avrebbe fatta sembrare ancora più ridicola.

Non credevo che oltre ad essere un casino in casa, fossi anche così scoordinata”: le disse Emanuele, porgendole la mano per farla alzare. Gli sorrise senza rispondergli, mentre afferrava quell'aiuto. Era troppo felice di quel contatto anche solo per poter replicare. Ma mentre cercava di rialzarsi facendosi leva con l'altro braccio, scivolò di nuovo, colpì con il sedere il pavimento, e si trascinò sopra di se Emanuele. A quei pochi centimetri di distanza i loro occhi si fusero, blu e verde, sotto quell'infima pioggia.

Perfetto, se prima era sbroccata, ora l'avrebbero chiusa in un manicomio, con la mascherina tipo Hannibal per evitare che lo assalisse.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Sorpresa! ***


Eccomi di nuovo qui, prima di tutto mi scuso per il ritardo, ma lo studio mi ha seppellita viva, credo però di riuscire a farmi perdonare con questo capitolo un po' più lungo.

Vedo che Riccardo è molto amato, in effetti anche io lo adoro, e dire che ancora non ha dato il meglio di sé! Per quanto riguarda il nostro caro Emanuele... beh in questo capitolo si scopriranno alcune carte. Spero che continuiate a leggere e a commentare.

Baci Araiha

 

Via, via, vieni via con me,
entra in questo amore buio,
pieno di uomini...
via, entra e fatti un bagno caldo,
c'è un accappatoio azzurro,
fuori piove un mondo freddo...

(Via con me. Paolo Conte)

 

 

Il temporale si faceva sempre più forte e i loro respiri sempre più corti e sfuggenti. Galatea era ipnotizzata dai tratti di quel viso, mai fino ad allora così vicino. Gli occhi verdi erano screziati con un colore più chiaro, forse l'argento, il naso sottile divideva il viso in due metà perfette. Un viso meraviglioso, senza imperfezioni, a quella distanza appariva ancora più inumano. Sulla fronte ricadevano ciocche bagnate di capelli neri che sembravano quasi pece che gocciolava giù, inesorabilmente sul viso della ragazza, come a macchiarla di un peccato. Sentiva in cuor suo di aver peccato, perchè aveva rotto un giuramento. Aveva giurato di non dipendere mai più da nessuno ed ora si ritrovava in balia di uno sconosciuto. Nello stesso esatto istante in cui i loro sguardi si erano fusi, qualcosa dentro lei era collassato, come una stella che esplode, da qui il passo fu breve a capire che quella non era una semplice cotta. Era come ingoiare del veleno, sapeva che le avrebbe causato dolore, ma era più forte di lei.

Le gocce di pioggia cadevano dal viso del ragazzo al suo, sempre più veloci, quasi a formare dei fili che li legavano insieme. Perse il contatto con la realtà, dimenticò improvvisamente di trovarsi nel cortile del suo palazzo sotto un temporale, sdraiata a terra, sentiva soltanto il battere del suo cuore furioso, e ostinato a voler coprire il rumore assordante che lo circondava. Guardò le labbra appena schiuse di Emanuele a pochi centimetri dalle sue, la sua pelle bianca aveva un buon odore, di mandorle, l'arsenico si estrae dalle mandorle amare, ricordò improvvisamente. Ecco, stava bevendo arsenico e non poteva farne a meno.

Il forte rumore di un tuono li riportò immediatamente alla realtà. Lui si alzò immediatamente e la aiutò, poi riprese l'ombrello che durante la caduta era arrivato a diversi metri di distanza. Si diressero gocciolanti verso il portone senza spiccicare parola, Gala avrebbe voluto dire qualcosa, ma il suo cervello si era deciso a non collaborare, quindi si limitò a fissare la punta consumata delle sue convers. Salirono in ascensore e le porte automatiche si chiusero con un rumore stridente. Lo scrosciare esterno dell'acqua fu chiuso fuori.

Come mai eri giù?”: chiese lei improvvisamente, non si era accorta di quanto quella domanda sembrasse stupida, finchè non l'ebbe pronunciata. Spostò lo sguardo sul piccolo schermo nero che segnava il piano, sperò con tutte le sue forze che quel dannato ferro vecchio si desse un mossa, iniziava anche a sentire freddo.

Ero andato a buttare la spazzatura, quando ti ho sentita” rispose semplicemente Emanuele, la voce era ferma e composta come sempre. Era curiosa di vedere l'espressione del ragazzo, ma non fu abbastanza coraggiosa per spostare lo sguardo. Dalla sua voce, infatti, sembrava che non si fosse accorto di ciò che pochi secondi prima sarebbe potuto accadere. Certo detto così sembra stupido, ma in quel preciso istante aveva sperato con tutte le sue forze che succedesse qualcosa, dopo avrebbe anche potuto avere un inferno di vita, avrebbe anche potuto lavare l'appartamento fino a farlo risplendere, avrebbe dato qualsiasi cosa per uno schifoso, insignificante bacio.

Si fece pena da sola, disperarsi per una cosa così sciocca. Si colpì mentalmente con una mazza da baseball in mezzo agli occhi.

Forse è vero ciò che si dice...”, pensò, mentre le porte si aprivano con il consueto stridio, “...l'amore esiste solo a senso unico”. La consapevolezza affondò in lei più duramente del previsto, quindi per eliminarsi dalla testa queste idee, corse velocemente fuori dall'ascensore, troppo piccolo quello spazio per poterlo dividere con lui. Ma giunta davanti alla porta si ricordò che quella mattina si era dimenticata le chiavi. Si battè una mano sul viso, nel frattempo Emanuele l'aveva raggiunta. “Questa mattina hai dimenticato le chiavi a casa, quindi ne ho approfittato per farne un duplicato, spero non ti dispiaccia”, infilò la chiave nella serratura e le porse il suo mazzo di chiavi. Galatea fissò per un lungo istante ciò che teneva in mano, le chiavi erano tenute insieme da un anello di metallo a cui era legato un enorme fiocco rosso di seta.

Solo in quel momento realizzò che aveva lasciato la sua casa in mano ad un ragazzo che non conosceva, che sprovveduta che era stata! Avrebbe dovuto vedere le cose in modo più oggettivo da quel momento in poi. Decise così, quale sarebbe stata la sua missione quel pomeriggio: conoscere Emanuele Salviati ad ogni costo, e da qui, capire se poteva fidarsi davvero di lui.

Persino lei riuscì a cogliere quanto la sua mente fosse contorta, prima permetteva ad una persona di vivere con lei e dopo si preoccupava di saperne di più sul suo conto. Ma Galatea era così, non sempre i suoi pensieri seguivano una linea logica, e di conseguenza neanche le sue azioni.

Entrò nell'appartamento e come di consueto lasciò cadere la borsa a terra, ma ciò che vide subito dopo, fece si che anche la sua mascella raggiungesse il parquet. La sua casa, non era più la sua casa! O meglio, non era come l'aveva lasciata quella mattina.

Per i calzini a righe di Giacomo Leopardi” si fece scappare lei con un suono simile ad uno squittio. Intanto i suoi occhi perlustravano l'ambiente in cerca di una spiegazione. Il salone sembrava appena uscito da una rivista di arredamento: la libreria aveva ripreso il suo scopo originario, il divano era stato sgombrato, così come le poltrone, su cui erano adagiati i cuscini arancioni ben spiumacciati. Nulla sul pavimento intralciava il passaggio, dal lampadario non pendeva più niente, e ogni cosa sembrava essere stata tirata a lucido e fatta risplendere con peripezia.

Ancora con la bocca spalancata dalla sorpresa, Gala si avvicinò alle porte scorrevoli della cucina. Le sue scarpe impregnate d'acqua, ad ogni passo producevano uno strano rumore. Con lentezza scostò leggermente le due ante, quasi con timore. Anche lì tutto sembrava proprio come avrebbe dovuto essere: ante e cassetti richiusi, niente cartoni di pizza o vecchie confezioni di merendine ipocaloriche, persino il rubinetto aveva smesso di gocciolare. Si avvicinò al tavolo quadrato, la luce plumbea, dalla finestra si specchiava sul piano sgombro e lucido, passò l'indice sulla superficie color ciliegio è notò con incredulità che nulla di appiccicoso o viscido lo aveva macchiato.

L'unica cosa a cui pensò fu: “gli alieni!”. Difatti nessun essere umano avrebbe avuto il coraggio di impegnarsi in una simile missione. Poi Emanuele ancora gocciolante entrò nella stanza. Si era tolto la giacca, e la camicia bianca che aveva indossato da sotto, aveva aderito al petto. Lo sguardo della ragazza passò così dal sorpreso all'imbarazzato. “ Questa mattina ho sistemato un po', spero non ti dia fastidio.” : disse lui, mentre prendeva un bicchiere dalla credenza, nel farlo però un lembo della camicia si era alzato, rivelando una piccola porzione di pelle del fianco. Gala per poco non svenne, si appoggiò al tavolo che stava sfiorando e cercò di regolare la respirazione.

Pensò che l'unica soluzione accettabile sarebbe stata quella di chiamare Riccardo e supplicarlo di prendere il suo posto in quella casa (forse non sarebbe neanche stato necessario supplicarlo) mentre lei scappava in Tibet a piedi. Lo guardò versarsi dell'acqua, risistemare la bottiglia nel frigorifero, e bere tutto d'un fiato. Qualsiasi cosa facesse sembrava essere appena uscito da una rivista di moda. Mordendosi a sangue il labbro inferiore, vide le gocce di pioggia che dai suoi capelli si tuffavano sul collo, per poi percorrerlo fino a scomparire oltre il colletto. Ma quale Riccardo, quel ben di Dio non l'avrebbe lasciato a nessuno. Dopotutto quanto poteva essere mai alta la pena per sequestro di persona?

Le tue cose le ho messe nella tua camera, ovviamente lì non ho toccato niente” il tono era sempre lo stesso: neutro e annoiato. Galatea borbottò distratta qualcosa che si avvicinava a un ringraziamento. Ma persa com'era nei suoi pensieri a luci rosse, contornati da fiori di pesco, aveva perso di vista la questione principale. Aveva davvero pulito e messo in ordine l'intero appartamento da solo, quando ci sarebbe voluto almeno una squadra di poliziotti antisommossa? O era pazzo e autolesionista, oppure era un Dio come aveva sospettato fin dall'inizio. Ancora una volta fu Emanuele a farla riprendere, si stava distraendo troppo spesso, “vai prima tu a farti una doccia, o ti ammalerai” era più che altro un ordine non un consiglio. Annuì distratta e corse in bagno rossa di imbarazzo.

Aprì il getto della doccia e si fissò allo specchio. Aveva iniziato a tremare dal freddo, la maglietta bianca era diventata trasparente e sotto al simbolo dei Queen spiccava il reggiseno giallo con le ciliege disegnate su, si fece ancora più rossa in viso e distolse lo sguardo.

Magnifico! Aveva anche avuto una panoramica della sua biancheria. Si pentì immediatamente di avere solo capi con disegnini e scritte ridicole. Si spogliò in fretta, cercando di non pensarci e si infilò sotto il getto bollente, il calore dell'acqua le sciolse la tensione sulle spalle, e il bagnoschiuma al cioccolato fondente, fece il resto, cancellandole ogni pensiero superfluo dalla mente. Le faceva ancora male la schiena, il colpo era stato abbastanza forte da procurarle un grosso livido che si stava delineando sulla base della schiena.

Dopo la breve doccia (non voleva che il suo coinquilino congelasse) si avvolse nel suo accappatoio azzurro e frizionandosi i capelli con un asciugamano uscì dal bagno colmo di vapore. “ Ho finito, vai pure”: gli urlò prima di correre in camera sua, non se la sentiva di incrociare di nuovo quello sguardo controllato e asettico. Una volta che si fu chiusa la porta alle spalle si sentì finalmente a proprio agio. Almeno lì le cose erano rimaste immutate, il caos regnava sovrano ed era impossibile muoversi senza urtare qualcosa. Sospirò di sollievo e si sedette sul pavimento stringendosi addosso la spugna azzurra. Aveva bisogno di pensare in modo coerente, e in tutto quel casino anche la sua mente sembrava meno ingarbugliata.

Di una sola cosa era certa: il suo cervello non ragionava più come prima. Non si era mai preoccupata di cosa pensassero gli altri, non si era mai sentita così in soggezione. Poggiò la testa al bordo del letto e i suoi occhi blu si fissarono al soffitto. “Forse era proprio questo l'amore di cui le persone vanno tanto blaterando, le farfalle nello stomaco, i brividi lungo la schiena ecc...” pensò mentre si mordeva una pellicina del indice. “Che gran fregatura! Perchè mai qualcuno dovrebbe cercare una cosa che fa stare così male. Sarebbe meglio una malattia tropicale, almeno eviti figuracce”. Si issò in piedi e cercò qualcosa da indossare. Dopo dieci minuti di nera indecisione, nei quali aveva anche preso in considerazione il tubino nero tipo donna del mistero, optò per un paio di pantaloni della tuta rosa e una maglia che le arrivava quasi alle ginocchia. Tanto Emanuele non le avrebbe rivolto comunque neanche uno sguardo.

Con i capelli bagnati e a piedi scalzi prese dei libri e il quadernino ad anelli e camminò verso il corridoio. Passando davanti alla porta del bagno sentì il rumore della doccia.

Una volta in cucina Galatea posò tutto l'ingombro sul tavolo, si mise in ginocchio sulla sedia, cosicché si sedesse sui piedi freddi, ed iniziò a studiare. Dopo non più di mezz'ora la raggiunse anche Emanuele, si sedette di fronte a lei e iniziò a sfogliare un grosso tomo dalla copertina blu. Poi però alzò lo sguardo sulla ragazza e disse: “ho sprecato l'intera mattina per riordinare e pulire, non ti chiedo certo di fare lo stesso, visto che a quanto pare non ne sei in grado, ma almeno di essere un po più attenta d'ora in poi”. Gala presa di sorpresa annuì velocemente come una bambina poi riportò il suo sguardo sul capitolo che stava leggendo. Mentre però era immersa nella poetica di una povera anima del 1700 si ricordò la missione che si era preposta prima. “Quando sei nato?” sputò improvvisamente la prima domanda che le era passata per la testa continuando a tenere lo sguardo sul libro. Il ragazzo non fece una piega e rispose: “ 15 novembre 1989”. Quindi aveva solo un anno in più di lei, le era sembrato più grande, ma forse era lei che sembrava più piccola. “Quindi sei scorpione, mia nonna dice sempre che è meglio non farsi nemico qualcuno nato sotto questo segno, perchè gli scorpioni mordono con la testa e con la coda, mia nonna è fissata con queste cose” continuò Galatea mordicchiando il tappo della sua bic. “Tu invece quando sei nata?” non si aspettava che lui ricambiasse rivolgendole un'altra domanda. Sorrise felice e alzò gli occhi su di lui. Un tuono fece tremare i vetri della finestra. “Sono nata il 30 giugno del 90, quindi sono del segno del cancro, è il segno della vita” rispose velocemente fissandolo negli occhi, la sua attenzione fu poi attirata dal libro che teneva aperto di fronte a se. “Che studi?” chiese indicando tomo. Si sporse sul tavolo così da potersi appoggiare con il busto sul piano e spiare ciò che c'era scritto sulle pagine, intanto lo scrosciare della pioggia riempiva le pause. “Sto studiando Embriologia, la prossima settimana ho l'esame. Frequento l'università di medicina, spero di diventare un cardiologo come mio padre. Tu invece?”. Chissà perchè pur rivolgendole le stesse identiche domande lui sembrava meno invadente e più composto. “Letteratura, sono al secondo anno, ma ancora non ho deciso cosa fare in futuro.” Rispose in automatico la ragazza ritornando a sedersi. Dopo di ciò caddero nel più completo mutismo. Lui leggeva e trascriveva alcune frasi sul quaderno con sguardo concentrato, mentre Galatea non era riuscita a bloccare il fiume di immagini dove Emanuele indossava un camice bianco.

Galatea aveva appena finito il primo capitolo, quando il campanello squillò, quindi si alzò ed andò ad aprire. Ancora non capiva perchè il portone principale era sempre spalancato, in effetti il citofono era rimasto inutilizzato da quando si era trasferita. Aprì con calma la porta, aspettando di trovare Riccardo oppure Lara, invece le si mostrò in tutto il suo splendore una ragazza che non conosceva. La prima cosa che Galatea notò fu lo sguardo di superiorità che la sconosciuta le rivolse, poi i dieci centimetri di altezza che possedeva in più rispetto a lei. Ancora stupita da questa apparizione disse gentilmente: “Prego?” . La ragazza sfoggiò un sorriso perfido, che a Gala ricordò molto quello dello Stregatto, e pronunciò poche semplici parole “ sono la fidanzata di Emanuele, Elena, credo che lui mi stia aspettando”. Poi entrò senza aspettare una risposta, ignorandola bellamente. Galatea sentì perfettamente lo splash del suo cuore che cadeva in un secchio di merda, mentre richiudeva la porta.

 

Angolo ringraziamenti:

Ringrazio di cuore chi ha commentato lo scorso capitolo...

RossyMelly

Fendra

Fran__cesca9

...e chi ha inserito la storia tra le preferite e le seguite.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Irritare è un'arte. ***


Salve mie care lettrici, come va?

Scusate, come sempre il mio ritardo cronico, sono un disastro. Spero non mi abbandoniate!

Questo capitolo ci mostra in tutto il suo splendore la “dolce” Elena . Beh, che dire, leggete e fatemi sapere!

Baci Araiha

 

 

 

 

 

 

Delle volte il destino ti fa lo sgambetto, e tu non puoi fare altro che cadere e sorridere, sperando che la prossima volta non tocchi di nuovo a te.

Galatea trasse un profondo respiro regolare guardando la porta giallo limone. Doveva restare calma, in fondo chi mai le aveva giurato che Emanuele fosse single? Aveva prima di allora, affrontato situazioni ben più complesse, quindi si stampò sulle labbra il sorriso più falso del suo repertorio e seguì la scia di profumo costoso, che quella ragazza aveva lasciato. Anche quando giunta in cucina, vide quella Elena stampare un bacio a schiocco sul collo di un Emanuele ancora immerso nello studio, il suo sorriso non si incrinò.

Oh, quel suo sorrisino era ben collaudato! Da quando aveva dieci anni che era costretta a fingere di stare bene, ormai poteva insegnare in quel campo. Gongolò, dentro di se, solo per un istante per il suo stoico autocontrollo, poi si concentrò sulla ragazza, che nel frattempo si era seduta sul tavolo, stile segretaria che cerca la promozione.

Il fatto che era diversi centimetri più alta di lei le era saltato all'occhio dal primo istante, ora però poteva analizzare con più attenzione il suo aspetto. Aveva lunghi capelli castani che le cadevano con una piega perfetta sulle spalle (la pioggia molto probabilmente la dribblava con rispettosa reverenza!), occhi scuri contornati da lunghe ciglia ed una spessa linea di matita nera. Era truccata in maniera molto marcata, ma non appariva volgare, come non appariva volgare la minigonna che le fasciava i fianchi. Teneva la schiena diritta in una posizione di regale indifferenza, mentre le unghie perfettamente laccate di rosso ciliegia tamburellavano sul piano di legno. Era indubbiamente bella, di quella bellezza che attira gli sguardi adoranti di tutti gli uomini, e le frecciatine amare delle donne.

Elena fissava Gala di rimando, come se fosse in atto una guerra fatta di sguardi. In quel momento Galatea pensò a quanto potesse apparirle sciatta, con la tuta rosa e i capelli sparati in tutte le direzioni. Era normale quindi che Emanuele non la guardasse nemmeno, con tutto quel ben di Dio a portata di mano! Senza pensarci, spostò lo sguardo sul ragazzo ancora preso dalla lettura. Elena sembrò intercettare quel cambio di direzione, perchè subito spostò una mano tra i capelli di lui, in un gesto chiaramente possessivo. Possibile che fosse gelosa di lei! Pensò che non poteva neanche lontanamente competere con miss coscia-lunga. Ma la cosa sembrò lusingarla comunque, ed assegnò un punto al suo amor-proprio morente.

Sempre con il suo sorriso stampato in faccia, di quelli che sei costretto ad elargire quando ricevi un regalo mostruosamente brutto e pacchiano, ma non puoi dire niente, perchè senti già lo sguardo di avvertimento di tua madre perforarti la schiena. Semplicemente fare buon viso a cattivo gioco.

Comunque piacere, sono Galatea Ricciardi” : disse la ragazza, ostentando una spensieratezza che non la toccava. Ci fu un breve istante di silenzio durante il quale, le curatissime sopracciglia di Miss solo-io-la-tengo-in-questo-mondo-e-non-ho-nessunissima-intenzione-di-fartela-anche-solo-annusare, saettarono verso l'alto fino a raggiungere l'attaccatura dei capelli. Guardò la rossa dirimpetto a lei come se prima di allora, fosse convinta che non fosse in grado di formulare una parola, poi con una piccola smorfia che le deturpava le labbra carnose disse: “ Si, credo che abbiamo parlato a telefono per quanto riguarda l'appartamento”. Distolse poi lo sguardo, come se le seccasse anche la sua vista. Galatea si ricordò immediatamente di quella voce, ma certo, come poteva essersi dimenticata di quel tono sdegnoso e di quella R leggermente moscia. Dio, come la irritava quella R!

La ragazza provò di nuovo ad intavolare una conversazione degna di questo nome, e chiese:“Quindi frequenti anche tu la facoltà di lettere?”. Se aveva letto l'annuncio sulla bacheca, doveva per forza essere passata per la facoltà. Elena sembrò non tollerare più la sua voce, schioccò la lingua sotto il palato con stizza e rispose: “Si, terzo anno”. Distolse un'altra volta lo sguardo, ma la voce della rossa richiamò ancora la sua attenzione “Cosa vorresti fare dopo la laurea?”. Se le sue domande la irritavano così tanto, avrebbe continuato all'infinito. Quella ragazza le suscitava un'antipatia sviscerata, era più forte di lei, ed iniziava anche a sospettare che la cosa non aveva niente a che fare con Emanuele. Era soltanto una cosa istintiva, forse dipendeva dagli astri in opposizione: ecco, questo è la conseguenza di avere una nonna mezza pazza.

Non so ancora, probabilmente l'insegnante” rispose con tono esplicitamente scocciato. “Probabilmente la prostituta”: pensò Galatea di rimando. Fissava gli occhi della sua nemica, il cui nervosismo cresceva in modo esponenziale, come testimoniava il ritmo più serrato che le sue unghie producevano contro il legno del mobile. Intanto lei esultava per la gioia e la soddisfazione che come droga le irretiva i sensi. Poggiò un gomito sul ripiano di fianco a lei, e la guancia sul palmo aperto. Poi con tono volutamente troppo confidenziale chiese:“Tu invece dove abiti, Elena?”.

Il modo in cui pronunciò quel nome lo fece suonare come una sorta di insulto. Credette persino di aver visto un tremito isterico percorrerla da capo a piedi. Miss coscia-lunga dilatò le narici come un toro pronto all'attacco, strinse le labbra in una linea sottile e scostò una ciocca ondulata di capelli castani che le era caduta sugli occhi, con un movimento secco. Poi rispose: “ Qui vicino”. Breve e lapidaria. Elena si stava davvero irritando, Galatea non riusciva a capire il perchè di quella reazione, eppure si stava godendo quell'infantile soddisfazione. La conversazione durò su questa linea, per alcuni minuti, durante i quali la rossa poneva quesiti sempre più intimi, come se stesse conversando con un'amica di vecchia data, e l'altra rispondeva sempre in modo più breve e acido. Ad ogni scambio di battute la tensione si faceva sempre più alta e come corrente elettrica riempiva tutta la stanza.

Emanuele continuava a leggere per nulla interessato alla conversazione, ricurvo sul suo tomo, era come se avesse le cuffie nelle orecchie. La sua coinquilina fu quasi sul punto di urlargli: “Guarda, che qui, io e la tua ragazza stiamo per prenderci per i capelli. C'è gente che pagherebbe per vedere una cosa del genere”.

Giunse a termine il tramonto, e il grigio di quel pomeriggio lasciò il posto al nero cielo sbiadito della sera, che certo non preannunciava un miglioramento climatico. Stanca ormai di quel gioco che durava ormai da troppo, (il volto di Elena aveva assunto una tonalità di rosso porpora non molto rassicurante) inventandosi una scusa sul momento, Galatea infilò ai piedi gli stivali di gomma e indossò il giaccone pesante, e si accinse a fuggire il più in fretta possibile. Prima però, di poter uscire dalla porta, riuscì a scorgere la coppia che si stava esibendo in un profondo e svergognato bacio, proprio nella sua adorata cucina. Senza rendersene conto sbattè dietro di se la porta forse con troppa forza.

Non prese l'ascensore, e dopo tre rampe di scale l'aria fredda le investì il volto. Aveva ancora i capelli umidi, quindi alzò il cappuccio del giaccone viola sulla testa e affondò le mani nelle tasche. Necessitava di una lunga passeggiata, quindi con passo lento iniziò a percorrere la strada dove si trovava il suo palazzo. Gli stivali sfregando tra di loro producevano uno strano suono che le faceva compagnia, mentre le macchine sfrecciavano al suo fianco alzando una nube di piccole goccioline d'acqua. La pioggia si era calmata, ma dai tetti, dai parapetti e dalle insegne, qualche gocciolina cadeva ancora, in una squallida imitazione.

Credeva di essere cresciuta eppure si lasciava ancora abbindolare, che stupida che era. Come aveva potuto pensare che un tipo come Emanuele: educato, e scostante, potesse anche solo guardarla? Guardare lei, che era un disastro in tutto, lei che non riusciva a stare ferma, lei che si comportava come un camionista tedesco, lei che era in grado di fare le più plateali figure di merda, lei che non aveva neanche una famiglia. Una lacrima le rigò il volto al ricordo. Una sola ebbe il privilegio di solcare ancora quella strada, poi si riscosse e cancellò quell'ultima frase.

Ricordava perfettamente l'espressione di sua nonna quando le carezzava il volto tondo da bambina e le lunghe trecce di fuoco, e le diceva: “gli uomini sono tutti uguali, bambina mia, sporchi, stupidi, egoisti ed egocentrici. L'unica cosa che hanno di buono, è che si fanno facilmente manipolare da noi donne. Io sono certa che Dio sia donna, perchè un essere superiore non può che essere una donna”. Poi le sorrideva, le rughe attorno agli occhi si stringevano ordinate, e la faceva sedere sulle sue ginocchia. Quanto le mancava!

Era giunta là dove la strada terminava con un incrocio, quindi decise di voltarsi e tornare in dietro. Ma una tabella rossa e oro, su cui erano incise le seguenti parole “Bar il vecchio lampione” attirò la sua attenzione. Non era mai stata lì, ma le sembrava un posto molto carino. Forse una cioccolata calda l'avrebbe aiutata a rincuorarsi e a riscaldare le sue membra intirizzite.

Entrò nel bar e il trillo di un campanello annunciò la sua presenza. Il locale era piccolo ed accogliente, il bancone era di mogano scuro e lucido ed oltre esso vi era un'antica macchina per il caffè di un luccicante color oro, ancora in uso. La luce era soffusa e prevalevano i toni scuri, ma la cosa non le apparve opprimente come in molti altri luoghi. Sembrava che la cosa lo rendesse ancora più familiare e misterioso. Si diresse verso i tavoli abbassando il cappuccio, e si sedette vicino al camino scoppiettante anche se era ancora pieno autunno. Il tavolino era rotondo e con le gambe sottili, mentre le sedie erano foderante con morbido broccato blu. Appoggiò i gomiti sul tavolino e aspettò con pazienza l'arrivo del cameriere, mentre nella stanza aleggiava un delizioso odore di cannella.

Il cameriere arrivò poco dopo, perfettamente a suo agio nella sua divisa nera e dorata. Aveva un viso tondo e leggermente arrossato sugli zigomi sporgenti, occhi piccoli e chiari e un grosso paio di baffi grigi. Dimostrava a massimo 60 anni. Le si avvicinò con passo morbido e sicuro e una volta giunto al suo fianco le sorrise in modo paterno. “Buongiorno signorina, benvenuta nel mio bar...” la voce dell'uomo, che si era rivelato il proprietario del luogo, era chiara ma bassa, come a voler preservare quel clima di quiete. “...posso provare ad indovinare cosa vuole ordinare? Sa lo faccio con ogni mio cliente, ed ho sempre indovinato.” proseguì con tono fiero. A Galatea, quell'uomo le sembrò subito simpatico, quindi sorrise cordialmente ed annuì. L'anziano barista sembrò rallegrarsi per quella risposta, quindi si portò l'indice a picchiettarsi la tempia e strinse gli occhi, tanto che parvero scomparire sotto le folte sopracciglia. “Cioccolata calda,... e un piatto di biscotti fatti in casa. Giusto?”la ragazza rimase sbalordita da quell'abilità e rispose con lo stesso tono leggermente al disotto della media. “Giusto! Siete davvero bravo”. “Eh già, anni di esperienza...torno subito con la sua ordinazione” le sorrise un ultima volta poi si diresse verso il bancone dove vi era un ragazzino emaciato che quando era entrata non aveva visto.

Fissò le fiamme che vibravano all'interno della cornice di marmo e si chiese, cosa stessero facendo i due piccioncini da soli in quel momento. Un'immagine ripugnate si formò davanti ai suoi occhi, tra le fiamme. Per fortuna qualcuno la distolse dai suoi pensieri poggiando una tazza sul tavolino dirimpetto a lei. L'uomo poggiò sul piccolo piano anche un piattino ricolmo di vari tipi di biscotti dall'aria invitante. “Ho messo nella cioccolata anche della vaniglia, aiuta a rilassarsi e pensare lucidamente” le fece l'occhiolino, e si diresse verso un altro cliente. Galatea prese un piccolo sorso del liquido scuro e sospirò di piacere.

Si ricordò di aver visto diverso tempo fa un libro che si intitolava “ tutto ciò di cui hai bisogno nella vita, è un amico che ha la cioccolata”, beh non l'aveva mai letto, ma sapeva, anche solo dalla copertina che aveva fottutamente ragione.

 

 

 

Vorrei ringraziare chi ha commentato lo scorso capitolo:

RossyMelly

Slyterin

Frandra

TeddyBibby

e tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite e le preferite.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Visite tediose ***


Salve, come va?

Scusate il tremendo ritardo, mi dispiace tantissimo. Spero che mi perdonerete. Come sempre grazie per i commenti,leggendoli mi commuovo. Bhè, non voglio tediarvi troppo, vi lascio al capitolo.

Baci Araiha

 

Come ogni lunedì mattina la sveglia era più isterica del solito, sembrava saltellare sul comodino urlando a squarciagola. Gala si tirò il piumone fin sopra le orecchie chiedendosi perché aveva osato comprare quello strumento del demonio.

Il sole filtrava attraverso le tendine leggere e si proiettava sul letto sfatto e tiepido. Galatea pur non avendo più sonno, avrebbe voluto rimanere tra quelle lenzuola che odoravano di biscotti. Ma non voleva fare tardi. Quindi si stiracchio con un mugolio, si alzò strofinandosi la faccia ancora impastata dal sonno, prese un cambio dall'armadio e si recò in bagno sbadigliando senza pudore. Giunta in corridoio però notò dall'altro lato il caro Emanuele che usciva dalla sua stanza. Lui la fissò un istante, poi scuotendo la testa, distolse lo sguardo e si allontanò. La ragazza intanto si faceva sempre più rossa per l'imbarazzo, difatti la maglietta che indossava per dormire, lasciava scoperte le gambe e anche una buona parte delle culottes rosa che vi erano sotto. Ma la mattina, così presto, non si ricordava nemmeno il suo nome, figurarsi ricordare le buone norme della pudicizia!

Si chiuse la porta alle spalle e sibilò con le mani schiacciate sul viso: “figura di merda!” . Ma ormai la cosa era all'ordine del giorno, quindi cerco di calmarsi. Avrebbe dovuto trovare un bravo psicologo, stava andando fuori di testa, era più che certo.

Dopo non molto abbandonò il bagno con un maglione rosa enorme che le arrivava quasi alle ginocchia e la faceva sembrare ancora più piccola ed i leggins marroni. Senza salutare il suo coinquilino uscì di casa, non prima però di avergli dato una sbirciatina. Era seduto sul sofà con il libro sulle ginocchia e una tazzina in una mano. I capelli neri gli ricadevano sul profilo aristocratico, mentre le sopracciglia nere erano leggermente corrucciate nello sforzo della concentrazione. Le pupille verde chiaro riflettevano il sole mattutino e si muovevano veloci da sinistra a destra analizzando le lettere stampate. Come avrebbe voluto che quegli occhi fissassero lei così! “ma è fidanzato”: ricordò prontamente, e irritata fece schioccare la lingua sotto il palato.

Chiudendo la porta dietro di se Galatea pensò: “ci vediamo più tardi, passa una buona giornata” ma non ebbe il coraggio di pronunciare neanche una sillaba. Scese velocemente i gradini, avrebbe aspettato l'arrivo dei suoi amici giù, non voleva la santa inquisizione a meno di 2 chilometri da Emanuele.

Salutò velocemente il volto abbronzato e scontroso del portinaio e tirò il portone. Il cielo quel giorno era grigio e pallido, nell'ultimo periodo sembrava che il sole si fosse preso una vacanza. Si strinse nel cappotto strofinando la guancia sul colletto di pelliccia. Si chiese se avrebbe dovuto dire ai suoi amici della nuova conoscenza. Non aveva sentito quei due sciagurati per tutto il fine settimana!

La 500 nota ormai alla maggior parte dei vigili di Roma e non, svoltò l'angolo a grande velocità. Il tettuccio era abbassato e mentre l'auto si avvicinava alla rossa, Riccardo si alzò nel piccolo abitacolo così che con l'intero busto fu all'esterno ed urlò agitando una mano verso di lei. Vide Lara tirarlo giù per la giacca e sbuffare. Mentre dall'altra parte della strada, due fattorini dell'albergo vicino e una vecchietta guardavano la scena stupiti.

Come mai ci hai aspettato giù?” chiese Lara mentre faceva manovra. “Volevo prendere una boccata d'aria” rispose lei evasiva, “tu che vuoi prendere una boccata d'aria a quest'ora? Avanti, sputa il rospo o il canguro che hai in gola”. Imprecò in tutte le lingue che conosceva contro Riccardo, poi borbottando disse “ha una ragazza”, scivolò sul sedile con aria depressa. “E' un fenicottero con le tette” mise il broncio ed incrociò le braccia. I suoi amici scoppiarono a ridere senza nessun riguardo, poi il biondino si girò verso di lei con il miglior sorriso del suo repertorio “era alquanto probabile, bambolina. Ma tu gli farai vedere di che pasta sei fatta.” le fece l'occhiolino, poi ritornò ad armeggiare con la radio.

La faceva facile lui, Gala si immaginò improvvisamente a flirtare come la peggior imitazione di una donna, e rabbrividì. Non ne sarebbe mai stata capace.

 

Intanto i giorni si succedevano veloci, l'autunno cedette il posto all'inverno. Ed anche tra i due coinquilini era sceso il gelo totale. Si vedevano raramente: Galatea studiava in camera e spesso mangiava anche lì; ed anche Emanuele usciva molto preso e tornava molto tardi con i libri sottobraccio e l'aria stanca. Probabilmente anche lui sotto esame. Raramente si rivolgevano la parola, solo qualche saluto di cortesia, mangiavano ad orari diversi e rientravano ad orari diversi.

Galatea si fermò a considerare che forse parlava di più quando era sola. In questo tempo però aveva imparato ad apprezzarlo, pur essendo così freddo, era gentile sotto sotto: alcune volte preparava anche a lei il pranzo, avendo ormai appurato che Galatea avrebbe potuto avvelenare entrambi; e da quando aveva scoperto che adorava il tè freddo, ogni volta che lui faceva la spesa ne comprava una o due bottiglie, sempre però facendo finta di niente. Le infilava semplicemente nel frigo, come se fosse un acquisto come tutti gli altri, quando invece, lui odiava il tè.

Dal canto suo Gala cercava di aiutarlo il più possibile in casa, faceva la lavatrice e spolverava, una volta si era anche azzardata a lavare a terra, ma dopo una serie di cadute desistette.

Le visite di Elena si erano ridotte, ma erano comunque fastidiose. Un pomeriggio di quelli, mentre il cielo turchino sembrava una fredda lastra di ghiaccio, una visita fu più disastrosa delle altre.

Era entrata di gran carriera in casa, senza neanche salutare Galatea, visto che la considerava alla stregua di una cicca. Lei però si auto-convinse che era solo invidia, per cosa poi, ancora doveva deciderlo. Diede un veloce bacio ad Emanuele che non staccò gli occhi da un grosso tomo sul quale era ricurvo da molto tempo. In effetti Gala aveva visto che il suo coinquilino stava sempre con il naso incollato alle pagine di un libro, per giorni interi fino a quando gli occhi si facevano rossi. Apprezzava la sua volontà, ma non salutare neppure la propria ragazza era strano. Elena parve alquanto irritata e sembrava proprio che volesse iniziare una petulante predica. Poi però intercettò Galatea vicino al lavello. “Allora Galatea” cominciò con un sorrisetto falso “ancora single? Potrei aiutarti io a trovare qualcuno, sai ci sono tanti ragazzi disperati.” la rossa si sforzò di rispondere al sorriso, mentre la vocina nella sua testa urlava “buttala fuori a calci, buttala fuori a calci fino a quando i vicini non chiamano la polizia”. Emanuele le fissava interessato ancora seduto al tavolo, dietro le lenti sottili degli occhiali. “Credo di potermela cavare da sola, grazie” era rossa di rabbia e vergogna. “ma è così difficile cara, però ti posso assicurare che tutte le mie amiche grazie a me hanno trovato qualcuno” la vocina melensa e subdola la fece andare su di giri. “Si, per me però, è molto più difficile, visto che cerco di non mostrare l'utero al pubblico” Galatea lanciò una eloquente occhiata alla sua microgonna di pelle scamosciata e alzato di colpo il mento con un moto di orgoglio disse “ora se vuoi scusarmi ho da fare.” La faccia sconvolta della sua rivale fu qualcosa di impareggiabile, bloccò a stento il desiderio di fare una foto. E poi le era anche sembrato che Emanuele accennasse un sorriso.

Il cellulare squillò improvvisamente e Gala dovette correre a rispondere, perdendosi, suo malgrado tutto lo starnazzare della ragazza, che sembrava essersi ripresa.

Senti...” la voce di Riccardo trillò elettrizzata dall'apparecchio, “...sono riuscito a recuperare i pass per una delle discoteche più in del momento, non chiedermi come ho fatto perché potrei turbare la tua giovane mente. Allora è stasera ci stai?” cadde nello sconforto, non aveva le forze per affrontare una serata tra il caos più nero. “Non so... sono stanca....gli esami....” riuscì a balbettare nervosa, sapeva quanto l'amico odiasse i rifiuti. “Non credere che io ti lasci a casa affogata in un barattolo di gelato a piangere perché l'Adone in casa tua si infila tra le gambe di un'altra....” “ehi, moderiamo i termini” sbottò lei scandalizzata. “Si si, certo...” minimizzò “...il punto è che adesso tu ti infili nella cosa più stretta che hai, fosse anche un guanto di lattice ti stucchi la faccia ed esci. Non si discute. Questo è perché ti voglio bene. Ci vediamo più tardi. Ciao”. Non la lasciò replicare che aveva già attaccato. Ascoltò per pochi secondo il tu-tu-tu, poi tornò in cucina. Li vide Elena in braccio al suo ragazzo, ad accarezzargli i capelli. Forse per la prima volta nella storia Riccardo aveva avuto ragione, meglio uscire.

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Serata ad alto contenuto alcolico. ***


Ehi la! Tutto bene?

Come potete vedere sono tornata, con questo nuovo capitolo. Volevo farmi perdonare e di conseguenza ho deciso di attizzare un po' il fuoco! Allora come sempre grazie infinite per i commenti (sto diventando ripetitiva -.-') e buona lettura.

 

 

Qual'è il più grande problema per una donna? Ma ovviamente, trovare qualcosa da indossare, in un armadio grosso come la stiva di una nave.

Galatea fissava da più di mezz'ora i vestiti lanciati di mal grazia sul letto. In quei lunghi minuti era passata da uno sguardo di sfida all'espressione pietosa di un cucciolo abbandonato. “Stupidi vestiti!”: pensò sconfortata e si lasciò scivolare lungo il muro.

Stava già prendendo in considerazione l'idea di uscire in pigiama, quando il campanello suonò.

Riccardo entrò in camera sua, ovviamente senza bussare e la fissò con un sopracciglio alzato “stavi cercando Narnia?” disse sfiorandosi con il pollice il piercing sotto il labbro. “No, la tua intelligenza, ma credo che ormai non ci siano più speranze” rispose Gala con eccessiva drammaticità e cercò di rialzarsi, ma una felpa lanciatagli addosso a gran velocità la fece ricadere di nuovo con il sedere per terra.

Sapevo che avresti avuto bisogno di me, per questo sono venuto prima. E comunque, non so se ne sei al corrente, ma lì in soggiorno ci sono una porno diva e un tizio fuso, insieme al tuo caro Emy” “ Scusa, come lo hai chiamato?” Galatea accennò ad un sorriso “ Emy” ripeté semplicemente lui mentre si sfilava la giacca nera di paillette “è più carino, non trovi?” la ragazza si alzò da terra “No,semmai è più ridicolo”sorrise felice, mentre lui scavava tra il cumulo di abiti.

Hai detto che c'era anche un altro ragazzo?” domandò Galatea “Si, ma niente di che. Un tizio sconclusionato con i capelli ricci e vestito in modo improbabile” scovò un paio di pantaloni, e palesemente soddisfatto glieli passò. Gala si ricordò improvvisamente di Giulio, l'amico irritante di Emanuele, era certa che fosse lui. La loro prima e ultima conversazione non era poi andata tanto bene.

Riccardo le lanciò un top, mentre lei indossava i pantaloni, colpendola in faccia. In seguito dopo varie e a dir poco colorite proteste, le fece anche indossare un paio di scarpe dal tacco chilometrico, che lui stesso le aveva regalato l'anno prima. La ragazza si guardò infine allo specchio. Nel complesso non era poi così male: la maglietta nera lasciva scoperta tutta la schiena ed era di un tessuto talmente leggero che si vedeva il reggiseno nero sottostante, i pantaloni erano stretti come una guaina e sembrava che fossero stati schizzati di vernice argentata.

Riccardo la fissava seduto sul letto, i capelli chiari spettinati sul viso ed un sorrisetto sfrontato, alzandosi disse: “sembri un donna finalmente. Non ringraziarmi, sono un genio” .

I vestiti e le scarpe le impedivano qualsiasi movimento e il trucco sul viso stava per solidificarsi dandole l'impressione di una paresi, però si sentiva mille volte meglio rispetto a qualche ora prima.

Ciò che non si sarebbe mai aspettata era la reazione che suscitò giungendo in soggiorno: Giulio sembrò strozzarsi con il caffè che stava bevendo, Elena strinse le labbra come se avesse appena succhiato un limone imbevuto nell'aceto ed Emanuele si limitò ad un occhiata indifferente.

Ehi bambolina , hai fatto lo sviluppo?” Giulio le si fece vicino con uno sguardo poco rassicurate, ma Gala lo bloccò prima che potesse fare altro “ il tuo cervello a quanto pare, invece, è regredito, complimenti.” Inconsciamente lanciò una breve occhiata ad Emanuele che sembrava completamente assente, come se tutto ciò che lo circondasse fosse solo polvere. La camicia era leggermente sbottonata con le maniche accorciate fino al gomito, lei si soffermò con lo sguardo tra le pieghe bianche, sulla cavità tra le due clavicole, lì dove iniziava la linea bianca del collo. Galatea sussultò, ingoiò il groppo in gola, e ripreso il controllo, sorridendo appena dichiarò: “io esco, buona serata.”

 

Passarono a prendere Lara e poi si diressero verso la discoteca. In quel buco scuro e affollato, la musica sembrava trapassarle il cervello, le luci al neon schizzavano da ogni direzione e centinaia di ragazzi ballavo schiacciati l'uno contro l'altro.

Lara intercettò un divanetto vuoto e si sedettero. Dopo non molto tempo avevano già mandato giù tequila e vodka. “Questa sera dobbiamo divertirci, niente esami, niente studio, non voglio pensare” urlò Lara in preda all'eccitazione. Poi si lanciò in pista facendo oscillare il liquido nel suo bicchiere, il biondino la seguì a ruota ancora più elettrizzato cercando di trascinare con se anche l'amica, ma lei rifiutò scuotendo la testa. Era uno degli effetti collaterali dell'uscire con quei due, bevevano come spugne e poi si fiondavano in pista ed era impossibile ritrovarli fino a notte fonda. Gala inebriata dall'alcool, guardava chi ballava, non aveva voglia di dimenarsi quella sera. Improvvisamente, per un breve istante, le sembrò di vedere tra la calca il volto di Emanuele, i suoi occhi verdi scintillarono verso di lei. Si strofinò gli occhi con le mani,, che naturalmente si macchiarono di mascara, e canalizzò dei lunghi respiri.

Che cavolo, era andata lì per distrarsi ed ora aveva le allucinazioni!

Mandò giù un altro sorso di cocktail. Ma improvvisamente si trovò a pensare a come lui si mordeva il labbro inferiore quando leggeva, a come si tirava indietro i capelli con la mano sinistra. Probabilmente stava impazzendo, in effetti la testa le girava. Gli alcolici non le avevano mai fatto quest'effetto. Scosse la testa cercando di liberarsi da quelle immagini.

Dopo pochi secondi però si fermò a realizzare che era possibile che Emanuele e Elena in quello stresso istante stessero facendo sesso, magari anche sul suo divano. Un conato di vomito le salì in gola.

La testa le pulsava dolorosamente. Scivolò sul divanetto foderato di velluto. Estremamente kich, avrebbe detto Riccardo. Stava male, forse aveva davvero bevuto troppo.

 

Non si rese conto di quanto tempo era passato fino a quando vide davanti a se il volto preoccupato della sua amica. Con l'aiuto di Riccardo la riuscirono a trascinare fino a casa. Tutti e tre erano brilli e poco stabili, prendere un taxi era stata un'impresa, tanto da non riuscire ad infilare la chiave nella serratura, si limitarono quindi a suonare il campanello. Dopo pochi minuti il coinquilino venne ad aprire palesemente irritato, ma quando vide il volto verdastro di Galatea cambiò espressione.

Riccardo gliela lasciò cadere tra le braccia, poi scese le scale con Lara che ancora gridava “prenditi cura di lei, oppure ti ammazziamo”, la voce leggermente alterata dalla sbronza.

Così da vicino, lui guardò i suoi occhi blu lucidi e cerchiati da profonde occhiaie viola e trucco sbavato, le labbra erano rosse e rendevano ancora più netto il contrasto con il viso pallido, sembrava addirittura più piccola del solito. Una bambina con indosso i vestiti della mamma.

Emanuele ancora sconvolto la prese in braccio e con un calcio chiuse la porta dietro di se mentre sospirava sfinito. Galatea sembrò riprendersi improvvisamente a quel contatto, e mentre la vodka e tutto il resto pompava nelle vene, si avvinghiò con le braccia al collo di Emanuele e gli diede un bacio all'altezza della giugulare, dove rimase una macchia di rossetto.

Emanuele spalancò gli occhi e si fermò di colpo nel bel mezzo del corridoio. Lei iniziò a tracciare una lunga scia di baci umidi e lenti fin dove riuscisse ad arrivare: sotto il lobo, sulla clavicola, lungo la mascella, sullo zigomo. Emanuele ad ogni tocco trasaliva appena, poi strinse gli occhi e lasciò cadere la testa indietro, nello stesso istante in cui le mani di lei si strinsero con la poco forza alle sue spalle.

Galatea aveva il cervello scollegato. Perché se non fosse stato così probabilmente avrebbe preferito staccarsi un braccio a morsi, piuttosto che fare quello che stava facendo! Ma si sa:

l'ubriachezza è un suicidio temporaneo”.

 

Ok non uccidetemi! Sono stata un po' cattivella, ma il sano vecchio patos non fa mai male.

Ora volevo sfruttare questo spazio per rispondere alle domande che mi sono state così gentilmente fatte da cupidina 4ever: diciamo che la storia di base è romantica, come tutti hanno potuto notare, però ho voluto che si sviluppasse un po' più lentamente, sarà che io sono lenta, ma mi sembrava più giusto così. Per quanto riguarda Galatea, c'è un motivo ben preciso per il suo caos e il suo modo di vivere, ci sono ancora tanti altarini da scoprire nei prossimi capitoli! Credo di essere stata abbastanza chiara, più di così non posso dire senza svelare i retroscena. Se avete altre domande non esitate a chiedere, sarò felicissima di rispondervi.

 

Ringrazio chi ha commentato lo scorso capitolo:

RossyMelly

cupidina 4ever

 

Le 26 persone che hanno inserito la storia tra le seguite,

le 9 che l'hanno inserita tra le preferite

e le 2 tra le seguite.

Vorrei ringraziarvi singolarmente, ma ci vorrebbe fin troppo. Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate del nuovo capitolo.

Baci Araiha

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=672406