Le Cronache di Marnia: Marnia diventa un Mago di Mapi D Flourite (/viewuser.php?uid=47117)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 1 *** 1 ***
SCHEMAEFP2
Marnia incontra il Mago
Nel villaggio di Dorna, situato nell'entroterra di Anvara, la regione
più meridionale del regno di Karvala, viveva un bambino di nome
Marnia.
Marnia, a differenza di tutti i suoi coetanei, era estremamente pigro e
tutte le volte che la sua mamma gli diceva che c'erano dei lavori da
sbrigare lui riusciva sempre a trovare il modo di scappare per andarsi
a rifugiare fuori dalla città, sul limitare del Bosco Ombroso,
una piccola macchia di alberi enormi e antichi che si diceva fosse
abitato da un uomo vecchio di mille anni con un carattere così
cattivo che, se avesse trovato qualche bambino a gironzolare nel bosco,
se lo sarebbe mangiato per colazione.
Marnia, ovviamente, sapeva benissimo che era una sciocchezza, ed era
per questo che lui gironzolava spesso da quelle parti, così non
avrebbe corso il rischio di trovarsi qualcun altro tra i piedi quando
voleva semplicemente starsene per conto proprio.
E infatti, in quel momento, Marnia stava proprio camminando tra i primi
cespugli che si trovavano sul confine del bosco, calciando di quando in
quando delle foglie rinsecchite o dei ramoscelli e facendo dondolare il
suo cestino della merenda – perché, sebbene fosse pigro,
lui era anche molto previdente – fino a che, ad un certo punto,
la punta del suo piede non toccò qualcosa di grosso e pesante,
decisamente più morbido di una foglia o di un ramoscello. Si
fermò dov'era, il sopracciglio inarcato, mentre scrutava il
grosso cespuglio che aveva davanti e si mise carponi, iniziando a
studiare il suolo. Guardò sotto le foglioline fitte del grosso
cespuglio e poi si appiatti sul terreno, le mani ai lati del viso,
continuando a studiare i contorni di quella grossa figura che non
riusciva a capire cosa fosse. Era troppo grosso per essere un animale,
anche se sembrava essere completamente ricoperto da una soffice e
lanosa pelliccia argentea e Marnia scivolò più sotto al
cespuglio, per vedere meglio, mentre con la mano tastava il pelo
voluminoso fino a che non sentì la cosa
iniziare a muoversi e, quando incrociò il suo sguardo
indemoniato, saltò fuori dal cespuglio, appiattendosi contro il
tronco lustro di un grosso albero.
Era un mostro! Era il vecchio di mille anni che mangiava i bambini!
Sentì le ginocchia tremare e, di riflesso, afferrò il suo
cestino della merenda, maledicendosi per non aver dato ascolto alla sua
Mamma e non essere rimasto a fare i lavori che lei gli aveva assegnato.
Se fosse sopravvissuto, si disse, le avrebbe sempre obbedito, anche se
non ne aveva la minima voglia.
Il mostro sotto il cespuglio iniziò ad agitarsi e Marnia lo vide
strisciare fuori dall'ammesso di foglie come un serpente, trascinandosi
dietro il pelo fitto e la sua pelle lucida di colore blu scuro che lo
ricopriva nella sua interezza, dalla testa puntuta ai piedi che neanche
si vedevano. Era davvero un mostro orribile, pensò Marnia, e se
lo immaginò mentre sollevava la testa appuntita verso l'alto e
lo attaccava, con la sua immensa bocca spalancata, fiondandosi su di
lui proprio come i serpenti fanno con i topolini.
Il mostro strisciò un po', aiutandosi con delle protuberanze che
sembravano spuntargli dalla testa e, quando gli arrivò davanti,
si voltò su se stesso, mettendosi steso a pancia in su, gli
occhi scuri e infossati rivolti verso l'alto. Marnia lo guardò
un momento in silenzio, gli occhi spalancati e, dopo un po', quando
vide che non accennava più a muoversi – è svenuto?
– decise di avvicinarsi di nuovo, per studiarlo meglio da vicino.
Sbatté le palpebre un paio di volte, quando lo vide e,
nell'istante in cui capì finalmente che cos'era, si
lasciò scappare un gemito strozzato.
Quello non era un mostro, era un normalissimo vecchio! Quella che aveva
scambiato per pelliccia era semplicemente la sua barba lunga e fitta e
la testa puntuta altro non era che il cappello che portava, così
come quella che lui pensava essere la sua pelle in realtà era
solo il suo abito, così lungo che arrivava a coprirgli i piedi.
Marnia sospirò, passandosi una mano sulla fronte. Che stupido
era stato, a spaventarsi per una cosa come quella. Si chinò
nuovamente sul vecchio e, con la mano, lo scosse un poco, cercando di
farlo reagire. Forse è morto per davvero, pensò,
guardando la sua faccia grigia e tirata e, proprio quando era sul punto
di arrendersi e tornare a casa, il vecchio emise un lungo gemito e poi
un rantolo e poi una serie di colpi di tosse in rapida successione,
mettendosi a sputacchiare da una parte all'altra.
Marnia lo guardò con un sopracciglio inarcato per tutto il tempo
e, quando ebbe finalmente finito, il vecchio aprì gli occhi e lo
guardò, sollevando una mano nella sua direzione.
«… Qua…» biascicò, con la voce debole
e Marnia si accucciò accanto a lui, il capo chinato da un lato.
«Qua dove?» chiese, studiando la sua mano secca e raggrinzita. «Io non vedo niente.»
«… Q… Qua…» ripeté il vecchio, allo stremo delle forze.
«Guarda che non c'è niente lì,»
ribatté Marnia, lievemente scocciato e il vecchio scosse appena
il capo, inspirando a fondo con tutte le poche forze che gli erano
rimaste in corpo.
«A… c… Acqua…» riuscì a dire
dopo diversi tentativi e Marnia sollevò entrambe le sopracciglia
e si lasciò scappare un Oh! soddisfatto,
quando finalmente riuscì a capire che cosa voleva dirgli.
«Oh! Finalmente ho capito cosa volevi dirmi!» disse,
battendosi una mano sulla coscia.
«Dammi dell'… ac… qua… ti…»
«Non ce l'ho.»
In lontananza, le cicale cominciarono a frinire. Il vecchio rimase un
momento immobile e poi, tutto a un tratto, il braccio gli cadde lungo
disteso accanto al corpo e Marnia sospirò, stringendosi nelle
spalle. «Però se vuoi posso andartela a prendere al
torrente,» disse, indicando con un dito un torrentello fresco e
sottile che si faceva largo tra le rocce a circa mezzo metro da loro.
Il vecchio non gli rispose e lui, che aveva imparato che chi tace o
acconsente o se l'è appena data a gambe, si alzò in piedi
e andò al torrente e, facendo la spola come meglio poteva, nel
giro di una quindicina di minuti era riuscito a portare al vecchio
abbastanza acqua perché lui riuscisse a mettersi seduto con la
schiena appoggiata contro le grosse radici di un albero.
«Ti ringrazio, mio giovane amico. Se tu non mi avessi prontamente
soccorso sarei sicuramente morto sotto quel cespuglio, ma grazie al tuo
coraggio e al tuo buon cuore potrò ancora vivere almeno mille
anni!»
Marnia guardò il suo cestino della merenda che aveva lasciato ai
piedi dell'albero – non quello contro cui era appoggiato il
vecchio, un altro – chiedendosi quando avrebbe potuto tornarsene
finalmente a casa sua, anche perché stava cominciando a fare
tardi, e se fosse arrivato in ritardo per la cena la Mamma non glielo
avrebbe mai perdonato.
«So cosa stai pensando, fanciullino.» Marnia lo
guardò con un sopracciglio vagamente inarcato e il vecchio
disse: «Ti stai chiedendo che cosa siano questo cappello e questa
veste, non è vero?» E, senza aspettare una risposta,
continuò: «La verità, è che io sono un
Mago!» esclamò il Mago, interrompendosi subito dopo a
causa di un attacco di tosse.
Marnia non reagì in alcun modo alla rivelazione e il Mago
annuì vigorosamente, incrociando le braccia al petto.
«Sì, so cosa stai per dirmi: ti stai chiedendo come mai un
Mago del mio calibro si trovi in un posto del genere e in fin di
vita.»
Marnia fece segno di no con il capo e il Mago proseguì,
ignorandolo: «La verità è che torno ora da un
viaggio molto lungo e molto impervio, in cui ho dovuto affrontare
mostri di ogni specie e malvagi stregoni dalla forza straordinaria e
proprio mentre ero sul punto di giungere finalmente alla mia dimora ho
finito le riserve di cibo e acqua e sono svenuto.»
Marnia incominciò fissarsi con insistenza la punta un po'
logora delle sue scarpe e il Mago, apparentemente infatuato della sua
stessa voce, riprese a parlare come se si fosse trovato davanti ad una
platea estremamente numerosa, riuscendo perfino ad alzarsi in piedi:
«Come ho detto, tu mi hai salvato la vita, e siccome sono un Mago
molto potente, ma anche molto giusto, ti darò la ricompensa che
ti spetta!»
Per la prima volta, Marnia gli prestò la più totale attenzione. «Una ricompensa?»
«Esatto, una ricompensa straordinaria.»
«Vuol dire che mi darai dell'oro?»
«No, molto di più!»
«Un castello?»
«Di più, di più.»
«Mi farai diventare un re?»
«Ancora di più!»
Marnia non disse niente e il Mago inspirò a fondo, come se si
stesse preparando a dargli la più sensazionale delle notizie:
«Mio giovane amico, io farò di te un mago!»
«Ah.»
Il frinire delle cicale in lontananza era diventato davvero insopportabile.
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N/A
Fanfic scritta per la Quarta settimana del COW-T @ Mari di Challenge, prompt "Mago".
Tutte le note serie sono nell'ultimo capitolo, perchè farle così è un po' inutile. <3
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Capitolo 2 *** 2 ***
SCHEMAEFP2
Marnia impara la Magia
La casa del Mago si trovava proprio nel centro di Bosco Ombroso,
nell'unico punto della foresta in cui gli alberi, un po' diradati,
permettevano alla chiara luce del sole di accarezzare l'erba soffice e
le pietre grigie dei muri che sembravano risplendere come diamanti
quando venivano colpiti dai caldi raggi mattutini.
Marnia, seduto su una seggiola nel grande laboratorio del Mago,
riusciva a sentire il venticello fresco entrare dalla piccola finestra
e il sole caldo sfiorargli le guance lievemente rosate e tutta
quell'atmosfera ovattata e accogliente che lo circondava gli faceva
venire una gran voglia di tornarsene a casa il prima possibile: non che
dipendesse solo dal sole e l'erba e il venticello e gli uccellini che
cinguettavano in lontananza coprendo il frinire delle cicale,
semplicemente lui non aveva la minima voglia di restare lì un
istante di più e mentre si chiedeva se sarebbe riuscito a
fuggire dalla finestrella senza farsi notare il Mago, completamente
ignaro di quali fossero i suoi pensieri in quel momento,
cominciò a sciorinargli quella che lui aveva definito la Prima e
Fondamentale Lezione di Magia per Principianti.
«So benissimo quali sono i tuoi pensieri in questo
momento,» disse, sventolando una lunga stecca di legno sopra la
propria testa, «ma non aver timore: l'arte della Magia è
antica e difficile, ma un giovane valoroso come te, desideroso di
apprenderne tutti i mistici segreti, non avrà problemi a farsi
largo tra gli incantesimi e le pozioni e la conoscenza delle antiche
leggi che governano la magia del mondo!»
Marnia restò completamente impassibile e il Mago gli si
avvicinò, appoggiandogli una mano ossuta sui suoi capelli.
«So che tu darai prova di grande abilità, lo leggo nel tuo
sguardo,» lo incoraggiò, fissando con adorazione il suo
sguardo apatico e indolente. «E ora che non hai più timore
di fallire,» continuò, allontanandosi un momento per
raggiungere una vecchia libreria dalla quale tornò con le
braccia cariche di volumi enormi e impolverati, «possiamo
incominciare,» dichiarò, con quella sua voce solenne e
dopo appena un paio di mesi Marnia si rese conto che apprendere l'arte
della Magia non solo era piuttosto impegnativo, ma anche terribilmente
noioso.
Gli incantesimi da imparare non finivano mai ed era riuscito a contare
almeno quattrocentottantasette pozioni tutte a base di radice di
muschio e estratti di patchouli dagli effetti più disparati, a
partire dalla cura delle verruche fino alla capacità di far
crescere tronchi d'albero al posto delle unghie dei piedi, e quando una
volta si era sbagliato con le dosi e gli ingredienti aveva passato
tutta una mattina con i piedi fuori dalla porta, mentre il Mago cercava
di tagliare le radici e gli somministrava un disgustoso antidoto che
era riuscito a fare completamente effetto soltanto dopo un paio di
giorni – e ancora adesso lui aveva un po' d'ansia, tutte le volte
che metteva i piedi a bagno nel torrente.
Marnia sospirò pesantemente, quando quei ricordi gli
attraversarono la mente. Lasciò cadere nel paiolo di rame delle
radici raggrinzite di cui a malapena ricordava la funzione e, mentre
rimestava senza energia, il Mago gli arrivò alle spalle,
cogliendolo di sorpresa: «Tu hai un talento naturale, per la
Magia, mio giovane apprendista!»
Marnia lo guardò con la coda dell'occhio e, senza prestare
attenzione a quello che stava facendo, versò nel paiolo una dose
abbondante di polvere di ametista che si trovava accanto a lui. Dopo un
lunghissimo istante, Il paiolo esplose in un boato e tutto il liquido
che conteneva si gonfiò e si sollevò verso il soffitto
come fosse stato una massa gelatinosa, prima di indurirsi e condensarsi
e ridursi ad una sottospecie di sassolino giallastro che ricadde sul
fondo di rame con un tintinnio argenteo.
Marnia e il Mago si chinarono sul paiolo e fissarono per un momento la
pietra, prima di guardarsi dritti in faccia, entrambi visibilmente
basiti. Dopo un po', il Mago si raddrizzò e cominciò a
ridere, battendogli la mano sulla spalla. «Sei un
prodigio,» disse, con gli occhi pieni di orgoglio. «Studi
la Magia da soli quattro anni e sei già stato in grado di creare
una pepita d'oro! Hai un gran futuro, ragazzo mio, un gran
futuro!» esclamò, prima di uscire dalla stanza scosso da
un violento colpo di tosse e Marnia rimase immobile, gli occhi di nuovo
fissi sul sassolino dorato che giaceva abbandonato sul fondo del suo
paiolo.
«Accidenti,» disse, piegando la bocca in una smorfia.
«Non ho la minima idea di come io abbia fatto…»
Nella casa del Mago, il tempo sembrava passare con una lentezza
infinita. Tutti i giorni Marnia era costretto a preparare pozioni su
pozioni, studiare gli incantesimi e imparare il significato delle
Antiche Rune della Lingua dei Maghi e mano a mano che entrava sempre di
più in quel mondo mistico e misterioso che per secoli aveva
affascinato e intimorito i comuni mortali, più cresceva il suo
desiderio di non averci niente a che fare.
Un giorno – esattamente undici anni, sette mesi, quindici giorni,
sei ore, diciotto minuti e pressappoco quarantacinque secondi da quando
era arrivato per la prima volta in quella casa – il Mago lo
chiamò a sé. Marnia, che si trovava in biblioteca, lo
raggiunse nel suo laboratorio, trovandolo in piedi davanti al grande
scaffale su cui si trovavano tutti i contenitori delle pozioni e degli
ingredienti con le braccia dietro la schiena che lo fissava con uno
sguardo intenso, minaccioso.
Marnia si strinse nelle spalle e incominciò a dondolarsi sui calcagni. «Che c'è.»
Il Mago non rispose subito. «Marnia,» disse, la voce
tonante, «mio giovane Apprendista, da quando ti ho portato in
questa casa sono passati ormai undici anni, sette mesi, quindici
giorni, sei ore, diciannove minuti e pressappoco dodici secondi.»
Inspirò per riprendere fiato. «Ti sei applicato con
impegno e costanza e con umiltà hai appreso le conoscenze
necessarie che, d'ora in avanti, ti apriranno la strada verso la vera
Magia, quella più remota e arcana, quella che si trova dentro il
cuore e lo spirito di ogni Grande Mago.»
Marnia inarcò un sopracciglio e fece un rapido cenno d'assenso. «Grandioso.»
«So cosa pensi!» esclamò il Mago, sollevando
entrambe le mani verso il soffitto. «Pensi di non essere pronto,
pensi di avere ancora molto a apprendere che per te la strada è
ancora lunga e irta di ostacoli.»
«In realtà io credo di essere pronto per andarmene…»
«Ma in realtà tu sei pronto per andartene di qui e seguire
le Grandi Strade della Magia ovunque esse vogliano portarti!»
gridò, stringendo i pugni e avvicinandosi a Marnia con passo
solenne. «Mio giovane: non è giusto che io parli a te come
un Apprendista.»
«Vuol dire che abbiamo finito?»
«Oggi, esattamente undici anni, sette mesi, quindici giorni, sei
ore, ventitré minuti e pressappoco diciassette secondi, tu non
sei più un Apprendista.»
«Fantastico!» esclamò, senza entusiasmo, guardandosi
attorno per verificare la sua via di fuga. «Quindi cosa sono
adesso?»
Il Mago aspettò che Marnia tornasse a fissarlo dritto negli
occhi, per continuare: «Il mio debito nei tuoi confronti è
interamente saldato, ormai.» Gli appoggiò una mano sulla
spalla e gli sorrise apertamente, guardandolo con orgoglio e i
lucciconi negli occhi. «Tu sei un Mago, Marnia.»
Marnia sorrise a sua volta. «Grandioso. Quindi posso andare a casa?»
«A casa?» Il Mago rise, dandogli un secco colpo sulla
schiena. «Ma no mio caro ragazzo, no! So cosa stai
pensando,» disse, guardandolo con aria indulgente. «Sebbene
tu ora sia un Mago a tutti gli effetti pensi di essermi comunque
d'intralcio, ma non è così! Sei inesperto, questo
è vero, ma è per questo che è necessario che tu
venga con me.»
Marnia sbatté le palpebre. «Venire… dove, esattamente?»
«Partiremo per un lungo viaggio in giro per il mondo,» gli
disse, al colmo dell'entusiasmo. «In questo modo tu potrai
imparare tutto ciò che io non ho potuto insegnarti e affinare le
tue capacità magiche allo scopo di diventare il più
grande Mago del mondo!»
Marnia rimase impassibile e, per l'ennesima volta, verificò le sue vie di fuga.
Doveva scappare di lì il prima possibile, pensò, stringendo i denti. Ad ogni costo.
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Capitolo 3 *** 3 ***
SCHEMAEFP2
Marnia lascia la casa del Mago
La notte era calata velocemente su Bosco Ombroso – e anche su
tutto il resto del mondo ovviamente –, e Marnia, nascosto sotto
un pesante mantello nero che puzzava di carbone bagnato, barbabietola
andata a male e uova marce, si apprestava finalmente a fuggire dalla
casa del Mago.
Si guardò intorno con circospezione, come se si aspettasse di
vedere il vecchio Stregone comparirgli davanti da un momento all'altro,
sebbene riuscisse a sentire senza problemi il suo russare anche
dall'altra parte della casa. Deglutì a vuoto e poi, racimolando
tutti i suoi pochi effetti personali, sgattaiolò fuori dalla
propria stanza e attraversò tutta la casa in punta di piedi,
attento di non coprire con i propri passi il rumore del Mago che
russava come un trombone.
Quando arrivò a pian terreno esitò un momento e poi,
vedendo la porta a pochi metri di distanza, iniziò a correre,
raggiungendola in un battibaleno e uscendo dalla casa così come
c'era entrato, con un cestino della merenda in mano, il morale sotto i
piedi, e la voce del Mago che gli riempiva le orecchie.
O, almeno, questa era la sua idea, perché quando mise il piede
sul pavimento inciampò sul tappeto e ruzzolò contro
l'armatura nell'angolo che cadde con un clangore insopportabile,
rovesciandosi contro gli arazzi e i quadri alle pareti e sul tavolo
dove avevano dimenticato piatti, bicchieri e una grossa zuppiera che
cadde al suolo spaccandosi in mille pezzi e riempiendo la casa con un
rumore assordante – e fu in quel momento esatto che Marnia
ringraziò per l'assenza di animali in casa.
Marnia rimase immobile, steso sul pavimento con le braccia sopra la
testa, in attesa. Il rumore cessò dopo un lungo momento e
l'attimo di panico immediatamente successivo a tutto quel macello fu
spezzato con poca grazia dal ronfare secco e profondo del Mago che
sembrava anche più forte di prima.
Marnia sospirò, alzandosi lentamente e, guidato da quel
frastuono insopportabile, uscì di casa senza fretta, lasciando
che la porta scricchiolasse sui suoi cardini male oliati. Si mise la
sua sacca da viaggio sulla spalla e si avviò fischiettando tra
gli alberi fitti e ombrosi di Bosco Ombroso, domandandosi
distrattamente da che parte fosse la strada per il villaggio di Dorna e
se fosse veramente il caso di prendersela così comoda visto che,
probabilmente, da quelle parti giravano anche degli animali feroci.
Scacciò i propri pensieri con una scrollata di spalle e
cominciò ad intonare una canzoncina insulsa e fuori moda che
aveva sentito un sacco di volte dal Mago; ad un certo punto si
lasciò scappare un acuto così simile al suono delle
unghie sulla lavagna che riuscì a spaventare nell'ordine uno
scoiattolo, una lontra, un tasso, un gufo e il lupo che era ormai
pronto a rosicchiargli per bene il polpaccio.
«La prima cosa che farò quando sarò tornato al
villaggio,» disse, saltando a piè pari una radice troppo
alta e rischiando di finire con la faccia per terra, «sarà
raccontare a tutti che il vecchio di mille anni che mangia i bambini
esiste davvero e che stava per mangiarsi me!» Rise e
attaccò di nuovo con l'orribile ritornello. «Oppure posso
dire che non esiste e mandare tutti i bambini dal Mago. O posso
trasformare tutti in ranocchi!» si esaltò, sfoderando la
bacchetta dalla sacca.
«Com'era l'incantesimo?» borbottò, grattandosi la
testa con la punta della bacchetta, e poi la puntò contro un
albero, decidendo che, dato che non aveva niente di meglio da fare,
avrebbe fatto un po' di pratica, prima di arrivare al villaggio.
«Ranocchibus!» urlò e non accadde
nulla. Aggrottò le sopracciglia.
«Ranocchipus!» provò di nuovo,
ottenendo sempre il medesimo risultato, e cioè nessun risultato.
Mise il broncio. Eppure, quando studiava dal Mago, gli incantesimi
funzionavano sempre. «Ranocchidus!»
tentò di nuovo e, quando nemmeno quello fece effetto, si
scocciò e buttò la sacca da viaggio a terra,
incominciando a frugare al suo interno alla ricerca del suo libro di
Incantesimi – studiare con il Mago era stata la cosa peggiore che
potesse capitargli, ma essere un Mago era tutto un
altro paio di maniche – mettendosi a sfogliare le pagine alla
ricerca dell'incantesimo giusto, salvo poi rendersi conto che se il
Bosco Ombroso era ombroso di giorno, ragionevolmente di notte era
ancora più ombroso, quindi buttò di nuovo il libro nella
sacca e puntò la bacchetta contro il solito albero, decidendo
arbitrariamente che quello giusto era l'ultimo che aveva detto,
cioè Ranocchibus con la b,
salvo poi ricordarsi che l'ultimo che aveva usato era
Ranocchidus con la d e che quindi
quello era quello giusto.
O una cosa del genere.
«Ranocchipus!» gridò, ad alta
voce e, per la cinquantesima volta, l'albero si ostinò a
rimanere un maledettissimo albero. Sbuffò, infilandosi la
bacchetta nella tasca del mantello e, proprio quando era sul punto di
andarsene di lì – non che avesse una minima idea di dove
andare, ma la sola vista di quell'albero lo innervosiva oltre misura
– una voce lo raggiunse dal fitto della foresta, attirando tutta
la sua attenzione.
Quella, era senza ombra di dubbio la voce di una ragazza. Insomma, non
che lui avesse poi avuto molta esperienza con il gentil sesso, ma quel
grido assurdo che aveva sentito era almeno un paio di ottave superiore
al tono della sua voce. Guardò l'odioso albero, gli fece una
smorfia e, senza esitare andò incontro alla ragazza, chiedendosi
quali strani, orribili mostri riuscissero a spaventare così una
fanciulla indifesa e, soprattutto, perché diavolo una fanciulla
indifesa dovesse aggirarsi senza difese in un bosco in cui, in piena
notte, era praticamente impossibile difendersi.
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Capitolo 4 *** 4 ***
SCHEMAEFP2
Marnia viene rapito dal Nobile
Marnia corse a perdifiato nel bosco per un paio di minuti circa e poi,
troppo stanco per continuare, si fermò a riprendere fiato e a
far riposare le gambe e poi procedette con calma, dicendosi che fino a
che la ragazza dalla voce stridula continuava a gridare significava che
era ancora viva e che, comunque, arrivare più lentamente era
sempre meglio che non arrivare affatto.
Camminò ancora per cinque minuti circa, del tutto ignaro di
quale direzione avesse preso e poi, nella boscaglia, vide una luce
fioca, come quelle emanate dalle lampade a olio o dalle lanterne e si
avvicinò con cautela, poggiando la mano sotto il mantello alla
ricerca della bacchetta. Arrivò nella radura senza emettere un
fiato e quando si affacciò tra due grossi alberi che lo
separavano dall'origine della luce, rimase un attimo impietrito,
chiedendosi se, per caso, si fosse messo a seguire la voce sbagliata,
perché lì non c'erano né mostri disumani né
giovani fanciulle indifese che si aggiravano senza difesa in un bosco
in cui era impossibile difendersi.
Nella radura c'era soltanto un tizio alto e magro, tutto impomatato e
vestito sontuosamente che se ne stava nascosto dietro al portello della
sua lussuosissima carrozza, al riparo da un temibile nemico che Marnia
non riusciva proprio ad individuare. Sbatté le palpebre un paio
di volte, confuso e poi, facendosi coraggio, uscì dal suo
nascondiglio, la bacchetta stretta in pugno.
Quando apparve, il nobiluomo gridò e almeno seppe per certo che
la fanciulla indifesa che si aggirava senza difese in un bosco in cui
era impossibile difendersi in realtà era solo un nobiluomo
riccamente vestito che si aggirava con la sua carrozza riccamente
decorata in un bosco a cui, della ricchezza, importava proprio poco o
niente.
«Chi siete voi?» pigolò l'uomo in falsetto, e Marnia
sospirò sventolando la bacchetta e le mano sopra la testa come a
volergli mostrare che non aveva alcuna intenzione di fargli del male:
«Vedete, sto sventolando le mani sopra la testa per mostrarvi che
non ho alcuna intenzione di farvi del male!» disse, la voce
leggermente annoiata o assonnata, era difficile capire la differenza
dato che in quel momento lui era entrambe le cose.
Il nobiluomo si riparò ancora dietro al suo portello e poi, nel
giro di un secondo, uscì allo scoperto, avvicinandosi a lui con
una camminata baldanzosa. «Orbene,» disse, la voce
improvvisamente imponente e fiera. «Chi siete, giovine, e cosa
fate nel bel mezzo della foresta a quest'ora tarda della notte?
È un comportamento assai rischioso.»
Marnia inarcò un sopracciglio e abbassò finalmente le
mani. «Stavo tornando a casa mia,» disse, con una scrollata
di spalle. «E voi?»
«Io sono un Nobile,» rispose il Nobile, «e sono in
questo bosco maledetto di passaggio. Ditemi, bravo giovine, conoscete
forse voi la via per uscire da questo intricato dedalo di arbusti
dall'aria oscura e minacciosa?»
Marnia si guardò intorno, come alla ricerca di ispirazione e poi
scrollò le spalle di nuovo, sollevando per un momento le mani
verso il cielo. «No.»
Il Nobile si morse il labbro inferiore. «Ma non avevate detto che
tornavate presso la vostra magione?» chiese, la voce nuovamente
piccola piccola.
Marnia sbuffò. «Ci stavo provando,» ammise, senza
una particolare enfasi nella voce. «Ma dato che è da
parecchio che non torno a casa non so esattamente dove…»
«Oddio sono spacciato!» gridò di nuovo il Nobile in falsetto, tornando a ripararsi dietro alla sua carrozza.
Marnia fece roteare gli occhi verso il cielo e, grazie al chiarore
della lanterna, vide un gufo volare sopra le loro teste. Non sapeva
perché, ma non lo interpretò come un buon segno.
Guardò di nuovo il Nobile, le cui ginocchia sbattevano l'una
contro l'altra con una violenza inaudita e scosse il capo, lasciando
scappare un lungo sospiro. «Guardate che questo bosco è
piccolissimo: se andate in qualunque direzione potete uscire da qui, e
poi vi basterà prendere un'altra strada, non mi sembra
così complicato.» Sentì il Nobile deglutire
sonoramente e poi lo vide sbirciare dal portello, prima di rivolgersi
nuovamente a lui.
«Ci sono forze misteriose in questa foresta,»
sussurrò in falsetto, riuscendoci, tra l'altro e indicò
verso la parte anteriore della carrozza con il dito. Marnia
seguì il suo gesto e osservò per un momento la coppia di
cavalli bianchi che, in quel momento, erano intenti a brucare
tranquillamente l'erba.
«Quelli prima erano topi?» chiese, indicandoli e il Nobile
mise fuori la testa e gridò: «Non stavo parlando dei
cavalli!» Poi, tornando ad acquattarsi dietro al portello, fece
un rapidissimo cenno col capo. «Laggiù, nell'erba,»
sussurrò, con i denti che battevano. «C'erano degli
uomini!»
Marnia guardò tra l'erba fitta e scura e, tutto quello che
sentì, fu il fastidioso gracidio di un gruppetto di ranocchie.
«Ora se ne sono andati,» ribatté, senza lasciarsi
scomporre e il Nobile gridò, nascondendosi di più dietro
alla carrozza.
«Non se ne sono andati,» squittì, scuotendo il capo.
«Sono stati trasformati in rane da una magia misteriosa! Anche il
mio cocchiere è stato tramutato in rospo!»
«In rane?» chiese, vagamente stupito. «E da chi? Quando?»
«Poco fa,» rispose il Nobile, tremando. «Un gruppo di
banditi ha assalito la mia carrozza e non appena il mio cocchiere
è sceso una magia misteriosa li ha trasformati tutti in rane! Io
odio le rane!» aggiunse, con un gridolino insopportabile.
Marnia cercò alla cieca le ranocchie che gracidavano
furiosamente nell'erba e, dopo un minuto, gli venne un'illuminazione.
Si guardò alle spalle, come alla ricerca di una conferma e,
quando il buio gli impedì di vedere oltre il suo naso, si
limitò a scrollare le spalle. «Sono stato io,»
disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo e il Nobile lo
guardò con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca spalancata.
«Voi?!» esclamò, con la sua vocetta stridula.
«Sì.»
«E come avete fatto?» In quel momento, per la prima volta notò la bacchetta. «Siete un Mago?»
Per un momento Marnia esitò, prima di rispondere. «Una cosa del genere.»
«Quindi siete in grado di tramutare gli uomini in rospi? E compiere incantesimi? E preparare pozioni miracolose?»
Marnia cercò con lo sguardo le ranocchie nell'erba. «Direi
di sì,» rispose, lievemente spaventato dal tono che aveva
assunto la voce del Nobile. «Comunque, che voi sappiate, è
stato il Ranocchidus con la d o
il Ranocchipus con la p a fare
effetto?»
Il Nobile sbatté le palpebre, confuso. «Come dite?»
«Non fa niente, controllerò domani.»
«Oh, mio nobile Mago!» esclamò il Nobile, ora di
nuovo tronfio e sicuro di sé, come se tutta l'ultima parte della
conversazione non fosse avvenuta. «Avete salvato la mia preziosa
vita e ve ne sono immensamente grato!»
Marnia sospirò. «Sì, fa niente, cose che succedono.»
«E inoltre» ribatté il Nobile, uscendo dal suo
nascondiglio e avvicinandosi a lui con passo sicuro e cadenzato.
«È proprio per trovare un Mago del vostro calibro che ho
intrapreso questo viaggio ricco di perigli! Temevo che i miei sforzi si
sarebbero rivelati vani, ma giusto nel momento in cui ho cominciato a
disperare siete apparso sul mio cammino e mi avete dato prova di quanto
immenso sia il vostro potere!»
Marnia si guardò intorno, controllando le vie di fuga. Aveva
come la sensazione che quella conversazione stesse degenerando troppo
velocemente… «Ma no, signore, che dite, è stato
solo un caso, in realtà io miravo a un albero! Anzi, pensante un
po', non volevo neanche trasformarli in ranocchi!» rise, cercando
di allontanarsi e con sua somma sorpresa e orrore il Nobile lo
trattenne per un braccio, costringendolo fermo.
«Devo portarvi via con me,» disse, la voce carica di
orgoglio. «L'ho promesso alla mia gente, non posso deludere le
loro speranze. E quindi,» aggiunse, la voce stranamente bassa e
sibilante, «salite immediatamente sulla mia carrozza e venite con
me nei miei possedimenti»
Marnia deglutì e, proprio quando stava per cominciare a credere
di non avere più alcuna possibilità di salvezza,
sentì distintamente il gruppo di ranocchie saltare via, l'una
dietro all'altra, tutte quante insieme. Sorrise: «E come possiamo
andare via, se il vostro cocchiere è appena scappato?»
Il Nobile gli mostro un sorriso fiero e soddisfatto, come se la cosa
non fosse della minima importanza: «Non è della minima
importanza,» disse, «poiché io sono un abilissimo
conduttore di carrozze!»
Marnia sentì la terra aprirsi sotto i suoi piedi e, senza avere
nemmeno la possibilità di ribellarsi, fu gettato di peso nella
carrozza che, dopo appena mezzo secondo, partì veloce come un
fulmine, come se fosse stata su una strada aperta di campagna e non in
un bosco ombroso fitto di alberi secolari.
E nel domandarsi cosa mai quel Nobile avrebbe preteso da lui, ebbe la
netta sensazione che quello sarebbe stato solo l'inizio dei suoi guai.
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Capitolo 5 *** 5 ***
SCHEMAEFP2
Marnia arriva a Karma
La regione che si estendeva dalle pendici della catena dei Monti Keti
fino alla sponda del fiume Killo e che occupava l'intera piana di
Kalma, da cui prendeva anche il suo nome, era famosa in tutto il regno
per l'insofferenza e la violenza degli uomini che l'abitavano.
L'aria stessa sembrava cattiva, così densa di tensione quasi
palpabile ed era in netto contrasto con la dolcezza dei paesaggi che
ora Marnia osservava con angoscia dall'interno della carrozza dal
Nobile, il quale si trovava in cassetta e che, sbraitando come un matto
verso tutti gli altri carri o carretti che incontrava lungo la strada,
lo stava portando al suo palazzo.
Marnia sospirò, appoggiando le spalle contro i cuscini e
iniziò a farsi scrocchiare i nervi delle nocche e poi quelli di
tutte le falangi e poi i gomiti, il collo – sia a destra che a
sinistra –, la schiena, il ginocchio, la caviglia, le dita dei
piedi, fino a che non riuscì più a muovere alcuna
articolazione e tornò a guardare il noiosissimo panorama di
Kalma e a studiare distrattamente le vicissitudini di una bella mucca
da latte che, con i suoi ridicoli cornini abbassati, inseguiva un
grosso toro nero che fuggiva a rotta di collo, palesemente
terrorizzato.
Maria sbadigliò e, dopo essere riuscito a resistere tutto un
altro secondo e mezzo, si sporse dal finestrino e chiamò il
Nobile per chiedergli quanto ancora ci sarebbe voluto perché
arrivassero ovunque sarebbero dovuti arrivare: «Ehi, Nobile!
Quanto ci vuole ancora per arrivare ovunque dobbiamo arrivare?»
Il Nobile non diede segno di averlo sentito e poi, tutto a un tratto,
si voltò, guardandolo come se fosse sorpreso di vederlo
lì: «Buongiorno, Nobile Mago! Vi informo che ci vorranno
ancora almeno tre ore prima di arrivare a Karma, la Splendente e
Ridente Città delle Piane dell'Est in cui Tutto Accade per una
Ragione, quindi vi consiglio di mettervi comodo e ammirare il
meraviglioso panorama della Pianura, poiché non ve ne sono di
sì belli in tutto il vasto reame.»
Marnia grugnì qualcosa in risposta e tornò a fissare dal
finestrino della carrozza le verdi praterie sulle quali spuntavano i
verdi alberi dalle verdi chiome che sembravano amalgamarsi con le verdi
colline che crescevano in lontananza – oh, la mucca era riuscita
incornare il toro!
Sarebbe stato un viaggio interminabile, pensò, addormentandosi contro il sedile.
Quando cinque ore dopo arrivarono a Karma, Marnia era così stufo
di star seduto in carrozza che si lanciò fuori senza neanche
aprire lo sportello e cadde ruzzoloni per terra davanti al Nobile che,
con il suo sguardo altero e fiero lo scrutava dall'alto. Marnia si
alzò senza dire una parola e raccattò la sua roba,
incamminandosi verso l'imponente ingresso del castello subito seguito
dal Nobile che, mano a mano che camminavano, gli sciorinava tutte le
qualità del suo maniero: «Mentre camminiamo, lascia che ti
illustri tutte le qualità del mio maniero,» disse, e
Marnia fece roteare gli occhi verso l'alto, chiedendosi se fosse
possibile fare un incantesimo per impedire alla voce del Nobile di
raggiungere le sue orecchie.
Camminarono per corridoi e corridoietti, attraversarono stanze, stalle,
cucine, dodici bagni, una biblioteca, sei sale da pranzo, un tinello,
una stanza più remota nella torre più alta, le prigioni,
le cantine – e qui Marnia riuscì a impossessarsi di un
vino di ottima qualità – fino a che non arrivarono nella
sala principale, che si trovava dietro il primo immenso portale sulla
destra entrando nell'ingresso principale.
Il Nobile sedette su una sedia pacchianamente decorata e invitò Marnia a fare altrettanto.
«Vi starete chiedendo perché siete qui, nobile Mago.»
Marnia sbuffò – il fatto che parlasse come il Mago non era
per niente un punto a suo favore, pensò – e si
limitò ad annuire senza particolare enfasi, mettendosi a
studiare senza interesse uno zoccolo della sedia a forma di zoccolo di
capra di montagna.
«Ebbene, lasciate che sia io, non altri, a chiarirvi questa
situazione: il Paese di Karma, come molti altri villaggi nei dintorni,
è stato colpiti da una terribile maledizione!»
Marnia sbadigliò. «Ma va'?»
«Una Strega Malvagia dall'indole insospettatamente malvagia ha
avvelenato i pozzi dei nostri villaggi e ora la gente se ne va in giro
a ridere per le strade e canta e balla e si stringe la mano per
salutarsi. Nei casi più estremi, ci sono uomini che hanno
offerto da bere ad altri uomini di propria
iniziativa e, pensa, non si sono fatti nemmeno saldare il conto.»
Marnia inarcò il sopracciglio e il Nobile cominciò a
piangere a dirotto, coprendosi il naso con un fazzolettino rosa di
pizzo. «Dovete aiutarci, nobile Mago! Non posso più
permettere che la mia gente viva questo stato di miseria!»
«E la Strega Malvagia che fine a fatto?» chiese Marnia,
studiandosi una pellicina piuttosto inutile sul suo dito indice.
«Fuggita!» rispose il Nobile, coprendosi la fronte con la
mano. «Fuggita e nessuno sa dove: l'unico indizio che abbiamo
trovato è stato un biglietto che aveva lasciato sul tavolo in
cui c'era scritto Parto per Honolulu, vado a trovare
Merlino. Non abbiamo idea di che cosa possa
significare.»
Il sopracciglio di Marnia si arcuò ancora di più.
«Forse, ed è soltanto una mia ipotesi, significa che la
Strega è andata a Honocoso a incontrare quel tale Merlino. Ma
può anche essere di no.»
Il viso del Nobile si rischiarò come il cielo quando il vento
spazza via le nuvole e saltò in piedi, un enorme sorriso
stampato in volto: «Sapevo che avevo fatto bene a portarvi con
me, nobile Mago! Voi avete le conoscenze e le capacità per
risolvere il nostro problema!»
Marnia fece roteare gli occhi verso l'alto e si strappò la
pellicina, facendosi un male cane. «Ahi! Mi sono fatto un male
cane!»
«Vi ringrazio per il vostro aiuto nello sconfiggere la
maledizione della Strega Malvagia!» esclamò, ricolmo di
gratitudine, e Marnia lo guardò dritto in faccia, stringendosi
nelle spalle: «Ma scusate, possibile che non ci siano altri
Maghi, qui a Kalma o Karma o come diavolo si chiama questo
postaccio?» – Marnia, avrete capito, non conosceva
particolarmente bene la Geografia.
Il Nobile si accasciò di nuovo sulla sua sedia e si coprì
il volto con il fazzolettino umido e puzzolente. «Ahimè!
Ahimè! Ahimè!» Guardò Marnia e gemette in
silenzio. «Ahimè!»
«Ma ahimè cosa?!»
«Ahimè! Tutti i Maghi della regione sono stati colpiti
dalla medesima maledizione e ora nessuno di loro è disposto ad
aiutarci perché, poveri uomini, credono di star meglio
così, a preparare pozioni contro le verruche e il
raffreddore,» si disperò, scoppiando in un lungo pianto
disperato.
Dopo un ora, ancora piangeva.
Dopo tre ore, Marnia se ne andò in cucina e raccattare qualcosa da mangiare.
Sei ore dopo, quando tornò dalle cucine dopo essersi fatto un
bagno ristoratore e un lungo pisolino, il Nobile piangeva ancora.
Alla fine, Marnia gli tirò un paio di schiaffoni e questi,
finalmente, incominciò a riprendersi. «Grazie infinite,
non so cosa mi sia preso,» disse, tamponandosi gli occhi con il
suo fazzolettino. Marnia si strinse nelle spalle e tornò a
sedersi sulla sedia dagli zoccoli di capra di montagna, concedendosi un
lungo sbadiglio.
«Orsù,» disse il Nobile, ora completamente ripreso. «Orsù!»
«Orsù,» ripeté Marnia, sollevando un pugno fino alla metà del proprio braccio senza energia.
«Orsù!» confermò il Nobile, gli occhi ricolmi
di gioia e aspettativa e quando vide che Marnia non accennava a
muoversi gli fece cenno di alzarsi e mettersi al lavoro:
«Orsù.»
«Ma orsù cosa?!»
«Orsù!» disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «Mettetevi al lavoro!»
«Lavoro?» ripeté Marnia scandalizzato dato che, in
tutti quegli anni, non aveva per niente perso la propria pigrizia.
«Io non lavoro.»
«E se non lavorate come fate a creare l'Antidoto alla Pozione Malefica della Strega Malvagia?»
«Non lo faccio.»
Le cicale di Bosco Ombroso si radunarono fuori dalle finestre e
cominciarono a frinire. Il Nobile inarcò un nobile sopracciglio
e schioccò le sue nobili dita. Dopo un momento l'immenso portone
della stanza si spalancò ed entrarono un paio di guardie che
sollevarono di peso Marnia e, senza dire nemmeno una parola, lo
sbatterono in un laboratorio buio e puzzolente dove trovò un
paiolo di rame dall'aria usurata e montagne di libri e ingredienti per
ogni tipo di pozione.
Quando si voltò, sulla porta riuscì ad individuare la
figura del Nobile che, stagliato contro la luce, piangeva.
«Grazie per lottare per noi, nobile Mago!» e, così
dicendo, sbatté la porta, lasciando Marnia completamente solo,
in quel posto freddo e gelido, avvolto dall'oscurità più
totale.
«Ma se non ho nemmeno una luce, come diamine faccio a lavorare?»
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Capitolo 6 *** 6 ***
SCHEMAEFP2
Marnia prepara la Pozione Miracolosa
Il lato positivo della faccenda era che, dopo ore passate dietro alla
porta a lamentarsi per il buio, finalmente gli avevano portato una
candela; quello negativo, era che era ancora bloccato lì a
preparare quella maledetta pozione.
Marnia prese dalla credenza un mucchio di ingredienti a caso prima di
versarli tutti insieme nel paiolo e poi sbadigliò, grattandosi
un orecchio. Erano ben diciassette minuti che lavorava a quella pozione
e, in tutta onestà, si stava anche annoiando. Gettò nel
calderone delle radici secche e dall'aria sospetta e arraffò un
liquido incolore dalla credenza; lo studiò un momento con aria
critica e, quando si rese conto di non avere la minima idea di che cosa
fosse, lo versò nell'insieme con una scrollata di spalle,
dicendosi che, tanto, male non avrebbe potuto fare, e che comunque quel
profumo di mandorle amare sarebbe stato nascosto dalla puzza terribile
di tutti gli altri ingredienti.
Rimescolò con pigrizia in senso orario, o antiorario, insomma,
verso sinistra, concedendosi di quando in quando di abbandonare la
pozione per leggere qualche pagina dell'unico libro vagamente
interessante che aveva trovato nella stanza – non che gliene
fregasse particolarmente di leggere di un tizio che va a piagnucolare
sotto il balconcino di un'altra tizia, ma tant'è, quello aveva a
disposizione, gli toccava accontentarsi – e proprio nel momento
in cui l'allodola o l'usignolo o quel cavolo che era aveva cominciato a
cantare, sentì il suo paiolo ribollire con violenza e agitarsi
sul fuoco, come se fosse sul punto di esplodere.
Inarcò un sopracciglio, sbadigliò, si grattò la
punta del naso, finì di leggere la scena – e pure qualche
altra pagina più avanti – e, proprio quando le bollicine
dal colore pestilenziale erano sul punto di fuoriuscire e di spandersi
sul pavimento lui spense il fuoco, riportando tutto alla
tranquillità. Non degnò di uno sguardo la sua pozione che
continuava a ribollire come lava incandescente e, stravaccandosi
sull'unica sedia vagamente stabile della stanza, tornò al suo
libro.
Tre ore più tardi, quando aveva finito da un bel pezzo di
leggere e si stava domandando a chi mai potrebbero piacere delle storie
così insulse e banali, la porta si spalancò con un tonfo,
rivelando la figura longilinea e lievemente arcuata del Nobile, seguito
dai due energumeni che prima lo avevano trascinato giù nel
laboratorio.
Marnia non si curò minimamente della sua presenza e il Nobile
entrò senza dire una parola, avvicinandosi subito alla pozione
che adesso si stava raggrumando e stava assumendo un aspetto
decisamente poco invitante.
«Oh, che aspetto invitante!» gridò il Nobile con la
sua vocina squillante. «Bene, Mago,» lo chiamò, la
voce bassa e profonda, «è questa la Pozione che
salverà il mio popolo?»
Marnia ricominciò a sfogliare pigramente il libro dall'inizio, e scrollò le spalle. «Sì.»
«E funzionerà?»
Marnia annuì, distratto. «Come no. Garantito.» In
quel momento gli venne in mente che il liquido incolore che odorava di
mandorle amare che aveva trovato sul ripiano poteva essere cianuro ma
scacciò il pensiero scuotendo appena il capo: via, si disse,
annoiato, chi vuoi che sia così imbecille da lasciare del
cianuro qui dentro?
Il Nobile fece sollevare il paiolo bollente dai due soldati che per
poco non si scottarono le mani e, prima di uscire, si voltò
nuovamente verso Marnia: «A presto, Mago!»
La voce del Nobile entrò con violenza nell'apatia che lo
circondava e Marnia, improvvisamente interessato, inarcò un
sopracciglio: «Come a presto? Io me ne
vado.»
«Ma se la pozione non funziona devi farne un'altra, no?»
Marnia fece una smorfia, davanti all'espressione visibilmente allibita
del Nobile e poi annuì controvoglia, ritornando a sfogliare il
volume che aveva ancora in mano. «Se lo dite voi… Si
può sapere chi ha scritto questa roba?»
Il Nobile si voltò per andarsene come se neanche lo avesse
sentito e, quando arrivò sulla porta, si fermò di nuovo e
si voltò ancora nella sua direzione, un sopracciglio vagamente
inarcato: «Dite, Mago,» cominciò, la voce
improvvisamente minacciosa, adocchiando una bottiglietta vuota sul
ripiano che Marnia aveva usato per lavorare. «Per caso non avrete
usato le riserve di cianuro che i miei medici e i Maghi che sono stati
al mio servizio hanno dimenticato quaggiù da tempi immemori, per
preparare la vostra pozione?»
Marnia, che stava cercando il nome dell'autore sulla copertina,
sollevò per un secondo gli occhi dal suo libro e scosse il capo:
«Non ne ho la minima idea…»
«Ah ah ah! Ma che sciocchezze!» rise il Nobile
all'improvviso, cambiando completamente espressione e attitudine per
l'ennesima volta: «Come mi salta in mente che un Grande Mago del
vostro calibro possa commettere un'imprudenza così
sciocca!» Il Nobile continuò a ridere per un pezzo,
tenendosi la pancia e, alla fine, si pulì il viso dalle lacrime
con il suo immancabile fazzolettino profumato che dopo quella giornata
non profumava poi più così tanto.
Marnia lo guardò senza interesse con le labbra piegate in una
smorfia e il Nobile si raddrizzò in tutta la sua esigua statura,
guardando il giovane con aria indulgente: «Bene, vado!»
disse, andandosene e quando finalmente si fu chiuso la porta alle
spalle, lasciandolo solo con una candela e la parola
cianuro che gli vorticava senza sosta nella testa
come una minaccia mortale, Marnia scrollò le spalle e
tornò senza pensarci due volte ad immergersi nella lettura.
In fin dei conti, quel libro non era poi così male, pensò.
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Capitolo 7 *** 7 ***
SCHEMAEFP2
Marnia fugge dal Castello del Nobile
Marnia non era mai stato una persona particolarmente paziente e dopo
essere rimasto fermo nella stanza per un tempo quasi infinito –
all'incirca una decina di minuti – decise che era ora di fare
qualcosa e, dato che era anche straordinariamente pigro, come abbiamo
già detto, la prima cosa che gli venne in mente di fare fu la
stessa che faceva tutte le volte in cui si trovava in
difficoltà.
Verificò le vie di fuga.
La stanza era cieca, completamente priva di finestre e le pareti erano
di pietra grezza, difficili da rompere; probabilmente con una Pozione
Corrosiva sarebbe riuscito a liquefarle senza problemi, ma non aveva
voglia di rimettersi sul calderone dopo tutta la fatica che aveva
già fatto, quindi, quando si rese conto di non avere altre vie
di fuga se non la porta – che ovviamente era sigillata,
perché nessun imbecille lascerebbe un prigioniero in una stanza
cieca con la porta aperta – decise che l'unica cosa che gli
restava da fare era aspettare che qualcuno venisse a prenderlo, quindi
tornò a sedersi sulla sua sedia.
Attese e attese e attese e, quando dopo cinque minuti abbondanti non
comparve nessuno, cominciò seriamente a pensare che sarebbe
morto lì dentro, abbandonato da tutto e tutti. Sbuffò e,
in assenza di meglio, cominciò per la quarta volta il famoso
libro.
«Oh, Romeo, Romeo, ma perché sei tu, Romeo?»
declamò a voce alta e mentre pensava che, in fondo, non sarebbe
stato poi così male sentire quella roba in un teatro, la porta
si aprì di scatto, sbattendo quasi contro il muro. Marnia
alzò il viso, vagamente sorpreso, e la sua sorpresa
aumentò ancora quando vide un omone gigantesco stagliato sulla
porta, con l'armatura indosso e le braccia incrociale sul petto.
Dapprima pensò che fosse lì perché la sua Pozione
non aveva funzionato e, dopo un momento, decise di farsi coraggio e
chiedergli cosa ci facesse lì e cosa volesse da lui: «Che
ci fai lì? E cosa vuoi da me?»
«Ti crea problemi?»
Marnia si strinse nelle spalle: «No.»
«Allora perché hai chiesto perché ci fossi io fuori dalla porta?»
Marnia sbatté le palpebre, stupito: «L'ho fatto?»
«Hai chiesto "perché sei tu, Romeo"! Io sono Romeo!»
«Ah, quello,» disse, la voce piatta. «Stavo solo
leggendo ad alta voce questo libro,» gli spiegò,
mostrandogli le pagine e l'omone fece una risata che non suonava per
niente divertita.
«Eh, già,» disse, con un tono sarcastico.
«Perché casualmente io sto fuori dalla porta e tu trovi un
libro dove c'è scritto proprio il mio nome!»
Marnia inarcò un sopracciglio. «Sì, è una
coincidenza piuttosto strana. Ma senti,» aggiunse alla svelta,
perché la conversazione di prima lo stava annoiando oltre
misura, «tu hai le chiavi di questa stanza?»
L'omone sbatté le palpebre sui suoi piccoli occhietti chiari e scosse il capo. «Io no.»
«E allora come sei entrato?»
L'omone si guardò alle spalle e poi tornò a fissare lui, lo sguardo ebete. «Era aperta.»
Una grossa palla di polvere attraversò la stanza da una parete
all'altra, accompagnata dal frinire delle cicale di Bosco Ombroso.
Marnia tirò su col naso, dilatando le narici.
«Ah.»
Si alzò in piedi velocemente e, prima che il soldato potesse
solo accorgersene estrasse la bacchetta da sotto il mantello puzzolente
che ancora non aveva avuto tempo di cambiare e, puntandola verso di
lui, gridò: «Ranocchibus!»
La stanza fu pervasa da una luce verdastra e, al posto del grosso omone
in armatura, comparve un grosso ranocchio in armatura che lo fissava
con lo sguardo leggermente inebetito e sconcertato. Marnia lo
saltò a piè pari, rischiando tra l'altro di inciampare
sul pavimento, e corse via con un sorriso soddisfatto stampato sulle
labbra. Nonostante tutto il tempo che aveva perso, aveva fatto una
scoperta veramente eccezionale, in quel laboratorio.
Alla fine della fiera, era Ranocchibus con la b.
Marnia corse in lungo e in largo per tutto il castello alla ricerca
dell'uscita, passando per corridoi e corridoietti, attraversò a
perdifiato stanze, le stalle, le cucine, dodici bagni, una biblioteca,
sei sale da pranzo, un tinello, la stanza più remota nella torre
più alta, le prigioni, le cantine – e qui Marnia
riuscì a impossessarsi di nuovo di un vino di ottima
qualità – fino a che non arrivò nella sala
principale, quella il cui immenso portone era il primo a destra
entrando dall'ingresso principale, ma siccome Marnia aveva un senso
dell'orientamento pari a zero, dovette riattraversare di nuovo
metà del castello, prima di riuscire a sbucare fuori da
un'entrata secondaria che, se ci avesse fatto caso, si trovava a circa
sei metri dal laboratorio in cui era stato rinchiuso poco prima.
Si guardò alle spalle per verificare che la rana Romeo non lo
avesse seguito e, quando si fu accertato di essere completamente solo,
si avviò canticchiando e saltellando lungo la stradina in terra
battuta che si apriva davanti all'ingresso e che, a giudicare dalle
casupole e dai comignoli e dalle grida disumane che giungevano dal
villaggio, portava direttamente al villaggio.
Camminava proprio nel bel mezzo della strada, ammirando da una parte
all'altra lo spoglio panorama che gli offriva la vasta pianura di Kalma
e, in lontananza, vide la mucca di prima che aveva messo in riga almeno
una decina di tori. Esitò un momento e poi scrollò le
spalle, completamente disinteressato.
Camminò a lungo, senza sosta e, all'improvviso, si trovò
davanti un uomo vestito apparentemente con eleganza, ma con tutti gli
abiti stracciati che alternava sorrisi beati a ringhi che sembravano
più quelli della mucca di prima, che non di un essere umano.
«Ehi! Tu, moccioso!» gli disse, parandosi davanti a lui e
afferrandolo per il bavero, riuscendo a sollevarlo di dieci centimetri
abbondanti da terra. «Fila al villaggio, che la pozione
puzzolente di quel nobilastro da quattro soldi ha funzionato!»
sbraitò, senza gentilezza e poi, appena ebbe finito di parlare,
lo gettò a terra nella polvere e, senza aggiungere altro, si
allontanò, le mani nelle tasche dei calzoni e un muso lungo
almeno un chilometro.
Marnia piegò le labbra in una smorfia e, appena riuscì a
raggiungere la bacchetta, lo trasformò in un ranocchio con
l'incantesimo che aveva appena imparato a menadito. E poi, senza
curarsi ulteriormente né della rana furibonda che saltava fino a
tre metri, né della mucca che aveva appena mandato k.o. una
buona metà dei tori, si avviò nuovamente verso il
villaggio canticchiando sempre la solita canzone che aveva sentito dal
Mago.
E, dopo qualche istante, si fermò, come colpito da un'improvvisa
illuminazione: «Chissà se la mia pozione ha
funzionato?» si chiese e poi, con una breve scrollata di spalle,
si avviò di nuovo verso il villaggio, ricominciando a cantare la
sua solita canzone insulsa e fuori moda che aveva imparato dal Mago e
che, con tutta probabilità, non avrebbe mai più
dimenticato.
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Capitolo 8 *** 8 ***
SCHEMAEFP2
Marnia salva gli abitanti di Karma
Quando Marnia arrivò al villaggio, fu accolto dall'immagine
più sconcertante che avesse mai visto in vita sua: nelle strade,
nelle case, dentro ai bar, perfino nella fontana, ovunque si girasse
non riusciva a vedere altro che uomini e donne e bambini e pure un
vecchietto arzillo munito di uno spesso bastone, tutti intenti a
picchiarsi e lanciare oggetti e improperi mentre gridavano tutti
contenti: «Finalmente siamo tornati alla normalità!»
Senza emettere un solo verso, Marnia si incamminò verso la
piazza del villaggio, circondato da gente e oggetti che volavano da
tutte le parti e poi, come se avesse cambiato idea, svoltò a
destra, diretto alla locanda del villaggio la cui porta era stata
spaccata probabilmente da un tizio che ci era finito contro;
entrò nella locanda senza smettere di guardarsi attorno e si
sedette all'unico tavolo ancora integro di tutta la sala.
Dopo un momento, un cameriere che era impegnato a prendere a pugni in
faccia un tizio con la barba e il gilet blu, si voltò a
guardarlo con le sopracciglia aggrottate: «Cosa vuoi?» gli
chiese, brusco, mentre tirava un destro micidiale all'altro tizio che
ricadde al suolo privo di conoscenza.
Marnia non lo degnò nemmeno di uno sguardo. «Un bicchiere
di latte freddo,» chiese, dopo un momento e il cameriere
sbatté con violenza il pugno sul tavolo.
«Be', sai che ti dico?» gridò, paonazzo:
«Prenditelo da solo! Oggi è un giorno molto speciale,
perché un potente Mago ha annullato la magia di una Strega
Malvagia e adesso io voglio festeggiare!» urlò e,
così dicendo, si gettò nel bel mezzo di un gruppo di
uomini che si stavano accapigliando sopra un tavolo e, dopo aver
assestato un paio di destri micidiali, venne colpito da una gomitata e
un calcio che lo fecero finire sul pavimento, accanto al tizio che
aveva steso un momento prima.
Marnia li fissò senza il minimo interesse e quando capì
che nessuno aveva intenzione di portargli il suo bicchiere di latte si
alzò e uscì tranquillamente, così come era
entrato. Tornò nella piazzetta, dove vide un branco di mocciosi
accapigliarsi per una palla e limitandosi a scrollare le spalle si
allontanò, alla ricerca di qualsiasi cosa avesse potuto
procurargli un bicchiere di latte fresco – maledetta mucca e
maledetto lui che si lasciava suggestionare in questo modo!
Camminò lungo le vie e quando capì che il panorama non
accennava minimamente a cambiare sbuffò, cominciando ad
annoiarsi seriamente. Forse, pensò, sarebbe stato più
esaltante starsene tranquillo nel laboratorio a morire di noia e a
discutere con Romeo di letteratura, argomento su cui, per altro, lui
non sapeva assolutamente nulla.
Stava quasi per decidere di tornarsene indietro sul serio ma,
improvvisamente, due cose riuscirono a farlo desistere dal suo intento:
la prima, il fatto che non aveva la minima idea di dove fosse e quale
strada dovesse prendere per riuscire a tornare al castello e, la
seconda, la voce del Nobile che lo raggiunse alle sue spalle,
richiamando la sua attenzione: «Mago! Voltati, sono qui!»
Marnia si girò lentamente e quando vide il Nobile avvicinarsi a
lui con i vestiti lievemente stracciati e un vistoso segno nero
sull'occhio sbuffò per l'ennesima volta, passandosi una mano tra
i capelli. «Salve.»
«Perché ci avete messo tanto a venire al villaggio, nobile
Mago? Attendevamo tutti il vostro arrivo per ringraziarvi di persona
per aver salvato il nostro villaggio con la vostra Pozione
Miracolosa!»
Marnia annuì senza energia, decidendo che non sarebbe stato il
caso di ricordargli che lui l'aveva fatto rinchiudere e che se non
fosse stato per Romeo la Guardia non avrebbe mai scoperto che la porta,
in realtà, era aperta.
«Ho avuto un po' da fare,» disse, vago, e il Nobile gli
appoggiò una mano sulla spalla, comprensivo: «Comprendo.
Un Mago della vostra levatura non può indulgere in
festeggiamenti, poiché la sua mente è sempre alla ricerca
della verità sui segreti che regolano l'Antica e Potente Magia!
Ma,» aggiunse, cambiando improvvisamente tono e diventando tutto
a un tratto straordinariamente allegro, «lasciate che per una
volta il nostro villaggio vi dimostri la sua gratitudine! Che cosa
desiderate da noi, nobile Mago?»
Marnia si passò la lingua sul palato e si strinse nelle spalle. «Del latte di mucca. Bello fresco.»
Il Nobile inarcò un sopracciglio: «Tutto qui?»
«Voglio il latte di mucca,» ribatté, incrociando le
braccia al petto e il Nobile fece schioccare le dita e disse:
«Portate del late di mucca al nostro salvatore! Il più
fresco che ci sia!»
Dopo un momento un gruppo di energumeni comparì accanto al
Nobile con in mano un grosso contenitore in rame pieno zeppo di latte
di mucca con la panna. Marnia bevve in silenzio e fece anche finta di
unirsi al brindisi in suo onore e, proprio quando il Nobile gli chiese
se fosse di suo gusto, da lontano si sentì un rumore penetrante
e fastidioso che in un primo momento Marnia confuse con il frinire
delle cicale di Bosco Ombroso ma che, subito dopo, prestandoci
attenzione, capì che in realtà non era altro che lo
squillare di una tromba. Facile confondersi.
Marnia bevve un altro lungo sorso di latte ma, prima che potesse
servirsi ancora, gli uomini lo sollevarono nuovamente di peso e lo
riportarono verso la piazza centrale dove adesso tutti gli abitanti del
villaggio sembravano essersi calmati e si erano disposti a semicerchio
attorno ad un enorme Cavaliere dall'armatura splendente che li scrutava
con il suo sguardo fiero e impassibile, dall'alto del suo nobile
destriero.
«Giungo presso questo villaggio per ordine del re di Karvala, il
Re!» Tutti attorno a lui caddero in un silenzio profondo e Marnia
sbadigliò, senza curarsi nemmeno di mette la mano sulla bocca.
Dopo un istante, il Cavaliere continuò: «Il Re ha udito
della sventura capitata a questo villaggio, così come alle sue
orecchie è giunta notizia che un Mago giovane ma estremamente
potente è riuscito ad annullare gli effetti della maledizione
della Strega Malvagia che ora nessuno sa dove si trovi.»
Esitò ancora un momento, lasciando che il popolo si esibisse in
un corale «Oooh!» e poi riprese a parlare, la voce
così bassa e roca e lenta che per poco Marnia non ebbe l'impulso
di mettersi a dormire: «Il Re è fiero che simili Stregoni
abitino il suo regno, e desidera conoscere di persona questo giovane
responsabile della salvezza del suo popolo! Ordunque, Marnia il Mago,
vieni fuori!»
Marnia – che a seguito di un breve attimo di lucidità
stava per chiedersi come fosse possibile che nel giro di mezza giornata
il Re fosse venuto a conoscenza non solo di tutta la vicenda, ma anche
del suo nome – per l'ennesima volta fu sollevato di peso dagli
uomini del Nobile e portato innanzi al Cavaliere che lo osservò
con il suo sguardo scuro e profondo per una manciata abbondante di
minuti, prima di domandare: «Sei tu Marnia il Mago?»
«Sì!» risposero gli uomini del Nobile e il Cavaliere annuì, soddisfatto.
«Bene,» disse, entusiasta della risposta: «Sono
entusiasta di questa risposta. Ma ora non indugiamo, giovane Mago,
poiché il Re desidera vederti di persona.»
«È un grande onore!» esclamarono all'unisono gli
uomini del Nobile e prima che Marnia potesse solo domandare di avere
prima un altro sorso di quel latte delizioso, fu nuovamente sollevato e
issato sul cavallo del Cavaliere che, dopo un'impennata eroica e aver
gridato «Lunga vita al Re!» partì al galoppo verso
il tramonto, benché non fosse ancora passato mezzogiorno.
Marnia si voltò su se stesso e, prima che il villaggio non fosse
più a portata d'orecchio, gridò: «Di chi era quel
latte?»
«Della Lola!» esclamò una voce in lontananza e lui
seppe senza bisogno di ulteriori conferme che la Lola altri non era se
non la straordinaria mucca che lo aveva accompagnato in quella sua
bizzarra avventura.
Anzi, no, seppe anche un'altra cosa: che mai più nella vita avrebbe rimesso piede in quello stupidissimo villaggio.
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Capitolo 9 *** 9 ***
SCHEMAEFP2
Marnia arriva a Corte
Nel centro esatto della vasta e verdeggiante regione di Rebinta,
sorgeva Rebinta, la Capitale di Karvala, che si diceva essere stata
fondata dal Re Binto I quasi cinquecento anni prima a seguito di una
sanguinosa guerra per il dominio di quei territori e da allora tutti i
Re che sedevano sul trono di Rebinta avevano assunto il nome Binto, in
onore del grande sovrano che aveva dato inizio alla grandiosa dinastia
dei Binti.
O una cosa del genere; Marnia non conosceva molto bene la storia del
suo Paese – in realtà non conosceva niente a parte la
Magia, perché era l'unica cosa che il Mago gli avesse fatto
studiare negli anni del suo apprendistato – quindi quando il
Cavaliere gli raccontò le vicende che avevano portato Binto I a
salire al trono, la prima cosa che Marnia pensò fu che era una
fortuna che tutti i Re si chiamassero allo stesso modo: così non
ci sarebbe stato il rischio di sbagliare.
Erano giorni, ormai, che i due cavalcavano senza sosta, senza
concedersi nemmeno un minuto per andare al bagno, e dopo aver passato
tanto tempo seduto sulla sella insieme al Valoroso Cavaliere, Marnia
iniziava a sentire il mal di mare a causa di tutto il su e giù
che era costretto a fare dall'andatura del cavallo. Un giorno,
finalmente, il Cavaliere gli annunciò che erano in vista di
Rebinta, non la regione, ma la città, quella su cui oggi sedeva
il Re Binto XX dalla Chioma Dorata, figlio di Re Binto XIX dai Lunghi
Baffi che a sua volta era succeduto a Re Binto XVIII dagli Occhi
Rubino, chiamato così perché non dormiva mai e aveva
sempre gli occhi iniettati di sangue, e Marnia, prostrato oltre ogni
dire, si lasciò sfuggire un sospiro rilassato e,
silenziosamente, ringraziò il cielo che quel viaggio fosse
finalmente giunto al suo termine.
Entrarono in città al trotto e poi al passo e Marnia poté
vedere le famose Bianche Mura di Rebinta di cui non aveva mai sentito
parlare in vita sua. La città era colorata e vivace – a
parte per le mura – e per le strade erano disseminate botteghe e
bancarelle piene di ogni ben di dio, come se fossero capitati in
città proprio nel giorno del mercato.
«Siamo capitati in città proprio nel giorno del
mercato,» disse il Cavaliere con il suo vocione profondo e con la
coda dell'occhio guardò Marnia che, con la faccia premuta contro
la sua armatura, si stava schiacciando il primo riposino dopo giorni.
Il Cavaliere sorrise, con aria indulgente: «Non è colpa
tua, se sei solo un Mago, piccolino, e non un Valente
Condottiero.»
Marnia russò ad alta voce e il sorriso del Cavaliere si
allargò ancora di più. «Che carino,» disse.
Guardò il ragazzo per ancora mezzo secondo e poi tornò a
volgere lo sguardo avanti a sé, verso il castello che, dal
centro della città, sembrava volesse irradiare tutte le strade
con la sua forza e magnificenza – o almeno è quanto oggi
si legge sulle guide turistiche di quel posto.
Il Cavaliere seguì la Strada Maestra e, dopo una manciata di
minuti, finalmente giunse dinnanzi alle sontuose porte del palazzo.
Gridò: «Apritemi! Sono il Cavaliere, di ritorno dalla
missione per conto di Re Binto XX dalla Chioma Dorata e mi accompagno a
Marnia il Mago che ha salvato dal maleficio della Strega Malvagia la
città di Karma e la vasta pianura di Kalma!»
Da principio l'unico effetto che ebbero le sue parole fu quello di
svegliare Marnia in malo modo e poi, dopo un momento, una figura
apparve dal muro merlato che proteggeva il castello e si rivolse ai due
nuovi venuti: «Tu, Cavaliere di ritorno dalla missione per conto
di Re Binto XX dalla Chioma Dorata che ti accompagni a Marnia il Mago
che ha salvato dal maleficio della Strega Malvagia la città di
Karma e la vasta pianura di Kalma, entra!»
Il ponte levatoio si abbassò, il portone si aprì e,
procedendo al trotto, entrarono finalmente nel castello. Marnia,
passandosi una mano sulla faccia, si disse che, se avesse saputo che
perfino per entrare ci avrebbero messo così tanto, avrebbe
insistito un po' di più perché il Cavaliere lo lasciasse
andare in bagno almeno una volta.
Il Re li ricevette dopo circa un ora dal loro arrivo, con somma gioia
di Marnia, che tra le altre cose poté finalmente sbarazzarsi del
mantello puzzolente che aveva rubato al Mago e sostituirlo con degli
abiti pacchiani, ma quantomeno puliti, che erano stati messi a sua
disposizione apposta per il suo arrivo e quando finalmente fu ammesso
nella Sala del Trono, accompagnato dal Cavaliere, fu al contempo
sbalordito e sconcertato – che poi sono sinonimi – quando
si trovò faccia a faccia con il suo sovrano.
Re Binto XX dalla Chioma Dorata era un uomo alto e imponente
dall'aspetto nobile e regale e il suo viso dall'aria saggia conferita
da qualche ruga che iniziava a mostrarsi ai lati della bocca e degli
occhi, era incorniciato da lunghi, fluenti, indomabili ricci corvini.
Marnia inarcò un sopracciglio, esprimendo in questo modo tutta
la sua sorpresa – che è un terzo sinonimo, più o
meno – e il Re sollevò la mano per invitare al silenzio
anche se nessuno stava parlando. Però, notò Marnia con un
pizzico di stupore – quarto sinonimo –, le fastidiosissime
cicale di Bosco Ombroso per una volta avevano smesso di frinire.
«Benvenuto a te, Marnia il Mago,» disse il Re, con la sua
voce profonda e ammaliante. «Siamo felici di averti tra noi, tu,
che guidato dalla luce dei tuoi poteri e da un indomito spirito di
giustizia ti sei preso carico degli affanni del tuo popolo e hai messo
la tua arte al servizio dei deboli e gli oppressi, rischiarando il
futuro per la gente di Karma che, ormai, aveva perduto ogni speranza di
vivere in pace!»
Nella sala scoppiò un applauso scrosciante e Marnia, sempre con
il suo sopracciglio ben inarcato, pensò alla rissa a cui aveva
assistito e si chiese chi mai potesse considerare quella ridicola
situazione vivere in pace. Come suo solito,
accantonò il problema con una scrollata di spalle.
Ma il fatto della Chioma Dorata continuava a tormentarlo.
Il Re parlò ancora, a lungo, con la sua voce vellutata e Marnia
perse tutto il tempo a contare le colonnine dei ballatoi che si
affacciavano sulla sala e quando un altro applauso scrosciante irruppe
nei suoi pensieri era appena arrivato a centottantaquatro. Non male,
pensò.
Il Re impose di nuovo il silenzio e lui e Marnia si guardarono negli
occhi per un momento. «Bene, giovane Mago, da oggi sarai
conosciuto in tutto il regno come Marnia, il Salvatore di Karma!»
Marnia abbozzò un sorriso e sollevò i pollici.
«Evviva,» disse e, dopo che furono costretti a sopportare
qualche inutile formalità, finalmente Marnia e il Cavaliere
uscirono dalla sala, trovandosi soli nel corridoio.
Marnia non era il tipo che amava impicciarsi degli affari degli altri
però, in quel caso, la questione aveva attraversato la sua mente
per più di dodici secondi, quindi gli sembrava il caso chiedere
un chiarimento, perché voleva essere sicuro che non si sarebbe
trovato a pensarci per altri dodici secondi, perché altrimenti
sarebbe stato veramente noioso. «Cavaliere,» disse,
sollevando una mano. «Posso fare una domanda?»
Il Cavaliere si voltò nella sua direzione e annuì. «Certo, dimmi.»
«Perché lo chiamano Chioma Dorata se ha i capelli
neri?» chiese, con una scrollata di spalle, e il Cavaliere si
strinse nelle spalle a sua volta, sbuffando.
«L'ha scelto lui quel nome,» gli spiegò,
«perché lui è così legato alla sua corona da
considerarla a tutti gli effetti parte della sua chioma. E poi,»
aggiunse, «onestamente, Re Binto XX dalla Chioma Corvina è
un nome abbastanza ridicolo, non trovi?»
Ma Marnia non lo stava più ascoltando: aveva archiviato il
problema e questo gli bastava. D'ora in avanti non ci avrebbe
più pensato. Senza aggiungere una parola si incamminò
lungo il corridoio principale e si perse un paio di volte prima di
riuscire a ritrovare la propria stanza grazie all'aiuto di due
stallieri una cameriera e il maggiordomo che decise di portarvelo di
peso. Marnia entrò nella propria camera sbadigliando senza
coprirsi la bocca, completamente inconsapevole che un paio di occhi non
avevano smesso per un istante di seguire ogni sua mossa dal momento in
cui era giunto la prima volta al castello.
«Ih, ih, ih, presto sarai mio, Marnia il Mago, e quando ti
avrò tu non potrai più sfuggirmi, ih ih ih ih!»
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Capitolo 10 *** 10 ***
SCHEMAEFP2
La Principessa si innamora di Marnia
Binta, la principessa di Rebinta, era la fanciulla più bella di
tutto il reame. I lunghi, fluenti boccoli biondi che non si sapeva da
dove fossero spuntati, dato che entrambi i suoi genitori avevano i
capelli scuri, le incorniciavano il viso a forma di cuore impreziosito
dagli occhi azzurri che brillavano come zaffiri, la sue boccuccia rosea
sembrava essere stata creata solo per essere baciata, e sia le sue
forme perfette che la sua pelle diafana venivano esaltate dalle stoffe
chiare e preziose con cui si abbigliava abitualmente, anche se nessuno
riusciva a spiegarsi come fosse possibile che una persona dalla
carnagione così chiara riuscisse a star bene con gli abiti rosa
pallido, beige tenue e bianco latte.
Ma Binta, la principessa di Rebinta, non era solo la fanciulla
più bella di tutto il reame, era anche la più talentuosa:
nessuno poteva sperare di batterla nel canto e nella danza, inoltre era
abilissima a cucire, cucinare, e aveva un talento innato nella
composizione di opere in versi, dai sonetti alle odi che erano in grado
di incantare le dame e i gentiluomini che si riunivano attorno a lei
per ascoltarla. Inoltre, suonava il pianoforte con eccellente
abilità ed era un'amazzone invidiata in tutti gli angoli del
Paese, senza contare la sua straordinaria conoscenza della Storia e
della Geografia, che sopperivano alla sua scarsezza in Matematica: ma
nessuno glielo faceva mai pesare, perché, si sa, la Matematica
non era importante al suo futuro di principessa.
Ma Binta, la principessa di Rebinta, non era solo la fanciulla
più bella e talentuosa di tutto il reame, era anche la
più amata: il suo carattere dolce ma deciso, forte ma debole,
garbato ma tosto era in grado di affascinare chiunque avesse avuto
l'occasione di parlare anche solo un momento con lei. Aveva pretendenti
in tutto il Paese e Principi provenienti da tutto il Continente si
riversavano a frotte a Rebinta per chiedere la sua mano, ma lei aveva
sempre rifiutato tutti coloro che le si erano proposti, perché
il suo più grande sogno era incontrare il suo Principe Azzurro,
nonché Vero Amore che sarebbe stato in grado di far battere il
suo cuore di ghiaccio e di panna come non le era mai accaduto in vita
sua.
Per farla breve, Binta, la principessa di Rebinta, era in tutto e per
tutto la Fanciulla Perfetta e come tutte le Fanciulle Perfette aveva
già messo gli occhi sull'eroe comparso dal nulla appena giunto a
palazzo: Binta si era follemente innamorata di Marnia.
«Ih, ih, ih, presto sarai mio, Marnia il Mago, e quando ti
avrò tu non potrai più sfuggirmi, ih ih ih ih!»
disse, nascosta dietro ad un muro mentre spiava Marnia che,
sbadigliando senza pudore, entrava nella sua stanza. Quando lui fu
uscito definitivamente dal suo campo visivo, Binta roteò su se
stessa, appoggiando le spalle contro il muro e premendosi le mani sul
petto, lì, dove il suo cuore timido ma ardente batteva ormai
all'impazzata.
«Mai s'è visto un giovane dalle simili meravigliose
fattezze!» esclamò, gli occhi rivolti verso il soffitto,
in adorazione. «Affascinante, audace, misterioso, solo questi
sono gli aggettivi che possono appartenergli! Lui, più bello di
qualsiasi uomo abbia mai camminato sulla terra – be', ad
eccezione del mio papino – lui, che ha sfidato il potere oscuro
di una Strega Malvagia senza paura e che ha salvato un popolo intero;
lui, giovane audace dal cuore d'oro comparso da non si sa dove, senza
lignaggio, che è riuscito a conquistare senza alcuna fatica
questo cuore che già molti avevano reclamato prima del suo
arrivo! Ah!» sospirò, sbattendo le palpebre. «Quanto
sono sciocca, io, Binta, principessa di Rebinta, ad amare un uomo che
mai vidi prima d'ora! Com'è crudele, l'Amore, che colpisce senza
pietà e mi lascia preda di desideri e sogni che non avrei mai
creduto reali! Oh, che sia maledetta questa Primavera dei miei sensi,
troppo frettolosa per lasciare che io mi difendessi, lei, che
più di ogni altro è consapevole che, per innamorarsi,
basta appena un'ora!»
Binta si accasciò contro il muro, come colpita da un'estasi che
mai aveva conosciuto prima di allora, e sospirò per la centesima
volta nel giro di un minuto.
«Marnia!» sussurrò. «Marnia. Com'è
dolce il tuo nome sulle mie labbra. Mi basta pronunciarlo e la giornata
più oscura si riempie di luce, come fosse stata incantata da una
delle tue magie. Marnia, sussurri mai il mio nome nel sonno? Cerchi mai
le mie labbra sulle tue, la sera quando cala il Crepuscolo? No,»
sospirò per la centunesima volta. «Come potresti? Tu non
sai nemmeno che esisto!» una lacrima scivolò sulla sua
guancia e lei la scacciò via con un rapido gesto della mano.
«No, non devo disperare. Ogni barriera può essere spezzata
dall'Amore e io so che un giorno io e te saremo felici, insieme,
benedetti da questo Amore che mi ha permesso di trovare te, tra i
tanti, tra i mille che sono giunti presso di me. Marnia, meraviglioso,
dolcissimo Marnia, Marnia che non ha timore di nulla, Marnia disposto
ad affrontare qualunque sfida. Marnia. Sei tu, Marnia, pronto per la
sfida che ti ha lanciato Amore?»
Tacque improvvisamente e, dopo aver lanciato un'altra rapida occhiata
verso la porta, sospirò – centodue – quando
capì che, per quella notte, Amore ancora non era pronto per far
avvenire quell'incontro già predisposto dal Fato. Attese un
altro po', un'ora, due, tre, e quando si accorse di essersi
addormentata contro il muro scattò in piedi e sparì,
aggraziata ma rapida, a soffocare tutta la sua angoscia contro il
cuscino che, quella notte, avrebbe assaggiato le sue lacrime e avrebbe
conosciuto il nome dell'uomo tanto amato e tanto desiderato dalla sua
proprietaria.
Intanto, nelle tenebre, una figura minacciosa pensava alla sua
vendetta: «Marnia, preparati. Io ti ucciderò!»
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Capitolo 11 *** 11 ***
SCHEMAEFP2
Barnia sfida Marnia
Marnia, ignaro della catastrofe che stava per abbattersi sulla sua
testa, quella notte dormì della grossa per la prima volta dopo
tanti giorni e quando arrivò il mattino si svegliò
maledicendo il canto del gallo e stiracchiandosi come un vecchio gatto
con l'ernia, di cui tra l'altro emise pure gli stessi versi angosciati.
Si alzò dal letto pigramente, si lavò senza voglia, si
vestì con lentezza esasperante e riuscì a rianimarsi un
poco solo quando arrivò il momento di fare colazione.
Mangiò uova e pancetta, pane abbrustolito, costine di maiale,
patate arrosto, caffè estremamente zuccherato e scartò i
biscotti al farro per rimpinzarsi con i dolcetti ripieni di crema e
marmellata e, tutto sommato, qualsiasi cosa che i domestici riuscirono
a mettergli nel piatto. Espirò a fondo, dopo la sua abbuffata e
si alzò a malincuore, diretto nuovamente verso la sua camera da
letto e trovandosi, invece, davanti alla biblioteca. Inarcò un
sopracciglio ed entrò, pensando che comunque non aveva niente di
meglio da fare e quasi senza accorgersene si mise a cercare il libro
che aveva trovato nella casa del Nobile perché, nonostante
tutto, gli era piaciuto eccome.
Lo cercò tra i titoli scritti in calligrafia elegante sul dorso
dei libri e quando fu sul punto di prendere il libro intitolato
Fermo e Lucia – doveva per forza essere
quello, perché ricordava benissimo che Fermo era anche il nome
della guardia che aveva trasformato in rospo – una voce che non
conosceva gli arrivò alle spalle, attirando la sua attenzione:
«Tu sei Marnia.»
Quella non era una domanda e, di conseguenza, Marnia non rispose. Si
voltò verso il suo interlocutore e non si sprecò nemmeno
di guardarlo con attenzione per sapere come era fatto.
«Che vuoi?» chiese, e siccome quella era
una domanda, il misterioso figuro gli rispose: «Io sono Barnia,
il Grande Mago di Rebinta, conosciuto in tutto il Regno perché
sono il più giovane Mago che sia riuscito a creare l'oro con la
polvere di ametista: è accaduto tre anni fa e ne avevo solo
diciassette!» si vantò, gonfiando il petto.
Marnia inarcò un sopracciglio: «Ma va'? Io ne avevo
quattordici, ma è stato un incidente, non ci sono più
riuscito,» disse, ma Barnia non lo stava più ascoltando:
aveva smesso alla parola "quattordici" e ora stava mordendo la sua
bacchetta per ragioni che Marnia non comprendeva e di cui, tra l'altro,
non gli importava nemmeno granché.
Scrollò le spalle e dopo aver preso il suo libro si
allontanò senza dire nulla ma, appena passò di fianco a
Barnia, questi sollevò il braccio e lo fermò,
impedendogli di passare: «Ti impedisco di passare, Marnia!»
Marnia sbuffò. «E perché?»
«Io ti ho incontrato perché desidero sfidarti!»
«Oooh!» esclamarono tutte in coro circa duecento persone che erano comparse chissà come nella stanza.
Marnia, naturalmente, non si scompose. «Non ne ho voglia.»
«Buuu!» gridarono tutte insieme le duecento persone che erano comparse chissà come nella stanza.
Barnia gli rivolse un sorrisetto arrogante. «Ah, capisco: hai
paura di sfidarmi,» disse. «Forse pensi che essere stato in
grado di creare l'oro sia stato solo un caso fortuito, non è
così? Non ti reputi all'altezza di un Mago della mia
fama.»
Marnia sbatté le palpebre: «In realtà
è stato un caso fortuito,» disse, senza
enfasi nella voce e Barnia, che ormai non lo stava più
ascoltando, sfoderò la sua bacchetta e la sollevò verso
il soffitto, puntandola direttamente al petto del suo avversario:
«Ti sfido a duello!»
«Non ne ho voglia.»
«Buuu!» ripeterono tutte insieme le duecento persone che erano comparse chissà come nella stanza.
La faccia di Barnia diventò tutta paonazza e cominciò a
gridare: «Ti ho sfidato formalmente, non ti puoi opporre! Estrai
la bacchetta e unisci la sua punta a quella della mia, così
saremo pronti a batterci per l'amore di Binta, la principessa di
Rebinta! E chi di noi sarà il vincitore avrà diritto a
chiedere la sua mano!»
«Awww,» sospirarono le trecento voci – si era sparsa
la voce, a quanto pareva – e Marnia fissò l'altro ragazzo
come se non avesse idea di che cosa stesse parlando, dato che
effettivamente non lo sapeva. «Non so di cosa tu stia
parlando,» disse.
«Non fingere di non sapere! Sto parlando di Binta, la principessa
di Rebinta, la Fanciulla Perfetta nonché la più bella,
talentuosa e amata fanciulla del reame!»
Marnia inspirò dal naso. «Non ho ancora idea di che cosa tu stia parlando.»
«Accetta la mia sfida, vile!» gridò Barnia, il viso
paonazzo dalla rabbia e quando anche le trecentocinquanta voci
iniziarono a strepitare «Buuu!» Marnia estrasse di scatto
la bacchetta dalla tasca. Non appena le punte delle due bacchette si
incontrarono la stanza fu pervasa da una grande luce e un irritante
scoppiettio di lampi colorati e quanto tutto tornò calmo sul
viso di Barnia comparve di nuovo il suo sorrisetto arrogante:
«Hai accettato la sfida, Marnia! Adesso non puoi più
tirarti indietro.»
Marnia guardò la propria bacchetta, poi la mano che la reggeva e
il braccio proteso e una parte di lui – quella più grande,
che non aveva mai voglia di lavorare – gli disse che quella era
stata la cosa più stupida che avesse mai fatto in vita sua.
Lui non ne era del tutto convinto ma, quando incontrò lo sguardo
assatanato di Barnia, sentì per la prima volta dopo tanto tempo
una sensazione inquietante farsi largo dentro di lui e attanagliargli
con una presa micidiale la bocca dello stomaco. No, il suo istinto
aveva ragione: non era stata per niente una buona idea…
Come minimo, avrebbe dovuto prendere un altro piatto di pancetta.
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Capitolo 12 *** 12 ***
SCHEMAEFP2
Marnia vince il Duello
I duelli tra Maghi erano una faccenda estremamente seria: erano
esattamente come i duelli tra Cavalieri solo che, nel loro caso, i
Maghi generalmente non lo facevano per l'Onore, la Gloria, o il Bacio
della Principessa; semplicemente sfruttavano queste esibizioni per fare
gli spacconi e mostrare al mondo intero quanto la loro Magia e la loro
conoscenza degli incantesimi fosse di gran lunga superiore a quella
dell'avversario e quindi veniva istituita una piattaforma sulla Grande
Piazza dove i Maghi si sarebbero scontrati fino a che uno dei due non
fosse morto, non si fosse arreso, o non avesse avuto bisogno di andare
in bagno – perché i duelli tra maghi non potevano
assolutamente essere interrotti da futilità del genere.
Marnia, ovviamente, non sapeva niente di tutto ciò. Lui era
ancora completamente preso a pensare alla sua pancetta mentre, in un
modo o nell'altro, veniva trascinato da una parte all'altra del
castello per i preparativi e, a un certo punto, si trovò su una
pedana in legno circondato da un mucchio di gente urlante mentre
davanti a lui, Barnia il Mago era intento a cercare di attirare
l'attenzione di Binta, la principessa di Rebinta, chiamandola a gran
voce: «Binta, principessa di Rebinta, ti sto chiamando a gran
voce!» disse. «Vincerò questo duello per te e poi
finalmente potremmo sposarci!»
Binta, la principessa di Rebinta, guardò verso la pedana e i
suoi occhi divennero lucidi, le sue gote rosate ancora più
rosate e lei si levò in piedi sul palco d'onore e gridò:
«Marnia il Mago, vinci questo duello per me e poi finalmente
potremmo sposarci!»
Marnia si sturò l'orecchio con il mignolo, sbadigliò e si
mise a controllare la sua bacchetta che, essendo una bacchetta, era
sempre uguale al solito, e quindi la ripose al suo posto e
cominciò a guardare per aria, verso le nuvole che veleggiavano
pigre nel cielo guidate dal vento e che assumevano di quando in quando
la forma della pancetta. «Oh, cavolo,» disse Marnia tra
sé e sé. «Questa maledetta pancetta finirà
per causarmi problemi come il latte di Karma, lo so,» si disse e,
nello stesso momento, Barnia iniziò a urlare: «Non
permetterò a te, Marnia il Mago, di conquistare il cuore della
bella Binta! Ho già dovuto sconfiggere i più Nobili
Cavalieri di Rebinta per avere una possibilità con lei –
ma ti dirò che è stato anche abbastanza facile – e
quindi non posso permettere che uno sconosciuto prenda quel posto che,
fino a ieri, era mio di diritto!»
«Coraggio Marnia, Amore Mio, finiscila alla svelta, così
possiamo sposarci e Vivere per Sempre Felici e Contenti!»
«Era buono, quel latte. Avrei dovuto portarmene via un po'.»
«In guardia, Marnia, e preparati ad essere sconfitto!»
«In posizione!» gridò una voce misteriosa da bordo campo.
«Ti amo Marnia!»
«Sei finito!»
«Pronti!»
«Si chiamava Lola, la mucca. Forse riuscirei a trovarla, se la cercassi.»
«Tre!»
«Ma sarei costretto a tornare in quel villaggio di pazzoidi. Non ne vale la pena.»
«Due!»
«Però potrei rendermi invisibile. O pietrificare tutti. Com'era quell'incantesimo completamente inutile?»
«Uno!»
«Petroficus? Petreficus? Petraficus? Perché mi confondo sempre?»
«Cominciate!»
«Ci sono, era Petrificus!»
Attorno a lui, tutto divenne silenzio. Perfino il vento e gli alberi e
gli animali tacquero, tutti tranne le cicale di Bosco Ombroso che, come
racconta la leggenda, sembrano essere completamente immuni a qualsiasi
tipo di Magia e hanno l'insopportabile tendenza di impicciarsi sempre
degli affari degli altri. Specialmente di quelli di Marnia.
Marnia, completamente ignaro di cosa stesse succedendo attorno a lui,
fece un pigro cenno d'assenso che, nel suo linguaggio del corpo, stava
a significare che era molto soddisfatto. «Sono molto
soddisfatto,» disse, lasciando per la prima volta che le sue
emozioni prendessero il sopravvento su di lui. Era una sensazione
strana, avvolgente, inebriante, lo faceva sentire finalmente libero di
affrontare qualsiasi minaccia e duro lavoro. Inarcò un
sopracciglio. Non l'avrebbe fatto mai più.
All'improvviso, sentì un boato assordante esplodere tutto
intorno a lui e ampliarsi come a macchia d'olio per tutta la
città di Rebinta. Lo ignorò e si rivolse al Giudice di
Gara che altri non era se non il Cavaliere che lo aveva portato
lì a Rebinta e che per questa ragione d'ora in poi verrà
chiamato Giudice Cavaliere, perché Cavaliere Giudice non suona
altrettanto bene.
«Ehi, Giudice Cavaliere,» lo chiamò Marnia, la voce piatta. «Quando comincia il duello?»
Il Cavaliere Giudice sbatté le palpebre. «Veramente è finito,» disse, esitante.
Marnia inarcò un sopracciglio. «Ah. E chi ha vinto?»
Il Cavaliere Giudice – che non aveva più ragione di essere
chiamato Giudice perché il duello era finito – rispose:
«Voi, Marnia. Dato che avete usato sul vostro avversario il
Potente e Irreversibile Incantesimo di Pietrificazione, avete vinto il
duello secondo le regole.»
Marnia fece una smorfia. «Quindi significa che non devo più combattere?»
«No,» rispose il Cavaliere. «Non dovete più combattere.»
Marnia esitò un momento e cominciò a guardarsi attorno,
assimilando tutti i dettagli che gli saltavano agli occhi uno per
volta, perché era troppo pigro per racimolarli tutti insieme.
Quel tizio che l'aveva sfidato – Com'era il nome? Aveva
un che di estremamente familiare, mi ha colpito perché era molto
simile a un nome che avevo già sentito prima… Ci sono, si
chiama Romeo! – era immobile, pietrificato, con la
bacchetta levata verso il cielo e la bocca spalancata e, dietro di lui,
sul palchetto destinato ai regnanti c'era una tizia vestita come un
confetto che sbraitava con una vocetta stridula e che cercava di
calarsi di sotto a dispetto delle due guardie che la trattenevano. Solo
un momento dopo notò tutta la gente riunita lì attorno e
si rese conto che stavano tutti gridando il suo nome con grande enfasi.
Scrollò le spalle e tornò a guardare il Cavaliere:
«Quindi posso andarmene?»
Il Cavaliere esitò un istante e poi, con un rapido cenno del
capo, rispose: «Be', credo di sì…»
«Grandioso,» disse Marnia con il suo solito entusiasmo
– cioè senza entusiasmo – e, senza aggiungere altro,
si voltò e torno verso il palazzo con la bacchetta riposta nel
suo cantuccio e fischiettando la famosa canzonetta insulsa e fuori moda
che aveva imparato dal Mago e che stava seriamente cominciando a
venirgli a noia.
E mentre entrava a palazzo, fu colto dall'impulso di fare finalmente
qualcosa di importante nella sua vita. «andrò a mangiarmi
quella pancetta, dopo tutto,» disse.
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Capitolo 13 *** 13 ***
SCHEMAEFP2
Epilogo: Marnia diventa il Mago Più Potente Del Regno
Nelle settimane che seguirono la fine del duello, successero un'infinità di cose.
Tanto per cominciare, Marnia diventò ufficialmente il Mago
Più Potente Del Regno. Molti Maghi provenienti da tutte le parti
del Paese si recarono in processione a Rebinta per conoscerlo e per
farsi illuminare dai suoi saggi consigli in materia di Magia, consigli
che quasi sempre si verificavano giusti e utilissimi, e ciò non
fece altro che accrescere ancora di più la sua fama; inoltre,
dato che fondamentalmente tutti sapevano benissimo che quel duello era
stato combattuto per l'amore di Binta, la principessa di Rebinta, il Re
Binto XX dai Capeli Corvini ma che si faceva chiamare Chioma Dorata
decise senza esitazione di dare a Marnia la mano della sua amata
figliola: sebbene come padre avesse sempre sognato che la sua bambina
restasse sempre sotto al suo tetto o, in alternativa, sposasse un
Cavaliere di nobili origini, non poteva esimersi dal dare alla sua
principessina tutto ciò che lei desiderava per renderla felice e
quindi, dopo circa un minuti e mezzo di esitazione, fu annunciato il
fidanzamento ufficiale e fissato il matrimonio per il giorno terzo del
quarto mese dell'anno, solo che si resero conto solo dopo che il quarto
mese era già passato, quindi optarono per l'ottavo giorno del
sesto mese, e cioè per il giorno dopo.
La statua di Barnia fu messa chissà dove a prendere polvere e il
Cavaliere, dopo lo scontro, pare che abbia conosciuto una giovane Dama
che, guarda caso, era proprio in cerca di marito: si dice che i due
stiano ancora cavalcando insieme verso il tramonto con la scritta "Oggi
Sposi" che penzola dalla sella del Cavallo.
Insomma, per farla breve, questa storia si conclude con un lieto fine per tutti i personaggi.
Per tutti, tranne che per Marnia. Mentre tutto ciò avveniva lui
era riuscito ad arrabattare un piatto di pancetta e, già che
c'era, a mangiare un pasto completo con tanto di frutta, dessert,
caffè e ammazza caffè, anche se per lungo tempo tutti si
chiesero dove l'avesse trovato, il caffè, dato che l'America non
solo non era ancora stata scoperta, ma nel loro mondo non esiste
proprio.
Comunque sia, quando Marnia scoprì quali piani fossero stati
orditi alle sue spalle durante la sua assenza, la sua immediata
reazione fu di inarcare non una, ma entrambe le sopracciglia e quando
capì che la donna che doveva sposare era il confetto rosa che
aveva la bizzarra abitudine di blaterare a vanvera da sola, si rese
conto che avrebbe dovuto allontanarsi da quel posto il prima possibile,
e cioè quella sera stessa, dato che il giorno dopo si sarebbe
celebrato il matrimonio.
E così fece. Nel cuore della notte, avvolto da un mantello che
puzzava di stalliere e del profumo costoso che prima di allora aveva
sentito solo addosso alla regina, si preparò alla sua fuga come
era già avvenuto solo poco tempo prima alla casa del Mago.
Discese le scale in gran silenzio e in punta di piedi e, quando gli
capitò di far cadere due o tre dozzine di armature in tutto il
tragitto si liberò dell'inghippo trasformando tutti i soldati in
ranocchi e circa tre ore dopo, passate a vagare senza meta per tutto il
castello perché, nonostante fosse diventato il Mago Più
Potente Del Regno, il suo senso dell'orientamento continuava a fare
schifo, si ritrovò finalmente fuori, all'aria aperta, libero.
Si sarebbe messo a saltellare dalla gioia, se solo ne avesse avuto
voglia e così, con la sua brava sacca sulle spalle, si
incamminò verso Ovest, e cioè dalla parte opposta in cui
sarebbe dovuto andare per raggiungere Dorna, il suo paese natio.
Camminò per tutta la notte e il giorno seguente e anche la
notte, allietato dalla sua stessa voce che cantava la solita canzone
insulsa e fuori moda che aveva imparato dal Mago e dalle cicale di
Bosco Ombroso che, invece di frinire come facevano di solito, si
paravano davanti a lui formando scritte dal significato oscuro quali:
"Stai andando nella direzione sbagliata!", "Dorna è per di
là", "Guarda dove metti i piedi!", "Mi passi il sale?" o "Non
chiedere assolutamente aiuto a quei viandanti che stanno arrivando
verso di te, perché non ne ricaveresti nulla di buono!"
Marnia guardò le scritte senza leggerle per davvero e,
all'improvviso, vide una grossa carovana di Viandanti in avvicinamento
e il suo primo pensiero fu quello di andare loro incontro per chiedere
aiuto. Non sapeva perché, ma sentiva che era un'idea geniale.
«Viandanti,» disse, quando la Carovana si fermò
proprio accanto a lui, costringendo le cicale a disperdersi,
«datemi un passaggio.»
Il viandante che guidava i cavalli e, si accorse Marnia, anche l'unico
sveglio o sobrio della compagnia, si chinò verso di lui dalla
cassetta per chiedergli di ripetere cosa gli avesse detto,
perché non lo aveva sentito: «Buoi ribedere gos'hai deddo,
ragazzino? Non ho sendito.»
«Ho detto,» rispose Marnia, senza sforzarsi di alzare un
poco la voce, «che voglio che mi diate un passaggio.»
«Ah, eggo!» esclamò il Viandante, battendosi una
mano sul ginocchio. «E dimmi, ragazzino, dove sdai
andando?»
«A Dorna.»
Il Viandante spalancò gli occhi: «Ma ghe goingidenza! Anghe noi andiamo a Dorna!»
«Davvero?» esclamò Marnia, la voce piatta. «Fantastico.»
«Salda su, dai, di aggompagnamo noi a Dorna!»
Marnia obbedì senza un attimo di esitazione e salì in
cassetta insieme al Viandante col naso chiuso, sistemandosi più
comodamente che poté.
«È un bel viaggeddo, da gui a Dorna, di gonviene fardi una
bella dormida!» disse e quando si voltò di nuovo verso
Marnia, vide che era già addormentato e che stava russando della
grossa: dopo tutte quelle avventure, non voleva fare altro che
ritornarsene al suo amato villaggio e restare laggiù a
impigrirsi per il resto della vita.
Ma, ovviamente, non sarebbe andata così. Quella carovana, tanto
per cominciare, non stava affatto andando a Dorna, ma in un posto che
si trovava esattamente dall'altra parte del Paese e, a causa di questo
piccolo malinteso, quando Marnia riuscì finalmente a tornare a
casa sua, parecchi decenni dopo, era diventato davvero il Mago
più conosciuto di tutta Karvala e aveva avuto la
possibilità di viaggiare in lungo e in largo e di conoscere
uomini e magie in ogni luogo in cui, per un motivo o per l'altro, fu
costretto a fermarsi.
Ma questa è un'altra storia.
Fine?
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N/A
Ed eccoci arrivati alla fine, finalmente! ^^
Solo due note un po' randomiche, tanto perché mi piace essere onesta: come avrete facilmente capito fin dal titolo, quasi tutti i nomi di questa storia sono stati rubati e storipiati da nomi di luoghi delle "Cronache di Narnia", serie che personalmente amo da morire, e parecchie gag/battute/vicende sono chiari riferimenti a film Disney o altri libri, in particolare "Il Signore dei tranelli", che mi è stato di grande ispirazione!
Purtroppo non posso mettermi qui a segnare tutte le citazioni per filo e per segno, ma mi sembrava giusto dare a Cesare ciò che è di Cesare! ^^
Che altro dire? Grazie mille per essere arrivati a leggere fin qui, e spero di tutto cuore che questa storia sia riuscita a strapparvi almeno un sorriso! ^^
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