2. Red like blood
Must
have stabbed her fifty fucking times,
I can't believe it,
Ripped her heart out right before her eyes,
Eyes over easy, eat it eat it eat it
[A little
piece of heaven, Avenged Sevenfold]
Una
ragazzina dai corti capelli neri sedeva sulla sedia arancio scuro,
dallo
schienale rigido, in plastica. Il suo sguardo puntava verso il
pavimento, gli
occhi color cioccolato erano persi in chissà quale pensiero
astratto e confuso.
«Akane?»
Il
viso della giovane si rivolse verso la fonte che aveva prodotto quel
suono così
fastidioso. Il suo sguardo perso nel vuoto era diventato
improvvisamente triste
e bisognoso di conforto.
«Oh,
sei qui quindi?»
Una
donna dai lunghi capelli color caramello le si era avvicinata,
accovacciandosi
al fianco della sua sedia, rivolgendole un’occhiata carica di
pietà e compassione.
«Piccola,
stai bene?»
Erano
domande da fare ad una ragazzina di soli dodici anni che aveva appena
perso i
genitori? Decisamente no! In tutta risposta la piccola
mugugnò qualcosa,
scostando il viso dallo sguardo dell’interlocutrice.
«Tra
poco sarà tutto finito e potrai andare a tenere compagnia
alla tua dolce nonna,
eh? Stai tranquilla.»
Le
fece un sorriso tutto zucchero e miele per poi sparire dietro la porta
dai
vetri oscurati. Lo sguardo di Akane seguì i suoi movimenti
finché non si chiuse
l’uscio alle spalle. A quel punto i suoi occhi scuri e
alquanto inquietanti si
fissarono nuovamente sul pavimento, risucchiandola in un vortice
inconsueto di
pensieri.
Una
figuretta vestita di rosso camminava a passo svelto per le vie della
città. Il
suo viso era coperto da un cappello con la visiera, mentre macinava
metri su
metri senza soffermare il proprio sguardo su ciò che aveva
intorno. Nessuno
faceva caso a lei, dopo tutto era quasi Natale e tutti erano
indaffarati con le
loro faccende da sbrigare. Un sorrisetto strano comparì
sulle sue labbra,
mentre si fermava dinanzi ad un negozio di ferramenta. Fece un profondo
respiro, entrando nel locale con l’espressione più
innocente che una
quattordicenne poteva mostrare. Sfoderò uno dei suoi
migliori sorrisi,
rivolgendosi al primo commesso che vide.
«Mi
scusi!», esclamò con una vocetta timida e
infantile.
«Dimmi
cara.», rispose lui sorridendo.
«Io,
ecco… La nonna mi ha chiesto di venire ad affilare i
coltelli da cucina.»
affermò con un sorriso e la convinzione che le avrebbero
creduto, mentre
porgeva dei coltellacci all’uomo.
«No
problem.» ammiccò il ragazzo, andandosene nel
retrobottega con i suoi adorati
coltelli.
Dopo
pochi minuti di attesa trepidante l’uomo tornò,
dandole le armi e dicendole che
no, non c’era mica bisogno di pagare. Il sorriso della
giovane era dolce ed innocente,
mentre salutava e fuggiva da quel postaccio. E che diavolo, doveva
sbrigarsi,
mica aveva tempo da perdere con commessi troppo espansivi, lei!
Tornò a ritroso
su suoi passi, con la visiera calcata sugli occhi e un sorrisetto a
deturparle
il viso.
Quando
giunse a destinazione, la nonna le aprì accogliendola con un
abbraccio
affettuoso. La ragazza ricambiò, mentre entrava in casa.
Quella
sera le sirene di un’ambulanza risuonarono nel quartiere,
svegliando tutto il
vicinato, ma per la sua adorata nonnina non c’era
più nulla da fare. Un pazzo
omicida le aveva piantato cinquanta coltellate al costato, mentre la
povera
nipote era andata a prendere il cibo al ristorante dietro casa.
Probabilmente
quella ragazza era perseguitata, un altro dei suoi familiari era morto!
Venne
affidata dunque ai servizi sociali, che cercarono di trovarle una casa.
Visti,
però, i suoi precedenti, erano pochi i genitori interessati
a lei. Nessuno
voleva una figlia con problemi mentali, a quel mondo. Ed una bambina
che si è
vista morire dinanzi i genitori e la nonna non doveva stare sicuramente
bene.
Quegli anni per lei furono duri, affidata a istituti o orfanotrofi,
circondata
da gente che la trattava come una lebbrosa. Poco le importava, in
effetti. Lei
aveva sempre quel sorriso dolce e la voglia di conquistare tutti, di
mostrare
al mondo che nonostante tutto dentro di lei aveva ancora la forza per
combattere. O, almeno, così pareva.
Ormai
era maggiorenne. Quanto aveva aspettato quel momento? Quanto aveva
bramato che
arrivasse nel minor tempo possibile? Si era sentita morire
più volte, in quegli
orfanotrofi di merda, dove doveva sottostare a regole che non le
piacevano,
dove doveva mostrarsi sempre allegra e sorridente. Adesso era giunto il
momento
di mostrare al mondo chi fosse la vera Akane. Chi in realtà
si celasse dietro
quel berretto con la visiera rossa, chi era stata lei per tutti quegli
anni,
mentre l’indifferenza la circondava e si sentiva opprimere da
tutti quegli sconosciuti
che la giudicavano senza conoscerla. Cosa cazzo volevano da lei? Non
potevano
fare a meno di guardarla, se li infastidiva così tanto il
fatto che tutti i
suoi familiari fossero morti? Un brivido le correva lungo la schiena al
pensiero degli anni passati, e non era di certo un brivido di piacere.
Era un
brivido di rabbia. Rabbia cieca. Rabbia rossa che si riversava di lei
come una
cascata, che la colpiva in pieno e la trascinava verso il fondo. Dove
lei amava
stare. Il profondo rosso.*
Gli
occhi della donna si ridussero a due fessure. Dove cazzo era andato
quel
coglione? Non le sarebbe sfuggito così in fretta, lo sapeva
anche lui. Lei era
in grado di trovarlo ovunque. Non doveva fuggire, le rendeva soltanto
le cose
più difficili. Anzi, le rendeva difficili ad entrambi, che
cazzo. Era nel suo
interesse fare in modo che la sofferenza si protraesse per il minor
tempo
possibile. Oh, va bè. A lei personalmente non interessava.
Che si comportasse
come voleva. L’avrebbe trovato, lo sapevano entrambi.
Un
rumore la fece voltare di scatto. C’era qualcosa che non
andava. Si fermò,
appoggiandosi a un lampione. Vedeva un uomo andare verso di lei, ma lui
probabilmente non la vedeva ancora. Si nascose nell’alcova
formata da un
portone, osservandolo. Oh merda. Merda merda merda. Fissò la
figura scura
avvicinarsi e passarle oltre, senza vederla fortunatamente. Un
cacciatore di
taglie proprio non ci voleva, al momento. Lei però sapeva
esattamente come
comportarsi, quindi non c’erano problemi. Sorrise a se
stessa, incamminandosi
nella direzione opposta percorsa dal cacciatore. Ora, la cosa
importante, era
ritrovare quella testa di cazzo. Poi tutto il resto sarebbe stato
estremamente
facile, anche se avrebbe preferito finire la serata a modo suo.
Purtroppo non
poteva fare nulla al riguardo, aveva anzi già perso troppo tempo.
Che
poi fottere i tipi come lui era facile da morire. Bastava fare gli
occhi dolci,
mostrarsi una quindicenne sprovveduta e il gioco era fatto. Le sue
fattezze
giocavano a suo favore, non appariva affatto una diciannovenne, il suo
viso
mostrava al massimo sedici anni. Oh, eccolo finalmente! Corse nella sua
direzione, brandendo la pistola come se stesse maneggiando un cono
gelato.
«Te
l’avevo detto che scapparmi non sarebbe servito.»
L’uomo
sobbalzò, voltandosi. Cazzo, l’aveva trovato.
Sentì una morsa stringergli il
petto, mentre con passo sicuro quella carogna andava verso di lui. Come
aveva
potuto farsi ingannare dalle apparenze a quel modo? Stava per cercare
di fuggire
di nuovo, quando uno sparo risuonò nell’aria. Ma
non proveniva dalla ragazza
che, a quanto pareva, era sconvolta quanto lui. Nascose in fretta
l’arma,
voltandosi verso l’uomo che aveva sparato. Il cacciatore
finalmente li aveva
trovati! Alleluja! L’uomo prese il mostro, trascinandoselo
dietro, dicendo alla
ragazza di non preoccuparsi, che era in salvo, di seguirlo e tutto
sarebbe
andato bene. Certo, bla bla bla… Le solite palle. Quando
giunsero dinanzi all’auto
Akane aveva un sorriso compiaciuto all’estremo e…
No, non si era aspettata di trovarsi
dinanzi una donna bionda, alta e slanciata, che la guardava come se
avesse
avuto le corna. Il suo sorriso però restò saldo
al suo posto. Voleva metterle
un po’ di paura, in effetti. Non poteva mai mostrare a
nessuno la sua vera
natura. Una piccola soddisfazione ogni tanto se la doveva pur concedere.
*
Aurora
fissava sconcertata quella creatura. Quella ragazza dai tratti
delicati, il
viso di porcellana, gli occhi grandi e luminosi… Appariva
una maschera dell’orrore,
deturpata da un sorriso terrificante e a dir poco indelebile per i
poveri occhi
della fanciulla. Non si sarebbe mai dimenticata
quell’espressione. Era l’espressione
terrena della malvagità, era quella terribile
crudeltà che non ti fa dormire la
notte mentre pensi a tutte le vittime che il serial killer di turno sta
mietendo in città. E magari la prossima potresti essere
proprio tu. Il viso
della ragazzina davanti a lei non mostrava più di sedici
anni, ma in quello
sguardo sinistro e agghiacciante la donna leggeva la cattiveria
millenaria di
un demone. Chiuse gli occhi, sperando che riaprendoli si sarebbe
trovata
dinanzi ad una povera creatura spaventata e indifesa
dall’attacco di un
maniaco. Eppure quando il suo sguardo si posò nuovamente
sulla donna vestita di
rosso, nulla era cambiato.
Sentì
la portiera chiudersi, mentre Brian diceva:
«Dobbiamo
portare questo delinquente al commissariato.»
Gli
occhi increduli di Aurora assistettero al cambiamento più
repentino di tutta la
sua vita. La ragazza, presentatasi come Akane, che poco prima sorrideva
come se
un mostro l’avesse posseduta, ora era sull’orlo
delle lacrime, con un’espressione
contrita e spaventata. Eppure la donna vedeva ancora in quello sguardo
la
consapevolezza di Akane di averle messo paura. Una paura vera, un
terrore
indicibile. Nessun essere umano l’aveva mai spaventata
così tanto. Brian arrivò
al suo fianco, poggiandole una mano sulla spalla e sussurrandole:
«Parlo
io con lei, tu intanto sali in macchina.»
Non
se lo fece ripetere due volte, mentre il cacciatore cercava di
consolare la
povera creatura sull’orlo delle lacrime, e lei sedeva in
silenzio con il
maniaco. Preferiva quello, che avere a che fare di nuovo con quel
demone.
«Ti
ha incastrato, vero?»
L’uomo
sul sedile posteriore fu sinceramente stupito nel sentirla parlare.
Soprattutto
nel sentirle dire quelle parole. Che avesse visto quale mostro si
celava dietro
le dolci apparenze?
«Sì.»,
disse semplicemente, con voce roca, tacendo poi. Il silenzio si
allargò come
una pozza d’acqua scura nell’auto, con la
consapevolezza che entrambi erano
entrati a contatto con la malvagità pura, venendone
terrorizzati come due
bambini spaventati inconsciamente dal buio.
Aurora
stava zitta, riflettendo, quando Brian aprì la porta
anteriore del passeggero,
facendo salire la donna vestita di rosso. Un brivido corse lungo la sua
spina
dorsale, ma le parve stupido quando vide il viso della giovane.
Un’espressione
triste e sconvolta vi capeggiava, mentre la donna si domandava con
quale forza
di volontà ella fingesse a quel modo. Brian salì
sul retro, per controllare che
il maniaco non decidesse di fare qualche colpo di testa azzardato.
Inchiodando
davanti al commissariato, Aurora trasse un sospiro di sollievo.
Finalmente
quella storia era finita, poteva tornarsene a casa con diciannove
pesanti anni
sulle spalle e la paura di poter morire da un momento
all’altro. Brian, invece,
le disse di restare ancora un po’, voleva che tenesse con
sé Akane mentre lui
portava dentro il criminale, per poi tornarla a prendere per la
testimonianza.
E infine avrebbe lasciato la ragazzina alla polizia, andando da lei per
ricambiare il favore che gli aveva fatto scarrozzandolo in giro. Lei
disse che
non era necessario, ma lui non volle sentir ragioni. Così
scosse le spalle,
osservando le sue braccia muscolose trascinare verso le sbarre di una
cella
sicura quell’uomo. Mentre lei sarebbe rimasta con la vera
bestia, la fanciulla
vestita di rosso che sedeva silenziosa al suo fianco, guardando fuori
dal
finestrino.
«Guarda
che mica ti mangio, non c’è bisogno che tremi di
paura.»
Aurora
si voltò a guardarla, mentre stringeva con tutte le sue
forze il volante fino a
farsi diventare le nocche livide.
«Non
sono commestibile per te?»
La
ragazzina ridacchiò, portandosi una mano alla bocca.
«No,
non direi. E poi stasera ho mangiato abbastanza.»
affermò sorridendo. Lo
sguardò di Aurora corse su di lei, allarmato. Non si sentiva
al sicuro, lì.
Mille voci nella sua testa le gridavano di fuggire, e lei avrebbe
voluto
ascoltarle. Senonché poi avrebbe dovuto rendere conto del
suo comportamento a
Brian, che l’avrebbe sicuramente presa per pazza. Scosse la
testa, facendo
ondeggiare la chioma di capelli dorati.
«Su
dai, resisti giusto dieci minuti. Il tuo principe sarà qui a
soccorrerti tra
poco.» esclamò Akane con un sorrisetto da lupo
cattivo.
*Akane
significa, in giapponese, profondo rosso.
Nda
Nyah
a tutti. Eccomi col secondo e frammetario capitolo. Spero si sia capito
che Akane sarà un personaggio complicatissimissimo, quindi
cercherò di farvi presto comprendere meglio la sua storia,
anche se penso si intuisca abbastanza. Probabilmente nel prossimo
capitolo vi svelerò i segreti del nostro caro Brian... E lo
descriverò un po' meglio ;D Bene, un grazie ai miei A7X per
avermi sempre dato l'ispirazione e alla Mocch per avermi dato la voglia
di finire in tempi brevi. Lov ya girl <3
Spero
che vi sia piaciuto e che leggerete questa storiella a cuor leggero ;D
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