Ourselves's victims

di miss yu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** C'era una volta la casa... ***
Capitolo 2: *** C' era una volta il mondo... ***
Capitolo 3: *** C'era una volta l'amore... ***
Capitolo 4: *** C'era una volta la vita... ***
Capitolo 5: *** C'era una volta la verità... ***
Capitolo 6: *** C'era una volta il destino... ***
Capitolo 7: *** C'era una volta la paura... ***
Capitolo 8: *** C'era una volta la morte... ***



Capitolo 1
*** C'era una volta la casa... ***





Capitolo 1: C’era una volta la casa…


C’era una volta una casa e dentro vi abitavano tante vite, ed ognuna seguiva la propria traiettoria distinta e separata da tutte le altre…



C’è una casa all’angolo con Victory Road.
Una casa di mattoni rossi, con quattro gradini per raggiungere il portone d’ingresso pitturato di fresco e una coppia di finestre ai lati, con tende di pizzo che arrivano a metà dei vetri.
Sbirciando all'interno, tra vasetti di piante posti sui davanzali, si indovina un divano colorato.
Al secondo piano le finestre sono più numerose, guardano come occhi, esplorando l’esterno.
Sul tetto si alzano due abbaini.
Dietro si può supporre l’esistenza di un cortiletto, forse con i fili tirati per poter stendere nei giorni di vento.
Sul davanti vi è invece un piccolo pezzo di terra, pretenzioso chiamarlo giardino, qualche metro di prato trascurato attraversato da un vialetto di pietre grigie, con un cespuglio dagli steli lunghi, curvi sotto la neve.
In un angolo vi è abbandonato un pallone da basket un po’ sgonfio e lì accanto un aereoplanino di carta che, affidato al vento gelato, è precipitato nel breve giro di qualche secondo ed ora, caduto tra la neve e la terra bagnata, si sta sbriciolando.
Una bassa recinzione in ferro delimita la proprietà.
Accanto all’ingresso si trova una cassetta per la posta, sopra vi sono due cartellini.
Sul primo vi è scritto Matthew Parker e subito sotto Hillary Finch.
Sull’altro più grande: Rehabilitation Centre Parker’s House.


***********

Jamie.

La neve si sta quasi sciogliendo, ne è rimasta qualche mucchietto sporco ai bordi dei marciapiedi, qualche manciata sui cespugli e una spruzzata sui tetti.
L’auto blu parcheggia davanti alla casa.
L’assistente sociale apre la portiera e stringe con fermezza il braccio a Jamie.
In quel momento il ragazzo la guarda in viso e solo in quell’attimo sembra rendersi conto di dove si trova.
Sembra…
Già, in realtà cosa passa per la testa di Jamie nessuno lo sa e nessuno può dire con esattezza, dal giorno dell’incidente, cosa riesca a capire di quello che gli sta succedendo intorno.
E’ stato visitato e sottoposto a test: psicologi, psichiatri, neurologi….
Non è bello prendere atto che la scienza che indaga i misteri della mente umana, è in fondo completamente impotente di fronte a qualcuno che è chiuso in se stesso e sembra essere in questo mondo per caso.
Capire dove inizia l’impossibilità e dove finisce la volontà di comunicare.
Jamie è un enigma, come tanti del resto, come chi ha deciso o ha dovuto assentarsi dal mondo, per quanto non si sa, forse solo per un po’ o forse per sempre.
Jamie esteriormente sembra il ragazzo che una volta è stato, un quindicenne a volte allegro e a volte arrabbiato o triste, dolce questo sì, anche se di una dolcezza un po’ timida e aspra, che essere dolci a quindici anni è qualcosa che non si fa.
Poi però il paragone con quello che è stato prima dell’incidente finisce lì, perché Jamie non è più dolce e neppure arrabbiato o allegro e neppure triste; Jamie non è più nulla, solo qualcuno che rimane a fissare un muro per ore oppure un foglio di carta bianco, con i pastelli appoggiati lì di fianco e neppure toccati.
E’ stato deciso che un istituto non sia la soluzione giusta per lui e neppure un ospedale, perché in fondo Jamie ormai fisicamente sta bene e di quello che gli è successo gli rimane solo una piccola cicatrice vicino alla tempia, nascosta dai capelli.
Nessuno è venuto a reclamarlo semplicemente perché non ha più nessuno e così si è deciso di affidarlo ad una comunità familiare.
Alla Parker’s House.
Matt e Hillary sono andati a conoscerlo, anche se nessuno è in grado di conoscere il ragazzo.
Ora sono in piedi sulla porta, parlano brevemente con l’assistente sociale, lo prendono in consegna.
Hillary ha una voce morbida come una ballata irlandese.
Lo conduce in casa con la mano posata delicatamente sulla spalla.
Matt ha invece una voce calma e rassicurante come il rumore delle coperte che ti coprono.
“Ragazzi venite qui, è arrivato Jamie”
Sbucano un po’ da ogni parte e per Jamie sono troppi, perché li possa veramente mettere a fuoco.
C’è una ragazza dagli occhi grandi e asciutti.
C’è un ragazzino dal viso dolce e impertinente.
C’è una ragazza bella, quasi troppo.
C’è un ragazzo che ha tatuaggi sulle dita.
C’è un ragazzo alto, molto e magro, molto.
Troppi per Jamie.
Si fa condurre su per una scala di legno dalla moquette color biscotto, lungo un corridoio con tante porte.
“Questa è la tua camera, dormirai con Connor, pensiamo che possiate trovarvi bene insieme”
Connor forse è un nome, forse è qualcosa che lui non conosce, forse…
“Vuoi che ti aiuti a sistemare le tue cose?”
A Jamie piace la carezza che la voce di Hillary lascia sulla sua pelle.
I suoni che escono dalla bocca degli altri sono per lui solo emozioni che gli incidono la carne per un breve istante.
Non dà nessuna risposta, non ne dà mai.
“Bene, allora ora ti lascio solo”
Solo significa silenzio e il silenzio è buono, è soffice e avvolgente, ci si può galleggiare nel silenzio e sentirsi protetti, non può succedere nulla nel silenzio, nulla di male, perché il silenzio è il nulla e il nulla è buono.
Non ci sono parole nel silenzio e Jamie gli è grato, perché le parole gli sfuggono, sono inutili, senza significato.
Ha cercato dopo l’incidente di riprendere possesso delle parole, ma senza successo.
Le parole per Jamie sono come foglie secche in una tempesta, inutile cercare di afferrarle al volo: sfuggono, veleggiano intorno, si allontanano e se anche per caso riuscisse ad afferrarne una e a stringerla nel pugno, questa si frantumerebbe e tra le dita resterebbero solo polvere e frammenti, che della foglia sono solo parvenza.
Jamie non parla perché le parole non esistono più per lui, sono suoni insignificanti.
Jamie però comprende le parole degli altri, forse perché vengono dal di fuori e non è lui che deve dare un senso al mondo.
Le comprende ma non le fa sue, appena dette scompaiono e lo lasciano vuoto.
Le parole non abitano più dentro di lui.
Cosa ci abiti oltre il vuoto non lo sa bene.

Alison.

Non sa quanto tempo sia passato, sa solo che ad un certo punto Hillary ha bussato lievemente alla porta e poi l’ha socchiusa infilandovi dentro la testa, gli ha sorriso, lo ha preso per mano e lo ha accompagnato in cucina. Lui si è seduto ad un tavolo e lì accanto ha notato la ragazza dagli occhi grandi e asciutti e truccati pesantemente: Alison.
Alison ha anche i capelli corti e neri e il suo look è dichiaratamente metal. Per quello che tutto ciò vuol dire.
Perché se al primo impatto, ciò che colpisce è proprio questa sua immagine che lei sbatte in faccia a chi l’accosta, con l’aria di chi se ne frega altamente dell’opinione altrui, in realtà ciò che lei è, non ha nulla a che fare con ciò che appare.
Ciò che è, lo può capire solo chi riesce a sostenerne lo sguardo duro e sprezzante.
Alison un tempo era una ragazzina di buona famiglia, educata in ottime scuole, residente in una bella casa in un quartiere elegante, una ragazzina con una madre bellissima a cui assomiglia molto e senza un padre di cui non sa nulla, perché per la madre non è mai valsa la pena neppure di parlarne.
Sua madre bellissima e dura come un diamante, circondata da ammiratori, cerebrale, fredda ma non con lei, che la figlia era la sua opera in continuo divenire, il suo capolavoro.
Ora non è rimasto più nulla di ciò, se non il tentativo di Alison di sopravvivere nonostante tutto, anche se a volte, durante gli ultimi anni, si è chiesta se in fondo vale davvero la pena di sopravvivere o se non sia meglio soccombere.
Ma l’insegnamento della madre ha funzionato: “Mai arrendersi, mai buttare la spugna, mai farsi sconfiggere dalla bassezza, dall’ignoranza, dalla miseria della gente comune” e così Alison non si è arresa anche quando è rimasta sola, da quella notte in cui la polizia ha suonato alla porta di casa sua e si è portata via la madre.
E neppure si arresa quando è stata seguita dai servizi sociali, quando è stata affidata a famiglie sempre sbagliate per lei o lei per loro, quando è stata in istituti per ragazzi soli, quando ha dovuto difendersi dalla cattiveria gratuita che non sapeva neppure esistesse in misura così potente e irriguardosa.
Peripezie inimmaginabili per quella che era, contatti violenti, solitudine sconfinata, nessuno a cui potersi appoggiare anche solo per riprendere fiato.
Ma le parole della madre sono state la sua boa di salvataggio.
E quando è andata a trovarla in carcere la prima volta e l’ha trovata sempre bellissima, anche se infagottata in una tuta arancione, anche se pallida e magra, la madre quelle parole gliele ha ripetute: “Non arrenderti, io qui non lo faccio, nessuno può farci paura perché noi non siamo come questa gente gretta e insulsa che ci circonda e che cerca di spaventarci, noi siamo le dee di un mondo diverso, più alto, non sottoposto alle loro leggi becere e rozze, resisti ad oltranza, fai vedere chi sei, non permettere a nessuno di farti paura”.
E così Alison si è tagliata i lunghissimi capelli biondi che la facevano assomigliare ad una fata e che le incorniciavano il volto da adolescente.
Quando ha conosciuto Matt e Hillary della ragazzina per bene non c’era ormai più traccia.
Alison non capisce come la madre può riuscire a farsi rispettare in carcere, dove ormai è rinchiusa da anni, pur rimanendo sempre lei: la dea, la regina, dovunque e con chiunque stia.
Alison non ci è riuscita a restare ciò che era, ha dovuto cambiare e per farlo ha dovuto diventare un’altra persona, ha dovuto rinnegare il suo aspetto, la sua educazione, le sue buone maniere, la sua cultura.
Ha rinunciato a ciò che in questa nuova vita poteva esserle d’ingombro per acquistare nuove capacità, nuove abilità, nuovi modi d’essere.
Ed ora si sente in qualche modo sicura ma anche incapace di capire chi è veramente, perché la sua trasformazione è nata non da una sua esigenza, ma da una necessità.
E si sente anche in colpa per non essere riuscita a rimanere se stessa come ha fatto sua madre.
“Cosa significa questo travestimento?” le ha chiesto quando l’è apparsa di fronte con i capelli corti e neri e il suo abbigliamento metal.
“Non è un travestimento, mi piace essere così, rappresenta quello che sto diventando”
“”E cosa stai diventando?”
“Più forte, come mi hai chiesto di essere”
E la madre ha riso, d’un riso raffinato e freddo.
“Dove è finito tutto ciò che ti ho insegnato, non hai bisogno di trasformati per essere forte, noi lo siamo qui dentro” e si è toccata la testa. “Sei cambiata, ti sei venduta, sei diventata mediocre come gli altri”
Già, gli “altri”, quelli disprezzati, i perdenti, la massa inerme incapace di guizzi d’eleganza e considerazione.
“Forse lo sono una ragazzina mediocre, non ci hai mai pensato? Forse non sono una dea come te, forse hai sbagliato tutto con me, però almeno io non sono in galera”
E in quel momento, quando sua madre le ha girato le spalle e se ne è andata senza salutarla, in quel momento Alison ha capito una cosa essenziale: che lei non è sua madre, che lei è qualcun’ altro diverso ed originale.
E’ stata una scoperta terribile quella di comprendere che l’amore tra loro non era mai stato amore ma qualcosa di malato e malsano. Forse un attaccamento morboso e invasivo che non le ha permesso di essere ciò che voleva o poteva essere, ma solo una copia, anzi un’opera della madre.
Ora alza gli occhi dal libro di storia che sta studiando e guarda di soppiatto Hillary, che sta sistemando la biancheria per poi stirarla.
Hillary ha qualche chilo di troppo e un viso bello da sembrare una dama antica, con i lunghi capelli castani inanellati che le scivolano fino ai fianchi e il suo viso non ha un filo di trucco e le sue mani sono un po’ grassottelle e i suoi vestiti sono quantomeno dozzinali, ma nella pacatezza dei suoi gesti, nello sguardo assorto, nella calma della sua persona che però vibra d’emozioni e palpita di sentimenti, Alison capisce che ci sono altri modi di essere donna; che oltre la forza, il distacco e la superiorità, c’è un altro modo per sentirsi nel mondo senza avere troppa paura e che forse lei lo può poco per volta imparare.

Kyle.

Si sentono passi sulla scala e il ragazzino dolce e dal viso impertinente: Kyle, entra in cucina.
“Mi faccio uno spuntino” dice mentre apre il frigo e ne estrae il cartone del latte.
Hillary gli fa un cenno.
Ci mette solo qualche minuto a riempirsi il bicchiere e a prendere una fetta di torta.
“Torno in camera, devo studiare ancora una ventina di pagine di biologia” e sparisce di nuovo.
Si mette alla scrivania e riprende il filo dei suoi pensieri interrotti: la storia con Jared deve assolutamente considerarsi conclusa.
E’ un paio di settimane che non lo cerca più e ha fermamente stabilito che non deve più chiamarlo, neppure per placare un attacco di “voglia” di quelle che non riesci a resisterci.
Neanche deve più cercare di vederlo da lontano, appostandosi nei luoghi che lui frequenta e tanto meno cercare di rincontralo per “chiarire”.
Di cose da chiarire con Jay in realtà ce ne sarebbero un milione, ma Kyle sa bene che il tentativo risulterebbe inutile, come tutti quelli che l’hanno preceduto.
“Chiarire” con Jared non è possibile perché lui, mentre tu parli, fissa il vuoto o giocherella con l’Iphone e se arriva qualche chiamata si mette a parlare tranquillamente, lasciandoti a metà di una frase, non una frase qualsiasi, ma una di quelle che ti è costato fatica e sforzo riuscire a mettere insieme, una di quelle che per Kyle sono fondamentali: “ Che senso ha per te stare insieme”, “C’è solo sesso tra noi o per te c’è qualcos’altro” insomma “ Cosa mi devo aspettare da te?”
Ecco, mentre tu cerchi di non arrossire e tenti maldestramente di parlare di queste cose, di fargli capire i tuoi dubbi e le tue paranoie, lui si mette tranquillamente a parlare al telefono lanciandoti un’occhiata che vuole significare: “Scusa, continua pure tanto ti ascolto”
In realtà non ascolta, non ascolta mai!
Però il sesso con lui è da impazzire e non solo quello.
Jared è da impazzire.
Forse perché ha già passato i vent’anni e per Kyle è un vero uomo non un ragazzino, forse perché è bello di una bellezza androgina e insieme molto maschile, forse perché sprigiona fascino e carisma da tutti i pori, perché è intelligente e brillante, sicuro di se e spavaldo, irriverente, arrogante e presuntuoso.
E forse perché nonostante tutto Kyle spera di contare qualcosa per lui, di non essere considerato il solito ragazzino da sbattersi una notte e poi sotto a chi tocca, anche se in realtà sa con certezza che molti altri oltre a lui finiscono regolarmente nel suo letto.
A Kyle basterebbe solo che gli dicesse che, nonostante i tradimenti, lui resta un punto fermo, qualcuno a cui tornare, invece non c’è neppure questo.
E così Kyle ha deciso di non poter continuare a stare male, a vivere aspettando che lui si degni di rispondere ad un suo messaggio, ad una sua chiamata.
Non ha lottato con i suoi genitori, con la comunità del suo paese, non ha sopportato tutto quello che è successo dal giorno in cui ha confessato quello che era, per finire in una storia insulsa come questa.
Si sente frustrato e infelice.
E così, chissà come gli tornano in mente i suoi genitori adottivi, quelli che l’avevano scelto già nella pancia di sua madre naturale, quelli che lo avevano allevato con cura ed amore nella fede.
Quando lui ha deciso di fare coming out i loro visi avevano assunto un’ espressione di ribrezzo e pietà.
Non lo avevano punito ne allontanato; non sarebbe stato nel loro spirito, i peccatori vanno sorretti e aiutati a trovare la giusta via, la strada alla redenzione.
Proprio così gli avevano detto con un misto di sgomento e di eccitazione salvifica: “La tua condotta è peccaminosa, devi pentirti e tornare sulla retta via, oppure…” , ebbene sì gli avevano offerto pure un’altra possibilità in un impeto di generosità: “ Oppure dovrai fare una scelta di castità”.
Quando lui era scappato, l’unico punto di riferimento era stata sua madre naturale.
Sapeva chi era e dove viveva, i suoi genitori adottivi ligi e pieni di verità gliela avevano fatta conoscere quando era ancora un bambino e a volte la invitavano a casa nelle festività più solenni, nei momenti più importanti della sua vita.
Spesso, anzi quasi sempre, lei si inventava una scusa per non essere presente e lui in fondo ne era felice.
“Non ti ho abbandonato appena nato per riprenderti frocio a quindici anni” gli aveva risposto senza neppure fargli posare lo zaino per terra.
E poi c’era stato il ritorno a casa e quell’ansia di dimostrare qualcosa, di non farsi schiacciare dal giudizio dei suoi genitori, di mostrare a se stesso che non era così sbagliato, che non era così brutto peccare.
Quando lo avevano beccato a fare una marchetta, il legame che li teneva in qualche modo ancora insieme si era spezzato definitivamente e loro avevano gettato la spugna: Satana aveva vinto!
Kyle stringe i pugni, si sente arrabbiato come tutte le volte che ripensa al suo passato.
Perché sta autoinfliggendosi la penitenza di rinunciare a Jared?
Sa che per i suoi genitori questa storia è il paradigma di come lo percepiscono: una troietta in calore!
Lasciarlo significherebbe darla vinta ai suoi e a tutti quelli come loro, a quei moralisti che lo hanno condannato come una puttana per giunta gay!
Prende tra le mani il cellulare, il desiderio e la rabbia lo portano a cercare il numero di Jay.
Rimane a fissarlo per un attimo sperando in una forza di volontà inesistente che lo blocchi, poi chiama.
Stranamente Jared risponde e già questo è un piccolo successo.
“Ehi Kyle, è da un po’ che non ti fai sentire”
“Sì, ho avuto un po’ da fare con la scuola”
“ Con la scuola? Beh faccio finta di crederci, dopo cena vado al Pinky, ti va di venire?”
“Va bene”
“Allora ci vediamo al solito posto”
Kyle è consapevole che ciò che ha fatto è la dimostrazione lampante della sua debolezza e della sua scarsa autostima, ma il pensiero di Jared manda al diavolo automaticamente ogni senso di colpa.
Jay è bello da morire, con i capelli neri che contrastano in modo da mozzare il fiato con gli occhi blu evidenziati dalla matita.
Stasera sa che non andranno al Pinky ma Jay lo porterà in periferia e li faranno sesso, dentro a quell’auto che è impregnata dell’odore di tanti corpi diversi.
Sa che ci lascerà anche il suo, che urlerà e che godrà fino allo sfinimento e che ne vorrà di più e che Jared gli darà quello che desidera.
Forse tutto questo è più che sufficiente, pensa Kyle, forse è inutile cercare qualcos’altro, può considerarsi fortunato ad avere Jay, anche se non in esclusiva.
In fondo dalla vita non si può pretendere troppo, la felicità sta in quegli attimi di orgasmo, non è niente altro.

Mira.

Al secondo piano nella camera in fondo al corridoio, la ragazza bella, quasi troppo: Mira, chiude il cellulare e rimane distesa sul letto, stiracchiandosi pigramente.
Alison è scesa di sotto e questo le permette di avere la camera tutta per se e di non dover sostenere la presenza di quella che lei ritiene una spostata, da cui prendere le distanze.
E sì che mesi fa, quando Matt e Hillary avevano annunciato a tutti quanti l’arrivo di un’altra ragazza, per un momento si era sentita contenta: finalmente non sarebbe più stata l’unica femmina in una casa piena di ragazzi, finalmente avrebbe potuto avere anche lei una compagna di camera come gli altri.
In verità la contentezza era durata un brevissimo lasso di tempo.
Era svanita nel momento successivo, quando aveva pensato che avrebbe dovuto fare spazio nell’armadio e nel cassettone ai vestiti di “quella” e alle sue carabattole che sicuramente si sarebbe portata dietro.
La nuova ragazza era subito diventata nella sua mente “quella” e così è fondamentalmente rimasta.
Il secondo pensiero che le aveva fatto arricciare il naso era che non avrebbe più potuto fare la prima donna con i maschietti della casa, anche se in realtà questo era il minore dei problemi.
Sorride tra sé mentre se li vede sfilare nella mente: bell'affare!
I cosiddetti maschietti non hanno mai corrisposto ai suoi canoni estetici e cosa più importante sono afflitti da problemi ben più grandi dei suoi e quindi con loro non c'è mai stato qualcosa di più che una sana scopata e neanche con tutti.
Mira ama il sesso, lo utilizza per molteplici usi: passatempo piacevolissimo, divertimento, antidepressivo, ansiolitico, eccitante, sistema infallibile per ottenere favori, attenzioni, privilegi.
Non fa uso di droghe e non le piace particolarmente bere, perché il loro uso non le consente di mantenere il controllo della situazione, di rimanere sempre nella posizione di comando.
Il sesso è il suo unico vizio.
In fondo si può considerare una brava ragazza.
Ama se stessa come nessun altro potrebbe fare, si piace, si trova bella e molto sexy e non perde occasione per mettere in risalto le sue curve morbide, i suoi occhi neri e profondi, i capelli che le cadono sulle spalle in onde soffici e scure.
Matt e Hillary a volte trovano il suo abbigliamento completamente fuori luogo e non idoneo; soprattutto all’inizio della sua permanenza a Parker’s House spesso le hanno proibito di uscire di casa in tenute che loro giudicavano non appropriate.
Erano stati tempi duri quelli ma comunque istruttivi, che le hanno permesso di escogitare stratagemmi che fino a quel momento non aveva dovuto usare, perché nessuno le aveva mai proibito nulla.
Le difficoltà aguzzano l’ingegno, pensa sorridendo tra sé.
In realtà l’abbigliamento è stato solo un aspetto secondario di una serie di critiche che i due le hanno sbattuto addosso: discorsi si sono sprecati rispetto alla sua condotta.
Le hanno propinato le solite palle che gli adulti raccontano e a cui loro stessi poi non credono: il sesso non è merce di scambio, è necessario avere un maggior rispetto del proprio corpo, non bisogna svendersi.
Hanno cercato di farla passare per malata, per una persona piena zeppa di problemi, come tutti quegli sfigati che stanno in quella casa; le hanno parlato di dipendenza sessuale, di persone che usano il sesso in modo compulsivo solo per colmare un vuoto dell’anima.
Ridacchia tra sé, proprio così hanno detto “un vuoto dell’anima”, come se lei ne avesse una di anima, come se l’umanità non fosse solo unn’accozzaglia di corpi pronti a soddisfare i propri appetiti.
Lei li ha ascoltati facendo sforzi per non ridere loro in faccia, si è mostrata arrendevole e colpita dalle loro parole come se non le avesse mai sentite e la sua condotta da allora è divenuta irreprensibile.
Apparentemente!
Mira sospira, la vita in fondo non è poi così male!
Si alza pigramente e comincia a togliere capi d’abbigliamento dall’armadio abbinandoli tra loro.
I soldi non le mancano per soddisfare i suoi capricci ed è tutto merito di quel padre avvocato facoltoso, apparso dopo tanti anni di assenza.
Si è fatto vivo al momento giusto, quando sua madre l’ha scoperta a letto con Luke, il suo convivente.
Non solo si è bevuto la storia che fosse Luke a molestarla, ma ha intentato causa per ottenere il suo affidamento e Mira non vede l'ora che la vinca, in modo da poter lasciare la comunità di Parker’s House e intanto si gode i soldi che papà le manda, in cambio di alcuni incontri mensili.
Non male!
Mira si guarda l’ultima volta allo specchio, si gonfia un po’ i capelli con le mani, sorride a se stessa.
Dentro la borsa ha una minigonna mozzafiato con la quale, prima d’arrivare a casa di Thiago, sostituirà i jeans d’ordinanza.
Si lancia un ultimo sorriso, lo stesso che ha lanciato da lontano a Luke e alla madre come congedo.
In fondo con loro non stava male, quasi non sapevano neppure che esistesse e lei aveva tutta la libertà che poteva desiderare.
Però…
Non aveva mai sopportato che per quei due lei non fosse importante, che si scordassero di lei. Non era ammissibile!
Quando aveva sedotto Luke e si era fatta scoprire da sua madre, l’aveva fatto solo per fare capire a quei due che lei c’era e come se c’era.
In fondo è stata la giusta punizione per sua madre che è vissuta sempre alla ricerca di un uomo diverso, trascinandosela dietro come una valigia, che le lasciava fare tutto ciò che voleva in nome di una libertà che era solo ipocrisia, che le ha sempre raccontato balle su suo padre dicendole che lui non voleva saperne della figlia, mentre invece lui non era neppure a conoscenza della sua esistenza.
Si chiede se in fondo lei non le assomigli più di quello che crede ma poi scuote la testa: no lei è ben diversa, non ha bisogno degli uomini ma li usa.
Questa è la differenza colossale per cui sua madre ora è una poveraccia sola e lei è qui con i soldi di papà e un futuro di libertà.

Yuki.

E’ quasi sera.
La regola della Parker’s House è che gli orari vanno rispettati e in caso di contrattempo bisogna avvertire, anche con un Sms, ma è necessario farlo.
Sono queste le cose su cui Matt e Hillary non transigono, poche regole ma significative.
Una chiave gira nella toppa, rumore di scarpe che vengono gettate sgarbatamente a terra.
Quello che appare subito dopo è il ragazzo con i tatuaggi sulle dita: Yuki, alto e snello, capelli neri spettinati con un’infinita cura che solo apparentemente è casualità, trucco sugli occhi, smalto rovinato sulle unghie mangiucchiate.
Ha la custodia di una chitarra sulla spalla.
“Scusate sono un po’ in ritardo, vado a sistemare Black Pearl”
”Poi ritorna qui, abbiamo bisogno di parlarti” dice Matt.
Sparisce per comparire subito dopo senza giubbotto e senza chitarra, con solo una maglietta leggera e guanti di lana che gli lasciano scoperte le dita, dove sulle nocche sono tatuati dei numeri e delle lettere.
“Sei di nuovo in ritardo Yuki”
Hillary ha la voce calma dei momenti in cui le cose da puntualizzare sono importanti, a ben guardare è una voce anche un po’ dispiaciuta, un po’ tradita.
“Ho chiesto scusa”
“Non è questo il problema, è che sai che alle sei devi essere in casa, sai che è così che funziona, non è molto complicato”
“Non mi sono accorto del tempo che passava, poi lo sapete dove sto, non c’è bisogno di farne una tragedia. E’ che quando suono con i ragazzi mica possa starmene a controllare ogni dieci minuti l’orologio”
“Ti consiglio di trovare un mezzo per farlo, se arrivi ancora una volta in ritardo dovremmo rivedere la possibilità di andare a suonare a casa di Dean”
“Che cazzo Matt, questo non lo puoi fare”
“Non è questione di potere, ci sono delle regole, poche e chiare e non particolarmente difficili da rispettare, se non sei in grado di farlo significa che non sei sufficientemente maturo per prenderti degli impegni”
Yuki sbuffa.
Jamie lì accanto ascolta le sue sensazioni.
E’ strano come la capacità di cogliere le emozioni degli altri si sia amplificata, da quando ha perso le parole.
Yuki gli rimanda l’impressione di una confusione completa e nella confusione c’è un'unica linea retta che è la musica, ma anch’essa intasata da mille ramificazioni, intralci, grovigli. Yuki è colore e voglia di divertirsi, è stupore, voglia di conoscere, di provare e di sperimentare, ma è anche timidezza strana, ritrosia, malinconia e a tratti dolore lontano e sordo, coperto dal desiderio di vivere e di scoparsi la vita.
Alla sera di solito Yuki sta solo nella sua camera e suona o si fa dei video dove si esibisce nelle cover dei suoi miti.
Poi li carica su youtube e se li riguarda.
” Bene ora posso andare in camera mia?”
“Se stasera non tocca a te apparecchiare vai, basta che non ti fai chiamare dieci volte quando è pronta la cena” gli risponde Hillary.
E Jamie si è alzato dal divano e lo ha seguito.
Quando Yuki esce dal bagno, con solo un asciugamano sui fianchi, quasi si spaventa nel vederlo lì in piedi accanto alla porta attento e silenzioso e Jamie a sua volta sgrana gli occhi nel vedere i tatuaggi del compagno.
Gli sembrano bellissimi, elementi integranti del fisico di Yuki, così come i suoi piercing.
In modo particolare è affascinato dalle ali che ha sulla schiena.
Yuki si accorge dello sguardo di Jamie.
“ Sai perché ho tatuato delle ali? Perché ne desidero di vere, forse un giorno queste lo diverranno, che ne dici, potrebbe essere no?”
Si siede sul letto e scorre sul suo corpo i tatoo, spiega cosa significano, così come un artista spiega ai profani la chiave di lettura delle sue opere.
Ogni segno è il simbolo di qualcosa di essenziale.
“Questo significa: ‘Più vicino alla morte, più vicino all’ideale’, è bello vero?”
Jamie segue con lo sguardo il disegno sul braccio, per un attimo ha colto il significato di quelle parole, ma ora percepisce solo il senso di un’affannosa ricerca di qualcosa che neppure Yuki sa cosa sia; vorrebbe dirgli che forse dovrebbe smetterla di disegnarsi il corpo, di bucarselo e di scolpire sulla pelle il significato della vita, nel tentativo di fermarne il senso.
Vorrebbe potergli dire che tutto ciò che sta facendo è solo il tentativo di coprire le sue debolezze, di scappare dai suoi possibili fallimenti e che fare di se stesso un art work non gli servirà a nulla.
Ma i pensieri di Jamie non sono pensieri fatti di parole, solo emozioni e sensazioni.
“Sai, Yuki non è il mio vero nome, l’ho scelto perché mi piace il Giappone e perché è un nome che ha molteplici significati, il mio preferito è neve”
Jamie ritorna nella sua camera, guarda fuori dalla finestra e vede cadere piccoli e radi fiocchi che si sciolgono appena toccato il terreno, cristalli bellissimi e unici ma inconsistenti e sa con sicurezza che questa è l’unica verità che Yuki quella sera gli ha svelato.


Connor.

Matt si avvicina al ragazzo molto alto e molto magro: Connor, che è stravaccato sul divano e fa finta di guardare la TV.
Il ragazzo sta bofonchiando qualcosa di intelligibile.
“E’ inutile che borbotti, se c’è qualcosa fai prima a dirmela chiaramente”
Matt è fatto così, è severo e preciso nelle sue richieste, chiaro sempre. Con lui non c’è possibilità di fraintendimenti, di malintesi.
“Allora?”
“Perché deve stare nella mia camera?” borbotta.
Matt sbuffa.
“Ancora per questa storia, insomma quante volte ne abbiamo parlato Connor?”
“Infatti io non volevo parlarne, sei tu che me lo hai chiesto”
“Senti, Taylor se ne è andato e c'è un posto vuoto nella tua camera, lo devi accettare..”
“Che cazzo c’entra Taylor adesso”
“Lo so che tu e lui eravate molto amici…”
Connor sbuffa: “Lasciamo perdere Matt”
Connor è stanco, anzi lo era già prima di cominciare, le discussioni con Matt non portano mai a nulla.
“Comunque visto che nella tua stanza c’è un posto vuoto Jamie sta da te, non è così difficile da capire”
“Già, tanto l’handicappato me lo devo sorbire io”
Matt scuote la testa.
“Quando fai finta di essere cinico non mi piaci, comunque vai a chiamarlo la cena è pronta”
Il ragazzo si alza di mala voglia e arranca sugli scalini con una svogliatezza così plateale da far saltare i nervi a chiunque.
Entra spalancando la porta e sorride quando vede Jamie trasalire.
“Ehi la cena è pronta, devi scendere”
E’ brusco ma anche un po’ a disagio, in fondo non ha ancora capito bene con chi ha a che fare.
Certo Matt e Hill hanno spiegato a tutti chi sarebbe stato il nuovo ragazzo, hanno cercato di far capire cosa gli è successo senza violare la sua privacy, hanno detto che ha avuto un incidente dove i suoi genitori sono morti e da quel momento lui non parla più, però capisce... Almeno qualcosa... Forse... Nessuno sa bene quanto.
Connor allora aveva alzato le spalle e sbuffato, quel pietismo nell’aria lo aveva irritato, come se quel tipo fosse stato l’unico ad avere avuto guai con la vita, mentre di quello che provava lui non gliene fregava niente a nessuno!
Cazzo gliene frega a tutti loro di come sta vivendo da quando Taylor se ne è andato; cazzo possono capire quanto fosse importante per lui avere trovato qualcuno che riuscisse a fermarlo quando la voglia di farsi del male diventava ingestibile, quando la tristezza era ingovernabile.
Ed ora dover condividere il suo spazio con qualcuno che non è Tay gli è insopportabile.
Però quando Jamie lo guarda e gli sorride faticosamente si sente meno cinico di quello che vorrebbe, perché gli occhi del nuovo arrivato sono chiari, di un azzurro cielo e indifesi e il suo sorriso trema nella penombra, un sorriso incerto e fragile.
“Hai capito cosa ho detto?” Connor modula la sua voce su una tonalità meno scostante, “Scendiamo, dobbiamo mangiare”.
Jamie si alza quasi automaticamente.
C’è un posto vuoto e Hillary lo indica al nuovo arrivato.
Accanto a lui è seduto Connor, a lui Hillary ha posato davanti un piatto già completo: qualche pisello, una patata bollita piccola, una manciata di riso, mezzo hamburger.
Connor mangia con una lentezza esasperante, infilza con la forchetta un pisello per volta, schiaccia la patata, sminuzza in miriadi di briciole la carne e il riso lo mangia grano per grano ed è affascinante vedere quanta attenzione ci mette.
“Ci sono troppi piselli” borbotta.
Qualcuno ride.
Matt fulmina con gli occhi quelli che lo hanno fatto, cala il silenzio.
“Abbiamo fatto un patto Connor, non ci costringere a dover segnalare la cosa al dottore”
“Se mangio ancora qualcosa vomito”
“Connor sai che non vomiterai, ha ragione Matt, è la razione che il dottore ha indicato, nessun pisello in più”
“Li hai contati?” la voce di Connor trasuda rabbia ed irritazione.
“Pensi che abbia il tempo di contare i piselli, pensi che qualcuno di noi ce ne abbia aggiunti un paio in più per farti dispetto? Smettila e mangia”
Tutti hanno finito, stanno già sparecchiando mentre Connor sta ancora prendendo i grani di riso e li sta masticando uno a uno e Hill è seduta accanto a lui e legge un libro.
“ Mi sento un sorvegliato speciale”
“Lo sei, in questo momento della tua vita lo sei”
“Non vi fidate di me”
“No, se mi alzassi e uscissi dalla cucina butteresti tutto in pattumiera, lo sappiamo bene entrambi”
E’ ormai tardi quando Connor entra in camera sua.
Per un attimo sentendo il respiro lieve di qualcuno sul letto di fronte alla finestra pensa che Taylor sia tornato, poi si ricorda che Tay non tornerà più e intravede Jamie.
E’ disteso ma ha gli occhi aperti.
Connor si sveste lentamente, rimane in t-shirt e boxer, poi prende da sotto il materasso un piccolo involucro di carta leggera, lo apre con delicatezza e ne estrae una lametta.
L’appoggia contro l’interno coscia poi preme un po’ di più, stringendo i denti quando il sangue comincia ad uscire.
Quando alza gli occhi incontra quelli di Jamie che lo osservano e gli sembrano impauriti.
“Non è niente sai, non spaventarti, ora sto bene, solo quando sento male sto bene. In fondo non è male avere te come compagno di camera, almeno sono tranquillo sul fatto che non farai la spia”
Va in bagno, si disinfetta.
Quando rientra per mettersi a letto, Jamie è ancora sveglio.
“Dormi è tutto a posto. Tagliarsi per me è come per te non parlare, non è così? Il dolore lo puoi raccontare a qualcuno ma il vuoto come fai a spiegarlo?"
E così questa giornata finisce!


Ci siete ancora? Non siete ancora morti? ^_^
Lo so il capitolo è parecchio lungo e denso di avvenimenti, conoscere tutti i ragazzi che abitano a Parker’s House in una volta sola non è uno scherzo!
Spero che ciò che avete letto vi sia piaciuto e coinvolto e che continuiate a seguirmi.

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Capitolo 2
*** C' era una volta il mondo... ***





Capitolo 2: C’era una volta il mondo…



C’era una volta il mondo che bussò alla porta della casa e ognuna delle vite che vi abitavano aprì e se ne prese un pezzo…



L’aula di disegno è luminosa, nonostante il grigiore del pomeriggio inoltrato, fuori dai vetri.
Alison ha la testa piegata sul foglio mentre gli auricolari stanno sparando musica ad alto volume.
Sembra completamente dimentica di tutto ciò che le sta attorno.
Accanto a lei Chris giocherella con il carboncino. Intorno i compagni stanno facendo baldoria, qualcuno è andato in bagno per fumarsi una sigaretta, altri stanno fuori dall’aula a cazzeggiare.
Aspettano che arrivi il prof. di disegno, stranamente in ritardo.
Alison è l’unica che lavora, semplicemente perché non ha nessun interesse a parlare o a socializzare con i compagni, non li conosce quasi.
Il solo che in qualche modo ha catturato da subito il suo interesse è Chris.
All’improvviso si apre la porta ed entra un tipo il cui ruolo sulle prime nessuno riesce a comprendere.
E’ un ragazzo giovane non così tanto da essere uno studente, non così poco da poter essere un insegnate.
Sistema la cartelletta, poi si appoggia alla cattedra con la schiena e gira lo sguardo sulla classe, tranquillo, con un’ aria leggermente incuriosita.
“Mi chiamo Julian Lerman, sono il vostro professore di disegno dal vero, per lo meno finchè il docente titolare non rientrerà dalla malattia, penso che sarà per un periodo piuttosto lungo, almeno per un paio di mesi poi si vedrà, quindi direi che sarà meglio chiarirci subito su quello che dobbiamo reciprocamente aspettarci”
Alison lo guarda con più attenzione, aggrottando le sopraciglia.
“Il titolare mi ha lasciato il programma da seguire, mi sembra di capire che state lavorando sulla copia di oggetti, per oggi cosa avete?”
“Dobbiamo finire un lavoro, quello” e il ragazzo indica una sedia posata su di una piccola pedana.
“D’accordo allora vorrei vedere tutti quanti seduti e impegnati, se non vi dispiace”
Cazzo quanto può essere autoritaria una persona senza neppure alzare il tono di voce, mantenendolo colloquiale come se stesse facendo una discussione tra amici.
Alison riabbassa la testa e riprende a disegnare, si accorge che Lerman è di fianco a Chris solo quando sente la sua voce, bassa ma chiara, decisa.
“Non mi sembra che quello che stai facendo c’entri qualcosa con il compito che devi svolgere”
Alison ridacchia e getta un’occhiata veloce al foglio di Chris, rimanendone come sempre colpita al cuore.
Chris è il miglior artista che lei conosca, solo che come tutti i veri artisti è bizzarro e sconsiderato.
Mai una volta che riesca a svolgere ciò che gli viene chiesto: parte bene ma poi si lascia prendere dalla sua fantasia o follia e comincia a disegnare qualcosa che probabilmente solo per lui ha un senso.
Alison sa che per Chris disegnare è una catarsi, una sorta di immersione in un suo stato inconscio, la creazione di una storia che non ha trama ma solo immagini, così ricche e coinvolgenti da rapirti in quel mondo oscuro, tenebroso, orribile e insieme affascinante che è la sua anima.
“Che cosa stai disegnando?” chiede Lerman.
“La sedia” ridacchia Chris “E qualcosina d’altro, tanto per dare movimento alla scena”
Il professore guarda attentamente il lavoro, lo scruta con scrupolo, poi gira attorno al banco e si pone di fianco ad Alison, ma solo per un attimo.
Quando lei si avvicina alla cattedra per consegnare il lavoro prima d’uscire, Lerman alza lo sguardo e le sorride.
“Ottimo lavoro… non ricordo il tuo nome”
“Alison Green”
“Sei molto brava, la prossima volta se lavori con questo ritmo penso che potrai completarlo”
Alison non sa che dire, le è sempre piaciuto disegnare ma non si è mai considerata particolarmente brava, solo una dilettante che si arrabatta.
Fuori Chris la sta spettando per fare un pezzo di strada assieme.
“Che te ne pare di Lerman?” le chiede.
“Non so, perché?”
“Beh se hai notato non ha sparato neppure un giudizio su quello che stavo facendo e sì che ero nel pieno della mia creatività, sai quella malata, ma proprio malata”
Alison sbuffa.
“La tua creatività è sempre più o meno malata, angosciante e spudoratamente, incredibilmente affascinante, accidenti a te, mi fai sentire una bambina dell’asilo”
“Eh dai, non sei poi così male neanche tu”
“Sì certo come no, comunque secondo me Lerman è rimasto scioccato, per questo non ti ha detto nulla”
“Diventerò un grande, questo è lo scopo della mia vita”
“Almeno tu hai uno scopo”
“Già, perché tu no?”
“E quale sarebbe il mio scusa?”
“Potresti ad esempio starmi vicina nella mia scalata alla gloria e condividere con me una vita scellerata e senza futuro”
“Non vedo l’ora”
Chris si stacca, dandole un piccolo bacio sulle labbra.
“Ci vediamo stasera?”
“Può darsi… devo sentire Matt e Hill, perché non vieni tu a trovarmi?”
“Lo sai che i due cerberi mi odiano”
“Non è vero, sono solo un tantino diffidenti nei tuoi confronti tutto qui”
“Un tantino, giusto per gradire”
Chris si allontana verso casa e Alison pensa che in fondo Matt e Hillary non sarebbero molto felici di trovarsi Chris tra i piedi quella sera, così come tutte le altre.
Pensano che Chris sia una persona disturbata, hanno proprio usato questa parola, uno che ha bisogno d’aiuto.
Lei non può che essere d’accordo: Chris è fragile ed eccessivo, un mix che porta a pericolose esperienze.
Alison sa che Chris non diventerà mai un uomo giudizioso e responsabile, sa che rimarrà sempre quello che è, imprudente fino all’eccesso, senza limiti.
Ma proprio per questo sente che lei gli è necessaria, che è la sua boa di salvataggio e che forse se lei gli rimane vicina lui potrà non annegare, almeno non subito, restare ancora un po’ a galla seppure annaspando.
E’ per questo che lei lo ha scelto, perché per una volta qualcuno ha bisogno di lei per poter continuare a vivere e non viceversa.
Con lui sperimenta ciò che significa camminare sul baratro della morte abbracciata a chi se ne sente attratto, sapendo resistere al richiamo, alla voglia di lasciarsi andare insieme, resistere per entrambi, in verità forse più per lui che per se stessa.



E’ solo quando Alison svolta l’angolo per imboccare Victory Road che vede Mira scendere da un’auto lussuosa.
“Ehi torni adesso da scuola?” le chiede Mira.
“Sì e tu?” Alison deve sempre sforzarsi di mettere insieme almeno un paio di parole con Mira, anche se non ne ha voglia.
“Sono stata a Londra con mio padre, mi ha appena riaccompagnata”
Ad Alison sembra di ricordare qualcosa circa gli incontri mensili di Mira col padre, che tra l’altro la riempie di soldi che lei usa per comprarsi ogni diavolo di stupidaggine che vede nelle vetrine.
Non ha mai saputo di più e non le interessa approfondire la questione.
“Siamo andati al mio ristorante preferito e poi a fare shopping”
Mira pensa a suo padre, lo rivede seduto al ristorante mentre mangia con la sua aria di uomo per bene, forte e stabile, forse anche un po’ rude.
Niente a che vedere con il prototipo dell’avvocato figo e stronzo che di solito propinano al cinema o nei serial televisivi.
Pensa a come doveva essere diciassette anni prima, quando ha conosciuto sua madre.
Pensa a come lei lo ha sempre immaginato prima di conoscerlo, non avvicinandosi minimamente alla realtà: un padre menefreghista, scomparso appena saputo che una delle sue scopate aveva lasciato un segno tangibile nella pancia della ragazza che frequentava.
Era questo il ritratto che la madre le aveva fatto di lui, scoraggiando sul nascere il suo desiderio di sapere qualcosa di più, di vedere una foto, forse di poterlo conoscere.
Perché aveva sempre cercato di tenerla e tenersi lontano da lui? Mira non era mai riuscita a spiegarselo finchè non lo ha conosciuto meglio.
Il padre è un uomo per bene, un uomo cresciuto in una ricca famiglia dai solidi principi morali e con un ruolo preciso nella società londinese, un uomo che per sua madre sarebbe stato una palla al piede, così come lo è per lei.
Gli incontri tra loro sono una gran seccatura per Mira, ripagati solo dal fatto che in cambio lei riceve dal vecchio un mensile consistente.
Gli è capitato di fare di peggio per molto meno.
La cosa più spossante è però quella sua insistenza nel volerla portare a vivere con lui il più presto possibile.
Anche quel giorno il discorso è andato a finire lì.
“Va tutto bene, sicura?”
“Certo, che dovrebbe esserci che non va?”
“Non lo so, dovresti dirmelo tu, già il fatto che passi la tua vita in una comunità non mi sembra la prospettiva migliore, potresti vivere a Londra, avere ciò che desideri, frequentare la migliore delle scuole, aver aperte tutte le porte per un futuro alla tua altezza.”
Mira ha represso un brivido di orrore: pensare alla vita che gli prospetta il padre le fa partire un brivido nello stomaco e una sensazione come quella di soffocare, di essere seppellita viva.
Dio una vita con papà! Una vita pianificata, piena di regole, di richieste, di aspettative, di rispettabilità.
“Papà…”
“E invece devii adattarti a vivere insieme a due persone che non sono nulla per te, avere a che fare con gli altri ragazzi” una mano gli scivola sugli occhi, “Li ho visti la prima volta che sono venuto a conoscere Mr. Parker e sua moglie.”
“Chi?”
“I due responsabili, non si chiamano così?”
“Ah certo: Matt e Hill, ma come diavolo fai ad essere sempre così formale?”
“Beh comunque quei ragazzi hanno tutti un sacco di problemi, basta guardarli in faccia e le loro storie poi…”
“Che ne sai delle loro storie scusa”
“Non sono avvocato per nulla, mi sono informato… Terribili... Loro non hanno avuto scelta, nessuno di loro l’ha avuta, non c’è nessuno che se ne possa prendere cura o ne sia in grado, ma tu... Tu hai me”
Mira ha sfoderato il sorriso numero cinque del suo repertorio e ha appoggiato una mano sul dorso di quella del padre, accarezzandolo con delicatezza.
“Va tutto bene così davvero, dobbiamo avere pazienza e poi io non ti conosco, sei piombato nella mia vita da così poco, ho bisogno di tempo per conoscerti meglio, di padri ne ho avuto abbastanza”
“Quel mascalzone non era tuo padre, pensi che io potrei farti del male? Come te ne ha fatto lui?”
Mira rammenta la faccia del padre: seria e contratta, gli occhi aperti su una visione inaccettabile, è convinto che lei abbia paura di lui come di tutti gli uomini in generale per colpa di quel mostro pervertito di Luke, il convivente della madre.
E’ persuaso che deve lasciarle tempo per fidarsi di lui, per superare il trauma, glielo hanno ripetuto anche gli psicologi: Mira ha subito un abuso da parte di quell’uomo ed è necessario che lo rielabori in un luogo neutro.
“Scusa Mira sono così impaziente di poterti avere con me, dopo diciassette anni aver saputo, oltretutto per delle coincidenze del tutto casuali, di avere una figlia ha completamente cambiato i parametri della mia vita, ma capisco che sia necessario del tempo per poter superare il trauma”
Mira ha annuito, già il trauma!
“Papà finito di pranzare possiamo andare a fare shopping? Ho visto un vestitino che devo assolutamente avere”
Il padre ha sorriso.
“Naturalmente, altrimenti cosa succederà?”
“Morirò ovvio, senza quel vestito sono morta”
Ora Mira, mentre sta per entrare a Parker’s House pensa a come è semplice incastrare gli uomini, così sfacciatamente elementare.
Pensa a suo padre, pensa a quell’imbecille di Luke e a quanto è stato facile portarselo a letto, pensa a Matt che inganna senza ritegno rispetto alla sua condotta, pensa a Thiago, a come è bravo a fare sesso, a quanto si divertono insieme e al suo sguardo d’ apprezzamento quando si presenterà da lui con quel vestito addosso e si sorprende a sorridere di un sorriso beffardo.



Connor appena tornato da scuola è salito subito in camera sua ed ora sta fissando il cellulare.
Ha inviato a Taylor non sa più quanti messaggi e ha ricevuto solo alcune risposte stringate e banali: “Tutto bene”, “Ho cambiato casa”, “ Il lavoro è ok” e via di questo passo.
Mai una volta che gli abbia risposto qualcosa di più e soprattutto mai che abbia chiesto semplicemente: “E tu come stai?”
Già questo è Tay, Connor lo sa, sa che lui è incentrato su se stesso e sulle possibilità che intravede di poter dare una svolta alla sua vita.
Immagina che quando tutto quello che sogni ti sembra a portata di mano, non hai tempo di pensare agli amici che hai lasciato, troppo importante concentrasi sull’obiettivo, nessuna distrazione deve esserti d’intralcio; però sapere che in questo momento lui per Taylor è un intralcio, gli stringe il cuore.
Ma il problema vero è che, anche se sa tutto ciò e si ripete che deve imparare a cavarsela da solo, a lato pratico non ce la fa.
Quando il vuoto diventa una caduta libera, quando la giornata è solo un’agonia che si trascina fino a sera, quando la notte è solo buio che ti agguanta alla gola e ti impedisce persino di voltare la testa alla ricerca di chiaro, allora Taylor manca e di brutto.
Ora Connor ha deciso di chiamarlo, non lo ha mai fatto, ma ora pensa che debba correre il rischio che la voce gli muoia in gola e che la testa gli si svuoti senza più pensieri.
Mentre schiaccia il tasto di chiamata si sente come Jamie che è lì con lui in camera ma è come se non ci fosse, sta guardando fuori dalla finestra e sembra quasi non respirare.
Sente il cuore battere a ritmo dello squillo del telefono e quando la voce di Tay lo raggiunge è come se si stesse aprendo una nuova ferita, come se la lametta entrasse nella carne in profondità e il sangue uscisse caldo e rassicurante.
“Connor, è successo qualcosa?”
“No, avevo solo voglia di sentirti, è da parecchio che volevo chiamarti ma avevo paura di disturbarti”
Taylor ride.
“In effetti è stato un periodo terribile, avrei dovuto chiamarti io ma ci credi che non sono riuscito a trovare il momento giusto?”
Connor pensa che sono passati quasi due mesi da quando lui se ne è andato e che è difficile credere che in tutto questo tempo, un momento per una telefonata non sia riuscito a saltare fuori.
“Ho visto il servizio fotografico su Fashion Times, è splendido” dice cambiando discorso.
“Già trovo anch’io che sia riuscito bene, è stato un vero colpo di culo e tu non sai cosa sono diventate le mie giornate dopo che è stato pubblicato. Stasera sono invitato ad una festa di Louvin, sai lo stilista francese. Ha visto le foto e ha chiesto al mio agente di conoscermi, sta facendo il casting per la sua prossima sfilata e vuole volti nuovi, ha detto che mi trova intrigante, ti rendi conto, Jean Louvin che mi trova intrigante!
Se va bene questo colpo e sfilo per lui sono a cavallo, entro nel giro dell’alta moda e tutto in poco più di due mesi... Ok fermami sto correndo troppo, però non mi aspettavo che succedesse tutto così in fretta, mi sembra un sogno”
Connor lo sta a sentire, stringe le labbra tra i denti e cerca di non pensare al freddo che lo sta congelando.
“Sono contento” riesce a sussurrare.
“Ehi Connor, che ti succede?”
“Niente”
“Non ti devi preoccupare piccolo, sai che per me sei importante, anche se siamo lontani io non mi dimentico di te, quando sarò famoso e avrò un sacco di soldi verrò a Tadcaster a prenderti, ti porterò via di lì, starai con me e non dovrai più preoccuparti di nulla, ma per fare questo ho bisogno di tempo e devo restare concentrato sul lavoro; non posso concedermi di pensare ad altro, lo capisci vero? Tu devi essere forte e stare bene, non posso permettermi di pensare a te in questo momento, ma poi sarà tutto diverso vedrai. Ci siamo capiti Connor? Non farai cazzate me lo prometti?”
“Sì, ma…” sussurra Connor stringendo il telefonino tra le mani, “Mi manchi Tay, mi manchi troppo, io non ce la faccio senza di te”
“Non dire così, io non posso fare niente per te adesso, dammi tempo, devi essere forte e cavartela da solo per un po’, in fondo devi solo aspettare qualche mese per diventare maggiorenne”
”Posso chiamarti qualche volta?”
“Certo, però ho bisogno di stare tranquillo, capisci?”
“Sì capisco”
“Bravo, so che te la caverai e poi c’è sempre Matt e Hillary, mi farò vivo io te lo prometto, ora devo andare scusa, ci sentiamo”
“Tay…”
La chiamata è già finita, dall’altra parte c’è solo il silenzio.
Connor rimane seduto sul letto con il telefono in mano e gli occhi fissi sul muro di fronte.
Non si accorge neppure che Jamie si è alzato e si è venuto a sedere accanto a lui e lo guarda.
Solo quando si sente toccare si riscuote, Jamie ha messo una mano sulla sua spalla così delicatamente che non pesa neppure, Connor cerca i suoi occhi e trova pozzi azzurri che lo osservano e sembrano scrutarlo fin dentro.
Jamie ha sotto le sue dita la spalla ossuta di Connor, ne sente la durezza e le spigolosità, nei suoi occhi ci sono quelli dell’altro, nocciola, asciutti, duri e sperduti; non sa bene cosa fare, c’è solo la percezione di emozioni che galleggiano nell’aria e lui non deve far altro che captarle e farsele passare sulla pelle.
Bussano alla porta, più volte.
Entra Hillary accendendo la luce e Connor chiude istintivamente gli occhi.
“Che cosa succede?”
La sua voce è lievemente preoccupata.
Si siede accanto ai due.
Jamie non si è mosso, la sua mano appoggia sulla spalla di Connor, che ha ancora tra le dita il telefonino.
“Nulla” cerca di fingere Connor ma sa già che la sua è una recita patetica.
“Hai chiamato qualcuno?”
“Taylor”
“”Beh che ti ha detto?”
“Che sta bene e che stasera è invitato ad una festa di uno stilista francese e che tutto sta girando per il verso giusto”
“Bene, è una bella notizia no?”
Connor fa un cenno d’assenso.
“Che c’è?”
“Lui mi sta dimenticando”
“Lui sta cercando di occuparsi della sua vita ed è molto faticoso te lo garantisco, non ha scelto una strada facile e si deve impegnare”
“Anche lui mi ha detto così ma non mi ha mai chiamato da quando se ne è andato a Londra; è così occupato?”
“Sai com’è Taylor, tu e lui siete amici ma Tay si è buttato nel mondo senza aver imparato la cosa più importante”
“Quale?”
“Che il mondo non gira attorno a lui, che gli altri non sono stati creati per le sue necessità”
“Lui non è così”
“Lo è Connor e lo sai anche tu, anzi lo sai meglio di tutti noi”
“Lui è l’unico che si è occupato di me”
Connor sa che le sue parole stanno ferendo Hillary, perché screditano tutto il lavoro suo e di Matt, la loro pazienza, il loro cercare di stargli accanto, di sostenerlo.
“Non è vero, non puoi dire questo, molta gente ha cercato di occuparsi di te ma tu non lo hai mai permesso, lo hai fatto solo con Tay”
“Lui mi ha dato quello di cui ho bisogno, voi non capite nulla”
“Cosa ti ha dato, Connor?”
“Mi è stato vicino, per lui conto qualcosa”
Hillary sospira, prende la mano di Jamie e delicatamente la toglie dalla spalla di Connor e se la stringe tra le sue.
“Cosa sei per lui, te lo sei mai chiesto?”
“Non puoi capire, sei solo gelosa di lui, lo siete tutti perché lui è stato l’unico che è riuscito a fare qualcosa per me e sta facendo qualcosa per se stesso senza bisogno del vostro maledetto aiuto”
Hillary lo guarda negli occhi.
“Jamie ti va di scendere?”
Stringe la mano a Jamie che la segue tranquillo.
Connor chiude i pugni.
Non vuole la pietà di Hill e di nessuno, neppure di quell’idiota di Jamie, non gli permetterà più di toccarlo, lui non è Taylor e non potrà mai sostituirsi a lui.
Tay verrà a prenderlo un giorno non molto lontano, lo porterà via da lì e lui non si sentirà più così solo, ma finalmente vivo.



Kyle apre il cancelletto e sta per salire il primo gradino quando una voce lo blocca, non ha bisogno di voltarsi per sapere a chi appartiene, è una voce inconfondibile che spesso sogna gli si rivolga con un tono sensuale proponendogli cose peccaminose ed eccitanti, è la voce di Dean, l’amico di Yuki.
Ridacchia tra se per i suoi pensieri, prima di voltarsi.
“Che fai qui? «
“Puoi dire a Yuki di darsi una mossa per favore”
Dean sta saltellando da un piede all’altro e tiene le braccia strette intorno al petto per il freddo.
“Ti conviene entrare, sai che Yuki ci mette un’eternità a fare qualsiasi cosa, vieni dai!”
Ecco ora dentro si sente un po’ più al sicuro anche se con Dean gli piacerebbe essere in qualsiasi situazione meno che al sicuro.
Ma quel ragazzo gli provoca sensazioni strane e contrastanti che non ha mai provato con nessuno. Eccitazione e voglia di farsi sbattere fino allo sfinimento, ma nello stesso tempo una timidezza per lui inusuale e incomprensibile, una sorta di disagio che nasce dalla difficoltà di capire cosa prova il ragazzo nei suoi confronti.
Sa che Dean è etero, glielo ha detto Yuki, ma sa anche che la dichiarazione di eterosessualità non significa nulla, potrebbe essere una copertura oppure Dean non si è mai reso conto che oltre le donne gli piacciono i ragazzi, forse perché non ha mai incontrato nessuno che glielo abbia fatto diventare duro.
“Dai dammi il giaccone”
Dean ubbidisce e ha sulle labbra un sorriso indecifrabile.
“Hillary, c’è Dean” annuncia prima ancora di entrare in cucina.
“Ciao, stai cercando Yuki?”
“Sì dobbiamo andare alle prove e siamo già in ritardo, stasera c’è il concerto”
“Lo sappiamo, non potremmo non saperlo neanche volendo. Mentre lo aspetti ti va una tazza di the?”
I due ragazzi si guardano e ridacchiano.
“Lascia fare a me Hill, preparo cioccolata con panna fresca e muffin ai mirtilli, può andare bene per tutti?”
“Chiamami quando è pronto, io salgo un attimo in camera”
Bene, ora lui e Dean sono soli nella grande cucina.
Si mette ai fornelli mentre Dean si siede proprio dietro di lui allungando un po’ le gambe.
“Certo che sei una perfetta donna di casa” sogghigna.
“E me ne vanto, mi piace un sacco preparare cose buone per le persone che amo”
“Oh oh stiamo prendendo una brutta china”
Kyle si volta leccando sfacciatamente il cucchiaio intinto nel cacao.
“Che vuoi dire?”
“Non sapevo di essere incluso nella lista delle persone che ami”
“Sei uno scemo, te l’ho detto in mille modi, mi sa che sei un po’ tardo come il tuo amico”
“Quale amico?”
“Yuki no? Chi altro”
“E a lui la cioccolata con la panna non gliela prepari mai?”
“Qualche volta, anche se non è propriamente nella lista delle persone che amo, piuttosto in quella che sopporto, ma gli devo un favore e quindi…”
“Quale favore?”
Volta il viso e sorride in modo che cerca di rendere il più sexy possibile.
“Ci ha fatto conoscere”
“Già, e con Jared come va?”
“E a te cosa frega scusa?”
Ecco ha dato al ragazzo seduto accanto a lui l’opportunità di dire qualcosa in più, di sbilanciarsi.
“Dicevo così tanto per parlare, in realtà non mi frega nulla di quello che fai, di quali cazzi succhi”
Kyle rimane interdetto, come deve interpretare quelle parole? Sentirsi offeso o divertito?
In fondo Dean gli ha sbattuto in faccia la sua omosessualità in modo diretto e volgare, ma almeno è la prima volta che scivola su questo discorso.
“La cioccolata è pronta” dice e versa il contenuto bollente nelle tazze.
Poi si siede e fa finta di essere occupato a girare con il cucchiaio la bevanda.
Appare assorto con gli occhi abbassati, ficcati dentro il recipiente.
“Ehi ti sei offeso? Guarda che non volevo, forse mi sono espresso in modo un po’ stronzo, ma in fondo è quello che fai no?”
Kyle alza finalmente gli occhi su di lui.
“Ti piacerebbe provare?” sussurra ma la voce è ferma, anche se il tono è un soffio.
Ora è Dean a trovarsi in imbarazzo, ridacchia e finge di non aver sentito.
“Allora?”
“Allora che? Lo sai che a me piacciono le ragazze”
“Beh se ti faccessi fare un pompino da me penso che le tue sicurezze vacillerebbero”
Dean ride di gusto.
“Dio sei fenomenale, beh quando vorrò sperimentare qualcosa di nuovo ti faccio un fischio, per ora mi va bene così, non mi manca chi mi fa un pompino, di ragazze pronte ne ho finchè voglio”
Certo pensa Kyle, chi potrebbe resistere a quel viso delicato e dolce, a quei capelli lunghi, lisci e fini come quelli di una ragazza, a quel corpo al contrario estremamente maschile, con la muscolatura ben in evidenza quando suona la batteria o quando skeitta, facendo acrobazie, con quei pantaloni calati a scoprire slip sempre arrapanti e quei capelli svolazzanti nel vento delle evoluzioni.
Scende Hillary che sembra non accorgersi delle occhiate esplicite che Kyle lancia a Dean, del suo sorseggiare il liquido bollente con circospezione leccandosi con voluttà le labbra.
Yuki entra in cucina seguito da Jamie.
“Ah eccoti qui”
“Se ti aspettavo fuori sarei già congelato, meno male che Kyle mi ha fatto entrare”
“Te lo detto anch’io di entrare, sei stato tu a dirmi che mi aspettavi fuori”
“Sì ma tu mi hai detto che ci mettevi un attimo”
“Mi sono solo dato una sistemata”
“Sì, sì” borbotta Dean lanciandogli un’occhiata ironica.
“Ce ne è anche per me di cioccolata?”
“E’ nel pentolino” risponde Kyle.
Yuki se ne versa un goccio in una tazza.
“E per Jamie?”
“Che ne sai che la vuole?” borbotta Kyle, “Gli leggi nel pensiero?”
“Basta semplicemente chiederglielo”
Yuki è l’unico che sembra non si sia accorto che Jamie non parla, lo tratta come qualsiasi altro, gli pone domande e aspetta, poi a volte annuisce come se avesse ricevuto una risposta.
Questi sono i misteri che circondano Yuki.
Kyle si avvicina al ragazzino che si è fermato sulla soglia della cucina. Lo prende per mano.
“Povero piccolo non devi stare troppo appresso a questo idiota, potrebbe essere contagioso, tu anche se non parli hai tutte le rotelle al posto giusto invece lui è perso per sempre”
Jamie non coglie tutte le parole ma comprende la situazione.
Si siede e aspetta, si sente al sicuro e tranquillo, le parole degli altri si librano come uccellini nel vento, gli passano accanto, gli svolazzano attorno, il frullo delle ali è un brusio incomprensibile ma è bello stare a guardarle ed è rilassante il fruscio che fanno nell’aria.
“Dai diamoci una mossa altrimenti oggi non combiniamo niente” si riprende Yuki.
Dean si alza, dà una pacca gentile sulla spalla a Kyle.
“Ci vediamo stasera al concerto?”
“Certo”
I due escono, Kyle li sta a guardare uno accanto all’altro mentre ridono e borbottano tra di loro.
Forse Dean sta raccontando a Yuki la sua offerta, forse si è spinto troppo avanti, forse lo ha spaventato ma Dean rimane sempre un mistero per lui, non sa se raccogliere le sfide che sembra lanciargli o lasciarle cadere.
Cazzo forse ha fatto una figura di merda e le risate tra quei due sono rivolte proprio a lui.
Si allontana dalla finestra, si siede e riprende a bere gli ultimi sorsi di una cioccolata ormai fredda.
Si guarda attorno, aspira con il naso i profumi di Parker’s House e in qualche modo la stretta al torace si allenta, lava la tazza e intanto pensa a Dean e immagina che se si impegna, forse un giorno sarà suo.



Stanno cenando.
Insieme come succede più o meno tutte le sere.
Yuki è in ritardo, come succede più o meno quasi tutte le sere.
Ma così in ritardo non lo è stato mai.
Connor guarda di sottecchi Matt e poi Hillary.
Non gli danno l’impressione di essere tesi ne preoccupati e questo è già di per sé strano.
E anche tutti gli altri sono concentrati sul loro piatto e si respira un’ atmosfera rilassata.
Possibile che solo lui noti l’assenza di Yuki?
“Come mai non è ancora arrivato, l’idiota?” decide di bofonchiare con un cenno alla sedia vuota di fronte a lui.
Matt lo guarda con un’aria sbalordita, poi scuote la testa e ridacchia.
Hillary invece lo fissa assorta, quasi come se stesse decidendo se prenderlo sul serio o meno.
“Stasera c’è il concerto, non ti ricordi?” sbuffa Kyle.
Il concerto?
Connor cerca di fare mente locale, in realtà per lui sta diventando di giorno in giorno sempre più difficile far finta di partecipare a ciò che succede in casa.
“Yuki questa sera ha il concerto con il gruppo, è rimasto fuori per provare e preparare il palco e gli strumenti. Più tardi andiamo a sentirlo”
La voce di Hillary gli arriva pacata come sempre, anche se con un’intonazione un po’ ironica che proprio non gli piace.
“Certo, a me comunque non frega un cazzo del suo concerto, non intendo andarci” risponde imbronciato per darsi un tono, ma soprattutto per mettere in chiaro che non si farà trascinare fuori al freddo per imboscarsi in un locale schifoso pieno di gente assurda, tutto per sentire la musica merdosa dell’idiota e dei suoi amici.
“Non sei obbligato naturalmente” Matt interviene con voce calma, ma che non concede spazi per i dubbi e le rimostranze.
“Bene”
“Quanto sei stronzo Connor, sai che Yuki ci tiene, ci sta rompendo da due mesi con ‘sta storia del concerto, ci andiamo tutti” sbuffa Kyle.
“Divertitevi, sempre che sia possibile” risponde gelido Connor e poi torna a osservare con aria indagatrice i pezzi di patata che ha tagliato minuziosamente e che stanno da troppo tempo nel suo piatto.
“Io e Matt ci andiamo ma ci stiamo poco, da quello che ho capito non è un posto per due persone di una certa età come noi” interviene Hillary un po’ ironica.
“Io vado al cinema con Amber” Mira alza il viso solo un attimo, come se fosse scontato che lei in quel locale non ci metterebbe mai piede.
“Tu Connor quindi resti in casa?”
“Sì io e Jamie”
“Jamie viene con noi”
“Glielo avete chiesto? Sa dove lo volete portare? Non vi sembra che ne abbia avuti abbastanza di shock senza dovergliene per forza procurare un altro?”
Hillary sorride.
“Quando vuoi sai anche essere spiritoso Connor”
“Non voleva essere una battuta di spirito. Penso davvero che per Jamie non sia il posto adatto, se fossi Jamie non mi piacerebbe” continua Connor.
“Tu non sei Jamie, nessuno può essere lui”
La voce di Alison è leggera eppure vi è un’eco di rabbia dentro.
Quando arrivano, il locale è già abbastanza pieno.
Matt si immola per fare la fila al banco e prendere due birre e una bibita.
Jamie sta accanto ad Hillary, molto vicino in modo da poterla toccare, ha lo sguardo spalancato sulla vita che lo sta premendo da tutte le parti.
Si sta facendo un’overdose d’emozioni.
Matt lo tiene d’occhio, non vuole sorprese, è pronto a prenderlo in consegna e a condurlo al sicuro con lui in un posto tranquillo, fuori sulla strada dove c’è silenzio e quiete.
Lui e Hillary sanno di stare giocando in modo rischioso la carta dell’iperstimolazione, è sembrata però una possibilità quella di condurre Jamie con loro, sembra che Yuki non gli sia indifferente, sperano che poterlo vedere sul palco possa aiutarlo a dare un senso al posto dove lo hanno portato, sperano che condurlo in mezzo alla vita pulsante e adrenalinica anche solo per poco possa dargli una scossa, un elettroshock emotivo che forse potrebbe sortire l’effetto di un sobbalzo nella sua coscienza, di un piccolo risveglio.
E poi le luci si spengono, la gente lascia il bancone, si affolla, grida incitamenti, fischia.
Il palco si accende di luci colorate.
Gli strumenti sono pronti, entra il gruppo: Voce, Basso, Dean che si posiziona dietro la batteria, Yuki che si sistema Black Pearl al collo.
La musica inizia con la chitarra che parte con un refrain iniziale sostenuta dalla batteria, a cui si aggiunge il basso e infine, quando la musica sta diventando martellante e quasi ipnotica, la voce roca e aspra come carta vetrata di Kenny.
Yuki suona intensamente con il corpo intero, lo sguardo perso in un’altra dimensione.
Negli assolo mette un piede sull’altoparlante e si china in avanti sulle corde. Black Pearl nelle sue mani luccica del suo sudore e sembra ansimare di piacere.
Vedere Yuki mentre suona è veramente uno spettacolo, completamente assorbito dalla magia di riuscire a mettere insieme tre strumenti e una voce e di farne uscire musica.
Di solito, per lo meno in questi mesi di prove, ne è sempre venuto fuori un casino assurdo, proteste, battute, battibecchi, incazzature, mentre qui su questo palco un po’ scalcinato di questo pub di paese, si sta creando qualcosa che è bello, ma soprattutto che prende.
Gli sembra di vivere nella fiaba del flauto magico, lui è il suonatore e tutta le gente che intravede tra i capelli sudati che gli entrano negli occhi, è la torma di topi che lo seguono in trance, anche fino alla morte.
Non si accorge quasi che il repertorio è finito e che le luci stanno calando.
Dean gli si avvicina facendogli cenno di uscire e in quel momento intravede una massa di capelli biondi, proprio sotto al palco.
Guarda meglio, è una ragazza che lo sta osservando e gli sorride apertamente.
“Ehi ti sei accorto della biondina finalmente, per tutto il concerto non ti ha staccato gli occhi di dosso, stasera mi sa che il divertimento per te non è ancora finito” gli sussurra all’orecchio Dean, mentre stanno scendendo.
Lui la cerca con gli occhi ma lei è proprio lì accanto, lo sfiora sul petto con evidente ammirazione.
“Bravo mi sei piaciuto, io sono Nina”
“Yuki”
“Mi piace un sacco come suoni, non hai molta esperienza però il talento ce l’hai”
“Che ne sai?”
“Non sono la solita ragazzina deficiente che si impressiona per il chitarrista figo, me ne intendo di musica”
“Anch’io! So di essere un principiante, non ho una grande esperienza, ma so anche che possiedo una grande riserva di desiderio e la userò tutta quando arriverà il momento, prima o poi brillerò più luminoso che mai!”
La ragazza lo sta a sentire con un broncio grazioso sulle labbra e gli occhi enormi azzurri.
“Parole importanti per un chitarrista inesperto, dobbiamo rivederci, ti lascio il mio numero di telefono chiamami”
Yuki la osserva, Nina è diversa da ogni ragazza che ha conosciuto, lo sa perché è la prima a non aver ridacchiato alle sue sparate.
Certo che la storia del “brillerò più luminoso che mai” non sa come ha fatto ad uscirgli, adesso che se la ripete nella testa mentre beve al tavolo con gli amici, sembra a lui stesso una grande stronzata, ma Nina non si è mostrata sorpresa, anzi gli ha lasciato un bacio leggero sulle labbra prima di salutarlo.
Forse ha trovato la persona giusta per lui, quella che potrà accompagnarlo lungo la strada che si è scelto, forse si sono trovati entrambi, come suo padre e sua madre prima di lui.

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Capitolo 3
*** C'era una volta l'amore... ***





Capitolo 3: C’era una volta l’amore...



C’era una volta l’amore che si travestì e prese forme diverse e ognuna di queste forme andò a tentare le piccole vite che abitavano la casa…



Mira sta uscendo da scuola, ascolta con distrazione le chiacchere di Amber, in realtà sta ancora pensando a quel tipo nuovo che è arrivato nella sua classe.
Non credeva esistessero ancora dei personaggi del genere e invece eccone uno in carne ed ossa.
Il tipo, Nathan, è entrato quella mattina con l’aria di arrivare da qualche comunità isolata dal resto del mondo.
Niente male in realtà: alto e dinoccolato, con occhi chiari e limpidi, indifesi ma onesti e sinceri, occhi che l’hanno colpita più di quanto vorrebbe ammettere, in un certo senso non ha mai incontrato prima d’ora un ragazzo che la guardasse con quello sguardo: semplice e senza nessuna malizia.
Che sia uno sfigato è indubbio, ma non il classico sfigato.
Uno sfigato particolare, di quelli che non sanno neppure di esserlo o che magari non gliene importa nulla, uno che segue la sua strada senza esitazione, a cui non interessa sapere di essere al di fuori del minimo sindacale per far parte del gruppo.
Nathan viene dalla Scozia e già questo può spiegare molte cose, a quanto pare da un piccolo paese.
Mira non ci ha capito molto, solo che la sua famiglia appartiene ad una congregazione religiosa molto praticante ed integralista.
E’ arrivato a Tadcaster per poter frequentare la scuola, ospite di uno zio.
Dove abitava, Mira pensa a qualche luogo selvaggio e inospitale quasi barbarico, la scuola era veramente troppo lontana ed era diventato difficile per lui frequentare regolarmente.
Mira sorride tra sé, la coordinatrice di classe le ha chiesto di aiutarlo a mettersi alla pari con il programma e lei ha acconsentito, in fondo passare alcuni pomeriggi con il tipo buffo la diverte, potrebbe essere una variante stuzzicante rispetto ai soliti pomeriggi a scopare con Thiago.
Certo Thiago è veramente un figo da paura e sa fare sesso in modo oltremodo soddisfacente, però è da qualche tempo che stare con lui, non le crea più quell’eccitazione che per lei è necessaria come l’aria.
E’ da un po’ che non si lancia in una sfida e Nathan è la più assurda e impossibile che le sia capitata e per questo la più eccitante.
Sedurre un ragazzotto provinciale e con un background di fede e moralità la stuzzica non poco.
Ha dovuto trattenersi dal ridergli in faccia quando lui non ha accettato la sigaretta che lei gli ha offerto dopo pranzo e le ha spiegato che l’alcool e il fumo sono considerati dei vizi da cui astenersi.
Quando lei gli ha chiesto: ”E il sesso?” con aria fintamente stupita ed ingenua, lui è diventato rosso e ha abbassato gli occhi, ma poi quando li ha rialzati erano fermi come la sua voce: “Il sesso è consentito all’interno del matrimonio”
Lei non ha potuto non ribattere: “Vuoi dirmi che tu non hai mai fatto sesso oppure che sei già sposato?”
Lui ha riso ma non ha risposto.
“Allora?”
“Sono fidanzato”
Ha usato proprio questo termine: ”fidanzato”!
“Beh e con questa fidanzata ci avrai fatto qualcosa”
Lui si è morsicato un attimo il labbro con i denti e si è trastullato il bracciale al polso.
“Sì però non avremmo dovuto, anche se padre McGregor ci ha dato l’assoluzione e ci ha detto che baciarsi può essere consentito. Il problema però è che poi è difficile fermarsi e che un solo bacio innocente può portare con sé una serie di desideri difficili da reprimere. Per questo la castità è la soluzione migliore”
“Stai dicendomi che con la tua ragazza ti sei solo baciato?”
“Sì, però un bacio vero”
“Ahh, un bacio vero non è poco in effetti”
Ridacchia senza volerlo mentre segue i ricordi della mattinata.
La voce di Amber la riporta al presente.
“Che hai da ridere?”
“Niente, stavo pensando al tipo nuovo di stamattina”
“Ah quello! Dio mio che sfigato assurdo”
“Già completamente, ci sarà da divertirsi”
“Dici? A me sembra un tipo così tonto che non è neanche divertente prenderlo in giro, non capisce proprio”
“Beh c’è modo e modo di prenderlo in giro, sai che è ancora vergine?”
“Ma piantala, tu come fai a saperlo scusa?”
“Me lo ha detto lui”
“E tu in un giorno sai già queste cose, come hai fatto?”
“Non c’è voluto niente, lui ne parla tranquillamente o quasi, insomma ho forzato un po’ la mano. Ti rendi conto che questo è una specie ormai estinta, un reperto archeologico, uno che si fa i sensi di colpa perché ha baciato la fidanzata… Incredibile”
“Beh guarda che di gente strana ce n‘è una marea, comunque cerca di stare attenta, questi spostati fanatici mi fanno un po’ paura”
“Che vuoi che mi faccia, mi porta in Scozia e lì mi lapidano? Non è mica l’Iran”
“Comunque vacci piano con lui, magari chissà cosa si mette in testa”
“Amber quanta saggezza, cosa ti è successo? Vuoi scopartelo per prima?”
“Non ci penso neanche, non voglio mica sputtanarmi”
“Cioè?”
“Beh se ti vedono con quello chissà che dicono gli altri”
“Possono dire quello che vogliono, tu Amber non hai ancora capito una cosa fondamentale”
“Sarebbe?”
“Che siamo noi quelle che decidono cosa devono dire gli altri, siamo noi che stabiliscono chi è dentro e chi è fuori, chi è a posto e chi è sfigato, ti è chiaro?”



Dean e Yuki sono stravaccati nella camera di quest’ultimo.
I libri davanti sono aperti alla stessa pagina da circa un’ora.
“E allora che hai fatto poi…”
“Siamo usciti a berci qualcosa al pub e poi lei mi ha portato a casa sua”
“Casa sua? Abita nei paraggi?”
“Sì, vicino alla ferrovia”
“E….”
“E cosa?”
“Dai non fare il deficiente, l’hai scopata?”
Yuki fa una smorfia di fastidio.
“Non dire così, con lei è diverso”
“Che? Non dirmi che ti stai innamorando?”
“Beh e anche se fosse, non è mica un reato no?”
“Ci sei uscito solo due volte”
“Che c’entra, non c’è un tempo stabilito mi pare”
“Ok sei innamorato”
“Penso di sì, dal primo momento che l’ho vista”
“Dio che frase patetica, Yuki per favore abbi un po’ di rispetto per il mio stomaco, mi stai dando la nausea”
“Non fare troppo il duro, quando capiterà anche a te allora sarò io a ridere”
“Comunque te la sei scopata o no?”
“Eh basta dai, sì abbiamo fatto sesso però è stato diverso da ogni altra volta, è stato fantastico, emozionante”
“Oh Dio, mi sa che sei partito”
“Lo penso anch’io, lei è proprio speciale, ti dice cose così profonde e significative da farti rabbrividire, lei è unica, mi fa stare così bene, mi fa sentire così potenzialmente forte e ricco di capacità e di talento. Ecco lei è proprio così: non solo è una persona piena di fascino e di energia, ma la sua più grande dote è che queste sue qualità le trasmette anche a te; stando con lei dopo un po’ cominci a sentirti migliore”
Yuki rimane un attimo in silenzio con gli occhi chiusi, come se stesse cercando la frase perfetta che possa dare l’esatta percezione di ciò che è Nina.
“Lei è capace di farti diventare quello che tu non credevi potessi mai essere, riesce a potenziare al massimo le tue qualità, ti dà fiducia ma non è solo questo, crede fermamente in te, è per questo che è tanto speciale, nessuno ha mai creduto in me con così tanta forza”
“Io Nina non la conosco più di tanto, l’ho vista solo quella volta al concerto, non so che dirti, magari è davvero quella specie di genio di cui parli… Mi hai fatto venire voglia di conoscerla, possiamo organizzare una serata”
“Meglio ancora, domani viene con noi alle prove”
Dean cambia subito espressione, si irrigidisce anche se in modo impercettibile.
“Alle prove? E che ci viene a fare?”
“Vuole ascoltarci, te l’ho detto che lei ha delle intuizioni eccezionali, sono sicuro che ci potrà dare delle dritte favolose”
“Gli altri sono d’accordo?”
“D’accordo? Non lo so, non penso che sia necessario essere d’accordo, Nina viene ad ascoltarci e se ha qualche suggerimento ce lo può dare, tutto qui”
“Non è mai venuto nessuno alle nostre prove”
“Che c’entra, te l’ho detto lei è speciale, quando la conoscerai capirai”
La porta si apre bruscamente interrompendo il discorso.
Kyle si ferma un attimo sorpreso.
“Scusate non sapevo che stavate qui, devo solo prendere una cosa dall’armadio”
“Scusa tu, sono io che ti ho invaso la stanza” dice Dean.
“No nessun problema, tanto sto per uscire”
Kyle fruga in un cassetto e ne tira fuori una sciarpa leggera che si sistema al collo.
“Carino” sorride Dean “hai un appuntamento galante?”
“Non farci caso” sbuffa Yuki, “oggi è in fissa con l’amore”
Kyle spera che il rossore che si è sentito sul viso sia solo frutto della sua immaginazione.
“Sì, in realtà ci hai preso”
“E chi è il fortunato?”
Il fortunato? Ha detto proprio così, ha usato questa espressione, solo per gioco, per sfotterlo, amichevolmente?
“E’ Jared”
“Oh sempre lui”
“Diciamo di sì, perché ci vorresti provare anche tu?” azzarda insolente.
“Se tu fossi una ragazza ci avrei già provato da un sacco di tempo”
Kyle si volta: “Bene vi saluto” ed esce senza girarsi.
Il solito gioco idiota: illuderlo per poi distruggere ogni speranza, ne ha piene le scatole del comportamento di quell’imbecille.
E poi in fondo lui ha Jared, che gliene importa di uno stronzetto come Dean che di sicuro non sa neanche da che parte si comincia a fare sesso sul serio.
E’ pomeriggio, sono quasi le quattro e il cielo sta cominciando a diventare scuro, solo un ultima fiammata di un sole già in procinto di sparire dietro le colline grigie.
Kyle si stringe con più forza la sciarpa e chiude a pugno le mani dentro le tasche.
Davanti alla biblioteca cerca con gli occhi l’auto di Jay.
E’ da una decina di giorni che non si vedono.
Quante volte avrebbe voluto chiamarlo e chiedergli d’incontrarsi, quante volte in camera si è sentito inondare di rabbia e di gelosia pensandolo insieme a qualcun altro, a qualsiasi altro, in giro a divertirsi.
Ma poi superata la rabbia, superata la gelosia, la cosa peggiore che gli è rimasta in fondo allo stomaco è stato rammarico e voglia lancinante di essere preso tra le braccia da qualcuno di cui potersi fidare.
Ricorda un discorso iniziato per caso qualche pomeriggio prima tra lui e Alison.
Lui le si era seduto a fianco guardandola disegnare.
E lei così di punto in bianco aveva posato il carboncino, rimanendo a fissarlo per un attimo e poi gli aveva chiesto di cosa avesse bisogno e la sua voce era stranamente morbida.
Per questo si era messo a parlarle o forse perché di parlare con qualcuno ormai aveva un bisogno impellente, ma nessuno poteva ascoltare quello che aveva da dire.
Forse solo Alison, forse solo lei!
Le parole gli erano uscite spontaneamente senza doverci pensare su, senza per forza misurarle.
Le aveva parlato di Jared e del loro rapporto: un prendersi quando il bisogno di sesso diventava più forte e un lasciarsi quando la voglia si era placata, un lasciarsi senza spiegazioni, senza bisogno di giustificazioni, senza troppe parole.
“Jared, ha sempre contato sul fatto che io non pretendo nulla di più di quanto lui è disposto a darmi, per lui va bene così ed è convinto che vada bene per entrambi. Io ci ho creduto, almeno per un po’. Avere Jay, potersi fare scopare da uno come lui mi sembrava più che sufficiente all’inizio. Ma poi non sono stato più così sicuro. Tutto quello che lui poteva offrirmi non mi bastava più. E’ per questo che ad un certo punto ho interrotto i rapporti con lui e non l’ ho più cercato, proprio per tentare di capire, per metterlo alla prova e sai com’è andata?”
Alison ha fatto un cenno di diniego.
“Jay non ha fatto nulla, non mi ha mai cercato. Così mi sono reso conto che non voleva scocciature, che a lui andava bene in quel modo: vedersi ogni tanto, divertirsi, tutto senza un minimo di fatica, di impegno. E quando tutto questo mi è stato chiaro non ce l’ho fatta e l’ho chiamato io, ho avuto paura di perderlo per questa mia assurda pretesa di avere di più.”
Alison era stata ad ascoltarlo e poi gli aveva chiesto: “Ma tu che cosa vorresti davvero?”
E lui se n’è stato per un tempo che gli è sembrato infinito a chiederselo, mordicchiandosi le labbra con i denti.
“Non lo so bene, ma l’amore me lo ero immaginato diversamente”
“Come?”
Già, come ti immagini l’amore?
“Semplicemente sapere di avere al proprio fianco qualcuno non solo con il quale fare sesso, ma sul quale poter contare in ogni momento senza ombra di dubbio, qualcuno da non cui non dover temere nulla di male. Qualcuno da cui non doversi aspettare falsità, cattiverie gratuite, tradimenti.”
Pausa.
“L’amore è specchiarsi negli occhi dell’altro e sentirsi speciali” aveva detto e questa gli era sembrata la cosa più giusta.
Alison lo aveva guardato.
“Già, in fondo è questo che cerchiamo tutti. Poter affidare noi stessi ad un altro senza nessun timore, sapendo che per lui siamo preziosi”
E lui aveva annuito.
Vede l’auto avvicinarsi, dentro intravede la sagoma di Jay che sta fumando una sigaretta.
Ha bisogno di qualcuno di cui fidarsi ma l’impasse è evidente, perché Kyle sa con perfetta certezza che quel qualcuno non è certo Jared, ma la cosa più triste è che non sa se mai esiterà qualcuno capace di vedere in lui, qualcosa di più di quello che lui stesso pensa di essere.



E’ sera e si è fatto ormai tardi, Alison si guarda attorno distratta, la musica assordante non la scalfisce neanche un po’, le dita strette attorno al bicchiere di birra gelata si stanno intirizzendo.
Si scosta ruvidamente una ciocca che le è caduta sull’occhio e guarda Chris che lì, seduto davanti a lei, le sorride con il suo solito sorriso idiota di quando ha bevuto troppo.
“Che ne dici di darci un taglio per stasera?” gli accenna.
“E dai Alison non rompere, non abbiamo neanche cominciato a divertirci”
“Senti non ho voglia di raccattarti da sotto al tavolo per l’ennesima volta” sospira lei sbuffando.
Lui ride e lei lo trova carino e fragile e duro e stupido e profondo.
Chris è così o perlomeno a lei ha sempre fatto questo effetto fin dal primo momento in cui lo ha visto al corso di disegno.
E’ un insieme di opposti, un’ accozzaglia di modi di essere e di vivere che tra loro fanno a cazzotti.
Forse è questo in Chris che l’ha attratta in modo così irrimediabile, questo suo essere tante cose insieme, tutte buttate lì alla rinfusa, senza nessun ordine ne logica, assolutamente incoerente e contraddittorio.
Ma non solo!
E’ facile pensare che lui sia un montato, a volte sono veramente troppo esagerati i suoi atteggiamenti, le sue sfide per non pensare che siano studiate per ottenere un effetto particolare: sedurre, provocare, scandalizzare, intenerire e chissà cos’altro.
E invece Alison sa con assoluta certezza che lui è sempre se stesso, senza nessuno scopo in mente, senza nessun risultato da raggiungere od obiettivo.
“Bello e dannato” questo è un po’ lo stereotipo sul quale sembra giocare, ma pensare che Chris stia recitando quella parte è riduttivo e completamente falso.
Chris a volte è bello di una bellezza inconsueta.
Chris a volte è dannato e quando lo è, lo è sul serio, al mille per mille.
Chris a volte non è ne bello ne dannato ma è stupido, buffo, tenero, bizzarro e allegro o triste da morire o chiuso in un suo mondo fatto di non si sa cosa.
Ma in ogni momento della sua vita disastrata, Chris è vero.
Questa è la cosa più importante per Alison, forse perché a lei non è riuscito questo gioco di trasformista che all’amico riesce invece benissimo.
Forse perché per lei è stato necessario far morire la vecchia Alison per riuscire a diventare quella che è ora, incapace di far convivere una e l’altra nella stessa quotidianità.
E poi c’è qualcos’altro che si nasconde in Chris: il suo vivere senza mai sentirsi in colpa verso nessuno o senza mai far sentire in colpa qualcun altro.
Vive la sua vita sventata come se non ci fosse nessun’altra scelta per lui, senza accusare nessuno, neppure se stesso.
Forse è tutto questo che ha fatto sì che con lui non fosse così sulle sue come con tutti gli altri, che avesse subito risposto al suo sorriso quando si erano sbirciati contemporaneamente tra i banchi.
Chris è il suo migliore amico e anche qualcosa di più.
Non sa se lo ama oppure è solo profondo affetto quello che prova per lui, non sa cosa lui senta per lei di preciso, discorsi tra loro inutili e vuoti che non hanno mai sentito il bisogno di fare.
Il loro rapporto è nato quel primo giorno di scuola ed è stata la prima volta dopo anni che si è fidata di una persona a prima vista.
Ha subito intuito che con lui avrebbe potuto lasciarsi andare, smetterla di stare sulla difensiva, perché lui avrebbe accettato tutte le Alison che la vita gli aveva imposto di diventare.
Alison guarda l’orologio, è già tardi, tra poco scatta il coprifuoco imposto da Matt e Hillary.
Cerca con gli occhi Chris ma non lo trova, si alza in piedi per avere una visuale migliore ma niente.
Si infila il giubbotto e si prepara ad uscire.
“Hai visto Chris?” chiede alla ragazza al bancone.
“Mi sembra che sia in bagno”
Alison sospira, sa che cosa l’aspetta.
Lui è seduto sul pavimento accanto al lavandino, spalle al muro, gambe allungate, testa ciondoloni.
“Dai Chris andiamo a casa”
Alison gli mette un braccio sotto le ascelle e cerca di farlo mettere in piedi.
Appena fuori si accorge che si è messo a piovere, non è la solita acquerugiola fine fine ma una pioggia ben sostenuta che in capo a due minuti ti infradicia.
Si sistema il cappuccio impermeabile sulla testa e poi sempre sostenendo Chris si avvia verso casa.
Chris abita poco prima di Parker’s House, lo lascerà lì, forse dovrà frugargli le tasche per cercare la chiave, perché come spesso succede casa sua sarà vuota e buia.
“Dai accidenti, cerca di stare in piedi, non ce la faccio a portarti di peso”
Chris risponde con mugugni e borbottii.
Ha solo un maglioncino leggero addosso, Alison non è riuscita a recuperargli il giaccone.
Dopo due metri di strada sono già bagnati.
Lei cerca di sostenerlo ma i piedi di lui si inciampano tra di loro e lui si sta appoggiando addosso a lei con tutto il suo peso.
“Voglio sedermi, basta camminare” grida e cerca di sedersi per terra.
“Piantala Chris dobbiamo andare a casa, se stai qui ti congelerai, cazzo alzati e cerca di muoverti”
Riesce a sollevarlo con fatica, ha il fiatone, i capelli bagnati negli occhi, il trucco disfatto, l’acqua che gli scorre fin dentro alle mutande.
Chris si alza e riprendono faticosamente la strada.
“Che cazzo hai preso, deficiente”
Lui sogghigna, fa strani versi, si mette ad ululare ad una ipotetica luna.
“Basta sono stanco, lasciami andare” e Chris si mette seduto con le gambe incrociate e ride.
“Dio santo piantala, alzati dai”
Lui la caccia via lontano da se con le mani, come se scacciasse un insetto fastidioso.
“Chris io devo andare, dovrei essere già a casa, dai è tardi, andiamo”
Ma lui non l’ascolta nemmeno.
Alison sente dei passi, spera che non sia la polizia o qualcuno a cui dover rendere conto.
Solo quando sente la voce lo riconosce.
“ Ehi Alison”
“Yuki!”
“Che stai facendo?”
Yuki la guarda da sotto l’ombrello e poi sposta lo sguardo per terra.
“C’è andato pesante eh?”
“Non so che cazzo abbia preso, era già ubriaco senza doverci aggiungere qualche merda delle sue”
“Dai ti do una mano”
Yuki è alto e ha muscoli tonici, per lui è un gioco alzare Chris anche se recalcitrante.
Lo sostiene come fosse una bambola con le gambe spezzate.
Alison si mette dall’altro lato.
In questo modo è facile arrivare a casa di Chris.
C’è una luce accesa, la madre è rientrata.
Alison sospira di sollievo, perlomeno non dovrà perdere tempo a svestirlo, asciugarlo e sistemarlo sul divano con una coperta addosso.
Suonano il campanello e lo lasciano lì sulla soglia.
Aspettano nel buio che la porta si apra e appaia una donna.
Solo allora se ne vanno.
“Grazie, se non ci fossi stato tu sarei ancora lì”
“Già, Chris è un peso morto quando ci si mette”
Alison annuisce mentre trema.
“Cerca di inventarti una buona scusa per Hill e Matt” dice lui.
“La tua qual è?”
“Ho dovuto aiutarti a portare Chris a casa” sogghigna.
“Bello stronzo, sai che Matt e Hill non trovano che Chris sia la personcina giusta da frequentare”
“Lo so, ma che ci posso fare se tu continui a frequentarlo ugualmente e poi ti cacci nei casini per lui”
“Lui è speciale”
Yuki la guarda dall’alto della sua statura, ha occhi chiari verdi che a volte diventano grigi.
“E’ bello avere una persona speciale, sei fortunata ad averla trovata”
“Già, anche se in realtà con Chris a volte, come stasera, tutta questa fortuna è difficile da vedere”
Ridono.
Con Yuki, Alison non ha mai parlato tanto, però è forse quello che preferisce tra tutti i ragazzi di Parker’s House.
Non sa bene come decifrarlo perché quasi sempre le dà l’impressione di essere un completo idiota e poi, così improvvisamente, se ne esce con riflessioni o osservazioni che la colpiscono per la loro intensità, proprio come sta facendo in quel momento.
“Sai io lo capisco Chris” continua Yuki, con quella voce dal tono molto basso, quasi un sussurro, ma calda e sexy, “Si sente incompleto e giovane, si sente come se dovesse imparare qualcosa in più. Anch’io spesso mi sento così, ma la differenza tra noi è che a Chris sembra non importare di cambiare le cose, mentre io voglio diventare più di quello che sono ora”
Alison lo guarda alzando la testa, la pioggia le batte sul viso, sbatte le ciglia per scacciare le gocce che le appannano la vista.
“Già” mormora e pensa a Chris sdraiato accanto alla porta ubriaco e fatto e fradicio e guarda Yuki con i suoi occhi da gatto e le sue unghie dipinte e un’aria di chi sta cominciando a intuire che la vita ha un valore, anche se non riesce ancora a capire qual è.



Connor e Matt sono partiti in mattinata per Londra.
Quando Matt ha detto che avrebbe dovuto starci un paio di giorni per delle pratiche burocratiche e che ha sentito Taylor per vedere di combinare un incontro anche solo per una birra, il cuore di Connor è andato in tachicardia.
“Ci vedremo prima di cena, mi ha chiesto se era possibile che venissi anche tu…” ha lasciato che la pausa si allungasse.
“Posso venire?” ha balbettato lui.
“Perderesti la scuola... Comunque io e Hillary abbiamo pensato che non sarebbe una tragedia e pensiamo che vedere Tay ti possa fare bene”
Fare bene è ovviamente un eufemismo bello e buono, rivedere Tay è l’unico pensiero che ha dato un senso a questi mesi passati senza di lui.
Di notte naturalmente non ha dormito ma il tempo è scivolato via come perle che si sfilano lentamente da una collana.
La mattina in auto a Matt è arrivato un messaggio da parte di Taylor: “Oggi sono piuttosto libero, mi sono saltati alcuni impegni, se vuoi posso occuparmi io di Connor mentre tu vaghi da un ufficio all’altro”
Matt non ha risposto subito ma è rimasto silenzioso, guidando lentamente con gli occhi fissi sulla strada.
“Che problema c’è? Ti prego Matt, è una vita che non ci vediamo, chissà quante cose avrà da raccontarmi”
“Certo ma la responsabilità di ciò che ti accade è mia e non di Tay”
“Che dovrebbe succedermi scusa?”
“Niente probabilmente, ma se fosse il contrario io avrei dei seri problemi capisci? I servizi sociali ti hanno affidato a me”
“Con il consenso dei miei”
“Questo non cambia nulla”
Questo cambia tutto, ha pensato Connor, perché lui è l’unico che è a Parker’s House con la benedizione dei suoi.
I genitori di tutti gli altri, anche se incapaci, sballati, inadeguati, hanno lottato almeno un po’ per tenere il proprio figlio con sé, per non ammettere platealmente il proprio fallimento.
Forse perché in qualche modo, anche se maldestramente, patologicamente, in modo completamente sprovveduto ai propri figli ci tenevano.
Sapere che i suoi invece hanno chiesto l’intervento dei servizi sociali autonomamente, dichiarando apertamente la propria incapacità a gestirlo e hanno accettato l’ordinanza del tribunale di delegare ad altri la responsabilità genitoriale abdicando ogni possibilità di cura ed affetto, questo è veramente un fallimento che Connor ha sempre portato dentro: una sconfitta dei suoi genitori che non meritano neppure più di definirsi tali, ma soprattutto un fallimento suo come figlio.
Non li ha mai più voluti vedere da allora, ma non è stato tanto difficile perché loro sono spariti e ormai ne è passato di tempo.
“Promettimi che non ti caccerai in qualche guaio”
“Perché dovrei farlo scusa e poi c’è Taylor, di lui ti fidi no?”
Matt non ha risposto.
“Non ti fidi di Tay? Pensi che mi possa fare qualcosa di male?”
“Penso che tu non sei nelle condizioni adatte per cogliere cosa può essere male, anzi mi sembra che ciò che ti fa male ti attrae più di quello che può farti del bene, sei in una situazione fragile, in cui la tua spinta autodistruttiva non è ancora del tutto superata e Tay questo non lo capisce”
“Non mi succederà nulla Matt, Tay è il mio unico amico, lasciami stare un po’ con lui”
Matt ha abbassato il capo in un assenso un po’ forzato e Connor si è sentito esplodere dalla gioia.
Una giornata intera lui e Tay da soli.
Quando lo ha visto alla fermato della metro dove si sono dati appuntamento gli è sembrato cambiato: i capelli ancora più lunghi, selvaggi, il suo corpo magro, le movenze sciolte e più sicure, i gesti disinvolti e naturali.
Ora finalmente sono soli, nell’ appartamento di Tay.
Lui lo ha steso delicatamente sul letto e lo accarezza, se lo stringe vicino, lo bacia con tenerezza mentre l’altra mano va a frugare sotto la maglietta in una carezza gentile.
Accosta le labbra alla fronte di Connor deponendovi un bacio leggero.
La mano sotto la t-shirt esplora il torace e si ferma su di un fianco. Per un attimo le dita sfiorano la pelle, poi si arrestano, i polpastrelli si soffermano a tastare una serie di tagli.
Tay gli alza la maglia, guarda attentamente: c’è un taglio fresco che si sta appena rimarginando coperto da una sottile crosticina, un altro che ormai è solo un filo sottile più rosa, un altro ancora uno sfregio ormai quasi bianco.
“Lo fai ancora? Mi avevi promesso che avresti smesso”
Connor abbassa la maglia con improvvisa fretta, si scosta dall’amico.
“Non sai che cosa ha significato per me perderti”
“Perché cerchi in tutti i modi di farmi sentire in colpa?”
“Non lo sto facendo, ti sto solo chiedendo di non essere sorpreso”
“Sei sempre il solito Connor, sai che il modo migliore per colpirmi è sapere che tu continui a farti del male nonostante tutte le mie rassicurazioni; certo non mi hai mai detto di non andarmene, di rinunciare ad ogni possibilità di cambiare vita, di restare con te in quel cesso di Tadcaster, tu hai metodi più raffinati perchè uno che cerca di esserti amico si senta una vera merda, non è così?”
Ora Tay si è alzato, gli sta davanti e lo sovrasta in tutta la sua altezza.
Connor è rannicchiato sul letto. “Non voglio farti sentire in colpa, non voglio che tu rinunci a nulla per me, ma tu sei il solo che sembra vedermi, solo tu mi fai sentire calmo e rilassato senza bisogno di tagliarmi, se tu non ci sei non ne posso fare a meno, il bisogno è troppo forte, se non lo faccio ho paura di impazzire, di perdermi per sempre, se tu non ci sei più a trattenermi in questa realtà è solo il mio sangue che rende il mio corpo visibile”
“Dio Santo Connor e poi dici di non volermi far sentire in colpa, quello che mi stai dicendo è che è colpa mia se tu hai ripreso a tagliarti, sei un vero stronzo, lo sai vero?”
“Non ti sto dicendo nulla, non ti chiederei mai di rinunciare alla tua vita per me, non ne ho nessun diritto e tu non devi sentirti in colpa assolutamente, tu hai fatto per me più di chiunque altro in tutta la mia vita”
Tay gli si avvicina gli prende la testa tra le mani, gli accarezza i capelli.
Connor appoggia la fronte sul bacino dell’amico, gli si sfrega contro come un gattino in cerca di coccole.
Poi la sua mano va ad abbassare la zip dei pantaloni di Tay, fa uscire il sesso dell’amico, lo accarezza teneramente, lo bacia con piccoli baci e lo lecca lentamente, solo dopo qualche minuto di lente carezze e baci umidi se lo infila in bocca e comincia a succhiarlo.
Appena venuto Taylor si allontana, con un gesto lento si scosta i capelli spioventi sugli occhi e dà un’occhiata all’orologio.
“Ehi manca ancora un po’ prima dell’appuntamento con Matt, sistemati che ti porto da Linus”
“Da chi?”
“Linus Voigt il fotografo che ha realizzato il mio servizio su Fashion Time. Mi ha promesso che mi avrebbe scattato alcune foto da aggiungere al mio book. Avere alcune foto scattate da Voigt è la migliore delle referenze”
Connor si sente addosso l’odore di Taylor e si sente bene.
E’ questo che gli da benessere non il sesso appena concluso che in realtà a lui non interessa, che ritiene qualcosa di sopravalutato.
Taylor entra nello studio di Voigt con una evidente scioltezza, completamente a proprio agio, come se in quello studio fosse di casa.
Linus si alza da dietro ad una scrivania e gli va incontro, lo accoglie con un ampio sorriso e con un lungo e sensualissimo bacio in bocca.
Dopo qualche istante Tay si stacca e si volta verso Connnor che è rimasto immobile.
Lo trascina per un braccio con fare protettivo.
“Questo è Connor, un mio amico di Tadcaster che è venuto a trovarmi”
Linus Voigt gli si avvicina, lo avvolge con un occhiata professionale, sembra soppesarlo.
“Dovrei farci una scappata in questo posto, veramente sai?”
Taylor sorride.
Connor si sente come un insetto di qualche specie rara finito nelle mani di un entomologo: soppesato, analizzato, anatomizzato.
“Allora per quelle foto che mi hai promesso quando posso venire?”
“Se ti va ti faccio qualche scatto anche subito, mi sento particolarmente in vena”
“D’accordo ho un’ora circa, pensi che basti”
“Ce la faremo bastare”
Passano nello studio fotografico.
“Ho messo la prima cosa che mi capitava, non sapevo di dover posare” si lamenta Taylor.
“Non preoccuparti, oggi ti faccio solo qualche primo piano”
Connor si siede in disparte e rimane incantato nell’ammirare la capacità di Tay di lasciarsi guardare, di cambiare espressione e diventare qualcun altro, di interpretare i suggerimenti di Linus e tutto con un piacere e una disinvoltura che sono un messaggio chiaro ed evidente di quanto Taylor sia tagliato per questo lavoro, di come goda nel farsi ammirare, nell’esibire se stesso.
Quando Linus ha finito si volta verso Connor con un mezzo sorriso sulle labbra.
“Che ne dici se faccio qualche scatto anche a te, hai un viso interessante, così giovane e lontano”
“Lui è minorenne, non penso sia una buona idea” interviene Taylor, poi i due si appartano e Connor li osserva scambiarsi alcune battute e qualche sorriso.
“Ti ha baciato” sussurra Connor quando sono fuori, aspettando la metro.
“Sì, è un tipo interessante”
“Che vuol dire? State insieme?”
“No, abbiamo scopato qualche volta e può darsi che lo faremo anche in seguito”
“Non capisco”
Taylor lo guarda fisso: “Non c’è niente da capire Connor, lui è Linus Voigt, quando mi ha scelto per il servizio fotografico era implicito cosa significasse. Lo sanno tutti che sceglie i suoi modelli in base ad un’attrazione personale.”
“Cioè si scopa i modelli?”
“Già, proprio così”
“E a te lui piace?”
“Connor come sei infantile, mica siamo in una fiaba, questa è la vita, non importa se a te piace qualcuno ma se a te quel qualcuno serve e Linus Voigt a me serviva e serve terribilmente”
“E’ solo questo? Per te c’è solo questo?”
“E’ lavoro ragazzino, solo lavoro”



Jamie è solo in camera e non riesce a prendere sonno.
Che strano, la presenza di Connor gli è diventata così familiare che ora che non c’è ne sente la mancanza.
Gli manca la sagoma del suo corpo accovacciata sotto le coperte tirate fin sopra le orecchie, perché Connor è freddoloso.
Gli manca il suo respiro leggero quando dorme e lui lo sta ad ascoltare, così lieve che sembra sempre sul punto di interrompersi.
Gli manca persino la sua aria scostante e brusca quando si degna di rivolgergli l’attenzione.
Si stiracchia sotto le coperte a disagio.
Senza Connor i suoi pensieri non hanno un punto su cui fissarsi e sembrano delle api impazzite che gli ronzano dentro il cervello.
Non gli piace il rumore che fanno, non gli piace la confusione che creano.
Avrebbe voglia di alzarsi e di scender da basso, magari andare a bussare alla camera di Yuki, lui sicuramente lo terrebbe con se ma a Kyle la cosa sicuramente non piacerebbe.
Non sa perché. In fondo sono solo sensazioni che non hanno nomi, emozioni soggettive.
Lui fiuta le emozioni che gli altri si lasciano sfuggire come un cane quando segue una traccia olfattiva di cui non si ha la percezione.
E’ un dono strano quello che si è ritrovato, un dono che in qualche modo sostituisce le parole che non vogliono saperne di uscirgli fuori.
Parole che sono bloccate, cristallizzate dentro di lui da qualche parte, parole che sono murate vive.
Vorrebbe tanto riuscire a trovare un canale attraverso il quale indirizzarle, riuscire a comunicare qualcosa, anche solo una banalità, ma l’impedimento è troppo forte per poterlo modificare, un incantesimo potente e malvagio che lo sovrasta.
O forse è una benedizione perché se potesse parlare cosa mai direbbe? Cosa potrebbe uscire dalla sua bocca se non un urlo infinito, interminabile.
Meglio restare chiuso nel silenzio, in un tempo che non ha principio ne fine, in un qui ed ora senza limite.
Meglio non ricordare, meglio non dire nulla, meglio neanche sentire nulla, perché le parole sono inutili e inadeguate.
Non sono la strada giusta se uno vuole sopravvivere.
Lui in realtà non sa neppure se quello che lo tiene in vita è la volontà oppure un riflesso condizionato o semplicemente un arrendersi all’esistenza.
Forse si lascia solo cullare dalla vita senza fare nessuno sforzo per adattarvisi, per comprenderla, perché la vita non ha nulla di comprensibile, è qualcosa che sovrasta ogni possibilità di razionalità.
Nessuna parola potrà mai dare un senso a ciò che è accaduto, nessun ragionamento.
Tanto vale chiudere tutto dentro di sé così in profondità da non permettere che venga mai alla luce e lasciarsi trasportare dalla corrente, dal flusso vitale degli altri, vivere attraverso le loro emozioni, vivere per interposta persona.
Per Jamie Parker’s House è un intrico complicato, una giungla fatta di rami contorti e aggrovigliati, nella quale si aggira senza una meta, solo mettendosi in ascolto.
Ma è proprio facendo questo che il ghiaccio che ha dentro sembra si stia sciogliendo lentamente, che qualcosa si stia movendo, adagio, con circospezione, come un animale selvatico che si sposta con lentezza estrema, guardingo, fiutando l’aria, scrutando il buio.
Pensa a Connor che ha bisogno di aprirsi varchi attraverso cui la sua linfa vitale diventa evidente, di vedere il suo sangue per sapere che è vivo.
Per lui è l’esatto contrario, le emozioni degli altri cominciano ad insinuarsi dentro di lui impercettibilmente e non solo a passargli addosso sulla pelle, cercano piccoli varchi attraverso cui penetrare dentro di lui, portando con sé un senso di vitalità che in qualche modo lo sta facendo vibrare.
A volte per Jamie, Parker’s House è come stare su un amaca spinta dalla brezza e la brezza sono le risate, gli scherzi, l’allegria dei ragazzi; altre volte è come stare su una barchetta in un mare in tempesta e il vento è la rabbia, le imprecazioni, le battutacce cattive; altre ancora è come stare sotto la pioggia senza l’ombrello e c’è tristezza, solitudine, malinconia, senso di vuoto ed abbandono.
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Capitolo 4
*** C'era una volta la vita... ***





Capitolo 4: C’era una volta la vita…



C’era una volta la vita e tutti ne erano affamati e la desideravano con ardore e la vita venne, intessendo trame ed orditi accidentali…



E’ pomeriggio, in casa c’è solo Hillary e Matt con Jamie e Mira.
“Hill oggi viene quel mio compagno di scuola di cui ti ho parlato, quello nuovo che devo aiutare a mettersi in pari con il programma, ci possiamo mettere in camera se in soggiorno avete da fare” chiede Mira con aria falsamente innocente.
“Aspettiamo l’assistente sociale”
Mira raddrizza le orecchie.
“Per cosa?”
“Viene per Jamie”
“E che ci viene a fare, vuole fare quattro chiacchere con lui?”
“Non fare la spiritosa, viene a vedere come sta”
“Deve essere una maga per capire come sta, tu ci riesci?”
“Penso che stia meglio, che sia sereno e che stia poco per volta cominciando a dimostrarsi ricettivo verso quello che lo circonda, non ti è sembrato più attento, più pronto a cogliere quello che gli dici?”
In realtà a Mira non è sembrato proprio nulla, per il semplice motivo che di Jamie in pratica si dimentica l’esistenza, a volte se lo ritrova accanto e sobbalza impaurita, è così silenzioso da risultare quasi invisibile.
In ogni caso meglio lui che tutti gli altri con i loro scazzi, le loro depressioni, le loro paranoie.
Fossero tutti come Jamie, Mira è convinta che starebbe sicuramente meglio.
“Non ci ho fatto molto caso ultimamente” risponde.
“Solo ultimamente?” Hillary mette un briciolo di sarcasmo nella sua risposta.
“Sai che non sono brava ad occuparmi dei casi umani”
“E questo nuovo ragazzo, come mai ti sei accollata questo impegno?”
“Me l’ha accollato la prof e non ho potuto rifiutare”
Già pensa, Nathan è l’ennesimo caso umano che le capita tra i piedi ma ha dalla sua un’attrattiva fisica non indifferente e una serenità spiazzante, nulla a che vedere con gli sfigati di Parker’s House che sembra vadano a cercarsi le rogne peggiori.
Suona il campanello.
Quando Mira va ad aprire si trova di fronte l’assistente sociale, non fa in tempo a voltarsi per chiamare Hillary, che dietro arriva Nathan.
Schiva la donna, prende per mano il ragazzo e si infila sulla scala, tutto il più velocemente possibile, prima che qualcuno abbia il tempo di fermarla o di accorgersi di loro due.
Mira è abile a giocare d’anticipo e questo momento è ideale per portare a termine il suo progetto, Matt e Hill saranno occupati in altre faccende per un po’ e lei ne può approfittare.
Appena dentro chiude la porta.
Nathan deposita i libri e si toglie il giaccone.
Seduti alla piccola scrivania è gioco forza che il ginocchio di Mira sfiori quello del ragazzo, che bruscamente sposta il suo.
Mira lo guarda negli occhi succhiando la penna tra le labbra.
“Che c’è, è peccato anche questo?”
“Questo cosa?”
“Non fare il finto tonto, non ci possiamo toccare?”
“No, che c’entra, ma è meglio restare a distanza non credi?”
“Non credo, a me piace toccare la gente, lo trovo molto divertente, dovresti provare, lasciarti un po’ andare”
Nathan la sta guardando con occhi un po’ stupiti, non capisce se quella ragazza così bella e seducente ci stia provando o stia solo scherzando.
Mira si rende conto che sta correndo troppo, in fondo non ha davanti il solito ragazzo pieno di ormoni che non vede l’ora di scaricali in una sveltina, Nathan è qualcosa di desueto che lei deve imparare a gestire.
E’ come un pacco con scritto a lettere cubitali: “Fragile, maneggiare con cura”
Calma e moderazione, tempi lunghi, piccoli passi.
Assolutamente divertente!
Non è passata un’ora che qualcuno bussa, un paio di colpi secchi e poi la porta si apre senza che Mira abbia potuto anche solo dire ‘Avanti’.
Matt entra tranquillo senza farsi nessun problema.
Mira reprime uno sbuffo di rabbia, sempre a controllarla, ma che pensano? Che sia una ninfomane e che stia violentando il ragazzino?
“Allora tutto bene?” s’informa Matt.
“Sì certo, stiamo studiando”
“Vedo, comunque non ci siamo presentati, sei capitato in un momento un po’ particolare” dice rivolto a Nathan, che si alza per stringergli la mano.
“Beh io dovrei proprio andare” esclama poi il ragazzo radunando automaticamente i libri.
“Di già? Puoi stare ancora un po’ se vuoi, vero Matt?”
“Certo non c’è nessun problema, se ti fa piacere puoi fermarti anche a cena, basta dirlo a Hillary”
“Grazie ma non ho avvertito la zia e adesso è un po’ tardi”
“Capisco, sarà per un’altra volta”
“Certo, grazie signore”
“Puoi chiamarmi Matt, qui non ci formalizziamo più di tanto sai”
“D’accordo, comunque adesso devo andare”
Nathan si alza come se non vedesse l’ora di uscire dalla camera e avesse colto l’occasione della presenza di Matt per svignarsela.
“Allora ci vediamo domani a scuola, ti accompagno alla porta” dice Mira rassegnata.
Scendono le scale tutti e tre, sul divano c’è Kyle e Yuki che stanno guardando qualcosa alla TV.
“Ehi ragazzi questo è un nuovo compagno di Mira” esclama Matt a voce alta, cercando di attirare la loro attenzione.
I due si voltano pigramente e chiaramente poco interessati.
“Io sono Kyle e lui Yuki”
Nathan ha un attimo di indugio, un lievissimo spostare lo sguardo per evitare di guardare negli occhi di Kyle.
Frammenti di gesti così fugaci da passare inosservati ai presenti.
“Nathan” dice poi con voce in cui si cela un leggero imbarazzo e accenna un gesto di saluto.
Mira lo accompagna fuori.
“Non stare troppo a badare a quelli che incontri qui, sai sono tutti un po’ spostati”
“Non ti preoccupare, sono i tuoi fratelli?”
“Che diavolo vai a pensare, questa è una comunità familiare, non te lo avevo detto?”
“No non lo sapevo, scusa”
“E di che, comunque un giorno ti racconto la mia storia, verrai ancora vero?”
“Se per te va bene, so che ti faccio perdere un sacco di tempo, non vorrei approfittare”
“Approfitta pure non ti fare scrupoli, sono qui per questo”
Gli sorride e rientra in casa.
Forse un bacio sulla guancia avrebbe fatto il suo effetto… No, pensa Mira, meglio lasciarlo con queste parole che le sono uscite con la giusta dose di ambiguità.
Sorride tra se mentre chiude la porta, la cosa sta facendosi intrigante.



Alison apre la porta della sua camera con un senso di liberazione, anche per oggi la giornata è trascorsa ed ora potrà finalmente concedersi un momento di solitudine, di assenza da ogni rapporto, stendersi sul letto, chiudere gli occhi e non pensare a nulla, lasciarsi andare, lasciar scivolare via quella corazza che è si costretta ad indossare, quella durezza che la difende, quella scontrosità che la preserva.
Ma appena dentro si accorge della presenza di Mira.
Rimane sorpresa perché è difficile trovarla a quest’ora in casa, di solito passa tutti i pomeriggi dalla sua amica del cuore, quella Amber che a volte viene a chiamarla ma che evita accuratamente di entrare, come se non volesse beccarsi qualche infezione, l’amica perfetta per Mira.
Sua madre, lo deve riconoscere, quando diceva che i simili si attirano e che per conoscere una persona basta guardare chi frequenta, non aveva per niente torto.
Butta la cartelletta accanto al comodino e getta un’occhiata distratta alla compagna di camera che sta parlando al telefono e che le rivolge un rapido sguardo.
Si getta sul letto con le scarpe e chiude gli occhi.
In effetti lo stesso vale per lei: se sua madre vedesse Chris che penserebbe?
Sorride con sarcasmo, si immagina i suoi giudizi spietati e freddi.
Chris in realtà non è proprio l’amico che qualcuno si porterebbe dietro per fare bella figura.
Ma forse lei lo ha scelto proprio per questo, perché non vuole più fare bella figura con nessuno, anzi gode un mondo nel vedere come li guarda la gente, quando girano insieme allacciati per la vita.
“Sei tornata prima?”
La voce di Mira la fa sussultare.
Apre pigramente gli occhi, è strano che le rivolga la parola se non è più che necessario.
“Torno sempre a quest’ora il giovedì”
“Ah, non me ne sono mai accorta”
“Forse perché non ci sei mai”
“Può essere, in effetti preferisco stare il più possibile fuori di qui, ma i genitori di Amber sono arrivati ieri sera, si fermano qualche giorno e sai non voglio disturbare”
“Di solito sono via?”
“Sì, sono spesso assenti per lavoro”
“E Amber se ne sta da sola?”
“Beh ha diciotto anni e poi c’è suo fratello”
Ora Alison ricorda, certo il fratello di Amber, come ha fatto a dimenticarlo?
E’ il motivo per cui Mira passa quasi tutti i pomeriggi a casa dell’amica, il tipo superfigo di cui una volta le ha parlato, quello che lei si scopa e con cui il sesso è da impazzire.
Gli viene da ridere solo pensando a queste frasi fatte che sanno tanto di talk show dozzinale, di filmetti adolescenziali.
“Quello con cui stai insieme no?”
In realtà non gliene frega niente degli accoppiamenti di Mira che a quando ha sentito sono innumerevoli e incostanti, ma cerca di sforzarsi di fare un minimo di conversazione.
“Per l’appunto, Thiago”
Thiago? Ma che cazzo di nome è? Ad Alison viene da ridere ancora di più, proprio il nome giusto per un belloccio palestrato e pieno di testosterone.
“Comunque in questo periodo siamo un po’ in rotta”
Alison sta zitta, oddio Mira non penserà di raccontarle le sue avventure erotico-sentimentali?
“Cazzo scopa da dio ma a volte mi sembra così stupido, vuoto, non so come dire, dopo aver scopato non abbiamo mai niente da dirci”
Forse perché lui non è interessato all’ultimo trucco o a dove andare a fare shopping o al pettegolezzo dell’ultima ora, si chiede Alison.
“Forse non avete gli stessi interessi” risponde invece, rimanendo su di un campo neutrale.
“Già a lui interessa solo il basket, sai che palle”
Silenzio.
“E poi è geloso ma ci credi, ce lo siamo sempre detto che la nostra non è una vera relazione e a lui è sempre andato bene così, ma adesso si mette a fare il geloso”
Addio Thiago qualcuno ti ha soppiantato, pensa Alison.
“Hai un altro?”
“Macchè, ma se mi stressa ancora non ci metto niente a trovare qualcuno che lo sostituisca”
Alison spera che la discussione sia finita in questo modo ma si sbaglia.
“A dire la verità qualcuno ci sarebbe, ma è così… Non so neanche come definirlo, per questo volevo chiedere a te”
“A me? Io non so proprio niente di uomini”
“Lo so, ma ne capisci di tipi strani, non stai mica con quel balordo?”
“Stai parlando di Chris?”
“Sì Chris per l’appunto”
“Che c’entra Chris adesso, ti sei messa con uno come lui?”
“Figurati, è un mio compagno di scuola, è appena arrivato, non c’entra proprio niente con Chris ma anche lui è strano e non so come comportarmi, mi potresti dare qualche dritta”
Ecco ora è diventata l’esperta in tipi strani, di bene in meglio.
“Racconta”
“Beh è carino, tutto un altro tipo rispetto a Thiago, però mi piace, ma è, come dire, imbranatissimo, pensa che ha la fidanzata da un anno e si sono dati solo un paio di baci, ti pare possibile?”
“Come mai?”
“E’ che è molto religioso, sai tipo mormoni o cose del genere, insomma lui è convinto che il sesso debba essere fatto solo dopo il matrimonio, ci pensi?”
“Ahh”
“Comunque è da qualche tempo che ci vediamo perché l’aiuto a mettersi in pari con il programma e ho capito che gli piaccio”
“Sarebbe difficile il contrario”
“Già infatti, però ha sempre fatto finta di non accorgersi dei miei approcci e oggi li ha addirittura rifiutati”
“Una bella capacità di controllo”
“Appunto e poi continua a dirmi che lui è già impegnato e balle di questo tipo. Insomma tu dici che devo continuare a stuzzicarlo fino a quando cede? E se non cedesse? Io ne ho già le palle piene di aspettare ma d’altra parte non vorrei che pensasse male, non so come la prenderebbe se lo mettessi con le spalle al muro”
Si sente bussare alla porta.
Jamie mette la testa dentro, sorride.
“Che vuoi?” lo aggredisce Mira, stizzita per essere stata interrotta.
“Sarà pronta la cena” borbotta Alison alzandosi a sedere.
Jamie entra, la parola “cena” lo ha colpito delicatamente e si è soffermata giusto il tempo per afferrarne il senso.
E' da un po' che succede più spesso, parole che si trattengono il tempo necessario perché lui le acciuffi, ne scopra il significato, le decifri e poi le memorizzi.
Annuisce con la testa e Alison tira un sospiro di sollievo, ecco una buona scusa per evitare le domande di Mira.
Si alza e mette un braccio attorno alla spalla di Jamie, di solito non lo farebbe con nessuno, ma si è già sorpresa più volte ad avere atteggiamenti di tenerezza nei confronti del ragazzino.
“Che cosa avrà preparato di buono Hillary?” gli chiede con aria da cospiratrice.
Jamie le sorride di rimando.
A tavola Alison aspetta che Yuki abbia finito il suo sproloquio abituale che questa sera ha avuto per tema: “essere o apparire”, poi approfitta dell’attimo di silenzio che si è creato per annunciare: “Stasera dovrebbe venire Chris, dobbiamo finire un lavoro”
“Adesso si chiama così?” la sbeffeggia Yuki.
Alison non lo degna di un’occhiata.
Matt e Hillary si guardano l’un l’altro.
“Dopo cena? Non è tardi?”
“Sì, ma Lerman ha detto che il lavoro di Chris non va bene, deve rifarlo e gli devo dare una mano”
“E’ il nuovo professore di disegno?” chiede Matt.
“Sì, ce l’ha con Chris e non capisco perché, non gli va mai bene niente di quello che fa, possibile che non riesca a concepire quanto sono speciali i suoi lavori, pretende che si abbassi a fare copie di sedie e vasi come tutti quanti noi”
“Non mi sembra una pretesa assurda, in fondo Chris sta frequentando un corso e penso che debba seguire le indicazioni che seguite tutti”
“Ma lui è un caso disperato, si capisce subito che non puoi chiedergli qualcosa di normale, non sa neanche cosa voglia dire” interviene Yuki ridacchiando.
“Invece tu si vero? Non ti rendi conto che sei la persona meno adatta a parlare di normalità”
Alison si sente ferita anche se non sa bene perché, dovrebbe ormai conoscere Yuki e le sue battute, non le dice mai con cattiveria, mai come se esprimesse un giudizio, ma solo perché è in questo modo che lui riesce a dire qualcosa degli altri, evitando accuratamente ogni discorso minimamente serio.
Chris arriva quando ormai la cena è finita, è leggermente euforico, di un’euforia falsata che ormai è il suo standard.
Alison si rende conto che è da un sacco di tempo che non lo vede in uno stato di “normalità”: o è eccitato, euforico, su di giri o al contrario: chiuso e depresso, arrabbiato e insofferente.
Sempre e comunque sopra alle righe.
Alison non gli ha mai chiesto niente e mai glielo chiederà, si rifiuta in modo categorico di fargli da mamma, di dargli saggi consigli, di indirizzarlo su una strada più equilibrata.
Lei è sua amica e gli amici ti accettano per quello che sei, fino alla fine.
E’ questo che lei ha sempre chiesto agli altri senza trovare nessuno che lo facesse: tutti pronti a darle consigli, ordini, suggerimenti, ammonimenti, a chiedere di cambiare o di uniformarsi.
Lei non lo farà mai con Chris.
“Odio Lerman più di quanto lui odia me”
“Non ricominciare, cerchiamo di concentraci sul lavoro”
“Possibile che non afferri che del suo lavoro non me ne frega un cazzo, io ho altro per la testa, non capisce niente di me e di quello che faccio”
Alison annuisce, è perfettamente d’accordo.
Lerman è bravo e preparato, disponibile con tutti gli studenti, le sue lezioni sono interessanti e i suoi consigli precisi e preziosi.
Lei ha imparato di più in un mese con lui che quasi in un anno con il vecchio professore, eppure quello che non può perdonargli è l’accanimento che ostenta nei confronti di Chris.
Alison sta praticamente facendo il lavoro per Chris, mentre lui dormicchia con la testa appoggiata al tavolo.
Lo guarda e ha paura che lui non riesca ad arrivare a far capire al mondo la sua grandezza, che si bruci prima, che stia cercando in tutti i modi di non permettere che il suo sogno si realizzi. Forse ha paura, forse teme che il desiderio non si avveri e lo rende impossibile in partenza.
Jamie entra per prendere un bicchiere d’acqua.
Si sofferma accanto al tavolo, poi con uno sguardo come per chiedere il permesso si siede accanto a loro e rimane a guardare.
Osserva attentamente Alison che disegna, poi comincia a sfogliare la cartelletta dove ci sono tutti i disegni di Chris.
Li guarda attentamente per lunghi minuti, con uno sguardo che poco per volta diventa sempre più scuro e pieno d’ombra.
Alison si interrompe e lo osserva.
Jamie è quasi trascinato dentro le tavole, sembra che veda cose che non vuole vedere, forse ricordi, forse paure.
La sua espressione si rabbuia, si indurisce, le labbra hanno un leggero tremito, gli occhi si appannano.
Scuote lievemente la testa in segno di diniego, è come se una forza sinistra lo obbligasse a guardare nonostante ciò che vede gli faccia del male.
Alison si alza, gli va vicino, gli cinge le spalle, lo scuote delicatamente, poi chiude con un gesto la cartelletta sfilandogliela dalle dita.
Jamie rimane immobile.
In quel mentre entra Hillary.
“Cosa sta succedendo?” la voce preoccupata.
Chris non si è accorto di nulla, sta ancora con la testa tra le braccia appoggiata sul tavolo, in un dormiveglia che non ha nulla di naturale.
“Jamie ha visto i disegni di Chris” balbetta Alison.
Hillary prende la cartelletta e guarda, il viso si altera.
Depone i fogli con uno sforzo, fa un sospiro profondo, si passa una mano sui capelli, ravviandoli.
“Sono terribili” esclama.
“Sì e bellissimi” aggiunge Alison.
“Bellissimi?”
“Certo, sono opere d’arte”
La donna si accosta a Jamie, lo prende per le spalle.
“Andiamo Jamie è ora di dormire”
Mentre sta per uscire si volta.
“Non mostrarli più a Jamie, penso che gli abbiano fatto del male”
“Hillary il male esiste, non puoi far finta che non ci sia, che sia chiuso fuori da Parker’s House, ce l’abbiamo tutti il nostro oceano di male in cui annegare, l’unica cosa che si può fare è imparare a nuotare”
“E’ vero ma Jamie non lo sa ancora fare, per lui è stato come essere buttato al largo dove non si tocca e… Alison è così anche per Chris sai”
“Per Chris?”
“Sì, lui si sta avventurando troppo al largo, non riuscirà più a tornare a riva”
Chiude la porta e c’è solo il silenzio e il respiro di Chris.



Connor guarda fuori dalla finestra. Si morde un labbro, lo stringe tra i denti fino a sentire dolore, affonda i denti ancora più profondamente finché sulla lingua non assapora il gusto ferroso del sangue.
Appoggia stancamente la fronte contro il vetro. Lì fuori non c’è nulla da vedere, solo il buio che lotta contro la luce dei lampioni e sembra che stia per vincere la sua battaglia.
Guarda l’orologio, ormai è ora, scende le scale.
“Io vado Hillary” annuncia sperando che nessuno lo senta.
Hill mette la testa fuori dalla cucina.
“Un’ora non di più, intesi?”
Connor sbuffa.
Fuori il freddo umido lo accoglie come in un abbraccio.
Saltella un attimo sulle gambe e poi comincia a correre moderatamente in modo elastico. Ben presto si lascia alle spalle la casa, gira per Victory Road e finalmente si sente solo.
La strada è semideserta, dalle case esce una luce che subito si liquefa nella sera, il cielo è nero e l’aria intorno si addensa.
Connor sente il viso accarezzato dal freddo, il respiro che esce in brevi sbuffi di vapore, il cuore che pompa in modo regolare, aumenta l’andatura e intanto mentalmente fa il conto delle calorie che oggi è stato costretto ad ingurgitare. Ha preso nota di ogni cosa che ha messo in bocca, senza farsene accorgere ovviamente, perché il gioco delle calorie è severamente vietato.
In ogni caso sa a memoria quante è stato costretto a trangugiarne in base alla dieta che quel dannato dottore gli ha imposto, pena di nuovo l’internamento in una clinica per disturbi alimentari; guarda il contapassi che tiene in tasca, anche quello un oggetto proibito che lui è riuscito ad acquistare e a conservare in gran segreto.
Non gli interessano le miglia quanto piuttosto le calorie che deve smaltire.
Gli sembra impossibile che Matt e Hillary gli lascino fare la sua corsa serale, forse pensano che per lui possa essere uno sfogo dalla tristezza, dal vuoto. Lo sanno tutti che correre fa bene all’umore, che funziona come anti-depressivo.
In realtà tutto gira intorno ad un equivoco mostruoso: tutti pensano che lui sia depresso, angosciato e che cerchi in qualche modo di uscire dal mondo poco per volta, senza gesti eclatanti. Alcuni pensano che sia malato o matto. Qualcuno pensa che abbia tendenze suicide.
Non è vero!
L’anoressia e l’autolesionismo non sono un modo per cercare attenzione. Non una manipolazione. Non un voler morire. Sono solo meccanismi per affrontare i problemi: punitivi, potenzialmente pericolosi, ma efficaci.
Connor non si piace, odia il suo corpo, si sente talmente morto dentro da ricercare nella sofferenza fisica una prova che è ancora vivo.
L’anoressia e l’autolesionismo gli hanno permesso di controllare quel corpo che ha sempre percepito come persecutore e come nemico: troppo debole, troppo fragile, troppo effeminato, causa degli scherzi e delle battute dei compagni di scuola, delle umiliazioni e frustrazioni subite.
Quanta rabbia ha accumulato fin da bambino, rabbia che era incapace di sfogare in qualsiasi modo, che si accumulava dentro di lui trasformandosi in rifiuti tossici.
Quanta emarginazione e avvilimento sempre facendo finta di niente.
Il tagliarsi è stata la possibilità di mutare in dolore fisico, un dolore interno, un qualcosa di cui non è mai riuscito a parlare o più semplicemente che gli altri non hanno mai capito.
Ricorda che nell’infanzia è sempre stato un bambino iperprotetto, nato da una madre e un padre che ormai avevano perso la speranza di avere un erede, un bambino fragile e malaticcio, debole fisicamente e nel carattere, spaventato dal mondo.
E’ stato con l’adolescenza che qualcosa è cominciato a cambiare, che lui ha trovato un rimedio, un esorcismo alle sue paure, alle sue debolezze.
Ricorda ancora la sensazione dei primi tempi quando il suo stomaco chiedeva cibo e il senso di vittoria esaltante che lo pervadeva quando decideva che no, il desiderio non sarebbe stato soddisfatto.
E’ stato allora che con i suoi genitori i rapporti si sono deteriorati, quando hanno cominciato a fare domande, a controllare ciò che mangiava, ad entrare in bagno all’improvviso, a pretendere spiegazioni rispetto ai tagli che aveva sulle braccia o sulle gambe. Quando hanno iniziato ad avere facce preoccupate, a fargli strani discorsi, a guardarlo come si guarda un malato terminale e a portarlo da medici e da psicologi
I suoi non sono stati capaci di seguirlo, hanno avuto paura, di lui, di quello che avrebbe potuto fare; quando ha cominciato a dimagrire sempre di più, non hanno compreso la bellezza del suo corpo, la fermezza del suo carattere: più facile dargli del malato, dell’anoressico, dell’autolesionista.
Connor ancora non capisce che c’è di male nell’essere in questo modo.
Che c’è di male nel voler controllare la propria vita, non lasciarla al caso, darsi gioia e dolore in autonomia, saper fare rinunce, essere più forti di ogni tentazione, di ogni debolezza, vincere sui propri bisogni e desideri.
I suoi alla fine hanno abdicato, hanno rinunciato ai pensosi tentativi di aiutarlo a “guarire”.
Connor al loro pensiero si sente stringere lo stomaco da una rabbia sorda che gli brucia i polmoni: inetti, incapaci di accettarlo o di cambiarlo.
Se ne sono lavati le mani, hanno chiesto ad altri di prendersi cura di lui.
E poi c’è stata la clinica e tutto il resto e alla fine Parker’s House e Taylor.
Taylor è stata una rivelazione, la prima persona in tutta la sua vita a riuscire ad accoglierlo senza giudicarlo, ad amarlo per quello che è, a non chiedergli di cambiare.
Sa con certezza che solo stando con Taylor ha una possibilità di uscire dalla sua situazione, di poter rinunciare ai suoi tagli, alla sua anoressia, di trovare il coraggio di riempirsi di qualcosa, di rinunciare al suo vuoto, di far entrare qualcuno dentro di lui.
Ora corre e sente il sudore scorrergli lungo la schiena, le gambe gli tremano un po’, la vista è un po’ annebbiata, il cuore martella nel petto e il fiato fatica ad uscire, sembra bloccato in mezzo al costato, chiuso in polmoni al limite del collasso.
Ma lui continua a correre e non si ferma perché tra le mani il contapassi non ha ancora raggiunto le calorie che deve smaltire.
Corre e si sente potente anche se allo stremo delle forze.
Solo poco prima dello scadere dell’ora comincia a rallentare il ritmo, riduce i battiti del suo cuore, il suo ansimare.
E’ completamente sudato ma la felpa copre il suo corpo bagnato e tremante.
Imbocca la strada diritta che porta a casa, quando dall’angolo di Victory Road sbuca inaspettatamente Yuki abbarbicato ad una ragazza bionda.
Non può far finta di non vederli, lo hanno quasi travolto presi come sono a strusciarsi e a sbaciucchiarsi, senza neppure guardare dove mettono i piedi.
“Ehi guarda dove vai” borbotta spostandosi.
Yuki sembra riemergere da un buco nero, ha lo sguardo un po’ sfuocato e un’aria più ebete del solito.
Connor non riesce a reprimere una smorfia di disgusto.
Con Yuki c’è un’ antipatia a fior di pelle fin dal primo momento che lo ha visto, anzi a ben pensarci fin dal primo momento che Taylor ha detto che quel tipo non gli piaceva.
“Ehi Connor, la tua solita corsa dopo cena?”
“Già” risponde di malavoglia e cerca di allontanarsi, per lui i convenevoli si possono considerare conclusi.
“Ehi aspetta, non conosci Nina, vi presento”
Nina è piccola di statura, arriva più o meno alla spalla di Yuki, ha una matassa di capelli biondi incredibile, un groviglio di trecce, rasta, code e forcine.
Il viso è molto carino, sembra quello di una bambola, quasi troppo.
Quello che subito si nota sono in ordine: una serie di piercing che le contornano le labbra, la bocca carnosa e seducente, i grandi occhi azzurri ornati da ciglia chiaramente finte che le danno l’aspetto di un cartone animato.
Ha unghie lunghissime laccate di verde brillante, se ne accorge quando lei gli allunga la mano.
L’impressione è che siano tutte e due un po’ fumati e non perfettamente in grado di comprendere con dovizia di particolari tutto quello che succede, in caso contrario Yuki non si sarebbe fermato a parlare con lui e non gli avrebbe mai presentato quella tipa, solitamente si ignorano vicendevolmente, quando non si stuzzicano pesantemente.
“Abiti anche tu in quella specie di galera?” gli chiede Nina.
“Già ma ancora per poco, fra qualche mese divento maggiorenne e posso andarmene”
“Buon per te, Yuki dovrà aspettare ancora un anno ma questo è il destino ed è necessario seguire il proprio karma. Quest’anno ci servirà per poter rendere reali i nostri sogni”
“Ah sì?” la conversazione a Connor sembra stia assumendo connotazioni un po’ bizzarre.
“E’ così, nulla accade per caso, io e lui avremo il tempo per rinascere sotto forme nuove e poi partiremo per il mondo e il mondo dovrà essere pronto per accoglierci”
“Capisco” Connor comincia a sentire freddo, il sudore si sta congelando sulla pelle e sui vestiti.
“Il progetto di Nina è’ meraviglioso, vede grandi possibilità per noi, per riuscire a sviluppare tutte le nostre potenzialità. Raggiungeremo il mondo con la musica e gli faremo aprire le ali!”
Nina si stringe di più a Yuki, che si china per baciarla.
Connor non sa che rispondere, sta tremando ed è stanco, una stanchezza che gli è scesa come un macigno sulle spalle e nelle gambe.
Quei due sono completamente partiti per un altro mondo che non gli interessa per nulla conoscere.
“D’accordo, io comincio ad andare”
Si volta bruscamente e riprende a correre.
“Che tipo è quello?” chiede Nina a Yuki quando emerge dall’abbraccio.
“E’ uno scassacazzi, se ne sta sempre per conto suo con quell’aria di superiorità come se non volesse mescolarsi alla plebe. L’unico con cui ha legato è stato Taylor, in effetti si assomigliano parecchio, forse per questo si sono trovati così bene insieme. Taylor è l’essere più stronzo che abbia mai conosciuto, un egocentrico totale, non passava giorno che io e lui litigassimo per qualcosa, non mi è sembrato vero quando se n’è andato”
“Se n’è andato?”
“Qualche mese fa, appena ha fatto diciannove anni, ora sta a Londra e sembra che faccia il modello”
Yuki non può trattenere una smorfia di insofferenza.
L’antipatia per Taylor è ancora a fior di pelle, non lo ha mai sopportato con tutte quelle sue arie del cazzo, da cui quell'idiota di Connor si è fatto completamente suggestionare.
Nina si accosta stringendosi a lui.
Ecco cosa gli serve! Quella ragazza è la sua salvezza, la sua possibilità di riscatto, il suo salvagente, la sua occasione fortunata.
L’abbraccia, se la stringe forte, non vorrebbe mai lasciarla andare, vorrebbe starsene così per sempre anche se tutt’intorno è buio e freddo.
Lui e Nina insieme scaleranno la montagna della vita e arriveranno in cima, sa di potercela fare con lei vicino.
E’ Nina che gli ha permesso di rendersi conto che la vera soluzione è non arrendersi mai anche quando sembra che la fine sia vicina, perché invece è solo l’inizio di qualcosa di nuovo.
Non si accorge Yuki di come i suoi pensieri siano gli stessi di Connor. Di come entrambi abbiano bisogno di qualcuno a cui appoggiarsi per poter dare un senso alla vita che altrimenti di senso non ne avrebbe, di come Taylor e Nina svolgano per ognuno di loro la medesima funzione.
Quando Connor entra in casa sguscia direttamente in bagno e apre l’acqua della doccia.
Si spoglia rapidamente e si ficca sotto il getto.
Sente la porta aprirsi e la testa di Jamie fare capolino.
“Non vedi che ci sono io? Che vuoi?”
Jamie lo guarda un attimo e Connor trema perché lo sguardo del suo compagno di camera è come se fosse una brezza leggera che ti tocca la pelle e ti fa rabbrividire.
A volte pensa che Jamie possa guardarlo anche dentro, in modo chiaro e netto.
E ha paura perché non deve essere piacevole guardare il nulla, forse fa venire le vertigini o ti fa stare male.
Ma forse anche Jamie è vuoto e per lui non è qualcosa di così estraneo come per tutti gli altri.
Esce dalla doccia e si strofina per asciugarsi.
Jamie è ancora lì sulla porta, come in attesa.
“Devi usare il bagno? Aspetta un attimo, vattene fuori mi dai fastidio”
Lo spinge con irritazione e chiude a chiave la porta.
Pensa che fra pochi mesi, a primavera, compirà diciotto anni ed allora sarà finalmente libero da ogni tutela, potrà lasciare Parker’s House e andare da Taylor e iniziare a vivere veramente.



Kyle sta chinato sul PC movendo pigramente solo gli occhi e la mano destra.
Digita velocemente una risposta alla domanda che il tipo in chat gli sta ponendo, sorridendo.
Facebook è il suo regno segreto. La sera, quando si connette, il tempo sembra scorrere senza neppure fare rumore.
Lì lui si trasforma in quello che vorrebbe essere: sexy, sfrontato, intrigante, sfacciato e spensierato, di quella leggerezza che nasce da una coscienza pura senza nessun senso di colpa.
Si diverte a chattare mantenendo il tono staccato e divertito di chi ha solo l’imbarazzo della scelta in fatto di uomini, di chi è ricercato e ammirato.
Il suo profilo su fb è tutto un falso a cominciare dal nickname che ha scelto con molta cura e di cui è molto fiero, visto che sembra adattarglisi a meraviglia: “K J Lusty”.*
A Kyle piace fotografare e la sua abilità è a portata di tutti coloro che vogliono rifarsi gli occhi.
I suoi album di foto sono ricchi di inventiva a partire dai titoli con cui li ha accuratamente catalogati: “Lusty sadomaso” “Lusty brava massaia” “Lusty nerd” “ Lusty femme fatal” “Lusty burlesque” e così via.
C’è voluto tempo e soprattutto attenzione per non farsi scoprire durante gli scatti e poi non è stato per niente facile procurasi l’occorrente per rendere i suoi travestimenti realistici, ma insomma Kyle è soddisfatto delle sue foto dove lui appare bellissimo, sexy e affascinante ma mai volgare, solo un tantino eccitante e malizioso, sostanzialmente spregiudicato ed assolutamente disinibito.
Il suo primo amico è stato naturalmente Jared ma poi le richieste sono diventate numerose: amici di Jared, amici degli amici e così via.
Quando è su fb si trasforma e diventava veramente K J Lusty .
Certo le conversazioni in chat non brillano per varietà di argomenti e neanche per approfondimenti culturali, in fondo sono abbastanza monotematiche, ma a lui va bene così.
Solo in quel luogo virtuale e con una identità fasulla si sente bene, si diverte senza sentirsi sporco, si crogiola nel desiderio che sa di suscitare negli altri senza sentirsi veramente in pericolo.
Può parlare lasciandosi andare, diventare ciò che gli altri si aspettano da lui: un sogno erotico, una fotografia guardando la quale ci si può fare una sega.
K J Lusty è in gamba e sicuro di sé, non un idiota che sbava dietro ad un ragazzo cretino e per giunta etero che neanche lo considera, non il ragazzino che Jared usa quando gli altri gli vengono a noia; K J Lusty è uno che lo fa venire duro ad un sacco di uomini che gli chiedono appuntamenti e incontri piuttosto clandestini, che gli fanno proposte indecenti, che non usano mezzi termini per esprimergli la loro approvazione.
Quando Kyle si stanca di K J Lusty a volte va sul suo blog.
Cioè non è proprio suo ma di un certo Devendra che in sanscrito significa re dei re.
Quel nome l’ha scoperto per caso e gli è subito piaciuto un sacco, quanto vorrebbe potersi chiamare così nella vita di tutti i giorni.
E’ un altro nick, è un’altra parte di sé.
Nel blog ci sono sempre delle sue foto che ritraggono attimi di vita che secondo Kyle sono essenziali: un tramonto, una foglia, un ghiacciolo che si sta sciogliendo, un barattolo a fianco del marciapiede, cose così.
Lì Devendra scrive appunti, riflessioni, poesie, riporta frasi di libri o di film che lo hanno colpito.
Non è un blog molto frequentato, ma ogni singolo commento per lui vale come un abbraccio.
Lì Kyle è ciò che ha paura di essere, lascia trasparire la sua dolcezza, il suo desiderio di sentirsi amato, il suo bisogno di avere accanto qualcuno perché lui non sa stare da solo e allora piuttosto si accontenta. Devendra però non vorrebbe accontentarsi, vorrebbe piuttosto imparare a fare a meno di chi non lo merita, vorrebbe riuscire a far coincidere parti di sé che sembrano fare a cazzotti.
K J Lusty e Devendra dovrebbe potersi conoscere e fare amicizia, ma Kyle è sicuro che non si sopporterebbero neppure per un attimo.



* Lust: lussuria

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Capitolo 5
*** C'era una volta la verità... ***





Capitolo 5: C’era una volta la verità…



C’era una volta la verità, nessuno la voleva perché tutti sapevano che faceva male e ne avevano paura, la verità perciò non bussò alla porta della casa ma vi si infilò di nascosto e vi abitò…



Mira sta dormendo pesantemente, quando una mano la scuote con dolcezza.
Apre gli occhi con fatica, cerca di mettere a fuoco la figura china su di lei.
“Che c’è?” biascica cercando di tenere le palpebre sollevate.
Accidenti non ha sentito la sveglia e ha fatto tardi per la scuola, non c’è altra ragione per cui Hillary abbia dovuto venire a svegliarla.
Guarda la sveglia e vede che è prestissimo.
E allora perché Hill la sta di nuovo scotendo, che diavolo di così grave può essere successo?
Comincia a batterle forte il cuore, gli occhi si sono aperti in automatico e i pensieri vorticano tumultuosi in testa.
Che diavolo può avere scoperto Hillary tra tutte le cose che lei ha tenuto nascosto, quale dei suoi segreti è venuto a galla?
“Cosa è successo?” cerca di frenare il tremito ansioso della sua voce e di dare alla sua espressione un che di impenetrabile.
“Giù c’è Nathan, ha chiesto di te, è molto agitato, sembra una cosa importante”
Mira cerca di concentrasi meglio, tutto sta diventando surreale.
“Nathan?”
“Sì”
“E che diavolo vuole alle sei e mezzo di mattina?”
“Penso voglia chiedere la tua mano” e Hillary non può trattenere una risata.
Mira è già seduta sul letto.
“Cosa?”
“Sì, ha detto che è venuto perché vuole parlare con te e con me e Matt per qualcosa che è successo ieri. Ti conviene vestirti e scendere”
Mira salta dal letto.
“E’ pazzo, dovete cacciarlo via, quello è tutto matto, che cazzo è successo ieri?”
Poi si ferma di botto.
Oh Dio non sarà per quello?
Oh Dio certo che è per quello!
“Ti aspettiamo giù” dice Hillary uscendo.
Mira entra in bagno borbottando tra sé.
Non può essere, non è possibile.
Ieri finalmente si è decisa ad uscire dall’impasse, alla fine ha pensato che la soluzione migliore fosse quella di affrontare di petto il problema.
Nel pomeriggio si sono fermati in sala studio per ripassare gli ultimi argomenti di biologia fino a tardi e quando Mira si è accorta che erano soli, ha deciso di approfittare della situazione.
Ha avvicinato maggiormente la sua sedia a quella di Nathan, gli ha preso la mano e prima che lui potesse ritrarla o irrigidirsi se l’è appoggiata proprio sopra ad un ginocchio.
Il destino, che secondo Mira aiuta sempre gli audaci, le aveva suggerito quella mattina di indossare un vestitino quasi estivo e delle parigine carinissime di lana nere con dei fiocchetti fucsia, che la facevano tanto eroina di manga erotici.
Nathan l’ha guardata ma non ha ritratto la mano, si è lasciato guidare fino alla coscia e poi lei ha allargato le gambe con un sorriso sussurrandogli: “Non l’hai mai toccata?”
Lui rosso in viso e con gli occhi un po’ vacui e le labbra socchiuse ha saputo solo scuotere la testa in un diniego.
Solo quando le ha sfiorato le mutandine è riuscito a riscuotersi e a sfilare la mano velocemente.
“Senti Mira non è possibile, non è giusto” ha borbottato alla belle e meglio senza troppa convinzione.
E’ stato quel tono a far capire a Mira che ormai la partita era vinta.
“Non ti va di sentire com’è fatta? Va bene non preoccuparti faccio tutto io, così non ti sentirai responsabile”
Ha dato un’occhiata veloce in giro e si è chinata in ginocchio nascosta dal tavolo.
Gli ha fatto un pompino in piena regola, senza che lui facesse più nulla per opporsi.
Nessuno è un santo, andiamo!
Le è piaciuto il senso di pericolo, di sfida e di peccato.
Da quanto non si sentiva così eccitata!
E poi quando ha alzato il viso le è piaciuto anche vedere gli occhi di Nathan socchiusi e la sua espressione estasiata.
Si è alzata e si è fiondata in bagno, giusto per una sistematina.
Quando è tornata, lui era già all’uscita.
Imbarazzatissimo.
“Mira quello che è successo è stato… Non avremmo dovuto ma io sono felice che sia accaduto, so che è peccato ma sono felice ugualmente perché tu mi piaci, mi piaci dal primo giorno che ti ho vista ma non avrei mai pensato di poterti piacere, che anche tu potessi sentire per me quello che provo io”
Mira si è un po’ spaventata, oddio che stava farneticando quello?
Lo ha lasciato così senza fermarsi ad ascoltare altro.
Quando Mira scende non si è neppure truccata e questo è un evento che lascia tutti quanti sgomenti.
Hillary l’aspetta in fondo alle scale e la porta in veranda dove c’è Matt e in piedi nervoso Nathan.
“Che vuoi si può sapere?” lo aggredisce lei.
“Mira ho pensato tutta notte a quello che è successo tra noi e ho deciso che la cosa più onesta da fare sia quella di parlare con Esther, devo raccontagli tutto ciò che è successo, rompere il fidanzamento. E poi dovremo conoscerci un po’ meglio, cominciare a frequentarci seriamente prima di poterci fidanzare non pensi? Non è che voglio sfuggire alle mie responsabilità, ma è giusto aspettare un po’ prima di ufficializzare il nostro rapporto, per serietà non certo perché mi voglio tirare indietro, questo vorrei che ti fosse molto chiaro. Esther arriva la prossima settimana con i miei genitori a trovarmi, penso che quello sia il momento giusto, certo comincerò a d accennarle qualcosa per telefono ma è necessario fare un discorso faccia a faccia e poi anche i miei genitori vorranno conoscerti”
A Mira sembra di vivere in uno di quei sogni assurdi e surreali tipo "Alice in Wonderland", in cui la comunicazione è insensata e distorta.
“Ma che stai dicendo, sei impazzito? Io non ho nessuna intenzione di conoscere i tuoi genitori ne di fidanzarmi con te, sei matto completamente e tutto per cosa poi? Tu sei scemo, vattene a casa e non farti vedere mai più”
Hillary l’afferra per un braccio e la mette a sedere.
“Si può sapere che è successo tra voi?”
Ecco quell’idiota doveva giusto rovinare tutta la fiducia che Mira si è costruita in mesi di bugie e inganni, accidenti a lui.
Ora non può far altro che cercare di minimizzare.
“Non è successo niente, ci siamo visti in questo periodo per il tutoraggio tutto qui, lui mi ha raccontato di essere fidanzato e di appartenere ad una setta di ultra bigotti. Basta!”
“Non è una setta ma una confessione religiosa e non siamo ultra bigotti, mettiamo in pratica con onestà gli insegnamenti della Bibbia e poi non è vero che non è successo nulla”
Hill e Matt la guardano con aria seria, Mira capisce che non ha via di scampo.
“E va bene, ieri eravamo soli ed è successo, lui ha cominciato a toccarmi e io gli ho fatto un pompino, tutto qui, cosa mai sarà?”
Nathan la guarda esterrefatto e c’è delusione nei suoi occhi.
“Che vuoi dire? Che per te non è contato niente?”
Mira sente la delusione di lui avvolgerla, pensava che fosse divertente parlarne con Amber, prenderlo in giro, stuzzicarlo di nuovo, andarci a letto magari. Non ha calcolato che per Nathan le cose di cui parla sono vere, che crede in ciò che dice, che ora si sente messo in ballo, che si è lasciato fare perché è innamorato di lei e anche così pensa di essersi spinto troppo oltre, di non averla rispettata, di non aver avuto il controllo necessario perché non accadesse una cosa che per lui è profonda, intima ed esclusiva.
Si sente una puttana ed è la prima volta, non si è mai considerata tale nonostante il giudizio degli altri e soprattutto delle altre, solo una per cui il sesso è un modo come tanti per divertirsi; questa volta però le sue giustificazioni non funzionano perché si è scontrata con qualcosa che non ha mai conosciuto prima: l’autenticità, l’onestà e il rispetto.
Le dispiace vedere lo sguardo afflitto di Nathan, pensava di giocare come al suo solito, non ha compreso fino in fondo la sua serietà.
“Senti Nathan forse non ci siamo capiti, io non do a quello che è successo lo stesso significato che gli dai tu, non mi sento impegnata con te solo per questo e penso che non dovresti lasciare la tua ragazza, è tutta colpa mia, tu non hai fatto proprio niente, comunque vorrei rifletterci sopra ok?”
Esce dalla veranda e raggiunge la sua camera.
Fra non molto arriverà il comitato della pubblica moralità per farle l’interrogatorio e la conseguente predica.
Eppure non è questo che le stringe lo stomaco, ma l’espressione di Nathan mentre gli ha detto che per lei non è contato nulla.



La lezione è quasi giunta al termine quando il professor Lerman si avvicina alla cattedra e si schiarisce la voce per attirare l’attenzione dei ragazzi.
“Siamo ormai alla fine dell’anno e il consiglio della scuola ha deciso di organizzare una mostra con i lavori degli studenti, mi sembra un buon modo per presentare le vostre fatiche e un’occasione per la scuola di farsi conoscere. La mostra sarà aperta a tutti coloro che la vorranno vistare e quindi penso che dovremo fare un buon lavoro, qualcosa di originale. Per questo abbiamo bisogno del vostro aiuto, ci sembra giusto che anche gli studenti partecipino alla realizzazione di questo evento. Ovviamente nessuno è obbligato ma ci piacerebbe se qualcuno di voi si proponesse.”
“Che dovremmo fare?” chiede uno studente al primo banco.
“Ci troveremo qualche pomeriggio per decidere come organizzarci e poi ci servirà qualche ora per la parte puramente pratica, comunque c’è ancora un po’ di tempo, pensateci, non mi dovete dare una riposta oggi”
Stanno per uscire al suono della campanella quando la voce di Lerman ferma Alison proprio mentre sta per imboccare l’uscita.
“Scusa puoi fermarti un attimo”
Alison lancia un’occhiata a Chris e poi si avvicina alla cattedra.
“Senti per l’evento da organizzare ci terrei se tu potessi partecipare, penso che tu sia una delle studentesse migliori del corso e mi farebbe piacere se tu decidessi di collaborare, sono sicuro che hai un sacco d’idee”
Alison lo guarda imbarazzata, in realtà non ha neppure pensato per un attimo di dare la sua candidatura, come se la cosa non fosse diretta a lei, non la riguardasse ed ora sentirsi dire da Lerman che lei è una delle allieve migliori, la lascia semplicemente interdetta e che lui ci tenga ad averla nel comitato organizzativo la fa sentire strana, un po’ a disagio, un po’ intimidita, un po’ orgogliosa e anche un po’ felice.
Non sa proprio spiegarsi il perché dovrebbe sentirsi felice di venire a scuola anche nei pomeriggi liberi, ma lavorare con Lerman a qualcosa di importante per la scuola, le sembra un’opportunità di cui neanche si ritiene degna.
“Beh ci devo pensare, io devo chiedere a... a casa e poi forse mi sta sopravalutando, c’è un sacco di gente più in gamba di me, non vorrei deluderla”
Lerman sorride.
“Stai mettendo in dubbio le mie capacità professionali? Il mio compito è quello di valutare gli allievi non solo di insegnare e fidati: tu sei speciale”
Alison arrossisce.
“Non vorrei offenderla ma non penso proprio”
“L’importante è che ne sia convinto io, vedrai che se mi dai fiducia te ne convincerai anche tu prima o poi, questa è una bella occasione per metterti alla prova, non devi avere paura”
Alison rimane piccata.
“Non ho paura, solo che non sono la persona adatta, perché non chiede a Chris?”
Lerman si rabbuia un attimo.
“Lascia stare Chris, pensa a quello che ti ho detto, io voglio te e non qualcun altro”
Stanno tornando a casa passando per il parco tanto per allungare un po’ la strada e quando Alison spiega a Chris perché Lerman l’ha trattenuta, lui rimane silenzioso per un po’.
“Penso che tu debba accettare sai?”
“Perché?”
“Beh ha ragione Lerman, tu sei brava, faresti un buon lavoro e poi sarebbe l’occasione d’oro per startene un po’ con lui”
“Che cazzo stai dicendo, perché dovrei aver voglia di stare con lui”
Chris ridacchia.
“Eh dai Alison non sono scemo, l’ho capito sai che ti piace e probabilmente tu piaci a lui”
“Stai scherzando vero?”
“No, è che non vuoi ammetterlo, guarda che io non me la prendo, siamo amici noi due, nessuno, neanche Lerman potrà mai dividerci, non è così?”
Alison si stringe al corpo magro di Chris.
“Nessuno, neanche Lerman che tra l’altro non mi piace”
E’ una bugia e se ne rende conto appena l’ha pronunciata.
E’ assurdo che sia stato necessario Chris per far si che la verità le appaia con chiarezza: Julian Lerman le piace, le è piaciuto appena l’ha visto e non è solo attrazione fisica ma un interesse più globale, una voglia di conoscerlo più a fondo, di stargli accanto e parlare e confrontarsi.
Proprio Chris doveva capirlo? Gli fa male, anche se non sa bene perchè. Gli sembra un tradimento, anche se non sa bene per quale motivo. Si sente in qualche modo scissa a metà, attratta e respinta da una nuova situazione che viene a scombussolare ciò che è riuscita a costruirsi con fatica.
Non sa cosa fare se non restare stretta a Chris, uno dei loro soliti abbracci, ma che questa volta non è solo un sostenerlo ma anche un non volerlo lasciare, un appiglio per non farsi strappare via.



Kyle non sa bene perché per tornare a casa abbia scelto quella strada che lo porta a passare dal parco.
In realtà non se n’è neppure accorto, assorto com’era nei suoi pensieri.
Ha comunque continuato sulla sua strada senza cercare deviazioni mantenendo un passo costante e tranquillo e intanto sperando fortemente in cuor suo di non incontrare gli amici di Dean, che vengono lì ad allenarsi quasi tutti i giorni.
Gli stanno proprio sulle scatole con quell’aria da bulli, quell’espressione da duri stampata sulle facce e quell’atteggiamento sciolto e volutamente menefreghista che trasuda testosterone da ogni poro.
Ma naturalmente, l’ha capito già da un pezzo ma ci casca sempre, non si può basare la propria vita sulla speranza, perché rimani sempre fregato.
E infatti avanzando con le mani in tasca, la sciarpa attorno al collo e la testa incassata nelle spalle, butta l’occhio alle piste e ci vede proprio le persone che avrebbe voluto evitare.
Proprio a pochi metri da lui stanno riposando seduti sulle gradinate e sui parapetti.
Tiene gli occhi alti e fermi davanti a se come se guardasse un ipotetico orizzonte, come se quei tipi fossero invisibili.
Quasi inconsapevolmente raddrizza le spalle e cerca di sorridere.
Per nulla al mondo darebbe la soddisfazione di farsi vedere da quelli, preoccupato o peggio intimorito.
Inevitabile risuona al suo passaggio una voce, come al solito al gusto di veleno e rabbia, con un pizzico di sarcasmo che non fa mai male.
“Guarda chi si vede, non si saluta più?”
Kyle si ferma, con uno sforzo ben celato mantiene la voce tranquilla, solo un tantino bassa.
“Chi dovrei salutare scusa, non mi sembra che siamo amici”
“Beh potremmo diventarlo che ne sai?”
“Non sei il mio tipo, mi dispiace”
I ragazzi ridono, Kyle si sente più sciolto, l’adrenalina comincia a scorrergli nelle vene dandogli coraggio e sfrontatezza, non ha nessuna intenzione di farsi prendere in giro da quegli idioti.
“Che ne sai che non sono il tuo tipo, mi sembra di non avertelo mai messo nel culo”
“Anche se ti piacerebbe mi dispiace ma è no, scelgo con cura i miei amanti, non mi interessa il primo che capita”
“Ohh siamo schizzinosi, ci scommetti che se mi provi non mi molli più”
“Non sapevo che anche a te piacessero i ragazzi, se vuoi ti organizzo una serata con qualche mio amico”
“In realtà non mi piacciono, però mi piacerebbe un sacco toglierti quel sorriso da stronzetto succhiacazzi che hai”
“E lo vorresti fare scopandomi? Allora dovresti preoccuparti delle tue capacità da amatore, se fossi bravo come vai in giro a vantarti, dovresti farmelo venire il sorriso”
“Non ho intenzione di farti sorridere, sai quando ti vedo mi viene voglia di farti urlare, non di farti sorridere”
“Beh addirittura urlare, accidenti mi stai offrendo una serata hot”
Gli altri si stanno godendo la discussione, la raffica di battute.
Kyle sente la violenza e la rabbia del tipo che ha di fronte, di cui non ricorda neppure il nome, scendergli addosso come pece bollente, ma cerca di non farsi prendere dall’angoscia che gli stringe lo stomaco e dalla paura; sa che davvero c’è odio nelle parole dell’altro e voglia di fargli del male, forse anche desiderio, certamente inespresso e cacciato nei profondi recessi dell’inconscio, ma un desiderio così riprovevole e vergognoso che può uscire allo scoperto solo sotto forma di violenza.
“Comunque si è fatto tardi devo scappare, è sempre un piacere parlare con te”
Fa per spostarsi e proseguire, ma il tipo gli si mette davanti e lo strattona per un braccio.
Kyle si guarda in giro rapidamente, il parco a quest’ora e soprattutto con questo tempo, è vuoto.
I ragazzi gli si fanno attorno, minacciosi e con sulle facce livide dal freddo un sorriso che è brutto a vedersi, perché non lascia presagire nulla di divertente.
Kyle spera che arrivi Dean a salvarlo, ma di lui non si vede neanche l’ombra.
“Allora non hai più niente da dire adesso?”
“Ti conviene non mettermi le mani addosso, potresti finire male, davvero!”
“Cazzo che paura, che mi farai?”
“Ti denuncerò per molestie”
C’è una risata e anche questa suona male, stridula e cattiva.
“Certo fai pure, una checca che denuncia una violenza, come no! Sei un frocio succhiacazzi, sbattuto in una comunità perché i tuoi genitori si vergognavano troppo di te, mi hanno raccontato sai quando lo davi via per soldi sulle macchine dei vecchiacci o quando lo succhiavi contro i muri per qualche sterlina. Pensi che ti crederanno? I miei amici qui diranno che hai fatto tutto tu puttanella”
Kyle lo guarda con gli occhi spalancati e la bocca secca.
Non c’è più la paura di quello che gli potrebbe succedere, solo l’incredulità e lo stupore più assoluto.
Come può quel tizio, che non è nulla per lui, conoscere dei dettagli del suo passato? Chi glieli ha rivelati?
Come ha scoperto qualcosa che è coperto da un segreto legale.
Solo Hillary e Matthew conoscono la sua storia, solo loro.
Non ha mai raccontato a nessuno qualcosa di lui, a nessuno dei ragazzi di Parker’s House dove esiste una regola non scritta ma assolutamente valida, tra chi come tutti loro ha troppi scheletri nell’armadio: non chiedere se non vuoi che ti chiedano.
Non ha mai detto nulla neppure a Jared, almeno non crede, almeno non ricorda, spera solo di non aver parlato troppo quando era ubriaco o fumato tra le sue braccia.
Ma Jared non c’entra nulla con questi teppisti, non si mescolerebbe mai a loro.
E’ completamente in paranoia, non si accorge neppure che il tipo lo sta trascinando lontano dalle piste, dove il parco è più boscoso, dove ci sono cespugli in cui infrattarsi.
“Ehi che succede?”
E’ una voce femminile, bassa ma dura e secca quella che gli giunge all’orecchio.
“Che cazzo volete, non rompete, se volete scopare mi dispiace ma qui è già occupato” risponde ringhiando la voce di uno dei ragazzi.
“Ti conviene lasciarlo immediatamente o chiamo la polizia, oppure volete violentare anche noi?”
La voce è inflessibile, non è una richiesta ma un ordine.
“Dai andiamocene” qualcuno borbotta.
Lentamente si fa vuoto attorno a Kyle, la mano del tipo che lo afferrava al braccio come una morsa, si allenta.
“Ok ce ne andiamo, ma tieni il tuo amico frocio lontano da noi”
“Andate a farvi fottere stronzi”
“Ehi puttanella stai attenta a come parli, non ci metto niente a farti fare la fine che stava rischiando di fare il tuo amichetto”
“Devi solo provarci, mia madre è finita in galera per aver fatto fuori il suo tipo, sai come si dice, buon sangue non mente” e non c’è nulla di drammatico ne di particolarmente teso nella voce di Alison in questo momento, le sue parole hanno solo un’intonazione severa e inesorabile.
Kyle si guarda attorno e si accorge che sono spariti tutti quanti, ci sono solo lui, Alison e un tipo che ha tutta l’aria di essersi goduto la scena e che gli sembra di aver già visto.
“Kyle tutto a posto? Lui è Chris, ti ricordi ?”
“Ora che hai fatto la tua buona azione quotidiana, possiamo andare Alison? Qui rischio di farmi venire una polmonite” borbotta il tipo.
“Ti va di venire con noi, ci andiamo a prendere un caffè da Jeffrey”
Kyle scuote la testa ma con poca energia, è ancora sotto shock per quello che è accaduto, ma soprattutto per quello che ha sentito.
Chris gli si avvicina, lo prende sotto braccio.
“Dai fidati, un caffè è quello che ti ci vuole e poi se vuoi ci racconti quello che è successo, perché io mica l’ho capito”
Alison scuote la tesa con aria di compatimento.
Sono tutti e tre davanti ad una tazza bollente, il profumo del caffè e delle ciambelle crea quel giusto mix di tepore e gradevolezza, che permette a Kyle di chiedersi se davvero è successo qualcosa pochi momenti prima.
La mano di Alison corre sul suo braccio, carezzandolo delicatamente.
“Sai la cosa che mi ha sconvolto veramente è che quel bastardo ha detto cose di me che non avrebbe mai potuto sapere”
Alison lo guarda negli occhi.
“Qualcosa del tuo passato?”
“Sì esatto, come ha fatto a saperlo? Io lo conosco solo di vista, non so neanche come si chiama, so solo che è amico di Dean”
“Dean?”
Alison a volte sembra non abitare a Parker’s House.
“L’amico di Yuki, suona la batteria nel suo gruppo”
“Hai raccontato qualcosa a lui?”
“A Dean? No”
“E a Yuki?”
“No”
“Sei sicuro?”
“Si certo, mica vado in giro a dire certe cose al primo che capita”
“Pensavo foste amici tu e Yuki”
Kyle sbuffa, ma dove vive Alison, c’è qualcos’altro che le interessa oltre il disegno?
“Non siamo amici”
“State nella stessa camera, prima di addormentarsi a volte capita di lasciarsi andare a confidenze”
“Tu ti confidi con Mira?”
Alison fa una smorfia.
“Beh Mira è un caso particolare o forse lo sono io, boh”
“Con Yuki non ci sono mai state confidenze, scherziamo, mi sta anche simpatico, a volte parliamo di cose nostre: la musica, le ragazze o i ragazzi, ma tutto qui”
“Parlane con Matt o Hillary”
“Oppure fottitene, quello che è stato è stato, finché avrai paura del tuo passato non riuscirai a staccartene mai, la tua vita è ora”
Chris interviene, ha le labbra sporche di zucchero a velo, i capelli scompigliati che gli entrano negli occhi, le dita imbrattate di colori.
“Non è facile, sai a volte vorrei che qualcuno azzerasse i ricordi, non sapere più neppure il mio nome” sussurra Kyle.
“Non è la soluzione giusta, immagino”
“Che ne sai?”
“Anch’io a ricordi schifosi sono messo bene, possiamo fare una graduatoria tra noi tre che ne dite? Chi ha i ricordi peggiori vince”
“Cosa?” sorride Alison.
“Ci troviamo una sera da me e passiamo la notte a mangiare pizza, bere, farci qualche canna e a sputare fuori quello che abbiamo in testa”
“Io non ho problemi a raccontare quello che mi è successo senza nessun bisogno di inscenare questa pseudo terapia di gruppo”
“Alison non è una terapia è una gara, una cosa divertente”
“Mi immagino, tu che spari cazzate strafatto e di metti a piagnucolare”
“Non piagnucolo”
“Sì che lo fai quando fumi e bevi lo fai, solo che dopo non te ne ricordi”
Kyle ascolta, gli viene da sorridere, però non riesce a cancellare le parole che gli ha sputato addosso quel tipo poco fa.
Gli hanno fatto male, lo hanno fatto sentire sporco, pervertito, lo hanno fatto sentire come tutti, compresi i suoi genitori, vogliono che si senta.
Deve scoprire chi è stato a raccontare queste cose di lui, ma soprattutto deve capire perché solo pensare che qualcuno le sappia lo faccia stare così male.
Quando entra in casa, cerca subito Matt e Hillary, gli unici che in qualche modo lo possono aiutare, gli unici che sanno tutto di lui e lo hanno accettato per quello che è e che ha fatto.
Sono seduti in veranda con le porte chiuse, il luogo degli incontri più personali e difficili.
Kyle cerca di trattenere le lacrime con scarsi risultati.
“Sei sicuro di aver capito bene?” ripete Matt per la quarta volta, rendendosi conto per primo dell’inutilità della sua domanda.
“Come hanno fatto a scoprirlo? Chi è andato a raccontare in giro la mia storia?” ripete Kyle come una litania.
“Le vostre storie sono coperte dal segreto professionale, nessuno degli operatori che ti ha seguito può averne parlato e di noi spero che ti fidi”
Kyle guarda negli occhi prima Hillary e poi Matt, certo che si fida ma razionalmente loro sono gli unici a conoscenza di quello che gli è successo, se non sono stati loro chi può essere stato?
“Forse ne avete parlato tra colleghi e qualcuno lo ha detto ad un altro e così via”
“Kyle le storie dei nostri ragazzi non sono argomento di conversazione durante il the pomeridiano o davanti ad una birra al pub, se pensi che parliamo di voi come se raccontassimo storielle ti sbagli di grosso, non potremmo mai farlo, come puoi solo pensare che ...”
“D’accordo Hill mi dispiace, ho capito, ma se voi non c’entrate chi può essere stato?”
“Sei sicuro di non esserti confidato con qualcuno, sai basta solo qualche parola di troppo a volte”
“No figurati, non ho mai parlato con nessuno di quello che è successo con i miei, con nessuno veramente”
“Va bene cercheremo di venirne a capo stai tranquillo, ora direi che non devi prendertela troppo, quei tipi sono solo degli sbruffoni, devi cercare di startene alla larga, per un po’ ti accompagnerò io a scuola e..”
“No grazie Matt, ma no, non puoi proteggermi per sempre, dovrò affrontarli comunque, nei corridoi o nei bagni o in classe, dovrò affrontare le schifezze che staranno spiattellando su di me per tutta la scuola”
“Va beh ma c’è un limite oltre al quale può intervenire la legge, se la pressione diventa troppo forte sappilo che non mi farò nessuno scrupolo a denunciarli per bullismo o diffamazione, quindi quello che ti chiediamo è di parlare con noi, di raccontarci quello che ti succede, di non pensare di risolvere la faccenda da solo, siamo d’accordo?”
“Sì certo”
Kyle si alza.
Si sente a pezzi, si sente insudiciato e immorale.
Quanto è dura da superare la propria educazione. Per anni i suoi genitori gli hanno inculcato l’idea che gli omosessuali sono dei pervertiti contro natura, che peccano contro la volontà di Dio.
E’ stato uno stupido a pensare di poter voltare pagina da un giorno all’altro come se niente fosse. Gli hanno dato la possibilità di redimersi, di seguire la strada naturale o di soffocare ogni pulsione sessuale ma ha rifiutato, anzi ha sfidato tutti quanti.
E’ questo che nel passato lo ha spinto a prostituirsi con l’inconscia speranza che i suoi prima o poi lo scoprissero, il gusto stronzo di dimostrare che lui era fatto così e che nessuno poteva dirgli cosa fare della sua sessualità.
Le sue marchette sono state contro suo padre, contro sua madre e contro Dio, l’unico modo per placare il suo dolore e la sua angoscia e il suo senso di abbandono.
“Se sono un peccatore ebbene lo sarò fino in fondo, vi farò vergognare, vi ferirò come voi state ferendo me.”
Ma è stato uno sciocco a pensare di poter liquidare in questo modo anni di disciplina severa.
Ora sapere che la gente che gli sta accanto sa cosa ha fatto gli suscita vergogna ma non solo, gli suscita vergogna soprattutto quello che è, quello che è diventato.
Un frocetto che si fa scopare da uno stronzo che lo tratta come un sexy toy.
Ecco chi è lui.
Un maledetto finocchio che fa proposte maliziose all’amico del suo compagno di camera.
Lo stesso finocchio che si è prostituito neanche un anno fa sulle auto dei passanti, senza neanche guardarli in faccia.
Forse lui è davvero un peccatore, uno di quelli che se ne infischiano, uno che ha sempre pensato di essere nel giusto; non si è mai pentito, non ha mai chiesto perdono, non ha mai fatto penitenza ed ora il suo castigo è arrivato. Dio lo sta punendo, quel Dio in cui ha creduto per tutta la vita: terribile nella sua collera, potente nella sua giustizia.



Yuki ha mangiato in fretta senza dire una parola e poi si è chiuso in camera.
Si sente il suono di Black Pearl che stride e graffia rabbia.
Matt e Hillary si guardano in faccia, poi Hillary si avvicina alla porta ed entra senza bussare.
Yuki è seduto sul letto, il capo chinato sulle corde, sordo ad ogni altro rumore.
Solo quando lei si siede sulla sponda, sembra accorgersi della sua presenza.
Una mano va a scostare i capelli dal viso con un gesto irritato.
“Che c’è?”
“Che c’è sono io a chiedertelo, è da un po’ che io e Matt ce lo stiamo domandando, ma oggi mi sembra arrivato il momento di parlarne”
Yuki sbuffa, accarezza le corde della chitarra, l’unica cosa che gli è rimasta di suo padre prima che li separassero: la sua vecchia ESP Forest-Gt nera.
“Ho litigato con Dean e anche con gli altri, mi hanno rotto, non capiscono un accidenti, non ho più intenzione di suonare con loro, non si rendono conto che è necessario fare un salto di qualità, superare i nostri limiti, entrare in altre dimensioni.
A loro basta poter suonare in qualche posto merdoso, in qualche locale di paese, è tutto qui quello a cui aspirano, sogni di impiegati della musica ma io non ci sto, non posso accontentarmi di questo, non avrei fatto il musicista altrimenti, non ti pare?”
Ha parlato senza quasi tirare il fiato come fa di solito quando è nervoso o impaurito o confuso, saltando da un'idea all’altra e dando per scontato che chi ascolta abbia il potere di seguirlo nei suoi pensieri labirintici.
“Forse è il caso che ti spieghi meglio, c’entra per caso Nina in tutto questo?”
Yuki ride sarcastico.
“Anche tu con questa storia. Mi dici perché ce l’avete tutti con lei? Anche quegli stronzi hanno tirato in ballo che da quando sto con Nina sono cambiato, che lei mi ha messo in testa chissà che, che si è intromessa e vuole mettere il naso nelle nostre cose... Tutte puttanate, la verità è che Nina è una persona eccezionale e loro non riescono neppure a capirla tanto lei è superiore.
Lei mi ha aperto la mente, mi ha fatto conoscere il mio potenziale e come lo sto sprecando stando con quegli stronzi che non sanno guardare più avanti del loro naso.
Finalmente ho trovato una persona che mi capisce fino in fondo all’anima e io capisco lei, è come specchiarsi, siamo così sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda che ci basta guardaci per conoscere cosa stiamo provando e quei pezzi di merda le hanno proibito di venire alle prove, ma ti rendi conto… Loro che non la vogliono alle prove perché dicono che vuole sempre dire la sua.”
“Yuki forse stai sopravalutando Nina, io ci ho parlato solo un paio di volte di sfuggita, mi sembra una ragazza molto sicura di sé e anche capace di far valere la sua opinione, sicuramente è molto brava ad usare le parole, però cerca di metterti nei panni di Dean e degli altri, siete stati sempre insieme ed ora compare lei che non invitata vuole dire la sua su tutto quanto, forse non è stata molto diplomatica e tu ti sei fatto prendere troppo da questa relazione, non devi buttarti a corpo morto in ogni situazione, è necessario che impari a prendere un po’ di tempo per riflettere, per distanziarti, per capire meglio chi hai di fronte”
Yuki si alza dal letto, agitato.
“Hillary non ho bisogno di tempo, io e Nina siamo due anime elette che si sono trovate, non mi è mai successo con nessuno quello che mi sta capitando con lei, scovarla è stato un miracolo, non solo come uomo ma come musicista; lei ha intuizioni al di là di quello che potrò mai sognarmi ed è assurdo che per gelosia e ripicca gli altri si siano schierati contro di lei, se una persona è brava io mi inchino e cerca di imparare il più possibile, non mi rinchiudo nella mia torre pensando che sia una stronza perché mi ha mostrato la mia incapacità”
“Ti ha messo contro ai tuoi amici, ti sta riempiendo la testa di idee megalomani, ti sta distraendo da tutto quanto era la tua vita prima di conoscere lei, esiste solo Nina per te da un po’ di tempo a questa parte, non è giusto Yuki, non puoi puntare tutto su una persona sola, che oltretutto conosci solo da poco. Chi è questa Nina, cosa ha fatto di così eccezionale finora?”
“Lei aspettava me e io aspettavo lei senza che lo sapessimo, ora che siamo insieme potremo dare vita a cose mai viste prima, la mia musica sarà qualcosa che nessuno ha mai sentito, così come i testi che lei sta scrivendo. Se nessuno mi segue andremo avanti da soli.”
“Noi abbiamo il dovere di tutelarti, conviene che tu ce la faccia conoscere un po’ meglio questa Nina prima di iniziare a farneticare, da quando la conosci sembra che tu faccia fatica a restare nella realtà e sai che questo per te è sempre stato un problema”
“Dio non ricominciare con questa storia, possibile che sia così difficile da capire per tutti voi. Quando ho conosciuto i ragazzi ho dato me stesso per questo progetto, ma ho capito che se vuoi che qualcosa vada bene devi farla da solo o con qualcuno che ti capisca veramente. Non sto criticando nessuno in realtà, forse solo me stesso per averci creduto troppo. Ma devi capire che probabilmente non sono mai stato me stesso quanto lo sono ora. I ragazzi pensano che li sto tradendo e che sono un bugiardo ma la gente cambia ogni giorno. Io sto solo cercando un cambiamento ed è Nina che mi può aiutare a trovarlo.”
Hillary lo guarda sconcertata, le sembra che tutto il lavoro fatto con Yuki stia crollando miseramente e non se lo può permettere.
Lo ricorda ancora quando è arrivato circa un anno prima: un ragazzetto di sedici anni più o meno, con gli occhi chiari e confusi.
I servizi sociali lo avevano preso in custodia e il tribunale aveva decretato l’affidamento ad una comunità per adolescenti, revocando la tutela ai genitori.
Yuki piangeva spesso appena arrivato, era arrabbiato, era sconvolto, non riusciva a capire perché la sua vita fosse stata buttata all'aria.
Suo padre e sua madre erano musicisti, la loro era da anni una vita scombinata, tra continui spostamenti in cerca di locali dove suonare.
La band era la famiglia, un gruppo di rocker invecchiati dalla vita disordinata e senza regole: alberghetti fatiscenti, alcool, droga, musica, serate giusto per potersi pagare la sopravvivenza.
Yuki era nato e cresciuto in quel mondo, con una madre e un padre tossicodipendenti che rincorrevano ancora sogni di libertà e divertimento, quando ormai liberi non lo erano da un pezzo e il divertimento si trasformava spesso in disperazione, quando mancavano i soldi per le dosi necessarie.
A sedici anni lo avevano beccato ubriaco, addormentato in un auto risultata rubata.
Ovvio che il tribunale avesse decretato l’incapacità dei genitori di Yuki di occuparsi di lui, assurdo che nessuno se ne fosse accorto prima.
A Yuki mancava qualsiasi norma, non aveva mai frequentato regolarmente la scuola, non aveva mai avuto una casa, non aveva mai dormito nello stesso letto per più di qualche notte di seguito.
Però nonostante tutto in qualche modo distorto era stato amato.
Suo padre e sua madre anche se non se ne erano mai occupati, anche se non avevano mai tenuto conto delle sue esigenze di bambino prima e di ragazzo poi, anche se non avevano mai esercitato il loro ruolo, lo avevano sempre tenuto con loro, dandogli anche una sorta di affetto secondo il loro stile, secondo i loro parametri.
Per questo Yuki quando era arrivato aveva più volte cercato di scapparsene via, fughe che morivano a qualche isolato più in là, per il semplice motivo che non sapeva dove andare: la band aveva ripreso i suoi viaggi e lui era rimasto a terra.
In un anno era cambiato molto, era riuscito a rispettare le regole più basilari, ad adeguarsi più o meno ad ambienti per lui desueti: la scuola, il gruppo dei pari, due figure autorevoli che stavano tentando di vicariare la mancanza dei genitori.
Yuki non era un ribelle ne un violento, sognava e fantasticava e spesso era imprevedibile e impulsivo, a volte pareva menefreghista e superficiale ma in realtà amava molto riflettere su ciò che gli accadeva per cercare una spiegazione.
Doveva solo imparare a riflettere prima di agire e non viceversa.
Il suo punto debole era la tendenza a farsi suggestionare, a lasciarsi andare troppo all’immaginazione che a volte diventava visone irrealistica, non aveva basi solide su cui poggiare se stesso e ciò che stava diventando, bastava poco per vederlo franare.
Hillary in questo momento teme che stia succedendo proprio questo: un terremoto emotivo che lo getti di nuovo in un disordine mentale ed ansioso, in una sorta di delirio di onnipotenza.
Nina è troppo simile a sua madre, a suo padre, a tutta la gente che lo ha circondato durante la sua vita: instabile, egocentrica, sulla soglia di una follia megalomane, alla rincorsa di sogni impossibili.
Questa è stata l’impressione di Hillary e Matthew.
Pericolosa per Yuki, troppo!
“Senti Yuki, io e Matt abbiamo bisogno di parlare con te e con Nina, fino ad allora è meglio che non la vedi più”
Yuki si gira, la guarda sbalordito.
“No, no, non potete farlo di nuovo, non potete di nuovo intervenire nella mia vita e decidere come devo viverla, non lo accetto, non lo farete un’altra volta, non con Nina”
Prende la chitarra, afferra al volo il giaccone ed esce lasciando il portone spalancato dietro di se, prima che qualcuno abbia capito cosa stia succedendo.
Corre per la strada, la chitarra che gli batte sul fianco è un dolore rassicurante.
Quando arriva da Nina è già tardi.
Nina gli apre la porta stupita, ascolta il suo racconto, lo abbraccia, lo bacia, fanno all’amore in piedi nel piccolo soggiorno e tutto sembra che ritorni magicamente al proprio posto.



Connor è sdraiato sul letto e sta leggendo, ma perde sempre il segno perché ripensare agli avvenimenti della giornata lo distoglie dalla lettura.
Cazzo, passano mesi senza che accada nulla e poi tutto in un colpo le cose sembrano prendere un loro personalissimo corso, completamente inaspettato.
Dopo cena, appena un paio d’ore prima, Yuki ha dato fuori di matto, ha preso la porta e se ne è andato chissà dove e se non bastasse nel pomeriggio Kyle deve averne combinata una delle sue.
Jamie è lì accanto, neppure lui sembra aver intenzione di dormire ma guarda fuori dalla finestra, la sua occupazione preferita, sperando forse di vedere chissà chi!
“Ehi guarda che Yuki non torna, ti conviene metterti a letto e cercare di dormire, quello chissà dove è andato a finire”
Jamie si volta, con sul viso un’espressione di consapevolezza che Connor non gli ha mai visto, come se avesse capito quello che lui gli ha appena detto.
Sta cominciando a diventare imbarazzante Jamie, con quel suo sguardo che sembra iniziare a mettere a fuoco le cose che lo circondano e che soprattutto sembra raccogliere non più solo il suono di ciò che gli si dice, ma anche forse una piccola parte del contenuto.
Connor distoglie lo sguardo da Jamie e ripensa alla scena che gli si è presentata di fronte nel pomeriggio: Matt e Hillary che escono dalla veranda con delle facce da paura e dietro quel patetico di Kyle con gli occhi rossi e i pugni chiusi, che cerca inutilmente di darsi un minimo di contegno.
Certo Kyle deve averne combinata una proprio grossa per ridurre in quello stato sia Matt che Hillary contemporaneamente, di sicuro qualcosa che riguarda il sesso, con Kyle tutto si riduce a quello in fondo.
Di solito i due si danno il cambio, quando uno comincia a sclerare, l’altro riesce a restare calmo e a controllare la situazione, ma tutte e due così preoccupati li ha visti raramente.
Gli viene da pensare che forse lo hanno beccato da qualche parte a fare qualcosa di parecchio sconveniente, come è capitato a lui una sera, durante la sua corsa abituale.
Quella volta aveva sentito nel silenzio un rumore confuso con quello dei suoi passi sull’asfalto, un rumore dapprima difficile da identificare poi a mano a mano sempre più inequivocabile: gemiti e ansiti di piacere.
Anche se avesse voluto non avrebbe potuto non vedere, visto che i due stavano facendo i loro comodi proprio contro il muro di una casa, poco lontani da un lampione.
L’unica cosa che aveva potuto fare era attraversare la strada per evitare di passarci proprio davanti, ma quelli manco si erano accorti di lui, impegnati com’erano a strofinarsi e a toccarsi al limiti della decenza.
Se fosse passato un poliziotto li avrebbe di sicuro sbattuti in galera per oltraggio al pudore.
In ogni caso uno dei due era Kyle, non aveva potuto fare a meno di riconoscerlo e di osservarlo giusto un attimo, per scoprire se non avesse avuto un abbaglio.
In realtà che Kyle fosse una puttana lo sapeva da tempo, ma farsi quasi scopare a lato di una strada come se fosse una cagna, beh a questo non pensava potesse arrivarci.
E’ veramente disgustoso.
Gli viene la nausea al solo pensarci.
Verso Kyle, Connor ha covato da sempre un sorta di gelosia e rancore, perché quella puttana appena conosciuto Taylor lo ha subito cominciato ad annusare come un cane da caccia fiuta la sua preda.
Gli stava sempre appiccicato, lo adulava, non perdeva occasione per strofinarglisi addosso come un gatto in calore, aveva cercato in tutti i modi di sedurlo e Connor era rimasto a guardare tutti i suoi patetici tentativi senza muovere un muscolo.
Non era tipo da mettersi in competizione con uno come Kyle, però soffriva e stava male.
In verità Taylor gli aveva continuato a ripetere che non era interessato a quella troietta che si ripassava tutti i maschietti che poteva accaparrasi, nonostante avrebbe potuto avere la sua bella soddisfazione da uno a cui non sembrava mancare ne l’esperienza ne l’iniziativa per farlo godere.
Connor ricorda con perfetta lucidità quando Tay gli aveva confessato di essere invece attratto da lui e come questa dichiarazione fosse stata la cosa più gratificante di tutta la sua vita.
Non lo avrebbe mai ringraziato abbastanza per la gioia che gli aveva dato, quando con poche parole glielo aveva fatto capire.
E lui che del sesso avrebbe fatto volentieri anche a meno, lui aveva deciso che la scelta di Taylor se la sarebbe dovuta meritare e che non avrebbe mai dovuto tirasi indietro a nessuna delle sue richieste, mai!
Ma in ogni caso Connor non ha mai perdonato Kyle di averci provato con Taylor, di aver voluto mettere il naso nel loro rapporto esclusivo.
Così come non ha mai perdonato Yuki di tenere testa a Taylor, di sfotterlo, di provocarlo.
Quando Taylor era ancora a Parker’s House le liti tra i due erano all’ordine del giorno.
Ripone il libro e si stende sul letto, pensa che finalmente anche quel giorno è finito, Dio quanto è stato pesante arrivare a sera, oggi più del solito!
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Capitolo 6
*** C'era una volta il destino... ***





Capitolo 6: C’era una volta il destino...



C’era una volta il destino davanti al quale si inginocchiano anche gli dei, il destino tirò i dadi più volte per divertirsi e i dadi erano le piccole vite…



Solo il giorno prima Hillary, nel piccolo giardinetto, stava chinata su di un’aiuola appena zappettata interrando dei fiori.
L’erba stava spuntando tenera, di quel verde che mette allegria solo a vederlo.
Matt stava verniciando il cancelletto con impegno, con Jamie che gli reggeva il barattolo della vernice.
Connor aveva guardato fuori un attimo e poi aveva ricominciato a sistemare le sue cose nel borsone.
Non gli sembrava vero che finalmente tutto stesse per finire.
Oggi è seduto sull’auto di Matt che lo sta accompagnando a Londra.
Finalmente ha compiuto diciotto anni e il giudice ha firmato la revoca della tutela, in poche parole è divenuto libero di vivere finalmente come desidera.
Non ci sarà più nessuno ad obbligarlo a mangiare, più nessuna dieta da seguire, più nessuno stronzo psicologo da far finta di ascoltare.
Nessuno a cui giustificare i suoi tagli, nessuno che lo faccia sentire malato o fuori di testa.
Matthew e Hillary gli hanno parlato molto negli ultimi tempi.
Gli hanno fatto capire che era necessario che lui avesse un posto sicuro dove andare, che non era sufficiente avere diciotto anni per uscire fuori da Parker’s House e sbarazzarsi dei servizi sociali. Era essenziale che qualcuno garantisse per lui un ricovero, un mantenimento anche solo per il tempo di cercarsi un lavoro, di diventare veramente autonomo, per questo lui avrebbe potuto restare da loro fintanto che la sua vita avrebbe preso binari più certi, che non era prudente uscire fuori nel mondo senza nessuna sicurezza.
Parker’s House era aperta, nessuno lo avrebbe cacciato via, sarebbe potuto restare per tutto il tempo che gli sarebbe servito.
Ma a lui di Parker’s House non è mai interessato nulla.
Taylor gli ha confermato la sua disponibilità ad ospitarlo a Londra.
Si è dato anche la pena di ufficializzare la sua offerta, di dichiarare ai servizi che Connor starà da lui e che provvederà al suo mantenimento per un certo periodo.
In questi mesi in alcuni momenti ha avuto paura che in realtà Tay non si sentisse pronto a far fronte alla sua promessa ed ora si sente un verme per aver solo dubitato di lui, per aver pensato che non lo volesse tra i piedi, che potesse viverlo come un peso morto.
Si sono sentiti parecchio in questo periodo e Tay lo ha sempre rassicurato prendendolo in giro per i suoi timori.
“Guarda che sei proprio stronzo, chi pensi che sia? Ti ho detto prima di andarmene che avrei pensato io a te e adesso sei convinto che mi tiri indietro? Certo che hai una bella opinione di me, mi viene voglia di lasciarti in quel cesso di Tadcaster”
“Lo sai che non è per questo, è che ho paura di darti fastidio, non voglio esserti d’intralcio, avrai un sacco di cose da fare e in questo momento non voglio essere un problema” aveva ribattuto lui con voce incerta.
“Senti le cose stanno andando alla grande, per i soldi non ci devi neanche pensare, posso mantenere tutta Parker’s House per quello che mi danno. Certo sono parecchio impegnato, spesso starò fuori per lavoro ma tu puoi stare a casa mia come se fosse la tua e cominciare ad ambientarti”
Connor cerca una posizione comoda sul sedile e tira fuori dallo zaino l’mp3 già pregustando qualche ora di tranquillità, ma ha fatto male i suoi conti.
“Per favore puoi lasciare quella roba dentro, vorrei approfittare del viaggio per poter parlare un po’” lo blocca Matt.
“Non abbiamo parlato abbastanza, che altro c’è da dire?”
Connor si rende conto che la sua voce è stizzita e irrisoria e non vorrebbe, in fondo Matthew non se lo merita, ha fatto tutto quello che poteva per aiutarlo, anche se in realtà i suoi sforzi non sono serviti a nulla.
Proprio per ripagarlo almeno della buona volontà che ha sempre mostrato, Connor decide di assecondarlo, in fondo sono solo poche ore e poi tutto sarà finito, è in grado di sopportarlo.
“Ok scusa, dimmi pure” cerca di rendere la sua voce più dolce, più calma, di toglierle quella nota di fastidio troppo evidente.
“So che ne abbiamo già parlato però io non mi sento tranquillo, ho bisogno di dirtelo per l’ultima volta anche se so che sarà inutile”
Connor sbuffa.
“Sei ancora in tempo per rifletterci Connor, io e Hillary non pensiamo che sia una buona idea andare a stare da Taylor”
“Sai cosa ne penso in proposito, non c’è più niente da dire, non cambierò mai idea, è quello che aspettavo da mesi, da una vita, finalmente stare con una persona che sa di cosa ho bisogno, che sa come starmi vicina, senza ossessionarmi, giudicarmi, analizzarmi, solo dandomi la sua amicizia, la sua vicinanza, il suo affetto, è questo che mi serve”
“Connor io non sono uno psicologo o uno psichiatra, non so nulla di anoressia e di autolesionismo però qualcosa ho imparato, ci sono stato costretto per riuscire a capire qualcosa in più di te. Non è mio compito indagare sul perché tutto è cominciato, su cosa è successo, non è neppure mio compito entrare in merito alla tua relazione con i tuoi genitori. Sono tutte cose che io e Hill abbiamo lasciato agli specialisti, però so una cosa perfettamente, con sicurezza assoluta e cioè che Taylor non è la persona che in questo momento ti può aiutare”
“Ti sta antipatico, non so perché ma è sempre stato così, non capisco come fai a non renderti conto che è solo grazie a lui che sono uscito dall’anoressia”
“Non ne sei uscito lo sai meglio di me, sai che hai bisogno di qualcuno che ti controlli, che stia attento a che tu mangi in modo regolare”
“Cazzo Matt possibile che dopo tutto questo tempo non hai ancora capito, io non ho bisogno di questo, non voglio un controllore, una balia, un guardiano, io ho bisogno d’altro”
“Di cosa di preciso?”
“Di essere lasciato in pace, di essere considerato una persona e non un malato, di non essere sorvegliato a vista, di essere solo amato e basta”
“Balle, sono tutte balle che ti racconti, io e Hill eravamo disposti a darti fiducia, ad amarti, a non considerati solo un ragazzino anoressico e autolesionista ma tu non ce lo hai permesso, ti sei chiuso nel tuo guscio senza mai dire nulla, senza fare uscire nulla dalla tua testa”
“Taylor ci è riuscito, mi dispiace non è colpa mia ma vostra, non siete stati capaci di sapermi maneggiare, ci vuole un po’ di cura, di attenzioni che voi non avete mai avuto”
Matt scuote il capo, sul viso un’espressione ferita.
“Abbiamo fatto tutto quello che potevamo e sapevamo con te”
“Non è stato abbastanza”
“E pensi che con Taylor starai meglio?”
“Sono sicuro”
“Anche se non vuoi ammetterlo tu stai ancora male Connor, hai messo su peso solo perché io e Hill ti stiamo addosso, continui a tagliarti”
Connor lo guarda sorpreso.
“Come fai a saperlo?”
“Pensi che non ci accorgiamo di te? Abbiamo solo deciso che era più importante lavorare sull’anoressia, di tagli non si muore, ti abbiamo lasciato una valvola di sfogo ma lo sai anche tu che non è precisamente normale”
“Normale, sono stufo di sentirmi dire che non sono normale. Perchè non posso vivere come voglio?”
“Perché tu non stai vivendo, stai cercando di morire”
“Nooo, sei un bugiardo anche tu come tutti, continui a sbagliare fino all’ultimo”
“Lo spero tanto per te, spero di sbagliarmi su tutta la linea, comunque se qualcosa dovesse andare storto ricordati che noi ci siamo, promettimi almeno questo”
“Non andrà storto niente, comunque se questo ti può far stare più tranquillo te lo prometto”
“Taylor è egocentrico e narcisista, non è in grado di occuparsi di qualcun altro che non sia lui”
“Io e lui ci vogliamo bene”
“E’ amicizia o altro? Non te l’ho mai chiesto, forse non dovrei neppure adesso…”
“Non c’è niente da nascondere, io e Taylor ci vogliamo bene e ... Vuoi sapere se andiamo a letto insieme?”
“No è qualcosa di tuo lascia perdere, non voglio impicciarmi soprattutto adesso”
Sono arrivati all’appartamento.
Taylor li accoglie con allegria, la casa è vuota.
“Il mio coinquilino è partito per Los Angeles, starà via parecchio quindi non abbiamo problemi di spazio. Ti puoi sistemare nella sua camera”
Prima di andarsene Matt prende per un braccio Tay e lo trascina in disparte.
“Sei sicuro di quello che stai facendo?”
“Certo non c’è problema”
“Lo sai che i problemi ci sono, Connor non è guarito, non so se guarirà mai del tutto, ha bisogno di controllo, di cura..”
“No Matt ha solo bisogno di affetto e io so come darglielo non tu ne Hill, vedrai che starà bene da me non preoccuparti”
Matt se ne va, dopo aver lanciato un ultimo sguardo carico di apprensione.
Taylor entra nella camera dove Connor sta disfando il bagaglio, lo prende da dietro le spalle e lo butta scherzosamente sul letto.
“Allora che ne dici della tua nuova sistemazione, un po’ diversa da Parker’s House no?”
Connor ride.
“Naturalmente l’ospitalità non è gratis, esigo dei servizi speciali da te, spero che tu lo abbia messo in conto”
E mentre parla lo bacia sulla bocca con impeto e voracità.
Connor risponde al bacio buttandogli le braccia attorno al collo.
“Mi sembra giusto” ansima quando riesce a liberarsi dalla bocca di Tay.
“E allora da bravo fammi uno dei tuoi lavoretti, mi sono mancati i tuoi pompini, il tuo punto d’eccellenza”
Quando Tay esce dalla doccia dopo il sesso con i capelli gocciolanti e il torace liscio e tonico, Connor sta guardando la TV.
“Ascolta” dice l’amico sedendosi vicino e spegnendo l’apparecchio, “Dobbiamo fare un discorso, sai come si dice ‘patti chiari amicizia lunga’”
Connor annuisce lentamente e con negli occhi una leggera ansia.
“Non me ne frega nulla di quello che mangi o non mangi, sei un adulto e penso che tu sia in grado di decidere da solo, oltretutto di gente anoressica ce n'è a vagoni nel mio ambiente, uno più o uno meno non lo noterà nessuno, anzi sarai invidiato per la tua splendida linea e le tue splendide ossa sporgenti. Ti troverai ad essere uno dei tanti, nessuno ti guarderà in modo particolare, meglio di così si muore non ti pare?”
Connor non può neanche immaginare come potrà essere muoversi in un universo dove lui è uno qualunque e non più il malato o il diverso.
“Un altro discorso sono i tagli, non te li devi fare più, non voglio trovare in bagno fazzolettini sporchi di sangue o lamette chiaro? Non è una pratica sdoganata, non piace a nessuno vedere un corpo pieno di cicatrici”
“Non mi taglio da quando mi hai detto che sarei venuto a stare da te, so che ti hanno sempre dato fastidio”
“Bene! Passiamo al lato pratico, io spesso dovrò assentarmi per lavoro, sai è un periodo in cui sono richiesto e naturalmente cerco di non perdere nessuna occasione, dovrai startene da solo anche se non per periodi lunghi, comunque in questi giorni ti faccio conoscere un po’ di gente così hai degli agganci. Un’ ultima cosa: hai pensato a cosa vuoi fare? Non voglio metterti fretta ma penso che prima inizi a trovarti qualcosa da fare meglio è per te”
“Io non so fare niente”
“Balle, sei molto carino e anche se hai solo un anno meno di me sembri ancora un preadolescente, quel tuo visino e quel tuo corpo androgino faranno gola a molti nell’ambiente della moda. Io ho appena iniziato ma conosco gente che potrebbe introdurti, se ne hai voglia”
“Non sono molto fotogenico, non mi piace stare in posa come sai fare tu”
“Non preoccuparti si impara tutto a questo mondo. Tra qualche giorno c’è una cena da Linus Voigt, te lo ricordi, vi ho già presentato, è rimasto particolarmente colpito da te, quando gli ho detto che saresti venuto a stare a Londra mi ha detto che vuole rincontrarti assolutamente.”
“D’accordo, come vuoi”
“Ti ho comprato qualcosa da metterti, poi domani usciamo a fare un po’ di shopping, non pensare nemmeno di metterti addosso le cose che hai portato da Tadcaster”
Connor si stringe addosso a Taylor, si rende conto solo ora di quanto l’amico gli sia mancato, di quanto abbia bisogno di lui, l’unico a cui ha aperto il suo intimo, di cui si fida, che è sicuro non lo deluderà, che non gli farà del male, che lo accetterà e lo amerà per quello che è, anche se lui è poco, addirittura niente al suo confronto, anche se è solo un ragazzino che deve essere preso per mano, guidato, sorretto, amato sempre e con costanza, anche se è fragile e può rompersi facilmente, anche se è freddo e sembra che quel gelo si propaghi a ogni cosa che tocca, anche se è duro e rigido, anche se è come un cristallo. Un cristallo si può ammirare però è difficile amarlo, portarselo a letto e stringerselo al cuore, ma Taylor lo ha fatto e lui non lo ripagherà mai abbastanza.



Il pomeriggio ormai è inoltrato ma c’è ancora una bella luce, chiara, la primavera è ormai arrivata.
Alison e Julian Lerman stanno bevendo un caffè.
In questo periodo si sono incontrati spesso, hanno lavorato gomito a gomito, hanno parlato, discusso, ideato, schizzato, montato tavoli e cavalletti e sempre di più Alison si è sentita attratta verso quell’uomo che ha modi d’adulto e un sorriso da ragazzino.
Lui si appoggia allo schienale della sedia con aria stanca, allunga le gambe e sospira.
“Direi che siamo a buon punto, che ne dici, sei soddisfatta?”
Quello che piace ad Alison è che lui non l’ha mai trattata come una studentessa ma sempre come una sua pari, è la prima volta che si sente così valorizzata per quello che fa, per le sue idee, per i suoi lavori.
E’ una bella sensazione, una di quelle che gli sono sempre mancate, perché sua madre l’ha sempre messa su di un piedestallo come una statua di gran valore, non per quello che sapeva fare ma per com’era: bella, giovane ed elegante.
Una delle sue opere d’arte che amava far ammirare ai suoi amici.
E poi dopo a nessuno è mai piaciuta l’Alison che era, troppo carina e cortese, ben educata e a modo per gli istituti; troppo dura e fredda e chiusa per le persone per bene.
Non è mai riuscita a trovare una giusta misura, mai una miscela tra le due Alison.
Ed ora Julian è qui con lei e le dice che è stata brava e che senza le sue idee chissà come avrebbero fatto e che ci ha visto giusto a chiederle di partecipare al comitato organizzativo e che è fiero di lei.
Fiero di lei, chi mai prima d’ora è stato fiero di lei per quello che sa fare?
E inoltre Lerman non ha mai detto una parola su come è lei, sul fatto che è chiusa e non parla tanto, che è poco socievole e ama starsene per conto suo, si è sempre focalizzato sulla qualità delle sue proposte non sulla quantità.
“Allora ti sta piacendo questa esperienza?” le ripete sorridendo.
“Sì, anche se ero convinta del contrario”
“Lo so…. E' di questo che ti voglio parlare”
Alison lo guarda negli occhi, un po’ titubante.
“Mi piace lavorare con te, sei una persona eccezionale e non te ne sei mai resa conto, ho voluto darti questa possibilità sperando che potessi finalmente capirlo da sola quanto vali, spero di essere riuscito nel mio intento”
“Mi è piaciuto sì, ma non sono così sicura di essere tanto eccezionale, Chris sì che lo è, io sono solo una brava artigiana, niente a che veder con il talento”
Julian sbuffa, si china verso di lei per poterla guardare bene negli occhi, le prende le mani e Alison si sente accaldata.
“Cazzo Alison possibile che non vedi come stanno andando le cose? Chris è bravissimo, ha talento ma non basta, il talento bisogna coltivarlo e lui non lo sta facendo, non lo ha mai fatto, è nato con quel dono ma non lo sta accrescendo, non gli interessa. Non ha mai osservato i suoi lavori?”
“Certo, li conosco a memoria”
“E non ti sei mai accorta di nulla?”
“Di cosa?”
“Del fatto che sono tutti uguali, ripete in continuazione i soliti elementi, dall’inizio dell’anno ad oggi non è cambiato di una virgola, non è cresciuto, a lui interessa solo buttare sul foglio il malessere che ha dentro, ma questo da solo non farà di lui qualcuno di speciale”
“Le sue tavole sono magnifiche”
“Certo ma quello che aveva da dire lo ha già detto tutto quanto, non produrrà più nulla di buono se non questo”
“Non è vero”
“So che è il tuo ragazzo e questo ti fa male ma è così, se sei minimamente obiettiva lo sai anche tu che è così”
“Non è il mio ragazzo è qualcosa di diverso, il mio miglior amico, forse qualcosa ancora di più, è difficile da spiegare cos'è per me Chris ”
“Pensavo steste insieme”
“Non nel modo che pensi tu”
E solo allora Alison si accorge di due cose, la prima che ha cominciato a dare del tu a Lerman e le è venuto naturale, la seconda è che ha colto un lampo di gioia nei suoi occhi quando ha saputo che lei e Chris non stanno insieme e questo le ha fatto balzare il cuore nel petto.
“Alison, Chris sta male, se sei sua amica devi aiutarlo a fermarsi, lo vedo sempre peggio”
Alison scuote la testa e gli occhi le si riempiono di lacrime.
E’ arrabbiata perché non vuole piangere, perché ha giurato di non piangere più qualunque cosa succeda e proprio piangere davanti a Julian le sembra la cosa più stupida che possa fare, ma non riesce a trattenersi.
La voce le trema.
“Lo so, lui si fa di brutto ma io non posso farci nulla, non mi ascolterebbe e poi che diritto ho di dirgli cosa fare, ognuno è libero di seguire la sua strada, io posso solo stargli accanto qualunque cosa succeda”
“No, non credo che tu possa fare solo quello, puoi tentare di metterlo in guardia, di fermarlo, forse non servirà a nulla ma in questo modo lui sta correndo verso un precipizio e tu gli stai a fianco, quando si butterà cosa farai? Lo seguirai o ti fermerai sul baratro guardandolo cadere?”
Le lacrime scorrono sul viso di Alison.
“E’ una bella domanda, forse lo seguirò”
Juilian le stringe di più le mani.
“Tu non sei lui, tu sei diversa, non sei obbligata a seguirlo, puoi tentare di fermarlo quello sì, ma poi ognuno segue la sua strada, la tua non è la sua”
E Alison a quelle parole capisce il suo errore madornale.
Oddio ci è cascata di nuovo, ha fuso la sua vita con quella di un’altra persona lasciandosi trascinare dentro, dipendendone e facendola sua.
Non è stata sufficiente l’esperienza con sua madre?
Era stata dura, lacerante ma pensava di avercela fatta, di aver scisso ogni legame malato, di aver ristabilito una sua identità che non ricalcasse nessun desiderio altrui, di essere divenuta padrona di se stessa e della sua vita ed invece eccola di nuovo qui, invischiata in un rapporto simbiotico con Chris, così dentro le sue paranoie malate e le sue angosce da non accorgersi di quanto sia sofferente e di quanto abbia bisogno non di consolazione, ma di qualcuno che lo prenda e lo obblighi a curarsi se vuole uscirne vivo.
Come ha potuto di nuovo intrecciare la sua vita con un'altra persona così fortemente da divenire l’altro, di pensare come l’altro, di agire come l’altro?
“Ehi Alison non volevo farti stare male ma è una cosa che avevo necessità di dirti, ti ho guardata per questi mesi e ho visto una ragazza piena di talento che non sa neppure di avere, impegnata com’è ad ammirare qualcun’altro. Devi imparare a contare su te stessa, sulle tue capacità. Io ci credo tanto in te, sei una persona bellissima e forse è poco professionale ma ho deciso di prendermi la libertà di dirti che mi piacerebbe starti vicino e poterti conoscere meglio”
Alison lo guarda nei suoi occhi grigi e si sente il cuore gonfio così tanto che ha paura che gli scoppi, sente che Julian è sincero e onesto con lei e che ciò che gli sta dicendo è da molto che avrebbe voluto sentirselo dire, anche se non lo ha mai ammesso neppure con se stessa.
Non sa neppure come succede ma il bacio tra loro nasce spontaneo, solo un allungarsi di entrambi superando l’ostacolo del tavolino, un bacio di labbra umide e calde, una bacio giusto per quel momento.
Quando si staccano c’è un attimo d’imbarazzo da parte di Alison, ma Julian appare tranquillo e sereno.
Le prende le mani e le stringe di nuovo tra le sue.
“So che tu sei molto giovane, diciassette anni sono pochi, io ne ho quasi dieci di più, non mi sono mai sentito attratto dalle ragazzine ma con te è diverso, tu sei più matura, sei speciale, ci terrei tanto se anche per te io contassi qualcosa e non fossi solo il tuo prof preferito”
Alison sorride.
“Chi te l’ha detto che sei il mio prof preferito?”
Ridono entrambi, ed è bello sentirsi sventati e leggeri e un po’ buffi, è bello sentirsi diciassette anni e vedere che si può essere bambini e adulti contemporaneamente e che il mondo ha colori e luce e non è obbligatorio essere duri e scostanti ed arroganti per non sentirsi deboli, ma che forse ci si può lasciare anche andare, almeno un po’, con prudenza.



Appena Mira mette piede in soggiorno percepisce un'aria tesa. Ci sono Matt e Hillary insieme a Kyle e sembra che stiano aspettando proprio lei.
“Mira fermati un attimo, abbiamo bisogno di chiederti una cosa”
Mira si avvicina, Kyle non la guarda ma lei si accorge che è nervoso.
“E’ capitata una cosa a Kyle e stiamo cercando di capire come può essere successa”
“A Kyle? E io che c’entro?”
“Dei ragazzi della scuola sono a conoscenza di notizie del suo passato che lo riguardano, non riusciamo a capire come possano averle sapute, tu ne sai qualcosa?”
Mira spalanca gli occhi e cerca di imprimere sul suo volto i segnali della sorpresa più pura.
“Io? Perché dovrei sapere qualcosa di Kyle?”
“Mira è importante davvero, noi pensiamo che tu sappia qualcosa”
“Beh vi sbagliate”
“E’ stato quel tuo compagno, quello che da un po’ viene in casa con la scusa dei compiti, è stato lui a raccontare tutto a quegli stronzi” Kyle cerca di trattenere i singhiozzi ma la sua voce si rompe.
“Che cazzo stai dicendo, che c’entra Nathan con te” Mira cerca disperatamente di negare, ha imparato che è la tattica migliore, negare anche di fronte all’evidenza e qui di evidenza non c’è traccia, solo sospetti.
“Ci ho parlato e mi ha detto che appartiene alla stessa congregazione religiosa della famiglia di Kyle” interviene Matt.
“E con questo? Vi conoscete?” chiede Mira a Kyle.
“No”
“E allora stai dicendo delle assurdità”
“Lui sa chi sono, tutti quelli della congregazione mi conoscono, sono diventato famoso..” c’è un’ironia piena di rabbia nelle parole di Kyle che a Mira fa accapponare la pelle.
E’ assurdo come il caso, la fatalità, il destino a volte giochino degli scherzi che neanche a immaginarli ci arriveresti.
Tutto è successo dopo che Nat è venuto la prima volta a Parker’s House e ha visto occasionalmente Kyle, era stato Matt a presentarli.
Dopo qualche giorno ha cominciato a farle domande che al momento le erano parse eccessive e senza scopo, finchè ad un certo punto era sbottata: “Perché diavolo ti interessa tanto Kyle, non sarai mica frocio come lui”
Nathan era arrossito.
“Tu come sai che è omosessuale?”
“Sant’Iddio lo sanno tutti mica è un segreto, ma a te cosa interessa”
Nathan se ne era stato zitto per un bel po’ e aveva resistito stoicamente alle sue domande trincerandosi dietro a: “Non posso dirti niente, non sono affari miei”
Ma ci sarebbe voluto ben altro per scoraggiare una come lei che ha fatto del pettegolezzo uno dei suoi giochi preferiti.
Alla fine Nathan aveva parlato, anche se prima per mille e mille volte le aveva fatto promettere e giurare che mai avrebbe detto ad anima viva quello che le stava per rivelare.
L’eccitazione di Mira era salita alle stelle, già stava pregustandosi chissà quale segreto.
“Io lo conosco Kyle, cioè non personalmente ma so chi è, facciamo parte della stessa comunità religiosa”
Mira non lo aveva lasciato finire e si era messa a ridere.
“Sei impazzito, ti stai sbagliando con qualcun altro, Kyle non c’entra proprio niente con la tua setta”
“Non siamo una setta te l’ho detto un sacco di volte, comunque non mi sbaglio, lui è diventato piuttosto conosciuto certo non in senso positivo, se n’è parlato molto quando è successo il casino e io me lo ricordo”
“Che casino?”
“Periodicamente la nostra chiesa organizza dei raduni a cui partecipano le varie comunità locali per poter stare insieme e scambiarci le nostre esperienze, sono momenti importanti, si organizzano dibattiti, vengono a parlare personalità rilevanti, si celebrano funzioni tutti insieme. In quelle occasioni pratichiamo la confessione pubblica e lui ha confessato di essere omosessuale e sono nate un mucchio di discussioni su questo problema”
Mira aveva cercato d’immaginarsi la scena, doveva essere stato così umiliante per Kyle raccontare di sé di fronte a tutti quei moralisti riuniti lì non per ascoltare ma per giudicare.
“Siete degli stronzi tu e tutta la tua setta, non te lo ha mai detto nessuno?”
Nathan era rimasto interdetto.
“Perché?”
“Accidenti ci scommetto che gli avrete fatto il processo visto l’idea distorta che avete della sessualità, ci scommetto che per voi i gay non fanno parte del piano di Dio o qualche cazzata del genere”
“Infatti è una cosa sbagliata, è un peccato, non è nella natura”
“Tu credi veramente in quello che stai dicendo?”
“Lascia perdere, comunque nessuno gli ha fatto il processo, lui si è confessato e ha avuto l’assoluzione a patto che non peccasse più”
“Cosa avrebbe dovuto fare, farsi piacere per forza le donne, sposarsi, fare figli e vivere una vita da ipocrita infelice per sempre?”
“Sicuramente non quello che ha fatto”
“Perché che ha fatto?”
“E’ scappato di casa poi è tornato e sembrava che avesse capito il suo errore, sembrava che avesse deciso di seguire la strada giusta e invece è stato sorpreso dalla polizia a prostituirsi, dicono che l’hanno trovato in una macchina con un tipo, lo stavano facendo lì ai bordi di una strada e sembra che non fosse la prima volta ma che andasse avanti da un po’, beh non se n’è mai parlato apertamente ma la storia ha fatto scandalo”
“Ci credo, vi ci vedo a raccontarvi schifezze con aria sdegnata”
“Beh per i suoi genitori è stato veramente un colpo al cuore, comunque nessuno lo ha allontanato è stato lui a voler lasciare la sua famiglia, non sapevo che fosse finito qui, nessuno lo sapeva”
“Forse lui ha sbagliato ma non gli avete lasciato molta scelta, questa storia di voler mettere il naso nella vita personale degli altri con la pretesa di giudicare è veramente orribile, in fondo Kyle non ha mai fatto male a nessuno”
“Sai se ne è parlato molto anche tra di noi, forse uno non sceglie quello che vuole essere e se Dio lo ha fatto nascere in quel modo allora non può essere una cosa così sbagliata, insomma bisogna capire se uno è così naturalmente o decide di seguire una strada contro natura”
“Che cazzo Nat come ti viene in mente una cosa del genere, è vero che ci sono persone che non pongono limiti alle esperienze e posso capire che per una comunità bigotta come la vostra possano essere considerati dei peccatori, ma per Kyle, come per un sacco di altra gente, non è una scelta ma una condizione naturale come per noi essere etero”
“Comunque hai giurato di non dirlo a nessuno intesi”
“Certo per chi mi prendi”
E naturalmente Mira non lo aveva detto a nessuno se non ad Amber che non lo aveva detto a nessuno se non a suo fratello Thiago che non lo aveva detto a nessuno se non ai suoi amici del basket….
“Mira è stato Nathan a raccontare in giro di Kyle? Se non ce lo dici tu saremo costretti a chiedere direttamente a lui e non la passerà liscia, queste cose non si fanno, Kyle sta vivendo una situazione molto brutta per colpa di queste voci”
“Non è stato Nathan, cioè lui ha raccontato tutto a me perché si fidava ma è stata colpa mia, gli ho promesso di non dirlo a nessuno e invece l’ho raccontato ad Amber e lei penso che sia andata in giro a dirlo ad altri, deve essere andata così. Nathan non ti avrebbe mai sputtanato a scuola, non avrebbe mai fatto qualcosa di così stronzo, lui non è quel genere di persona, quella sono io... Mi dispiace se adesso sei nella merda, però lasciate Nat fuori da questa storia”
“Che coglione! Perché ha dovuto venire a dirlo proprio a te?”
Mira si sente ferita, fosse stato qualche tempo prima avrebbe risposto per le rime a Kyle, gli avrebbe restituito le offese con gli interessi, poi avrebbe voltato le spalle e sarebbe salita in camera sua, avrebbe scosso le spalle e quella storia non sarebbe mai neppure esistita per lei.
Ma oggi le parole di Kyle le fanno male perchè presuppongono prima di tutto che Nathan ha fatto consapevolmente del male e questa è la cosa più assurda del mondo e in secondo luogo che lei nell’immaginario di tutti è una persona indegna di qualsiasi fiducia.
“Già si è fidato della persona sbagliata, però l’ha fatto in buona fede, pensa un po’ che idiota, lui è innamorato di me, capisci, si è innamorato della troia della scuola ed è convinto che io sia una brava ragazza, una che se ti fa un pompino è perché ti ama, una che sa tenere un segreto, è un imbecille ma non uno stronzo, lui non è come noi Kyle, non devi pensare che siano tutti dei bastardi come noi due, due puttane a cui non interessa altro che fottere.”
Si gira e sale velocemente le scale e si chiude le porte alle spalle.
Non passa molto che sente bussare.
“Non ci sono per nessuno” urla.
“Posso parlarti con calma” Kyle è sulla soglia incerto se entrare.
“Che altro c’è da dire, mi sembra che abbiamo parlato abbastanza, soprattutto io”
“Non volevo aggredire te e neppure Nathan, ma sono rimasto sconvolto, non volevo si sapesse quello che ho fatto. Insomma sono gay non l’ho mai nascosto, anche se avrei potuto recitare una farsa per evitare problemi, non l’ho fatto perché volevo finalmente essere quello che sono e sai non è facile, ci sono sempre i soliti coglioni che ti lanciano le battutine o ti vogliono violentare dietro un cespuglio al parco, però è stata una mia scelta, stringo i denti e vado avanti, ma avrei voluto che la storia della prostituzione non uscisse…”
“Beh è ovvio, sono stata la solita superficiale, che ti devo dire”
“E’ che me ne vergogno, non so neanche perché l’ho fatto, forse era semplicemente la cosa peggiore che avrei potuto fare e per questo l’ho fatta, ero così arrabbiato con tutti e volevo vendicarmi. Solo dopo mi sono reso conto che il male peggiore lo avevo fatto a me”
“Non pensarci troppo, in fondo si è trattato solo di sesso, niente di che”
Kyle sorride.
“Tu dici?”
“Certo, beh anch’io molto spesso ho fatto sesso per ottenere qualcosa, magari non soldi ma altro, è più o meno la stessa cosa no?”
“Non so, è che in quella situazione mi sono sentito una nullità, nessuno di quelli con cui sono stato faceva sesso con me, ero solo un pezzo di carne disponibile, io o un altro sarebbe stata la stessa cosa”
“Non pensarci più, ora non hai un tipo?”
Kyle ride sarcastico.
“Jared? Non è il mio tipo, è uno con cui faccio sesso o meglio io sono uno dei tanti con cui lui fa sesso”
“Forse dovresti cominciare a considerarti un po’ di più sai, fare sesso non è sbagliato ma lo è farsi usare, forse dovresti imparare a farti desiderare un po’”
“Desiderare? Nessuno mi desidera, sono sempre io che desidero gli altri”
“Hai poca autostima mentre io ne ho troppa ma a parte questo non siamo molto diversi, ci piace il sesso, non ci facciamo molti problemi, siamo di liberi costumi come diceva mia madre, che c’è di male in fondo? Io ho sempre pensato a divertirmi e se oltre a questo ne poteva uscire qualcosa di utile tanto meglio e adesso si è innamorato di me un idiota che pensa che fare sesso prima del matrimonio è peccato e quando gli racconterò chi sono in realtà, penso che mi disprezzerà e fuggirà inorridito, ma la cosa buffa è che io so già che non sopporterò il suo sguardo e questo mi spaventa perché non riesco a capire il perché.”
“Forse perché sei innamorata”
E’ la volta di Mira di ridere.
“Innamorata dici? Sarebbe una beffa del destino se mi innamorassi di uno come Nathan, sarebbe un suicidio, rinnegare tutta la mia vita e i miei principi e lui i suoi”
“A me piacerebbe che qualcuno fosse innamorato di me, se lo trovassi non avrei bisogno di nessun altro”
Mira si alza dal letto, si dà un’occhiata allo specchio.
“Balle, a noi piace essere puttane Kyle, non illudiamoci, l’amore lasciamolo ad altri, noi non ci siamo portati, a noi serve solo un po’ di sesso fatto come si deve per essere felici, siamo gente che si accontenta e non pretende dagli altri più di quello che può dare”



Jamie sa che quando salirà in camera troverà la stanza vuota, sa che Connor proprio quella mattina se n’è andato da qualche parte e non dormirà più accanto a lui, sa anche che Yuki è sparito una sera di qualche tempo fa uscendo di corsa da casa e anch’egli non è più tornato.
Ha visto Matt e Hill preoccuparsi ogni giorno di più, fare telefonate inquiete, trasalire ad ogni squillo del cellulare, agitarsi e irritarsi per un nonnulla.
Yuki da quella sera non è più tornato e nessuno sa dove può essere andato a finire, ne Matt, ne Hillray, ne i ragazzi, ne Dean, ne gli altri amici, neanche la polizia, neppure Nina che è sparita pure lei.
Queste due assenze che lui coglie in modo concreto ma di cui non comprende le motivazioni, gli ricordano altre assenze, molto più dolorose anche se in qualche modo dimenticate.
E’ come se da qualche parte dentro di lui ci fosse una serie di ricordi che riguardano lui e qualcun altro. Qualcuno di estremamente importante, di vitale, qualcuno che se n’è andato così come Connor e Yuki, qualcuno che sa che non vedrà più.
E’ tutto qui quello che prova: una perdita non sa bene neppure lui di chi e di cosa, reale seppure sconosciuta.
Jamie non ha parole per riannodare fili strappati, non riesce a cogliere ciò che succede nel mondo se non per brevi istanti e quindi non ha gli strumenti per decifrare la realtà che lo circonda.
Per questo è come se vivesse in un eterno presente senza aspettative future ne ricordi passati.
Jamie è un guscio solo un pochino scalfito esternamente ma tutto sommato integro, che dentro non ha nulla, come se tutto fosse svaporato in un attimo, una bomba atomica che avesse spazzato via tutto, che avesse trasformato le persone in ombre sui muri.
Sa che la sua intimità è un campo di prigionia con mura altissime di cemento armato e filo spinato e cocci di bottiglie in cima, con fili ad alta tensione e sistemi d‘allarme, con fari che scrutano il buio e guardie armate sulle torrette. Sa che solo in questo modo le cose terribili che sono imprigionate lì dentro non usciranno mai, sa che solo in questo modo può continuare a vivere.
Sa anche che fuori dal campo di prigionia c’è il nulla, un immenso biancore, una distesa di neve immacolata dove a volte svolazzano foglie appassite, uniche entità che entrano dentro di lui e si soffermano solo brevi istanti.
Questo lo tiene in vita, questo è ciò che è riuscito a fare per poter sopravvivere.
Blindare qualcosa che non sa cosa sia ma che sa lo può far morire, vivere nel vuoto.
Però da quando si trova a Parker’s House il vuoto si sta impercettibilmente riempiendo di piccole presenze: nomi, facce, sensazioni, emozioni ed ora anche parole.
Si sta rendendo conto che sempre di più le parole degli altri si fermano dentro di lui, si fanno catturare, si fanno toccare, accarezzare, conoscere.
E il mondo sta diventando sempre meno estraneo e lui sta sempre più approssimandosi alla vita. E le persone non sono più figurine di carta insignificanti, ma individui che in qualche modo hanno a che fare con lui, con cui lui si sta coinvolgendo.
E’ questo tornare a vivere,? Non gli farà troppo male?
Sicuramente si, perché in questo momento non è tranquillo, è preoccupato per Yuki, sente la mancanza di Connor.
Il vuoto garantiva tranquillità e pace.
La vita non ti garantisce nulla.
Ma la vita è forte a volte più del vuoto.
Jamie ha cancellato tutto il suo passato, la sua vita fino al momento dell’incidente, i suoi genitori, gli amici, quella ragazza che gli piaceva, il basket, la scuola...Tutto!
Non è in grado di riappropriarsi di ciò che era, dovrebbe fare i conti con le risate dei suoi ad una sua battuta quel giorno verso sera in auto, sulla strada del ritorno dopo una partita di basket, dovrebbe fare i conti con il sorriso che le aveva lanciato sua madre girandosi a guardarlo, con gli occhi di suo padre allegri che aveva osservato nello specchietto retrovisore, con lo schianto, con i rumori, con la confusione, il dolore, i suoi occhi aperti tra le lamiere accartocciate, le grida, il corpo di suo padre coperto di sangue, quello di sua madre smembrato, fatto a pezzi, con la luce accecante della fiamma ossidrica che lo liberava dai rottami dove era incastrato, miracolosamente quasi illeso.
Ma oltre il passato c’è il presente e forse di questo Jamie può cominciare a tenerne conto, a scambiarci un sorriso, a lasciare una fessura aperta per permettergli di entrare ed occupare il vuoto.

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Capitolo 7
*** C'era una volta la paura... ***





Capitolo 7: Cera una volta la paura…



C’era una volta la paura che arrivò senza preavviso e prese possesso delle piccole vite, diede loro uno scossone così forte che tutto andò in frantumi, bello o brutto che fosse …



Kyle sta guardando nell’armadio intento a decidere cosa indossare quando un rumore lieve lo fa voltare, Jamie seduto sul letto di Yuki lo sta fissando con il suo solito sorriso indecifrabile sulle labbra.
Non si è neppure accorto di quando è entrato, a volte pensa che Jamie non sia reale ma un fantasma che si muove fluttuando.
“Non mi sembra di averti dato il permesso di entrare”
Jamie coglie nella voce di Kyle un senso di frustrazione, di disagio e di scontento, ma anche qualcosa di più profondo ed oscuro che però gli sfugge.
“Vuoi uscire! Yuki se n’è andato e io non ho tempo da perdere con te”
Kyle non lo sa perché è così stronzo con Jamie, non riesce a capirlo perché di solito lui non è così con chi non gli dà fastidio.
Già, forse il problema è proprio questo: Jamie gli dà fastidio!
Non sa come spiegarselo ma quando il ragazzino lo osserva lui si sente spogliato e nudo.
Non che la cosa gli crei imbarazzo, ma il problema vero è che Jamie non lo spoglia dei suoi abiti ma della sua corazza, lo fa sentire in qualche modo ancora vulnerabile, attaccabile, lo fa sentire sporco.
Jamie ha uno sguardo limpido e sorride sempre, dà l’impressione di non essere fatto di carne, così puro e distante, perso in un mondo di spiriti e forse è proprio per questo che Kyle si sente male e in collera, perché lui che cede sempre al richiamo della carne e che non riesce a stare lontano da un maschio arrapante che gli promette delizie, nel confronto si sente una dannata puttana.
Quando guarda negli occhi di Jamie si vede come veramente è, come lo hanno visto i suoi genitori e la sua comunità: un peccatore che si dibatte nel fango senza riuscire a sollevarsi.
Ha ragione Mira è inutile cercare di essere qualcosa di diverso da quello che si è dentro, nel profondo.
Di colpo prende la prima maglia che gli capita e se la infila, si sistema i capelli con le mani ed esce di corsa.
E’ arrivato al magazzino dove sa che i ragazzi si trovano per le prove, non sa di preciso se continuano a incontrarsi anche dopo che Yuki se n’è andato, ma un suono duro gli dice che sono ancora lì.
Rimane seminascosto dietro all’angolo attento a sorvegliare l’uscita, non passa molto che escono, Dean è come un faro che spande luce intorno a sé.
Li segue rimanendo ad una distanza di sicurezza, finchè li osserva salutarsi ed andare ognuno per la propria strada.
E’ a quel punto che allunga il passo e lo raggiunge.
Dean si volta e lo scruta con sorpresa.
“Ehi come mai da queste parti?”
“Ho bisogno di parlarti”
“Di Yuki? Si sa qualcosa, avete sue notizie?”
“No, Matt e Hillary sono molto preoccupati, hanno denunciato la scomparsa alla polizia ma non si sa ancora niente, è sempre il solito idiota, che gli costa fare una telefonata per dire che almeno sta bene”
“Già, è colpa di quella pazza, Nina, gli ha riempito la testa di scemenze”
“E’ colpa di Yuki che non aspettava altro che una da cui farsi riempire la testa, comunque non sono qui per lui, ho bisogno di parlarti d’altro”
“Ohh, dimmi pure”
“Immagino avrai sentito le chiacchere a scuola su di me, i tuoi amici me le hanno sbattute in faccia in anteprima”
“Non sono miei amici, ci troviamo ad allenarci e basta, comunque mi hanno raccontato, sono degli stronzi non è il caso di dargli troppa importanza”
“Facile dirlo, però non era piacevole prima pensa adesso, comunque non mi va di fare la vittima, io volevo solo chiederti cosa pensi di me”
Dean lo fissa un po’ turbato.
“Senti Kyle io non penso proprio niente, mi stai simpatico e questo è tutto, poi il resto sono affari tuoi”
Stanno camminando lungo una strada in periferia, ai lati una fila di case marroni tutte allineate, tutte uguali, divise ad intermittenza da vicoletti che strisciano tra i muri scuri, infestati da erbacce e vecchi oggetti abbandonati.
Kyle prende per mano Dean e si infila con lui in una di queste stradine.
Lo mette con le spalle al muro, gli si avvicina così che i loro corpi si tocchino.
Dean non reagisce, lo guarda solo con aria un po’ spersa.
“Quello che sono potrebbe diventare anche affare tuo Dean, tu mi piaci e questo lo sai, sai anche che sono una puttana, ho imparato un sacco di giochini, ti piaceranno vedrai”
Si accosta ancora di più leccandogli il collo e accarezzandogli i capelli fini e lunghi.
“Non devi fare nulla faccio tutto io”
Intrufola le mani sotto i vestiti di Dean, gli accarezza il torace, poi le dita rapide scendono alla cintura dei pantaloni, glieli calano solo quel tanto che basta.
Le mani gli accarezzano il sesso da sopra gli slip e lo sentono ingrossarsi .
Con perizia Kyle si inginocchia, abbassa l’elastico e accosta la bocca, ma una mano di Dean gli allontana la testa.
“No, adesso basta Kyle”
Kyle alza gli occhi sorpreso.
“Che succede, non ti preoccupare non ci vede nessuno, faccio in fretta, ti piacerà lo sai anche tu, già ti piace”
Ma Dean si sta alzando i pantaloni, si sta gia chiudendo la cintura.
Kyle rimane in ginocchio e sente montare dentro una rabbia che non riesce a contenere, mescolata a dolore e vergogna.
Sempre lo stesso mix di sentimenti, sempre quello che non lo lascia mai, che prova con Jared quando il piacere evapora, con i compagni che lo guardano con un po’ troppa insistenza parlottando tra loro, che ha provato con i suoi genitori, con la sua comunità, con tutto il mondo.
Dean sta respirando rumorosamente, lui sente gli occhi bruciargli, non si alzerà di lì, non lo guarderà ma aspetterà che se ne vada.
“Ehi Kyle alzati avanti”
Due mani lo prendono per le spalle e lui rassegnato segue il movimento che gli imprimono.
“Vieni”
Un braccio di Dean sulle spalle lo accompagna di nuovo sulla strada, un poco più avanti dove c’è la fermata del bus.
“Avanti siediti” e lui ubbidisce.
“Lo sai che non mi piacciono i ragazzi, perché insisti?”
“Io ti piaccio lo so, sei tu che hai paura, se mi avessi lasciato fare ti sarebbe piaciuto”
“Ammettiamo che sia vero e poi?”
“E poi cosa?”
“Che diavolo vuoi dalle persone Kyle? Te lo sei mai chiesto? Forse sarebbe ora che cominciassi a porti il problema”
“Quale problema?”
“Se mi fosse piaciuto cosa sarebbe successo? Probabilmente ti avrei usato per farmi fare qualcuno di quei lavoretti di cui ti vanti tanto tutto qui, ti sarebbe bastato, saresti stato contento?”
“Tu mi piaci”
“L’ho capito ma io non ti posso ricambiare, al massimo potrei usarti come fa quel tuo tipo, Jared, come hai permesso ti usassero prima di venire qui. Che diavolo vuoi fare, rimanere una puttana a vita? Perché se è questo che vuoi allora non c’è problema, però i servizietti non dovresti darli a cani e porci ma farteli pagare profumatamente, ma se è qualcos’altro che ti interessa guarda che facendo così non otterrai niente”
“Io voglio qualcuno con cui stare, un ragazzo, ho bisogno di avere qualcuno che mi voglia bene”
“Già ma quello non posso essere io, non posso darti quello che cerchi e non penso che lo troverai andando in giro a fare pompini contro i muri delle case. Kyle io dietro a tutti questi tuoi atteggiamenti credo si nasconda il fatto che sei tu prima di tutti a non accettarti, ad avere vergogna di quello che sei, ti stai sbattendo via in malo modo perché pensi di non meritare altro”
Kyle si sente avvampare.
“Non lo so, mi sento sempre così sbagliato e sporco, qualunque cosa faccio...”
“Dovresti smetterla di considerarti una puttana e comportarti di conseguenza, dovresti essere te stesso, il fatto che tu sia gay è secondario accidenti, prima di tutto tu sei Kyle e mi dispiace dirtelo ma io il vero Kyle non ho ancora capito chi è, sei sempre lì a fare il frocetto come se fossi costretto a recitare quella parte, penso che tu sia un sacco di altre cose”
“Capisco”
“Il ragazzo giusto lo troverai prima o poi, ma a patto che tu smetta di cercarlo nel modo sbagliato”
Kyle sospira, gli sarebbe piaciuto tanto che il ragazzo giusto fosse Dean, è sicuro che fosse perfetto per lui.
“Possiamo restare amici se ti giuro che non ti farò mai più delle proposte indecenti?”
“Direi che lo siamo già e da amico ti voglio dare un consiglio”
“Dimmi”
“Molla quello stronzo di Jared, non ti merita proprio”
“Se lo mollo resterò solo e io ho paura, ho bisogno di qualcuno”
“Gli amici servono a non restare soli, se questo ti può consolare”



E’ quasi estate, la scuola sta per finire mancano solo pochi giorni.
E’ tardi, Alison e Julian sono rimasti gli ultimi come al solito, quelli incaricati di chiudere le porte dei locali che ospitano l’evento multimediale per il quale hanno lavorato.
Si danno un bacio a stampo veloce e furtivo per salutarsi, ma le loro mani faticano a districarsi dall’intreccio in cui sono annodate.
E’ solo per caso che Alison intravede Chris all’altro lato della strada fermo sul marciapiede, mentre fuma una sigaretta e sembra aspettare qualcuno.
E di colpo tutto torna buio e disperato perché Alison ha paura che lui l’abbia vista mentre rideva, mentre si baciava, mentre stringeva le mani di Julian; non sa perché ha paura, ma ha bisogno di andare da Chris e spiegargli cosa è successo, dirgli per la millesima volta che lei ci sarà sempre per lui.
“Devo andare, lui è là” dice con voce bassa.
E Julian segue il suo sguardo, vede Chris, stringe le labbra, poi le lascia le mani.
“Vai ma poi torna, torna quando vuoi, quando sarai pronta, io ti aspetto, chiamami oppure lo farò io, non ti lascerò scappare troppo lontana, non ti permetterò di perderti, non te lo meriti”
Lei scrolla un po’ le spalle e gli accarezza il braccio.
Raggiunge Chris.
“Che fai qui?”
“Niente”
“Ci hai visto?”
“Tu e Lerman? Sì, siete carini insieme”
“Più di io e te?”
“Sì sicuro, sicurissimo”
“Però io ora sono qui e lui è là”
“Già, perché?”
“Perché ti ho visto”
“Alison io e te non stiamo insieme, almeno non nel modo classico, non devi spiegarmi nulla te l’ho già detto, tu ti meriti qualcosa di meglio di me”
“Non dirlo, non dirlo mai più, so io cosa mi merito, nessuno me lo deve dire” la voce di Alison è salita di tono.
“Ok, non ti incazzare, comunque ci facciamo un giretto?”
Le loro mani si allacciano mentre si allontanano dal centro e si dirigono verso la periferia dove c’è un viadotto sopra cui passa una superstrada e sotto c’è un torrente quasi sempre secco e c’è uno spiazzo pieno d’immondizie e anche d’estate lì è tutto grigio.
A Chris piace quel posto, dice che lo rappresenta.
Si siedono su di un blocco di cemento, fumano una sigaretta, guardano il fumo salire e sparire nell’aria.
Stanno in silenzio uno accanto all’altro e Alison si ripete dentro di sé che è arrivato il momento di dire quelle cose che è necessario dire, anche se non vorrebbe mai farlo.
Si ripete che Julian ha ragione e che un amico non ha solo il dovere di seguire il percorso di chi gli sta accanto, ma anche il diritto di aiutarlo a cambiare direzione.
“Ehi Chris, non ti sembra il caso di rallentare?”
“Cioè?”
“Sei deciso ad andare fino in fondo? Perché tu lo sai vero che se continui così ci arriverai in fondo e anche presto”
“In fondo dove?”
“Non farmelo dire, ti prego”
“Hai paura?”
“Per te sì, ho una fottutissima paura”
“Non devi, so cosa sto facendo”
“Non lo sai invece, devi rallentare o non riuscirai a fermarti”
“Potrei non volerlo, non ci hai pensato”
“Ci penso tutti i giorni e questo è quello che mi fa più paura”
“Tu non c’entri Alison è un mio problema, non puoi farti carico dei mali degli altri, non sei il Messia”
“Io ho te e tu hai me, non ti è sufficiente?”
“Questo è un ricatto morale lo sai?”
“Non me ne frega niente, non hai nessun diritto di continuare a farti del male”
Chris ridacchia.
“No?”
“No, io rimarrei sola e tu non potrai mai più creare le tue opere d’arte e il mondo sarà più povero, non potrà mai consolarsi con la bellezza che sai creare”
“Già, ma sai sono tutti falsi problemi. Tu non resterai sola, sei forte e sei brava, sei tu quella che tra noi creerà un’opera d’arte, i miei sono solo sogni che non ho la forza ne la voglia di provare a realizzare”
“Smettila di dire cazzate, io ho bisogno di te, se tu te ne vai io non disegnerò mai più, perciò vedi che sei obbligato a restare”
“Julian ti obbligherà a riprendere, lui saprà come fare, non hai bisogno di me così come io ormai non ho più bisogno di te”
“Che stai dicendo, noi stiamo insieme fino alla fine, me lo hai promesso”
“Non credere alle mie promesse, non ne ho mai mantenuto una. Rimani qui, non puoi seguirmi per sempre, non dove sto andando perché ci devo andare da solo, senza nessuna mano da stringere”
“Chris brutto stronzo, non mi scaricherai in questo modo, non mi pianterai in asso, non te lo permetterò mai”
“Tu cosa faresti se io morissi?”
Ecco la parola indicibile è stata pronunciata, finalmente è uscita fuori la paura terribile, ciò che Alison ha sempre cercato di negare perché troppo spaventoso.
“Se tu morissi vorrei morire anch’io.”
“Per poter stare con me?”
“Si per questo”
Chris ride e le stropiccia i capelli, le stringe il capo tra le braccia, la bacia sulle labbra, le sue sono fredde, la stringe accanto a se e la sua stretta è dolce e disperata.



La luce entra sfrontata tra le tende mal tirate. Connor apre gli occhi appena, appena, solo un lieve alzare le palpebre quel tanto che basta per capire dove si trova.
Non vede nulla di rilevante, con fatica cerca a tastoni accanto a se ma trova solo lenzuola stropicciate e tiepide.
Ha lo stomaco che gli fa male e questo è strano perché lui lo stomaco ha quasi dimenticato che esista.
Si abbraccia forte, si accoccola in posizione fetale, le ginocchia che quasi gli toccano il mento.
Come è potuto succedere tutto quello che ora lo fa stare così male, che gli da il voltastomaco senza che il cibo c’entri qualcosa?
I momenti dolci con Taylor sono durati esattamente due giorni, giorni in cui lui e l’amico hanno riso e fatto sesso e passeggiato per le vie di Londra e fatto shopping.
In cui lui si è sentito per la prima volta al centro dei pensieri di qualcuno, reale, esistente in tutta la sua imperfezione, in tutto il suo tentativo di divenire perfetto. Con tutto il suo vuoto e con tutto il suo desiderio che qualcuno potesse riempirlo con qualcosa di immateriale ma tangibile.
Oddio, eccolo a rammentare il suo desiderio e il suo sogno innaturale e impossibile: quello che Taylor potesse far accadere il miracolo, quello cioè di farlo sentire finalmente sazio e pieno senza pretendere che ingurgitasse nulla, solo standogli vicino, toccandolo, amandolo.
Con quanta voracità si è avventato su quell’improvvisa possibilità, quanto è stato affamato di amore.
La terza sera Taylor lo ha portato con sé ad una festa in un locale di quella Londra che appare sulle riviste patinate di moda e gossip.
Lì lo ha presentato ad una folla di gente, tutta bella, cool, fashion, trendy, glam e lui si è sentito per un momento fuori luogo, inadeguato ma il tutto è durato solo un attimo perché all’improvviso è avvenuto il miracolo, quello che non sperava più che accadesse, quello di sentirsi a posto, osservato con curiosità morbida e carezzevole e non con scherno o disapprovazione o preoccupazione.
Si è sentito come il brutto anatroccolo quando finalmente non solo è riconosciuto come pari dai cigni, ma lui stesso si riconosce cigno.
Un bellissimo cigno.
E' rimasto stordito da quel fascino ambiguo che aleggiava nel locale, poi ha seguito Taylor a casa di un amico per finire la serata.
E lì qualcosa ha cominciato a scricchiolare, l’impalcatura dorata ha iniziato a denunciare microfratture.
La festa è ben presto degenerata in una babele di volti, mani e corpi mescolati ad alcool, droga e sesso.
A Connor nessuno dei tre ha mai allettato: alcool troppe calorie, droga perdita del controllo, sesso vicinanza estrema ad un corporeo che in qualche modo ha sempre cercato di negare.
Ha perso di vista Tay, lo ha poi ritrovato tra le braccia di una ragazza e più avanti tra quelle di un uomo affascinante.
E poi c’è stata la mano di Linus Voigt che ha afferrato la sua e l’ha condotto su per una scala, dentro ad una stanza.
Lui è solo entrato, ha dato un occhiata in giro, si è liberato istericamente dalla stretta dell’uomo, è corso d’abbasso in cerca di Tay, lo ha trovato occupato in altre faccende ed è uscito fuori di corsa.
E' tornato a casa con un taxi, aspettando fino al mattino che Taylor tornasse.
Lui è rientro a mezzogiorno con l’aria stanca e occhiaie scure e lo ha assalito appena messo piede in casa.
“Linus mi ha raccontato la tua stronzata, che cazzo ti ha preso si può sapere?”
“Voleva che facessimo sesso era chiaro”
“Certo che era chiaro cosa pensavi volesse da te?”
Connor lo ha guardato stupito, come se qualcosa stesse deragliando, una dissonanza profonda della realtà.
“Io non voglio fare sesso con Linus, non mi piace”
“Non ti piace Linus?”
“Non mi piace fare sesso, lo sai che lo faccio con te, solo con te, perché tra noi è diverso e…”
Non lo ha lasciato finire Taylor, ma lo ha preso per le braccia scuotendolo.
“Stai dicendo un mucchio di stronzate Connor, sentimi bene, ho mal di testa e non voglio passare il pomeriggio a spiegarti com’è la vita, la mia vita, la NOSTRA vita”
Poi lo ha lasciato, si è trascinato in cucina, ingoiando una pastiglia con un bicchiere d’acqua.
“Piaci a Linus e parecchio, questo potrebbe aprirti diverse possibilità di lavoro e in ogni caso contatti molto interessanti; lui fortunatamente l’ha presa sul ridere, dice che la tua ritrosia lo eccita, ben per te ma non rimarrà eccitato a vita quindi fattelo piacere, il sesso dico, perché è da lì che passa il lavoro, le amicizie, le frequentazioni, i contatti e in buona sostanza la possibilità di fare questa bella vita che sembra ti piaccia tanto”
“A me non piace, io voglio solo starti vicino”
“Senti Connor adesso dacci un taglio, io ti sto dando l’opportunità di fare ciò che non ti saresti mai sognato di poter fare: essere libero, felice e pieno di soldi, che cazzo vuoi di più”
“Voglio te, voglio che tu mi ami” avrebbe voluto gridargli ma si è accorto di non avere più voce.
“Ora fammi andare a dormire, stasera siamo a cena, tu farai il bravo ragazzo e te ne andrai a casa con Linus e lì cercherai di farlo divertire; io fra tre giorni vado a New York per un servizio e rimarrò fuori una settimana circa, non voglio che tu crei casini quando non ci sono, quindi cerca di seguire quello che ti sto dicendo: accetta gli inviti, fatti vedere, Linus ti ha preso a ben volere, potresti durare anche un mese se ci sai fare, in questo periodo cerca di sfruttare tutte le opportunità che ti si presenteranno, allaccia legami che ti potranno servire, Linus non è geloso, anzi solitamente è molto generoso e per i suoi pupilli si preoccupa di trovare occasioni per restare nel giro”
“Io non voglio stare nel giro Taylor, a me non interessa la moda, fare servizi, sfilate, io sono venuto qui per restare con te e basta”
Taylor sospira.
“Io non posso stare con te, vedi anche tu che razza di lavoro è il mio, sempre fuori, da una parte all’altra del mondo, sfilate, servizi, feste, questo è quello che ho sempre voluto essere e lo sto realizzando, non puoi pensare di restare qui ad aspettarmi, potrebbe essere che io non torni per tanto di quel tempo che moriresti di noia e non posso portarti appresso come un bagaglio speciale, io devo essere libero pensavo che lo avessi capito, pensavo che fosse quello che volevi anche tu, io ti sto dando un’opportunità che non ti capiterà più, se questa vita non è per te penso che tra noi non possa funzionare, quelli come me stanno insieme ai loro simili, è una vita troppo strana per poterla dividere con gente che ha altri obiettivi. Pensaci Connor, altrimenti se veramente non è questo che vuoi dovremo rivedere tutto quanto”
Connor non ci ha pensato, ha deciso di seguire quello che Taylor gli ha consigliato senza discutere, senza neppure ragionarci.
Se questo era il prezzo da pagare per stare con lui, lo avrebbe pagato volentieri senza problema.
Ma tutto è diventato peggio di quanto lui pensasse di sopportare: le mani di Linus si sono confuse con quelli di tanti altri che non vuole neppure ricordare, le foto che gli hanno proposto di fare non sono state solo di moda ma anche di altro genere, sicuramente per un pubblico più segreto e ristretto, raffinato nella sua particolarità.
La cosa peggiore è stato il fatto che lui non abbia accettato di stordirsi con alcool e droga, questo è stata la parte più brutta perché ogni cosa è stata chiara e pulita e lucida nella sua dissolutezza, nella sua perversione, nella sua degradazione, senza neppure la scusa di non capire nulla di quello che stava accadendo, senza neanche la difesa di ricordi annebbiati e confusi.
Si alza e va alla finestra, fa scorrere lo sguardo sulla strada, sulla gente frettolosa e così distante da dargli l’effetto di essere sbarcato su di un pianeta alieno.
Si sente imprigionato in quell’appartamento ampio e caotico, si sente come se fosse dietro ad uno schermo e vedesse la vita passare e non potesse afferrarla.
Taylor non c’è, in realtà è più il tempo che è via che quello che passano insieme.
Si spoglia lentamente e si mette davanti allo specchio, si passa le dita su tutto il corpo, si osserva con attenzione maniacale.
Linus la sera prima gli ha detto che il suo corpo sta perdendo quel fascino un po’ perverso dato dalla magrezza estrema, quell’ambiguità androgina che sembrava affascinarlo.
“Stai diventando troppo magro anche per i nostri standard, ossa troppo sporgenti e dure, pelle grigia e screpolata, labbra secche, zigomi troppo in rilevo, capelli spenti, cerca di non esagerare, magro è bello ma tu sai di malato”
Connor sorride alla sua immagine, va in cucina e sceglie con cura un coltello, quello piccolo ma affilato che non sa neppure a cosa serva.
Si mette seduto di fronte allo specchio e comincia a tagliare la pelle secca e screpolata all’interno delle braccia.
Quando il sangue comincia ad uscire non si alza per tamponarlo ma rimane a guardare quel rosso così vivo e violento che lo copre poco per volta, lentamente.
Sente il calore del liquido contrastare con il freddo che è la sua costante, il contrasto tra il rosso e la sua pelle che diventa sempre più diafana lo incanta.
Si guarda attorno e vede solo buio, vede i muri crollare, la notte invadere tutto quanto, il pavimento sprofondare e davanti ai suoi piedi aprirsi una voragine grande come il mondo.
E’ questa la vita?
E’ così?
Si sente in pace, pronto ad affrontare l’ignoto senza paura, si sente tiepido, si sente tranquillo, non c’è più vuoto, non c’è più bisogno, non c’è più neppure Taylor.
C’è solo lui e davanti c’è se stesso e non serve altro per poter assistere alla fine.



Non sa neppure lei perché ha ceduto alle richieste di Nathan, sa solo che in questo momento vorrebbe trovarsi in qualsiasi altro posto ma non lì nel parco, accanto alla fontana insieme a Nat e a Esther.
Esther è una ragazza alta e con qualche chilo di troppo ma ben distribuiti, ha un aspetto solido e coscienzioso, i capelli biondi che tiene raccolti in una coda e gli occhi chiari, la pelle spruzzata da qualche rara lentiggine.
Ha un giaccone chiuso fino al collo e dei jeans fuori moda, una borsa a tracolla e l’aria un po’ stranita ma soprattutto difesa.
Se ne sta rigida con le mani in tasca e guarda Nat con nello sguardo una sorta di sorpresa e perplessità.
Mira non riesce a capire come abbia potuto farsi coinvolgere fino a questo punto e tutto per un dannato pompino.
Si era illusa che dopo quell’improvvisata a Parker’s House, Nathan si fosse arreso, avesse afferrato il suo errore nel valutare l’accaduto e invece no.
Se in questi giorni ha capito una cosa è sicuramente che Nathan è la persona più caparbia e determinata che abbia mai conosciuto. Non è servito a niente ripetergli che è stato un gioco, un piccolo divertimento e niente di più, lui ha deciso che a quel punto era impossibile continuare a mentire ad Esther, doveva raccontarle quello che era successo e comunicarle che il loro fidanzamento doveva considerarsi rotto.
Mira ha cercato per tutta la settimana di farlo ragionare, ci è andata giù dura dicendogli che lei non aveva la minima intenzione di mettersi con uno come lui, anzi che non aveva intenzione di mettersi proprio con nessuno per lo meno per i prossimi dieci anni, che per lei era stato un passatempo, che era inutile che lui andasse a rompere il rapporto con Esther, che avrebbe fatto bene a starsene zitto e tutto sarebbe continuato come prima.
Nathan era rimasto ferito ma non aveva ceduto: la sua coscienza esigeva di dire la verità ad Esther e di concludere una storia che per lui non aveva più senso, non dopo quello che era successo, non dopo quello che lui provava per Mira.
“Che c’è Nathan?” chiede Esther.
“Ti ho fatto venire qui perché è una cosa che riguarda noi due, non volevo che ci fossero presenti i miei e gli zii”
“E lei cosa c’entra?”
“Lei è Mira e mi ha accompagnato perché è parte in causa del discorso che ti voglio fare”
Esther si rabbuia, Mira sa che ha già capito tutto, si chiede solo che reazione finale potrà avere.
“Io e Mira siamo compagni di classe, lei mi ha aiutato a mettermi in pari con il programma e così ci siamo frequentati parecchio ed è successa una cosa tra di noi…”
”Cosa è successo?”
Mira interviene e ancora una volta non sa perché lo fa, alla fine che gliene importa di questi due pazzoidi? E’ già tanto se ha accettato di buttare via un pomeriggio per accompagnare quell’idiota e fargli da spalla in questa farsa, eppure interviene e cerca in tutti i modi di evitare che il legame tra i due si rompa, non vuole che Nat rovini questo rapporto per una sua cazzata.
“Senti Esther, guarda che Nathan non c’entra niente, è successo un giorno, non so che mi ha preso e l’ho baciato tutto qui, lui non ha nessuna colpa quindi dovresti perdonarlo e tornare a vivere felici e contenti”
“E’ vero Nat, lei ti ha baciato?”
“Beh…sì”
Ecco pensa Mira, tutto è bene quello che finisce bene, lei ha interpretato la parte della puttana che le si addice a pennello, lui quella del bravo ragazzo sedotto suo malgrado, Esther quella della fidanzata offesa che alla fine perdona.
Si sente bene, con un colpo solo ha fatto una buona azione e si è liberata di Nat, però sente anche una sensazione un po’ particolare che aumenta gradualmente come di nostalgia, di delusione, di rimpianto, come se si fosse fatta sfuggire il palloncino appena comprato.
Si riscuote.
“Bene è stato un piacere Esther, ora se volete scusarmi io devo andare”
“No, non ci siamo baciati non è vero”
Esther guarda Nat con aria insospettita e poi lancia uno sguardo freddo a Mira.
“Lei ha detto di sì”
“Noi abbiamo fatto sesso orale” Nat lo dice tutto d’un fiato come se stesse facendo una rincorsa.
Esther diventa rossa e abbassa gli occhi.
“Cosa?”
Mira cerca di salvare il salvabile: “D'accordo è successo proprio quello, ma te lo detto è colpa mia, sai com’è, lui non ha potuto dire di no, non gli ho lasciato il tempo, in quella situazione nessuno è in grado di dire di no capisci, comunque è stata una mia iniziativa, lui non ha fatto proprio nulla”
“Nathan è vero quello che sta dicendo questa ragazza?”
L’ha chiamata ragazza, nota Mira e non puttana, troia o peggio, accidenti che contegno!
“Mira smettila di prenderti la colpa” sbotta Nathan.
“Non mi sto prendendo nessuna colpa, sto dicendo la verità, è stata una mia iniziativa”
“Sì però io avrei potuto rifiutare, si può sempre dire di no, non mi hai obbligato a fare nulla”
“Va bene Esther è successo” continua imperterrita Mira “ma non vuol dire nulla, insomma la tentazione della carne è forte e lo devi perdonare, lui è pentito e io anche, non ci frequenteremo più promesso”
“Esther non ascoltarla, io non sono pentito”
Mira sgrana gli occhi, Esther li abbassa, poi si volta e fa per allontanarsi, cambia idea, ritorna indietro, cerca di dire qualcosa, poi ci rinuncia e scappa via.
Nathan la rincorre, l’afferra per un braccio, Mira osserva i due discutere, le voci sono smorzate, non riesce a capire ciò che si stanno dicendo.
Si sente in imbarazzo, pensa che la sua parte sia conclusa, che forse è opportuno che si incammini verso Parker’s House o forse verso la casa di Amber, anche se entrambe le prospettive le risultano intollerabili.
Ma in realtà non si muove, non riesce a staccare gli occhi dai due che ancora parlano tra loro e gesticolano.
Alla fine Esther se ne va e Nathan ritorna accanto a lei.
“Mi dispiace tanto, spero che un giorno lei possa perdonarmi”
“Sei stato uno stupido, hai rovinato tutto, se lasciavi fare a me ora tutto si sarebbe aggiustato e tu e lei sareste ancora insieme”
“Io non volevo restare con Esther”
“Perché ti ho fatto un pompino? Sei scemo? Va bene l’hai tradita ma in pratica ti ho violentato”
“Non è vero, mi è piaciuto”
“Beh l’avevo capito sai? Comunque questo non vuol dire niente”
“Vuol dire tanto e ho rotto con Esther non per …Insomma per quello ma perché sono innamorato di te e anche se tu non mi ricambi non importa”
Mira lo guarda e si sente inspiegabilmente felice.
“Accompagnami” e gli tende la mano.
Ora tornare a Parker’s House le sembra abbia un altro significato, ora che è Nathan ad accompagnarvela, ora che lui le è accanto, la mano a stringere la sua, il suo odore di buono che la pervade.
Mira lo guarda di sottecchi e ha voglia di abbracciarlo.
Che le sta succedendo? Comincia ad avere paura, comincia a sospettare che la situazione le stia sfuggendo di mano, che forse è arrivato il momento di smettere di scherzare e di dire la verità a Nathan, la verità vera, di chi è lei, di cosa ha fatto, di quali sono sempre state le sue priorità.
Sa che dovrà sostenere lo sguardo disgustato del ragazzo e questo le fa stranamente male, ma il gioco sta diventando troppo pericoloso.
Ha paura e lei non ne ha mai avuta. Ha paura di fare del male a Nathan e ha paura di restarci troppo male nel vederlo allontanarsi per non ritornare mai più.
Non sa di preciso come sia successo, perché è la prima volta che gli capita di tenere veramente a qualcuno, di sorprendersi a pensarsi insieme non necessariamente a letto, ma in momenti assolutamente normali di una giornata qualsiasi.
Perché è successo? Perché proprio con lui?
“Senti Nat che hai intenzione di fare ora?”
“A che proposito?”
“Tra me e te”
“Niente, che cosa dovrei fare? Non ti posso obbligare ad amarmi, d’altra parte non posso neanche smettere di amarti perché non mi ricambi, aspetterò che mi passi ma soprattutto non ti scoccerò più con i miei problemi; ho apprezzato il fatto che tu mi abbia accompagnato e anche che tu abbia cercato di salvare quello che non volevo più salvare, lo hai fatto per me penso e forse anche perché in questo modo, se fossi tornato con Esther, non mi avresti avuto più tra i piedi.”
Mira ridacchia, certo che Nathan la conosce proprio bene, più di quello che lei pensa. “Potremmo restare amici se ti va” gli propone.
“Certo, va bene”
“Sai io non ho mai avuto un amico maschio, come amico ti potrei raccontare di me, della mia vita, di come sono finita a Parker’s House”
“Volentieri”
“Come amico tu non dovresti giudicarmi ma solo stare ad ascoltare e al massimo darmi dei consigli, non è così?”
“Io non ho mai giudicato nessuno”
“Voi dividete i buoni dai cattivi, i peccatori dagli eletti, lo fate, lo avete fatto con Kyle, non lo avete accettato per com’è, lo avete costretto a fare cose peggiori di quello che avrebbe fatto”
“Io credo in alcuni valori però non mi sento un eletto, tutti noi abbiamo i nostri peccati”
“Io ne ho commessi molti secondo il tuo metro, sono una peccatrice secondo i tuoi valori, come puoi amare una peccatrice che non è neppure pentita?”
“Senti io non voglio da te una confessione, non tocca a me conoscere quello che hai fatto per assolverti o condannati, io penso che tu sia una ragazza troppo bella e viziata e che a volte questo ti può fregare, ti può far seguire la strada sbagliata, tutto qui”
“Tutto qui, bella e viziata eh, e pensi di potermi redimere?”
“Penso di poterti amare questo di sicuro, se solo lo vuoi”



E’ passato più di un mese da quando Yuki ha lasciato Tadcaster, precisamente da quella notte in cui è scappato da Nina e lei, dopo aver fatto all’amore, ha raccolto le sue cose in un borsone, si è messa in tasca i contanti che aveva in un cassetto, ha caricato tutto sull’auto e via, sono partiti senza nessuna meta.
Nina ha guidato finché è finita la benzina.
La mattina sbiancava il cielo e Yuki si è sentito così vivo e felice, di nuovo in alto mare, di nuovo ad affrontare rotte inesplorate e tempeste perfette.
Lui e Nina tutti soli, come prima di loro sua madre e suo padre, artisti sulla strada dell’avventura, alla ricerca di qualcuno che possa veramente apprezzare ciò che stanno creando.
Nina ha venduto l’auto ad un rivenditore, poi hanno raggiunto Londra con la certezza che Hillary e Matthew avessero avvertito i servizi sociali e sicuramente le forze dell’ordine.
Nina però si è rivelata piena di risorse, ha amici dappertutto, ha scovato ricoveri di fortuna, sa aggirarsi per la vita con una sicurezza e una spregiudicatezza che per Yuki è estasiante.
Yuki si muove con indolenza sul letto, al suo fianco Nina è una matassa di capelli biondi che l’avvolgono, lui glieli scosta dal viso e rimane a guardarla.
Lei dorme di un sonno pesante, artificiale.
I soldi di Nina sono finiti da un po’, hanno racimolato qualcosa suonando nei corridoi della metropolitana, con l’ansia che qualche poliziotto chiedesse loro i documenti.
Poi Nina se n’è tornata una sera con parecchie sterline e Yuki non ha avuto il coraggio di chiedere da dove arrivassero.
La stanzetta dove stanno è quella di un alberghetto pulcioso ma per Yuki è come essere a casa, respirare odore di chiuso e muffa, di alcool e fumo.
I giorni sono passati veloci e lui non riesce a ricordarsi in che modo hanno trascorso il tempo.
Sa solo che i loro sogni di gloria si sono momentaneamente arenati, che Nina continua a scrivere testi e lui a comporre musica ma senza un fine, una volontà precisa, così come viene, più che altro per riempire le giornate tra una scopata e l’ altra, tra una canna e l’altra .
Ma quello che ha colpito Yuki è stato ciò che è successo la sera prima, quando ha bussato alla porta della loro stanza un amico di Nina, Donald e ha portato con sé dell’eroina che si sono fumata.
Yuki non lo aveva mai fatto prima.
Aveva giurato che non sarebbe mai successo perché da quando è nato ha avuto negli occhi i suoi genitori e ciò che sono diventati a causa della loro dipendenza.
Ma quella sera Nina ha insistito e lui si è lasciato convincere.
Ora si sente stanco ed affamato, si sente solo e si sente tradito.
Guarda Nina, poi Pearl Black che giace da qualche giorno inutilizzata in un angolo della stanza, si alza e si mette di fronte allo specchio dell’armadio.
Si vede non com’è veramente ma come sta diventando.
Vede non se stesso ma suo padre e Nina gli sembra stia assomigliando sempre di più a sua madre.
Si siede per terra accanto allo specchio, prende la chitarra tra le mani e l’accarezza.
Finirà anche lui come i suoi, la sua vita ripeterà la loro? E’ questo il suo destino, il suo karma? Ripetere gli errori, rinnovare le illusioni, buttare via una vita?
Non sa perché questi pensieri gli si stiano formando proprio ora nella testa.
In fondo prima di allora non ha mai pensato alla vita dei suoi come ad un fallimento, ma solo come ad una scelta precisa di libertà e trasgressione.
E’ sempre stato fiero dei suoi genitori!
Ma ora guardandosi allo specchio ricorda cose che non ha mai voluto ricordare.
I suoi pianti e le sue paure di bambino quando era lasciato in camere squallide come quella dove è ora, da solo per tutta la notte.
Il suo accoccolarsi accanto al corpo della madre strafatta in cerca di una protezione che non avrebbe mai ricevuto e quell’andare incessante come spinti da un vento di tramontana freddo e feroce, un peregrinare continuo alla ricerca di un nirvana in cui scomparire.
Ricorda quando divenuto più grande, toccava a lui occuparsi dei suoi, andare a cercare la dose necessaria, inventarsi qualcosa da mangiare con quello che trovava in giro: latte scaduto, dolci, soprattutto dolci sbocconcellati.
Non ha mai voluto pensare a questo, ha sempre preferito sentirsi un privilegiato, uno a cui tutto era permesso: uscire senza avere un orario, sballarsi, fare sesso sul letto accanto a quello dei genitori, una vita che un sacco di suoi coetanei gli avrebbe invidiata.
Però ora che si trova in una stanza miserabile troppo simile a quella dove ha passato sedici anni della sua vita, che vede Nina ancora con i postumi della droga e il suo riflesso che lo guarda dallo specchio con lo sguardo spento, ha paura.
Dove sono finiti i sogni che Nina gli ha trasmesso con tanto entusiasmo quando erano a Tadcaster?
Sono svaniti in capo ad un mese!
E’ così che si diventa dei grandi artisti?
No, lo sa bene, in questo modo sta solo ricalcando un copione già visto e vissuto.
Non incolpa i suoi genitori, non ha rimpianti, non rancori, però sa con certezza che non vuole vivere una vita come la loro, perché è stato così vicino al nulla e alla sconfitta e alla disperazione che è un miracolo che non si sia fatto ghermire.
Non sa perché proprio in quella mattinata di primavera riesca a vedere finalmente il suo passato, il suo presente e il suo ipotetico futuro con una chiarezza che non ha mai posseduto e che gli fa un po’ paura. In quel momento sente che quello che sta vivendo è sbagliato, che vorrebbe poter tornare da Matt e da Hillary e questo lo fa sorridere perché si sente un gran coglione a pensare questo, un rammollito, un borghesuccio, ma non sa cosa farci.
Questa è la verità!
Si trascina fino al suo giaccone e ne estrae il telefono.
Digita un messaggio e lo invia, poi chiude gli occhi.
E’ un fallito, uno stronzo vigliacco, un incapace, uno che non ha le palle di giocarsi la vita sul filo del rasoio, non è degno dei suoi genitori, non diventerà mai una rock star maledetta, non morirà giovane dopo una vita dissoluta buttata al vento, “meglio bruciare in una gran fiammata che spegnersi in un piccolo fuoco” è una frase che non si merita.
Ma in fondo non vuole morire, vuole fare musica e poter vivere la sua adolescenza come tutti, sapere di avere una casa in cui tornare alla sera, qualcuno che ti rompe le palle perché fai tardi, innamorarsi senza dover andare in pezzi, sballarsi senza morire.
E’ troppo quello che chiede, è troppo normale? Non è degno di lui, dei suoi genitori, della sua vita, della sua musica, di Nina?
Si avvicina al letto, scuote la ragazza dolcemente, lei apre i suoi occhi di un blu miracoloso e lui per un momento vorrebbe non aver fatto ciò che ha appena compiuto.
“Ehi amore”
Lei si strofina gli occhi e gli sorride con il trucco un po’ sfatto e i capelli che si appiccicano alle labbra.
“Tutto bene? “ chiede lei, “Ti è piaciuto ieri sera vero?”
“Ho chiamato Matthew, gli ho dato l’indirizzo, gli ho chiesto di venire a prendermi”
Nina ha l’espressione confusa di chi sembra non aver capito.
“Che stai dicendo?”
Yuki abbassa la testa.
“Non stai dicendo sul serio vero?”
Yuki si alza e si avvicina alla finestra.
“Come hai osato fare una cosa del genere, dirmi che mi ami e dopo tradirmi? Perché lo hai fatto? Solo per salvare il tuo fottuto culo? Per chi? Per una band che si sta dibattendo per non cadere nel ridicolo? Per quei due pseudo genitori della tua cazzuta comunità? Preferisci un mondo regolare a quello perfetto che ti avrei donato? Dovresti vergognarti, mi hai ingannata, mi lasci dopo che io ho messo la mia vita nelle tue mani.”
Nina farnetica come al suo solito, Yuki si mangia le unghie dandole le spalle.
“Credevi in me, cosa è successo? Chi ti ha manipolato contro ciò che stavamo facendo? Sei solo un bambino spaventato, non sai che per brillare bisogna bruciare, hai paura di scottarti?”
Yuki cerca di trattenere un singhiozzo, si sente male come quel giorno in cui i servizi sociali lo hanno prelevato dall’alberghetto dove stava con i genitori.
“Come puoi dirmi questo dopo che ti ho raccontato la mia storia, sai che non sono mai stato un bambino e non potrò mai più esserlo, io ti amo ma non posso di nuovo lasciare che la mia vita vada in pezzi per qualcun altro. Sono stanco di questo, sono stufo di essere dannato, di vivere sempre al limite. Mi dispiace se ti ho deluso, le mie ali sono solo inchiostro tatuate sulla mia schiena ma io andrò per la mia strada e le sentirò crescere, raggiungerò il mio sogno ma non nel modo che tu vuoi, non così.”
Si infila il giaccone.
“Io vado, mi dispiace, tutto ha preso una piega diversa, qui non c’è più nessun sogno, se rimango con te crolleranno tutti”
Yuki esce, sulla strada, cammina, apre il telefonino, c’è un messaggio di Matt.
Risponde, ancora qualche ora e arriverà, non sa cosa succederà, se potrà restare ancora a Parker’s House dopo quello che ha fatto, però sente di riuscire a respirare di nuovo.
Da quanto non respirava più?

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Capitolo 8
*** C'era una volta la morte... ***




C’ERA UNA VOLTA LA MORTE..


C’era una volta la morte che cercava nello sguardo di chi incontrava colui che la stava aspettando e quando lo trovò non dovette neppure convincerlo a seguirla, perché lui era già pronto…



Jamie si guarda le scarpe sprofondate nell’erba bagnata poi lentamente sposta lo sguardo attorno, osserva i visi di Matt e Hillary poco distanti da lui, incrocia un sorriso spento di Yuki.
Ascolta i piccoli rumori che fanno da sottofondo alla voce del pastore che sta leggendo un salmo: le gocce della pioggia sull’ombrello, i rami scrollati dal vento, i respiri di chi gli sta attorno.
Cerca di cogliere le emozioni che fluttuano attorno a lui: tristezza, dolore, vuoto, mancanza, senso di abbandono e tanto altro ancora.
Ricorda un altro funerale, un ricordo sfocato tanto che c’è da chiedersi se si tratta di un ricordo vero o di una fantasia o forse di un sogno.
Lui piccolo insieme a mamma e papà.
Chi era morto allora?
Gli sembra che qualcosa di più chiaro si faccia strada faticosamente nella sua memoria, la fotografia di un signore anziano posata su una bara.
E c’è fugacissimo un flash-back di lui e di questo vecchio dagli occhi così uguali ai suoi, mentre in giardino giocano a palla.
Nonno!
Si trova questa parola in testa inavvertitamente, quasi per caso.
Il funerale del nonno.
Lui piccolo e mamma e papà!
Mamma e Papà.
Mamma
E
Papà.
Chiude gli occhi rapidamente, stringe le mandibole in una stretta ferrea.
Stop, fermo!
Sta valicando il territorio proibito, sta entrando nel luogo di massima sicurezza, è vietato, non può, altrimenti chissà cosa potrà mai accadere!
Però gli succede sempre più spesso.
Un ricordo, un nome, un viso, lampi, parole, piccoli sprazzi di una vita a tutti i costi dimenticata per poter continuare a vivere.
Jamie tratta tutto ciò con estrema cautela, lo maneggia con le pinze, si arma di ogni misura precauzionale, come se manipolasse materiale radioattivo.
Lo fa perché è assolutamente necessario proteggersi da questa incursione altamente pericolosa.
Però questa è l’unica cosa che può fare, perché trattenere i ricordi, eliminarli, confinarli nel luogo segreto non gli riesce più così bene.
E ‘ come quando è uscito dal coma e si è ritrovato ad affrontare sofferenza e dolore.
Luci troppo forti, rumori molesti, un surplus di emozioni da stordirlo.
Allora, quando gli occhi si sono aperti e il cervello ha cominciato di nuovo a funzionare, anche volendolo non avrebbe più potuto ritornare allo stato di incoscienza in cui era rimasto immerso per tanto tempo.
Ed ora è lo stesso.
Ha tentato e per un lungo periodo ci è anche riuscito, di tenere la vita fuori di sé, ma da quando è arrivato a Parker’s House qualcosa nel suo muro ha cominciato a franare, a sgretolarsi.
Le emozioni lo hanno accarezzato sempre di più fino ad avvolgerlo completamente, le vite degli altri sono diventate qualcosa di significativo e poco per volta la sua stessa vita ha cominciato a fluire di nuovo.
Per ultime sono venute le parole che stanno acquisendo di nuovo un significato, che riesce a decifrare senza sforzo.
Il problema è che la vita ha portato con se anche il passato e Jamie questo non è ancora pronto ad accettarlo ne ad affrontarlo.
Forse se qualcuno gli starà accanto potrà cominciare a sfidare anche quei visi, quei nomi, quel dolore, quelle immagini; potrà aprire una breccia nella fortezza degli orrori e provare a fronteggiarli poco per volta, attraverso una sorta di sensibilizzazione graduale.
Non ora, non in questo momento ma forse un giorno potrà riuscire a sopportare, a pronunciare parole innocue per tutti fuori che per lui.
Mamma.
Papà.



Piove e Alison ringrazia Dio, se mai c’è, di aver fatto a Chris questo dono, perché lui non avrebbe sopportato di essere seppellito in una giornata di sole, perché lui amava la pioggia e il grigio e il vento e il freddo.
E oggi in piena estate, non manca proprio niente di tutto questo.
E’ bene che la pioggia bagni la sua bara e tutti coloro che sono qui accanto alla fossa nera e molle, in questo modo sembra che tutti piangano, anche se quasi nessuno lo fa per davvero.
Si guarda attorno con aria smarrita, si sorprende nel vedere così tanta gente accanto a lei.
Si meraviglia nello scorgere Connor con accanto Jamie e gli lancia uno sguardo di ringraziamento, può solo immaginarsi quanto gli sia costato essere lì.
E poi ci sono tutti gli altri, non manca nessuno. C’è persino Mira con il suo nuovo ragazzo che sembra pregare e Alison sorride e pensa che Chris avrebbe lanciato una bestemmia se avesse saputo che qualcuno avrebbe pregato per lui, ma lei invece è riconoscente a Nathan perché le preghiere sono fiammelle di luce e così Chris non si troverà al buio e non avrà paura.
La madre di Chris l’ ha trovato nel letto la mattina scorsa, sembrava addormentato e così non si è preoccupata di vedere se lo fosse veramente.
Solo verso sera quando è tornata a casa e l’ha trovato ancora nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato, le è sorto un dubbio.
Chris era freddo e aveva le labbra e le punte delle dita livide. Era bianco, era morto chissà da quante ore.
Overdose hanno diagnosticato i medici e tutti quelli che lo conoscevano hanno commentato: “ Beh c’era da aspettarselo prima o poi”
Alison era passata nel primo pomeriggio a casa sua per vedere come mai non era a scuola e non rispondeva ai messaggi, alle chiamate, ma la porta era chiusa, tutto era chiuso, anche le imposte e se era andata.
Ora pensa che non avrebbe dovuto dare per scontato che Chris forse aveva il telefono scarico, che forse dormiva e stava smaltendo un’ubriacatura, che il giorno dopo si sarebbero rivisti comunque.
Avrebbe dovuto buttare giù la porta, chiamare qualcuno, perché in fondo al cuore lo sapeva, sapeva che lui eri lì dentro.
Alison pensa che lo ha lasciato solo nonostante le sue promesse, lo ha lasciato solo e freddo per così tante ore.
“Chris come potrai perdonarmi” e sente il suo cuore diventare di pietra.
Solo alla sera quando è di nuovo passata e ha visto le luci accese ed è entrata, solo allora ha saputo, ma lei già sapeva da molto e aspettava, era solo questione di tempo.
Ora è successo ciò che le faceva paura, così paura da scherzarci sopra, da non riuscire a farci mai un discorso serio.
“Ora tu non ci sei più, mai più, per sempre e sempre e sempre e non sentirò più la tua risata e non potrò più guardarti negli occhi, neppure tra mille anni, tra mille secoli…MAI PIU.”
Quando Alison ha chiesto alla madre di Chris, se potesse prendere i suoi disegni come ricordo, la donna non sapeva neppure di cosa stesse parlando e le ha detto di cercarseli.
Ha frugato nella sua camera, tra le sue cose, tra i suoi vestiti che gli sembravano non essergli mai appartenuti, sacchi vuoti senza la sua vita ad animarli.
Li ha trovati in un cassetto e li ha portati via.
Ora Alison è accanto alla fossa, ne ha in mano alcuni, quelli che sa che piacevano di più a Chris, ha deciso di non farlo andare via senza di loro, i suoi mostri di cui cercava di liberarsi disegnandoli, il suo veleno che trasudava dall’inchiostro, un veleno infetto di cui non è mai riuscito ad affrancarsi.
E così li lascia cadere uno alla volta sopra la bara, nella fossa e la pioggia li inzuppa e li scolorisce, li impregna stingendoli ed è come se anche loro morissero una volta per tutte insieme a Chris.
Chris, senza paura di nulla, perché il nulla lo abitava quotidianamente.
Chris senza nessuna colpa, se non quella di non aver voluto impegnarsi a vivere, se questa può essere considerata una colpa.
La notte precedente lo ha sognato.
Un sogno così nitido da sembrare reale.
Lui e lei fuori dal pub in una sera fredda e serena, con un cielo blu scuro che si schiariva di stelle e una piccola falce di luna brillante come un diamante.
Le loro mani intrecciate.
Poi lei era in una stanza vuota e lui le era accanto, ma era bianco, così pallido come non lo aveva mai visto.
“Nessun vivo può essere così bianco” aveva pensato fra se.
Lo aveva toccato ed era ghiacciato e rigido.
Era morto, ma sorrideva.
“Sono morto, cosa vuoi fare?”
“Voglio venire con te”
“Per stare sempre insieme?”
“Sì”
“Non potremo stare insieme neanche da morti”
“Perché?”
“Perché a me piace esserlo, mentre a te no” e aveva continuato a sorridere teneramente.
Era cosi bello anche nella sua oscurità.
Quando Alison si è svegliata la luce del giorno entrava dalla finestra, grigia come il suo cuore.
Ora alza lo sguardo e si accorge che la funzione si è conclusa, sono rimasti solo due uomini che stanno ricoprendo la fossa.
Poco lontano intravede Matt e Hillary che la stanno aspettando discretamente, non le lasceranno fare la strada da sola.
Dietro di lei percepisce Julian.
Non le ha detto nulla, le è solo stato accanto, senza toccarla, ma lei ha sentito la sua presenza solida e protettiva e questo l’ha aiutata a trattenere i piedi sul bordo della fossa, come se lui le avesse teso una fune, una fune di salvataggio con la quale l’ha issata dal baratro lentamente ma con fermezza.
Si allontana, Julian le si mette di fianco, solo allora le prende la mano.
“Sai non è il pensiero della morte che mi fa male ma è qualcosa legato alla bellezza che ho perso per sempre, perché Chris per me era soprattutto qualcuno di bello e di buono. Gli piaceva citare una frase ’Chi non muore giovane prima o poi se ne pente’. Ho paura che forse me ne pentirò Julian.”
Julian le stringe più forte la mano.
“Nessuno al mondo se ne pentirà Alison, tu sei un dono”



Kyle è arrivato insieme agli altri ma è rimasto un po’ in disparte, in fondo Chris lo conosceva poco.
Gira lo sguardo attorno cercando qualcosa che lo distragga da quella situazione che fatica a metabolizzare.
Vede arrivare Dean che si ferma anche lui un po’ lontano dal gruppo. Cerca con gli occhi quelli del ragazzo, riesce ad incrociarli, si sorridono, ma poi Dean fa vagare lo sguardo sul gruppo dei presenti e si avvicina a Yuki.
Kyle si sente vuoto e in qualche modo invidia Chris che in fondo ha sempre saputo cosa fare della sua vita: cercare di concluderla il più in fretta possibile.
Chris che gli è sempre sembrato qualcuno che con il mondo non avesse nulla da spartire, non in lotta ma estraneo. Non c’era altro da fare se non togliere il disturbo sperando magari nella prossima volta, se la storia della reincarnazione è vera.
Ma Kyle non crede in questa dottrina, a lui hanno insegnato che dopo la morte ci sono solo due opzioni: o sei salvato o sei condannato, ma uno come Chris come fai a salvarlo, come fai a condannarlo? L’unica è dargli un’altra chance, se lui fosse Dio gliela concederebbe, magari su un altro mondo diverso da questo.
Un mondo dove tu sei sempre più forte del dolore, dove i sogni diventano possibili.
Si riscuote, cacciando in gola le lacrime, esercizio a cui si sta ormai abituando.
Chissà se i ragazzi che sono riuniti attorno alla fossa un sogno c’è l’hanno o se mai l’hanno avuto?
Quelli di Yuki e di Alison sono apparentemente facili da riconoscere, sogni artistici di musica e di pittura, quello di Connor di non dipendere più da Taylor, quello di Mira potrebbe essere quello di avere diciotto anni e di andare a vivere da sola facendo la bella vita, magari portandosi dietro il suo nuovo ragazzo.
Ma più nel profondo sa che il sogno di Yuki è quello di realizzare se stesso facendo ciò in cui crede e quello di Alison è di saper vivere una vita pienamente consapevole delle sue potenzialità, quello di Mira di potersi permettere di farsi amare e quello di Connor di riuscire a vivere senza farsi troppo male.
E’ un periodo strano per Kyle quello che sta passando ultimamente, un periodo di riflessione, di chiusura.
Ma il lato positivo del chiudersi al mondo è che ti si aprono spazi inesplorati dentro di te.
E lui si è scoperto un animo romantico che non aveva mai creduto di possedere, ci sono frasi in canzoni d’amore che gli capita di ascoltare che accendono una scintilla di desiderio e di rimpianto dentro di lui, film che lo fanno piangere di nascosto.
Fa il tifo per la storia tra Mira e Nathan e tra Alison e Julian e anche se a ben vedere lui non c’entra proprio niente, partecipa alle vicende con un fervore esagerato, come se fosse lui il protagonista.
Soffre se c’è qualche dissidio, è contento quando le cose procedono serenamente.
Si è chiesto perché sia tanto preso da queste storie che non lo riguardano, perché ne sia tanto coinvolto e si è dato una risposta.
In fondo è come se quelle storie le vivesse lui per interposta persona. Non ha mai avuto una storia d’amore e pensa che non la potrà mai vivere, una storia di quelle che sogna, con l’amore che ti fa battere il cuore e che ti emoziona e che ti fa pensare che il tuo ragazzo sia il più bello del mondo, che non ti stancherai mai di guardarlo perché ogni suo particolare è incantevole e che ti rende felice solo per il fatto che lui esiste e tra tutti ha scelto proprio te.
Per questo partecipa in prima persona alle storie degli altri, perché è l’unico modo per risarcire la sua vita vuota d’affetto.
Le sue scelte sbagliate, i suoi tentativi di adattarsi.
Hillary gli ha detto che è troppo pessimista, che è così giovane che di storie d’amore ne avrà non una ma chissà quante.
Però Kyle sa che non è vero.
Le storie d’amore sono rare e preziose ed è convinto che a lui non capiterà, perché gli passeranno sopra o accanto e lui non sarà pronto a riconoscerle, perché invece non avrà occhi se non per chi delle storie d’amore non gli importa nulla.
Ci sono persone destinate a commettere sempre lo stesso errore e lui è uno di quelli, cercherà l’amore dove non potrà trovarlo e ignorerà chi potrebbe darglielo, è il suo destino, forse la sua punizione.
Ora vorrebbe che Dean gli si accostasse, abbassasse la testa e gli sfiorasse il collo con i suoi capelli setosi, bisbigliandogli qualcosa.
Invece Dean è lontano e non ha intenzione di avvicinarsi a lui.
Cosa deve fare della sua vita che gli sembra così vuota e arida?
Tutti hanno ideali chiari o nascosti, superficiali o profondi, ma il suo? Il suo non c’è.
Tutti portano nelle loro braccia sogni in boccio o in frantumi, ma le sue braccia sono vuote.
Tutti ci stanno provando a realizzarli, persino Chris che aveva il sogno di morire ci è riuscito.
Tutti si stanno buttando, ma non lui che si è accontento di quel poco che Jared gli ha dato quasi elemosinando carezze, che ha giocato al peggio la sua partita con Dean, che si è fatto scalfire dalle chiacchere su di lui al punto di vergognarsi di se stesso.
Forse è questo il sogno che deve realizzare, uno piccolo ma meglio che niente: quello di riuscire a vivere una vita dignitosa in cui non sentirsi più sbagliato o colpevole, quello di assolversi definitivamente riuscendo ad accettarsi per com’è, sapere di esser un po’ puttana ma essere convinto che in fondo anche le puttane hanno sogni romantici dentro al cuore forse più che le ragazze per bene e hanno il diritto di vivere una vita felice.
Forse anche quello di accettare il fatto che l’amore non è solo trovare qualcuno che ti ami, ma è anche saper ricambiare.
Ecco forse è proprio questo quello che non ha capito finora e che bisogna assolutamente che incominci a comprendere, se vuole costruire qualcosa d’importante.
Ha sempre cercato qualcuno che lo desiderasse, per il quale contare davvero, ma lui oltre il sesso è in grado di dare qualcosa all’altro?
Perché l’amore non è solo una benedizione ma bisogna meritarselo, bisogna lavorare sodo per farlo crescere, perché l’amore non si autoalimenta, ma devi offrigli cura e attenzione.
Perché l’innamoramento si spegne dopo un po’ e se tu non ci tieni davvero all’altro e non ti impegni a rendere sempre un po’ più importante ciò che ti è capitato, più profondo, più indispensabile, allora otterrai sempre qualcosa di insoddisfacente, di inconsistente, di transitorio.
“Voglio un ragazzo che mi ami e voglio incominciare ad imparare ad amare” ecco finalmente ha trovato il suo sogno da poter realizzare.



Mira si sistema meccanicamente il trench color sabbia che indossa, si accarezza la manica, si stringe la cintura annodata.
Odia quel maledetto tempo che ha mandato a puttane tutti i suoi piani.
Ieri ha passato tutto il pomeriggio a selezionare i suoi capi d’abbigliamento alla ricerca di uno che si adattasse all’occasione, con una domanda preoccupante in testa :come ci si veste ad un funerale soprattutto d’estate, quando i vestiti sono tutti corti e piuttosto sgargianti?
Alla fine è riuscita a trovare un abitino giusto, a piccoli fiori dai colori tenui, su uno sfondo blu che abbinato ad un paio di ballerine scure sarebbe stato perfetto.
Poi ha pensato di raccogliere i capelli in uno chignon elegante e di infilarsi i suoi occhiali neri di Dior, come si vede al cinema, in quei funerali in cui la protagonista ha sempre un’aria afflitta ed estremamente elegante.
E invece questa pioggia e questo freddo fuori stagione ha fatto naufragare tutti i suoi piani e all’ultimo momento si è vista costretta a nascondere il suo abito perfetto sotto quell’impermeabile anonimo e ad infilarsi un paio di scarpe chiuse che stonano con tutto l’insieme e a dire addio agli occhiali scuri!
Ora è qui sotto l’ombrello accanto a Nathan, che ha insistito per accompagnarla e da quando è iniziata la funzione mormora litanie che legge da un libro di preghiere.
A lei pare abbastanza imbarazzante ma in realtà la cosa sembra accettata da tutti come normale.
E’ probabile che si usi dire preghiere ad un funerale, anche se chi è morto non lo conoscevi neppure.
Lei fino all’ultimo è stata incerta se venirci oppure no, in fondo Chris non le è mai interessato quando era vivo, figuriamoci da morto.
Anche ora, anche dopo che Nat le ha spiegato che se non lo faceva per Chris, lo avrebbe potuto fare per Alison, per non lasciarla sola, le sembra un’ipocrisia essere lì e lei non è mai stata un’ipocrita, di questo bisogna darle atto.
Nat cerca la sua mano e gliela stringe.
Lei sorride. Chi lo avrebbe mai detto che si sarebbe ritrovata al funerale di uno sconosciuto sotto la pioggia, mano nella mano con un ragazzo che si ostina ad amarla anche dopo aver saputo tutto di lei?
Un bravo ragazzo che sta pregando peggio che il pastore che officia la cerimonia, che la ama e che non vuole fare sesso con lei.
Non riesce a trattenere un sorriso completamente fuori luogo.
Però la cosa più buffa è che in questa situazione completamente avulsa da tutto quello che lei è e che è stata, in fondo non si trova a disagio anzi ci sta bene.
Ha raccontato tutto a Nathan un giorno, con calma freddezza e senza dimenticare nessun particolare.
E’ stata una sfida, una sfida a lui, al suo motto “perdona i peccatori”, al suo amore che continuava a dichiararle.
“Ecco ora ti faccio vedere io di chi ti sei innamorato razza di coglione e poi voglio vedere dove lo metterai il tuo perdono, dove lo nasconderai il tuo amore. Riderò quando ti vedrò andartene con una scusa per non farti vedere più”
Ecco quello che aveva pensato prima di iniziare a raccontare.
E pensarlo le aveva dato gioia, quella di sapere che in fondo lei ha sempre avuto ragione, che siamo tutti uguali, sia santi che peccatori.
Ma quella gioia feroce era forse anche per nascondere una delusione che temeva potesse sommergerla e che voleva evitare a tutti i costi, perché sarebbe stata la conferma lampante del suo coinvolgimento in una storia che non aveva mai avuto senso ne futuro.
Ma alla fine Nathan non se ne era andato, anzi l’aveva abbracciata e le aveva sussurrato tra i capelli: “A me non importa cosa hai fatto, importa solo quello che stai facendo ora qui con me, quello che faremo insieme”
Belle parole non c’è che dire, si è quasi commossa.
Ma Nat non ha capito che il problema è proprio qui: per quanto riuscirà a comportasi da brava ragazza? A non ricominciare a guardare un altro uomo? A fare la porca con qualcuno di attraente, così, tanto per divertirsi un po’?
Anche questo ha detto a Nathan, non gli ha nascosto proprio niente.
Ma lui ha riso, le ha accarezzato i capelli e le ha detto un’altra frase ad effetto che chissà dove le va a scovare, forse sono scritte nella Bibbia.
”Tu pensi di essere molto peggio di quello che sei, stiamo insieme, tu mi hai detto che ci tieni a me e io ti credo perché tu sei sincera ed onesta e per ora va bene così, per ora noi siamo felici, non posso privarmi di questa felicità per paura che nel futuro potrei soffrire per causa tua, il dolore fa parte della vita, lo accetterò in nome della gioia di oggi”
Si può essere così masochisti?
Mira non lo sa, sa solo che qualsiasi altro ragazzo o sarebbe fuggito a gambe levate o se la sarebbe tenuta stretta per potersela spassare.
Ma Nathan la ama e spassarla per lui significa stare con lei, anche solo parlando e tenendosi abbracciati.
Se dovesse durare però lei lo farà peccare e sarà bello per entrambi.
Tanto c’è la confessione, tanto il Dio di Nathan perdona ogni volta, tanto è un Dio misericordioso, sono gli uomini che non lo sono.
Farà capire a Nathan che fare sesso è bello e appagante e non è un peccato e Dio non c’entra proprio niente.
Gli insegnerà tante cose e lui le imparerà volentieri, ma sarà diverso di questo è sicura.
Fare sesso con Nathan sarà diverso da qualsiasi altra volta che l’ha fatto, perché non avverrà subito, perché passerà del tempo e lei è disposta a lasciarlo passare, perché il desiderio se non è subito soddisfatto diventa ancora più ardente e assume connotazioni diverse.
Perché veramente fare sesso con Nathan sarà come dice lui un donare se stessa a lui e viceversa.
Questo è quello che lui le sta insegnando e lei sta cominciando a comprenderlo a fondo.



Yuki si muove sui piedi, gira leggermente la testa e vede avvicinarsi Dean.
Non sa perché sia venuto anche lui, forse conosceva Chris, forse lo aveva incontrato qualche volta al pub.
Dean gli si affianca e lui lo guarda di sfuggita, abbozzando un mezzo sorriso.
Dio fa che finisca in fretta tutto questo, fa che si possa lasciare questo cimitero inondato di pioggia e tornare a casa.
Stringe le labbra tra i denti, “casa” è una parola che non sa bene in che modo si sia formata nella sua testa, ma da quando Matt lo ha riportato a Tadcaster quel giorno, Parker’s House è diventata nella sua mente “casa”.
Ed è strano perché lui di case non ne ha mai avute e ha sempre pensato che fosse l’ultimo dei suoi desideri.
Così come non aveva mai avuto amici prima di arrivare lì e anche questo sembrava qualcosa di superfluo, che non meritava nessuno sbattimento.
E invece ora davanti alla fossa che sembra terribile sotto la pioggia, sente che casa e amici sono le parole che gli premono di più, che solo a pensarle riescono a dargli un minimo di stabilità.
Quando è tornato a Parker’s House ha avuto paura di doversi in qualche modo giustificare, di spiegare la sua presenza per non farla sembrare una sconfitta.
Ma non è stato necessario, gli altri lo hanno accolto come se non fosse successo nulla, come se si fosse chiusa una parentesi e la vita potesse riprendere da dove era stata lasciata.
Si guarda attorno, osserva Alison accanto alla fossa, immobile, sicuramente è quella che sta soffrendo di più, più della madre di Chris, ma non sta piangendo e ha lo sguardo duro di quando sta combattendo le sue battaglie personali.
C’è Kyle che ha lanciato un’ occhiata e un sorriso lieve a Dean quando è arrivato ed ora ha gli occhi bassi e Connor che si stringe le braccia attorno al corpo e sta tremando, anche se è estate.
Ma oggi l’estate ha deciso di fare sciopero e al suo posto ha mandato una tipica giornata autunnale, con tanto di pioggia, cielo grigio, nubi che si stratificano una sopra l’altra senza lasciare uno spazio di azzurro.
Una giornata giusta per un funerale, che dover seppellire qualcuno nella terra in una giornata di sole, forse farebbe ancora più male.
Pensa a Chris, al suo desiderio evidente di finire presto la sua avventura terrena, come se fosse un viaggio troppo duro per lui, con troppe asperità e disagi per sopportarlo per lungo tempo.
Anche lui è stato vicino a quel baratro, al richiamo seducente di bruciare in una fiamma gloriosa.
Non sa neppure come sia potuto sfuggire all’invito, a Nina.
Sa di essere pieno di sogni, di desiderio, di non potersi accontentare di una vita banale, sa che sarà sempre alla ricerca di qualcosa di alto e di bello e proprio questa sua propensione lo metterà sempre a rischio, lo renderà debole e fragile ed esposto.
Essere preso da incantamenti e volare al disopra dell’atmosfera fino alle stelle, con il rischio di cadere e rompersi tutte le ossa: questo è il suo destino.
Ma c’è un’altra cosa che sta cominciando a capire ed è che è importante chiedere aiuto, che lo si può fare e che lui è fortunato perché ha persone intorno che hanno risposto senza nessuna esitazione o recriminazione alla sua richiesta.
Yuki sa che potrà di nuovo cadere e farsi male, ma anche che c’è qualcuno su cui potrà sempre contare, che ci sarà sempre una mano che lo aiuterà ad alzarsi, che lo curerà e lo consegnerà di nuovo al mondo.
E mentre la gente comincia a sciamare e solo Alison rimane in piedi accanto alla fossa che gli operai stanno riempiendo, con in mano un fascio di fogli disegnati il cui inchiostro si sta sciogliendo sotto la pioggia, Yuki capisce che la sua vera paura non è quella della morte, che in realtà si muore ogni giorno un po’, ma quella di non raggiungere i suoi obiettivi, i suoi sogni.
Mentre si allontana sentendo il passo di Dean al suo fianco, è pienamente consapevole che la vita ti cambia ogni giorno, che il destino è sempre determinato dalle proprie scelte, che è solo necessario camminare nella direzione preferita e allungare la mano verso ciò che ci si merita, solo in questo modo i sogni possono diventare realtà e che la cosa migliore per superare i momenti brutti è avere e trovare veri amici.
Il cimitero è alle spalle, ma il senso di quello che è successo non si è ancora smaltito dentro di lui. Dean gli mette una mano sul braccio.
“Che stai pensando?” gli chiede.
“Sto pensando che sono qui, inciampando nei miei stessi piedi ma cercando comunque di fare la mia strada. Parto dal fondo ma non è come essere bloccato, è più come se su di me l’intero cielo sia libero, aspettando di essere conquistato”
Dean sorride, scuotendo la testa.
“Domani riprendiamo le prove”.



Connor ha freddo, l’umidità gli entra dentro le ossa.
Si accorge di stare tremando.
Perché questa giornata proprio oggi? E pensare che fino ad ieri splendeva il sole e la temperatura era così piacevole.
Scuote la testa pensieroso. C’è chi nasce sfigato e Chris è uno di questi.
Neppure il giorno del suo funerale il destino ha avuto un po’ di clemenza, Dio ha avuto un po’ di pietà.
Un bel sole e l’aria tiepida e la terra asciutta sarebbero stati una scenografia migliore per andarsene, per salutare la vita.
Non conosceva Chris ma ci è venuto ugualmente al funerale e non solo perché tutti i ragazzi di Parker’s House ci sono venuti. Non gli è mai importato di fare quello che gli altri fanno, di essere assimilabile, non ha mai avuto paura di andare contro corrente.
No! E’ stato qualcos’altro che lo ha fatto decidere ad uscire nonostante il brutto tempo e le sue condizioni di salute ancora precarie, per recarsi al funerale di un perfetto sconosciuto.
E’ stato vedere il viso di Alison glaciale e i suoi occhi duri e capire che lei stava soffrendo proprio come soffre lui, nella stessa maniera, facendo finta di niente, perché questo è il suo stile: fare finta di niente, sempre e comunque, come se non fosse toccato da nulla e nulla possa toccarlo.
E’ stata un’intuizione improvvisa che lo ha scosso fin nel profondo: trovare qualcosa in comune di così intimo con qualcuno che non fosse Taylor.
Si guarda attorno per cercare di non pensare al freddo e al tremito.
Yuki se ne sta perso come sempre nei suoi pensieri, con un sorriso leggero sulle labbra che gli sembra francamente fuori luogo vista la situazione. Ma da Yuki ci si può aspettare di tutto, anche che se ne scappi, stia via un mese e poi torni all’ovile e riprenda la sua vita come se niente fosse.
Anche se forse qualcosa è cambiato a pensarci bene, visto che a cena non fa più tardi e dopo non sgattaiola più a chiudersi nella sua camera a strimpellare.
Lo ha colto a volte in atteggiamenti teneri con Jamie, chinato su di lui e intento ad insegnargli i primi accordi sulla chitarra e in lunghi e misteriosi colloqui con Kyle.
E non può dimenticare lo sguardo di meraviglia con cui ha accolto lui quando è tornato a Parker’s House in convalescenza.
A Connor era subito sorto l’ impulso di lanciargli qualche battuta velenosa, ma le parole gli sono morte in gola quando Yuki lo ha abbracciato e lo ha tenuto stretto e non gli ha mai fatto domande.
Matt e Hillary sono uno accanto all’altro, si guardano attorno, fissano la loro attenzione soprattutto su Alison che è lì proprio sul ciglio della fossa, quasi come se volesse farsi scivolare dentro anche lei e lascia cadere sulla bara fogli di carta, forse disegni.
La mano che gli sfiora il braccio, gli occhi che lo carezzano sono invece quelli di Jamie, lo sa senza dover guardare.
Jamie che si sta aprendo alla vita e che secondo lui non dovrebbe essere lì, ad assistere ad un nuovo spettacolo della morte, che già per lui ce n’è stata una troppo importante di scena come quella di oggi.
Ma è stato lui a voler venire, ha fatto una scelta, la prima dopo chissà quanto tempo e per tutti è stato indubbio assecondarla.
Perché farsi del male? Connor si chiede, ma poi si rende conto di essere la persona meno adatta sulla faccia della terra a porsi questa domanda, perché lui ha passato anni e anni a farsi male in così tanti modi da non riuscire più neppure a ricordarli.
E ha passato tanti anni a fare del male agli altri: masochista certo, ma anche sadico in fondo. La pioggia che si sente scorrere addosso nonostante l’ombrello, gli ricorda il sangue di quel giorno colargli caldo e prezioso sulle braccia, impregnargli i vestiti e scivolare sul pavimento, formando una chiazza che si allargava sempre di più.
Prima di svenire ha avuto il privilegio di vedere la faccia di Taylor che entrando lo ha scoperto: la sua espressione schifata e rancorosa, tradita.
Pensava di morire quel giorno e se fosse successo ora sarebbe sotto terra come Chris.
Chissà se il destino ha giocato con le loro vite: una in cambio di un’ altra.
Chris è sicuramente stato più determinato, ha perseguito il suo obiettivo senza cedimenti, in modo sicuramente più drastico, non ha continuato a scherzare con la morte come ha fatto lui, che in fondo di morire non ha mai avuto voglia, quanto piuttosto di sentirsi forte e contemporaneamente di punirsi.
Dopo che è stato dimesso dall’ospedale, Matt e Hillary gli hanno offerto di ritornare a Parker’s House, almeno per ristabilirsi e riorganizzare la propria vita, senza Tay, senza più nessuno.
La cosa per la quale è più grato ad entrambi è stato che nessuno dei due ha mai pronunciato “ Te l’avevo detto, ti avevo avvertito di come era fatto Tay”
Invece la cosa che gli brucia ancora adesso è che sembra che tutti se ne fossero accorti meno che lui, di come Taylor è fatto.
E’ successo una sera il fatto che in qualche modo gli ha mostrato una possibile svolta, una deviazione realizzabile.
Stava scrutando con circospezione le cicatrici sulle braccia e gli era nata una voglia violenta di farsi male.
Nostalgia di una vita maneggevole, nella quale poter controllare il dolore, desiderio di sapere che nessuno poteva ferirlo più di quanto non potesse ferire se stesso, orgoglio di essere forte.
Basta soffrire per Taylor, per la delusione, per la propria ingenuità, la propria debolezza, solo il sangue è reale, è umano, ti fa sentire bene e al tempo stesso ti fa sentire il dolore che ti meriti, concretamente, senza quello strappo continuo nel respiro, nello stomaco, nel cuore.
Si sarebbe tagliato e avrebbe voluto che Tay fosse lì a guardarlo per urlargli in faccia: “Sono io a farmi del male, non tu!”
Seduto sul letto con la luce fioca della lampada ad accarezzarlo, aveva cercato la zona giusta tastando con una mano la sua pelle screpolata e ruvida e tenendo nell’altra una lametta nuova di zecca, lucida e consolante.
Una mano sulla spalla lo aveva bloccato, voltandosi aveva intravisto Jamie che si era alzato dal suo letto e gli si era avvicinato.
“Vattene, torna a dormire, lasciami fare e tutto andrà a posto”
Ma Jamie non si era mosso e lo guardava con un' aria seria e serena insieme, con gli occhi blu fissi nei suoi.
Aveva cercato di staccarlo, ma il ragazzino sembrava di pietra e non smetteva di fissarlo.
“Lasciami fare, sai che non c’è più speranza, tutto è già scritto, la mia vita, la tua, quella di tutti, non puoi cambiare le cose, non puoi fare nulla, lasciami fare, vedrai che poi starò bene”
“No”
Lo aveva fissato e Jamie lo aveva ripetuto il suo “ No” flebile ma deciso, senza incertezza alcuna, senza mai staccare gli occhi dai suoi, la mano dalla sua spalla.
Forse era stato questo a fargli dubitare che le cose non si possono cambiare, il fatto che Jamie le aveva cambiate e lo aveva fatto per lui.
Connor si accorge che il funerale si è concluso, che tutti stanno lentamente lasciando la fossa, solo Alison è ancora lì, sotto la pioggia.
“Andiamo” dice prendendo per mano Jamie.
Domani rivedrà i suoi genitori, ha chiesto lui di poterli incontrare, ha scoperto che loro ci sono sempre stati anche se da lontano.
E’ stato lui ad allontanarli e poi ad accusarli di averlo lasciato solo, di non avere lasciato loro nessuna scelta se non quella di sentirsi dei genitori falliti.
Quello che ha capito solo ora è che suo padre e sua madre hanno acconsentito a lasciarlo solo, convinti che questa potesse essere l’unica cosa che potevano fare per il suo bene.
Non hanno mai avuto paura di lui e della sua malattia, solo di non poterlo salvare.
Forse il loro errore è stato quello di averlo sempre protetto, sempre considerato debole e bisognoso di aiuto, di essersi occupati sempre del suo corpo, ignorando o trascurando l’esistenza di una interiorità meritevole di attenzione; è questo che ora deve insegnare ma anche permettere loro.
L’anoressia, l’auotlesionismo sono tutti tentativi per allontanare gli altri, mantenerli a debita distanza, una barriera di protezione dalla paura degli altri.
Ma Connor sa, lasciando alle spalle il cimitero mano nella mano a Jamie, che la paura si può superare se si accetta che dipendere da qualcuno non è un peccato o una fragilità ma un atto di coraggio, tutto sta nello saper scegliere a chi affidare se stessi.



Ed eccoci alla fine, con questo capitolo si conclude "Victims of ourselves", spero vi sia piaciuta. Un grazie a Inesistente e a Candy_ per aver seguito questa storia dall'inzio alla fine lasciando sempre un loro pensiero, lo apprezzo molto.

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