My Fair Gipsy

di minimelania
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** O me o il fuoco ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** La cena ***
Capitolo 4: *** Claude contro il Giudice Frollo ***
Capitolo 5: *** Impegni Mattutini ***
Capitolo 6: *** 6. Chi è Isabeau? ***
Capitolo 7: *** Grandi Manovre ***
Capitolo 8: *** Scena per due Giudici, una Vittima, Minù ***
Capitolo 9: *** La cena è servita, il pranzo... pure! ***
Capitolo 10: *** Sorprende prima Me che Voi, ma è così. ***
Capitolo 11: *** Hellfire, dark fire... ma non era un'altra storia? ***
Capitolo 12: *** Con la fine dell'Estate ***
Capitolo 13: *** Mesdames et Messieurs... la cena! ***
Capitolo 14: *** Scegli me o ... ***
Capitolo 15: *** Epilogo - Un nuovo inizio ***



Capitolo 1
*** O me o il fuoco ***


 Minimelania & Marguerite90

 Presentano 

My Fair Gipsy

 
 


Capitolo 1: O me o il fuoco
 

 
Place de Grevés era gremita di persone. Sotto il cielo di una nascente alba livida, all’ombra della cattedrale, attendevano l’esecuzione della zingara Esmeralda.
Il patibolo per il rogo, allestito al centro della piazza, aspettava la ragazza col suo ultimo abbraccio mortale. Il boia la strattonò con malagrazia fino ai gradini di legno.
Forza, sali, strega.
Esmeralda sentì le corde graffiarle i polsi mentre, in camicia, veniva legata al palo.
Strega, udiva ripetere nella sua mente. Strega io, che sono innocente, che nella vita non desideravo altro se non ballare per le strade di Parigi, che ho soltanto difeso un povero ragazzo.
Alzò gli occhi verso Notre Dame: Quasimodo, incatenato, non avrebbe potuto salvarla.
Io, che avevo un amore. Forse.
Il suo pensiero andò a Febo, imprigionato assieme ai suoi amici della Corte dei miracoli. Non riusciva a voltarsi, ma sapeva che erano alle sue spalle. Al Capitano delle guardie sarebbe toccato il dolore di assistere allo spettacolo macabro della sua fine. Ammesso che gliene importasse.
Certo che le aveva previste proprio bene le cose, quel… quell’orribile essere del Giudice Claude Frollo. Eccolo lì, se ne stava in piedi, davanti a lei, con la fiaccola in mano, pronto a sferragli il colpo finale. Sogghignava, e quel suo sorriso le pareva l’anticamera dell’inferno.
Per quanto sia, il diavolo non potrà mai essere peggio di lui.
Va bene, sarò onesta, si disse, l’idea di essere al centro delle fantasie di un uomo tanto potente, capace di distruggere l’intera città solo per avermi, mi lusingava, in minima parte. Diciamo, mi lusingava un pochino. Mi lusingava e basta. Sì, ma non al punto da dover pagarlo con la pelle.
 
- La prigioniera Esmeralda è stata riconosciuta colpevole del crimine di stregoneria. – disse con quella che non sarebbe stata nemmeno una brutta voce, se non fosse stata incrinata da una vena marcata di disprezzo.
I tamburi rullarono su un silenzio irreale.
- La sentenza: morte!
Si levò dalla folla qualche grido di protesta.
- L’ora è giunta, zingara, sei affacciata sull’orlo dell’abisso. Ciononostante, non è troppo tardi.- avanzò di qualche passo, quel tanto che bastava per avere il suo viso a pochi centimetri dal proprio, quel tanto che bastava per sentire il calore della torcia che egli reggeva.
- Posso ancora salvarti dalle fiamme di questo mondo e del prossimo. Scegli me, o il fuoco.
La tentazione fortissima, irrefrenabile, era stata quella di mandarlo al diavolo, di sputare contro di lui se questo fosse servito ad avvelenarlo. Ma avrebbe solo ottenuto qualche istante in meno di vita.
La vita… Avrebbe dovuto dirle addio per sempre.
Tra pochi minuti sarà tutto finito, Esmeralda. Si disse. Già, tutto finito. Il dolore dell’agonia sarebbe cessato, ma con esso anche tutte le gioie dell’esistenza.
Non possedeva molto, certo, ma ringraziava per quel poco che aveva e… ma cosa andava a pensare? Non era mica il momento adatto per far bilanci!
Dopotutto, a ben vedere, la soluzione l’aveva lì davanti, a portata di mano. Non avrebbe dovuto che pronunciare una parola.
Per quanto quell’uomo la spaventasse, o meglio la disgustasse per ciò che aveva fatto alla sua gente, sarebbe stato sempre meglio che la morte.
Guardò un’ultima volta in direzione della cattedrale: il campanaro non dava segni di riuscire a spezzare le catene. E lei che, fino all’ultimo aveva sperato di vederlo piombare sulla piazza, afferrarla per condurla in sicuro sulla torre più alta, gridando: diritto di asilo.
Nulla. Nessun segno di ribellione nemmeno da parte di quello che un tempo era stato il valoroso Capitano Febo. Niente. Doveva salvarsi da sola.
Scelgo voi, disse in un sibilo appena percettibile.
- Prego?
- Ho detto che scelgo voi.
Sul volto del Giudice balenò un sorriso di vittoria: - Lo sapevo. La morte fa paura, non è vero?
La ragazza si rifiutò di rispondere.
Frollo si era intanto voltato verso la folla con un gesto fin troppo teatrale. Il nastro rosso del cappello aveva seguito i suoi movimenti come l’ondulazione sinuosa di una lingua di fuoco.
- Popolo di Parigi, la zingara Esmeralda ha scelto di abiurare, e poiché Dio è misericordioso verrà perdonata. Tu, zingara – si trovò l’indice di lui puntato contro con solennità – dichiari davanti a Nostro Signore, alla legge e alla città di rinunziare a Satana, alle sue tentazioni, alle pratiche di stregoneria e di condurre da oggi stesso vita da degna cristiana.
Annuì con decisione.
- Abiuri le tue colpe, le tue errate credenze, le tue eresie e sei disposta ad accogliere con spirito di buon cattolico il castigo che la Nostra Madre Chiesa vorrà assegnarti per espiare i tuoi peccati?
- Sì. – fu appena un soffio.
- Con questo sì, tu sei assolta dalla tua condanna a morte. Guardie, liberatela! – poi aggiunse a bassa voce – E conducetela nella mia carrozza.
 
Bene, la carrozza! Pensò Esmeralda, mentre non sapeva se mettersi a piangere o a ridere per la situazione in cui si stava trovando. La carrozza con la quale mi porterà al suo palazzo a vivere come la sua amante. Che disgustosa prospettiva! Eppure, quando l’alternativa è il rogo…
Lo sportello della carrozza si aprì. Al palazzo di giustizia, sentì ordinare. Poi, entrando, la mano del giudice sfiorò inavvertitamente la sua.
Ecco, comincia subito ad approfittare della vicinanza, fraintese.
Frollo si assestò sul sedile di fronte.
- Che avete da guardare? – ringhiò la ragazza, ricordandosi in quel momento di essere ben poco vestita – Oh, lo so che cosa state immaginando… Ma vi sbagliate, vi sbagliate di grosso se credete che io possa essere un giorno vostra! Piuttosto la morte!
- Hai un bel coraggio, ora che sei in salvo. Non mi parevi di questa opinione fino a qualche minuto fa. – replicò lui, senza scomporsi.
- Avevo forse altra scelta? Ma sappiate che io non vi amerò mai, perché il mio cuore appartiene solo…
- Solo al prode Capitano Febo, che oggi si è proprio dannato l’anima pur di salvarti. Sì lo so, non c’è bisogno di tanto melodramma. Eppoi, mia cara, non è certo l’amore che cerco.
- Eh, come no: vi basta tutt’altro! Io non ci verrò mai assieme a voi, mi disgustate, mi fate orrore e se solo oserete avvicinarvi… io…
- Avvicinarmi? A te? Davvero tu pensi che io abbia fatto bruciare Parigi solo per avere te?
Esmeralda aggrottò le sopracciglia. Cominciava a non capirci più nulla. Calma. Doveva rimanere calma e soppesare ogni parola: si trattava certamente di un altro inganno ordito da quel subdolo giudice ai suoi danni.
- Non volevate me? Cioè, voi avete messo sottosopra una città ma non per me? Intendete dire che voi non volete che io … ecco, che noi…
- No, se è quello che intendi. Tu, da quel punto di vista non mi interessi minimamente. Ma mi ci vedi? Un uomo rispettabile come me, un Giudice, il più famoso di Parigi, insieme ad una zingarella come te? – trattenne a stento un sogghigno che, poi, Esmeralda aveva capito essere il suo modo di ridere.
- Non mi volete come amante?
- No.
La ragazza si era afflosciata nelle spalle, lasciando che le mani abbandonate a ciondoloni tra le ginocchia esprimessero per lei la sua delusione.
Insomma, non aveva fatto poi così colpo.
- E allora cosa volete?
- Proporti una società: io aiuto te e tu aiuti me.
Guarda che se tu non mi avessi perseguitato, ora io non sarei in questo guaio e non avrei bisogno del tuo aiuto, avrebbe voluto rispondergli, ma non era nella posizione migliore per replicare.
- Mi serve una finta futura moglie.
Una che? Se prima non volevo venire a letto con te, figuriamoci se accetto di sposarti.
- Finta  - sottolineò lui, come se fosse stato in grado di leggere i suoi pensieri – Il Re vuole ad ogni costo accasare sua cugina. Nubile, quasi cinquant’anni, brutta come il peccato mortale, povera creatura. E vuole darla in sposa a me.
- Beh, non sareste, come dire, sprecato.
- Un’estranea in casa non la voglio. A maggior ragione se si presenta sotto tali fattezze.
Tu ti fingerai la mia futura sposa, io ti presenterò al Re che darà l’assenso al nostro matrimonio.
Io mi sarò tolto dai piedi la gentil dama, dato che non sarò più un partito disponibile per lei e tu tornerai da dove sei venuta. Arrivederci e grazie. È tutto chiaro?
- Dov’è la fregatura?
- Non c’è. – Frollo alzò il sopracciglio sinistro.
- Ma allora perché mettere a ferro e fuoco Parigi per cercarmi.
- Dovevo pur far credere al Re che il saggio, pio, equilibrato giudice Frollo era uscito completamente di senno, impazzito dal desiderio per una zingara. A questo punto, se gli è giunta voce di quello che è successo, starà pensando che no, non sono più un degno marito per sua cugina.
Che peccato! In più, proprio perché tu sei una zingara, potrò mettere in atto il mio piano: non potevo certo chiedere aiuto a qualche dama dell’alta società, tu mi capisci, vero?
Allora, affare fatto?
Esmeralda l’aveva ascoltato stupita, mordicchiandosi il labbro inferiore per la perplessità: - Non vi siete invaghito di me?
- Ancora me lo chiedi? No, non mi interessi. Spiacente se avevi delle illusioni in questo senso, temo proprio di doverti deludere.
Ma come si permetteva? Illusioni in quel senso?!
- Allora accetti?
- Vedete altre possibilità? Mi date la vostra parola che sarò libera, dopo?
Frollo cercò di assumere la stessa espressione solenne di cui si serviva in tribunale: - Ti do la mia parola. Ed io sono un uomo che mantiene fede alle promesse.
- Accetto. – fece lei porgendogli la mano, per quanto quel breve contatto le provocasse fastidio.
- Molto bene.
La carrozza sobbalzava, diretta al Palazzo di giustizia.
Vi fu un lungo momento di silenzio, al suo interno, rotto soltanto da qualche parola di lui.
- C’è, nel nostro contratto di società una piccola ehm… clausola, di cui mi ero dimenticato.
Eccolo, l’inganno. Quella clausola, si disse.
- Non ciò che stai pensando. – aggiunse Frollo – Piuttosto alludevo alla necessità di renderti presentabile agli occhi del re…
- Presentabile? Io sono più che presentabile! – ribatté stizzita.
Ma, dico, mi ha guardata bene? È la seconda volta, oggi, che infligge un duro colpo al mio fascino.
- Non intendevo in quel senso. Voglio dire: bisogna fare di te una dama, una signora ben educata. Una gentildonna.
Lei aveva arricciato il naso. Una gentildonna?
- Cosa dovrei fare, dunque?
- Non preoccuparti, ti spiegherò strada facendo. Fidati di me.
Fidarmi di te? Sì, certo. Era una parola.

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***


Capitolo 2: A Palazzo.

- Ministro Frollo?
Erano nell'enorme studio del Ministro. Qui, a differenza della sua spoglia stanza da letto, campeggiavano decine di scaffali colmi di libri e di cartelle. Lui ed Esmeralda stavano appunto discutendo delle ultime clausole al patto che poco prima avevano stilato in carrozza.
- Che vuoi, Gaston, non vedi che sono occupato? Sto parlando con la signorina.
Il povero Gaston, cameriere, cerimoniere, tuttofare, all'occorrenza anche boia fece una specie di sorriso incerto verso la signorina, che se ne stava comodamente appollaiata sopra un paio di cuscini, gambe incrociate, il mento sopra il polso. Un pezzo di figliola da spavento che si diceva avesse fatto perdere il lume della ragione al padrone. Strano però, pensò Gaston, perché il Giudice non solo non aveva chiuso la porta, ma non sembrava poi troppo infastidito da quell'interruzione. Non almeno come lo era di solito. Gaston non sapeva che la signorina era già arrivata a palazzo. Se lo avesse saputo mai e poi mai avrebbe osato disturbare il capo.
- Allora, Gaston? Forse il gatto ti ha mangiato la lingua?
Il povero cameriere si riscosse.
- Eh? Oh, no capo. No davvero, no. Nessun gatto.
- Bene, allora che cosa c'è? Qualcosa di molto importante, mi auguro, per interrompermi in un momento come questo.
Gaston deglutì.
- La … la … lettera.
- Che lettera?
- Quella che aspettavate. Da Sua Maestà, Signore.
- Dai qua.
 Con un gesto elegante del braccio il Giudice liberò il polso dal pesante ingombro del velluto e tese, acuta, una mano elegantissima.
- Svelto - disse agitando due dita in aria. Gaston si avvicinò con diffidenza, come scottassero. Poi vide che il padrone sorrideva e così sorrise anche lui.
- Posso andare, padrone?
- Sì, Gaston. Anzi, no aspetta. C'è giù Lydia?
- Lydia la vostra bal … governane, signore?
- Lydia, Lydia. Tu ne conosci molte altre con quel nome?
- Oh, no. C'è una sola Lydia in casa, capo. E come dice sempre 'Sono in questa casa da quando il piccolo Claude …'.
- Silenzio. Non ti han mai detto che il silenzio è d'oro? - sorrise il Giudice. Sembrava che avesse appena deglutito un limone - Ad ogni modo, chiamami Lydia, dille di stare pronta, tra poco avrò bisogno di lei.
Gaston si inchinò e scomparve.
- Oh, bene - sospirò Frollo quando l'altro se ne fu andato, e con un gesto secco ruppe la ceralacca della busta. Dette un'occhiata, aggrottò le sopracciglia - Il nostro caro sovrano si degna di farci sapere la data della visita. Pare che voglia che organizzi una cena … per presentarmi sua cugina. Ma ti pare?
Esmeralda, che fino a quel momento era rimasta accoccolata su un divano (non aveva ben presente come si usava, Frollo aveva dovuto spiegarle che ci si siede lì sopra, non per terra), fece una specie di smorfia.
- Quanto abbiamo?
- Meno di quel che in prima istanza avrei potuto augurarmi, temo, cara.
- Eh?
- Pochissimo. Per questo dobbiamo cominciare subito. Pronta, bambina cara?
Ciò detto si alzò, stiracchiandosi e le si avvicinò sorridendo.
Esmeralda lo guardò, diffidente. Non riusciva ancora ad abituarsi a quel Frollo così rilassato, così maledettamente tranquillo. In fin dei conti erano soli in una stanza, e con la porta chiusa, per giunta!
Lui sorrise col suo sorriso da gatto, andò verso un piccolo mobile e ne trasse una bottiglia di cristallo. Versò da bere per entrambi.
- Bevi - fece ironico porgendole un bicchiere di vino colore del sangue e un delizioso odore a metà tra le fragole e la resina - Ti assicuro che non è un filtro d'amore.
Esmeralda non lo avrebbe mai ammesso, ma la giornata, la stanchezza, la sete le avevano messo addosso una gran voglia di riposare un po'. Quel vino era un eccellente medicina.
- Dunque, adesso arriverà la mia governante, Lydia. Una buona donna, forse un pochino … da trattenere. La cosa importante è che tu, mia cara, ti comporti con lei (come con chiunque) come se fossi in tutto e per tutto la gitana che mi ha fatto perdere la testa - e qui arricciò vagamente il naso - quindi dritta, un poco afflitta, palpitante ma senza esagerare. Lydia si occuperà della tua stanza, che ovviamente ho già disposto sia accanto alla mia. In modo da poter comunicare tra noi … con libertà.
- Comunicare con voi? Io non ci dormo in una stanza accanto alla vostra!
Frollo ghignò.
- Io ho il sonno pesante. E ti assicuro, mia bambina, che dormire accanto a me è il luogo più sicuro in cui dormire di tutta la casa. Ricorda che questo è un Palazzo di Giustizia. Girano guardie, soldatacci, boia. Persino certi orribili sbruffoni con i capelli biondi e l'armatura che …
- Non insultate il mio Febo! - sibilò lei.
- E chi te lo ha insultato? Siete perfetti l'uno per l'altra, credimi. Sembrate proprio fatti apposta. Comunque, quando Lydia arriverà tu seguila. In camera tua troverai di che lavarti e rivestirti di abiti decenti. Dopo di che ci rivedremo per cena, per la prima lezione.
- Perché che hanno i miei abiti che non vanno?
Il Giudice le lanciò una lunga occhiata che poteva essere intesa in molti modi. In fin dei conti Esmeralda, con la fascia tra i capelli e quello splendido corpetto ricamato, non era affatto male, andava ammesso.
- Niente. Per una zingarella proprio niente. Ma per la moglie di un Giudice sì. Soprattutto se quel Giudice è Ministro e un uomo della mia levatura.
Esmeralda sorrise.
- E sentiamo, un uomo della vostra levatura …
- Dovresti darmi del tu, mia cara. Fa molto più intimo, capisci.
- Io non vi darò mai proprio …
- Non ti darò, su da brava.
A Esmeralda venne voglia di strozzarlo. Si slanciò verso di lui.
- Brutto … - disse cercando di graffiarlo in faccia. Ma lui era più alto di lei di almeno tutta la testa, e molto forte, nonostante l'apparenza diafana. Le bloccò i polsi con una stretta ferrea e senza lasciarle spazio l'attirò finché i loro nasi quasi non si toccarono.
- Ascolta gitana, abbiamo fatto un patto. Il patto è quello che io comando e tu obbedisci. Naturalmente fino alla fine del patto, non un minuto di più. Ci sono clausole che non ti sono chiare?
Lei stava per sputargli in un occhio (due  volte in un giorno, ragguardevole) quando qualcuno bussò alla porta.
- Claude? Claude, piccino, dove diavolo … oh! Scusate ma non credevo che foste impegnati!
Senza aspettare risposta dalla porta era appena comparsa nella stanza una grassoccia donna sulla settantina, minuscola, robusta, sorridente. Portava una gran cuffia in testa e un grembiule lindo e stirato come un giglio fresco.
- Claude! - disse scuotendo la testa canuta, ma con un accenno di sorriso sulle labbra - Così si trattano le signorine? Cara! Cara, cara, cara! Non sai quanto sono contenta, vieni qui, che Dio ti benedica, come sei bella, brava!
Con passo inaspettatamente deciso era arrivata fin sotto Esmeralda, l'aveva afferrata per la vita (le arrivava più o meno ai fianchi) e se l'era tirata giù. Adesso la stava coprendo di baci.
- Bella, bambina! Io lo sapevo che un giorno o l'altro questo mascalzone mi avrebbe portato a casa una signora, una brava ragazza! Altroché certe dame tutto fronzoli o peggio … non sai quante me ne ha fatte passare! E' sempre stato tanto inquieto il mio Claude.
Il Ministro era bianco come un cencio. Riuscì a stento - e con molto garbo - a staccare Lydia da Esmeralda, dopo di che, schiarendosi la voce, suggerì:
- Lydia, perché non fai vedere alla mia … ehm … fidanzata la sua stanza? Io devo sbrigare certe pratiche.
Così dicendo si mise a sedere e abbassò gli occhi sopra certi fogli.
- Ma certo! Vieni carina, vieni con Lydia. Oh, santo cielo, ma sei pelle e ossa! E senti qui che polsi magri magri … ma non ti preoccupare, ora c'è Lydia. E adesso vieni con me cara, andiamo, vieni.
Così dicendo l'afferrò per una manica e se la tirò dietro verso la porta. Non l'avrebbe mai detto, ma all'improvviso Esmeralda fu quasi dispiaciuta di dover lasciare il rifugio in compagnia di quella specie di incrocio tra una fatina buona e una pazza. Mentre Lydia già sgambettava in corridoio, tornò un attimo indietro, e si affacciò alla porta.
- Ci rivediamo a cena, vero … Claude?
Lui alzò gli occhi, divertito.
- Ma certo. Non vorrai mica perdere la prima lezione.

 

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Capitolo 3
*** La cena ***


 Capitolo 3: La cena

 
 
- Cara, non puoi nemmeno immaginare quanto sia felice che tu sia qui! Felice, felice, felice! – Lydia squittiva con un leggero affanno dato dal tentativo di sostenere con le sue gambette il passo della ragazza – Finalmente il mio Claude si toglierà quell’espressione triste da quel suo faccino. Gliel’ho sempre detto: figliolo, ti serve una moglie. E, invece, da quando la buon’anima di sua madre ha lasciato questo mondo – e qui si segnò rapidamente, alzando gli occhi al soffitto – è sempre stato solo, poverino. Ma adesso che ci sei tu, tutto cambierà, ne sono sicura!
Sospinse una pesante porta di legno, lasciando che Esmeralda entrasse nella stanza.
Per arrivare alla sua camera, era stato necessario passare da quella del giudice: parecchi metri quadri di spazio decisamente spogli, un paio di mobili di mogano scuro, un alto letto dello stesso colore, una Bibbia lasciata aperta sul comodino.
- Di qua, di qua. – le aveva detto la sua irreale custode, conducendola per mano.
- Preparati con calma, tesoro. E quando hai finito, chiamami. Ti aiuterò a vestirti! – aggiunse battendo assieme le manine paffute.
Esmeralda si voltò per replicare qualcosa, ma… sparita. Andava e veniva per la casa come se ne conoscesse ogni angolo. Dopotutto aveva detto di essere lì da quando il piccolo Claude…
Il piccolo Claude, non riusciva proprio a immaginarselo!
O meglio, se lo immaginava tale e quale a come lo conosceva, magari un po’ più basso.
Sbirciò di sottecchi la tinozza piena d’acqua calda nel centro della stanza. Un bagno.
Non aveva nessun bisogno di prendere un bagno. Ne aveva fatto uno due settimane prima.
Lo specchio che, impietoso, le rimandava l’immagine del suo stato, sembrava essere di tutt’altra opinione.
Va bene, magari mi aggiusto un po’.
La tinozza la occhieggiava con insistenza.
Va bene, d’accordo, ho capito. Farò il bagno.
 
L’acqua era piacevolmente tiepida. Mentre si lasciava coccolare, Esmeralda ripensava alla prospettiva della prima lezione.
Ma ti immagini, si disse, io, una gran dama? Scoppiò a ridere da sola.
- Sei pronta, cara? – Lydia era tornata a bussare con insistenza.
- Solo un minuto…
In realtà non era pronta affatto, tutta colpa di quel suo viziaccio di perdersi dietro mille pensieri.
Si avvolse in fretta in un drappo di tela grezza che doveva servire per asciugarsi, appena prima che la porta si aprisse.
- Su, su, su! Se c’è una cosa che Claude non sopporta è dover aspettare. E tu sei terribilmente in ritardo! – prese a strofinarla energicamente, con la stessa grazia che avrebbe messo nel tirare una sfoglia.
- Io pensavo che una signora potesse anche fare un po’ tardi…
- Non con Claude! Non vorremo farlo arrabbiare proprio la sera della vostra prima cena… – Esmeralda si vide piombare tra le mani un fagotto di biancheria comparso chissà da dove – Dio, che felicità!
Aveva emesso un altro paio di gridolini ed era sparita di nuovo.
Ma per quanto tempo dovrò sentire le manifestazioni di gioia di quella specie di scoiattolo?
Tentò, non senza impaccio, di infilarsi nella biancheria e prese a lottare col corsetto.
Sentì due mani che si sostituivano alle sue e tiravano i lacci con decisione.
- Lydia! – protestò debolmente.
- Su, su, pochi lamenti, cara! – si accorse di non arrivare a chiudere tutti i lacci.
Istintivamente, la ragazza si chinò.
- No no no, come farò a stringere? Aspetta - La governante armeggiò con uno sgabello, mettendosi in equilibrio con l’aiuto di una delle colonne del letto. Certo che con quella ragazza bisognava proprio partire da zero, pensò alzando appena un angolo della bocca.
 – Guarda un po’ alla mia età cosa mi tocca fare. Trattieni il respiro e tieniti forte. Ah, perfetto.
Pensa a come sarà contento il mio piccolo Claude! Me lo vedo ancora alto così, che mi girava sempre tra le sottane in cucina. Lo sai? Prendeva le uova di nascosto, quel mascalzoncello. E, appena poteva, correva dietro ai polli. E rubacchiava il cibo che rimaneva sul fondo delle pentole.
Non riuscì a trattenere un sorriso a immaginare la scena di un Claude Frollo in sedicesimo che inseguiva le galline.
- E certe volte scappava di casa, lasciandoci tutti in pensiero. Tornava dopo ore, inzaccherato di fango e con le tasche piene di rospi e lucertole. E questo fin che era bambino! Figurati quando è cresciuto! Quante dame che ho visto passare tra queste mura! Era tanto bellino da giovane, ma tanto vivace. Ma se avessi tempo ti racconterei di quando… che sciocca: io sto qui a chiacchierare e ti faccio fare ancora più tardi.
Guarda che meraviglia – le sventolò orgogliosa sotto il naso un magnifico abito di velluto bordeaux, fresco di stiratura - Sarai un incanto.
Armeggiò per raccogliere in una retina di perle quel suo cespuglio di capelli neri.
Una volta vestita, Lydia rimase a guardarsela soddisfatta.
- Certo non ci è servito molto per metterti in sesto, bella come sei! Ma anche a me, quando avevo la tua età serviva poco tempo… Eh, i begli anni della gioventù: se ne sono andati e non tornano più! Bella, bella di Lydia. Vado proprio a dirlo a Claude che sei pronta!
 
Si diede una rapida occhiata allo specchio. Troppo seria in quell’abito severo. Sembrava in prestito.
Tanto sarebbe stato per poco. Ma le scarpe erano un tormento insopportabile. Come avrebbe fatto a camminare con quelle barche?
 
Il giudice Claude Frollo, seduto già a tavola, il naso aquilino tuffato in uno dei suoi libri, si sentì raggiungere a tradimento dal buffetto sulla guancia da parte di Lydia.
- Mio caro, mio caro piccolo Claude! La tua fidanzata è proprio un amore! – agitò le manine ai lati del viso, come un paio di alette mozze. - Tienitela ben stretta.
- Va bene, grazie del consiglio, Lydia. Puoi andare. – fece lui sornione, tornando nella lettura.
- Non le hai raccontato nulla di quei tuoi vecchi aneddoti che sei solita spifferare, vero?
- Niente, caro: lo sai che ho la bocca cucita. Che non racconterei mai nulla di sconveniente adesso che tu sei diventato importante. Come sono orgogliosa di te! – gli prese il viso tra le mani come fosse stato un gatto.
- Lydia…
Frollo si alzò di scatto, interrompendo le ciarle della governante.
Ci mancava anche solo l’imbarazzo di farsi trovare a coccolare come un ragazzino di otto anni.
Esmeralda era apparsa sulla soglia.
Per salvare le apparenze, Frollo le andò incontro, accennando un baciamano.
Lei, presa alla sprovvista, lo guardò di sbieco prima di ricordarsi del loro patto.
A dire il vero era stato lui a rinfrescargli la memoria, prendendola saldamente sottobraccio e lanciandole un’occhiataccia di nascosto.
- Lydia, la cena.
La governante se li stava a guardare incantata.
- Lydia, la cena. – ripeté, schiarendosi la voce.
- Oh, sì, Cielo! Che sciocca: la faccio portare subito.
 
- Ma ti sembra questo il modo di prendermi a tradimento? Il baciamano? Cosa ti salta in mente?
- Dobbiamo essere credibili.
- Sì, ma da te queste galanterie non me le aspettavo.
Si afflosciò sulla sedia.
- Esmeralda! Ti sembra il modo di stare a tavola? – Claude si alzò dal suo posto e, messe le mani sulle spalle di lei, la raddrizzo per farle prendere una postura più signorile – Dritta con la schiena: sei una dama! Non svolgi mansioni pesanti, non sei una contadina o una domestica. Eretta, ragazza mia.
- Ehi, tieni giù le mani!
Lydia aveva messo in tavola una serie di portate, troppo elaborate per i suoi gusti.
Poi era rimasta qualche istante sulla porta a guardarli. Mah, che strani piccioncini, pensò scrollando il capo.
Portate elaborate, sì, ma in cella non aveva mangiato per giorni e si era avventata sul cibo.
Lui era rimasto a guardarla con quel sorriso da gatto, velato solo di un ironico disappunto.
- Qualcosa non va? – aveva chiesto lei, sentendosi osservata.
Eh no, qualcosa proprio non andava. Deglutì.
- Le signore non si ingozzano come tacchini, mia cara.
Già, bisognava lavorarci molto, e molto più del previsto. E il tempo scarseggiava.
Speriamo di aver fatto un buon investimento.
L’occhio gli cadde sul ritratto della cugina del Re, che il sovrano si era premurato di fargli recapitare. Per quanto il pittore ci avesse messo tutta la sua tecnica e il suo amore spassionato per l’arte, non era proprio riuscito a darle un aspetto decente.
No, doveva essere un buon investimento a tutti i costi.
- Amore, - le disse in tono suadente, perché Lydia era entrata portando un arrosto. Aspettò che uscisse: - Esistono cose chiamate posate.
L’incontro con le posate è stato, beh, disastroso. Constatò il giudice, vedendo letteralmente volare la fetta dell’arrosto dall’altra parte del tavolo.
Era un coltello, accidenti, non una catapulta. Non poteva essere tanto difficile usarlo, o no?
Ci aveva messo la stessa pazienza che impiegava a spulciare i codici alla ricerca della norma giusta, per insegnarle come stare a tavola compostamente.
- Buone maniere, portamento, abbigliamento, letteratura … - iniziò ad elencare lui, impassibile, al termine della cena.
- Eh?
- Sono le lezioni che ti servono per diventare una dama di classe.- le porse di nuovo il braccio per aiutarla ad alzarsi - … poi anche religione, un po’ di retorica per parlare decentemente in pubblico e… scarpe.
Aveva intravisto il piede scalzo di lei apparire da sotto l’orlo della gonna. Non ci poteva credere: si era tolta le scarpe sotto il tavolo.
- Non ci siamo: come inizio è un disastro. Tu sei un disastro! Non hai buon gusto, mia cara. Devi metterci impegno. Dipende tutto da te: la riuscita del mio piano e … la tua libertà.
- Oh, senti, io non sono mai stata una gran dama, dovevi metterlo in conto prima di prendere me! E non te l’ho mica chiesto io di essere perseguitata, imprigionata e ricattata per farti da finta moglie! Cosa vuoi pretendere di più?
- Soltanto che abbassi la voce: la gente di casa potrebbe sospettare.
- Bene, allora vedi di trattarmi con gentilezza, altrimenti lo spiffero a tutti che sono la tua fidanzata solo per copertura.
Lui sorrise di nuovo, con quella sua insolita e sconosciuta affabilità.
- Metti le scarpe, bambina mia.
Traballò su quelle barche. Forse erano anche di un numero troppo grande. Lui l’afferrò saldamente alla vita. Si era meravigliata per la seconda volta della forza che si nascondeva dietro quel suo aspetto fine.
- Vieni, cara, ti accompagno alla tua camera.
- Non ci penso nemmeno!
- Come no, per le apparenze… Poi lo sai che la mia stanza comunica con la tua. E, se non ci fossi stato io, oltretutto, saresti certamente inciampata. Andiamo.  Dobbiamo andare a letto presto. Domani ci attende una lunga giornata: sarà la tua seconda lezione.
 
 

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Capitolo 4
*** Claude contro il Giudice Frollo ***


Capitolo 4: Claude contro il Giudice Frollo


Qualche ora più tardi, al riparo delle molteplici coperte del suo letto, Claude si intratteneva in interessanti e amabili conversari con il suo amico, il Giudice Frollo.

- Quale mai demone ti ha accecato, Claude?  No, ma scherziamo. L'hai vista a tavola? Quale parte del concetto di 'dama' non ti è attualmente chiara, mi spieghi?
- Oh, taci.
- No, per l'amore del Cielo, taci tu, Claude! Ti rendi conto di cosa hai appena fatto? Hai stretto un patto con una gitana per cercar di tirarne fuori una signora, in sette giorni!
- Non sette - sospirò l'altro - Otto. Otto precisi a partire da stasera.
Il Giudice Frollo sbuffò.
- So contare, ma la sostanza non conta. La sostanza è che la cosa è impraticabile! Prenditi anzi una pausa, vai dal Re, urlagli n faccia che non la vuoi quella vecchia. Digli qualsiasi cosa ma non - non! - provare neanche a trasformare quella ... mendicante in qualcosa di diverso da lei stessa! Dico, ma hai visto come si comporta a tavola? Si è tolta le scarpe! E tu domani cosa vorresti fare? Evitare che ti cavi via un occhio mentre tenta di maneggiare la forchetta? Impedirle di far volare un'ostrica dritta sul bel vestito del Re? Insegnarle a conversare in lingua d'oc? Dai retta a me, Claude, è impraticabile. E' una cosa che non si può fare, punto e basta.
Claude ci era abituato ai rigori del Giudice Frollo. Loro due si facevano compagnia da quando - molti anni prima - erano nati, insieme. E molta parte della sua vita Claude l'aveva passata ad ascoltare i rimbrotti dell'altro. Anche adesso, nel covo caldo delle coperte, il Giudice non sembrava avere torto. Per niente. Ma del resto lui non aveva mai torto.
- E cosa dovrei fare? - sospirò.
- Spedirla da dove è venuta, chiuso, finito.
- E nel frattempo come la giustifico la cosa del contratto e tutto il resto?
- Non sono affari miei, vedila tu. Mettile in mano qualche pezzo d'argento, vedrai che capirà. Stai certo che questi zingari sono svelti a capire. E ora che fai?
- Mi agito. Posso agitarmi tra le lenzuola in santa pace?
Il Giudice fece una faccia cattiva. La stessa che faceva anni prima quando Claude - nel confortante nascondiglio del guanciale - emanava patetici sospiri per Isabeau.
- Non farai mica come la volta di Isabeau. Io lo conosco quello sguardo da triglia. Tu  non ti giri tra le lenzuola senza scopo. Se lo fai c'è un bel motivo, lo sai bene.
- E quale sarebbe stavolta il motivo?
- Lo stesso dell'altra. Con Isabeau. Non è che ti stai innamorando della zingara?
- Gitana, prego. Non essere offensivo.
- Lo vedi che ti piace? Lo sapevo!
- Oh, taci un po'!
E alzandosi di scatto, con un gesto, Claude accantonò sia le coperte che il Giudice.
Sì, era vero, la gitana era un vero e proprio disastro. Un disastro di proporzioni immani, qualcosa di inimmaginabile. E era chiarissimo che non sarebbe mai riuscita a ingannare nessuno con questa storia della finta dama. Nemmeno se ci si metteva lui. E allora perché cominciare un'opera che sembrava persa in partenza?
Claude sospirò, passeggiando nervosamente avanti e indietro per la stanza. No, in effetti non aveva senso, doveva dirle, doveva ... ma ... ma cos'era quel suono? Sembrava un lamento, una poesia, qualcosa ... si accostò alla finestra, senza capire. Guardò fuori, nella notte scura che avviluppava Parigi come un manto. Non veniva da lì, no, no, veniva ... senza poter credere alle proprie orecchie attraversò in punta di piedi la stanza. Si avvicinò alla porta che divideva la sua stanza da quella di Esmeralda, restò in ascolto, sgranò gli occhi e poi - dopo una breve lotta interiore, stizzita quanto infruttuosa - prese l'assurda decisione di chinarsi e di sbirciare dal buco della serratura.
Sapeva che gli sarebbe costato. Ma al momento non glie ne importava un fico.
Esmeralda, dall'altra parte della porta, inclusa nel buco della serratura come un Cristo nella sua mandorla, si ergeva dritta, a piedi nudi, bella e fiera contro la sponda del letto. Era davanti alla finestra, illuminata solo dai tiepidi raggi della luna e cantava. Cantava piano, a voce così bassa che ci voleva un orecchio raffinato come quello di lui per intendere le brevi, dolci parole che come perle gocciavano fuori dalla sua bocca di cristallo. Era la cosa più dolce ed elegante che Claude avesse mai sentito. Era un antico e malinconico lamento che un'amata, solitaria, rende sul capo reciso del suo caro amato, prima di chiuderlo in un vaso di basilico e innaffiarlo con le proprie lacrime. Lui conosceva quella storia, anche se mai avrebbe potuto sospettare che la conoscesse anche lei.
Eppure lei era lì davanti, lieve, bella, chiusa nel folto delle sue chiome scure che cantava un lamento che avrebbe incatenato il cuore di un dannato. Cha avrebbe fatto svellere dai monti le querce antiche per seguirla, dovunque.
- E' possibile? - si chiese deglutendo - E' possibile che tutta questa grazia stia nascosta sotto la scorza di una gitana irascibile? Che la stessa fierissima bellezza che mi compare davanti di giorno sia la stessa perla di gelsomino che la notte mi rivela così?
- Che stai facendo? - chiese il Giudice Frollo che gli era arrivato alle spalle senza che lui se ne accorgesse.
Claude si tirò su di scatto.
- Niente, niente.
- Niente? Secondo me spiavi la gitana.
- E se anche fosse?
- E' una causa persa.
- Ti credi? - così dicendo indicò la serratura - Tendi le orecchie zuccone, e ascolta.
Anche il Giudice si chinò.
- Non sento niente. Solo una bestia da soma che ronfa?
- Cosa? Come dici?
Era vero. Quando Claude si chinò di nuovo non c'era più l'apparizione diafana. Semplicemente una gitana stravaccata che tormentava nel sonno i damaschi su cui era crollata, di traverso.
- Possibile? 
- Certo che sì - fece il Giudice - Eccola lì, la tua finissima cantatrice ...
- Ma allora ... allora anche tu l'hai sentita cantare!
Frollo impallidì.
- Io, ecco ... ecco ... come sai ...
- Anche tu l'hai sentita! Lo sai! Non me lo sono sognato lei può ... lei può ...
Un paio di colpi rimbombarono improvvisi proprio alla porta su cui era chinato.
- Giudice della malora la puoi finire di schiamazzare come una gallina? Sono stanca morta e domattina abbiamo ...
- Abbiamo molto lavoro da fare - sussurrò lui, estasiato - davvero molto, molto lavoro.




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Capitolo 5
*** Impegni Mattutini ***


 Capitolo 5: Impegni mattutini
 
 
Il giudice della malora si era messo tranquillo, per sua fortuna.
In caso contrario si era ormai decisa di uscire anche in camicia e lanciargli in testa uno di quei bei volumi rilegati che la guardavano dallo scaffale, pur di farlo tacere.
Ma si poteva sapere con chi diavolo stava parlando? Da solo, forse?
Quello lì deve essere completamente andato fuori di senno, non c’era altra spiegazione.
Fuori come il tabernacolo più esterno di una cattedrale, accidenti a lui.
Altrimenti come spiegarsi quel contratto in cui aveva finito per impelagarsi.
Dopotutto, per un matrimonio non era mica mai morto nessuno. Che bisogno c’era di allestire tutta quella solfa, tormentando quelle povere anime dei gitani, facendo di Parigi un falò e di lei una gran dama? Certo che i ricchi sono proprio strani, bah.
Non voleva dedicargli un altro minuto, dato che cascava dal sonno.
Buonanotte, pazzo d’un giudice, disse sarcasticamente nella sua testa.
Non riuscì a finire la frase, che finì dritta nelle braccia di Morfeo.
 
Un paio di colpi insistenti alla porta la strapparono dal sonno.
- Chi è? – chiese, e non era affatto la delicatezza che ci si aspetta da una signora quella di cui era venata la voce ancora impastata.
- Avanti, mia cara bambina – fece lui, suadente – il sole è già alto e noi abbiamo molte cose da fare.
- Il sole? Ma dove accidenti lo vedi il sole? È l’alba! E io voglio dormire.
- Io sono abituato a svegliarmi presto. Andare a messa per l’ora prima e cominciare a lavorare di buon’ora. E tu, in qualità di mia fidanzata, dovrai prendere le mie abitudini.
Lei si trattenne dal tirargli qualche improperio attraverso la porta chiusa.
- E allora?
- Ergo: muoviti. Hai dieci minuti per prepararti e scendere. – fu il suo ordine, velato da una certa ironia.
Mai pensato di intraprendere la carriera militare, Claude?
 
Era arrivata nel salone con uno degli abiti che le aveva fatto portare da Lydia. Un vestito semplice, da mattino, ma decoroso al fine di sostituire quelle sue folcloristiche vesti zingaresche.
- Oggi cominceremo con la tua lezione di religione. –fece lui, mentre consumavano al tavolo una colazione piuttosto frugale.
- La mia lezione di che?
- Religione, mia cara. Il Re dovrà vederti comportare da buona cattolica, non si sa mai che possa uscire con qualche discorso in materia. Tu quanto ne sai, in proposito?
Lei, ancora a bocca piena, scrollò la testa.
- Come immaginavo. Ma ci sono io, per questo. – cercò di farsi comparire in volto un sorriso rassicurante ma che, in realtà, risultò quel suo solito ghigno da gatto.
- Posso farti una domanda, Claude?
Aveva sottolineato con la voce il suo nome.
Il giudice si sentì tremare lievemente le ginocchia, nonostante fosse seduto.
La dolcezza della richiesta gli aveva riportato alla mente la visione della notte precedente.
- Dipende, mia cara, dipende…
Senza aspettare che le domandasse di cosa si trattava lei si affrettò ad aggiungere: - Con chi parlavi, ieri sera?
Frollo lottò contro il boccone che quasi gli stava ostruendo la trachea, per la sorpresa.
Tossì. Tentò di rispondere. Tossì di nuovo.
- Va tutto bene? –fece lei, alzando un sopracciglio.
Si alzò per andare ad assestare sulla schiena di lui qualche pacca confidenziale, così giusto per scongiurare il soffocamento. Non si poteva mai sapere. Meglio non rimanere vedova prima del tempo.
- Sì sì, benone. Colpa del pane di traverso. Dicevi, mia cara?
- Ti stavo chiedendo con chi parlavi ieri sera. Giurerei di aver sentito la tua voce ma non quella di qualcun altro. Discutevi forse da solo?
- Ma mi prendi per matto? Come se uno si mettesse a parlare da solo davanti allo specchio! Quel vino deve proprio averti fatto male, bambina.
- Sarà, ma sono sicura di aver sentito chiamare un nome di donna… Una certa Isabella, Isabelle, Isabeau qualcosa…
- Isabeau! – sospirò lui. Poi, ad un tratto, riscuotendosi: - Isabeau? Non conosco nessuna con questo nome.
- Che peccato! Ed io che speravo di scoprire che anche il Giudice Frollo, Ministro del Re, ha un cuore.
- Credo si stia facendo tardi. La nostra lezione ci attende.
 
Nello studio del giudice, seduta al suo tavolo da lavoro, sulla sua sedia che aveva visto tante notti insonni passate sui codici, Esmeralda dormiva.
Dormiva. Lui stava lì a leggerle e a commentarle i passi fondamentali, più importanti, simbolici e significativi della Bibbia e lei dormiva.
Non se n’era nemmeno accorto, Claude, tutto intento nella spiegazione, col naso adunco sprofondato nel libro e la mente persa ad inseguire i reconditi significati contenuti nella storia di Caino e Abele.
Passeggiava nella stanza, avanti indietro. Ci scaverai un solco, Claude. Aveva pensato lei, prima che la testa le crollasse per la noia su una bella pagina miniata che mostrava le virtù teologali.
- Ma che fai? Dormi? Esmeralda, cos’hai ascoltato della mia lezione?
Evitò di ridere della sua espressione e del suo tono, degno di un maestro di scuola che rimproverava l’allievo ozioso.
- No, no, ti assicuro, ho ascoltato: c’era un pastore che ha ucciso un agricoltore…
- Veramente era il contrario. Eppoi non è un pastore è Abele! Esmeralda, dovrei considerarmi fortunato se avessi seguito anche solo la metà!
- Non è colpa mia, per i tuoi starnazzi mi sono addormentata tardissimo e in più, se vuoi saperlo, russi come un vecchio somaro.
- Perché tu credi di essere più silenziosa? Sembravi un bue raffreddato.
- Bene, allora siamo pari! – incrociò le braccia al petto, assumendo quella sua faccetta imbronciata.
- E va bene, se non conquisterai il Re per la tua cultura, spero lo farai col tuo talento. Credo che lo incanteresti, se cantassi con quella voce di ieri sera.
- Cantare? Io non so cantare. Claude, anche a te il vino deve aver dato un po’alla testa.
 
Non c’era speranza. La convinzione, però, di quello che aveva visto attraverso il buco della serratura, era l’unico motivo per cui continuava a gettare le sue perle di cultura nel nulla.
Forse aveva bisogno di un aiuto, almeno per quanto riguardava quelle questioni prettamente femminili, di cui lui aveva solo una vaga idea per così dire teorica.
Il pensiero di doversi occupare di corsetti, profumi e biancheria… Per carità!
Meglio metterla nelle sapienti mani di Lydia e…
Ma quale Lydia! Lydia sa fare un ottimo consommé di patate, stringere i lacci di un abito e cantare ninnananne. È una balia, non una dama.
Una signora, gli serviva una vera signora. Una di quelle che quando passano tutti si voltano ad ammirarle, ammaliati da tanta bellezza. Una di quelle dee mandate in terra a consolare i mortali dai loro tormenti. Un angelo venuto a mostrare con la sua purezza e il suo candore una grazia ancor più alta. Una come… Isabeau!
Isabeau! Ogni volta che quel nome appariva sulle sue labbra, era seguito da una serie di sospiri più o meno infinita, a seconda del tempo a disposizione.
Isabeau! Quanti anni erano passati? Dieci, venti, beh facciamo pure venticinque!
Non gli avrebbe certo negato un favore. In fondo erano rimasti, per così dire, amici.
- Gaston! – chiamò il suo maggiordomo tuttofare – Devi recapitare una lettera a questa persona, indicata sulla busta.
- Al vostro servizio, capo.
Era uscito improvvisando un goffo inchino.
 
- Bene, brava. Bravissima, continua così. Tieni la testa alta. Le spalle dritte.
Erano le istruzioni di un Frollo finalmente soddisfatto ad un’Esmeralda che camminava in linea retta con una pila di libri sul capo.
- Ma sei sicuro che serva a qualcosa, questa roba?
- Si chiama esercizio, mia cara, e sì: serve al tuo portamento.
- Sarà, ma a me sta facendo venire solo il mal di testa.
- Non parlare che ti deconcentri e perdi l’equilibrio. Molto bene: ora vieni avanti, verso di me.
- Mi dici come accidenti faccio se non vedo il pavimento?
- Non ti serve vederlo, guarda avanti.
Non serve vederlo: sì, è una parola! Non aveva appena fatto in tempo a pensarlo che il suo piedino si posò dritto dritto su  qualcosa di morbido e peloso.
La coda di un gatto, a intuito.
La povera bestia balzò via con un miagolio d’inferno, quasi fosse stato un posseduto al ritorno dal sabba.
I libri ondeggiarono pericolosamente sulla sua testa. Lei ondeggiò ancor più pericolosamente, crollando in direzione di Claude, e trascinando – libri compresi – nella caduta il giudice, che non aveva ancora capito la ragione di quel pandemonio.
- Ma che diavolo era quello?
- Ah, quello? Il gatto di Lydia, credo. – fece lui, come se niente fosse, prima di realizzare che in qualche modo era finito sotto di lei, sul pavimento.
Erano incastrati tra i mobili e più si sforzava di pensare a come togliersi dall’imbarazzo il prima possibile, più il tempo passava. E più il tempo passava, più il suo imbarazzo aumentava.
Come un ouroboro, il serpente che si morde la coda. L’ouroboro! Ti sembra questo il momento di pensare all’ouroboro, Claude? Proprio adesso che hai a comprimerti il petto questa… questa specie di… Di donna, ecco qual era il problema.
- Non pensi che dovremmo rialzarci?
Certo che penso che dovremmo rialzarci, ma se te continui a stare lì, non vedo come posso fare, avrebbe voluto replicare. E, invece: - Non ti preoccupare, ci penso io. – le disse, cercando di mantenere la calma.
Mentre tentava di rialzarsi, senza mettere le mani in posti sconvenienti, la porta si aprì all’improvviso.
- Claude, Claude piccino!
Lydia! Accidenti a quella sua mania di entrare senza bussare.
La testa canuta di Lydia aveva fatto capolino nella stanza proprio mentre quella di Claude riaffiorava da sotto la scrivania.
- Ah, ma sei qui! Oh, ma ci sei anche tu, carina! – esclamò giungendo le mani, dopo aver adocchiato Esmeralda.
Si rimisero in piedi in un attimo. La necessità aguzza l’ingegno, Claude.
Lydia aveva stampato in faccia un’espressione che parlava da sola e sembrava dire bonariamente: bricconcello, bricconcello, tanto che lui si sentì in dovere di replicare:
- Noi… ehm, noi, cercavamo il tuo gatto.
- Ah, sì certo.
- Ma tu, piuttosto! Quante volte ti ho detto di chiedere permesso, prima di entrare?
- Eh, la memoria che se ne va con l’età! Ma ho una buona ragione: ti porto questa lettera che Madame Isabeau ti manda tramite Gaston.
- Allora esiste, questa Isabeau! – esordì Esmeralda, fiera di se stessa e del suo intuito.
- Eccome se esiste!
- Lydia! Lydia, perché non porti Esmeralda a visitare il resto del palazzo?
- Perché l’ha già visto.
- E rivederlo non le farà male. Forza, fuori, fuori…
 
- Lydia, ma tu sai chi è questa misteriosa Isabeau?
- Certo che lo so, mia cara. Ma non credo che a Claude farebbe piacere se te ne parlassi.
Isabeau è… Beh, Isabeau è storia vecchia.

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Capitolo 6
*** 6. Chi è Isabeau? ***


Capitolo 6: Chi è Isabeau?

- Chi è Isabeau? Adesso te lo dico.

Lydia la trascinava per un braccio lungo gli oscuri corridoi del Palazzo. Ogni tanto, se trovavano una guardia stravaccata per terra o a poltrire, a giocare a carte o a frugarsi il naso, Lydia gli assestava  un calcio perfetto. Delicatissimo, preciso, letale.
- Questi pelandroni passano tutto il giorno a non far niente, a non fare. Quando invece dovrebbero lavorare per il mio Claude! Mica facile tenerli in riga, sai? E il poverino non può fare tutto da solo ...
- Mi dicevi di Isabeau.
- Oh, sì, certo - borbottò Lydia con una smorfia infastidita. Si vedeva che, una volta tanto, aveva qualche riserva a parlare di un argomento - Isabeau era una ragazza cattiva. La ragazza che lo ha fatto innamorare. So che forse non dovrei parlarne proprio a te, che sei la sua attuale fidanzata e di sicuro una ragazza mille volte più buona e devota e fedele di quella ...
A Esmeralda scappò una risatina. Lydia si fermò corrucciata.
- Perché ridi, bambina? Ti fa ridere che una cattiva ragazza abbia trattato in quel modo orribile il nostro Claude?
- Oh? No, no, no, Lydia. Assolutamente. Deve essere stata una storia terribile.
- Sì che lo è stata - sospirò la balia - Per anni e anni non si è più ripreso. Devi sapere che Isabeau era la giovane promessa sposa di un vecchio Lord inglese. Un tizio che era sbarcato un giorno in Francia con un gran seguito di carrozze, cavalli, cani da caccia e vestiti attillati. Vedessi che schifezze, quei vestiti! Tutti pizzi di qua e di là, trine, orpelli: con tutto che aveva almeno quarant'anni, e quindi era già vecchio da un pezzo, quella specie di gallo spennacchiato ci faceva la ruota dentro impastoiato come un pavone. Fu accolto benissimo dalla corte, che ovviamente adorava i pavoni. Claude invece è sempre stato modesto: le sue origini, sua madre, io ... gente che lavorava duro, gli avevamo insegnato a usare le braccia prima della penna, a dare giù di olio di gomito, se serviva. L'avevamo turato su a pane e latte, e tu vedessi che belle guanciotte che aveva messo quando ...
- Mi dicevi di Isabeau.
- Oh, sì, certo. Insomma. Claude al tempo ... studiava da giudice. Ed era proprio in bel ragazzo. Che per sfortuna si invaghì di questa smorfiosa. Lei era già promessa sposa del vecchio, ma ovviamente - visto appunto Claude - pensò bene di fare un'eccezione. Così cominciò a trastullarsi, a menarlo per il naso, ad accettare i bigliettini, le scritte, i cartigli. E poi i regali - piccoli, ma belli! - che quel cuor d'oro del mio bimbo le faceva. Pur di fare bella figura andava a vendersi i libri di Legge, andava, e ogni volta io e sua madre pensavamo che tornava a casa più triste di quando era uscito, la mattina. Lo stava rovinando, quella strega. Si divertiva con lui. Poi arrivò il momento delle nozze: Claude era un povero allievo-giudice del tutto senza un soldo, spiantato, con una madre mugnaia e ...
- Mugnaia? Non è nobile Claude? - si stupì Esmeralda.
- Nobile? - rise Lydia - Come me o te! E' figlio di Babette Tardieu, santa donna, la mugnaia di Saint Denis. Da quelle parti tutti ricordano il piccolo Frollo che trasportava i sacchi di farina con la sua mamma! E ricordano anche il Marc Frollo, Maggiore di Brigata, un furfante, credi a me. Quella canaglia che mise incinta Babette e poi ebbe la genialissima idea di andarsi a fare ammazzare in Fiandra, con tutto che non erano neanche sposati!
- Cosa? Claude sarebbe ...
- I cattivi lo dicono. Ma noi non nominiamo quel termine. Ci piace dire che è un ... figlio dell'amore, poverino. E un povero orfano di guerra, ecco. La parola bastardino non è bella.
Esmeralda stavolta dovette fare seri sforzi per un scoppiare a ridere con tutto il fiato che aveva nei polmoni. Un figlio dell'amore! Claude Frollo, Giudice di Parigi e Ministro del Re era un bastardo, un figlio dell'amore esattamente come lei ... no, un momento. Lei almeno conosceva suo padre. O quello che andava in giro con sua madre, insomma. Erano sposati col rito dei gitani, ma insomma, erano sempre sposati. Claude invece era figlio dell'amore ... insomma, stava messo assai peggio di lei!
- Comunque ti dicevo di Isabeau. Quella strega si divertì con Claude quel tanto che bastava per illuderlo, e poi ovviamente sposò quell'altro, il ricco. Se ne tornarono in Inghilterra subito dopo il loro sfarzoso matrimonio. Claude ci rimase malissimo. Per mesi non volle neanche mangiare.
- E ora che c'entra, allora, Isabeau?
Lydia fece una smorfia bruttissima.
- Pare che sia tornata a Parigi. Da qualche mese, è rimasta vedova. Si fa di nuovo vedere in giro, alle feste, e civetta agghindata come se avesse ancora vent'anni, la sciocchina. E invece adesso è piuttosto vecchiottella. Vecchiottella come me e chiunque altra.
Esmeralda corrugò la fronte.
- Secondo te perché Claude l'ha chiamata? Hai visto che le ha scritto quella lettera?
Erano quasi arrivate alla porta delle cucine. C'era un scala, e Lydia salì sul primo gradino per poter guardare bene dritto negli occhi Esmeralda.
- Non lo so bambina, perché è tornata. Ma se vuoi un consiglio dalla tua Lydia, stai bene attenta che non ti porti via Claude.

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Capitolo 7
*** Grandi Manovre ***


 Capitolo 7: Grandi manovre

 
 
Aveva aperto la busta, spaccando con un colpo deciso il sigillo sulla ceralacca.
Mi ha scritto non appena ha saputo del mio ritorno a Parigi. Lo sapevo, lo sapevo!
Assicuratasi che il suo maggiordomo si fosse ben chiuso la porta alle spalle, Isabeau improvvisò qualche passo di danza.
La cosa che al mondo la rendeva più felice era essere ammirata, e lo era anche stata in gioventù.
La più bella fanciulla che avesse mai messo piede su suolo parigino, le dicevano.
E adesso, che stava cominciando a sfiorire, che aveva sotterrato un terzo degli ammiratori, visto accasare il secondo e perduto assieme al fascino l’ultima parte, l’idea che Claude si ricordasse ancora di lei dopo venticinque anni l’aveva letteralmente elettrizzata.
Claude, che allora era solo un povero studentino di legge, che si guadagnava da vivere portando i sacchi di farina per quella mugnaia squattrinata che era sua madre, alla fine ce l’aveva fatta a far carriera.
Doveva averne di fama, se il suo nome era arrivato alle sue orecchie fino in Inghilterra. Si parlava, appunto, di un illustre ministro del Re di Francia, un giudice sapiente, che aveva a dir poco dichiarato guerra alla stregoneria, in quei tempi bui.
Ma la fama era ben poca cosa, in confronto al denaro. Di quello si augurava ne avesse fatto. E se fosse stato ancora scapolo, come si diceva in giro, avrebbe anche potuto mettere in atto quella mezza idea che…
Sì, perché quel caprone di suo marito, fra i cavalli, le opere d’arte e le tappezzerie aveva speso una fortuna al punto di lasciarla quasi sul lastrico. E se tutti la credevano una gran signora era solo in virtù del suo buon nome, delle maniere per bene, dei vestiti e dei gioielli che il lord non era riuscito a vendersi.
Che vergogna! Altrimenti perché fuggire dall’Inghilterra, così, appena rimasta vedova?
E meno male che si era deciso a tirare le cuoia, il vecchio britannico, altrimenti non le sarebbe rimasto neanche quel poco che aveva.
Ecco perché adesso si agghindava come ai bei tempi e si infiltrava a tutte le feste di cui le arrivava notizia. È tornata Isabeau, si sentiva bisbigliare quando passava, e certamente non era sempre un tono di entusiasmo. Doveva trovare marito e in un tempo anche ragionevole, fin che riusciva a coprire col restauro del trucco l’età che avanzava.
Chissà come è diventato il buon vecchio Claude? Da giovane era tanto bellino…
Bello o no, l’importante è che sia ricco e illustre. E, a giudicare dalla velocità con cui è arrivata la sua lettera, doveva ancora fargli un certo effetto.
Bene, bene. Si sfregò le mani come avesse concluso un ottimo affare.
All’improvviso si ricordò di non aver ancora letto il contenuto della missiva.
Srotolò il foglio.
Alla faccia della lettera, cos’è questa roba, un papiro?
Ha sempre avuto una certa tendenza alla grafomania, ma questa è la Divina Commedia pressata in quattro pagine!
Inforcò gli occhialetti sul naso. Se da ragazza ci aveva sempre visto poco, con gli anni era diventata una talpa.
Lo stile era rimasto il suo, galante e un po’ ampolloso, di quando le mandava i primi messaggi d’amore, ma non se l’era proprio sentita di darle del tu.
“Mia carissima Isabeau, ho ricevuto con piacere la notizia del vostro ritorno”… eccetera, eccetera… “spero che anche voi rammenterete con nostalgico affetto quei giorni ormai lontani”… sì, va bene, giudice, cerca di arrivare al dunque.
Scese con lo sguardo alle righe successive.
Che cosa? No, no, no, aspetta un attimo! Aveva una fidanzata?!
Ma da quando? Devo aver capito male!
“ Arrivato alla mia ragguardevole età, credo sia giunto il momento di presentare al Re la mia futura moglie. – la lettera non lasciava dubbi – Si tratta di una fanciulla poco avvezza alla vita mondana e alle raffinatezze femminili. Per tanto, in nome della antica amicizia che ci ha uniti e della ammirazione che provo per voi e per la vostra eleganza, vi chiedo di darle qualche piccola indicazione, qualche consiglio per non sfigurare in società.”
Pure! Eppoi cos’altro pretendeva?
Scoppiò a ridere al pensiero che la sua fidanzata fosse una plebea, come lui, del resto.
Non avrebbe potuto reggere il confronto con lei, quella piccola intrigante che si era messa in mezzo al suo progetto. Sarebbe bastato sorridere un paio di volte a Claude, come una volta, che lui ci sarebbe cascato come una pera cotta di nuovo.
Ma, per farlo, avrebbe dovuto incontrarlo. Ed era stato lui stesso a offrirgliene la possibilità.
Prese carta, penna e inchiostro e si mise a tavolino.
 
 
Ha accettato! Isabeau ha accettato di preparare Esmeralda per la cena.
Frollo si appoggiò pesantemente alla spalliera della poltrona. Meno male, per un attimo aveva temuto di poter ricevere una risposta negativa. Ma a conti fatti, era pur sempre lui ad avere il diritto di essere offeso, dopo il modo in cui l’aveva trattato. Beh, trattato, raggirato piuttosto!
Accidenti, era ancora in grado di fargli sentir mancare il fiato, di farlo trepidare in attesa con una sola sua lettera, come quando erano ragazzi.
Isabeau! Si sciolse in un sospiro.
Vi aspetto nei prossimi giorni, aveva scritto, venite quando volete con la vostra fidanzata ed io farò del mio meglio per aiutarvi.
Isabeau, quale meraviglioso angelo sei! Si era detto.
Ed era talmente accecato dal ricordo della sua passata bellezza da non sentire nemmeno la puzza di zolfo che emanava quella missiva.
 
 
Esmeralda, nelle cucine, si ingozzava col pane e burro che Lydia aveva preparato per lei, preoccupata che una sola colazione non bastasse per farla arrivare sazia all’ora di pranzo.
- Dovrai essere bella in carne per quando avrete dei bambini. – le aveva detto, con un sorriso sornione.
Dei che? Aveva trattenuto la smorfia di disgusto all’idea di… beh, non ci voleva neanche pensare.
Lydia correva già con la fantasia verso teneri marmocchietti da veder correre in giro per la casa e da far saltellare sulle sue vecchie ginocchia.
- Sarà come avere Claude di nuovo bambino… - sospirò.
- Lydia, allora davvero credi che quella Isabelle, Isa… beh, quella lì, possa voler portarmi via il mio Claude?- chiese, tanto per cambiare argomento.
Ma che se lo portasse via davvero, quel giudice della malora! Almeno lui si sarebbe fatto accompagnare alla cena dalla sua gran dama senza neanche bisogno di fingere.
Il Re sarebbe stato contento, Frollo pure e lei più di tutti, lontana da lì e senza quei corsetti addosso che le impedivano anche di digerire bene. Per una volta che aveva occasione di farsi un paio di mangiate come si doveva!
Si allargò leggermente i lacci del corsetto. Uffa, sbuffò.
Certo che dopo quel primo attentato al suo fascino, quando Frollo le aveva detto che non era minimamente invaghito di lei, un secondo proprio non l’avrebbe retto, a vederlo andar via con un’altra. Bruttina e vecchiotta, oltretutto, se Lydia aveva detto bene.
Questo poi no, accidentaccio!
Seppure del giudice non gliene importasse una nespola, qui era questione di orgoglio femminile, caspita!
- Senti, Lydia, cosa mi consiglieresti di fare?
- A che proposito, bambina? – si asciugò le mani nel grembiule.
- Per non farlo cadere di nuovo nell’incantesimo di quella strega vecchiottella e approfittatrice.
- Tenere gli occhi aperti, mia cara.
E grazie, fin lì c’era arrivata anche lei.
- Sì, certo. Ma, dico: non dovrei forse fargli vedere che anch’io so essere una signora, se voglio e mi metto d’impegno? Una signora anche meglio di quella Isa… Isa qualcosa.
Se ci riuscissi, sono certa che non dovremmo nemmeno incontrarla. Perché qualcosa mi dice, a naso, che vuole farmi prendere lezione da lei.
- Mm, potrebbe essere un’ idea. O forse no… Non lo so, bambina, ci devo pensare.
Lascia che la vecchia testolina di Lydia rimugini per un po’.
Ma poi tu non devi preoccuparti, il mio piccolo Claude ti vuole tanto bene, caro ragazzo. Lo si vede da star qui!
Certo, convinta tu.
Esmeralda, trattenendosi dallo scoppiare a ridere, si cacciò in bocca un’altra fetta di baguette.

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Capitolo 8
*** Scena per due Giudici, una Vittima, Minù ***


Capitolo 8: Scena per due Giudici, una Vittima, Minù

- Isabeau - sospirava Claude, da tre giorni. Più o meno da quando accartocciava tra le dita quella missiva coperta di profumo.
- Isabeau ... - aveva sorriso minacciosa Lydia, più di una volta, mentre affettava cipolle. 
- Isabeau! - urlò Esmeralda, quel pomeriggio, quando la vide scendere di carrozza. Era due piani sopra, a una finestra, ma le parve che la puzza di snob arrivasse fin là - Se quella vecchia gallinaccia da brodo è la sua Mmmmmadame Rrrrraffinatezza io sono, io sono .... la Regina di Saba, ecco! 
Purtroppo Claude non era là insieme a lei, nello studio, per compiacersi di tanta dottrina. Esmeralda ci aveva dato sotto con le Sacre Scritture, ultimamente: aveva imparato la storia di Giobbe (ma che sfigato!), di Esaù (cretino ...), e di Isacco (ma guarda tu 'sto poveraccio). Alla fin fine le stavano anche piacendo.  E poi era anche migliorata in storia, in geografia (tu pensa ... la Terra non è quadrata, che storia ...), in latino, in francese. Adesso sapeva persino a memoria quali forchette usare a tavola, i nomi dei bicchieri e di quattordici rami cadetti dei Capetingi, ma tutto questo, e neanche tutta la scienza di Flamel, sarebbero bastati a trattenere Claude in quel momento. Non dopo che Gaston aveva bussato per annunciare che la carrozza era al portone. 
Vergognoso.
Fece le scale a due a due - lui! - per non privarsi dell'estremo piacere di sdilinquire il suo più melenso sorriso all'apertura della vettura di lei. Lei era scesa con un pechinese al braccio (Dio, ma cos'è, quella cosa, un ramarro?), aveva storto il naso, così a caso, e poi - accorgendosi che lui era là - aveva steso un sorriso così tirato che manca poco le saltavano le labbra. Esmeralda era senza parole: Frollo - quel Giudice Frollo - attese che il pechinese lo annusasse, che Madame-Guarda-Che-Naso trovasse un punto del selciato abbastanza gradevole da appoggiarci la punta del suo finissimo scarpino di seta, che riuscisse a districarsi nell'intrico di organze, mussole, crinoline che l'avvolgeva e finalmente disincagliasse il copricapo dalla  stesa di veli incagliata in qualche gancio del soffitto della vettura. Alla fine, come Dio volle, furono pronti. Claude era rimasto impassibile un'eternità, ritto in piedi, rosso come uno scolaro, con un sorriso che rischiava di slogargli la mascella. Sarebbe stato da dipingere il modo che aveva avuto di accettare la mano che la civetta - oh, che civetta! - gli porgeva distratta.
Lydia, in piedi, accanto a Esmeralda, bofonchiò:
- Andiamo! Alla fine mica è una Santa Reliquia! Adesso aspetta che salgano, vedrai se non c'è da divertirsi!
Così fu. Dopo un rapido passaggio di scale, Frollo aprì la porta raggiante.
- Isabeau, ti prego, entra. Cara, cara, ma quanto tempo, come sono felice. Vuoi una sedia?
Esmeralda se ne stava stravaccata apposta sopra un divanetto, alla finestra. Aveva assunto velocemente l'aria più truce che le fosse riuscito immaginare. Neanche i peggiori tagliagole della Corte avrebbero potuto dire niente. L'aveva provata ogni sera allo specchio, era perfetta.
- Oh, cielo, sì. Una sedia. Quest'afosa primavera ci uccide, vero Minù?
Minù, il botolo, ringhiò dal profondo della gola.
- Eccola, cara. Lydia, i rinfreschi! Non sono pronti i rinfreschi?
Lydia se ne andò in malo modo, brontolando in modo udibile che a lei piacevano poco le galline e anche meno i vecchi capponi. Un istante dopo ricomparve con un vassoio traboccante di roba affastellata a caso. Poi uscì di nuovo, sbattendo la porta.  Lei e Isabeau si erano scambiate una lunga occhiata truce, durata tutto il tempo che ci voleva a rivangare vecchi rancori. Non era un inizio rassicurante. Non prometteva niente di buono.


- Immagino che lei sia la tua ... ehm ... fidanzata - fece Isabeau, molte tartine dopo, quando furono esauriti i convenevoli. Esmeralda cominciava a seccarsi di dover tenere aggrottate le ciglia. Si sentiva come una specie di soprammobile, mentre quei due parlavano di lei e del modo migliore di farla comparire alla cena.
- Ci vorrà un bel vestito.
- Fai tu.
- Con un corsetto che, ecco ... non metta troppo in risalto la sua pelle. Non sua colpa, certo, se è scura. Un po' troppo scuretta per essere molto elegante.
- Fai quel che puoi, mia cara.
(- Come quello che puoi?!)
- E le ciglia. Dovremo sfoltirle le ciglia. Le ha troppo grosse, sanno di volgare. E quelle mani, santo cielo! Hai visto che unghie terribilmente sporche che ha?
Frollo aveva annuito, distrattamente, mentre Minù scorrazzava avanti e indietro tra le sue carte e i preziosi fascicoli. Per molto meno un comune mortale sarebbe già stato condannato a morte.
- Tutto quello che vuoi, mia cara. Vero, Esmeralda, che farai tutto quel che ti dice Isabeau? E' un vero pozzo nella scienza del ... sedurre.
- Oh, caro Claude, sei sempre troppo buono - fece lei, battendogli impercettibilmente il ginocchio col guanto di pizzo bianco che aveva in mano - Mia cara, sposerai un uomo galante. L'uomo più bello e galante che ci sia!
A Frollo era andato di traverso il vino.
- Ma cosa dici? Io ... ehm ... elegante? Diciamo solo che sono un poco ... migliorato.
Isabeau aveva riso piano piano. Con il rumore che fa la brina gelata. Si era protesa verso di lui.
- Non diciamolo davanti a questa bella ragazza, ma se non fossi così occupato, beh ... si fanno certi errori, in gioventù! Eì proprio vero che quando ci se ne accorge è tardi!
Le vecchie guance rigide di lui avevano avuto un moto di rossore neanche troppo dissimulato. La bocca sottilissima si era allargata come un salvadanaio.
- Oh, santo cielo, cara, ma che dici ...
- Solo la verità, mio caro Claude, soltanto la pura verità ....
Prima che i due cominciassero a pomiciare Esmeralda aveva deciso di svignarsela.
- Se mi scusate, ecco adesso avrei da fare. Ho promesso che avrei aiutato Lydia ...
- Sì, sì, vai pure cara, vai. Dì a Lydia che Isabeau si ferma a cena con noi, vero Isabeau? Vi raggiungiamo in sala da pranzo tra poco ...
- Tu le permetti di stare in cucina? Con quella serva mostruosa - aveva sussurrato Isabeau aggrottando le belle ciglia mentre la porta si richiudeva - Non credo proprio che possa avere una buona influenza su di lei. E va bene che la ragazza è un po' ... ruspante. Ma certi vizi non vanno assecondati.
- Hai pienamente ragione mia cara. Anche io ho notato che Esmeralda a volte pecca di leggerezza, o è un po' rozza o è ... ma adesso che ci sei tu, sarà un piacere vedere come si trasforma, non trovi? Perché adesso che ti ho trovata non fare come un tempo, non mi sfuggirai più vero?
Lei sorrise.
- E come potrei mai, mio caro Claude? Certi errori non si fanno mai due volte. C'è altro vino?

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Capitolo 9
*** La cena è servita, il pranzo... pure! ***


 Capitolo 9: La cena è servita, il pranzo… pure!
 
 
Esmeralda aveva aiutato ben poco Lydia in cucina, a dire la verità.
Piuttosto era più corretto affermare che aveva continuato a girare attorno al tavolo sul quale la governante stava conciando per le feste un malcapitato cappone, bofonchiando insulti poco comprensibili all’indirizzo di Madame- sono- bella - solo-io, ma per indovinare i quali non era servita molta fantasia.
- Quanto spreco di roba per quella là. Addirittura il cappone, accidenti a lei! È anche vero che mangia come una lontra, ma te la sei vista mentre si ingozzava di tartine, la strega?
- Bambina, non c’è mica bisogno che la veda: la conosco molto bene.
- Altro che cappone, Lydia, bisognerebbe metterci il cianuro, nella minestra.
- Non darmi certe idee, mia cara. Non tentarmi o sarei capace di farlo. – concordò l’altra brandendo il batticarne – E io che sto qui a cucinare per lei, perché, come ha detto Claude, povero il mio bambino: Lydia, come fai il cappone tu, nemmeno la cuoca ci riesce.
- Povero innocente, lui.- le rispose la ragazza - Ma hai fatto caso a come è caduto nella sua trappola? Se lo liscia, se lo blandisce, lo lusinga, quella vecchia… beh, non farmi dire cose spiacevoli, adesso che sto diventando una signora!
Lydia aveva cacciato con poca grazia la teglia nel forno.
- Quella finisce per cuocerselo a fuoco lento, come sta povera bestia.
- Almeno lui è quasi pronto, mentre tu sei ancora vestita così. Cioè da far spavento. Corri a sistemarti!
Esmeralda si batté la mano sulla fronte! Certo, aveva ancora la sua carta da giocare.
 
Si era aspettata di trovarsi in camera, in bagno addirittura, la presenza ingombrante di Isabeau.
Invece, nemmeno l’ombra: come minimo adesso era sulle ginocchia di Claude a fargli ricordare i bei tempi che furono.
Si era lavata, truccata abbondantemente e vestita con cura, con l’abito rosso che, a suo parere era risultato il più elegante.
Aveva lasciato i capelli sciolti e abbinato una notevole quantità di gioielli.
Si era guardata a lungo allo specchio: perfetta!
Certo, perfetta per una festa in maschera. O ai suoi occhi, che non avendo mai visto tanto sfarzo, ritenevano l’abbondanza sinonimo di eleganza. Ma il risultato che lo specchio le mostrava impietoso avrebbe fatto venire al povero Frollo quantomeno un colpo apoplettico.
Forse due. Meglio tre.
Sono bellissima, fece lei nella sua testa, litigando con la scollatura che non voleva saperne di stare più giù. Non sono mica una suora, dopotutto.
Una roba pelosa le attraversò le gambe da sotto le gonne.
Alzato il broccato, le spuntò davanti il muso nero e schiacciato di Milù.
Con aria snob e seccata, il botolo la guardò con un certo malcelato disprezzo negli occhi a palla.
E tu che diavolo vuoi?
La risposta fu un ringhio sordo.
La risposta di lei fu un altro ringhio ma talmente sonoro da far partire la bestia a tutta velocità in direzione della porta, mancarla clamorosamente, sbattere quella sua testa vuota contro lo stipite e, dopo un paio di scrollate del capo alla “no, non mi sono fatta male: era tutto previsto”, prendere le scale e sparire avvilita.
Ben ti sta, stupido gomitolo malformato!
 
Esmeralda era comparsa nella sala da pranzo.
- Signore beato, come si è combinata? – il viso di Isabeau si era storto in una smorfia di disapprovazione – Sembra… sembra… beh, Claude non mi far dire cosa sembra.
Certo che sta proprio male, che volgarità! Si può proprio dire che le donne di bassa estrazione non abbiano proprio gusto, non è vero?
La povera Babette si sarebbe ribaltata nella tomba, ma Claude non vi diede minimamente peso, incantato dal suono fintamente comprensivo di lei.
- Beh, come sto? – Esmeralda aveva fatto un mezzo giro con tanto di fruscio di gonne e tintinnio di collane. Tintinnio per modo di dire, baccano di catene degno di uno dei fantasmi che dovevano popolare quei sotterranei.
- Ehm, bene… sì, ecco, un po’ vistosa… come dire? Ne parliamo dopo, magari, eh?- si era stropicciato le mani senza sapere bene dove guardare.
Il resto della cena era stato un mezzo disastro. O meglio, il perfetto inizio per un eccesso di bile.
Lei, che si era preparata una raffinatissima conversazione sui poemi cavallereschi in lingua d’oc, si era vista smorzare ogni entusiasmo dalla cantilena monotona di Isabeau che non perdeva occasione di attirare l’attenzione di lui su di sé.
No, non era gelosia finta per un fidanzamento altrettanto finto. Era autentica rabbia, seccatura, scocciatura, rottura d’anima o peggio. Ma comunque la si volesse chiamare, sì era gelosia. Quella che prova una bella donna seduta al tavolo con un’altra donna appariscente.
Si era ritirata presto, con una scusa, per non doversela sorbire ulteriormente, non prima però di essersi persa la chicca di quella serata incantevole.
- Secondo me, Claude, hai fatto male a scegliere lei. – aveva miagolato Isabeau, incurante del fatto che l’altra fosse ancora sulle scale – Non diventerà mai una vera signora, per certe cose si nasce predisposti… come me.
- Mah, non pretendo mica molto, Isabeau, solo che sia più presentabile. Vedi che disastri combina quando è da sola? Serve proprio la tua mano.
Già, ottima strategia, Esmeralda, ti sei tirata la zappa sui piedi personalmente! Complimenti!
- Proprio per questo domattina sarò di nuovo qui. Alle sette in punto. Capito, tesoro? Domani cominciamo.
Lei le aveva indirizzato un sorriso tirato, socchiudendo gli occhi, mentre con la mano le faceva ciao ciao. Spero che la carrozza ti lasci a piedi, arpia.
Poi era scomparsa al piano di sopra.
 
- Io dico: ma ti sembra il modo? – Claude era entrato senza neanche bussare in camera di lei – Che educazione penserà che ti abbia impartito, adesso? Dopo che ti ha vista addobbata come per la festa dei Folli! Che diamine, Esmeralda! Sei peggio di una bambina, sempre a voler fare di testa tua!
- Oh, senti, io l’avevo preparato il mio discorsetto colto, se quella non si fosse messa a dire: “i bei tempi di qua… i bei tempi di là”, “Claude com’è raffinato, com’è elegante, quanto è bello Claude”.
- Quella si chiama Isabeau e togliti quell’espressione dalla faccia quando parli di lei.
- Sai che ti dico, ma perché non ti ha sposato invece di scappare? E perché non ti porti lei alla tua stramaledetta cena? Lo sapevi quando mi hai assunta: non venirti a lamentare adesso che mancano tre giorni!
Tre giorni! Il giudice cadde seduto sul letto.
- Quanto? Tre giorni?! Ecco, appunto, ragion per cui devi affidarti a lei.
- A lei non affiderei neanche un pechinese, povera bestia. Mi chiedo perché non sia ancora scappato.
- Esmeralda!
- E va bene, va bene sto zitta: cos’hai da dire a tua discolpa?
- Ah, adesso sono io a dovermi discolpare?
- Certo, per non avermi sostenuta davanti a lei che mi guardava come le facessi schifo.
- Ricordati che sono il tuo fidanzato solo per finta, mia cara. – aveva incrociato le braccia come faceva in aula quando si rifiutava di accogliere un’obiezione.
- E per fortuna!
- Mica sarai gelosa?
- Di te? Ma neanche per sogno! Per me puoi farti raggirare da chi vuoi: avvocati, il Re in persona, il tuo droghiere di fiducia o da una vedova a caccia di dote che a me non importa un fico secco…
- Quindi tu vuoi insinuare che Isabeau? Ma va’! Maligna, come la gran parte delle donne tranne…
- Isabeau, sì, certo. –agitò per aria la mano, con noncuranza.
- Senti, socia, qui le condizioni le detto io. E siccome riuscire in questa impresa interessa entrambi, sarà meglio che tu ti dia da fare.
- Ma siccome ne va del tuo matrimonio è meglio che tu mi tolga la tua simpatica amica dai piedi.
- Un paio di lezioni, mia cara, solo un paio di lezioni…
Uscì dalla stanza sbuffando. Giudice della malora!
 
Solo un paio di lezioni, eh? Quella era arrivata la mattina seguente con una mezza dozzina di bauli al seguito per sé e uno per la cara Milù, nonché l’intenzione neanche troppo velata di incrostarsi lì per i seguenti tre giorni come si incrostano gli avanzi bruciati sul fondo di una pentola.
- Ho portato qualcosina anche per te, cara, come dimostrazione. – l’aveva rassicurata.
La dimostrazione, come la chiamava lei, era stata una seduta lunga almeno sei ore, dalle sette alle tredici, barricate nella stanza di Esmeralda, fra trine, profumi e segreti di bellezza.
Insomma una gran rottura, aveva concluso la ragazza non appena aveva visto la porta alle sue spalle chiudersi e lasciarle sole, minacciosamente sole.
Era stata una tortura sadica quella di Isabeau nel pressarla in corsetti sempre più stretti, in scarpe sempre più alte, nell’ asportare con diabolica precisione le sue povere sopracciglia.
Il piumino della cipria era atterrato prepotente sul suo viso, lasciandole appena il tempo per uno starnuto.
- Mio Dio, che modi! – fece Milady, scandalizzata.
Perché, tu non starnutisci mai, bellezza?
- Ancora mi chiedo come abbia fatto Claude, così per bene, a scegliere come fidanzata una zingara. Ops, gitana: adesso dovresti tenerci a certe definizioni.
Vedi, carina, ogni tuo movimento deve esprimere grazia e femminilità. Anche quando togli i guanti deve esserci eleganza e, perché no? – le si avvicinò insidiosa all’orecchio – Anche seduzione. Gli stracci da polvere lasciali a Lydia!
- Cos’ha Lydia che non va?
- Eh già che fra ruspanti s’intendono… Ehm, nulla, nulla, solo che… non è una signora ecco tutto.
Guarda me.
La “sensuale” esibizione di Isabeau finì in un goffo tentativo di districare il filo della cucitura del guanto che indossava dal monumentale anello che avidamente vi si era avvolto.
Imprecò qualcosa fra i denti, con tanti complimenti mentali alla sua femminilità da parte di Esmeralda.
- Eh, le rogne della ricchezza, madame Isabeau.
Era diventata anche sarcastica la ragazzina, in nemmeno cinque giorni che stava a casa di Frollo.
Bella figura, Isabeau, proprio davanti a lei: - Forse è meglio che andiamo a tavola. Claude si starà domandando dove siamo finite e non vorrei mai che credesse che stiamo stringendo troppa amicizia.
Sarebbe stata di malumore per tutto il pranzo, constatò Esmeralda.
 
E dire di malumore sarebbe poco. Una serpe sarebbe stata meno velenosa.
- E, dimmi un po’, caro Claude, come vanno le cose in città con tutti questi gitani, eh?
- Al solito, mia cara Isabeau, né meglio né peggio di quando sei partita.
- Mi hanno detto che è brutta gente,molto scaltra e che ruba… hai mai pensato che uno di loro potesse avvicinarsi a te per, diciamo così, interesse?
Ma senti chi parla, si era detta Esmeralda, trattenendosi dal rispondere.
Zitta, non fiatare, altrimenti è peggio. Hai visto, a fare di testa tua te la sei messa alle costole e adesso si è abbarbicata a te peggio di una cozza ad uno scoglio per i prossimi tre giorni. Dunque, boccaccia chiusa!
- Non è che ne conosca poi molti, Esmeralda a parte, s’intende. Ma lei è tutt’altra cosa.
- L’immagino… - fece lei mettendosi in bocca una cucchiaiata di timballo.
Esmeralda rimase un lungo istante a osservare la fitta trama di rughe che le si formava attorno alle labbra e le guance che si gonfiavano come quelle di un porcello d’India mentre masticava.
La dea, a ben vedere, poteva benissimo cadere dal piedistallo, prima o poi.
- Sai almeno quanti fratelli hai? Almeno hai conosciuto tuo padre, carina? Era sposato con la tua mamma?
Claude sussultò impercettibilmente: brutto tasto quello. Si sforzò di pensare che la frecciata non fosse rivolta anche a lui. Ma no, la sua Isabeau non avrebbe mai fatto nulla di simile.
 
- Ti credevo più intelligente, Claude.
Era la frase con cui il Giudice Frollo aveva continuato a tormentarlo per tutta la notte.
Se ne stava lì, a bordo letto, con le braccia conserte, la camicia di flanella, la papalina e la sua solita espressione severa stampigliata sul muso.
 - Risolvi le cause più spinose e sembri sempre tanto acuto e poi mi cadi come un piccione davanti alle moine di quella Isabeau. Viene qui, dopo venticinque anni, dopo averti piantato in asso, averti fatto soffrire – perché c’ero io, qui, a sopportare i tuoi piagnistei! – e adesso pretende di fare il bello e il cattivo tempo. Tanto furbo in aula eppoi nelle questioni private sei più insulso di un contratto dichiarato nullo con sentenza definitiva!
Sveglia! A quella interessano solo i soldi. Il denaro, zuccone, capisci?
 - Macchè denaro! Lei è la persona più cara che…
- Sì, cara nel senso che ti fa spendere un patrimonio come in gioventù. Eh, ma li aprirai pure gli occhi, prima o poi.
- Ma magari lei ha capito che…
- Ha capito che hai fatto i soldi, ma mica credere che ti voglia bene, sai! Quella battutaccia sul padre era anche per te, non pensare che ti ammiri.
- No, no e no! Non ci credo. Taci giudice della malora o ti tiro una ciabatta.
- Beh, fa’ come vuoi, ma sarai costretto a darmi ragione!
Quella notte dormì malissimo. Evidentemente qualche dubbio, inconsciamente, già si muoveva nella testa di Claude.
 

____________
 
Angolo Autrici:
 
Salve carissime,
sono Marguerite90, coautrice di questa storia assieme a Minimelania.
Ho pensato bene di occupare questo piccolo spazio per ringraziare di cuore da parte di entrambe tutte voi ragazze che state dedicando il vostro tempo a seguire, leggere e recensire la nostra ff. Grazie davvero!!!
 
Nello specifico, un grazie alle “recensore”
@ Sawadee: per i tuoi commenti sempre molto poetici e attenti, come piccole pennellate di colore.:)
 
@ GaaRamaru: è bello sapere che la storia ti sta divertendo. Ecco poi svelato l’arcano dei capitoli spesso un po’ corti e di transizione: essendo due cerchiamo di dividerci in egual misura paragrafi d’azione e di transizione :)
 
@ Deliranza: per apprezzare così tanto il personaggio di Lydia e aver detto di ridere di gusto ogni volta che entra in scena. :)
 
Alla prossima puntata, allora!!!
Un abbraccione dalle vostre autrici:

Marguerite90 e Minimelania

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Capitolo 10
*** Sorprende prima Me che Voi, ma è così. ***


Capitolo 10: Sorprende prima Me che Voi, ma è così.

I giorni seguenti furono un'infamia. O forse, meglio, una sfida all'ultimo sangue. Più Isabeau la strizzava in corsetti e bustini, più si accaniva con fermagli e piegaciglia, più pretendeva immobilità assoluta mentre applicava inutili strati di orridi impacchi (Per la pelle! E' così scura!), più Esmeralda sapeva che non ce l'avrebbe fatta. Che il Re le avrebbe riso in faccia, che le dame si sarebbero sbellicate per giorni, che Isabeau avrebbe trionfato ... che Claude ci sarebbe rimasto malissimo. Già, ferma un attimo. Cosa c'entrava adesso Claude?
Esmeralda si rigirò nel letto. Le sembrava coperto di spine. La luna in cielo era troppo tonda e c'era un silenzio perfetto. Si alzò in punta di piedi.
- Non guardare me - sbuffò La Zingara - Io non c'entro. Fosse stato per me, saltavo giù da quell'infame carrozza e chi si è visto si è visto.
Esmeralda non aveva voglia di stare ad ascoltare La Zingara. Così andò verso il camino. Aveva freddo, anche se ormai era quasi primavera.
- Il fatto è che io non sono una signora.
- Non lo sarai né ora né ma. E allora perché ti ostini a snaturarti?
- Non lo so. Immagino che sia per quella faccenda del patto. Una gitana non si tira mai indietro, soprattutto se c'è un pazzo di mezzo.
La Zingara alzò un sopracciglio, sarcastica.
- Lo sai chi vincerà, in tutto questo?
- Non voglio saperlo.
- E invece ascolta - le mise paternamente una mano sopra la spalla. Era odiosa quando faceva così - Andrà a finire che tu e quel tacchino del Giudice andrete tutti e due a gambe all'aria, ti dico. Tu rimarrai nella Storia come quella che accecò il Re con un guscio d'ostrica, oppure come la Dama il cui corpetto saltò metà di una gavotta perché eri inciampata nelle tue stesse scarpe. Lui ci farà una figura così brutta, ma così brutta, che a quel ragno spregevole di Isabeau basterà allungare una mano per acchiapparlo tra le sue grinfie. Il Giudice non c'è abituato, dammi retta, sarà così disperato da caderci.
- Secondo te la ama davvero ancora?
La Zingara ci pensò un po'.
- Io penso che sia abbastanza stupido da farlo.
- Non può essere ...
- Lydia che dice?
Esmeralda sospirò.
- Dice che quella di sua madre non l'ha mai dimenticata. Lo sai com'è morta la povera donna? Facendogli giurare, sul letto di morte, che non avrebbe finito la sua vita tra quattro stracci e sacchi di farina, come lei. Che si sarebbe fatto avanti nella vita, che non avrebbe sprecato il suo tempo, che avrebbe sposato una donna che potesse elevarlo ancor di più- Che potesse renderlo felice. Io penso che Isabeau, a suo modo, risponda alle caratteristiche. E' nobile, è elegante, è leggiadra. E va bene che ormai è buona da farci il brodo, ma insomma, non è che neanche lui ...
Sorrise. Non sapeva perché ma quell'idea che lui - nonostante tutta la sua solennità e la sua faccia di pietra e io suoi modo - fosse in definitiva uno scolaro troppo cresciuto, un vecchio innamorato, la fece ridere. Se ne intendeva, Esmeralda, di passioni andate male. Di sogni un po' sciocchini, di fantasticherie.
Si avvicinò alla finestra.
Il Capitano, dov'era il Capitano, in tutto questo? Probabilmente là fuori da qualche parte, a bere. Magari alla salute del Principale che si era appena portato a casa la Zingara. Magari stava commentando con gli amici il suo stacco di coscia.
- Il mio? Non credo che sia molto dirimente.
Esmeralda fece un salto. Si voltò di scatto.
Il Giudice, in imbarazzante camicia da notte, era dietro di lei.
- Mi dispiace - sorrise, col suo solito ghigno - Ma parlavi ad alta voce, e ho pensato ...
- Hai pensato di origliare?
- No. Ho pensato che facessi un brutto sogno. Magari avevi bisogno di aiuto.
Esmeralda, abbassò le spalle. Improvvisamente si sentì molto stanca. Si sedette su una poltroncina e si fissò gli alluci nudi.
- Sai che non ha tutti i torti? In effetti era una specie di brutto sogno, ma ad occhi aperto.
- Pensavi a lui?
- Come hai fatto? - fece lei sbalordita.
Lui si strizzò nelle spalle.
- Ho le orecchie - poi sorrise - Posso sedermi qui con te, se non hai sonno? In camera mia fa un freddo micidiale.
- Anche qui non è che si stia bene.
- No - sospirò lui - hai ragione. Non si sta quasi mai bene da nessuna parte.

Parlarono tutta la notte. Non si può dire esattamente di che cosa. Certe volte erano troppo veloci a saltare da un argomento all'altro, certe altre risero, oppure sussurrarono. Ed erano stranamente sollevati di essersi scoperti insonni, quella notte. Si può quasi dire che fossero felici. Quando il primo mattino spuntò sui tetti di Parigi, lui le stava ancora raccontando di quanto aveva superato l'esame da Giudice.
- Figurati, erano tutti nobili. Certi titoli lunghi così! - rise allungando il braccio - E Lydia si era messa in testa di barare: mi fece delle false generalità, e voleva presentarsi anche lei vestita da Gran Dama, figurati! Per poco non svenni dal terrore, la mattina dell'esame.
- Era difficile?
- No, dal terrore che davvero Lydia si presentasse alla Commissione per spergiurare che ero figlio del Reggente e della Principessa del Cataj!
Risero. Risero tanto. Poi Esmeralda sbadigliò.
- E' già mattina, fece lui. Hai lezione?
lei si stiracchiò pian piano.
- Sì - sbuffò.
- Allora ti lascio dormire - si alzò in piedi. Nella luce del mattino sembrava ancora più alto del solito. Lei lo guardò, e le fece la curiosa impressione di averlo conosciuto da sempre. Che non fosse un estraneo, ma un amico. Improvvisamente le venne freddo e si sentì molto sola.
- Devi andare? - chiese alzandosi anche lei, e stringendosi le braccia tra la sottile camicia.
- Se vuoi, sì.
- Come sarebbe, se vuoi?
Un raggio si intrufolò tra di loro. Lui alzò un sopracciglio.
- Dico solo che ho ancora quasi un'ora prima che lei mie guardie e gli assistenti si chiedano perché il Cattivissimo Giudice non è ancora sceso a tormentarli.
Lei sorrise. Le faceva piacere che lui facesse dell'ironia, di tanto in tanto. Stava persino cominciando ad abituarsi.
- Vuoi parlare ancora un po'?
- Se vuoi.
- Oppure ...
- Oppure?
Non seppe mai cosa le fosse preso. E forse è meglio che non lo sappia nessuno. Fatto sta che qualche istante dopo quei due idioti si stavano baciano. Baciando, sì, avete capito bene. Sorprende prima me che voi, ma è così. Pare proprio che Claude ed Esmeralda si stessero baciando, a piedi nudi, su quel freddissimo pavimento di pietra. Il resto poi, al prossimo capitolo. Voi comunque non andate a dirlo alla Zingara o al Giudice.



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Capitolo 11
*** Hellfire, dark fire... ma non era un'altra storia? ***


 Capitolo 11 : Hellfire, dark fire… ma non era un’altra storia?
 
 
Non erano stati certo gli unici, Claude ed Esmeralda, a vegliare quella notte.
Chissà perché la natura era stata tanto generosa con Isabeau da dotarla oltre di un presumibile olfatto sopraffino, se direttamente proporzionale alle dimensioni del naso, anche di un udito sorprendente.
O forse, come la principessa della fiaba, aveva il sonno talmente leggero da essere turbato non dal famoso legume sotto il materasso, ma da qualcuna delle risatine soffocate che provenivano dalla camera dei due piccioncini.
Ma sentili come se la raccontano e se la ridono, quei due. Si rodeva, con l’orecchio incollato alla parete. Anzi, ricorrendo al vecchio trucco di cui si serviva per spiare gli affari del suo defunto marito per sapere quanti giorni le mancavano per andare in rovina, decise di amplificare le voci appoggiando fra il muro e il suo nobile orecchio un bicchiere di vetro.
Eccolo lì, adesso fa pure il galante, fra un po’, ci scommetto. Come faceva con me ai bei tempi.
Ma cosa diavolo avrà quella zingara che io non ho? Non ha un briciolo di eleganza, di classe, di raffinatezza.
Io sono l’unica, bellissima, meravigliosa Isabeau. E lui dev’essere mio.
E adesso? Cos’è questo silenzio?
In punta di piedi lasciò la sua stanza per andare a spiare attraverso la porta socchiusa.
Li vide che si baciavano, avvinghiati come due anguille, o almeno così parve a lei.
Si precipitò di nuovo dentro, dando persino un giro di chiave.
Ecco, adesso l’abbiamo fatta proprio completa. Certo che dovevo metterlo in conto che si sarebbero baciati, accidenti a loro. È ovvio, sono fidanzati, di che cosa mi stupisco?
Sarà che, fino all’ultimo, speravo fosse solo un momento di rimbambimento senile di Claude, che non fossero legati da tutto questo trasporto.
Milù, si baciavano! Perbacco, e come si baciavano.
Oh, a me un bacio così mica l’ha mai dato, il giovane Claude. E dire che non ero mica da buttar via. Io, quand’ero giovane – anche adesso, a dire il vero – alla zingarella avrei dato del filo da torcere.
A me, quel suo bel musino non mi fa un baffo, hai capito, Milù?
E se invece di essere un amoretto così tanto per fare, passeggero, quei due fossero veramente cotti come uno stufato, tutti i miei progetti di conquista andrebbero in fumo.
In fumo, come la legna di questo caminetto…
Rimase a guardare le fiamme che si alzavano. Nonostante nel palazzo Frollo avesse dato disposizione di spegnere la notte tutti i camini per andare al risparmio, proprio non se l’era sentita di dire di no alla richiesta di Isabeau di un po’ di caldo per le sue vecchie ossa.
La sua ombra si stagliò minacciosa sulla parete opposta, scontornata dal bagliore rossastro del fuoco.
È un fuoco, si disse, anche quello che mi arde dentro. È la gelosia, ma non per lui: del giudice vecchio come il cucco m’importa quel tanto. Sono i soldi, il problema, Milù.
Quella finisce che lo sposa e che fa la gran signora per tutti i giorni che il cielo le manderà in terra.
E noi due? Noi due rimarremo a mendicare per le strade un tozzo di pane, mia povera Milù.
Certo che questa ci calca col melodramma, eh? Sembrava dire il povero pechinese, roteando quei suoi enormi occhi bovini.
Ma no, Milù, vedrai che la tua mammina Isabeau troverà la soluzione anche questa volta.
Ci serve un piano, un piano… Fammi pensare…
Forse! No, no, non funzionerebbe. Qualcosa di meglio dovrò pur trovarlo.
Giusto! No, no, troppo banale…
Beh, sai cosa ti dico, cara la mia Milù? Che per il momento me ne infischio. È quasi mattina e fra poco ho la lezione con la nostra amichetta Esmeralda. Sarà meglio dormire un po’. Mica posso presentarmi con due occhiaie fino alle ginocchia. Poi hai voglia a rimuoverle con le fettine di cetriolo!
Tanto una buona soluzione quel geniaccio di Isabeau lo trova sempre, non è vero, piccina mia?
Una risata stridula rimbombò nella stanza, facendo precipitare la povera bestia dritta filata sotto il letto.
 
-Ma si può sapere che ti è preso, prima? Ti è andato completamente di volta il cervello, ragazza mia?
Era inutile tentare di tener nascosto qualcosa alla Zingara.
Lei sapeva sempre come venire a conoscenza di ciò che le interessa. Si serviva dei mezzi più subdoli, aveva imparato persino come insinuarsi tra i pensieri segreti di Esmeralda per carpirle di straforo qualche informazione compromettente.
E, quando non vi riusciva, ricorreva alla sfera di cristallo. Non per niente lei di magia se ne intendeva.
Ma anche i tarocchi, in quel caso, sarebbero stati inutili, assieme al pendolino, ai fondi di caffé e a tutto il resto. Le bastava solo un pizzico di acume nel guardare l’espressione da pesce lesso di lei per comprendere che sì, ebbene sì, aveva baciato il giudice Claude Frollo.
Baciato! Già, baciato…
- Ma ti sei fatta almeno gli sciacqui col bicarbonato dopo? No, perché, dico: io non mi sarei avvicinata neanche se mi avessero pagato.
- Dai, andiamo, non è mica stato così male. Anzi, è stato… Come dire è stato…
- Come baciare una madia. Penso che la sensazione e la soddisfazione sia proprio la stessa.
- Oh, tutta invidia la tua. È un uomo più appassionato di quanto non creda. – ribatté Esmeralda stizzita. – Non lo so cosa mi è capitato. Sarà che siamo due simpatiche canaglie entrambi. Magari non siamo tanto diversi. È successo e basta. Ormai è andata…
Ma l’altra non voleva saperne. Se ne stava lì a guardarla con compassione, esattamente come se stesse pensando di lei: poverina, perdonatela perché non sa quello che fa.
- Ma come ti permetti? Guarda un po’ ‘sta presuntuosa…
- Mi permetto eccome. Perché qui, ragazza mia, manca poco più di un giorno alla cena col Re!
- Eh, se ne fanno di cose in un… Quanto? Un giorno?!
- Un giorno e mezzo per l’esattezza.
- Porca vacca! Ehm, volevo dire, acciderbolina. – si corresse, dandosi quel tono da gran dama che aveva imparato.
- Poco, nevvero? Io direi che siamo un in ritardo. Anzi, sei in ritardo. E se ci metti anche le complicazioni sentimentali col giudice della malora, secondo me finisce male. Quindi tu ti impegni, fai la tua bella scenetta col Re, prendi quei pezzi d’argento che sicuramente Frollo ti offrirà e te la fili. E a mai più rivederci.
- Ma quali complicazioni sentimentali! Ti sembro il tipo?
- Una volta avrei detto no, ma adesso ti sei talmente rincitrullita. A proposito, bella addormentata, sei in ritardo anche per la lezione.
- Oh, cielo! Isabeau! – si precipitò lungo le scale, gridando “arrivo!”.
 
Non che per il giudice le cose fossero poi tanto chiare.
Quando era sceso al piano di sotto a tormentare le guardie era parso più svampito del solito.
Aveva meccanicamente raggiunto Lydia in cucina, che stava facendo il pane per la settimana.
- Buongiorno, mio piccolo Claude. Dormito bene?
- Sì, sì, bene, bene. – la sua risposta era stata un mugugnare distratto – No, non poi tanto bene: faceva un freddo cane stanotte.
- Eh già…
Era rimasta ad osservarlo perplessa. Ma cosa gli era capitato? Sembrava con la testa fra le nuvole.
Lui, dal canto suo, era ancora lì che si incaponiva per spiegarsi razionalmente cosa fosse successo un paio d’ore prima con Esmeralda.
Si erano baciati. Allora non se l’era sognato. Era vero.
Aveva baciato la sua socia d’affari. Cose che succedono.
Aveva baciato la sua socia d’affari?! Realizzò all’improvviso. Male, molto ma molto male. Sono cose che non si fanno. Non si rischia di perdere la lucidità a questo modo. Si comincia così, con un bacetto innocente, e poi ci si rimbambisce fino a mandare a monte la cena con il Re. Il Re!
- Cos’hai, piccino? Sembri tanto nervoso…
- Pensieri, Lydia. Tanti pensieri. Lascia che impasti io, tanto lo sai che mi è sempre venuto bene il pane. E mi rilassa.
- Come vuoi.
Non aveva fatto in tempo a finire la frase che lui aveva letteralmente messo le mani in pasta.
 
- Claude? – fece Esmeralda, arrivata al piano di sotto.
- Claude… - fu il miagolio strascicato di Isabeau.
- Claude! – Lydia lo richiamò prontamente, preoccupata che lo sorprendessero in quel frangente.
Ma fu troppo tardi.
- Isabeau! Ma che sorpresa… - cominciò lui, nascondendo le mani dietro la schiena – Cosa ci fai in cucina?
- Cercavo la mia allieva.
- La tua allieva… già… sì, certo! La tua allieva! Eccola lì che arriva.
Le tracce del delitto erano ben visibili, nero su bianco, si può proprio dire. Il bianco della farina che faceva bella mostra di sé sul nero della veste.
- Claude non dirmi che…
- Claude ma cosa? – Esmeralda era sopraggiunta ad aggiungere imbarazzo a quella assurda situazione.
- Claude, ma tu fai il pane? Oddio, che scandalo!
- Eh sì. Stava aiutando me. – era intervenuta Lydia – Signorine, sapeste che mal di schiena alla mia età. Un mal di schiena terribile, che mi ha preso così, all’improvviso. E, Claude, caro il mio piccino, non si tira mai indietro quando si tratta di aiutare la vecchia Lydia.
- Eh, come no .
- Ma voi, piuttosto, Isabeau, avete l’aria di non aver dormito molto bene – ribatté Esmeralda, consolandosi di non essere l’unica con la faccia stanca, quella mattina.
- Mia cara, ho avuto problemi col caminetto. Ha cominciato a fare un fumo, un fumo che non ti dico!
- Eh, faccenda seria.
- Altrochè: serissima! – rispose Isabeau. E, mentre guardava la farina sull’abito del giudice, le tornò in mente quel suo passato di figlio della mugnaia Babette.
E quell’idea che cercava, stava cominciando a girare. A girare, girare, nella sua avida testolina.

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Capitolo 12
*** Con la fine dell'Estate ***


Capitolo 12: Con la fine dell'Estate 

Claude bussò alla sua stanza che il sole stava già cominciando a tramontare sulla vigilia del Gran Giorno.

- Si può?
Esmeralda tirò su la testa. Era tutto il pomeriggio che pensava a cosa fare, quando l'avrebbe rivisto. Perché l'avrebbe rivisto. L'aveva atteso per tutto il giorno, si era accorta che niente, neanche le torture di Isabeau erano riuscite completamente a distrarla da quel pensiero, quel pensiero fisso. Le mancava, le mancava tanto.
- Qualcosa che non va? - chiese, cercando di essere indifferente. Lo vedeva, era tirato, più tirato del solito. Claude non rispose, si limitò a stirare le labbra pallide, piano piano, a occhi bassi. Lei capì che c'era davvero qualcosa. Stava piangendo?
- Claude? Cosa succede?
Gli andò vicino con un'insolita confidenza. Come se quella specie di muro tra loro due fosse stato abbattuto. Lui, ancora rigido per tutto quel che era successo (le mani in pasta, e la farina, e quel bacio ...), sorrise appena. Ma poi si scostò. Era diverso, molto diverso, pensò Esmeralda.
- Claude, c'è qualcosa che non va?
Lui non parlava. E lei, sfinita dall'ennesima sessione di portamento, trucco e gli altri mille parti malati della mente di Isabeau, sospirò neanche troppo piano. Si scostò subito, provò vergogna per essere stata così sciocca da pensare di poterlo toccare così, con confidenza.
- Quando hai finito e mi vuoi dire che cosa c'è ...
Claude andò verso la finestra.
- Esmeralda.
Così, non come inizio. Una fine. Come una specie di lapide fredda. Lei si limitò a fissarlo, seria.
- Esmeralda - fece lui - Un errore. E' stato un terribile errore. Perdonami. Ma ... è una cosa a cui dobbiamo rimediare.
Era di spalle, il sole d'oro del tramonto lo avvolgeva in un manto di lunghi raggi obliqui e polverosi. Lei scostò una ciocca dai capelli. Pensò che forse avrebbe dovuto alzarsi, chiedere da lui. Ma non lo fece. Quel muro, di nuovo quell'enorme muro tra di loro.
- Ti riferisci a stamattina.
- sì. Ci ho riflettuto. Non va bene. Non va. Non erano questi i patti, lo sai.
Lo disse come se un ragno gli premesse in gola e non avesse il coraggio di uscire.
- Ad ogni modo - continuò lui - era per domani. Ormai sei quasi una signora, davvero. Ti ho visto ieri, come stavi a tavola. E ... stamattina, che comportamento splendido quando mi hai trovato con le mani in pasta. Quindi mi spiace quel che devo dirti. Ma devo dirtelo.
Lei non capiva. Che significavano tutti quei giri di parole? Lui continuava a tenere la testa fissa contro il sole, senza muoversi. Come se i raggi non facessero male, o sempre meno di quel che avrebbe visto se si fosse voltato verso di lei.
- Sai già a che ora arriva il Re? - chiese Esmeralda, aggiustandosi incurante la gonna. Pochi giorni in compagnia di Isabeau le avevano insegnato già decine di soluzioni per l'imbarazzo improvviso. Anche stavolta non fu diverso.
- Sarà per le sette, Isabeau ha già disposto tutto - fece lui.
- Bene.
Ah, Isabeau. Perché allora non presentava lei? Tanto alla fine sarebbe andata così, pensò Esmeralda. L'aveva vista, tutto il giorno, a gongolare. L'aveva vista con che piacere nuovo aveva ripreso a tormentarla mentre spiegava come si tiene il bicchiere e quale calice va portato alla bocca quando viene servito il Borgogna. Non capiva cosa aveva, ma sembrava che covasse un segreto. Esmeralda aveva avuto l'impressione che fosse molto importante.
- Cosa pensi di fare? - chiese lui, sempre guardando fuori dalla finestra.
Lei mise su un'aria finto indifferente.
- Io? Dopo? Tornerò alla Corte dei Miracoli, penso. Al mio posto, dove devo stare.
Lui sospirò.
- E tu?
- Io? - Claude si toccò appena la tempia con una delle sue lunghe dita. Sembrava che la testa fosse sul punto di scoppiargli - Non lo so. Probabilmente ... mi sposerò davvero.
- Con Isabeau?
- Con Isabeau. Sì, certo.
Ecco, pensò Esmeralda. Ecco lo schianto, è arrivato. Com'è che dentro non sento più niente. Certe volte le frane sono talmente improvvise e tanto atroci che non si sente niente. Com'era che stamattina ci stavamo baciando? Come ho potuto pensare che il Giudice, perché alla fine non è che lo sporco Giudice che per poco non mi ha fatta ammazzare, com'è che stamattina rideva insieme a me? Che idiota sono stata, che idiota. Lui vuole sposare la sua bella Isabeau, che altro?
- Perché allora non presenti lei, domani?
Lui sospirò.
- Ero venuto proprio a dirti questo.
- A dirmi cosa?
- Che puoi andare, adesso. Il patto è rotto. Puoi andare ora. Presento lei, domani.
Non può essere vero. No.
- Claude? Che cosa dici, io ...
Non le era mai successo che le parole le venissero a mancare in quel modo. Era come se la Terra, la Terra intera fosse stata appena inghiottita da una voragine.
- Cos'è successo, Claude? - mormorò prima che il ghiaccio cominciasse a soffocarla - Cos'è successo per ...
Lui non rispose. Aveva troppo da fare anche lui con quell'atroce cristallo gelido che aveva preso a tormentargli il cuore.

- Visto Minù? Alla fine ha ceduto.
Isabeau, davanti al grande specchio rideva come non aveva mai riso. Neanche quando suo marito era morto era riuscita a ridere così. Il fatto è che era proprio contenta. E non solo perché alla fine il Giudice sarebbe stato suo, no, no, no. Perché alla fine aveva sconfitto lei. La stupida zingara. La signorina Sono Bella Solo Io. L'Ammaliatrice. E invece lei, con tutto che era vecchia (e anche un po' rugosa, diciamolo) era riuscita a mangiarsi la fagiana in un boccone.
- Tutto merito dei bei ricordi, Minù cara. E della ferrea memoria della Mamma.
Minù, coi suoi occhi bovini, osservò quieto la sua padrona che si andava imbellettando. Era solo uno stupido pechinese, d'accordo, ma se avesse potuto parlare, anche lui avrebbe avuto da dire qualcosa in più. Tanto per cominciare che Isabeau stavolta aveva veramente esagerato, e poi che lui - da cane, almeno - non ci vedeva niente di male nella Zingara. Anzi la trovava anche molto bella. Se,brava stare bene accanto al Giudice.
- Non dici brava, alla tua Mamma, caro? - Isabeau stese le labbra in un sorriso mentre faceva passare il rossetto da un lato all'altro. Schioccò piano un suono che poteva sembrare un risucchio.
- La Mamma Isabeau ha buona memoria. Sai, Minù, che serve sempre, oggidì? E' bastato che minacciassi il Giudice di rivelare ... diciamo, il suo passato. Conosco ancora qualche persona a Corte. Gente del tutto non ininfluente. Gente che pagherebbe a peso d'oro per sapere che Frollo con è figlio di un nobiluomo in disgrazia come dice e ha dovuto dichiarare in tutti quanti i documenti per essere Giudice. Basterebbe che dicessi che è figlio di una povera ragazza madre, una mugnaia, che sussurrassi all'orecchio giusto che il Re si tiene un Ministro bastardo perché la Sua Esimia Carriera fosse stroncata in meno di un secondo. Capisci perché adesso Mamma Isabeau sarà la nuova padrona della casa? Sua Eccellenza ha una paura folle che qualcuno gli tolga il posto di sotto, e sa che io posso farlo facilmente domani sera. Per questo ha accettato ogni mia condizione, e spedirà a casa la Gitana in men che non si dica. Tu non trovi che sia una mossa eccellente?
Minù guardo Isabeau coi grandi occhi. Per un istante parvero attraversati da una colossale espressione disgustata.

- Cosa? Come è possibile, mia cara, ma che dici?
Lydia ululava in cucina, pestando col batticarne sul tavolo tanto forte che ogni volta la cucina ne rimbombava tutta.
- Come sarebbe a dire che ... che ... - scoppiò a piangere dentro il grembiule prima di terminare la frase.
Esmeralda, davanti a lei, tentava invano di riannodarsi la sua vecchia cintura. Maledette mani che tremavano.
- Non mi vuole più, Lydia. Tutto qui. Le storie iniziano e finiscono, sai? E lui adesso si è trovato un'altra, quindi è meglio che sloggi. Ma tu potrai venirmi a trovare quando vorrai, alla Corte dei Miracoli.
Provò a metterle una mano sulla spalla, ma Lydia, al solo sentire prospettare l'idea della sua bambina in quel postaccio, ricominciò ad ululare più forte.
- Non te ne andrai, non te ne andrai in quel ... in quel ... Oddio! Claude, che ha fatto?
- Lydia, tranquilla. E' la mia casa. Lo era anche prima di venire qui.
- Come sarebbe che era la tua casa. Appunto, era, adesso invece è questa. Che cosa ha fatto quella strega al mio piccino? Come si permette di farci questo? Eh? Lui ti amava, ti amava, ti ...
Esmeralda sospirò. Poi la scosse e le tirò sul il mento lacrimoso con una mano. Le asciugò delicatamente la pelle umida.
- Lydia, non era come pensavi. Noi ... non eravamo esattamente quel che pensi.
- Ma come no?
- Non eravamo veramente fidanzati. Piuttosto era una specie di ... accordo, in vista della visita del Re. Una cosa di affari, capisci? Lui mi salvava la vita e io gli facevo questo piacere. Ma adesso non ha più bisogno di me. Adesso che ha una moglie vera, voglio dire.
Lydia la fissò coi piccoli occhi gelidi.
- Come hai potuto? Come avete potuto?
Era delusa. Delusa come essere umano mai forse era stato. Forse perché amava tanto Claude, e perché aveva imparato ad amare lei. Forse perché voleva bene a entrambi, e a quell'amore, ancorché finto era stata la prima credere. Fatto sta che adesso lasciare Lydia tra le sue pentole e i sedani in cucina era quasi come lasciare la vita, la strana vita, bella, felice che avevano trascorsi fin lì.
- Non lo so proprio come sia successo, credimi. Non lo so neanche io. Ma adesso è meglio che vada. Arrivederci. Saluta Claude, da parte mia, se lo vedi.

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Capitolo 13
*** Mesdames et Messieurs... la cena! ***


 Capitolo 13: Mesdames et Messieurs…la cena !
 
 
- Mi dispiace così tanto, Lydia… Mi dispiace di averti fatto credere e illudere che noi…
 Oh, accidenti, lo so che non me la perdonerai questa. – Esmeralda si stropicciava le mani, sapendo che qualsiasi parola di scuse, adesso, non avrebbe ripagato Lydia nemmeno di un quarto dell’affetto che le aveva dato in quei giorni.
Sentiva di averla tradita, di averle rubato qualcosa, tutta colpa di quella stupida, inspiegabile conclusione alla quale erano arrivati.
Tutta colpa di Isabeau.
Ma, in fondo, Isabeau o meno, prima o poi se ne sarebbe dovuta andare. E Lydia ci sarebbe rimasta male comunque.
- Beh, non me l’aspettavo. - Aveva risposto lei, facendo finta di non soffrirci più di tanto.
In realtà, prima della delusione e del dispiacere, sentiva ribollirsi dentro una gran rabbia.
Rabbia perché quell’arpia di Isabeau ce l’aveva quasi fatta. E se fosse stata lì, a portata di mano, le avrebbe fatto un occhio nero col batticarne, messa in teglia come una faraona e spedita dritta nel forno, altrochè.
E rabbia per quel pecorone che si scioglieva come un tempo – anzi peggio – davanti a due occhi truccati e a qualche parolina collosa come il miele.
Doveva essere proprio in pieno rincitrullimento senile. O gli uomini essere proprio tutti uguali.
Fanno gli snob, i duri, eppoi appena sentono frusciare l’orlo di una crinolina perdono il lume della ragione e piantano in asso anche un pezzo di figliola come la sua Esmeralda.
Perché per quanti guai adesso veniva a sapere che le aveva combinato, era pur sempre la sua Esmeralda, la sua bambina, che aveva rotto la noiosa monotonia dei giorni al palazzo di giustizia con le sue risate, i suoi modi sgraziati e le sue terribili figure.
Ma a guardarla adesso sembrava una signora. Davvero una gran dama.
Già, una gran dama…
- Lydia, se ci fosse anche solo qualcosa che io possa fare per te… - aveva anche imparato a usare i congiuntivi giusti, senza nemmeno più farci caso.
Eccole, quelle parole! Erano arrivate proprio al momento giusto.
- Ragazza mia, qui è arrivato il momento di darci da fare! Non vorremo mica vederla vincere, quella strega?
- Oramai non c’è più nulla che possa fare. Claude sposerà Isabeau e io non servo più al suo piano.
- E vuoi mollare tutto così, bambina? Dopo la fatica che abbiamo fatto per trasformarti in una signora, dopo tutte le torture che hai passato per causa sua?
- E cosa dovrei fare, allora? Introdurmi di nascosto alla cena e aspettare il momento opportuno per far vedere a tutti che razza di carogna sta per portarsi all’altare? No, non funzionerebbe…
Eppoi cosa c’entro io? Non sono nemmeno innamorata di Claude. Se lo fossi sarebbe un altro discorso, ma… - non trovò altre parole da aggiungere – Anche se…
- Oh, via, basta con questi ma e questi se! E che tu sia innamorata o meno di Claude è tutto da stabilire. Ma almeno prenditela come rivincita verso Isabeau. Fallo per te. E per me, che non voglio vedere il mio piccino rovinato nelle grinfie di quella arrampicatrice.
Lydia prese la sua aria e la sua posa più convincenti.
La guardava di sottecchi, con le manine ben piantate sui fianchi larghi.
- No. – anche Esmeralda aveva tentato di far suonare la sua risposta la più decisa possibile.
Un’altra occhiataccia di Lydia.
- Ho detto di no!
I suoi occhietti azzurri minacciosamente piantati nei suoi. Le dita tozze che si stringevano nervosamente attorno al manico del batticarne.
- Non tentare di… No, no e no, Lydia, non mi vado a rendere ridicola e… Eppoi, Isabeau sarà perfetta, assolutamente perfetta. Non dirà una sola parola fuori posto da permettermi di smascherare i suoi progetti meschini. Perché deve esserci stato qualcosa sotto. Qualcosa che deve averlo costretto a sposarla.
L’immagine di quel bacio, anche se non osava confessarlo a lei, confermava i suoi sospetti. Altrimenti, come spiegarsi quel cambiamento repentino?
- Non lo farò, mi dispiace. Ho perso, faccio un passo indietro e tanti saluti.
 Questa volta aveva tutte le intenzioni di far prevalere la calcolata saggezza della Zingara sull’emotività di Esmeralda.
Ma le bastò solo vedere per un istante la delusione di Lydia per cambiare propositi.
- E va bene, dimmi cosa devo fare.
Con il suo solito gridolino da scoiattolo, le bisbigliò qualcosa all’orecchio.
 
 
Due colpi incerti alla porta dello studio fecero trasalire Claude.
- A…Avanti… - fece lui, perso nel labirinto dei suoi pensieri.
Gli dispiaceva per l’epilogo che la storia aveva preso. Ad averlo saputo, molto meglio la cugina zitellona del Re piuttosto che il ricatto di Isabeau.
Eppoi, povera Esmeralda, aveva messo a ferro e fuoco Parigi pur di averla a disposizione per quell’assurdo piano e, alla fine, la mandava via senza neanche un grazie.
Dopotutto, cos’altro avrebbe potuto fare? Lasciare che Isabeau spiattellasse davanti a tutta la corte che lui suo padre non l’aveva nemmeno mai conosciuto? Non se ne parlava! Dopo tutta la fatica che gli erano costati gli studi e i piccoli imbrogli di cui era fatta la sua carriera.
Lo sapeva, lo sapeva bene che era una vigliaccheria nei confronti della sua povera mamma, nascondere le sue origini.
E che era una carognata bella e buona nei confronti di quella poverina che, patto o no, si era messa d’impegno per dargli una mano. E c’era pure riuscita, a trasformarsi in un’adorabile dama. Parlava il francese sopprimendo l’accento da straniera, stava a tavola con grazia e sapeva anche conversare amabilmente inserendo qualche parolina in latino nel discorso, da già che c’era.
Insomma, tanto di cappello alla sua intelligenza veloce. Chi l’avrebbe mai detto che quella ragazzona che ronfava sui broccati con la grazia di una bestia da soma alla fine si sarebbe trasformata in una deliziosa creatura? Lui no di sicuro, ma avrebbe perso la scommessa.
Non ci aveva comunque fatto una gran figura con lei.
Quando lo aveva chiamato giudice della malora aveva perfettamente ragione.
Ecco cos’era, un giudice egoista, capace solo di pensare ai suoi interessi.
Egoista e meschino, si disse senza tanti complimenti.
Eppoi: - Avanti – di nuovo, dato che nessuno entrava.
- Posso? – lei si era affacciata con gli occhi bassi sulla soglia.
- Mia cara bambi… ehm, Esmeralda – deglutì – credevo fossi già partita.
- Ci ho ripensato.
- A quale proposito?
- Sul fatto di tornare alla corte dei miracoli. Ecco, come dire, ho capito che sto meglio nel velluto, ora, che nelle vesti gitane di prima, in mezzo al fango e al freddo. Vorrei sistemarmi.
- In che senso?
- Vorrei chiederti di presenziare comunque alla cena. Come dama di compagnia di Isabeau, s’intende. Ecco, pensavo che, essendo diventata ormai una signora come si deve, un buon matrimonio potrei concluderlo anch’io. Con qualcuno di non troppo importante, non come te, ovviamente, ma un qualche segretario di corte, qualcosa di simile…
Lui era rimasto interdetto. Non l’aveva mai nemmeno lontanamente sfiorata l’ipotesi di doversi presentare alla cena con entrambe.
E così voleva concludere anche lei un matrimonio d’interesse. Allora l’aveva giudicata troppo in fretta. Non erano poi tanto diversi, loro due, davvero due canaglie pronte a sacrificare i sentimenti per guadagnarci qualcosa.
Non poteva certo saperlo, il giudice, che era un piano per non lasciarlo andare da solo dritto nelle fauci del Re, gentilmente sospinto dalle abili manovre di Isabeau.
Pensava solo che, dopotutto, glielo doveva come ricompensa per il suo impegno.
Quella sera, sulla carrozza di Frollo, diretta a corte, Claude sarebbe salito con due donne.
 
 
Cosa diavolo è venuta a fare questa qui? Era stato il pensiero fisso di Isabeau per tutto il viaggio e per tutto il tempo d’anticamera che avevano dovuto fare prima di essere ricevuti. Più fisso di quello del bustino in cui aveva pressato la sua pelle rugosa per assottigliare il vitino da vespa e che ora le dava il tormento. Era rimasta a guardarla da un angolo del salone, con la sua solita espressione di disgusto. E pensare che doveva anche presentarla come la sua dama di compagnia. Si diceva, mentre tentava di tenere Milù in equilibrio tra la propria mano e l’ampia manica del vestito.
Le avrebbe rubato la scena, quella ragazzina. Ne era sicura.
E così era stato.
Finalmente la porta si aprì, lasciando entrare il Re.
Persa con lo sguardo tra gli specchi e gli ori di Versailles, tanto che le sembrava di essere entrata nel vestibolo del Paradiso, Esmeralda quasi non l’aveva visto arrivare.
Beh, effettivamente non era l’imponente figura che si aspettava.
Anzi, così su due piedi, le parve un nanerottolo anche piuttosto insignificante. Quasi più brutto dei gargoyles della cattedrale.
Ma aveva un paio di guance rubiconde e le maniere molto alla buona. Si diceva che fosse un segreto appassionato di alchimia, re Luigi, e che finisse spesso per mescolarsi al popolo in abiti comuni per passare inosservato. Da lì doveva aver perso parecchi di quelli che definiva stupidi comportamenti da etichetta, almeno quando non era in situazioni particolarmente formali.
E tutte quelle ore di anticamera non erano dettate dalla prassi, ma piuttosto dalla mancanza di cura personale del sovrano che, ogni volta che doveva incontrare ospiti, era costretto a lavar via, con gran dispendio di tempo, lo sporco di settimane.
- Oh, Ministro Frollo, e così è questa la vostra promessa sposa ! – fece lui, dirigendosi con decisione verso Esmeralda.
- No, veramente Sire, permettetemi di contraddirvi, ma ella non è la mia promessa, bensì la dama di compagnia. Isabeau è la mia futura moglie. – fece l’altro, presentandogliela, mentre la strega si sdilinquiva in moine e riverenze.
- Mi avevate parlato di una bellezza, come dire… esotica. – aveva replicato il re che in Isabeau non aveva trovato alcuna traccia né di bellezza né di esotismo.
- Ehm, dunque… madame Isabeau ha trascorso gran parte della sua vita in Inghilterra, questo intendevo con “esotica”. E, in quanto a bellezza, non c’è nessun altro termine con cui ai miei occhi ella potrebbe essere definita.
Ai miei occhi? Razza di imbecille! Io sono obbiettivamente, oggettivamente, sublimemente bella! Isabeau aveva cominciato ad assumere un vago color verde bile nel trattenersi dal pestargli un piede. Ma si contenne.
- Ah… - re Luigi pareva tutt’altro che convinto. Nella stanza aveva adocchiato qualcosa che gli interessava assai di più delle rughe di quella tartaruga. Qualcosa di più giovane e affascinante.
Se c’era una bellezza esotica a corte, quella doveva essere proprio la dama vestita di bordeaux che gli stava davanti e lo fissava senza troppa soggezione coi suoi occhioni verdi.
A dire il vero, che quel Ministro si sposasse chi voleva. Non gli interessava poi nemmeno così tanto. Era stata sua cugina a rompergli l’anima sul fatto che voleva assolutamente convolare a nozze prima dei sessanta.
Lui, adesso, aveva ben altro di cui occuparsi.
 
La cena era stata un tormento, per Isabeau in primis, dato che tutti attorno a quel tavolo sembravano non avere occhi che per Esmeralda.
Lei, dal canto suo, ci aveva messo tutto il suo impegno, grattando fino in fondo il calderone delle sue conoscenze, per apparire colta e spigliata.
Ma per quanto fosse stata di conversazione brillante, non era certo felice di come le cose stavano procedendo. Isabeau non aveva sbagliato un colpo, nemmeno detto una sola parola per far intendere che non stava certo sposando Claude per amore.
Cominciava a pensare che la sua presenza lì era del tutto inutile, e che avrebbe deluso Lydia per la seconda volta.
Claude aveva continuato a guardarla, compiaciuto dei suoi progressi, infischiandosene delle stupide ciarle di Isabeau seduta al suo fianco.
Il Re se l’era mangiata con gli occhi, più delle pietanze che aveva fatto servire.
Insomma, se la buona riuscita dell’accordo fosse dipesa da lei, sarebbe stato il suo trionfo.
Beh, non faticherai a trovare un buon partito, aveva sospirato nella sua testa il giudice, rifugiandosi a fine cena in un salottino, non riuscendo più a sopportare l’allegro chiacchiericcio dei convitati.
 
Ecco cosa s’intende quando si parla di “fatal combinazion”. Ce ne saranno stati di salotti a Versailles, abbastanza almeno da smarrirsi per mesi.
Eppure, in quello stesso salottino, era finita per nascondersi dal corteggiamento sempre più spudorato del sovrano anche la povera Esmeralda.
Non si era accorta della presenza del giudice, mollemente adagiato su un sofà e nascosto dalla sua alta spalliera. Si sarebbe certamente palesato – non è educato osservare di nascosto il comportamento di una signora, dopotutto – se la porta non si fosse aperta di nuovo, quasi immediatamente.
- Di grazia, mia cara Esmeralda, dove siete finita?
Ma possibile che quel vecchio gallinaccio del Re, alla sua veneranda età, non smettesse di darle la caccia, senza lasciarle un attimo di tregua?
- Ah, ma siete qui. Mia cara! Vedete, stavo pensando che ora che madame Isabeau si sposa, non avrà più bisogno di voi.
- Ebbene? – aveva commentato lei, alzando il sopracciglio, con aria scettica.
-  Ebbene, io credevo che voi potreste anche trasferirvi qui, a corte, come mia dama di compagnia. Una fanciulla bella e intelligente come voi, sarebbe sprecata nella triste casa di un giudice…
Ah, grazie! Pensò Claude, continuando a starsene nascosto dietro il sofà.
- Davvero?
- Davvero. Voi, mia cara e bella bambina, sareste la mia favorita, la mia più cara e beneamata delle… - le aveva passato un braccio attorno ai fianchi.
Eh no, quello era veramente troppo. Il giudice avrebbe cominciato a sbuffare come una locomotiva, se solo avesse saputo della loro invenzione secoli dopo.
- Delle vostre amanti?
- Amanti! Esmeralda, che brutto termine. Diciamo delle mie care amiche, avreste gioielli abiti il privilegio di vivere qui a corte che, per una gitana come voi… Insomma, arriveremmo ad un buon accordo. Cosa ne dite?
- Io dico di no – la voce di Claude si era levata stentorea assieme alla sua figura.
- Voi? Non siete voi a dover decidere, Ministro Frollo – aveva sbottato il Re, seccato che gli stessero rompendo le uova nel paniere, adesso che aveva trovato quella bella gallinella –Cosa c’entrate voi?
- Io c’entro eccome, perché…perché io… cioè lei…
Non aveva fatto in tempo a finire la frase che nella stanza era piombata Isabeau.
Ma che accidenti c’era, in quel salotto, la calamita?
Non ci fu verso, allora, di arrestare il parapiglia. Un parapiglia cominciato con queste esatte parole di Isabeau: - E così la difendi, eh? Hai passato tutta la sera ad occuparti di lei, senza badare a me! Ma certo, cosa si vuol pretendere? Chi si assomiglia si piglia, due figli dell’amore uguali, senza arte né parte!
Ecco, dalla rabbia si era lasciata sfuggire il loro piccolo segreto. La frittata era fatta.
Ma questo… beh, questo è un altro capitolo.

 __________
 
Angolo Autrici:
 
Carissime, davvero grazie di cuore a tutte per il tempo e l’attenzione che ci state dedicando.
Un ringraziamento sentito a tutti i lettori di passaggio o meno, a voi che avete inserito la storia nelle preferite/ ricordate/ seguite, alle “recensore” sempre gentili che ci riempiono di complimenti.
 
@ Deliranza: ecco qui un nuovo capitolo, speriamo abbastanza succoso. Che tenero sapere che la storia è riuscita a commuoverti ;)
 
@ Dolcerosellina:  Isabeau come brutta copia di Platinette è un paragone azzeccatissimo!!! XD La pagherà vedrai, la pagherà :)
 
Un abbraccione a tutte! A prestissimo!!!
 
M & M


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Capitolo 14
*** Scegli me o ... ***


Capitolo 14: Scegli me o ...

- Come sarebbe due figli dell'amore?
Il Re era allibito. Dovettero spiegargli.
Alla fine, dopo che il Ministro Frollo ci ebbe messo tutta la sua diplomazia a intercedere per quella povera ragazza di Esmeralda, il Re si voltò verso di lui.
- Non voglio sapere perché lei è un'illegittima, Ministro. Voglio sapere perché lo siete voi.
Isabeau trionfava. Esmeralda, in piedi, accanto a Claude fissava il pavimento, in silenzio. Una lacrima continuava a farle avanti e indietro sull'orlo delle ciglia. Se doveva finire così, beh, che finisse. Ma lei non lo avrebbe abbandonato, no. C'erano stati momenti per fuggire, c'erano stati guai seri nella sua vita. Guai davanti ai quali era scappata, da cui aveva cercato di evadere. Ma adesso no, doveva restare. Doveva restare per lui.
Frollo si schiarì la voce, poi fece un gesto con le mani eleganti.
- Maestà, è tutto vero quel che vi ha detto ... madame Isabeau. Non sono figlio di un nobile come vi ho sempre fatto credere, bensì di un'onesta mugnaia, Babette, che ebbe in sorte il doloroso fato di incontrare un farabutto, un soldato. Io sono figlio di un errore di giovinezza, un errore che - crediatelo - è costato carissimo a mia madre. Non ha potuto sposarsi, perché il soldato è morto in guerra, nelle Fiandre. Al suo ritorno aveva promesso di sposarla, ma non tornò. Difendeva la Francia e per la Francia è morto. Mia madre dovette allevarmi da solo, con l'aiuto di una buona balia che vive ancora presso di me, in casa, e di qualche altra donna caritatevole. Ma non ha mai chiesto l'elemosina, è sempre vissuta del suo onesto lavoro. A me ha insegnato a fare altrettanto, a guadagnarmi onestamente il pane, e se vi dico che nei miei primi anni ho anche io aiutato mia madre al mulino, lo dico perché ne sono orgoglioso. Forse dovrei vergognarmi di più di averlo tenuto nascosto tutti questi anni. Comunque, per continuare la mia vera storia, un giorno il curato del villaggio notò che ero un ragazzo perspicace, svelto, di buon orecchio, che imparava presto. Pensò di insegnarmi qualcosa, un po' di latino e di diritto, e presto le mie capacità sorpresero sia lui che tutti gli altri. Fu deciso - coi pochi soldi di mia madre - di mandarmi a studiare a Parigi. Forse un giorno avrei potuto essere qualcuno, per riscattarmi dalla miseria in cui ero nato.
Qui Frollo fece un breve sospiro.
- E così è stato. Ho frequentato l'Università, ed in ogni campo presto mi distinguevo dai miei compagni. Loro facevano festa ed io studiavo, lo andavano per taverne a spendere soldi dei cospicui patrimoni familiari mentre io - che non avevo un soldo - stavo in camera mia, coi libri. Questo forse mi ha salvato l'esistenza, in quei durissimi anni, sapere che al mio paese c'erano due vecchie donne che si spaccavano la schiena ogni giorno perché io potessi studiare. Nella mia mente ci sono ancora i pesantissimi sacchi di grano, e le ruote inceppate del grande mulino, e la polvere che intasa il naso e gli occhi e la bocca. Poi, una volta terminati i corsi, quando si è prospettata la possibilità di un concorso che avrebbe potuto fare la mia fortuna - i Giudici sono da tutti temuti e riveriti e rispettati - non ho esitato, lo ammetto, a fare in modo che i miei umili natali non fossero noti. Ma d'altra parte una legge - piuttosto iniqua - stabiliva e stabilisce ancora che non potessero accedere alla carica se non i figli dei signori. Per questo ho mentito sulla mia nascita, e il mio censo. Per dare a quelle due anziane vedove una vecchiaia più dignitosa dell'intera vita. Per dare a me il potere di sdebitarmi e trarmi fuori dalla miseria in cui ero nato.
Il Re aggrottò le sopracciglia. Tossicchiò.
- E pensate di esserci riuscito?
Frollo abbassò gli occhi. Per un istante sembrò che vi fosse comparsa una lacrima. Esmeralda, allora, d'istinto, gli prese il braccio e lo strinse. Le sue dita si intrecciarono alle dita di lui. Gli dette forza, forse, quel gesto, perché ricominciò.
- Mai madre morì prima di sapere l'esito del concorso. Tornavo in fretta a cavallo da Parigi (adesso potevo permettermi di affittare un cavallo) per darle la notizia: ero Giudice. Ma quando arrivai proprio sul pone che divideva il mulino dal paese vidi qualcosa che mi agghiacciò il cuore. Fuori dalla porta della mia casa, proprio sotto alla grande ruota della macina, c'era un corteo di gente vestita di nero. Lydia piangeva in un angolo, disperata come non l'avevo mai vista. Fu lì che capii che mia madre era morta. Girai il cavallo e non tornai mai più.
Dopo la fine del discorso di Frollo ci fu una lunga pausa. Isabeau fissava dritto le fiamme del caminetto. Minù, accanto a lei, la fissava come volesse significarle il suo sdegno. Esmeralda piangeva, senza ritegno. Frollo fissava un punto del tappeto, il Re girava avanti e indietro per la stanza.
- Una storia davvero insolita, Ministro Frollo. Una storia commovente, oserei dire. Non pensiate che non mi abbia toccato. Ma purtroppo la Legge è Legge, lo sapete. E in questo caso la Legge prescrive quattro quarti di pura nobiltà per accedere alla carica di Giudice. Figuriamoci poi a quella di Ministro!
Frollo annuì.
- Ne sono consapevole.
- Dunque per tutti questi lunghissimi anni voi avete ingannato il vostro Re.
- Spero di aver recato onore e prestigio alla carica che - indegnamente - ricoprivo. Ho sempre cercato di fare il meglio per essere un buon Ministro di Giustizia, Maestà.
Il Re ci pensò un attimo. Poi scosse avanti e indietro la testolina rubizza.
- Non siete stato un buon Ministro, Claude Frollo. Siete stato il migliore Ministro di Giustizia che la Francia abbia avuto, credetemi. Ma questo non toglie che siate in reato, e reato grave, mi dispiace.
- Sono pronto a prendermi le mie responsabilità.
Il Re lo guardò fisso negli occhi.
- Sapete meglio di me cosa vuol dire.
- Reato di Alto Tradimento, Lesa Maestà, Invenzione di Titolo Nobiliare - enumerò Frollo, a occhi chiusi, sulle dita - Diciamo, ad occhi e croce vent'anni di carcere.
Il Re sospirò piano.
- Andate a casa, Ministro Frollo. Un ultima notte da libero. All'alba i miei soldati saranno alla porta.

Poteva finire così?
Le storie, certe volte, sono strane. Non crediate che non ci siano momenti in cui a qualsiasi narratore viene più che voglia di giocare un poco con i suoi personaggi. In quel caso potrebbe addirittura dilettarsi nel far prendere loro uno spavento coi fiocchi. Tanto più quando - come in questo caso - se lo sono un pochino meritato.
Ma ogni narratore, d'altro canto, ha anche una coscienza. In primis nei confronti dei suoi lettori, in secundis,finisce per essere come una specie di madre per quei monelli dei suoi personaggi. In questo caso tende a provare pena e a cercare di rimediare come può ai loro atti sconclusionati e impulsivi. Ecco perché anche al Ministro Frollo e quella testolina calda di Esmeralda, è stato concesso anche un dopo. Un finis di circa una notte per decidere cosa fare di loro.
Dunque vediamo un po' cosa faranno. Sono nella stanza di lui, quella che tutti conoscete bene, con il gran camino la croce e nient'altro. Lui fissa il fuoco, non dice niente. Lei fa avanti e indietro alle sue spalle.

- Andiamo, Claude! Non puoi essere così scemo da ... da farti veramente acchiappare da quell'idiota imbambolato di Re! Ma hai visto che deficiente? Quello non sa neanche dove ha il cervello, figurati se può permettersi di mandarti i soldati, il farabutto ...
- Esmeralda. Non è questione se lui può o non può. O se è scemo o savio. Il fatto è che deve mandarmi i soldati. Perché io ho commesso un reato. E quindi devo pagare. Semplice.
Lei lo fissò con le mani sui fianchi.
- Allora sei tu che sei stupido. Ti vuoi fare vent'anni di galera?
- Sono Ministro di Giustizia, Esmeralda. Che cosa dovrei fare, scappare?
Silenzio in sala. Poi un sorriso di lei.
- Ovviamente. Ovviamente che devi scappare. Non vuoi mica davvero andare in prigione? Pensa a che cosa direbbe Lydia, pensa a cosa farebbero tutti. Dài, davvero, vuoi sul serio finire nelle carceri insieme a tutti quelli che ci hai spedito? Sai, penso che siano molto vendicativi. Secondo me non te la passeresti bene.
Esmeralda aveva toccato il tasto più sbagliato con Claude, quello del suo sensibilissimo onore.
- Io non farò niente che sia contro la legge. Niente di niente, hai capito? E poi che potrei farmene di una vita randagia, da solo, in fuga, senza amici e onore? No. Non se ne parla nemmeno. Domattina mi consegno e basta.
A questo punto fu Esmeralda ad arrabbiarsi davvero tanto.
- Ah! Ho capito! Non te ne frega niente. Ecco perché te ne vai tutto contento in galera! Non te ne frega niente di nessuno! Né di te, né di Lydia, né di me!
Di te?
Il Ministro era molto perplesso. Era riuscito, per anni, a decifrare codici su codici. Pesantissimo tomi scritti i minuscoli caratteri di ragno, leggi misteriose, sconosciuti digesti. Com'è che adesso, con quella ragazza, continuava ad avere dei problemi? Un istante prima sembrava che l'odiasse. Quello dopo gli urlava contro che lei - lei sì! - ci teneva a lui. Ma viceversa sembrava proprio di no.
- Insomma ci tieni a me si o no, farabutto?
Era vicina, molto vicina. Arrossata, un po' arrabbiata, con quei lunghi capelli, era difficile rispondere di no. Lui ci teneva a lei, davvero tanto. Ora capiva che ci aveva tenuto sempre, forse anche prima, quando per evitare una vecchia zitella aveva dato fuoco a mezza Parigi. Davvero l'aveva fatto solo per avere una qualsiasi fidanzata di ripiego? Davvero l'aveva fatto solo per quello?
Gli occhi neri, profondissimi della gitana lo fissavano come due stelle lucenti.
- Scegli me o la galera, Claude Frollo?
Lui sorrise.
- Tu questa notte. La galera domani.




*** NOTA: Per le nostre Lettrici & Commentatrici ***

Carissime! Innanzitutto scusate se stavolta il capitolo si è fatto attendere molto, e in un punto così focale della storia. Purtroppo quella che aveva il compito di scriverlo stavolta (Minimelania, cioè io che scrivo ^__^), ha dovuto barcamenrasi per tutta la settimana tra la sua vita di studentessa pendolare e altre imcombenze che l'hanno costretta a stare lontana dalla sua amatissima postazione di scrittura. Per questo spera ardentemente di essersi fatta perdonare postando un capitolo un pochino più denso e lungo di quel che faccia altre volte. Al prossimo capitolo saperete come sono andati a finire gli eventi della coppia dei nostri due sciagurati, poiché, ahimé, pare che siamo quasi alla fine .... nel frattempo, come sempre, un bacio. E un enorme grazie per le vostre recensioni sempre troppo *buonissime*!

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Capitolo 15
*** Epilogo - Un nuovo inizio ***


 Epilogo: Un nuovo inizio
 
 
- Scelgo te, per questa notte. – le aveva detto, in un sussurro, facendola tremare appena.
E cosa importava adesso della galera? Dovevano riuscire a non pensarci.
E non vi pensava proprio, lei, mentre si abbandonava al bacio di Claude. Dolce, soffice e caldo, il bacio di Claude, più della volta precedente, come non aveva mai immaginato potesse essere.
Claude insinuò le sue dita sottili tra i capelli neri di lei. Una matassa di ricci, di profumo di fiori e di gioventù. Si lasciò percorrere dal brivido di averla così vicina. Così vicina come era stata solo quella sera, che ormai pareva tanto lontana, in cui si erano baciati, a piedi nudi, nel freddo del suo palazzo di giustizia che, finalmente, sembrava riscaldato dalla tenerezza di quel sentimento.
Tenerezza, non sapeva come altro definire quello che provava. No, non era il sentimento folle che si credeva, quello che poteva portare a bruciare tutta Parigi come Nerone aveva dato fuoco a Roma. Era sorto pian piano, conquistandolo giorno dopo giorno, ma forte a tal punto da tenerlo incatenato a lei, adesso.
A tal punto da lasciar scivolare le sue mani, disegnando le sue forme e perdendosi nei suoi occhi, più neri di quella notte.
- Claude – sussurrò lei, non riuscendo ad aggiungere altro e, sempre più audace, fece scorrere le mani sul petto di lui. Poi si soffermò a sentire come batteva il suo cuore sotto il tessuto ruvido dell’abito.
 – Claude… Allora non è vero che non ti interessavo. -  gli disse ridendo, soffiandogli dolcemente le parole sulle labbra.
- Esmeralda, non so se davvero dovremmo…
- Oh, basta con questi dubbi, giudice della malora. – riuscì a sciogliere i lacci della sua veste, ed ora riusciva a percepire il fremito della sua pelle al tocco leggero delle sue mani.- Io non ne ho. E smetti di chiacchierare.
La sua ironia era risuonata come un chiaro invito e Claude non aveva potuto fare altro che disciogliere dai veli le sue belle forme.
Nel frattempo, Esmeralda aveva preso a tormentargli diligentemente il collo, aspirando forte il suo profumo, di spezie e di vecchi libri, di luoghi lontani e di desiderio, ora, di desiderio per lei.
Si abbandonò alle sue carezze, più sicure ed esperte di quanto non avesse creduto, non riuscendo ad ignorare le piccole scariche elettriche di piacere che riuscivano a provocarle quelle dita affusolate.
Aveva delle belle mani calde, lui, si strinse un po’più forte, sentendosi protetta e amata.
L’amava, era inutile che tentasse di nasconderlo, l’amava.
E glielo disse: - Ti amo, giudice della malora.
Lui si allontanò appena dalla sua bocca, quella bocca che, col suo sapore riusciva a fargli dimenticare qualsiasi cosa, fin dalla prima volta che l’aveva sentita posarsi sulla propria.
Sorrise, con liberazione: - Anch’io, Esmeralda. E non c’è nulla che possa fare o dire per nasconderlo.
Rimase a guardarla, un lungo istante, e pensò che, per quanto potesse cercare nel mondo, nei libri, nella vita, non avrebbe mai trovato nulla di altrettanto bello.
La tenne stretta a sé, con un brivido, un lungo brivido che si dibatté nel suo petto tra l’incredulità e la dolce urgenza di ciò che li stava unendo.
- Claude…
- Hai paura? – le chiese in un soffio.
- No – sorrise – E’ chiusa bene la porta?
- Sì…
Lei sorrise di nuovo, con una lieve malizia: - E allora, cosa stiamo aspettando?
 
 
Claude stava sognando, certamente stava sognando. Era scivolato nel sonno, accanto a lei, dopo l’amore. L’aveva tenuta stretta, con le dita intrecciate nelle sue ed i capelli di lei sparsi a solleticargli le spalle. Questo lo ricordava anche in quell’insolito torpore.
Ma adesso stava sognando di essere trasportato su un carretto, o su qualcosa di simile.
Sentiva le ruote sballottare sui sassi. Si svegliò completamente.
Che diavolo aveva addosso? Cos’erano quegli abiti da contadino che persino Gaston, il suo tuttofare, avrebbe rifiutato di indossare.
Cercò immediatamente lei, con lo sguardo, trovandola ancora addormentata lì accanto, insaccata in un abito di tela grezza.
Erano davvero su un carretto, non doveva essere nemmeno l’alba e, a cassetta, due figure avvolte in cappe nere spronavano con celerità i cavalli.
- Esmeralda! Esmeralda, svegliati!
Lei aprì a fatica gli occhi. Aveva un mal di testa feroce: fu la prima cosa che riuscì a pensare, ancora prima di realizzare cosa fosse accaduto loro.
- Dove… dove siamo? Un carretto? Che storia è questa? Ehi! Dove cavolo ci state portando?
- Ci hanno presi. Vuoi vedere che le guardie ci hanno catturati nel sonno e adesso ci portano in prigione? È l’unica spiegazione. – si mise a sedere – Ad ogni modo è una vergogna! State ledendo i diritti di un pubblico ufficiale: diritto alla difesa, alla tutela del proprio onore e del proprio nome! Espormi così al pubblico ludibrio, fare di me oggetto di scandalo e pettegolezzo… io, un uomo che ha degnamente servito lo stato e la corona per oltre vent’anni… Vergogna!
- E smetti di starnazzare come un vecchio pollo, piccolo Claude.
Quella voce, quella vocina più simile ad uno squittio, non lasciava dubbi.
Si guardarono entrambi con un leggibile stupore: - Lydia?!
- Già! – fece lei, togliendosi il cappuccio – E anche lui!
- Gaston?!
- E chi altri, se no? Mica potevo caricarvi da sola su questo carretto, pesate come due muli ubriachi!
- Ma come diavolo hai fatto a…
- Quando ho sentito che volevi costituirti, ho messo prontamente del sonnifero nel vino. Sai, quel vino che vi ho portato ieri sera, prima che chiudeste la porta a chiave… - aggiunse, maliziosa.
- Quindi tu hai origliato? Razza di spiona!
- Ma piccino, è così che ringrazi la tua vecchia balia per averti salvato dalla galera?
- Ma io dovevo, volevo andare in galera! Devo espiare…
- Oh, se sei tanto desideroso ti metto giù. Gaston, ferma il biroccio!
- No, no, no, scherzavo! E Isabeau?
- Isabeau è scappata. Il Re si è personalmente informato sul perché volesse tanto sposarti, visto che era a conoscenza del fatto che non eri nobile e ha scoperto che è piena di debiti fino al collo.  – prese a spiegare Lydia – Non appena l’hanno saputo i creditori che non aveva più alcuna possibilità di restituire il denaro si sono messi sulle sue tracce come segugi. E lei, posti all’asta tutti i suoi beni, - quei pochi che le rimanevano - ha tagliato la corda il prima possibile. Non ne sentiremo parlare per tanto, tanto tempo. Persino il cane s’è venduta, disgraziata!
- Oh, povera Milù! – fece Esmeralda, con compassione.
Una cosa pelosa si mosse sotto gli stracci, prendendo a leccare amorevolmente il naso rapace di Claude.
- Che schifo! Cos’è sta roba? – lo agguantò – Milù?
- Ovviamente. Mica potevo lasciarla in mano a quegli avvoltoi.
- Milù! – l’esclamazione di contentezza di Esmeralda lo ripagò dell’incontro troppo intimo col pechinese – Come sono felice di rivederti, bella! Capivi più tu della tua padrona! Guarda, Claude, guarda che occhi intelligenti.
- Pechinese a parte, che ci basta al massimo per una cena – fece lui, atteggiandosi all’antica alterigia – abbiamo pensato a come sostentarci?
- Assolutamente – Lydia aveva una risposta per tutto, meglio che un codice civile – Andremo al mulino di Babette, dove tutto ha avuto origine. Tanto noi il mestiere lo sappiamo ed Esmeralda apprenderà in fretta, vero bambina?
- Pensa, Claude, che bello! Mi insegnerai a macinare il grano, a fare il pane e un sacco di altre cose!
- A qualcuna abbiamo già provveduto ieri sera. – sussurrò lui, allusivo, al suo orecchio.
- Nessuno ci cercherà, tanto nemmeno il Re aveva davvero intenzione di farti imprigionare e, intanto, il tuo reato cadrà in pro… in pre… prescrizione. – fece la sua ultima, piccola esibizione di cultura, suscitando l’ilarità di tutti.
- Insomma sarà la fine, la fine di tutti i miei studi, della mia vecchia vita, di tutto.
- O un nuovo inizio, amore mio. – gli disse lei, sorridendo.
La baciò: - O un nuovo inizio...

Su Parigi stava sorgendo il sole. Un nuovo giorno era alle porte.
E, per loro, l’Aurora dalle dita di rosa portava davvero con sé un finire dell'estate carico di promesse e un nuovo, meraviglioso inizio.
 
 

Fine

 
 
*** Alle nostre commentatrici e lettrici ***
 
E così siamo giunti alla fine della nostra storia.
Che dire se non ringraziarvi tutti, dal primo all’ultimo, dal più profondo del cuore?
Un grazie sincero a chi ha commentato – sempre buonissime e gentilissime -, a chi ha inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite, a chi è passato a leggere o ha semplicemente dedicato parte del suo tempo a noi.
Un abbraccione, vostre
 
M & M

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