Attraverso il Labirinto

di Mapi D Flourite
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Dov'è Zoro? ***
Capitolo 3: *** Hanno preso Nami! ***
Capitolo 4: *** Nella foresta ***
Capitolo 5: *** Sanji e Nami separati! ***
Capitolo 6: *** Adhin, Duva, Thrie ***
Capitolo 7: *** L'incontro con gli abitanti dell'isola ***
Capitolo 8: *** Combattere per sopravvivere! ***
Capitolo 9: *** Scampati al labirinto! ***
Capitolo 10: *** Epilogo - Non è cambiato nulla ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


SCHEMAEFP2

Prologo




«Nami-san? Dove sei, Nami-swan? Nami-saaan!»
La foresta attorno a lui era sempre più fitta, impenetrabile. Sanji si guardò intorno, tra gli alberi che sembravano diventare più numerosi e più robusti mano a mano che il tempo passava, cercando di individuare la figura della ragazza tra i rami nodosi e intricati che gli impedivano di vedere ad un palmo dal suo naso.
«Nami-san!» chiamò di nuovo, portandosi le mani ai lati della bocca nel tentativo di amplificare la propria voce, e l'unico risultato che ottenne fu che il suo richiamo finì come assorbito dalle grande foglie grondanti di pioggia e rugiada. Dopo un solo istante tutto tornò immobile e silenzio e Sanji digrignò i denti e serrò i pugni, ricominciando a camminare alla cieca. «È tutta colpa di quell'idiota del Marimo,» borbottò, fermandosi tutto a un tratto tra le radici grosse e scure di due alberi altrettanto grossi e scuri e dopo averci pensato per circa mezzo secondo si ficcò le mani in tasca, alla ricerca del suo pacchetto di sigarette. L'accendino fece del suo meglio per prosciugare quel poco di pazienza e autocontrollo che lui cercava in ogni modo di imporsi e quando finalmente la punta della sua sigaretta cominciò a bruciare a dovere inspirò una lunga boccata di fumo, mentre nella sua testa continuava a chiedersi che cosa avrebbe dovuto fare.
Si guardò brevemente intorno, per vedere se Nami fosse magicamente comparsa da qualche parte e quando non la vide espirò il fumo, lasciando che la cenere cadesse direttamente dalla punta della sua sigaretta sull'erba soffice. Finì di fumare in silenzio, spense con cura la cicca sotto il tacco e se ne accese un'altra. «Tutto per colpa del Marimo,» ripeté, come se dovesse essere sicuro che ogni fibra del suo essere fosse concentrata nel biasimare quella Testa d'Alga e quando iniziò a sentire le gambe infastidite da tutta quell'immobilità a cui non erano abituate, ricominciò a camminare alla cieca nella foresta, cercando di ricordare da che parte fosse venuto e di ritrovare il punto in cui lui e Nami si erano persi di vita. Camminò con i denti serrati, lastricando il suolo di cenere e sigarette consumate – come se gliene potesse fregare qualcosa del bene dell'ambiente in un momento come quello – iniziando vagamente a riconoscere alcuni alberi dalla forma bizzarra che avevano attirato la sua attenzione.
«Nami-san!» chiamò a gran voce, perdendo anche la sigaretta appena accesa che aveva in bocca e che si affrettò a spegnere contro un sasso con un moto di stizza. «Nami-san, sei qui? Nami-swan?!» la chiamò di nuovo e poi sospirò, mettendosi a studiare l'ambiente che lo circondava. Sì, rifletté, quando iniziò a riconoscere davvero il posto, a quel punto erano ancora insieme, se lo ricordava benissimo. Poi, per una ragione che non riusciva a spiegarsi, si erano separati, andando ognuno in una direzione diversa e senza guardarsi alle spalle. Guardò il grosso albero che aveva davanti, ricordandosi ch a quel punto lui era andato verso est, verso la macchia più fitta, mentre Nami, ipotizzò, doveva essersi diretta verso nord o nord est, lungo un sentiero che Sanji notava adesso per la prima volta.
Sbatté le palpebre, confuso. Il sentiero era piuttosto ampio, regolare e si dipanava agilmente tra la macchia fitta di alberi che sembravano come aprirsi di loro spontanea iniziativa per cedere il passo: come aveva fatto a non notarlo, prima? Sbuffò e scosse il capo, accendendosi l'ennesima sigaretta. Era inutile fermarsi a pensare a una cosa del genere: la cosa veramente importante, in quel momento, era trovare Nami; poi, quando l'avesse trovata, sarebbe andato a cercare quell'idiota di Zoro e gliene avrebbe date davvero di santa ragione.
Con questa nuova risoluzione, si avviò lungo il sentiero, cercando di camminare il più in fretta possibile e nel contempo di studiare tutti i dettagli dell'ambiente circostante con estrema attenzione, perché se Nami fosse stata in qualche modo ferita o per qualche ragione non riuscisse a rispondergli, non poteva permettersi di lasciarla indietro un'altra volta.
Si irrigidì e fremette di rabbia, al solo pensiero di Nami abbandonata a se stessa nel bel mezzo di una giungla come quella, magari ferita o peggio e, istintivamente, tirò un calcio poderoso ad un albero proprio alla sua destra che, se ne accorse distrattamente, aveva quasi le sembianze di Zoro – il ciuffo verde di foglie era quello, comunque.
Avanzò ancora e quando si trovò proprio nel centro di un dedalo intricato di rami e foglie ebbe come la sensazione di star perdendo il controllo. Tanto per cominciare, non aveva idea di dove stesse andando. In linea generale, sapeva di star procedendo all'incirca verso nord, cioè nella direzione opposta in cui si trovava la spiaggia dove erano attraccati ma, a parte quello, gli sembrava di star vagabondando senza meta, come se fosse stato del tutto defraudato del suo senso dell'orientamento e il suo corpo si muovesse da una parte all'altra proprio come l'ago impazzito di una bussola e si ritrovò a provare un poco di pietà per il Marimo, al pensiero che quella sensazione era perennemente nella sua testa.
Quando formulò il pensiero in maniera coerente tirò un calcio in aria e si accese un'altra sigaretta. «Devo smetterla di tergiversare,» si disse, tra una boccata di fumo e l'altra. «Non ho tempo da perdere con lo stupido Spadaccino, adesso la cosa più importante è trovare Nami-san. Oh, Nami.swan!» aggiunse, incominciando a gridare a voce più alta: «Non temere, amore mio, il tuo Sanji sta venendo a salvarti!»
Iniziò a correre, dopo che ebbe spento la cicca che aveva in bocca e averne accesa un'altra; si muoveva completamente alla cieca, lasciandosi guidare solo dal suo istinto e quando improvvisamente si rese conto di essere di nuovo nel punto della foresta in cui aveva cominciato le ricerche di Nami si fermò di colpo, gli occhi spalancati.
«Ma che diavolo significa?» Si guardò intorno. «Stavo andando nella direzione completamente opposta, che ci faccio ancora qui?» Fissò per terra, verso le rocce e le radici disposte a caso sul suolo e, proprio quando era sul punto di rassicurarsi, dicendosi che, magari, erano solo alberi simili a quelli di prima, rimase paralizzato nel vedere un mozzicone di sigaretta spappolato senza pietà tra i sassi e le foglie. Deglutì e istintivamente volse lo sguardo verso il cielo che non riusciva a vedere attraverso le fronde e le foglie che non si lasciavano scuotere nemmeno dal vento.
Preso da un momento di terrore, lasciò che la sigaretta ancora spenta che si era appena messo in bocca cadesse al suolo insieme all'altra.
«Non riusciremo davvero più a uscire da questo maledetto labirinto.» Strinse i pugni e si guardò attorno, gli occhi fuori dalle orbite. «Nami-san! Nami-san!» Inspirò a fondo, sentendo il terrore crescere e, con tutta la forza che aveva in corpo, si lasciò scappare un grido che salì verso il cielo come un lampo, squarciando quasi il tetto di foglie che sembrava opprimerlo ogni secondo di più: «Dove diavolo sei, idiota di uno spadaccino?!»






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N/A
Ommioddio aiuto! XD
Okay, riprendiamoci, non si possono cominciare le note dell'autore in questo modo. è__é
Dunque, tanto per cominciare, questa fanfic è stata scritta per la I Missione della V Settimana del COW-T su Mari di Challenge, con prompt Tre personaggi.
Questa fanfic è stata ispirata da una doujinshi Zoro/Sanji che LA BELLEZZA (il titolo dovrebbe essere "Hito wa maigo toiu keredo", o una roba del genere ^^), ed è a tutti gli effetti la prima fanfiction di One Piece che io abbia mai scritto/pensato in tutta la mia vita. E la cosa mi terrorizza. .__.
Spero di non aver fatto grandi pasticci con i personaggi, in caso non esitate a rimproverarmi! (Accidenti, non so che dire, da quanti secoli è che non entro in un fandom nuovo nuovo di zecca? Siate buoni! ;__;)
Ci tenevo a dire ancora un paio di cose, comunque.
La prima, mi dispiace che queste note non abbiano senso. XD
La seconda, nonostante l'ispirazione, questa non è una fanfic shounen ai. Non esattamente. Non del tutto. Magari un pochino, ecco, ma vi prometto che non ve ne accorgerete neanche! ;__;
E, la terza, sì, avete letto bene, questa cosetta è già tutta completa dal prologo all'epilogo, quindi non abbiate paura che non la porti a termine (a qualcuno importa?) perché è già finita.
Direi che non c'è altro, a questo punto! E se vi va di passare al primo capitolo, be', la cosa non può che farmi piacere! *__*




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Capitolo 2
*** Dov'è Zoro? ***


SCHEMAEFP2

Dov'è Zoro?




La giornata era delle migliori che si potessero sperare. Il mare era una tavola blu piatta e leggermente increspata dal vento regolare che soffiava verso ovest, trascinando dolcemente la Going Merry esattamente dove l'ago del Logpose aveva segnalato la loro prossima meta e Nami, appoggiata con i gomiti sul parapetto, non riusciva a non sentirsi in completa armonia con l'ambiente che la circondava. Guardò il mare, il cielo solcato da piccoli stormi di gabbiani che sembravano talvolta inseguirli e talvolta indicare loro la strada verso terra e poi chiuse gli occhi, lasciando che il rumore delle onde che si infrangevano sulla ciglia le riempisse le orecchie, mentre il profumo dei suoi mandarini le entrava nelle narici e le colpiva direttamente il cervello, facendola sentire appagata, felice.
Ma lo sarebbe stata decisamente molto di più, rifletté, quando iniziò a sentire una vena pulsarle con violenza sulla fronte, se anche tutto il resto della ciurma avesse di comune accordo deciso di entrare in armonia con l'ambiente tranquillo che li circondava. Robin e Zoro non le causavano nessun problema, dato che una leggeva e l'altro dormiva steso da qualche parte sul ponte, come suo solito, e nemmeno Sanji che non aveva smesso un secondo di ronzarle attorno le dava poi così tanto fastidio – anche perché la macedonia che le aveva servito circa mezzora prima era stata una vera delizia – ma se Lufy, Usop e Chopper non avessero smesso in quel preciso istante di comportarsi come un branco di imbecilli, li avrebbe gettati tutti e tre fuori bordo e avrebbe lasciato che diventassero cibo per pesci senza pensarci due volte.
Che cos'avessero poi da sbraitare era un vero mistero. Li guardò, tutti e tre ritti in piedi sotto la polena, con i nasi per aria a guardare qualcosa che lei non riusciva a distinguere e sbuffò, gonfiando le guance. «Si può sapere cosa urlano a fare?» sbottò serrando i pugni, e in quel preciso istante Sanji comparve proprio al suo fianco reggendo in mano un vassoio ricolmo delle praline al cioccolato che le aveva offerto prima e che lei, ovviamente, aveva accettato di buon grado. «Se ti danno fastidio li farò star zitti immediatamente!» le disse e Nami gli concesse solo una breve occhiata prima di tornare a studiare cosa avveniva alla prua della nave.
In quel momento, Chopper si stava sbracciando in direzione della polena, mentre Usop sosteneva Lufy che, abbarbicato sulle sue spalle, cercava di raggiungere uno dei corni della pecora, visibilmente senza successo. Dopo un brevissimo istante Chopper gridò qualcosa e nell'istante immediatamente successivo una gamba di Usop cedette e lui finì per terra, mentre Lufy restò appigliato come un idiota alla testa della polena, in precario equilibrio.
Nami sentì che la vena che le martellava nella tempia era sul punto di scoppiare e, ignorando le praline che Sanji le stava mettendo sotto il naso, gridò con così tanta forza che la sua voce raggiunse senza problemi tutte le estremità della nave: «Si può sapere che state facendo, razza di imbecilli?!»
Robin sollevò brevemente il capo nella sua direzione e così fecero anche Usop e Chopper, mentre Sanji quasi cadde per terra dallo spavento e Zoro continuava a dormire, totalmente indisturbato. Lufy, recuperato un certo equilibrio, ci mise un momento a voltarsi verso di lei, girando la testa a centottanta gradi sulle spalle.
«È successo qualcosa?» chiese, la voce piatta e tranquilla e Nami provò il profondo desiderio di tirargli dietro una scarpa.
«È quello che ti ho chiesto io!» ribatté e Lufy sbatté le palpebre un paio di volte, lasciando a Usop il compito di risponderle: «L'uccello,» disse, laconico, e Nami sospirò.
«Ma quale uccello?»
«Quell'uccello,» intervenne Chopper, indicando la testa di pecora con lo zoccolo.
Nami sbatté le palpebre un paio di volte e si sporse dal parapetto per tutta la lunghezza delle braccia, cercando nel frattempo di aguzzare la vista. «Che cos'ha che non va quell'uccello?»
«È seduto al mio posto!» gridò Lufy, non appena ebbe rimesso entrambi i piedi sul ponte della nave. «E non vuole andarsene da lì!»
«E tu per questo stai facendo tutto questo casino?!» gridò Nami e accanto a lei Sanji sospirò, scuotendo il capo.
«Lascialo stare, prima o poi se ne andrà, no?»
«Ma è lì da tre giorni!» si lamentò Lufy con le guance gonfie d'aria.
Sanji si strinse nelle spalle. «Allora caccialo via, no?» Ha resistito tre giorni prima di fare tutto questo casino? È un record!
«Ci ho provato!» disse Lufy, caricando il colpo con il braccio. «Ma guarda cosa fa!» Sparò il colpo verso l'uccello allungando il braccio fin a quasi a toccare il suo becco e senza un minimo di esitazione l'animale prese il volo, librandosi in cielo leggero e rapido come un proiettile e tutta la ciurma – fatta eccezione per Zoro, naturalmente – seguì le volute che disegnava in aria attorno all'albero maestro e poi sopra le piantagioni di mandarini fino alla poppa della nave, solo per ritornare subito indietro verso prua e sistemarsi sulla polena, esattamente nel punto in cui si trovava prima che Lufy lo scacciasse.
«Visto?!» si lamentò il capitano, e Nami si passò una mano in faccia, cercando inutilmente di non lasciarsi coinvolgere da tutta quella follia dilagante. E dire che la giornata era cominciata così bene, pensò, con un sospiro, e per cercare di tenersi su di morale guardò il Logpose che continuava a segnalare che la rotta era giusta e che si stavano avvicinando alla loro prossima meta. Per avere una conferma che l'aiutasse a mantenere i nervi ben saldi sollevò lo sguardo verso il mare e con sua grande sorpresa – in lontananza e un po' avvolta dalla nebbia – vide un lembo di terra che compariva sulla superficie del mare. Nonostante tutto, sorrise. «Siamo quasi arrivati,» disse, la voce leggermente più serena. «L'isola è laggiù, dovremmo riuscire a raggiungerla entro un'ora al massimo.»
Il broncio di Lufy non accennò a diminuire. «Ma quell'uccello s'è preso il mio posto!»
Nami digrignò i denti: «È solo un maledettissimo gabbiano! Vedrai che appena toccheremo terra se ne andrà, finiscila di comportarti come un moccioso!»
«Ma io…» cominciò Lufy, ma prima che potesse aggiungere anche una sola parola l'uccello prese di nuovo il volo ed emise un verso lungo e armonioso, prima di puntare il becco verso l'isola e volare nella sua direzione, sparendo ormai quasi del tutto dalla loro vista.
«Hai visto?» lo rimbrottò Nami con una scrollata di spalle. «Se n'è andato, come avevo detto io. E ora smettetela di bighellonare, scansafatiche!» li richiamò all'ordine. «Tutti ai vostri posti, stiamo per attraccare.» E, dopo un momento, aggiunse: «E qualcuno si sbrighi a svegliare Zoro!»


Poco più di un'ora dopo, la nave era stata attraccata al sicuro in porto. L'acqua era piuttosto profonda, abbastanza perché la Going Merry potesse affiancare la costa che si piegava dolcemente verso l'entroterra fornendo loro non solo un porto naturale ideale, ma anche protezione dal cattivo tempo che sulla Grand Line restava sempre un'incognita, e dall'assalto di navi nemiche che sarebbero potute comparire da chissà dove.
Nami guardò la sua opera con un pizzico di orgoglio e aspettò che l'ancora fosse calata del tutto, prima di dare istruzioni. «Bene,» disse, le mani ben salde sui fianchi. «Ora dobbiamo solo decidere il da farsi.» Allungò lo sguardo verso la terra ferma che lasciava alla sua vista solo una striscia di sabbia bianchissima che dal mare avanzava verso l'entroterra e si perdeva nella fitta vegetazione di una foresta che sembrava incombere quasi minacciosa verso di loro, a dispetto dell'ambiente sereno che la circondava.
«Come siamo messi a provviste?» Si voltò a guardare Sanji e lui scattò subito sull'attenti, avvicinandosi a lei con aria adorante.
«Meravigliosamente, Nami-swan! Anche in caso che il viaggio subisca dei ritardi con il cibo siamo coperti per circa tre settimane, razionalizzando anche un po' di più. L'unica cosa che ci serve sul serio è l'acqua, perché le riserve stanno per finire.»
«Bene,» disse Nami con un vigoroso cenno del capo. «Allora sarà meglio procurarcela al più presto. Nel frattempo io mi occuperò della cartografia dell'isola e chiunque non sia impegnato ad aiutare me o Sanji può andare a cercare della frutta o a pescare.» Inspirò. «Mi chiedo solo quanto tempo serva al Logpose per registrare il magnetismo di quest'isola…»
«Navigatore?» La voce calma e pacata di Robin irruppe nei suoi pensieri e lei si voltò a guardarla, lievemente in apprensione.
«Sì?»
«Giorni fa ho iniziato un libro che parla proprio di quest'isola,» le spiegò con il sorriso sulle labbra. «Secondo le informazioni riportate pare servano dalle due alle tre ore perché il Logpose ne rilevi il magnetismo.»
Nami sorrise. «Grazie mille, Robin. Allora faremo così: avete tutti circa tre ore di tempo per mettere insieme i rifornimenti e rilassarvi, nel frattempo io mi occuperò di disegnare la cartina.»
«Ti accompagno io, Nami-san!» la interruppe Sanji e lei lo ignorò, continuando a dare ordini come se niente fosse: «Cercate di non combinare niente di strano e di non mettervi nei guai, siamo intesi?»
Tutti gridarono meccanicamente il loro «Signorsì!» e senza aggiungere altro Nami si diresse verso la sua cabina per recuperare tutti gli strumenti che le sarebbero serviti. Quando era già sulla porta, Robin la intercettò, richiamando la sua attenzione: «Scusa, Navigatore?»
Il sorriso di Nami si smorzò un poco, quando vide la sua espressione accigliata: «Cosa c'è?»
«Come ti ho detto, ho iniziato a leggere questo libro solo pochi giorni fa,» disse, sollevandolo nella sua direzione perché lei lo vedesse, «e non conosco ancora i dettagli, ma qui dice che è sconsigliabile vagare per la foresta, perché pare essere un posto piuttosto pericoloso.» Tutto a un tratto, Robin sorrise. «Te lo dico perché non voglio che ti accada qualcosa mentre disegni la cartina e anche perché non sarebbe consigliabile perdere tanto tempo su un'isola che pare deserta, dico bene?»
Nami si appoggiò le mani sui fianchi e guardò verso la spiaggia, verso la foresta che adesso, dopo le parole di Robin, le sembrava ancora più oscura e minacciosa.
«Si, hai ragione,» rispose dopo un momento. «Anche io ho avuto una brutta sensazione, quando siamo arrivati qui.» Sospirò. «Vorrà dire che mi limiterò a segnare i contorni della spiaggia e della foresta. La cosa veramente importante,» aggiunse con una smorfia, «e che a Lufy e gli altri non venga in mente di entrare o sarebbe un bel problema!»
E detto questo girò sui tacchi e tornò verso il parapetto della nave, sollevata di vedere che tutti stavano ancora bighellonando sulla spiaggia: «Ehi, voi, ascoltatemi!»
I ragazzi si voltarono nella sua direzione e Nami inspirò a fondo, prima di parlare: «Robin dice che quella foresta alle vostre spalle potrebbe essere pericolosa, quindi vi proibisco categoricamente di entrarci, altrimenti giuro che scadute le tre ore vi abbandono qui, ci siamo capiti?»
Usop, Lufy e Chopper si guardarono in faccia l'uno con l'altro: «Perché sta guardando proprio noi?»
«Nami-san! Robin-chan! Vi giuro che farò tutto quanto è in mio potere per tenere questi idioti lontano dalla foresta!»
Nami sospirò, visibilmente più tranquilla. «Va bene, Sanji-kun, li lascio a te.» Detto questo si diresse nuovamente nella sua cabina e dopo aver preso tutto l'occorrente scese dalla nave canticchiando e si avviò lungo il bagnasciuga con la sua penna tra le dita e il sorriso sulle labbra.
Le ci vollero circa due ore e mezza per seguire tutto il perimetro dell'isola – che era piuttosto piccola, in realtà – e a parte la foresta non le restò da segnare altro che un fiumiciattolo che si trovava poco distante dal luogo in cui avevano attraccato, nella parte più meridionale, e alcuni ruderi di quello che, a prima vista, sembrava un vecchio castello eroso quasi completamente dal tempo. Tornò alla loro spiaggia senza fretta, sebbene la vicinanza alla foresta le faceva venire un po' la pelle d'oca, e tirò un sospiro di sollievo quando vide che tutti i suoi compagni erano rimasti esattamente dove lei voleva che restassero.
«Nami-san, sei tornata finalmente!» Non appena la vide Sanji le andò subito incontro e quando si fermò davanti a lei le porse un vassoio che teneva in mano e su cui era poggiata un'enorme coppa di gelato guarnita con frutti esotici.
«So che non ci saremmo dovuti avvicinare alla foresta, ma questi frutti pendevano dagli alberi al limitare ed erano troppo deliziosi perché io li lasciassi dov'erano e non gli offrissi alla creatura più splendida di quest'isola! Senza contare che dopo tutto il tuo duro lavoro sarai stanca e disidratata!»
Nami non si piegò nemmeno di lato per vedere se anche Robin avesse ricevuto lo stesso trattamento. «Grazie, Sanji-kun,» disse, la voce suadente. «È stato molto gentile da parte tua,» aggiunse e mentre lui si perdeva in una valanga di cuoricini lei si rivolse a tutti gli altri che, nel frattempo, avevano smesso di fare quello che stavano facendo.
«Bene,» disse dopo aver controllato il suo Logpose. «Il magnetismo è stato registrato, quindi in teoria siamo pronti a partire. L'acqua?» chiese e Sanji le si presentò davanti di nuovo sull'attenti: «Siamo a posto,» confermò e Nami esitò solo un momento per guardare di nuovo in direzione della foresta.
«Va bene, direi che possiamo andare.»
Lufy, Usop e Chopper salirono per primi sulla nave, seguiti a ruota da Robin che si era sistemata sulla spiaggia con la sua sdraio che ora stava riportando a bordo usando la tecnica delle Dix Fleurs. Per ultimi salirono Nami e Sanji che la seguiva con i suoi occhi adoranti.
I preparativi per far ripartire la nave procedevano svelti e senza distrazioni e proprio nell'istante in cui erano quasi pronti a salpare Usop si staccò dal gruppo e lo videro fissare un punto vuoto lungo il ponte della nave con un sopracciglio lievemente inarcato. Lui si guardò attorno per un momento e poi, lievemente a disagio, si voltò verso il suoi compagni con un'espressione atterrita.
Lufy sbatté le palpebre e gli si avvicinò, per nulla preoccupato, solo curioso: «Che c'è che non va?»
«C'è qualche problema?» chiese Nami dal timone e Usop li guardò uno per uno, come se stesse cercando nei loro sguardi la risposta alla domanda che non aveva ancora formulato. Deglutì. «Ragazzi,» chiese, la voce lievemente tremante. «Dov'è Zoro?»
Per un lungo momento, sulla Going Merry cadde il silenzio.






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N/A
Ed eccoci già al secondo capitolo! Che aggiornamenti lampo! (Okay la smetto...)
Dunque, cosa dire? Chiaramente questa storia è ambientata da qualche parte tra l'arrivo di Robin nei Mugiwara (noterete che questa parola non compare mai, perché sono ridicolmente affezionata a "Cappello di Paglia" .__. Mi sembra un nome molto più idiota, ecco XD), e la cosa è così per due ragioni: la prima, perché oggettivamente c'è già troppa gente per una fanfic che dovrebbe essere concentrata principalmente su tre personaggi e, la seconda, è perchè sono ridicolmente indietro con il Manga. Sarò al numero quattordici, tipo. E non è ancora comparso nemmeno Chopper. Quindi vi pregherei di fare i carini e dirmi se qualcosa di Robin o Chopper non andasse, perchè non li conosco ancora molto bene. ;__; *si vergogna* (Ma non solo su di loro, eh, anche su tutti gli altri ragazzi! ^^)
Comunque, spero che questo capitolo non vi dispiaccia troppo! ^^




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Capitolo 3
*** Hanno preso Nami! ***


SCHEMAEFP2

Hanno preso Nami!




«Allora, l'avete trovato?»
«Qui non c'è!»
«In cabina non si trova.»
«In cucina?»
«Niente da fare, Nami-san, qui non c'è!»
«Non lo vedo!»
«Non è nemmeno in infermeria!»
«Non può essere sulla nave, non ci sono più neanche le sue spade!»
«Sono d'accordo: abbiamo setacciato la nave da cima a fondo, Navigatore, non c'è.»
«Oh, ma insomma, che fine ha fatto quell'idiota?»
Dopo quasi un'ora di ricerche infruttifere che avevano sparpagliato i membri della ciurma in giro per tutta la nave e gli immediati dintorni, tutti tornarono a rapporto sul ponte, davanti a una Nami così nervosa che avrebbe potuto dare fuoco all'intera Going Merry con una semplice occhiata. Scrutò tutti i suoi compagni uno per uno e senza nemmeno cercare di assumere un tono di voce vagamente umano, disse: «Spiegatemi com'è possibile che una persona sparisca in questo modo assurdo e senza lasciare tracce.»
Tutti si guardarono tra loro e poi sospirarono, scuotendo il capo. «Forse è sceso ed è andato a farsi un giretto.»
Lufy si portò le braccia dietro alla nuca e si strinse nelle spalle. «Se la caverà. Insomma, è sempre Zoro, no? Se lo aspettiamo tornerà indietro.»
«Con il suo senso dell'orientamento completamente inesistente?» si intromise Sanji con una smorfia, mentre si accendeva una sigaretta. «Potrebbero volerci dei giorni anche solo perché riesca a ritrovare la nave da dietro quell'insenatura,» disse, indicando col pollice una lieve protuberanza della costa che nascondeva la nave a chiunque fosse dall'altra parte.
Usop iniziò a lamentarsi per qualcosa mettendosi le mani nei capelli e Nami inspirò a fondo, iniziando a trovare veramente insopportabile tutta quella situazione: «Giorni che noi non abbiamo!» gridò, facendo arretrare tutti gli uomini di un passo. «Se ci siamo fermati su quest'isola è solo perché dovevamo rilevarne il magnetismo per il Logpose: i programmi erano che saremmo arrivati alla prossima isola entro la fine del mese e non dopo!»
«Ma possiamo aspettarlo per qualche ora, no?» chiese Lufy e Nami lo zittì con un'occhiataccia che non ammetteva repliche.
Poi, dopo un istante, inspirò a fondo e tornò a fissarli come se le fosse appena venuta in mente un'idea al contempo assurda e spaventosa: «Ma scusatemi tanto,» chiese, la voce così bassa e minacciosa che tutti quanti sentirono le ossa ghiacciarsi. «Zoro era sulla nave, giusto?»
«Sì,» confermò Sanji dopo un momento. «Quando sono sceso era lì in quell'angolo che dormiva, come al solito.»
«E voi non vi siete allontanati dalla nave, dico bene?» incalzò Nami, sempre più tetra e terrificante.
I pirati scossero il capo. «Io e Sanji ci siamo spostati un po' in là lungo la costa per prendere l'acqua dal ruscello,» spiegò Usop, recuperando un minimo di coraggio. «Ma tutti gli altri erano qui sulla spiaggia o ancora sulla nave, dico bene?»
Chopper annuì. «Io sono stato quasi tutto il tempo in infermeria, e da quando sei andata via, Nami, non l'ho più visto.»
Robin sospirò, scostandosi con un gesto fluido la frangia dalla fronte: «La nave non è mai stata senza sorveglianza, Navigatore. In un modo o nell'altro, c'era sempre qualcuno che la teneva d'occhio.»
Nami inspirò a fondo. «E allora mi volete spiegare come è possibile che Zoro sia svanito completamente nel nulla?»
Per un momento nessuno rispose e Robin prese di nuovo l'iniziativa, parandosi davanti a Nami che era pronta a picchiare qualsiasi cosa le fosse capitata sotto tiro. «Direi che sapere come è successo sia il minore dei nostri problemi, adesso.» Fece una breve pausa e attese che Nami assumesse un'espressione vagamente più tranquilla, prima di continuare: «Quello che dobbiamo scoprire al più presto è dove è finito il signor Spadaccino. Non vorrei,» aggiunse, con un'aria improvvisamente crucciata e Nami seguì la linea del suo sguardo verso la spiaggia e ancora oltre, fino alla foresta fitta su cui sembrava essere calata una nube oscura e minacciosa.
«Non dirmi che...»
«No, non può essere: Nami si era raccomandata che noi non entrassimo nella foresta, no?»
«È del Marimo che stiamo parlando,» disse Sanji con una lieve nota di disprezzo nella voce. «Lui è capacissimo di combinare questo genere di casini. Senza contare che quando Nami-swan si è raccomandata di star lontano dalla foresta lui dormiva, come suo solito.»
Dopo un momento, Lufy cominciò a borbottare sottovoce qualcosa che assomigliava vagamente a un «Però non è giusto!» I suoi compagni lo guardarono incuriositi e dopo una lunga manciata di minuti in cui fu palese che non aveva alcuna intenzione di smetterla di lamentarsi tra sé e sé Nami gli diede una violenta botta in testa, costringendolo a tacere una volta per tutte: «Si può sapere cos'hai da borbottare, adesso?!»
Lufy guardò Nami storto e, dopo essersi ulteriormente lamentato della botta, tornò a mettere il broncio: «Era un avventura!» esclamò, incrociando le braccia al petto come un bambino. «E se Zoro è entrato nella foresta, allora voglio entrarci anch'io!»
«Ma che cos'hai, cinque anni?!» urlò Nami, prima di rivolgersi nuovamente a tutti quanti: «Nessuno entrerà nella foresta fino a che non lo dirò io, siamo intesi?»
«E che facciamo con Zoro?» chiese Chopper, che fino a quel momento era rimasto al riparo dietro le gambe di Usop, troppo spaventato dalla navigatrice per osare aprire la bocca. Nami gli scoccò un'occhiataccia e lui tornò dietro il suo scudo umano, sebbene anche questi avesse le ginocchia che sbattevano violentemente l'una contro l'altra.
«Per quello che mi riguarda, Zoro può anche arrangiarsi!»
«Ben detto Nami-swan!»
«Non abbandoneremo Zoro da solo nella foresta!» Lufy era scattato in avanti, gli occhi spalancati e la mascella contratta, con dipinta in viso un'espressione che non prometteva niente di buono. Nami sbatté le palpebre un paio di volte, un po' spaventata da quel suo repentino cambio di umore e indietreggiò impercettibilmente, tanto che quasi nemmeno lei se ne rese conto.
«Lufy…» Sapeva che lui teneva a tutti loro come se fossero stati la sua famiglia e per questa ragione le sembrava impossibile che lui pensasse che lei volesse abbandonare Zoro per davvero. Insomma, lei l'avrebbe fatto senza problemi, ma non pensava che Lufy pensasse che lei potesse pensarlo. O una cosa del genere. «Lufy, io…»
«E quindi io andrò nella foresta a prenderlo!» dichiarò Lufy cogliendola quasi alla sprovvista e Nami fece appena in tempo ad afferrarlo per la collottola che le sue gambe e la sua testa erano già fuori dalla nave.
«No che non ci andrai!»
«E invece sì!»
«E invece no!»
«Lufy, è pericoloso! Chissà cosa potrebbe accaderti là dentro!»
«Io. Ci. Voglio. Andare
«Dovresti seguire i consigli della tua navigatrice, pirata dal Cappello di Paglia!»
La voce era pacata e melodiosa, quasi languida e la ciurma di pirati si rese conto solo dopo un lungo momento che non proveniva da terra, ma dal cielo. Sollevarono tutti i nasi per aria e videro un grosso animale dall'apertura alare immensa che volteggiava attorno all'albero maestro della loro nave; nessuno di loro parlò e la bestia planò dolcemente verso il ponte, atterrando morbidamente tra la ciurma radunata a poppa e il campo di mandarini.
L'animale che avevano davanti era l'uccello più grosso che avessero mai visto; somigliava a un gabbiano o un albatro e dall'altro dei suoi due o tre metri di altezza li scrutava con un cipiglio severo, quasi come se fosse pronto a beccare ognuno di loro da un momento all'altro.
Lufy, ora completamente distratto dalla foresta, lo guardò con un sopracciglio vagamente inarcato e, indicandolo spudoratamente con il dito indice, si rivolse a Nami: «È stata quella gallina a parlare?»
«Cosa vuoi che ne sappia, io?!»
«Non sono una gallina!» ribatté la voce di prima e tutti spalancarono le bocche e gli occhi, nell'osservare il maestoso uccello.
«Questa gallina parla davvero!» esclamarono in coro e la voce iniziò a borbottare: «Io non sono una gallina e questo uccello non è una gallina!» I pirati sbatterono le palpebre e la voce sbuffò, richiamando la loro attenzione: «Sono quaggiù.»
Tutti fecero scivolare lo sguardo lungo il corpo massiccio e piumato dell'animale e puntarono lo sguardo verso il pavimento, dove l'ometto più basso e barbuto che avessero mai visto si stava sbracciando per attirare la loro attenzione.
«Oh, mamma!» esclamò Usop, indicandolo. «Guardatelo, è perfino più basso di Chopper!»
Lufy strabuzzò gli occhi e si chinò verso di lui, una mano sotto il mento. «A voi non ricorda nessuno?»
«Somiglia un po' a Gaimon,» disse Nami, dopo averlo studiato a lungo con attenzione. «Solo che lui è vestito.»
«Gaimon chi?» chiese Sanji, improvvisamente ingelosito senza nessun motivo e Nami scrollò le spalle, indicando il piccoletto. «Un tizio che viveva si un'isola deserta, lo abbiamo conosciuto io e Lufy quando ancora tutti voi non facevate parte della ciurma.»
Per una strana ragione, Sanji rifilò a Lufy un'occhiata omicida, e lui sorrise, beatamente ignaro, e si batté una mano sul ginocchio: «Hai ragione!» esclamò, cominciando a ridere. «Chissà come se la passa con quei suoi strani animali? Mi piacerebbe tanto incontrarlo di nuovo!»
Nami, suo malgrado, sorrise quando le tornarono in mente tutte le loro prime avventure. «Già. Sarebbe bello.»
«Scusate!» si intromise di nuovo il piccoletto, riuscendo dopo una manciata esasperante di minuti ad attirare nuovamente su di sé tutta l'attenzione. «Oh, ma insomma, avete finito o no di chiacchierare? Non siete nemmeno un po' preoccupati per la sorte del vostro amico?»
Lufy sbatté le palpebre. «Ma chi, Gaimon?»
«Sta parlando di Zoro!» urlarono Usop e Chopper in coro e Lufy sbatté di nuovo le palpebre, fissando i due con uno sguardo quasi vitreo. «Be', Zoro è Zoro. Se la caverà, no?»
«Non devi dirlo a noi!»
«Quindi tu sai dov'è il nostro compagno?» si intromise Nami che era stufa che la conversazione venisse gestita da quel branco di idioti.
Sulla faccia del nanetto comparve una smorfia divertita che, purtroppo per lui, si perse nella sua barba. «Forse sì o forse no. Quello che è certo è che con  ogni probabilità non ne uscirà mai più. Non vivo, almeno.»
Tutti i pirati tacquero, voltandosi all'unisono verso l'ometto e questa volta a nessuno venne in mente di mettersi a scherzare.
«Di che stai parlando, noce di cocco con troppo pelo?» chiese Sanji schiacciando la sigaretta tra i denti e Lufy avanzò fino a trovarsi a pochi centimetri dal suo naso, improvvisamente minaccioso: «Parla chiaro, falso Gaimon: dov'è Zoro?»
L'uomo non si lasciò scomporre e sollevò un dito verso il cielo, facendolo poi scivolare lentamente verso il basso, piano piano e quando si fermò stava indicando l'isoletta e la foresta che, anche a quella distanza, riusciva a far venire i brividi.
«Dite un po', qualcuno di voi avrà il coraggio di andare a prenderlo?» ghignò e Lufy era già sul punto di partire quando la voce di Nami li interruppe di nuovo.
«Che cos'è quella foresta? Perché Zoro non può uscirne vivo?»
«Quella foresta è un labirinto, signorina navigatrice. E chiunque sia così stupido da entrarvi non riuscirà mai più ad uscire. Il vostro compagno è spacciato!»
Sanji espirò dalla sua sigaretta. «Be', chi se ne frega se è un labirinto o che so io, tanto quell'idiota non sarebbe in grado di trovare la strada nemmeno se fosse l'unica in uno spiazzo aperto circondato solo da campi deserti,» disse, esalando il fumo dalle labbra. «Il punto è che se ce l'hai portato tu, significa che tu puoi uscire dal labirinto, non è così?» gridò e tutto a un tratto l'uomo si trovò schiacciato contro il parapetto con un piede piantato direttamente sullo stomaco. Dopo un momento Sanji premette con più insistenza, facendo forza sul ginocchio. «Quindi, dato che non abbiamo tempo da perdere né col Marimo né con i tuoi stupidi giochetti, che ne dici di andare a riprendere quel grosso idiota e portarlo qui? In questo modo nessuno si farà del male e noi ce ne potremo andar via tranquilli.»
L'ometto guardò Sanji con un sorriso strafottente stampato in faccia. «Oppure no, Sanji il cuoco.»
Sanji spalancò gli occhi, allentando leggermente la presa. «E tu come diavolo fai a sapere il mio nome?»
«Io so tutto di voi, ciurma di Cappello di Paglia,» disse e ridacchiò, nonostante il piede che lo teneva sollevato da terra gli impedisse di respirare a dovere. «Ma lascia che sia io a farti una domanda, adesso. Che ne dici di smetterla di preoccuparti per lo Spadaccino e non cominci a chiederti che ne sarà della ragazza? Credo che ora sia lei ad avere più bisogno del tuo aiuto, non ti sembra?»
«Di cosa stai…?»
«Aiuto!»
Tutti sollevarono gli occhi al cielo all'unisono e, proprio sopra le loro teste, videro che il grosso uccello aveva nuovamente spiccato il volo; solo che, questa volta, teneva Nami saldamente tra gli artigli.
Sanji lasciò l'ometto che cadde seduto sul ponte e lui e Lufy corsero quasi in contemporanea nella direzione in cui l'animale stava portando via Nami.
«Ma come diavolo ha fatto?» gridò Usop e Robin strinse le labbra in una smorfia, volgendo lo sguardo verso l'uomo che non aveva ancora accennato minimamente ad alzarsi. «Forse è così che sono riusciti a portare via Zoro,» mormorò e da lontano le arrivarono le grida di Lufy e Sanji che erano in procinto di saltare giù dalla nave.
«Nami!» chiamò Lufy, con tutto il fiato che aveva in corpo e poi tutto a un tratto si fermò e si sistemò ben saldo sulle gambe, portando indietro il braccio di modo da riuscire a caricare un colpo abbastanza potente che riuscisse a raggiungere quel maledetto uccellaccio.
«Gom Gom…» iniziò, urlando a squarcia gola e in quel preciso istante Sanji gli saltò sulla testa, usando la spinta del suo collo per riuscire a fare un balzo abbastanza alto: «Sto venendo a salvarti, Nami-swaaaan!»
Lufy ricadde all'indietro e Sanji si librò in aria, piegando la gamba di modo da riuscire a colpire l'ala dell'uccello con tutta la forza che aveva.
L'animale attese fino all'ultimo e proprio quando lui era sul punto di colpire riuscì a scansarsi, facendogli perdere l'equilibrio e Sanji cadde nella sabbia a faccia in giù, proprio a pochi metri dall'inizio della foresta.
«Nami-san!» gridò e si alzò in piedi nel preciso istante in cui l'animale lasciava la presa e faceva cadere la ragazza proprio tra i primi alberi sul limitare del bosco. Sanji rimase spiazzato per un momento e poi riprese a correre, entrando nella foresta senza esitazione e continuando a chiamare la ragazza per nome.
Lufy si alzò in piedi e gli corse dietro a sua volta, determinato a riprendersi Nami e i suoi compagni ad ogni costo ma proprio quando ormai era quasi sul limitare della foresta una mano gli si strinse con forza attorno al collo della canotta, imitata immediatamente da una decina di altre mani che, vincendo la sua resistenza, riuscirono a trascinarlo lontano dagli alberi e sulla spiaggia, fino ai piedi nella nave.
«Lasciami andare, Robin!» gridò Lufy, divincolandosi e lei, senza lasciarsi scomporre, lo caricò nuovamente a bordo, bloccandolo contro il parapetto dall'altra parte del ponte. «No,» gli rispose, gelida. «E se non la smetterai immediatamente ti butterò a mare, Capitano.»
Lufy rimase immobile per un lungo istante e poi digrignò i denti, prima di abbassare il capo. Robin inspirò a fondo. «Chiaramente quel posto è pericoloso, o non ci avrebbero fatto finire i nostri compagni. Fammi scoprire qualcosa in più su quest'isola, prima di lasciarti andare: non sarebbe orribile se oltre allo Spadaccino, il Cuoco e il Navigatore, ti perdessi anche tu, Capitano?»
Lufy non rispose e strinse i pugni, continuando a ostinarsi a non guardare Robin in faccia e dopo un momento la donna lo liberò dalla sua presa, lasciandolo libero. Nessuno disse più una parola e l'uomo dell'isola cominciò a ridere, tenendosi la pancia con tutte e due le mani. «Siete formidabili, ciurma di Cappello di Paglia! Ma sì, ma sì, andate pure tutti, che importa? Tanto nessuno di voi ha le caratteristiche che servono per uscire da quel labirinto, e senza la vostra preziosa navigatrice siete spacciati, sulla Grand Line!» rise di nuovo e Lufy, impossibilitato a fare altro, si scagliò contro l'uomo con tutto il suo peso, tirandogli un pugno così forte che lo fece volare in aria come se fosse stata una pallina da tennis.
«Torneranno tutti indietro, mi hai sentito? Torneranno e poi te la faremo pagare!»
Il grande uccello comparve dal nulla e, silenzioso com'era arrivato, raccolse l'uomo sul proprio dorso e volò via, lasciandosi dietro soltanto la rabbia dei pirati e le risate che, dalla sua schiena, sembravano raggiungere tutti gli anfratti dell'isola.
Lufy si issò in piedi sulla polena e allargò le braccia, inspirando così tanta aria che ad un certo punto credé di essere arrivato al punto di scoppiare. «Loro torneranno!» ripeté, agitando le braccia in aria come un ossesso per mascherare quel filo di paura che, lentamente, si stava facendo largo dentro di lui. «Loro torneranno di sicuro!»






____________________________________
N/A
Bene, finalmente sta succedendo qualcosa! (<-- se lo dice da sola).
Onestamente, mentre scrivevo questo capitolo, ero terrorizzata. .__. Insomma, nella mia mente Lufy avrebbe insistito per andare ad ogni costo, quindi bisognava trattenerlo in qualche modo: ho pensato che così sarebbe plausibile, no? *entra nel panico*
Ah, già, sì, a proposito di "Lufy": lo so che in teoria sarebbe o Rufy o Luffy, come compare scritto nell'Anime, però ho preso il via con questo e siccome sono culopesa non ho più modificato: se ci sarà una prossima volta con OP (e ci sarà) (sì, una minaccia) sceglierò una versione meno ibrida, mi spiace! ^^




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Capitolo 4
*** Nella foresta ***


SCHEMAEFP2

Nella foresta




Quando Zoro aprì gli occhi si rese conto quasi di sfuggita di non essere più sulla Going Merry. Sbadigliò, stirò le braccia e la schiena e si mise seduto con le gambe incrociate, cominciando a guardarsi attorno con la vista ancora un po' appannata e un sopracciglio vagamente inarcato.
No, rifletté, lasciandosi scappare uno sbadiglio lungo e rumoroso che naturalmente non si premurò neanche di coprire con la mano, quella non era decisamente la loro nave. Tutto intorno a lui si riusciva soltanto a distinguere il verde degli alberi e dei cespugli, perfino i vecchi tronchi alti e nodosi erano completamente ricoperti da un manto quasi vellutato di muschi o licheni o alghe o qualsiasi cosa fossero quei grumi verdi che si distribuivano a grandi macchie sulla corteccia. Quando si rese conto che anche cercando di allungare lo sguardo il più possibile non sarebbe riuscito comunque a vedere altro che quella fitta vegetazione Zoro si alzò in piedi e guardò verso l'alto, cercando di individuare almeno un pezzettino di cielo sopra la propria testa, ma a parte qualche sporadico spicchio di azzurro pallido qua e là era impossibile vedere qualunque cosa che si trovasse oltre ai rami e alle foglie che si richiudevano come un tetto sopra la sua testa.
Istintivamente, Zoro posò la mano sulle spade. «Dove diavolo mi trovo?» si chiese a bassa voce, iniziando a sentire uno strano formicolio attraversargli tutta la colonna vertebrale fino alla base della nuca. Ricordava benissimo di non ricordarsi per niente che fossero attraccati su qualche isola; l'ultima volta che aveva visto la Merry stavano procedendo lungo la loro rotta senza intoppi, una volta tanto, e per questo ad un certo punto aveva deciso che non sarebbe stato affatto male schiacciarsi un bel riposino, e si era appisolato proprio sul ponte della nave, nel suo solito posticino tranquillo dove pensava che nessuno sarebbe andato a disturbarlo.
Possibile che quello fosse uno scherzo dei suoi compagni? Era improbabile, anche perché l'unico cuoco che avrebbe potuto architettare una cosa del genere alle sue spalle generalmente era più propenso a prenderlo a calci nel sonno, piuttosto che trascinarselo dietro per miglia e miglia in una foresta fitta e buia ottenendo solo il risultato di far arrabbiare la sua preziosissima Nami-swan oltre ogni dire perché questo li avrebbe fatti procedere in ritardo sulla tabella di marcia.
Che fosse diventato sonnambulo? Non aveva mai sofferto di niente del genere e dubitava di esserlo diventato tutto a un tratto: l'unica spiegazione plausibile era che qualcun altro lo avesse portato lì, e questo qualcuno non era un membro della sua ciurma.
Strinse con forza la mano attorno all'elsa della sua spada e poi la fece scivolare verso il basso, estraendo la lama di qualche centimetro, pronto a reagire a qualsiasi assalto. Divaricò le gambe, si mise in posizione e attese immobile per una manciata di minuti, fino a che non avvertì ancora quel brivido alla base della nuca e si voltò di scatto, trovandosi davanti solo altri alberi.
«Chi c'è?» gridò, mentre i suoi occhi scattavano da una parte all'altra vigili, i nervi tesi come corde di violino. «Venite fuori, sono pronto a ricevervi!» Attese ancora un momento e tutto attorno a lui rimase immobile, avvolto da un silenzio quasi opprimente che faceva apparire distante anche il rumore delle poche foglie che il vento leggero riusciva a far muovere.
Zoro deglutì e poi si passò la lingua sulle labbra secche, prima di percepire di nuovo quel brivido, questa volta molto più vicino. C'era qualcuno, lì, lo sentiva. Era una presenza quasi opprimente, fastidiosa, e lui si sentiva come se ci fosse qualcuno alle sue spalle che gli soffiava nel collo e spariva non appena lui cercava di fronteggiarlo. «Che vigliacchi,» mormorò, riavvicinando le palpebre. «Venite fuori, bastardi!»
Per un lungo momento non si sentì un fiato e poi, all'improvviso, Zoro sentì una voce. Di primo acchito non l'aveva riconosciuta: gli era sembrato un normalissimo rumore che proveniva dalla foresta, forse il verso di un animale ma, facendo più attenzione, riuscì a distinguere una voce che apparteneva sicuramente ad un essere umano e se non fosse stata così debole sarebbe anche stato in grado di distinguere qualche parola. Sul suo viso comparve un ghigno divertito. Non c'era alcun dubbio che quelli fossero i suoi nemici: chi altri avrebbe potuto trovarsi lì nella foresta a così breve distanza da lui e attrarlo in un modo tanto irresistibile?
Si voltò di lato e sguainò la spada, puntandola verso un grosso albero che improvvisamente aveva assunto un aspetto quasi minaccioso. «Se non volete essere voi a venire da me, allora sarò io a venire a prendere voi,» disse e con un movimento rapido fece a fette il tronco, facendolo cadere di lato e liberando così la strada. Non rimase a guardare la sua opera e cominciò a correre con l'elsa stretta nel pugno e un'espressione esaltata e insieme omicida dipinta sul viso, allontanandosi suo malgrado dalla voce che, proprio in quel momento, si era fatta così vicina che avrebbe potuto riconoscerla senza un minimo di difficoltà.


«Aiuto!»
Nonostante quel volo improvviso l'avesse spaventata oltre ogni dire, Nami riuscì comunque a trovare la forza di gridare mentre cadeva come un peso morto nel bel mezzo del tappeto di alberi che si stendeva a macchia d'olio sotto di lei.
Scivolò tra le foglie, colpì un grosso ramo con l'anca e poi cadde ancora di più verso il basso, sull'erba che si trovava sotto di lei e che, per qualche ragione, era terribilmente scomoda e ricoperta da lunghe aste dure che si aprivano sotto il suo sedere e le tenevano sollevate le gambe, come se fosse finita in braccio a qualcuno che se ne stava seduto per terra.
«Ti ho presa, Nami-san!»
Nami sbatté le palpebre e quando credé di poter finalmente ricominciare a controllare a dovere il suo corpo si voltò lentamente, trovandosi davanti la faccia adorante di Sanji che la fissava con gli occhi brillanti e a forma di cuoricino.
«Sanji-kun!» esclamò lei, sorpresa di vederlo lì. Non sapeva esattamente il perché ma, sebbene fosse un pensiero completamente irrazionale, per un secondo ebbe come la sensazione che il cuoco fosse l'ultima persona che avrebbe dovuto vedere in un posto come quello – e credeva anche di sapere chi fosse, invece, la persona che avrebbe dovuto essere lì con lei, ma l'immagine che si stava lentamente delineando nella sua mente svanì come una scritta sulla sabbia cancellata dalle onde quando la voce di Sanji irruppe di nuovo nei suoi pensieri.
«Ho visto dove quell'uccellaccio ti ha lasciata cadere, Nami-san, e grazie al cielo sono riuscito a prenderti al volo. Altrimenti chissà cosa ti sarebbe successo se non fossi accorso subito a salvarti!»
Nami capì che lui stava praticamente delirando da solo e sospirò, alzandosi in piedi. «Grazie mille, Sanji-kun, mi sono presa un bello spavento.»
Gli sorrise e lui sprecò un buon quarto d'ora ad esaltarsi da solo. Nami lo lasciò fare e nel frattempo si guardò attorno, cercando di individuare qualsiasi segno che potesse indicarle dove si trovavano rispetto alla nave e alla spiaggia dov'erano attraccati. Studiò a lungo il Logpose che portava al polso, ringraziando mentalmente che non si fosse danneggiato nella caduta, e quando Sanji si decise finalmente a stare zitto, lei lo incalzò: «Dobbiamo muoverci,» disse, secca, spostandosi di qualche passo verso la propria sinistra. «Il Logpose indica che la prossima isola si trova a nord ovest rispetto a questa,» spiegò, continuando a muoversi sul posto per riallineare le coordinate. Dopo un lungo momento si fermò proprio davanti a Sanji, dandogli le spalle. «Quando eravamo sulla nave l'ago indicava quella direzione,» disse, facendo un rapido cenno col capo, «e questo significa che il luogo in cui ci troviamo adesso è parallelo alla spiaggia dove siamo attraccati.» Sorrise. «Non ci resta che andare da quella parte e riusciremo a tornare dagli altri senza problemi!»
Sanji guardò la linea che lei stava tracciando con il dito, e annuì. «Infatti mi sembra proprio di essere arrivato per di là.»
«Bene,» sospirò Nami, sollevata. «Allora per prima cosa usciamo da qui, perché non mi sento per niente a mio agio. E poi,» aggiunse, quasi di controvoglia, «cercheremo di inventarci qualcosa per trovare Zoro.»
«Non devi aver paura, mia adorata Nami-swan!» esclamò lui, ignorando completamente la seconda metà del suo discorso. «Il tuo Sanji è qui a proteggerti!»
Nami non gli rispose e dopo che ebbero controllato per l'ultima volta le coordinate si incamminarono l'uno accanto all'altra, in silenzio. Camminarono a lungo e senza soste, guardandosi attorno di quando in quando nel tentativo di individuare la fine della foresta e la spiaggia e dopo quasi mezzora si fermarono tra due grossi alberi, stanchi e confusi.
«Senti, Sanji-kun,» cominciò Nami, la voce piccola e lievemente accigliata. «Hai corso così tanto per venirmi a prendere?»
Il cuoco rimase un momento immobile e poi scosse il capo. «No. L'uccello ti ha fatta cadere proprio tra i primi alberi, ci ho messo poco meno di un minuto a raggiungerti.» Inspirò a fondo. «Prima non c'era tutta questa foresta, tra noi e la spiaggia.»
Nami tremò un poco e studiò nuovamente lo strumento che portava al polso, tanto per essere sicura che non avessero preso una strada sbagliata. Deglutì. «Ma se quello che dici è vero, perché il Logpose segna che stiamo procedendo sempre per la direzione giusta, allora?»
Sanji si chinò sulla sua spalla e studiò a sua volta lo strumento, sebbene non riuscisse a capirci un granché. Non gli venne in mente neanche per un secondo di mettere in dubbio le capacità e le conoscenze di Nami e quindi si sollevò, tornando a guardarsi attorno.
«Che razza di posto è questo, si può sapere?»
«Quella foresta è un labirinto, signorina navigatrice. E chiunque sia così stupido da entrarvi non riuscirà mai più ad uscire. Il vostro compagno è spacciato!»
Le parole dell'uomo dell'isola colpirono entrambi nello stesso istante e i due tornarono a guardarsi negli occhi, incapaci di nascondere la paura che iniziavano a sentire.
«Il labirinto,» disse Nami, gli occhi spalancati, e Sanji scosse il capo, osservando le piante massicce che sembravano voler impedire loro di procedere oltre.
«È ridicolo,» disse, la voce carica di sdegno. «Se è un labirinto dovrà pur esserci un'uscita, no?»
Nami si leccò le labbra e istintivamente gli si avvicinò un po' di più, iniziando a sentirsi improvvisamente più vulnerabile – perché diavolo la sua presenza non riusciva a tranquillizzarla?
«Forse non è un labirinto come gli altri,» azzardò, cercando nel frattempo di liberarsi dei pensieri stupidi che le attraversavano la mente. «Forse non possiamo uscire a meno che non facciamo qualcosa o troviamo qualcuno. Forse proprio Zoro.»
«Idiota di un Marimo!» sbottò Sanji che, appena sentito il suo nome, si era quasi dimenticato del fatto che Nami gli fosse così vicina, in quel momento. «Se ci troviamo in questo casino è solo perché si è fatto rapire come un allocco!»
Nami inspirò ed espirò un paio di volte, cercando di calmarsi e si allontanò di un passo da Sanji, perché non riusciva davvero più a sopportare tutta quella vicinanza. «Va bene,» cominciò, iniziando a sentirsi un po' meglio. «Allora la prima cosa che faremo sarà recuperare Zoro e poi, forse, riusciremo ad uscire.» Sanji non rispose e lei si morse il labbro inferiore, studiando il Logpose come se fosse la sua unica ancora di salvezza. «Da che parte andiamo?»
«Non ne ho idea,» ribatté Sanji, accendendosi la prima sigaretta da quando era entrato nella foresta. «Questo posto è infernale!»


«Ma questo dannato posto è un labirinto!»
Zoro aveva corso per ore attraverso tutta la foresta, tagliando liane, fronde, cespugli e qualsiasi altra cosa avesse trovato sul suo cammino eppure, nonostante lui facesse di tutto per proseguire sempre nella stessa direzione, gli sembrava di continuare a girare in tondo. Osservò l'ambiente che lo circondava con occhio critico, studiando le piante tutte uguali e i cespugli mezzi distrutti ammassati ai piedi delle radici.
«Qui ci sono già stato,» disse, con un sopracciglio inarcato. Dopo un istante guardò davanti a sé e strinse con più forza la mano attorno alla spada, quando vide spuntare nell'erba un sentiero di cui prima non si era accorto o che semplicemente non era mai stato lì. Avanzò con cautela, cercando in ogni modo di captare qualsiasi rumore potesse essergli utile per riuscire a orientarsi in quel labirinto e non appena mise un piede sul sentiero percepì di nuovo quel brivido. Scattò indietro, come se la terra sotto ai suoi piedi bruciasse, e voltò il capo verso la sua destra cercando con gli occhi qualcosa che era comparso nella sua mente ma di cui non riusciva a ricordarsi.
Era una figura umana, però, ne era certo. E, in fondo, sentiva anche che quella persona era il responsabile di tutte quelle strane sensazioni che sentiva muovendosi in quella sottospecie di labirinto. Deglutì e senza nemmeno pensarci riprese a correre, inseguendo quel brivido che sembrava non volergli lasciare scampo.
E dopo una mezzora, era tornato dritto di filato esattamente nello stesso punto.
«Ma non è possibile!» gridò, mettendosi le mani nei capelli. «Altro che labirinto, questo posto è stregato!»
Poi all'improvviso si voltò di scatto e allungò la spada avanti a sé, arrivando quasi a sfiorare il muso di un grosso, placido felino con la punta della sua lama. Era un animale ordinario ma, nonostante non desse il minimo segno di voler attaccare, Zoro non abbassò la spada.
«Che cosa vuoi?» chiese e l'animale rimase perfettamente immobile, limitandosi solo di quando in quando a muovere le orecchie nella sua direzione. «Mi stavi seguendo anche prima, vero? Cosa vuoi?» chiese di nuovo, la voce più alta. «Non ho niente da mangiare, per te.»
L'animale fece oscillare ancora le orecchie e si sedette davanti a lui con tutta tranquillità, come se la spada non gli facesse alcun effetto. Zoro lo guardò dall'alto in basso e, dopo un solo istante, colpì.
L'animale non fece nulla per difendersi e quando la lama della sua spada lo attraversò da parte a parte la bestia si spezzò in due, rovinando a terra senza emettere il minimo suono. Zoro piegò le labbra in una smorfia infastidita.
«Una macchina,» disse, osservando i cavi recisi che ancora emettevano scintille e l'interno della creatura completamente rivestito di metallo. Si chinò a terra, appoggiando il gomito sul ginocchio, e studiò da vicino i circuiti della creatura che ancora ronzavano indisturbati, nonostante lui non riuscisse a capirci un accidente.
«Non ho idea di cosa sia questo affare,» disse, mentre si alzava nuovamente in piedi, «ma secondo me non significa niente di buono.» Sollevò gli occhi in aria e inspirò a fondo.
«Finitela una buona volta con questi stupidi giochetti! Se volete combattere venite fuori, è inutile che vi nascondiate qui intorno come dei topastri!» gridò, allargando le braccia e, mentre ancora le parole sgorgavano dalla sua bocca, non si accorse minimamente di un paio di occhietti stretti e brillanti che, nascosti dietro al tronco dell'albero che lui aveva fatto a fette poco prima, studiavano silenziosamente ogni sua mossa.






____________________________________
N/A
Ed ecco che arriva anche il nostro terzo eroe! Fate tutti un bell'applauso a Zoro, il protagonista che compare solo a partira dal terzo capitolo! *__* (Lui è bello così, che ci vogliamo fare? <3)
Onestamente non ho molto da dire su questo capitolo, in realtà è più di transizione, tanto per cominciare a disporre i personaggi sulla schacchiera.
E comunque non illudetevi, per tutta la fic Zoro non farà cose molto diverse da ciò che fa in questo capitolo. XD No, seriamente, io ho il terrore a scrivere di lui, mi sembra di dire cavolate. ;__; Mentre con Nami mi sento un po' più a mio agio e con Sanji... Be', Sanji è il mio preferito (mica per niente la storia comincia con lui ♥) quindi sì, ho un po' il terrore, ma meno, perché mentre scrivo fangherlo in contemporanea. ù__ù (Non è una buona politica, vero? XD)




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Capitolo 5
*** Sanji e Nami separati! ***


SCHEMAEFP2

Sanji e Nami separati!




Nami e Sanji, dispersi nel bel mezzo della foresta, continuavano a girare sul posto alla ricerca di qualsiasi segno che avesse potuto indicare loro la via da seguire, senza rendersi nemmeno conto del fatto che era già da un pezzo che non riuscivano più a mantenere un contatto visivo degno di quel nome; tutto il loro corpo era in tensione, come se adesso che avevano deciso che la loro priorità fosse trovare Zoro al più presto possibile fosse scattato qualcosa che rendeva loro quel posto ancora più odioso di prima.
Sanji sollevò gli occhi in aria, guardando le foglie che si richiudevano come un guscio sulla sua testa e espirò il fumo denso che gli stava quasi stagnando nei polmoni. «Non abbiamo proprio altra scelta, vero?» mormorò tra i denti, gettando la cenere e la cicca spenta sul manto d'erba.
Nami scosse il capo. «Nemmeno a me piace quest'idea,» ribatté, la voce lievemente più aspra di quanto lei avrebbe voluto. «Ma dato che evidentemente da soli non possiamo uscire, almeno cerchiamo di restare tutti uniti.» Si passò una mano sulla fronte e si asciugò alcune gocce di sudore che le stavano scivolando sugli occhi.
«Fa un caldo terribile,» mormorò e quando si voltò verso Sanji vide che lui indossava ancora la camicia con le maniche lunghe e la cravatta annodata stretta attorno al collo. Sbatté le palpebre. «Si può sapere come diavolo fai a rimanere vestito così? Io sto morendo!»
Sanji si strinse nelle spalle e per un momento fissò la propria cravatta come se la vedesse ora per la prima volta. «No, io sto bene,» cominciò e Nami tagliò la conversazione con un gesto secco della mano, tornando a voltarsi dall'altra parte.
«Non fa niente,» disse, sbrigativa. «Adesso cerchiamo di fare qualcosa di costruttivo, perché più restiamo bloccati qui meno possibilità abbiamo comunque per tornare da Lufy e gli altri.»
Sanji non si accorse per niente di come la sua voce aveva tremato quando aveva detto le ultime parole e come se niente fosse si accese l'ennesima sigaretta. «Va bene, andiamo.» Espirò la prima boccata di fumo. «Direi che possiamo proseguire per di qua,» disse, dando a sua volta le spalle a Nami.
La ragazza si strinse nelle spalle. «Non che faccia poi molta differenza, visto e considerato che non abbiamo idea di dove andare e che nemmeno il Logpose può aiutarci…»
«È di qua,» ripeté Sanji tra sé e sé, osservando una striscia di alberi che sembravano svilupparsi regolarmente davanti a lui. Nami osservò nella stessa direzione e strinse le labbra in una linea sottile, scuotendo un poco il capo.
«Non ne sono sicura,» disse, tirandosi un po' più indietro. «Insomma, questo non solo è un labirinto, ma stiamo pur sempre parlando di Zoro: conoscendolo lui potrebbe essere messo anche peggio di noi.»
Per la prima volta, Sanji non le rispose. Attese un istante e poi cominciò a camminare tranquillamente in mezzo alla macchia di alberi, come se sapesse esattamente dove stesse andando. Nami spalancò gli occhi e gli corse dietro, affiancandolo prima che lui sparisse dietro un grosso tronco.
«Come fai ad essere sicuro che questa sia la strada giusta?» disse, sentendo che le ginocchia iniziavano a tremarle. «Perché io ho una bruttissima sensazione.»
Sanji scosse il capo. «È per di qua.»
«Lo hai visto?» incalzò lei, i pugni serrati. «Hai visto Zoro?» insisté e, di nuovo, Sanji fece segno di no.
«Credo però di aver sentito qualcosa,» disse, abbassando la testa per evitare un ramo. «E veniva da questa direzione.»
«Io non ho sentito niente,» disse Nami, guardandosi attorno guardinga. «E comunque, anche se ci fosse veramente qualcuno, come facciamo a essere sicuri che si tratti di Zoro?»
«Se si trattasse di qualcuno dell'isola,» disse lui, senza nemmeno voltarsi a guardarla, «potremmo sempre costringerlo in qualche modo a portarci fuori da qui, con o senza il Marimo.» Poi improvvisamente si fermò e si girò nella sua direzione, fissandola con la sua solita espressione adorante. «Non devi davvero temere niente, Nami-san. Farò tutto ciò che è in mio potere per tirarci fuori da qui!»
Nami gli sorrise e annuì appena, stringendosi le braccia al petto. «Va bene,» gli disse, facendo un piccolo cenno col capo. «Mi fido di te.»
Il sorriso di Sanji si fece ancora più ampio e senza aggiungere altro si incamminò di nuovo con Nami che lo seguiva a ruota e che, nonostante lui sembrasse così sicuro di sé e così tranquillo, non riusciva a non pensare che avrebbero fatto meglio a prendere un'altra strada.


«Sono tornato qui.»
Zoro incrociò le braccia al petto e, con il capo reclinato da una parte, si fermò a studiare il grande albero che aveva davanti, quello vicino al quale si era ritrovato quando si era svegliato ormai parecchio tempo prima. Levò la spada e fece un segno sulla corteccia, accanto a tutti quelli che aveva già fatto tutte le altre volte in cui era immancabilmente ritornato al punto di partenza – al momento erano circa ventisette.
Si grattò la testa con la mano e digrignò i denti, studiando tutti gli alberi che lo circondavano. Era già andato in tutte le direzioni possibili, pensò, osservando l'ambiente ormai familiare che lo circondava e nonostante tutto continuava a trovarsi sempre nello stesso punto, come se ci fosse una sorta di barriera che gli impedisse di andare più in là.
Quando questo pensiero si formò nella sua mente, lui sorrise. Sapeva benissimo per esperienza che ogni barriera poteva essere fatta a pezzi: quelle fisiche potevano essere distrutte con un semplice colpo di spada e quelle astratte potevano sparire grazie alla semplice forza di volontà, e a lui aveva la fortuna di possedere in abbondanza sia l'una che l'altra cosa.
Senza pensare ricominciò a correre a perdifiato in una direzione qualsiasi, così veloce che le gambe cominciarono quasi a fargli male. Corse a lungo, senza sosta, mentre i brividi tornavano a farsi più insistenti di prima e lui si lasciò guidare dal proprio istinto, allontanandosi il più possibile dal luogo in cui si trovava prima e quando mezzora dopo si fermò per riprendere fiato, inarcò un sopracciglio e sospirò, levando la spada sopra la sua testa e lasciandola poi cadere contro la corteccia solida che aveva davanti agli occhi.
«Sono tornato qui,» disse. E inflisse all'albero il ventottesimo colpo.
Tutta quella faccenda stava diventando veramente fastidiosa – e c'erano sempre quei maledetti brividi che lo attraversavano violentemente, accompagnati dal suono di quella voce che non riusciva a riconoscere ma che sembrava chiamarlo a gran voce, attirandolo verso una direzione che, nonostante tutti i suoi sforzi, non riusciva ancora a trovare.


Mano a mano che procedevano verso l'interno della foresta, Nami continuava a sentirsi sempre peggio. Non era un dolore fisico, in realtà, nonostante i piedi le facessero male per il gran camminare e la testa fosse sul punto di scoppiare: era una sensazione di disagio più profonda, che le nasceva direttamente da dentro. Si disse che forse ti trattava solo di una suggestione causata sia dalle parole di Robin che da quelle del tizio che era comparso sulla nave, ma più tempo passava lì dentro più sentiva che non avrebbe retto oltre.
Cadde a terra con un singulto e Sanji si voltò a guardarla dopo un momento, accorrendo subito al suo fianco. «Nami-san!» la chiamò, inginocchiandosi al suo fianco e appoggiandole le mani sulle braccia, cercando di tenerla su per quanto possibile. «Ti senti male? Hai bisogno di aiuto?»
Nami lo fissò un momento, guardandolo come se non lo riconoscesse e dopo un poco scosse il capo, abbozzando un sorriso. «Sto bene,» gli rispose debolmente. «Ce la faccio, ho solo bisogno di un attimo di tregua.»
Sanji strinse le labbra in una linea dura, facendosele quasi sbiancare. Non capiva nemmeno lui il perché, ma c'era qualcosa di terribilmente fastidioso nel dover star lì, in mezzo alla foresta, con Nami che non riusciva quasi più a camminare. «Stupido Marimo,» borbottò tra sé e sé, mentre la ragazza si aggrappava a lui per rimettersi in piedi. «È tutta colpa sua se Nami-swan è ridotta in questo stato.»
Nami si raddrizzò a fatica e dopo un momento si disse pronta a proseguire. Sanji aggrottò le sopracciglia: «Ne sei sicura?» le chiese, allarmato. «Non preferiresti riposarti un momento, prima?»
Lei scosse il capo e si costrinse a fargli un sorriso abbastanza risoluto. «Neanche per idea, più stiamo fermi più tempo perdiamo, dico bene?»
Sanji oppose un po' di resistenza ma quando Nami continuò ad insistere si arrese, tornando a fissare il folto degli alberi. «Sei così eroica Nami-san!» esclamò, cercando di mettere nella propria voce tutto l'entusiasmo possibile e lei non rispose, limitandosi a fissare un sentiero piuttosto tranquillo che si apriva tra le grosse piante come lo scorrere placido di un torrente e quasi non si accorse che Sanji la lasciava andare e ricominciava ad incamminarsi per la sua strada, le mani in tasca – e non fece nemmeno caso al fatto che, da quando aveva deciso la direzione da prendere, aveva quasi del tutto smesso di fumare le sue sigarette.
Nami sbatté le palpebre un paio di volte, continuando ad osservare il sentiero e ad un certo punto sentì un venticello fresco accarezzarle le guance mentre poteva quasi sentire il profumo salmastro del mare nelle radici. «Sanji-kun!» chiamò, senza neanche cercarlo con lo sguardo. «Ho sentito il profumo del mare, siamo vicini all'uscita.»
Detto ciò si alzò in piedi e, sicura che lui la stesse seguendo come al solito, si incamminò in quella direzione, fiancheggiando un grosso albero che sembrava quasi essere uno spartiacque tra quell'orribile situazione e la loro salvezza. Dopo un momento, Nami aveva cominciato a correre. Non sapeva perché fosse così avventata, ma mentre prima sentiva di non avere più nemmeno la forza di respirare, adesso le sembrava di essere fresca come una rosa, riposata come dopo una lunga dormita.
Corse alla cieca nella direzione che le suggeriva il suo istinto e, ad un certo punto, quando le sembrò di essere ormai arrivata a destinazione, si voltò indietro in direzione di Sanji, gridando: «Hai visto che ce l'abbiamo fatta? Avresti dovuto ascoltarmi fin da subito invece di…» Si interruppe a metà, la voce bloccata in gola, gli occhi così spalancati da farle male almeno quanto il suo stomaco che si contraeva con violenza ogni volta che cercava di respirare.
«Sanji-kun?» chiamò, la voce rotta. «Dove sei?»


«Scusami, hai detto qualcosa, Nami-san?»
Sanji, nel frattempo, continuava a camminare. La strada era difficile da percorrere, fastidiosa e disseminata da piante basse e grossi cespugli che gli bloccavano il passo, ma lui continuava a procedere come se niente fosse, sicuro al cento per cento che quella fosse la direzione da prendere. Erano già passati all'incirca una decina di minuti da quando si erano concessi quella breve sosta, ma aveva la sensazione che da allora la voce eccitata di Nami fosse riuscita a raggiunto solo in quel momento, come se la sua testa fosse stata piena per tutto il tempo di pensieri decisamente più importanti di ciò che lei aveva da dirgli – il che, onestamente, era veramente assurdo.
Lui si fermò, quando lei non gli diede nessuna risposta e aggrottò le sopracciglia prima di voltarsi alle proprie spalle, dove era certo che avrebbe trovato Nami, a pochi passi da lui.
«Va tutto… Nami-san!» gridò, gli occhi spalancati, quando davanti a sé vide solamente un grosso albero dal tronco spesso e, dietro a questo, soltanto il fitto della foresta.
Nami non c'era più. Sanji rimase immobile con la bocca spalancata, il sudore freddo che gli correva lungo tutta quanta la schiena. No, non poteva essere successo. Dopo quel momento di panico iniziò a guardarsi intorno frenetico, e tutta la sua mente sembrò risvegliarsi di colpo, come se fino a quel momento fosse stato in una specie di stato di dormiveglia. «Come ho potuto permettere che accadesse?» si disse, mettendosi le mani nei capelli. «Come?!»
Chiuse gli occhi per un momento e inspirò a fondo, cercando in vano di calmarsi e pensare lucidamente. «Nami-san!» chiamò, girando su se stesso come una trottola. «Dove sei, Nami-swan?» No, no, no! Poteva abbandonare il Marimo, poteva lasciare indietro tutta la ciurma, perfino, ma perdere Nami era una cosa che, assolutamente non si sarebbe mai potuto perdonare. Non quando aveva continuato a prometterle senza sosta che l'avrebbe protetta e si sarebbe preso cura di lei.
«Nami-saaan!»


«Sanji-kun? Maledizione, Sanji-kun, dove ti sei cacciato?»
Nami fece qualche passo e poi, nonostante una parte di lei le dicesse di continuare, tornò indietro. Sicuramente, lui non l'aveva sentita quando lei gli aveva detto che avrebbe presto un'altra strada, quella da cui proveniva il profumo del mare.
Perché non era stato a sentirla? Perché non si era assicurata che lui la stesse seguendo, prima di incamminarsi?
Sentì le lacrime pungerle gli occhi e fece un gran respiro, poggiandosi una mano sui capelli alla ricerca di un conforto che non trovò. Si morse il labbro inferiore. Maledetta foresta, pensò, scuotendo il capo. Maledetta, maledetta foresta senza senso, imprecò, iniziando a sentire le lacrime agli occhi. Maledetto Zoro che li aveva trascinati in quel pasticcio e maledetto anche Sanji che non le aveva dato retta l'unica volta in cui era veramente necessario che lo facesse.
«Vieni fuori, Sanji-kun, sono qui! Mi senti? Sono qui! Sanji-kun


All'improvviso, Zoro si fermò.
Si era inoltrato nel bel mezzo della foresta altre tre volte e, come sempre, era tornato al punto di partenza, incapace di rompere quella barriera sia con le sue spade che con la sua forza di volontà che, a causa di tutti gli sforzi, ormai era quasi completamente prostrata.
L'ambiente che lo circondava non era per niente familiare ma lui non ci fece minimamente caso. Il suo corpo era scosso da brividi incontrollabili e perfino le spade al suo fianco avevano cominciato a tremare, chiuse nella stretta salda della sua mano.
«Questo postaccio è veramente maledetto,» disse, le sopracciglia così aggrottate da sembrare quasi una linea unica e poco prima di ricominciare a correre senza meta, sentì di nuovo in lontananza quella voce che prima di quel momento non aveva mai sentito così vicina.
«Vi troverò, bastardi!» disse, rivolto a quella presenza che sentiva incombere su di lui come una minaccia. «Vi troverò e ve la farò pagare cara!»


«Ma che diavolo significa?»
Sanji spalancò gli occhi e gelò sul posto, osservando tutto ciò che aveva intorno come se si fosse trovato nel luogo più spaventoso della terra. Aveva girato in lungo e in largo per riuscire a trovare Nami, ripercorrendo i propri passi e quelli che pensava essere stati quelli di lei in tutt'altra direzione e ora, nonostante lui non riuscisse a capire come fosse possibile, era di nuovo al punto di partenza, il luogo in cui si era reso conto la prima volta che Nami non lo stava più seguendo.
«Non riusciremo davvero più a uscire da questo labirinto,» si disse, iniziando a sentire la rabbia e la paura farsi largo dentro di lui quasi con violenza, mentre faceva di tutto per trovare una via di fuga, un segno che potesse fargli capire che non tutto era ormai perduto. «Nami-san!» chiamò, terrorizzato. «Nami-san!»
Sapeva di chi era la colpa se si trovavano in quella situazione e sapeva che quando l'avrebbe trovato gliel'avrebbe fatta pagare così cara da fargli passare per sempre la voglia di mettersi in situazioni tanto pericolose.
«Dove diavolo sei, idiota di uno spadaccino?!» gridò, con tutto il fiato che aveva in corpo, incapace di trattenersi oltre – e non si rese minimamente conto che, se avesse taciuto solo un istante prima, avrebbe sentito distintamente il rumore secco di un paio di stivali che, correndo sull'erba e i rametti rinsecchiti, si allontanavano da lui.






____________________________________
N/A
Ecco, lo scorso capitolo di transizione ci stava portando a questo. ♥ (Sì, Sanji e Nami devono stare separati perché ewww -.-")
Non essendo io un portento a raccontare sulla lunga distanza, spero che non sia troppo noioso tutto questo tira e molla tra i personaggi e, soprattutto, spero che non sia troppo confusionario! ;__; Volevo dare abbastanza visibilità a tutti e tre - e se vi state chiedendo da dove venga questa struttura narrativa astrusa in cui non si capisce niente, prendetevela con Lost.
Che poi è una cosa di base, con me. Lost, dico. XD
Bene. Io spero tanto che a voi coraggiosi arrivati fin qui questa storia non stia facendo troppo schifo, ecco! ;__;




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Capitolo 6
*** Adhin, Duva, Thrie ***


SCHEMAEFP2

Adhin, Duva, Thrie




Sotto la superficie dell'isola, esattamente dove si trovavano le rovine che Nami aveva segnalato sulla sua cartina durante il giro di ricognizione, si trovava il luogo in cui vivevano gli abitanti dell'isola. Era un posto buio e silenzioso, fresco, e nonostante le apparenze in superficie suggerissero che tutto era lasciato in uno stato di abbandono, la stanza in cui si trovavano in quel momento era tappezzata dagli oggetti più incredibili e tecnologicamente avanzati che si fossero mai visti in tutta la Grand Line: grosse macchine che funzionavano a elettricità erano collegate da cavi spessi e di vari colori e, sulle pareti, si trovavano degli oggetti rettangolari che somigliavano a grossi specchi e che, invece di riflettere l'immagine di chi li stava guardando, mostrava altre persone che si trovavano in luoghi completamente diversi.
Un uomo enorme dalle gambe tozze e arcuate entrò nella stanza con passo pesante, osservandosi attorno con i suoi occhietti porcini prima di soffermarsi a guardare verso uno di questi schermi con un sopracciglio pericolosamente inarcato; espirò del fumo pesante dal suo sigaro e grugnì qualcosa, prima di sputare sul pavimento. «Ehi, Adhin, che è successo alla telecamera numero sette? Perché non trasmette più?»
Adhin, un individuo alto e magro dalle dita agili e lunghissime voltò quasi la testa di centottanta gradi nella sua direzione. «Lo spadaccino, Zoro, l'ha scoperta e l'ha fatta a pezzi. La trasmissione era ancora regolare, ma non sarebbe più riuscita a seguirlo, quindi l'ho sostituita con la nove.»
«Ho capito,» biascicò l'uomo, maciullando il sigaro tra i denti. «E gli altri due?»
«Si sono separati, finalmente,» disse Adhin con la sua vocetta acuta e stridula. «Onestamente la cosa stava iniziando a preoccuparmi, ci hanno messo parecchio tempo.»
Dall'angolo, una risata bassa e melliflua li raggiunse, seguita immediatamente dal corpo basso e barbuto di un nanetto dagli occhi vivaci. «Adhin, Duva, dovreste smetterla di preoccuparvi inutilmente e soprattutto di mettere continuamente in discussione le mie scoperte: dopotutto sono settimane che teniamo sotto controllo la ciurma di Capello di Paglia, era impossibile sbagliare.»
Duva, l'uomo enorme con il sigaro, sbuffò. «Come ti pare, Thrie.»
L'ometto – Thrie – rise. «Sarebbe stato divertente, ve l'avevo detto. È così brutto vedere una ciurma tanto unita sbriciolarsi a quel modo, non trovate?» E rise ancora, sebbene nessuno degli altri due avesse la minima intenzione di seguirlo.
Duva sbuffò. «Abbiamo corso un rischio,» bofonchiò, osservando distrattamente i monitor. «E comunque non è andata per niente come avevamo previsto: non avevi detto che sarebbe sicuramente stato il Capitano della ciurma ad entrare per primo dopo la Navigatrice? In questo modo Cappello di Paglia può continuare liberamente le sue scorribande e a noi resta soltanto il Cuoco.»
Adhin si leccò le labbra sottili e, nonostante il tono che Duva aveva usato, Thrie cominciò a ridere di nuovo, gettando il capo all'indietro e tenendosi la pancia. «Lo vedi quanto sei stupido?» disse, ancora scosso dalle risate. «Sì, la nostra idea era di prendere Cappello di Paglia, e con ciò? Lo abbiamo fermato comunque! Senza Zoro la forza della ciurma è praticamente dimezzata e ora che anche Nami, la sua navigatrice, è in mano nostra non potranno comunque andare da nessuna parte, visto che nessuno di quelli che sono rimasti alla nave conosce un minimo di navigazione, senza contare che è lei ad avere il Logpose. Senza quello strumento e i suoi uomini più preziosi, Cappello di Paglia è comunque spacciato.» Rise ancora, come se trovasse il semplice suono della propria voce estremamente divertente e Adhin, dall'altro lato della stanza, si strinse nelle spalle.
«Probabilmente è come dici tu,» gli concesse, la voce annoiata.
Thrie scosse il capo, come se si fosse trovato davanti a dei bambini particolarmente stupidi. «E comunque, non è ancora detto che Cappello di Paglia non decida di entrare a sua volta. In fondo è quel genere di persona.»
Gli altri due tacquero per un momento, tornando a osservare i tre grossi schermi su cui comparivano, da diverse prospettive, Zoro Sanji e Nami che, infuriati e terrorizzati, correvano da una parte all'altra della foresta cercando i loro compagni.
«Chissà per quanto tempo resisteranno, ancora?» chiese Adhin e Duva aggrottò le sopracciglia, concentrando nuovamente la sua attenzione su Thrie.
«Aspetta un momento,» disse, improvvisamente allarmato. «Dalle immagini inviate dal tuo gabbiano sembra che il cuoco abbia una certa attrazione per la ragazza: che succederebbe se riuscisse a trovarla, dopotutto? Anche lei lo sta cercando.»
Thrie rise ancora. «Ma che idiota che sei! Com'è possibile che tu non capisca ragionamenti tanto elementari?» Sulle sue labbra si dipinse un ghigno spaventoso. «Sì, lui ha un debole per lei, e quindi? Tutto è ancora più divertente, in questo modo.»
«Cosa vorresti dire?» chiese Adhin, la voce atona, quasi annoiata.
«Quella ragazzina egoista non prova niente per lui, non prova niente per nessuno di loro: potrà anche credere di volerlo trovare, se le fa piacere, ma più il cuoco le sta alla larga più lei si sente tranquilla. Ora lo sta cercando perché fino a un minuto fa era il suo unico punto di riferimento: si fosse trovata lì con il Cecchino, il risultato sarebbe stato esattamente lo stesso.»
Duva morse il sigaro e, dopo essersi avvicinato alla scrivania, lo schiacciò nel posacenere come se fosse stato un insetto. «D'accordo, sarà anche come dici tu. Comunque spero che questa storia finisca al più presto, perché mi sto veramente seccando.»
Thrie si era avvicinato ed era saltato su una sedia e adesso faceva dondolare le gambe avanti e indietro come un bambino in attesa del suo gran divertimento. «Abbi pazienza, sai benissimo che ci vogliono dieci ore prima che la foresta assorba a pieno la vita dei sacrifici, e la ragazza e il cuoco sono dentro soltanto da tre ore.»
Duva si accese un altro sigaro. «Quindi mancano ancora sette ore prima che possiamo nutrirci delle loro anime? Che palle.»
Adhin stava per dire qualcosa a sua volta ma, dopo aver dato un'ultima occhiata agli schermi, strinse le bocca in una linea dura e le mani gli si bloccarono a mezz'aria, come paralizzate. «Non può…» mormorò, sbigottito e gli altri due si voltarono a guardarlo con le sopracciglia inarcate.
«Che c'è?»
«Credo che abbiamo un problema,» rispose Adhin, atterrito. «Pare proprio che quei tre stiano… stiano trovando la strada giusta.»
«Che cosa hai detto?!»
«Senza contare che due di loro,» aggiunse, osservando gli schermi con maggiore attenzione mentre lo sgomento iniziava a farsi largo sui suoi lineamenti generalmente impassibili, «sono quasi sul punto di incontrarsi.»


Sulla Going Merry sembrava essere appena passata una tempesta. Lufy era di umore nero: dopo aver gridato contro tutto e tutti, si era sistemato sulla polena con le braccia e le gambe incrociate, lo sguardo rivolto verso la foresta da cui non usciva un suono e che sembrava essersi ingurgitata in un sol colpo i suoi amici.
Inspirò, stringendo con forza le mani attorno agli avambracci. Sapeva che sarebbero tornati. Sapeva che da un momento all'altro Sanji e Nami sarebbero rispuntati dalla boscaglia e che, dopo di loro, anche Zoro sarebbe apparso, anche se da tutt'altra parte, e lui e Sanji avrebbero litigato come pazzi e Nami si sarebbe arrabbiata e li avrebbe costretti a muoversi perché lei non voleva restare su quell'isola. Sapeva che le cose sarebbero andate così, perché tra di loro era così che funzionava.
Si morse il labbro, quando sentì tutto il suo corpo fremere dal desiderio di entrare nella foresta, ma riuscì a trattenersi, sebbene controvoglia.
Sapeva che sarebbe andato tutto per il meglio, ma quell'attesa era veramente insopportabile.
Nel frattempo, Usop e Chopper si erano trovati qualcosa da fare per ingannare il tempo e distrarsi un po', pur senza grande successo e Robin, chiusa nella sua stanza, aveva letto con estrema attenzione i punti salienti del suo libro e ora era completamente immersa nella lettura nel capitolo che l'autore aveva dedicato alla foresta e all'incantesimo – così era definito – da cui era avvolta.
Le parole scorrevano sotto i suoi occhi veloci come un fiume in piena e mano a mano che il senso diventava sempre più chiaro lei sentiva il sudore gelido farsi largo lungo la sua schiena e le mani tremare appena nello sfogliare le pagine. Non è possibile, pensò e si alzò di scatto, abbandonando il libro aperto sulla sua scrivania. Si avvicinò alla propria libreria e quasi senza guardare scelse dall'ultimo scaffale un libro dalla copertina pallida e l'aria consunta che non aveva più toccato da quando era ragazzina.
Lo sfogliò velocemente fino a che non raggiunse il punto che le interessava e lesse avidamente quelle parole che non vedeva più ormai da tanto tempo e che, stranamente, nonostante non ci pensasse da anni, ora ricordava quasi a memoria.
«Ma è solo una favola,» sussurrò tra sé e sé, lanciando un'occhiata fuori dall'oblò in direzione dell'isola mentre chiudeva il libro, pur tenendo un dito tra le pagine per ritrovare il segno esatto. «Possibile?»
Il Labirinto degli Amanti, oltre ad avere un titolo dal fascino estremamente discutibile, era anche una storia che in tutta onestà non le era mai piaciuta granché. Tutto girava attorno a una giovane coppia di amanti che, per provare al mondo il loro amore, erano stati costretti a tentare l'impresa di ritrovare l'un l'altra nel Labirinto e di uscirne entro il calar del sole; se non ci fossero riusciti sarebbero entrambi morti e non si sarebbero potuti unire nemmeno in Paradiso. Le regole del Labirinto stabilivano che soltanto due persone che si amassero profondamente e in maniera incondizionata fossero in grado di trovare la strada che li avrebbe portati alla salvezza.
Naturalmente, come tutte le favole anche quella non aveva un lieto fine. Le rivali della protagonista, infatti, riuscirono a non farla entrare nel labirinto, cosicché il suo amato finì per perdersi e morire e quando lei lo venne a sapere si suicidò, incapace di sopportare una vita senza la presenza dell'uomo che amava.
Robin rilasciò il fiato lentamente, mentre rileggeva per l'ennesima volta il passo in cui venivano spiegate le regole del labirinto e di nuovo guardò verso la macchia d'alberi, sperando con tutta se stessa che quello che aveva letto fossero tutte sciocchezze.
Ma sì, ma sì, andate pure tutti, che importa? Tanto nessuno di voi ha le caratteristiche che servono per uscire da quel labirinto!
Le parole dell'abitante dell'isola le tornarono a mente come il rimbombo di uno sparo e lei strinse le labbra, mentre affondava le dita e le unghie tra le pagine del libro che aveva in mano. Caratteristiche? Possibile che si stesse riferendo a quella storia? E se sì, come aveva fatto a ricreare quel labirinto? O che fosse quella favola, invece, a far riferimento proprio a quell'isola?
Appoggiò il libro sul tavolo e tornò a sedersi alla propria scrivania, il capo basso e reclinato in avanti, mentre gli occhi spenti guardavano senza vederle le pagine del suo libro ancora aperto.
Se le cose stavano così, si disse, chiudendo gli occhi, non c'era più nulla da fare. Se fosse stata lucida, probabilmente si sarebbe chiesta come faceva, quel tizio, a sapere così tanto su di loro, ad essere così sicuro che non sarebbero mai stati in grado di spezzare l'incantesimo, ma nella sua testa continuavano a tornare le immagini dei suoi compagni persi per sempre e quando sollevò lo sguardo si accorse che, ormai, mancava pochissimo al tramonto.
Inspirò a fondo, passandosi una mano tra i capelli. «Non torneranno più,» disse. E per un lunghissimo momento, non fu più in grado di proferire una singola parola.


«Come sarebbe a dire che due di loro sono sul punto di incontrasi?!» Duva si era scagliato con violenza contro Adhin e sbatté il pugno sulla scrivania metallica per sottolineare tutta la rabbia che sentiva in quel momento.
Thrie, ancora seduto sulla sua sedia, aveva smesso di far oscillare le gambe. «Non è vero,» disse, rimanendo immobile come se fosse un grosso sasso. «Non è vero.»
«Non è vero?» sbraitò Duva, voltandosi verso di lui. «Vieni un po' qua e guarda con i tuoi occhi, se non è vero! Questi due sono praticamente vicinissimi, si incontreranno nel giro di un'ora o meno!»
Mentre sbraitava, Duva continuava ad indicare due schermi son la punta del sigaro e dopo un momento anche Thrie si decise a guardarli, rimanendo a bocca aperta. «Non è possibile,» bofonchiò. «Il gabbiano spia che avevo inviato sulla nave ha riferito dei dati precisi, quei due non possono assolutamente essere amanti!»
La sua voce solitamente melliflua e ammaliante si era quasi tramutata in uno squittio nervoso e Adhin scosse il capo, mimando con il corpo le parole che, un istante dopo, uscirono quasi con violenza dalla bocca di Duva: «Hai sbagliato! Tu e le tue spie, non avete fatto altro che crearci problemi dall'inizio di questa storia!»
«Ma davvero?» ribatté Thrie gracchiando come un uccellaccio. «Vuoi che ti ricordi chi è stato a portare qui per decenni e decenni navi di pirati per portare nutrimento a voi e al labirinto? Se non fosse stato per me e le mie spie, ora voi sareste solo un mucchietto di sassi e sterpaglie!»
I due continuarono a litigare a lungo, urlando e ringhiando l'uno contro l'altro come se fossero stati una coppia di animali selvaggi e nel bel mezzo di quella confusione di parole e oggetti che avevano cominciato a volare da una parte all'altra, Adhin riuscì in qualche modo a uscire da quello stato di delirio e a ritrovare pian piano la sua compostezza. Le sue mani smisero di sudare, la testa si svuotò improvvisamente di tutte le ansie e le paure e le paranoie e per un lungo momento rimase assolutamente immobile, intento a riflettere su un dettaglio all'apparenza insignificante che continuava a ronzargli nel cervello e che, mano a mano che sviscerava, sembrava tramutarsi nell'unica soluzione possibile al loro problema.
Attese a lungo, in silenzio, e quando gli altri due smisero di litigare li richiamò con la sua voce tranquilla, senza nemmeno voltarsi a guardarli.
«Forse ci resta una possibilità,» disse semplicemente. Gli altri due lo fissarono con gli occhi fuori dalle orbite e, dopo che gli ebbero fatto una lunga sequela di domande, alla fine si decise ad esporre la sua teoria. «Guardandoli con attenzione, sembra quasi che si stiano muovendo alla cieca. Si stanno cercando tutti e tre, in qualche modo, ma nessuno di loro sembra aver chiaro dove stia andando. Secondo me, sono ancora completamente inconsapevoli.»
«Che stai blaterando?» sbraitò Duva e Thrie spalancò gli occhi, lasciando che un sorriso salisse a incurvargli le labbra.
«Ho capito dove vuoi andare a parare.»
Duva li guardò tutti e due e poi sputò per terra, stufo di tutta quella perdita di tempo. «Be', io no. Che diavolo stai dicendo?»
«Non sanno dove andare, non sanno chi cercare: è per questo che ci hanno messo così tanto a trovare la via giusta. Fino ad ora, l'istinto li guidava da una parte ma loro seguivano soltanto la ragione che li spingeva da tutt'altra parte.»
«E con ciò?»
«Questo ci fa guadagnare tempo,» spiegò, placidamente. «Se riuscissimo a confonderli di più e a trattenerli ancora un po', alla fine morirebbero comunque senza arrivare da nessuna parte.»
Duva grugnì qualcosa tra sé e sé e poi disse: «Quindi se li affrontassimo direttamente riusciremmo comunque a ottenere ciò che vogliamo?»
«Esattamente.»
Thrie cominciò a ridere, gettando il capo all'indietro. «Così è ancora più divertente!» disse, stringendosi la pancia con entrambe le mani. «In questo modo, nonostante sarebbero destinati ad incontrarsi, la principessina e il suo cavaliere finiranno esattamente come nella favola.» Tacque un momento e poi sogghignò. «Mi piace,» disse. «Mi piace davvero. E se nessuno di voi ha niente in contrario, io mi occuperò della ragazza.»






____________________________________
N/A
Fono arrifati i cattifoni! *__*
Che ve ne pare? Abbastanza brutti? Abbastanza idioti? Abbastanza One Peaciani? (lol wut?)
Parlando di cose serie, si sta capendo qualcosa vero? ;__; (Sì, ho il terrore di non essermi spiegata, mi spiace. ;__;)
Tornando ai cattivi, i nomi sono stati la parte più difficile: alla fine ho scelto una cosa molto semplice, che ora vi illustro. ^^ Siccome il prompt è "Tre personaggi" volevo che anche loro facessero riferimento al contesto, solo che non potevo chiamarli Uno, Due e Tre (ma neanche Primo, Secondo o Terzo) perché avrebbe fatto troppo Baroque Works e non volevo che accadesse. ù__ù
Quindi ho fatto una cosa puccissima: ho preso i numeri russi e ho un po' storpiato la fonetica/grafia per non scriverli troppo uguali (Odin in particolare, perchè Odin è solo Odin. ù__ù)




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Capitolo 7
*** L'incontro con gli abitanti dell'isola ***


SCHEMAEFP2

L'incontro con gli abitanti dell'isola




Dopo aver passato ore a vagare da sola per la foresta, Nami iniziava davvero a temere che fosse tutto inutile. Di Sanji non si vedeva neanche l'ombra, e nonostante lei non avesse smesso un istante di chiamarlo a gran voce lui non era comparso da nessuna parte e ovunque si girasse non riusciva a trovare un segno o un indizio che lui fosse passato da quella parte.
«Sanji-kun?» provò di nuovo, senza energia, ormai quasi più per abitudine e tossì leggermente, sentendo la gola ormai arsa e secca. Lì intorno, notò in quel momento, non c'era niente da bere e sugli alberi non c'era neanche uno dei frutti deliziosi che Sanji le aveva fatto trovare nel suo gelato ore prima, quando ancora consideravano l'isoletta un luogo tranquillo con un minuscolo dettaglio da evitare.
Si passò la mano sulla fronte e sugli occhi, senza sapere se si stesse liberando del sudore o delle lacrime, e fece qualche passo verso est, seguendo una piccola scia d'aria che la raggiungeva tra le fronde, ricordandosi vagamente di tutte quelle storie in cui i protagonisti uscivano dai guai perché ad un certo punto qualcuno di loro sentiva un soffio di vento o vedeva una luce in lontananza.
Sospirò, lasciando che l'arietta fresca che accarezzasse il viso e tutto a un tratto Nami mise senza accorgersene il piede in fallo, ritrovandosi lunga distesa sull'erba con il naso premuto al suolo. «Accidenti!» imprecò, sollevandosi a fatica sulle braccia. «Non basta questa situazione assurda, pure questi stupidi rami devono per forza rendermi tutto difficile!» imprecò e quando si voltò per liberare il piede da quelli che lei credeva essere lunghi rami su cui era inciampata si paralizzò, gli occhi spalancati e la voce che lentamente le moriva in gola. «Non può essere…» Scivolò via velocemente sulla pancia e si appiattì contro il tronco di un albero poco distante, stringendosi con forza la caviglia tra le dita, come se avesse bisogno di infonderle calore, anche se in quel momento tutto il suo corpo aveva cominciato a tremare.
«Oh, mio Dio.» Deglutì e si fece ancora più piccola, mentre con lo sguardo studiava l'ammasso di asticelle lunghe, affusolate e pallide su cui era caduta e che non potevano in alcun modo essere rami caduti dagli alberi. «Ossa,» sussurrò e il suo corpo tremò ancora più violentemente quando individuò anche il cranio, gettato da parte e le ossa del bacino. «Anche quel tizio si è…» No, no, no, lei non si sarebbe mai ridotta in quello stato. Sanji-kun sarebbe venuto a salvarla, lo sapeva, doveva solo aspettare un altro po' e cercarlo meglio, con più energia.
Si sarebbe salvata. Si sarebbe salvata ad ogni costo.
«Aiuto!» gridò, scuotendo il capo. «Qualcuno venga a prendermi! Sanji-kun! Zoro! Aiuto, Lufy
Sentì le lacrime spingere prepotentemente contro le sue palpebre e le ricacciò indietro, trovando anche la forza di alzarsi in piedi. «Piangere è inutile, Nami,» si disse, strofinandosi la punta del naso con il polso. «È inutile. Devi farti forza.» Fece un lungo respiro profondo e facendo del suo meglio per non guardare né pensare alle ossa ammonticchiate poco lontano da lei ricominciò ad incamminarsi, i pugni serrati e le labbra strette in una linea dura, mentre ad ogni passo sentiva la determinazione crescere sempre di più, come se ora che si trovava sul punto di arrendersi del tutto sentisse più che mai il bisogno di continuare a combattere.
In quell'istante, sentì nuovamente una folata di vento. Si girò su se stessa, per cercarne la fonte e dopo un momento vide un'ombra immensa piombare su di lei e fece appena in tempo a scansarsi di lato per evitare gli artigli di un grosso uccello che era piombato al suolo portando sul suo dorso un ometto piccolo e barbuto che, da sopra la testa dell'animale, la scrutava con i suoi occhietti vivaci e un ghigno malevolo dipinto in volto.
«Stavi andando da qualche parte, cara Nami?»
Lei spalancò gli occhi e arretrò fino a che non incontrò una grossa corteccia con le spalle. «Il falso Gamon,» bisbigliò, terrorizzata e poi, come se si fosse accorta solo in quel momento di quanto terrorizzata e patetica dovesse apparire si fece forza e avanzò, fino a trovarsi a qualche metro dal grosso uccellaccio.
«Che cosa vuoi, falso Gamon?» chiese, cercando di far trasparire dalla propria voce una tracotanza che non sentiva minimamente.
L'ometto, naturalmente, non si lasciò impressionare dalla sua messinscena. «Che cosa voglio io? Forse sei tu a volere qualcosa da me, ragazza Navigatrice,» biascicò con la sua voce morbida e scivolò a terra, a fianco dell'animale.
Nami cercò di sorridere. «Io? Qualcosa da te? Che assurdità. Cosa mai dovrei volere, da te?»
«Oh, non lo so,» ribatté lui, accarezzando il fianco del suo uccello. «Stavo pensando che, magari, tu volessi uscire da questa foresta. Non sei stufa di gironzolare qui attorno senza meta?»
«Tu puoi… farmi uscire?» chiese, improvvisamente speranzosa e poi si tirò indietro, guardinga. «No, non ti credo. Se ci hai fatti finire qui non ci tirerai fuori come se niente fosse solo perché te lo chiedo io, vero?» Lui non rispose e lei, dopo aver scrutato il suo sorrisetto, inspirò a fondo. «Tu vuoi qualcosa in cambio,» disse, e lui non si prese nemmeno la briga di annuire.
Nami deglutì e strinse i pugni, cercando in quel modo di infondersi un po' di coraggio, prima di fargli un'altra domanda: «Si può sapere chi diavolo sei e che cosa vuoi da noi?»


«Allora, hai sentito che ho detto? Chi diavolo sei?»
Sanji si accese l'ennesima sigaretta e, come stava già facendo da una manciata di minuti a quella parte studiò attentamente lo strano individuo che aveva davanti agli occhi e che da quando era arrivato non aveva dato il minimo segno di volersi muovere. Era una creatura dall'aspetto vagamente umanoide, con la testa a forma di pera rovesciata che si chiudeva con una sorta di bocca appuntita o di becco; era magro, tanto che si potevano quasi contare le sue costole e le sue dita erano lunghe e affusolate, giallognole come degli spaghetti poco cotti.
Sanji sbuffò dalla sua sigaretta e poi la strinse con forza tra i denti, iniziando seriamente ad innervosirsi. Non bastava essere rinchiuso in quella specie di labirinto inquietante, adesso gli toccava addirittura avere a che fare con gente strana comparsa da chissà dove, quando tutto ciò che lui avrebbe voluto fare era cercare e trovare Nami-san e metterla al sicuro.
«Ehi, coso, sei vivo?» gli chiese, avvicinandosi. La creatura non si mosse e cominciò a dondolare leggermente, come se fosse sospinto da una folata di vento che Sanji non sentiva. Mi vuoi rispondere o no?! Disse, tra sé e sé, sentendo la rabbia crescere ad ogni passo che lo avvicinava a quello strano tipo, e quando fu abbastanza vicino gli mise la punta del piede tra le costole. Improvvisamente la creatura sollevò le mani e gli strinse la caviglia tra le dita filacciose, facendogli roteare la gamba e lanciandolo via, lontano da sé.
Sanji atterrò violentemente contro un grosso albero pieno di spuntoni e serrò la mascella per non lasciarsi scappare la sigaretta, mentre un sorrisetto saliva a piegargli le labbra. «Allora sei vivo,» disse, alzandosi in piedi. «E dato che sicuramente puoi anche parlare, rispondi alla mia domanda, e dimmi immediatamente chi siete e dove si trova adesso Nami-san!»
«La ragazza è nella foresta, ma tu non riuscirai mai a trovarla.»
Sanji spalancò gli occhi, colto alla sprovvista. Bene, quindi quell'affare ripugnante parlava per davvero. Sputò la sigaretta quasi del tutto consumata sull'erba e se ne accese subito un'altra, dando quasi fondo alla riserva del suo accendino. «Dici di no, eh?» ribatté, sicuro di sé. «Ma chissà, magari con una brutta guida a indicarmi la strada potrei perfino riuscire a trovare Nami-san e uscire da qui: non ti sembra una buona idea?»
«La ragazza è nella foresta,» disse, sollevando per la prima volta gli occhi su di lui. «Ma tu non riuscirai mai a trovarla.»
Sanji imprecò tra i denti. «Questo lo hai già detto, idiota. E io ti ho detto che invece riusciremo a trovarla, pensa un po'.»
«Tu non puoi trovarla.»
«Vuoi finirla di ripetere sempre le stesse idiozie? Sei qui per prendermi per i fondelli o solo farmi sprecare del tempo prezioso che potrei usare per cercare Nami-san?»
«Perché vuoi trovare la ragazza?»
Sanji aprì la bocca per parlare ma la richiuse immediatamente, stupito di non riuscire a sputare fuori una risposta immediata ad una domanda così ridicolmente semplice. «Ma che domanda è?» chiese, incrociando le braccia al petto. «Mi sembra logico il perché, idiota.»
L'uomo piegò la grossa testa da una parte, scrutandolo con i suoi occhietti tondi e scuri. «Trovare la ragazza è davvero così importante?»
«Certo che è importante!» sbottò, lieto di essere riuscito finalmente a tirare fuori la voce. «Devo assolutamente trovare Nami-san per portarla al sicuro fuori da qui, perché lei stessa è estremamente importante!»
«E lo spadaccino, allora?»
«Ma chi se ne frega del Marimo!» ribatté, accorgendosi solo dopo di avergli risposto in ritardo e con una voce decisamente poco convincente. Che diavolo gli stava succedendo? «Lui può cavarsela anche da solo, per quello che mi riguarda può anche marcire qui dentro, ma devo salvare Nami-san ad ogni costo, quindi o mi porti da lei, o ti togli dalle scatole immediatamente!»
L'uomo spalancò gli occhi e la bocca, visibilmente sorpreso. «Quindi la ragazza è così importante?»
«Ma se te l'ho detto un secondo fa che è importante!»
«Che cosa triste,» borbottò a bassa voce l'altro, sollevando una mano in aria e lasciandola sospesa ad ondeggiare come se non avesse peso. «Non è triste?» chiese, questa volta guardando Sanji direttamente in faccia.
«Che cosa sarebbe triste?»
«Preoccuparsi tanto per una donna che da quando siete entrati nel labirinto non ha chiesto altro se non di liberarsi di te.»
Sanji spalancò gli occhi e per poco la sigaretta gli cadde dalle labbra. «Che cosa hai detto, bastardo?»
«È per questo che vi siete separati, non ci arrivi? Ed è anche la ragione per cui non riuscirai mai a trovare la ragazza.» La creatura tacque un momento e all'improvviso sulle sue labbra comparve un ghigno orribile, completamente inumano. «Lei non vuole che tu la trovi. Lei non vuole che sia tu a salvarla. In tutta onestà,» biascicò, iniziando a ridacchiare, «io credo proprio che lei sia molto più felice, adesso che tu non le stai più tra i piedi, ragazzino.»


«Ma che stupidaggini stai dicendo? Certo che voglio che Sanji-kun mi trovi!»
L'ometto davanti a lei iniziò a ridacchiare, coprendosi la bocca con le sue manine piccole e tozze. «Ma davvero? E allora perché non è ancora qui, mh?»
Nami deglutì. «Be', questo è un labirinto, no? Quindi ci vuole del tempo. Ma lui mi troverà, ne sono sicura. Anzi, scommetto che è già sulla strada giusta!»
Thrie iniziò a ridere a voce più alta, scuotendo il capo da una parte all'altra come se non potesse sentire oltre tutte quelle sciocchezze. «Sulla strada giusta?»
«Infondo mi ha già trovata una volta, in questo labirinto! Quando il tuo schifoso uccellaccio mi ha fatto cadere tra gli alberi Sanji-kun era già lì e mi ha presa al volo!»
Thrie cadde quasi all'indietro dal gran ridere e Nami sentì le guance andarle in fiamme per l'imbarazzo. «Si può sapere che hai da ridere?»
L'ometto lasciò che le risate si smorzassero e poi tornò a guardarla con un sopracciglio appena inarcato, studiandola a lungo. «Davvero? E tu eri già nel labirinto, quando lui ti ha trovato?»
Nami si appoggiò le mani sui fianchi. «Certo che sì, mi avevate appena lasciata cadere.»
«E avevi già toccato il suolo?»
«Io…» Nami esitò un momento, tornando indietro con la memoria. Il suolo? Sì, lo aveva… Poi si fermò, stringendo le labbra in una linea dura. «Mi ha presa in braccio prima che io cadessi,» disse. «E per questo che mi ha trovata? Perché non ero ancora entrata nel labirinto?»
Thrie annuì e poi scoppiò a ridere di nuovo. «Che stupida ragazza! Lui ti adora così tanto e tu non vuoi nemmeno che compaia da dietro quegli alberi in questo preciso momento!»
Lei scosse il capo. «Questo non è vero!»
«Sul serio?» chiese lui, la voce improvvisamente seria. «È la verità? Tu vuoi vederlo, adesso?» Nami non rispose e lui continuò: «Puoi giurarmi, puoi garantirmi che neanche per un istante da quando vi siete separati hai pensato, anche solo di sfuggita, che fosse una fortuna che lui non ti ronzasse più attorno?»
Nami spalancò gli occhi e invece di ribattere come il suo cervello le stava consigliando di fare rimase zitta, immobile, troppo atterrita dai suoi stessi pensieri per avere il coraggio di dire soltanto una parola.
Dopo un lungo momento, Thrie ricominciò a ridere. «È questa la verità!» esclamò, indicandola. «Nonostante tu non voglia ammetterlo neanche con te stessa, senza di lui tu stai decisamente meglio.»


«Certo che no,» ribatté Zoro, mentre un sorriso spavaldo saliva ad incurvargli le labbra. «Io non ho bisogno che quei tizi vengano a salvarmi, posso cavarmela benissimo senza di loro.»
Il tizio che in quel momento si trovava proprio davanti a lui, un omone gigantesco dalle forme massicce che sembrava quasi essere fatto di roccia piegò il capo di lato, mostrandogli una membrana appiccicosa e molle che si trovava sotto il suo mento e che oscillava in maniera quasi disgustosa tutte le voce che lui mordeva il sigaro che aveva in bocca.
«Ma davvero?» chiese, la voce aspra, come se non avesse la minima voglia di star lì a parlare con lui. «E se invece ti dicessi che è indispensabile trovare i tuoi compagni per uscire di qui?»
Il sorrisetto di Zoro non accennò minimamente a scomparire. «Considerando che sei un abitante dell'isola e che per tua stessa ammissione siete stati voi a farci finire qui, perché mai dovrei crederti? In fondo mi pare di capire che compagni o non compagni, ti sia in grado di andare e venire come ti pare e piace.»
Duva masticò il sigaro violentemente, infastidito. «A differenza tua, io conosco perfettamente il funzionamento dell'isola e, a differenza tua, io sono immune ai suoi effetti.»
«Ah sì?» chiese Zoro, per niente impressionato. «E come mai, si può sapere?»
«Io non sono un semplice abitante dell'isola, io sono l'isola. Nessuno può vivere qui tranne noi, perché la maggior parte degli umani non è in grado di vincere il labirinto.»
Zoro piegò appena le labbra in una smorfia. «E per quale motivo io non dovrei esserne in grado, di può sapere?»
Per la prima volta, Duva piegò le labbra in un sorrisetto divertito. «Ma non l'hai detto tu prima, che non vuoi che nessuno ti trovi?»
«E con ciò?»
«Se tu non troverai nessuno e nessuno troverà te, sei condannato a restare bloccato qui per sempre, Zoro.» Inspirò il fumo fino a gonfiarsi il petto e poi lo rilasciò, formando una nuvoletta densa e scura proprio davanti alla sua faccia. «E se fossi in te io comincerei sul serio a preoccuparmi, sai?»
Zoro non permise al dubbio di farsi largo dentro di lui e appoggiò la mano sulle spade con un gesto risoluto, preparandosi a sfoderarle. «E perché, sentiamo?»
«Sei qui dentro da parecchie ore, ormai,» disse Duva, rilassato e perfettamente a suo agio. «E sebbene non si riesca a distinguere, là fuori è quasi il tramonto.»
Zoro inarcò un sopracciglio. «E con ciò?»
Duva rise. «Credi che sia tutto qui? Vagare nella foresta, morire di stenti, credi che sia questa la sorte che ti attende?» Zoro non rispose e lui continuò. «Se quando calerà il sole non sarete riusciti a superare il labirinto, il vostro corpo si scioglierà e voi verrete assorbiti dall'isola – e quindi da noi – come fonte di nutrimento. È per questo che vi abbiamo portato qui, ciurma di Cappello di Paglia. Solo per questo


«Stai scherzando?»
Sanji lo guardò con gli occhi spalancati mentre la paura iniziava a farsi largo dentro di lui e a scorrergli in circolo liberamente. Inspirò a fondo, strinse i pugni e scosse il capo, cercando di ricacciare indietro i pensieri che si affollavano nella sua mente e che gli impedivano perfino di ragionare.
«Non ve lo permetterò,» disse, la mascella contratta. «Non vi permetterò mai di fare una cosa del genere a Nami-san!»


Zoro rise e divaricò le gambe, preparandosi alla battaglia. «Non so se quello che stai dicendo sia la verità o no, ma non ho la minima intenzione di farmi divorare da un coso grosso, brutto e stupido come te.»
«Cosa hai detto?»
Zoro si legò la bandana sulla testa ed estrasse le sue spade, mettendosi nella sua posizione d'attacco. «Dici che mi resta solo vagare e morire di stenti?» borbottò, la spada ben stretta tra i denti. «Be', non mi sta bene. Prima che tu riesca a mangiare me, io ti ridurrò in fettine tanto piccole che nemmeno il maledetto Cuoco riuscirebbe più a cucinarti a dovere.»
Duva spalancò gli occhi per un istante e poi si sistemò a sua volta in posizione, le spalle protese in avanti e la testa incassata nel collo. «Il cuoco, eh?» ridacchiò a bassa voce e poi a volume più alto disse: «Voglio proprio vedere come riuscirai a farmi a pezzi con le tue ridicole spadine, Roronoa Zoro!»






____________________________________
N/A
Questo è stato un capitolo difficilissimo, garantito, anche perché, come ho già detto, scrivere di Zoro mi mette tanta ansia. ;__;
I miei cattifoni mi piacciono e non so se sia un bene. Mi piace anche come li ho abbinati con i personaggi di OP e questo è proprio un male, perchè generalmente i miei gusti o sono troppo banali o non hanno senso.
Be', qui si è capito qualcosa in più sul labirinto, spero?
(E bisogna ammetterlo: se siete arrivati fin qui ne avete, di fegato! *__*) (Grazie per tutta questa fiducia! ;__;)




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Capitolo 8
*** Combattere per sopravvivere! ***


SCHEMAEFP2

Combattere per sopravvivere!




L'aria era silenziosa e immobile, pesante come uno spesso mantello e l'unico rumore che riecheggiava secco nella piccola radura era quello metallico delle spade che si infrangevano inutilmente contro una corazza che sembrava fatta di pietra.
Zoro insisté, sferrò una lunga serie di colpi e Duva rimase immobile, la testa incassata nelle spalle e gli occhietti vigili che non smettevano un istante di guardare il suo avversario sprecare tutte le sue energie nel vano tentativo di farlo a pezzi. «Tutto qui quello che sai fare, Spadaccino? Con una forza del genere mi chiedo cosa se ne faccia Cappello di Paglia di uno come te.»
Le pupille di Zoro si dilatarono e lui arretrò di un passo, guadagnando abbastanza spazio per sferrare l'ennesimo colpo diretto al suo viso. Il mostro non fece nulla per difendersi e le spade si schiantarono sulle sue palpebre rocciose e vennero respinte all'indietro, costringendo Zoro a rientrare sulla difensiva. Sembrava davvero che ogni parte del corpo di quel tizio fosse formata da roccia indistruttibile.
Duva lo guardò un momento e poi rise, maciullando con i denti il sigaro che non si era neanche preso il disturbo di spegnere. «Hai capito, adesso?»
Zoro fece roteare l'elsa di una delle sue spade nella mano sudata per rafforzare la presa e Duva gettò il capo all'indietro per un brevissimo istante, prima di tornare quasi di corsa nella sua posizione originaria. «Tutto il mio corpo è formato da una lega calcarea praticamente indistruttibile che con il passare degli anni si è rafforzata anche grazie a tutti gli idioti che come te si sono persi nel labirinto.» Zoro fece una smorfia disgustata e lui continuò: «Non ti ho detto, prima, che io sono nato dall'isola? Tutti i sassi e le rocce di questo luogo sono di questo stesso materiale, ancora più duro del diamante.»
Zoro non disse nulla per un momento e poi si rimise in posizione, guardandolo da sotto la sua bandana con un'espressione che avrebbe terrorizzato chiunque. Duva fischiò, sputando fuori la cenere e il fumo dalla sua bocca.
«Vuoi comunque combattere? Anche se è tutto inutile?»
«Dovrei lasciare che tu mi divori?» ribatté Zoro, sprezzante. «Neanche per idea, essere disgustoso. Se vuoi mangiarmi, fallo dopo avermi ammazzato.»
Duva inarcò un sopracciglio e sorrise, facendo un breve cenno del capo. «Sì. Quell'idiota di Thrie generalmente non capisce un accidente, ma almeno su questo punto non si era sbagliato.»
«Che vuoi dire?» chiese Zoro, chiedendosi mentalmente di cosa diavolo stesse parlando.
Duva si tolse il sigaro dalla bocca e lo gettò per terra, tra i sassi e l'erba e aprì le braccia, facendo sbattere le sue mani grandi e possenti l'una contro l'altra, creando un tonfo quasi assordante di sassi che sfregavano gli uni contro gli altri. «Sei caparbio, Zoro, te lo concedo. E hai un certo fegato, anche se in questo caso avresti davvero fatto meglio a non cercare di cacciarti in guai ancora più gravi.» Fece una breve pausa e quando Zoro non diede segno di voler parlare aggiunse: «Se vuoi combattere, allora combattiamo. In fondo è decisamente meglio quando le prede fanno un po' di resistenza: mi viene ancora più fame!»
Il suo grido roco e gutturale riempì la piana come una zaffata di fumo e Zoro fece appena in tempo a vederlo partire che si ritrovò una delle sue grosse spalle acuminate direttamente nello stomaco. Fu scagliato indietro, contro gli alberi e quando cadde a terra spalancò la bocca, sputando uno schizzo di sangue che gli scivolò ai lati del mento.
Duva tornò a piegarsi su se stesso e sebbene ora fossero abbastanza lontani Zoro poteva vedere che stava sorridendo.
«Spero che tu non ti sia pentito della tua decisione, Zoro. Perché ti confesso che sto seriamente cominciando a divertirmi.»
Zoro, contro ogni sua aspettativa, cominciò a ridacchiare. Attese un momento e si alzò in piedi, raccogliendo di nuovo le sue spade e preparandosi nuovamente a partire all'attacco. «Mi sta bene,» disse, stringendo l'elsa della spada tra i denti. «Non avrei voluto ucciderti senza che tu opponessi un minimo di resistenza.»
Duva aggrottò le sopracciglia per un momento e poi rise. «Uccidermi? Voglio proprio vedere come farai, visto che le spade di cui sei tanto fiero non riescono nemmeno a scalfirmi.» Si scagliò in avanti e prima ancora che Zoro riuscisse a sollevare la sua difesa lo colpì di nuovo, facendolo tornare lungo disteso sull'erba.
Dopo una manciata di secondi, Zoro si alzò di nuovo. «Hai finito, grassone? Perché adesso tocca a me!» rafforzò la presa sulle sue lame e si scagliò verso di lui, ricominciando a colpirlo con tutte le sue forze, cercando di infilare la punta delle spade in tutti gli anfratti che il mostro lasciava scoperti alla ricerca di un punto cieco, una parte di lui che non fosse fatta completamente di roccia.
Duva restò immobile, lasciandolo fare. Le spade cozzavano contro il suo corpo con violenza, ma lui aveva l'impressione che gli stesse appena facendo il solletico. «È tutto qui?» lo provocò, e Zoro insisté, spingendosi contro di lui con tutta la forza che aveva nelle braccia e nelle gambe, ma senza risultato.
Dopo un istante Duva sbuffò e, muovendosi appena, sollevò il braccio, colpendo nuovamente Zoro e facendolo indietreggiare di una decina di metri, di modo da averlo abbastanza lontano per sferrare il prossimo attacco.
«Pensavo che avremmo combattuto fino al tramonto, ma pare che avrò la possibilità di mangiarti ancora prima del previsto!» rise, gettando il capo all'indietro e quando tornò a guardare il suo avversario vide, con sua grande sorpresa, che stava sogghignando palesemente divertito.
«Si può sapere che hai da ridere?» gli chiese, seccato.
Zoro si alzò in piedi per l'ennesima volta e, di nuovo, si preparò ad attaccarlo. «Io ho i miei dubbi, mostro. E se invece fossi proprio io a fare fuori te?»
Duva, suo malgrado, indietreggiò di un passo. Sebbene sapesse benissimo che quel misero spadaccino non sarebbe mai stato in grado di ucciderlo, c'era qualcosa nel suo sguardo che, dopo tantissimo tempo, riusciva a fargli scorrere un lungo brivido di terrore attraverso tutto il corpo.
«Lo vedremo!»


Nami chiuse gli occhi e la bocca e si acquattò contro la corteggia del grande albero, cercando di fare il meno rumore possibile e, nel frattempo, di captare qualsiasi suono riuscisse a distinguere nella foresta. Tutta quella situazione diventava più assurda ogni istante che passava. Aprì piano gli occhi e poi si guardò intorno, con cautela concedendosi un sospiro di sollievo quando non vide nessuno: «A quanto pare posso usare i poteri di questo labirinto anche a mio vantaggio.»
Si alzò lentamente e, cercando sempre di stare il più vicina possibile agli alberi, si incamminò verso nessuna direzione in particolare, ripetendosi che se avesse continuato a muoversi, il ridicolo ometto non sarebbe riuscito a trovarla: se in quel posto non le riusciva nemmeno di trovare i suoi amici, come poteva pensare il suo nemico di riuscire a localizzarla?
Si appiattì contro una corteccia per riprendere fiato e, un istante dopo, davanti a lei comparve un piccolo animale con i denti aguzzi che la scrutava attento, come se non l'avesse persa di vita fino a quel momento. Vedendolo, Nami impallidì e per un secondo sentì le ginocchia tremare e cedere sotto il suo peso.
«Oh, no!»
«Ti ho trovato finalmente, dannata ragazzina!» L'ometto basso e peloso comparve dagli alberi a cavallo di un grosso felino e Nami riuscì a malapena a farsi di lato per evitare che le fauci della bestia si chiudessero attorno alla sua gamba. Si rannicchiò per terra, le ginocchia strette al petto e Thrie saltò giù dall'animale, andandole incontro.
«Non ti ho detto poco fa che questi trucchetti non funzionano, con me?» Le chiese con la sua voce melliflua che in contrasto con la sua espressione rabbiosa rendeva l'insieme della sua figura veramente agghiacciante. «Sono stato generato dalla fusione di tutte le forme di vita animali dell'isola, io sono immune ai suoi effetti: per me questa foresta è un bosco come tutti gli altri, mi basta seguire il fiuto o farmi indicare la via dagli altri animali, per trovarti con estrema facilità.»
Nami spalancò gli occhi e deglutì, tirandosi in piedi con tutte le proprie forze. Non ci voleva, pensò, appoggiando le spalle contro il tronco ruvido. In definitiva, non aveva scampo: quell'orribile mostriciattolo stava combattendo nel suo territorio e lei non solo non poteva sfuggirgli, ma non poteva più nemmeno sperare che qualcuno degli altri arrivasse in suo soccorso.
«Non voglio morire,» disse, sforzandosi di trattenere le lacrime. «Non voglio morire qui!»
«È inutile, Nami,» le disse, la voce pacata e serena. «Il tuo destino era segnato fin dall'istante in cui hai messo per la prima volta piede su quest'isola.»
«Ma perché noi?» chiese, stringendo i pugni. «Perché avete preso di mira proprio la nostra nave?»
Thrie piegò il capo di lato, lasciando che la barba oscillasse pigramente dal suo mento. «Perché? Non è una domanda molto difficile: semplicemente, eravate l'unica nave che si stava avvicinando all'isola.»
Nami spalancò gli occhi e lo guardò terrorizzata, come se non riuscisse a capire a fondo il significato delle sue parole: «Quindi è stato un caso? Solo per caso?»
«Ma certo! Pirati, marina, naufraghi: non ci interessa chi siete, a noi basta solamente potervi mangiare con tutta tranquillità!»
«E che ne sarà di Lufy e gli altri?»
Thrie si strinse nelle spalle, come se l'argomento non lo interessasse particolarmente. «Probabilmente quando avremmo finito con voi costringeremo anche gli altri ad entrare, è molto semplice. Così aumenteremo ancora le nostre risorse di cibo.»
Nami inspirò l'aria umida che la circondava e abbassò lo sguardo, osservando le proprie mani che nonostante tutti i suoi sforzi non avevano smesso un solo secondo di tremare. «Questa è la fine?» si chiese, tra sé e sé, mentre la rabbia cresceva e diventava quasi insopportabile. «Dopo tutto quello che abbiamo passato, dopo tutte le avversità che abbiamo superato, dobbiamo davvero morire in un posto del genere?»
Thrie la guardò da sotto le sue sopracciglia ispide e poi cominciò a ridere a crepapelle, stringendosi la pancia con entrambe le mani. «Dovresti davvero vedere la tua faccia, Nami! Sei troppo divertente!»
Lei rimase immobile e silenziosa, mentre lui continuava a sghignazzare, e appoggiò il palmo della mano sull'albero, come se volesse dargli una carezza. Forse, in quel momento, avrebbe dovuto chiedersi se quel posto sarebbe diventato la sua tomba, ma quando le dita sfiorarono il legno avvertì una strana sensazione, come se si fosse accorta solo in quel momento di un qualcosa che era stato palese fin dal primo istante.
«Si può sapere come diavolo fai a rimanere vestito così? Io sto morendo!»
«No, io sto bene.»

Spalancò gli occhi e il suo sguardo cadde sull'omino peloso che continuava a ridere come se niente fosse sotto tutta quella barba opprimente. Lui non aveva caldo. Sanji non aveva caldo. Lì non faceva caldo. L'aria era immobile, asciutta, secca. Probabilmente il suo malessere dipendeva soltanto da fattori psicologici.
Strinse le labbra, costringendo la sua mente a lavorare ancora più velocemente. Forse poteva fare qualcosa.
«Ehi, falso Gamon!» lo chiamò, e questi smise di ridere e tornò a fissarla con le sopracciglia aggrottate, incuriosito.
«Che cosa vuoi, ragazzina?»
«Hai detto che io, Sanji-kun e Zoro non ci incontreremo più, vero?»
Lui le mostrò il suo sorrisetto arrogante. «Esatto.»
«Quindi, qualsiasi cosa io faccia, loro non verrebbero mai a saperlo, non è così?»
Thrie rise. «Hai detto bene.»
Nami cercò di nascondere il sorriso che stava cercando di spuntarle prepotentemente dalle labbra. «E ciò significa che niente che io possa fare avrà ripercussioni anche su loro due, giusto?»
Thrie smise all'istante di ridere, osservandola con una leggera punta di apprensione. «Si può sapere dove vuoi andare a parare?»
Questa volta, Nami si concesse il sorriso ampio e sfacciato, mentre sfilava le tre parti del suo bastone dalla cinghia che teneva legata alla coscia. «Se conosco quei tizi,» disse, sollevando il mento, «adesso staranno facendo di tutto per evitare di rimanere intrappolati in questo stupido labirinto.» Sollevò le parti del bastone sopra la propria testa e le assemblò, puntandole minacciosa contro di lui. «E io non sarò da meno.»
Thrie la guardò stupito e poi, come se niente fosse, si mise a ridacchiare. «Che cosa vuoi fare, adesso? Combattere? Ti è chiaro o no che la tua vita è agli sgoccioli?»
Nami scosse il capo. «Combattere? Neanche per idea. Semplicemente, io voglio far sparire te e tutti i tuoi odiosi animali,» annunciò e questa volta fu lei a potersi permettere il lusso di ridacchiare. «E adesso so anche come fare,» disse.


Sanji rotolò a terra a gambe all'aria, sbattendo con violenza la schiena contro un masso appuntito che sembrava nascere direttamente dal suolo. Spalancò la bocca alla ricerca di aria annaspando come un pesce rosso e scivolò sul fianco, appoggiando la fronte ormai coperta di sangue sull'erba umida che sembrò berselo come fosse stata acqua fresca. Lui sogghignò, premendo la faccia contro il suolo mentre faceva di tutto per riuscire a mettersi in piedi.
«Merda,» borbottò, facendo sbattere i denti. «Mi è anche caduta la sigaretta.»
«Sei ancora vivo?»
La domanda era arrivata dalle sue spalle, ma Sanji non si prese nemmeno la briga di voltarsi. Da un lato, era troppo ferito per farlo e, dall'altro, non ne valeva davvero la pena. «Seh,» rispose, asciugandosi la bocca con il polso e la manica della camicia. «La cosa ti crea dei problemi, per caso, scherzo della natura?»
Adhin fece oscillare le lunghe dita in aria, osservandole rapito. «A me non piace granché giocare,» disse, con la sua solita voce atona e indifferente. «Questa è una prerogativa di Duva e Thrie. A me piace fare le cose semplici e veloci.»
Sanji si lasciò scappare una specie di smorfia divertita e sollevò il busto, rimanendo pur sempre in ginocchio sull'erba. «Davvero?» chiese, tastandosi le tasche alla ricerca di una sigaretta che si mise immediatamente in bocca. «Allora questo deve essere un bel problema per te, dico bene?» si voltò a guardarlo, finalmente, con la coda dell'occhio. «Visto che farmi fuori non sarà né semplice né tantomeno veloce.»
Adhin esitò un momento e poi annuì. «È vero, sarà una vera seccatura,» ammise e mosse la mano velocemente, facendo allungare le dita fino a che non arrivarono quasi vicino a Sanji e, con un altro rapido gesto della mano, le fece schioccare sulla sua schiena, colpendolo come se avesse avuto in mano un gatto a nove code.
Sanji gettò il capo all'indietro e gridò, mentre cadeva di nuovo a terra, questa volta sui gomiti. Strinse con forza i denti per non farsi scappare la sigaretta e quando gli sembrò che il dolore stesse cominciando a scemare l'accese, osservando per un momento la fiammella che gli baluginava sotto gli occhi. «Ehi, sai che ti dico?» cominciò, aggrappandosi ad un albero per riuscire a tornare in piedi. «Ci sono solo due cose che detesto fare di fretta: cucinare piatti prelibati e fare l'amore con le belle ragazze. E per tua sfortuna,» aggiunse, indicandolo con la punta incandescente della sua sigaretta, «tu non sei nessuna delle due cose.»
Il mostro piegò il capo di lato e lo scrutò un momento, incuriosito. «E con ciò?»
Sanji trovò la forza di muovere i muscoli della faccia e di sorridere. «Significa che non ho la minima intenzione di sprecare con te tempo che potrei sfruttare cento volte meglio preparando spuntini deliziosi per Nami-san e Robin-chan!» gridò e quando ebbe ritrovato un po' di energie corse verso di lui, cercando di assestargli un calcio abbastanza potente sulla faccia, ma questi reagì prima del previsto e afferrò la sua gamba d'appoggio facendogli perdere l'equilibrio e sbattendolo nuovamente a terra, sopra un mucchietto di rocce particolarmente appuntite.
Sanji strinse i denti e all'ultimo secondo riuscì ad appoggiare le mani sui sassi fino quasi a bucarsele; si aggrappò alle rocce con tutte le sue forze e cominciò a far roteare le gambe fino a che la spinta non fu così forte che Adhin venne sollevato da terra e scagliato lontano a tutta velocità, tanto che perse perfino la presa che aveva attorno al suo piede sinistro.
Sanji attese un momento e poi si alzò in piedi, osservandosi i tagli che si era fatto con un ghigno per nulla divertito. Se il vecchiaccio vedesse come me le sono conciate mi prenderebbe a calci da qui all'All Blue. Sollevò gli occhi verso il suo avversario scagliato nella boscaglia e quando questi gli ricomparve davanti gli mostrò la mano destra piena di graffi e ferite e con il dito indice dislocato che sembrava quasi essere sul punto di staccarsi.
«Hai visto che mi hai combinato, bastardo che non sei altro? In questo modo non potrò cucinare al meglio delle mie possibilità per quasi una settimana intera!» gridò, mentre il suo avversario strisciava nuovamente in piedi come se nulla fosse, anche se la sua testa ora sembrava una grossa pera ammaccata.
«Che importa?» disse, con una leggera scrollata di spalle. «Tanto non appena arriverà il tramonto tu morirai comunque. Non dovrai più cucinare, d'ora in poi, quindi perché ti preoccupi?»
«Stai scherzando?» sbottò Sanji con una risata quasi divertita. «Se permettessi ad un affare che più che a un cliente somiglia ad uno degli ingredienti dei miei piatti di ammazzarmi sarei il cuoco più patetico che abbia mai solcato i mari.» Con un gesto fluido si tolse la cravatta e si slacciò un paio di bottoni, iniziando a respirare un po' meglio.
Il suo avversario lo fissò incuriosito per un momento e poi sospirò, come se gli fosse appena capitata la più grande disgrazia che poteva succedergli. «Vorrei tanto che ci si potesse sbrigare, perché non mi sento proprio a mio agio fuori dalla nostra base.»
Sanji piegò le labbra in una smorfia divertita e inspirò a fondo il fumo dalla sua sigaretta. «Oh, non ti preoccupare cara la mia pera cotta, ci sbrigheremo,» gli disse, sbattendo un paio di volte la punta della scarpa contro l'erba, prima di puntare il piede in direzione della sua faccia. «Ti prometto che ti cucinerò a puntino in meno di cinque minuti, brutto bastardo.»






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N/A
Io. Amo. Questo. Capitolo.
Devo aggiungere altro? Lo amo. Detesto scrivere di combattimenti, ma per una qualche bizzarra ragione lo adoro. ♥
Sì, lo so, probabilmente fa schifo. Ma lo amo. *__* In particolare la parte di Sanji. E di Nami. E pure quella di Zoro. *__*
(Comunque ci stiamo avvicinando al gran finale! °ò°)




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Capitolo 9
*** Scampati al labirinto! ***


SCHEMAEFP2

Scampati al labirinto!




Il fruscio delle spade che tagliavano l'aria divenne tutto a un tratto assordante e nella frazione di secondo che precedette la sua totale disfatta, Duva si rese a mala pena conto di quello che gli stava succedendo.
Zoro fece un balzo in avanti, le spade sguainate e quell'espressione omicida negli occhi in grado di gelare il sangue, e Duva lo ricevette con le spalle basse, preparandosi a respingere il suo attacco prima di restituirglielo con gli interessi. Zoro gli venne incontro, gli colpì le braccia, le gambe, il petto, e tutte e tre le volte la spada si ritrovò a cozzare con violenza contro la sua pelle; un colpo alla spalla, uno alla testa e, tutto a un tratto, una spada scivolò sulla sua corazza e schizzò verso l'alto, prima di cadere nuovamente al suolo.
«Cosa sarebbe questa ridicola messinscena, spadaccino da due soldi?» gridò, con tracotanza, e senza neanche rendersene conto sollevò il mento verso l'alto, per seguire con gli occhi il patetico volo di quel bastoncino di metallo che per lui era poco più di un giocattolo.
«Una messinscena,» gli rispose e in quel medesimo istante lasciò che spada che aveva in bocca cadesse a terra e usando solo quella che ancora stringeva saldamente nella mano, sferrò il suo colpo decisivo.
Duva spalancò la bocca, tirò fuori la lingua e stramazzò, mentre la lama affondava senza fatica nella membrana molle come burro che nascondeva sotto il mento e lasciava uscire un fiotto di sangue scuro che per poco non colpì Zoro in faccia. Lo spadaccino afferrò la spada con entrambe le mani e spinse, facendo forza sulle gambe, fino a che il bestione non si ribaltò all'indietro e lui gli saltò sulla pancia, usando il suo corpo ruvido come base d'appoggio mentre faceva scivolare la lama per tutta la lunghezza della sua gola e, con una spinta poderosa, non riuscì finalmente a staccargliela dal collo.
La testa ruzzolò pigramente sull'erba, come fosse stato un grosso sasso e Zoro la osservò senza parlare, ancora in equilibrio sulla pancia dura e piatta di quello che era stato il suo avversario. Dopo un momento di passò una mano sulla faccia e, senza dire nulla, tornò con i piedi per terra, andando immediatamente a recuperare le due spade che aveva dovuto sacrificare. Quando le raccolse le osservò una per una con una smorfia quasi infastidita sulla faccia e le sistemò al loro posto nel fodero quasi di fretta, come se si sentisse in colpa di aver vinto quella battaglia facendo riferimento soltanto ad una di loro.
Poi, quando il fastidio iniziò a scemare, tornò a guardarsi attorno. Fatto salvo per l'orribile cadavere che si trovava nel bel mezzo della radura, tutto era rimasto pressoché uguale; le piante non erano scomparse, così come non era magicamente apparsa nessuna strada che avrebbe potuto guidarlo verso l'uscita. Evidentemente ammazzare il grassone non era la chiave per uscire dalla foresta.
Zoro si guardò le mani imbrattate di sangue e poi cadde improvvisamente con il sedere per terra, come se fosse fin troppo esausto per restare in piedi. Si guardò le gambe e, suo malgrado, si concesse un sorrisetto.
«Morire in un posto come questo, dopo aver vinto un combattimento in quel modo: c'è da vergognarsi,» mormorò e, proprio nell'istante in cui era pronto a lasciarsi cadere lungo disteso sull'erba, sentì dei passi in avvicinamento, accompagnati da quella maledetta voce che ancora non riusciva ad associare a nessun viso.
Scattò in piedi velocemente, ignorando le fitte di dolore che gli attraversavano il corpo e si preparò con la mano sulle spade, in attesa. Se era un altro tizio dell'isola, gliel'avrebbe fatta pagare molto cara.
La persona che si stava avvicinando smise tutto a un tratto di parlare e le fronde che iniziarono a muoversi sotto il suo sguardo gli fecero capire chiaramente che ormai niente avrebbe più potuto evitare quell'incontro. Un ramo si abbassò, una mano comparve tra le fronde, e quando quella persona finalmente si mostrò Zoro sentì per un brevissimo istante il cuore mancare un battito.
«Ti ho trovato, finalmente!» gli disse dopo un momento di esitazione e Zoro sbatté le palpebre, sentendosi improvvisamente un idiota colossale.
«Tu?» Ma come diavolo aveva fatto, si chiese, mentre abbandonava la sua posizione di attacco, a non rendersi subito conto che la voce che continuava a sentire fosse la sua?


Sotto i suoi occhi, la foresta bruciava. Nami rimase impietrita a guardare Thrie che, lentamente moriva assorbito tra le fiamme, disgustata e al contempo attratta da quella sensazione di potere che le faceva fremere la punta delle dita e le lanciava scariche di adrenalina attraverso tutto il corpo. Dopo un momento finalmente riuscì a chiudere gli occhi e, malferma sulle gambe, si allontanò, il capo basso e il suo bastone ancora stretto nel pugno, come se non fosse più in grado di lasciarlo andare.
Dopo che si era resa conto che nonostante la cappa di alberi che la circondavano il clima della foresta era molto secco, non era stato difficile appiccare quell'incendio. Il fulmine che aveva generato era stato anche più potente di quello che lei aveva immaginato e non appena era piombato sull'albero sotto il quale in quel momento si trovava il suo nemico era letteralmente scoppiato l'inferno. Thrie era stato colpito per primo e dopo di lui tutti i suoi animali se l'erano data a gambe levate, spaventate da quelle fiamme che, contro ogni aspettativa, non erano divampate in tutta la foresta – probabilmente, pensò Nami, mentre si allontanava dall'incendio il più velocemente possibile, anche quello era uno dei poteri del labirinto.
Senza chiedersi nemmeno dove stesse andando, Nami continuò a correre. Le parole che Thrie le aveva detto continuavano a rimbombarle nella testa, insieme alla minaccia che nonostante tutti i suoi sforzi non sarebbe mai più riuscita a uscire da lì, ma una parte di lei, quella più vicina al subconscio e alla sua coscienza, sembrava non essere minimamente interessata. Una parte di lei continuava a ripeterle che, se avesse corso abbastanza velocemente, sarebbe riuscita ad uscire dalla foresta sana e salva.
Si fermò un momento a riprendere fiato, le mani appoggiate sulle ginocchia e quando sollevò gli occhi avanti a sé le parve quasi di vedere una figura umana che correva tra gli alberi, accompagnata dal profumo dell'aria fresca ricca di salsedine proveniente dal mare.
«L'uscita!» disse, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. «Lì c'è l'uscita!» gridò, riponendo immediatamente il suo bastone e ricominciando a correre a più non posso con un'energia che non sembrava più nemmeno di possedere.
Mano a mano che le sue gambe si lasciavano indietro la foresta sentiva il respiro diventare più rilassato, la mente più lucida; le forze le tornarono tutto a un tratto, facendola sentire ancora più leggera di quanto non fosse in realtà. Il fondo della sua mente le suggerì che poteva essere un'illusione o un'altra trappola ma lei lo mise a tacere facendo schioccare un ramo che le bloccava la strada.
Non era né un'illusione, né una trappola, né un errore. Quella era la strada giusta, l'unica strada che avrebbe dovuto prendere. Forse con la morte della creatura dell'isola l'incantesimo si era davvero spezzato, o lui aveva sbagliato fin dall'inizio a pensare che lei non ce l'avrebbe fatta – Nami non lo sapeva ma adesso non era per niente importante. Adesso era libera, finalmente, libera di tornare dagli altri, libera di ricominciare a navigare insieme ai suoi amici. Non si chiese se anche Sanji e Zoro ce l'avessero fatta, perché in cuor suo, ormai, contava solo la luce e il profumo che sentiva arrivare proprio da dietro le grandi foglie che le bloccavano la visuale.
Scostò i rami con una manata e quando scivolò dall'altra parte la prima cosa che vide fu il viso di un'altra persona che ricambiava il suo sguardo sorpreso e quasi accigliato e quando riconobbe i suoi lineamenti, Nami non riuscì più a trattenere le lacrime.
«Ti ho trovato, finalmente!»


Sanji, ferito e dolorante, riuscì a rimettersi in piedi a fatica, prima di accendersi un'altra sigaretta. Sollevò il viso verso l'alto, espirando il fumo lentamente come se gli pesasse nei polmoni, mentre accanto a lui Adhin giaceva in una pozza di sangue, la testa spaccata.
Quello scontro era stato veramente difficile. Difficile, doloroso e maledettamente lungo. Sanji si tolse la sigaretta dalla bocca con la mano bucata e tagliata e osservò il palmo ricoperto di sangue come se lo vedesse per la prima volta, come se quella mano non fosse stata sua.
«Accidenti,» mormorò, cacciandosi ancora la sigaretta in bocca. «Ho fatto davvero un gran casino.»
Abbassò il capo e senza neanche degnare il suo nemico di uno sguardo cominciò a camminare, per nessuna ragione che non fosse quella di andarsene da quel posto il più velocemente possibile. Camminò senza neanche guardare la strada, con le mani ferite ben nascoste nelle tasche dei calzoni, e quando la sigaretta arrivò in fondo la sputò per terra, senza nemmeno curarsi di spegnerla – tanto sarebbe dovuto morire lì comunque, e se nel frattempo fosse anche riuscito a fare un bel barbecue con quegli alberi dall'aria inquietante la cosa non avrebbe potuto che fargli piacere.
Ad un certo punto, mentre si inoltrava distratto in una parte della foresta in cui non era mai passato, sentì un rumore. Era un tonfo pesante, come una sassaia che scivola sul fianco di una montagna e in quell'istante il suo cervello parve svegliarsi, come se si fosse ricordato solo ora che gli restava ancora una cosa importante da fare.
«Nami-san?» chiamò, con il poco fiato che gli restava. «Sei qui intorno, Nami-san?» Iniziò a camminare alla velocità che gli consentivano le sue gambe e sebbene non riuscisse a captare più alcun suono proveniente da quella direzione non c'erano dubbi che i massi fossero caduti proprio da quella parte. «Nami-san?» chiamò ancora un volta e quando non ottenne risposta decise di tacere e avanzò ancora più lentamente fino a che non si fermò dietro ad un enorme cespuglio che gli bloccava la strada. Appoggiò le mani sui ramoscelli sorprendentemente esili e li spinse di lato, aprendosi un varco per passare; quando fu dall'altra parte spalancò gli occhi esterrefatto, trovandosi davanti all'ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere.
«Ti ho trovato, finalmente!» esclamò sprezzante e con una punta di risentimento e l'uomo davanti a lui sbatté le palpebre un paio di volte, come se non riuscisse a riconoscerlo o come se nemmeno lui si aspettasse di vederlo lì.
«Tu?» chiese, stupidamente, e Sanji estrasse le mani dalle tasche per accendersi una sigaretta, in assenza di meglio da fare.
«No, il mostro della foresta. Ma certo che sono io, idiota che non sei altro!»
Zoro fece una smorfia, ora palesemente seccato dalla sua presenza e, abbandonando la sua posizione d'attacco spinse il busto in avanti, affrontandolo: «Chi hai chiamato idiota, Cuoco da strapazzo?»
«Ho chiamato te idiota, idiota di un Marimo!»
«Ripetilo!» lo sfidò, decidendosi ad appoggiare nuovamente la mano sull'elsa della spada, giusto in caso al cuocastro fosse venuta la bella idea di decidersi a morire.
«Tutte le volte che vuoi, idiota di un Marimo idiota! È tutta colpa tua se ci siamo trovati in questo gran casino!»
Zoro sentì le guance bruciare leggermente e sfoderò un pezzetto della lama, avvicinandosi ancora di più con aria minacciosa.
«Perché diavolo dovrebbe essere colpa mia, si può sapere?»
Sanji lo affrontò a muso duro, per niente spaventato dalle sue spade: «Non mi risulta che sia stato io a farmi rapire come un allocco e a finire in questa dannatissima foresta!»
Zoro fece un verso di sdegno. «A no? E allora spiegami che ci fai qui, maledetto Cuoco?»
«Dopo aver preso te, quei bastardi si sono presi anche Nami-san! Se sono qui è solo perché dovevo salvare lei
Zoro sbatté le palpebre un paio di volte e inarcò un sopracciglio. «C'è anche la strozzina?»
«Non osare rivolgerti in quel modo a Nami-swan!» ribatté, piantandogli il tacco delle scarpe proprio nel bel mezzo della testa.
Zoro barcollò all'indietro e, finalmente, si decise ad estrarre la propria spada. «Come vuoi tu, maledettissimo Cuoco: se proprio ci tieni a morire per mano mia ti accontento immediatamente.»
«Ah!» rise Sanji, divaricando le gambe di modo da avere maggiore equilibrio. «Non credo ti convenga cantare vittoria troppo presto, Marimo. Potresti essere tu a morire per mano mia, dopotutto.»
Zoro sorrise divertito ma quando furono entrambi sul punto di attaccare si fermarono a metà, abbastanza vicini da colpirsi. Sbatterono le palpebre all'unisono e poi, lentamente, voltarono lo sguardo l'uno alla propria destra e l'altro a sinistra, gli occhi spalancati.
«Cos'è quello?» chiese Zoro, aguzzando la vista e Sanji scattò in piedi, una mano sotto la frangia per poter vedere più chiaramente.
«Non l'hai capito, Marimo?» Disse, voltandosi verso di lui con dipinto in faccia un sorriso da bambino. «Quella è la via d'uscita!»
Zoro la guardò con un'espressione dubbiosa e poi, quando finalmente si convinse, mosse il primo passo verso la sua ritrovata libertà ma prima che si allontanasse solo di un paio di metri Sanji gli afferrò la maglia, indicandogli la direzione opposta: «Si può sapere come fai a sbagliare strada anche quando ce l'hai dritta davanti al naso?»
«Chiudi la bocca, Cuoco!»
«Da questa parte, muoviti,» lo strattonò, tirandoselo dietro come fosse stato un grosso sacco di patate. «Torniamocene dagli altri,» disse, e tutti e due si incamminarono in silenzio, l'uno accanto all'altro – verso la luce.


Quando Nami gli era comparsa davanti, Lufy non era riuscito a credere ai suoi occhi.
Nonostante Robin avesse continuamente insistito perché restassero tutti sulla Merry lui aveva deciso che, labirinto o non labirinto, sarebbe andato a salvare i suoi compagni e non appena aveva messo piede nella foresta si era trovato lei davanti, sporca, terrorizzata e con le lacrime agli occhi.
«Ti ho trovato, finalmente!» disse Nami, lanciandosi contro di lui con tutto il suo peso fino a farlo ribaltare all'indietro, fuori dalla foresta, disteso sulla sabbia calda.
Lufy sbatté un paio di volte le palpebre e quando Nami lo lasciò scattò seduto, appoggiandole le mani sulle spalle. «Nami? Sei proprio tu? Stai bene? Dove sono Zoro e Sanji?»
La ragazza tirò su col naso e si passò la mano sulla faccia, mentre cercava in ogni modo di nascondere le lacrime di gioia. «Ti ho cercato ovunque,» disse, senza pensarci, e appoggiò la fronte contro il suo petto strattonandolo come se fosse stato un giocattolo di pezza. «Credevo che non saremmo più usciti. Quel finto Gamon ha detto che non saremmo più usciti da lì!»
Lufy sorrise e le appoggiò una mano in testa, sollevandole il viso di modo che potessero guardarsi negli occhi. «Io ero certo che ce l'avreste fatta.»
Nami lo guardò a lungo e, mano a mano che studiava la sua figura, più cominciava a sentirsi forte, a suo agio. Tanto a suo agio che, quando si rese conto di quanto fossero vicini ebbe la prontezza di scattare in piedi e rigettarlo sulla sabbia, il più lontano possibile da lei.
«Sì, be',» disse, le guance vistosamente in fiamme. «Ora è finita, perciò direi che possiamo tornare alla nave e andare avanti con il nostro viaggio. Coraggio.»
Lufy, completamente ignaro di che cose le passasse per la testa, si sollevò e guardò verso la foresta con il capo reclinato da una parte, prima di rivolgersi a Nami: «Ma che ne è stato di Zoro e Sanji? Dove sono?»
Nami si fermò poco distante, il viso basso. «Non lo so,» disse, e sollevò gli occhi verso il cielo chiaro che cominciava a tingersi di rosso. «Ho perso di vista Sanji parecchie ore fa, è stata tutta colpa mia» spiegò, stringendo i pugni e gli occhi per impedire alle lacrime di tornare a pizzicarle sotto le palpebre. «Ed è il tramonto, adesso.»
Per un lungo momento Lufy non disse nulla e poi, all'improvviso, esclamò: «Oh! Zoro! Sanji!»
Nami irrigidì la mascella. «Ti ho detto che non c'è più niente da fare!»
«Nami-swan, sei sana e salva!»
Nami spalancò gli occhi e si voltò su se stessa, sorpresa di trovare Sanji che, a meno di un metro da lei, la guardava con occhi lucidi e adoranti.
«Oh, Nami-swan, come sono felice di vedere che stai bene! Mi avevi spaventato da morire!» stava dicendo, ruotandole attorno come una trottola. «Ma sei ferita? Stai bene? Hai pianto? Mi spiace così tanto non esserci stato per salvarti, mia cara Nami!»
Lei sorrise e, senza sapere bene la ragione, gli gettò le braccia al collo, appoggiando la guancia contro la sua. «Sono contenta che tu stia bene, Sanji-kun.»
Sanji arrossì fino alla punta dei capelli e cominciò a starnazzare cose senza senso mentre, in disparte, Zoro e Lufy guardavano la scena l'uno piuttosto confuso e l'altro palesemente infastidito.
«Ehi, Zoro?» chiamò Lufy, distraendolo da tutti i piani omicidi che si stava palesemente facendo passare in rassegna.
«Cosa c'è?»
«Si può sapere che è successo in quella foresta?»
Zoro guardò Nami e poi immediatamente il Cuoco che, esaltato come non mai, si stava sperticando nella descrizione di manicaretti e delizie che avrebbe preparato appositamente per lei e scosse il capo, lasciandosi scappare un lungo sospiro. «Non ne ho idea,» disse e quando si rese conto che l'altro non si sarebbe accontentato di una risposta del genere, aggiunse: «Ti racconterò tutto per filo e per segno, ma adesso andiamo. Credo che Chopper avrà parecchio lavoro da fare, questa sera.»
Lufy lo guardò lievemente stupito, ma stranamente non aggiunse nulla, e tutti e quattro si incamminarono insieme verso la nave, incontro al sole che tramontava e lasciandosi alle spalle un labirinto che, sebbene non avessero ancora capito come, erano finalmente riusciti a superare – in qualche modo.






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N/A
Se per lo scorso ero esaltata, questo mi spaventa abbastanza: a parte che scriverlo è stata una faticaccia, ma con lui la storia praticamente è finita (♥) quindi mi viene un po' la tristezza, ecco.
Spero che i vari incontri siano riusciti abbastanza bene (ve li immaginavate, vero? XD) e anche che la fine non sia venuta male. Non volevo assolutamente metterci troppe smelensaggini fuori luogo, anche perché volevo che riprendesse un po' le atmosfere del Manga, più di quelle di una fanfiction scritta da una fangherl affetta da fangherlite acuta (cioè io. XD)
Per i commenti definitivi ci vediamo al prologo. Spero solo che questo capitolo vi sia piaciuto. ♥




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Capitolo 10
*** Epilogo - Non è cambiato nulla ***


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Epilogo - Non è cambiato nulla




Pochi giorni dopo la partenza dall'isola del Labirinto, sembrava che sulla Going Merry fosse tornata la normalità.
I tre coinvolti nella vicenda avevano raccontato a turno la loro storia, ognuno la propria parte – e nonostante ciò Zoro e Sanji erano perfino riusciti a litigare sulle versioni più o meno attendibili dell'uno e dell'altro – e per un bel pezzo Lufy aveva continuato a tenere il broncio, lamentandosi di essersi perso una straordinaria avventura, e Chopper era dovuto restare sveglio la notte per curare le ferite di Zoro che, a suo dire, erano abbastanza gravi da stroncare un uomo alto e spesso il doppio.
Sanji non aveva ripreso immediatamente a cucinare a pieno ritmo a causa delle ferite che aveva riportato alle mani, ma la sua guarigione aveva subito una brusca accelerata quando Usop e Lufy, per rendersi utili, si erano offerti di cucinare al suo posto.
Robin, seduta sulla sua sdraio con la sua vecchia copia de Il Labirinto degli Amanti in mano, osservava i suoi compagni di viaggio da sotto il grande cappello che le riparava gli occhi dal sole. Era una mattina tranquilla, il vento soffiava placido e gonfiava le vele nella giusta direzione, tanto che a un certo punto Robin vide Nami cominciare a vagare tranquilla sul ponte, godendosi la frescura che la circondava e quegli attimi di pace ormai troppo rari sulla Grand Line.
E dietro di lei, nel frattempo, si stava scatenando il putiferio. Usop, Lufy e Chopper avevano preso di mira un grosso gabbiano che aveva scelto come luogo di riposo ideale una grossa e robusta pianta di mandarini, con la scusa che probabilmente poteva essere un'altra spia di quelli dell'isola, mentre Zoro e Sanji, davanti alla cucina, bisticciavano come due ragazzini che si litigano la merenda.
Nami cominciò ad urlare e, svelta come un gatto, piombò sui tre e diede una sonora botta in testa a Lufy e nel frattempo gridava a Zoro e Sanji di farla finita, perché ormai erano sul punto di attraccare e avrebbe avuto bisogno di tutti quanti per raggiungere il porto in modo sicuro. Sanji scattò sull'attenti, Zoro lo prese in giro per il suo servilismo, e i due ricominciarono a litigare, interrotti da Lufy che mostrava loro il gabbiano volare via verso l'orizzonte e Nami che, stufa di loro oltre misura, diede a tutti una scarica di pugni sulla testa, prima di rispedirli al lavoro.
Nascosta dietro al suo libro, Robin sorrise.
«Sembra che stia andando tutto per il meglio,» disse, quando Nami le arrivò accanto per annunciarle che erano in porto e che si sarebbero trattenuti soltanto il tempo necessario per fare rifornimenti e rilevare il magnetismo con il Logpose.
«Già,» borbottò Nami, lievemente scocciata. «A volte li preferisco, quando sono un po' scossi: almeno la smettono per un po' di fare tutto questo casino.»
Con sua sorpresa, Robin rise, coprendosi le labbra con la mano. «Forse,» le concesse con una scrollata di spalle. «Ma anche così non sono affatto male: riescono a far sembrare la nave viva, in un certo senso.»
Nami sorrise e si sedette accanto a lei, gli occhi puntati verso il cielo. «È vero, anche se devi ammettere che sono veramente insopportabili.»
Robin annuì con un sorriso e Nami fece per alzarsi quando le venne in mente una cosa e tornò a voltarsi nella sua direzione: «Scusa, Robin, è un po' che ci penso…»
La donna chiuse il libro in grembo e piegò il capo di lato, invitandola a proseguire: «Sì? Dimmi pure.»
«Ecco…» cominciò Nami, tamburellandosi il mento con un dito, «hai presente quel tuo libro che parlava dell'isola del Labirinto?»
Robin si irrigidì impercettibilmente, tanto che Nami nemmeno se ne rese conto. «Sì?»
«Me lo presteresti? Dopo quello che mi è successo mi è venuto voglia di leggerlo, sai, per confrontare quello che c'era scritto con quello che mi ha detto il falso Gaimon.»
Robin addolcì la propria espressione e piegò le labbra in un sorriso mesto, spiacente. «Oh, mi spiace tanto, Navigatore, ma non ho idea di dove sia finito.»
Nami sbatté le palpebre e poi piegò le labbra in una smorfia delusa. «Oh.»
«Purtroppo l'altro giorno Usop e Lufy mi hanno chiesto il permesso di vedere alcuni libri e ora c'è un macello terribile, nella mia libreria.»
Nami sospirò. «Lufy, c'era da immaginarlo! Be', non fa niente, era solo curiosità,» disse e si avviò di nuovo, quando la voce di Robin raggiunse le sue spalle, eccessivamente cortese: «Lo cercherò approfonditamente, se vuoi.»
Nami sorrise. «Grazie, mi faresti un grosso favore!»
«Ma figurati,» le rispose Robin, sottovoce, e mentre tutta la ciurma di Cappello di Paglia – Zoro compreso, questa volta – scendeva a terra, nessuno si accorse di una mano che spuntava dal fianco della nave e, con estrema grazia, gettava un piccolo tomo tra le onde pigre che si infrangevano contro la chiglia della nave, fino a che i flutti non l'ebbero assorbito del tutto, tramutandolo in una specie di tesoro nascosto che con tutta probabilità non sarebbe mai più stato ritrovato.
Robin sospirò, lievemente accigliata, tornando alla sua lettura. Detestava sbarazzarsi in quel modo dei libri, non era proprio da lei, ma in quel momento era convinta che mantenere la tranquillità nella loro ciurma fosse la cosa più importante.
Sollevò gli occhi nuovamente verso terra, dove il Cuoco e lo Spadaccino stavano discutendo – probabilmente circa i turni di guardia – e sorrise. Sicuramente non ne sono ancora consapevoli, pensò, tornando ad immergersi nella sua lettura, ma forse, un giorno, lo scopriranno anche loro.
E quando quel giorno sarebbe finalmente arrivato, decise Robin, avrebbe fatto di tutto per procurarsi nuovamente il libro di cui si era dovuta sbarazzare.
Perché una buona lettura restava comunque il bene più importante.






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N/A
Vorrei che voi sappiate, a puro titolo informativo, che a momenti ci ho messo di più a scrivere le note che non l'intera fanfic. XD
Onestamente non so cosa scrivere, adesso, perchè questa storia mi ha tenuta impegnata praticamente tutta la settimana, e il fatto di essere riuscita a finirla per tempo mi mette addosso una cosa che voi non avete idea. ;__;
Quando ho scritto le prime parole di questa fic ero letteralmente terrorizzata e, nonostante lo fossi anche quando ho scritto le ultime, mi sembra di aver scavato un mondo, in sette giorni: magari è solo una piccola buca scavata col cucchiaino, però è il mio primo passo (un passo bello lungo, forse, forse più lungo della mia gamba) e ne sono estremamente soddisfatta.
Grazie a chi ha letto fin qua, grazie a chi ha letto solo fino a metà e grazie perfino a chi si è fermato al prologo, perché almeno una piccola possibilità me l'avete voluta dare.
Lo ripeto, sono una neofita, quindi abbiate pietà di me.
E, detto questo, non ho altro da aggiungere.
Solo che spero che vi siate divertiti almeno un po' con me, leggendo questa storia, e che non pensiate troppo male di questo mio raccontino. ♥
Spero che ci rivedremo presto sulla rotta per il One Piece! ^ò^




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