Attraverso il Labirinto di Mapi D Flourite (/viewuser.php?uid=47117)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Dov'è Zoro? ***
Capitolo 3: *** Hanno preso Nami! ***
Capitolo 4: *** Nella foresta ***
Capitolo 5: *** Sanji e Nami separati! ***
Capitolo 6: *** Adhin, Duva, Thrie ***
Capitolo 7: *** L'incontro con gli abitanti dell'isola ***
Capitolo 8: *** Combattere per sopravvivere! ***
Capitolo 9: *** Scampati al labirinto! ***
Capitolo 10: *** Epilogo - Non è cambiato nulla ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
SCHEMAEFP2
«Nami-san? Dove sei, Nami-swan? Nami-saaan!»
La foresta attorno a lui era sempre più fitta, impenetrabile.
Sanji si guardò intorno, tra gli alberi che sembravano diventare
più numerosi e più robusti mano a mano che il tempo
passava, cercando di individuare la figura della ragazza tra i rami
nodosi e intricati che gli impedivano di vedere ad un palmo dal suo
naso.
«Nami-san!» chiamò di nuovo, portandosi le mani ai
lati della bocca nel tentativo di amplificare la propria voce, e
l'unico risultato che ottenne fu che il suo richiamo finì come
assorbito dalle grande foglie grondanti di pioggia e rugiada. Dopo un
solo istante tutto tornò immobile e silenzio e Sanji
digrignò i denti e serrò i pugni, ricominciando a
camminare alla cieca. «È tutta colpa di quell'idiota del
Marimo,» borbottò, fermandosi tutto a un tratto tra le
radici grosse e scure di due alberi altrettanto grossi e scuri e dopo
averci pensato per circa mezzo secondo si ficcò le mani in
tasca, alla ricerca del suo pacchetto di sigarette. L'accendino fece
del suo meglio per prosciugare quel poco di pazienza e autocontrollo
che lui cercava in ogni modo di imporsi e quando finalmente la punta
della sua sigaretta cominciò a bruciare a dovere inspirò
una lunga boccata di fumo, mentre nella sua testa continuava a
chiedersi che cosa avrebbe dovuto fare.
Si guardò brevemente intorno, per vedere se Nami fosse
magicamente comparsa da qualche parte e quando non la vide
espirò il fumo, lasciando che la cenere cadesse direttamente
dalla punta della sua sigaretta sull'erba soffice. Finì di
fumare in silenzio, spense con cura la cicca sotto il tacco e se ne
accese un'altra. «Tutto per colpa del Marimo,»
ripeté, come se dovesse essere sicuro che ogni fibra del suo
essere fosse concentrata nel biasimare quella Testa d'Alga e quando
iniziò a sentire le gambe infastidite da tutta
quell'immobilità a cui non erano abituate, ricominciò a
camminare alla cieca nella foresta, cercando di ricordare da che parte
fosse venuto e di ritrovare il punto in cui lui e Nami si erano persi
di vita. Camminò con i denti serrati, lastricando il suolo di
cenere e sigarette consumate – come se gliene potesse fregare
qualcosa del bene dell'ambiente in un momento come quello –
iniziando vagamente a riconoscere alcuni alberi dalla forma bizzarra
che avevano attirato la sua attenzione.
«Nami-san!» chiamò a gran voce, perdendo anche la
sigaretta appena accesa che aveva in bocca e che si affrettò a
spegnere contro un sasso con un moto di stizza. «Nami-san, sei
qui? Nami-swan?!» la chiamò di nuovo e poi sospirò,
mettendosi a studiare l'ambiente che lo circondava. Sì,
rifletté, quando iniziò a riconoscere davvero il posto, a
quel punto erano ancora insieme, se lo ricordava benissimo. Poi, per
una ragione che non riusciva a spiegarsi, si erano separati, andando
ognuno in una direzione diversa e senza guardarsi alle spalle.
Guardò il grosso albero che aveva davanti, ricordandosi ch a
quel punto lui era andato verso est, verso la macchia più fitta,
mentre Nami, ipotizzò, doveva essersi diretta verso nord o nord
est, lungo un sentiero che Sanji notava adesso per la prima volta.
Sbatté le palpebre, confuso. Il sentiero era piuttosto ampio,
regolare e si dipanava agilmente tra la macchia fitta di alberi che
sembravano come aprirsi di loro spontanea iniziativa per cedere il
passo: come aveva fatto a non notarlo, prima? Sbuffò e scosse il
capo, accendendosi l'ennesima sigaretta. Era inutile fermarsi a pensare
a una cosa del genere: la cosa veramente importante, in quel momento,
era trovare Nami; poi, quando l'avesse trovata, sarebbe andato a
cercare quell'idiota di Zoro e gliene avrebbe date davvero di santa
ragione.
Con questa nuova risoluzione, si avviò lungo il sentiero,
cercando di camminare il più in fretta possibile e nel contempo
di studiare tutti i dettagli dell'ambiente circostante con estrema
attenzione, perché se Nami fosse stata in qualche modo ferita o
per qualche ragione non riuscisse a rispondergli, non poteva
permettersi di lasciarla indietro un'altra volta.
Si irrigidì e fremette di rabbia, al solo pensiero di Nami
abbandonata a se stessa nel bel mezzo di una giungla come quella,
magari ferita o peggio e, istintivamente, tirò un calcio
poderoso ad un albero proprio alla sua destra che, se ne accorse
distrattamente, aveva quasi le sembianze di Zoro – il ciuffo
verde di foglie era quello, comunque.
Avanzò ancora e quando si trovò proprio nel centro di un
dedalo intricato di rami e foglie ebbe come la sensazione di star
perdendo il controllo. Tanto per cominciare, non aveva idea di dove
stesse andando. In linea generale, sapeva di star procedendo
all'incirca verso nord, cioè nella direzione opposta in cui si
trovava la spiaggia dove erano attraccati ma, a parte quello, gli
sembrava di star vagabondando senza meta, come se fosse stato del tutto
defraudato del suo senso dell'orientamento e il suo corpo si muovesse
da una parte all'altra proprio come l'ago impazzito di una bussola e si
ritrovò a provare un poco di pietà per il Marimo, al
pensiero che quella sensazione era perennemente nella sua testa.
Quando formulò il pensiero in maniera coerente tirò un
calcio in aria e si accese un'altra sigaretta. «Devo smetterla di
tergiversare,» si disse, tra una boccata di fumo e l'altra.
«Non ho tempo da perdere con lo stupido Spadaccino, adesso la
cosa più importante è trovare Nami-san. Oh,
Nami.swan!» aggiunse, incominciando a gridare a voce più
alta: «Non temere, amore mio, il tuo Sanji sta venendo a
salvarti!»
Iniziò a correre, dopo che ebbe spento la cicca che aveva in
bocca e averne accesa un'altra; si muoveva completamente alla cieca,
lasciandosi guidare solo dal suo istinto e quando improvvisamente si
rese conto di essere di nuovo nel punto della foresta in cui aveva
cominciato le ricerche di Nami si fermò di colpo, gli occhi
spalancati.
«Ma che diavolo significa?» Si guardò intorno.
«Stavo andando nella direzione completamente opposta, che ci
faccio ancora qui?» Fissò per terra, verso le rocce e le
radici disposte a caso sul suolo e, proprio quando era sul punto di
rassicurarsi, dicendosi che, magari, erano solo alberi simili a quelli
di prima, rimase paralizzato nel vedere un mozzicone di sigaretta
spappolato senza pietà tra i sassi e le foglie. Deglutì e
istintivamente volse lo sguardo verso il cielo che non riusciva a
vedere attraverso le fronde e le foglie che non si lasciavano scuotere
nemmeno dal vento.
Preso da un momento di terrore, lasciò che la sigaretta ancora
spenta che si era appena messo in bocca cadesse al suolo insieme
all'altra.
«Non riusciremo davvero più a uscire da questo maledetto
labirinto.» Strinse i pugni e si guardò attorno, gli occhi
fuori dalle orbite. «Nami-san! Nami-san!» Inspirò a
fondo, sentendo il terrore crescere e, con tutta la forza che aveva in
corpo, si lasciò scappare un grido che salì verso il
cielo come un lampo, squarciando quasi il tetto di foglie che sembrava
opprimerlo ogni secondo di più: « Dove diavolo
sei, idiota di uno spadaccino?!»
____________________________________
N/A
Ommioddio aiuto! XD
Okay, riprendiamoci, non si possono cominciare le note dell'autore in questo modo. è__é
Dunque, tanto per cominciare, questa fanfic è stata scritta per la I Missione della V Settimana del COW-T su Mari di Challenge, con prompt Tre personaggi.
Questa fanfic è stata ispirata da una doujinshi Zoro/Sanji che
LA BELLEZZA (il titolo dovrebbe essere "Hito wa maigo toiu keredo", o
una roba del genere ^^), ed è a tutti gli effetti la prima
fanfiction di One Piece che io abbia mai scritto/pensato in tutta la
mia vita. E la cosa mi terrorizza. .__.
Spero di non aver fatto grandi pasticci con i personaggi, in caso non
esitate a rimproverarmi! (Accidenti, non so che dire, da quanti secoli
è che non entro in un fandom nuovo nuovo di zecca? Siate buoni!
;__;)
Ci tenevo a dire ancora un paio di cose, comunque.
La prima, mi dispiace che queste note non abbiano senso. XD
La seconda, nonostante l'ispirazione, questa non
è una fanfic shounen ai. Non esattamente. Non del tutto. Magari
un pochino, ecco, ma vi prometto che non ve ne accorgerete neanche! ;__;
E, la terza, sì, avete letto bene, questa cosetta è
già tutta completa dal prologo all'epilogo, quindi non abbiate
paura che non la porti a termine (a qualcuno importa?) perché
è già finita.
Direi che non c'è altro, a questo punto! E se vi va di passare
al primo capitolo, be', la cosa non può che farmi piacere! *__*
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Capitolo 2 *** Dov'è Zoro? ***
SCHEMAEFP2
La giornata era delle migliori che si potessero sperare. Il mare era
una tavola blu piatta e leggermente increspata dal vento regolare che
soffiava verso ovest, trascinando dolcemente la Going Merry esattamente
dove l'ago del Logpose aveva segnalato la loro prossima meta e Nami,
appoggiata con i gomiti sul parapetto, non riusciva a non sentirsi in
completa armonia con l'ambiente che la circondava. Guardò il
mare, il cielo solcato da piccoli stormi di gabbiani che sembravano
talvolta inseguirli e talvolta indicare loro la strada verso terra e
poi chiuse gli occhi, lasciando che il rumore delle onde che si
infrangevano sulla ciglia le riempisse le orecchie, mentre il profumo
dei suoi mandarini le entrava nelle narici e le colpiva direttamente il
cervello, facendola sentire appagata, felice.
Ma lo sarebbe stata decisamente molto di più, rifletté,
quando iniziò a sentire una vena pulsarle con violenza sulla
fronte, se anche tutto il resto della ciurma avesse di comune accordo
deciso di entrare in armonia con l'ambiente tranquillo che li
circondava. Robin e Zoro non le causavano nessun problema, dato che una
leggeva e l'altro dormiva steso da qualche parte sul ponte, come suo
solito, e nemmeno Sanji che non aveva smesso un secondo di ronzarle
attorno le dava poi così tanto fastidio – anche
perché la macedonia che le aveva servito circa mezzora prima era
stata una vera delizia – ma se Lufy, Usop e Chopper non avessero
smesso in quel preciso istante di comportarsi come un branco di
imbecilli, li avrebbe gettati tutti e tre fuori bordo e avrebbe
lasciato che diventassero cibo per pesci senza pensarci due volte.
Che cos'avessero poi da sbraitare era un vero mistero. Li
guardò, tutti e tre ritti in piedi sotto la polena, con i nasi
per aria a guardare qualcosa che lei non riusciva a distinguere e
sbuffò, gonfiando le guance. «Si può sapere cosa
urlano a fare?» sbottò serrando i pugni, e in quel preciso
istante Sanji comparve proprio al suo fianco reggendo in mano un
vassoio ricolmo delle praline al cioccolato che le aveva offerto prima
e che lei, ovviamente, aveva accettato di buon grado. «Se ti
danno fastidio li farò star zitti immediatamente!» le
disse e Nami gli concesse solo una breve occhiata prima di tornare a
studiare cosa avveniva alla prua della nave.
In quel momento, Chopper si stava sbracciando in direzione della
polena, mentre Usop sosteneva Lufy che, abbarbicato sulle sue spalle,
cercava di raggiungere uno dei corni della pecora, visibilmente senza
successo. Dopo un brevissimo istante Chopper gridò qualcosa e
nell'istante immediatamente successivo una gamba di Usop cedette e lui
finì per terra, mentre Lufy restò appigliato come un
idiota alla testa della polena, in precario equilibrio.
Nami sentì che la vena che le martellava nella tempia era sul
punto di scoppiare e, ignorando le praline che Sanji le stava mettendo
sotto il naso, gridò con così tanta forza che la sua voce
raggiunse senza problemi tutte le estremità della nave:
«Si può sapere che state facendo, razza di
imbecilli?!»
Robin sollevò brevemente il capo nella sua direzione e
così fecero anche Usop e Chopper, mentre Sanji quasi cadde per
terra dallo spavento e Zoro continuava a dormire, totalmente
indisturbato. Lufy, recuperato un certo equilibrio, ci mise un momento
a voltarsi verso di lei, girando la testa a centottanta gradi sulle
spalle.
«È successo qualcosa?» chiese, la voce piatta e
tranquilla e Nami provò il profondo desiderio di tirargli dietro
una scarpa.
«È quello che ti ho chiesto io!» ribatté e
Lufy sbatté le palpebre un paio di volte, lasciando a Usop il
compito di risponderle: «L'uccello,» disse, laconico, e
Nami sospirò.
«Ma quale uccello?»
«Quell'uccello,» intervenne Chopper, indicando la testa di pecora con lo zoccolo.
Nami sbatté le palpebre un paio di volte e si sporse dal
parapetto per tutta la lunghezza delle braccia, cercando nel frattempo
di aguzzare la vista. «Che cos'ha che non va
quell'uccello?»
«È seduto al mio posto!» gridò Lufy, non
appena ebbe rimesso entrambi i piedi sul ponte della nave. «E non
vuole andarsene da lì!»
«E tu per questo stai facendo tutto questo casino?!»
gridò Nami e accanto a lei Sanji sospirò, scuotendo il
capo.
«Lascialo stare, prima o poi se ne andrà, no?»
«Ma è lì da tre giorni!» si lamentò Lufy con le guance gonfie d'aria.
Sanji si strinse nelle spalle. «Allora caccialo via, no?»
Ha resistito tre giorni prima di fare tutto questo casino?
È un record!
«Ci ho provato!» disse Lufy, caricando il colpo con il
braccio. «Ma guarda cosa fa!» Sparò il colpo verso
l'uccello allungando il braccio fin a quasi a toccare il suo becco e
senza un minimo di esitazione l'animale prese il volo, librandosi in
cielo leggero e rapido come un proiettile e tutta la ciurma –
fatta eccezione per Zoro, naturalmente – seguì le volute
che disegnava in aria attorno all'albero maestro e poi sopra le
piantagioni di mandarini fino alla poppa della nave, solo per ritornare
subito indietro verso prua e sistemarsi sulla polena, esattamente nel
punto in cui si trovava prima che Lufy lo scacciasse.
«Visto?!» si lamentò il capitano, e Nami si
passò una mano in faccia, cercando inutilmente di non lasciarsi
coinvolgere da tutta quella follia dilagante. E dire che la
giornata era cominciata così bene, pensò, con
un sospiro, e per cercare di tenersi su di morale guardò il
Logpose che continuava a segnalare che la rotta era giusta e che si
stavano avvicinando alla loro prossima meta. Per avere una conferma che
l'aiutasse a mantenere i nervi ben saldi sollevò lo sguardo
verso il mare e con sua grande sorpresa – in lontananza e un po'
avvolta dalla nebbia – vide un lembo di terra che compariva sulla
superficie del mare. Nonostante tutto, sorrise. «Siamo quasi
arrivati,» disse, la voce leggermente più serena.
«L'isola è laggiù, dovremmo riuscire a raggiungerla
entro un'ora al massimo.»
Il broncio di Lufy non accennò a diminuire. «Ma quell'uccello s'è preso il mio posto!»
Nami digrignò i denti: «È solo un maledettissimo
gabbiano! Vedrai che appena toccheremo terra se ne andrà,
finiscila di comportarti come un moccioso!»
«Ma io…» cominciò Lufy, ma prima che potesse
aggiungere anche una sola parola l'uccello prese di nuovo il volo ed
emise un verso lungo e armonioso, prima di puntare il becco verso
l'isola e volare nella sua direzione, sparendo ormai quasi del tutto
dalla loro vista.
«Hai visto?» lo rimbrottò Nami con una scrollata di
spalle. «Se n'è andato, come avevo detto io. E ora
smettetela di bighellonare, scansafatiche!» li richiamò
all'ordine. «Tutti ai vostri posti, stiamo per attraccare.»
E, dopo un momento, aggiunse: «E qualcuno si sbrighi a svegliare
Zoro!»
Poco più di un'ora dopo, la nave era stata attraccata al sicuro
in porto. L'acqua era piuttosto profonda, abbastanza perché la
Going Merry potesse affiancare la costa che si piegava dolcemente verso
l'entroterra fornendo loro non solo un porto naturale ideale, ma anche
protezione dal cattivo tempo che sulla Grand Line restava sempre
un'incognita, e dall'assalto di navi nemiche che sarebbero potute
comparire da chissà dove.
Nami guardò la sua opera con un pizzico di orgoglio e
aspettò che l'ancora fosse calata del tutto, prima di dare
istruzioni. «Bene,» disse, le mani ben salde sui fianchi.
«Ora dobbiamo solo decidere il da farsi.» Allungò lo
sguardo verso la terra ferma che lasciava alla sua vista solo una
striscia di sabbia bianchissima che dal mare avanzava verso
l'entroterra e si perdeva nella fitta vegetazione di una foresta che
sembrava incombere quasi minacciosa verso di loro, a dispetto
dell'ambiente sereno che la circondava.
«Come siamo messi a provviste?» Si voltò a guardare
Sanji e lui scattò subito sull'attenti, avvicinandosi a lei con
aria adorante.
«Meravigliosamente, Nami-swan! Anche in caso che il viaggio
subisca dei ritardi con il cibo siamo coperti per circa tre settimane,
razionalizzando anche un po' di più. L'unica cosa che ci serve
sul serio è l'acqua, perché le riserve stanno per
finire.»
«Bene,» disse Nami con un vigoroso cenno del capo.
«Allora sarà meglio procurarcela al più presto. Nel
frattempo io mi occuperò della cartografia dell'isola e chiunque
non sia impegnato ad aiutare me o Sanji può andare a cercare
della frutta o a pescare.» Inspirò. «Mi chiedo solo
quanto tempo serva al Logpose per registrare il magnetismo di
quest'isola…»
«Navigatore?» La voce calma e pacata di Robin irruppe nei
suoi pensieri e lei si voltò a guardarla, lievemente in
apprensione.
«Sì?»
«Giorni fa ho iniziato un libro che parla proprio di
quest'isola,» le spiegò con il sorriso sulle labbra.
«Secondo le informazioni riportate pare servano dalle due alle
tre ore perché il Logpose ne rilevi il magnetismo.»
Nami sorrise. «Grazie mille, Robin. Allora faremo così:
avete tutti circa tre ore di tempo per mettere insieme i rifornimenti e
rilassarvi, nel frattempo io mi occuperò di disegnare la
cartina.»
«Ti accompagno io, Nami-san!» la interruppe Sanji e lei lo
ignorò, continuando a dare ordini come se niente fosse:
«Cercate di non combinare niente di strano e di non mettervi nei
guai, siamo intesi?»
Tutti gridarono meccanicamente il loro «Signorsì!» e
senza aggiungere altro Nami si diresse verso la sua cabina per
recuperare tutti gli strumenti che le sarebbero serviti. Quando era
già sulla porta, Robin la intercettò, richiamando la sua
attenzione: «Scusa, Navigatore?»
Il sorriso di Nami si smorzò un poco, quando vide la sua espressione accigliata: «Cosa c'è?»
«Come ti ho detto, ho iniziato a leggere questo libro solo pochi
giorni fa,» disse, sollevandolo nella sua direzione perché
lei lo vedesse, «e non conosco ancora i dettagli, ma qui dice che
è sconsigliabile vagare per la foresta, perché pare
essere un posto piuttosto pericoloso.» Tutto a un tratto, Robin
sorrise. «Te lo dico perché non voglio che ti accada
qualcosa mentre disegni la cartina e anche perché non sarebbe
consigliabile perdere tanto tempo su un'isola che pare deserta, dico
bene?»
Nami si appoggiò le mani sui fianchi e guardò verso la
spiaggia, verso la foresta che adesso, dopo le parole di Robin, le
sembrava ancora più oscura e minacciosa.
«Si, hai ragione,» rispose dopo un momento. «Anche io
ho avuto una brutta sensazione, quando siamo arrivati qui.»
Sospirò. «Vorrà dire che mi limiterò a
segnare i contorni della spiaggia e della foresta. La cosa veramente
importante,» aggiunse con una smorfia, «e che a Lufy e gli
altri non venga in mente di entrare o sarebbe un bel problema!»
E detto questo girò sui tacchi e tornò verso il parapetto
della nave, sollevata di vedere che tutti stavano ancora bighellonando
sulla spiaggia: «Ehi, voi, ascoltatemi!»
I ragazzi si voltarono nella sua direzione e Nami inspirò a
fondo, prima di parlare: «Robin dice che quella foresta alle
vostre spalle potrebbe essere pericolosa, quindi vi proibisco
categoricamente di entrarci, altrimenti giuro che scadute le tre ore vi
abbandono qui, ci siamo capiti?»
Usop, Lufy e Chopper si guardarono in faccia l'uno con l'altro: «Perché sta guardando proprio noi?»
«Nami-san! Robin-chan! Vi giuro che farò tutto quanto
è in mio potere per tenere questi idioti lontano dalla
foresta!»
Nami sospirò, visibilmente più tranquilla. «Va
bene, Sanji-kun, li lascio a te.» Detto questo si diresse
nuovamente nella sua cabina e dopo aver preso tutto l'occorrente scese
dalla nave canticchiando e si avviò lungo il bagnasciuga con la
sua penna tra le dita e il sorriso sulle labbra.
Le ci vollero circa due ore e mezza per seguire tutto il perimetro
dell'isola – che era piuttosto piccola, in realtà –
e a parte la foresta non le restò da segnare altro che un
fiumiciattolo che si trovava poco distante dal luogo in cui avevano
attraccato, nella parte più meridionale, e alcuni ruderi di
quello che, a prima vista, sembrava un vecchio castello eroso quasi
completamente dal tempo. Tornò alla loro spiaggia senza fretta,
sebbene la vicinanza alla foresta le faceva venire un po' la pelle
d'oca, e tirò un sospiro di sollievo quando vide che tutti i
suoi compagni erano rimasti esattamente dove lei voleva che restassero.
«Nami-san, sei tornata finalmente!» Non appena la vide
Sanji le andò subito incontro e quando si fermò davanti a
lei le porse un vassoio che teneva in mano e su cui era poggiata
un'enorme coppa di gelato guarnita con frutti esotici.
«So che non ci saremmo dovuti avvicinare alla foresta, ma questi
frutti pendevano dagli alberi al limitare ed erano troppo deliziosi
perché io li lasciassi dov'erano e non gli offrissi alla
creatura più splendida di quest'isola! Senza contare che dopo
tutto il tuo duro lavoro sarai stanca e disidratata!»
Nami non si piegò nemmeno di lato per vedere se anche Robin
avesse ricevuto lo stesso trattamento. «Grazie, Sanji-kun,»
disse, la voce suadente. «È stato molto gentile da parte
tua,» aggiunse e mentre lui si perdeva in una valanga di
cuoricini lei si rivolse a tutti gli altri che, nel frattempo, avevano
smesso di fare quello che stavano facendo.
«Bene,» disse dopo aver controllato il suo Logpose.
«Il magnetismo è stato registrato, quindi in teoria siamo
pronti a partire. L'acqua?» chiese e Sanji le si presentò
davanti di nuovo sull'attenti: «Siamo a posto,»
confermò e Nami esitò solo un momento per guardare di
nuovo in direzione della foresta.
«Va bene, direi che possiamo andare.»
Lufy, Usop e Chopper salirono per primi sulla nave, seguiti a ruota da
Robin che si era sistemata sulla spiaggia con la sua sdraio che ora
stava riportando a bordo usando la tecnica delle Dix Fleurs. Per ultimi
salirono Nami e Sanji che la seguiva con i suoi occhi adoranti.
I preparativi per far ripartire la nave procedevano svelti e senza
distrazioni e proprio nell'istante in cui erano quasi pronti a salpare
Usop si staccò dal gruppo e lo videro fissare un punto vuoto
lungo il ponte della nave con un sopracciglio lievemente inarcato. Lui
si guardò attorno per un momento e poi, lievemente a disagio, si
voltò verso il suoi compagni con un'espressione atterrita.
Lufy sbatté le palpebre e gli si avvicinò, per nulla
preoccupato, solo curioso: «Che c'è che non va?»
«C'è qualche problema?» chiese Nami dal timone e
Usop li guardò uno per uno, come se stesse cercando nei loro
sguardi la risposta alla domanda che non aveva ancora formulato.
Deglutì. «Ragazzi,» chiese, la voce lievemente
tremante. «Dov'è Zoro?»
Per un lungo momento, sulla Going Merry cadde il silenzio.
____________________________________
N/A
Ed eccoci già al secondo capitolo! Che aggiornamenti lampo! (Okay la smetto...)
Dunque, cosa dire? Chiaramente questa storia è ambientata da
qualche parte tra l'arrivo di Robin nei Mugiwara (noterete che questa
parola non compare mai, perché sono ridicolmente affezionata a
"Cappello di Paglia" .__. Mi sembra un nome molto più idiota,
ecco XD), e la cosa è così per due ragioni: la prima,
perché oggettivamente c'è già troppa gente per una
fanfic che dovrebbe essere concentrata principalmente su tre personaggi
e, la seconda, è perchè sono ridicolmente indietro con il
Manga. Sarò al numero quattordici, tipo. E non è ancora
comparso nemmeno Chopper. Quindi vi pregherei di fare i carini e dirmi
se qualcosa di Robin o Chopper non andasse, perchè non li
conosco ancora molto bene. ;__; *si vergogna* (Ma non solo su di loro,
eh, anche su tutti gli altri ragazzi! ^^)
Comunque, spero che questo capitolo non vi dispiaccia troppo! ^^
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Capitolo 3 *** Hanno preso Nami! ***
SCHEMAEFP2
«Allora, l'avete trovato?»
«Qui non c'è!»
«In cabina non si trova.»
«In cucina?»
«Niente da fare, Nami-san, qui non c'è!»
«Non lo vedo!»
«Non è nemmeno in infermeria!»
«Non può essere sulla nave, non ci sono più neanche le sue spade!»
«Sono d'accordo: abbiamo setacciato la nave da cima a fondo, Navigatore, non c'è.»
«Oh, ma insomma, che fine ha fatto quell'idiota?»
Dopo quasi un'ora di ricerche infruttifere che avevano sparpagliato i
membri della ciurma in giro per tutta la nave e gli immediati dintorni,
tutti tornarono a rapporto sul ponte, davanti a una Nami così
nervosa che avrebbe potuto dare fuoco all'intera Going Merry con una
semplice occhiata. Scrutò tutti i suoi compagni uno per uno e
senza nemmeno cercare di assumere un tono di voce vagamente umano,
disse: «Spiegatemi com'è possibile che una persona
sparisca in questo modo assurdo e senza lasciare tracce.»
Tutti si guardarono tra loro e poi sospirarono, scuotendo il capo.
«Forse è sceso ed è andato a farsi un
giretto.»
Lufy si portò le braccia dietro alla nuca e si strinse nelle
spalle. «Se la caverà. Insomma, è sempre Zoro, no?
Se lo aspettiamo tornerà indietro.»
«Con il suo senso dell'orientamento completamente
inesistente?» si intromise Sanji con una smorfia, mentre si
accendeva una sigaretta. «Potrebbero volerci dei giorni anche
solo perché riesca a ritrovare la nave da dietro
quell'insenatura,» disse, indicando col pollice una lieve
protuberanza della costa che nascondeva la nave a chiunque fosse
dall'altra parte.
Usop iniziò a lamentarsi per qualcosa mettendosi le mani nei
capelli e Nami inspirò a fondo, iniziando a trovare veramente
insopportabile tutta quella situazione: «Giorni che noi non
abbiamo!» gridò, facendo arretrare
tutti gli uomini di un passo. «Se ci siamo fermati su quest'isola
è solo perché dovevamo rilevarne il magnetismo per il
Logpose: i programmi erano che saremmo arrivati alla prossima isola
entro la fine del mese e non dopo!»
«Ma possiamo aspettarlo per qualche ora, no?» chiese Lufy e
Nami lo zittì con un'occhiataccia che non ammetteva repliche.
Poi, dopo un istante, inspirò a fondo e tornò a fissarli
come se le fosse appena venuta in mente un'idea al contempo assurda e
spaventosa: «Ma scusatemi tanto,» chiese, la voce
così bassa e minacciosa che tutti quanti sentirono le ossa
ghiacciarsi. «Zoro era sulla nave, giusto?»
«Sì,» confermò Sanji dopo un momento.
«Quando sono sceso era lì in quell'angolo che dormiva,
come al solito.»
«E voi non vi siete allontanati dalla nave, dico bene?»
incalzò Nami, sempre più tetra e terrificante.
I pirati scossero il capo. «Io e Sanji ci siamo spostati un po'
in là lungo la costa per prendere l'acqua dal ruscello,»
spiegò Usop, recuperando un minimo di coraggio. «Ma tutti
gli altri erano qui sulla spiaggia o ancora sulla nave, dico
bene?»
Chopper annuì. «Io sono stato quasi tutto il tempo in
infermeria, e da quando sei andata via, Nami, non l'ho più
visto.»
Robin sospirò, scostandosi con un gesto fluido la frangia dalla
fronte: «La nave non è mai stata senza sorveglianza,
Navigatore. In un modo o nell'altro, c'era sempre qualcuno che la
teneva d'occhio.»
Nami inspirò a fondo. «E allora mi volete spiegare come
è possibile che Zoro sia svanito completamente nel nulla?»
Per un momento nessuno rispose e Robin prese di nuovo l'iniziativa,
parandosi davanti a Nami che era pronta a picchiare qualsiasi cosa le
fosse capitata sotto tiro. «Direi che sapere
come è successo sia il minore dei nostri
problemi, adesso.» Fece una breve pausa e attese che Nami
assumesse un'espressione vagamente più tranquilla, prima di
continuare: «Quello che dobbiamo scoprire al più presto
è dove è finito il signor Spadaccino.
Non vorrei,» aggiunse, con un'aria improvvisamente crucciata e
Nami seguì la linea del suo sguardo verso la spiaggia e ancora
oltre, fino alla foresta fitta su cui sembrava essere calata una nube
oscura e minacciosa.
«Non dirmi che...»
«No, non può essere: Nami si era raccomandata che noi non entrassimo nella foresta, no?»
«È del Marimo che stiamo
parlando,» disse Sanji con una lieve nota di disprezzo nella
voce. «Lui è capacissimo di combinare questo genere di
casini. Senza contare che quando Nami-swan si è raccomandata di
star lontano dalla foresta lui dormiva, come suo
solito.»
Dopo un momento, Lufy cominciò a borbottare sottovoce qualcosa
che assomigliava vagamente a un «Però non è
giusto!» I suoi compagni lo guardarono incuriositi e dopo una
lunga manciata di minuti in cui fu palese che non aveva alcuna
intenzione di smetterla di lamentarsi tra sé e sé Nami
gli diede una violenta botta in testa, costringendolo a tacere una
volta per tutte: «Si può sapere cos'hai da borbottare,
adesso?!»
Lufy guardò Nami storto e, dopo essersi ulteriormente lamentato
della botta, tornò a mettere il broncio: «Era un
avventura!» esclamò, incrociando le braccia al petto come
un bambino. «E se Zoro è entrato nella foresta, allora
voglio entrarci anch'io!»
«Ma che cos'hai, cinque anni?!» urlò Nami, prima di
rivolgersi nuovamente a tutti quanti: «Nessuno entrerà
nella foresta fino a che non lo dirò io, siamo intesi?»
«E che facciamo con Zoro?» chiese Chopper, che fino a quel
momento era rimasto al riparo dietro le gambe di Usop, troppo
spaventato dalla navigatrice per osare aprire la bocca. Nami gli
scoccò un'occhiataccia e lui tornò dietro il suo scudo
umano, sebbene anche questi avesse le ginocchia che sbattevano
violentemente l'una contro l'altra.
«Per quello che mi riguarda, Zoro può anche arrangiarsi!»
«Ben detto Nami-swan!»
«Non abbandoneremo Zoro da solo nella foresta!» Lufy era
scattato in avanti, gli occhi spalancati e la mascella contratta, con
dipinta in viso un'espressione che non prometteva niente di buono. Nami
sbatté le palpebre un paio di volte, un po' spaventata da quel
suo repentino cambio di umore e indietreggiò impercettibilmente,
tanto che quasi nemmeno lei se ne rese conto.
«Lufy…» Sapeva che lui teneva a tutti loro come se
fossero stati la sua famiglia e per questa ragione le sembrava
impossibile che lui pensasse che lei volesse abbandonare Zoro per
davvero. Insomma, lei l'avrebbe fatto senza problemi, ma non pensava
che Lufy pensasse che lei potesse pensarlo. O una cosa del genere.
«Lufy, io…»
«E quindi io andrò nella foresta a prenderlo!»
dichiarò Lufy cogliendola quasi alla sprovvista e Nami fece
appena in tempo ad afferrarlo per la collottola che le sue gambe e la
sua testa erano già fuori dalla nave.
«No che non ci andrai!»
«E invece sì!»
«E invece no!»
«Lufy, è pericoloso! Chissà cosa potrebbe accaderti là dentro!»
«Io. Ci. Voglio. Andare!»
«Dovresti seguire i consigli della tua navigatrice, pirata dal Cappello di Paglia!»
La voce era pacata e melodiosa, quasi languida e la ciurma di pirati si
rese conto solo dopo un lungo momento che non proveniva da terra, ma
dal cielo. Sollevarono tutti i nasi per aria e videro un grosso animale
dall'apertura alare immensa che volteggiava attorno all'albero maestro
della loro nave; nessuno di loro parlò e la bestia planò
dolcemente verso il ponte, atterrando morbidamente tra la ciurma
radunata a poppa e il campo di mandarini.
L'animale che avevano davanti era l'uccello più grosso che
avessero mai visto; somigliava a un gabbiano o un albatro e dall'altro
dei suoi due o tre metri di altezza li scrutava con un cipiglio severo,
quasi come se fosse pronto a beccare ognuno di loro da un momento
all'altro.
Lufy, ora completamente distratto dalla foresta, lo guardò con
un sopracciglio vagamente inarcato e, indicandolo spudoratamente con il
dito indice, si rivolse a Nami: «È stata quella gallina a
parlare?»
«Cosa vuoi che ne sappia, io?!»
«Non sono una gallina!» ribatté la voce di prima e
tutti spalancarono le bocche e gli occhi, nell'osservare il maestoso
uccello.
«Questa gallina parla davvero!» esclamarono in coro e la
voce iniziò a borbottare: «Io non sono una gallina e
questo uccello non è una gallina!» I pirati sbatterono le
palpebre e la voce sbuffò, richiamando la loro attenzione:
«Sono quaggiù.»
Tutti fecero scivolare lo sguardo lungo il corpo massiccio e piumato
dell'animale e puntarono lo sguardo verso il pavimento, dove l'ometto
più basso e barbuto che avessero mai visto si stava sbracciando
per attirare la loro attenzione.
«Oh, mamma!» esclamò Usop, indicandolo.
«Guardatelo, è perfino più basso di Chopper!»
Lufy strabuzzò gli occhi e si chinò verso di lui, una
mano sotto il mento. «A voi non ricorda nessuno?»
«Somiglia un po' a Gaimon,» disse Nami, dopo averlo
studiato a lungo con attenzione. «Solo che lui è
vestito.»
«Gaimon chi?» chiese Sanji, improvvisamente ingelosito
senza nessun motivo e Nami scrollò le spalle, indicando il
piccoletto. «Un tizio che viveva si un'isola deserta, lo abbiamo
conosciuto io e Lufy quando ancora tutti voi non facevate parte della
ciurma.»
Per una strana ragione, Sanji rifilò a Lufy un'occhiata omicida,
e lui sorrise, beatamente ignaro, e si batté una mano sul
ginocchio: «Hai ragione!» esclamò, cominciando a
ridere. «Chissà come se la passa con quei suoi strani
animali? Mi piacerebbe tanto incontrarlo di nuovo!»
Nami, suo malgrado, sorrise quando le tornarono in mente tutte le loro
prime avventure. «Già. Sarebbe bello.»
«Scusate!» si intromise di nuovo il piccoletto, riuscendo
dopo una manciata esasperante di minuti ad attirare nuovamente su di
sé tutta l'attenzione. «Oh, ma insomma, avete finito o no
di chiacchierare? Non siete nemmeno un po' preoccupati per la sorte del
vostro amico?»
Lufy sbatté le palpebre. «Ma chi, Gaimon?»
«Sta parlando di Zoro!» urlarono Usop e Chopper in coro e
Lufy sbatté di nuovo le palpebre, fissando i due con uno sguardo
quasi vitreo. «Be', Zoro è Zoro. Se la caverà,
no?»
«Non devi dirlo a noi!»
«Quindi tu sai dov'è il nostro compagno?» si
intromise Nami che era stufa che la conversazione venisse gestita da
quel branco di idioti.
Sulla faccia del nanetto comparve una smorfia divertita che, purtroppo
per lui, si perse nella sua barba. «Forse sì o forse no.
Quello che è certo è che con ogni
probabilità non ne uscirà mai più. Non vivo,
almeno.»
Tutti i pirati tacquero, voltandosi all'unisono verso l'ometto e questa volta a nessuno venne in mente di mettersi a scherzare.
«Di che stai parlando, noce di cocco con troppo pelo?»
chiese Sanji schiacciando la sigaretta tra i denti e Lufy avanzò
fino a trovarsi a pochi centimetri dal suo naso, improvvisamente
minaccioso: «Parla chiaro, falso Gaimon: dov'è
Zoro?»
L'uomo non si lasciò scomporre e sollevò un dito verso il
cielo, facendolo poi scivolare lentamente verso il basso, piano piano e
quando si fermò stava indicando l'isoletta e la foresta che,
anche a quella distanza, riusciva a far venire i brividi.
«Dite un po', qualcuno di voi avrà il coraggio di andare a
prenderlo?» ghignò e Lufy era già sul punto di
partire quando la voce di Nami li interruppe di nuovo.
«Che cos'è quella foresta? Perché Zoro non può uscirne vivo?»
«Quella foresta è un labirinto, signorina navigatrice. E
chiunque sia così stupido da entrarvi non riuscirà mai
più ad uscire. Il vostro compagno è spacciato!»
Sanji espirò dalla sua sigaretta. «Be', chi se ne frega se
è un labirinto o che so io, tanto quell'idiota non sarebbe in
grado di trovare la strada nemmeno se fosse l'unica in uno spiazzo
aperto circondato solo da campi deserti,» disse, esalando il fumo
dalle labbra. «Il punto è che se ce l'hai portato tu,
significa che tu puoi uscire dal labirinto, non
è così?» gridò e tutto a un tratto l'uomo si
trovò schiacciato contro il parapetto con un piede piantato
direttamente sullo stomaco. Dopo un momento Sanji premette con
più insistenza, facendo forza sul ginocchio. «Quindi, dato
che non abbiamo tempo da perdere né col Marimo né con i
tuoi stupidi giochetti, che ne dici di andare a riprendere quel grosso
idiota e portarlo qui? In questo modo nessuno si farà del male e
noi ce ne potremo andar via tranquilli.»
L'ometto guardò Sanji con un sorriso strafottente stampato in faccia. «Oppure no, Sanji il cuoco.»
Sanji spalancò gli occhi, allentando leggermente la presa. «E tu come diavolo fai a sapere il mio nome?»
«Io so tutto di voi, ciurma di Cappello di Paglia,» disse e
ridacchiò, nonostante il piede che lo teneva sollevato da terra
gli impedisse di respirare a dovere. «Ma lascia che sia io a
farti una domanda, adesso. Che ne dici di smetterla di preoccuparti per
lo Spadaccino e non cominci a chiederti che ne sarà della
ragazza? Credo che ora sia lei ad avere più bisogno del tuo
aiuto, non ti sembra?»
«Di cosa stai…?»
«Aiuto!»
Tutti sollevarono gli occhi al cielo all'unisono e, proprio sopra le
loro teste, videro che il grosso uccello aveva nuovamente spiccato il
volo; solo che, questa volta, teneva Nami saldamente tra gli artigli.
Sanji lasciò l'ometto che cadde seduto sul ponte e lui e Lufy
corsero quasi in contemporanea nella direzione in cui l'animale stava
portando via Nami.
«Ma come diavolo ha fatto?» gridò Usop e Robin
strinse le labbra in una smorfia, volgendo lo sguardo verso l'uomo che
non aveva ancora accennato minimamente ad alzarsi. «Forse
è così che sono riusciti a portare via Zoro,»
mormorò e da lontano le arrivarono le grida di Lufy e Sanji che
erano in procinto di saltare giù dalla nave.
«Nami!» chiamò Lufy, con tutto il fiato che aveva in
corpo e poi tutto a un tratto si fermò e si sistemò ben
saldo sulle gambe, portando indietro il braccio di modo da riuscire a
caricare un colpo abbastanza potente che riuscisse a raggiungere quel
maledetto uccellaccio.
«Gom Gom…» iniziò, urlando a squarcia gola e
in quel preciso istante Sanji gli saltò sulla testa, usando la
spinta del suo collo per riuscire a fare un balzo abbastanza alto:
«Sto venendo a salvarti, Nami-swaaaan!»
Lufy ricadde all'indietro e Sanji si librò in aria, piegando la
gamba di modo da riuscire a colpire l'ala dell'uccello con tutta la
forza che aveva.
L'animale attese fino all'ultimo e proprio quando lui era sul punto di
colpire riuscì a scansarsi, facendogli perdere l'equilibrio e
Sanji cadde nella sabbia a faccia in giù, proprio a pochi metri
dall'inizio della foresta.
«Nami-san!» gridò e si alzò in piedi nel
preciso istante in cui l'animale lasciava la presa e faceva cadere la
ragazza proprio tra i primi alberi sul limitare del bosco. Sanji rimase
spiazzato per un momento e poi riprese a correre, entrando nella
foresta senza esitazione e continuando a chiamare la ragazza per nome.
Lufy si alzò in piedi e gli corse dietro a sua volta,
determinato a riprendersi Nami e i suoi compagni ad ogni costo ma
proprio quando ormai era quasi sul limitare della foresta una mano gli
si strinse con forza attorno al collo della canotta, imitata
immediatamente da una decina di altre mani che, vincendo la sua
resistenza, riuscirono a trascinarlo lontano dagli alberi e sulla
spiaggia, fino ai piedi nella nave.
«Lasciami andare, Robin!» gridò Lufy, divincolandosi
e lei, senza lasciarsi scomporre, lo caricò nuovamente a bordo,
bloccandolo contro il parapetto dall'altra parte del ponte.
«No,» gli rispose, gelida. «E se non la smetterai
immediatamente ti butterò a mare, Capitano.»
Lufy rimase immobile per un lungo istante e poi digrignò i
denti, prima di abbassare il capo. Robin inspirò a fondo.
«Chiaramente quel posto è pericoloso, o non ci avrebbero
fatto finire i nostri compagni. Fammi scoprire qualcosa in più
su quest'isola, prima di lasciarti andare: non sarebbe orribile se
oltre allo Spadaccino, il Cuoco e il Navigatore, ti perdessi anche tu,
Capitano?»
Lufy non rispose e strinse i pugni, continuando a ostinarsi a non
guardare Robin in faccia e dopo un momento la donna lo liberò
dalla sua presa, lasciandolo libero. Nessuno disse più una
parola e l'uomo dell'isola cominciò a ridere, tenendosi la
pancia con tutte e due le mani. «Siete formidabili, ciurma di
Cappello di Paglia! Ma sì, ma sì, andate pure tutti, che
importa? Tanto nessuno di voi ha le caratteristiche che servono per
uscire da quel labirinto, e senza la vostra preziosa navigatrice siete
spacciati, sulla Grand Line!» rise di nuovo e Lufy,
impossibilitato a fare altro, si scagliò contro l'uomo con tutto
il suo peso, tirandogli un pugno così forte che lo fece volare
in aria come se fosse stata una pallina da tennis.
«Torneranno tutti indietro, mi hai sentito? Torneranno e poi te la faremo pagare!»
Il grande uccello comparve dal nulla e, silenzioso com'era arrivato,
raccolse l'uomo sul proprio dorso e volò via, lasciandosi dietro
soltanto la rabbia dei pirati e le risate che, dalla sua schiena,
sembravano raggiungere tutti gli anfratti dell'isola.
Lufy si issò in piedi sulla polena e allargò le braccia,
inspirando così tanta aria che ad un certo punto credé di
essere arrivato al punto di scoppiare. «Loro torneranno!»
ripeté, agitando le braccia in aria come un ossesso per
mascherare quel filo di paura che, lentamente, si stava facendo largo
dentro di lui. «Loro torneranno di sicuro!»
____________________________________
N/A
Bene, finalmente sta succedendo qualcosa! (<-- se lo dice da sola).
Onestamente, mentre scrivevo questo capitolo, ero terrorizzata. .__.
Insomma, nella mia mente Lufy avrebbe insistito per andare ad ogni
costo, quindi bisognava trattenerlo in qualche modo: ho pensato che
così sarebbe plausibile, no? *entra nel panico*
Ah, già, sì, a proposito di "Lufy": lo so che in teoria
sarebbe o Rufy o Luffy, come compare scritto nell'Anime, però ho
preso il via con questo e siccome sono culopesa non ho più
modificato: se ci sarà una prossima volta con OP (e ci
sarà) (sì, una minaccia) sceglierò una
versione meno ibrida, mi spiace! ^^
|
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Capitolo 4 *** Nella foresta ***
SCHEMAEFP2
Quando Zoro aprì gli occhi si rese conto quasi di sfuggita di
non essere più sulla Going Merry. Sbadigliò, stirò
le braccia e la schiena e si mise seduto con le gambe incrociate,
cominciando a guardarsi attorno con la vista ancora un po' appannata e
un sopracciglio vagamente inarcato.
No, rifletté, lasciandosi scappare uno sbadiglio lungo e
rumoroso che naturalmente non si premurò neanche di coprire con
la mano, quella non era decisamente la loro nave. Tutto intorno a lui
si riusciva soltanto a distinguere il verde degli alberi e dei
cespugli, perfino i vecchi tronchi alti e nodosi erano completamente
ricoperti da un manto quasi vellutato di muschi o licheni o alghe o
qualsiasi cosa fossero quei grumi verdi che si distribuivano a grandi
macchie sulla corteccia. Quando si rese conto che anche cercando di
allungare lo sguardo il più possibile non sarebbe riuscito
comunque a vedere altro che quella fitta vegetazione Zoro si
alzò in piedi e guardò verso l'alto, cercando di
individuare almeno un pezzettino di cielo sopra la propria testa, ma a
parte qualche sporadico spicchio di azzurro pallido qua e là era
impossibile vedere qualunque cosa che si trovasse oltre ai rami e alle
foglie che si richiudevano come un tetto sopra la sua testa.
Istintivamente, Zoro posò la mano sulle spade. «Dove
diavolo mi trovo?» si chiese a bassa voce, iniziando a sentire
uno strano formicolio attraversargli tutta la colonna vertebrale fino
alla base della nuca. Ricordava benissimo di non ricordarsi per niente
che fossero attraccati su qualche isola; l'ultima volta che aveva visto
la Merry stavano procedendo lungo la loro rotta senza intoppi, una
volta tanto, e per questo ad un certo punto aveva deciso che non
sarebbe stato affatto male schiacciarsi un bel riposino, e si era
appisolato proprio sul ponte della nave, nel suo solito posticino
tranquillo dove pensava che nessuno sarebbe andato a disturbarlo.
Possibile che quello fosse uno scherzo dei suoi compagni? Era
improbabile, anche perché l'unico cuoco che avrebbe potuto
architettare una cosa del genere alle sue spalle generalmente era
più propenso a prenderlo a calci nel sonno, piuttosto che
trascinarselo dietro per miglia e miglia in una foresta fitta e buia
ottenendo solo il risultato di far arrabbiare la sua preziosissima
Nami-swan oltre ogni dire perché questo li
avrebbe fatti procedere in ritardo sulla tabella di marcia.
Che fosse diventato sonnambulo? Non aveva mai sofferto di niente del
genere e dubitava di esserlo diventato tutto a un tratto: l'unica
spiegazione plausibile era che qualcun altro lo avesse portato
lì, e questo qualcuno non era un membro della sua ciurma.
Strinse con forza la mano attorno all'elsa della sua spada e poi la
fece scivolare verso il basso, estraendo la lama di qualche centimetro,
pronto a reagire a qualsiasi assalto. Divaricò le gambe, si mise
in posizione e attese immobile per una manciata di minuti, fino a che
non avvertì ancora quel brivido alla base della nuca e si
voltò di scatto, trovandosi davanti solo altri alberi.
«Chi c'è?» gridò, mentre i suoi occhi
scattavano da una parte all'altra vigili, i nervi tesi come corde di
violino. «Venite fuori, sono pronto a ricevervi!» Attese
ancora un momento e tutto attorno a lui rimase immobile, avvolto da un
silenzio quasi opprimente che faceva apparire distante anche il rumore
delle poche foglie che il vento leggero riusciva a far muovere.
Zoro deglutì e poi si passò la lingua sulle labbra
secche, prima di percepire di nuovo quel brivido, questa volta molto
più vicino. C'era qualcuno, lì, lo sentiva. Era una
presenza quasi opprimente, fastidiosa, e lui si sentiva come se ci
fosse qualcuno alle sue spalle che gli soffiava nel collo e spariva non
appena lui cercava di fronteggiarlo. «Che vigliacchi,»
mormorò, riavvicinando le palpebre. «Venite fuori,
bastardi!»
Per un lungo momento non si sentì un fiato e poi,
all'improvviso, Zoro sentì una voce. Di primo acchito non
l'aveva riconosciuta: gli era sembrato un normalissimo rumore che
proveniva dalla foresta, forse il verso di un animale ma, facendo
più attenzione, riuscì a distinguere una voce che
apparteneva sicuramente ad un essere umano e se non fosse stata
così debole sarebbe anche stato in grado di distinguere qualche
parola. Sul suo viso comparve un ghigno divertito. Non c'era alcun
dubbio che quelli fossero i suoi nemici: chi altri avrebbe potuto
trovarsi lì nella foresta a così breve distanza da lui e
attrarlo in un modo tanto irresistibile?
Si voltò di lato e sguainò la spada, puntandola verso un
grosso albero che improvvisamente aveva assunto un aspetto quasi
minaccioso. «Se non volete essere voi a venire da me, allora
sarò io a venire a prendere voi,» disse e con un movimento
rapido fece a fette il tronco, facendolo cadere di lato e liberando
così la strada. Non rimase a guardare la sua opera e
cominciò a correre con l'elsa stretta nel pugno e un'espressione
esaltata e insieme omicida dipinta sul viso, allontanandosi suo
malgrado dalla voce che, proprio in quel momento, si era fatta
così vicina che avrebbe potuto riconoscerla senza un minimo di
difficoltà.
«Aiuto!»
Nonostante quel volo improvviso l'avesse spaventata oltre ogni dire,
Nami riuscì comunque a trovare la forza di gridare mentre cadeva
come un peso morto nel bel mezzo del tappeto di alberi che si stendeva
a macchia d'olio sotto di lei.
Scivolò tra le foglie, colpì un grosso ramo con l'anca e
poi cadde ancora di più verso il basso, sull'erba che si trovava
sotto di lei e che, per qualche ragione, era terribilmente scomoda e
ricoperta da lunghe aste dure che si aprivano sotto il suo sedere e le
tenevano sollevate le gambe, come se fosse finita in braccio a qualcuno
che se ne stava seduto per terra.
«Ti ho presa, Nami-san!»
Nami sbatté le palpebre e quando credé di poter
finalmente ricominciare a controllare a dovere il suo corpo si
voltò lentamente, trovandosi davanti la faccia adorante di Sanji
che la fissava con gli occhi brillanti e a forma di cuoricino.
«Sanji-kun!» esclamò lei, sorpresa di vederlo
lì. Non sapeva esattamente il perché ma, sebbene fosse un
pensiero completamente irrazionale, per un secondo ebbe come la
sensazione che il cuoco fosse l'ultima persona che avrebbe dovuto
vedere in un posto come quello – e credeva anche di sapere chi
fosse, invece, la persona che avrebbe dovuto essere lì con lei,
ma l'immagine che si stava lentamente delineando nella sua mente
svanì come una scritta sulla sabbia cancellata dalle onde quando
la voce di Sanji irruppe di nuovo nei suoi pensieri.
«Ho visto dove quell'uccellaccio ti ha lasciata cadere, Nami-san,
e grazie al cielo sono riuscito a prenderti al volo. Altrimenti
chissà cosa ti sarebbe successo se non fossi accorso subito a
salvarti!»
Nami capì che lui stava praticamente delirando da solo e
sospirò, alzandosi in piedi. «Grazie mille, Sanji-kun, mi
sono presa un bello spavento.»
Gli sorrise e lui sprecò un buon quarto d'ora ad esaltarsi da
solo. Nami lo lasciò fare e nel frattempo si guardò
attorno, cercando di individuare qualsiasi segno che potesse indicarle
dove si trovavano rispetto alla nave e alla spiaggia dov'erano
attraccati. Studiò a lungo il Logpose che portava al polso,
ringraziando mentalmente che non si fosse danneggiato nella caduta, e
quando Sanji si decise finalmente a stare zitto, lei lo incalzò:
«Dobbiamo muoverci,» disse, secca, spostandosi di qualche
passo verso la propria sinistra. «Il Logpose indica che la
prossima isola si trova a nord ovest rispetto a questa,»
spiegò, continuando a muoversi sul posto per riallineare le
coordinate. Dopo un lungo momento si fermò proprio davanti a
Sanji, dandogli le spalle. «Quando eravamo sulla nave l'ago
indicava quella direzione,» disse, facendo un rapido cenno col
capo, «e questo significa che il luogo in cui ci troviamo adesso
è parallelo alla spiaggia dove siamo attraccati.» Sorrise.
«Non ci resta che andare da quella parte e riusciremo a tornare
dagli altri senza problemi!»
Sanji guardò la linea che lei stava tracciando con il dito, e
annuì. «Infatti mi sembra proprio di essere arrivato per
di là.»
«Bene,» sospirò Nami, sollevata. «Allora per
prima cosa usciamo da qui, perché non mi sento per niente a mio
agio. E poi,» aggiunse, quasi di controvoglia, «cercheremo
di inventarci qualcosa per trovare Zoro.»
«Non devi aver paura, mia adorata Nami-swan!»
esclamò lui, ignorando completamente la seconda metà del
suo discorso. «Il tuo Sanji è qui a proteggerti!»
Nami non gli rispose e dopo che ebbero controllato per l'ultima volta
le coordinate si incamminarono l'uno accanto all'altra, in silenzio.
Camminarono a lungo e senza soste, guardandosi attorno di quando in
quando nel tentativo di individuare la fine della foresta e la spiaggia
e dopo quasi mezzora si fermarono tra due grossi alberi, stanchi e
confusi.
«Senti, Sanji-kun,» cominciò Nami, la voce piccola e
lievemente accigliata. «Hai corso così tanto per venirmi a
prendere?»
Il cuoco rimase un momento immobile e poi scosse il capo. «No.
L'uccello ti ha fatta cadere proprio tra i primi alberi, ci ho messo
poco meno di un minuto a raggiungerti.» Inspirò a fondo.
«Prima non c'era tutta questa foresta, tra noi e la
spiaggia.»
Nami tremò un poco e studiò nuovamente lo strumento che
portava al polso, tanto per essere sicura che non avessero preso una
strada sbagliata. Deglutì. «Ma se quello che dici è
vero, perché il Logpose segna che stiamo procedendo sempre per
la direzione giusta, allora?»
Sanji si chinò sulla sua spalla e studiò a sua volta lo
strumento, sebbene non riuscisse a capirci un granché. Non gli
venne in mente neanche per un secondo di mettere in dubbio le
capacità e le conoscenze di Nami e quindi si sollevò,
tornando a guardarsi attorno.
«Che razza di posto è questo, si può sapere?»
«Quella foresta è un labirinto, signorina
navigatrice. E chiunque sia così stupido da entrarvi non
riuscirà mai più ad uscire. Il vostro compagno è
spacciato!»
Le parole dell'uomo dell'isola colpirono entrambi nello stesso istante
e i due tornarono a guardarsi negli occhi, incapaci di nascondere la
paura che iniziavano a sentire.
«Il labirinto,» disse Nami, gli occhi spalancati, e Sanji
scosse il capo, osservando le piante massicce che sembravano voler
impedire loro di procedere oltre.
«È ridicolo,» disse, la voce carica di sdegno.
«Se è un labirinto dovrà pur esserci un'uscita,
no?»
Nami si leccò le labbra e istintivamente gli si avvicinò
un po' di più, iniziando a sentirsi improvvisamente più
vulnerabile – perché diavolo la sua presenza non
riusciva a tranquillizzarla?
«Forse non è un labirinto come gli altri,»
azzardò, cercando nel frattempo di liberarsi dei pensieri
stupidi che le attraversavano la mente. «Forse non possiamo
uscire a meno che non facciamo qualcosa o troviamo qualcuno. Forse
proprio Zoro.»
«Idiota di un Marimo!» sbottò Sanji che, appena
sentito il suo nome, si era quasi dimenticato del fatto che Nami gli
fosse così vicina, in quel momento. «Se ci troviamo in
questo casino è solo perché si è fatto rapire come
un allocco!»
Nami inspirò ed espirò un paio di volte, cercando di
calmarsi e si allontanò di un passo da Sanji, perché non
riusciva davvero più a sopportare tutta quella vicinanza.
«Va bene,» cominciò, iniziando a sentirsi un po'
meglio. «Allora la prima cosa che faremo sarà recuperare
Zoro e poi, forse, riusciremo ad uscire.» Sanji non rispose e lei
si morse il labbro inferiore, studiando il Logpose come se fosse la sua
unica ancora di salvezza. «Da che parte andiamo?»
«Non ne ho idea,» ribatté Sanji, accendendosi la
prima sigaretta da quando era entrato nella foresta. «Questo
posto è infernale!»
«Ma questo dannato posto è un labirinto!»
Zoro aveva corso per ore attraverso tutta la foresta, tagliando liane,
fronde, cespugli e qualsiasi altra cosa avesse trovato sul suo cammino
eppure, nonostante lui facesse di tutto per proseguire sempre nella
stessa direzione, gli sembrava di continuare a girare in tondo.
Osservò l'ambiente che lo circondava con occhio critico,
studiando le piante tutte uguali e i cespugli mezzi distrutti ammassati
ai piedi delle radici.
«Qui ci sono già stato,» disse, con un sopracciglio
inarcato. Dopo un istante guardò davanti a sé e strinse
con più forza la mano attorno alla spada, quando vide spuntare
nell'erba un sentiero di cui prima non si era accorto o che
semplicemente non era mai stato lì. Avanzò con cautela,
cercando in ogni modo di captare qualsiasi rumore potesse essergli
utile per riuscire a orientarsi in quel labirinto e non appena mise un
piede sul sentiero percepì di nuovo quel brivido. Scattò
indietro, come se la terra sotto ai suoi piedi bruciasse, e
voltò il capo verso la sua destra cercando con gli occhi
qualcosa che era comparso nella sua mente ma di cui non riusciva a
ricordarsi.
Era una figura umana, però, ne era certo. E, in fondo, sentiva
anche che quella persona era il responsabile di tutte quelle strane
sensazioni che sentiva muovendosi in quella sottospecie di labirinto.
Deglutì e senza nemmeno pensarci riprese a correre, inseguendo
quel brivido che sembrava non volergli lasciare scampo.
E dopo una mezzora, era tornato dritto di filato esattamente nello stesso punto.
«Ma non è possibile!» gridò, mettendosi le
mani nei capelli. «Altro che labirinto, questo posto è
stregato!»
Poi all'improvviso si voltò di scatto e allungò la spada
avanti a sé, arrivando quasi a sfiorare il muso di un grosso,
placido felino con la punta della sua lama. Era un animale ordinario
ma, nonostante non desse il minimo segno di voler attaccare, Zoro non
abbassò la spada.
«Che cosa vuoi?» chiese e l'animale rimase perfettamente
immobile, limitandosi solo di quando in quando a muovere le orecchie
nella sua direzione. «Mi stavi seguendo anche prima, vero? Cosa
vuoi?» chiese di nuovo, la voce più alta. «Non ho
niente da mangiare, per te.»
L'animale fece oscillare ancora le orecchie e si sedette davanti a lui
con tutta tranquillità, come se la spada non gli facesse alcun
effetto. Zoro lo guardò dall'alto in basso e, dopo un solo
istante, colpì.
L'animale non fece nulla per difendersi e quando la lama della sua
spada lo attraversò da parte a parte la bestia si spezzò
in due, rovinando a terra senza emettere il minimo suono. Zoro
piegò le labbra in una smorfia infastidita.
«Una macchina,» disse, osservando i cavi recisi che ancora
emettevano scintille e l'interno della creatura completamente rivestito
di metallo. Si chinò a terra, appoggiando il gomito sul
ginocchio, e studiò da vicino i circuiti della creatura che
ancora ronzavano indisturbati, nonostante lui non riuscisse a capirci
un accidente.
«Non ho idea di cosa sia questo affare,» disse, mentre si
alzava nuovamente in piedi, «ma secondo me non significa niente
di buono.» Sollevò gli occhi in aria e inspirò a
fondo.
«Finitela una buona volta con questi stupidi giochetti! Se volete
combattere venite fuori, è inutile che vi nascondiate qui
intorno come dei topastri!» gridò, allargando le braccia
e, mentre ancora le parole sgorgavano dalla sua bocca, non si accorse
minimamente di un paio di occhietti stretti e brillanti che, nascosti
dietro al tronco dell'albero che lui aveva fatto a fette poco prima,
studiavano silenziosamente ogni sua mossa.
____________________________________
N/A
Ed ecco che arriva anche il nostro terzo eroe! Fate tutti un
bell'applauso a Zoro, il protagonista che compare solo a partira dal
terzo capitolo! *__* (Lui è bello così, che ci vogliamo
fare? <3)
Onestamente non ho molto da dire su questo capitolo, in realtà
è più di transizione, tanto per cominciare a disporre i
personaggi sulla schacchiera.
E comunque non illudetevi, per tutta la fic Zoro non farà cose
molto diverse da ciò che fa in questo capitolo. XD No,
seriamente, io ho il terrore a scrivere di lui, mi sembra di dire
cavolate. ;__; Mentre con Nami mi sento un po' più a mio agio e
con Sanji... Be', Sanji è il mio preferito (mica per niente la
storia comincia con lui ♥) quindi sì, ho un po' il
terrore, ma meno, perché mentre scrivo fangherlo in
contemporanea. ù__ù (Non è una buona politica,
vero? XD)
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Capitolo 5 *** Sanji e Nami separati! ***
SCHEMAEFP2
Nami e Sanji, dispersi nel bel mezzo della foresta, continuavano a
girare sul posto alla ricerca di qualsiasi segno che avesse potuto
indicare loro la via da seguire, senza rendersi nemmeno conto del fatto
che era già da un pezzo che non riuscivano più a
mantenere un contatto visivo degno di quel nome; tutto il loro corpo
era in tensione, come se adesso che avevano deciso che la loro
priorità fosse trovare Zoro al più presto possibile fosse
scattato qualcosa che rendeva loro quel posto ancora più odioso
di prima.
Sanji sollevò gli occhi in aria, guardando le foglie che si
richiudevano come un guscio sulla sua testa e espirò il fumo
denso che gli stava quasi stagnando nei polmoni. «Non abbiamo
proprio altra scelta, vero?» mormorò tra i denti, gettando
la cenere e la cicca spenta sul manto d'erba.
Nami scosse il capo. «Nemmeno a me piace quest'idea,»
ribatté, la voce lievemente più aspra di quanto lei
avrebbe voluto. «Ma dato che evidentemente da soli non possiamo
uscire, almeno cerchiamo di restare tutti uniti.» Si passò
una mano sulla fronte e si asciugò alcune gocce di sudore che le
stavano scivolando sugli occhi.
«Fa un caldo terribile,» mormorò e quando si
voltò verso Sanji vide che lui indossava ancora la camicia con
le maniche lunghe e la cravatta annodata stretta attorno al collo.
Sbatté le palpebre. «Si può sapere come diavolo fai
a rimanere vestito così? Io sto morendo!»
Sanji si strinse nelle spalle e per un momento fissò la propria
cravatta come se la vedesse ora per la prima volta. «No, io sto
bene,» cominciò e Nami tagliò la conversazione con
un gesto secco della mano, tornando a voltarsi dall'altra parte.
«Non fa niente,» disse, sbrigativa. «Adesso cerchiamo
di fare qualcosa di costruttivo, perché più restiamo
bloccati qui meno possibilità abbiamo comunque per tornare da
Lufy e gli altri.»
Sanji non si accorse per niente di come la sua voce aveva tremato
quando aveva detto le ultime parole e come se niente fosse si accese
l'ennesima sigaretta. «Va bene, andiamo.» Espirò la
prima boccata di fumo. «Direi che possiamo proseguire per di
qua,» disse, dando a sua volta le spalle a Nami.
La ragazza si strinse nelle spalle. «Non che faccia poi molta
differenza, visto e considerato che non abbiamo idea di dove andare e
che nemmeno il Logpose può aiutarci…»
«È di qua,» ripeté Sanji tra sé e
sé, osservando una striscia di alberi che sembravano svilupparsi
regolarmente davanti a lui. Nami osservò nella stessa direzione
e strinse le labbra in una linea sottile, scuotendo un poco il capo.
«Non ne sono sicura,» disse, tirandosi un po' più
indietro. «Insomma, questo non solo è un labirinto, ma
stiamo pur sempre parlando di Zoro: conoscendolo lui potrebbe essere
messo anche peggio di noi.»
Per la prima volta, Sanji non le rispose. Attese un istante e poi
cominciò a camminare tranquillamente in mezzo alla macchia di
alberi, come se sapesse esattamente dove stesse andando. Nami
spalancò gli occhi e gli corse dietro, affiancandolo prima che
lui sparisse dietro un grosso tronco.
«Come fai ad essere sicuro che questa sia la strada
giusta?» disse, sentendo che le ginocchia iniziavano a tremarle.
«Perché io ho una bruttissima sensazione.»
Sanji scosse il capo. «È per di qua.»
«Lo hai visto?» incalzò lei, i pugni serrati.
«Hai visto Zoro?» insisté e, di nuovo, Sanji fece
segno di no.
«Credo però di aver sentito qualcosa,» disse,
abbassando la testa per evitare un ramo. «E veniva da questa
direzione.»
«Io non ho sentito niente,» disse Nami, guardandosi attorno
guardinga. «E comunque, anche se ci fosse veramente qualcuno,
come facciamo a essere sicuri che si tratti di Zoro?»
«Se si trattasse di qualcuno dell'isola,» disse lui, senza
nemmeno voltarsi a guardarla, «potremmo sempre costringerlo in
qualche modo a portarci fuori da qui, con o senza il Marimo.» Poi
improvvisamente si fermò e si girò nella sua direzione,
fissandola con la sua solita espressione adorante. «Non devi
davvero temere niente, Nami-san. Farò tutto ciò che
è in mio potere per tirarci fuori da qui!»
Nami gli sorrise e annuì appena, stringendosi le braccia al
petto. «Va bene,» gli disse, facendo un piccolo cenno col
capo. «Mi fido di te.»
Il sorriso di Sanji si fece ancora più ampio e senza aggiungere
altro si incamminò di nuovo con Nami che lo seguiva a ruota e
che, nonostante lui sembrasse così sicuro di sé e
così tranquillo, non riusciva a non pensare che avrebbero fatto
meglio a prendere un'altra strada.
«Sono tornato qui.»
Zoro incrociò le braccia al petto e, con il capo reclinato da
una parte, si fermò a studiare il grande albero che aveva
davanti, quello vicino al quale si era ritrovato quando si era
svegliato ormai parecchio tempo prima. Levò la spada e fece un
segno sulla corteccia, accanto a tutti quelli che aveva già
fatto tutte le altre volte in cui era immancabilmente ritornato al
punto di partenza – al momento erano circa ventisette.
Si grattò la testa con la mano e digrignò i denti,
studiando tutti gli alberi che lo circondavano. Era già andato
in tutte le direzioni possibili, pensò, osservando l'ambiente
ormai familiare che lo circondava e nonostante tutto continuava a
trovarsi sempre nello stesso punto, come se ci fosse una sorta di
barriera che gli impedisse di andare più in là.
Quando questo pensiero si formò nella sua mente, lui sorrise.
Sapeva benissimo per esperienza che ogni barriera poteva essere fatta a
pezzi: quelle fisiche potevano essere distrutte con un semplice colpo
di spada e quelle astratte potevano sparire grazie alla semplice forza
di volontà, e a lui aveva la fortuna di possedere in abbondanza
sia l'una che l'altra cosa.
Senza pensare ricominciò a correre a perdifiato in una direzione
qualsiasi, così veloce che le gambe cominciarono quasi a fargli
male. Corse a lungo, senza sosta, mentre i brividi tornavano a farsi
più insistenti di prima e lui si lasciò guidare dal
proprio istinto, allontanandosi il più possibile dal luogo in
cui si trovava prima e quando mezzora dopo si fermò per
riprendere fiato, inarcò un sopracciglio e sospirò,
levando la spada sopra la sua testa e lasciandola poi cadere contro la
corteccia solida che aveva davanti agli occhi.
«Sono tornato qui,» disse. E inflisse all'albero il ventottesimo colpo.
Tutta quella faccenda stava diventando veramente fastidiosa – e
c'erano sempre quei maledetti brividi che lo attraversavano
violentemente, accompagnati dal suono di quella voce che non riusciva a
riconoscere ma che sembrava chiamarlo a gran voce, attirandolo verso
una direzione che, nonostante tutti i suoi sforzi, non riusciva ancora
a trovare.
Mano a mano che procedevano verso l'interno della foresta, Nami
continuava a sentirsi sempre peggio. Non era un dolore fisico, in
realtà, nonostante i piedi le facessero male per il gran
camminare e la testa fosse sul punto di scoppiare: era una sensazione
di disagio più profonda, che le nasceva direttamente da dentro.
Si disse che forse ti trattava solo di una suggestione causata sia
dalle parole di Robin che da quelle del tizio che era comparso sulla
nave, ma più tempo passava lì dentro più sentiva
che non avrebbe retto oltre.
Cadde a terra con un singulto e Sanji si voltò a guardarla dopo
un momento, accorrendo subito al suo fianco. «Nami-san!» la
chiamò, inginocchiandosi al suo fianco e appoggiandole le mani
sulle braccia, cercando di tenerla su per quanto possibile. «Ti
senti male? Hai bisogno di aiuto?»
Nami lo fissò un momento, guardandolo come se non lo
riconoscesse e dopo un poco scosse il capo, abbozzando un sorriso.
«Sto bene,» gli rispose debolmente. «Ce la faccio, ho
solo bisogno di un attimo di tregua.»
Sanji strinse le labbra in una linea dura, facendosele quasi sbiancare.
Non capiva nemmeno lui il perché, ma c'era qualcosa di
terribilmente fastidioso nel dover star lì, in mezzo alla
foresta, con Nami che non riusciva quasi più a camminare.
«Stupido Marimo,» borbottò tra sé e
sé, mentre la ragazza si aggrappava a lui per rimettersi in
piedi. «È tutta colpa sua se Nami-swan è ridotta in
questo stato.»
Nami si raddrizzò a fatica e dopo un momento si disse pronta a
proseguire. Sanji aggrottò le sopracciglia: «Ne sei
sicura?» le chiese, allarmato. «Non preferiresti riposarti
un momento, prima?»
Lei scosse il capo e si costrinse a fargli un sorriso abbastanza
risoluto. «Neanche per idea, più stiamo fermi più
tempo perdiamo, dico bene?»
Sanji oppose un po' di resistenza ma quando Nami continuò ad
insistere si arrese, tornando a fissare il folto degli alberi.
«Sei così eroica Nami-san!» esclamò, cercando
di mettere nella propria voce tutto l'entusiasmo possibile e lei non
rispose, limitandosi a fissare un sentiero piuttosto tranquillo che si
apriva tra le grosse piante come lo scorrere placido di un torrente e
quasi non si accorse che Sanji la lasciava andare e ricominciava ad
incamminarsi per la sua strada, le mani in tasca – e non fece
nemmeno caso al fatto che, da quando aveva deciso la direzione da
prendere, aveva quasi del tutto smesso di fumare le sue sigarette.
Nami sbatté le palpebre un paio di volte, continuando ad
osservare il sentiero e ad un certo punto sentì un venticello
fresco accarezzarle le guance mentre poteva quasi sentire il profumo
salmastro del mare nelle radici. «Sanji-kun!»
chiamò, senza neanche cercarlo con lo sguardo. «Ho sentito
il profumo del mare, siamo vicini all'uscita.»
Detto ciò si alzò in piedi e, sicura che lui la stesse
seguendo come al solito, si incamminò in quella direzione,
fiancheggiando un grosso albero che sembrava quasi essere uno
spartiacque tra quell'orribile situazione e la loro salvezza. Dopo un
momento, Nami aveva cominciato a correre. Non sapeva perché
fosse così avventata, ma mentre prima sentiva di non avere
più nemmeno la forza di respirare, adesso le sembrava di essere
fresca come una rosa, riposata come dopo una lunga dormita.
Corse alla cieca nella direzione che le suggeriva il suo istinto e, ad
un certo punto, quando le sembrò di essere ormai arrivata a
destinazione, si voltò indietro in direzione di Sanji, gridando:
«Hai visto che ce l'abbiamo fatta? Avresti dovuto ascoltarmi fin
da subito invece di…» Si interruppe a metà, la voce
bloccata in gola, gli occhi così spalancati da farle male almeno
quanto il suo stomaco che si contraeva con violenza ogni volta che
cercava di respirare.
«Sanji-kun?» chiamò, la voce rotta. «Dove sei?»
«Scusami, hai detto qualcosa, Nami-san?»
Sanji, nel frattempo, continuava a camminare. La strada era difficile
da percorrere, fastidiosa e disseminata da piante basse e grossi
cespugli che gli bloccavano il passo, ma lui continuava a procedere
come se niente fosse, sicuro al cento per cento che quella fosse la
direzione da prendere. Erano già passati all'incirca una decina
di minuti da quando si erano concessi quella breve sosta, ma aveva la
sensazione che da allora la voce eccitata di Nami fosse riuscita a
raggiunto solo in quel momento, come se la sua testa fosse stata piena
per tutto il tempo di pensieri decisamente più importanti di
ciò che lei aveva da dirgli – il che, onestamente, era
veramente assurdo.
Lui si fermò, quando lei non gli diede nessuna risposta e
aggrottò le sopracciglia prima di voltarsi alle proprie spalle,
dove era certo che avrebbe trovato Nami, a pochi passi da lui.
«Va tutto… Nami-san!» gridò, gli occhi
spalancati, quando davanti a sé vide solamente un grosso albero
dal tronco spesso e, dietro a questo, soltanto il fitto della foresta.
Nami non c'era più. Sanji rimase immobile con la bocca
spalancata, il sudore freddo che gli correva lungo tutta quanta la
schiena. No, non poteva essere successo. Dopo quel momento di panico
iniziò a guardarsi intorno frenetico, e tutta la sua mente
sembrò risvegliarsi di colpo, come se fino a quel momento fosse
stato in una specie di stato di dormiveglia. «Come ho potuto
permettere che accadesse?» si disse, mettendosi le mani nei
capelli. «Come?!»
Chiuse gli occhi per un momento e inspirò a fondo, cercando in
vano di calmarsi e pensare lucidamente. «Nami-san!»
chiamò, girando su se stesso come una trottola. «Dove sei,
Nami-swan?» No, no, no! Poteva abbandonare il
Marimo, poteva lasciare indietro tutta la ciurma, perfino, ma perdere
Nami era una cosa che, assolutamente non si sarebbe mai potuto
perdonare. Non quando aveva continuato a prometterle senza sosta che
l'avrebbe protetta e si sarebbe preso cura di lei.
«Nami-saaan!»
«Sanji-kun? Maledizione, Sanji-kun, dove ti sei cacciato?»
Nami fece qualche passo e poi, nonostante una parte di lei le dicesse
di continuare, tornò indietro. Sicuramente, lui non l'aveva
sentita quando lei gli aveva detto che avrebbe presto un'altra strada,
quella da cui proveniva il profumo del mare.
Perché non era stato a sentirla? Perché non si era assicurata che lui la stesse seguendo, prima di incamminarsi?
Sentì le lacrime pungerle gli occhi e fece un gran respiro,
poggiandosi una mano sui capelli alla ricerca di un conforto che non
trovò. Si morse il labbro inferiore. Maledetta foresta,
pensò, scuotendo il capo. Maledetta, maledetta foresta senza
senso, imprecò, iniziando a sentire le lacrime agli occhi.
Maledetto Zoro che li aveva trascinati in quel pasticcio e maledetto
anche Sanji che non le aveva dato retta l'unica volta in cui era
veramente necessario che lo facesse.
«Vieni fuori, Sanji-kun, sono qui! Mi senti? Sono qui! Sanji-kun!»
All'improvviso, Zoro si fermò.
Si era inoltrato nel bel mezzo della foresta altre tre volte e, come
sempre, era tornato al punto di partenza, incapace di rompere quella
barriera sia con le sue spade che con la sua forza di volontà
che, a causa di tutti gli sforzi, ormai era quasi completamente
prostrata.
L'ambiente che lo circondava non era per niente familiare ma lui non ci
fece minimamente caso. Il suo corpo era scosso da brividi
incontrollabili e perfino le spade al suo fianco avevano cominciato a
tremare, chiuse nella stretta salda della sua mano.
«Questo postaccio è veramente maledetto,» disse, le
sopracciglia così aggrottate da sembrare quasi una linea unica e
poco prima di ricominciare a correre senza meta, sentì di nuovo
in lontananza quella voce che prima di quel momento non aveva mai
sentito così vicina.
«Vi troverò, bastardi!» disse, rivolto a quella
presenza che sentiva incombere su di lui come una minaccia. «Vi
troverò e ve la farò pagare cara!»
«Ma che diavolo significa?»
Sanji spalancò gli occhi e gelò sul posto, osservando
tutto ciò che aveva intorno come se si fosse trovato nel luogo
più spaventoso della terra. Aveva girato in lungo e in largo per
riuscire a trovare Nami, ripercorrendo i propri passi e quelli che
pensava essere stati quelli di lei in tutt'altra direzione e ora,
nonostante lui non riuscisse a capire come fosse possibile, era di
nuovo al punto di partenza, il luogo in cui si era reso conto la prima
volta che Nami non lo stava più seguendo.
«Non riusciremo davvero più a uscire da questo
labirinto,» si disse, iniziando a sentire la rabbia e la paura
farsi largo dentro di lui quasi con violenza, mentre faceva di tutto
per trovare una via di fuga, un segno che potesse fargli capire che non
tutto era ormai perduto. «Nami-san!» chiamò,
terrorizzato. «Nami-san!»
Sapeva di chi era la colpa se si trovavano in quella situazione e
sapeva che quando l'avrebbe trovato gliel'avrebbe fatta pagare
così cara da fargli passare per sempre la voglia di mettersi in
situazioni tanto pericolose.
«Dove diavolo sei, idiota di uno
spadaccino?!» gridò, con tutto il fiato che
aveva in corpo, incapace di trattenersi oltre – e non si rese
minimamente conto che, se avesse taciuto solo un istante prima, avrebbe
sentito distintamente il rumore secco di un paio di stivali che,
correndo sull'erba e i rametti rinsecchiti, si allontanavano da lui.
____________________________________
N/A
Ecco, lo scorso capitolo di transizione ci stava portando a questo.
♥ (Sì, Sanji e Nami devono stare separati perché
ewww -.-")
Non essendo io un portento a raccontare sulla lunga distanza, spero che
non sia troppo noioso tutto questo tira e molla tra i personaggi e,
soprattutto, spero che non sia troppo confusionario! ;__; Volevo dare
abbastanza visibilità a tutti e tre - e se vi state chiedendo da
dove venga questa struttura narrativa astrusa in cui non si capisce
niente, prendetevela con Lost.
Che poi è una cosa di base, con me. Lost, dico. XD
Bene. Io spero tanto che a voi coraggiosi arrivati fin qui questa storia non stia facendo troppo schifo, ecco! ;__;
|
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Capitolo 6 *** Adhin, Duva, Thrie ***
SCHEMAEFP2
Sotto la superficie dell'isola, esattamente dove si trovavano le rovine
che Nami aveva segnalato sulla sua cartina durante il giro di
ricognizione, si trovava il luogo in cui vivevano gli abitanti
dell'isola. Era un posto buio e silenzioso, fresco, e nonostante le
apparenze in superficie suggerissero che tutto era lasciato in uno
stato di abbandono, la stanza in cui si trovavano in quel momento era
tappezzata dagli oggetti più incredibili e tecnologicamente
avanzati che si fossero mai visti in tutta la Grand Line: grosse
macchine che funzionavano a elettricità erano collegate da cavi
spessi e di vari colori e, sulle pareti, si trovavano degli oggetti
rettangolari che somigliavano a grossi specchi e che, invece di
riflettere l'immagine di chi li stava guardando, mostrava altre persone
che si trovavano in luoghi completamente diversi.
Un uomo enorme dalle gambe tozze e arcuate entrò nella stanza
con passo pesante, osservandosi attorno con i suoi occhietti porcini
prima di soffermarsi a guardare verso uno di questi schermi con un
sopracciglio pericolosamente inarcato; espirò del fumo pesante
dal suo sigaro e grugnì qualcosa, prima di sputare sul
pavimento. «Ehi, Adhin, che è successo alla telecamera
numero sette? Perché non trasmette più?»
Adhin, un individuo alto e magro dalle dita agili e lunghissime
voltò quasi la testa di centottanta gradi nella sua direzione.
«Lo spadaccino, Zoro, l'ha scoperta e l'ha fatta a pezzi. La
trasmissione era ancora regolare, ma non sarebbe più riuscita a
seguirlo, quindi l'ho sostituita con la nove.»
«Ho capito,» biascicò l'uomo, maciullando il sigaro tra i denti. «E gli altri due?»
«Si sono separati, finalmente,» disse Adhin con la sua
vocetta acuta e stridula. «Onestamente la cosa stava iniziando a
preoccuparmi, ci hanno messo parecchio tempo.»
Dall'angolo, una risata bassa e melliflua li raggiunse, seguita
immediatamente dal corpo basso e barbuto di un nanetto dagli occhi
vivaci. «Adhin, Duva, dovreste smetterla di preoccuparvi
inutilmente e soprattutto di mettere continuamente in discussione le
mie scoperte: dopotutto sono settimane che teniamo sotto controllo la
ciurma di Capello di Paglia, era impossibile sbagliare.»
Duva, l'uomo enorme con il sigaro, sbuffò. «Come ti pare, Thrie.»
L'ometto – Thrie – rise. «Sarebbe stato divertente,
ve l'avevo detto. È così brutto vedere una ciurma tanto
unita sbriciolarsi a quel modo, non trovate?» E rise ancora,
sebbene nessuno degli altri due avesse la minima intenzione di
seguirlo.
Duva sbuffò. «Abbiamo corso un rischio,»
bofonchiò, osservando distrattamente i monitor. «E
comunque non è andata per niente come avevamo previsto: non
avevi detto che sarebbe sicuramente stato il Capitano della ciurma ad
entrare per primo dopo la Navigatrice? In questo modo Cappello di
Paglia può continuare liberamente le sue scorribande e a noi
resta soltanto il Cuoco.»
Adhin si leccò le labbra sottili e, nonostante il tono che Duva
aveva usato, Thrie cominciò a ridere di nuovo, gettando il capo
all'indietro e tenendosi la pancia. «Lo vedi quanto sei
stupido?» disse, ancora scosso dalle risate. «Sì, la
nostra idea era di prendere Cappello di Paglia, e con ciò? Lo
abbiamo fermato comunque! Senza Zoro la forza della ciurma è
praticamente dimezzata e ora che anche Nami, la sua navigatrice,
è in mano nostra non potranno comunque andare da nessuna parte,
visto che nessuno di quelli che sono rimasti alla nave conosce un
minimo di navigazione, senza contare che è
lei ad avere il Logpose. Senza quello strumento e i
suoi uomini più preziosi, Cappello di Paglia è comunque
spacciato.» Rise ancora, come se trovasse il semplice suono della
propria voce estremamente divertente e Adhin, dall'altro lato della
stanza, si strinse nelle spalle.
«Probabilmente è come dici tu,» gli concesse, la voce annoiata.
Thrie scosse il capo, come se si fosse trovato davanti a dei bambini
particolarmente stupidi. «E comunque, non è ancora detto
che Cappello di Paglia non decida di entrare a sua volta. In fondo
è quel genere di persona.»
Gli altri due tacquero per un momento, tornando a osservare i tre
grossi schermi su cui comparivano, da diverse prospettive, Zoro Sanji e
Nami che, infuriati e terrorizzati, correvano da una parte all'altra
della foresta cercando i loro compagni.
«Chissà per quanto tempo resisteranno, ancora?»
chiese Adhin e Duva aggrottò le sopracciglia, concentrando
nuovamente la sua attenzione su Thrie.
«Aspetta un momento,» disse, improvvisamente allarmato.
«Dalle immagini inviate dal tuo gabbiano sembra che il cuoco
abbia una certa attrazione per la ragazza: che succederebbe se
riuscisse a trovarla, dopotutto? Anche lei lo sta cercando.»
Thrie rise ancora. «Ma che idiota che sei! Com'è possibile
che tu non capisca ragionamenti tanto elementari?» Sulle sue
labbra si dipinse un ghigno spaventoso. «Sì, lui ha un
debole per lei, e quindi? Tutto è ancora più divertente,
in questo modo.»
«Cosa vorresti dire?» chiese Adhin, la voce atona, quasi annoiata.
«Quella ragazzina egoista non prova niente per lui, non prova
niente per nessuno di loro: potrà anche credere di volerlo
trovare, se le fa piacere, ma più il cuoco le sta alla larga
più lei si sente tranquilla. Ora lo sta cercando perché
fino a un minuto fa era il suo unico punto di riferimento: si fosse
trovata lì con il Cecchino, il risultato sarebbe stato
esattamente lo stesso.»
Duva morse il sigaro e, dopo essersi avvicinato alla scrivania, lo
schiacciò nel posacenere come se fosse stato un insetto.
«D'accordo, sarà anche come dici tu. Comunque spero che
questa storia finisca al più presto, perché mi sto
veramente seccando.»
Thrie si era avvicinato ed era saltato su una sedia e adesso faceva
dondolare le gambe avanti e indietro come un bambino in attesa del suo
gran divertimento. «Abbi pazienza, sai benissimo che ci vogliono
dieci ore prima che la foresta assorba a pieno la vita dei sacrifici, e
la ragazza e il cuoco sono dentro soltanto da tre ore.»
Duva si accese un altro sigaro. «Quindi mancano ancora sette ore
prima che possiamo nutrirci delle loro anime? Che palle.»
Adhin stava per dire qualcosa a sua volta ma, dopo aver dato un'ultima
occhiata agli schermi, strinse le bocca in una linea dura e le mani gli
si bloccarono a mezz'aria, come paralizzate. «Non
può…» mormorò, sbigottito e gli altri due si
voltarono a guardarlo con le sopracciglia inarcate.
«Che c'è?»
«Credo che abbiamo un problema,» rispose Adhin, atterrito.
«Pare proprio che quei tre stiano… stiano trovando la
strada giusta.»
«Che cosa hai detto?!»
«Senza contare che due di loro,» aggiunse, osservando gli
schermi con maggiore attenzione mentre lo sgomento iniziava a farsi
largo sui suoi lineamenti generalmente impassibili, «sono quasi
sul punto di incontrarsi.»
Sulla Going Merry sembrava essere appena passata una tempesta. Lufy era
di umore nero: dopo aver gridato contro tutto e tutti, si era sistemato
sulla polena con le braccia e le gambe incrociate, lo sguardo rivolto
verso la foresta da cui non usciva un suono e che sembrava essersi
ingurgitata in un sol colpo i suoi amici.
Inspirò, stringendo con forza le mani attorno agli avambracci.
Sapeva che sarebbero tornati. Sapeva che da un momento all'altro Sanji
e Nami sarebbero rispuntati dalla boscaglia e che, dopo di loro, anche
Zoro sarebbe apparso, anche se da tutt'altra parte, e lui e Sanji
avrebbero litigato come pazzi e Nami si sarebbe arrabbiata e li avrebbe
costretti a muoversi perché lei non voleva restare su
quell'isola. Sapeva che le cose sarebbero andate così,
perché tra di loro era così che funzionava.
Si morse il labbro, quando sentì tutto il suo corpo fremere dal
desiderio di entrare nella foresta, ma riuscì a trattenersi,
sebbene controvoglia.
Sapeva che sarebbe andato tutto per il meglio, ma quell'attesa era veramente insopportabile.
Nel frattempo, Usop e Chopper si erano trovati qualcosa da fare per
ingannare il tempo e distrarsi un po', pur senza grande successo e
Robin, chiusa nella sua stanza, aveva letto con estrema attenzione i
punti salienti del suo libro e ora era completamente immersa nella
lettura nel capitolo che l'autore aveva dedicato alla foresta e
all'incantesimo – così era definito – da cui era
avvolta.
Le parole scorrevano sotto i suoi occhi veloci come un fiume in piena e
mano a mano che il senso diventava sempre più chiaro lei sentiva
il sudore gelido farsi largo lungo la sua schiena e le mani tremare
appena nello sfogliare le pagine. Non è
possibile, pensò e si alzò di scatto,
abbandonando il libro aperto sulla sua scrivania. Si avvicinò
alla propria libreria e quasi senza guardare scelse dall'ultimo
scaffale un libro dalla copertina pallida e l'aria consunta che non
aveva più toccato da quando era ragazzina.
Lo sfogliò velocemente fino a che non raggiunse il punto che le
interessava e lesse avidamente quelle parole che non vedeva più
ormai da tanto tempo e che, stranamente, nonostante non ci pensasse da
anni, ora ricordava quasi a memoria.
«Ma è solo una favola,» sussurrò tra
sé e sé, lanciando un'occhiata fuori dall'oblò in
direzione dell'isola mentre chiudeva il libro, pur tenendo un dito tra
le pagine per ritrovare il segno esatto. «Possibile?»
Il Labirinto degli Amanti, oltre ad avere un titolo
dal fascino estremamente discutibile, era anche una storia che in tutta
onestà non le era mai piaciuta granché. Tutto girava
attorno a una giovane coppia di amanti che, per provare al mondo il
loro amore, erano stati costretti a tentare l'impresa di ritrovare l'un
l'altra nel Labirinto e di uscirne entro il calar del sole; se non ci
fossero riusciti sarebbero entrambi morti e non si sarebbero potuti
unire nemmeno in Paradiso. Le regole del Labirinto stabilivano che
soltanto due persone che si amassero profondamente e in maniera
incondizionata fossero in grado di trovare la strada che li avrebbe
portati alla salvezza.
Naturalmente, come tutte le favole anche quella non aveva un lieto
fine. Le rivali della protagonista, infatti, riuscirono a non farla
entrare nel labirinto, cosicché il suo amato finì per
perdersi e morire e quando lei lo venne a sapere si suicidò,
incapace di sopportare una vita senza la presenza dell'uomo che amava.
Robin rilasciò il fiato lentamente, mentre rileggeva per
l'ennesima volta il passo in cui venivano spiegate le regole del
labirinto e di nuovo guardò verso la macchia d'alberi, sperando
con tutta se stessa che quello che aveva letto fossero tutte
sciocchezze.
Ma sì, ma sì, andate pure tutti, che importa?
Tanto nessuno di voi ha le caratteristiche che servono per uscire da
quel labirinto!
Le parole dell'abitante dell'isola le tornarono a mente come il
rimbombo di uno sparo e lei strinse le labbra, mentre affondava le dita
e le unghie tra le pagine del libro che aveva in mano. Caratteristiche?
Possibile che si stesse riferendo a quella storia? E se sì, come
aveva fatto a ricreare quel labirinto? O che fosse quella favola,
invece, a far riferimento proprio a quell'isola?
Appoggiò il libro sul tavolo e tornò a sedersi alla
propria scrivania, il capo basso e reclinato in avanti, mentre gli
occhi spenti guardavano senza vederle le pagine del suo libro ancora
aperto.
Se le cose stavano così, si disse, chiudendo gli occhi, non
c'era più nulla da fare. Se fosse stata lucida, probabilmente si
sarebbe chiesta come faceva, quel tizio, a sapere così tanto su
di loro, ad essere così sicuro che non sarebbero mai stati in
grado di spezzare l'incantesimo, ma nella sua testa continuavano a
tornare le immagini dei suoi compagni persi per sempre e quando
sollevò lo sguardo si accorse che, ormai, mancava pochissimo al
tramonto.
Inspirò a fondo, passandosi una mano tra i capelli. «Non
torneranno più,» disse. E per un lunghissimo momento, non
fu più in grado di proferire una singola parola.
«Come sarebbe a dire che due di loro sono sul punto di
incontrasi?!» Duva si era scagliato con violenza contro Adhin e
sbatté il pugno sulla scrivania metallica per sottolineare tutta
la rabbia che sentiva in quel momento.
Thrie, ancora seduto sulla sua sedia, aveva smesso di far oscillare le
gambe. «Non è vero,» disse, rimanendo immobile come
se fosse un grosso sasso. «Non è vero.»
«Non è vero?» sbraitò
Duva, voltandosi verso di lui. «Vieni un po' qua e guarda con i
tuoi occhi, se non è vero! Questi due sono praticamente
vicinissimi, si incontreranno nel giro di un'ora o meno!»
Mentre sbraitava, Duva continuava ad indicare due schermi son la punta
del sigaro e dopo un momento anche Thrie si decise a guardarli,
rimanendo a bocca aperta. «Non è possibile,»
bofonchiò. «Il gabbiano spia che avevo inviato sulla nave
ha riferito dei dati precisi, quei due non possono assolutamente essere
amanti!»
La sua voce solitamente melliflua e ammaliante si era quasi tramutata
in uno squittio nervoso e Adhin scosse il capo, mimando con il corpo le
parole che, un istante dopo, uscirono quasi con violenza dalla bocca di
Duva: «Hai sbagliato! Tu e le tue spie, non avete fatto altro che
crearci problemi dall'inizio di questa storia!»
«Ma davvero?» ribatté Thrie gracchiando come un
uccellaccio. «Vuoi che ti ricordi chi è stato a portare
qui per decenni e decenni navi di pirati per portare nutrimento a voi e
al labirinto? Se non fosse stato per me e le mie spie, ora voi sareste
solo un mucchietto di sassi e sterpaglie!»
I due continuarono a litigare a lungo, urlando e ringhiando l'uno
contro l'altro come se fossero stati una coppia di animali selvaggi e
nel bel mezzo di quella confusione di parole e oggetti che avevano
cominciato a volare da una parte all'altra, Adhin riuscì in
qualche modo a uscire da quello stato di delirio e a ritrovare pian
piano la sua compostezza. Le sue mani smisero di sudare, la testa si
svuotò improvvisamente di tutte le ansie e le paure e le
paranoie e per un lungo momento rimase assolutamente immobile, intento
a riflettere su un dettaglio all'apparenza insignificante che
continuava a ronzargli nel cervello e che, mano a mano che sviscerava,
sembrava tramutarsi nell'unica soluzione possibile al loro problema.
Attese a lungo, in silenzio, e quando gli altri due smisero di litigare
li richiamò con la sua voce tranquilla, senza nemmeno voltarsi a
guardarli.
«Forse ci resta una possibilità,» disse
semplicemente. Gli altri due lo fissarono con gli occhi fuori dalle
orbite e, dopo che gli ebbero fatto una lunga sequela di domande, alla
fine si decise ad esporre la sua teoria. «Guardandoli con
attenzione, sembra quasi che si stiano muovendo alla cieca. Si stanno
cercando tutti e tre, in qualche modo, ma nessuno di loro sembra aver
chiaro dove stia andando. Secondo me, sono ancora completamente
inconsapevoli.»
«Che stai blaterando?» sbraitò Duva e Thrie
spalancò gli occhi, lasciando che un sorriso salisse a
incurvargli le labbra.
«Ho capito dove vuoi andare a parare.»
Duva li guardò tutti e due e poi sputò per terra, stufo
di tutta quella perdita di tempo. «Be', io no. Che diavolo stai
dicendo?»
«Non sanno dove andare, non sanno chi cercare: è per
questo che ci hanno messo così tanto a trovare la via giusta.
Fino ad ora, l'istinto li guidava da una parte ma loro seguivano
soltanto la ragione che li spingeva da tutt'altra parte.»
«E con ciò?»
«Questo ci fa guadagnare tempo,» spiegò,
placidamente. «Se riuscissimo a confonderli di più e a
trattenerli ancora un po', alla fine morirebbero comunque senza
arrivare da nessuna parte.»
Duva grugnì qualcosa tra sé e sé e poi disse:
«Quindi se li affrontassimo direttamente riusciremmo comunque a
ottenere ciò che vogliamo?»
«Esattamente.»
Thrie cominciò a ridere, gettando il capo all'indietro.
«Così è ancora più divertente!» disse,
stringendosi la pancia con entrambe le mani. «In questo modo,
nonostante sarebbero destinati ad incontrarsi, la principessina e il
suo cavaliere finiranno esattamente come nella favola.» Tacque un
momento e poi sogghignò. «Mi piace,» disse.
«Mi piace davvero. E se nessuno di voi ha niente in contrario, io
mi occuperò della ragazza.»
____________________________________
N/A
Fono arrifati i cattifoni! *__*
Che ve ne pare? Abbastanza brutti? Abbastanza idioti? Abbastanza One Peaciani? (lol wut?)
Parlando di cose serie, si sta capendo qualcosa vero? ;__; (Sì, ho il terrore di non essermi spiegata, mi spiace. ;__;)
Tornando ai cattivi, i nomi sono stati la parte più difficile:
alla fine ho scelto una cosa molto semplice, che ora vi illustro. ^^
Siccome il prompt è "Tre personaggi" volevo che anche loro
facessero riferimento al contesto, solo che non potevo chiamarli Uno,
Due e Tre (ma neanche Primo, Secondo o Terzo) perché avrebbe
fatto troppo Baroque Works e non volevo che accadesse.
ù__ù
Quindi ho fatto una cosa puccissima: ho preso i numeri russi e ho un
po' storpiato la fonetica/grafia per non scriverli troppo uguali (Odin
in particolare, perchè Odin è solo Odin.
ù__ù)
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Capitolo 7 *** L'incontro con gli abitanti dell'isola ***
SCHEMAEFP2
L'incontro con gli abitanti dell'isola
Dopo aver passato ore a vagare da sola per la foresta, Nami iniziava
davvero a temere che fosse tutto inutile. Di Sanji non si vedeva
neanche l'ombra, e nonostante lei non avesse smesso un istante di
chiamarlo a gran voce lui non era comparso da nessuna parte e ovunque
si girasse non riusciva a trovare un segno o un indizio che lui fosse
passato da quella parte.
«Sanji-kun?» provò di nuovo, senza energia, ormai
quasi più per abitudine e tossì leggermente, sentendo la
gola ormai arsa e secca. Lì intorno, notò in quel
momento, non c'era niente da bere e sugli alberi non c'era neanche uno
dei frutti deliziosi che Sanji le aveva fatto trovare nel suo gelato
ore prima, quando ancora consideravano l'isoletta un luogo tranquillo
con un minuscolo dettaglio da evitare.
Si passò la mano sulla fronte e sugli occhi, senza sapere se si
stesse liberando del sudore o delle lacrime, e fece qualche passo verso
est, seguendo una piccola scia d'aria che la raggiungeva tra le fronde,
ricordandosi vagamente di tutte quelle storie in cui i protagonisti
uscivano dai guai perché ad un certo punto qualcuno di loro
sentiva un soffio di vento o vedeva una luce in lontananza.
Sospirò, lasciando che l'arietta fresca che accarezzasse il viso
e tutto a un tratto Nami mise senza accorgersene il piede in fallo,
ritrovandosi lunga distesa sull'erba con il naso premuto al suolo.
«Accidenti!» imprecò, sollevandosi a fatica sulle
braccia. «Non basta questa situazione assurda, pure questi
stupidi rami devono per forza rendermi tutto difficile!»
imprecò e quando si voltò per liberare il piede da quelli
che lei credeva essere lunghi rami su cui era inciampata si
paralizzò, gli occhi spalancati e la voce che lentamente le
moriva in gola. «Non può essere…»
Scivolò via velocemente sulla pancia e si appiattì contro
il tronco di un albero poco distante, stringendosi con forza la
caviglia tra le dita, come se avesse bisogno di infonderle calore,
anche se in quel momento tutto il suo corpo aveva cominciato a tremare.
«Oh, mio Dio.» Deglutì e si fece ancora più
piccola, mentre con lo sguardo studiava l'ammasso di asticelle lunghe,
affusolate e pallide su cui era caduta e che non potevano in alcun modo
essere rami caduti dagli alberi. «Ossa,» sussurrò e
il suo corpo tremò ancora più violentemente quando
individuò anche il cranio, gettato da parte e le ossa del
bacino. «Anche quel tizio si è…» No,
no, no, lei non si sarebbe mai ridotta in quello stato.
Sanji-kun sarebbe venuto a salvarla, lo sapeva, doveva solo aspettare
un altro po' e cercarlo meglio, con più energia.
Si sarebbe salvata. Si sarebbe salvata ad ogni costo.
«Aiuto!» gridò, scuotendo il capo. «Qualcuno
venga a prendermi! Sanji-kun! Zoro! Aiuto,
Lufy!»
Sentì le lacrime spingere prepotentemente contro le sue palpebre
e le ricacciò indietro, trovando anche la forza di alzarsi in
piedi. «Piangere è inutile, Nami,» si disse,
strofinandosi la punta del naso con il polso. «È inutile.
Devi farti forza.» Fece un lungo respiro profondo e facendo del
suo meglio per non guardare né pensare alle ossa ammonticchiate
poco lontano da lei ricominciò ad incamminarsi, i pugni serrati
e le labbra strette in una linea dura, mentre ad ogni passo sentiva la
determinazione crescere sempre di più, come se ora che si
trovava sul punto di arrendersi del tutto sentisse più che mai
il bisogno di continuare a combattere.
In quell'istante, sentì nuovamente una folata di vento. Si
girò su se stessa, per cercarne la fonte e dopo un momento vide
un'ombra immensa piombare su di lei e fece appena in tempo a scansarsi
di lato per evitare gli artigli di un grosso uccello che era piombato
al suolo portando sul suo dorso un ometto piccolo e barbuto che, da
sopra la testa dell'animale, la scrutava con i suoi occhietti vivaci e
un ghigno malevolo dipinto in volto.
«Stavi andando da qualche parte, cara Nami?»
Lei spalancò gli occhi e arretrò fino a che non
incontrò una grossa corteccia con le spalle. «Il falso
Gamon,» bisbigliò, terrorizzata e poi, come se si fosse
accorta solo in quel momento di quanto terrorizzata e patetica dovesse
apparire si fece forza e avanzò, fino a trovarsi a qualche metro
dal grosso uccellaccio.
«Che cosa vuoi, falso Gamon?» chiese, cercando di far
trasparire dalla propria voce una tracotanza che non sentiva
minimamente.
L'ometto, naturalmente, non si lasciò impressionare dalla sua
messinscena. «Che cosa voglio io? Forse sei tu a volere qualcosa
da me, ragazza Navigatrice,» biascicò con la sua voce
morbida e scivolò a terra, a fianco dell'animale.
Nami cercò di sorridere. «Io? Qualcosa da te? Che assurdità. Cosa mai dovrei volere, da te?»
«Oh, non lo so,» ribatté lui, accarezzando il fianco
del suo uccello. «Stavo pensando che, magari, tu volessi uscire
da questa foresta. Non sei stufa di gironzolare qui attorno senza
meta?»
«Tu puoi… farmi uscire?» chiese, improvvisamente
speranzosa e poi si tirò indietro, guardinga. «No, non ti
credo. Se ci hai fatti finire qui non ci tirerai fuori come se niente
fosse solo perché te lo chiedo io, vero?» Lui non rispose
e lei, dopo aver scrutato il suo sorrisetto, inspirò a fondo.
«Tu vuoi qualcosa in cambio,» disse, e lui non si prese
nemmeno la briga di annuire.
Nami deglutì e strinse i pugni, cercando in quel modo di
infondersi un po' di coraggio, prima di fargli un'altra domanda:
«Si può sapere chi diavolo sei e che cosa vuoi da
noi?»
«Allora, hai sentito che ho detto? Chi diavolo sei?»
Sanji si accese l'ennesima sigaretta e, come stava già facendo
da una manciata di minuti a quella parte studiò attentamente lo
strano individuo che aveva davanti agli occhi e che da quando era
arrivato non aveva dato il minimo segno di volersi muovere. Era una
creatura dall'aspetto vagamente umanoide, con la testa a forma di pera
rovesciata che si chiudeva con una sorta di bocca appuntita o di becco;
era magro, tanto che si potevano quasi contare le sue costole e le sue
dita erano lunghe e affusolate, giallognole come degli spaghetti poco
cotti.
Sanji sbuffò dalla sua sigaretta e poi la strinse con forza tra
i denti, iniziando seriamente ad innervosirsi. Non bastava essere
rinchiuso in quella specie di labirinto inquietante, adesso gli toccava
addirittura avere a che fare con gente strana comparsa da chissà
dove, quando tutto ciò che lui avrebbe voluto fare era cercare e
trovare Nami-san e metterla al sicuro.
«Ehi, coso, sei vivo?» gli chiese, avvicinandosi. La
creatura non si mosse e cominciò a dondolare leggermente, come
se fosse sospinto da una folata di vento che Sanji non sentiva.
Mi vuoi rispondere o no?! Disse, tra sé e
sé, sentendo la rabbia crescere ad ogni passo che lo avvicinava
a quello strano tipo, e quando fu abbastanza vicino gli mise la punta
del piede tra le costole. Improvvisamente la creatura sollevò le
mani e gli strinse la caviglia tra le dita filacciose, facendogli
roteare la gamba e lanciandolo via, lontano da sé.
Sanji atterrò violentemente contro un grosso albero pieno di
spuntoni e serrò la mascella per non lasciarsi scappare la
sigaretta, mentre un sorrisetto saliva a piegargli le labbra.
«Allora sei vivo,» disse, alzandosi in
piedi. «E dato che sicuramente puoi anche parlare, rispondi alla
mia domanda, e dimmi immediatamente chi siete e dove si trova adesso
Nami-san!»
«La ragazza è nella foresta, ma tu non riuscirai mai a trovarla.»
Sanji spalancò gli occhi, colto alla sprovvista. Bene, quindi
quell'affare ripugnante parlava per davvero. Sputò la sigaretta
quasi del tutto consumata sull'erba e se ne accese subito un'altra,
dando quasi fondo alla riserva del suo accendino. «Dici di no,
eh?» ribatté, sicuro di sé. «Ma
chissà, magari con una brutta guida a indicarmi la strada potrei
perfino riuscire a trovare Nami-san e uscire da qui: non ti sembra una
buona idea?»
«La ragazza è nella foresta,» disse, sollevando per
la prima volta gli occhi su di lui. «Ma tu non riuscirai mai a
trovarla.»
Sanji imprecò tra i denti. «Questo lo hai già
detto, idiota. E io ti ho detto che invece riusciremo a trovarla, pensa
un po'.»
«Tu non puoi trovarla.»
«Vuoi finirla di ripetere sempre le stesse idiozie? Sei qui per
prendermi per i fondelli o solo farmi sprecare del tempo prezioso che
potrei usare per cercare Nami-san?»
«Perché vuoi trovare la ragazza?»
Sanji aprì la bocca per parlare ma la richiuse immediatamente,
stupito di non riuscire a sputare fuori una risposta immediata ad una
domanda così ridicolmente semplice. «Ma che domanda
è?» chiese, incrociando le braccia al petto. «Mi
sembra logico il perché, idiota.»
L'uomo piegò la grossa testa da una parte, scrutandolo con i
suoi occhietti tondi e scuri. «Trovare la ragazza è
davvero così importante?»
«Certo che è importante!» sbottò, lieto di
essere riuscito finalmente a tirare fuori la voce. «Devo
assolutamente trovare Nami-san per portarla al sicuro fuori da qui,
perché lei stessa è estremamente importante!»
«E lo spadaccino, allora?»
«Ma chi se ne frega del Marimo!» ribatté,
accorgendosi solo dopo di avergli risposto in ritardo e con una voce
decisamente poco convincente. Che diavolo gli stava succedendo?
«Lui può cavarsela anche da solo, per quello che mi
riguarda può anche marcire qui dentro, ma devo salvare Nami-san
ad ogni costo, quindi o mi porti da lei, o ti togli dalle scatole
immediatamente!»
L'uomo spalancò gli occhi e la bocca, visibilmente sorpreso.
«Quindi la ragazza è così importante?»
«Ma se te l'ho detto un secondo fa che è importante!»
«Che cosa triste,» borbottò a bassa voce l'altro,
sollevando una mano in aria e lasciandola sospesa ad ondeggiare come se
non avesse peso. «Non è triste?» chiese, questa
volta guardando Sanji direttamente in faccia.
«Che cosa sarebbe triste?»
«Preoccuparsi tanto per una donna che da quando siete entrati nel
labirinto non ha chiesto altro se non di liberarsi di te.»
Sanji spalancò gli occhi e per poco la sigaretta gli cadde dalle labbra. «Che cosa hai detto, bastardo?»
«È per questo che vi siete separati, non ci arrivi? Ed
è anche la ragione per cui non riuscirai mai a trovare la
ragazza.» La creatura tacque un momento e all'improvviso sulle
sue labbra comparve un ghigno orribile, completamente inumano.
«Lei non vuole che tu la trovi. Lei non vuole che sia tu a
salvarla. In tutta onestà,» biascicò, iniziando a
ridacchiare, «io credo proprio che lei sia molto più
felice, adesso che tu non le stai più tra i piedi,
ragazzino.»
«Ma che stupidaggini stai dicendo? Certo che voglio che Sanji-kun mi trovi!»
L'ometto davanti a lei iniziò a ridacchiare, coprendosi la bocca
con le sue manine piccole e tozze. «Ma davvero? E allora
perché non è ancora qui, mh?»
Nami deglutì. «Be', questo è un labirinto, no?
Quindi ci vuole del tempo. Ma lui mi troverà, ne sono sicura.
Anzi, scommetto che è già sulla strada giusta!»
Thrie iniziò a ridere a voce più alta, scuotendo il capo
da una parte all'altra come se non potesse sentire oltre tutte quelle
sciocchezze. «Sulla strada giusta?»
«Infondo mi ha già trovata una volta, in questo labirinto!
Quando il tuo schifoso uccellaccio mi ha fatto cadere tra gli alberi
Sanji-kun era già lì e mi ha presa al volo!»
Thrie cadde quasi all'indietro dal gran ridere e Nami sentì le
guance andarle in fiamme per l'imbarazzo. «Si può sapere
che hai da ridere?»
L'ometto lasciò che le risate si smorzassero e poi tornò
a guardarla con un sopracciglio appena inarcato, studiandola a lungo.
«Davvero? E tu eri già nel labirinto, quando lui ti ha
trovato?»
Nami si appoggiò le mani sui fianchi. «Certo che sì, mi avevate appena lasciata cadere.»
«E avevi già toccato il suolo?»
«Io…» Nami esitò un momento, tornando
indietro con la memoria. Il suolo? Sì, lo aveva… Poi si
fermò, stringendo le labbra in una linea dura. «Mi ha
presa in braccio prima che io cadessi,» disse. «E per
questo che mi ha trovata? Perché non ero ancora entrata nel
labirinto?»
Thrie annuì e poi scoppiò a ridere di nuovo. «Che
stupida ragazza! Lui ti adora così tanto e tu non vuoi nemmeno
che compaia da dietro quegli alberi in questo preciso momento!»
Lei scosse il capo. «Questo non è vero!»
«Sul serio?» chiese lui, la voce improvvisamente seria.
«È la verità? Tu vuoi vederlo, adesso?» Nami
non rispose e lui continuò: «Puoi giurarmi, puoi
garantirmi che neanche per un istante da quando vi siete separati hai
pensato, anche solo di sfuggita, che fosse una fortuna che lui non ti
ronzasse più attorno?»
Nami spalancò gli occhi e invece di ribattere come il suo
cervello le stava consigliando di fare rimase zitta, immobile, troppo
atterrita dai suoi stessi pensieri per avere il coraggio di dire
soltanto una parola.
Dopo un lungo momento, Thrie ricominciò a ridere.
«È questa la verità!» esclamò,
indicandola. «Nonostante tu non voglia ammetterlo neanche con te
stessa, senza di lui tu stai decisamente meglio.»
«Certo che no,» ribatté Zoro, mentre un sorriso
spavaldo saliva ad incurvargli le labbra. «Io non ho bisogno che
quei tizi vengano a salvarmi, posso cavarmela benissimo senza di
loro.»
Il tizio che in quel momento si trovava proprio davanti a lui, un omone
gigantesco dalle forme massicce che sembrava quasi essere fatto di
roccia piegò il capo di lato, mostrandogli una membrana
appiccicosa e molle che si trovava sotto il suo mento e che oscillava
in maniera quasi disgustosa tutte le voce che lui mordeva il sigaro che
aveva in bocca.
«Ma davvero?» chiese, la voce aspra, come se non avesse la
minima voglia di star lì a parlare con lui. «E se invece
ti dicessi che è indispensabile trovare i tuoi compagni per
uscire di qui?»
Il sorrisetto di Zoro non accennò minimamente a scomparire.
«Considerando che sei un abitante dell'isola e che per tua stessa
ammissione siete stati voi a farci finire qui, perché mai dovrei
crederti? In fondo mi pare di capire che compagni o non compagni, ti
sia in grado di andare e venire come ti pare e piace.»
Duva masticò il sigaro violentemente, infastidito. «A
differenza tua, io conosco perfettamente il funzionamento dell'isola e,
a differenza tua, io sono immune ai suoi effetti.»
«Ah sì?» chiese Zoro, per niente impressionato. «E come mai, si può sapere?»
«Io non sono un semplice abitante dell'isola, io
sono l'isola. Nessuno può vivere qui tranne
noi, perché la maggior parte degli umani non è in grado
di vincere il labirinto.»
Zoro piegò appena le labbra in una smorfia. «E per quale
motivo io non dovrei esserne in grado, di può sapere?»
Per la prima volta, Duva piegò le labbra in un sorrisetto
divertito. «Ma non l'hai detto tu prima, che non vuoi che nessuno
ti trovi?»
«E con ciò?»
«Se tu non troverai nessuno e nessuno troverà te, sei
condannato a restare bloccato qui per sempre, Zoro.»
Inspirò il fumo fino a gonfiarsi il petto e poi lo
rilasciò, formando una nuvoletta densa e scura proprio davanti
alla sua faccia. «E se fossi in te io comincerei sul serio a
preoccuparmi, sai?»
Zoro non permise al dubbio di farsi largo dentro di lui e
appoggiò la mano sulle spade con un gesto risoluto, preparandosi
a sfoderarle. «E perché, sentiamo?»
«Sei qui dentro da parecchie ore, ormai,» disse Duva,
rilassato e perfettamente a suo agio. «E sebbene non si riesca a
distinguere, là fuori è quasi il tramonto.»
Zoro inarcò un sopracciglio. «E con ciò?»
Duva rise. «Credi che sia tutto qui? Vagare nella foresta, morire
di stenti, credi che sia questa la sorte che ti attende?» Zoro
non rispose e lui continuò. «Se quando calerà il
sole non sarete riusciti a superare il labirinto, il vostro corpo si
scioglierà e voi verrete assorbiti dall'isola – e quindi
da noi – come fonte di nutrimento. È per questo che vi
abbiamo portato qui, ciurma di Cappello di Paglia. Solo per
questo.»
«Stai scherzando?»
Sanji lo guardò con gli occhi spalancati mentre la paura
iniziava a farsi largo dentro di lui e a scorrergli in circolo
liberamente. Inspirò a fondo, strinse i pugni e scosse il capo,
cercando di ricacciare indietro i pensieri che si affollavano nella sua
mente e che gli impedivano perfino di ragionare.
«Non ve lo permetterò,» disse, la mascella
contratta. «Non vi permetterò mai di fare una cosa del
genere a Nami-san!»
Zoro rise e divaricò le gambe, preparandosi alla battaglia.
«Non so se quello che stai dicendo sia la verità o no, ma
non ho la minima intenzione di farmi divorare da un coso grosso, brutto
e stupido come te.»
«Cosa hai detto?»
Zoro si legò la bandana sulla testa ed estrasse le sue spade,
mettendosi nella sua posizione d'attacco. «Dici che mi resta solo
vagare e morire di stenti?» borbottò, la spada ben stretta
tra i denti. «Be', non mi sta bene. Prima che tu riesca a
mangiare me, io ti ridurrò in fettine tanto piccole che nemmeno
il maledetto Cuoco riuscirebbe più a cucinarti a dovere.»
Duva spalancò gli occhi per un istante e poi si sistemò a
sua volta in posizione, le spalle protese in avanti e la testa
incassata nel collo. «Il cuoco, eh?» ridacchiò a
bassa voce e poi a volume più alto disse: «Voglio proprio
vedere come riuscirai a farmi a pezzi con le tue ridicole spadine,
Roronoa Zoro!»
____________________________________
N/A
Questo è stato un capitolo difficilissimo, garantito, anche
perché, come ho già detto, scrivere di Zoro mi mette
tanta ansia. ;__;
I miei cattifoni mi piacciono e non so se sia un bene. Mi piace anche
come li ho abbinati con i personaggi di OP e questo è proprio un
male, perchè generalmente i miei gusti o sono troppo banali o
non hanno senso.
Be', qui si è capito qualcosa in più sul labirinto, spero?
(E bisogna ammetterlo: se siete arrivati fin qui ne avete, di fegato! *__*) (Grazie per tutta questa fiducia! ;__;)
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Capitolo 8 *** Combattere per sopravvivere! ***
SCHEMAEFP2
Combattere per sopravvivere!
L'aria era silenziosa e immobile, pesante come uno spesso mantello e
l'unico rumore che riecheggiava secco nella piccola radura era quello
metallico delle spade che si infrangevano inutilmente contro una
corazza che sembrava fatta di pietra.
Zoro insisté, sferrò una lunga serie di colpi e Duva
rimase immobile, la testa incassata nelle spalle e gli occhietti vigili
che non smettevano un istante di guardare il suo avversario sprecare
tutte le sue energie nel vano tentativo di farlo a pezzi. «Tutto
qui quello che sai fare, Spadaccino? Con una forza del genere mi chiedo
cosa se ne faccia Cappello di Paglia di uno come te.»
Le pupille di Zoro si dilatarono e lui arretrò di un passo,
guadagnando abbastanza spazio per sferrare l'ennesimo colpo diretto al
suo viso. Il mostro non fece nulla per difendersi e le spade si
schiantarono sulle sue palpebre rocciose e vennero respinte
all'indietro, costringendo Zoro a rientrare sulla difensiva. Sembrava
davvero che ogni parte del corpo di quel tizio fosse formata da roccia
indistruttibile.
Duva lo guardò un momento e poi rise, maciullando con i denti il
sigaro che non si era neanche preso il disturbo di spegnere. «Hai
capito, adesso?»
Zoro fece roteare l'elsa di una delle sue spade nella mano sudata per
rafforzare la presa e Duva gettò il capo all'indietro per un
brevissimo istante, prima di tornare quasi di corsa nella sua posizione
originaria. «Tutto il mio corpo è formato da una lega
calcarea praticamente indistruttibile che con il passare degli anni si
è rafforzata anche grazie a tutti gli idioti che come te si sono
persi nel labirinto.» Zoro fece una smorfia disgustata e lui
continuò: «Non ti ho detto, prima, che io sono nato
dall'isola? Tutti i sassi e le rocce di questo luogo sono di questo
stesso materiale, ancora più duro del diamante.»
Zoro non disse nulla per un momento e poi si rimise in posizione,
guardandolo da sotto la sua bandana con un'espressione che avrebbe
terrorizzato chiunque. Duva fischiò, sputando fuori la cenere e
il fumo dalla sua bocca.
«Vuoi comunque combattere? Anche se è tutto inutile?»
«Dovrei lasciare che tu mi divori?» ribatté Zoro,
sprezzante. «Neanche per idea, essere disgustoso. Se vuoi
mangiarmi, fallo dopo avermi ammazzato.»
Duva inarcò un sopracciglio e sorrise, facendo un breve cenno
del capo. «Sì. Quell'idiota di Thrie generalmente non
capisce un accidente, ma almeno su questo punto non si era
sbagliato.»
«Che vuoi dire?» chiese Zoro, chiedendosi mentalmente di cosa diavolo stesse parlando.
Duva si tolse il sigaro dalla bocca e lo gettò per terra, tra i
sassi e l'erba e aprì le braccia, facendo sbattere le sue mani
grandi e possenti l'una contro l'altra, creando un tonfo quasi
assordante di sassi che sfregavano gli uni contro gli altri. «Sei
caparbio, Zoro, te lo concedo. E hai un certo fegato, anche se in
questo caso avresti davvero fatto meglio a non cercare di cacciarti in
guai ancora più gravi.» Fece una breve pausa e quando Zoro
non diede segno di voler parlare aggiunse: «Se vuoi combattere,
allora combattiamo. In fondo è decisamente meglio quando le
prede fanno un po' di resistenza: mi viene ancora più
fame!»
Il suo grido roco e gutturale riempì la piana come una zaffata
di fumo e Zoro fece appena in tempo a vederlo partire che si
ritrovò una delle sue grosse spalle acuminate direttamente nello
stomaco. Fu scagliato indietro, contro gli alberi e quando cadde a
terra spalancò la bocca, sputando uno schizzo di sangue che gli
scivolò ai lati del mento.
Duva tornò a piegarsi su se stesso e sebbene ora fossero abbastanza lontani Zoro poteva vedere che stava sorridendo.
«Spero che tu non ti sia pentito della tua decisione, Zoro.
Perché ti confesso che sto seriamente cominciando a
divertirmi.»
Zoro, contro ogni sua aspettativa, cominciò a ridacchiare.
Attese un momento e si alzò in piedi, raccogliendo di nuovo le
sue spade e preparandosi nuovamente a partire all'attacco. «Mi
sta bene,» disse, stringendo l'elsa della spada tra i denti.
«Non avrei voluto ucciderti senza che tu opponessi un minimo di
resistenza.»
Duva aggrottò le sopracciglia per un momento e poi rise.
«Uccidermi? Voglio proprio vedere come farai, visto che le spade
di cui sei tanto fiero non riescono nemmeno a scalfirmi.» Si
scagliò in avanti e prima ancora che Zoro riuscisse a sollevare
la sua difesa lo colpì di nuovo, facendolo tornare lungo disteso
sull'erba.
Dopo una manciata di secondi, Zoro si alzò di nuovo. «Hai
finito, grassone? Perché adesso tocca a me!»
rafforzò la presa sulle sue lame e si scagliò verso di
lui, ricominciando a colpirlo con tutte le sue forze, cercando di
infilare la punta delle spade in tutti gli anfratti che il mostro
lasciava scoperti alla ricerca di un punto cieco, una parte di lui che
non fosse fatta completamente di roccia.
Duva restò immobile, lasciandolo fare. Le spade cozzavano contro
il suo corpo con violenza, ma lui aveva l'impressione che gli stesse
appena facendo il solletico. «È tutto qui?» lo
provocò, e Zoro insisté, spingendosi contro di lui con
tutta la forza che aveva nelle braccia e nelle gambe, ma senza
risultato.
Dopo un istante Duva sbuffò e, muovendosi appena, sollevò
il braccio, colpendo nuovamente Zoro e facendolo indietreggiare di una
decina di metri, di modo da averlo abbastanza lontano per sferrare il
prossimo attacco.
«Pensavo che avremmo combattuto fino al tramonto, ma pare che
avrò la possibilità di mangiarti ancora prima del
previsto!» rise, gettando il capo all'indietro e quando
tornò a guardare il suo avversario vide, con sua grande
sorpresa, che stava sogghignando palesemente divertito.
«Si può sapere che hai da ridere?» gli chiese, seccato.
Zoro si alzò in piedi per l'ennesima volta e, di nuovo, si
preparò ad attaccarlo. «Io ho i miei dubbi, mostro. E se
invece fossi proprio io a fare fuori te?»
Duva, suo malgrado, indietreggiò di un passo. Sebbene sapesse
benissimo che quel misero spadaccino non sarebbe mai stato in grado di
ucciderlo, c'era qualcosa nel suo sguardo che, dopo tantissimo tempo,
riusciva a fargli scorrere un lungo brivido di terrore attraverso tutto
il corpo.
«Lo vedremo!»
Nami chiuse gli occhi e la bocca e si acquattò contro la
corteggia del grande albero, cercando di fare il meno rumore possibile
e, nel frattempo, di captare qualsiasi suono riuscisse a distinguere
nella foresta. Tutta quella situazione diventava più assurda
ogni istante che passava. Aprì piano gli occhi e poi si
guardò intorno, con cautela concedendosi un sospiro di sollievo
quando non vide nessuno: «A quanto pare posso usare i poteri di
questo labirinto anche a mio vantaggio.»
Si alzò lentamente e, cercando sempre di stare il più
vicina possibile agli alberi, si incamminò verso nessuna
direzione in particolare, ripetendosi che se avesse continuato a
muoversi, il ridicolo ometto non sarebbe riuscito a trovarla: se in
quel posto non le riusciva nemmeno di trovare i suoi amici, come poteva
pensare il suo nemico di riuscire a localizzarla?
Si appiattì contro una corteccia per riprendere fiato e, un
istante dopo, davanti a lei comparve un piccolo animale con i denti
aguzzi che la scrutava attento, come se non l'avesse persa di vita fino
a quel momento. Vedendolo, Nami impallidì e per un secondo
sentì le ginocchia tremare e cedere sotto il suo peso.
«Oh, no!»
«Ti ho trovato finalmente, dannata ragazzina!» L'ometto
basso e peloso comparve dagli alberi a cavallo di un grosso felino e
Nami riuscì a malapena a farsi di lato per evitare che le fauci
della bestia si chiudessero attorno alla sua gamba. Si
rannicchiò per terra, le ginocchia strette al petto e Thrie
saltò giù dall'animale, andandole incontro.
«Non ti ho detto poco fa che questi trucchetti non funzionano,
con me?» Le chiese con la sua voce melliflua che in contrasto con
la sua espressione rabbiosa rendeva l'insieme della sua figura
veramente agghiacciante. «Sono stato generato dalla fusione di
tutte le forme di vita animali dell'isola, io sono immune ai suoi
effetti: per me questa foresta è un bosco come tutti gli altri,
mi basta seguire il fiuto o farmi indicare la via dagli altri animali,
per trovarti con estrema facilità.»
Nami spalancò gli occhi e deglutì, tirandosi in piedi con
tutte le proprie forze. Non ci voleva, pensò,
appoggiando le spalle contro il tronco ruvido. In definitiva, non aveva
scampo: quell'orribile mostriciattolo stava combattendo nel suo
territorio e lei non solo non poteva sfuggirgli, ma non poteva
più nemmeno sperare che qualcuno degli altri arrivasse in suo
soccorso.
«Non voglio morire,» disse, sforzandosi di trattenere le lacrime. «Non voglio morire qui!»
«È inutile, Nami,» le disse, la voce pacata e
serena. «Il tuo destino era segnato fin dall'istante in cui hai
messo per la prima volta piede su quest'isola.»
«Ma perché noi?» chiese, stringendo i pugni.
«Perché avete preso di mira proprio la nostra nave?»
Thrie piegò il capo di lato, lasciando che la barba oscillasse
pigramente dal suo mento. «Perché? Non è una
domanda molto difficile: semplicemente, eravate l'unica nave che si
stava avvicinando all'isola.»
Nami spalancò gli occhi e lo guardò terrorizzata, come se
non riuscisse a capire a fondo il significato delle sue parole:
«Quindi è stato un caso? Solo per caso?»
«Ma certo! Pirati, marina, naufraghi: non ci interessa chi siete,
a noi basta solamente potervi mangiare con tutta
tranquillità!»
«E che ne sarà di Lufy e gli altri?»
Thrie si strinse nelle spalle, come se l'argomento non lo interessasse
particolarmente. «Probabilmente quando avremmo finito con voi
costringeremo anche gli altri ad entrare, è molto semplice.
Così aumenteremo ancora le nostre risorse di cibo.»
Nami inspirò l'aria umida che la circondava e abbassò lo
sguardo, osservando le proprie mani che nonostante tutti i suoi sforzi
non avevano smesso un solo secondo di tremare. «Questa è
la fine?» si chiese, tra sé e sé, mentre la rabbia
cresceva e diventava quasi insopportabile. «Dopo tutto quello che
abbiamo passato, dopo tutte le avversità che abbiamo superato,
dobbiamo davvero morire in un posto del genere?»
Thrie la guardò da sotto le sue sopracciglia ispide e poi
cominciò a ridere a crepapelle, stringendosi la pancia con
entrambe le mani. «Dovresti davvero vedere la tua faccia, Nami!
Sei troppo divertente!»
Lei rimase immobile e silenziosa, mentre lui continuava a sghignazzare,
e appoggiò il palmo della mano sull'albero, come se volesse
dargli una carezza. Forse, in quel momento, avrebbe dovuto chiedersi se
quel posto sarebbe diventato la sua tomba, ma quando le dita sfiorarono
il legno avvertì una strana sensazione, come se si fosse accorta
solo in quel momento di un qualcosa che era stato palese fin dal primo
istante.
«Si può sapere come diavolo fai a rimanere vestito così? Io sto morendo!»
«No, io sto bene.»
Spalancò gli occhi e il suo sguardo cadde sull'omino peloso che
continuava a ridere come se niente fosse sotto tutta quella barba
opprimente. Lui non aveva caldo. Sanji non aveva caldo. Lì non
faceva caldo. L'aria era immobile, asciutta, secca.
Probabilmente il suo malessere dipendeva soltanto da fattori
psicologici.
Strinse le labbra, costringendo la sua mente a lavorare ancora più velocemente. Forse poteva fare qualcosa.
«Ehi, falso Gamon!» lo chiamò, e questi smise di
ridere e tornò a fissarla con le sopracciglia aggrottate,
incuriosito.
«Che cosa vuoi, ragazzina?»
«Hai detto che io, Sanji-kun e Zoro non ci incontreremo più, vero?»
Lui le mostrò il suo sorrisetto arrogante. «Esatto.»
«Quindi, qualsiasi cosa io faccia, loro non verrebbero mai a saperlo, non è così?»
Thrie rise. «Hai detto bene.»
Nami cercò di nascondere il sorriso che stava cercando di
spuntarle prepotentemente dalle labbra. «E ciò significa
che niente che io possa fare avrà ripercussioni anche su loro
due, giusto?»
Thrie smise all'istante di ridere, osservandola con una leggera punta
di apprensione. «Si può sapere dove vuoi andare a
parare?»
Questa volta, Nami si concesse il sorriso ampio e sfacciato, mentre
sfilava le tre parti del suo bastone dalla cinghia che teneva legata
alla coscia. «Se conosco quei tizi,» disse, sollevando il
mento, «adesso staranno facendo di tutto per evitare di rimanere
intrappolati in questo stupido labirinto.» Sollevò le
parti del bastone sopra la propria testa e le assemblò,
puntandole minacciosa contro di lui. «E io non sarò da
meno.»
Thrie la guardò stupito e poi, come se niente fosse, si mise a
ridacchiare. «Che cosa vuoi fare, adesso? Combattere? Ti è
chiaro o no che la tua vita è agli sgoccioli?»
Nami scosse il capo. «Combattere? Neanche per idea.
Semplicemente, io voglio far sparire te e tutti i tuoi odiosi
animali,» annunciò e questa volta fu lei a potersi
permettere il lusso di ridacchiare. «E adesso so anche come
fare,» disse.
Sanji rotolò a terra a gambe all'aria, sbattendo con violenza la
schiena contro un masso appuntito che sembrava nascere direttamente dal
suolo. Spalancò la bocca alla ricerca di aria annaspando come un
pesce rosso e scivolò sul fianco, appoggiando la fronte ormai
coperta di sangue sull'erba umida che sembrò berselo come fosse
stata acqua fresca. Lui sogghignò, premendo la faccia contro il
suolo mentre faceva di tutto per riuscire a mettersi in piedi.
«Merda,» borbottò, facendo sbattere i denti. «Mi è anche caduta la sigaretta.»
«Sei ancora vivo?»
La domanda era arrivata dalle sue spalle, ma Sanji non si prese nemmeno
la briga di voltarsi. Da un lato, era troppo ferito per farlo e,
dall'altro, non ne valeva davvero la pena. «Seh,» rispose,
asciugandosi la bocca con il polso e la manica della camicia. «La
cosa ti crea dei problemi, per caso, scherzo della natura?»
Adhin fece oscillare le lunghe dita in aria, osservandole rapito.
«A me non piace granché giocare,» disse, con la sua
solita voce atona e indifferente. «Questa è una
prerogativa di Duva e Thrie. A me piace fare le cose semplici e
veloci.»
Sanji si lasciò scappare una specie di smorfia divertita e
sollevò il busto, rimanendo pur sempre in ginocchio sull'erba.
«Davvero?» chiese, tastandosi le tasche alla ricerca di una
sigaretta che si mise immediatamente in bocca. «Allora questo
deve essere un bel problema per te, dico bene?» si voltò a
guardarlo, finalmente, con la coda dell'occhio. «Visto che farmi
fuori non sarà né semplice né tantomeno
veloce.»
Adhin esitò un momento e poi annuì. «È vero,
sarà una vera seccatura,» ammise e mosse la mano
velocemente, facendo allungare le dita fino a che non arrivarono quasi
vicino a Sanji e, con un altro rapido gesto della mano, le fece
schioccare sulla sua schiena, colpendolo come se avesse avuto in mano
un gatto a nove code.
Sanji gettò il capo all'indietro e gridò, mentre cadeva
di nuovo a terra, questa volta sui gomiti. Strinse con forza i denti
per non farsi scappare la sigaretta e quando gli sembrò che il
dolore stesse cominciando a scemare l'accese, osservando per un momento
la fiammella che gli baluginava sotto gli occhi. «Ehi, sai che ti
dico?» cominciò, aggrappandosi ad un albero per riuscire a
tornare in piedi. «Ci sono solo due cose che detesto fare di
fretta: cucinare piatti prelibati e fare l'amore con le belle ragazze.
E per tua sfortuna,» aggiunse, indicandolo con la punta
incandescente della sua sigaretta, «tu non sei nessuna delle due
cose.»
Il mostro piegò il capo di lato e lo scrutò un momento, incuriosito. «E con ciò?»
Sanji trovò la forza di muovere i muscoli della faccia e di
sorridere. «Significa che non ho la minima intenzione di sprecare
con te tempo che potrei sfruttare cento volte meglio preparando
spuntini deliziosi per Nami-san e Robin-chan!» gridò e
quando ebbe ritrovato un po' di energie corse verso di lui, cercando di
assestargli un calcio abbastanza potente sulla faccia, ma questi
reagì prima del previsto e afferrò la sua gamba
d'appoggio facendogli perdere l'equilibrio e sbattendolo nuovamente a
terra, sopra un mucchietto di rocce particolarmente appuntite.
Sanji strinse i denti e all'ultimo secondo riuscì ad appoggiare
le mani sui sassi fino quasi a bucarsele; si aggrappò alle rocce
con tutte le sue forze e cominciò a far roteare le gambe fino a
che la spinta non fu così forte che Adhin venne sollevato da
terra e scagliato lontano a tutta velocità, tanto che perse
perfino la presa che aveva attorno al suo piede sinistro.
Sanji attese un momento e poi si alzò in piedi, osservandosi i
tagli che si era fatto con un ghigno per nulla divertito. Se
il vecchiaccio vedesse come me le sono conciate mi prenderebbe a calci
da qui all'All Blue. Sollevò gli occhi verso il suo
avversario scagliato nella boscaglia e quando questi gli ricomparve
davanti gli mostrò la mano destra piena di graffi e ferite e con
il dito indice dislocato che sembrava quasi essere sul punto di
staccarsi.
«Hai visto che mi hai combinato, bastardo che non sei altro? In
questo modo non potrò cucinare al meglio delle mie
possibilità per quasi una settimana intera!» gridò,
mentre il suo avversario strisciava nuovamente in piedi come se nulla
fosse, anche se la sua testa ora sembrava una grossa pera ammaccata.
«Che importa?» disse, con una leggera scrollata di spalle.
«Tanto non appena arriverà il tramonto tu morirai
comunque. Non dovrai più cucinare, d'ora in poi, quindi
perché ti preoccupi?»
«Stai scherzando?» sbottò Sanji con una risata quasi
divertita. «Se permettessi ad un affare che più che a un
cliente somiglia ad uno degli ingredienti dei miei piatti di ammazzarmi
sarei il cuoco più patetico che abbia mai solcato i mari.»
Con un gesto fluido si tolse la cravatta e si slacciò un paio di
bottoni, iniziando a respirare un po' meglio.
Il suo avversario lo fissò incuriosito per un momento e poi
sospirò, come se gli fosse appena capitata la più grande
disgrazia che poteva succedergli. «Vorrei tanto che ci si potesse
sbrigare, perché non mi sento proprio a mio agio fuori dalla
nostra base.»
Sanji piegò le labbra in una smorfia divertita e inspirò
a fondo il fumo dalla sua sigaretta. «Oh, non ti preoccupare cara
la mia pera cotta, ci sbrigheremo,» gli disse, sbattendo un paio
di volte la punta della scarpa contro l'erba, prima di puntare il piede
in direzione della sua faccia. «Ti prometto che ti
cucinerò a puntino in meno di cinque minuti, brutto
bastardo.»
____________________________________
N/A
Io. Amo. Questo. Capitolo.
Devo aggiungere altro? Lo amo. Detesto scrivere di combattimenti, ma per una qualche bizzarra ragione lo adoro. ♥
Sì, lo so, probabilmente fa schifo. Ma lo amo. *__* In
particolare la parte di Sanji. E di Nami. E pure quella di Zoro. *__*
(Comunque ci stiamo avvicinando al gran finale! °ò°)
|
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Capitolo 9 *** Scampati al labirinto! ***
SCHEMAEFP2
Il fruscio delle spade che tagliavano l'aria divenne tutto a un tratto
assordante e nella frazione di secondo che precedette la sua totale
disfatta, Duva si rese a mala pena conto di quello che gli stava
succedendo.
Zoro fece un balzo in avanti, le spade sguainate e quell'espressione
omicida negli occhi in grado di gelare il sangue, e Duva lo ricevette
con le spalle basse, preparandosi a respingere il suo attacco prima di
restituirglielo con gli interessi. Zoro gli venne incontro, gli
colpì le braccia, le gambe, il petto, e tutte e tre le volte la
spada si ritrovò a cozzare con violenza contro la sua pelle; un
colpo alla spalla, uno alla testa e, tutto a un tratto, una spada
scivolò sulla sua corazza e schizzò verso l'alto, prima
di cadere nuovamente al suolo.
«Cosa sarebbe questa ridicola messinscena, spadaccino da due
soldi?» gridò, con tracotanza, e senza neanche rendersene
conto sollevò il mento verso l'alto, per seguire con gli occhi
il patetico volo di quel bastoncino di metallo che per lui era poco
più di un giocattolo.
«Una messinscena,» gli rispose e in quel medesimo istante
lasciò che spada che aveva in bocca cadesse a terra e usando
solo quella che ancora stringeva saldamente nella mano, sferrò
il suo colpo decisivo.
Duva spalancò la bocca, tirò fuori la lingua e
stramazzò, mentre la lama affondava senza fatica nella membrana
molle come burro che nascondeva sotto il mento e lasciava uscire un
fiotto di sangue scuro che per poco non colpì Zoro in faccia. Lo
spadaccino afferrò la spada con entrambe le mani e spinse,
facendo forza sulle gambe, fino a che il bestione non si ribaltò
all'indietro e lui gli saltò sulla pancia, usando il suo corpo
ruvido come base d'appoggio mentre faceva scivolare la lama per tutta
la lunghezza della sua gola e, con una spinta poderosa, non
riuscì finalmente a staccargliela dal collo.
La testa ruzzolò pigramente sull'erba, come fosse stato un
grosso sasso e Zoro la osservò senza parlare, ancora in
equilibrio sulla pancia dura e piatta di quello che era stato il suo
avversario. Dopo un momento di passò una mano sulla faccia e,
senza dire nulla, tornò con i piedi per terra, andando
immediatamente a recuperare le due spade che aveva dovuto sacrificare.
Quando le raccolse le osservò una per una con una smorfia quasi
infastidita sulla faccia e le sistemò al loro posto nel fodero
quasi di fretta, come se si sentisse in colpa di aver vinto quella
battaglia facendo riferimento soltanto ad una di loro.
Poi, quando il fastidio iniziò a scemare, tornò a
guardarsi attorno. Fatto salvo per l'orribile cadavere che si trovava
nel bel mezzo della radura, tutto era rimasto pressoché uguale;
le piante non erano scomparse, così come non era magicamente
apparsa nessuna strada che avrebbe potuto guidarlo verso l'uscita.
Evidentemente ammazzare il grassone non era la chiave per uscire dalla
foresta.
Zoro si guardò le mani imbrattate di sangue e poi cadde
improvvisamente con il sedere per terra, come se fosse fin troppo
esausto per restare in piedi. Si guardò le gambe e, suo
malgrado, si concesse un sorrisetto.
«Morire in un posto come questo, dopo aver vinto un combattimento
in quel modo: c'è da vergognarsi,» mormorò e,
proprio nell'istante in cui era pronto a lasciarsi cadere lungo disteso
sull'erba, sentì dei passi in avvicinamento, accompagnati da
quella maledetta voce che ancora non riusciva ad associare a nessun
viso.
Scattò in piedi velocemente, ignorando le fitte di dolore che
gli attraversavano il corpo e si preparò con la mano sulle
spade, in attesa. Se era un altro tizio dell'isola, gliel'avrebbe fatta
pagare molto cara.
La persona che si stava avvicinando smise tutto a un tratto di parlare
e le fronde che iniziarono a muoversi sotto il suo sguardo gli fecero
capire chiaramente che ormai niente avrebbe più potuto evitare
quell'incontro. Un ramo si abbassò, una mano comparve tra le
fronde, e quando quella persona finalmente si mostrò Zoro
sentì per un brevissimo istante il cuore mancare un battito.
«Ti ho trovato, finalmente!» gli disse dopo un momento di
esitazione e Zoro sbatté le palpebre, sentendosi improvvisamente
un idiota colossale.
«Tu?» Ma come diavolo aveva fatto, si chiese, mentre
abbandonava la sua posizione di attacco, a non rendersi subito conto
che la voce che continuava a sentire fosse la sua?
Sotto i suoi occhi, la foresta bruciava. Nami rimase impietrita a
guardare Thrie che, lentamente moriva assorbito tra le fiamme,
disgustata e al contempo attratta da quella sensazione di potere che le
faceva fremere la punta delle dita e le lanciava scariche di adrenalina
attraverso tutto il corpo. Dopo un momento finalmente riuscì a
chiudere gli occhi e, malferma sulle gambe, si allontanò, il
capo basso e il suo bastone ancora stretto nel pugno, come se non fosse
più in grado di lasciarlo andare.
Dopo che si era resa conto che nonostante la cappa di alberi che la
circondavano il clima della foresta era molto secco, non era stato
difficile appiccare quell'incendio. Il fulmine che aveva generato era
stato anche più potente di quello che lei aveva immaginato e non
appena era piombato sull'albero sotto il quale in quel momento si
trovava il suo nemico era letteralmente scoppiato l'inferno. Thrie era
stato colpito per primo e dopo di lui tutti i suoi animali se l'erano
data a gambe levate, spaventate da quelle fiamme che, contro ogni
aspettativa, non erano divampate in tutta la foresta –
probabilmente, pensò Nami, mentre si allontanava dall'incendio
il più velocemente possibile, anche quello era uno dei poteri
del labirinto.
Senza chiedersi nemmeno dove stesse andando, Nami continuò a
correre. Le parole che Thrie le aveva detto continuavano a rimbombarle
nella testa, insieme alla minaccia che nonostante tutti i suoi sforzi
non sarebbe mai più riuscita a uscire da lì, ma una parte
di lei, quella più vicina al subconscio e alla sua coscienza,
sembrava non essere minimamente interessata. Una parte di lei
continuava a ripeterle che, se avesse corso abbastanza velocemente,
sarebbe riuscita ad uscire dalla foresta sana e salva.
Si fermò un momento a riprendere fiato, le mani appoggiate sulle
ginocchia e quando sollevò gli occhi avanti a sé le parve
quasi di vedere una figura umana che correva tra gli alberi,
accompagnata dal profumo dell'aria fresca ricca di salsedine
proveniente dal mare.
«L'uscita!» disse, mentre gli occhi le si riempivano di
lacrime. «Lì c'è l'uscita!» gridò,
riponendo immediatamente il suo bastone e ricominciando a correre a
più non posso con un'energia che non sembrava più nemmeno
di possedere.
Mano a mano che le sue gambe si lasciavano indietro la foresta sentiva
il respiro diventare più rilassato, la mente più lucida;
le forze le tornarono tutto a un tratto, facendola sentire ancora
più leggera di quanto non fosse in realtà. Il fondo della
sua mente le suggerì che poteva essere un'illusione o un'altra
trappola ma lei lo mise a tacere facendo schioccare un ramo che le
bloccava la strada.
Non era né un'illusione, né una trappola, né un
errore. Quella era la strada giusta, l'unica strada che avrebbe dovuto
prendere. Forse con la morte della creatura dell'isola l'incantesimo si
era davvero spezzato, o lui aveva sbagliato fin dall'inizio a pensare
che lei non ce l'avrebbe fatta – Nami non lo sapeva ma adesso non
era per niente importante. Adesso era libera, finalmente, libera di
tornare dagli altri, libera di ricominciare a navigare insieme ai suoi
amici. Non si chiese se anche Sanji e Zoro ce l'avessero fatta,
perché in cuor suo, ormai, contava solo la luce e il profumo che
sentiva arrivare proprio da dietro le grandi foglie che le bloccavano
la visuale.
Scostò i rami con una manata e quando scivolò dall'altra
parte la prima cosa che vide fu il viso di un'altra persona che
ricambiava il suo sguardo sorpreso e quasi accigliato e quando
riconobbe i suoi lineamenti, Nami non riuscì più a
trattenere le lacrime.
«Ti ho trovato, finalmente!»
Sanji, ferito e dolorante, riuscì a rimettersi in piedi a
fatica, prima di accendersi un'altra sigaretta. Sollevò il viso
verso l'alto, espirando il fumo lentamente come se gli pesasse nei
polmoni, mentre accanto a lui Adhin giaceva in una pozza di sangue, la
testa spaccata.
Quello scontro era stato veramente difficile. Difficile, doloroso e
maledettamente lungo. Sanji si tolse la sigaretta
dalla bocca con la mano bucata e tagliata e osservò il palmo
ricoperto di sangue come se lo vedesse per la prima volta, come se
quella mano non fosse stata sua.
«Accidenti,» mormorò, cacciandosi ancora la
sigaretta in bocca. «Ho fatto davvero un gran casino.»
Abbassò il capo e senza neanche degnare il suo nemico di uno
sguardo cominciò a camminare, per nessuna ragione che non fosse
quella di andarsene da quel posto il più velocemente possibile.
Camminò senza neanche guardare la strada, con le mani ferite ben
nascoste nelle tasche dei calzoni, e quando la sigaretta arrivò
in fondo la sputò per terra, senza nemmeno curarsi di spegnerla
– tanto sarebbe dovuto morire lì comunque, e se nel
frattempo fosse anche riuscito a fare un bel barbecue con quegli alberi
dall'aria inquietante la cosa non avrebbe potuto che fargli piacere.
Ad un certo punto, mentre si inoltrava distratto in una parte della
foresta in cui non era mai passato, sentì un rumore. Era un
tonfo pesante, come una sassaia che scivola sul fianco di una montagna
e in quell'istante il suo cervello parve svegliarsi, come se si fosse
ricordato solo ora che gli restava ancora una cosa importante da fare.
«Nami-san?» chiamò, con il poco fiato che gli
restava. «Sei qui intorno, Nami-san?» Iniziò a
camminare alla velocità che gli consentivano le sue gambe e
sebbene non riuscisse a captare più alcun suono proveniente da
quella direzione non c'erano dubbi che i massi fossero caduti proprio
da quella parte. «Nami-san?» chiamò ancora un volta
e quando non ottenne risposta decise di tacere e avanzò ancora
più lentamente fino a che non si fermò dietro ad un
enorme cespuglio che gli bloccava la strada. Appoggiò le mani
sui ramoscelli sorprendentemente esili e li spinse di lato, aprendosi
un varco per passare; quando fu dall'altra parte spalancò gli
occhi esterrefatto, trovandosi davanti all'ultima persona che si
sarebbe aspettato di vedere.
«Ti ho trovato, finalmente!» esclamò sprezzante e
con una punta di risentimento e l'uomo davanti a lui sbatté le
palpebre un paio di volte, come se non riuscisse a riconoscerlo o come
se nemmeno lui si aspettasse di vederlo lì.
«Tu?» chiese, stupidamente, e Sanji estrasse le mani dalle
tasche per accendersi una sigaretta, in assenza di meglio da fare.
«No, il mostro della foresta. Ma certo che sono io, idiota che non sei altro!»
Zoro fece una smorfia, ora palesemente seccato dalla sua presenza e,
abbandonando la sua posizione d'attacco spinse il busto in avanti,
affrontandolo: «Chi hai chiamato idiota, Cuoco da
strapazzo?»
«Ho chiamato te idiota, idiota di un Marimo!»
«Ripetilo!» lo sfidò, decidendosi ad appoggiare
nuovamente la mano sull'elsa della spada, giusto in caso al cuocastro
fosse venuta la bella idea di decidersi a morire.
«Tutte le volte che vuoi, idiota di un Marimo idiota! È
tutta colpa tua se ci siamo trovati in questo gran casino!»
Zoro sentì le guance bruciare leggermente e sfoderò un
pezzetto della lama, avvicinandosi ancora di più con aria
minacciosa.
«Perché diavolo dovrebbe essere colpa mia, si può sapere?»
Sanji lo affrontò a muso duro, per niente spaventato dalle sue
spade: «Non mi risulta che sia stato io a farmi rapire come un
allocco e a finire in questa dannatissima foresta!»
Zoro fece un verso di sdegno. «A no? E allora spiegami che ci fai qui, maledetto Cuoco?»
«Dopo aver preso te, quei bastardi si sono presi anche Nami-san!
Se sono qui è solo perché dovevo salvare
lei.»
Zoro sbatté le palpebre un paio di volte e inarcò un sopracciglio. «C'è anche la strozzina?»
«Non osare rivolgerti in quel modo a Nami-swan!»
ribatté, piantandogli il tacco delle scarpe proprio nel bel
mezzo della testa.
Zoro barcollò all'indietro e, finalmente, si decise ad estrarre
la propria spada. «Come vuoi tu, maledettissimo Cuoco: se proprio
ci tieni a morire per mano mia ti accontento immediatamente.»
«Ah!» rise Sanji, divaricando le gambe di modo da avere
maggiore equilibrio. «Non credo ti convenga cantare vittoria
troppo presto, Marimo. Potresti essere tu a morire per mano mia,
dopotutto.»
Zoro sorrise divertito ma quando furono entrambi sul punto di attaccare
si fermarono a metà, abbastanza vicini da colpirsi. Sbatterono
le palpebre all'unisono e poi, lentamente, voltarono lo sguardo l'uno
alla propria destra e l'altro a sinistra, gli occhi spalancati.
«Cos'è quello?» chiese Zoro, aguzzando la vista e
Sanji scattò in piedi, una mano sotto la frangia per poter
vedere più chiaramente.
«Non l'hai capito, Marimo?» Disse, voltandosi verso di lui
con dipinto in faccia un sorriso da bambino. «Quella è la
via d'uscita!»
Zoro la guardò con un'espressione dubbiosa e poi, quando
finalmente si convinse, mosse il primo passo verso la sua ritrovata
libertà ma prima che si allontanasse solo di un paio di metri
Sanji gli afferrò la maglia, indicandogli la direzione opposta:
«Si può sapere come fai a sbagliare strada anche quando ce
l'hai dritta davanti al naso?»
«Chiudi la bocca, Cuoco!»
«Da questa parte, muoviti,» lo strattonò,
tirandoselo dietro come fosse stato un grosso sacco di patate.
«Torniamocene dagli altri,» disse, e tutti e due si
incamminarono in silenzio, l'uno accanto all'altro – verso la
luce.
Quando Nami gli era comparsa davanti, Lufy non era riuscito a credere ai suoi occhi.
Nonostante Robin avesse continuamente insistito perché
restassero tutti sulla Merry lui aveva deciso che, labirinto o non
labirinto, sarebbe andato a salvare i suoi compagni e non appena aveva
messo piede nella foresta si era trovato lei davanti, sporca,
terrorizzata e con le lacrime agli occhi.
«Ti ho trovato, finalmente!» disse Nami, lanciandosi contro
di lui con tutto il suo peso fino a farlo ribaltare all'indietro, fuori
dalla foresta, disteso sulla sabbia calda.
Lufy sbatté un paio di volte le palpebre e quando Nami lo
lasciò scattò seduto, appoggiandole le mani sulle spalle.
«Nami? Sei proprio tu? Stai bene? Dove sono Zoro e Sanji?»
La ragazza tirò su col naso e si passò la mano sulla
faccia, mentre cercava in ogni modo di nascondere le lacrime di gioia.
«Ti ho cercato ovunque,» disse, senza pensarci, e
appoggiò la fronte contro il suo petto strattonandolo come se
fosse stato un giocattolo di pezza. «Credevo che non saremmo
più usciti. Quel finto Gamon ha detto che non saremmo più
usciti da lì!»
Lufy sorrise e le appoggiò una mano in testa, sollevandole il
viso di modo che potessero guardarsi negli occhi. «Io ero certo
che ce l'avreste fatta.»
Nami lo guardò a lungo e, mano a mano che studiava la sua
figura, più cominciava a sentirsi forte, a suo agio. Tanto a suo
agio che, quando si rese conto di quanto fossero vicini ebbe la
prontezza di scattare in piedi e rigettarlo sulla sabbia, il più
lontano possibile da lei.
«Sì, be',» disse, le guance vistosamente in fiamme.
«Ora è finita, perciò direi che possiamo tornare
alla nave e andare avanti con il nostro viaggio. Coraggio.»
Lufy, completamente ignaro di che cose le passasse per la testa, si
sollevò e guardò verso la foresta con il capo reclinato
da una parte, prima di rivolgersi a Nami: «Ma che ne è
stato di Zoro e Sanji? Dove sono?»
Nami si fermò poco distante, il viso basso. «Non lo
so,» disse, e sollevò gli occhi verso il cielo chiaro che
cominciava a tingersi di rosso. «Ho perso di vista Sanji
parecchie ore fa, è stata tutta colpa mia» spiegò,
stringendo i pugni e gli occhi per impedire alle lacrime di tornare a
pizzicarle sotto le palpebre. «Ed è il tramonto,
adesso.»
Per un lungo momento Lufy non disse nulla e poi, all'improvviso, esclamò: «Oh! Zoro! Sanji!»
Nami irrigidì la mascella. «Ti ho detto che non c'è più niente da fare!»
«Nami-swan, sei sana e salva!»
Nami spalancò gli occhi e si voltò su se stessa, sorpresa
di trovare Sanji che, a meno di un metro da lei, la guardava con occhi
lucidi e adoranti.
«Oh, Nami-swan, come sono felice di vedere che stai bene! Mi
avevi spaventato da morire!» stava dicendo, ruotandole attorno
come una trottola. «Ma sei ferita? Stai bene? Hai pianto? Mi
spiace così tanto non esserci stato per salvarti, mia cara
Nami!»
Lei sorrise e, senza sapere bene la ragione, gli gettò le
braccia al collo, appoggiando la guancia contro la sua. «Sono
contenta che tu stia bene, Sanji-kun.»
Sanji arrossì fino alla punta dei capelli e cominciò a
starnazzare cose senza senso mentre, in disparte, Zoro e Lufy
guardavano la scena l'uno piuttosto confuso e l'altro palesemente
infastidito.
«Ehi, Zoro?» chiamò Lufy, distraendolo da tutti i
piani omicidi che si stava palesemente facendo passare in rassegna.
«Cosa c'è?»
«Si può sapere che è successo in quella foresta?»
Zoro guardò Nami e poi immediatamente il Cuoco che, esaltato
come non mai, si stava sperticando nella descrizione di manicaretti e
delizie che avrebbe preparato appositamente per lei e scosse il capo,
lasciandosi scappare un lungo sospiro. «Non ne ho idea,»
disse e quando si rese conto che l'altro non si sarebbe accontentato di
una risposta del genere, aggiunse: «Ti racconterò tutto
per filo e per segno, ma adesso andiamo. Credo che Chopper avrà
parecchio lavoro da fare, questa sera.»
Lufy lo guardò lievemente stupito, ma stranamente non aggiunse
nulla, e tutti e quattro si incamminarono insieme verso la nave,
incontro al sole che tramontava e lasciandosi alle spalle un labirinto
che, sebbene non avessero ancora capito come, erano finalmente riusciti
a superare – in qualche modo.
____________________________________
N/A
Se per lo scorso ero esaltata, questo mi spaventa abbastanza: a parte
che scriverlo è stata una faticaccia, ma con lui la storia
praticamente è finita (♥) quindi mi viene un po' la
tristezza, ecco.
Spero che i vari incontri siano riusciti abbastanza bene (ve li
immaginavate, vero? XD) e anche che la fine non sia venuta male. Non
volevo assolutamente metterci troppe smelensaggini fuori luogo, anche
perché volevo che riprendesse un po' le atmosfere del Manga,
più di quelle di una fanfiction scritta da una fangherl affetta
da fangherlite acuta (cioè io. XD)
Per i commenti definitivi ci vediamo al prologo. Spero solo che questo capitolo vi sia piaciuto. ♥
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Capitolo 10 *** Epilogo - Non è cambiato nulla ***
SCHEMAEFP2
Epilogo - Non è cambiato nulla
Pochi giorni dopo la partenza dall'isola del Labirinto, sembrava che sulla Going Merry fosse tornata la normalità.
I tre coinvolti nella vicenda avevano raccontato a turno la loro
storia, ognuno la propria parte – e nonostante ciò Zoro e
Sanji erano perfino riusciti a litigare sulle versioni più o
meno attendibili dell'uno e dell'altro – e per un bel pezzo Lufy
aveva continuato a tenere il broncio, lamentandosi di essersi perso una
straordinaria avventura, e Chopper era dovuto restare sveglio la notte
per curare le ferite di Zoro che, a suo dire, erano abbastanza gravi da
stroncare un uomo alto e spesso il doppio.
Sanji non aveva ripreso immediatamente a cucinare a pieno ritmo a causa
delle ferite che aveva riportato alle mani, ma la sua guarigione aveva
subito una brusca accelerata quando Usop e Lufy, per rendersi utili, si
erano offerti di cucinare al suo posto.
Robin, seduta sulla sua sdraio con la sua vecchia copia de Il
Labirinto degli Amanti in mano, osservava i suoi compagni di
viaggio da sotto il grande cappello che le riparava gli occhi dal sole.
Era una mattina tranquilla, il vento soffiava placido e gonfiava le
vele nella giusta direzione, tanto che a un certo punto Robin vide Nami
cominciare a vagare tranquilla sul ponte, godendosi la frescura che la
circondava e quegli attimi di pace ormai troppo rari sulla Grand Line.
E dietro di lei, nel frattempo, si stava scatenando il putiferio. Usop,
Lufy e Chopper avevano preso di mira un grosso gabbiano che aveva
scelto come luogo di riposo ideale una grossa e robusta pianta di
mandarini, con la scusa che probabilmente poteva essere un'altra spia
di quelli dell'isola, mentre Zoro e Sanji, davanti alla cucina,
bisticciavano come due ragazzini che si litigano la merenda.
Nami cominciò ad urlare e, svelta come un gatto, piombò
sui tre e diede una sonora botta in testa a Lufy e nel frattempo
gridava a Zoro e Sanji di farla finita, perché ormai erano sul
punto di attraccare e avrebbe avuto bisogno di tutti quanti per
raggiungere il porto in modo sicuro. Sanji scattò sull'attenti,
Zoro lo prese in giro per il suo servilismo, e i due ricominciarono a
litigare, interrotti da Lufy che mostrava loro il gabbiano volare via
verso l'orizzonte e Nami che, stufa di loro oltre misura, diede a tutti
una scarica di pugni sulla testa, prima di rispedirli al lavoro.
Nascosta dietro al suo libro, Robin sorrise.
«Sembra che stia andando tutto per il meglio,» disse,
quando Nami le arrivò accanto per annunciarle che erano in porto
e che si sarebbero trattenuti soltanto il tempo necessario per fare
rifornimenti e rilevare il magnetismo con il Logpose.
«Già,» borbottò Nami, lievemente scocciata.
«A volte li preferisco, quando sono un po' scossi: almeno la
smettono per un po' di fare tutto questo casino.»
Con sua sorpresa, Robin rise, coprendosi le labbra con la mano.
«Forse,» le concesse con una scrollata di spalle. «Ma
anche così non sono affatto male: riescono a far sembrare la
nave viva, in un certo senso.»
Nami sorrise e si sedette accanto a lei, gli occhi puntati verso il
cielo. «È vero, anche se devi ammettere che sono veramente
insopportabili.»
Robin annuì con un sorriso e Nami fece per alzarsi quando le
venne in mente una cosa e tornò a voltarsi nella sua direzione:
«Scusa, Robin, è un po' che ci penso…»
La donna chiuse il libro in grembo e piegò il capo di lato,
invitandola a proseguire: «Sì? Dimmi pure.»
«Ecco…» cominciò Nami, tamburellandosi il
mento con un dito, «hai presente quel tuo libro che parlava
dell'isola del Labirinto?»
Robin si irrigidì impercettibilmente, tanto che Nami nemmeno se ne rese conto. «Sì?»
«Me lo presteresti? Dopo quello che mi è successo mi
è venuto voglia di leggerlo, sai, per confrontare quello che
c'era scritto con quello che mi ha detto il falso Gaimon.»
Robin addolcì la propria espressione e piegò le labbra in
un sorriso mesto, spiacente. «Oh, mi spiace tanto, Navigatore, ma
non ho idea di dove sia finito.»
Nami sbatté le palpebre e poi piegò le labbra in una smorfia delusa. «Oh.»
«Purtroppo l'altro giorno Usop e Lufy mi hanno chiesto il
permesso di vedere alcuni libri e ora c'è un macello terribile,
nella mia libreria.»
Nami sospirò. «Lufy, c'era da immaginarlo! Be', non fa
niente, era solo curiosità,» disse e si avviò di
nuovo, quando la voce di Robin raggiunse le sue spalle, eccessivamente
cortese: «Lo cercherò approfonditamente, se vuoi.»
Nami sorrise. «Grazie, mi faresti un grosso favore!»
«Ma figurati,» le rispose Robin, sottovoce, e mentre tutta
la ciurma di Cappello di Paglia – Zoro compreso, questa volta
– scendeva a terra, nessuno si accorse di una mano che spuntava
dal fianco della nave e, con estrema grazia, gettava un piccolo tomo
tra le onde pigre che si infrangevano contro la chiglia della nave,
fino a che i flutti non l'ebbero assorbito del tutto, tramutandolo in
una specie di tesoro nascosto che con tutta probabilità non
sarebbe mai più stato ritrovato.
Robin sospirò, lievemente accigliata, tornando alla sua lettura.
Detestava sbarazzarsi in quel modo dei libri, non era proprio da lei,
ma in quel momento era convinta che mantenere la tranquillità
nella loro ciurma fosse la cosa più importante.
Sollevò gli occhi nuovamente verso terra, dove il Cuoco e lo
Spadaccino stavano discutendo – probabilmente circa i turni di
guardia – e sorrise. Sicuramente non ne sono ancora
consapevoli, pensò, tornando ad immergersi nella sua
lettura, ma forse, un giorno, lo scopriranno anche
loro.
E quando quel giorno sarebbe finalmente arrivato, decise Robin, avrebbe
fatto di tutto per procurarsi nuovamente il libro di cui si era dovuta
sbarazzare.
Perché una buona lettura restava comunque il bene più importante.
____________________________________
N/A
Vorrei che voi sappiate, a puro titolo informativo, che a momenti ci ho
messo di più a scrivere le note che non l'intera fanfic. XD
Onestamente non so cosa scrivere, adesso, perchè questa storia
mi ha tenuta impegnata praticamente tutta la settimana, e il fatto di
essere riuscita a finirla per tempo mi mette addosso una cosa che voi
non avete idea. ;__;
Quando ho scritto le prime parole di questa fic ero letteralmente
terrorizzata e, nonostante lo fossi anche quando ho scritto le ultime,
mi sembra di aver scavato un mondo, in sette giorni: magari è
solo una piccola buca scavata col cucchiaino, però è il
mio primo passo (un passo bello lungo, forse, forse più lungo
della mia gamba) e ne sono estremamente soddisfatta.
Grazie a chi ha letto fin qua, grazie a chi ha letto solo fino a
metà e grazie perfino a chi si è fermato al prologo,
perché almeno una piccola possibilità me l'avete voluta
dare.
Lo ripeto, sono una neofita, quindi abbiate pietà di me.
E, detto questo, non ho altro da aggiungere.
Solo che spero che vi siate divertiti almeno un po' con me, leggendo
questa storia, e che non pensiate troppo male di questo mio raccontino.
♥
Spero che ci rivedremo presto sulla rotta per il One Piece! ^ò^
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