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“Mi chiedo perché dobbiamo perdere tempo con quel vecchio ubriacone”
“Mi chiedo perché dobbiamo
perdere tempo con quel vecchio ubriacone”
“Taci, InuYasha!
Hachi ha detto che stavolta
il maestro Mushin ci doveva dire qualcosa di
importante”
Sul dorso di Hachi,
il gruppo si sta dirigendo verso il tempio del maestro di Miroku.
Stranamente, lo trovano sobrio, pur con l’immancabile fiaschetto in mano.
“Non sei ubriaco? Allora deve
trattarsi davvero di qualcosa di grave!”
“Grave non direi, Miroku, ma certo è una cosa molto
seria. Venite con me...”
Il vecchio bonzo li conduce in
una piccola stanza, al centro della quale giace, su un logoro futon, un anziano addormentato. Il suo aspetto è tale che Kagome si copre gli occhi, e anche InuYasha
ha un sussulto. Non che l’uomo sia brutto, ma è ridotto in condizioni
spaventose: la pelle divorata dalle rughe, i pochi capelli che sono bianchi ma sembrano scuri per la sporcizia che li ricopre,
le unghie lunghe, i vestiti laceri.
“Che è
successo a questo vecchio?” chiede Sango inorridita
“e perché lo lasciate a giacere in queste condizioni spaventose?”
“È lui stesso che vuole stare
qua” risponde il maestro Mushin “Gli ho detto di
lavarsi e di stare in una stanza riscaldata, ma lui non vuole. Ma a parte
questo, Miroku, non avverti
qualcosa?”
“Sì. Una leggera traccia di aura maligna”
“È vero!” si irrigidisce
InuYasha “Sotto questa puzza, la sento anch’io”
“Sentite bene. Eppurequest’uomo da cinquant’anni
non fa che lavorare per gli altri. Abitava in un villaggio qui vicino, dove
insegnava ai bambini a leggere e scrivere, aiutava gli abitanti in molti
lavori, curava i malati, e anche là si ostinava a vivere in queste condizioni
degradanti. Alcuni giorni fa si è ammalato gravemente, e gli uomini del
villaggio lo hanno portato da me perché lo guarissi. Non posso fare niente, la
malattia unita all’età avanzata lo stanno consumando
velocemente. Ma nonostante sia vicino alla morte è ancora lucido, e quando è
sveglio parla molto... e dice delle cose...”
“Che
cosa dice?” chiede Kagome.
“Ora sentirete”
Il maestro Mushin
scuote il vecchio, che lentamente apre gli occhi e si guarda intorno.
“Maestro Mushin”
dice con voce lamentosa “Mi hai portato delle visite?
Vuoi che la mia aura maligna li contamini?”
“La tua aura maligna?” ripete Miroku.
“Sì, l’aura che mi si è attaccata
e che mi porto addosso da quel giorno maledetto in cui per l’ultima volta ho
visto Onigumo...”
“Onigumo?!” esclamano all’unisono InuYasha
e Miroku.
“L’uomo che ha dato
vita a Naraku...” mormoraKagome.
“Lo conoscete?” chiede l’uomo.
“Cosa sai
di Onigumo, vecchio?”
“Onigumo...
l’amico di una vita... e quello che è diventato poi... non ho
mai raccontato la sua, la mia storia, ma forse ora è giusto che qualcuno
sappia... perché la vergogna di un uomo può essere la salvezza di molti...”
Questo è il racconto che il
vecchio malato nel tempio del maestro Mushin ha fatto
ad InuYasha ed al suo gruppo, così come
è uscito dalle sue labbra.
Mi chiamo Umitsu.
Quando ero ragazzo, mio padre era un ufficiale
importante al servizio dello shogunYoshizumi, che allora era in lotta con Yoshitane
per il controllo del paese. Quanti anni sono passati da allora? Poco meno di
sessanta, credo. Era un periodo di battaglie continue, e le truppe guidate da
mio padre si unirono a quelle di un altro generale di Yoshizumi,
per presidiare un vasto territorio sull’isola di Hokkaido. In realtà, dopo questa unione, iniziò un periodo di stallo che durò per
circa due anni, e i soldatti di fatto si stabilirono
nei villaggi della zona, mettendo su famiglia o portando la propria. Noi figli dei soldati fraternizzammo coi ragazzi del luogo. Tra
questi c’era Onigumo. Un ragazzo molto schivo,
riservato. Giocava poco con gli altri, spesso aiutava
la madre nei lavori di casa. Gentile con tutti. Io, al contrario, ero un
pessimo soggetto. Allora avevo sedici anni, e quando ero più piccolo mio padre
mi trattava molto severamente, ma in quel periodo lui era totalmente occupato
dai problemi militari, e io mi beavo di quella libertà. Tra l’altro, l’essere
figlio di un generale importante mi dava autorità sugli altri ragazzi, per cui ero diventato una specie di capobanda. Mi piaceva
essere obbedito e ammirato da tutti, per questo non vedevo di buon occhio Onigumo, che sembrava del tutto indifferente al mio
carisma. Così una volta andai da lui e lo afferrai per la veste.
“Senti un po’, ragazzino” gli
dissi “Ora piantala e vieni con noi, ché ci serve un
ragazzo in più per giocare”
“Ma sto
aiutando mia madre...” protestò lui, al che gli diedi
un sonoro schiaffo.
“Non ti vergogni a fare questi
lavori da donna!? E comunque
se io ti dico di venire con noi devi farlo e basta, senza discutere!”
Così mi seguì, ma anche se giocò
di malavoglia ci accorgemmo tutti che era uno in gamba, cosa che me lo rese
abbastanza simpatico.
Decisi di cercare la sua
amicizia. Mi ero accorto che Onigumo, che era intorno
ai tredici anni, era molto attratto dalle ragazze, in particolare era
innamorato di una certa Yuko, ma era troppo timido
anche solo per iniziare una conversazione. Allora sedussi una delle ragazze più
belle del villaggio, e feci in modo di passare più volte, abbracciato a lei,
vicino ad Onigumo, per suscitare la sua invidia. Ma quel ragazzo era incapace di provare sentimenti negativi,
era più che altro ammirato dalla mia abilità. Per questo qualche giorno dopo
andai da lui e gli dissi: “Perché non ti trovi anche tu una ragazza?”
“Non saprei come fare...” rispose arrossendo.
“Di certo così non farai niente:
devi essere più attivo, prendere l’iniziativa, altrimenti saranno gli altri a
sfilartele sotto il naso, compresa quella Yuko che ti
piace tanto”
“Non è vero! Cioè...”
“Ma dai!
Lo si vede da un chilometro! E poi non devi nascondere
niente al capo, che sono io... Anche perché io ti posso aiutare a
conquistarla...”
“Davvero?”
A quel punto era fatta. Onigumo mi guardava come a un
modello, e io ero orgoglioso di aver dimostrato ancora una volta la mia
abilità. Nei giorni successivi spiegai molte cose aOnigumo, e lo misi in contatto con Yuko,
a cui tra l’altro non dispiaceva. Ma in quei giorni la
tregua era agli sgoccioli, i soldati iniziavano a riprendere le armi, e anche
noi ragazzi dovevamo dare una mano: essendo giovani e svelti, dovevamo fare la
guardia di notte intorno al villaggio, ed avvertire se vedevamo nemici o altri
sospetti. Era un incarico abbastanza leggero, e non ci impediva
di continuare le nostre attività. Onigumo, in
particolare, dopo un corteggiamento lunghissimo ed esasperante (per me che lo
consigliavo), era uscito dal villaggio di notte con Yuko,
e aveva, per così dire, consumato. Nei giorni successivi aveva perso
completamente la testa, sempre a girare intorno a Yuko,
e tutte le notti andava da lei. Non che fosse diventato
un maniaco, intendiamoci: quando si incontravano di nascosto facevano lunghe e
romantiche passeggiate.
Ora so che Onigumo
era entusiasta di aver scoperto un mondo di cui prima non immaginava
l’esistenza, e questo entusiasmo aveva allentato il
suo autocontrollo: pensate che una sera che era di guardia lui, che era così
ligio al dovere, lasciò la sua postazione per andare di nuovo da Yuko! Quella volta, mentre passeggiavano, li vidi (perché
anch’io giravo molto di notte), e divertito li seguii di nascosto, per prendere
in giro Onigumo, una volta che avesse
finito. Ma a sentirli parlare mi veniva il
latte alle ginocchia, a me che ero un tipo molto cinico e amante del
divertimento: Onigumo non parlava d’altro che di
sentimenti, sentimenti, sentimenti, e mai che allungasse una mano. Ma mentre eravamo lì, loro a parlare e io mortalmente
annoiato ad ascoltare, avvenne qualcosa: sentimmo delle urla, una terribile
confusione, cozzare di spade e scudi, e vedemmo alte fiamme alzarsi dal nostro
villaggio.
D’accordo, lascio un po’ in sospeso, ma non è bastardaggine... posterò il secondo tra pochissimo! Voi
intanto commentate^^
Quando vedemmo il nostro villaggio avvolto dalle fiamme capimmo che i
nemici erano riusciti a passare
Quando vedemmo il nostro
villaggio avvolto dalle fiamme capimmo che i nemici
erano riusciti a passare. Fu una notte terribile, di cui ancora serbo un vivido
ricordo, gli uomini di Yoshitane non erano
interessati al controllo della zona, cosa che consentì ad alcuni di noi di
salvarsi, ma solo a infliggere gravi danni agli
avversari, per cui trucidarono buona parte delle truppe, soprattutto i più
giovani, violentarono molte donne e fecero razzia dei nostri beni.
Subito Onigumo
scattò in direzione del villaggio, e anch’io. Quando
mi vide capì che lo stavo spiando, ma non era il momento per fare
recriminazioni. Mentre correvamo vidi un drappello di
soldati nemici scendere dai colli a nord del villaggio. Là sopra c’era un varco
per attraversarli comodamente, quello a cui Onigumo
avrebbe dovuto fare da guardia. Certo li notò anche lui e si rese conto della
terribile responsabilità che gravava sulle sue spalle.
Eravamo ormai quasi arrivati quando sentii un rumore sospetto e mi fermai di
botto. AncheOnigumo si
fermò, e mi guardò con espressione interrogativa. Lo afferrai per la veste e lo
buttai faccia a terra, poi mi nascosi insieme a lui
nell’erba alta.
“Non ti muovere” mormorai.
Un gruppetto di quattro soldati
nemici sbucò dagli alberi e iniziò a guardarsi intorno. Probabilmente ci
avevano sentito correre ed erano venuti a cercarci. Io trattenevo il respiro, e
maledicevo con tutto il cuore Onigumo che tremava
come una foglia, a rischio di segnalare la nostra presenza. Alla fine i soldati
si allontanarono, e dopo aver aspettato ancora per alcuni minuti ci rialzammo.
“Forse possiamo fare ancora
qualcosa per proteggere le nostre famiglie” dissi “Andiamo!”
Feci per muovermi, ma mi accorsi
che Oniguno non mi seguiva. Restava lì immobile, con
una faccia smarrita, lo sguardo perso.
“Che
fai, Onigumo? Muoviti!”
“Quei soldati... erano armati”
“Che ti
aspettavi? Che portassero fiori?”
Lo tirai per il braccio per
dargli una mossa, ma lui si scostò e si prese la testa fra le mani.
“Che
possiamo fare contro quei samurai armati sino ai denti?”
“Ma non
possiamo stare senza fare niente? Pensi che il villaggio ci perdonerà se ci
nascondiamo?”
“Ma
ormai il villaggio è perduto!”
“Ma
forse possiamo salvare qualcuno...”
“No! Ho paura!”
Mi venne l’impulso di dargli uno
schiaffone: per colpa sua il villaggio era messo a ferro e fuoco, e non muoveva
un dito? Ma non c’era tempo per litigare, quindi lo
lasciai lì e corsi al villaggio.
Non riuscii a fare nulla. Mentre
mi aggiravo fra le capanne in fiamme in cerca di sopravvissuti
mi imbattei in un soldato nemico. Quello mi colpì al fianco con la spada, un
pessimo colpo che mi fece solo un piccolo taglio, ma capii che al secondo
affondo sarei stato meno fortunato, e quindi simulai di essere stato ferito
mortalmente, mi buttai a terra e rotolai due o tre volte lanciando lamenti, e
alla fine giacqui immobile. Per mia fortuna il soldato non volle accertarsi
della morte e si limitò a frugarmi nelle tasche. Poi se ne andò,
ma intanto altri ne arrivavano, per cui dovetti continuare a fingere. Quando
potei rialzarmi era l’alba e ormai i nemici se ne erano
andati. Nel villaggio erano rimasti pochi uomini e un gruppo di donne coi bambini. Tutti gli altri erano morti o prigionieri. Due
giovani sopravvissuti ammucchiavano i cadaveri nello spiazzo principale. Tra
quei corpi c’era quello di mio padre, di miei amici,
di tanti altri.
Non mi unii al gruppo dei
sopravvissuti. Non sapevo se era già nota la responsabilità di
Onigumo, ma nel caso mi sarei trovato nei guai
anch’io: nei giorni precedenti molti nel villaggio mormoravano dell’influenza
negativa che avrei esercitato (e in effetti esercitavo) su di lui. Per questo
decisi prima di tutto di cercare Onigumo, per
decidere sul da farsi. Ma lui si stava già mettendo in
un altro guaio.
Sentii la sua voce provenire
dalla capanna di Yuko, o almeno da quello che ne
restava. Gridava, e non era da solo. Sbirciai dalla finestra, e vidi che stava
litigando proprio con Yuko.
“Come hai potuto fare una cosa
simile?” gridava la ragazza.
“Volevo stare con te” diceva Onigumo, cercando di farle abbassare la voce.
“Con me? È questo l’amore di cui
parli tanto? Condannare a morte il villaggio? Sono stata una stupida!” e scoppiò a piangere.
“No, Yuko,
non dire così...”
“Sì, invece! Sono stata una
stupida a crederti un ragazzo dolce e sensibile... tu sei solo un’egoista che
non ha avuto scrupoli di abbandonare il suo posto di guardia. Per colpa tua il
villaggio è distrutto, i miei sono stati uccisi, le
mie sorelle prese come schiave!”
Di fronte a quella rabbia Onigumo era come pietrificato, schiacciato, ma si riscosse
alle parole successive di Yuko.
“Ma non la
passerai liscia” stava dicendo lei “dirò ai sopravvissuti quello che hai
fatto”
“No! Se
lo sapranno, mi linceranno!”
“Perché,
non lo meriti?”
“Yuko,
ascoltami. So di aver commesso una cosa terribile; so di aver portato dolore a
tutto il villaggio; ma l’ho fatto non per egoismo o altro, ma perché davvero
volevo stare con te, e non ho pensato ad altro; una leggerezza terribile, e
sono pronto ad assumerne la responsabilità, a fare quel che è possibile per
rimediare, ma non a morire...”
“E come è
possibile rimediare a quello che è successo? Cosa
pensi di poter fare? Tu ti vuoi nascondere dietro l’amore, magari darai la colpa a me... Ti posso anche credere, Onigumo; ma non posso accettare che gli altri non sappiano
niente, che continuino a trattarti con gentilezza, ignari, con tutto il male
che ci hai fatto”
“Ma...”
“Niente ma! Non puoi convincermi:
vado a dire tutto”
Yuko si
alzò con decisione, e si mosse verso la porta.
“No!”
Onigumo
voleva continuare a parlare, cercare di convincerla. La afferrò per una gamba,
per trattenerla. Con quel blocco improvviso la ragazza perse l’equilibrio,
cadde, sbatté la testa. Anche da fuori vidi il sangue
colarle sulla tempia.
La reazione di Onigumo quando vide Yuko cadere e sbattere la testa non
si può descrivere a pieno
La reazione di Onigumo
quando vide Yuko cadere e sbattere la testa non si può descrivere a pieno. Si
gettò su di lei, la scosse cercando di rianimarla,
urlava come un forsennato. Di fronte a quella scena io entrai nella capanna il
più rapidamente possibile, e cercai di calmarlo, di metterlo
a tacere.
“Stai zitto, Onigumo, non urlare!
Vuoi che ti sentano tutti?”
“E chi
se ne importa! Faccio schifo! Yuko, Yuko!” continuava a gridare.
“Taci! Ti farai sentire da tutti i
sopravvissuti; se ci vedono qua capiranno cos’è successo, ci impiccheranno
tutti e due! È questo che vuoi?”
A quelle mie parole parve
calmarsi, ma anche se smise di gridare era ancora sconvolto. Con una voce rauca
che mai gli avevo sentito mormorò: “Ci uccideranno...
ma io, io merito di vivere?”
A sentire quelle parole
disperate, mi sedetti a fianco a lui.
“Ascoltami bene, Onigumo.
Sappiamo entrambi quello che hai fatto. Non l’hai fatto apposta. Adesso è
successo questo a Yuko. Non volevi ucciderla. Certo, questo non diminuisce la
tua responsabilità, ma se ora tu venissi ucciso, cosa
cambierebbe? I morti tornerebbero in vita? Yuko rinascerebbe? No, sarebbe solo
una morte in più. Che poi sarebbero due, perché anch’io verrei
punito insieme a te. Ma le nostre morti non porteranno
giustizia ai sopravvissuti, né allevieranno il loro dolore. E
allora perché sacrificarsi? Non è meglio andare via, lontano da tutto questo?”
“Stai dicendo di scappare” disse Onigumo “Ma non sarebbe un’ingiustizia? Parlo per me, che dopo
aver portato tanti lutti, anche se involontariamente, me ne andrei
in giro libero e senza responsabilità. No, non è giusto, Umitsu: mi presenterò
ai sopravvissuti e accetterò le loro decisioni”
“Ma sei
matto? Ti uccideranno”
“Può darsi. Tu dici
che anche uccidendomi non ci sarà la giustizia. Ma se
il villaggio deciderà così, accetterò la decisione sbagliata, visto che i miei
errori sono stati ben più dannosi per tutti loro. Non ti preoccupare per te. Tu
sei mio amico e mi hai aiutato tante volte. Vai via, e io non parlerò di te,
non sarai punito. Ma io devo”
“E
invece no!” ribattei rabbiosamente “Questi sono discorsi che si potevano
accettare nel passato. Allora c’era la pace, nei villaggi ognuno era necessario
al benessere di tutti, si viveva in equilibrio rispettando le tradizioni. Ma da anni non è più così: le guerre civili insanguinano il
paese, gli uomini vanno a combattere e nessuno più cura i campi. Le antiche
tradizioni servono solo a perpetuare la catena delle morti. Guarda gli uomini
più forti: chi ha un’arma non la mette al servizio della sua gente, ma si mette
sulla strada e diventa mercenario, e si arricchisce. Un tempo
le guerre nascevano tra le diverse famiglie nobili, oggi i nostri nemici
sono al servizio del fratello del nostro signore. Le divinità sono scomparse e
al loro posto i demoni imperversano. Di fronte a questo sfacelo i villaggi
credono che perpetuando le tradizioni si riuscirà a tornare alle sicurezze del
passato. Ma dove? Se nessuno
pensa più agli altri, dovremmo pensarci noi? Oggi ho visto il cadavere di mio
padre: dovrei rischiare la vita per vendicarlo? E a
che pro? Ci hanno parlato di responsabilità verso la comunità, ma questi non
sono che lacci che ci impediscono di essere liberi. Io
voglio pensare per me, e basta! E anche tu, Onigumo,
faresti meglio a pensare a te stesso, e a nessun altro”.
Qui Umitsu interrompe il suo
racconto: ha notato le facce tese dei suoi ascoltatori.
“Queste parole vi sembrano
disgustose, vero? Avete ragione... ributtante egoismo... così ero da giovane. E ancora per molti
anni a venire”
“Ma perché volevate convincere
Onigumo a fuggire insieme a voi?” chiede Kagome.
“Mi conveniva...
Onigumo era un giovane robusto. Anch’io lo ero,
e in due si girava più sicuri, allora come oggi. In seguito mi affezionai a
lui, ma quella volta fu solo per opportunismo. Comunque
andò bene, riuscii a convincerlo, e abbandonato il cadavere di Yuko fuggimmo
dal villaggio: le parole di Onigumo erano orgogliose e coraggiose, ma c’era in
lui uno spettro che lo dominava e che non lo abbandonava mai: la paura”
Eravamo sbandati, senza un posto dove andare, e non avevamo niente con
noi tranne che un po’ di cibo rubato in una capanna e due spade
Eravamo sbandati, senza un posto
dove andare, e non avevamo niente con noi tranne che un po’ di cibo rubato in
una capanna e due spade. Prendemmo la via dei boschi, sperando di trovare un
paese più grande, dove amgari ci avrebbero fatto
restare, due paia di braccia in più per il lavoro sono
sempre gradite. Ma da quelle parti i villaggi erano
tutti molto piccoli, e la gente non si fidava dei forestieri, soprattutto in
quei giorni di battaglia. Così fummo costretti a vagare per parecchie
settimane, i viveri che avevamo con noi erano finiti
velocemente e ci nutrivamo solo di bacche, radici e di qualche cosa che
elemosinavamo di tanto in tanto, e che non serviva a calmarci la fame. Una sera
vedemmo passare due monaci che trascinavano un carro colmo di doni, in mezzo ai
quali c’era un mucchio di cibo. Io ed Onigumoarchitettamo velocemente un piano, e ci lanciammo sui
monaci con le spade sguainate, urlando come pazzi: quelli si spaventarono a
morte e fuggirono di corsa, lasciandoci il carro. Ma
mentre io mangiavo a quattro palmenti Onigumo
sembrava restio a sfamarsi.
“Che
hai? Perché non mangi?” chiesi.
“Mi vergogno” rispose “questo è
cibo rubato”
“E
allora? Se non lo mangi tu, andrà a male e non servirà
lo stesso a nessuno. Tanto vale che ti sazi tu”
Continuava ad essere esitante, ma
alla fine la fame lo vinse e mangiò anche lui, non meno di me. Fu il nostro
primo furto, ma non l’ultimo.
Spesso nei nostri vagabondaggi ci imbattevamo in cadaveri di soldati. La guerra civile era
ripresa più dura che mai, ed io ero contento di non
rischiare la vita in quelle battaglie. Tuttavia il pericolo c’era per tutti,
noi compresi, perché quel susseguirsi di morti e devastazioni aveva attirato sul paese frotte di demoni, come mai prima.
Noi però non ne avevamo ancora incontrati, e quando
trovavamo dei cadaveri li frugavamo per vedere se avevano ancora addosso
qualcosa di valore. Inizialmente Onigumo non voleva
fare lo sciacallo, ma alla fine riuscii a convincerlo. Ma un giorno, mentre
ripulivamo i cadaveri di una battaglia recente, fummo accerchiati da una banda di uomini armati. Non erano soldati, però. Mentre li guardavamo, spaventati a morte, quello che era il
loro capo avanzò verso di noi.
“Bene, bene, bene” disse “due
mocciosi che frugano le carogne dei soldati. Consola
pensare che ci sia qualcuno peggiore di noi”
I suoi uomini scoppiarono a
ridere. Io strinsi i pugni, adirato per l’insulto, ma vidi che Onigumo chinava la testa.
“Cari ragazzi” riprese quel tizio
“non sapete che non si ruba ai morti?” Ai vivi sì, e noi lo sosteniamo con
forza, ma ai morti… un po’ di rispetto. Dovremo punirvi”
“Provaci” dissi io con tono di
sfida. Due di quei briganti mi si avvicinarono, ma io sguainai la katana e la puntai verso di loro, tenendoli a distanza. AncheOnigumo, che era chiaramente
terrorizzato, impugnò la sua arma e si portò al mio fianco.
Il capo della banda sorrise.
“Interessante” disse
“I mocciosi hanno coraggio. Ragazzi, fate un po’ di pratica con questi
due”
A quelle parole i briganti si
lanciarono contro di noi. Erano molti e noi solo due, ma avevamo il vantaggio di essere più veloci, e la disperazione ci faceva lottare
come belve. Riuscimmo a tenerli a bada per una decina di minuti, ma era chiaro
che non optevamo resistere ancora a lungo. Allora
pensai che se fossi riuscito ad uccidere il loro capo
forse gli altri si sarebbero spaventati e ci avrebbero lasciato stare, così
menai alcuni fendenti per farmi strada, e mi misi a correre verso di lui. Ma uno dei suoi uomini mi colpì alla spalla destra con la
lancia, e caddi faccia a terra. Uno dei suoi briganti poggiò il piede sulla mia
testa e alzò la spada per colpirmi, ma Onigumo con
uno scatto improvviso lo trafisse da parte a parte.
A quel punto potevamo dirci finiti. I briganti ci
circondarono di nuovo, e stavolta in assetto da combattimento, così che non
eravamo più in grado di colpirli. Lentamente si avvicinarono, timorosi dopo la
morte del loro compagno. Al margine della scena, il loro capo continuava a
sorridere. Ma mentre stavano per sferrare l’attacco
definitivo, un urlo stridulo fendette l’aria.
Stavamo combattendo ai margini di un campo di battaglia, e non pensavamo
all’aura ostile che emanava dalla nostra lotta, amplificata dalla vicinanza dei
cadaveri
Stavamo combattendo ai margini di
un campo di battaglia, e non pensavamo all’aura ostile che emanava dalla nostra
lotta, amplificata dalla vicinanza dei cadaveri. Ma
quando sentimmo quelle urla capimmo al volo.
“Le kobegarasu!” gridò uno dei
banditi.
Le kobegarasu sono demoni dal
corpo femminile, ma con ali e zampe di korvo, che si nutrono di
uomini; quel giorno furono in tre ad attaccarci. I banditi si
allonatanarono subito, così esse si lanciarono verso me ed Onigumo. Io fui
assalito dalla più grossa, che cercò di afferrarmi con gli artigli. Non ci
riuscì, ma cademmo entrambi a terra e iniziammo un corpo a
corpo furioso. Ero coperto di sangue e fango, e non potendo usare la
spada cercavo di afferrarle il collo per strozzarla, ma quella aveva una forza
tremenda, mi immobilizzò e mi azzannò al collo. Urlai
di dolore, e perché ero convinto di essere ormai perduto, ma poco dopo sentii
la presa diminuire. La kobegarasu si scosse, in preda a
tremiti incontrollati, poi sputando sangue giacque a terra. Mentre mi rialzavo, vidi Onigumo con la spada in mano: era
riuscito a liberarsi momentaneamente delle altre, ed era venuto in mio
soccorso. I due demoni rimanenti attaccarono subito, ma io recuperai la mia
katana e con un fendente fulmineo uccisi la prima
mentre calava in volo verso di me. Anche Onigumo tentò la stessa mossa, ma non
ci riuscì, e la kobegarasu lo agguantò con gli artigli e fece per portarlo via.
Ma il peso della preda le impediva di muoversi
rapidamente come prima, così le lancia la spada al petto, trafiggendola: il
demone cadde a terra, e anche Onigumo.
Lo aiutai a rialzarsi, e per la
prima volta sentimmo un legame di amicizia che andava
oltre la semplice convenienza: in quel frangente drammatico ci eravamo salvati
a vicenda.
Me mentre eravamo là i banditi
tornarono. Adesso ci guardavano con occhi diversi. Il loro capo parlò:
“Ragazzi, siete i primi che vedo
che affrontano così tre demoni come quelli e hanno la meglio.
Siete in gamba, e anche coraggiosi. Proprio
il tipo di persone che ci servono. Che ne dite
di unirvi alla mia banda?”
Quell’offerta improvvisa ci
spiazzò, e nessuno di noi due disse niente. L’uomo riprese.
“Avete ucciso uno dei miei
uomini, ma lo avete fatto per salvare la pellaccia, quindi sono
disposto a passarci sopra. Pensateci bene: due vagabondi come voi immagino abbiano commesso qualche misfatto, magari siete
disertori… la mia banda è potente, se entrate non dovrete temere per la vostra
vita, e potrete anche smetterla di derubare i cadaveri attirandovi l’ira delle
divinità. Mi sembra una buona offerta, no?”
Io e Onigumo ci guardammo. Capii chiaramente che al mio amico non piaceva
l’idea di diventare brigante, ma che altro potevamo
fare? Da troppo tempo giravamo come ladri accattoni, eravamo stanchi, e quel
bandito ci apriva una porta dopo che non avevamo incontrato altro che muri. Anche Onigumo, nonostante i suoi scrupoli, lo sapeva. Così
mi voltai verso l’uomo e dissi: “Accettiamo”
“Benissimo” disse lui “Allora
sappiate che io mi chiamo Jigoku, e d’ora in poi sarò
il vostro signore; e sarò un signore generoso, se mi servirete bene come tutti
gli altri miei uomini. Ora dite i vostri nomi, e giuratemi fedeltà baciando la
spada”
Eseguimmo il rito, e Jigoku
ordinò ai suoi uomini di darci qualcosa da mangiare e delle vesti nuove. Poi,
dopo esserci rifocillati e cambiati, ci mettemmo in cammino insieme al nostro
nuovo signore, lasciando dietro di noi i cadaveri.
Quando ci mettemmo al servizio di Jigoku eravamo due vagabondi magri,
sporchi, laceri e perennemente affamati
Quando ci mettemmo al servizio di
Jigoku eravamo due vagabondi magri, sporchi, laceri e perennemente affamati.
Dopo tre mesi nella sua banda portavamo vestiti di prima qualità, eravamo sazi,
e le nostre katane, prima rovinate e arrugginite, erano ora lucenti e affilate.
La banda di Jigoku non era come
gli altri gruppi di banditi che giravano per il Giappone devastando i villaggi
per cui passavano. Aveva trovato un sistema molto più comodo per arricchirsi: i
suoi uomini saccheggiavano soprattutto case di ricchi possidenti e i viandanti,
ma nei villaggi e paesi ci si limitava ad azioni dimostrative, come l’incendio
di alcune case, il rapimento di donne e bambini, l’uccisione del capovillaggio,
al seguito delle quali si proponeva un patto: in cambio di tributi periodici il
villaggio sarebbe stato preservato da furti e distruzioni. Con questo sistema
Jigoku si arricchì moltissimo, e distribuì molta parte dei guadagni ai suoi
uomini, per mantenerne la fedeltà. Anche io ed Onigumo ricevemmo lo stesso
trattamento. Un altro metodo di Jigoku per evitare malumori fra i sottoposti
era il consentire a tutti di commettere furti individuali, purché una congrua
parte del bottino fosse versata a lui.
Insomma, dopo tutti quei mesi di
patimenti stare nella banda di Jigoku era cquasi come aver raggiunto il
Nirvana. A fronte di pochi combattimenti, in genere nemmeno molto impegnativi,
godevamo di molto tempo passato tra banchetti, saké e donne.
Ho accennato alle donne. Un terzo
sistema con cui Jigoku si manteneva popolare fra i suoi uomini era quello di
frequentare assiduamente le case di piacere, che pagava di tasca sua per tutti
(non che ci rimettesse molto: con la minaccia di distruggere i locali si faceva
fare prezzi molto di favore). Io e Onigumo, che nella banda eravamo i più
giovani, fummo entusiasti di quel trattamento, e dopo le prime nostre
esperienze in quelle case ci conquistammo velocemente, agli occhi dei nostri
compagni, la fama di stalloni.
Forse non dovrei raccontarvelo.
Per anni ho guardato con orrore a quel periodo della mia vita, ma a rammentarlo
così mi nasce dentro quasi un’ombra di nostalgia. E non solo a causa dell’aura
maligna che ancora mi opprime: è che ai tempi, con la mia condotta così
egoistica e brutale… mi sentivo felice, o forse no, ma ero vivo e vitale, e
desideravo godere di tutto ciò che esisteva. Per questo nelle bevute e nei
bordelli mi scatenavo, con anche tre donne contemporaneamente. Onigumo invece
preferiva dedicarsi a una ragazza alla volta, ma in una sola notte ne prendeva
ben più di una. Anche lui aveva la mia stessa feroce gioia di vivere. Ma una
sera avvenne qualcosa che, per un giorno, lo riportò a quello che era prima.
Eravamo in un bordello sull’isola
di Kyushu. Io e Onigumo, come sempre, eravamo nella stessa sala. Ricordo bene
che io ero in un angolo a intrattenere due ragazze, e dall’altra parte c’era
lui, che aveva appena finito con una e chiamava a gran voce il padrone della
casa dicendo di mandargliene un’altra. Ma quando vide la nuova ragazza
impallidì: era uguale a Yuko, praticamente identica. Naturalmente si trattava
solo di una coincidenza, ma anch’io rimasi impressionato dalla somiglianza.
Comunque Onigumo la prese male, si alzò di scatto e uscì dal bordello. Io avrei
preferito continuare a divertirmi, ma Onigumo era mio amico, così abbandonai le
ragazze e lo seguii.
Lo trovai accovacciato sul
muretto del giardino, pensieroso.
“Allora?” dissi.
“Allora che?”
“Dai, Onigumo. Non venirmi a dire
che ti sei incupito perché quella assomigliava a Yuko”
“E invece sì”
“Ma è stupido! Capisco che il
ricordo ti faccia male, anche se ormai potresti lasciarlo perdere, visto che
sono passati tanti mesi, ma si tratta di un caso”
“Ma perché questo caso capita
proprio adesso?”
“Come, scusa?” chiese, senza
capire il senso delle sue parole.
“Perché l’ho incontrata oggi,
questa sosia, e non prima? È un segno, Umitsu. Sto fuggendo dal mio crimine, ma
per quanto possa andare lontano esso è sempre due passi avanti a me, a
ricordarmi che è tutta colpa della mia viltà se oggi siamo briganti…”
“Ancora ‘sti discorsi?” sbottai
io “Smettila. A me piace fare il brigante, Onigumo. E non venirmi a dire che
per te non è così, perché te la godi anche tu la nuova situazione”
“Sì che me la godo, quando ci
siamo dentro! Ma nelle notti di guardia e nelle attese degli agguati, quando
non ci sono né donne né saké, io non posso fare a meno di pensare che quello
che ora sono disonora me e la mia famiglia, è la vergogna…”
“Vergogna, vergogna. Di fronte a
chi? Chi è oggi che ti disprezza perché sei brigante? Quando passiamo nei
villaggi le donne si nascondono impaurite, ma i giovani ammirano i nostri
cavalli e i nostri vestiti sfarzosi. Nessuno considera più il furto una
vergogna, tranne te. Perché devi tormentarti sul nulla? Impara ad essere
cinico, una buona volta!”
Era dal giorno della morte di
Yuko che non gli facevo un discorso così impietoso e, proprio come allora,
anche questa volta Onigumo rimase abbastanza impressionato dalle mie parole. Da
allora non ebbe più crisi di debolezza, ma anzi cercò sempre di mostrarsi più
duro degli altri, e poco alla volta lo divenne davvero.
Dopo due anni al servizio di Jigoku ero soddisfatto di me stesso: non
solo vivevo bene e mangiavo a crepapelle, ma avevo anche messo da parte una
bella somma
Dopo due anni al servizio di Jigoku ero soddisfatto di me stesso: non solo vivevo bene e
mangiavo a crepapelle, ma avevo anche messo da parte una bella somma. Rispetto
agli altri della banda, io facevo molti furti
individuali, in cui spesso coinvolgevo anche Onigumo,
quindi la mia ricchezza privata era considerevole, anche se di molto inferiore
a quella di Jigoku. Fu proprio questo particolare a
far nascere la mia ostilità nei suoi confronti: come vi ho già detto, Jigoku pretendeva una grossa parte del bottino dei colpi
privati, cosa che gli altri accettavano senza particolare dispiacere, ma io,
che in questo campo ero il più attivo, ero sempre più insofferente. Anche perché senza quella tangente da pagare le mie ricchezze
sarebbero state più che doppie. Provai più volte a convincere Jigoku a diminuire le sue pretese, ma era irremovibile: non
voleva diminuire il suo potere di capo, soprattutto a favore di uno dei suoi
uomini più giovani. Io, d’altra parte, iniziavo a sentirmi sfruttato. Un tempo ero stato grato al mio signore per avermi tolto dal
vagabondaggio, ma ormai le cose erano cambiate e la gratitudine esaurita.
Iniziai a pensare a qualche
metodo per estorcere a Jigoku una grossa somma. Era
possibile, ma da solo non ci sarei riuscito, quindi confidai i miei progetti ad
Onigumo. Naturalmente lui rifiutò, non voleva tradire
Jigoku, e poi un colpo simile lo avrebbe
costretto ad abbandonare la banda, che offriva tanta sicurezza, per
tornare all’instabilità. E poi lui continuava ad
ammirare il capo. Ma qualche settimana dopo un
avvenimento fece mutare la sua disposizione verso Jigoku.
Onigumo
stava perlustrando un bosco insieme a un altro della
banda, quando vennero attaccati da un orso gigantesco (scoprimmo che il suo
sangue era in parte demoniaco), che uccise il suo compagno. Onigumo,
terrorizzato, fuggì e tornò da noi, e pallido come un morto ci raccontò tutto. Jigoku, per nulla impressionato, chiamò cinque uomini e
andò a cercare quell’orso. Dopo una lotta di qualche
ora riuscirono ad ucciderlo. Quella sera festeggiammo
l’impresa, come al solito in una casa di piacere, ma Onigumo non prese parte alle gozzoviglie. Da quel giorno
iniziò a guardare storto Jigoku.
Il mio malcontento intanto continuva a crescere, con l’unica differenza che ora,
quando andavo a sfogarmi con Onigumo, lui si univa
alle mie critiche, anche se per motivi diversi.
“Quel maledetto Jigoku è un succhiasangue” dicevo
io.
“Ed è
anche arrogante” diceva Onigumo.
“Per chi mi ha preso? Per un
moccioso a cui si può far tutto?” mi chiedevo io.
“Ma chi si crede di essere?” si domandava Onigumo.
“Basterebbe che diminuisse le sue
pretese. Ma no, è troppo vorace” rincaravo io.
“E vuole
mostrare di essere il migliore, il più coraggioso di tutti” continuava Onigumo.
Alla fine mettemmo
a punto un piano. Una sera avremmo rapito Jigoku,
e minacciandolo di morte lo avremmo costretto a darci una parte cospicua di
tutte le ricchezze che aveva accumulato. Poi saremmo fuggiti, ricchi e
indipendenti.
In realtà le intenzioni di Onigumo non erano proprio
queste, ma lo avrei scoperto solo più tardi.
L’occasione propizia si presentò due settimane dopo la stesura del
piano: ci fermammo in uno dei villaggi che taglieggiavamo, e Jigoku decise di
passare lì la notte
L’occasione propizia si presentò
due settimane dopo la stesura del piano: ci fermammo in uno dei villaggi che
taglieggiavamo, e Jigoku decise di passare lì la notte. Il capovillaggio fece
preparare un banchetto per noi, ma, è questo fu un colpo di fortuna, Jigoku non
vi partecipò perché aveva adocchiato una bella ragazza e aveva deciso di
dedicarvisi tutta la notte.
Io è Onigumo eravamo all’erta.
Verso la fine della cena due ragazze portarono una grande anfora piena di saké,
ed io con la scusa di aiutarle versai di nascosto un sonnifero nella bevanda.
Funzionò alla perfezione: i nostri compagni brindarono sino a tardi, ma la luna
era ancora alta nel cielo quando le voci iniziarono a smorzarsi. Poco dopo, con
grande stupore di tutti gli uomini del villaggio, la banda di Jigoku russava
fragorosamente. Solo noi due eravamo in sensi.
“Questi non li sveglieranno
neanche le esplosioni” dissi io soddisfatto.
“E allora andiamo a prelevare
quel bastardo” disse truce Onigumo.
Trovammo Jigoku in una stanza
della casa più ricca, dormiva abbracciato alla sua amante. In pochi attimi gli
fummo addosso e lo legammo, e mentre Onigumo stringeva i nodi io cacciavo via
la ragazza, intimandole di non dire a nessuno quello che stava accadendo.
“Cosa fate, canaglie? Uomini, a
me!” gridò Jigoku, sebbene ancora intontito dal sonno.
“Calmati, capo” dissi io “gli
altri sono tutti addormentati, e non ti sentiranno”
“Hai paura, adesso, eh?” ringhiò
Onigumo.
“Umitsu e Onigumo, vero?” disse
Jigoku sentendo le nostre voci “Avrei dovuto immaginarlo. Vi ho presi quando
rubavate ai morti, vi lascio che tradite i vostri giuramenti. Le carogne non
cambiano mai” e sorrise sprezzante. A vedere quel sorriso Onigumo strinse i
pugni.
“Non farci le prediche, capo”
dissi “Te la sei cercata: ti sei voluto prendere la più gran parte dei miei
furti? Ora sono venuto a riscuotere”
“Eh già… ragazzo, ora che muoio
dovrai essere il mio successore, hai la stoffa”
“Tranquillo che non siamo qui per
ucciderti. O meglio, dipende da te: dacci i soldi, e noi ti lasciamo vivo e
vegeto”
“Hai imparato in fretta, Umitsu…
non sono stupido: so quanto vale una vita, in particolare la mia. Le mie
ricchezze sono sparse in giro, e una parte è proprio in questo villaggio:
vicino al pozzo c’è una capanna, là tengo molte stoffe e oggetti d’oro. Li
volete? Sono vostri. Non sono stupido”
Onigumo corse al pozzo a
controllare. Quando tornò, fece cenno di sì col capo:
“Ha detto il vero. Là dentro c’è
oro da camparci per anni. Ed è anche facile da trasportare”
Sembrava fatta, ma non ero
convinto: la reazione di Jigoku mi aveva lasciato perplesso. Presi da parte
Onigumo e gli esposi i miei dubbi.
“Ti aspettavi che cedesse così
facilmente?”
“A dire il vero, no. Non sembra
nemmeno impaurito”
“Non abbiamo considerato una
cosa. Jigoku è un uomo d’onore, certo non perdonerà mai questo affronto,
perderebbe tutta la sua autorità. Anche se fuggiamo, da domani ci darà la
caccia per tutto il paese. E come possiamo nasconderci con l’oro addosso?”
“Vuoi dire che ha cercato di
intrappolarci?”
“Temo di sì. È più furbo di noi”
“Maledetto bastardo! Me ce ne
siamo resi conto in tempo”
“Sai cosa vuol dire, vero,
Onigumo?”
“Sì. Bisogna ucciderlo”
“Infatti”
“Me ne occupo io”
“Tu?” chiesi stupito “lo
ucciderai tu?”
“Dipende da lui” disse Onigumo;
e, afferrato un coltello, si mosse verso Jigoku.
“Non hai paura?” chiese Onigumo a
Jigoku, che giaceva legato in un angolo.
“Paura di voi due mocciosi?
Figurati!” rispose l’altro, sprezzante.
“Però dovresti” disse Onigumo
mostrandogli il coltello e passando la punta sulla sua fronte “Non ti ucciderò con
un colpo solo, sai”
Premette la lama sul collo, e un
filo di sangue ne uscì.
“È tutto quello che sai fare?”
ghignò Jigoku. Onigumo gli diede uno schiaffo.
“Perché fai il coraggioso?” Tu
hai paura, lo so. Tutti hanno paura di fronte alla morte. Perché non vuoi
mostrarla?”
“Perché vuoi vedermi impaurito,
Onigumo? Vuoi dimostrare a te stesso che siamo tutti vili come te?” rise
Jigoku.
Il mio amico divenne furioso.
Afferrò un orecchio di Jigoku e “Ora vedrai” mormorò, e iniziò a tagliarlo,
lentamente, premendo il coltello sulla tempia, facendo sprizzare il sangue.
Jigoku strinse i denti, lo vidi serrare convulsamente i pugni per non urlare.
Terminata l’operazione, Onigumo prese l’orecchio mozzo e sanguinante, e lo
agitò davanti agli occhi della vittima, ridendo.
“L’altro te lo lascio. Devi
ancora sentire la mia voce. Così come io ti sentirò urlare di terrore”
Jigoku non rideva più, ma
nonostante il dolore restava calmo.
“Povero illuso” disse “Ho visto
tante morti. Tante volte, prima di diventare un capo potente, ho rischiato di
morire. Anche peggio di così. Da giovane ero soldato, e ho visto i miei
commilitoni colpiti allo stomaco morire tra spasmi atroci e pensavo che anch’io
sarei finito così. La tortura che mi infliggi ora non è così diversa da quella
lenta agonia, anche se molto più stupida”
“Io sarei stupido?” chiese
Onigumo minaccioso.
“Se hai bisogno di vedermi
implorare per sentirti bene, sei davvero uno stupido. Se ti facessi contento
avrei salva la vita, vero? Anche tu hai imparato la lezione, ma la applichi per
motivi così ridicoli… sei un idiota completo”
“Continui a fare il baldanzoso,
bastardo” ringhiò Onigumo “Speri di confondermi così, è vero? Ma non mi lascio
incantare dalle belle parole. Tu sei nelle mie mani, lo vuoi capire? Dai sfogo
alla tua paura, se vuoi evitare il peggio”
Jigoku alzò la testa e lo guardò
negli occhi, senza dire niente. Si limitò a fissarlo, e sotto quello sguardo
Onigumo, quasi meccanicamente, fu costretto a chinare il capo. Ma fu un attimo.
Tremò per un accesso di rabbia e alzò il coltello, ma subito, come per un’idea
improvvisa, lo lasciò andare, e afferrò Jigoku per il bavero.
“Ti piace guardare? Rimedio
subito…”
Io che osservavo credevo di
assistere ad uno strano incubo: molto lentamente Onigumo infilò l’indice nella
cavità dell’occhio destro di Jigoku, il quale con uno sforzo terribile riuscì a
soffocare le grida, ma non potè impedire un mugolio acuto. Muovendo lentamente
il dito, per provocare più dolore, Onigumo tirò via il bulbo oculare, e con
esso un fiotto di sangue che riempì velocemente l’orbita rimasta vuota.
“Hai paura adesso, vecchio?”
Jigoku ora sembrava davvero
vecchio, tante erano le rughe che gli aveva creato il dolore. Era pallido e
coperto di sangue, il suo corpo legato tremava come se avesse le convulsioni.
Ma a sentire le parole di Onigumo si calmò di botto. Restò per lunghissimi
attimi in silenzio, respirando profondamente. E rise. Jigoku rise, ed era una
risata aperta, squillante, come quella di un bimbo che avesse ricevuto un
regalo.
Onigumo non ci vide più. Afferrò il coltello e vibrò tre,
quattro, tanti colpi, finché il corpo di Jigoku non cadde a terra, informe
massa sanguinante
Di fronte all’uccisione di Jigoku ero rimasto pietrificato
Di fronte all’uccisione di Jigoku ero rimasto pietrificato. Mai avrei creduto che Onigumo fosse capace di un tale sadismo, ma ora lui era davanti a me, sporco di sangue non meno del cadavere del
nostro signore, e ansante. Ho sentito dire che
uccidere provoca piacere a chi lo fa, ma Onigumo non
era né contento né sereno, aveva la stessa espressione truce di prima e
guardava con odio il corpo di Jigoku.
Per un po’ restammo così,
entrambi senza parlare. Poi lui si voltò verso di me e disse: “Prendiamo la
roba e andiamocene”.
Quando
mai era stato così deciso? Per quella notte fu lui il capo, e non io. Andammo
alla capanna che Jigoku ci aveva indicato, e che era
davvero piena di ricchezze da far impallidire uno shogun.
Ne facemmo abbondante incetta, e fuggimmo nella notte.
Da un giorno all’altro eravamo
diventati ricchissimi, e questo mi fece dimenticare le riserve che la crudeltà di Onigumo aveva suscitato in me.
Del resto, nei giorni successivi anche lui abbandonò l’aria furiosa che da un
po’ lo contraddistingueva e tornò il brigante gaudente di un tempo. Almeno,
così mi sembrava. Molto tempo dopo tornai a riflettere
su quei giorni, e giunsi alla conclusione che Onigumo,
in realtà, non pensava di uccidere Jigoku, ma solo di
spaventarlo, e di distruggere la sua immagine di uomo coraggioso che stava lì a
ricordargli la sua viltà. Non essendoci riuscito, aveva perso la testa
trasformandosi in un sadico torturatore. In altri tempi un simile comportamento
lo avrebbe sprofondato in una lunga crisi depressiva,
ma ormai era cambiato, era diventato cinico proprio come gli avevo detto di
fare, ed era in grado di giustificare a sé stesso la barbara uccisione senza
particolari rimorsi. Come aveva detto Jigoku,
Onigumo aveva imparato bene la lezione.
Il pensiero che, invece, ancora
lo opprimeva era quello della sua debolezza. Ma sull’argomento non era solo:
dopo l’uccisione di Jigokueravamo
tornati a vagabondare. Certo, non era più come qualche anno
prima: eravamo ricchi, eravamo armati, e sapevamo come cavarcela. Pure, essendo solo in due, non potevamo più contare sulla
sicurezza della banda. Anzi, i nostri ex compagni, se ci avessero trovati, non avrebbero perso l’occasione di vendicarsi;
senza contare che quando la notizia della morte di Jigoku
si diffuse, molti altri banditi tornarono a farsi vivi nelle zone dove prima la
sua banda dettava legge, e la situazione era diventata estremamente precaria.
Per questo la nostra principale preoccupazione era di aumentare le nostre
forze, per metterci in posizione di tranquillità.
Dovette passare un anno, ma poi
ci si presentò una opportunita:
mentre girovagavamo vedemmo una comitiva di uomini che accompagnavano un carro
blindato. Il particolare ci fece pensare che custodissero qualche tesoro, ma ci
accorgemmo che erano ben armati, quindi non li attaccammo. Però avevamo ancora
i nostri abiti eleganti, per cui ci potevamo far
passare per ricchi signorotti, e con questa finzione ci avvicinammo al gruppo,
dicendo che andavamo nella stessa direzione, e chiacchierando spillammo un po’
di informazioni sul loro conto. Ci dissero che provenivano
da un villaggio di sterminatori di demoni, il loro mestiere, e che in uno degli
oni da loro abbattuti avevano trovato la sfera degli Shikon, che ora portavano ad una sacerdotessa in grado di
purificarla.
Era la prima volta che sentivo
parlare di tale sfera, e chiesi chiarimenti. Il capo degli sterminatori mi
spiegò quello che probabilmente voi già sapete. Potete
immaginare l’interesse che svegliò in me ed Onigumo
quel talismano in grado di aumentare il potere di demoni ed uomini. Quando l’uomo finì di spiegare io lanciai un’occhiata ad Onigumo, e non ci fu bisogno di parole: eravamo entrambi
già determinati a rubare quella sfera degli Shikon.
Il gruppo degli sterminatori di demoni si fermò a trascorrere la notte
in un villaggio
Il gruppo degli sterminatori di
demoni si fermò a trascorrere la notte in un villaggio. Misero
due uomini a guardia del carro e, con mio stupore, vari altri a
controllare gli ingressi del paese, come se si sentissero sotto qualche
minaccia. Questo accorgimento era molto seccante per me e Onigumo,
perché ci complicava di molto il furto della sfera degliShikon. Tuttavia decidemmo di provarci lo stesso quella notte, visto che non potevamo continuare a
seguire gli sterminatori nel loro cammino senza destare sospetti.
“Vicino a questo villaggio c’è
una vasta area di monti e dirupi” disse Onigumo “Se
anche fossimo inseguiti sarebbe pressoché impossibile trovarci là”
Decidemmo così di tentare un
assalto violento e improvviso: gli sterminatori erano tutti impegnati a
proteggere la sfera, ma non avevano messo la stessa cura nel controllare le loro armi, così fu facile per noi rubare alcuni dei loro
esplosivi. Quando l’oscurità calò sul villaggio, ci
avvicinammo furtivamente al carro dove era custodita la sfera; le due guardie
erano molto tese, ma sembravano preoccupate da qualcosa, perché lanciavano
continui e nervosi sguardi ai boschi che circondavano il paesino. Ma a me la cosa non interessava, l’importante era che non
badassero a noi. Ad un mio cenno, Onigumo accese la
miccia di un ordigno e la lanciò contro il carro, e lo stesso
feci io. L’esplosione fu tremenda, dilaniò le due guardie, colte di
sorpresa, e squarciò il carro. Gli altri sterminatori accorsero, ma non
abbastanza in fretta da impedirci di balzare fra i resti del carro, rubare la
sfera e darci alla fuga. Dopo l’iniziale stordimento gli
uomini iniziarono ad inseguirci, ma avevamo dalla nostra il buio, un buon
vantaggio iniziale e la nostra abilità di briganti nel nasconderci nelle
foreste. Per farla breve, dopo qualche ora riuscimmo a far perdere le nostre
tracce, e raggiungemmo i monti. Qui ci rilassammo e, dopo esserci complimentati
a vicenda per la bravura, demmo un’occhiata alla
nostra preda: la sfera era di certo un oggetto particolare, si vedeva da come
brillava, ma anche tenendola fra le mani non ci sentivamo più forti, né altro.
“Come si usa questa cosa?” dissi.
Onigumo
non fece in tempo a rispondere: all’improvviso sentimmo un rumore come se tutte
le fronde degli alberi intorno a noi si fossero mosse all’unisono, e insieme ad esso un forte e strano sibilo, da far accapponare la
pelle. Intimoriti, ci guardammo intorno, ma non vedevamo nessuno. Intanto, ogni
suono era cessato. Ma proprio mentre stavamo per tranquillizzarci, ecco che i ramo sopra di noi si ruppero con uno schianto, e dall’alto
ci piombò vicinissimo un ragno gigantesco, grande almeno quanto questa stanza.
Ma oltre alle dimensioni anche un’altra cosa ci riempì di terrore, e cioè che quell’essere mostruoso
aveva un volto di uomo, un volto orribile, scuro, con grandi occhi rossi e
denti acuminati. Un demone.
Io e Onigumoeravamo bloccati, paralizzati dalla paura. E quella
creatura infernale ci parlò, con una voce che ancora oggi mi risuona
nella mente:
Quando il demone pronunciò quelle
parole, tutto mi fu chiaro: gli sterminatori sapevano che la sfera aveva
attirato molti oni, e per questo avevano circondato
di guardie il villaggio, per assicurarsi che nessuno di essi attaccasse il
carro. Ma io e Onigumo non eravamo in grado di
avvertire l’aura maligna, o forse sì ma non sapevamo fosse dei demoni, e ignari
di ciò avevamo rubato la sfera, attirando su di noi l’immenso demone ragno che
ora ci fronteggiava.
La creatura si muoveva
lentamente, impacciata dagli alberi, e allora ci scuotemmo dalla nostra
iniziale paralisi e iniziammo a correre, distanziandolo. Ma il demone aprì le
fauci, e vomitò contro di noi una miriade di ragnetti.
Ragnetti per modo di dire, erano più grandi di una
mano: si lanciarono velocissimi su di noi, io riuscii ad evitarli, ma uno colpì
Onigumo sulla schiena. Il mio amico cadde lanciando
un grido acutissimo, e in breve tutti i ragni gli saltarono addosso. A quella
vista sguainai la katana e iniziai a colpire con tutte le mie forze gli esserini, scacciandoli. Quando tutti furono a terra morti
mi chinai ad aiutare Onigumo, che era ricoperto di
sangue e aveva, sulla schiena, il segno del ragno che lo aveva colpito, ma per
fortuna non era ferito gravemente.
Lo aiutai a rialzarsi, ma in
quella sopraggiunse il demone ragno, che ci aveva raggiunti. A quel punto,
preso dalla disperazione, afferrai la sfera degli Shikon
e glie la lanciai contro. “La vuoi? Prendila!” gridai, sperando che dopo ci
avrebbe lasciati in pace. Mai feci qualcosa di più stupido: il demone inghiottì
la sfera, e subito iniziò ad agitarsi convulsamente, e vidi il suo corpo
allungarsi e ricoprirsi di nere scaglie, e il volto diventare ancora più grande
ed aguzzo... di fronte ai nostri occhi andava in scena il potere devastante
della sfera degli Shikon in azione.
Quando la trasformazione fu
completata, il demone si abbassò verso di noi e gridò: “Ora comincia la
caccia!”. Capimmo immediatamente di essere finiti in un guaio ancora peggiore,
e ricominciammo a fuggire. Il mostro oltre alle dimensioni aveva guadagnato
anche in velocità, ma aveva comunque difficoltà a muoversi in quelle valli
strette e scoscese. Così io ed Onigumo raggiungemmo
una rupe e ci arrampicammo, sperando di sfuggire alla creature. Arrivato in
cima, aiutai Onigumo, ancora debole per la ferita, a
sa lire, e poi mi sdraiai, trafelato.
“Che orrore” dissi “che orrore”
Ma il mio riposo ebbe breve
durata. Poco dopo il ragno arrivò ai piedi della parete di roccia, parete che
iniziò a scalare, lentamente ma senza difficoltà. Io mi sporsi ad osservarlo, e
pensavo a qualche modo per sfuggirgli, quando sentii una botta tremenda sulla nuca.
Per poco non persi i sensi e l’equilibrio, ma mi aggrappai al suolo ed evitai
di precipitare. Mi voltai, e vidi Onigumo, con in
mano un bastone gocciolante di sangue. Il mio sangue.
“Onigumo!
Cosa fai?” urlai.
“Mi salvo” disse lui, gelido “Se
quel ragno perde del tempo mangiando te, io farò in tempo ad allontanarmi”
“Ma che dici?” chiesi, basito. Mi
sembrava uno scherzo assurdo, ma Onigumo provò a
colpirmi di nuovo, e scansandomi capii che faceva tremendamente sul serio. Con
un calcio feci volare via il suo bastone, e allora lui mi afferrò per le
braccia ed iniziò a spingermi verso il precipizio.Io ero più forte di lui, ma la testa
continuava a pulsarmi per la botta di prima, e mi sentivo stordito.
“”Onigumo”
gridai mentre cercavo di resistere alla sua spinta “Vuoi condannare me a morte?
Proprio me?”
“E chi, se no?” rispose ansimando
“si tratta di salvare la pellaccia”
Nella sua voce non c’era nemmeno
un po’ di dispiacere.
“Non ci posso credere, Onigumo... Ero tuo amico, ti ho salvato la vita tante
volte... e ora, tu...”
“Risparmia la predica, Umitsu. Me lo hai detto tu, no? Bisogno pensare a sé stessi
prima di tutto, no?”
Mi guardò con occhi tremendi, e
diede un nuovo, più forte spintone. Ma così facendo perse l’equilibrio, e nel
tentativo di trovare un appiglio mi lasciò andare. Appena libero, mi gettai al
suolo, e Onigumo inciampò nel mio corpo e precipitò
nel vuoto, sul demone. Io feci appena in tempo a sentire il suo urlo disperato,
poi svenni, e di quella notte non ricordo più niente.