Ossigeno

di LoveShanimal
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Nuova Vita ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Addio. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: Il potere degli Echelon ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: Closer To My Dream ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: It's the moment to fight ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: Finalmente a Casa ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: Baciamano ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8: LASCIAMI! ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9: Empathy ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10: Mi fai schifo! ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11: E' Amore? ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12: Come un Soffione. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13: Sinapsi. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14: Come what may. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15: Giochi o non giochi? ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16: Come in una fiaba. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17: Segno. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18: Fine? ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


“No no no no! I will never forget! No no!”.
Closer to the edge rimbombava nella stanza a tutto volume. Mia zia era andata chissà dove, non che me importasse qualcosa, ed ero rimasta sola nell’enorme abitazione. Mi è sempre riuscito impossibile associare l’edificio in cui vivevo, a quella che si dice “casa”. 
Non l’avevo mai sentita mia, da quando mi ci ero trasferita.
Ah, giusto. Voi non conoscete la mia storia, non potete capire quello che sto dicendo.
Mi chiamo Veronica, ho 21 anni, e vivo a Roma.
Quando avevo dieci anni, in un’altra vita ormai lontana, ho avuto un incidente stradale insieme ai miei genitori. Mio padre guidava, e io stavo seduta sul sedile di dietro insieme a mia madre. Fu tutto così lento, e così veloce: vidi un camion, dall’altra parte della strada, che sbandava e a tutta velocità si buttava contro di noi. Sentii mio padre urlare e imprecare nel tentativo di uscire dalla traiettoria del veicolo impazzito, e mia madre, alla mia destra, guardarsi intorno. Non avevo capito cosa aveva intenzione di fare, fino a quando non aprì lo sportello alla mia sinistra e mi buttò giù. 
Mi salvò la vita. 

Rimasi all’ospedale per settimane, con una gamba rotta e lividi ovunque. Mio padre morì sul colpo, mentre mia madre rimase in coma fino all’anno dopo. Adesso, ripensando gli avvenimenti degli ultimi mesi, se la potessi vedere un’ultima volta, le direi Grazie. 
Ma in quel momento, vestita di nero davanti alla bara delle uniche due persone che mi avessero mai amato, con un presente che odiavo e un futuro completamente sconosciuto, l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era che avrei voluto tanto che fuori da quella macchina, ci fossero andati loro e non io.

Da quel momento cambiai completamente: ero sempre stata una bambina socievole e vivace, ma divenni solitaria. 
Pian piano tutte le mie amiche si allontanarono, io iniziai a vestirmi tutta di nero, come se ormai tutta la mia vita fosse diventata un lutto perenne. 
La mia cameretta, sempre stata tutta rosa a mò di principessa, fu utilizzata come ripostiglio, e io mi trasferii nel soffitto, dove potevo stare sola, e dove regnava il marrone delle tegole. 
La fine peggiore toccò alla mia collezione di bambole: un giorno mia zia (a cui fui affidata) entrò nella mia cameretta e mi vide distesa sul letto, i miei boccoli castani che tenevo sempre sciolti sulle spalle, legati con una molla, e io intenta a tagliuzzare i vestiti delle mie barbie, circondata da cumuli di teste, busti, gambe e braccia. 
Molto probabilmente fu da quel momento che mia zia mi iniziò a considerare un peso: non che fino a quel momento le importasse qualcosa di me, ma cercava di trattarmi bene perché vedeva in me una grossa opportunità di guadagno. 
Dovete sapere che i miei genitori erano i proprietari dell’ospedale più importante di Roma (molti dei dottori, degli infermieri e dei pazienti a cui avevano salvato la vita, infatti, andarono a piangere sulla loro tomba), e io avevo ereditato una grossa somma di denaro. Mia zia ovviamente puntava a quello, e mi teneva con me in seguito ad un accordo con l’avvocato che in cambio dell’affidamento le avrebbe rivelato la collocazione della cassaforte di famiglia; in realtà, mia zia trovò nemmeno un quarto del patrimonio reale, che era depositato in banca, e che solo io avevo il permesso di prelevare. 
Comunque, la mia vita andò così fino a quando avevo sedici anni: ore e ore passate sulla terrazza di casa mia a vedere il panorama e a disegnare; è l’unica cosa che so fare bene, e lo faccio con piacere anche perché è lo stesso dono di mia madre, ed è una delle poche cose che mi ricordano lei. Allo stesso modo, amo la fotografia, perché quando avevo nove anni, fissando estasiata la macchina fotografica di mio padre, lui mi disse che un giorno sarebbe stata mia. 
La mia vita sociale era inesistente: le persone mi evitavano, e io evitavo loro. 
L'unica occasione che avevo per avere contatti con le persone, era a scuola: i miei voti erano alti, le persone mi chiedevano aiuto quando non avevano capito qualche argomento, ed io ero disponibile ad aiutarli. Inoltre, più di una volta, gli avevo salvato il fondoschiena, passandogli le informazioni durante i compiti in classe.
Ma, purtroppo, il rapporto non superava questo livello: le poche persone che mi si erano avvicinate, si erano solo fatte male cercando di sfondare un muro di cemento che, ahimè, mi si era eretto attorno. 

Tutto migliorò nel mio sedicesimo anno di “Vita”: era il 17 agosto 2005, e mentre stavo passeggiando per la città, pronta per fare spese, entrai in una libreria; dopo non so quanto tempo in cerca di un buon libro da leggere, mi ritrovai davanti al reparto delle novità musicali, ed in particolare davanti ad un dischetto. 
Era un Cd, ma c’era qualcosa che mi attirava. 
Forse la copertina, pur essendo così semplice? O forse il titolo? A beautiful lie. Come poteva una bugia essere bellissima?
Impulsivamente, lo presi in mano, e lo esaminai.
“30 SECONDS TO MARS”. 
Non esitai un istante, andai alla cassa e lo pagai. 
Sorrisi mentre uscivo dalla libreria, pensando a mio padre. Una volta, tanto tempo prima, mi disse che ero una bambina diversa dalle altre, speciale.
“Probabilmente- disse ridendo- vieni da Marte!” 

Nel giro di un mese, comprai anche il disco precedente, e imparai tutte le canzoni a memoria.
Era come se per tutta la mia “vita” fossi stata sepolta in una fossa, senza respirare, e Loro, con quel CD, mi avessero aperto un buco nella terra per fare entrare l’aria.
Erano diventati il mio ossigeno, la mia famiglia, la mia vita. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: Nuova Vita ***


Tic toc. Tic Toc. Tic Toc. 
La stanza era completamente in silenzio, esclusa la lancetta pigra dei secondi che scandiva piano il battere del tempo.
All’epoca avevo 21 anni, mi ero diplomata con il massimo dei voti al liceo, ma non avevo continuato con l’università. Era l’11 Febbraio del 2011. Ormai erano passati ben sei anni da quel 17 Agosto, e ancora non mi ero stancata di Loro; probabilmente non mi stancherò mai. 
Ero attaccata al computer da quanto? Tre giorni? Eppure rimanevo lì, tranne quando la fame diventava insopportabile e la pipì si faceva sentire. 
Ma non ero stanca. Stavo aspettando la notizia dell’anno, quella che probabilmente sarebbe stata la più bella della mia vita. 
I 30 seconds to mars in Italia. 

Avevo visto migliaia di siti, girato in migliaia di pagine, ma niente. 
La data prevista era l’8.. il “very soon” di Jared si stava facendo sentire. Scesi al piano di sotto, velocemente, a prendere un bicchiere d’acqua: avevo appena dato un urlo bestiale, quasi strappandomi tutti i capelli dalla testa, e mi si era seccata la gola. 
L’ansia mi stava uccidendo. 
Tornai di sopra, ricaricai la pagina ѕнαɴɴoɴ ϟ , la mia preferita tra le pagine di Facebook, e trovai un nuovo stato scritto in maiuscolo: “HANNO ANNUNCIATO LE DATE”. 
Rimasi con gli occhi sgranati per qualche minuto, quando mi ripresi, con gli occhi in lacrime dall’emozione e lessi: “MILANO, 17 GIUGNO” “ROMA, 18 GIUGNO”. 
Mi alzai in piedi, scaraventando la sedia per terra, e iniziai a saltare sul letto e ad urlare versi incomprensibili di gioia. 
Quattro mesi. Solo quattro mesi, e il mio unico grande sogno si sarebbe realizzato. Solo quattro mesi, e li avrei visti! 
Tornai vicino alla scrivania giusto per accertarmi che non fosse stato un sogno. Giusto per essere certa che avessi letto bene. Eppure erano lì, tre parole che mi riempivano il petto di gioia. Sentivo il cuore scoppiare, le lacrime rigarmi la faccia, le mani tremarmi. 
Era tutto vero. 
Appena capii questo semplice concetto, presi la foto di Shannon che avevo fatto stampare e che tenevo lì, su una specie di mini altare tutto Echelonizzato, tra altre mille foto di Jared e Tomo, e me la strinsi al petto. 
Stetti ferma così per un tempo indefinibile. Secondi, minuti, forse anche ore. Avrei visto i 30 seconds to mars. Avrei visto Shannon. Avrei visto la sua Christine che tanto mi faceva sognare. Quello fu il momento più bello della mia vecchia vita. 

Due giorni dopo, andai a comprare il biglietto. Mi ero presa proprio quello sotto al palco, così da poterli ammirare in tutto il loro splendore. 
Non era giusto che una persona fosse avvantaggiata rispetto ad un’altra solo perché aveva più soldi nel portafoglio, ma per me era troppo importante vederli, e più potevo stargli vicino, meglio era. E per una volta, il fatto di essere ricca giovò anche a me, oltre che a mia zia. 
Tornata a casa, mi buttai sul letto, guardando innamorata quel biglietto. Stetti così per ore, fino a quando non ripensai a mio padre. Corsi nel primo cassetto del mio armadio ed eccola lì, la mia bellissima Canon. Iniziai a scattare centinaia di foto, alternando il biglietto, me con il biglietto, il biglietto con il piccolo altare, me con il piccolo altare. 
Non mi interessava stare male nelle foto, e neanche fare la parte della stupida. Quelle foto, inoltre, non sarebbero mai uscite dalla mia camera. Sarebbero state nascoste in un piccolo spazio del mio cuore, e tenute lì per sempre. 

Così passarono due mesi, tra l’ansia e a gioia per il concerto. 
Fu proprio allora che successe qualcosa che mi stravolse la vita. 
Era un pomeriggio di Aprile, le giornate si erano fatte più calde, e la primavera aveva salutato il globo terrestre da pochi giorni. 
Stavo disegnando ancora sulla terrazza di casa mia, quando posai la matita e strappai la pagina. I miei disegni, ormai, erano tutti uguali. Dovevo cambiare soggetto. 
Decisi di andare al Colosseo: dalla panchina dove mi sedevo la vista del monumento era mozzafiato, e con la primavera e il sole che batteva vivace i suoi raggi sulla superficie sarebbe stato tutto più bello. 
Indossai le mie bellissime converse, tutte nere con la Triade rossa sui lati, un pantalone nero semplice e una felpa leggera anch’essa nera con i quattro simboli dei Mars rossi. Devo ammettere che anche questo è stato un lato positivo dell’essere ricchi. 
Uscii di casa con il mio piccolo Ipod nano, tutto rosso su cui avevo fatto incidere diversi simboli della band. 
Ero una maniaca lo so, ma non ci potevo fare niente se volevo che ogni mia cosa parlasse di loro. E mi divertivo a pensare che forse, avessi più gadget io di quanti ne avesse Jared stesso. 
Con Closer to the Edge nelle orecchie, iniziai a camminare. 
Stare tra la gente che mi scrutava non era una delle mie cose preferite, ma quando ascoltavo la musica entravo in una specie di mondo tutto mio. Come dentro ad una bolla. Magari ero ancora più al centro dell’attenzione quando mi spaccavo i timpani come in quel momento, ma non m’importava. Mi sentivo invincibile con le cuffiette alle orecchie, e ne ero talmente abituata che non averle equivaleva ad essere nuda.
Fu proprio quello il mio errore: ero talmente immersa nella musica che, attraversando la strada, non sentii il clacson che suonava insistente. Mi girai qualche secondo prima, giusto in tempo per vedere un camion venirmi incontro impazzito. Alla faccia della storia che si ripeteva. Era persino dello stesso colore. 
Riuscii solo a mettermi le mani davanti alla faccia, sicura della morte che stava per portarmi via con sé, quando fui spinta via. Ero stata salvata, di nuovo. Possibile che la mia vita si riducesse a gente che mi spingeva via?
Sentii solo un dolore acuto alla fronte, e poi nulla. 

Quando mi risvegliai fui stordita dal bianco della camera in cui mi trovavo. Ero forse in paradiso?
Battei più volte le palpebre, quando una voce mi disse “ben svegliata”. La vista tornò lentamente normale, e piano piano mi si delineò davanti la figura di un ragazzo, particolarmente familiare. 
Era alto, bruno, con i capelli lunghi legati con un codino e vestito semplicemente con un jeans e una t-shirt verde. 
“.. Michael! Sei tu!” era uno dei miei compagni del liceo, che si era ritirato un anno prima dell’esame di maturità.
“Si, sono proprio io! Il tuo salvatore! Quando ti ho vista così, nella traiettoria del camion impazzito, mi è quasi venuto un colpo! Dovresti smetterla di camminare con quelle maledette cuffiette nelle orecchie, o un giorno o l’altro ci rimetterai le penne!”. Parlava così veloce e così forte che a stento capivo le parole. Avevo un mal di testa insopportabile e le orecchie che pulsavano. 
“Gr..grazie. ho preso una paura quando ho visto l’autobus di fronte a me. Non so davvero come…” 
“non ti preoccupare! Sono felice di averti salvato la vita! Peccato che ti ho fatto prendere una bella botta in testa! Sei andata a sbattere contro il marciapiede. Non ti preoccupare, nessun trauma cranico. Hai solo perso molto sangue”. Mi sorrise. 
Mi portai la mano alla fronte. In effetti avevo una cicatrice proprio sotto la riga dei capelli. Sbuffai. Sarei dovuta andare per forza dal parrucchiere a farmi fare una frangetta laterale.
“adesso devo andare. Il mio treno parte fra mezz’ora. Spero di rincontrarti ancora.. viva! Hahahaha alla prossima!” Mi fece l’occhiolino.
“Grazie ancora. E buon viaggio!” 
Rimasi sola. Fissai la parete di fronte a me per molto tempo, fino a quando non scoppiai a piangere. Avevo mentito. Quando avevo vista il camion venirmi incontro, non avevo avuto alcuna paura di morire.
Ero rimasta indifferente. Vivere o morire. Non c’era differenza per me. 
Da quel momento decisi di cambiare: dovevo dare un senso alla mia vita.

Mi dimisero qualche giorno dopo. Andai dal parrucchiere, mi feci fare la frangetta, e decisi che quello sarebbe stato il primo passo della mia nuova vita. 
Ma dove avrei cominciato? Io non avevo nulla. 
Pensai e ripensai per ore, distesa sul mio letto. Ma non mi venne in mente niente. Non c’era nulla che avrebbe dato un senso alla mia vita, nulla. Ma allora? Allora tanto valeva essere morta schiacciata da quel camion. Ma non era successo. 
Qualunque cosa scandisse il corso degli eventi, Dio, Allah, Buddha, il destino, il Karma, scegliete voi, aveva deciso che per me non era arrivata la fine. Quindi, avrei dovuto sfruttare quel dono al meglio.
Poi alzai lo sguardo verso la mia scrivania e capii.
Possibile che noi, donne e uomini, siamo così sciocchi da affaticarci nel cercare qualcosa lontano da noi, quando basta girare lo sguardo per trovarla?
Mi alzai, sorridendo, e andai piano verso il mio piccolo altare. Presi la foto di Shannon, e poi una dei 30 seconds to mars tutti insieme, e la guardai.
Erano loro l’unica cosa che avevo. Li avrei dovuti rendere DAVVERO la mia vita. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: Addio. ***


 Prima di farvi leggere il capitolo, vorrei scusarmi in anticipo per la schifezza che andrete a leggere ( Sempre che qualcuno la leggerà! ) .. Non è stato proprio un bel periodo, e quando mi ritrovavo davanti al computer non riuscivo a comporre una frase di senso compiuto! ._. Comunque, buona lettura! 
Ps. Non mi trattate troppo male! :( 
Ps2. Grazie per chi ha letto i capitoli precedenti e mi ha fatto i complimenti! <3 



Capitolo 2: Addio 
 
 
La goccia di sudore scese pigra giù per la mia schiena.
Erano due settimane che mi allenavo con quel personal trainer. Da quando avevo preso la decisione dopo l’incidente, ero decisa a dare tutta me stessa per allenare il mio fisico.
Però, quello che avevo davanti non era un uomo, era un’ armadio. E pure cafone.
Portava dei pantaloni a cavallo basso da cui si vedevano completamente le mutande, e una canotta striminzita da cui uscivano fuori tutti i peli del petto.
“Quell’abbigliamento- pensai –sarebbe stato molto meglio sul fisico perfetto di Shannon”.
Risi tra me, mentre l’allenatore mi guardava dubbioso. Meglio quello sguardo, piuttosto del suo sorriso da maniaco sessuale che aveva stampato perennemente sulla faccia.
“Invece di ridacchiare, corri!”.
Diedi uno slancio alle mie gambe e raggiunsi più velocemente l’altra parete della palestra. Era una stanza fatta apposta per chi si allenava nella corsa : era stretta e lunga, con ai lati, ammassati gli uni sugli altri, tutti gli ostacoli che venivano usati dai corridori più esperti.
Lanciai uno sguardo all’orologio. Erano da poco passate le nove. Era tardi.
Quanto tempo avevo passato lì dentro? Tre ore? Forse anche di più.
Giacomo- il nome del pervertito- doveva aver avuto il mio stesso pensiero.
“Va bene così, per oggi. Non voglio che mi svieni mentre torni a casa!”.
Accompagnò la frase ad una risata roca.
Mi passò avanti, portando con sé una puzza di fumo insopportabile.
Arricciai il naso, presi la mia asciugamano, e me ne tornai nello spogliatoio.
Prima di cambiarmi, mi stesi sulla panca verde e mi riposai.
Ero sfinita. Respiravo con irregolarità, il mio petto si alzava e abbassava veloce, e sentivo indolenziti tutti i muscoli del corpo. Ero stata per tutte quelle due settimane ogni giorno ad allenarmi, e ogni giorno spendevo ore e ore fino a tardi, quando tornavo a casa sfinita.
Riprese un po’ le forze mi rialzai, incurante delle altre ragazze che mi guardavano scettiche.
Sorrisi, avvertendo però gli effetti dell’allenamento: la mia resistenza era aumentata, ogni giorno i miei tempi miglioravano, la stanchezza poco a poco posticipava la sua venuta, e riuscivo a fare man mano che passavano i giorni qualche minuto in più.
Mi cambiai veloce, mangiai un salatino e, con la borsa in spalla, uscii dalla palestra.
Era da poco meno di due ore calato il sole, ormai era metà maggio e le giornate si erano mano a mano allungate.
Metà maggio.
Mancava all’incirca un mese. Tanto presa dall’allenamento, mi ero dimenticata una cosa importantissima. Deviai strada e sbucai nel vicolo che mi interessava. Mi avvicinai alla grata aperta e lessi l’orario d’apertura: il giorno dopo sarebbe stato perfetto.
 
Ero seduta su un lettino, le maniche rialzate, il cuore che batteva a mille.
Avevo un grosso groppo in gola, e più deglutivo più sembrava si allargasse. Il ragazzo che mi stava di fronte, mi guardava di sottecchi mentre, con le mani infilate in guanti di plastica celesti, disinfettava diversi utensili che poi riponeva su un tavolino alla mia destra.
“Ehi, tutto bene?” Mi disse ad un certo punto; probabilmente, aveva scambiato la mia eccitazione per paura.
“Si, certo..” dissi con un filo di voce. Il mio tono non convinceva neppure me, figuriamoci lui.
“Se lo dici tu.. Conviene che ti togli la maglietta già da adesso, così dopo non avremo problemi..”, disse mentre era tutto indaffarato nel prendere dei vasetti da uno scaffale.
Lo guardai storto, e arrotolai la maglia fino a sotto il seno.
“Così sono sicura che basti!” dissi, in tono di sfida.
Mi distesi sul lettino, a pancia in giù, e quando lui mi fece cenno di essere pronta, gli polsi il braccio destro con il polso rivolto verso l’alto. Affondai la faccia nell’altro braccio, e sentii una punta gelida entrarmi nella pelle. La mano era ferma, non esitava neppure un momento.
Dovevo ammetterlo, era bravo.
Finito lì, sentii dapprima un sottile bruciore dove poco prima avevo sentito la punta fare pressione, e poi un senso di freschezza su tutto il pezzo dove quella mano esperta aveva steso una specie di crema.
“Qui ho finito. Continua a tenere la mano così. Faccio l’altro adesso?”
Gli feci un cenno col capo, e dopo pochi secondi tornai a sentire la stessa pressione anche sulla parte inferiore della schiena. Dapprima sentii la punta tracciare brevi linee una dopo l’altra a formare delle forme geometriche, poi tutte linee curve e continue.
Ci mise un po’, poi anche lì il senso di freschezza prese il posto del bruciore.
Quando mi rialzai, mi stiracchiai la schiena che era stata tesa fino a quel momento, e alzai il polso all’altezza degli occhi: una bellissima triade nera spiccava sulla mia pelle bianca.
Mi vennero le lacrime agli occhi. Non era una di quelle triadi che disegnavo dappertutto. Non era uno di quei disegnini che mi ero fatta io negli anni precedenti con la penna nera su tutto il corpo. Era vero. Mi ero davvero fatta il tanto atteso tatuaggio che dimostrava concretamente il mio amore per i 30 Seconds to Mars.
“Se vuoi vedere l’altro, qui c’è lo specchio..”.
Quel tipo mi stava simpatico. Era bravo, gentile, e inoltre aveva fatto un simile capolavoro.
Tutta la gratitudine, la gioia, l’emozione che avevo provato fino a quel momento, non fu paragonabile minimamente a quello che provai dopo.
Mi avvicinai lentamente allo specchio, mi voltai, e vidi con la coda dell’occhio i quattro  glyphics e sotto la scritta “30 seconds to mars” in un carattere tutto particolare e bellissimo.
Rimasi incantata, e poi scoppiai a piangere.
 
Altri giorni passarono, tra allenamenti e spese. Mi ero fatta fare dal mio sarto di fiducia, a cui dovevo quasi tutto il mio guardaroba, un nuovo completo apposta per il concerto.
Delle converse bianche con i nomi della band rossi, dei pantaloncini rossi con la triade bianca ai lati, e una maglietta bianca con in verticale, dietro la schiena, la scritta “18 giugno 2011” e davanti una triade sul cuore. Erano elastici, adatti a ciò che mi apprestavo a fare, traspiranti, e soprattutto bellissimi.
Ritirai tutto il completo una settimana prima del concerto, lo stesso giorno in cui feci incidere diversi simboli sulla mia videocamera appena comprata.
Già da qualche giorno Giacomo, soddisfatto dei miei risultati, mi aveva iniziato a far allenare con gli ostacoli.
Il primo giorno fu un totale disastro: ero abituata a correre senza pensieri, seguivo il mio istinto; ma questo era proprio il comportamento sbagliato per una corsa con gli ostacoli. Inciampavo, cadevo e mi graffiavo.
La mia agilità, che da pochi giorni avevo scoperto, non mi aiutò affatto.
Mi ritirai a casa sconfitta, e il giorno dopo mi riposai più del solito.
Non mi potevo arrendere così, a un passo dal traguardo. Ero troppo decisa a riuscire nel mio intento, e il giorno dopo andai in palestra cercando di dimenticare quel grandissimo fiasco.
Tutto andò meglio: ancora inciampavo e sbattevo il piede negli spigoli, ma sentivo il mio corpo più presente a se stesso e la situazione sottocontrollo. Mi allenai così per alcuni giorni, raggiunsi un livello abbastanza buono, e, con grande soddisfazione sia da parte mia che di Giacomo, ci salutammo e lo pagai.
 
Arrivò, finalmente, quel benedetto 17 giugno. La mattina dopo mi sarei messa in fila per il concerto, ma intanto non sapevo che fare. L’impazienza era troppa, non riuscivo a pensare a nulla che non fosse il concerto.
Scesi in cucina, e iniziai a sgranocchiare i biscotti al cioccolato. Mangiare mi faceva sempre sentire bene.
Alla fine mi abbandonai ad una bella tazza di latte caldo.
Mi accorsi di quale fosse la tazza che avevo in mano solo nel momento in cui la lavai: era una tazza tutta rosa, con due mucchette allegre che camminavano mano nella mano. Era la tazza che mio padre mi portò una volta da Parigi.
No. Non potevo andarmene così.
Probabilmente non avrei più rivisto quel posto, quella casa.
Delle persone che ci abitavano, mia zia, le mie vecchie compagne, non me ne importava minimamente. Ma non potevo andarmene senza salutare per bene i miei genitori.
Lasciai la mia tazza lì dov’era, tornai di sopra a prepararmi, e uscii di casa con il cuore sottosopra.
 
Sembrava che il tempo lì dentro non cambiasse mai, almeno per quanto riguardava le lapidi dei miei genitori. Quelle stesse lapidi che avevo visto milioni di volte, e su cui altrettante volte avevo pianto, non sembravano essere mutate da quando furono incisi i nomi delle due persone che mi avevano messo al mondo.
Nemmeno un filo di polvere si poggiava sulla loro superficie, le loro foto erano sempre ben lucidate, e un mazzo di lavande, i fiori preferiti di mia madre, occupava sempre il vaso sul lato destro del marmo.
Qualcuno se ne occupava con assoluta dedizione.
Vuoto. Nella mia testa non c’era nulla. Non piangevo, ormai avevo smesso di piangere lì davanti. Ma c’era sempre una specie di nostalgia, un rimpianto quando stavo lì davanti.
Come sarebbe stata la mia vita se quel maledetto giorno, quel maledetto furgone non avesse maledettamente perso il controllo? Sarebbe stato tutto diverso, quello era ovvio.
Magari sarei stata una di quelle ragazzine che andava alle feste in discoteca della scuola, che indossava sempre quegli abiti luminosi, che stava ore e ore a telefono con le amiche, che aveva delle amiche.
Magari avrei avuto tanti corteggiatori, o anche solo uno. Magari avrei una frase di Ligabue invece che dei 30 seconds to Mars tatuata sulla schiena. No. Quello no. In quel momento fui sicura che, anche se i miei genitori fossero sopravvissuti, la mia strada e quella dei Mars si sarebbero comunque incrociate. Di questo, non avrei mai potuto dubitare.
Mi inginocchiai, così da avere la foto dei miei genitori dritta in faccia. Li guardai, per qualche minuto, e poi pronunciai quelle parole, che ormai erano un peso che mi ero tenuta dentro tanto, troppo tempo.
 “Mi mancate. Non sapete quanto. Adesso, almeno lo spero, starò bene. I vostri ricordi mi accompagneranno per sempre: le vostre premure, i vostri abbracci, i vostri insegnamenti, le gioie che mi avete regalato. Grazie di tutto. E.. – dissi voltandomi verso mia madre- non sprecherò il dono che mi hai fatto, per la prima volta quando mi hai partorito, e la seconda quando mi hai salvato”. Detto questo mi alzai, li salutai ancora e con “This is war” nelle orecchie mi incamminai sotto il sole, con una sensazione estremamente dolce che cullava delicatamente il mio cuore.
 
Mi alzai di botto, tutta sudata e con le mani che mi tremavano. Vidi l’alba che si alzava pigra all’orizzonte.
Era il 18 giugno. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3: Il potere degli Echelon ***


Ecco a voi un altro capitolo. Questo è più corto degli altri, l'ho voluto pubblicare lo stesso per rimediare all'ultimo che mi è sembrato una schifezza, e anche perchè mi servono delle idee per la parte successiva, e se non l'avessi pubblicato stasera l'avrei pubblicato domenica o oltre. 
Ringrazio nuovamente chi mi segue, e chi mi fa i complimenti. 
Vorrei aggiungere un'ultima cosa: la storia è totalmente inventata dalla mia mente malata. I miei genitori sono presentissimi, anzi forse anche troppo. xD non ho nessun amico/amica con alla spalle una situazione simile, solo che quando ho iniziato a scrivere questa storia ero in un momento in cui dovevo trasmettere in qualche modo la tristezza che mi attanagliava il cuore. Un altro motivo, comunque, è che la ragazza protagonista è esageratamente libera. E non mi sembra realistico con dei genitori alle spalle. 
Spero di non avervi annoiato, e di non annoiarvi con il capitolo.
Buona lettura! ^^ 



Erano quasi tredici ore che ero ferma lì davanti.
 
Alzai lo sguardo, anche per prendere un po’ di aria. La folla continuava a spingere, impaziente per le porte che dovevano essere aperte a momenti. 
Ero in fila dalle otto di quella stessa mattina. Avevo esagerato, ma intanto ero stata la terza ad arrivare e quindi mi trovavo davanti a tutti.
Davanti a me il portone in ferro, dietro le persone. E io schiacciata in mezzo come una fetta di salame. Con lo sguardo rivolto verso l’alto, riuscii a leggere a malapena la scritta “Capannelle”. 
Erano quasi le nove e mezzo del 18 Giugno, il giorno del concerto dei 30 seconds to mars. Finalmente era arrivato, quel giorno che per la maggior parte dei presenti era un sogno che si realizzava. Tra questi c’ero anche io, e qualcosa di più grande mi aspettava: una svolta della mia vita. 
Speravo con tutto il cuore nella riuscita della mia impresa, ma non potevo illudermi. Dovevo essere realistica, erano molte di più le possibilità di fallire, che quelle di riuscire. Era l’unico modo di sopravvivere: se solo avessi avuto una speranza, e questa non si sarebbe realizzata, io sarei morta. Morta dentro, morta fuori. Probabilmente mi sarei buttata io stessa sotto un camion. 
I miei pensieri, però, furono interrotti. Un rumore. 
La mandria impazzita alle mie spalle si ammutolì. Unico sottofondo era l’eco delle macchine lontane che arrivava fino a noi come da un altro mondo. 
Tutti puntarono lo sguardo verso quegli uomini che, inverosimilmente muscolosi, stavano aprendo il cancello. 
Mi misi in posizione, presi un ultimo grande respiro, e non appena trovai lo spazio sufficiente mi buttai dentro, correndo all’impazzata verso l’entrata centrale. Per fortuna, avevo indovinato la porta. Mostrai velocemente il biglietto al controllore, e per seconda entrai nel gigantesco stadio.
Solo per un attimo rimasi a bocca aperta vedendo quello che mi circondava, fino a quando non mi accorsi che anche un’altra persona era entrata e ricordai che il posto in prima fila che mi ero meritata non aspettava di certo me. 
Ripresi la corsa, più veloce di prima, con ritmo regolare e senza stancarmi. 
GRAZIE GIACOMO. 
In poco tempo, sotto lo sguardo allibito delle altre ragazze che andavano ad un quarto della mia velocità, mi ritrovai sotto al palco. Mi guardai un po’ intorno, e mi spostai sulla parte destra, a metà tra la batteria di Shannon e l’asta del microfono di Jared. 
Respirai a pieni polmoni. Non ero affaticata dalla corsa, bensì dalla felicità. 
A momenti, il mio unico grande sogno sarebbe diventato realtà.



In poco tempo tutto lo stadio si riempì. Eravamo troppe persone. Eppure, per una volta, la vicinanza con tanti corpi non mi creò disagio.
Sembravamo tante sardine rinchiuse in una scatoletta troppo piccola, ma quelle che avevo vicino non erano semplici persone. Erano speciali. Erano Echelon. 
Come potevo essere a disagio a stare con delle persone della mia grande famiglia? Donne, uomini, bambini. Eravamo tutti fratelli e sorelle, tutti i componenti di un cerchio perfetto che era il popolo di Marte. 
Sorrisi. Non conoscevo nemmeno un volto tra quelli, ma riuscivo a sentirmi a casa con quegli sconosciuti più che con qualsiasi altra persona con cui la mia vita si fosse mai incrociata. 
“Sei sola?” Una voce melodiosa, da donna, mi parlò dalla mia destra. Mi voltai. Una bellissima ragazza con i capelli biondi e gli occhi di un celeste chiarissimo mi guardava sorridendo. 
“Non sono sola. Non vedi quante persone ci sono intorno a me?” cercai di fare un gesto con la mano che comprendesse la distesa infinita di anime intorno a me. Il risultato fu scarso, lo spazio per muoversi era talmente poco che a stento riuscii a portare la mano all’altezza della faccia. 
“Mmm.. Hai ragione! Noi Echelon non siamo mai soli!”. Mi rivolse un sorriso così caldo, che per poco non mi sentii partecipe alla sua gioia.
“Piacere Veronica!” Le porsi la mano, ma il mio gesto assomigliava ad un insulto, quasi come se le stessi dicendo che era una tirchia con la manina corta.
“Piacere, Giorgia!”. I suoi occhi, incorniciati da lunghe ciglia, erano così espressivi che quasi vidi l’oceano al loro interno. Probabilmente, nei miei l’unica cosa visibile era un pozzo di petrolio. Mi rattristai, e non sentii la domanda che lei mi porse. 
“Scusa.. dicevi?”
“Ti ho chiesto da quanto tempo sei Echelon!” Mi disse, avvicinandosi all’orecchio. Aveva probabilmente pensato che non sentivo a causa del brusio della folla.
“Quest’anno da sei anni. Precisamente cinque anni e dieci mesi! È stato un amore a prima vista!” ci guardammo per due secondi, e poi scoppiammo a ridere. “E tu?”
Le chiesi, pentendomene quasi subito.
Abbassò lo sguardo, i pezzi di cielo che le riempivano le orbite pieni di una strana tristezza, angosciati e quasi vergognosi. 
“Ho.. Ho detto qualcosa di sbagliato?”. Ero completamente digiuna di qualsiasi forma di comunicazione interpersonale, e mi sentii quasi un mostro ad aver rattristato una creatura così bella. 
“No! Scusami..” mi disse, quasi tornando in sé. “Il problema è che.. io.. sono Echelon solo da due mesi.. e.. ho paura che le persone non mi giudichino all’altezza di far parte di questa famig..”.
Non finì la frase. Si accorse che avevo iniziato a ridere come una stupida. 
“Ma come puoi pensare una cosa del genere? Anche se tu fossi fan solo da ieri, anche il solo fatto di stare qui, anche il solo fatto di aver speso più soldi del previsto per poterci stare dieci minuti insieme, anche il solo fatto che sei stata ore qui davanti per prenderti il posto di fronte a loro, implica che sei Echelon. E poi, pensi davvero che ci siano dei canoni per essere Echelon? Devi essere fan da anni, essere andata almeno una volta al loro concerto, devi avere una collana con la Triade ecc? No. Echelon non è qualcosa con delle regole. Echelon è un sentimento. Li ami? Ami le loro canzoni? Bene, sei Echelon. Nessuno, tranne te, può dire se sei Echelon. Solo e unicamente il tuo cuore te lo dice”. 
Quelle parole quasi commossero entrambe. Una piccola folla stava ascoltando il mio discorso, e tutti si riflettevano completamente in ogni sillaba che pronunciavo. Ci guardammo silenziosamente negli occhi. In quel momento, tutti capirono la bellezza e la forza della grande famiglia di cui facevamo parte. 



Sudavo come non mai. Le persone si agitavano, volevano i 30 seconds to mars sul palco. Io venivo sballottata a destra e sinistra, era inutile opporsi a quella folla impazzita.
Finalmente, uno scoppio proveniente dal palco ammutolì tutti. 
Un riflettore si puntò su una figura, al di sopra di tutto e tutti, verso un elicottero. Sul fianco, coincidente con la porta, una grande Triade si illuminava al contatto con la luce. In quel momento, fissando quell’enorme disegno che ormai mi era infinitamente familiare, la mia collana con la medesima figura iniziò quasi a pulsare a contatto con la mia pelle.
Il mio cuore voleva quasi uscirmi dal petto. Bum bum bum. Sovrastava tutto, persino le urla delle persone alle mie spalle. Quella figura, con la sua solita cresta Pomegranate, si lanciò con disinvoltura dall’elicottero. Tutte le persone che fino a quel momento avevano urlato in coro il suo nome, urlarono di paura. Sembrava che Jared si stesse per schiantare al suolo, quando apparve un filo elastico attaccato al suo bacino che gli fece fare su e giù per tre quattro volte, attutendo l’impatto, e portandolo su tutti noi fan. 
Chi gli toccava il sedere, chi i muscoli, chi gli faceva foto. 
Io, personalmente, gli toccai i capelli. Era sempre stato un mio grande sogno proibito, e avevo realizzato anche quello. Intanto Giorgia, a sorpresa, mi aveva sfilato la macchina fotografica da mano e mi aveva scattato una foto mentre, in trans, toccavo i capelli di quel quarantenne da sbavo. 
Tutti si buttavano su quelli più vicini al cantante per toccarlo, o almeno sfiorarlo. Una signora, persino, cercò di sfilargli la scarpa. 
Nessuno si accorse che un’altra figura stava facendo la sua comparsa sul palco, in modo sempre teatrale ma molto più pacato rispetto al fratello. 
Una buona parte, tra cui ovviamente anche io, si girò verso il palco quando un suono di batteria coprì le urla dei fan in preda ad una grande euforia. 
Non appena lo sentì, il mio cuore riprese a battere frenetico come prima. Solo quando posai lo sguardo su Shannon, eccezionalmente sexy, il mio battito cardiaco si arrestò. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4: Closer To My Dream ***


Prima di farvi leggere questo capitolo, che è giusto un po’ più lungo dei precedenti, vorrei ringraziare chi mi segue e chi mi ha fatto i complimenti.
In particolare, vorrei ringraziare due persone : Jessromance e Rosabuò.
La prima è una ragazza simpaticissima con cui sto stringendo amicizia grazie alla mia storia, e la seconda è un’altra ragazza altrettanto simpatica che mi ha fatto un sacco di complimenti.

Vorrei solamente ringraziarle e incitare voi a leggere la storia di Rosa che è semplicemente STUPENDA! Spero che questo capitolo vi piaccia! Buona lettura! :) 



Capitolo 4: Closer to my Dream
 
 
Non è come pensate. Non sono morta. Anche se quella sera ci sono andata particolarmente vicina.
L’ingresso di Shannon mi aveva completamente stravolta: cuore, testa, ormoni.
Niente stava più al suo posto. Tutto era un frullato di emozioni, era tutto impreciso e sfumato. Solo una cosa, al centro di tutto quel caos, si distingueva chiara e netta. Precisa. Perfetta.
Il volto di Shannon.
Non c’era niente, nessuno. Tutto intorno si dileguava. Eravamo come sospesi tra le nuvole, nuvole bianche, soffici, quasi luminose. C’eravamo solo io e lui. Lui con la sua bellissima batteria, che da sola riusciva a emozionarmi, che batteva quelle sue magiche bacchette sui tamburi e sui piatti, e io che, immobile, senza nemmeno più respirare, guardavo incantata le sue braccia, il suo torace, che si muovevano sinuosi in quella danza paradisiaca.
Dopo tanti anni a fissarlo, ad essere sua fan, a seguirlo ogni giorno e a sognarlo ogni notte, non riuscivo ancora ad abituarmi a tanta bellezza.
Anzi, adesso che era a così pochi metri da me, mi ero resa conto che ogni mia immaginazione era così imperfetta, così poco vicina alla realtà, che mi sembrava quasi una bestemmia aver sbagliato tutte quelle cose che, se pur insignificanti, lo rendevano tanto unico e tanto amabile.
 
 
Dopo qualche altra acrobazia, Jared tornò al suo posto sul palco.
Si vestiva sempre così, quasi da barbone. Ma alla fine dopo essersi tuffato in quell’oceano di persone, anche uno smoking sarebbe diventato uno straccio per lavare i pavimenti.
Anche Tomo aveva fatto la sua comparsa sul palco, strimpellando alcune note con la sua chitarra. Era molto più semplice e meno pieno di sé dei fratelli Leto. Ed era da apprezzare, con tutto il successo che aveva la band.
Appena Shannon lo vide entrare, gli lanciò il microfono e lui, mettendosi a ridere, disse: “Ciao Italiaaaaaaaaaaaa!”. Tutti iniziarono ad urlare. Tutti tranne me che ero ancora in trans per il maggiore dei due fratelli.
Finalmente iniziarono a cantare, e appena le note di Buddha for Mary riempirono ogni centimetro quadrato dello stadio, tornai in me e iniziai a cantare seguendo Jared e tutti gli Echelon le parole che ormai avevo imparato a memoria.
Quella era una delle mie canzoni preferite.
Sensazioni come quelle non le avevo mai provate. Il mio cuore era impazzito, le mie ginocchia tremavano ma non cedevano, le mie braccia sempre alzate a fare foto, video, o solo a incitare, erano stanche ma resistevano. La gola iniziava a bruciarmi, ma era un bruciore piacevole. Quel bruciore era la prova di quanto amassi quei tre bambini.
Quel momento era perfetto.
Si esibirono in diversi pezzi, presi a caso dai tre dischi, e inaspettatamente non mancarono nemmeno una di quelle canzoni che per me erano fondamentali.
Closer to the edge, Attack, Vox populi, Capricorn, A beautiful lie, Hurricane e le altre.
Quelle canzoni, che avevo ascoltato milioni di volte, che avevo sempre reputato stupende, adesso erano ancora più belle, se mai poteva essere possibile.
Era uno spettacolo emozionante.
Il cielo stellato sopra di noi sembrava godersi il concerto quanto tutte le fan presenti quella sera, nemmeno fosse una mamma apprensiva che guardava tre dei suoi figli più belli crescere, diventare autonomi e indipendenti. Si, quella sera mi fu chiaro: Shannon, Jared e Tomo, che mi erano sempre sembrati qualcosa di più di persone umane, erano stelle. Erano tre stelle che il cielo aveva mandato a noi per farci il miglior regalo al mondo. Aveva regalato all’umanità le sue tre stelle più lucenti, e in quel momento le guardava dall’alto soddisfatto di se stesso.
 
 
Il concerto durò all’incirca due ore e mezza. Fecero persino il bis, e chiesero a due o tre Echelon in prima fila quale canzone volessero. Quando Jared, scendendo dal palco, si presentò davanti a me e mi tese il microfono, rimasi a fissarlo per qualche secondo.
I suoi occhi, così di ghiaccio, avevano il potere di attirarmi nelle loro orbite.
Mi sentivo risucchiata, mi sentivo un niente davanti quell’oceano celeste che mi ritrovavo davanti. Claudia mi aveva dato un’impressione simile, ma la forza degli occhi del cantante ti trascinavano al loro interno con il triplo della forza.
Dovette scuotermi leggermente per farmi parlare, e io prima balbettai senza fiato “Buddha for Mary”, e poi, quando lui si girò verso gli altri due per farli partire con la musica, passai la macchina fotografica alla mia nuova amica Echelon alla mia destra, lo presi per il braccio e gli chiesi decisa “Ci possiamo fare una foto?”. Per fortuna l’inglese era stata sempre la mia materia preferita, e oltre a studiarla a scuola, avevo anche fatto diversi corsi intensivi con delle professoresse madrelingua. Quindi parlavo quasi meglio quella lingua che l’italiano.
“Certo bella!”.
Portò il suo braccio attorno alla mia spalla, e quasi il respiro mi mancò. Si mise in posa e Claudia scattò tre o quattro foto.
Quando ci staccammo, si congratulò per il mio “gioiellino”, mi fece l’occhiolino e, girandosi, corse sul palco.
Sorrisi. Adesso pretendevo una con il fratello, anche se non svenire con lui sarebbe stato impossibile.
 
Mi ero presa ogni minima gioia di ogni minimo istante della serata. Ma adesso che si avvicinava la fine del concerto, volevo con tutto il mio cuore che quella canzone non finisse mai, che non arrivasse mai l’ultima nota. Non riuscivo nemmeno a godermi la figura di Shannon tutto sudato, che anche solo in foto mi faceva impazzire e dimenticare ogni cosa.
Ma non ce la facevo. Avevo paura.
E se non ce l’avessi fatta?
Prima del concerto avevo pensato che se mi fossi data solo un’illusione, e questa non si sarebbe avverata, sarei morta. Ma anche non illudendomi, cosa avrei fatto dopo? Cosa avrei fatto vedendo morire l’unica speranza di felicità, l’unica speranza di vita? Sarei morta anche io con lei.
I miei occhi si svuotarono. Nelle orecchie c’era solo un ronzio fastidioso. Persino le labbra sembravano incollate. Farcela era l’unica opzione possibile, anzi accettabile. O Veronica sarebbe morta.
 
 
“Echelon stasera è stato stupendo! Cantare per voi è bellissimo! Purtroppo, questa serata deve pur finire. Speriamo solo che questa esperienza vi rimanga nel cuore! See you soon! Very soon!”.
Un applauso, seguito da urla e pianti, si aprì alla fine del suo discorso.
Per noi con il Golden ticket la serata andava in direzione della parte più bella. Avevamo dieci minuti a disposizione con la band. Autografi e foto. Ma gli altri?
Per gli altri quell’esperienza magnifica stava finendo invece. Mi dispiaceva, ma adesso l’unica cosa che dovevo pensare era la mia missione.
Un soldato di Marte stava per coronare il suo sogno, o almeno quello stava sperando.
 
 
“Ragazzina, allontanati. Non avrai nulla di più di quello che non hai già avuto”. È vero, ero stata già molto fortunata. Dopo che la band si era ricomposta, ci eravamo trovati tutti in una stanza piena di sedie. Io, dal momento in cui avevo visto Shannon, mi ero immobilizzata.
Ascoltai a occhi bassi i suoni delle loro voci, finchè non mi nascosi dietro l’obbiettivo della mia Canon e iniziai a fotografarli.
Cercavo di riprendere sempre il batterista, senza però che nessuno se ne accorgesse.
Non volevo trascurare gli altri due, quindi iniziai a fotografare anche loro.
Piano piano tornai sul profilo di Shannon, e nell’obbiettivo vidi i suoi occhi puntati nella mia direzione. Smisi di respirare, le mie gambe iniziarono a tremare, e pensando di aver preso una svista, abbassai lentamente la mia macchina fotografica.
Avevo visto bene. I suoi occhi erano puntati su di me.
Sentivo quello sguardo sfondare il muro che mi ero eretta attorno. Con tanta violenza che quasi sentivo davvero i colpi nelle orecchie. Prima che lo potesse sbriciolare davvero, Jared lo chiamò.
 Anche lui si era escluso dal mondo, esattamente come me.
Finsi che nulla di tutto questo fosse successo quando Claudia mi fece accostare a lui per farci la foto. Ma senza neppure guardarlo mi sentivo schiacciata dalla sua sola presenza.
Come poteva fare una cosa del genere?
Quando tolse la sua mano destra dalla mia spalla, sentii quel pezzo di carne bruciarmi.
Mi girai e lo ringraziai, gli diedi un bacio veloce sulla guancia e mi rifiutai di incrociare il suo sguardo: che cosa stupida. Potevo non rincontrarlo mai più, e invece di fare come ogni persona dotata di un minimo di lucidità mentale che si sarebbe goduta il più possibile quel momento, io quasi scappai da lì.
Mi veniva voglia di frustarmi come il vecchio nel video di From Yesterday.
“Su, cosa vuoi ancora qui?”. Quel bestione davanti a me mi stava innervosendo.
“Non ti chiedo di uccidere qualcuno. Ti chiedo solamente di lasciare CASUALMENTE – accompagnai la parola con un gesto delle virgolette con le mani- questo cancello leggermente aperto. Solo il tempo che io vada dall’altra parte. Poi lo richiuderai e nessuno te ne farà una colpa.” Ero sicura che aspettasse solamente i soldi, e aveva supposto che io non ce l’avessi.
“E io cosa ci guadagno, a parte un grosso rischio di essere licenziato?”. Si era messo sulla faccia uno sguardo strafottente, e si era appoggiato con la mano destra al muro. Come volevasi dimostrare, ero sicura che arrivasse a questo punto.
Sorrisi sarcastica, proprio a prenderlo in giro.
“Quanto ti danno per fare questo lavoro?”. Dissi tornando seria.
Di nuovo quel sorriso strafottente. Mi disse la cifra, ovviamente aumentandola di un terzo o un quarto. Io finsi di non farci caso, e risposi “Bene. Te ne do il quadruplo”.
Rimase a bocca aperta per un po’, poi scoppiò a ridere.
“Ragazzina, non arriverai mai a una cifra del genere rompendo il tuo porcellino!”. Ancora una risata.
“Faccio sul serio. Siamo scesi al triplo. Più metti in dubbio le mie possibilità, più l’offerta scende. Ti conviene accettare”. Avevo un viso gelido, e comprese che non scherzavo.
“Firmami l’assegno!”. Ancora non mi credeva.
Presi dalla borsa il libretto degli assegni già preparato, scrissi la cifra e lo firmai. Glielo porsi, e leggendo il mio cognome si maledisse di non aver accettato subito. Conosceva mio padre.
“Ciao ragazzina! E grazie!”.
Fissai la borsa, mentre apriva il cancello. Mi preparai. Non appena lo spazio fu necessario, mi fiondai dentro. La folla che stava acclamando il gruppo che stava salendo su una specie di camioncino privato, si girò sentendomi arrivare. Passai attraverso il percorso velocemente, superando senza difficoltà gli ostacoli. Ringraziai mentalmente Giacomo, di nuovo. E, intravedendo Shannon che stava salendo per ultimo sul pullman, il mio cuore partì a mille. Feci giusto in tempo a saltare ed entrare, e appena mi vide l’autista che avevo pagato in precedenza partì.
Ce l’avevo fatta. Ce l’avevo fatta davvero.
Respirando affannosamente, mi girai con la mano sul cuore che batteva frenetico.
Incontrai sei occhi che mi guardavano sconvolti.
Li guardai in ordine, lasciandomi per ultimi i due che avevo incrociato poco prima.
Li amavo. Li amavo. Cavolo se li amavo!
Fissandoli, capii che avevo superato la prima parte del piano.
Adesso, purtroppo, toccava quella più complicata: convincerli a tenermi con sé. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5: It's the moment to fight ***


Buonasera! Grazie a tutti voi che mi seguite, e mi fate un sacco di complimenti!
Ringrazio nuovamente Jessromance e Rosabuò anche solo per esistere, e che dire più, leggetevi la storia di Rosa! u.u 
Spero che questo capitolo vi piaccia. Sono stata tutta la serata a scriverlo, e anche se adesso ho gli occhi che mi bruciano e un sonno incredibile, sono davvero soddisfatta! :D Buona lettura! 
Ps Se capisco come si fa, vi incollo una foto di Shannon a dir poco stupenda (Mi fermo qua per non sfociare nel volgare!xD) :) 


  
Capitolo 5: It's the moment to fight

 
Avevo trovato l’hobby più divertente del mondo. Torturare una microscopica macchiolina nera sulla mia maglietta.
E i Mars? E la mia missione?
Ecco dov’erano finiti. Su una poltroncina del loro pullman, che assomigliava più a una limousine che a un mezzo pubblico. Sui muri c’erano diversi disegni, tutti in stile “30 Seconds To Mars”: glyphics, triadi, ritratti dei componenti, foto con i fan.
Era un mondo a parte quello. Era il MIO mondo.
Vi starete chiedendo perché, invece di stare seduta a mo’ di Forever alone su una poltroncina, non stavo parlando con Jared, Shannon, Tomo, semplicemente cercando di convincerli, o anche solo per qualche foto.
Il motivo era che, da quando ero saltata sul veicolo dopo il concerto, la band aveva iniziato a discutere dietro una porta alla mia destra.
Ero partita subito con il mio discorso: “Non chiamate le guardie, per piacere – dissi implorante verso Jared, che si stava avviando verso un telefono – ascoltate le mie parole. Io sono Veronica, ho ventuno anni, e sono una vostra grandissima fan. Sono una vera Echelon. Vi ho conosciuto più o  meno sei anni fa, e mi avete cambiato la vita. Anzi me l’avete salvata. Io non sono niente senza voi. E non riesco.. non ce la faccio a passare tutti i miei giorni della mia vita solo ad ascoltarvi da lontano, a sognarmi e basta. Voglio fare di voi la mia vita, nel vero senso della parola. Mi potete anche usare come massaggia piedi, faccio un esempio. Lavorerò per voi, mi dedicherò completamente a voi. Ma lasciate che io vi possa seguire. Sono disposta a lasciare tutto il niente che tengo sulle mie spalle. Sono disposta a dimenticare chi io sia mai stata. Ma accettatemi -Ormai guardavo solo Jared e Tomo, lo sguardo di Shannon era troppo per me- .. Jared lo hai detto anche tu una volta: «Non ascoltare quelli che ti dicono che non puoi fare questo o quello. Non ha senso. Vai dovunque tu voglia. Ma non lasciarti mai, mai convincere che le cose sono troppo difficili o impossibili.» Quello che ti chiedo non è impossibile. È il mio unico sogno, la mia unica speranza. Vi prego, avverate questo mio piccolo desiderio. Non vi darò fastidio!”
Avevo detto quelle parole il più velocemente possibile, con la voce tremante e le lacrime agli occhi. La mia era una vera e propria richiesta d’aiuto, me lo si leggeva in faccia. Nessuno, ascoltando quel discorso, avrebbe mai potuto dubitare delle mie parole.
Quando finii di parlare, finalmente ebbi il coraggio di guardare Shannon. Non potevo più fare niente per convincerli, e tanto valeva godersi al meglio quel momento.
Perché mi guardava in quel modo? Mi scrutava, voleva per forza leggere dentro i miei occhi. Io fissavo lui, lui fissava me. E intanto avevo dimenticato che stavo aspettando il verdetto che avrebbe salvato o fatto sprofondare nell’oblio la mia vita.
Jared si schiarì la gola per attirare la mia attenzione. “Ci permetti di pensarci un po’ su? Di discuterne in privato?”.
Dopo un mio cenno con la testa, inchinò leggermente la testa come fanno gli occidentali quando salutano, e trascinò gli altri due componenti del gruppo aldilà della porta. Prima di vederli scomparire dentro il bianco dell’altra stanza, Tomo tornò indietro, mi scoccò un bacio sulla fronte, e sorridendomi disse: “Spero davvero che il verdetto sia positivo. Mi sembri molto simpatica e mi farebbe tantissimo piacere che entrassi a far parte del nostro gruppo!”.
Mi vennero le lacrime agli occhi. Quel suo sorriso mi aveva rassicurato e rallegrato. Era davvero una persona fantastica. Quando ritornò dai fratelli Leto, intravidi attraverso uno spiraglio solo il volto contratto di Shannon. Poi, per gran parte del viaggio, sentii solo un’accesa discussione tra il cantante e il batterista: non riuscivo a capire chi tra i due mi volesse e chi no. Tomo cercava solo di calmare le acque, ma non si schierava né con il primo né con il secondo.
Inizialmente cercai di non pensarci, provando a perdermi nei particolari della stanza, ma dopo un po’ quell’attesa si fece snervante. Iniziai a camminare avanti e indietro per la stanza, a mangiarmi qual cosina che mi era rimasta dal mezzogiorno, ma nulla mi calmava.
L’unica cosa che mi venne in mente, fu di ascoltare qualche canzone. Riusciva sempre a calmarmi. Però che cosa stupida, cercare di dimenticarli ascoltando le loro canzoni. Mi risedetti sulla poltrona, appoggiandomi con la testa sul muro, chiusi gli occhi e feci partire il primo pezzo. A stranger in a strange land. Quella canzone rispecchiava completamente ciò che avevo sempre provato: io ero una straniera, una straniera in terra straniera.
 


 
*Shannon*
 


Io e Jared ci guardavamo in cagnesco. Come al solito litigavamo, e avevamo due opinioni completamente opposte. Questa volta però, non si trattava di come sarebbe entrato in scena nel concerto successivo. Riguardava la vita di una ragazza.
“E se iniziassimo a far entrare nel nostro «gruppo» - imitò Tomo che aveva poco prima aveva detto la stessa cosa – tutte le Echelon, noi per chi lavoreremmo? Perché lei si, e un’altra no?”
“Perché le altre persone hanno una vita oltre la musica. Lei no. Hai sentito le sue parole? Hai visto la supplica che aveva negli occhi? Se non volevi questo, non diventavi una star.”
Il suo sguardo iniziava a vacillare. Quello era il segno che stava cedendo, che mi stava dando ragione. “E poi.. – continuai, meglio battere il ferro finchè è caldo no? - .. sei tu che decidi di andare a dire cose come quelle. Sono giustissime, ovviamente, ma adesso come le puoi impedire di realizzare il suo sogno? È coerenza, Jared, coerenza.”
Era allibito. Avevo ragione. Non avrebbe solo deluso una fan, avrebbe perso la faccia. E la diva che era in lui non poteva sopportarlo.
“E le altre Echelon? Ti sembra giusto?”. Prevedibile. Mi ero preparato a rispondere anche a quello.
“Diremo che ci serviva un’aiutante, che avevo bisogno di una mia Emma personale. E che è una mia vecchia amica, perciò l’ho presa subito.” Il mio discorso non faceva una piega. Avevo questo grande dono di ammaliare le persone, di rigirarle in modo da avere ragione. E mio fratello continuava a cascarci, pur dopo tanti anni.
“Le daremo.. un periodo di prova. Così potremo controllare, ad esempio, che non sia una paparazza. O potremmo assicurarci che non ci abbia mentito”. Ero totalmente soddisfatto di me stesso. Girandomi verso Tomo, vidi anche sul suo volto un’espressione vincente. Lui stava dalla mia parte, voleva che quella ragazza si unisse a noi.
“Allora, gli andiamo a dare la buona notizia?”. Ormai la bufera era passata. Mio fratello si era calmato, quindi potevo fare un poco il superiore.
Si accorse che lo prendevo in giro, quindi si girò e andò verso la porta. Tomo mi venne dietro e mi diede una pacca sulle spalle, e insieme iniziammo a ridere alle spalle del nostro povero compagno. Eravamo tre bambini, stupidi e infantili, ma gli volevo un bene dell’anima.
Tomo era diventato come il terzo fratello Leto, e Jared.. beh, Jared è quello che è. Ci ho passato insieme l’infanzia, l’adolescenza, la vita insomma.
È la colonna portante di tutta la mia esistenza.
Peccato che come colonna era di marmo, e ci sbattei contro. Ma che cavolo.. perché si era fermato così in mezzo alla stanza? Mi affacciai verso l’oggetto del suo interesse. Non ci potevo credere: la ragazza si era addormentata sulla sedia. Aveva un i-pod in mano, e risuonavano nella stanza le note delle nostre canzoni. Rimanemmo fermi per due minuti, prima di iniziare a ridere. Ci sembrava comica quella situazione.
Lei si svegliò, e ci mise due minuti per ricordarsi e capire cosa stava succedendo. Saltò in piedi, scaraventò per terra il suo zainetto, e si scusò circa trecento volte per essersi addormentata.
“Stanotte ho dormito poco e niente, stamattina mi sono svegliata presto per fare la fila al concerto e.. sono stanca.. scusate ancora..” si era fatta tutta rossa.
Era una ragazza davvero bella: alta poco meno di me, snella, con belle curve, occhi color cioccolato e capelli castani, a boccoli, con ciocche bionde qua e là. Era di una semplicità incredibile: niente trucco, niente gioielli vistosi, niente vestiti appariscenti. Eppure era bellissima.
“Non ti preoccupare – intervenne mio fratello – è anche colpa nostra. Ci siamo dimenticati che siamo appena tornati dal concerto, e per chi non è abituato non è semplice rimanere svegli. Comunque abbiamo preso una decisione..”. Al dire queste parole, lei puntò gli occhi su di me. Sembrava neutra, eppure iniziò ad auto torturarsi le sue povere mani. E, inoltre, vedevo le gambe tremare leggermente. Ci teneva tantissimo, troppo. Non era possibile che prima avesse mentito.
“Ti prendiamo con noi. Sarai la nuova assistente di Shannon. Una sua Emma personale, ecco. E per tutto il pubblico, sarai un’amica di famiglia di mio fratello, in modo che alle altre Echelon non venga in mente di fare la tua stessa richiesta. Se sei un paparazzo, ti conviene andartene subito. Sono dolce e gentile, ma come nemico è meglio che non mi hai. Mi accanirò su di te, ti seguirò in capo al mondo e non ti lascierò pace. Quindi.. – prese un lungo respiro – benvenuta nel nostro gruppo!”. Finì la frase con un sorriso smagliante. La ragazza, che aveva pianto dalla parola “prendiamo” in poi, iniziò a saltare dalla felicità.
Io sono semplicemente stato zitto, godendomi quello spettacolo.
“Adesso.. – concluse Tomo con un tono affettuoso, nemmeno fosse una mamma apprensiva - dovresti dirci dove abiti, così ti portiamo lì, ti fai una bella dormita, ti prepari le cose che vuoi portare con te, e domani ci raggiungerai in alber.. “
Non concluse la frase. Veronica era diventata improvvisamente seria.
“E come faccio a sapere che non lo state facendo solo per accontentarmi? Poi magari domani non starete nemmeno più qui a Roma? Non sto mettendo in dubbio la vostra bontà, ma chiunque altro ad una proposta come la mia direbbe di no.”
“Ti darò questa. È di vitale importanza per me. Domani me la ridarai.”
Non so perché lo feci. Ma d’istinto parlai, e gli diedi la mia collana con la triade. Lei capì di aver detto una cavolata, era a conoscenza di quanto importante fosse per me quell’oggetto.
“No.. non ti preoccupare. Ho capito. Domani ci sarete.” Disse, rossa di vergogna.
“Tienila comunque, per sicurezza.” Le feci l’occhiolino, e lei quasi svenne. Si appoggiò alla spallieria della poltrona, e riuscì a stento a dire “grazie” quando le porsi la collana.
 
 

Stavo sulla terrazza dell’albergo. Ero stanco, il concerto era stato duro, ma non riuscivo a dormire. In testa avevo solo quella ragazza. Non aveva nulla di speciale, eppure mi era rimasta impressa nella mente.
Devo ammettere che i motivi che avevo esposto a Jared per farla venire con noi non erano gli unici. Quello principale, che mi aveva spinto a lottare, anche a costo di litigare con mio fratello, era che quella ragazza mi intrigava.
L’avevo notata la prima volta quando aveva chiesto una foto a mio fratello e la seconda nella sala delle conferenze, quando si nascondeva dal mio sguardo scrutatore.
C’era qualcosa che non mostrava. C’era un abbisso dentro i suoi occhi, un abbisso che attendeva solo di essere esplorato. Mi cullai con quei pensieri per un altro po’, quando mi addormentai beato sulla sdraio del terrazzo. 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6: Finalmente a Casa ***


Spero che il capitolo vi piaccia! Grazie ancora a tutti quelli che mi seguono e che mi hanno fatto i complimenti! ^^ <3 
Buona lettura! 



Capitolo 6: Finalmente a Casa

 
VISA. Notare i particolari di una carta di credito che giravo e rigiravo nelle mani era una cosa incredibilmente stupida. Ma non riuscivo a guardare altrove. In qualsiasi punto dell’enorme albergo guardassi, trovavo sguardi indagatori che mi fissavano con fastidiosa insistenza.
Era una settimana che andavo in giro per l’albergo con Shannon, eppure nessuno si era ancora abituato alla mia presenza. A dir la verità, la prima a non esserci abituata ero io. SHANNON LETO. Come ci si poteva abituare a stare al fianco di una persona del genere?
“Andate già via?”. Disse la ragazza della hall, che guardava con uno sguardo malizioso il batterista al mio fianco.
“Purtroppo si..” Ammiccò Shannon. Io ero completamente esclusa da quel discorso.
“Che peccato! – sembrava fastidioso solo a me il modo sfacciato in cui quella ragazza ci stava provando? – Di quali camere avete usufruito?”. Disse, aprendo un libretto e un’elegantissima penna a gel.
“Cinque suite..” Disse, preparando una carta di credito.
Si, avevo vissuto in una suite. Pensando ad una suite vi verranno in mente quelle enormi camere d’albergo con un lettone matrimoniale enorme, una grossa vasca con l’idromassaggio, con un enorme lampadario che sembra troppo grande persino da guardare, un televisore al plasma e persino una cabina armadio.
Beh.. avete in mente esattamente la camera in cui ho vissuto io.
La prima volta che ci ho messo piede sono rimasta a bocca aperta, mi sono sentita travolta da un oceano di ricchezza. Si, quella camera trasudava ricchezza in qualsiasi piccolo particolare, persino nel pomello per aprire l’armadio. Persino nel gabinetto.
“Come cinque?” Chiesi, intromettendomi nel discorso. “Tu, Jared, Tomo e Emma. Sono quattro!” Mi girai verso la commessa cercando di sorriderle, almeno. “L’altra camera la pago io.” Ero convintissima e le porsi la mia carta di credito. Avevo deciso di unirmi a loro, si, ma non di essere un peso.
Shannon mi guardò ridendo, mi prese la carta di mano e se la mise nella tasca posteriore dei jeans. Mi fece rimanere come una stupida, con la bocca aperta e la mano a mezz’aria.
“Lasci stare, pago tutto io” disse, poggiandosi sul bancone con il gomito destro.
“Shannon, me la posso pagare benissimo da sola la camera. Non vengo con voi per avere vitto e alloggio pagato”.
Si girò verso di me, incrociando i suoi occhi ai miei. Il mio cuore iniziò a battere frenetico. Potevano passare anni, ma il suo effetto su di me non cambiava.
Mise l’indice destro sulla mia fronte, avvicinò il suo volto al mio e, buttandomi sulla faccia il suo alito caldo, disse: “Se vuoi la carta, vienitela a prendere. Attenta però, ti potrei denunciare per molestie!”.
Mi fissò per qualche secondo, prima di spostare all’indietro la mia testa con l’indice e di scoppiare in una grande risata. Io lo fissai incredula, e quasi non misi davvero la mano dentro la sua tasca.
Lo guardai storto, e me ne tornai indietro. “E dai! Scherzavo!”
Non ero davvero arrabbiata. Mi piaceva quel rapporto che si stava creando tra noi, in così poco tempo. Anche con gli altri, avevo subito stretto un bel rapporto. Jared, dopo il primo scambio di battute nel furgone, era tornato il bambinone di sempre che tutte le Echelon conoscono.
Tomo era semplicemente uno zuccherino. Fin dall’inizio mi aveva trattava come un’amica di vecchia data, mi riempiva di attenzioni e cercava sempre di farmi sentire a mio agio. L’incontro con Emma era stato disastroso: ci eravamo scontrate la prima volta che ero entrata nell’albergo , girando un angolo mentre stavo andando a fare colazione, e le avevo buttato per aria una cartellina piena di fogli che, da come reagì, erano alquanto importante. Iniziò ad urlare come una pazza, mandandomi al diavolo e imprecando in tre diverse lingue. Le raccolse velocemente e andò via. Rimasi scossa da come mi si era presentata. L’avevo immaginata diversa.
Quando Tomo, premuroso come al solito, mi aveva avvertito del pranzo in mio onore in cui avremmo festeggiato la mia entrata, ci saremmo conosciuti meglio e avrei conosciuto l’assistente di Jared, io rifiutai ripensando a quegli occhi pieni di rancore.
Dopo pochissimo tempo venne a bussare la stessa Emma alla mia porta. Tomo aveva avvertito gli altri del mio rifiuto e la ragazza lo aveva collegato al suo comportamento di qualche ora prima.
“Mi dispiace per.. come ti ho trattata. Scusa. Di solito non sono un animale, ma sopra quelle carte ci avevo lavorato per tutta la notte, e Jared mi aveva stressato. Ho sbagliato a prendermela con te, non sarà stato bello come benvenuto. Possiamo ricominciare tutto daccapo?” Le risposi di si, e mi porse la mano presentandosi.
Da quel momento diventammo grandi amiche.
 
Pensavo che andando via da Roma avremmo lasciato l’Italia, ma scoprii che il gruppo si era preso una pausa per gustarsi un po’ le città più belle della penisola. Faceva davvero molto caldo, e quindi avevano deciso di godersi il mare della Sardegna.
 
 
 
Prendemmo, il pomeriggio stesso del settimo giorno, un aereo da Roma a Cagliari. Da Cagliari, prendemmo il treno per arrivare a Pula.
Era il mio primo viaggio oltre i confini della mia città, non ero mai neppure andata alle gite della mia classe. Mi aspettavo di sentire qualcosa, di provare un qualche vuoto nello stomaco, di provare mancanza per quella che dopotutto era casa mia.
Mi sbagliavo.
Quella non era mai stata davvero casa mia. Non mi rimaneva più niente da fare, se non vegliare sulle tombe dei miei genitori. La mia vera casa era quella. La mia vera casa era Shannon, Jared, Tomo. Adesso anche Emma. La mia vera casa erano i 30 seconds to mars.
 
 
 
Pula è un comune di 7.366 abitanti della provincia di Cagliari, nella regione del Sulcis-Iglesiente. È un paese noto perché custodisce nel suo territorio le rovine della grandiosa città di Nora, la prima città fenicia dell'isola. Non so perché avessero scelto proprio quella città, ma era tanto meglio per me. Amavo i monumenti, e in qualche momento di pausa avrei potuto andarli a fotografare o magari anche disegnarli. L’albergo dove andammo ad alloggiare era l’ Hotel Castello.
Hotel a cinque stelle, ogni camera con una terrazza affacciata su mare. Ovviamente un hotel del genere non poteva essere per un barbone qualsiasi, ma per gente d’alta classe. Sempre così: o hai soldi o ti freghi. Che cosa ingiusta.
Entrando lì dentro con un pantaloncino e una t-shirt semplicissima mi sentii completamente fuori luogo. Signori e signore con smoking e tailleur che sembravano appena usciti dal castello del re, che mi guardavano con aria di superiorità. Persino i ragazzi e le ragazze sembravano francesi spocchiosi senza neppure un capello fuori posto.
Cercavo una scusa per uscire da lì al più presto, quando mi ricordai dei bagagli.
Mi girai velocemente e mi fiondai fuori alla porta. Purtroppo, mi scontrai con Shannon. Lui mi aveva preceduta, e aveva preso da vero gentiluomo i miei bagagli. E adesso eravamo tutti e due a terra, con tutte le mie valigie intorno, a guardarci negli occhi increduli.
Emma, per prima, iniziò a ridacchiare guardando la scena, e insieme a lei anche il resto della band, compresa me. Era la prima volta che ridevo così, di gusto. Era una sensazione bellissima sentire il cuore leggero leggero e la mente completamente svuotata.
Finalmente, sentivo l’iceberg che gelava il mio cuore sciogliersi lentamente.
 
 
 
Appena entrata in camera, fui investita da un odore di rose delicatissimo.
Posai le valigie per terra, anzi le scaraventai senza pietà, e mi lanciai sul letto a braccia aperte. Quelle lenzuola di seta mi accarezzavano le guancie, le braccia e le gambe, e mi sentivo bene, ma bene davvero. Quei giorni, quelle risate, quelle persone, mi facevano sentire in pace con me stessa dopo non so quanto tempo.
“Se stai dormendo passo dopo!” Shannon era entrato nella stanza senza bussare, e adesso ridacchiava guardandomi spaparanzata su quel grande lettone matrimoniale.
Mi girai e gli lanciai un cuscino. “Ma è possibile che tu debba sempre prendermi in giro?”
Raccolse per terra la mia “arma”, e rilanciandomela mi disse “Ti do il tempo di darti una ripulita e di fare quello di cui hai bisogno. Ripasso tra venti minuti e usciamo a farci un giro”. Mi fece l’occhiolino e fece dietrofront.
“E se non mi va?” Incrociai le braccia attorno al cuscino. Era ovvio che mi andava, ma dovevo fare un po’ la sostenuta. Ridacchiò. “Venti minuti”. E uscì senza neppure voltarsi.
Rimasi solo dieci secondi ferma lì, in quella posizione. Poi buttai in aria il cuscino e mi fiondai sulla valigia per prendere la cambiata.
 
Venti minuti. Non un secondo di più, ne uno di meno. Bussò piano alla mia porta, questa volta senza precipitarsi dentro. Mi diedi solo un’ultima occhiata all’enorme specchio dentro la mia cabina armadio, e mi avviai alla porta. Poi mi fermai, tornai verso le valigie, e tirai fuori la mia Canon. Non so perché lo feci, non sapevo nemmeno se ci sarebbe stata qualcosa da fotografare, ma tornai indietro senza pensarci e la presi.
Aprii la porta e, raggiante come un sole, il mio sole personale, mi guardò sorridendo.
Non appena lo vedi, lo fotografai. Rimase prima un po’ incerto, poi fece finta di nulla e iniziò a ridere.
“Fai sempre aspettare tu eh?”.
“Un minuto! Wow che attesa! Mi scuso vivamente vostra signoria!”. Lui rise. La sua risata era una melodia stupenda. Non avevo mai saputo cosa fosse il sarcasmo. Non sapevo nemmeno cosa fosse fare conversazione, figuriamoci far ridere una persona. Ma lì, con Shannon, mi sembrava naturale comportarmi così.
Era una giornata stupenda. Anche se il caldo era soffocante, non godersi quel sole era impossibile.
Iniziammo a camminare sulla spiaggia, guardando verso il mare e sperando che nessuno lo riconoscesse.
“Vuoi un gelato?”. Mi chiese ad un certo punto.
“Certo!”. Ci avvicinammo al bar dove vedevamo i bambini uscire felici con un cono in mano.
“Quale vuoi?” Mi disse sorridendomi. Quel sorriso mi toglieva il fiato.
“Un magnum bianco!” Dissi, puntando come una bambina il dito sulla figura nel cartellone. Mi scompigliò i capelli e si avvicinò al bancone.
Nello stesso istante, vidi una bimba che piangeva, e a terra stava un gelato uguale a quello che avevo scelto io. Piangeva a dirotto.
“Due magnum bianc..” Lo interruppi. “Tre, per piacere!”
“Ho capito che sei ingorda, ma non ti sembra di esagerare?”
Gli feci la linguaccia, presi uno dei gelati dal bancone, e aprendolo andai verso la bimba.
“Ti è caduto il gelato piccola?” dissi, mettendo il mio dietro la schiena prima che lo potesse vedere.
“S.. Si..” Disse singhiozzando.
“No dai.. non piangere – esclamai, iniziando ad accarezzarle i capelli – se mi fai un sorriso, ti faccio un regalo”.
Lei mi guardava sconcertata, e prima di sorridermi, dovette tirarsi due o tre volte il naso su.
Poi mi sorrise, quegli occhi color cioccolato tanto simili ai miei.
“Sei bellissima quando ridi. Mi prometti che non piangi più?”
Si stropicciava l’occhio con la mano destra, e poco a poco alzò e abbassò la testa acconsentendo.
“Oh, bravissima. Tieni, te lo sei meritata!” E finalmente le porsi il gelato.
Alla sua vista, la bimba si aprì in un gran sorriso e lo prese con entusiasmo.
Sorrisi. E intanto Shannon mi raggiunse. Mi scompigliò di nuovo i capelli, e porgendomi il gelato disse: “Tieni bella bimba, te lo sei meritato!” E scoppiò in una grande risata.
Gli diedi uno schiaffo sul braccio e, prima di arrossire al tocco di quei muscoli che tanto mi facevano sognare, uscii dal bar senza degnarlo di uno sguardo.
Lui mi raggiunse subito, e ritornammo a parlare e a scherzare come prima.
In quel momento capii che Shannon mi aveva finalmente riportato alla vita. Dopo tanto tempo in apnea, lui mi aveva strappato dall’acqua. Dopo la morte dei miei genitori, non avevo respirato più, e lui mi aveva dato l’ossigeno necessario a riempire i miei polmoni. Grazie a lui, avevo ricominciato la vita da dove la morte dei miei genitori l’aveva bloccata.

Capii che, lui non era semplicemente il batterista del mio gruppo preferito, era l’uomo che amavo. Si, amavo Shannon Leto. Non sarebbe stato mai un amore ricambiato, ma io lo avrei comunque amato sempre, per sempre. 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7: Baciamano ***


Buonasera! Questo capitolo è un po' lunghetto, spero riusciate a leggerlo tutto senza annoiarvi! Lo so, ho pubblicato il precedente solo due giorni fa, ma sono stata così precipitosa solo per fare un regalo ad una ragazza dolcissima che mi segue e che con i suoi complimenti mi sta illuminando le giornate! Grazie __EmTale__ :D 
Questo capitolo è anche per JessRomance e RosaBuò, che mi seguono e mi supportano capitolo dopo capitolo. 
Anyway, grazie a TUTTI ! Buona lettura e spero che vi piaccia! 

Ps Spero non troviate tanti errori, l'ho scritto molto in fretta xD 




Capitolo 7: Baciamano.

 
 
Click.
“Veronica quella macchina te la distruggo se non la smetti!”. Disse Jared tutto incavolato. “Lasciami mangiare in pace!”
Tutti intorno a noi iniziarono a ridere. Shannon per primo alla mia destra che, invece di difendere il fratello, lo prendeva in giro.
“E dai Jared! Una foto mentre mangi non sconvolgerà nessuno! Anche le Dive mangiano, te l’ha mai detto nessuno?” Per un attimo tutti stettero in silenzio, e quasi mi sembrò di aver detto qualcosa di sbagliato. Ma subito Emma scoppiò a ridere, contagiando tutti i presenti.
“Sai, le Dive si arrabbiano. E anche tanto.” Era ovvio che mi guardava storto per giocare, quindi invece di starmi zitta continuai a stuzzicarlo.
“Ok Diva. Ti lascerò mangiare la tua ennesima insalata in pace!” Posai, momentaneamente, la mia Canon.
Rise sarcastico. “Sai, prima o poi le mucche e gli altri animali di tutto il continente si rivolteranno e faranno un’alleanza contro tutta la gente che ha mangiato i loro antenati. E io vi guarderò perire per mano loro senza alzare nemmeno un dito.” Controbatté, completamente sicuro di se stesso.
Non appena smise di parlare, però, si accorse delle nostre quattro facce scioccate piantate su di lui.
“Ma noi abbiamo dalla nostra l’Onnipotente! Tomo, tu ci difenderai dall’attacco delle mucche. Vero?” Lo guardai incrociando le mani in segno di preghiera.
“Oh Grande Tomo! Tu che puoi tutto, salvaci!” Esclamò Shannon seguendomi a ruota. E immediatamente Emma urlò “Grande misericordioso Tomo!”.
Quest’ultimo, che si stava rotolando dalle risate fino ad un momento prima, si alzò solennemente in piedi e urlò: “Noi vi preoccupate! Vi proteggerò dall’attacco delle mucche ribelli! Non potrei mai lasciarvi in balia della vendetta degli animali!”.
Scoppiammo tutti e quattro a ridere, sotto uno sguardo allibito di Jared che, com’era evidente, si trovava in netta minoranza.
Intanto nell’albergo avevamo attirato l’attenzione di tutti i clienti: ci guardavano come se fossimo alieni. Purtroppo il loro piccolo cervello, riempito solo di un’autostima grande quanto i muscoli di Shannon, non era in grado di comprendere la bellezza del nostro popolo di Marte.
 
 
La mia giornata era divisa così: la mattina, compresa colazione e pranzo, stavamo tutti insieme. Nel primo pomeriggio, rimanevo un po’ sola con Emma, a cui davo una mano con il suo lavoro (che era molto più impegnativo del mio), ma il più delle volte era solo una scusa per passare del tempo assieme come delle amiche adolescenti.
Il resto della giornata era completamente dedicato a Shannon.
Non che fosse scritto da qualche parte in quello pseudo contratto con la band, ma puntualmente intorno alle quattro del pomeriggio il batterista bussava alla mia porta, chiedendomi di andare al parco, al cinema, in giardino, o semplicemente a farci un giro insieme.
Quel giorno venne alla mia porta, bussò, e aprendolo vidi lui con la carta di credito in mano.
Al mio sguardo perplesso, ridacchiò.
“Vestiti. Oggi si va a fare shopping!”
 
 
Avevo indossato un semplice completino: converse con il nome della band sopra in tinta con un top blu, con una gonna bianca. Era la prima volta che indossavo una gonna, ma me l’aveva regalata Emma dicendo che starebbe stata benissimo con le mie gambe snelle. In quel periodo, avevo anche iniziato ad avere una certa predisposizione per i vestiti e le scarpe. Ovviamente non stavo diventando una di quelle che seguono la moda, e indossano addirittura degli stivali che sembrano usciti da un cartone animato solo perché “ce l’hanno tutti”. Ero solo rimasta incantata entrando nella cabina armadio di Emma, e avevo provato una fitta d’invidia per quel guardaroba raffinato e completo. Ero rimasta dieci minuti buoni davanti quei decolté che occupavano una parete intera.
Appena uscita dalla camera, Shannon alzò il sopracciglio, e non fece nessuna battuta stupida su ciò che indossavo, come invece era solito fare.
“Siamo poco logorroici oggi?” dissi, per strapparlo dai suoi pensieri.
“Cosa c’è? Prima mi fai capire che la mia presenza ti infastidisce e poi ti manca la mia voce?” disse, guardandomi di sottecchi sorridendo sotto i baffi.
“E cosa ti avrebbe fatto dedurre che mi infastidisce la tua presenza?” dissi, con una punta di acidità. Che cosa stupida. Io che aspettavo con ansia il momento in cui sarebbe venuto a bussare alla mia porta, che morivo per un suo sorriso, che amavo qualsiasi cosa di lui, dal suo carattere, ai suoi occhi, ai suoi muscoli, alla sua barbetta, che ero infastidita dalla sua presenza.
“L’ho dedotto da come ti comporti. Al concerto hai quasi costretto mio fratello per avere un autografo, e quando si trattava di me non mi guardavi nemmeno in faccia!” Rise.
Io invece mi bloccai. Quando si accorse che mi ero fermata si girò verso la mia direzione e mi guardò perplesso.
“Beh, se pensi questo, è totalmente inutile che io stia qui.” Girai i tacchi e me ne andai. Più ferita che arrabbiata. Non aveva capito nulla di me. Eppure da come stavo attaccata a lui come una cozza sta attaccata ad uno scoglio pensavo fossero anche troppo evidenti i miei sentimenti.
A grandi falcate cercai di raggiungere l’albergo che avevamo appena lasciato, ma lui mi bloccò afferrandomi il braccio. Mi tirò verso di lui, e senza accorgermene mi ritrovai con il bacino incollato al suo, e il suo viso a pochi centimetri dal mio. Il mio cuore iniziò a battere impazzito. Mi stava uscendo dal petto, lo sentivo.
“Stai dicendo che ho supposto male?” così vicino a lui, ne riuscivo a sentire l’odore. Era una fragranza così dolce e così maledettamente bella. Quell'uomo mi stava facendo impazzire.
“Si, è esattamente quello che sto dicendo. Non solo ti sbagli, ma è totalmente l’opposto di quello che credi tu”. Il mio sguardo era fermo e sicuro, ma solo successivamente capii a quale rischio ero andata incontro. Mi stavo spingendo ad un punto di non ritorno. Se avessi detto qualcosa di troppo, qualcosa da cui Shannon avrebbe dedotto quanto ero innamorata di lui, non era a rischio solo il bellissimo rapporto che si era creato tra noi, ma anche l’equilibrio della band.
“L’opposto? Mmm.. – disse, guardandomi in quel modo di cui solo lui era capace, con quello sguardo che mi penetrava nell’animo – sarebbe davvero interessante approfondire il senso di questa frase. Ma abbiamo un compito ben  preciso e non possiamo perdere tempo. Adesso, fingiamo che questo discorso non ci sia mai stato, e continuiamo, anzi iniziamo, il nostro shopping.”
Non c’eravamo ancora mossi da quella posizione. I nostri corpi erano ancora attaccati, e lui stringeva ancora il mio braccio. Mi gustai ancora per un poco, troppo troppo poco, quel suo odore delizioso. Poi diedi il mio consenso alla sua proposta, e lui mi lasciò. Sentivo il braccio bruciare. Solo il pensiero di lui che lo stringeva mi faceva arrossire.
 
 
Restammo in religioso silenzio per un bel po’. Da parte mia per imbarazzo, dalla sua non so. Certe volte era impossibile capire cosa dicevano i suoi occhi.
Comunque, iniziammo il nostro giro da un negozio di accessori. Ero stata io a fermarmi a guardare la vetrina, e lui aveva proposto di entrare. Inizialmente lui fece un giro insieme a me. Mi guardava, i suoi occhi, color nocciola quel giorno, fissi sulla mia schiena. Improvvisamente però, qualcosa catturò la sua attenzione. Non lo seguii, continuai semplicemente a guardare gli espositori, e alla fine scelsi un anello e due orecchini in argento. Avevo visto Shannon avvicinarsi alla cassa, ma non aveva nessun pacchetto in mano. Probabilmente aveva solamente firmato un autografo o chiesto un informazione. Con gli oggetti che avevo scelto in mano, mi incamminai verso la cassa, ma a sinistra un bracciale attirò la mia attenzione. Mi avvicinai. Era un semplice cinturino nero con i particolari bianchi. Era un bracciale della linea Comete Gioielli. Decisi che quel braccialedoveva stare sul braccio di Shannon. Glielo volevo regalare, ma non potevo comprarlo davanti a lui. Decisi che quando saremmo usciti fuori, avrei detto di aver dimenticato una cosa e me lo sarei fatto mettere da parte.
“Fatto tutto?” Mi chiese sorridendomi.
“Certo!” poggiai gli oggetti sul bancone, e presi la carta di credito da una tasca. La stavo porgendo alla cassiera, quando il batterista me la prese di mano, di nuovo, e sbuffò.
“Ancora con questa storia? – se la mise di nuovo nella tasca dei pantaloni – pago io!” porse la sua alla donna che ci guardava sconcertati, e io lo guardai storto.
Uscimmo fuori, e mi diede la busta con gli acquisti. Anche se lo faceva con aria strafottente, era gentile e mi riempiva di mille piccole attenzioni. Decisi che avrei dovuto ringraziarlo in qualche modo, e prima di andarcene altrove lo convinsi a darmi la carta di credito e ad rimanere fuori.
Entrai di nuovo, e mi fiondai a comprare il braccialetto.
La signora mi guardava sempre più tra il divertito e lo sconcertato. Mi feci fare un piccolo pacchetto e lo infilai in tasca. Adesso veniva la parte più difficile. Come glie lo avrei dato?
Uscii, ma lui, stranamente, non fece domande su quello che avevo fatto nel negozio.
Continuammo a camminare, ma lui non parlava. Era sovrappensiero, quasi nervoso.
“Cos’è che ti turba?” chiesi ad un certo punto, senza neppure pensarci.
“Perché pensi che io sia turbato?”
“Perché ho imparato a conoscerti, almeno un po’. E da come stai tendendo la mascella e ti stai torturando il labbro inferiore vuol dire che sei pensieroso sbarra nervoso. Quando la mascella, invece, è tesa ma hai le sopracciglia incurvate verso il basso, vuol dire che sei arrabbiato.”Confessai tutto d’un fiato. Sapevo che era da maniaci notare così, i più piccoli particolare di una persona, ma mi era uscito spontaneo.
Era troppo rischioso stare con lui. Mi facevo sempre sfuggire troppe cose. Era la seconda volta in una giornata sola che facevo capire quanto l’amavo. E non andava bene, se avevo intenzione di continuare ad essere almeno sua amica. Mi bastava. Non era come avere il suo amore, ma in confronto a non averlo proprio nella mia vita, era già tanto.
“E io di te so che, quando muovi gli occhi da destra a sinistra senza fissare un punto fisso, e senza guardare veramente niente, significa che sei imbarazzata. Quando hai gli occhi bassi sei frustrata. E quando ti porti i tuoi bei ricci dietro l’orecchio vuol dire che sei concentrata”. Accompagnò queste parole scostando dall' occhio il mio ciuffo ribelle, e mi accarezzò delicatamente la guancia con i polpastrelli delle quattro dita. A quel contatto il mio cuore si fermò. Era così dolce, era così bello, era così.. così.. perfetto. Si, era perfetto. Quante volte l’avrò detto? Migliaia? Eppure non potevo fare a meno di ripeterlo. Mi sembrava il minimo aggettivo da potergli attribuire.
Mentre il mio cuore faticava a riprendere il ritmo normale, lui mi prese il polso e mi ci legò qualcosa attorno. Era una catenina con appeso un cuore di cristallo. Aveva mille sfaccettature, splendeva al contatto con i raggi del sole. E cosa più importante era stupendo. Lo portai all’altezza della faccia, e il cuore andava a finire proprio al centro del mio tatuaggio a forma di triade. Rimasi a bocca aperta, era un regalo meraviglioso. Gli occhi mi si riempirono di lacrime e, anche se cercavo di trattenerle, una mi cadde veloce giù per la guancia. Lui fu veloce, e la raccolse prima che potesse arrivarmi al mento.
“Dai è una cosa da niente, adesso non piangere!” mi sorrideva, ma non era una risata di scherno. Era una risata carica d’affetto. Scosse leggermente la testa in segno di disapprovazione ai miei piccoli singhiozzi, e ancora con il sorriso sulle labbra si girò e iniziò a camminare a passo lento.
“Aspetta!” e questa volta fui io ad afferrargli il polso. “Tieni” presi il sacchettino blu e glielo passai.
Lui mi guardò perplesso, io presi il palmo della sua mano, lo girai verso l’alto e gli poggiai sopra il regalo.
Mi sorrise. Quel sorriso così bello.
Lo aprii e rimase a bocca aperta.
“E’ stupendo. Davvero, mi piace un sacco. Mi aiuti a metterlo?” disse in tono affettuoso.
Io mi asciugai con il dorso della mano destra l’occhio ancora inumidito.
“E’ una cosa da niente.. veramente, è un pensierino scemo.. non.. non mi devi ringraziare” intanto che parlavo cercavo di allacciargli il braccialetto al polso destro. Il sinistro era pieno di altri braccialetti colorati, tutti con probabilmente una storia dietro. E sull’altro, solo il mio nero e semplice.
Ci sorridemmo per qualche secondo, e poi continuammo a camminare più sereni di prima.
 
 
“Dovrei entrare in un negozio del genere?” avevo davanti uno di quei negozi di vestiti da sera, enormi, che sembrano usciti da una favola. Mi aspettavo che toccandone i muri o gli oggetti avrei scoperto che fosse solo un ologramma.
“Dai su. Stasera andiamo a cena e di certo non vorrai venire con questa gonnellina da mare!” mi spinse dentro ridendo.
“Cena?”
“Si. Noi cinque andremo a cena. Andremo in un ristorante super esclusivo, e Jared vuole che ognuno di noi venga vestito per bene. Persino io sarò costretto a mettermi una specie di smoking!” disse sbuffando.
“Non ho mai indossato un vestito. E ancor meno sono mai andata in un ristorante esclusivo. Probabilmente starò anche male. Non posso saltarlo?” era una domanda inutile. Conoscevo già la risposta.
E infatti il suo sguardo sarcastico lo confermò.
“E va bene.. entriamo..” sbuffai più forte di lui.
 
Quel giorno vidi un’infinità di vestiti. Erano talmente tanti che non potevo credere che quel negozio li potesse davvero contenere tutti.
Andavano dal blu, al rosa, al rosso.
Erano centinaia, semplici e particolari. Di seta e di pizzo. A colore unico e a fantasia. Non era difficile capire quale mi piacevano e quali no, bastava che Shannon mi guardasse e passavano a quello successivo.
 Ad un certo punto vidi su una parete un vestito che catturò la mia attenzione.
Non era neppure tanto particolare, ma mi aveva colpito. Avrei potuto vedere altri mille vestiti, ma nessuno sarebbe stato come quello.
“Shannon.. l’ho trovato!” dissi esultante raggiungendolo. Vidi la commessa tirare un sospiro di sollievo.
 “Bene.. vattelo a misurare e fammi vedere come ti sta!”
“No” lo interruppi io.
“Perché no? Non lo vuoi comprare?”
“No.. è solo che voglio che tu lo veda alla cena. Posso pagare benissimo io con la mia carta di credito, per una volta. Tu vai, ci vediamo più tardi.”
Mi guardò storto. Si avvicinò alla commessa e disse: “Vedete quanto costa. Ve lo pago e poi lei lo misura. Se non le piace le fate provare altro” Mostrai il vestito alla ragazza attenta che Shannon non lo vedesse.
Vidi anche delle scarpe da abbinarci sotto.
“Posso pagarmi almeno le scarpe da sola?”
“No. Metta in conto anche quelle per favore! – poi si rigirò di nuovo dalla mia parte – io vado via. Ci vediamo stasera. Ti mando un taxi davanti all’albergo, scendi e ti porta al ristorante. A dopo” riprese la sua carta da dove la commessa aveva appena scalato i soldi del mio vestito, e uscì fuori.
Io presi velocemente i miei acquisti e me li provai.
Quando mi trovai davanti allo specchio, vidi un’altra persona. Vidi una donna. Vidi quella Veronica che sarei diventata se i miei genitori non fossero morti.
 
 
*Shannon*
 
 
Muovevo il piede su e giù. Ero nervoso. Perché Veronica ancora non era con noi al ristorante?
Driin Driin. Finalmente ebbi il coraggio di chiamarla.
“Shannon? Scusa, c’è traffico. Due minuti e sono lì da voi.” La vocina nel cellulare mi rilassò. Era in ritardo di mezz’ora, aveva battuto persino mio fratello che, peraltro, si stava spazientendo.
Passarono altri tre o quattro minuti, e finalmente intravidi dal vetro un taxi. Purtroppo, non vidi chi scese. Mi rimaneva solo da sperare.
Ero tentato di richiamarla, quando Emma, alla mia destra, esclamò: “Veronica! Ma sei stupenda!”
Alzai lo sguardo verso la sua faccia, e vidi un’espressione meravigliata.
Seguii la traiettoria del suo sguardo, e vidi in cima alle scale la ragazza che tutti attendevamo.
Ma non era la solita Veronica, con pantaloncino e t-shirt.
Indossava un vestito di seta a fascia, che le scendeva fino a un poco più su delle ginocchia, di un blu notte.
Sotto il petto, c’era una fascia bianca con un fiocco al centro che le stringeva il vestito. Anche all’estremità della gonna c’erano delle striature bianche, lo stesso bianco che richiamava un fermaglio a fiocco che le alzava la ciocca destra di capelli, e il decolté.
Era uno spettacolo sensazionale, e presi la mia macchina fotografica che avevo portato per avere qualche ricordo della serata. Avevamo una passione in comune, quella della fotografia.
Le scattai una foto mentre scendeva l’ultimo gradino della scale, con un sorriso timido stampato sul volto e il trucco semplice ma perfetto che le risaltava il marrone cioccolato degli occhi.
“Buonasera! Scusate ma.. Cosa sono quelle facce?” tutti la guardavamo con occhi sgranati e con il massimo stupore.
“Nulla.. – finalmente le risposi io – sei semplicemente stupenda!”. Mi alzai e, con un gesto che nessuno mi aveva mai visto fare, le presi la mano e glie la baciai. 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8: LASCIAMI! ***


Avevo intenzione di pubblicare questo capitolo tra qualche giorno, ma oggi pomeriggio, stendendo i calzini, ho detto "Devo scrivere".
Quando ho questo pensiero, dovunque sto, prendo carta e penna e scrivo. 
Lo so che non interessa a nessuno, ma lo volevo dire ^^ 
Questo capitolo è più lungo degli altri! ._. Spero comunque che non vi annoierete! 
Grazie a TUTTI quelli che mi hanno fatto i complimenti, e come al solito ringrazio particolarmente JessRomance, RosaBuò e __EmTale__ che mi seguono capitolo per capitolo e che sono tre amori :D (Lo so, i miei ringraziamenti non sono mai decenti, ma pubblico il capitolo sempre troppo tardi! 
Buona lettura!  ^^

Capitolo 8: LASCIAMI.

 
 
“Chi è questa bellissima ragazza che è con voi? Una Echelon fortunata o qualcosa di più?” La giornalista scrutò con sguardo malizioso prima Jared e poi Shannon, sapendo già che Tomo si sarebbe sposato a breve con Vicky.
La ragazza si era avvicinata a noi scattandoci una foto, e aveva chiesto di poter fare qualche domanda per un'intervista.
“No, non è nessuna delle due cose. O almeno non ancora!  – disse Shannon, mentre tutti scoppiarono a ridere vedendomi diventare rossa – .. è una mia carissima amica. Io avevo bisogno di un’assistente, e per non dover scegliere tra Echelon mettendole in competizione, ho chiamato lei che aveva già esperienze in questo campo”. Disse quelle parole con talmente tanta convinzione che quasi non ci ho creduto anche io.
“Oh.. un’assistente! MMm.. – si girò nella mia direzione – allora? Com’è essere l’assistente di una star?”
Io dapprima esitai, poi sorrisi e dissi: “Dipende sempre da quale star si assiste. Ad esempio, dovessi essere l’assistente di Jared, mi suiciderei direttamente. Non so quale santo, oltre Tomo, dia la forza ad Emma per sopportarlo – E persino l’interessato rise – essere l’assistente di Shannon, invece, è molto più semplice. Lui sa cosa vuol dire il concetto «Non sentirsi il centro del mondo» e quindi lascia gli spazi e il tempo a chi l’aiuta. Io vedo Emma esaurirsi per fare il suo lavoro, e adesso stiamo in tempo di pace! Figuriamoci nel bel mezzo di un tour cosa dovrà fare!” Emma iniziò a ridere: “Ho visto cose che voi umani non potete nemmeno immaginare” citò Blade Runner.
La giornalista rise insieme a noi, aggiungendo: “Vedo che ti sei integrata bene nel gruppo. Avete un feeling incredibile!”
Ci sentimmo tutti lusingati da quell’affermazione, e Tomo disse: “Siamo i capostipiti di una grande famiglia. Se non siamo legati noi, come possiamo pretendere che i nostri Echelon siano in armonia tra loro? Come genitori che non fanno altro che litigare davanti ai figli, e poi si arrabbiano se questi non vanno d’accordo. È per prima cosa una mancanza di coerenza.”
La serata continuò tranquilla.
Dopo altre domande sul tour, sulla nostra vacanza, e dopo la supplica di Jared «Ti prego non dire in quale città ci hai trovati. Puoi dire che stiamo in Sardegna, ma non dire a Chia, le Echelon ci assalirebbero e addio alla nostra vacanza!», ritornammo all’albergo.
Vi starete chiedendo perché Jared avesse detto che ci trovavamo a Chia, quando noi alloggiavamo a Pula.
In realtà anche io rimasi interdetta sentendolo parlare, ma Shannon mi diede una gomitata per zittirmi.
In seguito mi spiegò che, se proprio la giornalista avesse scritto dove alloggiavamo, avrebbe sbagliato città.
 
 
“Eddai! Jared ti prego!”
Eravamo riuniti tutti ad un tavolo per la colazione, e stavamo litigando per i programmi della giornata.
“Ho detto di no e basta! Fino ad ora non ci siamo andati, e mi sembra che, comunque, siamo sopravvissuti!”
“Ma è la cosa più stupida che io abbia mai sentito! È il quarto giorno che passiamo qui, eppure ancora non abbiamo fatto un vero bagno a mare! Ti sembra possibile?”
Io e Shannon eravamo andati sulla spiaggia due volte, ma avevamo solamente fatto una camminata e ci eravamo presi un gelato. Un bagno a mare non l’avevamo mai fatto.
“L’acqua di mare fa male ai miei capelli. Quindi no!” Stupida Diva.
“Va bene! Ci andrò da sola! Siamo venuti in uno degli alberghi più belli della Sardegna e non ci siamo fatti UN bagno! Ti rendi conto?”
I miei occhi si ridussero a due fessure. Jared aveva trovato pane per i suoi denti. Non gliela avrei data vinta.
“Io ti accompagno. Ci andiamo io e te a mare!” Emma con grande entusiasmo si era alzata ed era venuta vicino a me. Due contro tre, ce la potevamo fare.
“Non potete andare solo voi due a mare!” Obbiettò Shannon.
“E per quale motivo?” Chiesi in tono di sfida. Incrociai le braccia, e cacciai fuori lo sguardo di sfida migliore che conoscevo.
“Perché..” Arrancava in cerca di una scusa plausibile per vietarci di andare sulla spiaggia da sole. Ma non ce n’erano.
“Noi andiamo su a metterci il costume, buona giornata!”
Non ci fu nemmeno il tempo di girarsi dall’altra parte, che Shannon diede una gomitata agli altri componenti della band.
Jared sbuffò, mentre Tomo si alzò e ci raggiunse.
“Vengo anche io!” disse raggiungendosi.
Sentimmo i fratelli Leto parlare alle nostre spalle.
“Dai Bro! Andiamoci! Non avevi detto che la mattina dovevamo stare tutti insieme?” Shannon cercava di convincere anche Jared. Tra loro c’era un legame di sangue, un contratto stipulato in modo che l’uno supportasse l’altro nel momento del bisogno. Venire con noi e lasciarlo solo sarebbe stato un colpo duro per l’orgoglio della Diva.
“E va bene! – Io, Emma e Tomo esultammo battendo le mani – ma se mi si rovina il colore sarai tu a ripagarmelo, bella!”
“Certo certo!” Gli urlai mentre, salendo per le scale, ero felice come una bambina.
 
 
 
Mi trovavo davanti una vasta collezione di costumi appartenente a Emma. Velocemente me ne provai un paio, ma erano tutti troppo provocanti o appariscenti.
Alla fine optai per un costume a due pezzi. Era un costume molto semplice, a fantasia bianca e blu, che metteva in risalto le curve del mio corpo.
Erano anni che non ne indossavo uno. Avevo imparato a nuotare quando ero molto piccola, ma dopo la morte dei miei genitori non avevo mai più toccato l’acqua.
Non che ci fosse qualche ragione concreta, ma mia zia non mi avrebbe mai accompagnato a mare, non che io morissi dalla voglia, e non potevo di certo andare con delle amiche che non avevo.
Era anche per questo che volevo che venissero anche gli uomini: se non mi fossi ricordata come si nuotava, avevo qualche minima speranza di salvarmi.
Ripensando questa cosa, mi viene da sorridere.
Solo poco tempo prima, vedendo un camion in corsa che mi stava schiacciando, avevo pensato che morire non sarebbe stato tanto male. In quel momento, invece, cercavo un modo per non affogare.
I 30 seconds to mars mi avevano dato una vita. Di nuovo.
 
 
 
“E’ STUPENDO!” urlai dopo aver scaraventato la mia borsa sulla sdraio. “Andiamo SUBITO a buttarci in acqua!” la mia euforia fu uccisa, nel vero senso della parola, girandomi verso il resto del gruppo.
Tutti si erano comodamente distesi sull’asciugamano, e nessuno aveva la minima voglia di muoversi da quella posizione.
Rimasi a bocca aperta, delusa dalle mie aspettative. Pensavo si sarebbero fiondati tutti, o almeno tutti tranne Jared, in acqua non appena fossimo arrivati.
La Diva, infatti, mi guardava trionfante a braccia conserte dalla sua sedia.
“Ma come? M-A-R-E ! A-C-Q-U-A ! – scandii le lettere una per una – cosa cavolo siamo venuti a fare allora?”
“Io veramente volevo venire solo a prendere un po’ di sole..” si scusò Emma a testa bassa.
“Io passo!” disse Shannon spaparanzandosi sulla sdraio e chiudendo gli occhi.
“Anche io..” Lo seguì Tomo a ruota.
Avevo perso. Jared l’aveva avuta vinta, su di me?
“Dai, non mettere il broncio adesso! – disse il frontman gustandosi al meglio la vittoria -  .. Oh, guarda! Quei due ragazzi ti fissano, magari se lo fanno loro volentieri un bagno con te!” Tomo e Emma ko guardarono storto, Shannon scosse la testa in tono di disapprovazione.
Mi girai. Stavano realmente fissando me. Uno addirittura mi salutò con la mano.
“Sai che ti dico? – risposi con il mio solito tono di sfida – hai ragione. Magari loro sono più disponibili”.
Mi tolsi la maglia e la gonna, e glieli lanciai in faccia.
Mi girai, e iniziai a camminare nella loro direzione.
Fu un attimo: sentii Shannon chiamarmi, io mi voltai, e lo vidi come un uragano correre nella mia direzione.
Capii cosa voleva fare solo quando, abbassatosi all’altezza delle mie gambe, le afferrò e mi portò sulle sue spalle.
In un istante mi ritrovai a faccia a faccia con la sua schiena, e iniziai ad annaspare cercando un modo di liberarmi. Ma con lui non si poteva ragionare. Con mia sorpresa, invece di riportarmi indietro, continuò a correre in direzione del mare.
Quando intuii le sue intenzioni, iniziai a battere i pugni sulla sua schiena che sembrava di marmo.
“Dai Shan stavo scherzando! FERMATI!”
Sentivo il rumore delle onde farsi sempre più vicino.
Ebbi solo il tempo di tapparmi il naso quando vidi l’acqua bagnargli le caviglie, prima di essere lanciata come un sacco nel mare.
Quando riemersi, la prima cosa che vidi furono Tomo, Jared e Emma che ridevano a crepapelle.
La seconda, i ragazzi che mi stavano guardando delusi.
E per ultima, con lo stesso sorriso trionfante che avevo visto poco prima sulle labbra del fratello, Shannon.
Un istinto omicida si impossessò di me, e vedendo i miei occhi iniettati di sangue, il batterista sgranò i suoi.
“Shannon Leto, SEI MORTO!” mi fiondai sopra di lui. Sapevo di non avere la forza necessaria per ucciderlo, ma anche un semplice graffio mi avrebbe fatto sentire meglio.
Piegò leggermente le ginocchia, come fanno i lottatori di sumo, e mi fece segno con l’indice di avvicinarmi.
Io invece di colpirlo dall’alto, cosa che probabilmente lui si aspettava, gli diedi un pugno nella pancia.
Lui, credo più per farmi contenta che perché l’avessi fatto davvero male, si mise le mani sulla pancia e si piegò in avanti: proprio in quel momento gli andai dietro la schiena e lo buttai sott’acqua.
Questo davvero lo colse di sorpresa, e con aria vittoriosa lo trattenni giù.
Sapevo che non appena avesse voluto, i suoi muscoli enormi mi avrebbero sconfitto, ma mi gustai quel momento di vittoria.
Continuammo così per un po’, io che cercavo di sconfiggerlo e lui che, divertito, neutralizzava tutte le mie mosse.
Notai per tutto il pomeriggio che i due ragazzi di prima continuavano a scrutarci, non come il resto della spiaggia che guardavano due persone fare casino, ma più come due confabulatori che tramavano qualcosa alle spalle della gente.
Era un’impressione persistente la mia, ma non ne feci parola con nessuno. Avrei fatto sicuramente la figura dell’idiota.
 
“Come mi hai chiamato prima?” disse Shannon mentre tornavamo verso l’ombrellone.
Mi fermai.
“Shannon Leto?” dissi confusa.
“No prima. Prima che ti buttassi in acqua.” Eccolo lì, il suo sorriso malizioso.
“Ehm.. – scavai nella memoria - .. non me lo ricordo.” Alzai lo sguardo verso la sua faccia, e poi mi venne in mente. Shan.
Lui mi guardò in faccia, e dalle mie guance in fiamme capì che avevo compreso a cosa si riferiva.
“Adesso ti sei ricordata?”
Era la prima volta che lo chiamavo Shan, o almeno in sua presenza. Di solito lo chiamavo così quando, prima di andare a dormire, mi ritrovavo a pensare a lui. «Oh Shan!» con più o meno lo stesso tono con cui Giulietta pensa a Romeo dall’alto del suo balcone.
“Ehmm..” non sapevo cosa dire.
Fui salvata da Emma che, con la mia macchina fotografica in mano, si era avvicinata e ci aveva scattato una foto.
La guardammo tutti e due perplessi.
“Scusa Veronica, ma io amo troppo le macchine fotografiche! La tua particolarmente. Ti dispiace se per oggi, solo per oggi, faccio io la fotografa?” Aveva esattamente lo sguardo di una bimba che vuole giocare con il pupazzo di qualcun altro.
“Certo! Non ti preoccupare! Trattamela bene la mia Canon!” dissi, con un sorriso a trentasei denti.
“Aspetta! – disse Shannon, avvicinandosi a me e mettendomi un braccio intorno al collo – la puoi usare solo se fai qualche foto a noi due”.
Le mie guance, che avevano appena ripreso il loro colore bianco, tornarono ad essere rosso fuoco.
Abbassai gli occhi, più imbarazzata che frustata, e sperai che il mio battito del cuore non fosse udito anche da loro due.
“Su, mettetevi in posa! – Urlò Emma – dai Veronica, alza quella tua bella testolina!” rassegnata, alzai lo sguardo e sfoderai un sorriso alquanto finto.
Ce ne scattò due o tre di seguito, e poi Shannon tolse la sua mano dal mio braccio.
Come ogni volta, il contatto con qualsiasi parte del suo corpo mi bruciò la pelle, fino ad entrarmi dentro, a toccarmi le ossa.
Questi miei pensieri furono interrotti dalla visione di Jared che, steso come un pascià, riposava sulla sdraio.
Mi guardai intorno, e mi accorsi che un bambino stava costruendo un castello di sabbia, usando solo uno dei due secchielli che aveva alla sua destra.
“Ei piccolo..” dissi avvicinandomi. Shannon mi guardava perplesso.
“Si signora?” era un bambino paffuto paffuto, aveva occhi verdi, e capelli biondi.
Veniva voglia di spupazzarlo tutto.
“Mi potresti prestare uno dei tuoi secchielli? – dissi, chinandomi alla sua altezza e indicando l’oggetto – te lo riporto subito! Sfoderai uno di quei miei sorrisi caldi.
Il bimbo mi guardò, e prese il secchiello.
“Prego signora!” disse, porgendomelo.
“Faccio subito!” e gli feci l’occhiolino.
Sotto lo sguardo sempre più perplesso di Shannon, tornai verso il mare e riempii il secchiello d’acqua.
In un modo che mi ricordava tanto Heidi nella sigla del cartone, iniziai a saltellare avanzando verso gli ombrelloni, e passando vicino il batterista dissi “Andiamo?” lui mi guardava come se fossi impazzita da un momento all’altro, ma mi seguì.
Arrivata a destinazione, con Tomo e Emma che mi guardavano come Shannon, mi piantai di fronte a Jared e preparai il secchiello.
Portai indietro il braccio, e con tutta la forza che avevo nelle braccia lo riportai in avanti: mentre Emma mi faceva una foto, rovesciai l’acqua che avevo preso poco prima dal mare sulla faccia della Diva.
 
 
 
Jared non mi parlò per qualche ora, ma poi si abbandonò ad una nuotata in mare aperto e la rabbia passò.
Quando tutti ci tuffammo in acqua, scoprii che non avevo affatto dimenticato come si nuotava, anzi mi sembrava di andare piuttosto bene.
Quando la giornata stava volgendo al termine, Shannon mi portò sul bagnasciuga e mi fece sedere alla sua sinistra sull’asciugamano.
Sentivo la testa pesante. Ero tremendamente stanca.
Il mio compagno doveva averlo notato, perché prese delicatamente il mio cranio e lo portò nell’incavo del suo collo.
Di nuovo, il suo delizioso profumo mi investì.
Alla fine, con il cuore che mi martellava nel petto, rinunciai e mi appoggiai completamente alle sue forti braccia.
Chiusi gli occhi, e per un po’, con la luce del tramonto che ci illuminava i volti, mi lasciai cullare da quella dolce fragranza e da quei muscoli possenti.
Poi caddi addormentata.
Di quel momento, ho varie foto. Alcune romanticissime in cui Shannon mi guarda con la coda dell’occhio mentre sono appoggiata a lui, e un’altra in cui lui mi porta in braccio nel tragitto verso l’albergo, perché, secondo quanto mi ha detto, «sembravo troppo in pace con il mondo in quel momento perché potesse lasciare che qualcuno mi svegliasse.»
 
 
 
“È lei. La ragazza di oggi. Ce l’abbiamo fatta.” Delle voci confuse provenivano da qualche parte nella mia camera d’albergo.
Io, nel mio letto, ero in quella parte di sonno dove non sei completamente addormentata, ma non sai se quello che vedi o che senti è la realtà o è frutto della tua immaginazione.
“Ma sei sicuro che ne valga la pena.. cioè, Emma sarebbe molto più adatta, non credi?” che senso aveva quel sogno?
Nell’aria aleggiava uno strano odore. Odore di sigaretta. Una sigaretta con il retrogusto di fragola.
“Mm… comunque, adesso siamo qui. Facciamo in fretta.”
Basta con quel sogno. Basta con quell’odore che mi nauseava.
Mi alzai, sperando di tornare alla realtà il più presto possibile.
Due ragazzi, i due ragazzi che stavano sulla spiaggia, mi fissarono con occhi sgranati. Non era un sogno. Dovevo scappare.
Riuscii, riacquistando un poco di lucidità, ad uscire dalle coperte senza inciampare.
Puntai verso la porta, ma uno dei due mi afferrò da dietro.
“LASCIAMI!” urlai con tutto il fiato che avevo in gola. Lui mi strinse più forte, e con i muscoli ancora intorpiditi diedi un calcio alla lampada, buttandola a terra in frantumi.
L’odore della sigaretta, fino a quel momento lieve, divenne insopportabile. Mi entrava nelle narici, pizzicandomi, anzi bruciandomi.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9: Empathy ***


Buonasera! :D Non riesco a resistere troppo senza scrivere, quindi eccovi qui un altro capitolo!
Avrei voluto pubblicarlo prima, però il caricabatterie del mio computer sta rompendo le scatole! -.-
A chi dedico questo capitolo? Mmm.. ovviamente a tutti voi, ma soprattutto a quei tesori di JessRomance, RosaBuò e __EmTale__ ! Sono FANTASTICHE! Mi tengono compagnia capitolo per capitolo e stanno diventando delle ottime amiche! 
Oh, adesso che ho fatto un commento decente, sono contenta! :D
Spero che questo capitolo vi piaccia, è molto romantico a mio parere! ^^ 
Anyway, buona lettura! :) 


Capitolo 9: Empathy

 

*Shannon*
 

Avevo uno strano presentimento.
Mi ero svegliato improvvisamente all’una. Sentivo una strana sensazione, come di pericolo.
Ma nulla. Nessun rumore, nemmeno una cosa fuori posto.
Dopo mezz’ora ad auto-convincermi che andava tutto bene, finalmente l’inquietudine si stava affievolendo e potevo rimettermi a dormire.
“LASCIAMI” riaprii gli occhi appena chiusi, chiedendomi se quello che avevo sentito era reale o solo frutto della mia immaginazione.
Subito dopo, un rumore di un oggetto in frantumi.
Balzai in piedi, finalmente sicuro di quello che avevo sentito. Veronica era in pericolo. Avevo riconosciuto la sua voce all’istante, ma era qualcos’altro me l’aveva detto già prima. Quel qualcosa che mi aveva anche svegliato.
Il mio cuore.
 
 

Mi fiondai fuori dalla porta e, mentre correvo in direzione di quella sua, sentii Jared chiamarmi.
“Shannon che succede?”
Non lo pensai. Non riuscivo a pensare ad altro che non fosse lei.
Senza bussare, diedi un calcio alla porta e quello che mi trovai davanti fu qualcosa di orrendo.
I pezzi di una lampada a terra, un uomo che tratteneva Veronica alle spalle, lei che si dimenava per liberarsi, e un altro uomo che si prendeva gioco della ragazza.
Lo stesso mi dava le spalle, e uno strano fumo gli aleggiava intorno.
Una fitta mi attanagliava lo stomaco vedendola piangere per colpa di quei due.
Preso da una furia ceca, che mai avevo provato, mi lanciai in avanti.
Il secondo fece appena in tempo a girarsi. Stava aspirando la sigaretta e, quando lo raggiunsi, entrai nella nuvola di fumo che lui aveva appena creato.
Non mi importava impregnare i miei vestiti di quell’odore nauseante, volevo solo fargliela pagare.
Caricai il braccio destro, e con tutta la potenza che avevo, gli tirai un pugno dritto in faccia.
Sentii la mascella che si spostava, e ne gioii.
Lui cadde a terra, e si portò subito la mano dove il mio pugno si era abbattuto poco prima.
Neanche il tempo di riprendere fiato, che mi girai con gli occhi iniettati di sangue verso l’altro.
Veronica continuava a piangere, e ogni lacrima che rigava il suo volto mi faceva stringere tanto i pugni che sentii le unghie penetrarmi nella carne.
“Brutto bastardo! Lasciala.” La mia voce era tagliente, affilata come una spada. Gelida, ecco com’era la mia espressione. Volevo ucciderli, volevo vedere il loro sangue. Fare del male ad una creatura così bella, alla mia creatura.
Intanto quello che la teneva aveva iniziato a tremare. Un poppante. Ecco cos’era. Facile fare i grandi contro una ragazza, contro una persona indifesa. Ma appena si dovevano confrontare con me, con un uomo più grande e più forte, iniziavano a tremare come le foglie.
Sorrisi maligno.
“Mi senti o no, bastardo? Ti ho detto di lasciarla. O lo fai subito, o ti uccido. Non scherzo”
Un brivido gli percorse la schiena. Vedevo tutte le sue emozioni, i suoi pensieri, nei suoi occhi.
Indecisione. Rimorso. Paura. Anzi no, terrore.
In un attimo la lasciò, e invece di rimanere lì dov’era, o di scappare, si avvicinò a me.
Risi sarcastico, quando il ragazzo che avevo steso poco prima mi bloccò le spalle.
“E adesso cosa fai?” Mi sussurrò all’orecchio.
“I vermi come voi solo questo possono fare. Battersi due contro un..” non finii la frase, che il colpo arrivò, dritto nello stomaco. Quel bamboccio che fino a dieci secondi prima tremava, adesso si accaniva su una persona inerme.
Sentii il sapore del sangue in bocca, purtroppo il mio, e non potei fare a meno di sputarlo sul pavimento.
Mi piegai, come nel pomeriggio, ma stavolta mi ero fatto davvero male.
“L’ho già detto che siete dei bastardi?” dissi sorridendo. Non gli avrei dato mica la soddisfazione di vedermi piangere o cose del genere.
“Brutto..” il cretino stava caricando un altro pugno, quando un colpo lo stese.
Contemporaneamente, l’altro delinquente allentò la presa sulle mie braccia.
Caddi sulle ginocchia, portando le mani direttamente sullo stomaco. Faceva un male cane.
Jared e Tomo, i pacifici Jared e Tomo, dopo aver colpito i due, li trattenevano a terra.
Avevano entrambi uno sguardo severo, cattivo. Persino Tomo, che era quello più calmo e pacato del gruppo, adesso si stava trattenendo dal massacrare quei due poveri imbecilli.
Con ancora la pancia dolorante, alzai gli occhi in cerca di Veronica. Lei, bella anche piangendo, stava rannicchiata con le braccia intorno alle gambe ai piedi del letto, e sembrava buttare fuori tutte le lacrime della sua vita.
Ignorai le fitte allo stomaco, ignorai la bocca impastata di sangue, e mi trascinai lentamente sulle ginocchia.
“Eii.. st.. stai bene?” dissi, poggiando la mia mano sulla sua.
Lei alzò leggermente il viso, gli occhi gonfi e la faccia rossa.
Mi venne la voglia di alzarmi e andare a prendere a calci quei due.
Ma il suo sguardo era una supplica, un grido silenzioso d’aiuto.
Intanto, mio fratello e Tomo stavano portando via i due delinquenti. In lontananza, la sirena della polizia.
“Vieni qui.. Non devi aver paura, adesso ci sono io con te” mi avvicinai e le cinsi le braccia, dolcemente, con le mie.
Però, quando si appoggiò sulla mia spalla, e aspirò, mi spinse via. Iniziò a tremare, e ricominciò a piangere con violenti singhiozzi.
“Vai via..” disse a bassa voce. “VAI VIA, HAI IL SUO ODORE!” si riportò le mani sul viso, e sentii un pesante peso sul cuore.
Mi alzai, come uno spettro, e lentamente uscii fuori dalla stanza.
Quando, girandomi un’ultima volta verso di lei prima di tornare nel mio letto, la guardai, riuscii a pensare che anche così, dopo avermi respinto, era bellissima.
“I’m a ghost. You’re an angel” mi venne da pensare.
Sorridendo, chiusi la porta. Qualunque cosa fosse successa, anche se lei mi respingeva, non avrei lasciato mai più che qualcuno le facesse del male. Avrei preferito strapparmi il cuore, più che vederla di nuovo versare tante lacrime.
 

 
*Veronica*
 


 
Un soffio di vento.
Un battito d’ali.
Uno scricchiolio.
Stavo impazzendo. Bastava un niente per far tornare il mio cuore a battere impazzito.
Tremavo. Sudavo. Avevo paura.
Ogni cosa mi faceva tornare a quell’incubo, ogni minima sciocchezza mi faceva pensare che sarebbe ricominciato.
Ero nella stessa posizione da due ore, e la paura non passava.
Nemmeno infilarmi sotto le coperte, come quando ero bambina, funzionava.
E il pensiero che più mi torturava, era aver respinto Shannon.
Ero sicura che, tra le sue braccia, tutto sarebbe passato.
Ma l’avevo respinto così, come un’idiota.
Avevo sentito l’odore, quell’odore, sulla sua maglietta, e.. non so cosa mi era successo. Quel maledetto odore mi aveva traumatizzato. Stavo male solo a ricordarlo.
Ma questo non toglieva che avevo fatto male a Shannon.
Quegli occhi vuoti quando se n’era andato.
Quell’espressione affranta.
Quell’andatura lenta.
Mi facevano male, quasi quanto quel profumo.
Ma soprattutto sapendo che era stato lui a salvarmi.
Luisi era lanciato da solo contro due persone per aiutarmi.
Luisi era preso un pugno nello stomaco per proteggermi.
Luiaveva ignorato il dolore per consolarmi.
E io? Io l’avevo respinto. L’avevo deluso.
Stupida! Ecco cos’ero, una stupida.
E adesso me ne stavo lì, a disperarmi e a impazzire.
“Basta!” urlai, ignorando totalmente che fossero le tre di notte.
Lanciai un cuscino contro il muro, e un rumore sordo rimbombò nella stanza.
Mi alzai e lasciai la stanza. L’unica cosa che potevo fare era chiedergli scusa.
 


 
Il pugno a mezz’aria davanti la pesante porta di legno scuro.
Non avevo il coraggio di entrare. Cosa gli avrei detto? Come mi sarei scusata?
E poi probabilmente stava dormendo. Cosa lo svegliavo a fare?
La porta si aprì di scatto, e mi ritrovai Shannon davanti.
Ci guardammo per qualche secondo negli occhi sorpresi, io ancora con il braccio in procinto di bussare.
“Io..” iniziammo a parlare assieme.
Sorridemmo, e lui aspettò che io dicessi qualcosa. Ma io ero persa dentro quel sorriso, quel bellissimo sorriso.
“.. ho sentito un rumore.. e per quello che è successo prima pensavo fosse meglio.. venire a controllare..” era la prima volta che lo vedevo in difficoltà con le parole, imbarazzato più di me.
“ Grazie. Io ti volevo chiedere scusa. Non so che mi è preso..” abbassai la testa, ringraziando il buio che nascondeva le mie guance in fiamme. “E il rumore che hai sentito ero io che lanciavo un cuscino.. non riuscivo a dormire..” perché l’avevo detto? Quale pazza si metteva a lanciare cuscini così, nel bel mezzo della notte?
Lui invece ridacchiò.
“Beh, me l’aspettavo una cosa del genere!”
Risi insieme a lui.
“Beh, adesso che entrambi siamo più tranquilli possiamo andare a dormire, finalmente. Abbiamo bisogno entrambi di riposo. Va bene?”
Si aspettava un mio «buona notte» molto probabilmente. Ma io non parlai. Abbassai semplicemente la testa. Non appena avevo visto Shannon tutte le mie paure erano scomparse. Ma solo al pensiero di ritornare in quella camera, da sola, un brivido di terrore mi percorreva la schiena.
“Vuoi dormire insieme a me?” disse improvvisamente. Io alzai la testa di scatto e sgranai gli occhi.
“Eh?”
“Sei scossa. Hai paura. Se dormi con me sarai protetta.” Come aveva detto prima? Vieni qui.. Non devi aver paura, adesso ci sono io con te. Esattamente quello di cui avevo bisogno. La sua presenza.
Come faceva a conoscermi così bene? Come riusciva a scavarmi nell’anima, a leggere così bene nei miei occhi? Com’era quella parola? Ah si, Empatia. Noi due eravamo empatici, capivamo i sentimenti dell’altro senza bisogno di parole. 
“..E non ti preoccupare, non ti salto mica addosso!” io ridacchiai. Che stupido.
“Va bene” e sorrisi.
“Prego!” Aprì la porta e si fece da parte per farmi entrare.
Appena la richiuse, fui accolta da un bellissimo odore floreale. Non avevo mai dormito in un letto con qualcuno, figuriamoci con un uomo. Quindi esitai un po’ davanti alle lenzuola, imbarazzata.
Lui se ne accorse, si mise a ridere e mi spinse sul letto.
Io mi girai e gli lanciai un cuscino.
“Stupida ti ho detto che non ti salto addosso. Su dormi che tra poco crolli.” Aveva quei suoi modi scortesi, ma alla fine, infondo, era tanto dolce.
Ci coricammo, io mi distesi su un fianco, verso il comodino però, e lui lo stesso.
Non riuscivo comunque a dormire. Certo, stare vicino a lui mi tranquillizzava, ma quando si sarebbe addormentato? Cosa mi avrebbe tranquillizzato?
Sbuffando, come facevo quando stavo nel mio letto e non riuscivo a dormire, mi girai e mi ritrovai a pochi centimetri dal viso di Shannon che mi stava guardando.
Il mio cuore iniziò a battere frenetico, e per nascondere il nervosismo iniziai a torturarmi le dita della mano destra sotto il cuscino.
“Non dormi?” il suo odore mi invase. Già solo quello mi fece passare ogni pensiero.
“No..” non volevo guardarlo in viso. Già il suo odore mi mandava in confusione, se lo avessi anche guardato negli occhi sarei probabilmente andata in iperventilazione.
“Mmm..” disse, vedendomi pensierosa.
Inaspettatamente, prese da sotto al mio cuscino la mia mano, e la strinse nella sua. Quel contatto, quel semplice contatto, mi portò un gran senso di pace nel cuore. Così, avrei potuto dormire tranquillamente.
Le nostre mani sembravano essere create apposta per stare intrecciate. Ogni mio dito combaciava perfettamente con gli spazi tra le sue, e viceversa.
 


Aprii gli occhi, e mi ritrovai in lenzuola diverse dalle mie. Anche la stanza era diversa. Dove cavolo.. poi guardai alla mia destra e mi ricordai.
Mi ricordai dei due delinquenti, del pianto, dell’invito di Shannon e soprattutto delle nostre mani intrecciate.
Arrossii, e per non farmi vedere dal batterista, che si stava svegliando, finsi di essere ancora addormentata. Ci misi un po’ a far calmare il mio cuore, che pulsava terribilmente per il contatto con la sua mano.
Io ero stesa a pancia all’aria, e iniziai a far salire e scendere il petto per fingere di dormire.
Quando si svegliò, iniziò a muoversi un poco. Non lasciava la mia mano, comunque. Ad un certo punto si immobilizzò, e io mi sentii osservata. Continuai con la mia scenetta, fino a quando non lo sentii avvicinarsi e si chinò su di me.
Le sue labbra, calde e carnose, si posarono sulle mie.
Il mio cuore iniziò a battere impazzito, ma non aprii gli occhi. Solo quando lui entrò nel bagno, mi alzai di scatto e mi portai la mano alla bocca.
Era successo davvero?

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Capitolo 11
*** Capitolo 10: Mi fai schifo! ***


Buonasera! Questo capitolo credo faccia un po' schifo, sia come l'ho scritto che per cosa ho scritto. Già il titolo non è rassicurante, e il finale è pure peggio. Tutto questo che ho scritto è la prova che ho una mente malata. Non so ancora come mi sia uscita una cosa del genere. 
Anyway, grazie alle solite JessRomance, RosaBuò e __EmTale__ e in più a  fantasmina97 e Punk_Angel_ 89 che nell'ultimo capitolo mi hanno fatto i complimenti! :) 
Questo dovrebbe essere una specie di regalo di Pasqua, anche se non credo vi farà molto piacere! 
Buona lettura e buona notte, vista l'ora! <3 



Capitolo 10: Mi fai schifo!

 
 
Non ero riuscita a parlare. Non ero riuscita a muovermi.
E adesso ripensavo a quel bacio, quel semplice bacio, che mi bruciava ancora sulle labbra.
Lui sembrava non essersi accorto che io fossi sveglia, e così la mattina si comportò esattamente come prima. Continuava a prendermi in giro, continuava a ridere e io lo assecondavo.
 
 
Il pomeriggio seguente, poco dopo il pranzo, incontrai Jared per il corridoio.
“Ehilà.. cognatina!” Mi fermai di botto.
“Eh?”
“So dove hai dormito stanotte! … ”
“No Jared.. forse hai capito male..” Non mi ascoltò neppure, e continuò con il suo discorso.
“Così tutti i componenti della band sono accoppiati, tranne io.. dovrei rimediare..”
“Io ti vedo bene insieme a Emma, sai?” mi azzardai a dire.
Lui invece di guardarmi storto e controbattere, disse inaspettatamente: “.. anche io mi ci vedo bene insieme a lei. Anzi, mi ci vedo bene solo con lei. È l’unica che mi riesca a sopportare più di una notte, e poi è tanto gentile e..” sospirò.
“E..?” mi sconvolse.
“.. E niente. E’ inutile sognare.” Scosse un po’ la testa e se n’è andò.
Io rimasi perplessa. È inutile sognare?
Avrei indagato. Questa storia non si chiudeva lì.
 
 
Tornai in camera, e mi ricordai che la memoria della macchina fotografica era quasi piena. Accesi il computer, e scaricai tutte le foto.
Mi divertii tantissimo. Le foto delle cene, quelle delle giornate a mare. Quelle con Shannon. Era nemmeno un mese che ero entrata nel loro gruppo, eppure avevo molti più ricordi belli di quel breve periodo che di tutta la mia vita.
Trovai cinque o sei foto bellissime. Come quella del gavettone a Jared, quella in cui dormivo appoggiata a Shannon, una in gruppo la sera della nostra cena, e altre due o tre di diversi momenti che avevo passato con loro.
Le copiai in una cartella: a giorni sarei andata dal fotografo e le avrei stampate.
Messe sul computer, me le guardai tutte con più calma. Erano bellissime. C’erano quelle che mi facevano ridere a crepapelle, e quelle che mi facevano venire le lacrime agli occhi dall’emozione.
Ad un certo punto, trovai un gruppo di foto che non avevo scattato io. Si vedeva dall’inclinazione della macchina, più storta rispetto a come la mettevo io, si vedeva dalla luce, perché non erano sempre fatte con il sole nel punto più favorevole, si vedeva da delle dita che comparivano in alcune, ma soprattutto dal soggetto.
Foto e foto di Jared.
Foto e foto dove venivano ripresi i più piccoli particolari del frontman. Foto di tutto il corpo, foto del viso, foto dei capelli.
Mi ricordavano tanto quelle che feci io a Shannon il giorno del concerto, quando cercavo di farle senza essere notata.
Mi alzai, uscii dalla mia camera, e mi fiondai in quella della persona che mi interessava.
Questa mi guardò, scioccata, non appena mi vide entrare come un uragano nella sua stanza, e prima che potesse aprire bocca dissi: “Emma, TU sei INNAMORATA di Jared”.
 
 
“Shhhh! Ma cosa vai dicendo?” corse a chiudere la porta, si guardò a destra e a sinistra come un assassino che sta per essere smascherato.
“Ho ragione! Se non fosse stato vero, mi avresti riso in faccia!” dissi, completamente soddisfatta di me stessa. “Potevi dirmelo però..” finsi di essermi offesa.
“Non te l’ho detto per lo stesso motivo per cui tu non mi hai detto di essere innamorata di Shannon!” mi sorrise. Adesso entrambe condividevamo lo stesso segreto.
“Glie l’hai mai detto?” cambiai discorso, ma lei capì perfettamente a cosa mi riferissi.
“No.. è meglio così..”
“Ma perché? Capisco che hai paura che si rovini il rapporto.. che avete ora, ecco! Ma tu hai molte più opportunità di me!” ci sedemmo entrambe sul suo letto, e io le presi le mani tra le mie come avevo fatto tante volte in quella stessa stanza. Avevo trovato un’amica. La prima vera amica della mia vita.
“Non ci scommetterei.” Mi rispose fredda. Mi aspettavo qualsiasi altra risposta, ma quella no.
“Eh?”
“Dai non dirmi che non te ne sei accorta! Non posso essere sicura che Shannon ti ami, ma è attratto da te!” quelle parole mi colpirono. Non avevo mai preso in considerazione l’idea che lui ricambiasse il mio amore. Il bacio, il braccialetto. Aveva un senso.
Rimuginai un poco su quelle parole, ma poi tornai al mio discorso. Il mio obbiettivo era un altro. “Comunque.. perché non provi a dichiararti? Potresti essere sorpresa da quello che prova Jared!”
“Non lo so..” per il nervosismo si stava togliendo lo smalto celeste dalle unghie.
“Ti prometto.. – le ripresi le mani, in modo da farla smettere con quella tortura – ..che ti aiuterò ad essere felice. Sia Jared o no il tuo destino” lei mi guardò meravigliata, e una piccola lacrima scese sulle sue guance. Ci abbracciammo, e fui determinata più che mai a mantenere la mia promessa.
 
 
“Eiiiii Jared!!!” corsi incontro al cantante che stava con il fratello e Tomo nel corridoio. Quando mi avvicinai, cercai di riprendere un po’ di fiato e gli chiesi se potevamo parlare un attimo
Più che lui, a guardarmi sorpreso fu Shannon. Pensai dopo che era da quando mi aveva baciato che non passavamo un po’ di vero tempo insieme. Solo i pranzi con gli altri.
“Certo.. – si rivolse agli altri due perplesso - ci vediamo dopo..”
“Ciao!” a rispondere fu solo Tomo.
“Hai bisogno di qualcosa?”
“In realtà.. si..” E adesso? Che gli dicevo?
“Si cosa?”
“Sei innamorato di Emma?” era l’unica cosa che mi veniva in mente. Cos’altro avrei potuto dire? Così, presi le prime parole che avevo nel cervello e le sputai fuori.
Lui si guardò intorno, e puntò i suoi bellissimi occhi su di me. Se avessi potuto prendere qualcosa per farne un’opera d’arte, avrei preso proprio quelli. Ma nessuna opera, per quanto bella, poteva eguagliare la perfezione di quello sguardo, di quelle iridi color del mare.
“Cosa?” lo vidi, per la prima volta nella mia vita, vacillare. Lui, con la risposta sempre pronta. Lui, che vinceva qualsiasi battaglia. Lui, che era la Diva più vanitosa che conoscevo. Vacillava ad una mia domanda. A questo punto, le mucche vendicatrici sarebbero state qualcosa di verosimile.
“Dai, che hai capito. E io ho capito la risposta.” Dissi, con sguardo fiero. Lui amava lei, lei amava lui. E io potevo ricongiungere questo amore e renderli felici.
“Non so di cosa tu stia parlando..” disse, convinto ancora meno di me. Il suo sguardo, sempre alto, sicuro, in qualsiasi occasione, adesso era basso e si muoveva da destra a sinistra senza vedere davvero qualcosa.
“Tu ami Emma. E io voglio aiutarti. Voglio che voi due siate felici, insieme.”
“E cosa credi che Emma voglia fidanzarsi con me? L’hai detto stesso tu che già essere mia assistente è peggio di un suicidio, figuriamoci essere la mia ragazza.”
“Tu lascia fare a me!” gli sorrisi. Lui mi sorrise di rimando e ci abbracciammo. Era una Diva, era scortese, ma avevo imparato a volerlo bene. Non il bene che volevo a Shannon, quello era ovvio. Nessun amore lo poteva eguagliare. Ma quello per Jared era un bene fraterno. Si, avevo trovato il fratello che non avevo mai avuto.
 
 
 
Rabbia. Ecco cosa provavo. Vedere Jared e Veronica così, abbracciati, mi faceva solo stare male. Cosa avevo fatto di male per meritarmelo?
 
 
 
Tutta la giornata a rincorrere Jared e Emma, a creare piani, a progettare un modo per farli unire mi aveva stancato. Già la notte non avevo dormito chissà quanto. Quindi, non appena entrai in camera mia, mi fiondai nel letto e mi addormentai.
 
 
Alzai lo sguardo verso l’orologio sul comodino, vidi l’ora e notai che era mezzogiorno. Mi alzai tanto velocemente che ebbi un forte capogiro.
Quanto cavolo avevo dormito? E perché nessuno era venuto a svegliarmi per le nostre attività mattutine?
Mi lavai, e mi resi presentabile. Faceva davvero troppo caldo quindi indossai i miei soliti pantaloncini e una magliettina di cotone.
Solo dopo essere uscita la seconda volta dal bagno, notai uno strano bigliettino vicino alla porta.
Mi avvicinai, e lo presi da terra.
Era una grafia elegante e pulita. Una grafia familiare. Una grafia inconfondibile.
 
 
Ehilà Raggio di sole,
lo so che è tardi,
e lo so che stai facendo di tutto per evitarmi,
ma se non riesci a dormire
c’è un posto libero nel mio letto per te!
                   
                                              Shannon.
 
Lessi quelle semplici parole più e più volte.
Io ero stata tanto indaffarata con la storia di Jared e Emma che avevo dimenticato tutto il resto.
Solo adesso mi rendevo conto quanto mi era mancato Shannon.
Devo andare a chiedergli scusa! Pensai immediatamente.
Purtroppo, non misi in conto Emma. La stessa, entrò come un missile nella mia stanza.
“Buongiorno! Finalmente eh! Pensavo non ti svegliassi più!”
“Scusa! Ero stanchissima! Figurati che..”
“Shhh! Bando alle ciance! Oggi abbiamo una giornata tutta per noi!” mi disse sorridente.
“E i ragazzi?” dissi delusa. Addio scuse. Addio un po’ di tempo passato con Shannon.
“Grazie eh! Fingo di non aver visto la tua espressione! Comunque loro sono andati nel nord della Sardegna per una specie di sorpresa alle Echelon.. un amico di Jared li ha chiamati e sono andati a suonare lì! Dovrebbero tornare domani pomeriggio!”
“Va bene!” finsi un sorriso anche io.
 
 
Passammo tutta la giornata a fare shopping. Borse su borse. Per una volta potei pagarmi tutto da sola, ma mi mancava la risata di Shannon, il suo modo burbero-dolce di voler a tutti costi pagarmi le cose. E non perché volevo risparmiare soldi, ma perché mi piaceva quando lui giocava con la mia carta di credito e io poi dovevo riprendermela.
Sorrisi, amareggiata. Mi aveva baciata, il mio sogno proibito si era realizzato, ed era cambiato tutto.
E se mi fossi “svegliata” ? Se gli avessi aperto il cuore sarebbe cambiato qualcosa?
Torturarmi non serviva a niente. Gli sarei andata vicino, e avremmo iniziato a ridere e a scherzare come prima. Lui avrebbe trovato il tempo per me, e io avrei trovato il tempo per lui.
 
 
Parlammo anche di Jared. Come avevo dato il giorno prima la forza al frontman di farsi avanti, la diedi anche ad Emma.
Quando tornarono, infatti, gli organizzai una cenetta solo loro due a lume di candela.
Non potei fare a meno di sbirciare se quello che avevo preparato stava dando i suoi risultati. E infatti, a fine serata, vidi Jared mettere la sua mano destra sulla mano di Emma, lei iniziare a piangere e, dopo essersi dichiarati il loro amore, baciarsi. Erano così belli che venne anche a me da piangere. Si, avevo fatto bene a concedermi completamente alla loro causa in quei tre o quattro giorni.
 
 
 “GRAZIE VERONICA.” Mi urlarono in coro Jared e Emma, mano nella mano, nella hall.
Mi sentivo così soddisfatta che non potei fare a meno di saltellare dalla gioia.
“Ei! Facciamo una cosa: voi due andate a comunicare la grande notizia a Tomo, io la vado a comunicare a Shannon! A dopo!” Entrambi ammiccarono con sguardo malizioso. Sapevano che lo facevo solo perché mi mancava il mio batterista, perché volevo passare del tempo con lui.
Corsi fino alla sua camera. E solo quando mi ci trovai davanti mi fermai a riprendere fiato.
Feci la cosa più stupida del mondo: entrai senza bussare.
Perché stupida? Perché mi sarei risparmiata tanto dolore. Perché mi sarei risparmiata uno spettacolo disgustoso.
Infatti, sul letto, quel letto che per me era sacro, dove Shannon mi aveva tenuto la mano per una nottata intera, vidi lo stesso con una donna bionda. Completamente nudi. Si, nudi. E di certo non stavano giocando al gioco dell’Oca.
Lei si muoveva sinuosa su di lui, lo baciava veloce sul torace, sul collo. Non appena si accorsero di me, Shannon sgranò gli occhi, ma io non lo vidi più. Piangevo. Piangevo come mai avevo pianto prima.
Senza voler sentire una sola parola, scappai via. Corsi più veloce che potevo. Come mai avevo corso in vita mia. Sentivo i muscoli delle gambe bruciarmi, ma continuavo a correre. Nemmeno una schiera di fantasmi mi stesse seguendo, nemmeno stessi scappando da due luridi delinquenti. Ecco, non avrei corso così veloce qualche notte prima se ne avessi avuto l’opportunità.
Perché stavo reagendo così? Non eravamo mica fidanzati.
Però lui mi aveva dato una speranza. La cosa che mi fece più male, infatti, era il ricordo del suo bacio. Se non mi avesse baciato qualche giorno prima, mi sarei scusata, sarei andata nella stanza mia, avrei pianto e basta. Sapevo che il suo soprannome era Shanimal, e di certo gliel’avevano dato così, per sfizio. Non mi sarei arrabbiata con lui. Non ce ne sarebbe stato motivo.
Ma in quel momento, dopo un bacio, dopo la frase di Emma, avevo sperato che lui mi potesse amare. E quella speranza se n’era andata via tanto velocemente come era arrivata.
L’ultima frase che pensai, prima che la luce della luna mi invadesse il volto all’uscita dell’albergo, fu SHANNON LETO MI FAI SCHIFO.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11: E' Amore? ***


Buonasera! Spero abbiate passato una buona Pasqua! :) 
Eccomi qui, con un altro capitolo. 
Questa volta ho più persone da ringraziare, ma ci tengo a non mancarne nemmeno una! 
Grazie a JessRomance, RosaBuò, __EmTale__, Fantasmina97, Punk_Echelon_Angel, LOVEISNOTACOMPETITIONGiuli, __Giuli e RoadRunner! :D Grazie infinite! E ringrazio anche tutti gli altri che mi seguono anche senza recensire! 
Spero che questo capitolo vi piaccia!
Buona lettura! 




Capitolo 11: E’ Amore?
 
 
Shannon*
 

Mi passai l’asciugamano sulla fronte. Ero sudatissimo.
Avevo suonato con più foga del solito, e persino Jared se n’era meravigliato. Aveva capito che c’era qualcosa che non andava.
Si, perché quando sono nervoso mi sfogo suonando.
La mia bella Christine. Solo lei riesce a capirmi. Solo lei riesce farmi passare tutti i pensieri soltanto facendosi suonare.
Eppure tutti tornarono ad addensarsi nel mio cervello, non appena fui lontano dal palco, nella solitudine del mio camerino.
Camminai dapprima avanti e indietro per scaricare la tensione, ma non serviva a nulla. Allora mi abbandonai al pensiero di una bella doccia.
Lasciai un messaggio a Jared per non farmi disturbare.
Buttai senza pietà i panni sulla poltroncina e mi fiondai sotto l’enorme doccia del bagno.
Sentii l’acqua scendermi veloce su tutta la pelle, giù fino ai piedi. Volevo purificarmi, liberarmi corpo cuore e anima.
Era tutto più semplice prima. Guardavo una ragazza, mi piaceva, la seducevo e la portavo a letto. Tutto qui. La mattina mi salutava senza legami e senza promesse, solo con soddisfazione.
Adesso, invece, non toccavo una donna da prima dell’ultimo concerto.
Non volevo nessun’altra che non fosse Veronica.
Non avevo mai provato una cosa del genere. Era.. Amore?
Sapevo solo che quello che provavo anche solo sfiorando lei non l’avevo provato con nessun’altra al mondo.
Il problema? L’avevo baciata.
L’avevo vista distesa sul letto, al mio fianco, così bella, mentre le nostre mani erano intrecciate e.. l’avevo baciata.
Non pensavo reagisse così però. Quando avevo poggiato le labbra sulle sue, avevo capito che era sveglia. Avevo immaginato che facesse qualcosa, ma aveva continuato con la sua scenetta.
E poi, mi aveva totalmente ignorato.
Aveva passato pomeriggi interi con Emma, e aveva rifiutato il mio invito di dormire insieme.
E avevo il sospetto che stesse iniziando una relazione con mio fratello.
Li vedevo spesso parlare, e prima che partissimo lei lo prese in disparte e lo abbracciò.
Ne soffrii tantissimo, ma finsi che fosse solo frutto della mia immaginazione.
 
 
I miei sospetti trovarono risposta quando tornammo.
La vidi, da lontano, fiondarsi su Jared, sorridente, e afferrarlo per la mano.
Poco dopo venni a scoprire che aveva persino prenotato l’intero ristorante per una cena “speciale” e vidi Jared, vestito con uno smoking, entrare nervoso nella sala.
In quel momento sentii un vuoto nello stomaco, una voragine che mi stava poco a poco divorando le budella. Mio fratello e il mio unico amore. Se questa non è sfiga.
Presi il mio pacco di sigarette, che da un po’ avevo abbandonato, e andai in terrazzo.
Una o due stecche mi avrebbero fatto bene.
 
 
“Guarda chi c’è qui. Shannon Leto.” Mi girai verso la voce alle mie spalle. Aveva qualcosa di familiare, ma non ricordavo dove l’avessi sentita.
“Che c’è? Non mi riconosci? – continuò la donna - .. forse se mi spoglio ti ricordi meglio!” Mi fece l’occhiolino.
“Jennifer! Da quanto tempo che non ci vediamo!” Jennifer. Due o tre volte me l’ero fatta. Era una lucciola, era stata addirittura lei a sedurre me, e non il contrario. Neanche entrati in camera si era già tolta i vestiti.
“Ah ora ti ricordi.. magari rinfreschiamo un po’ questa memoria vecchiotta?” mi si era avvicinata con la sua solita andatura seducente, con quei tacchi di dieci centimetri e una di quelle camicette super scollate.
Alzò l’indice destro e lo piantò sul mio petto, e poi iniziò a farlo scendere giù, fino all’ombelico e oltre. Prima che potesse scendere troppo in giù, lo afferrai e lo spostai.
“No grazie.. per questa volta passo.” Erano fin troppo chiare le sue intenzioni.
“Cosa? Shanimal che rinuncia ad una nottata di sesso? Stiamo messi male..” scosse leggermente la testa con quel suo sguardo malizioso.
Finii la sigaretta, la spensi sul tavolino della terrazza e le feci un cenno di saluto.
Presi l’ascensore senza voltarmi.
 
 
“Shannon ma dove sono finiti gli altri? Jared? Veronica?” al nome della ragazza mi bloccai. Tomo stava aspettando una mia risposta.
Abbassai lo sguardo e sospirai. “Non ne ho idea..”
Non lo guardai neppure in faccia e mi rifugiai nella mia stanza.
Mi presi la testa tra le mani e feci pressione sulle tempie.
“Ah l’amore..” la porta si era aperta improvvisamente, e quella donna continuava a seguirmi.
“Cosa?” dissi scocciato.
“L’amore… fa male no? E poi chi ci credeva che tu potessi innamorarti? Come l’ha chiamata Tomo.. Veronica? Ti sei innamorato di Veronica?” mi avvicinai incavolato a quella donna, la spinsi contro il muro e diedi un pugno al muro vicino alla sua testa.
“Non sei nemmeno all’altezza di allacciarle le scarpe. Non nominare il suo nome.”
Lei inizialmente sgranò gli occhi impaurita, poi riprese il suo solito sguardo e disse: “Vedi che ho indovinato? Amare non è una cosa brutta. Non essere ricambiati lo è.” Mi allontanai, e mi girai per non farle vedere il mio sguardo addolorato.
“Che ne dici se per dimenticarla ce la spassiamo io e te? Magari diventerà anche gelosa!” disse, finendo la frase con una risatina. Iniziò a togliermi la maglietta, ma io non mossi un muscolo. Le sue parole mi rimbombavano in testa, e in quel momento fui certo del mio amore per Veronica. Quella mantide religiosa continuava a spogliarmi, e da un momento all’altro mi aspettavo che spalancasse le fauci e mi mangiasse. E anche i suoi vestiti in poco tempo si ritrovarono per terra.
Per fermarla la spinsi sul letto, e lei prese quel gesto come una risposta affermativa. Mi tirò a sé, mi fece distendere sulle lenzuola e in un attimo fu sopra di me.
Cercava di farmi eccitare, baciandomi il collo e il torace, ma io stavo solamente pensando che in quel letto, accanto a me, ci doveva stare Veronica e non lei.
Ad un tratto una porta si aprì. Il mio angelo, dapprima sorridente, non appena si accorse della scena che aveva davanti sgranò gli occhi e iniziò a piangere. Io scansai Jennifer, e mi allungai verso di lei. Ma era troppo tardi: era già scappata via, lontano.
 
 
Mi portai le mani in faccia. La testa mi stava scoppiando.
Perché piangeva? Perché cavolo quello che stavo facendo con quella donna le faceva male?
Stava con mio fratello. Quindi perché le doveva suscitare dolore un mio gesto del genere?
Si, prima era tutto più semplice.
Sulla soglia della porta spalancata comparve poco dopo mio fratello.
“Che cavolo è successo a Veron…Oh.” Vide la scena che fino a un momento fa aveva scandalizzato anche la ragazza.
“Ma che ti dice la testa Bro? Sei un maiale!” solo in quel momento mi accorsi che teneva la mano a Emma. E poi il maiale ero io.
“Ah proprio tu parli!” dissi schifato.
“Che vorresti dire?”
“Scusa Emma ma.. prima ti fai Veronica e poi passeggi mano nella mano con lei? Ma vergognati!” mi guardarono entrambi perplessi.
“Mi faccio chi? Ma hai bevuto?” disse mio fratello.
“Gli abbracci, tu e Veronica che parlate, e la cena di stasera. Quanto mi reputi idiota?” dissi sarcastico.
“Tu caro mio ti sei fottuto il cervello oltre questa baldracca. Io e Veronica abbiamo passato tanto tempo assieme perché stava aiutando me e Emma a fidanzarci. La cena l’ha prenotata lei per noi due!” e alzò le due mani intrecciate per sottolineare il suo lavoro riuscito.
La mia testa si svuotò. Ero un idiota.
Mi fiondai fuori dalle coperte, Emma che si girava dall’altro lato imbarazzata, e mi vestii velocemente. Dovevo trovarla. Trovarla e chiederle scusa. Trovarla e implorarle di perdonarmi.
Era da poco passato il tramonto, uscii fuori dall’albergo e trovai una grande folla, insolita da quelle parti.
Mi feci spazio tra le persone, e un odore metallico iniziò a pizzicarmi le narici. Lo seguii, fino a scorgere una pozza di sangue sul terreno.
Una paura folle si impossessò di me, presi un ragazzo che passava di lì per il colletto e gli domandai velocemente cosa fosse successo. Scosso, mi disse che una ragazza appena uscita dall’albergo era stata coinvolta in una sparatoria.
Cosa avevo fatto?
 
 
 
Stavo davanti la sala operatoria dell’ospedale. Camminavo nervoso avanti e indietro. I medici che entravano e uscivano dalla stanza erano poco logorroici, se gli facevi qualche domanda ti liquidavano con un “Non si può entrare”.
Quell’ansia mi uccideva.
Passarono due ore e niente. Iniziarono ad entrare alcune persone dalla porta da cui ero entrato anche io, ma non mi voltai e non ci diedi peso.
Il tempo passava, e la paura cresceva.
Finalmente anche i pianti alle mie spalle cessarono.
Pianti? Chi poteva star piangendo per una ragazza sconosciuta?
Veronica era stata abbastanza chiara. Gli unici parenti stretti che mi sono rimasti sono mia zia e un mio cugino che però qualche anno fa si è trasferito nel nord Italia. I miei genitori sono morti, quindi non c’è nessuno di cui senta la mancanza.
E allora chi stava piangendo?
Mi voltai, e vidi una coppia, moglie e marito, con una ragazza quindicenne, presumibilmente la figlia.
Li guardai per un po’, confuso, finché la ragazzina alzò gli occhi gonfi nella mia direzione. Se li stropicciò incredula, per poi esclamare “Ma tu sei Shannon Leto!” la sua espressione divenne meravigliata.
“Si.. sono io.” Sorrisi.
“Ma che ci fai qui? Come fai a sapere che mia sorella sarebbe felicissima di conoscerti?”
“Eh? Veronica non ha una sorella.” Dissi convinto.
La madre e il padre mi guardarono tentennanti, insicuri sulla mia sanità mentale.
“Mia sorella non si chiama Veronica.” Disse la ragazzina, con la stessa espressione dei genitori.
“La ragazza dell’incidente non è Veronica?” dissi sorridendo.
Capirono il malinteso, e mi sorrisero di rimando. “No, per tua fortuna non è lei.” Mi rispose.
Io le corsi incontro, la presi in braccio, e la feci girare tre volte in aria. “Grazie grazie GRAZIE!” presi un foglio e le firmai un autografo. Guarisci presto, scrissi sopra.
“Questo dallo a tua sorella, quando si sveglia. In questi giorni torno e le faccio una sorpresa, ok?” dissi, mentre la ragazza mi guardava felice.
Corsi a perdifiato fuori dall’ospedale. La dovevo trovare, solo questo importava. 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12: Come un Soffione. ***


Ecco un nuovo capitolo! Scusate, il mio pc portatile è deceduto e non mi trovo a scrivere sul grande. Però oggi non resistevo più e ho scritto. Ringrazio JessRomance, RosaBuò, __EmTale__, Fantasmina97, Punk_Echelon_Angel, LOVEISNOTACOMPETITIONGiuli, __Giuli e RoadRunner! :D Grazie infinite! E ringrazio anche tutti gli altri che mi seguono anche senza recensire! 
Scusate per gli schifo di ringraziamenti, ma sto facendo una corsa contro il tempo! ç___ç
Buona lettura! :)  


Capitolo 12: Come un Soffione.
 

 
Veronica*

 
 
Un venticello fresco mi accarezzava il viso, le guancie. Quelle stesse guance che erano state rigate per tutta la notte e per tutto il giorno da lacrime. Adesso erano stanche, stanche di essere umidiccie, stanche di quel naso che non facevo altro che tirare su e stanche di quegli occhi grandi come due palle. Non avevo più lacrime, mi ero completamente svuotata.
Avevo dormito in uno squallido motel in cui mi ero imbattuta, stanca e assonnata, alla fine della mia corsa senza meta. Ero stata costretta a fermarmi, o probabilmente il cuore mi sarebbe scoppiato dallo sforzo.
Non mi dispiaceva. Sentivo vicino il colore della muffa, di quelle pareti rovinate dal tempo. Erano opache, tristi. E non mi facevano sentire sola. Avevano lo stesso colore della mia tristezza.
Tanto non avevo bisogno di tutti i confort di un hotel a cinque stelle. Mi bastava un letto, anzi nemmeno quello, per quel che dormii. Mi serviva solo un rifigio.
Un rifugio dove piangere in solitudine e dove affogare nelle mie stesse lacrime.
Intorno a mezzogiorno una signora venne a bussare alla mia porta, e da come reagì capii di non avere proprio un bell’aspetto.
“Buo.. buongiorno.. spero di non averla disturbata.. sono la donna delle pulizie.. mi avevano detto che la camera sarebbe stata libera a quest’ora.” Disse, mentre trascinava con fatica il secchio d’acqua che non mi sembrava nemmeno troppo pulita.
“Mi scusi. Ha ragione. Adesso vado via.” Le sorrisi. Un sorriso stanco, un sorriso finto. “Prego entri. Prendo le poche cose che ho portato con me e la lascio lavorare.”
Fece un cenno con il capo. Entrò in stanza silenziosamente e iniziò a guardare per la stanza con aria sospettosa. Scrutava gli angoli, i comodini, la spazzatura.
“Non troverà una siringa o qualcosa del genere. Non si preoccupi.” Scocciata, uscii in fretta lasciandomi alle spalle quel mio piccolo, e momentaneo, rifugio.
L’unica cosa che feci prima di lasciare l’albergo fu di andare nel bagno, comune per giunta, dell’edificio.
Non ci trovai tanta sporcizia, a differenza delle mie previsioni.
Mi guardai nello specchio, scheggiato in più punti e con addirittura un angolo mancante. Sembravo un mostro. I capelli erano arruffati, avevo delle occhiaie scure, e i miei occhi erano gonfi fino a far paura. Altro che ritocchino, mi ci sarebbe voluta una ristrutturazione.
Come prima cosa riuscii a far ritornare normali, almeno, gli occhi. Ed era già qualcosa. Per i capelli e le occhiaie c’era poco da fare, dovevo andarmi a comprare un correttore molto potente e trovare un negozio dove comprare un elastico per i miei ricci.
Per il primo non fu molto difficile. C’erano tantissime profumerie e negozi di trucchi, quindi alla fine bisognava solo scegliere in quale entrare. Invece ci misi molto per trovare un cacchio di negozio di accessori.
Mi comprai anche un pantaloncino e una maglietta per cambiarmi. I miei vestiti attuali erano inguardabili.
Potevo tornare nel mio albergo no? Beh.. no. A parte che appena questo pensiero mi sfiorava il cervello, le immagini di Shannon e.. vabbè avete capito. Comunque oltre questo, mi ero persa. Lo capii quando iniziai a camminare per strade totalmente estranee.
Cominciai a vagare per le strade così, senza una meta e una vera voglia di ritrovare la strada per casa. Ero spinta solo dal desiderio di dissolvermi al vento, come i soffioni. Si, volevo essere come quei fiori, che appena toccate dal vento perdono i loro petali e rimangono solo con lo stelo. Volevo perdere il mio corpo, il mio strato esterno, per far vagare senza fine la mia anima.
 
 
Un altro giorno passò, e non tornai.
Iniziai a pensare che fosse tutto un sogno, o un incubo, a seconda dei punti di vista.
Shannon. Jared. Tomo. Emma. Era possibile che me li fossi sognati? Possibile che da un momento all’altro mi potessi svegliare e ritrovare nel mio letto a Roma, ancora al diciotto giugno?
No. No. NO!
Sentivo di impazzire. I miei genitori, la mia adolescenza, i Mars, Shannon. Tutto si confondeva in un grande vortice di forme strane e colori.
E quello che più spiccava tra tutti, era il nocciola degli occhi di Shannon. No, non potevo essermeli sognati. Non quello sguardo profondo che ogni volta mi paralizzava, che mi entrava dentro e mi leggeva.
Ebbi un conato di vomito e mi accasciai sul water di un bar. Erano due giorni e mezzo che non mangiavo, a momenti sarei svenuta. Uscii fuori, mi risedetti e la mia ordinazione arrivò al tavolo. Un caffè davvero forte e un cornetto alla crema. Avrei mangiato il quadruplo normalmente, ma quella era una situazione particolare.
 
 
La mia agitazione non si placò. Avevo bisogno di certezze.
Iniziai a girovagare così, senza meta, per tutto il pomeriggio. Ad un certo punto, ebbi un presentimento. Mi ero allontanata parecchio dal secondo albergo, e una strada piano piano iniziò ad essermi sempre più familiare. Con il cuore in subbuglio, e la testa che reclamava qualche risposta, mi fiondai giù per una rampa di scale alla mia sinistra.
 
 
Un’altra lacrima scese. La riacchiappai con il dorso della mano, con rabbia perché non volevo versarne più.
Stavo davanti un enorme muro di mattoni, sulla parte più estrema della spiagga. Era quella spiaggia, quella in cui io e Shannon andammo il terzo giorno in Sardegna. La seconda che visitammo.
Il mio cuore batteva senza fermarsi. Era stato lui a guidarmi. Nel profondo, sapevo che tutto quello che mi era successo era stato reale.
Iniziai a scorrere la parete, aggiungendo ai passi le mani che strisciavano lente. Accarezzavo i mattoni ruvidi, e le firme fatte con i pennarelli indelebili. Era usuale, che chiunque andasse su quella spiaggia scrivesse sul muro il proprio nome e la data della visita. C’era anche un marocchino con proprio una bancarella di pennarelli. Erano tante. Tantissime.
Finalmente la trovai, quella scritta. Quella scritta fatta con un pennarello rosso. La nostra scritta.
Avevo lasciato scriverla a lui, con la sua grafia chiara ed elegante.
 
  Veronica e Shannon. 29 Giugno 2011.
 
Iniziai a piangere ancora e ancora. Mi riempiva il petto di amore e di tristezza quell’immagine. Era vero. Era TUTTO vero.
Quando finalmente metabolizzai la notizia, riuscii a sorridere. Un mezzo sorriso tra le lacrime. Non avrei rinunciato per nulla al mondo ai ricordi di ciò che mi era successo in quel periodo. Nulla, per quanto brutto, eguagliava la felicità e la bellezza dei momenti passati con Shannon. Neppure quello schifo di pseudo-tradimento.
Mi sedetti, e stetti ferma lì, per non so quanto tempo, a fissare il muro. E soprattutto il nostro pezzo di muro.
Passò il tempo, e anche le lacrime smisero di scendere.
Solo un attimo, staccai lo sguardo e guardai verso la strada. Con nessuna ragione logica. Mi girai d’istinto.
E da lontano lo vidi. Vidi lui. Vidi Shannon. Camminava, anzi si trascinava, per la strada.
Mi avvicinai per scrutarlo meglio, e mi nascosi velocemente dietro una pianta.
Quasi mi spaventò.
Aveva occhiali scuri, la schiena incurvata e i vestiti peggiori di quelli che avevo io in borsa. Sembrava un barbone. Arrivò Tomo, e notai che anche lui era stanco. Si avvicinò al maggiore dei fratelli Leto, e lo scosse. Riuscii a leggere dal labbiale solo poche parole come “torniamo” “stanco” “troveremo”.
Davvero mi stavano cercando da tre giorni? Dall’aspetto di Shannon sembrava che la risposta fosse affermativa.
Li guardai allontanarsi. Cavolo quanto mi mancavano. Cavolo quanto mi mancava Shannon.
Scossi il capo, e ebbi un giramento di testa.
“Oi che ci fai tu nascosta tra le piante?” un ragazzo mi si era avvicinato. Era come uno di quei surfisti che ti aspetti di trovare solo nelle pubblicità, con un fisico atletico e snello.
“Ehmm..” cercavo una scusa plausibile, ma non ce n’erano. Alla fine feci solo spallucce, e lui rise.
“Ei Emanuele! La tua amica si unisce a noi?” ci girammo, e un gruppetto formato da quattro ragazze e due ragazzi si rivolse al ragazzo di fronte a me.
“Se ne ha voglia!” ammiccò.
“No.. ehm.. devo andare dai miei amici..” non ce la facevo più. Dovevo tornare all’albergo.
“E dove devi andare? Magari ti accompagno io!”
“All’Hotel Castello.” Neanche finita la frase me ne pentii. Stupida impulsiva. Menti almeno.
“Anche tu alloggi lì? Ma sei la ragazza Leto?” ecco dove l’avevo già visto.
“Ragazza cosa?” alzai la voce.
“La ragazza che segue sempre l’altro fratello Leto.. non Jired..” Jired? Oh Santo Tomo!
“Shannon.” Dire il suo nome ad alta voce mi faceva uno strano effetto.
“Dai.. ti accompagnamo” mi sorrise dolce. Un po’ di compagnia non mi avrebbe fatto male.
 
 
“Non mi avevi detto che c’era una festa!” cercai di farmi sentire, urlando da sopra alla musica.
“Ah giusto. È il mio compleanno! Birra?” mi porse una di quelle bottiglie verdi di vetro.
“No grazie.. Auguri comunque!”
“Peccato! Una birra fa bene!” si allontanò.
Tornare indietro era impossibile. Stare lì era uno strazio. Mi sballottolavano a destra e a sinistra, e quel movimento quasi non mi portò un altro conato.
Cercai di almeno spostarmi accanto ad una parete, e finii vicino il tavolo delle bibite.
Vidi una brocca con un liquido di un rosso acceso, quasi fosforescente. Mi versai un bicchiere, e lo agitai un po’ in mano. Una birra fa bene. Non era lo stesso per quel liquido lì?
La buttai giù tutta in una volta, e scese fredda per la gola. Si, mi faceva bene. Riempii un altro bicchiere.
 
 
 
Shannon*
 
Stanco. Stanco. Stanco.
Tre giorni a camminare, a cercare Veronica, a chiedere e a sperare.
Ed era la stanchezza psicologica quella peggiore.
Tomo mi aveva detto di tornarmene in albergo. Torniamo da Emma e Jared. Sei stanco. Sono stanco. La troveremo, anzi tornerà lei quando la rabbia svanirà.
Come un bimbo abbassai la testa e iniziai a camminare verso casa. Anche mio fratello e la sua fidanzata ci raggiunsero, e ci aggiornammo. Nessuna chiamata, nessun avvistamento.
Avviliti, entrammo in un taxi e ci bloccammo nel traffico.
Di male in peggio.
Scoglionato, entrai in albergo senza neppure degnare uno sguardo ad una festa di quei ragazzi ricchi e stupidi, e chiamai l’ascensore.
Mi girai, e trovai il resto del gruppo, invece, con occhi sgranati, rivolti verso la sala della festa.
“Che fate fermi lì?” urlai.
“Non c’è più bisogno di cercare Veronica.” Mi disse Tomo, finalmente, vedendomi avvicinare.
“Cosa?”
“Eccola.” Indicò il centro della pista e capii.
Veronica, con un bicchiere di vodka mezzo vuoto in mano, ballava come una forsennata sotto la luce dei riflettori. Era totalmente ubriaca.
A grossi passi mi avvicinai, ma fui fermato da un buttafuori che mi disse “Senza invito non potete entrare”
Io lo presi per il colletto, digrignando i denti, e lo sbattei al muro.
“Ora tu mi lasci in pace – sputai tra i denti – io prendo la mia amica, e me ne vado da questa festa da quattro soldi!” non glielo dissi, glielo urlai in faccia.
“Ok, ok vai!” disse, impaurito, alzando le braccia come a dire hei, sono innocente.
A forza di spinte e gomitate, mi feci spazio tra la gente e mi avvicinai a Veronica.
“Ehilà! Shannon! Ne vuoi un po’ anche tu? Se ne vuole un poco lo offro anche a quella che stava nel letto con te!” mi guardò acida e poi tornò a ballare.
Io la presi per le spalle, e la feci rigirare. Le presi le gambe e la portai fuori in spalla. Agitava il bicchere, e il liquido si rovesciò sulla mia maglia.
“Lasciami!” urlava poco convinta.
Dissi agli altri di non preoccuparsi, e la portai in camera sua. Quando la misi giù, uno schiaffo potente si abbattè sulla mia guancia. Dopo quel rumore sordo, un silenzio pesante scese nella stanza.
“Cosa vuoi da me?” con rabbia si morse il labbro, cercando di trattenere le lacrime che ormai scendevano sulle sue guance.
“Cosa te ne frega adesso di me? Cosa te n’è mai fregato di me? Che c’è, fino a quando ti facevo comodo andavo bene, ti piaceva giocare con me. Ma poi il tuo pene aveva bisogno di altro che io non ero ancora disposta a darti no? Ecco a voi SHANIMAL. L’uomo che non può impegnarsi perché non ragiona con il cuore, ma con quello che ha nei pantaloni!” intanto era entrato anche Jared, che la guardava scioccato.
“Ah ecco l’altro fratello! Che mi state per dire? Che era tutta una scommessa? Adesso mi sembrerebbe anche logico. Shannon ha scommesso che mi avrebbe portato a letto, e Jared ha detto di no. Per questo mi avete presa, no? Quanto avete scommesso?”
Le tolsi il bicchiere da mano, e la spinsi sul letto. Le tolsi le scarpe, e la coprii con le coperte.
Perché Shannon? Perché? Io ti amavo. Io ti amo. Io ti amerò per sempre. Perché? Perché?” Piangeva, e i singhiozzi la facevano sobbalzare.
Idiota.
Idiota.
Idiota.
Ero solo un grandissimo idiota.
Mi chiusi in camera, andai al frigo bar e presi dell’alcol. Alcol forte. Iniziai a bere. Più bevevo e più tutto si dissolveva.
L’unica cosa che ricordo, è che quella notte piansi. Come mai in vita mia. 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13: Sinapsi. ***


Alloraa.. sono passata da un trattenermi dal scrivere un capitolo al giorno, a deprimermi perché non trovo il modo. Cavolo, questo capitolo era troppo importante per arrangiarlo. Quindi, dopo tanta fatica, eccolo! Purtroppo non posso fare più tardi delle 11 la sera al pc, altrimenti la mattina  a scuola non mi fanno entrare più! Spero che mi riparino in fretta il computer, senò impazzisco. E prego per la scuola che deve finire presto! ._. comunque, ringrazio, veloce, a JessRomance, RosaBuò, __EmTale__,  BhuddaForMary993LOVEISNOTACOMPETITIONGiuliFucking_Punk_Angel__Giuli e  Topsy_Kretts ! Ringrazio anche Nicoletta, di cui non conosco il nome qui, ma che mi fa i complimenti sempre su facebook! 
Buona lettura, e buona notte! Sperando di risentirci presto! :) 
Buona lettura! 


Capitolo 13: Sinapsi
 
Veronica *
 
La testa mi girava terribilmente. Sembrava che stessero usando un martello pneomatico proprio sulle mie tempie.
“Oddio basta..” bisbigliai nella solitudine della mia stanza, e cercai di fare forza sul gomito destro per sollevarmi, ma mi ci vollere due o tre tentativi prima di riuscirci. Mi portai la mano sinistra davanti al volto, e cercando di allargare tutte le dita per coprire l’intera fronte, feci pressione con i polpastrelli per far attenuare il mal di testa.
Ma nulla.
Con la mano sinistra ancora in faccia, mi diedi una spinta maggiore così da alzarmi completamente. Tolsi le gambe da sotto le lenzuola, e mi accorsi che indossavo ancora i panni del giorno prima. Mi accorsi anche che ero tornata nell’albergo, nel mio albergo.
Cosa cavolo era successo?
Cercai di frugare nella mente i ricordi della sera precedente, e dopo un po’ riuscii a dissolvere quella fitta nebulosa che mi oscurava la memoria. Iniziai a ricordare qualcosa: ero andata sulla spiaggia, avevo visto Shannon, e poi avevo conosciuto quei ragazzi che mi avevano portato all’albergo. Fin qui tutto ok. Ma poi? Ricordavo pochi particolari. Discoteca. Una musica insopportabile. Tanta, tanta gente che mi soffocava. E un bicchiere che si svuotata e rirempiva di un liquido rosa. Anzi, no, rosso.
Mi ero ubriacata.
E poi? Come ci ero finita in camera mia? Uno strano pensiero fece breccia nel mio cervello.. possibile? Possibile che uno di quei ragazzi si fosse approfittato di me perché non ero in me? Ci pensai un po’, e poi mi guardai. No, non era possibile. Chi si sarebbe preso la briga di rivestirmi dopo aver abusato di me? Nessuno.
Ma allora?
Tutti quei pensieri mi fecero avere una fitta ancora più forte alla testa, e feci giusto in tempo a correre in bagno per vomitare.
I capelli inguardabili, la faccia cadaverica. Era molto peggio delle sbronze adolescenziali che mostravano dei film. Nessuna rendeva idea della vera confusione e del vero stato pietoso in cui si trovava una persona dopo una sbornia. Come per Requiem for a dream. È il mio film preferito, e non perché c’è Jared, ma perché è stato il primo film che mi ha stravolto, che mi ha sconvolto. Se facessero vedere ai ragazzi film come quello, invece di cose stupide come “Scusa ma ti chiamo amore” il tasso dei giovani drogati precipiterebbe.
Non avevo mai avuto intenzione di drogarmi, ma vedendo quel film iniziai a schifare la droga più di quanto non facessi già.
Se avessero fatto un film del genere anche sull’alcolismo, non avrei versato neppure una goccia di quella cosa rossa nel bicchiere. E non l’avrei mai più versato, a costo di finire col deprimermi tutta la serata nella mia stanza.
Dopo quella promessa, fatta accasciata accanto al gabinetto della mia camera, cercai di rimettermi in sesto. Mi alzai, continuando a tenermi con la mano sinistra la fronte. Ma il mal di testa non passava.
Decisi di scendere alla reception, dove qualcuno sicuramente avrebbe saputo darmi un’aspirina.
Uscii dal bagno, e prima di varcare la porta che dava nel corridoio cercai di rendermi presentabile. I risultati furono scarsi e, rassegnata, mi avviai nella hall.
Una donna, sulla trentina, mi fissò arrivare, più o meno neutra. Mi avvicinai, e cercando di sorriderle le chiesi un’aspirina.
“Wow.. – disse, cercando in un cassetto - .. vi siete messi d’accordo?”
“Come scusi?” dissi, non capendo il senso della frase.
“No, nulla. Non è la prima persona che mi viene a chiedere un’aspirina, e che per giunta non ha partecipato alla festa che c’è stata qui ieri sera.” Disse, sorridente, mentre mi porgeva la mia unica salvezza.
“Ah davvero?”
“Si. È venuto quell’uomo.. quel cantante.. – Jared? – anzi no quel batterista. Il fratello è un cantante. I signori Eto?” chiese, più a se stessa che a me.
“Shannon Leto?” risposi sorpresa.
“Si lui! Esatto!” Shannon aveva avuto bisogno di un’aspirina? Era malato?
Con un ‘Grazie’ appena accennato la lasciai, e iniziai a rimurginare salendo le scale. Era plausibile che non stesse bene, viste le condizioni in cui era il giorno prima. Mi morsi il labbro, presa dai sensi di colpa. Si era ammalato  a causa mia?
Appena salito anche l’ultimo scalino, alzai lo sguardo e scorsi Jared. Stava camminando per il corridoio, con il suo solito Blackberry in mano. Mi venne una stretta allo stomaco a guardarlo. Erano tre giorni che non ci vedevamo.
“JARED!!” urlai, correndo. Mi preparai a saltargli addosso, ma non appena si accorse che ero io la persona che lo chiamava, assunse uno sguardo ostile. Con le braccia a mezz’aria mi bloccai, delusa. Mi aspettavo qualcosa di più. Sapevo che mi avrebbero fatto una ramanzina per essere scomparsa, ma se reagiva così voleva solo dire che non le ero mancata.
Mi passò accanto, ignorandomi e voltandosi dall’altro lato.
“Jared!” gli afferrai il braccio.
Lui si girò, con sguardo più acido di prima.
“.. Lo so di aver sbagliato.. però.. mi aspettavo un’accoglienza leggermente diversa..”
“Anche io. – alzai la testa, fino a quel momento china - ..Molto diversa.” Disse sprezzante.
“Che?” sgranai gli occhi.
“Lo sai benissimo. Ieri sera, quello che hai detto. Non hai solo disintegrato Shannon, hai fatto male anche a me. Io che non c’entravo nulla.” Leggevo nei suoi occhi, dietro quello strato di durezza, delusione, sofferenza.
“Ma quale ieri sera?” Ferito lui? Disintegrato Shannon?
“Ieri sera, quando mio fratello ti è venuta a prendere ubriaca alla festa di quei quattro sfigati. Quando l’hai schiaffeggiato e insultato. E poi te la sei presa con me.” Iniziai a tremare.
“Ma io.. non mi ricordo niente..” li occhi mi si riempirono di lacrime. Lui mi guardò, prima distaccato, poi sofferente.
“Vieni che ti spiego.” Mi cinse le spalle, e quella solitudine che sentivo pesare nel mio cuore fino a poco prima sparì.
 
 
Ascoltai le sue parole, incredula. Quella non ero io. Io non avrei mai detto e fatto quelle cose.
Quando finì di parlare, finalmente riuscii a porre la domanda che mi torturava dall’inizio, e che Jared stava palesemente evitando.
“E.. Shannon?” abbassai gli occhi a guardare le mie mani che si torturavano a vincenda. Ero seduta sul comodissimo letto di Leto junior, a gambe incrociate, mentre lui mi fissava dall’altra parte del letto.
“Vorrei tanto non dirtelo. Ma non ti voglio mentire. Shannon era da tre giorni che ti cercava senza dormire, ed era da tre giorni che mostrava tue foto alle persone per ricostruire la strada che avevi percorso. Ha persino litigato con Tomo. E lui non litiga mai con Tomo.” sottolineò il mai. “Se vuoi non continuo..” mi disse.
Io scossi la testa, e senza guardarlo bisbigliai “Continua.”
“Ieri notte, quando è uscito dalla tua stanza.. beh, non era lui. Era distrutto. Sembrava un fantasma. Si è chiuso in camera e.. non augurerei a nessuno di trovare il proprio fratello come ho trovato lui io, questa mattina. Stava disteso a pancia sotto sul letto, mezzo vestito, con una bottiglia ancora nella mano, che penzolava dal bordo destro del letto. Aveva due occhiaie enormi, e bottiglie, tutte vuote, lo circondavano. Quando l’ho svegliato, si è portato le mani in faccia. Ha preso una sbronza, ma di quelle pesanti. L’ho costretto a calci ad andarsi a prendere un’aspirina. E..” indugiò vedendomi piangere, ma con un gesto delle mani gli feci segno di proseguire. “Adesso è chiuso in camera, da solo. Non accetta nessuno.” Mi portai le mani sul volto, e piccoli singhiozzi mi scossero.
Lui mi avvolse nel suo abbraccio caldo, e iniziò a battere le mani sulla mia spalla, per incitarmi.
“Veronica.. non lo dico solo perché è mio fratello. Lo dico per te. Così non concluderete nulla. Perdonalo, non ti ha del tutto tradito. Perdonalo, o vi distruggerete.”
Scossi violentemente la testa, scattai in piedi e scappai nella mia stanza. Nessuno toccò più quell’argomento, cercarono solo di consolarmi, di starmi vicino.
 
 
Il giorno dopo fecero un’intervista. Partirono per una città vicina, e io e Emma rimanemmo sole. Pizza e film. Non avevo le forze per uscire a fare spese o solo a fare una passeggiata.
Accennò solo al fatto che grazie a me ora stava con Jared, ma chiuse il discorso dopo nemmeno una frase.
“Puoi parlare benissimo di voi due.. – le dissi - … non sono tipo gelosa o qualcosa del genere. Sono felice per te, escludendo la situazione in cui mi trovo.” Le sorrisi, e lei mi abbracciò. Iniziò a parlare del regalo che le aveva fatto Jared, un Blackberry uguale al suo, e di tutti i momenti felici. C’era una punta di gelosia nella sua felicità, ma la ignorai. Doveva stare bene, almeno lei.
 
 
Il mattino dopo l’intervista, i ragazzi portarono a tutti una copia del giornale.
Lo lessi tutto d’un fiato, e quando finii corsi incavolata al tavolo della colazione.
Sbattei il giornale sul legno, e tutti sobbalzarono per lo spavento.
“Che cavolo vi viene in mente?” dissi, tutto d’un fiato.
“Ma sei impazzita?” urlò Jared, di rimando. Sentii anche gli occhi di Shannon addosso, ma cercai di evitarli.
“No voi siete impazziti. Tre persone, tre dischi. Questo è tutto.” Citai le parole di Tomo. “Ma che vi salta in mente?”
Nessuno mi rispose, e continuai. “Lo sapete a quante Echelon state facendo soffrire? A quante Echelon verrà un colpo? Fosse almeno vero! Tu hai nuove idee e nuovo materiale per un nuovo disco, quindi che cavolo dite queste cose ambigue?” infuriata, non diedi neppure il tempo di controbattere. Girai le pagine, cercando il punto che mi interessava. “La band sta facendo dure rivelazioni. Qualche tempo fa disse in una televisione spagnola che avevano intenzione di ritirarsi o fare una pausa alla fine del tour. Il verbo usato può essere interpretato in vari modi, quindi non si può fare altro che aspettare e vedere come andrà a finire.” Lessi, quasi accavallando le parole. “Vi siete bevuti il cervello? Voi NON POTETE SCIOGLIERVI!” ero diventata rosso peperone, e mi mordevo il labbro con forza. Mi ferii, e sentii il sapore del sangue in gola.
“Non abbiamo intenzione di scioglierci..” disse, finalmente, Jared, alzando la testa.
“E allora?” non gli diedi il tempo di finire.
“E allora siamo stati costretti. La Virgin non ci da altra alternativa. Dice che così ci sarà una maggiore vendita per questi concerti, se si pensa che non ce ne saranno altri..  abbiamo le spalle al muro.” Disse, mortificato.
Scossi la testa indignata, e lasciai il gruppetto al tavolo.
Prima di essere l’amica di Emma, la persona che Jared e Tomo difendevano e aiutavano, e la ragazza che aveva una relazione complicata con Shannon, ero una Echelon. E tutto ciò era inconcepibile.
 
 
Per un po’ non parlai con nessuno, poi Tomo venne a bussare alla mia porta e mi disse che a loro dispiaceva più di tutti dire quelle cose, ma non dipendeva da loro. Mi resi conto che erano, più o meno, le vittime della situazione, e quindi abbracciai il mio piccolo santo protettore e poi andai a scusarmi con Jared e Shannon, che, fortunatamente, trovai insieme. Non avrei potuto parlare solo con Shannon, e infatti, pur rivolgendomi al plurale, guardavo solo il cantante.
Lui, stranamente, mi disse che avevo ragione. Per lui i Mars erano vita, e dire quelle cose lo uccideva.
 
 
I giorni passavano, e io cadevo ancora di più in depressione. Mi aggiravo come uno zombie per i corridoi, quando uscivo, altrimenti mi rinchiudevo in camera.
La situazione peggiorò quando, in una delle mie passeggiate mattutine verso la terrazza, incontrai la persona che meno volevo vedere. Da quel momento, ridussi le mie uscite al minimo indispensabile.
Una donna, alta, magra, e con due tette che risultavano rifatte persino a tre o quattro metri di distanza, era ferma a parlare al cellulare appena dopo l’ultimo gradino delle scale.
Era tanto bella da schifarla. Sapevo di non poter competere con lei.
Era la prima volta che avevo quel pensiero. Qualunque cosa succedesse, non riuscivo a non amare Shannon. Era mascherato da delusione, ma era amore.
Prima che mi potesse vedere, girai i tacchi e iniziai a camminare, senza dare nell’occhio, verso la mia camera.
“Ehi tu!” come non detto!
Feci finta di non aver sentito, fino a quando non mi tocco la spalla. Mi girai, e la vidi da più vicino. Aveva folte ciglia, labbra giganti, difficile pensare che un chirurgo non le avesse toccate, e occhi leggermente schiacciati, ad accentuare una specie di selvaggità nel suo essere. Il suo sguardo era lo sguardo di una pantera.
“Se sta cercando Shannon non lo so dov’è, chieda a qualcun altro.” Dissi secca. Stavo per rigirarmi, quando mi richiamò.
“Non cerco Shannon. Cerco te.”
“E perché mai?” dissi, estremamente scocciata.
“Perché.. non lo so. Di solito non voglio.. aiutare le persone. Ma.. beh, questo casino l’ho combinato io.  E l’ultima persona a cui volevo far del male era Shannon. Non abbiamo nessun legame, ma lui mi ha lasciato un bel ricordo delle due o tre volte che ci siamo visti. Non scendo nei particolari.” Disse, facendo un sorriso sarcastico.
Feci uno sguardo schifato, e gli risposi. “Non mi interessa. Le cose si fanno in due. E tu.. lo sai bene no?” non mi sforzai neppure di sorridere. Rimasi solo ferma a braccia conserte ad affrontare il suo sguardo.
“Non mi interessa quello che pensi di me. Ho visto Shannon qualche giorno fa quando sono venuta a vedere cosa era successo con te. Era distrutto, e mi ha solamente ucciso con il suo sguardo. Non ha voluto nemmeno ascoltare le mie scuse. Volevo anche parlare con te, ma suo fratello mi ha consigliato di non tornare più.”
“E perché non hai seguito il suo consiglio?”
“Lo so che non mi sopporti. Lasciami spiegare, però. Shannon non ha fatto nulla, è tutta colpa mia.”
“Ah certo, e stava nudo sotto di te, così, per caso. Ma fammi il piacere.” Quello era troppo. Stavo per andarmene, quando mi fermò per la seconda volta.
“Lui non era in lui. Era un fantasma. L’ho più o meno costretto, era distrutto dal fatto che tu fossi fidanzata con il fratello. Mi ha addirittura quasi picchiata perché ‘non ero all’altezza neppure di allacciarti le scarpe’..” disse, rialzandosi uno dei due manici che era caduto dalla sua spalla destra.
“Non mi interessa. Spero di non rivederti mai più.” Girai i tacchi e finalmente la lasciai sola, senza possibilità di trattenermi oltre. Dovevo stare sola. Dovevo riflettere.
 
 
Shannon*
 
Era una delle tante giornate da schifo che stavo passando. L’amore mi faceva schifo. Io mi facevo schifo.
Cercavo in tutti i modi di uscire dal mio corpo, di diventare un altro, di abbandonare il perfetto idiota che ero stato e diventare una fenice, libera di volare nel cielo. Spensierato.
Per fortuna o peccato, a seconda dei punti di vista, che mio fratello aveva severamente vietato alle cameriere e a qualsiasi altra persona dell’albergo di portarmi dell’alcol, a costo di pagarle.
E addio anche all’ultima possibilità, anche se solo per qualche ora, di essere fuori di me.
A drogarmi non ci pensavo proprio, e quindi dovevo rimanere lucido nella mia depressione.
Solo qualche tempo prima, i concetti di me e depressione erano due calamite con la stessa polarità, che si respingevano a vicenda. Adesso, invece, sembrava quasi che si attraessero.
Uscii fuori dalla camera. Mi sentivo allo stesso tempo protetto e oppresso da quella camera, però ormai la vedevo più come una prigione che come un rifugio. Mi bloccai, vedendo Veronica parlare con Jennifer, e poi andarsene arrabbiata. Che cavolo stava facendo?
A grandi passi raggiunsi il luogo dove le avevo visto parlare, ma arrivai troppo tardi per parlare con la prima.
“Che le hai detto?” ringhiai, prendendo per le spalle quella donna che mi stava creando solo fastidi, e girandola per guardarla negli occhi.
“Niente. La verità.” Mi disse, con quella sua solita calma glaciale, che la rendeva ancora più fastidiosa.
“Non sono fatti tuoi. Non sono mai stati fatti tuoi. Maledetto il giorno in cui ti ho conosciuto!” mi stavo sfogando su di lei, anche se sapevo che la colpa non era tutta sua. Anzi, era più che mia, che l’avevo lasciata spogliarmi senza muovere un muscolo. Stupido.
“Ah Shannon. Prima eri più divertente.” E se ne andò, come se le mie parole non l’avessero neppure scalfita.
 
 
“Hallelujah Praise to the brave and insane Hallelujah Blessed the crazed to remain” canticchiava Jared, mentre arrivavo al tavolo della colazione.
Gli diedi un ceffone dietro il collo, in modo da farlo sbilanciare in avanti e fargli perdere la concentrazione.
“Ehi!” disse, mentre tutti ridacchiavano. Veronica accennò solo un sorriso. Scossi leggermente la testa, e iniziai a parlare con Jared del disco.
Mi sentivo osservato, ma non girai lo sguardo, per non farla imbarazzare. Sapevo che mi guardava lei, perché ogni volta che lo faceva sentivo un brivido alla schiena,e mi veniva la pelle d’oca, come in quel momento.
“Veronica..” disse Emma, e mi girai quasi subito. Vidi la ragazza alzarsi dal tavolo, con le lacrime agli occhi, e andare via. Mi passò accanto, perché scappò fuori invece che salire in camera, e allungai il braccio per toccarla. La sfiorai, e quel contatto fece nascere un brivido sia in me che in lei. Tutti mi guardarono tristi, e mi portai le mani in faccia.
L’avevo distrutta. La continuavo a distruggere.
Mi girai, con tutta l’intenzione di chiarire quella schifo di situazione. Ma mi ritrovai davanti Veronica tra le braccia di un altro ragazzo. Il cuore mi si fermò, e iniziai a tremare. Strinsi i pugni, e diedi un cazzotto sul tavolo.
“Shannon..” mi ammonì Jared.
Io lo ignorai, e lanciai un altro sguardo assassino a quel giovane. Avevano più o meno la stessa età, era alto e perfetto, e non aveva lo sguardo e l’impressione di un barbone alcolizzato.
“Shannon!” mi urlò più forte mio fratello. Mi alzai e corsi in camera mia.
 
 
Veronica*
Stavamo facendo colazione tutti insieme, quando iniziai a guardarlo.
Aveva la barba incolta, peggio del solito, gli occhi cerchiati da pesanti occhiaie ed era dimagrito. I capelli arruffati, e i lati della bocca curvi verso il basso. Anche quando fingeva un sorriso, erano i suoi occhi ad essere tristi.
Sentii una fitta allo stomaco, nemmeno mi avessero dato un pugno. Era tutta colpa mia.
Mi accorsi di avere gli occhi in lacrime solo quando Emma mi chiamò preoccupata.
Fuggii via, verso l’aria, verso il sole. E quell’unico contatto, flebile e breve, mi diede una scarica elettrica. Ne avevo tanto, troppo bisogno, e iniziò a schiarirmi le idee.
 
Nemmeno uscita, quando mi appoggiai al muro, sentii una voce chiamarmi. Maicol, il mio vecchio compagno di scuola. Era stata la persona che più si era avvicinata ad un amico durante la mia vecchia, e ormai lontanissima, vita.
Eravamo i due “strani” della classe. La ragazza sola, che tutti, senza che me ne fregassi, definivano emo, e il ragazzo con i gusti strani.
Era una persona sensibile, la più sensibile che conoscessi. Rischiarì un po’ il mio cielo grigio, almeno per pochi mesi, della mia adolescenza. Mi aveva accompagnato nel mio amore per i Mars, i primi tempi. Mi ascoltava, senza battere ciglio. Ascoltava i miei noiossissimi discorsi tutti i giorni, monotoni e quasi sempre uguali; eppure non si lamentava, anzi era felice a vedermi felice. Purtroppo, i suoi genitori lo portarono lontano da me troppo troppo presto.
Ci abbracciamo, riconoscendoci dopo molto tempo, e notai che era diventato un uomo. Spiegammo velocemente quello che avevamo fatto negli ultimi tempi, e sentendo che ero entrata nel team dei Mars, si stupì.
“Ce l’hai fatta! La ragazza Leto! – disse, e si affacciò verso il resto del gruppo - .. ma che ha combinato Shannon? Sembra un barbone e mi guarda come se mi volesse uccidere!” abbassai lo sguardo, e capì.
“Anche tu stai male. Per me se puoi, dovresti farci pace”. La verità mi schiaffeggiava, ma mi ostinavo a non guardarla. Avevano ragione, tutti. Anche il mio cuore, che ormai urlava.
Un ragazzo, probabilmente il fidanzato,lo chiamò. Ci salutammo, non con un addio, ma con un arrivederci.
 
 
Non potevo aspettare che facesse tutto Shannon, perché sapevo che ero io a decidere. C’era bisogno di un punto di incontro. Sinapsi, ecco la parola. Dovevo crearla io.
Salii in fretta le scale, sotto uno sguardo raggiante di Jared, Tomo e Emma. Spalancai la porta, incurante delle conseguenze dell’ultima volta che l’avevo fatto.
“Lasciami stare Bro..” disse, disteso sul letto.
“No, non ti lascio in pace.. – si girò di colpo - .. io e te dobbiamo parlare.” 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14: Come what may. ***


Oddio mi dovrei far lapidare! Non trovo il modo di scrivere! ç__ç Questo non lo posso definire un capitolo, neppure un baby capitolo. E' venuto brevissimo! Quello che avevo progettato all'inizio era molto più lungo, ma non avendo più la possibilità di scrivere capitoli a mio piacimento ho dovuto tagliarlo. Prego Tomo che mi riportino presto il mio computer!! 
Avevo pensato di fare un finale diverso da questo.. ma poi ho cambiato idea! Spero che questa versione vi piaccia di più!
Prima di iniziare a lanciare le pietre, aspettate un attimo che ringrazio un po' di persone! 
Ringrazio JessRomance, RosaBuò
,
 LOVEISNOTACOMPETITIONGiuliFucking_Punk_Angel__Giuli fantasmina97 e Topsy_Kretts
Si manca qualcuno. Manca __EmTale__! A lei, vorrei fare un ringraziamento speciale! In questi giorni mi sta molto aiutando e beh, questa è solo una parte della mia sorpresa!xD 
Anyway, adesso vi lascio al capitolo. Potete iniziare a lanciare le pietre! 
Buona lettura!

 

Capitolo 14: Come what may.
 
Veronica*
 
Shannon si alzò dal letto, cercando di rendersi presentabile.
“Ver.. Veronica.. e di cosa dobbiamo parlare?” aveva iniziato ad avvicinarsi, ma vedendomi portare le braccia strette al petto, quasi in posizione di difesa, arrestò la sua avanzata.
Il mio primo desiderio, appena avevo incrociato il suo sguardo, era stato di saltargli addosso, di stringerlo fino a far diventare il suo profumo il mio profumo.
Ma non potevo. Non ancora.
“Lo sai di cosa dobbiamo parlare.” Lo guardai, con sguardo severo. Non ero così forte, ma era necessario che fingessi di esserlo. Quando iniziai di nuovo a guardare quegli occhi sofferenti, strinsi la presa delle mie dita sulle braccia, e sentii le unghie lasciare i segni sulla mia pelle bianca.
“Va bene. Chiedimi quello che vuoi sapere.”
Mi cullai un po’ nel suono di quella voce che tanto avevo voluto riascoltare, che nell’ultimo periodo avrei voluto tanto che fosse indirizzata a me.
“Ormai conosco la versione dei fatti di tutti. Quella di Jared, quella di Emma, quella di Tomo. Persino quella di quella donna.. – feci una smorfia ricordando il nostro unico incontro - ..ma non conosco la tua versione.”
“Ero nervoso. Ero triste. Avevo il sospetto che avessi una storia con mio fratello. L’ho incontrata in terrazzo, ha cercato di sedurmi, ma l’ho respinta. Sono venuto qui in camera, e lei mi ha seguito. Mi ha sbattuto la verità in faccia, ha reso reale quello che fino a quel momento avevo respinto. Sono stato stupido, dovevo venire a chiedere a te, invece che stare a sentire lei ma.. non l’ho fatto. Semplicemente. Sono caduto in una specie di trans, e lei mi ha spogliato. L’ho lasciata fare, e poi sei entrata tu. Non abbiamo fatto nulla, alla fine. Questo è quanto. Ti ho detto tutta la verità, non posso fare nulla più.”
“Questo è quanto? Ti rendi conto quanto schifo sono stata? E adesso tu, così calmo, mi vieni a dire queste quattro parole pensando che bastino? Dimentichiamo tutto, dai! Fingiamo che non ho visto nulla! Fingiamo che non mi hai baciata, che non mi hai illusa, e che poi non ti sei fatto trovare nel letto nudo con un’altra!” dissi, nel tono più acido che abbia mai sentito uscire dalla mia bocca.
Nemmeno finita la frase, mi avviai verso la porta, con l’intezione di uscire da quella stanza e di non rientrarci mai più.
Era giusto così. Li avrei lasciati, sarei tornata alla mia monotona, semplice vita. Sarei stata la ragazza di prima, la solita Echelon sfegatata. Li avrei sognati da lontano, avrei aspettato la data del loro prossimo concerto, e mi sarei ritenuta fortunata a guardarli da qualche metro. Quella sarebbe stata la mia vita. Quei pochi mesi sarebbero stati un sogno, quel dolore al petto sarebbe scomparso a poco a poco. O forse no.
Iniziai a piangere solo al pensiero di tornare a fare le semplici cose di prima. Non ci sarei mai riuscita.
“Ma pensi che per me sia stato facile? Ho sofferto come mai in vita mia in questi giorni!” sentii urlare alle mie spalle.
Perché doveva essere così maledettamente difficile? Perché non riuscivo semplicemente a lasciarlo andare?
Mi raggiunse, mi afferrò il polso e mi fece girare.
“Volevi sapere la mia versione dei fatti? Bene, aspetta di sentirla tutta.” Si avvicinò pericolosamente a me, e trattenni il respiro per non essere invasa dal suo odore irresistibile. Il muro stava crollando, mano a mano che il tempo passava, un mattone alla volta, si sbriciolava. “Già da prima che venisse quella in questa camera stavo male. Tu adesso stai pensando al tuo dolore, ma hai mai immaginato il mio? L’altro giorno, quando eri ubriaca, hai detto di amarmi.. – a questa frase sgranai gli occhi - .. ma hai mai pensato ai miei sentimenti nei tuoi confronti?” era come una diga, che fino a quel momento aveva trattenuto tutte quelle parole che ora uscivano con forza devastatrice dalla sua bocca.
“Si, Veronica, i miei sentimenti. Tu non sei la mia semplice pseudo assistente. Non sei come una sorella, come per Jared. Non sei come una figlia da proteggere, come per Tomo. Non sei come un’amica, come per Emma. Tu per me sei molto di più. Tu sei la donna che io amo. Sei la donna per cui metterei in pericolo me stesso. Sei la donna per cui morirei. Si, ti amo. Ti amo più della mia musica, della mia batteria, del mio lavoro. Più di me stesso. Più di Tomo. Più di Jared. Ed è per questo che mi sono sentito morire quando pensavo che tu e Jared stesse insieme. Mio fratello e il mio unico grande amore. Come potevo sentirmi secondo te? E peggio, è per questo che sono diventato un barbone alcolista, quando ogni singolo momento mi ricordavo di quanto ti facevo soffrire, di quando il mio stesso essere un totale imbecille mi aveva tolto la felicità dalle mani. Eri come una farfalla per me, una farfalla che amava stare tra le mie mani. Ma non ho saputo proteggerti, da me stesso per prima cosa, e ho lasciato che tu volassi via. Come puoi prendere una farfalla? Come posso farti tornare da me? La decisione è tutta tua. Sei tu che devi decidere di tornare tra le mie mani. Anche se ti ho fatto soffrire.”
Il suo sguardo era implorante, i suoi occhi erano lucidi. La testa mi girava terribilmente, e sentivo il cuore pulsare frenetico da qualche parte del mio corpo. No, lui ti ha fatto male. Ti ha deluso. No. No. Era il mio cervello. Era il mio orgoglio che sussurrava quello che era più logico fare. Però, prima che potessi dargli ascolto, un’altra voce coprì l’altra, urlando talmente forte che ignorarla era impossibile. TU LO AMI. TROPPO PER LASCIARLO ANDARE. Feci la cosa più insensata, ma la più ovvia. Ascoltai il mio cuore.
Gli buttai le braccia al collo, e lo strinsi talmente forte da strangolarlo. Mi aggrappai a lui, come ci si aggrappa ad un salvagente per non affogare.
In quel momento capii che senza di lui non potevo sopravvivere.
“Ti amo. Ti amo. Ti amo.” Come una cantilena, ripetei quella frase più e più volte, mentre le lacrime mi rigavano il volto, e anche lui strinse le sue braccia intorno al mio corpo.
Avevo il viso costretto nell’incavo del suo collo, e i fiumi che mi uscivano dagli occhi scendevano giù, fino ad insinuarsi sotto la sua maglia. Mi stringeva forte, e intanto le sue labbra sfioravano i miei capelli.
Dopo un po’ di tempo in quella posizione, non so quanto, si staccò leggermente da me e prese il mio volto tra le mani. Asciugò le ultime lacrime sotto i miei occhi, e finalmente riuscii a sorridere. Un sorriso vero, un sorriso spontaneo.
Never knew I could feel like this Like I've never seen the sky before, Want to vanish inside your kiss”* iniziò a canticchiare, guardandomi negli occhi. Quasi mi immersi nei suoi, quel giorno verdi con le sfumature nocciola.
Suddenly the world seems such a perfect place. Suddenly it moves with such a perfect grace.Suddenly my life doesn't seem such a waste.It all revolves around you.”* Continuai, con lo stesso tono basso che aveva usato lui. Presi la sua mano, e lui lasciò che le mie dita si intrufolassero negli spazi fra le sue.
Come what may.”* Dicemmo, insieme, alla fine.
Lentamente avvicinò la mia testa alla sua. Le sue labbra si poggiarono sulle mie, e ci demmo il nostro vero primo bacio. Portai l’altra mano sui suoi capelli, e feci scivolare i polpastrelli tra le diverse ciocche. Erano più lunghi del solito, e mi piacevano così.
Iniziammo a baciarci sempre con più foga.
Quel momento era perfetto, il migliore della mia vita.
Piano piano, senza neppure accorgercene, ci trascinammo accanto al letto. Caddi all’indietro e mi ritrovai tra le morbide lenzuola. Ci staccammo solo per un attimo, giusto per rimirare la persona davanti a noi, e poi le nostre mani tornarono ad afferrare con forza la carne calda dell’altro.
Delicato, si appoggio su di me, e iniziò a baciarmi il collo.
Do you really want? Do you really want me?” iniziai a cantare al suo orecchio. Non avevo la voce di Jared, ma riuscii a non stonare. Spostò la testa, così da portare i nostri volti uno di fronte all’altro.
“Ti amo. Ti voglio. Adesso.” ** Mi disse lui, gli occhi in fiamme e il volto a pochi centimetri dal mio.
Rialzai leggermente la schiena, così da tornare a baciarlo. Le sue mani corsero veloci ai miei fianchi, e mi sfilarono la maglietta. Io lo copiai e gli tolsi la sua. Il suo corpo era una delle cose più belle che avessi mai visto. Quei muscoli forti mi abbracciavano e mi chiudevano in una gabbia in cui mi sentivo protetta. Il suo torace incollato al mio mi riscaldava, e la sua barbetta mi sfiorava facendomi il solletico.
Fu una lunga notte. La notte in cui le nostre anime si fusero per diventare una sola.
 
 
*Questi sono pezzi della canzone ‘Come what may’ di Moulin Rouge.
** Questa invece è una frase di Eclipse. Adesso non mi lanciate i pomodori in faccia, se togliamo i film, e tutto il business che c’è intorno, è un libro bellissimo! 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15: Giochi o non giochi? ***


Oddio è stato un parto ma ce l'ho fatta! Ecco qui un altro capitolo! Scusate il ritardo, lo so, ma non ho ancora il mio computer D: Spero che leggendo questo capitolo mi perdonerete! 
Ringraziamenti veloci: Grazie a _EmTale_, JessRomance, RosaBuò, Topsy_Kretts, LOVEISNOTACOMPETITIONGiuli, Fucking_Punk_Angel, _Giuli e BasketCase. Scusate se non ho risposto alle vostre recensioni, rimedierò oggi! Vi voglio solo dire che le ho lette e mi avete fatto piangere! :') 
Grazie mille a tutte, adesso buona lettura! 



Capitolo 15: Giochi o non giochi?
 
 
Una mano disegnava strane figure, cerchi e linee curve, sul mio braccio. Tutto mi sembrava strano, non capivo dove mi trovassi, fino a quando non spalancai le narici e un odore, quell’odore, si fece spazio nel mio naso.
Shannon.
Era suo quel braccio che, caldo, mi avvolgeva.
Ero immobile, accovacciata tra il suo corpo e i suoi possenti muscoli, nemmeno fossi intrappolata sotto la sua ala e lui fosse il mio angelo custode.
Probabilmente, lo era davvero.
Continuava a sfiorarmi, e ad un certo punto mi venne la pelle d’oca. Quasi sicuramente se ne accorse, ma io feci finta di nulla.
Volevo che quel momento si prolungasse per sempre, che fossimo stati, fino alla fine, solo io e lui, avvinghiati sotto quel lenzuolo di seta. Avrei potuto fare a meno anche del lenzuolo.
Quasi come a dirmi che tutto ciò era impossibile, Shannon iniziò ad accarezzarmi i capelli e mi disse con voce bassa: “Ancora non hai imparato la lezione? La dovresti smettere di fingere di dormire.”
Mi spostò la ciocca che mi copriva il volto, giusto in tempo per vedere gli angoli della mia bocca incurvarsi verso l’alto.
“Si, hai ragione. Meglio non farla finire come l’altra volta.” Risposi, ancora ad occhi chiusi, ma muovendo l’indice su e giù per il suo bacino.
Con forza, proprio mentre il mio dito si stava avvicinando al suo capezzolo destro, prese il mio mento e lo tirò su, così da potermi guardare in faccia. Io aprii i miei di occhi, e iniziammo a fissarci.
Silenzio. Non c’era bisogno di parole.
Frasi silenziose viaggiavano dai miei occhi ai suoi, e viceversa, attraversando milioni e milioni di corde di acciaio che, ormai, ci tenevano legati saldamente l’una all’altro.
Facendomi forza con il braccio, uscii dalla sua dolce trappola, e avvicinai il mio volto al suo. Con la mano destra mi aggrappai al suo collo, e lo baciai. Lui ricambiò, concludendo con una risatina.
“Come siamo diventati sfacciati, signorina. Solo due settimane fa appena ti toccavo arrossivi e il tuo cuore prendeva il volo, e adesso mi bacia lei.”
Finse disaccordo, ma un sorriso si disegnò sul suo volto.
“Mi fa ancora lo stesso effetto, signore. Ma se non mi bacia lei la bacio io.”
Rise ancora, avvicinò di nuovo la testa alla mia, ma questa volta fu lui a baciare me.
“Buongiorno Leto.” Gli dissi, tornando con la testa poggiata sul suo petto.
Bum, bum, bum. Sotto il mio orecchio, con solo la pelle a dividerci, sentivo il suo cuore battere regolarmente e con vigore.
Era il suono più bello che avessi mai sentito, anche più bello della sua voce.
“Buongiorno a lei.” Disse, sottovoce.
Non avevamo intenzione di muoverci da quella posizione; la giornata precedente era terminata così, e adesso toccava iniziare quella nello stesso modo.
Ripensai alla notte che era appena passata. Ringraziavo di avere la faccia coperta, perché arrossire, in quel momento, davanti a lui, sarebbe stato imbarazzante.
Era stato tutto perfetto.
Lui era diventato parte di me, e io parte di lui.
Era una cosa incredibile, ma era vero: io e lui ci appartenevamo.
Una lacrima di gioia scese dalla mia guancia, ma me ne accorsi solo quando toccò la sua pelle. Lo sentii muoversi, e portai subito la mano al volto per asciugarmi quelle che stavano per cadere.
“Ma che fai, piangi?” disse incredulo.
“N.. No..” cercai di rispondere. Come attrice ero negata.
Si alzò, così da sedersi e potermi guardare. Io mi girai, mi misi accovacciata con lo sguardo rivolto verso il comodino. Sentivo che mi guardava, e ci mise poco a tornare all’attacco.
Mise il suo braccio sinistro vicino al mio bacino, senza lasciarmi via di fuga. Si avvicinò a me e, veloce, mise l’altra mano sulla mia spalla e mi tirò giù, costringendomi a pancia all’aria. Cercai di non incrociare i miei occhi con i suoi, guardavo il soffitto, i mobili, ma evitavo lui che ormai era sopra di me, a rinchiudermi come una gabbia.
“Invece di fingere che io non ci sia, mi spieghi perché stai piangendo?” Non vedendomi rispondere, continuò: “Se ho fatto qualcosa di male.. qualunque cosa.. me lo devi dire..”continuavo con quell’ostinato, e per altro immotivato, silenzio. “Se vuoi me ne vado..” disse, deluso.
A quelle poche parole una fitta mi attraversò il cuore, girai la testa di scatto e puntai i miei occhi nei suoi.
“Idiota, posso mai volere che tu te ne vada?” cercai di tirarmi su, ma lui mi tenne ferma.
“E allora..”
“Allora sono felice. È semplicemente questo. Sono felice perché questa notte è stato stupendo. Sono felice perché ti amo.” Dissi, tutto d’un fiato, con il cuore a mille.
Rise, e si stese di nuovo vicino a me. Mi tirò, questa volta con più dolcezza, e mi invitò a tornare al mio posto. Riportai la testa sulla sua spalla, e lui mi abbracciò.
“Sai.. – iniziò - .. questa notte per me è stata speciale..”
“Certo, come no. Sarà stata come tutte le altre.” Lo interruppi. Però, l’unica risata nella stanza fu la mia. Alzai lo sguardo verso di lui, che mi guardava interdetto.
“Che scema che sei! Lo sai che sono stato con tante donne ma.. con loro era diverso. Con loro era semplice e puro sesso, solo per saziare l’animale che è in me. Con te è stato amore. Mi sento per la prima volta bene, davvero bene. Completo.” Gli occhi mi si riempirono ancora di lacrime, e lui mi scoccò un bacio sulla fronte.
“Ancora che piangi tu?” mi disse, sorridendomi affettuoso.
“No.. non piango più..” mi passai il dorso della mano sugli occhi, e ricambiai il suo sorriso.
Cominciò a muovere la mano su e giù per il mio braccio, provocandomi leggeri brividi.
Alzai la testa leggermente, così da poter guardare il mio miracolo personale. Era bello, bello da far paura. Bello come un sole. Bello come un dio.
“Mi stai fissando.” Disse, ad un certo punto.
“Ti sto guardando” replicai, imbarazzata.
“E’ inquietante.” Disse, ancora ad oggi chiusi.
“E’ romantico.” Sorrisi. Lui finalmente aprì i suoi occhi, verdi quella mattina, e mi fissò per due secondi. Poi prese il cuscino, e se lo mise in faccia. *
“Ma..” rimasi a bocca aperta, ferma davanti a lui. Proprio in quel momento, però, la porta si spalancò. Senza vedere chi fosse, mi coprii con il lenzuolo, mentre la persona troncò la sua frase a metà. “Bro non trovo più Vero..” Stupido Jared. C’è uno di noi che sa bussare prima di entrare in una stanza?
Shannon, leggermente imbarazzato, ma composto come se non fosse la prima volta che succedeva, si tolse il cuscino dalla facca e disse ironico: “L’ho trovata io!” e scoccò un occhiolino al fratello.
Io ero ormai accovacciata contro Shannon, affondavo la faccia rossa come non mai nel suo petto, mentre Jared iniziò a ridere. Che vergogna.
“A dopo piccioncini..” disse, sbattendo la porta. Più che scherno, nella sua voce c’era felicità. Che stupida, come avevo fatto a non pensarci. Shannon stava finalmente bene. Dopo quei giorni che aveva passato per colpa mia ora era felice. E come poteva Jared, che aveva visto suo fratello in uno stato più che pietoso, non essere gioioso nel vederlo ridere?
“Mio fratello è un disastro. Scusalo..” disse Shannon, a metà tra l’imbarazzato e il divertito.
“No, sono io il disastro. Mi dispiace.. per.. insomma.. quello che ti ho fatto passare..”
“Non ti preoccupare. La colpa è stata tutta mia. Non so come hai fatto tu a perdonarmi. Ma adesso siamo qui, Tu ed io. Questo è tutto ciò che importa. L’unica cosa a cui hai il permesso di pensare. ** Su, tra poco facciamo colazione. Vestiti e scendiamo. ” Mi diede un ultimo bacio veloce, prima di andare in bagno.
“A proposito.. con quella barba sembri un barbone.” Gli dissi, ridendo. “Fattela più corta.”
“Che ne dici se mentre mi faccio la barba tu vai a prendere nella tua stanza i tuoi vestiti, e poi ci facciamo una doccia veloce insieme?” il mio cuore iniziò a battere frenetico, e vedendo la mia faccia lui rise, aggiungendo. “Ti do dieci minuti. Poi ti aspetto sotto la doccia.”
Si girò di nuovo, e si chiuse la porta del bagno alle spalle. Non me lo feci ripetere due volte. Indossai veloce i vestiti del giorno prima, e corsi fuori per andare nella mia stanza.
 
Shannon*
 
Mi guardai allo specchio. Avevo davvero la faccia di un vecchio barbone. La barba e i capelli sembravano voler superare quelli di Tomo.
Decisi di andare dal parrucchiere al più presto possibile, e intanto presi la schiuma dall’armadietto alla mia destra e me la spalmai iniziando dal mento.
Fattela più corta. Mi aveva detto Veronica. Quindi probabilmente non voleva me la togliessi tutta, ma che tornassi ad avere quella di prima. Fui molto attento, perciò, a non rasarmi completamente.  Vidi il mio viso quasi rinascere, e mi sentii ancora meglio.
Possibile che io, Shannon Leto, dipendessi da una donna?
Se qualcuno me lo avesse detto qualche mese prima, gli avrei riso in faccia. Però Veronica.. era diversa. Aveva tirato fuori il meglio di me, e mi aveva reso un uomo migliore.
Mi sentivo bene come mai in vita mia, mi sentivo completo, sentivo che avevo trovato il pezzo di me che mi mancava. La amavo. Per la prima volta, mi ero innamorato. E l’amore era una cosa bellissima. Lo vedevo sotto un altro aspetto ora.
Mi fiondai sotto la doccia. I dieci minuti erano passati, e a momenti sarebbe arrivata.
L’acqua calda iniziò a scendermi giù per il corpo, e il senso di pace che avevo provato fino a quel momento si amplificò. Sentii la porta cigolare, e sorrisi. Ero curioso di vedere come sarebbe entrata Veronica. Era abbastanza sfacciata da entrare per cogliermi di sorpresa? No, esclusi subito quella possibilità. Avrebbe aspettato vicino alla porta fino a quando non gli avessi detto io di entrare? Possibile. Dopo pochi secondi, vidi una mano che si poggiava, timida, sull’anta di fronte a me. Con un gesto spontaneo, cercai di far coincidere la mia mano con la sua. Più della sua entrata, mi stupì il mio gesto.
Con l’acqua ancora aperta, feci scivolare l’anta sulla destra e afferrai il suo polso. Lei sorrise, e si fece trascinare dentro. La doccia era grande abbastanza per contenere un’altra persona, eppure noi ci tenevamo vicini, stretti, come per sottolineare l’appartenenza dell’uno all’altra.
 
 
Veronica*
 
Sembrava non essere cambiato niente. Eravamo tutti e cinque a tavola, anzi adesso sei, come prima del mio litigio con Shannon, a ridere e a scherzare. A noi, quella mattina, si era unita anche Vicky. Era una donna esile nell’aspetto, il più delle volte dolce, ma aveva uno sguardo autoritario. Nelle loro discussioni, vedevo che dava filo da torcere a Tomo, e che soprattutto era molto intelligente. Diceva cose più che giuste, molto profonde. ***
Io, però, ancora non riuscivo a credere che davvero questo cambiamento tra me e Shannon non aveva mutato nulla. Eppure, dopo aver fatto la nostra non più veloce doccia, eravamo scesi mano nella mano nella hall e Shannon aveva detto, sotto lo sguardo mezzo allibito, mezzo entusiasta di tutti: “Vi presento la mia fidanzata!”
Io ero arrossita, ma poi Tomo mi si era fiondato addosso stritolandomi in un abbraccio e la tensione si era sciolta.
Tutti avevano gioito vedendoci, perché nessuno sopportava più quella situazione.
Decidemmo, il pomeriggio, di andare a farci un giro per festeggiare.
Tutti eravamo accoppiati, ci tenevamo mano nella mano come dei ragazzini alla loro prima cotta. Io e Shannon, Vicky e Tomo, e Emma e Jared. In quel momento riuscivo ad essere veramente felice anche per loro due, che avevano trovato grazie a me, modestamente, la felicità.
Iniziammo a girare per le strade, e ad un certo punto vidi delle ragazze sgranare gli occhi davanti al nostro gruppo. Erano Echelon, l’avevo capito dal primo sguardo. Iniziarono a farsi più vicine, ed io strinsi un attimo la presa, prima di lasciare la mano a Shannon. Lui le guardò, per poi dirmi: “Cosa c’è, ti vergogni di farti vedere con me?” scossi la testa, sorrisi, e mi allontanai dal gruppo.
Emma mi seguì subito dopo, e l’unica che ebbe qualche tentennamento fu Vicky. Era molto gelosa, si era capito dall’inizio. Solo quando vide una delle ragazze commuoversi, si unì a noi.
Guardavamo i nostri fidanzati da lontano, fare foto e firmare autografi.
Le due che stavano vicino a me, iniziarono a scalpitare.
“Ma non sei gelosa?!” mi disse ad un certo punto Emma.
Con le braccia conserte, non toglievo gli occhi dal mio batterista. “Si. È ovvio che sono gelosa ma.. ho fiducia in Shannon. Non voglio rovinare la nostra storia per due ragazze con cui fa una foto. Soprattutto perché prima di essere il mio ragazzo, è Shannon Leto, il batterista dei 30 seconds to mars. E prima di essere la sua ragazza, io sono una Echelon. E, sinceramente, se lo avessi incontrato per strada come hanno fatto loro, avrei voluto poter illudermi che per quei due minuti fosse mio, e non che una ragazza gelosa non mi facesse nemmeno avvicinare. Quindi, va bene così. Ho fiducia in lui.” Dissi, più per convincere me che loro.
Rimasero a bocca aperta, ma si tranquillizzarono.
Gioiosa, lo vidi tornare, e ripresi la sua mano.
“Potevi rimanere, comunque. Voglio farlo sapere a tutti che sei la mia ragazza.” Mi disse, avvicinandosi al mio orecchio. Un piccolo brivido trapassò la mia schiena, al tocco del suo alito dolce sulla mia pelle.
“Naaa..” dissi, quando riuscii a riprendere fiato. Gli spiegai, molto velocemente, quello che avevo detto anche alle due.
“Ma come siamo saggi..” mi rispose, alla fine del mio ragionamento contorto. Mi scoccò un bacio sulla guancia.“E’ davvero inutile che tu sia gelosa. Io sono tuo.” Mi disse, alzando le nostre mani intrecciate all’altezza della faccia per sottolineare il concetto.
Quasi mi sciolsi, ma a rompere l’atmosfera fu Jared. “Dato che qui qualcuno.. – disse, indirizzandoci uno sguardo arrabbiato - .. non sa cosa vuol dire stare in gruppo, dividiamoci. Ogni coppia avrà un po’ di intimità. Ci rivedremo all’albergo.” Fece un segno con la mano, e ci salutammo.
A parte le nostre mani intrecciate e qualche parola un po’ più dolce che ci scambiavamo, io e Shannon facevamo esattamente le stesse cose di qualche settimana prima. Davvero ci eravamo sempre comportati come una coppietta?
Mentre ragionavo su questo, vidi con la coda dell’occhio un oggetto colorato dentro un negozio. Rimasi a bocca aperta davanti la vetrina, per poi entrare lasciando Shannon fuori. Lui mi seguì immediatamente, e mi vide imbambolata di fronte un giocattolo.
“Non sei più una bambina, lo sai?” mi schernì.
E là in fondo al cemento abbiamo condiviso il sogno della nostra infanzia, il sogno di un amore senza fine.” **** Dissi, a bassa voce.
“Che?”
“E’ un film. È stupendo.” Presi in mano quella specie di giostra, su cui era costruita tutta la trama, e andai verso la cassa.
Ovviamente, Shannon non mi diede neppure il tempo di poggiare l’oggetto sul bancone, che tirò fuori il portafoglio.
“Il lupo perde il pelo ma non il vizio, eh?” dissi, scocciata. Lui fece spallucce.
Quando uscimmo dal negozio, mi chiese cosa significasse quel giocattolo.
“Nel film ci sono questi due ragazzi, che fin da bambini si sfidano attraverso questo..- agitai leggermente la mano destra, dove impugnavo l’oggetto della nostra discussione - ..chi aveva in mano questo lanciava una sfida, che l’altro doveva accettare. La sfida partiva quando l’uno diceva all’altro Giochi o non giochi? Chi accettava la sfida, quando la portava a termine poteva lanciare la sfida all’altro.” Rimasi incantata a guardare il giocattolo nelle mie mani. Era una giostra, quelle dove ci sono i cavalli che girano in tondo. Era tutta colorata, metteva allegria.
Intanto non sentivo Shannon rispondermi, e mentre alzavo lo sguardo, lo vidi sfilarmi, divertito, il giocattolo dalla mano destra.
Non ebbi neppure il tempo di chiedergli cosa stesse facendo, che si buttò in mezzo alla via, tra le imprecazioni e i clacson delle auto che passavano.
“Vieni qui e baciami! Giochi o non giochi?” urlò, mentre con il braccio alzato mostrava il giocattolo. Era una sfida, dunque.
Guardai lo sguardo divertito di alcuni, quello curioso e quello scandalizzato di altri. Solo quando vidi una macchina che lo stava per schiacciare, mi fiondai verso di lui e lo baciai.
“Mmm.. mi piace questo film!” disse, alla fine. Mi trascinò via, prima che qualcuno ci uccidesse sul serio.
Iniziammo a camminare. Stavo aspettando la sfida giusta da proporgli.
“Entriamo a mangiare qualcosa?” disse, fermandosi e indicando un locale alla sua sinistra. Era un ristorante francese.
Arricciai il naso. Odiavo quel tipo di ristorante.
“Non ti piace?”
“No. Preferisco quello!” e indicai un Mc Donald sull’altro lato della strada. Lui dapprima mi guardò come se cercasse di capire se fossi seria, poi acconsentì titubante.
Non era il cibo che mi faceva impazzire, era quell’aria allegra, quell’aria viva che stava in posti come quelli. Quell’aria che non avrei mai trovato in un ristorante francese. La presenza dei bambini, delle famiglie, dei ragazzi. Della semplicità insomma.
Mentre aspettavo Shannon con l’ordinazione, assaporai tutta quella vita che c’era attorno a me. Mi soffermai sulla figura di un neonato. Era grassottello, bello e faceva tanta tenerezza.
“Tu sei un universo da scoprire..” sentii Shannon alle mie spalle, e mi girai vedendolo con il vassoio in mano.
“Perché?”
“Sei come un diamante. Hai tante sfaccettature. Sei una delle poche donne che preferirebbe un Mc Donald ad una cena a lume di candela, e sei così giovane ma ami già i bambini. Voglio scoprirti. Voglio passare la vita a leggere ogni tua singola sfaccettatura.” Gli sorrisi. Il concetto passare la vita mi piaceva, e non poco.
Quando mi porse il mio panino, iniziò a farmi delle domande. Se mi piaceva leggere, che libri leggevo, quali erano i miei film preferiti. Parlai tanto, troppo quella serata. E non erano neppure domande importanti, erano sciocchezze.
Mentre mi stava chiedendo qual era la mia cucina preferita, una canzone catturò la mia attenzione.
“Questi versi te li dedico..” dissi, con il dito puntato verso le casse.
Kiss me, k-k-kiss me
infect me with your love, and fill me with your poison
take me, t-t-take me
wanna be your victim, ready for abduction
boy, you’re an alien, your touch so far away
its supernatural, extraterrestrial

*****
“Me la dedichi?” disse, dolce.
“Si, tu sei il mio Marziano.”
“E allora perché hai scelto proprio me, tra tutti quelli della tua razza?” questa volta era curioso.
“Perché neppure io sono terrestre. Siamo due stranieri in terra straniera, giusto? Era destino che ci incontrassimo.”
“Ti piacciono proprio le nostre canzoni, eh?”
“Le amo.” dissi, sorridendo.
Mentre vedevo lui ridere, con la coda dell’occhio mi accorsi di una figura alla nostra sinistra. Era un anziano, nell’angolo più lontano, che con lentezza si alzava per andare via.
Mi venne un’idea strana. Un’idea contorta. E se..?
Afferrai la mini giostra che stava sul tavolo, guardai Shannon con tono di sfida, e parlai:
“Devi palpare quel signore. Giochi o non giochi?” lui mi guardò incredulo. Ero davvero impazzita. Sostenni il suo sguardo, e lui capì che non scherzavo.
Rimase per due minuti fermo, immobile.
Poi si alzò, camminò verso il vecchio e a si fermò a quasi un metro. Si girò, e mi guardò implorante. Io gli feci segno di proseguire, ridendo.
Quando si avvicinò, e portò la mano sul sedere del vecchio, quello sussultò e si girò incredulo. Iniziarono a conversare, e da quello che capii Shannon fingeva di non aver fatto nulla. Ebbi un’idea, e mi fiondai su di loro.
“Zio, dove vai! – lo presi per il braccetto, poi mi girai verso il signore e iniziai a scusarmi - .. mi dispiace tantissimo! Davvero, mi scusi! Mio zio soffre di una brutta malattia.. la Shannite”! – dissi, celando una risata - .. è davvero una brutta malattia, e sta ad uno stadio avanzato! Non sa quel che fa!” Shannon iniziò a fare la parte del malato, e il signore da infuriato divenne apprensivo.
“Non si preoccupi! Mi dispiace tanto per lei! Si vede che non è in un bello stato..” scosse la testa, e tornò dalla moglie. Tirai Shannon, in modo da allontanarci da lì. Iniziai a ridere talmente forte da piegarmi in due, mentre lui mi guardava contrariato.
Dopo un po’ anche lui iniziò a ridacchiare, e tornammo a fare il nostro giro per negozi.
 
 
Vedevo Shannon macchinare qualcosa, e solo dopo un po’ capii che stava cercando la sua vendetta. Che stupida, gli avevo fatto palpare un signore anziano, era ovvio che adesso mi facesse fare qualcosa di altrettanto imbarazzante. Non potevo mai immaginare cosa in realtà stava macchinando.
Ad un certo punto, dopo aver svoltato un angolo, Shannon mi fece bloccare e mi sfilò dalle mani il giocattolo. Lì iniziai a guardarmi intorno, fino a quando non vidi un negozio, lo stesso  che stava vedendo lui, e pregai Tomo che non fosse quello.
Era un negozio con delle luci al neon colorate che invadevano la vetrina, piena di oggetti strani, parrucche, e strani vestiti.
Shannon mi guardò, rise, e alzò all’altezza della mia faccia l’oggetto.
“Entra in quel sexy shop e compra qualcosa che userai stasera, per me. Giochi o non giochi?” esattamente quello che mi aspettavo, ma che non volevo.
“No, dai! Ti prego! Non ci sono mai entrata e poi non so usarle..” cercai di fare gli occhioni dolci, ma lui non si scalfì neppure e ribatté: “Ah perché, secondo te io vado in giro a palpare gli anziani?”
Avrei riso, se non fossi stata disperata.
Mi trascinai verso quel negozio, nemmeno fossi un soldato che sa di andare verso la morte.
 
 
“Rimani con la benda, fa parte del gioco..” urlai, dal bagno di camera sua. Ancora non sapevo come avessi potuto accettare quella sfida.
“Va bene..” sentii la sua voce, eccitata, dalla camera.
Uscii dal bagno, con un baby doll striminzito, con tacco tredici, con una specie di frustino nella mano destra, e facendo ruotare delle manette nella sinistra. Shannon era immobile sul letto.
Mi avvicinai, mi abbassai all’altezza dell’orecchio, e gli dissi, sottovoce, “Che i giochi comincino..”
Con una lentezza assurda, lo spogliai. Sembrava un animale che stava per essere liberato dalla gabbia, scalpitava, quando invece, al contrario, la libertà gliela stavo per togliere.
Gli sfioravo la pelle, ed ad ogni tocco lui sussultava. Mi ero fatta dare gli oggetti più semplici dalla commessa dal negozio, ma il frustino proprio non sapevo come usarlo. Quindi lo riposi sul letto alla sua sinistra. Lo feci distendere, e mi misi sopra di lui.
Quella notte, per una sola volta, fui io il cacciatore.
 
 
Quanto vorrei che fosse andata davvero così.
 
 
Uscita dal bagno, barcollavo. Iniziai a camminare come una papera, e ringraziai che lui fosse bendato. Mi avvicinai sempre di più al letto, e quando preparai le manette, inciampai e mi caddero sotto al letto.
Imprecai. Shannon non capiva cosa stessi facendo.
Indietreggiai per vedere dove fossero finite, ma inciampai, caddi all’indietro, e nella caduta diedi pure una frustata a Shannon.
Imprecò. “Ma che diamine stai facendo?” disse, levandosi la benda e massaggiandosi il braccio destro.
“Sono un disastro!” urlai, scaraventando quei maledetti tacchi dall’altro lato della stanza.
Iniziò a ridere. Io lo guardai storto, cercai di alzarmi e di darmi un contegno.
“Dai non è tutto sprecato” disse, afferrando un lembo del mio baby doll. “C’è sempre questo che, direi, ti sta divinamente.” Scossi la testa, e feci per andarmene.
Lui, più veloce, mi afferrò un braccio e mi trascinò sul letto.
Prima che riuscissi a parlare, si mise sopra di me e mi sussurrò all’orecchio: “Adesso lascia fare a me. Se permetti, sono più bravo.” Iniziò a baciarmi. Prima che potessimo andare oltre, presi dal comodino la giostra, la misi davanti alla sua faccia, e gli lanciai l’ultima sfida della serata.
“Amami. Giochi o non giochi?” sorrise, e ricominciò a baciarmi.
La serata andò molto meglio, nelle sue mani.
 
 

  • *Scena Stelena! Aww *-*
  • ** Breaking Dawn.
  • *** Io Vichy me la immagino un po’ così, poi ovviamente non so com’è realmente xD Grazie a __EmTale__ che mi ha aiutato a completare la descrizione.
  •  **** Amami se hai il coraggio. Tutto quello che ho detto del film è vero.
  • ***** Katy Perry. E.T.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16: Come in una fiaba. ***


Buongiorno! Eccomi qui, ancora con un altro capitolo! Mi dispiace di averci messo tanto, ho il computer ma non avevo ispirazione! Brutta cosa :S 
Ringrazio chi ha recensito il mio capitolo precedente, e cioè: _EmTale_, JessRomance, RosaBuò, __Giuli e Basket Case! Grazie mille di seguirmi sempre! Ringrazio ovviamente anche quelli che non hanno recensito, ma che continuano a seguire la mia storia in silenzio! 
Adesso, senza altri indugi, buona lettura! 


Capitolo 16: Come in una fiaba.

 
La luce mi accarezzò il volto.
Sentii la consistenza di una pelle muscolosa e soffice sotto il mio orecchio. Shannon.
Era tanto bello quanto inaspettato, che ogni mattina lui fosse ancora lì. Era un mese che stavamo ufficialmente assieme, eppure mi aspettavo ancora che da un momento all’altro, qualcuno mi svegliasse e scoprissi che tutto quello fosse un sogno. E invece, lui era sempre lì. Iniziavamo la giornata abbracciati, e la finivamo nello stesso modo.
Ormai vivevo nella sua camera da pochi giorni dopo il nostro fidanzamento.
Una sera, di ritorno da una passeggiata, ci stavamo avvicinando alla reception per prendere le chiavi.
“Le chiavi delle camere 62 e 63..” dissi, alla signorina.
Prima che lei potesse voltarsi verso una bacheca alle sue spalle, Shannon si intromise e mi corresse.
“Solo la 62, ci scusi..” lo guardai stranita, ma lui mi zittì.
Salimmo le scale, mentre lui giocava con il suo mazzo di chiavi.
“E come entro nella mia camera? Non ho ancora il potere di attraversare i muri.” Fece fare un ultimo giro alle chiavi, prima di portarle all’altezza della serratura.
“Ti sei accorta che ultimamente entri nella tua camera solo per prendere i vestiti? E ogni volta devi fare doppia fatica?” a quel punto girò la mano, e un sonoro click si udì per il corridoio.
Lui spinse la porta, e i miei bagagli comparvero accanto alla cabina armadio.
Rise, portò l’indice sotto il mio mento, e fece pressione per chiudere la mia bocca aperta.
Entrò nella stanza, lasciandomi sconvolta allo stipite della porta. Solo quando riuscii a metabolizzare la notizia, mi riscossi, presi la rincorsa e gli saltai sulle spalle. Le sue braccia afferrarono con prontezza le mie gambe prima che la forza di gravità le riportasse a terra, e mi ritrovai aggrappata a lui come una scimmia. Iniziammo a ridere, e mentre io gli baciavo il collo, lui si dimenava come a liberarsi di me.
“Pulce scendi dalle mie spalle?” disse, divertito.
“No!” gli scoccai un altro bacio, proprio sulla Triade, prima che lui si avvicinasse al letto, si girasse e si lanciasse  all’indietro.
“Così mi schiacci!” urlai, lasciando la presa sul suo collo e rimanendo inerme sul letto.
Si alzò, e tornò su di me, questa volta in modo da guardarci negli occhi.
“Scimmia! Adesso non mi baci più?” disse, raggiante.
“Volevo solo ringraziarti, eh! Adesso non lo faccio più, così ti impari!” dissi, mettendo su il broncio. Ormai non eravamo più quindicenni, eppure ci comportavamo peggio.
“Ma no! Dai! Tanto lo sai che ti amo, no?” disse, mettendo su il musino. “E poi me l’avresti chiesto tu, prima o poi!”
“No, caro. Non voglio pesare.. – prima che potesse dire qualcosa, poggiai le dita sulla sua bocca, che già si preparava a contestare le mie parole -.. non sono ancora sicura che tu mi ami comunque. Me ne sto convincendo, ma posso essere certa solo del mio amore per te.”
“Stupida che sei! – disse, scostando le mie dita – ..se non ti amassi non saremmo qui.”
Ci rotolammo un po’ nelle lenzuola bianche. Non avrei mai potuto neanche pensare che io sarei diventata la fidanzata di Shannon Leto, e nemmeno nei miei sogni più belli avevo mai immaginato quella gioia immensa invadermi il petto.
 
 
Mi rallegrai con quel pensiero. Bel modo di svegliarsi.
“Buongiorno Raggio di sole..”  mi disse, accarezzandomi i capelli. Alzai lo sguardo, e ritrovai i suoi occhi fissi su di me. Era assurdo quando mi guardava così. Come fossi il premio anziché la vincitrice, sfacciatamente fortunata. *
“Da quanto tempo stai lì a fissarmi?” chiesi, ancora stordita dal sonno. Lui invece sembrava lucido, come se si fosse svegliato da tempo.
“Un po’..” disse, con la sua solita risatina sulle labbra.
“Buongiorno, Leto..” dissi, prima che lui mi scoccasse un bacio sulle labbra.
Era così infinitamente bello stare con lui, anche un semplice bacio assumeva enorme importanza. E trovava sempre il momento adatto per baciarmi. No, qualunque momento sarebbe stato perfetto.
“Oggi facciamo le valigie!” disse, radioso.
“E dove andiamo? Ricominciate il tour?” i miei occhi iniziarono a brillare, più dei suoi. Da quando mi avevano preso con loro, non vedevo l’ora di stare dietro le quinte e di provare con loro la gioia di un concerto.
“No.. non ancora. Passiamo un altro po’ di tempo in pausa, ricominciamo a gennaio, subito dopo l’Epifania..” eravamo agli inizi di settembre, me lo sarei aspettata che saremmo partiti. Ma avrei dovuto aspettare più di quattro mesi. Che delusione.
Vide la mia gioia spegnersi tanto velocemente quanto era comparsa. Continuò: “Andiamo a Los Angeles. A casa mia.” Rimasi esterrefatta.
“E’ molto semplice impressionarti..” disse, ridendo.
Risi insieme a lui. Guardai la camera. “Mi mancherà questa camera..” dissi, malinconica.
“Dai non fare la melodrammatica!” si mise a sedere, e si sgranchì.
“Grazie eh.. qui è iniziato tutto. Voi. Tu. Noi. I ricordi più belli della mia vita sono qui, tra queste mura e in questa città.” Divenni triste.
“Hai ragione. – disse, inaspettatamente – l’Italia mi mancherà. Mi mancherà questa città. Ci torneremo, te lo prometto.” Poi si ricordò di qualcosa, e iniziò a cercare nel cassetto.
Sentivo il rumore degli oggetti che si scontravano. Cercai di alzarmi, ma un improvviso mal di testa mi bloccò. Mi distesi di nuovo, portai la mano sulla fronte e il malessere passò tanto velocemente quanto era arrivato.
Allungai il collo, in modo da sbirciare comunque quello che stava prendendo. Tirò fuori una specie di block notes. “Ecco! C’ho messo un sacco a trovarla su internet, perché è italiana e non mi ricordavo bene le parole, ma l’ho sentita ed ho pensato a te..” iniziò a girare le pagine, e me lo porse quando arrivò a quella giusta.
 
Ti regalerei una stella
Ma non servirebbe a nulla
Luce dopo la tempesta
Un desiderio resterai
Semplicemente stupenda
Unicamente te
Forse un angelo sei.
 
Mi hai catturato l'anima
E l'hai chiusa dentro te
Io non posso più resistere
Incontrollabile
È la voglia di dirti che.
 
Ti vedo ridere
Sei così semplice
Indispensabile sapere che
Per me sei un angelo.
 
Una piccola lacrima voleva scendere sulle mie guance, ma mi ripromisi di non lasciarla andare. Con forza, la trattenni. Leggevo quelle semplici parole, scritte con la bella grafia di Shannon, più e più volte. Fino a saziarmi, fino ad ubriacarmi, fino a riempirmi di loro.
“..solo questo dovevi lasciarmi, un altro ricordo di questo albergo!” gli buttai le braccia al collo, e lo strinsi quasi a togliergli il respiro, talmente forte da disintegrargli la pelle e da fare in modo che si fondesse con la mia.
“Piano, piano..” disse, avvolgendomi in un abbraccio e stringendomi al suo petto caldo.
Mi baciò i capelli, e rimanemmo non so quanto tempo in quella posizione, in silenzio, ma con i nostri cuori che battevano all’unisono.
 
Ci staccammo quando Jared venne a bussare alla porta, dicendo che avevamo altre quattro ore prima di partire. Shannon mi baciò un’ultima volta, prima di andarsi a vestire.
Io avevo bisogno di una doccia.
Mi avviai verso il bagno, ed entrata, preparai il sapone alla vaniglia che mi aveva regalato Shannon. Aveva detto che si sposava benissimo con il mio odore.
Il mio sguardo, però, cadde sull’enorme vasca bianca di fronte a me. Io e Shannon avevamo sempre fatto la doccia, ma non l’avevamo mai usata. Quella era l’ultima volta che potevo utilizzarla, quindi senza nemmeno pensarci aprii l’acqua e ci versai il sapone, così da fare la schiuma. Trovai anche un kit nel cassettino del bagno, dove c’erano tantissime candele rosse al profumo di rosa, e dei petali da gettare sull’acqua che galleggiavano. Mi preparai, e non appena si riempì, entrai nell’acqua tiepida.
Mi ci immersi fino al collo, e chiusi gli occhi per rilassarmi. Perché non l’avevo pensato prima? Era stupendo stare lì dentro, e in più stare in mezzo a quell’odore di lavanda misto a rosa, che si equilibravano perfettamente, rendeva l’atmosfera meravigliosa.
Dopo non so quanto tempo, Shannon mi venne a bussare nel bagno.
“Ma anche quando sei da sola ci metti un sacco a fare una doccia? Pensavo che fosse solo una conseguenza alla mia presenza!” rise. Da parte mia continuava ad esserci silenzio.
“Veronica?” disse, preoccupato.
“Io rimango qui..” riuscii a dire, alla fine.
“Ma che..?” entrò, e vidi mutare la sua espressione da ansioso a rilassato, e poi a ironico.
“Tu sei scema!” disse. Indossava un pantalone con il cavallo basso, delle scarpe bianche, una canotta bianca che a stento copriva i capezzoli, e degli occhiali da sole neri.
Feci un fischio, come uno di quei muratori dei cantieri edili.
“E lei da dove spunta? Mi aspettavo il mio fidanzato ma.. mi accontento!” dissi, con un sorrisetto malizioso. Lui fece il finto arrabbiato, e si avvicinò alla vasca. Si sedette sul bordo, di fronte a me, nell’unica spazio asciutto, per non bagnarsi i vestiti appena indossati.
“Io aspettavo la mia fidanzata, però mi accontento di questa bimba che si è intrufolata nel mio bagno!” disse, afferrando un petalo e rigirandoselo tra le dita. Io gli feci la linguaccia, e presi tra le due mani la schiuma. Le avvicinai alla mia bocca, e soffiai. Tanti piccole palline irregolari iniziarono a volteggiare in aria, e rimasi incantata davanti quello spettacolo straordinario. Quasi brillavano al contatto con la luce, e quando anche l’ultima ricadde nell’acqua, iniziai a battere le mani proprio come bambina. Lui mi guardò tenero.
“Perché non l’abbiamo sfruttata prima? È un peccato..”
“Ne ho una grande uguale anche a casa mia. Se prendiamo l’aereo e ce ne andiamo, te la faccio vedere!” disse, persuasivo.
Ci ragionai un po’ su, e chiesi: “tra quanto tempo abbiamo il volo?”
“Più di tre ore..” prima che potesse terminare la frase, afferrai le sue spalle e lo trascinai giù, affianco a me. Lo vidi riemergere con gli occhiali storti, e la faccia sconvolta. Era bagnato fino alle ginocchia, mentre il resto della gamba si appoggiava sul bordo, lasciando le scarpe intatte all’insù.
“Ed ecco a voi, signore e signori, mister maglietta bagnata 2011!” dissi, battendo le mani e prendendolo in giro. La canotta bagnata, infatti, aderiva al petto, e oltre a mostrare il suo immancabile capezzolo, mostrava le curve dei suoi muscoli.
“Questa me la paghi!” urlò, quando riuscì a riprendersi. Si tolse le scarpe, e lanciò gli occhiali dall’altra parte del bagno. Si immerse completamente nella vasca, e si mise in ginocchio racchiudendo le mie gambe.
“Ohhh che paura!” esclamai, ridendo, e agitando le mani.
Lui iniziò ad avanzare, appoggiò le mani sulle mie gambe e si avvicinò.
“E’ inutile che fai quella faccia, non ti ci vedo da stupratore seriale!” intanto continuavo a ridere, agitandomi e schizzando acqua ovunque.
Lui continuò la sua avanzata, e quando arrivò con le braccia ai fianchi, cambiai faccia e divenni seria. Lui sussultò al cambiamento, ma non smise di  rinchiudermi con la sua gabbia.
Gli presi il volto tra le mani, e ci bloccammo. Ci guardavamo negli occhi senza fiatare. Un silenzio scese nella stanza, rotto solo dal rumore dalle bollicine che scoppiavano.
“Sei la mia vita, lo sai?” dissi, senza ragionare, di slancio. Le buttai fuori in un istante, e quasi me ne pentii. Shannon non mi rispondeva, forse per lui ci eravamo spinti troppo in là. Era davvero pronto ad un passo del genere?
Solo dopo qualche momento, che mi sembrò un’eternità, sorrise e mi disse: “Anche tu sei la mia vita, adesso.” Mi baciò, e quelle tre ore furono un bellissimo addio al nostro albergo.
 
“Dai calmati..” sentivamo Emma parlare con Jared. Eravamo nella lussuosa prima classe, di un lussuoso aereo di una lussuosa compagnia aerea. Jared era infuriato con me e Shannon, che per “fare i maiali gli avevamo quasi fatto perdere il volo”. Parole sue.
Ci eravamo messi nei posti più lontani da lui, grazie a Tomo e a Vicky che ci avevano ceduti i loro, e sentivamo la Diva lamentarsi.
“Sorry L” gli mandai per messaggio. Quando vidi maneggiare il suo BlackBerry, iniziò ad essere più tranquillo. Anche Shannon se ne accorse, e gli diedi una gomitata per zittirlo. Quando era nervoso, il carattere del mio fidanzato non andava molto d’accordo con quello di Jared.
Mio fidanzato.
Mi venne un brivido solo a pensarlo. Non ci credevo. Non ci potevo ancora credere.
Stavamo andando nella sua casa. La sua casa, una cosa che avevo visto sempre come un luogo sacro. Io, impura e sporca, andavo a insozzare quel tempio della perfezione, della bellezza. Penetravo in quel luogo che racchiudeva la storia di Shannon.
Iniziai a guardare le nostre mani intrecciate sul bracciale del sedile. Davvero era pronto a compiere un gesto del genere con me?
Mi torturai con questi pensieri per tutto il viaggio. Non riuscii a chiudere occhio, e mi agitai tanto da disturbare anche il sonno di Shannon. Passammo tutta la giornata in aereo, e arrivammo a Los Angeles con le prime luci dell’alba. La città era addormentata, e i primi raggi di sole si abbattevano sui grattacieli creando un gioco di colori, che faceva in modo che il panorama oscillasse dalle tonalità più chiare dell’arancione, a quelle più scure del rosso.
Era uno spettacolo incredibile, e Shannon sorrise vedendomi incollata al finestrino dell’aereo.
Mancava ancora un po’ all’atterraggio, quindi presi il mio album da disegno e iniziai a tracciare il profilo di Los Angeles.
“E questo?” mi chiese il mio compagno di viaggio, indicando l’album. Me lo sfilò dalle mani, e iniziò a sfogliare le pagine. Più girava, e più gli occhi si allargavano. Arrivò ai diversi ritratti che avevo fatto a lui, e iniziò a sfiorare quei particolari che avevo curato fino all’esaurimento.
“Bro, questa la devi vedere!” si alzò, tra gli sguardi ostili dei passeggeri storditi, e arrivò dal fratello. Gli mise davanti la faccia quello che in nemmeno un minuto era passato dalle mie mani, a quelle di Shannon, alle sue, e si stampò sulla faccia la stessa espressione del fratello.
“Ei! Pure io voglio vedere!” Tomo si unì al gruppo, e dopo un po’ tutti iniziarono a fissarmi increduli. Cercai di alzarmi per riprendere il mio album, ma un capogiro mi costrinse a stare seduta.
“TU! – disse il frontman, puntandomi l’indice contro - .. DEVI fare la copertina del prossimo album.” Iniziò a macchinare qualcosa. Un MIO disegno sul CD dei Mars? No, stavo sognando.
Guardava e riguardava quei disegni, come a studiarne i segreti e a memorizzarne i particolari.
“Adesso hai un ruolo preciso nella band. Contenta?” mi disse, sfoggiando un sorriso che avrebbe bloccato il respiro a chiunque e guardandomi con quegli occhi che erano l’ottava meraviglia del mondo.
Riuscii a dire un vigoroso e gioioso “si”, prima che una scritta rossa ci avvertisse dell’atterraggio imminente e ci facesse tornare tutti al proprio posto.
Los Angeles era.. non si può descrivere. Una meraviglia. Uno spettacolo. E la loro casa, anzi, le loro case, erano ancora meglio. Abitavano tutte nel quartiere delle star. Riuscii a vedere, non so se per fortuna o per soggezione, Johnny Deep. Si, forse l’ho sognato.
Le case di Shannon e di Jared erano vicine, mentre quella di Tomo stava dall’altra parte della strada. Non avevo ancora capito dove dovevo andare a vivere.
“Dov’è l’albergo più vicino?” chiesi, ad un certo punto. Jared e Emma mi guardarono straniti, Shannon un po’ incavolato. Vicky era già lontana, e Tomo si mise a ridere.
“E a che ti serve un albergo?” disse il più grande dei fratelli Leto.
“Non ho una casa a Los Angeles, io!”
“Ci vediamo dopo.” Shannon mi sfilò alcune delle valigie di mano, quelle che poteva portare, e iniziò a camminare verso casa sua.
“Shannon.. Shannon.. Shan!” continuava ad avanzare, senza rispondermi. Presi le poche borse che mi aveva lasciato, e iniziai a seguirlo. “Mi rispondi?” si girò, con sguardo severo.
“Ma secondo te, tu sei la mia ragazza, ti porto a Los Angeles con me, e ti faccio andare a vivere in un albergo? Certe volte dici delle cose proprio assurde!” si rigirò, senza aspettare la mia risposta.
“Ok, scusa!” gli urlai da dietro le spalle.
Lui si fermò, senza voltarsi. “Muoviti, entra in casa.”
Non me lo feci ripetere due volte.
 
La sua casa era un treno che ripercorreva la sua vita. Non avevo mai visto così tante foto tutte insieme, così tanti ricordi compressi in un rettangolo incorniciato. Presi ad attraversare le stanze con il naso all’insù. Shannon ormai si era calmato, e mi fissava in modo da non farsi scappare nemmeno uno dei mutamenti delle mie espressioni. Quella casa era molto più bella di quanto mi ero mai immaginata. Arrivammo poi nella sua stanza, la più grande della casa, dove un angolo era un vero e proprio tempio dedicato alla sua musica. Su una piattaforma, c’era in bella mostra Christine, circondata da pezzi di parete che erano tappezzati da più foto di quante ne potessero realmente contenere. Ed erano tutte foto di concerti, di Echelon, di regali che avevano ricevuto durante la loro carriera. Addirittura, c’era un’asta verticale a cui erano legati tutti i braccialetti fosforescenti che venivano lanciati sul palco. Non avrei mai creduto che li raccogliesse uno per uno a fine serata, e che se li conservasse. Iniziai a sfiorare la superficie di Christine, a delinearne i contorni, con tanta delicatezza come se fosse stato un oggetto fragilissimo.
“Lei è l’unica di cui potrai mai essere gelosa..” mi disse Shannon, con un sorriso caldo sulle labbra.
“E’ l’unica rivale che sarei mai felice di avere.” Dissi, incantata da quell’oggetto così bello.
“La vuoi suonare?”
“Con grande piacere..” mi sedetti davanti quella meraviglia. Lui mi porse le bacchette, e prima che potesse iniziare a parlare, lo zittii. Ripassai velocemente le mie vecchie lezioni di batteria, e iniziai a battere la bacchetta sul tamburo al centro.
Le note di The Kill iniziarono ad aleggiare per la stanza. Il mio cuore iniziò a battere a ritmo con esse, e presi confidenza con quello strumento neppure fosse stato sempre mio. Un velo di sudore si addensò dietro il mio collo, le mie braccia iniziarono a tremare per lo sforzo, ma continuai.
Shannon mi guardava esterrefatto, e quando finii batté le mani ed esclamò: “Questa mi è nuova!”
“Ci sono molte cose che non sai di me!” feci roteare la bacchetta in aria.
Lui rise. “Le scoprirò tutte, sappilo. – l’idea non mi dispiaceva - .. allora.. come ti sembra?” fece un gesto con la mano, riferendosi alla casa.
“E’ tutto così.. strepitoso! Amo questa casa.” Mi alzai dal sediolino, e poggiai le bacchette su uno dei tamburi. “Vivere qui dentro sarebbe come vivere in uno di quei castelli delle fiabe..” dissi, sognante, guardandomi intorno.
“Allora benvenuta, principessa! Io sono il re di questo castello, e sono onorato di averla qui con me!” fece un breve inchino, e poi mi prese la mano. Mi tirò a sé, e iniziammo a volteggiare per la stanza.
Io ridevo, felice di essere tra le sue braccia. Ridevo, felice che quella favola fosse diventata la mia realtà.
Girammo talmente tanto forte da perdere l’equilibrio, e da finire per terra, l’uno sull’altro.
Scostò una ciocca di capelli ribelle dal mio viso, e senza nemmeno pensarci avvicinai la mia bocca alla sua. Mi aspettavo di vedere da un momento all’altro i nostri vestiti volare da una parte all’altra della camera, ma, al contrario, si limitava solo a baciarmi.
Mi staccai da lui, lo guardai stranita, e con voce incredula gli chiesi: “ti senti male?!”
Rise, scosse la testa, e rispose. “Sempre più sfacciata eh? Mi piace.. – mi prese la mano, e mi tirò su – .. ma adesso non abbiamo tempo. Tu devi accompagnare Jared dal parrucchiere!” si avviò verso la porta, trascinandomi con sé.
“Devo?! E quando l’ho deciso?”
“Non fare storie!” mi diede una pacca sul sedere e mi fece uscire dalla porta, e iniziò a spintonarmi fuori di casa. Erano le sette del mattino, cosa me ne fregava dei capelli di Jared? Io volevo dormire! Aprì la porta principale, dove apparve la Diva con gli occhi che brillavano.
Si guardarono complici, e Shannon scomparve dalla mia vista.
 
“Dove andiamo? Giusto per saperlo eh!” dissi al frontman, mentre sfrecciavamo per le strade di una Los Angeles che si stava svegliando, con i vetri oscurati.
“Dall’unica persona al mondo che ha il permesso di toccare i miei capelli.” Disse quella frase con tanta eccitazione che mi sembrava un bimbo che stava andando nella fabbrica di Willy Wonka.
“Non voglio essere complice di un tradimento.” Dissi, perplessa, pensando a Emma.
Lui mi guardò dapprima spaesato, per poi ridere quando capì il senso della mia frase.
“Naaaa. Non ti devi preoccupare, Emma sa tutto. E poi è mia madre.” Avrei conosciuto Constance. Quella donna meritava tutta la mia stima, solo per aver messo al mondo Jared e Shannon. Un momento.. andavo a conoscere la madre del mio fidanzato. Andai in panico. Lei sapeva? Le sarei piaciuta? Come mi sarei dovuta comportare?
Iniziai a scalpitare. Jared vide il mio cambiamento d’umore, e ridacchiò.
“Mia madre sa di te e Shannon. Ha voluto conoscerti senza l’influenza di mio fratello. Non ti preoccupare, non farebbe male ad una mosca!” rise, ricordando qualche vecchio aneddoto della donna di cui parlavamo.
Non riuscii a calmarmi. E se non le fossi piaciuta? E se non mi avesse reputato all’altezza di stare con suo figlio? No, non ero all’altezza. Lui era una divinità, io una delle più anonime persone sulla faccia della terra.
Iniziai a sperare in un incidente d’auto, ma nulla. L’autista era bravissimo, e sembrava avere una padronanza della strada e dell’auto senza pari.
Quando la macchina si fermò, il peso sul mio stomaco si ingigantì. Scesi dalla macchina, ed ebbi un forte capogiro, come nell’aereo.
Mi appoggiai all’auto, alzai lo sguardo e la vidi. Non era più molto giovane, eppure la sua bellezza si manteneva. Sorrise, di un sorriso tanto bello quanto quello del figlio. Allargò le braccia, e quest’ultimo si intrufolò in quella stretta sicura, pur essendo un po’ cresciuto e anche più alto della madre.
I loro sguardi ricaddero su di me, l’intrusa della situazione. Feci un sorriso alquanto forzato e un cenno con la mano. Anche la macchina se ne andò, e mi sentii scoperta, come vulnerabile a ogni attacco.
“Tu sei Veronica, vero?” disse, sorridente.
“Si..”
“Non vedevo l’ora di conoscerti! Non credevo esistesse una donna in grado di far mettere la testa a posto a mio figlio! Eppure..” si avvicinò, e abbracciò  anche me nemmeno fossi un altro dei suoi figli. Le mie paure di frantumarono, e più tardi mi spiegò che per lei l’importante era che amassi suo figlio e che lui amasse me, non importava chi fossi.
 
Curare i capelli di Jared era davvero un lavoro difficile e lungo. Rimasi con loro per quattro ore, e ad un certo punto mi appisolai persino sulla sedia.
Quello che più mi sconvolse, e che Jared mi convinse a cambiare anche il mio look. Avevo sempre desiderato dei capelli rossi, ma non avevo mai avuto il coraggio di farli. Scelsi la stessa tonalità di Clem***, e quasi uscii saltellando da casa di Constance, dopo averla ringraziata stritolandola in un abbraccio.
La reazione di Shannon mi sorprese ancora di più. Bussai alla porta di casa sua, e prima che aprisse mi girai a salutare Jared.
“Mi dispiace, non voglio comprare niente.” disse Shannon, alle mie spalle. Mi rigirai, e vidi il suo sguardo diventare da scocciato a stranito.
“CHE HAI FATTO AI CAPELLI?!” iniziò ad urlare. Vide il fratello scappare, e iniziò ad inseguirlo. Mentre Shannon imprecava e lanciava oggetti contro il fratello, questo scappava e sghignazzava. Tomo li sentì da casa sua, e uscì con il tentativo di evitare qualsiasi omicidio, almeno quel giorno. Risultato? Tre uomini adulti che si rincorrevano nel bel mezzo di una strada, lanciando parolacce e imprecazioni agli altri.
Entrai in casa, non volendo assistere ad uno spettacolo così imbarazzante.
Approfittai di quella solitudine per fare un altro giro. Era tutto così bello.
Mi dirigevo di nuovo verso la camera di Shannon, ma fui costretta a cambiare direzione quando, dopo più di ventiquattro ore di digiuno, il mio stomaco brontolò. Mi indirizzai verso la cucina, e ad un certo punto il corridoio iniziò a girare.
Un capogiro, molto più potente dei precedenti, mi colpì, e tutto divenne così sfocato. Mi sentii mancare, e mi aggrappai ad un mobile. Non servì a niente, solo a portare con me un vaso costoso, molto più di quanto potessi immaginare.
Mi ritrovai distesa in una marea di schegge, e tutto divenne nero.
 
*Ancora Breaking Dawn.
**Forse un angelo. Studio 3
***Clem (Clementine) è la protagonista femminile di un film, Eternal Sunshine of the Spotless Mind (Il titolo italiano è “Se mi lasci ti cancello” ma da tanto l’idea di una di quelle commedie stupide americane. Italiani, rovinano sempre tutto). È un film stupendo, l’ho visto pochi giorni fa e me ne sono innamorata. Ve lo consiglio. E si, i capelli di Clem sono favolosi! 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17: Segno. ***


Buuuuuuonasera :D Ieri abbiamo vinto il Best Band e il Best Single !! Fuck Yeah v.v 
Ok, dopo questa piccola parentesi, eccomi qui con un altro capitolo! Ma perché sta diventando così difficile pubblicare?! Una volta non ho il computer, una non ho ispirazione, e questa volta sembrava che l'universo non mi volesse far scrivere D:
Non ve ne frega niente, lo so.
Ve ne siete accorti che sto perdendo tempo? Voi volete sapere di Veronica, e io vaneggio. Non lo scoprirete così presto. Non ora. Neppure ora.
Prima di vedermi arrivare i pomodori addosso, la smetto. 
Come al solito ringrazio chi mi recensisce! _EmTale_ , RosaBuò, JessRomance, LOVEISNOTACOMPETITIONGiuli, Basket Case e Fucking_Punk_Angel e JennySLouder! :D RIngrazio, ovviamente, tutti gli altri che mi continuano a seguire in silenzio! 
Pensate che vi faccia leggere il capitolo ora?
Non subito dai!
Ancora un po'!
L'avete vista la pubblicità di Jared di Hugo Boss?! *-* Non era bellissimo?! 
Ok, basta ora! xD
Buona lettura :3 

 Capitolo 17: Segno.
 
Shannon*
 
Chiusi la porta, e mi lasciai alle spalle mio fratello che portava Veronica da nostra madre.
Ero impaziente, volevo sapere cosa ne avrebbe pensato. Ma ero sicuro che l’avrebbe amata.
Mangiucchiai qualcosa, mi feci una doccia veloce ma riuscii a perdere solo un quarto del tempo.
Poi, mentre stavo disfacendo le valigie, mi capitò tra le mani la mia macchina fotografica. La memoria era più che piena.
La presi, e scesi al piano di sotto.
Quando arrivai alla camera che mi interessava, presi la chiave nel vaso alla mia destra e entrai. Il buio di quel luogo mi era sempre stato amico, un rifugio lontano dai miei problemi e il mio piccolo tesoro. Quella camera oscura era il posto in cui amavo stare di più, dopo lo sgabello della mia batteria. Appese con delle mollette speciali le ultime foto che avevo sviluppato pendevano sulla mia testa. Il vento prodotto dalla porta che si apriva le aveva fatte oscillare, e una si staccò.
Prima che potesse cadere a terra, la afferrai.
Era una foto che mi aveva scattato Jared. Io al centro di un gruppo di donne ubriache. Avrei dovuto farle sparire prima del ritorno di Veronica.
Iniziai a staccare tutte quelle che ancora erano appese, e man mano che le guardavano un sorriso si aprì sul mio volto. Concerti. Foto con i fan. Quella era la mia vita.
Quest’ultime le andai ad attaccare al muro nella mia stanza, le altre le riposi in un cassetto dello studio. Era inutile buttarle, erano comunque un ricordo. E facevano parte di un pezzo della mia vita. Veronica non poteva essere gelosa di qualcosa successa prima che la conoscessi, e soprattutto di qualcosa di cui lei conosceva l’esistenza.
Iniziai, quindi, quel processo che avevo fatto milioni di volte ma che ancora non mi stancava. Seduto nella mia camera oscura, capovolsi la mia macchina fotografica ed estrassi il rullino. Non ero mai tanto sicuro e tanto delicato come in quel momento.
Estrassi la pellicola, e le immagini in miniatura di quel pezzo del tour iniziarono a comparire una dopo l’altra davanti agli occhi. Man mano che, dal lavandino, estraevo con le pinze le foto sviluppate, ripercorrevo quei pochi mesi pieni di emozioni.
Prima le semplici foto, come tante altre ma sempre uniche, dei concerti, e poi quelle della nostra pausa, di quei due mesi che mi avevano cambiato la vita.
Iniziai ad appendere, al posto vuoto delle precedenti, quelle foto che ritraevano me e Veronica nella nostra relazione. Le prime all’albergo, quelle in spiaggia, quelle alle cene e poi l’ultimo gruppo, quello più bello, fatto da tutte le fotografie che avevamo scattato da quando ci eravamo fidanzati.
Una tra tutte mi colpì. Era quella che avevamo fatto per gioco nella vasca dell’albergo.  L’avevamo fatta con l’autoscatto, ma tutto sommato era davvero bella. Eravamo abbracciati nella schiuma e ci baciavamo. Una distesa di petali ci circondava.
L’avevamo scattata il giorno prima. Mi ero addirittura conservato uno di quei petali.
Iniziai a rimirare i particolari di quella foto che, a poco a poco, amai. Mi venne un’idea. Tornai al piano di sopra, e iniziai a rovistare nei miei bagagli. Avevo nascosto, per non farlo trovare da Veronica, neppure per sbaglio, l’oggetto che mi interessava in una tasca nascosta della valigia.
Quando lo trovai, tornai al piano di sotto con un pennarello e quel petalo.
Aprii piano il cofanetto di raso rosso che avevo in mano, e un anello che avevo comprato per la mia fidanzata comparve davanti ai miei occhi.
Era un anello che faceva due giri intorno al dito, incastonati di diamanti. E alla punta, una stella faceva da base per il diamante più grande. Non appena l’avevo visto, avevo pensato a lei, e l’avevo comprato.
Sei la mia vita, lo sai? Le sue parole mi rimbombavano nella testa. Se mi aveva detto una cosa del genere, con quella passione, con quello slancio, non poteva aver esagerato. Ed in quel momento mi venne in mente di regalarglielo facendo la proposta. Stavamo correndo? Era troppo presto?
Non lo sapevo. Ero solo sicuro di amarla, più di qualsiasi altra persona al mondo. E la volevo accanto a me, per sempre.
Aspettai che la fotografia si asciugasse, e con mano tremante scrissi dietro, nello spazio bianco: Veronica, vuoi che momenti come questo siano la nostra quotidianità, per tutta la vita? Vuoi essere il petalo che terrò per sempre con amore tra le mie mani? Vuoi diventare mia moglie? E aggiunsi a quelle parole una piccola ϟ.
Così presi il petalo e, delicatamente, lo misi nel cofanetto, sul fondo, così da dare l’impressione che racchiudesse e proteggesse l’anello.
Riposi il tutto, con la massima premura, sulla parte destra del mio, del nostro letto, dato che nell’albergo avevamo sempre dormito così.
Avrei aspettato il resoconto di mia madre, e poi le avrei fatto la proposta, qualunque cosa avesse detto.
Con incredibile tempismo, il mio cellulare iniziò a vibrare. Mia madre. Sgranai gli occhi, e guardai l’orario. Erano le undici. Erano passate quattro ore e non me n’ero neppure accorto.
Con mano incerta, risposi.
“Pronto?”
“Shannon!”
“Mamma dov’è Veronica? Com’è andata? Che ne pensi?” dissi, tutto d’un fiato.
“Calmo calmo..è con Jared, stanno tornando a casa. Tra poco saranno da te. E..”
“E?”
“Shannon tu la ami?” mi chiese, seria.
“Mamma è certo che la amo. Non te l’avrei presentata altrimenti.”
“Pensi che la potrai mai ferire?”
“No.”
“Allora va bene. Sposala pure. Non ho nulla in contrario. E non farle del male, è proprio una brava ragazza.”
“Grazie mamma.” Il campanello suonò.
“Comportati bene.” Fece una breve risata, e chiuse la comunicazione.
Quando andai ad aprire, mi ritrovai davanti una ragazza con i capelli rossi acceso. Solo qualche mese prima l’avrei invitata ad entrare senza esitazioni, ma in quel momento dissi solo scocciato “Mi dispiace, non voglio comprare niente.” ero intenzionato a chiudere la porta, ma vidi lei girarsi stranita, e riconobbi Veronica.
“CHE HAI FATTO AI CAPELLI?!” urlai. Vidi mio fratello scappare, e iniziai a seguirlo. Anche Tomo iniziò a seguire me, e iniziammo il nostro show da uomini adulti e maturi. Ad un certo punto, addirittura, sentimmo Emma iniziare un giro di scommesse.
“Io scommetto su Shannon!” urlò. Seguita da Vicky “Io su Tomo!” e vidi iniziarle a ridere.
Jared urlò “Grazie eh!” vicino alla fidanzata, prima che io lo acchiappassi e lo buttassi a terra. Emma disse trionfante “te l’avevo detto!”.
Jared si era rifatto i capelli, con la sua solita cresta pomegranate. Mi venne voglia di tirarglieli quei capelli, ma, mentre ero su di lui con la mano sinistra a stringergli il colletto della camicia e con quella destra alzata a dargli un pugno, sentimmo un rumore provenire da casa mia. Tutti ci girammo in quella direzione. Un vaso che si frantumava.
Liberai mio fratello, e iniziai a correre verso la porta d’ingresso. Con un calcio la aprii. Mi fermai un attimo. Niente.
“VERONICA!” urlai, a pieni polmoni. Anche gli altri mi raggiunsero, e iniziai a correre verso il primo corridoio che vidi. Più correvo più il cuore batteva forte, fino a quando non mi fermai e anche lui si bloccò con me.
Vidi lei per terra. La vidi distesa su un letto di pezzi di ceramica e una pozza informe di sangue. Sentii gli altri raggiungermi nuovamente  e bloccarsi, proprio dietro di me. Mi buttai per terra e presi tra le braccia Veronica.
“Mi senti?! Svegliati!” la scossi leggermente, poi via via più forte.
“Chiamate un’ambulanza!” urlai, ai miei compagni.
“Su svegliati!”
“Pronto.. si.. si.. è un’emergenza.. venite al..” ma io ormai non sentivo più. La mia mente era vuota, i miei occhi erano pieni solo della faccia di Veronica e dell’immagine di quando l’avevo trovata.
“Svegliati, ti prego..” iniziai a dire, sempre più piano, fino a farlo diventare un sussurro.
Tutto iniziò ad essere confuso, e ad un certo punto sentii Emma urlare. “Shannon sei ferito!”
Avevo sfregato contro un pezzo di vaso e mi ero ferito vicino al polso destro. Cercai di rimanere lucido, mentre sentivo il mio sangue mischiarsi a quello suo.
Per fortuna, l’ambulanza si sbrigò ad arrivare.
 
 
Un’infermiera mi stava fasciando il braccio. Jared mi disse che ci stava provando, ma io avevo occhi solo per Veronica. La guardavo sul letto, distesa, per fortuna solo addormentata.
“Qui ho finito..” disse quella, cercando di attirare la mia attenzione almeno per dieci secondi. Io dissi distrattamente “grazie”, continuando a guardare nella stessa direzione.
“Buongiorno signor Leto. Ho una buona notizia, la signora si dovrebbe svegliare a momenti” Disse, nuovamente, il medico.
“Dobbiamo dirglielo subito, vero?” dissi, stringendo il pugno sinistro.
“Prima di tutto, è lei che deve stare tranquillo. La signora ha perso molto sangue, e ha la pressione bassa. Potrebbe avere un altro svenimento se lei la fa agitare ancora di più di quanto si agiterà.”
Il medico era un uomo minuto, ma aveva un portamento fiero e uno sguardo duro ed autoritario.
“Avete ragione..” dissi, sconfitto. Perché la vita non la smetteva di tirare questi brutti tiri a Veronica?
Il medico si portò l’indice alla bocca, e mi zittì. Mi girai, e la vidi svegliarsi.
Fu accecata dalla luce della stanza, e a poco a poco mise a fuoco fino a riconoscermi.
“Shannon!” cercò di alzarsi, ma un capogiro la bloccò.
“Ferma! Sono qui..” le dissi, forzando un sorriso.
Lei si rattristò e mi guardò implorante. “Mi dispiace.. ti ho rotto il vaso!” quasi non si mise a piangere.
“Ma no dai! Non mi piaceva neppure tanto quel vaso! Non è nulla, davvero..” sembrò rilassarsi, e la vedi incerta. Mi avvicinai, e la baciai. Lei sorrise, ma notò la mia mascella dura e i miei zigomi tesi.
“Che è successo?”  perché mi conosceva così bene?
Il dottore si schiarì la voce, e si presentò. “Buongiorno signora Leto. Piacere di conoscerla..” lei sentendo il cognome con cui l’aveva chiamata arrossì, ma non disse nulla. “Come si sente?”
“Bene.. forse un po’ stordita..” sentii una fitta allo stomaco, e le presi la mano.
“Bene! Signora, purtroppo, c’è un problema..” neppure se lo aspettasse, assentì con la testa e disse al medico di proseguire.
“Lei è incinta.” Guardai Veronica, e sul suo viso si disegnò un sorriso.
“Av.. avrò un bambino?” gli occhi le si riempirono di lacrime. Guardò me, e cercai di sorriderle. Lei cambiò espressione, e si rivolse al medico. “Ma c’è altro vero?”
“Deve prima assimilare questa notizia, poi le diremo altro..”
“No, dica.” Mi strinse la mano.
Il medico guardò me, come a chiedermi cosa dovesse fare, e io gli feci segno di continuare, e strinsi a mia volta le sue mani.
“Non ci giro intorno. Lei è malata di cancro.” Veronica sgranò gli occhi. Il silenzio scese nella stanza, rotto solo da il crescente –bip- delle macchine.
Sembrava non riuscire a buttare giù un grosso nodo in gola. Alla fine, inaspettatamente, disse “Cosa succederà al bambino?”
“E’ questo il punto, signora. Deve decidere lei.” Nessuno parlò, e il medico continuò. “Ha un po’ di tempo per pensarci. Fino ai tre mesi.. – sfogliò un registro che aveva in mano - .. cioè entro il ventuno. Se abortirà, avrà più tempo per vivere. Il tumore si è appena formato, quindi ha molto tempo. E la tecnologia è avanzata, potremmo trovare la cura intanto. Altrimenti, al momento del parto si indebolirà e la sua vita si accorcerà. Non so di quanto. Potrebbe essere di un anno o di dieci. E subito dopo il parto dovrà iniziare la chemioterapia.”
Di nuovo quel silenzio carico di tensione.
“Devo decidere entro.. il mese prossimo? Ma posso venire appena prendo la decisione, anche domani?” disse Veronica, con una voce flebile, ma con una forza negli occhi. Il dottore annuì. “Posso tornare a casa ora?” un altro consenso del medico, e lei si rilassò.
 
 
“Mi dispiace..” le dissi quando, mano nella mano, entrammo in casa.
Lei si girò, spaesata. “E di cosa scusa?”
“Dovevamo prendere precauzioni. Non dovevi dover fare una scelta così.. crudele. E.. non voglio che tu te ne vada..” lei mi tappò la bocca con le due dita. Sorrise.
“La colpa non è tua. Non mi hai violentato, ero consenziente. E non ho detto che non voglio un tuo bam..”
“Cosa? Ci stai pensando? No.. no.. NO!” gli dissi, tremando. “Tu devi vivere!”
“Non voglio essere un’assassina.” Mi disse lei, in tono duro.
“Non sei un’assassina. Non esiste ancora nessun bimbo. E poi.. e poi è un caso particolare. È una cosa più grande di te!” le dissi, implorandola. Lei capì che non ero aggressivo, che lo dicevo per lei.
“Hai ragione.. adesso ho sonno, andiamo a riposare?” aveva lunghe occhiaie e il volto pallido. Acconsentii, e tornammo a camminare.
Entrammo in camera, e solo quando lei lo prese in mano mi ricordai dell’anello.
Prese la foto, e lesse velocemente quelle parole. Vidi le lacrime rigarle le guance, e mi guardò.
Io sorrisi, mi avvicinai, e le presi il cofanetto dalle mani. Mi inginocchiai, e guardandola negli occhi aprii la custodia.
“Mi vuoi sposare?” dissi, orgoglioso.
“Si!” rispose, entusiasta, lei.
Le infilai l’anello all’anulare sinistro e la strinsi a me.
 
 
“Sono pronta!” mi urlò Veronica, dalla porta d’ingresso.
“Arrivo!” cercai le chiavi della macchina di Tomo, e quando le trovai la raggiunsi. Avevo chiesto a mio fratello il favore di prestarmi le sue, ma dopo aver saputo che la mia fidanzata aveva per due volte vomitato dalla mattina, si rifiutò al solo pensiero che sporcasse il suo gioiellino appena comprato. Trovai Veronica con lo sguardo basso, e con una mano sulla pancia.
“Ti senti male?” corsi da lei. Scosse il capo e, dandole un bacio sulla fronte, le dissi: “Starai meglio.” Lei sorrise poco convinta, e intrufolò la sua testa nell’incavo del mio collo.
 
 
“Buongiorno Signori Leto.” Disse, sempre il medico del giorno prima. “Come andiamo oggi?”
Entrambi facemmo un gesto distaccato, e lui non sembrò esserne toccato.
“Allora, cosa ha deciso?” disse, sorridendo, a Veronica.
“Vogliamo..” iniziai io. Ma lei mi guardò ad occhi sgranati, quasi impaurita, e il medico mi rimproverò. “Voglio sentire lei.”
Sbuffai. Odiavo avere torto.
“Voglio.. voglio..” si morse il labbro. “Voglio tenerlo.”
Il mondo mi si sgretolò sotto i piedi.
La guardai con occhi vuoti e con la morte nel cuore.
“E’ sicura di essere pronta per affrontare tutte le conseguenze della sua scelta?”
“Si.” Quelle parole cambiarono il nostro destino.
 
Veronica*
 
“Sei arrabbiato?” chiesi, a Shannon.
Lui si prese qualche secondo, poi disse. “No.”
“Non potevo farlo. È il nostro bambino Shannon. È già un bambino. Lo è sempre stato da quando l’abbiamo concepito. Non potevo ucciderlo.”
Lui capì, e cercò la mia mano mentre stava guidando. “Sappi che qualunque fosse stata la tua scelta, sarei rimasto. Adesso avremo una famiglia, una famiglia vera.” Mi strinse più forte le dita. “Però non morire. Ti prego.” Tremò.
“Farò tutto quello che posso.” Gli sorrisi, e mi allungai baciandogli la guancia.
Non ero mai stata sicura di ucciderlo. Ma una cosa aveva cambiato tutto.
Mentre aspettavo Shannon in piedi davanti alla porta d’ingresso, l’avevo sentito. Era stato come uno schiaffo, una doccia fredda che mi aveva svegliato. Un colpetto. Un impercettibile colpetto nello stomaco. Magari l’avevo immaginato, ma mi aveva chiarito le idee. Era stato un segno.
Quello era il mio bambino, il nostro bambino, e l’avrei fatto nascere a costa della vita.

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18: Fine? ***


Buonasera!  *Accoglie con affetto i fischi e i buuuuuuuu della folla* Faccio schifo. Sono un mostro. Sono.. sono.. un mostro. Sono 17 giorni che non pubblico. Mi dispiace T______T Motivi?? Diciamo che sono vari. Piscina, mancanza di voglia, impossibilità dettata da presenza di altri, assenza di silenzio.. la lista è lunga. Ma diciamo che la vera e grande ragione è che siamo arrivati alla fine. Si, questo è l'ultimo capitolo. E capirete che non potevo arrangiarlo. E.. sono felice e triste per questa fine. Triste.. non sto qui a spiegarlo. Felice perchè 
è la prima volta che porto a termine una cosa che IO ho voluto iniziare. Quindi.. sono orgogliosa di tutto questo. Portero' questa storia sempre nel cuore, la rileggero' e sara' sempre la mia prima storia, la storia di Veronica e Shannon. La storia che mi ha fatto conoscere persone meravigliose e che mi ha portato tanta soddisfazione. 
Adesso, voglio fare ringraziamenti decenti. 
Grazie a _EmTale_, una ragazza che non solo mi ha regalato recensioni fantastiche, ma che e' diventata una persona fondamentale nella mia vita, che mi riempe le giornate. 
Grazie a RosaBuo, che mi accompagna dal primo capitolo, e senza le cui recensioni, davvero, non avrei mai continuato. Mi hai dato la forza, sin dal principio, di credere in me stessa e nelle mie capacita'.
Grazie a JessRomance, che non solo mi regala recensioni super divertenti e finali tragici-comici di Jared, ma con cui ho condiviso conversazioni epiche su facebook e msn. 
Grazie a __Giuli, BasketCase, LOVEISNOTACOMPETITIONGiuli, Fucking_Punk_Angel e Fantasmina97,
 Topsy_Kretts che anche se
 non mi seguono dal principio, mi hanno regalato delle recensioni talmente dolci e stupende che mi tiravano su il morale anche nelle giornate peggiori. 
Grazie a JennySLouder e RoadRunner, che anche se hanno recensito solo gli ultimi capitolo mi hanno riempito il cuore di una gioia immensa.
Grazie a Doherty21, ValeEchelon, I_Want_Wonderland, Per_Aspera_Et_Astra e Gli anelli di Saturno per le loro recensioni, se pur occasionali, stupende.
Spero di non aver sbagliato nessun nome, spero di non aver mancato nessuno. Sono stanca e tremo, questo capitolo e' lungo e mi emoziona. Scusate anche per gli accenti strani ( ad esempio a') ma mi si e' invertito l'ordine dei simboli e non li trovo piu'. E scusate per qualche eventuale errore nel capitolo. 
Ho dimenticato di ringraziare tutti quelli che sono passati in silenzio, e soprattutto il mio professore di italiano. Senza di lui, non avrei mai avuto il coraggio di mettermi in gioco. Grazie, a tutti, di cuore.
ps. Ultima cosa: nel precedente ho scritto quella cosa del tocco del bambino ecc ecc Beh, non sono idiota, so che a due mesi non si sente nulla! Pero' avevo immaginato cosi la scena e cosi la volevo fare, perche' ho avuto anche problemi con il tempo della FF (es. Sballato di mesi) e quindi mi sono tanto scemunita da lasciarlo cosi'. Prendetela piu come una cosa dell'inconscio che una reale. Cioe' quello e' una cosa simbolica per farle capire che il bimbo e' gia' vivo, anche solo a due mesi (??)

Adesso, buona lettura di quest'ultimo capitolo. Vi Amo tutti <3 

Questa è l’unica nota, ve la metto qui:
*Angels and Airwaves. The adventure. Ho messo direttamente la traduzione in italiano.


Capitolo 18: Fine?

 
 
Eccomi qui. La mia storia in queste pagine. Non lo voglio considerare un diario, neppure una biografia. È un regalo. Si, un regalo per Shannon, un regalo per il nostro bambino. Mi è venuto in mente qualche giorno fa. Mancano pochi giorni al parto, e mio marito ha anticipato gli impegni con la band per starmi vicino. Sono tre giorni che è via, e io ho pensato di non sprecare questo tempo.
Ho paura. Questo parto cambierà ogni cosa. Potrò morire. C’è questa possibilità, l’ha detto il medico. E se pure non morirò, non so quanto tempo rimarrò in vita. A Shannon non ho detto niente, ma ha intuito qualcosa. Le nostre anime sono intrecciate, percepiamo ogni singolo stato d’animo dell’altro. E lui è triste, è preoccupato. Quindi ho preso questo quaderno, su cui ho incollato, in copertina, una foto mia e sua, e ho iniziato a scrivere. La nostra storia, il nostro amore. In modo che, dopo la mia morte, lui avrà sempre un ricordo di me, e potrà anche raccontarlo al nostro bimbo.
Però non rimpiango la mia scelta. Voglio vivere, si, ma non avrei mai potuto farlo pensando di aver ucciso una creatura, soprattutto se quella creatura è il frutto del nostro amore, della nostra passione.
Da quel giorno in cui presi la decisione di tenerlo, quel giorno che cambiò il nostro destino, sono passati otto mesi. Non riesco a rendermene conto davvero, ma sono successe tantissime cose. Andiamo per ordine, però.
 
“VERONICAAAAA” urlò Shannon, dal piano di sotto.
“Arrivoo!” gli risposi, infilando la camicetta azzurra che mi aveva regalato Jared il giorno prima. Tieni – aveva detto – è dello stesso colore dei miei occhi e so che tu li ami!
In realtà tutti mi compravano qualcosa, e poco a poco mi rifecero il guardaroba, dato che la mia pancia cresceva e non mi volevano far sentire a disagio. Ero al quinto mese di gravidanza, era metà dicembre e nell’aria aleggiava l’aria natalizia.
Scesi correndo le scale, e mi ritrovai davanti Shannon che mi guardava con le orbite da fuori.
“Ma sei pazza a correre per le scale in quel modo!” mi ammonì. Poi si abbassò all’altezza della pancia, la cinse con due mani, e disse dolcemente: “Ma la vedi tua mamma che sconsiderata che è?”
Tenendola ancora con delicatezza, si alzò e mi baciò.
“Sei tu che ti sei messo ad urlare, comunque.” Dissi, fingendo superiorità.
“Ti sei dimenticata che abbiamo un appuntamento dal medico? E che fuori c’è mio fratello che ci deve accompagnare?” sbuffai, lui rise e uscimmo mano nella mano. Era diventato apprensivo a livelli estremi, ma non mi disturbava affatto. Mi riempiva di mille piccole attenzioni. 
Mi ritrovai davanti un Suv Ferrari rosso acceso. Quella macchina non passava di certo inosservata. Puzzava di celebrità da un kilometro di distanza, e in più aveva i vetri oscurati. Arricciai il naso. Odiavo quella macchina. Jared fece segno di sbrigarci, e io e Shannon entrammo velocemente. Mandai un bacetto a Emma che stava davanti, e poggiai la testa sulla spalla del mio batterista.
“Ah finalmente! Pensavo che ci faceste marcire nella macchina!” premette sull’acceleratore e partì.
Odiavo stare in macchina con Jared al volante. Correva come un pazzo e sembrava essere il padrone della strada. Ogni volta mi aggrappavo con forza al braccio di Shannon, mentre vedevo fuori dal finestrino il panorama confondersi in macchie poco nitide e miscele di colori. Lui ridacchiava, e mi accarezzava piano le dita delle mani, fino a quando non arrivava al mio anulare sinistro e iniziava a giocare con l’anello.
Quel giorno lo sentii irrigidirsi, e lo guardai preoccupata.
“Quando ci sposiamo?” disse, all’improvviso. Jared sussultò, e sbandò leggermente. Shannon gli lanciò un’occhiata contrariata, e poi si girò nuovamente verso di me.
“Voglio sposarmi prima del parto.” Dissi, inaspettatamente. Lui sorrise: era quello che voleva sentirsi dire. “Ne parliamo dopo.” Mi sussurrò all’orecchio, nel momento in cui il fratello iniziò a rallentare.
“Buongiorno signori.” Ormai il medico ci conosceva e ci accoglieva sempre calorosamente. Io tremavo un po’ per l’emozione: anche se non era la prima volta, vedere l’ecografia del bimbo mi toccava sempre. Avevo visto persino Shannon con gli occhi lucidi.
Mi distesi sul lettino, e il mio fidanzato mi si sedette accanto. Mi alzai la camicia, e come al solito l’infermiera distese quel gel fresco sulla mia pancia. Mentre Shannon mi afferrava la mano, lei iniziò a far scivolare la sonda sul gel. Le immagini del bambino in posizione fetale iniziarono a susseguirsi sullo schermo. Sorrisi, di quello stesso sorriso che trovai anche sulle labbra di Shannon.
“Se volete, possiamo già dirvi il sesso del neonato.” Disse, neutra, la ragazza.
“No!” rispondemmo in coro io e lui. “Preferiamo saperlo alla nascita.” Continuai. Solo quattro mesi e quel bambino che vedevo nello schermo sarebbe stato tra le mie braccia.
 
 
“Allora? Come lo chiamiamo?” dissi, mentre scambiavo con Shannon quel calzino rosa con il celeste. Dopo la nostra visita dal medico, eravamo entrati in un negozio per neonati e avevamo comprato un po’ di giocattoli e un completo per maschietto e uno per femminuccia. C’eravamo tanto divertiti a comprare quelle cose in miniatura, e adesso che non sapevamo dove metterli ci giocavamo sul nostro letto. Avevamo le gambe intrecciate sotto il piumone e tutt’intorno le carte che avevamo tolto dai nostri acquisti.
“Ma non sappiamo neppure ancora il sesso!” protestò ridendo lui.
“Ma possiamo scegliere le due possibilità! Dai tu decidi il nome se è.. femmina e io se è maschio!” dissi, raggiante.
“Va bene! Voglio darle un nome italiano!”
“Sceglilo!”
“Mmm.. Francesca.. no no non mi piace.. Alessia.. no.. Martina? Si, che ne dici di Martina?” sembravamo due bambini.
“Ti piace?” dissi, io.
“Si, ma a te piac..”
“Shhh! Piace a te? Bene, se sarà femmina la chiameremo Martina!” mi baciò.
“Ok, ora tocca a te. Che nome gli daremo se è maschio?” iniziò a muovere il piede sulla mia gamba, fino a farmi il solletico.
“Mmm.. se è maschio.. se è maschio.. – guardai fuori dal balcone, e ebbi un colpo di genio - ..se è maschio voglio chiamarlo Sun!” dissi, entusiasta.
“Sun?” disse lui, curioso.
“Si Sun. Sole. Lui è frutto del nostro amore no? E il nostro amore è stato un raggio di sole nel cielo grigio che era la mia vita. Quindi si, Sun è perfetto.”
Mi baciò i capelli, e mi sussurrò all’orecchio ti amo con quanta più dolcezza poteva.
 
“NON PUOI FARMI QUESTO!” sentii urlare Jared dall’altra stanza. Io, Emma e Vicky stavamo in cucina a preparare due pop corn, ma lasciammo tutto e ci affrettammo ad andare nel salotto. Jared era in piedi vicino al tavolino puntando un dito contro il fratello, lui era immobile a fissarlo e Tomo stava in poltrona con le mani che gli sorreggevano la testa.
“Che succede qui?” chiesi, preoccupata.
“Niente, lascia stare..” mi rispose Leto senior, facendo un gesto con la mano.
“NIENTE? Hai pure il coraggio di dire niente? – Jared si rivolse a me – ..il tuo fidanzato non vuole più suonare! Si è fatto un’altra famiglia e adesso non si ricorda che ne aveva anche un’altra!”
“Ma che cavolo stai dicendo? Tu fare cosa?”
“Finiremo questo tour e poi non suonerò più. Mi devo dedicare a te, a voi. Possono sempre trovarsi un altro batterista.” Si vedeva che stava male. Soffriva per quell’insensata decisione.
Prima che potesse parlare il fratello, risposi io. “Altro batterista? I 30 seconds to mars siete voi. Voi tre e basta. E tu non puoi abbandonare la tua vita. No. Tu non farai questo per me.” Prima che potesse controbattere, salii al piano di sopra.
 
“Perché stiamo immobili davanti al ripostiglio?” Shannon mi aveva costretto a passare la notte da Emma, mentre lui e Jared avevano da fare. Non avevamo più toccato l’argomento musica, perché sapevamo che entrambi eravamo fermi sulle nostre decisioni. In quel momento, però, l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era che mi avevano voluto tenere lontano da casa, era ovvio. Dopo la nottata con lei, avevano organizzato un pranzo tutti insieme da Tomo e Vicky e poi un po’ di shopping. Avevo cercato con tutte le mie forze di oppormi, ma alle parole “culla” “passeggino” “giocattoli per il bambino” mi ero fatta fregare. Non era giusto però, giocavano sporco.
Alla fine mi arresi pensando “Se fanno così, vuol dire che vogliono farmi una sorpresa. Accontentiamoli!” così riuscii a godermi il giro di spese e a comprare tantissime cose per il bebè. Riuscii a prendere tutte cose che andavano bene sia per maschio sia per femmina, e Jared si ritrovò la macchina piena di buste enormi. Non mi guardò storto, ma anzi mi arruffò i capelli con uno sguardo come quello che si rivolge ad una bambina felice.
Shannon mi aveva lasciato fare, e come ogni volta che compravo una cosa, fosse anche una semplice spilla, pagò lui.
Non ebbi il minimo ripensamento per tutta la roba che avevo comprato, fino a quando non arrivammo in casa. Dove cavolo l’avremmo messa?!
Non volevo rivoluzionare la casa di Shannon, costringendolo ad eliminare una stanza o a spostare le cose dal modo in cui aveva deciso lui.
Rimasi a bocca aperta, appoggiata allo sportello della macchina, mentre lo vedevo mettersi d’accordo con il fratello. In quel momento mi resi conto che lo stavo cambiando, che lo costringevo ad essere qualcun altro. E se avesse voluto fare per sempre il sexy batterista che cambiava donna quando voleva? Se la vita matrimoniale non fosse stato quello che lui voleva, quello di cui lui aveva bisogno? Se per lui un bambino era solo un peso, ora come ora? E poi, si era messo in testa di rinunciare alla musica. La musica, la sua vita.
Mi scosse, e mi trascinò dentro casa, fino a portarmi davanti quella porta.
“Questo ERA un ripostiglio!” spalancò la porta, e davanti mi trovai una camera completamente imbiancata. Era spaziosa, e l’avevano completamente svuotata da tutte quelle cose che c’erano prima. “Questo è la camera per il nostro bambino!” si aspettava forse che iniziassi a saltellare dalla gioia, ma rimasi ferma al mio posto, neutra. Le stesse paure di prima tornarono ad addensarsi sulla mia testa: quello era il luogo dove Shannon aveva tutte le sue vecchie cose, di quando era bambino. Era una stanza piena di ricordi, una stanza piena di cose che avevano un enorme valore per lui.
Mi morsi il labbro, e parlai con voce bassa. “Dov’è tutta la tua roba?”
“E’ in cantina. Era roba vecchia che non toccavo da un sacco di tempo. E poi questa è la camera più vicina alla nostra stanza, era destino che fosse per il bambino!”
Gli occhi iniziarono a pizzicarmi, e mi morsi il labbro fino a farmi male.
“Non ti piace?” mi disse, guardandomi alquanto deluso.
“Shannon tu lo vuoi?” dissi, senza cambiare la mia espressione.
“Certo che voglio che questa camera sia del bambino! Altrimenti non l’avrei fatta!”
“No. Shannon tu vuoi il bambino? Vuoi il matrimonio? Vuoi questa vita? Secondo me no. Ho sempre pensato a quello che volevo io, ma tu fai parte della coppia quanto me. Non voglio rovinarti la vita, è l’ultima cosa che farei. Posso crescermelo da solo il bambino. Ti amo, e non voglio costringerti a nulla. Lo capirei, ti continuerei ad amare lo stesso. Però non farlo solo per me, ti prego. Non dovrai rimpiangere mai nulla.” non ero mai stata più seria di così.
“No no no no. I will never regret!” fece una risatina, ma capì che la tensione non si era allentata. “Avevo deciso di sposarti già prima di sapere che sarei diventato padre. Si, voglio questa vita. E si, voglio anche questo bambino. Ho.. fatto i salti di gioia quando il medico me l’ha detto. Poi è arrivata.. l’altra notizia.. e si è oscurata la prima, diciamo.. ma il bambino lo volevo.. il fatto è che non posso vivere, non posso respirare, a meno che tu non lo fai con me.* E.. solo il pensiero che tu potessi.. morire.. non.. non puoi lasciarmi, lo sai? Non ce la farò.”
“Non parlo di questo Shannon. Parlo dei sacrifici che tu stai facendo per avere questo bambino. Mi fa male dirlo, ma a questo punto preferisco crescerlo da sola. Non voglio rovinarti la vita.. me ne andrò, piuttosto che vederti rinunciare alla musica.”
“Invece parliamo di entrambe. Se io.. adesso continuassi con la musica.. al momento della tua morte rimpiangerò di non aver speso quel tempo con te.”
“Ma se smetti con la musica, dopo cosa ti rimarrà? Tu non sprecherai quel tempo, perché io ti starò comunque vicino. Ai concerti mi metterò dietro di te, e ti seguirò anche quando proverai o inciderai. Però devi continuare. Promettimelo. Promettimi che non abbandonerai la musica, e continuerai a suonare dopo la mia morte.” Dissi, prendendo il suo volto tra le mani e puntando i miei occhi nei suoi.
“Non posso..” lui cercava di liberarsi dalla mia presa, e il suo sguardo vacillava a destra e a sinistra senza guardare veramente qualcosa.
“Si che puoi. Anzi, devi. Lo devi fare perché quando io morirò.. – a questa frase tremò – ..continuerò a vivere nella tua musica. Vivrò nel suono delle tue bacchette che suonano sulla tua batteria. Perciò devi continuare a farle battere, quelle bacchette, fino a quando non mi raggiungerai e potremo vivere insieme per sempre.” Gli accarezzai una guancia, rabbrividendo al contatto con la sua barbetta.
“E da quando è che sei credente?” disse lui, sarcastico.
“Non sono credente. Il fatto è.. che non riesco a pensare che una cosa grande come il nostro amore possa consumarsi e finire nel breve tempo che una vita terrestre ci ha donato. Quindi, sono sicura che c’è un.. luogo.. un posto dove le nostre anime si rincontreranno, un giorno. Chissà, magari su Marte. – sorridemmo insieme - ..si, ti prometto che ci rincontreremo, il più tardi possibile spero. Ma tu dovrai continuare a suonare, e dovrai essere forte.. va bene?” inclinai un po’ la testa, così da far incrociare nuovamente i nostri sguardi.
“Te lo prometto.” Prese le mie mani, e le racchiuse tra le sue.
 
Dopo essermi convinta che Shannon voleva tutto quello, entrai e iniziai a saltare dalla felicità per quella camera. Era molto spaziosa, e al lato trovai un tavolino con secchi e pennelli.
“E questo?” dissi, prendendo il pennello più piccolo e facendolo passare tra le dita.
“Non vorrai mica  lasciare una camera per il bambino così.. bianca? Così neutra, così muta?” mi chiese, cercando qualcosa nel cassetto della scrivania.
“No.. ma quindi? Sta arrivando qualcuno a dipingerla?”
“No.. – mi lanciò qualcosa di bianco in mano, che afferrai al volo – ..sarai tu a dipingerla. E io ti aiuterò.” Si infilò quella specie di impermeabile bianco e si avvicinò per farsi alzare la cerniera. Io prima lo guardavo come se fosse impazzito, poi lo aiutai e mi vestii a mia volta. Mi legai i capelli, e iniziai a scoperchiare i secchi. L’odore di vernice iniziò a pizzicarmi le narici.
C’erano tantissimi colori, tutti allegri e accesi. Presi un pennello, e lo inzuppai nel barattolo con la vernice rossa.
“Devo fare qualcosa in particolare?” dissi, concentrata.
“No, fai qualunque cosa vuoi fare.”
“Mmm..” appoggiai il pennello alla parete e iniziai a disegnare una forma che piano piano si faceva spazio nel mio cervello.
 
“Tadà!” urlai, prima di aprire la porta e di mostrare a tutti gli altri il mio lavoro. Dopo qualche ora, anche Shannon si era stancato di rimanere nella stanza a fare il palo, e adesso aspettava ansioso di vedere il mio lavoro finito.
Entrarono tutti, lui per primo, con il naso all’insù e la bocca aperta.
“Ma.. è meraviglioso!” disse Emma, alla mia destra.
Avevo ricreato un’atmosfera spaziale su tutti i muri. Su uno c’era il sistema solare e lo spazio, su altre due c’era Marte fatta un po’ come un cartone, con piccoli mostriciattoli colorati, e sull’ultima, proprio di fronte all’entrata, un ritratto di Shannon, Tomo e Jared che suonano su un palco.
“Tu sei una genia.” Sentii dire da Jared, per la prima volta.
Tomo mi abbracciò, e Shannon mi venne semplicemente vicino orgoglioso.
“Il bambino amerà questa camera, di sicuro.” Mi sussurrò all’orecchio.
 
Eravamo ormai a metà gennaio. Anche Natale era passato, io avevo regalato a Shannon un anello, che avevo attaccato ad una catenina per farglielo portare al collo, in cui avevo inciso One day we’ll meet again. Lui mi aveva sorriso commosso vedendolo, e mi aveva dato il suo regalo. Quattro biglietti andata e ritorno per metà febbraio. Direzione: Oahu e Sardegna.
“Torniamo in Italia?” dissi, gioiosa.
“Non solo. Questa è la seconda tappa della nostra luna di miele. Adesso abbiamo qualche concerto da fare, ma poi abbiamo due settimane di stacco il mese prossimo. Partiamo il tredici febbraio e andiamo nella prima tappa, alle Hawaii, e poi dopo una settimana e mezza facciamo le valigie e dal ventiquattro al ventisei andiamo in Italia, al nostro albergo. Ho già prenotato le camere. Quindi, ci sposiamo il dodici.” Mi rispose Shannon, saltellando sul divano.
“Ma.. manca un mese. Come organizziamo tutto? Dove ci sposiamo? Come? I vestiti? La cer..” mi bloccò prima che potessi uscire di testa.
“Lo so, ma non possiamo fare oltre. Dobbiamo sposarci prima del tuo parto, cioè prima della metà di aprile, se non prima. Quindi dobbiamo per forza approfittare di questo spazio a febbraio. Ti aiuteranno Vicky e Emma, comunque. E poi sei bravissima, ce la farai.”
“Ci sposiamo nella chiesa nel quartiere dove sei nato tu. Facciamo una cosa piccola, noi e qualche tuo parente. Il pranzo lo possiamo fare nel tuo giardino, verrebbe una cosa carina. Potremmo anche fare lì la celebrazione. Però dovremmo chiamare un prete, e in un mese la cresima tutti e due non la riusciamo a fare. La dobbiamo fare in comune? Però..”
“Calma! – disse lui, mentre riprendevo fiato. – possiamo chiamare il Sindaco in modo da farlo in giardino. La lista degli invitati non è difficile da stilare, è il pranzo lo facciamo preparare da mia madre che è un’ottima cuoca e se ne può occupare. Il vestito lo comprerai un giorno tu con Emma e Vicky. Ce la possiamo fare, se collaboriamo!” annuii, e poi facendo gli occhi dolci gli chiesi: “Posso solo chiederti una piccola cosa?”
“Dimmi!” esclamò lui curioso.
“All’altare.. mi può accompagnare Tomo?” lui rise e acconsentì.
 
I preparativi iniziarono da subito. Avevamo giusto qualche giorno per organizzare tutto prima di ripartire con il tour. Una data lì in città, e poi via a Londra.
La mattina mi occupavo delle cose burocratiche mentre Shannon provava con il gruppo cercando di prepararsi al meglio per l’imminente concerto. La sera la passavo con lui, e il primo pomeriggio era totalmente dedicato al giro per i negozi. Non trovammo subito l’organizzatore matrimoniale perfetto per noi, fino a quando non ci imbattemmo in una ragazza abbastanza esperta che accettò la nostra, più che proposta, sfida. In due giorni ci portò il programma della giornata, con l’idea per addobbare il giardino e il menu per il pranzo. Era perfetto.
Trovammo anche le bomboniere: delle note musicali intrecciate di Swarovski. Me ne ero innamorata appena entrata nel negozio.
La cosa più difficile fu trovare il vestito. Emma e Vicky, che mi facevano da damigelle, scelsero immediatamente i loro, di un celeste chiaro. Invece io girai decine e decine di negozi senza trovare nulla. Man mano che uscivo da uno dei negozi senza aver fatto spese, il mio umore peggiorava. Il giorno successivo ci sarebbe stato il concerto, e non avrei voluto comprare un vestito così, solo perché non c’era più tempo.
Mi demoralizzai, e iniziai a camminare come un fantasma con le mie due compagne che cercavano di consolarmi. Poi, quando ormai credevo di non trovarlo più, mi si presentò davanti, esposto in vetrina, in bella mostra, che sembrava urlare “COMPRAMI”. Mi fiondai dentro, lasciando loro due spaesate, e come un uragano dissi alla commessa di farmelo provare. Quello era il mio vestito, l’unico che mai avrei potuto indossare al mio matrimonio.
 
“ARE YOU READY?!” urlò Jared, saltando come un pazzo da una parte all’altra del palco. Erano passati anche quei giorni, ed eccoli a riprendere il loro tour, con la stessa forza e grinta di sempre.
Stare tra il pubblico era una sensazione stupenda, ma mai come quella di stare davanti quella folla impazzita. Sembrava risucchiarti, sembrava nello stesso tempo accoglierti e schiacciarti, sommergerti e tenerti in piedi. Faceva quasi paura.
Ero nascosta dietro la batteria di Shannon, in modo da fargli compagnia, da godermi lo spettacolo, ma da non attirare l’attenzione. Credo che se anche fossi stata più appariscente, nessuno mi avrebbe minimamente calcolato in presenza di quei tre.
Lui mi mandava continue occhiate, e rideva vedendomi a bocca aperta sentir tremare il palco sotto di me. Ero emozionata, anche se praticamente non facevo nulla.
Come ogni volta, lo spettacolo iniziò ad andare verso la fine, e nell’aria era palpabile la voglia che quel momento fosse per sempre. Fu proprio allora che accadde una cosa che non mi sarei mai potuta immaginare: Jared, dopo Hurricane, si fermò e disse “Vi sta piacendo il concerto? – al boato del pubblico, rise e continuò -.. bene! Però questa è una serata un po’ speciale. Mio fratello ha qualcosa da dirvi!” io guardai incerta la figura di Shannon che si alzava e si incamminava verso il microfono, poi feci spallucce.
“Buonasera Echelon!” grida entusiaste partirono da ogni parte dell’arena.
“Stasera voglio dirvi una cosa. Voi non siete solo il mio lavoro, siete la mia famiglia, la mia vita. Quindi, mi sembra giusto che sentiate questa cosa da me. Echelon, mi sposo.” Un mormorio si estese tra la folla, e io mi alzai in piedi e iniziai a guardarmi a destra e a sinistra come per accertarmi che non mi stessi immaginando tutto.
Shannon continuò, come se nessuno si fosse mosso. “Vi voglio presentare la mia futura moglie. È italiana. Veronica, vuoi venire qui un momento?” Io, con il viso in fiamme, lo guardai sbalordita. Emma mi spinse, e sentii tutta l’attenzione su di me. Un sorriso imbarazzato si disegnò sul mio volto, e capii che l’unica cosa da fare era andare da Shannon, che mi stava tendendo la mano. Piano, un passo alla volta, mi avvicinai, per poi rifugiarmi nella stretta forte della sua mano. Lui mi avvicinò il microfono alla bocca, e io riuscii solo a dire un flebile Hi con la voce rotta. Partì un applauso a noi due, contro ogni mia aspettativa, e Shannon mi tirò a sé per baciarmi.
Mi aspettavo di vedere sguardi infuriati di Echelon innamorate di lui, ma nessuno sembrò essere arrabbiato. Ci fu solo una stupida ragazzina che già avevo notato per le sue urla da “i miei ormoni sono impazziti” che urlò qualcosa tipo “l’importante è che Jared è single! Perché è tutto mio!” Jared le alzò il dito medio contro, e le altre vere fan intorno a lei la guardarono schifate. Io divertita guardai Shannon che mi fissava sorridendo, e mi allungai per baciarlo ancora una volta.
 
In tutte le tappe Shannon mi presentò agli Echelon, e successe sempre più o meno la stessa cosa.
Il mese passò in fretta, tra concerti, alberghi e voli da una parte all’altra del mondo. Era stancante a livelli estremi tenere quel ritmo, e mi chiesi più volte come avessero fatto a mantenerlo dal novembre del 2009 al giugno del 2011.
Mi meravigliai con quanta fretta era arrivato il dodici febbraio.
 
Stringevo convulsamente il braccio di Tomo, impaziente davanti la porta che dava nel giardino. Era tutto pronto, stavo solo aspettando che arrivasse il mio turno per entrare. Emma e Vicky iniziarono a camminare davanti a noi, e appena le vidi varcare la soglia iniziai a tremare ancora più forte.
“Shhhh.. – mi fece Tomo, accarezzandomi il braccio – ..vuoi stare calma? Non stai andando a morire!” mi sorrise e mi baciò la fronte. Io non riuscii a dire niente, quindi continuò. “Adesso dobbiamo entrare noi. Ce la fai o svieni?”
“Ce la faccio..” dissi, con un tono poco convincente. Lui mi strinse la mano, prima di tornare di nuovo a guardare avanti. Inspirai, espirai. E alla nota che segnava la mia entrata io e Tomo iniziammo a marciare. Suonava Jared, e mano a mano che avanzavo vedevo sempre di più una parte di giardino: tutte le sedie che erano abbellite con fiori e strisce di raso bianco, le persone che mi guardavano sorridenti, fino ad arrivare alle mie damigelle, e a lui. Indossava uno smoking semplice, con una rosa bianca nel taschino. Si torturava le mani giunte, ma guardava me. Quando i nostri sguardi si incrociarono, i suoi occhi color nocciola si illuminarono e ogni mia paura passò. Smisi di tremare, ma sentii il cuore scoppiarmi. Le mie gambe presero vigore, e smisi di stringere il braccio di Tomo. Mano a mano che mi avvicinavo il mio sorriso si apriva sempre di più fino a quando, finita la marcia nuziale, le sue mani presero le mie, e io iniziai a piangere.
La cerimonia confluì senza problemi. Al momento dei “Si” io piansi come una fontana, e persino Shannon si commosse. Ci stringemmo in un bacio dolce ma passionale, che cresceva man mano.
 
“Auguriiiiiiiiiii” la pioggia di riso ci avvolse, e io mi riparai sotto il braccio di Shannon. Lui iniziò una battaglia con il fratello che lanciava manciate di riso con foga, e dovetti io tirarlo in auto per farlo smettere, altrimenti avremmo perso il volo. Ci eravamo cambiati gli abiti per indossarne più comodi, soprattutto per il volo in aereo. Avevamo già fatto il buffè e consegnato le bomboniere al gruppetto ristretto di invitati presenti.
“Ma.. quindi io e te adesso siamo sposati?” dissi io, incredula.
Shannon rise, alzò la mia mano verso l’alto e indicò la fede. “A quanto pare si!”
L’autista non faceva tanto caso a noi, quindi presi il suo volto tra le mani e lo baciai.
 
 
Giro la pagina. Questa è l’ultima. Tutto quello che succederà da adesso in poi è ignoto e mi fa paura. Rimango qui a fissare quella pagina. Non posso lasciarla bianca, devo scrivere qualcosa, a Shannon, a nostro figlio. Inizio a scrivere, senza pensare, lasciandomi solo trasportare dalla mano che scorre leggera sul foglio e dalle lacrime che mi scendono sul viso.
 
Ciao Shannon,
in qualunque momento leggerai queste parole, spero che ti facciano sempre sentire vicino a me.
Ho bisogno di lasciarti qualcosa di mio, qualcosa che ti possa suscitare bei ricordi e che ti faccia capire che il mio amore non finirà, neppure con la mia morte.
Ti scrivo queste parole tutte in una volta, tutti i pensieri di una vita, tutti i ricordi con cui me ne vado. Sappi che tu mi salvato che tu hai reso migliori le mie giornate, che anche solo una notte con te vale più di tutti i giorni della mia vita senza di te. Ti scrivo queste parole per ringraziarti, per farti sapere quanto ti sono grata per tutto quello che fai e hai fatto per me. Ti scrivo queste parole per farti sapere che ti amo. Si, ti amo. Più di quanto tu possa immaginare.
Ti prego, ringrazia per me tutti. Emma e Vichy, che sono state le prime mie vere amiche, Tomo, che mi è sempre stato vicino ed è riuscito a proteggermi come un padre, e Jared, che è per me come il fratello che non ho mai avuto.
Grazie a tutti.
 
Vorrei solo che, adesso, tu rispettassi la promessa che mi hai fatto. Ti prego, non smettere di suonare. Ti prego, non sprecare la tua vita dopo la mia morte. Non farlo solo per me, o per te. Fallo anche per il nostro piccolo. Lui avrà bisogno di te e della tua guida per poter crescere, e io sono sicura che tu puoi prenderti e svolgere al meglio questo compito, se vuoi.
Se non farò in tempo io a dirglielo, fammi il piacere di dirgli che l’ho amato, dal primo momento. Dalla prima volta che ho toccato la mia pancia sapendo che lui stava crescendo dentro di me, dalla prima ecografia, da sempre.
Ho sacrificato me stessa per lui, fai in modo che non sprechi la sua vita.
 
Con tanto tanto amore, la sempre tua Veronica.
 
 
Alcune volte la mia mano tramava mentre scrivevo, altre volte una lacrima era caduta sulle parole, ma avevo continuato, fino alla fine. Ogni parola era strappata con forza dal mio cuore. Adesso mi sento svuotata, e leggo e rileggo quelle parole come per correggere qualche errore, per perfezionare quelle frasi, ma non riesco né a togliere né ad aggiungere nulla. Semplicemente le guardo, con la mano a mezz’aria a stringere la penna e i capelli che si liberano dalla presa dell’orecchio e mi ricadono davanti agli occhi.
Sento la porta aprirsi, e in un attimo chiudo il quaderno e lo butto senza pensarci nel cassetto alla mia destra sotto la scrivania. Mi alzo di scatto, la penna mi cade vicino ai piedi e mi giro perdendo l’equilibrio. Shannon entra in camera e mi guarda sconvolto mentre mi appoggio alla sedia e cerco di non cadere.
“Bentornato!” gli dico, cercando di celare l’imbarazzo con l’entusiasmo.
Lui prima mi guarda stranito, poi sorride e lasciando i bagagli a terra allarga le braccia e dice: “Allora? Nessun bacio di benvenuto?” io mi avvicino, lanciando uno sguardo veloce al cassetto semi aperto e alla penna a terra, e poi mi butto tra le sue braccia calde.
“Bentornato a casa!” gli ripeto, mentre lo bacio e gli sorrido ancora.
“Mmm.. devo andare via più spesso allora se il ritorno è così bello!” io gli do una gomitata, lui ride e si affaccia a dove prima ero seduta io. “Cosa facevi?”
Io abbasso la testa in cerca di una scusa e poi facendo con nonchalance spallucce dico: “Niente, pensavo!”
“Tu non me la racconti giusta!” dice, e cerca di liberarsi dalla mia presa per andare alla scrivania. Io lo afferro, gli butto le braccia al collo e lo bacio. “Ma dai, cosa ti importa? Stai qui con me che sono tre giorni che non stiamo insieme!” avvicino ancora la testa a lui, e gli mordo il labbro inferiore. Lui ridacchia, e mi sussurra: “Sai essere davvero tanto convincente quando vuoi!” si abbassa all’altezza della mia enorme pancia, e accarezzandola dice: “E tu, come te la passi?” con tempismo perfetto il bambino calcia, ed entrambi ridiamo.
“Allora, sei pronta ad uscire da lì?” io sussulto, e lui se ne accorge. Alza lo sguardo e inizia a fissarmi.
“Non sappiamo ancora se è maschio o femmina!” dico io, cercando di dissimulare.
“Andrà tutto bene..” mi dice. Si alza, prende la mia testa e se l’appoggia sulla spalla. “Tutto bene.. e poi, sono sicuro che è una bella Martina.” Io rido.
“E’ maschio invece, te lo dico io!” prima di ricominciare il solito battibecco su chi aveva ragione, mette la mano sulla mia pancia e mi bacia la fronte.
 
 
Siamo riuniti tutti nella sala da pranzo di casa di Jared. Io sono seduta sul divano con Emma e Vicky, e parliamo della nuova acconciatura del padrone di casa, che si è appena fatto i capelli verdi.
I nostri uomini entrano, con dei bicchieri in mano.
“La smettete di parlare di me?” dice il più piccolo dei fratelli Leto, mentre porge il bicchiere a Emma.
“The alla pesca?”
“Si, noi dobbiamo essere solidali con qualcuno qui che non può bere alcolici!” mi lancia uno sguardo divertito, e Shannon lo ammonisce porgendomi un bicchiere. È il secondo giorno di aprile, fa già caldo e bere quel the mi da una sensazione di freddezza. Riporto di nuovo il bicchiere alle labbra, e mentre un secondo sorso mi scende giù per la gola, il telefono di Shannon squilla.
“Pronto? .. Buonasera dottore! .. domani? .. ah giusto .. dobbiamo venire lì alle? .. Va bene, a domani.” Chiude la conversazione, mentre io lo guardo stranita.
“Domani dobbiamo andare in ospedale.” Mi dice, con sguardo vuoto.
“Perché?”
“…Devi prepararti.. al parto.. a giorni ti si romperanno le acque, e devono procedere con il taglio cesareo prima delle contrazioni. Domani ti ricoverano e dopodomani procedono.” Lui inizia a tremare, e io non posso fare altre che annuire poco convinta, senza parlare. Mancano solo due giorni. Due giorni e mi toglieranno da dentro la mia piccola creatura, due giorni e forse la mia vita volgerà al termine. Tomo si accorge che sto iniziando a piangere, e mi viene accanto per abbracciarmi. Shannon invece non riesce a muoversi, ed è il fratello che gli va vicino e lo consola. Il nostro unico, indistruttibile contatto sono i nostri occhi, che si immergono in quelli dell’altro e si intrecciano in una danza senza fine.
 
 
“Hai messo in borsa il pigiama?” mi dice Shannon dalla camera da letto.
Io sono nella camera del nostro bimbo, rigirandomi il piccolo quaderno tra le mani, con lo sguardo fisso sulla parete dove il ritratto di loro tre regna sovrano. Riuscirò mai a mettere quel bimbo dentro quella culla? Riuscirò mai a fargli ascoltare le canzoni di Marte, a crescerlo come un Echelon? Sopravvivrò al parto?
Il groppo, che ormai da ore mi fa compagnia, torna ad addensarsi sulla mia gola, come un vecchio amico che ritorna a farti visita.
“Veronica?” Shannon mi arriva alle spalle, e mi cinge i fianchi.
“Andrà tutto bene..”
“No Shannon. C’è la possibilità che non andrà tutto bene. Potrò non sopravvivere oltre ventiquattro ore. Potrò non rivedere più questa casa, questa camera, te.”
“Shhhh.. non succederà!”
“Qualsiasi cosa succeda.. – dissi, girandomi – ..prendi questo.” Gli metto tra le mani il quaderno, e lui accarezza quella foto che ci siamo fatti una vita fa, sulla spiaggia, quando mi addormentai appoggiata a lui.
“Cos’è?” mi chiede, non avendo il coraggio di sfogliare le pagine.
“Prendilo, e tienilo sempre con te. Leggilo, e conservalo. Quando non ci sarò più, leggilo anche al nostro bambino. E quando ti senti solo, prendilo e sfoglia le pagine. Quando il ricordo del nostro amore  inizierà a svanire, mantienilo vivo attraverso questo. E anche se ti rifarai una vita, conservalo come un mio souvenir, un regalo di una vecchia conoscente.” Ormai la mia voce non trema più, faccio questo discorso con voce persino serena.
“Io non mi rifarò mai una vita, anche dopo la tua morte. Su questo devi esserne certa.” Dice lui, con voce tagliente.
“Io invece vorrei tu fossi felice dopo di me.” lui mi guarda storto, allora cambio discorso. “Comunque, questo è per te.” lo mette nella culla del bimbo, e mi abbraccia. Tanto forte da stritolarmi, tanto forte da aggrapparsi a me come ci si aggrappa ad un salvagente per non affogare, come se nel bel mezzo di una tempesta ci fosse lui e non io.
 
 
“Buongiorno..” una voce familiare ma che non appartiene a mio marito mi saluta, e la luce della stanza bianca mi acceca, e come un déja vu mi ricordo di quando sono quasi stata investita per la seconda volta da un camion, in una vita ormai molto lontana. Jared si avvicina e mi da un bacetto sulla fronte, io mi sveglio del tutto e ricambio il saluto.
“Oggi è il grande giorno!” quella creatura ormai era come il figlio comune di tutti e sei, e non solo mio e di Shannon. Tutti lo aspettano con ansia e tutti lo amano già. Io però non riesco ad essere del tutto felice, e quindi sfoderò uno dei miei sorrisi falsi.
“Credi che non riconosca ormai quando fingi di sorridere? – io abbasso solo la testa, non proprio sorpresa – andrà tutto bene.”
“Non continuate a ripeterlo anche se sapete che potrebbe non essere vero.”  Sono un po’ cinica, e me ne pento subito.
“Sappi che se non torni da me, da noi, dopo il parto, io ti vengo a prendere, ti resuscito, e ti uccido con le mie mani. Sei avvisata.” Sotto quel sorriso diabolico c’è uno sguardo premuroso, quindi lo ringrazio senza aggiungere nulla, perché sono stanca di promesse che non so se posso mantenere.
Mi sento strana, diversa dagli altri giorni. Mi tolgo da sotto le coperte con una strana sensazione allo stomaco, e dopo essermi messa le ciabatte mi alzo. Non ho nemmeno il tempo di fare due passi e di vedere Shannon entrare dalla porta, che sento come uno strappo dentro di me e guardo in basso: una pozza di uno strano colore e una strana densità ricoprono i miei piedi e li circondano. Con gli occhi spalancati guardo i due Leto di fronte a me e dico con un tono roco: “Mi.. mi si sono.. ROTTE LE ACQUE!” mi manca il respiro, e mi appoggio con forza al letto. Vedo le vene che pulsano nella parte interna del braccio: si, sono dimagrita. Jared corre a chiamare l’infermiera, mentre Shannon viene da me e mi porta in braccio. Inizio ad arrancare in cerca dell’aria, e lui cerca in qualche modo di farmi calmare. Mi accoccolo al suo petto, e mi aggrappo con forza alla sua maglietta, mentre lui mi sussurra di stare tranquilla all’orecchio. Ad un certo punto mi appoggia su un lettino, e lo sento allontanarsi.
“NO! NON LASCIARMI, TI PREGO!” inizio a urlare, cercando di inspirare più aria che posso per riempirmi i polmoni. Mi agito, ho la gola secca e tutto quello che riesco a pensare è Shannon.
“Sto qui! Sono qui! Ho messo il camicie, ma adesso sto qui e non mi allontano più! Tu calmati!” allungo la mano verso la sua voce, e lui mi stringe la mano.
“Respira.. respira.. brava, così.. respira..” non mi sento più padrona del mio corpo. Un infermiera si avvicina e mi mette una mascherina in faccia. Inspiro quello che la mascherina getta fuori, e piano piano inizio a perdere sensibilità. Riesco a sentire solo una lama che mi penetra con forza nella parte inferiore della pancia, e poi niente.
Non ho più un corpo. Non riesco neppure più a parlare, urlo ma non sento la mia voce. Mi sento svanire, poco a poco. C’è una forza che mi tira verso il basso, ma non ho forze e non so come respingerla. Cerco di tornare su, ma la mia resistenza è nulla e non riesco ad oppormi. Giù, giù, fino alla pace dei sensi, fino al nulla, fino a Marte. È semplice, no? Posso farmi trasportare da questa forza, nessuno me ne può fare una colpa. E sopravvivere, per cosa? Per lottare, giorno dopo giorno, contro una malattia senza cura e una fine che comunque arriverà, magari non oggi, ma domani. Per scappare da una morte che mi cerca da anni, da quando ero bambina. L’ho evitata sempre, in un modo o in un altro, ma non si può evitare per sempre.
È così semplice lasciarsi andare. Lasciamo fare l’eroe a qualcun altro, io mi godo il mio riposo. Andrò finalmente su Marte. Sono emozionata. Il pianeta rosso è quasi sette anni che mi aspetta, e adesso da buon soldato posso tornare a casa, cosa me ne importa se non ho vinto. Mi sarò lasciata sconfiggere, ma allora? Ci sarà qualcuno che prima o poi tornerà vincitore al posto mio, e io gli farò i complimenti. Si ho deciso, addio Terra.
Bentornata su Marte, Veronica.
 
 
Shannon*
 
 
“NO! NON LASCIARMI, TI PREGO!” sento urlare Veronica. Il dottore mi ha costretto a seguire le norme igieniche della sala operatoria, però non posso lasciarla sola e ho fatto tutto a tempo di record.
“Sto qui! Sono qui! Ho messo il camice, ma adesso sto qui e non mi allontano più! Tu calmati!” lei trema, quasi piange, e io non so che fare se non starle vicino. Le stringo forte la mano e cerco di tranquillizzarla. Attorno a noi il caos. Infermieri e medici che corrono di qua e di là come pazzi. Vedo una donna avvicinarsi e mettere una mascherina sulla faccia di Veronica, che poco a poco si calma e smette di tremare. Sento il medico che si fa passare gli utensili da altri e lo sento tagliare la sua pelle. Io vedo solo il suo viso, immobile. Che le sta succedendo?
Sento il pianto del bimbo. Ce l’hanno fatta. Non ho neppure il tempo di sorridere, che sento la macchina che controlla il cuore di Veronica diminuire i battiti.
“LA STIAMO PERDENDO!” urla il medico. Caos, di nuovo. Una donna porta via il bambino, un’altra si intrufola e inizia a sbottonarle il camice.
“Libera!” porta gli elettrocardiogrammi su di lei e lei sobbalza. “Libera!” ancora.
“TI PREGO VERONICA, RESTA CON ME!” gli urlo.
“Libera!” fa di nuovo l’infermiera.
Tutto tace. Guardiamo tutti l’elettrocardiogramma, senza neppure respirare. Piano, inizia a ristabilirsi, e io sento la sua mano muoversi. Mi giro, e apre gli occhi. Piango.
 
Veronica*
 
Che vigliacca che sono. Davvero stavo per mollare? Davvero stavo abbandonando tutto?
Si.
Purtroppo si.
Mi aveva fatto cambiare idea una cosa sola. La voce di Shannon.
Non potevo abbandonarlo, dovevo lottare, per lui. Non era il momento per lasciarlo, non quello. L’avrei distrutto, e con lui anche il nostro bambino.
TI PREGO VERONICA, RESTA CON ME!” il suo urlo mi è arrivato mentre mi stavo avvicinando al punto di non ritorno. Mi aveva dato la forza, la carica giusta per contrastare quella forza che mi tirava.
Sto salendo, salgo, salgo fino al punto di prima. Ho ritrovato forza, vigore.
Non riesco ancora però a controllare per bene il mio corpo, e prima di poter aprire gli occhi ci devo provare più volte. Però ci riesco, e vedo finalmente quelli di Shannon che mi fissano in lacrime.
“Grazie..” mi sussurra lui, stringendomi convulsamente la mano. Io tento un sorriso, ma non so se ci riesco. Non sono ancora padrona del mio corpo, sotto l’effetto dell’anestesia. Mi nutro, divoro il sorriso di Shannon. Nemmeno fosse paralizzato, non la smette di guardarmi con un sorriso senza limiti, e io non riesco a farne a meno, non riesco a saziarmene.
Quando a poco a poco torno a sentire il mio corpo, apro finalmente bocca e sussurro a Shannon: “Ti amo”.
Lui sorride ancora di più, si avvicina, mi bacia e risponde: “Ti amo anche io.”
“Signori Leto? – dice un’infermiera entrando – .. il vostro bambino.” Mi posiziona tra le braccia una coperta che avvolge una bellissima creatura, piccola, che si copre gli occhi con le mani chiuse a pugno.
“Sun..” diciamo insieme io e Shannon.
Adesso verrà  il momento in cui avremmo dovremo lottare. Adesso verrà il momento più difficile. Ma, insieme, ce la faremo.
Morirò, prima o poi, ma non oggi.
 

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