Angel No Tears: Metamorphosis

di Melanto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO - Tears in Heaven ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1 - Another Holy War ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 2 - Kiss from a Rose ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 3 - Freelove ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 4 - Dust in the Wind ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 5 - Paradise ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 6 - Cathar Rhythm ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 7 - Engel ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 8 - Solo un sogno ***



Capitolo 1
*** PROLOGO - Tears in Heaven ***


[NOTA DEL 24/10/2009: dopo anni, questa storia è stata finalmente ricorretta. T_T perché non mi avete mai detto quanti errori terrificanti c'erano?! ARGH! Virgole ad cazzum, verbi saltellanti, mostri alati, nastini e cotillon! Roba da far accapponare la pelle! Per fortuna, però, in totale autonomia (XD Melantò 1 - Culopeso 0) mi son decisa a rileggerla e a rimediare - si spera - a tutti gli orrori che erano presenti nel testo. Ringrazio tutti coloro che, fino ad ora, l'hanno letta e recensita o messa tra i favoriti. Grazie di cuore. :)]


Il Prontuario dei Personaggi principali:

- MICHAEL: il Nome del suo Ordine di Angeli è Beni Elohim, Figli degli Dei, chiamati anche Arcangeli. Principe dello Splendore e guida di tutte le Schiere Celesti.

- GABRIEL: il Nome del suo Ordine di Angeli è Kerubim o Cherubici, chiamati anche Angeli. Non sono gli stessi retti da Raziel. È il Principe del Mutamento e dell’Alterazione.

- RAZIEL: il Nome del suo Ordine di Angeli è Auphanim, le Ruote delle Forze Vorticanti, chiamati anche Kerubim. Più noti come Cherubini. È il Principe della Conoscenza.

- METATRON: il Nome del suo Ordine di Angeli è Chaioth ha-Qadesh, le Sante Creature Viventi, chiamate anche Seraphim. Più noti come Serafini. E’ il Principe dei Volti colui che conosce i Pensieri di Dio.

- RAPHAEL: il Nome del suo Ordine di Angeli è Melechim o Malakim, Re o Re Angelici, chiamati anche Virtù. E’ il Principe della Guarigione o Rimedio di Dio.

- CAMAEL: il Nome del suo Ordine di Angeli è Seraphim, i Fiammeggianti, chiamati anche Potestà. Non sono gli stessi retti da Metatron. È il Principe della Forza e del Coraggio.

- HESEDIEL: il Nome del suo Ordine di Angeli è Chashmalim, i Fulgenti, chiamati anche Dominazioni. È IL Principe della Misericordia e della Benevolenza.

- ANAEL: il Nome del suo Ordine di Angeli è Elohim, Dei, chiamati anche Principati. È il Principe dell’Amore e dell’Armonia.

- SANDALPHON: il Nome del suo Ordine di Angeli è Ashim, Fiamme di Fuoco, chiamati anche Anime Benedette. è il Principe della Preghiera reggente della Sfera Terrestre. Le sue schiere prendono il nome di Elementali divisi in: Salamandre, Ondine, Silfidi e Gnomi.

- BINAEL: il Nome del suo Ordine di Angeli è Aralim, i Forti e Possenti, chiamati anche Troni. Principe della Lotta Spirituale.

- URIEL: “la Luce e il Fuoco di Dio” Uno dei 7 angeli, chiamati anche i “Sette Occhi del Signore”, i “Sette Troni”, le “Sette Luci Ardenti”, i “7 Reggitori del Mondo”.

- SEMEYAZA: l’angelo capo dei duecento angeli (figli del cielo o “angeli vigilanti”) che scesero in Ardis, sulla vetta del Monte Armon o Hermon, per congiungersi alle figlie degli uomini. Le sue schiere prendono il nome di Egrigori.

- SATANAEL: Nome citato nel vangelo apocrifo di Bartolomeo col significato di “messaggero di Dio” prima della caduta, poi chiamato Satana (più noto come Lucifero).

- AZRAEL o meglio Azra'il: Nell’islamismo, l'Angelo della Morte.


 

ANGEL NO TEARS
- METAMORPHOSIS -

"Would you hold my hand if I saw you in heaven?
Would you help me stand if I saw you in heaven?
I'll find my way through night and day,
'Cause I know I just can't stay here in heaven.


Eric Clapton - Tears in Heaven

- PROLOGO - Tears in heaven

Luce.
Della purezza più cristallina, si faceva spazio all’interno dell’enorme stanza quasi con prepotenza. In quel luogo, che non avrebbe mai conosciuto le mere falsità delle tenebre, sembrava fosse consapevole del suo eterno splendore.
E si lasciava ammirare.
Ricopriva ogni cosa, ogni oggetto, ogni pianta; ogni singola immagine era chiara.
- Guardatemi! - sembrava gridare - Guardate Colei creata dal Padre di ogni vita cancellare ogni menzogna nascosta dall’oscurità. Osservate il Vero che risplende. -
Poi quel sospiro, che zittiva l’arroganza. Il sospiro di chi sapeva che ormai il loro Mondo era sulla soglia del primo tramonto.
Le lunghe sete della tunica seguirono il suo movimento con uno scivoloso fruscio, mentre si dirigeva alla terrazza. Non c’era più bellezza nel loro Eterno Giardino, nei cespugli dai fiori rigogliosi, nelle fontane dall’acqua cristallina. Solo una patina, che si ostinava a difendere le apparenze.
“Padre…” la voce profonda della Ragione si rivolse all’unica Essenza che potesse ascoltarlo “…continui anche tu a non vedere la realtà delle cose?”. Non si aspettava una risposta, ma sentiva lo stesso il bisogno di porre quella domanda.
Brezza leggera, di perenne estate, gli scompose i lunghi capelli color del bronzo più vivo. Oscillavano lenti, disegnando onde infinite attorno alla sua figura.
Ascoltò per qualche minuto le risa gioiose provenire dabbasso. Si scherzava tra i più giovani, si rideva. Giocavano ignari di ciò che si stava per consumare attorno a loro o, forse, ne avevano percepito i frammenti nell’aria trascurandone la pericolosità. Per lui, che li osservava dall’alto, erano solo dei ragazzi. Sorrise. Lui non era mai stato giovane e non sarebbe mai stato vecchio. Era nato, creato, con la consapevolezza della razionalità già intrisa nella mente e in quell’anima che vedeva attraverso la verità delle cose, come fossero fatte di vetro trasparente.
L’ennesimo sospiro venne liberato. Lentamente alzò gli occhi a ciò che c’era sopra di lui. La Luce, che proveniva da ogni parte dell’Infinito, sembrava guardarlo con un certo rimprovero per i suoi pensieri.
“Padre…” disse ancora incurante di tutto, mentre dagli occhi verdi scendeva lentamente una lacrima, carica della sua malinconia “…è forse mia la colpa di tutto questo?”

Si muoveva velocemente lungo l’altissimo colonnato che l’avrebbe condotto agli alloggi del Divino. La Luce illuminava a tratti la sua figura, che manteneva un passo molto sostenuto, simile ad una lenta corsa. Non poteva credere, non voleva credere. Ma perché? Aveva tutto qui, era uno dei più potenti e dei più forti. Uno dei più ammirati… dei più belli…
Aveva la fiducia più cieca del Padre... e allora perché?
La sua mente continuava a macinare domande senza risposta, mentre la lunga tunica arancio brillava come caldo tramonto ai raggi luminosi dell’Eterno Giorno. Gli stessi ne illuminavano i capelli corvini, rendendoli lucidissimi, e gli occhi celesti vivaci di ciò che la sua essenza rappresentava: Forza e Coraggio. In quel momento gli sembravano come dissolti, mentre si dirigeva dall’unico che poteva dargli un abbozzo di spiegazione. La confusione era tale che non si rendeva nemmeno conto che qualcosa, in tutto ciò che lo circondava, stesse cambiando lentamente, inesorabilmente, come conseguenza di quella scelta aspra a cui non aveva assistito, ma che lo aveva schiaffeggiato con forza appena era giunta alle sue orecchie.
“Non ci credo…” continuò a mormorare quando, senza nemmeno bussare, spalancò l’enorme portone delle stanze del suo Compagno Paradisiaco. “Raziel!” la voce gli uscì più allarmata di quello che avrebbe voluto, ma non ci badò più di tanto. Si guardò intorno. L’Arcangelo, da lui cercato, era fermo alla balconata. I capelli ondeggianti e meravigliosamente lucenti sembravano quasi creare un’aura leggera intorno alla sua figura. Le sete della tunica, dall’intenso blu pari alla notte custodita da Laylahel1, danzavano accarezzando il suo corpo perfetto. Lo vedeva così immerso nei suoi pensieri da non curarsi delle sete che si sollevavano, esponendo le gambe, dalla pelle nivea, agli occhi degli altri inferiori a lui di rango, potenza e bellezza. Le sei ali, dalla maestosa apertura, erano compostamente ripiegate sulla schiena lasciata scoperta, ma celata dalle piume. Differentemente, le sue quattro erano spiegate come a voler sottolineare l’agitazione che lo pervadeva.
Non poteva vederne il viso, ma lo poteva immaginare serio ed imperturbabile come sempre.

La voce giunse alle sue orecchie come una eco lontana. Cancellò la lacrima, volgendo leggermente il capo ad osservare la presenza che lo stava cercando.
Sorrise.
“Camael.”
“Raziel!” avanzò di qualche passo, richiudendo le porte alle sue spalle “Dimmi che non è vero!”
Sperava, pregava, che l’Arcangelo Principe delle Conoscenze confermasse le sue aspettative, ma il sospiro che gli fu di risposta fu più duro di un macigno sul cuore.
“Mi spiace, Camael…”
Dov’era la sua espressione di fiera sapienza senza la boria della saccenza? Perché nei suoi occhi verdi leggeva tristezza o addirittura rassegnazione.
Quale misera parola era quella. I deboli, i mortali avevano la rassegnazione, loro erano le espressioni della Magnificenza Divina di Dio, a cosa dovevano rassegnarsi? La loro intera esistenza era di gioia, pace, vita eterna.
“Raziel…” era quasi un sussurro, mentre le ali si ripiegavano come rami essiccati sotto il peso del tempo.
L'interpellato gli fece cenno di avvicinarsi alla terrazza, accanto a lui, e lentamente obbedì.
L’Arcangelo del coro dei Cherubini lo superava di mezza testa.
“La sua decisione rattrista anche me, giovane Camael, ma è la sua natura. È l’impeto che non può essere domato, è mutamento… e questa è la sua scelta.”
Lo interruppe bruscamente, alzando lo sguardo per fermalo in quello del suo interlocutore.
Celeste vivo nel verde più quieto.
Quale magnetismo sapeva avere quello sguardo così rassicurante, quale armonia. Poteva sentire gli Auphanim2 cantare la sua sapienza che su tutto si posa, con delicata dolcezza. Era l ’unica creatura con cui Gabriel fosse docile e fu in quello stesso sguardo, che la risposta ai suoi perché venne trovata, senza essere oltremodo posta.
Calò il capo di nuovo.
“Stavi per interrogarmi su qualcosa?”
“Gabriel è andato via…” affermò, come a convincere definitivamente sé stesso di quella scelta improvvisa “…credi che tornerà?”.
“No”.
Sussurrato. Come se non volesse farlo sentire a nessuno.
Come se non volesse ammetterlo, a voce alta, poi, volgendo il suo sguardo a ciò che dalla terrazza gli si offriva, disse “Camael, cosa vedi?”
L’Arcangelo del coro delle Potestà osservò il panorama davanti ai suoi occhi. Fontane zampillavano fresche acque dalla purezza rara, nel mondo dei mortali, ma non nel suo; le siepi erano di un verde rigoglioso e le rose diffondevano, quasi fino a loro, un meraviglioso profumo. Vide Anael, aggirarsi tra i roveti con passo leggero, inspirandone l’odore e accarezzandone i petali, sembrava molto corrucciato. Doveva aver saputo dell’abbandono del Paradiso da parte di Gabriel, ma, forse, non era solo per quello.
D’intorno, i giovani angeli, dei cori e non, ridevano gioiosi, inconsapevoli, sotto la vigile protezione della Luce divina…
La Luce…
Alzò il suo sguardo, per carpirne la potenza, e se ne accorse. Preso come era stato da quello che era accaduto, non vi aveva fatto caso.
Quale incredibile mancanza era stata la sua?
Imperdonabile.
Chiuse gli occhi.
La Luce stava perdendo di intensità. Si stava spegnendo.
“La vedi anche tu?” chiese Raziel, con la sua voce profonda e dalla delicatezza del velluto “Sarà un bellissimo tramonto…”


1LAYLAHEL: dal libro di Enoch etiopico, uno degli angeli preposti ai fenomeni naturali: il Principe della Notte.
2AUPHANIM: Le Ruote delle Forze Vorticanti, chiamati anche Kerubim, è il Coro Angelico retto da Raziel. Comunemente chiamati Cherubini.

ND AUTHOR: Come avrete notato le note numerate sono esplicate a pié pagina!


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Capitolo 2
*** CAPITOLO 1 - Another Holy War ***


ANGEL NO TEARS
- METAMORPHOSIS -

"Why am I born?
Will I fail to rise again?
Another crucifixion for
another holy war.
Can't stop what's going on"


Blind Guardian - Another Holy War

- CAPITOLO 1 - Another Holy War

Sospirò.
Con forza, con rabbia.
Tutta quella che aveva in corpo voleva farla esplodere così, in silenzio, con un semplice sospiro.
Rabbia che nessuno capiva, ma che tutti condannavano e questo amareggiava ancor di più quella lontananza obbligata, che già gli pesava, ma che aveva scelto lui; troppo gli sarebbe pesato ammettere che, in realtà, ne era stato come costretto.
Ricordava gli occhi di Mikael, pieni di disgusto, che non avrebbero mai accettato ciò che avevano visto… anzi… ciò che gli aveva fatto vedere, perché lui non se n’era mai accorto.
Come l’acqua di un fiumicello, che devia alla presenza di uno scoglio lungo il corso, così l’Arcangelo Principe dello Splendore aveva vissuto aggirando fluidamente una situazione che non destava il minimo sospetto. Ma quando lo scoglio era diventato ormai un ostacolo enorme, sul tranquillo fluire delle cose, gli si era buttato contro con forza, nel tentativo frenetico di abbatterlo. Avrebbe voluto consumarlo e corroderlo, sommergerlo e lasciarlo lì, ad essere dimenticato sul fondo del Divino Pudore.
Forse la colpa era stata sua.
Se non avesse provato a confidarsi con Mikael, ora sarebbe ancora lì, ad accarezzare i meravigliosi capelli di Raziel.
Ma come gli era saltato in mente di parlarne proprio con lui? Con l’unico che non avrebbe mai potuto capire, poiché non sapeva vedere al di là degli insegnamenti del Padre? L’unico che restava chiuso, nella sua nicchia di gioia e rigore, e non riusciva a liberarsi dalle responsabilità.
Forse anche per la sua posizione.
Era il loro Principe.
Il Principe di tutti gli Angeli e Arcangeli, di tutte le Schiere Celesti. Il secondo ad essere stato scelto dal Padre, subito dopo la nascita di Satanael1 ed il tradimento di quest’ultimo non avrebbe mai smesso di pesare sulle sue spalle. E poi, nuovamente l'immagine di Raziel ad occupare i suoi tormenti.
Seduto, sulla marmorea terrazza alla sommità del castello nel Cielo Lunare in cui si era rifugiato, Gabriel pensava all’unica creatura per cui si potesse addirittura essere cacciati dal Paradiso.
L’unica, per cui valesse la pena ribellarsi.
Se chiudeva gli occhi, poteva ancora vedere i suoi crini scivolargli intorno. Lo accarezzavano dolcemente e lo facevano sentire in pace.
Morbido bronzo sul suo corpo, pieni di mille profumi che disegnavano migliaia di meravigliose immagini nella sua mente. Luoghi lontani, che non aveva mai visto durante la sua eternità, o semplici posti di tutti i suoi momenti finora vissuti.
L’impossibile ed il suo contrario.
Inspirò profondamente, come a volerli ancora sentire.
Assaporarli per un solo attimo.
Ma quando riaprì gli occhi, non c’erano le due polle sorgive di puro cristallo verde ad osservarlo, solo una Terra da un cangiante bagliore coricata sul manto notturno.
Sospirò di nuovo.
Ma non c’era rabbia stavolta, solo tristezza.
“Raziel…” mormorò, come se lui avesse potuto davvero sentirlo “…ho così bisogno della tua Ragione adesso, dei tuoi consigli, o forse solo dei tuoi occhi…” e fu in quel momento che un passo leggero sopraggiunse alle sue spalle.

Si fermò poco distante da colui con cui aveva deciso di schierarsi, e ne osservò la figura distesa sulla lettiga: le sete, bianche e azzurre, della sua tunica si confondevano con quelle su cui era adagiato. I capelli, biondi come il grano, ma con dei riflessi rossi dell’oro sotto il sole, erano sparsi disordinatamente a formare come un morbido cuscino sotto il suo capo.
Due ali candide spuntavano dalla schiena, spiegate. Da quando era arrivato al castello l'aveva visto sempre terribilmente pensieroso, proprio come in quel momento, e, forse, nemmeno si era accorto della sua presenza.
“Perché esiti ad avvicinarti, Uriel?” lo richiamò senza voltarsi “Son desto, non temere, e avanza senza indugio”.
L’altro obbedì, portandosi al suo fianco.
“Osservi la Terra?” gli domandò, quasi con ingenuità, e sorrise egli stesso per quella futile domanda.
Gabriel non distolse il suo sguardo, blu al pari di quella stessa notte, dall’oggetto tondo che rimaneva fisso davanti a lui.
“Umani…” mormorò “…mortali, così semplici nel loro complesso, nei loro pensieri e nelle loro emozioni così liberi. Rimpiango il tempo in cui ero uno di loro, senza pesanti doveri, senza obblighi né pudori da rispettare. Libero di poter esprimere i miei sentimenti, di amare, ma non solo un amore fisico, sporco, usato; non come crede Mikael, ma di un amore fatto di respiri, sguardi rubati all’altrui distrazione, pensieri trasmessi senza parola; intese, attimi da custodire come tesori più preziosi, veri doni del Cielo; odori dell’altrui pelle che resta indelebile, come un marchio a fuoco nelle narici, e li potresti riconoscere tra mille e mille e altri mille; carezze che non toccano la superficie esterna solo per godere di un piacere misero ed effimero, che per restare vivo dovrà essere sempre ricercato più e più volte ancora fino a che non resta una ruvida seta consunta, ma io parlo di quelle carezze che toccano il cuore e lo scaldano e lo proteggono, lo nutrono e lo lasciano nella vera estasi dell’appagamento che resta alla fine del viaggio eterno dell’anima.”
Ma si interruppe, trovando egli stesso inutili quei discorsi. Ora che la scelta era stata presa, che le intenzioni e le successive azioni erano decise e ferme, le spiegazioni non restavano che un inutile spreco di parole.
“Perché hai deciso di seguirmi, Uriel?” domandò poi, alzandosi in piedi. Scansò con uno scatto le tuniche, facendole oscillare alle sue spalle.
Le ali vennero smosse nell’aria intorno a lui, con un gesto meccanico, prima di dirigersi alla ringhiera marmorea della balconata.
Dall’alto, si godeva di uno scenario unico. Un mare immenso su quello che, agli occhi degli uomini, era solo un brullo satellite grigio argento che potevano ammirare nelle notti di Plenilunio e sognare sotto la sua benevola luce riflessa.
Un mare fatto di acqua come cristallo, liquido trasparente che rifletteva il blu dello spazio infinito, un mare placido, al centro del quale sorgeva l’immenso castello di Gabriel.
Quello stesso spettacolo non aveva più la forza di stupirlo.
Uriel non si mosse. Respirò a fondo e poi parlò “Perché così deve essere”.
L’unica risposta che da lui si sarebbe aspettato. Sorrise.
L’Arcangelo, nato per quinto dalla Mano di Dio, aveva occhi e capelli rossi come il fuoco più ardente. Due ali, dalle piume altrettanto rosse, erano ripiegate sulla sua schiena, mentre il resto del suo corpo era avvolto da una tunica candida, che risaltava sulla pelle baciata dalla Luce Divina.
Capiva i tormenti di Gabriel. Per questo si era posto al suo fianco. Non ne aveva mai parlato a lui, non gli aveva mai confidato i suoi, di tormenti, ma sapeva che non glieli avrebbe chiesti poiché non era ancora pronto per parlarne.
“Mio Principe della Luna…”. Una voce dalla melodia innata, leggere note di flauto appena annunciate, avvertì della presenza di un altro angelo sulla terrazza.
Gabriel si girò per osservarlo negli occhi.
Laylahel, dai lunghi capelli d’argento e la pelle di madreperla, si presentò ai loro occhi con un inchino di saluto.
“I Ventotto Angeli Lunari sono pronti ad eseguire ogni vostro ordine e comando, mio Signore.”
Uriel osservò entrambi, poi sospirò. “Così hai convocato tutti…”
“La mia scelta comportava anche questo. Il semplice allontanarmi dal Paradiso sarebbe rimasto come un inutile gesto di isolamento. E allora… lo avrei perso per sempre.”. Tornò a volgersi al mare. “Laylahel…” chiamò “…lo vedi il blu di questa notte?”
“Sì, mio Signore, mai più vivo si era presentato alla mia vigilanza eterna. Le tenebre lunari sono al vostro fianco, Principe.”
“Di questo stesso colore sono le sete della tunica di Raziel; sarà come averlo con me nell’atto in cui affronterò le Potenze del Cielo.”
Di quel profondo colore…

“Blu come i tuoi occhi notturni, fieri dell’impeto e vivi di passione, cosicché io possa portare sempre su di me il tuo sguardo anche quando non potrò vederlo…”

…e gli aveva rivolto uno dei suoi sorrisi, che sapevano porre quiete anche in un cuore scalpitante come il suo.
Felicità pura per un gesto così semplice.
E quel ricordo gli disegnò un sorriso genuino e privo di ironia, sul volto.
“Andiamo Uriel, di sotto ci attendono.” disse infine, allontanandosi dalla ringhiera. Il suo passo era lento, ma deciso. Avrebbe affrontato chiunque avesse cercato di ostacolare il suo cammino, chiunque avesse cercato di allontanarlo per sempre da Raziel, chiunque avesse, ancora un’ennesima volta, osato infangare il suo Amore apostrofandolo come: indegno, sacrilego, blasfemo, impuro, sudicio. Non avrebbe permesso questo delitto un momento di più.
“Sei deciso.” sorrise Uriel, appena lui l’ebbe superato.
“Imparerai ad esserlo anche tu.”
Come sempre, riusciva a capire le cose ancor prima che venissero poste alla sua attenzione e di questo, Uriel, aveva smesso di stupirsi già da molto, molto tempo.
“Mio Signore…” azzardò Laylahel, bloccandolo sull’uscio della terrazza “…è così importante, per voi, il legame col Divino Raziel? È talmente importante da farvi arrivare a prendere una simile decisione?”
“Laylahel…” l’espressione sul suo viso si fece seria, come l'altro non gliel'aveva mai vista “…così importante da farmi scatenare una guerra!”.


 

1SATANAEL: questo nome ha varie interpretazioni. Secondo il Vangelo apocrifo di Bartolomeo era il nome di Satana prima della sua caduta, ed era anche il nome del primo angelo creato dal signore. Secondo la Religione Catara era il nome del fratello maggiore di Gesù che, spinto dalla sua sete di potere ed orgoglio, venne precipitato negli inferi. Dal canto mio ho preferito utilizzarlo al posto di Lucifero per un gusto personale ^^.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 2 - Kiss from a Rose ***


ANGEL NO TEARS
- METAMORPHOSIS -

 

"Baby,
I compare you to a kiss from a rose on the grey.
The more I get of you.
Stranger it feels, yeah.
And now that your rose is in bloom,
A light hits the gloom on the grey
."

Seal - Kiss from a Rose

- CAPITOLO 2 - Kiss from a Rose

Cori, di voci purissime, si disperdevano nell’aria intorno a lui e creavano come una cupola invisibile, un guscio protettivo per preservare l’incolumità della loro Gioia che lentamente sbiadiva; come pioggia su un acquerello, si stingeva.
Ed i giovani cantavano, inconsciamente, mentre lui continuava a camminare.
Un passo.
Dopo l’altro.
Ed un altro passo ancora.
Così leggero da non fare il minimo rumore; così assorto da non rendersi nemmeno conto delle altre presenze in quell’immenso Giardino. I suoi pensieri distanti, lo avevano completamente isolato dal resto del Paradiso e si muoveva, assente, tra i roseti carichi di fiori rigogliosi dai profumi inebrianti ed i petali di mille colori.
Li sfiorava gentile, ne inspirava le fragranti essenze, li osservava.
Ma non vedeva nulla, non sentiva nulla.
Le sue dita, lunghe ed affusolate, sembrava non godessero più del senso del tatto, come le sue narici, improvvisamente insensibili; e gli occhi, quei meravigliosi turchesi di cui il Padre gli aveva fatto generoso dono, erano come ciechi di fronte a cotanta bellezza. Ma non vi badava, Anael, non se ne curava.
Continuava a pensare.
Non era di suo interesse la minaccia che le spine stavano rivolgendo alla sua tunica dalle tenui tinte rosa, mentre si aggirava tra i cespugli, né lo svolazzare incontrollato dei suoi boccoli dorati.
No. Nulla importava, solo i suoi pensieri e quel rimuginare incessante regalò al suo bellissimo viso, delicato come la porcellana, un’espressione che ai molti sarebbe parsa imbronciata, ma non lo era. Era solo assorta, con le piccole labbra rosa delicatamente strette in una maggiore concentrazione.
-Uriel…-
Ecco. Il nome che rapiva i suoi pensieri, la sua attenzione.
-Uriel…-
La Fiamma Ardente.
Ali, capelli, occhi tutto era stato toccato dal Fuoco, anche le sue labbra: carnose e rosse.
-Perché esporti in questo modo? Perché seguire Gabriel in questa follia? Mikael non ti perdonerà mai. Oh, Uriel. Torna indietro, torna indietro ti prego, perché mi manchi, perché non voglio che ti accada nulla, perché desidero i tuoi occhi ancora su di me che mi seguono, che mi cercano. E mi proteggono. Ma chi proteggerà te? Ora che Mikael è pieno di collera, non si tratterrà.
Stavamo bene, ricordi? Tra queste rose che ormai hanno perso tutta la loro bellezza ai miei occhi. O lungo i corridoi del Castello, mentre tra i colonnati ci accompagnavamo in meravigliose passeggiate. Sotto la Luce Divina e senza inganni, cibarsi della sola presenza l’uno dell’altro e strappare sguardi più intensi all’attenzione di tutti. Mi rallegravo tra i mille colori ed i mille profumi di questo Giardino che il Padre ci ha donato senza chiederci nulla in cambio. Ti ho regalato ogni mio sorriso ed il mio cuore gioiva perché sapeva che li avresti tenuti per te, solo per te. La tua felicità rendeva la mia anima leggera, libera di navigare in quel mare fatto di pure emozioni prima di adagiarsi a riposare sulle tue labbra che la Fiamma ha sfiorato con un respiro. Bruciano tutto ciò che toccano, lo avvampano, con quel calore forte che è frutto della Passione. Quale parola hai portato alla mia conoscenza che, prima di te, non avrei mai saputo spiegare ed ora non ha più segreti. Se Mikael sapesse o se solo si sforzasse di capire… ma sarà poi giusto? O siamo solo i più insospettabili peccatori?-

Fermò il suo muto vagare lungo un cespuglio di rose bianche. Le uniche spettatrici di un crimine che nessuno avrebbe perdonato, che Mikael avrebbe condannato strenuamente, che li avrebbe macchiati come ‘impuri’ agli occhi del Padre.
Quel piccolo, terrificante crimine.
Accarezzò i setosi petali di uno dei fiori.
“Avrò il vostro prezioso silenzio?”...

...Accompagnarsi con lui, era di quanto più piacevole vi fosse nel Paradiso.
Uriel non si vergognava di questo pensiero così sfrontato, che Mikael non avrebbe tardato a redarguire; ma cosa c’era di più puro della Verità? Non poteva farci nulla, ma era ciò che sentiva quando vagava con Anael per i cortili dalle zampillanti fontane in marmo ed i fiori profumati.
“Oh! Anael e Uriel…” sentiva mormorare, d’intorno, i giovani Angeli che li osservavano ammirati, e sorrideva di fronte al loro stupore.
“Per cosa si rallegra il tuo viso quest’oggi, Uriel?” gli chiese il suo Compagno Divino, fermandosi ad inspirare la delicata essenza di un’orchidea nel pieno della sua fioritura.
E la sua voce era un come melodia che il solo ascoltarla riempiva il cuore di pace.
“I giovani ci guardano…”
“Ti diverte sentire i loro richiami mormorati?”
“Mi imbarazza il loro stupore.”
Anael accarezzò i petali del fiore. “Ammirano ciò che siamo, io li trovo deliziosi.” il suo sguardo era concentrato sull’orchidea ed Uriel ne osservava il profilo dai lineamenti dolci e perfetti.
“E’ te che ammirano e la tua gentile bellezza.”
Si ritrovò gli occhi turchesi dell'Arcangelo dell'Amore ad osservarlo, brillanti, mentre un delicato sorriso ne incorniciava il viso di porcellana ed un lieve rossore ne tinse le gote.
“E di te ammirano la regale fierezza che t’accompagna, non sminuire il tuo profondo valore.” suggerì, allontanandosi di qualche passo, mentre l’altro rimaneva fermo ad osservarlo.
In ogni suo movimento, gli occhi di Uriel, non potevano non scortarlo, silenziosi. Era un magnetismo troppo forte a cui sottrarsi, ma nemmeno ci pensava. Come avrebbe potuto, anche solo per un istante, fare a meno di vedere la sua pelle lattea colorarsi anche per un semplice sorriso o i suoi crini morbidi che rilucevano nella Luce Divina come preziosissimi fili d’oro, le sue labbra piccole e delicate di un tenue rosa.
Si fermò su quest’ultime.
Era da un po’ di tempo che le osservava, con un interesse più insistente del solito. Gli sembravano così morbide… che in lui si era acceso un desiderio improvviso e dal significato amaro e dolce al contempo.
Poterle toccare…
Sfiorarle con le dita…
Solo per un infinitesimo istante…
Anche in quel momento ci stava pensando, ma si redarguì mentalmente per la sua indecenza. Avanzò anche lui, con espressione improvvisamente incerta.
Lo seguì nel suo muoversi, lungo i cespugli, fino a che non lo vide fermarsi in un particolare anfratto di cui non si era mai accorto prima semplicemente perché non vi era mai stato.
“Guarda Uriel…” lo chiamò Anael, rivolgendogli uno dei suoi meravigliosi sorrisi che illuminavano più del Sole “…sono sbocciate le rose bianche. Ammirane la naturale purezza nel loro momento di maggiore splendore, poiché non durerà in eterno. Sono anche esse mortali, come gli umani, e come loro amano mostrare tutto quello che hanno da offrire, prima che il tempo passi inesorabile come i granelli in una clessidra. E, come gli umani, devono essere colte nel loro attimo di massima fioritura e protette affinché la loro bellezza si possa preservare all’infinito nel cuore di chi le seguirà.”
Essere colti.
Nell’attimo di massima fioritura.
Quelle due frasi lo scossero.
Anael era eternamente nel momento di maggiore splendore: significava, forse, che avrebbe dovuto coglierlo in eterno? Doveva assecondare il suo desiderio? Atroce dubbio che non sapeva sciogliersi nella sua mente e, lentamente, lo consumava nell’indecisione.
Inoltre, trovarsi ad osservare i suoi meravigliosi turchesi, non gli permetteva di scegliere. Distolse lo sguardo, come a vergognarsi di quello che lo stava tormentando da tempo, come a vergognarsi della sua impurità nel provare un sentimento di desiderio nei confronti di un suo Fratello Divino o, più semplicemente, lo distolse sperando che Anael non vi leggesse dentro tutto il suo amore.
Un tocco delicato lo costrinse a guardare innanzi a sé.
Le sottili dita dell’Arcangelo del coro dei Principati gli stavano accarezzando il viso, mentre i suoi occhi lo scrutavano preoccupato.
“Hai l’aria incerta; cosa turba la tua tranquillità, Uriel?”
L'altro sostenne il suo sguardo con espressione triste.
“Un dubbio atroce, che dilania la mia fermezza incurante del dolore che lascia.”
“Cosa può ferirti così? Parlane con me…”
“Un desiderio terribile che non può essere pronunciato né assecondato, ma che arde insistente all’interno del mio essere da farmi sudare all’improvviso. È puro peccato, perché pervaso dalla passione e per questo severamente condannato come impuro; è mortale e, come tale, destinato a consumarsi nel momento stesso in cui sarà compiuto e dopo non ne rimarrà che un ricordo indelebile, che resterà a dimorare nel profondo del cuore. Ma i ricordi sono labili, e la loro necessità di essere ravvivati, renderà infinito questo desiderio.”
Bastò perché le labbra di Anael si chiudessero sulle sue, all’improvviso.
Nemmeno se ne rese conto all’inizio. Spiazzato da quel gesto su cui aveva rimuginato per ore e ore e che lui aveva compiuto in un istante. Semplice.
Poi lo assaporò.
Erano morbide, come aveva sempre pensato; lisce, come petali di rosa, e dal dolce sapore.
Chiuse gli occhi, tuffandosi in quel mare di improvvise sensazioni che lo cullavano, dolcemente. Questo era il senso del ‘baciare’: lasciarsi a trascinare da una corrente placida che lo faceva sentire in pace. Una pace mai provata prima, che nemmeno la quiete del Paradiso aveva saputo donargli.
Era l’inizio e la fine di tutto il premere delle labbra di Anael, dolcemente, e stranamente ansiose prima che si schiudessero, lentamente, come petali di un fiore, ad accogliere e donare i sapori che entrambi racchiudevano.
Per chissà quanto tempo avevano desiderato la stessa cosa, rimanendo in silenzio a consumarsi nell’attesa. Ed ora, si stavano assaporando con un fluire di sensazioni sempre crescenti, che facevano ricercare con maggiore insistenza, bramare, le altrui labbra quasi a volersene cibare.
Era questa dunque la Passione? Il sentimento umano a loro precluso e marchiato come ‘impuro’?
Gravosissima perdita.
Lentamente e tristemente si sciolsero, entrambi consapevoli del rischio che stavano correndo.
Uriel si guardò intorno: nessuno arrivava a turbare il loro Paradiso nel Paradiso.
Anael sorrideva, dolcemente, come era sua natura.
Si scambiarono uno sguardo di consapevolezza improvvisamente acquisita, e sapere che il Principe dell’Amore e dell’Armonia provava le sue stesse emozioni riempì il cuore della Fiamma Ardente di una gioia disarmante.
“I dubbi sono nati per essere fugati.” disse infine, l’Arcangelo dei Principati, tornando a rimirare le tacite testimoni dai petali candidi "E, se tu lo vorrai, ravviverò io questo ricordo per te."…


Quella memoria gli sovvenne alla mente con dolorosa tristezza.
“Padre, ti prego, proteggilo.” si ritrovò a supplicare, ma si sentì uno sciocco: come poteva proteggerli se li stava punendo? Ormai tutto stava cambiando, addirittura la Luce Divina stava abbandonando il Paradiso. Se n’era accorto di come calasse ad ogni momento, ma, in fondo, non gli importava: se non avesse più potuto rivedere lo sguardo di Uriel, sarebbe potuto morire anche all’istante.
“Siamo così simili ai mortali.” disse in un sospiro quando l’improvvisa puntura di una delle rose lo riportò alla realtà che lo circondava.
I cori dei giovani lo avvolsero come un abbraccio. Ridevano, giocavano. Le acque zampillavano placide dalle fontane.
Osservò l’intorno con sguardo spaesato e perduto.
“Oh Uriel, il Paradiso non mi è mai sembrato così vuoto…”

 

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 3 - Freelove ***


Documento senza titolo

ANGEL NO TEARS
- METEMORPHOSIS -

"And I'm only here
To bring you free love
Let's make it clear
That this is free love
No hidden catch
No strings attached
Just free love
No hidden catch
No strings attached
Just free love"


Depeche Mode - Freelove

- CAPITOLO 3 - Freelove

Ira.
La più incontrollata che potesse esserci. Veniva trattenuta attraverso lo sguardo perso nel vuoto del panorama che poteva osservare dalle grandi vetrate della finestra presente nel suo studio. Rinchiusa in un silenzio innaturale attendeva di venire a giorno in tutta la sua devastante distruzione. Sapeva che avrebbe prodotto la stessa deflagrazione di un’atomica terrestre, ma sembrava come sordo ai richiami di quella piccola parte di lui che restava, ormai da troppo tempo, deposta in un angolino del suo cuore e che veniva chiamata Misericordia.
Non poteva esserci ‘misericordia’ per coloro che avevano macchiato in questo modo il Paradiso, che lo avevano sporcato con i loro atti impuri.
Un peccato così indicibile che, al sol pensarci, quell'ira repressa guizzava nel suo spirito come se stesse per esplodere. Poi, la sua mostruosa forza l'acquietava ed i suoi pensieri tornavano a fluire con linearità.
Come avevano potuto cadere vittima del più sordido desiderio mortale?
Non se lo sarebbe mai aspettato, ed ora si sentiva come tradito da quelli che erano i suoi Fratelli.
Sapeva che, prima o poi, Gabriel avrebbe fatto uno sbaglio, un grosso sbaglio, ma di certo non si era aspettato che irretisse in questo modo anche l'incorruttibilità di Raziel. Proprio lui. Il più razionale e saggio tra tutti loro. La Creatura in cui aveva riposto tutta la sua fiducia e che reputava suo consigliere in ogni situazione. Come poteva essersi abbassato in un modo così meschino?
Le due ali spuntavano candide da sotto l’armatura che indossava, e restavano nervosamente riposte in una posizione di attesa; a breve, il secondo inquisito avrebbe messo piede in quella stanza per dire la sua a riguardo. Ma cosa sperava di fare? Di difendersi? Di chiarire? Di spiegare? E cosa c’era su cui rimuginare che non fosse abbastanza limpido?
In quel momento non sapeva nemmeno se sarebbe riuscito a guardarlo in faccia, tanto era il disgusto che stava provando. E più ci ripensava, più si contorceva, nel suo ventre, quel sentimento di rifiuto misto a sconcerto e tradimento.
-Gabriel…- pensò lentamente, come a voler riconsiderare quel nome che conosceva da un’eternità e che ora stava acquistando un significato del tutto nuovo -…sei la Vergogna. Sapevo che un giorno mi avresti deluso, che non avresti mai abbandonato le tue infime origini. Sudicio pezzo di fango.-
Gli occhi nocciola erano impassibili davanti al vetro. Vedevano e non ciò che, nella realtà, gli si offriva alla vista.
Pervasi da detestanti ricordi, riproducevano all’infinito una scena che assumeva particolari sempre più nuovi e sporchi e si sentiva macchiato anche lui, ogni volta che ci ripensava…

… “Mikael, mi è concesso parlarti?”
Lo osservò per un attimo, con uno strano stupore: Gabriel veniva a chiedere consigli a lui? Quell’eventualità lo fece sorridere trovandola poi impossibile.
“Puoi chiedermi tutto quello che desideri, Fratello.” rispose con un mite sorriso che, anche solo per un attimo, lo rese di nuovo il ‘Mikael’ di molto tempo addietro. Quando non era ancora il loro Principe impassibile, austero, intollerante.
L’Arcangelo del coro Angelico ci aveva pensato molto prima di confidarsi con lui.
Dubitava della sua reazione ed era così maledettamente sicuro che non avrebbe capito, che nemmeno lui sapeva spiegarsi cosa indugiava ancora sull’uscio del suo studio senza, invece, voltargli le spalle e cercare orecchie più tolleranti con cui confidarsi. Eppure avanzò, prendendo posto in una confortevole poltrona rivestita in rosso velluto damascato.
Il Fratello si accomodò dall’altra parte dell’enorme scrivania, su cui era ormai concentrato tutto il suo tempo eterno.
Un blocco di marmo, nero, lucido come uno specchio.
I corti capelli castano chiaro di Mikael ricadevano, delineando i contorni ben squadrati del suo viso, in morbidi riccioli.
Indossava sempre la sua armatura altrettanto nera, lucente, come a sottolineare il suo spirito perennemente attento e ligio al dovere che gli era stato posto sul capo dal Sommo Padre dei Cieli.
Un peso che, a detta di Gabriel, lo stava sprofondando sempre di più e molto lentamente.
“Sono in dubbio…” esordì d’un tratto “…ti è mai capitato di ritrovarti come immerso in un qualcosa che non si può spiegare a parole, ma che è meravigliosamente placido tanto che ti è come impossibile cercare di venirne fuori perché vorresti non finisse mai?”
“Non credo di capire bene quello che intendi…” si ritrovò a rispondere il Fratello, un po’ incerto “…puoi spiegarti meglio?”
L'Arcangelo respirò a fondo.
“Immagina un mare immenso ma privo di acqua, in cui la tua mente e anche il tuo corpo resta come sospeso, a cavallo tra il certo e l’incerto. E senti che il cuore potrebbe tranquillamente esploderti in petto, per quella pace leggera, ma non te ne curi perché la sensazione che provi è così meravigliosa che, anche se distruttiva, vorresti non finisse mai.”
Mikael sorrise. “Ogni volta.” rispose senza incertezze “Ogni volta che il Misericordioso Padre è davanti a me e mi parla, con quella voce che è puro pensiero e non ha bisogno di parole per arrivare dritto al cuore.”
Gabriel scosse la testa.
“Non mi riferisco a Lui…”
“Sciocchezze.” lo interruppe bruscamente, mentre sul suo viso ritornava quella impassibile espressione che, come una scorza, era divenuta la sua seconda pelle “Ciò di cui parli è un sentimento che non può essere provato verso nessun altro essere esistente dopo Dio.”
Eccolo.
Il solito, glaciale Mikael.
Con quel suo sguardo cieco a tutto ciò che non fosse la Luce Divina; che grave errore aveva irrimediabilmente compiuto, eppure poteva ancora salvare la situazione prima che degenerasse troppo, prima che il Fratello potesse farsi sospettoso: se si fosse scoperto del tutto, Raziel avrebbe potuto patirne anche lui le conseguenze. Doveva proteggerlo.
Ferreo, il Principe delle Schiere Celesti perpetrava la sua arringa che già sapeva di condanna a morte prima ancora di conoscere il reato.
“…amore incondizionato. Rivolgerlo a qualsivoglia creatura inferiore al Padre equivale a peccato.”
“Perché?”
Senza la sua volontà, quella domanda era sfuggita alla bocca di Gabriel, secca quanto bastava perché gli occhi del suo interlocutore si riducessero a due fessure, quasi stesse oltraggiando le leggi dell’intero creato.
“Fratello, hai forse scordato cosa portò la sconcezza degli Angeli che scesero in Ardis?”
“Quello di Semeyaza
1 non era amore e lo sai meglio di me, Mikael, non fare paragoni errati.”
S’azzittirono.
Il guerriero in armatura lo squadrava sospettoso.
Gabriel, par contro, picchiettava il dito sul bracciolo della sedia. Forse aveva esagerato nell’usare quel tono, però l’assolutismo di suo Fratello diventava sempre più difficile da tollerare.
“Si direbbe quasi che la faccenda ti tocchi da molto vicino…” cominciò l'altro col tastare il territorio, proprio ciò che avrebbe voluto evitare.
“Sai bene qual è il mio ruolo…” s’affrettò a spiegare “…sono in eterno contatto con gli esseri umani e questa forma di Amore, rivolta ai propri simili, è un qualcosa che appartiene al loro quotidiano. Per questo mi incuriosisce.”
“Sono solo creature mortali che non sanno guardare oltre il senso di questa loro breve apparizione nel Divino Disegno. Si legano a cose, altrettanto mortali, su cui vantano inesistenti diritti di proprietà. Uomo, animale o oggetto che sia. Perennemente immersi nelle proprie illusioni, non si rendono conto che quello che provano non è amore, ma semplice istinto di continuità. Sono creature egoiste che reclamano e donano le proprie attenzioni verso qualcuno solo per poter condividere i loro brevi giorni in compagnia. Ricercano il conforto nel tangibile quando basterebbe un semplice sguardo, oltre le proprie teste, e soddisfare così tutte le proprie esigenze.”
“Sembra quasi che tu stia rinnegando la tua passata natura.”
“E tu sembra quasi che la stia rimpiangendo.”
Sostennero i propri sguardi con fermezza. La conversazione poteva dirsi ormai chiusa.
Ma non poteva, no, Gabriel non poteva andare via e tacere, continuare a nascondere sé stesso ed i suoi sentimenti.
“Si, lo rimpiango, ma non per quello che credi tu, che vedi il sacrilego in ogni mio pensiero o gesto. Anche la semplice carezza per un fiore può trasformarsi in peccato ai tuoi occhi. Non rimpiango le loro passioni mortali, quanto la loro libertà nel provarle.”
La mani di Mikael batterono forte sul lucido marmo, mentre si alzava lentamente.
“Non tollero queste tue parole, Gabriel, sono pura offesa alle orecchie di Dio-…”
“Basta maledizione!”
“…osi addirittura imprecare?!”
Le sete dell’Arcangelo dagli occhi blu frusciarono nel movimento che lo portò in piedi.
“Ed io non tollero questo comportamento che ti induce a guardare dall’alto ogni Fratello che si pone a tuo consiglio!”
“La vicinanza agli umani ti sta macchiando come un tempo sei stato e questo tuo alterarti mi dà da pensare solo ad una cosa…” tagliente, freddo “…per chi?”
Quella domanda a cui Gabriel non sarebbe mai voluto arrivare, quella domanda che avrebbe peggiorato irrimediabilmente la situazione, una banale domanda che avrebbe cambiato per sempre le esistenze di tutti.
“E’ uno di noi? O un comune mortale?”. Restò ancora in ardito silenzio. “Rispondimi, è un ordine!”
“Un umano.” disse guardandolo dritto negli occhi.
“Tu menti. Il tuo sguardo si ostina a proteggere qualcuno. Uno di noi…” sentenza ringhiata tra i denti, quella del Principe di tutte le Schiere Celesti, che fece distogliere le iridi al suo interlocutore, non riuscendo a sostenerlo.
E Gabriel aveva fallito; Mikael non aveva creduto alla sua bugia, al suo vano tentativo di difendere i Divini Compagni. Solo la verità, ormai, restava da dire con tutte le conseguenze che essa avrebbe portato.
“E’ Anael, vero?” continuò l’altro imperterrito nella sua collera “E’ l’unico che più ha a che fare con quel sentimento effimero quale l’Amore Umano! Dimmi è così? E’-…”
“Raziel.”
Silenzio.
Era stato quasi mormorato. Così leggero da essere impercettibile, seppur non abbastanza.
Michael si ammutolì ed osservò, totalmente sgomento, gli occhi di Gabriel.
Nessuna incertezza nella voce.
Nessun dubbio.
Stava dicendo la verità. Pura e terrificante verità.
“Impossibile…” sibilò “…Raziel, il saggio e razionale Raziel…” si sedette meccanicamente, mentre la sua baldanza si era dissolta su quel muro impassibile quale fosse la realtà.

Gabriel restava fermo, torreggiante nella sua interezza, tentava di non mostrare il dolore per il dispiacere che vedeva nel Fratello dalla bocca semiaperta, per l’incredulità, e gli occhi fissi sul tavolo lucido che restituiva i loro riflessi. Lo vedeva improvvisamente giovane, molto giovane, per quel tempo che furono bambini: quando il Padre lo insignì del suo importante titolo e compito. Aveva quella stessa espressione indifesa, di smarrimento, mentre fissava gli eventi susseguirsi e mutare innanzi ai suoi occhi senza poterli modificare perché erano più veloci di lui e non lo aspettavano, ma passavano oltre che fosse pronto o meno.
Come potevano essersi allontanati così tanto?
Quando era successo?
E perché non avevano fatto nulla per impedirlo?
-Mikael, guardami! Sono tuo Fratello, sono Gabriel!- avrebbe voluto dirgli, prendendolo per le spalle, scuotendolo, costringendolo a guardarlo. Occhi negli occhi. -Non trattarmi come fossi un estraneo per te! La stessa natura di origine ci lega, per quanto tu possa averla ripudiata, non mostrarmi il tuo rancore, Mikael!-
“Mikael…”
“Non una parola di più a quanto tu abbia già detto. È stato sufficiente.” per quanto sussurrate, quelle parole uscirono ferme dalla sua bocca.
“Come hai potuto lordarti di un simile abominio? La tua natura umana è riuscita a corrompere la purezza di Raziel… hai… hai coinvolto il Principe degli Auphanim nelle tue scempiaggini e non ci saranno abbastanza penitenze per poter lavar via l’onta dei tuoi peccati!”
Maschera di freddo distacco. Parlava con lui come fosse stato un ribelle di Satanael o un godurioso di Semeyaza.
E tutto quello lo ferì ancora di più. Una pugnalata ogni frase, ogni parola, ogni singola lettera. Il cuore in brandelli annegò nel sangue, che versava dentro di sé; gli occhi offuscati dalla rabbia che si stava impadronendo di lui e voleva correre fuori, riversarsi sul suo viso per accarezzarlo e cullarlo.
Che sciocco.
Sì.
Povero sciocco che aveva creduto nella complicità di suo Fratello dimenticando che il primo, grave crimine venne commesso per mano di Caino.
Ed ogni suo pensiero, in quel momento, era solo puntato sul senso della sua permanenza in quello stesso posto in cui aveva imparato ad essere un Arcangelo.
A che pro continuare a restare? La sua unione con Raziel era definitivamente compromessa. Sarebbero stati isolati di sicuro per evitare altre spiacevoli situazioni. Non avrebbe potuto vederlo mai più. Il tocco dei suoi capelli di bronzo. I brividi delle mille carezze, quando si lasciava a riposare sulle sue gambe candide coperte dalle sete delicate. I sorrisi, i suoi pensieri e quegli occhi che non avevano bisogno di voce per trasmettere l’intero significato della vita e della sua eternità acquisita e costantemente lodata per avergli permesso di avere accanto una creatura così immensa, nella sua semplicità.
Cancellato.
Tutto.
Per quella stessa eternità che in un attimo si stava trasformando nella sua dannazione.
“Sapevo che non saresti mai stato all’altezza del tuo sacro compito ed il non aver rinunciato alla tua sessualità è stata la mia conferma. Più vile di Semeyaza, hai atteso di sedurre il tuo Compagno dalla purezza più brillante, prima di venire allo scoperto. Lo hai insudiciato, con le tue luride mani, che Dio possa avere pietà di questo empio gesto.”
Insudiciare Raziel?
Ma cosa stava dicendo?
Nessuno sarebbe mai riuscito ad intaccare la sua meravigliosa bellezza e nemmeno ci aveva pensato. Mai.
Non una volta.
Il suo amore per lui andava ben oltre quell’umano groviglio di corpi, in cui l’estasi era un frammento isolato che veniva colto solo per un attimo e subito perduto.
Come poteva, Mikael, non vedere oltre lo squallore che annebbiava i suoi pensieri?
Mai.
Mai aveva abusato dell’Innocenza di Raziel e mai l’avrebbe intaccata, nemmeno col pensiero.
Moriva sempre di più per ogni frase. Per ogni sua sentenza gettata come un sasso.
Lui non sapeva.
Lui non capiva.
Eppur giudicava.
Ed il fatto stesso che fosse la bocca di Mikael a parlare lo faceva stare peggio cento volte di più, ma non poteva permettere che gettasse fango su quello che lo legava a Raziel. Nessuno poteva. Nemmeno Mikael.
“Basta.” il tono fermo e la voce alta fecero muovere lo sguardo del Principe delle Schiere Celesti verso quello del Fratello. “Tu non puoi capire quello che io e Raziel custodiamo dentro di noi e non resterò qui, a lasciare che tu lo possa calpestare con non curanza come fosse terra sotto i tuoi sandali. Il mio è Amore e se non riesci a riconoscerlo significa che non sai nemmeno di lontano, come un'immagine sbiadita, di cosa io stia parlando.”. Detto questo volse le spalle a tutto quello in cui aveva sempre creduto e mosse i suoi passi decisi in direzione della porta.
“Avanza oltre e sarai cacciato dal Paradiso.”
Silenzio.
Le lacrime scesero sul suo viso dall’espressione rigida, mentre diceva “Restare non ha più alcun significato per me.” e le sete frusciarono, accompagnando il suo incedere.
“Fermati! Non ti verrà più permesso di mettere piede qui! Hai capito, Gabriel? Torna indietro!”
Ma la sua schiena era già lontana e a Mikael non restò che l'eco collerica dei suoi richiami…

Poteva ancora sentire i suoi passi decisi intraprendere il cammino che aveva scelto.
Gli ferivano le orecchie, ma il suo viso continuava a restare marmoreo di fronte agli eventi. Lo sguardo impassibile, rivolto all’esterno della vetrata.
Il Paradiso era al suo primo tramonto. Anche quell’immagine, dalle mille tinte dell’arancio, lo feriva.
I giovani avevano cessato i loro canti. Spaventati, da quel repentino mutamento, si erano rifugiati nelle sale del castello. Non più le fontane scrosciavano le loro acque limpide negli allegri zampillii. Uccelli impauriti, rifugiati sugli alberi. I fiori richiudevano le corolle per affrontare la loro prima notte. Silenzio innaturale che gli faceva avvertire, per la prima volta, la sospensione del tempo. L’intero Paradiso era come in bilico sul baratro del suo declino.
“Stiamo morendo.” e quella consapevolezza lo faceva sentire così impotente. Lui, il Principe delle Schiere Celesti, incapace di difendere il Regno di Dio. “Troppa fiducia riponesti in me per un compito così gravoso.” scosse la testa, lentamente, e si preparò ad affrontare il secondo peccatore.
Era passato un tempo indefinibile da quando Gabriel era andato via e Mikael non aveva mai avuto il coraggio di affrontare Raziel. Temeva di incontrare il suo sguardo imparziale, forse per la paura di vederlo improvvisamente vacillante.
Non più sincero.
Non più puro.
Innamorato.
Perduto.
Due colpi secchi al portone ne annunciarono la presenza.
Ad ogni modo non avrebbe mai potuto perdonargli tutto quello.
“Avanza.” perentorio come suo uso.
Le sete di Raziel frusciarono ai suoi movimenti che lo portarono all’interno della stanza. Le porte vennero richiuse dietro di lui.
Il Principe dei Cherubini lo vide dargli le spalle. In piedi, braccia conserte ad osservare il tramonto. Le ali compostamente ripiegate sulla schiena. L’armatura lucente restituiva i riverberi dell’ambra, come ogni cosa in quella stanza e fuori, tinte d’arancio in varie sfumature. Le ali di Mikael non erano più candide, così come le sue che non poteva vedere.
I colori non più vivi e nitidi, ben definiti, ma falsati.
Come ormai il Paradiso sembrava essere diventato. Falso. O come era sempre stato, ma si sorrideva e ci si trastullava nella propria illusione di felicità.
“Temevo non avresti voluto incontrarmi.”. I suoi capelli erano di un bronzo carico e luminoso, morbidi, ricadevano sulle sue spalle e tra le piume delle ali.
“Siedi.”
Mikael fu a dir poco telegrafico, eppure Raziel obbedì. Le mani delicatamente poste sulle gambe, la schiena dritta e la testa alta. Elagante in ogni suo movimento che Mikael carpiva dal riflesso nel vetro. Non aveva il coraggio di voltarsi. Lui voleva, ma non riusciva a muoversi.
“Cosa ti aspetti che io ti dica?”
Solitamente fluida e calma, la voce di Raziel aveva un tono deciso. Si aspettava di doversi difendere dai suoi rimproveri e questo lo infastidì.
“Taci.”
Il silenzio li sospese nel tempo.
“So che mi stai odiando, lo percepisco…”
“Non dovrei forse?”
“Non ne vedo il motivo.”
“Il peccatore non vede il peccato, non mi stupisco.”
“Peccato? Quale peccato? L’Amore è forse peccato?”
“Il vostro sì.”
“Desidererei interloquire con il tuo volto, non con la tua schiena.”
L’altro abbozzò un sorriso di scherno “Forse non meriti tale riguardo…”
Le sete dell’Arcangelo frusciarono nuovamente, nel suo alzarsi.
“Allora la nostra conversazione può definirsi chiusa.” e si mosse in direzione della porta.
Vedere le sue ali, in riflesso nel vetro, che si allontanavano non poteva fargli che male. Come Gabriel, anche lui gli stava voltando le spalle e la sensazione di abbandono da parte loro lo faceva tornare piccolo per un istante, quando i suoi genitori gli avevano voltato le spalle lasciandolo nelle mani di Dio, per divenire il Principe di tutti gli Angeli. Nessun riguardo per lui e suo Fratello. Scaricati come sassi da una mano all’altra, non una parola.
Mentre il Padre gli aveva dato tutto. Un Amore sconfinato, che lo riempiva di gioia ogni volta che poteva discorrere con Lui.
Ma vedere quasi l’indifferenza, negli occhi di coloro che ti hanno generato e cresciuto, coccolato, può spezzarti il cuore. E quello di Mikael aveva una crepa insanabile. Suo Fratello lo aveva seguito; aveva accettato per entrambi la situazione, giustificando ai suoi occhi il tacito sottostare della madre e del padre. Poi era arrivato Raziel. Nessuna consolazione nelle sue parole, ma solo la verità. Detta con la più quieta dolcezza che, per quanto possa essere dolorosa, ti insegna ad andare avanti accettando il presente e superando il passato.
Ma ora anche loro lo stavano lasciando solo. Gabriel lo aveva già fatto, Raziel lo stava facendo in quell’istante.
“No, aspetta…” frettolosamente, quasi allarmato, lo fermò sul limitare della porta. L’armatura aveva tintinnato nel suo voltarsi.
I lunghissimi capelli ricadevano al suolo, sparpagliandosi nell’intorno; Mikael li vedeva, meravigliosi e lucenti, intervallare le ali bellissime del suo Compagno Divino. “…aspetta…” disse ancora.
“Potremo avere dunque un dialogo?”
Sospirò pesante a quella domanda; per il Signore del coro Arcangelico parlare di dialogo era difficile in quel momento, ma da Raziel si aspettava ragionamenti più adeguati.
“Sì…” rispose con leggera titubanza, mentre finalmente il viso del condannato si mostrava al suo giudizio.
Per nulla vacillante o supplichevole.
Non incerto.
Innamorato, quello sì.
Eppure terribilmente deciso.
Gli occhi lucenti, del tramonto che vi si rifletteva, li rendeva di bronzo, come i suoi crini.
“Ponimi le tue domande ed io ti risponderò.”
In piedi.
L’uno di fronte all’altro.
Separati per tutta la lunghezza della stanza, eppure in quel momento la loro distanza sembrò comparare l’intero Paradiso.
“Tu e Gabriel…”
“Cosa vuoi sapere?”
“Ciò che mi aspetterò sempre da te: la verità.”
Ma quale verità, in fondo? Quella che già sapeva e che aveva letto negli occhi di suo Fratello? Era la stessa scritta in quelli di Raziel.
Eppure, masochisticamente, voleva sentirla ancora, definitiva, trafiggergli le orecchie ed il cuore. Dei due nessuno si era salvato.
“Sì, Gabriel mi ha usato, sfruttato, corrotto!” sperava quasi di udire questa condanna, perché almeno Raziel potesse preservarsi intoccabile ed intaccabile da quel sentimento che da bambino gli aveva spezzato il cuore. Eppure, diverse, le parole dell’Arcangelo a sei ali seppero demolire ogni sua più vana speranza.
“Io amo Gabriel e non per quello che rappresenta né per la sua natura mortale, ma per ciò che dentro di lui lo rende Signore di un coro angelico e lo innalza al di sopra di tutto ciò che può essere umano o divino. Parimenti Gabriel ama me. E mai, se è questo che temi e ti affligge, mai ha osato levar mano su di me, macchiando entrambi della famelicità umana del sesso. Nessuna malizia nei baci e le carezze, solo uno scambio di essenze. La mia per la sua e viceversa. Devo forse scusarmi col Padre per aver messo in atto i suoi insegnamenti?”
La testa di Mikael doleva intensamente e lentamente veniva scossa.
“Guarda in che modo ci sta riducendo il vostro intimo connubio…”
“Ma siamo noi davvero, oppure è solo una conseguenza dell’intero schematismo illusorio che ci circonda? Nessun male è stato commesso, eppure come tale viene trattato!” attese che l’altro recepisse bene le sue parole, per affondare il colpo di grazia “Più volte ho guardato l’intorno, dalla mia terrazza, e più volte mi sono ritrovato ad ammettere quanto il nostro comportamento sia vicino a quello degli esseri umani.”
La reazione non tardò ad arrivare con lo sguardo di Mikael che lo fissò inorridito, se non addirittura terrorizzato, da tale apocalittica disgrazia tanto che non ebbe abilità di rispondere.
“Ed una domanda si è posta a mio giudizio, senza trovare ancora risposta: chi somiglia a chi?”
Rimasero in silenzio.
Quell’interrogativo, sospeso tra loro, gravava come un macigno. Non c’era azzardo, negli occhi di Raziel, nel preannunciare simili parole, ma erano fermi. Come quelli di chi vi ha ponderato a lungo, prima di ammettere una simile realtà a sé stesso.
Era davvero questo il problema?
Gli umani prendevano esempio dalle loro azioni, sbattendogliele in faccia, senza temere alcuna conseguenza?
Esprimevano liberamente i loro pensieri e sentimenti, gli stessi alberganti nei remoti angoli dei cuori angelici, e similmente erano corruttibili al male e alla carne.
No! No!
Non poteva! Non era!
Gli Angeli dunque i primi colpevoli?
No!
Non voleva vedere tutta quella verità, così improvvisa e abbagliante, terribilmente tagliente. E chiuse gli occhi, riparandoli dalle sue parole affilate, per non farli sanguinare, coprendoli con una mano. Proteggerli, per proteggere sé stesso.
Raziel abbassò testa e sguardo, per non vederlo così fragile.
“Ti lascio a meditare su tutto questo.” disse, voltandogli le spalle.
La discussione era davvero conclusa.
“Cosa hai intenzione di fare?” domandò, raccogliendo l’ultima goccia di coraggio che ancora fluiva nelle sue vene, temendo la risposta. “Vai via anche tu?”
“No. Resterò perché il Padre mi ha creato con un compito ben preciso a cui non posso e non voglio sottrarmi. Sono la Verità Razionale e farò ciò che di giusto ci sarà da fare.”
Le porte vennero aperte ed un vento gelido riempì la stanza, accompagnando l’uscita di Raziel.

 



1SEMEYAZA: Dal VI Libro dei Vigilanti, l’angelo capo dei duecento angeli (figli del cielo o “Angeli Vigilanti”) che scesero in Ardis, sulla vetta del Monte Armon o Hermon, per congiungersi alle figlie degli uomini. Nel Libro dei Segreti di Enoc, i duecento angeli prendono il nome di Egrigori e sostano al quinto cielo: “Il loro aspetto era come un aspetto umano, la loro grandezza maggiore di quella di giganti grandi e i loro visi tristi e le loro bocche silenziose”

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 4 - Dust in the Wind ***


ANGEL NO TEARS
- METAMORPHOSIS -

"I close my eyes
only for a moment
and the moments gone.
All my dreams
pass before my eyes a curiosity,
dust in the wind
all we are is dust in the wind"


Kansas - Dust in the wind

- CAPITOLO 4 - Dust in the Wind

Un passo.
Meccanicamente seguito dall’altro.
Lento.
Controllato.
Quando dentro di sé avrebbe solo voluto correre via. Non fuggire, assolutamente, ma lasciarsi alle spalle tutto quello che stava succedendo, per raggiungere l’unica creatura di cui si stava corrodendo per la mancanza, come acido su ferro. Si sentiva sventrato.
Ed il tempo giocava con le sue e le altrui sofferenze, vendicandosi di coloro che non aveva mai potuto soggiogare al suo scorrere altalenante. Forse ora rideva, mentre lo osservava avanzare lungo il corridoio. Passo, dopo passo, dopo passo…
La sua immagine veniva coperta, a tratti, dalle ombre dei colonnati investiti dal tramonto. Anche questo stava finendo e si era caricato di un colore cremisi. Rosso dell’oro, in cui rivide fili di quello stesso riflesso scivolare innanzi ai suoi occhi, con la stessa lentezza con cui muoveva sé stesso. Disegnavano onde nel loro fluire, in balia di una brezza inesistente.
Si fermò, mentre scorrevano via, e lui li osservava cosciente che fossero solo un ricordo riaffiorato alla mente per fargli ancora più male. Chiuse gli occhi, sorreggendosi al colonnato. Sperava forse che sparissero?
No, nulla sarebbe mai scomparso…

…il vento filtrava dalla terrazza del suo alloggio. Smuoveva le tende in un armonico frusciare che si mescolava allo scorrere della acque all’esterno.
Erano leggermente chiuse e, tra di esse, correvano intensi fasci di luce.
Il letto, di notevole struttura, ospitava entrambi cullandoli nel suo centro e le sue lenzuola smosse, dai profondi toni scuri della notte.
Una cascata bronzea si disperdeva sulla spalliera coperta dai guanciali, scivolando sui due corpi.
I suoi occhi osservavano la perfetta figura stesa, con la testa dolcemente poggiata sulle sue gambe lasciate scoperte.
Non dormiva e lo sapeva, restava in silenzio assaporando lo scorrere delle dita tra i capelli, di un biondo carico di rossi riflessi che sembravano fili d’oro.
Se fosse dipeso da lui avrebbe continuato ad osservarlo per tutta l’eternità. Così. In silenzio. Eppure parlò.
“Gabriel?” un sussurro.
“Sì, sono sveglio.” sospirò, con una nota di rassegnazione. Come se quel suo stato fosse troppo duro da ammettere.
“Ci stai pensando anche tu, vero? Sappiamo entrambi che non possiamo continuare così… vederci di nascosto, come cospiratori, come peccatori.” e si soffermò volutamente su quella parola, aspettando la sua reazione.
L’altro rimase in silenzio, volgendogli le spalle.
Che avrebbe potuto dire? Sapeva bene che, in fondo, questa sarebbe stata la verità.
“Vorrei poterti stringere le mani o accarezzarti i capelli, così come adesso, anche alla Luce Divina…”
Credeva che non lo volesse anche lui, forse? Ci pensava da molto tempo anche se la risposta era già nota: Mikael avrebbe condannato tutto quello.
Probabilmente avrebbe perso Raziel e questa era una conseguenza che non avrebbe mai potuto accettare.
Ma cosa fare allora? Continuare a tacere? A nascondersi? O mostrare agli altri quanto poteva essere meraviglioso l’amore decantato dagli essere umani e patire, così, una separazione forzata?
No.
Nessuno lo avrebbe mai separato da Raziel. Nessuno glielo avrebbe mai potuto imporre, ma cosa avrebbe fatto se fosse successo?
Chiuse gli occhi, cancellando la visione negativa delle cose, provandoci almeno, e stringendoli per quanto più fosse possibile. Li riaprì di scatto appena le dita di Raziel si fermarono. Si mise a sedere, permettendo al Compagno Divino di poter finalmente vedere i suoi occhi, dello stesso colore delle sete delle sue vesti e delle lenzuola. Quel blu, profondo come il mare più aperto e come la notte più scura, su cui risaltava la tunica, bianca ed azzurra, in quel groviglio armonioso. La sua mano scorse lungo una guancia candida, in lieve carezza.
“Vorrei anche io cullarti in mille abbracci all’ombra di un salice dalle fronde oscillanti e lasciarti sopire sereno, mentre i cori accompagnano il tuo riposo con le loro melodie. Ed intrecciarti i capelli, con fiori dai colori più candidi ed i profumi più dolci, ma mai nessuna dolcezza potrà paragonarsi alla tua.”
Raziel sorrise delle sue parole, ma sapeva di non poter trascurare la realtà “Gabriel…” si decise ad interromperlo “…entrambi sappiamo quanto la verità saprà portare scompiglio intorno a noi. Quello che io mi chiedo è se-...”
“Sh…” due dita si soffermarono sulle sue labbra morbide “…ti amo Raziel, e so quali sono i tuoi timori e le tue preoccupazioni. Soprattutto i tuoi doveri, ma, ti prego, un attimo, solo un attimo; lascia che io goda di questa pace ancora per un breve istante, uno solo; lascia che io possa ancora chiudere gli occhi e sentire le tue dita che accarezzano i miei capelli; lascia che io ti senta mio e mio soltanto ancora per un breve momento.”
Lentamente adagiò la testa sulle sue ginocchia e chiuse gli occhi, mentre Raziel riprendeva a cullarlo dolcemente…


…a quel ricordo la tempesta era al largo del porto, ma perfettamente visibile.
Sembrava trascorsa un’eternità da allora, eppure non erano che pochi giorni mortali. Quanti? Tre? Quattro? Si stupì egli stesso di quanto fosse divenuto influente, ora, lo scorrere del tempo su ogni azione o evento intorno a lui.
E di quanto questa lentezza che percepiva fosse a dir poco dolorosa.
Provava un’insolita ansia per ogni suo pensiero: dove Gabriel fosse, quale decisione sarebbe stata alfine proclamata da ambo le parti, quale destino per tutti.
Riaprì gli occhi, cercando di scacciare quel senso di stretta che aveva cominciato ad avvolgere la sua anima come un nodo allo stomaco che gli mozzava il respiro e lo faceva arrancare. Si sforzò di riprendere il suo passo.
Cancellati per sempre tutti quei ricordi che erano la fonte dei suoi sorrisi.
Lontani.
Lasciati alla deriva del suo cuore pieno di lacrime non versate e lasciate scorrere dentro di lui.
No. Probabilmente, no. Non avrebbe più sorriso. Non ve n’era motivo.
Quando si perde l’amore e si vede la propria esistenza sgretolarsi come sabbia, no, non si può più sorridere.
-Mi dispiace, Mikael…- e aveva sofferto anche per lui che invece tentava di nascondere i suoi dolori, ma Raziel sapeva leggere oltre il muro di obblighi che lo avevano reso marmoreo. Erano gli stessi che piantavano lui al suolo, che lo avevano fatto restare.
La responsabilità di essere la Ragione e, per quanto non lo desse a vedere, anche le sue spalle cominciavano a dolere per il troppo peso; ma, come Mikael, ostentava un’apparente imperturbabilità che finiva col corroderlo dentro. Eppur sapeva quale fosse la realtà delle cose e come questa stesse cancellando le loro esistenze lentamente. Fragili tracce di gesso su una lavagna. Non erano altro che polvere.
Con questi pensieri arrivò alla meta che i suoi passi avevano guidato senza vedere la strada percorsa né gli scalini saliti.
Ora si presentava la fine del colonnato; troncato, come dal taglio di una falce, mostrò quell’unico punto del Paradiso che non aveva mai conosciuto l’ombra.
L’alloggio più in alto di tutto il castello.
L’ultimo.
Quello più vicino alla Luce Divina.
Visto dal corridoio sembrava quasi sospeso nel nulla, avvolto dai raggi luminosi, come a renderlo un sole meraviglioso.
Il colonnato si interrompeva ad una ventina di metri dal portone d’entrata. Poi delle scale salivano di qualche gradino. Non c’era ringhiera. E poi un altro corridoio completamente illuminato, privo di colonne. Metafora della chiarezza in ogni atto o pensiero. Nessun artificio a cercare di giustificare sé stessi agli occhi degli altri. Purezza.
Di solito bianco della Luce Eterna, a Raziel sembrò meravigliosamente bello con l’arancio del tramonto che lo colpiva lateralmente, creando ombre e chiaroscuri. Gli sembrò più vero di quanto non fosse mai stato.
Sostò un attimo innanzi all’imponente portone marmoreo.
Cosa cercava andando da Metatron? Cosa avrebbe ottenuto? Non c’era nessuna certezza negli eventi futuri.
Mikael era sospeso nei suoi sentimenti contrastanti, mentre lui restava impotente nell’attesa di una qualsiasi decisione a riguardo.
Cosa avrebbe potuto dirgli Metatron che già non sapesse? Nulla, probabilmente, e forse era solo un suo parere quello di cui aveva bisogno.
Un’arpa prese a suonare, mentre la sua mano si poggiava sul fronte della porta chiusa. Disperdeva, quieta, limpide note dalla malinconica melodia.
Metatron suonava come sempre, come se in cielo continuasse a risplendere il giorno. Come se fosse intoccabile dal susseguirsi degli eventi.
Serafico, come solo il Principe dei Seraphim1 poteva essere.
E così lo vide. Seduto sul suo scranno composto da numerosi cuscini. Le sete della sua veste si mischiavano all’argento riflesso dei capelli, ora tendenti ad un bronzo brillante. Lisci, come fili setosi erano dispersi tutt’intorno a lui. Le sei ali spuntavano, imponenti e composte, dalla sua schiena. Ripiegate, in riposo, restituivano un colore falsato rispetto alla loro natura argentea simile a quella dei crini.
Le dita scivolavano sulle corde della grande arpa, accomodata tra le sue gambe ed osservò il suo ospite con un delicato sorriso sulle labbra, mentre i suoi occhi viola tendevano al nocciola chiaro.
Raziel notò di non essere solo. Camael restava immobile a braccia conserte sul limitare della terrazza. Tendeva ad assumere una postura decisa, ma il suo sguardo tradiva una notevole incertezza. Strana espressione sul viso del Principe della Forza e del Coraggio, che non si era incrinata nemmeno nella guerra contro Satanael, ma, allora, i signori delle Schiere Celesti, erano stati compatti nell’affrontare il nemico comune. Ora la lacerazione era tra loro stessi.
La musica dell’arpa si interruppe.
“Ti aspettavo.”
La voce di Metatron era dotata di una impressionante musicalità, dai toni acuti.
Raziel avanzò, mentre Camael si accorse della sua presenza rivolgendogli uno sguardo preoccupato.
Aprì la bocca come a proferire una qualche domanda, ma la richiuse incerto. Come se le parole gli fossero morte all’improvviso.
“Accomodati pure…” continuò l’altro.
Raziel rivolse un cenno di saluto a Camael, avanzando nella sua direzione.
“No, grazie, resto in piedi.” disse solo.
La visione dalla terrazza era spettacolare. Il Giardino si stendeva tutto sotto di essa e da lì poteva essere ammirato nella sua interezza.
Ma stendendo lo sguardo all’infinito, il fiato non poteva che rompersi per un attimo per poi riprendere un corso regolare: meravigliose cascate cadenti da giardini sospesi tra le nuvole si tuffavano, scroscianti, nell’infinito mare sottostante che circondava il Giardino. Il loro passaggio, illuminato dalla Luce Divina, era solitamente accompagnato da una scia di arcobaleni, ma ciò non avveniva alla luce del tramonto.
Se la situazione fosse stata diversa, l’immagine dell’acqua arancio scuro sarebbe stata incredibilmente suggestiva, ma ora era avvolta da un silenzio innaturale che le conferiva tristezza.
Poggiò le mani sulla ringhiera, sospirando sonoramente.
Percepiva alle sue spalle l’ansia di Camael.
Sapeva che si stava corrodendo dai dubbi, ma restava correttamente in silenzio aspettando che fosse lui a parlare.
Giovane, Camael, e carico di reverenziale rispetto nei suoi confronti. Cosa che totalmente mancava a Metatron, probabilmente per la profonda amicizia che li legava.
“Cosa ha detto Mikael?” domandò infatti, facendo sussultare la guida del coro delle Potestà.
“Niente ch’io non sapessi o mi aspettassi e altrettante, alle sue orecchie, sono state le mie risposte.”
“Decisione?”
“Nessuna.”
Metatron spostò l’arpa alle sue spalle “So che ci sarà un consiglio. I guardiani dei dieci Cori sono chiamati a discutere nel Planetario.”
Lo sguardo di Camael si spostava su entrambi.
“Tutti e dieci? Mi è permesso di partecipare?”
L’altro annuì.
Sorrise.
“Che idiozia.”
L’Arcangelo delle Potestà assunse un’espressione allibita.
“Riunione, giusto? E per cosa? Per sentirmi dire dove ho sbagliato e cosa ho sbagliato? Io ho preso una decisione, indipendentemente da chi mi appoggerà o meno. Non decido di amare qualcuno in base ai consensi degli altri!”
“Non sarà solo questo, Raziel, si deciderà anche il provvedimento da adottare con Gabriel, ma renditi conto di che conseguenze disastrose si stanno percuotendo su tutti noi per le vostre scelte. Prenditi le tue responsabilità…”
Fu allora che si voltò di scatto a guardarlo negli occhi. I capelli smossi, dal gesto improvviso, oscillarono alle sue spalle come stralci di fantasmi.
“Le mie o le vostre scelte? Non è certo il mio amore che ci sta distruggendo quanto la vostra intolleranza. Pura repressione dei sentimenti. Voi state sacrificando un Giardino lungimirante, mentre io, per voi, sto sacrificando l'Amore. Per tutta l’eternità. Non parlare proprio a me di responsabilità!”
Rimasero fermi ad osservarsi in silenzio.
Lo sguardo deciso di Raziel lasciava trasparire la sua disperazione malcelata, mentre gli occhi di Metatron erano pieni di comprensione.
Quest'ultimo percepiva indirettamente il dolore del Principe degli Auphanim e si sentì in colpa per l’attacco che gli aveva rivolto.
Il Principe dei Serafini era una delle creature più vicine a Dio. Il Padre si confidava con lui, gli trasmetteva i suoi pensieri e sentirLo così sofferente dal corso degli eventi lo faceva stare male. E lui sapeva perché.
Sospirò profondamente, abbassando lo sguardo. “Perdona il mio attacco, Raziel.”
“E tu perdona il mio sfogo…”
Annuirono entrambi, mentre il Principe dei Cherubini rivolgeva nuovamente il suo sguardo alla terrazza e una fitta improvvisa gli punse il petto all’altezza del cuore.
Nel fondo, dove si consumava il tramonto, delle nubi stavano lentamente sopravanzando. Violacee, del passaggio alla sera, e poi terribilmente grigie, cariche di pioggia… o di lacrime.
“Che sfacelo…” mormorò a sé stesso, mentre Camael gli si pose al fianco con sguardo disperato.
Metatron tornò a suonare, isolandosi da tutto. Perché vedere ciò che già conosceva?
“Ponimi pure la tua domanda, giovane Camael.” domandò Raziel volgendogli il suo sguardo.
-Gentili, i suoi occhi…- si ritrovò a pensare l’altro fissandoli -…come sempre furono quelli di Gabriel con me: protettivi e comprensivi.-
“Sei sicuro che non tornerà?” disse, facendosi coraggio “Ho posto questa domanda anche al Venerabile Sandalphon…”
“E cosa ti ha risposto?”
Sospirò. Gli occhi a quelle nubi così lontane, eppure non abbastanza.
“Si può solo pregare…”


1SERAPHIM: o meglio Chaioth ha-Qadesh, le Sante Creature Viventi, chiamate anche Seraphim. Più noti come Serafini.

 

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 5 - Paradise ***


ANGEL NO TEARS
- METAMORPHOSIS -

"Like the birds in the sky
we are flying so high
without making anykind of sacrifice.
We've got so little time
to undo this crime
or we'll lose our Paradise"


Stratovarius - Paradise

- CAPITOLO 5 - Paradise

Fermo.
Come marmorea statua, Mikael restava immobile e severo seduto al vertice del tavolo decagonale. I gomiti poggiati sulla sua superficie e le mani intrecciate all’altezza del naso.
Lo aveva trovato così Raphael, il secondo dei dieci ad arrivare, ed aveva mantenuto quella stessa posizione finchè non furono arrivati tutti. Gli ultimi a presentarsi furono Metatron, Camael e Raziel, che arrivarono insieme. Quest’ultimo si fermò sull’uscio sentendo tutti gli sguardi puntarsi sulla sua figura, ad osservarlo.
Inconsapevoli lo giudicavano, ma non percepiva in loro nessun astio: erano solo dei freddi muri. Gli unici a non nascondere il rancore, erano quelli di Mikael. Non ci provarono nemmeno e la cosa non lo sorprese.
Diverso fu lo sguardo di Anael. Ansioso, titubante, quasi disperato; che fosse per ciò che stava succedendo al Paradiso? Si guardava intorno in attesa di qualcuno… o alla ricerca di qualcuno. Sembrava pregare l’improvvisa comparsa di una persona in particolare. Si accorse di essere osservato da Raziel e gli rivolse uno sguardo supplichevole.
-Arriverà… dimmi che arriverà…- sembrava chiedergli e l'altro avrebbe voluto rassicurarlo, ma non sapeva chi stesse aspettando, poi si riscosse occupando la sua posizione; alla sinistra di Metatron, simmetricamente opposto a Mikael. Era avanzato con passi lenti, dosati, per nulla affrettati. Estremamente forzati. La testa alta e nessuna vergogna per lui, che era il capo degli Auphanim e la Ragione. Ed in fondo non aveva nulla di cui vergognarsi.
Percepiva gli occhi di Mikael su di sé. Avevano seguito ogni suo movimento come un’ombra.
Alla sinistra del Principe delle Schiere Celesti c’era un posto mancante.
Era quello di Gabriel.
Rimase ad osservarlo vuoto e si sentì più vuoto anche lui. Mosse altrove il suo sguardo. In compenso c’erano tre ospiti.
Il Corriere di Dio, Jophiel, era impossibile da non vedere: restava in piedi alle spalle di Mikael. I suoi lunghi capelli bianchi si confondevano con le sete della veste dello stesso colore. Gli occhi rossi, come rubini, risaltavano sulla pelle pallida, mentre i contorni erano sempre sfocati da quel naturale bagliore che le sue 4 ali emanavano. Pura luce, non si riuscivano nemmeno a distinguere le piume. Era pronto a consegnare il verdetto di quella riunione a Gabriel tramite lettera che Vereveil, Principe della Scrittura, avrebbe stilato.
Raziel lo vide seduto ad una scrivania, poco lontana dal decagono. Sempre alle spalle del Principe Arcangelico. Differentemente da Jophiel aveva dei boccolosi capelli mogano e due grandi occhi nocciola, ma fu la terza presenza ad incuriosirlo di più.
Cosa ci faceva il Principe della Morte, Azrael, a quella riunione?
Quando era entrato lui era stato l’unico a rivolgergli solo una breve occhiata di presenza, per poi ritornare ai suoi pensieri che di sicuro non avevano niente a che vedere con tutta quella faccenda.
Ora restava lì, con le spalle allo schienale di quella sedia posta tra Mikael ed il posto di Gabriel.
I capelli corvini, raccolti in una coda alta, ricadevano sulle sue spalle e la tunica nera. Due ali dalle piume d’oro spuntavano brillanti, quasi come una nota stonata nella sua persona. Gli occhi grigi non osservavano nulla in particolare e sembrava piuttosto seccato di trovarsi lì.
Questa sua presenza lo preoccupò all’improvviso e si ritrovò ad ammettere che Mikael era veramente disposto a tutto.
Fu proprio l’Arcangelo della Morte a rompere il silenzio che vigeva all’interno del Planetario. Si guardò intorno rapidamente, poi iniziò “Vedo che siamo tutti e direi di cominciare. Non ho molto tempo da perdere”.
Il suo tono confermò l’impressione di Raziel.
“Molto bene…” continuò il Principe delle Schiere Celesti, dando così inizio a quella riunione “…credo che non ci sia bisogno ch’io vi spieghi il motivo della vostra presenza, all’interno di questa sala. E, a dirla tutta, la sola idea mi disgusta quindi passerò a quello che è il nocciolo della questione.”
Raziel sostenne lo sguardo ostico del Compagno Divino, un sospiro accompagnò il suo pensiero –Allora non hai compreso…-.
L’altro continuò “E' per decidere una punizione, Fratelli, una punizione per coloro che hanno macchiato il Paradiso e lo stanno lentamente portando alla distruzione. Ad uno di loro è stato concesso di poter ancora sedere a questo tavolo, mentre l’altro ha voltato le spalle a noi tutti diventando un ribelle.”
Improvvisa, la voce di Camael lo interruppe “Magari, se tu non l’avessi aggredito, Gabriel non se ne sarebbe andato…”
Gli occhi di Mikael si puntarono, fiammeggianti, su di lui osservandolo come fosse stato un eretico. Il giovane cercò di sostenere il suo sguardo, ma dovette uscirne sconfitto.
“Camael ha ragione.” inaspettato arrivò l’appoggio di Hesediel. I gomiti sul tavolo e le dita incrociate, guardava un punto indefinito di fronte a sè. La guida dei Chashmalim1 continuò “Capisco la gravità dell’atto, ma non comprendo la perdita di controllo che ne è seguita. Gabriel era venuto da te per consiglio, non era aggredendolo che lo avresti aiutato, questa situazione si sarebbe potuta risolvere confidando nella Misericordia del Padre. Lui avrebbe perdonato…”
“Perdonare?” fece eco, con disgusto “Come si può perdonare chi ci sta distruggendo?”
Parlavano di loro come fossero stati dei folli, dei malati da curare. Apprezzava l’intervento favorevole di Hesediel, ma la sua ultima frase gli fece ben comprendere che in fondo il suo pensiero non era molto lontano da quello di Mikael, solo meno esasperato; conosceva la sua indole mite.

“Lui avrebbe perdonato…”

Perdonare ciò che ai loro occhi risultava essere solo un errore, uno sbaglio.
Ma perché nessuno riconosceva nel loro operato il vero sbaglio? La vera distruzione di loro stessi?
Binael batté, possente, un pugno sul tavolo. “Concordo con Mikael. Quel che è stato non è un qualcosa che possa essere perdonato così, a cuor leggero.”
Raziel non si sorprese della sua posizione, il Principe della Lotta Spirituale e degli Aralim2 aveva la stessa lunghezza di pensiero del Principe dello Splendore. Sentì i suoi occhi d’ambra puntati su di sé, accusatori, e li sostenne senza timore, mentre le tuniche candide del Fratello Divino risaltavano sulla pelle di ebano. I capelli, neri e mossi, erano tirati indietro per lasciare completamente scoperto il viso e la sua espressione severa.
Fu allora che intervenne Metatron, con il suo lapidario rimprovero. “Il Padre perdonò gli uomini per aver ucciso suo Figlio, mentre voi vi ostinate a condannare un Amore. Mi chiedo cosa ci sia da essere perdonato.”
Il Principe degli Auphanim lo osservò con la coda dell’occhio, mentre l’altro era andato dritto al nocciolo della questione senza usare mezzi termini.
I suoi occhi viola si abbatterono su quelli nocciola di Mikael.
“Amore, dici?” e la sua voce era tremante di collera “Non è amore, ma un abominio disgustoso-...”
“E questa riunione è una farsa.” proruppe Raphael e per i molti fu lo stupore per una simile affermazione. “Checché tu ne dica Mikael, ormai hai già deciso e speri in una nostra legittimazione. Sono i consensi che vuoi, ebbene…” i suoi occhi verde scuro erano più che decisi “…non avrai il mio.”
Il Principe delle Schiere Celesti era palesemente sorpreso da questa sua ferma, quanto opposta presa di posizione. Lo osservò con la bocca semiaperta, mentre l’altro sembrava non avere nessun dubbio.
I loro tratti erano simili ed anche i capelli, sebbene quelli di Raphael fossero più scuri.
“Nemmeno il mio.” fu Camael a parlare di nuovo, dando fondo a tutto il suo coraggio.
“Concordo con voi, neanche il mio.” fu la risposta di Metatron.
Tsk! Inammissibile tutto questo!” fu invece l’esclamazione di Binael.
Hesediel era visibilmente indeciso e rigirava nelle mani lo scettro d’oro, nascondendo i suoi occhi castani dietro i lisci capelli dello stesso colore.
Anael esibiva ancora il suo misterioso mutismo, sebbene il viso fosse più disteso di quanto non fosse stato all’inizio della riunione, segno che anche lui era dalla loro parte. Fece per parlare, ma intervenne Sandalphon. I suoi capelli corvini, disseminati nell’intorno, erano parzialmente raccolti in una mezza coda.
“Fratelli, non possiamo dividerci proprio ora…” disse, osservando tutti con i suoi occhi grigio-azzurri “…dobbiamo essere uniti per fronteggiare la catastrofe che si sta abbattendo sul Paradiso stesso.”
“E non è quello di cui stiamo discutendo?”
“Affatto, Mikael, stai solo cercando dei colpevoli.” rispose Metatron.
Rimasero in silenzio.
Il Planetario era una sala dalla forma tonda e le pareti in pietra, intervallate da numerose finestre. Si trovava staccata dal resto del castello e vi si poteva accedere tramite un lungo corridoio. Gli sguardi di tutti si concentrarono sulle nubi scure, che ormai avevano coperto il cielo. Tutt’intorno aveva assunto un aspetto grigio e non era per nulla un buon segno.
“Le nubi si sono sparse repentine su di noi…” aggiunse Sandalphon “…cosa dice il Padre di tutto questo?”
Metatron sospirò “Non lo vedo da quando sono comparse all’orizzonte né mi ha mandato a chiamare… non lo so.” mentiva e lo faceva terribilmente bene. Sapeva i pensieri del Padre a riguardo, ma gli aveva proibito di farne parola.

"Le loro teste hanno cominciato, i loro cuori finiranno."

Quelle parole risuonavano ogni attimo nella sua mente. Il Padre voleva che cominciassero a camminare con le proprie gambe che, come gli umani, commettessero i propri errori imparando a riconoscerli, solo così avrebbero potuto comprendere il significato del tutto.
Il tuono improvviso li fece sobbalzare.
Un rumore così sordo, cupo e così forte che pensarono addirittura che stesse crollando il cielo.
Azrael non aveva avuto il minimo sussulto, era totalmente estraneo a tutto quello. Ciò che riguardava il Paradiso non aveva niente a che fare con lui e restava seduto, continuando a non comprendere la sua convocazione da parte di Mikael.
Quest’ultimo era rimasto immobile. Apparentemente imperturbato, con lo sguardo fisso al centro del tavolo. Eppure si poteva sentire, attenuato dalla sua rigida scorza, il cuore che batteva come impazzito per quel rumore che sanciva la loro decadenza.
Si stavano spaccando, letteralmente.
Raziel lo osservava e, nonostante anche lui non si fosse mosso, sentiva il cuore di Mikael battere furioso come il suo.
Sul secondo tuono le porte del Planetario si spalancarono.
Le candele, ai lati delle pareti, restituivano una fioca luce contro la penombra esterna e le loro fiamme tremolanti vibrarono più forte a quell’arrivo improvviso, inaspettato.
La sua armatura, d’oro e argento, era leggermente contornata dalla luce. Così come i suoi capelli, che risplendevano rossicci dei loro riflessi. Ali candide, compostamente ripiegate. E quello sguardo blu profondo, dalle proprietà incredibilmente magnetiche.
“Gabriel…” un nome, pronunciato con la sonora consistenza di un respiro, sfuggì alla bocca di Raziel, mentre gli altri volgevano lo sguardo al nuovo venuto.
Mikael si alzò di scatto, facendo cadere la sedia rovinosamente alle sue spalle.
“Cosa ci fai tu qui? Con quale coraggio ti presenti ai miei occhi? Sei stato cacciato da questo posto, tu non puoi-”
“Taci, Mikael.” il suo tono, tetralmente neutro, lo zittì all’istante “Non sono qui per sentire le tue invettive.” ed avanzò nella sala lentamente. Il suo sguardo ricadde su Raziel, la cui posizione era di spalle alla porta. I suoi occhi s’addolcirono nell’istante in cui incrociarono quelli verdi dell’amato.
Sorrise, il Principe dei Auphanim, e venne ricambiato senza timore. A prima vista, Gabriel gli sembrò diverso, più grande, i capelli un po’ più lunghi, ma forse era solo la sua impressione. Mentalmente maledisse ogni ora, minuto e secondo che li avevano separati.
Alle spalle di Gabriel comparve la fiammeggiante figura di Uriel la cui armatura, rossa e avorio, risaltava perfettamente sulla sua pelle scura. E fu allora che Raziel capì per chi, il cuore di Anael, si stesse struggendo. Il suo sguardo si illuminò all’improvviso nel vederlo lì, vivo e stava bene e si disinteressò totalmente di tutto il resto. Anche la Fiamma Ardente non aveva occhi che per Anael.
Dunque Mikael avrebbe avuto una seconda sorpresa e una seconda delusione.
Quest’ultimo prese la parola “E allora cosa hai da dire? Vieni a chiedere pietà? Vieni a chiedere il perdono? Vieni-...”
“Vengo a proclamare guerra.” rispose l'interpellato; lo sguardo che lentamente abbandonò controvoglia quello di Raziel, indurendosi all'istante e le sue parole fecero calare un improvviso silenzio.
Azrael lo osservò, finalmente incuriosito e incredulo.
Mikael rimase a bocca semiaperta, mentre il sorriso di Camael scemava in un’espressione disperata.
“Tu… cosa?” biascicò Binael.
“Proclamo guerra a voi, Schiere Celesti, perché questa storia si concluda. Non permetterò che il mio Amore venga oltremodo calpestato. Non sta a voi decidere cosa sia giusto o sbagliato e pur di fare questo sono disposto a tutto.” non ebbe nessun timore nel dire quelle parole, come Mikael non ebbe nessun timore nel dare la sua risposta, troppo accecato dalla collera per comprendere.
“E sia allora, avrai quello che cerchi e non ci sarà pietà per te e per chi ti seguirà. Ed ora vattene pure, ormai la tua condanna è firmata!”
Hesediel era allarmato, mentre Metatron affondava il viso in una mano già consapevole di quello sviluppo.
Gabriel voltò loro le spalle, abbandonando la sala. “Amen.” disse solo, mentre i suoi occhi ricadevano su Raziel, ora improvvisamente triste.
Allungò una mano verso di lui, che venne subito sfiorata. Un tocco leggero, così tanto desiderato che provocò un brivido ad entrambi, mentre le loro menti si scambiavano messaggi silenziosi.
-Non farlo, Gabriel. Sai già quale sarà la mia decisione, perché è il mio dovere…-
-Lo so, eppure è l’unica cosa da fare perché qualcosa cambi.-

Un ultimo tocco di dita, per poi separarsi di nuovo. Il flusso di calore, bruscamente reciso, lasciò spazio ad un profondo senso di vuoto.
-Ti amo.- comunicarono infine.
Mikael osservò, inorridito, quelle aperte effusioni che li rendevano oscenamente privi di pudore ai suoi occhi.
“Fuori di qui!” urlò irato, come a voler oltremodo spezzare la loro vicinanza.
Gabriel uscì dalla sala, avviandosi per il corridoio, mentre Uriel si mosse dietro di lui e sapeva che il Principe della Luna aveva ragione, che quello era l’unico modo per cambiare le cose. Aveva provato con il dialogo, ma non era servito ed anche se non aveva sentito i pareri esposti durante quella riunione li poteva immaginare. Diede un ultimo sguardo ad Anael, mentre il suo bellissimo viso restituiva un’espressione smarrita e confusa. Scuoteva la testa mormorando di non andare via, di non prendere parte al conflitto. Si guardava intorno, sperando che anche gli altri li fermassero.
Nessuno osava parlare, neppure Raziel.
-Ma perché? Perché? Parlate, Dio Misericordioso! Dite che tutto questo è sbagliato! Fermate l’errore che stiamo per commettere!- pensò con una disperazione che sfibrava la sua anima ad ogni istante. Eppure non si librò nemmeno un fiato e il portone si richiuse sui passi dei due Arcangeli, con un tonfo sordo.
Tic tic tic.
Piccole punture sul vetro diventarono centinaia in pochi attimi.
Mikael raccolse la sedia dietro di sé, sedendovisi rovinosamente. I suoi occhi posati sulle vetrate della sala. Le vide rigate in mille percorsi asimmetrici da un qualcosa che nel Paradiso non si era mai visto.
“Piove…” mormorò Sandalphon senza guardarla direttamente, ma intuendone l’identità.
Il tonfo della sedia di Anael fece chiudere gli occhi di Mikael, mentre comprendeva come tutto gli stesse sfuggendo di mano.
La Guida dei Principati abbandonò la sala, correndo. Se nessuno aveva il coraggio di farlo, allora si sarebbe mosso lui. Le sete frusciarono sommesse accompagnando il rumore dei suoi sandali, che calpestavano i marmi del pavimento. Vide le figure dei due Arcangeli in lontananza.
“Fermatevi!” intimò loro.
Uriel si bloccò all’istante, riconoscendo la voce. Gabriel rallentò, osservando il compagno.
“E’ il momento di decidere.” disse solo.
L’altro annuì “Ti raggiungo subito.” e la sua posizione fu chiara. Un sorriso, ed il Principe della Luna riprese a camminare.
Anael si fermò ansante ad un passo dalla Fiamma Ardente. “Uriel!” esclamò, bruciando nei suoi occhi. “E’ una follia, non lo potete fare! Ti rendi conto di quanti nostri Fratelli moriranno? Io non voglio che ti accada nulla…”
Con i boccoli d’oro scomposti ad Uriel parve ancora più bello di quanto non fosse. Sorrise.
“La decisione è presa, Anael. Questo mondo deve cambiare e lo so che non è con la forza che si risolvono i problemi, eppure non è bastato nemmeno il dialogo. Cosa avremmo dovuto fare? Continuare a restare in silenzio? Amarci di nascosto? No, non è così che voglio amarti. Ora sta a voi decidere chi scenderà in guerra e chi no.”
“Io non rischierò la vita dei miei Principati per questa pazzia!”
Uriel gli prese il viso tra le mani, continuando a sorridere; quasi sollevato dalle sue parole. “Ed è giusto così. Almeno sarò tranquillo sapendo che sei al sicuro.”
“Questo vuol dire che non cambierai idea?”
“No.” e gli posò un leggero bacio sulla fronte prima di separsi da lui, dandogli le spalle ed allontanandosi per il corridoio.
“Uriel...” la voce di Anael tremava più del dovuto. Adagio, s’accasciò al suolo circondato dalle sete della veste, piangendo per quello che sembrava un addio.
La Fiamma Ardente lottò contro sé stesso per non tornare indietro. Ormai aveva scelto. Il campo di battaglia avrebbe deciso delle loro vite.




1CHASHMALIM: i Fulgenti, chiamati anche Dominazioni. E' il coro angelico retto da Hesediel.
2ARALIM: i Forti e Possenti, chiamati anche Troni. E' il coro angelico retto da Binael.

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Capitolo 7
*** CAPITOLO 6 - Cathar Rhythm ***


ANGEL NO TEARS
- METAMORPHOSIS -

- CAPITOLO 6 - Cathar Rhythm

La pioggia assumeva sempre di più i connotati di un acquazzone a mano a mano che l’eternità passava. Martellava incessante sui vetri delle finestre, sbattuta da un vento insidioso che si era levato all’improvviso.
I tuoni rimbombavano nel silenzio della sala, perpetrando un mormorio sommesso, mentre si allontanavano diffondendosi nel paesaggio circostante.
Mikael assunse una postura più consona al Principe delle Schiere Celesti, sistemò la sedia e vi si appoggiò con la schiena perfettamente dritta. La testa alta e l’espressione impassibile erano come un muro invalicabile per i suoi pensieri.
“La decisione è tratta.” disse “Vi esorto a prendere in fretta una posizione a riguardo, poi me la comunicherete. Pensateci bene. Dichiaro terminata la riunione.”
Nessuno si mosse subito, restarono immobili per qualche secondo come a prendere coscienza di quello che era accaduto ed ora si preparavano ad affrontare.
“Prima che tu vada, Raphael...” parlò nuovamente la guida degli Arcangeli “...vorrei conoscere la tua decisione. Da questa dipenderà la tua presenza al consiglio delle Luci Ardenti.”
L’Arcangelo dei Malakim1 era come incredulo davanti al tono distaccato con cui Mikael parlava della situazione e dei suoi annessi provvedimenti. Gli sembrava un involucro di carne privo di cuore e non poteva non dispiacersi per questo.
“Questo conflitto porterà vittime e feriti.” rispose con espressione seria “Le mie attenzioni saranno rivolte a loro.”
“Molto bene, allora puoi andare.” rispose cancellandolo mentalmente dalla riunione degli Ardenti, che ora si riducevano a quattro, escludendo, come era ovvio, anche Gabriel ed Uriel.
Dopo quest’ultima frase, tutti presero ad abbandonare le proprie posizioni, lasciando la sala.
Binael era incollerito per la presunzione di Gabriel e se ne andò con passo sostenuto, mentalmente stava già organizzando le fila degli Aralim per il conflitto. L’andatura di Hesediel era invece indecisa, come anche la sua posizione a riguardo. Gli occhi incollati allo scettro, dal manico corto, e la paura di imbracciare le armi, provvedimento così lontano dalla sua natura.
Metatron scuoteva il capo affiancato da Sandalphon, avevano già deciso a prescindere che non avrebbero mandato al macello né i Seraphim e né gli Ashim2. L’Arcangelo dagli occhi viola si massaggiava la fronte, rassegnato, accompagnandosi con un mormorio incomprensibile; l’altro aveva lo sguardo dritto innanzi a sé e manteneva una calma terribilmente naturale. Non sembrava allarmato dagli eventi improvvisi, ma li accettava prendendoli come insegnamenti del Padre: se Lui permetteva tutto questo, doveva per forza essere parte di un suo Divino Disegno. Ciò che lui poteva ora, come suo umile Arcangelo, era pregare per le sorti di tutti.
Delle guide angeliche, Raziel fu l’ultimo ad abbandonare la sala. Il suo passo era rassegnato ed i suoi pensieri dispersi. Per la prima volta vacillava la sua convinzione di innocenza. Rivedeva il volto di Gabriel e quello di Mikael lanciarsi sguardi infuocati, la disperazione di Anael e le parole di Gabriel che dichiaravano guerra. Era forse sua la colpa di tutto quello che stava accadendo? Magari sì, magari no; si sentiva confuso da tutto quel susseguirsi degli eventi.
-Se solo avessi pensato alle probabili conseguenze, non avrei mai messo in pericolo l’intero Paradiso...- si ritrovò a pensare -...come ho potuto essere così egoista e pensare solo al mio bene! Ho forse perso la capacità di giudizio? Perché non mi sono reso conto che stavo sbagliando?-
“Non crucciare il tuo viso, Raziel.” Raphael comparve al suo fianco, con espressione gentile sul volto.
L’altro sospirò “Non so più se le mie azioni siano mosse dalla Ragione o dal Sentimento. Credo di aver sbagliato tutto...”
“Le tue azioni erano e sono tuttora giuste. Non hai nulla di cui rimproverarti.” e passarono lentamente attraverso i colonnati che portavano agli alloggi. Si poteva sentire l’odore della pioggia mescolarsi a quello della terra umida. Numerose gocce, sospinte dal vento, si infrangevano lungo le figure delle due creature celesti.
Raziel si fermò ad osservare l’intero sconvolgersi del loro equilibrio. Qualche goccia lo colpì in viso come a schiaffeggiarlo per quello che stava facendo. “Piange anche il cielo.”
Raphael osservò il suo profilo afflitto e sospirò “Non per voi, mio caro Fratello. Non per voi...”

Camael aveva abbandonato la sala trafelato.
Non voleva parlare né sentire le opinioni di nessuno. Aveva bisogno di stare da solo a pensare, a decidere e a scegliere.
I suoi passi sostenuti non facevano il minimo rumore ed aveva preso un corridoio laterale per avere maggiore silenzio intorno a sé.
Gli eventi erano precipitati come la pioggia battente.
Solo un attimo prima gioiva per la presenza improvvisa di Gabriel e, per quel minuscolo frangente, il suo cuore si era illuso che tutto potesse finalmente risolversi. Ma poi, altrettanto bruscamente, le sue speranze erano state spazzate via. Un vento gelido aveva improvvisamente ghiacciato il suo cuore, mentre recepiva ogni singola parola proferita dalla Guida del coro Angelico. La creatura di cui aveva maggiore rispetto e devozione, l’unica che aveva la capacità di farlo pendere dalle sue labbra, aveva deciso di combattere contro i suoi stessi Fratelli.
Gli occhi si fermarono sul giardino bagnato dalla pioggia. Vi entrò, sentendo le mille gocce sulla sua pelle scoperta.
Come si capovolgeva tutta la loro situazione. Avevano sempre combattuto fianco a fianco ed ora erano gli uni contro gli altri.
Caino e Abele.
Chi l’uno e chi l’altro? Ma, in fondo, che importava? Sarebbe stato comunque un fratricidio.
Alzò i suoi azzurri occhi al cielo, come a cercare una risposta alla scelta che doveva compiere. Combattere? Restare a guardare? Le gocce trafiggevano le sue iridi mischiandosi alle lacrime, nascondendole. Scivolavano poi sul viso, sugli abiti inzuppati, sui capelli corvini e lucidi.
Se solo Mikael non fosse stato così ottuso...
“Cosa devo fare?”
Un’immagine comparve alla sua mente, come un dipinto disegnato dalla pioggia, e fu il calore che questo seppe trasmettergli a farlo scegliere. Una piccola fiamma nel gelo del temporale. Ma non fu abbastanza per consolarlo da quello che sarebbe successo in seguito e, come un salice, si piegò sotto il peso della sua consapevolezza, piangendo per il dolore.

Dopo aver congedato Vereveil, Mikael ordinò a Jophiel di convocare Jehudiel, Barchiel e Scaltiel, i tre restanti delle sette Luci Ardenti. A loro spettava il compito di preparare l’offensiva contro i traditori.
Il Corriere di Dio annuì lasciando la sala.
Ora, solo Mikael ed Azrael restavano nel Planetario improvvisamente silenzioso. L’Angelo della Morte aveva deciso di sua volontà di non andarsene. Aspettava che il Principe delle Schiere Celesti gli rivelasse il motivo della sua convocazione. Attese che furono soli, ma l’altro non disse nulla. Azrael lo vedeva immobile, con le mani incrociate all’altezza del naso e gli occhi fissi in un punto indefinito del tavolo. Sospirò deciso a cominciare.
“L’irruzione di Gabriel è stata una vera sorpresa, come la sua dichiarazione di guerra. Devo ammettere che è riuscito a stupirmi.”
L’altro continuava a non rispondere. Riprese.
“E così Raziel e Gabriel sono legati da un qualcosa di molto profondo...”
Ancora silenzio, ma Azrael non era dotato di molta pazienza e si risolse di andare dritto al punto della questione.
“D’accordo, Mikael.” disse con tono sbrigativo “Detesto perdere tempo, quindi, ti pregherei di comunicarmi il motivo della mia presenza.”
Il Principe delle Schiere Celesti poggiò la schiena contro la sedia, uscendo dal suo mutismo.
“Il motivo era di richiedere il tuo appoggio e, visto che ora si prospetta una guerra, vorrei il tuo sostegno armato.”
L’altro parve interdetto.
“Cosa? Assolutamente, no. Non intendo partecipare alle vostre questioni, il Paradiso non mi riguarda.” disse alzandosi “Il mio compito è di ‘accompagnare’ le anime dopo la Morte, non di ‘mandarcele’!”
“Quindi resterai a guardare?” non parve particolarmente deluso, piuttosto, indifferente. Anche Azrael si era accorto di come il suo comportamento fosse repentinamente cambiato. Se prima era stato carico di ardore e di voglia di rivalsa, ora sembrava totalmente distaccato. Impartiva i suoi ordini come se stesse chiedendo un bicchiere di acqua fresca. La comparsa di Gabriel doveva averlo davvero spiazzato, sconvolto, lo vedeva come estraniato dal suo presente reale.
“Certo che resterò a guardare. Dovrò occuparmi degli angeli che moriranno durante lo scontro.”
Mikael annuì. “Va bene, allora puoi andare.” e cancellò mentalmente anche Azrael dalla lista della sua fazione.

Quella si sarebbe potuta benissimamente definire ‘notte’. I contorni ed i colori delle cose non erano più definibili a prima vista, ma compattati in una stessa tinta blu-cobalto scuro.
Eppure non era nemmeno una notte comune. Le nubi preservavano una luminescenza naturale che conferiva loro un riflesso violaceo.
L’unico rumore in quell’oscurità continuava ad essere il martellio incessante della pioggia al suolo, mentre tutt’intorno era silenzio.
Due angeli, dalle tuniche bianche, passavano per i corridoi con una lunga fiaccola alla mano. Le ali di modeste dimensioni, che spuntavano dalla loro schiena, erano sufficientemente grandi per poterli sollevare di due, massimo tre metri dal suolo. Altezza necessaria per poter raggiungere dei piccoli piatti in marmo fuoriuscenti dalle colonne ed opportunamente utilizzati come lampade ad olio. Al loro interno restava raccolto il liquido scuro che, a contatto con la fiamma della fiaccola, prendeva a bruciare a sua volta illuminando di una luce pallida il corridoio. Le fiamme tremolanti minacciarono più volte di spegnersi, sotto le raffiche di vento improvvise, eppure continuavano a resistere come tutti sembravano fare all’interno del palazzo.
Resistevano ad una situazione ostica che li stava portando alla rovina e tutto facevano fuorché salvare loro stessi.
Restavano confinati nei loro alloggi, chiusi in un mutismo contemplativo che li bloccava in un vicolo cieco; oppure parlavano adirati, sconvolti, alla ricerca di un colpevole ed una soluzione. La più semplice di quest’ultima non veniva nemmeno presa in considerazione.
I due angeli procedettero lungo il corridoio che, a mano a mano, prendeva una maggiore luminosità, anche se la fine restava tuttavia poco visibile.
Lo scalpiccio dei sandali misto al ticchettare della pioggia coprì un lieve fruscio di sete alle loro spalle. Un mantello, dello stesso colore della notte, approfittava delle zone in ombra per allontanarsi indisturbato. Scivolava lungo le pareti, dirigendosi verso l’unico luogo del Paradiso che, fino a quel momento, aveva conosciuto l’oscurità e l’avrebbe conosciuta in eterno.
Pochi avevano accesso a quell’ala del palazzo e lui era tra questi, ma non voleva che altri venissero a conoscenza di quella sua visita, soprattutto vista la loro situazione attuale. Ma proprio in merito a quest’ultima, lui doveva recarsi lì, per avere l’assoluta certezza che il conflitto si svolgesse solo ed esclusivamente tra le Schiere Celesti.
Il colonnato chiuso, che conduceva alla zona oscura, era coperto da una tenda d’edera ed era isolato rispetto agli altri, aveva anche uno stile architettonico totalmente diverso dal resto. Le alte colonne in stile ionico erano state sostituite da altre in marmo nero e granito, dalle superfici scanalate. Conturbanti figure di serpenti erano scolpite su di esse, attorcigliandosi dalla base al capitello come a soffocare l’intera struttura. Lo stesso capitello raffigurava le teste dei rettili dalle fauci spalancate da cui uscivano le biforcute lingue.
La figura spostò la tenda lentamente, con un mano, richiudendola alle sue spalle.
Le serpi lo guardavano dall’alto delle colonne, prive di espressione, mentre un intricato manto di rovi ed edere ricopriva le pareti in pietra grezza.
Di lontano si poteva scorgere un enorme portone in granito, con rifiniture porpora. Contorni di volti dalle espressioni agonizzanti sembravano uscire dalla sua superficie. Alcuni tendevano le mani come a supplicare che qualcuno li portasse via da quel luogo.
Non una luce in tutto il corridoio, ma solo due piccole fiaccole ardevano in una perenne fiamma verde acido ai due angoli alla base del portone.
La figura si fermò a pochi passi da esso, alzando il viso per osservarne l’interezza con espressione severa, ma al contempo decisa.
Così come altrettanto decisa fu la voce alle sue spalle.
“Fermati e mostrati.” ordinò senza durezza “Nessuno può varcare quella soglia senza averne prima messo al corrente le Luci Ardenti e le guide delle Schiere Celesti. Chi osa, dunque, contravvenire alle regole?”.
L’altro non rispose, si limitò a privare il suo capo della copertura del mantello, mentre una cascata bronzea si disseminava; alle sue spalle. Impossibile da non riconoscere.
“Ero cosciente della tua presenza, Metatron, per questo ho continuato ad avanzare.” Raziel mostrò il suo volto all’interlocutore dall’espressione sorpresa.
“Cosa fai qui? In questo posto che, già nell’aria che lo circonda, pullula di male?”
L’altro si girò completamente, volgendo le spalle alla porta dell’Inferno. “Devo parlare con Satanael.”
“Cosa?” esclamò allarmato “Adesso? Mentre il Paradiso sta sprofondando su sé stesso tu...” ma venne interrotto.
“E’ proprio a causa della nostra situazione attuale che devo, assolutamente, parlare con lui.”
La guida dei Seraphim non sembrava convinta e scuoteva la testa camminando in circolo. “Raziel, non credo che sia una buona idea. Satana è pericoloso e tu varchi la soglia della sua casa. Dimmi, che speri di ottenere?”
“Devo avere la piena certezza che né lui né Semeyaza si intromettano nel conflitto.”
Quella frase fece spalancare gli occhi al suo Divino Fratello. Metatron non aveva mai preso in considerazione quella evenienza e gli sembrò così terrificante che dovette sedersi, accomodandosi alla base di una delle colonne.
“Oh, Padre mio...” mormorò passandosi le mani sul viso “...che ne sarebbe di noi se dovesse accadere una simile disgrazia?”
“Non avremmo via di scampo. Non possiamo permettere che lui ci attacchi nell’unico momento in cui ci presentiamo maggiormente divisi.” poi in tono più calmo, comprendendo la tristezza di Metatron, aggiunse “So com’è Satanael, ma, ti prego, non impedirmi di farlo è una questione troppo importante che deve essere chiarita. Per favore mantieni tacita questa mia visita all’Inferno.”
L’Arcangelo sospirò pensieroso, ma sapeva che era l’unica cosa da fare. Lentamente annuì.
“Amen.” mormorò con rassegnazione “Però stai attento e non trattenerti a lungo. Attenderò il tuo ritorno nel mio alloggio, appena varcherai l’uscio di edera raggiungimi.”
Raziel annuì, voltandogli le spalle.
L’enorme entrata torreggiava innanzi alla sua figura. Inspirò profondamente, mentre una mano candida spingeva leggermente sul chiavistello.
Caldi vapori sulfurei fuoriuscirono dall’apertura investendo il viso dell’Arcangelo, ma non erano sufficienti ad intimorirlo; aprì ancora un po’ l’ingresso e vi si eclissò al suo interno, richiudendo il pesante portone dietro di sé.

Don’t you come back now?
Don’t you turn your eyes?
And if you dare to look,
I’ll be you waiting...

Impera e nessimo.
Impera samie nero.
Dove di immantore Dio?

L’entrata all’Inferno era un’enorme voragine ad imbuto, con una rozza scalinata ricavata nella roccia. Costeggiava l’intera parete del baratro dal cui interno si innalzava una fiamma verde acido.
Raziel prese a scendere, incurante del caldo già torrido. Il portone era ben chiuso dietro di lui, ma non era importante: seppure fosse stato aperto, a nessun ospite dell’Inferno era permesso di varcarne la soglia. Avanzò deciso lungo i gradini irregolari, il tempo non era molto e non poteva indugiare. Raggiunse la galleria alla base della voragine e si immerse all’interno della sua oscurità.
Differentemente dall’anticamera, il condotto era gelido ed i suoi calzari producevano un leggero scalpiccio, affondando nelle pozze calcaree ai suoi piedi. Qualche goccia scivolava sul viso, dal soffitto permeabile, e lui provvedeva a ripulirsi col dorso della mano.
La caratteristica di quella galleria era che si stringeva sempre di più fino a costringere i suoi varcatori a proseguire carponi. Una sottile rivalsa di Satanael per mettere in ginocchio i suoi ex-Fratelli.
Raziel aveva già le mani a terra e si apprestava a varcare l’entrata all’Inferno, l’uscita della galleria era ad un passo.
Le urla ed i lamenti, che lo avevano accompagnato per tutto il tragitto, ora erano più forti e presto avrebbe potuto vedere coloro che le emettevano.
Uscì dal budello alzandosi in piedi. Le sete della veste erano bagnate e sporche, ma non sembrò curarsene. Rimase eretto ad osservare, per qualche attimo, la Valle che si stendeva sotto di lui.
Urla e grida delle anime dannate arrivavano ora nitide alle sue orecchie, mentre vedeva correre i corpi martoriati inseguiti da orde di demoni alati che si facevano beffe di loro. Ridevano sguaiati, mentre provvedevano alla tortura. Stralci di spiriti volarono, innanzi ai suoi occhi, legati come cavalli ad una biga su cui un altro diavolo si ergeva beatamente. La sua frusta schioccava, con un rumore acuto, a spronare i peccatori.
Non un filo d’erba in quella landa desolata, non un fiore, solo rocce irte e spuntoni.
Nel mezzo sorgeva l’enorme palazzo di Satanael composto da un corpo centrale più grande, con cupola a bulbo, e quattro torri più piccole dallo stesso stile architettonico. Era in marmo nero con rifiniture in oro zecchino.
Un’alta scalinata separava il fondo della valle dall’entrata del mausoleo dove, di guardia, vi erano due demoni.
Il cielo era di un forte carminio, come se stesse bruciando.
D’un tratto la biga, che prima lo aveva oltrepassato incurante della sua presenza, gli si fece contro fermandosi ad un metro da lui.
Il diavolo aveva corte corna appuntite ed ali da pipistrello troppo piccole perché potessero sorreggerlo in volo. Indossava una tunica marrone con pettorali e calzari in ferro grezzamente lavorato. Occhi rosso sangue ed un ghigno di stupore dipinto sul viso.
Tsk! Chi l’avrebbe mai detto!” esclamò poggiando un gomito sul suo mezzo di trasporto, per poi annusare l’aria intorno alla sua figura “Ma che odor di lindo e pinto! Che ci fa un bell’angioletto come te in un posto come questo? Oh già, che sbadato, non t’avranno mica cacciato, Raziel? Circolano strane voci, sembra che nei ‘piani alti’ vi stiate dando da fare! Tra un po’ il Paradiso resta vuoto!” e sghignazzò alacremente.
L’Arcangelo scosse lentamente la testa. “Ringrazia che il Padre non possa vederti, Azael, gli si spezzerebbe il cuore scoprire in che modo si è ridotto uno dei suoi figli.”
L’altro non parve offendersi per questa sua constatazione, ma alzò le spalle quasi rassegnato. “Che saranno mai due ali candide paragonate alla mia liberta?” sorrise, non richiedendo risposta. “Cosa ti spinge fino a qui?”
“Devo conferire con Satanael.”
“Con sua altezza l’Imperatore? E tu credi che Lui accetti di vederti?”
“Lo farà.” rispose senza ombra di dubbio.
Azael parve incerto.
“Detesta che lo si chiami Satanael...”
“Lo so, ma lo preferisco al volgare ‘Satana’. Lui è stato guida dei Cherubini prima di me e col suo nome, da me, sarà sempre chiamato.”
L’altro sospirò, guardandosi intorno. “Vuoi un passaggio al palazzo imperiale o preferisci far due passi nella Valle dei Lamenti? In questi periodi raggiunge il culmine del suo dolore!”
Ne parlava come fosse una meta di piacevole viaggio e, normalmente, lui avrebbe preferito attraversarla a piedi piuttosto che usufruire di un trasporto demoniaco. Ma purtroppo non poteva perdere altro tempo e volare era severamente vietato agli angeli.

“La mia casa, le mie regole.”

Aveva detto Satanel miriadi di anni prima e le regole le aveva imposte proprio bene.
Raziel fece un cenno del capo in segno affermativo e Azael gli fece posto accanto a sé. “Quale onore che mi concedi! Reggiti le piume!” e con un colpo di frusta ripartì alla volta del castello.
L’organizzazione dell’Inferno era notevolmente diversa da quella del Paradiso.
A capo, come Imperatore Supremo, vi era Satanael.
Le sue schiere erano divise in re, principi, ministri, presidenti, granduchi, duchi, conti, marchesi, generali, luogotenenti e demoni distribuiti all’interno di un vastissimo regno che si stendeva oltre il grigio mare alle spalle del castello di Satana. Il totale era di circa 800.000 sottoposti di grado superiore, più milioni di diavoli. Un numero decisamente considerevole rispetto alle forze celesti, il cui braccio armato era notevolmente minore. Una guerra contro la loro immane forza era un puro suicidio.
Diede un’occhiata alla valle sotto di sé e non poté non intristirsi per l'eterna sorte degli uomini che si trovavano al suo interno; e dire che questi si erano macchiati di colpe lievi: il resto dei peccatori sprofondava al di sotto del castello imperiale. Non l’aveva vista personalmente ma, dai resoconti dell’unico che vi era stato, c’era una porta nei meandri del palazzo che permetteva l’accesso ai più terribili gironi infernali. Magari era stato proprio questo viaggio sconvolgente ad aver aumentato in Mikael l’odio, la repulsione e la diffidenza negli esseri umani. Il suo carattere ferreo si era oltremodo indurito.
“Sei fortunato!” esclamò Azael, fermando la biga a qualche centimetro dalla scalinata. “Troverai anche Semeyaza alla corte dell’Imperatore.”
Raziel annuì, scendendo dal mezzo e cominciando a salire i larghi gradini neri come la pece.
Differentemente dagli angeli che vivevano in Paradiso ed i demoni dimoranti all’Inferno, Semeyaza ed i suoi Egrigori avevano scelto come loro dimora la Terra stessa e vivevano mescolandosi agli uomini con cui, un tempo, si erano congiunti.
Duecento i capostipiti che avevano giaciuto con le donne mortali. Erano relativamente pochi rispetto all’armata di Satanael, ma pur sempre dannosi, anche se preferivano tenersi alla larga da entrambe le fazioni.
Innanzi al portone i due demoni di guardia chiusero il varco all’Arcangelo, incrociandovi le proprie lance, ma la comparsa di Azael alle sue spalle li convinse a lasciarli passare. Gorgogliarono degli strani versi con tono irritato, che Raziel non riuscì a comprendere, e tolsero le loro lance.
L’angelo caduto varcò per primo l’ingresso, seguito dal suo ospite.
La guida degli Auphanim conosceva già l’intero ambiente, così come pure il percorso per la sala del trono. Enormi affreschi dalle sinistre tematiche si stendevano lungo tutte le pareti del palazzo, mentre il pavimento sotto i suoi piedi era ornato con complessi mosaici. Risate sguaiate si sentivano provenire dai meandri del castello, ma non se ne curò più di tanto non essendo il suo cammino indirizzato verso quei luoghi.
Salirono un’altra serie di scalinate prima di giungere innanzi alla porta della sala del trono ed Azael si fermò ad un passo dall’entrata.
“Beh, ti lascio. Fa' pure come se fossi a casa tua.” e gli volse le spalle, allontanandosi nell’oscurità da cui erano emersi. Raziel osservò l’ingresso per un attimo, forse era una pazzia eppure doveva parlargli. E se avesse voluto prendere comunque parte al conflitto? Approfittare della situazione? Pregò di riuscire a convincerlo a starne fuori. Spinse le ante del portone, con entrambe le mani, e queste si aprirono senza sforzo.
La prima cosa che notò fu l’improvviso silenzio che accolse la sua entrata.
La sala era ampia, con un lungo tappeto d’oro che conduceva fino alla sommità dov’era posto il trono. Colonne, pareti e pavimento erano rigorosamente in marmo nero. Alti drappeggi scendevano lungo il perimetro privo di finestre mescolandosi alle tende dai finissimi tessuti che arrivavano fino al trono. Le tinte cangiavano dall’oro al porpora.
Il sedile imperiale era una miriade di cuscini in cui il Diavolo Supremo restava sprofondato, attorniato dai demoni di maggiore bellezza e dalla sua compagna Lilith. Beveva forti liquori dalle tinte vermiglie e mangiava carne cruda per sentire di più il gusto del sangue.
E così fu anche quella volta.
Satanael era elegantemente accomodato su di un grosso cuscino dorato, su cui facevano netto contrasto la tunica dal vivo colore cremisi ed i liscissimi quanto lunghi capelli corvini su cui risaltavano dei riflessi purpurei. Per quanto fosse ancora distante poteva già scorgere nitidamente la sua figura. Le lunghe corna ricadevano all’indietro fino alla base del collo. La pelle lattea, troppo pallida per un essere vivente, era liscia e priva di qualsiasi imperfezione. Lui, che un tempo era stato il più bello tra i tutti, ora aveva incredibilmente perso la sua aura angelica tramutando il suo splendore in una bellezza languida ed ambigua. Mentre avanzava poté notare il viso, dai perfetti contorni lineari, distendersi in un sorriso tentatore. Le labbra viola snudarono lievemente i bianchissimi denti perfetti, mentre gli occhi neri, come quelli dei corvi, e adornati da lunghissime ciglia si nutrivano della sua presenza, osservandolo con stupore. Le grandi ali brune di pipistrello erano ripiegate compostamente sulla sua schiena.
Accanto a lui, seduto su di un cuscino purpureo, c’era Semeyaza dalla corporatura più scolpita e mascolina e dall'abbigliamento tipicamente umano. Aveva abbandonato da tempo tuniche e calzari, sostituendoli con pantaloni neri e stivali dello stesso colore, un maglioncino grigio scuro dal collo alto ed un lungo cappotto nero. In quel periodo, nel luogo della Terra in cui viveva, era inverno. I suoi occhi dorati, quasi gialli, risaltavano vistosamente sulla pelle abbronzata ed i grigi capelli corti piuttosto spettinati, mentre una lunghissima coda di cavallo partiva dalla base del collo. Anche se non erano visibili, in quel momento, l’angelo ribelle era dotato di sei bellissime ali dalle piume nere. E non nascondeva certo il suo stupore nel vederlo lì.
D’intorno, alla base della piccola scalinata che conduceva al trono, erano sparsi numerosi sottoposti di Satanael affiancati da alcuni Egrigori.
Zaqebe3, dai capelli di ghiaccio; Beelzebub4 dalle larghe spalle e la benda sull’occhio ricordo della guerra passata, ma non per questo dimenticata e Belial5 dalla bellezza innaturale.
Accanto all’Imperatore, opposto a Semeyaza, stava Lilith. Il suo corpo dalle forme generose era avvolto in uno stretto abito rosso dall’ampia scollatura, mentre i capelli dello stesso colore erano raccolti in un'alta ed elaborata acconciatura. Gli occhi di un verde vivo e brillante seguivano i suoi movimenti.

Impera e nessimo.
Impera samie nero.
Dove di immantore torra?

E mani diavole.
E mano diavole.
E nere mani diavole...

L’Arcangelo si fermò alla base della scalinata.
Satanael si alzò con un movimento fluido, avvicinandosi di qualche passo. Il suo corpo aveva linee delicate ed efebiche. Per sua volontà aveva rinunciato ad una sessualità definita, provando orrore nella volgare definizione di ‘maschio’ o ‘femmina’ che lo avrebbe reso troppo umano.
“Raziel.” sussurrò con stupore e la sua voce aveva conservato quella musicalità delicata dai toni molto alti. “Quale onore averti qui con noi.”
“Devo parlarti.” l'interpellato diede una rapida scorsa ai presenti “Possibilmente da solo.”
L’altro sorrise ancora più sorpreso.
Beelzebub parve contrariato. “E chi ti dice che Sua Maestà voglia parlare con te?!”
“Lasciateci.” ordinò a sorpresa Satanael, senza distogliere lo sguardo dal nuovo venuto.
“Ma... Imperatore...”
Shhh.”
Il Signore delle Mosche si zittì malvolentieri, mentre tutti cominciavano ad abbandonare la sala.
“Cortesemente, Semeyaza, resta anche tu.” aggiunse la guida degli Auphanim, fermando l’angelo ribelle che tornò ad occupare il suo posto.
“E di cosa dovremmo discutere?” domandò stupito “Di come il Paradiso stia andando a rotoli? Mi spiace ho già la Terra a cui pensare!”
Gli altri risero della battuta, richiudendo il portone alle loro spalle.
L’ultima ad accomiatarsi fu Lilith, che scomparve alle spalle di una delle tende del trono.
“Vieni.” chiamò Satanael “Accomodati.”
Raziel prese posto dove prima era seduta la compagna del Diavolo.
“Speravo venissi qui.” esordì quest’ultimo, passandosi un dito attorno alle labbra sottili. “E così... Gabriel ha finalmente alzato la testa. Sapevo che prima o poi si sarebbe ribellato e poi il carattere di Mikael è talmente... irritante!”
“Vedo che le notizie volano in fretta.”
“Abbastanza da sapere che il signore degli Angeli6 ha mosso guerra alle Schiere Celesti.” calò improvviso il silenzio a quella frase, mentre Satanael lo osservava sorridente. E fu di nuovo lui a prendere la parola “E tu, Semeyaza, cosa ne pensi?”
L’altro sospirò. “Lodevole. Per quel che mi riguarda resterò a godermi lo spettacolo comodamente seduto su questo cuscino.”
Il Diavolo annuì. “Sono pienamente d’accordo con te.” poi rivolto a Raziel “Perché intervenire quando state facendo tutto da soli? Non era per sapere questo che eri venuto?”
Le intuizioni immediate di Satanael lo avevano sempre lasciato perplesso, ed anche in quel momento non fece eccezione, ma cercò di sentirsi in qualche modo sollevato dalle sue parole.
“Povero, povero Mikael...” aggiunse il Diavolo, con eccessiva verve “...Uriel e Gabriel gli hanno voltato le spalle, le Schiere restanti sono divise ed infine una guerra. Già, povero Mikael. Non ha spina dorsale per essere la Guida Suprema. Si crede un forte, ma è solo un misero essere umano.”
Raziel emise un sospiro, alzandosi. “Visto che ho avuto le mie risposte, tolgo il disturbo.”
“Così presto?” domandò Semeyaza “Non hai qualche bel retroscena da raccontare?!” e sorrise, giocherellando con il lungo codino.
L’altro si allontanò giù per la scalinata senza rispondere, arrivato che fu innanzi al portone la voce di Satanael lo fermò.
“E tu, guida degli Auphanim, quale sarà la tua posizione?”
“Quella più giusta.” si limitò a rispondere chiudendo l’uscio dietro di sé.
Semeyaza sorrise, scuotendo il capo “Sempre enigmatico.”
“Si schiererà con Mikael.”
“Cosa? Con Mikael? Contro Gabriel?”
Satana annuì. “Perché questa è la cosa più giusta da fare.” scandì lentamente “Tipico di Raziel.”

Riemerse dalle profondità dell’Inferno con maggiore velocità di quando vi fu entrato.
Richiuse la tenda d’edera alle sue spalle, respirando a pieni polmoni l’aria salmastra del Paradiso.
Fu lieto di sentirsi nuovamente a casa anche se, ormai, quel luogo era troppo cambiato per essere ancora casa sua.
Si mosse rapidamente verso l’alloggio dove Metatron lo stava spettando, con notevole impazienza. Incredibile come Satanael e Semeyaza sapessero così tante cose della loro situazione e quanto dolore aveva saputo provocargli la sua verità...

“Perchè intervenire quando state facendo tutto da soli?”

Era vero.
Si stavano distruggendo con le proprie mani, ma almeno loro non si sarebbero intromessi.
Perchè questo pensiero non riusciva a rincuorarlo?
Entrò nella stanza della guida dei Seraphim, togliendosi il mantello blu notte dalle spalle.
“Non mi sono attardato più del dovuto.” disse, mentre l’altro gli si faceva contro trepidante o, per meglio dire, agitato. Infatti lo fermò prima che potesse aggiungere alcunché, prendendolo per le spalle.
“Prima che tu mi dica, c’è una cosa che devi sapere.”

You hear my prayer?
Don’t you turn your eyes?
And if you dare to mourn...

Raziel lo fissò sorpreso, mentre la luce di un lampo illuminava a giorno la camera.
“Camael se n’è andato.”

...I’ll be you waiting.7



1MALAKIM: o Melechim, Re o Re Angelici, chiamati anche Virtù. E' il coro retto da Raphael.

2ASHIM: Fiamme di Fuoco, chiamati anche Anime Benedette. E' l'ordine retto da Sandalphon le cui schiere prendono il nome di Elementali divisi in: Salamandre, Ondine, Silfidi e Gnomi.

3ZAQEBE: uno dei più importanti tra i duecento Egrigori che scesero in Ardis assieme a Semeyaza.

4BEELZEBUB: detto il Signore delle Mosche e primo in carica dopo Satana.

5BELIAL: bellissimo quanto spietato demonio della sodomia.

6ANGELI: Kerubim o Cherubici, chiamati anche Angeli. E' il coro retto da Gabriel che, nonostante il nome, non ha nulla a che vedere con quello retto da Raziel.

7 : la canzone che fa da colonna sonora a questo capitolo è Cathar Rhythm degli Era ed è una loro proprietà.


LA PAROLA ALL'AUTRICE:

Oh beh, credo che si debbano spendere due parole per questo capitolo un po' più lunghetto dei suoi predecessori. Più che altro è dei luoghi descritti che vi vorrei parlare: il varco dell'Inferno ed il Palazzo di Satanael.
Per il primo credo che molti di voi ci siano arrivati: ringrazio immensamente il buon Dante per avermi ispirato nella discesa di Raziel. Nella Divina Commedia si parla dell'Infermo come di una voragine ad imbuto dove, alla fine, vi è uno stretto budello (quello attraverso il quale l'Arcangelo è dovuto passare carponi). Diciamo che è stato il mio piccolo omaggio al Maestro e alla parte più bella della sua Comedia.
Il secondo, forse, era decisamente più difficile da identificare, quindi ve ne parlo io!^^
Dobbiamo spostarci un momento in India, se non vi spiace, precisamente ad Agra. Qui, nel 1632, l'imperatore mughal Shah Jahan iniziò la costruzione di quella che (a mio parere) è la tomba più bella esistente nel mondo. Un degno saluto alla moglie, morta due anni prima, e che terminò nel 1654. Il mausoleo, ora patrimonio dell'Unesco ed una delle 7 Meraviglie del Mondo Moderno, prende il nome di Taj Mahal. Il Taj Mahal è stato realizzato con i migliori marmi e minerali provenienti da tutto l'Oriente: marmo bianco, diaspro, giada, cristalli, lapislazzuli, zaffiri e corniola.
Ma non è tutto, si dice che fosse in progetto (e scavi ne hanno dimostrato le tracce) un secondo mausoleo destinato all'imperatore, che doveva essere realizzato in marmo nero. Ecco. Da qui è nato il Palazzo di Satanael. ^_^Y


Ci tenevo a fare queste piccole spiegazioni, è un modo come un altro per avvicinarvi di più alle mie storie. Un saluto e grazie dell'attenzione.

 

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Capitolo 8
*** CAPITOLO 7 - Engel ***


ANGEL NO TEARS
- METAMORPHOSIS -

- CAPITOLO 7 - Engel

Who in his lifetime is good on earth
Becomes after death an Angel
And you watching the sky ask yourself,
why you can’t see Them...

Ormai Mikael ne era sicuro, Camael era andato da Gabriel. L’improvvisa scomparsa sua e del coro delle Potestà1 non poteva spiegarsi altrimenti.
Binael era piombato nello studio che aveva terminato da molto la riunione con le Luci Ardenti e fu ben felice di sapere che, tutti e tre, lo appoggiavano.
La guida degli Aralim aveva spalancato le porte borbottando, indignato, frasi di accusa al terzo traditore. Lui si era limitato ad ascoltare il suo sfogo in silenzio, padrone di una calma quasi innaturale.
“Impossibile!” aveva esordito Binael “Inaccettabile! Cosa sta succedendo alle guide che compongono le Schiere? Che razza di serpi ci siamo covate in seno, Mikael, e non ce ne siamo accorti?”
“Qualcosa non va?” aveva ovviamente domandato, continuando poi a scarabocchiare strani fogli sparsi sulla scrivania lucida.
“Tradimento, l’ennesimo! Ora anche Camael volta le spalle al Paradiso! Io non riesco a comprendere che diamine stia succedendo a tutti!” e si era fermato al centro della sala, incrociando le braccia. Dopo una pausa aveva continuato con tono più calmo. “Lui ed i Potestà sono scomparsi, hanno lasciato il castello! Lui, che era la personificazione del Coraggio, fugge innanzi alla misera minaccia di Gabriel! Tutto questo è rivoltante!”
Mikael aveva sorriso, comprendendo immediatamente la scelta dell’Arcangelo. Binael si era fatto prendere troppo dalla collera per rendersi conto del vero motivo di quella ‘fuga’, forse a causa della delusione.
Dal canto suo se l’era aspettato e per questo non ne era rimasto sorpreso.
“Non è fuggito.” aveva detto, rigirando la piuma dal pennino gocciolante inchiostro. “E’ andato da Gabriel, ha deciso di schierarsi con lui. Camael è un ragazzo, ma non un codardo, Binael.”
L’altro aveva scosso la testa, come se quello fosse stato un motivo ancora peggiore.
“Ebbene, dovremo dunque ritrovarci avversari sul campo di battaglia?”
Mikael era certo che la guida degli Aralim sarebbe stata dalla sua parte ed aveva annuito soddisfatto.
“I Troni sono già pronti!” ed i suoi occhi gialli, screziati di ambra, gli erano sembrati rifulgere di orgoglio e rabbia. Era deluso. Era fortemente deluso. I suoi Fratelli si erano ribellati alle leggi del Paradiso, osando addirittura imbracciare le armi. Vergognoso. Ogni muscolo, sotto la scultorea pelle di ebano, si era teso.
“Grazie del tuo sostegno. In merito ho già dei compiti da assegnare ai tuoi sottoposti. Voglio che disponi quattro Troni sulle torrette di guardia, se avvistano Gabriel dovranno suonare il corno.”
L’altro aveva annuito deciso ed aveva lasciato la sala.
Ora solo, il Principe delle Schiere Celesti si lasciò sfuggire un sospiro, poggiando la schiena alla sedia. La pioggia era ancora torrenziale all’esterno, mentre qualche lampo prendeva ad illuminare il mare increspato dal vento insidioso che si infrangeva, in alte onde spumose, contro la scogliera. Si alzò, spegnendo con un soffio le cinque fiamme tremolanti del grande candelabro in argento posto sulla scrivania e l’oscurità l’avvolse all’improvviso.
Gli occhi nocciola si abituarono subito alla scomparsa della luce. Per un attimo rimase fermo, poi si diresse alla vetrata dietro di lui.
Le braccia solennemente incrociate all’altezza del petto, lo sguardo fisso a studiare il panorama che gli veniva offerto. Le cascate dei giardini pensili erano oscillanti in balia del vento dai mutamenti repentini. Il mare sembrava volesse divorare la costa, azzannandola a più riprese. Nei cortili interni le fontane avevano smesso di zampillare, mentre i fiori soffocavano sotto il peso dell’acqua troppo gravosa. Le statue, bianche alla Luce Divina, erano grigie e gli sembrò che le espressioni sui loro volti si fossero incupite.
Osservò meglio quella al centro. Un angelo, dalle bellissime ali spiegate, tendeva al cielo una spada, in segno di rispetto e devozione al loro Padre, Creatore del tutto. Continuava a non cedere, nemmeno sotto la minaccia della pioggia sferzante, e lui ammirava la sua tenace compostezza. Immedesimandosi nella durezza e fierezza che gli comunicava quella statua, si impose che nemmeno lui sarebbe mai crollato. Sua sarebbe stata la vittoria sui traditori, per evitare la decadenza.
Ma, indipendentemente dall’esito dello scontro, il declino li stava spingendo nell’abisso di una fine terribile. Il Paradiso ed il suo ordine sarebbero andati persi.
Il prezzo per la vittoria, si presentava troppo alto, se non addirittura insanabile.

First when the clouds go to sleep
You can see us in the sky
We are afraid and alone
God knows I don’t want to be Angel...

Osservò la fitta pioggia battente; stretta in pesanti gocce, sembrava non accennare a cessare.
Ne osservò una nel mucchio, seguendo il suo fulmineo percorso come fosse stato uno scorrere a rallentatore. Corposa, si caricava dell’acqua di altre gocce incontrate sul suo cammino e diventava più grande e pesante fino a collassare al suolo, immergendosi nelle pozzanghere sature sottostanti.
Nascosto nei suoi pensieri non si accorse dell’entrata di Raziel nella stanza.
L’Arcangelo degli Auphanim avanzò di qualche passo nell’ambiente, chiudendo l’uscio con estremo silenzio. Osservò come tutto fosse piombato nell’oscurità. Nulla era più distinto, solo vaghi contorni per un unico corpo scuro. Poté però riconoscere Mikael, nascosto dalle sue ali. Non si era ancora accorto della sua presenza. Il tormentoso pensare doveva averlo portato in chissà quali luoghi lontani della mente.
Un fulmine illuminò a giorno l’intero paesaggio e per quell’infinito millesimo di attimo rimase catturato dall’impeto del mare in tempesta. Poi, arrivò il tuono sordo di rimando.
Il Principe della Ragione sospirò, avvicinandosi alla scrivania; un soffio leggero sul candelabro e le candele si accesero in tremolanti fiammelle.
Solo allora Mikael si riscosse. Ruotò leggermente il capo, carpendo appena la presenza di Raziel con lui.
“Non ti spaventa immergerti nell’oscurità?” domandò la guida dei Cherubini con voce seria, ma dolce al contempo.
L’altro si mosse verso la poltrona, sedendosi. Manteneva ancora quella strana espressione glaciale.
“Solo gli sciocchi non ammettono la paura e l’oscurità riesce a ghiacciarmi le vene. Comunque, cerco di abituarmi ad essa.”
“Temi dunque una sconfitta?”
“Sarà comunque una sconfitta. La prima guerra senza vincitori e vinti, eppure non si può agire altrimenti.”
Raziel sorrise, anche se in maniera impercettibile. “Sono lieto di sentire la tua presa di coscienza, Mikael.”.
L'altro lo ascoltò senza alzare la testa dalle carte che aveva ripreso a rigirare tra le mani.
“Cosa ti porta da me?”
Raziel sospirò. Nonostante sapesse che quella sarebbe stata la sua unica scelta, gli riusciva particolarmente doloroso comunicarla al Principe delle Schiere, forse perchè quell’atto avrebbe significato un punto di non ritorno. Nessun ripensamento in seguito.
“Vengo a comunicarti la mia decisione...”
La frase colse appieno l’attenzione del suo interlocutore, che alzò la testa incrociando le mani sotto al mento.
“Metatron, Sandalphon ed Anael si sono tirati indietro schierandosi come spettatori. Hesediel interverrà solo in caso di necessità. Infine Binael mi ha appena offerto il suo pieno appoggio, quanto a Camael... credo che non sia una novità, per le tue orecchie, il suo abbandono del Palazzo. Credo che ce lo ritroveremo contro. Tu cosa decidi?”
Raziel inspirò lentamente.
“Parlo a nome esclusivamente mio, gli Auphanim sono liberi di scegliere ciò che vogliono, non sarò certo io ad imporre loro le mie decisioni.”
Mikael annuì, concordando.
“Avrai la mia collaborazione.”
E finalmente ci fu una reazione nello sguardo del Principe dello Splendore, una reazione di sorpresa che lentamente lo fece alzare in piedi.
“Come?” chiese, quasi senza accorgersene.
“Sono pronto a difendere il Paradiso. Questo è il mio compito.” eppure gli tremava leggermente la voce nel pronunciare simili parole, ma Mikael sembrò non badarci nemmeno mentre restava confuso, disorientato, dall’unica scelta che non si sarebbe mai aspettato.
“Credevo te ne saresti stato in disparte...”
“Così non sarà.”
“Ma perché?” non era convinto delle sue parole, non riusciva a trovare una motivazione logica. Eppure era la più evidente.
“La mia Ragione mi impone di combattere coloro che muovono guerra al Paradiso che ho giurato di difendere. Il Padre mi ha affidato un compito e, per quanto io ami Gabriel con tutto me stesso, non posso venire meno al mio dovere.”
Mikael distolse lo sguardo, per non venire sopraffatto da ciò che leggeva nei suoi occhi. Per quanto si sforzasse di apparire il più distaccato possibile, non riusciva a mantenere una simile commedia anche con Raziel.
“Volevo... volevo evitarti questo dolore...”
“Restare a guardare... non è anche quello dolore? Non posso tirarmi indietro, mentre lui rischia la vita per le sue idee e ciò in cui crede.” sospirò, sedendosi in una delle poltrone innanzi al Fratello “Il giorno che divenni guida dei Cherubini al posto di Satanael, il Padre mi disse che per essere la Verità e la Ragione bisognava imparare l’amarezza della Disillusione. Questa stessa ha portato Satanael ad andare via e ha portato me a svegliarmi dal sogno dorato in cui ci siamo cullati per un’eterna infinità.”
Mikael seguì il suo esempio sedendosi anch’egli, la fronte sorretta da una mano. Quel discorso era come un pugno allo stomaco. Un discorso che già aveva affrontato la sua mente, tanto tempo fa, ma si era rifiutato di ascoltare. Sarebbe stato come confrontarsi con sé stesso e tutte le paure più nascoste del suo animo angelico. Preso dai mille impegni di Principe delle Schiere, era riuscito a tenerle sopite, in un angolo remoto del suo essere, per non cedere innanzi al disorientamento che avrebbero saputo provocare alle sue convinzioni. Però, ormai non era più tempo di essere ciechi, ma solo proteggere quel che restava dei suoi principi.
“Il Paradiso sarebbe comunque crollato, anche senza questa guerra interna. Per troppo tempo non abbiamo voluto vedere ciò che siamo davvero e ci siamo elevati, peccando innanzi al Padre di presunzione.” Raziel fece una pausa, osservando l’espressione di Mikael, poi continuò “Ricordi la domanda che ti feci quando Gabriel andò via? Chi, somiglia a chi? Credo che anche tu conosca già la risposta, come me. Inutile girarci intorno: loro hanno conosciuto la disillusione prima di noi, magari è per questo che sanno riconoscere gli errori quando li commettono.”
“Stai cercando di giustificarli forse?”
“Assolutamente. Infatti non comprendo il male intrinseco in ognuno di loro, noi siamo più sensibili, ma forse è solo perché non hanno il tempo necessario per rendersene consapevoli... non vivono in eterno, loro.” Raziel lentamente si alzò, dirigendosi alla porta mentre la guida Arcangelica rimaneva immobile, con lo sguardo perso in qualcosa di indefinito.
“Che questo ci sia di lezione.” disse infine, lasciandolo solo a meditare sulle sue parole.

They live behind the horizon
Divorced from us, endless wide
They must hold to the stars
So that they don’t fall from hell...

Non ci credeva. Non aveva nessun senso o, per quanto si sforzasse, nessuno sembrava comparire alla sua mente. Magari aveva compreso male, magari era stato solo un malinteso. Ma per non rimanere nel dubbio aveva deciso di rivolgersi al diretto interessato.
Gli venne da ridere, mentre percorreva i colonnati invasi dal vento che gli sollevava le tuniche senza ritegno per la sua nobile persona. Le fiamme tremavano ad ogni sferzata mista all’acqua della pioggia. Nella penombra non si distingueva nemmeno la sfumatura argentea dei suoi lunghissimi capelli, che danzavano come impazziti dietro i suoi passi e davanti ai suoi occhi.
Rideva dell’assurdità di cui Sandalphon l’aveva messo al corrente. Si doveva essere sbagliato: Raziel non avrebbe mai imbracciato le armi contro Gabriel, figurarsi!
Spalancò le porte dell’alloggio senza nemmeno bussare, ma la questione era troppo urgente e doveva avere una risposta nell’immediato.
L’immagine che comparve ai suoi occhi fu in grado di fugare ogni dubbio. Nel peggiore dei modi.
La guida dei Cherubini era in piedi al centro della stanza. Un angelo dalle piccole ali gli stava sistemando la corazza dell’armatura color argento dai complessi intarsi chiari. I capelli erano raccolti in alto, per facilitare il lavoro della giovane creatura celeste che chiudeva i ganci. Le tuniche blu notte si aprivano sotto la vita, ancor priva della cintura, mentre i sandali leggeri erano stati sostituiti con calzari di metallo grigio lucente.
L’espressione di Metatron si trasformò in una smorfia di disgusto, mentre richiudeva il portone alle sue spalle con uno schianto.
“Che cosa ti sta saltando in mente?! Allora è davvero smarrita la tua Ragione per compiere uno scempio simile!”
Raziel lo osservò senza corrucciarsi. Comprendeva quello sfogo improvviso e sdegnoso del suo Compagno Divino e lo lasciò fare.
“Non riesco a capire il tuo comportamento... io... io...”
“Perchè non ti siedi?” gli suggerì, notando che tremava per la rabbia.
L’altro scosse il capo contrariato. “Non voglio fare salotto! Ma dammi una valida spiegazione per questo!” aggiunse, agguantando l’elmo dalla lunga cresta di sottili fili grigi, ed agitandolo animatamente.
Il piccolo angelo sistemò le tuniche sotto il dorso e le buffe sporgenti dell’armatura. Prese la cintura e la collocò intorno alla vita di Raziel, silenziosamente.
“E’ la stessa che ho dato a Mikael. Faccio il mio dovere.”
Metatron parve esasperato. “Dovere?” fece eco con ironia “Ed il tuo dovere sarebbe andare al massacro? Non dico che devi schierarti con Gabriel, anche se lo comprenderei di più, ma almeno non macchiarti di questo orrore!”
“Non chiedermi di restare a guardare, verrei meno ad un mio compito.”
“Stai parlando come Mikael!” l'altro scosse il capo “Ed io che non volevo crederci quando Sandalphon me lo ha comunicato...”
“Non sei stato l’unico.” continuò Raziel laconico, mentre prendeva uno dei bracciali dal tavolino accanto infilandolo all'avanbraccio sinistro. Sorrise, passando una mano sulla superficie lucida. “Quanto tempo sarà passato dall’ultima volta che l’avrò usata?... Dall’unica volta...”. Adagio, si volse ad osservare l’altro Arcangelo “...non pensavo che un giorno l’avrei indossata di nuovo.”
“Puoi ancora tirarti indietro!” gli disse speranzoso Metatron “Puoi ancora evitare di-...”
“Di cosa? Di levare la spada contro i miei Fratelli? Di veder scorrere il loro sangue tra le mie mani? Credi che io non abbia mai pensato a questo?” scosse il capo, mentre l’angelo si eclissò dalla stanza, lasciandoli soli.
Il suo interlocutore assunse un’espressione irata, ma lui continuò. “Io non sono uno sprovveduto, Metatron, dovresti saperlo. Non credere che tutta questa situazione mi renda felice. E' Gabriel che mi troverò davanti, il mio Gabriel, e mi spezza il cuore l’idea di dover scontrarmi con lui.”
“E allora a che pro perpetrare il tuo intento?” esclamò, mentre le loro voci andavano aumentando di tono senza che nemmeno se ne rendessero conto. “So qual è il tuo valore, la tua sensibilità, ma le giustificazioni che stai accampando non si reggono in piedi!”
“Giustificazioni?! Non cerco di proteggermi dietro falsi pretesti! Credo in quello che dico e, visto che il Paradiso è destinato comunque a crollare, voglio portare a termine il mio dovere fino alla fine!”
“Ma non vedi il peccato di superbia in queste parole? Credi che il Padre sia contento del nostro operato?” Metatron passeggiava avanti ed indietro per la stanza.
“E credi che se restassi a guardare eviterei l’ecatombe?!”
“No di certo! Ma... ma perchè non capisci? Raziel, loro sono i nostri Fratelli! Perché non hai fermato Gabriel, avresti potuto convincerlo a-...”
“A zittire i suoi principi? Non avrei mai osato! Avremmo dovuto continuare a vivere nell’ombra, sai meglio di me che Mikael non lo avrebbe accettato e così è stato.”
“Ma almeno avresti potuto salvargli la vita!”. Gridando quelle parole, Metatron sbatté con violenza l’elmo al suolo, che rotolò di qualche passo. I crini sottili sparsi sul pavimento, mentre un improvviso silenzio calava tra i due.
Metatron stringeva i pugni con lo sguardo fisso ai suoi piedi e Raziel si allontanò dirigendosi all’ampia vetrata del balcone della camera.
A fatica cercava di ricacciare indietro le lacrime, pensando a quello scontro di cui già conosceva le sorti.
“Quando ha preso la sua decisione, già sapeva quale sarebbe stata la mia...” mormorò con voce spezzata.
“Così... tu sai...”
La guida dei Cherubini annuì lentamente. “Il giorno che decidemmo di confessare i nostri sentimenti, mi parlò della sua vera natura. Il non aver rinunciato alla sessualità non gli ha permesso di essere completamente un Arcangelo.” delle perle salate presero a scendere dai suoi occhi verde smeraldo, rendendone incredibilmente brillante il colore.
Metatron raccolse lentamente l’elmo ai suoi piedi, carezzandone la superficie. “Un Arcangelo può uccidere un altro Arcangelo, ma un uomo...” disse, recitando una delle leggi del Paradiso “...non potrà mai uccidere un Arcangelo. E Gabriel è un uomo...”
Raziel nascose il viso in una mano, sfogando tutte le sue frustrazioni in un solo momento, l’unico che poteva concedersi prima che si fosse ritrovato di fronte il Principe del coro Angelico. “Tutto questo mi sta corrodendo, Metatron. Forse è vero, avrei dovuto parlargli, ma sapevo che sarebbe stato inutile. Non sarebbe mai tornato indietro nella sua scelta... e... e se... se è questo che deve accadere... che almeno muoia per mano mia...”
La guida dei Serafini si maledisse mentalmente per non essere riuscito a cambiare quello di cui era stato messo a conoscenza. Lui aveva peccato di presunzione. Presunzione di poter cambiare le sorti già decise di una guerra senza senso. Il Padre non aveva deciso di fermarli perché avevano fatto delle scelte. Ed ora dovevano imparare ad accettare le conseguenze che queste, e tutte le altre in futuro, avrebbero portato. Gli angeli erano i primi imperfetti e lui aveva cercato di rimediare dove Dio si era rifiutato di intervenire. Stolto! Povero stolto!
Scosse il capo, avvicinandosi alla figura di Raziel percorsa da numerosi singhiozzi. Poggiò leggermente una mano sulla sua spalla.
“Che Dio abbia misericordia dei nostri errori.” e porse l’elmo al Compagno Divino. L’altro prese l’oggetto, osservandolo per un attimo, poi i suoi occhi si incrociarono con quelli umidi di Metatron.
Viola e verde.
La guida dei Cherubini l’abbracciò stretto, dimenticandosi per un momento del suo razionale autocontrollo e dando sfogo ai suoi sentimenti.
“Stai vicino a Mikael, ti prego, non lasciarlo da solo. Il suo cuore è lacerato eppure lui ama tutti noi.” mormorò, mentre l’Arcangelo ricambiava il suo gesto d’affetto, stringendolo a sua volta.
Metatron annuì e tutto il futuro gli fu chiaro come il lampo improvviso che illuminò a giorno la stanza, con la sua luce fredda e abbagliante. Nuove e copiose lacrime presero a scendere anche sul suo viso, rendendogli difficile la parola. “Amen...” mormorò tra i denti “...ti voglio bene, Fratello.”
Raziel asciugò il viso con il dorso della mano, mentre l’altro prese il mantello candido dal letto per appuntarglielo sulle spalle. La spada era poggiata in piedi sul fianco del tavolino. Era accuratamente riposta all’interno del fodero in metallo, della stessa fattura dell’armatura.
Metatron la prese tra le mani, sentendola estremamente leggera. Aveva totalmente dimenticato come fosse fatta, ma ben presto l’avrebbe rivista all’opera; improvvisamente, tre colpi secchi li fecero trasalire. La voce di Raziel aveva riacquisito il suo tono di sempre, anche se ancora un po’ incerto.
“Avanti.” ordinò e le porte si aprirono, permettendo l’ingresso dell’intero coro degli Auphanim all’interno della stanza.
La loro guida li osservò con una certa sorpresa. Stranamente indossavano tutti l’armatura da guerra, ed avevano delle espressioni serie sul viso.
Uno di loro, dalle fattezze femminili2, avanzò di qualche passo, facendosi portavoce dei suoi compagni.
“Cosa succede Hakamiah3? Cosa significa...?”
Il giovane angelo aveva corti capelli color mogano e chiari occhi verdi. Due ali candide spuntavano da sotto lo schienale dell’armatura grigio chiaro. Recava l’elmo sotto il braccio e la spada a riposo, nel fodero in cuoio pendente al fianco.
“Chiediamo umilmente perdono per la nostra intrusione, Divino Raziel, tuttavia siamo al suo cospetto per conferire di una questione importante.” disse, mentre un tenue rossore colorava le goti chiare del viso.
L’Arcangelo annuì. “Dimmi pure.”
La giovane alzò lo sguardo con decisione, per incontrare quello della sua Guida. “Signore, sappiamo che ha intenzione di partecipare al conflitto contro il Divino Gabriel.”
“Sì.”
“Ebbene...” osservò i compagni dietro di sé “...volevamo comunicarle che gli Auphanim sono al suo servizio, Signore.”
Raziel rimase con la bocca semi aperta e fece per proferire qualcosa, ma si fermò, pensandoci bene. Abbassò il viso, annuendo, poi aggiunse “Non obbligo nessuno di voi a seguire le mie scelte. Quindi, se qualcuno le reputa sbagliate è libero di decidere autonomamente.”
Hakamiah si affrettò rispondere. “Noi abbiamo già deciso. Resteremo al suo fianco, Divino, gli Auphanim non abbandoneranno mai la loro Guida.”
-Lealtà.- pensò l’Arcangelo, ricordando la virtù del giovane membro del coro. I suoi occhi sinceri esprimevano, con convinzione, quello che aveva comunicato a nome di tutti. Sorrise.
“Amen.” disse lentamente e, dopo aver sciolto i capelli, indossò anche l’elmo.
Metatron gli porse la spada e lui la prese dalle sue mani legando la fibbia alla cintura. L’elsa presentava una guardia bombata, volta alla protezione delle nocche, mentre lasciava libero il pollice per una maggiore maneggevolezza.
Raziel osservò i suoi sottoposti, cercando di infondere loro una certa sicurezza ed aggiunse “Tenetevi pronti.” e si avviò all’uscita della stanza.

First when the clouds go to sleep
You can see us in the sky
We are afraid and alone
God knows I don’t want to be Angel4


 1POTESTA': o Seraphim, i Fiammeggianti, chiamati anche Potestà. Sono il coro retto da Camael e non hanno nulla a che vedere con i Serafini di Metatron.

2FEMMINILE: nonostante la loro origine asessuata, si dice che gli Angeli abbiano una essenza maschile o femminile. Non è una cosa prettamente fisica, ma più che altro una distinzione spirituale. Di solito possiedono entrambe le essenze, su cui una delle due prevale. La distinzione in maschili e femminili avviene tramite il suffisso del nome
· -EL: suffisso per essenza maschile.
· -AH: suffisso per essenza femminile.


3HAKAMIAH: angelo di essenza femminile del coro dei Cherubini. Protegge i nati tra il 6 ed il 10 giugno. Le sua virtù angelica è la Lealtà.

4ENGEL: non che apprezzi incredibilmente questa canzone dei Rammstein, ma devo ammettere che era veramente azzeccata come testo. Quello riportato è il testo in inglese di comprensione maggiore rispetto a quello originale in tedesco! Si ringrazia la carissima Stormy che me l’ha fatta conoscere! ^_^Y


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Capitolo 9
*** CAPITOLO 8 - Solo un sogno ***


Lasciate che spenda due parole su questo capitolo prima di lasciarvi alla sua lettura! Sì, lo so, non dite che sono rompiscatole ok?!
Allora... incredibile, ma vero, l’intera storia ANT ha avuto origine proprio da questo ultimo capitolo! È stato mentre ascoltavo questa canzone (Solo un sogno di Pacifico) che ho immaginato la scena clou di quest’ultima parte e poi, da lì, piano piano si è diramato a ritroso tutto ciò che ha portato a questi eventi finali. Ve la consiglio davvero, questa canzone, perché merita!
Raziel è sempre stata la mia creatura angelica favorita, anche perché diciamo che è il mio Arcangelo guida secondo l’astrologia. Lui è la Ragione pura, ma ci sono così tanti fattori da valutare, che spesse volte ci si può sentire soffocati dalle proprie responsabilità ed il peso della Verità.
Per quanto riguarda Gabriel, nella maggior parte dei film sugli angeli che ho visto, la sua figura era sempre quella malvagia. Una visione che non mi ha mai trovato favorevole. Mentre la figura di Mikael era perennemente esaltata nella sua magnificenza di Principe Arcangelico supremo. Ma era poi una suddivisione così semplice? Può essere semplice il compito di Braccio Destro di Dio? Sinceramente non ho mai condiviso l’immagine Paradisiaca che tracciano la Bibbia ed i testi sacri, apocrifi e non: troppo facile (e chissà, magari è proprio così! ^^). Così ho voluto dare una mia particolare visione del Paradiso. Ed è nato tutto questo.
Era da tempo che volevo trattare queste figure, che mi affascinano particolarmente, e sono abbastanza soddisfatta del risultato finale. Vabbeh dai, vi ho rotto anche troppo con tutta sta predica! Vi lascio al capitolo! ^_^ un saluto e vi rimando alla nota finale.

ANGEL NO TEARS
- METAMORPHOSIS -

- CAPITOLO 8 - Solo un sogno

Le armate di Gabriel volavano composte in direzione del castello del Paradiso.
Si erano mossi con decisione dalla fortezza lunare ed avevano attraversato la linea di confine con la dimensione celeste già da molto tempo.
Il passaggio li aveva lasciati decisamente spaesati quando vennero a contatto con la pioggia battente del posto. Il cielo plumbeo e il fitto temporale non permettevano di distinguere nulla nel raggio di chilometri.
Laylahel, con la sua armatura in madreperla, era rimasto allibito di fronte a tutta quella violenza della natura.
“Principe...” mormorò, rivolgendosi a Gabriel “...mi avevate parlato della situazione che ci saremmo trovati di fronte, eppure io... non avrei mai immaginato che potesse essere così...” non seppe trovare la parola giusta per poter descrivere quello che i suoi occhi vedevano adesso, mentre li stringeva in fessure per riuscire a tenerli aperti contro la pioggia sospinta dal vento. Le piume tremavano con forza sotto quel respiro gelido e violento.
“Ti spaventa?” domandò il Principe della Luna in direzione del suo compagno.
“Molto.”
Camael si portò di qualche passo innanzi al gruppo in modo da poter essere ascoltato da tutti.
“Allora approfittate di questa vostra paura...” disse solenne “...succhiatele tutta la forza che essa contiene e trasformatela in coraggio, solo così potremo andare avanti.”
Gli altri annuirono, mentre lui tornava a capo delle Potestà. Insieme ripresero il volo verso la loro meta ultima.
Gabriel era alla testa della legione, affiancato dagli altri comandanti. Indossava, con incredibile eleganza, l’armatura d’oro e d’argento con cui aveva affrontato le orde demoniache di Satana, durante la prima vera guerra delle Schiere Celesti. Un pesante scudo di foggia ovale era posto al braccio sinistro mentre sopita, per il momento, nel fodero in metallo al suo fianco, restava la spada dal lungo manico finemente lavorato.
Alla sua destra, Uriel, potente arciere, indossava un’armatura rossa e avorio. Le ali fiammeggiavano senza minimamente risentire delle gocce di pioggia. Il lungo arco era già saldo nella sua mano, mentre la faretra carica di frecce restava sistemata sulla schiena. Accanto alla sua figura stava Laylahel, che in quel frangente avrebbe comandato le Schiere Lunari. Possenti catene si avvinghiavano ai suoi bracciali per poi lasciare pendenti le punte.
Alla sinistra di Gabriel, Camael aveva uno sguardo deciso, fisso innanzi a sé. Il Principe della Luna era rimasto incredibilmente sorpreso nel ritrovarselo alle porte del Palazzo, accompagnato dall’intero coro delle Potestà. Eppure nulla aveva voluto chiedergli in merito alla sua decisione: quando sarebbe stato il momento, glielo avrebbe confessato lui stesso. L’armatura d’oro lucente sembrava ora di un giallo scuro sotto le nubi grigie e globose. I crini rossi, scivolanti dall’elmo, ondeggiavano folli nel vento tumultuoso. Lo scudo romboidale nascondeva il braccio alla vista, mentre fuoriusciva l’elsa della scimitarra dal fodero.
Non erano una compagine molto numerosa, circa un centinaio.
Uriel era seguito dal nutrito gruppo di angeli arcieri a lui fedeli, i ventotto angeli lunari erano sotto il controllo di Laylahel. Camel e Gabriel comandavano i loro rispettivi cori, ma a questi (di soli di otto membri ciascuno) si erano aggiunti decine e decine di angeli provenienti da tutte le parti della dimensione paradisiaca.
La strada era presa e la meta ormai prossima. Non si sarebbero fermati fino a che non avrebbero raggiunto le porte del Paradiso. I loro sottoposti li seguivano silenziosi e, anche se erano molto titubanti sull’avvenire, mai avrebbero voltato le spalle alla fiducia che riponevano nelle loro guide. Con gli sguardi dritti innanzi al loro cammino continuavano ad avanzare compatti nella pioggia; potevano già sentire il fragore delle onde sulla costa.

I cortili erano in fermento. Gli eserciti si stavano preparando, radunandosi nel cielo sopra il castello del Paradiso.
La pioggia battente bagnava le loro ali dalle piume candide, scivolava sulle armature di variopinti colori.
Raggruppati in ranghi compatti, sembravano un arcobaleno terrificante.
Espressioni severe si celavano dietro gli elmetti, spade al fianco e scudi al braccio. Aspettavano gli ordini dei loro comandanti.
Gli angeli minori mostravano i loro volti timorosi dietro le grandi vetrate o sotto i colonnati al riparo dalla pioggia. Osservavano quell’imponente spiegamento di forze che similmente avevano visto solo durante la guerra contro Satanael.
Metatron camminava lentamente lungo il colonnato affiancato da Sandalphon. I loro sguardi rivolti al cielo plumbeo brulicante di cori angelici pronti alla battaglia. Gli occhi viola, attenti, in un’espressione triste e rassegnata nell’attesa che il destino si compisse.
Innanzi a loro Anael restava immobile in trepidante aspettativa. Le mani strette in petto e gli Elohim1 impauriti alle sue spalle.
Fu l’Arcangelo dai crini d’argento a parlare. “Sono tutti riuniti?” domandò al Principe dell’Armonia, il quale rispose senza staccare gli occhi dai Fratelli in armatura.
“Sì. Ormai sono al completo...”
“Nessuna notizia di Gabriel?”
Scosse il capo. “Gli Aralim sulle torrette non hanno suonato i corni.”
Metatron ne osservò il profilo delicato dall’espressione concentrata, in attesa che qualcosa accadesse.
Sandalphon sfiorò il suo braccio. “Anche Raphael sta aspettando.” ed indicò, con lo sguardo, il signore dei Malakim con le braccia conserte e lo sguardo teso, attorniato dal coro, anch’esso in struggente attesa.
Un metallico suono di passi attirò la loro attenzione verso il fondo del colonnato. I loro sguardi si persero nel profondo della sua oscurità, attendendo che l’origine del rumore riemergesse a mostrare la sua identità. Quel clangore non poteva essere altro che di un’armatura e ad esso se ne sommarono altri. Si alternavano con cadenza ritmica. Non fu difficile immaginare chi potessero essere: Mikael, innazi, seguito da Binael e Raziel affiancati. In alta armatura avanzavano lenti, ma decisi, verso un destino che non poteva essere oltremodo cambiato, nonostante le preghiere di Metatron.
Il primo a comparire, quasi fosse egli stesso un’ombra, fu il Principe Supremo delle Schiere Celesti, avvolto nella sua armatura interamente nera. L’elmo sulla testa e l’enorme spadone a riposo sulla schiena. Binael ostentava, dietro di lui, un’altrettanta sicurezza alimentata dal suo vivo orgoglio ferito. Il bronzo delle sue vestigia contrastava con i crini avorio oscillanti alle sue spalle. Stringeva nel pugno una lunga alabarda, pronta ad essere usata. Ma forse quello che aveva l’espressione più indecifrabile era Raziel: dal suo viso non si riusciva a dire se fosse deciso, preoccupato o addirittura indifferente, ma sicuramente non aveva paura. Più che altro appariva rassegnato. Si fermò insieme agli altri innanzi a Metatron e posò il pesante scudo a cerchio al suolo. Si scambiarono una lunga occhiata, il cui esito lasciò sfuggire un lungo respiro al consigliere del Padre.
“Ebbene non ci resta che aspettare.” esordì Mikael solenne, mentre Anael gli rivolgeva uno sguardo carico di rabbia che il Principe preferì ignorare.
Il vento sollevava insidioso le tuniche degli Arcangeli e ne smuoveva i crini, irrequieto.
“Per quando prevedete l’arrivo di Gabriel?” domandò Sandalphon, osservando gli eserciti in attesa.
Binael scosse il capo. “Non lo sappiamo. Lui sa essere imprevedibile, ma ci troverà preparati.”
Il viso di Metatron si contrasse in un’espressione indispettita. “Siete ancora in tempo per evitare quest’inutile carneficina.”
Ma le parole atone di Raziel non lasciarono scampo. “No...” disse, attirando gli sguardi su di sé “...ciò che è scritto non può essere cambiato e lo sai meglio di me. Il destino che ci attende è uno e lo stiamo per compiere. Ormai l’attesa è finita.” poi si volse ad osservare la pioggia in caduta libera ed incessante. Dritta e fitta. “Non ve ne siete accorti?” domandò agli altri “Il vento ha smesso di spirare. Arrivano.”
Un cupo silenzio e poi rauco, quasi assordante, il suono di un corno.

“Eccoci, dunque.” affermò Uriel, scorgendo l’isola del Paradiso dall’aura così irreale nel tumulto della tempesta.
Il palazzo dai candidi marmi, ora grigi sotto le nubi, era ben visibile tra l’oscillare scomposto delle cascate pensili. Le onde scroscianti restituivano suoni fragorosi nel loro abbattersi sulla costa; collassavano in esse porzioni di dirupi; lentamente, l’isola felice si stava sgretolando.
Il plotone si fermò, all’ordine di Gabriel, che mancavano poche centinaia di metri alla meta prefissa. Erano stati raggiunti dal suono di un corno nel loro avvicinarsi, preannunciandoli alla fazione avversa.
“Siamo alla fine del viaggio.” sospirò Uriel, mentre osservava i suoi Fratelli-rivali posizionarsi in cielo in attesa che lo scontro iniziasse. Li vedeva, tanti puntini colorati, e si sentì sollevato di non riconoscere il coro di Anael tra essi. Era dunque al sicuro.
“Tu dici fine?” lo richiamò Gabriel alla sua attenzione “Non pensi che questo sia solo l’inizio? Il reale inizio della nostra metamorfosi?” sospirò “O, forse, l’inizio si avrà con la fine di questa battaglia...” i suoi occhi notte si erano subito soffermati su l’unica cosa per cui valesse la pena morire.
Raziel lo stava aspettando. Avverso, come già sapeva che fosse, si stagliava quasi come il fantasma di sé stesso al fianco di un Mikael pronto a punire un peccato mai commesso. Si stavano avviando verso un qualcosa di indefinito, ma incredibilmente doloroso. Non sapeva quale sarebbe stato l’esito finale, ma qualcosa era già cambiato con la sua ribellione, il loro finto equilibrio si era finalmente spezzato. Ecco. Questo era il vero Paradiso. Questi erano davvero loro stessi e gli umani, come loro, ne riproducevano i comportamenti nel loro breve quotidiano. Il cambiamento stava già avvenendo e sarebbe perpetrato anche alla fine di questo ‘primo giorno’, sia che lui ne fosse uscito vincitore o perdente. Era il suo ultimo atto affinchè Mikael capisse.
“Prima di avanzare, dovrei parlarti.” Camael lo distolse dai suoi pensieri, facendolo voltare nella sua direzione. Uno sguardo deciso, eppure terribilmente affranto, gli restituivano gli occhi azzurri per poi distoglierli e volgerli al loro destino. “E' giusto che tu sappia la decisione che mi ha portato a raggiungerti al castello lunare.”
“Non c’è bisogno che tu lo dica, se non vuoi.”
“Voglio.” insistette l'altro e aveva tutta quella convinzione che lo aveva sempre contraddistinto.
Gabriel rimase in silenzio ad ascoltare ciò che aveva da dire, mentre Camael prendeva fiato, sospirando.
“Il giorno che tu varcasti le soglie del Planetario, durante la riunione, sentii il mio animo come risollevarsi dopo una brutta caduta. Leggero, gioiva del tuo agognato ritorno...” e fece vagare lo sguardo lungo tutto quel luogo che per millenni era stata la sua casa “...mi illudevo che ormai pace era fatta, che tu e Mikael vi sareste riconciliati. Insomma che tutto sarebbe tornato come prima e che questa... scaramuccia... sarebbe stata lasciata lì, nel dimenticatoio delle nostre memorie.”. Inclinò leggermente il capo di lato. “Ma non era così.” disse con un sorriso che prendeva in giro la sua stessa ingenuità. “La tua dichiarazione di guerra mi ha come aperto gli occhi. È stato il risvegliarsi da un incubo e guardare la realtà... che l’incubo è la realtà... che quello in cui mi sono crogiolato non erano altro che illusioni.”
Gabriel lo guardava dritto negli occhi, capendo il suo stato d’animo smarrito, ma non lo interruppe.
“Noi ci stiamo sgretolando, ci stiamo autodistruggendo ed è inutile credere che sia solo una nuvola passeggera. Questa è la verità. Ho capito che dovevo scegliere: continuare ad osannare ogni mio respiro, oppure cambiare tutto questo.” osservò il cielo grigio, che continuava a restituire solo pioggia compatta e battente. “Quando ho abbandonato la sala mi sono diretto nel grande cortile centrale. Ed ho osservato la pioggia, proprio come adesso. Mi sono rivolto al Padre affinché mi indicasse la via più giusta da prendere, mi desse un consiglio... un solo segno...” guardò Gabriel “...un sorriso.”
“Un sorriso?”
“E’ stato come un sole tra le nubi. Ciò che mi ha permesso di scegliere. Un ricordo: i sorrisi di Raziel quando parlava di te. La sua gioia quando passeggiava in tua compagnia. La sua tranquillità e la tua. Gabriel, io vi ho sempre ammirato; eravate il mio esempio, i miei Fratelli più vicini ed avrei fatto qualsiasi cosa purché voi foste felici. Restare con Mikael non me lo avrebbe mai permesso, per questo sono venuto da te. E per questo io combatterò, perché voi possiate essere nuovamente felici.”
Il Principe del Cielo Lunare poggiò una mano sulla sua spalla, sorrise come da molto tempo aveva smesso di fare. “Sei un grande amico ed un Fratello indispensabile. Grazie, Camael.”
L’altro annuì, tornando a guardare il castello, mentre Gabriel dava l’ordine di avanzare nuovamente e mentre riprendevano il volo, l'Arcangelo ribelle pensò che la felicità fosse una cosa a cui aveva ormai rinunciato quando aveva abbandonato il Paradiso, eppure gli sarebbe bastato avere Raziel tra le braccia per un solo secondo, per poter essere felice in eterno.

Quel suono cupo rimbombò per un tempo indefinito nelle orecchie dei presenti, seguito da un silenzio terribilmente innaturale come sospeso in quella breve ansia che aveva colpito tutti.
Mikael increspò le sue labbra in un sorriso beffardo e fu il primo a levarsi in volo per raggiungere i suoi sottoposti. Gli occhi puntati su quella lontana figura che era di Gabriel. Suo Fratello di carne. Suo Fratello reale.
Per quanto chiamasse e considerasse tutti gli angeli come suoi Fratelli, non poteva dimenticare il suo retaggio, la sua nascita, la sua natura di essere umano. Ciò che più odiava di sé stesso e che in parte aveva sempre influito sul suo carattere.
E poi c’era Gabriel, il suo fratellino. Quanto gli aveva voluto bene con quella sua vivacità, quella solarità che l’aveva fatto subito ben volere da tutti gli angeli, ma che, purtroppo, aveva deciso di restare umano. Che fosse stata proprio questa decisione la causa della corruzione della sua morale, che lo aveva portato a compiere un così empio gesto? I suoi istinti umani, non del tutto cancellati, l’avevano reso sporco dentro.
Scosse il capo, mentre una parte di sé si rifiutava di vedere che questo era accaduto anche per due Arcangeli puri come Uriel e Anael. Plagiati dall’animo trascinatore di Gabriel, ovvio. Erano creature superiori, quel genere di amore mutevole come il vento non poteva appartenere anche a loro, sarebbe stata una bestemmia.
Bloccò il flusso dei suoi pensieri prima che questi potessero deconcentrarlo, e calò lo sguardo al suolo. Raziel era ancora fermo nel portico. Gli occhi rivolti ad un punto indefinito del cielo, assenti, indecifrabili, privi di vita sembravano come riflettere l’anima di un morto. La scelta di schierarsi contro Gabriel lo aveva ucciso o, forse, era stato proprio il fatto stesso di compiere una scelta? Di combattere contro dei Fratelli? Raziel era la Ragione, forse era stato schiacciato dal peso di tutte quelle verità che stava a mano a mano scoprendo.
“Ora basta.” mormorò a sé stesso, riprendendo il controllo del suo animo. Vide Binael sollevarsi e raggiungerlo al comando delle schiere, un attimo dopo, meccanicamente, si librò anche Raziel.
“Aspetta...” lo chiamò Metatron impercettibilmente; l’ultimo disperato tentativo.
L’Arcangelo dai crini di bronzo scosse il capo. “Così deve essere...” e si portò alla guida del coro degli Auphanim.
Le sete della veste frusciarono nel suo librarsi attraverso la pioggia battente. Sistemò lo scudo sul braccio e mosse lo sguardo in un punto ben definito. La figura di Gabriel era così nitida nella sua imponenza e, per quanto lontani fossero, sapeva che i suoi occhi lo stavano studiando in ogni minimo particolare. Sentì il cuore fermarsi per quell’emozione improvvisa di poterlo nuovamente rivedere... un’ultima volta.
“Perchè non avanzano?” domandò Binael, rompendo la tensione che si era venuta a creare nel mezzo del cielo.
“Non avere fretta...” rispose Mikael “...sfrutta questo momento per concentrarti al massimo.” poi si rivolse alle schiere in attesa alle loro spalle “Fratelli, il Paradiso sta per affrontare una dura prova, ma noi la supereremo poiché con noi è il Giusto. I nostri Fratelli...” ed indicò l’esercito avversario, più distante “...sono stati plagiati dall’umana tentazione. Con dita sinuose li ha distolti dal corretto percorso dell’anima, cancellando in loro il senso della morale. Ma non condanniamoli, sono vittime dell’inganno come tutti noi... uno solo è il nemico: Gabriel.” e quel nome uscì come un sibilo tra i denti, mentre gli sguardi dei suoi sottoposti erano rigidi in rimprovero verso colui che aveva osato sfidare le forze celesti. “Non uccidete se non è strettamente necessario.” fu l’ordine perentorio impartito da Mikael.
Raziel ascoltò il suo discorso immobile. Non aveva ancora capito, ma questo non lo sorprendeva visto che erano ad un passo dalla guerra. Mentre il Principe parlava aveva visto l’esercito di Gabriel dirigersi nella sua direzione e fermarsi ad un centinaio di metri da loro. Piano piano la sagoma del Principe Lunare si era fatta sempre più nitida, fino a che non fu in grado di distinguerne, senza difficoltà, ogni minimo particolare.
Bello, nella sua armatura d’oro e argento. L’elmo, ben saldo sulla testa, nascondeva la maggior parte della sua chioma color rosso oro e morbida. Ebbe un irrefrenabile impulso di corrergli incontro ed accarezzargli i capelli, ma si costrinse a tenersi bloccato nella sua posizione. Gli occhi color della notte gli restituivano una dolce espressione.
Di fianco a lui anche Camael lo stava osservando ed era terribilmente sorpreso di trovalo lì. Raziel gli rivolse un sorriso, ringraziandolo mentalmente di essere a supporto di Gabriel e di aver capito il suo punto di vista.
Lo sguardo di Uriel vagava ai colonnati sottostanti, dove incrociò gli occhi turchesi di Anael. Lo vide appoggiarsi ad una colonna, restituendogli un’espressione trepidante. Un fugace sorriso ne illuminò i tratti dolcissimi e delicati del viso, ma scomparve subito seguito da un’espressione affranta. Trapelavano le sue emozioni e lui non si curava di nasconderle, era il suo carattere; la sincerità la sua indole.
Uriel gli rivolse un debole sorriso, mentre vide che pesanti lacrime avevano iniziato a scendere lungo le goti chiare. Avrebbe sofferto, ma l’importante era che fosse al sicuro. Lontano da quell’inferno che, di lì a poco, si sarebbe scatenato. Accanto a lui le presenze di Metatron e Sandalphon lo rassicurarono maggiormente, dandogli una dose di fiducia in più che in quel momento gli tornò particolarmente utile.
Il Consigliere di Dio mosse lo sguardo alla sua sinistra. Anche Hesediel fece il suo ingresso nel cortile seguito dal coro in armatura, pronto ad intervenire in caso di estrema necessità. E con lui si scortava anche Azrael. Non che Metatron fosse particolarmente felice della sua presenza, eppure sapeva che nessuno ne sarebbe uscito indenne... a quel punto l'Arcangelo della Morte sarebbe stato necessario.
“E così lo spettacolo sta per cominciare.” fu proprio quest’ultimo a proferire parola, attirando gli sguardi degli altri presenti sotto il portico. “Ebbene mi toccherà prendere posto accanto a Raphael, con permesso.” scandì quella frase con una naturalezza quasi agghiacciante. L’ipotesi della morte di qualche suo Fratello sembrava non turbarlo minimamente. Asserviva il proprio dovere nella maniera più tranquilla possibile, forse era per questo che la sua presenza incuteva sempre un certo timore. Ma quel giorno non sarebbe stato lui al centro dell’attenzione di tutti.

Gabriel era innanzi alla sua legione. “Fratelli...” chiamò “...sapete già il mio pensiero. Ferite senza uccidere.” e mise mano all’elsa elaborata della sua spada dal manico lungo. La carezzò lentamente, tenendo fisso lo sguardo in quello di Mikael.
Dopo quanti secoli quella lama avrebbe rivisto la luce? Pochi, dannatamente pochi, ma ormai la decisione era definitiva. L’afferrò saldamente, cominciando a sfilarla dal pesante fodero in metallo che recava al fianco. Uno strano rumore ed una scia di fumo si levarono dal piccolo spiraglio che stava allargando nel gesto di estrarla. Un bagliore rossastro intenso si fece largo nel grigio del cielo notturno e la pioggia sembrava sfrigolare in quella parte luminosa. Poi una lingua infuocata sfuggì al suo fodero costrittore. Ed un’altra e un’altra ancora, finchè non fu totalmente sguainata, risplendendo meravigliosa nel cuore della notte. La dritta lama lunga era fatta interamente di fuoco e vederla tolse il respiro agli angeli minori, che restavano nascosti tra i colonnati e le finestre del castello.
La magnificenza degli Arcangeli era nota anche in quelle armi, così rare, e dono supremo del Padre a loro, che erano le guide di tutti gli angeli. Armi nate nella Fiamma Eterna e fatte di essa, erano le più potenti.
Il suo gesto venne imitato da Camael e la scimitarra prese a risplendere di un bagliore così intenso da sembrare viva.
Mikael sorrise ancora una volta, mentre estraeva l’enorme spadone che portava a riposo sulla schiena, impugnandolo saldamente con ambo le mani.
Fu la volta dell’alabarda di Binael, le cui estremità presero a risplendere di una luce arancio e calda.
L’ultimo fu Raziel. Con maggior titubanza aveva afferrato l’elsa senza estrarla.
-Non farlo...- aveva pensato Metatron con ultimo guizzo di speranza, mentre lo vedeva indugiare su quel gesto. Ma forse si era sbagliato. Non era indugio, il suo, solo una pausa voluta per una maggiore presa di coscienza sulle proprie azioni, difatti, non ci fu alcuna incertezza mentre permetteva alla lama serpeggiante di rifulgere libera verso l’esterno.

Uriel fece un passo in avanti portandosi innanzi a Gabriel. Con due dita sfilò una freccia dalla faretra alle sue spalle, senza perdere di vista i movimenti dei suoi avversari.
“Tieni pronta la tua cavalleria.” avvisò senza voltarsi. Il capo della rivolta fece un breve cenno, mettendo i suoi sottoposti sulla difensiva, intanto gli arcieri si intervallavano tra le schiere; le dita pronte ad afferrare le code piumate sporgenti alle loro spalle. Un solo comando e la carica di Gabriel sarebbe stata coperta da una pioggia di frecce.
Arcieri...” gridò Uriel, per farsi sentire “...incocca!” e tutti estrassero un oggetto sottile, allineandolo nell’arco. “Tendi!”
Le loro braccia si tesero all’unisono, prendendo la mira.
Il momento era ormai arrivato, la battaglia stava per prendere il via. Le schiere estrassero le spade, puntarono le lance. Camael mise la scimitarra di traverso dall’alto, Laylahel prese a roteare le catene.
Scocca!” la punta della freccia candida di Uriel prese fuoco, ricordando a tutti che era un’arma arcangelica, e d’improvviso saettò nel cielo, come fosse una stella cometa seguita dalle altre che sembravano uno stormo di uccelli in picchiata.
Gabriel alzò la spada al cielo. “Angeli! Per la nostra Libertà!
Un grido d’assenso si levò alle sue spalle, ed un attimo dopo l’intero esercito si lanciò a valanga sulla compagine avversaria.
Mikael ridusse gli occhi a due fessure, mentre un angelo innalzava un possente scudo per proteggerlo. “Difesa a Testuggine!” ordinò ed i ranghi si serrarono compatti, diventando un muro invalicabile composto da scudi.
Raziel non si difese né si unì al gruppo. Rimase ad osservare ogni secondo della carica avversaria con la spada bassa, senza nemmeno metterla in posizione di difesa. Della ondata di frecce sapeva bene che nessuna di quelle lanciate poteva in alcun modo ferirlo tranne quella di Uriel, la quale però scelse un diverso avversario, conficcandosi con forza nello scudo posto a difesa di Mikael. Quest’ultimo emise un grugnito di sfida, liberandosi della protezione con un gesto deciso. Agguantò lo spadone con entrambe le mani, fissando dritto negli occhi il suo Fratello traditore.
Per l'Onore del Paradiso!” fu il suo incitamento, prima di lanciarsi contro di lui con estrema ferocia. Un comportamento simile non l’aveva avuto nemmeno nella guerra contro Satanael. La delusione di vedere i propri princìpi traditi e calpestati dal suo vero Fratello era stata troppo grande e non vi aveva saputo far fronte con lucidità. La rabbia e la collera l’avevano reso cieco e lui aveva raddoppiato il suo rigore per le Leggi Celesti. Come se avesse dovuto sopperire alla durezza che il Fratello aveva perso per lasciarsi sopraffare dai sentimenti mortali.
Mortale... umano...
Si era sentito così protetto nella sua illusione di essere superiore a quelle creature per cui aveva tanto sofferto, che ora non poteva perdonare suo Fratello di aver distrutto la sua felicità, dimostrando come tra angeli ed umani il passo fosse breve. Era diventata una questione personale a cui avrebbe messo fine senza esitazione.
Con forza calò il fendente infuocato sullo scudo di Gabriel. Il rumore fu assordante e scagliò entrambi i contendenti a decine di metri di distanza l’uno dall’altro. Caricarono nuovamente, mentre intorno a loro le compagini si fondevano a divenire un unico corpo colorato e scomposto. Le frecce piovevano da ogni lato, mietendo i primi feriti. Precipitavano al suolo come foglie morte, con sonori tonfi, venendo immediatamente soccorsi da Raphael ed il suo coro.
Urla concitate, clangore di armature e spade che cozzavano, esplosioni di luce.
Incredibile come non ci fosse nessuna pietà.
“Sarai la rovina di te stesso!” gridò Mikael, per farsi sentire “Sarai la tua condanna a morte ed io il boia che la eseguirà!”
“Almeno io ho coinvolto solo la mia persona in tutto questo!” rispose l’altro di rimando “Tu stai distruggendo l’intero Paradiso, non te ne rendi conto?”
E queste sue parole non fecero che aumentare l’odio del Principe delle Schiere Celesti, che urlò con rabbia. “Non hai diritto alla parola, traditore!”. Il colpo si infranse sullo scudo, scaraventando Gabriel in picchiata verso il cortile. Sapeva che Mikael era il più forte, ma lui non si sarebbe fatto sconfiggere così facilmente. Effettuò una capriola a mezz’aria e, dopo essersi dato una spinta con i piedi, caricò il Fratello con tutto il suo corpo spingendolo lontano.
A poca distanza, Camael
aveva vissuto con totale sgomento la presenza di Raziel sul campo, schierato con la fazione avversa. Perché agiva contro Gabriel? Come poteva levare la spada su di lui? Non se lo sarebbe mai aspettato. Lo aveva scrutato, con la bocca semiaperta, fino a che Uriel non aveva scoccato la sua freccia. Eppure, quando lo aveva visto, a stento lo aveva riconosciuto. Aveva lo sguardo vacuo e gli sembrava che stesse osservando la scena in maniera del tutto impersonale.
Era come se lui fosse tra i colonnati insieme a Metatron, invece che sul campo di battaglia. Durante la calata di frecce era rimasto immobile e altrettanto aveva fatto durante la carica. Ora che le fazioni si erano fuse lui continuava a restare lì, immobile, nella stessa posizone. Era un involucro vuoto ed i suoi occhi seguivano Mikael e Gabriel in ogni loro spostamento. Ancora più incredibile gli era sembrata la reazione di Gabriel: nulla. Non aveva battuto ciglio come se lui già lo sapesse e forse doveva essere davvero così. Forse era già al corrente di doversi scontrare con Raziel, eppure Camael ancora non riusciva a capire il perché. La sua scimitarra lasciava un’intensa scia luminosa in ogni movimento, mentre fronteggiava gli angeli dei cori che gli si paravano innanzi. Aveva mozzato un paio d’ali, colpito braccia e gambe. Ovviamente non erano ferite mortali, quelli erano i suoi Fratelli.
Binael non fu altrettanto gentile nei suoi confronti.
Gli arrivò alle spalle, colpendolo di taglio lungo il braccio, in un punto privo della protezione dell’armatura. Lanciò un urlo per il dolore e la sorpresa, riprendendosi in tempo prima che venisse colpito nuovamente. Alzò lo scudo con uno sforzo immane, mentre il sangue scorreva copioso lungo i bracciali.
“Non sapevo potessi essere così vigliacco da attaccarmi alle spalle!” disse, mentre Binael faceva ruotare la sua alabarda tra le mani.
“Osi parlare proprio tu, che le spalle me le hai voltate?!”
“Avrei dovuto comunque voltarle a qualcuno ed ho preferito seguire Gabriel!”
“Hai tradito la fiducia che riponevo in te!” ed attaccò in più punti, con un’incredibile velocità, costringendo Camael alla sola difesa.
“Ti sbagli! Non è stato tradimento, il mio, ma un scelta.” e bloccò l’alabarda con il taglio della scimitarra “Differente dalla tua!” i loro visi erano vicinissimi.
“Banali giustificazioni!” ringhiò tra i denti “Avete osato dichiarare guerra al Paradiso!”
“Se voi vi foste soffermati ad ascoltare e a pensare, magari non saremmo mai giunti a questa conclusione!” si separarono di scatto per poi caricarsi di nuovo, mentre Binael emetteva un cupissimo ruggito rabbioso.

La calata ‘avversaria’ era scivolata intorno a lui come fosse stato invisibile. Nessuno aveva deciso di fronteggiarlo in alcun modo, forse perché consapevoli di non poterlo sconfiggere o forse... perché qualcun altro era a lui destinato a fargli da avversario. Raziel muoveva i suoi occhi seguendo attentamente lo scontro tra Gabriel e Mikael, il resto sembrava non interessarlo. Li vedeva avvicinarsi, cozzare le armi, allontanarsi per poi riavvicinarsi ancora. Mikael era forte, Gabriel era veloce ed erano riusciti a colpirsi vicendevolmente in più punti. Ferite non profonde, che però tracciavano numerose scie di sangue sui loro corpi e le armature lucenti.
Ora toccava a lui intervenire come era giusto che fosse, Mikael si era sfogato abbastanza.
Hakamiah stava passando al suo fianco quando lui la trattenne per un braccio.
Il giovane angelo aveva la fronte imperlata di sudore e la spada insanguinata. La pelle lacerata in un paio di punti.
“Mio Signore, siete indenne?” domandò, accertandosi delle sue condizioni, Raziel mosse lo sguardo verso di lei.
“Ascolta attentamente, Hakamiah: di tutto il coro tu sei quella in cui io ripongo la massima fiducia. A te affido la guida degli Auphanim.” i suoi occhi erano di un verde brillante, improvvisamente rinato, mentre lo sguardo dell’angelo era nella confusione più totale.
“Ma... Signore...” cercò di dire “...perché?” non ottenne risposta, mentre Raziel si allontanava per separare i feroci duellanti.
Mikael e Gabriel riprendevano fiato nel corso dello scontro e restavano distanti di una decina di metri.
“Non vuoi cedere, vero?” affermò il Signore del coro Arcangelico2, mentre respirava affannosamente.
“Mai contro di te!” fu la risposta altrettanto affannosa.
Una lama fiammante si parò a pochi centimetri dal corpo di Mikael, mentre questi la osservava interdetto.
“Fatti da parte...” proferì la voce di Raziel nella sua direzione, senza però distogliere lo sguardo dal suo amato Arcangelo “...Gabriel è mio.”
“Cosa?” affermò con sconcerto. Non solo il signore degli Auphanim aveva deciso di scendere in guerra in suo favore, ma ora voleva addirittura affrontare ciò a cui più teneva al mondo... ma perchè? Perchè si voleva distruggere così? “Raziel io non posso permetterti di-”
“Silenzio.” ordinò perentorio e con un tono che non gli aveva mai sentito usare. I loro sguardi si incrociarono, lasciando Mikael ancora più interdetto da tutta la sicurezza che vi leggeva dentro.
“Credimi, è giusto così.” si giustificò Raziel, portandosi avanti a lui di qualche passo.
L’altro ne osservò la schiena indeciso, per poi abbassare la testa e farsi da parte, rinfoderando lo spadone.
Gabriel sorrise nel poterlo nuovamente vedere. “Ti stavo aspettando.” disse, mentre un’incredibile felicità sembrava esplodergli in petto.
“Eccomi a te.” un sorriso altrettanto felice si dipinse sul volto di Raziel.
“Fino a questo punto ci si deve spingere per stare insieme?” come riuscisse a fare dell'ironia in quel momento, non lo seppe nemmeno lui, ma vedere il suo amato sorridergli ancora una volta, gli fece quasi mettere da parte l'angoscia di ciò che stava succedendo.
“Così pare.”
“Mi sei mancato...”
“Anche tu.” rispose Raziel, poi imbracciò la spada “Cominciamo?”
Gabriel annuì ed in contemporanea partirono l’uno verso l’altro ad incrociare le loro armi.
Si udì un rumore così sordo che fece bloccare a mano a mano anche gli altri intorno a loro.
“Oh, guardate...”
“Gabriel... e Raziel...”
“...stanno combattendo...”
Un’immagine quella che fermò tutti per lo stupore e lo strano senso di tristezza che non sapevano spiegarsi. Si allontanarono, lasciando loro l’intero cielo e fermandosi a guardare.
Camael non aveva parole, come prima anche adesso aveva la bocca semiaperta e lo sguardo atterrito. Quello scenario era il più terrificante che potesse vedere. Ma perché combattevano tra loro? A che scopo? Cosa significava?
Metatron scosse il capo, ormai non si poteva più tornare indietro.
“Tu lo sapevi, vero?” Sandalphon lo guardava con la sua solita tranquillità.
L’altro sospirò lentamente ed annuì. “Sì, ma speravo di evitarlo, credevo... credevo di poter cambiare le cose...”
Il Fratello gli mise la mano sulla spalla. “Purtroppo certe cose sono necessarie, per comprendere i nostri errori.”
Raziel si liberò del suo scudo lanciandolo contro Gabriel, quest’ultimo alzò il braccio per parare il colpo, ma fu troppo violento e perse anche il suo di scudo.
“Accidenti!” esclamò, mentre un rivolo di sangue colava dalla mano. I due oggetti s’abbatterono con violenza sull’enorme statua del cortile, mandandone in frantumi lo spadone che reggeva tra le mani. Grida allarmate si levarono dai colonnati sottostanti, mentre crollavano al suolo i pesanti pezzi della statua.
Eppure i due contendenti non sembravano accorgersi di nulla, continuavano frenetici il duello con tutte le forze che avevano in corpo.
Il vento si levò improvviso, più violento di prima, sferzando sui loro visi e rendendone più difficile il volo. Anche la pioggia si scaricava sull’intero giardino quasi con rabbia. Il sudore si mischiò all’acqua e al sangue delle ferite che continuavano a provocarsi.
Con uno sforzo terribile, Gabriel vinse uno scontro diretto scaraventando Raziel nel moncone di statua che ancora restava in piedi, distruggendola del tutto e rimanendone sommerso dai blocchi.
Urla strozzate si levarono terrificanti, per poi zittirsi all’improvviso.
Gabriel planò, ma le gambe non lo sorressero e cadde sulle ginocchia nel cortile pieno di pioggia. Era esausto e cercava di recuperare fiato. Il cumulo di macerie poco distante era immobile.
“Ra-Raziel?” chiamò lentamente.
Un boato fece tremare l’intero palazzo, mentre gli angeli gridavano impauriti. La lama ondulata dell’Arcangelo si fece spazio tra il marmo in frantumi, creandogli una via d’uscita. Raziel riemerse avvolto da una strana luminescenza che lentamente scemò, fino a scomparire. Con uno scatto di reni si gettò su Gabriel lanciandolo lontano, sotto i colonnati. Un rivolo di sangue scendeva lungo la tempia ed era ormai privo di elmo mentre i capelli di bronzo, fradici, erano incollati al viso e perdevano acqua. Si risollevò facendo perno sulla spada.
Anche gli altri spettatori scesero nel cortile dove si sarebbe consumato il destino dei duellanti.
Anael era corso da Uriel, piangendo. “Digli che devono smettere!” lo supplicò “Ti prego!”
La Fiamma Ardente ne carezzò una guancia, col dorso della mano. Mai avrebbe voluto rifiutare una sua richiesta, eppure nemmeno lui poteva in alcun modo ostacolarli. “Mi dispiace...” disse, mentre la pioggia gli rigava il viso “...non posso.”.
Mikael, con le spalle ai cocci di quella statua che era diventata l’emblema della sua fierezza, era atterrito. Perché... perché stava succedendo a loro tutto quello? Perché il Padre si era tenuto in disparte e non li aveva fermati? Era così brutto essere paragonati ad un essere umano? Era così sbagliato che tra due angeli potesse esserci... amore? Era sbagliato l’Amore? Non lo sapeva... ormai non lo sapeva più.
Raziel si avvicinò al corpo esanime di Gabriel, accasciato lungo la parete del colonnato.
“Alzati...” mormorò nell’affanno. “...avanti alzati!” gridò, mentre il suo avversario si trascinava, cercando una stazione eretta. “Lo sai che non potrai vincere contro di me.” disse in un soffio in modo che nessuno potesse sentire e carpire così quel segreto di mortalità, di Arcangelo imperfetto che Gabriel si portava dietro da un tempo indefinito. Un segreto che lo aveva messo in pericolo nella guerra contro Satanael, ma da cui ne era uscito miracolosamente vivo. In pochi ne erano a conoscenza; in tre, oltre il diretto interessato.
“Allora uccidimi, ormai non mi reggo in piedi...” Gabriel glielo chiese sorridendo, mentre lasciava cadere la spada. Sapeva che Raziel lo stava facendo per lui, che aveva compiuto forse la scelta più dolorosa e di questo gli era grato: morire per mano di colui che amava; non avrebbe potuto chiedere fine migliore. “Grazie per avermi sempre capito, per avermi fatto combattere al massimo delle mie forze, per non avermi mai ostacolato, ma, soprattutto, per avermi amato, anche se sono un essere umano.". Con sforzo sollevò le mani, come se stesse per recitare una preghiera. “Non negarmi il tuo ultimo abbraccio... ”.
Raziel annuì, avvicinandosi a Gabriel che crollò nella sua stretta. La testa poggiata nell’incavo del collo. “Perdonami. Perdonami, ti prego. Non avrei dovuto coinvolgerti in questa guerra, non avrei mai dovuto dichiararla, non dovevo andarmene via e lasciarti da solo a patire la sofferenza... sono stato un egoista...” mormorò, con il respiro sempre più simile ad un rantolo soffocato.
“Ed io non avrei mai dovuto nascondermi dietro i miei doveri, e Mikael non avrebbe mai dovuto cedere al rancore, e Metatron non avrebbe mai dovuto peccare di superbia... e Binael... e Uriel... ognuno di noi ha la sua colpa in tutto questo, ma il riconoscimento dei propri errori saprà renderci più forti e consapevoli di noi stessi. Chi è senza peccato scagli la prima pietra, Gabriel. E' un insegnamento del Padre, lo ricordi? Non sei l’unico ad aver sbagliato... non vorrai pentirti di avermi amato, vero?” domandò, mentre le lacrime sfuggivano ai suoi occhi e scivolavano sul viso, mescolandosi al sangue.
L’altro riuscì a levare lo sguardo su di lui. “Mai! Mai potrei pentirmi di una cosa simile! Rinnegare... la cosa più bella che abbia mai avuto...” lentamente alzò una mano per accarezzargli il viso, come aveva sempre fatto quando, dalla terrazza dei suoi appartamenti, restavano ad ammirare i meravigliosi arcobaleni che le cascate dei giardini pensili sapevano ricreare. Tutti quei meravigliosi momenti rivissero in lui per l’ultima volta, in modo da conservarli in eterno. “Promettimi...” mormorò “...promettimi che ti dimenticherai di me e vivrai la tua eternità... felice...”
“Sciocchezze! Come puoi chiedermi anche solo di ‘vivere’ senza di te? Credi che potrei?” Raziel sorrise, tenendo stretto il corpo dell’amato con un braccio, mentre l’altro impugnava ancora la spada fiammeggiante. “Quando ho scelto di portare a termine i miei doveri sapevo che ci saremmo inevitabilmente scontrati in battaglia e sapevo che tu saresti caduto, così ho deciso che sarebbe stato per mano mia; non avrei mai potuto accettare che qualcun altro potesse farti del male, però, nel momento stesso in cui saresti morto, sarei morto anche io. Siamo... siamo complementari... senza di te... che senso ho?” scosse il capo, mentre, al riparo dai suoi occhi, levava lentamente la spada. “La Legge dice che un uomo non può uccidere un Arcangelo, ma un Arcangelo può uccidere... sé stesso.” e Gabriel non ebbe nemmeno il tempo di comprendere appieno la sua ultima frase poiché Raziel trafisse entrambi con la sua spada di fuoco.

Sfila la lama dalle carni
levala piano amore mio
Cade il ghiaccio
e lascia gli alberi a tremare.
Sfila la lama senza fretta,
ora c'è tempo amore mio.
Tutto è quieto
e non serve un giorno in più

Silenzio.
Intorno.
Solo la pioggia che batteva imperterrita.
Nemmeno i cuori facevano rumore.
Fermati nel petto per quello a cui i loro occhi avevano appena assistito.
La fine.
La guerra era appena finita.
E tutti avevano perso.
La fiamma della spada di Raziel lentamente si gelò, per poi sgretolarsi, lasciando cadere le vittime che aveva mietuto. Sotto i loro corpi la pozza di sangue andava rapidamente allargandosi, mentre ancora si tenevano stretti.
“Fa male, perdonami...” mormorò Raziel. Il viso sul freddo pavimento adagiato su qualche ciocca inzuppata d’acqua, mentre gli altri capelli erano scompostamente sparsi attorno a loro.
Gabriel scosse il capo. “Non mi spaventa il dolore. Anzi, sta scomparendo, e mi culla gentile... il suono... della tua... voce...” lentamente i loro occhi si chiusero su quello scenario di guerra.

E non c'è più niente al mondo
da aspettare.
Gettami l'acqua fresca in viso
lasciami un soffio tra i capelli.
Se è davvero solo un sogno tornerò.

Metatron distolse lo sguardo, alzando gli occhi al cielo che restituiva migliaia di gocce di pioggia.
“Non piangere, Padre, ti prego non piangere...” disse, mentre le lacrime presero a scendere anche sul suo viso ed una voce spezzò il silenzio e ciò che rimaneva delle sue speranze.
“No...”. Si udì lo scalpiccio di un passo nell’acqua che allagava il cortile. “No...”. Seguito da un altro che lentamente avvicinò colui che aveva parlato ai suoi Fratelli distesi. Immobili. “No...”. Più veloci. “No... no... no, no, no, no!”. Fino a che quel susseguirsi irrefrenabile divenne una corsa che gettò Mikael accanto a loro, prendendoli per le spalle. Scuotendoli. Chiamandoli. Mentre le lacrime gli offuscavano gli occhi e quasi gli impedivano di parlare.
Raziel! Gabriel! Svegliatevi! Svegliatevi! Voi... voi non potete... non potete fermi questo! Non potete abbandonarmi! Oh, Dio! Padre come ho potuto? Li ho uccisi, li ho uccisi io... ho ucciso i miei Fratelli!”. Mikael li strinse a sé, piangendo disperato nel vedere la conseguenza dei suoi sbagli “Così cieco! Sono stato cieco! Padre, perdonami... perdonami!

Sfila la lama dalle carni,
lasciami andare amore mio.
Basta un salto per riprendere a volare
sopra palazzi e ciminiere,
prati bagnati e ferrovie
quanti posti non ho visto mai da qui
E non c'è più niente al mondo
da cercare.
Lasciami solo un po' di fiato
che mi riscalderà le mani.
Se è davvero solo un sogno tornerò.

La scimitarra di Camael cadde al suolo con uno sfrigolio a contatto con l’acqua sottostante.
Stringeva i denti e sentiva la rabbia impossessarsi di lui. Di ogni sua più piccola parte. Ciò per cui aveva imbracciato le armi gli si era voltato contro. Voleva riunirli. Voleva vederli di nuovo felici. Voleva... ed invece... mai più i loro sorrisi, mai più i loro sguardi che lo salutavano, mai più le loro voci... mai più... per tutta l’eternità. E sentì distintamente il frantumarsi del suo cuore.
“Che cosa avete fatto...” disse, inghiottendo le lacrime. “Che cosa avete fatto?! Avete visto dove ci ha portato la vostra ottusità? Loro sono morti... sono morti per colpa vostra! Non resterò in questo Inferno un minuto di più!”. D’improvviso si librò in volo e in un attimo non fu più visibile ai loro occhi.
Uriel comprese il suo rancore, sospirando con forza. Anche se con Gabriel non ne avevano mai parlato, lui era inconsciamente consapevole di tutto questo. Sentì Anael stringersi a lui piangente e non poté fare altro che avvolgerlo con entrambe le braccia, per dargli la sicurezza che non l’avrebbe mai abbandonato.
Azrael si fece largo tra i presenti. Le piume d’oro frusciarono, accompagnando i suoi movimenti, fino a portarsi ad un passo da Mikael e lo chiamò, con un tono così gentile che mai, il Principe delle Schiere, aveva sentito da lui. “Mikael...”
Quest’ultimo incrociò i suoi occhi, scuotendo il capo. “Non portarmeli via... non portarmeli via, ti prego...” lo supplicò, ma quello era il suo dovere. Forse il peggiore di tutti.
“Lascia che vengano con me, ora sono liberi.”. Lentamente i corpi si dissolsero, lasciando al loro posto due piccole sfere luminose.
La Luce pura.
Le loro Anime.

Se non c'è più niente al mondo
da cambiare.
Cercami e stringiti vicino.
prima che perda il mio calore.
Se è davvero solo un sogno tornerò.

“Ti prego, non portarmeli via...” Mikael strinse l’aria, cercando di afferrarli, ma le due stelle si allontanarono ruotando come gioiose intorno alla figura di Azrael.
“Possiamo andare.” concluse quest'ultimo e dei tre non restò più alcuna traccia.
Mikael si piegò al suolo, mentre le lacrime non accennavano a fermarsi. Loro non ci sarebbero stati più. Perché quella frase continuava a risuonargli incomprensibile nella mente?
Loro... persi per sempre...
Ed il suo cuore continuava a tormentarlo con suoni di risate infantili. Bambini che giocavano. Si inseguivano. Vivevano.
Loro tre... così inseparabili... così uniti...
Aveva promesso che li avrebbe protetti per sempre... come aveva potuto venir meno alla sua parola? Che scherzo crudele, quello... No. Lui, lui era stato crudele! Per fomentare la sua rabbia aveva ucciso coloro che gli avevano dato la gioia più grande, la felicità.
Aveva distrutto il Paradiso, non meritava alcuna pietà. E mentre incolpava sé stesso, non si accorse di come la pioggia fosse calata di intensità fino a cessare del tutto. Le nubi si diradarono lentamente, lasciando intravedere i raggi di un nuovo sole.
L’alba.
La mano di Metatron si poggiò sulla sua spalla, facendolo voltare. Il suo viso gli sorrideva per quanto fosse chiaramente visibile che avesse pianto.
“Principe di tutte le Schiere Celesti...” lo chiamò “...Fratello, per quanti errori la nostra umanità potrà commettere, questi saranno sempre diversi e da essi tracceremo il nostro cammino. Facciamo cominciare da qui il nostro nuovo giorno.”

Cercami e vieni più vicino,
ancora un po' del tuo calore.
Se è soltanto e solo un sogno tornerò.
Cercami e vieni più vicino,
ancora un po' del tuo calore.
Se è davvero solo un sogno...


Pacifico - Solo un sogno

FINE


 1ELOHIM: Dei, chiamati anche Principati. E' il coro retto da Anael.
 2ARCANGELICO: o Beni Elohim, Figli degli Dei, chiamati anche Arcangeli. E' il coro retto da Mikael.


Nd Author: E termina così l'orginal Angel no Tears: Metamorphosis. Una storia alla quale sono molto affezionata, come a tutti i suoi protagonisti.
Questa storia è dedicata a Stormy, grandissima autrice del fandom di Captain Tsubasa e grandissima persona che, al secolo che fu della sua prima pubblicazione, recensì questa storia con entusiasmo ed affetto. A lei è dedicata l'intera saga Angel no Tears.
Un ringraziamento grandissimo va poi a tutti coloro che, successivamente, l'hanno letta, commentata e messa tra i preferiti. Spero che l'abbiate apprezzata e che abbiate passato dei piacevoli momenti in compagnia dei miei Arcangeli, yep! **

In particolare, su FW.it: grazie ad Eos per le sue recensioni. *v*

In oltre, come 'Bonus', è disponibile il Fanmix di Angel no Tears, ovvero, la colonna sonora della storia! Seguite il link fino al mio Livejournal e... buon ascolto! **/

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