The Three Favours - I Tre Doni

di Melina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** parte 1 ***
Capitolo 2: *** parte 2 ***
Capitolo 3: *** parte 3 ***



Capitolo 1
*** parte 1 ***


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La mia ultima "fatica" non è a dire il vero un termine da mettere fra virgolette XD è stato epico tradurre questa fanfiction e posso solo immaginare quanto sia costato alla mia amica Katie scriverla inventando ogni parola. Posso solo dire che la mia fortuna è stata il fatto che lei ci sia riuscita. Spero in egual misura che la mia versione tradotta possa essere all'altezza e ringrazio Katie Forsythe e il suo meraviglioso progetto The seventeenth step per il solo fatto di esistere entrambi.
Dedico questa traduzione alla cara amica che l'ha letta per prima e a cui io devo ben più di tre doni.

NOTE DI TRADUZIONE: non ce n'è molte. Mi sono dannata per rendere il mio italiano il più vittorino possibile e l'anima dei nostri amati personagg,i altrettanto deliziosamente vittoriani, il più vicina alle intenzioni dell'autrice. Sono citati nel testo alcuni avvenimenti descritti in racconti di A. C. Doyle il cui titolo mi sono premurata di specificare in ulteriori note: come vedete la mia maniacalità non conosce limiti.

AVVERTIMENTI: nessun avvertimento fatta eccezione del fatto che questa è ovviamente una fanfiction slash, non spinta, né volgare, ma slash. Aspettatevi dunque uno Sherlock Holmes ridicolmente innamorato del suo amico John Watson.

Questa fic nasce come oneshot, ma per evitare di tediarvi con un unico lunghissimo capitolo ho deciso di pubblicarla in parti separate. Buona lettura!!!


The three favours
by Katie Forsythe
traduzione di Melina

 

The three favours - I tre doni, ovvero come il signor Sherlock Holmes smise di scrivere telegrammi,
come l'Ispettore Lestrade di Scotland Yard non mantenne il segreto professionale e come il dottor
John Watson ignorò i malanni dei suoi pazienti per questi due motivi.

LA FIC SI SVOLGE DURANTE GLI AVVENIMENTI DE "IL COSTRUTTORE DI NORWOOD"

 

-PARTE PRIMA-

 

È di dominio comune, con l'eccezione dei pochi amici intimi miei e di Sherlock Holmes al corrente di un più preciso quadro del legame che ci univa rispetto a quello che io stesso ho fornito al normale pubblico, che gli eventi da me esposti ne L'avventura della casa vuota sono stati fra i più gioiosi della mia vita. Sorprenderà tutti tranne uno di loro scoprire che non fu affatto la verità. Non lo fu per niente, in effetti. Ad onor del vero, e per essere franchi con il pubblico che così spesso si è dimostrato impaziente di leggere nuove avventure del mio amico, devo confessare di aver presentato gli avvenimenti che ho raccolto nel suddetto resoconto sotto una luce decisamente più confortante di quanto in realtà non fosse. Il culmine della faccenda si è indubbiamente svolto durante una piccola investigazione, altrettanto erroneamente da me accorciata, cosparsa di inesattezze e archiviata sotto il nome di Il costruttore di Norwood. Benché io adesso desideri raccontarla nella sua interezza, anche se segretamente, mi trovo in difficoltà sul modo in cui farlo. È difficile stabilire da dove cominciare una storia così contorta, perché non penso che farei meglio, come spesso Holmes ironicamente suggerisce, col cominciare dall'inizio. Forse dovrei cominciare dai telegrammi.
L'affare di Norwood si svolse alla fine di un periodo di due mesi nei quali fui il destinatario di tre telegrammi al giorno. Il primo arrivava in un orario compreso fra le sei del mattino, se Holmes era sveglio, e le undici, se non lo era. Il secondo quasi sempre faceva la sua apparizione fra le tre e le quattro del pomeriggio, e il terzo appena prima delle dieci di sera.
Per rendergli giustizia, i telegrammi venivano inviati da almeno venti diversi uffici postali sparsi per tutto il distretto di Westminster. Penso che anche non trovandosi in uno dei suoi stati sovreccitati non ne spedirebbe due dallo stesso ufficio.
Alcuni di essi chiedevano notizie della mia salute in modo piuttosto affascinante. Alcuni erano inviti a cena o annunci del fatto che avesse riservato un palco all'opera. Altri erano laconici e, in verità, estremamente buffi rendiconto di deduzioni riguardanti le nostre conoscenze di Scotland Yard, o piccole riflessioni a proposito di passaggi di libri, o descrizioni ironiche di come se la stesse passando il platano che si vedeva dalla mia vecchia finestra. Avevo calcolato che tre quarti di essi contenevano scuse, alcune esposte con cura, altre divertenti e altre ancora miserabili, ma mai inappropriate. Poi, un ulteriore dieci per cento, forse, era occupato da esortazioni ad accompagnarlo in casi di vario interesse. Mi sbarazzai di tutti salvo che dell'ultimo.
Non fingerò di non averli letti. Ne lanciai uno in un cestino pubblico senza nemmeno dare un'occhiata al suo contenuto e, durante un attacco di irragionevole panico, tornai due ore dopo per leggerlo trovando però che era già stato incenerito. Dopo quella volta ebbi sempre cura di leggerli fino alla fine, sia che mi provocassero una terribile costrizione all'altezza del petto o no, prima di distruggerli. I meno efficaci venivano appallottolati e gettati nella pattumiera più vicina, mentre i suoi più espliciti tentativi di rappacificazione li bruciavo deliberatamente. Alla fine, e dopo aver ricevuto centonovantasei telegrammi dallo stesso mittente, buttai giù una risposta:
Smetti di scrivermi telegrammi. Ti devi arrendere.
Avevo già ricevuto la mia quota giornaliera di posta e stavo preparandomi per andare a letto quando un quarto telegramma mi fu recapitato appena prima di mezzanotte:
Non intendo arrendermi, neanche se a guadagnarci dovesse essere sempre e solo il servizio postale di Londra. Dormi bene.
Mi scivolò dalle dita sulla scrivania mentre scuotevo la testa esausto, e ricordo di essermi chiesto mentre mi addormentavo cosa avessi fatto per meritarmi tutto ciò e cosa avessi dovuto indossare l'indomani quando fossi arrivato in Baker Street per strangolare a morte Sherlock Holmes.


-«oOo»-


"Ti andrebbe un drink?".
Quell'uomo detestabile sembrava stare piuttosto bene, pensai, e mi resi conto del mio sollievo in questo, un sollievo del tutto inaspettato. In realtà aveva l'aspetto di quando non mangiava più di una volta al giorno, consumava più tabacco di quanto umanamente possibile e dormiva solo dopo essersi stancato al punto di cadere addormentato per la fatica. Vale a dire che era pallido, assente, magro, impaziente e i suoi occhi erano sbiaditi fino ad aver raggiunto quel pallido grigio argenteo che non dovrebbe mai essere combinato con dei capelli nero lucente. Un'ingiusta associazione di attributi fisici tale che neanche Darwin avrebbe potuto prevedere.
"Sì" dissi brevemente "solo un goccio. Non rimango. Holmes, devi smettere questa… questa…"
"Campagna" disse tranquillamente mentre mi allungava un bicchiere riempito con decisamente troppo whiskey.
"È questo quello che è?" sospirai.
"Be', è difficile dirlo con precisione" continuò pacatamente, versandosi anche lui un drink con le sue dita odiosamente eleganti "Potrebbe essere una campagna, ma questo è un termine troppo superficiale, penso. Non è una missione. Forse una crociata. No no, una crociata ha connotazioni fin troppo nobili. La definirei una ricerca".
"E perché sarebbe una ricerca e non una crociata?" gli chiesi, odiando lui per aver acceso in me un interesse e odiando me stesso ancora di più per essere caduto in uno dei suoi giochetti arguti.
"È molto semplice. Una crociata è l'inseguimento di un obiettivo o un oggetto con un altruistico sforzo per glorificare Dio. Una ricerca è l'appassionato inseguimento di una persona, un oggetto o un luogo che significa più di qualsiasi altra cosa in questo intero mondo per chi la va cercando. Ed ha fini egoistici perché il protagonista di essa non potrebbe vivere sen…"
"Sì, sì, capisco" dissi con irritazione e vuotando il mio bicchiere più velocemente di quanto non intendessi fare. "La tua scelta di vocaboli è impropria. Tu puoi vivere senza di me. Sembra che tu possa vivere senza di me per un buon numero di anni in effetti".
"Oh, io posso vivere senza di te" concesse, sorridendo con ironia "solo che non vale assolutamente la pena di sprecare il mio tempo in questo inutile esercizio".
"Perdonami ma quello che fai del tuo tempo non è più qualcosa di cui io mi debba preoccupare" risposi in tono aspro.
"Bene" disse Holmes con voce leggera "troppo giusto" mentre si teneva occupato rabboccando i nostri bicchieri. Il braccio che spuntava fuori dalla sua veste da camera era magro e pallido, ma fermo. Non stava prendendo cocaina, pensai. Immediatamente dopo mi chiesi perché diavolo avrebbe dovuto importarmi se lo stesse facendo. Poi mi divenne molto chiaro che avevo bisogno di allontanarmi da lui il più presto possibile.
"Devo chiederti di venire al punto, Holmes" dichiarai controllando l'ora sul mio orologio da taschino "Gli avvenimenti degli scorsi anni hanno fatto il loro danno e il mio ambulatorio non è più quello che era una volta. Odierei perdere un altro paziente, se non altro perché avrei assoluto bisogno del suo pagamento. Non ho potuto rinfrescare la facciata dell'edificio da ben due anni, e il mio studio sta cominciando a somigliare all'ingresso secondario del magazzino di un commerciante. Riguardo a questi continui telegrammi…"
"Non ti devi preoccupare dei tuoi pazienti o del tuo ambulatorio. Puoi vivere qui" la sua voce era stridula e deliberatamente allegra, era la voce di un uomo che sa fin troppo bene che la sua proposta sta per essere rifiutata. "Questo risolverebbe due dei tuoi problemi, mio caro amico, perché le tue preoccupazioni finanziarie finirebbero così come i telegrammi. Se rimani a vivere dove sei queste due piaghe torneranno senza dubbio a tormentarti".
Mi alzai per uscire ma lui mi mise in mano uno dei due bicchieri che aveva riempito di nuovo. Era intollerabile, pensai mentre cercavo una risposta per la sua mostruosa richiesta "Giusto per sapere, perché non mi dici una sola ragione per cui io potrei anche lontanamente voler tornare ad abitare in questo appartamento?"
Si strinse nelle spalle e sorseggiò il suo liquore. "Ti amo. Questa è una ragione".
Risi così forte alla sua frase che qualche goccia di whisky schizzò fuori dal mio bicchiere andando a finire sul tappeto di pelle d'orso. "Scusami, Holmes" dissi posando il bicchiere "Non ce l'ho col tuo tappeto, ma tutto ciò è estremamente divertente".
"Perché?" mi chiese.
"Perché tu non mi ami. Tu ti servi di me".
"Quindi è questo?" domandò cordialmente, anche se potei vedere dalla tensione sulle sue tempie che stava facendo fatica a rimanere tranquillo "Non posso negare che tu sia una persona molto utile".
"Sì, ho molte funzioni per te. Mi utilizzi per la pubblicità, per supporto, come informatore…"
"Piacere fisico, compagnia, una seconda opinione, una ragione di vita…" finì con un po' di asprezza.
"Molto affascinante, anche se non è per niente l'ultima voce sulla lista. Che ne dici delle mie capacità di elogiatore?".
Io non sono un uomo duro sebbene abbia visto molti pericoli e molto dolore nella mia vita. Non sono capace di smembrare un uomo con le parole come se fossero affilate come un coltello nel modo in cui riusciva a farlo Holmes. Dirò, comunque, che quando posi quella domanda retorica le parole si formarono dentro di me magicamente e lo colpirono in pieno nello stomaco con la violenza di una folata di vento improvvisa.
Spinsi nell'angolo più lontano della mia testa il fatto che una volta avrei dato tutto quello che possedevo per sentire Holmes riferirsi a me come a una ragione per cui vivere.
"Ti ho già detto" protestò con veemenza "che era l'unico modo. L'unico modo, Watson. Dovevi per forza scriverlo. Sei un uomo molto intelligente, e spesso mi hai accordato lo stesso complimento. Non hai immaginato che quando ti ho parlato dell'unico modo mi sarei potuto riferire a uno fra tre modi? Uno fra sette? Hai idea di quello che la parola in sé implichi? Forse se avessi detto che era il solo modo o l'esclusiva direzione ti sarebbe stato più chiaro. Mio caro amico, sei andato fuori di testa? Pensi che mi sia divertito? Restare bloccato in mezzo a quelle maledette pietre mentre il mio…"
"Basta" ringhiai "adesso basta"
"Voglio dire che…"
"No, non è affatto quello che vuoi dire" stavo combattendo un irrefrenabile desiderio di metterlo al tappeto ma sapevo che tale pensiero avrebbe avuto vita breve dentro di me. "È impossibile che una persona che abbia falsificato la sua stessa morte davanti a un'altra persona possa mai aver amato quella stessa persona, e io sarei più che felice di combattere contro di te se dovessi anche solo suggerirlo probabile".
"Sto cominciando a chiedermi se la tua comprensione della lingua inglese sia abbastanza all'altezza di una seconda carriera come biografo professionista" replicò duramente in risposta. "Prima mostri un'orgogliosa ignoranza del significato della parola unico e adesso lo stai facendo con il termine impossibile, decisamente in modo ignobile aggiungerei. Ti ho convinto della mia morte e ti amo. Dunque non esiste nessuna impossibilità che questi eventi siano…"
"Me ne vado" dissi disperatamente "me ne vado ora".
"Perché diavolo vorresti andartene nel bel mezzo di una così brillante discussione semantica?"
Lo guardai dritto negli occhi. "Non ho nessuna intenzione di vederti mai più".
La prese meglio di quanto avrebbe fatto il giorno che catturammo insieme il Colonnello Moran. Mi chiesi brevemente se le parole avessero realmente potuto uccidere, e se avessero potuto farlo, avrebbero ucciso un uomo che avrebbe già dovuto essere morto? Questa volta si limitò a scuotere la testa leggermente.
"È un'affermazione che non ho nessuna intenzione di accettare"
"Per l'amor di… perché no?!" gridai, quasi del tutto impazzito per la frustrazione di sentirmi diviso fra voler rendere evidente la mia dichiarazione e quella di lasciarla cadere come un pensiero irrilevante. "Dio del cielo, Holmes, perché no? È perfettamente vero".
"Non è vero affatto".
A quel punto avevo sollevato una mano e l'agitavo nell'aria in una silenziosa protesta verso gli Dei che avevano anche solo permesso che una simile creatura venisse al mondo "Tu sei la persona più arrogante, testarda e ossessiva che abbia mai incontrato. Hai veramente la presunzione di pretendere di conoscere i miei pensieri meglio di me?"
"Be', certo. Presto loro molta più attenzione di quanto non faccia tu stesso"
"Mi meraviglio anche solo di come possa aver mai deciso di dividere un appartamento con te"
"Ciò nondimeno, storicamente parlando, lo hai fatto. E il pietoso risultato di questo evento giace innanzi a te" recitò con sarcasmo.
"Credimi, se esistesse un modo per cambiare quello che…"
"Penso che faresti meglio a baciarmi"
Questo era troppo per me, e per stemperare l'imbarazzo lanciai il mio bicchiere nel camino, dove si frantumò con uno schianto molto soddisfacente.
"Perché dovrei intraprendere un'azione tanto insensata?" chiesi più calmo. Lui si mosse avvicinandosi di diversi passi alla mia posizione finché il suo naso non fu all'altezza delle mie sopracciglia.
"Non osare toccarmi" sussurrai ferocemente, ma con mia sorpresa si fermò e rimase immobile.
"Ti voglio fare una proposta" disse in un mormorio breve e preciso, i suoi occhi brillavano. "Se sarai in grado di baciarmi per la prima volta in oltre tre anni, guardarmi in faccia e continuare a dire che io non ti amo, smetterò di mandarti telegrammi. Cosa farò per quanto riguarda lettere e pacchetti è un'altra faccenda, per non dire di fattorini incaricati. Ma i telegrammi apparterranno al passato".
"Sei fuori di testa" il suo intero corpo vibrava di tutti gli impulsi che stava sopprimendo. Lo odiavo più di qualunque altro uomo avessi mai odiato in tutta la mia vita, incluso il defunto Professor Moriarty. Eppure lo desideravo ancora tremendamente. Non si era rasato, perché io non avevo preannunciato la mia visita, e l'ombra della barba sfatta non faceva che rendere ancora più pronunciata la forza della sua mascella così virile.
"Sì, senza dubbio sono fuori di testa" convenne con un piccolo sorriso "e non mi arrischierò a dirti perché sono fuori di testa: non ho nessuna intenzione di rischiare di perdere altri pezzi di cristalleria. Accetti i miei termini?"
"I tuoi termini sono una ridicola farsa intesa alla mia derisione" c'era ancora un tremore furioso nella mia voce che mi risultava impossibile nascondere.
"Quando mai mi hai visto imbarcarmi in una farsa che mancasse di un qualche valore pratico?"
Aveva ragione, anche se mi sarei fatto tagliare una mano piuttosto che ammetterlo. "E cosa ti aspetti di guadagnarci se perdo"
"Niente" disse alzando le mani con fare difensivo. Eravamo così vicini che sfiorarono entrambe il mio gilet nel muoversi. "Queste sono le mie condizioni. Tu vinci la cessazione dei telegrammi e io non vinco niente"
"E tutto quello che dovrei fare sarebbe baciarti, per quanto lo trovi terribile, e poi ribadire che tu non mi ami?"
Annuì. "Assurdamente semplice, non trovi?"
"Con la bocca aperta o chiusa?"
I suoi occhi guizzarono di divertimento a questa mia domanda. "Be', forse dovremmo cominciare con la seconda opzione e spostarci alla prima sempre che per te non sia troppo orribile".
Considerai la sua offerta un'altra volta. Riflettendoci era stato folle considerarla. Eppure, dopo un'ulteriore riflessione, pensai che fosse stato folle anche solo trovarmi in Baker Street con il sole del mattino che illuminava lo scrittoio, la poltrona di vimini, la mensola del camino, il violino…
"Ebbene?" chiese Holmes tranquillamente.
Sarebbe stata una cosa magnifica, pensai con determinazione, sarebbe stata una cosa profondamente soddisfacente e confortante provare a me stesso di non avere più bisogno di lui.
"Fa' del tuo peggio" dissi alla fine e chiusi gli occhi.
Mi sarei aspettato la sua bocca sulla mia un istante dopo. Invece sentii una mano tremante alla base del mio collo e un'altra che tracciava il contorno del mio viso delicatamente, con il dorso delle dita. Le stesse dita che alla fine ruotarono fino a una delle mie guance, avvolgendola nel palmo mentre uno dei suoi pollici correva sulle mie labbra come in una lenta tortura. Inclinò la mia testa posizionandola ad un'angolazione che ricordavo fin troppo bene e che mi riempì di doloroso desiderio. Poi mi baciò.
Non esistono parole per descrivere cosa si prova a baciare qualcuno con cui si è così disperatamente intimi. Il mio cuore accelerò nello spazio di un secondo mentre avevo addirittura permesso al suo corpo di curvarsi sul mio. Poi in un terribile sprazzo di razionalità mi accorsi che non solo le nostre bocche erano aperte, ma che io stavo baciando Holmes a mia volta. Ero già fin troppo conscio di quello che sarebbe successo se quel bacio fosse durato anche un momento di più, ma improvvisamente udii dei passi sulle scale.
Sia Holmes che io possedevamo ancora, grazie all'abitudine e persino dopo anni di inattività, un accuratissimo senso di quanto lontano, e in quanto tempo, avessimo potuto allontanarci l'uno dall'altro quando il tipico rumore dei passi di un cliente annunciava un visitatore nelle immediate vicinanze della rampa di scale che portava alle nostre stanze di Baker Street (la stessa rampa di scale il cui numero di gradini Holmes si era una volta premurato di contare, soprattutto per il bene della nostra privacy, ma anche per mio puro divertimento). Siamo comunque sempre stati salvati da una bussata alla porta. Non ho la più pallida idea di chi ruppe il bacio per primo, ma non ci eravamo allontanati l'uno dall'altro più di qualche passo che un giovane dai capelli biondi entrò nel salottino di Holmes, ansimando e guardandoci da in piedi davanti alla porta.
"Sono l'infelice John Hector McFarlane" dichiarò disperato.
"Lo è di certo" rispose Holmes con freddezza, appariva perfettamente calmo tranne che per il leggero colorito di cui si erano tinti i suoi zigomi prominenti. "Tuttavia se lei sia infelice nella vita o infelice solamente in questioni di tempismo o di etichetta quando si tratta di entrare da porte chiuse, non sarei in grado di dirlo".
A quel punto il ragazzo riconobbe il suo errore "Mi dispiace, signor Holmes" si scusò. E la sua era veramente una vista pietosa. Se ne stava lì, tremate da capo a piedi a dispetto del calore accogliente della stanza. "Ma sto diventando matto".
"Bene, allora è venuto nel posto giusto" sospirò Holmes. "Questo è un ricettacolo di quasi matti, in effetti. Prenda una sigaretta e poi ci dica molto tranquillamente e con chiarezza chi è lei, perché tranne l'ovvio fatto che è scapolo, procuratore legale, Massone e che soffre d'asma, io di lei non so un bel niente".
Il suo nuovo cliente, perché sapevo non potesse essere altrimenti detto, stava in piedi a bocca aperta e guardava Holmes con grande stupore. In quel momento il mio cuore soffrì per quel povero sventurato.
"Non è niente di particolare" dissi asciutto "Sta traendo conclusioni basandosi sulla generale trasandatezza del suo aspetto, sul ciondolo del suo orologio, i documenti legali che ha in mano e il suo respiro affannoso. In ogni caso, le assicuro, che malgrado le sue inclinazioni alla teatralità spiccia, è un investigatore ammirevole. Auguro a tutti e due tutta la fortuna di questo mondo. Adesso vogliate scusarmi…"
"Lei è il dottor Watson, non è così?" domandò l'infelice signor McFarlane. "Non potrebbe rimanere e assistere a quello che ho da dire? Significherebbe molto per me. Per l'amor di Dio, signori, non abbandonatemi! Se arrivasse la Polizia per arrestarmi prima che abbia potuto terminare la mia storia pregateli di darmi tempo, così che possa dirvi l'intera verità".
"Arrestarla?" esclamò Holmes. "Con quale accusa?"
"Con l'accusa di aver assassinato il signor Jonas Oldacre di Lower Norwood. Mi dovete ascoltare, signori, perché le prove contro di me sono talmente singolari che temo davvero sarei perso senza il vostro aiuto".
Confesso di essermi sentito toccato dall'appello del giovane, e dalla sincerità con la quale l'aveva pronunciato. Tuttavia, ero sprofondato in una confusione anche maggiore di quella di cui ero stato preda in precedenza, e il pensiero di rimanere in Baker Street un istante di più francamente mi terrorizzava. In quell'esatto momento fummo interrotti da alcuni colpi alla porta.
Non vedevo il nostro vecchio amico Lestrade dalla notte in cui avevo accettato di partecipare alla cattura del Colonnello Moran, una decisione che non avevo affatto preso per l'entusiasmo di cui Holmes sembrava essere pervaso, ma più perché ero conscio di quanto il Colonnello Moran fosse pericoloso, e qualsiasi fossero i miei sentimenti verso Sherlock Holmes, non avevo nessun desiderio di vederlo morire due volte nel giro di tre anni. La nostra trappola era scattata, Holmes era preoccupato e io silenzioso come una tomba, e Lestrade aveva finito col portar via a forza il prigioniero nel suo solito modo, condannandolo mentalmente ad una o due accuse banali e precedendo di poco la mia laconica uscita di scena.
Era sempre di colorito giallastro, azzimato e dai lineamenti affilati come al solito, e vederlo nel salottino di Holmes non fece niente per lenire la mia sensazione di stare affogando in un pozzo di amara nostalgia.
"Dottor Watson!" esclamò. "Non mi aspettavo di… voglio dire, è un piacere vederla. Come sta, signor Holmes?" aggiunse, poi si schiarì la gola bruscamente. "Il signor John Hector McFarlane? Lei è in arresto per l'omicidio volontario del signor Jonas Oldacre di Lower Norwood".
Fu terribile vedere il cedimento sull'espressione del signor McFarlane, nonostante sapesse che il colpo sarebbe arrivato più facilmente prima rispetto che dopo. Holmes alzò una mano.
"Le chiedo scusa, Lestrade, ma il signor McFarlane si è raccomandato nella più categorica delle maniere che io e il dottor Watson ascoltassimo la sua versione dell'accaduto".
"Io me ne stavo giusto andando" affermai mentre raccoglievo le mie cose. Holmes mosse un passo come per seguirmi ma poi si fermò.
"Il tuo aiuto potrebbe essere decisivo per chiarire le cose".
"Penso che non avrai nessun problema a farlo da solo. Il signor McFarlane è qui per vedere il signor Sherlock Holmes, e il fatto che io sia o non sia presente farà ben poca differenza per lui" dissi a nessuno in particolare.
"Al signor McFarlane sarà senza dubbio di gran beneficio avere un paio di orecchie comprensive in più pronte ad ascoltarlo, soprattutto in mezzo a tutti questi rappresentanti della legge. Con il suo permesso, Ispettore, ascolteremo tutti la sua spiegazione e poi lei potrà portarlo con sé a Scotland Yard. Andiamo, Lestrade, converrà con me che sarebbe in vero insensibile da parte nostra rifiutare la sua richiesta, e poi mezz'ora non potrà in ogni caso fare alcuna differenza per lei".
Lestrade guardò verso di me mentre facevo del mio meglio per non apparire agitato o esasperato, poi guardò Holmes, il cui viso era completamente indecifrabile, e l'espressione dell'Ispettore si ammorbidì un poco. Diede un'occhiata casuale al suo orologio.
"Vi concedo mezz'ora".

 


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Capitolo 2
*** parte 2 ***


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Eccoci! non vi faccio stare troppo sulle spine XD ringrazio samek e minnow per i loro complimenti che mi hanno fatto sciogliere sulla tastiera del computer.
In questa parte le cose si complicano e la trama si infittisce, entra in campo il mio amato Ispettore Lestrade <3 e dà prova di una grande umanità.
Invidio immensamente la vostra situazione di privilegio di non aver ancora letto questa fic, rimpiango la prima volta che l'ho letta io e la felicità che mi ha dato. Spero di fare altrettanto con voi tramite la mia traduzione che, ve lo giuro, è fatta con tutto il mio affetto per il signor Sherlock Holmes, il dottor John Watson e l'Ispettore Geoffrey Lestrade.

 

The three favours - I tre doni, ovvero come il signor Sherlock Holmes smise di scrivere telegrammi,
come l'Ispettore Lestrade di Scotland Yard non mantenne il segreto professionale e come il dottor
John Watson ignorò i malanni dei suoi pazienti per questi due motivi.

LA FIC SI SVOLGE DURANTE GLI AVVENIMENTI DE "IL COSTRUTTORE DI NORWOOD"

 

-PARTE SECONDA-

 

Quando alla fine girai la chiave nella serratura della mia porta d'ingresso e misi piede nel corridoio, arredato con gusto anche se in modo austero, dello stabile che mi faceva da casa e ambulatorio, rimasi fermo nel mezzo del tappeto senza la benché minima idea di quello che avrei fatto di me stesso. È possibile che ci rimasi per dieci minuti, con gli avvenimenti della giornata a rincorrersi l'un l'altro nella mia mente come cani da caccia. Avevo ascoltato la disgraziata storia di McFarlane che era stata, come avrebbe detto Holmes, non del tutto priva di punti d'interesse. Poi ero fuggito, rifiutando l'invito di Holmes ad accompagnarlo a Blackheath con educazione se non con calore in presenza degli agenti di Scotland Yard. E trovarmi a casa, e di nuovo solo, fu ben più sorprendente di quanto mi fossi potuto aspettare.
Mi diressi verso il mio studio e mi sedetti alla scrivania poggiando la testa sul piano. Desiderai, con tutta la fervente volontà che ci colpisce quando meno ce lo si aspetta, che Mary potesse essere qui e parlare con me. Holmes aveva acconsentito, in quel suo supremamente logico modo di essere, al fatto che mi sposassi. E credeva che ciò sarebbe stato meglio per tutti. Se fossi stato pazzamente innamorato di mia moglie senza dubbio lui avrebbe messo in atto delle piccole catastrofi naturali, ma sapeva benissimo quale fosse il mio reale campo d'interesse. Mary era stata per me la migliore delle amiche, gentile, attraente e profondamente comprensiva. Molto più tagliata per la vita domestica che per quella dell'amante, e lui non la temeva. Gli bastava guardarmi in faccia ogni volta che lui entrava nella stessa stanza dov'ero io per sapere chi monopolizzava la mia attenzione.
Ero sprofondato in un tale abisso di disperazione alla supposta morte di Holmes che anche la presenza di Mary aveva fatto poca differenza, non importava quanto bene le volessi e quanto duramente sarei stato capace di lottare per lei. C'è un'enorme differenza fra un uomo in piedi sulla terra ferma e un uomo che affoga in un lago. C'è una sottile differenza invece fra un uomo che affoga in un lago e uno che affoga nell'oceano, perché l'effetto è lo stesso.
Credo di essermi addormentato lì, con la testa appoggiata al braccio, e di essermi svegliato al suono del campanello alla porta. Sapevo che doveva essere il mio primo cliente, quindi mi alzai con fatica. Il mio cliente… Holmes aveva insistito nel dire che McFarlane fosse il nostro cliente, non il suo. Aveva fatto così per molti anni. Desiderava condividere tutto con me, come aveva sempre fatto prima del nostro viaggio in Svizzera. E mi aveva baciato come non ero mai stato baciato in vita mia, nemmeno da lui.
Non potevo pensarci senza sentire la solita vecchia stretta all'altezza del petto. Holmes aveva inscenato la sua morte perché io ne scrivessi la storia. Ci sono crimini più gravi persino degli omicidi. Localizzai la mia borsa medica e cercai brevemente, prima che il mio paziente entrasse in studio, di calmare il tremore che ancora scuoteva le mie mani.

 

-«oOo»-

 

La mattina dopo mi svegliai a quello che immaginai dovesse essere il rumore dei ragazzini che spazzavano le strade, anche se non era affatto l'ora di quell'attività e il suono era molto più forte. Quando mi decisi a scendere dalla mia camera da letto al primo piano trovai che la governante, con un'espressione compiaciuta sulla faccia, stava sorvegliando un operaio occupato a imbiancare la facciata del mio palazzo.
"Signora Garrison" dissi "cosa diamine sta succedendo? È stata lei ad aprire a questo tizio?".
"Oh sì, dottore" mi rispose con un sorriso "lei stava ancora dormendo, quindi quando loro mi hanno spiegato per quale motivo fossero qui li ho lasciati cominciare"
"Loro?"
"Be', sì" disse perplessa "Sono stati assunti per rinfrescare la facciata, signore. Non ha dato lei l'ordine?"
"No" sospirai "ma non si preoccupi, signora Garrison, so chi lo ha fatto. Immagino che stiano pulendo i mattoni, aggiustando la crepa sul davanzale, questo genere di cose?"
"Sì, dottore. E stanno facendo anche un buon lavoro. E quando avranno finito con mattoni e davanzali hanno detto che intendono sostituire le parti in ferro delle scalette d'ingresso perché i corrimano iniziano ad essere abbastanza vecchi e si stanno arrugginendo. E guardi, ecco la nuova placchetta in ottone per il numero civico. È molto elegante, signore. Ha fatto una buona scelta".
Osservando quella placchetta così ben tornita tentai di arrabbiarmi. Ottenni solamente una sorta di irritata rassegnazione.
"Sarò nel mio ufficio, signora Garrison. Potrebbe farmi portare là la mia colazione, per piacere? Molte grazie".
Stavo sfogliando il libro degli appuntamenti della giornata da non più di dieci minuti quando la cameriera, Sally, arrivò con la mia colazione su un vassoio.
"Grazie, mia cara"
"Dottore, la signora Garrison mi ha chiesto di dirle che il nuovo tappeto per l'ingresso è appena arrivato" gli occhi blu della ragazza brillavano dell'eccitazione che tutto quel movimento le provocava "i facchini desiderano sapere se preferisca tenere quello vecchio o se invece se lo possano portare via loro".
La guardai con tanto d'occhi per un momento, poi mi ripresi. "Be', Sally, suppongo che dovremmo essere generosi con i nostri bravi facchini. Che lo prendano pure"
"Sì, grazie signore. E c'è un messaggio per lei, signore"
"Un telegramma?"
"No, signore. Un biglietto. È stato consegnato a mano da un altro fattorino" Me lo porse e uscì con grazia dalla stanza.
Spiegai il messaggio con cautela perché la fluida e spigolosa grafia mi era ben più che familiare. Era scritto sulla carta del blocchetto di Holmes e diceva:
Mio caro amico, quando avrai finito con i tuoi appuntamenti, posso suggerirti di unirti a me a Norwood? Il caso è contro il nostro cliente e, anche se vedo della luce fendere l'oscurità, ho bisogno del tuo aiuto. Il mio istinto va da una parte mentre i fatti vanno dall'altra. Se venissi lo considererei un gran favore, e così anche il signor McFarlane, non ho dubbi.
Tuo,
Sherlock Holmes

Strappai il foglio in lunghe strisce che prontamente gettai nel cestino. Mi presi un'abbondante mezz'ora per sbrigare il resto del lavoro e della corrispondenza, finii le mie uova, rimisi le mie lettere nelle loro rispettive buste e sbattei il palmo della mano sulla scrivania con impazienza. Cancellai tutti gli appuntamenti e partii per Lower Norwood nel delicato bagliore del sole mattutino.

 

-«oOo»-

 

Trovai l'ispettore Lestrade sulla scena del crimine, in piedi nell'ingresso. Un'espressione di piacevole sorpresa balenò sul suo viso affilato quando posò gli occhi su di me, finì velocemente di dare disposizioni ai due agenti presenti che infine si avviarono con aria indaffarata verso il giardino sul retro della casa.
"Benvenuto a Deep Dane House, dottor Watson" Lestrade mi sorrise "immagino lei voglia sapere dove si trovi il signor Holmes".
"È un piacere vederla, Lestrade. Ebbene, lui dov'è?" risposi forse senza tutto l'entusiasmo che il buon ispettore si sarebbe aspettato.
"Be'" disse l'omino pensieroso, in quel suo modo didattico "in quest'ultima ora ha perso tempo gironzolando per il prato a quattro zampe. Non ho problemi a dirglielo, dottore: questa volta il signor Holmes ha preso un granchio. I fatti non potrebbero essere più chiari di così. Se non lo conoscessi bene, direi che sta investigando per pura testardaggine".
"Sherlock Holmes è di certo uno degli individui più testardi di questo mondo. Avrei dovuto saperlo" sospirai. "Come sta procedendo il suo caso, ispettore?".
"Non potrebbe andare meglio" disse scrollando le spalle. Il gesto era per due terzi zelo e per un terzo un tentativo di umiltà, e mi stupii nello scoprire che mi faceva davvero piacere sentirli ancora entrambi. "Abbiamo in mano tutte le prove che potessimo sperare. Ben più di questo, in effetti, e la cosa accade abbastanza di rado. Ma venga con me, la porto dal signor Holmes. Come sta, dottor Watson? La abbiamo vista poco in giro ultimamente".
"Sono stato estremamente occupato, professionalmente parlando" risposi mentre uscivamo dalla casa. C'era un luccichio inquisitorio negli occhi castano chiaro dell'ispettore, una luce che non vi vedevo spesso. Ma annuì affabilmente.
"Sono felice di sentirlo. Signor Holmes, se mi volesse fare la cortesia di lasciare le prove intatte gliene sarei grato" aggiunse con foga.
Sherlock Holmes, il volto illuminato dal sole, si era tolto la giacca di tweed e stava in piedi in mezzo a pile di legno bruciato con le maniche arrotolate mentre si aggirava fra le braci carbonizzate. Non diede al suo amico di Scotland Yard la soddisfazione di alzare gli occhi.
"Lestrade, lei sta parlando di residui, qualsiasi cosa essi fossero prima, e questi residui sono stati raccolti e buttati su quella pila di legna. Non sto facendo nessun male alle sue prove. Non abbiamo a che fare con schizzi di sangue o traiettorie di proiettili"
"Per tutti i…" mugugnò l'ispettore. Ma proprio in quel momento un agente gli si avvicinò con una domanda e i due si allontanarono lungo il lato della casa per discutere non si capiva bene cosa.
Mi schiarii la gola. "E allora con che cosa abbiamo a che fare?".
Gli occhi di Holmes guizzarono a incontrare i miei, erano sorpresi e gioiosi. E qualsiasi cosa stesse tenendo in mano gli cadde di nuovo nella cenere.
"Il dottor John Watson" disse mentre un sorriso si faceva largo nei suoi tratti spigolosi "Sulla mia vita! Voglio dire… perdonami mio caro amico, infelice scelta di termini" si corresse frettolosamente. "Intendevo dire… tu sei qui, il che è un'osservazione imperdonabilmente ovvia, eppure decisamente sorprendente…".
Lo interruppi non tanto perché desiderassi venirgli in aiuto, quanto perché non l'avevo mai visto così in difficoltà. Non avevo la minima idea di cosa ci facessi ancora una volta vicino a lui e il suo turbamento era troppo attraente perché potessi lasciarlo continuare.
"Il signor McFarlane ha strappato a entrambi la promessa che avremmo fatto tutto ciò che fosse stato in nostro potere" dissi con freddezza "quindi ora, se non ti dispiace dirmi cosa posso fare a patto che non sia oltre le mie possibilità…"
"Certamente" disse, ma non aveva ancora recuperato il suo solito distacco. In effetti mi stava fissando con uno sguardo così evidentemente carico di affetto che fui felice gli agenti di Scotland Yard non fossero nei paraggi "se ti va potresti dare un'occhiata ai documenti della vittima, te ne sarei grato. Io sono in un tale stato da non poter iniziare un lavoro del genere" mormorò guardandosi le braccia imbrattate di cenere. Poi aggiunse "Naturalmente non sei obbligato a farlo se non sei qui per lavorare al caso" e il suo tono era magistralmente architettato per sembrare indifferente.
"Che assurdità. Sono qui per essere d'aiuto, è la mia particolare abilità di questa esistenza" ribattei. Intendevo pronunciare la frase con ironia, invece mi era uscita tagliente. Il viso di Holmes si rabbuiò ancora di più. "Sarò all'interno fino a che non avrò finito o tu avrai bisogno di un mio rapporto".
Girai i tacchi e corsi dietro all'ispettore Lestrade sul lato della casa.
"Dove teneva le sue carte il signor Oldacre?" gli chiesi senza fiato.
"Entri dalla porta di servizio, poi prenda la seconda porta alla sua sinistra" mi rispose guardandomi con decisamente troppa attenzione. Mi chiesi brevemente cosa avesse sentito. Non mi preoccupavo di quello che una terza persona avrebbe potuto origliare da quando Sherlock Holmes era morto, pensai con una stretta al cuore.
"Grazie" dissi e scappai dal giardino come se esso fosse popolato da un assortimento completo di bestie carnivore invece che dal più famoso consulente investigativo di Londra.
Sebbene lo studio della vittima fosse piccolo, era confortevole, e la stanza vantava una finestra dalla quale potevo intravedere i pini che crescevano sul limitare del prato. Per mia fortuna, le carte che Holmes mi aveva chiesto di esaminare erano di natura finanziaria e per questo egualmente comprensibili da un medico come da un esperto criminologo. Ci stavo lavorando da due ore, Holmes in giro a investigare chissà dove, quando attaccai l'ultima delle scatole. Una leggera bussata alla porta mi interruppe e alzai gli occhi per vedere Lestrade avvicinarsi alla scrivania dove stavo faticando sulle cifre, un'espressione pensierosa sulla sua faccia da roditore. Senza preamboli si sedette sulla sedia di fronte alla mia e si intrecciò le dita in grembo.
"Non le sembra di essere stato un po' duro con lui, dottore?".
Era in fede mia l'ultima delle domande che mi sarei aspettato uscisse dalla bocca dell'ispettore Lestrade, e in onore dell'enormità dell'evento lasciai cadere quello che avevo in mano per fissarlo con un disagio interdetto.
"Non ho idea di quello che lei stia dicendo" risposi.
Si limitò a stringersi nelle spalle "Potrei essere io ad aver capito male, dottor Watson, e se così fosse non esiterei ad ammetterlo. Se sto ficcando il naso dove non devo, lei non deve far altro che dirmelo. Le assicuro che non intendevo offenderla".
"Non mi ha offeso" risposi, ma l'ispettore non aveva finito.
"I fatti rimangono, tuttavia. Sembra chiaro che lei e il signor Holmes non stiate andando molto d'accordo dalla sua riapparizione… inaspettata. Ma potrei sbagliarmi".
Mentre mi guardava realizzai che non ero capace di mentire a Lestrade né mi sentivo incline a farlo. Senza pensare di portare la conversazione in un'altra direzione, mi appoggiai stancamente con il mento alla mano.
"Non si sbaglia".
"Le creerebbe dei problemi se le facessi una domanda personale, dottore?"
"Questo dipenderebbe in gran misura da quale fosse questa domanda".
Ridacchiò alla mia battuta e scosse la testa. "No, no dottor Watson. Volevo solo chiederle se fosse arrabbiato con il signor Holmes per l'ovvia ragione o per qualche altra ragione".
Non riuscii a pensare a niente che fosse imprudente in quello che Lestrade voleva sapere "È l'ovvia ragione, se per ovvia ragione intende che ha fatto finta di essere morto per tre anni".
Il piccolo ispettore annuì saggiamente, come se molta gente fingesse di essere morta per lunghi periodi di tempo. "Per lei è stato più difficile di certo" disse piano. "Tutti noi ne siamo stati afflitti, non mi fraintenda, ma lei lavorava vicino al signor Holmes come nessun agente di Scotland Yard ha mai fatto. Un colpo terribile, l'ho sempre detto, ma per lei… deve essere stato mostruoso, dottore. Penso che nemmeno il fratello del signor Holmes ne fosse rimasto così sconvolto. Aver vissuto per tre anni immaginandolo morto deve di certo averla…"
"Non l'ho immaginato morto per tre anni" dissi piano e con voce roca, poi lasciai che la mia mano andasse a coprirmi gli occhi.
"No?" chiese Lestrade. Mi guardò con una comprensione che adesso sconfinava nella curiosità. "Credo di non capire quello che intende dire, dottor Watson. Certamente noi tutti speravamo che fosse vivo…"
"Io sapevo che fosse vivo" dissi, aspettandomi che i miei occhi si appannassero come ogni volta che ci ripensavo. Con mio sollievo c'era solamente un tono lugubre nella mia voce "L'ho creduto morto per due settimane, fino ai funerali qui a Londra. Dopo lo seppi. Lo so da allora".
Lestrade adesso mi stava fissando sbigottito. "Glielo ha detto lui? Le ha mandato una lettera o…"
"Suo fratello" non riuscivo a riconoscere la voce che stava parlando, perché non era la mia. Suonava come la voce di un fantasma. "Suo fratello me lo ha detto. Dopo il funerale".
"Dio del cielo" sussurrò Lestrade "Quindi per tutto questo tempo lui pensava che noi lo credessimo morto e invece lei sapeva che lui…"
"Sì, lo sapevo"
"Dottor Watson, credo che questa sia una delle cose peggiori che abbia mai sentito"
"È di certo una delle cose peggiori che io abbia mai vissuto".
Socchiuse gli occhi. "Il signor Holmes sa che lei era al corrente della sua morte fittizia?"
"No di certo" risposi con un amaro entusiasmo costruito. "È convinto che i suoi piani si siano svolti in modo superbo come al solito"
"Non c'è da meravigliarsi che lei non sia tornato in Baker Street".
Quando gli lanciai un'occhiata atterrita, l'ispettore ebbe la decenza di abbassare gli occhi ai suoi stivali ripulendone uno da una piccola macchia di cenere e facendolo ritornare alla sua originale lucentezza immacolata. Poi esaminò con cura anche l'altro come per rassicurare se stesso sul fatto che fosse anch'esso pulito. Quando tornò a guardarmi avevo fatto in tempo a recuperare gran parte del mio autocontrollo.
"Lestrade" dissi lentamente "devo chiederle cosa intendeva dire con…"
"No" disse l'ufficiale minuto con fermezza "non deve. Io sono, come lei ben sa, un ispettore di Scotland Yard. E ormai potrebbe anche aver capito che sono entrato in Polizia nel tentativo di fare qualcosa di buono. E rimane questo il mio obiettivo. Alla luce di questo, dunque, le garantisco che non deve chiedermi di spiegarle cosa intendessi".
Fu questa affermazione e non l'aver narrato dei miei momenti dolorosi a far spuntare nei miei occhi un principio di lacrime. Inspirai a fondo e cercai di riportare me stesso alla normalità.
"Adesso avrebbe ben poca importanza" cominciai, ma Lestrade mi interruppe all'improvviso.
"Deve chiedergli di parlarle di Moran"
"Come scusi?" chiesi, già confuso.
"Dottor Watson" disse dolcemente, tutta la sua impazienza e la sua avarizia erano come sparite dal suo viso "lei è, come ho sempre pensato, un uomo ammirevole sotto ogni punto di vista. Il signor Holmes è sulla buona strada per impazzire e senza dubbio finirà i suoi giorni in una clinica psichiatrica. Ho solo una vaga idea del perché lei riesca a sopportarlo e nessuna sul perché riesca a farlo io. Comunque sia" continuò con calma "lei ed io siamo entrambi uomini ragionevolmente intelligenti, anche se non sappiamo riconoscere a prima vista un uomo che lavora come venditore ambulante o a quale temperatura l'acqua salata produce effetti distruttivi sui denti falsi. Ci devono pur essere delle ragioni per cui gli concediamo la nostra compagnia. Se ne ricorda una o ha anche solo intenzione di ricordarla, deve chiedergli di parlarle del Colonnello Moran".
"Come fa a sapere queste cose?" domandai in modo ingrato "perché lei dovrebbe essere al corrente di qualcosa che Holmes mi ha deliberatamente tenuto nascosto? E se lo è, perché io dovrei abbassarmi a chiederlo a lui?"
Lestrade si alzò e andò verso la porta, la sua caratteristica natura impaziente infondeva un'inesplicabile umanità.
"Perché, come ricorderà, ho arrestato io stesso il Colonnello. A lei converrà essere messo a parte della situazione da un punto di vista che non sia il mio. Non mi è possibile divulgare l'informazione, ma le assicuro che merita di essere saputa. E debbo insistere: anche se quello che le dirà dovesse angosciarla, se tiene in una qualche considerazione il pazzo che attualmente scorrazza là fuori calpestando le mie prove, deve chiedergli del Colonnello Moran" finì. Poi Lestrade uscì chiudendo gentilmente la porta dietro di lui.

 

 


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Capitolo 3
*** parte 3 ***


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Questa è l'ultima parte, aspettatevi una tachicardia verso la metà XD ma non aggiungo altro e lascio che vi godiate la chicca finale.
Ho sofferto particolarmente in questa parte di traduzione, soprattutto l'epilogo mi ha fatto sudare le famose sette camicie XD non è stato per niente facile rendere la profondità del concetto che sta alla base del titolo "I tre doni", ma ne è valsa la pena *.*
Rinnovo i miei ringraziamenti a chi legge e soprattutto a chi commenta, siete state davvero gentili ^^ e continuo a inchinarmi alla bravura e alla sensibilità dell'autrice di questo capolavoro.
Alla prossima!!! (presto)

Note a piè di pagina fra parentesi quadre

 

The three favours - I tre doni, ovvero come il signor Sherlock Holmes smise di scrivere telegrammi,
come l'Ispettore Lestrade di Scotland Yard non mantenne il segreto professionale e come il dottor
John Watson ignorò i malanni dei suoi pazienti per questi due motivi.

LA FIC SI SVOLGE DURANTE GLI AVVENIMENTI DE "IL COSTRUTTORE DI NORWOOD"

 

-PARTE TERZA-

 

Acconsentii a dividere una carrozza con Holmes per tornare a Westminster quella sera. Il fatto che un'azione del genere fosse esattamente ciò che mi ero ripromesso di non fare sembrò importare sempre meno. Come in una sorta di rito di iniziazione condividemmo le nostre rispettive scoperte con esitazione iniziale, come se ci fossimo dimenticati come si facesse. La conversazione, dopo i primi cinque imbarazzanti minuti, sbocciò in un discorso gioviale e maturo.
"… e malgrado questo" finii con perplessità "non riesco a trovare nessun titolo di valore tra i suoi averi"
"Questo, mio caro Watson, è peculiare nel senso più gratificante del termine" rispose. "Sei certo che non ci fossero?"
"Non solo non ve n'era traccia, ma come ho detto, è scioccante non si potessero nemmeno rintracciare e che ci sia la presenza di pagamenti consistenti a favore di un certo signor Cornelius"
"Forti somme, hai detto?"
Annuii. "È sorprendente che nessuno sembri sapere chi sia quest'uomo, perché è decisamente sbalorditivo che un ex costruttore in pensione trasferisca tali considerevoli somme a un estraneo. Forse era stato ricattato" aggiunsi come colpito da un'improvvisa illuminazione.
"Forse" concesse Holmes "o forse ci sono meno pedine in questo gioco di quante non immaginiamo".
Gli avrei chiesto di più su questa sua strana affermazione se non avessi realizzato con sgomento che eravamo già davanti al 221 di Baker Street. Holmes scese prontamente dalla carrozza, poi allungò una mano per aiutarmi ad uscire a mia volta. Era un gesto vagamente rischioso anche se non apertamente manifestato.
"Io dovrei tornare all'ambulatorio" dissi, ben sapendo mentre lo dicevo che sarebbe stato inutile.
"Entra e finisci il rapporto sui dati finanziari del signor Oldacre, poi sarai un uomo libero" disse con disinvoltura.
"Non ti bacerò ancora, e nemmeno asseconderò un altro dei tuoi capricci" puntualizzai.
Sorrise, sebbene quel sorriso fosse costruito apposta per me e non perché lui desiderasse farlo. "Non te l'ho chiesto. Non sono così edonista, dopo tutto. Non che non mi importi del numero di mesi… anzi, di anni nei quali… hai intenzione di scendere da quella carrozza o preferisci che io perda l'uso della mia mano destra?" finì con impazienza.
Non c'era niente da fare, pensai accigliato. Presi la sua mano e prima che potessi rendermene conto mi trovavo nel soggiorno, reso buio dalla mancanza della necessità del fuoco acceso nel mese di agosto, e senza la minima idea di cosa dire all'uomo che mi stava davanti, vigoroso e leggermente abbronzato dal sole estivo.
Lo guardai come se non l'avessi mai visto prima, realizzando che non mi ero ancora permesso di guardarlo veramente dopo il suo ritorno drammatico. Era anche più magro del solito e diversi capelli sulle sue tempie avevano preso una sfumatura di grigio lucente durante la sua assenza. Dopo aver acceso l'impianto a gas, parlò solo del caso anche se devo ammettere che capii a mala pena la metà di quello che aveva detto. Mentre parlava si teneva occupato esaminando la corrispondenza, ma tuttavia senza aprire nessuna delle lettere, poi si accomodò con entusiasmo nella sua poltrona lanciandomi il suo portasigarette mentre se ne accendeva una per sé.
"Ebbene?" sospirò alla fine "che cosa ne pensi?"
"Holmes" risposi, cercando di rendere la mia voce il più tranquilla possibile "vorrei che mi parlassi del Colonnello Moran".
Reagì senza che il suo modo di fare rivelasse nulla, né io non mi aspettavo facesse altrimenti. Ma aspirò una lunga boccata della sua sigaretta "non ho la minima idea del motivo per cui tu possa essere arrivato a chiedermi questa cosa, il che ti gratificherà non poco"
"Me lo ha detto Lestrade"
"Lestrade?" esclamò. "Oh, capisco" disse un istante dopo, distendendo le sopracciglia. "Certo che lo ha fatto. Avrei dovuto anticipare questa sua mossa…" Holmes si fermò bruscamente, poi mi lanciò uno dei suoi sguardi truci, quelli che così spesso mi indirizzava, a volte senza volerlo. "Lestrade ha mostrato un qualche interesse per la nostra passata… stima reciproca?".
Era un segno dell'amore che Holmes nutriva per l'ironia il suo aver posto la domanda in quel modo. "Non esattamente" risposi con cautela "anche se probabilmente mentirei se dicessi che non ne è al corrente".
"Merda" mormorò, ed era la prima volta che gli sentivo usare quella espressione.
"Devo comunque informarti che Lestrade non ha mostrato nessun tipo di interesse riguardo questa faccenda"
"Se non è così" rispose Holmes asciutto "è il primo avvenimento fortunato che mi sia successo da più di tre anni"
"Holmes" dissi, inghiottendo "se può essere d'aiuto sono disposto a dirti qualcosa di cui non sei al corrente prima che inizi la spiegazione sul Colonnello".
Gli occhi del mio amico si ridussero a due fessure mentre mi scrutavano con sospetto, ma in un attimo il suo viso era tornato privo di espressione. "Non riesco a pensare a niente che tu possa dirmi che potrebbe indurmi a parlarti dello spregevole Colonnello Moran".
"Io sapevo che eri vivo" dissi. Lo dissi prima che ci potessi pensare due volte, prima che la miriade di ragioni per non dirlo potessero attraversarmi la mente come uno stormo di uccelli.
Holmes non rispose. Sembrò che non potesse farlo, e per molti secondi. Alla fine sussurrò "Mio caro Watson, per l'amor di Dio, dimmi che non è vero, ti prego".
Le parole mi uscirono di bocca molto più velocemente di quanto non avessero fatto per Lestrade. Non c'era da stupirsi: Lestrade non era mai stato così intimo con me come mi piaceva pensare lo fosse stato Holmes. "Ci sono stati dei funerali qui, a Londra. Senza dubbio lo avrai saputo. Vi hanno presenziato innumerevoli agenti di Scotland Yard, tuoi ex clienti, parenti di ex clienti, gente che aveva letto di te nei miei resoconti o sui giornali. C'erano così tante persone che la cerimonia si è dovuta tenere in una piazza pubblica. Non dovemmo preoccuparci della sepoltura vera e propria perché non c'era…" mi fermai prima di perdere il filo del discorso. La faccia di Holmes era sbiancata. "Molte persone parlarono. Del tuo coraggio e del tuo amore per la giustizia. Hanno chiesto anche a me di dire qualche parola… dicevano che sarebbe stato giusto lo facessi, ma non ci sono riuscito" inspirai profondamente "alla fine la folla si disperse. C'era una lapide commemorativa, Holmes, completamente sommersa dai fiori. Li avevano portati le persone ricche come quelle povere… sontuosi bouquet di orchidee bianche e piccole violette da due penny tutti mescolati insieme. Forse adesso non te ne puoi rendere conto. Ce n'era una vera inondazione.
Rimasi uno dei pochi a non essere ancora andato via quando tuo fratello mi si avvicinò, fu molto comprensivo. Soffrii terribilmente per lui, sapevo che tu non avevi altri parenti. Quando si informò con gentilezza su come mi sentissi pensai fosse la cosa più naturale di questo mondo.
'Non parlerò di come mi sento' dissi, perché eravamo in una piazza pubblica 'ma l'unica cosa che so per certo è che non scriverò mai più'.
Sembrò scioccato dalle mie parole. Troppo scioccato per essere un fratello in lutto. Mi chiese di ripetere quello che avevo appena giurato, e quando lo feci scosse la testa lentamente. Mi chiese di concederti un ultimo addio, mi implorò di renderti giustizia in un ultimo e spettacolare problema finale. Tuo fratello disse che tu avresti voluto io lo scrivessi, per tutta l'esperienza che avevo nel rendere il tuo carattere. Disse anche che era una delle cose che amavi di me… il fatto che sapessi catturarti con tanta naturalezza. Alla fine mi scusai e gli dissi che la mia penna era morta con te".
Holmes mi guardò come se stessi lentamente rigirando la punta di un coltello nel suo stomaco, ma ragionai che avrei fatto meglio a portare a termine quello che avevo iniziato.
"Poi lo ammise. Penso che capì che non c'era nient'altro da fare. Mi disse che eri vivo, e disse anche che il fatto che scrivessi un resoconto della tua morte faceva parte del piano per riportarti indietro".
Il mio amico sussultò come non gli avevo mai visto fare, e nello spazio di un lampo durato un secondo provai quella vecchia, familiare sensazione: l'urgente desiderio di proteggerlo dal dolore. Lo ignorai e andai avanti con la mia storia.
"Non potevo farlo" dissi in tono piatto. "Sapere che eri vivo e che in qualsiasi momento avresti potuto tornare da me mi rendeva impossibile scrivere della tua morte. Era disumano, Holmes. Ho scritto del tuo perdono nell'affare delle due oche identiche [1]. Ho scritto del tuo eroismo a Stock Moran [2], delle tue impenitenti abitudini da Bohemien nel caso di Lord Saint Simon [3], persino dei tuoi primi casi, quelli a cui non avevo assistito di persona. Ho scritto della tua intelligenza e della tua nobiltà d'animo, e in ogni istante in cui scrivevo queste cose avevo l'insano pensiero che una delle mie frasi, se fossi stato abbastanza abile, ti avrebbe riportato da me"
"Ma nessuna lo fece" finì per me. Stavo cominciando a sperare di potermi fermare. Avevo visto Sherlock Holmes pochi secondi dopo che uno dei suoi clienti era stato ucciso, e istanti dopo che aveva ricevuto un telegramma che riguardava la morte di suo padre.
Ma non lo avevo mai visto così.
"Alla fine considerai la richiesta di tuo fratello. Sapevo che dovevi essere in pericolo, dopo tutto, e non avevo nessun desiderio di rovinarti i piani. Ma non potevo, semplicemente non potevo ritenerti capace di un simile… era come se, una volta che avessi scritto della tua morte sarei stato soltanto una pedina in uno dei tuoi giochi. Non potevo permettere che questo accadesse. Sono un cattivo attore, lo so, ma sono un bravo scrittore, Holmes. Avrei potuto farlo senza mentire. E l'ho fatto senza mentire. Non potevo credere che tu avessi potuto infliggermi quelle due settimane d'inferno. Per non dire di tre anni… e ogni volta che uscivo dal mio ambulatorio mi trovavo ad essere l'oggetto di condoglianze spesso da parte di perfetti sconosciuti. Me le rivolgevano con gentilezza, ma non facevano altro che rinforzare…" mi interruppi fiaccamente, spezzando una narrazione che era cominciata in ordine cronologico e stava finendo col diventare una complicata divagazione angosciosa. "Avrei dovuto dirtelo prima dell'affare a Camden House, ma per allora ti stavo già…"
"Disprezzando" disse. Poi annuì lentamente.
"Mi dispiace Holmes, ma…"
"Di cosa ti dovresti dispiacere? Hai perfettamente ragione, anche se le tue convinzioni non sono proprio della migliore delle qualità. Non puoi disprezzarmi nemmeno la metà di quanto io disprezzi me stesso"
"Non era questo il mio intento" dissi umilmente.
"Certo che non lo era. Tu sei quanto di più comprensivo possa esistere in questo mondo decaduto, Watson" aggiunse quasi impercettibilmente, portandosi entrambe le lunghe gambe al petto "per piacere, lasciami solo. Non credermi in collera, ma ho paura di non riuscire a continuare questa conversazione".
Desideravo più di ogni altra cosa in quel momento di potergli vedere il volto, ma aveva appoggiato la fronte alle ginocchia. "E per quanto riguarda Moran?"
"Questo non mi scuserà. Non pensare che lo farà. Avrei dovuto gettarmi da quel precipizio piuttosto che lasciare che questo accadesse"
"Non dire così!" gridai.
"Perché diavolo non dovrei farlo? Ora, se tu potessi andare a casa a dormire, mio caro amico, la mia già sbalorditiva gratitudine verso la tua gentilezza raddoppierebbe"
"Non posso lasciarti così" dissi disperatamente. E fui più che sconcertato nello scoprire che era vero.
"Watson, ti prego" disse. Girò la testa solo di poco, ma potei intravedere l'angolo del suo occhio sinistro. "Hai già molte cose da perdonarmi, ma mentre cerchi di farlo, perdonami il mio dirti che darei qualsiasi cosa perché tu fossi da qualche altra parte proprio adesso. Non merito la tua compassione, ma ti prego di uscire"
"Holmes, non posso semplicemente…"
"Sei un gentiluomo" la sua voce smorzata dalla stoffa dei suoi pantaloni "adesso ti prego di andartene".
Raccolsi cappello e bastone contro voglia e aprii la porta del salottino. Pensai di girarmi per guardarlo ancora una volta, ma sapevo che se l'avessi fatto non avrei mai potuto obbedire alla sua richiesta. I miei passi non fecero rumore mentre scendevo le scale ricoperte dal tappeto che portavano alla porta d'ingresso.
Dal momento in cui avevo lasciato la stanza a quello in cui ero arrivato al mio recentemente rinnovato ambulatorio, con i vecchi corrimano che attendevano di essere recuperati dai rigattieri di strada, tutto il mondo che mi circondava si era ridotto al silenzio.

-«oOo»-

Quando mi svegliai la mattina dopo… dico svegliai per convenzione, ma visto che non avevo dormito forse sarebbe stato meglio dire che mi alzai, sapevo quello che andava fatto.
Due uomini, oltre a Sherlock Holmes, erano a conoscenza di più dettagli sul Colonnello Moran di quanti ne sapessi io. Mycroft Holmes, non avevo dubbi, si sarebbe fatto sparare in testa piuttosto che rivelare un'informazione che il suo fratello minore aveva considerato un segreto, soprattutto ora che era di nuovo vivo. Lestrade, invece, si era già dimostrato vulnerabile sul piano dell'altruismo. E quindi avrei applicato la mia attenzione sull'ispettore, anche se fragile nel fisico e non nel carattere.
Mi vestii in fretta e scesi le scale, evitando per un soffio di andare a sbattere contro i tre operai che, sotto la supervisione della signora Garrison, stavano rimpiazzando la mia vecchia scrivania sciupata con una che sembrava essere, al di sotto degli imballi, di fine legno di mogano. Non ebbi quasi il tempo di rivolgere loro un'occhiata perché quando raggiunsi gli scalini d'ingresso rischiai di inciampare in un mazzo di fiori. Mi ci volle appena uno sguardo per realizzare che erano orchidee bianche circondate interamente da una corona di piccole violette. Tornai velocemente in casa.
"Potrebbe mettere questi in un vaso con dell'acqua al più presto?" chiesi alla mia paziente governante.
"Ma certo, dottore" disse allegramente "che disposizione di fiori piacevolmente diversa dal solito. È per caso una nuova moda?".
Temo che non ricevette una risposta, ma la signora Garrison non prestava mai particolare attenzione alle mie parole, in ogni caso.
"A Whitehall, prego" ordinai al vetturino della carrozza che avevo fermato. Perciò mi diressi direttamente verso Scotland Yard nel sole mattutino estivo. Lestrade considerava il caso di Norwood chiuso, e se non era nel suo ufficio, i suoi colleghi avrebbero per lo meno potuto avere un'idea su dove si trovasse.

-«oOo»-

"Davvero, non sono autorizzato a discutere con lei di questa faccenda, dottore" disse Lestrade con un tono di esagerata pazienza nel suo scarsamente illuminato ufficio di Scotland Yard. La sua scrivania era, come sempre, meticolosamente pulita, ogni documento accuratamente fascicolato e ogni matita ordinatamente distesa a formare una linea retta parallela al lato più lungo della scrivania. "Ha parlato con il signor Holmes?".
"Ho commesso un errore tattico" ammisi depresso. "Gli ho rivelato il mio segreto prima di riuscire a estorcergli il suo".
"No, ha fatto bene" disse Lestrade pensieroso, facendo scorrere un dito lungo il suo mento affilato "è meglio avere qualcosa su cui fare leva quando si ha a che fare con quell'uomo".
Andai vicino a ridere alla sua frase, ma dirottai la mia ilarità in un colpo di tosse improvviso. "Precisamente, Ispettore".
"Come l'ha presa?".
Ripensando alla scorsa notte, considerai l'eventualità di velare il reale accaduto, poi realizzai che sarebbe stato molto più probabile per me ottenere quello che volevo se non lo avessi fatto. "Sembrava che lo avessi spezzato in due"
"Oh" disse l'Ispettore "questo è… be', per quanto pazzo furioso lui possa essere… mi dispiace sentire una cosa del genere, dottore".
Gli sorrisi di rimando anche se in modo incerto. Lestrade, pensai, era un alleato di Holmes e un mio alleato. Aveva fatto un ottimo lavoro di dissimulazione, nascondendo la cosa dietro a modi pomposamente fastidiosi, ma la sua lealtà non faceva che diventare sempre più plateale. Decisi di essere plateale allo stesso suo modo.
"Mi ha cacciato fuori da casa sua in un impeto di auto disprezzo. Gli ho chiesto ancora di Moran, ma ha insistito che la cosa non avrebbe potuto in ogni caso addolcire il mio giudizio su di lui. Eppure lei non vede Holmes allo stesso modo in cui lo vedo io. Che cos'è che devo sapere?".
Lestrade tambureggiò le punte delle dita le une contro le altre, sembrando in tutto e per tutto Sherlock Holmes quando deve scegliere il minore fra due mali. Alla fine disse "Lo faccio con la sua assicurazione che il signor Holmes non ci farà fare la fine di due stivali vecchi e consunti quando lo verrà a sapere?"
"Prometto che non lo permetterò. Ci penserò io"
"Ne è sicuro?"
"Ne sono certo, glielo giuro".
Lestrade sospirò e spostò le matite sulla scrivania posizionandole, questa volta, parallele al lato corto di essa. "Sono a conoscenza di alcuni fatti, dottore, ma questi fatti conducono al mondo delle teorie. Non sono particolarmente affezionato alle teorie infondate, ma le dirò i fatti così che lei possa dirmi se arriva alle stesse mie conclusioni".
Accettai la sua proposta e lo pregai di continuare.
"Il Colonnello Moran era furioso quando lo abbiamo arrestato. Insistette, parole sue, sul fatto che era furioso soprattutto per essere stato acciuffato, perdoni la volgarità dei termini dottore, da due sodomiti senza Dio".
La mia bocca si spalancò di puro terrore a questa affermazione, ma Lestrade alzò una mano velocemente.
"Ricevere diffamazioni da parte di chi si ha appena arrestato è un fenomeno largamente documentato. Non significava niente e non abbiamo fatto rapporto sulle sue rivoltanti accuse. Lei, dottore, dopo tutto è un vedovo ancora in lutto. Ma la cosa mi fece pensare" disse, abbassando i suoi scaltri occhi castani sulla scrivania. "Mi ha fatto pensare a dove il Colonnello Moran potesse aver sentito tali sordidi pettegolezzi. Mi ha fatto pensare a quale altra cosa intendesse fare il Professor Moriarty, dopo che era sfuggito al miglior piano che avessimo mai architettato, per vendicassi oltre che uccidere il signor Holmes. Mi ha fatto pensare al perché il signor Holmes avrebbe dovuto far finta di essere morto per tutto quel tempo quando Moran sapeva perfettamente che fosse vivo. E tutto ciò mi ha fatto notare, dottor Watson, che Moran ha abbassato la guardia, abbastanza per essere catturato, solo dopo che lei aveva scritto della morte del signor Holmes".
A quel punto ero già due passi avanti al caro piccolo ispettore, e la vecchia sensazione di costrizione si chiuse con violenza sul mio petto mentre realizzavo quello che avevo frainteso per una mia stupida macchinazione egoistica.
"Se era morto per lei, sarebbe stato ovviamente morto per tutta l'Inghilterra, non parliamo di Londra" continuò Lestrade "e questo è chiaro. Lei è una persona onesta, se posso dirlo, dottore. E nessuno si sarebbe aspettato lei potesse scrivere una cosa del genere a meno che non l'avesse ritenuta vera. Mi ha ingannato, e per questo le faccio i miei complimenti. Ma supponiamo che Sherlock Holmes non sapesse niente del suo talento di romanziere" aggiunse. Aveva preso in mano una matita e stava battendo dolcemente la fine di essa contro il piano della scrivania. "Si renderà certamente conto che si tratta di pura teoria, e le teorie sono utili all'uomo metodico quanto un pugno di avanzi, ma adesso non ci faccia caso. Sapendo che il signor Holmes aveva ammesso di aver parlato con il Professore prima del loro scontro, supponiamo che il Professore avesse accennato a certe abitudini sue e del signor Holmes, dottore… le scommesse, diciamo" si affrettò ad aggiungere quando arrossii. "E diciamo anche che il compito di Moran fosse quello di rivelare queste abitudini quando il signor Holmes fosse tornato a Londra. E se Sherlock Holmes, per tenere segreto il suo amore per le scommesse… o meglio ancora, il suo amore per le scommesse, dottore, avesse deciso nello spazio di un secondo di non fare ritorno?"
Lestrade si fermò sembrando confuso. Non sapevo assolutamente che aspetto dovesse avere la mia faccia in quel momento, ma ricordo che le mie guance bruciavano e che non mi importava. "Vada avanti" sussurrai "la prego, continui con la sua… teoria".
"Bene" balbettò "se non poteva tornare in quel frangente, doveva voler tornare… prima o poi. Ma forse doveva essere cauto, perché se questo pettegolezzo sulle scommesse fosse stato reso pubblico la avrebbe rovinata, dottor Watson, così come avrebbe rovinato lui stesso. È interessante che Moran abbia abbassato la guardia commettendo un omicidio proprio dopo che lei pubblicò il resoconto della morte del signor Holmes. È come se, dopo che il fatto era stato riconosciuto da lei, Moran avesse pensato che il signor Holmes avesse lasciato l'Inghilterra per sempre. Ecco quando sparò a Ronald Adair. E le assicuro" aggiunse comprensivo "che il signor Holmes ha aggiustato le cose. Moran sarà impiccato, non ci piove. E nessuno di noi è incline a tenere in considerazione gli insulti pronunciati da una feccia del genere. Dottor Watson, sta bene?" terminò preoccupato.
"Sto bene" dissi. Per un momento amai tutto dell'Ispettore Lestrade, dai suoi stivali lucidi alle sue sopracciglia sospettose. "Sono stato terribilmente sleale, ed eccezionalmente cieco, ecco tutto. Lestrade, non so come potrò mai ringraziarla per essersi avventurato nel mondo delle teorie".
"Non ha bisogno di ringraziarmi" disse velocemente Lestrade "e non ha nemmeno bisogno di dirlo al signor Holmes. O a Gregson. Per l'amor di Dio, non lo dica a Gregson" aggiunse alzando gli occhi al soffitto.
"Non lo farò" promisi, alzandomi e stringendogli la mano solennemente "ha la mia parola. Ma temo che Holmes lo scoprirà comunque da solo".
"Ah sì?" rispose Lestrade con apprensione. "Ma certo che lo farà. In ogni caso io… oh, al diavolo tutto! Lui mi ha tormentato con le sue teorie abbastanza a lungo. Potrà sopportare un po' delle mie. È un uomo giusto e saprà ammettere che si tratta solo di questo. Buongiorno a lei, allora, dottore. E buona fortuna" poi Lestrade si girò e rimise le sue matite nella loro formazione originale.

-«oOo»-

In piedi fuori dal quartier generale di Scotland Yard, considerai momentaneamente di fermare una carrozza e andare dritto dritto a Baker Street. Poi mi convinsi a restare calmo e a pensarci sopra, sapevo che quella non fosse la strada migliore visto che avevo già avuto a che fare con Sherlock Holmes nel bel mezzo dei suoi malumori anni addietro. Con il mio obiettivo davanti a me e prudenza nei miei piani, mi diressi verso il più vicino ufficio telegrafico prima di tornare a casa.
"Signora Garrison" dissi, mentre la numerosissima squadra di operai finiva di installare elaborati corrimano in ferro cesellato sui miei scalini d'ingresso "sia lei che Sally potete prendervi il resto della giornata libero".
"Oh, dottor Watson" esclamò portandosi una possente mano al petto "è generoso, ma…"
"Non posso tollerare ulteriori ritardi, signora Garrison, perché ho un cliente che desidera mantenere la sua privacy nel dover trattare la sua mostruosamente compromettente situazione con me".
La signora Garrison, anche se sciocca, era di natura comprensiva. E tale era la ragione per cui la tolleravo. "Ma certo, dottore" disse fermamente "Subito. Povera anima. Devo prima sbarazzarmi di questi operai e dir loro di ritornare qui domani mattina presto?"
"Le sarei tremendamente grato se facesse esattamente questo" le risposi.
L'ammirevole matrona annuì come se le fosse stato ordinato di comandare un battaglione. "Perfetto, dottore. Mi assicurerò che non ci sia più nessuno qui ad interromperla entro dieci minuti"
"Grazie, mia cara" risposi. Mi affrettai verso il mio ufficio e chiusi la porta.
Il suono degli operai al lavoro scomparve abbastanza in fretta. E subito dopo vennero le rigide istruzioni che intimavano alla cameriera di comportarsi bene, di non parlare con uomini senza un'accompagnatrice e di non tornare più tardi delle nove di sera. Un momento dopo sentii la signora Garrison sbattere violentemente la porta principale dietro di sé e potei uscire dal mio ufficio per cominciare a camminare avanti e indietro nel mio ingresso recentemente dipinto di fresco. Non dovetti aspettare a lungo. Nel giro di un'altra mezz'ora Sherlock Holmes apparve sulla soglia della mia porta senza bussare e si fermò con quella che sembrava reale confusione sul mio nuovo tappeto, che evidentemente aveva scelto con gran cura lui stesso.
"Mi hai inviato un telegramma" disse.
"Sì" riconobbi.
Ricostruì la sua solita compostezza, o almeno finse di farlo. "Questo piccolo pezzo di carta gialla dice, se i miei occhi non mi ingannano, Ho bisogno di te con urgenza; non c'è tempo da perdere; vieni subito in ambulatorio. La questione sembra importante se non addirittura pericolosa, non ti pare?"
"Mi pare, eccome" assentii, attento a non tradire il mio reale stato d'animo. Non ci riuscii quasi per niente, perché non ero, e mai sarò, Sherlock Holmes.
"Watson" disse senza fiato "se non ti spieghi immediatamente trarrò le mie conclusioni da solo e temo seriamente non saranno piacevoli".
"Trai pure" dissi allegramente. Mi sentivo un uomo nuovo, e molto più me stesso di quanto non mi fossi sentito in tre anni.
"Dovrai essere un pelo più specifico" disse con un'urgenza toccante.
"Puoi trarre tutte le conclusioni che vuoi" gli assicurai "so tutto e Lestrade ha perfettamente ragione. Ha sempre avuto ragione riguardo a te e io non sono mai stato capace di accorgermene. Sei un pazzo". A quel punto ero così emozionato da lasciare che una lacrima occasionale mi tradisse, ma il sorriso sulla mia faccia era così largo che mi liberai di lei in un secondo. "Sei un pazzo per aver fatto un sacrificio tanto assurdo, e tre volte pazzo per aver pensato che non mi sarebbe impor…"
Temo di non essere andato oltre, perché due braccia magre e vigorose mi stavano già circondando e una testa dai capelli corvini era appoggiata alla mia spalla, mandando piccole scosse di dolore alla mia antica ferita. Dopo un lungo momento alzò la testa e baciò la mia cicatrice attraverso la stoffa del gilet.
"Non credevo avrei potuto farlo ancora" mi lasciò e si allontanò di tre passi, quanto bastava per avere una visuale più vantaggiosa della mia figura. "Non merito le tue scuse. A quest'ora sarai già al corrente di tutto ma, davvero, lo ribadisco…"
"Nessuno di noi due merita le nostre rispettive scuse" risposi il più gentilmente possibile "io avrei dovuto fidarmi della tua definizione della parola 'unico', e tu avresti dovuto tenere in maggior considerazione la mia abilità di scrittura".
Rise alla mia affermazione, una risata che non avevo più sentito dal 1891, e mi prese di nuovo fra le sue braccia. "Era folle come piano, lo ammetto. Non sono riuscito a pensare ad altri modi. Avrei dovuto esserne capace, ma il mio intelletto mi ha del tutto abbandonato".
"No" lo corressi "non hai saputo pensare ad altri modi diversi da questo che potessero far comunque ricadere tutte le responsabilità sulle tue spalle. Il dolore sulle mie, il pericolo sulle tue. Ma sappi" finii prendendo il suo viso fra le mani "che preferisco di gran lunga un misto di dolore e pericolo piuttosto che l'una o l'altra cosa quando isolate".
"Capito" disse dolcemente "d'ora in poi sarai tu a decidere in merito a tali questioni, io me ne lavo le mani"
"Ah sì?" chiesi, perché mi stavo accorgendo che lui, lentamente, stava cominciando a sbottonarmi la camicia "questo significa che vuoi che lavoriamo di nuovo insieme?"
"Se me lo permetterai" rispose, forzando i suoi occhi a guardare nei miei invece che lasciarli liberi di indugiare sul mio collo esposto.
"Te lo permetterò di certo, ma mi chiedo dove dovrei vivere a questo punto. Il mio ambulatorio è recentemente diventato molto più abitabile grazie ad un benefattore anonimo".
"Oh poveri noi" disse comprensivo, gettando sul pavimento la mia cravatta "sicuramente ti dispiacerà lasciarlo proprio ora, ma sono sicuro che riceveresti una cifra molto maggiore adesso, dopo tutto".
"Holmes!" esclamai indignato "avevi previsto tutto sin dall'inizio?".
"No, no" protestò, staccandosi di nuovo da me come se un'esposizione prolungata al suo tocco potesse in qualche modo farmi del male. "Niente del genere. Ti ho visto preoccupato per lo stato del tuo ambulatorio e mi ha semplicemente fatto piacere alleviare la tua ansia. Comunque" aggiunse malizioso "adesso potrai chiedere una bella somma per questo posto".
Non mi era mai apparso così intelligente, così spaventato e così coraggioso allo stesso tempo, e quando mi si avvicinò di nuovo lo spinsi via solo per poterlo guardare, come usavo guardarlo una volta.
"Holmes" dissi esitante "non ho mai smesso di…"
"No" disse all'improvviso. Posizionò due dita sulle mie labbra e scosse la testa "So che non l'hai fatto. Non serve che tu me lo dica. Ti prego, non dirlo".
Rise di nuovo, ma i suoi occhi grigi erano infinitamente seri.
"È ovvio tu non abbia mai smesso. Perché credi che ti abbia spedito tutti quei telegrammi?".

-«oOo»-

È ora a tutti noto che ritornai a vivere con Sherlock Holmes. Che fu lui a trovare un acquirente per il mio, ora stravagantemente ammobiliato, ambulatorio e che pagò di tasca sua il prezzo di vendita, un fatto di cui sono venuto a conoscenza solo nel 1901. Questo segreto recentemente rivelato, ammetterò, portò a un breve ma inteso litigio fra di noi. Rimasi arrabbiato per un periodo di circa cinque minuti concludendo poi, per la centesima volta, che non avrei dovuto schierarmi contro Holmes quando si metteva in testa qualcosa. Ci sono segreti e segreti, dopo tutto.
Lestrade, da parte sua, si sbagliava a proposito di John Hector McFarlane, come io e Holmes riuscimmo a provare senza ombra di dubbio il pomeriggio che seguì il mio telegramma. Tuttavia questo non fece la minima differenza. L'Ispettore aveva avuto ragione su qualcosa per me molto più importante e, aggiungerei senza timore di avere torto che sia io che Holmes dovemmo a lui il resto della nostra collaborazione. Non che non ci siano più state incomprensioni fra di noi, ma ci sono alcuni doni, come alcuni crimini, che contano più della morte o della vita stessa. Quello dell'Ispettore fu uno di questi. Il fatto che io avessi perdonato Sherlock Holmes, posso affermarlo con orgoglio, fu un altro. E il perdono che accordò lui a me fu l'ultimo, infinitamente benevolo, terzo dono.

«fine»

 

NOTE:
[1] L'avventura del carbonchio azzurro
[2] L'avventura della banda maculata
[3] Il nobile scapolo

 


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