Essence.

di flots
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Taking chances. ***
Capitolo 2: *** Revival. ***
Capitolo 3: *** Scars. ***
Capitolo 4: *** Tomorrow. ***



Capitolo 1
*** Taking chances. ***


Prologo.
 

Quando ero piccola mia madre mi ripeteva sempre che la sua essenza, la ragione per cui andava avanti, eravamo io e mio fratello.
Non ne capivo il motivo: come si fa a vivere in funzione di un'altra persona?
Ora, a diciotto anni, posso darmi una risposta.
E' semplice, normale ed incontrollabile.
Capisci che vivi per qualcuno quando la mattina ti alzi dal letto e pensi a lui, quando fai colazione, ti lavi, parli, dormi, mangi, bevi, corri, sorridi, respiri solo grazie al pensiero di quel qualcuno.
Vivi per una persona quando questa è l'unica forza, l'unica gioia, l'unica emozione tua personale.
Non si può spiegare a parole l'essenza di un uomo.
Ma, sì, la mia essenza ha un nome: Savannah.
La mia essenza è una bambina di undici mesi, con capelli rossi boccolosi, le gote rosee e gli occhi verdi.
La mia essenza è una bambina che con il semplice fatto di essere nata mi ha regalato la gioia più grande e bella del mondo.
La mia essenza è una bambina che mi manda avanti tutti i giorni, una bambina che mi ha donato la forza di vivere.
La mia essenza è mia figlia.

 

Capitolo primo.
Taking chances.

« Posso farti una domanda seria? Da amica ad amica, intendo » mormorò Abbie porgendo una tazzina di thè alla sua migliore amica, per poi gettarsi bruscamente sul divano.
« Sentiamo » acconsentì Erin legando i folti capelli rossi in una coda di cavallo, poi prese un sorso di thè dalla tazzina. « Oh, Abbie, lasciami dire che sei proprio negata a fare il thè » disse assumendo un'espressione disgustata.
« Hai intenzione di diventare una vecchia acida senza marito o vuoi trovarti un fidanzato bello, ricco, con natiche sode e darti alla bella vita con lui? » domandò Abbie ignorando il commento appena fatto dall'amica.
« Hai mai pensato al fatto che sono già una vecchia acida nonostante abbia solo diciotto anni? »
« Andiamo, Er, divertiti un po'! Sei bella, giovane, simpatica, dolcissima ed hai anche una migliore amica fantastica: perché non puoi avere un ragazzo nella tua vita? »
« Perché in ogni discorso alludi sempre a te stessa? » rise Erin.
« Rispondimi! » disse l'amica trattenendo una risata.
« Non voglio avere un ragazzo nella mia vita perché... ummh... non mi sento ancora pronta » concluse annuendo.
« Non ti senti pronta? Non ci devi mica andare a letto! »
« No, ma ho una figlia, ora. Ed in un certo senso mi sembra che uscendo con qualcuno la possa tradire »
« Non ti seguo » bofonchiò Abbie.
« Ci avrei giurato! » rise la rossa. « Lascia stare, un giorno capirai »
« Comunque sia, ti ricordi Sam? Il migliore amico di mio fratello? »
« Come dimenticarlo?! L'ultima volta che l'ho visto era talmente sbronzo che si credeva una zebra!  » Erin sorrise con i suoi denti bianchi e luminosi. Era davvero perfetta. Se pur bassina per i suoi  diciotto anni, aveva lunghe gambe sode ed un fisico snello e scolpito alla perfezione. Era prosperosa, ma non ci teneva molto a far vedere il suo balconcino. Erin aveva i capelli corti fino alle spalle, di un rosso fuoco naturale. Qualche boccolo le incorniciava il viso e gli occhi verdi risaltavano come fari accessi sulla pelle candida della ragazza. Aveva un naso alla francesina perfetto e due labbra carnose e rosee come quelle delle bambole.
Anche Abbie era stupenda. Era alta e slanciata, con lunghi capelli biondi e due occhi di un dolce verde acqua. Un naso all'insù perfetto ed un taglio della bocca splendido. Erano entrambe bellissime, erano perfette.
Abbie rise di gusto poi disse:
« Sì, me lo ricordo anche io. Ma non è questo il punto, sabato darà una festa a casa sua, nell'attico. Siamo invitate anche noi e non voglio sentire scuse: devi venire per forza anche tu »
« Ma io... »
« Niente ma! Te lo chiedo per favore, Er. Fallo per me! » la interruppe l'amica.
« Okay, va bene. Mi arrendo, vengo »
« Ahh, ti voglio bene! » gridò Abbie prima di stringere l'amica in un forte abbraccio.

I giorni che precedettero la festa furono carichi di ansia. Erin si maledisse almeno dodici volte in ogni ora per avere accettato di andarci. Non che volesse diventare un'emarginata, ma non voleva proprio partecipare ad una festa di Sam. Perché? Perché le feste di Sam erano tutte uguali: c'era alcool, c'era fumo, c'erano ragazzi sbronzi presi dal consumarsi a vicenda, c'erano ragazzi appiccicosi che non smettevano di fare la corte alle povere ragazze che non erano in cerca di sesso. Le feste di Sam erano tutte fatte con lo stampino ed Erin odiava il fatto che doveva prenderne parte ancora una volta.
Quel maledetto sabato, però, arrivò più in fretta del solito.
Il pomeriggio Erin salutò di malavoglia la sua piccolina, lasciandola tra le braccia della madre, poi si diresse verso casa della sua migliore amica e lì si prepararono per la festa: Abbie indossò un vestitino azzurro chiaro molto corto, un paio di tacchi a spillo e legò i capelli in una alta coda di cavallo, mentre Erin indossò un vestito bianco lungo fino alle ginocchia, un paio di scarpe col tacco e lasciò i capelli sciolti sulle spalle.
Quando anche il trucco fu sistemato, uscirono di casa e si avviarono in macchina verso quella maledetta festa.
« Vado a parcheggiare, ci vediamo sù » disse la rossa, facendo cenno all'amica di scendere dalla macchina, una volta arrivate a destinazione.
« Va bene, tesoro, ci vediamo di sopra » rispose l'altra e scese dal veicolo.
Quando rimase da sola, Erin chiamò a casa e si accertò che le cose stessero andando bene, poi chiuse l'auto ed entrò nella grande palazzina. Salì in ascensore con un ragazzo dai capelli corti e sbarazzini, colorati di un dolce castano chiaro e dai profondi occhi color nocciola. Sembrava nervoso ed interruppe il silenzio guardandosi i piedi.
« A che piano vai? » chiese.
« All'attico »
« Festa di Sam? »
« Già »
« Anche io »
Erin accennò un sorriso mentre il ragazzo cercò di dire qualcosa, ma fu interrotto da un suono sordo. L'ascensore oscillò e si bloccò di colpo.
« Oh merda » borbottò la rossa premendo istericamente sul pulsante di allarme.
Il ragazzo che era con lei mormorò qualcosa di indecifrabile, poi svenne cadendo di peso sul pavimento freddo.
Fantastico, adesso si trovava bloccata in ascensore con un ragazzo stvenuto per terra in un sabato sera che avrebbe potuto passare in famiglia divertendosi come sempre.
E pensare che Erin nemmeno ci voleva andare a quella maledetta festa.



 

Charlotte's corner.
Premetto che scrivere questo capitolo è stato come partorire (?),
spero davvero di cuore che vi piaccia e vi ringrazio giò da ora per il semplice
fatto di essere entrati in questa pagina.
Fatemi sapere le vostre opinioni (positive o negative che siano), ma vi prego
di non lasciarmi recensioni del tipo: "continuaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!"
perché davvero non le sopporto, ahahah.
Grazie ancora.
Un abbraccio,
Charlotte.

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Capitolo 2
*** Revival. ***


Capitolo secondo.
Revival.

Passò un minuto di totale agonia. Il ragazzo steso sul pavimento non accennava a riprendersi ed Erin, dopo avergli tirato sù le gambe in modo da favorire la circolazione del sangue, cominciò a preoccuparsi sul serio. Le tremavano le mani e le veniva da piangere, voleva tornare a casa ed iniziò ad odiarsi per il fatto che si stava comportando come una bambina capricciosa e non come una diciottenne. Provò a premere ancora sul pulsante di allarme ma non ebbe nessun cenno di vita da nessuno. Poi il ragazzo si mosse, tossì forte ed aprì gli occhi. Erin gli stese delicatamente le gambe sul pavimento e lo guardò mettersi seduto.
« Stai bene? » gli domandò.
« Va meglio, grazie » rispose l'altro frastornato. « Io.. Io sono claustrofobico, ti prego fammi uscire di qui » balbettò spaventato.
« Andrà tutto bene » disse Erin, cercando di convincere più lei che il ragazzo. Il tono apprensivo della rossa le ricordò che aveva una bambina a casa che la stava aspettando e dentro di sé montarono rabbia e paura.
« Che idiota sono! Per quale razza di motivo sono salito su questo maledettissimo ascensore?! Che diamine! »
« Okay, stai calmo. Non voglio che svieni di nuovo, per favore » fece la giovane muovendo freneticamente le mani. Poi provò a dire qualcos'altro ma l'ascensore oscillò ancora e la corrente saltò, lasciando i due ragazzi al buio più totale.
« Merda » blaterò il ragazzo.
« Ed io che nemmeno ci volevo venire a questa festa del cavolo! La prossima volta che Abbie si fa venire queste maledettissime idee le infilo la testa nel vaso da notte di Savannah » borbotò Er tra sé.
« Mi manca l'aria »
« Oh, Dio. No, no, ti prego. Respira profondamente, dai. Cosa posso fare per aiutarti? Oh, Dio » Erin entrò letteralmente nel panico: la testa le girava vorticosamente ed aveva un dolore fortissimo allo stomaco. Si accucciò vicino al ragazzo che respirava a fatica e si maledisse (ormai era diventato il suo hobby) per non aver preso parte del corso di primo soccorso che aveva organizzato la sua scuola qualche mese prima.
« Dimmi qualcosa » le suggerì l'altro balbettando.
« Allora... Ci vieni spesso qui? » si sentì dire la rossa.
Il ragazzo accennò un sorriso e scosse la testa. « E tu? » le domandò poi.
« E' la seconda volta che vengo ad una festa di Sam, ma non credo tornerò presto. La mia migliore amica ha deciso di rovinarmi la vita, commuovente, vero? » rise istericamente la ragazza.
« Come ti chiami? »
« Erin, ma non mi è mai piaciuto come nome. Tu? »
« Justin e nemmeno a me piace il mio nome »
« Va un po' meglio? »
« Sì, grazie »
Nonstante la situazione fosse davvero critica, i due riuscirono a rilassarsi un poco e continuarono a parlare per una mezz'oretta buona. Tra uno scossone dell'ascensore e Justin che minacciava di svenire di nuovo, finalmente, arrivarono i soccorsi. I ragazzi uscirono di corsa da quella che era stata la loro prigione per quaranta minuti e, mentre Erin sfogava la sua frustazione repressa contro un pompiere poco disponibile, Justin si accucciò a terra dando di stomaco.
« Lo vedete?! Questo ragazzo stava collassando rinchiuso lì dentro! » continuava a borbottare la rossa indicando il ragazzo.
« Okay, si calmi, signorina. Adesso lo portiamo in ospedale, si calmi, per favore » cercò di dire un pompiere.
« No, no. Sto bene, tranquilli » assicurò Justin. « Voglio solo andare a casa »
« Lei sta bene, signorina? » domandò un'altra autorità.
« Sì, sto bene » mormorò noncurante. Così, una volta che si fuorno accertati che tutti stavano bene, i pompieri li congedarono.
« Hai la macchina? » domandò Erin al giovane mentre salivano le scale.
« No, sono venuto qui con un amico, ma sono certo che lui non voglia portarmi a casa così presto »
« Ti porto a casa io, non preoccuparti »
Justin divenne rosso in viso e mormorò un imbarazzato 'grazie'.
« Prima però devo avvertire la mia amica che me ne vado » continuò la ragazza accennando con il mento alla porta dell'attico. I due entrarono e si ritrovarono in mezzo a fumo, odore di alcool e musica spacca timpani. « Abbie deve essere qui da qualche... Eccola lì » continuò la rossa avvicinandosi all'amica con il ragazzo alle calcagna.
« Abbie! »
« Oh, Erin, non posso credere che sei qui da dieci secondi e già hai rimorchiato! » disse la biondina facendo un cenno verso Justin.
« Sei sbronza? » domandò l'amica.
« Ho bevuto solo una birra, cara. Quando mai mi sono ubriacata, io? »
« Hai ragione, scusa. Abbie, io vado a casa. Ti racconto domani, sono rimasta chiusa quaranta minuti in quel maledetto ascensore e voglio solo andare a dormire, adesso »
« Va bene, vai pure. Io mi faccio portare a casa da Sam, tranquilla » rispose Abbie sinceramente preoccupata per le condizioni dell'amica, che abbracciò forte prima di vederla sparire tra la folla.

« Eccoci arrivati » sorrise Erin dopo aver fermato la macchina davanti ad una casina con un grande giardino attorno.
« Grazie mille, intendo... Per tutto. Ti ho fatto passare una serataccia » rise Justin.
« Ma no, figurati, non è stata mica colpa tua »
« Facciamo così, domani ti offro un caffè per farmi perdonare, che ne dici? »
« Va bene » si sentì dire Erin e, forse per la prima volta in quel maledetto sabato sera, si rese conto del ragazzo che l'aveva accompagnata in quell'avventurosa serata: era veramente bello. Rimase colpita da tutto di lui, ora che lo guardava per la prima volta. Persino le sue mani apparivano splendide. La rossa si sentì un po' a disagio scoprendosi interessata a Justin. Si sentiva a disagio perché, da quando era nata Savannah, aveva completamente allontanato i ragazzi e con loro l'amore. Si era costruita un solido muro attorno a sé che non permetteva alle persone di interagire con lei e così aveva finito per isolarsi. E capì quanto stupida fosse stata a rinchiudersi in se stessa solo in quel momento, mentre
guardava il ragazzo dagli occhi color nocciola e si sentiva bene.
« Questo è il mio numero » disse quest'ultimo porgendo un foglietto alla rossa. « Buonanotte e grazie ancora » continuò facendo un grande sorrisone, per poi scendere dall'auto.
« Buonanotte » salutò Erin.

Charlotte's corner.
Eccomi qui, spero veramente che questo capitolo vi piaccia.
Ho bisogno di vostre opinioni perché è stata davvero
un'impresa fare uscire qualcosa di buono - ma questo è ancora da decidere -
da questo capitolo, ahahah.
Ero ad un punto morto e non sapevo come continuare D:
Ma vabbe', tornando a noi: volevo ringraziarvi ancora per
i complimenti che mi avete fatto per il precedente capitolo,
mi avete reso davvero felice *O*
Aspetto le vostre recensioni!
Baci,
Charlie.

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Capitolo 3
*** Scars. ***


Capitolo terzo.
Scars.

Quella mattina Erin si era svegliata con un luminoso sorriso stampato sul volto. Aveva indossato una felpa di suo fratello ed un paio di pantaloncini corti, aveva infilato i piedi nelle calde pantofole invernali e, dopo aver controllato sua figlia che dormiva beatamente nel suo lettino, scese al piano inferiore a fare colazione.
« 'Giorno. » salutò sorridente suo fratello.
« Buongiorno Nate, dormito bene? »
« Escludendo le due orette in cui Savannah ha fatto festa, sì, grazie. Tu? » i due fratelli risero di gusto. 
Erano l'uno parte essenziale dell'altra. Erano sempre stati insieme, mai un litigio era riuscito ad allontanarli. Avevano sempre superato insieme ogni avversità, ogni battaglia l'avevano combattuta insieme, con la loro mamma, unificando sempre di più quella loro piccola famiglia.
« Anche io. » disse Erin, poi continuò. « E non lamentarti, Nate, oggi Savannah ha dormito anche più del solito. Dovresti esserne felice. » concluse sorridendo. 
« Nessuno si stava lamentando, infatti! Anzi, credo che aprirò lo spumante, così brindiamo a questa notte speciale in cui abbiamo dormito più del solito! » le quattro mura della piccola cucina in cui i due si trovavano furono di nuovo riempite dal suono delle loro risate. 
« Dov'è la mamma? » chiese la rossa versando un po' di latte in due tazze e porgendone una al fratello.
« Dorme ancora. »
« Un po' di meritato riposo. » fece la ragazza dando un'occhiata all'orologio. Questo segnava le dieci e mezza. Erin prese il cellulare e scrutò lo schermo che l'avvertiva della presenza di un nuovo messaggio. Lo lesse curiosa e sorprese il suo cuore correre nel suo petto quando scoprì che il mittente del messaggio era Justin (la sera precedente aveva mandato un SMS al ragazzo, permettendogli così di salvarsi il suo numero).
'BUONGIORNO, CI VEDIAMO ALLE UNDICI DA STARBUCKS? (:'
La giovane digitò un veloce: 'BUONGIORNO, PERFETTO. A TRA POCO (:' e, congedando il fratello, salì al piano superiore per prepararsi. Dopo una doccia veloce si precipitò nella sua camera ed aprì l'armadio. Non ebbe problemi nel scegliere gli abiti da indossare: afferrò una felpa bianca e un paio di jeans. Poi, dopo essersi adagiata negli indumenti, infilò un paio di scarpe da tennis di colore bianco. Tornò in bagno, dove tracciò delicatamente il contorno degli occhi con la matita e pettinò i capelli, tentando disperatamente di domare quella chioma. Gettò una nuova occhiata nervosa all'orologio, che segnava le undici meno venti.
Stai calma, Erin. Non sei affatto in ritardo. E poi perché sei così nervosa!? Non è nemmeno un appuntamento! - pensò la ragazza.
Quando fu soddisfatta – non del tutto, ma si accontentò – del risultato che aveva ottenuto, Erin controllò la sua piccolina, le stampò un tenero bacio sulla fronte e tornò al piano inferiore.
« Nate, io vado a fare colazione con un amico. Ti dispiace tenere d'occhio Savannah per un'oretta? » domandò al fratello.
« No, ma ti pare! » sorrise quest'ultimo, poi continuò. « 'Un amico', hai detto? Erin stai frequentando qualcuno e non me lo hai detto?! »
« Sembri la mamma. » rise Erin. « No, Nate, non sto frequentando nessuno. E' un amico, posso averne uno? »
« Certamente, ma ricordati che ti tengo d'occhio! »
« Va bene, mamma » i due risero ancora, poi, dopo aver salutato il fratello e avergli fatto qualche stupida raccomandazione, la rossa uscì di casa, dirigendosi velocemente verso la caffetteria. Arrivò con quattro minuti di anticipo e trovò Justin seduto ad un tavolino al lato destro del negozio. Erin gli si avvicinò imprecando mentalmente contro il suo cuore che stava impazzendo.
« Sono in ritardo? » si sentì domandare, nonostante sapesse che non era così.
« Ehi, buongiorno! » esclamò il ragazzo sorridendo e si alzò dal tavolo, in un gesto galante che Erin apprezzò molto. « Non sei affatto in ritardo, anzi. » continuò a sorridere e la rossa credette di annegare nello sguardo dolce del suo 'amico'. I due si sedettero ed ordinarono, poi iniziarono a chiacchierare trovandosi a proprio agio l'uno con l'altro.
« Hai qualche hobby? » domandò Justin.
« Mi piace suonare il pianoforte. E' una passione che coltivo da quando ero piccola. Tu, invece? »
« Amo cantare. Mi piace davvero tantissimo. E strimpello anche un po' la chitarra, ma niente di che. »
« Stai scherzando?! Non è affatto 'niente di che'! Dovresti coltivare una passione come la tua, la musica è la cosa più bella a questo mondo. »
« La cosa più bella a questo mondo, già. Mi ha sempre aiutato tantissimo, è la mia amica più grande ed è anche la mia unica certezza .» Justin parlava dolcemente, guardando la ragazza dritta negli occhi.
« Hai delle cicatrici che fanno ancora male. » disse Erin rendendosi conto che non aveva fatto una domanda ma un'affermazione.
« Come fai a saperlo? »
« L'ho letto nei tuoi occhi. » rispose la rossa, torturandosi un filo fuori posto della sua maglietta. Il suo accompagnatore accennò un sorriso fantasticante biascicando un debole « Come...? »
« Sai, Justin, recentemente ho imparato che puoi riuscire a leggere l'anima delle persone semplicemente interpretando il loro sguardo. Gli occhi non mentono. Mai. Ho imparato che per capire le persone basta guardarli dritti negli occhi, loro ti diranno molte più cose di quanto riescano a fare le persone stesse. » anche la ragazza sorrise.
« Ti va di andare a fare una passeggiata? »
« Sì, certo. »
I due raggiunsero un parco piccolino, non molto lontano dalla caffetteria, circondato da alberi che lo ricoprivano di una debole ombra. Non c'era molta gente: una bambina stava saltando alla corda, mentre due bambini rincorrevano un uomo su i trent'anni che rideva guardando una giovane donna sorridente seduta su una panchina. C'erano anche due anziane signore impegnate in un'animata conversazione.
« Cinque anni fa i miei genitori si sono separati » iniziò a raccontare Justin. « Mia madre ha beccato mio padre con una sua collega e l'ha subito cacciato di casa. Purtroppo però il divorzio mandò in banca rotta mia madre, costringendola a fare sacrifici come lavorare tutto il giorno a salario minimo. Nemmeno lavorando giorno e notte, però, sarebbe riuscita a mandarci avanti. Poco dopo decise di vendere casa e tutti i nostri effetti personali, esclusa la mia chitarra e qualche vestito di entrambi. Ci trasferimmo dai miei nonni, che ci aiutarono tanto in tutto quello che potevano. Venivano a prendermi a scuola, mangiavo con loro, mi aiutavano quando ne avevo bisogno, mi stavano accanto quando mi sentivo solo. Un giorno, a scuola, il mio migliore amico disse a tutti che mio padre era andato via di casa e che io e mia madre eravamo stati costretti a vendere tutto per sopravvivere: da quel giorno diventai il bersaglio di tutti. Mi prendevano in giro, insultavano la mia famiglia e mi picchiavano. Mi gettavano la spazzatura addosso e mi rinchiudevano nei bagni, mi tiravano l'acqua e mi strappavano libri e quaderni. Come se il non avere soldi implichi che non si è più una persona... »
« Che schifo. » fu il commento della rossa che fino a quel momento era rimasta in silenzio ad ascoltare.
« Un giorno picchiai quello che era il mio ex migliore amico e finii in detenzione, non dimenticherò mai lo sguardo deluso di mia madre quando le diedi la notizia. Fu il giorno più brutto della mia vita: dopo tutti i sacrifici che faceva per me, io l'avevo delusa. Volevo sparire. Ma le cose andarono meglio con il tempo e, be', con la musica. Riacquistai la voglia di vivere e con lei anche le mie forze. Ed ora sono qui. »
« L'importante è che ora tu e tua madre stiate bene. Le cicatrici si rimarginano, prima o poi. E' normale soffrire, alla fine cadiamo tutti, fa parte della vita, no? L'importante è trovare sempre la forza di andare avanti, di combattere per quello che si vuole e mai vergognarsi del proprio passato. Cammina sempre a testa alta, Justin. Non vergognarti di ciò che sei. »
« Grazie. » mormorò il ragazzo a testa bassa, probabilmente trattenendo qualche lacrima.
« Quando vuoi. »
« E le tue? »
« Cosa? »
« Le tue cicatrici. »



Charlotte's corner.
Buuuon saaaalve!
Come state? Spero bene *u*
Prima di tutto, vi chiedo scusa se ho aggiornato dopo 80 anni,
ma prendetevela con la mia opprimentissima scuola çç.
Passiamo alle cose più importanti: questo qui è un capitolo
molto importante perché Justin si confida con Erin, raccontandole tutta 
la sua storia che, come avrete notato, è perlopiù frutto della mia immaginazione. 
Ed è un capitolo importante anche perché si inizia a capire il carattere dei personaggi :3
Nel prossimo capitolo anche Erin racconterà la sua emozionantissima (?) storia :')
Mi ero preparata una lista di precisazioni da fare ma l'ho persa, quindi ahahahah D:
Se avete domande o qualcosa non vi è chiaro dite pure (:
E che altro devo dire? 
Ah, grazie davvero tantissime per i complimenti che mi fate, non sapete quanto mi 
rendete felice :')
Spero che anche questo capitolo vi piaccia, fatemi sapere! :3
Grazie ancora.

Charlie.

P.s. (che appicciosa che sono! ahahaha) se avete Twitter e vorreste followarmi sono '@xdemsguitar'.
Scrivetemi se mi seguite e ditemi i vostri nickname così sono sicura di followarvi back :3

 

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Capitolo 4
*** Tomorrow. ***


Capitolo quarto.
Tomorrow.

Erin ci pensò per qualche secondo.
Era davvero pronta a raccontare tutta la sua storia a qualcuno?
D'altronde non era mai riuscita a confidarsi con nessuno al di fuori della sua famiglia e della sua migliore amica.
Guardò Justin negli occhi, quegli occhi profondi che la facevano sognare e perdere nella dolcezza che racchiudevano. Vi rimase concentrata per qualche secondo e venne invasa da un senso di sicurezza mai provato in vita sua.
«Mio padre si ubriacava» si sentì dire Erin. «Restava fuori per giorni senza dire a mia madre dove fosse e quando tornava a casa la picchiava pesantemente. Lui non voleva figli, non voleva preoccupazioni. Lui è sempre stato un codardo, piuttosto che affrontare i problemi preferiva ubriacarsi. Mia madre era costretta a rimanere segregata in casa, senza vedere né parenti né amici. Non riusciva a lasciarlo, perché lui la minacciava dicendole che l'avrebbe uccisa ed avrebbe ucciso la sua famiglia, quindi era costretta a rinchiudersi e a fingere di stare bene. Un giorno mia madre scoprì di essere incinta di me e quando mio padre ne venne a conoscenza la picchiò a sangue. Lei scappò di casa perché non voleva mettere in rischio la vita che cresceva dentro di lei, ma quel verme di mio padre riuscì a trovarla. La riportò a casa e la convinse che sarebbe cambiato e sarebbe stato un buon padre. Le cose sembrarono andare meglio con il tempo, dopo due anni nacque mio fratello e a vederci sembravamo quasi una famiglia normale e felice, se non fosse stato che mio padre aveva un'altra donna – la sua attuale moglie – ed un'altra famiglia. Quando mia madre scoprì che merda di uomo aveva sposato scappò ancora una volta di casa, decidendo di non tornare mai più con mio padre. Fu così che finalmente la mia mamma riuscì a trovare quella felicità meritata. Le cose andavano bene: aveva una bella casa, un buon lavoro ed i suoi figli crescevano alla perfezione, felici anche loro...»
«Sono felice che tua madre sia tornata ad essere felice e che, be', anche tu e tuo fratello lo siate.» disse Justin accennando un sorriso.
La rossa ricambiò, poi continuò debolmente. «Io e mio fratello siamo cresciuti senza un padre, ma non ne abbiamo mai fatto un dramma. Viviamo bene così come stiamo. Poi, tre anni fa, conobbi un ragazzo. Si chiamava Dan ed era la reincarnazione del ragazzo dei miei sogni. Incredibile ma vero, restammo fidanzati per quasi tre anni, fino a quando scoprii di essere incinta. Il mio principe azzurro, però, risultò essere solo un codardo e quando apprese la notizia preferì scappare via senza farsi più sentire piuttosto che assumersi le sue responsabilità e starmi accanto. Mia figlia ha quasi un anno e la mia paura più grande è che non riesca a farla vivere bene come merita. Ho paura di essere un totale fallimento come madre ed ho paura che si riduca come me, a diciotto anni, alla continua ricerca dell'affetto di un padre che non sarà mai tale. La mia vita mi piace, però. La mia famiglia è il regalo più bello che mi sia mai stato fatto e sono così grazie a loro. Vivo bene, ora. Sono felice.» fu Erin a sorridere per prima, questa volta. Justin provò a dire qualcosa ma dalla sua bocca non uscì un solo suono, così si limitò a sorridere anche lui. Dopo qualche secondo di silenzio il ragazzo scoppiò in una fragorosa risata.
«Voglio conoscerla.» disse infine.
«Chi?» la rossa si scoprì incapace di smettere di sorridere come un'ebete.
«La tua famiglia! Sono sicuro che siete... speciali.»
«Ehi, Bieber, ci conosciamo da così poco e vuoi già conoscere la mia famiglia?»
« Okay, okay, era solo un pretesto per chiederti di uscire... ancora. Ti passo a prendere domani alle otto?»
«E' andata! E dove mi porti?»
«Ci devo pensare.» i due ragazzi risero e per i minuti seguenti che passarono insieme si dimenticarono di tutto quello che li circondava. C'erano solo loro, le loro risate e quella sensazione di felicità che ti prende dentro.

 

*

 

Il campanello iniziò a suonare freneticamente ed Erin si ritrovò a correre per le scale cercando di raggiungere il più presto possibile la porta di ingresso. Quando finalmente vi arrivò, aprì il portone ansimando ed il cuore le saltò in gola.
Davanti i suoi occhi c'era la sua migliore amica in condizioni pietose: gli occhi rossi e gonfi dal pianto, i capelli arruffati, il labbro inferiore e l'orecchio sinistro sanguinavo parecchio e le braccia erano gonfie e livide.
«Abbie, che succede?» domandò spaventata la rossa.
«Posso entrare?»
«Certo, vieni.» fece un cenno con la mano ed Abbie andò a sedersi sul divano.
«Ho svegliato Savannah?»
«No, no, stai tranquilla.»
Erin si avvicinò all'amica e le porse un bicchiere d'acqua, poi prese a tamponarle le ferite.
Abbie scoppiò a piangere e si gettò tra le braccia della rossa che fu pronta a stringerla forte.
«Alan mi ha picchiata.» disse tra i singhiozzi.
«Che cosa!?» esclamò l'altra, incredula che il fidanzato dell'amica potesse aver fatto una cosa del genere.
«Stavamo discutendo e lui l'ha presa male, prima mi ha tirato uno schiaffo, poi ha cominciato ad andare sul pesante. Alla fine mi ha spinta contro la finestra, devo essere svenuta... Al mio risveglio lui non c'era ed io non sapevo che fare né dove andare, così sono venuta qui. Scusami se ti ho spaventata, scusami.»
«Okay, tesoro, calmati. Sei al sicuro, ora. Domani mattina andiamo alla polizia e lo denunciamo.»
«Non voglio denunciarlo.» mormorò Abbie. «Io lo amo.»
«Abbie, lui ti ha picchiata!»
«Probabilmente era solo sbronzo, vedrai che domani appena realizzerà quello che è successo mi verrà a chiedere scusa.» disse teneramente, spostando una ciocca di capelli sporca di sangue dietro l'orecchio.
«Ne riparliamo domani mattina, adesso tiro fuori la brandina e ti faccio il letto. Andiamo.»
«Ehi, Er.» esordì la bionda, una volta rifugiatasi sotto le coperte.
«Dimmi.»
«Grazie. Grazie di tutto. Senza te sarei persa...»
«Abbie sei la mia migliore amica, io per te ci sarò sempre. Ora dormiamo che siamo entrambe stanchissime. Buonanotte tesoro.» concluse Erin stendendosi sul letto e tirando a sé le coperte.
«Buonanotte, Er.» furono le ultime parole proferite in quella stanza, prima che le due ragazze si abbandonarono al sonno, entrambe desiderose di un domani migliore. Un domani dove tutta la loro sofferenza sarebbe stata solo un leggero ricordo. Un domani dove avrebbero vissuto davvero, senza paure, senza dolori. Un domani in cui sarebbe valsa la pena vivere.

Charlotte's corner.
Buonasera :3
Eccomi di nuovo qui, come sempre ci ho messo una vita
ad aggiornare e come sempre ho aggiornato ad un orario
piuttosto indecente, quindi scusatemi cwwc.
Erin è proprio una povera disgraziata, le capitano le cose peggiori, 
ma lei è una ragazza forte e continua a comabattere senza mai mollare.
Spero solo che il capitolo vi piaccia, fatemi sapere, mi raccomando :3
Grazie a tutte per le vostre recensioni, mi rendete davvero felice!
Un abbraccio,
Charlie.

 

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