La Sirena Baffuta

di aki_penn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La prostituta, l'inetto e l'imbecille ***
Capitolo 3: *** La Caccia alla Sirena ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


È la prima volta che mi cimento in una storia con ambientazione storica. Prima di inserire i vari dettagli ho intenzione di assicurarmi che siano compatibili con l’epoca, ciò non vuol dire che io non possa essere facile preda degli errori temporali, perciò se ne vedete vi prego di farmeli notare. Lo stesso vale anche per i nomi, sorvolate solo su quello della protagonista, le ho affibbiato il nome di un tubero ^.^

Spero davvero che possiate gradire la storia, grazie per essere passati di qua!! 

 

 

Il capitano Emerald solca i mari a bordo della sua nave, ingloriosamente soprannominata La Sirena Baffuta dalla ciurma irriverente, come cacciatore di teste, ma quest’attività è solo una copertura per il contrabbando di lusso. La sirena Baffuta non commercia in gioielli, oro e pietre preziose… traffica sirene.

 

La Sirena Baffuta

 

“Lei è un uomo fortunato, signor Brome” disse Taro, con voce morbida, accarezzando la mano callosa del vecchio, con le sue dita di ragazzina, non ancora entrata nell’età adulta.

“Fortunato? Fortunato?” ripeté con gli occhi fuori dalle orbite, il vecchio, “Sono imbarcato su una nave che mi porterà alla gogna, e tu dici che dovrei essere un uomo fortunato?” continuò l’individuo barbuto, la cui mano inerme era l’unica parte del corpo che usciva dalle sbarre, in cui era rinchiuso, da troppo tempo.

Taro, seduta su uno sgabello, non molto stabile, annuì decisa, senza lasciare la mano del prigioniero.

Passò di nuovo l’indice sulla linea della vita, massaggiandogliela, per poi spostare dolcemente il sedile ed alzarsi.

Buona giornata, signor Brome” augurò prima di girare i tacchi, con un sorriso. Il vecchio appoggiò, con un rumore sordo, la fronte, alle sbarre della sua cella. Sarebbe morto, sarebbe morto entro poco tempo, pochi mesi al massimo. Non riusciva a capire dove la nave si stesse dirigendo, ma di sicuro prima o poi sarebbe giunta di fronte al Governatore Collins.

La ragazzina, attraversò il corridoio con decisione, mentre il suo vestito bordeaux si muoveva seguendo i suoi movimenti. Era stato un bel vestito una volta, ma il sole e la salsedine l’avevano rovinato.

A Taro non importava granché. Ogni tanto tornava in città, o veniva portata nelle ville signorili di campagna, per un tea, in quelle occasioni sfoderava il vestito color avorio coi pizzi e il temibile corpetto. Un pezzo di stoffa pomposo e piuttosto scomodo a suo parere, facile da sporcare.

Un uomo non troppo vecchio, ma che aveva ormai perso tutti i capelli castani che possedeva, allungò la mano oltre la sua cella che puzzava di urina per afferrare un lembo del vestito della ragazzina.

“Taro…Taro vieni qui da me…”disse lascivo “fatti toccare Taro…le ragazzine vergini come te non piacciono a nessuno…” cantilenò.

Ma Taro viveva in un mondo proprio, sembrò perfino non notarlo, e l’uomo arreso e affamato fece scivolare le dita sulla stoffa polverosa, per poi lasciarla andare come un alito di vento.

La ragazzina afferrò con decisione il corrimano di legno, e salì a grandi passi la scala che portava sul ponte della nave.

Rimase qualche secondo ferma sotto coperta, col piede sospeso, indecisa se varcare la soglia o meno.

Un ragazzone coi capelli rossicci e un gilet fradicio si affacciò a guardarla.

“Che cosa stai facendo?” chiese perplesso guardando quella ragazzina con gli occhi nocciola e i capelli biondi, che non si poteva definire propriamente bella.

“Aspetto che finisca di piovere” spiegò con un sorriso prima di scrutare il cielo pensosa. Il ragazzo la imitò perplesso. L’acquazzone li aveva abbandonati, ormai non cadevano che poche gocce.

Rimasero entrambi a guardare verso l’empireo cupo, col naso all’insù.

“Adesso, ha smesso di piovere!” esclamò allegra dopo poco decidendosi a uscire da sotto coperta.

Vance la guardò per poi guardare di nuovo verso l’alto, incerto, lui non aveva notato nessun termine preciso, ma effettivamente anche le goccioline leggere che spesso tardavano a sparire erano scomparse.

Subito una goccia scivolata dalle vele raccolte, ma irrimediabilmente bagnate le precipitò nel bel mezzo della fronte.

Taro alzò la testa. “Accidenti, mi dimentico sempre delle vele” pensò battendosi la mano sulla fronte umida.

Vance alzò gli occhi al cielo grigio questa volta non per scrutarlo ma per astenersi dal sospirare, mentre la ragazzina attraversava il ponte a passo di marcia fischiettando, nel modo più disdicevole, per una dama, seppur in miniatura, come lei.

Il capitano se ne stava fermo a guardare l’orizzonte, che finalmente, dopo il temporale, si stava rischiarando.

Non si accorse della ragazzina finché lei non gli fu affianco, e poté scorgerla con la coda dell’occhio.

“Ha smesso di piovere” disse da sotto la sua barba lunga e ormai grigia. Taro annuì contenta.

“Ci sono novità?” domandò poi l’uomo, che affianco a quella figurina bionda e minuta sembrava un gigante.

Alberic si romperà un braccio scendendo le scale che portano alla stiva” iniziò a elencare, Taro, con fare pratico.

Il capitano Emerald sbuffò sotto la coltre di barba “Per la miseria, non voglio più che quella spugna si beva tutto quel rum, se poi finisce per cadere dalle scale, non me ne faccio nulla di un marinaio infermo…” sbottò adirato, ma Taro sapeva che era anche preoccupato che uno dei suoi uomini si facesse male.

“Altro?”domandò poi, dato che la ragazzina non spiccicava parola attendendo che lui la smettesse di imprecare all’indirizzo di Alberic.

Taro si grattò il collo e annuì per la seconda volta, mentre il capitano si affrettava per non perdersi un solo movimento delle labbra della ragazzina “Verremo attaccati da dei banditi. Sta notte.”

L’uomo si accigliò “Banditi? Stanotte?” esclamò guardandola con aria truce.

“Ma sono banditi simpatici!” si affrettò a dire lei con aria convinta mentre il suo interlocutore ignorava del tutto la sua ultima affermazione.

“Bah.. il lavoro ci si butta tra le braccia. Che altro?” domandò per l’ennesima volta.

Cyrus brucerà di nuovo la cena” aggiunse con fare conclusivo, Taro. Probabilmente quella fu l’affermazione che scosse di più il capitano.

“Per la miseria! Anche oggi no! Dobbiamo fare qualche cosa, Taro, non ne posso più di mangiare pesce bruciato!” sbuffò esasperato tornando a guardare il mare ancora mosso, che dava molta più soddisfazione che pensare alla cena che lo attendeva.

“Porteranno problemi?” domandò poi senza guardarla, per poi voltarsi a sentire la risposta.

Taro alzò le sopracciglia facendo segno di non aver capito la domanda. “I banditi! I banditi, Taro, porteranno problemi, i banditi?” chiese un po’ seccato.

La ragazzina scosse la testa con convinzione e il capitano Emerald sospirò “Almeno una buona notizia, avremo qualche altra testa da portare al governatore Collins”.

Taro non sembrò ascoltarlo. Il capitano era abbastanza sicuro che non amasse la loro vita da cacciatori di teste, ma se ne stava zitta al suo posto. L’idea di andare alla ricerca di persone che avevano un prezzo, per poi farli appendere a una trave con una corda al collo non la entusiasmava, ma non la entusiasmava neppure la pelle d’orso che lui teneva gelosamente,  come tappeto, nella sua stanza sulla nave, eppure lei faceva finta di niente.

“E le sirene? Ne hai viste?” chiese dopo qualche secondo di silenzio.

La ragazzina bionda scosse la testa “Però ho visto un dugongo” esclamò allegra. Il capitano Emerald la guardò scandire velocemente quelle parole prima di sbottare tra il perplesso e l’esasperato“Un dugong…cosa ce ne facciamo di un dugongo, scusa?”

Taro alzò le spalle “Sono animali simpatici!”. L’uomo alzò gli occhi al cielo, simpatici, sì, come i banditi che sarebbero venuti a rapinarli quella notte.

“Dov’eri mentre noi tenevamo a bada la tempesta?” chiese poi l’uomo cambiando discorso.

“Dal signor Brome!” esclamò la ragazzina con un gran sorriso. Il capitano, che suo malgrado, già conosceva la risposta la rimproverò “Quante volte ti ho detto che non devi andare nella stiva da sola? Quel tipo quasi calvo, Walford, non mi piace come ti guarda…” sbottò con l’amaro in bocca. Avrebbe voluto tirargli il collo come se fosse stato una gallina, a quel verme, quando lo vedeva mentre fissava Taro.

La bambinetta alzò le spalle “Io non mi sono accorta di nulla” disse sinceramente prima di saltellare allegra attraversando il ponte bagnato, avviandosi verso un uomo basso vestito con abiti orientali, intento a imprecare in una lingua che lei non conosceva.

Il capitano Emerald sospirò guardandola allontanarsi in direzione del suo marinaio preferito, Long. L’aveva raccattato più morto che vivo su un’isoletta dell’estremo oriente, e l’aveva portato via con sé.

Appoggiò un piede sul parapetto della nave godendosi l’orizzonte. La sua Rose Mary II l’aveva accompagnato in tante traversate, peccato solo che quegli screanzati dei suoi marinai l’avessero soprannominata La sirena baffuta, per colpa di quell’incidente con la sirena decorativa che ornava la prua. La vernice con cui avevano dipinto i capelli aveva finito per colare in maniera tale da donarle due grossi baffi, piuttosto ridicoli.

L’uomo sbuffò sonoramente, dugonghi, sirene coi baffi, non vedeva l’ora di scendere a terra e mangiarsi una buona bistecca, non se ne poteva più del pesce bruciato che cucinava Cyrus!

 

 

 

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Capitolo 2
*** La prostituta, l'inetto e l'imbecille ***


Grazie mille a chi ha letto il prologo, spero possiate apprezzare il primo capitolo! Aki_Penn

 

 

 

 

La Sirena Baffuta

Capitolo Primo

La prostituta, l’inetto e l’imbecille

 

Una donna, con la gonna lunga e solo la camicia, nonostante fosse notte e la temperatura non fosse delle più calde, si chinò silenziosamente accanto a un ragazzo con i capelli biondi e lo sguardo da esaltato.

“Allora, Ellwood?” chiese con aria di comando lei, avvicinandosi con aria concentrata al suo orecchio.

“C’è solo quell’uomo, ma ha bevuto come un animale, non si sveglierà prima di domani mattina!” ridacchiò esaltato, con la voce un po’ troppo alta. La donna gli tirò una gomitata nelle costole.

“Abbassa la voce, razza di imbecille… non vorrai che ci sentano!” sbottò arrabbiata tenendo comunque un volume di voce appena udibile.

Ellwood incassò il colpo in silenzio. “Vendendo quella nave al mercato nero prenderemo un sacco di soldi Francine, c’è solo quell’effige a forma di sirena che sembra che abbia i baffi, ma con una nave del genere chi guarderebbe la sirena?” iniziò a dire in preda a una furente eccitazione, il ragazzo.

Francine, una donna alta e prosperosa, rimase china su di lui a guardare la nave che avevano scelto di rubare, coi suoi occhi scuri.

Si morsicò l’interno delle guance. Ellwood era così sereno e tranquillo solo perché era un idiota. Non sapeva come sarebbe andata, certo, la situazione sembrava mettersi per il meglio, la nave era vegliata solo da un uomo, che tra l’altro aveva bevuto come una spugna e dormiva della grossa. Ellwood era sicuro che non ci fosse nessun altro a bordo, aveva controllato senza sosta l’imbarcazione da quando era approdata, probabilmente i rozzi marinai che trasportava erano tutti a divertirsi al lupanare con qualche prostituta da due soldi. Fece una smorfia, provando un certo disgusto nei loro confronti.

L’unico scoglio era riuscire a salpare prima che tornassero.

“Dov’è Percival?” chiese poi Ellwood.

“Sono qui…” dissero mestamente alle loro spalle. I due si voltarono a guardare un ragazzo, che nonostante l’età stava già stempiandosi. Francine si fermò un attimo a pensare che entro poco avrebbe avuto la chierica, come un frate.

“Siamo proprio sicuri di volerlo fare?” domando mesto Percival.

“Vuoi vivere mediocremente per il resto della tua esistenza Percival? Hai l’occasione di cambiare! Dio, ci ostacola solo un vecchio ubriacone!” esclamò esaltato Ellwood.

Francine li lasciò discutere senza mettersi in mezzo. A suo parere il tono di voce di quell’imbecille di Ellwood era sempre troppo alto, ma se era vero che a fare la guardia alla nave c’era solo quel vecchio mozzo ubriacone non avrebbero avuto problemi. La scelta di quel ragazzetto biondo era stata obbligata, come quella di Percival, se avesse potuto evitare l’avrebbe fatto, ma una volta deciso che non avrebbe passato la sua vita al bordello, facendosi infine sconfiggere dalla sifilide come era successo a sua madre, la soluzione era solo quella di passare alle azioni illegali, e non c’erano molte persone in paese che fossero disposte a rischiare la pelle.

Ellwood, era un idiota, e un imbecille lo si può convincere a fare tutto, Percival era un inetto, in paese si diceva che suo padre fosse partito per mare e si fosse dato alla pirateria,  lui non aveva trovato la forza di farsi un’immagine propria, e nessuno lo voleva a lavorare nella sua bottega, nonostante fosse un ottimo ragazzo.

Francine fece un sospiro, dovevano solo legare il mozzo, poi salpare, subito dopo aver imbarcato anche Alvar, che in quel momento, lei lo sapeva, li stava guardando di soppiatto come una spia, da dietro un galeone.

“Bene, bando alle ciance, ora o mai più. Quelli prima o poi torneranno alla nave, e manca ancora poco all’alba!”disse Francine perentoria interrompendo la loro discussione.

Si avviò a testa alta sul molo, a quell’ora non c’era nessuno che potesse vederla, soprattutto immersa in quel buio maledetto.

Ellwood e Percival la seguirono silenziosi fin davanti alla Rose Mary II, attraccata con una grossa corda incrostata di alghe. Appoggiata sul parapetto c’era una bugia, con una candela spenta e consumata, completamente sciolta sopra. Vicino al cadavere del cero, stava appoggiata la testa pesante di un uomo, non più tanto giovane, che russava sonoramente, seduto su una sedia traballante.

Avanzò sul ponte di legno che portava sul galeone, a passo felpato, intimando silenziosamente ai compagni di seguirla.

Ellwood aveva un sorriso ebete stampato in faccia, era sovraeccitato, e Percival che camminava accanto a lui era spaventato a morte dal fatto che potesse fare qualche gesto inconsulto.

Francine deglutì, erano sul ponte della nave, non potevano tirarsi indietro. Si tolse di dosso la sciarpa che indossava  e la porse a Ellwood che la guardò perplesso, lei lo ignorò e frugò nel sacco che si era portata dietro, appeso ad una spalla, fino a trovare una corda, non troppo grossa, ma abbastanza resistente per legare un uomo adulto.

Ellwood continuava a guardarsi in giro perplesso, finché Percival, lasciato stare il temperamento timido che aveva di solito ed esasperato dall’infinta stupidità di quell’individuo, gli strappò di mano la sciarpa e si lanciò addosso al marinaio di guardia.

Il mozzo aprì gli occhi, ma non poté fare altro che soffocare un gemito nella sciarpa che gli occupava la bocca, per poi rimanere senza fiato, quando fu colpito da un cazzotto nello stomaco, da parte di Ellwood, in un insperato momento di lucidità. Nella colluttazione la bugia cadde dal parapetto, per poi impattare con l’acqua scura con un rumore sordo.

Sconfitto e lacrimante il mozzo finì per accasciarsi a terra mentre Francine lo legava con nodi stretti, perché non potesse liberarsi.

Rimasero per qualche attimo a guardarlo dall’alto, mentre si dimenava e piagnucolava, nella speranza di farsi sentire da qualcuno, oppure semplicemente perché atterrito.

 Poi Francine gli diede un calcio poderoso nelle costole, facendolo rotolare giù dal ponticello levatoio, che serviva per scendere sul molo, senza rischiare di cadere nell’acqua putrida del porto.

La donna deglutì di nuovo. C’erano riusciti? Avevano annientato l’unico uomo che faceva la guardia alla nave, ora dovevano solo prendere Alvar e salpare verso l’isola di Nemesi, lì avrebbero potuto vendere l’imbarcazione, nessuno faceva caso al fatto che fosse rubata o meno da quelle parti. Chissà cosa trasportava…

Non fece in tempo a finire di pensare a quella possibilità che sentì il sangue gelarsi nelle vene.

“La nave è nostra!” urlò Ellwood senza un minimo di prudenza. Il pugno destro di Francine lo colpì sul mento, quasi senza che lei si accorgesse di quello che stava facendo, con una violenza tale da farlo indietreggiare di vari passi, e fargli sputare sangue. Forse gli aveva rotto un dente, forse si era morsicato la lingua. Inciapò in una corda arrotolata, lasciata distrattamente sul ponte e finì per terra. Come poco prima, la donna, non fece in tempo a concepire un pensiero compiuto, tanto meno a chiedere al diretto interessato come stesse, perché si sentì prendere per i capelli e tirare indietro.

In pochi attimi erano illuminati a giorno da diverse lampade ad olio, Percival era per terra, con la testa incastrata tra il legno del ponte e uno stivale di cuoio.

Lei era stata presa per il collo, da un uomo che le si era posizionato dietro e che non aveva alcuna intenzione di mollare la presa. Francine portò subito le mani su quelle del suo aggressore cercando di fargli allentare un poco la stretta sulla sua gola, stava per soffocare.

Ellwood era finito per terra per colpa del suo pugno, e nessuno aveva intenzione di aiutarlo ad alzarsi.

“Banditi simpatici, eh? A me sembrano dei banditi imbecilli!” commentò la voce profonda di un uomo in controluce. Francine non riusciva a vederlo in viso, ma aveva capito che quello doveva essere il capitano, data la palpabile autorità che risiedeva nella sua voce.

“Pare volessero rubarci La Sirena, Capitano” disse un uomo piuttosto basso con un’intonazione fastidiosamente cantilenante, alla sinistra del Capitano.

“Ah, pensavate di portarci via la nave, solo voi tre, Puttana?” esclamò l’uomo che la teneva ferma allentando di poco la presa sul suo collo.

“Leonard, siamo gentiluomini!”esclamò il Capitano irritato dall’epiteto usato dal suo marinaio.

“Scusi, Capitano Emerald” si scusò Leopold, , ma solo col proprio superiore, non certo con Francine, senza curarsi di correggere il nome che gli era stato affibbiato sbagliato.

Il capitano Emerald stava per aprire di nuovo bocca, quando nel cerchio di uomini, rabbiosi per essere stati svegliati nel cuore della notte, s’infilò anche una bambinetta in veste da camera, troppo leggera per la temperatura notturna, che si stropicciava gli occhi insonnolita.

“Taro, per la miseria, copriti, non abbiamo tempo per ammalarci, su questa nave!” esclamò il capitano vedendosela sgusciare affianco. Taro lo ignorò sbadigliando, prima di sorridere vedendo i tre nuovi personaggi, in tre posizioni poco piacevoli.

“Sono arrivati eh?” disse cristallina voltandosi a guardare il capitano, il quale sbuffò molto meno contento della situazione.

“Puntuali come la morte, Taro” ribatté piatto.

“Cosa ne facciamo, Capitano?” chiese il ragazzone coi capelli rossi che aveva schiacciato a terra Percival.

Il capitano Emerald sospirò “Beh, prima di tutto credo sia meglio chiarire quali fossero le loro intenzioni” dichiarò stancamente grattandosi il petto. Francine era abbastanza sicura che tra tutti e tre, sarebbe stata lei quella interrogata, e invece diversamente dalle aspettative ed ad ogni logica, il capitano barbuto si mise a parlare con la ragazzina bionda in camicia da notte “Allora Taro?” chiese.

Francine era così perplessa che per un secondo si dimenticò della mano che le stringeva la gola.

Il ragazzone coi capelli rossi sbadigliò sonoramente, dando vita a una reazione a catena di tutti i marinai, che il capitano ignorò bellamente.

L’ultimo a sbadigliare fu il nostromo Long, che lo fece con più discrezione, mettendosi la mano davanti alla bocca, per poi congiungere di nuovo le dita dietro la schiena, in attesa di ordini.

Taro prese un gran respiro “La signorina voleva rubarci la nave per venderla, e ha messo a guardia il signore biondo” disse come se stesse raccontando una fiaba, indicando Ellwood ancora per terra, senza che nessuno osasse toccarlo, ma tenuto strettamente d’occhio da un paio di marinai, uno dei quali aveva la stessa faccia di Leopold, quello che tratteneva Francine, e l’altro una gamba di legno.

“Ma il signore biondo si è addormentato mentre faceva la guardia e non si è accorto di quando siamo tornati dall’osteria” concluse cristallina.

Il sangue che Francine aveva nelle vene le salì tutto al cervello, annebbiandola di una furia cieca, strattonò la presa di Leopold con una forza inaudita, tanto che il marinaio, preso alla sprovvista, per poco non venne sopraffatto da quella violenza. La donna strillava, si strappava i capelli, e dagli insulti irripetibili che indirizzava al suo compagno di sventura biondo, probabilmente se l’avessero lasciata fare, l’avrebbe ammazzato.

Il nostromo Long tossicchiò e si grattò il capo, non sentiva un turpiloquio del genere uscire dalla bocca di una donna, da quando aveva passato sei mesi seduto sul molo del porto di Singapore.

Si disse che se non si fossero dati al più presto una regolata, con tutto quel fracasso avrebbero svegliato tutto il porto, ma Emerald quel casino non lo sentiva neppure.

Nel frattempo i marinai erano indecisi se preoccuparsi, o ghignare di nascosto per lo spettacolo messo in piedi dai loro tre prigionieri. Il capitano Emerald non dava segno d’interessarsi alla vicenda, intento com’era a intraprendere una conversazione senza senso con la ragazzina bionda, resa difficoltosa dalla penombra che non gli permetteva di vedere al meglio i movimenti delle sue labbra.

Dopo un po’ qualche marinaio iniziò a voltarsi verso il molo, attirato da dei lamenti sommessi.

“Il mozzo” sussurrò qualcuno, ci fu un po’ di brusio sottomesso bellamente  dalle urla isteriche di Francine che non ne voleva sapere di calmarsi.

Ca-Capitano” azzardò Leopold, che venne ignorato dall’interessato.

“Capitano?” continuò Vance con voce un po’ più forte, nonostante sapesse che non avrebbe dato udienza nemmeno a lui.

“…a me sembrano degli idioti clamorosi, Taro…” stava dicendo il capitano, quando fu raggiunto da una gomitata del suo nostromo. Nello stesso istante anche Francine ricevette una gomitata tanto forte, nello stomaco che le tolse il fiato zittendola finalmente.

“Capitano?” cantilenò Long, prima di fare un cenno in direzione del molo. Emerald allungò il collo, e i marinai si spostarono per non togliergli la visuale. Sul pontile si stagliava la figura imbarazzantemente legata, del mozzo, che piagnucolava, con una sciarpa in bocca.

“Cribbio!” sbraitò “Qualcuno sleghi il mozzo!”aggiunse esasperato. Stava per dire qualche cos’altro quando si accorse, con la coda dell’occhio, dello sguardo di Taro, farsi vacuo, perso nell’immensità del firmamento. Rimase col fiato sospeso, in attesa per un attimo che sembrò infinito, finché la ragazzina con si riscosse, scuotendo la testa, come se avesse fatto uno starnuto.

Anche Long si era accorto della cosa, e allungò il collo per guardare in faccia la bambinetta.

“Taro?” chiamò il capitano.

“Un altro dugongo?” chiese cantilenando sarcastico il nostromo.

“Una sirena” disse poi Taro improvvisamente seria.

“Dove?” domandò subito l’uomo barbuto. Taro allungò il braccio e indicò un punto imprecisato del mare scuro. Le informazioni che dava la ragazzina erano sempre sommarie, ma il capitano se le era sempre fatte bastare. Tutto il ponte si fece silenzioso, in attesa che Emerald esplodesse, perché i marinai lo sapevano, sarebbe esploso!

“Ciurma!!”urlò dopo un attimo d’incertezza “Si salpa! Tanto ormai è l’alba! Vance, Leonard, Leopold, portate questi tre imbecilli insieme agli altri, Long controlla nella lista nera se possiamo ricavarci qualche cosa, anche se temo proprio di no, Lambert alle vele!

Incrociò lo sguardo del mozzo, che si stava ancora massaggiando dove le corde lo avevano stretto “A prendere dei tappi di cera! E che tutti se li mettano bene, non voglio un suicidio di massa involontario mentre io do la caccia alle sirene!” esclamò, un po’ adirato, perché si fosse fatto prendere in giro così da tre banditi da quattro soldi. Continuò imperterrito a lanciare ordini perentori “Magnus, all’ancora! Cyrus, prepara qualche cosa da mangiare, commestibile possibilmente! Taro, per Dio! Vai a coprirti!”esclamò.

“E io capitano? Cosa devo fare?” domandò Alberic impaziente, che ormai era rimasto l’unico fermo sul ponte, insieme al capitano, Taro e Long, che non aveva intenzione di sbrigarsi a fare quello che gli era stato ordinato, prima che il capitano gli avesse dato alcune esaurienti spiegazioni.

Emerald si grattò la testa pensieroso. “Alberic… tu… vai nella stiva a contare le provviste di rum!” esclamò infine, in una palese scappatoia.

L’interessato se ne andò via depresso “In questa nave non c’è bisogno di me…” si lamentò andando a compiere quell’inutile lavoretto. Taro lo seguì saltellando.

“Capitano” chiamò il cinese strattonandolo per la manica della camicia, sapendo che dato che non c’era più nulla da fare, avrebbe dovuto ascoltarlo per forza.

“Mi aveva detto che questa mattina sarei potuto andare a comprare una bussola, ieri sera abbiamo attraccato dopo il tramonto, e le botteghe erano già tutte serrate, se partiamo prima dell’alba non potrò di certo acquistarla!” cantilenò, ma in tono un po’ stizzito.

“E che ci serve una bussola? Già ce l’abbiamo!” esclamò il capitano da sotto la barba. Long fece un sospiro accondiscendente per poi ribattere “Certo che ce l’abbiamo, ma non punta a nord!”

“Beh, abbiamo Taro!” continuò imperterrito Emerald.

“Taro è una ragazzina, non una bussola, Capitano” ribatté serio il nostromo. Il suo interlocutore sbatté il piede per terra stizzito “e va bene, maledetto scialacquatore! Vai a comprare questa maledetta bussola! Tu mi rovinerai, sperperando così il mio denaro! Ma bada di fare in fretta, se no ti lascio a terra!” minacciò. Long sapeva però che quella era tutta una messa in scena.

 

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Capitolo 3
*** La Caccia alla Sirena ***


Salve a tutti!! Ecco il secondo capitolo de La Sirena Baffuta, grazie mille a chi ha letto lo scorso capitolo e ha messo la storia tra le seguite :3, spero che questo proseguimento possa piacervi, fatemi sapere cosa ne pensate, nel bene o nel male mi farebbe piacere.

Mi sono presa la libertà di usare la parola papà, invece che padre, nel discorso diretto, perché proprio non riuscivo a farmi piacere la frase, nonostante il contesto. Vi prego di non farci troppo caso!! Aki_Penn

 

La Sirena Baffuta

Capitolo Secondo

La caccia alla sirena

 

Vance scese rumorosamente le scale che portavano sottocoperta. Long continuava a dargli ordini, il che non era davvero un male, quel cinese era il nostromo, il secondo del capitano Emerald, lui invece un marinaio qualunque, che occasionalmente aiutava il mozzo a pulire il ponte dagli escrementi dei gabbiani.

Ma comunque non poteva sopportare di dover sempre essere lui, quello a cui rifilava le reti da ricucire, dato che lui proprio non sapeva cucire!!

“Questa è roba da donne!” aveva protestato appena imbarcato, parecchio tempo prima.

“Questa è roba da marinai” aveva ribattuto cantilenante il nostromo Long, sbattendogli in braccio una pesante matassa di rete.

Nonostante il lungo periodo passato a bordo della Sirena Baffuta, Vance, non era riuscito a imparare a rammendare, ma si era fatto furbo. Tra i prigionieri, pirati per la maggior parte, c’era sempre qualcuno in grado di risistemare delle reti da pesca.

Sbatté i tacchi sui gradini trascinandosi dietro la rete martoriata, peccato solo che il loro ultimo bottino non fosse granché, l’unico che avesse una vaga idea di come si tenesse in mano un ago era il signor Brome, ma non era certo una sartina nemmeno lui. E Long aveva finito per sgridarlo.

Per fortuna la notte prima, tra i banditi che avevano maldestramente cercato di rubar loro la nave, c’era anche una donna. Non che avesse proprio l’aspetto di una sarta, ma sicuramente con l’ago se la sarebbe cavata meglio del signor Brome.

Passò davanti alla cella stretta dove stava chiuso Walford, quel tizio non gli piaceva nemmeno un po’, lo vedeva, come guardava Taro.

La sera prima stava per sbattere con lui anche la donna, ma la luce che gli aveva visto negli occhi l’aveva messo in agitazione, così alla fine Walford si era ritrovato insieme all’uomo biondo con la bandana, contro il quale, quella che sembrava essere una prostituta, si era avventata contro quando erano sul ponte.

Non era solito riservare tanta gentilezza ai prigionieri, non è che dovesse importargli granché se Walford voleva divertirsi con una puttana che aveva cercato di fregarli, ma non avevano mai avuto una donna a bordo, a parte Taro, e Vance era convinto che andassero trattate con una certa delicatezza.

A distrarlo dai suoi pensieri fu il rumore insistente di una tazza in metallo, usata di solito per mettere l’acqua, che il signor Brome stava battendo ininterrottamente da, Vance suppose, molto tempo.

“Vance” chiamò stancamente appoggiato con la schiena alle assi di legno della nave “portala via di qui, sono ore che non fa altro che piangere, questa puttana”sbottò Brome.

Vance lo guardò stancamente, prima di rispondere “Non mi pare di averti mai detto che questo fosse un viaggio comodo e divertante, Brome”.

Non glielo aveva assolutamente detto, anzi la prima volta che si erano incontrati l’aveva stordito con una botta in testa prima di portarlo nella stiva, e aveva perso così tanto sangue che per qualche tempo aveva davvero pensato di averlo ucciso.

In effetti, però, la donna dai lunghi capelli scuri che aveva trascinato nella stiva qualche ora prima, era seduta in un angolo della gabbia con le ginocchia strette al petto e il viso nascosto, a singhiozzare.

“Ehi tu” si fece notare Vance battendo le nocche sulle sbarre.

Brome si voltò a guardare interessato la nuova arrivata. Era curioso di sapere se, almeno, a uno dei marinai avrebbe dato ascolto, e si sarebbe zittita. Magari il Capitano Emerald aveva deciso di sbatterla insieme a Walford, in modo che quello schifoso la smettesse di guardare Taro.

“Ehi, sto parlando con te” sbottò a voce più alta il ragazzone. Fu allora che Francine si accorse che stavano parlando a lei e alzò la testa dalle ginocchia alle quali era appoggiata. Il bistro con il quale aveva truccato gli occhi le era colato lungo le guance, lasciandole due grosse strisce scure, dove erano passate le lacrime.

Quel ragazzo enorme stava parlando con lei, che cosa voleva? Se ne era andata dal bordello per farsi maltrattare gratuitamente da un branco di rozzi marinai? E Alvar era rimasto bloccato da solo al porto, mentre lei era ormai salpata. Alvar…

“Ho bisogno di te” continuò di cattivo umore “sai cucire vero?”

Francine lo guardò perplessa. Che razza di richiesta era?

“Ehi, ti ho chiesto se sai cucire” ripeté ancora. La donna annuì silenziosa, guardandolo dal basso.

Vance si compiacque “Bene, allora rammenda questa” ordinò aprendo in fretta la cella e lanciandole dentro la rete “Fai in fretta, ne avrò bisogno presto” aggiunse prima di andarsene a grandi passi.

Francine rimase a guardarlo andare via, prima di posare lo sguardo sul suo lavoro.

 

Sul ponte, nello stesso momento, regnava il caos, tutti parlavano ma nessuno capiva, perché Long aveva distribuito dei tappi di cera da mettere nelle orecchie. L’unico che si trovava a suo agio nel bel mezzo di quella Babilonia, era il Capitano Emerald, che sordo lo era per davvero, ed era anche l’unico in grado di leggere le labbra.

Accanto a lui, Long, manteneva una certa compostezza, intenzionato a infilarsi i tappi solo all’ultimo momento. Taro si era legata i lunghi capelli biondi in una crocchia, e aveva indossato nuovamente il vestito bordeaux lercio. Il trio guardava il mare piatto, il Capitano Emerald con l’aiuto di un cannocchiale, gli altri due a occhio nudo.

Il nostromo rimirava contento la sua nuova bussola fiammante, e Taro sgranocchiava una mela comprata, dal cinese, al mercato quella mattina.

“Long? Cosa hai da dirmi su questi cosiddetti banditi?” chiese poi il Capitano allontanando l’occhio dal cannocchiale, per guardare il suo secondo.

Long distolse di malavoglia l’attenzione dalla sua nuova, fantastica, bussola “Nulla. Sulla lista nera del governatore Collins non ci sono. Ho ragione di pensare che siano tre disperati che hanno tentato il loro primo colpo. Li buttiamo a mare?” domandò meritandosi un’occhiataccia di Taro e uno sbuffo del Capitano.

“Non mi piace uccidere le persone, se possono farlo gli altri. Se no appenderemmo i pirati per il collo, alla varea del pennone, come fanno gli altri!” esclamò.

“Oh” Long parve stupito “Pensavo che non lo facessimo perché i corpi in decomposizione fanno cattivo odore, Capitano” cantilenò allegro il nostromo.

Emerald sbuffò e proprio mentre lui si rimetteva a guardare dal cannocchiale, arrivò Mansel, il mozzo, che non rendendosi conto del reale volume della sua voce urlò in faccia a Long che il medico aveva finito di steccare il braccio rotto di Alberic.

Il nostromo lo liquidò con un sorriso un po’ tirato e un cenno della mano, era terribile che nessuno capisse se stava parlando a bassa voce o urlando. Anche Taro si era piuttosto indispettita per quell’improvviso frastuono, mentre il capitano concentrato sul mare, non aveva sentito assolutamente nulla.

Era bizzarro comunque, che Alberic si fosse rotto un braccio cadendo per le scale mentre andava a contare le bottiglie di rum, come il suo capitano gli aveva ordinato, dopo essersi lamentato per la sua spiccata simpatia per gli alcolici.

“Quella è l’isola, secondo quello che ha detto Taro” riprese Emerald, voltandosi nuovamente verso il cinese, giusto in tempo per non vedere il mozzo andarsene. Le indicazioni di Taro erano, come solito, molto vaghe, ma quella era la prima isola che avevano trovato seguendo la rotta indicata dalla ragazzina.

Era troppo piccola per essere abitata, e da quella distanza si poteva solo scorgere con il cannocchiale, una spiaggetta di sabbia scura.

“Dobbiamo circumnavigarla, in cerca di una grotta, di solito le sirene si nascondono nelle cavità di roccia, quando escono dall’acqua, e poi io mi avvierò da solo con la scialuppa, mentre voi mi aspetterete qui. Dov’è la rete che usiamo per le sirene?” domandò infine.

“L’ho data a Vance, andava rammendata” spiegò Long col suo solito accento orientale, rigirandosi tra le mani, orgoglioso la nuova bussola.

“Beh, allora  spero che l’abbia rammendata, non possiamo sapere quanto quella bestia pinnata rimarrà fuori dall’acqua” sbottò. Sia Long che Taro distolsero lo sguardo, era risaputo quanto al capitano non piacessero le sirene.

“E poi mettiti i tappi pure tu. Il comando della nave è nelle tue mani, finché e non ci sono io. E fai anche in modo che Taro non esca da sotto coperta” ordinò prima che il nostromo si dileguasse. Taro lanciò il torsolo di mela in mare, poi girò i tacchi afferrando il gatto a tre zampe che da anni viveva sulla nave, e che mangiava molto meglio dei marinai perché, il pesce, gli veniva dato crudo, e non cucinato da Cyrus, il cuoco.

 

Erano ancorati al largo dell’isoletta ormai da due ore e Long, preso possesso del cannocchiale del capitano, lo aveva seguito col lo sguardo, mentre remava all’indietro verso una cavità che avevano individuato nella scogliera. L’aveva visto sparire il quel cunicolo di roccia, e poi riapparire remando instancabile, ma accompagnato da un fagotto di squame che brillavano alla luce del sole.

Si rammaricò di non poterla vedere in viso, cercando di districarsi dalla rete nella quale il capitano l’aveva infilata, era finita a testa in giù nella scialuppa

Long schioccò la lingua, avrebbe dovuto aspettare di vederla da vicino per stimarne il prezzo.

Sorrise compiaciuto infilandosi il cannocchiale nella cintura che portava sopra al suo vestito orientale blu, non avrebbe dovuto aspettare ancora molto prima di vederla, e così pensando si voltò intenzionato ad andare a prendere, in cucina, una delle mele che aveva comprato quella mattina, ma rimase fermo a fissare l’altro capo della nave.

A poca distanza dal timone, dove Leonard puliva ignaro il pavimento, stava, come spuntato dal nulla, un bambinetto. Long suppose avesse dieci anni, più o meno.

Non gli ci volle molto per rendersi conto di cosa stava succedendo. Non riusciva a vedergli gli occhi da quella distanza, ma immaginò fossero vuoti come quelli di Alberic quando aveva sentito cantare la sirena. E probabilmente, anche se lui con la cera nelle orecchie non poteva sentirla, anche la sirena che aveva catturato il capitano, stava cantando.

Il bambino camminava lentamente  verso il parapetto.

“Leonard!!” urlò. L’interessato, sordo come lui, lo ignorò, continuando a lustrare con grande lena le assi di legno.

Resosi conto del problema, rimase qualche istante a bocca aperta preso alla sprovvista, poi si cacciò la mano nella tasca, afferrò la sua nuova bussola e la lanciò con grande precisione addosso a Leonard, che esalò un Ohuc addolorato e alzò la testa per vedere chi gli aveva giocato il brutto scherzo.

Vide il cinese fargli larghi gesti e indicare un punto alle sue spalle. Probabilmente stava anche urlando qualche cosa, ma era tutto maledettamente ovattato, era un po’ come vivere sott’acqua, dare la caccia alle sirene.

Si voltò e si ritrovò a guardare la schiena di quello che sembrava un bambinetto con una giacca troppo grande per la sua statura.

Un bambinetto che stava mettendo un piede tra le colonnine di legno che sorreggevano l’asse del parapetto, e che pareva avere tutta l’intenzione di buttarsi di sotto.

“Ehi!” urlò Leonard senza chiedersi oltre da dove diavolo fosse spuntato e lanciandosi a schiacciarlo per terra.

Il bambinetto fece una smorfia, il canto della sirena fu completamente coperto dal rumore della caduta a terra e dal dolore delle costole schiacciate dal peso del marinaio. Sentì diverse schegge di legno graffiargli la guancia. Come cavolo c’era finito lì? Fino a poco prima, ne era certo, era nascosto nella dispensa tra i sacchi di patate.

Leonard si alzò ansimante, si era preso un accidente, quella situazione gli aveva ricordato della prima volta che Alberic era andato a caccia di sirene, e se il bambinetto fosse caduto in acqua, come aveva fatto all’epoca il marinaio, lui non avrebbe potuto buttarsi rischiando che i tappi di cera, con l’acqua, gli uscissero dalle orecchie. Lo guardò accasciato a terra, con la faccia schiacciata contro il pavimento. Era davvero piccolo, non poteva avere più di dieci anni.

Long arrivò di corsa, facendo le scale che portavano alle zona sopraelevata del ponte a due a due, brandendo una corda.

“Che cacchio ci fa qui questo bambinetto!!” gli urlò Leonard, senza venir capito dal nostromo che vedendo gli occhi del ragazzino tornare vitrei gli passò una coda della corda.

“Legalo” ordinò. Leonard capì nonostante non potesse sentirlo.

Fu in quel momento che, disubbidendo agli ordini, Taro uscì da sotto coperta correndo, attirata dal violento rumore che proveniva dal ponte.

“Che succede?” urlò, ignorata da tutti. Mansel, il mozzo, le andò incontro cercando di fermarla, Leopold e Cyrus si apprestavano ormai a tirare su la scialuppa che ospitava il capitano e la nuova sirena.

Taro non aveva mai assistito all’arrivo, sulla nave, di una nuova sirena.

Rimase incerta, se guardare il bambinetto con gli occhi vitrei, come li aveva avuti Alberic, e la risalita faticosa della scialuppa fino al ponte.

Smise di seguire con gli occhi, Leonard che prima spintonava, poi si caricava di peso sulle spalle il bambinetto, per portarlo, sotto ordina gesticolato, di Long, nelle cucine, per portare lo sguardo a vedere il cappello del capitano, poi i suoi capelli, la sua barba, la sua giacca e la spada, agganciata alla cintura.

Emerald la guardò in silenzio. Non l’aveva mai sgridata in vita sua. Se Taro usciva dalla sua cabina, disubbidendo agli ordini che le aveva dato, aveva sicuramente i suoi motivi.

Senza pensarci oltre, afferrò malamente il fagotto che si trovava ai suoi piedi, come se fosse un oggetto inanimato, piantò un piede sul parapetto di legno e saltò sul ponte a piedi pari. Tra le sue braccia, quella che doveva essere la sirena si stava dimenando, tanto che il capitano stanco, la lasciò cadere a terra senza nessun riguardò.

Taro la guardò rotolare come un corpo morto e poi cominciare a muoversi come le code delle lucertole quando vengono staccate. I capelli neri che fino ad allora le avevano coperto la faccia, si scostarono, lasciando che Taro, che si era trovata la testa della donna-pesce ai suoi piedi potesse vederne gli occhi azzurri adirati. Rimase a guardarla per qualche secondo, senza sapere davvero cosa fare. Ma non fece in tempo ad allungare la mano verso il viso della sirena, perché il capitano l’afferrò per la vita, con inaudita enfasi e se la cacciò sulla spalla diretto sotto coperta.

“Questo non è posto per te, Taro, ci penseranno loro a portare la sirena nella sua stanza” disse semplicemente.

La ragazzina, con la testa rivolta verso il mare continuò a guardare la sirena dimenarsi e sgusciare via dalla presa del grasso Cyrus, finché la porta che divideva il ponte dalla stiva non si chiuse dietro di loro.

 

Più tardi, il capitano Emerald se ne stava seduto sugli scalini di legno che portavano alla parte sopraelevata del ponte, in silenzio, finalmente a riposare e a fumare dalla sua pipa intagliata. Long, seduto accanto a lui, giocava con i suoi due serpenti neri, la sua nuova splendida bussola, ormai rotta, riposava in tasca.

Emerald l’aveva lasciato ad aspettarlo al porto di Singapore, svariati anni prima, e quando era tornato a riprenderselo l’aveva trovato nella stessa posizione, ma con il braccio un cesto di vimini, che si era rivelato contenere due serpenti neri, dai quali il nostromo non aveva voluto assolutamente separarsi. Erano passati anni, quelli erano fatti accaduti prima che arrivasse Taro, che ormai aveva quasi quindici anni, ma i serpenti erano ancora lì, nella stessa cesta di vimini, e perfino il capitano che non amava particolarmente i rettili, ci aveva fatto l’abitudine.

“Chi è quel bambinetto, Long? Hai scoperto qualche cosa?” domandò dopo qualche minuto di silenzio, mentre vicino a loro Lambert, lo zoppo, ingollava rum, nonostante fosse mattina.

Il cinese scosse lentamente la testa, mentre il serpente più grosso gli si attorcigliava attorno al collo. Il capitano pensò che avrebbe potuto strangolarlo senza difficoltà, ma non lo fece.

“E’ giù, in cucina, Cyrus gli sta dando da mangiare, ma si rifiuta di parlare, credo sia muto”  spiegò tranquillo “Che facciamo? Lo buttiamo a mare?” aggiunse.

Lambert e il capitano gli scoccarono un’occhiataccia.

“Stavo scherzando!”  esclamò il cinese offeso, mai una volta che qualcuno capisse il suo umorismo.

Emerald sbuffò fumo “Rimane il fatto che non sappiamo come diavolo ci sia finito sulla Rose Mary II” commentò guardando il cielo.

Long alzò le spalle e disse “Ho visto la sir…” ma si interruppe vedendo che il suo interlocutore non lo stava guardando. Picchiettò con un dito sulla spalla del suo comandante e aspettò che si girasse “Ho visto la sirena che avete preso” proferì “Mi sembra splendida, potremmo venderla a un prezzo piuttosto alto” constatò.

Il capitano alzò la testa “La richiesta sta aumentando, credo che potremmo farci perfino un’asta  per alzare il prezzo” disse l’uomo.

Long, che quando sentiva parlare di soldi era sempre contento, sorrise accarezzando con più enfasi uno dei due serpenti che gli giacevano in grembo.

“Capitano…non crede che dovremmo darle da mangiare, se vogliamo venderla?” chiese Lambert alticcio, brandendo la bottiglia di liquore.

“Quelle bestie sono dure a morire, non ti preoccupare… da mangiare glielo porteremo domani, lasciamo che si calmi! ” sbuffò Emerald.

“A me un po’ dispiace, l’ho vista, è così bella” commentò il suo interlocutore prima di trangugiare un altro sorso dalla bottiglia che aveva in mano.

“Bah, quelle sono dei demoni, attirare gli uomini nell’acqua e ucciderli, solo per divertimento!!” disse quasi più a sé stesso, che allo zoppo.

“Lei dice così solo perché non le ha mai sentite cantare! Qualcuno che canta così non può di certo essere malvagio!!” esclamò Lambert ammonendolo con un dito alzato.

“Fesserie, Lambert! Non ho mai sentito neanche Taro suonare il violino, ma so che è bravissima!!” sbottò Emerald indignato.

Lo zoppo alzò gli occhi al cielo “Beato voi, che non l’avete mai sentita, Taro è portata per la musica quanto io lo sono per il ballo!” esclamò sarcastico battendo la gamba di legno sul ponte.

Emerald assottigliò gli occhi “Se non la pianti ti faccio buttare a mare, Lambert” fu la conclusione.

Lambert, pur sapendo che quella minaccia sarebbe caduta a vuoto, preferì dileguarsi.

Il capitano osservò il ponte in cerca della ragazzina, la trovò appoggiata al parapetto che guardava il mare, mentre il vento le faceva ondeggiare i capelli sfuggiti dalla crocchia. Si alzò lasciando la pipa nelle mani del nostromo e si affettò a raggiungerla.

Si appoggiò al parapetto con i gomiti, proprio come lei, e ne osservò l’espressione assente.

“Sei turbata per la sirena?” chiese l’uomo vedendola scura in volto.

“Morirà qualcuno” fu la risposta lenta e quasi assente. La mandibola era stretta e l’occhio triste.

“Chi e come?” chiese, preso alla sprovvista.

Taro scosse la testa sconsolata “Non lo so”

Il capitano guardò a sua volta il mare prima di raccomandarsi “Non dire nulla agli altri, nemmeno a Long”. Taro annuì.

“Mi dai la mano, Papà?” chiese.

 

 

 

 

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