La Primavera in Noi

di Isyde
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Oltre il Reale ***
Capitolo 2: *** Un abbraccio ***
Capitolo 3: *** Ombre Inutili ***
Capitolo 4: *** Stupide Convinzioni ***
Capitolo 5: *** Solo Punti ***
Capitolo 6: *** Ancora ***
Capitolo 7: *** Fidarsi ***
Capitolo 8: *** Attesa ***



Capitolo 1
*** Oltre il Reale ***


La Primavera in Noi.

 

Oltre Il Reale

 

 

 

Respira Susan, respira.

E' una cosa naturale, perchè pensi che sia impossibile da fare anche in questo momento?

Respira Bones, respira.

Ignora le lacrime di dolore, il tuo braccio insanguinato, le fitte alla schiena che ti impediscono di alzarti.

Non è così difficile, ne hai superate tante.

E poi, non le senti quelle voci?

Quelle grida di giubileo?

Per la prima volta hai vinto.

Hai conquistato il podio, sei salita sul monte più alto ed hai assoporato la bellissima sensazione che chiamano vittoria.

I buoni hanno vinto.

I giusti, o almeno coloro che ci provano, hanno vinto.

I tolleranti ce l'hanno fatta.

Ma forse è proprio questo che ti spinge a rimanere distesa a terra.

Potresti spostare tranquillamente quel masso di granito, crollato sul soffito e che ha schiacciato una delle tue gambe.

Non è pesante e il suo peso ti sembra niente in confronto a quello che il tuo braccio sta soffrendo.

Dopo questa avventura sarai sola, Susan.

Abbandonata da tutti e tutto, senza casa nè famiglia.

Che cosa avrebbe fatto ora?

Dove sarebbe andata?

A vivere con l'allegra famiglia di Hanna?

Oppure avrebbe accettato la proposta di Ernie e sarebbero volati in giro per il Mondo Magico alla ricerca di un nuovo posto per ricominciare?

Forse.

Ma era più facile, rimanere a terra, in quello che un tempo era l'immenso atrio e chiudere gli occhi.

Ora che aveva perso ogni cosa.

La famiglia.

La serenità.

Alcuni amici.

L'amore.

Cosa le rimaneva?

Non aveva più senso rimanere in vita.

Respirare non serve, decretò infine, chiundendo gli occhi scuri e lasciandosi trascinare con forza oltre l'incoscio.

Oltre il reale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

___

 

 

Sono ritornata con questa Long/Breve raccolta su Susan.

Ho notato che questo personaggio non compare se non in due/tre fanfiction con un ruolo irrilevante e la cosa mi dispiace alquanto.

Insomma, Susan Bones ha molte caratteristiche per essere protagonista o no di un sacco di storie.

Per esempio viene da una famiglia ricca e conosciuta, alti funzionari dello stato e frequentatori della mondanità del mondo magico.

Quasi tutti morti fra la prima e la seconda guerra magica...

E' carina, una buona strega ecc...Cos'altro bisogna avere per essere degni di attenzione?

Mah, la mia perplessità si allarga sempre di più...

In questi giorni leggendo le bellissime recensioni sulla mia storia con protagonista Millicent, mi sento paladina dei personaggi opressi dalle Mary Sue e Gary Stu e da quelli magari IC ma fin troppo scontati e "già visti".

Qui comunque leggerete dei Tassorosso, della fine della guerra, delle aspettative e dei sogni spezzati e non, dell'amore e della morte.

Se vi piacciono queste premesse e il prologo...Non vi resta che seguirmi.

Un bacione,

Isy.

 

 

 

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Capitolo 2
*** Un abbraccio ***


Un abbraccio.

 
 
Un abbraccio.
Ecco cosa desiderava in quel momento Hanna Abbott.
Si strinse meglio che potè quella coperta sporca di calcinacci e di grumi di sangue.
Sbattè gli occhi più volte, cercando di non dormire.
Tutto intorno a lei non era altro che confusione, uragani vestiti di verde e di bianco che correvano lungo i corridoi e parole secche che tagliavano l'aria irrespirabile e carica di tensione.
Perchè lì, dietro quelle tendine verdi c'erano loro i suoi amici.
C'era Susan, coperta da una maschera di sangue, addormentata su un lettino e indifferente alle cure dei guaritori.
C'era Justin che piangeva sommessamente, sconvolto dalla morte dei suoi più cari amici.
E poi nell'altra stanza un impassibile Ernie che fissava il soffitto e contava lentamente e con voce roca, sperando di addormentarsi e risvegliarsi nel suo letto a baldacchino con le coperte della sua squadra preferita.
Sentì le lacrime uscire e rigare il suo viso.
Quando sarebbe finito tutto questo?
Ma proprio poco prima di decidere di andarsene e cercare un angolo dove piangere ogni lacrima, ogni frustazione, un'ombra che riconobbe nonostate la vista offuscata si sedette accanto a lei.
-Ce la faremo tutti.-
E solo allora capì quanto le cose fossero cambiate da quella notte.
Si lasciò stringere goffamente dall'abbraccio di Neville, pregando che quella notte finisse presto.
 
 
 
-Io sto bene, non piangere.- scandì bene le parole, come se le costasse troppa fatica parlare.
Lei stava bene.
Il braccio era ancora gonfio e bendato da garze magiche. La gamba maciullata e insensibile ai suoi comandi. Il petto dolorante.
E soprattutto gli occhi bendati.
-Non si preoccupi signorina Bones, questa sarà una situazione temporanea.- le aveva detto il guaritore, appoggiando la sua mano calda alla spalla. -Ancora qualche giorno e le ridaremo la vista.- disse fiducioso.
Ma Susan non accennò a un sorriso o a un gesto di riconoscenza, quel giorno lei voleva solo che qualcuno avesse la decenza di lasciarla da sola.
Nemmeno Hanna aveva ascoltato le sue parole. E ora si trovava a consolarla.
Automaticamente la strinse in un abbraccio, forte e deciso, nonostante il dolore al braccio e affondò il naso nei capelli vaporosi e profumati della sua migliore amica.
Quante volte aveva trovato rifugio fra le sue braccia?
-Non piangere, non piangere.- ripeteva meccanicamente all'amica, domandandosi se mai avrebbe avuto la possibilità di rivedere il suo sorriso sbarazzino.
In quel momento però, bastava il calore del suo abbraccio a farla sentire viva.

 
 
 
 
 
 
 
 
_____
 

 

 

Eccoci al secondo capitolo.

Vi è piaciuto?

Qui abbiamo la Tassorosso per eccelenza Hanna Abbott e gli ospedali.

Vi spedisco una scatola di cioccorane,

un bacione

Isy.


 
 

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Capitolo 3
*** Ombre Inutili ***


Ombre Inutili

 

 

Susan rivolse lo sguardo al soffitto, socchiuse gli occhi ed aspettò di vedere.

Nulla.

Respurò profondamente e riprovò.

Strinse l'unica mano libera dalle bende, in ferreo pugno e lasciò che gocce di sale scendessero da quei occhi spenti e camminassero lungo le pieghe del suo viso graffiato.

Non poteva vedere dove sarebbero finite, dove quei piccoli fiumicciatoli avrebbero trovato il proprio lago.

Susan si sentiva sospesa, a metà fra il cielo, che per ora non era altro che una chiazza blu informe, e la Terra, che sentiva brulicare e muoversi. Nessuno era rimasto fermo.

Nessuno era rinchiuso in una stanza scarsamente illuminata, profumata dai fiori che il personale dell'ospedale aveva lasciato appoggiati intorno a lei.

Le avevano letto biglietti e brevi lettere dove tutti facevano le facevano i complimenti e la chiamavano "eroina".

Ma lei non era altro che un'ombra sbiadita, incolore e informe.

Ombre che scompaiono al nascere del sole.

 

 

 

Hanna Abbott si fissò allo specchio.

Sistemò come meglio potè la piccola garza sul mento e cercò di domare un ciuffo ribelle che s'innalzava al cielo come una statua.

Le voci della gente raggiungevano anche quel bagno trovato per caso mentre vagava per i corridoi del Ministero della Magia.

C'era stata così poche volte che nemmeno si ricordava l'entrata principale con la bellissima statua di cui quella sera non rimanevano altro che pezzi di macerie.

Nulla.

Sorrise quando incontrò lo sguardo di Ernie nello specchio.

-Ehi, stai bene?- domandò lentamente, avvicinandosi.

Zoppicava ancora e probabilmente gli faceva ancora male, ma stoicamente sopportava tutto, concedendo agli altri anche un sorriso.

Ma lei, quella sera, non aveva voglia di sorridere.

Non quando la sua migliore amica se ne stava da giorni sdraiata su un letto d'ospedale.

Non quando la minaccia contro di loro, persisteva e viveva negli angoli nascosti dei suoi sostenitori, che aspettavano chissà quale svolta.

Non quando i veri eroi, piangevano le loro perdite e si leccavano le ferite.

Non quando aveva dovuto dire addio a compagni di scuola e professori.

-Bene.- sussurrò.

Ernie si appoggiò al lavandino e tirò fuori un pacchetto di sigarette, ne sfilò una e la mise in bocca.

-Ora fumi?-

-Ora sì.- rispose quest'ultimo chiudendo gli occhi ed aspirando. Fece uscire lentamente il fumo dalle labbra secche e si voltò verso Hanna che lo fissava confusa.

-La amo ancora. Io non so perchè, ma la amo ancora.- mormorò.

Hanna trattenne il respiro.

Non voleva ascoltare, non voleva ricordare quel periodo così divertente e sereno per loro, quello fatto di risate e speranze per il futuro. Quello che è stato spezzato dalla guerra, che aveva donato a tutti qualcosa di terribile.

A qualcuno la morte, a qualcuno il ruolo di assasino, ad altri la codardia ed altri ancora un amore tormentato e finito.

-Lei...- cominciò Hanna.

-Lei non ha dimenticato Nott, lo so. Ma questo non mi impedisce di amarla, Hanna.- rispose Ernie schiacciando la sigaretta contro il lavabo bianco e rigato del bagno.

-Ma purtroppo per Susan, io sono...-

-Solo un'ombra?- concluse Hanna appoggiando una sua mano sul suo braccio.

-Siamo tutte ombre, oggi. E lo saremo per molto tempo, dobbiamo rialzarci e ricordarci come si fa a vivere veramente. Dobbiamo ricorstruire una comunità intera, dare speranza a quelli più piccoli di noi e giustizia a tutti quelli che hanno perso un pezzo di sè stessi. Dobbiamo riaprire Hogwarts, prendere il diploma e cercarci un lavoro...-

-Dobbiamo fare molte cose.- disse Ernie alzando gli occhi al cielo.

-Già e non possiamo fare tutto questo se rimarremo ombre inutili.-

 

 

 

 

 

 

 

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Uff, ci sono riuscita  ad aggiornare, spero che vi sia piaciuto. E' un capitolo di passaggio, un po' inutile a dire il vero.

Bacioni,

Isy.

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Stupide Convinzioni ***


Stupide Convinzioni

 

 

-Allora, è un esperimento molto semplice, signorina Bones, deve aprire gli occhi e dirmi se vede ombre e luci.-

-Non ci penso proprio.- disse seccamente Susan arretrando la testa. -Non voglio sapere.- sibilò.

Il guaritore aggrottò la fronte. -Non vuole sapere se è guarita?- domandò tentennando un poco.

-Non mi interessa e ora mi lasci dormire.-chiese Susan con voce sommessa. Qualche secondo udì le scarpe ticchettare sul pavimento in marmo della camera e la porta chiudersi.

Si distese sul letto e strinse a sè le coperte ruvide di quel letto d'ospedale e lasciò che i ricordi la travolgessero.

Quella mattina aveva chiesto alla capo-guaritrice durante la sua visita preliminare che giorno fosse.

Non voleva sapere il numero o il mese, solo il giorno. Non ricordava più a che giorno della settimana fosse arrivata in quell'ospedale.

Era un giovedì o un sabato?

-Oggi è martedì. Un martedì con un sole bellissimo.- disse la guaritrice mentre le porgeva una pozione bollente.

-Dav...Davvero? Oggi è martedì 12 maggio?-

-Sì- rispose il medico senza accorgersi della voce che tremava dal panico di Susan.

Martedì.

Era bastata una sola parola per rovinare tutta la giornata e portarla a un passo dalla follia.

Martedì.

Avrebbe voluto dimenticarlo, quel martedì, eppure si trovava ranicchiata su quel letto duro, a piangere fra le bende ancora macchiate di sangue.

Ma in fondo non erano passati che dodici mesi, dodici estenuanti mesi da quel pomeriggio passato sotto l'ultima quercia prima dell'oscurità della Foresta Proibita.

Una serie di rumori riportò l'attenzione sulla realtà.

Sentì il letto incrinarsi sotto il peso di qualcuno e una mano passare sulla sua schiena.

-Ehi.-

Riconobbe immediatamente quella voce e si rilassò.

-Che c'è, Hanna?-

-Potresti almeno fingere di essere contenta nel vedermi?-

-No.-

Un silenzio che colse Hanna impreparata e Susan risoluta a non parlare più.

Entrambe sapevano che la loro amicizia era da tempo in bilico.

Susan si era definitivamente allontananta dai Tassorosso e dal suo gruppo di amici per cercare di difendere Nott e alcune Serpeverde, fallendo miserabilmente.

Nonostante tutto si unirono tutti quanti nella lotta contro Lord Voldemort, ignorando i problemi fra loro.

-Pensi...Pensi ancora a Nott, vero?-

Susan s'irrigidì si scostò lentamente da quella calda mano che le bloccava la spalla.

-Susan, non...Volevo solo sapere.- disse Hanna alzando il viso al soffitto. -Non ne hai mai più parlato da quando siamo stati costretti a rinchiuderci nella Stanza delle Necessità.-

-Mi chiede se penso a lui?Ci penso ogni due secondi e in quei due secondi di attesa mi maledico per la mia stupidità.-

-Tu non sei...-

-Non provare a dirmi che non sono stupida, okay? Perchè ormai ne sono convintissima. Solo una cretina può aspettare uno rinchiuso in un carcere senza speranze d'uscire nel giro di qualche era geologica.-

-Allora smettila di piangerti addosso, noi ti vogliamo vedere fuori da questo letto.-

-Noi chi?- chiese acidamente Susan.

-Come chi?Noi i tuoi amici Susan. Ernie, Justin, Neville e tutti gli altri...-

-Oh, per favore non fate i cortesi con la Susan cieca!E poi sinceramente, è inutile che nascondi che mi odi.-

-Io...Io non ti odio!- esclamò Hanna.

Susan si tirò su bruscamente, mettendosi a sedere e rovesciando a terra gran parte delle coperte caddero a terra.

-Tu...Il giorno prima della battaglia hai detto a Rose Ghamer, in quel bagno, che avresti voluto che Ernie riservasse a te quelle attenzioni che invece dava a me. Neghi questo?-

Hanna aprì la bocca, le lacrime scorrevano silenziose sul suo viso e per un attimo solo pensò che in quel momento Susan non poteva vederle, ma rimase in silenzio.

-Ho bisogno di stare da sola, Hanna.-scandì Susan con voce arrabbiata.

-Va...Va bene. Ma mi fai una promessa?- chiese Hanna alzandosi dal letto e stringendo i pugni. -Anzi la fai a te stessa?-

-Quale?- domandò Susan sospirando di sollievo.

-Vorrei che ti togliessi la benda, quando te le sentirai, ovviamente.-

-Forse, Hanna. Forse.-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

____

 

 

Ci lavoro da un giorno su questo capitolo e vorrei gettarmi da un ponte perchè mi odio.

Eh, sì, non mi piace per niente.

Spero che abbiate capito alcuni retroscena delle amiche Tasso. O meglio di Ernie lo-vogliono-tutti.

Mi scuso enormemente per la schifezza che vi ho fatto leggere....

*me depressa*

Vi mando una scatola di caramelle e liquirizia,

Isy

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Solo Punti ***


Solo Punti

 

 

 

Punti.


Ecco cosa vedeva quella sera quando trovò il coraggio ditogliersi le pesanti ed ingiallite bende.


Punti colorati che formavano figura indistinte e colaravano l'ambiete intorno a sè.


Punti.


Come quel punto che aveva chiuso il capitolo sereno della sua vita.


Susan si mise gli occhiali scuri ed aprì la finestra, lasciando che l'aria fresca d'estate la colpisse.


Lei in quel momento si sentiva come un punto d'inchiostro in una pergamena candida.


Sporca e brutta.


Inutile pezzo di carne che si muoveva nell'infinita dello spazio alla ricerca di un atomo con cui scontrarsi ed aprire una voragine scura dove morire.


Ma non avrebbe mai avuto il coraggio di andarsene veramente da quel mondo.


Chiuse la finestra e lasciò che il suo sguardo puntasse su quella borsa scura che Hanna le aveva portato qualche giorno prima.

 

E se avesse avuto il coraggio di andarsene?

 

Di prendere quella valigia, impugnare la sua bacchetta e andarsene in qualunque luogo?

Chiuse gli occhi e lasciò che le lacrime scendessero, rigandole il viso.

Mosse qualche passo incerto verso la valigia e strinse con forza il manico usurato.

Punti.

Vedeva solo punti oscurati dalle lenti scure.

Punti.
S'infilò una giacca scura ed indossò un paio di scarpe basse, si guardò intorno e tenne a lungo la mano premuta sulla maniglia.

Ebbe quasi la sensazione di sentirsi osservata, di sentire il respiro affannoso di Hannah quando si arrabbiava con lei.

Aprì la bocca e mosse un passo versò l'interno per poi fermarsi.

Dopo un punto, si disse, comincia un nuovo paragrafo.

Respirò a fondo e tremando aprì la porta.

 

Quando la richiuse non sapeva che dietro un mantello invisibile si celavano degli occhi chiari.

Occhi tristi.
Occhi persi.

Due semplici punti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

____

 

Mah, non mi piace proprio questo capitolo, eppure lo trovo "giusto" per far transitare la storia verso altri luoghi.

Chissà cosa farà Susan, ancora debole e sola?

Un bacione a tutti voi,

Isy.


 

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Capitolo 6
*** Ancora ***


 

Ancora

 

 

Chiudere gli occhi e dimenticare.

Era il suo personale mantra, ma ben presto si accorse di come risultava difficile.

Quasi impossibile.

Si sentiva come quei primi maghi, costretti a rifugiarsi fra le ripede montagne dell'Europa e nelle valli più perdute.

Soli e ignorati.

Solo, lui, lo era sempre stato.

Non era una novità ritrovarsi in una casa immensa come la sua, con la sola compagnia del tichettiò di un vecchio orologio a pendolo.

Ma non ignorato.

C'era sempre lei, che lo faceva sentire così importante, così vivo.

Così maledettamente utile.

Ed ora se ne stava seduto in una poltrona sfondata, in un salone tetro come la sua anima e il rimpianto di non aver aperto quella porta, di non averla guardata un'ultima volta, di non averla stretta a sè, ancora.

 

 

 

 

Tastò il muro di fronte a lei, fece scorrere le dita lungo le sottili crepe e sospirò.

Quello era il muro dove suo padre era solito misurarla. Prendeva un gessetto colorato e segnava la sua altezza.

Da piccola adorava passare il dito lungo quelle linee indelebili e immaginare il giorno in cui avrebbe superato l'ultima linea.

Poi era cresciuta, e tutto era passato in secondo piano.

C'era Hogwarts, i compiti, gli amici, il mare e la fiducia nel futuro.

Ora era tutto spezzato.

Ora era tutto morto.

Qualcuno bussò alla vecchia porta.

Camminò lentamente e rischiò di cadere più volte, la sua vista le impediva di notare dettagli come sedie e spigoli e lo stato di incuria della sua casa, non l'aiutava.

-Chi è?- chiese non appena aprì la porta.

Non riuscì a delineare i contorni della persona che se ne stava in piedi con in mano una specie di cartone.

-Sono io.-

Susan degluitì.

Quella era la sua voce.

Il tono di voce della persona che più le aveva fatto male in quell'ultimo anno, la persona che gli aveva voltato le spalle, mandando al diavolo la loro secolare amicizia.

-Ernie...- sussurrò.

-In persona!Mia madre insiste per aiutarti a sistemare un po' la casa, ma se non vuoi ti lascio alcuni dei strumenti da lavoro...-

Susan sorrise ricordando improvvisamente l'abitudine di Ernie di lanciarsi in discorsi lunghi e complicati.

Si avvicinò a lui, prese il cartone e lo lasciò cadere a terra.

Piccoli chiodi, rulli, scatole di vernice e martelli si rovesciarono a terra, disegnando quadri astratti sugli assi del vecchio legno di casa Bones.

Ernie s'irrigidì quando sentì le sue braccia circondarlo un abbraccio quasi rude e violento.

-Susan...- disse stringendola a sè.

L'unica risposta che ottenne fu un singhiozzo, che lo convise a trattenerla fra le sue braccia con maggiore forza.

-Siamo ancora amici?- domandò Susan, non riuscendo a reprimere le lacrime che scendeva oltre gli occhiali scuri.

Lui le depose un piccolo bacio fra i capelli. -Sono ancora tuo amico, Susan. Lo sono sempre stato.-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

______

 

Spero vi sia piaciuto questo capitolo.

Purtroppo la vita non virtuale si sta incasinando e non ho più cartucce da sparare quindi mi restano poche scelte, se non quella di correre al riparo o attendere un velocissimo Forrest Gump che mi salvi.

Meglio la seconda idea.

Un bacione

Isy

 

 

 

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Capitolo 7
*** Fidarsi ***


Fidarsi

 

Susan si guardò intorno, o meglio ci provò.

Non riusciva a distinguere i contorni degli oggetti accanto a lei.

Tavoli, piatti, mobili non erano altro che chiazze blu o marroni, a volte troppo chiare da farle lacrimare gli occhi.

Quegli, odiosi, occhiali scuri li teneva per tutto il giorno, persino nelle ore più buie, giusto per precauzione.

La prudenza, una virtù che pensava di aver perso durante la guerra, l'aveva portata a comprensere altre paia che teneva nel cassetto della cucina e nella borsa in caso di emergenza.

Se ne stava seduta nel salotto spoglio della sua vecchia casa quando sentì il secco rumore di una porta chiusa.

Si alzò ed istintivamente sfilò la bacchetta dalla tasca dei jeans.

-Chi è?- disse con voce tremante, cercando di non farsi prendere dal panico.

Attese qualche secondo e s'incamminò verso il piccolo corridoio che portava alla porta.

-Sono...Sono io, Susan.-

A quelle parole, brevi lettere che s'incatenavano fra loro, Susan perse l'equilibrio e si aggrappare al muro.

-Theodore...- sussurrò a sè stessa, quasi come non ritenesse possibile averlo a pochi metri da lei.

 

 

 

Ricordava con molta chiarezza come sua nonna, Primulae Bones, avesse insistito per regalarle il "Galateo per gli Ospiti" edito da quel giornaletto per donnine "StregaOggi".

Non rammentava nessuna regola, se non quella di offrire qualche pietanza al povero ospite.

Piccola regola che quel pomeriggio preferì ignorare, così si accomodò sulla vecchia poltrona di suo padre e rimase a fissarlo, nei limiti della sua vista cecata.

I suoi capelli scuri e la forma del suo naso, lungo e leggermente adunco, erano le uniche caratteristiche che riusciva a vedere.

Si tormentava le dita delle mani, leggermente affusolate, con una violenza e velocità che la vista confusa di Susan riusciva a vedere solamente un grosso ammasso di carne che si muoveva.

-Perché sei qui, Theodore?- domandò cercando in tutti i modi di rimanere impassibile.

-Come perché...- cominciò Theodore fissandola. -Per scusarmi.-

Le labbra di Susan si stirarono in un sorriso spento. -Già, come ho fatto a non pensarci! Un'altra richiesta di scuse.-

Theodore non rispose e rimase a guardarla.

Fissò quelle leggere cicatrici sul polso, quegli occhiali che nascondevano i suoi occhi chiari ed infine quel vezzo di attorcigliarsi le dita intorno alle ciocche castane.

-Hai ragione. Ma queste scuse...-

-Non me ne faccio nulla delle scuse, Theo. Nulla. Non spiegherebbe il perchè tu non mi abbia minimamente ascoltato!- sbottò Susan.

-Ti ho solo chiesto di non farlo, di non uscire da quella maledetta stanza. L'Ordine avrebbe testimoniato sulla tua innocenza.-

-L'Ordine non mi avrebbe mai creduto.- borbottò Theodore.

-Io ti ho creduto.- ammise sommesamente. -Io ti credo ancora.-

Theodore si alzò, troppo agitato e nervoso.

Quella conversazione si stava concludendo non nella maniere che aveva sognato durante le sue notti ad Azkaban.

Susan non gridava.

Susan non piangeva.

Susan non era arrabbiata.

Susan era delusa.

-Io ti...Amo.- riprese lui, prendendola per un braccio e facendola alzare bruscamente, tirandola verso di sè.

-Io ti amo Susan. Non so se riuscirai mai a perdonarmi, ma credimi se ti dico che ti amo.-

Susan scosse la testa e sciolse quell'abbraccio forzato.

-Te l'ho già detto Theodore. Io ti credo.-

Quest'ultimo aggrottò la fronte, cercando di avvicinarsi a lei. -E allora, cosa è cambiato?-

-L'unica cosa che è cambiata fra noi, è che io non mi fido più di te.-

 

 

 

 

 

Era ormai buio e Susan riusciva a distinguere le poche luci del vialetto.

Due o tre lampioni erano rimasti illesi dopo lo scempio dei Mangiamorte mesi prima.

Aveva provato a dormire, quella sera, ma non ci riusciva.

Si era rifugiata nell'unico luogo che adorava; i piccoli gradini davanti al portone principale.

E una volta seduta lì, si sciolse in quel lento pianto che aveva tenuto da troppe ore ingabbiato fra le sue fragili ossa.

Erano lacrime amare quelle di Susan, intrise di quella consapevolezza, tipica degli adulti, che niente sarebbe tornato come prima.

Né Theodore.

Né la sua vita.

Si accorse solo qualche minuto dopo di una figura che si era seduta accanto a lei.

-Perché piangi?- domandò Ernie con un tono di voce rassegnato.

-Per niente.- rispose lei.

Lui ridacchiò appena. -Se piangi per niente, dovrò abituarmi all'idea di vederti in lacrime ogni santo minuto.-

-Già. Eccoti la nuova Susan, hai ottenuto la versione piangente.- rispose a tono Susan, cercando di asciugare gli occhi da sotto le lenti.

Ernie la fissò per un po', incerto se intromettersi o rimanere in silenzio.

-Hanna...Oggi è passata da me.-

-E allora?-

-Mi ha detto di riferirti che domani, volente o nolente, passerà con le varie pozioni che devi prendere per la vista.- disse lui serio.

-Bene, domani non mi farò trovare.-

-Dovete parlare.-

-No.-

-A volte sei una bambina cocciuta. Un mulo parlante.-

-Grazie mille. Ma ti fidi di me se ti dico che non voglio vedere Hanna?-

-Mi sono sempre fidato di te, Susan.- disse Ernie alzandosi dal gradino e camminando verso il cancello di legno.

-Grazie.- gridò Susan, avendo come risposta solo un confuso braccio che si alzava verso il cielo scuro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

____

 

Il capitolo forse non è realmente collegato agli altri e di questo me ne rammarico.

Spero vi sia piaciuto comunque, in fondo Nott ha fatto la sua comparsa e non mollerà l'osso facilmente.

Hanna ritornerà.

A breve vedremo Justin e Zacharias Smith ed altri Tassorosso, in una specie di riunione.

Vi mando un bacione e appena riesco, vi risponderò. Il tempo per scrivere è sempre meno.

Un bacione,

Isy

 

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Capitolo 8
*** Attesa ***


 
 

Attesa 

 

 

Si fermò di fronte al cancello ed attese.


Si sentiva persa mentre guardava le crepe che deturpavano la facciata di una villa che aveva amato e in cui era cresciuta.


Aveva riso fino alle lacrime in giardino.


Aveva giocato a lungo con le palle magiche del signor Bones.


Aveva anche studiato durante quelle estati calde, seduta sulle poltrone in vimini che ora giacevano distrutte in un angolo accanto ai bidoni pieni.


Sospirò.


Allora è vero, si disse.


Era veramente decisa a ritornare nella casa della sua famiglia e chiudersi per sempre lì dentro.


Sarà stato quell'impulsività che spesso la trasformava dalla silenziosa Hanna alla combattiva Abbott, che scavalcò la recinzione bassa e con la bacchetta in mano camminò fino alla porta.


Ma lì, qualcosa la fermò.


E cominciò ad attendere.
 
 
 
 


Non aveva bisogno di capire chi fosse.


Di strizzare gli occhi ed osservare meglio, cercando di sforzare al massimo la sua già malata vista.


Quel modo di camminare era suo, quel modo di trattenere il fiato era tipico della sua migliore amica.


Ma si può chiamare ancora amica chi non ti capisce più?


Chi pretende qualcosa che tu non sarai mai più in grado di dare?


-Ciao Hanna.- disse solamente.


-Ho portato le tue medicine, sappi che se non le prenderai la tua vista non tornerà mai come prima. Mai.-


-Ho afferrato il concetto tempo fa.-


Susan si allontanò per farla passare e la sua compagna di scuola lasciò il piccolo cesto pieno di oggetti.


-C'è una lettera che potrà dirti tutto quello che vuoi, basta che la toccherai con la bacchetta. Non credo che tu non abbia bisogno di me, o sbaglio?- disse Hanna voltandosi verso Susan che non riuscì a nascondere una lacrima che scendeva lungo la guancia.


-Io credo tu stia percorrendo la strada sbagliata. Sei una Bones e i Bones non si sono mai arresi.-


-E tu sei una Abbott, perchè non stai seguendo il vento?-


Hanna sorrise e improvvisamente si ricordò di quel motto che la sua famiglia si ripeteva da anni.


-Perchè il mio vento l'ho trovato, ma tu devi trovare una nuova guerra e non arrenderti.-


Susan annuì lentamente.


-Sono stata...una stupida.- disse sommessamente.


Hanna scrollò le spalle e sorrise. -Quante volte dovrò sentire quella parola?- Si mise a fissare i vari cartoni ed oggetti che Ernie aveva lasciato in giro per la stanza.

 

Susan non rispose preferì incrociare le braccia ed osservare a lungo una macchia marrone che altri non poteva essere che il parquet della casa.

 

-Ernie viene spesso?- domandò Hanna.

 

-Ogni tanto, quando riesco...A parlare con qualcuno.- rispose titubante. -Non c'è niente fra noi!- esclamò ricordandosi della loro ultima litigata.

 

Hanna scoppiò a ridere. -Non mi interessa più. O meglio non mi è mai interessato in quel senso.-

 

-E allora perchè hai confessato a Rose quelle cose?- disse aggrottando la fronte.

 

-Perchè ero gelosa di te, Susan. Non del tuo rapporto con Ernie.-

 

-Che cosa?- esclamò quest'ultima aggrappandosi allo schienale di una sedia. -Gelosa di me?-

 

-E' una lunga storia, Susan e ora come ora non ho propria voglia di parlartene.-rispose nervosamente Hanna. -Non fuggirò, te lo prometto, ma preferisco attendere che le acque siano tranquille. Ho troppe cose per la testa.-

 

-Tipo?-chiese poco convita Susan.

 

-Devo trovare la mia strada, inventarmi un mestiere o ritornare ad Hogwarts, vivere da sola o restare dai miei, uscire o meno con Neville, decide...-

 

-Neville?- la fermò Susan. -Neville Paciok?-

 

Hanna arrossì vistosamente. -Ehm...Pare di sì.-

 

-Tu mi stai dicendo che sei passata da Zacharias Smith a Neville Paciok?- gracchiò la ragazza.

 

-Non è il caso di metterla su questo piano...- Hanna buttò un occhio al piccolo orologio da polso. -Devo andare. Mia madre mi aspetta.-

 

-Già, allora aspetterò la tua prossima visita.- rispose sorridendo Susan.

 

Entrambe mossero un passo l'una verso l'altra, imbarazzate si fermarono.

 

-Amiche?-

 

-Amiche.-


 

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