CAPITOLO
3 – BUIO E LUCE
Udì il rumore della porta che si apriva e lieve soffio d’aria che
penetrava nella sua cella.
Compostamente seduto sulla cuccetta che i buoni monaci gli avevano
dato, Galahad attese di conoscere l’identità del suo ospite. Alzando lievemente
il mento rimase in ascolto ma lo sconosciuto non avanzò.
Per un attimo percepì che il cavaliere lo stava studiando.
Come sapeva che era un cavaliere, dato che i
suoi occhi non potevano più vedere nulla, tranne che un candore vuoto, solo Dio
sapeva.
Dio che gli aveva donato gli altri sensi.
L’aroma del suo visitatore non era il profumo delicato che solitamente
indossavano le dame, o l’incenso delle suore.
Alzando lievemente una mano, fece cenno allo sconosciuto di entrare:
«Venite, accomodatevi pure, mio buon signore»
L’altro parve trattenere il fiato.
«Mi recate buone notizie dal mio signore, re
Artù, e dei suoi uomini? So che molti sono stati accolti in questo santo ricovero dopo Camlann…»
Sorprendendo il ragazzo, l’altro ancora
continuò a tacere.
Piegando il capo di lato, Galahad tese le
orecchie.
«Come?... Non siete un cavaliere? Siete forse
un buon frate giunto per tenermi compagnia in questo lungo inverno bianco?»
Aveva preso a chiamare così la sua condizione. Scosse piano il capo: «Strano però. Avrei giurato foste un cavaliere; ma vi prego,
parlatemi. O forse vi ho recato qualche offesa in tempi passati, così che non
volete rivolgermi parola?»
Sorpreso sentì la porta richiudersi e l’uomo
avanzare verso di lui. Quasi cadde ai suoi piedi, accanto al letto.
Galahad sussultò ripensando a come si erano comportati i francesi al
suo cospetto. Primi fra tutti ser Bors e Percival. Lo
salutavano come fosse un santo.
Arrossì pensando che lo sconosciuto era uno dei tanti cavalieri che erano
venuti a ringraziarlo per il miracolo che aveva operato a Camlann.
A volte parlavano come se fosse stato merito suo e non del graal, per aver salvato tutta la cavalleria del regno.
Il graal. La santa reliquia, era svanita dalle sua mani, dopo quel prodigio, e l’aveva lasciato così.
Senza la vista.
«No.
No, vi prego. Non serve» ansimò Galahad, tentando evitare gli omaggi dello sconosciuto:
«Davvero non ho fatto nulla che meriti tale riverenza. E’ stata la volontà di
Nostro Signore Iddio…»
Il cavaliere sconosciuto non gli badò e gli afferrò la mano destra con
una presa ferrea.
Stupefatto Galahad lo sentì piegarsi su di lui e baciargli il dorso
della mano.
Un tocco delicato, riverente.
«Davvero messere, non dovete…»
Sempre in silenzio, il visitatore gli scostò la tunica che indossava,
facendogliela scivolare su lungo l’avambraccio, poi gli voltò la mano verso
l’alto.
Quando le sue labbra si posarono sull’interno del braccio, in un bacio
intimo, rimase senza fiato.
Tremò senza poter far nulla quando il terzo bacio salì verso il
gomito.
Arrossì, trattenendo il fiato e quando parlò
fu solo con il respiro mozzo: «Vi prego… Cosa fate?»
L’uomo non parlò ma Galahad sentì I suoi occhi posarsi nei suoi. Lo
percepì, mentre quelle dita lunghe e forti salivano ad accarezzargli le
braccia.
Senza ragionare allungò una mano a cercare il suo volto in quel niveo
chiarore.
A sfiorargli le guance, per conoscere il suo
interlocutore.
Il viso era forte e spigoloso; il naso dritto e nobile; le labbra
lunghe e sottili. I capelli scendevano morbidi a incorniciare il suo ovale.
Il suo cuore mancò un battito quando comprese chi aveva davanti.
«Ser Mordred…?»
Le sue labbra non ebbero il tempo di bisbigliare quel nome che la
bocca dello sconosciuto glielo fece ingoiare in un bacio rapace, caldo e
possessivo.
Non rispose alcunché ma, Galahad seppe che
era la verità dal respiro struggente che gli lasciò sul viso. Sui suoi occhi ciechi, prima di alzarsi e lasciare la stanza senza
una sola parola.
Sconvolto Galahad si portò le mani al viso,
toccando quelle labbra che non sentiva più come sue. Quelle labbra che erano
rimaste legate alla persona sconosciuta che era giunta a trovarlo, senza una
sola parola.
***