Verde d'Ungheria

di Saralasse
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 32: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Novembre 1787

 

 

Un anno. Un intero, lunghissimo anno era già passato, un anno nel quale si era ritrovata a contare le interminabili ore, i minuti, i secondi trascorsi dall’incidente che le aveva stravolto l’esistenza.

Oscar, sdraiata sul suo letto, continuava quel computo estenuante, osservando ciò che la circondava: tutto quello che era suo si trovava in quella stanza o in quella casa, tutto escluso l’unica cosa, l’unica persona che le sarebbe importato di poter definire sua.

Andrè non era più suo. Non aveva mai ammesso a se stessa che lo fosse, rifugiandosi dietro la solita immagine che aveva di lui, migliore amico, fratello, attendente.

‘Quello che più mi conveniva’, si ritrovò a pensare amaramente, disprezzando la codardia che le aveva fatto rifuggire i sentimenti ben più profondi celati nel suo cuore.

Eppure era stato così semplice! Naturale come il respirare, la consapevolezza si era impossessata di lei nel momento esatto in cui Andrè le era stato strappato via, senza che potesse opporsi, che le fosse data una seconda possibilità di rivelargli i sentimenti divampati in lei e che avevano cancellato quello che credeva essere l’amore per il conte di Fersen.

Esattamente un anno prima Andrè l'aveva lasciata, precipitato dall’alto di una torre per assecondare il folle piano che lei stessa aveva ideato allo scopo di catturare il Cavaliere Nero; il vero ladro aveva colto in flagrante Andrè e senza pensarci aveva tranciato la corda con la quale lui si stava calando a terra, lasciandolo cadere nel vuoto. Ogni ricerca era stata vana, lei stessa aveva preso parte attiva ai pattugliamenti della zona ma il ragazzo sembrava essere scomparso nel nulla.

Le dissero di lasciar stare, ché il fiume che scorreva ai piedi della torre doveva essersi portato via il corpo; le dissero di non insistere, meglio ricordarlo com’era che sfatto e gonfio d’acqua dopo tutti i giorni trascorsi dal fatto. E lei aveva rinunciato, ancora una volta, negando alla nonna di Andrè persino la possibilità di avere un corpo da seppellire in quella tomba che tutti i giorni ne accoglieva, muta, le lacrime. Nessuno le aveva fatto una colpa di questo, ciascuno convinto che la povera madamigella Oscar preferisse ricordare il suo caro amico Andrè così com’era stato; nessuno poteva immaginare fino a che punto l’egoismo avesse dettato quella decisione, come avesse agito per puro istinto di conservazione, conscia che il vedere quel corpo ormai privo di vita l’avrebbe frantumata, schiacciata sotto il peso di ciò che avrebbe potuto essere e non sarebbe più stato.

Trattenendo a fatica l’ennesimo sospiro si alzò avvicinandosi alla finestra e appoggiò la fronte contro il vetro freddo, osservando il sole che tramontava, cedendo lentamente il posto all’oscurità; non che le importasse, notte e giorno non facevano più differenza per lei, non avevano altro significato che allontanarla sempre più dall’ultima volta che lo aveva avuto con sé.

Un lieve bussare la distolse dai suoi pensieri e come sempre dopo aver concesso il permesso di entrare si ritrovò a trattenere il fiato nella speranza che fosse Andrè a varcare quella soglia. Anche questa volta, invece, si trattava di Nanny che veniva a ricordarle i suoi doveri.

“Madamigella Oscar dovreste prepararvi, siete attesa a Versailles stasera… il ballo, ricordate?”, si affrettò a specificare vedendo lo sguardo smarrito di Oscar.

“Il ballo certo, quei nobili ungheresi… me ne ero completamente dimenticata, grazie Nanny”.

La donna sorrise comprensiva, tentando di ignorare il pessimo aspetto di Oscar, pallida e dimagrita, gli occhi cerchiati di nero, segno evidente di molte notti di veglia.

“Principi, madamigella, non dimenticate. I principi Beleznay sono ospiti molto cari alla nostra Regina, sbagliare il loro titolo nel rivolgervi a loro sarebbe una grave mancanza”.

Oscar non rispose, intenta a scrutare Nanny con particolare attenzione.

‘Come fa?’, si chiese stringendo appena i pugni. ‘Come riesce a preoccuparsi ancora di queste inezie dopo aver perso il suo unico nipote? Come… perché io non ci riesco più?!’

“Madamigella qualcosa non va? Vi sentite poco bene forse?”, chiese l’anziana donna fraintendendo il suo silenzio.

“No, va… va tutto bene, grazie Nanny, mi preparo subito. Per favore, ordina che sia preparata la mia carrozza”.

Nanny chinò rispettosamente il capo uscendo dalla stanza mentre Oscar tornava a prestare una morbosa attenzione al paesaggio visibile dalla finestra. Quando il sole fu tramontato del tutto decise finalmente di muoversi e cambiarsi d’abito, ponendo fine all’attesa del cocchiere che la aspettava davanti all’ingresso.

 

 

Mentre la carrozza la conduceva lentamente a Versailles, Oscar si ritrovò a pensare con disappunto che procedeva troppo velocemente per i suoi gusti. Non aveva voglia di partecipare all’ennesimo ballo, tuttavia non se la sentiva di mancare di rispetto alla Regina che si dimostrava da sempre una cara amica; le aveva persino concesso una lunga licenza dal suo incarico presso la Guardia Reale dopo la perdita di Andrè, consentendole se non di dimenticare almeno di costruire una maschera convincente per il resto del mondo. Perciò, se lei la desiderava al suo fianco a ricevere i principi Beleznay, Oscar non poteva fare altro che esaudire il suo desiderio e presentarsi a corte in alta uniforme.

Non era la prima volta che quella famiglia di nobili ungheresi si recava in visita alla Regina Maria Antonietta: circa un anno prima erano stati ospiti in Francia in occasione del compleanno della sovrana e li ricordava come persone cordiali, compite ed eleganti ma poco avvezze agli intrighi di Versailles. Il principe Zalán e la sua consorte Ariadné conoscevano da tempo la Regina, dal momento che la donna era stata per un breve periodo una delle dame di Maria Teresa d’Austria; si era trattato di un tentativo di mitigare le tensioni con il recentemente annesso Regno d’Ungheria, ma Ariadné aveva abbandonato presto quella posizione, stanca dei commenti delle dame austriache, pur conservando un affetto profondo per la piccola principessa Maria Antonietta.

Un lacchè si avvicinò per aprire lo sportello della carrozza, interrompendo le riflessioni di Oscar sulla storia della famiglia Beleznay. La donna si avviò verso la reggia ostentando un atteggiamento sicuro, quasi spavaldo; era un personaggio troppo in vista per potersi permettere di apparire debole o peggio provata dalla perdita di un servo, quale Andrè era considerato in quell’ambiente. Fasciata nella candida uniforme, si diresse alla Sala degli Specchi, dove si sarebbe eccezionalmente tenuto il ricevimento per espresso volere della Regina Maria Antonietta.

Non appena vi mise piede assistette al consueto spettacolo delle teste dei presenti voltarsi a guardarla, tutte nello stesso momento, come si trattasse di una mossa studiata ad arte. Come sempre le ignorò per procedere spedita verso il fondo della galleria dove era stato collocato il trono dei sovrani e si inchinò al loro cospetto, trovandosi davanti lo sguardo smarrito di Maria Antonietta nel rialzarsi.

“Madamigella Oscar io… mi aspettavo che ci raggiungeste più presto”.

“Non mi pare di essere in ritardo maestà”.

“Affatto è solo che…”

La Regina fu interrotta dall’ingresso dei principi Beleznay, i quali procedettero fianco a fianco lungo la galleria, accompagnati da una terza figura che si intravedeva appena dietro il principe Zalán.

“Miei sovrani”, cominciò inchinandosi ai regnanti di Francia, imitato da Ariadné e dall’altra persona, “è un onore e un piacere essere ricevuti ancora una volta presso di voi”.

Luigi XVI sorrise cortesemente facendo loro cenno di rialzarsi

“Siamo felici che abbiate deciso di concederci la vostra compagnia ancora una volta e speriamo che diventi una piacevole abitudine per voi”.

Zalán e Ariadné chinarono rispettosamente il capo e la donna si voltò verso la persona dietro di sé, stringendole la mano perché facesse un passo avanti, mostrandosi ai sovrani.

“Le loro maestà ci consentono di presentar loro una persona?”, disse Ariadné, aspettando un cenno di Maria Antonietta per proseguire. “Lui è nostro figlio, András”.

Oscar che aveva assistito all’intera conversazione senza battere ciglio, sentì il sangue defluirle dalle vene e fu sicura di essere impallidita ma non riusciva a emettere suono, né a distogliere lo sguardo dall’uomo in piedi fra Zalán e Ariadné, che adesso stava chinando il capo al cospetto di Luigi XVI e Maria Antonietta, articolando il suo saluto in un perfetto francese.

“Andrè…”, riuscì solo a sussurrare.

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Dunque... è la prima volta che mi cimento nella scrittura di una fanfiction su Lady Oscar (e in realtà ne ho scritte poche in generale) anche se ne ho lette moltissime di quelle pubblicate, la qual cosa devo dire mi ha provocato un complesso di inferiorità non indifferente T_T Proprio perchè ho passato l'ultimo mese accampata in questa sezione, temo che potrei aver inconsciamente scritto qualcosa di altrui derivazione... se così fosse mi scuso, non avevo e non ho intenzione di plagiare nessuno, ma si sa che spesso le idee si nutrono di quello che leggiamo.

Comunque, siccome sono dell'idea che il modo più efficace per migliorare sia confrontarsi, ho preso il coraggio a due mani e ho deciso di pubblicare questa mia modestissima cosa; in altre parole, vi prego di commentare e aspetto tanti suggerimenti perchè so di averne bisogno!

Ovviamente sono bene accette anche le critiche (non siate troppo duri/e per favore, mi scoraggio facilmente ^^"), basta che siano costruttive, se non lo sono mi deprimono e basta =__=

Ultima cosa, poi smetto di ammorbarvi, vi chiedo scusa se i personaggi potrebbero risultare OOC ma mantenere il carattere originale di ognuno di loro è una cosa che mi risulta ostica :(

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Novembre 1787

 

 

András tornò compito al suo posto e si volse a guardare Oscar sorridendogli. La donna dal canto suo restava incatenata al suo sguardo, ai suoi occhi di giada che la guardavano senza tradire la minima emozione. Lei ne era certa, quell’uomo davanti a lei era Andrè, la somiglianza era troppa perché si trattasse di una coincidenza.

“Principe András”, intervenne Maria Antonietta notando quel gioco di sguardi. “Permettetemi di presentarvi madamigella Oscar François de Jarjayes, Capitano delle Guardie Reali”.

András si avvicinò a Oscar esibendosi in un educato baciamano e tornò a sorriderle.

“Sono il principe András Beleznay. E’ un onore fare la vostra conoscenza madamigella. Non posso negare di essere sorpreso che si consenta a una creatura di tale bellezza di condurre una vita nell’esercito, tuttavia sono certo che svolgiate con la massima efficienza il vostro lavoro”.

Oscar lo ascoltò alzando un sopracciglio; la stava corteggiando? Improvvisamente si rese conto che sia il principe András che la Regina Maria Antonietta la stavano fissando in attesa di una sua risposta e si sforzò di sorridere a sua volta, senza tradire il turbamento che l’aveva presa.

“L’onore è tutto mio principe András”, disse chinando leggermente il capo. “Vi devo fare i miei complimenti per il vostro francese, oserei dire che è perfetto”.

András si voltò a guardare i genitori e al sorriso della madre tornò a guardare Oscar.

“I miei genitori hanno voluto che la mia educazione fosse la più completa possibile, per questo mi hanno consentito di partire per un Grand Tour e infine di studiare qui, in Francia, per molti anni. Perciò, non deve stupirvi che io parli perfettamente la vostra lingua”.

Oscar non distoglieva lo sguardo dal principe cercando di cogliere in lui un qualsiasi indizio che le confermasse i suoi sospetti. Gli occhi erano senza dubbio identici a quelli di Andrè e anche se i capelli erano lunghi e sciolti sulle spalle, sarebbero potuti ricrescere tranquillamente nel giro di un anno. Ne era certa, quello davanti a lei era Andrè, non poteva ingannarsi proprio su di lui, non dopo una vita trascorsagli accanto!

“Capisco. Vi tratterrete molto in Francia?”.

“Solo due settimane madamigella. La Transilvania è lontana, raggiungerla comporta un viaggio lungo e a tratti rischioso”.

Oscar trasalì a quelle parole: due settimane? Due settimane soltanto per scoprire se quello fosse davvero Andrè, senza più dubbi… doveva trovare la maniera di restare da sola con lui, solo in quel caso si sarebbe mostrato a lei, rivelandole la verità e spiegandole per quale strano scherzo del destino si era trovato in una famiglia di nobili ungheresi che lo trattavano come figlio.

András che evidentemente aveva frainteso il suo turbamento, o forse intendeva dissiparlo, le porse il braccio invitandola a ballare.

“Mi volete concedere l’onore del prossimo ballo?”.

“Credo che vi stiate sbagliando principe, io sono un soldato”.

“E io un principe ungherese, come vedete saremmo comunque una coppia ben strana”.

Oscar non trattenne una bassa risata, declinando cortesemente l’invito.

“Vi ringrazio principe András, ma continuo a pensare che non sarebbe una buona idea”.

András non sembrava voler cedere; insistette tanto che Oscar dovette accordargli almeno una passeggiata nei giardini di Versailles l’indomani prima che la lasciasse danzare con la Regina.

 

 

Maria Antonietta sembrava avere un’aria colpevole mentre volteggiava leggiadra tra le braccia di Oscar, la quale gliene chiese il motivo.

“Vedete madamigella, io avevo già visto il principe András e avrei voluto avere il tempo di prepararvi a quello che avreste visto; mi dispiace molto che vi siate trovata davanti una persona così somigliante ad Andrè, non deve essere facile per voi”.

Oscar sorrise rassicurante, sicura di quello che credeva di aver intuito sul conto del principe.

“Non dovete scusarvi maestà, in nessun caso. E comunque, il principe non assomiglia ad Andrè, è proprio lui”

“Cosa?!”

“Avete capito bene, io credo che non esista nessun principe András Beleznay, l’uomo laggiù è Andrè Grandier. Sono certa che domani mi rivelerà ogni cosa”.

Maria Antonietta lasciò andare un sospiro, scuotendo leggermente la testa in segno di diniego.

“Devo darvi una delusione madamigella. Ho avuto modo di parlare con i principi e mi hanno raccontato tutto del loro figlio. Lo hanno adottato con il permesso dell’Imperatore d’Austria dopo averlo cresciuto esattamente come avrebbero fatto con un figlio naturale. Andrè non c’è più, dovreste accettarlo”.

Oscar trasalì impercettibilmente, sentendo l’impulso improvviso di urlare la sua frustrazione. Se esisteva un Dio non poteva essere così crudele con lei, darle l’illusione di aver ritrovato Andrè dopo un anno di dolore e rimorso, farle incontrare quegli occhi così simili a quelli che conosceva, occhi fatti per sorriderle mentre lei li trovava estranei.

“Io… temo che abbiate ragione maestà, devo essermi lasciata ingannare dalla somiglianza”.

Trattenendo un sospiro si volse istintivamente a guardare il principe András che accorgendosi di essere osservato, ricambiò lo sguardo e le sorrise, costringendola a distogliere il suo.

 

 

András dal canto suo la osservò perplesso, chiedendosi cosa avesse improvvisamente provocato quel cambiamento; solo qualche attimo prima, l’insolita donna soldato gli rivolgeva caldi sorrisi e adesso si voltava sdegnata se le sorrideva a sua volta.

“András, va tutto bene?”, chiese la principessa Ariadné vedendolo tanto assorto.

András si voltò a guardarla e le sorrise annuendo.

“Certamente madre. Avevate ragione, Versailles è davvero un posto splendido, sono stato uno sciocco a non volerla visitare prima, dopo tanti anni trascorsi in terra di Francia”.

Ariadné continuava a guardare suo figlio e un lampo di tristezza le attraversò gli occhi di ghiaccio, subito cancellato dal suo dolce sorriso.

“Sono felice che la Reggia ti piaccia, ma dovresti invitare a danzare qualcuna di queste graziose dame! Chissà che tu non trovi la tua futura sposa fra loro”, disse nascondendo un sorrisino malizioso dietro il ventaglio opportunamente aperto sul viso; la principessa aveva notato, infatti, che l’avvenenza di suo figlio non era passata inosservata nei saloni di Versailles, e anche in quel momento poteva notare qualche giovane dama sventagliarsi solo se András le posava addosso lo sguardo per puro caso.

“Non prendetevi gioco di me, madre. Sapete bene che non mi piacciono le dame francesi, sembrano… finte, anche quando dicono di provare amore o qualsivoglia sentimento. Preferisco di gran lunga le giovani ungheresi!”.

Zalán che aveva taciuto fino a quel momento, decise di venire in soccorso della sua sposa, posando una mano sulla spalla di András.

“Figliolo, tua madre ha ragione. Dovresti cercare di divertirti, altrimenti questa diventerà l’ennesima serata in cui avrai accompagnato i tuoi genitori soltanto per far sapere al mondo che esisti. Avrai tempo per annoiarti alle feste di rappresentanza quando avrai la mia età! Coraggio, ci sarà almeno una dama disposta a concederti un posto nel suo carnet stasera”.

András sembrò soppesare ancora per qualche istante le parole del padre finchè non lo convinsero del tutto.

“Avete ragione padre, è meglio che provi a divertirmi come tutti i presenti in questa sala!”.

Così dicendo si allontanò verso un gruppo di dame che sentirono improvvisamente la necessità di agitare i ventagli tutte insieme.

“Ariadné, temo che quelle fanciulle faranno volare nostro figlio fino a casa se continuano così!”.

La donna nascose una risata dietro il proprio ventaglio, scoccando un’occhiata significativa al consorte.

“Non dovrebbe stupirti, sai bene che ovunque andiamo András riscuote molto successo fra le esponenti del gentil sesso!”.

Improvvisamente il suo sguardo si rabbuiò e sentì il bisogno di stringere la mano di Zalán, traendone conforto.

“Io continuo a credere che sia stato uno sbaglio portarlo in Francia. Quella donna, Oscar François de Jarjayes, lo guardava in modo strano, come se cercasse di carpirlo! Non voglio che me lo porti via”.

Zalán si portò la mano di sua moglie alle labbra posandovi un tenero bacio.

“Non devi temere Ariadné. Io non permetterò a nessuno di distruggere la mia famiglia. András è nostro figlio, e tale resterà per sempre. Prova a svagarti finchè siamo qui, in fondo si tratta di due sole settimane e nostro figlio è un uomo di sani principi; non resterà in questo paese per una donna che conosce da così poco. Lo riporteremo a casa con noi, credimi”.

Ariadné sorrise, convinta dalle parole di Zalán e si aggrappò al braccio che lui le porgeva.

“Volete concedermi questo ballo madama?”.

“Con estremo piacere messere”.

I due si sorrisero complici, ripetendo quel gioco delle parti che improvvisavano ad ogni ricevimento, e si lasciarono trasportare dalle luci e dalla musica di Versailles, sciogliendo in quella danza qualsiasi tipo di preoccupazione.

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Qui urge una piccola precisazione: all'epoca la Transilvania faceva parte del Regno D'Ungheria, l'ho scelta solo perchè mi è sempre piaciuta, i vampiri non c'entrano nulla ;)

Un grazie sentito a tutti coloro che hanno commentato o soltanto letto il prologo, spero di non avervi delusi con questo capitolo!

Cercherò di mantenere costante il ritmo degli aggiornamenti, ma il tutto dipenderà dai miei impegni. Al prossimo capitolo :)

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Novembre 1787

 

 

Oscar lasciò la reggia a tarda notte, oltremodo stanca e confusa. L’incontro con l’erede dei principi Beleznay aveva nuovamente gettato nel caos più totale quella parvenza di esistenza che a fatica si era costruita negli ultimi mesi.

La straordinaria somiglianza con Andrè era solo uno degli aspetti che la confondevano. Vicino al principe András aveva avvertito un senso di conforto e sicurezza che si irradiavano dal suo sorriso, una sensazione che le mancava da troppo tempo ormai, ma quel pensiero piuttosto che darle gioia la colpì come uno schiaffo in pieno viso: no, non poteva permettersi di provare quei sentimenti per qualcuno che gli assomigliava, non poteva sostituire lui!

Sfinita, si prese il viso fra le mani, poggiando i gomiti sulle ginocchia. Si stava punendo per la perdita di Andrè, come se non averlo più accanto non fosse sufficiente; la sua testardaggine gli aveva tolto per sempre la possibilità di essere felice e ora una sorta di etica distorta imponeva a lei di subire lo stesso destino.

“Andrè… perdonami…”.

Si lasciò sfuggire quel sussurro sentendo ancora una volta le lacrime scorrerle sulle dita. A stento tratteneva il pianto in presenza di altri ripensando ad Andrè, quando era sola non ci provava nemmeno.

Da quando aveva incontrato il principe ungherese aveva cominciato a provare sollievo e si detestava per questo: non poteva credere che bastasse qualcuno che gli somigliava per superare la perdita di Andrè, non lo accettava. Se lo avesse fatto, avrebbe dovuto credere che i sentimenti che la legavano ancora a lui fossero stati in realtà solo dettati dal senso di colpa; erano troppo profondi e radicati nel suo cuore perché fosse così.

Oscar amava Andrè, più che mai dopo averlo perso. E questa era l’unica certezza che le era rimasta.

Annichilita dal suo dolore, non si accorse nemmeno di essere giunta a palazzo Jarjayes finchè il cocchiere non aprì lo sportello della carrozza, bloccandosi nel vederla in quell’atteggiamento.

“Siamo arrivati madamigella. Si sente bene?”.

“Benissimo, grazie Antoine”.

Oscar aveva pronunciato quelle parole mentre usciva dalla carrozza, indossando la sua fredda maschera di indifferenza.

“Buonanotte”.

Disse soltanto mentre guadagnava l’ingresso del palazzo.

 

 

L’alba sorprese Oscar ancora sveglia, intenta a rivoltarsi nel letto nel tentativo di riposare almeno qualche ora, ma il sonno non era riuscito a coglierla, bloccato dal suo rimuginare. Se da un lato continuava a imporsi di non confondere Andrè e il principe Beleznay, dall’altro non poteva impedire alla sua mente di sovrapporre le due immagini, facendole pensare che si, sarebbe stato bellissimo! Se quell’uomo fosse stato davvero Andrè, non solo avrebbe potuto riaverlo al suo fianco, ma tutto sarebbe stato più semplice, lui avrebbe potuto starle accanto in ogni occasione, chiedere a suo padre la sua…

‘Ma cosa vai a pensare Oscar!’.

Si alzò immediatamente dal letto sentendo il freddo del marmo sotto i piedi nudi e quel contatto sembrò riportarla alla realtà. A causa della sua educazione maschile, aveva sempre denigrato le fantasie tipiche delle ragazze innamorate, e adesso si trovava lei stessa in quella situazione con un’immaginazione che galoppava davvero veloce!

Lo sguardo le cadde sullo specchio e notò con disappunto quanto fosse dimagrita e sciupata. Aggrottò le sopracciglia, chiedendosi da quando avesse cominciato a dar peso a tali civetterie, ma il suo fastidio non potè che aumentare quando si rese conto che la risposta giungeva dall’Ungheria a tormentarla con quegli occhi che portavano in sé il colore delle foreste. Fissando con astio il suo riflesso si ritrovò a puntare minacciosa il dito contro sé stessa.

“Adesso basta, chiaro?! Non ho nessun interesse per quel principino straniero, lui non è Andrè!”.

Scosse la testa rendendosi conto di ciò che stava facendo e si vestì in fretta, scendendo nelle scuderie. Sebbene fosse ancora molto presto, sentiva il bisogno di schiarirsi le idee e senza Andrè che duellava con lei nei giardini di palazzo Jarjayes, la maniera più semplice per farlo era lanciarsi al galoppo con César.

“Buongiorno César”, lo salutò facendogli una carezza sul muso.

L’animale ricambiò sbuffando e strusciandole il muso contro la spalla.

“Hai ragione, fa freddo a quest’ora del mattino, ma ci scalderemo subito”.

Mise la sella sul dorso del cavallo e lo condusse fuori dal suo recinto e dalle scuderie, montandogli in groppa. Lo condusse al passo per un po’, allontanandosi lentamente da palazzo Jarjayes e solo quando la residenza non fu più in vista, aumentò man mano la velocità fino a lanciarlo in una galoppata furiosa.

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Capitoletto, una semplice e breve introspezione ^^ (se riesco, mi farò perdonare postando il prossimo capitolo stasera ;))

Dunque ragazze, ho visto dalle vostre recensioni (e a proposito, non smetterò mai di ringraziarvi per questo *-*) che il titolo dei nostri nobili ungheresi, data la mia mancanza di spiegazioni, potrebbe dare adito a delle incomprensioni, quindi inserisco qualche appunto per renderlo più chiaro:

Principe: Il titolo ed il rango di Principe erano i più alti dell'aristocrazia non regnante ungherese, e venne concesso esclusivamente dagli Asburgo. Ad ogni modo il titolo non indicava il detentore di un possesso territoriale (principato), ma era semplicemente un titolo onorifico, anche se di gran prestigio (da Wikipedia).

Spero che adesso sia più chiaro: i Beleznay non sono i regnanti d'Ungheria ma semplicemente (si fa per dire) una delle tante famiglie nobili presenti sul territorio di quel regno ^^

Un'ultima cosa, sono curiosa di sapere che sensazioni vi ha dato la "mia" Oscar; spero che la lettura vi abbia lasciato un po' la sensazione che lei dovrebbe provare e che io stessa ho provato nello scrivere: una grande confusione!

Al prossimo capitolo ^^

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Novembre 1786

 

Andrè era ormai a pochi metri dal suolo, quando aveva visto con orrore la lama del Cavaliere Nero tranciare senza esitazione la corda con la quale si stava calando. Appena il tempo di rendersi conto di cosa sarebbe accaduto e si era sentito precipitare inesorabilmente.

‘Mi schianterò… Oscar!’.

Fu l’ultimo pensiero coerente, prima che l’acqua gelida e un dolore acuto lungo il fianco destro gli facessero perdere il contatto con la realtà.

Oscar aveva assistito a tutta la scena dal suo nascondiglio fra gli alberi, e senza indugi aveva spronato César al galoppo per raggiungere il fiume e soccorrere Andrè.

“Andrè!”, urlò avvicinandosi all’acqua. “Andrè! Dove sei, Andrè!”.

Non ebbe bisogno di pensare molto prima di decidere di entrare in acqua, ma dovette tornare sui suoi passi onde evitare di essere trascinata dalla corrente; il fiume era impetuoso in quel punto, tuttavia non abbastanza profondo da aver accolto Andrè senza che si ferisse all’impatto, la qual cosa preoccupava in maniera particolare Oscar.

‘Deve essere ferito gravemente! Devo trovarlo e subito!’.

Stringendo i pugni per la rabbia, tornò immediatamente indietro e montò in groppa a César, guidandolo al trotto lungo le rive del fiume; avrebbe voluto spingerlo alla massima velocità che poteva per raggiungere al più presto Andrè, ma si impose di rimanere calma. Se avesse proceduto troppo velocemente, avrebbe potuto non notare eventuali tracce.

‘Andrè… se ti accadesse qualcosa non mi perdonerei mai, mai!’.

 

“Ehi guarda laggiù, c’è un cadavere!”.

“Ma cosa dici, vedi sempre cadaveri, magari è uno strigoi anche stavolta, eh?”, rispose una guardia annoiata al suo compagno. “Devi smetterla con queste storie, sono solo leggende”.

“Non sto scherzando Jan, almeno degnati di dare un’occhiata!”.

Jan si voltò sbuffando nella direzione indicata dall’altra guardia: proprio dove il fiume formava un’ansa, consentendo al suo corso impetuoso di calmarsi, le acque avevano trascinato il corpo di un uomo, che adesso giaceva dalla cintola in su sulla riva.

“Toh, avevi ragione stavolta! Avanti, tiriamolo fuori, non possiamo lasciarlo lì a marcire”.

I due uomini si avvicinarono per raccogliere il corpo del malcapitato, faticando non poco a tirarlo fuori dal groviglio di alghe e rami sommersi in cui aveva impigliate le gambe.

“Petre, è ancora vivo! Anche stavolta ti sei sbagliato”, disse Jan tentando di non sogghignare.

“E smettila! Piuttosto, portiamolo alla stazione di posta, sai come la pensano i signori riguardo il lasciare gente ferita al loro destino e sciocchezze simili… a volte credo che le troppe visite alla Chiesa stiano avendo su di loro uno strano effetto”.

Jan annuì passandosi un braccio dell’uomo sopra le spalle, mentre Petre faceva lo stesso con l’altro braccio e si incamminarono verso l’edificio, sito a pochi metri dal fiume. Portarono l’uomo all’interno della locanda per viaggiatori, e Jan lo lasciò all’altra guardia precipitandosi ad avvertire i loro padroni.

‘Ma quanto ci mettono!’, sbuffò Petre, cominciando a sentire il peso dell’uomo abbandonato sulle sue spalle, proprio nel momento in cui Jan faceva ritorno.

“Andiamo, dobbiamo trovargli una camera e subito dopo un medico!”, lo informò aiutandolo a portare di sopra il ferito.

 

Andrè si risvegliò che era quasi il tramonto, trovandosi disteso sul sedile di una carrozza. Mentre tentava di riordinare le idee, un dolore acuto sembrò impossessarsi della metà destra del suo corpo, svegliandolo completamente.

“Ti sei svegliato”, lo apostrofò una voce femminile dall’accento straniero. “E’ meglio che tu non ti muova, il dottore ha detto che potevamo spostarti ma a patto che tu stessi buono, e disteso soprattutto”.

Andrè voltò appena la testa per poter guardare il viso della persona che stava parlando. Istintivamente pensò che non aveva mai visto quella donna che gli sorrideva rassicurante, ma quando tentò di risponderle, si ritrovò sgomento a constatare che non avrebbe saputo dirlo con certezza.

“Chi siete madama? E… io… io chi sono?! Non… non ricordo!”.

Biascicò quelle parole coprendosi gli occhi con la mano sinistra. Come poteva essere? Non aveva la più pallida idea di chi fosse, cosa facesse, se avesse una famiglia, degli affetti… niente, solo il buio totale occupava il posto dei suoi ricordi.

“Non agitarti, probabilmente l’amnesia è dovuta al colpo che hai preso”, riprese la donna. “Vedrai che quando starai meglio…”

“Come potete esserne certa?!”

La interruppe Andrè tentando di mettersi seduto, ma la donna lo costrinse gentilmente a restare sdraiato.

“Il dottore ha detto che l’amnesia era una possibilità non troppo remota. Hai battuto la testa e questo potrebbe renderti confuso per qualche giorno, ma se la sua diagnosi è corretta, presto ricorderai”.

Andrè continuava a fissare la donna dritto negli occhi mentre il suo viso tradiva l’esitazione a fidarsi di una persona che, per quanto ricordava, avrebbe potuto essere la sua più acerrima nemica.

“Come posso fidarvi di voi? Potrebbe essere colpa vostra se mi trovo in queste condizioni”.

“E credi che se avessi voluto eliminarti, avrei tentato di ucciderti per poi farti curare? Sei ancora confuso se credi questo, torna a riposare, ti farà bene”.

Lui sembrò finalmente rilassarsi e socchiuse gli occhi, evidentemente ancora troppo provato dalle ferite che riportava per potersi permettere simili scenate.

“Dove… siamo diretti?”.

“Nel Regno d’Ungheria. In Transilvania”.

Riuscì a sentire prima di scivolare nuovamente nel sonno.

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Vi chiedo scusa ma non sono riuscita a pubblicare ieri questo capitolo >.<

Or dunque, il mistero è infine svelato madame e messeri!

Da questo capitolo partirà un lungo flashback, dovremo pur scoprire cos’è accaduto al Grandier e come si è trovato adottato da una famiglia di nobili ungheresi, no?

Piccolo appunto: strigoi è il termine rumeno per indicare tutta quella schiera di anime tormentate e non morti che popolano il folklore di questo popolo, tra cui i vampiri, ma si è trattato solo di una nota di colore, come ho già detto non ci saranno vampiri e affini in questa FF!

Grazie come sempre a chi legge e a chi recensisce, siete preziosi per il mio amor proprio ^^

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Novembre 1786

 

Andrè dormì ancora per qualche ora, fin quando la carrozza su cui viaggiava si fermò alla successiva stazione di posta. La donna che lo accompagnava scese prima di lui, mandando Jan e Petre a prenderlo perché lo portassero all’interno della locanda.

“Mi raccomando, siate delicati, non dovrebbe nemmeno spostarsi nelle sue condizioni”.

“State tranquilla principessa”.

La donna raggiunse suo marito, che fino a quel momento aveva viaggiato seduto a cassetta accanto al cocchiere.

“Puoi viaggiare dentro con noi, la carrozza è grande a sufficienza Zalán”.

L’uomo le sorrise accarezzandole il viso.

“Come sta il ragazzo?”.

“Non ricorda”, disse Ariadné in un soffio, posando la mano su quella di Zalán. “Io pensavo che potremmo… insomma, non abbiamo figli e lui non ha più memoria, potremmo…”.

“Ariadné non sappiamo nulla di lui, hai visto com’è vestito? Potrebbe essere un ladro o un assassino, senza contare che anche se non la ricorda deve avere una famiglia”.

“Ti prego ascoltami! Se fosse un criminale come dici tu, sarebbe condannato alla forca, sai come succede qui in Francia! Se fossero dei bravi cristiani come lo siamo noi, darebbero la possibilità di redimersi a chi la merita, mentre loro… uccidono senza remore chiunque non appartenga alla nobiltà”.

Zalán lasciò andare un sospiro.

“Ascolta Ariadné. Io non sono convinto che sia la cosa giusta, però lo porteremo con noi fin quando non si sarà ristabilito. A quel punto probabilmente saremo già in Austria ma lo rimanderemo qui in Francia. Senza discussioni”.

Ariadné strinse le mani del marito, soddisfatta di avergli strappato almeno qualche giorno.

“Grazie. Sapevo che non l’avresti abbandonato al suo destino”.

L’uomo le sorrise cingendole le spalle con un braccio e la condusse all’interno della locanda, dove i loro servitori avevano già portato Andrè.

 

Nello stesso tempo, Oscar rientrò a palazzo Jarjayes dopo un’infruttuosa giornata di ricerca. Senza degnare di uno sguardo nessuno, salì come una furia al piano superiore, ed entrò nella sua camera sbattendo la porta.

“Maledizione! Maledizione, maledizione!”.

Urlò con quanto fiato aveva in gola scagliando contro il muro quello che le capitava a tiro, fin quando si ritrovò senza forze, in ginocchio a colpire con i pugni il pavimento.

“Non è giusto… è dannatamente ingiusto… Andrè…”.

Sussurrò fra le lacrime rannicchiandosi su sé stessa. Non poteva credere a quello che era successo, non lo accettava; il senso di colpa la stava schiacciando, era un macigno che in certi momenti le impediva persino di respirare, ma quel che era peggio, aveva capito.

Si, Oscar ne era consapevole ormai, senza Andrè la sua vita non aveva senso, non c’era un momento che avesse trascorso lontano da lui e aveva preso a darlo per scontato.

E se c’era una cosa che quell’incidente le aveva insegnato, era che nulla poteva darsi per scontato nella vita, anche se si era Oscar François de Jarjayes.

Vincere non era scontato.

Riuscire a proteggere Andrè non era scontato.

Avere Andrè al suo fianco per tutta la vita lo era ancora meno.

Era stata crudele, rovesciandogli addosso i suoi sentimenti per Fersen come se non sapesse, come se non avesse capito che Andrè teneva a lei in maniera particolare, mostrandole con la sua totale dedizione un affetto che andava ben oltre l’amicizia.

E lei lo aveva ignorato, decisa a mantenere qualsiasi cosa fosse quel sentimento entro i limiti dell’amicizia, forse supponendo a volte che anche quella fosse troppo, data la differenza di rango che sussisteva fra loro.

Quanto era stata ingiusta, quanto superba nel ritenere di poter disporre di lui solo nei momenti in cui ne aveva bisogno; e il suo ultimo atto di alterigia le era costato proprio la vita della persona che, ora lo sapeva, occupava il ruolo più importante nel suo cuore.

Quel pensiero le provocò un altro accesso di pianto che tentò di reprimere picchiando la fronte contro i pugni chiusi.

“Voglio dimenticarti… voglio dimenticarti, fa troppo male ricordare… è troppo doloroso quello che non ci sarà più”.

Una voce lieve, quasi un sussurro, tentò di strapparla a quella disperazione.

“Oscar… non è stata colpa tua, calmati. Andrè sapeva quello che faceva”

Oscar trovò da qualche parte la forza di sollevare il capo, puntando gli occhi lucidi di pianto su quel viso tanto familiare e che pure era stato sempre così lontano.

“Madre… come… come potete dire che non è stata colpa mia? Io ho ucciso Andrè, il nostro Andrè! Se non fossi stata così testarda… se non gli avessi lasciato prendere il mio posto, lui…”.

 “Lui starebbe piangendo la tua morte e si starebbe dando la colpa, proprio come stai facendo tu. Non riesco a immaginare quanto voi due foste legati, però una cosa la so: se quel ladro avesse ucciso te, Andrè non avrebbe sofferto meno”.

Marguerite abbracciò Oscar che si aggrappò a lei letteralmente.

“Lui… mi manca così tanto madre, non la ricordo la mia vita prima di conoscerlo!”

Singhiozzava stretta fra le sue braccia mentre la donna le accarezzava i capelli, in un raro gesto di affetto tra loro. Oscar era tanto disperata da non stupirsi nemmeno della presenza della madre, accorsa al suo fianco per consolarla; era tanto disperata da non potersi godere quello che era il primo contatto profondo tra loro sin da quando aveva memoria.

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Lo so, l’ultima scena è parecchio OOC… ma non credo che Nanny potesse essere dell’umore giusto per consolare Oscar e una scena del manga mi ha ispirato di mandarci madame Jarjayes :P

La principessa Ariadné è parecchio ostinata, chissà come convincerà suo marito che qui fa la voce della ragione ;)

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Novembre 1786

 

Il viaggio dei principi Beleznay e Andrè procedeva più lentamente del previsto, a causa delle precarie condizioni del ragazzo, tanto che due settimane dopo l’incidente avevano appena varcato i confini dell’Impero d’Austria.

Già dopo pochi giorni, Andrè si era ripreso abbastanza da riuscire a restare sveglio durante il viaggio, tuttavia i suoi ricordi non accennavano ad affiorare, nemmeno sprazzi momentanei sembravano voler fare luce nella sua mente.

Ariadné era decisa a tenere il ragazzo con sé, avendo intuito dai suoi modi che doveva trattarsi di un animo gentile e poco incline alla violenza; perciò, aveva accuratamente evitato di raccontargli come lo avessero incontrato, rispondendo sempre in maniera vaga alle sue rare domande, e aveva preso a chiamarlo ‘András’, ignara che quello fosse praticamente il suo vero nome[1].

“In qualche modo dovrò pur chiamarti!”, aveva esclamato quando Andrè aveva espresso il suo disappunto al dargli un nome qualsiasi.

Andrè dal canto suo, sembrava essersi chiuso in un guscio e raramente collaborava quando la donna tentava di coinvolgerlo in una qualsiasi conversazione. Persino quando gli chiedeva come si sentisse o se avesse bisogno di qualcosa, si limitava a rispondere dicendo lo stretto indispensabile.

“András, siamo in terra d’Austria, hai visto? Tra poco ci fermeremo per la notte”.

Andrè aveva rivolto appena uno sguardo fugace al panorama che si intravedeva dal finestrino, apparentemente insensibile persino ai fiabeschi paesaggi austriaci.

“Vedo”.

“Sei sicuro di stare bene? Da qualche giorno sei davvero troppo silenzioso, qualcosa ti turba?”.

“Intendete più del fatto di non ricordare nemmeno chi io sia?!”.

Il sarcasmo venava le parole di Andrè e Ariadné decise di lasciar cadere la conversazione per il momento, con la ferma intenzione di riprenderla una volta giunti alla stazione di posta.

‘Cercherò di darti io un po’ di serenità… il Signore mi perdoni se ti ho strappato all’affetto di una madre’.

 

Giunsero alla meta che il sole era appena tramontato e Jan si avvicinò alla carrozza per aprire lo sportello e far scendere Ariadné.

“Prego principessa”.

“Grazie Jan. Mi raccomando András, la sua caviglia non è ancora in grado di reggerlo, anche se si ostina a fare di testa sua”.

Jan annuì e sorresse Andrè mentre scendeva dalla carrozza; Ariadné raggiunse Zalán, mettendo un voluto tono di rimprovero nella voce.

“Non sei più un ragazzino che può permettersi di scherzare con l’inverno, e András non morde, te lo assicuro. Quando ti deciderai a viaggiare in carrozza con noi?”.

“Domani, te lo prometto. Come si comporta il ragazzo?”.

“Se domani ci degnerai della tua presenza, lo vedrai da te. È cupo e silenzioso per adesso, ma non è mai scortese o aggressivo… comincio ad affezionarmi davvero a lui, sembra che abbia bisogno di molto amore”.

Zalán seguì con lo sguardo Jan e il protetto di sua moglie entrare nella locanda, comprendendo l’ostinazione di Ariadné nel volersene occupare: per quanto si amassero, non avevano avuto la benedizione di un figlio, e il ragazzo che lei chiamava András poteva essere la sua occasione di dare a qualcuno l’amore materno che serbava nel cuore.

“Entriamo Zalán, comincia a far freddo qui fuori”.

L’uomo annuì e porse il braccio a sua moglie, conducendola all’interno. Andrè era già stato fatto sedere al tavolo approntato per loro, mentre Jan aveva raggiunto Petre e gli altri uomini della scorta.

“András ti senti meglio?”, iniziò sedendo a tavola di fronte a lui, mentre Ariadné prendeva posto fra i due.

Andrè levò lo sguardo stupito: in tanti giorni di viaggio, era forse la seconda volta che Zalán gli rivolgeva la parola, e adesso quel tono quasi preoccupato nella sua voce stonava parecchio con il comportamento precedente.

“Io… si, mi sento meglio signore, vi ringrazio”.

“Non hai di che ringraziarmi”, esitò solo un istante, “Non tormentarti oltre, ti spiegheremo tutto con calma mentre ci viene servita la cena”.

Se Ariadné era stupita dalle parole del marito, di certo non lo diede a vedere. Continuava a guardare Andrè, prendendogli la mano fra le sue quando lo vide sgranare gli occhi per la sorpresa alle parole di Zalán.

Una cameriera rubiconda prese a fare avanti e indietro servendo le pietanze calde ma leggere che costituivano la loro cena e Ariadné fece per lasciare la mano di Andrè.

“Dovresti mangiare, sarai stanco e affamato”.

Il ragazzo però la trattenne, guardandola con occhi supplichevoli. Sembrava davvero affranto e la donna sentì una stretta al cuore al pensiero di come dovesse sentirsi a non avere il minimo ricordo della propria vita.

“Per favore, spiegatemi prima. Ho bisogno di sapere chi sono”.

Ariadné liberò una mano della sua stretta e gliela posò sul viso, accarezzandolo nel tentativo di dargli conforto.

“Il tuo nome è András Hrovat. Ti abbiamo conosciuto che eri molto piccolo, orfano di entrambi i genitori, e ti abbiamo portato a palazzo Beleznay, dove sei cresciuto”, disse la donna anticipando qualsiasi iniziativa del marito di rivelare la verità ad André.

“Non ti diremo altro per il momento”, intervenne Zalán, rivolgendo solo una fugace occhiata di biasimo ad Ariadné, “Il medico ci aveva detto che la cosa migliore sarebbe stata che i tuoi ricordi tornassero spontaneamente, per evitarti qualsiasi tipo di trauma”.

Andrè fissò negli occhi Zalán ancora per qualche secondo; lo aveva prevenuto, dicendogli che non gli avrebbe rivelato altro, perciò al momento non poteva far altro che accontentarsi di quel brandello di vita che gli era stato raccontato.

Annuì stancamente, abbassando lo sguardo sul piatto e quasi non parlò durante tutta la cena, continuando a rimuginare su quello che sapeva e, soprattutto, su quello che ancora non ricordava.

 

Andrè sembrava talmente abbattuto che non appena chiese di ritirarsi per la notte, Ariadné scomodò Jan dalla sua cena perché lo accompagnasse.

Più tardi, disteso sul letto, il ragazzo continuava a fissare il soffitto, quasi sperando di vedere aprirvisi una finestra che gli rivelasse tutto il suo passato; non riusciva a rammentare una sola immagine che egli potesse identificare come un ricordo, nemmeno una lettera del proprio nome. Il suono del nome ‘András’, però, gli sembrò familiare e dopotutto che motivo potevano avere dei principi stranieri per ingannarlo? Lo avevano salvato, questo era certo, e si occupavano di lui con la stessa attenzione che avrebbero riservato a un parente o a un caro amico. Il sonno mise fine alle sue riflessioni e all’ultimo pensiero coerente.

‘Si, András devo essere proprio io’.

 

Zalán entrò nella stanza di András per controllare che dormisse e non udisse la conversazione, e raggiunse Ariadné nella loro.

“Adesso mi spieghi la tua brillante iniziativa?!”.

Era furioso e Ariadné non poteva dirsi stupita. Non l’aveva tradita davanti ad András solo per il grande rispetto che le portava, ma lei sapeva bene che se c’era qualcosa che Zalán detestava profondamente, era proprio essere sorpreso dagli avvenimenti o peggio dagli atteggiamenti di altre persone. Se poi quella persona era lei, la rabbia del marito poteva raggiungere livelli preoccupanti.

“Zalán, mi dispiace di aver agito in maniera così avventata ma tu volevi rimandarlo in Francia una volta ristabilito! Nelle sue condizioni equivarrebbe a ucciderlo, chiunque potrebbe approfittarsi di lui e non arriverebbe nemmeno a destinazione! Quale destinazione poi, tu sai dove mandarlo?”.

Zalán manteneva il suo sguardo impassibile, pur ammettendo a sé stesso che in parte le obiezioni sollevate da Ariadné erano legittime.

“Avrei mandato Jan e Petre con lui, e avrebbero chiesto informazioni, qualcuno dovrà pur conoscerlo nei suoi luoghi di origine”.

“Non sei stato tu stesso a farmi notare com’era vestito? Se fosse davvero un ladro lo arresterebbero, lo sai! Per favore”, aggiunse più calma. “Lascia che si ristabilisca completamente prima, potrebbe essere davvero come dice il medico e allora guarirà anche l’amnesia. A quel punto sarà lui stesso a dirci dove accompagnarlo”.

L’uomo si portò le mani alle tempie, cominciando a massaggiarle come a voler scacciare un mal di testa imminente. In quelle due settimane aveva osservato con attenzione Ariadné e l’aveva vista spesso riflettere e tormentarsi, come se avesse un’importante decisione da prendere. Era la sua compagna da troppo tempo perché riuscisse a ingannarlo sulle sue reali intenzioni.

“Ariadné non sono uno sciocco e soprattutto ti conosco bene. Tu stai facendo di tutto per tenere con te quel ragazzo, magari vorresti che lo adottassimo! Non capisco perché proprio lui, ci sono molti ragazzi nobili d’animo fra le nostre conoscenze”.

“Non sono come lui. Guardalo negli occhi, lui è… è puro, il suo sguardo è limpido come il più prezioso degli smeraldi”.

Zalán riportò lo sguardo su Ariadné e si avvicinò a lei prendendola per le spalle, in un gesto di rabbia appena contenuta.

“Io non voglio che tu soffra ancora. Se tu ti affezionassi a quel ragazzo e lui recuperasse i suoi ricordi, lo perderesti, tornerebbe alla sua famiglia, lo capisci?!”.

“Correrò il rischio, Zalán”.

“No. Io non lo permetterò, resterà con noi fin quando starà bene, dopodichè partirà per la Francia”.

Così dicendo l’uomo si allontanò da lei e si spogliò, stendendosi sul letto e infilandosi sotto le coperte.

“E’ meglio che riposi, domattina partiremo presto come sempre”.

Ariadné strinse i pugni stizzita e indossò la camicia da notte, raggiungendo il marito a letto; gli diede volutamente le spalle, perché ora era lei ad essere arrabbiata. Sentiva di non riuscire a comunicare a Zalán quello che percepiva lei guardando András, parlando con lui, trascorrendo le giornate in sua compagnia. Era una persona speciale, se n’era accorta dal primo istante in cui lo aveva guardato negli occhi e avrebbe fatto il possibile per tenerlo con sé.

 

Il mattino seguente, mentre si preparava alla partenza, Zalán fu raggiunto da un dispaccio proveniente dalla Transilvania. Mentre leggeva, strinse così forte il foglio da farsi sbiancare le nocche e quando ebbe terminato lo accartocciò, tentato di gettarlo tra le fiamme del camino. Fermò la mano all’ultimo minuto dispiegandolo nuovamente meglio che potè; Ariadné aveva più diritti di lui di leggerne il contenuto.

“Zalán?”.

Fu proprio sua moglie a chiamarlo, scendendo in quel momento dal piano superiore. Zalán le rivolse uno sguardo tormentato, porgendole il foglio perché lo leggesse. Si trattava di poche righe che ebbero però lo stesso effetto di una doccia gelata.

“Cosa?! Ma lui… non può!”.

“Certo che può, Ariadné. Ricorda che sei tu la ‘vera’ nobile tra noi”.

“Zalán, cosa vuoi che mi importi di quegli stupidi titoli! Sai bene che ormai la mia famiglia non conta nulla, i reali d’Ungheria sono gli Asburgo da molto tempo”.

Ariadné si avvicinò a suo marito e gli sedette di fronte, posando la lettera per prendergli le mani fra le sue.

“Non è importante quale tra le famiglie Beleznay e Hunyadi sia più nobile o lo sia da più tempo, agli occhi dell’Austria siamo tutti uguali. Mio padre non può costringermi ad adottare mio nipote, quel ragazzo sarebbe una serpe in seno”.

Zalán scosse la testa puntando gli occhi scurissimi in quelli color ghiaccio di Ariadné.

“Ci lascia solo un mese per decidere. All’inizio del nuovo anno, dovremo avere un erede o adottare tuo nipote. Sai bene quanta influenza abbia alla corte di Vienna, potrebbe convincere l’Imperatore a imporci quest’adozione”.

La donna sospirò pesantemente, voltandosi a guardare il fuoco del camino al quale diede in pasto la lettera. Sebbene fosse molto in là con gli anni, suo padre sapeva essere ancora determinato a ottenere i suoi scopi e suo nipote non faceva che fomentare queste sue velleità sapendo di trarne vantaggio.

“Ci resta un mese per decidere. Sceglieremo tra i tuoi uomini più fidati il nostro erede, Tibor non si arricchirà ancora grazie al tuo patrimonio”.

La determinazione le illuminava lo sguardo e Zalán non potè fare a meno di sorriderle. Sua moglie sapeva essere una guerriera, una vera discendente di draghi [2].

“Hai ragione. Sarà meglio sbrigarsi, possiamo accelerare l’andatura dal momento che il ragazzo…”.

“András”.

“Come preferisci, dal momento che András sta bene”.

Ariadné strinse il braccio che Zalán le porgeva e uscì con lui, diretta alla carrozza, mentre Jan come di consueto, aiutava András a fare altrettanto.

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Eccomi anche oggi ad ammorbarvi con la mia fic U.U

Sono in ritardo rispetto al solito ma stavolta ho cercato di scrivere un capitolo più lungo, spero apprezziate lo sforzo XD

Qualche appuntino (li odiate, vero XD?)

[1] András: contrariamente a quanto potreste pensare, il nome ungherese del Grandier è frutto del caso. Ho cercato su Google i nomi maschili ungheresi più diffusi e al primo posto c’è proprio András. Ci fosse stato Zalán, sarebbe stato quello il nuovo nome di Andrè.

[2] Draghi o Dragoni erano detti i cavalieri dell’Ordine del Drago, ordine istituito dall’imperatore Sigismondo, che però non gli sopravvisse; il primo ungherese a farne parte fu tale János Hunyadi, voivoda di Transilvania nel XV secolo. Storicamente conosciamo Vlad III Ţepeș, il quale fu soprannominato Dracula (Drăculea in lingua originale) ovvero “Figlio del Drago (Dracul)”. Il Drago in questione era suo padre, Vlad II, membro dell’Ordine del Drago. Ho pensato che avrei potuto prendere in prestito questo soprannome per la mia Ariadné, la quale se fosse esistita avrebbe potuto fregiarsene in quanto discendente di János Hunyadi.

Come avete letto, stavolta mi sono concentrata sui Beleznay, ho provato a delineare meglio le personalità dei coniugi ungheresi, e penso che avrete anche intuito perché Andrè finirà per essere adottato ;)

Al prossimo capitolo <3

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Novembre – Dicembre 1786

 

Per via delle parole contenute nella lettera di suo padre, Ariadné cambiò completamente umore. Si poteva leggere la determinazione nel suo sguardo, tuttavia non era sicuramente serena com’era stata quando András l’aveva conosciuta.

‘Forse dovrei dire riconosciuta… sono io che non mi ricordo di lei’.

“Principessa, vi sentite bene? Siete così silenziosa in questi giorni…”.

Ariadné volse lo sguardo verso András e gli sorrise scuotendo la testa.

“Stai tranquillo, sto benissimo. Tu piuttosto, cominci a ricordare qualcosa?”.

Aveva fatto quella domanda con il cuore stretto in una morsa. Egoisticamente, sperava che il ragazzo che i suoi uomini avevano ripescato da un fiume francese restasse senza ricordi, così da poterlo legare a sé senza remore; il suo animo gentile, però, non poteva che sperare che riconquistasse la sua identità, per vederlo infine tranquillo.

“No principessa. Ho sognato una donna dai lunghi capelli biondi ma non ho potuto vederla in viso; dovunque lei andasse io ero sempre alle sue spalle”.

“Capisco. È già qualcosa, non trovi?”.

“Si, avete ragione. Anche se… voi non sapete chi sia quella donna?”, chiese András, facendosi improvvisamente più attento.

Ariadné ricambiò il suo sguardo, non tradendo la minima esitazione. L’ultimatum postole da suo padre cominciò improvvisamente a turbinarle in mente, e le sembrò che la via d’uscita fosse proprio davanti ai suoi occhi. Forse András avrebbe potuto essere la persona giusta, doveva solo convincere Zalán.

“Ti abbiamo detto che non possiamo rivelarti ogni cosa che riguardi il tuo passato, comunque non conosco nessuna che corrisponda alla descrizione… certo, potresti averla incontrata negli anni trascorsi lontano. Rilassati, ormai abbiamo varcato da diversi giorni quelli che erano i confini d’Ungheria. La nostra prossima fermata sarà casa”.

Zalán aveva assistito alla conversazione senza battere ciglio, preso dalle stesse preoccupazioni di sua moglie.

 

Man mano che procedeva, la carrozza si addentrava sempre più nel fitto degli alberi, tanto che András ebbe quasi l’impressione che si sarebbero smarriti in tutto quel verde. Zalán si avvide del suo turbamento e si affrettò a rassicurarlo.

“Non temere, c’è un sentiero nel bosco, non stiamo andando verso l’ignoto”.

András si voltò a guardarlo, dandosi mentalmente dello sciocco; doveva essere sembrato terribilmente pavido in quei momenti.

“Ecco… è solo che non mi ricordo questi posti e sembrano così selvaggi”.

Ariadné annuì ammirando il panorama esterno.

“Non dovrebbero farti paura, tu il verde d’Ungheria lo porti negli occhi”. Sorrise, intenerita dal rossore che scorse sul viso di András. “Guarda, si vede il palazzo”.

András portò lo sguardo nella direzione indicatagli da Ariadné e vide le alte guglie in mattoni rossi svettare contro il cielo al tramonto; mentre la carrozza si avvicinava, potè notare che il castello sorgeva su uno sperone roccioso ma era circondato su tre lati da quelle stesse fitte foreste che stavano attraversando. Il corpo dell’edificio era talmente bianco da sembrare rilucere nella luce morente della sera e di certo aveva poco a che spartire con gli snelli palazzi che aveva visto attraversando l’Austria [1].

Zalán lo riscosse dall’osservazione posandogli una mano sulla spalla.

“Siamo arrivati András”.

Jan aprì lo sportello della carrozza porgendo la mano ad Ariadné per aiutarla a scendere e la donna si strinse il mantello addosso. Aveva quasi dimenticato quanto potesse essere crudele il freddo di Transilvania. Il cuore le mancò un battito quando vide nei pressi delle scuderie una carrozza che portava lo stemma degli Hunyadi.

“Zalán, Tibor è qui”.

“Di già! András ascoltami: vorresti aiutarci a risolvere un problema?”.

András, dopo lo smarrimento iniziale per quella richiesta improvvisa, accettò di buon grado di aiutare i suoi benefattori.

“Qualsiasi cosa principe, chiedete”.

Zalán gli mise le mani sulle spalle sorridendo soddisfatto, il tutto sotto lo sguardo perplesso di Ariadné.

“Proprio la risposta che volevo sentire. Ascolta attentamente, qualsiasi cosa diremo io e Ariadné dovrai assecondarci; so che non ricordi e non capirai quello che diremo ma fidati di me, d’accordo?”.

“Ma Zalán, cosa vuoi fare?”.

“Guadagnare tempo amore mio, ne ho bisogno se voglio prendere la decisione giusta per noi”.

“Io non credo che sia giusto nei confronti di András, lui non ricorda e…”.

“Va tutto bene principessa. Non dovete preoccuparvi per me. Posso accompagnarvi in casa?”.

Intervenne András mostrando il suo sorriso più accattivante e le porse il braccio. La donna sembrò riluttante inizialmente, ma finì per acconsentire. Aggrappandosi a lui si diresse tranquilla verso il portone, dove li attendeva la servitù schierata.

“Bentornati miei signori”, li apostrofò il maggiordomo, scoccando un’occhiata perplessa all’uomo che accompagnava la principessa.

“Ti ringrazio Elek. Avete preparato la stanza di András come avevo chiesto?”.

Elek comprese immediatamente ciò che la sua padrona gli stava indirettamente ordinando e bisbigliò qualcosa alle cameriere più vicine a lui che si allontanarono con un inchino.

“Certamente principessa”.

I padroni di casa lo oltrepassarono ed entrarono in casa. Si trovavano ancora nell’atrio, dove altri servitori stavano prendendo in consegna i loro mantelli, quando furono raggiunti da Tibor. Sfoggiava il sorriso più falso che avesse mai mostrato.

“Cari zii, finalmente! Avete fatto buon viaggio?”.

Il tono mellifluo strideva terribilmente con quello che si vedeva nei suoi occhi.

“Migliore di quello che credi, Tibor”. Rispose a tono Zalán. “Ma vieni, lascia che ti presenti tuo cugino András. È stato via per così tanto tempo e tu così a lungo alla corte di Vienna, che non vi siete mai incontrati”.

Così dicendo mise la mano sulla spalla di András che chinò il capo in segno di saluto. Sperava vivamente di aver fatto la cosa giusta, non capiva una parola di quello che aveva sentito da quando aveva messo piede in quel palazzo, dove evidentemente si parlava una lingua diversa dall’unica che ricordasse.

Tibor dal canto suo, divenne bianco come un cencio e il suo sguardo non tentò più di nascondere il livore nei confronti dei Beleznay; ancora una volta, sembravano sfuggiti ai suoi inganni, ma la faccenda gli risultava tutt’altro che chiara.

“E mio cugino è forse privo della parola?”.

“András ha subito un’aggressione in Francia, dove stava studiando. È stato malmenato da alcuni malviventi che lo hanno derubato ed è salvo per miracolo, ma è ancora scosso e preferisce tacere. Anzi, ti chiedo di scusarmi, voglio accompagnarlo personalmente nelle sue stanze. Tu resta pure in compagnia di tuo zio, vi raggiungerò fra poco per la cena”.

 

Quando furono giunti nella stanza a lui destinata, András decise di chiedere spiegazioni riguardo ciò che aveva visto. Non gli era piaciuto lo sguardo che lo sconosciuto aveva rivolto ai principi Beleznay e desiderava esser loro d’aiuto, per quanto in suo potere. Doveva loro la vita e non solo; spesso aveva riflettuto su quante persone, al loro posto, si sarebbero prese cura di uno sconosciuto con tale solerzia e tanto a lungo.

“Principessa, chi è quell’uomo?”.

“Tu non lo hai mai visto prima, è mio nipote, Tibor. Ti abbiamo presentato come nostro figlio”.

András sbarrò gli occhi a quelle parole, chiedendosi se la principessa non avesse improvvisamente perso il senno.

“Vostro figlio?! Ma come lo giustificherete? E come spiegherete a vostro nipote che non ha mai incontrato suo cugino?”.

Ariadné sedette su un piccolo divano collocato davanti al camino che riscaldava la stanza e fece cenno a lui di raggiungerla. Il tempo delle spiegazioni era arrivato infine, non poteva trascinare András in quella faccenda senza rivelargli come stessero le cose.

“E’ semplice. Gli Asburgo ci concedono, in mancanza di figli naturali, di adottare una persona fidata che eredita il nostro titolo e i nostri possedimenti; ai suoi occhi tu sarai quella persona. Sei stato via per molto tempo e io ho conosciuto Tibor appena cinque anni fa, sebbene sapessi della sua esistenza. Suo padre, mio fratello Bertalan, mi odiava a morte per una sordida questione di eredità e quando è venuto a mancare, mio padre si è incaricato di occuparsi di Tibor. È stato lui a farmi conoscere infine mio nipote ma il ragazzo è peggio di suo padre, ha come unico scopo quello di arricchirsi”.

András ascoltava attentamente il racconto della principessa, chiedendosi come avrebbe potuto lui ingannare quel Tibor. Ariadné non sembrava troppo sconvolta nel raccontare quei fatti scabrosi, che dopotutto coinvolgevano la sua famiglia; doveva essere una donna molto forte.

“Principessa, posso chiedervi un’altra cosa?”.

“Qualsiasi cosa”.

“Ecco… non dovrebbe essere vostro nipote l’erede del titolo e del patrimonio di famiglia?”.

“No, perché mio fratello, seppur primogenito maschio, non era l’erede designato da mio padre, quell’erede sono io. Devi sapere che i nobili ungheresi godono di un altro indubbio vantaggio: quello di trasmettere il titolo per discendenza femminile, dietro concessione dell’Imperatore d’Austria, s’intende. Ovvero, io avrei dovuto generare un figlio maschio il quale avrebbe ereditato di diritto il mio titolo”[2].

“Per quale motivo vostro padre non ha scelto vostro fratello?”.

“Mia madre è morta nel darmi alla luce e mio padre l’amava a tal punto da promettere di non risposarsi. Essendo io l’unica figlia nata da quel matrimonio, inoltrò subito alla corte di Vienna la richiesta di fare di me l’erede, nonostante io fossi solo una bambina di pochi mesi allora. Ma un uomo è pur sempre un uomo, e negli anni successivi mio padre non si fece mancare delle amanti fra le dame ungheresi. Una di loro concepì e lui decise di sposarla per il bene del nascituro, che questa volta fu maschio. Il titolo, però, non può essermi tolto; così mio padre preme perchè io adotti Tibor, dal momento che non ho figli miei”.

András fissava le fiamme del camino, mentre Ariadné raccontava la sua storia. Non c’era davvero limite all’avidità umana se un padre creava tanti ostacoli sulla strada della figlia prediletta.

“Principessa… se può servire ad aiutarvi accetterò di buon grado di fingermi vostro figlio”.

Ariadné sospirò appena portando lo sguardo su András. Sembrava esitare ma infine gli parlò stringendogli la mano nella sua, esile eppure forte.

“Tibor potrebbe tentare di ucciderti. Non ha nessun tipo di scrupolo morale. Per questo motivo non volevo che Zalán ti presentasse come nostro erede, abbiamo fatto di te un bersaglio”.

“Non mi ucciderà principessa, almeno non subito! Se eliminasse il vostro erede subito dopo l’adozione i sospetti ricadrebbero unicamente su di lui, e anche se restasse impunito, questo macchierebbe inevitabilmente la sua reputazione a Vienna”.

“Adozione? András vorresti che ti adottassimo davvero?”.

La donna aveva posto quella domanda mentre nella sua mente se ne poneva un’altra. Chi era veramente András per essere così avvezzo agli squallidi ragionamenti dei nobili? Nemmeno lei aveva ancora considerato quell’aspetto e lui aveva immediatamente tratto delle giuste conclusioni. Le sorrise ricambiando la stretta intorno alla sua mano.

“Soltanto se servirà a risolvere questo problema”.

La principessa rivolse uno sguardo colmo di gratitudine al ragazzo che le sedeva di fronte. Aveva visto giusto su di lui, era davvero dotato di un cuore grande e generoso, e non aveva esitato nell’offrirsi a quel modo come ‘agnello sacrificale’ all’ira di Tibor.

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Ancora i famigerati appuntini :D

[1] Questa è la mia personale descrizione del Castello di Bran, che si trova effettivamente in Transilvania. Ho scelto di non perdermi in dettagli architettonici per non appesantire inutilmente il racconto.

[2] Secondo István Werbőczy (giurista ungherese e Palatino del XVI secolo – conosciuto maggiormente per la propria opera pubblicata, il Tripartitum, un insieme di leggi ungheresi d'epoca) – i diritti della nuova nobiltà erano i seguenti:

non potevano essere arrestati se non con procedura penale,

dovevano obbedienza al solo Re,

erano esentati da tasse e gabelle,

potevano prestare servizio militare e svolgere una carriera nell'esercito solo in difesa della propria patria.

Molti dei nobili che ottennero un titolo nobiliare in questa epoca, vennero promossi direttamente dal Re. Vi erano due modi per garantirsi un titolo nobiliare:

essere adottato in una famiglia nobile col permesso del Re

per la figlia di un nobiluomo che non aveva avuto figli maschi, di avere specifici diritti dal Re (col permesso di passare questo titolo ai propri figli maschi avuti dal matrimonio). (fonte Wikipedia)

Il trattato precede di circa due secoli la narrazione. Dal momento che non ho trovato indicazioni specifiche che facessero riferimento all’epoca asburgica, ho pensato che dovessero essere ancora valide. Prendetele per buone.

Il flashback è quasi terminato, dovrebbe occupare solo un altro capitolo oltre a questo, ma credetemi sulla parola, è importante per gli sviluppi futuri :D

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Dicembre 1786

 

La sera dell’arrivo a palazzo Beleznay, Tibor era ripartito subito dopo cena, talmente arrabbiato da preferire affrontare le foreste di notte piuttosto che rimanere sotto lo stesso tetto con András e i suoi ‘genitori’. Di certo non avrebbe ceduto il passo di fronte a un uomo che non conosceva e che, ne era certo, doveva essere uno di quei borghesi di cui quello stolto di suo zio amava circondarsi; niente a che vedere con il sangue reale degli Hunyadi!

La principessa dal canto suo, aveva informato il fidato Elek dell’accaduto, contando che trovasse il modo di ottenere la collaborazione di tutta la servitù senza rivelar loro troppi particolari. András aveva già accettato di proseguire in quella farsa e Ariadné si era assunta l’impegno di insegnargli il tedesco nel più breve tempo possibile, certamente non poteva stargli dietro tutto il tempo parlando per lui.

“Madre… come credete sia possibile che io abbia dimenticato la mia lingua ma non il francese?”.

Le chiese un giorno András nel bel mezzo degli studi. Fortunatamente sembrava essere predisposto a imparare in fretta le lingue, ormai a breve avrebbe parlato un ottimo tedesco.

“András, ti ho già detto che hai studiato a lungo in Francia. Non dovresti stupirti più di tanto, hai dimenticato persino i luoghi in cui sei cresciuto! Probabilmente ciò avviene perché quando hai subito l’aggressione eri abituato a parlare da molto tempo il francese… non so cosa dirti, non sono un medico”.

La spiegazione sembrava aver convinto András, e il fatto che a parte il sogno con la donna bionda non avesse avuto altri ricordi del suo passato, lo aveva persuaso che non avrebbe più riacquistato la memoria.

All’inquietudine dei primi giorni era subentrata una sorta di rassegnazione, e aveva deciso di creare per se stesso dei nuovi ricordi, come se la sua vita fosse iniziata il giorno in cui si era svegliato in una carrozza che lo aveva portato in Transilvania. Ariadné e Zalán erano degli ottimi genitori ed era certo che non avrebbero potuto essere tanto gentili con qualcuno che non conoscevano affatto. Aveva deciso di ignorare, sebbene ne fosse perfettamente a conoscenza, che quel forte desiderio di tenerlo presso di loro aveva motivazioni molteplici, alcune delle quali sicuramente poco altruistiche.

 

I giorni trascorrevano lenti per András, costretto a girovagare senza meta nel castello. Il medico che lo aveva visitato al suo arrivo aveva sentenziato che non sarebbe stato opportuno lasciarlo uscire a cavallo o peggio per una battuta di caccia, la qual cosa dispiacque particolarmente a Zalán che si dimostrava ansioso di mostrargli quanto fosse ricca di selvaggina la Transilvania. E così non poteva fare molto se non visitare la biblioteca del castello, per la verità molto fornita e varia, soprattutto per quanto riguardava la provenienza dei testi.

Altre volte si recava fino alle scuderie, dove passava anche delle ore ad ammirare i cavalli. Si sentiva a suo agio in quel posto, nonostante Ariadné lo avesse pregato di non strigliare più gli animali, dopo averlo sorpreso intento a occuparsi con solerzia di un magnifico stallone sauro.

“András! Ci sono gli stallieri per questo, non devi farlo personalmente”.

Aveva detto raggiungendo il ragazzo che ora la stava fissando fermo con la mano a mezz’aria. Non avrebbe saputo come spiegarlo, ma era stato un impulso naturale quello di prendere la striglia e avvicinarsi al cavallo.

“Ti piace questo cavallo?”.

“E’ un esemplare superbo”.

András era uscito dal recinto raggiungendo Ariadné, ma continuava a guardare lo stallone e ad accarezzargli il muso.

“Sembra forte e fin troppo caparbio però”.

Ariadné non trattenne una risata, persa in un ricordo, e annuì.

“Il primo giorno Zalán ha avuto un piccolo incidente… Augustus lo ha sbalzato di groppa senza troppi complimenti”.

András rise con lei, trattenendo il cavallo che tentava di strusciargli il muso sul viso.

“Si chiama Augustus? Un nome da imperatore”.

“Si”. Gli sorrise vedendo con quanto desiderio guardasse l’animale. “Ascolta, che ne diresti di provare a domarlo? Se ci riuscirai, Augustus sarà tuo”.

“Dite davvero? Certamente, madre, vedrete che diventerà docile come un agnellino!”.

Il ragazzo schioccò un bacio sulla guancia di Ariadné e mise i finimenti al cavallo, portandolo fuori dalle scuderie.

“Io e te diventeremo amici, credimi”.

 

Dicembre trascorreva veloce e il tempo a disposizione di Zalán era ormai agli sgoccioli. La decisione da prendere non era cosa da poco conto e ritenne opportuno consultarsi con sua moglie. Per quanto avesse tentato di mantenere il segreto, la voce che avesse deciso di adottare uno dei suoi uomini più fidati si era sparsa velocemente e aveva potuto osservare quelli che aveva ritenuto i migliori candidati intenti a sperticarsi in azioni più o meno generose e di valore, al limite della follia in certi casi. Nessuno di loro sembrava essere disinteressato, la qual cosa gli aveva procurato una cocente delusione. La figura di sua moglie che si stagliava nel vano della porta gli strappò un sorriso e le tese la mano perché lo raggiungesse davanti al camino.

“Vieni. Chiudi la porta, devo parlarti”.

Ariadné si chiuse la porta dello studio alle spalle e raggiunse Zalán sedendo sulla poltrona di fronte alla sua.

“Sembri turbato. Cosa succede?”.

“Non lo immagini? L’adozione che dobbiamo decidere non è rimasta un segreto e vedo i miei uomini comportarsi in maniera ridicola pur di attirare l’attenzione ed essere scelti. L’unico che sembra non avere interesse è András, proprio lui che è il prescelto agli occhi di Tibor”.

“Ti avevo detto già tempo fa che lui è diverso. Ha domato Augustus finalmente e sembra che cavalcarlo lo renda la persona più felice d’Ungheria. Non dimostra grande interesse per i beni materiali, eppure comincio a credere che appartenga a una famiglia nobile, ha una cultura vasta e raffinata e ottime maniere, senza contare che la sua mente è abituata a districarsi tra le malizie di una corte”.

“E se scegliessimo lui?”.

Ariadné tacque fissando le fiamme del camino. Aveva agito d’impulso pretendendo di tenere con sé quel ragazzo di cui non conosceva nulla ma ora si rendeva conto che adottarlo avrebbe significato legarlo a sé in maniera indelebile e non era certa che fosse giusto nei suoi confronti, né nei confronti della famiglia che probabilmente lo piangeva come morto.

“Non so. Lui si è offerto di sua spontanea volontà di essere adottato a tutti gli effetti già quella sera che ha incontrato Tibor. Ma mi sembra che la cosa stia andando troppo in là, non possiamo fargli questo”.

“Non possiamo fargli questo?! Stiamo pensando di lasciargli una fortuna e da parte tua anche un titolo di alto prestigio, cosa potrebbe volere di più?”.

“Decidere per se stesso e riavere la sua vita, ti sembra poco? Gli abbiamo costruito una farsa addosso, davvero pensi che continuare sia giusto? Raccontargli di un Grand Tour, di studi effettuati a Parigi, abbiamo inventato di sana pianta una vita pur di legarlo a noi, e non dire niente, so che sono stata io a cominciare tutto, ma ciò non toglie che mi sia resa conto dell’errore!”.

Ariadné era pallida e aveva il respiro corto mentre fissava con gli occhi sbarrati suo marito. Sentiva la colpa di aver portato via András alla sua vita e ora che l’incanto che l’aveva avvolta nei primi giorni stava svanendo, desiderava con tutta sé stessa che recuperasse la memoria. Zalán si alzò e le si inginocchiò davanti, prendendole le mani in una delle sue. Le portò alle labbra e vi posò un bacio mentre le accarezzava il viso.

“Calmati amore mio. Siamo andati troppo oltre, cosa potremmo dire adesso al ragazzo? C’è una sola cosa che posso fare per toglierti ogni peso dalla coscienza. Manderò Jan e Petre in Francia, a prendere informazioni. Se scopriranno della scomparsa di un nobile che corrisponda alla descrizione di András, si assicureranno che sia lui e lo rimanderemo alla sua famiglia. Va bene?”.

Lei annuì appena, ritrovando un respiro regolare e costrinse la sua mente a tornare a ciò che stavano discutendo prima di quella ‘crisi’.

“E per l’adozione?”.

“Posso adottarlo lo stesso. Se poi troveremo la sua famiglia, la cosa non farà differenza, almeno avrò avuto il tempo di scegliere un’altra persona che ne sia degna”.

“Quando glielo diremo?”.

“Anche subito, se non è fuggito in groppa ad Augustus, sono giorni che tiene d’occhio il cancello! Credo che le disposizioni del dottore gli stiano strette”.

Ariadné sorrise finalmente e si alzò affacciandosi alla finestra.

“Non è fuggito, è in cortile. E non è nemmeno a cavallo, sta leggendo”.

Zalán la raggiunse cingendole la vita da dietro.

“E’ un bravo ragazzo. Stiamo facendo la scelta giusta, non ci deluderà”.

“Dovremo proteggerlo da Tibor. Non si ferma davanti a niente”.

“Non lascerò che gli faccia del male, ti ho appena promesso che lo rimanderò in Francia non appena ritroveremo la sua famiglia, e intendo rimandarlo a casa tutto d’un pezzo!”.

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Aggiornamento al volo, sto per restare senza internet :(

Non so quando potrò postare il prossimo capitolo, purtroppo, comunque il flashback è finito, dal prossimo capitolo si torna al presente ;)

Grazie ancora per tutte le recensioni, sono commossa! A presto <3

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Novembre 1787

 

Oscar si presentò a Versailles con qualche minuto di ritardo, per la prima volta da quando faceva parte delle Guardie Reali. Durante la cavalcata si era allontanata più di quanto credesse da palazzo Jarjayes e il ritorno aveva richiesto del tempo; non poteva pretendere da César più di quanto avesse dato nella galoppata a cui lo aveva spinto.

Lei aveva completamente dimenticato la promessa fatta la sera prima al principe András, ma evidentemente per lui non era lo stesso. Si presentò al campo di addestramento delle Guardie Reali e si dispose ad aspettarla appoggiato contro il tronco di un albero poco distante, con le braccia incrociate sul petto.

Il cuore di Oscar saltò a piè pari un battito quando lo vide. Se non fosse stata certa del contrario, avrebbe pensato che avesse assunto apposta quella posizione, la stessa in cui poteva vedere Andrè aspettarla ogni giorno per poi tornare a casa con lei.

“Comandante, c’è qualcosa non va?”.

“Cosa? Oh no… no Girodelle, va tutto bene, riprendiamo”.

Il conte di Girodelle aveva intravisto prima di Oscar il principe András ed era certo di comprendere il turbamento del suo comandante. Nemmeno a lui era sfuggita l’impressionante somiglianza tra l’ungherese e Andrè. Inconsciamente strinse maggiormente le briglie del suo cavallo; non avrebbe permesso che lei ricadesse in quel vortice fatto di dolore e sensi di colpa, proprio adesso che sembrava stesse riconquistando la sua vita. Proprio adesso che senza Andrè fra loro poteva sperare di far breccia nel cuore di Oscar.

András aspettava paziente che la sua dama terminasse di svolgere il suo lavoro quella mattina per poterla avere per sé qualche ora. Non gli pesava affatto stare fermo lì ad osservarla, gli sembrava di esserci abituato. Ed era decisamente bella, madamigella Oscar. I lunghi riccioli biondi che era certo avrebbe sentito serici sotto le dita, incorniciavano un ovale perfetto illuminato dagli occhi azzurri più belli che avesse mai visto: spicchi di cielo nei quali era facile scrutare tempeste e giorni di sole alternarsi secondo i pensieri di quella donna.

Finalmente la vide avvicinarsi e l’accolse con un sorriso smagliante, ignaro di quanto questo potesse scombussolare la povera Oscar che cominciava a temere di essere sulla soglia della pazzia. Qualsiasi atteggiamento del principe András non faceva che ricordarle dolorosamente Andrè, ma questi sentimenti venivano subito rimbeccati dalla sua parte razionale che le ricordava come i due non potessero essere la stessa persona.

“Buongiorno madamigella”.

“Buongiorno principe András”.

“Temo che abbiate dimenticato la promessa che mi avete fatto al ballo. Si era detto che avremmo visitato insieme i giardini di Versailles ma non siete abbigliata per una passeggiata”.

Oscar lo guardò inarcando un sopracciglio.

“Vi aspettavate forse di vedermi indossare un vestito?”.

“Perchè no? Non lo fareste per me?”.

Aveva pronunciato queste parole guardando negli occhi Oscar, in un chiaro tentativo di ammaliarla, ma ebbe lo spiacevole risultato di vederla impallidire neanche si fosse trovata davanti un fantasma.

“Madamigella Oscar, vi sentite bene?”.

Lei annuì, rigida, e si incamminò allontanandosi da lui. Solo una volta aveva indossato delle vesti femminili per un uomo e ne era uscita più che scottata. L’unico per il quale avrebbe di nuovo sopportato una simile umiliazione non c’era più e ora quello… quello straniero osava chiederle una cosa del genere!

András si affrettò a seguirla, perplesso da quel suo atteggiamento e standole dietro non potè non notare la capigliatura bionda ondeggiare al ritmo del suo passo. Era lei! Certo, era lei la donna del suo sogno, l’aveva ritrovata!

“Oscar!”.

Quella voce… il suo nome, pronunciato da quella voce! Oscar si fermò di colpo, come fulminata, incapace di compiere un altro singolo passo. Non voleva illudersi di nuovo, voltarsi credendo di vedere Andrè e guardare negli occhi uno straniero che gli assomigliava. Il suo cuore e soprattutto la sua mente non avrebbero retto a lungo a quel conflitto. Stava già pensando di chiedere alla Regina un’ulteriore licenza, quando sentì delle forti braccia cingerla da dietro.

 

Ariadné si trovava al Petit Trianon in compagnia della Regina Maria Antonietta, che piena d’entusiasmo le stava mostrando il procedere dei lavori per la Hameau de la Reine.

“E’ un posto splendido maestà”.

“Qui potrò finalmente essere me stessa, principessa. Come la bambina che voi ricordate”.

Maria Antonietta rivolse uno sguardo malinconico ad Ariadné che non potè far altro che ricambiare. Avrebbe desiderato poterla stringere fra le braccia, proprio come quando era la piccola arciduchessa austriaca, ma l’etichetta le imponeva distacco.

“Ditemi piuttosto”, esordì la Regina, mettendo fine a quel momento. “Come avete conosciuto il giovane che avete adottato? Mi avete detto che il principe András ha studiato a lungo qui in Francia, eppure non lo avete mai indirizzato a corte, per quale motivo?”.

“Vostra altezza c’è una cosa di cui vorrei parlarvi in privato, credete che sia possibile?”.

Ariadné aveva guardato Maria Antonietta con occhi talmente tormentati che la Regina non potè che acconsentire, invitandola formalmente a un incontro privato all’interno del Petit Trianon. Quando vi giunsero, la principessa si avvicinò alla finestra che dava sul giardino, restando in silenzio.

“Principessa, se la mia domanda vi ha offeso in qualche modo…”.

“No maestà”. Ariadné la interruppe voltandosi a guardarla. “Al contrario, sento il bisogno di confidare a qualcuno le mie pene. Non posso ottenere perdono per ciò che ho fatto”.

“Cosa potete aver mai fatto di così terribile?”.

“András è francese. Quando ripartimmo dopo avervi fatto visita, lo scorso anno, gli uomini della mia scorta lo trovarono ferito e privo di sensi nei pressi di una stazione di posta. Lo portammo con noi e ce ne occupammo, con l’intenzione di rimandarlo indietro quando fosse stato bene ma aveva subito un’amnesia e nonostante la diagnosi del medico che la riteneva un fenomeno passeggero, tutt’ora gli ottenebra la mente”.

“Non mi sembra abbiate compiuto atti così indegni del perdono divino”.

“Lo abbiamo tenuto con noi. Lo abbiamo fatto per un nostro fine personale, senza più tentare di restituirgli la sua vita. Certo, con il tempo abbiamo imparato ad amarlo come fosse un figlio, è impossibile non affezionarsi a lui, però… però sento un peso sulla coscienza ogni volta che lo sento parlare dell’Ungheria come se davvero fosse la sua casa. Quando mi chiama ‘madre’ sento calore nel cuore ma gelo nell’anima”.

Maria Antonietta ascoltò attentamente il racconto di Ariadné. Un sospetto stava prendendo forma nella sua mente ma non osava esprimerlo a voce alta; se si fosse rivelato fondato, avrebbe visto tornare il sorriso sul volto di una cara amica.

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Rieccomi ragazzi/e, in ritardo ma ce l’ho fatta :P

Volevo fare solo una piccola precisazione riguardo al capitolo precedente, che ieri mi è sfuggita. Ho letto che la lingua ufficiale del Regno d’Ungheria era il latino, essendo una nazione cattolicissima; però, mi sembrava improbabile che i nobili ungheresi recandosi a Vienna, presso quello che effettivamente era il loro sovrano, si esprimessero in latino, perciò ho puntato sul tedesco ^^

Grazie come sempre per tutte le recensioni, cercherò di rispondervi come ho sempre fatto ^^ A presto ^^

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Novembre 1787

 

Maria Antonietta guardò Ariadné negli occhi per qualche istante, indecisa se dirle o meno dei suoi sospetti. Alla luce della sua confessione era certa che András non fosse altri che Andrè Grandier, troppe le coincidenze e soprattutto, eccessiva la somiglianza fra i due.

“Principessa non angustiatevi, credo di sapere chi sia in realtà il vostro András. Potete riportarlo alla sua famiglia in qualsiasi momento”.

“Io… vi ringrazio maestà ma non sono certa di volermi separare da lui, dopotutto. Sempre che i suoi ricordi non tornino ora che si trova in Francia, in quel caso non opporrò la minima resistenza”.

“Non vi capisco. Mi avete detto pochi minuti or sono di essere tormentata dai sensi di colpa per aver portato via András, eppure rifiutate di lasciarlo alle cure della sua famiglia. Vi contraddite”.

“Ne sono consapevole. Ma ormai il mio amore per lui è troppo grande perché io lo lasci qui a una vita che non ricorda. Ditemi soltanto… come si chiama?”.

“André Grandier. Era l’attendente di madamigella Oscar, la donna che io stessa gli ho presentato al ballo”.

“Attendente?! Attendente di quella donna soldato, e io dovrei lasciarlo qui, a condurre una vita da servo quando in Ungheria è un principe di stirpe reale?”.

“Calmatevi principessa. Vi posso assicurare che la sua vita è stata ben al di sopra di quella di molti borghesi, è stato istruito, ha imparato a tirare di scherma, a cavalcare, tutto questo assieme a madamigella Oscar. Solo il titolo nobiliare li distingue”.

Ariadné ricambiò lo sguardo di Maria Antonietta, la determinazione a illuminarle gli occhi di ghiaccio.

“Se io acconsentissi a lasciarlo qui… voi vi impegnereste a riconoscere il suo rango anche qui in Francia?”.

“Non so se posso farlo, in Francia non basta essere adottati da un nobile per diventarlo a sua volta [1]”.

“E’ l’unico caso in cui lo lascerei. Altrimenti lo riporterò con me in Ungheria. Non è il titolo che gli ho dato a renderlo nobile e mi rifiuto di accettare che venga sbeffeggiato e indicato come ‘servo’ da persone che non sono degne nemmeno di lucidare le fibbie delle sue scarpe!”.

Aveva parlato senza curarsi se le parole pronunciate fossero o meno degne delle orecchie di una regina, spinta solo dal desiderio di proteggere suo figlio. Qualsiasi fossero stati gli sviluppi da quel momento in poi, András… no, Andrè, sarebbe rimasto suo figlio.

Maria Antonietta non si scompose, comprendendo il turbamento della principessa Ariadné, tuttavia sapeva di non poterle promettere ciò che chiedeva, almeno non prima di aver parlato con il Re. La nobiltà francese era molto più conservatrice rispetto a quella austriaca e aveva provato sulla propria pelle quanto tutti i suoi componenti o quasi fossero disponibili a calpestare chiunque pur di ottenere sempre più potere. Pochi di loro avrebbero accolto di buon grado un parvenu quale sarebbe stato il principe Andrè Beleznay [2].

“Principessa, per l’amicizia che ci lega parlerò a Sua Maestà il Re della vostra richiesta. Sappiate, però, che il suo consenso è tutt’altro che certo”.

“Lo comprendo bene maestà e vi ringrazio per l’attenzione che mi state dedicando”.

Maria Antonietta rivolse un sorriso ad Ariadné. Desiderava davvero aiutare Andrè a mantenere il titolo acquisito in Ungheria, con il duplice intento di aiutare, seppur in maniera diversa, due persone a cui teneva molto.

 

Oscar era rimasta pietrificata fra le braccia di András. Come avrebbe dovuto reagire? Lentamente girò il volto quel tanto che bastava per guardare il principe.

“Che cosa state facendo principe?”.

András lasciò andare Oscar come se scottasse, imbarazzato da quel gesto che non sapeva spiegarsi. Non era da lui ignorare così bellamente le regole dell’etichetta, a prescindere dal luogo o dalla persona che aveva davanti.

“Io… scusate madamigella Oscar, volevo solo fermarvi! Stavate andando via ignorandomi completamente”.

“E questo vi sembra un buon motivo per mettermi le mani addosso?!”.

“No! Madamigella vi prego, non fraintendetemi! Non intendevo mancarvi di rispetto, è che… circa un anno fa sono stato vittima di un’aggressione e adesso la mia memoria non funziona come dovrebbe. Scusate se la mia domanda vi sembrerà sciocca ma da quanto ci conosciamo noi due?”.

Oscar sgranò gli occhi azzurri sentendo quelle parole. Una timida speranza stava facendo capolino nel suo cuore ma aveva bisogno di certezze. András le aveva fatto capire di aver subito un’amnesia ma di ricordare lei perciò forse… forse era lecito sperare.

“Più che sembrarmi sciocca mi meraviglia, principe. Non ricordo di avervi mai visto prima di ieri sera, però avete studiato in Francia mi pare, no?”.

“Sì, sono rimasto in Francia fino allo scorso anno, quando i miei genitori si sono recati in visita qui a Versailles per la prima volta. È stato mentre mi recavo a incontrarli che sono stato aggredito”.

Un lieve sorriso si dipinse sul volto di Oscar che forzando la propria natura ritrosa posò una mano sul braccio di András per attirarne l’attenzione, e indicò con un cenno del capo i giardini. Lui la guardò, dapprima confuso dal suo atteggiamento, poi si incamminò assieme a lei lungo i viali di siepi.

“Forse ci siamo incontrati a Parigi, anche se in effetti non mi reco spesso in città. Ditemi qualcosa in più su di voi, forse potrei ricordare un giovane studente straniero!”.

Aveva pronunciato quelle parole ridendo, come non le capitava da tempo. Qualunque cosa dicesse Maria Antonietta, l’uomo accanto a lei era Andrè. Restava da capire come fosse stato trovato e adottato da quei nobili ungheresi, ma era certa che l’amnesia avesse giocato il suo ruolo in quella mossa.

András lasciò andare un lieve sospiro, fingendosi sconsolato.

“Madamigella perché mi ignorate? Vi ho appena spiegato che sono vittima di un’amnesia, non mi ascoltate o vi piace rigirare il dito nella piaga?”.

Il viso di Oscar passò dall’ilarità di pochi minuti prima a un’espressione di assoluta mortificazione, accentuata dallo sguardo che rapidamente raggiunse le punte degli stivali.

“Perdonatemi principe András, non intendevo prendermi gioco del vostro male”.

Lui si rese conto di non essere stato affatto capace di scherzare e tentò di correre ai ripari.

“Non mi avete offeso, non temete! Non parliamone più, volete? Piuttosto, com’è possibile che una donna come voi non sia circondata tutto il tempo da tenaci corteggiatori?”.

Oscar levò lo sguardo spazientita, incrociando le braccia al petto.

“Cosa devo fare per convincervi che io sono un soldato e non una dama, sfidarvi a duello?”.

András arretrò di un passo alzando le mani in una posa volutamente teatrale.

“Oh no vi prego, non intendo finire male!”.

Rise voltandosi mentre il vento giocava coi suoi capelli scuri, scostandoli dal suo volto. Oscar si rese conto di essere rimasta incantata a fissarlo quando lo vide sorriderle.

“Sul serio madamigella. Siete un soldato, ma bisognerebbe essere ciechi per non vedere che splendida donna siate”.

Lei trasalì impercettibilmente a quelle parole che alle sue orecchie suonavano come una conferma. Chi altri le aveva mai dato a intendere di vederla come una donna, una bella donna, se non Andrè? Un sorriso sincero le increspò le labbra e levò una mano a scostare una ciocca bionda che il vento le faceva ondeggiare davanti agli occhi.

“Voi mi ricordate molto una persona, principe András”.

“Spero almeno che a essa siano legati ricordi piacevoli”.

“I più belli della mia vita… vogliamo andare?”.

Aveva cambiato improvvisamente tono, rendendosi conto di essere stata sul punto di confidarsi con la persona meno adatta. Se lui fosse stato Andrè, sarebbe stato come dichiarargli il proprio amore e non riteneva di essere pronta a farlo; se non lo fosse stato, ipotesi che ormai aveva definitivamente accantonato, avrebbe confessato i suoi pensieri più intimi a una persona pressoché sconosciuta.

“Principe András, vi piacerebbe visitare il Giardino d’Inverno?”.

András si fermò accanto a Oscar scrutandola dalla sua maggiore altezza. Quella donna era una persona particolare ma così affascinante da fargli sentire un’attrazione mai provata prima e al contempo così familiare da star quasi male; sentiva di conoscerla da sempre, e si convinceva sempre più che avesse fatto prepotentemente parte della sua vita.

Quel senso di familiarità si era insediato nel suo cuore sin da quando erano giunti nei pressi di Parigi e pareva non volerlo lasciare. Nemmeno a palazzo Beleznay lo avvertiva con tanta urgenza.

“Siete sicura che non sia sconveniente che ci addentriamo nei giardini senza uno chaperon?”.

Oscar sorrise tra sé. Andrè era pur sempre Andrè, anche senza memoria non poteva fare a meno di preoccuparsi per lei.

“Non c’è niente di scandaloso se il Capitano delle Guardie Reali accompagna un ospite della Regina a visitare i giardini della Reggia”.

András rise all’affermazione di Oscar, tirandole indietro dal viso una ciocca di capelli, in un gesto che la fece lievemente arrossire.

“Dovete perdonarmi madamigella Oscar, ma io proprio non riesco a vedervi come nulla di diverso da una donna”.

 

Jan e Petre si occupavano di Augustus nelle scuderie di Versailles. Nessuno dei due sembrava entusiasta del lavoro che svolgeva e il cavallo sbuffò il suo disappunto per una strigliata troppo energica.

“Che hai da lamentarti, stupido ronzino!”.

“Jan vacci piano, se succede qualcosa al cavallo del principe András, i Beleznay ci rimandano in Ungheria a trovarne un altro identico”.

“Il principe András!”, esclamò Jan in tono canzonatorio. “Se questi spocchiosi francesi sapessero la verità su quello a cui rivolgono inchini e riverenze neanche fosse il loro Re! Ci sarebbe davvero da ridere, soprattutto per le facce dei Beleznay, sbugiardati in questo modo!”.

Petre scosse la testa continuando a pulire la sella di Augustus.

“Non è con questa rabbia che otterrai qualcosa”.

Jan si voltò, lasciando cadere la striglia e afferrò Petre per il bavero con fare minaccioso.

“Stai forse cercando di dirmi come devo comportarmi con loro?! Sono degli ingrati, ecco cosa sono, altro che bravi cristiani! Hanno adottato uno di cui non sanno nulla, neanche il suo vero nome, preferendolo a uno di noi! Siamo noi che ci spacchiamo la schiena al loro servizio da anni, qualcosa dovrà pur contare!”.

Petre mise le mani su quelle di Jan, staccandole a forza dalla propria giacca e riprese impassibile il suo lavoro.

“Guarda cos’hai combinato, devo ricominciare da capo, Jan!”.

Jan afferrò la striglia con un gesto di stizza e ricominciò a lavorare, la mascella contratta dalla rabbia.

“Io li odio. Tutti, soprattutto il francese. Il rango che ha lui avrebbe potuto essere mio, o tuo, o di un altro ungherese qualsiasi, invece hanno fatto di uno straniero un principe!”.

Lo sfogo di rabbia di Jan non cessò con il lavoro, anzi prese posto malamente accanto a Petre, rischiando di sbilanciare la panca su cui sedevano.

“E’ gentile con noi, non è contro di lui che dovresti indirizzare la tua rabbia”.

“Proprio perché è gentile, lo odio ancora di più”.

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Eccomi di nuovo ^-^

Grazie come sempre per le bellissime recensioni, vi adoro! E un grandissimo grazie anche a chi legge la mia fic in silenzio ^-^

Il dialogo tra i nostri beniamini potrebbe sembrare un po' insolito ma ho cercato di rendere un po' la confidenza che c'era tra Andrè e Oscar e la semplicità con cui scherzavano e chiacchieravano di qualsiasi cosa, senza dilungarmi troppo :P

Appuntini XD

[1] Non sono riuscita a trovare informazioni al riguardo, quindi in effetti non so se le cose stessero così. Vi chiedo scusa se risulterà essere un errore ^^”

[2] Non mi sono confusa XD  Se Andrè venisse riconosciuto come Andrè Grandier e allo stesso tempo gli fosse attribuito il titolo come figlio dei Beleznay, dei principi acquisirebbe solo il cognome ;)

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Novembre 1787

 

Dopo quel primo incontro nei giardini di Versailles, András si recava sempre più spesso a trovare Oscar, aspettando che terminasse il lavoro prima di ‘rapirla’ con il pretesto di farsi mostrare qualche altro angolo della Reggia. Lei ne era felice e a stento nascondeva questo forte sentimento dietro la solita facciata di cortesia.

Un giorno, András la raggiunse prima del previsto e Oscar se lo ritrovò davanti mentre stava ancora discutendo con Girodelle i pattugliamenti da disporre per l’indomani. Si sarebbe tenuto un ballo di gala, in onore degli ospiti stranieri che ancora si trovavano in Francia dopo esservi giunti a festeggiare il compleanno della Regina e la serata richiedeva particolare attenzione da parte della Guardia Reale.

“András, cosa fate qui?”.

“Sono venuto a prendervi Oscar. Desidero visitare il Tempio dell’Amore, al Petit Trianon”.

Oscar era talmente impegnata ad arrossire vedendolo ammiccare, che non si accorse che Girodelle, al contrario, sembrava aver perso tutto il sangue delle vene.

“Il Petit Trianon si potrebbe visitare soltanto se la Regina Maria Antonietta vi invitasse”.

“Lo ha già fatto, madamigella. Però, non posso infastidire oltre la Regina per un mio personale capriccio, trovate?”.

“State dicendo che avete abbandonato il Petit Trianon per venire a prendere madamigella Oscar? È molto scortese lasciare la compagnia della Regina se non si viene congedati”.

Girodelle fissava András con un’espressione tutt’altro che amichevole; mal sopportava il principe ungherese che, dal suo punto di vista, rivolgeva una corte serrata a Oscar mascherando le sue intenzioni dietro l’amicizia. András dal canto suo, non provava sentimenti troppo dissimili nei confronti del conte, geloso del tempo che poteva trascorrere con Oscar.

“La Regina è al corrente della mia venuta qui. Ho espresso il desiderio di venire di persona a invitare madamigella Oscar, e lei mi ha concesso questo privilegio”.

“Calmatevi Girodelle. Se la Regina mi vuole al Petit Trianon, non posso che esaudirla”.

Girodelle strinse i guanti che si era appena tolto nel tentativo di trattenere la rabbia. Facendo appello a tutto il suo sangue freddo riuscì a sorridere a Oscar.

“Certamente comandante, avete perfettamente ragione”.

Oscar annuì, apparentemente ignara del turbamento del suo secondo e si incamminò accanto a András per raggiungere la residenza della Regina.

“Non dovreste provocarlo in quel modo, András”.

“Io non provoco nessuno. È il conte di Girodelle che mi detesta, lo vedrebbe persino un cieco”.

Aveva un’espressione terribilmente infantile in quel momento, con le braccia incrociate al petto e le labbra piegate in un leggero broncio. Sembrava un bambino colto sul fatto dopo l’ennesima marachella.

“D’accordo András ma toglietevi quell’espressione, non vorrete angustiare la Regina?”.

“No, affatto, è così gentile! È una donna splendida, mi è difficile credere che qualcuno possa non amarla”.

Oscar si rabbuiò un poco a quelle parole. Purtroppo, sapeva fin troppo bene quanto Maria Antonietta potesse essere detestata in Francia, e il recente ‘Affare della Collana’ non aveva fatto che alimentare l’odio verso la sovrana.

“Oscar, vi sentite bene? Ho forse detto qualcosa che vi ha offesa?”.

“Niente affatto András, non temete. Piuttosto, vogliamo visitare il Tempio dell’Amore come mi avete chiesto?”.

András tornò a sorriderle, entusiasta di poter trascorrere del tempo in sua compagnia. Non ne aveva mai abbastanza e quando doveva separarsi da lei, avvertiva un distacco bruciante, sopportabile solo grazie all’idea che l’indomani l’avrebbe rivista. Oscar gli stava entrando dentro e per qualche motivo, la cosa non lo meravigliava minimamente.

 

Una carrozza procedeva lentamente, diretta a Versailles. Sul fianco faceva bella mostra di sé lo stemma nobiliare, un corvo nero appoggiato su un ramo d'oro con foglie, su fondo blu, con un anello d'oro nel becco, affiancato da un leone rosso rampante, con una corona fra le zampe anteriori, su fondo bianco.

“Lo stai controllando come ti ho ordinato?”.

“Certamente, mio signore. Non è stato difficile, mi hanno messo al suo servizio”.

“Molto bene. Adesso abbiamo bisogno di un aiuto alla Reggia”.

Un sogghigno giunse in risposta alla domanda.

“Le donne possono essere un’arma efficace in casi come questi. Sono causa di violente gelosie e un uomo geloso può compiere azioni contrarie alla sua natura”.

“Stai parlando di qualcuno in particolare?”.

“Sì, mio signore. Ma mi serve il vostro aiuto per ingannarlo, altrimenti non potremo servircene, è troppo onesto”.

“Fai in modo che gli giungano questi, per il momento”.

“Come desiderate mio signore”.

 

Ariadné si trovava in compagnia della Regina ma non poteva impedirsi di guardare sempre più spesso Oscar e András che si intrattenevano nei pressi del Tempio dell’Amore.

“Principessa, siete forse preoccupata per la virtù di vostro figlio?”.

Maria Antonietta nascose una leggera risata dietro il ventaglio, strappando un sorriso anche ad Ariadné.

“Dovrei tenerlo sotto chiave maestà, ovunque andiamo è oggetto delle attenzioni femminili, più o meno sfacciate”.

“Non dovreste meravigliarvi, è un uomo affascinante”.

Ariadné non potè impedirsi di cercare nuovamente con lo sguardo András. Non lo aveva mai visto così sereno com’era da quando aveva ritrovato madamigella Oscar e i sensi di colpa tornavano a farsi sentire in lei con sempre maggiore prepotenza. Non faceva che chiedersi come avesse potuto consentire a Zalán di adottarlo legalmente, strappandolo a quella che era la sua vita; puntualmente, si rispondeva che non aveva fatto granché per opporsi, contenta di poter tenere con sé il ragazzo sconosciuto e senza memoria. Trattenendo un sospiro spostò dietro l’orecchio una ciocca corvina sfuggita all’acconciatura.

“Non mi meraviglia infatti maestà. Temo, però, che ostinarsi a visitare ogni angolo dei giardini di questi periodi, lo farà finire a trascorrere la nostra visita al caldo nel suo letto!”.

“Principessa vi conosco bene. Tentate di nascondere la vostra preoccupazione dietro queste facezie.  Vi prego però di tornare a considerare l’idea di rivelare la verità ad Andrè e rimandarlo alla sua famiglia”.

“Si tratta di un ordine maestà?”.

“Sapete bene che non posso darvi ordini. Non posso che appellarmi al vostro buon cuore”.

Ariadné levò lo sguardo fiero a incontrare quello di Maria Antonietta.

“Non posso decidere da sola in ogni caso. Zalán si è affezionato ad András almeno quanto me e gli ha dato il suo nome. Potrebbe rifiutare di lasciarlo andare e io non avrei il diritto, né l’autorità di oppormi”.

“Sono certa che saprete come convincere il vostro sposo. Il vostro è un matrimonio felice”.

La Regina aveva detto quelle parole con uno sguardo triste, alludendo alla propria cattiva sorte nel trovarsi legata a un uomo per il quale non provava niente di più dell’affetto. Ariadné stava per risponderle quando furono raggiunte da András e Oscar. La donna soldato mostrava il suo solito atteggiamento distaccato mentre lui aveva un’espressione che la madre avrebbe associato al viso di un bambino il giorno di Natale. Salutarono la Regina, come prevedeva l’etichetta e poi András si rivolse ad Ariadné.

“Madre, madamigella Oscar ci ha cortesemente invitati a essere suoi ospiti domani. A palazzo Jarjayes”.

Ariadné si irrigidì fissando per qualche istante András. Avrebbe voluto urlare a gran voce di no, che non gli avrebbe mai consentito di tornare in quella casa, dove era stato un servo e dove, ne era sicura, voleva tornare con tutto se stesso. Il suo viso sorridente però, non le permise di opporre un rifiuto a quell’invito e in ogni caso, farlo sarebbe stato un atto di grande scortesia.

“Certamente. Madamigella Oscar, saremo felici di farvi visita a palazzo Jarjayes”.

Si costrinse a sorridere, anche se la sua espressione tormentata non era sfuggita alla diretta interessata. Oscar era certa che la principessa Beleznay non fosse entusiasta di quell’invito, ma sapeva quanto fosse difficile dire di no ad Andrè… anzi András, ancora per qualche giorno.

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Ed eccomi qui anche oggi, un po’ in ritardo in effetti ^^”

Non sono granchè soddisfatta di questo capitolo che dovrebbe essere solo di transizione; sarei comunque felice di sapere cosa ne pensate, in modo da poter migliorare ^^

Domani potrei avere qualche problema ad aggiornare, spero di riuscire a postare il capitolo, altrimenti ci risentiamo mercoledì ^^

Grazie come sempre per le recensioni e le letture, vi adoro <3

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Novembre 1787

 

Sorgeva il sole su palazzo Jarjayes, quando Oscar aprì gli occhi, infastidita dalla luce improvvisa. Aveva dimenticato di tirare le tende la sera prima e ora si vedeva costretta a svegliarsi ma bastò il pensiero di Andrè finalmente a casa, a destarla completamente.

Un sorriso le affiorò alle labbra mentre si stiracchiava nel letto e si mise seduta di scatto; non aveva ancora avvisato Nanny! Non poteva portarle in casa Andrè, András o comunque volesse essere chiamato, senza avvisarla, alla povera vecchina sarebbe preso un colpo, trovandosi davanti il nipote quando aspettava un perfetto sconosciuto. Lottando contro la voglia di rimettersi al caldo sotto le coperte, si alzò e si vestì in fretta, uscendo subito per cercarla. Era ancora molto presto, ma voleva avere il tempo di parlarle prima che si perdesse nei corridoi del palazzo impegnata a dirigere tutta la servitù.

La vecchia governante si trovava in cucina, come al solito, e Oscar rimase qualche minuto sulla soglia a osservare quella stanza in cui tante volte aveva combinato qualche guaio assieme ad Andrè. Puntualmente, venivano scoperti e puniti, e Andrè finiva per prendere il doppio degli scappellotti assieme a qualche mestolata; la dolce nonnina gli dava sempre la maggior parte della colpa.

“Madamigella Oscar, come mai siete già in piedi?”.

Fu la voce di Nanny a riscuoterla dai suoi pensieri e voltandosi a guardarla, Oscar non potè non notare come fosse improvvisamente invecchiata nell’ultimo anno. Era sempre la solita, energica governante di casa Jarjayes, ma il suo viso sembrava mostrare esso solo tutto il dolore che aveva patito alla notizia della morte di Andrè.

“Nanny, ti posso parlare?”.

“Certo madamigella, ma fate in fretta, sapete che ci sono molte cose da fare prima dell’arrivo degli ospiti”.

“C’è ancora tempo, li aspettiamo per pranzo… e poi è proprio di loro che voglio parlare, anzi, del principe András”.

L’espressione interrogativa che Nanny le rivolse, spinse Oscar a continuare, e prese posto alla grande tavola di noce.

“Ecco lui… lui assomiglia moltissimo ad Andrè. Tanto, così tanto che la prima volta che lo vidi ne rimasi sconvolta”.

Decise di tenere per sé la convinzione che in realtà i due fossero la stessa persona. Doveva assicurarsene prima, non poteva procurarle un altro dolore di quell’entità.

“Madamigella Oscar, per quanto la somiglianza possa essere spiccata, non confonderò mai uno sconosciuto con il mio caro Andrè, credetemi”.

Nanny aveva pronunciato quelle parole con voce ferma, ma Oscar notò immediatamente gli occhi rossi e lucidi di lacrime che si rifiutava di versare in presenza della sua padrona.

“Nanny… piangi pure se vuoi. Anche a me manca tantissimo”.

Quelle parole furono come la rottura di un argine per la povera donna. Senza più tentare di trattenersi scoppiò in un pianto inconsolabile, le spalle curve squassate dai singhiozzi.

“Era un così brav’uomo, madamigella! Non meritava di finire così, un corpo abbandonato a marcire nelle gelide acque di un fiume… il mio Andrè, il mio povero Andrè!”.

Oscar si morse le labbra per evitare di cedere alla commozione, ma una nuova luce le illuminava lo sguardo; doveva assicurarsi senza più possibili dubbi che Andrè e András fossero la stessa persona. E una volta sicura di ciò, non avrebbe più sprecato un solo secondo trascorso in sua compagnia.

 

La carrozza dei principi Beleznay procedeva spedita verso palazzo Jarjayes. Nonostante fosse una splendida giornata di sole, l’aria era pungente e Ariadné si strinse maggiormente nel suo mantello, ma non sentiva freddo; era il terrore di perdere suo figlio a farle tremare il cuore.

András non faceva che affacciarsi e chiedere al cocchiere quanto mancasse alla loro destinazione. Osservando il paesaggio attorno a loro, trovava familiari persino le pietre del selciato e desiderava venire a capo della faccenda; Oscar diceva di non averlo incontrato prima del ballo, ma era certo di aver percorso diverse volte proprio quella strada. Come era certo di conoscere lei, la donna soldato fiera come Marte e splendida come Venere.

“András ci farai prendere un malanno se continui ad aprire le tende!”.

“Avete ragione madre, perdonatemi”.

Ariadné si morse il labbro vedendo l’espressione contrita di András. Non voleva sgridarlo come fosse un bambino, ma la tensione per quell’incontro che temeva più di qualsiasi altra cosa nella vita, l’aveva resa nervosa oltre misura.

“Siamo arrivati”, esordì Zalán stringendole la mano nella sua e si chinò per sussurrarle all’orecchio. “Andrà tutto bene”.

Lei sorrise appena e tornò a voltarsi in attesa che il lacchè aprisse lo sportello della carrozza.

“Benvenuti a palazzo Jarjayes”.

Li apostrofò la voce di Oscar non appena furono a terra e Ariadné le rivolse un’occhiata non troppo amichevole. Sentiva fortemente la colpa di aver strappato András alle sue origini, ma mai avrebbe permesso che tornasse a essere un servo, a costo di trascinarlo in Ungheria con la forza se avesse recuperato la memoria. Mentre questi pensieri le impedivano di sorridere, vide András avvicinarsi a Oscar ed esibirsi in un perfetto baciamano.

“Buongiorno Oscar”.

“Buongiorno András. Ancora una volta mi costringete a ricordarvi che non sono una dama”.

“Davanti agli occhi ho solo una splendida donna”.

Fu la sua pronta risposta mentre si alzava. Si perse qualche attimo a osservare la villa e si portò la mano alla tempia, tenendo gli occhi chiusi.

“András cosa c’è, ti senti male forse?”.

Lui strinse i denti e scosse la testa per rassicurare i suoi genitori, dopodiché si rivolse di nuovo a Oscar.

“La vostra residenza è davvero magnifica Oscar”.

“Vi ringrazio András. È meglio che entriamo, non è la giornata adatta per conversare all’aperto e voi non avete un bell’aspetto in realtà”.

 

Una volta varcato l’ingresso, trovarono il generale Jarjayes e la sua consorte ad accoglierli. Mentre i padroni di casa e i Beleznay scambiavano i convenevoli di rito, András osservava l’ambiente in cui si trovava. Esattamente come pochi minuti prima in giardino, innumerevoli immagini si sovrapposero nella sua mente, un turbinio di suoni e colori, cui non riusciva ancora a dare un senso; per quanto si sforzasse, l’unico risultato fu un mal di testa lancinante, talmente intenso da provocargli un forte senso di nausea.

“András”, lo riscosse la voce di Zalán. “Non vuoi salutare i nostri ospiti?”.

András tornò a prestare attenzione ai propri genitori e ai Jarjayes e si avvicinò, sforzandosi di sorridere come sempre. Il generale sembrava impassibile al suo aspetto, mentre Marguerite non riuscì a trattenere un’espressione di puro stupore. Immediatamente si volse a guardare Oscar, la quale però sembrava assolutamente tranquilla.

“Generale Jarjayes, madame”, salutò András chinando il capo. “E’ stato molto cortese invitarci presso la vostra dimora”.

“Principe, siete cari amici della Regina. È per noi un grande onore avervi a palazzo Jarjayes”.

Il Generale pronunciò queste parole guardando sia András che i suoi genitori; Zalán fece un passo avanti, stringendo la sua mano tesa.

“Le vostre parole ci onorano, generale”.

András stava osservando la scena ma non la vedeva davvero. Il dolore alla testa non gli dava tregua e nemmeno la confusione nella sua mente accennava a placarsi. Si passò la mano sugli occhi nel tentativo di ottenere un po’ di sollievo e si accorse di avere la fronte imperlata di sudore.

“András, vi sentite bene?”.

Oscar si era avvicinata, preoccupata dall’espressione di sofferenza che poteva vedergli in volto. Sembrava che stesse molto male, e lei non si spiegava come fosse possibile; era sicuramente in gran forma quando era sceso dalla carrozza. András si voltò a guardarla e le rivolse un sorriso stanco.

“Non temete Oscar, mi sento solo un po’ accaldato”.

“Accaldato?!”.

Oscar era a dir poco confusa da quell’affermazione. Per quanto Andrè potesse essere abituato a climi ben più rigidi di quello parigino, avendo vissuto in Transilvania, era ormai novembre inoltrato e la temperatura era tutt’altro che elevata.

“Siete tanto in pena per me?”, le chiese lui, riacquistando la sua faccia tosta.

“Smettetela, siete mio ospite, è normale che mi preoccupi”, sbuffò Oscar voltandosi per nascondere le guance arrossite.

András represse una risata e seguì i padroni di casa nel salotto attiguo all’atrio, ringraziando la sua buona stella che Oscar non avesse insistito oltre. Sentiva di stare per crollare, quando fu fatto accomodare su una poltrona davanti al camino.

Ariadné gli rivolse uno sguardo fugace prima di tornare a prestare attenzione a Marguerite che le stava chiedendo se avrebbero presenziato al ballo organizzato dalla Regina quella sera stessa.

“Certamente madame, non potremmo mancare dal momento che facciamo parte degli ospiti d’onore”.

“Anche vostro figlio sarà presente? Non sembra avere una bella cera”.

“Temo che trascinare vostra figlia in giro per i giardini di Versailles nei giorni scorsi, gli sia costato un po’ troppo freddo e il resto della permanenza a letto”.

Marguerite proruppe in una bassa risata, osservando András che era intento a scrutare le fiamme del camino.

“Sapete, assomiglia moltissimo a una persona che conoscevamo bene qui a Palazzo Jarjayes”.

La principessa spalancò appena gli occhi ma riprese subito il suo contegno annuendo alle parole di Marguerite. Cominciava a essere davvero stanca di tutte quelle insinuazioni, quelle frasi mezze dette e gli sguardi insistenti che venivano rivolti ad András. Lei non se ne sarebbe separata tanto facilmente.

“Mi è stato riferito madame, e spero che il nostro amato figlio non sia stato causa di turbamenti per qualcuno della vostra famiglia”.

“No, non angustiatevi principessa. Temevo la reazione di Oscar, ma come potete vedere mia figlia è perfettamente in sé. Oserei dire che il principe non crea problemi a nessuno”.

Ebbe appena terminato di pronunciare quella frase che Nanny entrò nella sala. Era entrata per invitare i padroni di casa e i loro ospiti a raggiungere la sala da pranzo ma vedendo András soffocò un grido coprendosi la bocca con le mani.

“Andrè…”, disse con un filo di voce, ma abbastanza forte perché il diretto interessato la sentisse.

Si voltò a guardarla e con il cuore affranto dovette dirle chi fosse. Si era sempre considerato una persona sensibile, ma non credeva di poter soffrire tanto nel dare una delusione a quell’anziana donna che vedeva per la prima volta.

Nanny si riprese immediatamente e scusandosi si congedò mentre Oscar sospirava fissandosi i piedi. Aveva tentato di prevenire un episodio del genere ma sapeva che sarebbe accaduto qualcosa nonostante tutto. In fondo davanti avevano proprio Andrè, poteva sua nonna restare impassibile vedendolo? Levò lo sguardo a osservarlo e potè notare quanto fosse turbato; forse dopotutto era stata davvero una buona idea riportarlo a casa.

 

Nel pomeriggio András trascinò Oscar all’aperto, facendosi accompagnare a visitare il giardino di palazzo Jarjayes nella speranza che il malessere che provava si attenuasse. Il fastidio che avvertiva all’interno della residenza non gli dava tregua e temeva di perdere i sensi da un momento all’altro; ben magra figura davanti a lei.

Lei, la sua sconosciuta. Perché ne era certo, forse non la ricordava ma Oscar gli apparteneva, la sentiva sotto la pelle e nel profondo del cuore. Nessuna delle donne che aveva incontrato in Ungheria gli aveva dato le stesse sensazioni che sapeva trasmettergli un semplice sguardo di quegli abissi marini.

Poteva perdersi per ore osservando ogni dettaglio del suo viso, ogni più piccola sfumatura delle sue espressioni che cambiavano repentine come l’umore di lei; e sentiva improvvisamente il battito furioso del proprio cuore non appena scorgeva le sue labbra piegarsi in un sorriso, sovente rivolto proprio a lui.

Non sopportava più la sua mancanza, era diventata l’aria che gli consentiva di respirare, la luce che gli permetteva di vedere con occhi nuovi il mondo. Sempre più spesso si scopriva a chiedersi come sarebbe stato intrecciare le dita in quei capelli color del grano, che immaginava morbidi e profumati di rose, la stessa fragranza che gli giungeva quando l’aveva accanto.

Adesso, Oscar si era seduta sul bordo della fontana che si trovava al centro del giardino e lui l’aveva prontamente imitata, accomodandosi forse un po’ troppo vicino, tanto da costringerla ad alzare il viso per guardarlo, data la differenza d’altezza. Da quella posizione privilegiata poteva agevolmente osservarla spingendo lo sguardo oltre quello che la morale avrebbe consentito, e intravide le fasce che le stringevano il seno. Quella mortificazione della sua natura femminile gli fece aggrottare le sopracciglia di disappunto. Perché? Per quale motivo doveva portare avanti quella farsa negando di essere una donna, una splendida donna? Era venuto a conoscenza del motivo per cui fosse stata cresciuta come un uomo e un soldato, ma non era più una ragazzina costretta a obbedire sempre e comunque al genitore, allora perché?

Sentì vagamente che lo stava chiamando e riportò lo sguardo sul suo viso, concentrandosi sulle labbra rosse e piene che si muovevano nel pronunciare il suo nome. Dio, quanto desiderava baciarla!

“András?”.

Oscar aveva visto il principe cambiare improvvisamente espressione. Sembrava arrabbiato e non ne capiva il motivo; solo qualche minuto prima stavano amabilmente chiacchierando del più e del meno e adesso le sembrava quasi ostile.

Approfittando della sua ‘assenza’ si prese del tempo per osservarlo, concedendosi di smarrirsi nel suo sguardo cristallino. Più lo guardava, più riconosceva i lineamenti di Andrè, dell’unica persona che avesse avuto così vicina da poterne imparare le fattezze.

Le mancava atrocemente quella presenza costante e rassicurante che si occupava di lei anche quando non ne era consapevole; il suo cuore grande e generoso che batteva all’unisono con il proprio, tanto da essere il solo ad averla udita quel giorno lontano al convento di Saverne. La sua voce, ridotta a un sussurro, aveva raggiunto non l’udito, ma l’anima di Andrè.

Durante tutta la sua assenza aveva cercato il suo viso in quello di sconosciuti dalle lunghe chiome d’ebano, proprio come i suoi… no, mai come i suoi, niente di Andrè era comune. I suoi capelli scuri erano fatti per catturare il vento, lasciando che lei potesse vederne il volto e innamorarsi ogni volta di quegli occhi buoni e sinceri che erano capaci di sorriderle anche più delle labbra [1].

Aveva creduto di averlo perso per sempre e si era sentita spezzare, aveva percepito quel distacco come se le avessero strappato il cuore dal petto. Nello stesso momento in cui Andrè era precipitato dalla torre, aveva cominciato ad appassire, mantenuto in vita soltanto dal nuovo sentimento che era emerso in tutta la sua prepotenza, l’amore, quello vero. Non l’infatuazione che aveva provato per Fersen ma un affetto che aveva riconosciuto immediatamente come l’unico capace di andare oltre la morte e resistere anche alla mancanza del suo oggetto.

Un sorriso di soddisfazione le curvò le labbra. Poteva rifiorire adesso che Andrè era tornato da lei e con ostinazione voleva appartenerle di nuovo, poteva vivere. Avrebbe recuperato tutti i suoi ricordi se fosse rimasto in Francia, ne era certa. Si rabbuiò un poco pensando che avrebbe dovuto vincere le resistenze di Ariadné; la principessa sembrava intenzionata a tornare in Ungheria portandolo con sé.

Sentì la grande mano dell’uomo coprire la sua e abbassò lo sguardo osservandole intrecciarsi, come se quello non fosse il suo corpo. Alzò il capo a chiedere spiegazioni ma la bocca di Andrè sulla sua bloccò ogni protesta e le sue labbra si dischiusero sotto quel gentile assalto zittendo ogni barlume di razionalità.

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Capitolo luuungo! Ma non me la sono sentita di tagliarlo a metà, la giornata a palazzo Jarjayes andava vissuta tutta insieme!

[1] La prima parte di questa frase me l’ha ispirata la canzone dei Nightwish “While your lips are still red”, romanticissima *-* La frase originale dice “Dark hair for catching the wind, not to veil the sight of a cold world”, non potevo non pensare ad Andrè con quei meravigliosi capelli scuri! Vi consiglio di ascoltarla se non la conoscete, è veramente una splendida ballata ^-^

Ok… l’introspezione non è il mio forte e non mi riesce bene, però mi sono emozionata scrivendo l’ultima parte, perciò ditemi che ne pensate per favore ^-^

Grazie mille a chi legge e a chi recensisce <3

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Quando Andrè si staccò da Oscar poggiò la fronte contro la sua, portando la mano libera ad accarezzarle il viso. Lei lo guardò e vide che teneva gli occhi chiusi e sorrideva. Restò immobile, ancora frastornata dal gesto di lui e soprattutto dalla facilità con cui aveva ricambiato. Prima che potesse impedirselo, posò la mano su quella di Andrè che con un gesto repentino l’attirò contro il suo petto stringendola fra le braccia.

“Oscar… perdonatemi ma non sono riuscito a fermarmi”.

Oscar allargò impercettibilmente gli occhi; per un istante aveva pensato che Andrè fosse tornato. A quanto pareva avrebbe dovuto aspettare ma non le importava più, non ora che sapeva quanto il suo cuore le appartenesse ancora. Confortata da quel pensiero si rilassò contro di lui, lasciando che il mondo restasse fuori ancora un po’.

“Ditemi la verità, ci conosciamo bene, vero? Io vorrei ricordarvi, lo vorrei con tutto me stesso e sono certo che il mio cuore rammenta bene quello che alla mente sfugge, perché non posso fare a meno della vostra presenza da quando vi ho ritrovata”.

Oscar si tirò su sciogliendosi dall’abbraccio e guardando Andrè negli occhi. Lui le sorrideva fiducioso e il cuore di lei mancò un battito. Era sempre stato così dannatamente affascinante?

“Non mi ricordo di voi eppure metterei la mia vita nelle vostre mani”.

“Non sapete quanto sbagliereste”.

Fu la triste risposta di Oscar che si alzò e compì alcuni passi, dandogli le spalle. Ricordava con straziante precisione ogni istante di quella maledetta notte in cui si era incaricata di proteggerlo e aveva fallito miseramente.

Andrè la seguì con lo sguardo, non osando avvicinarsi per il timore di essersi preso troppe libertà e averla offesa. Voleva raggiungerla e abbracciarla ancora, baciarla, accarezzarla, strappare quelle maledette fasce che mortificavano il suo seno e il suo essere donna, fare l’amore con lei…

“Oscar vi prego di perdonarmi se il mio comportamento vi ha offesa, non intendevo”, disse sforzandosi di allontanare quei pensieri.

Oscar voltò il capo quel tanto che bastava per guardarlo con la coda dell’occhio. Era proprio nel suo carattere prendersi tutte le responsabilità, come se lei non avesse collaborato! Avrebbe voluto dirgli che desiderava essere stretta di nuovo fra le sue braccia, avvertire di nuovo il calore del suo corpo contro il proprio, sentire il sapore delle sue labbra, perché solo così poteva essere sé stessa. Ancora una volta, il soldato che era riemerse in maniera inopportuna, facendole tacere queste sensazioni.

“Eravamo in due András, non dimenticate. Non mi avete offesa in nessun modo, state tranquillo”.

“Allora posso chiedervi di essere la mia dama stasera?”.

Oscar trattenne un impropero poco elegante portandosi la mano alla tempia. Ancora con questa storia della dama, era ostinato!

“Dovete perdonarmi András ma stasera la mia presenza è richiesta in quanto Capitano delle Guardie Reali. Dobbiamo sorvegliare attentamente la Reggia e i suoi esterni, la presenza degli ospiti stranieri potrebbe provocare qualche disordine”.

“Oh…”.

“Mi spiace avervi deluso”.

András recuperò in fretta tutta la sua sicurezza e si avvicinò a Oscar sfoderando il suo sorriso migliore.

“Potete tenermi compagnia domattina se volete farvi perdonare”.

Lei lo guardò ridacchiando e scosse la testa divertita. Decisamente quando la corteggiava così sfacciatamente non era lo stesso Andrè che conosceva da una vita, pacato e silenzioso.

“Siete davvero cocciuto, ve l’hanno mai detto?”.

“Ditemi soltanto si o no”.

“Si”.

 

Quello stesso pomeriggio, un uomo avvicinò Girodelle al termine delle esercitazioni, che stava conducendo da solo. Era più esigente del solito e le giovani reclute non potevano immaginare quale fosse il motivo reale. Da quando gli avevano comunicato che Oscar non si sarebbe recata a Versailles quel giorno e aveva notato che l’ungherese non gironzolava attorno al campo come al solito, non faceva che chiedersi se fossero insieme e soprattutto cosa stesse succedendo tra loro.

Si stava dando centinaia di risposte, dalle più innocenti ad altre che avrebbero fatto arrossire tutta la compagnia di soldati che aveva davanti, perciò non fu troppo gentile quando uno sconosciuto gli si avvicinò proclamando di dovergli comunicare una questione della massima urgenza. Senza contare che dall’accento sembrava ungherese anche lui.

“Sono occupato, non vedete?!”.

“Se non mi ascoltate potrebbe andarne delle sorti della Francia”.

Girodelle recuperò d’un colpo la calma e congedò i soldati, pregando il suo interlocutore di seguirlo in un luogo appartato.

“Qui siamo al riparo da orecchie indiscrete. Parlate”.

Gli furono passati dei fogli ripiegati su sé stessi e fermati dal sigillo di una qualche famiglia nobiliare straniera. Da quanto riportato all’interno, András aveva ingannato i Beleznay, convincendoli a farsi adottare per potersi introdurre indisturbato a corte, ma si trattava in realtà di un dissidente il cui obiettivo era assassinare l’Imperatore d’Austria, in nome di una sedicente organizzazione segreta che ribadiva l’indipendenza del Regno D’Ungheria dal Sacro Romano Impero.

“Non capisco come queste informazioni potrebbero nuocere alla Francia. Forse dovreste portarle a Vienna”.

“Quell’uomo è stato identificato solo pochi giorni fa grazie alle indagini condotte da una famiglia nobile fedele a Vienna e al momento, lo sapete, si trova qui in Francia. Il desiderio dei miei mandanti è salvare l’impero senza destare scalpore, e voi avete il dovere di arrestarlo in quanto alleati dell’Austria. Tuttavia, vogliono anche che la faccenda resti segreta, perciò la mia richiesta è che voi mi aiutiate a portarlo via senza che nessuno lo venga a sapere”.

Girodelle osservava l’uomo che aveva davanti, ponderando le sue parole. Sembrava sincero e in più aveva fra le mani le prove di ciò che lui sosteneva. Se avesse deciso di dargli fiducia e avesse sbagliato avrebbe rischiato grosso; d’altro canto, se avesse avuto successo forse anche la stima che Oscar nutriva per lui sarebbe cresciuta, e insieme a essa chissà... forse avrebbe potuto guardarlo diversamente.

“E i Beleznay? Non credete che troveranno strana la sparizione del loro unico figlio?”, chiese sarcastico.

“I Beleznay saranno avvisati a tempo debito. Potrebbero opporre resistenza all’arresto per l’affetto che gli portano, ma quell’uomo dev’essere fermato”.

Il vicecomandante ripiegò i fogli su sé stessi e li ripose nella propria giacca. Aveva preso la sua decisione e non sarebbe tornato indietro.

“Molto bene. Potete contare sul mio aiuto, non lascerò che la Francia venga trascinata in un incidente diplomatico di tali proporzioni”.

“Dovete allontanare il vostro comandante prima, potrebbe essere coinvolta dal momento che passa molto tempo con il ‘principe’ Beleznay”.

Girodelle impallidì a quella possibilità. Doveva impedire che Oscar finisse in un tale guaio e separarla dall’ungherese, e forse sapeva già come fare.

“Lasciate che me occupi io. Posso conoscere il vostro nome?”.

“E’ importante che la mia identità resti un segreto”.

Così dicendo, l’uomo si allontanò velocemente lasciando Girodelle a passarsi la mano sulla giacca, lì dove aveva nascosto gli incartamenti. Li sentiva quasi bruciare attraverso la stoffa, e accolse quel calore con un sorriso; erano la seconda possibilità che il destino gli stava dando.

 

Il ricevimento era iniziato da appena mezz’ora e András era già imbronciato per la mancanza della sua Oscar. Non faceva che guardarsi in giro nella speranza di vederla almeno passare ma sembrava che avesse davvero troppo da fare per partecipare al ballo.

Suo padre lo guardava, divertito da quella sua estenuante ricerca del biondo comandante. Al contrario di sua moglie, non temeva di perdere András a causa sua, certo che avrebbe comunque mantenuto l’affetto per loro, anche se lontano fisicamente.

“András, va tutto bene? Possibile che dobbiamo sempre spingerti a divertirti qui a Versailles?”.

András si voltò a guardarlo senza cambiare espressione e si avvicinò a lui. Ariadné lo amava tantissimo ma Zalán aveva sempre avuto il dono di capirlo meglio di chiunque altro ed era certo che si stesse divertendo a prenderlo in giro.

“Padre, non mi interessa proprio divertirmi stasera”.

“Immagino che la mancanza di un certo Comandante delle Guardie Reali abbia il suo peso in queste tue intenzioni”.

András stava per replicare quando il nome annunciato dal messo regale fece gelare il sangue nelle vene di entrambi. Ariadné lasciò cadere il ventaglio senza curarsi di raccoglierlo.

“Cosa ci fa lui qui?!”, disse tra i denti András, raccogliendo l’oggetto per porgerlo a sua madre.

“Non ne ho idea figliolo. Temo che voglia solo infastidirci, sa bene di avere le mani legate dal momento che ti abbiamo legalmente adottato. Ariadné gli ha mosso uno scacco che non immaginava nemmeno nei suoi incubi peggiori”.

Il duca Tibor Hunyadi si presentò ai sovrani di Francia e quando fu congedato raggiunse sfacciatamente i Beleznay, chinando il capo in segno di saluto.

“Cari zii, cugino András, è un piacere ritrovarvi qui in Francia”.

“Tibor, cosa ti porta qui?”.

“La cortesia mio caro András. Sono stato spesso invitato a Versailles ma non ho mai potuto recarmi in questi luoghi incantevoli, a causa dei miei impegni come erede del casato Hunyadi. Adesso che ci sei tu, sono anche libero di viaggiare!”.

Tibor aveva pronunciato quelle parole senza nascondere l’odio profondo che covava nei confronti di András; per buona parte della sua vita gli era stato ripetuto come agire, come pensare, cosa farsi piacere per poter diventare un giorno il degno erede del casato Hunyadi. Sin da quando era stato chiaro che Ariadné non avrebbe dato eredi a una famiglia tanto prestigiosa. E poi era arrivato lui, un perfetto sconosciuto che i suoi stolti zii avevano cresciuto perché prendesse il posto che invece spettava a lui per diritto di sangue.

“Pensa che fortuna hai avuto!”.

Fu la risposta sarcastica di András. Non gli piaceva Tibor, capirlo gli era proprio impossibile e affezionarsi a lui ancora di più. I suoi genitori erano persone splendide ed era certo che se lui si fosse dimostrato meno avido, Ariadné non avrebbe avuto nessun problema a farne suo figlio; dopotutto era il figlio di suo fratello, sangue del suo sangue. Se avesse dato ai Beleznay una possibilità, avrebbe imparato ad amarli, com’era successo a lui.

Si stavano ancora guardando in cagnesco quando Oscar fece il suo ingresso nel salone e anche lei, come previsto dall’etichetta, salutò per prima cosa i sovrani e solo dopo raggiunse i principi e András, che aveva cominciato a fremere sin da quando l’aveva intravista.

“Buonasera principi. La festa è di vostro gradimento?”.

Zalán e Ariadné le sorrisero entrambi e la donna si avvicinò per parlare dietro al ventaglio, suggerendole di salutare András. Li vedeva quei due ragazzi, tesi l’uno verso l’altro con il solo desiderio di restare insieme e non essere più divisi. Suo figlio non ne era cosciente ma evidentemente Oscar doveva essere davvero importante per lui se persino senza ricordare chi lei fosse non riusciva a starle lontano. Avrebbe fatto il possibile per vederlo felice. Forse, persino rinunciare ad averlo con sé.

“Buonasera András”.

“Buonasera Oscar”.

Tibor notò gli sguardi che András e Oscar si stavano scambiando e fece un passo avanti. Infastidire suo cugino era sicuramente la cosa che lo divertiva di più in quella serata, noiosa oltre ogni dire.

“Caro cugino, non mi presenti una tale splendida amazzone?”.

András strinse appena i pugni; avrebbe preferito insultare e perché no, passare a fil di spada Tibor piuttosto che permettergli di conversare con Oscar, ma le buone maniere imponevano che esaudisse la sua richiesta.

“Il Comandante delle Guardie Reali, Oscar François de Jarjayes. Madamigella, vi presento mio cugino, il duca Tibor Hunyadi”.

Tibor sfoggiò il suo sorriso migliore e fece per baciare la mano di Oscar che lei ritrasse cortesemente.

“Duca, vi prego di ricordare che sono un soldato”.

András trattenne a stento una risata a quella scena, ma suo cugino non intendeva arrendersi e indicò con il braccio disteso le terrazze che davano sui giardini.

“Volete accompagnarmi a prendere un po’ d’aria?”.

Oscar represse l’istinto di prendere a pugni quello scocciatore. Per cortesia non poteva rifiutare il suo invito e si vide costretta a seguirlo sebbene avesse preferito trascorrere del tempo con András.

Dal canto suo, il principe ungherese sembrava un leone in gabbia. Non riusciva a distogliere lo sguardo dalla terrazza su cui si trovavano Oscar e Tibor e avvertiva fitte dolorose trapassargli il cuore come pugnali a ogni risata di lei. Era consapevole che sicuramente rideva alle battute di suo cugino per educazione, eppure sentiva ugualmente la gelosia assalirlo.

Tibor era perfido, ma si trattava pur sempre di un uomo molto affascinante, pronto di spirito e dotato di una cultura vasta e raffinata. Nell’ultimo anno lo aveva incontrato a ogni festa e a ogni ricevimento e in nessuna occasione era rimasto senza dama troppo a lungo. Pur nutrendo una fiducia assoluta verso Oscar, era ugualmente preoccupato dalla piega che stava prendendo la serata.

L’unica maniera perché suo cugino lasciasse perdere Oscar, era mostrarsi interessato a un’altra dama. Sapeva che così facendo avrebbe spostato le sue attenzioni sulla nuova ‘conquista’. Diede un rapido sguardo attorno a sé e notò una giovane dama che lo stava fissando con insistenza. Il vestito celeste faceva risaltare il rame dei suoi capelli che scendevano in morbidi boccoli a evidenziarne la figura snella ed elegante. Era sola, perciò decise di accettare il suo tacito invito e le si avvicinò salutandola con un galante baciamano.

“Posso chiedervi come mai una fanciulla di tanta bellezza non è accompagnata?”.

“Nel mio carnet c’è ancora un posto, principe Beleznay”.

“Vedo che mi conoscete. Posso allora sapere il vostro nome?”.

Ophélie de Sombrefleuve, per servirvi”.

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Ed eccomi anche oggi, un po’ prima stavolta ^-^

Grazie, grazie e ancora grazie per le recensioni al capitolo precedente, è stato molto importante sapere cosa ne pensavate. E vi chiedo scusa per le lagne, ma non sono affatto sicura di quello che scrivo e questo mi rende insopportabilmente lamentosa ^^”

Ho tolto le date a inizio capitolo dal momento che non intendo più inserire flashback nè tanto meno flashforward, dovessi cambiare idea le reinserirò :P

Come potete leggere mi piacciono le storie tribolate e non lascerò in pace tanto facilmente Oscar e Andrè :D

A domani ^-^

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Oscar ascoltava molto distrattamente quello che Tibor le stava raccontando. Era di sicuro un uomo affascinante e la conversazione con lui si dimostrava amabile, ma il suo sguardo era stato inesorabilmente attirato da András che sembrava aver trovato un’accompagnatrice.

La riconobbe come Ophélie de Sombrefleuve, una giovane le cui effettive origini nobiliari erano in forte dubbio e che non esitava a visitare i letti dei nobili più influenti a corte per il proprio tornaconto. Andrè la conosceva e avrebbe evitato la sua compagnia per non dare adito alle chiacchiere di corte; András non aveva evidentemente la più pallida idea della fama della donna con la quale stava conversando.

“András non resiste alle chiome ramate”, le sussurrò Tibor, un po’ troppo vicino secondo i suoi gusti.

“Prego?”.

“Mio cugino ha una predilezione per le fanciulle dai capelli rossi. Nell’ultimo anno l’ho visto spesso accompagnarsi a donne dalle capigliature fulve”.

Oscar serrò le dita attorno allo stelo del flûte che teneva in mano; conosceva bene Andrè e sapeva che non era tipo da facili conquiste. L’uomo che aveva davanti, però, per certi aspetti si era dimostrato diverso da quello che era sparito un anno prima… che Tibor avesse ragione? Scosse la testa per scacciare immediatamente quel pensiero: Andrè non le avrebbe mai fatto niente del genere e nemmeno András, doveva fidarsi.

“Sapete Tibor, quello che mi dite è molto strano. András mi ha chiaramente fatto capire di apprezzare ben altro tipo di donna. Semplicemente, trascorrere una serata a Versailles senza conversare o ballare dev’essere molto noioso”.

Parlò con estrema sicurezza, certa di poter riporre la massima fiducia nell’amore per Andrè. Ciò che era accaduto fra loro quello stesso pomeriggio aveva reso più forte il sentimento che aveva scoperto in se stessa.

“Siete certa di ciò che dite? Si sono appena allontanati insieme”.

Oscar si volse di scatto verso la sala e constatò che effettivamente András e Ophélie non erano dove li aveva visti chiacchierare appena pochi minuti prima.

“Vogliate scusarmi”.

Posò il bicchiere sulla balaustra e si allontanò immediatamente con il pretesto di tornare al pattugliamento. Tibor non la trattenne, un ghigno dipinto sul volto; non aveva la più pallida idea di dove fossero finiti suo cugino e la giovane dama, ma le sue mezze verità avevano insinuato il tarlo del dubbio nella mente di Oscar, e per il momento era sufficiente.

Oscar marciava attraverso il salone per guadagnare al più presto l’uscita. Era stata tentata di cercare Andrè ma poi si era detta che doveva assolutamente fidarsi di lui e del proprio amore. Sebbene non le avesse confessato nulla, percepiva dai suoi sguardi e ancora di più dal bacio che si erano scambiati quanto tenesse a lei, non poteva sbagliare fino a quel punto.

Il ricordo le fece portare le mani alle labbra per un istante. Desiderava che la baciasse ancora, sentire i loro cuori battere insieme l’uno per l’altro; non era forse amore quello? No, non lo avrebbe cercato, decisa a fidarsi a dispetto della gelosia che tentava di carpirle il cuore.

Forte di questa nuova certezza, raggiunse i suoi uomini per portare a termine il lavoro di quella sera.

 

Il mattino seguente, András raggiunse i suoi genitori per salutarli prima di incontrare Oscar. Chinandosi a baciare sulla guancia Ariadné, non potè non notare il suo viso tirato e lo sguardo affranto.

“Madre, cosa vi succede?”.

Ariadné posò la mano sul suo viso, accarezzandolo gentilmente. La presenza di Tibor l’aveva innervosita proprio per via di András, temeva che la sua vita fosse in pericolo, tuttavia non voleva turbarlo.

“Non mi succede niente András, stai tranquillo. Incontrerai madamigella Oscar anche oggi?”.

“Si, dovrei ma… voi non state bene, preferisco passare la giornata con voi”.

La principessa scosse la testa, spingendolo via delicatamente. András era del tutto sereno solo in compagnia di Oscar, e sopra ogni altra cosa, lei voleva la sua felicità.

“Non se ne parla nemmeno! Muoviti, non far attendere la tua dama, sarebbe davvero scortese”.

“Ma madre…”.

“Se sento un altro ‘ma madre’, ti accompagnerò personalmente all’appuntamento tenendoti per l’orecchio”.

András deglutì a vuoto; era davvero una prospettiva poco allettante quella di farsi vedere dalla sua Oscar mentre sua madre lo trattava come un poppante. Avrebbe fatto meglio ad andare, prima che Ariadné mettesse in atto il suo proposito.

“Va bene madre. Farò come volete, ma per favore, sorridetemi al mio ritorno!”.

Zalán attese che fosse lontano prima di rivolgersi a sua moglie; sapeva bene quali fossero i suoi timori ma li riteneva infondati.

“Tibor non gli farà nulla in terra di Francia. Non ha appoggi qui, dovrebbe corrompere l’intero esercito francese”.

“Basterebbe un solo soldato troppo zelante, invece. András non viene scortato quando si muove e Versailles è immensa”.

“Dimentichi che si trova spesso in compagnia di madamigella Oscar e mi hanno detto un gran bene di quella donna come soldato”.

Ariadné si alzò dalla poltrona e si avvicinò alla finestra, stringendosi le braccia attorno al corpo. Sentiva come un cattivo presagio da quando aveva incontrato Tibor la sera precedente e se c’era una cosa che aveva imparato vivendo in Transilvania, era proprio quella di non ignorarli.

“Zalán, voglio che András sia sorvegliato. Incarica Jan e Petre di farlo”.

Suo marito si avvicinò a lei e le cinse le spalle con un braccio, attirandola contro di sé. Le baciò la fronte, accarezzandole la schiena, con l’intento di tranquillizzarla.

“Farò come desideri Ariadné”.

 

András nel frattempo, aveva raggiunto Oscar nei pressi del campo d’addestramento e l’aveva portata via con sè, convincendola ad accompagnarlo durante la visita alla Hameau de la Reine. Trovava sempre il modo di convincerla, tanto che le era impossibile dirgli di no.

“Se la Regina mi vedesse gironzolare da solo, si sentirebbe in colpa per non aver destinato nessuno alla mia compagnia”.

“Di cosa state parlando András?”.

“Credetemi Oscar, sarebbe contenta soltanto se vedesse che ci siete voi con me”.

Oscar non era affatto sicura di quegli argomenti ma decise comunque di accompagnare András, facendogli da Cicerone anche stavolta. Dopotutto era contenta di poter trascorrere del tempo con lui, sperando sempre che riacquistasse la memoria standogli accanto.

“Penso che abbiate scelto la giornata sbagliata per visitare la Hameau, András”.

Alzò il viso verso il cielo plumbeo che minacciava pioggia da un momento all’altro. Per fortuna, data la distanza della loro meta avevano deciso di prendere i cavalli, se avesse piovuto si sarebbero potuti mettere al riparo in fretta.

“Non vi preoccupate Oscar, non pioverà vedrete!”.

András aveva appena terminato di pronunciare quelle parole che le prime gocce li avvertirono dell’imminente acquazzone.

“Dicevate?”.

Si trattenne dallo sbuffare, imbarazzato dalla previsione palesemente sbagliata e spinse Augustus al galoppo mentre Oscar spronava César a seguirlo. Giunsero in vista del mulino della Hameau in poco tempo, e si rifugiarono immediatamente all’interno, eppure non erano stati abbastanza veloci da risparmiarsi la pioggia.

“Sapevo che sarebbe successo!”.

“Non arrabbiatevi Oscar, non è successo nulla di grave!”.

Oscar si stava togliendo la giacca dell’uniforme ormai fradicia e gli scoccò un’occhiata tutt’altro che amichevole.

“András siamo bloccati in un mulino nel bel mezzo della Hameau mentre fuori infuria un temporale, e siamo tutto fuorchè asciutti, cosa dovrebbe succedere ancora?”.

“Vedete l’aspetto negativo della cosa Oscar”, sentenziò lui mentre si liberava della giacca e sedeva sul divanetto che si trovava nella stanza [1].

Le tese la mano, invitandola a raggiungerlo, e lei si sedette ma senza toccarlo. Trovarsi lì con lui, da soli senza che nessuno sapesse dove fossero, le dava delle sensazioni contrastanti. Se da un lato sperava quasi che lui la baciasse di nuovo, dall’altro temeva che se lo avesse fatto avrebbe perso il controllo di se stessa.

András la osservava rapito, sentendosi terribilmente geloso delle gocce di pioggia che stillavano dai suoi capelli percorrendole tutto il viso fino a fermarsi sulle labbra, su quella bocca che desiderava baciare ancora e ancora. Le prese la mano posandovi un delicato bacio ed ebbe il piacevole risultato di vederla arrossire.

“András…”.

“Cosa c’è Oscar? Il mio atteggiamento vi offende forse?”.

Scosse la testa, non riuscendo ad articolare parola. Era imbarazzata da quelle avances ma non faceva che desiderarle dopo quel primo bacio fra loro.

András le posò entrambe le mani sul viso, accarezzandolo con i pollici e l’attirò più vicina a sé. Le sfiorò le labbra con le proprie, mantenendo una distanza minima fra loro.

“Mi siete indispensabile Oscar. Credetemi, non tento di sedurvi; vi sento dentro come mai mi era successo. Il mio cuore vi rammenta bene”.

Oscar sentiva il cuore martellarle nel petto, disorientata da quello che stava provando e dalle parole di Andrè. Guardandolo negli occhi da così vicino, li scoprì diversi da quelli cristallini che conosceva; erano cupi e agitati come un mare in tempesta. Le facevano quasi paura.

“Dovete ricordare. Non posso essere io a raccontarvi la vostra vita, la dovete riconquistare”.

András rise piano, portando una mano ad accarezzarle la schiena e la strinse contro di sé.

“E’ questo che mi piace di voi, siete onesta e leale in ogni aspetto. Abbiate fede nel fatto che lo sono anch’io. E nel fatto che vi amo”.

Le soffiò quelle parole sulle labbra, prima di imprigionarle in un bacio impetuoso, desiderato e temuto. Oscar lo abbracciò infilando le dita nei suoi capelli che, bagnati, creavano un piacevole contrasto con la sua pelle bollente.

András la spinse delicatamente a stendersi senza interrompere il contatto tra di loro e reggendosi su un braccio per non pesarle addosso, tirò un lembo dello jabot [2] che finì a terra consentendogli di tormentarle il collo con le dita e poi con le labbra. Oscar sospirò di piacere, totalmente persa in quel turbinio dei sensi che il suo tocco le provocava. Mosse le mani scendendo ad accarezzargli la schiena sopra la camicia che non le impediva di sentirne il calore e risalì prendendogli il viso fra le mani per guardarlo negli occhi.

“Andr…”.

“Comandante!”

Una voce dall’esterno li riscosse subitaneamente, facendoli sobbalzare entrambi. Oscar sgusciò dall’abbraccio di András e raccolse lo jabot, avvicinandosi alla finestra. Due dei suoi soldati si trovavano vicino ai cavalli e la stavano evidentemente cercando. Senza perderli di vista si risistemò, annodando lo jabot, quando si sentì cingere la vita da dietro.

“Lasciali andare”.

Sentì la voce di Andrè fra i capelli e chiuse gli occhi per un istante, ignorando come fosse passato improvvisamente a un tono così informale.

“Non posso, ci cercherebbero”.

Indugiò ancora qualche secondo fra le sue braccia, tentando di trattenere quel languido calore che la avvolgeva ma il senso del dovere ebbe il sopravvento e si allontanò da lui, indossando la giacca. András la imitò a malincuore e la seguì all’esterno.

“Soldato, cosa succede?”.

I soldati si misero sull’attenti, battendo i tacchi e portando la mano destra alla fronte.

“Siete desiderata alla reggia comandante Oscar!”.

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Lo so, non ci speravate più oggi ^^”

Perdonatemi ma sono stata fuori e ho revisionato il capitolo al volo :P Perciò se ci fosse qualche errore di battitura ignoratelo XD

[1] Non so effettivamente come fossero arredati gli ambienti degli edifici facenti parte della Hameau de la Reine, ma ho letto che non erano edifici funzionali, servivano a Maria Antonietta per dare delle piccole feste in stile “bucolico”. Ho immaginato quindi che fossero arredati in maniera simile agli appartamenti di Versailles, passatemi la licenza poetica :P

[2] Non ho idea di come si chiami il fazzoletto che portano al collo i nostri protagonisti, ero indecisa se chiamarlo cravatta o foulard ma questo termine mi da il senso di un indumento femminile, quindi ho optato per il primo ^^ Un grazie grandissimo a jelore che mi ha dato il termine esatto consentendomi di correggere, grazie *-*

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Appurato che alla reggia non fosse accaduto nulla di grave e che la chiamata fosse dovuta solo all’improvviso desiderio della regina di vederla, Oscar prese la via del ritorno, congedandosi da András con la promessa di rivedersi il mattino seguente, secondo quella che era diventata una piacevole abitudine tra loro.

Girodelle aveva un’espressione strana quella mattina. Sembrava che il suo pensiero stesse percorrendo delle strade tutte sue piuttosto che concentrarsi sui suoi compiti, ed era preoccupante. In tanti anni trascorsi fianco a fianco nell’esercito, Oscar non lo aveva mai visto così assorto da non accorgersi nemmeno che l’addestramento era concluso.

“Girodelle, vi sentite bene?”.

“Cosa? Oh comandante, siete voi. Sto benissimo, perché me lo chiedete?”.

“Perché le esercitazioni sono terminate e voi state ancora impugnando la spada fissando il posto in cui si trovavano i soldati qualche minuto fa”.

Il conte si diede mentalmente dell’idiota, vergognandosi di quella performance. Era tanto concentrato a pensare alla buona riuscita del piano per arrestare quel fuorilegge ungherese da non dare peso al mondo circostante. D’altra parte, non poteva informare Oscar della verità, era certo che non gli avrebbe creduto, troppo presa da quella persona che assomigliava tanto ad Andrè.

“Vi chiedo di scusarmi comandante, devo essermi distratto”.

“Lo vedo”.

Fu la secca risposta di Oscar mentre scendeva da cavallo, guardandosi intorno come se cercasse qualcosa o… qualcuno. Andrè non l’aveva ancora raggiunta, ed era davvero strano che la invitasse a trascorrere la mattina con lui per poi mancare l’appuntamento. Ophélie e la sua delicata figura irruppero prepotentemente nei suoi pensieri; che fosse di nuovo in sua compagnia?

Senza indugiare oltre si diresse verso la Reggia, decisa a tirare giù dal letto Andrè e sperando per lui che non si trovasse in compagnia di quella donnicciola di facili costumi!

‘Se lo trovo con lei gli faccio recuperare la memoria a suon di pugni!’.

 

Oscar camminava spedita continuando a minacciare mentalmente Andrè ma giunta nell’ala della reggia destinata agli appartamenti, si rese conto di non avere la più pallida idea di quale fosse la stanza che cercava. Stava per tornare indietro e cercare un maggiordomo quando il rumore di una porta che si apriva lungo il corridoio la fece voltare.

Si sorprese a trattenere il respiro vedendo che si trattava proprio di Ophélie che si richiudeva la porta dietro le spalle. Sebbene fosse già molto tardi, sembrava essere appena sveglia, con i capelli scarmigliati e i vestiti in disordine… quel pensiero la gelò. Non era da una lunga notte di sonno che era reduce, ma da ben altre attività.

Velocemente, si nascose dietro una colonna attendendo che la ragazza si allontanasse e rosa da un tarlo fastidioso si chiese se fosse il caso di controllare a chi appartenesse la stanza; cosa avrebbe fatto se avesse scoperto che quello era proprio l’appartamento di Andrè? E se fosse andata via senza assicurarsene, avrebbe sopportato il dubbio?

Rompendo ogni indugio uscì dal suo nascondiglio e si avvicinò alla porta della camera, dando due o tre colpi decisi. Non giunse nessuna risposta dall’interno e dopo un solo istante di esitazione mise la mano sulla maniglia ed entrò; dovette stringere gli occhi per abituarli alla penombra, le tende erano ancora tirate e lasciavano passare ben poca luce.

Il cuore le martellava nel petto mentre si avvicinava al letto e le sembrò che si fosse fermato quando, completamente abbandonato al sonno e appena coperto dalle lenzuola vide proprio l’oggetto dei suoi pensieri. Non era difficile indovinare che sotto il leggero strato di stoffa dovesse essere completamente nudo e quella constatazione le costò tutto il sangue freddo di soldato.

Arrossì furiosamente mentre indugiava con lo sguardo sul corpo di Andrè, percorrendo più volte il torace completamente scoperto e la gamba che era scivolata fuori dalle coltri. Aveva completamente dimenticato Ophélie e la voglia di fare a pugni con lui. Riportò lo sguardo sul suo viso soffermandosi sulle labbra che moriva dalla voglia di risentire sulle proprie e si trattenne dal sobbalzare quando vide le iridi verdi puntate su di sè.

Ringraziando la penombra che nascondeva il rossore delle sue guance, poggiò le mani sui fianchi guardando severamente Andrè.

“Buongiorno”. Esclamò sarcastica. “Avete riposato bene, principe András?!”.

Lui la guardò confuso e fece per mettersi seduto quando si accorse in che condizioni era e imprecando tra i denti raccolse le lenzuola coprendo alla bell’e meglio le gambe e i fianchi.

“Oscar! Ma che ci fai qui?”.

“Ero venuta a cercarti, dal momento che non ti sei presentato al nostro appuntamento, ma evidentemente avrei fatto meglio a lasciarti dormire, devi aver passato una nottata intensa!”.

András era se possibile ancora più perplesso. Si guardò intorno cercando di capire cosa fosse successo in quella stanza ma al posto dell’ultima notte nella sua mente c’era un grande buco nero. Cominciava a essere veramente stanco di quei ricordi evanescenti che lo abbandonavano di punto in bianco.

“Io davvero non capisco di cosa parli Oscar. Forse ho dormito troppo ma non mi sembra un buon motivo per essere tanto arrabbiata”.

“Il buon motivo per essere arrabbiata è uscita da questa stanza appena qualche minuto fa con i suoi bei capelli rossi arruffati e scarmigliati. Ti ricorda qualcuno?”.

“Parli di Ophélie?”.

“Ah, adesso è Ophélie! La conosci bene, vedo”.

András si passò la mano sugli occhi tentando di raccogliere le idee. Certo, non era affatto facile pensare sapendo di essere praticamente nudo davanti a Oscar, anche se doveva ammettere che un angolino del suo cervello trovava la cosa stuzzicante, a dispetto della situazione.

“Oscar ti prego. Per favore, aspettami fuori, dammi solo il tempo di rivestirmi e sarò tutto tuo”.

La risposta di Oscar lo colpì sul viso con una rapidità e una rabbia tali da lasciarlo frastornato.

“Non voglio vedervi né ora, né in futuro, principe. Fate in modo che non debba incontrarvi fin quando non sarete ripartito”.

András si portò la mano sulla guancia colpita, ascoltando quelle parole senza aver quasi il coraggio di respirare. Lei tremava per lo sforzo di contenere la rabbia e si ritrovò a ringraziare l’addestramento che aveva ricevuto; se fosse stata una donna normale, con una spada a disposizione, lo avrebbe già mandato al Creatore.

“Oscar, non è come pensi, devi credermi!”.

“Non voglio sentire altre scuse. Addio András”.

Uscì dalla stanza così velocemente che András non riuscì a trattenerla, sebbene non abbastanza perchè non notasse le lacrime che le bagnavano le gote. Imprecando contro sé stesso e la sua stoltezza, riuscì ad alzarsi dal letto e a coprirsi in qualche modo, aprendo la porta per richiamarla ma il corridoio era deserto.

 

Ophélie si trovava nei suoi appartamenti, intenta a ricomporsi, quando qualcuno bussò alla sua porta ed entrò, senza attendere il permesso.

“Non dovreste entrare nella stanza di una donna prima che vi venga accordato”.

“Voglio sapere com’è andata”.

“Ha dormito come un angelo, ho potuto liberarlo dei vestiti e restare lì tutta la notte senza che si sia mosso di un millimetro! Anche se vi devo confessare che avrei preferito sedurlo sul serio”.

“Non ci sareste riuscita, nemmeno facendo appello a tutte le vostre arti. Lei vi ha vista?”.

Ophélie rise, sedendosi alla toeletta per sistemare l’acconciatura davanti allo specchio.

“Certo che mi ha vista, anche se crede di non essere stata scoperta. Appena mi sono allontanata è entrata nella stanza del principe”.

“Molto bene. Siete stata perfetta”.

“Non crediate di cavarvela così a buon mercato. Mi dovete un favore Victor”.

 

Oscar raggiunse di corsa le scuderie e montò in groppa a César, spingendolo al galoppo non appena fu all’aperto.

Non voleva altro che allontanarsi da Andrè, dal suo corpo di uomo che si rendeva conto di desiderare, e da quello che era successo in quella dannata notte con una donna che non era lei.

Stentava a credere a ciò che aveva visto in quella camera, perché lui non era così, Andrè, il suo Andrè non l’avrebbe mai ingannata a quel modo, dicendole di amarla per poi farsi scaldare il letto dalla prima dama compiacente.

Non si era nemmeno accorta di piangere fin quando vide le lacrime caderle sui guanti e bagnarli. Per un intero anno, sognando che non fosse morto, aveva sperato di vederlo tornare, di rivedere i suoi occhi, il suo sorriso, per potergli dire finalmente quello che aveva capito, quale sentimento le era sbocciato nel cuore e lui la tradiva così. Se le avesse trafitto il cuore fisicamente non le avrebbe fatto tanto male quanto ne sentiva in quel momento.

Tirò le redini lasciando che César scegliesse da solo l’andatura e la strada da percorrere e si stupì non poco quando si rese conto che senza volerlo l’aveva condotta nei pressi del laghetto che aveva rischiato di inghiottire lei e Andrè da bambini.

Andrè. Lui che era sempre stato il suo punto fermo, la casa a cui tornare quando il mondo si faceva ostile e l’unico pronto a capirla senza giudicarla. Chi avrebbe potuto raccogliere i cocci del suo cuore infranto adesso?

Fermò il cavallo e smontò, lasciandolo pascolare tranquillo. Aveva scelto bene, quel posto era l’ideale per pensare; e lei aveva tanto bisogno di riflettere con calma.

Si distese sull’erba ripensando a un giorno di tanti anni prima, quando proprio in quel luogo, lui l’aveva pregata di diventare una donna rinunciando al folle proposito di suo padre di crescerla come fosse un uomo.

Un uomo… se lo fosse stata avrebbe sofferto sicuramente di meno. Si sarebbe comportata come Andrè, prendendo solo ciò che desiderava dalla vita. Già, ma lui non era così.

Si rimise seduta dandosi della stupida, aveva voglia di prendersi a pugni! Perché non era rimasta ascoltando quello che aveva da dire? Non si era sentita sicura del suo amore tanto da desiderare affidarsi del tutto a lui? Era davvero poca la sua sicurezza se bastava una donna mezzo svestita a sbriciolarla.

Ecco centrato il problema, la sua mancanza di sicurezza. Era totalmente inesperta d’amore e d’altronde era stata cresciuta come un soldato, chi avrebbe dovuto insegnarle come comportarsi con gli uomini?

Strinse i pugni e si rialzò, avvicinandosi a César. Era stata allevata come un soldato e da bravo soldato avrebbe combattuto per il suo uomo. Andrè le apparteneva, così come lei apparteneva a lui. E non avrebbe più permesso a nessuna donnetta svenevole di mettersi fra loro.

 

András si era lavato e vestito con metodicità, con la vana illusione che ripetendo tutti i soliti gesti anche le cose tra lui e Oscar sarebbero tornate alla normalità. Non avrebbe mai creduto di poter soffrire tanto all’idea di ferirla. La conosceva da pochi giorni eppure era sicuro di ciò che le aveva confessato, la amava.

Amava tutto di lei, i suoi sorrisi così come gli accessi d’ira, la sua femminilità inconsapevole che tentava inutilmente di nascondere e soffocare.

Amava l’espressione infastidita che assumeva quando ribadiva di essere un soldato e non una dama.

Amava persino la forza con cui aveva chiaramente sottolineato di non volerlo rivedere.

Sospirò portandosi la mano sulla guancia. Come aveva potuto lasciarla andar via in quel modo, convinta che si fosse preso gioco di lei? E soprattutto, che diavolo ci faceva completamente nudo nel suo letto mentre Oscar lo accusava di aver trascorso la notte con Ophélie?

Per quanto si sforzasse di ricordare la notte precedente, ottenne solo un brutto mal di testa e nessun ricordo soddisfacente. Le immagini che vedeva duravano un lampo e in nessuna di esse era contemplata Ophélie, ma sempre e soltanto Oscar.

Il filo dei suoi pensieri fu interrotto da qualcuno che bussava alla porta e dopo il suo permesso, attese che la persona entrasse.

“Perdonatemi principe. Mademoiselle de Sombrefleuve desidera incontrarvi”.

“Dove?”.

“Alle scuderie, vorrebbe cavalcare in vostra compagnia”.

András restò in silenzio qualche minuto, chiedendosi per quale motivo proprio Ophélie avesse mandato a chiamarlo. Ne dedusse che probabilmente voleva parlargli della notte precedente e decise di raggiungerla. Doveva sapere cosa fosse successo, ne andava del rapporto tra lui e Oscar e non avrebbe consentito a niente e nessuno di dividerli ancora.

Uscì dalla stanza procedendo spedito verso le scuderie. Sapeva dove si trovassero dal momento che vi aveva condotto personalmente Augustus dopo essere tornato dalla visita alla Hameau ed entrò senza esitazioni. Ophélie sembrava non essere ancora arrivata e in realtà l’intero ambiente era deserto se si escludevano i cavalli. Sentendo dei passi, si voltò per vedere chi fosse, ma la forte luce esterna gli impediva di distinguere altro che i contorni della figura stagliata nel vano dell’ingresso.

“Ophélie?”.

Fece un passo avanti, l’unico, prima che qualcosa si abbattesse con violenza sul suo capo, facendogli provare un dolore acuto. Il mondo prese a vorticargli attorno e crollò a terra, privo di sensi.

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Vi ringrazio tantissimo per le recensioni costanti, è un ottimo incentivo a non lasciar perdere tutto! Sono contenta che vi sia piaciuto l’intermezzo romantico al mulino ma come vedete iniziano i guai *sogghigna*, vi avevo detto che sono un pochino sadica :P

La nostra Oscar si è veramente incavolata, ma per fortuna si è subito ricordata con chi ha a che fare ed è tornata sulla sua decisione, un po’ di buon senso lo mantiene! Ophélie, però, ne ha combinata una delle sue, chissà come ne usciranno i nostri amati piccioncini!

Sto pensando di uccidere Tibor che mi sussurra cattiverie all’indirizzo del cugino mentre scrivo, facendolo finire nei guai per mano mia U.U

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Oscar spronò César a tornare verso palazzo Jarjayes, senza fretta. Avrebbe rivisto Andrè il giorno dopo, si era fatto tardi e sarebbe sembrato alquanto strano che tornasse a Versailles. E comunque soffrire un po’ non gli avrebbe fatto male di certo, almeno avrebbe imparato a non dare troppa retta a donne della risma di Ophélie de Sombrefleuve!

Sorrise tra sé a quel pensiero. Da quando Oscar François de Jarjayes era una donna gelosa che si vendicava in quella maniera sottile?

Da quando era tornato lui, rispose una vocina dentro di sè. Nei momenti in cui aveva creduto di averlo perso, aveva riconosciuto l’amore ma il dolore l’aveva quasi annientata. Era un sentimento che faceva soffrire quello.

E poi era tornato, così, semplicemente com’era sparito, presentandosi a un ballo di corte e sconvolgendo in un attimo quella pallida imitazione di vita che lei stava conducendo. Era riuscito di nuovo a toccarle lo spirito e l’aveva amata; si era innamorata di nuovo di quell’uomo buono e gentile, dei suoi occhi tante volte sognati.

Era ammantato di una nuova identità, aveva una nuova vita alle spalle. Eppure i loro cuori si erano riconosciuti nel medesimo battito quando si erano ritrovati, occhi negli occhi, a scrutarsi l’anima.

Aveva riconosciuto questo sentimento come amore, quello vero, non il sentimento intriso di disperazione che aveva provato in passato verso lo stesso uomo. Ora poteva permettersi di essere felice.

Quando Andrè avrebbe riacquistato la memoria, avrebbe potuto riportarlo a casa e vivere con lui giorno per giorno l’amore che sentivano l’uno per l’altra.

Rise piano spingendo César ad aumentare l’andatura. Non riusciva quasi ad attendere che giungesse il mattino per poterlo riabbracciare.

 

Durante la cena, mangiando ciò che lei aveva cucinato, Oscar non fece che pensare alla felicità di Nanny nel momento in cui le avrebbe riportato Andrè. In effetti, avrebbe dovuto avvertirla prima; e soprattutto specificare che ancora non sapeva nulla quando lo aveva invitato a palazzo Jarjayes, altrimenti avrebbe rischiato di finire lei vittima del suo mestolo per una volta!

Più tardi si ritirò nel piccolo salotto che spesso l’aveva vista restare in compagnia di Andrè fino a tarda notte. Sedette su una delle poltrone rilassandosi al calore del camino e si stiracchiò pigramente, sfiorandosi il collo nel movimento. Il ricordo di altre mani si affacciò nella sua mente e si lasciò andare contro lo schienale sospirando voluttuosamente.

La sua mancanza si faceva più forte di momento in momento, e la cosa la fece sorridere; proprio lei che era sempre stata fiera di essere una donna libera da qualsivoglia impedimento di natura sentimentale, capiva infine di essere legata in maniera indissolubile all’uomo che l’aveva sempre seguita come un’ombra silenziosa.

Stava per cedere alle lusinghe del sonno quando udì un insistente bussare al portone d’ingresso che la risvegliò completamente. Sentì i passi brevi e leggeri di Nanny e il rumore della pesante anta che veniva aperta e restò immobile in attesa. Non passarono che pochi minuti ancora prima che l’anziana governante la raggiungesse.

“Perdonatemi madamigella Oscar. Un messo da Versailles, vuole parlare con voi, pare sia una questione della massima urgenza”.

Oscar si alzò e uscì dalla stanza, percorrendo con ampie falcate la breve distanza. Non appena la vide, l’uomo inviato dalla reggia sembrò trasalire ma lei non ci fece caso; sapeva bene quale reazione potesse suscitare negli altri.

“Sono Oscar François de Jarjayes, mi cercavate?”.

“Madamigella Oscar, perdonate se vi disturbo a tarda ora, ma il principe Beleznay sembra scomparso nel nulla e la Regina si chiedeva se non fosse vostro ospite”.

Lei si mantenne a fatica salda sulle gambe che sentiva improvvisamente tremare. Sparito? Per un attimo pensò che si stesse nuovamente intrattenendo con Ophélie ma se così fosse stato qualcuno a corte lo avrebbe saputo, non avrebbero inviato un messo a quell’ora della notte per sapere se lei lo avesse visto… sparito? Perduto di nuovo… no, non poteva essere, c’era sicuramente un errore!

“Madamigella?”, azzardò il messo di fronte al suo mutismo.

“Io… no, non si trova qui, ma com’è possibile che sia sparito nel nulla?!”.

“Non conosco i dettagli, sono stato solo inviato a chiedere se si trovasse qui. Dovreste parlare con i sovrani se desiderate conoscere i dettagli”.

Oscar annuì congedando l’uomo con un cenno della mano e appena si fu allontanato, si appoggiò al muro lasciandosi scivolare fino a terra. Andrè… Andrè era scomparso, sparito nel nulla!

“Non può essere!”.

Sbottò colpendo la parete con il pugno. Questa volta non avrebbe lasciato perdere, consentendo al destino di strapparglielo di nuovo. Non poteva essersi volatilizzato, qualcuno lo aveva portato via o lo aveva visto allontanarsi, e lei avrebbe fatto tutto il possibile e l’impossibile pur di riaverlo con sé.

 

Andrè aprì gli occhi a fatica, se possibile ancora più stordito di prima. Il dolore pulsante alla testa sembrava essersi svegliato assieme a lui, tanto intenso da dargli la nausea. Aveva i polsi legati e incatenati al muro e nel mettersi seduto si accorse di essere sdraiato su nient’altro che il pavimento; anzi, qualcosa c’era, ma decise che fosse meglio non scoprire cosa fosse quel viscidume che aveva sentito sotto di sé.

Meglio concentrarsi sul posto. Si trovava in quella che sembrava una specie di prigione, sotto il livello della strada probabilmente, a giudicare dalle piccole finestre, poste appena sotto il soffitto, dalle quali filtrava la luce lunare. Di certo, chiunque lo avesse portato laggiù non si preoccupava della sua salute, tanto meno del fatto che potesse sentire freddo, ma tant’è. Certamente non era lo scherzo di un amico quello, anche se per un istante aveva quasi pensato che fosse la terribile vendetta di Oscar.

Oscar… avrebbe avuto l’occasione di dirle che quella botta in testa era stata un toccasana per la sua memoria? Certo, buona parte era ancora indistinta, però adesso ricordava bene di chiamarsi Andrè Grandier e di essere stato il suo attendente per anni.

Ricordava l’amore senza speranza che aveva nutrito nei suoi confronti in tutto quel tempo e la disperazione provata nel vederla indossare abiti femminili per un uomo che non era lui.

Ricordava la frustrazione nel sapere di non poterla rendere felice a causa di stupide convenzioni sociali che tenevano in nessun conto la serenità dei singoli.

E poi c’erano le dolci memorie degli ultimi giorni, nei quali aveva scoperto una nuova Oscar, innamorata e tremendamente femminile, che accettava di arrendersi totalmente al suo tocco… o a quello di András?

Sospirò appoggiandosi alla parete dietro di sé, trovando addirittura ristoratore il freddo della pietra. Se anche fosse uscito da quella situazione, cosa avrebbe dovuto fare? Far finta di nulla e presentarsi al generale Jarjayes come András Beleznay, chiedendo la mano di Oscar sembrava la prospettiva più allettante, ma lei voleva indietro Andrè.

Sorrise nonostante tutto. Per tutta la vita l’aveva seguita fedelmente, amandola in silenzio e c’erano volute un’amnesia e una lunga separazione perché ricambiasse.

Doveva assolutamente uscire da quella situazione e vivere la sua vita con Oscar.

“Ti sei svegliato cugino!”.

Il rumore del chiavistello fu seguito dall’ingresso di Tibor nella stanza. La luce delle candele che portava con sé proiettava ombre sinistre sul suo viso e deformava il ghigno che gli scopriva i denti. Sembrava una belva pronta a balzare sulla preda.

“Tibor… dovevo immaginarlo che c’eri tu dietro tutto questo!”.

“In effetti i tuoi genitori avrebbero dovuto prevederlo. Pare che il fatto di trovarsi in terra di Francia li abbia resi troppo sicuri, mi hanno creato l’occasione”.

“E adesso cosa pensi di fare, uccidermi?!”.

“Come sei precipitoso András! Ti lascio libero di scegliere, puoi rinunciare al titolo che ti ha lasciato quella sciocca donnetta in preda al delirio materno, oppure… oppure sì, penso proprio che ti ucciderò!”.

Andrè si alzò con un colpo di reni tentando di raggiungere Tibor ma le catene lo bloccarono, sbilanciandolo all’indietro.

“Ehi, ehi, calmati se vuoi restare tutto intero! Cosa c’è, ho offeso la tua cara mammina?”.

“Non osare parlare di lei, schifoso bastardo!”.

L’ungherese sembrava estremamente divertito dalla reazione di Andrè e scosse la testa ridendo.

“Ecco vedi, se c’è una cosa che non sopporto sono gli insulti rivolti alla mia ascendenza; questa non posso lasciartela passare liscia, lo capisci vero?”.

Pronunciò quelle parole con espressione falsamente contrita mentre usciva dalla cella e lasciava il posto a due energumeni. Prima di sparire posò la mano sulla spalla di uno di loro.

“Divertitevi pure ma mi raccomando; se dovesse morire vi posso assicurare che lo raggiungereste presto. Per adesso mi servi vivo András!”.

Rise dileguandosi nell’oscurità del corridoio.

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Il dado è tratto e il danno è fatto! Tibor ha decisamente cattive intenzioni, come ne uscirà il nostro Grandier? Non sarò troppo cattiva, tranquille, voglio troppo bene al nostro Andreuccio!

A costo di sembrare ripetitiva, vi ringrazio ancora tantissimo per le letture e le costanti recensioni, vi adoro <3

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Il sole era appena sorto su Versailles e Oscar si trovava già alla reggia. Non aveva chiuso occhio quella notte, sicura che dovesse essere accaduto qualcosa di grave ad Andrè per farlo sparire a quel modo.

Giunta alle scuderie per lasciare César, vide Augustus osservarla dal suo recinto e si avvicinò accarezzandogli il muso.

“Lo ritroverò, vedrai”, sussurrò come se l’animale potesse capirla.

“State attenta a quel cavallo, solo con il principe András è del tutto docile”.

Oscar si voltò al suono di quella voce sconosciuta e si trovò davanti due servitori che non conosceva. Dagli indumenti, però, dovevano far parte del seguito dei Beleznay, e oltretutto conoscevano abbastanza bene Andrè da sapere che quello era il suo cavallo.

“Ci conosciamo signori?”.

Uno dei due sbuffò prendendo da uno scaffale la striglia per occuparsi di Augustus.

“Jan, e lui è Petre. Per servirla madamigella”.

Oscar osservò attentamente i due uomini, quasi come a voler trovare su di loro un indizio che le dicesse se erano coinvolti o meno. Sapeva che quelli erano i nomi degli uomini destinati dai Beleznay alla protezione di Andrè e decise di provare a interrogarli, da qualcosa doveva pur partire!

“Ditemi Jan, voi non avete idea di dove sia finito il vostro padrone?”.

“Assolutamente nessuna, non lo vedo da quando è venuto a lasciare qui il suo cavallo”.

“Per quanto ne so, avreste dovuto essere la sua scorta”.

“Se il principe non fosse scomparso prima che avessimo il tempo di raggiungerlo lo avremmo protetto efficacemente. Ieri è uscito senza avvisarci e noi non lo abbiamo più visto”.

Jan sembrava sicuro di sé, rispondeva alle domande con calma e senza interrompere il suo lavoro; apparentemente era del tutto sincero, anche se non era convinta fino in fondo. Petre, invece, spostava il peso da un piede all’altro ed era evidentemente più agitato, tanto che sudava copiosamente.

“Si sente bene?”.

“Cosa? C-certo madamigella, è solo che fa caldo… qui, nelle scuderie intendo”.

Continuava a osservarlo, per niente convinta di quella scusante. Era troppo nervoso da quando aveva cominciato a chiedere di Andrè e la cosa la insospettiva parecchio. Non voleva mettere in allarme Petre, però, perciò decise di vagliare prima altre possibilità. Sarebbe tornata da lui al momento opportuno.

“Capisco. Vi auguro buona giornata signori”.

Salutò uscendo dalle scuderie per raggiungere i Beleznay. Doveva parlare anche con loro, con chiunque potesse avere una vaga idea di dove si trovasse Andrè.

 

Ariadné era letteralmente sconvolta, piegata su sé stessa col viso affondato nei palmi nel tentativo di soffocare le lacrime che impietose continuavano a sgorgarle dagli occhi. Fu così che la trovò Oscar, con Zalán che tentava inutilmente di calmarla, temendo che finisse per sentirsi male.

“Principessa”, la apostrofò Oscar. “Non datevi per vinta, lo ritroveremo”.

La donna sollevò appena lo sguardo ma vedendo che si trattava di Oscar prese a piangere più forte di prima, scuotendo la testa.

“Perdonatemi… perdonatemi madamigella Oscar, non avevo il diritto… non dovevo portarlo via dalla sua famiglia”.

Biascicava le parole fra i singhiozzi e Oscar sentì una stretta al cuore; qualsiasi fosse il motivo che aveva spinto quella donna a portare via Andrè, era più che evidente che lo amava come fosse davvero suo figlio. Non meritava biasimo per aver provato un sentimento tanto intenso e le si avvicinò posandole una mano sulla spalla.

“Principessa per favore, ascoltatemi. Non dovete piangere, anzi, dovete aiutarmi a riportare indietro András”.

“Andrè… so che si chiama Andrè, chiamatelo col suo nome”.

Sembrava che le parole di Oscar l’avessero effettivamente calmata, come se in fondo temesse il suo disprezzo. Lei le sorrise porgendole un fazzoletto e sedette di fronte a lei.

“Come preferite principessa. Da quando non vedete Andrè?”.

Zalán prese posto accanto alla moglie stringendola a sé e fu lui a rispondere ad Oscar.

“Ieri non lo abbiamo visto per tutto il giorno. Pensavamo che fosse con voi, anche se in effetti era strano che non fosse passato a salutarci prima di raggiungervi. Vedendo che non si presentava nemmeno alla cena con i sovrani, però, abbiamo capito che c’era qualcosa di strano. È sempre stato molto attento all’etichetta, non avrebbe mancato un evento del genere senza avvertire”.

Oscar annuì cortesemente ma in realtà Zalán non le stava dicendo molto. Chiunque avesse portato via Andrè doveva aver evitato accuratamente di incontrare i principi. Si passò la mano sugli occhi, sospirando; se solo non avesse messo in piedi quella scenata, sarebbe stata con lui, impedendo che lo portassero via di nuovo. Dei colpi contro la porta e la stessa che si apriva la riscossero dalle sue riflessioni.

“Cari zii, ho appena saputo, che tragedia!”.

Ariadné divenne livida di rabbia e si alzò fulminea, afferrando Tibor per il bavero della giacca e facendolo sbattere contro la porta dietro di sé.

“Tu! Maledetto, sei tu che hai portato via András, dimmi dove si trova!”.

Zalán la raggiunse velocemente e la afferrò per i polsi, tirandola via mentre Tibor si massaggiava la nuca.

“Calmati Ariadné!”.

“Siete sempre stata incline alla violenza zia? Vengo qui a chiedere notizie del mio adorato cugino scomparso e voi mi aggredite a quel modo!”.

“Tibor è meglio che tu mi dica dove hai portato András”, disse Zalán puntando le iridi scure in quelle celesti del nipote. “Altrimenti credimi, non ci sarà luogo della terra in cui potrai nasconderti”.

Tibor sogghignava ricambiando lo sguardo di entrambi, apparentemente ignaro della presenza di Oscar.

“Mi state minacciando zio?”.

“Se sapete qualcosa è il caso che parliate duca”.

“Madamigella Oscar anche voi… cosa vi fa credere che io sappia dove si trova András? Forse dovreste proteggere meglio gli ospiti dei sovrani, invece di perdere tempo a gettare accuse infondate”, concluse uscendo dalla stanza.

 

Oscar lasciò la stanza dopo aver salutato i Beleznay e non aveva percorso che pochi metri quando sentì la necessità di affacciarsi alla prima finestra disponibile. Il vento freddo le restituì un po’ di quella lucidità che sentiva di perdere minuto dopo minuto. Andrè sembrava davvero sparito nel nulla, senza aver lasciato nessuna traccia dietro di sé e non aveva la più pallida idea sul dove cominciare a cercarlo.

Tibor nascondeva qualcosa, era più che evidente; e anche quel servitore, Petre, era stato troppo nervoso mentre lei gli chiedeva di Andrè. Doveva tenerli d’occhio entrambi, sicuramente l’avrebbero portata nel luogo giusto e lo avrebbe ritrovato; l’idea che fosse già morto la rifiutava a priori.

Sapeva che se fosse successo lo avrebbe avvertito subito, ormai erano legati in una maniera che nemmeno la morte avrebbe potuto ignorare. Presto Andrè sarebbe tornato a casa, lei lo avrebbe aiutato a recuperare i ricordi perduti e tutto sarebbe tornato alla normalità, alla loro normalità.

Dei movimenti nei giardini, proprio sotto di lei, attirarono il suo sguardo; ciò che vide la lasciò alquanto basita. Girodelle si trovava in compagnia di Ophélie con la quale stava evidentemente avendo un’accesa discussione. Per quanto poteva saperne lei, il conte non era tipo da intrattenersi con donne come quella cortigiana, troppo preoccupato di mantenere immacolata la propria reputazione. E oltretutto, da come si muoveva, a scatti, doveva essere molto nervoso.

Aggrottò le sopracciglia quando un pensiero terribile le attraversò la mente: avere un complice alla reggia avrebbe facilitato di molto il rapimento di Andrè, ma Girodelle… ormai lo conosceva bene, si trattava di una persona leale e soprattutto devota alla Corona, non avrebbe mai compiuto un atto del genere rischiando di compromettere i rapporti tra Francia e Ungheria.

A meno che non fosse stato ingannato, e Ophélie sembrava la persona più adatta, abile come la maliarda Circe nel raggiungimento dei suoi scopi. C’erano troppe pedine in quel gioco e ancora non era riuscita a piazzarne una sola ma doveva sbrigarsi: Andrè non poteva aspettare in eterno.

 

Andrè socchiuse debolmente gli occhi, per quanto gli consentiva il viso tumefatto a causa dei colpi ricevuti. Gli scagnozzi di Tibor avevano colpito duro ma stando bene attenti a non ferirlo troppo gravemente; certo non erano stati delicati, a giudicare dai dolori che sentiva un po’ dappertutto, doveva avere qualche costola incrinata e uno o entrambi i polsi spezzati per via della posizione in cui era incatenato.

Sentiva la gola riarsa e da come gli dava sollievo il freddo della pietra contro la pelle doveva avere anche la febbre alta.

“Oscar…”.

Il nome di lei uscì dalle sue labbra come un lamento o una preghiera; solo per lei resisteva, non poteva lasciarla. Non ora che sapeva con quanta intensità lei ricambiasse i suoi sentimenti, ora che potevano essere felici, ora che aveva un dannato titolo che gli consentisse di chiedere la sua mano.

“Ma che gli avete fatto?! Siete impazzito duca, così lo ammazzate!”.

La voce proveniva dal corridoio e Andrè la riconobbe, anche se era alquanto stordito dalle botte: il conte di Girodelle. Pensò che doveva essere davvero confuso se pensava di essere stato rapito proprio da lui, però la persona in questione continuava a discutere con Tibor sul trattamento che gli era stato riservato e a ogni parola confermava il suo sospetto.

Entrò nella cella, seguito da Tibor, e si avvicinò a lui aiutandolo a mettersi seduto come meglio poteva.

“Cristo, vi hanno massacrato… András, mi sentite? State tranquillo, non alzeranno più un dito su di voi”.

“Così vi riconoscerà”.

“Lo state per portare in Austria e in ogni caso siete voi che avete preteso la segretezza. Io sto lavorando per il mio paese, non ho nulla da cui nascondermi. Senza contare che è talmente stordito che non credo capisca cosa succede. Toglietegli queste catene duca, ha i polsi spezzati”.

Tibor alzò le spalle facendo cenno a un uomo di entrare e togliere le catene. Andrè non riuscì a impedirsi di emettere qualche lamento, le parti fratturate erano gonfie e bluastre per via dei lividi. Girodelle vide che tentava di dire qualcosa e si chinò per ascoltare.

“Non vi… lascerò Oscar… Girodelle, mettetevi l’anima… in pace”.

Il conte sbiancò a quelle parole e si rialzò rigidamente. András aveva colpito nel segno, demolendo la farsa che aveva costruito attorno a quel sequestro. Non era la dedizione al lavoro che lo aveva spinto ad aiutare Tibor, ma la speranza di avere finalmente accesso al cuore di Oscar. Aveva trovato sospetti i documenti che gli erano finiti in mano e aveva ignorato quei pensieri, preferendo approfittare dell’occasione che gli si era presentata. Quando era diventato tanto meschino?

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Lo so, lo so… non succede niente in questo capitolo, però qualcosa delle “indagini” dovevo pur mostrarla, siete d’accordo? Avevo anche bisogno di un capitolo di transizione per dare un ordine alle idee che mi frullano in testa, pazienza per favore (_ _)

Dal prossimo si torna all’azione ;)

E non mi stancherò mai di ripeterlo, grazie a tutte voi per le recensioni e le letture, il vostro sostegno è fondamentale per il prosieguo di questa fanfiction, grazie, grazie mille!
Quasi dimenticavo! Ho modificato il rating per via di una scena del prossimo capitolo, lo scrivo adesso in modo da non offendere qualcuno che potrebbe non notare il rating rosso che ha adesso la fic e trovarsi davanti un capitolo che non gradisce.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Trascorsero altri due giorni senza che Oscar riuscisse ad avere notizie di Andrè e il tempo stringeva. Tibor sarebbe ripartito di lì a qualche giorno e lei era certa che intendesse portarlo con sé, se non ucciderlo prima.

Aveva parlato con così tante persone da non riuscire a contarle e l’unico ad averle detto qualcosa che riguardasse Andrè era stato il maggiordomo che lo aveva contattato per conto di Ophélie. Restava il fatto che sapere che fosse stato rapito nelle scuderie non era una gran scoperta.

Aveva tentato di parlare con Ophélie, ma questa continuava a sostenere di non aver incontrato il principe András all’appuntamento convenuto e di essere davvero in pena per le sue sorti. Era talmente sicura di sé da dar sui nervi, nemmeno una lieve incrinatura della voce l’aveva tradita; quella donna era fredda come ghiaccio, inutile insistere con lei.

Accusarla sarebbe stato inutile, la sua parola contro quella di un’altra nobile; per quanto la Regina la sostenesse, se l’avesse appoggiata avrebbe finito soltanto per essere odiata di più e Oscar rifiutava di metterla in una tale situazione. Alla luce dei fatti, l’unico dal quale potesse sperare di ottenere qualcosa era Girodelle. Bisognava capire se fosse coinvolto ed eventualmente convincerlo a collaborare al salvataggio di Andrè.

Oscar convocò il suo secondo nel pomeriggio, adducendo la scusa di dover discutere con lui delle indagini. Girodelle tentò di svicolare sostenendo di non avere nessuna novità al riguardo, ma lei lo invitò a restare.

“Girodelle, devo rivelarvi un particolare importante riguardo il principe”, stava rischiando, lo sapeva, eppure doveva tentare il tutto per tutto. “Quello che abbiamo conosciuto come il principe András Beleznay è in realtà il mio attendente, Andrè Grandier”.

Fece una pausa, dando modo a Girodelle di assimilare la notizia; e a se stessa il tempo di odiarsi per aver definito Andrè il suo attendente. Il conte impallidì leggermente, la fronte imperlata di sudore nel tentativo di mantenere il sangue freddo.

“Comandante, so che i due si assomigliano molto, ma non credete di stare galoppando con la fantasia?”.

“Niente affatto Girodelle. La principessa sua madre mi ha confermato la sua identità e mi ha riferito i suoi timori riguardo al duca Hunyadi. Pare che egli non abbia mai amato Andrè, e lei teme che potrebbe esserci la sua mano dietro questa sparizione. Personalmente ritengo che abbia avuto un complice qui alla reggia”.

Oscar pronunciò queste parole fissando negli occhi Girodelle, il quale si voltò, incapace di sostenere lo sguardo. Desiderava confessarle ogni cosa ma temeva che lo avrebbe considerato incredibilmente ingenuo; aveva creduto a Tibor sulla base di false prove che accusavano una persona inesistente, e se solo avesse mantenuto la lucidità avrebbe intuito subito che gli scopi del duca erano ben altri.

“Girodelle, vi sentite bene?”.

“Comandante… vorrei confessarvi qualcosa ma temo il vostro giudizio”.

Oscar provò un moto di compassione per l’uomo davanti a sé; in altre circostanze gli avrebbe fatto sentire la sua comprensione ma la situazione delicata non consentiva indugi.

“Di qualsiasi cosa si tratti Girodelle, la stima che ho di voi non ne risulterà compromessa”.

Girodelle tornò a guardare Oscar e si bloccò stringendo i pugni. Era certo che avrebbe cambiato idea una volta messa a parte della verità, tuttavia non poteva più tacere; per l’amore che le portava, era necessario che l’aiutasse.

“Sono io. Io ho aiutato il duca Hunyadi a portar via Andrè. Mi ha fatto recapitare questi”, disse porgendole i documenti falsi. “E se non fossi stato tanto ingenuo mi sarei accorto che sono prove costruite ad arte”.

Oscar scorse velocemente i fogli e li stracciò davanti agli occhi di uno stupito Girodelle.

“Comandante, cosa…”.

“Non è importante come il duca Hunyadi sia riuscito a portar via Andrè. Ciò che mi preme è riportarlo a casa prima che gli venga fatto del male”.

“In tal caso è meglio che ci sbrighiamo a raggiungerlo. L’ho visto due giorni fa, era stato picchiato e bruciava di febbre. Non so in che condizioni si trovi”.

Lei divenne pallida come un cencio, il timore folle di perdere Andrè le strinse le viscere in una morsa d’acciaio; sgranò gli occhi, sforzandosi di soffocare il grido salitole alla gola che fuoriuscì come una specie di lamento dalle sue labbra.

“Portatemi da lui Girodelle. Subito”.

Il vicecomandante scosse la testa posandole le mani sulle spalle, in un gesto che voleva essere di conforto e che lei rifiutò con una scrollata.

“Non è possibile comandante, se mi presentassi a quest’ora, e senza il duca, i suoi tirapiedi non mi lascerebbero entrare. Stanotte, quando la luna sarà sorta, verrò a prendervi in quello stesso posto dove mi sfidaste a duello diciotto anni fa. Il luogo in cui tengono Andrè non è lontano da lì”.

“Non fatemi aspettare troppo Girodelle”.

Oscar girò i tacchi e si allontanò, lasciandosi dietro un conte Girodelle confuso e amareggiato dalla propria partecipazione in quella che si era rivelata nient’altro che una vile vendetta nei confronti di un uomo inconsapevole.

Conosceva un solo modo per riscattarsi, ed era quello di aiutare Oscar a ritrovare e salvare Andrè. Dopotutto, aiutarla a raggiungere la felicità era soltanto un altro modo di amarla.

 

Ophélie si mosse sotto le lenzuola contro il corpo di Tibor, il quale però si ritrasse apparentemente infastidito dalla provocazione. Lei si sollevò su un gomito, guardandolo confusa.

“Cosa vi succede Tibor? Siete stanco, forse?”, ammiccò maliziosa.

Tibor le scoccò un’occhiata tutt’altro che gentile, sedendosi con la schiena appoggiata alla testiera, mentre Ophélie lasciava vagare la mano sul suo corpo in un gesto apparentemente casuale. Raggiunse il suo ventre, per poi portare le carezze verso il basso, ma lui le afferrò il polso.

“Andiamo, rilassatevi”.

“Non ho tempo per questo! Devo trovare il modo di portar via quel bastardo prima che Girodelle confessi tutto al suo comandante”.

Ophélie rise avvicinandosi a lui e gli si strinse addosso, strusciandosi con fare felino.

“Temo che lo abbia già fatto. Quando Madamigella Oscar ha cominciato a indagare stava per avere una crisi di nervi, abbiamo discusso per i suoi stupidi sensi di colpa; e lei lo ha convocato per questo pomeriggio”.

Disse mentre gli posava dei baci sul petto ma Tibor le afferrò i capelli con forza tirandole su il viso.

“Cosa avete detto?”.

“Avete sentito bene. Vi rimane poco tempo se volete spostare vostro cugino da quel luogo. Oppure potete tender loro una trappola; conoscendo madamigella Oscar si farà accompagnare dal solo Girodelle. È decisamente sicura delle proprie capacità, vi basteranno pochi uomini bene armati per aver ragione anche di lei”.

“L’assassinio del Comandante delle Guardie Reali non passerebbe certo inosservato”.

“Nessuno potrebbe ricondurre la sua scomparsa a voi. E forse, nessuno ne ritroverà mai il cadavere in quel vecchio magazzino”.

Tibor sogghignò stringendo a sé Ophélie e le strinse la mano su un seno mentre le mordeva non troppo delicatamente il collo.

“Siete perversamente furba Ophélie. E questo mi piace”.

La baciò con foga mettendola a cavalcioni su di sé e le posò le mani sui fianchi, accarezzando ogni centimetro di quella pelle diafana completamente esposta al suo tocco lascivo. Ophélie era come morbida argilla, totalmente alla sua mercé; sapeva prendere l’iniziativa ma anche sottostare docilmente alla sua irruenza e questo non faceva che accrescere l’eccitazione di Tibor.

Si spinse dentro di lei con veemenza strappandole un grido mentre tornava ad affondare i denti nella carne, marchiandole il corpo dei suoi segni. Ogni volta voleva farle male e ogni volta accoglieva con un ghigno i gemiti di doloroso piacere che udiva, fino a che la sentì tremare su di sé e tornò ad azzannarle il collo riversandosi in lei.

Ophélie si abbandonò sulla sua spalla, aspettando che il respiro si regolarizzasse e Tibor la strinse giocherellando con i lunghi capelli rossi, tirando ogni tanto le ciocche che gli scivolavano fra le dita.

“Portatemi con voi Tibor”.

Lui non rispose, intento a leccarle il collo lì dove l’aveva morsa fino a farne stillare una goccia di sangue.

“Sono stato troppo violento”.

Ophélie scosse il capo, facendo ondeggiare i boccoli rossi e gli mise due dita sotto il mento, costringendolo a guardarla in viso.

“Mi piace il vostro modo di amare. Siete un vero lupo di Transilvania”.

Tibor soffocò una risata contro il suo petto, dove posò un bacio prima di tornare a guardarla.

“Vorreste davvero venire con me? L’Ungheria non è la Francia, sareste una straniera, ex-nemica dell’Impero”.

“Portatemi con voi”.

Lui socchiuse gli occhi celesti osservandola a lungo. Ophélie era molto bella e la loro intesa a letto era una rara alchimia, ma questo non bastava a strapparla alla sua terra per condurla in un paese dove sarebbe stata additata con malizia per il solo fatto di essere nata francese. Si sorprese a fare quei pensieri, lui che del prossimo aveva sempre avuto ben poca considerazione. Forse questo era sufficiente per tenere con sé quella donna: per la prima volta nella sua vita, aveva pensato alle conseguenze che le sue azioni avrebbero causato a una persona diversa da sé. E se quella persona non desiderava altro che affidarglisi totalmente, avrebbe esaudito quel desiderio.

La baciò dolcemente, senza la furia che aveva sempre contraddistinto i loro ‘incontri’ e si sorprese a rabbrividire quando sentì una piccola mano fra i suoi lunghi capelli biondi.

“Sarai mia per sempre?”, le chiese dopo.

“Per il tempo che mi vorrai, Tibor”.

 

Oscar decise che sarebbe stato opportuno mettere a parte i Beleznay di ciò che aveva saputo. Naturalmente, era necessario che omettesse che Andrè fosse stato picchiato brutalmente, la principessa non lo avrebbe sopportato e il principe Zalán probabilmente avrebbe cercato Tibor per passarlo a fil di spada prima che avesse il tempo di aprirgli la porta.

Prima di rientrare alla reggia e raggiungerli, però, sedette per qualche minuto su una panca dei giardini. Aveva bisogno di credere che Andrè potesse essere ancora salvato, che non fosse troppo tardi; era certa che sarebbe morta di dolore se lo avesse perso di nuovo, se avesse trovato un cadavere al posto di un prigioniero.

Il freddo di quel tardo pomeriggio non lo sentiva nemmeno, senza Andrè al suo fianco aveva troppo gelo dentro. Inutile chiedersi quando le fosse diventato così indispensabile; la luce si domandava forse da quando aveva bisogno dell’ombra per risplendere così fulgida? La separazione che aveva vissuto era servita soltanto perché prendesse finalmente coscienza di quanto indissolubile fosse questo legame, un ciclo purgativo che l’aveva condotta alla vera felicità, quella che aveva potuto stringere nei giorni appena trascorsi con il suo principe.

Si alzò in piedi e tirò su il mento, fiera come solo Oscar François de Jarjayes sapeva essere. Non avrebbe consentito a nessuno di portarle via quella felicità.

Raggiunse la reggia marciando sicura come sempre, non tradendo la minima emozione. I principi si trovavano nei loro appartamenti in attesa della cena con i sovrani, alla quale erano tenuti a partecipare.

Oscar vide che Ariadné sembrava essersi calmata, anche se gli occhi rossi e lucidi tradivano un pianto recente. Di certo era una donna forte ma alcuni dolori lacerano nel profondo; le si avvicinò mostrando un lieve sorriso, con la speranza che ciò che stava per dirle l’avrebbe rassicurata.

“Principessa Ariadné, ho buone notizie”.

Ariadné si illuminò in volto e le corse incontro, prendendole le mani fra le sue.

“Lo avete trovato? Oscar ditemi, avete trovato Andrè?”.

“So dove si trova”, disse Oscar, sorridendo del fatto che la principessa avesse cominciato a chiamare Andrè col suo nome. Evidentemente, non intendeva più portarlo via con sé. “Andrò a prenderlo stanotte, però devo chiedervi una cosa. Lasciate che Tibor riparta impunito”.

Zalán si voltò di scatto, guardando Oscar come se avesse detto un’enorme eresia. Non poteva aver sentito bene, stava chiedendo di lasciar andare Tibor pur sapendolo responsabile di un’azione tanto vile?

“Madamigella, spero che stiate scherzando”.

“No principe. Vi prego di ascoltarmi, se Tibor venisse arrestato, la faccenda giungerebbe alla corte di Vienna e io non posso mettere la Regina Maria Antonietta in una situazione tanto delicata. Voi avete adottato una persona che non esiste, cosa succederebbe se una volta rivelata l’identità di Andrè, si venisse a sapere che la Francia ha arrestato il rampollo di una delle più antiche famiglie nobili ungheresi per il rapimento di un servo? Io non lo considero tale e so che anche per voi è tutto tranne che un membro della servitù; ma è quello che è agli occhi dei Francesi e degli Austriaci”.

Zalán strinse i pugni, reprimendo il desiderio di colpire qualcosa. Purtroppo, madamigella Oscar aveva ragione, se avessero denunciato Tibor la vera identità di András sarebbe stata svelata e tutto ciò che lei aveva preannunciato sarebbe accaduto.

Ariadné guardò Zalán e strinse più forte le mani di Oscar.

“Io mi fido di voi, madamigella Oscar. Riportate a casa Andrè”.

Oscar si inchinò ai principi, prima di congedarsi.

“Non dubiti principessa, è il mio solo scopo”.

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Dunque… secondo me il rating rosso è alto per quella specie di scena "hot" che ho scritto (tra l’altro è la prima in assoluto, sono tanto timida), tuttavia preferisco eccedere in prudenza così da essere sicura di non offendere nessuno con un rating al contrario troppo basso. OMBRAceleste notava giustamente che Tibor potrebbe definirsi un vampiro piuttosto che un lupo, per via del morso sul collo. In effetti, Voltaire scrisse dei vampiri nel suo Dizionario filosofico, quindi anche in Francia erano giunte certe voci; ma dal momento che l'imperatrice Maria Teresa aveva mandato il suo medico personale a investigare, col risultato che tali "presenze" furono del tutto smentite, ho immaginato che Ophélie, la quale è comunque giovane, non avrebbe avuto occasione di sentir parlare di vampiri e paragonarvi Tibor, perciò ho optato per il lupo ;)

E no, i protagonisti non erano Oscar e Andrè ma direi che il Grandier ha bisogno di riprendersi una volta salvato dalla prigionia, soprattutto se pensa di intraprendere certe attività con la sua bella ;)

A proposito di Andrè, lo rivedremo nel prossimo capitolo, spero che ci sarete ancora :P

Grazie a tutti <3

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Oscar si presentò all’appuntamento convenuto con Girodelle non appena la luna fu visibile all’orizzonte. Con lei si trovava Jan, per insistenza del principe Zalán; l’aveva seguita fuori dagli appartamenti che condivideva con sua moglie, chiedendole di portare con sé i suoi uomini più fidati, Petre e Jan per l’appunto.

Avrebbe preferito avere con sé il solo Girodelle, giacché non si fidava troppo di nessuno dei due servitori ma il principe aveva insistito tanto che aveva ceduto, pregandolo di farle trovare un medico al suo ritorno. Zalán aveva preteso spiegazioni e lei aveva dovuto accontentarlo, raccomandandosi di non rivelare nulla alla principessa fin quando non fossero tornati. Alla partenza si era presentato il solo Jan: a quanto pareva, Petre era letteralmente sparito e dovettero partire loro due soli.

“Sapete madamigella, è strano che Petre non fosse a disposizione. Non si allontana mai da solo quando si trova in terre straniere”.

“Non è importante Jan”.

Gli rispose senza guardarlo, troppo presa dallo scrutare la via in attesa di veder comparire il conte di Girodelle e quando finalmente lo vide, si trattenne a fatica dal rimproverarlo per il ritardo.

“Buonasera comandante”.

“Lasciamo perdere i convenevoli Girodelle, andiamo”.

Girodelle annuì e smontò da cavallo, prontamente imitato da Oscar e Jan. Si guardò intorno prima di imboccare un viottolo nascosto in mezzo agli alberi; gli arbusti che costeggiavano la strada principale lo nascondevano agli occhi dei passanti distratti, bisognava sapere esattamente dove fosse. Camminarono nella fitta boscaglia per diversi minuti, fin quando Girodelle fece cenno di fermarsi e si nascose dietro un albero per controllare la situazione. Si avvicinò il più possibile e quello che vide lo lasciò di stucco: Tibor aveva completamente sguarnito il vecchio casolare, che appariva deserto. Possibile che avesse già spostato Andrè, o peggio? Evitando di fare rumore tornò indietro fino a dove aveva lasciato Oscar e Jan.

“C’è qualcosa di strano comandante. Non c’è più nessuno di guardia all’ingresso del casolare”.

“In quale stanza si trova Andrè?”.

“C’è un magazzino interrato che si raggiunge da una botola posta nel centro dell’androne. Una volta percorsa la breve scalinata, c’è un corridoio, molto corto, e una stanza. Andrè si trova all’interno”.

Oscar aggrottò le sopracciglia, vagliando nella sua mente le diverse possibilità. Doveva conoscere perfettamente la logistica se intendeva portar via Andrè velocemente.

“Come ci si muove nel sotterraneo? C’è spazio per combattere?”.

Girodelle scosse la testa. “Molto poche comandante, il corridoio è alto abbastanza perché un uomo ci cammini comodamente e in quanto a larghezza, due persone affiancate non riuscirebbero a passare”.

“Allora dobbiamo liberarci il passaggio prima di scendere”.

 

Andrè fu svegliato dal rumore di passi concitati a pochi passi da lui. Respirava male per via della febbre e Tibor non si era certo preoccupato di fargli curare le fratture, che dolevano terribilmente. Non si era praticamente mosso dalla visita di Girodelle e aveva dormito quasi tutto il tempo, un sonno agitato e popolato da atroci incubi. Di tanto in tanto veniva destato da una delle guardie che lo costringeva a bere un po’ d’acqua, e poi ripiombava in quel limbo.

Aguzzando la vista, nella semioscurità della cella, riuscì a distinguere una figura in piedi dietro la porta. La luce lunare provocò uno scintillio sulla lama del pugnale che portava e Andrè pensò che Tibor avesse deciso di liberarsi di lui; lacrime di frustrazione gli bruciarono gli occhi, stille che rifiutò di versare.

Oscar. Voleva vivere per lei ma per quanto ardentemente lo desiderasse, non aveva la forza per muoversi, né per tentare di difendersi dal boia. In quelle condizioni non avrebbe potuto fare altro che soccombere alla morte, rinunciando alla gioia di poterle finalmente vivere accanto.

“No…”.

Quel lamento attirò l’attenzione dell’uomo armato che si voltò a guardare Andrè. Ora erano i suoi occhi di brace a sondare l’oscurità della cella. Quando si avvide che era sveglio gli si avvicinò, inginocchiandosi davanti a lui.

“Principe András, vi siete svegliato! O dovrei forse chiamarvi Andrè Grandier? Chissà come reagirà il duca Hunyadi quando scoprirà la vostra vera identità! Madamigella Oscar parla troppo e senza accertarsi che non ci siano orecchie indiscrete, sapete?”.

Andrè continuava a fissarlo e se ne avesse avuto le forze lo avrebbe sicuramente additato, sconvolto dalla verità.

“Petre…”.

“Sì, proprio io, il fedele Petre! E dire che la vostra bella sospettava di quello stupido di Jan! Si vede che non ha capito niente, lui si arrabbia, urla, eppure non sarebbe mai capace di tradire i Beleznay”.

Ascoltava quel racconto come se non conoscesse la persona che aveva davanti. Petre era sempre stato una persona quieta e apparentemente, uno degli uomini più fedeli a Zalán. Capire cosa lo avesse spinto a schierarsi con Tibor gli risultava impossibile.

“Non guardatemi a quel modo! So che non riuscite a immaginare che qualcuno possa voltare le spalle al principe Zalán ma voi siete stato suo figlio, non un servo. Sa essere davvero duro con noi e come ci ripaga? Adottando uno straniero! Non ho niente contro di voi, Andrè, dovete credermi. Ma se la vendetta contro di lui passa attraverso la vostra morte… non avrò esitazioni, sappiatelo”.

Andrè strinse i denti per il dolore e lo sforzo di restare vigile; era debole e ferito ma non si sarebbe abbandonato all’oblio. Ripercorse mentalmente l’anno trascorso in Transilvania, a palazzo Beleznay ma non riusciva a ricordare nessun diverbio tra Zalán e Petre. Possibile fosse tanto avido da desiderare vendetta per un motivo del genere?

“Non sforzatevi di comprendere, non ci riuscireste. Riposate finché potete, penso che fra poco qui si scateneranno le danze”.

 

Oscar, Girodelle e Jan si avvicinarono furtivamente al casolare, armi in pugno; l’ungherese teneva un pugnale in ciascuna mano, e lei si chiese per un attimo come intendesse combattere ma le sovvenne che nell’Est dell’Europa si poteva avere necessità di imparare ben altro che la scherma.

Sbirciò attraverso una finestra dai vetri rotti e capì immediatamente perché non ci fosse nessuno all’esterno; gli uomini di Tibor si trovavano tutti dentro l’edificio, attorno a quella che doveva essere la botola di cui parlava Girodelle. Si spostò dalla visuale dell’apertura e raggiunse i due che la attendevano nei pressi dell’ingresso.

“Ci sono almeno sei uomini bene armati all’interno, evidentemente Tibor non vuole che raggiungiamo Andrè. Di lui non c’è traccia”.

“Sarà rimasto a palazzo comandante. Stasera era previsto un ricevimento, se non si presentasse desterebbe sospetti”.

Jan roteò il pugnale che impugnava nella mano destra, tenendo lo sguardo fisso sull’entrata della cascina.

“Madamigella, penseremo noi a impegnare quegli uomini. Voi dovete raggiungere il principe András e portarlo via”.

Oscar annuì guardando con gratitudine Jan; poteva non amare particolarmente Andrè ma per devozione ai suoi padroni lo avrebbe tirato fuori dall’inferno con le sue sole forze. Si avvicinarono di corsa alla porta d’ingresso e Oscar la spalancò affannandosi a raggiungere la botola; Jan abbatté immediatamente uno degli sgherri che tentavano di fermarla, scagliandogli uno dei pugnali dritto nel cuore.

“Sbrigatevi comandante!”.

Girodelle ingaggiò battaglia con un altro tirapiedi riuscendo, insieme a Jan, ad aprire la strada a Oscar che imboccò velocemente le scale sotto la botola. Vide la porta della stanza nella quale era tenuto prigioniero Andrè e strinse più forte l’elsa della spada, trattenendo i tremiti che sentì all’idea che fosse troppo tardi quando, sbirciando all’interno, lo scorse appoggiato alla parete opposta, totalmente inerme.

“Andrè…”.

Le sfuggì il suo nome in un sussurro e aprì la porta di scatto per slanciarsi all’interno; fortunatamente vide con la coda dell’occhio un bagliore che le fece schivare la pugnalata di Petre. Anche lui, proprio come Jan, impugnava una lama per mano e lei aveva solo una spada. Sarebbe stato un combattimento impegnativo ma doveva sbarazzarsi del suo avversario in fretta, Andrè sembrava al limite delle forze.

“Petre! Credevo foste uno dei servitori dei Beleznay!”.

Si manteneva a distanza, prendendo tempo per studiare i movimenti dell’ungherese. Non aveva idea di come rapportarsi a qualcuno che combattesse a quel modo.

“Lo credevo anche io. Ma forse per loro valiamo molto poco”.

“Jan non la pensa come voi”.

“Jan è uno sciocco idealista! Odia quest’uomo dal profondo del cuore per la posizione che ha acquisito, ma è talmente fedele ai Beleznay che darebbe la vita pur di salvarlo”.

Oscar gettò un veloce sguardo all’ambiente circostante in cerca di qualcosa che potesse usare come uno scudo; il problema di avere davanti due lame era che poteva incrociarne una sola con la sua spada mentre l’altra era libera di colpirla. Intravide un barile in un angolo e pensò che avrebbe potuto prenderne il coperchio. Peccato che tra lei e la sua ‘salvezza’ vi fosse Petre.

Le si scagliò contro e proprio come aveva immaginato, affondò con una sola lama che fu costretta a parare, urtando per il contraccolpo alla parete dietro di sé. L’impatto le mozzò il fiato per qualche momento ma riuscì comunque a evitare l’altro pugnale che si incassò fra le pietre del muro. Approfittando di questo, spinse Petre e raggiunse velocemente il barile che aveva già adocchiato, trovandolo però desolatamente scoperchiato.

Trattenne un gemito di frustrazione e si voltò per fronteggiare l’ungherese. Per sua fortuna sembrava che il pugnale incastrato nella parete non volesse saperne di essere sfilato e lui si ritrovò costretto a combattere con una sola arma.

“Forse dovreste arrendervi Petre. Non voglio uccidervi”.

“Arrendermi?! E pensate che pur di vivere accetterei la prigione?”.

Queste parole le aveva quasi urlate attaccando Oscar che parò senza troppe difficoltà il colpo. Petre era davvero forte e faceva difficoltà a trattenerne l’impeto ma per sua fortuna era molto più leggera e si muoveva con maggiore agilità, riuscendo persino a sbilanciarlo. Lui batté malamente contro il muro e si rialzò scuotendo il capo; in quel modo non sarebbe arrivato da nessuna parte eppure forse non tutto era perduto, poteva ancora raggiungere il suo scopo. Afferrò il coltello per la lama con la chiara intenzione di scagliarlo contro Andrè, Oscar fu più veloce e gli lanciò contro la propria spada, trafiggendolo.

“Non avrei voluto che finisse così”.

Oscar diede un veloce sguardo a Petre che ormai non costituiva più una minaccia e si precipitò accanto ad Andrè, prendendogli il viso fra le mani.

“András… András svegliati, ti porto via da qui!”.

Andrè socchiuse gli occhi a fatica e sorrise quando vide Oscar davanti a sé; forse era un dolce sogno che la morte gli concedeva prima di portarlo via? Lei lo scosse leggermente, spostandogli i capelli umidi dal viso e lo attirò contro di sé, guardandosi intorno smarrita: come avrebbe potuto portarlo via se non si reggeva in piedi?

“Oscar…”.

“András! Riesci ad alzarti, dobbiamo uscire di qui”.

“Sono… contento di averti… rivista…”.

“Cos… András! András!”.

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Et voilà, anche oggi il capitolo è pronto :P

Sarà l’ultimo per qualche giorno però. Sono previsti lavori alla linea internet quindi sarò assente, se riesco entrerò con il cellulare per rispondere alle vostre recensioni (se ce ne saranno ovviamente). Purtroppo non ho modo di pubblicare gli altri capitoli perché vivo in un paesino dove un centro internet non sanno nemmeno cos’è e abbiamo tutti lo stesso gestore, quindi se manca a me manca a tutti quelli che conosco ^^” Scusatemi per l’inconveniente (_ _)

A presto ^-^

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Girodelle e Jan riuscirono, non senza fatica, a liberarsi degli uomini al piano superiore e raggiunsero Oscar, che avevano sentito urlare. La trovarono piegata sul corpo di Andrè mentre lo stringeva convulsamente fra le braccia e temettero il peggio.

L’ufficiale si avvicinò, tentando inutilmente di farle allentare la presa. Non piangeva ma rifiutava di muoversi, così Girodelle fece cenno a Jan che la sollevò senza troppi complimenti, e si chinò a sua volta sul petto di Andrè.

“Comandante è ancora vivo! Coraggio, dobbiamo portarlo alla reggia perché sia curato”.

Oscar che fino a quel momento era rimasta immobile, trattenuta dall’ungherese, sembrò svegliarsi da un incubo e fissò Girodelle liberandosi di quella stretta. Il suo viso riassunse l’espressione decisa e perentoria che lo aveva sempre caratterizzato.

“Andremo a palazzo Jarjayes. È più vicino”.

Jan si allontanò da loro e si chinò su Petre, lasciando andare un lieve sospiro.

“Anche questo idiota è vivo. Vi aiuterò a portare fuori il principe e poi lo condurrò alla reggia, non deve passarla liscia”.

Oscar raccolse la spada, riponendola nel fodero. “Il principe Zalán doveva cercare un medico. Quando sarete alla reggia mandatelo a palazzo Jarjayes”.

L’ungherese annuì e aiutò Girodelle a sollevare Andrè per portarlo fuori mentre Oscar li precedeva. La cosa non si dimostrò per niente facile poiché era totalmente abbandonato fra le loro braccia ma in qualche modo riuscirono a raggiungere i cavalli e a farlo salire sul destriero di Girodelle. Sebbene Oscar avesse protestato, sostenendo di volerlo accompagnare personalmente, il vicecomandante le aveva fatto giustamente notare che non sarebbe stata in grado di sorreggerlo ed era montato in groppa dietro di lui.

Jan accennò un inchino prima di tornare sui suoi passi per recuperare Petre e Oscar fissò per qualche secondo il punto in cui era sparito nella boscaglia; quegli ungheresi avevano un senso dell’onore del tutto particolare.

“Comandante dobbiamo andare, sbrigatevi!”.

La voce di Girodelle la riscosse e Oscar saltò quasi in groppa a César, spronandolo al galoppo e percorrendo accanto al suo secondo tutta la strada verso palazzo Jarjayes. In questo modo poteva volgere lo sguardo verso Andrè, scrutando il viso pallido e tumefatto, e sperando ogni volta di incrociarne lo sguardo. Dopo un tempo che le parve interminabile, giunsero finalmente alla meta e portarono Andrè in casa.

Nanny, accorsa per aiutarli, per poco non ebbe un mancamento quando vide chi era la persona ferita che Oscar e Girodelle stavano trasportando. Dei servitori si incaricarono di trasportarlo e Oscar li indirizzò verso la stanza accanto alla sua, suscitando le proteste della governante.

“Madamigella non è lì che dovrebbe stare, lui…”.

“Lui è il principe András Beleznay, non credo meriti di meno che la camera degli ospiti”, sentenziò seguendo i domestici al piano superiore.

Era certa che Nanny avesse capito che quello che si era presentato come un principe ungherese fosse in realtà suo nipote Andrè, tuttavia lui ancora non ricordava chi fosse e doveva essere trattato come figlio dei Beleznay.

 

Fortunatamente, il medico rintracciato da Zalán raggiunse palazzo Jarjayes nel giro di mezz’ora, accompagnato dagli stessi principi che non ne avevano voluto sapere di rimanere a Versailles nonostante l’ora tarda. Oscar andò loro incontro mentre il dottore entrava nella stanza e dovette trattenere Ariadné che insisteva per controllare di persona in che condizioni versasse suo figlio.

“Principessa dovete essere paziente. Non appena il dottore lo riterrà possibile vi lascerò entrare”.

“Vi prego madamigella Oscar, ho bisogno di vederlo!”.

Scosse la testa opponendo un fermo ma gentile rifiuto alle richieste della principessa. Le dispiaceva impedirle di vedere l’uomo che aveva amato come un figlio per tanto tempo ma Andrè doveva essere visitato e curato senza che il medico sopportasse gli isterismi di una madre apprensiva. Lei stessa entrò nella camera soltanto quando vide uscire le cameriere che avevano prestato aiuto al dottore occupandosi di lavare e cambiare Andrè.

“Zalán… credi che ce la farà?”.

Zalán abbracciò Ariadné accarezzandole la schiena. Non sopportava di veder soffrire sua moglie ma mentirle sarebbe stato inutile. Era totalmente all’oscuro delle condizioni di Andrè però il fatto che madamigella Oscar gli avesse chiesto di farle trovare un medico al suo ritorno poteva significare solo una cosa: sapeva già che il loro figlio era ferito e non lievemente.

“Possiamo solo aspettare e pregare Ariadné. Non sappiamo nulla, qualsiasi cosa ti dicessi starei mentendo”.

Lei abbassò lo sguardo rafforzando la presa attorno al suo corpo e Zalán la sentì prendere un grande respiro per poi alzare lo sguardo: lo faceva quando aveva qualcosa di importante da comunicargli.

“Lasciamolo qui”.

“Direi che non è proprio il caso di spostarlo a Versailles in queste condizioni”.

“Zalán non fingere di non capire, intendo dire quando torneremo in Ungheria. Portarlo con noi adesso che sappiamo chi egli sia in realtà non farebbe che aggravare il nostro sbaglio”.

“E come lo giustificheremmo? Lo ringrazieresti di essersi quasi fatto ammazzare da Tibor per la nostra idea di adottarlo e poi lo lasceresti qui dicendogli che la sua famiglia sono persone che non ricorda?”.

Ariadné scosse il capo stringendo le mani di Zalán nelle proprie. Avrebbe dovuto immaginare che si sarebbe opposto all’idea di lasciare Andrè in Francia, lo amava come un figlio e poche cose lo rendevano tanto felice come passare del tempo con lui.

“Non ricorda ma è innamorato di madamigella Oscar e credo che anche lei lo ami allo stesso modo. Avresti cuore di separarli adesso che si sono finalmente ritrovati?”.

Zalán accostò le labbra al suo orecchio. “E’ un servo in questo paese. Non dimenticare che Tibor tornerà in Austria impunito, nonostante tutto. Perché Andrè qui è un servo”.

Aveva sottolineato di proposito quale fosse il ruolo di Andrè prima che li incontrasse, sperando che sua moglie non intendesse lasciarlo a quel genere di vita ma Ariadné levò lo sguardo, sicura.

“E se ricordasse tutto? Portarlo con noi significherebbe rapirlo, strapparlo alla realtà che ha sempre conosciuto in favore di una che noi abbiamo costruito per lui”.

La guardò stupito per un istante e la lasciò, passandosi la mano sugli occhi.

“Io non posso crederci Ariadné, non ci credo! Vuoi lasciarlo a una vita che era un’umiliazione continua e togliere a noi la gioia di essere genitori, ti sembra sensato?”.

Ariadné rimase in silenzio tormentandosi le mani; aveva gli occhi lucidi ma rifiutava di piangere ancora. “E’ la decisione più penosa che io abbia mai preso Zalán. Ma se davvero lo amiamo, dobbiamo fare la cosa giusta per Andrè, non per noi”.

 

Oscar non si era mossa dalla stanza, preferendo ritirarsi in un angolo piuttosto che lasciare solo Andrè. Già una volta le era quasi costato la sua morte; aveva deciso, non si sarebbe più separata da lui se non lo stretto necessario. Accolse quasi con sollievo i lamenti che sentiva provenire dal letto quando le medicazioni gli causavano dolore; fin tanto che si lamentava era vivo.

Con Andrè finalmente al sicuro, poteva pensare al da farsi riguardo i suoi aguzzini. Di Petre si sarebbe occupato Zalán una volta ritornati in Transilvania ma restavano Tibor e Ophélie. Non aveva prove che dimostrassero il loro coinvolgimento e anche se le avesse avute, la situazione sarebbe rimasta quella che lei stessa aveva dipinto al principe: la vera identità di András sarebbe stata svelata ed entrambi sarebbero rimasti impuniti.

E infine Girodelle… non riusciva a credere che si fosse prestato a una tale sordida macchinazione, della quale si era accorto per tempo, su sua stessa ammissione. Cosa lo aveva spinto ad allearsi a quegli individui che avevano l’unico obiettivo di eliminare quello che conoscevano come il principe András? Era un uomo onesto, non avrebbe mai commesso una sciocchezza simile in condizioni normali; doveva parlargli per conoscere le sue motivazioni, anche se non era certa che le avrebbe comprese.

“Madamigella Oscar”, la chiamò il medico avvicinandosi a lei. “Ho fatto il possibile ma la febbre necessitava di essere curata prima e anche le fratture; l’unico aspetto positivo è che non sembra essersi mosso quindi i polsi guariranno perfettamente se supererà questa crisi”.

Oscar sperò che non si fosse accorto del turbamento che l’aveva presa nel sentire quelle parole e si limitò ad annuire. Aveva avuto appena il tempo di rilassarsi per averlo tirato fuori da quella prigione improvvisata, che già rischiava di dovergli dire addio.

“Capisco. Cosa possiamo fare per lui?”.

“La febbre dev’essere tenuta bassa, questo lo giudico importante. Domani tornerò a visitarlo”.

“Sarà fatto. Vi ringrazio per i vostri sforzi, dottore”.

L’uomo salutò con un inchinò e lasciò la stanza, apprestandosi a comunicare ai principi Beleznay ciò che aveva appena detto ad Oscar. Lei si avvicinò al letto e sedette sul bordo, osservando il volto di Andrè addormentato, sperando, desiderando di vedere i suoi occhi su di sé.

Era pallido e sudato e anche una volta ripulito il suo viso restava quasi irriconoscibile per via dei colpi che aveva ricevuto. Persino respirare doveva costargli fatica, a giudicare dai respiri brevi e veloci che compiva.

A Oscar si strinse il cuore a vederlo così indifeso e bisognoso di lei; per una volta, i ruoli si erano invertiti ed era lei a dover vigilare per la sua sicurezza. Se ripensava agli anni trascorsi insieme, si rendeva conto che non c’era quasi momento della sua vita che non vedesse Andrè al suo fianco e capiva che la sua proverbiale sicurezza era dovuta al sapere, seppure in maniera inconscia, di avere la sua ombra costantemente al fianco.

Abbassò lo sguardo vedendo le loro mani vicine e si mosse intrecciando le loro dita. Sentiva la sua pelle bollente sotto i polpastrelli e sorrise; non avrebbe mai pensato che un contatto così semplice potesse darle tanta serenità in un momento simile. Andrè ricambiò la stretta e lei alzò lo sguardo sicura che si fosse svegliato ma il movimento era stato del tutto involontario; era ancora profondamente addormentato e Oscar avvertì la delusione pungerle l’animo.

Si chinò sul letto, avvicinando il viso a quello martoriato di lui e gli sfiorò le labbra con le proprie; si sentiva più audace sapendo di essere l’unica a conoscenza di quel suo gesto.

“Andrè… non puoi lasciarmi, devo dirti una cosa importante prima”.

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Guardate chi è tornata prima del previsto XD

Pare che non fosse un lavoro lungo, almeno spero di non trovarmi senza linea domani -.-“

Dunque… non sono soddisfatta di questo capitolo ma abbiate pazienza, oggi mi sono presa una bella inc****tura e potrei deviare la storia verso finali oscuri è.é

Come sempre, fatemi sapere che ne pensate, anche se fa schifo e mi conviene darmi all’ippica.

E grazie per le letture e le recensioni (_ _)

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


“Maledizione!”.

Tibor scagliò senza preoccuparsene una tazza di fine porcellana contro la parete della sua camera, essendo venuto a conoscenza della liberazione di András. Non poteva credere che una donna avesse sbaragliato Petre con tanta facilità e soprattutto che fosse riuscita a portare via l’odiato cugino appena qualche ora prima della partenza prevista per l’Austria.

“Calmati Tibor, distruggere i servizi da tè della reggia non servirà a nulla”.

Ophélie lo guardò serafica continuando a sorseggiare la bevanda dalla propria tazza. Tibor le scoccò un’occhiata tutt’altro che gentile ma lei non parve farci caso. Ormai sapeva che non le avrebbe mai fatto del male, per lei provava quasi affetto, ammesso che sapesse quale fosse il significato di tale parola.

“Ophélie, la mia indulgenza non arriva a tanto, non prenderti gioco di me”.

“Non lo faccio. Ma agitarti servirebbe solo a dare soddisfazione ai Beleznay e a madamigella Oscar che credono di averti messo nel sacco. Invece, András non è ancora al sicuro”.

Tibor si fece improvvisamente attento e si avvicinò a Ophélie sedendosi accanto a lei. Aveva imparato che sotto quegli splendidi boccoli rossi la sua mente non riposava mai e probabilmente sapeva già come ovviare al ‘loro’ problema.

“Spiegati”.

“Potrebbe essere morto in seguito alle ferite, mi hai detto tu che era persino affetto da febbre; e se così non fosse, palazzo Jarjayes non è una fortezza. Un uomo ben addestrato potrebbe introdurvisi ed eliminare tuo cugino nel cuore della notte”.

Tibor la guardò scettico, per niente convinto di quell’idea che gli sembrava insensata. Sicuramente madamigella Oscar avrebbe fatto sorvegliare András, come avrebbe potuto un qualsiasi uomo introdursi nella camera di suo cugino?

“Avrà qualcuno che lo sorvegli tutto il tempo, quella donna non lo lascerà solo”.

“Credi che sorveglierebbe anche me?”.

“Non capisco dove voglia arrivare”.

“Lascia fare a me. Non resterai deluso”.

Un sorriso perverso attraversò il viso di Tibor che si avvicinò per baciarla. Se c’era una cosa che aveva imparato a conoscere di Ophélie era proprio la sua straordinaria capacità di soddisfarlo.

 

Oscar non si mosse dal capezzale di Andrè per tutta la notte, rifiutando di cedere il suo posto persino a Nanny o ad Ariadné. Aveva spostato una delle poltrone accanto al letto per essere sicura di averlo sempre sott’occhio e quando lo sentiva più accaldato gli tamponava il viso con una pezzuola inumidita.

Si era addormentata su quella stessa poltrona solo da pochi minuti quando sorse il sole e Ariadné entrò silenziosamente, avvicinandosi al letto. Si premette le mani sulla bocca per non urlare quando vide in che condizioni era ridotto il volto di Andrè e gli accarezzò la fronte, chinandosi per posarvi un bacio.

“Mi dispiace Andrè. Mi dispiace di tutto”.

Si mosse con cautela per non svegliare Oscar e sedette sul bordo del letto, accarezzandogli lievemente il viso. Le parole di Zalán le tornarono subito alla mente: sebbene lui fosse in quello stato, Tibor sarebbe rimasto impunito per il semplice motivo di essere un nobile. Era davvero ingiusto ma non c’era niente che potessero fare per cambiare lo stato di cose. Tibor contava meno di un’unghia di Andrè, però era nato in una famiglia nobile e quindi agli occhi del mondo valeva esattamente il contrario.

Lei poteva cambiare questo destino ma era davvero così semplice prendere la decisione che gli avrebbe cambiato la vita? Se lo avessero lasciato in Francia con la donna che amava come Andrè Grandier, sarebbe tornato a essere un semplice borghese, mentre se lo avessero privato di lei riportandolo in Ungheria sarebbe rimasto un principe.

Lasciò andare un lieve sospiro, portando lo sguardo su Oscar. Lei non avrebbe consentito che lo riportassero con loro, ne era certa, e Zalán invece si sarebbe opposto alla permanenza in Francia; a quel punto toccava a lei essere l’ago della bilancia e sostenere l’uno o l’altra, anche se si trattava della decisione più difficile che avesse mai preso. Lei stessa era combattuta fra due forti sentimenti, il desiderio di continuare a essere una madre per Andrè e quello opposto di privarsi di lui pur di vederlo felice.

Se solo avesse ricordato avrebbe deciso lui stesso ma al momento del rapimento era ancora convinto di essere András Beleznay! Aveva temuto che tornare in Francia avrebbe risvegliato i ricordi perduti invece l’unica cosa che si era ridestata era l’amore per Oscar, troppo intenso da essere sopito, mentre la sua memoria era ancora dormiente.

“Andiamo, svegliati figlio mio, non puoi più lasciare che siano gli altri a decidere per te”.

Sorrise tra sé delle sue stesse parole per aver definito Andrè suo figlio; non lo era e probabilmente si sarebbe sdegnato una volta appresa la verità dei fatti. In che altro modo avrebbe potuto reagire? Sebbene sapesse che aveva un cuore d’oro, temeva la sua reazione nel momento in cui avesse saputo che lo avevano portato via costruendogli una vita artefatta pur di trattenerlo presso di loro. Era pronta anche al suo odio ma lo avrebbe amato per sempre come solo una madre sa fare; e una madre avrebbe fatto la cosa giusta.

Sollevò il mento fissando la finestra illuminata dai raggi del sole ormai visibile all’orizzonte. La sua decisione era presa, ora toccava ad Andrè.

 

Andrè socchiuse gli occhi a fatica e si guardò intorno smarrito. L’ultima cosa che ricordava era una cella fredda e umida nel quale era rinchiuso e… i colpi violenti e cattivi degli uomini di Tibor. Il ricordo gli fece stringere i pugni ma avvertì subito il dolore ai polsi che come potè constatare, erano stati steccati.

Volgendo la testa di lato, vide Oscar addormentata sulla poltrona e nonostante fosse indolenzito un po’ dappertutto, sorrise, prendendosi qualche momento per osservarla meglio. Sembrava preoccupata, persino nel sonno il suo viso non aveva perso l’espressione accigliata che aveva quando qualcosa la turbava.

Pian piano nella sua mente si affacciarono le ultime immagini che aveva visto in quel maledetto buco dove l’avevano rinchiuso; Oscar che tentava di svegliarlo chiamandolo per nome, chiamandolo… András.

Già. Lei credeva ancora di avere davanti un principe ungherese, lo stesso principe che aveva baciato con tanta passione e al quale si era affidata totalmente nel mulino della Hameau. Come avrebbe reagito sapendo che si trattava del suo attendente sparito un anno prima?

Era certo che Oscar stesse ancora cercando il suo amico Andrè, lo aveva capito dalle sue parole, ma quando lo aveva baciato chi stava abbracciando dei due, il principe o l’attendente? Lasciò andare un sospiro e chiuse gli occhi, stanco di tutte quelle domande irrisolte che gli turbinavano in mente. Aveva bisogno di capire come stessero le cose, se davvero Oscar amava Andrè e non András.

Un fruscio lo fece voltare di nuovo verso la poltrona dove dormiva Oscar. Si era svegliata e cercava di sgranchirsi il collo, per via della posizione in cui aveva dormito. Non appena si accorse che Andrè la stava guardando scattò in piedi e si chinò su di lui, tastandogli la fronte.

“Andr… András, come ti senti?”.

Andrè richiuse gli occhi, deluso dal nome che aveva sentito uscire dalle labbra di Oscar. Sentiva la voglia irrefrenabile di dirle tutto, rivelandole che András non era mai esistito e c’era stato sempre e solo lui, con tutto il suo amore.

“Male… sento dolore dappertutto”.

“Credo che sia normale, ti hanno malmenato”.

“Già, c’ero anch’io”.

Oscar incrociò le braccia al petto rimettendosi dritta. Quando faceva così non poteva non pensare che davanti aveva pur sempre Andrè, il principe ungherese non era mai stato tanto sarcastico.

“Ma davvero?”, lo incalzò sullo stesso tono.

“Si davvero, Oscar, ho rischiato di nuovo la vita!”.

Urlarle contro era l’ultima cosa che voleva ma tutto il dolore fisico e morale che aveva accumulato era venuto fuori senza che lo controllasse. Era stanco di quella situazione, le avrebbe confessato ogni cosa se l’avesse lasciata parlare ancora e prima doveva sapere cosa provasse Oscar.

“Andrè?”.

“Che c’è?!”. Si morse la lingua per ciò che si era lasciato sfuggire ma fece finta di nulla. “Oscar questa discussione mi ha stancato molto… i miei genitori sono stati avvertiti?”.

Oscar lo stava fissando dritto negli occhi, cercando la conferma dei suoi sospetti. Andrè aveva recuperato la memoria o almeno una parte di essa ma per qualche motivo intendeva portare avanti la commedia e lei lo avrebbe accontentato, curiosa di scoprire dove volesse andare a parare.

“Si, i principi sono qui a palazzo Jarjayes. Vuoi vederli?”.

“Non vorrei che mia madre si sentisse male a vedermi conciato così… da come mi fa male il viso non dev’essere un bello spettacolo”.

“In effetti, sei un mostro”.

Andrè rise ma si pentì subito a causa dei forti dolori al petto; le sue costole non trovavano affatto divertenti le parole di Oscar. Si voltò dall’altra parte tossendo e lei si piegò sul letto, preoccupata delle sue condizioni.

“András! Ti fa molto male?”.

Lui si voltò improvvisamente e sollevandosi appena dal cuscino posò le labbra sulle sue in un bacio dolce e agognato. In fondo, András non avrebbe perso l’occasione e da quello che ricordava non le dispiaceva affatto la sfrontatezza del principe ungherese, poteva approfittarne.

Oscar ebbe un attimo d’esitazione dopo il quale lo ricambiò, posandogli delicatamente le mani sul viso. Da quel primo bacio alla fontana le era difficile resistergli, poiché aveva capito quanto in quei gesti fosse palpabile l’amore che provavano l’uno per l’altra, e le sembravano la cosa più naturale del mondo.

“Tu dovresti riposare”, gli disse dopo, facendolo appoggiare con delicatezza sui cuscini.

“Non mi va di restare solo”.

“Tua madre vuole vederti sin da quando ti abbiamo riportato qui, stanotte. Mostro o non mostro, devo farla entrare, altrimenti sospetto che sfonderà la porta”.

Andrè sorrise e annuì, godendosi le sue mani intorno al viso. La Oscar che conosceva era sempre stata fredda e un po’ scostante ma forse aveva solo bisogno che qualcuno le mostrasse quanto calore ci fosse nel dimostrare, con i gesti, i propri sentimenti agli altri. Sentì quasi freddo quando lei si alzò per uscire dalla stanza.

“Oscar!”.

“Si?”.

“Tornerai più tardi?”.

“Tornerò sempre”, gli disse con un sorriso chiudendosi la porta alle spalle.

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Rieccomi anche oggi, con una bella dose di miele ^-^

Or dunque, non è ancora finita, Tibor e la sua degna comare tramano alle spalle del nostro povero Grandier! Chissà chi la spunterà alla fine, i finali oscuri sono ancora dietro l’angolo U.U

Grazie per le recensioni e le letture, siete davvero troppo gentili *-*

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


La stanza era perfettamente illuminata dal sole ormai alto e Andrè era disteso con la schiena appoggiata a dei cuscini, così da trovarsi parzialmente sollevato mentre parlava con i principi Beleznay. Zalán e Ariadné erano stati entusiasti di sapere che finalmente si fosse svegliato e avevano accettato di buon grado di vederlo. Dal canto suo anche Andrè fu molto felice di rivederli, sebbene avesse preso una penosa decisione: nonostante significasse probabilmente dir loro addio, avrebbe rivelato ai principi di aver riacquistato in parte la memoria. Zalán lo guardava, osservando le fasciature che gli ricoprivano il torace e le steccature intorno ai polsi.

“Come ti senti figliolo?”.

“Meglio padre”.

Aveva chinato il capo rispondendo al principe, il quale in un primo momento si chiese se non avesse detto di sentirsi meglio soltanto per dar loro sollievo; sembrava ci fosse qualcosa di grave alla base di quel turbamento.

“András, cosa c’è? Hai forse bisogno che chiamiamo il medico?”.

“No io… ho una cosa da dirvi”.

Zalán restò in piedi vicino al letto mentre sua moglie sedette guardando Andrè con un dolce sorriso. Era evidente che qualsiasi cosa fosse lo stava tormentando ma era pronta ad ascoltarlo.

“Qualsiasi cosa sia puoi dircela, non essere così agitato”.

Andrè le sorrise grato, non potendo fare altrimenti; da quando la conosceva, la principessa era stata sempre molto protettiva con lui, proprio come sarebbe stata sua madre. Proprio per questo, trovava difficile confessarle la sua decisione, sapeva che ne avrebbe sofferto molto; tacere, però, non era la soluzione.

“Io mi ricordo”, disse tutto d’un fiato. “Ricordo di chiamarmi Andrè Grandier, di essere francese e l’attendente di madamigella Oscar. Alcuni momenti del mio passato sono ancora oscuri, però ricordo bene l’ultimo anno e voglio che sappiate che vi sono molto grato. Sono stato felice con voi in Transilvania, e un giorno tornerò a visitarla ma quando voi ripartirete io resterò qui”.

Ariadné sgranò gli occhi per la sorpresa, turbata dalle parole di Andrè. Aveva deciso che lo avrebbe lasciato in Francia ma sentirgli dire che era quello che lui desiderava le faceva uno strano effetto, a metà tra il sollievo e il dolore sordo della perdita.

“Andrè, sei certo di questa decisione?”, intervenne Zalán che aveva taciuto fino a quel momento. “Se restassi qui come suo attendente, non potresti vivere insieme a Oscar. La società francese non approverebbe e il sovrano non darebbe mai il suo consenso”.

“Ne sono consapevole. Tuttavia, lasciare di nuovo Oscar, adesso che ricordo bene chi lei sia e sono di nuovo consapevole di quanto la ami… non lo sopporterei padre”.

La principessa posò una mano su quella di Andrè, sforzandosi di sorridergli ancora, nonostante tutto. Il loro palazzo non sarebbe più stato lo stesso senza la presenza discreta ma allegra del loro figlio, però avrebbe avuto per sé la consapevolezza di saperlo felice e questo poteva bastarle.

“E se adottassimo te? Non András Hrovat ma Andrè Grandier. Se tu avessi un titolo nobiliare potresti amare la tua Oscar alla luce del sole”.

Andrè strinse i denti voltandosi a guardare il paesaggio fuori dalla finestra. Odiava quell’imposizione, il dover aver un titolo qualsiasi per poter stare insieme alla donna che amava più di sé stesso. Non voleva piegarsi a quel gioco classista.

“No madre, vi ringrazio. Preferisco restare quello che sono, se lei mi ama davvero dovrà accontentarsi di un ex stalliere”.

Zalán si spostò, piazzandosi davanti alla finestra sì da incrociare lo sguardo di Andrè. Aveva imparato a decifrare ciò che si agitava dentro quegli occhi verdi e ora vi leggeva determinazione e l’orgoglio di essere soltanto sé stesso.

“Andrè pensaci su, non devi rispondere ora. Io sono sicuro che madamigella Oscar ti ami, a prescindere dal titolo che accompagna il tuo nome e vogliamo solo darvi la possibilità di vivere la vostra vita insieme, non pretenderemo che assolva a nessun dovere come erede e soprattutto, questa volta faremo in modo che Tibor non sappia nulla. Quello che è successo è molto increscioso e ne sentiamo la colpa come se avessimo agito noi stessi”.

Andrè lo guardo incredulo e scosse la testa con decisione, come a scacciare quelle parole.

“Non dovreste nemmeno pensarlo, padre. Che colpa potreste avere voi della malizia di Tibor? E poi se non sbaglio sono stato io stesso a offrirmi di essere adottato, ho le mie responsabilità”.

Ariadné gli strinse la mano, stupendosi ancora una volta di quanto fosse grande il cuore di quel ragazzo. Stava prendendo su di sé una parte della responsabilità pur di alleggerire il fardello a lei e Zalán.

“Adesso basta Andrè, non pensare a questo. Voglio che rifletta con calma su cosa fare quando ti sarai rimesso. Forse dovresti parlarne con Oscar, lei potrebbe aiutarti a prendere la decisione giusta”.

“No madre, assolutamente!”. Notando lo sguardo perplesso della principessa decise di spiegarsi meglio. “Io devo sapere se mi ama davvero oppure è innamorata di András, è indispensabile”.

“Siete la stessa persona”.

“András è facile da amare, è un principe. Amare me significa rischiare, accettare di vivere questo sentimento all’ombra, dove nessuno, tranne noi due, potrebbe vederlo, oppure accettare il biasimo del mondo per aver osato intrattenere una relazione con un servo”.

Zalán tornò vicino a sua moglie posandole le mani sulle spalle. Era fiero di sentire Andrè pronunciare quelle parole, con le quali dimostrava di essere un uomo.

“Comprendo quali siano i tuoi timori figliolo. Proprio per questo ti rinnovo l’offerta, potresti essere un principe pur essendo Andrè Grandier… in Ungheria almeno”.

“Il titolo potrebbe non essere riconosciuto qui in Francia”, disse Ariadné notando lo sguardo smarrito di Andrè. “La regina Maria Antonietta sta tentando di convincere il Re suo marito ad approvarlo ma non è detto che riesca”.

Andrè abbassò lo sguardo, fissandosi le mani. “Vi prometto che penserò alla vostra proposta”.

 

Oscar si trovava nel salotto al piano inferiore del palazzo, rilassandosi davanti al camino acceso. Stese le gambe nel tentativo di riprendersi dalla nottata trascorsa sulla poltrona, era stata una pessima idea rannicchiarsi lì. Non avrebbe voluto lasciare Andrè ma i principi avevano tutto il diritto di vederlo e parlare con lui senza che lei fosse presente, dopotutto pensavano di incontrare il loro adorato figlio.

Da quando aveva chiuso la porta della stanza avvertiva un’assenza bruciante e allo stesso tempo un’assurda gioia. Andrè era a casa finalmente, ricordava chi fosse e lei avrebbe potuto confessargli i suoi sentimenti. Arrossì come una ragazzina al solo pensiero ma la sua ritrosia non avrebbe dovuto costituire un impedimento, se lo ripromise.

Quello che restava da capire era per quale motivo avesse deciso di fingersi ancora András; di certo non era una faccenda di eredità, Andrè non era mai stato avido e aveva visto come l’amnesia non lo avesse cambiato. Era solo più sfrontato, naturalmente, visto che non aveva più l’obbligo di essere un silenzioso e discreto attendente che poteva amarla solo in silenzio. Si incantò a guardare il fuoco per qualche momento: che fosse proprio quello il motivo? Andrè si fingeva András per lei, per poterle stare accanto senza che nessuno frapponesse muri invisibili fra loro?

Si passò la mano sulla fronte giocherellando nervosamente con i propri capelli e si chinò a rintuzzare il fuoco. Quando si attardavano insieme era sempre Andrè che se ne occupava e sorrise al ricordo. Quanto era stata felice con lui? Lui la faceva sentire a proprio agio, la faceva ridere, poteva parlargli di tutto, confidargli ogni problema e riceverne quel poco affetto che avesse mai avuto nella vita… non erano forse stati sempre una coppia? Magari un poco insolita e priva di ogni aspetto fisico ma la sua stessa esistenza era sempre stato Andrè.

Rimettendosi seduta si strinse le braccia addosso immaginando che fossero altre braccia che la cingevano, e si distese lasciandosi cullare dal calore delle fiamme. Quando sentì bussare, per poco non cadde dalla poltrona, stava diventando un vizio recarsi a casa sua quando si stava rilassando in quella stanza?!

Una cameriera accompagnò Girodelle da Oscar e quest’ultima gli rivolse un’occhiata a dir poco stupita. Si erano lasciati a notte fonda, dopo aver portato Andrè a palazzo Jarjayes e non credeva di rivederlo tanto presto, tanto più che lo immaginava a Versailles a fare le sue veci.

“Girodelle! Cosa fate qui?”

“Non mi fate accomodare?”.

Vedendo il sorrisino che sfoggiava, Oscar si trattenne appena dallo sbuffare e indicò l’altra poltrona, facendogli cenno di sedersi. Trovava irritante la sicurezza ostentata dal conte in ogni occasione.

“Prego”.

Girodelle si accomodò tentando di ignorare il gelo che gli stava riservando il comandante.

“Come sta Andrè?”.

András non sta ancora bene. Ci vorrà del tempo perché si riprenda da quelle ferite, d’altronde sarebbe stato meglio se le avesse evitate, non trovate?”.

Non gli sfuggì la sottile accusa contenuta in quelle parole e d’altra parte se l’aspettava, conoscendo Oscar; era una persona leale e mal sopportava chi ignorava questo principio.

“Madamigella Oscar, so bene che ciò che ho fatto non può essere perdonato ma spero che almeno lo comprendiate”.

Comprenderlo? Sono io che spero sappiate quanto sia ridicolo ciò che chiedete! Se ho stracciato le prove false è solo perché non voglio che la carriera di un valido ufficiale sia compromessa da una pessima reputazione, non certo perché voglia assicurarvi il mio perdono incondizionato”.

“Non so cosa dire, madamigella, io…”.

“Allora tacete, a volte è consigliabile”.

Girodelle scattò in piedi, fissando Oscar dritto negli occhi. Teneva i pugni chiusi e le labbra erano serrate in una striscia sottile.

“Dovete almeno stare a sentire il motivo che mi ha spinto a farlo!”.

“Non vi devo niente Girodelle! Avete partecipato al rapimento di un ospite della Regina, vi spetterebbe la corte marziale!”.

Quelle parole furono come una doccia fredda per il conte che lasciò cadere le braccia e abbassò lo sguardo.

“Spero che prima o poi riuscirete a perdonarmi. La sola cosa che mi ha spinto a collaborare a un’azione tanto empia, è stato l’amore che vi porto. La gelosia mi ha accecato e ho creduto di aver trovato il modo di liberarmi di un rivale”.

Oscar scosse la testa incredula: non poteva essere arrivato a tanto, era la motivazione più stupida che avesse mai sentito.

“Dicendomi questo state solo aggravando la vostra posizione. L’amore che dite di provare non è una giustificazione per nulla, tanto meno per aver messo in così grave pericolo una persona che sapevate già essere molto importante per me”.

Girodelle teneva lo sguardo basso, incapace di sostenere quello di Oscar, duro e tagliente come sapeva essere lei. Aveva creduto che aiutarla a riprendere Andrè avrebbe mitigato la rabbia nei suoi confronti ma evidentemente non bastava.

“Non burlatevi dei miei sentimenti, madamigella Oscar, sono sinceri. Quale altra forza al mondo mi avrebbe spinto a rischiare tanto?”.

Oscar si alzò a sua volta, tenendo le braccia incrociate al petto. Se era turbata dalla confessione di Girodelle non lo dava a vedere, sembrava solo arrabbiata.

“Non mi prendo gioco di voi, sapete che è un atteggiamento che mi è estraneo. Tuttavia, quello che è successo non può essere cancellato solo perché mi avete spiegato cosa vi ha spinto ad agire, spero lo comprendiate”.

“Certo, madamigella Oscar. La mia sola speranza è che possiate perdonarmi, prima o poi”.

Così dicendo, il conte di Girodelle si inchinò rispettosamente in segno di saluto.

“Conosco la strada”, disse, e uscì dalla stanza lasciando un’ancora incredula Oscar a rimuginare su ciò che aveva appena saputo.

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E che cavolo, ci voleva un bel cazziatone a quello scemo di Girodelle u.ù

Oltre questo, capitolo di chiarimenti direi, sicuramente noioso rispetto ad altri ma necessario

Come sempre, grazie per le letture e le recensioni, troppo buone!

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


I giorni seguenti per Oscar non furono affatto semplici, impegnata a destreggiarsi tra un Andrè insolitamente capriccioso che la voleva sempre con sé, e le fughe rocambolesche a cui si costringeva ogni volta che intravedeva in lontananza la cara Nanny. Non intendeva tenerla all’oscuro della vera identità di Andrè ma per il momento la cosa migliore era che gli unici ad esserne a conoscenza fossero lei stessa e i Beleznay.

Lui dal canto suo, continuava a comportarsi come se non avesse memoria e Oscar cominciava a perdere la pazienza; senza contare che la costringeva a stare con lui più tempo possibile, sapendo che lei non poteva rifiutare: sarebbe stato molto scortese nei confronti del principe András Beleznay.

Lo guardò di sottecchi, non vista, e pensò che era cambiato davvero poco da quando era sparito; anzi, con i capelli di nuovo lunghi era proprio il solito Andrè che conosceva da sempre, la sua ombra. Improvvisamente si voltò a guardarla e le sorrise facendole cenno di sedersi sul letto accanto a lui e Oscar non riuscì a dirgli di no.

“Ti vedo pensierosa Oscar. Cosa c’è che non va?”.

“Non mi va giù che non ci siano prove del coinvolgimento di Tibor. La passerà liscia in questo modo e non posso certo accusare Girodelle, ha sbagliato ma non merita la corte marziale”.

Andrè annuì avvicinando la mano alla sua, anche se stringerla gli era impossibile: il medico aveva rifatto la fasciatura steccando così strettamente i polsi, che poteva muovere appena le dita.

“Non posso ancora credere che si sia prestato a un atto del genere, non è da lui”.

Un lampo di malizia attraversò gli occhi di Oscar che guardava le loro mani mentre picchiettava con le dita su quella di Andrè.

“Mi ha detto di averlo fatto perché mi ama. Intendeva liberarsi di un rivale”.

Dovette farsi violenza per non ridere quando vide la sua espressione, a metà tra il sorpreso e l’infuriato. Andrè boccheggiava, come se non sapesse cosa dire, mentre il suo colorito si faceva sempre più acceso.

“Ti ama?”.

Lo guardò stupita, chiedendosi se avesse sentito tutta la frase. Credeva che sarebbe esploso contro Girodelle che lo aveva messo in pericolo, invece pareva avesse recepito solo la parte che riguardava lei. Per la prima volta nella sua vita, Oscar avvertì piacevolmente cosa significasse essere il centro dei pensieri di un’altra persona; doveva essere quello l’orgoglio femminile che aveva sempre represso.

“Si, mi ama. In effetti, pensandoci bene avrei dovuto capirlo, è sempre stato un gentiluomo, così galante e…”.

“Oscar!”.

“Dimmi András”. Oscar si era avvicinata al viso imbronciato di Andrè, incatenando lo sguardo al suo.

“Mi state provocando senza ritegno, madamigella Oscar”.

Oscar rise chinando leggermente il capo e Andrè pensò che non era mai stata tanto bella come in quel momento. O forse si, c’era stato un tempo in cui lo era stata prima di allora; quando, ancora bambino, aveva incontrato una piccola peste dai riccioli d’oro che era diventata la sua compagna di giochi e sapeva ancora ridere spensierata. Il tempo aveva rinchiuso quella bambina allegra dentro i lustrini e le medaglie di un’uniforme, lasciando in superficie solo l’algida donna soldato, il divertissement[1] della corte di Versailles.

Abbassò il capo fino a poggiare la fronte contro quella di lei e chiuse gli occhi. La decisione da prendere diventava sempre più difficile; voleva davvero che lo amasse per quello che era, eppure accettare l’offerta dei Beleznay avrebbe significato riportare in vita la sua bambina perché insegnasse alla sua donna a non lasciar andare l’allegria. Oscar avrebbe potuto amarlo ma non sarebbe mai stata spensierata se avesse dovuto nascondere il loro amore dal resto del mondo.

“András?”

La voce che amava di più lo riportò con i piedi per terra e alzò la testa per guardare Oscar. Gli stava sorridendo e per una volta Andrè non seppe prevedere quello che avrebbe fatto quando gli cinse il collo con le braccia e lo baciò, dolcemente, sfiorandogli le labbra.

Era talmente stupito che rimase immobile per qualche momento prima di cingerle la schiena e stringerla contro di sé, facendo aderire i loro corpi che combaciavano perfettamente, quasi fossero le tessere di un mosaico. Per anni aveva desiderato poter baciare Oscar e adesso era lei che prendeva l’iniziativa, timidamente ma senza esitazioni di sorta, e quel contatto era ciò che di più dolce avesse assaporato nella vita. Lei amava l’uomo che aveva davanti, ne era certo; ma chi era quest’uomo?

Oscar si staccò da lui e lo guardò, accarezzandogli il viso; i lividi stavano scomparendo ormai e i suoi lineamenti perfetti erano ben distinguibili. Senza rendersene conto si ritrovò a sorridergli, e decise che quello era il momento adatto per confessargli i suoi sentimenti.

“Voglio parlare di cosa c’è tra noi”.

Andrè le baciò il naso, trattenendo una risata. Come al solito, Oscar François de Jarjayes decideva cosa fare e non ammetteva rifiuti. Ma in fondo aveva ragione lei; continuare a rubarsi baci appassionati quando erano soli, senza parlare di cosa significassero, non li avrebbe portati a nulla. La strinse di nuovo, e lei nascose il viso nell’incavo del suo collo.

“Io ti amo Oscar. Ti amo come non ho mai amato prima, sei il centro costante dei miei pensieri, un nettare dolceamaro che permea ogni fibra del mio essere. Solo per poterti rivedere mi sono aggrappato alla vita durante la prigionia”.

Oscar sbatté le palpebre per impedirsi di versare le lacrime che le avevano inumidito gli occhi al sentire la confessione di Andrè; aveva intuito da tempo quali fossero i suoi sentimenti ma sentirlo pronunciare dalle sue labbra era diverso, così vero e intenso da far male.

“Io…”, le mancavano le parole ma si costrinse a parlare. “Quando ti hanno portato via da me ho capito, ho capito tutto quello che avevo cercato di nascondere, a me stessa per prima. Tu non c’eri più e mi sono sentita morire, soffocata dal rimorso di non aver capito prima che…”.

Andrè sorrise intenerito, appoggiando la guancia sulla testa di Oscar. Avrebbe voluto poterla accarezzare per tranquillizzarla e renderle le cose più facili: conoscendola, doveva essere molto difficile per lei confessargli ciò che provava.

“Cosa non avevi capito?”.

“Che ti amo”.

Chiuse gli occhi stringendola più forte a sé, incredulo nel sentire finalmente le parole che desiderava udire da una vita intera. Un’ultima cosa doveva sapere, se fosse proprio Andrè Grandier l’uomo che Oscar amava; e per la seconda volta in pochi minuti, lei lo lasciò senza parole.

Che cosa c’è in un nome? Quel che noi chiamiamo col nome di rosa, anche se lo chiamassimo d’un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo[2]”.

Aveva sussurrato quelle parole contro il suo collo, soffiandole sulla pelle mentre si sollevava; Andrè rabbrividì guardandola.

“Oscar, cosa intendi dire?”.

“Credi mi importi se puoi fregiarti o meno del titolo di principe? Non sei forse sempre il mio Andrè, l’unico e il solo che mi abbia mai davvero amato? Tu non hai perso di vista la vera Oscar nemmeno quando io stessa l’ho smarrita, reprimendola dietro l’uniforme che mio padre ha scelto per me. Oscar François de Jarjayes non è nulla senza Andrè Grandier al suo fianco”.

Andrè la guardò commosso e l’abbracciò posando il capo sul suo petto. Sentiva tanta felicità nel cuore che temeva sarebbe esploso da un momento all’altro, perché era troppa… troppa da sopportare da solo, però lui non era solo. C’era la sua Oscar con lui, la donna che amava e teneramente gli stava accarezzando i capelli, stringendolo come se temesse di vederlo svanire.

“Tu davvero ami me? Non avresti preferito forse che ci fosse davvero András qui al mio posto?”.

“Se András non fosse stato Andrè, non gli avrei concesso nemmeno la mia amicizia. È troppo impertinente”.

Andrè rise di cuore. “E’ soltanto libero di amarti”.

“Anche tu lo sei”.

“No, io non lo sono Oscar. Sono un servo e come tale non posso far altro che vivere alla tua ombra, essere la tua ombra. Amarti non mi è concesso”.

Oscar aggrottò le sopracciglia nell’udire quelle parole. Purtroppo ciò che diceva Andrè corrispondeva al vero, avrebbero impedito loro di vivere questo amore, suo padre per primo. Al momento, però, non voleva pensarci; era un atteggiamento immaturo, ne era consapevole ma per il momento lui era András Beleznay e nessuno avrebbe trovato niente da ridire in una loro eventuale relazione.

“Io ti amo Andrè, e tu ami me. Non pensiamo ad altro adesso, ti prego”.

Andrè sollevò il capo guardandola furbescamente e le posò un bacio sul collo.

“Posso essere l’impertinente András ancora per un po’?”.

“Mi chiedevo quando sarebbe tornato”.

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Una dose extra di miele per questo capitolo, breve ma intenso secondo me (le uova di Pasqua portano diabete evidentemente XD)

E ritornano i famigerati appuntini :D

[1] Divertissement è qui inteso nell’accezione teorizzata da Blaise Pascal, come divertimento negativo teso a rifuggire la condizione di infelicità dell’essere umano; Andrè intende come i nobili di Versailles, impegnati a divertirsi alle spalle del “fenomeno Oscar” non vedessero quanto fosse triste la loro stessa condizione.

[2] Naturalmente, questa è una citazione da Shakespeare, dalla celeberrima “Scena del balcone” del Romeo e Giulietta

E con questo capitolo dolce, dolce, troppo dolce, vi auguro una Buona Pasqua; sicuramente non potrò aggiornare nei prossimi giorni, dal momento che mi trascineranno via da casa, ci risentiamo dopo Pasquetta.

Gli aggiornamenti probabilmente subiranno comunque una rarefazione perché comincio un nuovo lavoro, quindi molto dipenderà dal tempo libero a mia disposizione.

Di nuovo tanti auguri, grazie, come sempre, per le letture e le recensioni e a presto <3

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Oscar rimase con Andrè ancora per un po’, lasciandosi cullare da quella beatitudine che, sapeva, avrebbe perso fin troppo presto. Non sarebbe mai stato accettato come il suo uomo; poteva essere il suo attendente senza che nessuno lo trovasse strano ma se avesse deciso di rendere pubblica la loro relazione… raggelò pensando che probabilmente suo padre avrebbe trovato il modo di farlo condannare a morte piuttosto che accettare quel disonore.

Era a conoscenza della proposta che i Beleznay avevano fatto ad Andrè e anche se comprendeva benissimo l’orgoglio che lo spingeva a rifiutare, sperava quasi che cambiasse idea: se lui fosse stato nobile avrebbero potuto stare insieme tranquillamente, senza preoccuparsi della corte di Versailles e delle reazioni inconsulte di suo padre. Un sospiro le sfuggì dalle labbra prima che potesse impedirlo e Andrè la guardò preoccupato.

“Oscar, va tutto bene?”.

“Si. Stavo solo pensando che ci aspettano delle decisioni davvero difficili da prendere”, disse rannicchiandosi fra le sue braccia.

“Sono io che devo decidere. Ti prometto, però, che farò la scelta giusta per entrambi”.

“Andrè devi decidere quello che ti fa stare meglio, non quello che fa stare bene me. Se tu preferissi tornare a lavorare qui, rinunciando per sempre a ogni pretesa di nobiltà, io lo accetterei”.

Andrè scosse il capo, poggiando la guancia su quello di Oscar. Le accarezzava lentamente i capelli con le punte delle dita, beandosi del calore dei loro corpi vicini.

“Oscar non posso decidere senza tenere conto di te. Forse potevo farlo quando ignoravo i tuoi sentimenti ma adesso che so cosa provi per me sarebbe impossibile. Dobbiamo scegliere insieme il nostro futuro, non intendo separarmi da te per nessuna ragione e se voglio impedire che succeda, devo prendere le decisioni giuste”.

Oscar nascose un sorriso contro il torace di Andrè, indecisa se ringraziare o maledire le fasciature che gli coprivano la pelle vietandole il contatto con la sua.

“Sempre premuroso il mio Andrè”.

Lui sorrise e arrossì lievemente, scoprendosi improvvisamente timido quando la sentiva pronunciare simili parole rivolte a lui. Se ripensava alla misera condizione di innamorato senza speranza e disilluso, vissuta solo qualche tempo prima! E invece, davanti agli occhi e fra le braccia aveva una nuova Oscar, che nemmeno nei suoi sogni più folli avrebbe mai osato inventare. Innamorata, dolce e condiscendente, e così donna come non lo sarebbe stata indossando tutte le trine e i merletti di Versailles.

Oscar sapeva cavalcare, sparare e tirare di scherma; e Andrè trovava tutto questo estremamente femminile e conturbante. Adorava sentirla ridere e ancor più vederla sorridere; amava baciare quelle labbra che troppe volte aveva visto contratte nella rigida compostezza del soldato. E non voleva più privarsi di niente di tutto ciò.

“Oscar, credo che parlerò ai principi”.

“Andrè, pensaci bene. Da una decisione del genere non si torna indietro”.

“Non voglio più separarmi da te, lo capisci? Tuo padre non accetterebbe mai di vederci insieme, piuttosto ti darebbe in sposa, e se lo facesse io non potrei più essere nemmeno il tuo attendente”.

Oscar si tirò su, guardando il bel viso di Andrè nel quale poteva leggere amore e risolutezza ma anche paura. Temeva che le sue azioni potessero ferire entrambi, ferire lei. Mai avrebbe pensato di poter affidare il suo cuore a un’altra persona, eppure se questi era Andrè, allora diventava la cosa più naturale al mondo, non doveva temere nulla.

“D’accordo Andrè. Se ti fa stare più tranquillo, accetterò di buon grado di essere la fidanzata del principe Andrè Beleznay!”.

Andrè sembrò realizzare solo grazie alle parole di Oscar cosa avrebbe significato tornare a essere un principe ungherese. Regole su regole, etichetta da rispettare in ogni circostanza e fidanzamento obbligatorio per mantenere il buon nome dei rispettivi casati. Ma lei avrebbe accettato di essere trattata alla stregua delle altre donne?

“Oscar… io non ti costringerò mai ad andare contro il tuo modo di essere, lo sai vero?”.

Lei sorrise prendendo il viso di Andrè fra le mani e gli posò un delicato bacio sulle labbra. “Lo so. E tu sai che in pubblico non sarò mai tanto espansiva, giusto?”.

“E cosa vuoi che mi importi del pubblico? Preferisco di gran lunga che tu lo sia nel privato della nostra camera da letto”.

“La nostra camera da letto?”.

“La nostra, la mia, la tua… quella che preferisci”.

Così dicendo si era chinato a baciarle il collo per poi risalire fino al lobo dell’orecchio che catturò fra le labbra. Oscar rabbrividì lasciandosi sfuggire un gemito mentre gettava il capo all’indietro e chiudeva gli occhi, persa nelle sensazioni che stava provando. Il suo respiro si fece corto quando sentì le mani di Andrè posarsi sulla sua pelle, appena sotto le fasce che sfiorava con i pollici.

“Voglio che le tolga”, soffiò sulle sue labbra di cui si impadronì con prepotenza costringendola a schiuderle e impegnandola in una forma di duello del tutto nuova.

“Andrè…”, sospirò Oscar quando la lasciò andare. “Di cosa parli?”.

“Delle fasce. Voglio che tu sia te stessa e dovresti accettare di essere nient’altro che una donna, una bellissima donna; non mortificare la tua femminilità a quel modo”.

Le sfilò la camicia dai pantaloni lasciandola scivolare lentamente sulle sue spalle candide fino a toglierla completamente e lei lo lasciò fare, arrendevole come mai in vita sua. Andrè le posò un delicato bacio sulla clavicola e tracciò con le labbra la lunghezza del suo braccio fino alla mano, accarezzando ciò che prima aveva baciato. Oscar teneva gli occhi socchiusi, lucidi del piacere che stava provando e le guance arrossate le davano un’aria che Andrè trovò assolutamente adorabile. Gli circondò il viso con le mani, avvicinandolo al proprio e gli allacciò le braccia al collo.

“Non le indosserò più”.

Sorrise e questa volta fu lei a prendere l’iniziativa, baciandolo con una passione che lei stessa stentava a credere fosse solo sopita dentro sè. Intrecciò le dita nei suoi capelli scuri, così morbidi come non avrebbe creduto, e si strinse maggiormente contro il suo corpo; sentire senza nessun ostacolo la pelle contro la sua le provocò un tremito che la fece gemere sulla bocca di Andrè. Lui sorrise a sua volta stendendosi all’indietro sui cuscini e la trascinò su di sé percorrendole la schiena nuda con i polpastrelli e Oscar lo sorprese disegnando la sua mandibola con piccoli baci mentre gli accarezzava le spalle. Scese lungo il collo tracciando un percorso immaginario sulla sua pelle fino al petto dove indugiò, avvertendo distintamente contro la gamba l’effetto che gli stava provocando. Andrè si sollevò liberandosi in fretta della camicia già sbottonata e tornò a stringere Oscar, baciandola mentre armeggiava con le fasce cercando di toglierle. Dopo qualche inutile tentativo sbuffò guardandola.

“Se non le togli tu, le strappo a morsi”.

Oscar non potè impedirsi di ridere, divertita dall’espressione frustrata di Andrè e cominciò a svolgerle lentamente, sotto il suo sguardo impaziente. Quando le lasciò cadere sul pavimento, la fece stendere sotto di sé, baciandola a lungo e con passione mentre le accarezzava il seno che si rivelò essere fatto apposta per stare nella sua mano.

“Vedi? Siamo fatti l’uno per l’altra”.

Oscar gli cinse il collo con le braccia, per niente intimidita da gesti tanto intimi che pure muoveva per la prima volta. Gli accarezzò la schiena, sentendo i muscoli guizzare sotto le dita, e solo quando raggiunse l’orlo dei pantaloni si fermò guardando negli occhi Andrè. Ma quei pozzi abissali erano davvero gli occhi di Andrè? Erano sue quelle dita che la frugavano accarezzandola?

“Andrè…”.

“Non farò niente che tu non voglia, Oscar. Devi solo dirmelo e mi fermerò”.

Scosse la testa percorrendo con le dita i lineamenti del suo uomo. “Voglio che stia con me, Andrè. Come fossi mio marito”.

Andrè le sorrise baciandole le gote imporporate per quella richiesta, tanto audace considerato da chi proveniva. Le impose il ritmo lento di un bacio mentre, e il come Oscar se lo chiese a lungo in seguito, le tolse i pantaloni e si spogliò a sua volta. Approfondì il bacio, spostandosi sul collo, le spalle e infine sul seno, dove si trattenne a lungo, facendola gemere di desiderio insoddisfatto; quando la sentì allacciare le caviglie attorno alle sue gambe, non riuscì a trattenersi oltre e si spinse in lei con un unico fluido movimento.

Si fermò, dandole modo di abituarsi ad averlo dentro di sé e un altro bacio spense il grido che le era salito alla gola. Solo quando la sentì di nuovo rilassarsi sotto di lui ricominciò a muoversi, soddisfatto degli ansiti di puro piacere che sentiva e pronunciava.

Oscar lo strinse più forte, stringendogli i capelli fra le dita per avvicinarlo al suo viso e baciarlo ancora, gemendo nella sua bocca, tenendolo vicino come se temesse di lasciarlo andare; fin quando perse completamente il raziocinio, consapevole soltanto del movimento sincrono dei loro corpi che la condusse infine al massimo del piacere, costringendola a mordersi le labbra per non urlare.

Andrè si rese vagamente conto di essere giunto anch’egli al culmine e fece per ritrarsi da lei ma Oscar lo trattenne, circondandogli i fianchi con le gambe.

“Resta…”

“Oscar no… è rischioso…”.

“Resta”, gli intimò di nuovo, attirandolo ancora dentro il suo corpo nel quale lui raggiunse l’estasi con un grido soffocato contro il suo collo. Lo abbracciò, tenendolo col capo sul suo petto e restarono così per un tempo che nessuno dei due seppe definire, i respiri affannati che tentavano di tornare alla normalità. Infine Andrè si spostò da lei, stendendosi supino e stringendola contro il suo petto.

“Cosa mi hai fatto fare Oscar…”.

Oscar sorrise abbracciando Andrè e appoggiò la guancia sul suo petto. “So bene cosa potrebbe succedere. Ma dovevo sentirti interamente mio. Tu sei mio Andrè”.

Lo sentì ridere sotto di sé e abbracciarla più stretta. “Anche tu sei mia. Mia e di nessun altro”.

Andrè la vide tirar su le coperte e rannicchiarglisi contro, tornando al sicuro nel suo abbraccio, una gamba distesa sul suo corpo, prontamente raggiunta dalla sua mano.

“Oscar, ascolta”.

“Uhm?”, fece lei, a un passo dal sonno.

“Ecco… forse sono stato irruento e… ti ho fatto molto male?”.

Oscar gli regalò uno dei suoi sorrisi più belli e si tese a baciarlo. “Solo un po’. Ma ne è valsa la pena”, mormorò contro il suo collo, mentre Morfeo la accoglieva fra le sue braccia.

Andrè sorrise sollevato e si rilassò, colto anch’egli dal sonno mentre accarezzava i riccioli biondi di Oscar.

 

Una carrozza con lo stemma del corvo e del leone[1] si fermò nel cortile di palazzo Jarjayes e la persona che ne scese chiese di poter convenire con il generale. Nanny la condusse allo studio, non senza perplessità, e la introdusse a lui.

“Generale, perdonatemi se vi disturbo ma c’è una persona che chiede di voi”.

“Di chi si tratta?”.

“La contessa Ophélie de Sombrefleuve”.

Il generale alzò la testa dai documenti che stava leggendo, chiaramente stupito dell’identità della sua ospite.

“Ophélie de Sombrefleuve? E cosa potrebbe mai volere da me quella donna?”.

Nanny scosse il capo, sistemandosi gli occhialetti tondi. “Non ha voluto mettermi al corrente generale, sostiene che si tratta di una faccenda privata che discuterà solo e soltanto con voi”.

François Augustin Reynier de Jarjayes intrecciò le mani sotto al mento, soppesando le parole della governante. Ophélie non era persona con cui stringere legami, a meno che non si intendessero perdere i favori della corte; eppure non si era mai nemmeno accostata a lui, se ora trovava il coraggio di farlo, probabilmente doveva comunicargli qualcosa di molto importante.

“Falla accomodare”.

Nanny si ritirò con un inchino e lasciò entrare Ophélie che si avvicinò con il suo passo sinuoso ed elegante alla scrivania del generale; questi gli fece cenno di accomodarsi sulla sedia posta di fronte a lui e non se lo fece ripetere.

“Contessa de Sombrefleuve, non posso negare che sia una sorpresa vedervi nella mia residenza”.

Ophélie chinò il capo, sorridendo condiscendente. “Avete perfettamente ragione generale, e credetemi, non vi avrei importunato se non fossi in possesso di informazioni che potrebbero essere di vitale importanza per voi”.

“Vitale importanza? Cosa potrà mai essere?”.

“Si tratta di vostro figlio, Oscar”.

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Lo so che mi avevate data per dispersa, lo so… ma se mettete le pratiche per un nuovo lavoro a cavallo delle feste di Pasqua, immaginate cosa ne possa uscire. In più, la linea è stata assente per una giornata intera o poco meno, cosa voglio di più dalla vita -.-“?

Lasciamo stare u.ù

Come al solito mi lamento, questo capitolo non mi piace e non credo mi piacerà nemmeno fra 100 riletture, le scene hot mi fanno perdere tempo e non mi riescono bene, non per niente di solito le evito u.ù

Appuntino *ghigna*

[1] Quando l’ho descritto precedentemente, ho dimenticato di specificare che questo è il vero stemma della famiglia Hunyadi, non sono abbastanza geniale per inventarmi l’araldica XD

Piccola informazione, non so quante di voi lo sanno e ho dimenticato sempre di scriverlo (ve lo dico adesso, magari se non lo sapevate mi perdonate il ritardo di questo e dei prossimi capitoli ^^”): la Toei Animation ha in cantiere una nuova serie animata per Versailles no Bara, questa volta più fedele al manga sia per storia che per character design. Devo dire che preferisco i personaggi che conosciamo da sempre ma chissà, aspettiamo e vediamo ;)

Grazie mille per il vostro costante sostegno, a presto <3

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


Ophélie guardava il generale Jarjayes con un’espressione che voleva essere contrita, sfiorandosi la fronte con la mano sottile.

“Credetemi generale, se avessi saputo prima avrei potuto fare qualcosa ma…”.

Si fermò di proposito, in attesa che il suo ascoltatore avesse una qualche reazione; non dovette attendere molto prima di vedere il viso del solitamente impassibile generale, assumere una soddisfacente tonalità pallida.

“Vi prego di spiegarvi meglio, contessa”.

“Certamente, ecco… si tratta del principe ungherese, András Beleznay. Vi sarete accorto che frequenta assiduamente vostra figlia”.

Mio figlio è un soldato. Non gli servono degli spasimanti”.

Ophélie nascose un sorriso di trionfo dietro la mano, sollevata a coprire il viso fintamente contratto dal dispiacere.

“Generale ascoltatemi. Vostra figlia Oscar e il principe Beleznay passano molto tempo insieme e questo sarebbe il male minore se lui fosse nobile”.

Il generale assottigliò gli occhi fissando la donna davanti a sé. Lo credeva tanto stupido da non aver riconosciuto l’uomo che era suo ospite da praticamente tutta la vita, oltre che le ultime settimane? Desiderava però, capire dove volesse andare a parare la contessa de Sombrefleuve, perciò decise di far finta di nulla.

“Non vi capisco contessa. Come può un principe ungherese non essere nobile?”.

“Semplicemente, quell’uomo non è ungherese. È francese e non si tratta di altri che dell’attendente di vostra figlia. I Beleznay lo hanno adottato per le loro sporche macchinazioni, nell’intento di togliere al duca Hunyadi l’eredità che gli spetta per discendenza”.

Lui intrecciò le dita sotto il mento, scrutando il viso della sua informatrice. Sembrava sicura di ciò che diceva ma come poteva esserlo così tanto?

“Ditemi, come siete venuta in possesso di tali informazioni?”.

“Ho le mie fonti, generale. I domestici si conoscono meglio dei loro stessi padroni e si parlano… e soprattutto ascoltano quando sono fra le pareti dei nostri palazzi”.

Il generale Jarjayes si alzò dalla sedia, dando le spalle a Ophélie nel fermarsi davanti alla finestra.

“Cosa credete dovrei fare contessa? Ufficialmente quell’uomo è il figlio dei principi Beleznay, ospiti molto cari alla nostra Regina”.

Così dicendo si era voltato di nuovo verso di lei, puntandole i penetranti occhi azzurri in viso.

“Ecco… non saprei come potremmo, però… dovremmo smascherarlo, costituisce un pericolo per vostra figlia e per il duca Hunyadi”.

“Per questo motivo lo aveva fatto sparire?”.

“Intendeva portarlo in Austria perché fosse processato per aver ingannato i Beleznay. Anche se sa bene che non c’è nessun inganno, il suo cuore gli impedisce di accusare i propri zii”.

Il generale restò immobile guardando Ophélie con un sopracciglio inarcato.

“Farò in modo di darvi il mio aiuto contessa, a patto che stiate lontana da mia figlia. Voi e il vostro amico, il duca Hunyadi”

Ophélie scosse la testa, i riccioli rossi ad accompagnare quel movimento.

“Non faremmo mai del male a madamigella Oscar, generale, però voi dovrete assicurarmi che lei non costituirà impedimento. Mi dispiace che si sia lasciata ingannare, ma è invaghita di quell’uomo e ci fermerebbe se tentassimo di portarlo via”.

François de Jarjayes tornò a sedersi alla scrivania, massaggiandosi il mento mentre rifletteva sulle parole della contessa. Doveva essere veramente sciocca o ingenua se pensava di averlo convinto con quella storia; soprattutto, se il duca Hunyadi aveva veramente intenzione di consegnare Andrè alle autorità perché non denunciarlo ai sovrani francesi che avrebbero senza dubbio assicurato il loro aiuto? Portare via il principe András Beleznay senza avere le prove di ciò che asseriva, equivaleva a un rapimento.

Conosceva bene Andrè, era cresciuto sotto il suo tetto e lui stesso lo aveva scelto perché stesse accanto a Oscar e la proteggesse, sapendo quanto il suo animo fosse nobile; posto davanti all’idea, era certo che non avrebbe rifiutato la mano di sua figlia al principe ungherese, pur sapendo di chi si trattasse in realtà.

Il duca Hunyadi e la contessa de Sombrefleuve insieme costituivano una coppia strana ma inquietante e doveva scoprire come intendessero agire. Avrebbe impedito che ferissero sua figlia, in qualsiasi modo.

“Ditemi, cosa vorreste che facessi per aiutarvi a catturare questo farabutto?”.

“Permettetemi di parlare con lui. Tenterò di convincerlo ad allontanarsi di sua volontà, senza coinvolgere madamigella Oscar”.

“Avete il mio permesso, ma non oggi. Il principe è ancora convalescente, manderò un messo ai vostri appartamenti a Versailles, quando potrete incontrarlo”.

Ophélie si alzò, la soddisfazione chiaramente leggibile sul suo bel volto. Era certa di aver trovato la strada giusta, molto presto Tibor avrebbe avuto ciò che voleva; e se lui fosse stato felice, sarebbe stato un gran vantaggio anche per lei.

“Vi ringrazio, generale. Attenderò vostre notizie”.

Salutò chinando il capo e uscì dallo studio del generale, senza attendere che lui la accompagnasse. Risalì sulla carrozza del duca Hunyadi, ordinando di essere condotta immediatamente a Versailles; Tibor doveva sapere che al più presto si sarebbe liberato dell’odiato cugino András.

 

Andrè socchiuse gli occhi, inizialmente convinto di aver sognato Oscar ancora una volta; una sinuosa realtà con lunghi riccioli biondi si fece strada nella sua mente, stringendosi maggiormente contro di lui e non potè non sorridere, affondando il viso in quella soffice nuvola fino a posare le labbra sulla pelle di Oscar. Nel sonno si erano voltati e adesso giacevano entrambi su un fianco, la schiena di lei appoggiata perfettamente al torace di Andrè che le cingeva la vita. La mano posata sull’addome della sua donna ne avvertiva il ritmico alzarsi e abbassarsi seguendo il respiro; non resistette alla tentazione di quella pelle diafana e prese ad accarezzarla, posandole delicati baci sul collo.

Oscar si mosse, posando una mano sul viso di Andrè che si fermò, folgorato dalla tenerezza che quella semplice carezza portava in sé, e chiuse gli occhi, mettendo la mano su quella di lei.

“Andrè…”, sussurrò; il suo nome pronunciato da lei era il suono più dolce che avesse mai sentito.

“Scusami Oscar. Non volevo svegliarti”.

Oscar si voltò fra le sue braccia, nascondendo il viso contro il suo petto e vi posò un bacio; intrecciò le loro gambe, aggrappandosi al suo torace.

“E’ stato un piacevole risveglio”, gli sorrise, rivolgendo al suo viso gli occhi azzurri, luminosi come mai li aveva visti. “E’ molto tardi, vero?”.

Andrè annuì, abbracciandola. “Il tramonto dev’essere passato da un po’. Spero che la nonna non decida di portare le candele!”.

Oscar rise di gusto, il viso contro il suo collo. “Penso che le prenderebbe un colpo se sapesse”.

Lui le tirò su il viso, le dita sotto il suo mento, e la baciò, con tutto l’amore e la dolcezza di cui era capace, attirandola contro di sé fino a far aderire completamente i loro corpi. Lei gli prese il volto fra le mani, accarezzandolo con i pollici, per poi intrecciare le dita fra i suoi lunghi capelli d’ebano. Si erano raggiunti infine, dopo una vita trascorsa a seguirsi e cercarsi, a volte inconsapevoli della vicinanza dell’altro.

Oscar si spostò a baciare sulla fronte Andrè, indugiando con le labbra su quella pelle liscia. Ricordava ancora nitidamente la paura provata quando le avevano comunicato della sua sparizione, quando aveva sentito nuovamente quella sensazione di soffocamento che la sua mancanza le causava. Pensava che non sarebbe sopravvissuta se le avessero portato via Andrè, non adesso che si erano donati totalmente l’uno all’altra.

“Oscar, va tutto bene?”.

“Si. Lo sai che ti amo Andrè?”.

Andrè sorrise baciandole il mento e poi le labbra. Quanto sapeva essere insicura la sua Oscar! Dopo avergli confessato con tanta dolcezza i suoi sentimenti, averlo amato con tanta passione e dedizione, poteva dubitare che lui sapesse quanto profondo fosse il suo amore?

“Lo so, Oscar”, non disse altro, lasciando che fosse lei stessa a confessargli i suoi timori.

“Temo che ci separino ancora e non voglio più stare lontana da te”.

Lui si sollevò su un gomito, sfiorandole il viso con le punte delle dita; aveva esagerato, sfidando la propria capacità di guarigione e i polsi dolevano terribilmente ma si sarebbe fatto tagliare le mani per ottenere quello che aveva adesso, l’amore incondizionato di Oscar.

“Non ci separeranno mai”, disse infine. “Ti ho già detto che accetterò l’offerta dei principi, sarò ancora una volta loro figlio se questo mi permetterà di starti accanto per sempre”.

Oscar gli allacciò le braccia al collo, tirandolo giù con sé; il buio che stava lentamente riempiendo la stanza rendeva tutto indefinito, eppure era certa che Andrè potesse vedere il sorriso sincero che le increspava le labbra. Lui solo era motivo di quei sorrisi, a lui solo erano riservati con tanta intensità.

“Sono felice. Non lo sono mai stata tanto in vita mia ed è grazie a te che lo sono”.

Il sorriso di Andrè si fece più largo e l’abbracciò forte, stringendola fra le braccia in un gesto che voleva essere protettivo. Strinse i denti all’ennesima mossa azzardata date le sue ferite ma non ci fece caso, al settimo cielo per la gioia. Sentiva che avrebbe potuto sfidare il mondo e uscirne vincitore per l’amore che dava e riceveva da Oscar.

“Anch’io lo sono, non potrebbe essere altrimenti. Siamo insieme e il resto non è più importante di questo”.

Oscar lo baciò di nuovo, accarezzandogli la schiena muscolosa di cui sentiva la pelle calda scorrere sotto le dita, fino a raggiungere il fondoschiena, su cui allungò una pacca ridendo.

“Ehi!”.

“Cosa c’è?”, chiese con finta innocenza. “Ti da fastidio, forse?”.

Si chinò a baciargli il collo, stringendosi contro di lui. Pensava che non ne avrebbe mai avuto abbastanza di lui, del suo profumo così mascolino e di quella pelle che sentiva bollente e vibrante a contatto con la propria. Amava Andrè con tutta sé stessa e fare l’amore con lui le sembrava il modo più semplice e naturale di dimostrarglielo.

“Niente affatto”, rispose lui posandole una mano sulla schiena che accarezzava lentamente. Sentirla così intraprendente era molto piacevole oltre che gratificante e stuzzicante. “Ma ti stai approfittando di un pover’uomo convalescente”.

Oscar rise fermandosi e si voltò dall’altra parte. “Va bene, buonanotte allora”.

Andrè la fece voltare di botto, stendendosi su di lei e imprigionandole i polsi; anche se immaginava che stesse scherzando, voleva metterla alla prova.

“E ti arrendi così?”.

Lei lo guardava divertita, senza tentare di liberarsi per timore di far del male ad Andrè, e gli allacciò le gambe attorno alla vita.

“Se non mi lasci andare, potrei mettermi a urlare. Chissà che divertente la faccia di mio padre”.

“E’ meglio che cominci allora”.

 

Ophélie raggiunse Tibor nei suoi appartamenti, bramosa di metterlo a parte dei suoi progressi, cominciava a credere di essere dipendente dallo sguardo compiaciuto di lui, che fosse per un incontro amoroso o per le sue ‘doti’ di ingannatrice.

“Tibor?”, chiamò entrando nella stanza, immersa nella penombra.

Era stato acceso soltanto il camino, le candele erano ancora spente. La sagoma perfetta di Tibor si stagliava contro il vetro della finestra, e Ophélie lo raggiunse fermandosi a pochi passi da lui.

“Perchè al buio?”.

“In Ungheria, noi Hunyadi siamo abituati così”.

Tibor si voltò a guardarla e le tese le mani, attirandola contro di sé quando le strinse. La baciò possessivamente, posandole una mano sulla nuca, le dita intrecciate nei capelli ramati. Ophélie gli cinse il collo con le braccia, staccandosi da lui.

“Non vuoi chiedermi com’è andata?”.

Tibor si spostò a baciarle il collo, mordicchiandolo leggermente. “Dalla tua espressione direi che dev’essere andata bene”.

“Fra qualche giorno di tuo cugino resterà soltanto il funerale da celebrare”.

Lui soffocò una risata contro la sua pelle d’alabastro, sollevando il capo per guardarla in viso. Le sfiorò le gote e le labbra col dorso della mano.

“Sapevo che lasciarmi condurre dalla tua astuzia sarebbe stato molto meglio che fidarmi di quel traditore di Petre”.

Ophélie sorrise compiaciuta piegando il viso sulla mano di Tibor. “Tra qualche giorno il generale Jarjayes mi farà incontrare András. A quel punto ci penserò io”.

“Tu sei assolutamente perfetta per me”.

Lei tornò a stringerlo, baciandolo con passione. Ancora pochi giorni e avrebbe potuto seguire Tibor ovunque andasse; soltanto pochi giorni e avrebbe potuto andare incontro alla sua nuova vita.

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Rieccomi qui! Vi sono mancata :P? Non è possibile che alle prime quattro gocce di pioggia mi venga a mancare la linea T.T

Dunque… devo dire che questo capitolo mi piace più del precedente, soprattutto perché il generale ha capito tutto, altro che quello scemo di Girodelle u.ù

A proposito di questo, forse qualcuno si aspettava una sfuriata del generalone che sbotta contro Oscar dicendo che un servo è pur sempre un servo ma no. Io non la penso così, penso che sia un personaggio spesso frainteso a causa dei limiti mentali impostigli dalla sua educazione e inoltre credo che la stima che ha mostrato ad Andrè solo nelle ultime puntate dell’anime avesse radici profonde e origini lontane. Se così non fosse stato non lo avrebbe mai messo accanto alla sua amata figlia, io credo. Perciò, Oscar avrà un solido alleato nel suo caro padre.

Grazie mille come sempre, siete troppo buone con me, davvero!

Al prossimo capitolo (_ _)

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


Oscar era sgattaiolata nella sua stanza appena qualche momento prima dell’alba, vincendo le resistenze di Andrè che insisteva perché restasse con lui. Dopo avergli fatto notare che procurarle un infarto non sarebbe stato un buon modo per dire a Nanny la verità, per non parlare del colpo simultaneo che avrebbe subito il generale, riuscì a liberarsi della sua stretta e a tornare nella propria stanza da letto prima che la solerte governante cominciasse a girare per il palazzo alla ricerca di compiti da assolvere.

Quando ebbe chiuso la porta dietro di sé, sentì il desiderio impellente di tornare subito indietro da Andrè ma si trattenne, scuotendo la testa. Comportarsi da donnicciola isterica separata dal suo uomo era l’ultima cosa da fare in quel frangente.

Gettò i vestiti su una sedia e indossò la camicia da notte, pensando di dormire almeno qualche ora. Sentiva dolere una parte del proprio corpo che aveva notevolmente rivalutato nelle ultime ore con Andrè, eppure la sofferenza fisica era così poca cosa rispetto alla felicità che provava che non riusciva a smettere di sorridere in maniera ebete, gli occhi sbarrati e puntati sul baldacchino che copriva il suo letto.

Andrè era vivo.

Andrè era tornato a casa dopo un anno.

Andrè era suo.

E lei era sua, gli apparteneva in una maniera che credeva impossibile. Non avrebbe mai pensato di potersi legare tanto inscindibilmente a un’altra persona, e che questo sentimento piuttosto che farla sentire costretta, le desse un senso di libertà assoluta. Era libera di essere se stessa.

Si voltò sul fianco e abbracciò il proprio cuscino, strusciandovi sopra il viso. Si addormentò con in mente due splendidi occhi verdi che la guardavano pieni d’amore.

 

Qualche ora dopo, Andrè socchiuse gli occhi, colpiti dalla forte luce del sole che aveva inondato la stanza. Si mise seduto sul letto, guardandosi attorno confuso: dov’era finita Oscar? Una parte del suo cervello gli ricordò che era tornata nella sua stanza, giacché si trovavano a palazzo Jarjayes e non sarebbe stata una grande idea farsi trovare nello stesso letto; quella stessa parte, gli suggerì di recuperare e indossare almeno i pantaloni prima che sua nonna lo raggiungesse per occuparsi del suo servizio, come tutte le mattine.

Già, la sua adorata nonna. Non era stato semplice per lui continuare a fingere e lasciare che lei lo servisse, umile e dimessa com’era con i nobili; gli ricordava in continuazione quanto fossero ingiuste quelle differenze di classe che pochi avevano imposto a molti. Se avesse accettato la proposta dei Beleznay, l’avrebbe tradita di nuovo ma non poteva rinunciare a Oscar, al suo amore, a vivere al suo fianco come marito e non come servitore.

Vivere tutte le notti come se fossero un’illusione, dalla quale erano costretti a scappare al mattino, prima che il sole li scorgesse abbracciati nell’amore, non era vita. Avrebbe parlato a sua nonna, era certo che l’avrebbe capito e gli avrebbe dato la sua benedizione, di sicuro non senza ‘condire’ il tutto con qualche scappellotto!

Sorrise al pensiero mentre si rimetteva a letto ma scostando le coperte, il sorriso gli morì sulle labbra: era ufficiale, altro che mestolate, lo avrebbe ucciso! Una vistosa macchia cremisi era tutto ciò che rimaneva della virtù di Oscar e la nonna non ci avrebbe messo molto a fare due più due. Per un attimo pensò di continuare a fingersi il principe András ma poi considerò che sarebbe stata ancora più terribile nei confronti di un estraneo e non trattenne un brivido, tuffandosi sotto le lenzuola, nel momento in cui qualcuno bussava alla porta.

“A-avanti!”, disse un po’ incerto.

Si paralizzò nella posizione in cui si trovava quando vide che stava entrando proprio Nanny; riprese a respirare un poco solo vedendo spuntare dietro di lei due servitori che trasportavano una vasca di latta. La depositarono davanti al camino e uscirono con un inchino mentre la donna si avvicinò di un passo al letto.

“Principe András, perdonate se vi abbiamo disturbato ma è stata madamigella Oscar a mandarci”.

Andrè prese nota mentalmente di una bella ramanzina da fare a Oscar prima di sorridere rassicurante all’indirizzo della nonna.

“Non stavo dormendo, in effetti, mi ero appena svegliato”.

“Faccio portare l’acqua?”.

“No… aspetta!”, esclamò quasi, alzandosi dal letto e avvicinandosi a lei. “Ti posso parlare?”.

“Certamente. Che cosa vuoi dirmi Andrè?”.

“Ecco vedi, io… eh?”.

Nanny posò le mani sui fianchi, guardando Andrè con aria minacciosa. Suo nipote sapeva essere veramente ottuso, possibile che credesse che non si fosse accorta di nulla?

“In effetti, mi stavo chiedendo quando ti saresti degnato di dire alla tua povera nonna che non sei affatto morto, anzi stai benissimo!”

Aveva messo un tono di rimprovero nella voce ma gli occhi lucidi e il tremito delle labbra tradirono tutta la sua emozione. Andrè la abbracciò, stringendosela al petto per nascondere la commozione e inspirò il suo profumo di buono. Nanny singhiozzava fra le sue braccia, incapace di frenare il pianto, pronunciando il nome del nipote fra i singulti.

“Nonna perdonami. Non volevo darti un simile dolore, credimi! Non ricordavo nulla quando Oscar mi ha invitato qui la prima volta, te lo giuro!”.

La donna scosse la testa tirando fuori un fazzoletto e si asciugò il viso tentando di calmarsi. Sapeva bene che suo nipote non aveva nessuna colpa, era evidente che non fosse se stesso quando lo aveva incontrato per la prima volta come András Beleznay.

“Lo so caro. Ti conosco troppo bene per credere che mi faresti una cosa del genere di proposito. E dimmi, madamigella Oscar lo sa?”.

Andrè annuì, sorridendo a Nanny. “Certo che lo sa, nonna. Lo ha capito prima che io stesso ricordassi e ha fatto di tutto per restituirmi la mia vita. E a proposito di lei, io… cioè noi…”.

“Sentirti balbettare a quel modo è irritante, soprattutto considerato quanto ti ha fatto studiare il generale! Voi cosa, che avete combinato?”

“Io la amo, nonna!”, esclamò Andrè tutto d’un fiato e chiuse gli occhi, aspettando uno scapaccione che non arrivò.

Aprì timidamente un occhio e poi l’altro e tutto ciò che vide fu sua nonna col volto di nuovo nascosto nel fazzoletto.

“Nonna non fare così, non è un dramma!”.

“Certo che lo è, sciagurato! Cosa ti sei messo in testa, di essere un principe? Non lo sei e presto lo scopriranno tutti, non potrete stare insieme”.

Andrè la guardò dapprima perplesso, poi intenerito. Sua nonna tentava di proteggerlo a modo suo, mettendolo davanti alla cruda realtà degli eventi. Lei, infatti, non poteva sapere della generosa offerta dei Beleznay e soprattutto che intendeva accettarla; aggrottò le sopracciglia pensando che forse ne sarebbe stata delusa ma era certo che alla fine avrebbe capito le sue ragioni. Le mise le mani sulle spalle chinandosi davanti a lei.

“Nonna, io amo Oscar e lei ama me. E ci sposeremo, te lo assicuro. Vedrai che nessuno avrà da ridire su questo matrimonio, eccetto i cuori infranti che lascerà dietro di sé!”.

Nanny sembrò convinta dalle parole di Andrè e lasciò andare un sospiro, ripiegando il fazzoletto.

“Andrè, non voglio che tu debba soffrire ancora per questo amore. Ti ho visto negli anni passati accanto a lei, crescevi e il tuo amore e il dolore procedevano di pari passo”.

Andrè sorrise alzandosi e si avvicinò alla finestra, guardando il giardino del palazzo che tante volte lo aveva visto giocare o allenarsi insieme a Oscar.

“Non ci sarà più dolore tra me e Oscar”.

Un urlo soffocato alle sue spalle gli comunicò che Nanny aveva deciso di rifare il letto.

 

Dei colpi decisi alla porta distrassero Oscar dai suoi pensieri e quale non fu il suo stupore quando vide suo padre entrare nella sua stanza. La sua espressione era seria e decisa più del solito e lei pensò che dovesse avere qualcosa su cui recriminare. Trattenne un sospiro frustrato invitandolo a sedersi davanti al caminetto.

“Padre, è strano vedervi qui. Che cosa posso fare per voi?”.

Il generale guardò Oscar negli occhi, quegli occhi azzurri così simili ai suoi. La figlia che aveva cresciuto come fosse un uomo era ben presto diventata la sua preferita tra tutte, perché si rivedeva in lei; solo a lui obbediva, senza obiettare o quasi, con il resto del mondo era fiera e orgogliosa come forse non sarebbe stata se fosse nata maschio. Era leale e onesta, e un ottimo soldato; ma come padre non poteva più ignorare che si trattava pur sempre di una donna.

“Oscar, devi dirmi qualcosa riguardo al principe András?”.

Oscar trasalì impercettibilmente, sorpresa dalla domanda; che suo padre avesse scoperto la vera identità del principe ungherese? E nel caso, come avrebbe reagito quando lei gli avesse confermato le sue intuizioni? Si impose di mettere a tacere quelle domande e scoprire cosa stesse pensando il generale.

“Che cosa intendete dire?”.

“Intendo dire, che dovrei essere cieco per non aver notato la straordinaria somiglianza con qualcun altro che conosciamo molto bene. È Andrè, giusto?”.

“Padre, io…”.

“Io non disprezzo Andrè, tutt’altro. L’ho cresciuto insieme a te, è quasi un figlio, ma non ha titolo nobiliare; non posso permetterti di intrattenere una relazione con lui”.

Oscar scattò in piedi, i pugni stretti e le braccia distese lungo il corpo. “Padre, perdonate la mia sfrontatezza ma non vi permetto di parlare in questi termini di Andrè. Voi stesso avete appena detto che è quasi un figlio per voi, non potete misurare il valore di ciò che ci lega in base ai titoli nobiliari!”.

François de Jarjayes si trattenne dal sorridere compiaciuto. Quella era la figlia che lui stesso aveva forgiato, sua ma figlia di Marte.

“Oscar, mi è stato riferito che tu e il principe András vi vedete spesso ma ho risposto che tu sei un soldato, non cerchi corteggiatori. Adesso però, voglio la verità. Devi dirmi se intendi rinunciare alla carriera militare e sposarti; e devi dirmi se l’uomo che vuoi sposare è Andrè”.

Osservò attentamente Oscar e la vide impallidire, eppure non distoglieva lo sguardo dal suo. Sebbene la intimidisse volutamente, dentro di sé voleva che tirasse fuori tutto il suo coraggio e gli dicesse di sì, consentendogli di tracciare una strada diversa da quella che aveva pazzamente scelto per lei.

“Ve lo dirò padre, a patto che voi mi diciate chi vi ha riferito tanti dettagli”. Il generale annuì e Oscar prese un grande respiro prima di continuare. “Sì. Voglio essere la moglie di Andrè perché nessuno possa più separarci com’è avvenuto in passato. A voi padre”.

“Ophélie de Sombrefleuve”.

“Avrei dovuto immaginarlo!”, esclamò Oscar, stizzita. “Cos’altro vi ha detto?”.

“Ha tentato di passarmi delle false informazioni su Andrè e i Beleznay, sostenendo che vogliano derubare il duca Hunyadi dell’eredità che gli spetta. Mi ha chiesto di vedere Andrè ed io ho acconsentito”, alzò una mano a zittire sua figlia che scalpitava. “Dobbiamo scoprire cosa vogliano fare, altrimenti non sarete mai al sicuro. Le ho detto che avrei mandato un messo ad avvertirla quando il dottore avrebbe ritenuto che le visite non fossero troppo stancanti per lui; naturalmente attenderemo che Andrè si sia ripreso completamente”.

Oscar restò in silenzio, non sapendo cosa dire; suo padre la stava chiaramente aiutando a coronare il suo sogno d’amore, pur sapendo che il principe András Beleznay fosse in realtà Andrè Grandier. Naturalmente, fintanto che lui fosse rimasto un nobile ungherese, nessuno avrebbe trovato strano un suo ‘accasamento’ ma la gentilezza di suo padre la lasciava ugualmente perplessa. Forse comprendeva solo ora quanto profondo fosse l’amore del genitore nei suoi confronti.

Il generale si alzò, voltandosi per raggiungere la porta ma si fermò con la mano sulla maniglia. “Oscar spero che tu capisca che se vi sostengo così apertamente è anche perché lui è un nobile adesso. Se per qualsiasi motivo perdesse il titolo, non potrei… credimi, non potrei più farlo”.

Uscì dalla stanza lasciando Oscar ancora più determinata a raggiungere la sua felicità. Avrebbe parlato con Andrè, sperando che non avesse cambiato idea sulla proposta dei suoi ‘genitori’; sapeva bene quanto fosse difficile per lui accettare un simile compromesso e lei stessa soffriva nel vederlo tanto tormentato. Egoisticamente, però, non poteva che sperare che il buon senso prevalesse sull’orgoglio del suo uomo.

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Eccomi qui anche oggi ^-^ E anche oggi ho avuto problemi di connessione, ma quando finirà T.T

Capitolo di chiarimenti, personalmente mi ha molto divertita scrivere di Andrè e Nanny, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate voi se vi fa piacere, grazie ^-^

Come sempre, grazie per il sostegno costante, vi adoro <3

Al prossimo capitolo ;)

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


Quando fu trascorsa un’altra settimana, Oscar e il generale convennero che fosse giunto il momento di invitare Ophélie per capire quale fosse il suo scopo e fermare una volta per tutte le macchinazioni sue e di Tibor. Andrè non era stato entusiasta all’idea di fare da esca e ancor meno quando gli era stato ricordato che avrebbe dovuto essere gentile con la contessa.

“Andrè, non fare il bambino, ti sei messo da solo in questo guaio. Il principe András sembrava molto soddisfatto della sua compagnia”.

“Andiamo Oscar! Non ricordavo neanche chi io fossi, vuoi farmi un’altra scenata di gelosia per essere stato cortese con quella che mi era sembrata una dama come le altre?”.

Oscar rise scuotendo la testa e tornò a rilassarsi sul divano accanto a lui. Nemmeno lei faceva salti di gioia alla prospettiva di Andrè che corteggiava un’altra donna ma era necessario per la sua incolumità.

“No, togliti quel broncio”.

“Toglimelo”.

“Andrè! Sto parlando di cose serie, ascoltami per favore. Dobbiamo prestare molta attenzione se vogliamo fermarla prima che ti faccia del male”.

Andrè sorrise a Oscar stringendole la mano che si portò alle labbra. “Voglio che tu stia tranquilla, d’accordo? Ti prometto che farò attenzione e non correrò rischi inutili, e poi cosa potrebbe mai farmi Ophélie? L’unica donna di cui dovrei preoccuparmi sei tu!”.

Oscar lo abbracciò e gli schioccò un bacio sulla guancia, appoggiando la fronte contro la sua. “Attento a quello che fai con la contessa, Grandier”.

“Farò il bravo madamigella, ve lo posso giurare solennemente!”.

Andrè la strinse più forte, baciandole i capelli. Non le vedeva nemmeno le altre donne, non le vedeva da anni ormai, da quando aveva capito che Oscar non era una sorella per lui ma molto di più. Il pensiero di un’altra che non fosse lei al suo fianco, gli stringeva il cuore in una morsa dolorosa, rifiutava persino di considerare l’idea.

“E se rimanessi anche io con voi? In fondo è casa mia e tu sei mio ospite, non sarebbe così strano”.

“Oscar ti prego, non fare la fidanzata gelosa!”.

Il viso di Oscar assunse una deliziosa tonalità di rosso e abbassò lo sguardo, imbarazzata. “Non prendermi in giro, Andrè, non è bello! È che non mi piace come ti guarda quella donna, sembra che non voglia altro che allungare le sue manacce su di te e in ogni caso… non sappiamo cosa voglia da te, se fosse pericolosa?”.

“Di nuovo con queste paure infondate, Oscar? Andrà tutto bene, calmati”.

Oscar respirò a fondo e tornò a guardare Andrè. Lui aveva perfettamente ragione, stava bene e Ophélie non poteva fargli male fisicamente; e se i suoi scopi fossero stati altri, lei stessa avrebbe potuto fare ben poco.

“D’accordo Andrè, hai ragione tu”, gli sorrise, respirando il suo profumo. “Hai parlato con i Beleznay?”.

“No, non ho avuto ancora l’occasione”.

“Ma se sono venuti a trovarti ogni giorno da quando sei qui!”.

“Si, lo so! È difficile quello che devo dirgli Oscar…”

“Devi dirgli di si e basta, Andrè, non è affatto difficile”.

“Oscar, ti prego! Credi sia facile per me tradire le mie origini in questo modo per diventare qualcosa di diverso?”.

Oscar aggrottò le sopracciglia. “Non sarai diverso. Tu resterai sempre Andrè, l’uomo che amo, con o senza titolo nobiliare, se insisto tanto è solo perché non voglio che nessuno possa avere modo di dividerci. E se tu perdessi il tuo rango, il primo a osteggiarci sarebbe mio padre”.

Si sciolse dal suo abbraccio alzandosi e si avvicinò alla finestra, scrutando la carrozza che aveva appena varcato il cancello della proprietà.

“Oscar…”.

“Devo andare, la tua ospite è qui”.

Sibilò uscendo a passo di marcia dalla stanza, non mancando di sbattere la porta per sottolineare il proprio disappunto.

 

Non era passato che qualche minuto da quando Oscar aveva lasciato la stanza e Andrè stava ancora cercando di riprendersi da quella sfuriata quando Nanny bussò alla sua porta facendo accomodare Ophélie e dovette calarsi nella parte del principe Beleznay; né lei né Tibor sapevano ancora che aveva recuperato la memoria e non era il caso di informarli.

“Principe András, che sollievo vedervi sano e salvo!”, cinguettò la donna avvicinandosi a lui.

Non aspettò nemmeno che lui la invitasse, lasciandosi cadere sul divano, un po’ troppo vicina secondo i suoi gusti ma dovette vincere la ritrosia e dimostrarsi cortese.

“Siete stata molto gentile a venire sin qui solo per farmi visita”.

“Oh ma non potevo più aspettare! Ero così in pena per voi, András!”, piagnucolò mentre gli occhi le si inumidivano.

Andrè non potè fare a meno di chiedersi per quale straordinaria dote naturale o insegnamento riuscisse a piangere a comando, sembrando così sinceramente addolorata. Sfoggiò un sorriso smagliante avvicinandosi al suo viso.

“Sul serio eravate talmente preoccupata per me?”.

“Naturalmente lo ero”, disse Ophélie, sbattendo le lunghe ciglia. “Temevo di non rivedervi mai più”.

Si era avvicinata ancora, stringendogli provocatoriamente le braccia al collo. Gli sfiorò le labbra con le proprie, mescolando i loro respiri.

“Ophélie, credevo che il vostro interesse fosse rivolto a mio cugino Tibor piuttosto che a me”.

“Tibor si stancherà presto di me, voglio un uomo affidabile”.

Andrè si costrinse a stringerla, posandole le mani sulla schiena. “Mi ucciderebbe se sapesse. Vi considera sua”.

“Proprio per questo sono qui, dovete fuggire. Intende davvero uccidervi”.

“E dovrei credere che voi siate venuta qui per buon cuore? Non insultate la mia intelligenza Ophélie, so bene che vi manda lui”.

Ophélie lasciò andare Andrè sogghignando e si voltò di lato fissando il camino davanti a sé; la mano che lui non poteva vedere scivolava fra le pieghe del vestito alla ricerca di qualcosa.

“Volevo darvi una possibilità András. Siete stato gentile con me, anche se immagino di doverlo al fatto che non conoscevate la mia fama. Madamigella Oscar non vi aveva avvertito di stare alla larga da me?”.

“Lei non è quel tipo di persona”.

“Immagino che lo crediate davvero ma lei è quel tipo di persona. Vive a stretto contatto con la Regina, concedendo la sua attenzione soltanto alle persone che Maria Antonietta ritiene degne”.

Andrè strinse i pugni, nel tentativo di trattenere la rabbia e si alzò, dando le spalle alla donna. Non sopportava che si parlasse a quel modo di Oscar, anche se era una nobile non era mai stata ingiusta né superba al punto da riservare le proprie attenzioni solo a determinate persone; se lo faceva era solo per evitare guai, data la sua posizione di spicco.

Un fruscio alle sue spalle lo fece voltare, appena in tempo per evitare la lama di un pugnale; afferrò Ophélie per i polsi allo scopo di disarmarla.

“Che state facendo, Ophélie?!”.

“Voi cosa credete?! Sto aiutando Tibor a raggiungere il suo scopo, eliminarvi!”.

Nella colluttazione ricaddero sul divano dietro di loro, Andrè sopra Ophélie la teneva bloccata con il suo corpo, cercando ancora di toglierle il pugnale. Lei si dimenava, urlando che la lasciasse e improvvisamente rivolse la lama contro se stessa; Andrè tirò via la mano, riuscendo finalmente a gettare l’arma, e il movimento lacerò la stoffa del vestito che indossava. Una luce perversa attraversò gli occhi di Ophélie che riprese a strillare più forte di prima, chiedendo aiuto, mentre Andrè tentava di zittirla.

Le urla, però, avevano attratto il generale Jarjayes e le guardie ungheresi che avevano accompagnato la donna per desiderio di Tibor, e la scena che si presentò loro era di certo facilmente fraintendibile: Ophélie, in lacrime e le vesti strappate, gridava disperata e Andrè la teneva ferma sotto di sé. Il generale dovette ricorrere a tutto il suo sangue freddo per mantenere in piedi la messinscena.

“Principe András, posso sapere cosa state facendo?”.

Andrè, sconvolto dalla piega inaspettata che aveva preso quell’incontro, lasciò i polsi di Ophélie come se fossero roventi e si alzò, allontanandosi velocemente da lei mentre la donna si portava le mani al volto, singhiozzando.

“Generale, non è come sembra, ve lo assicuro!”.

François de Jarjayes strinse i denti avvicinandosi al divano per prestare aiuto a Ophélie. Conosceva troppo bene Andrè per credere che avesse potuto tentare di farle violenza ma data la presenza degli uomini del duca Hunyadi, doveva mantenere un atteggiamento più neutrale possibile.

“Ne parleremo, principe”, disse soltanto, sedendosi accanto alla donna. “Contessa, vi sentite in grado di alzarvi?”.

Ophélie annuì appena, rimettendosi seduta grazie all’aiuto del generale, il quale la sorresse perché si alzasse in piedi.

“Darò ordine che la governante si occupi di voi, state tranquilla adesso”.

La accompagnò personalmente fuori dalla stanza, lasciando solo Andrè che era rimasto impalato nel bel mezzo della stanza.

 

Oscar si precipitò nella stanza di Andrè, avvertita dal generale che era accaduto qualcosa; per un attimo temette che fosse ferito o peggio ma poi considerò che, in quel caso, suo padre non sarebbe stato tanto laconico da dirle soltanto, “Vai da lui”.

Lo trovò seduto sul pavimento, con la testa fra le mani, le dita che stringevano spasmodicamente i capelli. Si avvicinò a lui, inginocchiandoglisi di fronte e gli posò le mani sulle spalle.

“Andrè! Cos’è successo?”.

Andrè sollevò appena il capo e abbracciò Oscar, affondando il viso nel suo petto; lei gli accarezzò i capelli, preoccupata da quell’atteggiamento insolito.

“Andrè, parla, dimmi cos’è accaduto”.

“Non so com’è successo ma… Ophélie ha trovato il modo di farmi sparire, sia che io sia Andrè sia che sia András. È tutto finito Oscar”.

“Finito?! Che stai dicendo Andrè, dimmi cosa succede!”.

Lui le strinse le braccia attorno alla vita, tirandosela vicino. “Aveva un pugnale e abbiamo lottato, stavo cercando di toglierle l’arma; siamo caduti e la tenevo ferma con il mio corpo ma lei ha cominciato a urlare e… le guardie che Tibor ha mandato con lei sono entrate qui assieme a tuo padre e ci hanno visti, il suo vestito si era strappato… hanno sicuramente frainteso tutto Oscar! Lei non farà nulla per smentire quel sospetto e quindi… è finita, in ogni caso”.

Oscar sbarrò gli occhi incredula, continuando ad accarezzare Andrè. Se fosse stato accusato di aver tentato di usare violenza alla contessa de Sombrefleuve come Andrè Grandier sarebbe stato condannato a morte; se invece la stessa accusa fosse stata rivolta ad András Beleznay, sarebbe stato invitato a lasciare la Francia e a non ripresentarsi, una formula gentile per definire il divieto di varcare in futuro i confini francesi.

“Andrè… non posso permettere che scoprano chi tu sia, saresti condannato a morte! Per favore lascia la Francia con i Beleznay!”.

Andrè alzò la testa, puntando gli occhi verdi in quelli di Oscar; era a dir poco stupito, aprì la bocca per parlare ma non ne uscì suono. Posò le mani sul suo viso e l’attirò a sé, baciandola.

“Oscar non piangere”, le disse, sentendo le lacrime bagnargli le dita. “Non ti lascerò, perciò non ne hai motivo”.

Lei gli gettò le braccia al collo, stringendolo più che poteva. “Restare qui sarebbe vista come una sfida all’autorità dei sovrani, non puoi!”.

“Mi rifiuto di andarmene dalla Francia, la Transilvania è troppo lontana da te”.

Oscar singhiozzava, il viso nascosto contro il collo di Andrè e le dita affondate nei suoi capelli. Lui la teneva stretta, accarezzandole la schiena; d’improvviso sembrò calmarsi e lo guardò, accarezzandogli il viso.

“E se venissi con te? Partiresti se io accettassi di venire con te, in Ungheria?”.

Andrè la guardò per qualche attimo e se la strinse di nuovo al petto. Era così grande il suo amore per lui, da spingerla a lasciare il proprio paese, la propria famiglia, tutta la propria vita per seguirlo in una nazione straniera? Quanto era stato stolto a dubitare che amasse davvero lui e non il principe ungherese che le si era presentato davanti!

“Non posso chiederti una cosa del genere”.

“Certo che puoi! La decisione dei sovrani non è stata ancora presa e non è detto che crederanno a Ophélie; se succedesse non dovresti partire immediatamente, ti sarebbe concesso qualche giorno e potremmo… potremmo sposarci e io partirei con te!”.

Lui restò, se possibile, ancora più spiazzato da quest’ultima proposta. Gli aveva appena comunicato che desiderava sposarlo, a modo suo naturalmente, era pur sempre di Oscar che si parlava.

“Ti amo così tanto Oscar… tanto che non conosco parole per dirtelo”.

“Non ce n’è bisogno, io lo sento il tuo amore. E non posso privarmene”.

Andrè le sorrise avvicinandosi a lei, e la baciò, stringendola ancora contro di sé. Oscar schiuse le labbra sotto le sue, ingaggiando quella che era diventata la sua schermaglia preferita. Lui affondò le dita nei suoi riccioli dorati, tenendola più vicino possibile a sé. Fu solo la necessità di respirare a interromperli e le baciò la fronte, accarezzandole il viso.

“Credo che il principe András Beleznay chiederà presto a suo padre la mano di Oscar François de Jarjayes”.

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Eccomi ragazze, purtroppo continuo ad avere problemi di connessione e gravi stavolta, il mio router se n’è andato a farsi benedire e aspetto il tecnico da due giorni, durante i quali prego che non debbano sostituirlo!

Comunque, tornando alla storia… ci avviamo verso l’epilogo ma non senza problemi per i nostri eroi che dovranno rimettersi alla clemenza dei sovrani francesi, diabolica Ophélie, eh?

Grazie per il sostegno continuo, è stato importante perché non lasciassi perdere tutto a metà storia!

Grazie ancora, vi adoro <3

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


La sera stessa dell’incidente con Ophélie, dopo che ella fu ripartita alla volta di Versailles, il generale Jarjayes convocò Oscar e Andrè nel suo studio e contemporaneamente inviò un messo alla reggia perché chiedesse ai Beleznay di raggiungerli l’indomani. Proprio come sua figlia, aveva lucidamente intuito quali fossero le sole possibili via d’uscita per salvare la vita di Andrè e aveva bisogno che i principi ungheresi gli prestassero tutto il loro aiuto. Nel frattempo i due ragazzi lo avevano raggiunto e adesso lo fissavano, in piedi davanti al suo scrittoio.

“Andrè”, vedendo la sua espressione perplessa decise di spiegarsi. “Non avrai creduto che Oscar fosse la sola a essersi accorta di chi fossi in realtà, vero? Sei cresciuto sotto il mio tetto, non dimenticarlo”.

“Non posso dimenticarlo, generale. Ma, in effetti, pensavo che lei fosse l’unica, perché mi conosce meglio di chiunque altro”.

Il generale mosse la mano, come a dire di lasciar correre e poi indicò le due poltrone davanti alla sua scrivania.

“Sedetevi, non state lì impalati. Dobbiamo parlare e pretendo che siate sinceri con me, d’accordo?”. I due annuirono prendendo posto e François de Jarjayes proseguì il suo discorso. “So bene che quello che ho creduto di vedere oggi è tutto un equivoco, così come lo sa la contessa; lei, però, certamente non si preoccuperà di smentire e le guardie che il duca Hunyadi aveva mandato ad accompagnarla, anche se si limitassero a dire ciò che hanno visto, costituiranno un grosso problema. Essendo le nostre famiglie entrambe molto care alla Regina, se la controversia si risolvesse a favore di Andrè, per lei sarebbe un grosso colpo in termini di popolarità, perciò è probabile che si terrà in disparte rispetto alla decisione del sovrano. L’unico modo perchè eviti la condanna a morte, Andrè, è che tu continui a essere il principe ungherese”.

Andrè annuì stringendo la mano che Oscar gli aveva teso e sostenne fieramente lo sguardo del generale. Sapeva bene che il mantenere il titolo di principe era anche l’unica condizione che gli stava ponendo per concedergli la mano di sua figlia.

“Ne sono perfettamente consapevole. Infatti, la mia decisione era già presa: i Beleznay mi hanno offerto, molto generosamente, di adottarmi di nuovo, questa volta come Andrè Grandier. Inizialmente non sapevo come comportarmi in merito, tuttavia mi rifiuto di lasciare ancora Oscar. E a proposito di questo… io vorrei chiedervi la mano di vostra figlia, generale”.

Il generale incrociò le mani sotto il mento, nella tipica posa che assumeva quando stava ponderando le parole del proprio interlocutore. “Anche il conte di Girodelle mi ha fatto la stessa richiesta. Perché dovrei concederla a te?”.

“Perché io sono l’unico che può rendere felice Oscar. E siccome ritengo che voi, esattamente come me, non desideriate altro che vederla felice, credo che dovreste concedere a me solo il privilegio di sposarla”.

François de Jarjayes ridacchiò divertito, osservando Andrè e Oscar. “Si hai ragione, Andrè. Sei l’unico che la renderà felice. E questa è una condizione che ti pongo: Oscar dovrà essere felice. Non vorrai che un giorno debba scoprire che è infelice per causa tua, giusto?”.

Oscar ascoltava la conversazione in silenzio, guardando ora Andrè, ora suo padre. Era cresciuta come fosse stata un uomo ma non lo era e in quel momento il suo ruolo era quello dell’ascoltatrice, sebbene fosse proprio lei l’argomento della discussione. Sapeva che Andrè stava prendendo una decisione difficile da accettare per il suo orgoglio ma era anche consapevole del fatto che non avrebbe mai rinunciato a lei. La sua posizione tutto sommato era facile, l’unica scelta che le si chiedeva di fare era quella di sposarsi di lì a poche settimane o attendere ancora; l’uomo che sarebbe stato suo marito invece, avrebbe dovuto rinnegare le sue origini poiché non erano nobiliari.

Andrè continuava a guardare il generale Jarjayes senza dare alcun segno di esitazione. Era piuttosto evidente che se lo stava inquisendo a quel modo lo faceva perché intendeva accertarsi che i suoi sentimenti per Oscar fossero sinceri e forti.

“Generale Jarjayes, posso garantirvi che vostra figlia sarà la donna più felice che si possa incontrare nei regni di Francia e Ungheria. Non la ostacolerò se vorrà continuare la sua carriera militare, e nemmeno se preferirà ritirarsi, Oscar sarà libera di essere soltanto se stessa. Non negatemi il permesso di sposarla”.

Il generale tese la mano ad Andrè, un accenno di sorriso a increspargli le labbra. “Non lo farò”.

Andrè strinse con forza la sua mano, l’espressione raggiante che tradiva tutta la sua emozione. “Vi ringrazio, generale!”.

 

Non appena uscirono dallo studio del generale, Andrè afferrò Oscar per la vita stringendosela contro e la baciò con foga mentre lei gli allacciava le braccia al collo. Si staccarono ansanti e felici, e si abbracciarono teneramente, il loro amore tutto racchiuso in quel semplice gesto.

“Sono felice Andrè. Tu lo sei?”.

“No. Non sono felice, sono al settimo cielo!”, disse lui, ridendo contro il suo collo e facendo ridere anche lei.

“Scemo!”.

Andrè sorrise dolcemente posandole un bacio sul naso. “Ti amo Oscar. E ti renderò ancora più felice, te lo giuro, anche se saremo lontani da casa”.

“Casa per me è dove sei tu, Andrè. Non ha importanza se ci troviamo in Francia, in Ungheria o persino nel Nuovo Mondo, dovunque, mi basta che siamo insieme per sentirmi a casa mia”.

Lui tornò a stringerla e baciarla ma in quel momento una mano piccola e pesante si abbatté sulla sua testa, seguita a breve dalle urla di Nanny.

“Che cosa stai facendo, nipote degenere!”.

Andrè lasciò andare Oscar, tentando di ripararsi dai colpi della nonna. “Nonna che fai!”.

Oscar rideva assistendo alla scena, piegata in due con le mani sullo stomaco. Credeva che Andrè avesse chiarito ogni cosa con Nanny ma evidentemente aveva omesso di dirgli a che punto fossero giunte le cose fra loro.

“Sciagurato, altro che ferite sanguinanti! Che cosa hai fatto a madamigella Oscar?!”.

Oscar avvampò, avendo realizzato immediatamente di cosa parlasse Nanny. “Nanny… guarda che non mi ha fatto proprio nulla che io non volessi, non sgridarlo”, disse tentando di calmarla.

Nanny si fermò e scoppiò in lacrime, il fazzoletto prontamente portato a coprirle il viso. “Perdonatelo madamigella, non vi toccherà più ma non denunciatelo!”.

Andrè arretrò cautelativamente di un passo, massaggiandosi la testa dolorante; in fondo se l’era cercata, avrebbe dovuto parlare chiaro da subito invece di inventare quella storiella su una ferita non del tutto rimarginata. D’altronde, se Nanny non avesse sperato con tutta se stessa che non si fosse spinto tanto in là, di certo non gli avrebbe creduto.

Oscar guardò stranita Nanny, stupita dalle sue parole. “Io spero proprio che lo faccia ancora, Nanny!”.

“Madamigella!”.

Lei si avvicinò a Nanny, abbracciandola per la prima volta. “Nanny, stiamo per sposarci. Andrè sarà mio marito, cosa ci trovi di tanto indecente?”.

L’anziana governante strabuzzò gli occhi a quelle parole, indecisa se ridere o ricominciare a piangere: suo nipote era un servo, non poteva sposare una contessa!

“Tutto questo è contro natura, ragazzi miei. Fermatevi finché potete”.

Suo nipote le posò una mano sulla spalla. “Nonna, tenerci separati per delle stupide convenzioni sociali è contro natura. In ogni caso è bene che tu sappia cosa accadrà fra pochi giorni”.

Distolse lo sguardo mentre le raccontava ciò che era accaduto e quali fossero le soluzioni che il generale Jarjayes gli aveva prospettato. Gli spezzava il cuore darle di nuovo un dolore ma non poteva rimanere in Francia; avrebbe dovuto dimenticare il suo paese.

“Perciò te ne andrai di nuovo. E questa volta porterai via anche la mia bambina”.

Andrè teneva colpevolmente la testa bassa, incapace di sostenere lo sguardo di sua nonna mentre le confermava le sue parole. “E’ così nonna. Ti chiedo perdono, non avrei voluto andarmene di nuovo dalla Francia e causarti tanta sofferenza”.

Contro ogni previsione, Nanny sorrise, stupendoli con le sue parole. “Se ti facessi uccidere, mi faresti soffrire così tanto da non sopravvivere questa volta. Starò bene se ti saprò al sicuro, anche se lontano e poi non sono tanto vecchia da non poter venire a trovarvi!”.

I due ragazzi la guardarono stupiti, l’aveva presa davvero meglio di quanto credessero! Nemmeno scoprire la vera origine della ‘macchia’ le aveva causato un malore, il che era il minimo che si aspettassero.

“Bambini miei, vi ho visti crescere, pensavate davvero che non capissi?”.

Andrè scosse la testa ridendo. “Hai proprio ragione nonna, siamo stati ingenui! Piuttosto, perché non vieni con noi? Sono certo che i principi non avranno niente in contrario”.

“Non se ne parla nemmeno, palazzo Jarjayes cadrebbe in rovina se io lo lasciassi dopo tutto questo tempo! Voi due invece potrete benissimo fare a meno di me”, disse raccogliendo le gonne e allontanandosi lungo il corridoio.

“Tua nonna è davvero fantastica, Andrè”.

Lui annuì, abbracciandola da dietro e appoggiò il mento sulla sua spalla. “Lo è. E poi ha proprio ragione, possiamo fare a meno di lei”, disse voltando il viso e baciandole il collo.

Oscar portò le mani a coprire quelle di Andrè, adagiandosi contro di lui. Il pensiero che quelle dolci effusioni fra loro sarebbero presto diventate la normalità la fece sorridere compiaciuta e volse il capo per baciarlo ma lui inspiegabilmente si ritrasse.

“Cosa c’è?”.

“Pensi sia il caso di farci sorprendere da tuo padre? Mi sentirei di nuovo un ragazzino se uscisse dallo studio e ci trovasse qui ad amoreggiare!”.

Lei sbiancò all’idea: certo, suo padre aveva accettato che si sposassero ma era pur sempre una persona molto rigida e non tollerava certi atteggiamenti prima che si ‘regolarizzasse la posizione’.

“Hai ragione Andrè”.

Andrè si guardò intorno e accertatosi che non ci fosse nessuno, si caricò Oscar su una spalla correndo verso i piani superiori, completamente sordo alle sue proteste.

 

L’alba li colse ancora svegli, l’una fra le braccia dell’altro e persi nei loro pensieri. Sfumato l’iniziale entusiasmo all’idea di sposarsi, ciò che era accaduto il giorno precedente era tornato a farsi vivo con tutta la lucida durezza di quello che significava.

“Andrè, sei sveglio?”.

Oscar sentì la stretta delle sue braccia farsi più forte. “Si”.

“Non riesci a dormire?”.

“Nemmeno tu, Oscar. Dimmi cosa c’è che non va”.

Si sollevò su un gomito, guardandolo e allungò la mano che posò sul suo viso. “Sono preoccupata, non posso farne a meno. Ophélie è stata diabolica, io non credevo che potesse spingersi a tanto e soprattutto non volevo che dovessi prendere la tua decisione in queste circostanze. Avrei preferito che fossi libero di scegliere”.

“Ascoltami Oscar. È vero che la mia scelta è stata in qualche modo obbligata; tuttavia, più ci rifletto, più credo che sarebbe stata la stessa. Vivere al tuo fianco come il tuo attendente avrebbe significato mettere in pericolo entrambi ed esporre te alle dicerie della corte, avresti finito per odiarmi”.

Oscar scosse il capo, accarezzando le labbra di Andrè con il pollice. L’odio era l’unico sentimento che non avrebbe mai potuto provare nei suoi confronti, persino nella situazione che egli stesso aveva appena dipinto, avrebbe odiato la società in cui vivevano ma mai lui.

“Non dire sciocchezze, non mi pentirei mai di nessun tipo di vita purché potessi trascorrerla accanto a te”.

Andrè sorrise, stringendola a sé con fare protettivo. “Oggi ho creduto che fosse finita, Oscar. Ho pensato che non avremmo più potuto condividere nulla, che ti saresti pentita di quello che c’è stato fra noi, e questo mi aveva distrutto. Sono stato stupido”.

“Lo sei davvero se hai creduto una cosa del genere di me, Grandier”.

“Va bene, sono stupido ma avevamo discusso e mi avevi già fatto una scenata per colpa di Ophélie, credevo che questa volta mi avresti passato a fil di spada!”.

“Per questo eri così abbattuto quando sono venuta da te? Allora devo davvero pensare che tu non abbia capito nulla”.

Andrè lasciò andare un sospiro, voltandosi a guardare il cielo notturno attraverso la finestra.

“Ti ho amata per tanto tempo senza che tu te ne accorgessi, Oscar. Non prenderti gioco della mia insicurezza”.

Oscar allungò la mano facendolo voltare e si tese verso di lui, sfiorandogli con i baci le labbra, le palpebre, tutto il viso, che accarezzò con entrambe le mani.

“Devi smettere di avere dubbi al riguardo. Avevo già capito quanto fossi importante per me quando ho creduto di averti perso, un anno fa; col tuo ritorno mi hai fatto innamorare un’altra volta, evidentemente non posso fare altrimenti che amarti”.

Gli sorrise e lui ricambiò, donandole un sorriso sereno che non aveva più ombre. Si voltò sul fianco e la abbracciò, stringendosela al petto.

“Almeno il giorno del nostro matrimonio lo indosserai un vestito?! Non hai mai voluto essere la mia dama in queste ultime settimane”.

Oscar rise contro il suo petto, nascondendo l’improvviso rossore. “Hai ragione non ho mai voluto ma se fosse stato Andrè a chiedermelo forse avrei detto di si”.

“Sul serio?”.

“Certamente. L’ho fatto una sola volta e per la persona sbagliata, per te sarei disposta a farlo anche tutti i giorni”.

Andrè scosse appena la testa, sospirando sereno. “Voglio che tu sia te stessa, la mia Oscar”.

La vide socchiudere gli occhi, finalmente vinta dal sonno, e le baciò il viso, carezzandole i capelli.

“Domani parlerò con i Beleznay… con i miei genitori”, le disse prima che scivolasse fra le braccia di Morfeo.

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Rieccomi anche oggi, forse non avrò più problemi di connessione *-* Forse

Tornando al capitolo, spero non vi dispiaccia troppo questo Andrè che esterna le sue paure a Oscar: sinceramente ho sempre trovato un po’ inverosimile che soffrisse tanto per lei se davvero era tanto sicuro di essere ricambiato da tutta la vita; naturalmente questa è solo la mia personalissima opinione eh, non voglio mettere sotto giudizio gli autori dell’anime u.ù

La scelta di Andrè è infine compiuta, in parte per ragioni esterne e in parte per il desiderio di non separarsi da Oscar, sembra che stiamo andando verso un lieto fine ^-^

Grazie, grazie e ancora grazie per il sostegno, al prossimo capitolo <3

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Capitolo 29
*** Capitolo 28 ***


I principi Beleznay raggiunsero palazzo Jarjayes di buon mattino, sorpresi da quell’invito così repentino da parte del generale. Ariadné, soprattutto, era molto in ansia, preoccupata che Tibor avesse trovato il modo di far del male ad Andrè. In cuor suo sperava che lui decidesse di accettare la loro idea e lasciarsi adottare ancora una volta, sì da garantirgli la possibilità di vivere con la donna che amava; eppure, aveva imparato a conoscere il suo cuore e temeva che rifiutasse per la vergogna di tradire i propri natali.

“A che cosa stai pensando Ariadné?”.

“Temo che Andrè rifiuti la nostra offerta e mi dispiacerebbe moltissimo. Se perdesse il suo titolo non potrebbe chiedere la mano di Oscar, né tanto meno vivere una relazione con lei”.

“E perderemmo definitivamente nostro figlio”.

Ariadné tacque, fissando il paesaggio che scorreva veloce sotto gli zoccoli dei cavalli. Rispondere non era necessario, Zalán sapeva bene di avere ragione e negare sarebbe stato inutile.

“Credi che Tibor abbia agito di nuovo?”.

“No. Se così fosse stato, il generale Jarjayes ci avrebbe pregati di raggiungere subito la sua residenza, senza attendere che sorgesse il sole. Sono sicuro, però, che si tratti di una questione della massima urgenza”.

Ariadné tornò a prestare attenzione a ciò che riusciva a vedere attraverso il finestrino della carrozza, in fremente attesa di rivedere palazzo Jarjayes. L’inquietudine che avvertiva sin da quando il messo li aveva raggiunti non si sarebbe placata, a meno di vedere con i suoi occhi che Andrè era sano e salvo.

Finalmente raggiunsero la loro meta e furono fatti accomodare nella sala per la colazione mentre Nanny si recava immediatamente ad avvertire del loro arrivo il generale e Andrè. François de Jarjayes li raggiunse per primo, invitandoli a consumare con lui la colazione. Ariadné lo scrutava attentamente, cercando di carpire nel suo viso un indizio su cosa fosse successo ma sembrava perfettamente calmo.

Andrè e Oscar li raggiunsero qualche minuto dopo e lui si avvicinò immediatamente per salutarli, chinandosi a baciare sulle guance Ariadné.

“Buongiorno madre”.

“Buongiorno Andrè. Vedo che ormai sei perfettamente guarito, ti trovo molto bene”.

Le sorrise sedendosi accanto a lei, mentre Oscar prendeva posto tra lui e il generale. “Sto molto bene infatti, madre. Almeno fisicamente”.

“Che cosa intendi dire?”.

Andrè sospirò appena prima di rispondere. Doveva raccontar loro ciò che era successo ma temeva che la decisione finalmente presa li ferisse; non voleva credessero che tornasse con loro soltanto per ciò che era accaduto con Ophélie, quella era sicuramente una ragione ma non l’unica.

“Ieri ho ricevuto la visita della contessa Ophélie de Sombrefleuve. L’avrete vista spesso con Tibor immagino, e d’altra parte sono convinto che sia la sua amante. In ogni caso, ha tentato di pugnalarmi e nel tentativo di strapparle l’arma dalle mani, siamo finiti in una posizione che oserei dire compromettente; purtroppo le guardie che mio cugino aveva mandato perché la scortassero hanno visto ogni cosa e hanno certamente equivocato. Anche se così non fosse, basterebbe loro essere sinceri per causarmi dei grossi guai”.

Zalán ascoltò attentamente, senza distogliere lo sguardo da Andrè nemmeno per un attimo. Lo conosceva ormai e sapeva che era sincero, il suo animo era troppo nobile perché pensasse di usare violenza a una donna.

“Non vedo dove stia il problema. Qualsiasi cosa abbiano visto quegli uomini, le abitudini notturne della contessa sono di pubblico dominio, nessuno crederebbe mai che tu abbia dovuto costringerla con la forza”.

“Nessuno crederebbe che il principe András Beleznay l’abbia costretta”, intervenne Oscar. “Tuttavia, se lei e Tibor trovassero le prove e smascherassero Andrè Grandier, egli sarebbe condannato a morte senza esitazioni. Un borghese non può toccare una nobile”.

“Senza contare che, anche come András, rischio di essere infamato da tali accuse. Anche se nessuno le credesse, avrebbe comunque seminato il sospetto”.

Il generale Jarjayes decise infine di esprimere il suo pensiero. “La cosa migliore è che i nostri figli si sposino presto e poi partano alla volta dell’Ungheria. Naturalmente se intendete ancora considerare Andrè come tale”.

“Generale Jarjayes, io stessa ho proposto ad Andrè di essere adottato nuovamente, questa volta con il suo vero nome. Non potremmo mai abbandonarlo in una situazione del genere e gli vogliamo bene, perciò, riaverlo a casa non sarebbe che un piacere per noi. Quello che mi stupisce è la decisione di questo matrimonio così in fretta”.

“Non vedo perché la stupisca principessa. I nostri figli desiderano sposarsi, tra una settimana o tra mesi che differenza fa? Inoltre, tutta Versailles li ha visti spesso insieme, e ha avuto modo di congetturare su di loro. La notizia delle nozze tra i rampolli di due famiglie così care ai sovrani non farà che soffocare ogni pettegolezzo creato ad arte dalla contessa”.

“Ditemi generale”, disse Zalán che stava soppesando l’idea. “Voi parlate di pettegolezzi ma quelle della contessa potrebbero essere vere e proprie accuse. Ha dalla sua le guardie che hanno assistito alla scena di cui Andrè parla con tanto timore, non tradiranno Tibor”.

“Ed io non tradirò Andrè. Se fossi interrogato, sosterrei la verità e cioè che non ho assistito a nessuna violenza in quella stanza; il principe András sostiene di essersi difeso da un’aggressione e non ho motivo di credere che menta. Smentite le accuse, le resterebbe come ultima risorsa quella di creare delle dicerie che riescano a screditare Andrè”.

Oscar sgranò gli occhi, fissando suo padre: a tal punto era disposto a spingersi per aiutare lei e Andrè? Sapeva di essere molto amata dal generale, eppure non credeva che per il suo bene giungesse a esporsi a quel modo in difesa dell’uomo che lei voleva sposare.

Ariadné strinse la mano di Andrè nella sua, attirandone l’attenzione. “Dimmi, saresti tornato lo stesso in Ungheria?”.

“Si madre. Non voglio perdere Oscar e il generale mi ha comunicato senza mezzi termini che sarebbe il mio primo nemico se perdessi il titolo nobiliare e tentassi di stare ugualmente accanto a lei. Voglio vivere il mio amore con lei alla luce del sole, non nascosti come furfanti”.

“Questo mi rende felice Andrè. E poi chissà, forse un giorno potreste tornare a vivere in Francia”.

“Credo che non lasceremo più la Transilvania alla volta di quello che è ancora per poco il nostro paese. Qualora si diffondesse la notizia che avete adottato Andrè Grandier, alla corte di Versailles saremmo continuamente additati e la nostra vita sarebbe molto difficile comunque. Preferiamo la corte ungherese, lì non hanno di questi pregiudizi”.

La principessa annuì e tornò a prestare attenzione a suo marito e al generale Jarjayes che avevano già cominciato a discutere i dettagli dell’imminente matrimonio.

 

Nel pomeriggio, i principi ungheresi ripartirono alla volta di Versailles e Andrè decise di seguirli, sì che nessuno avesse sospetti sull’identità del principe András. Oscar dal canto suo, indossò l’uniforme e si incaricò della loro sicurezza, certa che nessuno lo avrebbe trovato strano visto ciò che era recentemente accaduto al principe.

Non appena furono giunti a destinazione, una folla di curiosi si assiepò nella sala del trono, dove il principe András Beleznay fu ricevuto dai sovrani, ansiosi di informarsi circa la brutta avventura che gli era capitata. Una volta congedato, fu circondato da diversi cortigiani, incuriositi e fintamente preoccupati per lui mentre Oscar fu convocata dalla Regina in udienza privata.

“Madamigella Oscar, sono contenta di vedere che il principe András stia bene. Voi pensate di poter ritornare al vostro lavoro?”.

“Certamente maestà. Credo, però, che vogliate parlarmi di qualcos’altro”.

“Siete nel giusto madamigella. La contessa de Sombrefleuve mi ha chiesto udienza privata stamani, sostenendo che il principe András abbia tentato di usarle violenza”.

Oscar strinse i pugni, trattenendo la rabbia ma riuscì a mantenere un atteggiamento composto, guardando in volto la Regina. “Maestà, mio padre è entrato nella stanza quando ha sentito le urla della contessa e sostiene di non aver assistito a niente di sconveniente. In effetti, egli ritiene, conoscendo la sua fama, che si trattasse di una messinscena volta a screditare il principe”.

Maria Antonietta annuì, convinta dalle parole di Oscar. Lei stessa aveva pensato che i fatti non potevano essersi svolti come la contessa sosteneva; se le dicerie di Versailles corrispondevano al vero, nessuno era mai dovuto giungere a tanto per ottenere i suoi favori, soprattutto trattandosi di personaggi tanto in vista.

“Io vi credo madamigella Oscar, ma sua maestà il Re desidera vedere chiaro nella faccenda. Sono convinta che vorrà ascoltare il principe e anche voi e vostro padre. Tutto questo dev’essere risolto prima che i principi Beleznay ripartano per l’Ungheria”.

“A proposito di questo, maestà, anche io partirò alla volta dell’Ungheria. Con mio marito”.

La Regina portò le mani al viso, un sorriso radioso a illuminarlo. “Intendete dire… oh madamigella Oscar, sono così felice per voi!”.

“Il principe András ha chiesto la mia mano ieri e mio padre è stato felice di concederla. Ci sposeremo fra una settimana”.

“Farò il possibile perché ciò che sostiene la contessa non abbia a macchiare la reputazione di András”.

“Vi ringrazio maestà ma vi prego di non esporvi troppo. Né io né András vogliamo causarvi alcun tipo di problema”.

“Madamigella Oscar, in questi anni mi sono schierata spesso al fianco delle persone sbagliate. Sostenere voi per una volta non sarà un errore”.

Oscar nascose un sorriso chinando il capo in segno di saluto e si congedò dalla Regina per raggiungere Andrè.

 

Andrè si trovava nella Sala degli Specchi in compagnia dei suoi genitori e ancora di diversi cortigiani. Oscar stava per raggiungerlo, quando sentì qualcuno alle sue spalle richiamarla.

“Girodelle!”.

“Comandante Oscar, è un piacere rivedervi a Versailles finalmente”.

Lo guardò con attenzione, chiedendosi se potesse nuovamente fidarsi di lui. Aveva tradito Andrè, rischiando di causarne la morte e dubitava ancora di potergli perdonare un gesto tanto avventato, pur se dettato dall’amore che diceva di provare per lei. Proprio per questo sentimento, però, meritava di sapere prima che fosse raggiunto dai pettegolezzi.

“Possiamo parlare Girodelle?”.

“Certamente comandante. Volete seguirmi?”.

Girodelle condusse Oscar fuori dalla sala e lungo un corridoio poco frequentato del palazzo. “Qui potremo parlare al riparo da orecchie indiscrete. Dite comandante”.

“Mi rendo conto di essere stata molto severa durante il nostro ultimo incontro Girodelle. Spero che abbiate capito le mie motivazioni”.

“Le ho comprese perfettamente comandante. Con il mio atteggiamento irresponsabile, ho messo in pericolo una persona che vi è molto cara, è del tutto comprensibile che foste arrabbiata”.

Oscar si appoggiò al davanzale di una finestra dietro di sé. “E’ così Girodelle, András mi è molto caro. Molto più di quanto forse immaginate, è il mio futuro marito”.

Girodelle sembrò folgorato da quelle parole di Oscar; rimase immobile, il viso contratto in una smorfia di dolore. Credeva che non sarebbe mai giunta all’altare, di certo non immaginava che rifiutasse il suo amore per concederlo a colui che sapeva essere il suo attendente.

“Ma… lui non è nobile madamigella, il Re non acconsentirà”.

“Non so di che cosa parliate, il principe András è tanto nobile quanto lo siamo noi altri. Sua maestà non avrà nulla in contrario”.

“Comandante, siete stata voi stessa a dirmi che…”.

“A dirvi che il principe András è una persona alla quale tengo molto. Sapete bene quanto io sia discreta, posso fidarmi del fatto che ciò che vi ho rivelato in confidenza resterà tra noi?”.

Gli stava dando un’altra possibilità perché tra loro restasse viva almeno la vecchia amicizia; non era proprio il caso di sprecarla, sapeva bene quanto sapesse essere dura e inflessibile Oscar François de Jarjayes.

“Certamente comandante. Non avrete mai più motivo di dubitare di me”.

Oscar sorrise soddisfatta. “Molto bene Girodelle. Potrò avere il piacere di avervi fra gli ospiti al mio matrimonio?”.

Girodelle si irrigidì a quell’invito, trattenendo la voglia di urlare per la frustrazione; di cosa credeva che fosse fatto, di marmo? Rifiutava il suo amore e poi lo invitava ad assistere mentre si donava totalmente a un altro uomo, doveva essere completamente pazza o insensibile. La ragione gli suggerì che a spingerla era stata la cortesia, e non il desiderio di fargli del male, tuttavia essere presente quel giorno avrebbe significato strapparsi il cuore dal petto con le sue stesse mani e calpestarlo senza pietà.

“Temo che non potrò essere presente, madamigella Oscar, Versailles non può rimanere sguarnita dei suoi ufficiali, ne convenite?”.

Oscar comprese benissimo che stava gentilmente declinando l’invito ma si limitò ad annuire, osservando Girodelle che le faceva il saluto militare e si allontanava, lasciando dietro di sé solo il rumore degli stivali sul lucido marmo.

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Salve ragazze/i (mi sono resa conto che salutavo solo le donne e non è carino, potrebbe esserci anche qualche maschietto fra i miei lettori u.ù), anche oggi vi posto un nuovo capitolo, un altro passo verso l’epilogo ç.ç

Bene, direi che Oscar e Girodelle hanno fatto pace ma che fosse fra gli invitati, felice di vedere la sua Oscar convolare a giuste nozze con Andrè, mi sembrava troppo per il suo povero cuoricino infranto :P

Grazie per le letture e le recensioni, anche se sono molto diminuite, non vi va più di dirmi cosa ne pensate di questa specie di racconto ç.ç? Sto scherzando naturalmente, lungi da me il pretendere più attenzione di quella che merito u.ù

Al prossimo capitolo ^-^

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Capitolo 30
*** Capitolo 29 ***


Il tanto atteso incontro tra le parti in causa e i sovrani per chiarire cosa fosse accaduto a palazzo Jarjayes, ebbe luogo quella stessa sera in un appartamento privato di Versailles. Ophélie si era presentata in compagnia di Tibor e delle due guardie ungheresi che l’avevano accompagnata il giorno precedente a far visita al principe András. Appariva sofferente e intimorita, tanto da aver bisogno di appoggiarsi fisicamente al duca, il quale dal canto suo guardava Andrè con uno sguardo di puro odio che lo avrebbe incenerito se ne avesse avuto il potere.

Andrè stringeva la mano di Oscar, deciso a sostenere a testa alta le accuse di Ophélie; non aveva fatto nulla di cui dovesse preoccuparsi e lei d’altra parte non aveva le prove di ciò che sosteneva. Anche sua madre aveva espresso il desiderio di essere presente, mentre Zalán era rimasto nei suoi appartamenti; era troppo infuriato con Tibor per quest’ultima bravata, temeva che avrebbe finito per aggredirlo alla sua sola vista. Quando fu interpellato, il generale Jarjayes tirò fuori uno stiletto che consegnò a Luigi XVI.

“Maestà questa è l’arma che la contessa sostiene sia stata usata dal principe Beleznay per minacciarla nel tentativo di usarle violenza. Come potete vedere, si tratta di un’arma francese che non appartiene alla famiglia del principe; tanto meno fa parte del patrimonio della famiglia Jarjayes”.

“Mi accusate di mentire!”, strillò istericamente Ophélie, sostenuta da Tibor. “Avete visto bene il vostro ospite che mi sovrastava, tentando di…”.

Un accenno di pianto la frenò e per un attimo sembrò ai presenti che fosse sincera; senza dubbio sarebbe stata un’attrice di talento se avesse deciso di intraprendere la carriera teatrale.

“Contessa vi prego di contenervi”, replicò freddamente il generale, per niente turbato dalle sue lacrime. “Io mi sto limitando a esporre quelli che sono i fatti. Il principe vi stava trattenendo, è vero, ma mentre voi sostenete che lo facesse tentando di usarvi violenza, lui riferisce di essersi difeso da voi che tentavate di assassinarlo e nella stanza è stato rinvenuto un pugnale che voi stessa avete riconosciuto. E dal momento che non appartiene al principe, né si trovava in casa mia prima della vostra visita, voi siete l’unica che può averlo portato in quella camera”.

Ophélie si morse le labbra, messa alle strette dalla lucida mentalità militare del generale Jarjayes e Tibor decise di interrompere il proprio silenzio.

“Anche se la contessa avesse portato con sé il pugnale, questo non avrebbe comunque autorizzato il principe Beleznay a tentare di approfittare della situazione”.

“E per quale motivo la contessa avrebbe dovuto portare con sé un’arma?”.

“Evidentemente sapeva che razza di persona sia il principe”.

“E pur sapendo quanto fosse turpe e vile, si è recata personalmente alla mia residenza pregandomi affinché le concedessi di far visita al principe András per il quale era talmente preoccupata da non poter attendere che rientrasse a Versailles!”, esclamò beffardo il generale.

Tibor strinse più forte Ophélie, tacendo anche lui: non avrebbe mai creduto di trovarsi il generale Jarjayes come avversario, la sua compagna gli aveva assicurato che sarebbe stato un valido alleato una volta messo a parte della verità riguardo András ma evidentemente aveva preso un abbaglio.

“Basta così”, sentenziò il Re alzandosi dal trono su cui sedeva, imitato dalla Regina. “Avete esposto i fatti, spetta a noi decidere se questa storia sarà portata in un tribunale o si chiuderà fra queste mura. Domani saprete la nostra decisione”.

Uscì dalla stanza in compagnia della sua consorte, lasciando i contendenti da soli. Tibor congedò le sue guardie ungheresi, tenendo con sé solo Ophélie.

“Ebbene, ci sei riuscito András. Hai ingannato persino i sovrani francesi”.

“Io non ho ingannato nessuno, Tibor. Non avrei mai alzato un dito su Ophélie che al contrario mi si è gettata fra le braccia. Abusare di una donna è qualcosa che mi disgusta nel profondo, non potrei mai”.

Ophélie era livida, lacrime di rabbia le solcavano il viso vedendo il piano ideato con tanta accuratezza frantumarsi sotto la spietata strategia militare dei Jarjayes, i pugni così stretti da farsi sbiancare le nocche.

“Non crediate che finirà così, tutta la corte saprà cosa avete tentato di farmi!”.

Oscar alzò le spalle con noncuranza, rivolgendole uno sguardo di sfida. “Fate pure contessa. In ogni caso io e András ci sposeremo la settimana prossima e partiremo alla volta dell’Ungheria. Versailles sarà solo un ricordo o la meta di visite saltuarie”.

Tibor sbarrò gli occhi lasciando Ophélie e si avvicinò minaccioso ad Ariadné. “Che cos’hai architettato maledetta sgualdrina?!”.

Andrè lasciò la mano di Oscar e lo afferrò per il bavero, scrollandolo violentemente; già una volta lo aveva sentito pronunciare simili parole rivolte a sua madre ma quella volta era incatenato e stordito.

“Osa dire ancora una sola parola del genere rivolta a mia madre e ti restituisco il trattamento che mi hai riservato in quel buco schifoso”, sibilò, trattenendosi a stento dal colpirlo.

“Ma quanto siamo nervosi, cugino! Perché ti scaldi tanto, lei non è nemmeno la tua vera madre!”.

“Se anche fossimo dei perfetti estranei non tollererei simili insulti rivolti a una donna, tanto meno se quella donna è mia madre”.

Continuava a ribadire quanto considerasse Ariadné sua madre perché non sopportava quelle affermazioni di Tibor; era pur vero che non lo aveva dato alla luce e che la conosceva da appena un anno ma era una persona di gran cuore che lo amava come fosse davvero suo figlio, non avrebbe consentito a nessuno di ferirla.

Lasciò andare di colpo Tibor, spingendolo via da sé. “Non dovrai nemmeno avvicinarti a lei, chiaro?”.

Tibor sorrideva sarcastico mentre si rassettava la giacca. “Mi stai forse minacciando?”.

“Io non sto minacciando nessuno ma non voglio vederti vicino a mia madre. Le provochi sempre e solo dolore”.

Andrè si avvicinò ad Ariadné e le porse il braccio uscendo in sua compagnia mentre Oscar e il generale Jarjayes li seguivano da presso.

 

Il mattino seguente Oscar si svegliò molto presto, disturbata dalla mancanza di Andrè accanto a lei; scosse la testa, ridendo di quel pensiero e si alzò dal letto. Aveva davvero perso la testa per lui se non riusciva neanche più a dormire se non fra le sue braccia!

Si lavò e vestì con cura e velocemente, ansiosa di partire alla volta di Versailles, per il forte desiderio di rivedere Andrè, certo, ma anche e soprattutto per scoprire cosa avessero deciso i sovrani in merito alla denuncia di Ophélie. Aveva pochi dubbi che la controversia si risolvesse a favore di Andrè, tuttavia sarebbe stata tranquilla solo quando avrebbe sentito con le proprie orecchie il verdetto.

Scese direttamente nelle scuderie, senza fermarsi a fare colazione e saltò in groppa a César, dirigendolo verso la reggia a passo sostenuto. Sperava con tutto il cuore che il Re non avesse deciso di rimettere la questione al tribunale, altrimenti avrebbero dovuto rimandare tutti i loro piani e bisognava lasciare la Francia prima che la vera identità di András fosse svelata.

Giunta a destinazione, smontò da cavallo e lo affidò alle cure degli stallieri, dirigendosi verso gli appartamenti; d’improvviso si sentì afferrare per la vita, mentre una mano le tappava la bocca, e trascinare all’ombra di un colonnato. La persona in questione la fece voltare verso di sé e la baciò, stringendola possessivamente; Oscar la lasciò fare, salvo tirargli un pugno nello stomaco quando la lasciò andare.

“Mi hai fatto prendere un colpo, idiota!”.

“Accidenti Oscar, è questo il modo di trattare il tuo fidanzato?!”, protestò Andrè massaggiandosi la parte offesa.

“Se il mio fidanzato si comporta in maniera tanto infantile, sì!”.

“Volevo solo un bacio, abbiamo passato tutta la notte separati! Adesso devi farti perdonare”.

Oscar alzò un sopracciglio guardandolo e ricominciò a camminare verso la reggia, resistendo al forte impulso di ridere; lui la osservò allontanarsi e le corse dietro quando fu evidente che non si sarebbe fermata.

“Oscar stavo scherzando, fermati!”.

“Siamo in ritardo”.

“Non è vero, per favore aspetta!”.

Lei si fermò finalmente e si voltò verso di lui, giocherellando con il risvolto della sua giacca.

András devo ricordarti che attendiamo una risposta molto importante proprio stamani? Non abbiamo tempo”.

Andrè le cinse la vita con le braccia, accarezzandole la schiena. “Facciamoci aspettare”.

Oscar scosse la testa, alzandosi sulle punte per baciarlo mentre gli stringeva le braccia al collo; e fu una dolce promessa quel bacio, pronunciata senza parole.

“Andiamo. Voglio conoscere la decisione dei sovrani”.

Andrè si arrese annuendo e le porse il braccio, percorrendo con lei la strada verso gli appartamenti.

 

Trascorse un’altra ora e ancora non si erano avute notizie del Re. Oscar passeggiava nervosamente avanti e indietro nella stanza, e Andrè la seguiva con lo sguardo.

“Oscar forse dovresti fermarti”.

“Non riesco a stare seduta, sono troppo in ansia”.

Tibor, seduto dalla parte opposta della stanza assieme a Ophélie, ridacchiava dell’ansia di Oscar. “Cosa c’è che non va? Temete forse che il vostro fidanzato finisca per essere processato in tribunale?”.

Oscar si fermò, incrociando le braccia al petto. “András non sarà processato per qualcosa che non ha commesso. Se vi preoccupate della virtù di chi vi si accompagna, forse dovreste prestare più attenzione alla scelta delle vostre amicizie”.

Ophélie le rivolse un’occhiata sprezzante e si alzò, andando verso di lei fino a trovarsi tanto vicina da poter bisbigliare.

“Siete troppo sicura di voi madamigella Oscar. State attenta a voi e al vostro fidanzato”.

Oscar la guardò con un sorrisino sardonico, chinandosi vicino al suo orecchio. “Grazie per la premura, contessa. Vi ricambio la raccomandazione: intendo sposarmi e se accadesse qualcosa al mio futuro marito sareste la prima che verrei a cercare. Spero di essere stata chiara”.

La lasciò gelata dove si trovava tornando vicino ad Andrè e si sedette finalmente, posando la mano sulla sua. Sapeva di non dover sottovalutare la minaccia di Ophélie, aveva tentato una volta di uccidere Andrè e avrebbe potuto riprovare; tuttavia, era quasi certa che si sarebbe arresa una volta che i sovrani avessero decretato la completa inconsistenza delle sue accuse.

Finalmente il messo annunciò l’ingresso dei sovrani e i presenti si alzarono, inchinandosi quando varcarono la porta della stanza e restando in quella posizione fin quando fu loro concesso di rialzarsi.

“Abbiamo riflettuto molto sulla vostra controversia”, cominciò il Re. “E non abbiamo motivo di credere alla malafede della contessa de Sombrefleuve”.

Un sorriso di trionfo distese il viso di Ophélie mentre Oscar, al contrario, impallidiva vistosamente; era certa che Andrè sarebbe stato giudicato innocente, non potevano aver dato credito a quella donna! Sentì la stretta del suo uomo più forte attorno alla mano e si voltò a guardarlo. Le sorrideva, nonostante tutto e lei si chiese come potesse darle tanta sicurezza semplicemente posando su di lei quegli splendidi occhi verdi. Le fece cenno di voltarsi a guardare il Re che non aveva ancora terminato di parlare.

“Tuttavia dopo aver ascoltato i testimoni e considerato i fatti esposti dal generale Jarjayes, non riteniamo che il principe András abbia commesso ciò di cui viene accusato. Per questi motivi, vi preghiamo di dimenticare questa faccenda che speriamo non abbia seguito alcuno. Questo è tutto”.

Non appena il Re e la Regina ebbero lasciato la stanza, Andrè abbracciò Oscar affondando il viso nei suoi capelli. La stringeva convulsamente, nonostante il verdetto del Re fosse di fatto il consenso alle loro nozze; sebbene avesse tentato di tranquillizzarla, lui stesso si era sentito mancare il terreno sotto i piedi quando aveva ascoltato le parole iniziali del sovrano, e ora al contrario, credeva quasi di essere asceso al paradiso!

“E’ tutto finito, Andrè”, gli disse Oscar con un filo di voce.

“No Oscar, è solo l’inizio. La nostra felicità è appena cominciata”.

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Eccomi qui anche stasera ^-^

Scusate l’attesa ma questo capitolo non voleva saperne di essere scritto, ha fatto tanti capricci per lasciarmi comunque insoddisfatta :s

Comunque… il generale Jarjayes si è costituito avvocato difensore (d’altronde era lui a essere entrato nella stanza, non poteva essere Oscar) e nemmeno il Re è tanto sciocco da credere a un’accusa infondata come quella della serpe Ophélie. Evidentemente lei e il suo amante hanno fatto male i conti ;)

E’ tutto finito dite? Cosa vi ricorda l’ultima frase? *sogghigna*

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Capitolo 31
*** Capitolo 30 ***


I giorni seguenti videro Oscar e Andrè trascorrere più tempo lontani che insieme, ognuno rapito dai rispettivi familiari. A lei era stata concessa un’altra licenza perché potesse prepararsi a dovere al proprio matrimonio, quello stesso matrimonio che avrebbe segnato la fine della vita che conosceva; e la prospettiva piuttosto che spaventarla le mandava brividi deliziosi lungo la spina dorsale.

Sentiva che avrebbe potuto affrontare qualsiasi cosa finché avesse avuto Andrè accanto, così com’era sempre stato. Se aveva potuto illudersi di vivere come un uomo era stato solo grazie alla sua rassicurante presenza che non era mai venuta a mancare. Persino quando era stato lontano l’aveva sorretta, impedendo che commettesse una sciocchezza grazie all’amore che aveva scoperto per lui e che non si sentiva pronta a lasciar andare con la morte.

“Madamigella Oscar, dritta per favore!”.

La voce di madame Bertin la riscosse, riportandola coi piedi per terra. La Regina aveva insistito perché la sua modista preferita si occupasse di confezionare l’abito da sposa di Oscar, dichiarandosi certa che avrebbe saputo interpretarne alla perfezione l’animo e creare l’abito più adatto a lei.

Ormai era in piedi da ore, con le braccia divaricate, e nonostante l’addestramento militare cominciava a sentire la stanchezza di mantenere quella scomoda posizione. Nel tentativo di distrarsi, gettò uno sguardo allo specchio collocato alla sua destra e dovette suo malgrado ammettere di trovare affascinante la sua stessa figura: madame Bertin aveva perfettamente intuito il carattere della sposa, optando per un semplicissimo abito, privo dei trini e merletti che tempestavano gli indumenti delle dame di Versailles. I capelli, raccolti perché non intralciassero il lavoro delle sarte, evidenziavano il lungo collo da cigno, slanciando ulteriormente la sua figura e Oscar si scoprì ad arrossire chiedendosi cosa ne avrebbe pensato Andrè quando l’avesse vista.

“Vi troverà splendida, madamigella”.

“Come? Che cosa avete detto?”.

“Il principe Beleznay non potrà resistervi, siete un sogno”.

Oscar accennò un sorriso, chiedendosi come avesse potuto madame Bertin indovinare i suoi pensieri con tanta esattezza; intuito femminile forse, o piuttosto l’abitudine a vedere le espressioni di decine di donne giunte a un passo dall’altare.

Lei, però, non era una donna come le altre, era stata cresciuta e addestrata come un soldato e in quanto tale non avrebbe dovuto mostrare i suoi sentimenti a chicchessia; rialzò il mento con cipiglio deciso ma l’algida maschera si sciolse al sole del sorriso di Andrè che irruppe prepotentemente nei suoi pensieri. Lei era esattamente come le altre, aveva solo ricevuto un’educazione differente e come donna non poteva negare di stare andando verso il giorno più felice della sua vita, quello in cui si sarebbe affidata totalmente a un uomo, al suo cuore gentile che la sorreggeva da sempre e sarebbe stato il suo appiglio per tutta la vita.

“Abbiamo finito, madamigella Oscar”, sentenziò madame Bertin mettendo fine a quella che Oscar avrebbe definito senza esitazioni una tortura medievale.

La donna e le sue sarte la spogliarono dell’abito perché non lo sgualcisse nel tentativo e potè finalmente scendere dallo sgabello e indossare una più comoda veste da camera. Quando furono uscite, si avvicinò al camino restando in piedi a fissare le fiamme per qualche momento. Il rumore della porta che si apriva, la riscosse e si voltò, certa che si trattasse di madame Bertin o di una delle sue sarte in cerca di qualcosa dimenticato nella stanza.

“Andrè!”.

Andrè tacque, prendendosi del tempo per osservare la donna che aveva davanti, perché per un attimo credette di trovarsi davanti all’incarnazione di Afrodite. Oscar era bella, più di qualsiasi altra donna avesse mai visto e quella bellezza così pura e semplice, priva di ornamenti, lui la vedeva anche sotto gli abiti maschili e gli atteggiamenti militareschi che da sempre erano parte di lei; eppure così, con indosso solo una vestaglia che poco o niente lasciava all’immaginazione, quel suo splendore etereo non poteva che essere accresciuto.

La vide compiere qualche passo verso di lui e si mosse a sua volta, raggiungendola in poche falcate; le posò le mani intorno alla vita, stringendosela contro, e si chinò a baciarle il viso.

“Mi stavi aspettando?”.

Oscar rise accarezzandogli il volto con entrambe le mani. “Sì, stavo proprio aspettando te.  Però, non dovresti entrare senza bussare nella stanza della tua futura moglie”.

“Proprio perché sarai mia moglie, non vedo il motivo di tanta etichetta”.

Gli sorrise, sfiorandogli le labbra con i pollici e si tese a baciarlo, spostando le mani sulle spalle dove alcune ciocche ribelli si lasciarono catturare fra le sue dita; Andrè portò le mani verso il basso fino al fondoschiena, e la sollevò leggermente.

“Oscar… mi fai perdere il controllo di me stesso così”, sospirò staccandosi da lei.

“Sarai mio marito, non vedo il motivo di tanta etichetta”.

Oscar rise di nuovo, rigirandogli ciò che le aveva appena detto e Andrè ridacchiò anche lui, piegandosi a darle un bacio sul collo.

“I Beleznay hanno finalmente ricevuto i documenti dall’Ungheria. Oggi hanno adottato Andrè Grandier e András Hrovat non esiste più”.

“Perciò, posso chiamarti Andrè anche quando siamo qui a Versailles?”.

Andrè annuì baciando il nasino di Oscar. “Certo. Sono di nuovo e per sempre Andrè”.

Il mio Andrè”.

 

Ophélie si trovava nella propria stanza a rimuginare su ciò che era accaduto; non tollerava che quello scherzo della natura chiamato Oscar François de Jarjayes le avesse infine ritorto contro il suo stesso piano. E meno ancora sopportava lo sdegno con il quale il suo attendente ammantato di nuova nobiltà l’aveva respinta.

“A che cosa stai pensando?”.

La voce di Tibor la fece voltare verso il letto, sul quale giaceva il duca ungherese, fra le lenzuola sfatte. Lo raggiunse sedendo sul bordo e stese una mano a disegnare i muscoli del suo torace.

“Non accetto quello che è successo. Detesto perdere”.

Tibor si sollevò, mettendosi seduto sul letto e le prese la mano, portandola alle labbra. “Non è finita”.

“Tibor… cosa possiamo fare ancora, fra due giorni si sposeranno e partiranno per l’Ungheria, hanno vinto”.

Lui sollevò Ophélie fra le braccia, stringendola a sé e le tirò su il viso, prendendo possesso delle sue labbra mentre lei lasciava scivolare le mani fra i suoi capelli biondi. Lo spinse all’indietro sul letto, suscitandogli una risata che sentì con la pelle quando lui se la strinse contro, premendole le mani sulla schiena. Lasciò le sue labbra per baciargli il collo, la mano di Tibor fra i suoi boccoli.

“Non li lascerò tranquilli, mia cara”.

Ophélie alzò lo sguardo e lo abbracciò, stendendosi al suo fianco. “Dici davvero?”.

Tibor annuì stringendola fra le braccia, la guancia appoggiata sulla sua testa. Le carezzava pigramente la schiena, scostando i capelli dalla pelle di porcellana della donna, fin quando la vide addormentarsi e le baciò la fronte. Aveva in mente ancora un tiro mancino all’odiato cugino ma doveva attendere.

 

Il giorno del tanto sospirato matrimonio era giunto infine, e la cappella di Versailles era piena fino all’inverosimile degli invitati alla cerimonia ma soprattutto delle decine di cortigiani incuriositi dall’evento. Vedere il comandante Oscar François de Jarjayes contrarre matrimonio era già abbastanza strano; se poi il fortunato era niente meno che un principe giunto dai lontani boschi della Transilvania, la rarità dell’avvenimento ne risultava moltiplicata. Persino Tibor e Ophélie sedevano fra i congiunti, come se niente fosse accaduto fra loro e le famiglie degli sposi.

Quando la sposa fece il suo ingresso al braccio di suo padre, le esclamazioni di sorpresa non furono lesinate e se non fosse stato per la prevedibile tensione che l’aveva afferrata, Oscar avrebbe trovato assolutamente comiche le facce dei presenti. Era convinzione diffusa che si sarebbe presentata in alta uniforme, come ogni volta che presenziava ad eventi di particolare importanza; e vederla fasciata in quel semplice ed elegante abito color avorio, con i lunghi capelli biondi raccolti sul capo, stupì non poco l’intera Versailles. Per un attimo fugace, Oscar pensò che forse qualcuno avrebbe ricordato la misteriosa contessa straniera che aveva danzato fra le braccia del conte di Fersen oltre un anno prima; stranamente, si rese conto che non le importava affatto che la riconoscessero, non ora che la stava aspettando l’unico uomo che meritasse di vederla in quelle vesti.

Andrè era a dir poco folgorato da quella vista. Osservava Oscar percorrere la navata a passo lento, il braccio stretto attorno a quello del generale Jarjayes, e credette quasi di essersi definitivamente smarrito in uno dei suoi sogni più belli. La donna che amava da tutta la vita stava per diventare sua moglie, lo amava e solo per lui aveva accettato di dismettere le sue abitudini e per un giorno, calarsi interamente nel ruolo di sposa. Era così bella che guardarla faceva male ma avrebbe rinunciato per sempre alla vista se avesse potuto dedicare a lei il suo ultimo sguardo. Si riscosse in parte quando il generale gli lasciò sua figlia, posando la mano di lei sulla sua e si piegò leggermente per poterle parlare.

“Sei una visione”, disse, avendo il piacere di vederla arrossire e distogliere pudicamente lo sguardo.

Non poteva immaginare quanto e in quale maniera avesse provocato il rossore di Oscar; le sue parole certamente avevano avuto il loro effetto ma lui stesso, la sua presenza in quel luogo e ciò che significava erano un misto di emozioni fortissime.

Si guardarono negli occhi tutto il tempo, le mani strette che intrecciarono le dita quando finalmente il celebrante sancì la loro unione agli occhi di Dio e degli uomini.

Semplicemente Andrè e Oscar, semplicemente un uomo e una donna liberi finalmente di amarsi senza ostacoli.

 

Durante il ricevimento, che si tenne ancora a Versailles, Andrè e Oscar trovarono il modo di allontanarsi, non visti, da tutte quelle luci e quegli sfarzi che nessuno dei due amava particolarmente. Si rifugiarono su una terrazza abbastanza isolata perché potessero stare tranquilli per qualche momento; la musica e il vociare delle persone giungevano ovattati, dando loro l’impressione di potersi isolare da tutto il mondo. Andrè abbracciò Oscar da dietro, le braccia strette attorno alla sua vita e il mento sulla sua spalla. Nessuno dei due parlava per non interrompere la magia di quegli istanti di cui unici testimoni erano gli astri del firmamento.

“E così”, disse infine Oscar posando la mano sinistra su quella di Andrè, “siamo sposati. Chi lo avrebbe mai detto?”.

“Io. Non ho mai avuto dubbi che noi due fossimo gli unici capaci di dare felicità l’uno all’altra”.

“Ah si?”.

“Si”.

Andrè voltò il capo baciando delicatamente sul collo Oscar che chiuse gli occhi, intrecciando più strette le loro mani.

“Ti amo Andrè, lo sai?”.

Lui sorrise sulla sua pelle e le posò una mano sul viso, costringendola gentilmente a voltarsi incontrando le sue labbra; l’altra mano vagava sul suo corpo, infastidita dalla seta del vestito che impediva alle loro pelli di sentirsi. Andrè la fece voltare e poggiò la fronte contro la sua, accarezzandole delicatamente il viso.

“Anch’io ti amo Oscar”, le sussurrò sulle labbra. “Ti ho già detto che sei bellissima?”.

Oscar arrossì di nuovo, come ogni volta che lui le rivolgeva parole tanto lusinghiere. “In effetti, credo che tu non me lo abbia ancora detto abbastanza”.

Andrè rise abbracciandola e le accarezzò la schiena mentre lei si rifugiava sul suo petto, sospirando tranquilla; ancora pochi giorni e sarebbe stato il suo compleanno e avrebbe avuto di nuovo lui accanto. Un anno prima, il sopraggiungere di quel giorno era stato l’ennesimo colpo al suo cuore ferito, un altro momento in cui avrebbe voluto Andrè e non poteva. Questa volta, sarebbe stato un nuovo passo verso la felicità più grande che avesse mai provato; alzò lo sguardo incrociando il suo, tanto intenso da farla rabbrividire.

“Senti freddo?”.

“No, sto bene. Voglio solo stare con te”.

Andrè guardò Oscar negli occhi, intuendo cosa in realtà gli stesse chiedendo con quelle parole, apparentemente innocenti.

“Ci cercheranno”.

“Non siamo il Re e la Regina, i cortigiani possono anche restare a danzare tutta la notte, invece di controllare cosa facciamo nella nostra camera”.

Lui rise stringendole la mano e tornò all’interno della reggia, imboccando il corridoio che conduceva agli appartamenti. Ridevano come ragazzini mentre correvano tentando di non farsi scoprire e non smisero nemmeno quando raggiunsero la stanza di Andrè; lui la sollevò fra le braccia e giunto vicino al letto, la adagiò sul materasso, stendendosi accanto a lei.

Si voltò supino, trascinandola su di sè e le sfiorò leggero il corpo, imparandone ogni segreto con le dita; tornò ai suoi capelli dai quali cominciò a sfilare i fermagli che li tenevano raccolti sul capo. Le ciocche gli ricadevano sul viso, inebriandolo del profumo di Oscar mentre lei gli slacciava lo jabot per avere libero accesso al suo collo che si chinò a baciare. Andrè si sollevò, sedendosi sul letto e tenendo Oscar a cavalcioni sulle gambe la baciò voluttuosamente, sfilandosi la giacca e il gilet che gettò lontano sul pavimento.

Oscar liberò i capelli di Andrè dal nastro che li tratteneva, sfilando con mani febbrili i bottoni della sua camicia dalle asole, ansiosa di poter risentire quella pelle virile sotto la sua; finalmente riuscì a toglierla e la mandò a raggiungere gli indumenti già tolti. Lui sciolse i lacci che tenevano chiuso il suo vestito e glielo sfilò lentamente dalla testa, baciando ogni porzione di pelle che scopriva al suo passaggio.

Pochi altri ansiosi movimenti e i loro corpi poterono risentirsi nuovamente privi di inutili barriere di stoffa fra loro. Oscar, ancora adagiata sul corpo di Andrè, si mosse accogliendolo dentro di sé, senza ulteriori indugi, spinta da un’urgenza che le era diventata familiare; lui le posò le mani sui fianchi, imponendole un ritmo più lento e si abbassò a baciarle il collo, scendendo lentamente verso il seno. Si scoprì a rabbrividire sentendo le mani di Oscar intrecciarsi fra i suoi capelli scuri, sorpreso di quanto un gesto così innocente potesse aumentare tanto la sua eccitazione.

La afferrò per la vita, invertendo le posizioni con un colpo di reni e facendola distendere sulla schiena, si sollevò sui gomiti per non pesarle addosso; Oscar era ancora più bella così scarmigliata, le labbra tumide e rosse per i baci e il viso disteso, illuminato dai suoi splendidi occhi azzurri, lucidi di piacere. Le posò le mani sulle gote, baciandola dolcemente, senza fretta.

“Ti amo così tanto Oscar”.

Oscar sorrise, accarezzandogli la schiena. “Ti amo anch’io Andrè”. Gli percorse il dorso con le mani fino a posarle sulle anche e lo tirò contro di sé, spingendolo a muoversi; Andrè sorrise di quell’iniziativa e la accontentò, stringendola fra le braccia mentre lei gli cingeva i fianchi con le gambe.

Chiuse gli occhi, desiderosa di sentire solo il dialogo fra i loro corpi che parlavano una lingua antica quanto il mondo, fin quando tutto perse di significato e potè percepire solo vagamente Andrè stringerle la mano mentre giungeva al culmine a sua volta.

 

Qualche ora dopo, Oscar fu svegliata dalla fastidiosa sensazione che ci fosse qualcuno nella stanza; socchiuse gli occhi, strusciando il viso contro il petto di Andrè sul quale stava riposando. Dormiva ancora tranquillo e lei voltò il viso a posargli un delicato bacio sul torace.

“Ben svegliata madamigella”.

Una voce del tutto fuori luogo la fece sobbalzare e il movimento repentino svegliò Andrè; non appena aprì gli occhi, vide una spaventata Oscar seduta contro la testiera del letto, le lenzuola strette addosso, e si voltò nella stessa direzione in cui stava guardando.

“Tibor! Dannazione, che fai qui?!”, esclamò vedendo il duca tranquillamente seduto su una poltrona che si trovava di fronte al letto, una pistola stretta in pugno.

“Ah devi scusarmi cugino sai… non avrei voluto ammazzarti proprio la prima notte di nozze ma tu non ne hai voluto sapere di toglierti dai piedi prima”.

Oscar nel frattempo aveva recuperato tutto il suo sangue freddo e si guardava intorno, sperando di scorgere qualcosa che potesse essere usato come arma; trattenne uno sbuffo rendendosi conto di quante cose inutili potessero trovarsi in un comune appartamento della reggia.

“Tibor, è il caso che tu te ne vada, credimi”, disse Andrè alzandosi in piedi, un lenzuolo a cingergli i fianchi. “Se esci adesso, dimenticheremo ciò che è accaduto”.

Tibor rise sadicamente, scuotendo la testa e volse gli occhi verso Oscar; le aveva dedicato una lunga occhiata prima che si svegliasse e dovette ammettere che suo cugino aveva avuto buon gusto. Lei ricambiava il suo sguardo, tenendolo d’occhio, e le fece cenno di raggiungerlo.

“Avvicinatevi madamigella. Sono certo che da bravo cugino vostro marito non avrà nulla da obiettare se vi dedicate un po’ anche a me”.

Andrè strinse i pugni, muovendo qualche passo verso di lui. “Non osare nemmeno pensarci schifoso bastardo!”.

Tibor tirò indietro il cane, puntandogli contro la pistola. “Hai proprio fretta di morire”.

Oscar, terrorizzata all’idea che premesse il grilletto, si alzò coprendosi meglio che potè con le coperte e fece per avvicinarsi a lui.

“No! Tibor vi prego, mettete giù quella pistola, farò ciò che volete!”.

“Oscar fermati!”, la pregò Andrè, immaginando le intenzioni perverse di suo cugino.

Il duca tese la mano a Oscar e lei ignorò le sue suppliche avvicinandosi ancora; posò timidamente la mano sulla sua, mentre l’altra stringeva i drappi sul corpo nudo e lui la afferrò, tirandosela contro, la pistola pericolosamente diretta al petto di Andrè. Le mise la mano fra i capelli, sulla nuca, e si appropriò della sua bocca, baciandola con violenza.

Andrè fremeva come una bestia in gabbia e mosse cautamente un passo, fermandosi quando vide Tibor spiarlo con un occhio e sistemare il tiro dell’arma; Oscar si rilassò contro di lui che si permise di abbassare la guardia, seguendo con lo sguardo la linea del suo collo fino alla stoffa stretta sul seno. Andrè approfittò di quell’attimo di distrazione e si scagliò contro Tibor, disarmandolo dopo una breve colluttazione; afferrò Oscar per la vita e arretrò di qualche passo, puntandogli la pistola contro. Posando le mani sul braccio allacciato in vita, lei potè nettamente sentire che tremava per lo sforzo di trattenersi dal premere il grilletto.

“Vuoi spararmi Andrè? Fallo, che aspetti!”.

“Lo sa Iddio quanto vorrei vederti con un buco in fronte per ciò che hai appena fatto”.

Oscar alzò lo sguardo, vedendo la mascella contratta dalla tensione e minuscole gocce di sudore imperlargli la fronte aggrottata; gli occhi ridotti a due fessure erano segno evidente di quanto fosse combattuto ma lei sperava che avesse il sangue freddo di non macchiarsi di un tale crimine.

“Andrè…”.

Andrè rafforzò la presa attorno alla pistola e sparò un colpo che si conficcò nella poltrona alle spalle di Tibor, senza sfiorarlo. Lasciò cadere l’arma e, voltandola verso di sé, abbracciò Oscar, stringendosela al petto. Andrè tremava ancora e lei si avvinghiò al suo corpo, sperando di calmarlo con quel contatto così forte.

“Tibor vattene. Esci da questa stanza e fa’ in modo di uscire anche dalle nostre vite. Non sono sicuro che mi tratterrei ancora”.

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Eccomi, eccomi, eccomi qua ^-^ Vi chiedo umilmente perdono per il ritardo, mio cugino che vive lontano ha fatto un’improvvisata e mi ha rapita negli ultimi tre giorni XD.

Tornando al capitolo, è decisamente più lungo rispetto al mio solito ma non sapevo proprio dove tagliarlo :P

Una precisazione, riguardo il vestito di Oscar: forse qualcuno/a di voi si aspettava, come i nobili di Versailles, che effettivamente la nostra bionda si sposasse in uniforme. Personalmente, la spiegazione che Oscar da a sé stessa mentre posa per madame Bertin, è niente di meno che la mia personale idea; inoltre, è pur vero che si sente a suo agio in abiti maschili data l’educazione ricevuta ma sono convinta che se mai avesse sposato Andrè, lo avrebbe fatto in abito da sposa. Lui ha sempre visto la femminilità nascosta sotto l’uniforme ed è l’unico che le abbia fatto capire fino in fondo quanto fosse donna; indossare un abito femminile nello stesso giorno che li avrebbe visti finalmente marito e moglie sarebbe stato un ottimo modo per accettare in pieno questa nuova consapevolezza e renderne partecipe lui.

Bene, concluso il tema, ci sto prendendo gusto a scrivere le scene hot, anche se preferisco la prima X///P

Detto questo, la storia è ormai conclusa, manca solo l’epilogo; ancora una volta, grazie per il sostegno e fatemi sapere cosa pensate anche di questo capitolo, sempre se vi va ;)

A presto (_ _)

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Capitolo 32
*** Epilogo ***


Tibor, spaventato da quella rabbia che vedeva per la prima volta, fuggì in tutta fretta dalla stanza, senza curarsi che qualcuno potesse vederlo; per sua fortuna, era ancora molto presto e i festeggiamenti si erano protratti fino a tarda notte, i corridoi erano completamente deserti. Andrè lo aveva seguito, sbattendogli la porta dietro, ed era tornato a stringere fra le braccia Oscar che gli sfiorava la schiena con l’intento di calmarlo.

“Cosa credevi di fare?!”.

“Come? Che cosa intendi dire Andrè?”.

La afferrò per le braccia scostandola bruscamente da sé. “Hai capito cosa voleva quando ti ha chiesto di raggiungerlo? Volevi forse che ti violentasse?!”.

Oscar lo guardò negli occhi smarrita; non lo aveva mai visto tanto arrabbiato, non credeva nemmeno che potesse giungere a tale livore e anche se sapeva bene che non fosse indirizzato a lei, ne era spaventata.

“Io non potevo lasciare che ti uccidesse, avrei fatto qualsiasi cosa!”, esclamò, tentando di recuperare la sua sicurezza.

Andrè lasciò andare un sospiro, chinandosi fino a toccare la fronte di Oscar con la propria e la abbracciò, baciandole la tempia.

“Se Tibor fosse arrivato fino in fondo, quel colpo me lo sarei fatto sparare in testa”.

La sentì irrigidirsi fra le sue braccia e le tirò su il viso, sfiorandolo con il dorso della mano. Le passò il pollice sulle labbra, come a voler cancellare ciò che le aveva fatto Tibor, e Oscar vide un velo di lacrime offuscargli lo sguardo.

“Andrè, non è successo, ti prego calmati”.

“Stava per succedere, Oscar, ed io non avrei potuto fare nulla se non farmi ammazzare”.

Oscar gli posò le mani sul volto, senza curarsi delle coperte che le scivolarono dal corpo, e si sollevò sulle punte per baciarlo, allacciandogli le braccia intorno al collo; Andrè la strinse, lasciando vagare le mani sulla sua pelle.

“Tentare di sedurmi non mi farà passare l’arrabbiatura, Oscar”.

La vide arrossire di sdegno e rise, baciandola fino a toglierle il fiato.

“Andrè, dobbiamo andarcene al più presto. Non voglio più rischiare che succeda una cosa del genere, sono stanca di avere Tibor fra i piedi”.

Andrè annuì, abbracciando stretta Oscar. Non avrebbe voluto portarla via così presto ma se Tibor era arrivato al punto di intrufolarsi nella loro stanza per ucciderlo e addirittura abusare di lei, non c’era tempo da perdere.

“Se vuoi partire adesso, dobbiamo organizzare il viaggio e partire al massimo fra un paio di giorni. L’inverno avanzato non ci consentirebbe di raggiungere la Transilvania”.

Oscar distolse lo sguardo dagli occhi di Andrè e si avvicinò alla finestra, scostando la tenda quel tanto che bastava per osservare il panorama fuori. Era decisa più che mai a partire insieme a lui ma pensava che le fosse concesso più tempo per dire addio al mondo che conosceva. Udì i passi di suo marito nella stanza e qualche minuto dopo sentì il calore della veste da camera che le fece indossare, vestendone una a sua volta. La abbracciò per la vita, lasciando che si adagiasse contro di lui.

“Sei pentita?”.

“No. Sono solo sorpresa dalla repentinità della nostra partenza. Non potrei mai pentirmi di aver scelto di condividere la mia vita con te”.

Andrè sorrise accarezzandole delicatamente il ventre e Oscar lo fermò posando la mano sulla sua. Prima che pronunciasse una sola parola, lei voltò la testa per guardarlo e gli sorrise.

“E se… ecco, non siamo stati attenti…”.

Lui rise, baciandole la fronte. “Se fosse accaduto, sarei l’uomo più felice della terra, Oscar”.

 

Nel pomeriggio, Andrè decise di andare a trovare i suoi genitori, dopo aver lasciato Oscar in compagnia di madame Jarjayes. Doveva chiedere il parere dei principi Beleznay prima di partire ma era disposto a intraprendere da solo il viaggio con Oscar se avessero espresso il desiderio di restare in Francia.

Zalán e Ariadné furono stupiti della sua visita, sicuri com’erano che avrebbe trascorso l’intera giornata con sua moglie; l’espressione grave del suo viso li avvisò che doveva essere accaduto qualcosa ma nessuno dei due poteva nemmeno immaginare la verità.

“Andrè, pensavamo che preferissi rimanere con Oscar oggi”.

“Lo avrei voluto, madre, però è successo qualcosa stamani che non posso ignorare”.

Ariadné si irrigidì e Zalán le strinse la mano nella sua, intuendo i suoi timori. “Avete forse deciso di rimanere in Francia?”, chiese senza giri di parole.

“Come? Oh no, affatto padre. Anzi, se sono qui, è per chiedervi di anticipare il viaggio e andare via al più presto. Tibor si è introdotto nei miei appartamenti stamattina, intendeva uccidermi e usare violenza a Oscar… io non posso più restare così vicino a lui, stavo per sparargli!”.

Zalán si alzò, passeggiando nervosamente nella stanza. Era livido di rabbia e mancò poco che sferrasse un pugno contro la finestra. “Io quello lo ammazzo sul serio”.

“Calmati Zalán, ucciderlo servirebbe solo a metterti nei guai. Almeno fin tanto che ci troviamo in Francia”.

Andrè spostava lo sguardo dall’uno all’altra, preoccupato da quali potessero essere le loro intenzioni una volta giunti in Transilvania.

“Madre, voi non dovete…”.

“Quello che dobbiamo fare è affar nostro, Andrè. Preoccupati che tu e Oscar siate pronti a partire, domani”.

Andrè trasalì scorgendo una cruda determinazione negli occhi color ghiaccio della donna; aveva imparato quanto potessero essere duri e spietati gli abitanti di Transilvania e si sorprese a pregare per l’anima di Tibor. Poi, improvvisa com’era venuta, quella rabbia sparì, lasciando il posto a un luminoso sorriso.

“Non ti angustiare adesso, hai recuperato tutti i tuoi ricordi e sei sposato con la donna che ami, dovresti sorridere tutto il tempo!”.

Lui si sforzò di sorriderle, prendendole le mani nelle sue. “E’ anche merito vostro madre. Se voi non foste stati tanto generosi da adottarmi non avrei potuto realizzare il mio sogno”.

Ariadné ricambiò la stretta e Zalán gli posò una mano sulla spalla. “Non avremmo potuto fare altrimenti, ti vogliamo bene. Sei nostro figlio”.

Andrè si chinò a baciare le mani della principessa, stringendole con amore. Nanny era stata la nonna migliore che potesse immaginare ma aveva sempre sentito la mancanza dei suoi genitori e i principi ungheresi avevano fatto di tutto per sopperirvi, riuscendoci quasi completamente. Con loro e Oscar al suo fianco, poteva finalmente avere una famiglia.

 

Quando raggiunse Oscar, Andrè la trovò intenta a consolare sua madre che le si era gettata fra le braccia, sotto lo sguardo commosso del generale Jarjayes. Doveva aver detto loro ciò che era accaduto e la decisione di partire immediatamente e per qualche attimo Andrè si sentì responsabile di tutto quel dolore; se non fosse stato bersaglio della gelosia di Tibor, Oscar non avrebbe dovuto lasciare la Francia e la sua famiglia.

“Andrè”.

“Generale Jarjayes”.

“Andrè, voglio che tu mi giuri di nuovo che la renderai felice. È doloroso per me separarmi da Oscar e ho bisogno di sapere che la lascerò andare incontro alla sua serenità”.

Andrè guardò il generale dritto negli occhi, deciso a confermargli ciò che chiedeva. Rendere felice Oscar era tutto ciò che desiderava dalla vita.

“Non mi perdonerei se Oscar fosse meno che felice un solo giorno della sua vita”.

“Ti ringrazio Andrè”.

“Però, devo chiedervi perdono generale”.

“Perdono di cosa?”.

Andrè chinò il capo, contrito. “Se non fossi stato io il bersaglio di quel pazzo di Tibor, non sarei stato costretto a portare via Oscar”.

“Stai partendo per salvare mia figlia. Non c’è colpa in questo”.

“Vi ringrazio molto generale Jarjayes”.

François de Jarjayes strinse la mano di Andrè, guardandolo con sincero affetto. Non lo aveva mai ammesso a nessuno se non a se stesso ma era molto felice che fosse vivo e avesse sposato Oscar perché sapeva che era l’unico degno di stare al fianco della sua amata figlia.

Consolare Marguerite non fu altrettanto semplice; inutile ripeterle che avrebbero fatto loro visita ogni anno e che avrebbe a sua volta potuto raggiungerli quando l’avesse desiderato. Tutte le sue figlie erano sposate e vivevano in Francia e l’idea di perdere proprio Oscar che più a lungo di tutte aveva vissuto nella casa paterna, le era insopportabile. Sembrò calmarsi un poco soltanto quando sua figlia le spiegò che si allontanava per salvaguardare la propria incolumità ma che lasciare i propri genitori e la Francia le era di peso.

“Figlia mia promettimi che mi scriverai spesso. Voglio sapere quando mi darete dei nipoti”.

Oscar arrossì vistosamente, scoccando un’occhiataccia ad Andrè che ridacchiava divertito. “Certamente madre. Qualora Andrè ed io decidessimo di avere dei figli, sareste la prima a saperlo”.

Marguerite la abbracciò, finalmente sorridente. “Sii felice Oscar. È l’unica cosa che io e tuo padre abbiamo sempre voluto per te”.

“Lo sarò di certo, madre mia”.

 

 

Dicembre 1792

 

Cinque anni. Tanto è passato da quando ho finalmente ritrovato la mia vita e il mio amore in Francia. Liliána è sempre più bella, a quattro anni è il ritratto di sua madre se non fosse per gli occhi verdi che sono certamente opera mia[1]!

Il ‘timore’ di Oscar si rivelò fondato e la nostra bambina nacque nell’agosto successivo al nostro matrimonio, incredibilmente proprio il 16 come me. La decisione di darle un nome ungherese è stata comune, in fondo è nata in Ungheria ed è in questo regno che crescerà; ora più che mai sappiamo che non torneremo in Francia, quello non è più il paese che abbiamo lasciato.

La popolazione, esasperata dalla fame e dai continui rialzi della tassazione, ha infine dato il via a una rivolta, a quella che chiamano Rivoluzione. Il Cavaliere Nero, che senza saperlo è stato l’artefice della mia felicità, era soltanto un’avanguardia dei malumori della gente e del dissenso incarnato dai cosiddetti Giacobini.

Certo, non posso dire di non capirli: io sono stato fortunato, pur se un servo, sono stato cresciuto accanto a Oscar, ho ricevuto la sua stessa educazione e infine ho incontrato i Beleznay che hanno fatto di me un principe perché potessi sposarla. Tuttavia, se fossimo rimasti in Francia, sono certo che avrei preso parte attivamente alla rivolta, dalla parte del popolo francese, s’intende; e sono anche sicuro che Oscar sarebbe stata al mio fianco, è nata nobile ma è soprattutto nobile d’animo e non ha mai tollerato le vessazioni rivolte al popolo.

In effetti, dopo la presa della Bastiglia ricevemmo la visita di un soldato mandato da un certo Bernard Chatelet che si è rivelato essere il marito della nostra Rosalie e niente meno che la persona celata dietro la maschera del Cavaliere Nero! Il militare ci disse di chiamarsi Alain de Soisson, un soldato della Guardia Metropolitana che aveva combattuto al fianco del popolo insieme a tutti quelli della sua compagnia. Bernard, che aveva sentito parlare di Oscar da sua moglie, la invitava a tornare in Francia come cittadina per collaborare alla riorganizzazione del paese e del suo esercito.

Prendere quella decisione fu quanto di più difficile avessimo affrontato nella nostra vita. L’orgoglio ci spingeva a partire subito alla volta del nostro paese martoriato, con il cuore colmo della stessa speranza che aveva guidato i Rivoluzionari; ma Liliána aveva appena compiuto un anno e questo ci fece desistere: lasciarla in Ungheria e separarci da lei non era nemmeno da considerare, tanto meno portarla con noi nel bel mezzo di una guerra che infuriava in tutta la Francia. Sapevamo che i nostri familiari stavano bene e così, pur se a malincuore, lasciammo che il soldato de Soisson ripartisse solo com’era giunto, strappandogli però la promessa di tornare a trovarci assieme a Bernard e Rosalie.

I nostri ripensamenti si sono completamente annullati quando abbiamo saputo delle atrocità seguite al rovesciamento della monarchia francese; appena qualche mese fa, gli ultimi cortigiani fedeli alla Corona sono stati orrendamente trucidati e dal tono delle ultime lettere di Rosalie, credo che fra non molto i sovrani stessi saranno condannati alla ghigliottina. Tutto questo non è quello che i Giacobini sognavano, non è quello che noi immaginavamo quando siamo stati resi partecipi dei cambiamenti iniziati ad avvenire in Francia.

Oscar è particolarmente preoccupata per le sorti della Regina Maria Antonietta e non posso dire di non capirla: sono state grandi amiche per vent’anni e la sovrana ha svolto una grossa parte nel coronamento del nostro sogno d’amore. Anche mia madre teme per la sua vita e spesso la sorprendo a piangere fissando un ritratto che le aveva donato la stessa Maria Antonietta; ho imparato che le sue sensazioni sono spesso foriere di verità e tremo al pensiero di dover un giorno dare a Oscar questa terribile notizia.

Il tetto del castello che rosseggia fra le cime degli alberi in lontananza mi distoglie dalle mie riflessioni, indicandomi di essere quasi arrivato a casa. È stata una giornata pesante e non vedo l’ora di tornare da Oscar e Liliána; stamani non ho permesso a mia moglie di seguirmi, sembra molto stanca ed è pallidissima, l’ho sentita dare di stomaco tutte le mattine nelle ultime settimane. Sono preoccupato per lei ma mi ripeto che non dev’essere niente di grave, non può essersi ammalata proprio adesso che siamo felici.

Non abbiamo altri pensieri al momento, da quando Tibor è deceduto in un incidente, tre anni fa; i cavalli che trainavano la sua carrozza si sono improvvisamente imbizzarriti, terminando la loro folle corsa sul fondo di un dirupo. L’unico sopravvissuto è stato Petre, che guidava il veicolo e quindi si trovava a cassetta, potendo così saltare prima dello schianto, e anche se il corpo di mio cugino non è mai stato recuperato, non penso che possa essere ancora vivo. Ho provato a chiedere a Jan per quale motivo ci fosse il suo amico come cocchiere ma non ho ricevuto risposta; è rimasto ostinatamente muto anche quando ho azzardato che l’incidente fosse stato provocato dallo stesso Petre come unico mezzo per riscattarsi agli occhi di mio padre.

È stato allora che ho affrontato Zalán, chiedendo spiegazioni su ciò che era davvero accaduto; non ha ammesso un suo coinvolgimento ma mi ha ordinato con molta durezza di non intromettermi mai più fra lui e i suoi uomini. Mio padre è un colonnello dell’esercito austriaco e Jan e Petre fanno parte della sua guardia personale e anche del suo reggimento. La Transilvania è una zona particolare, una delle prime terre coinvolte se il conflitto tra l’Impero Asburgico e l’Impero Ottomano dovesse mai rifarsi acuto; per questo motivo, Zalán ha bisogno di mostrarsi duro e spietato se vuole mantenere il rispetto dei suoi soldati ed io non posso permettermi di mettere in dubbio la sua autorità, era questa la lezione.

Mi fermo sulla soglia del salone quando sento la voce di Liliána chiamarmi, seguita da quella di Oscar. Sono entrambe sedute a giocare sul tappeto, davanti al camino acceso, uscire in giardino a dicembre, in Transilvania, sarebbe quasi un suicidio. Le raggiungo e siedo anch’io, accanto a loro, abbracciando la mia bambina che mi si è lanciata fra le braccia.

“Dove sei stato, Andrè? E’ molto tardi, stavo per uscire a cercarti”.

“Mi dispiace Oscar, sono stato giù al villaggio; pensavo di tornare prima ma non potevo spingere Augustus al galoppo nella neve alta”.

La vedo annuire e rannicchiarsi contro di me e stringo anche lei; non mi stancherò mai di tenerla fra le braccia, di sentire le sue labbra sulle mie, la sua pelle serica sotto le dita. Le bacio la fronte, restando con le labbra posate e la sento cingermi la vita con un braccio mentre l’altra mano si sposta a cercare la mia e la porta fino al suo ventre. La guardo, in cerca di una risposta, e mi rivolge un sorriso radioso, avvicinando le labbra al mio orecchio.

“Congratulazioni, papà”.

La guardo, confuso da quella rivelazione; sono felicissimo che ci sia Liliána e la mia contentezza raggiungerebbe vette inesplorate con un altro bambino.

“Davvero Oscar? Aspetti un bambino?”.

“No”, sorride lei, lasciandomi ancora più sconvolto. “Aspettiamo un bambino, si fanno in due Grandier!”.

Scoppia a ridere abbracciandomi e non posso fare a meno di ridere con lei della mia ingenuità. Non ha mai smesso di chiamarmi Grandier, quando scherza o è arrabbiata, e questo mi rende assurdamente felice: è l’ennesima prova del fatto che ama davvero il suo amico d’infanzia, l’attendente, Andrè.

Solo me, in questa vita e nella prossima.

Solo lei, per tutta la mia esistenza e oltre.

Solo Andrè e Oscar.

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[1] Inizialmente avevo pensato a un figlio maschio ma ho cambiato idea davanti a una delle fanart che si trovano sul sito MonCoeur (non posso inserire il link mi pare di capire dal regolamento ma se lo trovate rifatevi gli occhi, l’autrice disegna come la Ikeda *-*) dove si può vedere Andrè con la sua bambina (che è praticamente una minuscola Oscar) fra le braccia mentre Oscar gli sgancia il pannolino XD

Ebbene, eccomi infine giunta alla fine di questa lunga storia, l’ennesimo sogno di una fan che non può ancora rassegnarsi alla fine dell’anime/manga di Lady Oscar.

Spero non vi dispiaccia il cambiamento di registro finale, con la storia raccontata da Andrè; l’ho fatto perché in fondo è lui il protagonista della fanfiction, il verde d’Ungheria del titolo è riferito al colore dei suoi occhi e il riscatto era dovuto a lui più che a Oscar. Non fraintendetemi, mi dispiace molto anche per Oscar ma la morte di Andrè è quella che proprio non riesco a digerire e che mi fa piangere ogni volta che rivedo l’anime o rileggo il manga. Un piccolo cameo per il nostro Alain, non ho resistito :P

Non so con quali parole dirvi quanto vi sono grata per avermi accompagnata in questo “viaggio” e avermi spronata a continuare, spesso ho scritto solo per voi, per ringraziarvi della vostra costanza con la mia.

Non penso che scriverò altro in questa sezione, per una serie di motivi che non dirò perché non mi hanno riguardata personalmente ma spero di leggere qualcosa di vostro e potervi commentare.

Grazie, grazie e ancora grazie, spero vi verrà voglia di rileggermi ogni tanto ;)

Arigatou (_ _)

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