In need of Healing.

di Kary91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** It's complicated (Prologo). ***
Capitolo 2: *** Counting the stars. ***
Capitolo 3: *** You were his Daughter. ***
Capitolo 4: *** Ce l'hai un attimo per me? ***
Capitolo 5: *** You wait for rain ***



Capitolo 1
*** It's complicated (Prologo). ***



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In need of Healing


Avvertimento: i fatti di questa storia si svolgono a partire dalla puntata 2x14, senza seguire la trama degli episodi successivi.

 

 

Prologo

It’s complicated.

 

I was only looking for a short cut home.

But it’s complicated.

So complicated.

 

It is what it is. Lifehouse

 

“Questo è l’accampamento, Tyler.

Il mio branco, il nostro branco, si è stabilito qui da poco.

Sai come funziona un branco? Ci muoviamo in gruppo e non permettiamo mai a nessuno di rimanere indietro se non è lui stesso a deciderlo. Ti prego di considerare questo posto come un luogo a cui appartenere. Non dobbiamo essere un  rifugio temporaneo dalle tue paure, né tanto meno un leggero attimo di debolezza. Tu sei un licantropo, Tyler. Le scelte che fai devono essere influenzate da ciò che hai ereditato assieme al sangue; è nel tuo DNA. Con il tempo, imparerai che lo scopo di vivere in branco non è solo quello di riunire più creature della stessa specie. Non siamo solo un gruppo persone appaiate per categoria, Tyler. Noi siamo una famiglia.

Imparerai presto a scendere a patti con la tua nuova natura. Ti insegneremo a comprenderti, ad accettarti. Ad affrontare quel dolore che si sta prendendo gioco di te con prepotenza, lasciandoti spaventato e solo…

 

Spaventato e solo..

Spaventato e solo…

 

Le ultime tre parole di Jules erano inserite come segnalibri fra le pagine dei pensieri di Tyler.

E si trovavano ancora lì a qualche giorno di distanza dal suo arrivo all’accampamento.

 

Il ragazzo si accovacciò ai piedi di una quercia osservando con disinteresse il cielo tingersi di rosso e la luce del sole sfiorire, prosciugata dalle ombre.

Inspirò profondamente un paio di volte, avvertendo con una leggera sensazione di benessere l’aria inebriargli pienamente i polmoni.

 

L’impressione di riuscire respirare a fondo, più a fondo del solito, lo faceva stare bene, almeno per qualche manciata di minuti.

 

Dopodiché la paura tornava a picchiettare con forza sul suo sterno e i polmoni perdevano fiato, recuperando il loro volume attuale.

 

E Tyler tornava a sentirsi semplicemente “Tyler.”

 

Il ragazzino spaventato.

 

Il vigliacco scappato di casa.

 

Lo stronzo che aveva tradito un’amica.

 

Chinò il capo verso il terreno per inseguire con lo sguardo le ombre tracciate dai confini dell’accampamento; era una sorta di “villaggio-mobile”, una “città fatta di tende”: un insediamento del genere era il perfetto compromesso per un gruppo di creature in parte uomini e in parte lupi.

 

A Tyler, quel posto ricordava un po’ il campeggio in cui suo padre lo portava da piccolo, nei fine settimana estivi. Richard Lockwood non era mai stato il tipo di persona che amava trascorrere del tempo con la famiglia – per lui c’era sempre qualche faccenda più importante da sbrigare - , ma il campeggio gli piaceva. Lo considerava educativo.

Richard voleva che Tyler imparasse a cavarsela da solo. Voleva esasperare il suo spirito di sopravvivenza.

 

Se non comporta conseguenze per te, allora è la scelta migliore.

 

Questo era ciò in cui credeva Richard e nel campeggio, l’uomo aveva trovato lo strumento didattico perfetto per aiutare il figlio ad assorbire il concetto.

 

Tyler, d’altro canto, adorava quei momenti. Sebbene non amasse particolarmente le attività da svolgere all’aria aperta, quelli erano gli unici giorni in cui tutto il tempo di Richard veniva speso in parole per lui. In sguardi per lui.

 

In quei momenti, Tyler si accorgeva improvvisamente che le parole “Sindaco” e “Padre” non si escludevano a vicenda, come aveva sempre immaginato.

 

Tuttavia, quei brevi attimi di accortezze, non erano sufficienti a lenire la delusione che il Tyler bambino aveva finito per riporre in lui.

 

Un improvviso brivido di freddo lo riportò al presente, mentre sollevando lo sguardo, il ragazzo si accorse che le prime stelle avevano preso a fare capolino nel cielo sempre più nero.

 

“Trovati un altro albero, omega.”

 

Un dolore sordo alla nuca lo costrinse a gemere più per la sorpresa, che per il dolore.

 

Tyler si sollevò in piedi istantaneamente, le pupille dilatate per lo sgomento.

 

“Chi è là?”

 

La sua voce risultò piuttosto tremula e scarna rispetto a come se la era aspettata. D’un tratto si rese conto che non utilizzava le corde vocali da giorni.

 

“Questa quercia è mia.”

 

 

 

 

 

 

A parlare era stata una ragazza.

Una ragazza all’apparenza poco più piccola di lui.

 

Il tono di comando nel suo timbro di voce sfiorò gli angoli delle labbra di Tyler, minacciando da far sorgere un sorriso vagamente sarcastico sul suo viso.

 

Era stata lei a colpirlo?

 

 

 

Nota dell’autrice.

Premetto che per chi mi conosce questo potrebbe sembrare perfettamente un pesce d’Aprile, poiché  io e le Long Fiction non andiamo molto d’accordo: non le so seguire e, principalmente, non le so scrivere.

Ma ci tenevo e alla fin fine ho concluso per voler fare un tentativo comunque  –chissà come andrà a finire-.

Premetto anche una seconda cosa: questa storia non è una Delena. Damon, Elena e Stefan saranno a malapena presenti. (E con ciò mi sono appena garantita la totale assenza di letture/eventuale seguito, ma questi sono dettagli). I personaggi principali su cui verrà incentrata questa storia sono Tyler e Cady, (quest’ultima inizierete a conoscerla nel prossimo capitolo) . Jeremy e Caroline avranno entrambi un ruolo di rilievo nel corso della vicenda.

Detto questo,non ho voglia di annoiarvi sin dal prologo.  Mi limito a ringraziare di cuore le persone che hanno reso possibile questo mio timido tentativo di lanciarmi nel mondo delle long (incrocio le dita affinchè la cosa vada in porto).

Innanzitutto ringrazio la mia Beta-Reader, Fiery, per aver letto e controllato il capitolo e per aver sopportato i miei continui “ma non voglio disturbarti” o “mamma mia sono agitata!”. Il banner che troverete a breve ainizio capitolo è suo, perciò un doppio grazie per lo splendido lavoro.

Un secondo ringraziamento va alle ragazze del forum Delena che hanno letto il primo capitolo in anteprima e mi hanno dato l’ok per passare alla pubblicazione.

 

Concludo ringraziando gli stessi Tyler e Cady per avermi dato l’ispirazione nella speranza che questa storia non vada a finire nel dimenticatoio come tante prima di lei. In questo potreste aiutarmi voi. ^^

 

Un abbraccio forte

 

Laura

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Capitolo 2
*** Counting the stars. ***



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“Questa quercia è mia.”

A parlare era stata una ragazza.

Una ragazza all’apparenza poco più piccola di lui.

 

Il tono di comando nel suo timbro di voce sfiorò gli angoli delle labbra di Tyler, minacciando da far sorgere un sorriso vagamente sarcastico sul suo viso.

 

Era stata lei a colpirlo?

 

Chapter one

Counting the Stars.

 

Is it dark where you are?

Can you count the stars where you are?

Do you feel like you are

A thousand miles from home?

 

The longest Night. Howie Day

 

“Non lo sapevo.”

 

Il ragazzo diede una scrollata di spalle permettendo al suo sguardo ostile di indugiare con diffidenza sulla giovane sconosciuta.

 

Aveva una carnagione diafana, lineamenti da folletto e un paio di occhi penetranti color nocciola. La stessa tonalità del tronco di quella quercia che la ragazza stava reclamando con tanta insistenza.

 

Vi era un qualcosa di particolarmente delicato in lei. Un barlume di fragilità che faceva a pugni con l’alone di sfida emanato da quelle iridi poco più chiare delle sue.

 

La ragazza osservò con aria critica il movimento noncurante delle spalle di Tyler e sollevò leggermente il labbro superiore, lasciando intravedere un angolo di candida dentatura.

 

In quel momento, Tyler intravide fra i lineamenti femminili della giovane il riflesso ostile di una creatura sull’offensiva: un lupo.

 

Gli occhi della ragazza fiammeggiarono nella sua direzione e Tyler arretrò, colto di sorpresa da quell’improvvisa reazione.

 

Sei… Giovane."

 

Quelle due parole fuoriuscirono spontanee dalle labbra di Tyler, ma la ragazza le ignorò completamente. Quello che invece fece, fu scartare in avanti con una velocità fulminea e colpire il mento di Tyler con le nocche.

 

Dolore e sangue si mescolarono nella bocca del ragazzo, mentre un improvviso istinto aggressivo prendeva forma dentro di lui e gli occhi scuri si riducevano a due fessure.

 

Tyler si asciugò il sangue che colava a rivolo dal labbro inferiore e si avventò in direzione della ragazza, afferrandola per il collo e sbattendola con violenza contro il tronco della quercia.

 

La giovane si divincolò con furia digrignando i denti, e mentre Tyler la osservava compiaciuto, l’improvvisa consapevolezza di ciò che stava facendo, scoppiò improvvisa in un punto imprecisato del suo petto.

 

Era una ragazza, quella.

Da quando aveva preso a fare a botte con le donne?

 

Cogliendo il momentaneo attimo di esitazione del suo avversario, la ragazza-lupo si divincolò dalla presa del ragazzo e invertì le due posizioni, placcando Tyler all’albero con uno spintone violento.

Una mano chiarissima si appoggiò al collo del giovane Lockwood, facendo pressione quel tanto che bastava per far risuonare in lui un campanello d’allarme, assottigliando l’ossigeno che raggiungeva i polmoni.

 

“Omega.”

 

La ragazza sussurrò incastrando alla perfezione le iridi nocciola con quelle più scure, ma altrettanto furiose di Tyler.

 

I suoi capelli biondi e spettinati gli solleticavano il volto, ma il ragazzo riusciva solo a pensare alla sensazione di oppressione e vergogna che stava provando in quel momento.

 

…Omega?”

 

Quella parola Tyler non la conosceva, ma in un certo senso il timbro gli era familiare. Il suono di quelle cinque lettere incastonate tra loro non era piacevole, tuttavia.

 

Non faceva altro che accrescere la sensazione di sconforto divaricata dentro di lui; se fosse stato un lupo in quel momento, Tyler sapeva che si sarebbe allontanato con il capo chino e la coda tra le gambe.

 

“ L’omega è l’ultimo tassello della gerarchia dei lupi. Il membro più debole del branco. L’omega è un gradino sotto rispetto a tutti gli altri lupi e permette al branco di accrescere la propria forza interiore. Tu sei l’ultimo arrivato. Sei l’omega.”

 

Il timbro di voce della ragazza risultò quasi tagliente, a punto tale da far rabbrividire Tyler.

 

D’un tratto si sentì come svuotato. Privo di qualsiasi ostilità o desiderio di vendetta.

 

Ma era anche ferito, umiliato.

 

Si sentiva un omega.

 

Dopodiché avvenne una cosa insolita.

 

La giovane strappò con aria d’un tratto più rilassata un lembo della sua camicia a quadri e fece cenno a Tyler di sedersi, ignorando il pallore spettrale della falce di luna ormai stabilitasi nel nero della notte.

 

Il ragazzo appoggiò la schiena al tronco della quercia, avvertendo improvvisamente la stanchezza della giornata appena trascorsa condensarsi sulle sue ginocchia. In silenzio, la giovane prese posto accanto a lui ed incominciò a tamponare il labbro sanguinante di Tyler con il pezzo di stoffa. Il suo tocco era leggero e delicato: per la seconda volta, il ragazzo realizzò quanto risultasse esile e minuta quella ragazzina dai capelli biondi che con le gambe incrociate gli medicava le ferite.

 

“Le ferite vanno sempre ripulite. Non possiamo permettere che si infettino o che un membro del branco rimanga affetto da qualche malattia. Nemmeno se è l’omega.” aggiunse concedendo agli angoli delle labbra di arricciarsi in un sorriso amichevole.

 

Osservandola in quel momento, Tyler si diede mentalmente dello stupido per essersi lasciato mettere al tappeto da una creatura all’apparenza così docile e innocua: con quella postura e quel sorriso, la “ragazza-lupo” era tornata a essere una semplice ed ordinaria ragazza.

 

“Prima di me, eri tu il lupo omega?”

 

Domandò Tyler inarcando appena un sopracciglio.

La giovane scosse il capo con aria divertita.

 

“Io sono qui da troppo tempo per poter essere considerata “omega”.

 

“Da quanto?”

 

“Circa dieci anni.”

 

Tyler rimase in silenzio, osservando distratto le operazioni di medicatura.  Quella ragazza non dimostrava più di uno, forse due anni in meno di lui.

 

A dieci anni di distanza era solo una bambina: possibile che la maledizione l’avesse colpita fin già dalla più tenera età?

 

Rimuginò con un brivido d’inquietudine sull’incidente che aveva innescato quella violenta condanna nel suo corpo. Ripensò all’improvviso freddo che gli era penetrato nel cuore al riconoscere la morte fra le palpebre chiuse di Sarah.

 

No.

 

Non poteva essere.

 

“Sono Cady, comunque.”

 

La ragazza concluse appallottolando il pezzo di stoffa sporco di sangue e concedendo infine un vero e proprio sorriso al giovane che sedeva di fianco a lei.

 

Gli tese la mano. Tyler la strinse, avvertendo i pensieri appena affiorati assottigliarsi fino a scomparire: un’insolita sensazione di conforto si fece strada verso di lui, non appena quelle dita sfiorarono le sue.

 

Pensò che fosse buffo, dopotutto.

 

Lui e Cady si erano presentati come lupi, qualche minuto prima.

Adesso lo facevano come esseri umani.

 

“Tyler.”

 

Il ragazzo pronunciò il proprio nome scrutando con aria diffidente, ma in un qualche modo arrendevole, i lineamenti al contempo stesso aguzzi e delicati di Cady.

 

“Tyler Lo…

 

“Noi preferiamo lasciarli perdere i cognomi.”

 

La ragazza scosse il capo con aria fin troppo seria e Tyler venne attraversato dall’incredibile bisogno di inarcare un sopracciglio.

 

Ma non lo fece.

 

“Piacere di conoscerti, Tyler.”

 

Cady concluse stringendo con vigore la sua mano e tornando a rivolgere la sua attenzione alla volta costellata di stelle.

 

 

 

 

 

C’erano tante cose che ancora non trovavano collocazione nella confusione mentale di Tyler; troppi punti di domanda lasciati irrisolti e la paura malsana di dover trovare una soluzione a quei quesiti.

 

C’erano stati dei momenti, all’accampamento, in cui il silenzio era riuscito a placare lo stridere di quei pensieri fastidiosi, rinchiudendo Tyler in una sorta di torpore momentaneo. “Ci penserò domani” stava diventando la sua frase preferita e adorava ripeterla alla debole luce del giorno, mentre il sole filtrava ogni mattina attraverso uno dei lembi bucherellati della sua tenda.

 

E poi c’erano i momenti come quello.

 

Momenti in cui la luce tenue emanata dalle stelle e il fruscio delicato del vento risvegliavano l’animo assopito di Tyler, recuperando quel briciolo di serenità che ancora il ragazzo serbava in un angolo del cuore.

 

Anche quella sera, l’atmosfera incantevole della notte, lo accarezzò con comprensione alleviando per qualche istante il fardello di preoccupazioni che gravava su di lui.

 

Cady, al suo fianco, osservava le stelle in silenzio abbracciandosi le ginocchia: nel suo sguardo, il ragazzo riconobbe un luccichio particolare che non aveva notato in precedenza.

 

Era un brillio appena percepibile, terso di tenerezza, ma anche, Tyler si meravigliò di averlo notato, una marcata nota di nostalgia.

 

Si chiese se stesse pensando alla sua famiglia. Cady viveva con i genitori? Aveva dei fratelli o delle sorelle? Anche loro erano parte del branco?

 

Non sapeva nulla di lei.

 

Eppure, per qualche strana ragione, c’era qualcosa in quello sguardo limpido, che gli infondeva fiducia.

 

 

Tyler e Cady condividevano qualcosa che andava ben oltre il silenzio circostante e la luce soffusa delle stelle.

 

Forse era uno stato d’animo. O lo sfiorarsi di due nature affini.

 

L’unica cosa che Tyler sapeva con certezza è che quella sera sarebbe stata diversa rispetto alle precedenti.

 

Più lunga, forse.

 

Avrebbe moltiplicato le stelle da contare prima di riuscire a prendere sonno.

 

Ma alla fine, ci sarebbe riuscito.

 

Pensava a questo, mentre con uno sbadiglio, Cady adagiava la cascata di capelli biondi contro il tronco dell’albero socchiudendo gli occhi.

 

Forse anche lei si stava preparando a contare le stelle.

 

Can you count the stars where you are?

Nota dell’autrice.

Ecco qui il primo capitolo, dove facciamo conoscenza con la seconda protagonista di questo racconto: Cady.

Ho postato in fretta avendo lasciato il prologo in sospeso, ma in seguito posterò con più distanza fra i vari capitoli (lo so che siete contenti ù_ù).

Premetto che essendo io una persona con una scarsissima costanza, tenterò di rinchiudere la trama nel minor numero di capitoli possibili (circa una decina), in maniera da avere più possibilità di portarla a termine (lol). Di conseguenza i vari capitoli potrebbero talvolta essere ambientati a settimane o mesi di distanza.

Una piccola parentesi sulla canzone scelta per il titolo e la situazione iniziale: per ogni capitolo, come mia consuetudine, cercherò di legare una canzone che si sposa al tema ricorrente di quel particolare frammento. In questo caso ho trovato perfetta la combinazione con “the longest night” di Howie Day che in sostanza appartiene di diritto a Tyler, visto l’utilizzo della canzone in uno dei momenti cruciali relativi alla sua condizione di licantropo.

La canzone mi infondeva quella sensazione di “distacco dalla realtà” che può aver provato Tyler nel realizzare per la prima volta di trovarsi per la prima volta così “lontano” (non solo in termini fisici) da Mystic Falls. L’idea di contare le stelle mi piaceva tanto, perciò ho deciso di “rubarla” dalla lyric per utilizzarla come titolo del capitolo.

Concludo ringraziando le ragazze del forum, Glo,Giuls,Alys e Marty (il vostro incoraggiamento è più che prezioso per me) e la mia KimyKu per i vostri commenti, nella speranza che questo capitolo risulti per lo meno un briciolo più interessante del prologo.

Grazie di cuore.

 

Laura

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Capitolo 3
*** You were his Daughter. ***



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Chapter two

You were his daughter.

 

And now you've grown up
With this notion that you were to blame
And you seem so strong sometimes
But I know that you still feel the same


As that little girl who shined like an angel
Even after his lazy heart put you through hell

 

Broken Angel. Boyce Avenue

 

La bimba procedeva a passo lento arrancando dietro al padre, inciampando di tanto in tanto.

 

“Dove stiamo andando?”

 

La piccola mormorò con voce impastata di sonno. Con la manina libera si stropicciò un occhietto insonnolito e sbadigliò.

 

“Andiamo da mamma e Teddy?”

 

L’uomo non rispose. Continuò ad addentrarsi per la radura serrando con forza la propria mano attorno a quella della bambina che faceva del suo meglio per stare al passo.

 

Cady osservò con aria sempre meno intorpidita l’eleganza dei tronchi d’albero impilati in disordine ovunque attorno a lei.

Le piaceva quel bosco.

Si divertiva ad ascoltare il canto degli uccelli la mattina e il fruscio del vento a stretto contatto con le foglie la sera.

 

Ma erano mesi che trascorreva gran parte delle sue giornate da sola, in quella piccola casetta in mezzo al bosco che le ricordava un po’ quella di Hansel e Gretel.

 

Le mancava la mamma. Le mancava Teddy. Le mancava perfino l’asilo.

 

 “Papà quando torniamo a casa? Quando papà?”

 

L’uomo continuò a trascinare la bambina per mano ignorando il cinguettare innocente della sua voce.

 

Si muoveva di fretta, lo sguardo puntato contro un punto imprecisato della radura.

Da tempo si sforzava di non rivolgere nemmeno un’occhiata in direzione di quella creatura che condivideva con lui lo stesso sangue.

 

I suoi occhi fuggivano, evitando accuratamente quei capelli biondissimi, quelle orecchie leggermente a punta, da folletto. Quegli occhi ambrati dal taglio identico al suo.

 

Camminava. In fretta, per dimenticare che era di un angelo quella manina candida che stringeva la sua con disinvoltura.

 

Era di un angelo l’andatura che con pazienza rincorreva i suoi passi con saltelli incerti.

 

Un angelo che per mano sua era in procinto di tramutarsi in un mostro.

 

“Non torneremo a casa.”

 

Le parole risuonarono tetre nella penombra del mattino simili al latrato di un lupo ferito.

 

Ma la mamma…

 

“Tua madre non ti vuole più. Adesso stai zitta e cerca di camminare più in fretta.

 

Una piccola lacrima incolore solcò la guancia dell’uomo, mentre la piccola accelerava il passo, lo sguardo improvvisamente triste.

 

La scintilla che caratterizzava quegli occhi imperlati d’innocenza scomparve proprio quel giorno.

 

In quel momento, due parole terse di rimorso sfrecciarono nella testa del padre ma non furono sufficienti a cancellare l’orrore che stava per commettere.

 

Nessuna parola lo sarebbe stata.

 

Nessuna.

 

“Mi dispiace.”

 

“C’è qualcosa che non va?”

Tyler distolse lo sguardo dall’azzurra limpidezza del cielo e si voltò in direzione della tenda.

Era una di quelle giornate piacevolmente soleggiate che fanno spuntare un sorriso spontaneo non appena si mette  piede fuori casa.

 

Ma per Tyler, quella mattina, non era altro che una veglia angosciante verso uno dei dolori più laceranti della sua esistenza; quella sera ci sarebbe stata la luna piena e il ragazzo non si sentiva per nulla pronto ad affrontarla.

 

Era spaventato: la tensione lo costringeva a muoversi di continuo, non riuscendo a trovare una posizione in cui poter restare immobile per più di qualche minuto.

 

Sapeva solo che se si fosse fermato un attimo per riprendere fiato, il respiro si sarebbe smorzato e l’ansia avrebbe preso il sopravvento su di lui.

 

In tutta la sua vita, solo una volta aveva avvertito tutta quella paura cadergli addosso con la stessa intensità.

 

Era molto piccolo tre,quattro anni al massimo.

Una mattina si era svegliato e come tutti i giorni si era recato in bagno per lavarsi e pettinarsi con cura: fin da piccolo, Tyler era stato abituato all’ordine e alla disciplina, e quelle operazioni erano considerate sacre da ogni membro della sua famiglia.

 

Quella mattina, tuttavia Tyler si sentiva strano.

Era arrabbiato, anche se non sapeva il perché.

 

E spaventato. Talmente spaventato che desiderava piangere, anche se non aveva idea di cosa potesse essere successo.

 

Probabilmente era colpa di suo padre: era sempre colpa di suo padre.

 

Sicuramente il giorno precedente Tyler doveva aver ceduto un’altra volta alla tentazione di infilarsi nel suo studio e di curiosare fra le sue carte.

 

Sapeva che era proibito, e proprio per quello il desiderio di andare a giocare là dentro gli risultava incredibilmente allettante.

 

E disegnare. Oh, quanto era piacevole ripassare i bordi dei suoi documenti con i pastelli, ben sapendo che il padre sarebbe andato su tutte le furie.

 

Ogni giorno sgusciava di nascosto dentro lo stanzino silenzioso e spulciava fra le carte, finché non trovava un foglietto dimenticato all’angolo di qualche cassetto, e lo impregnava di colore.

 

L’idea di fare qualcosa che suo padre gli aveva vietato senza che lui riuscisse ad accorgersene era per il piccolo Tyler, la maggiore delle soddisfazioni.

 

Lo faceva sentire in gamba; molto più sveglio di quanto pensasse Richard.

La sua intraprendenza tuttavia, gli costò cara diverse volte. E in quelle particolari occasioni, Tyler fu costretto a ritirarsi nel letto con le lacrime agli occhi e il sedere bruciante di sculacciate.

 

Questo quando gli andava bene.

 

Quella particolare mattina, tuttavia, Tyler non si era svegliato dolorante. Eppure sentiva di avere paura. Avrebbe voluto correre a rifugiarsi nel letto della madre, ma nemmeno lei era in casa. Quel giorno si era svegliata presto per svolgere delle commissioni e il piccolo Lockwood era rimasto in casa da solo a vedersela con quella rabbia irrazionale che gli bruciava in petto.

 

Era furioso, aveva paura, e non c’era nessuno per lui a tentare di lenire lo sconforto.

 

In quel tiepido mattino di tredici anni dopo, Tyler si sentiva alla stessa maniera.

 

Si avvicinò con aria stanca a una delle tende sfilandosi con una mano il sudore che gli imperlava la fronte.

 

Cady sedeva a gambe incrociate sul tappetino d’ingresso osservando con aria vacua il nulla di fronte a sé.

Fra le mani reggeva un orsacchiotto di pezza ormai consunto.

 

“Stavo parlando con te.”

 

Cady si accorse solo in quel momento che il ragazzo la stava osservando con espressione tesa: il suo volto era così pallido, che la giovane pensò di vederlo svenire da un momento all’altro.

 

“Scusami. Mi ero incantata un attimo”.

 

La ragazza borbottò sbattendo un paio di volte le palpebre e concedendo un sorriso debole a Tyler.

 

“La vigilia della luna piena comporta sempre lo stesso giro di ricordi per me.”

 

 

Tyler decise di tentare la fortuna e di provare a restare fermo per qualche minuto sperando che la paura non prendesse il sopravvento. Si sistemò sul tappeto di fianco a Cady e si portò le ginocchia al petto. Dedicò i minuti successivi ad alternare il proprio sguardo dal cielo a Cady: il suo viso era così rilassato che Tyler avvertì quasi una leggera patina di conforto farsi strada dentro di lui.

 

“Pensavo a mio padre.”

 

Mormorò infine Cady portando l’orsacchiotto di fronte a sé ed osservandolo con aria stanca.

 

Anche io.”

 

Tyler fu sorpreso di ammettere una cosa del genere mentre lanciava un’occhiata bieca al pupazzo consunto.

 

Cady sorrise passando con tenerezza una mano callosa fra le orecchie dell’orso.

 

“È stato lui a trasformarmi.”

 

Annunciò con voce priva di espressione.

 

“Io ero il suo esperimento.”

 

Tyler sgranò gli occhi incredulo non riuscendo a comprendere a pieno ciò che la ragazza stava pronunciando.

 

 

“Mi stai dicendo che ti ha costretto a…

 

“Avevo quattro anni.”

 

Un guizzo divertito fece capolino sul volto di Cady e Tyler si agitò ulteriormente.

 

“Sapeva che per un discendente dalla stirpe dei licantropi commettere un omicidio avrebbe comportato l’innescarsi della maledizione,ma non sapeva quali sarebbero state le conseguenze. O per lo meno questo è ciò a cui ho deciso di credere. Ad ogni modo, non volendo rischiare scatenando la maledizione su di sé, deve aver pensato che io fossi la soluzione perfetta. Ero piccola, talmente piccola che non riusciva a ritenermi un pericolo. Perciò, mi ha portato via da casa e per un po’ mi ha cresciuta nel bosco,aspettando il momento giusto. Sono passati mesi, forse anni: non saprei dirlo con certezza. Credo che in realtà mio padre stesse semplicemente aspettando di trovare il coraggio per porre fine a tutta quella faccenda.

 

Concluse adagiandosi l’orsacchiotto sulle ginocchia. Fra i due ragazzi si sollevò un innaturale silenzio, lenito solamente dal vociare confuso di altri membri del branco che parlottavano in lontananza.

 

“Tutto questo è assurdo.”

 

Tyler scosse il capo con aria scettica dimenticando solo per qualche istante l’imminente arrivo della luna piena.

 

Era palese che Cady avesse vissuto la sua prima trasformazione da molto più tempo rispetto a lui; lo si poteva individuare nei suoi movimenti a tratti più animaleschi che umani o nella maniera aggressiva con cui si premurava di difendere tutto ciò che la riguardava. In molti degli atteggiamenti di Cady, Tyler riusciva a riconoscere alcune caratteristiche che gli ricordavano i lupi.

 

Tuttavia si rifiutava di accettare ciò che la ragazza gli aveva appena raccontato; portare una bambina in un bosco, privarla della propria famiglia e costringerla a dire addio alla sua umanità?

Nessuna persona avrebbe mai potuto fare una cosa simile alla propria figlia.

 

Perfino suo padre, quell’uomo egoista e tal volta crudele che l’aveva cresciuto, non gli avrebbe mai permesso di correre un rischio del genere al solo obbiettivo di soddisfare una propria curiosità.

 

La salute della propria famiglia viene prima di tutto.

 

Non era forse anche quella una delle innumerevoli frasi fatte di Richard Lockwood?

 

Non c’era padre che avrebbe potuto commettere una crudeltà simile: non si distrugge così una bambina.

 

Eppure, nonostante questa convinzione, Tyler non riuscì a ignorare un velo improvviso di tristezza depositatosi sugli occhi di Cady.

 

Era come se il bagliore di entusiasmo ed energia che caratterizzava il suo sguardo si fosse affievolito tutto a un tratto, mostrandogli il grigiore di una Cady che in quelle poche settimane trascorse all’accampamento non aveva mai incontrato.

 

Improvvisamente avvertì il violento bisogno di tornare a casa. Non riuscì a comprendere se fosse per via della luna piena o se la colpa spettasse alla rivelazione angosciante della ragazza.

 

Tutto ciò che sapeva era che per quanto si sforzasse, una parte di lui non riusciva ad adattarsi completamente a quella nuova vita.

 

Certo, era tutto più facile, lì.

All’accampamento non doveva delle spiegazioni a nessuno. I giorni si susseguivano con la stessa identica cadenza uno dietro l’altro e fintanto che Tyler non mettesse piede nella tenda del lupo alfa, non vi erano particolari regole da rispettare.

 

Era come una sorta di vacanza: una sosta momentanea dalla fitta matassa di problemi e preoccupazioni che occupavano il suo cuore sin dalla morte di suo padre.

 

Ma i pensieri non erano scomparsi: si era semplicemente premurato di accantonare tutto in un angolo.

 

Tyler fece per sollevarsi, quando invece si trovò a osservare con aria confusa l’orsacchiotto che ancora si trovava sulle gambe della ragazza.

 

“Quello è di quando eri piccola?”

 

Domandò indicandolo con un cenno del capo.

 

Cady sorrise dolcemente, sfilando con quel gesto la malinconia che si era arenata nel suo sguardo.

 

“Lui è Teddy.”

 

Spiegò la ragazza passando l’orsetto a Tyler che se lo rigirò fra le mani con aria imbarazzata.

 

“ E’ un regalo di Jules risalente ai miei primi giorni qui all’accampamento. Non ricordo molto di quel periodo, però mi hanno detto che non facevo altro che dormire e al mio risveglio snocciolavo le stesse parole una dietro l’altra, come se stessi intonando una filastrocca: mamma, papà, Teddy.

Jules pensò che mi stessi riferendo a un orsacchiotto di peluche, perciò fece un salto nel villaggio più vicino per procurarmene uno. Questo è lo stesso orsacchiotto che mi diede dieci anni fa e ha un significato speciale per me. Quando lo abbracciai per la prima volta, capii che forse c’era ancora qualcuno disposto a prendersi cura di me. Capii che nonostante la mia casa non fosse più di mattoni, ma di stoffa, io ero ancora una bambina come tutte le altre. E avevo un orsetto a dimostrazione di tutto ciò.

 

Non vi era risentimento nelle parole di Cady: solo un ingenuo alone di sincerità.

La conosceva appena da poche settimane, ma Tyler non riusciva a evitare di ascoltare con attenzione qualsiasi cosa frase fuoriuscisse dalle sue labbra sottili. La schiettezza con cui la ragazza-lupo esprimeva qualsiasi cosa gli passasse per la testa, lo disarmava. Essendo cresciuto all’ombra delle menzogne, per Tyler la verità non era altro che un potere meraviglioso e sconosciuto.

 

“Se Teddy non era un orsacchiotto di peluche… chi era allora? Il tuo animale domestico?”

 

Tyler domandò incuriosito, sentendosi un po’ stupido nell’azzardare una domanda simile.

Cady rise di gusto sollevandosi in piedi per sgranchirsi le ginocchia nodose.

 

“Teddy era mio fratello. Almeno credo. Non ricordo molto del mio passato, ero troppo piccola quando sono stata prelevata da casa mia. Però ricordo che c’era un Teddy.”

 

“Pensi che tuo padre abbia fatto lo stesso con lui?”

 

“No, credo di no. La mia trasformazione l’ha scosso, questo me lo ricordo. Anche in vesti di lupo ero un cucciolo, ma sono comunque riuscita a procurargli delle belle ferite. Ricordo di avergli quasi strappato via la mano a morsi...

 

“Le conseguenze di una curiosità divorante...

 

Doveva essere una battuta sarcastica, ma Cady scoppiò a ridere di gusto.

 

A Tyler non dispiaceva la sua risata. Suonava terribilmente… umana.

 

“Tutto bene voi due?”

 

Jules gridò loro da lontano schermandosi gli occhi con una mano per difendersi dalla luce del sole.  Tyler aggrottò le sopracciglia con aria scostante, mentre Cady sorrise vivacemente sollevando il pollice in direzione della donna.

 

Il licantropo alfa li osservò entrambi per un paio di istanti con qualcosa simile alla tenerezza incisa nello sguardo. Dopodiché Jules tornò sui suoi passi raggiunta immediatamente da altri due membri del branco.

 

“Come va con la luna piena?”

 

Cady domandò improvvisamente distogliendo lo sguardo dalla donna.

 

Un guizzo divertito fece capolino nello sguardo della giovane, mentre quel poco di colorito che era tornato volto di Tyler si assottigliava improvvisamente.

 

“Mi sembri un po’ giù di tono. Ad essere sinceri, la parola “terrore” è incisa a caratteri cubitali sulla tua faccia.”

 

“Smettila.”

 

Tyler la zittì bruscamente guardando da un'altra parte e infilandosi le mani in tasca. Il pensiero della notte incombente diffuse dentro di lui il panico che negli ultimi minuti era riuscito a ignorare con grande sforzo.

 

Cady prese a mordersi un’unghia tentando di nascondere dietro il pugno chiuso un sorrisetto sornione.

 

Prima o poi ci si abitua. Ci si abitua a tutto nel corso della vita. È nella natura di entrambi: gli uomini e i lupi.

 

Tyler dubitava che il suo corpo avrebbe mai potuto fare suo quel dolore insopportabile. L’incursione violenta di una seconda natura contro le sue ossa l’aveva dilaniato la prima volta e non era sicuro di poter resistere ad altre trasformazioni.

 

Era terrorizzato, ma questa volta gli veniva meno perfino il coraggio di ammetterlo.

 

Durante la notte, decine di esseri umani avrebbero subito la sua stessa metamorfosi, ma nessuno di loro si sarebbe occupato di lui come aveva fatto Caroline.

 

Erano un branco, ma nelle notti di luna piena si tramutavano in esseri tormentati dal proprio dolore: un dolore che non poteva essere condiviso.

 

“Non faremo del male a nessuno, vero?”

 

Non essendo in grado di sviscerare la sua paura più grande, Tyler ci girò intorno esponendo un’altra delle preoccupazioni che lo tormentava da un pezzo.

 

L’espressione di Cady si addolcì immediatamente.

 

“Non devi preoccuparti di questo.  C’è un posto speciale, un rifugio, preparato per le notti di luna piena. Non sono tanti i membri del branco che ne usufruiscono. Io sono una di loro: dopo quello che è successo quando ero piccola non sopporterei mai l’idea di fare del male a qualcuno. Hanno incominciato a portarmi lì quando ero ancora una bambina: ricordo che verso sera, un ragazzo di nome Mason mi prendeva in braccio e mi assicurava per bene alle catene in maniera che non fossero troppo strette. Dopodiché si sedeva accanto a me e giocavamo con Teddy, fino all’arrivo della luna. Teddy è così rovinato per quello: l’hanno dovuto rattoppare parecchie volte a causa dei miei morsi…

 

Mason hai detto?”

 

La mente di Tyler si era arenata su quel nome. Il cuore di Tyler ebbe un tremito, al pensiero di quanto fossero legati il suo destino e quello di Cady prima ancora di essersi conosciuti.

 

Faticò parecchio per ricacciare indietro una lacrima al pensiero di quanto sarebbe stato tutto più facile, se Mason fosse stato ancora lì. Se avesse ascoltato i suoi consigli e non si fosse intestardito così tanto per scoprire i segreti della pietra di luna.

 

Aveva bisogno di qualcuno che mettesse la sua sicurezza al primo posto.

Aveva bisogno della sua famiglia.

 

“Ti porterò con me. Si sta un po’ stretti, ma ti assicuro che saremo perfettamente al sicuro.

 

Cady terminò la frase sfiorando con delicatezza una mano di Tyler. In quel gesto, il ragazzo avvertì l’echeggiare di ricordi polverosi che gli infusero fiducia.

 

Ricordi appartenuti a un Tyler più giovane: il Tyler che credeva tutto possibile e che non si lasciava intimidire da nulla.

 

Gli mancava quella versione di se stesso.

 

 “Va bene se ho paura?”

 

Quella domanda infantile scaturì ingenuamente dalle sue labbra, mentre il ragazzo si sforzava di controllare il tremolio della sua voce.

 

La vergogna si diffuse dentro di lui con insolenza,  ma Cady la spazzò via all’istante stringendo con più energia la mano del ragazzo.

 

Anche io ho paura.”

 

Ammise sorridendo con dolcezza.  Finse di non notare le lacrime che pungevano lo sguardo di Tyler diretto con orgoglio verso un punto imprecisato alla loro destra.

 

“Ne ho sempre avuta e non provo vergogna a riguardo. Prima ti ho detto che trasformarsi diventerà un’abitudine, ma questo non significa che finirai per accettare ciò che la maledizione comporta. Noi siamo umani, Tyler. Se soffriamo, la nostra natura ci porta a domandarci perché siamo costretti a sopportare tutto quel dolore. Non è facile affrontarlo, ma sappi che quando succederà io sarò lì con te. Sono sufficientemente in grado di gestire al tempo stesso la paura di entrambi. Non sarai da solo Tyler. Questo posso promettertelo.”

 

Il ragazzo si limitò ad annuire non sentendosi in grado di pronunciare alcuna parola.

 

Un imponente fiotto di gratitudine aveva preso forma dentro di lui lenendo la paura che occupava ancora gran parte del suo animo.

 

Grazie.

 

Il suo non era un concetto poi così complicato da esprimere.

 

Ma per quanto si sforzasse, non riuscì a far sbocciare poco più che un timido sorriso appena abbozzato.

 

E per un attimo sentì che forse poteva farcela.

Era ancora impaurito e confuso.

 

E arrabbiato perfino.

 

Ma non era solo.

 

E quando Cady ricambiò il sorriso, seppe con certezza che non era necessario aggiungere qualcosa: quel “grazie”, seppure silenzioso, era stato recepito.

 

E le loro mani continuarono a sfiorarsi nella tiepida quiete del mattino.

 

 

"Volare mi fa paura"

stridette Fortunata alzandosi.
"Quando succederà, io sarò accanto a te"

miagolò Zorba leccandole la testa.

 

Da Storia di una Gabbianella

e del Gatto che le insegnò a volare.

 

“Come si chiama?”

La donna lupo tese le braccia per farsi passare quella bambina bionda candidamente addormentata fra le braccia del padre; sembrava tranquilla, ma le occhiaie bluastre e i mille tagli sulle manine paffute rivelavano cosa si nascondesse in realtà all’interno di quel corpicino gracile.

Il padre impiegò qualche minuto prima di rispondere all’interrogativo della donna lupo. Osservò la bambina con una freddezza che si tramutò in impacciata dolcezza man mano che il tempo scorreva.

“Cady.”

Dichiarò con voce ferma tentando di mantenere un certo contegno, abbandonando la piccola tra le braccia della donna.

“Cady sarà perfettamente al sicuro con il branco. Le cresceremo come se fosse uno dei nostri cuccioli.

Lo rassicurò lei osservando con tenerezza le ciglia frementi della bambina e le piccole labbra schiuse.

“Promettimelo.”

Il tono di voce del padre si fece d’un tratto feroce e aggressivo mentre nello sguardo un barlume color ambra appena percepibile indicò alla donna la seconda natura assopita in un angolo del suo animo.

“Promettimi che la proteggerai fino a quando non sarà adulta. Non la lascerai mai sola. Non dovrai farla fuggire. Promettimelo.”

La donna sapeva perfettamente che una promessa fra lupi non poteva essere infranta. Anche se uno dei due rinnegava la sua natura rifiutandosi di lasciarla scaturire.

Vi era un legame di fratellanza fra tutte le creature che portavano nel sangue lo stesso destino e voltare le spalle a quel vincolo equivaleva a uccidere.

Osservò quella bambina innocente. E osservò il padre, che non riusciva a distogliere lo sguardo dalla figurina minuta tra le sue braccia. Le narici  della donna si impregnarono di un odore conducibile al rimorso. Rimorso mescolato a dolore: quell’uomo non avrebbe avuto una vita facile, da quel momento in poi.

“Lo prometto.”

Dichiarò infine tendendo la mano. Lui esitò a lungo prima di stringerla  anche quando le loro dita si intrecciarono, un’ombra di inquietudine e repulsione attraversò i suoi lineamenti fieri e impeccabili.

“Abbia cura di sé”.

Lo salutò la donna tentando di infondergli fiducia con un debole sorriso a mezzo volto. L’uomo aggrottò le sopracciglia e respirò forte prima di chinarsi per posare un ultimo bacio sulla fronte della bimba addormentata.

In quel frangente, la donna capì subito che un gesto del genere non  era qualcosa di usuale per lui.

“Addio.”

L’uomo rivolse un’ultima volta lo sguardo in direzione delle due figure e si allontanò verso il bosco in silenzio. Le mani strette a pugno e le braccia rigide lungo i fianchi.

Jules accarezzò con dolcezza il volto della piccola addormentata e le sorrise.

“Andrà tutto bene Cady.”

Mormorò prima di stringerla con delicatezza e di tornare all’accampamento.

 

Nota dell’autrice.

Ed ecco qui il secondo capitolo del mio folle esperimento. Questa volta il capitolo è quasi interamente dedicato a Cady. È la protagonista femminile del racconto, quindi c’era bisogno di raccontare almeno qual cosina su di lei. Il passato di Tyler e Cady farà capolino di frequente in questa storia, dunque preparatevi. Mi sono resa conto, che più scrivo, più i capitoli si allungano (mannaggia, mi succede sempre >.<). Il prossimo sarà ancora più lungo di questo e pero davvero di non annoiarvi. Nel prossimo faranno la loro prima comparsa anche Caroline e Jeremy, anche se sarà comunque maggiormente incentrato su Cady, tyler e l’accampamento. Prometto che poi dai successivi, Mystic Falls sarà sempre più presente.

La canzone che ho deciso di accostare al capitolo è una delle mie preferite. S’intitola Broken Angel e tratta di un rapporto conflittuale fra padre e figlia e la difficoltà di quest’ultima nell’accettare la delusione nei confronti dell’uomo che condivide il suo stesso sangue. Il testo l’ho trovato particolarmente adattabile alla situazione di Cady, e in particolare reputo perfettamente calzante la frase che ho citato. Per quanto riguarda il passaggio de “La gabbianella e il gatto”, è stata una mia debolezza, lo ammetto. Lo accosto sempre a Ttyler e ho voltuo inserirlo, mi sembrava ci si adattasse abbastanza bene.

 

Ringrazio in maniera esorbitante le persone che hanno recensito lo scorso capitolo :le ragazze del forum ( in ordine alfabetico Alys,Marty,Giuls,Glo), KimyKu, Miseichan e alister_. Le vostre parole sono importantissime per me, non smetterò mai di ripeterlo.

 

Grazie ancora anche a Fiery e al suo betaggio. E grazie anche ai pochi lettori silenziosi che passano di qui nella speranza di poter ricevere prima o poi qualche vostra parolina (Cady è parecchio curiosa di conoscervi).

 

Un abbraccio

 

Laura

 

 

 

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Capitolo 4
*** Ce l'hai un attimo per me? ***


 


MusicPlaylist
Music Playlist at MixPod.com

Ce l’hai un attimo per me?

 

Per chi ha visto un genitore andare via
Per chi il proprio padre non sa nemmeno chi sia

Per il figlio che è scappato

Ce l’hai un attimo per me?

 Perchè c’è troppo bisogno di aiuto, di aiuto, di aiuto

Vivi per un miracolo. Gemelli DiVersi

 

“Tyler,

Non ho idea del perché io continui a inoltrarti questi messaggi. Probabilmente li avrai già cestinati tutti. Non escludo nemmeno che qualcuno dei tuoi possa intercettarne il contenuto, ma non fa poi molta differenza: devi sapere a cosa stai andando incontro.

So che tra di noi non c’è mai stata una buona intesa, ma se cerco di mettermi in contatto con te è soprattutto per il bene di mia sorella. Sai che cosa sono in grado di fare loro, hai potuto constatare di persona con che crudeltà hanno torturato Caroline.

Non credere che abbiano dimenticato la faccenda della pietra di luna.

Prova a fare qualche domanda.

Jeremy”

 

“Tua madre è passata da noi questa mattina.

 Se stai leggendo i miei messaggi chiamala e dille che stai bene.

Falle sapere non è colpa sua se te ne sei andato.

Rassicurala: ne ha bisogno…”

 

“Perfino Caroline si domanda che fine hai fatto.

Dammi pure dello stronzo, se mi ostino a farti venire i sensi di colpa.

Perché mi prendo la briga di farlo non lo so nemmeno io.

Torna a casa, Tyler.

Jeremy”

 

 

Tyler ripose in tasca il cellulare osservando con aria distratta l’operazione di “accensione delle fiaccole” da parte di alcuni membri del branco.

Verso sera era consuetudine per Tyler accoccolarsi in silenzio sotto una delle querce per osservare la proiezione delle ombre sul terreno generate dalle fiamme delle torce.  Era uno spettacolo incantevole, contornato dalla luce fioca delle stelle e da quella più corposa della luna.

Molto spesso, Cady si sedeva accanto a lui e chiacchieravano fino a notte fonda. Talvolta si limitavano a uno scambio secco di battute, intenti ad osservare gli abitanti dell’accampamento che si riunivano per giocare a carte.

Molto spesso ridevano, origliando i discorsi di alcuni licantropi ubriachi troppo presi dal gioco per ricordare di non essere soli.

Dopo circa un mese dal suo arrivo all’accampamento, Tyler riusciva finalmente a percepire il ritmo dei propri passi coincidere con quello degli altri membri del branco.

Si sentiva in perfetta sintonia con la natura e a ogni respiro esalato, si accorgeva di catturare un volume sempre maggiore di aria: nonostante vivere fra i licantropi fosse ancora considerato da Tyler una sorta di limbo fra le due nature, quel mese era riuscito a farlo sentire un po’ più a suo agio con sé stesso.

“Ancora quei messaggi?”

Cady si avvicinò a lui giocherellando con la cinghietta della tracolla che gli ciondolava sul fianco.

Tyler passò istintivamente una mano sulla tasca in cui teneva il cellulare colto di sorpresa.

“Sei andata a fare la spesa?”

Domandò sarcasticamente in risposta all’interrogativo della ragazza notando il rigonfiamento della sua borsa.

Cady fece spallucce lasciando ondeggiare la tracolla.

“Giusto qualcosina in un negozio dal villaggio qui vicino.”

Annunciò tralasciando di descrivere il modo non esattamente legittimo con cui si era appropriata della merce.

Le labbra di Tyler si arricciarono lievemente a formare un sorrisetto divertito.

“Allora? I messaggi?”

Tyler infilò le mani in tasca e fece roteare il capo con aria scocciata ignorando per la seconda volta la domanda. Dopo qualche minuto, tuttavia, si arrese e tirò fuori dalla tasca il cellulare.

Fece scivolare il pollice sulle freccette direzionali scorrendo gli ultimi sms presenti in memoria.

“Sì.”

Ammise semplicemente il ragazzo mentre lo sguardo veniva attirato dalle parole che completavano il messaggio sul display: “torna a casa”.

“Ne ho ricevuti altri.”

“Posso sapere chi è questo Jeremy?”

Cady fece del suo meglio per non sbirciare oltre la spalla dell’amico concentrandosi sulle lucciole che rischiaravano a intermittenza alcuni punti del prato.

“Una conoscenza di famiglia.”

Concluse spiccio il ragazzo soffermandosi su uno dei primi sms ricevuti a nome del giovane Gilbert:  Non credere che abbiano dimenticato la faccenda della pietra di luna.

“Un conoscente ben informato su di te e su ciò che sta succedendo all’accampamento, mi pare.”

Cady commentò con aria di chi la sa lunga tornando a fissare Tyler.

Improvvisamente il ragazzo sollevò lo sguardo, come se avesse appena intuito qualcosa.

“Quindi è vero che stanno ancora cercando di spezzare la maledizione.”

Dichiarò in tono di voce fermo scrutando il cambio repentino d’espressione nel volto della ragazza.

Cady impallidì leggermente.

“Può essere.”

Commentò ignorando l’insistenza tratteggiata negli occhi di Tyler.

“ Il nostro lupo alfa era particolarmente interessato all’incantesimo del Sole e della Luna…”

“Chi, Brady?”

Tyler realizzò improvvisamente a quante cose non aveva dato peso durante quel mese trascorso all’accampamento.

Le riunioni fra i membri più alti della gerarchia del branco si erano moltiplicate nell’ultimo periodo e con quelle, anche le occhiate sospettose da parte di molti licantropi.

“Sì, lui.”

Cady prese posto di fianco a Tyler e si rigirò la borsa fra le mani torturandone il cinturino con aria pensierosa.

“Da quando è stato ucciso, è rimasta solo Jules a capo del branco e sembra proprio convinta a portare avanti la faccenda dell’incantesimo…”

“Tu che cosa sai a riguardo?”

Tyler domandò bruscamente, non riuscendo a tenere a bada una punta di aggressività nel tono di voce.

Cady scosse il capo con aria dispiaciuta: sembrava sincera.

“Solo poche cose in realtà: Jules non vuole che io mi immischi nella vicenda. So che la pietra di luna dovrebbe servire a spezzare la maledizione che rende i licantropi schiavi della luna e i vampiri vittime del sole…”

“… sai niente riguardo a una certa Elena Gilbert?”

“La doppelgänger umana.”

Cady fece mente locale tentando di ricordare i vari frammenti di conversazioni fra Jules e alcuni vecchi membri del branco che aveva captato nell’ultimo periodo.

 “Pare che Jules la stia cercando.”

“Hai idea di che cosa voglia da lei?”

Tyler reagì velocemente, cogliendo la ragazza di sorpresa.

Posizionò la sua mano destra all’altezza del collo di Cady e la sospinse contro il tronco della quercia premendo con forza contro il suo respiro forzato.

Per la seconda volta lo scenario dei loro litigi era l’imponente albero che si stagliava sopra di loro.

“Non ne ho idea…”

Cady ansimò tentando di scansare la presa del ragazzo su di lei.

“…forse informazioni?”

“Sangue. Jules la vuole uccidere!”

“...Tyler mi stai soffocando.”

Cady appoggiò la schiena al tronco dell’albero e si liberò di Tyler indirizzandogli una violenta ginocchiata contro il ventre.

Il ragazzo lasciò immediatamente la presa boccheggiando. Dopodiché, lasciò correre entrambe le mani verso il punto in cui Cady l’aveva colpito.

“Non farlo mai più.”

Ringhiò la ragazza scrutandolo con occhi fiammeggianti d’ira.

Tyler si massaggiò lo sterno completamente disorientato, sorpreso dalla sua stessa reazione.

“Scusami.”

Mormorò mantenendo lo sguardo chino, ma continuando a osservarla con aria tesa: le iridi corvine risaltavano ancor più del solito .

“Non ho idea del perché abbia reagito così.”

Lentamente i lineamenti della ragazza si stiracchiarono, abbandonando il cipiglio offensivo.

“Io invece credo di saperlo…”

 

Con un sorriso timido, Cady si lasciò scivolare sul prato e fece cenno a Tyler di sedersi accanto a lei; la rabbia e l’aggressività erano svanite in un istante dai volti di entrambi i ragazzi-lupo.

L’atteggiamento in bilico tra razionalità e impulsività che mantenevano ultimamente li rendeva incredibilmente simili a due bambini piccoli che l’attimo prima si fanno la guerra e quello dopo si tendono il dito.

“Sei anche tu terrorizzato dal concetto di omicidio, eh?”

Tyler aggrottò le sopracciglia osservando il riflesso delle fiaccole sull’erba tenera, non sapendo cosa rispondere.

“Ciò che ha scatenato la maledizione ti ha sconvolto e adesso hai il terrore che qualcun altro possa perdere la vita per mano tua.”

In realtà Tyler non era ancora mai riuscito a dare un nome a quella paura irrazionale che gli premeva in petto ogni qualvolta che l’odore del pericolo raggiungeva le sue narici.

Solo in quel momento si rese conto che Cady aveva ragione.

“Perché pensi che sia così?”

Domandò concentrandosi sui giochi di luce che ritagliavano le fiammelle delle torce sulle tende più vicine.

“Perché la tua è la stessa paura che perseguita anche me.”

Cady confessò candidamente suscitando l’attenzione del ragazzo che sedeva accanto a lui. Sospirò e fece combaciare le suole delle sue scarpe da ginnastica, prima di riprendere a parlare.

“Una mattina di maggio, avevo circa nove anni, sono corsa a lavarmi la faccia nel fiume. Mentre mi specchiavo, nella mia testa ha preso forma un secondo riflesso: quello di un uomo. Era un senzatetto che viveva nella radura poco distante da dove mi aveva portato mio padre. Era molto vecchio e indossava ogni giorno gli stessi vestiti consunti. Mi riempiva di molta tristezza già da allora, piccola com’ero.”

Sorrise, ma nel suo volto Tyler si preoccupò nell’individuare una marcata ombra d’inquietudine. Le mani di Cady trafficavano nervosamente con le rifiniture della sua borsa, mentre il suo tono di voce acquistava un lieve tremore.

“…è stato lui che…”

Tentò di domandare per venirle incontro: ma non fu in grado di terminare la frase.

Cady si limitò ad annuire.

“Trovai il suo cadavere in riva a un lago il giorno dopo che accadde. Allora mio padre mi convinse che stava solo dormendo. E così ho creduto fino a qualche anno più in là, quando a nove anni, specchiandomi sulla riva del fiume mi ricordai del senzatetto addormentato. In quel momento realizzai che era morto. E a ucciderlo ero stata io.”

 

Per il barbone affamato morto in un prato


Per chi non se ne frega
Ti imploro veglia e prega


Ce l’hai un attimo per me?

 

 

Tyler la osservò in silenzio per qualche istante, le iridi scure a perforare il rimorso emanato dal volto di Cady.

Voleva saperne di più. Voleva capire come mai Cady fosse così convinta che la morte di quell’uomo fosse avvenuta per mano sua.

Ma non trovò il coraggio di porgerle ulteriori domande.

“Non è stata colpa tua.”

Le parole gli scaturirono spontanee dalle labbra avvertendo un improvviso disagio nell’individuare il dolore in quei tratti generalmente vivaci e combattivi.

“Eri solo una bambina.”

Tyler avrebbe voluto aggiungere che Cady era ancora una bambina.

Che lo erano entrambi.

Due ragazzini innocenti costretti a camminare su un terreno di battaglia dove regnavano regole corrotte.

Cady sorrise debolmente, quasi a ringraziare il timido tentativo di conforto da parte del giovane.

“Forse. Però l’ho ucciso. La paura di ferire mortalmente un altro essere umano è ciò che più mi blocca dall’abbandonare l’accampamento. So di essere al sicuro qui. Finché resto al riparo dagli umani non potrò fare del male a nessuno.”

“Potresti farcela anche all’infuori del branco.”

Tyler azzardò portando alla luce nella sua mente ricordi non troppo remoti: la sensazione di conforto scaturita dal corpo di Caroline a contatto contro il suo lo fece d’un tratto rabbrividire.

“Non potrei mai farcela da sola”.

Cady scosse il capo con aria scettica.

Tyler le scoccò un’occhiata di sottecchi, quasi a voler controllare la sua reazione.

“Non dovresti essere necessariamente da sola…”

Aggiunse con calma osservandola a lungo.

 Cady tacque per diversi minuti, probabilmente alle prese con una complicata sequenza di pensieri.

 “Vogliono davvero ucciderla? La doppelgänger intendo.”

Domandò improvvisamente scrutandolo con aria diffidente quasi stesse cercando di assicurarsi che Tyler non si fosse inventato tutto.

Il ragazzo annuì.

“E non si limiteranno a lei.”

La ragazza aggrottò le sopracciglia e in quel frangente, Tyler individuò il vago riflesso di un lupo fra i suoi tratti.

“Che vuoi dire?”

 “Gilbert dice che per spezzare l’incantesimo servono anche il sangue di un vampiro e di un licantropo. Essendo io l’omega, sospettano che vogliano sacrificare me.”

Cady scosse il capo con aria decisa.

“Questo non è possibile. Jules non lo permetterebbe mai.”

Tyler sospirò intrufolando lo sguardo tra gli sprazzi lucenti sospesi nel cielo: gli sarebbe piaciuto poter credere alle sue parole.

 “Sei un membro del branco, Tyler. Nessuno può farti del male fintanto che non abbandoni l’accampamento.”

“Non ho intenzione di restare. Non se è questo il prezzo da pagare.”

Il ragazzo dichiarò secco sorprendendosi dell’improvvisa lucidità dei suoi pensieri: durante il periodo trascorso lontano da casa, Tyler aveva riflettuto parecchio, non riuscendo a trovare alcuna soluzione ai suoi quesiti e alle paure che lo perseguitavano. Di fronte a lui, il cammino si diramava in due strade e sapeva perfettamente che qualsiasi direzione avesse scelto, si sarebbe trovato di fronte a delle scelte particolarmente difficili.

Eppure in quel momento tutto gli appariva chiaro e ben definito.

“Dunque ti fidi di loro?”

Cady domandò con aria pensierosa.

Tyler soppesò a lungo la sua domanda.

“Forse.”

Concluse non sapendo rispondere nemmeno a sé stesso.

Tutto ciò che Tyler sapeva era che c’erano ancora, a Mystic Falls, delle cose da sistemare.

C’erano errori a cui doveva rimediare.

E persone a cui chiedere scusa.

 

“Stai facendo la cosa giusta.”

Jules lo osservava con aria incoraggiante. Ma nonostante tutto,

Tyler non riusciva ad individuare in quel volto di donna

la sicurezza di cui sentiva di aver bisogno.

                                                                                         “Non posso più restare qui.”

Immagini sfocate degli ultimi avvenimenti gli accarezzarono la mente

Mentre con un ultimo sguardo, salutava la casa di Caroline,

“Non così”.

“…è la doppleganger?”

Cady lo stava osservando con una punta di malizia.

 “Che cosa?”

“La ragazza di cui sei innamorato.”

Tyler sgranò gli occhi con aria turbata, colto di sorpresa.

 “Ma di che diavolo stai parlando?”

La vivace risata di Cady lo fece innervosire ulteriormente: forse per via di quel sorrisetto malandrino che la caratterizzava, forse per via delle orecchie leggermente a punta, ma in momenti simili, la ragazza gli ricordava più un folletto dispettoso che un lupo.

E nella sua risata vi era un qualcosa di tremendamente familiare.

“Non fare il finto tonto, omega. Sei innamorato. Tra licantropi è impossibile non notare quando uno di loro ha quel particolare luccichio nello sguardo.”

Era evidente che l’improvviso innervosirsi di Tyler la stesse divertendo un sacco, perciò il ragazzo decise di ignorare il brusco rossore improvviso delle sue gote e tentò di guidare l’attenzione di Cady verso altre strade.

“Elena è la sorella di Jeremy Gilbert. La conosco da una vita. No. Non sono innamorato di lei.”

Dichiarò appoggiando le mani sulle ginocchia e riprendendo a osservare gli uomini in lontananza domandandosi se anche loro, da qualche parte, avevano qualcuno che attendesse loro notizie.

Si chiese se quelle persone avessero un posto oltre all’accampamento che potevano ancora considerare  “casa”.

“Ti prometto che farò il possibile per tenerli al sicuro.”

Cady annunciò immergendo le iridi ambrate nella distesa color notte che si estendeva sopra di loro: le piaceva molto osservare le stelle, e di tanto in tanto era capace di rimanere immobile per ore a rimirarle affascinata.

Un lieve sorriso a tenerle compagnia nella quiete della notte.

“Le mie orecchie a punta sono abituate a infiltrarsi un po’ ovunque all’accampamento. Le userò per captare qualsiasi informazione possa rivelarsi utile.”

Tyler sorrise debolmente lottando in silenzio con l’inspiegabile desiderio di confidare i suoi pensieri alla luna. Quest’ultima li osservava con aria vigile e attenta nonostante, così mutilata, apparisse quasi indifesa.

“Si chiama Caroline.”

Ammise infine Tyler incrociando le braccia sul petto e ignorando il sorriso trionfante che fece capolino sul volto di Cady.

“Non credo di essere completamente innamorato, ma… lei mi è stata vicina quando si è verificato l’incidente. Ed era con me quando ho dovuto affrontare la mia prima trasformazione. Ha rischiato molto per aiutarmi…”

 “Deve essere una ragazza speciale.”

Cady constatò con dolcezza. E nonostante il clique di quella frase, Tyler si accorse di non essere affatto dispiaciuto dall’intimità che si stava creando fra lui e quella ragazza. Non era mai stato il tipo da confidenze – essere un Lockwood comportava automaticamente un sorriso noncurante di facciata e un groviglio di pensieri ammatassato sul retro – ma con Cady quel giochetto non funzionava. Per quanto si sforzasse di mantenere al sicuro ogni sua minima preoccupazione, finiva sempre per farsene sfuggire qualcuna spontaneamente.

 “Caroline è un vampiro.”

Aggiunse voltandosi in direzione di Cady e abbozzando un mezzo sorriso poco convinto.

 “Oh.”

La ragazza inarcò appena un sopracciglio con aria sbigottita analizzando le ultime parole di Tyler mentalmente.

“Allora è decisamente una ragazza speciale.”

Ripeté infine cancellando lo stupore dal suo sguardo con il bagliore di un sorriso vispo.

I due ragazzi scoppiarono a ridere.

“Un po’ ti somiglia.”

Aggiunse infine Tyler rivolgendo a Cady un sorrisetto beffardo.

La ragazza inarcò un sopracciglio con aria divertita e sempre ridendo si sistemò più comodamente fra Tyler e il tronco dell’albero.

“Hai parlato con la tua famiglia?”

Domandò improvvisamente riportando lo sguardo verso l’accampamento, osservando in tralice le schiene dei lupi più anziani che giocavano a carte.

Tyler si riscosse improvvisamente, come se la momentanea sensazione di spensieratezza scaturita dalle loro risate si fosse dissolta in quel momento.

“Non ci sono riuscito.”

Ammise curandosi di distogliere lo sguardo da quello di Cady.

“Ormai ho solo più mia madre. Ma non ho idea di cosa dirle. Non so come spiegarle quello che sta succedendo…”

“Dovresti.”

La ragazza lo interruppe dolcemente prima di portare entrambe le mani sulle ginocchia incrociate.

 “Parlami di loro.”

Propose infine tornando a osservare Tyler.

“Di chi?”

“Di tutti. Di tua madre, tuo padre, di Caroline e anche Jeremy Gilbert. Parlami della tua vita da umano.”

Tyler aggrottò le sopracciglia sforzandosi di portare i suoi pensieri alla vita che aveva svolto fin solo a qualche mese prima.

Frammenti di immagini appartenuti ad un altro Tyler gli tempestarono la mente: un Tyler più spaccone e meno riflessivo. Un Tyler altrettanto spaventato, forse. Ma probabilmente anche più vigliacco di quanto non si sentisse in quel momento.

“Non era poi così speciale.”

Ammise avvertendo che gli angoli delle labbra si stavano increspando a formare un debole sorriso terso di nostalgia.

“Ma ti manca.”

Cady gli fece notare sfiorando con delicatezza un ginocchio di Tyler, infondendo in quel gesto un pizzico di tenerezza.

Tyler socchiuse gli occhi e si sforzò di localizzare con la mente i più polverosi dei ricordi custoditi in un angolo del suo cuore.

Non ricordava molto della sua infanzia: per quanto si sforzasse di procedere all’indietro, era come se i suoi primi anni di vita fossero stati sfilati via con delicatezza dal calderone di flashback che ribolliva in un angolo della sua testa. Ma dai cinque anni in poi, vi erano migliaia di immagini sbiadite a popolare l’album dei suoi ricordi.

Rievocò le scorribande in bicicletta attraverso i viali di Mystic Falls e le urla squillanti di due bambini piccoli. Pensò alle mille serate trascorse a fare dolcetto e scherzetto in compagnia di Matt e gli altri bambini del quartiere. Si ricordò della prima bicicletta ricevuta in dono e della sua prima, imbarazzante cotta per la maestra di geografia: aveva sette anni.

Pensò alla sua prima partita di football e anche all’ultima: suo padre non aveva assistito a nessuna delle due.

Pensò ai baci privi di calore che si era scambiato con Vicki e agli abbracci confortevoli di Caroline.

Passò in rassegna ogni sorriso. Ogni schiaffo. Ogni pacca sulla spalla, da parte delle persone con cui era cresciuto a Mystic Falls.

I suoi genitori, Matt, Caroline, i suoi compagni di squadra.

Perfino i Gilbert.

Quella era la sua vera vita.

 “Sì.”

Tyler ammise realizzando solo in quel momento di quanto fosse tardi: la maggior parte dei licantropi si era ritirata al riparo nelle tende e la notte aveva assunto un nero ancora più intenso ora che le torce erano quasi completamente spente.

“Sì mi manca.”

***

 

Per chi è sul baratro però

Guarda in basso e dice “No”

 

 

Cel’hai un attimo per me?




 

Jeremy abbandonò il cellulare sul letto osservando con aria assente le rifiniture della trapunta. Dopodiché scansò l’aggeggio con una mano e lo lasciò scivolare con noncuranza sul pavimento abbandonandosi fra i cuscini sbuffando.

Un paio di volumi rilegati in pelle rotolarono a terra mentre la porta si socchiudeva lentamente.

“Tutto bene?”

Caroline fece ingresso nella camera del ragazzo raccogliendo con premura i libri capitombolati sul tappeto.

Lesse la copertina del primo mentre un guizzo divertito faceva capolino nel suo sguardo.

Vampiri e lupi mannari: le origini, la storia, le leggende.  Di Newton Compton.”*

Pronunciò pomposamente  prendendo posto sul letto di fianco al ragazzo.

“Ultimamente ti stai documentando parecchio.”

Jeremy sprimacciò un cuscino con cura e intrecciò le dita dietro la nuca.

“Mia sorella è in pericolo, Caroline. Voi tutti state facendo il possibile per aiutarla e io non ho intenzione di restarmene con le mani in mano. Per quanto riguarda Klaus c’è ben poco che possa fare, perciò  mi sto occupato delle altre questioni in sospeso. Sto solo cercando di rendermi utile.”

Commentò allungandosi oltre Caroline per recuperare il cellulare. Osservò il display alla ricerca di nuovi messaggi, ma lo schermo restava vuoto. E ammaccato.

“Tyler non risponde.”

Aggiunse infine con aria stanca.

“…A me invece sembra che tu stia semplicemente cercando di distrarti.”

Commentò Caroline con aria furba incrociando le braccia sul petto; conosceva Jeremy da troppo tempo, per potersi lasciare sfuggire la tristezza che velava come un ombra il suo sguardo.

“Hai di nuovo litigato con Bonnie, non è vero?”

Jeremy roteò gli occhi agguantando con una mano le cuffie sul comodino e srotolandone il filo per infilarsele alle orecchie.

La ragazza gliele strappò di mano con un unico movimento e se le sistemò sulle ginocchia ricevendo in cambio un’occhiataccia furente da parte del ragazzo. Nonostante di tanto in tanto  Caroline si compiacesse di notarlo improvvisamente cresciuto, per il resto del tempo Jeremy rimaneva per lei, come per tutti, il piccolo di casa Gilbert.

E momenti come quelli non facevano altro che sottolineare la premura con cui Caroline avvertiva il bisogno di occuparsi di lui.

Come se oltre ad essere di Elena, Jeremy appartenesse anche un po’ a lei.

Come se fosse il fratello minore di entrambe.

“Che succede?”

Caroline domandò con un’occhiata ammonitrice, come faceva spesso sua madre.

Jeremy sbuffò e prese a fissare il soffitto.

“Lei mi piace davvero…”

Mormorò infine ignorando l’occhiata intenerita riversata da Caroline su di lui.

“Ma non credo che Bonnie mi consideri nella stessa maniera in cui la considero io.”

La ragazza scosse il capo lentamente sorridendo con dolcezza.

“Bonnie ci tiene a te, Jer. Ha solo bisogno di un po’ di tempo per fare ordine fra i suoi pensieri. Stanno succedendo un mucchio di cose ultimamente e… tu sei il fratello della sua migliore amica…”

“Il fratellino.”

Jeremy precisò balzando a sedere di scatto con aria irritata.

“Io sono il “fratellino” di Elena.”

Borbottò le ultime in tono di voce risentito, lasciando ciondolare il capo con aria stanca.

Caroline sorrise dolcemente sistemando un paio di ciocche di capelli spettinate sul capo del ragazzo.

Bonnie era la sua migliore amica: non l’aveva abbandonata nei momenti più critici e quando si era convinta di averla persa per sempre, lei aveva fatto capolino con quel sorriso obliquo e gli occhi colmi di fiducia. L’amicizia che condivideva con Bonnie e Elena era qualcosa di unico. Di speciale.

Eppure, osservando la delusione scolpita nello sguardo di Jeremy, Caroline non riuscì ad evitare di sentirsi in colpa per ciò che il giovane stava passando in seguito all’indecisione dell’amica.

Dopotutto, Jeremy non era solo il fratellino di Elena.

Era un ragazzo –un uomo-.

Jeremy era un meraviglioso giovane uomo.

E Bonnie, a tempo debito, se ne sarebbe resa conto.

“Ricordi il giorno in cui scoprii che papà aveva lasciato me e la mamma?”

Domandò improvvisamente sistemando le cuffie di Jeremy sullo scaffale e tornando a sedersi sul letto.

“Quel pomeriggio mi ero rifugiata in casa vostra e non avevo la minima intenzione di andarmene a scuola. Ricordo che trascorsi il pomeriggio nella vostra cucina a piangere come una disperata, mentre Elena e Bonnie facevano del loro meglio per consolarmi. Tu eri molto piccolo: otto o nove anni al massimo. Ricordo che per farmi smettere di piangere prendesti delle mele dalla credenza e incominciasti a fare il giocoliere intonando una stupidissima canzoncina da circo. Elena ti supplicò di piantarla, ma tu continuavi a saltellare per la cucina blaterando assurdità e facendoti rimbalzare le mele da una mano all’altra. Ad un certo punto ne lanciasti una troppo in alto e per cercare di prenderla sei inciampato nel tappeto, andando a sbattere la testa contro lo sportello della credenza…”

Jeremy scoppiò a ridere di gusto massaggiandosi la tempia con aria divertita.

“Me lo ricordo. Hanno dovuto mettermi dei punti.”

Caroline rise con lui.

“Tua madre fu costretta a prendersi un’ora di permesso dal lavoro per portarti al pronto soccorso. In compenso credo di non aver mai riso così tanto in vita mia.”

Jeremy sorrise al ricordo con aria vagamente imbarazzata mentre Caroline si sollevava dal letto osservandolo con attenzione.

“Fammi sapere se devo venire a far volteggiare qualche mela in camera tua, va bene?”

Domandò dolcemente individuando all’istante il lieve bagliore di tristezza che era tornato a incastonarsi fra le iridi del ragazzo; Jeremy si limitò ad annuire.

“Bene. Vado a dare una mano alla signora Lockwood per il pranzo di beneficienza. Se hai bisogno sai dove trovarmi.”

Caroline sorrise con aria sbarazzina e si allontanò dalla camera di Jeremy intonando un allegro motivetto pubblicitario.

Prima di uscire, la ragazza sfiorò con una carezza il capo del giovane Gilbert.

 

 

***

Tyler pigiò per la terza volta in un minuto i tasti del telefono, prima di indugiare in silenzio di fronte al numero completo sullo schermo.

Cancellò nuovamente la sequenza e la ricompose, questa volta variando le ultime cinque cifre. Indirizzando la chiamata a una persona completamente diversa.

 

Con un ultimo sospiro, premette il tasto di chiamata e sollevò il ricevitore infilandosi l’altra mano in tasca e prendendo a camminare per la radura. Camminando, sperava di dissolvere l’ansia che si era intrappolata nel suo stomaco da quando aveva preso in mano quel maledetto cellulare.

 

Uno squillo. Due squilli.

 

Al terzo squillo una voce femminile gridò il suo nome con quanto fiato aveva in gola.

 

“Ciao mamma.”

 

Tyler avvertì un lieve tremore nella sua voce, ma decise di non badarci.

 

“Sto bene, sto bene. E mi dispiace.”

Cel’hai un attimo per me?

Perché c’è troppo bisogno di aiuto, di aiuto

 

 

Nota dell’autrice.

 

Ed eccoci qui con questo nuovo capitolo. Finalmente iniziano a smuoversi un paio di cosette: la maledizione del sole e della luna torna a galla e Tyler incomincia a dubitare di ciò che gli sta attorno. Il legame fra Tyler e Cady inizia a farsi più saldo e abbiamo anche scoperto qualche cosina in più a proposito della giovane ragazza lupo. Per ultimo, ma non per importanza, Jeremy e Caroline hanno finalmente fatto comparsa, anche se per poco. Ci tengo tanto alla loro interazione, dunque spero di averli resi abbastanza bene. Fatemi sapere se il capitolo è troppo lungo o noioso. Finisco sempre per dilungarmi, non riesco ad evitarlo.

Le canzone in questo capitolo è in italiano. Non succederà più, lo prometto. Non è molto carino alternare il titolo nelle due lingue, ma in questo caso, non appena ho sentito la canzone, mi sono sentita in obbligo di usarla, perché mi pareva perfetta per tutti e quattro i personaggi.

Volevo aggiungere un’altra cosa: sviluppando alcuni storylines di questa storia, mi sono resa conto che alcune cose non coincidono esattamente con la linea temporale del telefilm. In particolare, come mi ha fatto notare Giuls (Butterphil) nello scorso capitolo Mason non subisce la sua prima trasformazione un anno prima di tornare a Mystic Falls, ma intorno al 1993/1994 quando Cady e Tyler sono ancora molto piccoli (Cady è nata nel 1994. Tyler nel 92). Mason è un personaggio fondamentale nel passato di Cady (come vedrete già nel prossimo capitolo) e avevo bisogno di includerlo nel racconto: ritoccare un po’ le cose era l’unico modo per renderlo possibile.

Dunque, che altro aggiungere? Vorrei ringraziare di cuore, Maria (Fiery) che come al solito ha avuto molta pazienza nel betare anche questo capitolo. Grazie infinite alle persone che hanno commentato lo scorso capitolo e in particolare alle persone che hanno aggiunto Cady alle seguite. Questa storia, benché la ami, mi sta dando parecchi problemi, poiché non sono mai stata capace a scrivere long , e vedere che le date fiducia, mi spinge a continuare. Spero davvero di sentire presto un parere da parte vostra.

 

Ultima cosa e poi vi lascio andare: ho da poco aperto una pagina su facebook in cui prenderò nota di tutti gli aggiornamenti delle mie storie. La potete trovare qui: http://www.facebook.com/#!/pages/Kary91/178479098854560

 

 

Un abbraccio

 

Laura

 

Oh! P.S. La parte in corsivo a destra è tratta dalla puntata 2x14, Crying wolf. Quando Tyler parla con Jules prima di allontanarsi da Mystic Falls.

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Capitolo 5
*** You wait for rain ***


You wait for Rain.

                                                                                               (and I chase the Storm)

How'd we ever get so far from where we started from?
the hardest thing about this is I still care
you know there's something better for both of us out there


You wait for rain. Kyler England

 

 “Se per spezzare la maledizione occorre sacrificare uno dei nostri fratelli, allora dovrebbe toccare a lui.”

“Non m’importa di quello che pensi tu Ephraem. Sono stata chiara e non intendo ripetermi.”

“Ephraem ha ragione, Jules. Per colpa sua abbiamo perso Brady. E una buona parte del branco.”

“…Basta con queste fesserie. Ma l’avete visto? È solo un ragazzo...”

“La sua età non ha importanza Lucie. Lui non appartiene al branco. Preferiresti sacrificare un fratello rispetto a un moccioso che non ha nulla a che vedere con noi?

“Tyler fa parte di questo branco quanto te, Artèn. È il nipote di Mason e noi ci prenderemo cura di lui, come è giusto che sia.”

“… E cosa pensi di fare per il sacrificio? Tireremo a sorte? Artèn, prepara la monetina.”

“Sceglieremo un membro anziano del branco. Un volontario. E se non troveremo nessuno intenzionato a sacrificarsi per i propri compagni, attenderemo fino a che qualcuno non si offrirà spontaneamente.”

“…Allora potrebbe essere troppo tardi.”

 “Vorrà dire che ne affronteremo le conseguenze. Torcete un solo capello a Tyler Lockwood e mi prenderò personalmente cura di strappare via il cuore dal petto di ognuno di noi. Sono stata chiara?”

“Sei noiosa, Jules.”

“Molto bene Ephraem. Potete andare a fare il diavolo che vi pare ora. E lasciate in pace i ragazzi.”

Cady si affrettò ad allontanarsi dalla tenda del lupo alfa, facendo attenzione a muoversi con discrezione, per non destare l’attenzione degli altri licantropi.

Jules non le aveva mai permesso di accedere alle riunioni del branco, forse per proteggerla, forse perché non si fidava a trasmettere a un lupo così giovane i segreti più intimi del branco.

In realtà alla ragazza non dispiacevano i tentativi della donna di trattenerla all’oscuro da tutto. Non era interessata ai problemi della comunità. Preferiva tenersi alla larga dalle preoccupazioni e dai lati in ombra della sua condizione di licantropo. Il mondo era diventato grigio troppo presto per Cady, e crescendo, aveva provato sollievo in quella nuova vita da “cucciolo”.

Le piaceva trascorrere le sue giornate bighellonando nei dintorni dell’accampamento e infastidendo i membri adulti del branco. Il modo in cui era stata cresciuta non si potrebbe certo definire “materno”, ma senz’altro, aveva ricevuto affetto in quantità sufficienti da renderla una creatura solare e vivace. Forse era un po’ troppo incline alle zuffe, ma per il resto, Cady era fiera di potersi considerare perfettamente in equilibrio fra le sue due nature.

Un po’ lupo, un po’ ragazza.

Per Tyler invece, quell’equilibrio ancora non esisteva.

Il pensiero dell’amico la sfiorò, mentre con aria d’un tratto impensierita si affrettava a raggiungere la tenda del giovane Lockwood.

Le parole di Artèn e Ephraem avevano accresciuto in lei una malsana sensazione di inquietudine. Non era la prima volta che i due licantropi mettevano in discussione le decisioni di Jules, ma raramente venivano assecondati dagli altri membri del branco:  Cady sapeva che Jules non avrebbe mai permesso loro di ferire Tyler in alcun modo, eppure non riusciva a sentirsi tranquilla al pensiero di quello che aveva appena origliato.

Sapeva che c’erano altri licantropi che consideravano Tyler colpevole di ciò che era successo a Brady, perciò non era nemmeno poi così assurdo ipotizzare che alcuni di loro volessero ribellarsi agli ordini dell’alfa.

“Stai bene?”

Cady si fece sfuggire d’istinto le nocche pallide in direzione della voce che l’aveva colta di sorpresa.

Con un sorrisetto divertito, Jules bloccò il pugno e tirò con forza per voltare la ragazza nella sua direzione.

“Mi hai spaventato.”

Si scusò Cady arrossendo lievemente mentre riprendeva fiato.

Jules lasciò andare la sua mano e si diede un’occhiata intorno.

“Ho notato.”

Aggiunse prima di tornare ad osservarla con aria sospettosa.

“Che cos’hai?”

Domandò sollevandole il mento con delicatezza e scrutandola attentamente.

“Sembri… preoccupata.”

Cady si sforzò di ricambiare l’occhiata penetrante di Jules.

“Ero solo distratta.”

Commentò con tranquillità incrociando le braccia al petto.

“Tyler è imparentato con qualcuno del branco?”

Domandò dopodichè inarcando appena un sopracciglio.

Jules riprese a fissarla con attenzione incrociando anch’essa le braccia: per un attimo, Cady fu quasi sicura di aver notato un certo irrigidimento nella sua postura.

“Mason Lockwood era lo zio di Tyler. Ricordi Mason? Ci faceva visita spesso quando eri piccola.”

Si ricordava eccome di Mason.

“Lockwood?”

Ripeté istintivamente, leggermente perplessa: non era abituata ad associare le persone ai cognomi (per un licantropo l’odore e il nome sono più che sufficienti), però quel “Lockwood” le suonava vagamente familiare.

“Non me lo avevi detto.”

La accusò infine squadrandola con aria di sfida che Jules contraccambiò con un’occhiata di ammonimento.

“Che importanza ha?”

Domandò la donna, mentre Cady tornava sui suoi passi in direzione delle tende.

La ragazza diede una scrollata di spalle.

“Volevo molto bene a Mason.”

Si giustificò continuando a camminare, aumentando la distanza fra lei e Jules. La donna rimase immobile a inseguirla con lo sguardo.

“ E’ bello sapere che io e Tyler abbiamo delle cose che ci accomunano, oltre alla maledizione. Non trovi?”

Jules fece per dire qualcosa, ma poi cambiò idea, limitandosi a osservare l’ombra della ragazza che si allungava a ricoprire una porzione di prato.

“Cady.”

La chiamò infine costringendola a voltarsi. Nel suo sguardo, Cady riconobbe alcune velature di sospetto che non le piacquero per nulla.

“Tyler è al sicuro qui con noi.”

Annunciò in tono di voce deciso attraversandola con la limpidezza delle sue iridi.

Cady annuì velocemente prima di voltarsi verso la tenda del ragazzo.

“Certo che lo è”.

Dichiarò in tono di voce secco ignorando il battito sempre più accelerato del proprio cuore.

***

“Te ne devi andare.”

Il suo sussurrò risultò più una minaccia che un invito quando venne messo in luce dal silenzio che li circondava.

Tyler si voltò di scatto nascondendole con la propria presenza qualcosa a cui stava lavorando.

La ragazza lo allontanò facilmente con uno spintone individuando con un guizzo divertito nello sguardo un vecchio borsone grigio abbandonato sul pavimento.

“Oh. Vedo che siamo d’accordo allora.”

Le venne da ridere, nonostante il sospetto che Jules potesse fiutare il contenuto delle loro conversazioni, la tormentasse da quando aveva messo piede nella tenda.

“Non posso più restare qui.”

Tyler scavalcò il borsone e si avvicinò a Cady per appoggiarle le mani sulle spalle. Erano trascorsi appena due mesi, dal suo arrivo all’accampamento eppure la ragazza già stentava a riconoscere il giovanotto che in quel momento la stava fissando con intensità.

Vi era qualcosa di diverso in quello sguardo. Una scintilla di sicurezza sottolineata dal portamento meno ricurvo. Dai muscoli più gonfi.

In quel breve periodo Tyler era cresciuto molto. Era maturato, non solo fisicamente.

Lei invece per qualche strana ragione, si sentiva sempre uguale.

Sempre piccola, sempre cagionevole.

Sempre un “cucciolo”.

 “Mystic Falls è la mia casa e credo che sia ora per me di portare a termine alcune questioni lasciate in sospeso. Mia madre ha bisogno di me.”

Aggiunse lasciando scivolare le sue mani dalle spalle alle mani di Cady, stringendole con delicatezza.

La giovane annuì.

“Artèn e un altro paio di lupi fanno discorsi che non mi piacciono, te ne devi andare il prima possibile. C’è un sentiero dietro la grotta che porta direttamente al villaggio più vicino e la presenza delle rocce ti renderebbe meno visibile, quindi ti consiglio di passare di lì.   Sfortunatamente credo di aver messo la pulce nell’orecchio a Jules,  ma credo di poterla intrattenere abbastanza a lungo da permetterti almeno un paio d’ore di vanta…”

“…Frena un attimo Cady, ho bisogno di parlarti.”

Tyler fu quasi tentato di metterle una mano sulla bocca per interrompere il fiume di parole. Era nervoso, e non era esattamente l’idea di fuga a metterlo così in soggezione.

Né tantomeno gli ipotetici discorsi di Artèn.

Cady si zittì con aria infastidita incrociando le braccia al petto.

“Come se le tue chiacchiere fossero più preziose delle mie, Omega.”

Tyler sorrise.

Il tipo di legame che si era instaurato fra loro non aveva nulla a che fare con il rapporto di tolleranza che aveva stretto con gli altri licantropi.

E non era nemmeno il genere di affetto che lo legava a Caroline o a qualsiasi altra persona che vivesse a Mystic Falls.

Lui e Cady si punzecchiavano di continuo, mattino e sera. Giorno e notte. Lei fingeva di tollerarlo a fatica serbandogli battutine sarcastiche e gomitate e lui scoppiava a ridere ogni volta, senza nemmeno comprendere il perché.

C’era un legame sottile, ma perfettamente delineato che cominciava con uno e che terminava con l’altra e Tyler se ne era accorto fin dal loro primo incontro.

Si sentiva protettivo nei suoi confronti.

Non era il genere di sensazione che Tyler era solito fare sua, essendo da sempre abituato a fare affidamento principalmente su se stesso.

Ma con Cady era diverso. Non poteva fare a meno di sorvegliarla con occhio vigile, nonostante fosse piuttosto ovvio che era Cady a prendersi cura di lui.

In quei due mesi si era premurata di guidarlo con pazienza verso il mondo dei licantropi vegliando su di lui e proteggendolo dagli atteggiamenti talvolta ostili degli altri membri del branco.

C’era anche un qualcosa di lupesco nel loro legame. In quel continuo azzuffarsi tipico dei cuccioli. E nel modo quasi possessivo in cui si tenevano d’occhio a vicenda. Un comportamento che Tyler aveva notato di frequente anche in Jules: nel modo in cui la donna si premurava di averli sempre sotto tiro.

Erano amici ed erano fratelli – membri dello stesso branco-.

Questo faceva in modo che Tyler e Cady si appartenessero a vicenda.

Tyler era di Cady. Cady era di Tyler.

Ognuno dei due aveva il compito di vegliare sull’altro.

“Tu vieni con me.”

Dichiarò in tono di voce fermo osservandola con aria decisa.

Cady lo squadrò confusa.

Con violenza, un flashback si frappose fra lei e il presente, riportandole alla mente a un tiepido pomeriggio di giugno, che aveva assaporato più di dieci anni prima.

“Tu vieni con me”

Suo padre la sollevò dal letto e la fece vestire, mentre il fratellino li osservava con aria curiosa dall’uscio della camera.

“Teddy?”

“Teddy resta qui.”

Cady si riscosse dai suoi pensieri focalizzando nuovamente l’attenzione su di Tyler. Per un attimo, i loro sguardi furono accomunati da un lieve alone di sgomento, quasi i loro pensieri si fossero mossi in direzioni affini.

“Che significa?”

“Esattamente quello che ho detto.”

Tyler la prese per il polso osservando con tranquillità lo stupore fare capolino fra le iridi nocciola della ragazza.

“Ti porto a Mystic Falls con me.”

Specificò fissandola con aria di sfida, attendendo con pazienza che Cady comprendesse quello che Tyler le aveva appena esposto.

“Ho fatto anche i tuoi bagagli.”

Aggiunse indicando con l’indice una seconda sacca che inizialmente la ragazza non aveva notato.

Improvvisamente, l’insolito strato di confusione venne meno e la Cady agguerrita e combattiva di sempre affiorò alla superficie.

“Scordatelo.”

Con un violento strattone si liberò dalla presa di Tyler e arretrò in fretta.

“Non hai bisogno della Baby Sitter. E io nemmeno.”

“Devi conoscere anche l’altro aspetto della tua natura. Devi ricordare cosa significa avere una vita normale. Con la scuola e gli amici. Non ti manca la tua famiglia?”

“E’ questa la mia famiglia.”

Cady ribattè a voce alta con odio, allontanandolo da lei.

“Shhh.”

Tyler sbirciò fuori dalla tenda nervosamente, ma fortunatamente né Jules, né nessun altro pareva essersi accorto della loro discussione.

“Tu. Sei. Pazzo.”

Cady scandì le tre parole con le labbra lasciando fuoriuscire appena un filo di voce.

“Se un licantropo abbandona il branco, quel licantropo non sarà più considerato parte della famiglia. Come tuo zio Mason.”

Al sentir nominare Mason, Tyler provò una leggera fitta di sgomento. Non sapeva nulla di lui, in fondo. Non sapeva come aveva trascorso gli ultimi anni lontano da Mystic Falls. Né con chi.

“Diversi uomini si sono fatti ammazzare pur di vendicare mio zio.”

Osservò con aria scettica.

“Jules è venuta a prendere me.”

“Questo perché c’è un codice di lealtà che lega ognuno di noi.”

Cady gli scoccò un’occhiata sprezzante, ma nel nocciola ambrato delle sue iridi, Tyler riuscì a individuare qualcosa di terribilmente simile alla paura.

“Non credere che se Mason fosse tornato lo avrebbero accolto tutti a braccia aperte.”

“Ma non sei curiosa di scoprire com’è la vita all’infuori del branco? Non credi sia ingiusto che ti trattengano con loro senza darti possibilità di scelta?”

“Lo fanno solo per proteggermi.”

Cady trattenne a fatica il prurito impellente sulle sue nocche e l’aggressività che minacciava i suoi occhi di assumere il familiare colore ambrato.

“E non hai mai pensato…”

“Certo che ci ho pensato.”

Ammise infine mettendosi a sedere, ignorando lo sguardo insistente del ragazzo.

“… E lo farò prima o poi. Me ne andrò quando sarò sufficientemente in grado di affrontare la mia vita da sola. Per te il discorso è diverso. A Mystic Falls hai una famiglia.”

“Anche tu hai una famiglia da qualche parte.”

Tyler ribattè tranquillamente scoccandole un’occhiata penetrante.

“La mia famiglia sono Jules e gli altri.”

Ribattè la ragazza in tono di voce velenoso.

“Non vi è nient’altro a cui sento di appartenere oltre  loro.”

Non era la verità, Cady lo sapeva benissimo.

Ma non poteva lasciare l’accampamento.

Jules non glielo avrebbe mai perdonato.

Artèn, Ephraem, Lucie. L’avrebbero abbandonata.

Scoccò a Tyler un’occhiata di puro odio, avendo ben presente da dove sorgesse tutto quel risentimento.

I dubbi che per anni era riuscita a ricacciare con forza in un angolo del suo animo avevano fatto nuovamente capolino, e da quel momento in poi avrebbero ripreso a tormentarla di continuo.

Ed era colpa sua.

 Se sentiva, in una piccola parte del suo cuore, che fuggire con Tyler sarebbe stata la cosa giusta, era solo colpa sua.

“Mi auguro che ti scoprano!”

Esclamò furiosamente colpendolo sotto il mento. Mentre Tyler gemeva per il dolore, Cady scrollò la mano per attenuare l’intorpidirsi delle nocche.

Fu in quel momento che lo vide: era agganciato a uno dei borsoni. Così logoro e consunto da somigliare a un batuffolo di polvere.

Teddy.

Il modo in cui Tyler si era premurato di lasciarlo in bella mostra accorpandolo ai bagagli, le strattonò lo stomaco con violenza, sradicando in lei tutta la rigidità e la resistenza a cui era riuscita ad appellarsi fino a quel momento.

Se qualcosa ancora la legava al suo passato, ad una vita completamente umana, priva di scatti di rabbia e trasformazioni dolorose, quel qualcosa era Teddy.

Il suo orsacchiotto.

Suo fratello.

“Lo troveremo.”

Tyler, che aveva intuito all’istante dove si fosse indirizzato lo sguardo dell’amica, la raggiunse massaggiandosi il collo con imbarazzo.

Cady scosse il capo lentamente avvertendo ormai una leggera scia di lacrime fare capolino da entrambi i suoi occhi.

Se li stropicciò con rabbia, ma le lacrime continuarono a scivolare imperterrite, bagnandole il collo.

“Non mi importa, Tyler.”

Lo chiamava raramente per nome.

Ma quando lo faceva, la parola affiorava in maniera insolita dal suo tono di voce.

Era come se le labbra di Cady non fossero destinate a chiamarlo “Tyler”.

Lui era l’ omega.

 Solo omega.

 “Non ho intenzione di venire con te, mi dispiace.”

 

“Se non vuoi farlo per te, allora devi fallo per tua madre.”

Il ragazzo si avvicinò cautamente, come se avesse paura di risvegliare Cady dall’improvviso attimo di fragilità.

E sinceramente, non era nemmeno propenso a beccarsi l’ennesimo pugno.

“Fallo per Teddy.”

Insistette sperando in silenzio di aver tirato in ballo delle condizioni abbastanza convincenti.

 “Per quanto ne so potrebbero essere morti tutti e due.”

Ribattè secca la ragazza accovacciandosi e incominciando a disfare i suoi bagagli.

“Adesso smettila di fare pressione sul mio lato umano, non funzionerà. E sbrigati a prepararti.”

Ma nonostante il distacco con cui aveva pronunciato quelle parole, Tyler aveva il sospetto di essere riuscito a smuovere qualcosa dentro di lei.

E guardandola, non riuscì a trattenere un sorriso realizzando che sì, Cady avrebbe protestato ancora a lungo, ma e alla fine sarebbe venuta con lui.

Certo si sarebbero azzuffati ancora e probabilmente avrebbero percorso l’intero tragitto che li separava da Mystic Falls in silenzio e immusoniti.

Ma per qualche strana ragione, sentiva che alla fine sarebbe venuta via con lui.

E nel prossimo ecapitolo … u_ù

 

Florida. Estate, 2000

“Te lo ripeto per l’ultima volta, Mason: stai alla larga da lei.”

Il ragazzo si divincolò con rabbia, cercando di allentare la presa di Jules su di lui.

“Lascia che a occuparsi di Cady sia la sua famiglia.”

“…La sua famiglia vive a più di 800 miglia di distanza dalla Florida.”

Mason esplose strattonando i polsi della donna e spintonandola malamente . Le iridi improvvisamente sfumate di giallo.

“Cady non è Casey.”

Qualcosa di animalesco si insinuò fra i lineamenti aggraziati della donna e Mason arretrò istintivamente, frapponendo la panchina fra i due corpi.

“Se sei tornato per assillarci con i tuoi deliri, puoi benissimo tornartene da dove sei venuto. La tua presenza non è più gradita all’interno del branco. Ormai dovresti essertene accorto.”

“Quella bambina è Casey.”

 

Nota dell’autrice.

Niente, questa storia è rimasta nel dimenticatoio troppo a lungo e anche se non penso di riuscire a portarla aventi in questo periodo, mi spieceva lasciarla interrotta  così bruscamente dato che avevo un paio di capitoli pronterrimi nel pc e visto che ora stando all’uni in galles non ho tempo per scrivere materiale nuovo (anche se ci sto provando.) che dire? In realtà il capitolo doveva avere ancora un’ultima parte ma per vari motivi non sono riuscita a fare meglio di così. Il prossimo capitolo sarà ambientato completamente al passato; è un flashback appunto come dice l’anticipazione ambientato in Florida, nel 2000 quando Cady ha circa sei anni e finalmente vedremo il carissimo spesso snobbato Mason Lockwood. E Jules, beh lei è fondamentale in questa storia… Credo. Ormai non ricordo manco più la trama.

Grazie se ancora vi ricordate di questa long e un abbraccio fortissimo a tutti coloro che hanno letto e recensito lo scorso capitolo.

 

Un bacione grande dal mio amato Galles

 

Laura

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