Ekaterimbug, i pensieri dell'ultima famiglia imperiale di Russia

di Medea Astra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** nicola ***
Capitolo 3: *** Alessandra ***
Capitolo 4: *** anastasia ***
Capitolo 5: *** Olga ***
Capitolo 6: *** Tatiana ***
Capitolo 7: *** Aleksej ***
Capitolo 8: *** Maria ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Romanov
Ekaterimburg, casa Ipatief ore 24.08, in una cantina buia e umida si  è appena consumato uno dei più efferati omicidi che la storia conosca. Yakov Juroskji insieme ad un plotone di circa dodici uomini ha assassinato senza pietà l’ex zar Nicola II, sua moglie Alessandra di Hesse-Darmastand e i loro cinque figli: le granduchesse Olga,Tatiana, Maria, Anastasia e lo zarevic Aleksej. Accanto ai loro corpi senza vita giacciono anche quelli del medico Botkin e degli ultimi menbri della servitù rimasti a loro fedeli. Lo spettacolo che si presenta agli occhi è atroce.
 Sotto l’ordine del Soviet degli Urali, la mattina del 17 luglio sono iniziati i preparativi per l’uccisione della famiglia imperiale, lo sguattero Leonid è stato mandato via con una scusa, sono state portate in casa numerose armi da fuoco tra cui numerose carabine, i fusti d’olio sono stati scambiati con alcuni bidoni pieni d’acido necessari per la completa disfatta dei cadaveri. Nessuno avrebbe dovuto sospettare i comunisti della scomparsa dell’ultimo zar e della sua famiglia.
 L’aria che si respirava era carica di mistero e i presagi della tragica fine non erano mancati, una gallina era stata trovata morta poco lontano dal recinto dove si trovavano gli altri animali, probabilmente uccisa da una volpe segno di sventura nell’antica Russia, lo zar facendosi la barba si era tagliato sotto il collo e una goccia del suo sangue aveva turbato la limpida acqua che si trovava nel recipiente per la toletta mattutina. Chissà, forse il destino voleva avvisare l’ex sovrano che presto il suo sangue sarebbe scorso a lavare via i peccati dei suoi avi.
 Poco dopo pranzo alla famiglia imperiale erano state consegnate tutte le missive precedentemente sequestrate e censurate, in fondo stavano solo dando a dei morti viventi, la possibilità di sapere che nel mondo c’era ancora qualcuno cui stavano a cuore. Le notizie sulla primavera che tardava ad arrivare, sulla nascita di qualche cuginetto lontano, allietarono le ultime ore di vita di quella famiglia che fino a poco tempo fa guardava fredda dal proprio palazzo la disfatta del popolo Russo.
  Adesso che i loro corpi giacciono sul freddo pavimento, privi del respiro, della loro forza vitale, forse sarebbe opportuno rivivere con loro le ultime ore di una vita breve ma intensa e forte quanto la morte che improvvisamente li ha coinvolti nella loro ultima danza e con quel bacio fatale gli ha tolto la possibilità di vedere sorgere il sole per un’altra volta…

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Capitolo 2
*** nicola ***


Nicola
 
Sono seduto su di una panchina nel giardino di una casa che non è la mia. Non riconosco nelle sue mura alcun segno della mia infanzia, della mia vita, i miei figli non sono caduti su queste scale, mia moglie non ha dato alla luce i frutti del nostro amore in queste camere.
 Sono nato il 6 maggio del 1868, giorno nefasto dissero i contadini del popolo, sono solo sciocche superstizioni rispose la madre fiera. La mia infanzia trascorse serena fino a quando compii nove anni, allora la mia vita cambiò per sempre, mostrandomi nitidamente quanto fosse fragile la vita umana.
 Stavo giocando in giardino quando sentii il boato sordo e improvviso di un’esplosione, nell’arco di pochi minuti vidi mio padre correre disperato correre verso l’ingresso del palazzo seguito dalle guardie apprensive e dalla nonna che con aria assente camminava fiera e impettita nel suo abito, quasi sapesse cosa l’attendeva al di là delle mura.
 Nonno, il mio amatissimo anpapa era stato vittima di un attentato da parte di alcuni anarchici che avevano posizionato una bomba sotto la sua carrozza. Il suo corpo un tempo possente e forte, ora giaceva inerme e dilaniato su di una portantina che veloce si dirigeva verso le sue camere.
 I medici arrivarono subito ma altrettanto velocemente fu loro chiaro che per lo zar non c’era più nulla da fare, l’intera parte inferiore del suo corpo era stata dilaniata dall’esplosione ed aveva perso troppo sangue. L’agitazione e l’angoscia avevano chiaramente preso piede nella stanza-studio di nonno dove ormai era riunita tutta la famiglia con uno stuolo impressionante di medici e servitori. In questo clima spettrale tutti erano concordi su di una sola cosa, non rimaneva altro che aspettare la fine dell’autocrate di tutte le Russie.
 L’ agonia di anpapa durò quasi un’ora, tempo in cui papà non versò nemmeno una lacrime e nonna rimase fieramente accanto al marito tenendogli la mano e cercando di alleviare le sue sofferenze.
 Quell’episodio segnò profondamente la mia crescita, avevo sempre visto il nonno come un uomo invincibile e mai mi sarei aspettato che anche lui potesse morire, nel mio immaginario lui era eterno e vederlo agonizzante sul divano, ricoperto di sangue che invocava la morte come fine delle sue sofferenze mi sconvolse.
 Quella sera dopo che andai a letto consapevole di essere lo zarevic, colui che dopo mio padre avrebbe ereditato il potere, sognai di morire anche io come anpapa e terrorizzato strinsi forte il cuscino finchè il sonno non prese nuovamente il sopravvento sulle mie giovani membra stanche.
 Quando compii sedici anni, già ero un giovane uomo, incontrai Alix che mi fece subito innamorare di lei. Era bellissima e quell’aria perennemente malinconica che era dipinta sul suo volto, fece crescere in me l’affetto per lei e il desiderio di proteggerla dal resto del mondo.
 Dopo numerose vicissitudine causate dalle rispettive famiglie, io e Alix siamo convolati a nozze nel 1894 ma la nostra non è stata una cerimonia felice, infatti mio padre come mio nonno ci ha lasciati improvvisamente colpito da un male terribile che non gli ha dato scampo.
 Già da tempo mi ero reso conto di non essere in grado di succedere a mio padre, la differenza tra noi non era solo di statura fisica, lui oltre il metro e novanta e io appena uno e settanta, ma anche caratteriale e morale, non sarei mai stato forte e deciso come lui.
 Questa convinzione sembrava avercela anche lui dato che sul letto di morte i suoi occhi si posarono su di me con una tristezza infinita, consapevoli che con me i problemi della grande madre Russia non sarebbero cessati ma si sarebbero acuiti.
 Mia madre da sempre non ha avuto fiducia in me e la sua influenza si è sempre sentita sia nell’amministrazione del governo che nel mio rapporto con Alix, sembrava quasi gelosa di mia moglie che timidamente si affacciava al suo nuovo ruolo. L’ha sempre criticata e i suoi appunti sono diventati più pungenti quando ha iniziato a partorire figlie femmine. Il suo disappunto era a dir poco evidente, si rifiutava perfino di prendere in braccio le bambine e diceva che Alix non era nemmeno in grado di darmi un erede e che sarebbe stato meglio se io avessi sposato l’erede francese.
 Dopo la nascita di quattro meravigliose bambine: Olga, Maria, Tatiana e Anastasia, è finalmente venuto alla luce l’erede tanto atteso, il nostro piccolo raggio di sole Aleksej è nato nell’agosto del 1904 ma alla gioia si è affiancata subito la disperazione. Baby infatti è affetto da una grave forma di emofilia che non gli da tregua, è sempre vittima di emorragie che lo costringono per lunghi periodi a letto. La sua indole vivace inoltre non lo protegge da possibili urti fatali.
Dalla nascita del mio bambino, la mia attenzione per lo stato si è molto affievolita e il popolo purtroppo ne ha pagato le conseguenze. So di essere il padre della Russia e di avere il dovere di proteggerlo, ma prima ancora di essere lo zar sono il padre di quel ragazzo che adesso è seduto a fianco a me e che come un gurriero ha superato ogni nostra aspettativa arrivando quasi ai quattordici anni. Somiglia molto al mio amato anapapa, nei suoi grandi occhi azzurri vi leggo la stessa determinazione ma, quando la sua malattia lo costringe  a letto io sono e sarò sempre al suo fianco. Amo tutti i miei figli ma lui è speciale, è fragile e forte allo stesso tempo e in lui mi rivedo e sto cercando di assicurargli un futuro quanto più roseo possibile.
 Per questo motivo ho abdicato, per garantire alle mie figlie una vita serena e per permettere a mio figlio di divenire uomo e di poter invecchiare serenamente.
 Per le mie figlie altro non desidero che un amore come quello tra me e la loro madre, sono tutte molto belle e ben educate, sono certo che saranno delle ottime mogli e delle buone madri.
 Per mio figlio desidero solo che viva e che realizzi i suoi sogni.
Io e mia moglie dopo questo esilio ci potremmo comprare una piccola casa in campagna e coltivare molte cose insieme al nostro amore.
 
Poche ore dopo…
Lo zar è il primo ad essere colpito, il suo sguardo prima di morire si posa benevolo sulla famiglia che tanto aveva voluto proteggere, quasi a voler chiedere loro scusa di non essere riuscito nel proprio intento.

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Capitolo 3
*** Alessandra ***


 
ALESSANDRA
Seduta sul duro materasso che da qualche mese a questa parte costituisce il mio letto, lascio che i pensieri scorrano liberi nella mia mente, concedo loro la libertà che mi è stata negata. La vita si sa, è tutta un paradosso, un giorno sei il sovrano dell’impero più vasto del mondo, e il giorno dopo ti ritrovi ad essere prigioniero di rozzi sconosciuti e a dover difendere la tua famiglia con le unghie e con i denti.
   Quando da bambina giocando con le bambole di Ella  immaginavo che fossero i miei figli e le curavo con amore e dedizione, non avrei certo mai pensato di dover un giorno rimanere per notti intere a vegliare il sonno del mio bambino, nella speranza che i suoi limpidi occhi azzurri potessero vedere un’altra alba.
   La prima volta che misi piede in Russia avvertii un vago clima di diffidenza, ero considerata troppo vecchia per non essere ancora sposata e già allora cominciarono a circolare delle cattiverie sul mio conto. Nei giornali scandalistici si insinuava che non avessi ancora preso marito a causa del mio carattere troppo iracondo e della mia freddezza. Quello che non sapevano era che il velo di indifferenza che frapponevo tra me e loro non era dovuto ad un mio astio nei confronti del popolo Russo, ma era una protezione per me, per una donna cresciuta con il solo affetto di una nonna troppo potente per darle anche solo una carezza.
   Credo che fu proprio la dolcezza di Nicki a stregarmi, i suoi modi pacati e la sua grande capacità oratoria furono notate da me solo dopo aver perso la testa per lui. Quello che mi fece innamorare fu la sua disponibilità nei miei confronti e il perenne sentore di malinconia che vedevo dietro il suo sguardo.
   Il Buon Dio decide per ognuno di noi il destino più consono e a me non ha risparmiato la sofferenza, ma non per questo mi lamento, anzi, l’aver conosciuto sin da piccola l’odore e il colore della paura e della sofferenza mi ha aiutata ad affrontare tutti i travagli che la vita mi ha posto dinnanzi nel corso del tempo.
   All’età di sei anni per la prima volta caddi nella serra del giardino, mi sbucciai entrambe le ginocchia e riportai numerosi tagli che decretarono la mia permanenza pressoché totale sulla poltrona a rotelle.
   Poco dopo questa caduta mia madre si ammalò  e in breve venì meno lasciandomi sola in un mondo che mano a mano si faceva sempre più cupo. L’unica luce che mi si presentò fu quella di Nicki che con le sue iridi color del mare mi incantarono. Durante la nostra prima vacanza insieme sul lago di Como mi propose di fare una breve gita in barca insieme. Le sue intenzione erano chiare, voleva passare un po’ di tempo da solo con me, accettai perché sentivo di potermi fidare di lui.
   Partimmo insieme da un piccolo molo dismesso, con una graziosa barca di legno di castagno tinta di bianco e giallo. Mi aiutò a salire e remò per più di un’ora ininterrottamente finchè trovammo una baia poco lontano dove  attraccammo e ci sedemmo per fare un pick-nick.
   Qualche ora prima del tramonto, quando iniziava ad esserci un vento fresco che lambiva le mie gote cominciammo a tornare. Le braccia di Nicki remavano molto più lentamente rispetto all’andata. Il mio sguardo fu catturato per tutto il tempo dai suoi muscoli che sembravano senza fatica poter smuovere il mondo intero. Di colpo scesi dal nostro vascello mi sento stretta contro il suo petto e le sue labbra si posano sulle mie con una delicatezza che contrasta radicalmente con la sua robustezza. Mi ricordo ancora tutte le emozioni e i brividi che percorsero la mia schiena.
  Mi sento molto sciocca a pensare proprio adesso che non so cosa mi riserva il futuro, alle prime dolcezze dell’amore che mi lega da oltre vent’anni all’uomo che pacifico riposa con il capo poggiato sul mio seno. Oggi è stata una giornata a dir poco impegnativa, Aleksej è stato molto male e suo padre gli è stato vicino fino a poche ore fa. Anche se adesso stiamo soffrendo per la mancanza della nostra routine, non cambierei nulla della mia vita perché ho tutto ciò che una donna potrebbe desiderare: la devozione incondizionata di un marito e l’amore smisurato di figli meravigliosi.
Poche ore dopo
Alessandra guarda allibita cadere il corpo del marito, ormai privo di vita, davanti i suoi occhi. È tutto finito, ha fallito, non è stata in grado di proteggere la sua famiglia. Tatiana la guarda come per cercare protezione e lei si fa il segno della croce. Un sibilo appena udibile accompagna il proiettile che le attraversa il capo da parte a parte. È caduta l’ultima zarina di Russia

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Capitolo 4
*** anastasia ***


Anastasia

Passeggio lungo il viale che collega casa Ipatiev al boschetto vicino, in realtà è solo un giardino con molti alberi, ma a me piace immaginare che tra le verdi foglie si nascondano esseri fatati e magici pronti ad aiutarmi e a portarmi in salvo lontano da qui. Ogni bambina sogna il principe azzurro che la sposi e la faccia vivere serenamente, io lo sognavo a maggior ragione delle altre bambine, il mio ruolo di granduchessa infatti mi faceva sentire in potere di controllare perfino i sogni della gente comune. Sebbene mia madre in primis, e poi anche mio padre, mi abbiano educata all’umiltà e al rispetto verso tutti, dal gran ciambellano alla più umile delle serve, la mia indole è sempre stata più altezzosa di quella delle mie sorelle. Andare a prestare servizio negli ospedali non mi piaceva, la vista del sangue e delle bende impregnate di pus mi faceva venire la nausea. Ero abituata a vivere in un mondo dorato dove tutti mi rendevano grazie.
   Ho avuto un’infanzia privilegiata rispetto alla maggior parte delle bambine del popolo, le mie preoccupazioni non erano relative alla sopravvivenza ma solo alle bambole da mettere nella sala e ai loro vestiti. Sono l’ultima delle granduchesse imperiali e, forse per questo, sono stata anche la più viziata. Alla mia nascita, cioè che mia madre, la zarina, si attendeva, era l’erede al trono, ma con me arrivò la quarta delusione, ero femmina.
   Nonostante il dolore per non aver avuto ancora il tanto agognato erede, l’intera mia famiglia, si strinse subito a me in un abbraccio pieno d’amore. Non ho mai conosciuto la sofferenza fino a quando per la quinta volta il ventre di mamma si gonfiò. Per nove mesi attendemmo con il fiato sospeso, convinti che stesse per arrivare l’ennesima sorellina ma speranzosi per l’erede al trono. Quando papà uscì dalle camere imperiali con Aleksej tra le braccia, udii le trecento cannonate che tuonavano festose e subito mi gettai tra le sue braccia felice dell’arrivo di un fratellino.
   Nella mia testa ero convinta che lui fosse nato per proteggerci, per proteggere me, Olga, Tatiana e Maria. Era l’unico uomo della famiglia oltre papà ed io già lo immaginavo come un cavaliere senza macchia e senza paura. In breve però i miei sogni vennero spezzati da fiotti cremisi di sangue. La mia infanzia credo finì quel giorno, certo, continuai a sorridere e a giocare ma non ero affatto serena.
 Aleksej non era il prode cavaliere che avevo immaginato, lui non mi avrebbe mai difesa, ero io che dovevo difendere lui dal mondo intero.
  Sentivo quel bambino tanto bello e fragile come figlio mio, non avrei mai permesso a nessuno di fargli del male, lo avrei protetto con tutta me stessa.
    Quando nasce un bambino, in ogni famiglia le attenzioni cambiano, ma da me cambiarono radicalmente. Dall’agosto del 1904 la mia vita e quella dei miei cari è stata dedicata interamente allo zarevich. Non gli sto recriminando nulla, non sono gelosa, lui non ha voluto queste attenzioni, non ha voluto soffrire, credo preferirebbe morire pur di lasciarci alla nostra serenità; l’ho sentito invocare la morte varie volte durante gli attacchi emorragici. Mamma piange ogni volta e si dispera, si sente responsabile e per questo noi figlie cerchiamo di aiutarla quanto più possibile.
  Ecco, vedo papà e Aleksej seduti su una panchina poco distante da me, sembrano molto indaffarati, staranno parlando di strategie militari o di libri di storia, ne sono letteralmente innamorati.
   Lentamente mi dirigo verso casa, ho deciso di preparare una torta per questa sera. Vorrei fare quella di mele ma non so se le guardie mi consentiranno di prendere ciò che mi occorre. In ogni caso mi terrò occupata perché qui o si lavora o si muore di noia. Chissà, forse quando torneremo a San Pietroburgo potrei cercare lavoro come chef, d'altronde cucinare mi piace davvero molto.
Poche ore dopo…
Anastasia è in piedi dietro la sedia che ospita sua madre, ha appena udito il messaggio del Soviet degli Urali, non ha capito molto ma non ha il tempo di chiedere spiegazioni alle sorelle. I proiettili schizzano da una parte all’altra della stanza come tanti moscerini. I suoi genitori sono già stesi a terra in un lago di sangue. Aleksej trema ed ha uno sguardo perso nel vuoto. Vuole proteggerlo, vuole dirgli che andrà tutto bene ma non fa  a tempo a dire nulla che un colpo d’arma da fuoco le trapassa la gola.

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Capitolo 5
*** Olga ***


Olga

Sono seduta su una sedia di legno un po’ sgangherata e, con aria sognante guardo i fiori sul balcone davanti a me. Sono davvero meravigliosi, il loro colore, così simile all’oro mi ricorda lo sfarzo di quella che fino a pochi mesi fa era la mia casa. Vorrei tanto poter uscire per sentire il loro profumo e bearmi della morbidezza dei loro petali ma, fra me e loro, fra me e la libertà , ci sono delle spesse sbarre di ferro.
Per una ragazza abituata a vivere a contatto con il mondo esterno non è affatto facile non poter uscire di casa. Da quando siamo arritati a casa Ipatiev la presenza continua delle guardie ci ha creato molti problemi. Questi uomini reclutati dai bassi fondi non fanno altro che minare la nostra serenità non lasciandoci soli neppure per un momento. Ce li troviamo ovunque: in sala da pranzo, in salotto, in giardino e ieri perfino in bagno. Maria infatti, dopo aver fatto il suo solito bagno pomeridiano si stava vestendo nell’anticamera del bagno principale quando un uomo, se così lo si può definire, quel vile ed infimo essere, Iakov Yuorosky è entrato come se nulla fosse per prendere delle lame da barba per sé e i suoi commilitoni. Quando Maria ha raccontato dell’accaduto a noi sorelle, siamo state tutte d’accordo sul fatto che fosse meglio non dire nulla a mamma e papà che già soffrono molto a causa di Aleksej.
Baby settimana scorsa è caduto dal letto e la sua gamba destra è ancora una volta vittima di un’emorragia che non gli permette di camminare. Mamma questa volta l’ha presa davvero male. Si sente sempre più responsabile delle sofferenze di Aliosha e noi tutti non possiamo fare a meno di compatire il suo dolore di madre. Non sono ancora sposata e non ho bambini ma non oso immaginare quanta tristezza si celi nel povero vecchio cuore di mamma.
Papà è passato poco fa dalla mia stanza e mi ha detto che nel pomeriggio avrebbe preso il the con lei per cercare di farla distrarre un po’. Io naturalmente mi sarei dovuta occupare del nostro raggio di solo ma Tatiana si è offerta di farlo al posto mio. Quell’adorabile creatura ultimamente è sempre a disposizione di tutti, non mi stupisco che la mamma la tratti meglio di noi altre.
Io sinceramente non mi cruccio molto per la mancanza di attenzioni da parte di mamma, io e lei non siamo mai andate molto d’accordo. Ha un carattere troppo bigotto per certi aspetti ed io, secondo lei, sono troppo reazionaria. Il mio sogno ad esempio sarebbe quello di sposare un soldato ed avere tanti bambini. Mi piacerebbe trascorrere le mie giornate a cucinare e pulire casa. Vorrei cucire tutte le tovaglie per le grandi tavolate da mettere in giardino dove mangiare con i bambini d’estate. Per me desidero solo una vita semplice, all’insegna della frugalità. Mamma però non è d’accordo con queste mie idee, le giudica poco adatte per una granduchessa. Lei vorrebbe che mi sposassi con uno dei ministri di mio padre o, meglio ancora, con qualche principe europeo in modo da condurre una vita agiata.
Proprio su queste nostre differenze caratteriali discorrevo ieri sera con Aliosha che mi faceva notare come in realtà io e lei siamo molto simili. Lui è un bambino meraviglioso e devo ammettere anche molto maturo per la sua età. Credo che tutto sia ascrivibile alla sua sofferenza continua. Ormai nel sentirlo parlare nessuno oserebbe dire che si tratti di un quattordicenne, chiunque crederebbe di discorrere con un giovane uomo.
È molto intelligente e quando sta bene il suo colorito diventa roseo e anche la bellezza del suo volto si palesa al mondo. Credo che quando finirà la prigionia non sarà affatto difficile trovargli una moglie e sono certa che sarà la donna più felice al mondo perché lui le dedicherà mille e più attenzioni.
Inizia a fare un po’ di fresco, mi alzo per chiudere la finestra e mi avvio verso la cucina. Lungo le scale sento Youroski parlare con i suoi uomini a voce bassa. Chissà cosa staranno complottando quei loschi figuri. Spero solo che non ci facciano del male.
Poche ore dopo…
Il soviet degli urali ha decretato la vostra condanna a morte… le parole del telegramma che annunciano l’uccisione dello zar e della sua famiglia. Un mormorio concitato si leva tra i presenti quando le baionette esplodono i primi colpi, il silenzio cala come una pesante coltre. Tra il fumo Olga scorge il viso della sorella Anastasia che per la prima volta in vita sua ha perso la sua parvenza di sicurezza ed è contratto in una smorfia di puro terrore. L’ultima cosa che la granduchessa Olga vede sono i riccioli della sorella intrisi di sangue, poi, anche il suo cuore, cessa di battere.

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Capitolo 6
*** Tatiana ***


Tatiana

Lentamente giro su me stessa facendo volteggiare la morbida seta delle mie vesti. La figura che vedo davanti a me, riflessa allo specchio, non corrisponde affatto all’immagine che fino a poco tempo fa avevo di me stessa. Il corpo magro ma armonioso è lo stesso, non lo nego, ma nulla è più come prima. Il mio viso ovale non è arricchito da alcun sorriso e i miei occhi  di zaffiro non esprimono alcuna emozione. Il piccolo naso alla francese che tanto mamma adora in me, non punta più verso le nuvole, ma mesto  si china verso il terreno. I miei passi sicuri e altezzosi hanno lasciato il posto ad una camminata lenta ed umile. Cosa rimane a chi dopo aver visto il firmamento posa nuovamente lo sguardo su questa misera terra? Credo che l’unico sentimento che pervada il suo animo sia l’insoddisfazione e la malinconia. Colui che dal basso arriva all’apice intraprende uno splendido volo ma chi dalla vetta arriva a valle cade semplicemente. Sono nata in quella che sembrava essere una famiglia perfetta. Mio padre era lo zar di tutte le Russie e la nostra dinastia regnava su questa terra da ormai trecento anni. Nulla faceva presagire una tragedia della portata di quella che stiamo vivendo. Se sei l’autocrate del più grande impero al mondo, non pensi mai a come possa essere la vita al di fuori delle tue mura dorate né tantomeno ti domandi cosa significhi aver tanto freddo la notte da non poter dormire. Io personalmente non avevo mai guardato al di là del mio naso, ammetto di aver sbagliato, anche quando andavo a prestare soccorso negli ospedali ai caduti di guerra, le loro ferite non mi turbavano in alcun modo, ero chiusa nel mio guscio e non volevo riconoscere che tutto intorno a me stava inesorabilmente precipitando. Una notte però improvvisamente tutta la mia vita cambiò. Era circa mezzanotte ed io non riuscivo a dormire, d'altronde, se non fai nulla tutto il giorno la sera è difficile prender sonno. Nel bel mezzo del silenzio notturno udii uno sparo e poi un vociare concitato accompagnato da un fremente scalpitio. Fu un attimo e tutti fummo sbattuti giù dai nostri letti e condotti nel cortile principale del palazzo. Papà aveva abdicato sia per sé che per Aleksej, il soviet di Pietroburgo aveva decretato che da quel momento in poi saremmo stati trattati al pari dei comuni prigionieri politici. Sollevai lo sguardo da terra intimorita, mi voltai cercando disperatamente un segno qualsiasi di speranza ma non ne vidi. Gli occhi delle mie sorelle erano sgomenti quanto i miei, solo mia madre con la sua fragile corporatura si stagliava fredda e fiera sul prato innevato. Come un lampo a ciel sereno vidi una luce nei suoi occhi che non avevo mai visto prima di allora. Era la luce della rassegnazione e del coraggio, adesso lo so, ma quella notte non compresi affatto i suoi gesti. Con una lentezza quasi calcolata prese tra le braccia mio fratello e ordinò a me di sorreggere Maria che fino a poche ore prima era stata in balia degli spasmi della febbre. Cominciò ad avanzare verso una camionetta e mi fece cenno di seguirla. Non ebbi il coraggio di dirle no o di oppormi, mi limitai semplicemente ad eseguire gli ordini. Una volta giunte al veicolo salimmo in silenzio e da lì andammo incontro al nostro destino. Sono passati diciotto mesi da quella maledetta notte ed io sono totalmente cambiata. Nessuno mi fa notare che non sono più la stessa, sono io ad averlo capito dai semplici gesti di chi mi sta intorno. Prima al minimo problema eravamo tutti attorno alle vesti di mamma, come dei bambini bisognosi di una carezza dopo una caduta, adesso invece sono le mie mani ad asciugare le lacrime altrui e le mie labbra a baciare ferite sanguinanti nell’utopistica speranza che quel contatto possa dar sollievo. Sento il dolore della gente come se fosse il mio, le loro pene sono quelle del mio cuore. Ogni volta che un mio fratello russo geme il mio cuore è come trafitto da mille aghi così che il mio grido muto si fonde al suo. Se mai uscissimo vivi da quest’inferno vorrei seguire l’esempio di zio Michele e ritirarmi in un convento così da poter essere vicina a tutti coloro che soffrono attraverso la preghiera e poter stare accanto al mio unico Signore e Dio senza il frastuono della vita mondana. Se un giorno riuscirò a vedere il sole senza associarlo ad un soldato con la baionetta che ti scruta da lontano, allora brucerò ogni mio avere, mi vestirò di un umile saio e sarò la più povera tra i poveri servitori di Dio. Non cederò alla bellezza del corpo, arte effimera ed ingannevole, affiderò la mia anima alle mani del Padre amorevole e con lui finirò il mio viaggio su questa terra.
 

Poche ore dopo…

Nella stanza spoglia non vi è nessun paramento. Le pareti sono bianche e nessuna mano di colore è stata data loro dopo il restauro. Solo un piccolo crocifisso fa timidamente capolino sulla parete opposta all’ingresso. Sotto la sua flebile ombra una giovane donna di rara bellezza guarda dritto negli occhi l’uomo che ha da poco posto fine alla vita di sua madre. Nel suo sguardo non si legge paura né angoscia, solo sconforto nel vedere che un'altra anima ha preferito la strada della perversione e del dominio a quella della virtù. Un colpo le trapassa la spalla, la sua non sarà una morte veloce, ma lenta e sofferta. Mentre il sangue cremisi pian piano l’abbandona, lacrime copiose le rigano le guance. Con le ultime forze che le rimangono solleva una mano verso gli aguzzini e sussurra: “ Salvali mio buon Dio!”

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Capitolo 7
*** Aleksej ***


 

 Aleksej

 
 
Il dottor Botkin è appena uscito dalla mia stanza, dice che le mie condizioni sono stazionarie e che mamma non ha nulla da temere tuttavia so che non è così, lo leggo nei suoi occhi cerulei e lo sento nelle varie fitte che attraversano di continuo il mio corpo. Credo che dopo l’incidente di Spala quello dell’altro giorno sia uno tra i più assurdi e più dolorosi in cui io sia mai incappato. Ero seduto con Anastasia a leggere le avventure del principe Azair quando ad un tratto ha iniziato a tossire ed io mi sono alzato per andare a prenderle un bicchiere d’acqua. La cristalleria era messa nel piano più alto della credenza ed io ho fatto un piccolo salto per poterci arrivare purtroppo però, ho poggiato male i piedi e l’inguine destro ne ha subito le conseguenze. Lo stesso pomeriggio avevo la pelle striata di viola e gonfia, la sera la febbre ha fatto la sua comparsa e questa è la prima mattina dopo una settimana in cui riesco a stare seduto nel letto senza sentire il bisogno di urlare. Ad un certo punto vedo la maniglia della porta girare e la porta scostarsi dalla sua normale posizione. Uno stivale di pelle nera fa capolino accompagnato da un terribile fetore. Si tratta di Randalf, uno degli scagnozzi di casa Ipatiev, l’ho odiato dalla prima volta che l’ho visto e sono certo che per lui non sia diverso. Lo vedo avvicinarsi alla sponda del mio letto e guardarmi con aria di superiorità, so che si sta compiacendo del fatto che nonostante lui sia poco più grande di me, io sono costretto a letto e lui è forte e vigoroso tanto da portare sul petto lo stemma del nuovo partito.
“Come sta il principino fragile?”
Vedo nei suoi occhi la compiacenza per la cattiveria appena sputata, vorrei saltargli addosso, fare a pugni e dimostrargli che non sono la femminuccia che pensa lui invece non posso.
“Sto molto meglio, grazie per esserti interessato Randalf!” rispondo pacato, mamma dice che se all’odio si risponde con la gentilezza si vive meglio. Non so da cosa mamma lo abbia dedotto però lei è una donna molto saggia quindi conviene darle retta.
Randalf inizia a girare per la camera come se fosse sua, mette le mani tra i miei indumenti, ne tasta la qualità e ne ispira i profumi. Ad un certo punto la sua attenzione viene catturata dal mio fucile giocattolo che sta posato su una piccola poltrona sotto la finestra. Si avvicina ad esso e lo prende tra le mani, saggia la consistenza del legno, valuta la minuzia dei dettagli e lo soppesa. Capisco dal suo sguardo che è interessato a ciò che gli sta tra le mani.
“E’ tuo?” mi chiede all’improvviso.
“Si, me lo ha regalato papà…”rispondo in un sussurro.
Senza dire una parola se lo porta via. Di colpo sento il sangue ribollire nelle vene e di colpo la testa si fa pesante e la vista cala. Non riesco a chiamare aiuto e cado riverso a terra.
Sento un cuore vicino al mio orecchio, un tamburellare conosciuto e due forti braccia che mi cingono. Tento di aprire gli occhi ma non ce la faccio, una mano grande mi accarezza le tempie ed una voce calda cerca di tranquillizzarmi. Pian piano riacquisto le forze e mi affaccio timidamente al mondo esterno. Devo avere un viso davvero scosso a giudicare dall’espressione stordita di mia madre. I suoi occhi si bagnano di calde lacrime ed io con uno sforzo disumano allungo un dito a frenare la loro folle corsa sulle sue belle guance.
Certe volte penso a come sarebbe la loro vita se io non fossi mai nato. Mamma sarebbe felice con le mie sorelle, avrebbe più tempo per se stessa e per papà, lui potrebbe dedicarsi alle questioni della Russia e le mie sorelle si vedrebbero con gli uomini che le corteggiano invece che occuparsi notte e giorno di me. Certe volte penso che io sia un errore, un disastro nato per puro caso in una famiglia perfetta. Mi chiedo come mai Dio non abbia posto fine alla mia vita nel grembo materno, sarebbe stato tutto molto più semplice sia per la mia famiglia che per me. Io, già io, che diritto ho io di parlare quando la mia malattia è la condanna di un intero popolo? Non sono stato nemmeno in grado di proteggere un mio giocattolo, figuriamoci se mai sarei stato in grado di provvedere ai bisogni di un impero con milioni di sudditi. Spesso mi capita di guardare gli altri ragazzi e allora un senso di malinconia mi pervade il petto.
Loro corrono liberi nei prati, io sono bloccato su di un letto.
Loro danno il primo bacio, le mie labbra si corrugano dal dolore.
Loro affondano i loro visi nei seni di una donna voluttuosa, io soffoco le mie lacrime sul cuscino.
Loro sognano una vita perfetta, io invoco a pieni polmoni la morte.
Nessuno può sapere cosa significhi nascere diverso, nessuno percepisce come il malato gli sguardi della gente. C’è chi ti disprezza, che ti prova pena e chi ti compiange. Nessuno ti ama per quel che sei, la tua malattia prende il posto del tuo viso, delle tue mani e perfino dei tuoi pensieri.
Spesso la sera mi trascino fino alla finestra e parlo con il nulla. Che amico può avere una larva dalla parvenza umana? Se chiudo gli occhi riesco ad immaginare la mia morte, è lenta ma poco sofferta, è un dire addio dolce e senza lacrime. Mi piacerebbe essere seppellito in un prato, magari vicino ad un lago così da poter vedere il ciclo delle stagioni e sentire la vita scorrere nel terreno.
Immerso nei miei pensieri volto lo sguardo verso mio padre. Che uomo diverso da me, è strano che non si vergogni di me, io al posto suo lo farei. Lui è forte e bello, io non sono nulla, ho quasi quattordici anni e non sembro affatto un uomo, non ho nemmeno l’ombra della barba che troneggia sul suo viso scavato dagli anni e da mille notti insonni al mio capezzale. Di colpo lui si alza e mi prende dalle braccia del dottor Botkin, so che mi vuole portare a letto, so che mi vuole parlare e sono pronto a sentire tutto ciò che vuol dirmi.
Mi adagia piano sul letto, ha la stessa delicatezza che immagino abbia avuto la prima notte con mia madre, oggi ha paura che io mi faccia male, allora aveva solo paura che quella donna tanto bella e delicata che aveva tra le braccia lo abbandonasse. È strano come io, l’unico uomo di casa oltre a lui abbia bisogno di così tante cure.
“ Ho saputo quel che è successo ed ho provveduto io stesso a porre un freno a Randalf… o almeno ci ho provato”
“Mi dispiace padre- rispondo guardandolo dritto negli occhi- mi dispiace avervi deluso e di essere crollato al primo ostacolo”
“ Tu non mi hai affatto deluso Aleksej, tu non mi deluderai mai, tu sei…”
“ L’anello debole della catena, la causa della vostra disfatta padre mio” lo dico tutto d’un fiato, per una volta in vita mia ho voluto essere sincero, almeno con me stesso. Sono stanco di sentire che sono speciale, non lo sono affatto, sono solo malato e  in attesa della fine.
I muscoli di mio padre fremono sotto la sua pelle e di colpo mi ritrovo sdraiato con il suo viso sul mio petto. Non capisco cosa stia succedendo, non mi aveva mai abbracciato in questo modo. Ad un tratto mi rendo conto che sta piangendo, mi supplica di perdonarlo, lui chiede scusa a me per non avermi difeso, lui che mi ha dato la vita e che mi ha sempre protetto adesso mi chiede perdono per qualcosa che è solo colpa mia. Sposto la mano sul suo capo e gli accarezzo i capelli cercando di calmarlo.
Sono stato un egoista a pensare in tutti questi anni di morire, sono stato uno sciocco a pensare che loro potessero vivere senza di me. Ormai sono qui e devo lottare per sopravvivere, lo farò per papà, lo farò per mamma e per tutti quelli che mi amano. Adesso non mi importa più di quante notti soffrirò, voglio solo vivere e vedere felici i miei cari. Non appena saremo lontani da questa prigione dorata andrò per i campi con la mamma, spingerò la sua sedia e presenzierò al matrimonio delle mie sorelle, cullerò i loro figli e racconterò loro della famiglia eccezionale in cui hanno avuto la fortuna di nascere.
“Papà- lo chiamo così per la prima volta dopo tanti anni, per la prima volta da quando porto i pantaloni- stai con me questa notte? Ho bisogno di te” il mio primo passo verso la mia nuova vita, ammettere di aver bisogno degli altri come un re del suo popolo.
“Si, rimarrò qui con te questa notte e tutte quelle che vorrai..” sposta le coperte e mi abbraccia meglio.
“Grazie…”
“ Ti voglio bene Aliosha!”
Mi addormento così, con il capo nell’incavo della spalla di mio padre sognando il futuro rimanendo però abbracciato al mio passato e alle mie debolezze che forse sono proprio la mia forza.
 
Poche ore dopo…
Un colpo di baionetta trapassa il cranio di papà, vedo il suo cervello spargersi per la stanza e non riesco a trattenere un urlo di disgusto e puro terrore. La canna della pistola viene puntata verso di me, non voglio morire, non adesso, non ora che sono felice, ho diritto alla vita. Supplico mentalmente i miei aguzzini di risparmiare almeno le mie sorelle, spero che loro possano crearsi un futuro , quello che hanno sempre sognato magari, prego Dio che possano dimenticare quest’orrore. Un rumore sordo accompagna la pallottola che attraversa il mio corpo. Cado per terra esangue, ho tanta paura, non sono pronto per morire, mamma ci sarai tu ad attendermi dall’altra parte? Ti prego dimmi che tu ci sarai, quando il tempo mio sarà finito. Stringo la mano di papà e respiro per l’ultima volta. E’ stato bello viverti mondo.

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Capitolo 8
*** Maria ***


Miei cari lettori voglio innanzitutto scusarmi con voi per gli inconvenienti creati da questo capitolo. Credevo di averlo caricato su Efp ed invece era stata solo una mia illusione, fortunatamente una di voi mi ha fatto notare la mia svista ed ho potuto riparare al danno da me creato. Mi spiace davvero tanto, non ho parole per quello che ho combinato, spero solo che mi possiate perdonare e che il capitolo vi piaccia. Vi avviso sin da ora che è un po’ diverso dai precedenti, forse più maturo, forse più consapevole del fatto che i drammi umani non possano esser espressi dalle parole… non so cosa dirvi miei cari, buona lettura e grazie infinite per l’affetto dimostratomi in questi mesi.
 
   

Maria

   

 
Caro diario,
Papà è seduto alla scrittoio, ha davanti a sé un giornale dalle pagine spiegazzate e ingiallite dal tempo. Qui non arrivano le notizie fresche, qui non arriva nulla che abbia un sentore di verità. Tutto intorno a noi è stato controllato e minuziosamente censurato dalle guardie dei rivoluzionari. Il popolo reclamava il pane e la libertà, si lamentava del regime monarchico inneggiando a diritti come la libertà, l’uguaglianza e la fraternità. Sono venuti in molti a palazzo a parlare di innovazioni e di diritti, sono venuti in molti e con spiccato accento francese hanno parlato dell’uomo come se fosse un animale da studiare, come se la sua vita non fosse regolata da leggi fisse ed immutabili bensì fosse oggetto di studi. Citavano filosofi e declamano versi di poeti che ciechi inneggiavano a Napoleone. Come se il Bonaparte avesse sparso i fiori per l’Europa, come se i suoi stivali cruenti non avessero calpestato più anime di quelle di qualsiasi altro sovrano. L’uomo è stupido, l’uomo del mio tempo si crede padrone della propria vita quando in verità non sa nemmeno attribuire il giusto nome alle cose. È cattivo il sovrano che tenta di sfamare il suo popolo o il repubblicano che con le sue finte promesse ti affama e ti lascia a morire di stenti? Quando mai i sogni hanno salvato delle vite? Non so, sono molto confusa, questi mesi di prigionia mi hanno portata a riflettere su molte cose. Adesso disconosco il lusso e lo sfarzo della corte, i miei compagni di ogni giorno sono il freddo ed il dolore. Qui nelle camere tristi e spoglie la notte si sentono le risa distanti dei contadini e i lamenti di dolore di mio fratello. Già, povero fratello mio, da erede al trono di tutte le Russie a prigioniero di un manipolo di codardi. Povero il mio bambino, certe volte credo anch’io come te che il tuo destino sarebbe stato migliore qualora tu non fossi mai nato, quante sofferenze hai dovuto patire.
Adesso scappo mio fido compagno di viaggio, vado da Tatiana a tenerle un po’ compagnia.

 
Maria cammina lenta e posata lungo i corridoi di casa Ipatiev. Tra tutti i membri della famiglia lei risulta sempre quella più pacata. Il suo viso di giovane donna non è mai turbato da espressioni di inquietudine. Da bambina i suoi passi per casa si udivano anche dalle stanze vicine, non era affatto aggraziata ed il suo viso tondo e roseo, certe volte, somigliava più a quello di un bambino che a quello di una raffinata granduchessa. Con il passare degli anni però le guance s’erano affusolate ed il viso tutto appariva molto elegante. I modi di fare un tempo raffazzonati, adesso erano degni della raffinatezza materna. Da quando aveva iniziato a frequentare i balli con le sorelle gli sguardi di tutti gli uomini si erano concentrati sulla sua figura. Non erano pochi quelli che avevan perso la testa per lei.
Dalla finestra del soggiorno delle piccole gocce di pioggia tracciavano il loro percorso sui vetri, mai una curva, mai una deviazione dalla rotta prevista, Maria pensò che la vita sarebbe dovuta esser davvero così, tutto avrebbe dovuto filar liscio e andar secondo i piani. Si lasciò cadere indietro frenando la caduta con le mani, le dita a contatto con il legno caldo del tavolo la faceva sentire stabile come sicuramente un tempo doveva esser stata la quercia che aveva dato origine a quel mobile. Pensò alle feste, agli ornamenti dorati, ai gioielli di sua madre e delle sue sorelle, ricordò la musica dolce sulle cui note ballava fino a tarda notte poi d’improvviso un fremito rammentò alle sue dita che non era ora di batter la fiacca, chi pensa troppo poi alla fine si fa male disse fra sé.
Mise l’acqua a bollire per preparare il the, si sedette al tavolo e iniziò a passare le dita lungo le venature del legno. Chissà quant’era alta la quercia, chissà quanti bambini avevano giocato tra i suoi rami però, a ben pensarci quel che un tempo era stato vita vera adesso non era nulla più che fredda materia. Lo sbuffo del bollitore la fece sobbalzare, spostò le mani dal tavolo inorridita, le mise sotto l’acqua ghiacciata e solo dopo averle accuratamente lavate, prese le tazze e vi fece l’infuso.
Si diresse verso il portico dove dopo essersi seduta sorseggiò la bevanda calda. Ormai il sole stava tramontando ed anche un’altra giornata in quell’odiata prigione stava per finire.
A mezzanotte bussarono alla porta con veemenza, una voce baritonale le intimò di raggiungere il più in fretta possibile il pianterreno.
Con una calma innaturale scostò le coperte dal suo corpo nudo, si alzò, si sciacquò il viso, si vestì con uno dei suoi abiti migliori e si raccolse i capelli.
Mentre scendeva le scale continuava a fissar il tavolo di quercia, i suoi occhi azzurri si persero sul legno con una complicità che solo chi sa cosa la vita gli riserva può comprendere.
Con passo lento ma cadenzato entrò nella stanza dove pochi istanti prima l’aveva preceduta l’intera famiglia. Quando i bolscevichi lessero ad alta voce il decreto che sanciva la loro uccisione lei si scostò indietro e accennando un lieve sorriso disse: “ sono come te mia adorata quercia, ciò che è troppo forte per viver di sé vien sempre distrutto dall’invidia altrui.”

Fine 

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