Villa Conchiglia

di orual
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intrusi in giardino ***
Capitolo 2: *** Ferite ***
Capitolo 3: *** Protezioni e deduzioni ***
Capitolo 4: *** Tenere il segreto ***
Capitolo 5: *** Magiallacciamento ***
Capitolo 6: *** Partenze ***



Capitolo 1
*** Intrusi in giardino ***


 Questo è un missing moment, e prosegue idealmente la mia storia precedente La strada per ritornare, nel senso che troviamo gli stessi personaggi, e che ci sono molti accenni a ciò che è successo a Ron durante il soggiorno da Bill e Fleur. E’ quindi consigliabile leggere le due storie in continuità, ma non è obbligatorio. Anche stavolta l’obiettivo è restare il più possibile IC... si fa quel che si può! ;)
Sarà piuttosto breve, più di La strada. Prevedo tre/quattro capitoli, ma staremo a vedere.
 
I personaggi non mi appartengono: sono di J. K. Rowling, ed io li uso solo per divertirmi insieme a voi.
Buona lettura! Ah, naturalmente... le recensioni sono gradite!

 
1. Intrusi in giardino
 
Il finire di marzo aveva portato una precoce fioritura nel giardino di Villa Conchiglia, rendendo il luogo persino più bello di quanto fosse. Era la prima primavera che trascorrevano lì, la prima dopo il loro matrimonio: in diverse contingenze, sarebbe stato un periodo davvero incantevole.
Nel salottino il fuoco di legna impregnata di aromi salmastri riscaldava l’ora tarda di riflessi giallo oro, e regnava il silenzio.
I ferri di Fleur, sospesi a mezz’aria, producevano con lieve tintinnio un maglioncino traforato in lana bianca, sotto gli occhi attenti della ragazza, che riprendeva di tanto in tanto con la bacchetta una maglia lasciata cadere dai ferri, ancora inesperti. Aveva fatto progressi da quando la necessità di fornire un minimo di guardaroba a Ron, piombato senza nulla da loro, a Natale, l’aveva spinta a cominciare, ma era la prima volta che tentava col traforo, e sulle ginocchia teneva aperto Maglia Magica per Principianti al capitolo giusto, per consultarlo frequentemente, abbassando lo sguardo quando le sembrava che i ferri non seguissero il giusto schema. Come per tutte le cose a cui Fleur si dedicava, esigeva che il risultato fosse perfetto, senza contare che ormai stava cominciando ad appassionarsi.
-Domani disdico l’abbonamento- commentò Bill seduto accanto a lei, deponendo bruscamente la Gazzetta del Profeta –è inaccettabile leggere queste porcherie.
-Lo disci tute le sere, cheri, ma lo sai ...arrêtez-vous, subito!- intimò Fleur ad uno di due ferri, che si arrestarono tremando leggermente mentre lei scioglieva l’ultima maglia sbagliata -...lo sai che dobiamo tenersci informati su quello che ponsano quei furfonti!
I ferri ripresero, con palese esitazione, a ticchettare piano.
-Almeno fino a dicembre avevamo il Cavillo!- sbuffò Bill, contrariato.
-Ma il buffo editeur... Lovgoùd, quello che alle nostre nozze sombrava un canarino, se ne sa più nulla?
-Azkaban, purtroppo- replicò Bill amaro –l’ho sentito l’altro giorno nell’atrio della Gringott, ormai è sicuro. Almeno sappiamo che non l’hanno ammazzato.
Fleur rabbrividì impercettibilmente, ma mantenne lo sguardo indifferente, concentrata sui ferri.
-Tesoro, stai diventando bravissima- osservò Bill, cercando di cambiare argomento. Non era facile per nessuno quel periodo, e tenere fuori i pensieri cupi sembrava impossibile. Erano sempre attanagliati dalla paura per qualcuno dei loro, dalla consapevolezza di poter essere i prossimi. Quando, la mattina di Natale, avevano trovato la stanza di Ron deserta, erano rimasti sconcertati. Bill aveva una vaga idea che potesse averlo fatto per permettere loro di andare a passare il Natale alla Tana da sua madre (cosa che, per non insospettirla cambiando improvvisamente idea, non avevano fatto comunque) visto la discussione avuta con lui su quell’argomento, ma parlando fra loro lui e Fleur avevano finito per concordare che doveva aver avuto un piano di qualche tipo.
Fleur si era intristita, dopo la partenza del cognato, e Bill aveva capito che era stato una compagnia per lei, durante un periodo in cui era costretta a casa gran parte del tempo. E c’era dell’altro: la presenza di Ron aveva dato loro per un po’ di tempo l’impressione di collaborare ad un progetto che davvero poteva essere risolutivo. Come tutti i membri dell’Ordine, avevano una vaga idea che Harry, Ron ed Hermione stessero perseguendo una missione speciale lasciata loro da Silente. Era stato più brutto di quanto si aspettassero ricadere nella sensazione di impotenza che dava la lotta quotidiana pura e semplice, senza crismi di speciali investiture, contro forze e mentalità soverchianti, in Ufficio come nel lavoro per l’Ordine.
Non era esattamente così che si era immaginato il primo anno di matrimonio con la più bella ragazza vivente.
Lei fece un piccolo, affascinante sorriso sbieco al suo complimento, e lui riprese, lieto di averla distratta per un momento e passandole un braccio intorno alle spalle.
-Tuttavia... ehm, non avrai sbagliato qualcosa nelle misure?
Il golfino sembrava troppo piccolo persino per l’entusiasmante girovita di Fleur, o per un elfo domestico.
-E’ pour le bebè, sciocco!
Ci fu un momento di silenzio, che fece sbiancare letteralmente Bill. Lei si voltò a guardarlo e si fermò, interdetta dalla sua espressione sconvolta. Anche i ferri ristettero, in attesa, troppo vigliacchi per continuare il traforo autonomamente, con così alti rischi di errore.
-Bill... il bambino di Tonks.
Il sangue riaffluì lentamente alle guance del giovane, mentre si dava mentalmente dell’idiota. Sua moglie lo guardava con una curiosa espressione. Non sembrava affatto sul punto di ridere come lui, che ne sentiva invece un irresistibile bisogno.
-Scusa tesoro... per un momento... sarà lo stress, io...ahah...
-Ponsavo che avessimo desciso che i tompi non erano adatti, Bill- lo interruppe lei seria.
-Beh, certo, ma sai, io...
-Abbiomo detto che è meglio aspettare, o no?
Una luce si era insinuata anche negli occhi seri di Fleur, e Bill passò dall’ilarità alla sensazione che a volte lo coglieva ancora in sua presenza, nonostante l’ormai lunga convivenza: quella di stare guardando la bellezza in persona. Lo stomaco fu attraversato da una piacevole vampa di calore. Lei sorrideva, adesso, ma gli occhi erano ancora attenti al suo volto. Sembrava quasi che trattenesse il fiato.
Il pensiero che Fleur desiderasse un figlio lo colpì improvvisamente, e la cosa lo riempì di uno strano orgoglio per il coraggio indomito di lei. Gli parve una specie di risata in faccia a Voldemort.  Non ci aveva mai pensato seriamente, ma l’idea gli parve d’un tratto allettante.
-Beh...- le si fece più vicino, mentre lei continuava a fissarlo –in effetti, amore... al momento mi sento molto propenso a perpetuare la specie delle Veela, non so tu... in fondo abbiamo una responsabilità...
I ferri, del tutto dimenticati, crollarono a terra quando Fleur rise, e Bill la baciò con molto trasporto, ridendo a sua volta.
-Facciamo un bambino?- le chiese infine, in preda ad un autentico slancio d’amore per lei. Fu bello vederla sorridere, irraggiando radiosa la sua stupefacente bellezza. Ma quello che davvero lo rapì fu vedere la lacrima solitaria che le solcò la guancia perfetta.
-Oh, Bill...- cominciò lei, gli occhi splendenti.
Un forte crack fuori dalla porta la interruppe.
Voci, passi. In giardino c’era qualcuno.
Fleur sbarrò gli occhi in quelli di Bill, agghiacciato come lei.
Un attimo dopo erano in piedi, entrambi con le bacchette sguainate.
 
-C’è nessuno?  C’è nessuno qui?- gridò Dean, disorientato dal posto sconosciuto, che nell’oscurità non riusciva neanche a distinguere troppo bene. Teneva ancora la mano di Dobby.
Sembrava il giardino di un cottage, la cui mole si stagliava contro il cielo stellato. Non aveva idea di dove fossero finiti.
-Signorino, signorino, deve aiutare Dobby con il signore e la signorina!- gridò al suo fianco la voce acuta di Dobby, facendolo voltare verso l’elfo. Il signor Olivander si era accasciato a terra, incapace di reggersi in piedi, non appena avevano toccato il suolo. Luna, anche lei pallidissima, cercava di sostenerlo, senza successo.
-Aspetta- disse Dean, passandosi un braccio dell’anziano signore intorno alle spalle, e facendo forza sulle ginocchia per tirarlo in piedi.
-C’è nessuno?- gridò ancora poi, in direzione della casa.
I secondi passavano lenti come anni, e le grida di Hermione echeggiavano ancora nelle sue orecchie. Dopo la morte di Ted e Dirk, tre giorni prima, non aveva fatto altro che scappare, correre e vedere e sentire cose tremende, con la sola compagnia di Unci-Unci, che a volte era peggio della solitudine. Le poche ore di sonno le aveva trascorse tormentato dagli incubi e dalle immagini di quello che avevano fatto all’altro folletto, Gonci, prima di finirlo.
-Vado a cercare qualcuno!- propose Luna, soave.
-Luna, no! Aspetta, nessuno di noi ha la bacchetta, se qualcosa è andato storto... se qui intorno c’è qualcuno... dobbiamo stare vicini a Dobby per poter scappare se...
-Oh, ma di certo a casa del fratello di Ron nessuno ci farà del male... e poi bisogna far presto, Dobby deve tornare da loro!
-Luna...- chiamò ancora Dean, poi imprecò sottovoce. La ragazza correva verso la casa che si trovava davanti a loro, incurante dei suoi richiami. Prima che potesse raggiungere la porta, però, questa si spalancò, ed una figura si stagliò contro la luce che proveniva dall’interno.
-Chi siete? Gettate le bacchette, mia moglie vi tiene tutti sotto tiro!- tuonò l’uomo che era apparso. Dean sentì una finestra del piano superiore aprirsi proprio in quel momento.
-Bill Weasley, siamo amici di Harry Potter! Amici di Ronald!- esclamò Luna.
-Cosa?
-Sono Luna Lovegood, Bill Weasley, mio padre è il direttore...
-...del Cavillo, lo so! Che ci fai qui, Luna?- la interruppe Bill incredulo, senza però abbassare la bacchetta.
Dietro di lei, Dobby si mosse, nervoso, parlando poi con la sua vocetta stridula.
-Dobby deve andare... Dobby non può restare di più, Dobby deve salvare Harry Potter e la signorina e l’amico rosso- interloquì inquieto, ancora per mano a Dean.
Bill spostò repentinamente lo sguardo da Luna all’eterogeneo gruppetto formato dal ragazzo, l’elfo ed il vecchio.
-Sì, vai, Dobby, è meglio. Noi siamo al sicuro, adesso- disse Dean, lasciandogli la mano.
Dobby si inchinò ai presenti e sparì subito, con un sonoro crack identico a quello che li aveva portati tutti lì.
-Siamo tutti senza bacchetta!- esclamò Dean, alzando il braccio che non sorreggeva Olivander e barcollando, -ci faccia entrare, signor Weasley, il signor Olivander qui non si sente bene.
-Olivander? Ma che diavolo...
Protetto dal tiro di Fleur, Bill abbassò la bacchetta e si avvicinò a passo svelto, ferocemente combattuto tra la diffidenza che aveva il dovere di attuare e la necessità di saperne di più. Nelle parole dell’elfo domestico era aleggiato, se non si sbagliava, anche il nome di Ron, e lui e Fleur desideravano disperatamente avere sue notizie.
-Identificatevi. Mi dispiace, ma di questi tempi...
-Sono Dean Thomas, un compagno di Harry e Ron...- cominciò disperatamente Dean. Non conosceva Bill e non sapeva che dire. Il peso di Olivander diventò eccessivo, nonostante la magrezza dell’anziano signore, quando questi con un gemito perse definitivamente i sensi, tanto da sfuggire dalle braccia di Dean, accasciandosi a terra.
-Bill Weasley, è lui, lo garantisco io. Io ero al tuo matrimonio, te lo ricordi? Avevo un vestito giallo, come mio padre. Facci entrare, il signor Olivander sta male, e poi stanno per arrivare gli altri!
-Chi sono con esattezza “gli altri”?- chiese Bill, ormai convinto, avvicinandosi ed aiutando Dean a sollevare Olivander.
-Io, Harry, Ron ed Hermione siamo stati arrestati questa sera... ci hanno portati a... mi è sembrato di capire che fossimo alla Villa dei Malfoy, giusto, Luna?
-Che cosa? Eravate insieme? E dove sono loro?- chiese ansiosamente Bill, mentre Luna annuiva. Fleur, che aveva sceso le scale del cottage, tenne aperta la porta mentre entravano nel grazioso ingresso, e senza parlare fece strada verso il soggiorno, dove i ferri col lavoro a maglia giacevano dimenticati in un angolo, sul pavimento vicino al divano.
-N-no, ci hanno arrestati separatamente. Dobby doveva tornare a prenderli... Harry ci ha detto di andare per primi... lui e Ron dovevano...- Dean si fermò e deglutì.
Bill, aiutato da Fleur, adagiò Olivander sul divano, poi lo guardò.
-Cosa dovevano fare?
-Loro... loro avevano preso Hermione.
-Loro chi? I Malfoy?- incalzò Bill, scambiando una rapidissima occhiata con la moglie.
-C...  credo di sì. Stavano... la stavano torturando.
Fleur gemette sommessamente.
Bill rimase immobile per un momento, incapace di interpretare gli avvenimenti. Come avevano fatto a farsi soccorrere da Dobby a Villa Malfoy? Cosa c’entravano Luna e Olivander? E tra le domande saliva, a lente ondate, l’orrore per quello che aveva ascoltato. Avevano torturato Hermione?
-Come ha fatto l’elfo ad entrore in quella maison?- riuscì a chiedere Fleur, pratica come sempre, anche se mortalmente pallida.
-Si è Materializzato- affermò Luna. Bill ebbe un moto di impazienza, ma Dean annuiva serio alle parole della ragazza.
-Ma come avete fatto a chiamarlo in soccorso?
-Non lo so, Harry ha parlato ad un pezzo di vetro, credo... non so.
-Dovrebbero essere già arrivati, piuttosto, non trovate?- cambiò repentinamente argomento Luna, guardando fuori dalla finestra, prima che Bill potesse fare altre domande.
Tutti si voltarono con un sussulto verso di lei, rendendosi conto che aveva ragione.
-Devo contattare l’Ordine... dobbiamo andare a cercarli...- cominciò Bill.
-Erano disarmati...- gracchiò Dean. Tutti si guardarono sconvolti.
-Mon Dieu... Bill, dobbiamo assolutamonte...
Fuori, in quel momento, echeggiarono delle voci.
 
 
PS: So che la prima figlia di Bill e Fleur è nata due anni dopo la fine della guerra. Ma ho pensato che nel mese successivo i due avranno avuto altro per la testa, e subito dopo c’è stata la battaglia finale, col suo strascico di dolore, lutti (Fred!), rovine, shock da ripresa e ritorno lento alla normalità... almeno un annetto ci sarà voluto. E ad agosto dell’anno dopo, Fleur infatti sarà già incinta... :).
 
 
 

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Capitolo 2
*** Ferite ***


 Eccoci con il secondo capitolo (non sarò sempre così veloce!): è più breve del solito perchè ho voluto incentrarlo su una sola scena ed un solo punto di vista.  Non mancate di farmi sapere cosa ne pensate! Grazie a tutti i lettori e grazie mille ai recensori!
Buona lettura

 
2. Ferite
 
-Bill! Bill!
Col corpo esanime di Hermione stretto al petto, sporco del sangue che le usciva dalla sottile ferita sul collo e dai tagli che il vetro le aveva provocato quando il lampadario le era caduto addosso, Ron correva verso la casa.
Aveva strappato Hermione a forza da sotto il pesantissimo lampadario, senza nemmeno pensare a quello che stava facendo, approfittando del momento di caos provocato da Dobby, per poi abbrancarla e Smaterializzarsi grazie alla bacchetta che gli aveva lanciato Harry, con una foga mai provata, neanche quando aveva dovuto sfuggire ai Ghermidori. Erano atterrati nel giardino, dietro il capanno, proprio nel punto dove qualche mese prima lo Spegnino lo aveva portato via. Erano caduti a terra, o meglio, lui era caduto tirandosi addosso il corpo inerte di Hermione. Neanche si ricordò di controllare dappertutto come aveva preso l’abitudine di fare dopo ogni Smaterializzazione da Natale a quella parte, in caso si fosse Spaccato o ferito in qualche modo.
Aveva la testa completamente buia: un solo pensiero gliela lacerava come un lampo accecante che si ripeteva in continuazione.
Ti prego, fa’ che non sia... fa’ che...
Il terrore gli rendeva gli occhi ciechi, ma sentì subito, poco lontano, fuori dallo steccato del giardino, il rumore dell’arrivo di Harry, Dobby e il folletto. In un angolo remoto, la sua mente registrò che ce l’avevano fatta tutti a venir fuori dalla terrificante trappola di Villa Malfoy.
La porta di casa si era spalancata con violenza: un attimo dopo Bill e Fleur, con le bacchette sguainate, girarono l’angolo del cottage guardandosi intorno frenetici. Poi lo videro e gli corsero incontro.
-Ron!- gridò Fleur.
-Hermione... cosa le è successo? Lumos!
-Bellatrix Lestrange l’ha... l’ha torturata- esalò Ron. Il terrore gli mozzava la voce ed il respiro, impedendogli di parlare senza un singhiozzo convulso. Vide la cognata trattenere il fiato, allungare le mani verso il corpo di Hermione. Al chiarore della bacchetta di Bill, era ancora più evidente lo stato in cui era ridotta la ragazza. Ron non aveva praticamente avuto il tempo di guardarla da quando l’aveva afferrata nel salotto dei Malfoy, ma vide con orrore che aveva la faccia coperta di sangue, e che un occhio le si stava gonfiando rapidamente. Una spalla sembrava piegata in modo innaturale: il braccio destro le pendeva inerte formando uno strano angolo.
Dean e Luna, sopraggiunti in quell’istante, muti e immobili, lo guardavano da dietro le spalle del fratello e di Fleur.
-Ma... non è possibile... cosa le ha fatto per...- cominciò Bill attonito, pensando evidentemente che fosse stata la tortura a ridurla in quello stato.
No, ricordò Ron faticosamente a se stesso, quando si erano precipitati nella stanza era svenuta, ma non aveva ferite visibili... Bellatrix aveva usato la maledizione Cruciatus.
-Il lampadario- farfugliò –le è caduto addosso un lampadario, le schegge l’hanno ferita...
Fleur allungò le mani, come per prendergliela dalle braccia.
-No!- mormorò lui, istintivamente, stringendola ancora di più.
-Ron, volio solo vedere come sta.
Bill, intanto scrutava il punto dove erano arrivati gli altri. Si sentiva la voce di Harry chiamare Dobby, ma non riuscivano a distinguere le altre parole.
-Vado da loro- disse Bill –Portali dentro, tesoro.
Si allontanò, seguendo Dean che si era già incamminato per il vialetto.
-Ron, vieni dentro...
Ma, poiché lui non accennava a muoversi, Fleur si avvicinò decisa e, bloccando ogni sua reazione con un terribile sguardo, scostò i capelli di Hermione, si accigliò alla vista del sangue e mise una mano sul collo di lei, senza nemmeno togliergliela dalle braccia. Ron chiuse gli occhi. Non voleva sentire né vedere alcuna reazione di Fleur: forse la tortura l’aveva uccisa... forse il lampadario, cadendo, l’aveva colpita mortalmente alla testa... tutta la faccia era contusa.
Era come essere tornato nel lago incantato, la sera dell’Horcrux: solo che, invece dell’acqua, adesso era il gelo del panico che gli riempiva i polmoni, impedendogli di respirare.
Proprio in quel momento, Hermione si mosse debolmente tra le sue braccia.
E’ viva, pensò, senza aprire gli occhi
Il sollievo gli fece afflosciare le ginocchia, e se Fleur e Luna non li avessero sostenuti, sarebbe crollato a terra trascinando ancora Hermione con sé.
-E’ solo svenuta, non avere paura – disse Luna, senza, come al solito, neanche un tremito nella sua voce sognante.
-Starà bene, je crois... portala dentro, Ron, nella stonsa che hai usato tu l’ultima volta... io vado dalli altri, mi sombra che qualcun altro si sia fatto male...
Fleur lo indirizzò con gentilezza verso la porta, guardando al gruppo che nell’oscurità si intravedeva appena, fuori dal muretto del giardino, poi si allontanò correndo con Luna in direzione di Harry.
Ron trasportò Hermione di sopra, barcollando.
Non è morta. Non è morta. Non è morta...
Spalancò la porta della stanza con un calcio e depose Hermione il più delicatamente possibile sul letto, crollandovi a sedere a sua volta.
Accese l’abat-jour boccheggiando. Ritornare in quella stanza, rimasta identica alla mattina in cui se ne era andato qualche mese prima, era straniante. Soprattutto ritornarvi con Hermione ridotta in quello stato. Ricordò, come in un assurdo lampo, l’istante in cui aveva sentito la sua voce, proveniente dallo Spegnino, mescolarsi nitidissima al fischio della radiolina che lui stava ascoltando, bloccata tra due frequenze.
-Hermione...- mormorò, chinandosi su di lei.
Aveva il viso devastato. Non poteva fare quasi niente: doveva aspettare Fleur, o Bill... sperando che non ci fosse nulla che loro non potevano risolvere, perchè oltre ad essere in cima alla lista nera dei ricercati per il suo appoggio ad Harry, Hermione era una Nata Babbana, e non aveva semplicemente diritto ad essere ricoverata al San Mungo. Strinse il pugno.
-Tergeo- mormorò, puntando la bacchetta appena vinta, poco familiare nella sua mano, sul viso di lei. Era quella tozza e corta di Codaliscia, di ippocastano. Il sangue svanì, lasciando vedere bene cinque o sei tagli. Aveva schegge di vetro dappertutto, e  Ron, preso da una ispirazione momentanea, per togliergliele le Appellò, e le spedì tutte per aria, come una nube scintillante sollevatasi dai vestiti e dai capelli di Hermione, a cadere tintinnando a terra all’altro capo della stanza.
Le scostò i capelli stravolti dal viso che diventava velocemente violaceo intorno e sopra l’occhio sinistro, la distese meglio sul letto. Quasi non osava toccarla, terrorizzato dalla possibilità di farle del male, soprattutto alla spalla, che appariva evidentemente fuori posto: quando la sfiorò per accomodarla meglio, lei diede un gemito, il primo suono emesso da quando l’aveva vista nel salotto di Villa Malfoy, dopo quelle urla terribili.
-Hermione!- disse ancora, avvicinando il viso al suo.
Lei aprì lentamente gli occhi. Erano ancora bagnati delle lacrime che aveva versato durante la tortura. Parve impiegare un tempo lunghissimo a mettere a fuoco la stanza.
-Ron...- mormorò, quando finalmente lo vide.
-Come... come ti senti?- si rese conto, nel parlare, che ancora ansimava per lo sforzo e la paura provata.
-Dove...  siamo?- chiese Hermione, con un bisbiglio sommesso. Si guardò intorno frenetica, come se si aspettasse di trovarsi ancora nella cella di Villa Malfoy o tra le grinfie di Bellatrix.
-Siamo al sicuro. Da Bill e Fleur. Tranquilla.
-Non ho...- lo guardò, gli occhi dilatati dall’ansia e dalla paura –non ho detto niente... ho detto che la spada era... ho detto...- si interruppe, senza fiato.
-Hermione... Hermione, ho sentito... lo so, ho sentito... tutto- disse Ron con la voce che gli si spezzava.
Lei cercò di alzare il braccio destro, e gridò di dolore.
-Non muoverlo, credo che la spalla sia lussata... appena verrà Fleur, ti darà un’occhiata.
-Mi fa male la faccia... la testa...- sollevò la mano sinistra a tastarsi, ma Ron gliela fermò.
-Sei piena di tagli, lascia stare... hai anche preso una botta.
-Non... ricordo...
-Eri svenuta. Ti è caduto il lampadario addosso. Credo...- aggiunse, mortificato, rendendosene conto mentre parlava –credo di averti slogato la spalla quando ti ho tirato fuori di lì, tirandoti per il braccio.
La guardò, abbattuto, e lei gli rese uno sguardo stranamente offuscato. Sollevò a fatica il braccio sinistro e glielo gettò intorno al collo, tirandolo giù, contro di sé. Poteva sentirla tremare tutta, il viso contro il suo collo, e la strinse delicatamente, passandole una mano tra i capelli per cercare di calmarla. Lei singhiozzò per un po’, prima di irrigidirsi, colta da un pensiero:
-Oddio... Harry?
-Sta bene... non l’ho visto, ti ho portato subito dentro, ma l’ho sentito... è arrivato, sta bene.
Si chiese fugacemente come mai non avesse ancora sentito entrare tutti gli altri in casa. Ma la presenza di Hermione ed il pensiero di lei gli riempivano totalmente la testa.
-Mi fa male il collo- mormorò lei, con una voce sottilissima. Lui si staccò delicatamente dall’abbraccio, temendo di nuocerle, riadagiandola sul letto.
-Hai un taglio anche lì... è stata Bellatrix, ma non sembra grave.
Lo tranquillizzava sentirla parlare, ma lo shock che ascoltare le sue urla gli aveva provocato solo poco tempo prima non se ne era ancora andato, e doveva lottare per mantenersi e mantenerla calma.
La guardò, e con sollievo vide che il suo sguardo sembrava lentamente snebbiarsi, anche se immaginò con pena che cominciasse a sentire tutto il dolore delle ferite, perchè aveva il viso contratto. La mano, che aveva trattenuto quella di Ron quando lui aveva sciolto l’abbraccio, tremava ancora visibilmente, ma l’espressione ansiosa  stava diventando quella della solita Hermione, non fosse stato per la sua aria devastata.
-Non so perchè le interessasse tanto la spada...- prese a dire lei –io... mi è sembrato più saggio dirle che era falsa... oh, non riesco a pensare... la testa mi pulsa...
-Hermione, non devi agitarti. Calmati... siamo al sicuro.
-No, no... ci sono tante cose da fare...
-Ma che dici? Senti, vado a chiamare Fleur... sarò qui tra un attimo.
Il desiderio di farla stare meglio vinceva l’istinto a non allontanarsi dal suo fianco.
Lei strinse ancora di più la sua mano, gli mise l’altra sulla guancia e disse, parlando con la voce bassa e ansiosa di quando voleva che gli altri si sbrigassero a capire quello a cui lei era già arrivata:
-Ron, ascolta...  c’è una cosa più importante da fare... ti hanno visto, sanno che sei con noi... con me e Harry. La tua famiglia deve essere avvertita... devono nascondersi... Ginny deve essere portata via da Hogwarts, subito... a meno che non sia già a casa... non riesco a... ricordarmi che giorno è...
Crollò di nuovo all’indietro sul cuscino, ansimando.
Ron non riusciva a credere che lei sapesse essere lucida anche in quel momento. Ma, come sempre, aveva assolutamente ragione. Si rese conto, scioccato, che la sua copertura era saltata.
-Io sto bene- proseguì lei, e sembrava una battuta, con quella voce flebile, il collo insanguinato ed il colorito mortalmente pallido; ma la voce era seria.
-Sto bene, Ron... Vai a dire a Bill che avverta i tuoi. E poi... anche questo posto deve essere protetto, o verranno qui. Vai ad avvertirlo...  vai, i miei tagli possono essere medicati dopo- concluse. Per quanto si sforzasse, non riusciva ad attenuare il tremito convulso che la scuoteva, probabilmente un effetto tardivo della Cruciatus.
Ron annuì.
Si alzò, e la guardò un momento, beandosi solo un attimo della vista di lei ancora viva, anche se così malconcia.
Avrebbe voluto dire tante cose, ma non trovava le parole per spiegarle quanto...
-Ho avuto... molta paura- mormorò, la voce tanto rauca da essere stridula.
Lei, di rimando, stringendogli la mano ancora una volta e guardandolo negli occhi, rispose, flebile:
-Lo so.
Non c’era altro da dire, in quel momento.
Hermione aveva uno sguardo compassionevole, il che poteva essere ridicolo se si considerava che era lei ad essere sdraiata su un letto e coperta di ferite. Ma Ron capì che stava pensando a cosa doveva aver provato lui durante le sue urla, e a tutto quello che era in sospeso tra loro da quando, a Natale, avevano stretto quel tacito patto di attesa.
Sollevò la mano, con quella di lei intrecciata saldamente alle dita, e le baciò lieve il dorso della sua. Poi si allontanò, riluttante, e scese di corsa le scale del cottage per chiamare Bill.
 
Che dite, la scena funzionava? Hermione si è ripresa troppo in fretta? Ditemi se vi sembra che qualcosa non vada, ho un po’ di dubbi. Ho cercato di essere tenera, ma la situazione non permette troppe smancerie... no? ;)
 

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Capitolo 3
*** Protezioni e deduzioni ***


 Questo è un capitolo di transizione, scriverlo è stato assai faticoso. Ma eccovelo qua, e spero che saprà almeno stimolarvi a continuare!
Ne approfitto per avvertirvi che rispetto alle mie iniziali intenzioni, la storia si allungherà: ho visto che come minimo mi ci vorranno altri due capitoli per finire. E forse anche tre. Spero che continuerete a starmi dietro ugualmente!
Buona lettura!

 
3. Protezioni e deduzioni
 
Qualcuno saliva le scale incontro a lui: era Dean, con in braccio Unci Unci che sembrava svenuto e l’aria sconvolta e triste.
-Come sta Hermione?- chiese subito, mentre Ron si appiattiva contro la ringhiera della scala per farlo passare.
-Beh... credo che starà presto meglio... ma cosa...?
-Dobby è morto.
L’orrore fece spalancare la bocca di Ron. Hermione doveva aver sentito, perchè poco dietro di lui, dalla cameretta, venne un singhiozzo soffocato. Si maledì per aver lasciato aperta la porta, ma non aveva immaginato che il motivo per cui gli altri si erano trattenuti fuori tanto a lungo fosse questo
-Ma... come è successo?- chiese, abbassando la voce nella speranza che Hermione sentisse il meno possibile.
-E’ stato pugnalato, a quanto pare. Io... tuo fratello mi ha detto di portare Unci Unci nella stanza rossa- aggiunse Dean smarrito.
-Seconda porta a destra... dov’è Bill? Devo dirgli...- cominciò Ron, cercando di mantenere il controllo su quello che doveva fare con urgenza.
La porta d’ingresso si aprì, e Fleur entrò in casa in quel momento, le splendide chiome bionde scompigliate; seguita da Luna che gli fece un cenno e si diresse verso il soggiorno, dove il signor Olivander gemeva sul divano, dimenticato da tutti.
-Fleur...
-Oh, Ron...
-Potresti occuparti di Hermione? E’... ha una spalla fuori posto e molti tagli... è sveglia, adesso.
-Se me la lasciavi prima, Ron, invesce di... oh, lascia perdere. Vado subito. Tu?
-Sto bene.
-E tu, come ti chiami...
-Dean.
-Deàn, vieni, ti fascio vedere dove mettere il foletto... ecco, sistomalo là...
-Fleur, dov’è Bill?- chiese Ron, spinto nuovamente dall’urgenza.
-Fuori con Harrì.
Superando anche lei, Ron uscì nella notte, che continuava ad essere silenziosa e nera. Non c’era alcuna luce all’orizzonte,  ma questo gli fece solo ricordare l’urgenza di proteggere il posto: doveva avvertire Bill che nessuno di loro era più al sicuro.
Alla luce giallastra del lampioncino esterno in ferro battuto, appeso sopra la porta, lo vide che porgeva ad Harry una vanga, in fondo al giardino.
Harry era vivo ed in piedi, e questo, a quanto pareva, doveva bastargli, per il momento, anche se Dobby era morto, e lui non sapeva come potesse essere successo. Il pensiero gli trapassava il petto a cadenze regolari, come stilettate roventi.
Bill si accorse di lui in quel momento, diede una pacca sulla spalla di Harry, che aveva cominciato a scavare e nemmeno alzò gli occhi, e si diresse verso la porta.
Prima che Ron potesse parlare, lo abbracciò.
-Come stai?- chiese sollecito.
-Hermione sta bene- rispose incongruo Ron. In momenti come quelli la sua testa si contraeva, e tutto si riduceva a pochi dettagli di importanza vitale. Hermione era viva, Dobby era morto, erano in pericolo: data l’entità dei tre fatti, non c’era spazio per molto altro. Bill fece un mezzo sorriso:
-Beh, naturalmente ne sono felice, ma tu...
-Bill, ascolta... non c’è tempo, dobbiamo fare presto. La mia copertura è saltata, dobbiamo mettere al sicuro la Tana... Ginny... è ad Hogwarts?
Bill lo fissò per qualche istante, poi, trasfigurandosi tutto nel volto segnato dalle cicatrici, si diede un colpo in fronte.
-Accidenti... avrei dovuto pensarci subito, ma questo caos...
-Potrebbe essere troppo tardi?- stridette Ron, la voce sorda per l’apprensione.
-Oh, no... non credo... siete arrivati solo un quarto d’ora fa, Ron.
Lui fissò incredulo il fratello. Sembravano passate ore intere.
-Non sono riuscito a cavare molto da Harry, né dai tre che sono arrivati prima di voi, ma è chiaro che avete avuto uno scontro, giusto? Credo che la prima cosa a cui penseranno sarà a come trovare il fegato di dire al loro padrone che si sono fatti scappare Potter di mano. Dubito che si siano precipitati alla Tana.
Parlava argomentando con voce calma e rassicurante, come sempre. Ma Ron vide benissimo che il viso era contratto per l’apprensione, come lo era stato quello di Hermione pochi minuti prima e come sicuramente doveva essere il suo.
-E per Ginny?- soggiunse Ron, ansioso.
-Penso sia a casa, Ron. Dovrebbero essere cominciate le vacanze di Pasqua ieri... speriamo sia a casa.
Si scambiarono uno sguardo preoccupato.
-Beh, io vado subito, avverti tu Fleur.
-Cosa intendi fare?
-Sentirò papà, ma credo che a questo punto sia necessario il Fidelius.
-Vi... vi ho messi in mezzo tutti- borbottò Ron, afflitto.
-Era solo questione di tempo- rispose Bill, asciutto -Torno tra qualche minuto, dobbiamo proteggere anche Villa Conchiglia.
Prese la bacchetta dalla tasca, girò su se stesso e svanì, lasciando Ron solo davanti all’ingresso. L’unico rumore era quello di Harry, in fondo al giardino, che scavava e scavava. Sicuramente stava preparando la tomba di Dobby. Conosceva abbastanza l’amico da decidere di lasciarlo solo, per il momento.
Del resto, non aveva avuto neanche il tempo di sfogare la paura provata ed il vero e proprio shock fisico e mentale delle urla di Hermione torturata. Non aveva neanche avuto il tempo di provare dispiacere per la morte di Dobby.
Dobby era morto: il loro salvataggio gli era costato la vita. Gli sembrava di averlo imbrogliato in qualche modo, di aver approfittato della sua lealtà. Come quando gli aveva regalato quegli orridi calzini e lui si era sprofondato in ringraziamenti innaffiati di lacrime di gioia e commozione, e gli aveva fatto tutti quei complimenti, un Natale di tanto tempo prima, così remoto che gli sembrava appartenere ad un’altra vita. E non avrebbero mai saputo chi lo aveva mandato, o come aveva fatto a trovarli. Sospirò, meravigliato di sé stesso. Quelle erano domande che normalmente si sarebbero poste Harry ed Hermione.
Si lasciò cadere sul gradino della soglia, ed appoggiò la testa alle ginocchia.
 
La porta si aprì, e Fleur entrò con cautela nella penombra della stanza illuminata dalla rosea luce dell’abat-jour. Hermione quasi non riusciva a distinguere la sua figura, tanto le lacrime le annebbiavano la vista. Era certa di aver sentito bene quello che diceva Dean, anche se non capiva, ma volle esserne sicura.
-D... Dobby?- chiese con voce rotta.
Fleur si avvicinò e si chinò su di lei. Aveva uno sguardo mesto ed impaziente ad un tempo.
-Mi dispiasce, Hermione.
Lei fu scossa dai singhiozzi. Le dolevano lo sterno e la spalla, e piangere non alleviava affatto la situazione, ma non riusciva a trattenersi. Ron non le aveva detto che con loro c’era anche Dobby... ma dove lo avevano trovato? Nelle segrete dove li avevano trascinati quando avevano torturato lei? Era già lì? Come aveva fatto ad arrivare? Il fatto di non capire rendeva il suo pianto ancora più isterico.
-Ma, ma cosa... come...?
-Non capisco molto, purtroppo, siote piombati tutti qui... ma la ragazza, la filia di Lovgoùd...
-Luna?
-Sì, Luna e Deàn sci hanno detto prima che arrivoste voi che l’elfo è comparso nella segreta. Noi lo abiamo visto arrivar con loro e Olivondèr...
-...Olivander? Ma cosa...
-Poi è tornato a prondere voi, e quondo siete arrivati... beh, lui è stato ferito gravemonte, credo... aveva un...
Fleur si interruppe, probabilmente per non sconvolgerla ulteriormente.
-Vediamo di darti una sistemota, va bene?- chiese poi, tagliando corto in maniera brusca. Hermione si rese conto che anche lei era spaventata e turbata dal loro arrivo. Annuì, mentre la sua mente veloce le forniva la spiegazione più probabile per la presenza di Luna e Olivander: dovevano essere stati tenuti prigionieri a Villa Malfoy. Dopo tutto quello che avevano temuto per lei, Luna era viva, e adesso, a quanto pareva, in salvo. Questa, in fondo era una bella notizia. Tirò alcuni respiri profondi per calmarsi.
Era strano... non era mai stata prima di allora sola con Fleur. Lei tirò fuori la sua bacchetta ed aprì la borsa che aveva portato nella stanza quando era entrata, estraendone una boccetta di dittamo.
-Bruscerà un po’, ma così ti sistomiamo quei tagli.
Cominciò a tamponarle la faccia con sorprendente delicatezza ed abilità. Le ferite svanirono in breve tempo. Il taglio sottile lungo il collo, invece, si rimarginò peggio.
-Questo comment te lo sei fatto?- chiese Fleur, la fronte aggrottata.
-Io... non ricordo. Ero svenuta. Ron ha detto che è stata Bellatrix.
-Si direbbe un pugnale... chissà che robascia oscura sc’era sulla lama.
-E’ pericoloso?- chiese Hermione, mantenendo forzatamente la calma.
-Non mi pare, ma potrebbe volersci un po’ di tompo prima che il segno vada via... ora, vediamo quosta spalla.
La tastò con attenzione, ed Hermione dovette mordersi le labbra per non lamentarsi.
-Ah... come disceva Ronnie... è fuori posto.
-Sai come sistemarla?
-Scerto. Ascolta, sontirai un peu mal.
-Oh...
-Beh, prima è meglio è. Emendo!- esclamò Fleur, puntandole contro la bacchetta.
Hermione avvertì un dolore lancinante, mentre la spalla tornava in sede, nella clavicola, e non poté trattenere un breve grido. Sperò subito dopo che Ron non lo avesse sentito. Il dolore scompariva come era venuto, anzi, non c’era più neanche quello della spalla fuori posto. Guardò Fleur, riconoscente.
-E’... a posto, credo.
-Prova a muoverlo.
Lo alzò, cauta. Gli fece fare due o tre movimenti.
-Sembra tutto okay.
-Bien. Alora forse è il caso che tu tolga quosta... roba- disse Fleur, sfiorando un po’ disgustata la lurida felpa di Hermione, intrisa di sudore, sangue e sporca di terriccio.
-Riosci ad alzarti?
-Mi... mi tremano un po’ le gambe e le braccia. E’ da quando ho ripreso i sensi che...
-Ah... arivo subito, alora.
Uscì in fretta dalla stanza, e tornò così velocemente che Hermione era riuscita solo faticosamente a mettersi a sedere sul letto. Aveva con sé un pigiama pulito ed una vestaglia, ed un blocco di cioccolato che aveva l’aria di pesare quasi un chilo.
-Pour il tremito la sciocolata. Non scè nulla di meglio per gli shock o per i postumi da fattura. Ti sorve aiuto per cambiarti?
-No... posso fare da sola.
-Ah, bene- disse subito Fleur, sollevata –Devo andare ad ocuparmi del foletto, è ancora svenuto.
Aveva l’aria stanca, e questo traspariva persino dal suo volto solitamente indecifrabile. Hermione pensò che ci voleva un’adattabilità non comune per accogliere e prendersi cura di tante persone che piombavano senza preavviso in casa propria. E si rimproverò per essersi meravigliata di quanto fosse abile con la bacchetta: in fondo doveva essere una strega brillante se era stata selezionata per il Tremaghi e se Bill l’aveva sposata.
-Sei... beh, sei molto brava con gli incantesimi di guarigione. Hai mai pensato alla Medimagia?- chiese Hermione, accorgendosi subito dopo con orrore di aver assunto il suo tono scolastico più professionale, come una specie di Minerva McGranitt in trasferta.
Fleur fece un breve sorriso (forse per l’assurdità della sua osservazione), inclinò la testa bruscamente in quello che poteva essere un saluto, disse: -Lascia i vestiti vecchi per terra, credo che li bruscerò- ed infilò la porta.
Era davvero brava, pensò Hermione, tastandosi la spalla ed il viso ancora una volta. Sopra il cassettone, al lato opposto della stanza, stava un piccolo specchio rotondo, che rifletteva la sua faccia, abbastanza spaventosa. Scostandosi i capelli, portò alla bocca la mano con la cioccolata, sbocconcellandola e gustandosi l’effetto rinvigorente. Troppi pensieri le agitavano la testa, e fece ordine metodicamente, come era sua abitudine.
Dobby era morto, era morto per salvarli: un altro elfo domestico che si sacrificava per i maghi, ma soprattutto una creatura buona e fedele, un amico che li aveva lasciati. Era dalla morte Malocchio che non li colpiva una perdita così vicina. Ma già altre cose incalzavano: la cosa davvero orribile della guerra era che non c’era tempo di piangere i morti.
 Loro e i Weasley dovevano essere messi al sicuro. Sperò che Ron stesse provvedendo. E poi...
...la tortura, ecco cosa si provava durante una Maledizione Cruciatus. Avrebbe preferito non scoprirlo mai...
...Bellatrix Lestrange si era alterata per la spada di Grifondoro. La spada era stata conservata nella sua cassaforte. Come avevano fatto a trovarla allora, Harry e Ron, nella Foresta di Dean? Naturalmente la spada poteva essere estratta dal Cappello Parlante da qualsiasi Grifondoro che avesse compiuto un’azione nobile e gloriosa, quindi chiuderla in una camera blindata non serviva. A meno che non si avesse sotto controllo anche il Cappello, e Voldemort era sicuro anche sotto quell’aspetto, perchè il Cappello era custodito da Piton ad Hogwarts. Sì. Tornava.
Aveva un senso, ma Bellatrix le aveva chiesto (era doloroso anche solo il ricordo) cos’altro avevano preso...  sembrava molto più preoccupata per la supposta infrazione che per il fatto che la spada fosse giunta in loro possesso. Ovvio, Bellatrix non poteva sapere che il suo padrone voleva la spada al sicuro perchè era uno dei pochi oggetti che potevano distruggere un Horcrux, quindi non si era resa conto che il fatto che l’avessero dei nemici era gravissimo. Era stata solo isteria, la sua?
Rinunciò a riflettere su questo aspetto, perchè ricordare Bellatrix le accentuava il tremito che la cioccolata di Fleur stava scacciando. Si concentrò su altro.
Come era giunta la spada fino a loro? Chi aveva potuto toglierla davvero dalla camera blindata dei Lestrange alla Gringott? Perchè non si era fatto vedere, se aveva inteso aiutarli? Come aveva fatto a trovarli? E del resto, da dove altro poteva provenire la spada? Prima di allora, era stata solo nell’ufficio del Preside, ad Hogwarts...
C’erano tanti tasselli, nella sua mente, ma non riusciva a ricomporre il quadro. Servivano altre informazioni... Si alzò meccanicamente e scese dal letto, per poi bloccarsi a metà stanza, resasi conto che il suo corpo si era mosso per “andare in biblioteca” senza che lei avesse avuto il tempo di pensare che non era a scuola. Sorrise, nostalgica. Le mancava la miniera di nozioni che poteva avere a disposizione a scuola, le mancava il tempo in cui fare ricerche non era sempre una necessità data dal pericolo di vita in cui versavano tutte le persone a lei care.
Cominciò piano a spogliarsi, per obbedire all’ordine di Fleur. Togliendosi le calze e ritrovando la borsa di perline, si sentì invadere da un fiotto di sollievo. Le era proprio passato di mente, ma era rassicurante sapere che tutte le loro cose erano in salvo. Naturalmente avevano perso la tenda, e –cominciò ad elencare ordinatamente tra sè- tutti gli effetti personali rimasti nel piccolo bagnetto. Ed i suoi jeans vecchi, che erano su una sedia del vestibolo quando erano stati trovati dai Ghermidori, perchè aveva avuto intenzione di riparare uno strappo. E poi, naturalmente, c’era la perdita più dolorosa, quella delle loro bacchette: a meno che Harry e Ron, mentre lei era svenuta, non avessero trovato modo di recuperarle, oltre che di fuggire. Ma le sembrava impossibile. Si biasimò per la sua superficialità nel confortare Harry quando a Natale gli aveva rotto la sua: senza la sua fedele bacchetta di vite si sentiva impotente.
Però avevano salvato i libri, si disse cercando di farsi animo, e quasi tutte le loro cose personali, ed il quadro di Phineas Nigellus...
Si bloccò.
Phineas Nigellus. Un tassello si era improvvisamente aggiunto al quadro, e l’immagine che si presentava, d’un tratto, era quella di un’ipotesi affascinante. Spalancò gli occhi, immobile per timore di disturbare il connettersi delle sue deduzioni ed intuizioni.
Ma bussarono alla porta in quel momento, e lei sussultò.
-Hermione? Posso...
Ron entrò esitante, poi sorrise al vederla in piedi. Hermione cercò di scuotersi dalla sua trance deduttiva, ripromettendosi di riprenderla appena possibile.
-Cavolo! Ti sei già alzata.
-Fleur è brava a rimettere in sesto una persona.
-Oh, in tutti i sensi- annuì Ron, soprappensiero –Vedo che non la chiami più Flebo...- aggiunse poi, incapace di trattenersi.
-Oh, Ron, sei tremendo, come puoi rinfacciarmi quello scherzo adesso? E poi era un’idea di Ginny... a proposito...- scattò Hermione.
-Bill è già andato e tornato- si affrettò a rassicurarla Ron: -Ginny era a casa, credo che lui e papà abbiano deciso di lasciare la Tana, ormai è un posto troppo difficile da tenere segreto, anche con l’Incanto Fidelius... l’ho sentito dire a Fleur che li ha portati da zia Muriel, ma penso che dopo ci spiegherà.
Hermione annuì:
-E per qui?
-Bill sta provvedendo adesso, credo.
Hermione si rilassò un poco, lasciandosi cadere sul letto.
-Devi spiegarmi tutto quello che è successo.
-Sì, ma prima... volevo andare con Dean a dare una mano ad Harry. Sai, è quasi un’ora che scava da solo... la tomba di... Dobby- spiegò, con voce cauta, guardandola bene in viso. Il labbro di lei tremò.
-Me l’ha detto Fleur. Ma come è arrivato...?
-Non lo so. E’ comparso nella cella di Villa Malfoy. Quel che è certo è che ci ha salvato la vita.
Hermione annuì, ancora una volta. Le sembrava di non fare altro, da un po’ di tempo. Le cose accadevano e lei non aveva alcun controllo su di esse. Non riusciva neanche a capirle. A parte, forse, quell’altra faccenda... sollevò lo sguardo verso il viso di Ron, che la guardava con i consueti occhi azzurri ed onesti, pieni di sollecitudine e come in attesa di un congedo. Aveva un grosso livido sullo zigomo sinistro, ed era inverosimilmente sporco, probabilmente per aver raccolto tutta la sozzura della cella dove erano stati rinchiusi.
-Va bene, mi spieghi dopo. Vai da Harry, poi cercherò di scendere anch’io. Ah... vorrei parlarti di una cosa, dopo.
Le parole le erano uscite di bocca quasi senza intenzione, ma se davvero... doveva dirlo a qualcuno.
Lui arrossì repentinamente.
-Ma... credevo avessimo detto di...
-Un’altra cosa- spiegò lei precipitosamente, rossa a sua volta, -una cosa che ho pensato.
Lui la guardò vagamente accigliato.
-Mi è venuta un’idea un po’... strana, e credo... credo sia meglio dirla prima a te che ad Harry...
Sorrise quando sul suo viso vide fiorire una familiare quanto rara espressione soddisfatta. Durò un attimo, poi fu chiaro che anche lui se ne era accorto, e che cercava di darsi un contegno, prendendo una traballante espressione di neutra curiosità.
La lasciò in tutta fretta per scendere.
Hermione rimase sola con i suoi pensieri. Lasciava che la nuova idea prendesse forma nella sua mente, e quella, quasi automaticamente, aggiungeva i dettagli necessari a farla funzionare. E intanto si chiedeva se avrebbe fatto bene a parlarne. Non tutte le cose che capiva prima degli altri erano cose che aveva scelto di rivelare anche ai suoi amici, negli anni passati. Quando aveva scoperto del Basilisco, naturalmente, se fosse stato per lei, l’avrebbe detto subito agli altri. Ma del professor Lupin aveva taciuto. E questa cosa... se aveva visto giusto... era un Basilisco o era un professor Lupin?
Sarebbe stato prudente dirlo ad Harry, soprattutto?
I pensieri correvano più rapidi del vento mentre indossava l’elegantissimo pigiama di seta di Fleur e la morbida vestaglia abbinata, lasciando a terra i suoi vestiti sporchi.
Doveva prendere una decisione.
 
Non so è chiaro cosa ha capito (o cominciato a capire) Hermione. Naturalmente questo è un missing moment canon, quindi sappiamo già che non lo rivelerà ad Harry. Ma ho sempre trovato strano che a Villa Conchiglia Harry fosse l’unico a fare un po’ di riflessioni su quello che aveva strillato Bellatrix. E c’è un altro dettaglio che mi ha sempre incuriosito. Quando Piton è in punto di morte, Hermione è lì pronta in un secondo con la boccetta per raccogliere i ricordi. Okay, è Hermione, ma questa prontezza non è un po’ eccessiva persino per lei? Non è che magari si aspettava qualcosa del genere? (insomma, se non fosse stato chiaro, ho spiegato che cosa ha capito Hermione. Comunque lo approfondiremo nei prossimi capitoli)
... vabbè... sono speculazioni che lasciano il tempo che trovano: cioè il tempo di scriverci su una fanfiction !;)
Alla prossima, e grazie a tutti i recensorissimi!
 
PS: Ah, un’ultima cosa. Non riesco a trattenermi dal dirvi che ho cominciato a pubblicare un’altra storia, nella sezione Originali. Se avete voglia di dare un’occhiata, la trovate qui.

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Capitolo 4
*** Tenere il segreto ***


 Bentrovati! L’aggiornamento è stato leggermente più lento perchè in questi giorni ho seguito la tentazione di un’idea estemporanea ed ho interrotto, per scrivere la mia prima one-shot (potteriana, ovviamente: se dopo avete voglia la trovate qui).
Sono piuttosto soddisfatta di questo capitolo: spero che piacerà anche a voi. L’unico problema è che è lunghetto... portate pazienza!
Eccovelo qui. Buona lettura!

 
4. Tenere il segreto
 
La cucina del cottage era graziosissima, le pareti rivestite di piastrelle bianche sopra i pannelli di legno verniciati di azzurro tenue, con la bella batteria di rame appesa al muro ed il pittoresco disordine delle dimore magiche irreggimentato con grazia negli scaffali e nella credenza un po’ tarlata. Un armadietto pensile, ora con le antine spalancate, lasciava vedere la vasta farmacia casalinga di Fleur, con ingredienti per pozioni dentro vasetti di forme irregolari, coltelli d’argento e fiale di distillati scintillanti. La stufa di maiolica bianca a disegni blu produceva un tepore gradevole, tra i rassicuranti rumoretti metallici del tiraggio, e sopra, sullo scaldavivande, fumavano una accanto all’altra la teiera ed una provetta sul suo supporto. Bill prese le tazze, facendosi aiutare da Ron, e le portò in salotto, dove Luna ed Hermione sedevano sul piccolo divano, e Dean era in piedi, appoggiato sullo schienale alle loro spalle. Avevano spostato il signor Olivander di sopra, nella stanza che era stata di Ron, ora che Hermione era scesa, ma Bill sapeva che Fleur, che si stava occupando dell’anziano fabbricante di bacchette e del folletto, era preoccupata per il poco spazio in casa, con tutta quella gente. Pensò che avrebbero fatto meglio a spostare al più presto qualcuno nell’enorme casa di zia Muriel, dove aveva appena portato, insieme a suo padre, tutta la famiglia rimasta alla Tana. Sua madre aveva pianto, un po’ sconfortata dal dover lasciare la sua casa, un po’ commossa dal fatto che Bill le aveva detto che Ron era sano e salvo.
Sospirò. Come gli altri, non aveva dormito, e si sentiva esausto. Del resto, i tre ragazzi davanti a lui avevano un aspetto l’uno peggiore dell’altro, e suo fratello non era da meno. Posò le tazze sul basso tavolino di legno, presso il divano, e voltandosi indietro fece levitare la teiera dalla stufa della cucina fino al salotto, inclinandola poi a mezz’aria per riempire le tazze di tè nero e bollente.
-Zucchero?- chiese a bassa voce, mentre la zuccheriera veniva verso di lui dalla credenza azzurrina.
Ron, Hermione e Dean annuirono, Luna invece gli chiese se per caso aveva del dolcificante di Radigorda, affermando che lo zucchero semolato provocava la Strambulosi. Bill strabuzzò gli occhi, poi colse lo sguardo degli altri tre, ed il movimento impercettibile della testa di Hermione, e si limitò a rispondere che purtroppo Villa Conchiglia ne era sprovvista. Luna bevve il suo tè senza zucchero.
-Come stai, Hermione?- chiese Bill, per rompere il mutismo dei ragazzi.
-Bene, grazie. Fleur è... molto in gamba.
-Allora, gli altri sono tutti al sicuro?- chiese Ron, che come Hermione continuava a tenere d’occhio la finestra con un movimento nervoso della testa, probabilmente in attesa che anche Harry, che aveva chiesto di essere lasciato solo davanti alla tomba di Dobby, rientrasse. Avevano fatto all’elfo domestico una specie di breve funerale. Lui e Fleur non lo avevano mai visto prima, ma i ragazzi sembravano molto colpiti dalla sua morte: Luna e Dean, se non altro, perchè li aveva salvati, ed il terzetto perchè, a quanto pareva, lo conoscevano da molti anni. Avevano facce prostrate e tristi, e certo questo non era imputabile soltanto a quello che avevano passato.
-Tutti al sicuro- cercò di rallegrarli lui, prendendo a raccontare del suo arrivo alla Tana.
-Credo che George e Fred stessero per Schiantarmi dalla finestra quando sono apparso nel cortile, ma Ginny dalla cucina mi ha visto subito e mi ha fatto entrare.
-Cosa hai raccontato?- chiese Ron nervoso, scambiando un’occhiata con Hermione.
-Che eravate tutti vivi, il che per noi, mi scuserai, è una novità niente male, e che eravate arrivati a casa nostra da Villa Malfoy con Luna, Dean e Olivander: che è tutto quello che so. Mi dispiace, ma non potevo pretendere di spostarli di casa e farli nascondere senza spiegare perchè lo facevo. Ginny è stata contentissima di sapere che stavi bene, Luna.
Luna annuì graziosamente, con un cenno del capo, e Dean sembrò leggermente urtato, visto che a quanto pareva dalla narrazione di Bill, Ginny non era stata contentissima di sapere che lui stava bene.
-Ho anche accennato al fatto che Dobby è morto... Ginny è stata molto colpita, Fred e George hanno detto solo che lo conoscevano da quando facevano incursioni nelle cucine di Hogwarts. Comunque non c’era molto tempo per parlare, papà ha convenuto subito che era meglio andarsene, e poi ci siamo tutti messi a cercare di convincere la mamma.
-Perché, non voleva?- si accigliò Ron.
-Oh, sai come è la mamma. La sua casa, le sue cose, e soprattutto sembrava convinta che se se ne fossero andati, Percy...- Bill e Ron fecero un’identica smorfia mentre il nome veniva pronunciato –...non avrebbe saputo dove trovarli, in caso volesse...
-Si preoccupava per Percy?- Esclamò Ron, disturbato. Hermione si voltò e gli strinse il polso, mormorando:
-Ron, è perfettamente naturale.
-Non tanto...
-Comunque le abbiamo detto che Percy avrebbe avuto altri modi per mettersi in contatto con noi, anche se tutta la famiglia entrava in clandestinità. Sa dell’Ordine, dopotutto, e poteva contattare Kingsley, o qualcun altro...
-E si è fatta convincere?
-Beh, non c’era tempo per obiettare, in realtà. Perfino papà è stato irremovibile. Siamo andati via in pochi minuti. Prima, mamma e papà hanno sigillato la Tana con tutti gli incantesimi protettivi che conoscono, ma non so a quanto servirà se davvero decidessero di fare un’incursione. Li ho portati da zia Muriel e sono tornato per proteggere anche questo posto. Tenete.
Porse a tutti loro una strisciolina di pergamena, sulla quale era stato vergato frettolosamente nella sua brutta grafia:
William e Fleur Weasley possono essere rintracciati a Villa Conchiglia, presso Tinworth.
-Altrimenti una volta usciti dal giardino non riuscireste più a trovare la casa, ora che è sotto l’Incanto Fidelius. Dopo aver letto, bruciate la pergamena, per favore.
Tutti e quattro si sporsero e gettarono nel camino i foglietti, che si contorsero un attimo tra le braci e si dissolsero, facendosi cenere.
-Sono contenta che siate tutti protetti, Bill- disse Hermione con un filo di voce. Gli altri tre annuirono. Bill sorrise:
-Per fortuna Ginny è in vacanza. Se fosse stata ad Hogwarts, sarebbero riusciti a portarla via prima che la raggiungessimo. Ora sappiamo che anche lei è al sicuro.
Luna salutò con la mano qualcuno alle sue spalle, e tutti si accorsero d’improvviso che sulla soglia del salotto, pallido e sporchissimo, era finalmente arrivato anche Harry.
 
Hermione e Ron trovarono il tempo di parlare tre giorni dopo.
La lunghissima notte del loro arrivo e l’ancor più lunga mattinata trascorsa ad assistere ai colloqui con Olivander e Unci-Unci, e poi a farsi spiegare le straordinarie visioni e intuizioni di Harry li aveva sfiniti tutti e tre. Avevano trascorso alcune ore a dormire ammucchiati sul divano del salotto (perchè Bill e Fleur erano esausti quanto loro e non avevano ancora organizzato un letto per tutti), mentre i loro sogni erano disturbati dall’enormità della decisione che Harry aveva preso e che gli altri due avevano dovuto accettare.
Hermione aveva passato molto dei due giorni successivi, mentre aspettavano che Unci-Unci si rimettesse e meditasse sulla loro proposta, a pensare alla sua idea segreta. Il pensiero le cresceva dentro come un bambino nel ventre della madre, sempre più convincente e straordinariamente semplice. Era rimasta colpita dalle intuizioni di Harry, unite a conoscenze che lui traeva dalla mente di Voldemort ed a cui lei non avrebbe mai potuto avere accesso. Ma, per quanto assurdo fosse, il suo pensiero era più concentrato sul suo segreto che sugli Horcrux, o sui Doni. Le martellava il cervello.
Ron aspettava paziente che lei trovasse il momento giusto per parlare: non le chiedeva nulla al riguardo, neanche quando Harry non c’era.
Poi, il terzo giorno, dopo che lei e Ron avevano dato una mano a Bill per spostare qualche mobile del salotto in solaio (da quando Harry, Ron e Dean dormivano dabbasso, non c’era neanche spazio per muoversi), pensò che non sarebbe riuscita a trattenersi ancora. Harry era andato via un’ora prima, perdendosi in una passeggiata solitaria, come aveva fatto di frequente fin dal loro arrivo, anche per sfuggire il sovraffollamento della casa.
Hermione diede un’occhiata a Ron, che capì subito e la seguì in giardino. Sul suolo lavato dalla pioggia della notte passata, fiorivano piccole margherite rotonde, appena visibili tra l’erba già troppo alta. Spirava una brezza tiepida, che portava, intenso e tonificante, l’odore salmastro del mare.
-Devo dirti una cosa- esordì Hermione, camminando a passo lento verso il fondo del giardino, seguendo il vialetto. Ron annuì, grugnendo qualcosa che suonava come:
-Era ora...
Hermione si torse le mani, nervosissima.
-E’ quello di cui volevi dirmi l’altra sera?- chiese Ron.
-Sì... dunque...  oh, beh... anche io ho fatto qualche riflessione su quello che ha detto Bellatrix. Per la precisione, sulla spada di Grifondoro.
Esitò ancora. Ron la guardò interrogativo, colpito dalla sua incertezza.
-Ma che ti prende, si può sapere?
-Cerca... di mantenerti calmo, d’accordo?
Lui la guardò un po’ preoccupato.
-Hermione...?
-Oh, e... va bene. Cerca di seguirmi. Ho... credo di aver capito una cosa importante. Però potrebbe... suonarti un po’strana.
Ron sospirò pesantemente:
-Hermione, ti sembra la prima volta che mi dici qualcosa di strano? Non siamo amici da sette anni per nulla, sai? Spara, poi vedremo quanto sarà... strano.
Hermione annuì.
 -Dunque, secondo Bellatrix la spada avrebbe dovuto essere nella sua camera blindata alla Gringott, dove probabilmente c’è anche l’Horcrux che stiamo cercando, giusto?
-Ehm... giusto.
-Ma se davvero la spada era lì, chi l’ha portata via? Come si fa a svaligiare una camera blindata della Gringott?
-Hermione, se non te ne fossi accorta, è esattamente quello che stiamo cercando di fare noi.
-Lascia perdere, è diverso! Se va tutto bene, avremo un folletto che ha lavorato alla banca come complice, abbiamo la Polisucco con il capello di Bellatrix, abbiamo la sua bacchetta... questa è una circostanza che non si verifica due volte. Senza questi elementi non avremmo alcuna possibilità, non avrebbe neanche senso provarci! E non credo che Bellatrix abbia smarrito la bacchetta molte altre volte, di recente! Se ci fosse stata un’effrazione, ammesso che questo genio sconosciuto fosse riuscito nel suo intento, non avrebbe mai potuto passare inosservato! La cosa si sarebbe risaputa, anche se non fossero riusciti a catturarlo! Ed invece noi abbiamo la spada da Natale, e Bellatrix non aveva idea che non fosse nella sua Camera blindata. Se c’è stato un furto, lei non se ne è mai accorta. Ti rendi conto?
-Beh, potrebbe... potrebbe esserci un falso, là dentro. Il ladro potrebbe avercelo lasciato.
Hermione lo guardò in un modo che Ron trovò assolutamente caratteristico di lei. Tremava di eccitazione repressa.
-Io... a dire il vero credo che effettivamente nella camera dei Lestrange ci sia un falso. Ma non credo che ci sia mai stato un ladro, Ron. Le possibilità che in quest’ultimo anno un ladro sia penetrato nella loro camera blindata, abbia fatto lo scambio e sia uscito indisturbato sono...  è ... è impossibile. Io... credo che ai Lestrange... sia stato consegnato un falso già dall’inizio.
-Tu credi che... ma... Hermione, non capisco- disse Ron, la faccia contratta, sedendosi su una delle lisce pietre che delimitavano le aiuole, proprio dove si erano seduti lui e Fleur mesi prima. Il ricordo lo fece sorridere. Hermione si mise vicino a lui. Fleur aveva piantato dell’erba sulla tomba di Dobby, proprio lì accanto, e bulbi di narciso, ma ancora non era spuntato nulla, e la montagnola marrone, con la sua lapide rozzamente intagliata, era ancora nuda come una ferita fresca.
-Ascolta, Ron. Tu hai detto di aver visto qualcuno, la notte in cui avete trovato la spada, vero?
-Io... mi è sembrato, Hermione, te l’ho detto. Poi è spuntato quel Patronus... e poi c’era il fatto che la spada era in fondo a quello stagno incantato, che prima non c’era... almeno, così mi sembrava.
-Ci deve essere stata una persona che ha creato lo stagno e ci ha messo dentro la spada, quella sera. Poi ha mandato il Patronus da Harry. Ascolta, Ron, io credo di sapere chi sia questa persona.
-Cosa? E perchè non...
-Aspetta. Siamo d’accordo che è improbabile che la spada sia stata rubata? Probabilmente ai Lestrange è arrivato un falso, giusto?
-A dir la verità io non capisco dove vuoi arrivare. Comunque... comunque diciamo di sì. Sì.
-Allora... chi ha consegnato il falso ai Lestrange? Chi aveva in custodia la spada prima di loro? C’è solo una persona che può avere effettuato questo scambio, Ron!
Ron la guardò ancora per qualche istante senza capire, poi la luce della comprensione si fece strada sul suo volto. Scosse la testa così violentemente che Hermione trasalì.
-Hermione, non starai davvero pensando che...
-Ron, non c’è altra spiegaz...
-No. No, Hermione, devi essere impazzita.
-Ci ho pensato bene. Se fosse così, tornerebbe tutto.
Ron si guardò intorno nervosamente. Era chiaro che temeva di vedere sbucare Harry fuori da un cespuglio. Sgranò gli occhi in faccia alla ragazza:
-E tu volevi dire una cosa del genere a Harry?
-Io...
-Hermione...
-Fammi parlare, Ron! Piton...
Ron sussultò: ancora nessuno dei due aveva pronunciato il nome della persona a cui stavano pensando.
-Hermione...se davvero pensi che la spada non sia mai arrivata ai Lestrange, sia pure... potrebbe... sarà stato qualcun altro a scambiarla mentre era ad Hogwarts. La McGranitt avrebbe potuto...
-Piton aveva la spada sotto controllo, era custodita nell’ufficio del preside! E poi rifletti, Ron... chiunque ci abbia fatto trovare la spada non ha voluto mostrarsi personalmente. Perchè non avrebbe dovuto farlo se fosse stata una persona che noi conosciamo come nostra amica?
-Potrebbero esserci molte ragioni. Potrebbe essere una persona che ci sostiene ma non vuole che neanche noi lo sappiamo perchè... perchè...
-Perché sta facendo un gioco troppo pericoloso! Proprio così- concluse Hermione, implacabile.
-Hermione, questa del doppio gioco di Piton è una storia vecchia. Mi sembra che al momento buono ci abbia fatto vedere da che parte ha scelto di stare.
-Forse perchè ha dovuto farlo per non perdere la sua posizione...
-Lo avrebbe concordato con l’Ordine. Gli altri lo avrebbero saputo!
-Non è detto. Piton riceveva ordini da Silente personalmente, lo sai.
Ron scosse ancora la testa, accigliato. Era chiaro che stava esaurendo le obiezioni, ma che si rifiutava di cedere, e stava lottando con se stesso.
-E... e...  se è stato lui, beh... come ha fatto a trovarci?
Hermione lo guardò. Aveva gli occhi marroni dilatati dall’urgenza di spiegarsi, e rispose così in fretta che la voce le incespicò per la foga.
-E’ q-questo il punto, Ron! Come avrebbe fatto a trovarci chiunque altro? Tu ci sei riuscito perchè avevi lo Spegnino. I Ghermidori tramite il Tabù. Ma una persona bene intenzionata nei nostri confronti e senza regali di Silente, come avrebbe fatto a localizzarci?
-E allora come pensi che Piton...
-Glielo abbiamo detto noi, dov’eravamo- Hermione lo guardò, il viso stranamente diviso tra un’aria trionfante ed un’ansia che le faceva tremare le mani.  -Me ne sono resa conto l’altra notte, mentre pensavo a quello che avevamo perso ed a quello che ci era rimasto. Ron... quando siamo arrivati nella Foresta di Dean, il giorno dopo Natale, io ho detto ad Harry dove eravamo mentre stavo togliendo la tenda dalla mia borsetta- fece una pausa, guardandolo fisso. Lui, immobile, rimase in attesa.
-Nella borsetta c’era il ritratto di Phineas Nigellus. Deve averglielo detto lui... fino ad allora evitavamo sempre di parlare davanti al quadro, o bendavamo il ritratto proprio per evitare che lui vedesse qualcosa e potesse riferire a Piton dalla sua cornice ad Hogwarts. Piton sapeva dove trovarci, quel giorno.
Il sole era insolitamente caldo, e la fioritura dei meli stupenda, nel giardinetto. Il mare riempì il lungo spazio di silenzio che seguì le parole di Hermione. Poi lei parlò di nuovo, con voce sottile.
-Io... io credo che sia possibile che Piton abbia creato lo stagno e ci abbia lasciato dentro la spada. Ha consegnato ai Lestrange un falso.
-Hermione...
Si guardarono. Ron aveva gli occhi celesti pieni di tristezza e di un indecifrabile malessere.
-Piton ha ucciso Silente, Hermione. Questo come lo spiegheresti?
Hermione esitò ancora. Aveva a lungo pensato anche a quello, e la risposta che si era data era così triste che parlarne era stranamente difficile, anche con Ron.
-F-forse... forse Silente aveva deciso che la sua copertura era troppo importante... forse avevano deciso che se si fosse giunti al dunque Piton avrebbe dovuto fare anche questo pur di non scoprirsi... non lo so questo, è il punto debole del mio ragionamento- ammise –io non c’ero sulla torre, e non posso chiedere ad Harry di...
Ron tacque, scuotendo la testa, ed ancora passarono istanti di silenzio lunghissimi. Poi Hermione chiese, con voce sottile:
-Che ne... pensi?
Ron mosse lentamente una mano, e la allungò a prendere quella di Hermione. Le loro dita si incrociarono e si strinsero, anche se nessuno dei due guardava l’altro. Poi, lui sospirò e si schiarì la gola. Sembrava incerto su come cominciare.
-Può... può darsi.
Hermione sentì d’improvviso che le lacrime le riempivano gli occhi. Non si era mai resa conto così chiaramente, prima di quel momento, di quanto fosse importante per lei l’opinione di Ron. La sua mente non poteva fare a meno di sapere che quell’idea era più probabile di quanto sarebbe piaciuto a tutti loro, ma che Ron la condividesse o meno non era affatto una questione secondaria. Cambiava tutto.
-Non piangere- mormorò lui.
-Pensi che sia possibile?
-Io... vorrei che non fosse possibile. Ma  ho paura che tu abbia ragione come quasi sempre, dannazione.
-Non so come dirlo a Harry- sospirò lei, sconsolata.
-Hermione!- Ron si voltò di scatto, serissimo –Non possiamo dirlo a Harry. Sei impazzita?
-Ma... è vero, non la prenderà bene, però...
-Non sto parlando di quello.
La guardò, come preoccupato di scoprire che la sua mente brillante aveva dimenticato un particolare fondamentale.
-Cosa vuoi...?
-Hermione... se Piton ci sta- storse il viso in una smorfia involontaria -...aiutando... Tu-Sai-Chi non deve scoprirlo.
-Certo che no!
-Allora... Hermione, ricordati della connessione con la mente di Harry.
Lei sbarrò gli occhi, scioccata dall’imprudenza che era stata sul punto di commettere. Se non avesse consultato Ron... se Ron fosse stato ancora lontano da loro...
Harry non aveva mai imparato a chiudere la mente, ed Hermione non poteva negare che la connessione con la mente di Voldemort era stata utile come non mai per prendere le loro ultime decisioni e cominciare finalmente ad inquadrare il piano di Silente. Ma questa forza aveva un doppio taglio, e se davvero... se davvero Piton li stava aiutando, dirlo ad Harry avrebbe potuto voler dire esporlo a morte certa, e magari mettere in pericolo anche loro tre, se Voldemort avesse scoperto questa informazione frugando tra i pensieri del suo nemico. Figurarsi... Harry prima avrebbe gridato, avrebbe eretto un muro di rifiuto riguardo quell’idea. Poi avrebbe dovuto accettarla, ed allora la sua mente non avrebbe fatto altro che girare intorno a quel pensiero, ossessivamente. Certo non avrebbe saputo nasconderlo, all’occorrenza.
Ron la stava scrutando attentamente, forse preoccupato del suo pallore.
L’idea di lasciare Harry all’oscuro di una cosa così importante le dava la nausea.
-Ron...
-...Hermione, dobbiamo stare zitti.
-Ron... Harry odia Piton. E se...
-E se?
-Se dovessero arrivare ad uno scontro ed Harry, senza sapere... lo... uccidesse... Ron, come facciamo a tenerci sulla coscienza questo...? Dobbiamo dirglielo!
Il solo pensiero le aveva fatto scendere due lacrime lungo le guance.
-Hermione...
-No!- lei si alzò di scatto ed andò verso il cancello, uscendo dal giardino ed incamminandosi per l’erta sabbiosa ed erbosa della collina, scendendo verso il mare a passo rapido. Improvvisamente, quello che normalmente le sarebbe parso più che ragionevole era inaccettabile. Non le importava affatto se la cosa era un “Basilisco” o un “professor Lupin”. Non erano più a scuola, non giocavano più neanche sulle loro vite, ma sulle loro anime. Il pericolo più grande non era più morire, ma uccidere innocenti. Era la guerra che portava tutto questo. E lei non voleva... dover... sempre... affrontare... scelte... così... ingiuste! Adesso correva, scandendo i pensieri al ritmo dei passi. Ron le fu accanto in pochi istanti, ma invece di fermarla accordò l’andatura alla sua. Corsero insieme, verso la spiaggia.
-Hermione, lo proteggeremo noi.
-Chi? Piton?- ribatté lei, isterica.
-Proteggeremo Harry. Non lo molleremo un attimo, lo abbiamo fatto sempre... beh, quasi sempre. Gli impediremo... di fare del male a Piton. E comunque, Harry... io non credo che Harry ucciderà mai nessuno, se potrà evitarlo.
Senza rispondere, Hermione rallentò sempre più il passo, finché si fermò, con Ron al fianco, sulla spiaggia solitaria, dove il sole splendeva, quasi accecante nel riverbero della distesa marina. Dopo un inverno trascorso all’aperto, era strano abituarsi al fatto che il clima potesse essere piacevole. Diede alcuni respiri per calmarsi. Avevano il fiatone.
-Credi che glielo dirà mai?- chiese d’improvviso a Ron –Piton.
Lui si strinse nelle spalle.
-Lo spero, o prima o poi toccherebbe a noi. Quando la guerra sarà finita, intendo.
Sì, quando la guerra fosse finita e loro avessero vinto. Se invece fosse andata male... beh, non avrebbero avuto da preoccuparsi di quel dettaglio, visto che sarebbero morti. Hermione sapeva che Ron aveva voluto intendere questo. Era stupefacente con quale velocità si capissero ormai. Sollevò gli occhi a guardarlo: si era voltato a scrutare il mare, le mani nelle tasche dei jeans, la figura impercettibilmente curva, come stanca. La brezza gli scompigliava le corte ciocche rosse sulla fronte. 
In quei giorni aveva discusso con Ron in continuazione, come ai tempi della scuola, sulla morte di Silente, sulle sue domande irritanti, sulla scelta di Harry, e quindi anche loro, di seguire la traccia degli Horcrux e non quella dei Doni: battibecchi che, ne era certa, sarebbero continuati come sempre, anche quello stesso pomeriggio. Tuttavia niente era rassicurante come vederlo lì a condividere il peso di quel segreto, che, assurdamente, ora le pareva l’unica cosa importante, più ancora dei Doni e degli Horcrux, il punto fondamentale di tutta la loro lotta, la prova rinvenuta sotto la sabbia che la lealtà esisteva e continuava a vivere anche se nessuno lo sapeva, misconosciuta ed ignorata. La lealtà esisteva: quel segreto non avrebbe potuto confortare Harry, ma non si sarebbe perso se lei o Ron fossero rimasti vivi per raccontarlo.
E lui, condividendo i suoi pensieri dietro gli occhi cerulei e tristi, le faceva compagnia in silenzio, per permetterle di calmarsi, e di accettare di fare la cosa giusta, e di tenere Harry all’oscuro: restando lì, semplicemente. Pensò che mai lo aveva amato come in quel momento.
Lui si accorse del suo sguardo, si voltò, e le fece un mezzo sorriso, stringendo le labbra nella sua caratteristica smorfia rassegnata. Le tese una mano.
-Harry ci starà cercando- disse –Andiamo?
Hermione allungò la sua e lui gliela prese. Voltarono le spalle alla risacca, silenziosi, e si allontanarono a passo lento, verso il cottage di cui potevano scorgere il tetto di ardesia grigia, in cima al declivio.

 
Con il prossimo capitolo cominceremo ad avviarci alla fine. Vi anticipo che sarà dedicato principalmente ai personaggi finora un po’ più trascurati.
Se lasciate una recensione, e mi dite che ne pensate, come sempre mi fate piacere e mi siete più utili che mai. Ne approfitto per ringraziare chi ha già recensito la storia, usando in modo così gentile un po’ del suo tempo! :)
Alla prossima! Un bacio.

 

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Capitolo 5
*** Magiallacciamento ***


 Prima della conclusione di questa storia, alla quale mi sono gradualmente appassionata, tanto che è venuta lunga praticamente il doppio di quanto avevo progettato, ecco qui un capitolo di cui sentivo il bisogno, che esplora un po’ di più i personaggi minori. E’ un po’diverso dal solito, tanto che avevo quasi pensato di lasciar perdere e trasformarlo in una one-shot... alla fine però ho deciso che rendeva più completa ed equilibrata “Villa Conchiglia”, e l’ho tenuto. Quindi sono abbastanza in apprensione... vediamo se vi piacerà comunque. La prossima volta concludiamo, perciò... non mancate!
Buona lettura!

 
5. Magiallacciamento
 
Con un gesto brusco della bacchetta, Fleur fece scendere la scala a soffietto che portava in solaio. Avevano dovuto spostare lassù, tra tutta la robaccia lasciata là da precedenti proprietari della casa, il mobile del soggiorno, perchè adesso che ci dormivano i tre ragazzi lo spazio non era sufficiente. Luna ed Hermione avevano dovuto essere stipate in due brandine nella stanza rossa, così piccola che, per aprire la finestra, bisognava salire sulle materasse. Olivander e Unci-Unci dividevano già da settimane la stanza di Ron (era da Natale che lei e Bill avevano preso l’abitudine di chiamarla così): fortunatamente il povero Olivander se ne sarebbe andato la sera dopo, e Fleur, pur compatendo le sue condizioni, non vedeva l’ora. Quelle giornate erano state assai stancanti, tra roba da lavare, letti da rifare e vestiti da procurare al folletto, Dean, Luna e Olivander, che erano arrivati senza altro che quello che avevano addosso. C’era da cucinare per nove persone, diversificando il menù per l’anziano fabbricante di bacchette e per il folletto che pretendeva radici e carne cruda. E c’era la frenetica attività di cura e preparazione di ricostituenti: Olivander era stato così male che avrebbe dovuto essere ricoverato al San Mungo, se non fosse stato un prigioniero fuggito in costante pericolo, Luna aveva sofferto di una tosse secca e stizzosa che cominciava solo adesso a lasciarla in pace, e Fleur non aveva alcuna competenza specifica, soltanto una certa abilità di pozionista e l’aiuto di libri di rimedi casalinghi. Pensò che, se mai la guerra fosse finita, avrebbe lasciato perdere l’inutile carriera al ministero che prima contava di perseguire, e si sarebbe dedicata a cose che erano importanti sempre. Forse la Medimagia, come aveva suggerito Hermione.
Mentre si destreggiava tra le polverose cianfrusaglie del solaio, reggendo la tovaglia pulita, appena estratta dal cassetto del mobile, in una mano e la bacchetta nell’altra, per poco non cadde inciampando in un arnese grigio che giaceva abbandonato per terra, tutto ricoperto di polvere. La tovaglia le sfuggì di mano, e lei, con un gesto di stizza, scagliò via la bacchetta e si sedette, furente, sul pavimento sporco. Era stanca, esausta. Il tempo in cui aveva parlato di fare un bambino con Bill sembrava lontanissimo, e nel cassetto del suo comodino i ferri con il lavoro incompiuto per il figlio di Tonks, che stava per nascere, giacevano inutilizzati. Senza che riuscisse a fermarle, le lacrime cominciarono ad uscire: erano lacrime di rabbia, più che altro, e singhiozzò rabbiosamente per qualche minuto, finché una mano conosciuta non le si posò sulla spalla.
-Tesoro?
Era Bill, naturalmente. Si era accorta che la teneva d’occhio da qualche giorno, probabilmente aspettandosi una sua esplosione. Con tutta probabilità, si disse Fleur, era prevedibile come una bambina, ed il pensiero la fece infuriare.
-Lascia perdere, Bill!
-E’ solo una tovaglia.
-Non è solo una tovallia!- sbraitò Fleur. Bill sospirò.
-Lo so.
Solo due parole, e le aveva già fatto un lungo discorso. Poteva quasi sentirselo risuonare in testa, recitato nella voce paziente ed equilibrata del marito: “So che sei stanca ed impaurita per quello che succede, che tutti qui dentro hanno pretese assurde e che stare a guardare gli altri che agiscono mentre tu, una strega brillante e dotata, sei rinchiusa in casa da mesi e da varie settimane non fai altro che cucinare, rifare i letti a sette ospiti e preparare sciroppi per la tosse, è frustrante. Ma io sono qui.”
Lei fece un respiro profondo per calmare l’affanno:
-Sono una sciocca, naturalmonte, ma... sono stonca di avere tutta questa jonte per casa e... lo so che è egoista!
-Amore, credo che sia normale.
Lei lo guardò. Aveva la faccia piena di comprensione. Anche lui, dopotutto, era un mago brillante ed audace improvvisamente relegato al ruolo di gestore del rifugio segreto di eroi più giovani e inesperti di lui e di clandestini in pessime condizioni di salute.
-Lo so che è importonte. Ma...
-So che lo sai. Se vuoi piangere un altro po’, o... scagliare oggetti, ci sono qui io... ti ho sposata anche per questo.
Lei fece una specie di risolino tremulo.
-Sono insciampata in quell’arnese. Qua sopra è pieno di cose inutili.
-Ti sei fatta male?
-No, in realtà. Non so neonche cosa sia.
Bill si chinò a guardare l’oggetto, distrattamente. Poi si fece più attento.
-Aspetta... in realtà questo è meno inutile di altre cose.
-Che vuoi dire?
-E’ un paio di giorni che Dean mi ha chiesto come poteva fare contattare i suoi... sai, hanno fatto quell’appello alla radio, ricordi? E magari ho trovato il modo...
Bill si alzò, ed aiutò la moglie a rialzarsi, raccogliendole e spolverandole la tovaglia con dei colpetti, prima di porgergliela, con un bacio.
-Tesoro, presto andrà meglio.
Lei annuì. Già si vergognava un po’ del suo sfogo. Spinse delicatamente Bill, che era chiaramente preso dalla nuova idea, giù per le scale.
-Bien... Vai ad occuporti di questa cosa, alora...
-Stai bene? Sicura?
Lei sorrise: -Ti amo, Bill.
-Moi aussi- rispose lui, scendendo in fretta le scale.
 
Passare le ore in giardino sembrava essere l’unico modo per non intralciare nessuno, a Villa Conchiglia. Harry, Ron ed Hermione erano sempre per conto loro, ed era chiaro che lavoravano ad un progetto. Quanto a lui, Dean, si sorprendeva ancora a tendere le orecchie per captare il rumore di qualcuno che si avvicinava, come aveva fatto in continuazione per tutto l’anno appena trascorso. Gli incubi ancora non volevano cessare. E non c’era nessuno con cui parlare di quello che era successo, tranne Unci-Unci  che però era impegnato con i tre, e comunque non era mai stato un tipo di molte parole. Non voleva ulteriormente turbare i suoi ospiti, così gentili. Il secondo giorno della loro permanenza lì, quando aveva cominciato ad essere possibile per tutti pensare a qualcosa oltre alle urgenze del momento presente, Bill gli aveva chiesto cosa gli fosse successo, ed aveva raccontato tutto: dall’agguato in cui erano morti Ted, Dirk, e Gonci, ai due giorni di fuga impazzita, alla cattura. Bill aveva ascoltato attentamente, per poi dire, con aria pensierosa:
-Ma certo... ti chiami Dean, giusto? Ho sentito parlare di te. A Radio Potter.
-Radio... Potter?
-La radio della resistenza a Voldemort. Probabilmente se sei in fuga da tutto l’anno potresti non averne mai sentito parlare. Tua madre e le tue sorelle hanno rivolto un appello alla radio per cercare tue notizie.
-Mia madre e le mie... cosa?- aveva esclamato Dean, che non aveva mai pensato ad una simile eventualità -Loro sono... sono Babbane, non sanno... Come hanno fatto?
Bill aveva scosso la testa.
-Non ne so nulla. Però posso cercare informazioni, conosco... le persone che gestiscono la radio. Ti farò sapere, d’accordo?
Non era rimasto altro da fare che aspettare, sperando di riuscire ad avere qualche notizia. Del resto, non vedeva i suoi da un anno, e non sapeva nulla di loro: tutto sommato era una bella novità essere rassicurato sul fatto che erano vivi. Se ne era andato proprio per evitare di metterli direttamente in pericolo, quando aveva capito che comunque non avrebbe potuto tornare ad Hogwarts. Se fosse riuscito a sparire e loro non fossero risultati i parenti di un Sanguesporco, almeno non avrebbero rischiato più di tutti i milioni di cittadini Babbani della Gran Bretagna. Questo aveva cercato di spiegarlo a Grace, la più grande delle sue sorelle (sarebbe stato inutile tentare il discorso con sua madre), alla vigilia della sua partenza. Lei era piena di rabbia, perchè non riusciva a capire, o forse non voleva accettare, il fatto che per non metterli nei guai avrebbe dovuto andarsene. Però, dopo avergli urlato furiosamente addosso, con tutto l’impeto dei suoi quattordici anni, lo aveva aiutato a mettere insieme le poche cose che avrebbe portato con sé, ed aveva richiuso la porta a chiave dietro di lui quando, durante la notte, aveva lasciato il loro appartamento.  Inizialmente si era recato a casa di Seamus, in Ulster: perchè non aveva idea di dove andare. Era rimasto nascosto da loro fino a che Seamus non era stato costretto dalle nuove direttive ministeriali ad andare ad Hogwarts. In realtà, i Finnigan si erano anche offerti di nasconderlo per tutto l’anno. Ma presto il piano si era rivelato impraticabile. Il nuovo regime aveva varato un programma di ispezioni settimanali nelle case di tutti i maghi coniugati con Babbani, per verificare , come era stato detto, “che coloro che avevano attuato tali riprovevoli unioni, prima che venissero formalmente proibite, non si facessero sottrarre la magia dal coniuge Babbano”. Casa Finnigan, come le altre, aveva cominciato ad essere vessata dalle crudeli e degradanti ispezioni, in realtà chiaramente un mezzo per far pressione affinché le coppie miste si disgregassero in tutta la Gran Bretagna. Con la preoccupazione per quello che poteva accadere al figlio a scuola e le continue, umilianti pressioni inflitte a lei ed a suo marito, la signora Finnigan era sull’orlo di un esaurimento nervoso. Mancava solo che si scoprisse che in casa nascondevano un Nato Babbano che non si era presentato al censimento per metterli veramente in difficoltà. Avrebbero potuto inquisirli, imprigionarli, togliere la bacchetta alla signora... o peggio. Senza dire niente a nessuno (tanto meno a Seamus, che da quando era sparito, inghiottito da Hogwarts, era diventato irraggiungibile e mandava lettere che arrivavano sempre aperte e talvolta con chiari segni di righe intere di testo erase con la Magia dalla censura), tre settimane dopo l’inizio della scuola, Dean era scappato da casa Finnigan, durante la notte. Non voleva mettere ulteriormente in pericolo i genitori del suo amico. Anche di loro non aveva più saputo niente.
 
-Dean?
Luna lo aveva raggiunto in giardino, con il suo passo privo come al solito di rumore, e lo stava gentilmente interpellando. Indossava un completo di Fleur alla marinaretta, estremamente chic, sui toni classici del bianco e blu, e Dean, come tutti, aveva sussultato alla sua apparizione la mattina a colazione, dato che il look consueto di Luna si discostava significativamente da quel canone estetico (Luna peraltro aveva indossato il completo senza fare storie, proprio come il tailleur da cocktail rosa pesca del giorno precedente). Ora lo guardava dall’alto, con i suoi occhi chiari e sporgenti, tormentando l’orlo della gonna a piegoline con la mano e dicendogli:
-Bill dice che forse riesce a farti comunicare con i tuoi.
-C-come?
-La tua famiglia.
Dean era scattato in piedi, esterrefatto. Comunicare? Pensava che al massimo avrebbe avuto loro notizie.
-Come è possibile?
-Fleur ha trovato una specie di attrezzo babbano per le comunicazioni, in soffitta...- spiegò vaga Luna. Dopodiché lo guidò di sopra, in solaio, dove Fleur fissava dubbiosa Bill che armeggiava con lo strano apparecchio che avevano trovato.
-Un telefono?- chiese Dean.
Gli altri tre lo guardarono con vera curiosità.
-Sai come funziona?- chiese Bill.
-Diamine... certo che so come funziona! Ma... questa casa è allacciata alla rete telefonica?
-Ehm... temo di no. Però mi sono fatto prestare questo da mio padre- rispose Bill, in tono incoraggiante, mostrando un grosso libro marrone, con le lettere del titolo stampate in bianco. La copertina recitava: “Mezzi di comunicazione Babbani: come si usano e come possono essere una valida alternativa alla magia”.
-Edizioni MagiSos?- chiese Dean perplesso.
-Sì, lo so...- cominciò Bill con aria di scusa, mentre Fleur sbuffava rumorosamente. -Non pretendo che tu ci faccia troppo affidamento... sai, è quel movimento di pazzoidi che credono che usare troppa magia inquini l’atmosfera e spingono verso le energie alternative... Magicamente Sostenibili, ne hai mai sentito parlare?
-Veramente, ehm, mai.
-Oh, beh, adesso sono scomparsi, come è evidente, figuriamoci se Tu-Sai-Chi apprezza gente che propone di convertirsi ai metodi babbani.
-Beh, se possiamo apprezzar in quolcosa il nuovo regime...- cominciò Fleur. Poi si interruppe perchè Bill l’aveva guardata in modo assai eloquente, e borbottò: -A mio avviso, matti, ma comunque...
-Mio padre ha comprato il libro soprattutto per le figure di congegni elettrici. Ma c’è un capitolo sul telefono.
Dean sfogliò incuriosito il libro. Sul frontespizio stava scritto: “Questo libro è stato prodotto senza sprecare magia, in un’officina che si avvale di tecniche Babbane naturali e di risorse rinnovabili”, e lui lo lesse ad alta voce.
-Immagina quonto sci hanno messo...- intervenne Fleur, sprezzante. Luna invece asserì, appena un po’ accigliata:
-Queste persone hanno citato mio padre al Wizengamot ventitré volte, lo scorso anno... dicevano che il suo comportamento non era ecosostenibile, perchè stampava il Cavillo in casa, con macchinari interamente magici, e per l’allevamento di Prugne Dirigibili...
-Quando mio padre fu ferito, due anni fa, uno dei tirocinanti al San Mungo era affiliato a MagiSos... credeva nella medicina alternativa, tipo punti di sutura babbani... mia madre era furibonda- mormorò pensoso Bill.
Dean, nel frattempo, aveva raggiunto, sfogliando il libro, il capitolo che parlava del telefono.
-Spiega come connettersi alla rete telefonica... uhm... uhuh... creare un magiallacciamento... Electricus... premurarsi di non consumare troppa energia magica mentre... si, vabbè...
Gli altri lo guardavano, come in attesa.
-Allora? Possiamo provare?- chiese Luna.
-Bah... facciamo un tentativo.
Fleur emise un verso scettico.
 
Un’ora più tardi, tutti e quattro guardavano, colpiti dalla loro stessa opera, la presa telefonica che erano riusciti a far comparire nel muro. Persino Fleur sembrava abbastanza eccitata:
-E adesso cosa dovresti farsci con quella?
-Ehm... immagino... attaccare la spina- rispose Dean. Prese il cavo dell’apparecchio telefonico e mentre tutti lo guardavano ad occhi sbarrati, con l’aria di non aver mai visto nulla di simile, infilò la spina del telefono nella presa nuova di zecca. Attese, con una certa apprensione, che le scintille violette che scaturirono dal contatto cessassero, poi sollevò la cornetta e se la portò all’orecchio, sentendo subito il rumore che dava linea libera, anche se un po’ disturbato.
-Funziona!- esclamò, colpito.
-Come... ehm... come fai a dirlo?
Dean allungò la cornetta a Bill, che la guardò un po’ sconcertato e poi se la portò all’orecchio. Sobbalzò quando sentì il rumore della linea.
-Che suscede?
-Si sente un rumore, cara, ehm...
-Ed ora cosa farai, Dean?- chiese Luna, tranquillamente curiosa, seduta per terra accanto all’apparecchio.
-Provo... proverò a chiamare... a casa mia.
La voce gli tremava per l’emozione.
Compose il numero ben noto sulla tastiera, mentre Fleur alle sue spalle sussurrava al marito:
-Ti rondi conto? Ricordarsi un numero per ogni persona che vuoi contattar... ma come fanno i Babani a...- poi Bill le fece cenno di fare silenzio.
Il telefono squillava e squillava. Forse non c’era nessuno in casa. Poi una voce maschile rispose:
-Pronto?
Era il suo patrigno.
-...P-Patrick?- chiamò Dean con la gola secca. Dall’altra parte ci fu qualche secondo di silenzio scioccato.
-Dean? O, mio Dio, Dean, sei tu?
-Sì...
-Ma... come stai, sei... stai bene?
-Sto bene... sono al sicuro, sono...
-Tua madre sarà... Anne? Anne! Anne, tesoro, è... aspetta un attimo, Dean...
Col cuore in gola, Dean sentì i rumori di una persona che si avvicinava. Poi piano, sullo sfondo la voce di sua madre:
-Come dici, caro?
-E’ Dean, tesoro. Al telefono.
Rumore di porcellana infranta. La cornetta fu strappata dalle mani di Patrick.
-Tesoro? Dean?
-Mamma...
-Oh, mio Dio!- Sentì sua madre scoppiare in lacrime, incapace di calmare i singhiozzi. –Dean... perchè non ci hai dato tue notizie... noi... oh, Dio, ho anche fatto un appello alla... vostra radio, mi ha aiutato la signora Finnigan, la madre del tuo amico... oh, cielo... tesoro mio, come stai?
-L’ho saputo, mamma... stai tranquilla... ho... dovuto scappare per un po’... ora sono al sicuro... Voi state bene? Grace, Faith, Marianne?
-Stiamo... stiamo bene... stiamo tutti... le ragazze sono a scuola... oh, Dean, saranno così felici di sapere che... Marianne invece è qui... Marianne!... te la passo...
Si udì un tramestio concitato, poi la sorellina più piccola di Dean prese la cornetta.
-Dean?
-Ciao, scricciolo!- cominciò Dean. Era rimasto tranquillo con la madre, ma d’un tratto sentì una gran voglia di piangere.
-Quando torni? Perchè non ci hai mai telefonato? Perchè non ci hai mandato una lettera con un gufo, come le altre volte?
-Non potevo scrivervi, Marianne... non sono a scuola, dovevo stare nascosto per un po’...non avevo gufi a disposizione. E solo oggi ho trovato un telefono.
Fece un breve sorriso a Luna, l’unica rimasta lì vicino, seduta nella sua posizione tranquilla. Bill e Fleur, discretamente, si erano allontanati, ma in realtà, in quel momento, Dean non desiderava affatto stare solo. Quella conversazione con i suoi cari tristi e sconvolti lo stava spaventando, e ringraziò dentro di sé che Grace e Faith fossero a scuola. Non credeva che sarebbe riuscito ad affrontare Grace.
-Sai che mi è caduto un dente?
-Accidenti, allora sei una signorina!- Dean cercò di vincere il tremendo groppo alla gola: -Scricciolo, passami la mamma, adesso, ok? Non aver paura... ci vediamo presto.
Mentre Marianne lo salutava, la linea vibrò, disturbata. Forse l’incantesimo non era stato eseguito a regola d’arte, pensò Dean, un po’ impensierito.
Di nuovo la voce della signora Thomas, preoccupata ed ansiosa:
-Caro... quando torni a casa?
-Mamma... non lo so. Vi metterei tutti in pericolo, lo sai. Per adesso è meglio se...
-Ma Dean...
-Credimi, mamma, non puoi proprio capire... è meglio per tutti, al momento.
-Non farai nulla di pericoloso, vero?
Dean sorrise, amaro. Negli ultimi mesi non aveva fatto altro che sfuggire alla prigionia ed alla morte. Ma loro non potevano capire, e lui non voleva angosciarli inutilmente.
-Ehm, n-no. Per ora sono al sicuro, mamma...
-Come possiamo fare per contattarti?
Ancora rumori che disturbavano la linea. Qualche scintilla guizzò fuori dalla presa, attirando l’attenzione di Bill e Fleur, che tornarono dalla loro parte.
-Non potete, mamma... sto chiamando da un allacciamento provvisorio, fatto con la magia... non ho molto tempo, sta già... cercherò di richiamarvi io in seguito.
-Ti prego, Dean...
-Sì, mamma?
-Stai attento, tesoro, noi... pensiamo sempre a te... le ragazze non ti hanno neanche salutato...
-Salutale tu per me... manda tanti baci a tutte e due.
L’incantesimo si stava esaurendo. Dalla presa uscivano crepitii e scintille, e Fleur si avvicinò a bacchetta sguainata, decisa chiaramente ad impedire un incendio alla sua soffitta.
-Sta cadendo la linea... mamma, devo salutarti.
-Dean... ordati... a noi che... ogliamo bene... stai attento!- gli arrivò la voce di sua madre, prima che la linea saltasse. Il muro sputò via la spina del telefono tra crepitanti rumori elettrici, e divampò una fiammata stranamente cangiante dall’estremità del cavo, mentre la presa creata si richiudeva.
Dean e Luna balzarono indietro per evitare le scariche che riempirono l’aria, tra le esclamazioni di tutti.
-Questi dannati esperimonti babbani...- gridò Fleur a Bill, che tese un braccio per impedirle di avvicinarsi:
-Tesoro, ferma, aspetta che...
-Aguamen...- cominciò Fleur senza ascoltarlo, tendendo la bacchetta al di sopra del suo braccio, ma si trovò disarmata, e tutti si voltarono verso Hermione, sopraggiunta allora, che brandiva la sua nuova, scura bacchetta rubata a Villa Malfoy.
-Ma cosa...?
-Scusa tanto, Fleur, ma acqua ed elettricità non vanno insieme... non potevi saperlo, naturalmente- si giustificò lei, correndo avanti e gettando sulle scintille, ancora crepitanti a mezz’aria, una coperta muffita trovata su un sofà sfondato lì accanto. Presto tutto si acquietò. Dalle scale facevano capolino Ron ed Harry, evidentemente richiamati a causa delle grida, come Hermione, dalla stanza rossa, dove durante il giorno trasferivano Unci-Unci per confabulare, e che era proprio là sotto.
-Ehi, ma che è successo?- chiese Ron sbalordito.
-Dean ha, ehm... telefonato a casa.
-Telefonato?- chiese Hermione, esterrefatta.
-Abbiamo usato un telefono, seguendo le istruzioni di un libro di papà.
-Un libro di papà? Ma...- Ron lo guardò sgomento. Fleur sembrava morire dalla voglia che qualcuno le chiedesse cosa pensava lei, dell’intera faccenda.
-Vuoi... perchè non provi a telefonare anche tu, Hermione?- chiese Dean, ricordandosi che anche lei era una Nata Babbana, -Cioè, se riusciremo a...- si interruppe, accorgendosi di aver detto la cosa sbagliata. Il viso di lei si contrasse impercettibilmente, e Ron scattò in avanti per arrivare al suo fianco come se le avesse puntato la bacchetta contro. Anche Harry si avvicinò.
-Al momento... non saprei come rintracciarli...- rispose lei vaga, con una specie di pallido sorriso forzato, -...ma grazie, Dean. Spero che... i tuoi stessero tutti... bene.
-A quanto sembra, sì...- replicò lui, imbarazzato. E poi: -Scusami, Hermione, non volevo...
-Oh, non preoccuparti... non è affatto colpa tua...- si affrettò a zittirlo lei, con voce acuta.
Ci fu qualche istante di silenzio, poi Fleur disse a gran voce:
-Vado a preparar la scena- e si avviò giù per le scale, seguita dal marito, che lanciò, prima di scendere, uno sguardo rassicurante a Dean.
Harry disse, cauto:
-Torniamo giù da Unci-Unci?
Hermione annuì, ed i due amici le si misero al fianco, come dei gendarmi, mentre tornavano alla botola e scendevano. In soffitta rimase solo Luna.
-Non essere triste, i tuoi stanno tutti bene- osservò, soave.
-Mi dispiace per Hermione- rispose lui, un po’ esasperato dal perenne fluttuare di Luna sopra i sentimenti dei comuni mortali.
-Dispiace a tutti noi, la lontananza... possiamo solo sperare che al più presto saremo tutti ricongiunti ai nostri cari.
-Tuo padre... ho sentito che è stato arrestato.
Bill lo aveva detto a Luna, con la maggior delicatezza possibile, qualche giorno prima, in cucina, e lui era presente.
-Lui starà bene... l’importante è che sia vivo, i Dissennatori non possono fare nulla ad una persona che abbia il cuore puro e la speranza sempre viva... lui non si farà abbattere mai.
La voce di Luna era serena come sempre, ma una lacrima le stava rigando, lentissima, la pelle lattea della guancia. Il viso non aveva mutato espressione.
-Non ti senti... inutile, a volte?- chiese Dean, frustrato. Il trio era di nuovo a confabulare nella stanza del folletto,e la giornata si prospettava vuota di avvenimenti e piena di tensione, come sempre. Per quanto ancora? Settimane, mesi? Scappare per sempre, nascondersi per sempre?
-No.
Luna aveva parlato con voce chiara, e gli rivolse un sorriso:
-Dobbiamo aspettare, per essere pronti per quando ci sarà bisogno di noi.
-E quando?
-Non lo so.
-Magari tra secoli. Io vorrei combattere, sai?- disse Dean, bellicoso ed innervosito.
-Penso che verrà il momento. Sai, ho ancora il galeone dell’ES, con me...- glielo mostrò, togliendolo di tasca –Neville mi ha promesso che mi avrebbe fatto sapere se si combatteva, ad Hogwarts, prima che  me ne andassi e fossi rapita. Lo sapremo.
Questo era confortante. Harry, Ron ed Hermione non sembravano intenzionati a coinvolgere nessuno nei loro piani, ma forse c’erano altri modi per rendersi utili. Le sorrise.
-Tu non ti scomponi mai, Luna?
Lei si alzò lentamente, lisciandosi le pieghe della gonna bluette con strana cura, e lo guardò come se non capisse:
-Se vuoi dire se sono mai triste, sì... a  volte sono molto triste.
-Sembri sempre così... serena.
Lei si strinse nelle spalle, e gli tese la mano, per aiutarlo a rialzarsi a sua volta.
-Andiamo alla spiaggia a raccogliere un po’ di legna?
Dean si tirò su e annuì, sospirando.
-Penso che sia meglio...- riprese lei -Restare sereni, come dici tu, fa bene agli altri, ed anche a noi.
La luce penetrava dai bassi abbaini, tutto intorno al vasto solaio, e le illuminava i capelli biondi facendoli splendere pallidamente intorno al viso. Insieme, cominciarono a scendere le scale. Dean non lasciò la mano di Luna.
-Sarà infestata di Nargilli, questa legna?- chiese con un sorriso.
-Oh, è improbabile. L’acqua marina è dannosa, per loro...
 
Nota a margine: no, non è l’accenno di una Luna/Dean. Però anche dal libro traspare che loro due hanno stretto un bel rapporto in questo periodo, e Dean la prende per mano quando vanno a combattere, ad Hogwarts. Magari c’è stato l’inizio di qualcosa, almeno da parte di lui, che poi con gli anni si è evidentemente perso. Mi è sembrato carino giocarci un po’.
 
Le recensioni sono sempre gradite, e mi fa piacerissimo un parere da parte di quelli che seguono, ricordano o preferiscono... o leggono, semplicemente! Grazie a tutti voi!
Alla prossima!

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Capitolo 6
*** Partenze ***


 Eccomi, finalmente! Che fatica, scrivere questo capitolo, destreggiandomi  tra i tempi reali (cioè rowlinghiani;) dell’azione, molto scanditi e problematici, e la volontà di offrire ad ognuno dei personaggi un degno congedo! Congedo, sì, perchè con questo capitolo... la storia è conclusa. E volevo salutare, loro e voi, degnamente.
Se ci sia riuscita o meno, spetta a voi dirlo. Vi lascio alla lettura: ci vediamo in fondo per i saluti.

 
6. Partenze
 
-Siete sicuri, allora? Domani?
I tre annuirono in silenzio intorno al tavolo del pranzo. Unci-Unci, invece, non parlò né si mosse: sembrava che il discorso non lo riguardasse affatto. Fleur continuò a mangiare composta, le labbra strette. Dean cercò lo sguardo di Luna, che però fissava Harry.
-Sì... ehm, noi ne abbiamo parlato e...- rispose Harry, voltandosi verso Ron come per implorarlo di parlare al suo posto, visto che Bill era suo fratello. Ron sospirò:
-Ci sembra che le cose che dovevamo preparare siano... ehm, a posto.
Ci fu qualche altro momento di silenzio, pesante e angoscioso.
-Bene, ehm...- disse Bill, con il tono di voce controllato di sempre, -Quando... quando dobbiamo aspettarci il vostro... ritorno?
Ron guardò gli altri due con gli occhi sbarrati, ma loro gli fecero capire fin troppo eloquentemente con movimenti frenetici di sopracciglia, che avrebbe dovuto essere lui a dirlo.
-Oh, beh, noi... pensiamo di... veramente, non pensiamo di ritornare qui dopo che avremo... beh, insomma, dopo aver fatto quello che... dobbiamo... fare.
-Che cosa significa?- chiese Fleur dopo un attimo. Bill allungò una mano, per posargliela su un braccio e mantenerla calma.
Era tremendamente difficile spiegarsi, Ron l’aveva imparato, ormai. Vivere in un posto sicuro e comodo era stata una parentesi per certi aspetti indispensabile, ma lo scotto da pagare per quella sicurezza era la continua pressione psicologica, a cui dover mantenere la segretezza li sottoponeva, anche in compagnia di persone discrete e comprensive. La sensazione di dar prova di sfiducia e ingratitudine li tormentava, con tremendi sensi di colpa (come se ci fosse stato bisogno di ulteriori motivi di tensione).
-Significa che noi... non sappiamo bene cosa ci potrebbe succedere e come potrebbe evolvere la situazione e... preferiamo prepararci ad un... un altro periodo di... ehm... spostamenti di sicurezza- rispose faticosamente Hermione, venendogli in aiuto.
-Credevo che la tenda vi servisse solo per qualche notte, prima che tornaste da noi- disse Bill, riferendosi alla tenda che il giorno precedente era riuscito a procurare loro: quella del collega del signor Weasley era andata perduta nella cattura.
-No, noi... sentite, non è quello che vorremmo. Ma abbiamo visto che è meglio così- tagliò corto Ron in un tono che sperava suonasse come definitivo.
Il pranzo terminò in silenzio.
 
Quella sera Hermione, già in pigiama e vestaglia, era in camera sua, intenta a ripiegare gli ultimi abiti per poi strizzarli nella borsetta di perline. Sulla casa aveva gravato tutto il giorno una cappa di nervosismo, e Luna e Dean avevano cercato di sfuggirvi godendosi il tepore del primo di maggio in giardino ed esercitandosi con la nuova bacchetta di Luna, speditale da Olivander. Lei avrebbe voluto poterli imitare, ma anche quell’ultimo pomeriggio era scivolato nell’ansia, per la messa a punto dei dettagli finali. Si preparava ad andare a letto (anche Luna sarebbe salita di lì a poco), e cercava di richiamare alla mente il piano, per verificare eventuali dimenticanze, in un modo ossessivo ancora peggiore di quello della sera precedente la loro sortita al Ministero: non riusciva a controllare il tremito nervoso alle mani. Sul piano del cassettone, l’unico altro mobile che la stanza poteva contenere oltre alle due brandine che vi erano state fatte entrare a viva forza, stavano, in fila, i sontuosi e cupi abiti che avrebbe messo il giorno successivo, la bacchetta di noce di Bellatrix ed il suo capello in un vasetto, accanto alla fiala con ciò che restava della loro scorta di Polisucco. La sola vista la faceva rabbrividire. Avevano già deciso che l’indomani mattina sarebbe andata a trasformarsi nella camera di Unci-Unci, che da una settimana, dopo la partenza di Olivander, dormiva solo. Era meglio tenere all’oscuro tutti del maggior numero di dettagli possibile del loro piano, incluso il fatto che avrebbe preso le sembianze di Bellatrix Lestrange. Il pensiero la innervosì di nuovo, e sussultò quando, proprio in quel momento, la porta si aprì.
-Posso?- chiese Ron, titubante, entrando con due tazze fumanti in mano. Gliene porse una, ed al suo sguardo interrogativo rispose:
-Infuso Calmante. Ho chiesto a Fleur di prepararne un po’.
-E’... davvero gentile- mormorò Hermione, ripensando a quanto si era mostrata scontenta a pranzo: e nonostante tutto si era presa ancora cura di loro, esaudendo un’ennesima richiesta, anche se probabilmente era l’ultima volta.
Sorseggiò la tisana calda, mentre Ron le si metteva a sedere accanto sulla brandina cigolante.
-Allora...- sospirò, come incerto su cosa dire. Come a lei stessa, Hermione lo capiva bene, gli era difficile far vagare la mente su qualcosa di diverso dall’indomani cruciale che incombeva su di loro.
-Ho ricontrollato tutto- osservò lei inutilmente, tanto per dire qualcosa. La frase era diventata il suo ritornello, quel giorno: la ripeteva per calmarsi. Ron abbozzò un sorriso ed annuì, il viso sprofondato nel vapore della tazza.
-Sono stata bene, qui... sarei rimasta ancora- mormorò Hermione.
-E’ un posto adatto per tirare le fila di quello che ti succede, vero? L’avevo notato anche...- arrossì un poco –a Natale.
Si era quasi dimenticata che Ron aveva già vissuto un mese lì... senza di loro.
-Non abbiamo mai avuto occasione... voglio dire, non mi hai mai parlato di quel periodo.
Ron si voltò un po’ bruscamente.
-Hermione, tu hai minacciato di affatturarmi tutte le volte che ci ho prov...
-Oh, beh... non conta. Ero offesa, allora.
-E non lo sei più?
Lei sollevò gli occhi a guardarlo, con un’espressione vaga, appena un po’ arrossata sulle guance.
-Lo sarei se... beh, lo sai. Se non ci aspettasse tutto quello che ci aspetta domani.
Si rese conto, mentre lo diceva, che stava parlando, in qualche modo, della possibilità di morire a breve, mai apparsa così reale come quella sera, l’istante prima del salto nel vuoto. O se non nel vuoto, per lo meno in una nebbia fitta, con alte probabilità di errore. Tutto quello che era secondario perdeva rapidamente importanza. Ron annuì lentamente. La mano libera dalla tazza si allungò a sfiorare e poi prendere la sua.
-Sono... beh, sono stato... vi pensavo in continuazione. All’inizio non riuscivo a fare altro che... pensarvi. Ero paralizzato. Poi Fleur mi ha... dato una bella ripassata, diciamo. E allora sono cominciati giorni migliori. Ho ripreso a riflettere. A fare... non sai quante faccende domestiche! Ho sgobbato come un elfo... cioè, insomma...- si corresse precipitosamente vedendo che lei alzava lo sguardo -...hai capito. Ma mi ha fatto bene.
Hermione annuì. Aveva notato una diversa disposizione d’animo di Ron nei confronti di quel tipo di cose, nella vita in tenda dei mesi dopo Natale. Ma aveva pensato che fosse più che altro un modo per compiacerla.
Qualche istante di silenzio calò mentre entrambi finivano le loro tazze, che poi poggiarono con identico movimento sul cassettone, tanto vicino al letto che lo sfioravano con le ginocchia. Ron le passò, senza quasi traccia del suo goffo impaccio abituale, un braccio intorno alla vita, e lei appoggiò la testa sulla sua spalla con un lieve sospiro. Mentre lo faceva, i movimenti le rammentarono i gesti identici compiuti da lei ed Harry la sera della Vigilia, nel desolato cimitero di Godric’s Hollow. Ma Ron... non era Harry, ed il braccio attorno alla sua vita sembrava scottarla attraverso la maglia fine del pigiama: normalmente sarebbe stata troppo tesa ed imbarazzata per tollerarlo senza essere spinta a parlare freneticamente per darsi un tono. Invece rimase in silenzio, immersa nei suoi pensieri... e nella stretta di Ron.
Erano così diversi, Ron e Harry, e così differenti erano i sentimenti che suscitavano in lei... eppure le erano tanto ugualmente cari che, quando la porta si aprì ed entrò proprio Harry, con la sua tazza fumante, le scivolò una lacrima sul viso. Tese la mano che non era intrecciata a quella di Ron verso di lui, ed Harry docilmente si sedette accanto a loro, senza che nessuno dicesse una parola. Tutti e tre restarono vicini, in silenzio, in quello che pareva l’ultimo momento di normale tranquillità loro concesso, a godere senza parlare dell’affetto reciproco. Vide, nello specchio sopra il cassettone, Harry e Ron scambiarsi, sopra la sua testa, uno sguardo dei loro, uno sguardo da maschi, come diceva lei, che chissà cosa significava, con occhi un po’ malinconici.
-Vi voglio bene- mormorò Hermione, e loro annuirono, in una sincronia quasi perfetta e un po’ ridicola.
Non occorsero altre parole, quella sera.
 
Verso le dieci della mattina seguente, mentre tutti, svegliatisi, come previsto, in assenza del trio, cercavano di abituarsi alla nuova routine; e Fleur rifletteva che casa sua non le era mai sembrata così grande, ora che gli occupanti erano rapidamente scesi da nove a quattro, si accese una fiamma verde nel camino del piccolo soggiorno. E gli eventi precipitarono.
Nella stanza in quel momento c’era solo Dean, che sobbalzò quando udì una voce provenire da lì.
-Bill! Bill!
Un uomo di pelle scura, dalla profonda voce rassicurante, era apparso fino al busto nel camino. Dean ricordava vagamente di averlo visto a scuola qualche anno prima, ed era quasi certo che fosse un Auror. Comunque doveva essere uno dei loro se riusciva a comunicare con Villa Conchiglia tramite il camino: non era possibile farlo con un posto protetto dal Fidelius, se il Custode non ne aveva rivelato la posizione.
-Ehm... vado a chiamarlo, è qui fuori- balbettò Dean, e corse via, dicendo a gran voce:
-C’è qualcuno nel camino!
Luna e Fleur si affacciarono all’istante dalla cucina, entrambe con le braccia insaponate, e Bill rientrò in casa, ancora reggendo l’annaffiatoio di zinco.
-Chi è?
-Non mi ricordo con precisione il suo nome...- cominciò Dean incerto.
Tutti si mossero verso il salotto con decisione.
-Kingsley!- esclamò Fleur.
-Kingsley... che succede?- chiese subito Bill.
-Volevo avvisarvi delle novità. Harry, Ron, ed Hermione, secondo una notizia che mi è arrivata adesso, sono appena sfuggiti per un soffio dopo... un’effrazione alla Gringott.
-Che cosa?- esclamò Bill, lasciando cadere l’annaffiatoio, che tintinnò sonoro sul parquet.
-Era questo che stavan progetondo di fare con quel foletto!- tuonò Fleur, gli occhi spalancati. Kingsley sembrò colpito.
-Voi... ne sapevate qualcosa?
-Erano qui. Da un mese, fino a stamani all’alba- spiegò rapidamente Bill –Kingsley, e adesso?
-Non so... al momento non ho idea di cosa potrebbe succedere. Stanno già mettendo tutto a tacere, ma Sturgis, che si trovava a Diagon Alley fino a mezz’ora fa, mi ha mandato un gufo per dirmi che sono fuggiti con un drago.
-Wow!- mormorò Dean alle spalle di Bill. Lui, però, non lo trovò altrettanto divertente.
-Spero tu stia scherzando- disse serio a Kingsley, che scosse gravemente la testa.
-Cosa dobiamo fare?- intervenne Fleur.
-Finché non capisco come potrebbe evolvere la situazione, non possiamo fare nulla. Ma sto allertando tutto l’Ordine, tenetevi pronti.
I due annuirono gravemente. Luna e Dean, alle loro spalle, si scambiarono uno sguardo silenzioso ed attonito, e Kingsley sparì.
La giornata passò intollerabilmente lenta. Nessuno di loro riusciva a staccarsi dai pressi del camino: ogni schiocco del fuoco, alimentato ossessivamente da Bill, li faceva sobbalzare e fissare le fiamme, sperando che ne emergesse la testa di qualcuno pronto a dare notizie. Fleur sferruzzava seduta di sghimbescio sul divano, le lunghe gambe affusolate  appoggiate al bracciolo e la schiena contro il fianco del marito. Lui leggeva il giornale distrattamente.  Mangiarono alle due passate, una strana zuppa che Luna si era offerta soavemente di preparare quando era diventato chiaro che i due padroni di casa non riuscivano a scollarsi dal caminetto. La cosa veramente insolita era stata che Fleur aveva acconsentito a che trafficassero nella sua preziosa cucina senza alcuna supervisione, annuendo distrattamente mentre riprendeva l’ennesima maglia caduta dal traforo. Dean aveva dato una mano a Luna, perchè l’attesa lo stava snervando.
Il pomeriggio si trascinò, sfilacciandosi in un glorioso tramonto dorato che non fu degnato di alcuna attenzione, se si eccettuava Luna, all’apparenza quasi ipnotizzata dalle striature delle nuvole che si potevano ammirare attraverso la finestra, e poi in una notte limpida e tersa.
Stavano sgranocchiando biscotti e bevendo il tè che Bill aveva appellato dalla cucina (Luna non si era riproposta per cucinare, e gli altri, dopo aver assaggiato la zuppa, non avevano insistito), quando Luna, che era nuovamente in piedi accanto alla finestra, intenta a fissare il cielo ormai scuro ed a disegnare strani circoli nell’aria con la sua bacchetta nuova (cedro e crine di unicorno, undici pollici e un quarto, molto flessibile), sussultò all’improvviso. Gli altri alzarono tutti la testa, trattenendo il respiro per i nervi a fior di pelle.
-Che succede, Luna?- chiese Dean, scrutandola accigliato.
Lei aveva portato la mano alla tasca dello scamiciatino di lana grigia, l’unico vestito di sua proprietà che le era rimasto da Villa Malfoy, e che Fleur aveva praticamente sottoposto a disinfezione chimica prima di permetterle di riutilizzare. Ne estrasse un galeone, e Dean, comprendendo immediatamente quello che stava accadendo, balzò in piedi.
-E’ caldo- osservò lei, mentre lui la raggiungeva con due lunghi passi.
-Cosa c’è scritto? E’ Neville?- chiese il ragazzo, concitato.
-Sì...“Sono tornati. Si combatte”- lesse lei, guardandolo poi con occhi spalancati.
-Che sta succedendo?- intervenne Bill.
Dean si girò freneticamente e sbottò:
-E’ Neville, Neville Paciock. Aveva promesso a Luna di farle sapere se Harry, Ron ed Hermione fossero tornati ad Hogwarts e...
-Mais... in che modo? Cos’è quell’afare?- chiese Fleur.
-Un galeone falso. Li usavamo due anni fa per l’ES... Hermione ci ha fatto su un incanto Proteus, sono ancora utili per comunicare... peccato aver perso il mio!- proruppe Dean con rammarico.
-Dobbiamo andare ad Hogwarts- dichiarò Luna tranquillamente.
-Cosa? No, aspettate...- Bill si alzò in piedi –Che storia è questa?
-Neville ci ha avvertiti, Harry Ron ed Hermione sono arrivati a scuola- ripeté lei, pazientemente.
-Ma... è impossibile! Come avrebbero fatto? La scuola è piantonata!
Dean guardò Luna perplesso, e gli sovvenne anche un’altra cosa.
-Io non ho la bacchetta- disse con voce piatta.
-Qui c’è scritto “Passate dalla Testa di Porco”- osservò Luna, un po’ accigliata, leggendo la seconda scritta che era apparsa lungo l’orlo del galeone.
-Caro... deve averli mandoti su Aberfòrth... sai, il pasagio che sci disceva...- intervenne improvvisamente Fleur, come comprendendo qualcosa.
-Quale passaggio?- domandò Dean.
-Pare che il vostro amico, il giovane Paciock, nelle ultime settimane si sia dovuto nascondere, perchè ad Hogwarts dava troppo fastidio... nella Stanza delle Necessità, la stessa che usavate per l’ES- spiegò Bill stancamente, attingendo a tutte le informazioni che, essendo parte dell’Ordine, accumulava ogni giorno dagli altri membri. –La Stanza è entrata in comunicazione con la Testa di Porco. Non so se lo sapevate, ma il gestore è il fratello di Silente.
-Cosa?- esclamò Dean stranito. Luna invece si limitò ad annuire:
-Oh, sì, io lo conosco bene... quando ero a scuola andavo sempre a trovarlo. Adoro le sue capre, le nutre con...
-Beh, insomma, l’Ordine ha tenuto segreta la cosa, ma sembra che abbiamo un modo per arrivare ad Hogwarts in caso di necessità. Naturalmente non avrei mai pensato che quei tre fossero così pazzi da voler tornare a scuola, altrimenti gli avrei detto del passaggio... non so come abbiano fatto a scoprire da soli dove dovevano andare- meditò accigliato Bill.
Il fuoco nel camino divampò in quell’istante, e tutti, trasalendo, si voltarono: vi era comparso un mago stempiato, con l’aria di essere in affanno.
-...Bill?
-Papà!
-Bill, c’è qui Ginny che strepita perchè...- il viso del signor Weasley fu spinto da parte da quello di una Ginny fuori di sé.
-Bill, dov’è Luna? Luna!
-Sono qui- Luna si fece più vicina al camino.
-Hai visto il galeone?
-Sì. Ci stiamo preparando ad andare- rispose Luna, nonostante il grugnito di Bill.
-VISTO?- Ginny si voltò, gridando verso i genitori, evidentemente alle sue spalle -Loro stanno andando, dobbiamo andare anche noi...
-Cos’è questa storia, Bill?- tuonò la signora Weasley, poi tutto fu per qualche momento confuso nella ridda di voci che si levavano l’una sull’altra: dall’altra parte, erano sopraggiunti anche Fred e George, che davano manforte a Ginny nella discussione, e zia Muriel, che con strida d’aquila si lamentava per la confusione.
Dean scosse la testa, al culmine del nervosismo. Mentre Bill parlava con la sua famiglia, si avvicinò e prese Luna per mano, bisbigliandole:
-Sei capace di Smaterializzarti?
-Oh... no, purtroppo. Mi hanno portata via da Hogwarts prima che iniziassero i corsi per...
-Beh, io so farlo. Dobbiamo muoverci, prendi la bacchetta e...
Alzò lo sguardo sui padroni di casa, come sperando che non si sarebbero accorti se loro due sgattaiolavano via. Fleur, però, era vicinissima.
-Sì, andate- disse inaspettatamente, a voce abbastanza forte da essere udita da Bill, che abbandonò i suoi tentativi di mediazione della lite dall’altra parte del camino e si voltò bruscamente.
-Cosa?
-Andate- ribadì seria Fleur, voltandosi poi verso il marito: -Noi dobbiamo avvertire l’Ordine, immediatamente, poi dovremo aspettare direttive e ci vorrà del tempo... lo sai anche tu.
Bill la fissò, a bocca spalancata. Era la stessa Fleur che la sera prima aveva espresso disapprovazione per il fatto che Harry, Ron ed Hermione ripartivano? Certo, era diverso...
-Ma...- riuscì a dire, prima che lei riprendesse, perentoria.
-E’ anche più rasgionevole che arriviomo scalionati. Loro possono andar jà da ora- e poi, guardando negli occhi il marito: -Sono entrombi magiorenni.
Avevano festeggiato il compleanno di Luna proprio in quella stanza, un paio di settimane prima.
-Tesoro...
-Bill...
-Oh, insomma...- Bill si girò verso i due ragazzi, che nell’ansia della fretta erano stranamente simili, con in viso dipinta la stessa espressione di attesa, e parevano l’uno il negativo dell’altra: -Non ho nessun diritto di dirvi cosa fare. Ma vi avverto... non è un gioco. E ora, se volete... beh, andate.
-MAMMA!- ululò furente Ginny, che aveva assistito alla scena, e dall’altra parte del fuoco la discussione tra i Weasley riprese.
-Bene!- esclamò Dean. Rimase un momento immobile, poi fece un passo avanti e strinse la mano a Bill.
-Grazie per tutto quello che avete fatto per noi. Anche... la telefonata, davvero, era più di quanto speravo.
-Figurati- rispose Bill imbarazzato.
Fleur abbracciava Luna, che disse:
-Sono stata come a casa, qui.
Per un attimo si fissarono, come rendendosi conto di quante cose avevano condiviso in un mese di stretto contatto, a fiancheggiare Harry, Ron ed Hermione. Fu Fleur a concludere quell’ultimo momento, sollecitandoli:
-Su andate. Non importa fare tuti quosti saluti, sci rivedremo tra una mezz’oretta, se va tuto bene.
-Ricordatevi: Materializzatevi alla Testa di Porco!- si raccomandò Bill. I due ragazzi annuirono.
Poi Dean prese Luna per mano. Lei gli porse la sua bacchetta, ed insieme uscirono di corsa dalla stanza, facendo sbattere la porta d’ingresso. Bill e Fleur sentirono i loro passi nel giardino buio, sentirono il cancelletto scricchiolare mentre veniva aperto. Poi il silenzio, e seppero che erano partiti.
Il caminetto taceva: dall’altra parte, nel frattempo, si era interrotta la comunicazione. Bill afferrò una manciata di Polvere da un vaso di ceramica celeste sulla mensola del caminetto e la gettò tra le fiamme, chiamando forte “Papà”, con la testa dentro la cappa.
-Bill!- rispose suo padre. Aveva gli occhiali storti, e sembrava un po’ fuori di sé: -Fred, George e Ginny sono usciti con la forza... credo che...- in lontananza si udì l’urlo furente della signora Weasley –Sì, credo che siano appena riusciti a Smaterializzarsi da Aberforth... devo andare a calmare tua madre, non posso...
-Papà, io avverto Kingsley. Credo che tutto l’Ordine debba intervenire.
-Indubbiamente... io...- Bill notò quanto suo padre fosse profondamente sconvolto, sotto l’apparenza di distacco che cercava di mantenere. Probabilmente, pensò in un attimo, si rendeva conto molto meglio di lui di cosa significasse una battaglia su vasta scala come quella che sembrava prospettarsi ed alla quale, sembrava, quasi tutti i suoi figli avrebbero preso parte. –Ora, se puoi pensarci tu, figliolo... io devo... Molly, cara...
Le grida di sua madre erano diventate un pianto rabbioso. Era chiaro che non tollerava l’idea che praticamente tutta la sua famiglia si esponesse a quel modo.
-Ci vediamo dopo, papà- terminò Bill, con voce incolore, e chiuse la comunicazione.
Fleur gli aveva posto le mani sulle spalle e stringeva forte. Provò l’impulso quasi irresistibile di trarla a sé, nel sordo dolore che provava per l’angoscia dei suoi genitori, ma restava un’altra cosa da fare. Si chinò ancora sulle fiamme, alimentandone i riflessi verdastri con altra Polvere, e chiamò: “Kingsley!”.
Dopo nemmeno un istante, comparve la scura faccia autoritaria dell’Auror.
-Bill?
-Kingsley, a quanto sembra sono arrivati ad Hogwarts.
Lui non si scompose, pareva aspettarselo.
-La fonte qual è?- chiese solo, serio.
-Neville Paciock ha mandato un messaggio a Luna, usando dei vecchi galeoni stregati con un Proteus. I ragazzi, là, pensano di combattere, a quanto sembra dal messaggio di Paciock. Ma non so cos’abbiano in mente. Dobbiamo intervenire.
-Certamente- disse subito lui –Chi altri lo sa?
-Solo i miei, per ora.
-Io avverto gli altri, tutti quelli che riesco. Ci troviamo da Aberforth, d’accordo?
-D’accordo.
Kingsley chiuse la comunicazione e Bill si rialzò lentamente, sentendosi come svuotato. Fleur lo fronteggiava. Era pallida.
-Alora... andiamo?
-Sì.
Lei gli mise una mano sulla spalla.
-Forse è... il caso di andar a prondere i tuoi, tesoro?
Bill la guardò pieno di riconoscenza per il suo intuito.
-Sì, io credo... mia madre sembrava un po’ fuori di sé... vorrei... non so se papà penserà ad avvertire Charlie e sarà bene che anche lui lo sappia...
Fleur annuì.
-Possiamo contattar Sciarlie dalla casa di tua zia.
Si guardarono ancora. Non c’era altro da fare che partire.
La casa era vuota, intorno a loro: come non era stata per oltre un mese. Eppure, il silenzio non portava alcun sollievo, anzi, era reso inquietante dall’incertezza sul futuro dei loro amici.
“E’ stato così anche dopo Ron” pensò fugacemente Bill.
Ma stavolta era diverso. Il presentimento che si prospettasse qualcosa di cruciale, di definitivo, in bene o in male, era stranamente potente: e sembravano averlo avvertito anche i suoi. E lo avvertiva, Bill lo capiva bene, anche Fleur: nulla sarebbe stato come prima.
Lei si era lentamente voltata, ed aveva raccolto dal divano il suo lavoro a maglia per il piccolo Teddy.
-L’ho finito...- mormorò, sfilando delicatamente uno dei ferri e mostrandogli il maglioncino da neonato, eseguito in un perfetto, delicato traforo: -Una settimona di ritardo, ma ponso che... sia venuto bene- disse, vaga. Il labbro le tremò, e le scese una lacrima sulla guancia.
-E’ bellissimo- fece Bill, poi si allungò di scatto verso di lei, la strinse a sé e si chinò a baciarla, a lungo ed intensamente. Neanche lui avrebbe saputo spiegare dove avesse trovato le parole che le sussurrò:
-Andrà tutto bene. Quando nasceranno i nostri, di figli...sarà tutto diverso. Forse grazie a... stanotte.
Lei annuì, contro il suo collo.
-Ho... paura per te- disse poi schiettamente, la mano levata a sfiorare delicatamente le cicatrici sul suo viso –Ed anche per... tuti loro. Ron, Arrì... Hermione, Luna, Deàn... e poi...- la voce le morì.
-Lo so... lo so- convenne Bill. Sapeva che pensava ai suoi, a Narbonne, e che si rammaricava di non poterli salutare, per evitare di spaventarli.
Lasciarono che il silenzio ricoprisse ogni altra cosa per qualche attimo ancora, poi Fleur si staccò da lui con decisione.
Lanciò uno sguardo d’attorno, come rammaricata di dover lasciare la sua casa così in disordine, posò delicatamente il golfino candido sul divano e spedì con un gesto della bacchetta le quattro tazze sporche nell’acquaio della cucina attraverso la porta aperta. Lo guardò.
-Prima tappa da zia Murièl, alora?
Bill le sorrise, e l’attirò a sé.
Sottobraccio, attraversarono lentamente il salotto, congedandosi dalle loro cose, passarono nel piccolo vestibolo ed uscirono, chiudendo delicatamente la porta di casa dietro di loro. La mano di Fleur indugiò con affetto sul pomello d’ottone, poi attraversarono il giardino, bello delle loro cure amorevoli nella notte di maggio, sui passi che poco prima erano stati di Luna e Dean, ed uscirono dal cancello, accostandolo con cura.
Un momento dopo, erano scomparsi.
 
Villa Conchiglia rimase deserta, svuotata in un solo giorno di tutti i suoi otto inquilini, invisibile per il doppio effetto dell’oscurità e dell’Incanto Fidelius, abbandonata nel silenzio della notte ormai tarda, che rimandava soltanto l’incessante ritornello del mare. La quiete sembrava riflettere l’eco dei passi, delle parole e delle scelte di chi vi aveva vissuto, quegli ultimi giorni, senza sospettare quanto fosse vicina l’alba di un mondo nuovo.
Senza sapere che, di lì a qualche ora, le prime luci dell’aurora, riflesse nelle finestre dalle cornici azzurrine, sarebbero state scintille trionfanti e dolorose come il fuoco, che avrebbero salutato, inaspettata, la libertà.
 
Ebbene... ecco qua.
Siamo di nuovo al momento dei saluti, e dei ringraziamenti.
Quindi... grazie. Grazie a voi, miei cari e preziosi recensori. Siete stati incoraggianti, lusinghieri, acuti, generosi ad usare un po’ del vostro tempo per me.
Grazie a voi che l’avete preferita, seguita, ricordata: spero di essere riuscita a non deludervi. Grazie ai semplici lettori che hanno fantasticato un po’ in mia compagnia.
Spero che tutti mi farete sapere qualcosa, mi lascerete un giudizio, un’annotazione, un complimento o una critica!
Prima di lasciarvi, vi annuncio che... è già stata pubblicata la prima parte della terza storia di questa serie, insomma, del seguito: qualcuno di voi probabilmente se ne era già accorto. Si chiama L’Horcrux di Hermione, e la trovate qui.
E con l’augurio di tanti altri incontri e tante storie... a presto, ragazzi!
Un grande bacio, la vostra
Orual

 

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