And breathe, just breathe di Fauxlivia (/viewuser.php?uid=128294)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Whatever Gets You Through Today ***
Capitolo 2: *** And Then You ***
Capitolo 3: *** Turn and turn again ***
Capitolo 4: *** I will try to fix you ***
Capitolo 5: *** Nobody says it was easy ***
Capitolo 1 *** Whatever Gets You Through Today ***
'But
I'll find a way,
I'll find another way
Of saying....
All the time we have for life,
Thinking 'bout the lives we had
Together....
Whatever gets you through today'
Le cinque. Fra
un’ora e
mezza dovrò essere in ospedale e non ho ancora chiuso
occhio. Vorrei poter dire
che è colpa di Lucy, che non mi lascia dormire
perché non può fare a meno di
saltarmi addosso, ma sto parlando tra me e me quindi posso essere
sincero.
Riposa – russa
–
tranquilla al mio fianco. Come darle torto?
Probabilmente capita solo
a me, di sognare, svegliarmi nel cuore della notte e poi non riuscire
più a
riaddormentarmi causa macigno irremovibile sullo stomaco. Non ho
nemmeno la
scusa dell’incubo terribile – ne avrei, da fare
– perché il sogno che ho fatto
era quasi piacevole.
Stavo con una bionda.
Cosa potrebbe esserci di
meglio? Lucy è bionda. Poteva anche essere lei. Nei sogni
non sei mai sicuro,
tutti i contorni sono sfocati.
Ma, dato che non riesco
più a chiudere gli occhi, che guardo fisso il soffitto della
mia roulotte –
dannato Dr. Strana more, poteva anche ripararlo questo catorcio, prima
di
lasciarmelo – non posso fare altro che ammettere
l’evidenza.
Era Izzie. Io che mi
faccio allegramente la donna della mia vita. Che mi ha distrutto, e
ricomposto
e poi distrutto di nuovo.
Mi sto alzando – devo
alzarmi -, sposto le coperte quel tanto che basta per sgattaiolare
fuori dal
letto, senza svegliare la donna che ancora dorme dall’altra
parte del letto. Ma
come faccio a cominciare una nuova relazione se sto già
pensando ad un’altra? O
meglio, se non ho mai smesso di pensare ad un’altra?
Alex, Alex, Alex,
ripigliati. Me lo dico allo specchio, nemmeno fossi DeNiro in Taxi
Driver, per
poco non mi tiro anche uno schiaffone, giusto per togliermi gli ultimi
boccoli
biondi dalla mente, ancora mi ondeggiano davanti, ne sento quasi il
profumo.
E uno schiaffo me lo do.
Tieni, dottor Karev, assaggia i primi sintomi di demenza senile
precoce.
Esco dal minuscolo bagno
in pvc con la faccia rossa e la barba sfatta e i miei occhi incrociano
quelli
di Lucy. E’ sveglia e dall’aspetto sembra non
essersi mai addormentata. Fresca
come una rosa, anche senza trucco, riccioli sciolti sulle spalle.
« Se mi dicevi che la tua
tecnica di risveglio erano quattro schiaffi ben assestati, ti avrei
aiutato
volentieri » Sorride, un po’ sorniona,
e vorrei davvero risponderle a tono.
Apro la bocca per farlo, mi sto quasi lanciando sul letto per farle
provare un
po’ di Alexander Mattutino, quando suona la sveglia, precisa
e crudele.
« In pausa pranzo ti
faccio vedere io, saputella » Lei scoppia a
ridere, prima di chiudersi alle
spalle la porta del bagno, lasciandomi solo davanti al lavello di
acciaio.
Ottima interpretazione Karev, ottima. Perdo il sorriso, guardo la tazza
di
latte che mi sono riempito nel frattempo, quasi vomito, la
butto nel lavello.
Per quel giorno non le
avrei comunque fatto vedere niente.
« Yang, Grey voi due siete
di turno in ambulatorio oggi. Sapete com’è la
primavera, temperature gradevoli,
amore nell’aria e un sacco di pazzi in bicicletta che
decidono di sfidare la
dura vita della città. Preparatevi a ricucire ferite,
qualche trauma cranico,
distorsioni. Adoro la primavera »
Io e Cristina alziamo gli
occhi
nello stesso momento, verso il soffitto. La Bailey sembra amare tutti i
momenti
dell’anno, dal Natale al ringraziamento,
dall’inverno alla primavera. Forse
perché le persone di norma sono stupide tutto
l’anno e fanno cose altrettanto
stupide 365 giorni su 365 giorni. Mi affianco a lei, mentre le due
Gemelline
della chirurgia si allontanano insieme, scattando di malavoglia verso
il
poliambulatorio.
La guardo dall’alto
in basso, con la migliore aria da cucciolo
che riesco a sfoderare dal mio repertorio.
« Io sono libero oggi, se
ha bisogno di me dottoressa Bailey. Stark si è prenotato la
sua fidanzat.. ehm
volevo dire, la dottoressa Kepner »
Mi
volto, continuando a camminare, lanciando un’occhiata
divertita al viso
rosso-pomodoro di April - a volte credo mi viene da pensare che finga.
Nessuna donna al mondo può essere così pudica -,
che vorrebbe dire qualcosa, ma richiude la bocca
subito dopo, quando anche Jackson scoppia a ridere. E al suono della
sua
risata, la Bailey si ferma di colpo, in mezzo al corridoio.
Guarda me, ma si
zittiscono tutti, nemmeno fossero entrati in chiesa.
« No Karev. Oggi ti tocca
il dottor Sloan. Ho deciso di non lasciarlo da solo con il dottor Avery
soltanto per avere un morto in meno sulla coscienza
»
Quella che si sta
divertendo adesso è lei. Lancio un’occhiata
significativa anche al Dottorino,
che per spupazzarsi Lexie oggi mi costringerà a lavoro
doppio. Con Sloan è
sempre così, figurarsi adesso che è perso dietro
alla minuscola bambina che
Callie ha dato alla luce. Un’altra storia, quella, che ha
dell’incredibile.
La Bailey se ne va,
seguita dagli altri due che poi si dividono, sparendo in corridoi
opposti. E
adesso mi tocca andare a cercare il mio carnefice, sperando che abbia
qualcosa
di più interessante dell’ingrandimento di un paio
di tette.
Prendo la cartella giusta,
mi appoggio al bancone delle infermiere con il fianco.
La apro, per leggere il
nome della paziente di Sloan e la camera in cui l’hanno
sistemata. Faccio
giusto in tempo a capire che ha 22 anni, più giovane di me,
ormai, quando quei
boccoli biondi tornano nel mio campo visivo.
Ed è strano,
perché non
sto dormendo, non adesso, non con tre caffè in meno di due
ore.
Sollevo lo sguardo
sbattendo le palpebre per far andare via quel colore e mi rendo conto
che in
parte è provocato dai capelli di Lucy. Mi si è
avvicinata e nemmeno me ne ero
accorto. «
Ehi. Sei scappato questa
mattina, ho finito di lavarmi i denti ed eri già sparito.
Tra l'altro, credo di aver finito tutta l'acqua.. che ne dici se
stasera ci fermiamo da me? »
Ma la sto ascoltando? Per
un istante mi volto verso di lei, anche se le mie orecchie hanno
sentito solo
fino alla parola 'lavarmi', poi ho perso tutto. La guardo , non tanto
per la
velata allusione che sta facendo sul fermarsi a casa sua dopo il turno,
perchè
Lucy è accanto a me, mi parla, ma io continuo a vedere
biondo altrove.
Sto per farmela addosso.
Il calore che sento alla vescica non preannuncia niente di buono. « Sì. Certo. Devo
andare adesso, scusami ».
Non la bacio. Scusami Lucy,
devo scappare. E scappo,
corro, metto il turbo nascondendomi dietro il primo angolo
come un bambino.
Sono sveglio, perfettamente
sveglio. E se quella oltre l'ingresso, nel parcheggio delle ambulanze,
che parla con la dottoressa Robbins, non è Isobel Katherine
Stevens - non più 'in' Karev - allora mi aspetta
psichiatria.
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Capitolo 2 *** And Then You ***
'How
my love it spins me 'round
And how my love it's let me down
And how my thoughts they spin me 'round
And how my thoughts they let me down
And then there's you
Then there's you'
Non ho il cancro. Non ho
metastasi al cervello. Non vedo la mia fidanzata morta –
perché non è morta –
non vedo spiagge bianche e il mare.
Allora perché lei,
un’altra volta? Ti avevo chiesto di non tornare, cazzo.
Respiro, prendo fiato,
aprendo gli occhi e ritrovandomi a fissare scaffali ricolmi di
materiale
medico, cateteri – ahia –, lenzuola pulite, bustine
di plastica contenenti ogni
genere di roba. Nascosto nello sgabuzzino quasi avessi visto un
fantasma.
Ma, ripeto, Izzie non
è
morta, io non sono un bambino e devo affrontare la realtà.
Sei un uomo, Karev.
Afferro la maniglia della
porta, tirandomela quasi sul naso nel tentativo di uscire dal mio
nascondiglio
con un pizzico di orgoglio. Eppure non riesco a fare a meno di
guardarmi
intorno, con un’aria furtiva che mi fa sentire allo stesso
tempo incazzato con
me stesso e assolutamente patetico.
Vado quasi a sbattere
contro Meredith, Bum.
« Alex.
Cavolo! »
strabuzza gli occhi, si massaggia la spalla finge di tirarmi la
cartelletta
rimastale nella mano destra direttamente sulla testa « Che
c’è, stare con
Sloan ti rimbambisce? Non ti avrà mica spedito a comprare
pannolini e biberon,
vero?»
Non capisco una parola di
quello che dice. La guardo, a muso duro, e improvvisamente sono
incazzato nero
anche con lei.
« Tu lo
sapevi? » e
non me l’hai detto.
Sono così sicuro
che era a
conoscenza del ritorno di Izzie che quasi alzo le mani per afferrarla
alle
spalle, per costringerla a dirmi la verità. Mi trattengo
solo all’ultimo,
perché Meredith mi guarda senza parlare, con la bocca
aperta. E capisco subito
che non ha la più pallida idea di quello che le sto dicendo.
Così riabbasso le
mani e vorrei solo andarmene.
Lasciarla lì.
Cercare
Sloan e obbligarlo a darmi un bisturi in mano per tagliare, tagliare,
tagliare.
Sembro Cristina.
E mentre penso a quanto
sembro Cristina Yung, Meredith ha già guardato alle mie
spalle. E ha capito.
Incrocio il suo sguardo che improvvisamente è comprensivo,
preoccupato.
« Mi
dispiace Alex,
davvero, non me l’aveva detto »
Ma come ha capito che? Ah
ecco. E’ dietro di me.
La classica figuraccia che
fai in classe, quando parli male della professoressa e lei ti sbuca
alle
spalle. I tuoi amici si zittiscono e tu continui a parlare, come se
nulla
fosse. Una scena da film.
Mi volto, ma solo
perché è
un istinto irrefrenabile. Se usassi un po’ di logica, tirerei
dritto per il
corridoio e girerei l’angolo, sparendo all’istante.
Ma era così
maledettamente
bella l’ultima volta che l’ho vista?
Ha lasciato crescere i
capelli, le scendono oltre le spalle, come quel primo giorno.
Biondi.
Mi guarda con quegli
occhi. Occhi che non vedevo più da un anno ormai.
E la cosa peggiore,
è che
sorride.
Mi guarda e sorride.
Improvvisamente mi sembra di tornare indietro, catapultato ad un giorno
qualsiasi in cui io e lei eravamo felici. Amici, soltanto, ma felici.
______________________________________________________________________________________________________
“ Grazie ancora
Alex, non
posso credere che tu mi abbia permesso di aiutarti! Alex è
forte lo sai vero?
Sì! Alex è il più forte!”
“Alex lo sa questo..
anche
Izzie non è male..”
“Ah Izzie va alla
grande!
Izzie ormai è tornata in gioco”
_______________________________________________________________________________________________________
E poi scaccio
l’immagine
dalla mente. Perché immaginarmi mentre la bacio mi fa
provare un dolore sordo
al lato sinistro del petto – mi verrà un infarto?
– e allo stesso tempo un
colpevole calore al basso ventre.
Comunque, sembra di essere
tornati là, a quando la baciavo e la guardavo con tutta la
disperazione
possibile e immaginabile. Ho il terrore di guardarla allo stesso modo,
adesso.
« Ciao
ragazzi.. » è
tutto normale. Solare, bella, senza traccia di imbarazzo nella voce.
Meredith
mi passa accanto, mi sfiora solo leggermente il braccio con la punta
delle dita
– ‘So che è
difficile’, è come se me
lo dicesse – poi va ad abbracciare quella che ancora
considera sua amica.
La mia amica. La mia
ragazza, mia moglie, la donna che amo tanto da arrivare ad odiarla.
Non rispondo al suo
saluto, anche se il tentativo di tirarmi dentro non era poi
così male. Indosso
la mia migliore maschera da stronzo – o da uomo delle
caverne, come mi ha detto
Lucy – sollevando il mento. Riesco persino a sfoderare un
sorriso che non ha
niente di invitante.
« Ti avevo
detto di non
tornare.. » perfetto, mi sono dimenticato di
curare anche la voce, oltre
che la facciata esterna.
Sbaglio in modo
grossolano, tanto che la mia frase sembra quasi una supplica.
« Bè
io vi lascio
soli.. devo.. devo tornare dal mio.. il mio paziente »
Brava Meredith,
lasciami solo a crogiolarmi. Non potevo semplicemente stare zitto e
andare a
fare il mio dovere?
Devo richiamare tutte le
mie forze per non indietreggiare quando Izzie fa qualche passo verso di
me,
avvicinandosi abbastanza per potermi parlare a bassa voce. Ha sempre lo
stesso
profumo.
Certe cose non cambiano
mai.
« Mi
ricordo, che me
l’avevi detto, ma io… Alex..
c’è una cosa.. » e distoglie
lo sguardo.
A-ah! Allora non sono
l’unico che finge in questo ospedale.
Sono lì
lì per allungare
una mano e accarezzarle i capelli, perché per un istante mi
dimentico il male
che mi ha fatto quando mi ha abbandonato e anche il dolore che le ho
causato io
quando ho rifiutato il suo ritorno.
Solo l’arrivo di
Lucy mi
impedisce di spezzare quel poco di orgoglio che mi rimane. E riabbasso
la mano
repentinamente, ritrovando la maschera.
« Sai cosa
ti dico? »
alzo il mento e in questo momento sono di nuovo io, Alex – un ragazzino che parla troppo, merda -
« Non me ne frega niente
del perché sei tornata. La vita continua, Izzie. »
Lo dico, anche se non lo
penso, e afferro il braccio di Lucy che mi si è fermata
accanto, prima che una
delle due possa dire qualcosa.
Non voglio dover guardare
negli occhi la donna della mia vita – sono ancora qui che me
lo ripeto – mentre
le spezzo il cuore per la seconda volta di seguito e non voglio dover
rispondere alla fatidica domanda della mia nuova ragazza.
Perché Lucy non sa
chi sia, Izzie. Sa solo che ero sposato con una specializzanda
dell’ospedale,
punto.
Eppure, mentre mi volto,
con una punta di fastidio, riesco a vedere l’espressione
della mia ex-moglie,
ex-amica, ex-amante, che non è cambiata di una virgola. Ma
come, non ha sentito
quello che le ho detto? Non mi ha visto, prendere Lucy per un braccio e
circondarle le spalle con il mio?
« La vita
continua,
Karev »
Mi dice solo questo,
mentre già le do le spalle, mentre trascino via la donna che
dovrebbe
sostituirla – impossibile? – rabbrividendo quel
tanto che basta per far intuire
la mia agitazione anche a chi mi sta intorno.
La
vita continua, Karev.
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Capitolo 3 *** Turn and turn again ***
' So "turn and turn again" We are calling in all the ships Every traveller please come home And tell us all that you have seen Break every lock to every door Return every gun to every draw So we can turn, and turn again '
« Fermati,
Karev, vieni
qui »
Stavo già andando
nella
direzione opposta con passo pesante, quella camminata per la quale mi
si
riconosce a chilometri di distanza. Perché ho appena fatto
una cazzata. Perché
non so stare zitto, non riesco a tenermi tutto dentro. L’ho
detto, una volta, a
George: io non funziono bene sotto pressione. Mi fermo, porto le mani
ai
fianchi stringendo i pugni, mi volto. Con rabbia. Il camice aperto mi
svolazza
alle spalle come un mantello. Sloan mi si avvicina di qualche passo,
sembra
volermi sovrastare. Ci riesce.
« Quante
volte dobbiamo
ricordare a voi specializzandi che con i pazienti bisogna usare un
po’ di
tatto, dottor Karev? Quella donna è spaventata, anche se
sarà un intervento di
routine e tu non hai il diritto di giudicarla. Si può sapere
che ti è preso? »
Mi prende che sto
scoppiando. Abbasso lo sguardo, poi lo rialzo, non so nemmeno se
guardarlo
negli occhi. Questa si chiama vigliaccheria.
Sono un esperto in
vigliaccheria, da sempre. Strofino gli occhi con una mano, mentre i
segni delle
unghie che mi sono lasciato sul palmo stringendo i pugni pian piano
spariscono.
E sputo il rospo, dico tutto. Non vale la pena tenermelo dentro e
rischiare di
fare altre cazzate.
« La
dottoressa… la
dottoressa Stevens è in ospedale. E’ in ospedale e
non so perché. E’ in
ospedale e ogni due secondi mi guardo dietro le spalle per timore di
ritrovarmela davanti all’improvviso »
Mi aspetto una ramanzina.
Sono pronto. Anzi, la vorrei, perché è quello che
mi merito, qualcuno che mi
dia dell’idiota per la paura immotivata che provo.
Invece
Sloan sembra quasi
in imbarazzo. Imbarazzo per se stesso, non per me.
« E’
troppo, pensare di
averla intorno, vero? » annuisce, senza guardarmi
e in quel momento capisco
che sta pensando a Lexie.
La sua è
un’altra
situazione sgradevole che mi è già toccato
sopportare. Amare una donna e
doverla vedere ogni tanto giorno mano nella mano con un altro. Non
rispondo
alla sua domanda, non ce n’è bisogno. Ma rialzo le
spalle, mio malgrado
risollevato. C’è qualcuno che soffre, esattamente
come soffro io. Nessuno si
salva dall’inferno dell’amore, signori.
« Senta mi
dispiace per
la paziente. Andrò a scusarmi prima
dell’intervento » E’ il mio
lavoro. E’
il mio dovere, cazzo. Non posso impazzire soltanto per averla vista una
volta.
Giro i tacchi prima che Sloan possa aggiungere qualcosa, infilando le
mani
nelle tasche del camice, raggiungendo le scale che portano al primo
piano.
Scendo,
saltando i gradini
a due a due, passando quasi di corsa di fronte al tabellone degli
interventi,
che non guardo nemmeno.
« Karev!
Karev fermati »
perché tutti vogliono fermarmi? Perché tutti oggi
vogliono parlare con me?
Fermo il mio passo
accelerato, ma il cuore non vuole saperne di rallentare. Scarica di
adrenalina.
E’ la Bailey che mi richiama all’ordine, con
sguardo torvo. La giornata non
sembra andare bene nemmeno a lei.
« Dottor
Karev.. so che
oggi sarei impegnato con il dottor Sloan per l’intervento
sulla signore Robins,
ma ho bisogno che tu mi faccia un favore » la sua
espressione cambia,
sembra quasi di scuse. Congiunge i palmi delle mani, quasi stesse per
mettersi
a pregare. Io non capisco, così sto zitto, aspettando che
dica qualcosa. Che si
decida.
« Devi
fare una visita
preliminare ad una ragazza, quindici anni. Ha in programma per domani
pomeriggio un trapianto di midollo osseo, il secondo negli ultimi
quattro anni,
per la leucemia. Occupati di lei »
Fa una pausa, come se non
sapesse andare avanti. A me non sembra una tragedia, ormai sono
abituato alle
adolescenti malate che si affezionano ai dottori bellocci. Non riesco a
capire
perché me lo stia chiedendo quasi con un favore.
«Karev,
ascoltami. Se
ci fosse qualcun altro libero, di cui mi fido, non ti avrei dato questo
compito. Immagino che possa essere difficile per te, ma sono anche
sicura che
ti comporterai al meglio. Adesso va, su, sparisci »
Inarco le sopracciglia,
non posso farne a meno. Lei mi congeda con un gesto della mano,
voltandosi
verso il tabellone degli interventi. Lo sta aggiornando, scrivendo il
nome
della ragazzina di cui dovrei occuparmi io. Hanna Klein, 15 anni,
trapianto di
midollo osseo.
Sono le sei del
pomeriggio. E’ tutto il giorno che corro da una parte
all’altra di questo
ospedale. Ho bevuto cinque caffè e ancora
l’elettricità che ho nel corpo non mi
basta.
Meredith e Christina si sono sedute al mio tavolo, durante la pausa
pranzo, circondandomi come uccellino attorno ad un nido. Come se avessi
bisogno
di essere protetto.. forse è così " Come stai, Alex?
Sei
riuscito a parlare con Izzie? "
Quando Meredith fa quella
faccia, non la sopporto. Mi guarda come se avessi cinque anni e fossi
appena
caduto dalla mia biciclettina. Ho scosso la testa, alzato gli occhi al
cielo,
finendo di masticare un terribile panino al prosciutto, con una foglia
di
insalata che mi esce di traverso dalle labbra.
Parlo a bocca piena, giusto per
far capire a tutte e due che sono nella mia fase di menefreghismo
assoluto.
" Ma
piantala. Io sto
da Dio, non vedi? E non ho alcun bisogno di parlare con Izzie. Questo
è
quanto.. devo andare "
Non ho nemmeno portato via il mio vassoio. Se
vogliono aiutarmi davvero, lo faranno loro per me.
Comunque, sono le sei del
pomeriggio. L’intervento sulla signora Robins è
terminato, sono persino
riuscito a scusarmi con lei, prima di addormentarla. Sloan mi
è sembrato
soddisfatto. Ho preso la cartella di Hanna, dieci minuti fa,
è da lei che sto
andando. Salgo le scale – non riuscirò mai
più a riprendere un ascensore –
raggiungendo la stanza 29b, dove hanno sistemato la ragazzina. C i sono
i suoi
genitori con lei, una coppia giovane e in apprensione. Non ci si abitua
mai
alle malattie dei figli, anche se devi conviverci tutta la vita
« Signori
Klein? Sono
il dottor Karev, mi occuperò io di Hanna prima del
trapianto. Dovremmo fare
solo qualche analisi del sangue e poco altro, d’accordo? »
Mi rivolgo più alla
ragazza, che a loro. E’ distesa sul letto, la testa
appoggiata al cuscino.
Porta i capelli tagliati cortissimi, alla maschiaccio, scuri quasi
quanto i
suoi occhi. Che sono grandi ed espressivi, come quelli di un daino
nella
foresta. Lei mi sorride, annuisce, si sistema meglio i cuscini dietro
la schiena,
aiutata dal padre. Apro la cartella, scorrendo lungo il foglio di
ricovero,
inarcando un sopracciglio. Manca qualcosa
« Signori
Klein, avete
già un donatore compatibile? Nella cartella di Hanna non
risulta, ma possiamo
fare degli esami anche a voi per controllare, se ancora non sapete il
vostro
grado di compatibilità.. »
Vorrei andare avanti,
continuare a spiegare loro la procedura, anche se questo iter
l’hanno già
subito quattro anni fa. Anche questo mi sembra strano, che non abbiano
un
donatore dichiarato. La Bailey non dimentica mai di scriver qualcosa
sulle
cartelle dei pazienti, possibile che abbia cominciato proprio dal mio
caso?
Apro la bocca nuovamente, ma devo richiuderla quando si apre la porta
del bagno
all’interno della stanza. Questo vuol dire farlo apposta,
volermi del male.
Izzie è
dappertutto, è
sempre dove sono io. Vorrà dire qualcosa?
« Alex! »
sembra
sorpresa. Forse è stata lei a chiedere alla Bailey di
trovare qualcuno,
chiunque tranne me. Non si aspettava che arrivassi proprio io. Ma poi
mi
sorride, avvicinandosi al letto, sistemandosi in piedi al fianco dei
genitori
della ragazzina. Quest’ultima le sfiora addirittura il
braccio con una mano,
placidamente, come se fosse un gesto naturale.
«
Il dottor Karev è un
ottimo medico Hanna, vedrai che ti divertirai con lui. Non sembra, ma
sa essere
anche simpatico, di tanto in tanto » abbandona il
letto, lasciando spazio
ai signori Klein, avvicinandosi a me di qualche passo. Devo
trattenermi, di
nuovo, per non indietreggiare – fuggire –, o per
non avanzare – baciarla – . In
entrambi i casi farei la figura dell’idiota
«
E’ un tuo vecchio
caso? » le chiedo, abbassando la voce,
rivolgendole per la prima volta in
questa giornata assurda un tono di voce che non sia di accusa o di
condanna.
Il fatto è che sono
confuso, estremamente confuso. Lei scuote la testa – capelli
biondi che si
muovono davanti ai miei occhi e mi ricordano un sogno fatto troppo
recentemente
– poi piega la testa in direzione di Hanna, rimanendo con il
corpo vicino al
mio. Sfiorandomi, quasi.
«
E’ Hanna, mia figlia.
Sono io la donatrice. »
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Capitolo 4 *** I will try to fix you ***
‘Tears
streaming down your
face
I promise you I will learn from my mistakes
Tears stream down your face and I.. ‘
La Bailey
mi ha fregato.
Sono
bloccato, sono fottuto. Sono
bloccato. In una stanza così piccola che non mi permette
nemmeno di
mettermi
in un angolo a braccia conserte, con lo sguardo da duro.
Non
mi è
concesso nemmeno questo.
Izzie
mi
guarda con la testa reclinata da una parte, una cuffietta di plastica
azzurra
che le nasconde i capelli biondi dalla mia vista. Per fortuna,
niente boccoli,
nessun tentativo patetico di toccarli. Ma anche per sfortuna: senza i
capelli
biondi ad incorniciarlo, il suo viso è
tutto
occhi e quegli occhi guardano me.
Cazzo.
Sono bloccato,
sono fottuto.
Respiro,
sollevo il mento, la maschera ancora funziona, sono sempre io, sono il
dottor
Karev. E Isobel Stevens al momento è
una mia
paziente. Devo farcela, punto.
«
So che ti stai sforzando, te lo leggo in
faccia. Sei stato gentile a volerti occupare comunque di Hanna.
»
e
ancora
mi guarda. Come un cerbiatto. Ma non altrettanto spaurita, non
altrettanto
indifesa. E’ questo che mi fa paura, tra i due,
quello
che vorrebbe scappare sono io. Vigliacco.
Distolgo
lo guardo, mi concentro sull’ago da 20 centimetri
che il
dottor Leroy sta sistemando su una siringa da 100 millilitri, e che tra
qualche
istante entrerà nella colonna vertebrale di Izzie, aspirando
midollo osseo. A
dir la verità è un pensiero che mi mette i
brividi,
ma è più
facile che sostenere il suo sguardo.
«
Non mi hai mai detto di avere una figlia. »
mi faccio pena da solo, perché nuovamente mi ritrovo ad
accusarla di qualcosa.
Perché
con lei non riesco a tirare fuori le palle?
Come al
primo anno.
Ma chi
prendo in giro? Al primo anno facevo lo stronzo solo per conquistarla. Ero
già perso e nemmeno lo sapevo.
«
Hanna ha una famiglia, che non sono io. Non
lo sono mai stata » accenna un sorriso, mentre
allunga una mano verso di
me.
L’appoggia
sulla mia spalla e non riesco a fare a meno di irrigidirmi. Izzie
sembra non
accorgersene nemmeno. Si siede sul lettino
d’acciaio,
le punte dei piedi nudi che a malapena raggiungono il pavimento
« Lo sapeva solo George. C’era lui, quattro
anni fa, in questa stanza »
Mi
lascia
andare e si sdraia, a pancia in giù.
George
O’Malley.
Con
quanti uomini mi sono dovuto confrontare, in questi anni?
Danny Duquette.
Ma alla
fine lei aveva scelto me. Bella scelta.
Leroy si
alza e si avvicina al lettino. Non riesco a fare a meno di seguire il
movimento
della siringa, di quell’ago enorme che fa paura solo
quando
non sei tu, ad impugnarlo.
Izzie
chiude gli occhi, appoggia il mento alle braccia. Sa già
cosa si prova, a farsi
bucare la pelle e poi la colonna vertebrale.
Vorrei
dire qualcosa, ma sto zitto.
Vorrei
consolarla, ma sto zitto.
Vorrei
dirle che la perdono, che è tutto dimenticato, che vorrei
solo baciarla. Ma sto zitto.
«Faccia un bel respiro adesso. Cerchi di
rimanere immobile. »
Rimango
immobile di fronte al lettino, almeno finché lei non mi
afferra violentemente
la mano, un attimo prima che l’ago da venti
cominci a
bucarle la pelle.
Non
riesco a tirarmi indietro, mi lascio stringere. Il mio corpo funziona
da solo,
si muove da solo. Il mio corpo ha bisogno di lei e agisce
contro la
mia volontà.
Mi
ritrovo con le ginocchia piegate, la testa all’altezza della
sua. Fronte contro
fronte.
Sento il
calore, sento il dolore. Chiudo gli occhi perché guardare
l’espressione di
Izzie in questo momento mi fa venire voglia di urlare.
Sono
bloccato, sono fottuto.
_______________________________________________________________________________________
«Non pensavo che Alex
fosse così, con i
pazienti » sta parlando alla Torres, ma non la
guarda negli occhi.
Lo
sguardo di Lucy è diretto altrove, verso una finestrella
trasparente posta
proprio al centro della porta contro cui si è appoggiata.
Sta
sbirciando dentro, anche se non dovrebbe.
Osserva
Alex che stringe la mani alla paziente distesa sul lettino e le scappa
da
sorridere. Meredith aveva ragione, dopo tutto, Alexander
Karev è
una brava persona. Un uomo che non ci si dovrebbe lasciare scappare.
Callie
termina di firmare alcune cartelle, poi le richiude appoggiandole al
bancone,
voltandosi verso Lucy, la testa reclinata da un lato, il
sopracciglio
destro sollevato. Così come? Karev non è uno
famoso per avere rapporti
idilliaci con i pazienti. Si avvicina alla bionda,
allungando
il collo verso la finestrella.
Ah, ma
certo.
Si gratta
la fronte, scuote la testa con un sorrisetto divertito.
«
Quella. Quella non è una paziente
qualsiasi,
è Izzie Stevens. Alex non si comporterebbe così
con nessun altro » ed è la
pura verità.
Smette di
ridacchiare quando si accorge che la dottoressa Field non ha capito.
O almeno,
dalla sua espressione dubbiosa sembrerebbe non aver collegato il nome.
« Isobel Stevens. La moglie di Alex!
Cioè, la
ex-moglie per essere precisi. Che storia, la loro, un gran casino. Sai,
quelle
cose complicate da film
anni
cinquanta, un po’ come Via
col Vento.. »
Parla.
Parla troppo e se ne accorge troppo tardi. Perché Lucy non
sorride più, si
limita a fissare dentro la finestrella trasparente. Fissa
l’ex-moglie
del suo
ragazzo e il suddetto che le stringe le mani e la conforta, fronte
contro
fronte. Un po’ troppo, anche per i suoi gusti.
«Ma Alex te l’ha detto, vero?
Cioè… che
lavorava qui e tutto quello che è successo e.. mh.. devo..
devo andare adesso,
ok?. »
(sono fottuto)
‘ Lights
will guide you home
and ignite your bones
And I will try to fix you
’
|
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Capitolo 5 *** Nobody says it was easy ***
‘
Come up to meet you, tell you I’m
sorry,
You don’t know how lovely you are… ‘
« Alex! Alex! »
Lei mi
chiama e non mi fermo.
« Alex! »
Prendo
la
prima boccata di aria fresca della giornata, uscendo
dall’ingresso principale
dell’ospedale. Ho finito il mio turno, ho finito
la mia giornata del cavolo,
sono libero.
Casa mia
– si fa per dire – è a venti metri da
me, ma quella voce mi impedisce di andare
avanti. E poi, anche volendo ignorarla, ormai
Lucy mi ha raggiunto, correndomi
dietro, accanto, mi ostruisce il passaggio.
La
guardo
« Alex! Sei diventato sordo? Sono
dieci
minuti che ti chiamo! »
La guardo
e non rispondo. Il mezzo sorriso che aveva sulle labbra fino ad un
istante fa
scompare.
La guardo
« Ti ho sentito. Sono solo stanco.
Davvero stanco Lucy, non vedo l’ora di addormentarmi.
»
Sono
le
dieci di sera e lei capisce che non è per l’ora
tarda che sono stanco
E io
capisco che lei capisce. Che sa, in qualche modo.
« Potevi dirmelo.. che sarebbe venuta. O
potevi almeno presentarmela, non credi? » lei
cerca di mantenere un tono di
voce normale,
quasi allegro, ma non è abituata. Non è capace.
In realtà la sua
domanda esprime solamente frustrazione e anche un briciolo di gelosia.
Se
la
situazione fosse diversa, scoppierei a ridere.
Se la
situazione fosse diversa, ne sarei persino lusingato.
Ma
questa
sera no. Sono stanco, provato, non riesco nemmeno a tenere le ginocchia
dritte.
« Lucy. » respiro. Respira,
Alex. «Non avevo la più
pallida idea che Izzie
fosse in ospedale. È venuta per sua figlia, tutto qui. Non
per me,
non per
restare! » alzo la voce, di un tono, spazientito.
Lei fa un passo indietro
e ancora una volta capisco di avere toppato.
« Ok.. ok. » mi dice solo
questo, mentre
si passa una mano fra i capelli biondi e abbassa lo sguardo. Devo avere
una
faccia che fa paura.
Io stesso, mi faccio paura.
Lascio
andare i muscoli, cerco di rilassarli, sento la punta delle dita che
sfiorano
la pelle del viso, premo sulle palpebre, poi torno a
guardarla. Devo essere
sincero, ma delicato. Ne ho abbastanza, di ferire le persone.
« Lucy, ascolta… te l’avrei
detto, se
l’avessi saputo. E non te l’ho presentata
perché mi ha colto alla sprovvista. E
non la vedevo da più di
un anno, insomma, è stata una brutta giornata. Ma
è
finita. Domani sarà tutto risolto, ok? »
Allungo
la mano destra verso di lei, accarezzandole il viso.
Lucy
torna a sorridere e io mi sento sempre più verme.
Perché so
che le sto dando il contentino, la sto solo tranquillizzando, niente
più. « Devo
dormire, adesso. Ci vediamo qui domani,
vedrai che sarò come nuovo » ma non
ci credo nemmeno io.
________________________________________________________________________________
« Ti dico una cosa, adoro le tue
tette. »
« Ma che cos’hai che non
va? Perché devi
essere… ma che cos’hai in quella testa!
»
« Adoro le tue tette. E vorrei
avercele
intorno spesso e volentieri. Ma non sarebbe la fine del mondo se non le
avessi
più.. perché in realtà,
è te che
voglio. »
___________________________________________________________________________________
02:55
am
Brucia.
Mi brucia la faccia. Spalanco gli occhi e sono in una roulotte.
Ma un
secondo fa, un secondo fa ero seduto su una panca. Ero dentro uno
spogliatoio.
Izzie mi ha appena tirato un ceffone perché le
ho detto che adoro le sue tette.
E,
per
Dio, adoro le sue tette.
Ma
non è
il bruciore dello schiaffo che mi sveglia.
E’ il
fuoco di un bacio. Un altro, l’ennesimo.
Sollevo
la testa dal cuscino e mi rendo conto di essere sudato fradicio. Guardo
la
sveglia, è troppo presto per starsene con le mani
in mano, Alex, ma troppo
tardi per tornare a dormire.
Rivorrei
quel bacio, solo questo.
Rivorrei
quel bacio e poi quello da Joe. Il nostro primo bacio.
Rivorrei
il bacio che le ho dato quando ero spaventata e preoccupata per
Meredith, con
la bomba.
Rivorrei
il bacio che le ho dato mentre piangevo disperato.
Alzati.
Alzati.
Mi
alzo
dal letto con un balzo, sento i piedi nudi diventare subito freddi. Mi
spoglio,
sentendomi subito meglio, l’acqua della doccia
è fredda ma va bene così.
Lucy
ha
finito tutta l’acqua calda ma va bene così. Le
gocce che mi cadono sulla pelle
tolgono il sudore e la stanchezza e il fuoco.
Mi risvegliano. Sono lucido. Così
lucido che decido di fare una pazzia.
03:45 am
Possibile
che non ci sia nessuno? Non un’anima.
Non mi
capita spesso di camminare per Seattle alle quattro di notte. Mancano
solo un
paio d’ore, poi spunterà il sole.
Sto per
fare la figura del fesso.
Cammino,
sento le foglie che scricchiolano sotto i piedi, tengo le mani in
tasca. Ho le
unghie conficcate nei palmi, ma il dolore non mi
aiuta a fermarmi.
Perché
non voglio fermarmi, voglio continuare a camminare.
Il
dondolo di legno è immobile. Non mi ci sono mai seduto,
chissà poi perché. Lo
sfioro con la punta delle dita, cigola. Faccio un salto
all’indietro,
quasi mi
avesse morso il gatto.
Cazzo
Alex, calmati.
Sto
per
fare la figura del fesso. Sono le quattro di notte e sono qui, come un
vagabondo o un guardone o un ladro, su un vialetto, vicino ad
un dondolo di
legno.
Se
non
fosse così tardi, forse mi sentirei meno in imbarazzo,
perché questa dopotutto
è stata anche casa mia. Ma mi rendo conto di
sembrare un pazzo e forse lo sono.
Basta pensare, è ora di agire o tutto il coraggio e la
lucidità andranno a
farsi friggere e sarò costretto a
tornare indietro. Tornare alla mia cavolo di
roulotte, solo, con un peso sullo stomaco. Come un macigno.
Allungo
una mano, tirandola fuori dalla tasca del giubbino. Diventa subito
fredda,
anche se la temperatura non è male. Mi tolgo il
pensiero
e lo faccio, schiaccio
il campanello.
Nel
silenzio, fa un rumore quasi infernale. Come una campana che suona i
suoi
ultimi rintocchi.
I
MIEI
ultimi rintocchi, per così dire.
Sto
per
suonare di nuovo, senza lasciare quasi il tempo al suono di terminare,
quando
si accende una luce, all’interno della casa.
E’
quella del salotto, passi sulle
scale di legno.
Mi
avvicino alla porta, guardo dentro.
Chissà
che faccia ho.
Chissà se
sembro disperato.
Chissà se
si vede il fuoco, che mi sta bruciando dentro.
« Alex?
» Meredith mi guarda oltre il
vetro della porta, una mano sulla guancia, l’altra nei
capelli arruffati.
Indossa solo una canottiera verde
pistacchio e un paio di boxer neri da uomo –
l’idea che Stranamore sia nudo in questo momento mi mette i
brividi – ma quasi
non ci faccio caso.
Non
riuscirei a guardare un paio di tette – un altro paio di
tette, che non sia il
suo – nemmeno se me le mettessero sotto il naso.
Apre
la
porta, guardandosi intorno, strofinandosi gli occhi con la mano libera,
quasi
volesse accertarsi di essere sveglia «
Alex, che ci fai qui? »
me lo chiede, ma le leggo in faccia che conosce già
la risposta.
Non ho
nemmeno bisogno di parlare. Ci fissiamo, giusto qualche istante, io
fuori e lei
dentro, come se questa porta, quella che ho davanti,
fosse una linea di
confine. E lo è.
Posso
ancora ritirarmi, tornare indietro.
Potrei
far tornare tutto come prima.
E invece
no. Entro. Faccio un passo, poi un altro, poi mi fermo.
«Credi che dovrei andarmene? Cazzo sto
sbagliando tutto.. »
mi prendo la
faccia tra le mani, con scarsa delicatezza. Sento i palmi
sulle
guance e vorrei
riempirmi di schiaffi. O almeno che lo facesse lei, ma Meredith non fa
una
piega. Scuote la testa, poi fa un mezzo sorriso.
Uno dei suoi.
Il
sorriso di una che ti conosce. Di una che è stata cupa e
torbida, proprio come
te. Una che capisce perfettamente, come si può stare
di
merda, a volte.
« Aspetta qui.. provo a svegliarla » e sparisce, su
per le scale.
Quando
arriva al piano di sopra sento i suoi passi arrivare fino in fondo al
corridoio, poi si fermano.
E’
nella
nostra stanza. La nostra stanza.
Guardo
all’insù, ma non sento quasi niente. Solo un
brusio sommesso, la voce di
Meredith fievole, lontanissima. Sembra che il suono
del campanello abbia
svegliato solo lei.
« Oh Meredith! Ma insomma… ma hai visto
che
ore sono? Ero appena riuscita ad addormentarmi, non è
possibile! Che succede
adesso? »
non
ti arrabbiare Iz. Non
riesco a fare a meno di sorridere, nel sentire la sua voce. Non fa
niente per
tenerla bassa, quasi non si fosse resa
conto che in casa c’è anche Derek. Che
dorme, almeno per ora.
« Izzie.. c’è Alex, di sotto
»
Silenzio.
Silenzio.
Un tonfo.
Silenzio.
Rumore
di
piedi nudi sul pavimento, si muovono frenetici. Poi sembrano calmarsi
ed è il
momento in cui vedo Isobel spuntare sulle scale.
Scende i gradini tentando di
mantenere un’andatura controllata e questo mi spinge a
sorridere maggiormente.
Piego la
testa verso il basso, in modo che lei non possa vedermi.
Faccio
sparire il sorriso, tornando a guardarla.
You don’t
know how lovely you are…
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